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Full text of "Nuove effemeridi Siciliane"

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Harvard  College 
Library 


THE  GIFT  OF 


Archibald  Cary  Coolidge   | 


Class  cf  1887 

PROFESSOR  OF  HISTORY 


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NUOVE 


EFFEMERIDI  SICILIANE 


DI 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 


ANNO  II. 


PAIiCRMO 

TIPOGRAnA  DEL  GIORNALE  DI  SICIUA 

1870 


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Pl-W((a3.l.3 


HARVARD  COLLEGE  LIBRARY 

THE  GIFT  OF 
ARCHIBALO  CARY  COOLIOGE 


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NnOYE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

ANNO  U.  DISPENSA  I.  APRILE  1870 


AI  LETTORI 


Le  Bffemeridi  Siciliane  entrano  nel  i^  anno  con  mi- 
gliori speranze  che  non  cominciarono  il  primo,  attesa  la  buona 
accoglienza  trovata  e  presso  noi  e  fuori,  e  gì'  incora^amenti 
ricevuti  dagli  onesti  e  da'  dotti.  Noi  non  diremo  con  millan- 
tarla da  far  ridere  che  il  nostro  periodico  sia  F  unico  organo 
che  abbia  la  Sicilia  letteraria,  nel  quale  si  raccolgono  i  mi- 
gliori ingegni  e  scrittori  dell'Isola;  perocché  siamo  usi  ad  at- 
tendere più  che  alle  parole  ai  fatti,  più  che  al  volume  delle 
cose  al  loro  valore.  Né  fa  uopo  ripetere  che  il  nostro  perio- 
dico sarà  sempre  lontano  dalla  politica.  Ma  promettiamo  so- 
lamente di  restarci  fermi  nel  nostro  indirizzo;  e,  accogliendo 
i  consigli  venutici,  fare  in  modo  che  nel  novello  anno  queste 
EfTemeridi  rispondano  sempre  più  al  loro  titolo,  coniscrìt- 
ture  che  ma^ormente  trattino  argomenti  siciliani;  anzi  ag- 
giungeremo i  ragguagli  delle  tornate  ieìVAcecuierma  di  Scienze 
e  Lettere  di  Palermo.  Quanto  poi  siasi  fatto  nell'anno  già  com- 
piuto dà  a  vedere  lo  specchietto  che  è  Tindice  del  l^  volume. 

Palermo,  adda  l«  Aprile  1870. 

I  Compilatori 


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UNO  SCOLARE  DEL  MICELI 

0 

L* ABATE  BENEDETTINO  CL  IIVAIOLA 

O 


Il  fiorire  della  scuola  Hiceliana  in  Monreale  e  per  1*^  Isola  fu  ap- 
punto nel  ventennio  dal  1760  al  178f,  anno  che  moriva  il  Miceli, 
e  ingagliardivano  contro  la  scuola  di  lui  le  polemiche  del  camaldo- 
lese Isidoro  Bianchi  di  Cremona,  le  allusioni  dello  scolopio  Giuseppe 
Guglieri  diOneglia,  allora  insegnanti  in  Monreale,  il  frizzo  poetico 
del  Meli  e  le  ire  prepotenti  del  Di  Blasi;  benché  pur  da  Firenze 
il  Sicordini  difendesse  in  uno  dei  periodici  di  quel  tempo  l' illustre 
filosofo  accusato  di  spinosista  (ì)y  e  i  valentissimi  compagni  e  sco- 
lari del  Miceli,  fra^  quali  Niccola  Spedalieii,  contro  cui  specialmente 
eran  mosse  le  accuse  del  Di  Blasi,  abate  Benedettino,  dotto  teo- 
logo e  valente  storiografo  di  Sicilia.  Ma,  tuttoché,  a  capo  della 
opposizione  alla  scuola  metafisica  e  teologica  di  Monreale  fosse  tanto 
illustre  uomo  quale  il  Di  Blasi,  pur  tra  gli  slessi  benedettini  il  Mi- 
celianismo  tro\ava  favore,  e  fra^  partigiani  più  fervorosi  fu  il  gio- 
vane monaco  Gaspare  Rivarola  della  Badia  di  S.  Martino  delle  Scale. 
Il  Rivarola  nasceva  in  Palermo  a'  3  di  maggio  del  1753  dal  Prin- 
cipe di  Roccella  Gaspare  Rivarola  e  da  Rosaria  Vanni  pur  di  nobile 
casato;  e  fanciullo  fu  educato  nel  monastero  di  San  Martino,  ove  fece 
la  sua  professione  monastica  e  poi  fu  Priore,  finché,  già  creato  a- 

(*)  Da  un*  opera  sulla  Filosofia  contemporanea  in  Sicilia. 

(1)  Il  Sicordini,  difendendo  lo  Spedalieri  contro  il  Di  Blasi  che  lo  aveva  accusato 
di  Spinosiita  perchè  JUieeliano,  avverte  sul  proposito  :  «  è  falso  falsissimo  che  la  pa- 
rola MUeliano  equivalga  in  Sicilia  a  Spinomia,  non  avendo  essa  tal  significato  che 
nella  fantasia  riscaldata  di  chi  cosi  scrive;  come  ne  sono  riassicurato  per  tante  let- 
tere d*  amici  Siciliani.  »  V.  il  nostro  libretto  Della  Filoiofia  moderna  in  Sieiliay  li- 
bri due,  p.  156-57.  Pai.  1848. 


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6  NDOVB  EFFEMERIDI  SICILIANE 

baie  del  monastero  di  S.  Flavia  di  Callaaissetla,  fu  in  allimo  abate 
delPantico  Monastero  di  Monreale.  Quivi  sedendo  il  Balsamo,  dotto 
e  muniflcentissimo  Arcivescovo  di  quella  Chiesa,  fu  il  Rivarola  fin- 
ché visse  suo  Vicario  Generale;  attendendo  cosi  indefessamente 
alle  cure  ecclesiastiche  e  ^gìì  studi  filosofici  e  teologici,  sino  che, 
trattenuto  a  Palermo  per  grave  malattia ,  cessava  di  vìvere  in  età 
di  anni  settanta  ai  20  dicembre  del  1822,  nel  Convento  dello  Spirito 
Santo,  che  già  fu  de'  Benedettini  di  San  Martino. 

lasciò  il  Rivarola  non  pochi  mss.;  che  di  pubblicato  non  c'è 
che  l'operetta  :  Dissertazione  in  cui  si  prova  che  Maria  Vergine  sia 
stata  necessariamente  concepita  immacolata  ecc.  (Palermo  1822)  ;  e 
sono  tutti  di  argomento  filosofico.  Furono  questi  mss.  per  volontà 
deir  autore  cìiiusi  neir  archivio  del  Monastero  di  S.  Martino,  e  non 
depositati  in  quella  Biblioteca  a  studiarli  chi  volesse  ;  anzi  sappiamo 
aver  ordinato  il  Rivarola  stesso  non  si  pubblicassero,  né  si  uscissero 
di  archivio,  sia  slato  perché  umilmente  sentiva  di  se,  sia  stato  per 
altra  ragione  a  noi  ignota.  Fra  que'  mss.  intanto,  oltre  gli  spogli  e  la 
raccolta  copiosissima  di  testi  di  Padri  e  di  Dottori  a  confermazione 
della  dottrina  fondamentale  Miceliana,  e  scritti  propri  del  Guardi  e 
dello  Zerbo,  e  la  traduzione  latina  che  il  Barcellona,  dotto  padre  del- 
l' Oratorio,  fece  del  Saggio  storico  del  Miceli,  il  Rivarola  lasciava  lo 
Specimen  scienti/icum  del  Miceli  cum  adnotationibm  Rivarola^  un 
Compendio  di  Logica  sopra  il  Baumeister,  un  Compendio  del  corso  di 
Filosofia  dello  Zerbo,  e  di  suo  un  Corso  di  Filosofia^  e  un  volume 
col  titolo  :  Metaphisices  Elemeuta  ad  mentem  priorum  saeaUorwn  Pa- 
trum  concinnata. 

La  Biblioteca  Nazionale  palermitana  possiede  un  esemplare  ma- 
noscritto segn.  XXXII,  E.  88,  del  Corso  di  Filosofia  citato ,  che  è 
r  opera  stessa  scritta  pure  in  latino  con  altro  titolo;  e  noi  da  que- 
sto esemplare  dellji  Nazionale  di  Palermo  (i),  abbiamo  per  lo  ap- 
punto tirato  i  passi  che  valgono  a  darci  quale  sia  stato  il  sistema 
professato  dal  filosofo  benedettino.  Questo  mss.  che  pare  se  non 
tutto  autografo,  certo  riveduto  e  corretto  dalP  autore,  ha  una  Pre- 
fazione che  discorre  sulla  necessità  di  una  filosofia  appropriata  al 
parlare  dei  Padri,  seguita  da  Prolegomeni  ove  si  tratta  delle  due 
cognizioni  deWuomo  e  della  certezza  rispettiva  che  ne  risulta.  Indi 


(i)  Il  titolo  è:  Istituzioni  Metafisiche  aecomodaie  alle  espressioni  de*  Padri  de*  primi 
cinque  secoli  della  Chiesa  eper  V  intelligenza  della  loro  filosofia  ;  per  opera  e  studio 
del  p.  D.  Gaspaeb  Rivarola  Cassinese.  Grosso  volume  di  earte  779  a  due  faccie. 


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UNO  SQOLABE  DSL  HKEU  7 

cominciano  i  capitoli  delP  opera ,  procedendo  dalla  Ontologia  alla 
Teologia  Razionale^  alla  Cosmologia,  e  alla  Pricologia  ;  dopo  che  si 
conchinde  con  una  nota  sulla  interpretazione  razionale  del  Simbolo 
degli  Apostoli  rispetto  alla  Creazione. 

Proponevasi  il  nostro  una  rinnovazione  delP antica  fliosofla  de^  Pa- 
dri a  giovamento  degli  studi  si  filosofici  e  si  teologici,  stante  che 
<  grandi  filosofi  furono  insieme  i  Padri  tutti  dell'antica  Chiesa  de- 
stinati dalla  Provvidenza  a  propagarne  le  dottrine;  né,  avvertiva > 
può  alcuno  usurpare  nella  Chiesa  il  nome  di  teologo,  né  esser  cre- 
duto adatto  ad  insegnar  gli  altri,  se  non,  quantunque  illuminato  dalle 
dottrine  della  fede,  non  sia  pure  ugualmente  filosofo.  •  Da  ciò  P  in- 
tendimento della  sua  opera  sia  come  preparazione  della  ragione  alla 
fede,  sia  come  disciplina  delP  intelletto  credente;  e  Tobbligo,  d'altra 
parte,  che  dava  al  teologo  d'*  indagare  ed  apprendere  la  filosofia  dei 
Padri  d^  primi  secoli;  siccome  fonte  di  ogni  sapienza,  e  via  onde 
poter  camminare  con  sicurezza  nelle  ragioni  delle  scienze  sacre. 

Pertanto,  ponendo  innanzi  il  disegno  ovvero  Videa  della  sua  o- 
pera  e  lo  scopo  del  suo  lavoro,  fermava  il  cammino  da  fare,  avver- 
tendo :  «  vedremo  prima  ciò  che  essi  (i  Padri)  hanno  insegnato  in- 
tomo il  vero  Ente,  per  poi  ridurci  alle  idee  che  sembrano  averci 
lasciato  intorno  la  creazione  delle  cose,  intorno  le  creature  e  Pa- 
nimo  deir  uomo,  e  tutto  ciò  che  vien  compreso  nelle  ordinarie  parti 
della  Metafisica  de'  nostri  tempi  (cioè  Ontologia,  Teologia,  Cosmo- 
cologia.  Psicologia).  •  Cosi  voleva  il  dotto  benedettino  che  nella 
scienza  mo<i^na  rivivesse  Tantica;  e  colla  Teologia  camminasse  in- 
sieme la  Filosofia;  massime  platonica,  alla  quale  inclinavano  sopra- 
tutto i  più  antichi  de'  Padri. 

I  Prolegomeni  poi  stabiliscono  la  natura  delle  due  cognizioni  che 
si  hanno  nelP  uomo ,  cioè  la  cognizione  del  senso  e  la  cognizione 
deir  intelletto,  o  meglio  la  cognizione  delle  cose  composte  e  quella 
del  semplice,  del  fenomeno  e  della  sostanza,  dello  sperimentale  e 
del  reale.  Di  più,-  altra  cognizione  superiore  può  eziandio  darsi  nel- 
r  uomo,  cioè  la  cognizione  soprannaturale,  •  che  consiste  nella  comu- 
nicazione della  Sapienza  che  rialza  la  natura  dell'uomo  ad  uno  stato 
soprannaturale  e  divino,  e  partecipe  lo  rende  della  divina  natura  •  : 
da  ciò  la  scienza  e  la  fede,  la  filosofia  razionale  e  la  filosofia  rive- 
lata, la  teologia  naturale  e  la  teologia  positiva.  Alla  quale  distinzione 
che  è  Miceliana  (f  ),  segue  la  teorica  de'  principii  metafisici  tirata  di 


(1)  Y.  il  Sa'jgio  slorieo  di  un  sistema  melafisieo  di  V.  Miceli,  p.  152  e  segg.  nel 
nostro  libro  //  Miceli,  ovvero  V Apologia  del  SistetiM.  Pai.  1865. 


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8  NUOVE  EFFEMEBIDI  SICILIANE 

peso  dalle  proposizioni  stesse  dello  Specimen  sdentificum  del  Miceli, 
delia  quale  opera  è  questa  del  nostro  una  larga  spiegazione,  in  cui 
hai  insieme  tutte  le  scritture  del  Miceli  e  T  interpetrazione  o  il  senso 
tradizionale  che  ne  davano  gli  scolari ,  fra  quali  principalissimi  il 
Zerbo  per  la  parte  filosofica  e  il  Guardi  p^r  la  teologica. 

Se  non  che,  lo  stesso  soflsma,  onde  la  ragione  sufficiente  è  con- 
fusa con  la  ragione  intrinseca,  ovvero  con  V  essenza  stessa  delP  es- 
sere (di  guisa  che  dal  principio  che  niente  si  ha  senza  ragione  suf- 
ficiente, si  conchiude  che  ciò  che  é,  o  V  essere,  è  necessario,  ovvero 
esiste  per  se  medesimo,  né  si  possa  dare  essere  che  sia  fatto  esi- 
stere da  altro  essere,  poiché  sarebbe  essere  e  non  essere  nello  stesso 
tempo,  ciò  che  é  opposto  al  principio  di  contraddizione);  é  a  capo 
delle  proposizioni  fondamentali  di  questa  ontologia  del  Rivarola,  la 
quale  é  proprio  il  cemento  delle  proposizioni  Miceliane ,  poste  in 
testo  di  ogni  paragrafo.  Qui  chiaramente  va  detto,  quasi  risposta 
alle  obbiezioni  che  si  facevano  allo  Specimen  del  Miceli,  che  : 

«  (§  8).  Se  altri  dica  che  non  solamente  una  cosa  ha  la  ragione  suffi- 
ciente intrinseca  cioè  la  propria  essenza  in  se  medesima  e  i  propri  pre- 
dicati, ma  che  ha  ancora  la  ragione  sufficiente  estrinseca,  cioè  in  altri 
da  cui  é  prodotta;  io  rispondo,  die  tale  proposizione  non  può  ammet- 
tersi nello  stato  metaQsico,  né  può  ridursi  a  principio  necessario  ^ 
giacché  non  potrà  mai  provarsi  metafìsicamente  e  come  una^  pro- 
posizione necessaria ,  che  una  cosa  debba  avere  in  aliri  la  sua  ra- 
gione sufficiente  ;  poiché  supponendo  V  ipotesi  che  chi  dà  la  ragione 
sufficiente  alla  cosa  sia  da  quella  realmente  distinto  e^separato,  già 
suppongo  due  cose  realmente  distinte  V  una  dall^altra,  e  se  son  di- 
stinte può  una  stare  senza  V  altra,  giacché  per  il  principio  di  con- 
traddizione ripugna  soltanto  che  la  medesima  cosa  sia  e  non  sia  nel 
medesimo  tempo,  non  già  che  tra  due  cose  esistenti  una  sia  e  T  al- 
tra non  sia.  Dunque  in  quel  caso  potrei  senza  contraddizione  alcuna 
togliere  arbitrariamente  quello  in  cui  é  la  ragione  sufficiente  della 
cosa,  e  lasciare  la  cosa  medesima  già  distinta  realmente  da  quella 
perché  non  idfm  simtd  essct  et  non  esseL  Dunque  non  ripugna  darsi 
cosa  che  non  abbia  ricevuto  da  altri  la  sua  ragione  sufficiente  :  che 
se  non  ripugna  non  può  la  contraria  proposizione  aver  luogo  nelle 
scienze,  anzi  deve  assolutamente  escludersi.  Resta  adunque  la  corta 
proposizione  ciie  :  non  repugnat  dari  rem  quin  ab  alio  a  se  distincto 
et  rediter  sejuncto  rationem  sui  ipsius  sufficientem  recipisset  (i). 


(I)  V.  sopra  questa  proposiziooe  del  Miceli  il  nostro  libro  //  Miceli  ovvero  del- 
VEnie  uno  e  reale  ecc.  p.  272-275.  Palermo,  1864. 


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UNO  SCOLARE  QEL  MIGBU  9 

«  (§  0).  La  ragione  sofficieDle  è  intrìnseca  della  cosa  quando  la  cosa 
è  essenza  di  se  stessa^  senza  che  la  riceva  da  allro.  Ratio  sufficiens 
intrinseca  rei  est  sui  ipsius  essentia^  quin  ab  aUo  eam  recipiat. 

•  (§  IO).  Poste  le  date  definizioni  ne  nasce  chiara  la  seguente  pro- 
posizione :  ripugna  soltanto  darsi  la  cosa  senza  la  ragione  sufficiente 
intrinseca  :  giacché  da  una  parte  ripugna  darsi  cosa  senza  ragione 
sufficiente  della  cosa  stessa  ;  dall'  altro  non  ripugna  darsi  la  cosa 
senza  ragione  sufficiente  estrinseca  ;  dunque  ripugna  soltanto  darsi 
senza  la  ragione  sufficiente  intrinseca.  Repugnat  solum  dori  rem  sine 
ratiani  sufflcietUi  intrinàeca.  > 

Ora,  questo  sofisma  che  Aristotile  avrebbe  detto  d' ignoranza  di 
elenco,  ovvero  di  conseguenza,  così  ripetuto  dal  Nostro,  condusse  il 
Miceli  air  unico  Ente  vivo  e  reale:  stante  siccome  si  vede,  era' con- 
fusa la  ragione  sufficiente  con  l'essenza,  e  però  si  faceva  intrinseca, 
senza  accorgimento  che  posta  come  intrinseca,  V  essere  è  già  fatto 
assoluto  e  necessario ,  né  altro  essere  assoluto  e  necessario  possa 
darsi  che  uno,  il  quale  sarà  Dio.  E  veramente  il  Miceli,  e  gli  sco- 
lari come  il  Nostro,  stelter  fermi  alla  logica  ;  conchiudendo  air  u- 
nità  deir  Essere  e  a  porre  il  mondo  come  la  perpetua  novità  della 
Onnipotenza,  o  come  TOnnipotenza  stessa  estrinsecamente  conside- 
rata, la  quale  riguardata  nel  suo  essere  intrinseco  é  insieme  con  la 
Sapienza  e  la  Carità  uno  de'  tre  stati  necessari  e  immanenti  dello 
unico  Ente  reale  e  vivo,  infinito  ed  eterno. 

Pertanto,  abbiamo  appunto  dal  Nostro  che  «  dalle  precedenti  dot- 
trine devono  tirarsi  li  seguenti  corollari:  e  primo,  che  la  cosa  e  la 
sua  ragione  sono  Tlstesso  :  Res  et  ratio  sunt  unum  et  idem:  secondo; 
posta  la  ragione  si  mette  necessariamente  la  cosa,  e  posta  la  cosa  si 
pongono  ugualmente  gli  attributi  e  i  predicati ,  giacché  non  può 
una  cosa  separarsi  dalla  sua  essenza  e  da'  suoi  predicati:  Posita  ra- 
tiene  sufficienti  ponitur  res,  et  posita  re  ponitur  ratio  sufficieiis  e- 
jusdem  rei  (t).  In  questi  principii  stabiliremo  tutto  il  nostro  sistema 
metafisico  (p.  40).  • 

Cosi  procede  il  Nostro,  dietro  le  proposizioni  dello  Specimen  Mi- 
celiano,  alPideniità  della  ragione  sufficiente  con  P  essenza  reale  del- 
l'Ente, e  dell'essenza  con  resistenza,  e  dell'una  e  dell'altra  con 
la  necessità;  si  che  l'Ente  é  reale,  necessario,  uno,  sottostante  ai 
suoi  modi,  apparenti,  contingenti,  moltiplici;  e  nel  primo  riguardo 
é  Dio,  siccome  nel  secondo  é  Mondo;  Ragion  di  agire  con  conscienza 

(I)  Queste  due  proposizioni  non  saraivio  mai  in  buona  logica^  convertibili. 

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10  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

intrinseca  o  Sapienza,  e  Ragion  d'agire  con  cognizione  estrinseca 
0  Anima;  mondo  naturale  come  Volontà  fìsica,  mondo  soprannatu- 
rale siccome  Carità  (I).'   . 

Posta  adunque  la  natura  deir  Ente  reale,  secondo  il  senso  Mice- 
liane,  cioè  che  vero  Ente  e  reale  sia  Tessere  che  abbia  in  se  stesso 
la  ragione  del  suo  esistere ,  va  dai  nostro  fermata  la  proposizione 
sessantacinqnesima  che  ammesso  f  mie  reale  ripugna  qwAwMpte  al- 
tro ente  rede;  e  aggiunge  di  piA:  «  che  unica  sia  T  essenza  ed  uno 
il  vero  ente,  in  guisa  che  tutto  ciò  che  esiste  non  esista  in  se  stesso, 
ma  in  queir  unico  e  solo,  è  una  dottrina  non  solamente  certa  tra^ 
Padri  della  chiesa,  ma  tra'  filosofi  ancóra  cosi  antichi  che  moderni 
(p.  119).  •  La  quale  proposizione  vuole  intanto  ristretta  col  senso 
di  molti  luoghi  citati  de'  Padri,  onde  conchiude:  e  le  creature  dun- 
que secondo  i  Padri  non  sono  veri  Enti,^acci)ò  il  loro  essere  non 
è  indipendente -e  separato  da  Dio,  ma  T  essere  delle  creature  è  quello 
stesso  che  gli  comunica  Iddio  :  il  buono  delle  creature  è  in  Dio , 
ch^dahii  gli  si  partecipa  a  tenore  della  sua  libera  volontà.;  Inesi- 
stenza, la  sussistenza,  la  forza,  la  vita,  la  virtù,  e  qualunque  altra 
cosa  di  positivo  che  osserviamo  nelle  creature,  è  tutto  in  Dio,  e  da 
lui  ad  esse  partecipato,  non  già  che  Tessere  delle  creature  sia  Ti- 
stesso  e^ere  di  Dio  (che  è  assolutamente  impartecipabile) ,  ma  è 
in  Dio  e  da  lui  partecipato....  Per  ora  ci  basta  conoscere  che  se  tutto 
il  buono  delle  creature  ed  il  loro  essere  è  in  Dio,  dunque  un  es- 
sere solo  dobbiamo  ammettere  ;  giacché  se  niente  altro  esiste  che 
Iddio  e  le  creature,  non  può  ammettersi  altro  essere  che  quello  di 
Iddio  e  quello  delle  creature  :  se  queste  T  hanno  in  Dio,  dunque  non 
resta  che  un  solo  essere  ;  dunque  T  essere  è  uno;  né  v'  é  altro  Ente 
reale  che  T  Uno  (p.  121)....  >  La  differenza  che  passa  txa  Dio  e  le 
creature  si  è  che  Iddio  solo  è  veramente,  e  le  creature  non  sono 
se  non  in  quanto  partecipano  delT  unico  essere;  ia  guisa  che  il  loro 
essere  non  è  proprio,  né  sono  in  loro  stessi,  ma  da  Dio  (p.  123). 
Pertanto ,  si  ferma  T  altra  proposizione  che  è  pur  miceliana,  cioè: 
e  dato  TEnte  reale  tutto  ciò  che  è  o  può  concepirsi  di  reale  con 
lui  si  identifica  (p.  125).  >  Tutte  le  realtà  sono  delTEnte  reale,  che 
è  unico,  perfettissimo,  infinito  ;  stantechè  ;  «  quando  supponghiamo 
altro  Ente  separato  dall'Ente  infinito,  togliamo  insieme  Tinfinita  per- 


(1)  Altrove,  cioA  neUa  prefazione  e  nelle  note  ai  due  volami  sul  Mkeli,  abbiamo 
avvertili  i  riscontri  della  dottrina  del  filosofo  Monrealese  con  lo  Schelling  e  THi^gel, 
eoi  Lamennais  e  con  Io  Schopenhauer,  né  qui  occorre  ripeterli. 


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UNO  SCOLARE  DEL  MICELI  II 

fezione  dì  Dio,  giacché  vi  sarebbe  oltre  a  lui  altro  baono  che  a  lui 
mancherebbe  tp.  131):  •  Ma,  in  questa  equazione  di  ogni  realtà 
coir  Ente  reale,  che  è  Dio,  è  da  attendere,  secondo  il  Nostro,  che  gli 
attributi  intrinseci^  «  siccome  altro  non  denotano  né  sono  che  la  stessa 
sua  natura,  cosi  s' identiflcano  perfettamente  e  adequatamente  con  lui. 
Le  azioni  però  da  quell'essere  prodotte  (e  sono  le  creature),  le  quali 
non  esprimono  la  sua  essenza,  ma  hanno  soltanto  ragione  in  quella 
e  sono  effetti  di  quella  causa  efiSciente,  non  si  identificano  perfet- 
tamente con  quella,  perché  non  sono  nò  costituiscono  la  sua  natura, 
ma  soltanto  inadequatamente,  in  quanto  non  possono  sussistere  se 
r  essere  istesso  non  gli  comunica  V  essere  e  la  forza,  senza  però  co- 
municare né  la  natura  del  suo  essere,  né  la  natura  della  sua  forza» 
ma  restano  sempre  inerenti  a  lui.  »  É  T  identità  che  passa  tra  l'a- 
zione e  r agente  :  <  e  siccome  il  positivo  di  qualunque  azione  e  ciò' 
che  somministra  Tessere  alPazione  é  una  perfezione,  cosi  siccome 
Tessere  delT  azione  ossia  ciò  che  òdi  reale  nelT  azione  si  identifica 
ed  appartiene  al  vero  Ente,  ugualmente  con  lui  si  identifica  qua- 
lunque sua  perfezione  (p.  129  retro).  >  Se  non  che,  il  Nostro  fa  a 
se  stesso  questa  domanda  :  <  Cosa  dunque  diremo  delle  creature  ? 
hanno  esse  T  essenza  propria  é  distinta ,  onde  siamo  costretti  di 
togliere  a  Dio  T  infinita  perfezione  ?  o  sono  esse  T  islessa  cbsa  con 
Dio  ?  i  E  risponde  subito  :  «  L'uno  e  Taltro  é  un  assurdo.  Due  cose 
dobbiamo  considerare  nelle  creature ,  T  essere  e  la  mancanza  del 
medesimo,  o  sia  il  positivo  e  il  negativo.  L'essere,  propriamente 
parlando,  non  conviene  alle  creature,  ma  é  in  Dio  ;  la  privazione 
di  ulteriore  essere,  o  sia  il  negativo,  conviene  a  lofo  :  quindi  si  ri- 
cava che  ciò  che  costituisce  la  creatura  é  Tessere  con  la  mancanza 
di  ulteriore  perfezione,  o  sia,  la  mancanza  di  ulteriore  perfezione 
forma  Tassenza  della  creatura  (p.  131  retro). 

•  Per  lo  che,  come  il  buono  e  Tessere  sono  perfettament)  inerenti 
a  Dio,  formano  un  perfetto  buono,  integro  e  senza  alcuna  mesco- 
lanza. Quando  però  T  essere  é  comunicato  alle  creature,  non  é  più 
in  esse  un  buono  semplice  e  perfetto,  perché  é  unito  alla  mancanza 
di  ulteriore  realità,  ed  é  in  esse  un  bene  limitato  e  composto.  Sia 
per  es.  T  estremità  di  una  linea  :  Cosa  é  mai  che  costituisce  il  punto 
che  é  il  fine  tlella  linea  ?  Certamente  la  sola  mancanza  della  linea, 
0  sia  il  finimento  della  stessa.  Imperciocché  il  punto  in  se  stesso 
né  può  chiamarsi  estremità,  né  finimento  delT estremità,  ma  la 
mancanza  di  punti  ulteriori  costituisce  quelT  estremo  della  linea 
(p.  133)....  . 

Nella  Cosmologia  poi  la  dottrina  Hiceliana  va  ripetuta  più  net- 


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12  NUOVB  BFFBIIEIUDI  SKIUANE 

tamente;  che,  posto  che  TEnte  yìvo  sia  forza  o  ragione  cofM- 
nna  di  agire,  e  «  la  forza  realmente  non  si  distingue  dalP  azione, 
come  la  n^one  sufficiente  non  si  distingue  dalla  cosa  medesima  di 
cui  è  ragione,  né  dall'Ente  stesso  che  agisce,  ma  con  lui  si  iden- 
tifica •  si  che  «  r  istesso  Ente  in  quanto  denota  molti  attuali  sforzi 
si  chiama  forza  ;  in  quanto  si  considera  in  astratto,  cioè  come  pre- 
dito di  forza  si  dice  Ente  vivo,  o  sia  attuoso;  in  quanto  si  consi- 
dera per P attuale  conato  si  dice  statolo  sia  modificazione o azione 
(p.  Ii3),  •  le  creature  non  sono  che  azioni  o  modificazioni  dell'u- 
nico Ente,  sempre  nuove,  e  però  contìngenti,  finite,  moltìplicr,  im- 
perfette, quando  PEnte  vivo  è  eterno,  necessario,  infinito,  uno,  per- 
fettissimo. La  definizione  della  sostanza  conduceva  il  Nostro  alla  stessa 
conclusione  delP  unità  delP  essere ,  che  è  cosi  chiara  parlando  del 
Mondo;  e  b  uopo  qui  ripetere  la  distinzione  e  definizione  che  ci  dava 
sul  proposito,  in  questi  termini:  •  La  sostanza  è  reale,  o  sperimentale. 
La  sostanza  reale  è  V  istesso  Ente  reale,  che  ha  il  proprio  essere, 
e  che  perciò  ha  in  se  stesso  la  ragione  sufficiente  perchè  sia.  I«a 
sperimentale  è  quell'Ente,  che  noi  sperimentiamo  come  perdura- 
bile e  modificabile  quantunque  realmente  non  sia  tale,  e  che  non 
sussista  in  se  stesso,  ed  altro  non  sia,  che  un  modo  estrinseco  della 
sostanza  reale,  come  si  è  detto  parlando  dell'  Ente  vivo.  I^  sostanza 
reale  può  chiamarsi  pure  sostanza  prima  ed  inerente  :  le  sostanze 
sperimentali  si  possono  chiamare  sostanze  seconde  o  create.  Se  si 
dà  l'Ente  vivo  ed  infinito  non  può  darsi  che  unica  sostanza  reale; 
tutte  le  altre  sono  sostanze  seconde,  o  sia  sostanze  esperimentali;  giac- 
ché dato  l'Ente  vivo  infinito  non  si  dà  che  unico  Ente  reale,  come 
si  è  provato,  con  cui  si  identifica  l' essere  di  tutti  gli  altri  enti  e- 
sistenti.  Dunque  il  solo  Ente  infinito  è  Y<'ra  sostanza  reale  ;  dunque 
r  altre  sostanze  non  sono  sostanze  reali ,  ma  sostanze  esperimen- 
tali  e  sostanze  seconde.  E  perciò  non  si  dà  che  unica  sostanza 
reale  (p.  463)  >  Da  ciò  la  distinzione  nel  Mondo  del  positivo  e  del 
negativo,  come  una  estrinseca  limitazione  della  Sostanza  che  è  forza 
agente  in  continua  novità  di  stati  o  modi  e  termini  di  sua  azione,  dai 
quali  procede  la  contingenza  o  il  tempo,  perocché  «  nessuna  azione 
di  natura  non  può  essere  eterna,  quando  l'Ente  vivo  è  sempre  l'i- 
stesso  in  qualunque  azione.  Consideriamo  una  ruota  che  sempre  gira 
nel  suo  asse  ;  sempre  cambia  sito  la  sua  periferia,  ma  è  nelPistesso 
asse  (p.  391).  »  Onde,  e  il  Mondo  è  lo  stato  delP  Onnipotenza  che 
continuamente  agisce  e  uno  stato  della  medesima ,  come  P  onda  è 
lo  stato  dell'acqua,  che  si  muove  ed  agisce.  In  istietto  senso  P  acqua 
non  è  onda,  dapoichè  se  non  s'inalza  in  globo  P acqua  non  può 


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UNO  SCOLARE  DSL  mCBU  13 

prendere  la  figura  di  onda,  né  frattanto  possiamo  negare  die  I^  onda 
non  sia  acqua.  L^  onda  dunque  né  è  1^  acqua,  né  può  dirsi  che  non  sia 
acqua,  ma  é  un'  azione  ossia  un  termine  dell^  istessa  acqua.  Di  più, 
razione  dell^  acqua  considerata  da  per  se  sola  se  non  é  congiunta 
con  la  carenza  di  ulteriore  acqua  non  può  formare  Tonda,  giacché 
Tonda  non  é  altro  che  una  parte  delT  acqua,  che  dal  moto  delle  parti 
contigue  sMnnalza  sopra  il  resto  del  mare  che  ha  nelT  intorno  nella 
sua  quiete.  L' azione  dunque  delT  acqua  che  é  un  certo  positivo , 
e  la  mancanza  del  rimanente  dell'altra  acqua  nello  stato  delTonda 
costituisce  Tonda  (l).Cosi  TOnntpotenza  che  continuamente  agisce  né 
é  mondo,  né  é  non  mondo  ;  ma  é  la  vita  di  Dio.  Se  però  a  queste 
azioni  0  sia  a  questo  stato  gli  si  unisca  la  mancanza  di  ulteriore  po- 
sitivo e  di  ulterior  essere  abbiamo  il  Mondo.  Onde,  la  creatura  per  se 
stessa  é  niente.  Questo  niente  però  unito  alle  azioni  delT  Onnipotenza 
costituisce  il  mondo.  E  quanto  più  o  meno  di  positivo  deriva  alla 
creatura,  e  quanto  più  o  meno  di  perfezione  deriva  e  si  comunica 
dalT  Onnipotenza  a  questo  niente,  più  o  meno  di  perfezione  si  trova 
nella  creatura.  Onde  ne  siegue  che  la  creatura  sia  un  termine  delle 
azioni  di  Dio  onnipotente  (p.  415-16)....  e  legittimamente  se  ne  in- 
ferisce che  il  mondo  altro  non  sia  che  le  azioni  delT  Onnipotenza 
che  tra  loro  estrìnsecamente  si  conoscono;  o  sia  meglio  TOnnipo- 
ìemsi  che  conosce  estrìnsecamente  se  stessa:  ed  ò  a  tutti  permesso 
dapertutto  vedere  T  aspetto  e  T  intrinseca  (àccia  di  Dio  onnipotente. 
Onde,  il  mondo  non  può  dirsi  che  sempre  é  stalo  poiché  sempre  fu- 
rono ed  esistettero  le  azioni  delT  Onnipotenza  ;  ma  allora  cominciò 
ad  esistere  il  mondo  aspettabile  quando  T  Onnipotenza  in  quel  modo 
ha  operato  quanto  estrinsecamente  avesse  conosciuto  se  stessa  :  onde 
ne  é  nata  la  espressione  de'  teologi  di  opera  ad  extra  (p.  420)  >. 
La  libertà  di  Dio  nelle  sue  azioni  conchiude  la  Cosmologia^  alla 
quale  segue  la  Psicologia  razionale  tutta  nel  senso  del  ìiìceli ,  sic- 
come la  Ontologia  e  la  Teologia,  e  la  teorica  del  Mondo  già  raccolta 
ne^  passi  citati  ed  esposta  largamente  nella  scrittura  del  Nostro.  La 
quale ,  siccome  sopra  si  é  detto ,  é  sempre  un  largo  e  fedele  ce- 
mento del  sistema  Miceliano,  di  cui  per  ordine  si  rìpetono  le  pro- 
posizioni fondamentali ,  sostenendole  con  sentenze  tirate  da'  libri 
dei  Padri  e  dei  Dottori  cristiani,  e  con  luoghi  di  filosofi  cosi  anti- 
chi come  moderni,  da  Pitagora  e  Senofane  a  Cartesio  e  al  Wolfio. 
Linguaggio  e  similitudini  sono  sempre  e  di  peso  da'  librì  del  Mi- 

(i)  Qui  il  ms.  legge  costiluUee  U  mare ,  ma  ò  evidentemente  errore  materiale  di 
peona. 


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14  NUOVE  BFPBMERIDl  SIGIMA^E 

celi,  OYe  appunto  trovi  V  esempio  della  ruota  e  dell'  onda  del  mare 
e  simili  y  e  fin  l'ultima  frase  della  Ontologia  del  Nostro ,  cioè  nel 
mondo  aspettabile  noi  avwe  innanzi  come  la  faccia  di  Dio.  Se  non 
che,  le  opposizioni  già  fatte  al  Miceli  erano  sentite  pure  gravissime 
dal  Rivarola  ;  e,  poiché  notava,  siccome  pur  aveva  fatto  il  Maestro, 
la  difiérenza  del  sistema  delPEnte  vivo  dalla  teorica  Spinoziana  dei- 
Tunica  Sostanza  sotto  i  due  attributi  del  pensiero  e  dell'  estensione; 
aggiungeva  alla  Psicologia  un'appendice  in  dialogo  fra  lui  autore  e 
un  amico  oppositore  sulP  argomento  della  immortalità  dell'  anima, 
la  tesi  più  formidabile  a  ogni  sistema  panteistico;  e  indi  dava  a  com- 
pimento delle  risposte  in  difesa  del  sistema  una  prova  della  immor- 
taHià  deWanitna,  nella  quale,  siccome  dissi  altrove,  è  lo  sforzo  mag- 
giore che  il  panteismo  abbia  fatto  per  salvare  dalle  conseguenze 
dell'  unità  dell'  Essere  questo  domma,  più  che  della  filosofia ,  della 
coscienza  universale  del  genere  umano. 

continua)  Y.  Di  Giovanni 


DELL'ANTICA  CANZONE  M  LISAKETTA 

aiATA,  DAL  BOCCACCIO 
LETTCBA  AL  CH.  PBOr.  YINCEMZO  DI  GIOVANNI 

Palermo 


AniGo  RivERrnssmo, 

É  ben  nota  a  chiunque  pregia  i  geniali  sludii,  e  a  voi  singolar- 
mente che  ne  ragionaste  nel  Borghini  ^1),  la  pietosa  storia  della  Li- 
sabetta ,  narrata  dalla  Filomena  per  quinta  novella  nella  giornata 
quarta  del  Oecamerone;  ma  non  è  generalmente  diffusa  la  Canzone, 
che  a  nome  della  misera  giovane  fu  composta  nel  sec.  XII  o  Xlil 
ed  era  ancora  cantata  nella  giovanezza  dell'insigne  novellatore.  Anzi 

(1)  Anno  1.  p.  no. 


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dell'antica  canzone  di  usabetta,  ec.  15 

sono  certo  essere  agli  altri  avvenuto  quello  che  a  me  io  leggendo 
queH'  aureo  volume,  cioè,  cUe  giunto  alla  One  del  lagrimevole  rac- 
conto, ed  ivi  trovandone  il  principio,  senza  la  continuazione,  mi 
si  destò  vivissimo  il  desiderio  di  possederla  e  gustarla  intera  sino 
all'  ultima  sillaba. 

E  tanto  per  la  brama  di  averla  ^tt'  occhio ,  e  meditarla  da  me 
medesimo  ;  quanto  perchè  fa  parte  del  Parnaso  insulare  del  primo 
secolo,  ed  ìia  tutti  i  caratteri  di  essere  siciliana,  come  voi  ben  dite; 
soggiomaiido  nelP  anno  trascorso  in  Firenze,  volli  trarne  copia  da- 
gli antichi  Godici,  e  confrontarla  con  la  stampa,  che  ne  fece  il  Po- 
liziano nel  1668,  senza  fermarmi  alla  recente,  che  reputo  poco  ap- 
purata (I).  Fortunatamente  ancora  esisto  T  antica  manuscritta  a  pa- 
gina 28  retro,  God.  32,  Pluteo  42  della  Laurenziana,  notabilmente 
diversa  da  quella  pubblicata  nel  1S68.  Oltre  alle  minori  varianti,  è 
nel  Godice  in  principio  una  stanza  di  più,  e  nella  stampa  sono  quat- 
tro versi  alla  fine,  mancanti  nel  manoscritto.  Gome  or  la  leggiamo, 
è  certo  assai  mutata  di  quando  usci  dalla  mente  del  poeta,  che  la 
compose.  Manifestamente  il  Poliziano  la  trasse  da  un  Godice  diverso 
del  Laurenziano,  e  quello  o  è  perduto ,  o  io  non  ho  avuto  la  for- 
tuna di  ritrovarlo.  Tutti  e  due  hanno  difetto  di  rima,  versi  mon- 
chi ,  parole  scorrette.  Essa  nacque  probabilmente  in  Messina ,  e 
dopo  di  essere  stata  cantata  da  giullari  e  menestrelli  per  tutta  Ita- 
lia ,  e  fatta  quindi  celebre  dal  Boccaccio ,  (u  consegnata  a'  Codici 
nello  scorcio  del  secolo  XIY,  e  ducent'anni  dopo  il  Poliziano  e  Lo- 
renzo il  Magnifico  la  tramescolarono  a'  loro  canti  ;  ma  di  già  mu- 
tila e  adulterata. 
Sicilia,  seguendo  suo  modo, 

Gome  fontana  viva, 

Che  spande  tutta  quanta, 
crea  poesie  originali  d^  ogni  maniera,  se  ne  delizia  alcun  poco,  e  in- 
ebbriandosi  nelle  novelle  ispirazioni,  le  prime  dimentica  e  abban* 
dona  al  mare  deir  oblìo.  Perciò  invano  cercheremo  fra  noi  questa 
Canzone,  o  T  altra 

Bella,  ch^  hai  lo  viso  chiaro, 
inedita  tuttora  e  da  me  scoperta  nel  decorso  anno ,  ma  serbataci 

(!)  Canzone  a  baUo  composte  dal  magniGco  Lorenzo  de'  Medici  e  da  Mescer  Àgnolo 
Poliziano  e  altri  aatori,  insieme  colla  Nenda  di  Barberino,  e  la  Beca  di  Nicomano» 
composte  dal  meilesimo  Lorenzo.  Novamente  ricorrette.  —  Senza  data  di  tempo  o  di 
luogo;  ma  certo  stampate  in  Firenze  nel  1568.  Ivi  a  pag.  30,  N.  ii4,  é  la  Canzone 
di  Lisabelta. 


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16  nuove'  EFFrasaiDl  SICILIANE 

ancor  essa  dalla  gentile  Toscana;  come  tante  e  tante  altre  che  qui 
non  ricordo.  Questo  è  per  noi  sommo  bene,  ma  non  senza  un  qual- 
che male ,  dapoichè  ignorandosi  colà  il  nostro  dialetto ,  oltre  alle 
mende  sopradette ,  vi  sono  aggiunte  quelle  provenienti  dair  igno- 
ranza di  esso,  e  quindi  le  due  sopradette  Canzoni  hanno  patito  mo- 
dificazioni improprie,  che  noi  solo  possiamo  scovrire  e  sanare.  Se 
il  Redi,  che  tanto  pregiava  il  siciliano,  che  tanta  parte  delle  poe- 
sie nostre  raccolse ,  non  lo  seppe  scrìvere  correttamente ,  quanto 
strazio  non  doveano  fame  gP indotti  amanuensi? 

Questa  Canzone  è  il  vero  ritratto  dell'  infanzia  della  poesia  e  della 
lingua  nuova,  ed  è  di  poco  posteriore  alla  Tenzone  di  Ciullo,  ma 
anteriore  alP  Accademia  di  Federico  Cesare.  E  senza  internarci  qui 
nel  laberinto  delle  ricerche  della  favella  del  primo  secolo,  a.^  do- 
lorando lo  sciupo  d'inchiostro  e  di  tempo,  che  si  è  Catto  e  si  fa 
da'  nostri  linguai,  io  credo  fermamente  essere  stata  dettata  nella 
favella  letteraria  d'allora  costituita  di  elementi  puramente  dialettici 
italiani,  e  che  non  risiedendo  stabilmente  in  nessuna  parte  del  bel 
paese,  era  patrimonio  di  tutta  la  nazione,  checché  bocino  i  pseudo- 
toscani contro  quel  miterino  spatriato  di  Dante  Alighieri.  La  lingua 
nostra,  e  cosi  le  altre,  è  stata  universale,  duplice  ed  una. 

Con  questa  stregua  ho  tentato  di  rintegrare  quella  famosa  Can- 
zone, valendomi  del  Codice  Laurenziano,  della  stampa  del  1S68,  e 
dei  tesori  del  nativo  idioma  :  cosi  scegliendo  le  varianti  di  qua  e 
di  là,  ristaurando  i  versi,  le  rime  o  le  assonanze,  e  tornando  alla 
loro  ingenuità  i  vocaboli ,  mi  sono  sforzato  di  ridurla  a  grado  di 
leggersi  intera,  senza  visibiH  errori  e  lacune.  T\  sono  riuscito?  Ne 
dubito.  Auguro  ad  altri  la  fortuna  di  scovrirne  copia  più  esatta,  o 
di  darla  air  Italia  come  la  prima  volta  suonò  sulle  corde  della  man- 
dola del  poeta  messinese,  che  alla  spiaggia  del  Faro  commiserava 
i  casi  di  Lisabetta  e  Lorenzo. 

Voi,  mio  riverito  amico,  gradite  intanto  T  offerta  di  un  fiore,  il 
di  cui  olezzo  non  cede  a  quanti  altri  imbalsamarono  le  aure  de'  siculi 
giardini ,  quando  ancora  di  vepri  e  di  rovi. non  era  sgombra  V  Italia. 

Aci,  febbraio  1870. 

LioNARDo  Vigo 


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17 
Canzone  di  Llsabetta. 

Qual  esso  fu  lo  malo  crisltano  (I), 

Che  mi  furò  sta  notte  (2)  la  mia  grasta  (3) 

Del  basilico  mio  salernitano  (4). 

Era  cresciuto  foUo  in  gran  podestà  (5), 

Ed  io  lo  mi  chiantai  (6)  colla  mia  mano 
'»    Celatamente  il  giorno  della  festa. 

Chi  guasta  cose  altrui  fa  villania  (7). 
Chi  guasta  cose  altrui  fa  villania, 

E  fa  grande,  grandissimo  il  peccato. 

Ed  io,  la  meschinella,  chM*  m^avia 

Una  mia  grasta  si  ben  seminato^ 

(1)  Ho  adottato  il  verso  scrìtto  dal  Boccaccio,  non  solo  per  atto  di  riverenza  a 
tanto  autore,  ma  vieppiù  perchè  quello  serbatoci  dal  Codice  LuHrenziano  é  allo  stesso 
inreriore  per  tutti  i  riguardi,  è  desso  :  «  Questo  fu  lo  malo  cristiano.  • 

(2)  Lo  parole  corsive  sono  quelle  da  me  aggiunte  per  integrare  il  verso. 

(3)  In  Boccaccio  è  grasta,  ingenua  voce  siciliana  accettata  dalla  Crusca  sull* auto- 
rità del  certaldese,  e  vale  vaso  da  fiori,  testo.  Cresta,  è  parimenti  voce  siciliana,  e 
vale  rottame  di  terra  cotta,  coccio,  che  gl'imperiti  equivocano  con  grasta;:  quantun- 
que esprimenti  oggetti  distinti,  e  fra  di  loro  diversi  di  suono  :  ogni  minuzzolo  della 
grasta  frantumala  diviene  gresta  ;  ma  la  gresla  non  è  mai  grasta:  Nel  Codice  Lau- 
renziano  è  resta,  fognando  la  ^  di  gresta,  lezione  da  non  seguirsi,  tanto  peKliò  il 
dialetto  vi  ripugna  e  la  rigetta  ;  quanto  perchè  la  logica  ci  assenna  non  poter  con- 
tenere una  gresta  o  resta  il  capo  di  Lorenzo.  Nella  slampa  dol  Dccamerone  del  Le 
Mounier,  il  sig.  Fanfani  rifiutò  grasta,  gresta  e  resta  e  scrisse  grasca,  parola  ignota 
a  Sicilia  e  a  tutti  i  vocabolarii.  Un'  altra  variante  ha  subito  questo  vocabolo  :  nel 
Sannìo  si  pronunzia  crosta  permutando  la  g  in  e,  come  leggo  in  un  Discorsetto 
sulla  lingua  parlala  di  Montagano  nel  Sannio  inserito  nel  Giornale  La  Gioventù  di 
Firenze,  anno  1866,  p.  385.  Ciò  premesso,  onde  ciascuno  possa  scegliere  e  leggere  a 
suo  modo,  io  preferisco  grasta  perchè  cosi  scrisse  il  Boccaccio,  perchè  la  Crusca  lo  se- 
gui, e  vieppiù  per  non  regalare  Y  autore  di  un  non  senso  adottando  gresta  :  perdo 
la  rima,  e  conservo  l'assonanza,  non  isdegnata  da'  nostri  antichi ,  né  dai  presenti 
poeti  popolari. 

(4)  Nella  stampa  manca  la  prima  strofe,  come  hK>  avvertito,  che  ho  tolto  dal  Co- 
dice Laurenziano;  ove  è  scritto  bcuUlico  selemontano  per  manifesto  errore  del  copi- 
sta, che  fassi  evidente  dal  testo  della  novella  del  Boccaccio,  ove  si  legge  hasillico 
salernitano. 

(5)  Podestà  per  potestà,  come  in  Dante  :  «  Quando  verrà  la  nimica  podestà.  » 
e  neir  uso  comune  in  Firenze  :  Santa  Trinità,  Santa  Felicita. 

(6)  Ckiantai,  perfetto  siciliano,  piantai,  dal  verbo  chiantari. 

(7)  NeUa  stampa  si  legge  : 

nel  Codice  :  Chi  guasta  l'altrui  cose  fa  villania. 

Chi  guasta  l'altrui  cose  è  villania. 
Ho  preferito  la  slampa  anteponendo  cose  ad  altrui  per  rettificare  il  verso. 

2 


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18  NUOVE  EFFEMERIDI  SIQLIANE 

Tanlo  bella  eh'  allombra  vi  stacia  (1), 

Ed  era  dalla  gente  invidiata, 

Fammi  forata  e  davanti  alla  portai 
Fummi  furata,  e  davanti  alla  portai 

Dolorosa,  dUimé,  ne  fui  «Tassai; 

Ed  io  la  meschinelta,  oh  foss'  io  morta  t 

Tanto  era  bella  e  cara  V  accattai  f 

E  pur  TaltrMer  chT  n'ebbi  una  malscorta  (2) 

Bei  mio  signore  die  cofanto  amai, 

Tutta  r  attorniai  di  maiorana. 
Tutta  r  attorniai  di  maiorana, 

E  ciò  di  maggio  fu  di  quel  bel  mese  : 

Tre  volte  lo  inaffiai  la  settimana, 

Che  son  dodici  volte  ciascun  mese. 

D'un' acqua  chiara  di  viva  fontana: 

0  mio  signore  come  ben  s' apprese! 

Or  è  palese  che  mi  fu  raputo  (3). 
6r  è  palese  che  mi  fu  rapato, 

Ed  ohimè  non  lo  posso  ritrovare  ! 

Sed  io  davanti  l'avessi  sapulo 

Quello  che  poi  mi  doveva  incontrare, 

Davanti  V  uscio  mi  sarei  jadulo  (4), 

Sol  la  mia  beUa  grasfa  per  guardare  ! 

Potrebbemene  aiutare  l'alto  Iddio. 

(i)  Staeiaà  daU' antico  ttaeire  o  staglre  per  slare.  Cosi  Bocsto  dì  Uaioaldo  Slo- 
rta  Aqoil.  n.  881  : 

Per  r  inimici  intorno  che  ad  Aquila  siagia, 
e  n.  30i  Anni  mille  trecenla  venl'otto  $tagia, 

Antonio  di  Buccio  n.  81  : 

Quefti  cfella  terra  in  pace  se  fiagia. 
Il  canto  popolare  antichissimo  dice  : 

Santa  Lucia  *n  cammira  stacia^ 

Oni  tisseva  ed  argcnlu  cusia. 
Questo  verbo  è  ancor  vivo  in  Sicilia. 

(2)  MaUecn-ta  qui  vale  avviso,  presentimento. 

(3)  Nella  sUmpa  si  legge  : 

Ror  è  in  paese  chi  mi  1''  ha  raputo. 
Nel  Codice  :  Or  é  in  palese  che  mi  fu  raputo. 

Ho  seguito  questa  lezione»  perchè  è  in  armonia  col  resto  cfelfa  Canzone. 

(4)  Jaeiuto,  nell'  uso  comune  il  partecipio  si  concorda  nel  genere  come  l' agget- 
tivo, ma  presso  gli  antichi  in  Sicilia  questa  regola  non  è  costante.  Qualsiasi  donna 
fra  di  noi  direbbe  senza  scrupoli:  Jtft  avria  curcaiu  davanti  la  porla,  e  perciò  di 
tali  discordanze  di  genere  ne  troviamo  ìug.  Villani,  Boccaccio,  Petrarca,  Dante,  ec. 

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dell'antica  canzone  di  lisabetta,  eg.  19 

Potrebbemene  aiulare  l'alto  Iddio,  - 
Se  egli  fusse  di  suo  piacimento, 
Deli'  uomo  che  m' è  stalo  tanto  rio, 
E'che  m'ha  messo  in  pena  ed  in  tormento, 
Che  m' ha  furalo  il  basilico  mio, 
Che  era  pieno  di  tanto  ulimento  (1): 
Suo  ulimento  tutta  mi  sanava. 

Suo  ulimento  tutto  mi  sanava, 
Tanto  avea  freschi  e  dolci  li  suoi  olori  ! 
E  la  mattina  quando  la  inadìava, 
Ed  era  su  la  levata  del  sole. 
Tutta  la  gente  si  maravigliava 
U'onde  venir  potessi  tanto  autore? 
Ed  io  per  lo  suo  amor  morrò  di  doglia  (2). 

Ed  io  per  lo  suo  amor  morrò  di  doglia, 
Sol  per  amore  della  grasta  mia: 
E  chi  me  la  insegnassi  or  di  sua  voglia  (3), 
Farebbe  grande  onore  e  cortesia  (4)  : 
Cenl^  ODze  d^  oro  eh'  i'  ho  nella  fonda  (5), 
Che  foiose  forse  gliene  doneria, 
E  doneregli  un  bacio  in  disianza  (6). 

E  doneregli  un  bacio  in  disianza 
Sol  per  amore  della  grasta  mia, 
E  sempre  alla  sua  vita  sarei  amanza: 
Chi  guasta  cose  altrui  fa  villania  l  (7)^ 


(1)  Ulimento,  olori,  autori,  voci  antiche,  dal  latino  ateo,  io  olezzo, 
(i)  NeUa  stampa  si  legga  : 

Ond'  io  per  lo  sao  amor  moro  di  doglia. 
Ho  preferito  la  lezione  del  Codice. 

(3)  Di  sua  voglia,  spontaneamente,  di  soa  volontà» 

(4)  Nulla  stampd  si  legge  :  Farebbe  grande  onore  e  coilesia ,  cbe  ritengo  prefe- 
ribile al  Codice,  ove  è  scritto .  «  Volentier  la  riccatterìa.  • 

(ò)  Fonda.  Nella  slampa  si  legge  :  nelle  mie  foglie,  e  per  ragion  di  rima  io  a- 
vrei  detto  foglia  e  conservato  la  legione,  se  avesse  avuto  senso  ;  ma  trovando  net- 
tamente fonda  nel  Codice  Laurenziano,  preferisco  la  proprietà  e  la  chiarezza  alla 
rima  e  accetto  fonda,  che  presso  gli  antichi,  come  Brun.  Latini,  M.  Villani,  Bnti, 
Fra  Giordano,  e  vale  borsa  da  contener  danaro. 

(6)  Disianza,  generalmente  vale  desiderio  come  in  Dante;  ma  qui  é  qualche 
cosa  di  più.  Ltsabetta  promettea  baciarlo  con  affetto,  gratitudine,  entusiasmo. 

(7)  Nella  istampa  é  chiuso  il  canto  con  questo  verso  : 

E  fa  grandissimo  peccato, 
ripetendo  il  nono  del  principio;  io  lo  noto  senza  accoglierlo. 


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DEI  YOCABOLARI  SICILIANI 


La  Sicilia  porta  a  giusta  ragione  il  vanto  di  aver  dato  air  Italia 
non  solo  il  primo  vocabolario  della  sua  lingua,  ma  anche  quello  del 
suo  più  illustre  dialetto.  Niccolò  Valla  da  Girgentì  e  Lucio  Cristo- 
foro Scobar  da  Siracusa,  tra  gli  anni  Ì5i6  e  i820  pubblicavano, 
Tuno  un  Vocabularium  vulgare  cum  latino,  P altro  un  Vocabolario 
siciliano  tradotto  da  quello  latino  e  spagnuolo  di  Elio  di  Lebrixa. 
Per  quei  tempi  te  opere  loro  erano  quanto  di  più  pregevole  potea 
sperarsi  non  che  da  Siciliani,  ai  quali  per  le  scarse  comunicazioni 
doveano  far  difetto  i  libri,  da  scrittori  della  penisola.  Fabrizio  Luna 
non  avea  tratte  ancora  le  sue  Cinquemila  voci  toscane  dall'  Alighieri^ 
dal  Petrarca,  dal  Boccaccio  e  dall'Ariosto;  non  peranco  Alberto  Ac- 
carino  avea  pubblicato  il  Vocabolario,  grammatica  ed  ortogra^  deUa 
lingua  volgare;  non  la  Fabbrica  del  mondo  e  le  Ricchezze  della  lin- 
gua vulgare  sopra  U  Boccaccio  Francesco  Alunno.  La  stessa  Acca- 
demia della  Crusca  non  era  naia  ancora,  e  un  secolo  dovea  passare 
pria  di  vedersene  messo  in  luce  il  già  tanto  celebre  vocabolario. 

I  Siciliani,  Agli  di  una  terra  che  fu  detta  la  madre 

De  la  lingua  volgar  cotanto  in  prezio^ 
non  si  rimasero  dal  continuare  e  migliorar  le  opere  de'  due  lessicografi, 
e  come  per  la  lingua  italiana  seguirono  V  esempio  del  Vaila,  cosi  mo- 
dificando e  riducendo  a  nuovi  e  più  alti  intendimenti  il  concetto 
dello  Scobar,  vennero  con  lanlo  ardore  applicandovisi  che  oggi  dopo 
tre  secoli  contano  da  oltre  a  venti  vocabolari  tra  stampati  e  mano- 
scritti. Questa  si  chiama  ricchezza  vera,  e  noi  tralasciando  per  ora 
l'opera  del  dotto  filologo  di  Girgenli,  di  tutt'altro  meritevole  che  di 
un  breve  cenno,  verremo  dando  contezza  di  questi  lavori,  dello  in- 
dirizzo preso  in  tutto  questo  tempo  dagli  autori^  e  degli  acquisti 
novelli  che  essi  bau  fatto  coi  lumi  che  appresta  oggidì  lo  studio  dei 
dialetti  e  delle  tradizioni  popolari. 

II  Vocabolario  dello  Scobar  (I)  è  diviso  in  due  parti.  Una  pre- 


(1)  Vocabularium  nebriisense  :  ex  UUifw  sermone  in  sieiliensem  el  kispaniensem 
denuo  traduclum.  Adjuntis  insuper  L.  GfHslophori  Scobaris  recondissimis  addUio- 
nibus  etc.  Venetiis,  impressum  per  Bernardinuin  Benalinni,  1520. 


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DBI  VOCABOLARI  SIGIUANI  21 

lezione  in  tre  iiogae,  latina,  siciliana,  castigliana,  precede  la  prima. 
Nel  classificar  le  parole  in  osche^  antiche,  nuove,  barbare  ed  appro- 
vate^ r  autore  si  fa  a  sostener  principii  che  più  giadiziosi  non  so- 
stennero retori  vecchi  e  critici  nuovi.  A  proposito  delle  voci  barbare 
dice  essere  inlamia  V  usarne.  De'  neologismi  pensa  doversene  in- 
trodurre solamente  al  bisogno  ;  e  come  Cicerone  da  beatus  fece 
beatitas  e  beatitudo^  e  Francesco  Filelfo  stampedda  da  stampa,  del- 
r  egual  modo  molte  parole  egli  diede  che  sembrògli  entrar  doves- 
sero nella  lingua  e  nel  dialetto.  Sopra  di  questo  sarebbe  da  avver- 
tire che  non  sempre  lo  Scobar  fece  secondo  ragion  filologica  :  molte 
voci  del  suo  libro  non  persuadendo  finora  donde  poteron  derivare, 
e  perchè  e  non  altrimenti  debbano  essere  state  formate  ;  e  però 
uno  studio  sarebbe  necessario  per  vedere  quali  norme  tenne  il  no- 
stro vocabolarista  in  siffatto  processo  di  formazione,  quali  voci  ag- 
giunse, quali  non  siciliane  dal  castigliano  traslatò.  Conciossiachè,  svd- 
gendo  attentamente  quest'  opera,  lo  studioso  entra  subito  in  sospetto 
che  molte  voci  non  sieno  state  allora  comuni,  ma  piuttosto  italiane 
in  uso  da  lui  sicilianizzate,  ovvero  siciliane  volute  ripulir  della  forma 
esterna;  sospetto  che  si  avvalora  quando  per  la  nessuna  differenza 
ortografica  non  puossi  arguire  a  quali  voci  presenti  le  passate  cor- 
rispondano. L'ordine  è  alfabetico  per  le  sole  voci  latine  del  primo 
volume  e  per  le  sole  voci  siciliane  del  secondo  ;  ma  neir  uno  e  nel- 
r  altro  il  siciliano  ci  scapila,  come  quello  che  sta  sempre  subordi- 
nato al  latino;  e  mentre  un  sol  vocabolo  si  spiega  con  due  O/tre 
vocaboli  siciliani,  qui,  cioè  nelP  ordine  alfabetico  siciliano  in  cui  la 
parola  dovrebb'  essere  una,  il  metodo  non  è  più  sbrigativo  né  più 
libero  pel  dialetto.  Due  citazioni  chiariranno  il  fatto  :  nella  parte  pri- 
ma, alla  voce  charoninm  corrisponde  fetu  incomportabili  ;  nella  se- 
conda in  cui  il  siciliano  potrebbe  aver  dal  latino  quel  che  esso  gli 
dà  nella  prima,  si  legge  bactagla  (1)  (baltagghia)  stisa^  acies;  bacia- 
glaandandu,  agmen;  bactagla  a  squatr a,  cohors;  arumpiri,  eu- 
neus;  principali^praesidium  ;  quannu siincontra^  proelium; 
junta,  exerpitus.  Donde  chi  non  vede  chiaro  il  volgarizzamento 
del  latino?  Lo  Scobar  è  ricchissimo  di  vocaboli;  pregio  non  a  ba- 
stanza lodato.  Molti  di  quelli  che  paiono  delle  ripetizioni  forse  tali 
non  apparirebbero  se  fosser  definiti.  Abusò  di  nomi  verbali  in  ento. 


(1)  A*  (empi  dello  Scobar  reggeva  quesla  voce  nel  senso  di  schiera,  iqtiadrone,  ed 
anche  di  banda  o  compagnia  de*  soldati  descrìtti ,  i  quali  soldati  presi  insieme  si 
chiamano  battaglione. 


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22  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

e  non  ci  lasciò  molli  diminuilivi ,  peggiorativi  e  vezzeggiativi ,  e 
quasi  nessun  participiale.  A'  dì  nostri  questo  primo  lavorò  va  me- 
glio studiato  che  consultato,  perchè  assai  malagevole  è  colP orto- 
grafìa del  tempo  trovarvi  un  vocabolo  di  cui  si  va  in  cqrca. 

Non  potremo  stabilir  la  data  in  cui  il  palermitano  Vincenzo  Au-- 
ria.  scrìveva  il  suo  Vocabolario,  che  rimane  tuttavia  inedito  nella  Bi- 
blioteca Comunale  di  Palermo  (I)  ;  ma  certo  è  opera  del  sec.  XVII. 
Ha  buon  numero  di  voci  con  qualche  rara  definizione  specialmente 
verso  il  mezzo  e  la  fine,  molte  delle  quali  son  prette  italiane.  La 
ortografia  ritiene  poco  del  dialetlo,  parendo  a  noi  che  TAuria  a- 
vesse  voluto  nobililar  la  dicitura.  Verso  la  fine .  V  opera  diventa 
ricca  più  che  in  principio  non  sia,  ma  con  tutto  ciò  non  lascerà  di 
esser  modesta  nella  sua  mole.  Pochissime  osservazioni  aveva  egli 
preso  a  scrivere  sulle  lettere  delP  alfabeto  nel  siciliano,  ma  esse  non 
hanno  sempre  una  esatta  applicazione  nella  forma  delle  parole  a- 
dottata  dalPAuria.  Si  vede  che  egli  prendeva  degli  appunti  soltanto, 
e  metà  del  libro  sì  riduce  a  vocaboli  dialettali  posti  a  raffronto  con 
quelli  della  Crusca  compilata  da  Adriano  Politi.  E  qui  è  notabile 
una  sentenza  oggidì  sostenuta  da  vari  scrittori  viventi,  cioè  che  la 
lingua  italiana  sia  senza  differenza  la  lingua  che  parlasi  in  Toscana. 

Presso  a  poco  dello  stesso  stampo,  ma  più  copioso,  il  Vocabolario 
dello  Sj^atafora  (2)  è  molto  italiano  nelle  voci  delia  lingua  comune 
corrispondenti  alle  siciliane:  salvo  che  qua  e  colà  non  sieno  queste,  per 
poca  osservanza  delle  aferesi,  poco  ben  allogate.  L'autore  racco- 
glieva dal  popolo,  raramente  da'  libri,  (di  qui  lo  scarso  numero  di 
arcaismi)  e  però  diede  voci  che  ad  altri  cercherebbonsi  invano.  Per 
la  prima  volta  rivolse  V  attenzione  a'  derivativi,  a'  sensi  figurati,  a 
qualcuno  delle  migliaia  di  proverbi  nostri.  Altre  siciliane,  altre  ita- 
liane son  le  definizioM^  cui  tien  dietro  ogni  tanto  un  esempio  clas- 
sico italiano  o  Ialino. 

Terzo  dei  vocabolari  siciliani  manoscritti  viene  quello  copiosissimo 
in  quattro  grossi  volumi  del  P.  Onofrio  Malatesta  da  Palermo,  com- 
pilato tra  gli  undici  anni  che  corsero  dal  1697  alla  fine  del  1707. 
Il  titolo  ne  raccoglie  il  contenuto,  ed  esso  è  :  La  Crusca  di  la  Tri- 
nacria,  cioè  Vocabolariu  sicUianu,  neUu  quali  non  sulanienU  li  pa- 


(i)  Vocabolario  siciliano  ed  italiano  compoilo  dal  Doli,  di  Legge  D.  VmcRNza 
A  UHI  A  paUrmilano.  Ms.  Qq.  A  20  in  8.* 

(2)  Dizionario  siciliano  del  P.  Placido  Spatafora.  Volumi  IV  in  8.»  Mss.  t.  Qq. 
E.  30-32  (mancando  il  yoI.  II)  della  Biblioteca  Comunale  di  Palermo. 


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DEI  VOCABOLARI  SiaLIANI  2S 

ralt,  ma  ancora  U  frasi  e  ìn$di  di  lu  parlari  di  dUstu  Regnu  si 
Wasportanu  alla  favedda  taliaiia  ed  alla  diéma  latìnu,  accrisciutu  m 
maggiuri  quantità  di  metafory^  arguzy,  mutti  eproverby,  adunuUn 
di  frasi  orcUory  e  puetidii  e  ccu  li  sinonimi,  epiteti  e  tuttu  quantn 
ehiddn  affarti  liberali  e  miccanichi  ccu  la  nutizia  di  li  citati,  ter  ri, 
casleddi^  munti,  xkiumi  di  P  isola;  nomi  di  ii  tituli  e  famigghi  dU 
n*  appirté  la  ^nvistitura,  e  chi  a  la  jurnata  li  pussedinu.  Opira  uti^ 
lissima  e  necessaria  ad  ogni  lUtiratu  e  spicialmenti  a  li  pridicaturi; 
sigritary,  traspurtatnri  e  profissuri  di  lingui  chi  ccu  proprietà  li  vur* 
rannn  traslatari,  sapiri  pri  iddi,  o  insignari  ad  autri,  cumposta  da 
lu  R.  P,  NoFBHi  BlALAtmA^  fm/bfvri  di  sacra  teologia^  e  pridica- 
Uri  a  TanilMi  di  li  Minimi  di  S.  Franciscn  di  Paula.  A  differeon 
dell'  Asrìa,  la  cui  opera  non  ha  da  far  nulla  a  petto  della  citala,  W 
Halatesla  defloisce  in  siciliano  i  Tocaboli  siciliani ,  Tacendovi  molto 
spesso  seguire  il  corrispondente  italiano,  e  sempre  il  latino  od  al- 
cun testo  dell'aurea  latinità.  Non  bene  sceverala  vi  è  la  frase,  e 
lalora  per  formarla  è  presa  una  semplice  qualificazione;  perchè,  a 
vedere,  T  amoroso  vocabolarisla  badava  più  a  tradurre  dall' italiane 
e  dal  latino  che  a  prender  dalle  bocche  parlanti  le  sue  voci;  pra- 
tica questa  cernane  a  buona  parte  de'  nostri ,  i  quali  si  argomen* 
lavano  poter  apprestare  il  tesoro  del  dialetto  rimanendosi  cultori 
solitari  delle  lettere  e  degli  studi  filologici.  Il  Vigo,  che  nel  1837 
leggeva  all'  Accademia  di  Scienze  e  Lettere  di  Palermo  un  assen^ 
nato  ed  eruditissimo  ragionamento  Ddla  siciliana  faveUa ,  d^  stm 
lessici  e  lessicografi  (f  ),  ebbe  a  notare  che  il  ìiala testa  •  non  bene 
alloga  i  vocaboli,  e  più  le  frasi  e  te  voci  scientifiche  non  ispiega 
scientificamente,  nò  tutte  registra;  •  difetto  eh'  egli  è  diOBcile  non  ri- 
scontrare in  opere  consimili  di  quel  tempo  e  di  tanta  mole.  Noi 
vogliamo  aggiungere  che,  pochi  casi  eccettuati,  l'ortografia  siciliana 
del  nostro  supera  quella  dei  suoi  predecessori  e  di  altri  che  ven- 
nero appresso;  e  ciò  avvertiamo  a  merito  singolare  del  Malatesta^ 
di  cui  è  a  lamentare  che  l'opera  presa  a  pubblicarsi  s' arrestasse  in 
sui  bel  principio ,  con  danno  inestimabile  di  quanti  dopo  di  lui  a- 
vrebbero  potuto  usufruirne  gli  studi. 
Col  Malatesta  e  <joir  Anonimo  (i),  degno  più  deli'Auriadi  esser 


(1)  Il  Vigo  dimosiraya  in  esso  il  bisogno  di  hh  yocaI»olario  di  tutta  risola  e  non 
^i  Palermo  soltanto  ;  al  quali  un'intiera  accademia  e  non  un  individuo  poteva  dar 
nano.  Parte  accogliendo,  parte  re:spingendo  le  ragioni  del  Vigo»  i4  mircli^se  iMortil- 
laro  rispose  a  questo  ragionamento. 

(2)  È  senza  frontispizio,  e  nella  Biblioteca  Comunale  porta  la  segnatura  2  Qi.  C.54. 
Ila  pag.  S22  a  due  colonne,  e  corre  citalo  col  titolo  Vocabolario  manoicrillo  antico* 


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24  NUOVE  BFPBMERIDl  SIGIIJANE 

consultdto  per  la  molla  sua  precisione  e  ricchezza  di  voci  trasan- 
date dagli  altri,  e  per  la  buona  dizione,  hanno  fine  alla  prima  metà 
del  sec.  XVIII  i  vocabolari  siciliani  non  mai  fln  qui  stampati  (f  ).  Del- 
l'anno  1751  si  ha  il  primo  dei  Ire  che  nella  seconda  metà  di  quel 
secolo  segnarono  il  progresso  della  Sicilia  negli  studi  dei  suo  dia- 
letto, vogliam  dire  il  Vocabolario  siciliano-italùmo  di  Michele  Del 
Bono  (2).  Guardato  dal  punto  di  vista  delle  volontarie  omissioni  esso 
ha  de^  difetti  gravi;  né  T  autore  se  ne  arrecò  gran  cosa,  anzi  nella 
prerazione  affretlossi  ad  annunziare  avei:  bandito  gli  esempi  tutti 
de*"  nostri  autori,  i  teriìuni  delle  arti  e  delle  scienze ,  le  voci  del 
regno^  la  geografìa  straniera,  i  termini  bassi  e  antiquati,  le  defini- 
zioni ed  altre  cose  simili,  come  poco  necessarie  agli  studiosi.  D^ al- 
tro lato  però  esso  ha  il  merito  grande  ma  raro  ne'  nostri  antichi 
di  conoscer  bene  V  italiano  e  di  giovarsene  a  tempo  e  a  luogo.  Il 
Del  Bono  doveir  essere  in  Roma,  che  spesso  cita  voci  e  modi  ro- 
mani. Più  dello  Scobar  ha  de'  nomi  e  degli  addiettivi  alterati,  ma 
come  lo  Scobar  ha  frasi  inutili,  riducentisi  a  pure  e  semplici  propo- 
sizioni. 

Quel  che  il  gesuita  Del  Bono  credette  in  parte  difetto  del  suo 
Vocabolario  (e  diciam  per  una  parte  stante  che  nella  seconda  e- 
dizione  egli  fu  meno  esclusivo  e  men  dittatore  in  ordine  a  gusto) 
costituì  pel  protopapa  della  chiesa  dei  Greci  di  iMessina  Giuseppe 
Vinci  un  pregio  del  suo  Etyfnologicum  siculum  (3).  Qui  non  ita- 
liane né  siciliane  son  le  spiegazioni  dei  vocaboli  siciliani,  ma  lati- 
ne, e  nel  latino  e  nelle  altre  favelle  un  tempo  parlate  in  Sicilia  son 
ricercati  con  isvariata  erudizione  gli  etimi  delle  voci  stesse.  Qui  pa- 
rimenti non  son  trascurati  vocaboli  di  fuori  Palermo,  anzi  molti  ve 
ne  hanno  peregrini  dell'  oriente  delP  Isola ,  per  incuria  od  errore 


(1)  Non  è  già  che  qualche  lavoro  lessicografico  non  siasi  pubblicato  nei  primi  cin- 
quant*  anni  del  secob  passato,  perchè  il  Serio  nel  IV  voi.  di  sue  Giunte  al  Mongitore 
cita  un  Vocabolario  sieiliano  loscaìw  e  latino  di  Salv.  Virga,  cui  si  premette  un 
discorso  sull'origine  ed  una  grammatica  del  nostro  dialetto;  e  il  Narbone»  1*>  un'opera 
rimasta  interrotta  col  titolo  :  //  D'udeUo  di  Sicilia  passato  al  vaglio  della  Crusca,  Pa- 
lermo, 1721  in  li.*  e  contiene  le  voci  sicnle  comuni  od  affini  alle  toscane;  2*  il  Les- 
sico sieolo  di  G.  B.  Caruso,  annesso  p.lle  Rime  degli  Accademici  accesi,  che  egli  nuo> 
vamente  mandò  in  luce.  Palermo,  i7J6  in  8;*  3*  una  Fraseologia  siciliana,  italiana, 
latina,  Palermo,  1701  in  8  *  Ma  questi  lavori  rimangono  di  sotto  agli  inediti. 

(2)  Palermo,  presso  Giuseppe  Gramignani,  volumi  ire,  1751-54.  La  seconda  edi- 
zione è  del  1783  e  seguenti. 

(3)  Etymologicum  sieulum,  auclore  Iosbpu  Vinci,  protopapa  Graecorum,  S.  P.  Q. 
M.  dicatum.  Afessanae,  MDGCLIX,  ex  R.  Typographia  F.  Gaipa. 


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DD  VOCABOLARI  SICILUNI  25 

pretermessi  da^  compilatori  successivi.  Il  tutto  è  modestamente  il- 
lustrato, e  ci  fe  rimpiangere  la  leggerezza  dei  tempi  presentì»  in  cui 
per  boria  o  vanità- veggiamo  sfiorate  certe  discipline  che  furono 
tanta  gloria  dei  padri  nostri. 

Superiore  al  Vinci,  al  Del  Bono  e  ad  altri  tali.  Michele  Pasqua- 
lino dava  nello  scorcio  del  secolo  passato  il  più  copioso,  il  più  dotto, 
il  più  erudito  vocabolario  che  fosse  stato  compilato  dallo  Scobar  in 
poi  (I).  Noi  c'inchiniamo  riverenti  a  tant^uomo,  lieti  che  la  Sicilia 
possa  vantare  in  lui  non  che  un  lessicografo  un  filologo  valoroso. 
L' opera  del  Pasqualino  è  in  cinque  volumi;  precede  il  primo  lunga 
prefazione  di  Giuseppe-Antonio  de  Espinosa  Alarcon,  della  quale  in 
più  luoghi  può  dirsi  quel  che  di  alcuni  studi  consimili  del  tempo, 
cioè  che  vaga  per  varie  e  non  sempre  ragionevoli  ipotesi.  Parla 
delle  moltissime  voci  che  colle  immigrazioni  dei  popoli ,  allettati 
dalla  feracità  del  suolo  e  dalla  ridente  guardatura  del  cielo  siciliano, 
vennero  a  tramescolarsi  col  nostro  antico  linguaggio,  che  già  tempo 
prima  della  saracina  signoria  avea  tali  particolarità  acquistato  da  far 
dire  che  in  tempo  de'  Greci  fra  noi  si  $icilizzava  (f).  Paria  delle 
origini  della  lingua  italiana,  ed  è  con  Dante,  Petrarca,  Tiraboschi , 
Muratori,  Allacci  ecc.;  e  co'  siciliani  Y.  Auria  e  Mongitore.  Venendo 
a  ragionare  delP  opera  del  Pasqualino  avverte  come  nel  prepararla 
r  illustre  lessicografo  avesse  non  di  raro  accolto  dei  vocaboli  di  al- 
cune principali  città  dell'  Isola  non  sempre  comuni  o  quasi  ignorate 
in  Palermo  ;  la  qual  cosa  segna  un  altro  passo  nello  studio  del 
nostro  dialetto,  avvegnaché  prima  del  Pasqualino  ciascun  vocabola- 
rista di  Siciha  quelle  voci  soltanto  avesse  accolte  che  udiva  nella  sua 
provincia  natale  e  che  credeva  le  sole  vigenti  in  tutta  l'Isola.  Il 
Vocabolario  del  Pasqualino  ha  il  pregio  di  far  tesoro,  in  parte,  delle 
fatiche  altrui,  neglette  quasi  sempre  da  chi  accingevasi  a  migliorar 
quest'  opefà,  che  tanto  men  difettosa  sarà  quanto  più  saprà  Irar  prò- 
fitto  dagli  studi  precedenti.  Cosi  dallo  Scobar  tolse  qualche  voce 
antica;  dal  Del  Bono  (ed  avrebbe  potuto  anche  dallo  Spatafora  e  dal 
Malatesta)  le  voci  più  comuni;  altre  ne  trasse  dall'Anonimo,  che  allo 
spesso  cita;  da  vari  suoi  contemporanei  ottenne  in  buon  dato  voci  di 
scienze  naturali;  prese  dalla  Crusca  voci  prettamente  italiane,  e  frasi  e 
proverbi  che  rispondono  a  capello  coi  nostri;  e  riusci  amplissimo.Pure 


(1)   Vocabolario  sieUiano  elimologico  italiano  e  latino,  delVab.  Michele  Pasqua< 
LiKO,  nobUe  Barese.  Tomi  cinque,  Palermo,  dalla  R.  Sumperia,  MDGCLXXXV. 
(S)  iVon  aitieiuat,  verum  $ieili$siUU.  Plaut,  Men.  prol.  v.  13. 


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26  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

non  si  curò  in  venin  modo  de^  participiali,  che  son  tanta  gentilezza 
dei  nostro  linguaggio,  nò  più  che  tanto  si  volse  alle  voci  d'arti  eme^ 
stieri  specialmente  italiane.  Guardò  si  alle  etimologie  delle  nostre 
voci,  togliendole  da  un'opera  manoscritta  espressamente  composta 
dair  eruditissimo  padre  suo  Francesco,  rimasta  di  poco  incompleta. 
Ma  di  ciò  non  ò  u£Bcio  nostro  discorrere,  attendendo  che  qualche 
valente  (llologo,  senza  dispettare  il  passato  dica  con  coscienza  dove 
più  dove  meno  si  apponessero,  dopo  il  Vinci,  i  Pasqualino  quando 
si  appoggiarono  agli  etimi  ebraici,  caldaici,  siriaci,  arabi,  greci,  latini, 
A  noi  basterà  lo  avvertire  che,  nelP  Indagar  tante  orìgini ,  F.  Pa- 
squalino poteva  ben  passarsi  di  quelle  parole  siciliane  che  son  pura- 
mente italiane  o  latine;  sebbene  per  queste  ultime,  argomento  fa- 
vorevole all'autore  sia  la  poca  differenza  che  dai  migliori  lessico- 
grafi si  faceva  tra  la  lingua  e  il  dialetto,  e  la  persuasione  che  il  si- 
ciliano fosse  nò  più  nò  meno  che  una  lingua,  come  la  SìaSa  noa 
nazione  distinta  da  tutte  le  altre. 

Supplemento  ai  cinque  volumi  del  Pasqualino  ò  il  volume  del  Rocca, 
edito  in  Acireale  nel  1839  (I).  Dicendo  supplemento  noi  diciam 
tutto,  perchè  esso  raccoglie  un  gran  numero  di  vocaboli  delle  pro- 
viiiee  di  Catania  e  Mesisina  non  registrate  dal  palermitano.  A  prima 
giunta  sembra  molto  rieco  per  questi  nuovi  vocaboli,  sopralutto  fa- 
miliari e  d' arti  e  mestieri ,  ma  non  lo  ò  sempre ,  difettando  delle 
voci  occidentali  dell'  Isola,  come  i  nostri  difettano  delle  voci  orien- 
tali. Diligente  lavoro  ò  del  resto,  accurato  nelle  corrispondenze,  e 
di  costa  agli  altri  vocabolari,  e  di  quello  del  Pasqualino  segnata- 
mente, aiuto  efficacissimo. 

ila  un  anno  prima  che  il  Rocca  in  Catania,  il  Marchese  Vincenzo 
Mortillaro  in  Palermo  l' anno  1838  dava  in  luce,  ristampandolo  nel 
1853  con  giunte  e  correzioni,  un  Suovo  Dizionario  sicUimo-ikUia' 
no  (2).  Di  esso  il  Narbone  sentenziò  che  parte  compendia ,  parte 
accresce  il  lavoro  del  Pasqualino;  ma  tal  sentenza  non  può  aversi 
per  vera  se  non  da  chi  non  conosce  i  lessici  della  Sicilia  e  sfoglia 
appena  V  opera  pazientissima  del  Mortillaro.  É  vero  che  con  molta 
frequenza   P  illusi  re   letterato  adopera  come  dialettali  de'  vocaboli 

(1)  Dizionario  sicUiano-iUUiano  compilato  su  quello  del  Patqualitio,  con  correzioni 
e  aggiunte  di  Giuseppe  Rocca.  Acireale  1839  io  4.* 

(8)  Nuovo  Dizionario  sieiliano-ilaìiano  compilato  da  una  S'Kielà  di  persone  di 
lettere  por  cura  di  Vincenzo  Mortili.aro.  Volumi  due.  Palermo  1838  e  1844  in  4.* 
iViioro  DizioìMrio  siciliano-italiano  di  V.  Mortillaro.  Voi.  unico  »  seconda  edi- 
zione corretla  ai  accresciuta.  Palermo,  Stamperia  Pensante  1853  in  4.* 


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DEI  TOCABOLAM  SiaUANI  27 

italiani,  vuoi  di  scienze,  vuoi  di  affici  amministrativi;  ma  è  par  vero 
che  anche  senza  di  essi  T  opera  soa  è  ricchissima  in  voci,  frasi,  ma- 
niere di  dire,  proverbi,  sensi  figurati,  definizioni  ecc.  La  quale  ric- 
chezza tanto  più  parrà  quanto  maggiori  saranno  le  occasioni  di  ab- 
battersi in  voci  zoologiche,  botaniche,  m^ineralogiche,  e  quanto  me- 
glio si  potrà  cavar  vantaggio  da  quelle  di  arti  e  mestieri ,  si  stu- 
diosamente ricercate  e  raccolte  dal  nostro.  Potrebbe ,  se  si  vuole , 
accagionarsi  di  aver  rigettato  molte  voci  non  palermitane,  fatto  neutri 
passivi  i  verbi  riflessivi  attivi,  registrato  non  di  raro  il  feminino 
invece  del  mascolino  o  tutte  e  due  le  desinenze  ;  ma  potrebbe  in- 
tanto lodarsi  di  aver  corretti  degli  errori,  raddirizzate  delle  corri- 
spondenze, migliorate  delle  definizioni;  pregi  tutti  che  la  storia  del 
nostro  dialetto  non  vorrà  né  dovrà  per  istudio  di  parte  dimenti- 
care. Altre  opere  abbiam  vedute  intorno  al  nostro  dialetto  dopo 
questa  del  Mortiliaro,  e  qui  ci  si  affaccia  più  pronto  alla  memoria  il 
Vocabolario  domestico  classificato  della  lingua  siciliana  con  la  cor- 
rispondenza italiana^  latina^  francese  compilato  da  vari  cittadini  di 
Catania  (I).  Esso  è  diviso  per  ordine  metodico,  e  le  voci  che  com- 
pongono i  vari  articoli  sono  alfabeticamente  ordinate;  ciascuna  è  se- 
guita deir  abbreviata  indicazione  delia  sua  essenza  e  natura  gramma- 
ticale. La  classificazione  delie  materie  è  quella  del  Vocabolario  do- 
mestico del  Rambelli,  salvo  alcune  variazioni.  Spesso  vi  si  rinvengono 
tali  corrispondenze  siciliane  italiane  da  vedersi  chiaro  come  i  com- 
pilatori avessero  spoglio  il  Mortiliaro.  —  Inoltre  vuoisi  ricordare  il 
Dizionario  tascalnle  familiare  sicUiano-Ualiano  di  autore  anonimo  (i); 
la  Nomenclatura  familiare  siculo-italica,  seguita  da  una  breve  Fraseo- 
logia (3);  le  Osservazioni  e  saggio  su  la  lingua  e  il  Vocabolario  si- 
ciUano  di  A.  Longo  (i);  il  Saggio  (f  un  vocabolario  di  Marina  ita- 
liano-siciliano dello  scrittore  di  queste  pagine  (o);  la  Fraseologia  si- 
culo-toscana di  M.  Castagnola  (6),  e  il  Vocabolario  siciliano  italia- 
no (7)  di  6.  Biundi,  che  pur  esso  ha  la  parte  sua  di  utilità;  ma  per 


(1)  Catania,  Tip.  del  R.  Ospizio  di  Beneficenza.  1851,  in  8.* 

(2)  Opera  di  Rosario  Scadoli.  Palermo,  1840  in  16.* 

(3)  Messina,  1840  in  8". 
^4)  Catania,  1843  in  8.* 

(5)  Firenze,  Tipografia  sulle  Logge  del  Grano  18Ó3  in  8.* 

(6)  CaUnia,  Calatola,  1863  in  8.' 

(7)  Vocabolario  manuale  eompleio  sieUiano-UaliaHO,  seguito  da  utiappendice  e  da 
un  elenco  di  nomi  propri  siciliani  coU'aggiunla  di  un  dizionario  geografico,  e  d'wui 
breve  grammatica  per  gli  Italiani.  Palornio,  1850  in  12  • 


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28  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNE 

la  lor  natura  diflèrente,  per  la  specialità  degli  studi  che  riguardano, 
e  per  T  indirizzo  T  uno  dalP  altro  dissimile,  siffatte  pubblicazioni  re- 
stano di  sotto  a  quella  del  Mortillaro;  e  ben  se  lo  sanno  i  Siciliani, 
che  due  numerosissime  edizioni  n'ebbero  in  breve  volger  d'anni 
esaurite;  onde  una  terza  avrebbe  dovuto  attendersene  tra  poco,  se 
non  fosse  apparso  il  Nuovo  Vocabolario  siciliano-italiano  compilato 
ad  Antonino  Traina  (ij.  Di  questo  a  preferenza  siaci  lecito  intratte- 
nere il  nostro  paziente  lettore. 

Giuseppe  Pitrè 


IL  MONASTERO 

DI 

SANTA  MARIA  DELLE  CIAMBRE 

PRESSO  BORGE^TO 


I. 

Chi,  partendo  da  Borgetlo  (2),  si  volge  ad  oriente,  abbatiesi  in 
tortuosa  e  ripida  via,  che  lo  guida  alP amena  e  magnifica  altura 
che  domina  il  Comune,  e  serve  di  base  alPaerio  monte  Lingone.  A 
mano  a  mano  che  sali,  tu  senti  più  leggiero  il  piede,  più  lieto  lo 
spirito,  più  lucida  la  intelligenza.  E  mentre,  inebriato  dal  balsamo 
delle  innumerabili  viole  mammole  che  fioriscono  trai  rovi  e  le 
pietre  lungo  la  via ,  la  mano  si  allunga  spontaneamente  a  racco- 
glierle; rocchio  tuo  si  volge  indietro  con  compiacenza,  ad  abbrac- 
ciare la  vasta  e  fertilissima  sottostante  pianura,  da^  giardini  di  Hon- 
telepre  ai  campi  della  memoranda  Segesta;  e  in  mezzo  a  quel 
verde  perenne  degli  oliveti  e  aranceti,  è  caro  il  soffermare  i  pen- 
sieri ora  a  qualcuno  degli  otto  comuni  che  vi  stanno  disseminati,  ora 

(1)  Palermo,  Giuseppe  Pedone  Lauriel,  editore.  Volume  unico  in  4.* 

(2)  Borgelto,  che  già  fece  parte  deU*  antico  Val  di  Mazara,  oggi  è  comune  di  circa 
7000  anime  in  provincia  di  Palermo. 


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IL  MONASTERO  DI  S.  MABU  DELLE  CIAMBRE  29 

a  qualche  bianchissima  palazzina  o  a  qualche  torre  abbrunita,  ora 
al  procelloso  golfo  di  Castellamare  ed  ai  monti  dello  stesso  nome» 
dietro  cui  appare  solitaria  la  cima  della  vetusta  Erico  co^  saoi  cam- 
panili e  le  ciclopiche  mura. 

E  quando  la  salita  ha  fine,  tu  imbatti  in  un  prato  di  folta  ver- 
zura;  e  in  mezzo  ad  esso  frequenti  vestigi  di  gran  casamento,  e 
mura  cadenti,  o  ancora  saldi  a  lottare  colla  forza  de'  secoli.  Chi  potò 
avere  stanza  quassù  ?  Che  monumento  fu  questo,  con  quella  svelta 
torricella  merlata ,  con  quelle  finestre  a  sesto  acuto  delPevo  medio? 

Qui  stettero  venerabili  seguaci  di  S.  Benedetto  :  questi  che  am- 
miri, sono  gli  avanzi  del  monastero  di  Santa  Maria  dtUe  Ciatnbre. 

II. 

Al  1346,  sugli  occidentali  monti  di  Palermo,  e  proprio  sulle  ruine 
di  uno  de'  sei  monasteri  fondati  da  Gregorio  Magno  in  Sicilia,  sor- 
geva semplice  e  modesto  il  Chiostro  di  S.  Martino  delle  Scale  dei 
PP.  Benedettini  :e  la  santa  fama  del  beato  Angelo  Sinesio,  primo 
Abate,  e  degli  altri  suoi  primi  confrati^lli  (che  da  loro  stessi  lavora- 
vano le  terre,  inalzavano  le  mura  dell'abazia  e  copiavano  codici), 
si  diffuse,  trovò  la  via  nei  «uorì  delle  genti,  e  fruttò  al  monastero 
molti  danari,  molli  doni,  molti  feudi  e  comuni  co'  baronali  diritti, 
0  per  mano  di  privati  e  di  nobili,  o  di  arcivescovi  e  di  sovrani  (fl). 
Tra  gli  altri,  la  nobile  Donna  Margherita  De  Bianco,  vedova  di  Gio- 
vanni da  Caltagirone,  donava  ai  monaci  (1360)  Casale  BurgeUi  cutn 
juribm  suis,  colla  condizione  che  ivi  si  erigesse  altro  monastero  col 
titolo  di  S.  Benedetto  (V).  E  questo  sì  vide  di  li  a  poco  (1367),  mercè 
la  bolla  facoltativa  di  papa  Urbano  Y,  e  la  immunità  data  al  terri- 
torio da  re  Federico  III  ;  e  primo  Abate  ne  fu  Giovanni  Sinesio, 
fratello  di  Angelo. 

Ma  le  sedizioni,  le  guerre  intestine  e  i  continui  tumulti  de'  no 
stri  paesi  in  quel  tempo ,  non  solo  disturbavan  la  quiete  di  quei 
buoni  religiosi,  ma  ne  tenevano  in  pericolo  la  vita,  se  abbiamo  a 
prestar  fede  alle  parole  di  Rocco  Pirri  :  dimodoché  essi  bramavano 
ardentemente  di  ridursi  in  luogo  affatto  sicuro. 


(1)  V.  il  libro  De  reaedifiealione  S,  Martini  de  Scolii  eie.  —  Roghi  Pibri,  Sicilia 
saera  eie.  toI.  11,  par.  2*,  libro  IV.  —  Salvatore  Maria  Di  Blasi  nel  voi.  XI]  pa- 
gioa  3  e  segg.  degli  Ojmscoli  di  Autori  skiliani  eie. 

(t)  Pirri  op.  e  loc.  eil.  —  Viti  Amici,  Lexicon  lopograf.  Siciliae,  in  art.  Burgetius. 


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30  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNE 

Mosso  dalla  fama  di  lor  santità,  giusto  verso  quel  tempo,  il  nobile 
cav.  palermitano  Andrea  Guardabaxo  istituiva  suo  universal  erede 
il  monastero,  per  testamento  de'  30  marzo  1410;  volendo  però  che 
del  prezzo  de'  suoi  armenti  si  edificasse  un  nuovo  cenobio  alle  Ciam- 
bre  col  titolo  di  Santa  Maria,  l  monaci  altro  non  desideravano  :  onde 
in  soli  quattro  mesi  fu  compito  il  cenobio,  e  il  20  luglio  dello  stesso 
anno  vi  si  trasferirono ,  abbandonando  quel  di  San  Benedetto  (1). 
Ecco  dunque  come  e  quando  ebbe  origine  il  monastero  di  Santa 
Maria  delle  Ciambre,  che  il  Di  filasi  appella  venerabile  per  P  anti- 
chità e  per  i  santi  uomini  che  Tabitarono  (2).  Ha  il  nome  di  Cianh 
bre,  che  non  è  che  il  francese  chambre,  e  certo  rimonta  alla  domi- 
nazione angioina  (1266-1282),  mi  dice  chiaro  che  il  monastero  lo 
ereditò  dal  casamento  proesistente,  il  quale  gli  cesse  il  posto  non 
solo,  ma  forS*anco  buona  parte  delle  fabbriche  sue. 

Comunque  siasi  però,  giova  per  adesso  constatare  che  i  monaci 
vi  rinvennero  la  desiata  pace,  e  tornarono  alle  orazioni,  alle  abitu- 
dini, ai  lavori  di  prima.  E  questo  affermiamo  appoggiati  a  ciò,  che 
perfino  lo  stesso  già  vecchio  Abate  Fra  Giovanni  ci  si  mostra  as- 
siduo a  fabbricarsi  li  vicino  una  chiesetta,  che  dedicar  volle  a  Sa$Uo 
Nicola  tutelare,  in  memoria  del  monastero  di  S.  Nicolò  r Arena  di 
Catania ,  da  dove  col  fratello  e  con  altri  quattro  religiosi  era  ve- 
nuto per  la  riedificazione  di  S.  Martino.  E  cosi  le  Ciambre,  situate 
in  luogo  alpestre  e  remoto,  circondate  da  una  selva  di  annose  quer- 
ele e  ginestre  (3),  attissime  quindi  allo  esercizio  della  vita  dello 
spirito,  venivano  fama  acquistando;  e  ne'  loro  grati  recessi  invita- 
vano i  PP.  di  S.  Martino,  quando  per  troppe  cure  erano  stanchi, 
0  bramavano  un  luogo  più  riposato,  men  popoloso,  e  più  bello. 

III. 

San  Martino  delle  Scale ,  sotto  le  ale  de'  pontefici  e  de'  re,  di- 
viene ognora  più  vasto  e  più  ricco.  Sdegnano  i  suoi  Abati  le  mo- 
deste fabbriche  erette  dal  Sinesio,  e  li  cedono  a  povera  genie  ;  e 


(I)  PiRRi,  op.  e  loc.  cit.  pag.  1080  e  1098.  — Amici,  Lexicon,  ad  voc.  Ciambrae. 

(%)  S.  M.  Di  Blasi,  nel  voi.  1,  parte  1,*  pag.  53  delle  Memorie  per  set^ire alla  slo- 
ria  Utleraria  di  Sicilia. 

(3)  Questo  magoifico  bosco»  ch'era  famoso  ne'  dintorni  col  nome  di  Costa  de*  yeUi 
e  delle  elei,  vigeva  rigoglioso  e  quasi  intero  fino  a  trent'  anni  fa.  Nella  rivoluzione 
del  1848  ne  fu  consumata  buona  parte  :  al  1849  e  1850  un  monaco,  per  meschino 
guadagno,  lo  converse  lutto  in  carbone. 


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IL  MONASTERO  DI  S.  MARIA  DELLE  GIAMBRE  31 

r  Abate  Ambrogio  Isfar  fàbbrica  il  vasto,  sontuoso  e  sovra  tutti  ma- 
gnifico  nuovo  monastero,  con  quel  celebre  tempio  che,  abbellito  in 
séguito,  di  tanta  ammirazione  ci  riempie  oggidì.  Poco  appressoi  an- 
che il  nome  di  Frale  come  cosa  volgare  spregieranno  i  monaci,  per 
assumere  il  borioso  Don  (1).  Già  la  ricca  libreria  di  S.  Martino  è 
cominciata  a  costituirsi,  già  parecchi  uomini  insigni  per  sapienza  e 
dottrina  albergano  quelle  mura.  Eppure,  questi  medesimi  illustri  pos- 
pongono S.  Martino  alle  umili  Ciambre;  a  malgrado  che  queste 
non  vivessero  più  vita  propria ,  avendo ,  colla  morte  del  Sinesio, 
perduto  T  autonomo  Abate,  ed  ottenuto  invece  un  semplice  Priore 
dipendente  dalP  Abate  di  S.  Martino. 

E  primo,  di  onorata  ricordanza  degnissimo ,  troviamo  il  Beato 
Giuliano  Majali,  celebre  per  integra  vita,  per  dottrina  e  abilità  nel 
maneggio  de'  pubblici  affari,  e  molto  in  pregio  tenuto  da'  ponte- 
fici Eugenio  lY,  Nicolò  V,  Calisto  HI,  come  da  re  Alfonso  e  dal  fra- 
tello suo  Giovanni;  i  quali,  e  il  Senato  palermitano  con  essi,  lo  ca- 
rezzarono molto,  e  molto  donarongli  pe'  suoi  monaci.  —  Ambascia- 
dorè  a  Costantinopoli  ed  a  Roma  per  Alfonso;  a  Napoli  per  il  Se- 
nato e  Popolo  di  Palermo,  giovò  molto  questa  città  ed  i  Siciliani, 
e  ne  ottenne  il  nome  di  padre  detta  patria.  Ma  gravato  dagli  anni, 
ritirossi  dalle  molestie  de^  negozi,  e  venne  alle  Ciambre.  Quivi  ap- 
presso, tra  le  rupi  del  monte  e  le  frondose  querele,  una  chiesuola 
costrusse  e  due  cellette,  ornandole  egli  stesso  di  pitture  rappresen- 
tanti i  misteri  della  passione  di  Cristo:  e  queir  oratorio  recondito, 
che  fu  testimonio  per  sei  anni  della  sua  vita  di  astinenza,  di  cilizi 
e  di  pregliiere,  e  ne  raccolse  T  ultimo  spirto  il  dì  4  di  olt.  1470; 
queir  oratorio  divenne  tosto  famoso  e  venerato  col  nome  di  Chiesa 
del  RomiteUOj  e  i  cittadini  di  Borgelto  e  dintorni  fin  da  quei  giorni 
cominciarono  a  visitarlo  con  devoto  concorso  (2). 

Chi  amasse  di  più  saperne  su  questo  insigne  palermitano,  fonda- 
tore deir  Ospedal  grande  di  Palermo  e  benefattore  di  un  popolo 
tutto  (3),  ricorra  al  Fazello,  al  Pirri,  al  Mongitore  e  a  tutti  gli  al- 


ci) PiRRi,  op.  c  loc.  cit.  pag.  1063. 

(2)  PiRRi,  op.  e  loc.  cit.  pag.  1094  e  1098:  —  Mungitore»  Bibliolheca  Siculo,  vo- 
lume 1,  pag.  411-412. 

(3)  Ejas  corpu.<(  (scrive  il  Pirri)  in  ilio  Monaslerio  condilum  ad  nosiru  tempora 
igootom  est:  ejus  venerandam  ad  vivum  ìmaginem  super  Sacellum  domus  hospi- 
talis  Panormi  liac  epigrafe  veneramur  :  B,  Julianus  May  ali  PanormilanuSt  ordinis 
S.  Benedieti,  €t  Motuulerii  S.  Martini  fiiius,  ex  auctoritale  Eugenii  PP,  III  et  Re- 
ffU  Àlphonsi,  hujus  magni  et  t»ort  /iospila/w  fundalor  ei  institutor,  anno  saluiis  no»- 
trae  MCCCCXLL 


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32  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

tri  dal  HoDgitore  citati:  noi  ci  affrettiamo  a  soggiaogere  poche  pa- 
role sa  Frate  Alessaadro  Orbitoaio  di  Tortona,  uomo  venerabile  per 
santi  costumi  e  per  bella  mente,  il  quale,  morto,  ottenne  il  titolo 
di  Santo.  Era  stato  eletto  Abate  di  S.  Martino  al  1482:  ma  depose 
la  sua  dignità  tre  anni  dopo,  e  come  ferito  cervo  rifugissi  ai  solitari 
monti  di  Borgetto;  ed  ivi,  presso  la  chiesetta  di  S.  Nicola,  costruita 
già  dal  Sinesio,  inalzò,  a  gloria  di  Dio  e  per  sollevare  il  suo  spirito- 
alcuni  umili  tugurii,  e  piantò  colle  proprie  mani  un  giardino,  che 
dio  in  seguito  un  provento  di  onze  60  annue  (1).  Morì  alle  Ciam- 
bre  il  22  di  aprile  1499,  dopo  quindici  anni  di  eremitica  vita,  avendo 
il  nudo  suolo  a  letto,  digiunando  ed  orando  continuamente. 

Più  universalmente  conosciuto  del  H^'ali  e  deir  Orbitonio,  Teofllo 
Folengo  di  Cipada  presso  Mantova  (n.l487-m.l544)  dimorò  dieci 
anni  alle  Ciambre  nella  qualità  di  Priore,  e  vi  lasciò  di  sé  memorie 
considerabilissime,  lo  non  narro  la  vita  sua,  né  le  sue  opere  esa- 
mino, perchè  non  c'è  storia  letteraria,  o  dizionario  biografico,  o 
Enciclopedia,  che  non  consacri  parecchie  pagine  al  principe  de^  poeti 
macheronici  Merlin  Coccai  (2):  piuttosto,  ciò  che  fece  mentre  visse 
tra  noi,  brevemente  dirò. 

1/ ameno  luogo.  Paria  salubre,  il  solitario  frondoso  bosco,  T inar- 
rivabile panorama  occidentale,  risvegliarono  tutto  il  fuoco  poetico  del 
Folengo;  ond'egli  a  sue  ISinfe  prescelse  alcuni  alberi  di  elei  e  ci- 
pressi, e  con  loro  passava  placidamente  le  ore  toccando  la  lira.  Qual- 
cuno di  questi  cipressi,  che  non  restò  vittima  della  insensata  bar- 
barie che  distrusse  le  elei,  vive  tuttora  presso  la  Chiesa  del  Romi- 
tello  ;  ma  non  vive  più  con  esso  il  nome  di  Ninfa  di  Merlino^  che 
ciascun  cipresso  portava  fino  al  tramontare  del  passato  secolo,  anche 
presso  i  popolani  di  Borgetto  (3).  I  quali  bensì  serban  ricordanza 
di  lu  Pueta  Mantuanu  vissuto  lassù,  ma  ne  fauno  spesso  unico  in- 
dividuo col  Beato  Majalì.  Ho  ragion  di  credere  che  Teofilo  compo- 
nesse in  gran  parte  alle  Ciambre  il  poema  La  Palermitana,  in  cui 
parecchie  terzine  paion  proprio  ritratte  da'  circostanti  luogiii  di 
Santa  Maria;  come  è  certo  che  un  poema  eroico-macheronico  e  il 
famosissimo  dramma  sacro,  che  menò  tanto  grido  al  sec.  XVI,  vo- 


(1)  Pari  a  lire  italiane  765  annue. 

(3)  Anche  parecchi  poeti  lo  ricordano  :  cosi  il  Tassoni  nei  canto  Vili  delia  Stc- 
$hia  rapita,  e  il  nostro  Mbli  nei  li  della,  FcUa  galante.  11  francese  Rabelais  lo  cita 
spesso  e  più  spesso  io  copia. 

(3)  Di  Blasi,  nel  voi.  I,  parte  I*,  pag.  54,  dello  Memorie  per  seivire  alla  storia 
letteraria,  di  Sicilia. 


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IL  MONASTEBO  DI  S.  MARIA  DBLLB  CUMBRE  33 

gUo  dire  V  Atto  della  Pinta  o  Creazione  dd  mondo,  furono  scritti 
sotto  quelle  stesse  annose  querde,  sul  tronco  delle  quali»  più  cbe 
100  anni  dopo,  vide  il  Pirri  scolpito  il  nome  di  Merlino  Coccai  (1). 
Da'  manoscritti  della  libreria  di  S.  Martino  ha  notato  il  Di  Blasi  che 
al  Nostro  •  un  dì,  essendo  di  ritorno  alle  Ciambre,  toccò  per  ven- 
<  tura  una  muletta  che  gli  diede  molto  da  fare  per  giungervi;  don- 
«  d'ei  prese  occasione  ...  di  fare  quella  piacevole  lettera  al  suo 
e  tamiliare  Palchetto  .  .  .  che  comincia  : 

€  Legiadram  mea  staila  tenete  Falchette^  cavaUam  (2). 
Dovendo  lomare  poi  in  Lombardia,  il  Poeta  si  slaccò  con  dolore  da 
quei  luoghi  belli  e  diletti,  e  per  ultimo  saluto  ed  ultima  memoria  di 
sé,  scrisse  sulla  parete  della  sua  stanza  questo  epigramma  bellissimo  : 
Duke  soluniy  patriaeque  inslary  mea  cura  Ciambrae^ 

Acdpe  supremum  (cogor  abire)  vale. 
Vos  rupes,  atque  antra^  cavi  gratique  recessus, 
Quodque  horrore  nemus^  sylva  virore  places^ 
Vos  vitrei  fontes,  et  amoris  conscia  nostri 
Murmura  perpetuo  vere  cadentis  aquae  : 
Tuque  mei  testata  gravem  via  longa  laborem^ 

Tuque  olim  sancto  cellula  calta  sene  (3). 
Si  vestri  curam  gessi^  qwdquamve  peregi. 

Quo  facti  auctorem  fas  sit  amare  boni;. 
Mantoutn  aeternis  memorate  Theophilon  annis, 
Sitque  meae  vobis  causa  sepulta  fugae. 
Fino  al  1627  leggevansi   ancora   questi   versi  alle  Ciambre,  come 
noia  un  ms.  di  S.  Martino;  appresso,  abbandonato  il  monastero,  come 
diremo,  andarono  dispersi  tra  le  ruine. 

IV. 

Nel  frattanto,  Borgetto  era  venuto  crescendo  in  popolazione;  di 
maniera  che,  non  essendo  più  sufficiente  ai  fedeli  la  piccola  Chiesa 
di  S.  Antonio,  l'arciprete  benedettino  D.  Francesco  Beltacera  po- 
neva cura  che  sorgesse  T  attuale  Chiesa  Madre.  Fu  appunto  verso 
questo  tempo,  e  precisamente  al  1639,  che  colta  cooperazione  del 

(1)  Pirri,  op.  e  loc.  cit.  pag.  1095.  —Deli'  Atto  della  Pinta  e  deUa  Palermitana 
die  un  beir esame  il  prof.  V.  Di  Giovanni  nell' importantissimo  suo  ragionamento 
Delle  rappretentazioni  sacre  in  Palermo  ne'  secoli  XVI  e  XVII  (Bologna,  1868). 

(2)  Di  Blasi,  neil'  up.,  voi.  e  pag.  cit. 

(3)  Sancto .  .  .  sene  :  intendi  il  Beilo  Giuliano  Majali. 

3 


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3%  NUOVE  BFFBMBIUDI  SICILIANE 

Bellacerà  suddetto,  i  monaci  di  Santa  Maria  abbandonarono  le  C|am- 
bre,  e  vennero  a  costruirsi  un  monastero  nuovo  in  Borgelto,  al  po- 
sto de^  Magazinazzù  come  volgarmente  si  chiama. 

E  perchè  tutto  questo?  —  lo  le  vere  cause  non  so,  che  non  ho 
potuto  compulsare  le  carte  delP  archivio  di  S.  Martino:  ma  il  Pirrì^ 
r  Amico,  il  Di  Blasi  e  qualche  altro  affermano  che  alle  Ciambre  i 
monaci  erano  vessati  in  quel  tempo  da  ladri  e  da  banditi,  i  quali, 
benché  ricetto  ottenessero,  non  si  restavan  dal  mettere  le  mani  non 
solo  sulle  vettovaglie  e  sugli  arredi  sacri,  ma  anche  sulle  spalle  de^  Pa« 
dri;  anzi  fecero  lor  qualche  volta  assaggiare  la  punta  di  qualche  pu- 
gnale. Il  fatto  sta  che  di  restare  alle  Ciambre  essi  non  vollero  sen- 
tirne pili,  ed  esposero  le  loro  ragioni  al  Pontefice:  e  questi,  pre- 
mettendo il  solito  si  vera  sunt  exposUa,  accordò  loro  ciò  che  vole- 
vano. Cosi  gli  otto  monaci  sacerdoti  e  i  24  fratelli  se  ne  vennero 
in  mezzo  alla  gente,  ed  a  Santa  Haiia  non  lasciarono  che  un  ere- 
mita per  tener  vive  le  lampade.  Il  monastero  cominciò  a  rovinare, 
e  nessuno  se  ne  diede  per  inteso:  solo  dopo  il  1750,  quando  già 
non  esisteva  che  Patrio,  il  refettorio,  qualche  stanza  e  la  Chiesa, 
ristorarono  solo  questa  ultima  che  minacciava  mina.  Pur  nondimanco, 
divise  tra  il  monastero  di  Borgetto  ed  il  Santuario  del  Romitello  le 
imagini  sacre,  sul  principio  delP  ottocento  non  restavano  alle  Ciam- 
bre che  pochi  muri  screpolati,  sostenuti  da  un  monte  di  macerie, 
tra  cui  cominciarono  a  vegetare  i  rovi,  e  for  le  tane  i  ramarri. 

V. 

Chi  sale  oggi  a  visitar  quegli  avanzi,  per  leggervi  la  storia  del- 
r  arte  o  delle  vicende  del  monastero ,  sente  stringersi  il  cuore  e 
non  osa  mettervi  piede,  scandalezzato  che  la  superstiziosa  ignoranza 
e  la  barbarie  si  sieno  date  la  mano  per  disperdere  affatto  ogni  ve- 
stigio deir  antico  monumento  (I).  Estendevasi  questo  per  uno  spa- 
zio considerevolissimo  di  circa  60  metri  quadrati,  come  dimostrano 
le  superstiti  cantonate  e  alcuni  pezzi  di  muro,  che  levano  il  capo 
fuori  la  terra  or  sottoposta  a  coltura:  ma  quel  che  rimane  in  piedi 
ò  sufficiente  a  darci  idea  della  magnificenza  dei  Benedettini ,  e  a 
farci  più  lamentare  la  perdita  dell' edifizio. 

(!)  Compie  ora  l'anno  chenn  centinaio  di  gente  del  volgo  andò  a  rovinare  baona 
parie  delle  fabbriche  e  a  scavare  tutte  le  fondara«fnla  di  Santa  Maria,  mosso  dalla 
sciocca  e  infondata  credenxa  che  ivi  fosse  sepolto  dell'  oro,  ab  antico.  Aggiungi  che 
que*  casalini  han  servito  parecchi  anni  «li  ovile,  e  avrai  idea  del  miserevole  stalo 
a  cui  soD  pervenuti. 


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IL  MONASTERO  DI  S.  MARIA  DELLE  CIAMBRE  35 

Abbiamo  di  esso,  ma  aperte  e  cadenti,  le  mura  della  Chiesa,  della 
sacrestia,  che  le  sta  dietro,  e  d^  una  elegante  stanzina^  che  le  pog- 
gia a  sinistra,  ossia  a  sad-ovesf,  avendo  essa  Chiesa  la  porta  a  nord- 
ovest. Il  campanile,  a  destra  della  porla,  sorge  quadrato  e  sem|ili- 
cissimo,  e  va  a  terminare  con  tre  merli  a  coda  di  rondine  per 
ciascuna  parte;  ma  ne  vedi  soltanto  il  lato  sud-est,  che  i  tre  altri  sono 
caduti.  A  destra  poi  della  Chiesa  e  del  Campanile  un  atrio  di  circa 
venti  metri  quadrati,  che  mostra  i  vestigi  degli  archi  de'  suoi  por> 
liei;  a  sud-est  di  esso  il  refettorio,  a  nord-ovest  una  larghissima 
sala,  la  prima  a  cui  metteva  adito  la  porta  principale  del  monaste- 
ro. Un  corridoio  e  alcune  cellette,  che  poi  continuavano  ove  oggi 
scorre  V  aratro,  stanno  a  nord-est  della  sala  suddetta;  come  a  nord- 
est deir  atrio  e  del  refettorio  veggonsi  tre  capaci  stanze.  T  una  de- 
stinata a  cànova,  le  altre  due  a  cucina.  Al  davanti  delPedifizio,  e 
per  tutta  la  sua  larghezza  dal  lato  di  nord-ovest,  vedi  uno  spianato, 
circuito  da  bassi  muri,  che  fu  già  belvedere  e  giardinetto  con  viali 
di  passeggio.  A  mezzodì  di  questo,  i  muri  di  tre  case,  staccate  af- 
fatto dal  resto  delle  fabbriche,  destinate  forse  ad.  uso  di  magazzini 
0  piuttosto  di  foreslieria,  solita  a  non  mancar  mai  in  qualsiasi  degli 
antichi  conventi. 

Tutto  questo  è  ciò  ette  puossi  ancora  vedere  del  monastero.  Il 
quale  a  me  pare  che  sia  stato  eretto  in  due  tempi  diversi,  o  per- 
chè si  appropriò  parte  delle  fabbriche  già  prima  esistenti,  o  per- 
chè potè  appresso  subire  in  buona  parte  de^  restauri  :  giacché  que- 
sto è  os.servabile,  che  mentre  le  finestre  della  Chiesa,  e  della  slan- 
zina  che  le  è  a  sinistra  sono  a  sesto  acuto,  ed  a  sesto  acuto  ancora 
la  porla  della  stessa  Chiesa  e  la  principale  del  convento;  tutte  le 
altre  finestre  non  sono  che  a  rettangoli  molto  allungati.  Cosi  parmi 
ci  sia  pur  qualche  differenza  tra  la  fabbrica  del  campanile  e  quella, 
ad  esempio,  delle  celle  a  nord-est. 

La  cosa  più  importante  alle  Ciambre  dovevano  per  fermo  essere 
gli  a  freschi  che  adornavano  indistintamente  tut^e  le  stanze;  a  freschi 
che  in  massima  parte  portò  a  compimento  il  Bealo  Majali,  e  sareb- 
bero stati  altro  documento  della  storia  artistica  siciliana  del  sec.  XY. 
lo  ricordo  aver  visto  bambino  tutti  quei  muri  pieni  di  figure  di 
santi  e  di  ornamenti  altri  :  oggi  però  le  procelle  hanno  mandato  a 
male  e  cancellato  ogni  cosa.  Sul  muro  esterno  della  Chiesa,  a  sini- 
stra della  porta,  e  uguale  all'altezza  di  questa,  benché  alquanto 
sbiadito,  vedesi  piantato  un  San  Paolo,  che  poggia  la  destra  sul  suo 
bravo  spadone.  DalPaltro  lato  dovea  certo  fargli  compagnia  S.  Pietro, 


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36  NUOVE  EFFEMERIDI  SIQLUNE 

ma  non  ce  n'  è  vestigio.  Denlro  la  Chiesa  poi,  mentre  inciampi  in 
una  sepoltura  a  cui  fu  rubata  la  lapida,  o  sui  frantumi  non  molto 
antichi  delPaltare,  non  puoi  far  a  meno  di  levare  in  alto  lo  sguardo 
sul  pezzo  dì  arco  che  divideva  il  coro  dalla  navata,  dove  un  ma- 
gnifico rabesco  dai  vivi  e  spiccati  colori  parrebbeti  cosa  fatta  di  ieri, 
a  stucco  in  rilievo.  Eppure  quest'  angolo,  eh'  è  quello  che  guarda 
Tovest,  è  interamente  esposto  alle  intemperie!  ma  queir  a  fresco  è 
li  sempre  lo  stesso,  e  k)  sarà  ancor  qualche  tempo;  mentre  parecchie 
figure  di  angioli,  o  santi  che  sieno,  che  gli  succedono  immediata- 
mente, si  scorgono  a  gran  pena  come  leggerissime  ombre. 

Se  dal  Tempio  entriamo  nella  sacristia,  ancora  qui  troviamo  da 
tnttM  lati  i  vestigi  di  colorì  impressivi  dal  pennello  delP  artista.  Il 
moro  di  sud-est  è  diviso  in  cinque  compartimenti,  in  ciascuno  dei 
quali  stava  la  figura  di  un  Santo.  Non  mi  riesce  di  vedere  i  quat- 
tro laterali  :  ma  quello  di  mezzo,  figura  ben  grande  [air  impiedi  e 
sfarzosamente  colorata,  benché  mancante  di  testa  e  parte  di  busto, 
panni  un  S.  Benedetto. 

Lascio  qualche  altra  stanza  e  P  atrio,  che  pur  dàn  segno  di  avere 
avuto  i  loro  colorati  ornamenti,  ma  che  oggi  non  mostrano  cosa 
che  meriti  attenzione,  e  vado  per  ultimo  al  refettorio;  in  fondo  al 
quale,  nel  muro  di  sud-ovest,  io  veggo  in  alto  ed  al  centro  la  te- 
sta bionda  con  aureola  ed  il  petto  di  una  imagine ,  eh'  è  donna 
senza  dubbio  alcuno.  Ma  qual  ^nta  era  mai?  E  perchè  tanto  alto 
focata  ?  Sono  domande  queste  a  cui  nulla  non  sappiamo  rispondere 
di  preciso ,  perchè  altro  non  si  vede  presso  a  quella  testa  che  il 
muro  scalcinato.  Se  una  ipotesi  avesse  valore,  direi  che  quella  do- 
vett'esser^  una  Madonna,  ritratta  in  mezzo  a  qualche  medaglione. 
E  cosi  solamente  potrei,  conciliar  questa  figura  colle  altre  che  sta- 
vano pia  in  basso.  Cercando  delle  quali,  ho  trovato  qua  e  là.,  nella 
larghezza  del  muro,  una  cinquina  di  piedi,  messi  in  modo  che  ac- 
cusavano la  posizione  seduta  di  chi  li  portava.  Avuto  riguardo  al 
luogo,  la  supposizione  prima  su  questo  dipinto,  già  perduto^  doveva 
esser  quella,  che  in  esso  era  slato  forse  effigiato,  come  in  tutti  quasi 
i  refettori  de'  PP.  Benedettini ,  quel  tratto  della  vita  di  S.  Bene- 
detto, quando  a  tavola  gli  venne  presentato  un  bicchiere  con  veleno, 
ed  egli,  colla  forza  della  sua  benedizione  lo  ridusse  in  pezzi.  Ha  il 
fatto  non  avvalorò  la  supposizione.  Che,  all'estremo  sinistro  del 
mura,  e  proprio  in  basso  dove  le  macerie  e  la  terra  gli  si  addos- 
sano, mi  fu  dato  osservare  dipinte  alcune  lettere  maiuscole  rotonde 
che  dicono:  URAE.  S.  Mauc.  xvi....  Non  c'era   che  dir  più:  queir 


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IL  MONASTERO  DI  S.  MARU  DELLE  GIAMBRE  37 

rURAE  è  la  fine  di  on  versetto  del  cap.  XYI  dell' Evangelio  di 
S.  Marco;  versetto  che  illustrava  V  a  fresco.  Ricorsi  al  Nuovo  Testa- 
mento, cap.  XYI  di  S.  Marco,  e  Punico  versetto  che  termini  con 
urae  è  il  15,  che  dice  :  Et  dixit  eis  (Dominus)  :  Euntes  in  muadum 
univenumj  praedicate  EvangMum  omni  creaturae.  Quell'a  fresco  rap- 
presentava dunque  l'ultima  apparizione  di  G.  Cristo  agli  Apostoli, 
mentre  stavano  a  mensa..  Nobile  pensiero  questo ,  di  ricordare  ai 
monaci,  quando  mangiavano,  le  parole  di  Dio  che  additano  loro  la 
santa  missione  a  cui  li  ha  Egli  chiamati. 

E  qui,  nient'  altro  mi  restando  ad  aggiungere,  io  fo  voti  perchè 
tutti  gli  antichi  monumenti  di  arte  e  letteratura,  che  i  nostri  pa- 
dri 0  per  ignoranza  o  per  negligenza  distrussero  o  abbandonarono, 
vengano  con  accuratezza  e  perizia  illustrati ,  meglio  che  a  me,  in 
queste  brevi  parole ,  non  fii  dato  di  fare  per  Santa  Maria  delle 
Ciambre. 

Salvatore  Salomonb-Marimo. 


INTORNO  ALLA  COPIA  DI  UNA  DELLE  STORIE  A  MUSAICO 

DELLA  cappella  PALATINA 


LirriRA  AL  GAY.  CESARE  GUASTI  AccADEiico  DELIA  Crusca 

Firenae 

Nel  rispondere  ad  egregio  uomo-  della  gentile  Toscana  voglio  ora 
anzi  di  arti  tener  proposito  che  di  lettere,  e  di  arti  che  in  tante 
guise  fonno  segnalata  questa  Isola.  Perchè  mentre  ci  gode  T  animo 
vedendo  recata  a  termine  la  splendida  e  dotta  illustrazione  del  Duomo 
di  Monreale  per  opera  del  chiarissimo  Abate  Domenico  Gravina,  ab- 
biamo un  altro  motivo  di  godimento  intorno  a  siffatti  studi,  comec- 
ché per  diversa  fsercìlazione,  vedendo  felicemente  intrapresa  dal- 
l'artista  Rosario  Riolo  la  copia  di  uno  de'  fotti  biblici,  ond'è  sto- 
riata a  musaico  la  Cappella  Palatina  di  Palermo. 

Egli,  ch'è  valente  direttore  de'  bellissimi  musaici  delia  rinomata 
Cappella,  ha  avuto  posto  in  mano  il  lavoro  dall'  Inghilterra,  nazione 
opulentissima,  e  aiulatrice  di  civiltà;  dove  il  quadro  si  vuole  per  la 
storia  deir  arte,  ponendolo,  quantunque  sia  unar  copia,  fra  mezzo  a 
tanti  di  altro  genere,  e  di  altro  tempo,  si  che  rammenti  la  possa  del- 
l'ingegno artistico  ne'  primi  secoli  dopo  il  mille,  e  il  testimònio  il 
più  vivo  di  un  tale  ingegno  fra  noi. 


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38  NUOVE  EFFBMBRIDI  SICILIANE 

Fu  scella  la  rappresentazione  di  Gesù  Cristo  eh'  entra  in  Gerusa- 
lemme, pojtandosi  i  rami  delie  palme;  e  nella  forse  più  che  quarta 
parte  a  cui  la  copia  è  aggiunta,  dà  di  sé  buono  avviso,  e  fa  con  animo 
apporre,  che  sarà  per  parere  l'esemplare  pur  desso. 

A  fianco  del  valentuomo  è  a  Invorare  un  suo  esperio  fratello,  e  dopo 
di  lui  alcuni  bene  intenti  operai,  che  il  Rioto  seppe  air  uopo  qui  con- 
durre da  Cefalù,  dove  era  andato  per  quella  chiesa,  eh'  è  del  mede- 
simo carattere.  ' 

Sopra  che  giova  conoscere,  come  grande  è  il  desiderio  che  una 
scuola  qui  si  fondi  di  lavori  a  musaico.  Scuola  speciale  per  questi 
di  Sicilia,  li  quali  sono  singolari  dai  musaici  soliti  ad  eseguirsi  m 
altri  luoghi,  che  con  svariatissime  tinte,  come  egregiamente  si  fa 
in  Roma,  ritraggono  quadri  di  ogni  sorta;  onde  par  si  voglia  che 
le  pietre  da  incastrarsi  tanto  si  multiplichino  quanto  si  debbono 
multtplicare  le  quasi  infinite  gradazioni  di  colori,  affinchè  si  arrivi 
al  segno  che  nell'opera  a  musaico  per  poco  si  ravvisi  l'opera  a 
pennello.  Quando  i  musaici  di  Sicilia ,  e'  pochi  altrove  eguali ,  ma 
non  cosi  eccellenti  né  magnifici,  si  osservano  fatti  con  pochi  mezzi, 
due  0  tre  tinte  e  nulla  più,  ed,  in  partiC4)lare  questi  di  Sicilia,  col 
bianco  delle  vesti,  e  con  l'incarnato  dei  volti,  ottenuto  per  colore 
naturale  con  pietre  d' una  roccia  calcare  leggiermente  marnosa,  che 
si  trova  in  buon  dato  ne'  dintorni  di  Palermo,  e  chiamano  latti- 
musa. 

Di  là  deriva,  che  ì  musaici  di  Sicilia  ricliiedono  a  rifarli,  o  a  co- 
piarli, un  jhetodo  proprio,  il  quale  ora  mai  è  nelle  mani  di  pochi 
fra  noi  rimasti  a  praticarlo;  ma  che  con  l' andar  degli  anni,  senza 
rifornirsi  o  soccorrersi,  potrà  essere  perduto.  E  ad  impedire  il  danno 
non  altro  sarà  a  farsi,  che  fondare  una  scuoia,  la  quale  tanto  valga 
quanto  il  conservare  nelP  antico  identico  loro  stile  cosi  stupendi  edi- 
fici: la  Cappella  Palatina,  la  stanza  di  Ruggiero  dentro  il  real  Pa- 
lazzo, ta  chiesa  della  Martorana,  il  Duomo  di  Monreale,  il  Duomo 
,di  Messina,  il  Duomo  di  Cefalù  ed  altri,  antichi  da  sette  oda  otto' 
secoli,  eagion  di  nostra  alterezza,  cagion  di  ammirazione  a  tutti. 

Avvegnaché  ai  mali  che  il  dente  del  tempo  possa  mai  arrecare, 
gli  artisti  fidi  alla  scuola  saprebbero  sempre  riparare,  e  gli  edifici 
sempre  sarebbero  integri  come  sorsero. 

La  scuola  di  cui  parlasi,  col  patrocinio  fondandosi  de'  reggitori 
della  cosa  pubblica  produrrà  un  grande  ed  invidiabile  vantaggio, 
si  che  benemeriti  ne  saranno  chiamati  i  provvidi  reggitori.  Dai  quali' 
ora  con  ansia  si  aspetta,  che  sieno  ordinati   i  ripari  a  taluni   dei 


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INTORNO  ALLA  GOPU  Di  UNA  DKLLB  STORIE  A  MOSAICO,  EC.       39 

monumenti  con  urgenza  bisognevoli;  i  quali  ripari  tornano  ora  più 
focili  a  praticarsi  per  l'accorta  industria  trovata  da  Salvatore  Ver- 
sace  nel  modo  di  distaccare  i  musaici,  e  in  esatto  modo  rimetterli. 

Già  nella  chiesa  della  Martorana  con  dolore  si  notano  de'  guasti; 
già  se  ne  notano  in  altri  di  questi  celebri  monumenti;  La  gloria 
di  tanti  secoli  senza  i  ripari  può  perire;  ma  la  mente  valida  di  co- 
loro cui  incumbe  saprà  accorrere,  e  tanta  gloria  starà,  illesa  e  ri- 
splendente. 

Con  tali  cenni,  con  tali  auguri,  anzi  espressioni  di  certezza,  chiudo 
le  mie  parole  alla  S.  Y.  Ch.,  la  cui  amicizia  mi  onora,  e  in  tante 
guise  m' è  utile,  intorno  alla  bella  copia  di  Rosario  Riolo.  (Corre- 
ranno ancora  sei  mesi,  o  circa,  e  la  copia  sarà  finita,  e  tutti  la  lo- 
deranno, e  1  mio  primo  plauso  sarà  seguito  da  molti  del  mio  an- 
cora più  fervidi. 

D'onde  per  l'avvenire  gli  oltramontani  per  lavori  di  tal  sorta 
avranno  più  giusta  causa  di  richiedere  questi  artisti,  avanti  che  gli 
altri  di  altre  parli  d'Italia;  giacché  alla  bontà  dell' esecuzione,  come 
di  tratto  sarà  veduto,  si  aggiunge  il  pregio  de'  migliori  modelli,  che 
in  maggior  numero,  ed  in  più  grande  forma,  qui  si  trovano ,  per 
ispirare  fiducia  di  migliore  successo  a  favore  degli  artisti  delia  inclita 
Sicilia. 

Palermo,  marzo  1870.  Prof.  Giuseppe  Bozzo 


IPPOLITO 

DRAMMA  D'EURIPIDE 

(Continuai.  Vedi  Voi.  I,  disp.  10*) 


Fedra 
Tacete,  o  donne,  siam  perdute! 

Coro 

0  Fedra, 
Qual  si  compie  in  tua  casa  aspra  ventura  ? 

Fedra 
Frenatevi,  e  cosi  quanto  là  dentro 
Si  dice,  udir  potrò. 

Coro 
Taccio;  ben  trista 
inizio  è  questo  I 


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40  nuovb  effemeridi  siciliane 

Fedra 
Ahimè  la  sciagurata! 

Coro 
Che  intendi  ta  ?  Che  cosa  esclami  ?  Parla, 
Qoal  mai  novella  f  assaliva»  o  donna. 
Che  si  t'abbrezza  di  spavento  il  core? 

Fedra 
Perimmo.  A  queste  porte  ay?icinateyi. 
Ascoltate  lo  strepito,  che  sorge 
Nella  casa. 

Coro 
Rimanti  appo  le  soglie. 
A  te  il  cbmor»  che  di  là  move,  imiH)rta. 
Dimmi,  dimmi,  che  danno  è  sovraggiunto? 

Fedra 
Di  ca?aliera  Amazone  rampollo 
Ippolito  r  ancella  or  maledice. 

Coro 
Odo  una  voce  ;  non  distinguo  i  detti.... 
Ha  vien  dalPusdo^a  te  ne  viene  il  grido  I 

Fedra 
Chiaro  le  appone  il  Cavorir  le  colpe, 
E  che  tradiva  i  talami  del  Sire. 

Coro 
Ahi,  che  disastro  1  Sei  tradita,  o  cara  I 
Qnal  darti  avviso?  Omai  palese  è  il  tutto.... 
Perduta  sei  ! 

Ffi^RA 

Me  lassa! 

Coro 

Dagli  amici 
Tradita  f 

Fedra 
IToccidea,  recando  in  luce 
I  casi  miei,  con  amistà,  ma  tiu*pe, 
Molcer  tentando  questo  morbo. 
Coro 

E  in  tanto 
Disperato  frangente  or  che  farai  ? 


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IPPOLITO,  BRAMMA  D'EURIPIDE  41 

Fkdra 
Altro  non  so,  che  morir  tosto.  É  questo 
Unico  scampo  nei  presenti  affanni. 

Ippolito 
0  Terra  madre,  o  rai  del  Sol,  che  sensi 
Nefandi  udii  i 

NUDRIGE 

Taci,  0  figliuol  ;  potria 
Alcuno  adirti. 

Ippolito 
Non  fla  mai  chMo  taccia 
Le  orrende  cose,  che  ascoltai. 

NUDRIGB 

Ten  prego, 
Per  la  vaga  tua  destpa; 

Ippolfto 

Giù  le  mani  1 
Non  toccare  il  mio  peplo. 
Nddrice 

Ahi  ti  scongiuro 
Pe'  tuoi  ginocchi,  non  Yolermi  spenta  I 

Ippolito 
Ha  come,  se,  qual  narri,  i  tuoi  consigli 
Scellerati  non  sono  ? 

Nddrice 
I  detti  miei 
Propalarsi  non  d^mo,  o  giovinetto. 

Ippoltto 
Ha  più  bello  è  d'assai,  che  i  send  onesti 
S"  espandano  fra  molti. 

NUDRIGB 

I  giuri,  0  figlio. 
Non  dispregia. 

IppoLrro 
Giurò  la  lingua;  il  core 
Non  giurava  però. 

NiJDRICB 

Figlio,  che  fai? 
Brami  la  morte  degli  amici? 
IppoLrro 

A  voi 

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42  NUOVE  EFFEMERIDI  S1GU4AME 

Deir  infamia  lo  spalo  1  Amico  alcuno 
Tra  i  malvagi  non  ha 

NUDiUGE 

Perdona;  istinto 
Degli  uomini  è  il  fallire,  o  figlio  mio. 

Ifpouto 
Perchè,  o  gran  Giove,  alla  diurna  luce 
Lusinghiero  degli  uomini  disastro 
Evocasti  la  Donna?  E  se  bramavi 
Propagar  V  uman  genere,  non  trarlo 
Dalla  Donna  dovevi;  e  aprire  invece 
Ne'  tuoi  sacrati  un'endica  di  figli 
Da  tramutar  con  oro,  o  rame,  o  ferro, 
Secondo  il  ciascun  morto;  e  le  magioni 
Cosi  franche  di  donne  abiteremmo. 
Or  frattanto  a  chi  voglia  in  casa  trarsi 
Tal  peste  è  tutta  la  dovizia  assorta  1 
Quinci  ben  chiaro  è,  che  mina  estrema 
Son  le  donne  per  noi.  Le  dota  il  padre 
Che  le  produsse  ed  educoUe,  e  altrove 
Le  accasa,  e  quindi  fugge  un  gran  periglio. 
Ma  chi  tal  piaga  in  sua  dimora  accoglie 
Allindar  di  bei  fregi  si  gioisce 
Un  tristo  simulacro,  e  di  mantiglie 
Lo  rafiazzona,  e  intanto  ahi  I  sciagurato, 
Le  casalinghe  (acuità  disperde. 
Fòrza  gli  è  pur,  se  con  legnaggi  illustri 
S' infamigli,  guardar  con  lieta  fronte. 
Mentre  il  fiele  ha  nel  cor,  le  amare  nozze. 
E  se  proba  è  la  sposa,  e  abietti  sono 
I  suoceri,  nel  ben  trova  il  disastro. 
Meglio  è  che  nulla  non  arrechi  altrui 
La  donna,  e  schietta  di  costumi,  e  quasi 
Inutile  s'alloghi  entro  la  casa. 
Detesto  T erudite!  Il  ciel  mi  guardi. 
Che  alle  mie  soglie  non  s'appressi  alcuna 
Esperta  più  di  quanto  a  donna  è  bello. 
Che  malizia  maggior  Venere  infonde 
In  femina  saputa.  —  Immune  e  scevra 
L' insipiente  ò  da  follia  d' amore.       ^ 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D  BUIUPIDE 

Degno  par  fora,  cbe  alle  mogli  accesso 

Non  avesser  le  serve,  e  sol  con  elle 

Albergassero  muti  e  cnidi  mostri! 

Cosi  lor  tronca  ogni  balia  sarebbe 

Di  mover  ciance  e  d' ascoltarle.  Intanto 

Oggidì  le  malvage  entro  i  lor  tetti 

Rei  consigli  maturano,  e  T  ancelle 

Al  di  fuori  li  recano!  Venata 

Cosi  tu,  scellerata  anima,  sei 

Trafficando  con  me  T  inviolato 

Talamo  di  mio  padre  !  lo  quegli  infami 

Tuoi  motti  caccerò,  le  orecchie  mie 

Aspergendo  di  pure  e  chiare  linfe. 

E  come  iniquo  potrei  farmi,  quando 

Casto  più  non  mi  sento,  per  averti 

Solo  ascoltato?  Abbi  di  fermo,  o  donna, 

Che,  se  legato  non  m^  avesse  il  giuro 

Ai  Numi  fatto,  non  vorrei  dislormi 

Dal  rivelar  tue  nefandezze  al  padre. 

Or  mentre  ei  lungi  è  da  Trezene,  io  queste 

Magioni  fuggirò,  né  di  tai  cose 

Terrò  favella.  Tornerò  con  esso 

Poscia,  e  vedrò,  come  fermar  potrai 

Tu  con  la  tua  padrona  in  lui  lo  sguardo! 

Ben  ti  conosco....  avviserommi  quinci 

Di  tua  protervia.  —  Il  Ciel  vi  spenga!  Sazio 

Non  sarò  mai  dall'  abborrir  le  donne. 

E  ripetasi  pur,  ch'io  senza  posa 

Di  quesf  odio  ragioni.  Si  ;  perch'  esse 

Disoneste  fur  sempre  I  Altri  pudiche 

Le  mostri,  o  lasci,  eh'  io  le  affronti  sempre  ! 

Coao 
0  sciagurato,  o  misero  destino 
Delle  donne!  Qual  arte,  o  qual  ragione 
Avrem  da  scioiTe  di  tai  casi  il  nodo  ! 

^    Fedra 
Giusto  giudicio  su  noi  cadde!  0  Terra, 
0  Luce,  come  fuggirò  lai  sorte? 
E  come,  o  fide,  celerò  il  mio  strazio? 
Qual  Dio,  qual  uomo  si  parrà  compagno, 


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44  NUOVE  EFFEMERIDI  SICIUANE 

0  partecipe  in  qaeste  opre  maivage  ? 
Morta!  si  appressa  inestricabii  duolo.... 
Tra  le  donne  miserrima  son  io  1 

Ck)iio 
Ahi  I  che  tatto  6nì  ;  nò  potè  V  arte, 
0  regina ,  giovar  della  tua  serva. 
Tutto  falliva  t 

Fedra 
0  la  più  trista  donna 
Tu,  de'  più  Adi  esizial  mina. 
Che  mai  tu  fosti  ?  Giove,  ond'  io  mi  nacqui. 
Saettando  col  fulmine  t' eetermini  1 
Non  ti  diss'  io,  de'  tuoi  pensieri  avvista. 
Di  tacer  quanto  or  si  mi  rende  infame  ? 
Ha  tu  frenarti  non  volesti,  e  quinci 
Nell'obbrobrio  morremo!  —  In  altra  guisa 
Provveder  qui  fa  dHiopo.  —  Ei  d' ira  ardente 
Al  padre  svelerà,  per  fame  offesa. 
Le  colpe  tue;  discoprirà  ben  anco 
Al  canuto  Pittòo  le  angosce  nostre, 
E  la  Terra  empierà  di  vitupero. 
Maledetta  sii  tu;  sia  maledetto 
Qua!  altro,  al  par  di  te,  d'empi  favori 
Largo  si  renda  ai  non  volenti  amici  ! 

NUDRIGE 

Ben  a  ragione  il  mìo  fallir  riprendi 
0  mia  reina;  che  l'interna  ambascia 
Ti  vince  il  sentimento.  —  Avrei  per  altro. 
Se  non  la  sdegni,  una  risposta  a  darti. 
Io  t'allevai;  t'amo;  al  tuo  mal  cercando 
Un  rimedio^  trovai  ciò,  che  disvolli. 
Ma,  se  tornata  a  ben  fusse  l'impresa. 
Saggia  or  detta  sarei  ;  che  ognor  si  libra  * 
Secondo  la  ventura  il  senno  umano. 

Fedra 
Bastan  dunque  per  me,  flen  giuste  adunque 
Dopo  lo  scempio  di  me  fatto,  queste 
Tue  scuse,  ond'io  m'acqueti  ai  tuoi  parlari? 

NUDRICB 

Ornai  soverchio  è  il  garrir  nostro.  Incauta 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D'  BUIUPIDE  46 

lo  fui;  ma  pure  in  lai  frangente  io  scorgo 
Una  via  di  salate,  o  giovinetta. 

Fedra 
Taci;  pur  dianzi  di  consigli  iniqui   • 
Fosti  foriera,  e  tanti  mali  ordisti. 
Esci  di  qua;  pensa  a  te  stessa.  Io  sola 
Ben  disporrò  di  me  medesma.  —  Voi, 
Di  Trezene  o  ben  nate  giovinette. 
Mostratevi  benigne  ai  voti  miei; 
Di  silenzio  coprite  quanto  udiste. 

Coro 
Per  la  casta  Diana  a  6iove  figlia 
Giuro,  cbe  in  luce  non  trarrò  giammai 
I  mali  tuoi. 

Fedra 
Ben  fovellasti.  lo  meco 
Stessa  volgendo  ogni  ripiego  in  mente. 
Un  rimedio  trovai,  come  far  bella 
E  gloriosa  ai  figli  miei  la  vita, 
E  giovare  a  me  stessa  in  tal  cimento. 
Che  mai  non  macchierò  la  mia  famiglia 
Da  Creta,  e  con  Teseo  non  verrò  mai 
Dopo  tante  sozzure  ad  affrontarmi, 
Per  amor  d^  una  vita  I 

Coro 

E  vuoi  tu  dunque 
Al  supremo  dei  mali  abbandonarti  ? 

Fedra 
ìlorrò.  Penserò  il  comel  ^ 

Coro 

Oh  !  non  dir  cose    ^ 
Di  tristo  augurio  t 

Fedra 
E  di  non  tristi  avvisi 
Tu  pur  sovviemmi.  In  questo  di,  morendo, 
Ciprigna  allieterò,  che  m'ha  perduta, 
E  cadrò  vinta  dall'  acerbo  amore  1 
Ma  pur,  morendo,  altrui  sarò  d' affanno  ; 
Ond'ei  si  tegna  dal  levarsi  altera 
Sovra  la  mia  ruìna,  e  meco  a  parte 
Di  questo  seempiov  a  moderarsi  impari  ( 


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46  nuove  effemeridi  siciliane 

Coro 
Oh  1  se  tra  balze  aerìe 
Vestita  anchMò  di  piume 
Fossi,  e  alle  schiere  aligere 
Volesse  addirmi  un  Nume  ! 
Su  la  marittim'  onda 
De  Tadrìana  sponda 
Air  acque  delP  Erìdano 
Bramerei  trasvolar, 

Ove  tre  meste  Eliadi 
Dal  cor  di  doglia  affranto 
Per  Faeton  distillano 
Sui  neri  gorghi  un  pianto, 
Che  lucid' ambra  appar. 
Delle  canore  Esperidi 
N'andrei  per  Palma  arena. 
Ove  del  fosco  pelago 
Il  Sir  le  navi  afTrena, 
E  ogni  sua  possa  acqueta 
Presso  la  sacra  mela 
Dello  stellato  Empireo, 
Ond'  Alla  è  reggitor. 

Colà  di  Giove  V  aula 
Fonti  d'ambrosia  mesce. 
Ed  alma  Dea  benefica 
La  Terra  i  gaudi  accresce 
Sempre  de'  Numi  in  cor. 
Candida  V  ali,  o  eretica 
Prora,  la  mia  reina 
Traesti  per  la  cerula 
Strepente  onda  marina 
Dalle  magion'  beate 
A  nozze  sciagurate  I 
Ahi!  che  per  ambi  infausto 
Ella  spiegava  il  voi. 

Salpando  dalla  gnosia 
AlPatenèa  contrada. 
E  pur,  tratle  le  gomene 
Sulla  munichia  rada, 
Presero  il  fermo  suol  ! 


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IPPOLITO,  DRÀIQIA  D' EURIPIDE  47 

Ella  cosi  da  Venere 
Spinta  ad  un  empio  amore 
Fa  con  orrendo  strazio 
Trafitta  V  alma  e  il  core  t 
E  pensil  fdne  al  tetto 
Sul  genial  suo  letto 
Accomandando,  il  dltido 
Ck)llo  s'annoderà. 

Vinta  dai  Fati,  in  odio 
Della  nemica  Dea, 
Preporre  al  turpe  P  inclito 
Nome,  e  la  fiamma  rea 
Così  domar  saprà  1 
continua)  G.  De  Spcches. 


CURIOSITÀ  STORICHE  SICILIME 


Raccogliamo  sotto  questo  titolo,  traendolo  dai  manoscritti  della 
Comunale  di  Palermo,  tutto  ciò  che  può  essere  utile  alla  storia  delle 
scienze,  delle  lettere,  delle  arti,  e  de'  costumi  dei  Siciliani,  e  giace 
ignorato  e  sepolto  nelfa  polvere  d' uno  scaffale  di  libreria.  Comin- 
ciamo a  spigolare  nei  due  volumi  di  Notizie  piacevoli  e  curiose  ossia 
Aneddoti  dilettevoU  ed  eruditi  ecc.  dell'  eruditissimo  parroco  paler- 
mitano Gaetano  Alessi,  tra  gli  Ereini  Filarco  Polignomio.  Questi 
due  volami  stanno  ai  segni  Qq.  H.  43  e  44;  il  primo  ha  la  data 
del  1776,  il  secondo  del  1803.  É  da  avvertire  che  TAutore,  più  che 
alla  eleganza  della  favella,  badò  a  far  tesoro  di  cose  e  di  erudizieni 
meno  conosciute^  che  valessero  ad  illustrare  la  Patria  siciliana. 

Salv.  Salomone-Marino 

(N.  B.  Co'  numeri  romani,  premessi  ad  ogni  paragrafo,  indichiamo  il  volume;  co- 
gli arabi  il  numero  che  in  esso  volume  porta  lo  aneddoto), 

(I,  35)  Farsa.  Rappresentazione  burlesca ,  che  in  Sicilia  si  fa- 
ceva per  le  strade  a  dilettevole  trattenimento  del  popolo.  11  nostro 
concittadino  D.  Luigi  D'Eredia  nella  sua  Apologia  contro  il  Gua- 
rino (f.  9  e  10)  scrive  che  li  Siciliani,  «  serbando  il  costume  an- 
•  tico,  rappresentano,  per  le  strade  e  per  li  borghi,  componimenti 
«  drammatici ,  sotto  nome  di  farse.  >  Questi  componimenti  erano 
sopra  materie  facete  e  ridicole,  come  ricavo  da  Francesco  Patrici, 


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48  NUOVE  EFFEMEBIDI  SIGOIANE 

il  quale  nella  Poetica  (dee.  ist,  1.  lY,  f.  234),  scrifendo  della  poesia 
burlesca  dice:  <  quali  sono  ora  le  forse o  le  comedie  zannesche.  > 
Similmenle  trovo,  che  nel  fine  d' una  amena  comedia  intilolata  La 
Notti  di  Pùkrmu  (stampata  in  Palermo  presso  Decio  Cirillo  nel  1638 
in  8o)  cosi  conchiude  V  Autore  di  essa  : 
Chi  nui  àulri  flnemu 
La  nostra  farsa,  dilla  la  Cumedia 
Di  la  filici  notti  di  Palermn. 

(I,  273).  BUniere  metalliche  in  Sicilia.  É  cosa  troppo  nota 
che  nella  nostra  fertilissima  Isola  vt  sieno  miniere  de'  più  fini  me- 
talli; come  di  oro  nel  feudo  di  Castelluccio,  di  argento  nel  territo- 
rio di  Caccamo,  di  rame  nelli  contorni  di  S.  Marco;  e  di  tanti  al- 
tri metalli  in  diversi  altri  luoghi ,  come  può  osservarsi  nella  fati- 
cosa raccolta,  fatta  per  Real  Commissione  dal  Presidente  D.  Rosa- 
rio Frangipane,  noslro  palermitano,  che  manoscritta  conservasi  nella 
libreria  di  sua  casa.  In  conferma  dell'esistenza  di  tali  miniere,  e  del 
lavoro  delli  metalli  da  esse  provenienti,  convien  sapere  quanto  scrisse 
Giovan  Giacomo  Adria  {De  sita  VaUis  Mazariaé) ,  ed  è ,  che .  nel 
luogo  presso  il  convento  de'  PP.  Cappuccini  di  Palermo  apparivano 
ancor  nel  principio  del  16®  secolo  le  vestigia  delle  officine  metalli- 
che, lavorate  sin  da'  tempi  de'  Greci  e  de'  Romani ,  come  dice  il 
Leanti  (Slato  Pres.  della  Sic.,  Tom.  I,  p.  218). 

Queste  ofiìcine ,  in  questo  secolo ,  non  vi  sono  più  in  veruna 
parte  della  Sicilia,  abbenchè  qualche  volta  si  sia  ripigliata  l'impresa 
a'  nostri  tempi  di  cavarsi  le  miniere.  Imperocché  nel  1734  Barto- 
lomeo Khez,  chimico  boemo  della  corte  di  Vienna,  fu  mandato  in 
Sicilia,  ove  estraendo  terra  e  pietre  dalli  colli  vicini  alla  Terra  d'Ali 
ed  alla  Terra  di  Fiume-dì-Nisi,  ne  ricavò  argento,  del  quale  coniò 
alcune  monete  coli'  impronta,  da  una  parte ,  di  Carlo  Sesto  impe- 
radore ,  allora  dominante  della  Sicilia ,  e  dall'  altra  parte  coli'  im- 
pronta della  Sicilia,  col  motto:  Ex  visceribus  meis.  Similmente,  nel 
1740,  Carlo  Terzo  Borbone  nostro  Re  volle  far  ripigliare  tale  fa- 
tica ,  facendo  spiare  in  quelli  ed  altri  contornì  le  cave  di  diversi 
metalli;  ma  perchè  andava  molto  interessato  il  Regio  Erario  in  si 
fatta  opera,  si  è  sospesa  l' impresa. 

Per  soggiungere  su  questo  punto  qualche  cosa  intorno  alla  mia 
patria  Palermo,  dico ,  che  nelle  nostre  campagne  vi  è  qualche  in- 
dizio di  esservi  miniera  d'oro;  imperocché  nel  nostro  fiume  Greto 
si  sono  trovali  minuzzoli  di  si  prezioso  metallo.  Veggasi  il  Massa, 
ed  Amato  nelli  luoghi  che  cita  il  Mongitore  nella  Sicilia  ricercata, 
Tom.  Il,  pag.  165.  (continua 


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RICORDO  DI  ANTONINO  GkTTUSO 


Il  primo  e  più  naturale  sentimento  che  si  desta  neir  animo  di 
chi  ascolti  la  flne  immatura  di  tale  che  sembrava  destinato  ad  ono- 
rare la  patria  con  opere  egregie,  è  senza  dubbio  la  compassione. 
E  codesta  compassione  sarà  forse  sentita  da  coloro  i  quali  sanno 
che  r  uomo  che  qui  si  ricorda  apparteneva  a  quella  eletta  di  be- 
nemeriti cittadini  che  hanno  consacrato  alla  famiglia  e  al  paese  na- 
tivo i  miti  affetti  del  cuore  e  le  splendide  virtù  dell'ingegno.  Tale 
fu  il  cav.  Antonino  Gattuso  che,  tocco  a  pena  il  quarantunesimo  an- 
no, si  morì.  Ed  io,  che  ebbi  il  bene  di  conoscerlo  da  vicino,  m^  in- 
gegnerò di  ritrarre  P  animo  e  la  mente  di  lui,  perchè  la  sua  vita 
non  sia  senza  lode,  e  la  sua  morte  senza  compianto. 

Il  profeterò  Antonino  Gattuso  nasceva  in  Termini-lmerese,  terra 
ferace  di  eletti  ingegni.  Apprese  i  primi  rudimenti  delle  lettere  ita- 
liane e  latine  nel  patrio  Liceo,  ove  benché  giovanetto,  lasciò  foma 
d""  ingegno  pronto  e  svegliato. 

Segui  poi  la  madre  che,  perduto  il  marito,  rimasta  priva  di  beni 
di  fortuna,  si  trasferiva  nella  città  capitale.  E  qui  egli,  di  nulPaltro 
bramoso  che  di  trovarsi  in  grado  di  aiutare  la  famiglia,  ripigliò  con 
maggior  lena  gli  studi»  e  frequentò  le  scuole  che  di  que^  giorni  te- 
nevano i  Padri  Gesuiti.  I  quali,  scòrte  le  egregie  qualità  di  quel- 
r  ingegno  promettente,  si  confidavano  di  poterlo  ascrivere  al  loro 
sodalizio ,  profferendo  alla  madre  di  lui  ogni  maniera  di  aiuto.  Il 
giovanetto  fu  cosi  fortunato  che  potò  a  tempo  avvedersi  delle  scal- 
trite frodi  de'  Padri,  e  compiuto  a  pena  il  tirocinio,  usci  dal  colle- 
gio, e  riacquistò  quella  beala  indipendenza  che  avea  pianta  per  poco 
perduta. 

Quando,  nel  18&8,  V  isola  nativa  sorgeva  a  più  lieti  destini,  il  no- 
stro pigliava  volontario  servizio  nella  nascente  milizia  siciliana,  col 
grado  di  ufficiale,  ottenuto  a  concorso. 

Caduta  la  libertà  siciliana,  e  tornata  la  mala  signoria  de'  Borbo- 
ni, studiò  giurisprudenza  nel  palermitano  Ateneo,  e  compiuto  il  corso 
degli  studi  legali,  si  consacrò  all' avvocheria,  ove  die  prova  di  molto 
senno  e  di  probità  assai  rara. 

Uà  non  era  questa  la  vita  che  gli  arrideva  di  più  care  lusinghe. 
Bensì  con  animo  acceso  volgevasi  aUe  lettere ,  che  sono  conforto 
degli  uomini,  e  ornamento  nelle  prospere  cose  e  nelle  avverse  ri- 
fugio,  e  per  le  quali  ei  sentiva  speciale  vocazione. 

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50  NUOVE  ErFEMEBIDI  SIGIUANE 

Quando,  dcq)0  i  poKtid  rìvdgiiiieDti  del  1860,  iii^ituivasi  il  no- 
stro Liceo  Nazionale,  era  quivi  nominato  Professore  titolare  di  lin- 
gua e  letteratura  latina. 

Pubblicò  poco  dopo  un  volume  di  trecento  pagine  che  intitolò: 
Storia  delia  hUeratwra  kUina  che  era  il  frutto  di  lunghe  meditazioni 
sulla  lingua  del  Lazio,  nella  quale  aveva  faito  costanti  ed  amorosi 
studi. 

Preceduto  dalla  fama  di  onesto  ed  operoso  insegnante,  nel  1862, 
era  destinato  alia  quinta  classe  del  R.  Ginnasio  Nazionale. 

Cominciò  V  insegnamento  del  latino  con  molto  profitto  de'  gio- 
vani alfe  sue  cure  affidati.  Sapeva  poco  di  greco»  o  non  vi  era  molto 
esercitato  ;  ma  con  T  aiuto  del  suo  buon  volere,  e  ne  avea  molto, 
rifece  gì' intermessi  esercizi,  e  se  non  divenne  un  grecista,  di  que- 
sta dotta  lingua  ei  seppe  tanto  che  poteva  bastare  a  condurre  lo- 
devolmente la  classe. 

Nella  lingua  italiana  moUo  avanti  sentiva  ^  e  come  scrìveva  con 
molto  buon  garbo,  cosi  era  sobrio  ed  assennato  nella  parte  precet- 
tiva, accurato  nella  correzione  de'  compiti,  arguto  nelle  linguistiche 
e  fliologicbe  osservazioni. 

Ma  ciò  che  rendeva  il  professore  Oattuso  degno  ^i  molla  lode 
'era  U  contegno  da  lui  tenuto  in  iscuola.  Fedele  osservatore  delle 
massime  pedagogiche  da  lui  dettate  neir operetta: //tnoégfro  dì /tn- 
gua  e  lettere  nelle  scuole  secondarie;  si  valeva  dell'amore  per  riu- 
scire nella  solida  e  vera  educazione  morale  de'  suoi  allievi. 

Esempio  vivo  di  moralità  nelle  parole  e  negli  atti  suoi,  nello  stu- 
dio de'  classici  trasceglieva  que'  tratti  da'  quali  i  suoi  alunni  potes- 
sero ritrarre  esempi  di  pratica  moralità.  Li  avvezzava  alla  prudenza 
nel  promettere,  alla  franchezza  nel  confessarsi  colpevoli,  alla  libertà 
del  proprio  pensiero,  al  rispetto  dell'  altrui  opinione ,  all'  ossequio 
delle  leggi,  afl' orrore  allo  spionaggio,  alla  pigrizia,  alla  menzogna,  a 
qualunque  bruttura.  Ammise  i  giovani  alla  libera  discussione  su'  com- 
ponimenti fatti  in  iscuola;  istituì  una  specie  di  giuri  ne'  casi  dubbi 
sulla  interpretazione  di  alcuni  regolamenti  scolastici,  e  promosse  una 
associazione  per  soccorrere  di  libri  e  dell'occorrente  da  scrivere 
que'  giovani  che*  per  manco  di  mezzi,  non  iK)tevano  usare  alle  pub- 
bliche scuole. 

Cosi  educava  i  suoi  alunni  ad  esporre  con  lealtà  e  franchezza  le 
proprie  opinioni,  teneva  deste  le  loro  facoltà,  il  giudizio,  la  imma- 
ginativa, il  sentimento,  informava  il  loro  animo  alla  virtù  della  com- 
passione e  delia  beneflcenza,  li  adusava  alle  faccende  della  vita  pub- 
blica e  ad  amministrare  con  giudizio  ed  onestà  le  entrate  che  prò- 


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RIGOEDO  DI  ANTONINO  GATTUSO  5i 

venivano  da  talta  T  associazione  scolastica.  Era  insomma  il  vero 
maestro  educatore,  e  la  sua  scuola  era  una  famiglia.  Conduceva  V  in- 
segnamento con  tanto  buon  metodo  e  con  tanto  amore,  ct)6  sareb- 
besi  detto  ch'egli  fosse  il  migliore  amico  de'  giovani. 

Ma  benché  dell'  affetto  molto  ei  si  valesse  per  inspirare  a'  giovani 
il  sentimento  del  dovere ,  pur  sapeva  mantenere  il  prestigio  del* 
r autorità,  eh' è  cosi  necessaria  all'Istitutore  che  sente  la  propria 
missione. 

I  suoi  alunni  lo  amavano  di  quell'affetto 

Che  più  non  deve  a  padre  alcun  figliuolo; 

e  coloro  che  attendono  di  presente  agli  studi  liceali  ed  universitari 
conservano  gratitudine  al  loro  buon  professore  Gattuso;  che  è  questo 
il  nome  che  gli  danno,  nome  più  lusinghiero  di  qualunque  altra  lode , 
come  quello  che  rivela  le  egregie  doti  della  mente  e  del  cuore  di 
quell'uomo,  che  ebbe  viscere  di  padre  pe'  suoi  alunni  diletti. 

II  prof.  Gattuso  non  vivea  se  non  che  nel  pensiero  della  scuola^ 
alla  quale  aveva  consacrato  tutta  la  sua  vita  dì  privazioni  e  di  studi. 
Egli,  fra  le  ore  assegnate  allo  insegnamento  degli  allievi  del  Ginnasio, 
delle  alunne  del  R.  Educatorio  Maria  Adelaide,  e  degli  scolari  pri- 
vati, dava  da  circa  a  dieci  ore  di  lezioni  al  giorno.  E  il  vederlo,  fra 
tante  affiannose  occupazioni,  pur  sempre  calmo  e  tranquillo,  destava 
ammirazione  e  insieme  pietà.  Quella  vita  tanto  laboriosa  doveva  fiac- 
care qualunque  vigorosa  natura;  pure  egli  dava  sempre  lezioni  con 
equabile  costanza  di  affetto  e  con  uguale  zelo  ed  energia. 

Ma  il  suo  fisico  doveva  sentirne  una  potente  scossa.  E  il  dolore 
della  morte  della  madre,  che  andò  a  prendere  a  Termini-Imerese, 
perchè  gli  fosse  data  la  consolazione  di  poterle  prestare  in  casa  gK 
estremi  uflBci,  la  sollecitudine  degli  esami  de'  suoi  allievi  del  Giii^ 
nasio  e  delle  sue  alunne  dell'  Educatorio,  e  le  diuturne  fatiche  spen- 
sero quella  nobile  esistenza  —  Moriva  il  30  agosto  del  1860,  mar- 
tire della  fetica  I 

Ho  scritto  questi  poclii  cenni  a  conforto  de'  figli,  perchè  sieno 
loro  specchio  ed  esempio  le  virtii  del  padre,  e  a  consolazione  de- 
gli onesti  che  si  sono  dedicati  alla  ptibblica  istruzione.  La  quale  se 
è  senza  compensi,  non  è  scarsa  di  conforti.  Che  se  la  vita  labo- 
riosa degli  onesti  insegnamenti  è  inapprezzata,  e  sono  sconosciute 
le  loro  modeste  virtù,  non  cesseranno  però  d'esser  savi  e  buoni: 
memori  che  la  virtù  ha  sempre  il  suo  premio,  non  foss'  altro  nella 
pace  della  buona  coscienza,  nell'adempimento  de'  propri  doveri. 

Carmblo  Pamm. 

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LETTERA  INEDITA  DI  VIHORIO  COUSIN 

A  SALVATORE  MANCINO 


Questa  lettera  che  non  ebbi  a  mano  quando  pubblicai  il  carteg- 
gio del  Cousin  col  Mancino  nel  mio  libretto  Salvatore  Mancino  e 
V  Edetticismo  in  Sicilia  (Pai.  1867),  è  proprio  quella  che  il  Ck)usin 
accennava  al  suo  amico  nelP  altra  de^  20  marzo  1842 ,  e  chMo  te- 
neva come  perduta.  Il  posto  pertanto  che  avrebbe  dovuto  avere  nel 
mio  libretto  sarebbe  stato  a  pag.  35:  e  ci  dice  essa  qual  giudizio 
portava  V  illustre  filosofo  di  uno  de'  nostri  migliori  insegnanti  di 
quel  tempo,  e  delle  Effemeridi  dì  allora. 

V.  Di  Giovanni 
Man  cher  Monsienr, 

Tai  refu  il  y  a  quelque  temps  votre  lettre  du  21  AoAt  I8t1.  De- 
puis  vous  avez  dù  recevoir  de  M.  le  Consul  de  Franco  à  Palermo 
mes  le(ons  de  1816  et  1817^  et  je  vous  envoie  cependant  celles  de 
1820.  Vous  avez  donc  maintenant  sous  les  yeux  tout  mon  premier 
enseignement  de  1815  à  1820.  Il  ne  manque  plus  que  Kant,  dont 
vous  ^vez  un  morceau,  et  dont  vous  lirez  un  morceau  plus  impor- 
tant  dans  un  des  prochains  N».  de  la  Revue  des  deux  Mondes. 

Je  suis  charme  de  votre  nomination  de  Chanoine  à  la  Gathédrale 
de  Pderme.  Mais  f  espère  que  cela  ne  vous  eniève  à  V  Université, 
et  que  vous  <x)ntinuez  toujours  vos  le^ons  de  philosophie.  Vous  a- 
vez  bien  raison  de  croire  qu^  un  Compendio  della  Storia  della  FUo- 
sofia  est  indispensable  pourcompléter  vos  Bléments,  et  donner  une 
impression  utile  à  Télude  de  la  philosophie  en  Sicile.  Car  e"  est  par- 
ticulièrement  pour  la  Sicile  quMi  faut  travailler.  Votre  pian  est  excèl- 
lent;  je  Papprouve  toutàfiait.  Mais*je  pense  quMI  faudraitmet- 
tre  quelque  intervalle  entre  le  premier  et  le  second  volume.  Ne 
vous  pressez  pas  depublier  le  second  volume;  publiez  le  premier 
le  plus  tòt  possible.  Plus  tard  je  vous  parlerai  en  détail  de  la  ma- 
nière dont  vous-  pourriez  arranger  le  second  volume;  pour  le  pre- 
mier ,  je  n^  ai  pas  de  corrections  essentielles  à  vous  proposer;  car 
je  suppose  que  vous  avez  la  seconde  édition  de  mes  le^ons  de  1829, 
que  le  libraire  Didier  a  publié  il  y  a  plus  d'un  an.  At-elle  été 
suivie  dans  Tèdition  de  Bruxelles?  Je  T ignoro,  ne connaissant  pas 
cette  édition  qui  desolo  mon  pauvre  libraire  de  Paris. 

Je  tirai  avec  grand  plaisir  Touvrage  de  Tabbé  Carezza  auquel 

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LETTERA  INEDITA  DI  VITTORIO  COUSIN,  EC.  53 

Yous  metlrez  ane  préfaoe.  Ne  cessez  de  m' envoyer  tout  ce  qui  pa- 
ndi de  philosophie  parmi  tos  ingénieax  compatriots.  SMI  y  a  en 
Siciie  beaucoap  de  Jósuites  comme  le  P.  Romano,  il  feudra  me  ré- 
ooncHier  avec  cet  ordre  qui  a  beaucòup  à  réparer  enrers  la  philo- 
sophie. Remerciez ,  je  yous  prie,  le  P.  Romauo.  Si  je  n'étais  pas 
eette  fois  fort  occopé ,  je  lui  adresserais  mes  remerdments  moi- 
méme. 

Qu'  esl-ce  qu'  une  RoYue  de  SicìIe  nommée  la  Ruota,  doni  j'  ai 
re(u  quelques  N.'  où  Ton  attaque  rEcleclisme,  ous  et  moi,  et 
où  r  on  déiènd  Romagnosi  ?  F  aime  beaucòup  les  Effemeridi  dbut 
je  YOUS  prie  de  m^  envoyer  les  N.'  qui  intéressent  la  Philosophie. 
Yotre  article  du  premier  bimestre  de  1840  est  fort  bon,  et  m^  en- 
gagé à  YOUS  prier  d' insérer  parmi  les  annonces  des  Effemeridi  sans 
aucun  traYail  les  titres  des  cinq  Yolumes  de  mon  premier  enseijjne- 
ment  de  1815  à  1820,  que  yous  avez  maintenant  entro  les  mains. 

Rappelez-moi ,  je  yous  prie,  à  M.  le  chevalier  Fraoco\  au  Pére 
D^  Acquisto,  et  aux  amis  de  la  philosophie  dans  votre  belle  Siciie. 

Tout  i  YOUS  de  coeur 

V.  COUSIN 
M  Dt'cembre  1841 
Paris,  à  la  Sorboniic 


CKITIC4  LETTERARIA 


Solenne  tornata  della  Accademia  Palermitana  di  scienze,  let- 
tere ed  arti  in  memoria  dei  suo  socio  e  vice-presidente  M.r  Bene- 
detto D'  Acquisto  arcivescovo  di  Monreale.  Palermo,  1869. 

AvoYamo  annunziato  già  in  questo  Periodico  la  tornata  della  pa- 
lermitana Accademia  :  ora  abbiamo  il  piacere  di  far  conoscere  ai  no- 
stri lettori  la  pubblicazione  degli  scritti  in  essa  letti,  doYuta  al  Mu- 
nicipio monrealese,  che  con  gentile  pensiero  Yolle  cosi  onorare  il 
suo  grande  concittadino.  —  Va  primo  il  Discorso  del  professore  V. 
Di  Giovanni;  il  quale,  con  eloquenza  e  pulitezza  assai  rare  oggidì, 
comincia  dal  tessere  la  storia  della  filosofia  in  Sicilia  nelP  ultimo 
Yentennio  del  passato  secolo,  dai  volfiani,  che  aYeano  sopraffatto  i 
cartesiani ,  e  cedettero  poscia  al  sensismo  del  Locke ,  a  Vincenzo 


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54  NIR>?B  nTBimUDI  tlCUANB 

Hkeli  <  propngnttore  caldissimo,  in  meizo  ai  fìiToregpalori  di  slra- 
nieri  sistemi,  delle  antiche  tradiiioni  ideali  d^  filosofia  italica  ;  » 
tradizioni  serbate  e  fecoadate  dagli  scolari  di  Iti  (Zerho ,  Guardi, 
Ritaroia) ,  e  precipuaiii^Bte  poi  da  Benedetto  D' Acquisto.  Il  quale 
ToNe  però  più  uuiversale  ed  italiana  la  scienza,  cont'uiaando  il  mi- 
celiano  sisfena ,  no  correggendolo  nella  parte  fondameutale  della 
teorica  della  creazione  ;  poiché  il  Miceli  erasi  fondato  sulP  unità  pan- 
teistica dell'essere^  colla  sua  d^trina  delPEnte  fivo  e  reale  agente  in 
perpetua  novità.  Il  DI  Giovaimi,  con  quella  pi*olònda  dottrina  che  lo 
distingue  in  flfoeofla,  va  mirabilmente  esponendoti  tutto  ciò,  e  deli- 
neando insieme  T  imagine  delia  mente  e  il  concetto  delle  opere  del 
monrealese  arcivescovo.  La  Pisicologia^  dove  il  D' Acquisto  gettava  le 
fondamenta  del  nuovo  ontologismo  italiano,  «  precedendo  di  cinque 
anni  la  famosa  formola  ideale  della  Introduzione  allo  studio  della 
filosofia  di  V.  Gioberti  »  ;  il  Sistema  della  Scienza  universale ,  «  che 
varrà  per  la  filosofia  italiana  quanto  la  Teosofia  del  Rosmini  e  la  Pro- 
Mogia  del  Gioberti  •  ;  il  Corso  di  filosofia  morale,  il  DirMo  naturale^ 
i  TratlaU  di  teologia  dommatica,  e  le  altre  cose  minori  del  filosofo 
monrealese,  fino  al  volume  inedito  della  Logica  :  tutte  queste  opere 
sono  dimostrate  e  discusse  dal  Di  Giovanni  ;  il  quale  passa  a  con- 
chiudere quanta  e  quale  fosse  la  vigoria  e  comprensione  di  mente 
di  monsignore  D' Acquisto,  e  quale  splendido  esempio  egli  lasciasse 
del  come  «  possano  essere  combattuti  da  ogni  lato  gli  avversari  della 
filosofia,  siano  che  neghino  la  scienza  per  incapacità  della  ragione, 
sia  che  V  appugnino  come  vana  cosa,  ovvero  come  nome  senza  conte- 
nuto, stante  essere  inutile  V  indagine  de'  prìncipi  e  de'  fini.  »  E  qui, 
con  quella  forza  di  dotti  argomenti  che  i  lettori  ricordano  nella  prima 
dispensa  del  volume  primo  di  queste  Effemeridi,  viene  un  pò  contro  i 
moderni  positivisti,  che,  spesso  per  contradizione  Kantiani  e  sensi- 
sti  neUo  stesso  tempo,  negando  la  metafisica ,  riescono  alio  scetti- 
cismo, tenebra  deir  intelletto  e  morte  del  cuore  umano.  La  conclu- 
sione del  discorso  non  può  essere  nò  più  bella  nò  piò  passionata. 
Seguono  le  Poesie.  L*  *Eic(Y(>«tM^  del  De  Spuches ,  fotte  latino  da 
6.  Montalbano  e  parafrasato  da  G.  Bozzo ,  potrà  solo  ben  gustare 
chi  si  profondamente  conosce  il  greco  idioma  come  T illustre  tra- 
duttore di  Sofocle  e  d'Euripide  :  l'altro  di  G.  Spata,  pur  greco,  reso 
in  terzine  italiane  dal  Villareale ,  ne  rafferma  che  i  dotti  classici 
studt  hanno  ancor  valentissimi  cultori  tra  noL  Semplice  e  bello  è 
il  Sonetto  del  ricordato  egregio  prof.  Villareale;  squisite  per  affetto 
e  mirabile  soavezza  di  numero  le  Stanze  di  U.  A.  Amico,  gentile  e 


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GMTIGA  U&TTBRARU  55     . 

ben  noto  poeta  ;  ispirata  V  Ode  di  Giacinto  Agnello,  venerando  e 
quasi  nonagenario  superstite,  che  pensa  e  scrire  col  Aioco  d*  mi  gio- 
vane. Vorremmo  adomare  di  qualche  citazione  queste  nude  parole, 
ma  non  cel  consente  lo  spazio  :  sicché  diam  fine ,  congratulandoci 
colla  risorta  Accademia,  che  si  egregiamente  ripiglia  i  bvori  suoi , 
portando  splendido  omaggio  agli  illusiri  cultori  delle  scienze  e  deHe 
arti,  eterni  luminari  delle  nazioni  e  della  civiltà. 

S.  Salomonb-Mamno 


PUBBLICAZIONI  — n  mg*  Pedoue-Laariel  si  fa  editore  dell'opera  eiii sterne  IfiediiA 
neUa  nostra  Oonranale,  coi  ne  fece  dono  il  Cav.  Salvatore  Vigo:  Hemorie  thriehe  in- 
tomo  al  Gavtimo  éMa  Sicilia  dal  1815  sino  al  conUnàamenlo  della  DiUalura  del 
Generale  Garibalii,  scrìtte  da  Francesco  Bracci*  direttore  al  Ministero  per  gli  affari 
di  Sicilia  in  Napoli.  È  un*  opera  di  molta  importania,  anche  per  dei  docuiaenti  fatiiri 
aggiungere  dallo  stesso  Vigo. 

—  Alconi  tipografi  di  Palermo  hanno  preso  a  rìstampare  la  Sieilia  Nobile  del  Vil- 
iabianca.  L'opera  verrà  fuori  a  puntate,  e  sarà  terminata  in  tre  anni. 

—  L' Ab.  D.  Benedetto  Gravina  ha  dato  fine  alla  stampa  della  sua  famosa  opera* 
/{  Duomo  di  Monreale  espoelo  e  deeonUo.  Essa  A  in  un  volume  di  pagine  SOO  in 
gran  foglio,  al  quale  un  altro  se  ne  accompagna  di  tavole,  stupendamente  disegnate, 
incise  e  colorate.  Quindici  anni  ci  è  voluto  per  questa  stampa  ,  che  restevà  come 
uno  de'  pia  bei  monumenti  dell'arte  tipografica  siciliana.  Tutu  l'edisione  èco- 
suta  air  illustre  autore  la  non  lieve  somma  di  lire  490,000;  e  ciascuna  oopia  si 
vende  lire  800.  Ce  ne  occuperemo  quanto  prima. 

—  Il  prof.  Carmelo  Pardi  ha  preso  a  pubblicare  coi  tipi  del  Giornale  di  Sici- 
Uà  i  suoi  Scritti  vari  in  tre  volumi,  ciascuno  al  presso  di  lire  3,  75,  che  si  paghe- 
ranno alla  consegna  o  in  sole  lire  7  anticipatemente.  Il  I*  volume  oonterrà  i  Veni 
e  gli  Elogi  vari,  il  8*  gli  ScriUi  critici^  il  3*  gli  Scrini  editativi,  I  volumi  verranno 
fuorì  di  tre  in  tre  mesi.  Rivolgersi  all'  Autore  o  al  nostro  perioilico.  in  Palermo. 

—  L' illustre  e  venerando  Giuseppe  Bianchetti,  già  presso  a  varcare  il  suo  ottante- 
simo anno,  vuol  prendere  congedo  daU' officio  di  scrìttore  pubblicando  un'operetta 
dal  titolo  :  Il  mio  uilie.  L*  associasione  cosu  lire  8,  50,  e  si  riceve  presso  l' Autore, 
in  Treviso,  o  all'ufficio  del  nostro  Periodico.  La  raccomanderemmo  vivamente  ai  let- 
tori, se  di  raccoman* iasioni  avesse  bisogno  un'opera  di  si  aureo  e  dotto  scrìttore. 

I  GIORNALI  DI  SICILIA.  —  In  Sicilia,  meno  quelli  che  ignoriamo,  si  pubblicano 
da  sessantatrè  giornali  e  riviste  periodiche;  due  terzi  de'  quali,  politici,  gli  altri  scien- 
tifici, letterari,  artistici  e  commerciali.  De'  88  che  vengono  fuori  nella  sola  città  di 
Palermo  le  Nuove  Effemeridi  Siciliane  e  la  Rivista  Siculo  sono  letterari  e  scientifici;  il 
Giornale  del  Consiglio  di  Perfezionamento  si  occupa  di  scienze  naturali  ed  economi- 
che; la  Gazzetta  medica,  la  Gazzetta  clinica  e  II  Ptiam,di  scienze  mediche;  gli  Àn» 


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»     58  NUOTE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

noli  di  coiiruiioni,  di  scienxe  esatte;  gli  Annali  di  ÀgrieoUwra  ùHUana,  gli  AUi 
ddta  Sodila  d' ÀceUma%um4,  il  GiomaU  ed  ÀIH  detta  Commieiione  d'agneoltwra  e 
pasUniMia  per  la  Sieilia  e  del  ComÌMÌo  agrario,  dì  sciensa,  industria  ed  interesse  a- 
grìcolo;  il  Circolo  giuridico  di  sciense  legali  :  L'Evemèro,  di  filosofia  rasionalistica; 
il  Vittorino  da  Feltre  e  Istruzione  ed  educazione,  d*  istroxione  pubblica;  V  Arte,  il 
Diogene,  la  Gazzetta  artietiea,  di  arte  specialmente  draiDmaUca  emosicale.  Il  Gier- 
naie  detta  Camera  di  Commereio  e  il  Commercio  di  Sicilia  scriyono  di  cose  commer- 
ciali, il  GiomaU  di  Sieilia,  Il  Preeunore,  La  Regione,  L Amico  del  Popolo,  la  Gaz- 
zetta di  Palermo,  Il  Corriere  Sieiliano,  L'Ape  Ihlea,  La  Luce,  Homo,  L'Umanitario, 
di  cose  politiche. 

Tra'  capi  provincia  Messina  ba  sei  diari  tra  cotidiani  e  settimanali  :  la  Gazutta 
di  Meetina,  Politica  e  Commerdo^V  Aquila  Latina,  La  Parola  Cattolica,  D.  Marzio, 
Il  Ficcanaso.  •* Siracusa  eonta  :  L'Avvisatore  Siracusano,  La  Camera  di  Commereio 
ed  Arti,  Il  Pttpolano,  la  Ferrovia  Siracusa- Licata,  —Catania,  Il  monitore  detta  pro- 
vincia, la  Gazzetta  di  Catania,  La  Redenzione,  V  Apostolato,  Fede  e  Avvenire,  — 
Girgenti,  il  Giornale  detta  Provincia,  L'Empedocle,  La  Pietra. —Trapani  L'Imparzia- 
le, Esopo. —CaltanissetU,  Il  Messaggiere,  La  Tromba  nissena.  Vari  comuni  hanno  il 
loro  giornale  politico,  che  yede  la  luce  una,  due,  tre  yolte  la  settimana:  Acireale,  Il 
Cittadino,  Mlstretca,  L' Amastratino,  Modica  II  Campailla,  Lentini  La  voce  del  po- 
polo. Marsala,  L'Elettore,  Ragusa  L'Eco  dei  monti,  Termini  La  vita  nuova.  Un  Col- 
tivatore nelino  ha  la  città  di  Noto;  Messina,  Girgenti,  Birona,  Caltagirone,  Mistretta 
ed  altri  comuni  hanno  ciascuno  il  loro  Rullettino  del  Comizio  Agrario.  È  a  notare 
che  uscendo  di  Palermo  non  s' incontrano  se  non  giornali  esclusivamente  politici, 
amministrativi  e  commerciali. 

BIBLIOTECA  VIGO  —  Coi  primi  di  mano  si  ò  aperU  al  pubblico  di  Acireale  la 
Biblioteca  privata  del  cav.  Salv.  Vigo.  Questo  onorando  siciliano,  il  cui  nome  solo 
è  un  elogio  non  pure  pel  suo  sapere,  per  la  sua  integrità  e  pel  suo  coraggio,  ma  al- 
tresì per  lo  immenso  amore  che  egli  nutre  per  la  Sicilia;  ha  raccolto  in  essa  Biblio- 
teca quanto  di  più  raro,~di  più  importante  e  di  più  curioso  presenti  la  storia  sici- 
liana, soprattutto  in  discipline  ecclesiastiche;  e  ha  disposto  che  i  suoi  concittadini  se 
ne  giovino  pe'  loro  sludi.  L*  esempio  generoso  del  Vigo  vorrebb' essere  imitato. 

STUDI  —  Il  Prof.  B.  Aubé  da  Parigi  è  venuto  a  studiare  in  Palermo  la  storia  delle 
nostre  Università,  e  alcuni  de*  nostri  monumenti. 

MONUMENTI  —  Quanto  prima  sarà  eretto  in  Girgenti  un  monumento  al  fisiologo 
siciliano  Michele  Fodera,  opera  dello  scultore  Delisi. 

BELLE  ARTI.  Il  giovane  scultore  palermitano  Benedetto  Civiletti  ha  terminato  il 
■HKlello  di  una  figura  al  vero  rappresenUnte  un  Meeto  ricordo. 

È  una  giovanetta  assisa  in  una  sedia,  e  coperta  il  corpo  da  una  semplice  cami- 
cia, che  cascando  lascia  vedere  le  più  elette  forme  del  seno.  La  posa  malinconica  e 
gentile,  le  pieghe  semplici  e  modeste,  il  dolce  inclinar  delle  palpebre,  e  non  so  quale 
misterioso  abbandono  del  corpo  e  della  mano,  nella  quale  ha  un  foglio  piegato  . 
rendono  1* opera  interessante  e  cara.  Ma  più  lodevole  ó  l'artista  in  quanto  che  in 
questo  suo  lavoro  ha  adottato  un  fare  più  nobile  e  scelto ,  lasciando  da  parte  la 
magra  imitazione  di  natura ,  e  pur  conservando  qiiell'  accurata  finezia  di  esccu- 
xione,  oikl'egli  è  sUto  sempre  pregiato.  G.  P. 


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BULLBTTINO  BIBLIOaBAFIOO 


PRIMI  ELEMENTI  di  Eneidopedia  Uni- 
versale M.  eompOati  nMo  Ateneo  dal 
prof,  Vincenzo  PAGANO.volome  unico, 
quad.  1*.  Propedeuliea.  Napoli.  1870. 

Di  qaesi'  opera  deir  egr.  prof,  napoli- 
tano non  possiamo  dare  che  an  semplice 
annunzio ,  aspettando  che  sia  compiala, 
e  si  vegga  già  attuato  1*  ampio  disegno  , 
sopra  cai  dovrà  essere  condotta.  Il  primo 
laogo  è  dato  alla  Propedeutica ,  nella 
quale  si  espone  qual  sia  stato  il  concetto 
della  Enciclopedia  universale  presso  gli 
antichi  e  presso  i  moderni;  e  quale  la  nuova 
partizione  dello  scibile,  gli  ordini  del  sa- 
pere >  e  il  principio  dell'unità  organica 
della  scienza  secondo  l' autore.  Indi  do- 
vranno seguire  la  Protologia ,  V  AnirO' 
pologia,  la  Cosmologia,  con  le  loro  spe- 
ciali partizioni ,  assommate  a  fine  di  o- 
gnuna  in  un  grande  ingegno,  come  in  loro 
rappresentante  ,  cioè  in  S.  Tommaso  per 
la  Prolologia;  in  Gioberti,  Vico,  Dante, 
BuoNAEROTi,  per  r  Antropologia,  in  Ga- 
lilei, e  BuFALiNi  per  la  Cosmologia,  La 
Protologia  risponde  al  Sovra  intelligibile, 
r Antropologia  all'Intelligibile,  la  Co- 
smologia al  Sensibile  ;  e,  la  formola  su- 
prema dell'  aut.  è  r  Essere  ideale  assolu- 
to, là  quale  pel  sig.  Pagano  ooncilierebbe 
le  due  opposte  dottrine  del  Rosmini  e  del 
Gioberti.  V.  D.  G. 

PER  IL  CONaLIO  ECUMENICO  VATI- 
CANO,Faofo/la  del  Diritto  pubblico  ec- 
clesiastico sui  rapporti  della  religione 
e  dello  Slato,  Trasformazionedelle  teorie 
moderne  per  Giuseppe  Coco  Zanghì. 
Catania  1869. 

Quest'operetta  è  nata  all'occasione  del- 
l' opera  di  Adolfo  Francie ,  PhUosophie 
du  drqit  ecdisiastique,  ed  è,  può  dirsi  una 
erkica  dell'  opera  dell*  illustre  scrittore 


francese ,  cosi  da  dare  una  traccia  op- 
posta^  o  meglio  la  trasformacione  delle 
teorie  moderne  sul  proposito  del  diritto 
pubblico  ecclesiastico. 

La  crìtica  intanto  si  attiene  alla  prima 
parte,  che  è  la  dottrinale,  dell'opera  del 
Franck;  ed  esaminando  il  nostro  autore 
i  diversi  sistemi  riguardanti  le  relazioni 
tra  Chiesa  e  Stato,  conchiude  che  il  cri- 
stianesimo d  ordinato  ad  effettuire  il  Re- 
gno di  Dio  sulla  terra ,  il  quale  consiste 
nel  sottostare  la  materia  allo  spirito,  l'u- 
mano al  divino.  E  però  1*  umanità  tutta 
non  potrà  formare  una  famiglia  che  nella 
teocrazia.  Quello  che  poi  è  principal- 
mente caldeggiato  in  questo  scritto  è  la 
libertà  della  Chiesa  dallo  Stato. 

V.  D.  G. 

PALEOETNOLOGU  SICULA  delU  armi 
in  pietra  raccolte  in  Sicilia,  rivista  di 
Fr.  Mina'-Palumbo.  Palermo  1869.  . 
Le  ricerche  paleoetnografiche  iniziate 
oltralpe  nei  primi  di  questo  secolo  eb- 
bero origine  in  Sicilia  l'anno  1713, 
quando  cioè  il  famoso  Francesco  Cupani 
viaggiando  per  l'isola  intravvide  l'uso  di 
alciwie  selci  da  lui  rinvenute;  ed  oggi  son 
così  progredite,  che  il  bravo  naturalista 
Dott.  Minà-Palumbo  ha  potuto  farne  una 
diligente  rassegna.  Le  scoperte  delle  armi 
in  pietra  fatte  da  Falconer,  Anca ,  Gem- 
mellaro,  Seguenza  e  dallo  stesso  Mina  in 
varie  grotte  di  Sicilia,  vi  sono  amorosa-^ 
mente  descrìtte  ;  e  per  esse  viene  a  de- 
durre che  r  uomo  antico  in  tempi  prei- 
storìci  vìsse  contemporaneo  all'elefnnte, 
al  cervo,  alla  iena;  che  in  prìncipio  abitò 
nelle  spiagge ,  ove  lasciò  oggetti  rustici 
della  sua  prìmìtiva  industria  ;  che,  nod. 
gliorate.le  sue  condizioni  e  le  sue  armi  (se-- 
conda  età  della  pietra),  s' internò  nell'i - 


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tS8 


NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 


sola  lasciando  tracce  del  sao  passaggio, 
finché  si  ridusse  al  centro,  dove  perfe- 
zionò per  modo  le  armi  sue  da  segnare 
quasi  r  epoca  di  transizione  ai  bronzo. 
Per  analogia  di  scuri  rileva  che  tra  le  sta- 
lloni di  Messina,  Biscari  e  Liccia  esistet- 
tero usanze  comuni  ;  ed  altresì,  che  le 
borgate  di  S.  Foca  e  S.  Paolo  dovettero 
avere  delle  relazioni  commerciali  colle 
isole  eolie  e  col  continente  italiano. 

Questo  lavoro  dell'egregio  amico  nostro 
forma  la  VII"  puntala  della  Biblioteca  del 
naluraUita  siciliano,  a  cui  da  più  anni  e- 
gli  attende;  e  noi  siam  lieti  che  le  Effe' 
meridi  potranno  nelle  prossime  dispense 
offerire  a'  loro  lettori  un  nuovo  saggio 
di  questa  importantissima  collezione. 

G.  P. 

LUDOVICO  0  lo  studio  della  vita,  hmmae- 
stramenti  morali  di  Andrea  Gabbi bli. 
Bari  1869. 

Sommamente  caro  ci  riesce  questo  vo- 
lumetto di  morale  religiosa  e  civile,  scritto 
ad  ammaestramento  de*  giovinetti  ,  da' 
quali,  fatti  adulti,  attende  la  Patria  e  il  de- 
coro e  la  gloria  :  e  tanto  più  caro  lo  tro- 
viamo in  quantochè  veste  lindo  e  sempli- 
cissimo e  con  disinvoltura  tale ,  che  at- 
tira ì  cuori  suo  malgrado.  Il  libro  ha  pi- 
gliato la  forma  di  racconto,  perchè  il  dol- 
ce, non  fosse  scompagnalo  dall'utile,  e 
perchè  più  di  profitto  apporta  il  veder 
vivi  e  pailanti  in  isccna  gli  attori.  Lu- 
dovico è  uii  padre  che  vien  educando  il 
figliuolo  per  via  ben  divèrsa  dalla  comu- 
ne ,  cioè  menandolo  con  sé  dopo  le  ore 
di  scuola,  e  moralizzando  su  le  azioni  u- 
noane  ,  pigliando  opportunità  da'  buoni 
o  cattivi  fatti  in  cui  imbattevasi  :  ma  av- 
vertiva con  solerte  sludio  di  •  trascegliere 
e  i  luoghi  dove  andare  e  le  vie  da  usare, 
perchè  il  giovinetto  ,  sènza  pure  accor- 
gersene, fosse  indotto  a  por  mente  a  fatti 
sempre  nuovi,  e  a  udire,  come  per  caso, 
i  buoni  ammaestramenti  del  babbo.  >  £ 
in  questo  modo  tutte  le  virtù  principali 
trovansi  con  bei  modi  instillate  ne'  cuori 


innocenti  ;  e  i  vitt  e  le  {[Pravità  combat- 
tuti fieramente,  resi  vili,  e  puniti.  Libri 
come  questi  dei  virtuoso  e  dotto  signor 
Gabrieli  sono  assai  rari  oggidi ,  preci- 
puamente in  Italia,  terra  che  si  compiace 
delle  sozzure  ultramontane  :  onde  noi  gli 
facciamo  le  sincere  nostre  congratulazio- 
ni, e  per  tutti  i  buoni  gli  rendiamo  gra- 
zie (1).  S.  S-M. 

VOCABOLARIO  SICILIANO-ITAUANO 
attenente  a  cose  domestiche,  a  parecchie 
arti  ed  a  taluni  mestieri»  di  Giuseppe 
Pbbez.  Disp.  l' in  8.«  Palermo  1870. 

Diremo  quanto  prima  di  questo  nuovo 
Vocabolario,  quando  cioè  potremo  averlo 
intiero.  Ora  dobbiamo  restringerci  ad  an- 
nunziarne la  sola  prima  dispensa,  dove 
sono  vari  articoli  riguardanti  l'uomo  nel 
suo  complesso,  nel  suo  corpo,  nelle  sue 
secrezioni ,  nelle  sue  buone  e  cattive 
qualità  morali  e  fisiche  ;  le  fabbriche 
pubbliche  e  privale,  gli  arredi  della  casa 
e  gli  utensili  più  comuni. 

Il  eh.  sig.  Perez  essendo  dimorato  più 
anni  in  Firenze  non  può  non  fornir  opera 
superiore  a  quelle  che  si  son  fatte  finora 
in  questo  genere  tra  noi.  G.  P. 

RAINARDO  E  LESGNGRINO  per  cura  di 

E.  Tkza.  Pisa  1809. 
DOMENICA  MATTINA,  ùiil/io  di  Niccola 

Gbotr.  Pisa 


Sono  due  elegantissime  pubblicazioni 
del  dotto  professore  Teza,  che  non  vanno 
in  commercio.  Rainardo  e  Lesengrino 
(volpe  e  lupo)  è  un  antico  poemetto,  ve- 
nuto forse  di  Francia  e  malamente  reso 
italiane,  e  guasto  dal  popolo  che  lo  re- 
citò e  dallo  scrittore  che  lo  messe  in  car- 
ta :  è  una  pagina  nuova  della  vita  di  Rai- 
nardo  da  aggiunger  alle  altre  fin  qui  pub- 
blicate. Certo  ,  che  di  non  lieve  impor- 
tanza è  la  favola  degli  animali,  comune 

(4)  Dallo  stesso  prof.  Gabrieli  ci  viene  gen- 
Ulmeate  spedito  un  bel  canto  alla  libertà, 
pieno  di  magnanimi  sensi. 


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BULLBTTINO  BIBLIOGRAFICO 


a  latte  le  naiioni  :  e  il  Teza  vi  ba  spese 
non  lievi  care  neir  institoire  de'  raffronti 
tra  le  vane  tradiiioni  e  i  vari  poemi  di 
Rainardo ,  e  nel  rendere  per  quanto  si 
può  intelligibile  la  scorretta  scrittura  del 
codice  da  cui  ricava  il  poemetto. 

VidUUo  è  un  quadretto  di  famiglia  , 
tolto  al  Quickbom  o  Focile  viva  del  Groth, 
ed  è  affettuoso,  semplice»  dilicalo  ;  inspi- 
razione affatto  popolare.  Al  Tesa,  inar- 
rivabile poliglotte  e  gentile  poeta,  biso- 
gna far  di  cappello  per  questa  traduzio- 
ne, che  lascia  il  desiderio  di  vederla  an- 
che estesa  agli  altri  cinque  quadretti  della 
Fonie  viva,  S.  S-M. 

COMMEDIE  di  Guglielmo  Shakspeare 
tradotte  da  Cristoforo  Pasqualigo  : 
La  tempesta,  I  due  gentiiuomini  di 
Verona.  Milano,  Treves,  1870. 

Ben  noto  nel  campo  delle  lettere  per 
degli  studi  sulle  tradizioni  popolari ,  il 
Prof.  C.  Pasqualigo  incomincia  a  dare 
air  Italia  in  forma  puramente  e  schiet- 
tamente italiana  il  teatro  comico  del  mas- 
simo poeta  drammatico  dell'  Inghilterra, 
e  di  uno  de'  più  potenti  Geni.  L'opera 
sua  incomincia  con  d  uè  commedie,  che 
segnano,  presso  che  non  si  dica,  i  primi 
e  gli  ultimi  passi  di  Shakspeare  sul  teatro 
nel  quale  giganteggiò.  La  tempesta  è  me- 
glio un  dramma  che  una  commedia  ;  / 
due  gentiluomini ,  come  bene  avvisa  il 
Pasqualigo,  un  romanzo  dialogizzato,  ed 
una  delle  notevoli  opere  drammatiche  di 
lui.  Li  si  vede  il  vecchio  artista,  che  ha 
preparato  di  lunga  mano  la  sua  macchi- 
na, e  plasmato  da  maestro  i  suoi  perso- 
naggi, qui  il  giovane,  che  muovesi  come 
chi  non  sia  padrone  di  sé ,  ma  che  pur 
sente  e  fa  presentire  il  futuro  scrutatore 
del  cuore  umano.  Ignote  o  dubbie  ,  ma 
probabilmente  originali,  son  le  fonti  di 
quella;  avverati  e  seguiti  in  buona  parte 
da  vari  i  materiali  di  alcuni  episodi  e 
scene  di  questa.  L'unaé  tutta  manifesta- 
zione dell'  animo  e  forse  di  un  fatto  della 
vita  dell'  autore:  opera  soggettiva  e  allego- 
rica ;  r  altra  svolge  l' essenza  e  la  forza 


dell'amore  e  la  sua  influenza  sul  giudicio 
e  sul  carattere  dell'uomo  in  generale, 
senz'altro  concetto  più  definito. 

Il  Pasqualigo  parla  in  due  brevi  pre- 
fazioni della  natura  e  del  fine  di  questi 
due  lavori;  e  le  sue  ragioni  persuadono. 
Auguriamoci  intanto  che  egli  non  ci  fac- 
cia lungamente  attendere  la  traduzione 
delle  altre  dodici  commedie  shakspearia- 
ne,  la  quale  non  meno  della  presente  sia 
schietta,  elegante  e  degna  del  bel  nome 
del  Prof.  Pasqualigo.  G.  P. 

NOTIZIE  dei  Restauratori  delle^  pitture 
a  musaico  della  R.  Cappella  Palatina, 
spigolate  ed  esposte  da  Gaetano  Riolo. 
Palermo  tip.  del  Giornale  di  Sicilia, 
4870. 

Per  noi  ogni  prun  fa  siepe,  come  dice 
il  proverbio,  e  però  con  piacere  annun- 
ziamo questo  primo  studio  del  sig.  Riolo, 
che  dà  contezza  in  prima  de'  restauri  fatti 
nella  nostra  Cappella  Palatina  incomin- 
ciando da  quelli  ch'ebbero  luogo  l'anno 
1345  e  finendo  a  quelli  che  oggidì  ese- 
guonsi;  e  poi  de' restauratori  più  valenti, 
tra'  quali  dal  sec.  XY  io  qua  sonò  stati 
Domenico  Cangemi,  Leopoldo  Del  Pozzo, 
Mattia  Moretti ,  Santi  Cardini  >  il  cava- 
liere Serenano,  Pietro  Casamassima  e  il 
vivente  Ros.  Riolo.  Il  giovane  autore  an- 
nette de'  documenti  al  suo  libretto,  e  fa 
lamentare  che  in  Sicilia  manchi  tuttavia 
una  scuola  di  musaico,  e  che  i  pochi  che 
con  onore  e  coscienza  lo  coltivano  siano 
tenuti  se  non  da  poco,  certo  da  meno  di 
quel  che  valgono.  G.  P. 

VERSI  di  Rosina  Muzio-Salvo.  Paler* 
mo.  Tip,  del  Giornale  di  Sicilia  1869. 

Il  gentilissimo  Professore  Luigi  Sam- 
polo  dando  alla  luce  quest'altro  volume 
(secondo  della  raccolta  delle  opere  edite 
ed  inedite  della  Muzio-Salvo)  ba  reso  il 
miglior  tributo  di  devozione  e  di  affetto 
alla  illustre  donna,  che  fu  madre  alla  sua 
degna  consorte.  Nel  quale  il  eh.  Profes- 
sore ha  saputo  raccogliere  ed  ordinare 


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NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIIJANE 


tutte  o  quasi  tutte  le  poesie  onde  la  Mu- 
lio-SalTO  manifestò  i  sentimenti  dell'a- 
nimo suo,  quando  patriottici,  quando  mo- 
rali ,  quando  domestici ,  e  sempre  caldi 
e  generosi.  È  notabile  che  in  trentanni 
di  vita  letteraria  la  esimia  Muzio  non  a- 
yesse  scritto  più  che  trentasei  liriche,  due 
nocelle  e  sette  romanze,  in  tutto  quaran- 
tacinque poesie  ;  parsimonia  lodeYolis- 
sima  ,  quando  il  numero  de'  componi- 
menti va ,  come  nella  nostra ,  di  pari 
passo  col  limae  /oòordi  Orazio.  A  che 
valgono  i  molti  versi  allorché  riduconsi 
a  puro  esercizio  rettorìco  ?  La  Muzio- 
Salvo  cantò  affetti  che  provò;  e  qualificò 
bene  le  sue  poesie  apponendo  in  fronte 
alle  Liriche  le  parole  di  Lamartine  Chokn- 
ioni  pour  soulager  ce  qui  gémit  en  noui. 
Dicemmo  altrove  di  codesta  egregia 
scrittrice  e  del  suo  poetare;  ma  in  que- 
sto rapidissimo  annunzio  non  vogliamo 
tacer  cosa  che  torna  a  sua  maggiore  ono- 
ranza, cioè  che  questi  Verti  fanno  ral- 
legrare della  gastigatezza  di  forma  che  la 
illustre  defunta  aveva  acquistata  sopra 
tutto  negV  ultimi  anni  di  sua  esistenza  \ 
gastigatezza  che  apparisce  singolarmente 
nel  suo  bellissimo  verso  sciolto. 

G.  P. 

CiUOYE  POESIE  di  Goncrttina  Ramon- 
oETTA-FiLETi.  Palermo,  Tip.  del  Gior- 
nale di  Sicilia  1870. 

Altre  poesie  avea  raccolte  e  ripubbli- 
cate nel  186^  la  egregia  poetessa  paler- 
mitana ;  e  in  quelle  come  in  queste  as- 
sai cose  paion  da  lodate  che  sono  cara- 
mente gentili.  La  signora  Fileti ,  figlia , 
«posa,  madre  amorosa  ad  un.  tempo,  ha  la 
virtù  di  chiudersi  nel  santuario  della  sua 
fitmiglia  e  di  cantarne  le  gioie  serene  e 


le  dolorose  mestizie.  Di  li  del  suo  pic- 
colo mondo,  altro  per  lei  non  ne  esiste, 
tanto  r  assorbono  le  cure  e  gli  affetti  dei 
vecchio  genitore  ,  dell*  amorevole  sposo, 
de'  baldi  e  vezzosi  figliuoli  che  le  fanno 
corona  intomo.  Che  se  alcuna  volta  e- 
sce  dagli  affetti  domestici,  tu  la  veJi  cer- 
carne degli  altri  nella  religione,  nella  vir- 
tù, nell'amicizia.  È  assente  un  suo  figlio 
dalla  casa  patema  ?  Ed  ella  gli  manda  il 
proprio  ritratto  ammonendolo  : 
Venera  Iddio,  la  patria  onora,  il  santo 
Vero,  0  figliuolo,  non  tradir  giammai; 
Suda  sui  libri»  e  ama  colei  che  vive 
Teco  nel  core,  e  per  te  prega  e  scrive. 
Studiano  i  suoi  fanciulli  al  suo  tavoli- 
no? Ed  ella  in  essi  gioisce,  in  essi  ft* 
licitasi ,  in  essi  spera.  Ricorre  il  natali- 
zio di  suo  padre  ,  di  una  sua  figliuola  f 
Ed  elta  prega  dal  cielo  giorni  lieti  sul  loro 
capo.  Se  una  le  se  ne  infeEma,ella  ne  canta 
la  recuperata  guarigione  ;  e  vorrebbe  in- 
fonder novella  vita  in  petto  ad  una  che 
gliene  muore. 

Oltre  le  pareti  domestiche,  la  Fileti 
non  è  meno  affettuosa  ;  e  però  la  si  vede 
a  piangere  l' inattesa  dipartita  della  sua 
MuziO' Salvo,  a  celebrare  G.  Meli,  a  can< 
lar  la  Fiducia  in  Dio,  ad  affissarsi  in  una 
tiella,  a  rimembrare  i  suoi  primi  verti  ; 
non  iseostandosi  da  quella  forma  eletta, 
ingenua  e  naturale  che  le  meritò  giova- 
nissima le  lodi  di  Tommaso  Grossi. 

U  volumetto  di  queste  Nuove  Poe»e 
chiudesi  con  tre  traduzioni  dall'  inglese,, 
due  del  Moore,  una  del -Pope,  che  è  VE' 
pistola  di  Eloisa  ad  Abelardo^  Di  questa 
ultima ,  se  lo  spazio  non  ci  mancasse  » 
vorremmo  lodare  la  mesta  armonia  che 
tutti  governa  i  versi  della  terza  rima. 
G.  P^ 


n  Gerente  :  Pietro  Montaina 


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NUOVE  EFFEMERIDI  S^^^^^^^ 

ANNO  li.  DISPENSA  li.  MAGGIO  1870 


UNO  SCOLARE  DEL  MICELI 

0 

LABATE  BENEDETTINO  G.  RHAROLA 

(Continuaz.  e  fine.  Vedi  An.  11/  disp.  I.*) 


Nel  dialogo  fra  l'autore  e  un  suo  amico  è  fatta  diXesa  delle  sue 
dottrine  che,  siccome  innanzi  vivendo  il  Miceli,  certamente  pur  si 
accusavan  a'  suoi  tempi  delle  conseguenze  che  si  scorgono  venire 
dair  unità  dell'  Essere  ;  e  massime  s' insisteva  sulla  personalità  u- 
mana  e  sulla  immortalità  dell'anima.  Il  Rivarola  pertanto  oltre  le 
risposte  all'amico,  e  oltre  gli  argomenti  che  ne  dava  nella  psicolo- 
gia, aggiunge  questo  capo  speciale  col  titolo  : 

Prova  dell' Ihmortauta'  dell'Anima 

•  L'anima  si  definisce  :  Ratio  agmdi  cum  coscimtia;  ossia  :  Yolun- 
tas  phisica  cum  cognitione  extrinseca  (1).  Allora  adunque  si  prova 
che  V  Anima  è  immortale ,  quando  si  prova  che  di  sua  natura  la 
Forza  di  agire,  che  è  in  se  slessa  eterna,  debba  restar  sempre  con 
la  coscienza,  formando  questa  un  carattere  indelebile  dell'  anima.  Lo 
che  si  proverà  con  le  seguenti  proposizioni  : 

«  Prop.  La  Coscienza  è  il  carattere  dell'anima:  il  carattere  è  inde- 
lebile ;  dunque  l' anima  è  immortale. 

•  Prova  della  maggiore.  Il  carattere  è  quello  che  determina  lo  stato 
fisico  dell'  essere,  e  fa  che  sia  quello  piuttosto  che  I*  altro,  e  costi- 
tuisce i  predicati  essenziali  del  medesimo,  e  la  ragione  sufficiente 
intrinseca  della  tale  esistenza  di  queir  essere  senza  cui  non  può  esi- 

(1)  Sodo  le  deifiniziout  sle^se  dello  SpeeinieH  scientificum  del  Miceli. 


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62  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Stero  in  allo.  Ma  la  coscienza  è  quella  che  determina  lo  stato  fisico 
deir  Essere,  o  sia  della  Forza  di  agire,  e  la  mette  in  statu  animae,  per 
cui  inanima  è  anima,  e  senza  la  quale  T  anima  non  è  più  anima;  e 
perciò  costituisce  il  predicato  essenziale  deir  anima,  o  sia  la  ragione 
sufficiente  intrinseca  delP  esistenza  delP  anima,  senza  la  quale  non 
può  esistere  in  atto.  Dunque  la  coscienza  è  il  carattere  delP  anima. 

•  Prova  della  minore,  cioè  che  il  carattere  è  indelebile.  Il  carat- 
tere cade  immediatamente  sopra  il  fisico  stesso  delP  Essere,  con  cui 
si  identifica  ;  il  fisico  delP  anima  è  indelebile  ;  dunque  il  carattere 
è  indelebile. 

•  Prova  della  maggiore.  Il  carattere  è  il  determinante  fisico  dì  quel- 
Tessere;  il  predicato  essenziale,  e  la  ragione  sufficiente  intrinseca 
della  tale  sua  esistenza  ,  e  perciò  metafisicamente  connesso  con  il 
fisico  stesso,  con  cui  si  identifica  ;  o  sia ,  è  T  istessa  esistenza  del- 
l' Essere  determinata  fisicamente  da  quel  modo  che  costituisce  il  suo 
carattere  e  lo  stato  della  cosa,  senza  il  quale  la  cosa  non  è  più  quella. 
Dunque  il  carattere  cade  immediatamente  sopra  il  fisico  slesso  del- 
l'Essere,  con  cui  si  identifica. 

<  Prova  della  minore.  Il  fisico  dell'  Anima  sopra  cui  cade  il  carat- 
tere, è  r  istessa  ragione  di  agire,  che  in  forza  di  quello  é  costituita 
in  islalo  di  Anima.  U  ragione  di  agire  è  indelebile  perchè  sempre 
eterna.  Dunque  il  fisico  dell'Anima  è  indelebile. 

«  Nota,  t  fuori  dubbio  presso  tutti  che  la  vita  delle  spirituali  so- 
stanze consiste  nelP  intelligenza,  o  sia  nel  comprendere  e  pensare. 

•  E  lale  è  appunto  la  vita  sostanziale  dell'  anima  ;  cioè  la  vita  in- 
trinseca ed  essenziale,  e  la  vita  accidentale  estrinseca.  La  prima  si 
verte  sopra  se  stessa,  né  esce  fuori  di  sé,  in  tal  guisa  che  tutta  l' a- 
zione  vitale  della  viva  sostanza  viene  interamente  a  compirsi  in  se 
stessa,  per  cui  realmente  vive  da  per  sé  come  qualunque  sostanza, 
avendo  se  stessa  per  o„'getto  di  sua  conoscenza ,  senza  che  abbia 
bisogno  di  alcuno  oggetto  estrinseco  per  esistere;  essendo  essa  stessa 
e  la  Forza  conoscitiva  e  l' oggetto  che  conosce.  L' altra  si  versa  so- 
pra le  cose  che  esistono  fuori  di  sé,  e  la  cui  cognizione  dipende  dalla 
relazione  estrinseca  che  ha  con  gli  oggetti  esistenti  fuori  di  sé.  La 
prima  adunque  importa  relazioixe  a  se  stessa  ed  al  suo  essere  :  l' al- 
tra è  fondata  nella  relazione  ai  termini  passaggieri  ed  istabili.  Per 
la  prima  vive  della  vita  sua  sostanziale,  e  da  per  se  stessa  come 
vera  sostanza  e  sperimentale,  e  con  la  vita  propria  dello  spirito.  Per 
la  seconda  non  vive  da  per  se  stessa,  avendo  bisogno  degli  estrin- 
seci oggetti  prodotti  dalle  sue  azioni ,  come  oggetti  di  sua  Rutelli- 


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UNO  SCOLAEB  DBL  MICELI  63 

genza  sperimentale  ;  né  vive  delia  vita  sostanziale  ed  intrìnseca,  ma 
della  vita  accidentale,  istantanea  e  flussa,  fondata  cioè  nelle  conti- 
nue novità,  avendo  per  oggetto  di  sua  conoscenza  i  termini  tran- 
seunti ed  istantanei  delle  azioni  del  suo  essere,  che  a  momento  sen 
passano,  e  costituiscono  al  di  fuorì  la  sua  estrinseca  novità,  restando 
però  nel  suo  intrìnseco  sempre  P  istessai  anima  malgrado  V  istabi- 
lità  delle  sue  azioni;  e  per  cui  può  anch'essa,  perchè  formata  ad 
imagine  del  suo  creatore ,  in  un  senso  rettamente  chiamarsi  Pul- 
chriludo  tam  antiqua  quam  nova, 

«  A  questo  infatti  ci  porta  la  comune  definizione  che  si  dà  all'a- 
nima ,  e  da  ogn^  uno  si  enuncia  :  ens  sui  conscium  et  rerum  extra 
se  positarum  ;  un  ente  cioè  conoscente,  che  ha  per  oggetto  di  sua 
cognizione  se  stesso,  né  dagli  oggetti  esterni  dipende,  —  ens  sui  con- 
scium ,  —  e  che  ha  al  parì  per  altro  oggetto  di  sua  cognizione  le 
cose  istabili  materiali,  e  fuori  sé  esìstenti,  e  dalle  quali  assolutamente 
dipende — et  rerum  extra  se  positarum,  —  Sciolta  la  quale  relazione 
perisce  ancora  la  vita  estrìnseca,  e  viene  a  concentrarsi  in  se  stessa. 

«  Or  noi  nel  primo  riguardo  soltanto  diciamo  che  sia  T  Anima  im- 
mortale; cioè,  ili  riguardo  le  anioni  sostanziali  che  risultano  dalla 
relazione  intrìnseca  con  cui  Pente  si  mette  in  relazione  a  se  stesso, 
conoscendo  nel  suo  positivo  le  azioni  già  fatte  nel  tempo,  e  perciò 
identificate  con  T  istesso  agente  che  le  ha  prodotto  :  poiché  T  anima 
stessa  neir  altro  aspetto,  e  in  riguardo  alla  vita  animale  ed  estrin- 
seca e  air  istantaneo  termino  di  sua  azione  [è  al  parì  degli  altri  a- 
nimali  realmente  mortale  come  la  Scrittura  e'  insegna,  Eccles.  e.  3.  19. 
—  Unus  interitus  esthominis  et  jumentorum,  et  aequa  utriusque  con- 
ditio  :  sicut  moritur  homo  ,  ita  et  iUa  moriuntur,  Similiter  spirant 
omnia,  et  nihil  habet  homo  jumento  amplius.—E  che  in  quel  primo 
riguardo  sia  V  anima  di  sua  natura  immortale  non  vedo  come  possa 
negarsi;  poiché  essendo  T  anima  viva,  P  esercizio  vitale  è  un  attri- 
buto essenziale  della  medesima  ;  e  poiché  la  Forza  di  agire  viva  è 
parimenti  eterna ,  e  le  azioni  dalP  islessa  prodotta  sotto  la  cogni- 
zione limitata  nelPatto  slesso  che  si  sono  fatte  si  identiOcano  con 
la  Forza,  sebbene  i  termini  abbiano  avuto  la  sua  esistenza  in  mo- 
mento, nel  modo  simile  come  le  azioni  delP  Onnipotenza  si  identi- 
ficano con  P  Onnipotenza  stessa.»  sebbene  i  termini  di  quelle  sieno 
in  momento  passati,  cosi  deve  necessariamente  P  anima  con  la  vita 
intrinseca  ed  inamissibile  e  sua  propria  come  Forza  di  agire  cono- 
scer sempre  nel  loro  positivo  le  azioni  una  volta  fatte  con  la  co- 
gnizione limitata  ,  e  che  nelPatto  stesso  che  furono  fatte  si  iden- 
tificarono con  la  Forza  nel  loro  positivo.  Onde  deve  vivere  sempre 


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64  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

in  se  stessa,  comprendendo  così  se  stessa  da  quel  che  ha  operato, 
quantunque  più  non  operi  fuori  se  stessa.  Poiché,  essendo  T  eser- 
cizio vitale  un  allributo  relativo  intrinseco  della  Forza  viva,  che  ri- 
sulta cioè  dal  conoscere  e  dalP  oggetto  che  si  conosce ,  subito  che 
il  conoscente  è  eterno  (come  eterna  è  infatti  la  Forza  di  agire  che 
senza  razione  repugnaj,  e  l'opera  già  falla  è  pure  eterna  (perchè 
già  nel  suo  positivo  identificata  con  V  agente  in  forza  della  connes- 
sione metafìsica  che  ha  la  causa  col  suo  effetto  in  cui  esiste)  ne  viene 
in  conseguenza  che  tale  relazione  non  può  più  sciogliersi  tra  V  o- 
pera  fatta  e  T  operante  che  Tha  fatto,  avendo  relazione  a  un  ter- 
mine immanente  e  non  transeunte.  Poiché,  è  falso  il  credere  che 
le  azioni  che  si  fanno  dall'  anima  nel  tempo  siano  V  oggetto  essen- 
ziale di  sua  cognizione.  Le  azioni  altro  non  sono  che  il  mezzo  come 
r  Anima  conosce  se  stessa  per  mezzo  della  sua  cognizione  sperimen- 
tale. L' oggetto  che  deve  T  Anima  conoscere  è  la  Forza  sua  stessa, 
altrimenti  non  potrebbe  di  se  slessa  godere,  e  priva  resterebbe  della 
sua  vita  sostanziale.  Siccome  però  la  coscienza  o  sia  la  cognizione 
che  ha  V  Anima  è  limitata  ed  estrinseca,  e  perciò  non  può  diretta- 
mente conoscere  la  Forza  nel  suo  intrinseco  e  immediatamente,  es- 
sendo in  se  stessa  infinita;  così  ha  bisogno  di  conoscerla,  per  cosi 
dire,  a  posteriori,  e  dagli  effetti  prodotti,  che  sono  appunto  le  o- 
pere  che  produce  ;  per  cui  osservando  che  le  opere  da  essa  fatte 
son  buone,  l'anima  si  conosce  per  buona;  se  le  vede  cattive,  co- 
nosce che  sia  cattiva. 

«  Potrebbe  qui  opporsi  che  la  coscienza  essendo  creatura,  per  se-^ 
guitare  ad  esistere  ha  bisogno  di  conservazione,  o  sia  di  continua 
creazione  ;  mancala  la  quale  perisce,  ritornando  al  suo  nulla.  Dun- 
que la  coscienza  può  perire ,  e  perciò  tutta  V  Anima  :  dunque  V  A- 
nima  non  è  immortale  di  sua  ^natura. 

«  Alla  soluzione  di  questa  diiBcoltà  si  è  già  provveduto  di  sopra  con 
la  distinzione  che  si  è  fallo  della  vita  dell'  anima  in  vita  intrinseca 
e  vita  estrinseca  ;  in  quella  vita  cioè  con  cui  vive  da  per  sé  con- 
templando se  stessa,  e  con  cui  vive  nel  tempo  nella  contemplazione 
estrinseca  degli  oggetti  esterni.  Per  cui  abbiam  distinto  nelle  di  lei 
operazioni  i  termini  immanenti  dai  termini  transeunti,  quelli  cioè 
che  restano  identificati  nel  positivo,  egli  altri  che  esistono  in  mo- 
mento in  se  stessi,  ma  che  restano  sempre  nella  causa  da  cui  son 
prodotti,  e  nella  loro  semplicità.  Lo  che  è  assai  agevole  a  compren- 
dersi da  chiunque  che  lenendo  presente  la  dottrina  già  esposta  nella 
Ontologia  intorno  la  vita  dell'  Ente  vivo  inQnito,  ne  applica  con  una 
certa  analogia  proporzionatamente  i  principi  all'Ente  vivo  parteci- 

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UNO  SCOLARE  DEL  MICELI  68 

palo,  quale  è  appunto  V  Anima,  che  in  se  slessa  esprime  V  imagine 
del  Crealore,  a  cui  somiglianza  è  stata  creata. 

e  Abbiam  già  veduto  neiP  Ontologia,  e  nella  Teologia  naturale,  che 
due  vite  si  considerano  in  Dio  ;  o  sia  due  azioni,  circa  le  quali  si 
versa  la  vita  intelligente  delP  Essere  vivo  :  V  una  sostanziale  ed  in- 
trìnseca con  cui  nella  contemplazione  di  se  slesso  produce  il  Verbo, 
e  dalla  mutua  relazione  ne  resulta  il  gaudio;  e  P altra  accidentale, 
ed  estrinseca,. con  cui  produce  le  creature  e  le  conserva  col  com- 
prenderle, che  formano  insieme  T  estrinseca  sua  novità.  Quantun- 
que però  le  creature  siano  azioni  istabili  e  termini  istantanei  della 
Forza  influita,  e  costituiscono  uno  slato  momentaneo  ed  islabile  della 
novità  dell'Ente  vivo,  frattanto  non  perciò  costituiscono  momenta- 
nea la  vita  stessa  dell' Ente,  e  momentanea  la  sua  intelligenza  delle 
medesime  ;  né  perchè  una  tal  vita  resulta  dall'  estrinseca  relazione 
ed  estrinseci  i  termini  istabili  e  transeunti  (come  dicono  i  Teologi) 
ha  bisogno  di  conservazione,  in  guisa  che  perendo  le  creature  pe- 
risce ancora  la  vita  di  Dio  e  la  intelligenza  delle  medesime.  E  la 
rqgione  si  è ,  che  le  creature  non  sono  da  per  se  stesse  oggetto 
della  cognizione  divina ,  ma  mezzi  soltanto  con  cui  T  Onnipotenza 
mettendosi  in  relazione  con  le  medesime,  viene  cosi  a  contemplare 
anche  al  di  fuori  V  esistenza  della  sua  forza  infinita,  che  al  di  den- 
tro intrinsecamente  conosce  nella  infinita  sapienza  del  Yerba  Quindi 
l'oggetto  che  conosce  e  di  cui  sempre  gode  è  sempre  se  stesso,  in 
vari  ed  opposti  modi  contemplato;  per  cui  perendo  le  creature  non 
perisce  la  cognizione  di  Dio  ;  né  perisce  V  oggetto  di  sua  cognizione. 

«  Or  al  pari  nel  caso  nostro  la  coscienza  non  è  V  oggetto  della  co- 
gnizione deir  anima  ;  ma  è  soltanto  il  mezzo  come  la  Forza  di  agire 
dell'  Anima  (che  per  altro  da  per  se  stessa,  appartenendo  air  Onni- 
potenza intrinsecamente  considerala,  non  è  forza  cieca  ed  inerte, 
ma  insieme  è  for^a  di  agire  e  di  conoscere  ;  ed  in  cui  la  cognizione 
stessa  limitata  ha  la  sua  ragione  sufficiente  intrinseca  ed  eterna)  per 
mezzo  delle  azioni  sotto  la  limitata  cognizione  prodotta,  possa  co- 
noscere lo  stato  rispettivo  di  limitazione ,  in  cui  si  è  estrinseca- 
mente confinata  la  Forza  stessa  infinita,  col  determinarsi  m  stata  a- 
nimae,  in  forza  dell' estrinseca  limitazione  che  ha  assunto  per  via 
della  cognizione  limitata. 

•  L' oggetto  dunque  che  dee  V  Anima  conoscere  è  la  sua  propria 
forza,  che  ha  prodotto  operazioni  sotto  queir  estrinseca  limitazione. 
Quella  che  conosce  è  la  For^a  stessa  conoscente  se  slessa  nello  slato 
di  sua  estrinseca  limitazione;  il  mezzo  poi  come  conoscersi  limitala 
in  quelle  sue  azioni  è  la  cognizione  limitata,  o  sia  la  coscienza,  che 


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GG  NUOVE  fiFFRlieRIDI  SICILIANE 

poi  ha  la  sna  ragione  di  esistere  nella  Forza  stessa  di  agire ,  con 
cui  perciò  si  identiGca. 

«  Dunque,  quando  questa  perisce,  altro  non  perisce  se  non  il  mezzo 
con  cui  la  Forza  ha  conosciuto  limitatamente  le  sue  azioni  :  peri- 
sce il  termine  di  sua  azione,  ma  non  perisce  T  azione  stessa,  o  sia 
la  cognizione  limitata,  perchè  già  la  limitazione  della  cognizione  tro- 
vasi identificata  nella  Forza  stessa  di  agire,  considerata  e  come  ra- 
gione che  ha  prodotto  i  termini  della  cognizione  estrinseca  e  con- 
siderata come  soggetto  in  cui  è  caduta  V  azione  di  quella  cognizione 
estrinseca  ;  e  perciò  non  ha  più  bisogno  di  conservazione,  avendo 
già  trovato  il  rispettivo  positivo  in  cui  sussisteva^  e  di  cui  è  addi- 
venuto il  naturale  ed  indelebile  carattere.  Or  limitata  una  volta  e- 
strinsecamente,  la  Forza  di  agire  in  vigore  della  creata  qualità  già 
in  essa  prodotta  e  alla  stessa  immedesimata,  e  forza  ancora  addive- 
nuta di  limitatamente  conoscersi,  non  può  pia  non  conosere  limi- 
tatamente se  stessa ,  ed  in  istato  di  Anima  ;  non  potendo  stare  la 
Forza  già  limitata  senza  la  sua  limitata  azione  di  sua  coscienza,  non 
essendo  due  diverse  forze,  ma  una  sola  la  Forza,  e  T  istessa  che  li- 
mitatamente agisce,  e  limitatamente  conosce. 

•  Posto  adunque  ette  la  Forza  in  tal  guisa  limitata  ha*  già  prodotto 
delle  limitate  azioni ,  non  vi  ha  dubio  che  debbi  necessariamente 
conoscerle,  poiché  restate  permanentemente  in  essa  le  azioni  pro- 
dotte ,  perchè  con  essa  identificate ,  e  non  essendo  la  Forza  forza 
cieca  e  meccanica,  ma  perfettissima  ed  intelligente,  se  le  si  toglie 
la  qualità  di  poter  conoscere  le  sue  azioni  già  fatte,  e  T  importanza 
e  il  peso  delle  medesime  in  quel  rispettivo  stato  prodotte,  le  si  to- 
glie insieme  una  perfezione,  e  perciò  finirebbe  di  esser  forza  per- 
fettissima. Né  può  tali  azioni  più  conoscerle  con  la  infinita  sua  sa- 
pienza  (naturale  attributo  della  Forza  nifinita) ,  perchè  la  sapienza 
non  può  conoscere  limiti  ed  imperfezioni,  essendo  essa  infinita,  e 
tutto  rimira  nella  sua  intrinseca  ed  infinita  perfezione.  Dunque  deve 
necessariamente  conoscerle  con  la  cognizione  limitata,  o  sia  con  la 
coscienza  creata  :  dunque  deve  in  essa  necessariamente  conservarsi 
ed  esistere  sempre  questo  nuovo  stato  in  cui  V  Onnipotenza  si  è  po- 
sta ,  e  restar  sempre  in  statu  animae  ;  cioè  con  azioni  proprie  vi- 
tali e  conoscenza  di  sua  vita  (pag.  753-758.)  » 

Nulla  è  sostanzialmente  dì  nuovo  in  queste  prove  che  non  sia  nelle 
proposizioni  dello  Specimen  e  nel  Saggio  storico  del  Miceli;  e  non 
avremmo  sul  proposito  a  ripetere  che  quello  stesso  altrove  avver- 
tito pel  filosofo  monrealese;  cioè  nessun  altro  più  del  nostro  Miceli 
si  fu  sforzato  a  salvare  neir  unità  delP  Ente  vivo  e  reale  la  perso- 


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UNO  SCOLARE  DBL  MICELI  67 

uaiità  e  P immortalità  deli^ anima  umana,  ma  le  conseguenze  che 
seguono  dalle  premesse:  Anima  est  Ratio  agendi  cum  comàentia^ 
ieu  quod  idem  sonat  Voluntas  phisica  cum  cognitione  extrinseca  — 
Conscientia  seu  cognitio  extrinseca  determinatus  status  est  seu  par- 
tidpatio  Omnipotenliae  emtrinsece  considerata  (Specimen  ScientiBc, 
pr.  CVII^  CX),  conducono  alla  negazione  della  personalità,  poiché 
non  si  può  concedere  alP  anima  la  sostanzialità;  e  però  a  quella  della 
immortalità,  la  quale  solo  può  seguire  dalla  sostanzialità,  non  punto 
dalla  fenomenalità  che  sarebbe  propria  di  nostr' anima.  Noi  ten- 
ghiamo  fermo  che  in  qualsiasi  sistema  panteistico  non  ci  possa  mai 
esser  luogo,  in  buona  logica ,  per  V  immortalità  deli'  anima  :  e  se 
coir  unità  dell'Essere  ci  si  parla  d'immortalità  di  anima,  potremo 
si  lodare  la  buona  fede  del  filosofo,  non  però  la  logica  del  sistema. 
Nel  Rivaro(a>  conchiudendo,  abbiamo  un  valoroso  ingegno  ciie 
onora  non  poco  la  scuola  di  Monreale ,  della  quale  fu  pregio  spe- 
ciale colla  forza  di  mente  del  caposcuola  e  de'  seguaci  essere  stata 
sempre  compagna  la  bontà  dell'animo;  la  quale  forse  potè  non  fare 
scorgere  le  conseguenze  che  si  celavano  ne'  principi  professati  con 
tanto  ardore,  ma  fé'  restare  illibata  la  fama  del  Miceli  e  de'  suoi 

scolari. 

y.  Di  Giovanni 


EMinERI  SICILIANI 


Gli  Emittori  costituiscono  l'Ordine  quinto  dei  sistema  eutomolo 
gico.  Linneo  aveva  riunito  in  un  sol  ordine  gli  Emittori  e  gli  Or- 
totteri basatìdo  la  sua  classificazione  sulla  consistenza  meno  solida 
de'  Coleotteri.  Olivier  ne  fece  due  ordini ,  Latreille  ne  segui  l'e- 
sempio, Fabrizio  gli  diede  il  nome  di  Rhyngota,  che  fu  modiflcato 
da  Burmeister  in  Rhynchota  ;  generalmente  si  è  accettato  il  nome 
di  Hemiptera  per  distingure  questo  ordine. 

É  caratterizzato  per  la  bocca  con  un  becco  articolato  munito  di 
setole  interne  :  se  ne  sono  fatte  due  grandi  sezioni,  Heter opterà  col 
becco,  che  nasce  dalla  fronte,  ed  elitre  ordinariamente  divise  in  due 
parti,  la  basilare  coriacea,  Y  estremità  membranacea,  ed  Homoptera 


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68  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

c^I  becco,  die  nasce  dal  mento,  o  parte  inferiore  della  testa,  elitre 
ordinariamente  coriacee,  o  interamente  membranose. 

BIBLIOQBAFIA 

Poco  si  è  fatto  sugli  Emilteri  della  Sicilia ,  anzi  può  dirsi ,  che 
sono  stati  trascurati.  Pure  richiamano  T  attenzione ,  come  tutti  gli 
altri,  non  solo  per  la  molliplicità ,  ma  per  l'interesse  agronomico, 
perchè  molle  specie  sono  dannose  alle  piante ,  e  dovrebbero  pro- 
porsi de'  rimedi  per  distruggerle  : 

I.  1814.  C.  S.  Raphinesque.  Prècis  des  découvertes  et  travaux  se- 
miologiquesy  Pcderme.  Descrive  due  specie  nuove  di  Afidi  Aphis 
striata,  A.  montana,  ma  Giovanni  Passerini  fa  riflettere,  che 
per  la  brevlà  delle  frasi  diagnostiche  non  sono  riconoscibili. 

II.  1839.  A.  Costa.  Ragguaglio  delle  specie  più  interessanti  di  E- 
mitteri  Eterotteri  raceolle  in  Sicilia ,  e  descrizione  di  alcune 
nuove  specie  de'*  contomi  di  Palermo,  negli  Annali  ddT  Accad. 
degli  Asp,  Nat 

Novera  settantasei  specie  raccolte  in  varie  parti  dell'  Isola;  me- 
ritano particolare  attenzione  il  Lyngaeus  punctum  raccolto  nello 
Etna  ad  una  elevazione  considerevole,  che  viveva  sul  Tanace- 
tuni  vulgare,  il  Pachyscdis  caudatus^  e  Pachymeris  abietis  rin- 
venij^li  nella  regione  nemorosa  etnea  :  la  Prostemma  guttula,  On- 
cocephalus  pedestris,  0.  notatus ,  Micropus  Genei  delle  campa- 
gne di  Palermo.  Descrive  come  nuove  il  Nabis  major,  Syroma- 
stes  longicornis,  un  nuovo  Genere  Acunthothorax,  che  distingue 
la  specie  coli' epiteto  di  Siculus,  il  Pachycoris  hirtus,  che  secondo 
Amiot ,  e  Servine  deve  riferirsi  all'  Irochrotus  maculiventris. 

III.  1839.  A.  Costa.  Di  una  novella  specie  di  Henestaris,  lettera  al 
M.  Spinola,  nella  Corrisp.  Zool,  An.  L  138. 

In  questo  lavoro  fa  cenno  dell'  Odontotarsus  taudatus  trovato 
sull'Etna,  dove  anco  raccolse  il  Lyngaeus  punctatoguttatus  :  nei 
contomi  di  Palermo  raccolse  una  varietà  più  piccola  del  Lyn- 
gaeus punclum,  il  Reduvius  pedestris,  ed  una  specie  nuova  de- 
nominata Zelus  Siculus, 

IV.  4840.  M.  Spinola.  Essai  stir  les  Hémipières,  Paris, 
Riporta  della  Sicilia  la  Naucoris  maculata ,  che  ha  la  testa ,  il 
torace  pallidi,  e  senza  macchie,  la  Prostemma  guttula,  le  cui  fe- 
mine  sono  alate,  il  Merocoris  denticulatus  ed  il  Selenostethium 
lynceum. 

V.  1841.  A.  Costa.  Fece  conoscere  all'Accademia  degli  Aspiranti 


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BMITTERl  SICILIANI  69 

Naturalisti,  nella  sednta  del  6  maggio  la  descrizione  di  due  nuovi 
emitteri,  V  Aphanus  parddlus  e  Tritomacea  aphanoides,  genere 
anche  nuovo. 

VI.  1842.  V.  GmuANi.  Insètti  raccolti  in  Sicilia  nd  1839.  Atti  detta 
Accad.  Gioenia  XVIII.  Riporta  soltanto  otto  Emittori  raccolti  in 
Palermo,  Catania,  Madonie,  Paterno. 

VII.  1843.  Amiot  e  ScRviLLE.  Hémiptères.  Paris. 

Essi  riportano  della  Sicilia  T  Irochrotus  maculiventris,  Monan- 
ihia  davicomis,  Arpactar  hoemorroidalis. 
Vili.  1844.  6.  Romano.  Degli  insetti,  che  danneggiano  gli  ulivi  in 
Sicilia.  Palermo. 

Tra  gli  Emitteri  enumera  la  Psytta  olivetomm,  Coccus  oleae,  Cy 
adonidumy  C.  Hesperidum. 

IX.  1850.  6.  De  Natale.  Descrizione  di  una  nuova  specie  di  Pio- 
jaria.  Messina  Tav.  I. 

Dona  delle  nozioni  generali  sulla  classiflcazione  degli  Emitteri; 
indi  descrive  la  Plojaria  ambigua;  in  un  altro  scritto  A.  Costa 
fece  osservare,  che  deve  riferirsi  alla  P.  domestica,  con  cui  ba 
molta  affinità. 

X.  18«')2.  Mina'  Palumbo.  Sugli  insetti ,  che  danneggiano  V  ulivo 
Gior.  Empedocle  II. 

Vi  è  la  descrizione  del  Coccus  oleae,  e  di  un'  altra  specie  non 
classiGcata. 

XI.  1854.  Mina'  Palumbo.  Proverbi  agrari.  Palermo. 

Ivi  si  ta  menzione  della  Cicada  omi^  Cercopis  sputnaria,  C.  san- 
guinolenta, Cxcada  fraxini,  C.  plebeja. 

XII.  1858.  Mina'  Palumbo.  Osservazioni  entomologiche  nette  Ma- 
donie.  Palingenesi  I.  N.  VI. 

Tra  gli  insetti  raccolti  nelle  Madonie  sono  calendate  venticin- 
que specie  di  Emitteri. 

XIII.  18G0.  Bellier  De  La  Chiavignerie.  Faune  entomologiqw  de 
la  Siede.  Ann.  Soc.  Ent.  de  France  3.  Ser.  T.  Vili. 

Questo  è  il  catalogo  più  esteso  degli  Emitteri  siciliani ,  che  è 
stato  pubblicato;  alcuni  sono  di  molta  importanza,  in  tutto  sono 
83  specie  raccolte  in  varie  contrade  dell'  Isola. 

XIV.  6.  Brugnone.  Possiede  in  Palermo  una  buona  raccolta  di  E- 
mitteri  siciliani  de'  contorni  di  Palermo  ;  prima  vi  era  quella 
del  Lidassi,  che  fu  distrutta  negli  sconvolgimenti  politici  del- 
l'anno 1860,  la  maggior  parte  classificata  da  0.  Costa. 

In  questa  occasione  esterno  i  sensi  della  mia  gratitudine  al  Si- 


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70 


NUOTI  fimafBRIDT  SldLIANB 


gnor  A.  Costa  per  le  dilucidazioni,  e  correzioni  fovoritemi  su- 
gli Emltteri  della  Sicilia  in  diverse  lettere.    . 

Avvertenze 

Si  è  adottato  il  metodo  di  Amiot  e  Serville.  Parlando  de*  luo- 
ghi dove  sono  stati  raccolti  gli  Emitteri  son  calendati  gli  autori  so- 
pracitati colle  seguenti  abbreviazioni.  B.  Collezione  Brugnone.  Bll. 
Bellier  de  la  Cbavìgnerie.  C.  A.  Costa.  6.  Ghiliani.  M.  Hinà-Palumbo. 
S.  Spinola.Sr.  Serville  ed  Amiot— Gli  autori  che  sono  calendati  dopo 
la  specie  sono  quelli  che  la  riportano  di  Sicilia  — Le  specie,  che 
io  riporto  sono  state  determinate  da  esperti  Entomologi  ^  e  parti- 
colarmente da  Oronzio  Costa  nel  suo  viaggio  in  Sicilia. 


HEMIPTERA  SICULA 

HETEROPTERA  LTR, 

Sectio  I.  Geocorisae  Ltr. 


I.  LoNGiscim  Amt 

ì,     SOLENOSTETHIUM      LtNGEUM 

Fbr-Amiot  Ser.  27, 

1840.    Spinola ,  Essai   Ins. 

Hem.  361. 

1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  Atti 
XVIII  43. 

Sicilia  Grohmann,  S-Catania 
G-Caltanissetta  M.  Paler.  B. 

2.  Irogbrotds   Maguliventris 
Grm. 

1839.  Costa,  Pachycoris  hir- 
tus.  Rag.  Em.  Sic.  141. 

1843.  Amiot,  Hèmip.  39. 
Sicilia  Sr-Honte  Pellegrino  a 
Palermo  C. 

3.  Odontotarsus  Cacdatus  K1. 
Amiot  Ser.  43. 

1839.  Costa,  Pachyscdis  cau- 
datus.  Rag.  Em.  Sic.  145. 
1842.  Ghiliani,  Odon  produ- 
€tu8  Ins.  Sic.  43. 
Etna  C-Catania  6. 


4.  Odontotarsus    Grammigus 
Lnn-Amiot  Ser.  42. 

Nelle  Hadonie  M. 

5.  PsACASTA  Pedemontana  Fbr. 
Amiot  Ser.  46. 

Palermo,  Tetyra  pedemon- 
tana  B. 

6.  PSAGASTA  TUBERGULATA  Fbr- 

Amiot  Ser  46. 
1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  43. 
Paterno  GPalermo  B-Bfado- 
nie  M. 

7.  PsAGASTA  Granulata  A,  Cst. 
Palermo  B. 

8.  Trigonosoma  Nigellae  Fbr- 
Amiot  Ser.  48. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  145. 
1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  43. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  B.  C-Madonie  M-Pa- 
terno  G-Palermo  B. 

9.  Trigonosoma   Despontainii 
Fbr-Amiot  Ser.  48. 

1817.  Germar,  Z.  56,  1. 
1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  43. 
Sicilia  Germar-Catania  G-Pa- 
lermo  B. 


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KMITTERI    SIGILUNI 


71 


10.  Angtrosoma  Albouneatum 
Fbr-Amlol  Ser.  49. 

1839.  Costa,  Graphosoma  al- 
bolineata  Rag.  Em.  145. 
1860.  Bellier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  C.-Bli-Hadoni6  H-Pa- 
iermo  B. 

11.  EURTGASTER    HOTTE^nTOTUS 

Fbr-Amiot  Ser.  53. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Palermo  B-Mado- 
Die  M 

12.  EuRTGASTER  Haurus  Lon-A- 
miot  Ser.  53. 

1839.    Costa,    OdorUotarsus 
maurus.  Rag.  Em.  145. 
Sicilia  C-Palermo    B-Mado- 
nie  M. 
Var.  Pictos.  Fbr.  Madonie  M. 

13.  EURTGASTER     MaROSGANUS 

Fbr.  Catania  Palermo  C. 

14.  Graphosoma  [.incatum  Lnn. 
Amiot  Serv.  55. 

1839.  Cjosìdi  Gr.  nigrolineata. 
Rag.  Em.  145. 
1858.  Mina,  Oss.  Ent.  112. 
1860.  Bellier,  Fau.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Madonie  sulle 
ombrellifere  M. 

15.  Graphosoma  Semipdngta- 
TUM  Fbr-Amiot  Ser.  55. 
1839.  Costa,  Rag.  Em.  145. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Madonie  fW-Pa- 
lermo  B. 

16.  Graphosoma  Flavolinea- 
TUM  Fbr. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  145. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B. 


17.  POBOPS  Inunctcs  Fbr-A- 
miot Serv.  57. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  145. 
Sicilia  C-Madonie,  Paler.  M. 

18.  PODOPS  SiGULUS  A.  Cst. 

....Costa,  Ann.  Sor.  Ent.  X. 
301.  T.  6.  F.  8. 
Pidermo  a  S.  Ciro  C. 

19.  PoDOPS  Spinolab  Gene. 
1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  43. 
Madonie  6-Questa  specie  fa 
doppio  impiego,  cancellata 
da  Costa. 

20.  CopTOSOMA  Globosus  Fbr- 
Amiot  Senr.  65. 
Madonie  sui  rannncoK  H. 

21.  CORBOMBLAS    SCARABOmES 

Lnn. 

Madonie  sopra  i  ranuncoli  M. 

22.  Odontoscelis  Vn.Los(jsHahn. 
1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  43 
Palermo  G. 

23.  Odontoscelis   Fulminosa 
Lnn-Amiot.  Serv.  69. 
1839.  CosUjRag.Em.  Sic.145. 
Madonie  M-Palermo  B.  C. 
Comune  nelle  terre  aride  so- 
leggiate. 

24.  Odontoscelis  Dorsalis  Fbr- 
Amiot  Ser,  70. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic 
Secondo  Amiot  e  Serville  va- 
rietà della  precedente.  Sici- 
lia Bll-PalermoB-Madonie  M. 

25.  PiGROMBRUS   BroBNs   Lun- 
Amiot  Serv.  84. 
Madonie  H.-Palermo  Penta- 
toma  bidens  B. 

26.  Ialla   NiGRiVBNTRis  Fiob. 
Madonie  IL 


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72 


NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 


27.  Brachypefta  tristb  Fbr- 
Amiot^Serv.  90. 
1839.  Costa,  Cydnus  trUtis, 
Rag.  Em.  145. 
1858.  Mina,  Oss.  Ent.  112. 
Sicilia  C- Palermo  B-Mado- 
nie  M. 

28.BRAGHYPELTA  ATBRRIMA  FfStr. 

ISiiO.  Beiiier.  Cydnus  ater- 
rimus,  Fau.  Eat.  Sic. 
Sicilia  Bll.-Madoai6  H. 

29.  Cydnus  brunneus  Fbr. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  BIL-Hadonie  H. 

30.  Cydnus  affinis  H.  S. 
Palermo  B. 

31.  Cydnus  laevigollis  A.  Cst. 
Palermo  B. 

32.  SEmRUs  MORio  [iim.-Amiot 
Serv.  96. 

1860.  Bellier,  Oydnus  morio^ 
Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll.-Madonie  H. 

33.  Sehirus    aiaoharginatus 
Fbr-Amiot  Serv.  97. 
1839.  Costa  Cydnm  Momar- 
ginatus.  Rag.  Em.  145. 
Sicilia  C-Palermo  B. 

34.  Tritomegas  Bigolor  Lnn 
Amiot  Serv.  98. 

1839.  Costa,  Cydnus  bicolor. 
Rag.  Em.  145.  Sicilia  C-Pa- 
lermo B-Hadonie  H. 

35.  ScioGORis  Umbrigus   Wlff- 
Amiot  Serv.  120. 

1839.  Costa  Far.  wi/wr  Bag. 

Em.  144. 

Sicilia  tipo  e  varietà  C. 

36.  DORYDBRBS      MaRGINATUS 

Fbr-Amiot  Serv.  193. 


1839.  Gusta,  Dyroderes  um- 
bracìdalus.  Rag.  Em.  144. 
Sicilia   C-Palermo  B-Hado- 
nie M. 

37.  EuRYDEMA  Ornata  Lnn-A- 
miot  Serv.  126. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  Sic. 
144.  Sicilia  C-Madonie  H. 

38.  EURYDEMA    OlERACEA   LdO- 

Amiot  Serv.  127. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Palermo  B-Mado- 
nie  M. 

39.  STRACfflA  Piota  Halm. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Palermo  B. 

40.  Strachia  Festiva  Lnn. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sjc. 
Sicilia  Bll-Madonie  M. 
Amiot ,  e  Serville  conside- 
rano questa  specie,  come  va- 
rietà delV  Eurydema  ornata  F. 

41.  Pentatoma  Prasina  Lnn-A- 
miot  Serv.  131. 

Madonie  nelle  selve  H. 

42.  Pentatoma  Dissiiiilis  Fbr- 
Amiot  Ser.  131. 
Madonie  M-Alcuni  la  credono 
varietà  della  precedente. 

43.  Pentatoma  Bacgaruh  Lnn- 
Amiot  Ser.  132. 

1839.  Costa,  Bag.  Em.  Sic. 
145. 

1860.  Bellier.  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll.  C-Palermo  B-Ha- 
donie M. 

44.  Pentatoma   Yerbasci   De 
Geer. 

1860.  Boiler,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Amiot,  e  Serville 


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EMITTBRI  SIGIUANI 


73^ 


la  riporlano,  come  sinonimo 
della  P.  baccarum. 

45.  Pentatoma  Eryngu  Grm. 

,  1860.  Beliier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  BIl-Madonie  M. 

46.  Pentatoma  Vernalis  Wlflf. 
1860.  Beliier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  BU. 

47.  Pentatoma  YmiDis  Fbr. 
1839.  Costa ,  Rag.  Em.  Sic. 
145. 

1858.  Mina,  Oss.  Ent.  112. 
Sicilia  C-Madonie  M. 
Questa  specie  fa  doppio  im- 
piego ,  cancellata  dal  Costa 
per  lettera. 

48.  Pentatoma  Intermedius 
Hahn. 

1860.  Beliier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Bll.  Sicilia  Bll. 

49.  Pentatoma  Sphagblata  Fbr. 
1839.  Costa ,  Rag.  Em.  Sic. 
145. 

Sicilia  C-Palermo  BMado- 
nie  M. 

50.  Pentatoma  lunula  Fbr. 
Madonie  M. 

51.  Pentatoma  gonsimilis  A. 
Cst.  Palermo  C. 

52.  Pentatoma  pusilla  H.  S. 
Palermo  B. 

53.  Aelia  acuminata  Lnn-A- 
miot  Serv.  134. 

1839.  Costa,  Rag-Em.  Sic.145. 
1860.  Beliier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bll.  C-Palermo  B^Ala- 


donie  M. 

54.  Aeua  inflexa  WlfT-Amiot 
Serv.  134. 

1860.  Beliier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bll.  Palermo  M. 

55.  Aelia  klugu  Hahn. 
Palermo  B-Madonie  H. 

56.  MORMIDEA  NIGRIGORNIS  Fbr- 

Amiot  Ser.  135. 

1839.  Costa ,  Rag.  Em.  Sic. 

Sicilia  C-J\ladonie  H. 

57.  Nezara  Smaragdula  Fab- 
Amiot  Serv.  144. 

1860.  Beliier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bll  Palermo  B-Mado- 
nie H. 

58.  Nezara  torquata  Fbr. 
1839.  Costa,  Pentaioma  tor- 
quata^ Rag.  Em.  145. 
Sicilia  C-Palermo  B. 
Dufour  crede  essere  una  va- 
rielà  della  precedente 
Sicilia  C-Palermo  B. 

59.NEZARA  PURPURIPENNIsHalm. 

1860.  Beliier,  Fau.  Ent. 
Sic.  Sicilia  Bll. 

60.  Rhapigaster  Punctipennis 
illg-Amiol  Serv.  148. 
1839.  Costa,  R,  griseum  Rag. 
Em.  145.  Sicilia  C-Palermo 
B-Madonie  M. 

61.  CiMEx  RuFiPEs  Lnn-Amiot 
Serv.  149.  Madonie  M. 

62.  ACANTUOSOMA  HOEMORROIDA  - 

Lis  Lnn  Amiot  154. 
Madonie?  M. 


Continua) 


Francesco  Mina^-Palumbo 


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CENTRATA  DI  HARCO  ANTONIO  COLONNA  IN  PALERMO 

E  I  CANTI  DI  FILIPPO  PARUTA 


Reduce  dalla  baltaglia  combattuta  contro  il  Turco  alle  isole  Cur- 
zolari ,  e  pieno  di  vittoria ,  ritomaya  a  Roma  Marco  Antonio  Co- 
lonna comandante  le  galere  ponti6cie  spedite  da  Pio  V  contro  gli 
Ottomani.  Precedeanlo  gli  elogi  che  del  suo  valore  aveva  fatto  al 
Pontefice  Giovanni  d'Austria  generale  delP armata  cristiana  alla  bat- 
taglia di  Lepanto.  Ed  entrato  nella  eterna  città ,  quasi  che  si  voles- 
sero ripetere  i  trionfi  delP  antica  Roma,  il  popolo  lo  incontrava  fe- 
steggiante  a  bandiere  spiegatele  conducealo  con  trionfo  al  Cam- 
pidoglio. L' Italia  aveva  in  lui  il  più  grande  capitano  ;  e  Filippo  II 
chiamando  in  ispagna  il  principe  di  Castelvetrano ,  che  da  viceré 
aveva  tanto  bene  retto  il  governo  della  Sicilia,  non  trovava  che  nel 
Colonna  il  degno  successore  al  Gran  siciliano  (1). 

Nel  gennaro  del  1577  Marco  Antonio  Colonna  duca  di  Tagliacozzo  e 
gran  contestabile  del  regno  di  Napoli  era  investito  della  dignità  vice- 
regia; ed  accompagnato  da  13  galee,  giungeva  in  Palermo  il  23  aprile 
dello  stesso  anno  (2).  L'entrata  solenne  faceva  il  giorno  dopo,  e  la  città 
festeggiando  splendidamente  il  suo  arrivo,  accogliealo  alla  Garita^  e 
Tonorava  di  archi  trionfali»  ne'  quali  erano  istoriate  le  vittorie  da  lui 
riportate  contro  i  Turchi  (3).  11  Senato  gli  preparò  un  bel  cavallo, 
e  glieP  offerse  allo  sbarcatoio  :  ov'  erano  venuti  a  fargli  omaggio  il 
principe  di  Castelvetrano,  non  ancora  partito,  per  dare  assesto  agli 
affari  di  famiglia,  e  D.  Ottavio  Spinola  Pretore  della  città. 

(1)  G.  Eyaogelista  Di  Blasi  {Sioria  cronologica  dei  viceré ,  luogotenenti  e  presi- 
denti del  Regno  di  Sicilia,  pag.  236,  Palermo  1842)  afferma  di  aver  vedalo  una 
medaglia  mollo  rara  in  onore  del  principe  di  Caslolvetrano,  averne  nel  diriUo  T  ef- 
figie di  lui,  co!!'  epigrafe  Carolus  Aragonius.  Maqn.  Sicclus.  Antonio  Perrenotlo, 
deUo  il  Cardinal  di  Granvelle«  solea  chiamarlo  anche  col  tilolo  di  gran  siciliano. 

(2)  V.  Croniche  diverse  di  Sicilia,  manoscritto  della  Biblioteca  Comunale  di  Pa- 
lermo, segnato  Qq.  F.  4. 

(3)  Y.  Di  Blasi.  Op.  Cit.  pag.  237. 


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l'entrata  01  M.  ANTOraO  COLONNA  IN  PALERMO  75 

La  migliore  delie  strade  palermitane  (r  antico  Toledo,  oggi  corso 
y.  Emmanuele)  non  era  ancora  abbellita  dalle  magnifiche  porte  che 
ne  chiudono  le  estremità  ;  le  quali  da  questo  viceré  vennero  erette 
e  fSaistosamente  decorate  (I).  Né  tale  via,  per  diritto  giungeva  alla 
marina  ;  limitandosi  allora  alla  chiesa  di  Portosalvo.  Fu  il  Colonna 
che  la  protrasse  al  mare,  e  le  assegnò  per  limite  la  porta  novella» 
che  dal  nome  della  signora  Orsini  sua  moglie,  fu  intitolata  Felice, 
Accompagnato  dal  fiore  dei  cavalieri,  che  soleano  accorrere  in  tali  cir- 
costanze, e  dal  resto  delle  autorità  cui  incombeva  fare  omaggio  al 
venuto  ;  arrivava  il  Colonna  alla  Cattedrale  ;  ed  ivi,  seguendo  T  an- 
tica usanza ,  leggevasi  la  cedola  reale  che  designavalo  al  governo 
della  Sicilia,  ed  eì  prestava  solenne  giuramento. 

11  canto  dei  poeti  non  mancò  di  plaudìre  al  venuto  ;  come  non 
era  mancato  in  simili  occasioni,  e  fu  sempre  assiduo  anche  quando 
r  opera  di  chi  prese  il  governo  non  rispose  ai  voti  dei  poeti  e  alle 
comuni  aspettazioni.  Però  i  versi  di  Filippo  Paruta  non  erano  basse 
adulazioni  nò  augurio  vano;  che  il  Colonna  distruttore  della  peste 
venuta  ad  affligere  V  isola,  virtuosamente  modesto  nel  rifiutare  i  do- 
nativi offertigli  dagli  ordinarli  parlamenti  (2),  non  sanguinario  né 
crudelmente  eccentrico  (3)  ;  ben  meritò  la  stima  dei  contempora- 

(1)  Intendiamo  dire  di  porta  Felice  e  di  porla  Nuova.  La  seconda,  in  fondo  alla 
della  via,  dovea  chiamarsi  porta  austriaca  per  ordine  del  viceré  ;  ma  il  popolo  la 
chiamò  sempre  porta  Nuoca. 

(S)  V.  Di  Diasi,  pp.  cil.  pag.  239;  e  Mongilore,  Parlamenti  di  Sicilia,  t.  1. 

(3)  Degli  alti  dei  viceré  spagnuoli  discorrono  con  minuziosa  dih'genza  i  diarii  pa- 
lermitani di  Filippo  Paruta,  Niccolò  Palmerino,  Vincenzo  Auria,  e  di  altri,  i  quali 
si  conservano  manoscritti  nella  Biblioteca  Comunale  di  Palermo.  I  giudizii  sommarii, 
le  condanne  crudeli  e  le  grazie  sùbite  e  capricciose  s' avvicendano  con  una  facilità 
meravigliosa-,  la  quale  fa  dispetto  a  chi  considera  come  in  quel  tempo  infelice  si 
fos£e  fatto  tanto  strazio  del  diritto  pubblico  e  del  privato,  e  grande  confusione  del- 
l'autorità  coir  arbitrio  ;  d'onde  le  scandalose  impunità  e  le  miserabili  torture  e  le 
morti.  Ma  quel  che  merita  speciale  attenzione  si  é  questo:  che  i  cronisti  contempo^ 
ranei  lungi  dal  lamentare  tanto  danno,  alzavano  plaudenti  la  voce  fra  le  stragi.  Ad 
onore  del  vero  bisogna  confessare  che  il  religioso  rispetto  a]]a sagra  curuna  e  la  vi- 
gile difesa  dei  privilegi  municipali,  scompagn$iti  da  quel  senso  liberale  che  rende 
lo  storico  superiore  agli  nwenimenli  e  Io  fa  giudice  dei  tempi,  fanno  poco  onore, 
agli  storici  di  quel  tempo,  ed  a  quelli  che  in  stagione  a  noi  vicina  ne  copiarono  i 
giudizii.  I  quali  tutti  attingendo  ad  un  convenzionale  nella  crìtica  di  certi  avve» 
nimenti,  svisarono  là  stona  che  non  pttò  sempre  .acconciarsi  a  gindizii  stereotipi. 
Se  volessimo  corroborare  coi  fatti  quanto  ora  abbiamo  affermato,  dovremmo  qui  tra- 
scrivere interamente  i  diarii  della  città  di  Palermo,  e  le  cronache  di  quel  tempo. 
Però  ad  utile  prova  riportiamo  dal  Diario  delle  cose  occorse  nella  città  di  Palermo 
e  nsl  regno  di  Sicilia,  composto  dal  dott.  D.  Vincenzo  Auria  palermitano  (codd. 
mss.  segn.  Qq.  A.  7  e  8),  il  seguente  brano  che  ci  é  caduto  sott' occhi  : 

•  16i8.  Martedì  14  di  ^k^/ìo  •— Questa  sera  fu  condannalo  al  remo  per  anni  do- 


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76  NUÒVE  EFFEMERIDI  SIGILIANB 

nei,  e  fu  a  questa  Sicilia  di  grandissimo  giovamento.  Qualcmio  dirà 
ch^  egli  abbia  avolo  difetti  ;  ma  chi  degli  nomini  ne  va  esente ,  e 
chi  dei  governanti? 

Filippo  Paruta  era  allora  segretario  palermitano.  Il  Senato  della 
nostra  città  che  comprò  il  titolo  di  eccdlentissimOy  ma  che  insieme 
a  tali  frascherie,  comunissimo  e  necessarie  in  tempo  di  tanta  abie- 
zione politica,  avea  strappato  alla  Spagna  franchigie  e  prerogative, 
il  Senato  palermitano  potea  ben  vantarsi  in  quel  tempo  di  uomini 
sommi.  Bartolomeo  Sirillio  ed  il  Nostro  furono  segretarii  del  co- 
mune ;  e  questi  nomi  bastano  a  testificare  come  allora  la  rappre- 
sentanza comunale  palermitana  facesse  omaggio  agli  uomini  della 
dottrina  e  della  scienza,  designandoli  ai  pubblici  ufBcii  ed  onoran- 
doli generosamente.  Il  quale  fatto  unito  ai  ricordi  della  nostra  sto- 
ria, che  ci  ha  tramandato  i  nomi  di  altri  valentissimi  giureconsulti 
e  politici,  adoperati  nelle  controversie  fra  comune  e  comune  e  nelle 
difficili  relazioni  fra  le  città  e  il  governo  di  Spagna;  ci  fanno  ben 
certi  della  mediocrità  politica  dei  nostri  tempi  :  tanto  vantati  pei 
progressi  della  mente  umana;  ma,  in  paragone,  certamente  al  di 
sotto  di  quel  secolo  che  diede  quest^  ingegni  alla  Sicilia,  ed  alla  pe- 
nisola italica  la  mente  di  Machiavelli  e  Guicciardini. 

Ha  lasciamo  di  rimpiangere  le  nostre  miserie;  e  torniamo  a  dire 
del  Paruta.  Aveva  il  Nostro  naturale  propensione  alla  poesia  ;  e  que- 
sta facoltà  coltivando,  cogli  studii  delP antico  perfezionò.  Compose 
con  classica  severità  in  latino,  dettò  stupende  iscrizioni  (1)  ;  e  ver- 

•  deci  sopra  le  galee  di  Sicilia  un  perverso  garzone,  che,  avido  di  sedizione,  s' aveva 

•  vantalo  ("sic)  che  iu  t«mpo  d'  occorrenza  voleva  saltar  nel  campanile  della  Chiesa 

•  di  S.  Antonio  e  sonar  all'arme  la  tanto  celebre  campana.  Costui ,   non  potendo 

•  oprar  tanto  con  voce,  avendogli  la  natura  proibito  V  uso  del  parlare  e  servirsi  della 
«  lingua,  che  non  ha  osso ,  e  ne  rompe ,  «d  a  guisa  di  tagliente  spada  ne  vibra 
«  molti  de'  colpi  a  danno  d'  altri,  non  fu  meraviglia  se  quel  che  non  poteva  colla 
>  voce  si  sforzava  operar  con  la  mano  per  mezzo  delle  campane.  Era  cosa  da  ridere 

•  vederlo  sopra  una  mula  balbettare  ferocemente  per  le  nervate  che  sofTeriva  negli 

•  omeri,  non  potendo  con  le  parole  o  mover  a  pietà  i  circostanti,  o  scusarsi  del  de- 

•  Ulto ,  o  farsi   almen  compagni   alla  pena,  che  per  la  comunanza  è  mezzo  gau- 

•  dio  ». 

(1)  Sono  del  Paruta  alcune  iscrizioni  latine  situate  ai  canti  della  piazza  Viglie- 
na,  e  quella  che  ancora  si  legge  sulla  porta  d'Ossuna.  Molle  altre  ne  compose,  mo- 
numentali, commemorative  e  sepolcrali  ;  le  quali  si  conservano  manoscritte  nella 
Biblioteca  Comunale  di  Palermo,  a'  segni  2Qq.  C.  2i.  Ed  inedite  sono  pure  le  poesie 
latine,  ora  sacre,  ora  eroiche;  oltre  a  un  grande  numero  di  epigrammi  in  lode  di  poeti 
si^Iiani  già  morti.  Pubblicheremo  fra  breve  un  saggio  di  questi  epigrammi;  che  in- 
sieme danno  un'idea  della  letteratura  siciliana  al  secolo  XVI. 


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L^BNTIiÀTA  DI  M.  ANTONIO  COLONNA  IN  PALERMO  77 

seggiando  in  volgare,  colse  doo  poche  volte  le  finezze  del  greco,  e 
gli  fa  propria  quella  robustezza  di  forma  e  sicurtà  di  gusto,  che  sono 
indizio  di  arte  matura  e  di  squisito  sentimento.  La  Biblioteca  Co- 
munale di  Palermo  possiede  un  volume  manoscritto  (2Qq.  C.  21). 
contenente  le  poesie  latine  e  italiane  del  Paruta ,  parte  autografa, 
parte  vergale  da^  figliuoli  di  lui.  Io  che  ho  Ietto  e  trascritto  quasi 
tutte  le  composizioni  del  poeta  palermitano,  ho  avuto  ben  ragione 
di  lagnarmi  come  tanto  fior  di  bellezza  sia  rimasto  nascosto  sino  ai 
nostri  giorni.  Noi  abbiamo  dovizia  da  non  invidiare  alle  altre  re- 
gioni d^  Italia  ;  e  se  venissero  alla  luce  i  versi  di  Bartolomeo  Siril- 
lio ,  di  Luigi  d' Eredia  e  di  Filippo  Paruta ,  la  Sicilia  avrebbe  da 
vantare  anch^essa  una  scuola  del  secolo  XVI,  che  gli  scritti  di  An- 
tonio Yeneàano  non  bastano  a  rappresentare  (I).  A  quest'opera  da 

(1)  Mi  piace  di  riportare  qualche  poesia  inedita  di  Filippo  Parata  e  di  Luigi  d*&- 
redia.  È  del  primo  il  seguente  madrigale 

Per  un  faBoinllo  di  nova  anni 

Caro  pegno  del  cielo. 
Che  sotto  umano  veto. 
Con  la  voce  e  col  viso 
Apri  agli  orecchi  e  agli  occhi  un  Paradiso  : 
Tu  sei  nuovo  angioletto, 
Che  con  doppio  diletto. 
Con  diletto  celeste 

Tutte  hai  per  gire  al  ciel  1*  anime  deste. 
Di  Guglielmo  il  Buono  pensò  anche  di  poetare;  ma  o  non  continuò,  o  non  ci  per- 
vennero il  resto  delle  stanze  che  doveanOf'^per  lo  meno,  comporre  un  poemetto. 
Queste  che  pubblichiamo  ne  costituivano  il  principio  :  ove  ò  ammirabile  V  invo- 
cazione deir  angelo,  fatta  in  tempo  nel  quale  era  tema  obbligato  l' apostrofe  alla 
Mum. 

Guglielmo  il  Buono 
r$  di  Sicilia 

Canto  il  giovane  Re,  eh'  erse  nel  Monte 

Beai,  detto  da  lui,  divoto  il  tempio; 

Ebb*  ei  le  voglie  air  opra  e  lo  man  pronte, 

E  d' avversarli  suoi  fé' duro  scempio; 

Onde  rivolto  al  ciel  V  invitta  fronte. 

Di  bontà  di  valor  tal  diede  esempio; 

Che  1  mondo  ancora  in  memorabil  suono 

Lo  chiama  e  chiamerallo  sempre  il  Buono. 
Angel,  tu  che  solevi  a  Unt'  impresa 

Pria  sollevar  la  generosa  mente; 

Poi  quando  ardea.  ne*  più  1*  aspra  contesa 

Davi  al  guerrier  forza  e  vigor  sovente; 


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78  NUOVE  EFFflMBBIDI  SICILIANE 

qualche  tempo  ho  rivolto  la  mente  ;  e  se  le  forze  e  i  mezzi  non 
mi  mancheranno ,  spero  render  noti  i  nomi  e  le  opere  di  questi 
siciliani,  nuovo  lustro  alla  nazionale  letteratura. 
Questa  volta  raccolsi  alcuni  canti  in  onore  di  Marco  Antonio  Co- 

Perchè  la  gloria  sua  per  tutto  intesa 
Desti  a  yirtù  la  più  lontana  gente; 
Ta  già  custode  sao,  mio  santo  nome, 
Reggi  il  mio  stil,  tu  sii  mio  spirto  e  lume. 

Di  mirabile  semplicità  e  d'ingenua  beUezia  è  il  seguente  canto  aìV Angelo  Ga- 
briello,  da  me  già  altrove  pubblicato  (V.  V  uomo  ,  la  religione,  la  patria;  rac- 
colta  di  poesie  tulle  e  ordinate  da  Salvatore  Cocchiara  ad  uso  delle  scuole  primarie 
italiane.  Quarta  edizione*  Palermo,  1870,  pag.  56). 

AU' Angelo  GabricUo 

Santo  messo,  a  cui  Dio  l' ufficio  impose 

D' annunziar  le  più  secreto  cose; 
Tu  che  recasti  in  terra  il  gran  decreto, 

Gh'  aperse  il  ciel  dal  suo  lungo  divieto; 
Nunzio  divin,  eh*  a  quella  dicesti  Ave, 

Ch*  ad  aprir  V  alto  amor  Tolse  la  chiave; 
Ministro  a  la  più  nobil  opra  eletto, 

Ond'  ebbe  V  nom  salute  e  1  ciel  diletto: 
0  degli  angeli  caro  e  sommo  onore, 

0  fortezza  di  Dio,  nostro  fattore; 
0  dal  cui  detto  il  mondo  si  fé'  bello. 

Salve,  Arcangel  sovrano  Gabriello. 

Di  Luigi  d' Eredia  faremo  gustare  parte  della  cantica  che  porta  per  titolo  //  pianto 
iella  Mctddalena  penitente,  composta  di^XVIlI  ottave;  la  quale  abbiamo  cavalo  dal 
cod.  ms.  della  Comunale  di  Palermo,  segnato  SQq.  G.  38. 

Il  puuito  della  BladdaleiMi  penitente 

Là  dove  innalza  un  solitario  monte 

Gli  erti  suoi  fianchi  e  le  sassose  spalle, 
•  E  folte  manda  dall*  orribil  fronte 

L' ombre  a  cader  ne  la  profonda  valle; 

A  piò  d' un  vago  e  cristallino  fonte 

Che  sorge,  e  va  per  dirupato  calle, 

Giacea  la  bella  Maddalena  assisa, 

Dagl'  inganni  del  mondo  ornai  divisa. 
Di  sue  vaghezze,  un  tempo  ond*  ebbe  cura 

D*  ornar  con  arie  il  suo  leggiadro  viso    -^ 

E  r  avorio  coprir  con  V  ambra  pura, 

E  sfavillar  tra  vive  perle  un  riso. 

Fugge  r  insidie,  e  di  sua  vita  oscura 

Per  cui  dal  Ciel  conobbe  il  cor  diviso, 

Vool  che  nobile  ammenda  omai  ristori 

L' empia  slagton  do*  suoi  lascivi  errori. 


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L^  ENTRATA  DI  M.  ANTONIO  COLONNA  IN  PALERMO  79 

lonna  e  della  sua  nobile  famiglia.  Sono  ìntermediì  di  commedia, 
che  la  grandiosità  dello  spettacolo  e  Teffelto  scenico  dorea  render 
mirabili.  Per  farsi  nna  giusta  idea  delle  rappresentazioni  di  allora, 
bisogna  ricordare  le  immense  spese  che  sostenne  il  Senato  paler- 
mitano per  la  esecuzione  AeìVAUo  (Ma  Anto,  poema  drammatico 
di  Martino  Folengo  monaco  cassinese,  inteso  più  comunemente  col 
nome  di  Merlin  Coccai  (1).  Trentamila  scudi  spesi  per  mettere  in  mu-  ^ 
sica  e  rappresentare  quest'  opera  al  1581  (2),  doveano  fare  escla- 
mare a  Marco  Antonio  Colonna  che  «  una  miglior  cosa  altro  che  in 
cielo  veder  non  si  poteva  I  (3).  E  veramente  fti  sotto  il  governo 
del  duca  di  Tagliacozzo  che  le  rappresentazioni  sceniche  in  Palermo 
vennero  eseguite  con  maggiore  magnificenza.  Altre  volte ,  come 
attesta  V  Alesi ,  erano  bastati  dodicimila  scudi  all'  Atto  della  Pinta  : 

Quando  nasce  col  ghiaccio  il  giorno  breve, 

E  quando  il  lungo  le  campagne  accende. 

Ruvida  v«'sle  1*  nnimala  neve 

Di  quel  corpo  gentil  copre  e  difende. 

Che  al  suo  casto  desio  gonna  si  deve 

Che  bassa  e  vile  al  mondo,  in  Ciel  risplende; 

Chiude  ricco  pensier  panno  mendico, 

E  trova  il  Cielo  a  le  preghiere  amico. 
L' oro  gentil  de  le  sue  chiome  bionde 

Che  sul  tergo  cadea  disperso  e  sciolto, 

Mosso  da  r  aure  il  molle  avorio  asconde 

E  gli  amorosi  fior*  di  quel  bel  volto  : 

L*  oro  che  più  non  si  rincrespajn  onde 

Uà  bianca  man  sotto  un  bel  velo  accollo, 

Qual  già  ne  le  stagioni  al  sènso  liete, 

Armando  amor  d'inestricabil  rete. 
Le  vaghe  luci  in  cui  si  specchia  il  sole 

Di  serena  onestà  circonda  e  veste, 
,  Tingon  le  guance  sue  belle  viole 

Cui  nutre  1*  aura  d*  un  amor  celeste  (*); 

Fra  bianche  perle  il  suon  de  le  parole 

Esce,  a  destar  le  torbide  tempeste. 

Che  sempre  nova  guerra  al  cor  le  fanno 

Di  pentimento  e  del  suo' antico  danno. 

(1)  V.  Dì  Giovanni,  Delle  rappresentazioni  sacre  in  Palermo  ne*  secoli  X  VII  e  X  Vili. 
Bologna,  1868. 

(2)  V.  Mongitore,  Bibliotheca  Sieula,  voi.  I,  pag.  63. 

(3)  V.  Alesi,  Aneddoti  sieUiani;  ms.  della  fìibl.  Com.  di  Palermo^  segnato  Qq. 
H.  43,  pag.  45,  e  Scavo,  Memorie  per  servire  alla  storia  letteraria  di  Sicilia,  t.  1* 
p.  11,  p.  46.  Palermo,  1756. 

(*)  DioMBditmo  se  «nic«  aoiichè  rara  debba  dirsi  la  belleiia  di  questi  quattro  veni. 


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80  NUOVE  EPPEMBRIDI  SIGILUNB 

ora  si  cereava  di  superare  il  già  làlto,  e  Senato  e  Viceré  vinceano 
nello  sfarzo  i  loro  predecessori. 

L^uso  delle  giostre,  dei  tomeamenti  e  di  molti  giuochi  ginnastici 
già  invalso  da  antichi  tempi,  e  cresciuto  sotto  il  governo  del  mar- 
chese di  Pescara^  del  conte  Giuseppe  Francesco  Landrìano  e  del  prin- 
cipe di  Castelvetrano,  non  era  venuto  meno  sotto  il  Colonna.  I  giuo- 
chi del  caruseUo^  quello  dello  staffermo  ossia  del  Saracino ,  e  V  al- 
tro deir  an^ ,  detto  ancora  della  canna ,  aveano  aria  di  natività 
siciliana,  e  si  eseguivano  con  pompa  non  comune.  Il  18  febbraio 
del  1572,  D.  Giovanni  d'Austria  reduce  dalle  vittorie  contro  i  Mu- 
sulmani, prendea  parte  al  giuoco  della  canna  in  Palermo,  e  giostrava 
col  principe  di  Castelvetrano  e  con  altri  della  nobiltà.  Già  il  Senato 
palermitano  metteva  annualmente  fra  le  sue  spese  una  somma  per- 
chè servisse  alla  rappresentazione  di  tragedie  e  di  commedie ,  che 
faceasi  nel  luogo  istesso  della  Pinta  ;  e  tali  rappresentazioni,  special- 
mente eseguite  per  divertire  il  popolo,  erano  dette  per  antonoma- 
sia atti  della  Pinta  (I).  Narra  PAIesi  nei  suoi  Aneddoti  siciliani  che 
già  era  invalso  quest'uso  in  SicMia  :  di  eseguire  grandi  rappresen- 
tazioni, volendo  far  cosa  grata  ai  viceré  ;  e  discorrendo  ódrAtto  della 
Pintay  dice  che  se  ne  ordinava  la  esecuzione  allorché  il  Senato,  in 
terprete  dei  voti  popolari,  intendea  di  mostrare  la  sua  gratitudine 
ai  governatori  della  Sicilia.  Quando  giunse  il  Colonna  in  Palermo, 
simili  rappresentazioni  furono  eseguite;  e  le  poesie  del  Paruta,  che 
oggi  noi  per  la  prima  volta  mettiamo  alla  luce,  in  tale  occasione  ven- 
nero pubblicamente  recitate. 

A  nessuno  farà  certamente  meraviglia  il  veder  comparire  in  iscena 
la  Gloria,  Marte,  Iride,  Eolo^  ì  Venti^  la  Sicurtà  a  cantar  P  elogio 
del  Colonna,  ove  si  pensi  alle  condizioni  del  teatro  di  allora,  allo 
ideale  pagano  invocato  nella  gran  parte  delle  rappresentazioni  sce- 
niche. Qualcuno  sarà  curioso  di  sapere  in  che  modo  questi  nostri 
progenitori  personificavano  le  più  astraile  divinità  mitologiche,  co- 
me sMngegnavano  di  cacciar  sulla  scena  i  Venti,  e  qualcosa  di  si- 
mile; e  noi  li  rimandiamo  ad  altre  descrizioni  che  di  tali  rappre- 
sentazioni ci  lasciarono  gli  scrittori  del  tempo  :  nelle  quali  la  mac- 
china ci  si  mostra  maggiormente  complicata,  e  l'apparato  scenico 
assai  più  grandioso  e  formidabile  (2).  A  persona  illustre  per  nobi- 

(1)  V.  Alesi,  Aneddoti  ticiliani,  loc.  cit. 

(2)  ^ella  rappresentazione  óeWAUo  della  Pinta,  dì  che  abbiamo  parlato,  secondo 
lo  Scavo  •  dapprima  eravì  il  Caos  nelle  folte  tenebre  avrolto,  indi  appariva  il  Para- 
diso, in  cui  vedeasi  Iddio  Padre  colle  numerose  ghiere  degli  angioli;  la  battaglia  di 


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l'entrata  di  M.  ANTONIO  COLONNA  IN  PALERMO  81 

lissimo  legQaggio ,  divenuta  famosa  del  yalore  addimostrato  contro 
i  Tarchi,  convenia  che  primamente  si  rivolgesse  la  Gloria;  e  que- 
sta, ricordando  ai  tempi  in  cui  era  stala  sua  sede  il  Campidoglio, 
si  compiace  che  pur  Analmente,  per  opera  di  un  romano  ci  sia  con 
onore  ritornata. 

La  Gloria 

A  Marco  Antonio  Golonnn  viceré 

Prima  cagion  di  pregio  e  di  valore 

Agli  animi  gentili  io  sono  in  terra  ; 

Già  salii  un  tempo  a  ben  gradilo  onore 

Su  M  Campidoglio  illustre  in  pace  e  in  guerra; 

Ha  poi  cacciommi  dal  mio  regno  fuore 

Cieca  fortuna,  ch^  ogni  cosa  atterra  ; 

Ond'  io  mendica,  mal  mio  grado,  e  presa 

Da^  Barbari  n^  andai  vilmente  offesa. 
Pur  diemmi  alfin  benigno  amico  foto 

Saldo  riparo  e  ferma  alta-  Colonna  ; 

La  cui  merco  di  novo  in  chiaro  stato 

Son  di  Roma  famosa,  altera  donna; 

Che  sol  corone,  e  trionfisil  m''  ha  dato 

Di  spoglie  e  di  trofei  ricca  la  gonna. 

Nò  vo  sotr  altra  insegna  o  sott^altr'armi, 

S"  io  vera  bramo  e  nobil  Gloria  farmi. 
Entra  in  iscena  Marte  e  si  rivolge  a  Fabrizio  Colonna ,  figlio  di 
Marc^  Antonio  ;  esortandolo  a  seguire  il  paterno  esempio.  Gli  pre- 
senta le  armi  pulite  alle  rote  di  Vulcano,  e  lo  esorla  con  queste  a 
muovere  contro  Bisanzio,  centro  delle  ostilità  contro  i  Cristiani,  e 
a  domare  V  orgoglio  del  Germano ,  che  valse  ad  abbattere  la  ro^ 
mana  gcandezza. 

Marte 

A  FabrisSo  Colonna 

Or  che  di  gravi  imprese  aito  desio, 
Per  dar  nova  materia  a  begl' ingegni, 
Muove  il  tuo  genitore  e  figliuol  mio 

questi,  la  caduta  dei  cattivi,  e  lo  spalancarsi  dell' Inferno  rendevano  stupidi  gli  spet* 
tHtorì.  Seguiva  la  creazione  del  mondo,  e  qai  il  nuovo  sfavillar  della  luce,  hi  vista 
del  cielo,  lo  apparir  della  terra,  il  germogliar  delle  piante ,  lo  spuntar  delle  stcUe, 
il  cammino  dei  due  gran  luminari  sul  firmamento ,  lo  sguizzare  dei  pesci  sulla  su- 
pericie  delP  acqua,  il  volar  degli  uccelli  e  la  loro  grata  armonia,  V  improvviso  scor- 
rer per  la  terra  di  tutte  le  specie  degli  auimali  di  essa,  erano  una  unione  di  mera- 
Tigliese  comparse.  • 


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82  NUOVE  RFFEMERIBI  SICILIANE 

Ad  ornar  città  nove  e  novi  regni; 

Opre  mature,  a  (Tetto  santo  e  pio, 

Voglie  Reali,  e  pensier'  grandi  e  degni. 

Ho  qui  portato  a  te,  nobil  Nipote, 

L'armi  pulite  a  le  Vulcanie  rote. 
Le  quai  potranno  con  maggiore  ardire 

Sfidar  Bisanzio  a  nuove  alte  contese; 

0  del  German  Torgoglio  e  V  ingiusr  ire 

Rompendo,  vendicar  Pantictie  offese  (I); 

E  perchè  ognor  tu  le  vagheggi  e  mire. 

Ecco  a  lo  scado  le  paterne  imprese; 

Che  vincon  l'altre  dei  passati  Eroi^ 

E  desteranti  a  vincer  loro  poi. 

Compagni  di  Marte 
0  bennato,  o  gran  frutto 

De  le  prime  d' Italia  inclite  piante, 

Sola  speranza  del  romano  onore  : 

Qui  virtù,  qui  valore. 

Qui  puoi  veder  mai  quante 

Grandezze  ammira  in  mille  il  Mondo  tutto  : 

E  d'uomini  e  di  Dei 

Le  vittorie  avanzar,  l'opre,  i  trofei. 
Né  tanti  onori  si  fanno  solamente  al  viceré  ed  a  Prospero  suo 
figliuolo.  La  signora  Felice  Orsini  viceregina  non  andrà  senza  elo- 
gio; e  glielo  fa  Iride  che  si  rivolge  ad  Eolo  per  ordine  di  Giunone, 
onde,  calmati  i  venti,  ritorni  il  bei  sereno,  e  la  natura  ridente  fe- 
steggi tanto  fior  di  bellezza  e  cortesia. 

Iride 

A  Felice  Goloane  Oreiai  vioeregìae 

.  Eolo,  colei  che  chiaramente  uscita 

D'  umana  sorte  ognor  sé  stessa  avanza  : 

Colei,  pregio  del  mondo,  in  ciel  gradita, 

E  del  più  bel  del  ciel  qua  giù  sembianza; 

Colei  che  in  cima  di  bontà  salita, 

É  meraviglia  a  la  terrena  stanza. 

Fu,  e  or  l'alma  Giunone  a  te  m' invio 

Per  far  più  allegro  e  dilettoso  il  die. 

(1)  Una  varianle  : 

0  romp«ndo  al  German  1*  orgoglio  e  1*  ire. 
Vendetta  far  de  le  romano  offese. 


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L^  ENTRATA  DI  M.  ANTONIO  COLONNA  IN  PALERMO      83 

Chiama  i  venti  (die' ella),  imponi  loro 
Che  nel  tuo  nome  temprìn  Tira  sil  verno; 
Io  le  cedo  in  virlule,  ed  io  Fonerò; 
Abbiasi  ella  di  voi  franco  il  governo; 
Già  de  le  Ninfe  mie  l'osserva  il  coro; 
Già  sola  amica  il  Regnalor  saperne. 
Che  più  ?  le  assegno  il  mese  mio;  sia  feslo 
Per  lei  febbraio,  ovverà  prima  infesto. 

Bolo 

Venti,  0  venti,  Real  chiara  Felice 
Dà  pace  lieta  e  seren  vago  a  noi; 
Per  voi  convien  ch'ogni  uomo,  ogni  pendice 
IfaccogHa  il  grido,  ammiri  i  morti  suoi; 
Or  chi  sua  gloria  altera  a  pien  ridice 
Per  gli  Esperii  volendo  e  per  gli  Eoi? 
Chi  fa  che  Puniverso  ognor  la  chiami. 
Ed  ogni  età  lo  riverisca  ed  ami  ? 

Venti 

Popolo  qui  vicino, 

E  voi  gente  lontana,  ovunque  sete. 

Deh  che  non  rivolgete 

La  mente  e  gli  occhi  a  lume  alto  e  divino  ? 

Altezza  ed  umiliate. 

Senno  e  valor,  grandezza  e  cortesia  ; 

Maestà,  leggiadria, 

Fior  di  bellezza  e  frutto  d' onestate  ; 

Fra  quantunque  il  ciel  copra 

Non  vede  il  sol  di  voi  più  nobii  opra. 
Ma  non  basta  aver  fatto  V  elogio  della  gloria  del  viceré,  del  suo  va- 
lore, della  sua  nobiltà.  Egli  è  venuto  a  governar  la  Sicilia,*  egli  ha 
rimesso  la  sicurtà  nel  Regno.  Il  poeta  vuol  dargli  lode  di  questi 
buoni  portamenti  ;  pe'  quali  vede  P  isola  rifiorire  ed  i  suoi  abitanti 
goder  felicità. 

La  Siotirtà 

A  Matoo  Antonio  Colonna  ▼ioorè 

A  ib  che  invitto  e  fortunato  sei« 
Già  vincitor  del  danno  e  del  periglio. 
Dai  cui  vivace  ardir,  dal  cui  consiglio 
I  buoni  han  vita  e  morte  infame  i  rei  : 


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84  NUOVB  KFFBMBRIDl  SHatlANE. 

A  te  la  schiera  de^  seguaci  miei. 

Trionfante,  per  te,  lieto  conciglio» 

Ecco  or  s' inchina,  e  dall'  augusto  ciglio 

Prende  vigor  che  me  rinfranca  e  lei  : 
Questa  è  pur  tua  colonna  e  mio  sostegno  ; 

La  Sicurezza  io  son,  quegli  il  furore 

E  la  calunnia,  empii  avversarii  tuoi. 
Ricche  spoglie  ti  reco  e  trofeo  degno 

Di  te,  che  sol  sai  tanto  e  tanto  puoi, 

0  saggio,  0  valoroso,  alto  signore. 
Compagni  della  Sicurtà 

0  nati  a  miglior^  anni 

Che  del  Re  invece  il  gran  Roman  governa, 

Felicitate  eterna 

Fa  voi  beati,  e  1  Regno  senza  inganni  : 

Mercè  di  fedel  cura 

Al  Rege,  al  Regno,  al  Reggitor  sicura. 
Queste  che  abbiamo  pubblicato  non  sono  tutte  le  poesie  compo- 
ste dal  Paruta  in  onore  di  Marc'  Antonio  Colonna.  Altre  e  diverse 
ne  esistono  ancora  inedite ,  comprese  neir  autografo  di  che  sopra 
abbiamo  ragionato;  fra  le  quali  un  poemetto  ad  ottave,  in  cui  le  im- 
prese di  questo  viceré  e  il  suo  governo  in  Sicilia  sono  magniQcati. 
Abbiamo  voluto  mettere  in  luce  nella  presente  illustrazione  questi 
canti,  perchè  riferentisi  a  un  personaggio  storico  ch'ebbe  nome 
chiaro  in  Italia,  e  fama  di  valoroso  e  sagace  governatore  in  Sici- 
lia. Saremmo  assai  lieti  se  queste  nostre  parole  valessero  a  far  co- 
noscere il  Paruta  quale  poeta,  dove  è  celebre  come  storico  e  come 
archeologo  (i);  e  se  la  pubblicazione  di  questi  canti  invogliasse  i 
cultori  delle  lettere  a  rivolgere  i  loro  studii  sulla  letteratura  del  se- 
colo XVJ  in  Sicilia. 

Palermo,  nelPaprile  ^el  1870. 

Salvatorb  CoccmARA 


(1)  Il  Tiraboschi  {Storia  della  leU,  iL  Venezia,  1796,  tom.  Vili,  p.  II,  pag.  347) 
dà  merito  grande  a  Filippo  Parata  per  aver  primo  ia  Italia  rivolto  lo  studio  della 
namismatica  a  speciale  vantaggio  della  storia,  coli*  opera  intitolata  Della  Sieilia  de- 
HrUla  con  medaglie;  la  quale  fu  pubblicata  per  la  prima  volta  in  Palermo  nel  1612, 
indi  a  Roma  nel  1649  per  cura  di  Leonardo  Agostini,  poscia  in  Leone  nel  1697,  e 
finalmente  nel  1723  per  opera  dell*  Havercamp. 


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DEI  VOCABOLARI  SICttlANI 


Se  il  noto  proverbio  «  Chi  tardi  arriva  male  alloggia  •  potesse 
applicarsi  a^  lavori  di  compilazione,  gli  ultimi  vocabolari  del  nostro 
dialetto  dovrebbero  esser  da  meno  de^  primi,  o,  alla  men  trista,  as- 
sai povera  e  mal  fatta  cosa.  E  veramente  tali  ci  son  riusciti  quelli 
che  prescindendo  dagli  studi  altrui  hanno  voluto  rifar  tutto  da  capo, 
quasi  sia  da  uomo  prudente  dimenticar  del  passato  quel  che  può 
giovare  per  l' avvenire,  e  mandare  a  male  i  frutti  pazientissimi  dei 
pensiero  umano.  Ma  per  chi  altrimenti  guardi  la  bisogna,  il  giugner 
tardi  è  anzi  vantaggio  air  opera  cui  uno  si  accinge,  come  quella  che 
&  suo  prò  di  quanto  sulla  materia  è  stato  raccolto.  Cosi  è  che  il  Nuovo 
Vocabolario  del  Traina,  compilato  su  tutti  quelli  per  noi  esaminali, 
e  su  lavori  consimili,  raccoglie  il  tesoro  delle  lor  voci,  causando  i  di- 
fetti, che  pur  troppo  abbiam  dovuto  scorgervi  ;  e  però  nelP  affer- 
mare fin  da  ora  che  per  questo  e  per  altri  argomenti  esso  è  mi- 
gliore tra  tutti,  noi  crediamo  di  apporci  tanto  al  vero  quanto  dal  vero 
si  scostarono  coloro  che  seguirono  via  allatto  diversa  da  quella  del 
Traina. 

Già  lo  abbiam  veduto:  fino  al  passato  secolo,  poche  eccezioni  fotte, 
non  ebbesi  altro  concotto  nella  compilazione  dei  vocabolaii  siciliani 
se  non  che  quello  di  mostrare  come  poteva  tradursi  in  latino  una 
frase  siciliana,  come  volgarizzarsi  una  voce  latina  ;  e  codesto  con- 
cetto apparisce  cosi  chiaro  che  potrebbe  dirsi  il  solo  forse  cui  ab- 
biano inteso  i  nostri  lessicografi.  Dallo  Scobar  al  Pasqualino  si  cer- 
carono etimologie,  a  detrimento  forse  del  dialetto  che  volevasi  stu- 
diare e  facilitare  altrui.  Cessato  il  Hortillaro  e  quanti  il  seguirono 
da  codesta  ragione  di  studi  non  a  tutti  graditi,  il  Traina  ha  preso 
nuovo  indirizzo.  Egli  ha  badato  più  a  riuscire  che  a  sembrar  utile; 
e,  nuovo  ed  ignoto  nel  campo  letterario,  ha  ben  ponderato,  se  e 
quanto  convenga  ad  onesto  operaio  del  pensiero  rifare  il  già  fatto 
mettendosi ,  per  cosi  dire ,  in  capo  a  tutti.  L' improba  fatica  non 
Tba  sgomentato;  e  sebbene  altri  sieno  stati  gP intendimenti  diluì 
in  sulle  prime  da  quelli  che  appaiono  neir  opera  sua,  modesti  cioò 
e  limitati  allora ,  alti ,  nobili  adesso,  egli  vi  si  è  abbandonato  con 


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86  NUOVE  BFPEMRRIDI  SIGIUANB 

taato  ardore,  con  tanta  lena  e  con  tanto  studio,  che  de^  risaltamenti 
non  è  panto  a  dutiitare. 

Il  nuovo  indirizzo  preso  dal  Traina  è  da  riguardare  sotto  duplice 
aspello:  sotlo  queUo  del  dialetto,  e  sotto  quello  della  lìngua;  dal  lato 
dei  vocaboli  siciliani  per  una  parte,  e  per  un^  altra  dal  lato  dei  corri- 
spondenti italiani.  Quanto  al  primo  e^i  incominciò  con  far  lo  spo- 
glio di  lutti  gli  scrittori  siciliani  da  Frate  Atanasio  d^Aci  al  Meli, 
dal  dugento  al  novecento,  e  prose  e  poesie  letterate  gli  apprestarono 
larga  messe  non  abbastanza  ricercata  per  lo  innanzi. 

Certo  non  sarebbe  questa  una  via  sempre  sicura  per  chi  voglia 
arricchire  il  nostro  vocabolario,  che  il  letterato,  volere'  o  non  volere, 
pulisce  sempre  il  dialetto  ;  ma  quando  essa  trova  V  appoggio  del- 
l' uso,  e  r  autorità  vivenle  del  popolo,  ei  ci  pare  la  migliore  da  se- 
guirsi. E  questa  segui  il  Traina,  raccogliendo  quante  più  polè  voci, 
frasi  e  modi  di  dire  dalla  bocca  del  popolo  non  registrate  fino  a 
lui  ;  e  come  il  più  fedele  linguaggio  del  popolo  son  le  sue  tradi- 
zioni, cosi  cogliendo  ed  iscegliendo  fior  da  fiore,  trasse  preziosi  pe- 
culielli  di  voci  dalle  raccolte  di  canti  popolari  e  di  proverbi  fotte 
in  questi  ultimi  anni  da  vari  benemeriti.  Del  non  essersi  volli  a 
tutto  questo,  non  è  certo  ad  accagionare  i  precedenti  vocabolaristi, 
«ondo  che  lo  studio  dei  canti  è  cosa  nuova  tra  noi;  ma  i  proverbi 
eran  li;  e  delle  maniere  piene  di  espressione  e  di  vivacità  ne  ap- 
prestavano a  dovizia  per  chi  non  avesse  schifato  di  consultarli. 
Quando  si  pensi  che  in  tredici  mila  proverbi  da  noi  preparati  per 
le  stampe ,  poco  men  che  un  miglia^jo  di  voci  vi  sono  inedite  od 
inosservate  fin  qui,  avrassi  il  miglior  argomento  in  favore  di  que- 
sti nuovi  studi  e  del  poslo  che*  vi  ha  assegnato  il  Traina.  Tra  il  nu- 
mero infinito  di  voci  nuove  il  lettore  provinciale  si  avviene  allo 
spesso  in  voci  catanesi,  messinesi,  di  Trapani,  Marsala,  Yillafrate  ecc. 
In  altri  tempi  codesto  avrebbe  apprestato  argomento  di  censura  pel 
compilatore,  che  volle  confondere,  per  dirla  con  una  nostra fk^se 
storica,  Francia  e  Spagna.  La  censura  sarebbesi  mossa  di  qui,  donde 
per  univoca  sentenza  parte  il  dialetto  di  tutta  Sicilia,  e  dove  si  son 
quasi  detlati  i  precetti  ortografici  e  sinanco  fonetici.  Ma  dacchò  qual- 
che siciliano  non  palermitano  si  è  ribellato  a  codesta  pratica;  dacchò 
li  Pasqualino  palermitano  ha  dato  ospitalità  a  qualche  voce  vwna- 
cola;  dacché  si  è  fallo  avvertire  che  Palermo  non  è  Sicilia  (1),  e 
che  dugento  mila  parlanti  non  hanno  diritto  dMmporre  a  due  mi- 
lioni, il  divisamenlo  del  Traina  si  tiene  per  giusto  e  per  buono  nel 

<1)  Lionardo  Vigo  nel  citalo  scrttlo. 

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DU  VOCABOLARI  SICIUANI  87 

campo  del  nostro  dialetto.  Ma  noi  (e  ci  si  perdoni  se  appariamo  di 
presumere  in  cosa  che  ci  ò  tanto  a  cuore)  vogliam  (are  una  distin- 
zione, necessaria  del  resto,  a  tal  proposito:  e  diciamo,  che  a  nostro 
credere  uno  è  il  vocabolario  siciliano  italiano ,  uno  il  vocabolario 
dell'  uso  siciliano;  quello  è,  o  dovrebb'  essere^  il  prontuario  di  tutte 
le  voci  comuni  del  dialetto,  intese  ed  usate  in  ogni  pia  riposto  an- 
golo della  Sicilia';  questo  il  registro  delle  voci  speciali  ai  tal  paese 
e  quivi  solamente  o  nei  suo  circuito  usate  ed  intese;  V  uno  va  prima, 
r  sJtro  va  dopo.  Altrimenti,  chi  potrebbe  d'u'e  che  la  data  voce  ver- 
nacola usata  nel  dato  luogo  non  sia  la  vera  voce  del  dialetto  ?  e 
perchè  [altra  e  non  essa  debba  esser  la  comunemente  abbracciata  ? 

il  cav.  Salvatore  Vigo,  caldissimo  amatore  delle  cose  siciliane, 
vorrebbe  riparare  a  questo  inconveniente  registrando  la  voce  sotto^ 
dialettale  senza  spiegazione,  ma  col  solo  richiamo  alla  voce  del  dia- 
letto ;  cosi ,  egli  dice ,  si  comprenderà  la  differenza  che  corre  tra 
r  una  e  V  altra ,  e  si  costringerà  il  provinciale  ad  apprendere ,  ac- 
canto alla  sua ,  la  voce  che  vi  sostituisce  ogni  altro  siciliano.  Per 
quanto  ingegnosa  la  proposta ,  noi  rimaniamo  fermi  nel  nostro 
convincimento,  e  crediamo  che  un  vocabolario  siciliano ,  colle  de- 
bite riserve  e  ne' giusti  termini,  debba  esser  tutto  d'un  pezzo  e 
tutto  d' un  colore;  e  che  il  vocabolario,  per  dir.  cosi  de'  sotto  ver- 
nacoli, debba  venir  di  costa  ad  esso,  il  quale  avrebbe  a  contenere 
il  tesoro  del  parlar  siciliano,  preciso,  minuto  e  senza  smozzìcature, 
senza  idiotismi,  od  abusi  fonetici. 

Tuttavia,  poiché  un  passo  dal  Traina  si  è  dato ,  bisogna  che  da 
lui  si  vada  innanzi ,  raccogliendo  quanto  gli  fia  possibile  ne*  vari 
paesL  La  proposta  di  Salvatore)  Vigo  affeziona  in  certo  modo  a 
questo  partito;  per  altro  in  tali  discipline  meglio  è  abbondare  che 
difettare,  mollo  più  se  si  tenga  di  mira  la  efScacia  ed  evidenza  di 
locuzioni  che  possono  venirci  da  un  contadino  di  Noto,  da  un  pe- 
scatore di  Trapani,  da  un  zolfaio  di  Girgenii  ecc. 

Avvicinandosi  al  popolo  il  Traina  ne  ha  raccolte  le  grazie  più 
gentili  (1).  Sono  tra  queste  gli  alterati  de'  verbali  e  participiali  in 
atOy  ito,  lite,  e  de'  participi  passati;  quindi  le  terminazioni  in  tina,  uni, 
eddu,  edday  izzu,  che  quasi  non  esistevano  pe'  nostri  vocabolaristi  (2). 
La  grande  ricchezza  che  ne  ha  acquistata  l'opera  sarà  forse  meno  ap- 

(I)  Questo  non  sempre  però,  sopralnlto  nelle  lettere  A.  6.  C. ,  dove  molte  Voci  si 
possono  aggiungere  ,  che  il  Traina  omise ,  e  che  di  fatti  aggiungerà  in  un  supple- 
mento alla  fine  del  volume. 

(S)  Non  pel  Mortillaro,  che  moltissime  ce  ne  diede  nell'  opera  sua. 


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88  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

urente  di  quel  che  è  io  realtà;  avvegnaché  coli'  aggiunger  le  voci 
d' uso  il  nostro  avesse  posto  da  parte  quelle  che  ne'  vocabolari  son 
troppo  italiane  o  scientifiche  perchè  non  vengano  comunemente 
usate;  le  sole  che  ha  accolte  —  e  tra  queste  hanvene  pure  di  an- 
tiquate ,  —  gli  è  parato  doversi  bene  tenere  a  mente ,  dubitando 
non  «ieno  vigenti  in  qualche  luogo  di  SiciKa.  In  ciò,  a  dirla  schietta» 
io  vorremmo  più  ardito,  si  che  il  nostro  dialetto  abbiasi  per  lui  un 
vocabolario  tutto  siciliano,  o,  come  desidererebbe  un  illustre  nostro 
concittadino,  delle  sole  voci  che  più  si  allontanano  dalla  lingua  na- 
eionale.  La  ricchezza  del  Traina  è  anche  meno  apparente  perchè 
egli  ha  usato  la  massima  scrupolosità  nel  togliere  le  ripetizioni 
che  nel  Mortillaro  si  hanno  di  ubo  slesso  proverbio»  di  una  stessa 
frase,  sotto  le  voci  differenti  che  V  uno  e  V  altra  compongono. 

Insieme  a  tanta  ricchezza  molte  nuove  definizioni  ner  son  venute 
fuori ,  non  esistenti  fin  qui.  Ben  dichiarata  è  la  natura  grammati- 
cale delle  voci  ;  acuta  qualche  provenienza  francese,  spagnuola  ecc.  ; 
ben  adatti  i  raffronti  del  dialetto  vivente  colla  lingua  del  dugento  e 
del  trecento  d'Italia;  raffronti  che  il  Traina  istituisce  avendo  alle  mani 
Busone  da  Gubbio,  Jacopone  da  Todi,  Dino  Compagni,  Guittone  di 
Arezzo,  Guido  Cavalcanti ,  Pier  della  Vigna ,  i  Halispini,  i  Villani, 
ed  altri  tali. 

Venendo  al  secondo  aspetto  del  nuovo  indirizzo  del  Traina,  cioè 
al  corrispondente  italiano  delle  parole  siciliane,  crediamo  superfluo 
ripetere  il  già  detto  da  altri  e  da  noi  stessi,  or  son  due  anni  (i), 
a  proposito  delle  grandi  difficoltà  che  s' incontrano  in  siffatto  lavoro. 
Il  dialetto  ha  delle  particolarità  che  non  ha  la  lingua,  o  se  le  ha, 
nessuno  le  conosce  e  sa  maneggiarle  del  medesimo  modo  che  11  dia- 
letto, nel  quale  è  la  vita  dell'  indivìduo  ;  però  è  veramente  difficile, 
non  che  il  tradurre  dal  dialetto  nella  lingua,  il  trovare  ad  una  voce, 
ad  una  frase  qualunque  la  eguale  italiana.  Può  solo  appianar  questa 
difficoltà  una  lunga  dimora  in  Firenze,  la  conversazione  co'  meglio 
parlanti,  la  lettura  dei  buoni  libri  toscani  :  tre  condizioni  indispen- 
sabili a  cosiffatta  bisogna,  che  i  nostri  non  seppero  tutu  conciliare. 
Due  anni  di  residenza  in  quella  città,  spesi  in  utili  conversazioni, 
in  ricerche  fruttuose  ed  in  letture  profittevoli ,  posero  il  Traina 
nella  condizione  più  favorevole  ad  un  lessicografo  ;  onde  il  suo  libro 
dà  il  desideratum  dei  linguisti  italiani,  partigiani  o  no  del  Manzoni. 
Qualche  citazione  da  recarsi  all'uopo,  potrebbe  mostrare  quanti  ab- 
bagli avesser  preso  alcuni  dei  nostri  vocabolaristi  in  tal  lavoro  di 

{i)  Sludio  erUieoÉtU  Canti  popolari  tieitiani;  {  XIII,  pag.  15i  e  seg.  Pai.  1808. 


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DO  VOCABOLÀRI  SK2LIANI  W 

corrispondenze ,  sia  per  manco  di  critica ,  sia  per  difetto  d' atten- 
zione, sia  per  mala  intelligenza  della  voce  italiana;  ma  questi  esempi 
che  proverebbero  in  fondo  ^  quanto  mal  si  fossero  essi  consigliati 
allorché  stando  in  Sicilia  si  attennero  piuttosto  al  senso- provinciale 
che  al  valore  italiano  di  certe  voci,  e  in  tal  senso  non  dubitarono 
di  usarle  come,  corrispondenze  italiane  quando^  forse  Kalianamente 
ne  hanno  uno  diverso.  Costoro  inoltre,  non  potendo  bene  stabilire 
un  perfetto  raffronto  de'  vocaboli,  molti  ne  registrarono  senza  di- 
stinzione di  sinonimi;  non  tennero  conto  di  barbarismi,  neologismi 
e  francesismi,  non  di  lingua  viva  e  di  lingua  classica,  non  di  cita- 
zioni a  conferma  di  esse  voci;  distinzioni  che  per  avventura  il  nostro 
giovane  vocabolarista  ha  fatto  valendogli  il  lungo  studio  e  il  grande 
amore.  L' uso  toscano  è  stato  sempre  preferito  da  lui  ;  aiutato  dai 
vocabolaristi  e  dagli  scrittori  più  reputati  del  nostro  tempo.  Il  Za- 
notto,  il  Carena  e  il  nuovo  Carena  del  Sergent  per  le  voci  d' arti 
e  mestieri  e  di  uso  domestico,  il  Palma  per  V  agricoltura,  V  Ugolini 
per  le  erronee,  il  Tommaseo  pe'  sinonimi,  il  Fanfani  col  Tommaseo 
stesso  per  tutta  la  lingua,  gli  hanno  apprestato  larga  e  copiosa  messe; 
nessuna  raccolta  di  voci,  per  quanto  piccola  od  oscura ,  è  sfuggita 
aUe  sne  ricerche,  e  nessuna  è  rimasta  senza  la  debita  citazione,  là 
segnatamele  dove  la  voce  pare  dubbia  (1).  Accade  però  che  alcuni 
di  tali  corrispondenti,  sopratutto  di  frasi  e  locuzioni,  manchino;  noi 
non  sappiamo  il  perchè,  ma  certo  vogliam  credere  che  essi  non  esi-. 
stano  né  anco  ne^  vocabolari  più  accreditati;  di  che  viene  acconcio 
avvertire  come  questi  si  sieno  passati  dal  raccogliere  tutti  i  dimi- 
nuitivi e  i  participiali  possibili;  ed  è  da  render  lode  al  Fanfani,  che 
nel  suo  Vocabolarie^  ddF  uso  toscano  li  ha  accennati,  senza  del  resto 
riportarli  lutti;  e  al  Tommaseo,  che  nel  suo  grande  ì)izionario  della 
lingua  Ualùma  ce  li  viene  recando. 
Un  cenno  ancora  del  modo  onde  son  registrate  le  voci ,  e  della 

(I)  Tra*  lavori  diversi  ctie  egli  ha  consultali  per  la  parie  siciliana  e  perle  corri^poD- 
dense  italiane  abbiam  trovato ,  oltre  le  raccolte  di  canti  del  Vigo  e  del  Salomone,  i 
seguenti  :  Nomenclatura  di  Enrico  Di  Mibgo  :  Palermo,  1868;  Parole  di  tuo  dome' 
siieo  di  arti  e  metlieri  ueate  nel  dialetto  eieUiano  con  le  corrispondenti  italiane  per 
AifTONiifo  TuMMi NELLO.  Palermo,  nel  Giornale  La  Sicilia,  an.  11*  e  III*  1867-68;  Una 
ca$a  sieUiana,  oitia  Rnceolta  di  voci  siciliane  italiane  attinenti  a  cote  domeetiehe:  Pa- 
lermo,  1870;  Modi  tcelti  della  lingua  italiana  raccolti  dai  Clastici  scrittori  e  proposti 
a*  Giovani  per  Vincenzo  Di  Giovanni:  Palermo,  1867;  Sui  Vocabolari  della  pronun- 
zia e  dell'uso  toscano  compilali  da  Pietro  Fanfani ,  lettere  critiche  di  Alberto  Bu- 
scaino-Gampo:  Trapani ,  1867;  Una  casa  fiorentina  da  vendere  di  Pietro  Fanfani. 
Firenze  1868;  //  Borghini  diretto  dal  Fanfani  ;  /(  Propugnatore  dello  Zambrini;  le 
raccolte  di  cauti  popolari  e  proverbi  toscani  del  Tigri  e  del  Giusti  ecc. 


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90  NUOTI  BFFBUiUlfl  SiGIUANK 

ortografia  adottai  dai  nostro  compilatore.  Qaesta  parte  della  orto- 
grafia è  oramai  diventata  lo  scoglio  sn  coi  rompono  i  coltori  del 
parlar  siciliano.  Chi  la  p^sa  in  un  modo  e  chi  in  un  altro:  ciascano 
Ih  da  sé  e  a  modo  suo,  e  non  vi  hanno  r^ole  fisse  nò  certe.  Gal- 
tanissetta  scrive  e  slampa  diversamente  da  Messina,  M^sina  diyer- 
samente  da  Trapani^  e  tutti  più  o  men  diversamente  da  Palermo. 
Ciò  nasce  per  difetto  di  educazione  in  alcimi»  da  incuria  in  altri , 
da  maniera  di  pronunzia  in  tatti.  Sarebbe  tempo  che  c^  intendes- 
simo su  questa  materia,  affin  di  stabilire  d^  accordo»  per  U  diaMto 
siciliono  comune^  una  scrittura  che  metta  fine  in  avvenire  a  piatì, 
ricbiami  e  battibecchi  tra  scrittori  delle  varie  province  siciliane  e 
perfino  di  una  stessa  provincia  e  di  una  stessa  città.  Qualcosa  sul 
proposito  si  è  fatta  a'  di  nostri;  e  mentre  scriviamo  fervei  opus  di 
un  accordo  tra  le  parti  dissidenti;  e  Lionardo  Vigo  ce  lo  fa  sperare 
nella  pubblicazione  della  sua  Protostasi. 

Il  Traina  s^è  preso  qualche  libertà;  a  taluna  tra  esse  faccìam  plauso; 
a  tutte  no,  altrimenti  andremmo  contro  noi  slessi,  che  raccogliendo 
canti  e  proverbi  non  vogliam  discoslarci  dalla  parlata  naturale.  Egli 
scrive  quasi^  sempre  bene  le  sue  voci  ;  ma  per  non  ribellarsi  del 
tutto  al  tradizionale  italianismo  de'  vocabolaristi  siciliani,  spesso  ne 
adotta  la  forma  rafiSnata.  Se  il  suo  libro  servisse  pel  popolo,  questa 
pratica  salterebbe  agli  occhi;  ma  per  le  persone  che  consulteranno 
r  opera  sua  tal  pratica  non  sarà  avvertita  gran  fatto.  Meglio  cosi. 
Noi  Siam  d^  avviso  che  se  in  una  seconda  edizione  egli  procedesse 
men  rispettoso  alla  ortografia  passata,  P  opera  sua  vi  guadagnerebbe 
due  tanti.  Le  aferesi  delle  voci  comincianti  da  tm,  in  ecc.  son  ne- 
cessarie, e  necessarie  sono  egualmente  certe  metatesi.  Non  sapremmo 
sempre  acconciarci  al  raddoppiamento  di  alcune  consonanti ,  p.  e. 
della  b,  che  il  Traina  usa  nelle  voci  libirari^  Ebrei^  sebbene  qual- 
che volta  lo  avessimo,  dietro  la  sua  scorta,  adottato  anche  noi;  ciò 
porta  complicazioni  che  il  nostro  dialetto  non  ha.  Da  ultimo,  nella 
rassegna  delle  varie  significazioni  di  una  parola  e  delle  varie  frasi 
alle  quali  essa  prende  parte,  noi  desideriamo  un  po'  più  di  ordme. 
Il  Traina,  accurato  sempre,  passa  e  ritorna  con  molta  facilità  dalla 
frase  al  proverbio,  dalla  voce  al  modo  di  dire  e  viceversa.  Pare 
che  tal  difetto  si  vada  correggendo  coir  avanzarsi  dell'opera;  ma  nelle 
prime  lettere  esiste.  Potremo  anche  aggiungere,  che  un  ritorno  sul 
lavoro  arricchirebbe  di  assai  participiali  e  voci  alterate  le  prime  tre 
lettere  dell'  alfabeto  ;  come  un  altro  ritorno  in  Toscana  darebbe  a- 
gio  a  dei  rafi'ronti  che  ad  alcune  parole  e  veggiamo  mancare. 


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DKI  VOCABOLARI  SiaUANl  91 

A  rendere  poi  meno  uggiose  queste  nostre  osservazioni  ci  piace 
chiarire  confonnemente  al  vero  un  modo  proverbiale  spiegato  sotto 
la  voce  cmzima  dal  Traina.  In  Sicilia,  quando  si  fauno  le  orecchie 
del  mercante  in  cosa  che  non  ci  vada  a'  versi,  si  suol  dire:  Aa- 
varrà  wm  la  senti  sta  canzuna.  Il  compilatore  crede  •  nato  questo 
modo  fin  dalla  spoliatrice  dominazione  spagnuola  o  navarrese  >.  Noi 
Siam  riusciti  ad  appura*e  il  seguente  curioso  aneddoto: 

Navarra  fu  un  gran  mariuolo  e  un  ladro  tanto  accorto  da  non  si 
lasciar  cogliere  dalla  Giustizia.  Un  giorno  però  fu  capitato,  e  come- 
chè  le  prove  del  delitto  mancassero,  ed  egli  non  confessava,  il  giu- 
dice molto  scaltramente  gli  disse  :  •  Or  bene,  se  tu  ripeti  una  can- 
zone che  recito  io,  ti  rimando  libero  a  casa;  »  e  incominciò: 

Navarra  fu  piggbiatu  attortamenti.., 
Navarra  ripetè;  e  il  giudice: 

Navarra  P  hannu  misu  a  la  turtura..; 
e  Navarra  appresso  di  lui.  11  giudice  continuò: 
E  p^arrubbari  cavaddi  e  jimenti..; 
ma  Navarra  s^  accorse  che  lo  si  voleva  trarre  ad  accusarsi  di  pro- 
pria bocca,  e  si  affrettò  a  soggiungere: 

Navarra  nun  la  senti  sta  canzuna. 

Per  chi  desideri  un  saggio  del  metodo  tenuto  dal  Traina  neir  o- 
pera  sua ,  noi  riportiamo  in  nota  quanto  egli  scrive  sotto  la  voce 
Cògghiri.  I  vari  significati  ed  usi  di  questo  verbo,  le  firasi,  i  modi 
di  dire  e  i  proverbi  che  T  autore  vi  ha  raccolti  insieme  co^  corri- 
spondenti it^ni  confermeranno  quanto  di  sopra  abbiam  detto.  (1) 

(i)  Cògghiri  V.  a.  Spiccare  erbe>  fiori,  o  frulla  dalle  loro  piarne  :  cogliere,  carré,  E 
quando  si  dice  di  fruita  o  altro  da  raccattarsi  da  sulla  terra  :  roecoyliere  \\l\  Pigliare: 
cogliere.  \\  Raccorrò,  ragunare  :  cogliere.  \\  Giungere  sopraggiungere,  acchiappare  ;  co^ 
oliere. \\ Colpire  :  cogliere.  \\  Sorprendere  all'improvviso  ;  cogliere.\\ — m  pauso  la- 
TiNu,  modo  prov.,  scoprire,  convincer  alcuno  per  bugiardo  :  tbugiardare.  \\ — in  pallu 
ECC.,  sorprendere  nel  fallo .  cogliere  in  fallo  ecc.  ]] — amuri,  affezioni  :  porre  amore, 
prenderti  dell'amore  d*  alcuno.  \\  cogghirisi  o  cuoghirisi  li  pezzi  e  li  lani,  o  cug- 
6B1BIS1LLA,  battersela:  concia,  far  fagotto.  E  detto  a$t.:  morire. ncucGHi risi  tuttu, 
moelrare  di  non  saper  nulla,  scusarsi  tacitamente  o  cedere  e  uniformarsi  con  pazienza: 
stringersi  nelle  spalle,  raggricehiarsi,  rappicinirsi,  sia  per  freddo  che  per  paura  o  al- 
tro. Il  Intr.  Venir  a  suppurazione  :  suppurare,  infradiciare  (Tomm.).  \\  T.  mar,  —  li 
VILI,  ritirar  le  vele  in  modo  che  non  operino  :  piegare,  serrar  le  vele.  fig.  Venir  a  con- 
clusione, riepilogare.w—  li  bobbi,  il  ritirare  e  metter  assieme  i  panni  che  furono  scio- 
rinati onde  asciugarsi  o  pigliar  aria:  raccattare.  \\  —  priscu,  esporsi  all'  aria  fredda: 
pigliar  una  imbeccata,  pigliar  fresco.  \\ — Vizi,  allontanarsi  dal  buon  sentiero  pi- 
gliando Tizi  :  incattivire,  prender  vizi.  \\  —  dinabi,  mettere  insieuìe  danaro:  raggruz- 
zolare. Talora  significa  riscuotere  da  più  persone  o  tórre  con  furberia.  \\  Andar  at- 
torno per  limosina  per  sé  o  per  altri:  accattare,  raccogliere.  \\  l'acqua^  raccattarla  % 


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92  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

Riassumendo  il  molto  in  poco,  il  Ntwvo  Vocabolario  del  Traina  è 
opera  soda ,  grave  ed  utilissima  ;  pei^fetta  non  la  diremo  nò  com- 
pleta, che  tale  non  sarà  mai  il  vocabolario  di  una  lingua  vivd,  che 
tuttodì  si  arricchisce  di  nuove  parole,  vuoi  per  cose  nuove,  vuoi 
per  nuove  istituzioni  e  per  nuovi  fatti;  ma  se  non  perfetta  né  com- 
pleta, essa  è  migliore  tra  le  pubblicate  finora,  senza  le  quali  però 
tale  non  sarebbe.  Forse  clii  verrà  dopo  il  Traina  sarà,  non  diciam 
più  amoroso  e  diligente,  ma  più  fortunato ,  e  allora  anch'  egli  ne 
sarà,  crediamo,  contento,  vedendo  in  ciò  non  altro  che  il  progresso 
della  lingua  che  egli  caldamente  ama ,  e  una  conferma  della  sen- 
tenza di  Seneca  (1):  Muttum  restai  adhuc  operis^  muUumque  resta- 
bit,  nec  ulU  nato  post  miUe  saecula  predudetur  occasio  aUquid  adji' 
ciendi. 

6.  PrrEi 


stento,  rasciugarla  facendola  sozzare  \\  ^  lu  cottu  b  lu  crudu  o  tutti  cosi,  ragonar 
la  roba  per  andar  via  :  far  fardello,  affardellare,  \\  cugghirim  li  capiddi,  rassettare  la 
capellatura:  raeeorre,  melter  in  Mesto  i  capelli.  \{  gugohirisi  la  vesta,  —  lv  piriuolu^ 
tirarlo  su  che  non  ìstrascichi  :  suceignere.  \\  Comprendere,  intendere  :  raccapezzare.  \\ 
—  LI  voti,  —  LI  VUOI  :  raeeorre  i  voti.  \\  —  filu,  sita  ecc.,  ravvolger  il  filo  nel  gomi- 
tolo :  aggomitolare,  dipanare.  \\  —  malatii,  incorrere  in  malattia  *  ammalarsi,  m- 
fermarsi.  \\  »  abbìli  V.  abbiliarsi.  \{  a  lu  cogghiri  li  firriola,  al  far  de' conti:  da 
ultimo,  aUa  perfine.  \[  nun  putirinni  cogghiri  menti  V.  Catacoggbiri.  E  non  poter 
trarne  costrutto  :  non  poterne  raccapezzare.  {{  Ne*  Canti  popolari  Toscani  raccolti  da 
Tigìi,  vi  è  :  ioghiere,  e  ancora  nelle  campagne  Aorentine  si  usa  P,  pati,  cuoohiutu  : 
eolio, 
(1)  Epist.  lib.  i,  L.  XIV. 


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IPPOLITO 

DRAMMA  D'EURIPIDE 

(Coniinuaz.  Vedi  voi.  II,  dìsp.  I) 


Nunzio 
Ajuto,  ajulo  !  Accorrete,  accorrete, 
0  vicini  abitanti.  Ahimè  !  Fra  i  lacci 
É  la  regina  di  Teseo  consorte. 

Coro 
Ahimè!  Tutto  fini.  Lfa  regal  donna 
Non  è  più  ;  ma  sospesa  è  a  pensil  fané  ! 

Nunzio 
Né  v'  affrettale,  né  si  reca  nn  ferro , 
Che  il  nodo  sciolga  dalia  saa  cervice  ? 

Alcune  del  Coro 
Che  mai  faremo,  amiche?  Entrar  le  soglie 
T  aggrada  e  tórre  all'  avvinghiate  corde 
Latregina  ? 

Altre  del  Coro 
Ma  che!  Non  ha  qui  forse 
De^  giovani  valletti  ?  Il  darsi  briga 
Di  troppo,  non  approda  al  viver  queto. 

Nunzio 
Distendete,  addrizzate  il  miserando 
Cadavere.  Ben  tetro  ufficio  è  questo 
Pe'  miei  padroni! 

Coro 
La  misera  donna 
Passò,  com'  odo,  perchè  ornai  composta 
Veniva  al  par  d' inanimata  spoglia. 

Teseo 
V  è  noto,  0  donne,  che  fragor  sia  questo 
Che  neiraule  si  leva?  Alto  de'  servi 
A  me  giunge  il  clamor,  né  fatto  degno 
Son  io,  che  dagli  Oracoli  tornando 
M'accolga  la  famiglia  in  lieta  fronte, 
E  r  uscio  m' apra  della  mia  dimora. 
Forse  novello  alcun  sinistro  accadde 


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94  NCOVB  EFFEMERIDI  S1GII.UNE 

Alla  vecchiezza  di  Pitlèo  ?  Ben  mollo 
Innanli  egli  è  con  gli  anni;  e  pur  mi  fora 
D'acerba  doglia,  se  di  lui  diserte 
Fosser  queste  mie  case. 

Coro 

Oh]  di  canuti 
Non  si  parla,  o  Teseo  ;  ma  piangerai 
Un  vago  fior  di  giovinezza  estinto. 

Teseo 
Ohimè!  La  vita  si  spogliò  d'alcuno 
De'  figli  miei  ? 

Coro 
Vivono  ;  estinta  giace 
Per  estremo  tuo  duol  la  madre  loro. 

Teseo 
Che  dici  ?  É  morta  la  compagna  mia  ? 
Ma  come? 

Coro 
Si  sospese  a  pensil  fune. 

Teseo 
Oppressa  da  tristezza,  o  da  sinistro 
Caso? 

Coro 
Ciò  solo  udimmo.  Or  or  venuta 
Qui  sono  a  deplorar  le  tue  sciagure. 

Teseo 
Ahimè  I  Che  giova  incoronarmi  il  crine 
D' inteste  frondi,  se  misero  tanto 
É  il  mio  ritorno  dalle  pizie  sedi? 
Disserrate  le  imposte;  aprite,  o  servi, 
Le  porte,  ond'io  rimiri,  ahi  duro  aspetto! 
La  donna  mia,  che  col  morir  m' uccise  I 

Coro 
0  sventurata,  quanto  osasti!  Ahi!  quale 
Opra  compiesti  da  confonder  tutta 
Questa  famiglia  !  Quale  ardire  !  0  spenta 
D' iniquo  fato  per  la  forza  e  V  opra 
Di  tua  mano  infelice  !  E  inver,  chi  mai 
0  miseranda,  t' abbujò  la  vita  ? 


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IPPOUTO,  DRAMMA  O'EURIPIDE  95 

Teseo 
Ahimè  perduto  pei  sofferii  affanni  t 
Immensi  sono  i  miei  lormenli.  0  Sorte, 
Come  grave  su  me,  sulla  mia  casa 
Ti  riversasti  t  0  inopinata  offesa 
D'un  demone  maligno,  anzi  mortale 
Ruina  di  mia  vita!  Un  mar  d'ambasce 
Senza  scampo  già  veggo.  Ahimè  meschino  t 
Che  ti  dirò  ?  Come  per  me  si  puote 
Nomar  Tempio  tuo  fato,  o  sposa  mia, 
Se  come  augel,  che  dalla  man  trasvola, 
Rapida  a  Plulo  spiccandomi  un  salto 
Disparisti  ?  Ahi  sventura  !  Io  la  ripeto 
Da  più  rimota  fonte....  da  taluna 
De'  miei  maggiori  inespiata  colpa  ! 

Coro 
Non  a  te  solo,  o  re,  tal  fato  incolse  ! 
Con  altri  molti  bai  tu  perdute  illustri 
Nozze. 


Sotterra  nel  bcyo  morendo 
Abitar  mi  fia  dolce,  or  che  tt'ò  tolta 
La  tua  soave  compagnia  ;  che  troppo 
Pili  di  te  stessa  io  son  per  te  perduto. 
Ma  donde  udrò,  come  al  tuo  cor  s' apprese 
Questo  feral  destino?  E  alcun  non  havvi, 
Che  lo  mi  narri?  0  questa  Reggia  forse 
Un  vano  stuol  di  servi  miei  rinserra? 
Quanto  infelice  io  per  te  sono  !  Ahi  !  quale 
Suprema,  inenarrabile  sciagura 
Mi  s' appresenta r  Ahi!  che  perduto  io  sono. 
Diserta  è  la  mia  casa,  orfani  i  figli  ! 

Coro 
0  la  più  cara,  o  la  più  degna  donna, 
Che  la  luce  del  Sole  e  la  notturna 
Stellata  Luna  rimirar  giammai, 
Mi  lasciasti,  lasciasti  in  abbandono  ! 
Ahi  che  ruina  alla  famiglia  incolse  ! 
Circonfuse  di  lagrime  le  ciglia 
Mi  sento  per  pietà  del  tuo  dolore, 
E  temo  il  danno  che  verrà  dappoi! 


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96  nuovb  effemebioi  sigiuame 

Teseo 
Obt  ma  che  fia,  che  dir  Yorrà  qael  foglio 
Che  dalla  cara  man  pendere  io  yeggio? 
Lettere  forse  mi  vergò  la  mesta. 
Delle  nozze  chiedendo  e  della  prole? 
Fa  cor,  meschina  1  Un^  altra  donna  mai 
Non  entrerà  ne  i  talami  e  le  case 
Del  tao  Teseo.  Ma  del  caston  V  impronta 
Deir  aureo  anello,  che  fregiò  V  estinta 
A  se  m'invita.  Or  sa;  svolgansi  i  nodi 
Di  quei  sigilli,  e  apprenderò  che  dirmi 
Voglia  omai  quello  scritto. 

Coro 

Oh  !  pur  quesr  altra 
Sciagura  un  Dio  qui  di  rimando  arreca  I 
Ahi  I  che  vital  più  non  saria  lo  stalo 
*  Del  viver  mio  dopo  tal  fatto  t  Spenta, 
Ahi  I  non  più  viva,  la  famiglia  io  credo 
De'  miei  padroni.  0  Dio,  se  far  si  puote. 
Non  voler,  che  del  tutto  esterminata 
Sia  questa  casa.  Oh  I  le  mie  preci  ascolta  ; 
Che  di  nuovi  disastri  io  son  presaga  t 

Teseo 
Misero  me  i  Qual  altro  orribil  caso 
Intollerando,  inenarrabil  giunge! 

Coro 
Che  avvenne?  Ohi  parla,  del  tuo  duolo  a  parte 
S'esser  io  posso. 

Teseo 
Esclama,  esclama  orrende 
Cose  quel  foglio  !  Ah  1  come  mai  sottrarmi 
A  tanta  mole  di  sciagure  ?  Al  tutto 
Desolato  son  io,  mancar  mi  sento. 
Ahimè  perduto!  Qaai  sonar,  quai  note 
Da  quelle  cifre  ascolto  I 

Cono 
Una  favella 
D'aspri  evenli  foriera,  or  tu  riveli! 

Teseo 
Ohi  non  fla  mai  che  a  si  crudele  oltraggio 


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IPPOLTTO,  DRAMMA  D'EURIPIDE  97 

Intolierando  queste  labbra  io  chiuda  f 
0  cittadini,  cittadini,  Ippolito 
A  violenza  osò  macchiare  il  mio 
Talamo,  e  il  sacro  osò  sprezzar  di  Giove 
Occhio,  che  tutto  V  Universo  mira  I 
0  gran  padre  Nettuno,  or  delle  trine 
Imprecazioni,  di  che  don  mi  fosti. 
Ti  risovvenga,  e  d^una  d*esse  uccidi 
11  figlio  mio;  né  questo  giorno  ei  «fugga, 
Se  a  me  largisti  il  non  pregarti  invano  I 

Coro 
Togli  que^  voti,  o  Sire....  Appresso,  oh  i  Dio, 
Ti  fia  noto  Terror....  M'odiJ 

Teseo 

No,  mai  ! 
E  inoltre  il  bandirò  da  questa  terra. 
Cosi  trafitto  da  V  un  fato,  o  V  altro 
Ei  fia....  Nettuno,  se  il  mio  prego  ascolta, 
Spento  alle  case  il  manderà  di  Pluto  ; 
0  da  questa  contrada  esule,  errante 
Ei  vivrà  mesta  vita  in  suolo  estrano  ! 

Ck)RO 
Ecco  tuo  figlio  ;  air  uopo  giunge.  Smetti, 
0  re  Teseo,  V  ira  malvagia,  e  meglio 
Provvedi  ai  casi  della  tua  famiglia. 

continua)  G.  De  Spugues. 


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98  NUOVE  EFFEMBRIDI  SICILIANE 

A  UONARDO  CAV.  VIGO 

Pel  iuo  epico  nazionaU  poema 

Il  Rugoibbo 

ili  un'aurea  medaglia 

dall'  Accademia  degli  Zelanti  di  Acireale 

nella  eolenne  generale  adunanza  i2  marzo  1868 

Donato 

Illustre  vale,  a  Te  dunque  cortese. 
E  giusta  Jnsiem,  tributa  Aci  condegno 
Onor  pel  carme  ch'immortal  ti  rese 
Sovra  ogni  proda  dell'Ausonio  Regno? 

Oh  ben  sparsi  sudori,  oh  bene  spese 
Vigilie  a  far  col  tuo  sublime  ingegno 
Conte  del  prò'  Rnggier  le  mire  imprese 
Che  Trinacria  francar  da  giogo  indegno! 

'Godi,  0  Spirto  sovran,  che  n'hai  ben  donde; 
£  nuovi  lauri  a  cor  sprone  ti  sia 
Il  plauso  che  ti  fa  Tore  gioconde. 

Dell'  Itala  Epopea,  gridar  s' udia» 
Passò  jstagion;  ma 41  Genio  tuo  risponde: 
Schiusa  ai  pochi  è  iutlor  l'eccelsa  via. 

GenoTa,  4  gennaio  1869. 

Prof.  Giuseppe  Gavino 


CURIOSITÌ  STORICHE  SICILIMIE 


Miniere  metallielie  in  Sicilia  (I).  Prima  delle  ricerche  del- 
l'Adria e  del  Khez  le  nostre  miniere  metalliche  erano  state  sag- 
giate fln  dal  1402.  Leggesi  infatti  net  voi.  39  fol.  62  dell'Archivio 
della  Cancellerìa  del  Regno  in  Palermo  che  il  re  Martino,  con  di- 
ploma dato  in  Catania  il  18  aprile  X*  indizione  (H02),  avendo  a- 

(1)  Questi  dae  documenti  su  le  nostre  miniere,  che  illustrano  più  completamente 
r  argomento,  dobbiamo  alla  squisita  cortesia  del  ch.mo  Bar.  Raffaele  Starrabba , 
die  dal  R.  Archivio  mandavaceli  trascrìtti  con  sua  pregiatissima  lettera  del  14  aprile. 
Onde  pubblicamente  e  di  tutto  cuore  qui  lo  ringraziamo. 


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99 

vuto  informazione  da  Berto  Bilione  da  Messina»  Filippo  di  Ariano 
da  Pozzuoli  ed  Andrea  Carlino  da  Napoli  della  esistenza  di  miniere 
di  allume,  di  argento,  di  rame,  di  zolfo,  di  ferro  e  di  pulviri  di  ga- 
miUu  (ne)  nel  territorio  di  Messina,  e  propriamente  nel  tenere 
dei  casali  di  Fiumedinisi  e  di  Ali,  concede  loro  <  Ki  p(»zana  chir- 
cari  et  operari  in  li  predicti  minori  tuctu  qaillu  ki  ad  ipsi  sirra 
possibili,  tam  di  alumi  quanta  di  argenta,  di  rami,  di  sulfara,  di 
ferru,  di  pulviri  di  gamillu,  quanta  eciam  di  omni  altra  mitallu, 
terra  e  pelra  ki  pozanu  truvari  in  tucti  li  territorii  di  li  loki  pre- 
dicti et  in  la  dieta  muntagna  di  muntiscueri,  exceptu  minerà  di 
aura,  a  la  quali  fachimu  omnimoda  prohibicioni,  danduli  licencia 
ki  li  pozanu  chircari  per  tri  anni  continui  et  completi....  volendu 
nichilominus  ki  li  predicti  Berlu  e  cumpagni  sianu  tinuti  di  dari 
e  pagari  a  la  curti  nostra  dui  per  chintinaru  di  tucti  li  quantitati 
di  dinari  provenienti  et  ki  trahirannu  di  li  vindicioni  ki  farrannu 
di  li  mitalli  et  pulviri  predicti ,  promictenduli  ex  pacto  di  non 
consentiri   ki  infra  li  dui  anni  primi....  nulla  altra  persuna  poza 
ne  digia  aflSdarisi  in  li  territorii  predicti  a  chircari  et  operari  li 
supradicti  minori;  in  tertio  vero  anno....  sia  licitu  a  la  curti  no- 
stra ad  fìdari  omni  altra  persuna  ki  vogla  intrari  in  li  dicti  ter- 
ritorii et  chircari  et  operari  li  supradicti  minerii ,  ita  tamen  ki 
quilli  kinchi  fussiru  affi  lati  infra  lu  annu....  non  pozanu  ne  di- 
giann  cavari  ne  chircari  a  quilli  minori  ki  sirrannu  scuperti  et 
travati  per  li  predicti  Bertu  et  soi  compagni.  > 
Un  altro  documento  che  qui  soggiungiamo  proverebbe  la  esistenza 
di  miniere  di  ferro  nel  tratto  di  terreno  tra  Capizzi  e  Caronia.  Ecco  di 
quanto  si  legge  in  una  lettera  scritta  da  D.  Francesco  Mario  Bolo- 
gna al  Viceré  Duca  d'Ossuna,  data  il  ì%  ottobre  1614  e  conservata 
neir  Archivio  della  Real  Segreteria  (Alza  l,anni  1502-1624).  •  Per 

<  essequtioni  dell'ordini  di  V.  E.  ho  fatto  riconoscere  le  mineri  di 
«  ferro  nella  Città  di  Capizzi  et  Terra  di  Caronia,  et  per  quanto  da 
«  personì  antiche  et  esperti  mi  sono  informato,  trovo  che  le  mineri 

<  nella  detta  Città  et  Terra  vi  sono,  et  si  ponno  cavari,  et  mettiri 
•  in  opera,  anzi  ho  parlato  con  alcuni  personi  chi  hanno  lavorato 

<  et  operato  detto  ferro,  et  specialmente  il  ferro  della  miniera  di 

<  Schisi  ;  et  a  maggior  cautela  ho  mandato  il  soldato  Francesco  Bel- 
«  tramo  in  detti  luoghi  a  cavare  alcuna  quantità  e  portarla  a  Pa- 
«  lermo  per  farai  la  prova,  et  di  quanto  sequirà  uni  darò  a  V.  E. 
«  puntualmente  relazione.  > 

(I,  157)  Mattea  in  veeeliiii.  Quando  in  Palermo  vogliamo  in- 
giuriare uno  come  nemico  degli  ecclesiastici,  lo  chiamiamo  Mattea 


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100  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

lu  vecchiu.  Di  questo  io  leggo  nel  Giornale  istorico  cronologico  ms. 
(li  D.  Giuseppe  Ficarra  (Tom.  H,  pag.  3302)  che  «  aveta  per  ufficio 

•  di  catturare  tutti  gli  ecclesfaslici,  li  quali  (nel  tempo  delP  Inter- 
«  detto)  dalla  Sacra  Giunta  erano  esiliati  da  questo  R^no,  perchè 

•  non  volevano  comunicare  cogli  scomunicati.  >  Egli  fu  ucciso  a  22 
giugno  4719,  ed  il  di  lui  cadavere  essendo  stato  portato  al  Carmi- 
ne, per  ivi  ricevere  sepoltura,  fu  espulso  da  quelli  Padri  ;  lo  che 
anche  fecero  li  PP.  Riformati,  cacciandolo  pure  dalla  Chiesa  di  S. 
Antonio  di  Padova:  per  lo  che  finalmente  fu  sepolto  nel  giardino 
vicino  il  Cimitero  deir  Opera  Santa ,  fuori  porta  di  Vicari. 


GRITia  LETTERARIA 


aioberti  e  la  niosofia  STaova  Italiana  per  Pietro  Luciani. 
Parte  prima  — Fttoso/to ^««ofórtca.  voi.  lo  e*».  Napoli,  1868-1869. 

La  spiegazione  hegeliana  che  volle  fare  il  prof.  Spaventa  della 
filosofia  del  Gioberti  ridestò  nel  Luciani  un  antico  suo  disegno  di 
ritrarre  nella  sua  vera  natura  la  mente  e  la  dottrina  di  Vincenzo 
Gioberti ,  e  cosi  è  venuta  fìiori  in  due  Tolumi  la  Parte  Prima  di 
quest^  opera,  che  fa  molto  onore  all'  egregio  sig.  Luciani.  La  filo- 
sofia del  Gioberti,  raccolta  dalle  opere  pubblicate  si  vivente  V  au- 
tore, e  si  dopo  la  morte  dello  slesso  dal  Massari,  è  dal  nostro  critico 
distinta  in  moterica  e  acroamatica,  al  modo  delie  antiche  scuole;  e 
questa  Prima  Parte  del  suo  hbro  si  attiene  alla  sola  essoterica.  Volle 
lo  Spaventa  far  quanto  meno  italiana  la  filosofia  del  Gioberti,  e  il 
Luciani  ha  per  iscopo  mostrare  questa  italianissima,  nostrana ,  cat- 
tolica, e  combattere  coraggiosamente  la  corruzione  del  pensiero  ita- 
liano per  r  invasione  della  filosofìa  straniera.  E  con  la  filosofia  ita- 
liana fa  difesa  eziandio  della  letteratura  e  delParte  nostra,  in  che 
appare  propriamente  la  vita  di  una  nazione. 

Pertanto ,  secondo  il  Luciani ,  va  opposto  il  suo  libro  a  quello 
dello  Spaventa,  da  cui  il  Gioberti  è  stato  in  tutto  franteso;  e  così  pro- 
cede ad  esporre  con  larghezza  e  perizia  di  analisi  e  di  sintesi  tutta 
la  dottrina  del  Torinese. 

Il  capitolo  primo  è  Lltalia  e  P  HegeUanismo;  e  vi  sono  sposte  le 
condizioni  morali  d' Italia  dal  1820  al  1840,  e  le  conseguenze  che 


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GBITIGA  LETTERARIA  lOi 

V  hegelianìsmo  avrebbe  portati  danni  maggiori ,  anziccbè  qualche 
lace  e  speranza  di  salate  air  ItaUa.  Nò,  siccome  si  dà  a  vedere,  nel 
capitdo  secondo  sarebbe  bastata  al  rinnovamento  del  proprio  ita* 
liane  il  psicologismo  della  scuola  cartesiana  ;  solamente  sufficiente 
aU^  opera  si  era  il  platonismo  fatto  cristiano;  ed  ecco  V  opportunità 
deUe  dottrine  messe  innanzi  dal  Gioberti  sì  nell'  ordine  morale  e 
religioso  e  si  nel  civile  e  politico,  li  Gioberti  si  propose  per  Tlta- 
lia  quello  che  Platone  per  la  Grecia ,  cioè  combattere  per  tutto  la 
sofistica  e  riformare  la  scienza.  Ma  le  dottrine  di  uno  scrittore  non 
si  possono  studiare  senza  la  sua  vita,  e  però  il  Luciani  dà  nel  Gap. 
quarto  il  processo  detta  vita  inteUetUiole  e  ordine  ideale  déUe  opere 
di  Gioberti  ;  processo  studiato  assai  bene ,  tanto  da  poter  porgere 
nettamente  nel  cap.  quinto  la  liiieazione  di  tutta  la  dottrina  di  Gio- 
berti ritratta  dalla  prima  sua  opera^  cioè  dalla  Teorica  del  Sopra- 
naturale, (tede,  il  volume  va  concbiuso  che  V  opera  del  Gioberti  fu 
un*  opera  di  nazionale  rinnovamento  nel  pensiero,  che  nessun'  altra 
filosofia  tranne  la  giobertiana  sarebbe  stata  e  nazionale,  e  civile  e 
religiosa,  qvale  alP  Italia  si  conveniva  e  si  conviene;  né  è  da  pen- 
sare che  r  illustre  filosofo  e  riformatore  siasi  mai  nelle  diverse  sue 
opere  sostanzialmente  contraddetto. 

Il  Gioberti  non  cominciò  a  mettere  in  atto  il  suo  disegno  che 
quando  già  nella  sua  mente  era  legato  e  compiuto.  E  V  esecuzione 
del  disegno  meditato  per  più  che  venti  anni  cominciava  secondo  il 
Luciani  con  V  Introduzione  allo  studio  della  filosofia,  e  doveva  aver 
fine  con  la  Riforma  Cattolica  della  Chiesa. 

Nel  nostro  critico  non  va  nulla  dissimulato  ;  egli  accetta  il  Gio- 
berti tale  quale  lo  danno  le  opere  pubblicate  e  il  Carteggio;' e  in- 
tanto lo  mostra  sempre,  da  dopo  il  183K  in  poi,  consentaneo  a  se 
stesso,  e  non  alienato  mai  da'  principi!  filosofici  e  religiosi  ne'  quali 
si  era  fermalo.  Le  ultime  opere  non  sarebbero  che  la  spiegazione, 
non  della  forma ,  ma  della  sostanza  delle  prime.  E  il  voi.  %^  di 
questa  Parte  Prima  dell'  opera  del  nostro  crìtico  si  apre  difatti  colla 
sposizione  della  Introduzione ,  ctie  è  la  prima  scrittura  colla  quale 
il  Gioberti  dava  fuori  il  suo  disegno. 

Ad  intendete  meglio  il  quale  hai  in  esso  volume  per  primo  l' an- 
damento della  filosofia  italiana  nel  nostro  secolo,  finché  t  V  autono- 
mia dell'  ingegno  speculativo  italiano  spiega  il  suo  ultimo  e  com- 
piuto atto  con  Vincenzo  Gioberti.  >  E  assai  profondamente  è  stu- 
diata la  polemica  del  Gioberti  col  Rosmini,  cosi  come  sono  addentro 
sviscerate  le  due  opposte  dottrine  dell'ontologismo  e  del  psicolo- 


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102  NUOVB  KFFtMBRIDI  SK^UANE 

gismo ,  ed  è  guardata  con  molta  acutezza  di  vista  la  teorica  della 
creazione  signiScata  neUa  famosa  formola  l' Ente  area  le  eristenze  ; 
nella  qoale  si  raccolse  V  antica  e  la  nuova  fliosofla ,  e  il  procedi* 
mento  storico  che  die  finalmente  alla  scienza  la  sifiàtia  formola.  Pel 
Luciani  tutto  il  forte  e  il  secreto  della  filosofia  giobertiana ,  nella 
quale  non  vuol  distinte  sostanzialmente,  come  altri  ha  fotte ,  due 
fasi ,  sta  nella  distinzione  e  natura  del  pensiero  immanente  e  del 
successivo ,  deir  intuito  e  della  riflessone ,  del  modo  obbiettivo  e 
divino  e  dell'  altro  subbiettivo  e  umano  del  pensiero  ;  e  da  ciò  che 
<  la  stessa  riflessione  che  v'  ha  tra  la  riflessione  e  V  intuito,  tra  il 
pensiero  successivo  e  V  immanente,  v'  ha  tra  la  filosofia  essoterica 
del  primo  periodo ,  e  V  acroamatica  del  secondo  ;  e  il  l^ame  e  la 
unione  che  v'  è  tra  queste  due  filosofie  ò  il  medesimo  che  lega 
ed  unisce  le  due  facoltà  e  i  due  pensieri  (pag.  135).  >  Il  critico 
napolitano  siccome  si  è  detto  non  trova  opposizione  alcuna  nelle 
scritture  del  Gioberti,  ma  due  faccio  di  uno  stesso  pensiero,  due 
periodi  dello  stesso  senso,  condotti  da  natura  e  da  arte  del  filosofo 
che  sapeva  come  porgere  io  stesso  sistema  sotto  forma  progres- 
siva, ascendendo  dal  più  facile  al  senso  più  difficile  della  dottrina. 
Pertanto ,  secondo  il  Luciani ,  il  Gioberti  nelle  ultime  opere  non 
smesse  mai  i  principi  delle  prime  ;  in  tutte  e'  è  lo  specchio  dia- 
lettico della  mente  delP  autore,  e  a  torto  da  certuni,  o  per  lodare 
0  per  biasimare  giusta  i  diversi  intendimenti  il  filosofo  torinese, 
si  è  predicalo  che  Gioberti  avesse  contraddetto  a  se  stesso  sia  fe* 
licemente  secondo  gli  uni,  sia  infelicemente  secondo  gli  altri. 

Il  Luciani  ha  fatto  studio  pazientissimo  e  diligente  delle  lettere 
del  Gioberti,  nelle  quali  trovò  il  filo  che  lega  tutte  le  opere  dello 
illustre  filosofo  ;  e  non  nega  che  ci  fu  tempo  quando  il  Gioberti 
ebbe  della  filosofia,  della  civiltà,  e  della  religione  tutt' altro  concetto 
che  quello  già  formato  nella  sua  mente  quando  si  die  all'  opera  dello 
scrittore,  e  poi  svolto  per  tutta  la  vita,  senza  più  mutarlo  nella  so- 
stanza, ma  solamente  maneggiandolo  differentemente  ad  arte  ed  a  ne- 
cessità richiesta  dal  sistema  medesimo.  Lo  svolgimento  del  pen- 
siero del  Gioberti  sia  rispetto  a  filosofia;  sia  rispetto  a  politica  e  a 
religione  fu  un  dramma ,  diviso  in  tre  atti ,  dice  il  Luciani  sopra 
parole  dello  stesso  Gioberti  :  «  il  primo  atto  contiene  la  filosofia  es- 
soterica, il  terzo  r  acroamatica ,  il  secondo ,  in  cui  accade  la  lotta 
co'  Gesuiti  tappresenta  il  trapasso  dell'una  filosofia  all'altra  (pa- 
gina 196).  >  U  terzo  atto  potò  aversi  solt'  occhio  dopo  morto  il 
Gioberti  nelle  opere  postume;  e  benché  per  noi  si  creda  che  il 
Gioberti  nel  terzo  atto  dimenticò  qualche  volta  le  mosse  del  primo, 

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CamCA  UETTKRARU  103 

fingendo  intanto  di  arerle  presenti,  vogliamo  augurare  all'egregio 
crìtico  che  nel  terzo  alto  sapesse  yeramenle  trovare  il,  filo  di  rìcon- 
durd  al  primo  senza  salti  e  vie  tortuose ,  ma  dirittamente  e  eoo 
continuità  di  cammino.  Ritorneremo  pertanto  sopra  quest'opera  di 
crìtica  importantissima,  massime  per  le  diverse  sentenze -dello  Spa- 
venta e  del  Ferri,  quando  avremo  a  mani  la  Parte  Seconda  che 
tratterà  della  Filosofia  acroamatica  del  grande  filosofo. 

• V.  Di  Giovanni 

Mcillanisclie  lUrelieii.  Leipzig,  Engehnann,  1870,  voi.  due. 

Dopo  r  esempio  dato  da  quei  due  grandi ,  che  furono  i  fratelli 
Grimm ,  le  novelle  popolari  (Mtìrchen)  sono  divenute  in  Germania 
oggetto  di  lunghi  e  pazienti  studi,  e  già  è  stato  largamente  esplo- 
rato non  il  suolo  patrio  soltanto,  ma  anche  quello  dei  popoli  conter- 
mini, evia  via  quello  dei  lontani.  La  letteratura  universale  {Welt- 
liter(Uur\  la  psicologia  popolare  (Volkspsichologié)  e  la  mitologia  com- 
parata ripromettono  tutte  egualmente  conforti  ed  aiuti  da  quelle  in- 
dagini :  ma  forse  ancora ,  mentre  tuttavia  ferve  V  opera  di  racco- 
gliere e  di  classificare,  non  è  giunta  V  ora  di  chi  abbia  a  dedurre 
r  ultime  conseguenze  scientifiche  di  cdsifatti  studi.  L'Italia  nostra  è 
stata  sinora  una  delle  Provincie  meno  esplorate  dai  dotti  Tedeschi, 
i  quali  forse  isperavano  che  noi  avremmo  da  per  noi  stessi  posto 
mano  air  opera  :  ma  poiché  quella  speranza  non  si  è  ancora  veri- 
ficata, ecco  essi  stessi  cominciano  a  raccogliere  le  novelle  tradizio- 
nali di  un  popolo  ;  e  buono  iniziamento  a  quella  impresa  sono  i  due 
soli  che  annunziamo ,  di  racconti  siciliani.  1  quali  furono  raccolti 
prindpalmente  in  Messina,  dalla  signorina  Laura  Gonzenbacli,  tede- 
sca nata  in  Sicilia;  furono  pubblicati  dal  sig.  Ottone  Hartwig,  già  noto 
per  altri  lavori  sulP  isola,  e  riccamente  annotati,  con  confronti  con- 
tinui ai  racconti  di  altri  popoli  dal  sig.  Reinhold  Kohies  di  Weimar. 
Quanta  ricchezza  di  poesia  sia  dentro  a  questi  due  volumi,  se  1  può 
immaginare  chi,  ancora  neir  età  provetta,  ricordi  quelle  immaginose 
narrazioni,  colle  quali  la  balia  o  la  madre  gli  educarono  la  fantasia 
e  gli  acquietarono  lo  spirito  nell'-età  infantile. 

Sono  in  tutto  02  novelle  tradotte;  che  vengono  riportate  in  dia- 
letto siciliano.  In  fronte  a  ciascun  volume  stanno  frapposti  ritratti 
d' una  giovane  di  S.  Pietro  di  Monforte  e  d' una  vecchia  di  Catania, 
che  furono  fra  le  più  benemerite  cooperatrici  della  signorina  Gon- 
zenbach.  Ecco  un  premio ,  atto  assai  probabilmente  a  sollecitare 
r ambizione  di  altre  popolane  raccontatrici!  A.  D'A. 


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PREMI  E  ONORIFICENZE— Cosare  Gaotù  ha  Tinto  il  premio  di  lira  1500  pro- 
posto dal  Mipistero  della  guerra  per  un  libro  di  lettara  pel  soldato  italiano.  Nel 
concorso  il  sao  ms.  portava  il  motto  :  arma  virumque  eano. 

NEGROUXSIA  —  Il  19  marzo  cessò  di  yiyere  in  Padova  soa  patria  il  conte  An- 
drea Cittadella- Vigodanere,  Senatore  del  regno.  *Egli  contava  75  anni ,  ed  era  ano 
degli  scrttori  più  valenti  e  de'  filantropi  più  sinceri  d'Italia. 

—  Il  5  corrente  in  Urbino  moriva  il  conte  Tullio  Dandolo,  celebre  storico  e  lette- 
rato italiano. 

—  Il  19  è  anche  morto  in  Firenze  il  letterato  Pietro  Bigazzi. 

APOLOGIA  —  Il  letterato  romano  Achille  Monti,  in  un  libro  or  ora  pubblicato  in 
Roma,  ha  tolto  a  difendere  con  buone  e  sode  ragioni  Vincenzo  Monti,  mostrandolo 
politicamente  ottimo  cittadino  e  della  libertà  della  patria  amantissimo. 

SOLENNITÀ'  —  Il  6  aprile  è  sUU  celebrata  in  Urbino  la  fesU  di  Raffaello  San- 
zio, coir  intervento  di  deputazioni  speciali  di  Firenze,  Venezia,  Modena,  Ravenna, 
Mantova,  Perugia.  Il  Tommaseo  da  Firenze  vi  andò  a  leggere  un  discorso  ;  e  Tullio 
Dandolo  vi  recò  da  Rom  i  la  forma  del  cranio  del  famoso  pittore. 

BELLE  ARTI  —  Il  Messinese  Giacomo  Conti,  pittore  conosciutissimo ,  dimorante 
da  molti  anni  in  Firenze,  ha  esposto  per  alcuni  giorni  di  aprile  un  suo  nuovo  qua- 
dro rappresentante  i  Vespri  siciliani,  del  quale  in  un  lungo  articolo  cosi  ragiona  il 
sig.  F.  De  Luigi  nella  Gazzella  del  popolo  di  Firenze: 

«  11  dipinto  di  cui  parliamo  raccoglie  V  attenzione  di  chi  lo  guarda  su  tre  gruppi 
principali;  il  centro  del  quadro  occupato  dall'azione  principale  ,  cagione  e  stimolo 
air  improvvisa  sommossa;  la  sposa  oltraggiata,  discinta,  quasi  svenuta  sta  per  cadere 
nelle  braccia  dei  congiunti  ;  mentre  lo  sposo  rivolge  il  pugnale  desideroso  di  vendetta 
suir  atterrato  Druet.  Più  innanzi  sui  due  lati  del  quadro  due  episodi  della  lotta  tre- 
menda che  sta  per  impegnarsi  ;  suUo  sfondo  la  Chiesa  di  S.  Spirito  e  1  ridenti  din- 
torni di  Palermo,  poi  un  popolo  intero  che  si  agita,  che  chiama  i  compagni  a  rac- 
colta, i  primi  segni  del  furore  popolare  ,  che  vuol  punire  collo  sterminio  l' oltraggio 
del  soldato  straniero,  e  liberare  la  patria  da  obbrobriosa  servitù.  La  tinta  del  cielo 
segna  l' ora  del  tramonto,  è  il  cielo  limpido,  trasparente,  quasi  africano  della  Sicilia; 
sotto  quel  cielo«  si  capisce  come  vegetino  la  palma  e  l'arancio,  come  il  fuoco  romo- 
reggiante  nelle  viscere  della  terra,  animi  lo  sguardo,  le  pose  minacciose  e  sdegnate 
di  quel  popolo  furente.  Dapertutto  lo  sdegno,  il  timore,  l' incertezza,  la'  vendetta, 
la  confusione,  le  speranze  della  lotta  ;  e  tutto  questo  con  una  distribuzione  felicissima 
di  tinte,  con  un  armonico  contrasto  di  colori,  con  una  diligenza ,  e  perfezione  di  di- 
segno e  di  esecuzione  fin  nei  più  piccoli  particolari,  con  un  naturale  raggruppamento 
di  figure ,  che  rivelano  nel  Conti  un  artista  sicuro  nella  mano  e  nel  concetto.  La  tela 
«  racchiusa  in  una  ricca  cornice  durata,  che  porta  al  centro  nella  saa  parte  superiore 
l'emblema  della  Trinacria  e  nei  quattro  angoli  le  armi  delle  quattro  Provincie  prin- 
cipali deir  Isola  :  Palermo,  Messina,  Catania  e  Siracusa.  • 

—  Il  nostro  scultore  Vincenzo  Genovese  ha  terminata  una  statua  in  legno  di  Gesù 
Cristo  risorto  ,  destinata  pel  maggior  tempio  di  Casteltermini.  Essa  merita  lode  per 
la  maestria  ond'è  condotta. 

G.  P. 


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BULLBTTINO  BIBLIOaBAFIOO 


SULLE  ANOMALIE  di  taiuni  wgani  del 
corpo  umatìo  osservale  dal  DpU.  Vin- 
cenzo If  ARCHESANO.  Palormo,  I8M. 

L*A.  dice  an&maUe  e  Don  deformila  o 
moeiruotUà  del  corpo  umano»  quelle  da 
M  oseenrate,  perchè  le  yarìetà  delle  qfuali 
parla  ri  dipartono  ai  dall'ordine  consueto 
va  non  alterano  le  Amiioni  degli  appa- 
recchi dell' organismo.  —  Non  è  a  dire  se 
e  quanto  importino  alle  scienze  anatomi- 
che rifatte  ossenrarioni,  e  i  vantaggi  che 
può  trarne  la  chirurgia  operatoria;  code- 
sto è  stato  avvertito  mai  sempre  dai  più 
grandi  anatomisti  e  chirurgi  da  Plinio  e 
Solino  al  Caldani  e  al  Gorgone.  11  Dot- 
tor Marchesane  tesse  dapprima  la  storia 
delle  anomalie  più  celebri  :  e  poi  viene  a 
descrivere  tutte  quelle  che  gli  è  venuto 
fatto  di  notare  dal  1850  in  qaa,  cioè  ne* 
vent'  anni  da  lui  con  pari  pazienza  ed  a- 
more  spesi  nello  studio  delle  scienze  ana- 
tomiche. Tali  anomalie,  parte  delle  ossa, 
parte  de'  vari ,  parte  de'  muscoli  e  delle 
ghiandole,  de' visceri  del  sistema  nervoso» 
r  A.  passa  a  rapida  ma  chiara  e  precisa 
rassegna,  raffronundole  allo  spesso  con 
altre  rimili  osservate  da  vari  autori  »  e , 
per  divozione  al  santo  principio  del  cui- 
que  suum,  citandone  gli  scopritori  tra  co- 
loro che  han  collaborato  insieme  con  lui. 
G.  P. 

DISCORSO  Ulto  nella  grande  aula  della 
B.  Università  di  Parma  nell'apertura 
di  tutti  gli  studi  il  giorno  XVI  no- 
vembre 1869  da  Pietro  Del  Prato. 
Parma,  1869. 

In  questo  discorso ,  ricco  di  peregrine 
Doliiie  ed  eletto  per  forma,  l'illustre  au- 
tore s'intrattiene  della  veterinaria  e  della 
medicina  comparau  in  Italia  da  Renato 


Vegerio  a'  di  nostri.  Egli,  come  professore 
di  medicina  e  clinica  veterinaria,  è  me- 
glio che  altri  nella  fortunata  condizione 
di  parlare  per  propria  esperienza  di  una 
facoltà  che  coltiva  con  Unto  lustro  e  de- 
coro; e  però  senza  vanterìa  e  iattanza 
rivendica  all'Italia  delle  glorie  che  gli 
stranieri  si  arrogarono,  e  mostra  come  lo 
studio  della  veterinaria,  che  alcuni  si  ar- 
gomentano di  sfatare,  fatto  con  coscienza 
possa  soccorrere  e  venir  soccorso  dalle 
scienze  mediche  guardanti  solo  alla  sa* 
Iute  dell'  uomo. 

Lo  prime  pagine  di  questo  libretto  ac- 
cennano ai  progresri  fatti  dalle  scienze 
morali  e  naturali  nell'età  moderna,  e 
agli  uomini  che  più  vi  hanno  contribui- 
to; donde  apparisce  il  grande  amore  che 
il  dott.  Del  Prato  sente  per  la  patria  co- 
mune, la  quale  va  meglio  onorata  nelle 
sue  glorie,  di  quello  che  adulata  nelle  in- 
temperanze, che  prendon  cosi  spesso  co- 
lore di  aspirazioni  generose  e  di  virtù 
male  interpretate.  G.  P. 

DANTE  E  LA  SICILU,  Bicordi  di  Lio- 
NARDO  Vigo.  Palermo,  L.  Pedone  Lau- 
riel  editore,  1870. 

Ben  augurata  ci  viene  questa  nuova 
pubblicazione  dell'  illustre  Autore  del 
poema  il  Buggiero ,  e  non  indugiamo  a 
darne  contezza  ai  nostri  lettori.  Son  ri- 
cercati in  essa  i  legami  tutti  politici  e  let- 
terari che  uniscono  Dante  e  la  Sicilia  no- 
stra, e  messi  in  piena  luce  il  rispetto  a- 
moroso  del  divino  poeta  per  le  cose  si- 
ciliane, il  suo  amore  ai  re  normanni  e  an- 
che svevi ,  l'ammirarione  al  popolo  gi- 
gante del  Vespro,  l' odio  a  tutti  i  nemici 
di  lui  :  cose  tutte  registrate  nel  Poema  , 
0  nelle  altre  opere  minori ,  dalle  quali 
il  Vigo  con  religioso  rispetto,  le  va  rac 


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106 


NU<>¥B  BFFBnBIDI  SIGILIANB 


cuglieodo»  ed  amorosamente  iUustrando. 
TiUlo  ciò  che  più  da  vicino  riguarda  Tar- 
gom6Dto>  e  pad  dargli  luce»  il  Vigo  esa- 
mina e  discute  :  e  cosi  viene  poi  alla 
lingua,  alla  sua  origine  e  grande  cultura 
presso  di  noi,  onde  «  tutto  {uello  che  gli 
eccellenti  italiani  componevano....  si  di- 
ceva italiano;  •  ai  poeti  volgari  della  corte 
sveva,  ed  a  Giulio  anxitutto  ,  su  V  anti- 
chità del  quale  moltissimo  in  questi  ul- 
timi tempi  si  è  discusso.  Passando  poi 
alle  relazioni  che  corsero  tra  Dante  e  la 
Casa  d' Aragona,  egli  con  plausibili  ipo- 
tesi conchiude,  che  il  Poeta  conobbe  re 
Federico,  forse  in  Velletri  ed  in  Pisa,  ol- 
tre air  amicixia  da  cui  eran  legati ,  per 
testimonianza  del  Boccacci.  Ck>a  inge- 
gnose ed  acute  induzioni  viene  finalmente 
a  mostrare  probabile  la  venoU  dall'  Ali- 
ghieri in  Sicilia,  venuta  che,  se  il  silen- 
zio de'  sincroni  non  può  far  stabilire 
come  certo,  è  però  appoggiata  dagli  Al^ 
dighieri  tra  noi,  dalla  tradizione,  dalTa 
imboieiata  di  Manfredi  a  Dente,  per  la 
figli*  Gostanza ,  dalle  dichiarazioni  del 
Poeta  stesso,  dalla  eonoicenza  del  volgare 
plebeo  ticiliano,  dalle  pitture  topiche  deN 
r  Isola  :  cose  tutte  egregiaaentft  passate 
a  disarnHia  dal  nostro  Autore.  Gon  lui  a* 
dunque  noi  ci  congratuliamo  di  tutto  cuo- 
re, e  per  la  dottrina  che  adorna  questi 
suoi  ricordi,  e  per  la  nuova  luce  che  ver- 
sano essi  suir  Isola  e  sulle  lettere  nostre. 
S.  S-M. 

DIZIONARIO  DELLE  STRADE  DI  PA- 
LERMO, preceduto  da  una  corsa  per 
Palermo  e  suoi  dintorni  e  seguito  da* 
cenni  biografici  degli  uomini  illustri 
nominati  nelle  lapidi  della  città  per 
Carmelo  Piola.  Palermo, Amcnla,  1870. 

Questo  libro  indirizzato  dalFA.  a  quel- 
r  egregio  eh'  ò  il  prof.  G.  Cazzino,  non 
solamente  ci  sembra  pregievole  per  la  u- 
tilità  che  ne  trarranno  le  classi  per  le 
quali  specialmente  venne  composto ,  ma 
pel  vantaggio  che  ne  avranno  tutte  quelle 
persone  cui  sarà  dato  di  svolgerne  lo  pa- 


gine. Infatti  col  nome  delle  strade  paler- 
mitane sono  richiamate  le  tradizioni  sto- 
riche, e  spesse  volte  ancora  le  antiche  co- 
stumanze della  città.  Le  quali  cose ,  che 
molti  diflkilmente  riscontrerebbero  nello 
croniche  antiche  o  nelle  descrizioni  eru- 
dite che  altri  hanno  scritto  di  Palermo , 
coir  opera  del  sig.  Piola  a  tutti  ora  è 
dato  di  conoscere  con  facilità,  e  quasi  di- 
remmo occasionalmente,  n  discorso  d'in- 
troduzione che  prende  ben  XXXIII  pa- 
gine contiene  una  succinta  ed  elaborata 
istoria  della  città  ;  e  in  esso  nulla  è  tra- 
lasciato che  sia  notevole  io  toma  alle  tra- 
dizioni^ alla  topografia  palermiuna.  Al- 
cuno dirà  che  questo  libro  abbia  un  in- 
teresse temporaneo;  ma  noi  crediamo  che 
sia  destinato  a  vivere  per  la  storia  :  per- 
chè infatti ,  di  topografia  non  ci  agite- 
remmo oggi  fra  le  incertezze  se  i  no- 
stri progenitori  ci  avessero  lasciato  di  si- 
mili opere.  S.  G. 

r  PRIMI  SEI  CAPITOU  DELL'  EVANGE- 
UO  DI  SAN  MATTEO  da  un  codice  a 
penna  del  XV  secolo  posseduto  da  un 
sozio  della  A.  Coni,  pei  testi  di  Uugua 
ora  la  prima  volta  messi  a  stampa  con 
note  e  ^liarimenli.  Bologna,  tipi  Fava 
e  Garagnani,  1870. 

Queir  illustre  e  dotto  uomo  eh'  è  il  Gav. 
Francesco  Di  Mauro  di  Pòlvica  è  il  pos- 
sessore del  codice ,  e  1'  editore  di  questi 
sei  Capitoli,  come  a  saggio  della  sua  in- 
tera pubblicazione  degli  Evangeli  ch'egli 
preparasi  a  fare.  Non  dubitiamo  che  que- 
sta riuscirà  una  delle  più  belle  pubblica- 
zioni in  questo  genere,  si  perchè  avrem- 
mo un  prezioso  testo  volgare  dell'  Evan- 
gelio e,  di  vantaggio,  perfettamente  orlo- 
dosso;  si  ancora  perchè  di  aureo  dettolo, 
se  ne  togli  le  uscite  de'  verbi  e  le  termi- 
nazioni de*  nomi  del  vernacolo  napoli - 
tono  e  la  ortografia  romanesca ,  dovute  al 
menante  che  napolitono  e  dimorante  nella 
Comarca  vicino  Roma,  avendo  sott' occhio 
un  autografo  toscano,  versò  nel  suo  la- 
voro a  larghe  troscie  i  germi  delle  tre  re- 
gioni dialettiche  •  « 


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BULLBTTINO  MBUOGRAFIGO 


107 


li  Di  Manro  fe  vedere  la  superiorità  del 
codice  suo  a  paragone  de'  due  volgarina- 
meDti,  e  non  interi,  conoedafi  degli  Evan- 
geli, editi  Tnno  dal  Cicogna,  l'altro  da 
Cristoforo  Arnoldo  :  fa  de'  rafllronti  con 
essi  e  con  i  testi  a  penna  della  Riceardiafka 
di  Firenze  e  con  1*  edizione  principe  del 
Tolgarinamento  del  Malermi.  «  Con  la 
Voigata  nanti  al  goardo  e  spesso  il  testo 
greco  (egli  dice) ,  co'  Comentarìi  del  P. 
Galmet  e  le  Opere  di  San  Girolamo  e  di 
Santo  Accostino,  presi  a  chiarire  le  diffi- 
coltà e  le  oscnrezse  dell*  originale  e  della 
rersione.  Per  qnello  che  alla  linguistica 
ti  attiene,  nd  tutte  discorsi  le  ragioni 
grammaticaU ,  nò  tutte  omisi  ;  ma,  ser- 
bando giusta  misura,  non  lasciai  nodo 
da  slacciare ,  e  neppur  fecimi  a  cercar 
r  osso  nel  fico.  Il  Martini  e  il  Diodati 
furono  essi  pure  compulsati  all'  uopo , 
senza  discorrere  di  più  opere  che  siffatti 
studii  maravigliosamente  correggono.  • 
Noi  ci  congratuliamo  cordialmente  col 
ralente  Cav.  Di  Mauro  e,  se  la  nostra 
▼oce  potesse  valere  a  qualche  cosa,  lo 
inciteremmo  a  completare  il  suo  stu- 
pendo lavoro ,  che  non  può  non  dargli 
tutto  l'onore  che  merita,  e  1' approva- 
zione de'  dotti  e  dei  buoni. 

S.  S.-M. 

DEL  aLENTO  E  DEL  SUO  DIALETTO, 
Lettera  di  Federico  Piantirri  ad  Er- 
nesto Palumbo.  Bologna,  1870. 

Colto  e  versatile  ingegno,  il  Dr.  Pian- 
tieri  vuol  OMWtrare  in  questa  lettera  quanti 
aiuti  potrebbero  venire  alla  lingua  ila- 
liana  dallo  studio  de'  dialetti  e  segnata- 
mente da^iuello  del  Cilento ,  nel  quale 
il  sig.  Piantieri  nacque.  A  conferma  del 
fatto  sno  egli  reca  assai  belle  voci  cilen- 
tane,  parte  piccolissima  d' un  suo  lavoro 
inedito  intitolato:  Voci  italiane  da  eri- 
tiearn  e  da  iUuttrarti  ;  ma  non  tiene  a 
mente  clie  alcune  di  esse  son  già  tosca- 
ne, e  ur  altre  di  quasi  tutta  l'Italia  del 
mezzogiorno,  da  Napoli  a  Palermo.  De\^ 
resto  dubitiamo  che  il  manteeino  sia  un 


composto  di  ante  e  «tuo  o  di  manto  sino, 
quando  esso  ò  per  noi  siciliani  un  alte- 
rato di  manio,  e  che  baciata  sia  un  no- 
me collettivo. 

n  nostro  bravo  amico  continui  intanto 
questi  pazienti  studi,  e  noi  gliene  saremo 
grati.  G.  P. 

BUON  SENSO  E  BUON  CUORE,  Confi- 
renze  popolari  di  Cesare  Cantd'.  Mi^ 
lano.  Ditta  editrice  G.  Agnelli,  1870, 
grosso  voi.  L.  4,  80. 

Mancandoci  lo  spazio  per  la  presente 
dispensa ,  abbiamo  rimandato  alla  pros- 
sima un  articolo  critico  su  questa  eccel- 
lente nuova  opera  dell'illustre  storico,  o- 
nore  della  Italia  moderna.  Ma  perchè  i 
nostri  lettori  ne  avessero  al  più  presto  no- 
tizia, abbiamo  fatto  per  ora  questo  sem- 
plice annunzio.  S.  S-M. 

LE  SCUOLE  MIUTARI  DI  CANTO,  LH- 
tura  del  prof.  B.  E.  Mainbri  ecc.  Mi- 
lano, Agnelli,  1870. 
Il  bravo  maestro  G.  Yarisco  s'  ò  fatto 
iniziatore  in  Milano  di  una  scuola  di 
canto  pe'  militari  ;  e  nel  marzo  ora  scorso 
ha  dato  si  bella  prova  del  suo  insegna- 
mento mercè  ub  pubblico  saggio  de'  suoi 
allievi ,  che  il  prof.  B.  E.  Maineri  ne  ha 
discorso  con  molta  lode  in  una  lettura 
che  abbiamo  sott'  occhio.  Carlo  Mariani , 
il  valente  autore  del  PbÈtareo  Italiano , 
ha  detto  il  bene  che  si  può  di  questa  sen- 
nata  lettura  (v.  Corriere  di  Milano,  num. 
106),  e  noi  non  possiamo  se  non  unirci 
a  lui  nell'apprezzare  quanto  essi  meritano 
i  vantaggi  morali ,  materiali  ed  artistici 
della  novella  istituzione  dimostrati  dal 
Maineri.  Bella  cosa  è  vedere  trailotti  ad 
atto  e  favoriti  da  persone  intelligenti  e  di 
buon  cuore  pensieri  e  disegni  tendenti  al 
miglioramento  di  qualunque  par. e  della 
società  ;  e  però  ci  rallegriamo  col  bene- 
merito sig.  Yarisco ,  che  trova  iocuora- 
menti  all'  opera  sua,  e  col  Maineri  che 
sa  cosi  bene  impiegare  la  sua  calda  ed  a- 
morevole  parola.  G.  P. 


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108 


NUOVE  IFFElIBaiDI  SIGILUIfl 


ELOGIO  AGCADEMIGO  DEL  PROFES- 
SORE GAY.    CARLO  GEIIMELLARO 

IHto  all' Accademia  Gioenia  di  icienze 
■     naturali  dal   Dott.   Andrca  Aradab. 
CaUnia.  Calatola,  18<M^. 

Bel  tributo  di  onoranza  ha  reso  ali*  il- 
lustre sno  socio  Carlo  Gemmellaro  l'Ac- 
cademia Gioenia  pnbblicandooe  questo 
elogio  scrìtto  dal  eh.  prof.  Aradas.  Nel 
quale  dogio  tu  trovi  guardato  dal  giusto 
panto  il  celebre  naturalista,  vuoi  come 
scienziato  e  vuoi  come  cittadino.  L' Ara- 
das ce  ne  ritrae  la  mente  ed  il  cuore, 
ma  più  quella  che  questo,  e  ce  ne  fa  la- 
menure  viemmaggiormente  la  perdiu 
mettendolo  in  relazione  a'  tempi  in  cui 
egli  comparve  e  fecesi  innanzi  nel  campo 
della  vulcanologia.  Peccato  che  in  una 
opera  importantissima  come  questa  il 
eh.  Autore  sia  stato  costretto  alla  forma 
accademica,  la  quale  ha  fatto  si  che  pò» 
chissima  parte  di  notizie  sia  entrata  nelle 
sue  pagine.  Di  fatti,  mentre  l' opera  ò 
in  un  bel  volume  in  4*  di  fogli  200,  soli 
quaranta  servono  allo  elogio,  dove  senza 
dubbio  avrebbe  potuto  entrare  qualcuna 
delle  123  note  che  VA.  con  infinito  stu- 
dio accoda  all'elogio  stesso. 

Cosa  che  non  dobbiam  tacere  intanto 
é  che ,  volendosi  tesser  la  storia  delle 
scienze  naturali  in  Sicilia  nel  sec.  XIX, 
non  potrà  farsi  a  meno  del  presente  vo- 
lume, che  tutta  la  compendia  ed  illustra. 
G.  P. 

LA  PRIAIIÈLE  dant  Us  diffèrmUet  LU- 
tiraturet  anciennei  et  modemes  par  F. 
G.  BBRGVAifN.  Colmar,  Imprimerie  De- 
cker. 

II.  Bergmann,  ben  noto  agli  Italiani  per 
dei  lavori  pregevolissimi  sopra  Dante,  in 
questa  nuova  operetta  ha  tolto  a  studiare  ^ 
un  genere  di  componimento,  la  cui  impor- 
tanza non  si  ò  finora  apprezzala.  Il  nome 
di  Priamela  ei  lo  sceglie  perillustrare  una 
specie  di  madrigale,  di  cui  il  primo  o  l'ul- 
timo verso  racchiude  la  proposizione  sin- 
tetica che  viene  svolta  ne'  versi  seguenti 


0  nd  precedenti.  Cott  per  citare  un  esem- 
pio nostrano,  quando  si  dice  cogli  Assa- 
roti,  nella  pfovìnda  di  Catania: 
Dui  su'  li  paisi  di  lu  munnu: 
Asarn  primu  e  Roma  secnnnu; 
si  è  già  detu  una  breve  Priamela,  come 
moltissime  se  ne  dicono  dai  letterati  e 
dal  popolo.  La  PriamtU  è  un  componi- 
mento didattioo;  e  il  Bergmann  con  eru- 
dizione copiosa  la  esamina  presso  tutti  i 
popoli  antichi  e  moderni,  aoeompagnan- 
Jola  con  gravità  di  concetti  e  profondità 
di  vedute  fin  dal  suo  primo  nascimento. 
E  basti  del  primo  ricordo  di  uno  scrit- 
tore, su  cui  avremo  argomento  di  ritor- 
nare quanto  prima.  G.  P. 

COMTE  DE  PUYMAIGRE  :  Heum  per- 
duet.  Metz,  Rousseau-Pallez. 

Le  ore  spese  all'arte  son  sempre  bene 
spese ,  e  il  Conte  de  Puymaigre  è  stato 
molto  ingiusto  co'  suoi  versi  raccoglien- 
doli sotto  il  titolo  di  Heuret  perduet.  Chi 
è  capace  di  sentire  e  coltivar  l' arte  col- 
r  affetto  e  la  devozione  ond'egli  coltiva 
quella  de*  carmi ,  chi  nella  poesia  trova 
come  lui  l'espressione  dell'anima  santa- 
mente innamorata  del  bello ,  del  buono, 
del  vero ,  non  può  dirsi  che  non  impie- 
ghi bene  il  suo  tempo. 

Questo  volume  riunisce  in  sé  molti  e 
non  comuni  pregi  ;  duo  de'  quali ,  e 
di  non  poco  c^nto  per  noi .  l'affettuoso 
ricordo  che  l'A.  fa  dell'Italia  e  delle  sue 
bellezze  e  lo  studio  che  vi  mostra  dei 
classici  italiani,  di  Dante  soprattutto.  Del 
quale,  il  Puymaigre  non  solo  ritrae  a  pro- 
posito concetti  e  versi,  ma  benanche  tra- 
duce nella  sua  lingua  e  con  fedele  ele- 
ganza il  Y  dell'  Inferno.  Altre  traduzioni 
ha  l'A .  ;  ma  i  lettori  sapranno  conpren- 
dere perchè  noi  italiani  preferiamo  que- 
ste del  Divino  poeta.  Di  affetti  casti  e  se- 
reni abbondano  molte  pagine  ;  e  noi  ci 
Siam  sentiti  sollevare  alla  virtù  leggendo 
questi  modesti  fiori,  che  anche  per  nói, 
noll'obblio  a  cui  li  ha  condannati  l'A.,  e- 
salano  un  soave  olezzo.  G.  P. 


/{  Gerente  :  Pietro  Montaina 


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NUOYEJEFFEHERim  SICILIANE 

ANNO  II.  DISPENSA  III.  GIUGNO  1870 

SUL  DIALEnO  GRECO 

DI   SICILIA 

(Continuaz.  Vodi  voi.  I,  disp.  XI) 


IL 

Il  sig.  Giovanni  Arens  ^  di  cui  nel  precedente  articolo  commen- 
dammo la  dissertazione  filologica  sol  dialetto  di  Sicilia,  raccolse  in 
fine  del  suo  pregevole  lavoro  i  vocaboli,  che  sono  speciali  ai  Sici- 
liani (De  vocabulis ,  quae  Sieulis  propria  stmt)  e  lo  fece  nel  §  21, 
che  è  r  ultimo,  dalla  pag.  44  »  52.  In  questo  piccolo  glossario  egli 
ha  creduto  omettere  mofte  parole,  che  noi,  allargando  un  poco  il 
suo  concetto,  avremmo  amato  non  si  tacessero  in  un  libro  sul  lin- 
guaggio dei  Sicelioti,  né  si  trascurassero  con  tanto  stretta  parsimo- 
nia. Ond'  è,  che  messici  a  discorrerò  suU'  argomento,  varie  di  que- 
ste voci,  delle  quali  il  filologo  alemanno  non  volle  occuparsi,  ver- 
remo soggiungendo  qui;  il  che  sarà  giudicato  non  inutile,  onde  dal 
fatto  sin'oggi  possiamo  meglio  vedere  il  da  farsi  ulteriormente  per 
r  indirizzo  avvenire  di  questi  studi. 

'v6ai.  Questa  voce  si  trova  adoperata  a  dinotare  i  torrenti  di  fuoco 
e  di  sassi  liquefatti,  che  impetuosamente  prorompono  dal  cratere 
dell'Etna  ;  cioè  il  fenomeni  vulcanico  preso  dal  lato  suo  più  saliente, 
eh'  è  la  corrente  di  lava.  Tucidide  adopera  il  vocabolo,  parlando  ap- 
punto del  torrente  di  fuoco  vomitato  dali^Elna  :  6  j3iSa$,  cosi  egli,  xoù 
Ttopò<;  ix  TTi<;  AXvrt\<;  (III.  116).  Platone,  assegnando  con  intuito  su- 
blime una  causa  unica  alle  eruzióni  vulcaniclie  ed  al  calore  delle 
sorgenti  termali ,  la  simboleggiava  nel  Piriflegetonle  (DupicpXeYeOtuv) 
fiume  di  fuoco  che  scorre  nelle  viscere  della  terra,  massa  in  fusione 

8 


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iiO  NUOVE  BFFBMERIDI  SICILIANE 

e  sempre  in  moto.  Al.  Humboldt  osserva  nel  Cosmos  (1),  che,  se- 
condo le  idee  geognostiche  dei  grand' uomo,  come  ce  le  presenta 
il  Fedone  (2),  il  fiume  di  Platone  corrisponde,  per  V  attività  vulca- 
nica, al  calore  centrale  interno  della  scienza  moderna.  Tal'  è,  dice 
egli ,  quello  che  chiamano  il  Piriflegetonte ,  di  cui  alcune  porzioni 
escono  verso  P  allo,  e  formano  lorrenti  di  fuoco  (ol  ^uaxe<;)  che  ap- 
pariscono ovunque  sulla  terra  {^  oi^  viyjiàdx  «nii;  ^^ic)  —  Questi  fiSaocec 
sono  veramente  le  correnti  di  lam^  come  dice  Humboldt,  e  non  le 
montagne  ignivome,  come  vorrebbero  Schneider,  Passow,  e  Schleier- 
macher.  Dippiù  Platone  distingue  le  correnti  di  lava  (^éatxtc)  da  quelli 
che  nel  capo  superiore  (LX)  chiama  fiumi  di  umida  creta  (^pou 
icT^Xou  ico-caiJLoi)  —  Diodoro  parlando  de'  Sicani  e  degli  spaventi  che 
loro  cagionarono  V  eruzioni  dell'  Etna  adopera  lo  stesso  vocabolo 
p6ai  (Y.  6.);  ed  in  altro  luogo  narra,  che  molte  città  situate  presso 
il  mare,  e  non  lungi  dall'  Etna,  furono  sepellite  .6icò  -eoo  xaXwjjivou  p^a- 
xo<  (XIY.  89).  Il  Wesselingio,  nelle  sue  note  a  Diodoro,  cementando 
r  aringa  di  Licurgo  contro  Leocrate,  e  le  parole  di  Ermogene  {De 
Invent  IL),  di  Strabene  (VI.  pag.  269.  Xlll.  p.  628),  di  Appiano^ 
di  Tullio,  Longino  etc.,  vuole  a  torto,  che  la  voce  ^<K  esprima  non 
solo  il  profluvio  del  fuoco  eruttato ,  ma  i  luoghi  altresì  devastati 
dalla  lava,  e  gli  stessi  crateri  dell'  ignivoma  montagna  (3).  Nel  che 
è  stato  ribattuto  dal  can.  Alessi  (4).  Anche  Teofirasto  avea  scritto  un 
trattato  sulla  corrente  vulcanica  in  Sicilia,  nepl  tou  ^óaxo<  èv  ZvKtXUf , 
che  vien  citato  da  Diogene  Laerzio  (Y.  39)  ma  sventuratamente  non 
pervenne  sino  a  noi  (5).  Come  si  vede,  Teofrasto  adopera  la  stessa 
parola,  che  tutti  gli  altri.  Essa  è  quindi  di  un  uso  speciale  per  di- 
notare il  torrente  dell'  Etna. 

La  voce  ^u(xS  occorre  continuamente  ne'  diplomi  greci  del  medio 
evo,  per  fiume ,  torrenle.  La  sua  etimologia  chiaramente  è  da  puu) 
scorro^  donde  rivus^  rio.  U  r  dolce  esprime  nelle  lingue  la  flui- 
dità {rigo,  roro,  aura,  aere  etc). 


(1)  Tom.  I.  pag.  451. 

(V  <t>aiO(ov  cap.  LXI.  Citiamo  l'ediz.  di  Firmìo  Didot,  Paris  1856  secondo  la  re- 
cens.  di  Hirschig. 

(3)  AdnoiaL  ad  Diod.  SU,  BiM,.  Hisl.  Y.  6.  XIV.  59 

(4)  Sior,  Crii,  deU'Elna,  Disc.  1. 

(5)  Si  consultino  pure  Scoi,  di  Eschilo  Prom.  367  ;  Sesto  Empirico;  Arìslotile  nepl 
6au(jLao{a)v  Axou9(jLd(xa)v  ossia  Mirab,  Atucull,  t.  II.  pag.  833.  sez.  38  Bekker  ; 
Teofrasto  Depl  AfOcov  ossia  De  Lapidib.  {  22.  p.  4S7  Schneider.  Una  quantità  di  altri 
passi  esplicanti  la  voce  ^^  ha  riunito  Ukert  Gwgtxiphie  der  Grieehen,  und  Romer. 


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SUL  DIALETTO  GRECO   DI  SICILIA  III 

Kaxairop6(jL{a<;,  da  icopBfiio'c  Stretto,  d  detta  di  Aristotile  nel  suo  trattalo 
de'  luoghi  e  nomi  dei  venti  (  Avéjawv  eé<jetc  xal  icpoaTj^op^at  l.  973.  e- 
diz.  Bekker)  è  il  nome  dato  dai  Sicelioti  ad  un  venio,  che  spira  dallo 

StretlO  di  Messina  :  év  Bì  ZtxeXfqc  xaxa7top6(jL{ac.  Tcvécov  àizh  ToO  icopOjjLoO. 

Lo  StretlO  di  Messina  vien  ordinariamente  chiamato  Tcope^ibc  £ixe- 
Xtx<{<;,  cosi  Strabene  II.  5.  19  — itopejjLcJc  e  xVP^^*?  Tucidide  IV.  24 
—  Tcopejji^c  StxeXCai;  AristoUle  Mir.  142  —  icopOiJLÒc  £xuXXato<  Ateneo 
VII.  311  — ZtxeXòi;  f(fo<  Dionisio  Periegeta  83.-6  nepl  x^v  ix^sxXav 
ito^\K6(;  Platone  ep.  VII.  3i5. 

U  mare  si  muove  in  questo  stretto  con  una  corrente,  die  alterna 
la  soa  direzione  giusta  il  periodo  della  marèa  ;  il  che  i  poeti  rive- 
stirono della  favola  di  Scilla  e  Cariddi.  L' Alighieri  accenna  al  fluire 
e  rifluire  delle  onde  vorticose,  in  quei  versi: 
Come  fa  Tonda  là  sovra  Cariddi, 
Che  sMnfrange  con  quella  in  cui  sMntoppa. 
Si  sa,  che  il  fenomeno  de'  vortici  e  de'  fili  reflui  è  cagionato  dallo 
incontro  delle  correnti  sottomarine  del  Ionio  e  del  Tirreno.  I  Mes- 
sinesi distinguono  la  corrente  col  greco  nome  di  rema  ;  quand'  en- 
tra da  settentrione,  la  chiamano  rema  discendente  ;  quando  viene  da 
mezzogiorno,  la  dicono  rema  montante  (1). 

Ripx(x<;  è  il  nome  d'  un  altro  vento,  ricordato  da  Aristotile  (  A- 
vé|«Dv  elaeic  xa{  icptxnjYopfat  I.  973,  ediz.  Bekker)  e  cosi  chiamato  in 
Italia  e  in  Sicilia,  perchè  spira  dal  Circeo  h  $à  'lxoiXi<f  xa(  ZixtXi<f  Klp- 
xa<  Sia  xb  itvetv  ành  xou  Ktfxa{oo.  —  Seneca  (QtMest.  Nat.  V.  17) 'fa  del 
pari  menzione  d' un  vento  Circeo  (K(pxtoc),  al  quale  Augusto,  trovan- 
dosi nelle  Gallio,  votò  un  tempio,  perchè  rendea  T  aria  salubre. 

AtpxCav.  Teofrasto  (nepl  AvipDv  fr.  V).  parla  d'un  rapido  vento  (ip- 
Y&<rci^<)  che  i  Sicelioti  chiamarono  AspxCa  (da  ^spxu)  vedo?)  Ecco  il 
passo,  che  da  taluni  però  si  vorrebbe  correggere  (2).  ol  (jlIv  oiSv  o- 

XufjLTcCav,  oV  Sé  SxCpova  xaXou9i,  o\  itepl  ZtxeXfocv  Aepxfoiv. 

Questi  vocaboli  concementi  l' istoria  naturale  dell'  Isola  non  sono 
notati  da  Arens.  Cosi  quelli  di  alcune  pietre,  piante,  e  di  animali. 

Ax^^c.  L' agata  è  tutta  cosa  siciliana;  e  tale  è  pure  il  nome,  che 
in  un  glossario  greco  siculo  non  dovea  venir  trasandato.  Fu  detta 
così  dal  fiume  Achato  od  Agato^  chiamato  Dritto  da  Cluverio  e  da 

(I)  Leggasi  sulla  famigerata  Cariddi  un  lungo  capitolo  dello  Spallanzani  no*  suoi 
Viaggi  alle  due  Sicilie.  La  Memoria  dello  Scinà  Sui  fili  reflui  e  vitrtiei  apparenti 
dello  Stretto  di  Mestina  trovasi  nel  num.  26  delia  Btbl.  Ital.  fcbbr.  1818  e  nel  vo- 
lume 1.  delle  Mem,  del  Capozzo. 

{2}  V.  Scbneider. 


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ii2  .  NUOVE  EFFKMBEIDI  SIGIUANE 

Massa  (i).  L'agata  ^  com'  è  nolo ,  di  pasta  più  fina  della  selce»  è 
una  sorta  di  quarzo  che  si  forma  nelle  cavità  delle  lave  antiche.  Il 
merito  priucìpale  delle  agate  in  tutte  le  loro  varietà  (diafiane,  semipel- 

Incide,  macchiettate,  «pataaa^àTTjc  xepot^^dtxTjc,  aap$«x<4'"l<.  odjia^^dkTjc^Xeu- 

xoiyàvr\(;,  xopaXXoax<i'ci)<;)  è  nella  gaiezza  e  leggiadria  dei  colori  (2).  La 
più  pregiata  dagli  antichi  era  l' agata  orieotale;  delP  agata  onice  tace- 
vano i  cammèi;  aveano  Pagata  diaspro  e  Pagata  arborizzata.  Teofrasto 
nella  soa  opera  sulle  pietre  (nepl  Twy  Aieov)  riconosce  Tetimologia  dei- 
V  agata  dal  fiume  Achato  in  Sicilia:  KaXò<  $1  A(6oc  xal  &  <xx<^'^<:  ^  à- 
xh  'Ax<i'tou  icora^jLoo  xoo  iv  2w«X(<j[  (3).  Plinio  scrive,  che  V  agata  lu  tra 
noi  la  prima  volta  rinvenuta ,  reperta  primum  in  Sicilia  jnxta  flu- 
meìi  eiusdem  nominis  (4).  Lo  slesso  sottosopra  legge»  nel  Ditta- 
mondo  (IIL  13)  Agato  fiume  dair  agata  pietra.  Parlando  di  questa  vo- 
ce, fanno  a  proposito  e  V  Acate,  compagno  fedele  di  Enea  (v.  ScoL 
d^  Om.  Iliad.  IL  702)  ;  ed  un  Acate  siculo ,  compagno  di  Bacco 
(Nonn.  Dion.  13,  309,  ed  altrove);  e  r.4oat^,  che  occorre  in  molti 
luoghi  di  Sicilia,  a  testimonianza  d'Amico;  ed  il  nome  di  Agata 
reso  illustre  dalla  vergine  martire  della  nostra  Chiesa  primitiva. 
Certo  le  agate  siciliane  furono  conosciutissime  nelP  antichità,  ed  as- 
sai ricercate,  poiché  se  restavano  inferiori  in  durezza  alle  orientali, 
ben  a'  colori  variati  e  brillanti  le  superavano.  Le  sale  di  Cerone, 
secondo  un  passo  di  Atenèo  (V.  207),  erano  lastricate  di  agate  e  di 
altre  pietre  preziose  delP  isola.  Ed  in  Sicilia  era  copia  di  cammei  e 
pietre  incise.  Solino  descrive  T  agata  di  Re  ¥irro,  in  cui  erano  rap- 
presentati a  maoehie  naturali  Apollo  citaredo  e  le  nove  Muse.  Que- 
sta nobile  pietra  si  lavora  con  sega,  ruota,  spianatoio;  riceve  bel 
pulimento,  e  serve  oggi  per  mille  oggetti,  come  scatole,  impugna- 
ture ecc.  Il  nome  dunque  di  à^dcxT^c  può  ritenersi  per  siciliano. 

Kdbcxoc.  Si  sa  che  questa  pianga  spinosa,  sorla  di  cardo,  ricordata 
da  Teocrito,  a?  xàv  tzóBol  xdbcx<K  txui|/e  (fd.  X),  cresce  specialmente  in 
Sicilia.  Ne  parla  Atenèo  (I.  IL),  il  quale  deriva  irvocaboio  da  xdco, 
pungo,  bruciOy  e  lo  conferisce  col  ^Cvopa  de'  Greci  e  coi  cardus  dei 
romani.  La  cinara  o  cardus  sativus  è  il  nostro  carciofo.  Sul  cacto» 
si  vegga  Teofrasto  ncpl  <puxòiv  *i<rcop(a<;  ossia  Hist.  Plant,  VI.  4.  (5). 
Plinio,  in  un  passo  molto  conosciuto  dai  nostri  naturalisti  {Hist.  Nat. 

(1)  V.  Amico  Dizion.  Topogr,  della  Sic, 

(2)  Agata  è  wta  pietra  nera  e  tonne  delle  bianche  veryolate^  e  pare  che  V  uomo 
vi  $i  vegga  entro  (Franco  Sacchelli). 

(3)  Fr.  2.  e  yeggasì  Schneidcr  a  queslo  luogo.  Cil^i  un  fiume  deUo  slebso  nome 
nella  Media  sull*  autorità  di  Dionisio  ('ericgeta. 

(4)  HUt.  Nat.  XXXVll.  54. 

(5)  Ed  a  i|U('«sio  luojjo  vodi  Siluipidpr  vol.lU.  p.  498 


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SUL  DIALETTO  GRECO  DI  SICIUA  il 3 

XXI.  57.)  scrive  così  :  Et  cactos  quoque  in  Sicilia  tantum  nascitur, 
9uae  proprietatis  et  ipse:  in  terra  serpunt  catdes,  a  radici  emissi,  lato 
folio  et  9pùi080.  Caules  vocant  cactos  :  nec  fasliéUunt  in  dbis,  invete- 
ralos  quoque.  Il  nome  di  cactos  va  quindi  esteso  a  molte  piante  spi- 
nose, alcune  delle  quali  alimentari  *H  xiìxtoc,  come  dice  Atenèo,  è 
tutta  la  pianta  :  ol  xiixTot  sarebbero  i  nostri  carciofi  (t). 

Molte  specie  di  cactos  si  coltivano  nei  giardini  di  Sicilia,  notevoli 
per  la  bizzarria  delle  forme  e  per  la  bellezza  de^  fiori.  Il  fico  d' In- 
dia {Ficus  Indica)  che  ricopre  i  luoghi  pietrosi  e  le  rupi  calcaree 
e  generalmente  sì  coltiva  in  tutti  i  paesi  dell'  Isola  nostra  come  pure 
in  Ustica,  Panaria,  Basiluzzo,  Lipari,  Favignana,  Lampedusa,  Pantel- 
leria, dic^i  da'  botanici  cactus  opuntia  (2). 

n-cipvt^  e  ZxaXCa.  Il  luogo  dianzi  citato  di  Plinio  continua  cosi:  U- 
nnm  caulem  return  habent^  qnem  vocant  pternica  (3),  eiusdem  sua- 
vitatis,  sed  vetustatis  impatientem  :  semen  ei  lanuginiSy  quem  pappon 
vocant:  quo  detracto  et  corticc,  teneritas  similis  cerebropalmaeest: 
vocant  ascaliam  (&).  axé^vi^ ,  come  hanno  i  codici  di  Teofrasto,  e 
non  Tclpvi^,  come  hanno  quelli  di  Atenèo  (5),  è  dunque  il  caule  o  lo 
scapo  dritto  del  cactos,  come  oxaXCa  n'è  il  frutto.  Praas  {Synops.  planL 
fi.  d.  p.  206)  scrisse,  che  icxipvi^  è  il  Silybum  marianum  L.  Quanto 
a  <nco(X(a,  che  Plinio  rende  ascalia,  Schneider  ricorda  sul  testimonio 
d'Anguillara  la  voce  sccdera  de'  Greci  moderni. 

iisXà(jLitupov,  nome  di  erba,  in  cui  degenera  il  frumento,  però  men 
cattiva  del  loglio.  Galeno  Ja  ricorda  nella  sua  opera  degli  alimenti 
(L.  I.  cap.  ult).  E  Teofrasto  {Hist.  PI.  Vili.  5  )  parlando  dei  fru- 
menti, scrive  :  il  Siciliano  ha  peculiare  il  così  detto  (xeXà{j.i7upov,  il 
quale  non  è  nocivo,  né  come  il  loglio  pesante  e  cefalalgico,  6  $1  St- 

xeXò<  ?8tov  S^^et  t^  (j.eXà^Tcupov  )t«Xoó[tevov,  8  l<mv  à^Xa^lc,  xaì  oò^  <SW- 

Tctp  tiXpoi,  Popò  xal  xecpaXaXY^c.  Corrisponde  al  fxiSoYpov  de'  Greci  :  onde 
Dìoscoride  (lY.  17.)  afferma,  che  il  (lóoc^pov  da  taluni  si  chiama  (j^e- 


(i)  Si  consultino  anche  Dioscor.  VI,  32,  33.  Paol.  Egin.  V.  cap.  penult. 

(%)  Sulle  varie  sorta  di  eactot  fra  noi  si  veggano  Gupani  Hortui  Cathol.  p.  58,  78. 
t  Panpk.  Sic.  II.  169;  Ucria  Horlus  PanornU  p.  90,  202  ;  Gussone  Florae  Sic.  Pro- 
dromus  Nap.  1827.  p.  559. 

(3)  Plinto  toglie  di  peso  da  Teofrasto,  che  scrìve  :  Itsocv  Bì  xauXòv  òpOòv  à- 
<p!T}(7tv  8v  xaXou9i  Tcrépvtxa.  //«(<•  pl*  VI.  4,  11.  dove  si  legga  Schneider  volume 
terzo  p.  498. 

(4)  E  Teofrasto  :  xò  Bì  iteptxdipitiov....  I|jtcpepe«  Ttp  tou  «potvtxoc  i^'A£(fà^ 
Xc|>.  xaXouat  Sé  dbtò  oxaXfav.  l^oc.  eit. 

(5)  Atenèo  dà  la  slessa  definizione  del  icxépviS  ,  dicendolo  :  6p0ò^  xtK  xdbcxou 
xouXdc.  Lib.  II. 


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IH  NUOVE  EFFEMERIDI  SKIUANE 

Xd(^7n>po¥.  Il  myagrum  rugosum  cresce  ovunque  in  Sicilia,  nelle  vie, 
nei  campi  aridi  argillosi,  e  nei  seminati;  come  pure  in  Lipari,  Pa- 
vignana,  Levanzo,  Marelimo,  I^mpedusa  (I).  Si  conoscono  il  mya- 
grum hispanicum,  pantcukUnm,  rt$gosum,  saHvum,  sphaerocarpum  ec. 
R{v(x$o<;,  neutro,  ma  di  genere  mascolino  presso  Teocrito,  benché 
si  trovi  in  A^rìstofane ,  Demostene,  Sofocle  ecc.,  pure  è  dato  dagli 
scoliasti  e  da^  lessicograQ  come  peculiare  ai  Sicelioti  per  esprimere 
la  volpe,  che  nel  greco  dicesi  àXcàiciit  Al  verso  di  Teocrito  (v.  25); 

lo  Scoliaste  nota  appunto  ,  che  i  Sicelioti  denominavano  xfvaSoc  la 
volpe;  e  questo  nome ,  che  avea  in  Sicilia  V  astuto  animale ,  trae 
da  xiveco  pel  suo  dimenare  osceno  e  frodolento:  o\  Ztx&Xidkai  -f(&p 

T^v  àXcincexa  xivoeSov  icpo^scY^p^^^^^*  toioutov  *^àp  xò  C(>>ov  icacyoOpYOv.  x(- 
va$oc  3è  icapà  tou   xivetvOai    Iv  alSot  ^  avaiSùK,  ^  icocpà   tò  xtvet<70ai  Iv 

^6Xt^,  Veggasi  al  proposilo  il  più  recente  Scoliaste  d' Aristofane  , 
(Nub.  447) ,  r  Etimologico  Grande  da  noi  già  menzionato  (pag. 
514,  5),  ed  Csichio.  Suida  dà  il  diminutivo  xiv^Stov,  ed  il  vocabolo 
attribuisce  a  que^  di  Sicilia. 

I>a  volpe,  flagello  de'  pollai  e  del  pecorile ,  è  comune  nelle  no< 
stre  campagne  (2). 

Kc^cDv.  1  Siciliani  cosi  chiamavano  tòv  xcopic^v  il  ghiozzo  (lat.  go- 
bius,  gobio)y  come  riferisce  Atenèo  (VII.  p.  309.  C.)  dalle  glosse  di 
Nicandio  Colofonie,  e  dallo  scritto  di  Apollodoro  intomo  a  Sofrone. 

ZixeXuù'cat  $'  elaiv  ol  xbv  xcoptòv  xci^Ocova  xoXouvxec  SUeUoU  SOnO    quMi 

che  chiamano  cothon  il  ghiozzo.  La  parola  si  trova  in  Epicarmo  (3). 
Adx^^poc  è  pure  voce  siciliana  ,  che  si  trova  in  Eschilo  (fram- 
menti delle  Forddi)  anzi  si  adduce  come  prova  del  suo  Sicelismo. 
Aeschylus  tragicfés^  v'ir  utìque  Siculus,  Col  termine  sopra  citato  at- 
testa Atenèo  (IX.  p.  412)  che  i  Sicelioti  chiamassero  il  cacciatore 
dei  cinghiali,  in  greco  aiSa^P^^-  Dice  infatti  ;  oòx  àyvow  8è  Sri  ol  ice- 

pl  T^v  SixeXCav  xaxotxouvxec  ào^éSwpov  xocXouat  tòv  tìckt^^w.  Elsichio  S.  V. 

afferma  pure  che  il  avSaYpoc  dei  Greci  corrisponde  alPà^^é^poc  de- 
gli Italioti  (àcr^^^crtpoc  ò  aiSaYpoc  '^^?à  ìxaXotc.)  Ugualmente  il  Gram- 
matico degli  Aneddoti  di  Bekker  p.  457,  21.  ÌTaXuoTat  xòv  (uSorfpov 
à(7xé$b>pov  xscXouviv.  Si  Confronti  Eustazio  lUad.  p.  774,  23.  Odiss.  pa- 
gina 1872,  3,  13. 

(1)  V.  Ucria  Hor.  Panorm,  p.  268;  Cupaqi  Hor.  dUhoL  p.  188;  Cassone  Floi-ae 
Siculae  Synopsis  voi.  11.  P.  I.  Nap.  1843.  pag.  140-4,  165,  903. 

(2)  V.  Orunzio  Costa  Fauna  SicUiatM  Nap.  1840. 

(3)  V.  Raflnesque  Schmallz  Indice  d*  Ittiologia  Siàliana,  ouia  Catalogo  metodico 
.dei  nomi  latini^  italiani  e  siciliani  dei  petei,  che  ti  rinvengono  in  Sicilia.  Mess.  1810. 


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SOL  DULETTO  GRECO  DI  SIULIA  115 

Due  vocaboli  siciliani  si  hanno  ne'  seguenti  due  nomi  di  città,  che 
addurremo  come  esempio,  non  sapendo  perchè  T  Arens  li  abbia  nel 
glossario  tralasciati. 

z^Y^Xt),  (à-fxXtv.  Zancla,  secondo  Ecatèo  citato  da  Stefano  di  Bi- 
sanzio a  questa  parola,  sarebbe  cosi  delta  dai  re  Zanclo,  di  cui  parla 
Diodoro  (IV.  85)  ;  ma  secondo  T  etimologia  indicata  da  Tucidide , 
Strabene^  Stefano  summenzionato,  e  dalP  EtujjloXoyixòv  Mé^a,  viene 
cosi  denominata  dalla  fake  con  voce  che  sembra  tratta  dal  linguag- 
gio de^  Siculi,  probabilmente  a  dinotare  la  forma  del  vasto  suo  porto. 
Tucidide  scrive  :  La  città  fu  primafnente  dai  Siculi  chiamata  Z  ancia 
di  nome^  perchè  il  luogo  ha  figura  di  falce,  e  Zanclon  i  Siculi  chia- 

fMUM  la  falce,  Sw\ia.  xò  \i.ì^  icpòJxov  Zér^xXr^  ?iv  xdiv  £ixeXu>v  xXT)6et9a, 
Srt  $peicavoctSlc  xò  yip^^^'*  '^^^  ^^^  ^^^'  '^  ^^  $péicavov  ot  XtxeXol   (dé^- 

xXov  xaXwdiv  (Tucid.  VI.  4).  Ugualmente  Strabene  dice ,  che  Zan- 
cla  fu  in  prima  detta  cosi  a  cagione  della  tortuosità  del  sito,  poiché 
Zanclon  diceasi  ciò  eli' è  obbliquo  e  tortuoso.  zà^xXT)  itpcJxepov  x«- 

Xou(jivtì  Sià^x^v  oxoXwJxTjxa  xwv  x<Jicti>v.  ZàpcXov  ^àp  IxaXctxo  x^  ^koXmJv. 

Stefano  Bizantino  scrive,  che  la  falce  (xò  Spéicavov)  si  dicea  dai  Si- 
culi (d^Y^XT)  (Tucidide  dà  la  forma  C^-p^Xov)  e  che  perciò  sia  stata 
chiamata  C<^kXt)  la  città  Sta  xò  ixet  Rpc^vov  xò  $péi»xvov  àicoKpiS4/at.  Ni- 

candro ,  nel  suo  poema  sulla  Sicilia  (lib.  X.)  racconta  pure ,  che 
Saturno  avea  nascosto  colà  la  sua  falce,  e  chiama  Zancla  Speicavi^tSoc 
obtu.  Il  tipo  delle  antiche  medaglie  Zandèe  è  un  delfino ,  dentro 
una  specie  di  falce.  La  forma  dorica  è  AàvxXe  nelle  monete  (i). 

A  zdrfxXT)  aggiungiamo:  réXa.  Ecco  quanto  scrive  su  questo  vocabolo 
Ste£au[)0  Bizantino:  La  città  piglia  nome  dal  fiume  Gela,  ed  il  fiume  si 
chiama  così^  perchè  genera  di  molla  pruina:  questa  infatti  con  vocabolo 
proprio  degli  Opid  e  dei  Siculi  dicesi  yéXa.  KaX&Txat  81  àicòicoxa[j.dO  riXa. 

b  81  «oxatJLÒ^,  8x1  itoXX^v  «àj^vrjv  ^evv^f.  xaóxijv  yàp  xri  Oicixwv  (pcov^  xal  Stxe- 

Xò#v  Y^Xav  Xi^egOat.  Veggasi  puro  Tucidide  (VI.  4),  Erodoto  (VII.  153) 
e  r  Exu(jLoXoYtxòv  ui-^oL  p.  225,  6.  Il  réXa  corrisponde  perciò  al  latino 
gdu.  Onde  il  Brunet  crede  che  la  parola  appartenga  air  osco,  epico, 
0  siculo.  Esichio  però  spiega  questo  vocabolo  come  splendore  del  sole 
(ocò^n^  4^XCou)  per  eXi^v.  col  digamma.  E  cosi  i  moderni  dotti  editori  del 
Thesaurus  linguae  grecae  di  Stefano  e  Apud  SiaUos,  Gdu,  nomine  a 
splendore  stempio,  quod  recte  monuit  Lennep.  ad  Phalar,  p.  308.  > 

Venga  oi*a  il  nome  di  due  famose  divinità  siciliane. 

naXixo{ ,  lungo ,  secondo  Eschilo  ,  Nonno  e  i  Latini ,  ma  anche 
breve  secondo  Teognosto.  Diceansi  anche  AéXXot. 

Era  celebre  neir  antichità  la  fontana  degli  Dei  Palici ,  ossia  dei 

(I)  V.  Eckhel  Doelr,  Numm.  I.  p,  187,  219. 


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116  NUOVE  EFFEMERIDI  SIOMANE 


,  di  cui  Virgilio  :  Pinguis  ubi  et  placabilis  ara  Palici  (Aen 
IX.  585).  Era  quel  sacro  ed  anlichissimo  ricinto  in  un  piano,  che 
stendeasi  presso  Hineo,  fra  i  territori  di  Gela  e  dì  Catana.  Famoso 
il  luogo ,  e  ricordato  perciò  da  Aristotile  nella  sua  opera  delle 
narrazioni  mirabili ,  iiepl  eaufjuzaCtov  AxoudjjLàxtov ,  come  da  Diodoro 
(XI  89.)  e  da  Strabene  (VI.  p.  275);  notevole  per  oracoli  (V.  Ma- 
crob.  Saturn.  V.  19.  p.  127.  ed.  Preller)  e  pei  giuramenti  solenni 
e  terribili,  ctie  vi  si  faceano,  ond'  era  comune  credenza  che  mai  gli 
spergiuri  scampassero  alla  vendetta  dei  cieli.  Presso  il  rinomato  san- 
tuario^ trasferi  la^  sua  capitale  Ducezio ,  e  si  diedero  convegno  gli 
schiavi  ribellati.  Molti  scrissero,  siciliani  e  stranieri,  intorno  a^ no- 
stri Palici,  come  Giuseppe  Allegranza  {Opmc.  Erud.  Cremona  1781 
p.  203),  il  principe  di  Biscari  (Viaggio  per  tutte  k  Antich.  detia  Sic, 
Pai.  1817.  p.  63),  Tab.  Frane.  Ferrara  {Mem,  sopra  il  lago  dei  Pa- 
lici, ora  lago  Naftia  in  Sic,  nelle  Memorie  del  Capozzo  voi.  I.  Pa- 
lermo 1840) ,  L.  Coco  Grasso  {Rifless.  sopra  Fantico  lago  dei  Palici 
Pai.  1843),  Brunet  de  Presle  (Op.  cit.  Par.  III.  §  10),  6.  Michaélis 
(Die  Paliken,DresA,  1856)  ed  E.  Krause  {Die  Paliken  in  Gaea  IS69). 
Eschilo  nella  tragedia  d<'gli  &nei  (fr.  259,  ed.  di  Firmin  Didot 
Par.  1846  e  tom.  Il,  p.  193.  ediz.  Boissonade)  vuol  trovare  nel  greco 
la  etimologia  del  nome  de'  Palici.  Qual  nome,  dUf  egli,  danno  loro 
i  mortali  f  —  Giove  volle  si  chiamassero  venerandi  Palici  —  Dura  tut- 
tavia, come  è  ragione,  la  fama  loro  f  —  Dura;  poiché  di  nuovo  (*4- 
Aiv)  ritornano  dal  buio  in  questa  luce. 

Ti  SriBev  auTotc  ^vojjia  TiOéaxat  Ppoxof; 
XejJLvoòc  naX(xou<  Zeù<  ètptexai  xaXetv. 
H  xai  DaXixùJv  eòX($Yd>c  {J^évei  cpdkic; 
HàXiv  Y^  ^xoud    ex  oxdtouc  "zÓò    ì^  (pàoc. 

L'etimologia  di  Eschik)  (ành  xou  'iràXtv  lxé(T6ai)  vien  adottata  da 
Macrobio,  che  fa  pure  figliuoli  i  Palici  di  Giove  e  di  Talia.  Un'  al- 
tra strana  etimologia ,  da  (paXX^c,  proposta  da  Creuzer  nella  Symb. 
(t.  II.  p.  229 ,  e  669)  viene  combattuta  da  Ebert  (Dissert.  Siculae 
p.  184).  Più  ragionevole  sembra  il  derivare  la  yoce  Palici  da  Pale, 
dea  della  terra,  conde  lo  spiegare  AéXXot  per  duelli  o  gemelli.  E  cosi 
il  culto  ed  il  nome  di  queste  divinità  non  sarebbero  che  siculi.  Chec- 
ché ne  sia  di  questa  probabilissima  sentenza ,  certo  è  che  il  voca- 
bolo appartiene  al  dialetto  di  Sicilia,  come  dice  Calila  citalo  da  Ma- 
crobio; ouc  aSeXcpoùc  t(Ì)v  UaXixuJv  ol  £txeXi(òxai  vo(jl{2[ou9i.  {Sat.  V.  19.) 

L^Arens  avrebbe  anche  potuto  occuparsi  delle  seguenti  altre  voci 
appartenenti  al  culto,  alle  feste,  alle  dignità  dei  Sicelioti. 
Continua)  Sac.  Isidoro  Carini 

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EMinERI  SICILIANI 

(Continaaz.  e  fine.  V.  voi.  II,  disp.  II*) 


Pam.  XZ.  SuPERiGOHNGs  AmioU 

63.  Spartocera  Lobata  H.  S. 
Madonie  M. 

64.  Verlusia  Quadrata  Fbr- 
Amìot  Serv.  203. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  Sic.144. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ma- 
donie  M. 

65.  Verlusia  Sdlcicornis  Fbr- 
Spinola  147. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144, 
Sic.  C-Palermo  B-Madonie  M. 

66.  Syromastes    Marginatus 
Lnn-Amiot  207. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
1858.  Mina.  Oss.  Eni.  112. 
1860.  Bellier,  Fan.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Madonie  M-Pa- 
lermo  B. 

67.  Syromastes    Longigornis 
A.  Cst. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  140. 
Affine  al  precedente.  Paler- 
mo C. 

68.  Camptopus  Lateralis  Grm- 
Amiot  Ser.  225. 

1839:  Costa,  Alydus  lateralis 
Rag.  Em.  144. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ma- 
donie, comune  M. 


69.  Alydus  Calgaratus  Lnn- 
Amiot,  Serv.  226. 
Madonie  M. 

70.  Stenocephalus  Acilis  Scpl. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Madonie  M. 

71.  MlCRELYTRA      FOSSULARUM 

Fbr-Amiol  Ser.  231. 
1839.  Costa,  Jf.  aptera  Rag. 
Em.  144. 
Sicilia  C-PalermoB-CataniaH. 

72.  Chorosoma  Schilungii 
Schmm-Amiot  231. 

1839.    Costa   C.  artmdinis. 
Rag.  Em.  144. 
Sicilia  C-Palermo  M. 

73.  NEmES  Clavipes  Fbr-Amiot 
Serv.  234. 

Palermo,  Berytus  davipes  B. 

74.  Neides  TiPULARiA  Lnn-A- 
miot Serv.  233. 

1860.  Bellier,  Fau.  Eni.  Sic. 

Sicilia  Bll-Catania   M-Paler- 

mo,  B. 
73.  CoREus  spiNiGER  Fbi-Spi- 

nola  151. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 

1860  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 

Sicilia  C.  Bll-Catania,  Mado- 
nie M. 
76.  Ceraleptus   gragu^ioorms 

H.  S. 


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Ii8 


NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 


Palermo  C. 

77.  Ceralbptus  squalibus  A.Gst 
Palermo  C. 

78.  GoNOGERUS  VENATOR  Fbr 
Amiot  Ser.  239. 

1860.  Bellier;  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

79.60NOGERUS  TRIQUETRIGORNIS 

Bmb-Amiot.  240. 
Palermo  B. 

80.  xMerogoris    dentigulatus 
Hahm. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144 

1840.  Spinola,  Essai  215. 
Sicilia  i\.  S-Palermo  B. 

81.  MeROCORIS    INERMIS  .... 

Palermo  B. 

82.  Therapha  hvosgiami  Lnn- 
Amiot  Serv.  245. 

1839.  Costa,  Rkopalus  hyo- 
«cìamt,  Rag.  Em.  144. 
1858.  Mina,  Lygaeus.  Oss. 
Ent.  112. 

Sicilia  C-Madonie  H-Palermo 
Coryxus  hyosciami  B. 

83.  Rhopalus  capftatus  Fbr- 
Amiot  Ser.  246. 

1839,  CosU,  Rag.  Em.  Sic. 

144. 

Sicilia  C-Madonie  Catania  M. 

84.  Rhopalus  sanguineus  A.Cst. 
Sicilia  C. 

^  85.  Rhopalus  crassicornis  Fbr- 

Amiot  Serv.  246. 

1839.  CosU,'Kag.  Em.  144. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 

Sicilia  C.  Bll-Madonie  Paler^ 

mo  M. 
86.  Rhopalus  parumpungtatus 

Sili. 


1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

87.  Rhopalus  errans  Fbr. 
Madonie  H. 

88.  Pseudophloeus    Fallonii 
Schll-Amiot  Serv.  247. 
Madonie  M. 

Fani.  XXX.   Inferigornes  A- 
miot. 

89.  Lygaeus  lULrrARis  Rss-A- 
miot.  Ser.  249. 

•    1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
1850.  Mina,  Oss.  Ent.  112. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ma- 
doaie  M. 

90.  Lygaeus  bqubstris  Lon-A* 
miot  Ser.  149. 

1839.  Costa ,  Rag.  Em.  Sic. 

144. 

1858.  Mina,  Oss.  Ent.  112. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 

Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ma- 

donie  M. 

91.  Lygaeus  saxatilis  Fab  A- 
miot  Serv.  250. 

1839.  Costa  Rag.  Em.  144. 
1858.  Mina,  Oss.  Ent.  112. 
1860.  Bellier,  Fau.  EnL  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ma- 
donie  Catania  M. 

92.  Lygaeus  punctum   Fbr-A- 
miot  250. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
Etna  sul  Tanacetum  vulga- 
re  C. 

93.  Lygaeus  PUNCTATO-GUTTATUS 
Fbr. 

1839.  CosU,  Rag.  Era.  144 
Sicilia  C-Palermo  B. 


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BMITTBRI  SICILIANI 


119 


9\.  Ltgaeus  gheucus  Lcs. 
1860.  Bellier,  Fan.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Hadonie,  Termini 
M-Palermo  B. 

95.  Lygaeds  NERii  Grm. 
Palermo  B. 

96.  Lygaeus  familiaris  Lim. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Catania  M. 

97.  TrITOMAGEA  APUANOmES  Cst. 

1841.  Cosla,  Rev.  Zool.  297. 
»         »    Accad.  Asp.  Nat. 
6  Hag. 
Palermo  C. 

98.  Henestaris  Spinolae  A.  Cst. 
Amiot  250. 

Sicilia  rara  C. 

99.  Polyacanthos  echii  Fbr-A- 
miot  Sers  252.^ 

1839.  CosiB^Pachymerus  echU 
Rag.  Em.  Ii4. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Madonie,  Cata- 
nia M-Palermo  B. 

lOO.POLYACANTHUS  PIGTDS  Schll. 

Madonie  H. 

101.RHYPAROGHROMUS  ROLANDRI 

Lnn-Amiot  253. 
1839.  Costa,  Packyrnerus  Ro- 
landri^  Rag.  Em.  144. 
1860.  Bellier,  Fan.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ma- 
donie  H. 

102.  Rhyparoghromus  pini  Lnn- 
Amiot  254. 

1839.  Costa,  Pachffmeruspini 
Rag.  Em.  144. 
Sicilia  C. 

103.  Rhyparoghroiius  marginb- 
puNGTATus  Schll-Amiot  254. 


1389.    Costa ,    Pùckymerus 
marg.  Rag.  Em.  144. 
Sicilia    C-Palermo    B-Cata- 
nia  M. 

104.  Rhyparoghromus  abietis 
Fabr. 

1839.  Costa,  Pachymerus  a- 
bietis.  Rag.  Em.  144. 
Etna  regione  de^  pini  C. 

105.  Rhyparoghroiius  superi- 
THROPUS  A.  Cst. 

1839.  Costa  Pack,  supererò  - 
pus.  Rag.  Em.  144. 
Palermo  C. 

106.  Rhyparoghromus  paralle- 
LUS  A.  Cst. 

1839.  Costa,  Pack,  parallelus, 
Rag.  Em.  144. 
1841.  idem  idem  idem.  Sto- 
Em.  Eter.  negli  Ann.  Soc. 
Ent.  Fr.  X;  290,  T.  VI.  F. 
5.  S.  Ciro  C. 

107.  Rhyparoghromus  vulgaris 
Schll-Amiot' 254. 
Uadonie  M. 

108.  Rhyparoghromus   lusgus 
Fbr. 

1839.  Costa ,  Pack,  luscus. 
Rag.  Em.  144. 
Sicilia  C-filadonie  M. 

109.  Rhyparoghromus  rombima- 
CULA  A.  Cst. 

1839.  Costa,  Pùch.  rombima- 
culOn  Rag.  Em.  144. 
Sicilia.  C. 

110.  Bbosus  QUADRATUs  Fbr-A- 
miot  254. 

1860.  Bellier,  Rhiparocro- 
mas  quadratm  Fau.  Ent. 
Sicilia  BlIPalermo  B. 


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120 


NUOVE  BFFBHERnM  SICILIANE 


111.  Stbnogastbiì tardus  Hahn 
Amiot  2KS. 

Sicilia  M. 

1 12.  Stbnogaster  hyaupennis 
A.  Cst. 

Sicilia  Bll. 
113  Cnras   claviculus    FII-A- 

miot  Ser.  259. 

Sicilia  M. 
1 1  ì.  Cyhodema  tabida  Spal-A- 

imiot  200. 

Sicilia  M. 

HS.   OpHTHALMICUS  PALLIDIPEN- 

Nis  A.  Cst-Amiot  261. 
Palermo  B. 

116.  Ophthalmigus  albipennis 
Fbr-Amiot  261. 

Palermo  B. 

117.  Ophthalmigus  ertthroge- 
PHALus  Srvll-Amiot  261. 
Palermo  B-Madonie  H. 

118.  Ophthalkigus  uneola 
Bmb. 

Palermo  B-IMadonie  H. 

1 19.  Anthogoris  nbmorum  Lim- 
Amiot  263. 

Sicilia  H. 

120.  Aphanus  parallelus  A.Cst. 
1841.  A.  Costa,  Accad.  Asp. 
Nat.  6. 

Mag.  Palermo,  S.  Ciro  C. 
Tarn.  ZVm  Caggigenae  Amiot. 

121.  Pyrrhogoris  Aegyptiagus 
Lnn-Amiot  270. 

1839.   Costa,   Astemma  Ae- 
gyptiaca,  Rag.  144. 
Sicilia  C-Hadonie  M. 

122.  Pyrrhogoris  apterus  Lnn. 
1839.  Costa  Astemma  aptera  , 

Bag.  Em.  144.  Sicilia  C. 


Palermo  C. 
fami.  V.  BiCELLULi  Amiot. 

123.  Mmis  LAEviGATUS  Lnn-A- 
miot 277.  Sicilia  M. 

124.  HiRIS    GALGARATUS    FIIA- 

miot  278. 

1860.  Bellier,  M,  vireiis  Fau, 

Ent.  Sic. 

Sicilia  Bli. 

125.  Mmis  EKRATiGus  Lnn-A' 
miot  278. 

1860.  Bellier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

126.  HiRis  su^GORNis  Lnn-Spi- 
nola  186. 

Sicilia  H. 

127.  Phytogoris  strutus  Lnn- 
Amiot  279. 

Madonie  comune  M. 

128.  Phytogoris  nbmoralis  Fbr. 
Sicilia  H. 

129.  Phytogoris  ymmuLus  Fbr. 
Sicilia  M. 

130.  Phytogoris  flavomagula- 
Tus  Fbr-Amiot  279. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic 
Sicilia  Bll. 

131.  Capsus  Aetnbus  A.  Cst. 
1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
1841  Costa,  An.  Soc.  Ent.  X. 
Etna  C. 

132.  Capsus  ater  Lnn-Amiot 
281. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  BINPalermo  B-Mado- 
nie. 

133.  Capsus  bipungtatus  Fbr. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

134.  Capsus  SBXPUNGTATUs  Fbr. 


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BMRTEIU  SICILIANI 


121 


1860.  Bellier,  Faa.  Eot.  Sic. 
Sicilia  BlUPalenno  B. 
Var.  Nankinus  Dfr. 
1860.  BeHier  Phytocoris  San- 
ckiniana,  Fau.  E&t.  Sic. 
Sicilia  fili. 

Vab.  cabbonarios  Dfr. 
1860.  Bellier,  Pau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bli. 
f  3S.  Capsus  rubro-mabginatus 
Lcs. 

1860.  Belii^,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bli-Madcmie  M. 

136.  Capsus  ioniatus  Sch. 
1860.  Bellier,  Fau.  EuL  Sic. 
SicUia  BU. 

137.  Capsus  gapillaris  Fbr-A- 
miot  281. 

liadonie  M. 

138.  Globigbps  clavatus  Lnn* 
Amiot  282. 

1839.  Costa,  Capms  davatus. 
Rag.  £m.  Sic.  144. 
Sicilia  C. 

139.  Helkbotema  Spinigobnis 
Fbr-Amiot  283. 

liadonie  M. 
S"am.  VX.  DuGTiBOSTRi  Amiot. 

140.  Phymata  Crassipes  Fbr- 
Amiot  290. 

Madonie  M. 

141.  Phymata  Ebosa  Lnn-A- 
miot  290. 

1860.  Bellier ,  Syrtis  erosa, 
Fau.  Ent  Sic.  Questa  specie 
cancellata  da  Costa  per  let- 
tera. 

142.  TiNGis  Pybi  Fbr-Amiot  297. 
1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
Sicilia  C. 


143.  MONANTHU  ECHII  Wff-A- 

miot  297. 
Madonie  H. 

144.  MoNANTUU  Clavigobnis 
Lnn.  i843.Amiot,Uemp.298. 
Sicilia  Amiot  Ser. 

145.MONANTHIA  CONVEBGENsKIg . 

Palermo  B. 

146.  Sebbntuia  Atbigapilla 
Spnl-Amiol  300.  Sicilia  M. 

147.  Abadus  Betulae  Lnn-A- 
mìot  308. 

1839.  Costa  ,  A.  carticalis  , 
Rag.  Em.  Sic.  144. 
1860.  BeUier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  C.  BU-Madonie  H . 

148.  Abadus  Spinola»  Gène. 
1842.  Ghiliani,  Ins.  Sic.  43. 
18K8,  Uinà  Oss.  Ent.  112. 
Madonie  G.  H. 

149.  Abadus  Depbessus  Fbr. 
Sicilia  H. 

150.  AcANTHu  Legtuabia  Lnn- 
Amiot  313.  Tutta  Sicilia. 

Fam.  VXX.  NuomosTBi  Amiot. 

151.  PiBATES  Stbidulus  Fbr-A- 
miot 325. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
1860.  Bellier ,  Fau.  Ent.  Sic' 
Sicilia  Bll.  C-Palermo  B-Ma- 
donie  M. 

152.  Hetastbmma  Guttula  Fbr- 
Amiot  329. 

1839.  Costa,  Prostemma  gut^ 
tuia.  Rag.  Em.  Sic.  144. 

1840.  Spinola  ,  idem  idem. 
Essai  96. 

Spinola  fa  conoscere,  che  le 
femine  di  Sicilia  sono  alate* 
Pater,  a  S.  Ciro  C. 


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122 


NCM)VE  EFFEMBEIDI  SICILIANE 


153.  Hbtastbiima   Luodulum 
Hlg-SpiDola  96. 

1839.  CosU,  Prostemma  {ti- 
ddidum.  Rag.  Em.  Sic.  145. 
Gli  esemplari  siciliani  sono 
più  grandi  di  quelli  descritti 
da  Spinola  C. 

154.  Nabis  Aptbra  Fbr-Amiot 
33f. 

1839.  Costa,  Rag.  Em  144. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  Bll. 

155.  Nabis  Subaptera  De  Geer- 
Amiot  33i. 

Palermo  B-Madonie  M. 

156.  Nabis   Fera  Lnn-Amiot 
332. 

1860.  Bellier,  Fau.  Eni.  Sic. 
Sicilia  Bil-Palermo  B-Mado- 
nie H. 

157.  Nabis  Major  A.  Cst. 
1839.  Costa,  Rag.  Em.  135. 
Palermo  C. 

158.  Nabis  Longipbnnis  A.  Cst. 
Palermo  C. 

159.  Nabis  YmmDLUs  Spn.  107. 
Sicilia  ? 

160.  RBDimusPERSONATUsLnn- 
Amiot  337. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  C.  BU-Hadonie  Bl, 

161.  Rbduvios  Palupes.... 
Palermo  B. 

162.  ReDUVIUS  VlLROSUS.... 

Palermo  B. 

163.  Harpagtor  Cruentus  Fbr 
Amiot  365. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  Sic. 
144. 


1860.  Bellier,  Fau.  Ent  Sic. 
Sicilia  C.  Bll-Palermo  B-Ha- 
donie  li. 

164.  Harpagtor  HoEMORRomA- 
us  Fbr. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
1843.  Amiot,  Hem.  366. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sia 
Sicilia  C.  Bit.  Sr-Palermo  B- 
Catania  M. 

165.  Harpagtor  Aegyptugos 
Fbr  Amiot  366. 

Palermo  B. 

166.  Harpagtor  Sangcineus 
Fbr. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent  Sic. 
Sicilia  B. 

167.  Harpagtor  Anndlatds 
Lnn. 

1858.  lima,  Oss.  Ent.  112. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  BU-Madonie  H. 

168.  Harpagtor  Gmseds  Fbr. 
1860  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll-Madonie  M.  ^ 

109.  Harpagtor  Pedestris  W. 
1839.  Costa,  Redavius  pede- 
stris. Cor.  Zool.  1. 138.  Pai.  C. 

170.  Aganthothorax  Sigulus 
A.  Cst. 

1839.  CosU  Cor.  Zool.  1.  138. 
Idem  idem,  Rag,  Em.  Sic  137. 
Sicilia  C. 

171.  HoLOTRicmus  Maurus  Fbr- 
Amiot  377. 

Cyrtffi  Cst.  Palermo  B. 

172.  Holotrighius  Oenudatus 
A.  Cst.  Palermo  B. 

173.  Ongogephalus  Squaudus 
Brm-Amioi  387. 


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EMITTUII  SiaUANI 


123 


Palermo  B-Hadonie  M. 

174.  Ongogbphalus  Notatus  KI. 
1839.  Costa,  Rag.  Em.  Sic. 
144.  Sicilia  C-Palermo  B. 

175.  Ptgolampis  Pallipes  Fbr- 
Amiot  391. 

1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
Sicilia  C. 

176.  Ptgolampis  Fbmoratus 
A.  Cst. 

1863.  Costa,  Ent.  della  Cai. 
Ut.  9.  Palermo  C. 
177;     Embsodema    Uomestiga 
Scpl-Amiot  396. 
1839.  Costa,  Rag.  Em.  144. 
Sicilia  C-Palermo  B. 

178.  Ploearu  Yagabijnda  Lnn- 
Amiot  397. 

1860.  De  Natale,  P.  ambigua 
Sa  poc.  Cros.  5.  Sicilia. 

179.  Htdrometra  Stagnorum 
Lnn -Amiot  400. 
Madonie  M.  C. 

180.  Salda  Uttoralis  Lmi-A- 
miot  405. 

Madonie  H. 

181.  Pelogonus  Marginati» 
Ltr-Amiot  409.  Madonie  H. 

Fam.  VIZI.  Ploteres  La- 
treille. 

182.  Gerris  Paludum  Fbr-A- 
miot  417.  Madonie  M. 

183.  Gerris  Lacustris  Lnn-  A- 
miot  417. 

1838.  Mina  ,  Oss.  Ent.  112. 
Madonie  M-Palermo  B. 

184.  Gerris  Canalium  L.  Ofr- 
Amiot  418. 

Madonie  M. 

185.  Gerris  Costae  H.  S. 


1869.  Costa  Per  lettera. 
Sicilia. 

186.  Gerris   Rufosgutellata 
Ltr-Amiot  418. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia. 

187.  Velia  Rivulorum  Fbr-A- 
miol  418. 

Madonie  M. 

188.  Velia   Currens  Fbr-A- 
miot  420. 

1860.  BelUer,  Fau.  Ent.  Sic. 

Sicilia  Bll-Madonie  M. 
Sectio  11.  Hydrocorisae  Ltr. 
Fam.  I.  BiGEMMi  Amiol. 
Fam.  IZ.  Peduupti  Amiot. 

189.  Naucoris  CiMiGOiDES  Lnn- 
Amiot  433. 

Palermo  B. 

190.  Naucoris  Maculata  Fbr- 
Amiot  434. 

1840.  Spinola,  Essai  54. 
Sicilia  S. 

191.  Nbpa  Cinerea  Lnn-Amiot 
44a 

1858  Mina,  Oss.  Ent.  112. 
Catania,  Madonie,  Paler.  M. 

192.  Ranatra  Linearis  Lnn- 
Amiot  443. 

Madonie,  Palermo  M. 
Fam.  XZZ.  Pediremi  Amiot. 

193.  CoRiSA  Geoffroyi  Leacb- 
Amiot  447.  Madonie  M. 

194.  CoRiSA   Struta  Lnn-A- 
miot 447.  Madonie  M-Pal.  B. 

195.  SiGARA  Leucocephala  Spnl- 
Amiot  448.  Sicilia  M. 

196.  NOTONEGTA    GLAUCA    LUl- 

Amiot  452. 

1858.  Mina  Oss.  Ent.  112. 


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124 


NUOVE  EFFEMERIDI  SICIUANE 


Madonie  M-Palermo  B 
i98.  Anisops  Sardous  H.  S. 
Niveus  Sp.  non  Fbr. 
Hadonie.  M/ 

HOMOPTERA  LTR. 

Sectio  I.  Auchenorhynchi  Dmr. 
Fam.  X.  Stridulantes  Llr. 
198.  Gicada  Fraxini    Fbr-A- 

miol  479. 

1858.  Mina,  Oss.  Ent.  113. 

In  tutta  Sicilia. 
I9d.  CiGADA  Orni  Lnn-Amiol  ■ 

481.  ; 

1858.  Mina,  Oss.  Ent.  113. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 

Sicilia  Bll-Madonie  M. 

200.  CiGADA   TlBIALIS  PnZ. 

1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

201.  CiGADA  Pyghaea  Olv. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent  Sic. 
Sicilia  Bll. 

202.  CiGADA  Montana.... 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

203.  GiGADA  Sanguinea  Fbr-A- 
miot  492.  Sicilia  M. 

Fam.  XZ.  Subterigurnes   A- 
miot. 

204.  Pseudophana    Europaba 
Lnn-Amiot  506.  Madonie  M. 

^5.    BURSINIA    HOEMIPTBRA   A. 

•  Cst. 
18...  0.  Costa,  Fulgora  Hoe- 
miptera,  Fau.  Sic.  Etna  C. 

206.  COLOSGEUS  BONELLU  Ltr- 

Amiot  508.  Sicilia  M. 

207.  Issus  Lauri  Lnn. 

1860.  Bellier,  Fau.  Eat.  Sic. 
Sicilia  Bll. 


208.  Hysteropterum  Immagula- 
TUM  Fbr-Amiot  519.  Sicilia. 

209.  POEGOOPTERA    SiGULA    0. 

Cst. 

18....  0.  Costa,  Corr.  Zool  I. 
Palermo  C. 
Fam.  ZZI.  Anterigornes  A- 
miot. 

210.  Gargara  Genistae  Fbr-A- 
miot 538.  Sicilia. 

211.  POLYGLYPTA   SlGULA....-A- 

miot  541. 

Pel  nome  riporto  la  presen- 
te ,  come  siciliana ,  mentre 
Amiot,  e  Servine  per  patria 
gli  donano  il  Messico. 

212.  Centrotus  Cornutus  Lnn- 
Amiot  551. 

1858.  Mina,  Oss.  EnU  113. 
Hadonie  sulle  felci  M. 

213.  TriegphoraSanguinolenta 
Lnn-Amiot  561. 

1854.  Mina  Proy.  Agr.  193. 
Madonie  M. 

214.  Triegphora  MactataGhu. 
1860.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia. 

215.  Aphrophora  Spumaria  Lnn 
Amiot  566. 

1854.  Mina,  Prov.  Agr.  I9L 
1858.  Mina,  Oss.  Ent.  113. 
Madonie  M. 

216.  Ptyelus  LiNEATUs  Lnn-A- 
miot 567. 

ISriO.  Bellier,  Fau.  Ent.  Sic. 
Sicilia  Bll. 

217.  Ptyelus  Bipasciatus  Lnn- 
Amiot  567.  Madonie  M. 

218.  EVAGANTHUS    INTERRUPTUS 

Lnn-Amiot  575.  Sicilia  H. 


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EMITTERI  SICILIANI 


li^ 


219.  Ledra  AURiTA  Lnn-Amiol 
277. 

Sicilia  nelle  foreste 

220.  EoPELix  CUSPIDATA  Fbr-A- 
miot  583.  Sicilia. 

Sectlo  II.  Sternorbynchi  Amiot. 
Fanu  X.  Phytoputuires  Brm. 
221  PsYLu  FICUS  Lnn-Amiot 
S93.  Madonie  H. 

222.  PSYLLA  OLIVETORUX  Ltr. 

1844.  Romano,  Ins.  noe.  24. 
1854.  Mina,  Prov.  Agr.  230. 
1858.  Mina,  Oss.  Ent.  113. 
Sicilù)  comune. 

223.  SlPHONOPHORA  ARTEMISUE 

Fscl. 

224.  —  ABSiNTU  Lnn. 

225.  —  LACTUCAB  Pssr. 

226.  —  MALVAE  Msly. 

227.  —  ROSAE  Lnn. 

228.  —  URTIGAE  Scbrk. 

229.  Rhopalosiphum  Pbrsigae 
Slr. 

230.  Mtzus  cerasi  Fbr. 

231.  Hyalopterus  pruni  Fbr. 

232.  Aphis  brassicae  Lnn. 

233.  —     CARDUi  Fbr. 

234.  —   CRATEGI  KItb. 

235.  —  EV0NYMI  Fbr. 

236.  —  FRANGULAE  Koh. 

237.  —  GENISTAE  ScpI. 

238.  —  HEDERAE  Kllb. 

239.  —  LAGTUCAE  Fscl. 

240.  —     MALVAE  Kch. 

241.  —     NERI  Kllb. 

242.  —     ORIGANI  Pssr. 

243.  —     PAPAVERis  Fbr. 

244.  —     PLANTAGiMS  Schrk. 

245.  —      RANUNGULI  Kllb. 


246.  Aphis  sambugi  Lnn. 

247.  —     uRTiCAE  Fbr.' 

248.  SlPHOGORYNE     FOENICULI 

Pssr. 

2^9.  Chaithophorus  saucivora 
Wlkr. 

Questi  aOdi  sono  più  o  me- 
no abbondanti  in  Sicilia,  non 

•  garenlisco  bene  la  classifica- 
zione, perchè  essendo  m- 
setti  piccoli ,  ed  i  caralleri 
un  poco  dubbi,  sono  slati 
determinati  più  per  le  piante 
su  cui  vivono. 

250.  Hvzoxaus  MALI  BIt-Amiot 
612. 

Dopo  il  1850  mollo  comune 
in  Sicilia. 
Fam.  XZ.  Puytathelgi  Amiot. 

251.  Coccus  ADONmuM  Lnn. 
1844.  Romano,  Ins.  noe.  25. 
Sicilia. 

252.  Coccus  HESPERmuM  Llr. 
1844.  Romano,  Ins.  noc«  25. 

Sicilia. 

253  Coccus  oleae  Llr. 
1844.  Romano,  Ins.  noe.  25. 
Sicilia. 

25 'i  Coccus  PERSICA  E  Fbr. 
Madonie  M. 

Si  trova  una  specie  mollo 
dannosa  sul  fico,  un'  allra  sul 
làndro,  una  terza  sul  leccio, 
una  quarta  sulla  quercia  gio- 
vine, ma  rara.  Degli  afidi  ne 
ho  veduto  una  specie  mollo 
grossa  nera  sul  castagno  gio- 
vine^ la  quale  vive  pure  sulla 
giovine  quercia. 
Francesco  Mlna'-Palumbo 

9 


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RICERCHE  SLAVE  IN  ITAUA 

LETTERA  AL  PROF.  V.  DI  GIOVANNI 


Chiarissimo  professore^ 

L*  illustre  storico  russo  Vincenzo  Hakausew  è  stalo  fra  noi  negli 
scorsi  mesi,  ed  io  mi  ebbi  il  piacere  di  apprezzarne  il  merito  dav- 
vicino,  per  Tamichevole  relazione  che  me  ne  ha  procacciato  il  sig. 
Carlo  Hupf,  chiarissimo  professore  di  storfa  a  Kònigsbérg. —  Egli  per 
incarico  del  suo  governo  è  nello  impegno  di  raccogliere  documenti 
relativi  agi!  Slavi ,  neìrattuale  ardentissima  febbre  di  panslavismo. 
Ha  viaggiato  Tltalia,  e  partito  da  Palermo  mi  avvisa  d'avere  scritta 
una  lunga  dissertazione  sulla   storia  Ragusea   (YII-XU  secolo)  pel 
suo  apice  il  prof.  Lamonsay ,  il  quale  sta  pubblicando  nientemeno 
un  archivio  storico-slavo.  Or  voglio  far  sapere  per  lo  mezzo  delle 
sue  Effemeridi  che  questo  professor  Makausew  dava  in  luce  nel 
1861  le  Memorie  degli  stranieri  (YI-X  secolo)  intorno  alla  religione, 
alla  vita  privata  e  pubblica,  e  ai  costumi  degli  Slavi;  e  queste  me- 
morie si  stamparono  a  spese  deirUniversità  di  Pietroburgo,  la  quale 
onorò  con  una  medaglia  d'oro^  V  Autore ,  per  quesf  opera  riputata 
unica  nel  suo  genere,  e  della  quale  se  ne  esauri  P edizione.  Essa, 
comprende  la  critica  di  tutto  ciò  che  gli   stranieri  (VI-X  secolo) 
hanno  scritto  sulla  parte  etnografica  delle  antichità  slave.  Ed  è  di- 
visa in  due  parti,  nella  prima  delle  quah,  in  cui  segna  gli  scrittori 
bizantini  ed  arabi  dimostra   dirò  cosi  a  priori  colle  notizie  della 
vita  e  degli  scritti  loro  quanta  fede  si  meritino;  nella  seconda  che 
può  dirsi  a  posteriori  espone  quanto  evvi  di  giusto  e  di  vero  nelle 
notizie  ch'eglino  hanno  tramandato  sugli  Slavi.  —  Stampò  poi  nel 
1865  a  spese  della  Società  storico-archeologica  delP  università  di 
Mosca  una  storia  delle  relazioni  diplomatiche  della  Russia  colPantica 
repubblica  di  Ragusa  ;  storia  basata  su  documenti  inediti ,  che  co- 
minciando da  Pietro  il  grande  si  protrae  sino  alla  caduta  della  re- 
pubblica (1808).  In  essa  trovansi  per  appendice  molti  diplomatici 
documenti,  e  molte  poesie  scritte  da  Ragusei  in  servo  (illirico).  Ia- 
lino, ed  italiano.  Inoltre  due  piante  di  Ragusa,  una  del  secolo  XI, 
oltre  delle  operazioni  militari  di  Russi  e  Francesi  all'assedio  di  Ra^ 


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RIGERGHe  SLAVE  IN  ITALIA  IÌ7 

gasa,  il  qaale  pose  termiae  a  quella  repubblica,  di  poca  fede  o  di 
seite  bandiere  come  chiamaroola  i  contemporanei. 

Indi  nel  1867  pubblicò  in  Pietroburgo  certi  cenni  statistici,  etno- 
grafici e  storici  sugli  Slavi  transdanubiani  (della  Turchia)  e  adria- 
tici, frutto  di  lunghi  studi  da  lui  fatti  nel  non  breve  soggiorno 
(1861-1865)  fra  gli  Slavi  meridionali.  —  In  essi  fra*  varii  articoli 
si  trova  un  viaggio  col  quale  è  forse  il  primo  fra'  suoi  compatrioti 
che  avesse  annunziato  la  verità  sul  Montenegro,  tanto  quanto  pro- 
vocò ad  ira  lo  czar  Nicolò.  Vi  si  trovano  pure  le  interessanti  re- 
miniscenze deirnltima  insurrezione  in  Erzegovina  sotto  la  condotta 
del  voivoda  Luca  Yukalovich. 

Altra  sua  pregevole  opera  è  quella  delle  ricerche  sui  monumenti 
storici  e  sugli  storiografi  di  Ragusa,  pubblicata  in  Pietroburgo  nel 
1865  da  queiraccademia  di  scienze ,  la  quale  accordogli  in  seguito 
nel  1869  il  premio  del  conte  Herarow.  I  monumenti  di  che  trattasi 
si  trovano  In  massima  parte  scoperti  o,  per  lo  meno,  pubblicati  da 
lui  per  prima  volta;  come  a  dire  gli  annali  di  Ragusa  (YII-XVII 
sec.);la  cronaca  del  Milazio  della  fine  del  sec;  XIII;  la  descrizione  di 
•  Ragusa  di  Filippo  De  Diversis  del  1435,  la  storia  dì  Ragusa  del 
senatore  Giugno  Resti  del  secolo  XYill;  la  metropoli  sacra  ragusina 
e  gli  uomini  illustri  di  Serafino  Cerva  ecc.  Ed  è  ammirabile  il  ' 
giudizio  nel  precisar  le  epoche,  e  la  critica  su  la  vita  e  gli  scritti 
degli  storici  ragusei.  Nel  primo  capitolo  di  quest^opera  si  risolvono 
in  modo  felice  i  più  importanti  punti  della  storia,  di  Ragusa:  ei  la 
crede  slavinizzata  non  già  nei  secoli  X-XI  ma  al  finir  del  secolo 
XIV  e  indica  in  modo  preciso  la  causa  della  sua  decadenza  e  della 
sua  caduta. 

Questo  scrittore  ha  in  ItaUa  compilato  con  grande  attenzione 
molte  memorie ,  tiopo  serie  ricerche  fa  ite  tra  noi.  E  prima  una 
dissertazione  tessuta  su  documenti  rinvenuti  a  Venezia,  sul  famoso 
impostore  Stefano  Piccolo ,  il  quale  facendosi  credere  V  imperatore 
Pietro  III  dominò  molt'anni  il  Montenegro,  fece  guerra  ai  Turchi, 
minacciò  Venezia.  Pregevolissima  è  poi  un'altra  memoria  suir ar- 
chivio fiorentino  e  sui  documenti  relativi  alla  storia  slava  che  con- 
tengonsi  in  esso. 

Io  so  ora  finalmente  ch^  ei  s' occupi  proprio  d.elle  cose  nostre , 
dietro  i  documenti  non  pochi  che  ha  rinvenuto  presso  di  noi.*  E 
prepara  la  stampa  della  storia  delle  relazioni  diplomatiche  e  com- 
merciali di  Ragusa  con  Venezia  —  della  congiura  spagnaola  contro 
Venezia  nella  quale  ebbe  parte  Ragusa ,  —  della  storia  delle  rela- 


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128  NUOVE  EFFEMERIDI  SIQLIANE 

zioni  degli  Slavi  con  Firenze ,  —  della  Storia  delle  relazioni  degli 
Slavi  meridionali  cogli  Angioini  di  Napoli,  —  delle  relazioni  d' Italia 
cogli  Slavi  meridionali  nel  secolo  XY,  ecc.  Né  è  a  dubitare  che  sia 
per  isvolgere  sifiEatti  argomenti  con  dottrina,  e  con  quel  senno  che 
ne^  precedenti  e  in  altri  scritti  ha  dimostrato.  Or  egli  è  andato  a 
Molise  per  visitare  te  colonie  slave,  e  stimasi  il  primo  che  dia  delle 
notizie  precise  del  dialetto  che  ìk  si  parla  e  eh'  ei  crede  un  impa- 
sto del  bulgaro  col  serbo.  Nel  mentre  dobbiam  trovare  degna  d' o- 
gni  lode  la  premura  degli  oltramontani  di  studiar  fra  noi  con  soler- 
zia le  cose  nostre  per  T  interesse  che  ne  risente  la  storia  di  loro, 
riesce  doloroso  che  gli  stranieri  vengano  a  spolverar  le  carte  no- 
stre, e  ci  additino  quelle  che  parlano  di  noi.  Dappoiché  oramai  noi 
svogliati»  generalmente  di  ciò  che  concerne  la  vera  gloria  nostra  par 
che  ci  occupassimo  a  preferenza  di  illusorie  fantasmagorie! 

Aprile  1870* 

Y.   MORTILLARO 


STELLA  E  KIUPERLI 

SPOSA  MAOMETTO  IV  NEL  1642 


Anche  questi  due  poveri  Agli  di  Aci,  Stella  e  Kiuperli,  salirono 
in  fama,  e  tramandarono  alla  posterità  il  loro  nome.  La  grandezza 
de'  Kiuperli,  e  le  intestine  discordie  suscitatesi  nella  casa  imperiale 
a  cagione  di  Stella ,  fan  si  eh'  io  non  appuUri  parole  nel  tesserne 
ristoria;  le  sincrone  testimonianze  suppliranno  questa  volta  all'im- 
maginazione del  romanzatore. 

La  città  che  oggi  abitiamo^  nel  1582  nominavasi  AquUia  o  in  me- 
moria della  volgare  tradizione  di  aver  qui  disfatto  i  servi  il  Con- 
sole Aquilio,  0  perchè  s'erano  trasferiti  gli  abitanti  dellMgutto,  che 
fu  cognominata  Vecchia  nelP  Aquila  nuova.  Qualunque  si  fosse  l'eti- 
mologia di  questo  nome ,  eh'  io  ignoro ,  essa  comprendeva  gli  at- 
tuali municipii  di  Aci  S.  Antonio,  Aci  Bonaccorsi,  Aci  Catena,  Aci 
Castello  e  Aci-Reale,  ultima  nata,  e  che  sopraslà  oggi  agli  altri  per 
popolazione,  ricchezza ,  svoigfmento  di  commerci ,  e  magistrature, 
^a  allora?  Era  sì  piccola,  che  quantunque  il  Parlamento  di  Siracusa 

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STBLIJl  E  KIDPERLI  129 

e  r  imperatore  Carlo  V,  V  avessero  elevato  al  grado  di  città  ,  e  a* 
vesse  ottenuto  diritti  e  privilegi  uguali  a  quelli  di  Catania,  ad  istar 
latine,  gli  stessi  naturali  la  diceano  terra. 

Retrocedete  con  la  mente  oltre  due  secoli  e  mezzo  indietro  ;  e 
senza  eh'  io  ve  lo  indichi,  vedrete  un  poggio  da  S.  Biagio  alla  chiesa 
del  Suffragio ,  con  umili  case ,  abitate  di  uomini  di  grande  cuore> 
eh'  ebbero  la  virtù  di  sostenere  un'  ambasceria  a  Carlo  V,  elevare 
il  palagio  senatorio,  la  basilica  di  S.  Sebastiano,  i  conventi  monastici, 
ch'erano  i  Ginnasii  e  Licei  del  tempo.  Non  avevano  tante  cisterna 
da  conservare  l'acqua  abbisognevole  al  consumo  annuale,  quella  in^ 
nanzi  la  chiesa  di  S.  Pietro^  addetta  al  servigio  comune,  si  esauriva 
prima  del  luglio,  per  lo  che  dalle  fontane  lungo  la  spiaggia,  ove 
pollano  le  acque  del  fiume  Aci  seppellite  dalle  moltiplici  lave  del- 
l' Etna,  era  provvista  largamente  la  crescente  AquUia  ìwva. 

Dicono  i  filosofi  naturali  soggiacere  la  marina  di  Aci  a  sette  strati 
di  lava;  non  so  se  ciò  sia  immaginazione  o  realità ,  e  nessuno  fra 
di  essi  determina  quale  sia  l'ultimo  strato  superiore  per  non  es- 
•  sere  colto  in  fallo  ;  certo  si  è  non  essermi  riuscito  a  verificare  il 
loro  detto.  Comunque  vada  la  cosa,  quella  nìarìna  ha  del  singolare 
e  del  pittorico.  A  cominciare  dalla  Grotta  delle  Colombe  a  ponente, 
sino  all'  Acqua  dd  Ferro  a  mezzogiorno,  vi  presenta  una  balza  quasi 
perpendicolare  di  metri  159,  70,  cioè  di  palmi  siciliani  618^  76,  la 
quale  sembra  che  penda  sul  capo  a  chi  la  guardi  di  sotto  in  su. 
Par  fatta  per  nidificarvi  gli  avoltoi,  e  pure  l' uomo  l' ha  tramutala 
in  verziere ,  tanta  l' industria  de'  suoi  cultori ,  uomini  veramente  ^ 
ambidestri ,  perchè  sono  al  tempo  medesimo  campagnuoii  e  mari- 
nari. U  Grotta  delle  Colombe  era  vasta  e  profonda  nei  1558,  i  ba- 
salti prismatici,  che  la  componevano  bellameste  arcuali  dalla  na- 
tura, sono  stati  rovesciati  negli  abissi  del  mare  dalle  tempeste  nei 
secoli  seguenti,  e  grande  parte  a'  nostri  giorni;  ma  quanto  ancora 
ne  esiste  può  fare  ben  congetturare  agli  avvenire  l'antica  sua  for- 
ma. La  Pietra  delle  sarpe,  è  una  piramide  basaltica  formata  dal  fuoco 
fluido  del  vulcano  per  darci  immagine  perfetta  di  quelle  di  Egitto: 
essa  le  sta  di  costa,  e  in  parte  ne  occulta  l'ingresso,  a  chi  la  cer- 
chi con  l'occhio  dalla  fontana  della  Zia  Potenza.  È  questa  la  najade 
delle  nostre  cento  fontane,  e  l' acqua  che  da  essa  scaturisce,  vince 
in  pregio  anche  quella  di  Miuccio  che  viene  appresso ,  tanto  lim- 
pida, ghiaccia,  leggiera  e  soave  essa  è,  e  non  v'  ha  chi  le  si  acco- 
sti, e  non  ne  beva  un  sorso,  anche  senza  aver  sete,  per  vaghezza 
e  diletto.  Nell'anno  di  cui  parliamo  viveva  Zia  Potenza,  che  l'avea 


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130  NUOVE  EFFKMEBIDI  SICILIANE 

cavala  a  universo  benefìcio,  e  di  cui  ancora  ricorda  il  nome,  e  lo 
ricorderà  in  perpetuo  tanto  per  la  pia  donna,  quanto  per  i  luttuosi 
casi  di  cui  fu  testimonio. 

Miuccio  suo  marito  avea  dato  nome  air  altra  fontana  ch^era  ac- 
costo alla  loro  casetta  di  abitazione^  e  vivendo  di  pesca,  lasciava  alla 
moglie  Potenza  la  cura  de'  figli  eh'  essa  spediva  a  vendere  acqua 
in  Aci  Aquilia  a  mezzo  soldo  la  brocca ,  mentre  egli  in  mare  pe- 
scava giovandosi  de'  suoi  misteri  orditi  di  propria  mano.  Dio  avea 
aiTicchilo  que'  coniugi,  paghi  del  loro  stato,  di  sei  figliuoletti,  dei 
quali  il  maggiore  a  15  marzo  di  quell'anno  per  essi  fatale,  era  col 
padre  alla  pesca  delle  sarde  nel  golfo  di  Catania,  altri  tre  erano  in 
città  a  vender  la  famosa  acqua  della  Zia  Potenza,  e  4M>stei  con  la 
figlia  Stella  di  7  anni  e  il  piccolo  Masuccio  di  6  baloccavano  in  casa 
con  la  madre. 

Nel  seno,  o  ansa  che  descrive  la  spiaggia  dalla  Pietra  delle  sarpe 
alla  fontana  della  Zia  Potenza,  non  erano  che  circa  venti  tra  donne 
e  ragazzi  e  intenti  ad  asciugar  reti,  a  imbianchir  tele ,  o  alle  do- 
mestiche faccende,  si  rianimavano  al  raggio  ristoratore  ^el  sole  o- 
riente  che  a  larghe  e  tremule  strisce  indorava  le  crespe  del  mare.  In- 
tanto rasentando  le  scogliere  di  S.  Tecla  una  galera  algerina  s' era 
fermata  alla  Mala  Discesa,  Un  trar  d'archibugio  da  terra,  a  non  in- 
sospettire la  gente,  inalberò  l'aquila  nera  in  campo  bianco ,  inse- 
gna della  nazione  siciliana,  scolpita  ne'  nostri  antichi  nummi,  <x)n- 
-servata  come  segno  di  vita  politica  per  tanti  e  tanti  secoli,  e  strap- 
pataci violentemente  da'  Borboni  nel  1819,  quando  tramutarono  la 
regina  del  tirreno  in  provincia  di  Napoli;  e  che  ancora  immensa  e 
marmorea,  quasi  voglia  proteggerla,  si  vede  grandeggiare  in  Paler- 
mo nella  reggia  de'  nostri  monarchi.  Difatti,  quanti  all'  alba  si  ac- 
corsero di  quella  galera  colà  fermala,  la  ritennero  per  nostra  e  de- 
stinata a  guardare  le  coste  e  la  marineria  siciliana  dagli  assalti  dei 
barbareschi. 

Frattanto  essa  avea  messo  a  terra  due  grandi  caicchi  carichi  dei 
più  destri  pirati,  e  costoro  inerpicatisi  per  la  Mala  Discesa,  e  per- 
dendosi e  occultandosi  tra  le  opunzie,  i  cespugli  e  i  massi  vulca- 
nici, aveano  circuito  dall'alto  la  marina  della  Scala,  e  guizzando <x>- 
me  fulmini  inaspettatamente  dal  laberinto  de'  precipiti  ciottoli  del- 
l'enorme  balzo  Timpa  piombarono  addosso  agli  sprovveduti,  e  detto 
fatto  li  legarono.  In  quel  mentre  la  galera  si  era  accostata  alla  Scala, 
i  caicchi  alla  spiaggia,  e  senza  curare  di  lagrime  e  grida,  tutti  i  pri- 
gioni e  le  loro  masserizie  furono  imbarcati.  Quando  se  n'ebbe  voce 


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STELLA  E  K1UPERLI  131 

in  città,  la  galera  era  al  largo,  e  i  miseri  cattivi  appena  dagli  oc- 
chi poteano  scorgere  il  pino  di  S.  Tecla,  albero  ultra  millenario  no- 
bile avanzo  deir  archeologia  vegetabile,  che  dal  gigantesco  tronco  e 
dalla  vasta  chioma  conifera  guidava  i  naviganti  dal  promontorio  di 
S.  Alessio^  antico  argenno,  a  quello  di  Agosta,  antico  seno  mega- 
rico. 

Tra  quegP infelici  erano  la  Zia  Potenza,  Stella  e  Masuccio;  il  pa- 
dre e  gli  altri  quattro  figli  erano  campati  perchè  assenti,  lo  tralascio 
di  descrivere  anche  a  larghi  tocchi,  lo  strazio«de^  prigioni,  il.  dolore 
di  vedersi  per  tutta  la  vita  divelti  dalla  patria  e  da^  suoi;  lo  schianto 
degli  altri  loro  consorti  di  sventura;  non  è  lettore  che  non  possa 
immaginarlo,  e  supplire  questa  lacuna,  scendendo  appena  nelP  inti- 
mo del  proprio  cuore,  e  ponendosi  idealmente  al  loro  luogo.  La  Zia 
Potenza  non  resse  al  cumulo  de^  suoi  dolori,  e  mori  in  Algeri  dopo 
pochi  mesi  di  prigionia  abbracciata  a^  figliuoletti  Stella  e  Masuccio. 

Poco  dopo  quegli  orfani  desolati  furono  condotti  a  Costantinopoli 
e  lor  fortuna  volle  di  essere  compri  dal  Cafri- Agà  capo  degli  eunu- 
chi bianchi,  per  conto  del  gran  Signore.  Il  tempo  che  tutto  can- 
cella, col  lento  lavorio  della  sua  lima,  fece  perdere  mano  mano  ai 
nostri  giovanetti  la  memoria  de^  fratelli,  del  padre,  della  patria,  e 
ultime  quella  della  madre  e  della  favella  nativa ,  e  solo  i  registri 
del  Serraglio  conservarono  la  ricordanza  della  loro  origine.  Il  vi- 
cendevole amore  fra  di  essi  non  si  estinse  giammai ,  anzi  vieppiù 
si  rafforzava  e  crescea.  La  sveltezza  del  loro  corpo,  il  baleno  degli 
occhi,  la  grazia  e  Tingenuìtà  di  cui  erano  adorni,  li  fecero  predislin- 
guere  tra  il  popolo  degli  schiavi  del  Serraglio;  talché  furono  edu- 
cati con  vigile  affetto. 

Il  Serraglio  non  solo  è  una  città  per  se  stesso,  ma  contiene  quanto 
di  più  illustre  e  splendido  possa  avere  queir  impero.  La  Bisanzio 
degli  antichi ,  la  Stambul  degli  ottomani,  la  Costantinopoli  de'  cri- 
stiani, è  la  vaga  e  bella  metropoli  del  mondo  per  la  sua  postura , 
i  mari  che  P intorniano,  le  ricchezze  che  TAsia  e  l'Europa  le  tri- 
butano, mentf  essa  congiungendole,  siede  sopra  di  entrambe  quelle 
due  parti  del  mondo  antico.  Solimano  II  fece  elevare  il  Serraglio 
nel  luogo  più  gradevole  della  regina  del  Bosforo,  sur  un  promon- 
torio triangolare ,  air  imboccatura  del  mar  nero.  Due  lati  di  esso 
si  specchiano  neir  Egeo  o  mar  di  Marmerà,  il  terzo  domina  V  im- 
menso panorama  della  città.  Il  Serraglio  ha  molte  porle  dal  lato  di 
mare  e  di  terra,  e  di  quesl'  ultime  una  soltanto  è  aperta.  I  capigis 
guarda  porta,  la  custodiscono  sotto  gli  occhi  di  un  pascià:  le  altre 


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132  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

stan  chiuse ,  e  non  si  aprono  che  in  casi  straordinarii  per  (ardine 
del  Sultano. 

Serraglio  vale  palagio,  non  harem,  casamento  delle  donne  che  cor- 
rispondente al  gineceo  degli  antichi,  n'  è  parte.  Ogni  turco  paò  a- 
Tere  un  harem^  ma  il  solo  imperatore  può  avere  un  Serraglio. 

Esso  è  d'una  estensione  dismisurata,  la  sua  circonferenza  è  di 
circa  otto  miglia  siciliane,  cioè  poco  meno  di  12  chilometri.  Oltre 
gl'immensi  giardini  e  le  spaziose  piazze,  contiene  la  moschea,  il 
palagio  imperiale,  quello  del  tesoro  de'  sultani  defunti ,  quello  del 
Consiglio  di  Stato  o  Divano ,  con  tutti  quegli  degli  ufficìi ,  che  ne 
dipendono,  e  gli  archivi  governativi,  due  collegi  per  le  schiave,  due 
per  gli  schiavi  educati  dal  pubblico,  i  quartieri  delle  odalische,  delle 
favorite,  delle  sultane  e  de'  loro  teneri  figli;  gli  appartamenti  di 
tutti  i  dignitarii  dello  Siato,  ma  castrati,  come  eunuchi  bianchi  e 
neri,  muti,  segretarii,  archìvarii,  professori;  le  scuderie,  e  in  quella 
del  sultano  non  sono  meno  di  due  mila  cavalli  turchi,  urani,  per- 
siani. —  Ck)là  non  entra  nessuno  armato,  non  vi  sono  soldati,  né  sono 
permesse  arme  di  ogni  sorta.  I  bosta^igys  o  giardinieri  ne  fanno  la 
guardia;  la  milizia,  durante  la  sessione  del  divano,  custodisce  iner- 
me la  prima  corte  esteriore. 

Gli  schiavi  sono  divisi  ne'  collegi  secondo  la  loro  età;  Stella  en- 
trò nelPhasoda  delle  femmine,  e  Masuccio  in  quella  de'  maschi,  per 
essere  educati  sotto  gli  occhi  del  principe  co'  loro  consorti,  desti- 
nati ad  occupare  i  più  grandi  ufficìi  dell'  impero.  Non  appena  fu- 
rono ivi  ammessi,  e  vennero  notati  i  loro  nomi  ne'  registri,  e  as- 
sunsero vestimenta  all'  orientale ,  s' iniziò  la  loro  educazione.  En- 
trambi si  mostrarono  docili,  rispettosi,  intelligenti,  i  loro  hogias  o 
inaestri^  li  additavano  come  modello ,  e  li  colmavano  di  elogi.  In 
poco  passarono  dalla  prima  nella  seconda  hasoda  ,  e  appresero  a 
leggere,  a  scrivere,  a  parlare  il  turco,  T  arabo ,  il  persiano,  quindi 
la  geografia,  T  istoria  ottomana  e  universale ,  e  Masuccio  il  latino , 
nella  qual  Jingua  si  predistinse. 

Qui  giunti  è  mestieri  occuparci  isolatamente  de'  due  nostri  cari 
protagonisti  ;  seguiamo  Stella  ,  per  indi  tornare  a  Masuccio.  Essa 
sovrastava  in  merito,  come  in  bellezza  alle  sue  cinque  in  sei  cento 
compagne  ;  quanto  più  grandeggiava,  tanto  più  attirava  a  sé  l' am- 
mirazione e  r  amore  dell'  hasoda  tutta  quanta.  E  siccome  sol  essa 
non  s'avvedea  della  propria  superiorità,  la  gelosia,  l'invidia  che, 
come  pianta  malefica,  facilmente  germinano  in  cuor  di  donna,  non 
r  offendeano,  ed  era  anzi  l' atnore  dell'  hasoda. 


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STELLA  E  KIUPERLI  133 

Il  sultano,  che  spesso  saole  intertenersi  eoa  quelle  fanciulle,  un 
giorno  volle  a  lungo  conversare  con  Stella  ;  egli  era  Selim  II,  uno 
de**  prìncipi  più  intelligenti  e  crudeli,  che  abbiano  regnato  su^  mu- 
sulmani. Il  colloquio  si  converti  in  accademia  ;  la  nostra  concitta- 
dina con  la  modestia  della  vergine,  non  solo  gli  parlò  bene  in  a- 
rabo,  in  persiano  e  in  turco,  ma  con  ingenuità  e  soavità  senza  pari^ 
gli  svolse  la  storia  e  la  geografìa  particolare  e  universale,  come  se 
invece  di  giovarsi  della  memoria ,  avesse  letto  in  un  libro.  Cantò 
quindi,  danzò  e  suonò  vari  strumenti  con  tale»  grazia  e  leggiadria 
da  elevare  all'estasi  quanti  ebbero  il  bene  di  vederla  e  di  udirla. 
I  di  lei  hogìas,  eh*"  erano  presenti,  ne  giubilavano,  e  si  accrebbe  la 
comune  maraviglia  e  compiacimento,  quand'  essa  pose  sotto  gli  oc- 
chi di  Selim  un  quadro  intessuto  di  margheritine  a  varii  colori , 
rappresentante  il  vasto  impero  degli  Osmali  con  i  mari,  i  fiumi,  i 
monti,  le  isole ,  cosi  leggiadramente  ed  esattamente  ritratti  da  di- 
sgradarne il  pennello.  L'imperatore  la  regalò  di  una  collana  di  perle, 
e  i  suoi  maestri  e  la  kadu-kaia ,  sua  direttrice ,  di  ogni  sorta  di 
doni  :  da  quel  giorno,  abbenchè  non  assunta  al  talamo  imperiale , 
fu  riverita  come  sultana.  E  per  le  peregrine  doti  della  mente,  del 
cuore  e  della  persona,  a  quel  di  Stella,  fu  aggiunto  l'appellativo  di 
Lucente,  a  dimostrare  essere  il  più  splendido  astro  di  quelPempireo. 

Compiva  appena.  20  anni  quando  Amuralte  III  succedeva  nel  trono 
di  Costantinopoli  a  suo  padre  Selim  II  nel  1595.  Un  mese  dopo, 
il  novello  signore  annunziò  al  capo  degli  eunuchi ,  e  alla  sovrain- 
tendente  delle  odalische,  come  il  dimani  avrebbe  scelto  una  arachi 
0  favorita.  Tutte  quelle  vergini  attendeano  con  ansia  questo  piace- 
vole avviso,  e  non  appena  fu  bandito  T  heìvet,  fu  una  festa  ne'  giar- 
dini e  nei  moltiplici  quartieri  del  Serraglio.  All'  ora  prescritta  com- 
parvero quanti  colà  si  trovavano;  gli  eunuchi  sì  posero  in  guardia 
a  tutti  gli  sbocchi,  intimando  di  allontanarsi  ognuno  per  fino  dalle 
muraglie  de'  giardini  dell'  hasoda,  sotto  pena  di  morte.  AH'  apparire 
del  giovane  sovrano  un  popolo  di  bellezze  uniche  in  sul  fiorire  della 
vita  gli  si  presentò,  rivaleggiando  con  i  modi  più  seducenti  e  vo- 
luttuosi a  chi  meglio  potesse  ispirare  amore  e  affetto  in  cuore  di 
queir  essere  privilegiato  su  tutti  i  mortali.  Esse  vestivano  abiti  tra- 
sparenti e  corti,  ciò  eh'  è  severamente  vietato,  tranne  quando  siano 
chiamate  dall'helvet,  aveano  nude  le  braccia,  e  il  seno  leggermente 
velato.  E  così  come  silfidi ,  intessevano  e  balli  e  canti  e  suoni ,  i- 
solate  e  a  coro  e  in  masse  ondulanti,  con  le  più  seducenti  attitudini 
e  movenze. 

Amuratte  inebbrìalo  d'ineffabile  dilelto,  ordinò  la  rhomea^  famosa 


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134  NUOVE  EFFEMERIDI  8IGILUNE 

danza  greca,  la  più  leggiadra  di  quante  se  ne  osano  nell^  harem.  Al- 
lora si  schierarono  tulle  ordinale  in  ale,  come  prescrive  T  ordina- 
mento di  questo  ballo,  e  secondo  V  altezza  di  ogni  odalisca.  Al  suono 
degli  strumenti  musicali ,  s^  intrecciarono  le  volubili  ridde ,  e  cia- 
scuna poi  a  solo  si  presentava  al  principe  deponendo,  con  agile  guizzo 
de'  piedi,  un  flore  sul  primo  gradino  del  trono.  Com'era  naturale. 
Stella  vinse  e  per  grazia,  beltà,  leggerezza  di  moti,  e  nobiltà  tutte 
le  compagne ,  e  quando  posò  la  rosa  sul  tappeto  imperiale ,  trovò 
nella  sua  mano  rialzandosi  la  pezzuola  della  predilezione.  Dopo  ciò 
Amuratte  disiiarve,  e  la  giovinetta  fra  gli  universali  omaggi  passò 
al  bagno,  fu  profumata,  vestila  d'oro  e  di  gemme,  scelse  le  dame 
di  onore  della  novella  sua  corte ,  e  accompagnala  da'  canti  e  dai 
suoni  di  entrambe  le  hasode,  entrò  timida  nella  camera  nuziale  a  sa- 
crificare all'  amore. 

Stella  divenne  in  breve,  e  senza  quasi  ambirlo,  arbitra  d' Amu- 
ratte, dopo  che  ne  conquistò  il  cuore,  mosse  a  suo  libito  la  di  lui 
mente.  Non  era  sol  uno  de'  grandi  dignilarii  dello  Stato ,  il  quale 
non  riverisse  o  non  consultasse  la  famosa  arachi,  che  già  formava 
la  gloria  e  l' ornamento  migliore  del  Serraglio  ;  ma  essa  non  era 
felice,  un  dolore  intimo  la  travagliava.  Stella  salita  a  tanta  potenza, 
adorata  dall'intera  città,  benedetta  da'  poveri  che  le  perdonavano 
le  acquisiate  ricchezze  e  pregavano  Dio  di  accrescergliele ,  perchè 
le  spandeva  a  loro  sollievo,  non  avea  ancora  potuto  cingere  la  sua 
fronte  del  diadema  imperiale,  e  dal  grado  di  hungiar-arachi,  prima 
favorita,  passare  a  quello  di  arachi  sultana. 

Io  qui  potrei  sostituire  alla  mia  penna ,  quella  dell'  illustre  Sa- 
gredo,  il  quale  narra  nelle  sue  storie  i  casi  di  questa  celebre  donna  (i), 
ma  non  dilungandomi  da  quant'  egli  riferisce,  aggiungo  che  la  no- 
stra Stella  avea  dato  selle  figlie  ad  Amuratte,  e  che  Dio,  quantunque 
cosi  feconda,  le  avea  niegato  un  solo  maschio.  L' imperatore  ad  onta 
di  ciò  e  della  legge  volea  proclamarla  sultana,  ma  la  di  lui  madre 
vi  si  oppose  gagliardamente,  aggiungendo  eh'  essa  avrebbe  dovuto 
saper  dare  un  erede  all'  impero  per  meritare  cotanto  onore,  e  quindi 
r  imperatore  dovette  smettere  dal  suo  proposito.  Ma  Stella  senza 
corona  di  brillanti  sul  fronte ,  fu  teneramente  amata  dal  principe, 
potè  beneficare  quanti  infelici  ebbero  a  lei  ricorso ,  e  comandare 
quel  vasto  impero,  soccorsa  da'  segreti  consigli  del  suo  Masuccio. 

ContintM)  LiONARDo  Vico 

(1)  Tom.  VI,  libro  XII,  pag.  216. 

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DI  DUE  STATUE  DEL  SEGOLO  XV 

IN  S.  MARIA  DI  GESÙ' 
Xiettera  ad  Agottiao  dallo 


Chiarissimo  Signore, 

Colla  mia  del  10  dicembre  1869  ebbi  T  onore  di  tenerle  parola 
della  statua  in  marmo  di  S.  Maria  del  Soccorso  scolpila  da  Giorgio 
Demiiano  palermitano  nell'anno  1487  per  la  chiesa  di  S.  Vincenzo 
di  questo  Comune,  la  quale  ultimamente  fu  passata  in  questa  ma- 
dre chiesa  nella  cappella  di  S.  Giuseppe.  Ora  adempio  alla  pro- 
messa di  &rle  menzione  di  quell'altra  statua  di  S.  Maria  di  Gesù, 
citata  nell'atto  di  convenzione  fatto  col  nominato  scultore. 

E  pria  di  tutto  debbo  confessarle,  che  nel  leggere  in  queir  atto 
notarile  T  espressione  melioratam  figure  sancte  Marie  de  Jesu  Ther- 
marum,  subito  mi  si  affacciò  il  dubbio,  che  quella  statua  potrebbe 
essere  anche  parto  dello  stesso  scultore,  per  cui  osservazioni  e  ri- 
cerche erano  necessarie  a  farsi  sulla  predetta  opera,  onde  poterne 
formare  un  adeguato  giudizio. 

La  statua  di  eccellente  marmo  a  grandezza  naturale  sotto  titolo 
di  santa  Maria  della  Visitazione*  che  si  trova  nella  quarta  cappella 
della  chiesa  di  S.  Maria  di  Gesù ,  è  air  impiedi  sopra  un  nugolo , 
in  cui  in  piccole  figure  si  vede  scolpito  il  presepe  che  a  destra  ha 
un  angioletto  ed  a  sinistra  una  santa,  entrambi  in  ginocchio  ;  agli 
estremi  poi  seguono  due  teste  di  serafini ,  e  quindi  due  stemmi 
con  un  leone  rampante ,  armi  gentilizie  della  famiglia  Bruno.  Il 
Bambino  supino  sulle  braccia  della  Madre  rivolge  graziosamente  la 
testa  allo  spettatope  annunziando  il  Verbo  coir  indice  che  esce  dalla 
bocca ,  mentre  colla  sinistra  tiene  il  mondo  e  lo  avvicina  al  suo 
seno;  e  la  Diva  colla  testa  scoverta,  dalla  quale  scendono  ondeg- 
gianti le  tracce  sul  petto,  presenta  il  suo  figliuolo  con  tale  un  mo- 
vimento della  persona  che  è  assai  sorprendente,  e  dà  molta  vita  al 
gruppo. 

11  nudo  sente  un  poco  del  secco,  e  non  ha  quello  sviluppo  che 
r artista  seppe  trovare  nel  panneggiamento  naturale  e  morbido. 


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136  NUOVE  EFFEMBRmi  SICILIANE 

massimamente  nel  manto  che  raccolto  sotto  le  dì  lei  braccia  forma 
graziose  pieghe ,  nelle  qaali  traspare  il  nudo  senza  afifetlazione  al- 
cuna :  i  capelli  e  i  sopraccigli  sono  dorati,  come  pare  lo  è  il  manto 
nei  lembi  e  negli  arabeschi  dipintivi  di  sopra  ;  gli  occhi  son  colo- 
rati di  oscuro,  le  bocche  di  color  roseo,  e  V  interno  del  manto  di 
azzurro. 

Altro  gruppo  di  marmo  a  mezzana  grandezza  si  trova  in  quella 
chiesa  esprimente  la  Pietà,  segnato  di  S.  Maria  di  lesus  1480:  in 
esso  è  ammirevole  per  la  espressione  di  cordoglio  la  Madre  Addo- 
lorata che  tiene  sulle  ginocchia  il  suo  Gesù  morto,  il  cui  nudo  al- 
quanto secco  non  è  privo  di  merito;  i  panni  han  poco  rilievo,  ma 
buone  pieghe  ;  e  sopratutto  è  notabile  nel  fondo  del  gruppo  per 
la  parte  estetica  un  coro  di  sei  angioletti  in  preghiera. 

Che  lo  scultore  Giorgio  Demilano  fosse  stato  conosciuto  dagli  ono- 
revoli fratelli  Bruno  fondatori  della  chiesetta  di  S.  Maria  di  Gesù  è  ben 
certo,  poiché  si  trova  scritto  negli  atti  di  notar  Antonio  de  Michele 
sotto  il  giorno  16  ottobre  1484,  che  quell'artista  si  obbligava  ese- 
guire un  arco  con  suoi  pilastri  di  pietra  calcarea  per  la  cappella 
della  stessa  a  spese  degli  enunciati  Bruno  ;  i  quali  in  quella  con- 
giuntura di  adornare  la  chiesetta  non  è  improbabile  che  avessero 
allogato  pure  al  suddetto  scultore  T  esecuzione  della  statua  di  S.  Maria 
della  Visitazione,  fatta  parimente  a  loro  spese  come  lo  provano  le 
armi  gentilizie  scolpite  nella  base. 

La  chiesetta,  che  in  origine  era  formata  da  un  semplice  rettan- 
golo colla  porta  rivolta  al  NE  e  rimpelto  unica  cappella  decorata 
dall'  arco  eseguito  in  pietra  calcarea  dal  Demilano,  fu  in  seguilo  per 
li  bisogni  della  crescente  popolazione  elargata  e  ridotta  alla  attuale 
forma  coir  ingresso  al  NO,  aggiungendosi  altre  quattro  cappelle  la- 
teralmente a  quella  prima  esistente  ove  era  la  statua  della  Visita- 
zione ,  che  in  quella  occasione  fu  situata  nelP  altare  della  contigua 
cappella  appartenente  alla  famiglia  Bruno,  la  quale  con  non  indifife- 
renti  somme,  unitamente  alle  oblazioni  di  altre  faunglie  opulenti  del 
paese,  aiutarono  a  murare  quella  sacra  fabbrica. 

Or  dall'  importante  documento  sopra  citato ,  e  dall'  espressione 
{melioratam  etc.)  che  fa  quasi  chiaramenle  vedere  esser  T  autore 
della  statua  di  S.  Maria  della  Visitazione  lo  stesso  Giorgio  Demilano, 
poiché  dobbiamo  credere  che  nissuno  sia  cosi  ardito  da  promettersi 
fare  T  opera  sua  migliore  di  quella  fatta  da  un  altro;  e  dalla  somi- 
glianza poi  dello  stile  nel  panneggiamento;  dal  modo  identico  di 
trattare  il  nudo;  dal  concedo,  che  é  priìBa  e  sovrana  dote  dell'  arte, 


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DI  DUE  STATUB  DEL  SEC.  XV  137 

in  ambo  le  statue  bene  espresso ,  io  ne  conchiado  che  la  statua 
di  S.  Maria  della  Visitazione  è  lavoro  del  nominato  Demilano. 

Per  quanto  riguarda  poi  il  gruppo  della  Pietà,  eseguito  anni  prima, 
potrebbe  benissimo  attribuirsi  a  queUa  scuola. 

Ecco  quanto  ho  potuto  raccorrò  di  notizie  sui  due  gruppi  della 
chiesa  di  S.  Maria  di  Gesù,  e  quanto  penso  degli  stessi.  A  migliori 
schiarimenti,  ed  a  giudizi  più  maturi  il  resto. 

Mi  creda  con  tutto  rispetto  ed  affezione  suo 

Da  Termini-Imerese,  1870. 

Dev."»  servo 
Ignazio  de  Michele 


GOTTSCHOLK 

0 

IL  MUSICO  DELLA  MORTE  (1). 


Aperto  è  il  ciel  di  Dio 
Air  alma  innamorata,  e  tutta  assorta 
In  quest'  unica  gioja  al  mondo  è  morta. 
Schiller,  Canz,  deHa  Camp, 

Nel  pensier  della  morte  un  di  rapito, 

Ei  si  commosse  nel  profondo  cor; 

E  nell'arcana  idea  deirinQnito 

Arder  s'intese  di  celeste  amor. 
Della  terra  dimentica,  pel  cielo 

L'està  tic' alma  già  facea  cammin; 

E  quasi  sciolta  dal  corporeo  velo, 

Sentia  l'afflato  angelico,  divin. 

(I)  «.È  morto  a  Rio  Janeiro  in  età  di  4Q  anni  il  famoso  pianista  Gottscholk.  Nel- 
r  ultimo  suo  concerto  egli  avea  cominciato  a  sonare  sul  piano  forte  una  magnifica 
ispirazione  melodica,  intitolala  la  m&rie,  quando  tutto  ad  un  tratto  egli  si  arresta, 
vacilla  e  cade  privo  di  sensi.  Dopo  15  giorni  di  lotta  accanita  col  morbo  struggi- 
tore  la  sua  vita  sì  spense  nel  più  bel  fiore.  Strana  coincidenza  !  •  U  Univeno  Illu- 
strato, a.  IV.  N.  2^  27  febr.  i87a 


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138  NVOYU  EFFEMEBIDI  SIGUJANE 

Ed  ecco  un  Cherabin,  sull'  arpa  d' oro 
Dolce  melodiaado,  a  lei  s' offirì... 
E  •  la  pare  sarai  del  noslro  Coro» 
Nel  volger  (disse)  di  non  luoghi  dì. 

•  De  la  bella  Armonia  nei  santo  amplesso 
Sei  tu  vissuta  gloriosa,  ognor: 

E  nel  bacio  di  Lei  V  ha  pur  concesso 
Lasciar  la  terra  T  Infinito  Amor. 

•  E  tu  la  nota  omai  sciogli  dal  petto, 
Che  fia  r estrema  e  ch'io  t'ispirerò: 
Pria  che  Morte  si  faccia  al  tuo  cospetto. 
Che  tu  canti  la  Morte  i'  chiedo  e  yo\  > 

Disse  —  e  qual  nebbia  in  aere  vanio; 

Ma  tal  possanza  a  quello  spirto  die. 

Che  di  Morte  il  mistero  ei  lesse  in  Dio, 

E  del  mistero  mterprete  si  fé. 
A  melodici  numeri  divini 

Il  suo  novo  fidando  alto  pensier, 

Che  un  accordo  parea  di  Cherubini 

Temprato  air  armonie  del  Primo  Ver.  — 
Ecco  egli  siede,  e  i  cembali  commossi 

Fa  della  sua  melòde  risonar: 

L'odon  gli  amici  e  sentono,  percossi 

Di  meraviglia,  M  core  palpitar... 
Ma  perchè  di  pallor  si  tinse  il  viso? 

Perchè  T  agile  mano  si  ristè  ?.. 

Perchè  lo  sguardo  ai  cieli  tien  si  fiso  ?. 

Qual  mai  fantasma  innanzi  a  lui  si  fèl- 
li fantasma  di  Morte!  Una  corona 

Di  eterni  fiori  ella  gli  posa  al  crin; 

E  e  or  te  da'  sensi  (dice  a  lui)  sprigiona 

La  tua  diletta...  vieni,  o  pellegrin  ì  • 
Ei  la  contempla  in  estasi  I  Terrore 

La  Morte  ad  altre  genti  apporterà... 

Ma  da  ch'egli  le  sciolse  un  suon  di  amore, 

Più  la  Morte  per  lui  terror  non  hai 

(Messina  10  marzo  1870) 

L.  Lizio-BnuNo 


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CURIOSITÀ  STORICHE  SICIUANE 


(f,  222)  Oonfraternite  nelle  malattie  donano  al  oonDrati  aoo- 
eorso  di  danaro.  É  costume  nella  nostra  città ,  che  alcune  Con- 
gregazioni, 0  Confraternite,  qualora  sono  ammalati  li  loro  Coufrati, 
somministrano  loro  una  certa  quantità  di  denaro  ogni  giorno,  per 
mantenimento  nelle  sue  malattie  ;  siccome  pure  detti  Confrati ,  in 
ogni  mese  o  settimana,  in  occasione  di  morte  di  alcun  Confratello 
pagano  certa  quantità  di  denaro  per  cumulo  di  tale  sussidio  o  per 
celebrazione  di  messe.  Discorrendo  un  giorno  sopra  tale  uso ,  mi 
disse  uno ,  per  altro  letterato ,  che  questo  stile  non  è  .troppo  an- 
tico ;  che  le  Congregazioni,  per  sua  primiera  istituzione,  tutte  ba- 
davano a  coltivare  lo  spirito,  niente  incaricandosi  del  temporale;  e 
che  dal  1600  in  poi ,  e  forse  più  tardi ,  furono  introdotte  in  esse 
le  tasse,  le  quali  sono  state  la  causa  della  dissipazione  del  profitto 
spirituale. 

Questa  proposizione  universahnente  proferita  non  è  vera;  impe- 
rocché trovo  anche  nella  nostra  Sicilia ,  nel  secolo  duodecimo  di 
nostra  salute.  Confraternite  a  guisa  delle  nostre  accennate.  Il  primo 
,  Arcivescovo  di  Messina,  che  fu  Nicolò,  fondò  ed  approvò  una  Con- 
fratemila  nella  chiesa  del  Priorato  di  S.  Maria  de'  Latini  in  Mes- 
sina nel  1178;  e  nelli  Capitoli  di  detta  Confraternita  trovo,  che  <  si 
«  aliquis  ex  Confralribus  infirmilate  detentus  fuerit ,  nec  habuerit 

•  unde  vitam  susientare  posset,  de  ipsius  Confratria  bonis  servien- 
«  dum.  »  (Veggasi  il  Pirri  in  Not.  Eccl  Messan.  pag.  398,  col.  1 , 

•  liti.  C.)  Ecco  il  sussidio  dato  dalla  Confraternita.  Di  più,  •  XXX  vi- 

•  ces  singulis  sabbatis  unusquisme  singulas  ad  oleum  portabit  fol- 
«  leras.  *  Ecco  la  tassa  pagata  dalli  confrati.  Che  erano  li  follavi  f 
moneta  di  cui  parla  il  sig.  Principe  di  Torremuzza  negli  Opuscoli 
di  Autori  Siciliani  lom.  XVI,  pag.  349  (1). 

((,  51)  Ucenzla  di  Sclmeca.  Quando  taluno  si  parte  da  una 
conversazione  senza  domandar  licenza,  sogliamo  dire  che  se  ne  va 
alla  Francese:  io  però,  che  sono  un  palermitano,  direi  che  questo 
tale  si  parte  cu  la  licenzia  di  Scimeca,  Per  T  intelligenza  di  questo 
modo  di  parlare,  un  tempo  usalo  in  Palermo  ed  ora  ignorato  (2), 

(1)  Veggasi  adanque  a  quale  antichità  rimontino,  in  Sicilia,  le  Socieià  di  mtUuo 
ioccorgo,  come  oggi  si  chiamano,  in  Palermo  abbiamo  di  esse  documenti  certi  nel 
500,  negli  Statuti  delia  Congregazione  di  Vi$ila-poveì'i. 

(2)  Questo  modo  proverbiale  non  è  punto  ignoralo  dal  popolo  ,  che  lo  ripete 
tuttavia  non  solo  in  Palermo,  ma  pur  nei  Comuni  della  Provincia.  ' 


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140  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

deve  sapersi,  che  D.  Giuseppe  Scimeca ,  nostro  conciltadino ,  offi- 
ciale della  Tavola ,  morto  nel  1646 ,  aveva  un  costume ,  ed  era  : 
«  Post  colloqutionem  cum  amicis,  aliisque,  sino  ulta  urbana  saluta- 
«  tiene  discedere  ;  unde  in  proverbinm  abiit  :  Scimechae  lic^itia 
e  discedere,  >  Ck)si  Hongitore,  T.  1,  Bibl  Sic.  pag.  403,  coi.  2  in  6ne. 

(I,  371)  Vicolo  innestato.  Da  parecchi  anni  in  qua  si  ò  intro- 
dotta la  inoculazione  del  vajolo  con  felice  riuscita.  Il  nostro  Re  Fer- 
dinando Terzo  Borbone  (nato  a  42  gennaio  4751),  essendo  in  età 
di  anni  26  compiti,  volle  che  si  facesse  sopra  di  sé  questo  esperi- 
mento nel  marzo  del  1778;  quale  essendo  sortito  felicemente,  recò 
gran  consolazione  Ò  tutti  i  suoi  popoli  :  per  lo  che  nella  nostra  città 
di  Paleimo  a  3,  4  e  5  del  mese  di  aprile  1778,  in  ringraziamento 
a  Dio  per  tal  beneficio^  si  espose  alla  pubblica  adorazione  il  SS.  Sa- 
gramente  in  tutte  le  chiese  sagramentali  ;  e  nelP  ultimo  di  detti 
giorni  si  cantò  il  Te  Deum  in  tutte  le  medesime  chiese  si  de'  Se- 
colari, come  de^  Regolari;  cantandosi  nella  Cattedrale  dalF Arcive- 
scovo D.  Francesco  Ferdinando  Sanseverino,  colPinlervento  del  vi- 
ceré Marco  Antonio  Colonna  Principe  di  Stigliano. 

(I,  529)  Vicolo:  sna  inocnlasione  Introdotta  in  Palermo. 
D.  Giuseppe  Carcame,  Spedallero  deir  Ospedale  Grande  e  Nuovo  in 
questa  Capitale,  vedendo  che  la  maggior  parte  di  fanciulli  Projetti  (1) 
in  4etto  Spedale  moriva  col  male  del  vajolo ,  ricorse  al  nostro  Re 
Ferdinando  Terzo  Borbone,  acciò  si  compiacesse  di  far  propagare 
in  tutto  questo  nostro  Regno  la  utile  pratica  della  inoculazione,  o 
sia  innesto  del  vajolo,  con  far  chiamare  in  codesta  Capitale .  nella 
primavera  e  nelP  autunno,  otto  Barbieri  ed  otto  Levatrici  per  volta 
dalle  principali  città  del  Regno,  onde  po^no  istruirsi  del  metodo, 
che  convenga  adoperarsi  in  tale  innesto ,  ed  indi  eseguirlo  su  dei 
Projetti  de'  rispettivi  paesi.  Piacque  al  Re  tale  progetto;  e  con  un 
suo  dispaccio  de'  30  agosto  1788  accordò  per  tre  soli  anni  quattro- 
cento oncie  all'anno  (2),  da  prendersi  dalP  Azienda  di  Educazione, 
per  il  mantenimento  di  tali  Barbieri  ed  Ostetrici,  durante  la  loro 
dimora.  Fu  assegnalo  per  luogo  di  detta  scuola  la  Casa  deW  Audi- 
tare  nella  nostra  campagna  di  Malaspina.  Fu  assegnato  per  maestro 
di  tale  scuola  il  dottor  D.Francesco  Berna:  per  Direttore  e  Sopra- 
intendente  del  tutto  il  sopracennato  signor  D.  Giuseppe  Carcame, 
attuale  Spedaliere  dello  Spedale  Grande.  Si  apri  detta  scuola  per  la 
prima  volta  a  lo  ottobre  1788.  S.  Salomone-M arìno 


(1)  i  trovalelli. 

(2)  Uro  MdO  iialiano  annue. 


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CRITICA  LETTERAIUA 


SoiSfni  e  Baan  Senso,  Serate  campestri  di  Vingknzo  Di  Giovanni. 
Palermo,  tipografia  Sdii,  1870. 

Pregiatissimo  sig.  Professore 

A  me  spetta  non  giudicare  il  libro  di  Lei,  ma  sibbene  impararci. 
Lo  spirito  del  quale  mi  pare  sapientemente  raccolto  nelle  parole 
trizi  del  sofisma,  e  virtù  dd  buon  senso;  e  qui  potrebbesi  inventerò 
e  dire  :  buon  senso  ddla  virti^  e  sofisma  del  vizio  :  perchè  il  torto 
neir  operare  (e  i  nostri  antichi  dicevano  torto  la  colpa)  è  contor- 
cimento d'argomentazioni  e  di  significati ,  la  dirittura  nella  mente 
è  nell'animo  rettitudine.  E  perdio  la  linea  diritta  è  la  più  breve, 
gl'ingegni  che  si  sviano  nel  falso,  si  stancano  e  a  breve  andare  in- 
fiacchiscono :  dove  al  contrario  la  retta  agilità  del  pensiero  è  de- 
strezza nel  fatto  verace  e  fausta;  onde  i  furbi  da  ultimo  sono  i  più 
gonzi,  e  i  tristi  riescono  a  fine  trista.  Ella  fa  bene  a  dimostrare  dalle 
conseguenze  come  sia  cattivo  il  falso,  e  il  vero  sia  buono;  per  con- 
seguenze intendendo  e  le  deduzioni  da'  prìncipi  e  le  sequele  dei 
fatti.  Ond'  io  non  concederei,  com'  Ella ,  egregio  uomo ,  fa ,  che  il 
panteismo  a'  dì  nostri  passeggia  trionfalmente,  quando  non  si  con- 
fondano, come  nel  trionfo  di  Cesare,  le  grida  di  vittoria  e  i  vitu- 
peri. Il  prof.  Yanzolini,  che  dev'  essere  una  degna,  persona  quando 
Ella  lo  chiama  amico ,  poteva  meglio  spendere  i  suoi  ozi  eruditi 
che  nel  gareggiare  con  un  traduttore  così  valente  come  il  Mar- 
chetti è,  e  nel  lottare  con  un  dicitore  cosi  potènte  com'  è  Lucrezio, 
e  nel  far  leggere  agli  ignoranti  di  latino  un  cosi  ridicolo  filosofante. 
Ha  tutte  le  dottrine  degli  atei  sono  sottosopra,  cosi  trionfali  come 
le  lucreziane,  che  condussero  il  povero  gentiluomo  a  impazzare  e 
buttarsi  dalla  finestra.  II  prof.  De  Filippi ,  prima  di  consumare  la 
sua  rivelazione  scientifica  intorno  alla  parentela  degli  scienziati  co- 
gli scimmiotti,  andò  a  visitare  la  China ,  e  morì  cristiano.  Io  non 
so  se  alcun  uomo  di  buon  senso,  professore  o  mandarino  che  fosse, 
si  sia  nelle  ore  estreme  pentito  d'esser  vissuto  cristiano  sincera- 
mente, e  abbia  detto  :  io  voglio  morire  credente  nella  mia  frater- 
nità colle  scimmie. 

E'  bisogna  in  vero  essere  un  Creso  di  povertà  mentale  e  un  Er- 
io 


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142  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

cole  di  debolezza,  per  dire  sol  serio  :  io  credo  al  non  credere ,  il 
dubbio  di  quel  ch^  allri  crede  è  il  mio  domma ,  il  no  è  il  mio  si, 
il  fenomeno  è  la  mia  realtà,  io  sto  a'  fatti  di  fuori,  ma  nego  quelli  di 
dentro;  nego  a  tutti  gli  uomini  la  ragione,  e  facend'uso  della  ragione 
mia  che  non  ho,  impongo  ad  essi  che  sì  figurino  di  non  lo  avere;  e 
se  non  hanno  tanta  immaginazione  da  soffocar  la  ragione,  io  lì  sco- 
munico, e  (quel  ch'é  più  terribile)  mi  rido  di  loro.  Cotesta  gente 
(poca  e  piccola  in  verità)  interdice  a  se  stessa  non  solamente  Tuso 
della  ragione,  ma  Tuso  di  tutte  le  parole  che  accennano  direttamente 
0  indirettamente  a  ragione  :  non  possono  né  cercare  il  perchè  delle 
cose,  né,  parlando  con  gli  uomini,  dire  perchè,  senza  dare  una  men- 
tita a  se  stessi,  senza  riconoscere  Dio.  Ragione  è  vocabolo  che  non 
ha  senso  se  causa  non  V  ha  :  né  causa  ha  senso ,  se  le  si  neghino 
gli  attributi  di  possente  a  produrre  Teffetto  e  di  libera.  Più  gli  a- 
nimali  della  materia  moltiplicano  gli  effetti  decapitati  di  causa,  e  più 
mollipUcano  i  miracoli  della  necessità,  i  misteri  del  nulla;  più  ur- 
tano nel  senso  comune  degli  uomini  e  nella  evidenza  irrecusabile 
delle  cose.  E  però  argutamente  Ella  li  mette  alle  prese  con  le  bel- 
lezze della  natura  e  con  le  ispirazioni  delParte,  col  vergine  istinto 
del  giovanetto  innocente,  e  col  cuore  pio  della  donna  affettuosa.  Chi 
potesse  svellere  dal  cuore  agli  uomini  la  pietà  verso  Dio ,  svelle- 
rebbe la  pietà  verso  i  parenti,  la  patria,  gV  infelici;  e,  facendo  gli 
nomini  da  meno  dei  bruti,  con  questa  prova  avvererebbe  insieme 
e  confuterebbe  le  dottrine  sue  stupide.  Ma  Ella ,  signore ,  educato 
da  una  madre  buona  e  dal  consorzio  d'un  popolo  religioso,  sapendo 
dalla  superstizione  la  religione  discemere  con  la  virtù  del  pensiero, 
saprà  finaincare  i  concittadini  suoi  da  quell^altra  superstizione  ch^al- 
tri  vorrebbe  adesso  innestarci,  la  quale  sarebbe  già  più  feroce  se 
non  attendesse  vilmente  una  più  comoda  impunità.  Onori  e  premi 
Ella   non  attende  a  tal  prezzo  ;  e  ne  ha  già  d' incomparabili  nella 
stima  de^  buoni  e  nella  propria  coscienza. 

U  maggio  1870.  Fìr. 

tuo  dev, 

Tommaseo 

Al  CA.  siy.  Frof.  Ab.  Vincenzo  Di  Giovanni 

Palermo. 


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CRITICA   LETTERARIA  143 

Baoa  flenso  e  buon  onore,  conferenze  popolari  di  Cesare  Cantu\ 
Milano,  Giacomo  Agnelli  editore,  4870. 

In  Italia,  oggidì  che  tanto  le  passioni  politiche  han  sopraffatto  gli 
animi,  si  pensa,  giudica  e  opera  con  idee  preconcette,  si  prende  a 
punto  di  partenza  di  ciascun^  azione  la  simpatia  o  T  antipatia  per 
questa  o  quelT altra  cosa,  pel  tale  o  tal  altra  individuo.  In  tanto 
scombussolamento  di  cervelli ,  un  povero  autore  imbatte  a  dar 
fuori  un^ opera,  frutto  di  lunghi  studi  e  più  lunga  (Saftica,  e  si 
trova  di  fironte  schiere  di  critici  bianchi,  e  rossi,  e  neri,  e  gialli, 
e  senza  colore  anche.  Se  una  parte  dice  bravo  te  T  altra  di  botto 
crucifige!  se  quella  trova  il  libro  virtuoso,  questa  lo  predica  im- 
morale, e  invoca  per  esso  Vianathema  sit  a  cui  essa  stessa  non  [cre- 
de. Per  r autore  poi  non  se  ne  parlai  Chi  lo  adora  genio,  ehi  lo 
trova  testa  di  rapa;  chi  lo  dm  onesto  e  vero  liberale,  chi  lo  insulta 
per  retrogrado  e  antitaliano;  chi  finahn^nte  le  vorrebbe  più  consen- 
taneo a  se  stesso,  meno  partigiana»  meno  superficiale  ec.  ec;  Tutto 
questo  vespaio  suolsi  accendere  in  generalo  per  certi  uomint  alto 
locati  a  forza  di  studio  e  di  costanza,  da  sé  solr,  e  sprezzanti  sem- 
pre la  passaggiera  e  vana  aura  popolare  di  moda.  A  questi  taU  ap- 
partiene Cesare  Cantù. 

Quest^uomo,  dì- straordinario  ingegno  e  una  delle  prime  gtorie 
dellMtalia  moderna,  TitaKano  il  più  noto  ai  due  mondi  per  la  sua 
Storia  Universale;  qaesV  uomo  stuzzica  i  nervi  di  parecchi,  e  li  fa 
atteggiare  a  disprezzante  sorriso,  lo  convengo  che  anche  ad  uomini 
di  chiara  fama  non  vada  molto  a  sangue  il  suo  modo  di  pensare;  con- 
vengo che  nelle  opere  sue  faccia  qualche  volta  capolino  la  fretta,  e 
qualche  giudizio  sia  troppo  avventato,  e  qualche  cosa  detta  con  un 
po^  di  confusione  ;  ma  devesì  pur  convenire  che  non  si  dee  sen- 
tenziare a  chius' occhi  de'  suoi  lavori,  senza  leggerli  innanzi  da  cima 
a  fondo;  non  si  dee  condannare  senza  ascoltar  innanzi  te  sue  buone 
ragioni,  che  non  son  poche  per  eerto,  né  lievi. 

Abbiamo  premesso  queste  parole  per  manifestare  P  opinion  no- 
stra suir  illustre  storico,  pria  di  esaminar  brevemente  V  ultimo  suo 
Hbro  che  s' intilola  Buon  senso  e  buon  cuore;  acciocché  qualcuno , 
udendoci  favellare  del  Canta,  si  risparmi  di  saltar  sulla  sedia  come 
un  eroe  da  romanzo,  per  riversare,  pigmeo  contro  il  gigante,  un 
sacco  di  contumelie  sul  nuovo  volume,  che  non  ha  visto  neppur  di 
che  sesto  esso  sia. 

Il  libro  è  rivolto  specialmente  alle  classi  operaie;  e  il  titolo  stesso 
vi  dice  che  a  queste  vuole  far  intendere  la  verità  e  operare  il  bene 
educando  la  mente  ed  il  cuore ,  aumentando  le  nostre  facoltà  no- 

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14&  NUOVE  BFFBMBRIDI  SIGIUANE 

bili,  allontanando  i  mali  ed  i  vizi,  correggendo  gli  istinti»  operando 
sempre  il  bene,  riavvicinandocì  sempre  a  quella  moralità  grande 
ed  eterna  che  sublima  Tuomo,  che  gli  spiriti  eleva  sulla  materia. 
•  Ma  affinchè  la  voce  della  ragione  sia  ascoltata,  (ei  dice)  bisogna 
passi  pel  cuore,  che  è  il  fattor  comune  dell'  intelligenza.  Prima  qua- 
lità de*"  libri  popolari  è  V  essere  affettuosi,  come  dettati  dalla  bontà 
per  ispirare  la  bontà  *.  Ed  affetto  non  manca  al  libro  suo ,  ed  in 
talune  pagine  è  si  intenso  da  commuovere  i  leggitori;  affetto  e  com- 
mozione dovuti  anche  in  parte  alle  nobili  verità  annunziate  ed  e- 
sposte  con  profonda  convinzione.  La  voce  che  parla  è  quella  slessa 
di  Omobono  e  di  Carlambrogio  di  treni'  anni  fa,  che  tutti  nella  fan- 
ciullezza imparammo  a  conoscere  non  senza  nostro  vantaggio:  ma 
adesso  risuona  più  matura,  più  conforme  ai  nuovi  bisogni  e  alle 
nuove  tendenze  della  società,  e  rivolta  agli  uomini  adulti  più  che 
ai  giovanetti.  Il  libro,  nelP intiero,  è  un  sistema  di  sana  filosofia, 
ma  filosofia  pratica  che  dilettando  insegna,  per  via  d'esempi,  di 
parabole,  di  precetti,  e  viene  istillando  nei  cuori  una  morale  soave 
ed  operosa,  che  ci  spinge  ad  odiare  il  vizio,  amare  la  virtù,  la  pa- 
tria, i  fratelli,  seguire  in  tutto  i  doveri  che  ci  legano  a  Dio  ed 
al  prossimo.  Dalla  nostra  coscienza,  dal  nostro  senso  morale,  dalle 
armonie  delle  opere  di  Dio,  il  Cantù  ci  conduce  ad  elevarci  a  Dio 
stesso,  da  esse  rivelato  e  dall'  anima  nostra  sentito  :  ci  richiama  ai 
doveri  e  ai  diritti  nostri ,  al  perfezionamento  dello  spirito  e  del 
corpo,  alla  bontà  insomma  morale  e  alla  prosperità  materiale.  Tutto 
entra  a  far  parte  di  questo  libro  :  scienza  e  letteratura,  arte  e  po- 
litica, con  tutte  le  loro  successive  diramazioni;  né  per  ciò  si  ha  un 
centone,  come  una  mente  meschina  potrebbe  darci.  Il  Cantù  par 
nato  fatto  per  riunire  in  unico  gruppo  le  varie  manifestazioni  dello 
scibile,  e  da  ognuna  saper  trarre  partito  :  egli  ravvicina  il  moderno 
air  antico,  il  prossimo  al  lontano,  e  instituisce  imparziali  raffronti 
che  ora  all'uno  ora  all'altro  fanno  dare  la  preferenza:  egli  mette 
a  nudo  i  mali  del  tempo ,  e  in  ispecie  della  patria  nostra ,  e  pro- 
pone rimedi*  che  sempre  han  loro  base  sugli  ammaestramenti  de- 
rivati dalla  dirittura  e  dalla  bontà  dell'animo. 

Un  egregio  crìtico,  Francesco  De  Sanclis,  che  pur  non  è  molto 
amico  al  Cantù,  a  pag.  293  de'  suoi  Saggi  critici  scrivea  :  e  Si  rim- 
provera agU  Italiani,  come  ai  Tedeschi,  che  non  sanno  l'arte  di 
fare  un  libro:  quest'arte  la  possiede  Cantù,  quasi  con  la  slessa 
perfezione  degli  scrittori  francesi.  •  Questa  sentenza  con  maggior 
ragione  puossi  ripetere   a   proposilo   del  buon  senso  e  buon  cuo- 


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GRITIGA  LETTERAMA  14S 

re,  perchè  qui  veramente  l'Autore  ha  messo  la  opera  tutta  Parte 
sua ,  dovendo  in  forma  popolare  dire  agli  artigiani  cose  che  al* 
trimrati  dette  ingenerebbero  presto  noia  e  confusione.  Leggendo 
queste  \A\  Conferenze  e  gli  YIII  brevi  RaccotUi  che  per  entro  vi 
sono  molto  a  proposito  innestati ,  il  lettore  procede  con  piacere 
sempre  crescente  fino  alPultima  pagina;  e  terminato  poi  il  volu- 
me ,  non  può  non  ritornare  ancora  una  volta  indietro ,  principal- 
mente a  certi  capitoli  squisitamente  ghiotti,  come  :  Il  progresso  — 
tuomo  è  perfettibile  —  domina  la  natura:  Quinto^  Non  far  omid- 
Ho  :  //  medico  :  Perfezionare  Fintelligenza  e  il  raziocinio  :  La  pro- 
prietà —  industria  —  commercio  —  contratti  —  lavoriamo  ;  Del  rp- 
spettare  la  proprietà  nelle  varie  sue  forme^  ed  altri  molti  che  sa* 
rebbe  qui  lungo  a  trascrivere.  Noi  vorremmo  che  molti  giovani  di 
oggidì,  senza  imprecare,  al  solito,  in  odio  auctoris  centra  il  Cantù, 
aprano  con  buon  animo  questo  suo  libro  :  siamo  certi  che  non  lo 
getteranno  cosi  facilmente,  e  muteranno  la  passionata  loro  opinio- 
ne, e  troverannosi  in  fine  più  ricreati,  più  disposti  a  fare  il  bene 
e  respingere  il  male«  al  buon  senso  ed  al  buon  cuore. 

Salvatore  Salomone-Uarino 


BalUi  storia  della  Baronessa  di  Carini.  —  Lettera  al  Ch.mo 
Prof,  Angelo  De  Gubernatis  -r  Firenze. 

Ck,mo  Signore, 

Se  tuttavia  mi  indugiassi  a  farle  quei  ringraziamenti,  che  ora  le  fo, 
mancherei  a  quella  cortesia  ch'Ella  ha  voluto  gentilmente  usar  meco, 
onorando  di  non  breve  esame  e  con  graziose  parole  il  mio  volu- 
metto ultimo  (1^,  nella  pregiata  sua  Rivista  Europea  (A.  I,  voi.  If, 
Case.  30,  maggio  1870:  pag.  B63-S66).  Però  ho  meglio  stimato  di- 
rìgerle pubblicamente  la  mia  risposta,  perchè  premevami  di  mettere 
in  chiaro  alcuni  panti  su  cui  Ella  fa  qualche  osservazióne»  onde 
potessero  gli  spassionati  lettori,  che  non  han  veduto  il  mio  libro, 
avere  di  questo  un  concetto  adequato. 

Ella  non  sì  accontenta  facilmente  a  credere  storica  la  leggenda 
della  Baronessa  di  Carini ,  e  la  vorrebbe  non  propria  della  Sicilia 
ma  e  appartenente  invece  a  tutta  la  letteratura  leggendaria  >.  A  lei 
sembra  di  poco  peso  la  nota  storica  de'  diaristi  sincroni  Filippo 

(1)  La  Baronessa  di  Carini,  leggenda  storica  popolare  del  see.  XVI  in  poesia  sici- 
liana, con  discorso  e  note,  Palermo,  tipof  rafia  del  Giornale  di  Sicilia,  1870. 


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H6  NUOVE  EFFEMBRIDI  SICILIANE 

Panila ,  Valerio  Rosso ,  Palmerìno  e  rAnonimo ,  sol  perchè  poco 
chiaramente  si  espressero,  e  chiamano  Donna  la  giovane  Caterina: 
a  lei  infine  sa  male  che  io  mi  lasci  «  andar  ingenuamente  a  ere- 
«  dere  che  i  frammenti  somiglianti  alla  leggenda  siciliana,  esistenti 
«  ne'  canti  di  altre  parli  dltalia,  siano  un  imprestito  che  la  Sicilia 
«  ha  fatto  al  rimanente  d'Italia.  » 

A  me  sa  male  invece  dover  contraddire  4a  opinion  sua,  e  dirle 
che  pretta  storia  è  il  Cktóo  di  Caterina  La  Grua  figlia  del  Baron  di 
Carini.  Che,  grazie  alla  squisita  gentilezza  deirArcbivario  di  Casa  Ca- 
rini, sig.  sac.  Sansone,  dietro  raccomandazione. deU'ab.  Cina,  io  ho 
potuto  minutamente  ricercare  i  volumi  tutti  delP  lurchivio  de^  si- 
gnori Talamanca-La  Grua ,  dopo  la  pubblicazione  del  mio  libro.  E 
le  ricerche  vennero aconfermare  tutte  le  mie  asserzioni,  ed  anche 
alcune  ipotesi  che  si  appoggiavano  alia  tradizion  popolare;  qualche 
lieve  cosa  poi  ebbi  a  correggere  sull'autenticità  delle  carte  dell'Ar- 
chivio stesso.  Cosi  ho  trovato  che  la  madre  di  Caterina  non  fu  la 
Tocco  e  Manriquez,  come  supponea  il  Yillabianca,  ma  Laurea  Lanza 
figlia  del  Barone  di  Trabia ,  e  diveniva  sposa  del  Baron  di  Carini 
il  21  settembre  1543, 2*  indiz.,  come  può  rilevarsi  dall'atto  auten- 
tico di  notar  Ricca ,  esistente  nell'  Archivio.  L' anno  della  nascita 
di  Caterina  non  ò  indicato,  come  nemmeno  quello  de'  suoi  quattro 
firatelli  e  delle  tre  sorelle:  questo  è  certo  però, -ch'ella  era  la  mag- 
giore, essendo* le  altre  andate  a  marito  in  fi*esca  età  Tuna  al  1568, 
l'altra  al  4561,  la  terza  al  1573.  Ho  rilevato  ancora  dai  volumi  del- 
l'Archivio che  la  povera  madre,  forse  in  conseguenza  della  morte 
di  Caterina,  moriva  dopo  pochi  mesi  al  156i.  E  Io  stesso  anno,  ai 
21  di  ottobre,  il  Barone  si  rimaritava  con  Ninfa  Ruis  de*  Baroni  di 
Santostefano;  e  mortagli  anco  questa  moglie,  passava  a  terze  nozze 
ali  marzo,  3*  indz.  1565,  con  Paula  Sabia  e  Spinola.  Egli  poi  mo- 
riva al  1592,  dopo  56  anni  di  baronato,  del  quale  fu  investito  nel 
1536,  appena  morto  il  padre.  Il  suo  vero  nome  era  Pietro  Vincenzo, 
ma  si  chiamò  Vincenzo  II,  avuto  riguardo  al  primo  Vincenzo,  padre 
del  padre  suo. 

Io  avea  pur  detto  che  per  un  Ludovico  Vernagallo,  che  avea  spo- 
sato una  Elisabetta  La  Grua,  erano  parenti  i  Vernagallo  e  i  La  Grua. 
Or  bene,  anche  ho  trovato  che  questo  Ludovico  Vernagallo  era  il 
padre  del  giovine  Vincenzo,  amante  di  Caterina,  e  che  la  sua  moghe 
Elisabetta  era  precisamente  l'ultima  nata  del  barone  Vincenzo  I 
La  Grua.  Io  asseriva  che  il  Castello  fu  chiavato  e  murato;  devo  ag- 
giungere che  il  padre  fece  poi  murare  la  conmnicazione  tra  la  stanza 


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GRITIGA  LETTERARU  147 

dove  avea  scannato  la  figlia  e  il  proprio  appartamento,  e  vi  fece  aprire 
la  nuova  porla  che  dà  nelP  atrio  e  su  cui  a  lettere  maiuscole  ro- 
tonde in  lastra  marmorea  fece  scrivere  le  parole  Et  nova  sint  omnia, 
quasi  ad  allontanar  ogni  memoria  che  gli  rammentasse  il  suo  mi- 
sfotto.  Quando  io  lessi  quelle  parole  al  Castello ,  sospettai  di  que- 
sto :  ma  non  ne  avendo  certezza,  lo  tacqui.  Tutte  queste  cose  ed 
altre ,  che  appariranno  nella  seconda  edizione  del  volumetto  mio 
(già  quasi  esaurita  essendo  la  prima) ,  ho  tratto  specialmente  dai 
volumi  della  Genealogia  di  Casa  Carini,  de^  Privilegi ,  e  dai  molti 
(153S-1592)  che  racchiudono  le  immense  Possessioni  ec.  di  Vin- 
cenzo li. 

E  se  tutto  questo  non  bastasse  a  provar  che  tutto  è  storico  nella 
leggenda  di  Caterina,  ho  anche  a  mano  un  documento  che  viene  a 
dar  ragione  a  una  mìa  ipotesi  non  solo,  ma  anche  alla  costante  tra- 
dizione popolare  di  tre  secoli.  Io  avea  detto  che  Vincenzo  Verna- 
gallo,  cerco  a  morte  da  Pietro,  si  nascose  da  prhna;  poi  pentito  si 
die  a  Dio,  «  non  sappiamo  in  quale  convento;  certo  non  in  Sicilia, 
dove  il  feroce  Talamanca  lo  avrebbe  scannato  fin  sugli  altari.  • 
Or  bene ,  quella  garbatissima  e  rispettabilissima  persona  ch^  è  il 
Barone  Francesco  Paolo  Vemagallo  principe  di  PatU,  ultimo  super- 
stite dei  Vemagallo  del  sec.  XYI ,  possiede  autenticato  ed  in  per- 
gamena il  testamento  di  D,  Vincenzo  Vemagallo  (ramante  di  Ca- 
terina) morto  monaco  sacerdote  cartnditano  a  Madrid,  e  questo  te- 
stamento porta  la  data  de'  22  settembre  1582. 

Lascio  a  lei  ora,  chiarissimo  signore ,  il  giudicare  s' eir  era  cosa 
da  revocar  in  dubbio  la  verità  storica  del  caso  della  Baronessa  di 
Carini:  e  senza  pur  i  miei  documenti  d'ora,  credo  che  le  asser- 
zioni de'  Diaristi  del  cinquecento  bastino,  perchè  quanta  importanza 
abbiano  per  la  nostra  storia  quelle  rozze  sincrone  scritture,  non  e'  è 
fra  noi  chi  T  ignori.  Perchè  del  Catto  parlarono  in  modo  oscuro  po- 
chi tra'  contemporanei,  io  ho  largamente  esaminato  da  pag.  40  a  44, 
e  anche  a  pag.  70-71  del  libro  mìo,  bench'Elia^ non  ne  (àcci  pur 
cenno,  quando  dice  che  nessun  altro  scrittore  del  tempo  ne  parla. 
E  mi  duole  forte  anche  il  dirle  che  priva  di  ogni  valore  è  quella 
sua  osservazione,  che  nei  Diaristi  Caterina  «  figurerebbe  Signora 
Donna  e  non  fanciulla.  >  Chi  è  stato  in  Sicilia,  o  ha  avuto  un  po' 
a  mano  le  cose  siciliane,  sa  benissimo  che  il  Donna^  che  vale  pur 
Signora,  è  dato  comunemente  a  tutte  le  donne  nobili  o  ricche  dai 
tre  anni  in  su ,  allo  stesso  modq  che  il  Don  è  de'  nobili  o  ricchi 
anche  da'  tre  anni  in  poi.  Ed  ho  visto  molti  Continentali  far  le  me- 


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148  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

ra vigile  venendo  in  Sicilia  e  udendo,  ad  es.,  dire  a  ragazzine  e  a 
ragazze  puberi,  ugualmente  che  a  spose  ed  a  vecchie,  Signura  Donna 
Pippina^  Signura  Donna  Amalia  ecc.  In  Palermo  poi  il  Don  e  Donna 
è  anche  oggi  dalo  a  qualsiasi  classe  di  persone,  il  che  fo  molta  im- 
pressione ai  nostri  buoni  villici  di  contado,  che  quel  titolo  credono 
spetti  di  dritto  ai  nobili  e  ricchi  soltanto. 

In  fine,  senza  che  io  pensi  menomamente  a  e  mettere  passioni 
autonomistiche  nelle  questioni  letterarie,  >  come  a  lei  piacque  dire, 
io  continuo  a  sostenere  che  la  leggenda  passò  dair  Isola  al  Conti- 
nente. Trovo  somiglianze  di  versi,  trovo  leggende  analoghe  :  ma  in 
Italia  sono  pure  e  vaghe  leggende,  in  Sicilia  è  storia ,  né  sono  io 
che  sogno  un  Castello  di  Carini,  una  impronta  di  sangue,  una  lastra 
marmorea,  un  fascio  di  documenti  autentici  di  archivio ,  e  di  cro- 
nache, perchè  tutto  questo  esiste  ancora  qui  visibilissimo  a  tutti.  Del 
resto  Ella  tenga  pure  la  sua  opinione,  e  cosi  qualunque  altro  quella 
che  gli  piace,  perchè  io  so  rispettarla  come  vorrei  rispettata  la  mia. 

E  accolga  i  sensi  di  rispetto  affettuoso  del  suo 

Palermo,  li  15  maggio  1870. 

Dev.mo  obbLmo 

S.  Salomone-Habino 


Biblioteca  Storiea  e  lìetteraria  di  Sicilia  p  ossia  raccolta  di 
opere  inedite  e  rare  di  scrittori  siciliani  dal  secolo  XVI  al  XIX, 
pubblicale  sui  manoscritti  detta  Biblioteca  Comunale  precedute  da 
prefazioni  e  corredate  di  note  per  cura  di  Gioacchino  Di  Uarzo; 
voi.  IV.  Palermo,  L.  Pedone-Lauriel  editore,  HDCCCLXIX. 

Questo  nuovo  voldme  della  pregevolissima  Biblioteca  storica  e 
letteraria  di  Sicilia  che  V  ab.  Di  Marzo  vien  con  singoiar  diligenza 
pubblicando  ;  volume  che  costituisce  il  quarto  dei  Diari  della  città 
di  Palermo^  può  dirsi  tutto  insieme  una  storia  della  metà  del  se- 
colo  XYII.  Lo  compongono  quattro  cronache  V  una  più  importante 
dell'altra,  vogliam  dire  una  Veridica  Reazione  di  tumulti  occorsi  nd- 
Fanno^  XV  ind.,  1647  e  1648  netta  Città  di  Palermo,  descritti  dal 
Dott.  Marco  Serio;  gli  Annales  Panormi  sub  annis  D.  Ferdinandi 
de  Andrada  archiepiscopi  panormitani  ab  anno  1646  di  Rocco  Pirri; 
un'  Epitome  ^eìle  seconde  rivoluzioni  di  Palermo  del  Dr.  D.  Diego 
Aragona;  e  una  Breve  redazione  del  come  si  scopri  la  congiura  maC' 


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GRITIG4  LETTEBARU  149 

chmaia  da  akumper  sollecare  Palermo  e  U  regno,  eddsuccesso  iéUa 
eaUura  e  del  supplizio,  di*  ebbe  luogo  cofUro  alcmii  di  essi. 

Tutte  e  quattro  questa  relazioni  son  tratta  da^  manoBcritti  origi- 
nali e  da  copie  eastenli  nella  nostra  Biblioteca  Comunale,  e  il  Di 
Marzo  ha  avuto  cura  di  presentarle  nella  miglior  chiarezza  possi- 
bile traducendo  dal  latino  la  seconda  e  dallo  spagnuolo  le  ultime 
due;  le  quali  per  la  scorrezione  del  testo  avrebbero  presentate  dif- 
ficoltà non  minori  di  quelle  che  presentano  gli  Annales  Panarmi 
del  Pirri,  manoscritto  zeppo  di  richiami,  postille,  interpolazioni  e 
pentimenti  d^ogni  maniera. 

Da  tutto  il  libro  poi  ne  scaturisce  cosa  che  Tegregio  Di  Marzo 
avverte  nella  prefazione,  cioè  che  la  verità  ne  viene  tutt'  altro  che 
intiera  su^  fotti  narrati;  il  che  rafforza  sempr^iù  la  sentenza,  che 
finora  la  nostra  storia  si  è  fondata  su  documenti  e  giudizi  officiali. 
11  Serio  e  il  Pirri ,  uomini  onesti  si  ma  di  buona  fede  e  di  non 
dubbia  parzialità  pel  governo  viceregnale,  non  potevano  per  la  loro 
posizione  socievole  e  per  Tindole  loro  approvare  scrivendo  i  moti  fi- 
voluzionari  de'  Siciliani  capitanati  da  Giuseppe  D' Alesi,  e  però  non 
potevano  non  stigmatizzarli  nelle  loro  scritture.  Sicché  di  quei  tu- 
multi,—prova  evidentissima  delle  sofferenze  de'  popoli  tiranneggiati 
e  conquisi --non  altro  ci  giunge  che  la  voce  del  biasimo  che  im- 
pone alla  voce  generosa  di  chi  avrebbe  voluto  celebrare,  e  forse  ce- 
lebrò, nobili  sensi,  atti  magnanimi  e  fiere  vendette. 

G.  PrrRÈ 


Scritti  vari  di  Carmelo  Pardi,  voi.  I.  Palermo,  tipografia  del  Gior- 
nale di  Sicilia,  1870. 

Dopo  quasi  trent'anni  di  vita  onestamente  operosa  nel  campo 
delle  lettere  il  Prof.  Carmelo  Pardi  si  è  determinato  a  raccogliere 
e  ripubblicare  i  suoi  Scritti  vari  in  vetso  e  in  prosa  ;  unica  sod- 
disfazione air  animo  di  chi  avendo  pur  fatto  qualche  cosa  pe'  buoni 
studi  (luò  nella  torbida  corrente  che  tutto  oggidì  travolge  ed  allaga 
presentarsi  co'  frutti  del  suo  ingegno. 

Il  primo  volume  della  raccolta  del  Pardi  è  già  venuto  fuori  in 
questa  settimana  passata,  e  contiene  i  Versi,  gli  Elogi  vari,  gli  E- 
logi  funebri.  Tra'  versi  sono  odi,  canzoni,  inni,  terzine,  carmi ,  e- 
pistoie  di  elegante  fattura ,  nella  quale  lo  studio  de'  grandi  nostri 
poeti,  e  segnatamente  delP  Alighieri,  del  Foscolo  e  del  Leopardi , 


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IKO  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

va  a  paro  col  sentimento,  che  nel  Pardi  è  schietto  e  caldissimo. 
Nell'ode  civile  egli  si  leva  dignitoso  qoale  il  soggetto  lo  consiglia 
ed  ispira;  affettuoso  ne'  canti  pel  popolo,  dov'è  morale  che  educa 
ed  amore  che  afihratella  ;  appassionato  nel  cantar  di  domestiche 
gioie  0  di  sventure  private  di  amici;  eminentemente  biblico  nei 
soggetti  religiosi,  egli  tocca  con  eguale  maestria  e  delicatezza  ogni 
maniera  di  stile  :  di  che  danno  beU^  argomento  i  versi  Al  sole,  ABe 
donne  siciliane,  V  avvenire^  La  missione  ddla  donna,  Il  pianto  del- 
torf anello.  La  Vergine  ne*  profeti^  Geremia  e  Gerusalemme,  La  ca- 
rità. La  casa  di  Uworo,  Il  fabbro  ecc. 

Negli  Elogi  vari,  pur  non  guardando  alla  forma  sempre  ben  mo- 
dellata sulle  orazioni  funebri  dì  reputati  scrittori,  vuoisi  notare  la 
verità  dell'elogio,  lontano  da  quelle  smaccate  adulazioni,  che  in 
componimenti  di  tal  genere  rare  volte  mancano.  In  questa  e  in 
quella  pagina  hai  notizie  pregevolissime  di  persone  e  di  fatti  sici- 
liani, ed  ammonimenti  ed  esempi  ne'  quali  ogni  giovane  si  senturà 
eccitato  ad  affetti  gagliardi  e  a  virtù  generose.  Da  questo  lato  le 
opere  del  Pardi  sono  veramente  degne  di  plauso ,  perchè  in  esse 
non  è  dato  avvenirsi  in  una  biografia,  in  un  ricordo  funebre,  donde 
non  si  rilevino  chiari  gì'  intendimenti  dell'Autore,  di  consigliare  per 
via  di  esempi,  e  consigliando  istruire,  dilettare,  ammaestrare.  E  un 
altra  cosa  ne  sembra  degna  di  attenzione  in  queste  prose  del  Pardi, 
cioè  a  dire  le  molte  e  svariate  conoscenze  artistiche  là  sopratutto 
dov'egli  s'intrattiene  a  discorrere  del  D'Antoni  e  delia  maniera  che 
egli  segui  in  pittura.  Certo  che  molti  discorrono  d'arte  a'  di  nostri, 
ma  quanti  ne  intendono  le  ragioni  e  la  storia  ?  11  nostro  valente 
scrittore,  artista  anch'  egli  nella  poesia,  ha  mente  e  cuore  per  com- 
prendere e  far  comprendere  il  beilo  ovunque  lo  trovi,  e  da  chiun- 
que esso  parta. 

Desiderosi  che  questo  annunzio ,  necessariamente  breve,  segnali 
una  pubblicazione  fatta  con  amore  e  coscienza,  noi  attendiamo 
il  secondo  de'  tre  volumi  che  di  essa  ci  si  promette. 

G.  PlTRà 


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ONORIFICENZE.  All'illustre  cay.  Uonardo  Vigo  ó  stata  conferita  la  citudinania 
di  Palermo  pei  suoi  meriti  cirili  e  letterari  e  specialmente  per  il  nobile  poema  il 
Buggiero, 

BELLE  ARTI.  Il  paesista  Francesco  Loiacono,  mandando  i  snoi  quadri  a  Vien- 
na, ha  ricernto  elogi  immensi  e  meritatissimi:  e  un  loAgo  articolo  della  Freie  Prette, 
che  parla  di  lui,  adopera  parole  molto  belle  e  onorifiche. 

—  La  Commissione  di  antichità  e  belle  arti  ha  incaricato  V  artista  sig.  Francesco 
Padovani  perché  fossero  staccati  e  passati  sulla  tela  i  dae  pezzi  rimasti  del  famoso 
e  grandioso  fresco  di  Pietro  Novelli,  esistente  nell'atrio  dell'  ex-Ospedale  grande,  ora 
Caserma  della  ss.  Trinità.  Il  trasporto  de'  due  pezzi ,  che  contengono  gruppi  di  fi- 
gure, è  stato  eseguito  mirabilmente,  senzachò  il  colorito,  le  intonazioni,  i  conu>mi, 
le  velature  soffrissero  menomamente  alcun  guasto,  e  presentamente  si  ammirano 
nello  studio  del  Padovani,  donde  passeranno  al  Museo. 

*  Sappiamo  che  la  suddetta  Commissione  incaricò  l' artista  sig.  PozzìIIo  di  ripulire 
il  fresco  del  pittore  palermitano  del  sec.  XV  Antonio  Crescenzio,  li  trionfo  ddia 
morie,  che  stava  dirimpetto  al  fresco  del  Novelli,  per  farlo  poi  trasportare  pur  sulla 
tela  dal  Padovani. 

Ci  si  assicura  che  la  Commissione  abbia  divisato  far  tagliar  l'altro  non  men  celebre 
fresco  del  Moniealese,  esistente  nella  volta  del  refettorio  degli  ex-Benedettini  di  san 
Martino,  rappresentante  Daniele  nella  fotta  de*  leoni. 

—  I  giornali  di  Messina  annunziano  che  il  rinomato  incisore  messinese  cav.  Aloy- 
8Ìo  Juvara  riportava  H  premio  d'incisione  aH*  Esposizione  dì  Belle  Arti  in  Roma  pel 
suo  stupendo  lavoro  a  bulino  la  Madonna  di  Napoli ,  che  destò  già  l' ammirazione 
dei  più  insigni  artisti  a  Parigi  ed  a  Berlino. 

TEATRI.  Il  nostro  egregio  amico  poeta,  Domenico  Calati*  Fiorentini  palermitano, 
avendo  letto  il  suo  dramma  :  Milton  a  Victor  Hugo,  n'  ebbe  lodi  e  incoraggiamenti 
non  solo,  ma  fu  da  queir  illustre  con  particolarità  raccomandato  alla  Direzione  del 
Teatro  della  Porte  Saint 'Martin,  ove  il  MUlon,  tradotto  dallo  stesso  Calati  in  fran- 
cese, andrà  sulle  scene  dopo  il  Tor^[uemada  di  Victor  Hugo.  Dopo  ciò,  dioesi,  il 
Calati  avrebbe  fermato  il  suo  domicilio  a  Parigi,  per  riuscire,  decisamente»  scrittore 
francese. 

MONUMENTI.  Il  7  maggio  è  stata  innalzala  a  Sorrento  la  statua  di  Torquato  Tasso 
scolpila  dall'artista  Cali,  ed  eretta  per  cura  del  Municipio  sorrentinese. 

—  Intorno  al  modello  della  statua  del  Piazzi ,  la  quale  verrà  innalzata  in  Ponte 
di  Valtellina  sua  patria,  cosi  in/orma  da  Milano  il  Prof.  B.  E.  Maineri  nella  Val' 
^ellina  di  Sondrio  : 

€  11  Piazzi  è  posto  su  ritto,  il  capo  scoperto,  in  abito  del  suo  Ordine. 

«  Le  braccia  conserte  inferiormente  al  petto;  stringe  esso  con  la  sinistra  un  rotolo 
spiegazzato  in  parte,  in  cui  per  alquanti  segni  intendesi  rappresentare  lo  zodiaco. 
Rivolto  al  cielo,  lo  vedi  immerso  in  un'  idea  fissa,  specie  di  contemplazione  astro- 
nomica propria  delle  speculazioni  sue;  posa  espressa  molto  felicemente  e  assai  ben 
favorita  dal  costume  religioso  del  frate  e  dal  suo  panneggiamento. 


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162  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUÀNE 

«  Di  sotto  Ja  statua,  immedìatameDte,  ossia  nel  fregio  del  piedistallo ,  scolti  nel 
bassoriiieyo  ,  redensi  gì* istromenti  della  scienia  cui  inlese— l'astrolabio,  il  com- 
passo, il  telescopio,  ecc.  — e  alla  sommità  del  dado ,  sotto  l'arco  onde  vuoisi  figa* 
rare  il  firmamento  con  gnsto  bene  scello  brillerà,  indorato  a  fuoco,  il  pianeta  Cere- 
re, dal  quale  partiranno  raggi  nelle  rispettive  direzioni.  Su  V  anteriore  superficie  del 
dado  si  leggerà  la  iscrizione  storica  o  d*  elogio;  e  nelle  laterali,  le  epigrafi  seconda- 
rie. La  statua  riuscirà  alta  m.  2,  40.— e  m.  3.  il  piedistallo;  onde  complessivamente 
un*  altezza  di  oltre  m.  5.  il  solo  monumento. 

«  La  commissione  di  BreVa,  composta  dei  sigg.  cav.  prof.  Abbondio  Sangiorgio,  cav. 
prof.  Antonio  Calmi ,  Angelo  Biella  scultore  e  Mosè  Bianchi ,  pittore  ,  meritamente 
ritenne  assai  bene  interpretato 41  concetto,  e,  in  ispecie,  per  quanto  riflette  V  espres- 
sione degna  dell'  artista.  E  io  sono  permaso  che  V  esecuzione  in  marmo  ne  accrescerà 
con  efficacia  l' effetto^  poiché  l' armonia  delle  proporzioni  non  può  essere  meglio  giu- 
dicata che  in  fine,  e  quando  il  monumento  si  troverà  a  suo  posto.  • 

PROSSIME  PUBBLICAZIONI.  U  tipografia  del  Giornale  II  Cittadino  di  Acireale 
mette  a  stampa  la  seconda  edizione ,  riveduta  e  cresciuta,  delle  Ouervazioni  mlta 
malattia  degli  agrumi  del  sig.  Antonio  Pennisi -Mauro.  Ogni  copia  costerà  lira  «ina. 

—  L'egregio  poeta  prof.  Ugo  Antonio  Amico  sta  pubblicando  pei  tipi  del  GìoT' 
naie  di  Sicilia  degli  Sciolti  diretti  al  valente  nostro  pittore  Francesco  Loiacono. 

CONCORSI  ED  ESPOSIZIONI.  11  comìzio  agrario  del  circfindario  dt  Palermo  ha  de- 
liberato di  conferire  un  premio  di  L.  600  all'  inventore  di  una  macchina  adatta  alla 
trebbiatura  del  sommacco,  la  quale  riuscisse  a  separare  la  foglia  dai  rami  con  eco- 
nomia di  tempo  e  di  spesa  in  confronto  alla  trebbiatura  comune. 

NECROLOGIA.  È  morta  in  Firenze,  il  15  di  aprile,  la  illustre  scrittrice  di  opere 
filosofiche,  la  marchesa  Marianna  Florenzi-Waddington. 

—  È  morto  in  Torino  sua  patria  nella  grave  età  di  85  anni  V  ab.  Amedeo  Peyron, 
uno  dei  più  grandi  orientalisti  d' Europa. 

—  L'  8  di  maggio  ò  morto  a  Parigi  in  età  di  83  anni  l'illustre  storico  Francesco 
Abele  Villemain. 

—  Sou  morti  ancora  il  sommo  fisico  berlinese  Enrico  Gustavo  Magnus,  e  il  dotto 
climatologo  Rodolfo  Vivenot  da  Vienna,  il  quale, con  singolare  affetto  illustrò  la  nostra 
Palermo  ,  come  retidenza  sanitaria  preferendola  a  qualunque  altra  città  italiana. 
Di  lui  scrisse  una  bella  commemorazione  il  dottor  Giuseppe  Arcoleo. 


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BULLETTINO  BIBLIOOBAFIOO 


PRIMÀLITA'  DI  DIRITTO.  Studi  del- 
l'avvocato  Giambattista  Pigonb  ecc. 
Girgenti»  1870. 

Questo  libretto  ò  la  parte  prima  di  un 
lodevolissimo  lavoro  coi  da  più  anni  ha 
atteso  il  sig.  Picone ,  con  animo  a  vista, 
della  rainosa  alterazione  de*  principi  u- 
niversali,  di  sostenere  la  necessaria  rì- 
staurazione  de'  principi,  da  cui  poter  a- 
vere,  smessi  i  cenci  germanici  e  francesi 
nelle  discipline  speculative,  una  filosofia, 
una  letteratura,  e  una  civiltà  nostrale  e 
cristiana.  False  e  abbaglianti  dottrine, 
hanno  portato  perniciosa  confusione  nelle 
idee  di  libertà,  di*  legge,  di  moralità,  di 
autorità,  di  sovranità;  e  però  è  necessità 
il  ritornare  ai  principi  che  sono  le  pri- 
malilà  di  diritto,  se  si  vuol  salvare  l'età 
nostra  da  terrìbile  corruzione  condacentis 
a  ferrea  barbarie.  «  Io  non  so  compren- 
dere, dice  l'A.,  scienza  del  diritto  senza 
morale,  uè  diritti  nò  doveri  umani  senza 
filosofia  instaurala  nel  Vangelo,  »  di  guisa 
che  ripete  col  Vico  :  •  il  vero  Dio  come  è 
principio  della  vera  religione,  lo  è  pure  - 
del  vero  diritto  e  della  vera  giurispru- 
denza. »  A  confermare  la  quale  sentenza 
e  a  rafforzare  il  concetto  della  sua  neces- 
saria instaurazione  dei  sommi  principi 
va  brevemente  notando  l'A.  le  conse- 
guenze venute  su  dalla  negazione  di  Dio 
e  del  Vangelo,  e  la  negazione  che  ne  usci- 
rebbe a  filo  di  logica  di  tanti  pronunziali 
sopra  cui  oggi  s'intende  levare  il  novello 
edificio  sociale. 

Il  lavoro  é  tutto  informato  de'  sensi 
della  vera  scuola  italiana  e  benché  pro- 
ceda per  tocchi  (e  però  occorrerebbe  più 
stretto  legame  nella  sua  disposizione), 
non  lascia  cosa  che  riguardi  quanto  e*  è 
di  più  rilevante  o  in  morale  o  in  politi- 
ca. Desideriamo  che  venghi  fuori  presta- 
mente l'opera  per  intero,  e  siam  certi  ne 


verrà  molto  onore  all'aalofe,  utile  DO0 
poco  ai  nostri  tempi.  V.  D.  G. 

RISULTATI  DELLE  OSSERVAZIONI 
SULL'  ELETTRICISMO  ATMOSFERI- 
CO istituite  nel  R.  Osservatorio  di  Mo- 
dena, memoria  del  prof.  Domenico  Ra- 
6ONA.  Modena»  1870. 

Queste  osservazioni  elettriche ,  sono 
state  registrale  per  mezzo  del  condut' 
lore  mobile  del  Prof.  Palmieri,  migliorato 
con  opportune  modificazioni  introdotte 
dall'  illustre  prof.  Ragoua. 

Egli,  pei  dati  di  185  giorni  di  osserva- 
zioni, ricava  delle  importantissime  con  • 
clusioni  sull'elettricità  messa  in  rapporto 
colla  pressione  atmosferica^  colle  piogge 
e  coi  temporali;  come  pure  sulle  correnti 
telluriche,  ec.  Noi  non  potendo  per  a- 
mor  di  brevità  trascriverle  tutte  quanto 
ne  citeremo  soltanto  alcune  :  «  L' iden- 
tità delle  due  curve,  elettrica  e  barome- 
trica, deve  a  mio  credere  aprirci  un  nuo- 
vo punto  di  vistib sulla  causa  delle  oscil- 
lazioni diurne  barometriche.  Egli  ò  certo 
che  l'aria  deve  essere  tanto  più  elastica 
quanto  più  è  carica  di  fluido  elettrico, 
perchè  cresce  la  ripulsione  tra  te^  sue  mo- 
lecole elementari. 

«  Or  il  barometro  indica  e  rappresenta 
non  solo  le  variazioni  di  peso,  ma  ancora 
quelle  di  elasticità.  Quindi  dovrà  esser 
più  basso  nelle  ore  in  cui  l'aria  è  meno 
elastica,  ossia  meno  carica  di  fluido  elet- 
trico, e  più  alto  nelle  ore  in  cui  cresce  la 
carica  della  elettricità  atmosferica.  Que- 
sta spiegazione  è  in  intima  reiasione  col 
fatto  da  me  ritrovato  sin  dal  1865,  e  anche 
recentemente  confermato,  cioè  che  la  forza 
elastica  del  vapore  acqueo  contenuto  nel- 
l'atmosfera, segue  un  periodo  diurno  i- 
dentico  a  quello  della  pressione  atmosfe- 
rica, e  in  conseguenza  identico  ancora  a 


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154 


NUOVE  EFFSMERIDl  SlGIiJANE 


quello  della  eleurìcità  atmosferica — Pare 
che  le  oscilladoDÌ  regolari  e  diame  del 
barometro  siano  di  due  specie.  La  prima 
dipende  dal  calore,  e  la  seconda  dalla  e- 
lettrìcità.  La  prima  è  rappresentata  da 
una  curva  a  un  solo  massimo  e  un  solo 
minimo,  e  dipende  dal  calore,  perchA  i 
massimi  e  minimi  coincidono  con  quelli 
della  temperatura  diurna.  >La  seconda  è 
rappresentata  da  una  curva  a  due  massimi 
e  due  minimi,  e  dipende  dalla  elettricità 
perchè  i  massimi  e  minimi  coincidono 
con  qaelle  della  elettricità  atmosferica.  • 
M.  S. 


NUMISMATICA  CONTEMPORANEA  SI- 
CULA  o$$ia  le  monete  di  eorto  prima 
del  1860  per  Giacomo  Maior<  A.  Pal.,ti- 
pografia  di  Pietro  Pensante  i870,  pr. 
L.  «. 

Quest*  operetta  ad  onta  della  modestia 
e  della  semplicità  colla  quale  si  presenta 
è  un  lavoro  commendevole  che  onora  VA. 
e  segna  un  progresso  dell*  arte  litografica 
presso  di  noi.  Essa  è  la  prima  che  nel 
suo  genere  siasi  fatta  in  Sicilia,  e  merita 
un  tributo  di  lode  il  Majorca  che  ha  sa- 
puto cosi  bene  ideare  ad  eseguire  il  suo 
concetto. 

Quanto  alla  parte  letteraria  può  ripu- 
ursi  quest'operetta  interessante  non  solo 
pe*  numismatici  ma  per  gli  storici  e  per 
gli  economisti  che  delle  cose  nostre  s'in- 
teressano. E  fra'  tanti  pregi  che  racchiude 
ha  il  vantaggio  di  correggere  financo  scrit- 
tori che  in  siffatte  materie  avevano  assunto 
il  primato.  A  buoni  conti  la  novità  del- 
l'opera,  l'esattessa,  l'eleganza,  l'im- 
portania  di  essa  la  rendono  sommamente 
pregevole,  e  degna  di  passare  per  le  mani 
di  tutti.  Che  se  con  ispecialità  concerne 
le  cose  nostre,  non  è  per  noi  soltanto  che 
essa  è  pubblicata;  giacché  accresce  sicu- 
ramente il  patrimonio  della  numisma- 
tica generale.  V. 


OSSERVAZIONI  SULLA  MALATTIA  DE- 
GLI AGRUMI  di  Antonino  Pbnnisi- 
Mauro.  Palermo,  Lorsnaider,  1870. 
La  malattia,  comunemente  detta  Ca- 
gna, che  oggi  tanto  danno  ha  recato  agli 
agrumi  di  Sicilia  ,  è  in  quest'opuscolo 
studiata  con  profondità  di  vedute  e  con 
dottrina,  non  scompagnata  dalla  pratica, 
delle  cose  di  agraria.  L*  A.  trova  che  a- 
gli  antichi  essa  fu  nota  fio  a  cominciare 
da  Teofrasto,  e  che  nei  tempi  seguenti 
la  descrisse  benissimo  Filippo  Re.  Fatto 
osservare  che  i  rimedi  adoprati  a  spe- 
gnerla sono  stati  fallaci  ed  inefficaci,  per- 
chè è  inutile  cercar  di  allontanare  un  ma- 
le quando  non  è  riconosciuta  la  esseosa 
della  sua  natura  e  la  sua  patogenesi;  egli, 
con  plausibili  ipotesi  appoggiate  da'  ri- 
sultati che  gli  hau  dato  gli  esperimenti 
di  più  anni,  viene  a  coochiudere ,  come 
una  sovrabbondante  concimssione  fuori 
de'  limiti  e  del  metodo  della  natura  possa 
esser  la  causa  di  questo  flagello  del  com- 
mercio e  dell'industria  siciliana.  E  pur 
facendo  delle  altre  dotte  e  scnnaie  a^ser- 
vazioni  sulla  coltura  degli  agrumi,  ai 
modo  come  tra  noi  è  praticata,  rileva  il 
danno  che  agli  stessi  porta  la  cosi  detta 
9bàrbola ,  la  $eonca  e  la  teugna  ;  queste 
due  ultime  per  concimar  più  ampiamente 
e  profondamente  l' albero ,  intendendo 
dargli  più  vita,  mentre  non  si  fa  che  af- 
frettarle la  morte.  E  ricorre  alle  prove 
che  la  chimica  e  la  pratica  giornaliera 
gli  dà  sui  concimi,  e  conchiude  eon  al- 
tre osservazioni  sui  metodi  curativi  della 
cagna  fino  a  qui  messi  in  uso. 

Noi  facciamo  plauso  al  signor  Pennisi- 
Mauro,  e  non  possiamo  che  incitarlo  sem- 
pre più  a  darci  di  simili  lavori  che  sono 
di  una  inestimabile  utilità  pubblica. 

S.  S--M. 

I  POETI  ITALIANI  DE*  GODICI  DI  AR- 
BOREA, Note  di  Adolfo  Bohoognoni. 
Ravenna  1870. 

Dà  occasione  a  questa  pregevole  scrit- 
tura del  prof»  Borgognoni  il  giudizio  dato 


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BOLLETTINO  BIBUOGRAFIGO 


155 


dall'  accademia  di  Berlino  sopra  i  famosi 
codici  ariMresi  illustrati  dal  Martini  salle 
ìnterpetraiioDi  del  Pillilo  ,  ed  indi  dal 
Conte  Bandi  di  Yesme  che  ne  compiva  la 
pnbblicazioné.  Il  signor  Borgognoni  ag- 
giunge altre  ragioni  a  quelle  per  le  quali 
r  Accademia  berlinese  giudicò  apocrifi  i 
ms.  di  Arborea  ;  e  massime  combatte 
r  autenticità  de'  versi  di  Aldobrando  da 
Siena  usciti  in  quest*  ultimi  anni  da  un 
codice  del  secolo  XY,  che  da  Palermo  un 
-  anonimo  mandò  in  regalo  al  Comune  di 
Siena:  e  non  sa  come  si  potè  accettare  da 
taluni  un  Gherardo  da  Firenze,  che  sa- 
rebbe stato  capo  di  una  scuola  di  lirici 
italiani  fiorita  innanzi  a  Dante,  il  quale 
pur  non  ne  fiata,  ove  avrebbe  dovuto  tiralo 
dair  argomento  fame  discorso.  Una  can- 
zonetta riferita  al  12S7  era  stala  da  noi 
giudicata  per  lo  mend  fattura  del  400;  ora 
è  detta  di  più  recente  manipolazione  ; 
e  sia.  intanto^  noi  non  mutiamo ,  sino 
ad  altri  argomenti,  il  giudizio  che  demmo 
altrove  su  que'  Codici,  perocché  ci  sem- 
brano esagerati  gli  estremi  di  chi  tutto 
afferma  e  di  chi  tutto  nega,  e  l' appro- 
vazione del  Manno  raffermò  molto  la 
nostra  crìtica.  11  Borgognoni  infine  tocca 
il  problema  intomo  alla  scuola  siciliana 
del  secolo  XIII,  cioè  se  i  nostri  poeti  a- 
vessero  scrìtto  nel  siciliano  del  tempo  o 
nell'italico  comune;  al  che  bisognerebbe 
spazio  e  opportunità  a  rispondere;  quan- 
do noi  ci  fermiamo  qui  solamente  ad  an- 
nunziare il  libretto  dell'egregio  professo- 
re, e  cosi  il  giudizio  dell'Accademia  di 
Berlino  sui  Codici  Arboresi.      V.  D.  G. 

NOVELLA  d'una  donna  e  d'uno  uomo 
che  non  poteano  aver  figliuoli  ;  ietto 
inedUo  del  buon  teeolo  della  lingua.  Bo- 
logna, FavaeGaragnani,  MDCCCLXX. 

Quel  fior  di  gentilezza  e  instancabile 
ingegno  eh'  è  il  sig.  Francesco  Zambrìni 
è  l'editore  della  presente  Novella,  che  in 
sostanza  non  è  che  una  piae  favolosa  nar- 
razione, un  Attempro  del  genere  di  quelli 
di  fra  Filippo  da  Siena.  Vaghezza  ed  ef- 


Acacia  di  lingua  non  le  fadifetto,  né  quella 
in(dfEiJ)ile  semplicità  si  abituale  a'  nostri 
antichi,  e  da  noi  boriosi  posteri  smanila. 
U  libretto^  venuto  fuori  per  le  nozze  Ghi- 
nassi-Ugolini,  ed  in  soli  80  esemplari 
per  ordine  numerati,  è  indiretto  a  Gio- 
vanni Chinassi  padre  dello  sposo,  e  eoo 
carissime  parole  di  afl'etto  che  rivelano 
pienamente  la  bontà  d' animo  dello  illu- 
stre scrittore.  S.  S.-M. 

LUCHINO  VISCONTI,  Tragedia  di  Al- 
fonso AccDRso.  Firenze  1870. 

Presentiamo  a'  nostri  lettori  un  nuo- 
vo scrittore»il  quale  nudrito  di  begli  studi 
e  dotato  di  non  poco  buon  gusto  s'  è 
messo  pel  campo  delle  lettere  col  desi- 
derio di  contribuire  al  loro  avanzamento. 
L'Accurso  non  comincia  come  pur  troppo 
sogliono  molti  giovani  d'oggidì,  ingegni 
vivaci  ma  insofTerenti  di  precetti,  i  quali 
fomiti  alla  buona  i  loro,  corsi  trovano 
entratura  nella  direzione  di  un  diario 
politico  e  vi  parlano  e  sparlano  di  tutto 
e  di  tutti;  egli  s'è  posta  una  mano  sul 
cuore  «  e  poiché  l'ha  sentito  battere  ha 
seguito  la  poesia,  e  di  essa  la  parte  dram- 
matica. Primo  fratto  del  suo  ingegno  è 
una  tragedia  :  Luchino  Viteonéi  ;  sog- 
getto non  nuovo  per  chi  conosce  il  ro- 
manzo la  Margherita  Pusterla  del  Gantù, 
dal  quale  l'autore  lo  trasse.  Se  ne  togli 
qualche  carattere  di  personaggio  e  qual- 
che scena  che  l'Accurso  potrebbe  con 
poca  fatica  ridurre  alla  giusta  convenien- 
za, questo  lavoro  è  per  molti  capi  me- 
ritevole di  lode  anche  per  ragion  dell'in- 
treccio ,  sicché  r  animo  si  allieta  nella 
speranza  che  l'Accurso  possa  riuscire  va- 
lente in  un  genere  di  letteratura  fin  qui 
poco  fortunato  tra  noi.  Più  che  altro  ci 
sembra  da  notare  nel  Luchino  Vieconii 
la  facilità  e  scorrevolezza  del  verso  non 
privo  di  eleganza  che  ritrae  da'  buoni 
poeti. 

Sforniti  cerne  siamo  di  autorità,  non 
sappiam  consigliare  in  cosa  estranea  ai 
nostri  studi;  ma  non  lasciamo  di  far  rìle- 
vare  le  belle  doti  dell*  Accurso  in  giorni 


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1B6 


NUOTE  EFFEUniDI  81GIL1ANB 


nei  quali  molli  vànDOsi  yantando  di  scudi 
ed  altitudine  che  non  hanno. 

G.  P. 

STORNELLI  di  Goffredo  FiUNCBscfli. 

Bologna,  G.  Monti,  i870. 

V  Autore  di  questi  benvenuti  Stornelli 
rivela  un  cuore  che  ridonda  di  affetto  gen- 
tile e  di  pura  fede,  ed  il  suo  volumettino 
adesca  il  lettore  dalla  priuia  all'  ultima 
pagina ,  avvegnaché  non  sempre  corretta 
o  poetica  sia  la  frase,  e  generi  una  certa 
monotonia  quel  consacrare  due  stornelli 
dello  stesso  numero  di  versi  e  disposi- 
zione a  ciascun  argomento.  Difettucci  per 
altro  resi  anco  meno  apparenti  da  quel- 
l'aura di  malinconia,  spesso  unita  a  un 
po'  di  satira,  che  pigliano  molti  di  quei 
versi.  Ecco  un  esempio,  che  può  dar  an- 
che idea  del  suo  poetare. 
La  Fede 

Ieri  un  signore  dalla  barba  nera 

Mi  disse  che  la  speme  ò  una  bugia; 

E  quando  scenda  a  me  rultima  sera 

Non  rivedrò  di  là  la  madre  mia; 
Che  nel  mondo  non  v'  ha  giusto,  né  vero, 

E  lutto  dee  finir  nel  cimitero; 
Che  bisogna  goder  fìn  che  e*  é  vita  ; 

Si  che  il  meglio  ò  di  far  piassa  pulKa. 
Neil'  ascoltarlo  io  dentro  mi  sentiva 

Preso  da  un  senso  di  paura  arcana  ; 

Provai  cantare,  e  la  canzon  moriva 

Pari  all'ultimo  snon  d'arpa  lontana. 
Ma  la  notte  scendea  nel  bruno  velo, 

E  volsi  gii  occhi  desiosi  al  cielo  ; 
Vidi  le  stelle e  l'anima  sincera 

Rise  dell'uomo  dalla  barba  nera. 
S.  S.-M. 

PER  NOZZE  ILLUSTRI  DI  WEIL  WEIS- 
CINZANO  DI  RODI.  Canti  popolari  ve- 
ronerì.  Verona,  aprile  1870. 

Sono  24  vUlolle  popolari  del  veronese, 
edite  dal  eh.  Ettore  Scipione  Righi,  che 
fanno  seguilo  al  Saggio  pur  da  fui  pub- 


blicato al  i803 ,  e  lasciano  il  desiderio 
che  l'egregio  raccoglitore  metta  presto  a 
luce  r  intera  jaccol la  eh'  egli  della  poesia 
popolare  veronese  tiene  in  pronto.  Ai  cul- 
tori della  musa  del  popolo  riusciran  sem- 
pre gradite  queste  delicate  verginali  com"" 
posizioni,  che  nella  rozza  lor  veste  non 
perdono  al  paragone  de'  parti  letterate - 
sebi  :  a  noi  in  ispedal  modo  son  giunte 
poi  carissime,  e  per  se  stesse  e  per  il  rac- 
coglitore che  ce  ne  fé'  dono,  e  teniamo  io 
pregio  singolare.  S.  S.-M. 


SULLA  STRADA  NAZIONALE  DA  BI- 
VONA  A  GIR6ENTI  per  Cianciana  e 
Aa/7a(ia It;  Osservazioni  di  Gartano  Di 
GicvANNi.  Girgeoti  1870. 

Il  bravo  signor  Gaetano  Di  Giovanni 
mentre  attende  alla  pubblicazione  delle 
sue  Memorie  storiche  su  Casteltermini 
non  trascura  quel  che  torna  proficuo  al 
commercio  del  territorio  nel  quale  egli 
nacque  e  vive  in  operosità  continuala  ; 
però  ha  scritto  quesl*  opuscolo  per  dimo- 
strare cosa  che  tornerebbe  utilissima  al 
commercio  di  tutta  la  sua  provincia,  cioè 
che  la  futura  strada  nazionale  da  Bivona 
a  Girgenti  toccando  Cianciana  deve  cor- 
rere lungo  la  diretta  via  di  Raffadali  an- 
ziché la  divergente  di  Cattolica.  Cianciana 
non  è  il  paese  rimasto  proverbiale  pel 
poco  lusinghiero  ricordo  che  ne  fece  il 
Meli  ;  esso  conta  4746  abitanti  laboriosi 
ed  economici;  è  salubre,  ridentc,floridis- 
sima.  1  suoi  terreni  solforosi  sarebbero 
capaci  di  apprestare  un'annua  produ- 
zione di  800.000  quintali  metrici  di  mi- 
nerale,quando  oggi  per  manco  di  vie  non 
ne  danno  che  appena  40,000 1 A  che  dun- 
que gli  ostacoli  in  un*  opera  di  tanto  gio- 
vamento per  la  Sicilia  ?  Noi  ci  uniamo 
coir  egregio  Di  Giovanni  nei  far  voti  per- 
chè si  cessi  dalle  passioni  private  in  fac- 
cia all'  incremento  materiale  della  indu- 
stria e  del  commercio  siciliano.    G.  P. 


Il  Gerente  :  Pietro  Montaina 


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NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

ANNO  II.  DISPENSE  IV  E  V.  LUGLIO  ED  AGOSTO  1870 

METEOROLOGIA 


Perchè  i  venti  che  spirano  dai  deserti  tropicali 
sono  caldi  si  di  griorno  che  di  notte  P 

Riandando  sui  fenomeni  dei  venti,  che  spirano  dai  deserti  com- 
presi tra  i  tropici,  o  che  di  poco  se  ne  scostano,  sorgeva  sponta- 
neamente la  questione  perchè  montano  ad  una  temperatura  si  atta 
sì;  nel  giorno,  che  nella  notte.  Sorge  spontanea  la  questione  perchè 
quanto  alto  in  quei  deserti  è  il  grado  di  calore  termometrico  nel 
giorno,  altrettanto  depresso  è  nel  corso  della  notte.  Nasce  dunque 
da  sé  la  dimanda  perchè  la  temperatura  dei  venti,  che  ne  derivano, 
non  subisce  le  stesse  vicende;  perchè  per  es.  il  soffio  dei  sirocco, 
ch^è  si  caldo  nel  giorno,  non  assume  i  caratteri  d^un  vento  bo- 
reale nella  notte. 

Tutti  i  viaggiatori  narrano,  che  quanto  nei  deserti  è  intenso  il 
calore  nel  giorno,  altrettanto  è  rigido  il  freddo  nella  notte.  Tyndall, 
uno  dei  più  insigni  scienziati  di  Europa,  ch^ebbe  Tenore  di  suc- 
cedere a  Faraday,  genio  sublime^  che  nel  1868  hanno  perduto  le 
scienze,  in  una  opera,  che  porta  per  titolo:  Beat  as  a  mode  of  mo- 
tion,  caratterizza  in  questi  termini  Talternativa  delle  temperature  nel 
deserto  di  Sahara:  «  In  Sahara,  where  the  wind  ìs  flame,  and  the  soii 
•^  is  (ire,  the  refrìgeration  at  night  is  often  painful  tobear.  Icy  has 
«  been  formed  in  this  region  at  night.  *  Nel  Sahara  ove  il  suolo  è 
fuoco,  ed  il  vento  è  fiamma,  è  spesso  penoso  il  freddo  notturno. 
In  quella  regione  T  acqua  nella  notte  si  è  ridotta  a  ghiaccio.  Questo 
avvicendamento  rapido  di  alte  e  basse  temperature  tra  il  giorno 
e  la  notte  mi  muove  a  credere,  che  tra  i  deserti  e  le  regioni  vi- 
cine corra  quello  scambio  di  correnti  atmosferiche,  che  vi  è  nella 
estiva  stagione  tra  i  mari  e  le  terre  limitrofe. 

Il  deserto  nella  notte  dovrà  comportarsi  come  il  mare  nel  gior- 
no; e  come  nel  giorno  spira  il  vento  di  mare ,  che  modera   V  ec- 
cesso del  calore  estivo,  cosi  nella  notte  spirerà  un  vento  dal  de- 
ll 


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158  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

serto,  che  rinfrescherà  le  vicine  regioni;  da  queste  poi  nel  giorno 
soffierà  un  vento  opposto  simile  al  vento  di  terra,  che  nella  notte 
invade  un  tratto  di  mare  che  si  dilunga  alquanto  dalle  spiagge. 

Da  simili  cause  nascono  '  somiglianti  effetti;  si  vede  da  ciò,  che 
non  è  da  porsi  in  non  cale  la  indagine,  perchè  i  venti  dei  deserti 
tropicali  conservino  nella  notte  un^  alta  temperatura ,  che  poco  o 
sulla  differisce  da  quella  del  giorno.  Per  risolvere  la  questione  è 
da  premettersi,  che  nel  giorno  quei  deserti  si  scaldano  fortemente 
sotto  i  cocenti  raggi  del  sole,  e  che  il  raffreddamento  notturno  è 
r  effetto  deir  irradiazione,  ossia  detP  emissione  del  raggi  calorifici 
lanciati  dalle  terre  nei  vuoti  spazi  del  cielo.  11  calore  irradiato  nella 
notte  è  proporzionale  alla  serenità  e  alla  siccità  dell'atmosfera,  che 
sovrasta  i  deserti,  poiché  quando  Paria  è  ingombra  di  nebbie,  o  di 
vapore  acqueo,  il  calore  irradiato  è  assorbito  dalle  nebbie  e  dai  va- 
pori, e  ricacciato  in  parte  sulle  sottogiacenti  terre.  Uno  degli  osta- 
coli pia  potenti  alla  dispersione  del  calore  emesso  dagli  oggetti  ter- 
restri è  il  vapore  acqueo  disseminato  nell'  atmosfera.  Il  potere  as- 
sorbente dell'aria  secca  è  insensibile.  É  questa  una  verità  dimo- 
strata da  Tyndall,  e  di  già  accolta  nei  corsi  scientifloi.  Or  Parìa,  che 
sovrasta  i  deserti,  nella  notte  per  P  ordinario  è  serena,  e  d'una  estre- 
ma siccità.  Si  disperderà  dunque  in  brevissimo  tratto  di  tempo  nella 
notte  tutto  il  calore ,  che  nelle  terre  dei  deserti  si  accumula  nel 
giorno^  vieppiù,  che  quelle  terre  spesso  arenose,  mal  conducendo  il 
calore,  scaldansi  solamente  alla  superficie ,  senza  che  il  calore  del 
sole  penetri  negli  strati  sottoposti.  Ecco  perchè  alP alta  temperatura 
del  giorno  succede  tosto  un  rigido  freddo  nella  notte.  Nella  luna 
priva  di  acqua  e  di  atmosfera  nessun  mezzo  assorbe ,  e  modera  i 
raggi  incidenti  del  sole ,  o  arresta  P  irradiazione  lunare.  Le  zone 
dunque  della  luna  esposte  ai  raggi  del  sole  soffriranno  un  eccesso 
di  caldo,  al  quale  succederà  un  eccesso  di  freddo  nelP  assenza  della 
luce  solare. 

Da  queste  nozioni  s' inferisce,  che  per  non  subire  i  deserti  tro- 
picali il  freddo  notturno  deve  sopravvenire  nella  loro  atmosfera  una 
causa.,  che  intercettando  il  calore  irradiato  nella  notte ,  lo  ricacci 
alla  superficie  terrestre.  Questa  causa  è  la  densa  polvere,  che  in- 
gombra la  loro  atmosfera,  quando  v'  insorgono  venti  impetuosi  ;  e 
taU  devono  essere  il  khamsin,  il  simoun,  il  sirocco,  perchè  il  loro 
soffio  invadesse  regioni  ben  lontane  dai  deserti. 

Il  sirocco ,  che  talvolta  soffia  impetuoso  in  Sicilia  dovrà  avere 
P  impelo  d' un  uragano  nel  deserto  di  Sahara.^  d'onde  ritrae  P  ori- 


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SUL  DIALETTO  GRECO  DI  SICILIA  1S9 

gine.  Non  vi  sarà  allora  T  alternativa  di  estremo  caldo  nel  giorno, 
e  di  rigido  freddo  nella  notte.  I  raggi  calorifici  nella  notte  emessi 
dair  aride  terre^  si  volgeranno  giù  riflessi  dalle  densissime  nubi  di 
polvere;  onde  la  temperatura  notturna  si  scosterà  di  poco  da  quella 
del  giorno,  ed  il  sirocco  nella  notte  ci  verrà  talvolta  si  caldo  quanto^ 
nel  giorno. 

Se  mal  non  mi  appongo,  panni,  che  in  questa  guisa  sia  da  risolversi 
la  proposta  questione.  I  venti  impetuosi  dei  deserti  possono  spirare 
aridi  e  secchi,  come  il  sìmoun  nelle  coste  occidentali  dell^ Africa  « 
o  modificarsi  nel  lungo  tragitto,  come  il  sirocco,  che  in  alcune  re- 
gioni giunge  carico  di  vapore  acqueo  somigliante  più  o  meno  alle 
correnti  atmosferiche  equatoriali. 

Pqof.  G.  Lo  Cicero 


SUL  DIALETTO  GRECO 

DI  SICILIA 

(Continuaz.  e  fine  vedi  voi.  lU  disp.  IIU 


*A(ji^<icoXo<;,  che  nel  senso  di  ministro,  sacerdote  di  raro  è  adope- 
nato  nel  greco,  né  da  altri  se  non  da'"  soli  poeti,  davasi  da'  Siracu- 
sani a  personaggi  ornati  d'amplissimo  sacerdozio.  Scrive  Diodoro, 
che  Timoleonte  (ol.  CIX)  stabili  un  supremo  annuo  magistrato,  che 
V  Siracusani  chiamarono  Amfipolia  di  Giove  Olimpio,  e  primo  Am- 

fiipolo  del  Dio  fu.  Gallimene  xaTédrìj^e  Se  xal  x V  ^«"^  ivtauxèv  lvTi(i.o- 
xàtT^v  òp)(^^v  ,  \h  à|x<piiroX(av  Ai^c  OXojjiitfou  ol  £upax(5aiot  xaXoOai.  tmX 
if^édr^  irp6»xo<    à{Ji^(itoXo<  Aiò<    OXujJiitiou  KaXXijjtévti^  (1).    Sul    nome  6 

sulla  dignità  d'Amfìpolo  in  Sicilia  dissertò  dottamente  il  tedesco  E- 
bert  (2). 

ìepofAvàfxovec.  noti  nelle  nostre  greche  iscrizioni  (V.  C.  J.  Gr.  nu- 
mero 5545, 5640,  su  (AvàfACDv  ivi  t  IH.  pag.  584).  Lo  Scoliaste  d' A^ 
ristorane  Nub.  623  dice  [xvàjxwv  ufiicio  sacerdotale. 


(I)  XVI,  70.  Cf.  Verrin.  11.  61.  IV,  61. 

(1)  De  Amphipolorum  apud  Syracusanos  sacerdoUo  nel  volarne  StxeXiwv  Regi- 
moniii  Prussorum  1830. 


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160  NUOVE  EFPfilKRIDI  SICILIANE 

ìep(&7roXo<  è  nome  di  sacerdote,  cftrator  sacrorum,  che  si  trova  in 
un  decreto  dei  Geloi  (I). 

KaxeviQciSaioc  nome  d'un  altro  magistrato  oell'  iscrizione  di  cui  sopra. 

ìspoeuTTjc  è  nome  di  sacrificatore,  sacerdote  in  Agrigento  (2). 

eaXiSata.  Le  Talisio  erano  un  sacrificio,  che  faceasi  a  Cerere  verso 
la  fine  di  luglio  e  dopo  la  raccolta  del  grano.  Ad  esse  è  consacrato 
r  Idillio  VII  di  Teocrito,  il  quale  chiama  la  dea  àXqx&^oc  trebbiatrice 
od  aiatrice. 

eeoYà(Aus,  che  in  greco  vale  nozze  degli  Jki,  erano  presso  i  Sice- 
lioti  le  solennità  celebrate  per  anno  a  festeggiare  le  nozze  di  Plu- 
tone e  di  Proserpina  (3).  'AveecnixSpta  erano  dette  le  feste  del  giorno 
primo,  dal  portare  dei  fiori,  àizh  xoO  «pipetv  Sveea  (il  Florifertum  dei 
Romani  ?)  o  perchè  in  quel  giorno  si  offk*issero  a  Libera  come  alle 
altre  dèe  (Y.  Boeckh  Explicatt.  Pind.  p.  577)  corone  di  fiori  ;  o 
che  le  fanciulle  v^  incedessero  redimite  le  chiome  di  tali  serti  ;  o 
che  il  dio  deir  inferno  avesse  rapito  la  figliuola  di  Cerere,  mentre 
occupavasi  a  raccoglier  fiori  colle  sue  compagne.  Polluce  {OMmast. 
I.  37)  scrive,  che  presso  i  Sìcelioti  le  Antesforie  eie  Teogamie  erano 
della  dèa  Proserpina  KcfpT^c  Tcopà  XtxeXtc^Tat?  ^tofà^kui  xat  'AvOe^^t^pia. 
Anche  Argo  avea  le  sue  feste  de^  fiori  sacre  a  Giunone,  che  pos- 
sedea  un  tempio  in  quella  città  col  nome  di  àvOeta  (Pausania  Corinth). 
*Ava(xaXuim{pia  (da  àva)caX<5TCTeiv  svelare) 'eran  finalmente  chiamati  i 
giorni  secondo  e  terzo  delle  Teogamie.  Pei  greci  'AvoxaXuTcxT^piov 
era  il  giorno  in  cui  la  novella  sposa  compariva  in  pubblico,  sco- 
prendo la  faccia  velata  (Esichio).  'AvaxotXuirxtSpia  diceansi  i  doni , 
che  il  marito  e  i  congiunti  e  gli  amici  faceano  alla  sposa  al  suo 
apparire  per  la  prima  volta  senza  velo  (Snida).  Taluni  cercavana 
r  origine  della  parola  neir  uso  che  non  permettea  al  marito  pria 
del  terzo  giorno  di  vedere  la  faccia  della  sposa.  Mueller  (4)  edE- 
bert  (5)  considerano  xà  'AvoxaXuTcriipia  come  parte  delle  siciliane  Teo^ 
gamie  o  feste  delle  nozze  di  Proserpina  (6). 


(1)  V.  Torremuzza  InteripL  Sic.  p.  84.  Muratori  Tket.  p.  642.  DorvìUe  Sicul. 
p.  SOlelc.  eC. /.  Gr.  n.  5475. 

(i)  Iscr.  Agrigenl.  presso  Gruter.  p,  401.  *EtcI  lepoOuxou  'ixéxa.  V.  Torre- 
muzza ck.  p.  76.  C.  l.  Gr.  n.  5491. 

(3)  V.  Eckhel  Docl.  Numm.  IV.  454. 

(4)  Dor.  h  401.  Prolegg.  p.  155. 

(5)  SixeXicóv  cit.  Heortologii  Si$uli  inilia. 

(6)  V.  Gaetani  Itag.  in  hitt.  tacr.  Sic.  p.  19.  Thci.  Sic.  Il,  e  Vinc.  MirabeUa 
{>.  162.  The$.  Sic.  XI. 


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SUL  DIALETTO  GRECO  DI  SICILIA  161 

eea(jio<p<Spioc,  nome  di  un  mese  cosi  denominato  dalle  feste  Tesmo- 
ferie  (6ea[i.<Kp<Jpi«)  istituite  in  onore  di  Cerere  detta  6t<»|xo<p<Jpo(;  (1) 
cioè  legislatrice  (Virgil.  Aeneid.  IV.  57).  Le  leggi  di  Dracene  eran 
chiamate  6e(r(jidc,  dalla  prima  parola  di  ciascuna  di  esse  (Aelian.  Var. 
hist,  VII.  10).  Sul  digiuno  e  sulla  continenza  delle  donne  nelle  Te- 
smoforie  leggasi  Ovidio  Metam.  X.  ti  mese  %t<j\M^6^io<: ,  di  cui  vedi 
Torremuzza  {Inscript  SicU,  p.  LXXf.)  ed  Ebert  (XixeXwiv  Heartolo- 
gii  Siculi  initia)  è  siciliano ,  e  corrisponde  pei  Gelei  ad  ottobre. 
BtdiKOf^pita^jresmof orione,  è  pure  il  nome  di  un  mese  Cretese  presso 
Ideler  {Chronol.  voi.  f.  p.  426).  Il  tempio  di  Cerere  e  di  Proser* 
pina  .si  dicea  ee(r(jio<p<iptov;  come  il  verbo  6e(r(xo<popidCu>  signiQcava  ce- 
lebro le  feste  di  Cerere  legislatrice. 

E  poiché  ci  è  occorso  di  citare  il  nome  del  mese  siciliano  ettf(M- 
vdpioc,  ecco  la  lista  dei  mesi,  quali  si  trovano  nelle  nostre  greche 
iscrizioni,  o  leggonsi  nelle  anse  dei  vasi  fittili  rinvenuti  in  Siracusa, 
Catania,  Messina,  Palermo,  Acre,  Erico,  Gela.  Sono  AYpi^vioc,  'Apta- 
(A^Tux  (il  primo  mese  dell'anno  civile  secondo  il  calendario  Taor- 
minese  V,  C.  /.  6r.  n.  8640),  Ba8p<Jjjito«,  A<fcXioc,  eMjjwxpdpioc,  etvSai- 
9to<,  Kapvetoc  (penultimo  mese  dell'anno  civile  agrigentino),  KvC^ioc, 
nd(va(Ao<,  ns^oYsCxvuo^,  *rax{v6toc,  £(jk(v6ioc.  Sui  quali  mesi  veggasi  C. 
F.  Hermann  Uber  Griech.  Monatskwide  Gotting  1844.  Bergk  Beit. 
z,  monatsk.  ed  il  C.  /.  Gr.  t.  III.  pag.  675  e  segg. 

'Àv^oxiàpxYìc  Manca  questo  vocabolo  anche  neirultima  edizione  del 
Thesaurus  grecae  linguae  di  Stefano;  ove  però  si  rinviene  'Av^xcCa 
secondo  un'iscrizione  taorminese  (Franz.  C.  Inscr.  voi.  III.  p.  635 
n.  5640,  22).  Nota  il  citato  Franz  a  p.  642,  che  àv$oxt(a  può  farsi 
derivare  da  àva^o^i^  {receptio ,  repromissio)  e  sembra  indicare  un 
istituto,  in  cui  si  dà  danaro  ad  interesse.  Vox  àv^oxefa  ab  à^oL^o-^-^ 
facta  est  et  videtur  ad  institutum  aliquod  pertinere  quo  foenori  dan 
tur  pecuniae  residuae.  V  'Av$oxi(&pxT)c  pertanto,  che  è  un  ufficio  del 
quale  occorre  menzione  nelle  iscrizioni  siciliane,  sembra  che  soprin- 
tendesse al  buon  impiego  del  pubblico  danaro  (2). 

Tpuxx(£8apxo<,  sorta  di  censore,  secondo  GottUng  Programma  leu. 
1834.  «  Explicantur  ìnscriptiones  Acrenses  III  in  Sicilia  repertae  ad 

(I)  Questo  epiteto  si  trova  anche  dato  ad  Iside  da  Diodoro,  ed  a  Bacco  da  Orfeo, 
ma  pia  conmnemente  si  attribuisce  a  Cerere,  la  prima  che  insegnò  agli  uomini  l' u- 
tilitA  delle  leggi. 

(i)  V.  Garrncci  negli  Annali  numitm.  editi  da  Gius.  Fiorelli  (a.  1846,  p.  SOI). 
L'Arena  De  dicU,  Sic.  p.  19,  cita  div^xefct  P«r  esempio  della  mutazione  fra  x  e  v 
Aéxo|juxi  per  Sl^o|juxi  dissero  i  Jonì. 


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I6Ì  NUOVE  CFFEMeRIDl  SICILIANE 

legem  Hieronicam  perlinentes  »  nasce  da  Tptocxàc,  divisione  di  tribù 
(Mueller  Dor,  II,  p.  82).  Vedi  C.  L  Gr.  n.  5425. 

4>pa$aTii;p.  In  un^  iscrizione  d'  Acre,  copiata  da  Thorlacius,  dotto 
antiquario  danese,  e  pubblicata  con  altri  marmi  della  collezione  lu - 
dica  nel  Giorn.  Arcad.  di  RonM  t.  XXXV .  p.  339  ,  e  segg. ,  indi 
con  varianti  da  Raoul- Rochet te  nella  Memoria  che  or  citeremo,  p.  ^, 
leggesi  YpajxjjtaxevK  xai  cppaSixTjp.  Abbiamo  dunque  in  *pat5aTiip  il 
nome  d'un  pubblico  impiegato;  e  la  sua  relazione  con  Y(xx(X(xaxeùc, 
scrivano,  secretorio  induce  a  spiegarlo  come  una  sorta  di  scriba  e 
d'  oratore  pubblico,  diverso  dal  KupoS.  precone  (I). 

SiTo^iSXaS  (V.  C.  /.  Gr.  num.  5640)  custode  dei  grano,  e  iixwviov 
granaio  (2),  sono  due  voci  che  non  occorrono  nemmanco  nel  glos- 
sario deir  Arens.  Uniamo  al  Ztxciviov  l' altra  voce  'EAa«c<JfAiov,  che  è 
luogo  dove  si  elabora  Polio  (V.  Maffei  Art.  crit.  lapid.  Ili,  p.  102), 
e  non  già  oli  veto  ,  come  spiegarono  Grutero ,  Gualterio  e  Torre- 
muzza.  V.  C.  /.  Gr.  Bum.  ^594. 

La  maggior  parte  delle  nostre  greche  iscrizioni,  come  quelle  di 
Gela,  Tauromenio,  Neeto ,  Acre ,  sono  relative  all'  istituzione ,  alle 
categorie  ed  alle  spese  dei  ginnasi.  L' Arens  nota  nel  suo  glossa- 
rio la  parola  Naupoi ,  che  Rochette  spiegò  come  equivalente  a  gio- 
vani nel  dialetto  siracusano  d^'Acre,  osservando  che  la  parola  greca 
NcopoC,  sinonimo  di  Néoi,  potè  scriversi  e  pronunziarsi  Nòpoi  in  que- 
sto  dialetto,  in  cui  il  dittongo  ex  di  talune  parole  contraevasi  in  a. 
Il  Naupo(  trovasi  in  un  marmo  greco,  pubblicato  da  Gualterio  2,  3; 
Muratori  t.  II.  p.  631,  3;  Torremuzza  CI.  I,  p.  9,  num.  19  e 
trovato  in  Messina,  concernente  una  classe  di  giovani  del  ginna- 
sio. Tien  dietro  alla  voce  Naupoi  una  serie  di  nomi  propri,  e  Pi- 
scrizione  si  termina  colla  parola  A<^po^(xai.  Trattasi  dunque  d' un 
monumento  dedicato  a  Venere  ;  e  i  dedicatori ,  tutti  i  membri. di 
una  stessa  corporazione ,  son  insieme  indicati  col  vocabolo  Naupoi 
Non  ricavandosi  lume  di  sorta  dalle  parole  Naupot  e  NaupCCetv  presso  , 
Esichio,  vi  fu  chi  interpretò  Nai»po{  come  Jlfiwt  o  Acrobati,  quasi 
Notupo^xai  per  Neupòpàxai;  chlpensò  coti  Torremuzza  accennarsi  sotto 
quel  titolo  una  classe  di  sacerdoti  o  magistrati;  chi  congetturò  con 


(1)  Deriva  da  ^ppaSav  (<ppaSdtCei>'  Esicliio;  V.  C.  /.  Gr.  l.  Ili,  pagina  579,  no. 
mero  5425. 

(2)  Sul  (xiTtiviov, come  sulaitepovai  e  suUxaxaSi'xiov  della  V.  tavola  laorminese 
vedi  Camarda  nella  RivUta  Sieula  voi.  I.  a.  1869,  pag.  140,  e  voi.  Ili,  a.  1870,  pa- 
gina 565,  e  segg.,  non  che  le  segaenti  crttiobe:  Flcckei$en  Annali  fase.  V.  pag.  305, 
H  Literarischet  Centralblalt  di  Lipsia  n.  %7.  26  giugno  1869  pag.  801. 


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SUL  DIALETTO  GRECO  DI  SIÉlLtA  IBS 

Panofka  {Lett  al  duca  di  Serradifalco  Pìr.  1825  p.  38),  che  i  Naupo{ 
fossero  siali  ispellorì  dei  lempt,  proponendo  T  etimologia  da  va<$c. 
e  da  òpqÉv.  Rochelte,  spiegando  giovani  riconosce  in  NaupoC  un  terme 
de  quelque  dialecte  particulier  de  la  Sicile,  Vune  de  ces  expressions, 
locales,  qui  d'Areni  se  trouver  en  si  grand  nombre  dans  le  langage 
riche  et  varie  des  populations  grecques  de  ce  pays  {Mem.  sopradetta 
p.  98-9).  Però  nel  C.  L  Gr.  n.  5Gi5,  si  spiega  più  semplicemente  il 
Naupo£  coirattico  Neu)p<^<;,  doricamente  Nao>p<$<;.  e  indi  mutato  in  Naup<{c. 
Perlocchè  sarebbero  i  Noeupot  quasi  Nau^ptSXoxec,  Icpopoi  wv  veu>p(oi>v. 

Ma  se  r  Arens  accetta  il  NaupoC ,  omette  nel  suo  glossarielto  la 
voce  'AXstcp^JfAevot,  che  s' incontra  pure  in  un*  iscrizione  di  Sicilia  presso 
Gualterio  n.  316  p.  48.  Gli  AXEt(p<{fAefot  coslituiscono  un*  altra  cate- 
goria fra  la  giovenlù  del  ginnasio,  diversa  da  quella  degli  efebi^  a- 
dolescenti  (i»s<<Sxepoi). 

Nupwpoc.  Trovasi  NtS|i<poi  in  un'  iscrizione  rinvenuta  nelle^ rovine  di 
Acre,  la  moderna  Palazzolo  e  che  fu  pubblicata  da  Panofka  Lett  ed 
duca  di  Serradif.  p.  37.  40,  e  della  quale  si  occupano  pure  Lelron- 
ne  Journ.  des  Sav.  an.  1827,  luglio,  p.  391-2,  ed  a  lungo  ftaoul-Ro- 
chette  Mémoire  sur  les  médailks  SicUienwes  de  Pjgrrhus  nelle  sue 
Mém.  de  Numism.  et  (f  Antiq.  Paris  Imprim.  Boy.  1840,  pag.  87  e 
segg.  Panofka  interprela  M\Lf^i  come  un  nome  proprio,  NófA^poc  od 
anche  Nu{ji<p(Àv.  Lelronne  sia  per  la  lezione  n^jx^oc  o  Nu(i<p(o(;.  Ma  H 
menzionato  Raoul-Rochetle,  rigetlando  come  inammessibile  le  cor- 
rezioni di  Panofka  e  di  Lelronne,  mette  in  sicuro  la  lezione  M^l^h 
che  è  richiesta  dalla  leltura  del  maf  mo,  sebbene  la  parola  non  sia 
indicala  da  verun  altro  lessicografo,  nò  prodolta  in  altro  monumento. 
Essa  però,  scrive  il  dotto  archeologo  francese,  pùt  fart  bien  exister 
dans  la  langue,  doni  nous  sommes  si  loin  de  posseder  le  vocabulaire 
entier.  Secondo  lui,  se  Mik^n  ò  la  giovane  zitella  o  la  nuova  mari- 
tata ,  NiSppoc  potè  venir  adoperalo  in  qualche  dialelto  della  Sicilia 
■greca  per  indicare  giovane  nubile  (No^uptoc).  Pel  medesimo  Rochelte 
il  NiSfjupoi  'lépovocMeli'  iscrizione  Acrense  sarebbe,  nel  dialelto  di  quella 
città ,  una  locuzione  equivalente  al  Neav{(jxot  ìepòvsioi  d' un  marmo 
di  Noto.  Egli  conforta  con  lungo  discorso  la  sua  spiegazione,  e  forma 
dei  Nó{A(poi  una  nuova  categoria  di  giovani  d'età  più  provetta  (1)^ 

Soggiungeremo  due  nomi  di  monete. 

Aa(AapéT8tov^  forma  dorica,  o  A7){xsepéTEtov,  è  voce  nolald  da  Polluce 
(Onomast.  IX,  85),  da  Esichio  (s.  v.),  dallo  Scoliaste,  da  Pindaro  (01. 

(1)  Ma  yedasi  C.  /.  Gr.  toio.  ili,  pag.  584  n.  5431. 


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\(\%  NUOVR  EFFRMRRIDI  SICILIANE 

II.  *i%.\  e  si  trova  in  Diodoro  (XI.  2C).  fi  codice  tlorenlino  dell'  i- 
stesso  Diodoro,  e  lo  Scoliasle  or  ora  citato  hanno  in  buona  ortogra> 

fia  Aajxap^Teiov  o  ATjjxapéTetov  ;  gli  altri  COdici  viziOSamente  Aafjuxpéxiov 

con  Polluce,  e  AT)(iiatpéTiov  con  Esichio.  Questa  moneta,  che  forse  è 
la  prima  in  oro  di  cui  fece  uso  Siracusa^  prende  il  nome  da  Dama- 
reta,  moglie  di  Gelone;  la  quale,  secondo  A  ripetuto  Polluce,  la  fece 
coniare  nella  prima  guerra  punica ,  allorché ,  mancando  Gelone  di 
danaro,  chiese  a  tutte  le  donne  i  loro  gioielli.  Invece  Diodoro  narra 
che  la  regina  fecela  coniare  della  nota  corona  d^oro  di  cento  ta- 
lenti offertale  da^  riconoscenti  Cartaginesi.  Damareta  dic^  egli ,  re- 
galata  da  loro  d'una  corona  di  cento  talenti  d'oro,  coniò  una  mo- 
neta,  detta  dal  nome  suo  Damarezia,  <rct<pava)6et(ja  òir'  aòx&v  èxaxòv 

Della  Damarezia  scrissero  il  duca  di  Luynes,  Ott.  Mueller,  Boeckh, 
ed  il  dottore  Hultsch  specialmente  nella  diss.  De  Damareteo  argenteo 
Syracusano  nummo. 

Al  nome  siciliano  della  Damarezia  segue  quello  d' una  seconda  mo- 
neta, della  quale  ha  trattato  di  recente  il  eh.  proL  Salinas,  cui  deve 
già  molto  e  dovrà  assai  di  più  la  patria  numismatica.  <friXi<rc($eu>v, 
v(((jLi(r(jLa(  TI,  dice  Esichio  nel  suo  glossario,  fUistidèo  specie  di  mo- 
neta. Cosi  è  da  scriversi  la  parola,  e  non  già  <&iXi(rc($iov  (Y.  Hultsch 
De  Damareteo  ec.  p.  9,  segg.)  *  Per  lezione  de'  filologi  troppo  cor- 
rivi nel  correggere  i  testi  antichi  (cosi  opportunamente  il  Salinas) 
non  sarà  senza  ft*utto  il  ricordare,  che  un  tale  ignorando  V  esistenza 
di  queste  medaglie  era  stato  sollecito  a  togliere  la  parola  «^iXittC- 
Seiov  da  quel  passo  di  Esichio  per  supplirvi  un'altra  più  nota  ^tXtica- 
treiov  •  (1).  Sulla  regina  Filistide,  e  sul  Pilistidèo  veggasi  Schiavo  Dom. 
Del  teatro  di  Sirac.  fatto  costruire  dalla  regina  Filistide  negli  Opusc. 
eruditi  appartenenti  alla  st,  di  Sic.  mss.  F.  34.  3r>.  della  Lib.  Com. 
di  Pai.,  Mem,  relat.  alT  antico  teatro  di  Sirac,  del  Conte  Gaetani  nella 
Nuova  race,  di  opusc,  d'auL  Sicil,  lom.  VII.  Pai.  1795.  p.  171  e 
segg.;  Del  teatro  di  Sirac.  nelle  Mem.  sulla  vita  letteraria  del  cav, 
Landolina  di  Frane,  di  Paola  Avolìo  Giorn,  di  Se.  leti,  ed  arti  per 
la  Sic.  tom.  LV.  p.  41;  Leti,  del  dr.  Teod.  Panofka  a  S.  E.  il  Duca 
di  Serradi falco  sopra  una  iscriz.  greca  del  teatro  di  Sirac.  Fir.  1825; 
Letronne  Joum.  des  Sav.  1847.  p.  387;  CorpMs  Inscr.  Gr.  voi.  IH.  p.565 
n.  5369,  2,  e  p.  573.  n.  5395,  4;  Eckhel  I.  p.  264,  265;  Feder.  0- 
sanu  De  Philistide  Syracusanorum  regina ,  orazione  Inaugurale  alla 

fi)  V.  J.  Schiiger  De  Num.  Alex.  Magn.  p,  67. 

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SUL  DIALETTO  6RBG0  DI  SIGIUA  165 

Università  di  Giessen  per  V  anno  1825;  Brunet  de  Prede  Rech.  9ur 
les  Établ.  ies  6rec$  m  Sic.  P.  II.  §  47  ;  Salinas  Di  du$  mon.  della 
reg.  Filistide  nel  period.  La  Sicilia  an.  Ili,  n.  20.  e  nei  Period.  di 
Numism.  e  di  SfragisL  an.  I.  fase.  Y.  Fir.  1869.  L' Osann  sostiene 
che  r  ignota  regina  fa  figliuola  del  Siracusano  Leptine  tolta  in  i- 
sposa  da  Cerone  li.  In  ciò  è  stato  seguito  da  Raod-Rochette,  Ser- 
radifaico,  Brunet ,  Luynes,  e  dair  ultimo  illustratore  di  quella  mo- 
neta, prof.  Salinas  (1).   ^ 

I  due  seguenti  sono  nomi  di  due  fazioni  sociali,  molto  importanti 
neir  antica  storia  di  Siracusa. 

ra(jL<$poi  0  -^ttjìiLÓpoì.  è  voce  che  significa  coloni,  possessori  dei  Ich 
tifondi ,  proprietari  dette  terre ,  ammessi  air  amministrazione  della 
tx>sa  pubblica.  Ttuiy.6poi,  dice  Esichio  (s.  v.),  sono  coloro  che  si  af- 
feticano  circa  a^  terreni,  o  che  ritraggono  dalla  terra,  ol  ir&pl  xV  t^v 

icovoiS{i8Voi,  ^  fAotpav  elXìj^cJTec  ttic  Y^^*  L'  EwfioXoYtJcòv  Miya  Sbaglia 

l' accento,  scrivendo  ìxaXwv  Ye^^f^opot.  I  geomori^  ovvero  gamori  con 
forma  dorica,  furono  in  Siracusa  una  parte,  classe  o  tribù,  che  vo- 
gliam  dire ,  di  quella  città.  Cosi  Erodoto  (VII,  155).  Corrispondono 
essi  forse  ai  y^py^^  ^  xXT^pou^oi  Ateniesi,  agricoltori  o  coloni.  Nella 
vecchia  repubblica  d' Atene  distinguevansi  tre  ordini  di  popolo,  cioè 
EòTOxtpiSat,  rewjKJpot  e  AìjfAtoupYoC,  ricordati  da  Polluce  (Vili,  HI);  ciò 
secondo  V  istituzione  di  Teseo,  come  da  Plutarco  (in  vita  e.  XXY). 
I  dotti  editori  del  Thesaurus  di  Stefano  nolano,  che  il  marmo  pa- 


(I)  Né  è  tutta  la  bibliografia  dell*  iscrizione  e  della  moneta,  che  si  riferiscono 
alla  regina  Filistide.  Soggiungeremo  qui  in  nota  i  luoghi  di  quegli  autori  che  ne 
trattarono,  benché  talora  per  incidente  e  non  in  appòsite  monografie.  Fra  i  nostri, 
Capodieci  Antichi  monumenti  di  Siracuta  illustrati  Sirac.  1813,  in  4*,  t.  II,  {  17, 
18,  20;  La  Verità  in  prospetto  eie,  Mess.  1818,  in  8*,  p.  74;  etc.  Fra  i  non  Siciliani 
Visconti  leonogr.  Or.  t.  2«  p.  II,  p.  SO-28;  AnnaL  dell'  Istit.  di  Corritpond.  Ar- 
eheol.  t.  Ili,  p.  344-5;  Sestini  Lettere  scritte  dalla  Sicilia  III,  118;  Munter  Nachri- 
ckten  von  Neapfl  und  Sieilien  p.  362;  Riedesel  Viaggio  in  Sicilia  etc.  p.  63,  ediz. 
italiana  Pai.  1821;  Kephalides  Reise  durch  Italien  II,  31;  Hugh«is  Travels  in  Si- 
city  etc.  t.  I,  p.  99;  Donaldson  Supplement  tp  the  antiquities  of  Atheti  Londra  1830; 
in  fol.  p.  46*51;  Gottling  nel  Reinisehe  Museum  II,  Jabrg.  1833,  I.  Heft,  p.  163-9. 
Ometto,  Biscarì,  Logoteta,  Pigonato,  Jagemanni,  Smith,  Mommsen,  ec. 

Raoul-Rochette  Mémoire  sur  les  médailles  Siciliennes  de  Pyrrhus  sostiene  la  grande 
analogia  di  stile  e  di  fabbrica,  che  esiste  fra  le  medaglie  delta  regina  Filistide  e  quelle 
battute  a  nome  dei  Sicelioti;  sulle  quali  ultime  vedasi  Esùme  della  celebre  medaglia 
antica  battuta  in  nome  di  tutti  i  Siciliani  disserl.  del  march.  Haus  Palermo  1827, 
dal  Giornale  di  scienze  etc.  t.  XVIII,  an.  8*  n.  VII,  p.  71  e  segg.  Lettera  del  can. 
Alessi  al  sig.  Eduardo  Gerhard  nel  Bullett,  di  Corrispond,  delVistit.  Areheol.  1833, 
n.  1,  p.  8-15. 


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166  NUOVE  EFFBMBRIDI  SICILIANE 

rio  presso  Boeckh  voi.  II.  p.  296,  S2.  en  zrPAKorxAlz  ae  tqn  o- 
MOPQN  KATEXONTQN  THN  APXHN  giustamente  vd  corretto  teqho- 

PQN. 

RaXtxiSpioi.  Cosi  dice  Esichio  furoa  chiamati  coloro  ^  che  sotten- 
trarono ai  gamori  (o\  èTccidéXeovrec  ^e^Hw^poO-  Costoro  erano  servi,  e 
cacciarono  i  padroni  (toì»c  xup(ou<;  UépaXov).  I  CtUidrii  infatti,  schiavi 
in  gran  parte,  erano  in  Siracusa  come  gli  Iloti  di  Sparta.  La  rivo- 
luzione loro  contro  i  Gamori,  che  precedette  di  poco  la  dominazione 
di  Gelone,  fu  in  sostanza  una  rivoluzione  de'  proletari  contro  i  pos- 
sidenti (1). 

Altri  li  dicono  servi  degli  esuli  siracusani,  i  quali ,  coltivando  i 
campi,  crebbero  sì  da  cacciare  i  propri  signori.  Snida  scrive  invece 
questa  parola  così  :  KaXXixtSptoi  (Veggasi  pure  Fozio  pag.  165,  14). 
Quanto  alP  etimologia  del  vocabolo,  scrivendo  egli  xaXXix^Sptoi,  dice 
che  così  si  chiamassero  dal  loro  riunirsi  per  esser  molto  numerosi; 

òvo(iÌ967)9av  $s   ành  xou  tU  xaòxè  ouvcXOeTv  navtoSaicol  Svxtc.  Walckenaer 

deriva  invece  il  nome  xiXXtxiSptoi,  giusta  la  lezione  da  lui  seguita,  da 
xtXXftiv  e  x\5piot,  cioè  cA^  hanno  scacciato  i  loro  padroni.  Con  pro- 
babilità uguale  almeno  Ot.  Mueller  {Dor.  IL  56)  crede  che  i  Cilliri 
fossero  Siculi,  e  siculo  il  loro  nome. 

Nò  vorremo  preterire  queste  altre  voci,  che  rischiarano  la  storia 
della  Sicilia  Dorica. 

Mottaov  è  un  personaggio  di  commedia,  detto  così  da'  Hegaresi  di 
Sicilia,  con  voce  tratta  da.  |Aa(rào[xat,  o  (xaa<7(io(jMi,  ù>(i9i,  mangio,  se- 
condo scrive  Atenèo  (XIV,  p.  659.)  sulP  autorità  del  filosofo  Cri- 

sippo.  Ecco  le  parole:  XptSffuicitoc  6  (piX($a(Kpoc  xòv  MaCacova  àtzò  Toù  [jLa9ao6ai 

o^etat  xéxXT)96ai....  ex  xtùv  Iv  £txeX{a  McYopécdv.  Intorno  a  questo  Me- 
sone possono  consultarsi  gli  interpreti  dello  stesso  Atenèo,  e  Mei- 
nekio  Comment  voi.  I.  p.  22  segg.  É  da  [>À<ruil  tnascMa  che  viene 
il  masticare  italiano. 

Opua.  ^.  Epicarmo  usa  di  frequente  questa  voce  per  indicare  la 


(i)  V.  Briiuet  de  Preste  principio  della  Parte  111>  o  la  moderna  diligentissima  sto» 
ria  della  Sicilia  antica  di  Holui>  cioè  Getchiehte  SicUiens  in  Alterthum  vod  Ad. 
Ilolm.  Leipzig  Verlag  von  Wilhctm  Ei.gelmann  1870,  Voi.  1,  pag.  147.  Sui  CUrochi 
Penetti,  Perieeit  ec.,  e  sulle  varie  condizioni  e  classi  d'  uomini  presso  i  Greci 
antichi  vedi  hoeckh  Economie  politique  dei  Alhéniens  li  199;  Wallon  Histoire  de 
Veulavage  dani  Vanliqùilé;  Reyuald  La  liberlé  et  les  republiquet  Grecques;  Peyron 
La  Laconia  comiderata  nelle  classi  e  nel  numero  degli  abitanti  (Mem.  della  R.  Ac- 
cad.  delle  Se.  di  Tor.  ser.  11,  t.XVil)»  e  la  recente  opera  del  Cibrario  Della  Schiavitù 
t  del  Servaggio  ìom.  I,  Nil,  1868.  P.  I.  C.  L 


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SUL  DULETTO  GRECO  DI  SIGILU  167 

corda,  come  notò  Ulpiano  ia  Aten.  (IX,  in  princ).  Oltre  ad  Esichio, 
che  ha  il  vocabolo  òptk  nel  suo  glossario,  Eustazio  scrive:  che  Epi- 
carmo  denomitM  ò^^<;  quelle  che  comunemente  si  dicono  corde  {Od. 

p.  1915,  21^:    Oti  Bé  xàc  xoivcóc  Ae^ofLevac  X^P^^  6p6otq  ETzijatpyjo^  6vo- 

noxa^wY^^»  è  lo  slesso  che  npoaoYWY^c  (da  irpoaàYojxat).  Erasmo  ri- 
tiene TtpodaY^Y^^s  che  interpreta  per  esploratori.  Budeo  rimette  ito- 
xaYu>Y(5at.  Quanto  al  significalo ,  Aristotile  (Polit.  V ,  il)  dice  vi 
sono  esploratori,  come  in  Siracusa  i  così  detti  iroTaYa>Y^^ec.  aXX  'eTvat 

xaTaax(iirowc,   oTov    Tcepl  ^upoocouaac  al  itoxorftayl^tq  xaXotSfJievai.  NotOVOlo 

è  il  passo  che  segue  di  Plutarco  nella  vita  di  Dione^  cap.  XXYIII, 
il  quale  cosi  definisce  questa  classe  di  persone,  emissari  del  tiranno: 

TOÙ<  xaXoujxévouc  icpoaaY***Y^^^>  àv6pciitou<  àvo^Couc  xat  OeoTc  i^^poóc,  ot 
ic8piev($i7xouv  &v  T^  ffdXet  xa'cafJLejJiiYH''^^^^  "^^^  Supoexouvioic  TcoXuicpaYH'^^^^' 
xec  x«i  8iaYYéXXovT8c  t(J>  xupàvvtf)  xdtc  te  Swtvoiac  xal  tàc  <pu)và<  ixA^xcov^ 

t  così  detti  Prosagogidi,  uomini  scellerati,  a'  Numi  stessi  odiosi,  che 
framezzo  i  cittadini  soleano  andar  attortio,  spiar  di  ciascuno  sensi 
-e  parole,  e  riferirne  al  tiranno, 

^Hxiaxec.  Erano  fogne  e  chiaviche  >  alle  quali  diede  il  suo  nome 
l' architetto  Feace ,  sovrintendente  di  lavori  pubblici  in  Agrigento^ 
e  per  cura  del  quale  si  costruirono  le  cloache  sotterranee,  come  at- 
testa Diodoro  (XI,  25^  3). 

Finalmente  sono  vocaboli  del  dialetto  grecq  di  Sicilia  quelli,  che 
ancora  qui  soggiungiamo. 

AvTOfioc  è  voce  anch'  essa  siciliana.  'Avxójjiouc;  scrive  Esichio,  chia- 
mano i  siciliani  i  pali  {(nLÓlonac).  Sono  specialmente  i  pali  acuti.  SMn- 
contra  sovente  la  voce  Svxojioc  nelle  tavole,  d' Eraclea,  dove  Mazoc- 
chi  spiega  ora  palo,  ora  palizzata  pag.  l??,  e  segg.  Può  derivarsi 
questa  voce  da  avxo»,  dtvxduo,  &yno\iai  mi  fo  incontro;  o  si  può  invece 
prender  ^vxo(jio<;  quasi  àvàxofjLoc,  che  seca  er  divide  una  terra  dall'al- 
tra, limite,  termine.  Vedasi  anche  Franz  C.  J.  Gr.  voi.  HI,  pag.  706, 
A.  ciie  r  intende  anche  per  via. 

Bàjjiixa.  Occorre  neir  Idillio  XV  di  Teocrito,  e  nel  senso  di  cati- 
nella, secondo  taluni.  I/Ahrens  però  adotta  Ba(xa  e  traduce  quel  passo 
folle  pedem,  mentre  degli  altri  chi  sostituisce  in  quel  luogo  stamina, 
e  chi  volge  fer  aqtiàm.  Il  Camarda,  nella  sua  versione,  annota  che 
vàfjLoe  è  la  conca,  che  formasi  dalPacciua  nella  sua  sorgente  ,  ed  il 
'Bajifxa  o  è  il  luogo  ove  SÌ  tuffano  gli  oggetti,  ovvero  l'atto  del  tuf- 
farli, donde  deriva  il  B<i7txi<j(xa.  Esichio  ha  hà^L^  (forma  che  non  si 
dee  preferire  a  pa(A(xo()  e  spiega  la  parola  per  tintura^  specie  di  un- 


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168  NUOVE  KPFBIiBRIDI  SICILIANE 

guento ,  liquido  di  cucina  (juscttlum)  in  cui  s^  intinga  il  pane  o  il 
companatico  o  ciò  che  mangiasi  in  umido;  ed  aggiunge  che  dicesi 

cosi  dai  Siracusani.    Bàik^a ,  x6  -^[m  naX  (xópou  xt  (iipoc,  xal  x6  l{i- 

.^(&(&a,  ZupflQcoiSdtoi.  Dal  passo  di  Esichio  si  vede,  che  pà(&(&a  non  è 
'  veramente  la  catinella,  ma  esprime  solo  la  lozione.  L^Arens  De  diai. 
Sic.  p.  19 ,  reca  la  parola  B^(i|jia  in  esempio  della  mutazione  del 
P  in  fA. 

Boov($c-  Questo  vocabolo  denota  tumulo,  clivo,  acervo.  Nel  senso 
di  coUitia  (X<{<poc)  lo  dice  Frinico  (p.  156-355  Lob.)  usitato  e  con- 
sueto nella  poesia  siracusana.  bouv<{<; Iv  ^ì  t$  «upoxouaCtj^  irotT^^ct 

xoce<D(jL(XT)'cat.  L'adopera  Filemone  poeta  della  nuova  Commedia.  Elio 
Dionisio  lo  rigetta  come  barbaro  e  forestiero  (1)  ;  ed  Eustazio  si- 
milmente lo  ripudia  come  Libico  od  Africano  (2),  seguendo  in  ciò 
Erodoto  (IV ,  199)  che  lo  dà  per  vocabolo  dei  Cirenei ,  dai  quali 
potò  facilmente  venire  air  Egitto.  Lo  si  trova  perciò  di  sovente  nella 
versione  alessandrina  delle  Sante  Scritture;  né  sdegnarono  d' usarlo 
Pausania ,  Strabene,  Polibio,  Diodoro.  Yeggasi  V  'et\>hloXoyix^v  uì-^ol 
p.  528,  5.  Bouvdc  è  passato  nel  dialetto  comune ,  occorre  di  conti- 
nuo ne'  nostri  diplomi  del  medio  evo,  e  si  è  conservato  nel  greco 
moderno.  Dippiu  parecchi  monti  della  Grecia  oggi  si  dicono  ^uvà, 
per  testimonianza  del  Villoison  (3). 

.  u&iu^  è  un  derivato  di  Mcu(ju>;  ,  come  (atì^op  da  y^r^x^^  *  ^  Feste 
menziona,  che  i  Siciliani  chiamano  momar  lo  stolto.  Quanto  a  Ma>- 
(jux.  cosi  nel  suo  dizionario  ne  scriveva  lo  Stefano;  quam  originem 
habeat,  nondutn  apud  uUum  ex  graecis  lexicographis  atU  scholiastis  legi, 
quod  qtiidem  meminerim,  Ma>(ioc  però  occorre  per  vergogna,  igno- 
minia, vitupero,  in  Omero,  Pindaro,  Simonide,  Sofocle,  Callimaco. 
Esichio  lo  spiega  rimprovero^  vitupero  (^y^^)  ^  h^h^  dichiara  come 
rimproccio,  biasimo,  infamia  {[dit.^ic ,  ^veiSoc ,  ed  «to^oc).  Eustazio 
(II.  A.  p.  154,  45)  ricorda,  che  (xcùiiap  si  trova  in  Licofrone  1134. 
Momo  è  un  Dio  derisore  di  tutti  gli  altri  dèi  presso  Luciano  (Her- 
mot  e.  XX).  Esiodo  nella  Teogonia  214,  lo  dice  lìglio  della  notte. 
Sofocle  compose  una  favola  satirica  col  titolo  di  questo  nume.  E 
Momo  si  applicò  poscia  a  chiunque  imitasse  il  Dio  beffardo  e  scher- 
nitore. 

Se  volessimo  stare  air  autorità  di  Varrone  (de  L.  L.  Y.  36.  pa- 


ci) V.  Eustazio  ad.  lliad  \.  710,  p.  880,  2). 

(S)  Ad  Odyu.  T.  p.  1854,  21. 

(3)  Proleg.  ad  Homer,  II,  p.  1,  Sture.  De  dhi  Alex.  p.  154. 


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SUL  DULBTTO  GRECO  DI  SICILIA  169 

gina  178,  Sp.)  itj^ixòc  sarebbe  uoa  voce  sicula  per  x<^ic  grazia^  voce 
che  si  troverebbe  in  Sofrone  (lAoitol  2vTt(iot)  e  donde  ripeterebbe  o- 
rigine  il  mutuus,  contratto  di  mutuo  de^  latini.  <  Si  datum  quod  rei- 
datur^  Muiuumy  quod  SicuU  (Aotxov;  Uaque  scribit  Sophron  (lotxov  àvx^ 
|u>(tou  (1).  •  Ma  l'Ahrens,  che  raccoglie  i  frammenti  di  Sofrone  (2), 
e  perciò  reca  il  passo  allegato  (fr.  ult.  p.  393  dell'opera  sovracitata) 
crede  che  debbasi  leggere  non  già  (xoixol  hx^Mi^  sibbene  \m\  toI 
àvrl  (ju>(^  nel  quale  proverbio  i^i  stia  in  luogo  di  ì\mì  lì  (mix<Sc 
dunque  non  esiste  pel  dotto  tedesco ,  il  quale  soggiunge  che  mti- 
tmu  deriva  chiaramente  muto,  moveo.  Giudichino  i  dotti  su  questo 
luogo  controverso  di  Epicarmo. 

iiav<^  per  pane  credono  alcuni  voce  sicula.  Di  essa  scrive  Atenèo 
(lib.  III.  C).  <  I  Hessapi  chiamano  il  pane  colla  voce  icav<^.  e  taluni 
poeti  Siciliani  e  Tarantini  la  sazietà  (t^v  7cXt)<j(aovi;v)  dicono  iuiv(av^ 
come  ^dcvta  ciò  che  riempie  lo  stomaco  (xdt  iTXfi(r{Aia).  I  Romani  poi 
chiamano  panis  ciò  che  ^oc  i  Greci.  »  L'Ahrens  crede,  che  a  torto 
«dbK>c  si  attribuisca  ai  Sicelioti;  poiché  Ttavfa  per  7cXìj<j|aovt5  e  xà  icà- 
via  per  tà  icXiS(r(Ata ,  che  si  trovano  nei  poeti  Siciliani  e  Tarantini, 
non  sembrano  avere  relazione  con  itdtvoc  (3).  Lasciamo  anche  qui 
giudicare  ai  filologi  se  TAhrens  abbia  ragione  a  rigettare  il  naytéc. 

ndXxoc,  che  si  trova  nei  frammenti  di  Epicarmo  vuoisi  da  taluni 
raffrontare  al  puh  puUis  dei  latini,  che  è  una  sorta  di  minestra  com- 
posta di  farro  o  di  legumi  cotti  in  acqua,  deLqual  cibo  si  nutrirono 
per  lungo  tempo  i  Romani ,  giusta  la  testimonianza  di  Plinio  e  di 
Valerio  Alassimo.  Plinio  dice  (XVIII,  8, 19)  «  par  che  la  nostra  polta 
sia  stata  tanto  ignota  alla  Grecia,  quanto  air  Italia  la  polenta.  •  Vi- 
detur  tam  puU  ignota  Graeciae  fuisse,  quam  ItaUae  polenta.  Varrone 
(L.  L.  105)  scrivendo  di  pub  rimane  incerto,  se  la  voce  sia  da  it((X- 
xtx,  0  se  formata  per  onomatopeia.  Ecco  le  sue  parole:  haec  appel- 
lata vel  quod  ita  Graeci,  vd  ab  eo,  ut  scribit  Apollodorus,  quod  ita 
sonet  quum  aquae  ferventi  insipitur.  Il  passo  di  Apoilodoro,  secondo 
congettura  Heyne  {ad  ApoUodor.  1.  p.  4^1)  si  trovava  nel  libro  Utpl 
Emx<&ptAou  (4).  Lasciamo  ai  dotti  di  studiare  la  provenienza  e  V  uso 


(t)  Si  veda  anche  Esichio. 

(2)  V.  AhreRS  Op  eit.  p.  476,  L.  Bolzon  De  Sophrone  M  Xenareko  mitnographU 
Lyck  1856.4.  Lo  stesso  Sophroneorum  mimorum  reliquias  dispoi.  Marienb.  1867-  4. 

(3)  V.  Ahrens  Loe.  cU.  p.  393. 

(I)  Vedi  su  d'Epicarmo»  oltre  l'antica  opera  del  Grysar  De  Doriensium  Comoedia 
Gol.  18S8,  8,  la  raccolta  dei  frammenti  jSammlung  dar  fragmeMe)  di  H.  Polmann, 
Kraseman  Epiearmi  Fragm.  Harles  1834,  ed  A.  0.  F.  Lorenz  Leben  und  Sehriften 
dei  Koeri  EpUKarmos.  Berlino  1864. 


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170  NUOVE  EFFEMERIDI  SICIUANE 

dèlia  poUa  antichissima  fra  i  popoli  italici,  e  di  ricercare  retimologia 
di  questa  minestra  ricordata  nel  greco  di  Epicarmo  e  che  appagava 
la  ft'ugalità  de^  prischi  Italiani. 

Come  abbiamo  fatto  per  queste,  cosi  molte  altre  parole  si  potreb- 
bero soggiungere ,  tutte  omesse  nel  glossarietto  delPArens  (1). 
Cosi  R<$p<7ai,  nel  senso  di  tempie^  le  due  ossa  del  cranio  presso  le 
orecchie,  voce  che  si  trova  in  Empedocle;  Kà-zo^^  il  rumore,  come 
dice  Esichio,  prodotto  dagli  avanzi  del  vino  gittate  con  violenza  per 
terra,  e  sparso  al  suolo,  secondo  una  usanza  de^  greci  nei  conviti 
detta  Kf^rca^c  (Dicearco  da  Uessina  presso  Aten.  XV.  p.  666.  B. 
dice  il  Xdttot^  nofM  siciliano,  ZuceXucòv  ^vo(xa.  y.  pure  Callimaco  presso 
Atenèo  XY.  p.  668.  C);  Aerate,  specie  di  marmitta  o  tegame  presso 
i  Siracusani,  come  scrive  Suida,  «apà  Supavoud^otc  xò  xijfavov  (V.  Ar- 
chestrato di  Gela  presso  Atenèo  I.  p.  5.  C);  At)(jlvC(jxo<  ,  lemniico^ 
piccola  fascia  a  colori,  che  pendea  dalie  corone:  secondo  Esichio  è 
voce  siracusana  nel  senso  di  piccola  benda,  imperocché  i  Siracusani 
chiamavano  XìifAv(<ncou<;  le  tenie  o  fascio  strette  xàc  (rcevàc  xaiv{flu;  (V. 
Servio  in  Yirg.  Aen.  V.  269);  M^^a,  voce  siciliana,  pudenda,  da  [U^o^ 
medius  (V.  Geli.  II.  7);  se  si  vuole,  nàirica^  papà,  voce  data  per  si- 
ciliana da  Orione  di  Tebe  Dizion,  Etimolog.  ediz.  Sturz  Lipsia  f  8i0 
p.  136.  in  4®,  ove  dice,  che  da'  Siracusani  si  fa  naxr^p  icà(;,  con  re- 
duplicazione 7càica<,  e  con  un  pleonasmo  di  ir,  iràTCTcac:  ouxu)  ^l  ì^vitzù 

iroepà  2:upoQcou9(otc,  h  ictfxi{p  icac,  xal  àva$ticAaata9(AÒc  icàmcc,  xal  ivXeova- 

(7(Au>  xou  it,  ndbcitac  (V.  Zonar.  p.  1498,  ed  Eustazio  p.  565,  17,  i^ 
quale  aggiunge  T  analogia  di  ma  per  madre,  &<jwp  xal  jjl5  jjnixijp.  Fe- 
ste notò  Pa  prò  parte,  et  pò  prò  popolo  poritum  est  in  SaUari  Car- 
mine. Pd  è  la  radice  Indo-germ.  che  trova  riscontro  neiro^  semitico 
donde  abba,  abbate  ec);  £iS<papoe,  che  è  nei  Mimi  di  Sofrone ,  nel 
senso  di  pellicola  che  si  forma  sul  latte  dette  yp^^c  nel  greco  (V. 
Esichio);  ♦dtvoTtwpKjjjLdc,  usato  da  Bione,  per  indicare  il  volgere  d'au- 
tunno (Y.  Aten,  YII,  282,  B.  si  consuhi  Heinekio  Com.  voi.  III. 
p.  403.);  4»<ip{AtYS,  cetra,  frequente  in  Omero  ma  attribuita  ai  Siculi 
dal  grammatico  degli  Aneddoti  di  Bekker  p.  4096.  ec.  ec. 

Nuovi  studi  e  nuovi  monumenti  non  potrebbero  che  fornire 
nuove  aggiunzioni.  Noi  però  non  andremo  oltre^  e  conchiuderemo 
citando  le  seguenti  parole  di  Raoul-Rochette.  «  Il  n'est  pas  demo- 
numents  écrits  de  la  langue  des  Grecs  de  ce  pays  (la  Sicilia),  qui  ne 

(1)  Non  sappiamo  p«rò  perchè  il  Brunet  proponga  come  siciliano  il  vocabolo 
RfltioSa^,  carcere  sollerraneo  presso  gli  Spartani  ed  anche  appo  gli  Ateniesi. 


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SUL  DIALETTO  GRECO  DI  SICILIA  171 

nous  offrent,  à  mesure  qu*  on  m  découvre  des  expresfions  nouvettes 
et  singulières  qu^U  faut  bien  nous  rèsouire  à  accepter  comme  au-^ 
thmtiques^  en  attendant  que  nous  puissions  leur  trouver  un  sens  pro- 
pre  ou  une  expression  analogue;  et  ce  h*estpas  un  si  grand  maUieur 
que  cette  necessitò  d^enrichir  nos  dictionnaires  au  moyen  de  ces  mots 
nouveaux  qui  peuvent  ajouter  à  nos  connaissances  (I)  ». 

Qualche  altro  esempip,  qualche  altra  osservazione  potremmo  dì 
più  soggiungere,  che  nel  lavoro  delPArens  non  troviamo,  f  Sira- 
cusani ,  per  esempio,  diceano  ^  'ktiU^  femminile ,  invece  del  ma* 
scolino  (V.  Frin.  p.  55) ,  cosi  come  fecero  pure  i  padri  greci  e 
gli  scrittori  bizantini  (Y.  Eustazio  p.  1504.  78).  Il  nome  d'I&rcole, 
'H(xxxXtì<;  ,  pronunziavasi  "HpuxXo^  nel  dialetto  Siracusano  com'  era 
parlato  nei  Mimi  di  Sofrone  (2);  e  T  "HpuxXoi;  è  VHercules  dei  Latini. 
In  lavori  di  tal  fatta  è  ben  naturale,  che  resti  sempre  ad  aggiun- 
gere e  sempre  avanzi  a  spigolare.  Ha ,  come  abbiam  detto  or  ora, 
ci  fermeremo  qui. 

La  fatta  rassegna  di  talune  parole,  appartenenti  al  greco  di  Sicilia, 
e  non  considerate  nel  piccolo  glossario  del  valente  sig.  Arens^  valga 
intanto  a  persuadere  qual  partito  possa  cavarsi  da  un  elenco  com- 
pleto ed  accurato  dì  tutte  le  voci ,  sia  nelP  interesse  archeologico , 
sia  in  quello  della  filologia  e  per  la  conoscenza  dei  più  antichi  lin- 
guaggi che  si  parlarono  in  Sicilia  anteriormente  e  simultaneamente 
al  greco.  Si  è  veduto,  che  il  favellare  de'  Siculi  qui  e  colà  riceve 
lume  dalle  tracce,  che  ha  lasciato  nel  greco  dei  Sicelbti;  e  noi  forse 
tenteremo  di  esporre  altra  volta  quanto  oggi  si  è  potuto  conoscere, 
da  cosi  scarse  reliquie ,  sulla  lingua  di  quei  veluslissimi  padri  no- 
stri, la  quale  Diodoro  chiama  dialetto  barbaro  (^  pdlppopoc  StdtXsxtoc  twv 
£ixeXa>v).  E  siccome  dell'Isola  scrive  il  medesimo  Diodoro  (V.  6.)  : 
il  commercio,  che  per  tal  modo  ì  Greci  vi  portarono,  e  U  grosso  nu- 
mero di  essi,  che  navigavano  in  Sicilia^  fecero,  che  gli  abitanti  detta 
medesima  imparassero  la  lingua  def  Grecia  ed  adottassero  la  stessa 
maniera  di  vivere,  abbandonato  insieme  e  il  barbaro  dialetto  che  par- 
lavano prima^  e  il  nome  che  prima  portavano;  cosi  viemmeglio  ci  si 
rende  chiaro,  che  gran  parte  delle  speranze  di  conoscere  il  Siculo 
antico  riposa  sullo  studio  del  greco  di  Sicilia.  Il  che  cresce  per  noi 
la  benemerenza  della  dotta  Germania  e  del  sig.  Giov.  Arens. 

IsiDOKo  Carini 

ti)  Mèm.  cit.  pag.  91. 

(?)  Esichio  V.     HpuxaXov.  tòv  *Bpa>cX£a  Stóppwv.  Walckenaeri4<ionia2.p.5KK). 


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DELLA  FILOSOFIA  IN  SICILIA 

DAGU  ANTICHI  TEMPI  AL  SECOLO  XVII 


(*) 


Nei  tempi  più  floridi  della  caltara  greca,  splendida  di  arti ,  no- 
bilissima per  lettere,  non  furono  fra  noi  tenute  in  minor  pregio  e- 
ziandio  le  scienze»  e  massime  la  filosofla.  Anzi  è  sapato,  come  dopo 
Pitagora,  Senofane  stesso  abbia  fatto  stanza  in  Sicilia,  nelle  cui 
pia  illustri  città  recitava  i  suoi  versi,  e  innamorava  i  giovani  allo 
studio  della  sapienza:  e  si  sa  pure  come  Epicarmo  faceva  ne'  tea- 
tri quasi  popolari  le  sentenze  della  scuola  italica  o  pitagorica,  più 
diffusa  neir  Isola,  che  non  era  la  eleatica,  e  specialmente  allora  che 
Empedocle  girgentino,  stato  in  Crotone  e  Metaponto  co'  pitagorici  e 
in  Elea  con  Parmenide  e  gli  eleatici,  si  fece  maestro  di  una  scuola 
che  ebbe  il  nome  di  neopitagorismo  siciliano. 

Di  que'  tempi  era  P  isola  nostra  il  foco  della  coltura  che  si  disse 
italo-greca,  e  fra  noi  si  raccoglievano  cosi  dalla  contermine  Italia^ 
siccome  dalla  Grecia  più  lontana  i  sapienti  più  famosi  che  allora 
fiorivano.  Laerzio  riferisce  nella  vita  di  Pitagora  essere  stato  questo 
fliosofo  in  Catania,  Imera  e  Taormina,  liberate  da  lui  dal  mal  go* 
verno;  e  secondo  Porfirio  un  tal  Symico  tiranno  di  Centuripe  a  per- 
suasione di  Pitagora  lasciava  in  libertà  la  città ,  e  donava  ai  Cea- 
turipini  parte  dei  suoi  beni.  Senofane  poi,  per  testimonianza  dello 
stesso  Laerzio,  dimorò  in  Sicilia  ai  tempi  di  Cerone  circa  T  olim- 
piade 78*,  quando  già  Empedocle  era  in  età  di  presso  a  16  anni, 
essendo  nato  verso  T  olimpìade  74  o  75;  e  quando  Epicarmo,  per 
non  dar  ombra  a  Cerone  come  fliosofo,  vestiva  di  poesia  e  met- 
teva in  bocca  de^  suoi  comici  personaggi  la  dottrina  pitagorica , 
nella  quale  Ipparco  ammaestrava  tutti  senza  la  disciplina  dell'arcano, 
siccome  in  opposto  al  senso  volgare  Petrone  imerese  annunziava  la 
pluralità  de'  mondi ,  e  la  rotazione  della  terra  intorno  al  suo  asse 
insegnavano  pubblicamente  Ecfanto  ed  Iceta  siracusani,  il  Ritter  non 
nega  che  Senofane  sia  venuto  in  Sicilia;  ma  pone  come  errore  di  ero- 

(1)  È  il  sommario  di  un  lavoro,  cui  attende  l'Autore,  e  che  dovrà  legarsi  a  quello 
già  pubblicato  Della  fiiotofia  moderna  in  SkiJlia,  libri  due  (Pai.  1868),  cui  farà  se^ 
guìto  l'altro  Della  fUoiofia  conlémporanea  in  Sicilia^  libri  tre. 


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DELLA  FILOSOFIA  IN  SIQLIA  473 

nologia  il  credere  che  T  agrigentino  fosse  stalo  discepolo  del  vec- 
chio dì  Colofone:  anzi  né  manco  vuol  fare  di  Empedocle  un  uditore 
di  Parmenide  e  di  Anassagora,  secondo  la  teslimonian/.a  di  Teofia- 
sto  e  di  Alcidamante;  sulla  ragione  che  Empedocle  fioriva  verso  la  Sì* 
olimpiade,  quando  già  Senofane  era  vissuto  nella  60*,  e  Parmenide 
nato  verso  la  65"  (1  j.  Ma  se  la  pia  comune  opinione  sta  alla  testimo- 
nianza di  Timeo  che  fa  Senofane  contemporaneo  di  Cerone  e  d' Epi- 
carmo,  e  se  si  sa  bene  che  Senofane  visse  tanto  vecchio  da  passare  i 
novant^anni,  per  qual  ragione  Empedocle  che  nella  84"  olimpiade  già 
fioriva,  non  poteva  conoscere  Senofane  nelP  olimpiade  77-78*,  quando 
appunto  Cerone  governava  Siracusa  ed  Epicarmo  scriveva  le  sue 
commedie  ?  Parmenide  poi  non  aveva  più  che  65  anni,  quando  So- 
crate neir olimpiade  83"  era  ancor  giovane,  siccome  ci  fa  sapere 
Platone;  e  Socrate  era  nato  nel  quarto  anno  delP  olimpiade  77";  e 
però  se  potè  conversare  con  Parmenide  Socrate  giovane,  molto  più 
potò  ascoltarlo  Empedocle  che  fioriva  nelPolimpiade  84",  e  doveva 
^  esser  nato  un  tre  olimpiadi  innanzi  a  Socrate.  Di  Anassagora  si  sa 
pure  che  moriva  verso  la  olimpiade  88";  e  però  potè  bene  avere 
scolare  il  nostro  Empedocle,  più  giovane  di  circa  un  ventennio  del 
suo  maestro  che  era  nato  secondo  Laerzio  nelPolimp.  70". 

Se  non  che,  lasciando  da  parte  questa  disputazione  cronologica, 
quantunque  importantissima  per  le  attinenze  della  scuoia  agrigen- 
tina, è  poi  innegabile  che  Tinsegnamento  di  Empedocle  diede  fin 
da  quei  tempi  una  certa  indole  propria  alla  filosofia  siciliana,  la  quale, 
se  pare  essere  stata,  smessa  dal  messinese  Dicearco  oramai  meglio 
interpretato  che  non  dagli  stessi  antichi ,  fu  per  lo  più  sempre 
mantenuta;  e,  rafforzata  dal  soggiorno  di  Platone  in  Siracusa,  durò 
lungamente  sino  alla  caduta  della  filosofia  alessandrina ,  e  fino  che 
gli  Arabi  ci  portarono  il  loro  aristotelismo,  che  indi  fatto  cristiano 
occupò  i  nostri  filosofi  del  tempo  della  scolastica.  1  frammenti  che 
restano  de^  poemi  filosofici  del  nostro  Agrigentino  ci  danno  una  fi- 
losofia ontologica,  psicologica  e  morale  che  non  si  può  afi^atto  con- 


(i)  11  est  appelé  ,  d'  aprés  Tliéophrasie  ei  Aicidamas  ,  discìpie  el  ìmiialeur  de 
Parmenide  ;  et  si  Hermippe  le  fait  disciplc  de  Xénophane  doni  il  a  imité  le  gcnre 
épique,  la  première  de  ces  assertions  est  contraire  à  la  chronologie,  el  la  seconde 
semble  èlre  résullt^c  de  la  comparaison  d«s  ouvrages  de  ces  deux  philosophos,  et 
témoigne  de  la  ressemblancc  enlre  le  mode  d'exposition  d'  Empedocle  et  celui  des 
EUéates.  C'est  la  similitude  qui  existe  enlre  la  physique  mécanique  d'Empedocle  el 
d'Anaxagore,  qui  a  fail  dire  que  la  primier  avait  entendu  le  second.  V.  Hisl.  de  la 
Philosophie  Ancienne  l.  J,  I.  V,  eh.  VI,  p.  i30   Paris  1858. 

l'i 


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174  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

fondere  con  T  insegnamento  de'  filosofi  fisici  di  Mileto,  né  con  Tal- 
tro  degli  atomisli  di  Abdera  ;  né  manco  con  T  idealismo  idealista 
degli  eleatici,  ovvero  con  la  pura  aritmetica  cosmica  de^  pitagorici  di 
Crotone.  In  Empedocle  abbiamo  è  vero  una  certa  parentela  che  lo 
collega  cogli  eleatici,  co'  jonici,  co'  pitagorici  (I);  ma  astretto  più 
di  lutti  co'  pitagorici  Filolao  e  Timeo,  e  di  Parmenide  ha  queir  u- 
nità  prima  senza  cui  non  è  la  moltiplicità;  tantoché  se  Filolao,  Ti- 
meo e  Parmenide  furono  ravvicinati  e  compiuti  l'un  l'altro  in  Pla- 
tone, il  nostro  Empedocle  é  il  mezzo  che  congiunge  quegli  antichi 
col  sapiente  figlio  di  Aristone  (2).  Il  Ritter  pone  il  nostro  Empedocle 
piuttosto  fra  gli  eleatici ,  che  fra'  pilagorici ,  de'  quali  ultimi  se- 
condo l'illuslre  storico  conosceva  si  lo  dottrine,  ma  poco  o  nulla 
ne  professò  (3),  né  poi  sarebbero  secondo  lui  in  accordio  con  la  vera 
cronologia  le  relazioni  che  si  dicono  di  Empedocle  con  la  scuo- 
la di  Pitagora  (4).  Se  non  che,  posto  quanto  sopra  si  é  avvisato , 
abbiamo  piuttosto  ragione  di  starci  noi,  anziché  coli' illustre  sto- 
rico alemanno,  col  nostro  Scinà,  il  quale  non  fa  ammaestrare  Em- 
pedocle direttamente  dal  capo  della  scuola  italica  >  ma  lo  conta  si 
fra'  pitagorici ,  anzi  che  fra  gli  eleatici,  quantunque  «  Empedocle 
qual  allievo  de'  pitagorici  e  degli  eleatici  non  seppe  abbandonar 
punto  le  idee  da  lui  apprese  in  ambedue  quelle  scuole  (5).  »  Che 
se  attendiamo  poi  a'  frammenti  che  ci  restano,  raccogliamo  maggior 
materia  di  dottrine  pitagoriche  che  di  elealiche:  il  che  ci  conferma 
sempre  dell'indole  della  filosofia  siciliana  d'allora  pitagorica  o  almeno 
pitagorizzante  più  che  altrove.  Né  sapremmo  poi  perchè  il  Riiter  né 
manco  vorrebbe  posto  fra  i  pilagorici  il  nostro  Ecfanto  (6)  di  Si- 

(ì)  V.  Scina',  Memorie  tulio  vita  e  filosofia  di  Empedocle  girgenlino,  mem.  HIV 

(2)  Lucrezio  disse  di  Empedocle  non  parere  credibile  che  fosse  sialo  di  progenio  u- 
mana  ;  e  a  nostri  tempi  Arluro  Schopenhauer  lo  ha  detto  un  uomo  compiuto,  nella 
cui  filosofia  era  appunto  per  l'amore  e  Codio  la  famosa  teorica  che  il  tedesco  filosofo 
ha  esposta  della  Volontà  assoluta  « 

(3)  V.  Hiit,  de  la  Philosopk.  ancienne  t.  I,  L  V,  eh.  V,  p.  430.  l'aria  I8f)8. 

(4)  V.  Bitter,  Op.  cU.  I.  V,  eh.  II,  p.  376-77.  La  morte  di  Pilagora  si  pone  dopo 
la  distruzione  che  i  Crotoniati  fecero  di  Sibari,  distruzione  che  portò  la  persecuzione 
de'  Pitagorici,  e  il  lumullo  plebeo  guidalo  dal  demagogo  Cilouc  contro  Pitagora, 
Milone,  e  tulla  la  scuola;  dV)po  il  quale  avvenimento  i  Pilagtir.ci  si  disperdevano  e 
Pitagora  moriva  in  Metaponto  quasi  abbandonalo.  Ora  la  distruzione  di  Si  bari  av- 
venne nel  terzo  anno  detrOlim{>iade  67,  sei  o  selle  olimpiadi  innanzi  alla  nasciu  di 
Empedocle,  il  quale  cosi  non  nasceva  che  appena  qualche  olimpiade  dopo  la  mollo 
di  Pitagora, che  alcuni  (i\  Meiners,  e  lo  Stanley^  (longono  nella  olimp.  69*,  70*  o  71". 

(5)  V.  Op.  cit.  mem.  Ili  p.  iOI. 

(6)  V.  Op,  cil,  1   lY.  eh   i.  p.  304. 


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DELLA   FILOSOFIA   IN   SICILIA  i75 

racusa,  che  con  liiela  ed  Epicaimo,  siccome  pur  faceva  Pelroae  d1- 
mera,  spandevaDo  pelP  Isola  il  pitagorismo,  recalo  fra  noi  da  Cro- 
tone ove  i  nostri  accorrevano  pieni  di  ardore  per  la  scienza,  il  cui 
amore  era  stato  nelle  nostre  città  lasciato  da  Pitagora  in  persona. 
Era  invero  in  Sicilia  cosi  professata  dappertutto  la  dottrina  pitago- 
rica, che  Eschilo  dovette  qui  farsi  pitagorico,  e  Pindaro  alla  corte 
di  Cerone  spesso  si  compiacque  di  pitcigorizzare  alla  siciliana  (1). 
Pertanto,  non  solo  le  dottrine  pitagoriche  sono  sparse  pertutto 
ne'  pochi  versi  che  ci  restano  de^  cinquemila  che  componevano  i 
due  poemi  di  Empedocle  sulla  Natura  e  sulle  Purgazioni,  da  Ci- 
cerone anteposti  a  quelli  di  Senofane  e  di  Parmenide ,  e  da  A- 
l'istotile  a  tutti  i  didascalici  (2),  e  tali  che  furon  reputati  degni  di 
essere  cantati  nelle  grandi  adunanze  de'  giuochi  Olimpici;  ma  in  Si- 
cilia può  dirsi  era  allora  la  stanza  sicura  de''  Vitagorici  (3),  i  quali, 
specialmente  Locresi  e  Tarentini ,  venivano  indi  accetti  alla  corte 
-del  primo  Dionisio ,  frequentata  e  da  Archita  e  da'  più  illustri 
maestri  di  que^  tempi.  E  già  Petrone  d^  Imera ,  e  Iceta  ed  Ec- 
fanto  di  Siracusa,  l'ultimo  de'  quali  si  tiene  per  uno  de'  più  anti- 
chi scolari  di  Pitagora,  stantechè  Iceta  si  fa  anteriore  a  Filolao,  a- 
vevano  insegnato  la  pluralità  de'  mondi,  e  la  rotazione  della  terra 
intorno  al  suo  asse;  ed  Epicarmo  aveva  filosofato  sul  teatro  in  pi- 
tagoriche sentenze,  siccome  alla  guisa  eleatica,  dunde  la  sofìstica,  era 
stata  maneggiata  la  fìlosofìa  da  Gorgia  leontino  (4);  quando  ad  imi- 
tazione di  Senofane  accorso  alla  corte  di  Cerone,  venne  Platone  a 
quella  di  Dionisio,  che  trovò  innamorato  della  fìlosotìa,  coltivata  fra 
noi  tanto  nobilmente  die  a  queir  età  si  riferiscono  dai  più  i  pitago- 
rici Colais  da  Selinunte,  Lisiade  da  Catania,  Evandro  leontino,  ol- 
tre i  due  famosi  per  la  loro  amicizia,  Damone  e  Pitia  siracusani,  e 
quel  Dione  che  fu  discepolo  di  esso  Platone,  e  il  conlropposto  del  vi- 
zioso Dionisio,  cui  inflne  piacque  meglio  il  molle  Arislippo  che  la 
severità   richiesta   dall'ateniese   fìlosofo.  La  seconda  volta  poi  che 

(1)  SaNA',  Op.  eit.  mem.  I.  pag.  25. 

(±)  V.  SciNA*  Stor.  della  Letter.  di  Sicilia  ne'  tempi  greci,  p.  i88.  Pai.  1840. 

(3)  Scina',  Slor.  della  Letter.  di  Sicilia  ne'  tempi  greci,  p.  204,  ed.  cil. 

(4)  V.  Garofalo,  Dìscoìsì  inltrmo  a  Gorgia  Leontino.  Pater.  1831.  A  testimonianza 
del  molto  favore  che  in  Sicilia  godevano  i  filosoB,  più  che  nella  stessa  Grecia.  Pla- 
tone fa  dire  ad  Ippia  vantandosi  de*  guadagni  ottenuti  col  suojnsegnanaenlo,  que- 
ste parole,  che  sono  rivolle  a  Socrate:  •  Io  andai  qualche  volta  in  Sicilia:  viveva 
quivi  Protagora;  era  molto  lodato;  era  assai  più  avanzato  negli  anni  di  me:  ebbene 
io  mi  portai  via  più  di  cencinquanla  mine;  in  un  paesuccio,  che  è  Inico,  più  di  vri:!i 
Oline.*  S.  Ippia  magg.  nel  Piai.  Irad.  dal  Mariiui,  l.  I  p.  550. 


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176  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILIANB- 

Platone  fu  in  Sicilia  chiamatovi  per  consiglio  di  Dione  dal  giovine 
Dionisio,  Siracusa  vide  insieme  raccolti  più  Olosofi  clìe  non  aveva 
Atene  :  «  eranvi  Platone  e  Dione,  Aristippo  ed  Eschine,  Speusippo 
ateniese,  Xenocrate  da  Calcedonia,  Helcione  da  Cizico,  Eudosso  da 
Gnido,  e  molli  pitagorici  d'Italia  e  di  Sicilia,  che  qua  e  là  inse- 
gnavano, o  parlamentavano  tra  loro  de'  più  alti  argomenti  di  filo- 
sofia (t).  »  Tantoché,  Platone  medesimo  ebbe  che  studiare  nel  pi- 
tagorismo siciliano,  e  da'  poemi  di  Empedocle  siccome  da'  mimi  del 
nostro  Soft'one  colse  quella  delicatezza  di  favella  onde  i  suoi  dia- 
loghi si  dissero  dettati  dalle  Grafie  istesse:  né  per  altra  ragione , 
che  questa  dimora  in  Sioilia  in  mezzo  ai  nostri  filosofi,  cercò  Speu- 
sippo r  accordio  tra  Platone  e  Pitagora,  e  si  senti  in  Xenocrate  il 
soffio  della  filosofia  pitagorica,  e  la  reminiscenzia  de'  dogmi  empe- 
doclei.  Che  se  vogliamo  d'altra  parte  attendere  ai  Siciliani  che  sep- 
pero farsi  illustri  in  quelle  scuole  che  la  Greoia  ebbe  da  Platone  e 
da  Aristotile,  o  meglio  da  Socrate,  troviamo  ohe  t  Monimo  da  Si- 
racusa fu  illustre  tra  i  Cinici;  nominanza  acquistarono  Simmia  da 
Siracusa  e  Timagora  da  Gela  nella  scuota  di  Megara  ;  Evemero  il 
Al  essenio  ebbe  grido  tra  i  Cireaiaci,  e  Dioearco  da  Messina  fu  or- 
oamento e  decoro  del  Peripato  (2).  Sul  proposito  del  quale  filosofo, 
reputato  un  materialista,  stanteché ,  secondo  avverte  Cicerone,  in- 
segnava r  anima  essere  un  bel  aulla  e  nome  vano  (3),  non  segui- 
remo il  giudizio  più  comune,  ma  quello  del  saggio  illustratore  de' 
frammenti  e  della  filosofia  di  Dicearco;  che»  come  seguiiatore  di  Ari- 
stotile, non  volle  forse  altro  insegnare  se  non  T  anima  appunto  o 
lìnlelletto  passivo  essere  perituro,  perocché  solo  immortale,  eterno, 
divino,  si  è  r  intelletto  agente,  ovvero  la  mente,  che  non  mai  fu  detta 
morire,  siccome  si  dice  proprio  dell'  anima,  ne'  libri  del  nostro  messi- 
nese (4).  Il  quale  discorrendo  in  un  libro  apposta  intorno  alla  di- 
vinazione ne'  sogni,  sarebbe  stalo  in  conèraddizione  con  se  slesso, 
ove  neir  uomo  niente  allro  che  corpo  avesse  veduto. 

Di  Evemero  poi,  che  Clemente  alessandrino  ed  Araobio  fanno  an- 
ziché messinese  agrigenliao,  sappiamo  quanta  parte  ebbe,  spiegando 

(1)  V.  Scina',  Op.  cit.,  p.  237. 

(2)  Scina',  Op.  cit.,  p.  307.  •  Monirao  fiori  nel  3'  dcll'ol.  il6>  e  dopoquesta  olim- 
piade Simmia,  Timagora,  ed  Evemero  nel  2"*  della  119»  e  Dicearco  nel  3  della  122.  • 
Op.  cU.,  p.  308,  II.  1. 

(3)  V.  TuscuL,  L.  1,  e.  XI. 

(4)  V.  Errante,  /  Fiamnienlì  di  Dicearco  da  Messina  r.iccoUi  ed  illuslcali,  v.  1. 
ar!.  ni.  Pai.  1822. 


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DELLA  FILOSOFIA   IN  SICILIA  177 

come  miti  st*»rìci  le  antiche  divinità  del  paganesimo,  alla  ruina  del 
politeismo;  e  d^  altro  canto  come  la  sua  opera  sia  stata  voluta  ri- 
petere da'  razionalisti  e  da'  critici  moderni  per  la  storia  e  la  dog- 
matica del  cristianesimo,  si  d»e  P  antico  messinese  può  vantare  nel- 
r  autore  della  Vie  de  Jèsfis  un  rinnovatore  della  vecchia  scuola  che 
dal  suo  nome  si  disse  degli  evemeristi;  della  guisa  slessa  che  gli  an 
licbi  aUegorisH  ebbero  chi  già  prima  rinfrescò  le  loro  teoriche  con 
tatto  lo  sfarzo  della  metafisicheria  hegeliana  nel  teologo  Fe<lerico 
Strauss,  e  nel  critico  Baur. 

E  lasciando  le  antiche  scuole  del  secondo  periodo  della  greca  01© 
sofia,  nei  tempi  romani ,  ne'  quali  la  Sicilia  non  fa  più  il  miluogo 
della  greca  cultura,  la  filosofia  fra  noi  ebbe  può  dirsi  scarsi  cultori  ;  o 
almeno  solo  sappiamo  di  Probo  lilibetano  o  ericino  che  si  fosse^  il 
quale  fu  amico  di  Porfirio  che  venne  in  Sicilia  a  trovarlo  in  Lili- 
beo  sotto  r  impero  di  Gallieno,  dimorandovi  eziandio  sello  Claudio: 
tantoché,  pare  il  nostro  Probo  aver  dovuto  professare  le  slesse  dot 
trine  dei  Platonici  Alessandrini;  siccome  alla  stessa  scuola  dovette 
pure  appartenere  quel  Crisoario ,  cui,  secondo  Ammonio,  Porfirio, 
che  tenne  qui  scuola,  intitolò  la  sua  famosa  Introduzione  ai  libri  di 
Aristotile,  sì  che  potrebbe  anch' egli  essere  stato  tli  Lilibeo  (t).  Gli  e- 
rudili  poi  ci  dicono  pure  sull'autorità  di  S>  Agostino  di  un  Porfi- 
rio siciliano  vissuto  circa  la -fine  del  IV  secolo  (2);  voluto  da  al- 
cuni confondere  col. Porfirio  di  Tiro,  detto  siciliano  per  la  dimora 
e  la  scuola  tenuta  in  Sicilia;  e  si  conosce  come  siciliano  quel  Giu- 
lio Firmico  Materno  che  scrisse  il  libro  De  errore  profanarum  re- 
Kgionum ,  indirizzato  agli   augusti   Costantino  e  Costante   (3).  Né 

(i)  L*Arnari  dice  di  Porfirio»  che  era  «  capitalo  nell'isola  per  osservare  l'Etna  e  fallo- 
>  visi  a  scrivere  (verso  il  270)  un  trattato  a  difesa  del  paganesimo.  Il  filosofo  Probo  da 

•  Lilibeo,  die  visse  in  queir  età,  e  i  molti  discepoli  ch'ebbe  Porfirio  ne\  suo  lungo 

•  soggiorno  in  Sicilia  »  combatterono  insieme  con  lui  questa  guerra   nooplalonica 

•  contro  il  cristianesimo  :  e  i  sofismi  loro  tornarono  vani  al  par  che  i  supplizi!  a 
»  froDte  del  principio  morale  de'  novatori  {Storia  de*  Musulmani  di  Sicilia,  t.  i  , 
«  p.  17).  •  È  nssai  probabile  che  Probo  abbia  sposata  la  filosofìa  neoplatonica  :  ma 
non  saprei  donde  l'Amari  abbia  attinto  che  il  nostro  siciliano  combatt4Ì  insieme  con 

.  Porfirio  in  nome  della  filosofìa  neoplatonica  contro  il  Cristianesimo;  stante  i  nostri 
eruditi  a  quanto  mi  sappia  dolersi  che  di  Probo  nulf  altro  si  conosca,  tr.inno  cho 
Porfirio  gli  fu  amicissimo,  e  venne  in  Sicilia  per  amor  di  lui.  V.  Renda  Hagusa  , 
Sicilia  Biblioih,  vetus,  p.235  Romje  1700.—  Mongitore,  Bibliolh.  Scuin  t.  2,  p.l92. 
Panor.  1714  —  Narbonb,  hior.  della  Letter.  Siciliana,  t.  V.  p....  Pai. 

fi)  Vedi  tutte  le  testimonianze  favorevoli  o  contrarie  a  un  Porfirio  siciliano  noi 
MoN6iTi;RB,  Bibliolh,  Sic,  v.  II,  p.  191. 

(3)'V.  Mongitore,  Bibliolh.  cit.  t.  1,  p.  412-14. 


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178  NUOVE  CFFEMBRIDI  SlCILlANIì: 

meglio  florenle  di  nostri  filosofi  è  V  epoca  bisanlina ,  se  ne  to- 
gli un  Santippo  di  Tauromenio ,  convertito  poi  al  cristianesimo  da 
San  Pancrazio  ,  e  forse  filosofo  neoplalonico ,  siccome  era  voga  di 
qne'  lempi  {\). 

Uopo  i  quali  vengono  gli  arabi  ;  e  di  questi  non  restano  nelle 
nostre  biblioteche  che  un  trattato  di  Metafisica  di  Moisè  ben-Aabir 
Allak  in  quella  di  San  Martino,  un  altro  di  Principi  generali  di  Abn- 
Said  al  Asme  ricordato  da  Abulfeda,  in  quella  di  Girgenti,  ove  si 
ba  pure  la  spiegazione  di  cose  ambigue  di  Mohamed  ben  Roscid  (2); 
e  son  noli  i  Conforti  politici  d'Ibn  Zafer,  libro  già  pubblicato  è  dotta- 
mente illustrato  da  Michele  Amari  nel  1851.  Sulla  fine  del  decimo  seco- 
lo, cioè  intorno  al  1000,  tenne  scuola  in  Sicilia,  ove  si  rifugiò  dalle  per- 
secuzioni d'Ibn-Abi-Amir  o  Almanzor,  quella'  id-ibn-Fethun-ibn-Mo- 
kram  da  Cordova  filologo  e  filosofo  illustre  della  gente  de'  Togibili  (3): 
ma  di  quel  tempo  più  che  a  filosofia  gli  arabi  siciliani  attendevano  a 
quanto  pare  alla  medicina  ,  alla  giurisprudenza  ,  alla  teologia ,  alla 
grammatica,  alla  poesia,  alla  agiografia  (4);  e  non  prima  della  corte 
Normanna  e  Sveva  la  filosofia  ricomparisce  splendidamente  in  Si- 
cilia. Che,  appena  era  forse  posto  in  pie  il  nuovo  Regno  cristiano, 
che  fioriva  fra  noi  S  filosofava  in  latino  un  tal  Giovanni,  dal  Cave 
detto  filosofo  e  dialettico  in  queW  età  celebratissimo,  (5),  e  non  diverso 
per  avventura  dal  Giovanni  di  Sicilia  cui  appartiene  il  ms.  1450 
Saint'German,  che  è,  siccome  avvisa  PAmari,  un  trattato  di  retto- 
rica  (6).  De'  tempi  Svevi,  cioè  sotto  Federico  e  Manfredi  si  nomina 
poi  un  Bartolomeo  da  Messina  che  per  ordine  e  piacere  di  r^  Manfredi 
recava  in  latino  dal  greco  e  non  da  IP  arabo  P  Etica  di  Aristotile,  man- 
data da  esso  re  alPUniversità  di  Parigi,  siccome  altre  traduzioni  aristo- 
teliche aveva  innanzi  mandale  a  quella  di  Bologna  Pimperatore  Fede- 
rico (7),  di  cui  si  sa  avere  avuti  a  Corte  oltre  lo  scolastico  Scoto,  due 

(1)  V.  Gabtaki,  Vii,  Sanct.  Sieul.  Isag.  e.  17  n.  6.  Animad.  v.  l.  1  p.  13. 

C2)  V.  NARBO^rB,  Istoria  della  LelteraL  siciliaiia,  t.  VI.  Ep.  Saracena,  p.  206  Pai. 

(Z)  Amari  Op.  ciL  v.  %  p.  472. 

(k)  Amari  Op.  cU,  v.  %  L.  Ili,  p.  318  e  segg. 

(H)  •  Joannes  natione  italus,  philosoplius  ei  dialecticus  suo  tempore  celeberrimus , 
claruit  anno  1060.  Puer  adhuc  palrein  in  Siciliam  comilatus,  prima  ibi  erudilionis 
fundamenia  posuil  •  HUl.  Script,  Eccles.  l.  II,  p.  202. 

(6)  V.  Amari,  Storia  de' Muiulmani  di  Sicilia,  v.  I.  p.  XXX  Fir.  185i. 

(7)  Il  Tiraboschi  spiega  come  sia  la  stessa  che  V  altra  di  Federico  ai  dottori  di  Bo' 
logna  la  lettera  di  Manfredi  ai  maestri  di  Parigi ,  pubblicata  sul  cod.  Colberlino 
nella  Collezione  de'  PP.  Marlene  e  Durand.  L' illustre  storico  nota  che  dalla  Corte 
di  Federico  uscirono  le  prime  traduzioni  ch'ebbe  l'Italia  delle  opere  di  Aristotile, 


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DELLA   FILOSOFIA  IN  SICILIA  179 

Agli  del  gran  Comentatore  Ibn-Roschid  o  Averroe,  i  quali  in  quella 
tanta  celebrità  che  godeva  il  fondatore  della  scuola  di  Marocco  span- 
devano facilmente  sotto  la  imperiale  protezione  le  dottrine  arabo- 
aristoteliche  del  padre,  e  contribuivano  molto  a  far  dare  al  giovine 
imperatore  il  nome  di  filosofo  materialista  per  V  insegnamento  del- 
l' Intelletto  universale  in  mezzo  alle  amorose  canzoni  e  ai  conviti 
e  al  galante  brio  della  Cuba  e  della  Zisa.  Che  la  Corte  Siciliana  di 
fatti  fosse  slata  benjB  ammaestrata  nella  filosofia  greca  ed  araba  di 
que^  tempi  il  sappiamo  dalle  lodi  che  di  Manfredi  fece  Tegiziano  Gè- 
mal-el-din.  ambasciadore  al  re  per  parte  del  Sultano  di  Egitto  Bibars, 
riferite  negli  annali  di  Abulfeda;  e  si  sa  del  libro  EI-BiesàiI  es  Si- 
kilia,  ovvero  Quesiti  SicUiani,  che  Ibn-Sab'in  scriveva  verso  il  1246 
da  Ceuta  >  per  risposta  alle  tesi  che  P  imperatore  Federico  già  a- 
veva  proposto  ai  filosofi  musulmani  di  allora  (I).  Un  secolo  dopo 
fioriva  in  Messina  una  scuola  di  dialettici ,  co^  quali  disputava  per 
lettere  il  Petrarca,  accusando  le  loro  sottigliezze  all'amico  Tom- 
maso Caloria;  e  Nicola  Bonetti  pur  messinese ,  professava  una  Me- 
thaphisica,  chey  anziché  risentirsi  della  speculazione  araba  ^  già  era 
piena  dello  spirito  delle  scuole  latine  di  Occidente;  siccome  alla 
scuola  tomista  eziandio  apparteneva  quel  Filippo  de  Barberiis  sira- 
cusano, il  quale  sulla  metà  del  quattrocento  scriveva  tre  libri  sulP/m- 
morkUità  delf  anima,  due  stUla  Provvidenza,  ed  altri  tre  storici  sugli 
inventori  delle  scienze  e  delle  arti  meccaniche. 

Scolastico  parimente  quanto  il  Bonetti  e  il  De  Barberiis  fu  Giu- 
liano Falciglia  di  Salemi  autore  di  quattro  libri  De  setisu  composito. 
De  medio  demonstrationis^  De  sophistarum  regtUis,  De  terminis  mo- 
ralibus;  e  aristotelico  più  che  sulla  fine  del  einquecento  non  era 

condoUesul  testo  greco»  e  non  arabico;  ed  aggiunge:  •  É  certotlie  qualche  opera  di 
Aristotile  fu  per  ordine  di  Manfredi  recata  in  latino,  e  non  dall'arabico*  ma  dai 
greco.  Ne  abbiamo  la  prova  in  an  codice  a  penna  della  libreria  di  S.  Croce  in  Fi- 
renze citati»  dal  eh.  Mehus,  in  cai  .si  contiene  V Etica  di  qael  filosofo  tradotta  dal 
greco  da  Bartolomeo  di  Messina:  Incipit  liber  magnorum  Ethicorum  Aristotelit  tran" 
status  de  greco  in  tatinum  a  Magistro  Bartholomeo  de  M essana  in  euria  Illustrissimi 
Manfredi  serenissimi  Regis  Ciciliae  scieutiae  amatorie  de  mandato  suo  ecc.  Forse  altre 
opere  ancora  di  Aristotile,  che  ai  tempi  di  Federico  non  erano  state  tradotte  fece 
Manfredi  recare  in  latino,  e  per  render  noto  il  valore  e  1'  erudizione  de'  suoi ,  man- 
dolle  in  dono  ali*  università  di  Parigi,  usando  perciò  della  lettera  stessa,  di  cui  usato 
avea  Federico  ntill'  inviare  le  altre  ai  professori  Bolognesi.  •  V.  Storia  della  tetterai. 
Italiana,  l.IY,  lib.H  pAg.130.  Mod.  1774;  e  Renan,  Averroès  et  VAverroisme,  {  XIV, 
p.  286.  Par.  «861. 
H)  V.  Amari,  Slor.  de'Mnsutm.  di  SieUia.  v.  1,  Tavola  Analit.  p.XXXVIll.  XLIX. 


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180  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

ornai  conceduto,  r  autore  della  Introduzione  alla  Logica  di  Aristotile, 
Barloloiueo  Castelli  messinese,  della  slessa  scuola  che  Giovanni  Bo- 
logna palermitano  a)mpendiatore  ùeW  Arte  dialettica  che  stam- 
pava in  f.ovanio  nel  4550.  Né  altro  che  scolastici  e  aristotelici 
5*i  debban  tenere  il  Lo  Faso  di  Gaccamo,  cui  appartiene  il  li- 
bro Perihermcnias,  sive  de  Interpetratione  (1549);  il  Calvo  Solonia 
di  Avola  autore  di  un  altro  libro  sulla  Introduzione  di  Porfirio  ai 
Predicamenti  di  Aristotile,  e  di  una  Apologia  per  le  esposizioni  di 
Aristotile  (1575)  avverso  il  Balduino  già  maestro  del  Lo  Faso,  e 
logico  in  quella  età  rinomato;  il  Capra,  nicosioto,  il  quale  nel  1589 
mandava  fuori  due  Quesiti,  Tuno  De  sede  animae  et  mentis  ad  Ari- 
stotelis  praecspta,  adversns  Gnienum,  T  altro  De  Imtnot^talitate  A- 
nimae  rationalis ,  justa  principia  Aristotelis ,  adversus  Epicnrum , 
Lttcretinm,  et  Pythagoricos;  il  Bolani  di  Messina  autore  (ìeìVOpuslo- 
gicum  (Mess.  1597);  il  Chiavelli,  palermitano,  illustratore  del  terzo 
libro  de  anima  di  Aristotile  (1591),  secondo  che  già  innanzi  aveva 
fatto  il  Pizza  di  Chiaramonte,  il  quale  trattava  nel  1553  de  divino 
et  humano  ìntellectu,  et  de  hominis  sensu,  ex  Peripatheticis.  Né  è  da 
dimenticare  P  erudito  Matteo  Selvaggio  che  circa  la  metà  del  sec.  XYI 
esponeva  in  un'opera,  che  intitolava  Lectura,  i  libri  della  Fisica  di 
Aristotile.  Veramente,  la  scolastica  e  PAristotelismo  fra  noi  duraron 
più  che  nelle  altre  parti  d'Italia,  e  quasi  per  tutto  il  secolo  decimoset- 
timo  ci  imbattiamo  in  opere  filosofiche  che  odorano  sempre  si  del- 
l'una e  si  deir  altro.  Serafino  Rotella  messinese,  dopo  il  Trimarcbi  suo 
concittadino  autore  di  una  summula  o  Introductiones  ad  Logicam 
juxta  Aristotelis  et  D.  Thomae  Aquinat,  (lermanum  sensum  (1536), 
raccoglieva  sulla  metà  di  quel  secolo  F/or^5  in  Aristotelis  Organum, 
Fructm  honoris  in  Isagegen  Porphirii  et  universam  Aristotelis  Phi- 
losophiam  (1652);  Bonaventura  Belletti  caianese  Dispntationes  in  Or- 
ganum Aristotelis,  e  in  librum  de  Anima  (1639-1643-1660),  e  An- 
tonino Botti  palermitano  altre  disputazioni  in  Aristotelis  Logicam, 
Philosophiam  naturalem  et  Methaphysicam  (t.  IH.  1671).  Che  anzi 
non  mancarono  in  Sicilia  lullisti.  tomisti,  e  scotisli  (1):  un  p.  Vittorio 
da  Palermo  cappuccino  diede  una  Declaratio  dilucida  in  Artem  Ray- 
mundi  Lulli  (I636J;  e  Raffaele  Bonerba  di  Agira,  dopo  PEncftfrt- 
dion  Scoticum  di  Gaspare  Sgliemma  palermitano  in  Organum  logi- 
cum  Aristotelis  (Pan.  1648),  e  il  libro  di  Illuminato  Oddo,  collesa- 

(1)  Fu  pure  lullista,  e  compose  eziandio  una  sua  Arie  Magna  un  lai  Triolo  da  Tra- 
pini,  siccome  riferisce  V.  Nobile  nel  suo  Tesoro  Nascosto  23. 


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DELLA  HLOSOFIA  IN  SIGIUA  Idi 

nese,  Logica  peripatetica  od  mentem  Scoti,  qua  subtilissimi  doctrina 
declartHur  (Pan.  1661),  tentava  la  loro  conciKazione  con  Peperà  To- 
tius  PhUosophiae  natiiralis  dispositiones ,  in  quibus  omnes  inter  D. 
Thomam  et  Scotum  controversiae  principales  cum  doctrina  card, 
jEgidii  iUustrantur  (t.  II.  Pan.  1671).  Solo  inchinevole  a  Platone  fa 
allora  un  Raimondo  del  Pozzo,  che  scrisse  in  latino  un  libro  De  ani- 
ma, e  una  Sylva  variarutn  Quaestionnm  (1664-1667),  e  in  volgare 
il  Circolo  tusculano,  ove  si  trattano  alcune  proposizioni  platoniche 
dd  Timeo,  e  si  aggiunge  la  scuola  Aristoteiica  con  le  sette  dei  filo* 
soft  (Mess.   1656)  ;  e  dalla  filosofia  sperimentale  si  mostrò    colti- 
vatore pur  quasi  solo  Simone   Rao  Requesens  palermitano  e  Ve- 
scovo di  Patti,  autore  di  Letlioni  filosofiche  sopra  varie  materie,  par^ 
ticolarmenle  sopra  Galileo  Galilei,  non  però  pubblicate,  e  quindi  non 
a  noi  pervenute  (I).  E  potremmo  eziandio  aggiungere  altri  insegna- 
tori  fra  noi  di  filosofìa  scolastica  di  quel  tempo,  come,  il  Bruni  cbe 
dava  un  libro  Logicalium  disputationum  (Pan.  16'4l);  Agostino  Spinoo 
autore  delle  Quaestiones  philosophicae  ad  Logicam  spectantes  (1861);  il 
Castiglione  pel  suo  Cursus  Philosophiais  (1691);  il  Giattino  per  la  sua 
Logica  e  per  la  versione  intrapresa,  ma  non  potuta  compiere,  di 
tutte  le  opere  di  Aristotile  (1651);  il  Vita  per  l'opera  De  objecto  Logi- 
eoe  (1670);  il  Cordici,  ericino,  cui  si  allribuiscouo  da  Luca  Waddingo 
taluni  Commentari  suUa  Logica  di  Aristotile-,  ed  altri  non  pochi.  Né  è  da 
scordare  che  le  opere  di  questi  siciliani  non  solamente  erano  stampate 
in  Sicilia,  ma  eziandio  fuori,  a  Napoli,  a  Roma,  a  Padova,  a  Venezia,  a 
Milano,  a  Genova,  a  Parigi,  a  Barcellona.  Onde  in  Roma  e  in  Parigi, 
e  già  prima  a  Goa,  si  pubblicavano  eziandio  gli  studi  orientali  di  Pro- 
spero Intercetta  da  Piazza,  e  di  Nicolò  Longobardo  pur  siciliani  e 
tutti  e  due  gesuiti;  cioè  il   Confudus   Sinarum  Philosophus^  sive 
Scientia  sinensis  latine  exposita,  (IGG7-1687),  delPIntorcetta,  la  più 
antica  di  tutte  le  opere  intorno  alla  Filosofia  cinese  (2);  e  P  altro 
libro  De  Confucio  ejusque  doctrina^  oltre  quello  deW  anima  e  sue  fa- 
coltà, scritto  in  cinese,  del  Longobardo  (15t>5-1655),  coetaneo  di 
Giordano  Ansalone  di  Sanlostefano,  morto  in  Cina  nel  1634,  da  cui 
r  Europa  aveva  avuto  le  notizie  De  Idolis,  sectis,  et  superstitionibus 
Sinensium,  cum  eorum  confutatione. 

Pare  i  nostri  Siciliani,  essere  stati  più  cbe  altrove,  se  ne  eccettui 


(1)  V.  MoNGiTORE,  Biblioiheea  Sieulat  t.  II  pag.  231-33. 

(2)  V.  il  nostro  scrino  Degli  serillori  Siciliani  omessi  nella  Storia  della  letteratura 
Latina  di  Cesare  Cantù,  nella  rivista  La  Sicilia,  unno  I  n.  2»  Pai.  1865. 


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Ì8%  NUOVE  EFFEMEiUDl  SICIUANE 

ADlonio  Casserioo  di  Noto  che  nel  secolo  XV  recava  in  Ialino  i 
libri  de  Republica  di  Platone  ed  altri  dialoghi  dello  stesso  filosofo, 
dedicandoli  a  Re  Alfonso,  chiusi  nel  campo  scolastico,  mentre  nelle 
altre  parti  dMtalia  coglievano  fama  Giordano  Bruno,  Tommaso  Cam- 
panella ,  Galileo  Galilei  :  e  si  deve  a  Gian  Alfonso  Sorelli  e  poi  al 
Fardella  e  al  Campailla  Pentrata  neir  Isola  della  nuova  filosofia,  che 
si  disse  Cartesiana  e  poi  Leibniziana  ,  tutte  e  due  scalzate  dalla 
scuola  che  pigliava  nome  dal  Miceli  e  da  Monreale,  fermando  un 
indole  propria  di  filosofare,  che  più  che  straniera  si  addimostrava  di 
abito  e  di  tradizioni  italiana. 

V.  Di  Giovanni 


ILLUSTRAZIONE  DI  UN  TRITTICO 

mmm  ma  pmacotega  coiunalb  di  teriinmierssc 


Un  IriUico  in  legno  di  cent.  21  — 16,  che  appartiene  alla  classe 
dei  irillici  pitturati  o  ecclesiastici,  teslè  acquistato  dai  deputati  della 
biblioteca  Liriniana  di  Termini-Imerese,  sotto  la  cui  direzione  mi- 
gliora e  cresce  di  numero  la  Pinacoteca  comunale  istituita  coi  qua- 
dri lasciati  dal  benemerito  D.  Antonino  Gargotta  e  Cocilovo ,  è  il 
tema  di  queste  mie  poche  pagine;  poiché  esso  mi  sembra  impor- 
tante si  per  le  credenze  religiose  dei  cristiani  di  quei  tempi,  come 
ancora  per  la  storia  della  pittura  in  Sicilia  (1). 

Il  protagonista  di  questo  pregevole  dipinto  è  la  Madonna  col  bam- 
bino in  braccio,  a  cui  fan  corteggio  angioli ,  apostoli  ^  e  santi  ve- 
scovi e  dottori  della  chiesa  greca,  i  quali  co'  loro  scritti  sostennero 
la  divina  maternità  di  Maria^  e  la  consustanzialità  del  Figlio  di  Dio 
col  suo  Divin  Padre,  contro  l'eresie  degli  Ariani  e  Nestoriani.  Per- 
ciocché Ario  atessandrino  verso  l'anno  315  o  321  non  potendo  otte- 
nere il  vescovato*  di  Alessandria  giurò  vendicarsi  del  vescovo  Ales- 
sandro eletto  a  succedere  in  quella  chiesa  al  morto  vescovo  A- 
cliilie.  Né  potendo  toccarlo  nei  costumi,  lo  accusò  di  sabeUianismo 
sul  mistero  della  Trinità;  punto  non  temendo  di  asserire  che  il  Verbo 

(I)  11  Irìuico  fp  portato  al  barone  K.  Jannelli,  il  quale,  conoscendone  l'importHnza 
lo  fece  acquistare  per  la  Pinacoteca  comunale  di  Termi  ni -Imerese. 


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ILLUSTRAZIONE  DI  UN  TRITTICO  i83 

non  era  né  etemo  né  eguale  al  Padre ,  ma  che  non  era  se  non  se 
una  creatura  tratta  dal  niefile. 

Quesla  eresia  fa  condannata  nel  Concilio  Niceno,  che  è  il  primo 
Concilio  Ecumenico,  tenuto  Panno  325  sotto  il  ponteficato  di  San 
Silvestro,  regnando  T  imperatore  Costantino.  Durò  questo  Concilio 
dal  19  giugno  ai  25  agosto;  v'intervennero  318  vescovi;  S.  Silve- 
stro vi  mandò  come  suoi  legati  Vito  e  Vincenzo  preti  della  chiesa 
romana,  e  come  presidente  del  Concilio  Osio  vescovo  di  Cordova; 
pure  volle  assistervi  V  imperatore  Costantino ,  benché  allora  fosse 
semplice  catecumeno.  Nel  suddetto  Concilio  Niceno  fu  definita  la 
fede  della  consustanzialità  del  Figlio  di  Dio  col  suo  Divin  Padre.  Vi 
fu  fatto  un  simbolo  nel  quale  entrò  il  vocabolo  consustanzialey  che 
diventò  in  seguito  distintivo  di  cattolicità.  Quel  simbolo  chiamasi  an- 
cora il  simbolo  di  Nicea. 

Nestorio,  patriarca  di  Costantinopoli ,  fu  elevato  a  quella  sede 
Tanno  428.  Combattè  da  prima  con  molto  zelo  lutti  gli  eretici, 
specialmente  gli  Ariani,  i  Hacedoniani  ed  i  Novaziani.  Quando  Ala* 
nasio,  prete  di  Antiochia,  che  seco  avea  condotto  in  Costantinopoli, 
osò  un  giorno  predicare  che  la  Beata  Vergine  non  dovea  chiamarsi 
Madre  di  Dio,  Nestorio  invece  di  biasimare  quel  temerario  T  onorò 
pubblicamente ,  e  sostenne  che  come  eranvi  due  nature  in  Gesù 
Crisio,  cosi  eranvi  pure  due  persone,  la  divina  e  T  umana ,  e  per 
conseguenza  due  figli,  V  uno  Dio  e  l'altro  uomo;  dal  che  proveniva 
non  doversi  Maria  chiamare  Madre  di  Dio  (Theotocos),  ma  soltanto 
Madre  di  Cristo  (Chrislotocos).  Egli  aggiungeva  che  Cristo  era  u- 
nito  al  Verbo  non  già  di  anione  iposlatica ,  ma  di  una  unione  di 
abitazione  del  Verbo  nella  umanità,  come  in  un  tempio,  e  per  so- 
cietà, per  comunicazione  di  potenza,  di  benevolenza,  di  dignità.  Se- 
condo Nestorio  ed  i  nestoriani  il  Verbo  figHo  ili  Dio  non  si  è  fatto 
uomo  assumendo  V  umana  natura  dalla  Beata  Vergine;  ma  è  discesa 
suir  uomo  nato  da  lei:  Essa  ha  partorito  il  tempio  di  Dio,  non  co- 
lui che  abita  nel  tempio. 

S.  Cirillo  di  Alessandria  combattè  questi  errori  con  diverse  opere 
indirizzate  all'  imperatore  Teodosio  il  giovane,  a  Pulcheria,  e  ad  Eu- 
dossia  sorelle  di  questo  principe.  Ne  scrisse  anche  al  Papa  S.  Cele- 
stino ,  il  quale  condannò  i  detti  errori  in  un  Concilio  tenuto  in 
Roma  nel  430.  L'anno  seguente  poi  fu  radunato  il  Concilio  gene- 
rale di  Efeso,  il  quale  condannò  anco  Nestorio  e  lo  depose  (1). 

(i)  EslraUo  dal  Dizionario  Universale  delle  scienze  ecclesiastiche  di  Giraud  e  Ri- 
chard 


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184  NOOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNB 

Ho  credalo  indispensabile  premettere  questi  pochi  cenni  salPe- 
resie  delle  diverse  sette  condannate  dai  Concili,  1  quali  diffiniiiva- 
mente  stabilirono  la  divina  maternità  di  Maria;  che  forma  il  con- 
cetto religioso  del  trittico  in  parola,  le  di  cui  figure  con  greche  i- 
scrizioni  segnate  ora  mi  proverò  a  passare  in  rassegna  (0- 

Esternamente 

Nell'imposta  destra  :  Un  S.  Cristoforo  di  figura  colossale  con  te- 
sta di  agnello ,  vestito  da  guerriero  con  lungo  bastone  in  mano , 
che  passa  un  fiume  portando  sulla  spalla  destra  Gesù  Bambino  che 
colla  sinistra  mano  carezza  quella  testa  di  agnello,  e  coir  altra  lo 
benedice;  a  destra  del  Bambino,  vestito  di  tunica,  vi  sono  i  mono- 
grammi (  iQxc  )  ^^^  Cristo. 

In  questa  figura,  seguendo  Pantica  tradizione,  che  Cristoforo,  sol- 
dato di  professione  ma  uomo  di  perversi  costumi ,  fu  poi  conver- 
tito a  santa  vita  da  Gesù  Cristo;  volle  l'artista  esprimere  il  cangia- 
mento morale  col  figurarlo  di  corpo  colossale  da  guerriero  con  un 
capo  di  mansueto  agnello^  alludendo  cosi  alla  metamorfosi  dì  lupo 
in  agnello. 

Questa  figura  poi  probabilmente  vi  fu  posta  nelPestremo  del  trit- 
tico perchè  si  attribuiva  comunemente  a  questo  santo  la  potenza 
di  liberare  da  morte  repentina  coloro  che  in  quel  giorno  ne  aveano 
veduto  Timagine  :  per  la  qual  cosa  si  vede  spesso  dipinto  in  di- 
verse scale  di  case  di  abitazione,  o  nelle  porte  esterne  delle  chiese. 

Sopra  la  delta  imposta  :  Un  mezzo  busto  di  S.  Niccolò,  la  cui  ve- 
nerazione era  molto  diffusa^  massimamente  in  oriente. 

Neir  imposta  sinistra  :  Un  mezzo  busto  di  S.  Atanasio  Alessan- 
drino, uno  de**  quattro  principali  dottori  della  Chiesa  Greca. 

Più  sotto  ivi  :  Un  mezzo  busto  di  S.  Melezio  vescovo  di  Antio- 
chia, detto  il  grande,  nato  in  Melitene  nel  secolo  lY,  il  quale  colla 
sua  dottrina  sostenne  la  divinità  del  Verbo  in  faccia  alla  setta  de- 
gli Ariani,  che  gli  fecero  soffrire  persecuzioni  ed  esilii.  La  sua  fede 
però  stette  salda  a  fante  prove,  e  restituito  alla  sua  sede  dalP  im- 
peratore Graziano,  assistè  al  concilio  di  Costantinopoli.  I  Greci  in 
•conseguenza  della  sua  santa  vita  metteanlo  a  paro  dei  più  illustri 
padri  della  loro  Chiesa. 

(1)  Le  iscrizioni  greche  Turono  tetle  ed  interpretate  da*  chiai issimi  canonici  Pietro 
^nfilippo  ed  Agostino  GiufiTrt^  Caruso. 


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ILLOSTRAZIONB  DI  UN  TRITTICO  185 

Più  sotlo  ancora,  e  neir  islessa  linea  :  Altre  due  figure  di  santi 
Greci,  non  vescovi,  le  cui  iscrizioni  sono  poco  visibili. 

Neir  angolo  superiore  sinistro  :  Un  mezzo  busto  di  S.  Gregorio 
vescovo  (forse  il  Nisseno)  che  colla  destra  benedice  alla  greca  e  colla 
sinistra  tiene  un  libro. 

Aperte  le  due  imposte  del  Irittioo  :  Nel  centro  si  vede  dipinta 
sino  a  mezza  vita  la  Madonna  col  Bambuio  seduto  in  braccio,  ve- 
stito di  lunga  veste  di  color  verdastro,  il  quale  tiene  nella  sinistra 
mano  un  papiro  ossia  la  divina  scrittura,  ed  alza  la  destra  in  atto 
di  benedire  alla  greca;  ha  nel  capo  un  nimbo  tripartito  in  modo  di 
croce,  con  le  lettere  o  cuN,  che  significano  V  ENTE,  un  manto  por- 
porino scende  giù  dalla  testa  alla  Vergine  che  la  cnopre  interamente 

a  sinistra  si  leggono  i  consueti  monogrammi  ^p  ^^    cioè  Madre 

di  Dio,  e  Taltra  leggenda,  che  significa  Madre  di  Dio  Salvatore. 

A  destra  ed  a  sinistra  vi  sono  due  angioletti  vestiti ,  in  mezzo 
busto,  con  le  iscrizioni,  che  potrebbero  significare  lode  al  Bambino, 
0  Voce  netta  via, 

A  destra  più  sotto:  Una  figura  intera  ravvolta  in  largo  panno, 
barbata  ed  alala,  che  colla  destra  benedice  alla  greca,  e  colla  sini- 
stra tiene  un  libro  aperto  in  cui  vi  sono  scritte  le  seguenti  parole: 
Perchè  grandi  cose  à  fatto  a  me  Colui  che  è  potente.  Questa  figura  è 
Tapostolo  S.  Matteo  (come  si  vede  dalla  iscrizione)  simboleggiato: 
sempre  colPangelo,  ma  qui  colla  specialità  delle  ali  poste  nella  di 
lui  virile  persona,  giacché  è  l'Evangelista  che  scrisse  della  gene- 
razione di  Gesù  Cristo  secondo  la  carne;  mentre  dall'altro  lato  vi  è 
dipinta  la  figura  intera  di  S.  Giovanni  evangelista,  che  scrisse  del- 
reterna  generazione  del  Divin  Vei'bo  incarnato ,  avvolto  in  largo 
mantello,  imberbe,  che  benedisce  colla  deUra  alla  latina,  e  poggia 
nel  petto  la  sinistra  mano. 

Né  dee  far  meraviglia,  che  PEvangelista  S.  Matteo  mostri  ai  fe- 
deli una  iscrizione  tratta  dal  Vangelo  di  S.  Luca.  Perciocché  i  Pa- 
dri della  Chiesa  riputavano  tutti  e  quattro  gli  Evangeli  come  for- 
manti unica  opera.  Onde  ebbe  a  dire  S.  Agostino  nel  Trattato  XXXVI 
sopra  S.  Giovanni  :  <  In  quatnor  Evangeliis,  vel  potius  quatuor  li- 
tris  unins  Evangelii  Sanclm  Ioannes  Apostolus  non  immerito  se- 
cundum  inteUigentiam  spiritnulem  aquilae  comparatasi  altius  multo- 
que  sublimius  aliis  tribus  eheooit  praedicatiotiem  snam  •.  Sotto  la  Ma- 
donna e  neir  islessa  linea  vi  sono  tre  figure  di  vescovi  Greci  in 
alto  di  benedire  colla  destra,  o  nella  sinistra  ciasciino  tiene  un  U- 


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186  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

bro.  Dolla  iscrizione  si  rileva  essere  gli  altri  dottori  principali  della 
Chiesa  Greca;  cioè  S.  Giovanni  Crisostomo,  S.  Gregorio  Nazianzeno, 
e  S.  Basilio  Magno. 

Sulla  testa  della  Madonna  corrisponde  una  corona,  che,  chiuso  il 
trittico,  resta  nel  centro  superiore  esterno. 

A  destra  dell'  imposta  interna  :  Due  mezze  figure ,  cioè  una  di 
un  vecchio  con  lunga  barba  bianca,  che  porta  un  cappellino  rosso, 
e  r  altra  di  donna,  sottostanti  ad  un  angelo  in  intera  figura,  in  palu- 
damento, che  colla  destra  benedice  e  colla  sinistra  loro  offre  un 
giglio.  Dalle  iscrizioni  laterali  chiaro  si  scorge,  che  esse  sono  S. 
Zaccheria  e  S.  Elisabetta,  genitori  di  S.  Giovanni  il  precursore. 

Sotto  vi  è  S.  Giorgio  a  cavallo  che  uccide  il  dragone  (come^lo 
conrernia  la  iscrizione). 

Nell'altra  imposta  interna  sono  due  mezze  figure  rappresentanti 
S.  Gioacchino  e  S.  Anna,  che  da  Maria  a  loro  soprastante  di  mezza 
la  persona,  e  in  alto  lo  Spirito  Santo,  alzata  dal  seggio ,  sono  be- 
nedetti alla  latina.  Sulla  figura  di  Maria  vi  è  scritto  :  Ammirevole 
nel  seno  Madre  di  Dio, 

Sotto  le  dette  figure  vi  è  replicata  la  figura  equestre  del  S.  Gior- 
gio, che  uccide  il  capo  de'  saraceni  con  P  iscrizione  afios  amhzeox, 
che  significa  santo  benevolo,  propizio,  etc. 

Il  S.  Giorgio  è  un'introduzione  di  pia  devozione  che  aveano  i 
seguaci  della  chiesa  greca  verso  quel  santo,  ma  che  replicato  nel- 
r  altro  lato  in  atto  di  uccidere  il  capo  de'  saraceni  coli' addiettivo 
benevolo,  pare  che  alluda  alla  di  lui  apparizione  nella  famosa  bat- 
taglia di  Corame,  data  dal  conte  Ruggiero  l'anno  1063,  nella  quale 
dice  il  Malalerra  (1)  •  che  Seiione  venuto  fuori  dalla  città  con  tren- 

•  lasei  militi  volse  in  fuga  trentamila  saraceni.  Sopraggiunte  poi  il 

•  conte  stesso  con  cento  militi,  stava  in  pendente  se  doveva  atlac- 

<  car  battaglia  coi  saraceni ,  malgrado  la  grande  sproporzione  del 

•  numero.  Ursello  di  Baliol  lo  minacciò  di  non  volerlo  mai  più  ac- 

<  compagnare,  se  schivava  di  venire  alle  mani  coi  nemici.  L' eser- 
i  cito  normanno  si  mosse.  Fu  visto  allora  uscir  dalla  fila  e  correre 

■  il  primo  sopra  i  nemici,  un  ignoto  cavaliere,  coperto  di  armi  lu- 

■  centissime,  sopra  bianco  cavallo,  avente  in  mano  un  bianco  ves- 
«  siilo,  con  sopra  una  croce.  Tutti  conobbero  esser  quello  S.  Gior- 

•  gio,  il  quale,  vescovo  e  patriarca  di  Alessandria  in  vila,  era  già 

•  divenuto  dopo  morte  cavaliere,  e  patrono  di  cavalieri.  » 

Dall'  introduzione  del  S.  Giorgio  che  uccide  il  capo  de'  saraceni,, 
e  dal  rosso  manto  della  Madonna  ,  colore  caratteristico  del  manto 

(l)  Palmerì  S*3inma  p.  iO.  V.  li.  Pai.  i837. 


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ILLUSTRAZIONE  DI  UN  TRITTICO  187 

di  quella  imagine  apparsa  sulla  porta  di  mezzogiorno  di  Palermo 
al  conte  Ruggiero,  allorctiò  assediava  quella  città,  di  cui  s'impadronì 
poco  dopo  sottomettendo  i  saraceni  Tanno  1071  ;  e  dal  carattere 
artistico  di  quel  dipinto,  io  la  credo  opera  del  XII  secolo;  negli  ul- 
timi anni  del  quale  si  estinse  colla  imperatrice  Costanza  la  dinastia 
normanna  (1). 

Greche  sono  le  iscrizioni,  e  sullo  stampo  di  quelle  imagini  pit- 
turate dai  greci  bizantini  è  la  Madonna  col  bambino,  ma  neir  altre 
figure  che  fan  corona  alia  gran  Madre  di  Dio  vi  si  scorge  altro  mo- 
vimento e  varietà  che  fan  credere  probabilissimo  esser  lavoro 
di  siciliano  pennello ,  poiché  sin  dal  principio  del  cristianesimo 
quegli  artisti  esercitavano  la  loro  arte ,  la  quale  maggiormente 
crebbe  in  vigore  neir  ottavo  secolo  colla  rappresentazione  delle  i- 
magini  sacre  in  onta  alla  eresia  degli  iconoclasti,  che  in  altre  parti 
erano  riusciti  a  distruggere  tutte  le  sacre  figure.  Ma  i  siciliani  ga- 
gliardamente combattendo  quella  setta,  tennero  immune  da  quella 
barbarica  devastazione  tutta  Pisola;  ove  la  maggior  parte  dei  cri- 
stiani si  componeva  di  greci  di  nazione,  e  di  siciliani  appartenenti 
alla  chiesa  greca. 

Il  disegno  delle  figure  é  alquanto  secco  ma  i  contorni  sono  fran- 
camente eseguiti;  il  colore  trasparente  e  brillante  mi  sombra  dato 
a  tempra  mista,  o  più  probabilmente  air  encausto  ,  maniera  di  di- 
pingere con  colori  misti  alla  cera  ,  usata  dagli  antichi  greci  e  ro- 
mani ,  e  che  si  crede  fosse  stata  sempre  vigente  in  Sicilia  anche 
dopo  il  decadimento  delle  arti ,  e  durata  sino  al  secolo  XY  come 
lo  conferma  il  famoso  quadro  del  trionfo  della  Morte  dipinto  air  en- 
causto da  Antonio  Crescenzio  su  di  una  parete  dell'  atrio  dell'  ospe- 
dale di  Palermo  (2). 

E  finalmente  sembrami  opportuno  avvertire,  che  tutte  le  ligure 
ed  i  panneggiamenti  sono  graflSli  prima  della  doratura  generale,  e 
quindi  contornati  a  nero  ;  il  nudo  è  preparato  con  colore  bruno 
chiaro,  e  contornato  collo  stesso  colore  alquanto  più  scuro;  però  i 
sopracigli,  le  palpebre,  e  gli  orchi  sono  in  nero;  colori  trasparenti 
velano  i  panni  sulle  pieghe  già  disegnate  ;  e  le  mezze  tinte  ed  i 
lumi  delle  carni  sono  dati  a  tocciù  risoluti  e  di  molto  corpo  che 
fan  contrasto  su  quella  ma&sa  preparata  con  colore  bruno  (3). 

Ignazio  De  Michele: 

(ì)  Ab.  Gravina.  Sopra  un'antica  iinagine  p.  9.  Fai.  1855,  Lao. 

(2>  Di  Marzo.  Storia  delle  belle  arti  in  Sicilia  p.  120,  V.  III. 

(3)  Una  Madonna  col  bambiTio  sopra  tavola  con  fondo  dorato  e  con  anreole  scol- 
pile nel  fondo  di  cent.  51—39,  coli' istesso  artifizio  di  colori ,  e  sullo  stesso  fìpci 
ieratico  si  conserva  nella  mia  raccolta  di  quadri. 


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STELLA  E  KlUPERLI 

(Continuaz.  e  fine  vedi  voi.  Il,  disp.  UI) 


Costai  entrato  cinqaenne  nel  1S82  nel  collegio  del  Serraglio,  ove 
compi  i  sQoi  studii ,  come  è  ricordato  di  sopra,  nel  1607  era  già 
venticinquenne,  e  per  la  sua  dottrina,  coraggio  e  virtù  d^ogni  ma- 
niera, era  divenuto  uno  de^  personaggi  più  rispettali  deir  impero. 
É  probabile  che  il  favore  della  sorella  abbia  contribuito  a  farlo  co- 
noscere ,  e  a'  primi  suoi  voli  ;  non  appena  ebbe  a£9dati  de'  co- 
mandi militari ,  e  potè  svolgere  i  suoi  pensieri  nel  Divano  con  la 
qualità  di  Pascià ,  sali  a  tal  grado  di  pubblica  estimazione ,  da  a- 
cquistare  la  pienezza  della  grazia  del  principe,  del  mufli,  del  cai- 
macan  o  governatore  di  Costantinopoli,  e  de^varii  ministri. 

Quest'umile  schiavo,  dichiaralo  tale  uomo  di  Stato  di  cui  non  han 
pari  i  cristiani,  e  che  meritò  di  esser  paragonato  a  Sully  per  Tarle 
di  governare ,  e  per  integrità  e  giustizia  ,  avea  assunto  il  nome 
di  Mélìémet  Kiuperli.  Di  lui  scrivono  tutti  gli  storici  musulmani, 
con  leggieri  equivoci  cronologici,  talché  seguendoli,  io  farò  ritratto 
del  suo  merito  insigne.  La  di  lui  discendenza  mantenne  il  cognome 
del  grande  da  cui  nacque,  e  V  ultimo  di  essi  Numan  Kiuperli  ebbe 
la  gloria  di  ottenere  le  lodi  dello  stesso  Voltaire. 

Héhémet  Kiuperli  fu  elevalo  al  grado  di  Pascià  di  Damasco  da 
Amnratte,  e  di  Visir  Arem  da  Maometto  IV  alPetà  di  70  anni  nel 
1647.  Vigoroso  sino  alPestrema  vecchiezza ,  ^'ingegno  pronto,  vi- 
vace ,  fecondo ,  consumalo  nella  difficile  arte  di  reggere  i  popoli , 
accrebbe  di  molto  la  potenza  delP  impero.  Conlemperando  la  man- 
suetudine con  il  rigore,  dice  Lorenzo  Crasso  (I),  il  grande  Kiuperli 
seppe  tenere  a  freno  un  popolo,  che  solo  può  imbrigliarsi  con  i 
gaslighi  di  sangue.  Allora  il  trono  di  Maometto  IV  corse  pericolo 
dì  essere  rovesciato,  ma  il  braccio  di  Kiuperli  lo  sostenne,  conso- 
lidò e  disperse  i  suoi  nemici. 

Orcano  pascià  di  Aleppo  tenlò  elevare  air  impero  Solimano , 
nato  segretamente  da  Amu ralle  e  da  Racima  sulle  frontiere  della 
Persia ,  mentre  costui   guerreggiava  contro  i  persiani ,  e  tenuto 

(l)  Elogi  de'  Cajpiiaui  illitsiri.  Venezia  1683,  p.  351. 

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STELLA   E  KIOPERLI  189 

sempre  celalo  da  Kacima  per  timoce  che  Paraki  sultana  non  lo  a- 
Tesse  fatto  morire.  Orcano  sollevò  lutta  PAsia,  e  vicino  a  Smirne  nei 
campi  di  Trocaksga ,  assalì  Kiuperli,  che  comandava  un  esercito 
di  80,000  combattenti.  In  quella  memorabile  battaglia,  Kiuperli  Te" 
predigli  di  valore;  ma,  senza  sua  colpa,  fu  disfatto,  e  perdette  per 
fino  Tartiglieria  e  i  bagagli.  Quella  rotta  imprevista  avrebbe  disa- 
nimato qualsiasi  capitano;  ma  Kiuperli  non  cesse  a^  colpi  dell'av- 
versa fortuna.  Addatosi  che  Orcano  invece  di  raccogliere  i  fruiti 
della  vittoria,  temporeggiava  oziando,  Kiuperli  simulò  voler  patteg- 
giare seco  luì,  iniziò  i  trattali  per  mezzo  di  ambascerie,  e  per  trarlo 
alle  lunghe  proponea  condizioni  difficili  ad  essere  accette.  Cosi  per 
mezzo  di  continui  progetti  e  rifluii  da  questa  parte  e  da  quella , 
il  Visir  Arem  ebbe  comodo  e  tempo  di  radunare  un  esercito  più 
forte  del  primo.  Chiamò  da  Costantinopoli  il  fanciullo  Maometto  lY, 
e  lo  pose  alla  testa  delPesercito  ;  non  già  per  dirigerlo  o  coman- 
darlo, ma  bensì  perch*  era  persuaso  che  i  ribelli  corrotli  dalle  de- 
lizie e  dalle  prede,  sorpresi  e  assalili  air  imprevista ,  impauriti  da 
nuovo  formidabile  esercito,  e  colpiti  giustamente  dal  ribrezzo  di 
impugnare  le  armi  contro  la  persona  del  loro  legittimo  sovrano, 
non  avendo  coraggio  di  venire  alle  mani,  si  fossero  o  sbandati ,  o 
ritratti  alle  di  lui  bandiere,  abbandonando  quelle  di  Orcano.  Tanta 
antiveggenza,  sortì  felice  effetto;  la  fortuna  ottomana  fu  pienamente 
ristorata  e  accrebbesi  la  gloria  del  gran  capitano.  Non  appena  Or- 
cano ebbe  certezza  che  Maometto  lY  in  persona  sostenuto  da  un 
novello  esercito  più  gagliardo  del  primo,  comandalo  da  Kiuperli, 
veniva  ad  assalirlo,  fu  colpito  da  sgomento,  e  ì  suoi  soldati  gli 
niegarono  ubbidienza.  Moslravasi  pronto  ad  accettare  i  palli  ante- 
cedentemente proposti  da  Kiuperli  per  finta  di  pace,  ma  costui  lo 
sorprese  improvvisamente,  lo  ebbe  in  potere  insieme  a  Solimano, 
e  li  fece  strangolare  ambedue.  In  cosi  fallo  modo  Kiuperli  associò 
il  vacillante  diadema  sul  capo  del  suo  monarca,  il  quale  dalla  so- 
rella Siella  era  amalo  come  proprio  di  lei  figlio  (1). 

Un  altro  importante  servizio  rese  Kiuperli  air  impero  dopo  que- 
sto fatto;  i  giannizzeri  si  ammutinarono,  e,  prese  le  armi,  tentarono 
deporre  il  principe;  ma  il  Yisir  li  ritornò  alla  pristina  ubbidienza 
con  pubblico  plauso  e  maraviglia  (2). 

Se  egli  fu  grande  in  vita,  non  lo  fu  meno  in  morte:  per  innalzare 

(i)  Crasso»  ivi. 

(ì)  Grassi,  l.  1.  p.  420.  SiUosiri  1.  e. 

12 


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190  ìNuove  effemeridi  siciliane 

il  figlio  Achniel  al  visirato,  usò  tale  astuzia ,  da  rimaoerne  memo- 
rabile ricordanza  negli  annali  ottomani.  È  legge  invariabile  di  quel- 
r  impero  che  niun  figlio  o  nipote  del  monarca,  anche  per  parte  di 
donna  possa  succeder  alle  cariche  del  padre.  Ciò  non  ostante  Mé- 
hémet  Kiuperli  ruppe  quest^  uso  durissimo,  introducendo  un  esem- 
pio di  unica  eccezione  in  questa  legge  non  prima,  né  dopo  mai  vio- 
lata. Suo  figlio  Aclimet  era  uomo  di  estraordinario  merito ,  aveva 
aiutato  efficacemente  il  padre  a  debellare  Orcano,  e  perciò  ben  de- 
gno di  ottenere  il  visirato.  Kiuperli  consumato  dagli  anni  e  dalle 
memorande  imprese,  ammalossi;  e  conoscendo  essere  omai  giunta 
r  ultima  sua  ora,  chiamò  immediatamente  il  figlio,  gli  affidò  il  de- 
posito de'  segreti  più  gravi  dello  Stato  con  V  ordine  espresso  di  se- 
condare la  sua  astuzia.  Comprendeva  egli  bene  che  essa  gli  avrebbe 
potuto  produrre  una  fine  infelice;  ma  la  brama  di  beneficare  il  fi- 
glio, e  la  certezza  che  per  poco  assai  gli  avrebbero  potuto  antici- 
pare  una  morte  vicina  ed  inevitabile,  lo  animarono  e  determinarono 
a  compiere  Pardìtissima  impresa.  Finito  il  segreto  colloquio  col  figlio, 
si  pose  a  letto  e  fece  spargere  la  voce  della  sua  malattia,  che  rattri- 
stò la  capitale.  L' imperatore  gli  mandò  il  suo  medico,  che  trovò  mo- 
ribondo il  visir,  e  subilo  dopo  gl'invio  i  membri  del  Divano  per 
riprendersi  il  gran  suggello  dell'  impero.  Ma  il  vecchio  finse  di  aver 
perduto  la  parola  e  V  intelligenza,  e  cosi  dopo  pochi  giorni  spirava 
il  19  ottobre  dell'anno  1633,  di  oltantasei  anni.  Achmet  suo  figlio 
si  recò  tantosto  dal  monarca  ,  nelle  di  cui  mani  depose  il  suggella 
imperiale,  e  una  lettera  dei  morto  padre  nella  quale  gh  dicea  che 
il  suo  figlio  Achmet  era  depositario  de'  segreti  dello  Stato.  L' im- 
peratore ,  memore  de'  meriti  e  degli  obblighi  che  lo  legavano  a 
Méhémet  Kiuperli ,  e  al  di  costui  figlio  Achmet ,  estimò  prudente 
di  non  far  passare  in  altri  segreti  di  tanto  rilievo,  e  creò  quindi  Vi- 
sir Arem  il  giovane  Achmet  Kiuperli  di  32  anni  appena  ,  ma  per 
la  pratica  acquistata  sotto  il  genitore,  maturo,  savio,  prudente  (I). 
Fu  costui  inoltre  strenuo  capitano  di  eserciti,  e  non  solo  fu  celebre 
per  le  vittorie  riportate  assieme  al  padre  contro  di  Orcano,  ma  del 
pari  per  quelle  ottenute  da  sé  solo.  Combattendo  contro  Venezia  , 
fu  dapprima  battuto  a  Raab  da  Monlecuccoli;  ed  allora  egli  pose  o- 
gni  sua  cura  a  conquistare  T  isola  di  Candia.  Morosini  capitan  ge- 
nerale de'  veneziani  la  difendeva  per  mare,  e  Mont-brun  uffiziale 
francese  per  terra;  mercè  il  loro  coraggio  e  di  un  rinforzo  di  (5  in 

(l)  Crasso,  toc.  cii. 


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STELLA   E  KIUPERLI  19i 

7,000  uomini  inviativi  da  Luigi  XIY,  resistette  due  anni;  ma  final- 
mente dovette  arrendersi  il  27  settembre  1669.  Kiuperli  entrò  in 
Candia  per  capitolazione,  ed  acquislossi  una  gloria  immortale.  Vol- 
taire dice  che  i  turchi  in  queir  assedio  si  mostrarono  superiori  a' 
(Tistiani  nella  conoscenza  dell'arte  militare. 

Gli  storici  attribuiscono  a  questo  Gran  Visir  il  progetto  della  guerra 
di  Candia  intrapresa  e  continuata  con  tanto  accanimento  a  solo  fine 
di  sterminare  i  giannizzeri  (I).  Dopo  quest'impresa  Kiuperli  assali 
la  Polonia,  a  cui  tolse  la  Lucrania,  la  Podolia,  la  Volinia  e  concesse 
la  pace  a  prezzo  di  un  annuo  tributo  di  20,000  scudi.  Altre  guerre 
intraprese  contro  l'Ungheria  e  la  Transilvania,  cosicché  egli  fu  ri-, 
spettato  e  temuto  entro  e  fuori  delP  impero. 

Come  uomo  di  Stato,  la  storia  registra  molli  fatti ,  che  onorano 
questo  grand' uomo.  Io  ne  narrerò  qualcheduno  a  comprovare  il 
suo  merito.  Viaggiando  in  Asia  con  l' imperatore ,  notò  costui  una 
magnifica  casa  appartenente  a  un  ricco  armeno;  era  intorniata  di 
splendidi  giardini  e  de'  più  vaghi  ornamenti  ;  il  Sultauo  l'ammirò 
dapprima,  e  poi  volle  entrarvi.  Gliene  furono  dischiuse  le  porte,  ne 
percorse  i  verzieri,  e  i  boschetti  a  cavallo,  e"  sempre  piùincantato 
della  sua  bellezza,  volle  visitarne  gì'  interni  quartieri.  La  loro  grazia 
e  nobiltà  rispondeva  al  rimanente  dell'edifizio.  Richiesto  l'armeno 
quanto  gli  costasse,  rispose  4,000  piastre.  Il  Principe  tacque,  e  ri- 
messosi a  cavallo  continuò  il  viaggio.  Camminando,  manifestò  al  Vi- 
sir il  desiderio  di  acquistarla,  e  il  sospetto  che  costasse  al  proprie- 
tario molto  di  pili  di  quanto  avea  dichiarato,  e  Qual  motivo  ha 
potuto  farlo,  mentire?  »  aggiunse  il  Sultano.  •  il  timore  »,  rispose 
Kiuperli,  «  che  conosciute  le  sue  ricchezze,  non  gli  venisse  imposta 
una  tassa  maggiore  di  quella  che  paga.  »  •  Ebbene,  •  disse  il  Prin- 
cipe, •  vorrei  comprare  questa  casa,  ma  molto  più  del  suo  valore, 
dovendo  io  dare  V  esempio  della  giustizia.  Domani  fate  venire  que- 
st'  uomo  innanzi  a  me.  »  Allorché  egli  giunse,  il  Sultano  lo  richiese 
se  consentiva  a  vendere  la  casa  pel  prezzo  dichiarato,  e  dietro  la 
di  lui  risposta  affermativa,  gli  fu  enumerato  il  denaro.  L'armeno 
lo  ricevea  tremando  a  verga,  desolato  dalla  perdita  a  cui  soggiacea> 
perché  la  casa  gli  costava  molto  di  più.  Allora  il  Sultano  gli  disse, 
sempre  consigliato  dal  savio  Kiuperli  :  «  Tu  hai  mentito  sul  valore 
della  tua  proprietà,  io  potrei  profittare  della  tua  menzogna,  ma  il 
Corano  me  lo  vieta;  devo  seguirne  i  precelti  come  ogni  altro  ero- 

(1)  Grassi,  i.  1,  p.  79. 

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Ì\H  NUOVE  EFF£MERU)I  SICILIANE 

dente  essendo  io  il  primo  giudice  dell'  impero.  •  Ciò  dello  gli  fece 
quintuplicare  la  moneta. 

Un  ricco  proprietario  di  Gallipoli  avendo  avuto  vivo  desiderio  di 
comprare  una  casa  vicina  alla  sua,  ne  fece  proposta  al  proprietario 
che  vi  si  negò  costantemente.  Speculò  quindi  di  forzare  il  suo  vi* 
cino  alla  rendita,  con  testimonii  i  quali  deponessero  cbe  quel  ne- 
gozio era  stato  conchiuso ,  e  data  e  ricevuta  la  caparra.  Cosi  per- 
venne a  procurarsi  tre  falsi  testimonii ,  e  con  essi  si  presentò  al 
giudice  i  che  era  di  lui  amico ,  richiedendogli  di  obbligare  il  pro- 
prietario a  stipulare  il  contratto  di  vendila.  Il  giudice  interrogò  quei 
cittadino,  di  cui  conosceva  appieno  la  probità,  e  costui  negò  di  aver 
consentito  alla  vendita  della  sua  casa,  e  di  averne  ricevuto  il  caparro 
e  k)  giurò  sul  Corano.  11  giudice  allora  concepì  de'  sospetti  ^  fece 
chiamare  il  litigante,  a  cui  manifestò  le  sue  difficoltà,  e  costui  come 
amico  del  giudice,  gli  confidò  il  vero,  gli  aggiunse  i  testimonii  es- 
sere falsi,  che  non  volea  frodarlo  sul  prezzo  della  casa,  ma  unica- 
mente obbligarlo  a  vendergliela,  e  diede  al  Cadi  una  borsa  di  500 
piastre,  perchè  gli  desse  la  sentenza  a  favore.  Costui  finse  di  con- 
sentirvi, fece  chiamare  il  proprietario  della  casa,  interrogò  V  acqui- 
sitore e  i  testimonii,  che  gnirarono  il  falso.  E  rivoltosi  al  proprie- 
tario gli  chiese  se  avesse  de^  lestimoni  in  suo  favore,  ed  essendo- 
gli stato  risposto  di  non  averne  nessuno:  «  Ebbene,  allor  disse,  ec- 
cone  cinquecento ,  che  depongpno  per  voi.  >  Cosi  detto  mostrò  il 
sacco  contenente  le  500  piastre  portategli  per  corromperlo.  Di  colpo 
fece  arrestare  il  litigante  e  i  testimonii,  ne  die  notizia  a  Kiuperli^ 
il  quale  d^ accordò  col  Divano,  ordinò  la  morte  del  corruttore,  dei 
testimonii  e  la  confisca  de'  loro  beni  a  favore  del  proprietario;  e  per 
essere  utile  quest' esempio  tei  ribile  e  memorando,  la  lesta  de'  col- 
pevoli fu  esposta  alla  porta  della  casa  che  avevano  voluto  rapirgli 
con  tanta  ingiustizia  (i). 

Questo  Gran  Visir  movendo  per  la  Servia  alla  testa  dell'  esercito, 
traversò  un  villaggio  abitato  da  cristiani  greci.  Costoro  non  aveano 
nò  sacerdoti,  né  chiesa,  perchè  l'Ulema  vietava  esservi  chiese  nei 
paesi  ove  non  ve  ne  fossero  preesistite  quando  erano  stati  conqui- 
stati. Non  ostante  quest'uso,  non  scritto,  ma  religiosamente  seguito, 
Kiuperli  ordinò  di  erigervìsi  una  chiesa,  e  che  vi  si  chiamasse  un 
prete  greco  per  servirla.  Alle  critiche  de'  devoti,  egli  rispose,  gli 
uomini  abbisognare  di  una  religione  per  non  divenire  malfattori , 

(I)  Grassi  t.    I-  p.  304,  .305,  306,  307.  —  Crasso  p.  3Ò2. 

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STELLA  E  KIUPERU  193 

e  Ghiera  meglio  essere  abitato  V  impero  da  greci,  che  coltivassero 
le  terre  e  pagassero  le  imposte ,  anziché  da  bestie  feroci.  Per 
riconoscenza  di  quest^  atto  di  tolleranza ,  impose  a  quei  coloni  il 
tributo  di  una  gallina  per  ogni  capo  di  famiglia,  quante  volte  egli 
ripassasse  di  là.  Al  momento  gliene  furono  portate  venti ,  quanti 
erano  i  capi  di  famiglia  del  villaggio.  Riloroando  Kiuperli  Tanno 
susseguente  a  Costantinopoli ,  traversò  IMstesso  luogo ,  e  ricevette 
900  galline  da'  capi  di  casa,  ch'eransi  affrettati  a  stabilirsi  in  quella 
contrada.  —  «  Ecco,  egli  disse  agli  ufficiali,  che  lo  circondavano,  gli 
effetti  della  tolleranza.  Ho  accresciuto  la  potenza  del  nostro  mo- 
narca, e  obbligato  costoro  a  benedire  il  nostro  governo,  che  odiano 
per  la  differenza  della  religione.  » 

Siccome  gli  Spalti  conducevano  all'  esercito  un  gran  numero  di 
cavalli  da  mano  riccamente  bardati,  costosi  equipaggi  e  tende  d'im- 
menso lusso,  Kiuperli  vietò  loro  queste  spese  inutili  ed  eccessive, 
che  servivano  di  esca  a'  nemici  per  disfarli  ed  impossessarsene,  e 
li  rese  più  potenti  e  liberi  nelle  azioni  guerresche  (i). 

É  da  notarsi  ugualmente  un  fatto ,  che  altamente  onora  questo 
gran  Visir.  I  turchi  hanno  molti  ordini  monastici,  e  monaci  che  di- 
cono Dervis,  e  disiingono  con  differenti  nomi.  Molti  fra  costoro  ma- 
cerano crudelmente  il  proprio  corpo  per  divozione ,  e  fk*a  di  essi 
sono  i  kadris.  Essi  vanno  d'està  e  d'inverno  co'  piedi  e  le  gambe 
nude  sino  al  ginocchio,  il  lor  vestito  è  grottesco,  come  quello  dei 
monaci  cristiani  ;  Kiuperli  abolì  il  loro  ordine  col  pretesto  di  non 
esser  vestiti  decentemente;  ma  in  vero  per  isbarazzare  lo  Stato 
di  quegli  oziosi  parassiti  ;  avrebbe  fatto  lo  stesso  di  tutti  gli  al- 
tri, se  fosse  vissuto  più  lungamente;  ma  i  suoi  sforzi  riuscirono  a 
nulla ,  dapoichè  dopo  la  sua  morte  l' ordine  de'  kadris  fu  ristabi- 
lito (2). 

Negli  ultimi  momenti  della  sua  vita,  un  imano  gli  presentò  il 
Corano  per  pregare ,  Kiuperli  posta  la  mano  sul  libro  ,  sclamò  : 
<  Profeta,  io  saprò  fra  breve  se  hai  detto  o  no  la  verità;  mi  sono 
astenuto  di  nuocere  al  prossimo,  e  invece  ho  fatto  tutto  il  bene 
che  mi  è  stato  possibile  ,  e  spero  in  Dio ,  fonte  di  giustizia  e  di 
misericordia.  » 

Achmet  Kiuperli  mori  a  47  anni  per  aver  bevuto  tropp'  acqua  di 
cannella,  di  cui  servivasi  invece,  di  vino,  secondo  gli  scrittori  fran- 


(1)  Grassi  ivi  p.  97. 
{%)  Iti  p.  887. 


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194  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

cesi  (1),  dopo  aver  regnalo  15  anni  con  pari  prudenza  e  fortuna, 
ma  sopra  tulio  con  somma  equità  (2). 

Il  di  costui  fratello  Maometto  nel  1089  sali  al  visirato,  e  ristabili 
la  potenza  delF  impero  ottomano  in  Ungheria.  Giunse  di  vittoria  in 
vittoria  sino  al  Belgrado ,  che  prese  d' assalto.  Estese  le  sue  armi 
a  Yalcowart,  e  attaccò  quindi  gli  austriaci  presso  Sabankermea,  e 
li  avrebbe  disfatto ,  se  non  lo  avesse  freddato  una  palla  di  can- 
none (3). 

Abdula  Kiuperli  fu  Caimacan  di  Costantinopoli  sotto  Maometto  IV. 
Questo  Sultano  s'era  fatto  odiare  nel  suo  (ungo  regno  pel  di  lui 
carattere  duro  e  crudele;  ma  i  consigli  e  il  merito  eminente  del 
suo  Caimacan,  mentre  da  un  lato  lo  temperavano,  dalP  altro  ne  man- 
tenevano il  prestigio.  Egli  ritardò  quanto  potè  la  di  costui  depo- 
sizione, che  avvenne  nel  1087.  Fu  cliiamato  al  ministero  da 
Muslafà  II  nel  1703  ,  e  mori  benedetto  e  onorato  da  tutto  il  po- 
polo (4). 

Numan  Kiuperli  elevato  a  gran  Visir  da  Achmet  III  ^  annunziò 
sin  da'  primi  atti  della  sua  amministrazione  cif  egli  avrebbe  seguito 
le  tracce  de'  quattro  gran  Visir  Kiuperli ,  da  cui  discendeva  ;  ma 
ebbe  la  disgrazia  di  essere  chiamalo  a  governare  sotto  un  principe, 
che  negligeva  i  suoi  doveri,  la  sua  gloria  e  V  interesse  dell'  impero. 
La  rigida  probità  di  questo  Visir ,  disse  Voltaire ,  fu  la  sola  causa 
della  sua  caduta.  Difatti  sotto  il  regno  d' Aclimet  molti  abusi  si  erano 
introdotti  ;  il  di  lui  predecessore  non  pagava  i  giannizzeri  dal  te- 
soro nazionale,  ma  dal  denaro  ottenuto  con  estorsioni  arbitrarie.  Kiu- 
perli, appena  entrato  al  ministero,  li  pagò  dal  tesoro,  com' era  de- 
bito; ma  Achmet,  che  amava  ad  accumular  metallo,  ne  lo  rimpro- 
verò, dicendogli  che  il  Visir  preferiva  l'utile  de' sudditi  a  quello 
dell'  imperatore;  e  gli  aggiunse:  t  U  tuo  predecessore  Chorluli  sapea 
ben  trovare  altri  mezzi  per  pagare  le  mie  truppe,  t  II  gran  Visir 
rispose:  t  Se  egli  avea  l'arte  di  arricchire  l'Altezza  tua  con  le  sue 
rapine,  è  questa  un'  arte  che  io  mi  glorio  d' ignorare  (5).  l^opo  due 
mesi  di  ministero  egli  fu  destituito;  la  virtù  e  l'integrità  non  po- 
teano  convenire  a  un  cattivo  principe.  Ma  die  avvenne  all'uno  e 


(1)  Dictionnairc  des  hommes  illustres.  Paris  1789. 

(2)  Grassi  t.  2,  p.  2i5,  16,  17. 

(3)  Diclionnaire  1.  e. -Grassi  l.  1  pag.  421. 

(4)  Ivi  l.  2  p.  257. 

(5)  Storia  di  Carlo  XII,  lib.  V,  p,  i77.  Venezia  1810,  e  Grassi  t.  2  p.  244. 


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STELLA   B  KIUPERLl  195 

air  altro?  Il  ministro  passò  la  sua  vita  in  una  dolce  tranquillità  nel- 
Pisola  di  Negroponte  e  circondato  d^ amici,  e  il  Sultano  disprezzalo 
fu  deposto  e  fini  i  suoi  giorni  nel  fondo  di  un  carcere.  Egli  sa- 
rebbe rimasto  sul  trono  senza  dubbio  ,  se  avesse  avuto  de^  mi- 
nistri pari  a  Kiuperli:  Achmet  deponendolo ,  nominò  in  sua  vece 
a  Baltagi  Maometto  Pascià  di  Siria,  antico  taglia  legna  del  ser- 
raglio. 

Chiudo  quest'  articolo  con  le  parole  di  Lorenzo  Crasso ,  e  Alfio 
Grassi;  il  primo  dice:  e  Questa  famiglia  Kiuperli ,  eh'  esiste  ancora 
fra'  turchi ,  è  presso  de'  medesimi  veneranda  appunto  per  li  molti 
meriti  di  questi  suoi  antenati,  che  hanno  lasciato  memorie  illustri 
in  pace  ed  in  guerra.  E  tra  i  molti  privilegii  e  distinzioni  di  cui 
gode  in  queir  impero,  ha  ancor  questa,  cioè  che  dovendo  qualcuno 
di  essa  esser  punito  di  morte,  non  gli  si  può  troncare  la  testa,  ma 
a  guisa  della  famiglia  imperiale,  il  di  cui  sangue  è  proibito  di  span* 
dorsi,  deve  essere  strozzato  (1).  •  E  il  secondo:  «  I-o  ripelo,  è  que- 
sto r  unico  esempio  negli  annali  turchi ,  di  cinque  individui  (  e  a- 
vrebbe  potuto  dir  sei)  discendenti  della  stessa  famiglia,  elevati  alle 
prime  dignità  dell'  impero  Ci).  » 

LiONARDO  Vigo. 


(1)  L.  e. 

(2)  Ivi  t.  2.  p.  Mi. 


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CANTI  POPOLARI  SICILIANI 

E  SCANDINAVI  (1) 


Quando  nelle  lunghe  sere  d'inverno  si  sta  in  discorso  con  una 
donna  piena  d' ingegno  e  di  sentimento ,  ognuno  avrà  sentito  un 
soffio  d'un  mondo  ideale  che  solleva  l'anima  ed  alza  la  volontà 
verso  gli  atti  generosi;  ma  quando  nella  primavera  pur  si  svegliano 
le  selve,  allora  si  reca  il  desiderio  di  fuggire  fuori  nelle  campagne 
per  ischerzare  sui  cader  del  sole  colle  villanelle  e  per  immergersi  nel 
bagno  deir  intatta  natura.  Ogni  disputa  letteraria  si  dimentica  men- 
tre che  l'anima  si  rallegra  d'ascoltare  i  canti  che  dalle  vigne  e 
dalle  case  risonano  nella  tranquilla  aria.  Non  c'è  per  tutt'il  mondo 
capanna  cosi  infelice,  dove  il  canto  sarà  passato  con  testa  china;  do- 
vunque trova  un  suo  nido ,  ma  l' indole  dei  canti  varia  secondo 
quella  differente  natura,  nella  quale  consiste  la  diversità  dei  popoli. 

La  poesia  Italiana  nel  suo  stile  e  nella  sua  forma  resterà  sempre 
più  0  meno  classica.  L'  opposizione  profonda  fra  anima  e  materia 
della  poesia  nordica,  la  ferocia  e  l' inclinazione  al  misterioso ,  che 
significa  il  romanticismo,  sia  che  parli  in  Byron  od  in  Goethe,  non 
mai  s' unirà  coli'  indole  meridionale.  Ancora  è  lo  stesso  Sole  dell'an- 
tichità, che  splende  sulla  Grecia  e  sull'  Italia;  gli  stessi  monti  mi- 
ransi  nel  mare  Mediterraneo  ;  la  stessa  natura  crea  lo  stesso  po- 
polo, e  se  anche  il  panteismo  Greco  e  l'idea  antica  del  fato  è  cam- 
biata colla  coscienza  d'una  provvidenza  e  d'una  riconciliazione  etica, 
nulladimeno  l' indole  antica  parla  sempre  nel  modo  di  sentire 
e  d' immaginare  degl'  Italiani.  Dove  il  cielo  per  lo  più  è  continua- 
mente sereno,  dove  la  pioggia  e  la  neve  paiono  un'ingiuria  della  na- 
tura ,  che  viene  a  disturbare  la  felicità  come  un  ospite  spiacevole 
che  agghiaccia  una  festa  di  nozze,  l' uomo  intende  la  disgrazia  come 
una  ingiustizia  fattagli  dalla  fortuna,  e  perciò  non  vuole  rassegnarsi 
ma  lamenta,  grida  e  cerca  vendetta;  da  ciò  proviene  nei  suoi  canti 
quella  gioia  infinita  nella  felicità  e  queir  odio  e  quella  disperazione 
violenta  nell'avversità. 

(1^  Siamo  lieti  di  pubblicare  il  presente  articolo  che  riguarda  tanto  da  vicino  le 
cose  -nostre.  Autore  di  esso  è  il  Dottor  Martin  Schneckloth,  dotto  poeU  danese,  il 
quale,  venuto  Ja  Copenaghen  per  istudiare  la  lingua  e  la  letteratura  italiana,  dopo 
aver  visitate  varie  città  d*  Italia,  si  è  fermato  alcun  tempo  qui  in  Palermo. 


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GANTI  POPOLARI  S1CILÌANI,   £€.  197 

L' uomo  nordico ,  tradito  nell^  amore  ,  si  alloataoa  superbo  dalla 
fanciulla,  chiude  in  sé  la  doglia  e  diventa  malinconico  e  triste  come 
r  oscure  sue  selve  d' abeti.  Il  meridionale  in  contrario  impallidisce, 
delira,  si  vendica  e  poi  ride  ed  ama  un'altra  volta. 

Non  è  senza  interesse  osservare,  che  Freia,  la  dea  d' amore  nella 
mitologia  Scandinava,  fu  tradita  da  suo  marito.  Quella  poi  sul  suo 
carro  camminava  di  paese  in  paese  fra  popoli  incogniti  per  trovarlo, 
piangendo  lacrime  di  oro,  ma  non  lo  trovò  mai. 

Là  io  trovo  il  simbolo  delP  amore ,  quello  che  non  cerca  ven- 
detta, che  languisce  e  resta  sempre  fedele  al  suo  primo  sentimento, 
succhiando  come  da  un  fiore  Tunica  rimembranza  della  sua  vita.  Ho 
veduto  nella  Danimarca  una  villanella  sedotta  di  rara  bellezza,  che 
diventò  mezzo  matta  dal  piangere,  e  che  mai  non  parlava,  altro  che 
per  domandare  dello  spesso  a  sua  madre:  dimmi,  dimmi,  mamma  mia, 
quando  torna  la  mia  luce?  Tutto  aveva  perduto,  ma  la  speranza  non 
poteva  lasciare  mai.  É  lo  stesso  tipo  che  la  Margherita  in  Faust. 
Nella  preghiera  di  Margherita,  dopo  che  ella  ha  portato  i  fiori  alla 
Madonna,  poesìa  d'una  semplicità  inestimabile,  si  manifesta  la  stessa 
mesta  rassegnazione,  che  non  porta  neanche  un  pensiero  di  maTodio 
al  seduttore,  e  che  é  ricca  di  poesia  e  di  dolore  latente,  ma  tanto 
diversa  dall'indole  meridionale. 

Due  canzoni  basteranno  per  significare  la  differenza. 

La  villana  Danese  canta: 

Ed  io  Sabato  a  sera 
Solettamente  assisa,  io  T aspettai. 
Il  cor  diceami:  Spera; 
Verrà,  ch'ei  tei  promise.  E  sospirai. 
Ma  non  venisti  a  met 

Coir  alba  di  Domenica 
Sorsi,  ed  i  miei  capelli  ravviai: 
Corsi  in  chiesa  sollecita 
E  al  camposanto;  e  allor  per  te  pregai. 
Ma  non  venisti  a  me! 

E  non  venisti  in  chiesa 
Neppur  quel  giorno.  E  in  chiesa  non  entrasti, 
Perchè  altra  donna  hai  resa 
Dell'amor  tuo  (elice,  e  me  (scordasti. 
Ahi,  non  venisti  a  me  I 


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198  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

E  raccoglier  le  rose 
Volevo  ove  non  cresce  alcun  rosajo: 
E  le  luci  amorose 
Lassa  !  cercai  dove  P  amor  non  è. 
Ahi,  non  venisli  a  me!  (I) 

In  confronto  a  questo  canto  metterò  un^  ottava  della  raccolta  di 
Pitrè: 

'Nna  li  profunni  prufunnati  grutti 
La  stissa  terra  chianciri  vurria; 
Chianci  lu  mari  cu  li  pisci  tutti, 
Li  stiddi  cu  lu  celu  'n  cumpagnia; 
Chianci  lu  Reni  cu  tutta  la  Curti; 
Chianci  lu  Turcu  e  tutta  la  Turchìa; 
Ed  ora  amici  mei,  chianciti  tutti, 
Cà  la  me  bedda  abbannunau  a  mia  (2). 

Vedi  la  disperazione  e  vedi  la  rassegnazione.  Il  Siciliano  ha  bi- 
sogno di  chiamare  lutto  Puniverso  per  isdegnare  Pamante  perOda, 
per  compiangere  la  sua  sfortuna;  la  Danese  si  racchiude  sola  colla 
dolorosa  rimembranza,  s'innamora  del  suo  dolore,  della  poesia  delle 
lagrime,  diventando  fra  mezzo  agli  uomini  una  monica  muta ,  la 
quale,  come  la  moglie  del  re  Olaf  Tryggavason  dopo  il  combatti* 
mento  di  Svolder,  mangiando  soltanto  un  pomo  al  giorno ,  cerca 
in  cielo  quella  speranza,  che  fu  schiacciata  in  terra. 

E  giunta  la  rassegnazione,  che  mai  può  entrare  nel  cuore  Sicilia- 
no? Può  dimenticare^  può  scordare,  ma  non  mai  rassegnarsi.  La  pas- 
sione ,  la  sente  nel  momento  più  forte  che  ognun  altro ,  la  sente 
sin  al  morire^  ma  la  burrasca  passa  ed  il  mare  resta  limpido  e  fre- 
sco come  prima. 

La  giovane  Siciliana,  abbandonata  dalP amante  suo,  non  piange 
sin  che  i  capelli  diventano  bianchi  e  gli  occhi  si  chiudono.  Il  sole 
Siciliano  ride  e  la  sua  fanciulla  non  può  piangere  sempre;  il  cielo 
nordico  piange,  e  la  sua  figlia  non  sa  ridere. 

Cosi  nel  pianto  come  nel  riso  il  canto  popolare  trova  la  sua  poe- 
sia, cammina  avanti  come  un  dio,  ora  ridente,  ora  triste,  secondo 
il  paese  che  passa.  Intanto  non  sarà  bisogno  ricordare,  che  Pidea, 

(4)  L'Autore  ebbe  questa  elegante  e  fedele  versione  poetica  dalla  gentilezza  del 
prof.  Carmelo  Pardi,  cui  la  diede  in  prosa. 

(2)  Canti  popolari  sieiliani  raccolii  ed  illuslraii,  voi.  I,  pag.  342.  Palermo,  Pe- 
done-Lauriel  1870. 


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GANTI  POPOLARI  SICILIANI,   EC.  199 

che  conforma  il  comune  umano,  resta  sempre  superiore  alle  diffe- 
renze. 

Certamente  non  è  Io  stesso  fiore,  quello,  che  fiorisce  sulla  lava 
dell'Etna  o  l'altro  che  cresce  sotto  l'aurora  boreale;  ma  qualunque  an- 
dasse in  Scandinavia  per  trovare  in  ogni  giovane  una  Freia  pian- 
gente ed  una  Margherita  lamentosa  commetterebbe  lo  slesso  er- 
rore come  certi  settentrionali,  arrivati  in  Italia,  che  si  sentono  il- 
lusi di  non  trovare  in  ogni  ragazza  una  baccante,  che  canta  e  balla 
sui  monti  con  uno  strumento  alla  mano. 

Ciò  che  è  comune  per  ogni  forma  di  canti  popolari  è  quel  rap- 
presentar l'uomo^  reale  come  esiste  in  carne  ed  ossa,  quel  limitarsi 
alla  realtà,  riguardando  ogni  fatto  come  speciale,  mentre  che  la  poe- 
sia dell'arte  raccoglie  i  fatti  speciali  in  categorie,  introduce  l'idea 
e  rappresenta  l'uomo  nella  lotta  fra  la  coscienza  eterna  e  le  pas- 
sioni temporali;  non  cerca  l' uomo  nella  realtà  se  non  che  per  per- 
fezionare il  carattere  nella  sua  corrispondente  idea,  cioè,  per  tro- 
varne il  lipo.  ^ 

Nella  poesia  popolare  degli  Scandinavi  si  distinguono  tre  epoche, 
principiando  dal  tempo  mitologico,  che  fuori  delle  molte  saghe  e- 
roiche  ci  ha  lascialo  le  due  Eddo,  monumenti  stupendi  d'una  fan- 
tasia, che  nello  stesso  tempo  può  essere  anzi  selvaggia  e  rozza,  co- 
me può  essere  sublime  e  graziosa,  d'un  pensiero,  che  abbraccia 
l'intimo  segreto  dell'animo,  d'un  popolo,  che  brancolando  fra  le 
urne  dei  morti,  ha  trovato  T  ampia  e  chiara  idea  dell'  immortalità 
e  del  giudizio  eterno,  della  resurrezione  della  carne  e  dopo  la  ca- 
duta del  iJtondo  d'un  solo  Dio,  chiamato  il  padre  di  tutto. 

L'Edda  antica  fu  raccolta  nel  1090,  l'Edda  posteriore  un  secolo  e 
mezzo  dopo. 

Nel  secolo  mille  trecento  il  Saxo  Gramalicus  nella  sua  storia  di 
Danimarca  raccolse  molti  canti  del  popolo;  intanto  traducendoli  in 
latino  ne  ha  tolto  l'odore. 

La  meglio  parte  dei  canti  del  medio-evo  dobbiamo  alle  signo- 
rine nobili,  che  si  divertirono  di  raccogliere  canti  e  ballate  in  grande 
numero  sulla  vita  cavalleresca,  sui  duelli,  i  fatti  d'amore  e  le  con- 
troversie fra  le  famiglie  nobili.  Questa  è  la  fonte,  donde  il  re  dei 
poeti  Scandinavi  Adam  Oehlenschlaeger  ha  cavalo  il  motivo  della 
sua  tragedia  <  Ael  et  Yalborg  ,  •  poesia,  che  lotta  in  bellezza  collo 
stesso  Romeo  di  Shakspeare.  Il  cavaliere  Ael  torna  da  Roma,  dove 
ha  cercato  la  dispensa  per  poler  sposare  la  sua  cugina  Yalborg  ; 
ma  mentre  che  egli  è  stato  assente  il  giovane  re  s'  è  innamorato 
della  sua  fidanzata ,  e  nel  momento ,  quando  il  vescovo  sta  all'  al- 


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200  NUOTE  EFFRMBRIDI  SICILIANE 

tare  per  unire  i  dae  amanti,  nn  monaco,  portando  il  libro  de'  bat- 
tesimi, fa  sapere  che  Ael  e  Yalborg  sono  comari.  Le  nozze  si 
lasciano,  Ael  si  prepara  per  un  altro  viaggio ,  ma  intanto  entrano 
I  nemici  nel  paese,  ed  Ael  colta  spada  in  mano  muore  per  difen- 
dere quel  re,  a  cui  aveva  giurato  la  fede,  ma  che  voleva  togliergli 
la  sposa.  Yalborg ,  trovato  il  suo  Ael  esalando  la  vita  muore  di 
dolore  nelle  sue  braccia.  Questo  come  esempio  instar  omnium;  ve 
ne  sono  cento  e  cento  altri. 

L^  ultima  epoca  è  quella  dei  canti  moderni,  trattando  per  lo  più 
r  amore,  fatti  ridicoli  dei  piccoli  paesi,  e  dopo  il  1848  canti  patrio- 
liei  e  canti  scherzevoli,  che  alludono  alla  vita  politica. 

Gli  esseri  mistici  dei  Greci  e  Latini,  i  satiri  ed  i  founi,  le  ninfe 
e  le  drìadi  non  esistono  più  nella  superstizione  del  popolo  Italiano. 

Animali  orribili  compariscono  già  nelle  favole,  ma  nei  canti  non 
ne  ho  trovato  V  orme.  Certo  che  i  Siciliani  sono  superstiziosi  in  ri- 
guardo alla  mala  fattura,  alla  magia ,  alPamore  imprestato  ec.,  ma 
r  imaginazione  ha  già  abbandonato  la  veste  antica  e  ha  preso  una 
forma  astratta,  mentre  che  la  fantasia  Scandinava  vive  ancora  nella 
concrezione.  Certi  esseri  delP  aiiticliilà  sono  rimasti  nel  medio  evo 
sin  ai  di  nostri,  manifestando  cosi  il  carattere  popolare. 

Chi  non  ha  inleso  dire  delle  Alfe  (le  Elverpiger)  degli  Scandinavi? 

Le  colline,  dove  abitano,  alla  sera  si  levano  sulle  colonne  di  fuoco, 
e  le  ragazze  escono  fuori  con  la  piena  luna  per  danzare  sui  laghi 
e  sui  fonti,  leggiere  e  graziose  come  le  cerve,  vestite  con  veli  di 
nebbia  o  cantando  con  una  voce  sottile  come  d' una  argentea  cam- 
panella. Cercano  dì  adescare  i  bei  giovani  nella  loro  danza,  dando  loro 
a  bere  d' un  aureo  boccale,  che  fo  obbliare  loro  tutt'il  mondo  per 
seguire  follemente  i  leggieri  loro  passi.  Quando  canta  il  gallo  alla 
mattina  si  chiudono  dentro  le  colline,  ed  il  giovane  si  trova  morto 
sullo  stesso  colle,  con  una  saetta  nel  cuore. 

La  prima  origine  di  questa  fantasia  sarà  stato  il  movimento  delle 
nebbie  alla  sera  sui  laghi  salvatici;  ma  il  popolo  ne  ha  trovato  bene 
il  simbolo  del  vago  amore  giovanile,  di  quel  primo  tempo  di  sogni 
erotici  della  gioventù,  e  la  saetta  è  la  vendetta  orribile  sopra  quella, 
che  non  sa  fuggire  per  tempo. 

•  Noekken ,  •  che  suona  nei  torrenti  e  che  sa  anche  insegnare 
il  suono  agli  uomini,  cliìedendone  in  tributo  la  loro  anima  immor- 
tale, t  Havfruen,  »  T  avvenente  vergine  del  mare,  che  mesta  colla 
sua  arpa  canta  alla  notte  nei  giunchi  ed  alletta  i  giovani  amorosi 
a  gittarsi  nelle  onde  per  acquistare  P  anima  loro  e  diventare  im- 
mortali come  gli  uomini,  sono  tut^i  immagine  d*  un'indole,  che  in- 


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CANTI  POPOLARI  SiaUAM,   EC.  201 

dividaalitza  la  natura  e  ne  cerca  un  simbolo  nei  fondi  più  mistici 
ed  ideali  dell' anima  nostra.  I  celebri  poeti  Heiberg  ed  Andersen 
nei  drammi  e  nelle  favole  hanno  rappresentato  il  senso  poetico  di 
quel  mondo,  e  nella  poesia  di  Oeblenschlaeger  risuona  come  d'una 
musica  lontana  Teco  del  canto  alfiano. 

Nessun  popolo,  se  non  il  Greco,  ha  avuto  una  mitologia  cosi  ricca 
di  fantasia  e  di  forma  plastica,  nessun  popolo  ha  avuto  una  abbon- 
danza di  ballate  e  di  poesia  epica ,  e  nessun  popolo  ha  riserbato 
con  tanto  amore  e  con  tanta  stima  le  tradizioni  dei  padri  come 
gli  Scandinavi,  particolarmente  V  isola  Island,  che  è  una  fonte  ine- 
sauribile di  canti  e  racconti  popolari.  Ma  se  qualcuno  va  cer- 
cando r  intimo  sentimento  delle  passioni  umane.  Tedio  e  Tamore 
nella  lor  forma  più  pura  e  più  lirica,  vada  in  Sicilia  e  vedrà  come 
esca  dal  cuore  de'  villani  e  dei  pescatori  pari  a  una  pioggia  di  fuoco 
dal  cratere  delPElna.  Ecco  il  paese  deir  amore,  dove  anche  le  nude 
ossa  nella  sepoltura  chiamano  il  nome  delP  amante,  ecco  il  paese 
della  vendetta,  a  cui  nessun  sangue  è  t  sacrosanto,  •  il  paese  dove 
la  lingua  non  può  creare  vocabolo  assai  sdegnoso  per  esprimere 
Podio  e  doye  la  gelosia  si  stende  «  macari  alla  mosca.  >  L' amore 
che  vuol  essere  unico  ed  esclusivo  per  soddisfisure  alla  sua  idea,  è 
sospettoso  senza  fine,  e  di  più  in  un  popolo,  dove  facilmente  si  reca 
la  fantasia  e  crea  ogni  forma  di  sospetto.  Leggiamo  nella  raccolta  di 
Vigo  quell'ottava  graziosa,  dove  ramante,  ingelosendosi  delPacqua 
vuol  far  aprire  la  sua  vena  per  dar  a  lavarsi  alla  sua  innamorata. 
Sono  pensieri  tutti  meridionali;  da  Island  abbiamo  un  fatto,  che 
il  padre,  abbandonato  col  suo  figlio  nel  deserto,  taglia  le  vene  del 
suo  petto,  e  nutrisce  il  fanciullo  col  suo  sangue.  Ma,  quale  differenza 
di  soggetto! 

Non  parlerò  dei  proverbi,  delle  sfide,  e  delle  ninne-nanne,  che 
mai  ho  trovato  graziose  come  in  Sicilia. 

Non  era  intenzione  mia  di  far  un  opuscolo  dotto ,  ma  soltanto 
di  abbozzare  qualche  impressione;  felice  come  sono  di  aver  veduto 
questi  monti  e  questo  mare ,  dove  volava  la  fantasia  di  Omero , 
dove  sonavano  le  campane  del  Vespro ,  anzi  felice  di  aver  inteso 
quei  canti  dolci  ed  armoniosi  d'  un  popolo ,  che  una  volta  cono- 
sciuto, non  si  può  altro  che  amare.  Sono  i  Geni  della  gioia  ,  che 
danzano  avanti  la  chitarra  meridionale:  è  l'angiolo  delle  lacrime 
che  s'appoggia  all'arpa  nordica.  Ma  è  lo  stesso  spirito  immortale, 
che  mai  si  spegne  nei  canti  del  popolo. 

Pakrmo,  li  i9  giugno  1870. 

Martin  Sghneekloth 


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LE  ODI  DI  S.  SOFRONIO 

SCOVERTE  DA  PIETRO  MATRANGA  (ì)     ^ 


Pietro  Matranga,  dotto  ellenista  e  versato  in  paleografia,  scoverse 
sono  parecchi  anni,  nella  biblioteca  Vaticana  e  tradusse  in  prosala 
tina ,  air  infuori  della  prima  che  fu  tradotta  dal  cardinale  Sirleto , 
le  Odi  di  S.  Sofronio ,  che  pubblicò  corredate  di  note  e  osserva- 
zioni (2).  Felice  scoverta  veramente,  che  fa  onore  al  Matranga,  co- 
nosciuto per  altre  sue  produzioni  letterarie ,  e  soprattutto  per  la 
dotta  sua  opera  su  gli  scavi  in  via  Graziosa. 

Patriarca  di  Gerusalemme  visse  il  Sofronio  e  fiorì  nel  settimo  se- 
colo. Fu  scrittore  elegante,  sobrio,  e  pieno  di  venustà;  poiché  il  suo 
poetare  è  scorrevole ,  facile ,  disinvolto ,  e  sovente  fervido ,  come 
suol  essere  quello  de'  poeti ,  che  segnatamente  s^  ispirano  alle  dot- 
trine evangeliche,  e  pura  è  la  lingua,  di  che  ei  fa  uso. 

Leone  AUazio  ne  discorse  con  molta  lode,  stimando  elegantissimi 
i  sm)i  versi,  piissimi,  e  pieni  di  dolce  melodia. 

Ed  in  vero  sono  essi  di  tale  o  tanta  bontà,  che  le  lodi  di  sì  il- 
lustre letterato,  che  a  taluno  potrebbero  sembrare  esagerate,  sono 
beù  meritate  a  non  dir  scarse,  molto  più  se  si  riflette  che  il  So- 
fronio scrisse  in  tempi ,  che  le  lettere  scadute  in  basso  andavano 
ogni  di  più  dalla  classica  loro  dignità  sensibilmente  degenerando. 

É  noto  infatti  come  in  quella  stagione  anziché  dir  cose  gli  scrit- 
tori chiacchieravano;  sicché  a'  pensieri  maschi  e  robusti,  ed  alla  e- 
Jeganza  del  dettato  succedeva  una  certa  vacua  verbosità,  e  poco  si 
badava  al  ritmo ,  che  costituisce  T  ordine  del  movimento ,  cotanto 
necessario  anche  nella  prosa. 

Ben  a  ragione  dunque  é  stato  il  Sofronio  ammirato;  e  qualunque 
lode  gli  va  data,  non  é  mai  troppa,  mentre  nel  deperimento,  in  cui 
si  trovavano  le  lettere,  seppe  egli  dar  fuori  nobili  ed  eleganti  com- 
ponimenti ;  e  ciò  che  più  importa  con  maravigliosa  semplicità  dir 
cose  alle  ed  arcane  difficili  a  dire,  come  nota  il  Fozio,  che  tra  gli 
altri  pregi  ne  ammirò  la  profonda  dottrina  ne'  misteri  di  nostra 
religione  (3). 

(1)  Osservazioni  critiche  a  proposito  della   versione  della  prima  Ode  pubblicata 
da  Papas  Vincenzo  Schirò,  Messina,  Capra,  1870. 
(8)  Spicilegium  Romanum  voi.  IV.  Romae  1840  lypis  Collegi  Urbani. 
(3;  Fozio  in  myriob.  cod.  231. 


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LE  ODI  DI  S.  SOFRONIO,  EG.  203 

Il  metro,  di  cui  fece  uso  il  Sofronio,  è  il  metro  anacreontico  in 
giambi  di  metri  a  calaletti  impuri ,  che  si  scandono  per  dissodia , 
ma  vi  sono  interpolatamente,  se  ne  togli  TOde  XVill,  frammischiati 
versi  di  altro  metro  secondo  il  vezzo  del  tempo  di  rompere  i  versi 
coi  cosi  delti  xouxouXX^ok;.  0  (xvaxXu)|Aévoi<;,  Che  sono  versi  di  sei  pie- 
di, il  primo,  il  terzo  e  quinto  composti  di  un  pirricchio ,  e  di  un 
spondeo  gli  altri  tre. 

Il  valente  scopritore  delle  Odi  quantunque  riconosca  essere  questi 
versi,  che  ei  chiamò  anapestici,  dagli  anacreontici  affatto  dissimili, 
pure  li  loda  tra  perchè  interrompono  il  prolungalo  concento  dal 
metro,  e  perchè  servono  ad  esprimere  qualche  pensiero  all'argo- 
mento consentaneo,  o  ad  emettere  qualche  epifonema.  Però  il  dotto 
autore  della  sua  biografia  su  la  considerazione  poc'anzi  fatta  circa 
all'uso  in  quel  secolo  di  rompere  i  versi  con  altri  di  melro  diverso, 
non  tiene  accordo  con  lui  (i),  ed  io  ci  ho  i  miei  dubbi;  sebbene 
possa  dirsi ,  che  la  varietà,  massime  in  un  lungo  componimento , 
riuscir  pos§a  opportuna,  ed  essere  cagione  di  bellezza. 

Ma  sia  di  ciò  quel  che  si  voglia  ,  certa  cosa  ella  è ,  che  se  non 
ne  accrescono,  non  scemano  i  pr^gi  delle  Odi,  le  quali  veramente 
meriterebbero  di  essere  recale  dalla  greca  air  italiana  favella,  onde 
potessero  girare  per  le  mani  di  lutti,  ed  essere  comunemente  as- 
saporate ed  intese. 

Per  quanto  io  mi  sappia  non  ha  finora  chi  abbia  a  ciò  dato  o- 
pera,  essendomi  soltanto  nota  la  traduzione  in  versi  anacreontici 
di  una  sola  Ode,  che  è  la  XVIII  stUla  Santa  Croce,  inserita  dal  Ca- 
marda  nel  Giornale  Scilla  e  Cariddi  di  Messina,  e  dallo  stesso  ri- 
prodotta in  fine  della  biografìa  del  Matranga  citata  di  sopra  ;  onde 
che  degno  di  elogio  è  il  valoroso  grecista,  e  mio  amico  Papas  Vin- 
cenzo Schirò  (2),  il  quale  pare  intenda  a  supplire  un  tal  volo.  Come 
ne  da  a  credere  il  saggio  di  traduzione  italiana  in  versi  sciolti  testé 
pubblicalo  della  prima  Ode  sopra  P  annunziazione  di  Mc^ia, 

Non  sarà  discaro  cir  io  con  quella  brevità ,  che  si  possa  mag- 
giore, dica  quel  che  sento  del  merita"  di  questa   traduzione,  della 

(1)  Nicolò  Camabda  Biografia  di  Pietro  Mairanga,  pag.  IO. 

(2)  Abbiamo  di  lui  parecchie  poesie  greche.  Tra  le  altre  ve  ne  ha  due  composte 
in  versi  esametri  e  pentametri,  1' una  ^r  ^V  Illustri  Aeeadtmici  peloritani  morti  nel 
Colera  del  1867  e  l'altra  per  l'eccidio  del  venerando  monistei'odi  Creta  a  noìneAr- 
codio.  Furono  entrambe  pubblicate  con  la  versione  del  eh  Riccardo  Milchell  m  versi 
Ialini  la  prima,  e  in  toscani  la  seconda  ,  ed  io  ne  feci  plauso  in  una  epistola  cri- 
tica allo  stesso  autore,  che  trovasi  inserita  ni^l  Diogene  di  Palermo/Novembre  1868 
anno  XI. 


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Ì04  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGif  JANE 

quale  recherò  ifi  mezzo  qualche  esempio,  che  lascio  a'  grecisti  di 
confrontare  col  testo,  e  decidere  se  vada  o  no  fallito  nell'avviso. 

In  tre  modi,  scrìve  un  illustre  letterato,  si  può  traslatare  di  lìn- 
gua in  lingua;  o  trasportando  air  ingrosso  i  soli  pensieri,  e  questo 
è  un  cattivo  tradurre:  o  trasfondendo  perfettamente  T indole  e  il 
sapore  deir  originale,  e  questo  è  tradurre  difficile  bensì ,  ma  otti- 
mo: 0  stando  alla  lettera  volgarizzare  schiette  le  parole  e  le  frasi, 
e  questo  è  tradurre  utile  soltanto  per  coloro,  che  studiano  le  lingue. 

Non  è  uopo  dire  come  il  primo  modo  di  tradurre  sia  da  evitare 
maggiormente  nella  versione  di  poeti  scrittori,  giacché  un'idea,  una 
verità  filosofica  qualunque  modo  si  esprima  in  prosa  rimane  sem- 
pre la  stessa,  laddove  ne'  poeti  bisogna  conservare  quella  partico- 
lariti ,  e  accidentalità  che  sono  proprie  della  poesia ,  e  il  bello  ne 
costituiscono.  Tali  sono  a  cagion  di  esempio  gli  epiteti,  che  operano 
come  il  colorito  nella  pittura,  e  trattandosi  di  antichi  scrittori  danno 
sovente  qualche  traccia,  o  barlume  da  penetrare  in  alcuni  dkrisa- 
menti  di  vecchie  età,  che  si  confondono  e  perdono  nella  notte  de' 
secoli. 

D'altra  parte  se  si  volesse  nel. caso  nostro  con  rigida  fedeltà  te- 
ner dietro  all'originale  non  si  giungerebbe  a  renderne  un  nitido 
e  perfettamente  somigliante  ritratto  ;  che  anzi  ne  andrebbero  in 
massima  parte  perdute  la  eleganza  e  la  venustà.  La  qual  cosa  viene 
chiaramente  confermata  dallo  stesso  Sofronio,  il  quale  malgrado 
che  avesse  nelle  prime  otto  odi,  secondo  che  giustamente  osserva 
il  Hatranga,  accomodato  alla  sua  lira  certe  nude  storiche  notizie 
degli  evangeli;  nondimeno  è  cosi  ammirabile  la  disposizione  delle 
parole,  la  soavità  della  locuzione,  e  una  certa  tal  quale  ingenuità 
d'immagini,  che  lette  nel  testo  sempre  ti  piacciono  e  ti  gustano, 
mentre  travasate  parola  a  parola  diventano  fredde,  e  perdono  quella 
ingenua  vaghezza,  che  vi  risplende  e  direi  quasi  vi  si  sente,  come 
ce  ne  abbiamo  una  non  dubbia  prova  nel  saggio  in  latino  del  Cardinal 
Sirleto,  che  delle  Odi  del  Sofronio  fu  un  tempo  possessore  (1). 

Lo  Schirò  si  studia  di  scansare  gli  eccessi  de'  sopracitati  due  gravi 
difetti,  perchè  non  segue,  dirò  cosi,  giudaicamente  il  testo ,  né  di 
molto  se  ne  allontana,  ma  tiene  la  via  di  mezzo  che  è  tra  la  licenza 
troppa,  e  la  troppa  servitù. 

Se  non  che  invece  dell'anacreontico  ha  egli  adoperato  il  verso 
sciolto  per  non  essere  forse  legato  e  servo  della  rima,  che  suole 

(1;  Spicilog.  Rom.  voi.  IV  pag.  XXV,  e  seg. 


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LE  ODI  DI  S.  SOFRONIO,   BC.  205 

accrescere  le  difficoltà  nel  tradurre,  e  per  il  movimento  dramma- 
tico dell'  Ode,  per  cui  ne  sarebbe  venuto  fuori  una  specie  d' inno 
alla  forma  Manzoniana ,  e  in  certo  modo  dirò  anche  triviale  #er 
l'espressioni  disse,  rispose,  soggiunse,  che  ripetutamente  vi  s'incon- 
trano. 

Comunque  si  sia  il  verso  è  di  buon  conio  ed  armonioso  senza 
essere  monotono,  perchè  qua  e  là  spezzato,  e  scelta  e  poetica  n'è 
la  lingua,  eccettone  qualche  rarissima  espressione,  che  mi  è  sem- 
brata più  propria  della  prosa,  che  della  poesia. 

É  stato  lodato  il  principio  deir  Ode  prima  Sofroniana  per  la  soa- 
vità de'  versi  non  solo,  ma  per  un  certo  impelo  poetico,  con  cui 
l'autore  invoca  che  gli  sia  concessa  lingua  simile  a  fìioco  ardente. 
Or  la  traduzione,  salva  la  diversità  del  metro,  ne  fa  una  bella  co- 
pia che  rende  somiglianza. 

Dal  Paraclèto  Spirilo  di  Dio 
Sugli  Apostoli  sceso  a'  preghi  nostri 
Ne  concedi,  o  Maria,  lingua  simile 
A  foco  ardente:  perchè  a  dir  del  tuo 
Parto  stupendo,  o  diva  madre,  agli  occhi 
De*  mortali  da  Dio  fatto  palese. 
Grave  difficil'opra  eli' è  dèi  tutto 
All'umana  favella. 

E  pia  sotto  : 

Re  della  terra  pose  Adam,  lui  primo 
Agli  umani  fé'  padre,  a  lui  V  impero 
D'ogni  opera  terrena  Iddio  concesse. 
Vita  santa  ei  vivea;  ma  n'  ebbe  invidia 
Il  demon  triste,  e  contro  Adam  vibrato 
Un  brando  insidioso,  lo  trafisse 
L' abbominevoi  drago.  Una  profonda 
Atra  nube  a'  precordi  allor  si  strinse 
Della  prole  dell'uomo,  e  con  funesto 
Alimento  nutrilla,  onde  ricadde 
Con  eccidio  feral  precipitando 
In  sul  terreno  resnpina,  e  giacque* 

Questo  pezzo  nel  lutto  gareggia  con  l'originale,  e  ne  conserva 
l'indole  e  il  sapore.  Che  se  vi  si  fa  uso  di  alcuni  epiteti ,  e  qual- 
che voce  che  noci  sono  nel  testo,  ciò  non  deroga  al  merito  della 
versione,  perchè  sono  essi  bene  appropriati,  e  danno  anzi  maggior 


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206  NUOVE  EFPBIIBIUDI  8IGUJANE 

forza  ed  efficacia  al  pensiero  che  l'autore  ha  inteso  esprimere,  co- 
mechè  non  sia  da  negare  che  gli  epiteti  in  genere  limitino  il  con- 
cello, e  non  lascino  il  piacere  a  chi  legge  di  aggiungerli  da  sé  in 
quel  modo  che  meglio  gli  piaccia  o  sembri,  e  gli  suggerisca  la  pro- 
pria fantasia. 

E  tu,  gran  donna, 

Yergin  fregiata  di  tutta  saviezza 

Colui,  che  non  capir  gli  eccelsi  ed  ampi 

Spazi  del  cielo,  entro  la  pura  chiostra 

Del  tuo  ventre  chiudesti  il  Verbo  in  carne 

Di  un  limite  segnando 

è  stringata  versione,  perchè  stretta  quanto  il  testo,  ma  che  ne  rì< 
tonda  ed  esprime  bellamente  il  pensiero  o  meglio  la  sentenza  che 
vi  si  contiene,  la  quale  ha  del  grandioso  e  del  sublime. 

Ed  ora  non  mi  resta  che  esortare  lo  Schirò  a  continuare  con  o- 
gnor  più  diligente  accuratezza  e  degno  stile  la  sua  versione,  certo 
di  far  cosa  utile  per  coloro  principalmente  che  ignari  del  greco 
non  possono  leggere  nel  testo,  e  gustare  un  antico  scrittore  per 
tanti  titoli  pregevole,  di  tante  bellezze  adorno,  e  meritamente  ap- 
prezz^o. 

Francesco  Crispi 


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IPPOLITO 

DRAMMA  D'EURIPIDE 

(Continoaz.  vedi  voi.  II»  disp.  II) 


Ippolito 
Subitamente  che  il  tuo  grido  intesi, 
0  padre,  accorsi.  Perchè  gemi?  Udirne 
L' ignorata  cagion  da  te  desio. 
Ha  che?  Spenta  (oh!  stupor)  la  tua  consorte 
Veggio,  e  pur  dianzi  io  la  lasciava,  e  molto 
Non  ha,  ch^  ella  gioiva  i  rai  del  Sole. 
Che  mai  le  avvenne?  Come  è  spenta?  Udirlo 
Da  te,  padre,  vorrei.  Taci?  Nei  mali 
Il  silenzio  non  giova.  Il  cor^  che  tutto 
Saper  agogna,  avido  è  pur  de^  casi 
Avversi.  E  indegno  è  che  tu  celi,  o  padre, 
Agli  amici  (che  dico?)  ai  più  che  amici 
Le  tue  sciagure. 

Teseo 
Q  scellerati  e  stolli, 
A  che  mille  arti  d'kisegnar  v'aggrada, 
E  di  scrutar  e  macchinar  su  tutto. 
Quando  poi  non  sapeste,  e  non  cercaste 
Una  cosa  fin  qui;  come  nel  senno 
Ammaestrar  chi  dMntelletto  è  privo! 

IppOLrro 
Gran  sofo  hai  detto  chi  forzar  potesse 
Gli  stolti  ad  aver  senno  ?  Un  tal  sottile 
Ragionar  qui  mal  torna;  e  temo»  o  padre. 
Sopraffatto  dai  mali  il  tuo  linguaggio. 

Tesso 
Era  ben  d'uopo,  che  fra  noi  chi  fido 
Si  profferisce  un  manifesto  segno 
Riportasse  del  core,  e  discevrato 
Cosi  fosse  dal  vero  il  falso  amico; 
E  che  due  lingue  Puomo  avesse;  Tuna 
Sol  faconda  pel  dritto,  e  Taltra  in  altro 


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208  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Modo;  onde  fosse  dalla  proba  Tempia 
Ripresa....  Illusi  non  saremmo  allora  I 

Ippouto 
Forse  all^  orecchio  ti  si  fee  taluno 
Tuo  prediletto  a  calunniarmi,  e  colli 
Da  sinistro  siam  noi,  benché  innocenti  ? 
Stupefatto  son  io  !  La  tua  favella, 
Che  da  tutta  ragione  omai  trasmoda, 
Terror  mi  fa. 

Teseo 
Ha  la  malizia  umana 
Fin  dove  giunge  ?  Qual  fia  meta  a  tanto 
D'impudenza  e  d'ardire?  E  se  la  schiatta 
Peggior  de'  padri  suoi  crescesse  ognora 
Dall'una  all'altra  età,  d'uopo  saria 
Che  alla  Terra  apponesse  un'altra  Terra 
Qualche  Nume  del  ciel,  perchè  la  turba 
Degli  iniqui  albergar  quivi  potesse  ! 
Rimirate  costui,  che  di  me  nato 
[  miei  letti  macchiò,  costui  di  tutti 
Scellerati  il  maggior  omai  convinto 
Dalla  spenta  mia  donna  !  Orsù;  ti  mostra, 
Poiché  venuto  a  tanta  infamia  sei. 
Mostra  or  qui  la  tua  fronte  innanzi  al  padre  ! 
Tu  con  gli  Dei,  qual  personaggio  eccelso, 
Conversi?  Casto,  e  d'ogni  labe  immune 
Tu?  Ne'  tuoi  vanti  non  porrò  mai  fede; 
Che  fora  un  incolpar  d' insipienza 
E  di  follia  gli  Eterni.  Or  va;  t' esalta, 
D' usar  cibi  frugali,  e  per  tuo  sire 
Orfeo  togliendo,  e  coltivando  il  fumo 
Delle  molte  dottrine,  all'  orgie  irrompi  ! 
Ma  convinto  già  fosti  t  A  tutti  io  dico 
Di  fuggir  tal  genia!  Le  insìdie  tendono 
Co'  gravi  detti,  e  traman  l'onte.  É  morta 
Costei;  ma  il  suo  morir  credi  tuo  scampo? 
T' inganni,  o  scellerato.  E  sovra  Lei 
Quai  giuri  prevarranno,  o  quai  parole, 
Da  fuggir  quest'accusa?  E  dirai  forse 
Che  ti  odiava  costei,  che  abbominata 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D'  BURIPIDE  209 

L'illegittima  prole  è  ognor  dagli  altri 
BeDQati  figli?  Na  cosi  diresti 
Ch'ella  da  stolta  mercantò  la  vita, 
Se  per  odio  con  te  far  gitto  volle 
Di  quanto  al  mondo  è  più  soave.  0  forse 
Dirai,  che  mentre  dal  mascbil  pensiero 
La  mollezza  è  lontana,  innata  vive 
Nelle  donne  ?  Ha  giovani  conosco 
Nulla  più  fermi  delle  donne,  quando 
Cipri  lor  turba  il  giovenil  pensiero; 
Ma  si  fan  prò  del  sesso  loro!— Teco 
A  disputar  perchè  ne  vegno,  intanto 
Che  di  tue  colpe  tesfimon  sicura 
É-qui  presente  questa  spoglia  inane? 
Va;  fuggi  tosto  da  Trezene  in  bando! 
Né  moverai  vèr  la  divina  Alene, 
0  dovunque  si  stenda  il  poter  mio. 
Che,  se  dopo  tali  onte  io  fia  piegato 
Da  te,  parrommi  di  iattanze  vote 
Girne  superbo,  e  negheran,  che  domo 
Fu  da  me  P  isimio  Sinnì,  ed  i  marini 
Scironii  scogli  non  faran  più  fede. 
Ch'io  terribile  ognor  sono  ai  ribaldi! 

Coro 
Poiché  tutto  quaggiù  si  muta  e  passa, 
Non  so  chi  debba  più  nomar  felice! 

IppoLrro 
Padre,  tremenda  è  Tira  tua,  tremenda 
É  del  tuo  cor  la  tempra  I  Abile  intanto 
Questa  accusa  si  mostra  ai  bei  parlari, 
Più  che  non  chieda  T  onestà;  nò  destro 
Arringator  di  popoli  son  io! 
Meno  inesperto  a  ragionar  mi  sento 
Co'  miei  compagni;  perchè  l'uom  dai  saggi 
Negletto,  è  più  gradito  e  armonioso 
Orator  fra  le  turbe.  E  pur  la  fiera 
Necessità  di  questo  orrìbìl  caso. 
Mio  malgrado,  mi  sforza  a  scior  la  lingua. 
E  da  pria  ti  dirò,  che  m'assalisti, 
Come  se  perder  mi  volessi,  come 


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210  NUOVE  EFFeMEBIDI  SICILIANE 

Un  reo  mi  fossi,  che  non  ha  discolpa. 
Vedi  tu  questa  luce  e  questa  terra  ? 
.  Qui  non  nacque  mortai  di  me  più  casto. 
Benché  tu  il  nieghi.  A  venerar  da  pria 
1  Numi  appresi,  e  in  amistà  mi  strinsi 
Con  chi  provossi  di  fuggir  dall'opre 
Ingiuste,  e  nel  cui  sen  vive  il  pudore 
Di  non  propor  le  colpe,  o  di  dar  mano 
A  chi  si  piace  di  sozzure  e  d'onte. 
Né  schernitor  di  chi  conviva  meco, 
0  padre,  io  fui;  ma  co'  presenti  amici 
E  coi  lontani  ognor  mi  porsi  uguale; 
Ed  immune  son  io  pur  di  quell'  opra. 
Onde  pensasti  avermi  colto  in  fallo. 
Puro  da  nozze  è  il  corpo  mio  finora; 
Né  so  l'opre  di  Venere,  se  togli 
Quanto  ne  intesi,  o  rimirai  tra  pinte 
Imagini,  e  bramoso  io  di  tal  vista 
Non  sono,  perchè  vergine  ho  la  mente. 
Ma  se  nel  mio  pudor  non  hai  tu  fede, 
Mostrar  dèi  tu,  come  corrotto  io  fui  ! 
Forse  perch'olla  di  bellezza  tutte 
Avanzava  le  dome?  0  ch'io  sperai, 
L' ereditario  talamo  occupando, 
Dominar  tutta  la  famiglia  ?  E  tanto 
Vanitoso  mi  credi  e  forsennato  ? 
0  perchè  dolce  è  pur  ai  sobri  il  regno? 
No  mai;  se  pur  la  monarchia  nel  fango 
Non  volga  il  cor  di  chi  si  piace  hi  essa  t 
Io  ben  vorrei  nelle  palestre  elleno 
Vincer  primiero;  e  dei  secondi  onori 
Nella  città  vivrei  contento  sempre 
Con  gU  ottimi  compagni.  In  questa  guisa 
Felicità  si  merca  ed  il  rimosso 
Periglio  è  largo  di  maggior  dolcezza. 
Che  non  l' impero.  —  Una  difesa  io  tacqui 
Soltanto;  ogni  altra  è  a  te  palese.  Ov'  io 
Un  testimone  a  me  simil  m'avessi, 
0  disputassi  con  costei  pur  viva, 
Dall'  opre  lor  conosceresti  gli  empi. 


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IPPOLITO»  DRAMMA  D'EURIPIDE  21  i 

Ed  or  ti  giuro  per  la  Terra  e  Giove, 
Ch'io  non  ho  tòcco  la  tua  sposa  mai» 
E  che  di  questo  né  pensier,  né  brama 
Presi  giammai.  E  sa  un  ribaldo  io  sono, 
Vilipeso  ed  infame  io  morir  possa, 
E  di  me  spento  il  pelago  e  la  terra 
Non  accolga  le  carni  t  —  Or  se  costei 
Vita  si  tolse  da  spavento  còlta, 
Non  so;  che  parlar  <dtre  a  me  si  vietai 
Pura  serbarsi  ella  non  seppe,  e  intanto 
Ha  sembianza  d^onesta;  e  noi,  che  pari 
Vivemmo  sempre,  il  crudo  fato-  opprime  1 

Coro 
Assai  dicesti  in  tua  difesa,  il  giuro 
(Prova  non  lieve)  profferendo  ai  Numi. 

Teseo 
Ha  non  è  questi  un  ciurmador,  un  mago, 
Che  s' argomenta  con  quei  blandi  modi 
Vincermi  il  core....  egli,  che  me  suo  padre 
D'ignominia  colmò? 

Ippolito 

Stupor  mi  prende, 
0  padre  mio,  di  te.  Se  tu  mi  fossi 
Figlio,  sbandito  non  T  avrei,  ma  spento, 
Se  toccar  la  mia  sposa  osato  avessi  t 

Teseo 
Ben  foveUasli;  ma  perir  non  devi 
Con  quella  norma,  che  a  te  stesso  imponi; 
Che  pronta  morte  agli  infelici  aggradai 
Ma  dalla  patria  errando  in  perorine 
Piagge  trarrai  ben  dolorosa  vita. 
É  questo  il  merto  riserbato  agli  empi! 

Ippolito 
Che  fai!  Né  il  tempo  indicator  del  Vero 
Attender  vuoi;  che  si  mi  scacci  in  bando  ? 

Teseo 
Oltre  r  Atlante,  se  potessi,  e  il  Ponto, 
Ti  bandirei,  tanto  io  ti  abborro! 

ippoLrro 

E  il  giuro, 
E  la  fede  e  gli  oracoli  de'  Vati, 


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212  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Non  offendi  cosi,  col  discacciarmi 
Non  giudicato  dalla  patria  terra? 

Teseo 
Chiaro  t'accusa  quello  scritto,  ed  uopo 
Non  ha  di  sorti;  ed  agli  augei  sul  nostro 
Capo  migranti  un  gran  saluto  io  rendo! 

Ippouto 
0  Numi»  e  perchè  mai  non  sciolgo  il  labbro. 
Se  da  voi,  che  pur  tanto  onoro  e  colo, 
lo  son  perduto  ?  Ma  no  mai;  che  invano 
Convincer  tenterei  chi  d'uopo  fora, 
E  indamo  infrangerei  la  fé  giurata  ! 

Teseo 
Ahi  !  che  mi  uccide  questa  tua  pietade 
Ipocrita  !  Né  tosto  andrai  tu  lunge 
Da  questa  patria  ? 

Ippolito 
0  me  perduto  !  E  dove 
Mi  volgerò  ?  Qual  peregrino  ostello 
Me,  fuoruscito  per  tal  colpa,  accolga  ? 

Teseo 
Ti  raccorrà  chi  delP  altrui  consorti 
Ospitar  si  diletta  i  corruttori, 
E  alle  colpe  domestiche  i  compagni  ! 

ippoLrro 
Ah  !  ciò  m'  accora,  e  son  già  presso  al  pianto, 
Perchè  un  empio  ti  sembro,  e  tal  mi  credi! 

Teseo 
Pianger  allora,  e  provveder  dovevi 
Ai  casi  tuoi,  pria  di  oltraggiar  la  donna 
Del  padre  tuo. 

Ippouto 
Deb!  chi  vi  toglie,  o  case, 
D'alzar  le  voci,  ed  attestar,  se  un  tristo 
Mi  sia! 

Teseo 
Ma  dunque  a  testimoni  or  fuggi» 
Che  non  han  vóce?  E  apertamente  iniquo 
Non  ti  mostra  l'estinta  anco  tacendo? 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D'BURIPIDE  213 

Ippolito 
Oh!  sMo  mirarmi  di  me  stesso  a  fronte 
Potessi,  e  deplorar  le  mie  sciagure  ! 

Tesbo 
Esercitato  ad  onorar  te  stesso 
Sei  pia,  che  a  riverire  i  padri  tuoi. 

Ippolito 
0  sciagurata  madre!  0  rei  natali! 
Deb  !  eh'  io  non  vegga  tra  gli  amici  alcuno 
Di  spurio  nascimento  ! 

Tbsko 

E  voi  beni  tosto 
Non  lo  scacciate,  o  servi?  E  non  udite, 
Gom'io  vMmposi,  che  sia  tratto  in  bando! 

Ippolfto 
Verserà  pianto  chi  di  loro  ardisca 
Toccarmi.  Da  te  stesso  or  tu,  se  il  core 
Ti  basta  pur,  discacciami  ! 

Teseo 

Ben  farlo 
Saprò,  se  non  ti  pieghi  ai  detti  miei, 
Percb^  io  nulla  pietade  bo  del  tuo  bando  ! 

Ippouto 
Tutto  parmi  già  fermo.  Ahimè  perduto! 
E  tutto  io  veggio,  e  favellar  m' è  tolto  ! 
0  figlia  di  Latona,  o  la  più  cara 
Delle  Dive  per  me,  compagna  mia 
E  di  caccia  e  d'albergo,  omai  T illustre 
Atene  fuggirò  !  Salve,  o  citlade, 

0  terra  d' Erettòo  i  Trezenio  campo, 
Salve  tu  pur,  che  si  felici  e  molte 
Cose  contieni  da  passarvi  lieti 

1  più  begli  anni!  Per  restrema  volta 
Io  ti  rimiro  e  ti  favello  !  0  miei 

D' età  compagni,  o  giovani  di  questa 
Terra,  venite  a  salutarmi,  e  scòrta 
Hi  siale  nel  fuggir  da  queste  rive; 
Che  di  me  non  vedrete  un  uom  più  casto 
Giammai,  benché  noi  creda  il  padre  mio. 


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214  NIM^TB  C^niOaiDI  SIGIUANK  * 

Coro 
—  Quando  mi  toma  air  anima 
Santo  de'  Nomi  affetto. 
Fugge  da  questo  petto 
L'affanno  ed  il  dolor. 
Ma,  se  la  mia  speranza 
Alla  ragion  sommetto, 
Ogni  gentil  fidanza 
Tosto  vacilla  e  mnor. 
Tante  vegg"  io  fra  gli  uomini 
Venture  ed  opre  stolte; 
Da  tanti  error'  travolte 
Veggo  le  nostre  età  I 

ChMo  m'abbia  (e  sien  dal  Fato 
Queste  mie  preci  accolte) 
Fortuna  in  ricco  stato, 
Serena  ilarità, 
Nome  non  vii,  né  splendido, 
E  fàcil  cor,  che  sempre 
Del  mondo  si  contempre 
*     Al  rapido  alternar. 
Felicità  godrei 

Cosi  d'eterne  tempre; 
Né  si  turbata  andrei, 
C!ontro  ogni  mio  sperar, 
Visto  d'Atene  ellenica 

L'astro  più  chiaro  e  degno, 
Dal  rio  paterno  sdegno 
Spinto  all'altrui  confini 
0  selva  aspra  montana. 
Ove  ti  die  conveguo 
I^  virginal  Diana,  - 
0  lido  cittadin. 
Ivi  co'  veltri  correre 
La  fera  fuggitiva 
Godevi,  e  la  tua  Diva 
Predar  godea  con  tei 

Ma  porre  ai  gioghi  usati 
L'enete  mute  in  riva 
Di  Limna  omai  da'  Fati 
Concesso  più  non  t'è. 


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IPPOLITO,  DRAmU  D'UDMNW  2iS 

Non  pia  Ina  Musa  vigile 
Al  giogo  della  lira 
Nell'alta  si  raggira 
Patema  toa  magìon  t 
Sacrato  al  bel  riposo 

Di  Cintia,  invan  desira 
Il  verde  basco  ombroso 
Di  ttte  corolle  il  dea. 
Gessata  è  fira  le  vergini 
Del  tuo  sponsal  la  gara 
Con  questa  fuga  amara, 
Che  ognora  io  piangerò  I 

Tuo  grembo  invan  s' aprio. 
Madre  dolente  e  cara; 
Non  hai  più  figlio,  ond'  io 
I  Numi  imprecherò. 
E  voi^  pronube  Grazie, 
Perchè  sbandir  cosi 
Da'  lari,  dalla  patria 

Un  uom  che  non  falli  ? 

continua)  G.  De  Spughes. 


€RITI€4  LETTEMRU 


Memorie  ttoriche  intorno  cU  Governo  della  Sicilia  dal  1815  sino 
al  cominciamento  della  Dittatura  del  Generate  Garibaldi  scrìtte  da 
Francesco  Bracq.  Palermo,  Luigi  Pedone-Lauriel  editore,  1870. 

Una  sentenza  del  Balbo  va  innanzi  a  questo  libro,  la  quale  suona 
cosi  :  «  La  verità,  finché  è  taciuta,  non  è  verità ,  e  non  può  farsi 
strada.  La  verità  su  noi  bisogna  :  io  non  volerla  negare  se  è  dura; 
2o  studiarla  per  conoscerla;  3o  conosciuta,  dirla  molto,  anzi  sempre 
tutta  e  sola.  •  In  questa  sentenza  ognuno  troverà  lo  scopo  e  glln- 
tendimenti  del  Bracci,  a  cui  se  grazia  di  stile  fa  difetto  alcuna  volta, 
abbonda  eflBcacia  di  parola  ed  evidenza  di  fatti. 

Queste  Memorie  storiche,  rimaste  inedite  per  la  morte  prematura 
del  Bracci ,  avrebbero  subito  forse  la  sorte  di  tante  altre  della  no- 


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216  NUOVE  EFFEMERIDI  SKUUANB 

stra  Comunale  se  il  cav.  Salvatore  Tigo  con  queir  amor  patrio  che 
è  da  lui  non  ne  avesse  in  vari  modi  afifrettata  la  pubblicazione.  Il 
sig.  Luigi  Pedone-Lauriel  se  n^  è  fallo  editore,  e  già  un  ms.  ignoto 
fino  a  ieri  corre  oggi  oltralpe  a  dar  contezza  di  noi  e  delle  cose 
nostre. 

in  dieci  capi  TA.  racconta  la  nostra  storia  dal  1815  al  1860,  qua- 
rantacinque anni  di  dolori,  di  sventure,  di  efSmere  gioie,  di  onte 
invendicale,  di  soprusi,  di  vergogne  d^ogni  genere;  e  frammezzo  a 
tante  notìzie  nuove  e  mal  note  il  lettore  è  quasi  condotto  a  vedere 
come  r  assoluto  potere  de'  sovrani  avesse  conculcate  le  antiche 
franchigie  della  Sicilia,  dando  luogo  alla  lotta  gigantesca,  che  i  Si- 
ciliani ebbero  a  sostenere  dal  1815  al  1860  sotto  quattro  re,  per 
rivendicare  i  loro  imprescrittibili  diritti  dMndipendenza  e  di  libertà. 
Onde,  per  questo  riguardo,  le  Memorie  del  Bracci  son  da  tenere 
nel  pregio  che  non  si  nega  mai  alle  opere  fatte  per  sentimento  di 
bene  e  per  difesa  e  giustificazione  del  proprio  paese.  Che  se  il  let- 
tore s^  avviene  qua  e  colà  in  qualche  giudizio  poco  favorevole  ai 
Napolitani,  chi  non  vede  anche  in  questo  una  ragione  di  più  per 
condannare  chi  tra  Napolitani  e  Siciliani  alzava  una  barriera,  ab- 
bassandola soltanto  perchè  tra  gli  uni  e  gli  altri  vi  fosse  un  pal- 
leggio d' ingiurie,  o  i  due  pesi  e  le  duo  misure  onde  i  popoli  di 
qua  e  di  là  del  Faro  erano  governati?  Del  resto  affratellati  in 
una  sola  famiglia,  gare  e  rancori  son  cessati;  e  neppure  in  queste 
pagine  ne  sarebbe  rimasto  seniore,  se  il  Bracci  avesse  avuto  agio 
di  ritornare  sul  suo  manoscritto  e  distinguere  la  buona  gente  na- 
politana  da  quella  «  burocratica,  »  che  teneva  campo  nelle  aule  mi- 
nisteriali. 

A  giusliflcazione  e  conferma  delle  cose  narrate  Teditore  ha  fatto 
seguire  queste  Memorie  da  undici  documenti  di  molta  importanza. 
Nella  lettura  del  libro  non  può  prescindersi  dalla  lettura  loro,  so- 
praltutto  deir  Atto  politico  del  Re  Carlo  III  di  Spagna  del  6  otto- 
bre 1769,  delia  Protesta  dtf  Baironidi  Sicilia  neWanno  1811  e  del- 
l'opuscolo  del  P.  Ventura  sulla  Questione  sicula  nel  1848  sciolta  nel 
vero  interesse  deità  Sicilia,  di  Napoli^  deU'Italia.  E  su  questi  richia- 
miamo rattenzione  di  quanti  ci  hanno  fraintesi  e  mal  giudicato. 

G.  Purè 


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•    GRinGA  LETTERAMA  217 

CtostaiiBa  VÌA66  Ignoransa ,  ossia  la  conquista  M  sapere  mal- 
grado gli  ostacoU,  di  G.  L  Crak;  traduzione  libera  di  Pietro  Ro- 
TOfiDi.  Firenze,  Barbèra,  1870. 

Fra  i  libri  più  raccomandabili  ascili  testé  alla  luce,  havvi  certa- 
mente questo,  che  un  valoroso  nostro  letterato  volle  fare  italiano. 
Non  a  caso  diciamo  fare  italiano,  che  questa  non  è  una  traduzione 
delle  solite  ma  un  completo  rifacimento  per  adattare  il  libro  ai  no- 
stri bisogni. 

Il  suo  titolo  ancora  più  che  un  proverbio  è  un  grave  ammoni- 
mento. Se  c^  è  paese,  che  abbia  bisogno  di  ricordarsene,  è  il  nostro. 
Yipcere  la  ignoranza  operando,  volgere  la  costanza  ad  un  alto  se- 
gno, ecco  un  debito  per  noi,  che  quotidianamente  si  svela  e  ci  con- 
vìnce della  sua  bellezza  e  necessità. 

La  lotta  cogli  ostacoli  ò  la  prova  dei  caratteri;  e  sollecitarci  a  que- 
sta prova  è  grande  beneflzio,  sollecitarcene  colPesempio  dei  migliori 
è  finissimo  accorgimento,  Noi  ^i  poniamo  volentieri  in  quelle  vie, 
in  cui  scorgiamo  orme  riverite ,  e  troviamo  couforto  di  memorie 
indimenticabili. 

La  trama  del  libro  invoglia  deir  ordito,  in  cui  una  mano  maestra 
e  nostra,  andò  trapungendo  italici  nomi,  sicché  meglio  ci  si  imponga 
r  invito  degli  avi.  Fra  questi  nomi  illustrati  dalla  penna  dell'egre- 
gio Rotondi  ci  piace  ricordare  quei  dell'  Oriani,  dd  Parìni,  dell'  Al- 
fieri, del  Tartaglia,  del  Parini,  del  Rossini,  del  Giusti,  del  Machia- 
velli, ecc.,  che  V  autore  inglese  aveva  obliali,  e  che  non  potevano 
traspirarsi,  senza  grave  ingiustizia,  in  un  libro  come  questo;  ripara- 
zione e  regalo,  ad  un  tempo,  che  il  Rotondi  ci  fa. 

Il  primo  capitolo  del  libro  è  opportunamente  alla  dassificaziohe 
degli  ostacoli,  che  uno  deve  superare  per  uscire  dalla  mediocrità  e 
acquistare  un  posto  segnalato  nella  scienza,  nell'arte  e  nella  vita. 
Conoscere  gli  ostacoli,  guardarli  da  vicino,  abiluarvisi,  trionfarne, 
ecco  il  merito  ed  ecco  insieme  l'epica  materia  di  queste  pagine. 

Nei  successivi  capitoli  tutte  le  cause  che  avversano  o  ritardano  i 
moti  geniali  e  possenti  dello  spirito  ci  passano  sotto  gli  occhi ,  e 
depongono  davanti  al  fermo  giudizio  della  mente  e  pel  conforto  de- 
gli esempli  ogni  loro  terribilità  o  fatalità. 

L'oscura  origine,  che  avviluppa  gli  ingegni  e  le  forze;  la  prima 
gioventù,  che  spesso,  nell'allegra  fretta  dei  piaceri,  disordina  o  manda 
a  male  i  migliori  propositi,  le  gravi  e  assorbenti  cure  della  vita;  le 
armi  stesse,  nemiche  dei  pacifici  studi;  l' estrema  povertà,  che  im- 


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2i8  NUOVK  EPPfiMRRIM  SlCtLIimE    . 

miserisoe  la  mente;  i  difetti  fisici,  che  creano  un  ostacolo  quasi  in- 
superabile; ia  tarda  età  in  cui  i  molli  si  lasciano  vincere  dalla  svo- 
gliatezza, il  difetto  di  libri,  scuole,  maestri  che  costringe  a  far  da 
sé,  raddoppiamento  di  fatica  e  di  merito;  nessuna  condizione  o  di- 
q[>osizìone  di  cose,  che  affronti,  paralizzi  e  stanchi  la  volontà,  è  di- 
menticata dair  autore;  ma  la  volontà  esce  vittoriosa  da  ogni  prova 
e  scrìve  trionfalmente  in  questo  volume  t  propri  decreti  e  le  pro- 
prie glorie.  A  capo  dei  travagli  s'additano  poi  i  premi,  e  sublime 
fra  questi  il  diletto  dd  sapere. 

Ove  si  dispiega  meglio  llnsistente  energia  della  mente  è  nel  campo 
deHe  scienze  positive  e  delle  industrie.  Per  cui  l'autore  va  consa- 
crando capitoli  speciali  ai  progressi  deìP  ottica ,  ai  perfezionamenti 
déUe  macchine  a  vapore^  alla  manifattura  del  cotone,  ecc. 

Né  poteva  mancare  un  capitolo  sui  viaggi,  alta  e  pericolosa  car- 
riera che  dischiuse  la  cognizione  della  terra  ed  in  cui  pure  gli  Ita- 
liani si  collocano  fra  i  primi;  de'  quali  sono  tolti  ad  esempio  il  Bol- 
zoni dal  Craik,  ed  il  meno  conosciuto  eppur  valorosissimo  Vidua 
dal  Rotondi. 

I  nostri  lettori  ci  sappiano  grado  di  aver  loro  rammentato  l'o- 
pera del  Craik.  Neil'  interesse  della  pubblica  educazione  si  deve  sa- 
lutare con  gioia,  da  tutti,  questo  volume,  che  il  Rotondi  ha  saputo 
presentarci  cosi  italiano  nello  &tile,  ne'  concetti,  n^li  affetti. 

Giovanni  De  Castro. 


Hieerche  intorno  al  &il»ro  di  Sindibftd  per  Domenico  Comfa- 
RETTI.  Milano,  Bernardoni,  1869. 

il  celebre  racconto  dei  Sette  Savi  ha  dato  origine  a  due  princi- 
pali gruppi  di  libri  popolari ,  l' uno  orientale ,  l' altro  occidentale. 
Entrambi  questi  gruppi  son  molto  differenti  tra  di  loro,  e  l' occi- 
dentale ha  tali  differenze  in  tutte  le  sue  versioni  che  l' istituire  un 
confronto  con  quello  rispetto  al  libro  primitivo,  sarebbe  un  tentar 
cosa  fuori  l'ordine  de'  fatti. 

Vero  è  che  la  provenienza  indiana  non  si  può  contrastare  ad  en- 
trambi i  gruppi,  ma  le  versioni  occidentali  son  da  riguardarsi  più 
che  altro  come  rampolli  secondari  dell'antico  libro  indiano ,  rap- 
presentanti una  fase  lontana  e  postuma;  però  è  che  quanti  si  son 
dati  a  pnbblicarìe  e  ad  illustrarle  non  hanno  neppure  sfiorato,  meno 
il  Benfey  in  lavori  speciali,  il  grave  assunto  della  storia   del  Sm- 


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CRITICA  LETTBRARU  2i9 

dibdd,  in  cai  i  testi  orientali  riconoscono  la  loro  parte  più  rile- 
vante. A  ciò  il  professore  Comparetti  ha  riTolto  testé  i  suoi  pro- 
fondi studi ,  per  vedere  quali  sieno  in  tutte  le  versioni  orientali 
oggi  conosciute  gli  elementi  originali  e  quali  quelli  dovuti  al  ca- 
priccio di  ciascun  autore  ;  mettere  insieme  il  contenuto  di  lutti  i 
testi  che  può  costituire  il  testo  comune  a  tutti;  ritrovare  quale  in 
questo  fosse  la  forma  del  racconto  principale,  quali  e  quanti  i  rac- 
conti in  esso  inseriti;  indagare  e  stabilire  a  qual  tempo  questo  an- 
tico testo  risalga.  E  siccome  la  più  antica  menzione  del  Sindibàd 
ricorre  in  libri  arabi  del  secolo  X;  il  Comparetti  crede  cosa  di  non 
poca  importanza  la  ricerca  di  una  versione  da  cui  le  altre  derivino, 
anteriore  a  quel  secolo  ;  e  designa  col  titolo  di  Libro  di  Sindibàd 
il  testo  immediatamente  originale  e  più  antico  dopo  il  prototipo 
indiano,  a  cui  non  si  estendono  le  sue  ricerche.  Le  versioni  che 
riconoscono  per  base  loro  questo  Libro  sono  :  Il  Syntipas ,  testo 
greco  tradotto  dal  sirìaco,  del  secolo  XI  ;  le  Parabole  di  Sandabar 
tradotte  dalP arabo  in  ebreo;  il  Sindibàdnàmeh,  poema  persiano  ine- 
dito s(»*itto  nel  1375;  la  Ottava  notte  del  Tùti-nàrnehéi  Nacbschebt, 
poeta  persiano  morto  nel  1329;  i  SeUe  Viziri ,  testo  arabo  che  fa 
parte  di  alcune  compilazioni  delle  Mille  e  una  notte;  il  LUnro  de  los 
engannos ,  et  assayamientos  de  las  mugeres ,  traduzione  spagnuola 
d'un  testo  perduto  fatta  nel  1252 *ed  ora  per  la  prima  volta  pub- 
blicata dal  Comparetti.  Con  queste  il  dotto  professore  viene  a  ricosti- 
tuire il  Libro  di  Sindibàd,  ricostituzione  cosi  paziente,  giudiziosa  e 
profonda  che  meglio  non  potrà  desiderarsi.  Imperciocché,  seguendo 
parola  a  parola  le  versioni  succennate,  il  Comparetti  ne  va  notando 
proposizione  per  proposizione  le  differenze. 

Ecco,  spoglio  di  ogni  raffronto,  il  risultato  delle  ricerche  del  no- 
stro autore: 

«  C'era  nell'India  un  re  di  nome  Kùrush,  era  potente,  savio,  giu- 
sto e  amato  dai  suoi  popoli;  essendo  già  inoltrato  in  età  non  aveva 
dalle  sue  mogli  avuto  figliuoli,  e  il  pensiero  di  non  lasciare  erede 
lo  rendeva  triste.  Una  notte  una  delle  sue  mogli  vedendolo  triste 
gli  chiese  il  perché,  ei  glielo  disse,  ed  essa  consigliò  la  preghiera. 
Così  fece,  ed  ebbe  un  figlio. 

«  Nato  il  figlio,  aduna  il  re  gli  astrologi  perché  ne  cavino  Toro- 
scopo;  trovano  che  il  principe  è  minacciato  da  una  disgrazia  a  venti 
anni.  A  sette  anni  il  principe  é  a£Bdato  ai  maestri;  a  13  anni  non 
aveva  imparato  nulla.  Il  re  aduna  i  savi  per  consiglio;  questi  tro- 
vano che  il  miglior  maestro  è  Sindibàd.  Studia  il  principe  altri  sei 


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220  NUOVE  EFFEMERIDI  SIQUANE 

• 

aoni  e  mezzo  sotto  Sindibàd^  ma  inutilmente;  a  i9  Vi  non  aveva 
imparato  nulla. 

«  Il  re  aduna  nuovamente  i  savi  per  consiglio.  Sindibàd  offre  d'in- 
segnare in  sei  mesi ,  pena  la  vita  e  le  sostanze  se  manchi  ;  solo 
chiede  al  re  che  prometta  di  «  non  fare  ad  altri  quel  eh'  ei  non  vor- 
rebbe fosse  fatto  a  lui.  »  Dopo  una  dìsputa  fra  Sindibàd  e  i  savi  che 
non  credono  alia  possibilità  della  sua  promessa,  T  offerta  è  accettata, 
e  posto  il  patto  in  iscritto ,  col  giorno  e  Torà  del  ritorno  del  principe. 
Sindibàd  prende  il  principe  seco^  fa  costruire  un  palazzo,  e  segna 
tutto  lo  scibile  sulle  pareti;  si  rinchiude  col  principe,  segregandolo 
da  tutti. 

e  Prima  che  spiri  il  termine  fissato,  il  principe  ha  appreso  tutto. 
Il  re  chiede  notizie;  Sindibàd  risponde  che  il  principe  è  pronto,  e 
che  domani  lo  ricondurrà.  Prima  di  ricondurlo,  Sindibàd  interroga 
le  stelle,  e  vede  che  il  principe  corre  rischio  di  morte  se  parlerà 
prima  di  sette  giorni.  Sindibàd  si  nasconde.  11  prìncipe  va  a  corte; 
gran  festa;  corte  plenaria;  il  principe  rimane  muto;- cercano  Sindi- 
bàd, e  non  lo  trovano.  Chi  attribuisce  il  silenzio  del  principe  allo 
effetto  di  una  bevanda  datagli  da  Sindibàd  perchè  presto  imparasse, 
chi  a  timidezza.  Una  delle  donne  del  re  dice  che  da  giovinetto  era 
solito  confidarsi  con'Iei;  propone  di  condurlo  nella  propria  stanza, 
e  d' indurlo  a  parlare.  La  donnd  non  riesce  a  far  parlare  il  princi- 
pe. Allora  gli  dice  che  il  padre  è  vecchio,  e  che  ormai  tocca  a  lui  a 
regnare.  Gli  propone  di  uccidere  il  padre  di  comune  accordo,  e  di 
sposarsi  poi.  A  quella  proposta  il  principe  va  in  collera,  dimentica 
il  proposilo  di  non  parlare,  e  le  dice  :  fra  sette  giorni  potrò  darli 
la  risposta  che  meriti.  La  donna,  vedendosi  compromessa,  vuol  pro- 
curare la  morte  del  principe  prima  che  passino  i  sette  giorni.  Si 
straccia  le  vesti  e  grida,  accusando  quel  preteso  muto  di  aver  vo- 
luto farle  violenza.  Il  re  condanna  il  figlio  a  morte.  Udendo  ciò,  i 
suoi  selle  viziri  si  radunano,  e  deliberano  dMntercedere. 

«  Un  vizir  sì  presenta  al  re,  e  con  due  racconti  fa  sospendere  la 
esecuzione  per  quel  giorno;  V  indomani  va  la  donna  dal  re,  e  con 
un  racconto  fa  confermare  la  condanna;*  ma  un  secondo  vizir  la  fa 
sospendere  nuovamente  con  due  racconti,  e  cosi  di  seguito  fino  al 
settimo  giorno,  nel  quale  la  donna,  vedendosi  ormai  vicina  ad  es- 
sere scoperta,  fa  costruire  un  rogo ,  e  ci  si  mette  sopra  per  farsi 
bruciare;  ma  il  re,  saputa  la  cosa,  la  fa  salvare,  e  ordina  che  il  fi- 
glio sia  ucciso;  nuovamente  però  il  settimo  savio  con  due  racconti 
fa  sospendere  V  esecuzione,  e  cosi  arriva  V  ottavo  giorno,  in  cui  il 


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GRITIGA  LETTERARIA  221 

prìncipe  parìa.  L^  ottavo  giorno  di  buon^  ora  il  prìncipe  manda  una 
donna  a  chiamare  il  primo  dei  viziri.  Gli  racconta  tutto,  ringrazia 
lui  e  i  compagni,  promette  ricompensa  ^  e  lo  prega  di  andare  dal 
padre  ad  annunziargli  ch'ei  parla.  Saputo  ciò,  il  re  manda  a  chia- 
mare il  principe.  11  re  siede  in  trono;  corte  plenaria  ;  si  presenta 
il  prìncipe,  fa  omaggio,  e  interrogato  dal  re,  racconta  la  minaccia 
delle  stelle  e  V  insidia  della  donna;  chiede  che  sian  fatti  venire  tutti 
i  savi;  con  questi  viene  anche  Sindibàd.  Chiede  il  re  a  Sindibàd  il 
perchè  della  sua  assenza;  questi  lo  spiega.  Intanto,  dice  il  re,  poteva 
darsi  che  io  facessi  uccidere  mio  tìglio,  e  se  P avessi  fatto,  di  chi 
sarebbe  slata  la  colpa,  mia,  di  mio  figlio,  della  donna,  o  di  Sindi- 
bàd ?  Ciascuno  di  questi  casi  trova  un  sostenitore.  Sindibàd  osserva 
che  nessuno  ha  colto  nel  segno;  il  re  interroga  il  principe,  il  quale 
risponde  col  racconto  «  Gli  ospiti  avvelenati ,  »  e  chiede  di  chi  fu 
la  colpa,  della  fante,  del  serpe,  dell'  uccello,  o  del  padrone  di  casa  ? 
Sostenute  queste  quattro  opinioni  da  quattro  savi ,  Sindibàd  trova 
che  nessuno  ha  colto  nel  segno;  il  principe  risolve  il  problema  di- 
cendo che  in  questi  casi  la  colpa  è  del  destino. 

«  Tutti  ammirano  la  sapienza  del  principe;  Sindibàd  dice  che  non 
ha  altro  da  insegnargli,  e  che  ninno  è  più  sapiente  di  lui.  Il  prìn- 
cipe però  osserva  ch'ei  conosce  tre  persone  che  ne  sanno  più  di 
lui,  e  narra  tre  racconti  :  lo  II  bimbo  di  tre  anni;  2o  il  bimbo  di 
cinque;  3o  il  vecchio  cieco.  Chiede  il  re  come  mai  il  principe  non 
imparò  prima  quel  clie  riusci  ad  imparare  poi.  Risposta  del  principe. 
Ordina  il  re  che  venga  la  donna.  Questa  confessa  tutto.  Interroga 
il  re  la  corte  che  cosa  debba  farsi  di  lei.  Taluni  propongono  varie 
mutilazioni,  altrì  la  morte.  Allora  la  donna  racconta  e  La  volpe.  • 
Il  re  rimette  al  principe  il  decidere.  Questi  esclude  la  morte,  e  so- 
stliuisce  una  pena  men  grave.  Segue  un  dialogo  fra  il  re,  Sindibàd 
e  il  principe ,  nel  quale  sono  esposti  molti  principi  di  morale.  In 
questo  dialogo  è  intercalato  un  racconto  di  Sindibàd,  col  quale  ri- 
sponde al  re  che  diede  a  chi  sia  dovuta  la  sapienza  di  suo  figlio. 
Il  re  incorona  pubblicamente  il  suo  figliuolo,  cedendogli  il  trono, 
e  si  ritira  nella  solitudine  a  servire  Dio.  * 

Questo  il  quadro  del  Libro  di  Sindibàd. 

In  un  secondo  capitolo  di  quesf  opera,  P  A.  mette  a  confronto  i 
racconti  contenuti  nelle  varie  versioni ,  per  mostrare  quali  in  cia- 
scuna sieno  gli  originali,  quali  no.  Ciascuna  versione  ne  ha  degli  uni 
e  degli  altri,  ma  quella  che  ha  maggior  numero  di  racconti  comuni 
a  più  versioni  e  che  però  avvicinasi  di  più  al  testo  antico  è  il  Syn- 

15 


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222  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

tipas  e,  dopo  di  esso,  il  Libro  de  los  Engannos.  Questo  LdbrOy  dice 
il  dotto  Conte  de  Puymaigre  in  un  giudizioso  opuscolo  sul  lavoro 
in  discorso ,  è  importaotissiroo  non  solo  per  la  questione  sì  bea 
trattata  dal  Comparetti,  ma  altresì  per  la  storia  della  letteratura  (*a- 
stigliana.  Esso  •  è  una  prova  delP  influsso  che  la  letteratura  araba 
incominciò  ad  esercitare  in  [spagna  sotto  il  regno  di  Alfonso  il  Savio, 
le  cui  opere  non  meno  che  quelle  del  figlio  suo  Sancho  il  Severo, 
offrono  tante  tracce  dell'azione  esercitala  dalP Oriente.  Giovanni  E- 
manuele,  nipote  del  primo  di  questi  re  e  cugino  del  secondo,  può 
trovare  nel  Libro  de  los  Engannos  un  modello  che  sorpassò,  e  di 
molto,  scrivendo  il  Libro  del  conte  Lucanor^  una  delle  migliori  rac- 
colte di  conti  e  d'apologhi  che  il  medio  evo  abbia  dalo(l).  »  Co- 
stituisce il  terzo  capitolo  della  presente  memoria  una  serie  di  os- 
servazioni e  di  argomenti  non  men  ragionati  che  giusti  intorno  alla 
Vili  notte  del  TUti-nàrneh^  la  quale  fuvvì  chi  credette  antica  d'as- 
sai, e  che  il  dotto  Prof,  dimostra*  come  gli  altri  testi,  posteriore  al 
Libro  di  Sindibàd.  Consimili  osservazioni  contiene  lo  stesso  capitolo 
e  il  seguente  pei  secondi  racconti  de'  viziri  del  Sindibàd,  per  il  Syn- 
tipas,  a  cui  P  A.,  malgrado  le  contrarie  e  false  opinioni  anche  di  va- 
lenti filologi,  assegna  la  data  degli  ultimi  anni  dell'  XI  secolo;  e  da 
ultimo  per  le  Parabole  di  Setidabar. 

Un'  indagine  che  poteva  dirsi  appena  incominciata  fuori  d' Italia, 
oggi  è  con  gravi  e  pertinaci  studi  spinta  innanzi  da  un  italiano.  Cosi 
non  e'  è  da  lamentar  anche  in  questo  che  d' oltralpe  vengano  sem- 
pre a  noi  le  scoverte  più  importanti  e  le  osservazioni  più  profonde. 
Un  lavoro  come  questo  del  jComparetii  non  passerà  inosservato,  ne 
Siam  sicuri,  tra  gli  studiosi  più  illustri  delle  tradizioni  popolari  com- 
parate, che  pur  non  son  pochi  né  da  poco,  fuori  la  penisola;  e  noi 
Siam  lieti  di  averne  dato  a  onesto  rallegramento  de'  nostri  lettori 
queste  brevi  informazioni.  6.  Pitrè 

Animarlo  tcientlflco  ed  Indnttriale  «/^oiuioto  dagli  Editori  della 
Biblioteca  Ulile  sotto  la  direzione  di  T.  Grispigni  e  L.  Trevellini 
ecc.  Anno  VI,  1869.— Mìbno,  E.  Treves,  1870. 

Sia  per  i  progressi  che  si  sono  fatti  nelle  Scienze,  sia  per  le 
grandi  opere  che  si  sono  ultimale  durante  l'anno  scorso,  il  <869 
negli  annali  della  civiltà  sarà  d'  un  gradino  più  allo  in  confronto 
agli  altri  anni  passali. 

{\)Le  fÀvre  de  Sindibàd.  Mclz,  Housst'jiu-Pallez,  1870,  in  H*.  pag.  ì\. 


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CRITICA  LETTERARU  223 

La  famosa  apertura  delP  Istmo  di  Suez  e  V  inumeosa  ferrovia  del 
Pacifico  hanno  reso  un  fatto  ciò  che  secoli  fa  non  si  sarebbe  con- 
cepito forse  nemmeno  in  un  bel  sogno  d'estate:  vogliam  dire  quel 
giro  intorno  al  nostro  globo,  che  |)Ochi  anni  addietro ,  facendo  a 
strazione  de^  pericoli  e  degli  ostacoli  a  cui  si  doveva  andare  incon- 
tro, avrebbe  assorbiti  non  meno  di  tre  anni  e  chi  sa  quanf  orò;  e 
che  oggi  si  compie  comodamente  in  soli  80  giorni  t 

La  ferrovia  del  Pacifico,  che  abbraccia  non  meno  di  26  gradi,  e 
che  congiunge  i  lidi  delP  Atlantico  con  quelli  del  Pacifico ,  non  fu 
terminata  che  in  soli  3  anni,  cioè  a  dire  sei  anni  prima  del  tempo 
prestabilito.  Un  esercito  d'  uomini,  non  destinati  però  a  riportare  le 
micidiali  vittorie  d'oggigiorno,  ma  bensì  una  ben  altra  vittoria,  quella 
della  scienza  sulla  natura ,  lavorava  sì  alacremente  su  quella  lìnea  da 
armare  17  chilometri  di  via  al  giorno.  In  altri  tempi  questa  straor 
dinarìa  ed  audace  attività  sarebbe  stata  una  epopea;  oggi  ci  con- 
ferma quella  or  tanto  nota  sentenza  che  volere  è.  potere. 

E  il  nuovo  cordone  telegrafico  transatlantico,  che  mette  in  comu- 
nicazione la  Francia  e  gli  Stati  Uniti,  non  è  anche  questa  una  delle 
più  colossali  e  difficili  imprese  che  V  uomo  sia  riuscito  di  compiere 
felicemente?  Chi  avrebbe  sognato  che  l'Europa  e  gli  Stati  Uniti 
vicendevolmente  si  avrebbero  potuto  trasmettere  da  100  a  120  se- 
gnali ,  in  media ,  parole ,  solamente  in  parecchi  minuti  attraverso 
un  oceano?! 

Come  dico,  non  è  stato  solo  per  queste  colossali  imprese  che 
r  anno  1869  si  è  distinto  sopra  i  suoi  antecessori,  ma  ancora  per 
tutte  le  scienze  naturali  generalmente  parlando  le  quali  sonosi  in- 
dirizzate a  un  avvenire  di  luce,  di  verità  %  e  di  potenza. 

Ed  in  vero  gli  studi  del  P.  Secchi  sulPAnalisi  spettrale  de' corpi 
celesti;  quelli  che  tendono  ad  armonizzare  gli  svariati  fenomeni  me- 
teorologici, le  industrie  e  le  arti  con  le  scienze;  gli  sludi  antropo- 
logici che  mirano  a  stabilire  le  vere  posizioni  che  occupano  tanto 
l'uomo  quanto  gli  animali  nella  natura;  gli  studi  meccanici  riservati 
a  sostituire  V  uomo  macchina  e  a  rendere  i  più  difiìcili  e  nello  stesso 
tempo  ì  più  interessanti  servigi  alla  società  ;  i  lavori  dell'  Ericson 
e  del  Mouchot,  non  meno  che  quelli  delP  ing.  Cavazzi,  stati  dimen- 
ticati nel  presente  Annuario^  ma  de'  quali  abbiamo  parlato  in  altra 
occasione  (t),  tendenti  a  utilizzare  il  calor  solare;  gli  sludi  del  Tom- 
masi  per  trarre  dalla  marea  una  forza  motrice;  gl'incessanti  disegni 


I  (I)  Di  alcune  recenti  Intensioni.  Palermo,  1870. 


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224  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

per  le  ferrovie  di  montagoa;  i  lavori  del  Cottrau  per  le  ferrovie 
economiche  ;  i  tentativi  del  Thompson  per  le  locomotive  stradali  ; 
le  molte  applicazioni  scientifiche:  tutto  questo  ci  fa  senza  vana  lu- 
singa sperar  molto  e  poi  molto.  ' 

Or,  X'AmuaTio  scientifico  ed  industriale  che  da  sei  anni  viene 
pubblicato  dal  benemerito  editore  sig.  E.  Treves,  è  una  pubblica- 
zione di  cui  r  Italia  risentiva  fortemente  la  mancanza ,  ma  di  cui 
ora  molto  si  avvantaggia.  La  direzione  dello  stesso  è  affidata  a^  pro- 
fessori F.  Grispigni  e  L.  Trevellini,  i  quali  non  tralasciano  cura  al- 
cuna perchè  riesca  quanto  meglio  completo.  Ogni  scienza  è  trattata 
da  un  valente  professore  speciale,  cosi  V  Astraiwmia  dallo  Schiap- 
parelli, la  Meteorologia  e  la  Fisica  del  Globo  dal  Denza,  la  Fisica 
dal  Ferrini,  la  Chimica  dal  Sestini,  la  Uedicina  e  Chirurgia  dai  Mo- 
riggia,  la  Paleoetnologia  dal  Pigorini,  V  Antropologia  dalPIssel,  la  fio- 
tanica  dal  Marcucci,  la  Geologia,  Paleontologia  e  Mineralogia  come 
pure  le  Industrie  ed  Applicazioni  scientifidie  dal  Grispigni,  V  Agra- 
ria  dal  Caccianiga,  la  Meccanica  dal  Colombo,  V  Ingegneria  e  i  La- 
vori pubblici  dal  Trevellini,  la  Geografia  e  Viaggi  dal  Malfatti,  VArte 
Militare  dal  Romiti  e  la  Marina  da  un  ufficiale  di  Marina,  che  non 
si  è  voluto  far  conoscere.  Inoltre  vi  ha  una  rivista  delle  Esposizioni 
e  Congressi  e  una  Necrologia  del  1869;  a  cui  si  vogliono  aggiun- 
gere le  illustrazioni  parte  intercalate  nel  testo  parte  in  tavole  se- 
parate, che  all'uopo  non  mancano  mai.  In  sififatta  maniera  gli  ap* 
prezzamenti  e  le  notizie  sono  esposte  con  quella  dottrina,  preci- 
sione ed  ampiezza  che  si  richiede  in  questi  lavori.  Quello  che  ci 
rallegra  poi  è  vedere  come  d^  anno  in  anno  gli  Annuari  del  signor 
Treves  si  sieno  considerevolmente  ingranditi  di  volume;  ciò  che  mo- 
stra la  buona  accoglienza  falla  loro  dagli  Italiani  e  il  bisogno  ognor 
crescente  de'  buoni  libri. 

Di  una  sola  cosa  ci  sembra  mancante  il  presente  Annuario  :  vo- 
gliamo dire  d'una  Bibliografia  generale  de'  Ubri  risguardanti  scienze 
ed  industrie  pubblicali  entro  Tanno  in  Italia;  con  essa  potrebbesi 
vedere  il  movimento  intellettuale  della  Penisola. 

Pria  di  far  punto  non  possiamo  passarci  da  alcune  idee  venuteci 
nel  leggere  le  riviste  di  questo  Annuario;  e,  p.  e.  :  il  Denza  parla 
estesamente  de'  diversi  fenomeni  meteorologici  e  di  altre  impor- 
tanti cose,  ma  non  consacra  nemmeno  un  capitolo  per  quel  nUste- 
rioso  agente  che  si  chiama  Ozono;  eppure  ce  n'era  bisogno.  L'uf- 
ficiale di  Marina  e  il  Romiti,  nelle  loro  riviste  vogliono  sostenere 
la  necessità  d'una  marina  militare  formidabile  e  degli  eserciti  stan- 
ziali per  la  semplice  tutela  delle  genti,  oltre  che  lo  stesso  Romiti 


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CRITICA  LETTERAIUA  225 

crede  giusti  i  campi  d'istruzione  e  le  grandi  manovre  del  1869,  e 
desidera  che  ogni  anno  si  rinnovino  su  maggiore  scala  simili  eser- 
citazioni; noi.  crediamo  che  queste  idee  non  siano  quelle  che  pro- 
fessano generalmente  grilaliani)  che  non  ignorano  il  loro  pur  troppo 
emnnto  erario,  e  che  preferiscono  meglio  Puomo  dedicato  all'indù- 
strìa  e  al  lavoro.  Migubungelo  Siciliano 


8n  talune  questioni  etnograiiche.  Lettera  del   Prof.  Francesco 
Randacio  al  Prof.  Luigi  Calori.  Palermo,  Glamis,  1870. 

Molli  e  svariali  argomenti  riguarda  questa  importante  lettera;  e 
su  tutti  con  brio,  vivacità  ed  argutezza  quando  si  quando  no  pro- 
nunzia un  giudizio  franco  ed  ardito.  Il  Randacio,  professore  di  A- 
natomia  descrittiva  nella  nostra  Università,  accompagna  con  essa 
lettera  sedici  crani  di  Siciliani  al  suo  collega  prof.  Calori,  che  per 
ragion  di  sludii  antropologici  gliene  ebbe  fatto  richiesla.  Se  bene 
abbiam  saputo  seguire  il  ragionamento,  egli,  il  Randacio,  non  si  mo- 
stra molto  tenero  de'  principi  etnografici  ed  antropologici  di  al- 
cuni scrittori  moderni,  parehdo  a  lui,  come  a  molli  pare ,  che  in 
ciò  si  sia  andato  mollo  a  vapore  e  con  soverchia  buona  fede  nel- 
r accettare  oggetti  rinvenuti  in  veiusle  caverne,  e  nel  sentenziar 
questo  un'arme  di  pietra,  quest'altro  un  dente  di  rinoceronte,  ecc. 
Egli  trova  che  in  Sardegna  e  in  Sicilia,  dove  nacque  e  dove  insegna, 
sianvi  quasi  tutto  le  razze  umane  e  presso  che  non  dica  quella  del 
negro,  se  se  ne  eccettui  il  nero  cupo  della  pelle.  Ogni  dimensione, 
ogni  forma  di  cranio  vi  è  rappresentata.  Contro  la  opinione  di 
Broca  vi  hanno  crani  di  persone  idiote,  più  grossi  di  quelli  famosi 
di  Cnvier,  di  Schiller ,  di  Napoleone  1,  e  ve  ne  ha  d'ingegni  sve- 
gliatissimi  piccoli  oltre  ogni  previsione  anatomica.  Vi  hanno  crani  a 
glabella  larga  con  poca  o  nessuna  intelligenza;  crani  divisi  alla  parte 
superiore  dell'occipitale  da  un  osso  vormiano  di  forma  trìangolare 
come  quelli  che  Tschudi  regalò  solamente  a'  prischi  abitatori  del 
Perù;  crani  siculi  dolicocefali  con  frequente  sutura  frontale  mediana, 
come  quelli  che  Lauret  e  Yogt  pretesero  in  individui  della  fronte 
larga  e  della  testa  brachiocefala;  crani  non  rarissimamente  sferici  e 
crani  tettocefali  alla  Baer  o  piramidali  alla  Pichard.  Tutto  questo , 
ed  insieme  le  varietà  di  dimensioni  e  di  forme  del  corpo  tutto,  fa 
venire  il  prof.  Randacio  alla  seguente  professione  di  fede  : 

e  Io  son  d' avviso  che  l' uomo  ebbe  la  sua  origine  come  tutti  gii 
altri  esseri  organizzati,  che  le  razze  umane  non  siano  ben  definite, 
e  che  accidentalmente  nel  lasso  dei  secoli  ne  siano  molte  rinate  che 


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226  NUOVE   EFFEMERIDI  SICILIANE 

già  perirono  un  tempo,  e  che  per  circostanze  forlaite  si  propaghino 
su  larga  scala,  o  restino  in  pochi  esemplari,  e  possano  corrispon- 
dersi quelle  di  vicine  con  lontane  regioni  e  tempi,  senza  che  si  am- 
metta assolutamente  il  commercio  o  la  trasmigrazione  di  razze  in 
altre  razze.  E  quindi  preoccupato  di  ciò,  fortemente  io  dubito  che 
per  sifTatli  studi  impazienti  e  basati,  su  rari  e  non  sempre  auten- 
tici oggetti,  la  storia  della  umanità,  che  ne  è  lo  scopo,  non  poggi 
sopra  solide  basi. 

«  Soggiungerò,  che  quando  anche  non  fosse  nato  Eraclito  il  quale 
ritenendo  il  fuoco  siccome  principio  e  fine  d' ogni  cosa,  inculcava 
r  ustione  dei  corpi  umani,  e  Siila  diversamente  di  Numa  Pompilio, 
non  avesse  rimesso  in  uso  quel  vezzo,  allo  scopo  di  non  far  cadere 
il  suo  cadavere  nelle  mani  di  chi  poteva  farne  il  ludibrio  in  cui  e- 
gli  mise  quello  di  Mario;  io  porlo  opinione  che  le  ossa  e  gli  sche- 
letri degli  antichissimi  popoli,  e  risorgessero  pure  dalle  urne  cine- 
rarie, io  porto  opinione,  che  assai  poco  vantaggio  porterebbero  al- 
TetnograOa  ed  air  antropologia ,  più  di  quello  che  ne  ottenga  dai 
tedeschi  moderni.  Pei  quali  poi,  a  dirla  di  passaggio,  il  fatto  della 
potenza  intellettuale  è  legato  più  alla  intima  struttura  del  cervello, 
anziché  alle  forme  del  cranio  od  al  volume  del  cervello  od  air  al- 
bero genealogico.  » 

In  un^  altra  questione  egualmente  importante,  la  pretesa  compres- 
sione de^  crani  de^  neonati  in  Sardegna,  il  Randacio  è  molto  espli- 
cito. Egli  nega  che  tal  costume  fosse  stalo  introdotto  dai  Saraceni 
che  colà  dimorarono ,  aborriti  dagP  indigeni ,  40  anni  appena  ; 
affermazione  che  si  trova  in  armonia  con  ciò  :  che  nessuna  abitu- 
dine saracinesca  persista  tuttavia  in  queir  isola.  Anzi  egli  nega  che 
compressione  veruna  si  faccia  nelle  teste,  se  già  compressione  non 
sia  il  palpeggiare  momentaneo  che  suol  farsi  dalle  levatrici  al  cra- 
nio del  nuovo  essere. 

L'  opuscolo  del  Randacio  non  è  parto  di  fantasia ,  ma  frutto  dì 
sladt  e  di  osservazioni  :  e  però  da  questo  lato  ci  par  da  tenere  in 
considerazione.  Forse  in  più  luoghi  procede  troppo  a  sbalzi;  forse 
non  tutto  quello  che  accenna  esamina,  che  tutto  avrebbe  richiesto  lar- 
ghissimo svolgimento  e  un  libro,  quando  il  Randacio  volle  scrivere  un 
opuscolo;  forse  non  a  tutte  le  idee  in  esso  annunziate  si  può  far 
plauso  da  chicchessìa;  ma  il  pregio  che  ha  non  gli  si  può  negare; 
e  noi  ci  rallegriamo  del  bel  lavoro,  si  ben  coronalo  dalla  tavola  si- 
nottica che  vi  va  annessa,  di  questo  nuovo  ribelle  a  certe  teorie 
che  non  hanno  ancora  il  sussidio  dì  fatti  certi  ed  invariabili. 

G.   PlTRÈ. 


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CO!^PERENZe  PER  GLI  STUDI  DEL  DIALETTO  SICILIANO 


Volendosi  (Idi  cullori  del  nostro  dialello  e  della  sua  speciale  let- 
teratura di  vocabolari,  grammatiche,  cronache,  canti  popolari,  pro- 
verbi ecc.,  ordinare  la  uniformità  ortografica  e  lessicografica  e  lut- 
tociò  che  delti  argomenti  concerne,  in  guisa  da  essere  stabilita  una 
regola  uniforme  e  generale  in  queste  materie;  nel  mese  di  giugno 
testò  decorso  si  è  divisato  di  convocare  in  Palermo  un'  adunanza 
nelle  sale  della  Biblioteca  Comunale  per  discutere  quanto  fosse  oc- 
corso sul  proposito. 

Dal  giorno  3  al  giorno  12  luglio  si  tennero  pertanto  quattro  con- 
ferenze pubbliche,  alle  quali  presero  parte,  secondo  lo  annunzio  da- 
tone dalla  Commissione  provvisoria  ne'  giornali,  molti  di  coloro  che 
in  Palermo  e  nel  restante  dell'  isola  aveano  scritto  in  dialetto  o  sai 
dialetto  siciliano.  Tra  essi,  per  le  varie  provincie  siciliane,  furono  i 
signori:  Girolamo  Ardizzone,  prof.  Antonino  Cangemi,  Salvatore  Coc- 
chiera, prof.  Saverio  Cavallari ,  ab.  Gioacchino  Di  Marzo ,  cav.  Isi- 
doro La  Lumia,  prof.  Domenico  Mastruzzi,  prof.  Matteo  Mosso,  Ni- 
colò Poma-Cangemi,  Carmelo  Piola,  Giuseppe  Pitrè,  G.  B.  Santan- 
gelo,  Giuseppe  Silvestri,  Salvatore  Salomone-Marino,  prof.  Antonino 
Salinas ,  Antonino  Traina,  della  provincia  di  Palermo;  Alberto  Bu- 
scaino,  prof.  Vincenzo  Di  Giovanni  della  provincia  di  Trapani;  Rocco 
Gramitto-Ricci  da  Girgenti  ;  Michele  Serra-Caracciolo  da  Siracusa; 
cav.  Lionardo  Vigo,  avv.  Michele  Cali  della  provincia  di  Catania;  il 
cav.  Emerico  Amari  e  Pavv.  Francesco  Maggiore-Perni,  Tuno  Pre- 
sidente, r  altro  Segretario  della  Nuova  Società  per  la  Storia  di  Sici- 
lia; e  il  dott.  Martin  Schneekioth  da  Copenaghen,  venuto  in  Palermo 
per  gli  studi  del  nostro  dialetto.  A  proposta  dell'Amari  furono  ad 
unanimità  eletti  a  Presidente  e  a  Segretario  delle  Conferenze  L.  Vigo 
e  6.  Pitré. 

Il  Presidente  lesse  un  dotto  ed  elaborato  discorso,  nel  quale  mo- 
strò come-  in  tutti  i  secoli  ne'  quali  si  è  scritto  o  stampato  in  dia- 
letto non  si  sia  serbata  uniforme  ortografia.  Enumerò  gli  abusi  dei 
cinquecentisti  nell'uso  delle  lettere  alfabetiche  xk  y,le  quali  si  sono 
roano  mano  corrette;  e  gli  errori  di  aver  voluto  creare  una  lingua 
illustre  siciliana,  che  fortunatamente  è  scomparsa.  Disaminò  il  nostro 
alfabeto,  additando  gli  errori  che  vi  sono  nel  mal  adoperarlo,  e  come  i 
vari  scrittori  abbian  adulterato  la  grafia  siciliana.  E  dopo  varie  os- 


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228  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

seirazioni  conchiuse  esser  necessario  1»  che  i  Canti  popolari  si  scrì- 
vano possibilmente  nella  pronunzia  del  luogo  in  cui  sono  stati  rac- 
colti ;  2o  che  i  Vocabolaristi  registrino  i  vari  nomi  di  unico  oggetto 
usato  neir  isola  apponendo  la  definizione  alla  voce  adoperata  in  Pa- 
lermo; 3®  che  tutti  i  letterati  i  quali  iìi  prosa  o  in  verso  dettano 
le  loro  opere  in  siciliano  si  valgano  di  unica  ortografia.  In  conse- 
guenza di  questo  il  Presidente  propose  un  Saggio  di  ortografia  per 
essere  esaminalo  e  quindi  sanzionato  dalla  Conferenza. 

A  varie  osservazioni  diedero  luogo  questi  tre  articoli,  sostenendosi 
contrarie  opinioni  tra'  presenti.  Approvati  i  primi  due  articoli,  i 
signori  Di  Giovanni ,  Gramitlo ,  Pilrè ,  Traina  e  Vigo  furono  no- 
minati componenti  la  Commissione  per  esaminare  e  discutere  il  Sag- 
gio ortografico  proposto  dal  Presidente.  Detta  Commissione  forni 
in  private  sedute  il  suo  compilo,  e  alla  terza  pubblica  conferenza 
il  Presidente  ne  lesse  il  rapporto;  dal  quale  risultò,  quel  saggio,  tolte 
poche  modificazioni,  essere  stato  accettato  alla  unanimità;  in  un  sol 
punto  però  essersi  la  Commissione  trovata  discordante ,  cioè  nella 
maniera  di  supplire  la  x  non  più  usata  nella  scrittura  del  nostro  dia- 
letto. Ciò  diede  luogo  a  una  discussione  vivissima,  non  potendosi 
conciliare  i  pareri  de*  soci  palermitani:  Cangemi,  Cocchiara^  Pitrè, 
Traina,  ecc.  che  volevano  sostituito  la  e  alPa?  e  scrivere  damma,  duri, 
dumi^  e  de' soci  Di  Giovanni,  Gramitlo,  Maàlruzzi,  Vigo  ecc.  che  prefe- 
rivano, e  il  Vigo  più  che  altri,  la  a?,  per  dire  sdamma,  sduri^  sdumi. 

La  discussione  si  protrasse  per  la  terza  e  quarta  seduta ,  nella 
quale  si  ragionò  con  copia  di  esempi  e  di  argomenti.  Finalmente 
il  Di  Giovanni  propose  e  la  conferenza  approvò  die  le  voci  scritte 
dagli  antichi  con  la  x  come  xiuri,  xiumi^  xiamma  ecc.  meglio  che 
colla  se  si  possano  scrivere  colla  e,  purché  la  e  sia  pronunziata  con 
leggiero  sibilo  che  la  preceda. 

Dopo  di  ciò  avendo  la  Conferenza  approvato  il  Saggio  del  Vigo, 
il  Dr.  H.  Schneekioth  pronunziò  un  breve,  affettuoso  e  dotto  di- 
scorso, col  quale  togliendo  congedo  dalla  Sicilia,  dove  era  slato  per 
sette  mesi,  dimostrò  la  importanza  degli  studi  del  dialetto  non  solo 
per  la  filologia,  ma  anche  per  la  raccolta  delle  Iradizionl  popolari. 
«  Desidero, egli  conchiuse,  alla  Sicilia  molli  geni  come  il  Meli,neiridillio 
e  nella  poesìa  erotica.  Vorrei  soltanto  che  essi  si  limitino  a  quello 
spazio,  che  la  storia  ha  concesso  al  dialetto.  Ognuno  che  non  os- 
serva quei  confini,  troverà  sulla  sua  tomba,  scritto  dalla  mano  della 
storia,  lo  stesso  epitaffio  che  nel  camposanto  di  Roma  sta  scritto 
sulPamico  di  Byron  :  Qui  riposa  uno,  il  cui  nome  è  scritto  sulle  onde. 


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varietà'  229 

Le  conferenze  si  chiusero  rimanendo  stabilito  che  si  dovessero 
quandochessia  riconvocare  ad  invito  dei  Segretario  e  dietro  propo- 
sta di  10  Soci.  L'ordine  dei  giorno  per  la  Conferenza  prossima 
fu  fermato  :  Voci  siciliane  mancanti  alla  liihgua  comwie  ed  esistite 
in  essa  ne^  secoli  XIII  e  XIY, 

Gli  atti  delle  Conferenze,  depositati  nella  Biblioteca  Comunale,  sa- 
ranno quanto  prima  dati  alle  stampe.  6.  Pitrè 


HE£ESTlV\JBBUCAZ\Om.'"  Adriana  da  Castiglione,  Tragedia  di  Antonio  De 
Marchi  (Palermo  ,  Pedone)  ;  Vocabolario  siciliano-italiano  attenente  a  cose  dome- 
ttiche»  a  parecchie  arti  e  ad  alcuni  meslieri  di  G.  Perez  (Palermo,  Lao);  Sullo  svi- 
luppo e  la  durala  delle  correnti  d'induzione  e  delle  estracorrenti ,  per  PieKo  Bla- 
sema  (Palermo,  Lao);  Su  la  Origine  dell'Anima  Umana  ecc.  Dissertazione  di  Do- 
menico B.  Gravina,  abate  cassinese  (Palermo,  Lao);  Sull'Eedisse  totale  di  Sole  delti 
Dicembre  1870  visibile  in  Sicilia,  Bisultamenti  di  calcoli  esposti  agli  aìnaloii  di  astro- 
nomia da  Angelo  Agnello  (Palermo,  Pedone);  Biblioteca  storica  e  letteraria  di  Sicilia 
ecc.  voi.  V.  (Palermo,  Pedone);  Monografia  de*  Prati  artificiali  di  P.  Alfonso-Spa- 
gna (Pai.,  Pedone);  La  Proprietà  de'  sudditi  d'uno  Stato  belligerante  in  mare  di  E- 
manuele  Pelaez  (Pai.,  Pedone);  Flora,  Racconto  di  S.  Malato-Todaro  (Pai.,  Pedone); 
Lezioni  elementari  di  Macchine  a  vapore,  date  da  Roberto  Gill  (Palermo ,  L.  Pe- 
done); Grillo,  ossia  il  Bandito  siciliano.  Canti  21  di  C.  Piota  ,  dal  dialetto  sici- 
liano volti  in  italiano  da  Gius.  Cazzino  (Palermo,  Amenla);  Sul  Cimitero  dit  e- 
rigersi  in  Termini-imerese ,  Memoria  per  Giuseppe  Ciofalo  (Termini ,  Giuffrè)  ; 
Della  Intolleranza  religiosa  e  politica.  Ricordi  di  Giuseppe  Lo  Giudice  (Messina,  Ri- 
bera);  La  Libertà  del  Cambio  e  delle  Banche,  per  Salvadore  Buscemi  (Messina,  Ri- 
bera)  ;  L'Italia  al  Mille,  Saggio  di  G.  Galatti  ;  L' Uccellatore,  Manuale  di  Or- 
nitologia per  la  Sicilia  corredalo  di  molte  cognizioni  utili  intomo  alle  varie  Caccie 
ecc.  per  Antonio  Ruggeri  (Messina),  Osvaldo ,  Novella  in  versi,  di  Dom.  Pianaroli 
(Messina,  tip.  dell*  Avvenire);  Saggi  di  Logologia  àe\  prof.  Raff.  Di  Francia  (Mes- 
sina, Capra)  ;  Diplomi  greci  inediti  ricavati  da  alcuni  mss.  della  Biblioteca  Comu- 
nale di  Palermo,  tradotti  da  G.  Spala  (Torino,  Stamperia  reale). 

I  SICILIANI  ALL'ESTERO— Il  Giornale  di  Gottinga  Gòttinger  gelehrte  Anzeigen 
ha  due  articoli  del  prof.  Liebrecht  in  lode  del  1*  voi.  de'  Canti  popolari  siciliani 
raccolti  ed  illustrati  da  G.  Pilrò  e  sopra  La  Baronessa  di  Carini,  leggenda  popolare 
pubblicata  da  S.  Salomone  ;  altro  articolo  su  qnest'  ultimo  libretto  é  nella  Revue 
critique  di  Parigi,  a  firma  del  Conte  de  Puymaigre.  VAthenaeum  di  Londra  del  16 
luglio  parla  molto  onorevolmente  degli  Scritti  vari  di  C.  Pardi;  e  cosi  anche  la  Revue 
des  Cours  Littéraires  di  Parigi^del  libro:  Sofismi  e  Buon  senso.  Serate  campestri  di  V. 
Di  Giovanni.  Nel  1*  fase,  dell'  Archaeològiuhe  Zeitung  di  Berlino  é  un  articolo  di 
Heidemann  Sul  Becco  di  bronzo  e  sui  Vasi  del  Museo  di  Palermo. 

CONGRESSI  ED  .ESPOSIZIONI.  —  Tra'  giorni  3  e  12  luglio  si  son  tenute  in  Pa- 
lermo delle  conferenze  per  gli  sludi  del  dialetto  siciliano  ;  di  che  una  breve  rela- 
zione è  in  questa  dispensa  delle  Effemeridi. 

—  Ne*  mesi  di  giugno  e  luglio  è  stata  aperta  in  Palermo  un'  Esposizione  di  arti 


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230  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

belle,  industriali  e  maniXatlurìere;  vi  si  sono  ammirati  molti  lavori  e  prodotti  della 
provincia  palermitana.  L' Esposizione  s' è  chiusa  colla  distribuzione  di  medaglie  d*  ar- 
gento e  di  bronzo,  il  giorno  24  p.  p. 

.  BELLE  ARTI.  —  Un  bel  leone  in  marmo  ha  ora  ultimalo  Io  scultore  B.  Delisi 
pel  monumento  che  egli  prepara  a  Vincenzo  Florio. 

—  Il  prof.  Nunzio  Morello  ha  scolpito  una  Selvaggia  in  atto  di  deporre  in  terra 
il  sue  bambino,  per  afferrar  1*  arco  e  uccidere  una  fiera  che  minaccia  assalirla. 

SOLENNITÀ'.  —  S'è  inaugurato  nella  Filarmonica  Bellini  in  Palermo  un  mezzo- 
busto di  G.  Rossini,  opera  del  Delisi. 

ACCADEMIE.  —  Il  cav.  Lionardo  Vigo,  eletto  citudino  di  Palermo,  é  venuto  a  rin- 
graziare personalmente  la  rappresentanza  municipale.  In  questa  occasione  la  Nuova 
Società  per  la  Storia  di  Sicilia  si  è  convocala  in  seduta  slraord inaria  per  udire  dal- 
l'onorando autore  del  Ruggiero  la  lettura  della  monografia  Sopra  CiuUo  d*  Alcamo 
e  la  canzone  «  Roea  fresca  aulentistima,  •  alla  quale  il  Vigo  ha  atteso  per  più  anni. 

—  Si  è  ricostituta  in  Palermo  la  Libera  Società  degl'  Insegnanti,  che  ebbe  vita  al 
1866.  Il  suo  scopo  è  quello  di  promuovere  l'incremenlo  della  istruzione  e  delta  educa- 
zione e  di  assicurare  un  mutuo  soccorso  a'  suoi  socii.  Fedele  a'  suoi  principii  ben- 
ché con  tre  mesi  di  vi  la,  ha  già  provveduto  alla  istruzione  dei  detenuti  del  carcere 
di  Palermo,  mandandovi  ad  insegnare  due  de'  suoi  socii  ;  e  nuove  scuole  fra  breve 
aprirà  domenicali  e  serali.  Il  municipio  di  Palermo,  ad  incoraggiare  questo  operoso 
sodalizio  gli  ha  largito  un  sussidio  di  lire  tremila.  La  Società  conta  i50  soci  effet- 
tivi e  non  pochi  onorari ,  fra  le  celebrità  italiane.  Ha  una  Riviila  italiana  d'istru- 
zione e  d' educazione,  che  pubblica  a  sue  spose,  e  della  quale  è  già  uscito  il  primo 
numero. 

INVENZIONI  E  SCOPERTE.  —  Il  nostro  M.  Siciliano  ha  inventalo  un  Timone  da 
lui  detto  aulomalicOf  il  quale  con  risparmio  notevole  di  spesa  sostituisce  l'assistenza 
del  timoniere  seguendo  sempre  la  direzione  della  bussola.  Il  Siciliano  ha  inviato  al- 
K Esposizione  internazionale  marittima  il  suo  disegno,  accompagnandolo  con  una 
memorietta  stampala. 

POLEMICA.  —  Di  vivi  attacchi  è  sialo  segno  in  questi  mesi  passali  il  nostro  egre- 
gio collaboratore  prof.  L.  Lizio-Bruno  I  suoi  avversari  lo  hanno  fcitto  reo  di  un  Boz- 
zetlo  sociale  da  lui  pubblicato  nella  Scena  di  Venezia,  spacciandovi  adombrato  il  de- 
funto F.  Bisazza.  Gli  attacchi  si  sono  spinti  a  tanto  da  consigliar  l'Accademia  Pelo- 
ritana  di  Messina  a  cancellare  dal  suo  albo  il  Lizio.  L'  Aec^idemia  non  giunse  a  que- 
sto, ma  ne  fece  ragione  di  una  tornala  straordinaria,  la  quale  venuta  a  conoscenza 
de'  soci  peloritani  di  Palermo,  li  eccitò  a  manifestare  per  lettera,  fatta  poi  di  pub- 
blica ragione,  il  lor  rincrescimenu»  per  la  inconsulta  discussione  dell'accademia  me- 
desima. L*  onor.  sodalizio  dichiarò  la  sua  incompetenza  in  una  questione  affatto  e- 
slranea  a'  suoi  sludi;  vari  giornali  di  Sicilia  e  del  continente  levarono  la  voce  in  di- 
fesa del  Lizio,  e  la  guerra  è  cessata.  Adesso  il  Lizio  ha  pubblicalo  un  opuscolo  dedicalo 
agli  onesti,  col  lilolo:  /  miracoli  di  una  nuova  inquisizione  (Messina,  D'Amico,  1870); 
col  quale  combatte  le  accuse  de'  suoi  oppositori.  Quest'  opuscolo  è  intitolato  ai  soci 
dell'Accademia  Peloritana  residenti  in  Palermo,  quegli  slessi  che  spontaneamente  at- 
testarono la  loro  stima  all'egregio  prof.  Lizio- Bruno. 

NECROLOGIA.  —  Nella  grave  età  di  80  anni,  è  morto  in  Palermo  il  sig.  Giacinto 
Agnello,  letterato  e  cittadino  egregio.  Un  elogio  di  lui  è  stato  Ittio  il  giorno  3  luglio  in 
una  tornata  della  Società  di  Storia  per  la  Sicilia,  dall'aw.  Francesco  Maggiore-Perni; 
elogio  pieno  di  care  ricordanze  e  di  fatti  riguardanti  la  storia  siciliana  e  la  vita  del 
defunto.  G.  I*. 


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BXTIiLETTINO  BIBLIOaBAFICO 


LEZIONI  CLINICHE  SULLE  MALATTIE 
MENTALI  con  effetti  legali;  pretto  la 
R,  Univertità  degli  Studi  di  Pater' 
mo  t  per  Francesco  Pionocco.  Paler- 
mo, Lorsnaider.  1869,  in  8*. 

L*JIlastre  psichiatro  Dr.  Pìgnocco,  il 
quale  sin  dal  1838  Tanta  già  delle  gravi 
pubblicazioni  intorno  alle  malattie  men- 
tali da  lui  indefessamente  studiate  ,  in 
questa  prima  lezione  si  occupa  dell'or- 
ganamento del  Manicomio,  come  mezzo 
efficacissimo  a  guarir  la  follia.  Egli  lo 
guarda  dal  lato  igienico  e  dal  lato  am- 
ministrativo, quello  per  Paria,  il  calo- 
rico, l'acqua,  la  luce,  il  vestire  e  il  re- 
gime alimentare  ;  questo  pel  sapere ,  la 
filantropia  ,  la  onestà  ,  che  sono  mezzi 
morali  tanto  necessari  in  chi  si  addice  al 
S.ncerdozio  di  curare  quanti  hanno  per- 
duto il  ben  dell'  intelletto.  Stabilisce  le 
grandi  sezioni  che  d' un  Manicomio  do- 
vrebbero farsi  ;  il  sistema  d*  abitazione 
in  generale,  quello  cio^  di  isolamento  e 
quello  di  associazione,  le  varie  parti  del- 
l'Ospìzio,  il  giardino,  il  bagno,  la  stanza 
di  conversazione,  il  refettorio  ec.;  e  mo-  • 
stra  come  ciò  che  egli  dice  sia  il  risul- 
tato delle  sapienti  osservazioni  de'  psi- 
chiatri più  illustri  d'  Europa.  Cosi  potes- 
sero le  proposte  e  i  desideri  del  Prof.  Pi- 
gnocco  diventare  un  fatta^  Manicomio 
della  nostra  città  t  G.  P. 

INTRODUZIONE  ALLA  SCIENZA  DEL 
DIRITTO  INTERNAZIONALE  in  rela- 
zione alla  fUotofta  della  Storia,  Corto 
dell'anno  1867-68  espotto  nella  Uni- 
vertità di  Palermo  da  Paolo  Morello, 
ecc.  voi.  II.  Palermo,  Vini,  1870. 

Nel  Bullettino  bibliografico  della  di- 
spensa V,  del  voi.  I,  di  questo  periodico, 


demmo  a  suo  tempo  avviso  del  voi.  I 
di  quest'opera,  della  quale  annunziamo 
ora  con  piacere  il  voi.  II.  Il  quale  s'in- 
trattiene ,  siccome  era  promesso  »  della 
Sovranità  piò  che  altro,  e  in  specie  dello 
Stato  qual  è  di  diritto  perchè  costituisca 
la  scienza  del  diritto  internazionale ,  e 
dello  Stato  qual  è  di  fronte  al  mondo  po- 
litico e  alla  scienza  del  diritto  interna- 
zionale. Cinque  Lezioni  di  questo  volume 
sono  di  Critica  di  alcune  teorie  intorno 
alla  Sovranità;  e  l'ultima,  come  Appen- 
dice, è  la  stupenda  Prelezione  al  Corso 
di  Diritto  internazionale  contemplato  in 
relazione  alla  filosofia  della  storia,  letta 
dall'Autore  a  principio  del  corso  del  1864 
in  questa  R.  Università  di  Palermo. 

Assai  vigorosa  è  la  critica  della  teoria 
del  Buchez  ragguardata  sì  nei  suoi  prin . 
cipj,  e  si  nelle  sue  applicazioni  :  ed  im- 
portantissima per  gravità  di  considera- 
zioni sul  diritto  pubblico  è  la  Lezione 
XXI  del  Diritto  potitivo  univertale.  Ma 
la  parte  principale  del  libro  è  nella  le- 
zione Della  Sovranità  in  generale,  e  non 
possiamo  qui  non  notare,  benché  di  vo- 
lo, come  l'Autore  abbia  sapulo  altissi- 
mamente trattare  questo  punto  che  è  car- 
dine e  centro  delle  sue  teoriche,  ferman- 
do che  la  Sovranità  sia  •  attributo  essen- 
ziale dell'  Umanità,  epperò  fondamenta- 
le nell'ordine  delle  sue  leggi  costitutive;  > 
e  il  suo  princìpio  essere  identico  al  di- 
ritto di  signorìa  sullo  spazio  e  sul  tempo 
proprio  dell'  Umanità ,  nella  cui  Idea  ò 
essenziale  quella  sovranità,  onde  il  fatto 
supremo  delle  Nazioni,  degli  Stati,  delle 
forme  de'  Governi.  E  nel  principio  di 
Sovranità  ,  cosi  considerato,  si  ha  man- 
tenuto tutto  il  giure  della  scienza  del  Di- 
ritto Internazionale. 

Dal  titolo  stesso  dell'opera  l'Autore 


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NUOVE  EFFBMBRIDl  SICILIANE 


ha  voluto  farci  sapere  che  assai  più  am- 
pio svolgimento  potrebbero  avere  le  sue 
dottrine;  le  quali  in  questa  Introduzione 
si  presentano  insieme  alla  critica  delle 
dottrine  opposte,  e  richiederebbero  altro 
lavoro  più  ampio  per  essere  organate  in 
corso  dottrinale,  che  darebbe  tutto  com- 
piuto il  sistema,  da  cui  risulterebbe  lu- 
minosamente essere  il  Diritto  «  la  mani- 
festazione continua  della  Giustizia  di  Dio 
nel  mondo  delle  Nazioni.*      V.  D.  G. 

TRAINATO  DI  GEOMETRIA  PRATICA 
ad  uso  delle  scuole  eleìnentari  e  degli 
operai  per  G.  M.  Ciofalo.  Termìni-I- 
merese,  1870. 

Questo  breve  trattato  del  Ciofalo  è  tulio 
consacrato  per  gli  operai  e  i  giovanetti 
delle  scuole  elementari,  i  quali  mal  sof- 
frono i  teoremi  e  i  corollari  quantunque 
di  grande  interesse.  In  esso  s' insegna  il 
modo  come  trovare  delle  estensioni  in- 
cognite,  e  misurare  certi  corpi  nella  pra- 
tica molto  comuni  ,  ma  stati  trascurati 
dalla  maggior  parte  de*  trattatisti. Le  ope- 
razioni soggette  ai  calcali  superiori  delle 
matematiche  sono  facilitate  per  via  di 
rapporti  numerici,  per  lo  che  vi  hanno 
delle  tavole  per  estrazioni  delle  radici 
quadrale  e  cube  ec.  In  verità,  questo  modo 
d' istruire  quasi  meccanicamente  non  ci 
aggrada  molto,  ma  il  libro  del  Ciofalo  è 
commendevolissimo  per  la  precisione  che 
esso  ha  nel  descrivere  i  modi  pratici  af- 
fin  di  costruire  le  svariate  figure  geome- 
triche; ed  altresì  per  la  chiarezza  che  di- 
mostra nell'esecuzione  <le*  problemi  di 
cui  è  ricco  questo  Trattalo;  solo  avrem- 
mo desiderio  in  qualche  definizione  mag- 
giore esattezza.  M.  S. 

DIARI  DELLA  CITTA*  DI  PALERMO 
DAL  SEC.  XVI  AL  XIX,  pubblicati 
sui  mss.  della  Biblioteca  Comunale, 
preceduti  da  prefazioni  e  corredati  di 
note  per  cura  di  Gioacchino  Di  Marzo 
Voi.  V.  Palermo,  L.  Pedone-Lauriel, 
MDCCCLXX. 

Questi  Diari  ronlinuano  a  darci  notizie 


preziose  e  curiosissime  intomo  a'  fatti 
occorsi  in  Palermo  ne'  secoli  passati.  Del 
presente  volume  non  può  che  ripetersi 
quel  che  de'  precedenti  abbiam  detto  si 
per  ciò  che  riguarda  i  buoni,  spesso  in- 
genui e  sempre  troppo  crudeli  autori,  e 
si  per  le  fatiche  spesevi  dal  paziente  Di 
Marzo.  Il  Dr.  Vincenzo  Auria  è  il  com- 
pilatore del  Diario  e  dell.}  memorie  di- 
verse di  questo  volume;  V  uno  e  le  altre 
costituenti  la  storia  palermitana  dall'an- 
no 1653  al  1674  e  la  storia  di  Sicilia  nel 
tempo  della  Ribellione  di  Messina  dal 
1674  a  tutto  il  1675.  A  quest'ultima  parte 
del  volume  in  discorso  riferiranno  molta 
importanza  quei  non  siciliani  lettori  che 
conoscono  poco  i  fatti  dolorosissimi  di 
quella  infortunata  rivoluzione,  che  fu  cosi 
fatale  non  meno  a'  Messinesi  che  agli 
altri  isolani.  Perchè  giudichi  ognuno  della 
curiosità  di  queste  pagine  ecco  qui  alcuni 
versi  che  durante  e  prima  quella  ribel- 
lione corsero  per  le  piazze  di  Messina  e 
Palermo.  Nel  mese  di  settembre  del  167S 
fu  affisso  questo  cartello  guerresco  : 
Messinesi,  che  si  fa? 

Siamo  schiavi  già  si  sa. 

0  morte  o  libertà! 
Un  cartello  a  lettere  d'oro  afllssato 
a'  Quattro  Cantoni  in  Palermo  la  notte 
de*  84  ottobre  1674  ci  ricorda  gli  odi  ter- 
ribili tra*  Messinesi  e  tra'  Palermitani  : 

Si  nun  ammazzamu  li  Missinisi 

Chiamiremu  li  Pranzisi; 
odi  alimentali  dal  governo  vicereale  di 
allora.  Pochi  mesi  appresso,  a'  17  marzo 
1675,  un  altro  cartello  messinese  diceva  : 

li  C6  di  Spagna  ni  ha  pieno  la  pancia, 
E  ne  fa  morir  di  fame  il  re  di  Francia. 

G.  P. 


STUDI  STORICI  SULLA  TIPOGRAFIA 
intomo  V  origine  deWarte  della  stampa 
del   tipografo   Frani.bsco  Gì  liberti. 
Palermo,  tipografia  dell'  autore  1870. 
Questo  libretto  ,  picciolo  di  moie  ,  è 


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BOLLETTINO  BIBUOGEAFIGO 


233 


fratto  di  lunghi  e  pallenti  studi,  comin- 
ciati dall'autore  sin  dal  1854,  e  fa  pia- 
cere vedere  tanta  erudizione  intomo  alla 
propria  arte  in  un  nostro  tipografo,  che 
come  il  Piola,  già  pur  tipografo,  e  il  Mi- 
ra, libraio,  sa  farla  all'  uopo  da  scrittore^ 
e  dare  saggio  di  molta  critica.  E  sulla 
stampa  ha  scrìtto  il  Piota,  e  un  Manuale 
di  Bibliografia,  molto  lodato  dagli  inten- 
denti, fu  pubblicato  pochi  anni  sono,  dal 
Mira  ,  dopo  il  quale  or  viene  questo  li- 
bretto del  Giliberti  non  meno  lodevole  de- 
gli altri,  e  ispirato  da  grande  amore  al- 
l' Italia,  prima  a  dar  proprio  la  stampa 
all'Europa  co'  suoi  caratteri  mobili,  indi 
ripetuti  dalla  Germania.  Qua  e  là  in  que- 
sti Siudi  del  Giliberti  si  correggono  o  con- 
traddicono taluni  asserti  del  Mira  ;  e 
molto  importante  è  il  {  II,  nel  quale  si 
notano  i  primi  libri  comparsi  in  Italia, 
dal  1465  a  tutto  quel  secolo  XV  e  ai  prin- 
cipi del  XVl;  e  l'arte  stessa  si  fa  crite- 
rio a  giudicare  la  difficile  questione  della 
priorità  tra  Italia  e  Germania.  Fra'  pri- 
miuimi  stampatori  noi  ci  abbiamo  il  fa- 
moso Filippo  De  Lignamine ,  messinese 
(1467),  che  fondava  a  Roma  la  seconda 
tipografia,  e  dava  in  Sicilia  saggi  della 
nuova  arte  prima  che  uscissero  fra  noi 
le  stampe  di  Maestro  Rigo  d' Alamania 
e  di  Andrea  de  Wcrmacia  (1473-1477). 
E  per  tutta  Italia  l'Aut.  conchiude  :  «  la 
storia  della  tipografia  sta  per  noi.... e  se 
vi  è  popolo  che  voglia  impadronirsi  del- 
l' onore  che  ne  deriva,  per  la  teoria  de' 
caratteri  mobili,  questo  popolo  non  può 
essere  che  l'italiano.  »  Intanto  si  al  Gili- 
berti e  si  al  Mira  mancheranno,  come 
sono  mancali,  i  mezzi  da  continuare  ne' 
loro  studi,  ad  onorare  il  nome  de'  nostri 
tipografi  e  librai  ;  e  noi  non  possiamo 
che  solamente  incoraggiarli  di  parole. 
V.  D.  G. 


STORU  DE'  PITTORI  SARDI  •  CaUOogo 
dmrittivo  ddla  privala  Pinacoteca  del 
Can,  GioviNNi  Spano.  Cagliari ,  A  la- 
gna, 1870. 

ACQUE  TERMALI  di  San  Saturnino 
presso  BenetuUi,  (Cagliari,  1870. 

11  primo  di  questi  due  opuscoli  ò  di 
pagine  60  in  8*  mass.,  diviso  in  due  parti 
come  il  titolo  stesso  dà  a  divedere.  Intorno 
alle  pitture  antiche  e  a'  pittori  sardi  la 
parte  prima  oflfre  notizie  copiose  e  presso 
che  ignote  finqui;  il  che  vuol  dire,  molto 
doversi  fare  ancora  perchè  la  storia  non 
solo  civile,  ma  anche  letteraria,  artistica, 
scientifica  d'Italia,  possa  toccare  ad  una 
méta  un  po'  considerevole.  E  vedere  poi 
con  quanta  presunzione  venghiamo  a  giu- 
dicar delle  altre  province  :  sentenziando 
quella,  povera  di  artisti,  questa,  analfa- 
beta, una  terza,  non  vista  mai  né  studia- 
ta, barbara!  quasi  che  i  soli  grandi  pianeti 
risplendano  in  cielo  e  i  piccoli  non  sieno 
parte  dell'universo  mondo.  »-  Da  pagina 
89  sino  alla  fine  é  la  parte  seconda  del- 
l' opuscolo  in  parola  ;  e  vi  hai  descritte 
tutte  le  opere  di  una  Pinacoteca  che  lo 
Spano  è  venuto  formando  di  suo.  Molti 
degli  artisti  ricordati  nelle  precedenti  no- 
tizie son  gli  autori  di  queste  opere ,  le 
quali  si  riducono  a  meglio  che  46  pittare 
su  tavola;  96  tele;  38  pitture  su  rame  e 
su  pietra  ;  9  miniature;  8  maioliche:  in 
tutto,poco  meno  che  duecento  favorì  d'ar^ 
te,  ne' quali  é  rappresentata  la  Sardegna 
artistica. 

L'opuscolo  sulle  Acque  termali  di  S. 
Saturnino  presso Benetutti  dà  la  storia  di 
quelle  acque  medicinali  conosciute  ed  ap> 
prezzate  fin  dai  tempi  migliori  di  Carta* 
gine  e  di  Roma«  ne'  quali  delle  lapidi  fu* 
rono  apposte  a  un  luogo  di  loro  scaturig- 
gine.  A'  di  nostri  esse  sono  state  analiz- 
zate in  parte  econtengono  solfati  di  calce 
e  di  soda,  silice,  cloruro  di  sodio  ecc.  Per 
quelle  di  S.  Saturnino,  sopra  tutto,  lo  Spa- 
no caldeggia  la  fabbrica  di  uno  stabili- 
mento balneario  e  per  far  cessare  la  mal- 
sania  che  regna  in  quelle  vicinanze ,  e 


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iU 


NUOVE  EFFEMERIDI  SIGXUANE 


per  dare  un  nuovo  argomento  di  salute 
a'Sardi,  e  per  agevolare  il  loro  commercio 
coi  non  Sardi,  i  quali  accorressero  a  quel- 
l'ospizio. Saranno  le  generose  parole  dello 
Spano  ascollate?  Lo  dovrebbero,  ma  forse 
non  lo  saranno,  perchè  nell'anno  di  gra- 
zia 1870  non  son  gli  Spano  quelli  che 
trovano  favore  a  prò  d' una  istituzione 
santa  in  faccia  a  consigli  di  provincia  e 
a  governi  centrali.  G.  P. 

INGAxXNI,  FALSITÀ*  E  VERITÀ'.  Pro- 
verbi Ialini  illiUtraU  da  Atto  Van- 
NVGCi.  Venezia,  Antonelli,  1870. 

Ogni  nuovo  capitolo  di  quest'  opera 
su'  Proverbi  latini,  che  V  illustre  Profes- 
sore Vannucci  dà  in  luce,  fa  crescere  in 
noi  il  desiderio  di  vederla  presto  pubbli- 
cata per  intiero.  È  un  quarto  saggio  quel- 
lo che  egli  ci  regala  ora  col  titolo  su- 
detto,  e  con  esso  ci  spiega  da  ottantasette 
proverbi  e  modi  proverbiali  latini  in- 
torno agli  inganni,  alla  falsità  e  alla  ve- 
rità presso  gli  antichi  Romani,  ne'  quali 
vizi  e  virtù  greche  coesistettero  e  si  per- 
petuarono. Non  ripetiamo  lodi  che  po- 
trebbero parere  stereotipe  trattandosi  del 
Vannucci  ;  auguriamo  si  a*  lettori  una 
bella  occasione  perchè  si  procurino  que- 
sto prezioso  saggio ,  stampato  negli  Atti 
deir  Istituto  Veneto  di  scienze,  lettere  ed 
arti  e  non  messo  in  vendita.  Nel  quale 
troveranno  e  morale  e  storia  ed  erudizio- 
ne quanta  non  se  ne  trova  in  molti  libri 
che  di  Mudi  morali,  storici  ed  eruditivi 
portano  il  titolo  e  menano  vanto. 

G.  P. 

CORREZIONI  E  GIUNTE  al  Vocabolario 

degli  Aecademiei  della  Crusca  (lotterà 

B)  a  cura  di   Alfonso  Cbrquetti. 

Porli,  Casali,  1870. 

Dopo  quanto  è  «tato  dello  ,•  in  queste 

Effemeridi t  dell'opera  del  prof.  Ccrquet- 

ti,  è  superflua  ogni  raccomandazione  per 

parte  nostra.  Il  volume  che  annunziamo 

verte  sulla  lettera  B,  tutto  di  correzioni 

e  di  giunte  proposte  dall'egregio  Forli- 


vese all'interminabile  Vocabolario  della 
Crusca.  Il  saggio  che  ne  abbiamo  sotto 
occhio  assicura  del  buono  che  sarà  per 
entro  all'opera  intiera;  temiamo  solo  che 
per  desiderio  di  impinguarla  il  valente 
critico  scenda  a  certe  minutezze  non  com- 
portabili da  chi  ama  lo  scrivere  efficace 
e  disinvolto.  G.  P. 

LE  RIME  DI  FRANCESCO  PETRARCA 
col  eomento  di  Giuseppe  Bozzo;  voi.  I. 
Palermo,  Amenta,  1870. 

Questo  nuovo  Comento  delle  Rime  del 
Petrarca  è  molto  opportuno  in  tempi 
che  gli  animi  hanno  bisogno  di  miti  af- 
fetti e  di  tornare  alle  dolcezze  squisitis- 
sime dell*  arte,  distratti  da  passioni  ne- 
miche alla  gentilezza  delle  lettere  e  alla 
soave  contemplazione  dell'  ideale.  Il  pro- 
fessore Bozzo  ha  premesso  al  suo  Ce- 
mento un  lodevolissimo  discorso  sulla 
natura  e  grintendimenti  del  Canzoniere , 

Ch'amore  in  Grecia  nudo  e  nudo  in  Roma 
D'  un  velo  candidissimo  adornando 
RenJea  nel  grembo  a  Venere  celeste. 

E  quest'  amore  ideale,  celeste,  del  Pe- 
trarca va  sempre  confermato  dal  Cemen- 
tatore per  tutte  le  chiose  del  volume,  e, 
oltre  il  Proemio,  con  la  Digressione,  che 
è  in  fine  del  volume ,  sopra  la  prima 
parte  del  Canzon  iere,  la  quale  se  ritorna 
bene  sulle  Rime  in  vita  di  M.  Laura  con- 
duce logicamente  a  quelle  in  morte,  che 
comporranno  il  secondo  volume  e  sa- 
ranno la  seconda  parte. 

Non  mancano  nelle  note  frequenti  ri- 
scontro con  Dante,  già  pure  dal  Bozzo  co- 
mentato;  e  sobrie  e  bene  a  proposito  sono 
sempre  le  chiose  o  filologiche  od  esteti- 
che che  si  hanno  ad  ogni  componimento 
del  grande  Poeti.  L'edizione,  adorna  di 
un  bel  ritratto  del  Petrarca,  è  nitida  e 
corretta  diligentemente,  e  tutto  il  volume 
può  ben  dirsi  elegante. 

Plaudiamo  l'egr.  profesbore  di  questo 
nuovo  suo  studio,  e  asi)ettiamo  che  pre- 
sto sia  compiuto.  V.  D.  G. 


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BULLBTTINO  BIBLIOGRAFICO. 


235 


DELLA  VITA  E  DEGÙ  STUDI  DI  At 
MEDEO  PEYRON,  iVoiisM  raccolte  da 
Fbdbrioo  Sclopis.  Torino,  Stamperia 
Reale,  1876. 

Una  delle  più  gravi  perdite  fatte  testé 
dalle  scienze  filologiche  in  Italia  è  quella 
del  celebre  Amedeo  Peyron  morto  il  27 
aprile  1870  in  Torino  sua  patria.  Di  lui 
molti  hanno  scritto  di  recente,  e  alcuni 
anche  bene,  ma  lo  elogio  che  ce  ne  ha 
dato  il  Conte  Federigo  Sclopis,  pronun- 
ziato alla  R.  Accademia  di  scienze  e  let- 
tere in  commemorazione  del  suo  antico 
socio,  é  la  più  bella  biografia  da  noi  let- 
ta. Allo  Sclopis,  da  Presidente  di  quel- 
r  onorando  sodalizio,  tocca  di  quando  in 
quando  il  doloroso  ufficio  di  ricordare  le 
virtù  di  mente  e  di  cuore  di  qualche  il- 
lustre personaggio;  ed  egli  lo  fa ,  come 
abbiam  veduto  testò  pel  Paleocapa ,  pel 
Manno,  pel  Matteucci,  pel  Mittermayer, 
ed  ora  pel  Peyron,  con  piena  conoscenza 
delle  discipline  nelle  quali  essi  segnala- 
ronsi,  con  affeito  che  sopravvive  alla  mor- 
te e  con  coscienza  di  scrittore.    G.  P. 


POESIE  DI  Cesare  Cantu'.  Firenze,Suc- 
cessori  Le  Mounier  1870. 

DUECENTO  SONETTI  in  dhletlo  roma- 
ne$co  di  G.  G.  Belli  con  prefazione  e 
note  di  L.  Moraxdi.  Firenze,  Barbèra, 
1870. 

Porgiamo  avviso  di  questi  due  vo- 
lumi differentissimi  tra  di  loro,  usciti  or 
ora  pe'  tipi  Le  Mounier  e  Barbèra,  riser- 
bandoci di  parlarne  nel  venturo  fascico- 
lo. Quello  del  Cantù  comprende  VAlgiio  o 
la  lega  fomòarcia  (poema),  e  poi  romanze, 
sermoni,  liriche  varie  ed  inni  sacri.  L'al- 
tro del  Belli,  oltre  a*  sonetti  raccolti  dalla 
tradizione  orale  o  scelti  dalla  edizione  ro- 
mana, contiene  un  lungo  studio  critico  del 
Morandi  col  titolo:  La  satira  in  Roma  e 
G,  G.  Belli.  G.  P. 


NUOVI  CANTI  E  TRADUZIONI  di  Sa- 
verio Baldacchini.  Napoli,  GhioJ1870. 

Settanta  componimenti  del  Baldacchini 
raccolti  in  un  elegante  volume  sono  un 
beir  acquisto  per  le  nostre  lettere,  in  cui 
i  buoni  esempi  poetici  vengono  ogni  dà 
stremando.  V'ha  nella  poesia  del  Bal- 
dacchini una  serenità  di  affetti  e  con 
essa  un'  arcana  malinconia  che  ti  con- 
forta e  ti  anima  insieme;  tutto  spira  amo- 
re e  carità  per  1*  umana  creatura,  che  il 
poeta  guarda  da  cristiano  e  da  cristiano 
compatisce,  e  da  cittadino  vuol  educata 
a  virtù  civili  e  ad  esempi  generosi.  Nelle 
Imitazioni  e  Traduzioni  egli  è  originale, 
e  se  i  suoi  componimenti  non  portassero 
in  capo  quel  titolo ,  il  lettore  li  crede- 
rebbe cosa  propria  del  Baldacchini. 

Forse  questo  bel  volume,  che  a  noi  è 
venuto  dalla  gentile  e  affettuosa  amici- 
zia del  valoroso  poeta  napolitano  Vin- 
cenzo Baffi  ,  non  va  in  commeicio  :  e 
però  non  a  tutti  sarà  dato  ricreare  lo 
spirito  e  nobilitar  la  mente  ne'  casti  e 
nobili  versi  del  Baldacchini.       G  P. 

LIRICHE  SCELTE  DI  POETI  ALEMAN- 
NI, Vertione  di  Antonio  De  Marchi. 
seguita  da  un  Compendio  storico  della 
Letteratura  tedesca  antica  e  moderna. 
Palermo,  Tip.  del  Giornale  di  Sicilia, 
1870. 

Libro  di  molta  utilità  per  gli  studiosi 
delle  due  letterature,  l'alemanna  e  la  i- 
taliana  ;  del  quale  diamo  per  ora  il 
solo  annunzio,  essendo  nostro  pensiero 
occuparcene  nella  critica  letteraria  della 
seguente  dispensa  delle  Effemeridi.  È  un 
elegante  volumetto  diS24  pagine,  che  co- 
sta lire  due  e  mezzo.  G.  P. 


A  FRANCESCO  LOJACONO,  Versi  di  Ugo 
Antonio  Amico.  Palermo  18T0. 

Questi  versi  del  sig.  Amico,  elegantis- 
simi, sono  una  confeiroa  sempre  più 
splendida  della  bella  fama  che  gode  f'au- 
tore  di  poeta  delicato,  gentile,  e  di  forme 


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236 


NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 


severamente  classiche.  La  natura,  ispira- 
trice vera  delle  stupende  tele  del  Loia- 
c^no,  vi  è  dipinta  in  modo  da  gareggiare 
la  parola  concolori,  tanto  che  non  sapresti 
dire  chi  la  vincesse;  e  l'animo  sente  nella 
lettura  de' versi  dell' Amico  quel  ricrea- 
mento  stesso  che  lo  solleva  ne'  laoghi  o 
montanini  o  littorani  che  l' artista  ha  ri- 
tratto dal  vero  della  nostra  isola.  La  villa 
Belmonte  sul  pendio  del  Pellegrino  che 
scende  a  punta  del  seno  di  Palermo ,  è 
cosi  maestrevolmente  descritta  che  ti  sem- 
bra passeggiare  per  que'  viali ,  e  respi- 
rare r  aura  odorata  che  si  leva,  in  tanta 
belleua  di  cielo  e  di  veduta  di  mare,  di 
città,  di  monti ,  da  quelle  floride  ajuole 
che  circondano  il  principesco  palano.  Ai 
poeti  del  Loiacono  si  accorda  a  meravi- 
glia la  soavità  de'  versi  del  prof.  Amico. 
V.  D.  G. 

LE  MIE  VEGUE.  Versi  di  G.  Costan- 
tino da  Mettina.  Messina,  tip.  Filo- 
mena, 1870. 

POESIE  POPOLARI  di  Giovanni  Mulè- 
Bbrtòlo.  Caltanissetia,  1870. 

Mese  per  mese  i  versi  non  mancano 
mai  nel  campo  delle  lettere,  e  questi  due 
volumettini  sono  un  saggio  de*  molti  che 
son  venuti  alla  luce  in  Sicilia  in  queste 
settimane  passate.  Non  diremo  che  sem- 
pre sia  poesia  in  essi;  che  anzi  ve  ne  ha 
assai  poca;  e  in  più  luoghi  è  solamente 
qualche  graiioso  concetto  che  costituisce 
il  meglio  e  il  tutto.  Buoni  studi  addi- 
mostra il  sig.  Costantino,  ed  affetti  sere- 
ni; spontaneità  il  sig.  Mule  e  una  certa 
vivacità  di  stile.  Però,  come  del  primo 
non  sappiam  capire  che  pubblichi  i  suoi 


versi  •  per  avere  un  incoraggiamento  al- 
l'arduo e  malagevole  cammino  che  n  à 
accinto  percorrere  »  ;  quasiché  si  stampi 
per  essere  incoraggiati  e  nou  si  sia  in- 
coraggiati pel  bene  che  si  fa:  cosi  del  se- 
condo ci  maraviglia  la  scelta  di  eerti 
temi,  ottimi  a  tempo  opportuno^  fuor  di 
luogo  adesso,  che  i  nobili  entusiasmi  son 
finiti.  Air  antico  nostro  condiscepolo  sig. 
Mule  osserveremo  inoltre  che  per  iscri- 
vere in  forma  popolare  non  siano  da  se- 
guire i  poeti  letterati  da  stornelli,  ma  il 
popolo  poeta,  fonte  inesaurìbile  di  poe- 
sia semplice  e  disinvolta.  G.  P: 

CURIOSITÈS  LINGUISTIQUES  (par  Bbbo- 

MANN.  Mulhouse,  Imprìmerie  Rader, 

1870). 

Llllusire  Decano  della  facoltà  di  Let- 
tere all'Università  di  Strasburgo,  cav.  G. 
F.  Bergmann,  in  questo  primo  scrìtto  di 
Curiotità  linguistiche  vuol  mostrare  come 
1  cangiamenti  che  han  portato  le  diffe- 
renze di  forma  tra  le  parole  francesi  e 
le  loro  corrispondenti  latine  sieno  in- 
cominciate nella  lingua  latina  medesima; 
di  maniera  che  la  lingua  francese  non  ha 
fatto  che  seguire  e  continuare  in  gran 
parte  le  tradizioni  e  gli  esempi  lasciatile 
dalla  latina.  Molte  citazioni  del  latino 
antico  e  del  francese  «  sopperite  da  pro- 
fonde conoscenze  filologiche,  confortano 
quest'assunto  del  Bergmann;  il  quale  se 
fosse  svolto  con  men  brevità  e  concisione 
fornirebbe  argomento  d'  un  bel  volume. 

A*  filologi  non  passerà,  speriamo,  inos- 
servata questa  grave  scrittura ,  che  fa 
bella  introduzione  alle  altre  promesseci 
dall'Autore.  G.  P. 


//  Gerente  :  Pietro  Montaina 


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NUOVE  EFFEIERim  SICILIANE 

ANNO  li.  DISPENSE  VI  E  VII.         SETT.  ED  OTTOBRE  1870 


ISCRIZIONE  GRECA  DI  SIRACUSA 


Fino  ai  1858  non  vedeasi  allro  dei  tempio  credalo  di  Diana  in 
Ortigia  (contrada  Resalibra)  clie  due  colonne  doriche^  ie  quali  inai- 
zavansi  dal  piano  della  casa  de'  fratelli  Santoro ,  suiPistesso  livello 
di  via  S.  Paolo.  Cominciati  solo  gli  scavi  nell'ora  detto  anno  1868, 
vennero  portali  molto  innanzi  nel  1864,  dopoché  il  presidente  della 
Commissione  di  Antichità  e  Belle  Arli,  sig.  Francesco  Di  Giovanni, 
si  fu  recato  sui  luogo  in  compagnia  del  sig.  Isidoro  La  Lumia  (1). 
li  tempio,  che  è  di  forma  esaslilo-periptera,  era  stalo  dai  danese  Fe- 
derico Hunter  ritenuto  come  il  più  vetusto  fra  i  monumenti  greci 
d'Italia;  ed  ecco  si  demolisce  la  casa  Santoro,  e  fra  altre  importanti  sco- 
perte si  rinviene ,  precisamente  nei  gradino  superiore  del  prospetto 
orientale,  un'iscrizione  greca,  scolpila  nel  tufo  calcare  e  molto  guasta 
dal  tempo. 

L'iscrizione  fa  interpretata  e  messa  in  luce  per  la  prima  volta  dal 
eh.  ellenista  sig.  Giuseppe  De  Spuches,  il  quale  lesse  e  tradusse  così  : 

KXeo....  e<  £7coiej£  tot  TeXovt  6|aov  xat  duveOejiv  laeiaxa  lepa. 

Cleo..,es  fecit  Geloni,  aeque  ac  famiiiaribus,  isiaca  forma. 

Prima  ancora  che  fosse  edita  l'iscrizione,  una  /eltera  suirargomento 
aveva  indirizzato  al  Di  Giovanni  il  direttore  delle  antichità  doti.  Save- 
rio Cavallari,  nella  quale,  dopo  aver  congetturalo  dalla  collocazione 
del  tempio,  eh'  esso  era  stato  costruito  in  un'epoca  in  cui  tutte  le 
più  eminenti  posizioni  fossero  di  già  occupate  da  altri  tempi  che 

(1)  W.  BuUelt.deUa  Commiu.  d'Antich,  e  BeUe  ArtiinSic.  nuro.  1  Scoverte  tiel 
tempio  creduto  di  Diana  in  Siracusa, 

16 


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*  238  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

decoravano  anche  la  saéra  isola  dì  Ortigìa ,  cosi  ne  scrìveva:  •  Se 
nscrìzione  trovala  determina  un^epoca  che  non  oltrepassa  il  Y  se- 
colo a.  C.  e  che  corrisponde  all'epoca  di  Gelone,  è  chiaro  che  do- 
vevano già  in  quell'epoca  esistere  molti  tempt  dedicati  alle  princi- 
pali divinità,  e  mollo  più  quello  dedicalo  alla  Dea  protettrice  che 
diede  il  nome  d'Ortigia  a  queir  Isola  come  ricordanza  dei  luogo  di 
sua  nascita.  —  I  dati  che  sì  riferiscono  sulla  topografla  del  nostro 
tempio,  sono  di  una  importanza  positiva  ;  e  se  altre  scoperte  non 
li  distruggono^  resteranno  sempre  tanli  elemenli  di  grave  conside- 
razione. Per  coloro  però  assuefatti  a  dare,  non  si  sa  come,  ai  mo- 
numenti epoche  remotissime  e  che  vogliono  inviluppare  ogni  an- 
tico monumento  con  il  manto  delPoscurità,  e  ricorrere  a  tempi  fa- 
votosi  ed  incerti ,  diremo ,  per  consolarli ,  come  il  nome  indicato 
nella  iscrizione  del  nostro  tempio ,  dì  Cleomedes  o  Cleomenes ,  è 
probabilmenle  quello  di  un  artefice  celebre  nella  coslruzìone  di 
tempii  sacri,  e  che  figurerà  neiristorìa  nelle  prime  file  tra  i  nomi 
i  più  insigni  di  tutta  la  Grecia  in  onore  della  Siciliana  cultura  e 
civiltà.  Anteriori  gli  sarebbero  solo  i  nomi  quasi  mitici  di  Dedalo 
e  dei  fratelli  Trofonio  ed  Agimede  illustri  architetti  che  costruirono 
il. tempio  di  Delfo;  il  primo  de'  quali  era  da  Apollo  fatto  morire 
di  dolcissima  morte  sette  giorni  dopo  la  costruzione  di  quel  tempio, 
e  fu  divinizzato  sotto  il  nome  di  Giove  Trofonio  venerato  in  Le- 
badia:  quel  tempio  dopo  essersi  bruciato,  fu  cominciato  a  ricostruire 
nel  VI  secolo  a.  C.  dairarchitetto  Spintauro,  ma  compito  un  secolo 
dopo.  Gli  allri  più  celebrali  architetti' fiorirono  in  tempi  posteriori 
al  nostro  Cleomedes  o  Cleomenes  probabilmente  Siracusano;  e  sono 
da  annoverarsi  tra  loro  Anlistate ,  Kallischro  ed  Anlimachide,  che 
costruirono  all'epoca  de'  Pisistrali  il  tempio  di  Giove  in  Atene.  Ictino 
e  Callicrate  edificarono  nel  438  a.  C.  il  famoso  Partenone  dopo  un 
lavoro  dì  16  anni,  e  nel  430  Tislesso  felino  costruiva  il  tempio  di 
Apollo  Epicurio  in  Bassa  presso  Figalia.  L'architetto  Libone  co- 
struiva il  tempio  di  Giove  in  Olimpia ,  che  fu  terminato  nell'anno 
425  a.  C,  e  finalmente  al  lY  secolo  Pileo  inalzava  il  tempio  qua- 
dralo dì  Prìene.  Da  ciò  si  vede  come  il  nostro  artefice  fu  tra  i 
primi,  e  rinomatissimo  costruttore  da  meritare  un'iscrizione  su  di 
un  tempio  sacro  >(<).«  Il  nostro  tempio  Siracusano  (diceva  inoltre 
lo  stesso  Cavallari)  per  lo  stile  architettonico,  si  può  assegnare  ad 
un'epoca  contemporanea  o  poco  posteriore  al  tempio  di  Minerva  in 

(1)  N«l  Giovn,  fli  Sic.  seti.  1864.  Num.  143, 

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ISCRIZIONE  GRBGA  DI  SIRACUSA  239 

/ 

Egina  costrailo  poco  dopo  la  gaerra  persica,  o  in  lermine  medio 
de'  Umili  di  tempo ,  marcati  dalia  fondazione  e  distruzione  di  Se- 
linunte  etTettuita  dai  Cartaginesi  20  anni  prima  di  fiorire  Fidia  (1).» 
Concbiudea  finalmente  congetturando  «  die  altro  tempio  di  Diana 
esistesse  di  altra  costruzione  >  ma  che  poi  alPepoca  floridissima  di 
Gelone  fosse  con  più  sontuosità  ricostruito  sul  tipo  dominante  del 
puro  dorico  >  (2).  Cosi  il  Cavallari,  e  le  sue  idee  sono  state  comuni 
al  DI  Giovanni  ed  al  De  Spuches. 

Or  dopo  ciò  che  si  scrisse  in  Sicilia  su  quest'argomento,  in  Ger- 
mania è  stato  pubblicato  nel  dotto  periodico  il  Philologus  (XXVI, 
p.  568)  un  articolo  di  R.  Bergmann  sulP  epigrafe  medesima.  È 
quello  che  io  presento  qui  tradotto  dal  tedesco,  credendo  utile  che 
venga  a  conoscenza  degli  studiosi  si  della  greca  epigrafia,  come  dei 
nostri  monumenti. 

Sag.  Isidoro  Carim 


L' Iscrizione  grreca  nel  gradino  superiore,  lato  orien- 
tale, del  tempio  recentemente  scavato  in  Siracu- 
sa (Ortigia). 

Ritrovandomi  in  Siracusa  nel  febbraio  dello  scorso  anno,  ho  esami- 
nato ripetutamente  Tiscrìzione  greca  di  un  rigo,  scoperta  nell'anno 
1864,  che  è  nel  lato  orientale  del  tempio  scavato  in  Ortigia  in  prossi- 
mità dell'istmo,  sotto  delle  tre  colonne  meridionali  nel  più  alto  gra- 
dino della  stilobate.  Essa  fu  pubblicata  per  la  prima  volta  dal  prin- 
cipe Giuseppe  De  Spuches  in  Palermo  in  una  lettera  indirizzala 
al  prof.  Francesco  Perez  {D'Anna  epigrafe  greca  trovata  in  Siracusa 
nel  tempio  creduto  di  Diana.  Palermo  4  nov.  1864,  in-%o,  stamperia 
Tamburello  e  C).  Indi  Tu  resa  di  comune  conoscenza  per  la  copia 
fattane  dal  dottor  Giulio  Schubring  negli  Annali  per  la  filologia 
classica,  supplem.  IV.  p.  672,  e  dallo  stesso  ne\  Philologus  XXlì,  p. 
637  e  segg.,  e  XXIII,  p.  363  segg.  nel  quale  ultimo  luogo  se  ne 
tratta  più  minutamente  coli' aggiunta  di  una  seconda  copia.  L'iscri- 
zione non  pertanto  sta  tuttavia  come  un  grave  enigma,  alla  cui  so- 
luzione voglio  ora  contribuire. 

La  copia  di  G.  De  Spuches  fondata  su  tre  fac-simili  a  lui  inviali, 

(I)  Giorn.  di  Sic.  Xum.  159. 
C2)Ivi. 


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240  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

le  due  dei  doli.  Schubriog  e  quella^  non  è  guari,  amichevolmente 
comuDìcalami  dal  prof.  Adler  di  fierliuo,  il  quale  visitò  il  tempio 
alcune  settimane  dopo  di  me  e  lo  disegnò,  per  la  prima  metà  ac- 
cordano  nella  sostanza  colla  mia  copia  nella  tavola  annessa;  soltanto 
esse  non  comprendono  le  vestigia  di  lettere  ancor  visibili  nella  lacuna 
tra  kaeo  ed  EZ;  ma  per  la  seconda  metà  offrono, come  dimostra  la  ta- 
vola, talune  differenze. 

La  scrittura  presenta  neirinsieme  lo  stesso  carattere,  che  quella 
dell'elmo  trovato  in  Olimpia  e  che  Cerone  consacrò  dal  bottino  della 
battaglia  di  Cuma,  01.  76,  3  {Corp.  Inscr.  Gr.  n.  16.  Rose,  Itiscr. 
Gr,  Vetust.  tab.  Vili,  i,  Franz.  Elem.  epigr.  Gr.  n.27.  Confrontisi 
Kirchhoff  Studien  zur  geschichte  des  griech.  alphab.  p.  196  e  seg.). 
Tuttavia  P^  e  la  5  hanno  una  forma  più  arcaica,  che  in  quella.  Il 
rho  colla  rotondità  aperta  e  col  tratto  diacritico,  il  quale,  sebbene 
in  parte  distrutto,  pure  è  ancor  sempre  da  riconoscersi  chiaramente 
(si  confr.  la  mia  copia  colla  copia  Adler)  risponde  al  rho  delle  ta- 
volette di  bronzo  Cumane  di  Democari  (BuUett.  Napolit.  VI,  p.  65, 
e  più  agevolmente  presso  Kirchhoff  loc.  cit.  p.  221).  In  tre  luoghi 
riscrizione  è  punteggiala  con  un  punto  in  forma  d'un  o  minuto,  e 
precisamente,  ne'  due  primi  senza  dubbio  dietro  un  nome  proprio, 
nel  terzo  anche  probabilmente  dietro  un  simile  nome,  su  di  che  ri- 
verrò più  giù.  Nella  tessera  di  bronzo  di  Poticastro,  spettante  ad 
un  tempo  più  antico  (C.  /.  Gr.  n.  4.  Rose,  hiscr.  Gr.  vet.  tab.  XI, 
p.  83  segg  Franz,  Elem.  epigr.  Gr.  n.  23  :  confrontisi  Kirchhoff 
loc.  cit.  p.  2i9,  segg.)  le  singole  parole  sono  divise  alla  maniera 
etrusca  e  romana  da  un  punto,  il  quale  manca  soltanto  dopo  T  ar- 
ticolo e  la  congiunzione  xa{  (veggasi  per  questo  Boeckh  nel  C.  /. 
Gr.  I,  p.  10  a,  Osann  SylL  Inscr.  ani.  p.  74,  sgg.  Franz,  1.  e.  p. 
80  e  62)  mentre  nell'iscrizione  dell'elmo  geronico  non  vediamo  più 
adoperata  alcuna  interpunzione.  Per  il  che  son  di  opinione  con  Kirch- 
hoff, che  r  iscrizione  di  cui  si  tratta  è  un  pò  più  antica  di  quella 
dell'elmo.  Con  lui  del  pari  non  iscorgo  nel  primo  nome  quello 
dell'architetto,  ma  bensì  d'un  cittadino  di  Siracusa,  il  quale  a  sue 
spese  fece  costruire  una  parte  del  tempio,  fossero  stale  pure  le  tre 
colonne  meridionali,  o,  ciò  che  parmi  più  verisimile,  i  gradini  dello 
stilobate.  Confrontisi  il  resoconto  della  Società  Archeologica  di  Ber- 
lino del  6  maggio  di  quest'  anno.  Circa  al  nome  dell'  uomo,  non 
so  restituirlo  con  sicurezza.  Ai  supplementi  proposti  da  Schubring 

nel    Vhilol    XXIII  ,    pag.     363,     KXeo[xpax{8]7i(;     o    K,Xeo[|Aaxt8]Ti(;    o 

KXco[vaxx(8]T)<;  si  oppoue  già  l' USO  dorico  dell'oc  invece  dell' tj  nelle 


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ISCRIZIONE  GRECA  DI  SIRACUSA  241 

desinenze  della  prima  declinazione.  La  es  (i]<;)  può  solo  apparte- 
nere ad  un  nome  della  terza.  É  probabile  che  la  lacuna  contenesse 
da  cinque  a  sei  lettere ,  mentre  in  uno  spazio  affatto  simile  stanno 
le  sei  lettere  noi££E ,  ma  non  per  questo  di  necessità  ,  e  la  cir- 
costanza particolarmente  notata  da  Schubring  loc,  cit  che  le  prime 
quattro  lettere  (kXso)  sono  le  più  grandi  e  più  larghe  di  tutta  Pi- 
scrizione  favorisce  la  credenza,  che  il  lapicida  continuasse  a  scri- 
vere in  somigliante  proporzione ,  dalla  quale  cominciò  ad  allon- 
tanarsi alquanto  nella  desinenza  ES.  Che  si  pensi  a  KXeo[(T0£v]7j(;  o 
KXeo[Yév]Ti<;,  lo  vietano  gli  avanzi  di  lettere,  che  seguono  dopo  V  o , 
i  quali  possono  provenire  da  una  my  con  linee  laterali  alquanto  di- 
vergenti. Perciò  si  può  congetturare  KXeo[fjisv]Ti<;  o  KX£o[fjit5$]T)c,  il 
che  insieme  con  KXeoYsvYj?  e  KXeojesvT)*;  era  stato  ancora  proposto  da 
G.  De  Spuches. 

Dopo  èiro{T|je  vi  è  T]w[ir£X]a)vi,  forma  dativa  con  crasi,  che  si  è  letta 
finora  erroneamente  t(ì>  réXwvi.  Viene  dunque  con  ciò  risoluta  la 
importante  quistione ,  a  quale  divinità  appartenesse  questo  tempio 
per  molti  riguardi  cosi  notevole.  Esso  non  era  dedicato  ad  Artemide, 
ma  ad  Apollo.  Ricorda  Brodiano  presso  Eustazio  {Commentar,  ad  Ho- 
mer.  Il  p.  183,  10)  che  i  Dori  chiamavano  Apollo  AireXXov.  A  que- 
sti luoghi  ed  agli  altri  allegati  da  L.  Dindorf  nel  Thesaurus  Linguae 
Gr.  Parigi  s.  v.  'A'7C£XX<i>v,  devesi  aggiungere  un  passo  dal  frammento 
del  KtopaXidxoc  del  comico  Epilico,  (presso  Ateneo  IV,  p.  140  A):  'ev 
AjiuxXawtv  irap'  'AiréXXu)  (V.  Ahrens  de  dial.  Dor.  p.  122  e  p.  482, 
e  segg.  insieme  alPart.  dell'  istesso  dotto  •  laconici  »  nel  nUoL 
VI ,  p.  652-655).  Non  solamente  par  che  la  forma  sia  dorica,  ma  al- 
tresì, che  Pabbian  avuto  originariamente  comune  tutti  i  popoli  greci, 
come  anche  una  parte  degli  Italici  (si  confronti  Bergk  Beitràge  zur 
griechischen  monatskunde  p.  43,  in  nota,  collo  scritto  di  C.  F.  Her- 
mann sulla  conoscenza  dei  mesi  presso  1  Greci  p.  45  segg.)  Che 
altra  volta  esistesse  nel  dialetto  ionico,  si  deduce  dal  nome  di  mese 
'ATreXXawàv  occorrente  in  Tenos  (C.  J.  Gr.  Il,  n.  2338,  15)  e  quanto 
agli  Eoli  è  d'uopo  ammettere,  che  come  dicevano  f^ovxac  per  òScJvta;. 
ISuvac  per  68uva<;,  similmente  devono  pure  aver  detto  'ATtsXXwv  per 
'AirrfXXtóv.  Confi-.  Boeckh  nel  C.  I.  Gr.  p.  721 ,  e  segg.  ed  Ahrens 
de  dial.  Aeol.  p.  80.  L'antica  forma  latina  Apollo  (<  Apellinem  an- 
tiqui dicebant  prò  Apollinem  >  Paol.  Diac.  p.  22,  14,  ed.  0.  Muel- 
ler)  è  stala  già  ricordata  da  Mattaire  Gr.  linguae  dial.  p.  152.  D. 
oda  0.  Mueller  Dorier  L  p.  301.  Quest'ultimo  nota  Etrueker  11^ 
p.  69, 113  una  simile  forma  osca  aTCTceXXouv,  ch'egli  trovò  nelPiscri- 


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242  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

zione  Mainertina  di  Messina  presso  Castelli  Inscr.  Sic.  Y,  45,  p.  55. 
Questa  iscrizione ,  nella  quale  <  i  due  medicea  e  la  Comunità  dei 
Hamertini  dedicano  qualche  cosa  ad  Appellunes  •  è  ora  letta  più 
correttamente  da  Mommsen  UnterUal,  dici.  tav.  XII,  pag.  193  segg. 
e  contiene  nel  luogo  in  quislione  le  parole  aTiTceXXouvTii  aoexopo,  che 
significa  Apollini  sacra ,  dopo  di  che  è  da  rettificare  la  citazione 
di  L.  Dindorf  loc.  cit.  —  Si  consulti  altresi  su  di  ciò  Mommsen  loc. 
cit.  pag.  245  e  25i.  Della  fusione  dell'articolo  nel  nome  del  dio  per 
mezzo  della  crasi  non  difettano  esempi  nelle  arcaiche  iscrizioni.  11  no- 
tevole documento  ionico  di  Alicarnasso  edito  da  C.  F.  Newton  nel- 
r  opera  A  history  of  discoveries  at  Halicarnassus,  Cnidus  and  Bran- 
chidae  nella  tav.  LXXXV,  ed  illustrato  voi.  Il,  pag.  671  e  seg, ,  e 
di  .cui  si  è  trattato  da  Sauppe  Góttinger  Nachrichten  von  der  G.  A. 
Vniversim  1863  ,  num.  7  (V.  Philol,  XXI,  pag.  302)  ed  in  parte 
anche  da  Klrchhoflf  loc.  cit.  p.  120  e  segg.  offre  nel  verso  36  tò- 
•ic(5XXu)v[oc.  La  forma  TcbicdXXwvt  si  trova:  lo)  nell'  iscrizione  di  Her- 
mesianax  nel  lato  dritto  della  sedia  di  una  delle  statue  nella  via  sa- 
cra di  Branchida  C.  /.  Gr,  n.  39,  3,  (si  consulti  Praef.  p.  XXVI,  e 
segg.)  Franz  loc.  cit.  n.  48,  presso  Kirchhofif  loc.  cit.  p.  139  e  segg;  2°) 
neir  iscrizione  Didimea  deir  Histaios ,  che  prima  fu  pubblicata  da 
Ussing,  Graeske  og  Latinske  fndskr if ter  K}òbenì\B\iì  1854  p.  36  n.  4 
e  più  esattamente  da  Newton  loc.  cit.  p.  787  n.  72  presso  Kirch- 
hoff  loc.  cit.  p.  130  e  249,  (TO)iKJXXa)[vi)  ;  3°)  in  un  vaso  di  Adria 
nella  collezione  Bocchi  C.  I.  Gr.^  n.  8340  (TÒ)7r(JXXa>v[t).  Molti  sono 
gli  esempi  per  T ortografia  con  un  lambda:  tcj)  ATcdXwvt  nelP  iscri- 
zione sul  dorso  di  un  leone  di  pietra  di  Branchida;  questa  fu  pub- 
blicala dapprima  per  comunicazioni  epistolari  di  Newton,  nelle  Noti- 
zie mensili  dell'accademia  berlinese  delle  scienze  1859,  p.  660  sotto 
il  n.  1,  e  per  la  seconda  volta  con  alcune  varianti  nell'opera  citata 
di  Newton  tav.  XCVII,  66  (si  confronti  il  voi.  Il  p.  777  e  segg.); 
ambedue  le  copie  presso  KirchhofT  p.  140  e  segg.  ATcdXwvt  nelPe- 
pigramma  delV  ex-voto  ài  Platea  nelPAtmeidan  in  Costantinopoli, 
ottimamente  edito  da  Frick  nel  3o  supplemento  degli  Annali  per  la 
classica  filologia  p.  487,  e  segg.  (confrontisi  Kircbboff  p.  211).  Nelle 
iscrizioni  de'  vasi  comparisce  AitdXwv  C.  J.  Gr.  IV,  n.  740  \  74i9 
7552,  b,  7620.  A7t({Xtovoc  nello  stesso  luogo,  n.  7419,  7420,  7422, 
7571  6,  7619  b.  Che  oscillasse  molto  la  scrittura  di  questo  nome 
e  de'  nomi  da  esso  derivati  fra  una  e  due  X,  ben  chiaro  apparisce 
se  si  mettano  insieme  coi  connati  esempi  anche  le  forme  che  si 
presentano  simultanee  nel  documento  ionico  di  Alicarnasso,  tò)ir(iX- 


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ISGRIZIONB  GRECA  DI  SIRACUSA  243 

Xwv[o(;]  (V.  36),  'AicoXXLwvQcp  (y.  4»),    AicoXXcovtóew  (v.  IO),  'A7to[Xa). 

v($7ic  (v.  30)  e  r  6  'A7c]oX[a>v]($eci>  xJmc<{XXci>vi  dell'  iscrizione  d' Herme- 
sianax  (secondo  V  ha  restituito  più  sicuramente  Kirchlioff).  Alcun 
altro  con  questo  affine  vedi  presso  Sauppe  loc.  cit.  p.  320  e  seg. 
'AicéXu)v  oppure  'aic(ÌX(i>v  divenne  per  sincope  e  mutamento  di  co  in 
ou,  nel  dialetto  tessalico,  "attXoi^v  ,  col  quale  può  conferirsi  Apulu 
ed  Aplu  nelle  pàtere  etrusche.  V.  Boeckh  nel  C.  /.  Gr,  n.  1766, 
voi.  I,  p.  860,  Ahrens  de  dial.  Aeol  p.  218  e  seg.  Y.  Mueller  E- 
trusker  II,  p.  69. 

Nella  seconda  metà  delP  iscrizione  pare  che  V  incavo  circolare,  che 
si  trova  fra  il  primo  a  e  Pi,  non  sia  né  interpunzione  né  un  o,  come 
é  data  da  Schubring,  ma  un  guasto  nella  pie  tra.  La  interpunzione 
dopo  la  seguente  A ,  in  confronto  coi  due  altri  luoghi,  dove  V  in- 
terpunzione é  usata,  mi  fa  vedere  verisimile,  che  anche  qui  ad  essa 
dovea  precedere  un  nome  proprio.  Questo  può  essere  Nij&xac,  for- 
mato da  Nt<Toc,  come  rXauxérac,  da  rXauxoc,  e  sia  come  nome  pa- 
tronimico in  genitivo.  Il  nome  del  figlio,  che  a  questo  appartiene 
si  supplisce  fàcilmente  con  EòxX^c ,  la  fine  dell'  iscrizione  con  xal 
*Hpac.  Qual  rapporto  abbiano  i  nomi  EuxXììc  ed  *Hpac,  lo*  mostrerà 
la  restituzione  delle  seguenti  otto  o  nove  lettere  dopo  V  o  aspirato. 
Risulta  dunque  dalla  ricerca  che  fin  qui  abbiamo  fatto  la  seguente 
lezione  : 

KXeo[|x6v]T)c  0  KXeoQxiJSjYjc  èitoCTjae  [T]o)['itéX]ci)vf  [6 at? 

EòxX]tìc  [Nli<i[éT]«?  [x«l  'H]pa[(;. 
Branderburgo. 

R.  Bergmann 


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DI  UN  DOCUMENTO  INEDITO 

RIGUARDANTE  UNA  DELLE  ANTICHE  PORTE  DI  PALERMO 


Al  Gh.""  sig.  Salvatore  8aIomone-Hf arino 


Chiarissimo  Signore 

Gralo  della  cortesia  eoa  cui  Ella  degnossi  accettare  il  documento 
riguardante  le  miniere  di  Ali  e  Fiumedinisi,  mi  permetto  comuni- 
cargliene un  altro  degno  egualmente  deir  attenzione  dei  lettori  delle 
Nuove  Effemeridi 

É  desso  un  atto  per  cui  il  Comune  di  Palermo  concede  al  no- 
bile Jacopo  di  Bologna  P  antica  porla  di  Busuemi,  e  con  essa  Tedi- 
fizio  soprastante ,  per  lo  censo  dì  tari  sei  annuali.  Prima  però  di 
ragionarne  sembrami  opportuno  di  trascriverlo  qui  appresso  per 
come  r  ho  ricavato  dal  registro  di  Atti ,  bandi  e  proviste  del  sud- 
detto Comune  per  Tanno  IX  indizione  1475-76,  a  foglio  151. 

•  Universitas  felicis  panormilane  urbis  universis  et  singulis  presen- 
tes  nostras  inspecturis  litteras  notum  fieri  volumus  quod  in  mirandis 
cassari  nostri  menibus  meridiem  versus  porta  adhuc  (1)  bnsuldeni 
nomine,  quadrato  lapide,  vetustissima;  ex  qua  traddilur  melellum 
primum  romane  gentis  ducem  cum  panormitanis  civìbus,  cartaginen- 
sium  castra,  simul  et  ferocissimos  elefantes,  hoslesque  cunctos  su- 
perasse, fugasse  et  penitus  evertisse;  cujus  quidem  porte  solum  ad- 
huc rubeis  quibusdam  lapidibus  marmoreys  stratum  esse  cematur  (2). 


(1)  Adestft 
(J)  Cernilur. 


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DI  UN  DOCUMENTO  INEDITO  24S 

cnpientes  ne  tam  laudabile  ediflcium  vetostate  toUebatur  (1)  nobili 
viro  iacobo  bonie  (2)  concive  precipuo  sese  nobis  offerente  in  eis- 
dem  (3)  porte  edificio  (4)  superiori  parte  velie  habilabilem  illud  (5) 
redducere,  nec  de  vetustatis  venerande  forma  aliquid  velie  detra- 
here,  ìmmo  illud  omni  arte  et  ingenio  conservare ,  adonto  etiam 
*quod  aliquod  predium  (6)  prope  privatas  ac  proprias  edes  babet, 
matura  orciai ium  nostrorum  deliberalione  preheunte,  superficiem 
illam  cum  tote  edificio  superiori  eidem  iacobo  suisque  beredibus  et 
successoribus  quibuscumque  duximus  concedendam,  iure  tamen  per« 
petui  census  tarenorum  sex  anno  quolibet  ab  eodem  iacobo  et  quo- 
cumque  futuro  successore ,  paclis  emphiteolicis  legalibus  et  munì- 
cipalibus  nobis  perpetuo  reservatis  ;  ac  etiam  ne  venerando  dive 
dare  monasterio  iniuria  fiat,  ne  scilicet  aspectus  vel  prospectus  ex 
tali  orìatur  edificio  in  ipsius  monasteri!  detrimenlum.  quarum  qui- 
dem  presentium  licterarum  aucloritate  iubemus,  ut  prò  ulriusque 
partis  memoria  et  cautela  de  huiusmodi  concessione  nostra  cum  no- 
stro sindaco  instrumentum  conficialur.  in  quorum  quidem  testimo- 
nium  presentes  fieri  ìussimus  nostrorum  (7)  iuratorum  (8),  pretore 
absente ,  ac  magno  sigillo  munimine  roboratas.  datas  in  novo  no' 
stre  residentie  palatio  (9)  die  xxvj  iulii  viiij^  indictionis  M^^cccclxxvj. 

*{*  philippus  de  gilibertis  iuratus  et  prior. 

*|*  cola  di  bulogna. 

'f  cola  matheo  di  branchi  iuratus. 

^  leonardus  de  barlholomeo  iuratus. 

•{•  ioannes  de  rigio  iuratus. 

•f  pelrus  de  bononia  iuratus. 

.  vidit  raynaldus  sindicus.  • 


(1>  Illabatur, 

(2)  Cosi  il  lesto.  Intendo  Bononie  coiraiuto  dell*  annotazione  marginale  M  rogi- 
slro  che  dice  cosi:  Pro  nobili  iacobo  de  bononia  concettio  porte  buliudeni, 

(3)  Eiutdem, 

(4)  Edifica. 

(5)  Cosi  il  testo  scorrettamente.  L*  intelligenza  ò  chiara, 

(6)  Cosi  panni  doversi  leggere ,  benché  il  testo  vi  si  presti  appena.  Ed  intende- 
rei che  il  concessionario  si  avesse  podere  attiguo  a  case  attaccate  alla  porta.  Ad  ogni 
modo,  ripeto,  la  lettura  è  dubbia. 

(7)  Nostrum.  ^ 
(8j  Suppl.  tubtcriptionibus. 

(9)  Cioò  l'attuale  Palazzo  di  Città  che  cominciò  ad  edificarsi  dopo  il  1470.  Nel  re- 
gistro del  Comune  dell*  anno  X  ìndiz.  1476-77  incontransi  n^lti  documenti  i  quali 
trovano  ch'esso  era  tuttavia  in  corso  di  costruzione. 


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246  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNB 

La  prima  cosa  a  notare  nel  documento  sopra  riferito  ella  è  che 
il  nome  della  porta  vi  si  trova  scritto  in  modo  assai  pia  vicino  alla 
saa  arabica  origine. 

É  da  ricordare  in  proposito  che  in  un  laogo  della  descrizione  di 
Palermo  verso  la  metà  del  X  secolo  lasciatapi  dal  geografo  mosul- 
mano  Ibn  Haucal  (1)  si  fa  menzione  di  una  porta  rivolta  a  mez- 
zodì e  chiamata  arabicamente  Bàb  es-sudàn.  Il  Prof.  Hicliele  Amari 
dichiarando  quel  luogo,  osservò  che  la  porta  cui  si  accennava  doveva 
esser  quella  detta  di  Busuemi  (2).  Or  il  nostro  documento  del  quale 
si  scorge  che  la  porta  istessa  dicevasi  allora  di  Busuldeni  o  di  Bui- 
sudeni  conferma  evidentemente  Topinione  del  nostro  illustre  orien- 
talista, dapoichò  BtUsudeni  è  lo  stesso  che  Bàb  es-ttédàn. 

A  proposito  della  etimologia  di  questa  parola  mi  piace  il  ricor- 
dare ancora  quel  che  ne  dissero  i  nostri  eruditi  che  più  special- 
mente occuparonsi  della  topografia  dell'antica  Palermo.  Il  Cascini 
pare  che  V  abbia  spiegato  per  termine ,  confine  (3).  Giova  riportar 
qui  le  sue  parole:  «  Porta  Busuemi  cioè  porki  e  termine....  Questa 
«  sola  porta  si  era  conservala  per  tanti  secoli  fin  air  età  nostra  in- 
«  tiera  col  suo  nome  antico  Busuem,  insanie  molibus  epectabUte,  dice 
«  il  Fazello  (4),  e  fu  rovinata  nel  1585  (5)  per  alzar  quivi  lo  spe- 
«  dale  del  Beato  Giovanni  di  Dio  colle  pietre  di  quella ,  costume 
«  di  Palermo  spesso  notato  dal  Fazello,  di  rovinare  le  sue  antica- 
t  glie  venerande,  senza  necessità;  come  vide  pure,  e  si  dolse,  nel 
«  1549  svellere  il  resto  delle  mura  da  questa  porta  fin  al  Palazzo 
«  Regio,  benché  saldissime ,  delle  quali  ve  ne  rimangono  ancora  i 
•  manifesti  segnali.  > 

Ho  voluto  trascrivere  le  parole  di  queir  erudito  gesuita  per  mo- 
strare che  il  Morso  sbagliava  allorquando  facevagli  dire  che  Busuemi 
^  secondo  il  Fazello  significhi  porta  insanie  moUbw  spectabilis  (6). 

(i;  V.  Amari.  Deicriplion  de  Palerms  au  milieu  du  X*  siècle  par  Ebn  Haueal.  Su 
nel  Journ.  Asiatique,  année  1845.  Il  tetto  arabo  ò  riprodotto  nella  BUd,  Arabo-Si- 
cula  dello  slesso  Amari  (Lipsia,  Brockbaus»  1857)  a  pag.  4. 

(f)  Lo  stesso  (nei  Journ.  Aiial,)  nota  (23). 
-  (3)  Cascini,  Vila  di  S.  Rotalia,  Palermo  1651.  Digressione  I  (in  fine  del  voi.)  p.Y. 

(4)  De  rebus  Sieulis,  Dee.  h  lib.  Vili,  cap.  I. 

(5)  Dai  Diari  di  Palermo  del  Paruta  risulta  invece  che  la  demolizione  fu  comin- 
ciaU  nel  1587. 

(6)  MoASO,  Descrizione  di  Palermo  anlieo.  Ivi  {%*  edizione)  1827,  pag.  246  e  247. 
Veggasi  ancora  la  nota  (1)  alla  pag.  247.  Confrontando  questa  nou  col  testo  sembra 
cbe  quivi  sia  incorso  qualcbe  errore  tipografico.  Nella  nota  infatti  l'autore  tentando 
di  spiegare  l'etimologia  data  dal  Cascini  dice  che  sarebbe  troppo  stentato  il  dedurla 


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DI  UN  DOCUMENTO  INEDITO  247 

Dapoìchè,  né  il  Fazeilo  disse  questo,  nò  il  Cascini  intese  in  tal 
modo  le  parole  del  nostro  insigne  storico  (1).  Ma  il  bello  si  è  che 
il  Uorso  prese  ad  esaminar  sul  serio  la  etimologia  data  dal  Cascini, 
e  dopo  avervi  almanaccalo  su  per  alcun  poco,  la  rigettò  (S).  Ciò 
nondimanco  egli  non  fu  di  costui  più  felice  allorché  polendola  far 
da  indovino  (son  sue  parole)  pretese  dedurla  dalla  voce  arabica  (té- 
zum  (f)  che  secondo  lui,  significlierebbe  linea  segmenti ,  funictUus 
traiectuSy  •  per  la  ragione  che  sotto  quella  porla  oravi  il  piccolo 

•  ponte  per  cui  si  tragittava  alla  opposta  sponda  del  sobborgo.  * 
Credo  superfluo  il  fermarmi  a  ripetere  quel  che  pria  di  lui  ne  a- 
vea  già  dello  il  Giardina,  il  qual  mise  a  contributo  tutto  rOrienle 
per  rintracciar  Torigine  di  quella  strana  parola  (3).  Checché  ne  sia 
però  di  queste  spiegazioni,  giustizia  vuole  che  si  ricordi  che  né  il 
Cascini  né  il  Giardina  sapevan  d'arabico,  e  che  il  Morso,  orientali- 
sta non  ispregevole,  non  arrivò  a  tempo  per  giovarsi  del  capitolo 
d'Ibn  Haucal  e  della  Biblioteca  Arabo-Sicuta. 

La  porta  di  Busuemi  colla  sua  torre  esistette  fino  al  1587  nel 
sito  oggi  occupato  dalP  ospedale  degli  ex-Benfratelli;  e  per  dar  luogo 
ad  esso  fu  demolila  quella  pregevole  anticaglia  che  un  secolo  in- 
nanzi voi  evasi  con  tanta  sollecitudine  conservata  (4).  Il  Giardina 
credette  che  il  mezz'arco  sottostante  al  castello  d'acqua  di  via  Bi- 
scoltari,  esistente  fin  oggi ,   fosse  un  avanzo  della  porta,  «  per  la 

•  torre  vicina  (quella  compresa  nel  palazzo  del  Conte  Federico  ?) 
t  secondo  il  costume  di  fabbricar  le  torri  a  lato  delle  porte;  •  ma 
il  Palermo  *dice  senz'altro  che  la  torre  fu  demolita  fin  dalle  fonda- 

daU' unione* dallo  voci  arabiche  bàb  (portai  e  fairim  (termine).  Ma  nel  lesto  si  dice: 

•  Busuemi  che  signi  Oca  (secondo  il  Cascini)  porta  insanii  molibus  ipeetabUii.  •  Per 
togliere  questa  contraddizione  bisognerebbe  sapporre  che  per  errore  tipografico  sic 
slata  omessa  nel  testo  la  parola  temane  dopo  la  parola  porta. 

(1)  Fazeilo  disse  solo  che  la  porta,  fabbricata  di  enormi  massi,  era  arabicamente 
chiamata  Busuemi,  Loc.  ci(. 

(2)  Morso,  luogo  e  nota  cìt. 

(3)  Giardina,  Le  antiche  porte  di  Palermo.  I?i  1732,  Gap.  XIII. 

(4)  Diari  della  città  di  Palermo.  Ivi,  1869,  Voi.  I  pag.  112.  Francesco  Barone 
(de  Maiettate  Panormit.  lib.  III,  cap,  XI,  J  2)  dice  che  la  torre  apparteneva  alla  fa- 
miglia lo  Castrone,  e  cita  in  appoggio  una  deposizione  di  testimoni  ridotta  agli  atti 
di  Notar  Matteo  Fallarà  nell'anuo  1488.  Io  ho  trovato  nel  citato  registro  del  Comune 
dì  Palermo  (Ìog.  190)  un  termine  di  4  giorni  accordato  a  frate  Cristoforo  lo  Castrone 
per  provare  che  la  torre  era  di  sua  proprietà,  (12  agosto  1476).  Dallo  stesso  Barone 
si  ritrae  che  la  tórre  suJetta  fu  espropriata  dal  Comune  per  demolirla  e  destinarne 
l'area  alla  costruzione  deU' ospedale,  e  che  la  famiglia  lo  Castrone  fu  indennizzata 
della  perdita  che  pertanto  venne  a  risentire. 


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248  NtJOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

menta  (i),  né  le  memorie  sincrone  lascian  dubitare  che  ne  sia  ri- 
masta superstite  alcuna  parte.  Se  cosi  è,  il  mezz'arco  di  cui  parla 
il  Giardina,  non  può  essere  un  avanzo  delP  antica  porta ,  né  sem- 
bra per  altro  eh'  esso  accenni  a  quell'epoca  saracenica  nella  quale 
la  porta  doveUe  essere  edificala. 

Il  nostro  documento  mostra  che  a  queirediOcio  annettevasi  una 
importanza  stòrica.  Credevasi  che  dalla  porta  di  fiusuemi  fosse 
uscito  Metello  ad  attaccar  T  esercito  Cartaginese  condotto  da  Asdru- 
baie,  e  che  perciò  essa  fosse  un  monumento  della  prelesa  alleanza 
della  città  di  Palermo  e  della  romana  repubblica ,  alleanza  donde 
facevansi  scaturire  i  vantati  privilegi  di  quella,  cioè  la  insegna  del- 
l' aquila  d' oro ,  il  titolo  di  pretore  attribuito  al  primo  magistrato 
della  città,  la  qualifica  di  urbs^  e  le  altre  franchigie  di  cui  credevasi 
che  Palermo  avesse  goduto  ai  tempi  delia  dominazione  Romana. 

Per  intender  meglio  ciò  che  qui  sopra  ho  accennato  non  sarà  su- 
perfluo il  ricordare  che  Tanno  251  av.  Cr.  Asdrubale  capitano  de'  Car- 
taginesi credendo  che  l'esercito  Romano  scoraggiato  per  le  immense 
perdite  subite  durante  V  impresa  d'Affrica,  ed  indeboUto,  perchè  una 
metà  orasene  ritornala  in  Roma  col  console  Fulvio,  si  pensò  sorpren- 
dere Metello  che  coll'altra  metà  dell'esercito  si  rimaneva  in  Panormo 
aspetlando  che  fosse  trascorsa  la  stagion  della  mèsse.  Usci  pertanto 
da  Lilìbeo  e  per  la  via  di  Selinunte  sen  venne  ad  accamparsi  ai 
confini  dell'agro  panormilano.  Né  per  questo  Metello  inducevasi  ad 
uscire  dalla  città  :  —  di  che  il  Cartaginese  ascrivendo  a  paura  la  di 
luì  condotta ,  faceasi  audacemente  innanzi ,  e  disceso  per  la  gola 
della  montagna  veniva  accostandosi  alle  mura  e  distruggendo  insieme 
i  còlli;  ma,  ciò  nulla  ostante,  il  Romano  non  mutava  consiglio.  Al- 
lora Asdrubale  valicò  l'Oreto,  e  fé'  passarlo  ai  suoi  elefanti,  e  lo- 
stochè  l'ebbe  varcato  inconlrossi  con  alcuni  drappelli  di  scorridori 
i  quali  aveano  il  compilo  di  tenerlo  a  bada  tinche  l'esercito  romano 
si  fosse  ordinato.  Intanto  altri  drappelli  di  arcieri  situali  al  di  qua 
del  fossato  che  custodiva  la  città  eran  pronti  ad  accogliere  con  una 
grandine  di  freccio  gli  elefanti  come  venivano  accostandosi ,  ed  a 
rifugiarsi  nel  fossato  allorché  quelle  immani  bestie  accennavano  di 
precipitarsi  lor  contro,  per  tornare  a  saettarli  appena  messi  al  co- 
perto. Sulle  mura  poi  stavano  gU  operai  panormitani  (ol  t^;  à^opac 
pàvaudoi)  preparati  a  ricevere  con  una  scarica  di  dardi  gli  assalilori. 
impegnatasi  la  zuffa,  i  condottieri  degli  elefanti,  gareggiando  d'au- 

(1)  Palermo,  (Gaspare)  Guida  di  Palermo  (ediz.  del  iS57)  pag.  499. 


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DI   UN  DOCUMENTO  INEDITO 

dacia  col  lor  capitano  ed  agognando  a  coglier  le  primizie  della  spe- 
rata vittoria,  aifrontavan  compatti  gli  arcieri,  i  quali  eran  presti  a 
riparar  nel  fossato,  e  di  quivi  a  molestare  a  farla  di  freccio  gli  e- 
lefanti,  i  quali  inaspriti  da  tante  trafitture  e  crivellati  dai  nembi 
di  saette  che  piovean  dalle  mura^  tornavano  furiosamente  addietro 
cacciandosi  sotto  i  piedi  tutti  quanti  in  lor  s'imbattevano,  gettando 
cosi  il  disordine  e  lo  scompiglio  tra  le  file  dei  Cartaginesi.  Allora 
Metello  che  già  stavasi  pronto  coi  soldati  presso  la  porta  della  città, 
piombò  sul  fianco  sinistro  dell'  esercito  nemico  e  lo  costrinse  a  fuga 
precipitosa.  Gli  elefanti  e  i  lor  condottieri  caddero  tutti  in  mano 
del  viocitore  che  se  ne  avvalse  a  render  più  splendida  la  sua  en- 
trata trionfale  in  Roma. 

Questo  è,  secondo  Polibio  (1),  il  genuino  racconto  del  fatto,  rac- 
conto che  con  poche  e  non  rilevanti  differenze  (delle  quali  ho  te- 
nuto talvolta  conto)  vediamo  ripetuto  da  Diodoro ,  Plutarco ,  Dio- 
nigi d'Alicarnasso  ed  altri  storici  aotichi.  1  più  recenti,  e  in  ispe- 
cie  i  nostri ,  vennero  ricamando  su  questa  tela  altri  piccoli  aned- 
doti più  0  men  verisimili,  ma  per  vero  dire  non  appoggiati  da 
veruna  autentica  testimonianza.  Tra'  nostri  va  ricordato  in  prima  li- 
nea il  celebre  Pietro  Ransano  (I428-U92)  autor  delP opuscolo  de 
Anafore  Primordiis  et  Progresm  felicis  urbis  Panarmi  (2).  In  que- 
sto scritto  che  risale  al  1470  (3)  l'erudito  domenicano  imprese  a 
dimostrare  che  i  Romani ,  e  per  memoria  del  fatto ,  e  per  grati- 
tudine verso  i  Palermitani ,  restituirono  loro  la  libertà ,  stabi-' 
lirono  in  Palermo  una  colonia  Romana,  accordarono  il  titolo  di  pre- 
tore al  primo  magistrato  della  città  ed  a  questa  Tuso  delP  insegna 
deir  aquila  d'  oro,  e  \ollero  finalmente  che  Palermo  si  chiamasse 
urbs  a  somiglianza  di  Roma  che  urbs  si  diceva  per  eccellenza  (4). 

Il  nostro  documento,  di  cinque  o  sei  anni  posteriore  al  libro  del 
Ransano,  aggiunge  solo  una  nuova  circostanza,  cioè  che  dalla  porla 


(1)  tìiiloriarum  reliquiae,  lib.  1  cap.  40.  Edit.  Didot,  Parisiis  1852.  — Pars.  1.  pa- 
gina 31-32. 

(2)  Pubblicalo  in  Piilermo  pe'  lipi  di  Stefano  Amalo  nel  1737  e  riprodoUo  nel 
toni.  IX  della  raccolta  di  Opuscoli  di  Autori  Siciliani  (1767).  L'egregio  ab.  Gioac- 
chino Di  Marzo  ne  ha  pubblicato  la  versione  in  volgare  siciliano  falla  dallo  slesso 
autore  (Palrrmo,  Lorsnaidor,  1864). 

(3;  La  dedicatoria  ad  Arnaldo  Sottile  porta  lu  data  del  30  settembre  1470.  (V.  la 
edìz.  Di  Marzo,  pag.  50). 
{ì)  Hansano,  edix.  cit.  |»ag.  72-77. 


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250  N1K)Vt  BFFEMBaiDl  SICILIANE 

di  Basnemi  usciva  Metello  col  suo  esercito  ad  assalir  ie  schiere  Car- 
taginesi (1).         . 

Queste  tradizioni  scartava  bruscamente  il  Fazello,  del  quale  giova 
qui  riferir  le  parole.  •  Ransano  dice ,  non  fondato  in  alcuna  auto- 

•  ritè  che  il  titolo  della  città  (urbs),  il  nome  della  pretura  e  Tin- 
«  segna,  eh' è  un'aquila  d'oro,  furono  date  dal  Senato  Romano  a 

•  questa  città  dopo  la  vittoria  di  Metello  contro  Asdrubale.  Onde  i 
«  Palermitani  hanno  per  volgatìssimo  quel  distico  di  Giovanni  Naso 

•  Siciliano,  che  dice: 

«  Tacta  fide  sodam  stahiit  sibi  Roma  Panormum 
e  Hinc  aquila  et  praetor  et  decus  urbis  adest, 

•  ma  la  fede  e  credenza  di  queste  cose  si  stiano  appresso  di  coloro 

•  che  hanno  avuto  ardire  di  scrivere  siffatte  cose,  e  credanle  a  lor 
t  modo  (2).  » 

In  tempi  in  cui  si  giurava  suir  auteìiticità  della  famosa  iscrizione 
caldaica  della  torre  di  Baych  le  parole  di  questo  padre  della  storia 
siciliana  doveano  sembrar  troppo  ardite.  E  quindi  l' Inveges  dopo 
aver  riferito  le  parole  di  luì,  quasi  rimbeccandolo,  assume  a  dimo- 
strare che  certo  è  V  aver  Palermo  ottenuto  molti  privilegi  dalla  Ro- 
mana Repubblica,  come  «  la  residenza  proconsolare,  e  dopo  i  suoi 
«  tempii  la  pretoriana,  il  titolo  di  Repubblica,  la  dignità  di  Senato, 
«  r  immunità ,  la  libertà,  la  società,  il  Patrono  e  la  Colonia  (3)  ;  » 
cose  tutte,  a  creder  suo,  provate  coir  autorità  di  medaglie,  d'iscri- 
zioni, di  storici. 

Farei  opera  lunga  e  noiosa  se  volessi  qui  passare  a  rassegna  tutti 
gli  autori  che  impresero  a  sostenere  P  assunto  del  Ransano  e  che 
moltiplicaronsi,  per  cosi  dire,  all' infinito  nei  tempi  lacrimevolissimi 

(ì)  Cb  e  Metello  stava  presso  la  porta  della  città  lo  dice  Polibio,  come  abbiam  ve- 
duto più  sopra.  Questa  porta  guardava  il  lato  dell'  agro  palermitano  bagnato  dal 
fiume  (rOreto)  e  quiudi  rispondeva  necessariamente  al  mezzogiorno.  D*  altra  parte. 
Diodoro  (Ediz.  Didot.  Tom.  II,  pag.  450)  nota  che  i  Cartaginesi  venivano  per  la  via 
di  Selinunte  e  scendevano  dalla  gola  della  montagna,  cioè ,  come  crede  l' Inveges 
(Annali  di  Palermo  tom.  I  pag.  419)  dalla  Valle  della  Fico.  Porta  che  guardasse  a 
mezzogiorno  v'era  solo  quella  di  Busuemi;  dunque  di  qui  dovette  uscire  Metello. 
È  questo,  se  non  erro,  il  ragionamento  ch'ebbe  a  far  Seco  medesimo  l'inventore  della 
leggenda  conservataci  dal  nostro  documento,  senza  considerare  che  la  porta  col  suo 
nome  arabico  mostrava  di  essere  stata  edificata  all'  epoca  musulmana.  Questa,  più 
che  tradizione  ,  può  dunque  dirsi  una  deduzione,  certo  poco  fondata,  una  specie  di 
commento  alle  notizie  trasmesseci  dagli  storici. 

(2)  Fazkllo,  de  Rebus  SUuliSf  Dee.  I,  lib.  Vili ,  cap.  I.  (Ho  trascritto  dalla  ver- 
sione di  Fra  Remigio  Fiorentino). 

(3)  Inveges,  Annali  di  Palermo,  Parte  I,  pag.  417. 


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DI  UN  DOGUHENTO  INEDITO  251 

in  cui  le  gare  municipali  tra  Palermo  e  Messina  furon  cagione  di 
guerre  fraterne  ed  occasioni  a  feroci  violenze  da  parte  dei  domi- 
natori stjTanieri  (1).  Ma  non  credo  di  dover  preterire  Vincenzo  Au- 
ria  che  ci  lasciò  un  discorso  deW  officio  e  prerogative  del  Pretore  e 
Senato  di  Palermo,  nel  quale  dopo  aver  narrato  distesamente  la  bat- 
taglia di  Panormo  e  ricordate  tutte  le  medaglie  che  alludono  ai  fatti 
soyracennati  (se  è  da  aggiustar  fede  al  Parata  che  le  pubblicò  ed 
allo  Inveges  che  sulla  di  costui  fede  le  riferì),  si  estende  a  ragio- 
nare dei  privilegi  accordati  a  Palermo,  in  ricompensa  della  sua  fe- 
deltà, dalla  Romana  Repubblica^  e  scende  quindi  a  passare  a  rasse- 
gna gli  scrittori  che  tolsero  a  sostenere  il  suo  assunto  (2).  Tra  que- 
sti non  è  da  trasandare  Filippo  Parata ,  il  primo  illustratore  della 
siciliana  numismatica  e  forse  il  primo  editore  di  una  raccolta  di  mo- 
nete, il  quale  lasciò  inedita  una  giustificazione  del  nome  di  Senato 
che  usa  la  città  di  Palermo,  il  di  cui  autografo  possedevasi  dalPAu- 
ria  medesimo.  In  questo  scritto  il  Parata  asseriva,  t  che  negli  an- 
«  tichi  registri  della  ciltà  di  Palermo  si  legge  che  Metello  vittorioso 
t  e  trionfante  fosse  entralo  e  ricevuto  con  grande  allegrezza  dal  po- 
«  polo  Palermitano  dentro  quella  porta  che  sino  ai  tempi  di  esso 
«  Parata  si  disse  di  Busuemi  (3).  >  E  parmi  certo  che  il  documento 
cui  accenna  quivi  TAuria  sulla  fede  del  Parala  non  sia  altro  che 
quello  che  oggi  vede  la  luce. 

Ma  il  più  solido  argomento  che  potè  produrre  V  A  uria  si  fu  la 
seguente  iscrizione  che  tuttora  si  legge  sotto  il  portico  del  nostro 
Palazzo  di  citlà  (4)  : 

L.  GAEGILIO.  METELLO. 
ROM.  LN  SICILIA.  COS.   _ 
S.  P.  Q.  R.  GONSIDERAS. 
FIDBM   ET  DEVOTIO 
NICM.   RBIP.   PANOR. 
EAM.   SIBI.  SOTIAM. 
STATUIT.   UNDE.   UR 
Bis.  PRAETORIS.ET  A 
QUiLAE.  DEGUS.   GEPiT. 

(i)  Posson  vedersene  i  nomi  e  ì  litoli  dei  libri  presso  N a rbone  Bibliografia  Sieola 
ì,  217,  e  IV,  359,  come  ancora  ne'  Diedri  della  eitlà  di  Palermo  voi.  V  e  VI.  \yu  1870 
passim,  dove  ne  son  ricordati  parecchi  che  vider  la  luce  durante  la  rivoluzione  di 
Messina  (1674)  o  in  quel  tomo. 

(i)  AuRiA,  Hiitoria  Cronologica  delli  signori  Viceré  di  Sicilia.  Palermo  1697  p.211. 

(3)  Lo  stesso,  op.  cit.  pag.  230. 

(4)  Lo  stesso,  op.  cit.  pag.  233. 


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252  NOOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Qaesta  iscrieione  fa  pubblicata,  credo  per  la  prima  volta,  dal  Ba- 
rone (1),  altro  celebre  panegirista  dei  privilegi  di  origine  romana 
il  quale  non  è  a  dire  se  Tavesse  accollo  come  oro  di  coppella.  Tutti 
gli  scrittori  che  vennero  dopo  di  lui  non  mancarono  di  riprodurla 
senza  dubitare  per  niente  della  sua  autenticità.  Dovea  trascorrere 
quasi  un  secolo  innanzi  che  uno  scrittore  non  sospetto  certamente 
di  soverchio  criticismo ,  il  P.  Gaetano  Noto,  gesuita ,  manifestasse 
il  sospetto  della  falsità  della  iscrizione  medesima  (2).  Del  resto  il 
Noto  non  ostante  che  avesse  ritenuto  come  apocrifo  questo  docu- 
mento principalissimo  pe'  sostenitori  de^  palermitani  privilegi,  rico- 
nobbe come  validi  gli  altri  argomenti  addotti  dall'  Auria,  vai  quanto 
dire,  riputò  che  l'autenticità  dei  privilegi  di  Palermo,  fosse  o  non 
fosse  apocrifa  V  iscrizione,  restava  sempre  inconcussa.  Ben  altrimenti 
giudicava  però  il  dotto  Principe  di  Torremuzza  il  quale  facendo  sue 
le  osservazioni  del  Noto  dichiarava  nettamente  che  V  iscrizione  in 
parola  era  opera  moderna,  non  solo  per  le  ragioni  filologiche  e  pa- 
leografiche addotte  dal  suo  predecessore,  ma  eziandio  perchè  (come 
evidentemente  a  chiunque  si  mostra) ,  essa  non  ha  nulla  che  tiare 
col  monumento  su  cui  è  scolpita,  il  quale  non  è  che  un  semplice 
sarcofago  dell'epoca  romana  donoe  fu  cancellata  l'antica  epigrafe 
per  sostituirvene  una  nuova  (3).  Che  ne  pensasse  poi  quel  valente 
archeologo  dei  voluti  privilegi  di  Palermo  si  appalesa  chiaramente 
da  ciò  eh'  ei  dice  intorno  ad  un'  altra  iscrizione  scolpita  in  una  base 
di  marmo  (4)  esistente  anch'  essa  nel  nostro  Palazzo  di  città,  e  A- 
«  spetterà  qui  taluno  da  me,  scrìve  il  Torremuzza,  che  sul  signifi- 
.  calo  io  mi  trattenga  dello  parole  RESPUBLICA  PANHORMITANO- 
t  BUM  ,  le  quali  in  questa  e  in  tant'  altre  nostre  Iscrizioni  si  leg- 

•  gono,  dovendomi  credere  bene  informato  di  quanto  su  questo  ti- 
«  tolo  di  Respublica  si  abbia  ne'  tempi  passati  già  scritto.  Ma  io,  che 
«  vivo  disingannalo  abbastanza  su  questo  affare,  e  che  sto  nella  i- 

•  dea  non  mendicar  la  mia  patria  vane  distinzioni  da  quelle  cose^ 
<  che  da  per  sé  dar  non  ne  possono,  rispondo  soltanto  coli'  autorità 
«  dell'  erudito  Cavaliere  Annibale  degli  Abati  OHvieri  in  occasione 
«  di  scriver  sulla  stessa  materia  per  la  cospicua  città  di  Pesaro  di 
t  lui  patria:  Errant  tamen  vehementer  ii  qui  ex  hoc  Reipublicae  ti- 

(1)  De  maiestate  Panormitana,  lib.  I,  pag.  41. 

(2)  Noto,  Iscrizioni  di  Palermo.  Ivi  1721  pag.  79. 

(3;  Torremuzza,  Le  antiefie  iscrizioni  di  Palermo  Ivi,  1762.  A  p:ig.  io  è  il  rame 
in  cui  si  vede  ritratto  il  sarcofago  colla  iscrizione.  A  pag.  267-70  si  ha  rilluslra- 
lionc.  V.  ancora  Siciliae  et  oliiacentium  insularum  velei^m  imcripUonum  uova  colle- 
elio  dello  slesso  autore.  Panor.  1769,  a  pag.  277. 

(4)  Iscrizioni  di  Palermo,  pag.  1J5. 

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DI  UN  DOCUMENTO  INEDITO  253 

e  tuia  Pisauruiriy  supra  reliquas  lialiae  Civitates  extoUere  nituntur, 
«  et  bella  indicta,  paces  compositas ,  leges  latas,  Populos  in  servitù- 
«  tem  redactos  ex  eo  somnianL  RespubUca  Pisaurmsis  nil  aliud  si- 

•  gnificat  nisi  commune^  seu  communitas  Pisaurmsis^.  ut  usitato  ho- 
«  die  vocabulo  utar;  recte  igilur  Coloniae  aeque,  ac  Municipia  ita  ap- 

•  pellantur.  » 

Se  oggi  seinbr(^ebbe  insulso  e  ridicolo  il  ripestare  sifTatti  argo- 
menti di  privilegi  più  o  meno  anticlii  ,  più  o  meno  favolosi ,  per 
dedurne  poi  quelle  conseguenze  che  ne  ritraevano!  Barone,  gPIn- 
veges,  gli  Auria ,  non  mi  pare  in  verità  del  tulio  inutile  il  ricer- 
care se  alcun  fondamento  essi  si  abbiano  avuto  nella  storia  del  pae- 
se; imperciocché  delle  risultanze  di  un  esame  siffatto  la  storia  può 
sempre  avvantaggiarsene. 

É  da  ricordare,  per  la  prima  cosa  ,  che  le  più  cospicue  città  di 
Sicilia  dopo  la  morte  di  Martino,  che  fu  P ultimo  re  che  qui  fer- 
masse la  sua  residenza,  cominciarono  a  contendere  fra  loro  ,  qual 
per  conservare  e  qual  per  arrogarsi  il  primato  sulle  altre.  Palermo 
reggia  di  Ruggiero,  non  potea  tollerare  che  i  re  o  i  viceré  risedes^ 
sero  altrove  che  nel  suo  Sacro  Regio  Palazzo,  illustre  per  la  stanza 
che  vi  ebbero  i  re  normanni  e  lo  svevo  Federigo,  e  celebre  per  es- 
sere slato  la  culla  della  lingua  e  della  poesia  italiana.  Messina  però 
teneasi  più  degna  di  Palermo ,  sia  per  la  sua  felice  posizione  ma- 
rittima ,  ond'  era  V  emporio  del  commercio  d' Oriente  ^  sia  perchè 
conservava  in  se  più  vive  che  altrove  le  tradizioni  della  domina- 
zion  Bizantina.  Catania,  sede  di  quasi  tutti  i  re  della  dinastìa  Ara- 
gonese, opponeva  per  dir  cosi  la  teoria  dei  fatti  compiuti ,  e  non 
ammetteva  nemmeno  che  si  mettesse  in  discussione  se  la  capitale 
della  Sicilia  dovesse  essere  altra  città  che  lei  stessa.  Queste  gare 
municipali  che  noi  diciamo  a  buon' diritto  meschine,  e  di  cui  noD 
è  diffìcile  incontrar  le  tracce  nello  stesso  XIV  secolo,  cioè  non  molto 
tempo  dopo  la  guerra  del  Vespro,  manifestaronsi  acremente  al  tempo 
del  Vicariato  della  Regina  Bianca ,  e  furon  principale  cagione  del- 
l''assodarsi  della  trisecolare  dominazione  spagnuola  che  da  Sicilia 
passò  a  far  sentire  il  suo  peso  nella  terraferma  Italiana. 

Siffatto  antagonismo  manifestossi  in  modo  assai  virulento  intorno 
al  1470,  ed  è  notevole  che  nel  parlamento  di  Catania  (1478)  prorup- 
pesi  in  escandescenze  da  parte  degli  ambasciatori  (deputati)  di  Mes- 
sina appunto  per  sostenere  il  diritto  di  precedenza  eh"  essi  si  attri- 
buivano su  i  loro  colleghi  di  Palermo  (1). 

(ì)  V.  in  proposilo  Diblasi  SUria  CronoL  dei  Viceré.  Palermo  1790  voi.  I ,  pa- 
gina 200-306.  17 


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254  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Or  mi  pare  assai  probabile  che  per  sostenere  somiglianti  recipro- 
clie  pretese  si  fosser  coniali  privilegi  e  monumenti  onde  risultasse 
In  modo  diretto  o  indiretto  la  precedenza  di  Palermo ,  Messina  o 
Catania  su  tutte  le  altre  città  del  regno.  Cosi  si  spiegherebbe  come 
presso  a  poco  nello  stesso  tempo  in  cui  Messina  produceva  la  let- 
tera della  Madonna  o  il  diploma  d'Arcadie,  Palermo  mettesse  in- 
nanzi r  is^^rizione  della  torre  di  Baych,  quella  di  Metello  e  con  essa 
le  cento  altre  in  cui  si  parla  di  Retpublica  Panormitana^  genuine  o 
no  che  si  fossero,  ma  interpretate  sempre  sotto  T  influenza  di  un 
preconcetto  sistema.  A  simili  arti  prestavasi  per  altro  mirabilmente 
il  secolo  XYy  che  fìi  il  secolo  degli  eruditi  e  dei  falsificatori  di  te- 
sti e  di  monumenti.  Cosi  per  ultimo,  si  spiegherebbe  come  la  tra- 
dizione intonio  a  porta  di  Busuemi  conservataci  dal  nostro  docu- 
mento, sconosciuta  al  Ransano,  qualche  anno  dopo  che  questi  scrisse 
il  suo  libro  ci  si  possa  presentare  come  divolgatissima. 

Ma  le  falsificazioni  han  sempre  un  sostrato  di  verità.  E  la  leggenda 
dei  privilegi  ài  Palermo  s'appoggia  per  certo  sul  fatto  della  Colonia 
Augusta  che  fu  quiVi  stabilita  al  tempo  della  dominazione  Romana. 

Che  Palermo,  caduta  in  poter  de'  Romani  ebbesi  la  sua  colonia 
militare  è  noto  a  tuttì^  come  notissimo  è  che  T  ordinamento  di  af- 
fette colonie  modellavasi  su  quello  della  città  dominante.  Cosi  le  co- 
lonie avevano  i  duumviri  che  arieggiavano  i  consoli  della  Repub- 
blica, i  decurioni  che  ritraevan  dal  Senato,  la  plebe.  I  nostri  eru- 
diti del  XV  secolo  passaron  di  sopra  alla  dipendenza  delle  colonie 
dalla  madre  patria,  non  tennero  in  conto  P importanza  politica  che 
esse  potevano  avere,  e  sol  perchè  chiamaronsi  repfMUche  anco  le 
colonie,  credettero  in  buona  fede  che  la  repubblica  palermitana  fosse 
stata  a  suo  tempo  presso  che  indipendente.  L'aquila  romana  fu 
lo  stemma  di  tutte  le  colonie ,  ed  anziché  segnale  di  autonomia , 
potrebbe  prendersi  piuttosto  come  testimonianza  dello  assorbimento 
di  tutte  le  singole  personalità  politiche  in  quel  centro  di  unità  fer- 
rea che  fu  la  dominazione  romana.  Del  resto  P  autorità  di  Bartolo- 
meo di  Neocastro  invocata  non  so  quanto  a  proposito  dall' Auria,  c'in- 
durebbe  a  credere  die  l'aquila  palermitana  provenga  dalla  domi- 
nazione sveva  e  che  Palermo  come  ct^  r^afeP  avesse  adottato  (1). 

Resta  a  dire  del  titolo  di  pretore  assunto  dal  primo  magistrato 
della  città.  Sarebbe  assolutamente  fuori  luogo  il  discorrer  qui  del- 

(1)  •  Cani  aulem  otves  ipsi  de  stata  civitatis  ipsius  salubri  disponerenl ,  nomen 

•  Romanae  matrì»  £ce1esiaa  invocantes,  statum  commonem  firmant,  etTeiiTlam  /m- 

•  pmali%  aquiìae^  quod  aemper  ipsi  cives  consueverunt  gerere  ec.  •  Barth.  i>e  Neo- 
castro  Hiiioria  ap.  Amato  de  Principe  tempio  Panorm.  pag.  510. 


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DI  UN  DOGUMBNTO  INEDITO  255 

r origine  e  dell'autorità  del  pretore  presso  i  Romani  e  della  isti- 
tuzione dei  pretori  delle  provincie.  Però  importa  rilevare  che  non 
nel  XV  secolo,  vai  quanto  dire  air  epoca  del  risvegliarsi  delle  tra- 
dizioni romane,  ma  Qn  dal  1320  il  baitUo  di  Palermo  assumeva  il 
titolo  di  Pretore.  Di  che  ci  è  testinionianza  una  dichiarazione  dello 
stesso  baiulo  (I)  nella  quale  si  legge!  «  pridie  restauratuh  est  per 
«  MB  ET  RESosGiTATUM  de  comilio  tudicufìi  UHiversitati8  nomen  pre- 
t  TORis,  et  recessum  a  nomine  bayulatt$s.  •  Quest^  atto  porla  la  data 
del  14  novembre  IV  indizione,  che  torna  al  I3i0,  e  quindi  è  a  cor- 
reggere lo  sbaglio  del  Gregoria  il  quale,  pur  riproducendo  il  citato 
documento  (2),  sulla  fede  dell' iinon^^i  Chronicon  Sicti/u/n  (3)  as- 
serì che  il  baiulo  di  Palermo  fu  nominato  Pretore  nel  i3ii,  cioè  al 
tempo  della  incoronazione  del  re  Federigo. 

A  parte  le  altre  cose  su  esposte,  il  testé  riferito  documento  prova 
chiaramente  che  Ano  al  XIV  secolo  le  tradizioni  romane  non  si  di- 
menticavan  fra  noi,  che  anzi  esse  venivano  risuscitandosi  dal  popolo 
air  ombra  delle  più  larghe  libertà  comunali  che  gli  Aragonesi  ac- 
cordavano alle  siciliane  città.  E  questo  conservarsi  delle  antiche  tra- 
dizioni prova  senza  dubbio  che  la  stirpe  Ialina  ,.  lungi  dallo  estin- 
guersi)  come  a  taluno  è  piaciuto  di  credere,  sopravvisse  in  Sicilia» 
non  ostante  che  sotto  la  musulmana  dominazione  fosse  stata  com* 
pressa  e  quasi  soffocata  ;  e  ch^  essa  risorta  sotto  i  Normanni  e  già 
forte  sotto  gli  Svevi,  si  ricostituì  legalmente  sotto  gli  Aragonesi  i 
quali,  come  ognun  sa,  furono  gli  autori  del  definitivo  ordinamento 
municipale  Siciliano  (4). 

L' importanza  dell'  argomento  chiederebbe  in  vero  più  ampio  svi- 
luppo di  quello  che  può  avere  in  una  semplice  lettera.  E  come  let- 
tera la  mia  è  già  troppo  lunga.  Fo  punto  adunque,  pregando  Lei, 
egregio  Signore,  a  volermi  scusare  del  fastidio  che  le  ho  forse  ar- 
recato, e  ad  accettare  i  miei  cordiali  saluti. 

Palermo  IS  ottobre  1870. 

Suo  Dev** 

Raffaele  Starrabba 


(!)  Si  veda  ap.  Testa  Vita  Reg.  Frid.  Monumenta  pag.  233.  Gregorio  Conside- 
raz.  sulla  St.  di  Sic.  lib.  IV  cap.  HE  {  427.  L'  originale  si  legge  nel  Qualemuspe- 
ticlionum  anni  pretentis  IV  e  indieionis  ec.  Ms.  deUa  Bibl.  Com.  di  Palermo,  segnalo 
Qq.  F.  3J,  fog.  18.  (Questo  Ms.  non  ò  che  un  registro  d'atti  del  Comune  di  Palermo). 

(ì)  Gregorio  loc.  cit.,  nota  (23). 

(3)  Ap.  Gregorio  Biblioth,  Aragon.  Tom.  H,  pag.  216. 

(4)  Si  veda  in  proposito  Amari,  La  guerra  del  Vespro  Sieiliàno  (Firenze  Le  Mon  • 
nier  1866)  Vul.  L  cap.  11  e  specialmente  la  nota  a  pag.  15. 


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LA  FIAMMA  E  LA  TITA 


Non  come  fiamma,  ette  per  forza  è  spenfR, 
Ma,  che  per  se  medesraa  si  consame, 
Se  ne  andò  in  pace  Tanìma  eonlenla 
A  guisa  d*un  soave  e  chiaro  lume, 
Coi  nutrimento  a  poco  a  poco  manca. 
Tenendo  al  fin  il  suo  usato  costume 

Petrarca. 

il  poeta  paragona  r  eslina^ione  della  vita  di  Laura  alla  fiamma, 
cui  va  mancando  il  suo  nutrimento.  Non  di  rado  avviene ,  che  il 
presentimenlo  d'un  vero  incognito  ne  precede  la  scienza.  Seneca 
piesenliva,  che  verrebbe  tempo,  in  cui  i  posteri  scoprirebbero  le 
leggi  inalterabili  dei  movimenti  dei  corpi  celesti,  quando  le  straor- 
dinarie apparizioni  delle  comete  non  sarebbero  più  i  segni  di  si- 
nistri avvenimenti.  La  forza  di  gravitazione,  che  domina  in  tutti  i 
corpi  della  natura  fu  un  presentimento  priachè  la  scienza  ne  in- 
vestigasse le  leggi.  I  rapporti  tra  la  fiamma  e  la  vita  presentironsi 
dai  poeti  pria  che  entrassero  nel  dominio  della  scienza.  Che  la  fiamma 
sia  una  immagine  della  vita  è  una  verità  si  poetica»  che  fisica;  poi- 
ché i  fenomeni  della  fiamma  d'una  candela ,  o  d*una  lucerna  sono 
somiglianti  ai  fenomeni  della  vita.  I  fenomeni  fisici  della  fiamma 
sono  la  lucentezza,  la  mobilità  ed  il  calore,  i  quali  decrescono  come 
va  mancando  la  materia,  che  alimenta  la  combustione.  La  vita  delPuo- 
mo  è  una  sorgente  di  calore  come  la  fiamma.  É  bella,  e  mobile  come 
la  fiamma  nella  crescente  età.  NelP  età  cadente  decresce  il  suo  ca- 
lore; la  pigrizia  succede  alla  mobilità,  al  vigore  della  gioventiì ,  e 
alle  rosee  guance  della  fanciullezzza  succedono  la  fiacchezza,!  ed  il 
pallore  immagine  di  vicina  morte  L' analogia  è  più  completa  nei 
fenomeni  chimici.  La  fiamma  per  l'alta  temperatura  scompone  Polio 
0  la  cera  nei  loro  elementi  elàmici,  onde  Torigine  del  gas  idrogeno 
bicarbonato.  LMdrogeno  combinandosi  all'ossigeno  delParia  si  con- 
verte in  vapore  aqaeo;  e  le  molecole  di  carbone  montando  nella 
fiamma  allo  stato  dlncandesceuza,  le  danno  quella  lucentezza,  che 
la  rende  si  bella.  AlP  apice  della  fiamma,  ove  il  calore  è  al  maxi- 


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LA  FIAMMA  E  LA  VITA  257 

mum,  decresce  V  intensità  della  lace,  perchè  spariscono  le  molecole 
di  carbone  incandescenti,  combinandosi  alPossigeno  delParia,  onde 
risulta  il  gas  acido  carbonico.  Simili  fenomeni  ripetonsi  nel  pro- 
cesso della  respirazione  che  alimenta  la  vita;  poiché  mancando  Tuna, 
manca  Paltra.  Nella  respirazione  Tossigeno  dell'aria  ispiralo  pene- 
trando nei  polmoni  si  compone  chimicamente  col  carbonio  del 
sangue,  e  coir  idrogeno  della  limfa,  onde  hanno  origine  Tacido  car- 
bonico ed  il  vapore  di  acqua,  eh'  espiransi.  Che  questi  prodotti  si 
generano  nella  tlamma ,  e  nella  respirazione  si  dimostra  coi  se- 
guenti esperimenti: 

i.  Si  tenga  un  recipiente,  che  contiene  frantumi  di  neve  sopra 
la  fiamma  d'  una  lucerna  dalla  quale  sia  distante  due  o  tre  deci- 
metri. Bentosto  la  parete  esterna  del  recipiente  si  copre  di  ru- 
giada, ossia  di  vapore  aqueo  prodotto  dalla  combustione  deirolio, 
e  condensato  sulla  fredda  parete  del  recipiente.  Se  si  espira  sopra 
la  lamina  di  un  temperino  o  di  un  rasoio  ,  si  vede  la  lamina  ap- 
pannarsi. Queir  appannamento  è  un  vapore  prodotto  nella  respira- 
zione, e  condenzato  dal  freddo  della  lamina.  Quella  nuvoletta,  che 
spesso  si  vede  uscire  dalla  bocca  nel  rigido  inverno  è  vapore  aqueo 
condensato  dal  freddo  delParia.  L'enorme  massa  di  carbon  fossile 
consumato  dall'innumerevoli  macchine  a  vapore  in  Manchester,  e 
in  Birmigham  versando  una  immensa  copia  di  vapore  aqueo  nel- 
l'atmosfera di  quei  luoghi  vi  ha  reso  più  frequenti  le  pioggie. 

2.  Pongasi  un  capo  d'un  tubo  ricurvo  di  vétro  in  comunicazione 
coll'apice  d'una  fiamma ,  peschi  l' altro  in  limpida  acqua  di  calce 
contenuta  in  un  recipiente;  si  vedrà  tosto  l'acqua  intorbidarsi,  as- 
sumere un  color  latteo,  e  una  sostanza  precipitarsi  al  fondo.  Quel 
precipitato  è  un  carbonaio  di  calce  risultante  dalla  chimica  x^ombi- 
nazione  tra  la  calce  disciolla,  e  il  gas  acido  carbonico,  eh' è'  uno 
dei  prodotti  della  fiamma. 

Un  effetto  simile  si  produce  espirando  in  un  tubo  che  pesca  nella 
limpida  acqua  di  calce.  Vi  è  dunque  produzione  di  acido  carbonico 
nel  processo  della  respirazione.  Faraday  calcola  sette  oncie  il  car- 
bone, che  un  uomo  nella  respirazione  consuma  in  24  ore,  settanta 
oncie  quel  che  è  consumato  da  una  vacca,  e  79  quel  che  consuma 
un  cavallo.  La  combustione  di  quel  carbone  negli  organi  della  loro 
respirazione  mantiene  il  loro  calore  animale,  ossia  quel  calore  co- 
stante, senza  il  quale  si  spegnerebbe  la  vita;  calore  indipendente 
dal  calore  meteorologico  dell'atmosfera ,  che  varia  negli  animali  a 
sangue  caldo,  rimanendo  costante  negl'  individui  della  stessa  specieu 


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258  NDOTE  EFFEMERIDI  8IGILUNE 

Marayigliosa  e  la  qaantilà  di  gas  acido  carbonico  che  per  la  respi- 
razione si  diffonde  nelPatmosfem.  Nella  sola  Londra  la  massa  di  a- 
cido  carbonico  prodotto  dalla  respirazione  in  24  ore  si  calcola  548 
tonnellate.  L^aria  diverrebbe  mefetica  se  quelPacido  carbonico  non 
fosse  assorbito  dalle  piante,  che  se  ne  assimilano  il  carbone,  e  n^e- 
mettono  T ossigeno  sotto  razione  della  luce.  Quel  cangiamento 
dunque  del  gas  ossigeno  in  acido  carbonico  a  noi  si  nocevole,  poi- 
ché Pistessa  aria  non  può  respirarsi  due  volte,  è  la  vita  delle  piante 
e  dei  vegetabili,  che  ritraggono  il  carbone  dall'atmosfera,  la  quale 
lo  riceve  da  noi  in  forma  di  gas  acido  carbonico;  cosi  per  le  leggi 
della  natura  esiste  un  reciproco  legame  tra  la  vita  delle  piante  e 
degli  animali. 

Dair esposte  osservazioni  s'inferisce  una  completa  analogia  tra  i 
prodotti  della  fiamma  e  della  respirazione.  La  combustione ,  ch^  ò 
lenta  nella  respirazione,  è  rapida  nella  fiamma. 

Si  spegne  la  fiamma  se  manca  l'alimento ,  o  se  si  carbonizza  il 
lucignolo.  Si  spegne  la  vita  se  viene  meno  l'ossigeno ,  o  si  altera 
profondamente  il  meccanismo  dei  pulmoni,  ch'esercita  le  funzioni 
del  lucignolo  della  vita.  Dall'analogia  tra  i  fenomeni  della  fiamma, 
e  della  vita  non  è  da  inferirsi,  che  si  conosce  la  vita  al  pari,  che 
la  fiamma.  La  fiamma  è  un  fluido  gassoso  combustibile,  ed  incan- 
descente; la  sua  forma  conica  è  un  effetto  del  crescente  calore  nel 
fluido  gassoso  che  monta ,  e  delle  correnti  di  aria  rarefatta ,  che 
ascendono  da  tutti  i  lati  del  suo  perimetro.  Si  conoscono  dunque 
l'essenza  e  la  forma  della  fiamma.  Ma  chi  mai  conosce  V  essenza 
della  vita  degli  animali,  non  che  delle  piante  ?  Bssa  è  un  mistero, 
ed  uno  scoglio  in  cui  va  sempre  ad  infrangersi  l'orgoglio  dell'u- 
mana scienza.  Or  se  debbonsi  tener  come  sacri  i  misteri  della  na- 
tura per  non  perderci  in  vane  ipotesi ,  ed  efimeri  sogni ,  perchè 
non  devono  venerarsi  i  misteri  della  religione  figlia  del  cielo  ? 

G.  \jO  Cicbro. 


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DI  T.  GIUNIO  CALPURNIO 

E  DI  TRE  SUOI  VOLGARIZZATORI 


I. 

Quando  di  quesli  giorni  ebbi  veduto  il  volgarizsamenlo  che  delle 
buccoliche  di  VirgiKo,  Nemesiano  e  Calpurnio  pubblicò  a  Genova 
U  sig.  Iacopo  D^  Oria,  non  lieve  maraviglia  mi  giunse  leggendo  at 
pag.  Xll^  che  la  sola  versione  a  lui  conosciuta  deiregloghe  calpur- 
Biane  fosse  quella  del  patrizio  Giuseppe  Farsetti,  stampata  a  Vene- 
zia nel  1761.  E  con  affetto  mi  rìsovvenni  di  quell'egregio  uomo 
che  fu  U  prete  Antonio  Pàscoli  di  Ravenna,  culto  per  isquisite  let- 
tere, amabile  per  bontà  di  core;  il  quale,  a  me  suo  compagno 
nelle  visite  giornaliere  che  in  Bologna  di  state  facevamo  al  com- 
mendatore F.  Zambrini  nella  dilettosa  ed  ariosissima  villa  di  Val- 
scura,  ripetevami  con  accentuate  parole  quel  notissimo  «  habent  sua 
fata  Ubtìli  •  e  questo  egli  dicevami  non  senza  ragione,  quando  di 
taluni  lavori  pubblicati  in  Romagna,  provincia  feracissima  d'ingegni, 
venivami  parlando  ;  o  che  io  delle  cose  siciliane  con  lui  favellassi, 
e  più  d'una  volta  dei  traduttori  di  Calpurnio,  ignorati  anzi  non  pe- 
netrati in  quelle  provincie.  E  parendomi  che  il  ricordar  qualcuno 
di  loro  fosse  opera  non  pure  degna  di  lode,  si  ancora  profittevole 
agli  studi ,  verrò  dicendo  qualcosa  su  questo  bucolico  siciliano ,  e 
sui  due  siciliani  volgarizzatori  ed  un  terzo  genovese,  paragonandoli 
alcun  poco  tra  loro  sine  studio  et  ira. 

II. 

La  buccolica  poesia  è  oggidì  caduta ,  aè  parmi  possa  ritornarle 
tempo  nuovo  di  vita  se  non  ringiovanendola  si  come  deir  idillio  fe- 
cero il  Alonti,  il  Leopardi,  il  Carrer,  e  il  Mamiani  :  però  V  ideale 
di  essa  vive  e  vivrà  nella  mente  e  nel  core  di  ogni  uomo;  che  non 
sempre  nei  tumulti  delle  passioni,  nelle  lotte  asprissime  di  parte, 
nel  trionfo  dell'  intrigo,  nella  baldanza  degli  scimuniti  può  riposarsi 
e  adirarsi  l' intelletto  ;  che  anzi  a  fuggir  tanta  noja ,  o  meglio  ne- 
quizia, si  ricorre  avidamente  alla  tranquilla  serenità  dei  campi,  al- 
Poscuro  viale  delle  pergole,  ai  greppi  solitaria  per  rinvenirvi  quella 


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260  NUOVE  RFFCMERIDI  SICILIANE 

pace,  che  la  turbolenza  umana  invidia  alle  città.  E  quesl'  ideale  fu 
agli  antichi  così  caramente  diletto,  che  Virgilio  non  seppe  di  altra 
guisa  imaginare  il  luogo  ove  dopo  morte  stanno  le  anime  degli  eroi, 
se  non  dipingendo  una  scena  campereccia  qual  si  addice  alle  egloghe, 
poetizzando  nel  sesto  delPEneida  al  verso  673. 

Nulla  certa  domus;  lucis  habitamus  opacis^ 

Biparuinque  toros,  et  prata  recentia  rivis 

Incolimus. 
E  r anima  afTettuosa  del  mantovano,  che  aveva  provato  i  rigori 
della  fortuna,  ben  seppe  ritrarre  nel  canto  pastorale  quella  tranquil- 
lità, che  sola  tempera  i  disagi  della  vita,  T  agonia  dell'ingegno.  Ma 
egli  non  superò  punto  il  siracusano  Teocrito,  che  Tarte  fu  da  lui 
messa  solo  nella  venusta  semplicità  della  forma,  non  sempre  nel- 
r  ingenua  grazia  del  pensiero  ;  e  chi  guarda  più  attentamente  ve- 
drà che  Calpurnio  peggiorò  il  difello  virgiliano,  spintovi  forse  dalla 
condizione  del  tempo  in  cui  visse;  e  dallo  ingegno  che  non  ebbe 
né  ardito  come  Teocrito,  né  soavemente  ra^sto  come  Virgilio. 

III. 
Gli  studi  che  eccellenti  ingegni  hanno  consacrato  a  Calpurnio, 
mi  concedono  eh'  io  me  ne  passi  alla  lesta.  Però  siccom'  egli  av- 
viene spesso  che  gli  ammiratori  esaltino  fuor  di  misura,  e  i  de- 
trattori dican  roba  da  chiodi  senza  misericordia;  io  penso  che  il 
giusto  mezzo  sul  merito  vero  del  siciliano  bucolico  stia  in  questo: 
eh'  egli  ha  versi  numerosi,  i  quali  non  so  come  invitassero  al  sonno 
r acerrimo  Giulio  Cesare  Scaligero;  ma  non  elegantissimi  sempre 
nella  forma,  anzi  più  volte  quella  luce  mite,  che  l'innamora  in  Vir- 
gilio, è  nel  nostro  uno  splendore  abbacinato.  Ncilla  invenzione  ei 
seguita  il  mantovano  e  il  siracusano,  ma  non  li  avanza  giammai  per 
la  sentenza  verissima  del  Buonarroti,  che  disse,  non  andar  punto  in- 
nanzi chi  si  mette  dietro  alle  pedate  altrui.  Forse  l'unica  egloga, 
che  non  è  plasmata  secondo  norme  tolte  ad  altri  poeti  è  la  settima, 
dove  si  canta  di  una  festa  data  al  popolo  romano  da  Carino,  e  ri- 
cordala da  Flavio  Vopisco  nella  vita  di  questo  Cesare;  la  quale  egloga 
con  tutto  che  poco  sia  accetta  al  Wernsdorf,  pare  ad  altri  critici 
un'ingegnosa  invenzione;  ed  è  stata  ragione  di  studi  gravissimi  a 
parecchi  dotti,  grandissimo  tra  i  quali  Scipione  Maffei.  Ma  una  nota 
più  vera  è  a  farsi,  alla  quale  pochi  han  posto  mente:  Calpurnio,  come 
ogni  altro  scrittore,  non  seppe  guardarsi,  né  del  tutto  forse  avreb- 
belo  potuto,  di  seguire  l'andazzo  del  tempo  suo,  nel  quale  la  filo- 


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DI  T.  GIUNIO  GALPURNIO  201 

sofìa  cominciava  a  pigliare  aulorità  sulParte;  e  noi  vediamo  i  pastori 
ora  in  un  modo,  ora  in  un  altro  mostrarsi  più  di  fllosofìa  sapienti, 
naturale  o  speculativa  che  fosse,  anzi  che  amorosi  di  quelle  rusticane 
faccende,  di  quei  ludi  pastorali  o  qualcos'altro  di  simile,  che  dovrebbe 
essere  argomento  più  acconcio  alle  ispirazioni  buccoliche  (I).  E)  que- 
sto non  so  che  di  arcano  e  di  chiuso,  quest'aura  di  mistero,  que- 
sto pensiero  latente,  fece  che  il  nostro  poeta  fosse  ai  tempi  di  mezzo 
studiato  ed  esaminato;  come  forse  più  innanzi  ci  occorrerà  ancora 
una  volta  accennare. 

IV. 

Dei  tre  volgarizzatori  calpurniani  dei  quali  parlerò  due  vivon  tut- 
tavia; (e  Dio  li  prosperi  di  sanità)  uno.  il  più  amoroso  forse  nello 
studio  del  buccolico  latino  è  passalo  da  trentanove  anni;  e  la  me- 
moria di  lui  vive  solo  tra  pochi  che  pregiano  tuttavia  gli  studii  da 
lui  coltivati.  Non  dispiaccia  ai  leggitori  di  queste  Effemeridi  che  al- 
cuna cosa  io  ne  ricordi ,  e  che  traggo  da  uno  scritto  di  Agostino 
Gallo,  benemerito  davvero  per  Pamore  da  lui  messo  nelle  cose  si- 
ciliane ;  e  che  è  la  sola  ricordanza  che  abbiamo  di  Gaetano  Fuxa. 

Il  quale  nasceva  in  Palermo  da  Casimira  Salerno  e  da  Gaspare 
nel  176i;  e  studiò  lettere  umane  sotto  Domenico  Salvagnini  di  Pa- 
dova, venuto  tra  noi  col  Palese  suo  concittadino  e  col  Valesio  e  Lo- 
doh  di  Siena  dopo  il  17:^8,  quanto  nobilissima  gara  di  studio  mosse 
i  padri  teatini  a  scemare  la  supremazia  che  nello  insegnamento  a- 
vevano  ottenuto  i  gesuiti  (i).  Quanto  si  piaceva  degli  studi,  e  in 
essi  avanzava  con  lode,  tanto  la  sorte  gli  si  faceva  contraria;  spe- 
cie dopo  la  morte  del  genitore  ;  che  la  madre,  cui  rimase  la  cura 
dei  tìgliuoli  più  che  a  Gaetano  attese  a  provvedere  i  due  altri  fra- 
telli uno  maggiore,  minor  Paltro  al  nostro.  É  incredibile  con  qual 
animo  soffrisse  i  colpi  deiravveisa  fortuna;  e  come  i  pochi  risparmi, 
possibili  in  tale  strettezza,  egli  mettesse  in  compra  di  libri,  (3)  nello 
studio  dei  quali  trovava  alcun  sollievo  ai  penosi  travagli  della  vita. 
Mi  passo  di  quaich' altra  notizia,  che  mi  allontanerebbe  parecchio 
dal  mio  proposito  ;  e  dirò  solo  ctAi'ei  morisse  avanti  di  veder  pub- 

(1)  V.  neirEgl.  8  il  canto  di  Tìmeta;  la  5  é  poi  didascalica,  e  l'argomento  pare 
dedotto  dal  3*  delle  Georgiche. 

(2)  V.  Scina'  Prospetto  di  St.  Leti,  di  Sicili;i,  pag.  12  Palermo,  1860. 

(3)  Son  degne  di  nota  le  parole  con  le  quali  il  Fuia  chiude  la  prefazione  •  posso 
ìngenuamenle  confessare  per  questi  miei  studi  non  mi  essere  stato  apprestalo  giam- 
mai alcun  aiuto  né  privato  né  pubblico.  •  Veggosi  sulle  sue  sventure  la  noia  9.  al- 
r  egloga  terza. 


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262  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

blicata  la  saa  versione  calpurniana  ;  e  lasciasse  manoscritta  P  altra 
delle  poesìe  tiballiane,  che  conservasi  nella  Comunale  di  Palermo; 
al  certo  lavoro  non  molto  degno  delle  squisitissime  grazie  delPele- 
giaco  romano. 

y. 

Ed  ora  tornando  là  onde  ebbi  prese  le  mosse,  vengo  ai  tradut- 
tori calpurniani.  E  tacendomi  del  Farsetti»  e  del  Biondi,  che  soltanto 
conosco  di  nome;  e  dell'egloga  prima  volgarizzata  da  Alessandro 
Marchetti,  che  per  essere  sola  non  può  pigliar  luogo  in  questa  mia 
disamina;  dirò  sotto  brevità  della  versione  del  Fuxa  (1),  di  quella 
del  Chindemi  (2),  e  delP  ultima  del  D' Oria  (3);  permettendomi  una 
qualche  dimanda  prima  di  parlar  di  loro  più  da  vicino.  E  anzi  tutto 
non  so  concedere  al  D' Oria  ch'egli  tuttavia  divida  le  undici  eglo* 
ghe  tra  Nemesiano  e  Calpuruio  ;  divisione  venuta  con  la  stampa 
parmense  del  1493,  per  cura  deirUgoleto,  e  copiata  parecchie  volte; 
che,  pacandomi  di  altre  autorità,  dopo  quel  che  disse  Giovan  Cri- 
stiano Wernsdorf  nel  volume  secondo  dei  suoi  Poetae  kUini  mi- 
nores,  e  ribadi  il  Beck  curatore  ed  annotatore  zelante  dell'egloghe 
del  nostro,  come  ne  è  prova  la  edizione  di  Lipsia  del  1803 ,  non 
credo  sia  più  a  prestar  credenza  al  famoso  manoscritto  che  Tad- 
deo Ugoleto  recò  di  Germania  ;  e  che  tolse  al  siciliano  quattro  e- 
gloghe  per  darle  al  cartaginese.  E  mi  fa  specie  ancora  più  pen- 
sando come  il  D*Oria.  già  si  ben  nolo  per  altri  lavori  di  studi  clas- 
sici, senza  una  qualche  ragione,  che  io  sconosco,  non  poteva  esser 
tratto  in  inganno  cosi  facilmente.  Ma  che  che  si  voglia  di  ciò  un'altra 
dubbiezza  mi  sorge  in  mente  che  non  si  può  di  leggieri  risolvere: 
le  testimonianze  che  ci  rimangono  in  lode  del  buccolico  siciliano 
sono  tali  da  farlo  avere  in  pregio  agli  studiosi,  sì  come  lo  tennero 
i  nostri  maggiori  ;  e  vi  fu  stagione  in  cui  V  egloghe  di  Calpurnio 
furon  lette  nelle  scuole  da  professori  dottissimi,  e  di  questo  ce  ne  la- 
sciò memoria  Lilio  Gregorio  Giraldi  al  dialogo  quarto  della  sto- 
ria dei  poeti.  Or  come  mai  d' un  poeta  si  illustre ,  cosi  sapiente- 
mente annotato,  per  oltre  quarantasei  volle  riprodotto  per  le  stampe. 


(1)  Egloghe  di  T.  Giuiiio  Calpurnio  iradotte  da  Gaetano  Faia  e  dal  medesimo 
eorrette  ed  iUuBtrate,  in  Palermo  presso  la  Reale  Stamperia,  4831.  {eoi  lesto). 

(1)  Bnceolica  del  siciliano  Tito  Calpornio,  versione  del  Prof.  Salvatore  Chindemi 
Catania,  dai  tipi  di  Pjetro  Giuotini,  1844  (col  letto). 

(Z)  Le  Bucoliche  di  Virgilio  di  Nemesinoe  Calpurnio  volgariziate  da  Iacopo  D'O- 
ria, Genova  co*  tipi  del  R.  I.  de*  sordo-muti  i863. 


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DI  T.  GIUNIO  GALPURNIO  263 

non  se  ne  hanno  che  cinque  versioni ,  mentre  innumerevoli  sono 
quelle  del  mantovano  ?  Non  tacerò  che  la  nettezza  del  colorilo»  il 
numero  soavissimo  del  mantovano  abbiano  invogliali  parecchi;  ma 
a  chi  ben  guarda,  cinque  volgarizzatori  son  poca  cosa»  e  qualche 
ragione  dovrebbe  trovarsi.  QuaPessa  siasi  non  dirò  io  già  in  que- 
sto scritto  :  forse  non  è  lontano  il  tempo,  in  cui  ne  potrò  più  lun- 
gamente discorrere.  Ora  passo  ai  traduttori ,  e  prego  a  voler  cre- 
dere che  né  ira  né  amore  di  parte  mi  muovono  a  signiflcare  l'o- 
pinion mia,  qual'essa  siasi,  più  al  Fuxa  favorevole ,  che  ai  due  e- 
gregi  e  valorosi  viventi.  È  pur  vera'  cosa  che  il  verso  del  Fuxa 
non  va  cosi  limpido  e  netto  come  avrebbe  potuto,  e  qualche  volta 
dovuto  ;  che  talune  fiate  il  saper  della  imgua  non  é  gradevole ,  e 
ci  senti  un  che  d' incondito  che  non  é  graziosamente  italiano:  é  ve- 
rissimo ch^  ei  non  diede  allo  sciolto  quella  giacitura  spontanea  e 
quella  varietà  ond'ei  ti  piglia  aria  più  poetica,  e  un  fare  più  spigliato: 
ma  entro  a  quel  non  so  che  di  rude,  o  di  non  ben  levigato  tu  ci  hai 
più  da  vicino  il  nostro  buccolico,  che  po^  poi  non  sarà,  credo  giam- 
mai in  gran  lode  per  pregi  così  fatti;  e  mi  pare  in  fine  che  il  Fuxa, 
cosi  malmenato  dalla  fortuna,  abbia  meglio  che  i  due  altri  sentito 
e  signiflcato  il  poeta,  il  quale  di  sé  stesso  cantò  : 

Frange,  puer,  calamos,  et  itianes  desere  musas; 
/,  potius  glandesy  rùbìcundaque  coUige  cornu^ 
Due  ad  mulctra  greges^  et  lac  venale  per  urbem 
Non  tacitus  porta.  Quid  enim  libi  fistula  reddet 
Quo  tutere  famein  f  certe  mea  carmina  nemo 
Praeter  ab  hìs  scopuUs  ventosa  remormurat  echo. 

Egloga,  IV,  v.  23. 

Altri  ben  altre  mende  nolo  in  questa  versione  :  noi  le  saltiamo 
però  che  non  il  minuto  ma  P  intero  ;  non  un  errore  parziale  ma 
il  beninsieme  guardiamo;  e  questo  mi  toglie  dal  debito  di  troppo 
sottili  avvertenze. 

Secondo  tra  i  volgarizzatori  siciliani  é  il  prof.  Chindemi^  che  mi- 
sesi  all'opera,  per  consigli  e  conforti  avuti  da  due  illustri  uomini 
il  Gargallo  e  TAvolio.  Piacemi  riferir  di  lui  alcune  parole,  che  sono 
a  pag.  XXXIV ,  con  le  quali  egli  parla  del  Fuxa:  t  questo  grande 
«  uomo,  che  sostenne  tante  fatiche  e  spese  per  far  cosa  gratissima 
•  alla  Sicilia  e  alla  patria,  resta  ignorato,  non  ha  avuto  nò  spaccio 
«  né  fama;  se  non  lo  raccomanda  ai  lettori  la  versione ,  ben  però 
«  lo  fan  meritare  le  noie,  e  le  grandi  illustrazioni  che  vi  ha  fatto; 


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264  NUOVE  EFFBllERfDI  SICILIANE 

t  a  cqì  protesto  riconoscenza  e  ammirazione,  che  voglio  conoscano 
«  i  miei  lettori.  »  Parole  queste  che  davvero  onorano  Tegregio  uomo 
che  ie  scrisse;  e  turbano  di  dolore  non  poco  chi  venera  la  memoria 
del  Fuxa ,  già  quasi  ignorato  tredici  anni  dopo  la  stampa  del  suo 
eruditissimo  lavoro  Ut  Ma  vengasi  ad  altro. 

La  poesia  del  Chindemi  ha  pregi  e  difetti,  come  di  consueto  ogni 
umano  lavoro  :  egli  omise  io  sciolto ,  e  diessi  alla  rima  ;  ma  non 
parmi  che  felicemente  riesca.  Fervido  nello  amore  dei  classici,  pia 
che  dalla  ragione  lasciasi  non  di  rado  sospingere  dalP affetto  ad  u- 
sar  voci,  che  sciuperebbero  anco  una  bellissima  scrittura;  che  non 
credo  sia  delizia  poetica  il  numine  (pag.  i\)  il  prof  erre  (23)  le  noci 
viridi:  (27)  nò  il  veliera  piacerà  ad  alcuno  fatto  italiano  in  caprie 
chiome,  (25)  né  il  languentes  herbas  vedrassi  di  lieta  voglia  in  er- 
bette rionale,  (25)  né  il  sitientes  hortos  in  orti  rifimti;  (29)  né  il 
clivoslene  jacenles  in  quel  verso:  e  dolcemente  pendianti  {t)  divi  (93). 
E  per  l'assonanza  spiacciono  ancora  non  pochi  versi,  come  ca- 
vezze la  cavalla;  (9)  intento  io  stava  stupidamente  rimirando;  (93) 
coglieva  Fior  nella  valle  del  vezzier  vicino;  (409)  ed  altri  molli.  Né 
alcuno  loderà  il  Chindemi  di  quel  verso:  Spieghi  U  fronte  a  spe** 
serena;  (129)  né  di  questa  trasposizione:  visto  aWovil  fu  pendere;  (41) 
né  del  costrutto  della  prima  stanza  dei  canto  d'Ida  a  pagina  ili; 
né  alcuno  tradurrà  :  satus  aethere,  haec  'populis  ventura  cano ,  in 
germe,  divin,  celeste,  questi  futuri  sovveniri  ai  popoli  io  canto.  Dor- 
rebbemi  senza  flne  se  l'onorando  uomo  si  avesse  a  male  queste 
mie  parole;  ma  io  vi  son  tratto  da  dura  necessità;  né  egli,  che  avrà 
di  certo  ripulito  il  suo  lavoro  giovanile,  statogli  compagno  negli 
anni  delP  esilio,  tardi  a  darcene  una  seconda  edÌ2Ìone,  ove  sieno 
scomparse  queste  maccatelle,  a  decoro  del  suo  nome,  e  del  poeta 
latino;  il  quale  anche,  trj  tante  cose  verissime,  disse  dei  suoi  versi 
nell'egloga  4,  v.  14-15. 

mea  rusticitas,  si  non  valet  arte  polita 

Carminis,  et  certe  valeat  pietate  probari. 

Ultimo  é  in  fine  il  D'Oria,  che  imprese  le  sue  versioni  per  puro 
piacere,  non  già  col  pensiero  di  darle  aUa  luce;  (pag.  XIII)  e  cedette, 
ciò  facendo,  al  desiderio  degli  amici,  che  a  veder  mio  non  lo  in- 
gannarono. Egli  preferì  il  verso  rimato  allo  sciolto;  quantunque  altri 
avrebbelo  consigliato  altrimenti;  né  in  cioè  a  maravigliare:  quando 
Io  Strocchi  pubblicò  la  georgica  virgiliana  in  isciolti,  tutti  i  buoni 
avrebbonla  voluta  in  terza  rima ,  metro  a  lui  acconcissimo ,  se  si 


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DI  T.  GIUNIO  GALPURMO  265 

guarda  la  mirabil  versione  di  Callimaco;  e  tutti  volevano  lo  sciolto 
e  non  i  terzetti  nella  georgica  medesima  fatta  italiana  dal  marchese 
Luigi  Biondi.  A  me  pare  che  il  pubblico  altro  diritlo  non  abbia 
fuor  quello  di  aver  cosa  buona,  e  non  iscempia  e  balzana;  tutt'altro 
sì  lasci  alta  coscienza  degli  aulori.  E  il  D'Oria  ha  fatto  meglio  che 
non  abbìan  fatto  il  Fuxa  e  il  Chindemi;  che  ha  dato  una  veste  i- 
talianamente  bella  al  pensiero  calpurniano  ;  e  i  versi  sono  fluidi , 
netti ,  e  molti  di  essi  torniti  proprl«)  stupendamente.  Se  non  che 
parecchie  volte  ei  vela  Timagine  del  suo  esemplare  ;  la  ripiega  a 
giaciture  che  non  sono  nel  latino;  sfrondala  qualche  poco,  o  la  colo- 
risce di  alcuna  tinta  più  soave,  più  cara,  e  se  vuoi  ancora  più  poe- 
tica; ma  allora  siamo  alla  rifazione,  non  più  alla  traduzione;  la  diffi- 
coltà della  quale ,  a  dirla  nettamente ,  a  me  pare  istia  in  questo , 
che  per  quanto  T  indole  delle  due  lingue  il  consenta  non  ci  sia 
imagine,  non  detto,  non  forma  che  non  appaja  in  amendue  ;  e  il 
Chindemi  e  il  D'Oria  a  volle  falliscono  a  questo  solenne  precetto 
delParte.  Laonde  non  son  pochi,  io  mi  penso,  coloro ,  cui  maglio 
riusciranno  grate  le  negligenze  del  Fuxa,  che  gli  splendori  del  D'Oria; 
al  quale  non  plaudiamo  certo  per  lo  sdrucciolo  usato  nella  egloga  3, 
spiacendo  questo  sgradevolissimo  metro  nelPegloghe  del  Sannazaro, 
nelle  comedie  delPAriosto,  nelle  stanze  del  Mazza,  del  Gargallo,  ecc. 
Del  resto  anco  il  d'  Oria  ci  avrà  avuto  il  suo  gusto,  e  ne  sarà  ri- 
masto contento;  e  ciò  sia  meglio  per  lui.  I  leggitori  gli  sapran  gra- 
zie più  delle  ottave ,  che  delle  terzine  o  slegate  Iroppo ,  o  sover- 
chiamente strozzate. 

VI. 

Qua  giunto  a  me  toccherebbe  mettere  innanzi  uno  o  due  luoghi 
di  Calpurnio,  e  con  esso  paragonar  le  versioni  dei  tre,  per  vedere 
se  bene  o  male  siami  apposto  nel  mio  giudizio;  però  volentieri  me 
ne  passo;  che  non  parmi  sano  criterio  il  pescar  due  brandelli  ove 
il  Fuxa  fosse  meglio  degli  altri  riuscito;  o  alP  incontro  ove  costoro 
avesser  fatto  più  bene  clrei  non  seppe.  Né  poi  le  mie  osservazioni 
toccano  alcun  luogo  preso  in  isola,  sì  bene  Pintero  volgarizzamenlo; 
e  per  ciò  penso  faran  meglio  coloro  che,  a  sburgiardarmi,  tutte  in- 
tere confronteranno  quelle  versioni  col  testo;  che  almanco  cosi  qual- 
cuno guarderà  certi  libri /che  fan  venire  lo  stomachino  ai  leziosi 
sapientoni  in  giubba  di  oggigiorno.  Qual  prò ,  qual  vantaggio  alle 
lettere  da  questi  confronti,  da  queste  Iraduzioni?  Nulla  e  molto: 
chi  si  mette  a  si  fattf  studi  per  ismania  di  parer  saputo  non  ci  gua- 


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266  i^UOVE  EFFEMEBIDI  SICILIANE 

dagnerà  un"  acca:  chi  però  guarderà  in  essi  come  la  storia  del  pen- 
siero si  manifesti ,  anco  sotto  diverse  apparenze ,  sempre  lucida  e 
netta  ^  vedrà  che  senza  Virgilio  non  avremmo  avuto  Calpurnio:  il 
primo  latinizza  il  pensiero  di  Teocrito,  come  questi  forse  seppe  trar 
vantaggio  infinito  dai  canti  di  Slesicoro.  U  distanza  di  tempo  che 
separa  il  mantovano  dal  siculo  dei  giorni  di  Caro  fu  ricca  di  di- 
verse nuove  apparen/.e  o  piegature  onde  pigliò  abito  il  canto  pa- 
storale: Tibullo,  Properzio,  Ovidio,  Stazio  ed  altri  ci  han  dato  scene 
di  poesia  buccolica  eccellente,  quantunque  non  mai  con  intendimento 
di  essere  cantori  di  carme  buccolico,  che  si  esplica  nella  sua  vera 
forma  col  nostro  Calpurnio.  ti  quale  giovandosi  di  ogni  modo  o  nu- 
mero usato  dai  migliori  che  lo  precedettero,  o  che  facesse  al  suo 
bisogno,  ci  viene  innanzi  non  con  la  veste  linda  dei  tempi  di  Me- 
cenate; ma  con  la  sdrucita  di  quelli  di  Caro,  quando  irrefrenata  era 
la  tracotanza  dei  pretoriani ,  e  troppo  vicine  le  minacce  dei  bar- 
bari. Egli  aveva  in  Virgilio  un  modellò ,  perfetto  ancora  neir  alle- 
gorìa ;  e  di  questa  si  giovò  a  compiangere  le  condizioni  della  u- 
mana  famiglia,  quaPera  mentre  ei  visse;  e  a  far  conoscere  alcun 
poco  le  sue.  E  quest'allegoria  piacque,  come  tutti  sanno,  nell'evo 
di  mezzo,  e  fu  veste  prima  dei  buccolici  :  Petrarca  e  Boccaccio  se 
ne  servirono  neir  egloghe  che  pur  ci  avanzano;  Dante  nelle  due  con 
le  quali  rispose  a  quelle  di  Giovanni  de  Virgilio  ;  e  mi  pare  non 
ne  difettino  quelle  men  conosciute ,  ma  pur  degne  di  esserlo,  che 
dettò  Albertino  Mussato,  ingegno  austero  e  magnanimo.  Chi  vorrà 
guardare  nei  secoli  successivi  si  stancherà  di  quelle  latine  del  San- 
nazaro, e  delle  italiane  del  Rota:  vedrà  che  questo  dialogo  pastorale 
piglia  altra  forma  coir  Aminta  del  Tasso,  e  il  Pastor  fido  del  Gua- 
rini;  e  che  langue  e  sonnacchia  nelP  infinita  caterva  dei  drammi  pa- 
storali del  secfuto;  e  si  risveglia  ancora  una  volta  rigoglioso  di  vita, 
splendido  d*ogni  ingenuità  campestre^  odorato  di  ogni  grazia,  e  fre- 
schezza con  la  musa  divina  del  nostro  Meli,  perchè  questo  ciclo  si 
compisse  per  un  cittadino  di  chi  avevalo  cominciato.  Nei  tempi  ro- 
mani Tegloga  fu  bisogno  della  mente;  in  quei  di  mezzo  strumento 
air  allegoria  ;  nei  successivi   lascivia  di  arte,  e  sfarzo  di  imagini. 
Torquato  la  rianima,  ma  grimitatori  l'insozzano  :  Meli  la  ritrae  dal- 
l'abbandono, e  dalla  turpezza,  e  ce  la  rida  bellissima  nella  venustà 
delle  sue  forme;  quasi  una  statua  di  scalpello  greco,  disseppellita 
dai  ruderi  di  qualche  tempio  antico,  perchè  ricordi  altra  volta  gli 
esemplali  di  ogni  più  bella  perfezione. 

Ugo  Antonio  A  meo 


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U  SICILIA  E  U  SU  CIVILTi 


LETTERA  AD  AGOSTINO  GALLO 


Pregiatissimo  Signore, 

A  renderle  del  libro  donatomi  quelle  grazie  che  credo  degne  di 
Lei  veramente,  Le  dirò  che  la  cura  posta  in  dar  a  conoscere  la 
vita  e  .L  li  scritti  del  Cerretani,  dimostra  la  troppo  indulgente  bontà 
deir  animo  suo,  e  conferma  alla  Sicilia  la  bella  lode  di  terra  ospi- 
tale. A  ospizio,  non  sempre  gradito  ella  accolse  da  antico  stranieri 
diversi  ;  e  fu  cotesto  contemperamento  di  sangui  e  di  tradizioni , 
che  diede  alla  nazione  siciliana  si  grande  potenza,  facendola  essere 
insieme  più  nazioni;  ma  fu  cotesta  commistione  stessa  ^  in  quanto 
non  preparata  e  non  digerita,  cagione  di  guai. 

La  civiltà  dorica  col  suo  vigore  severo  fece  riparo  provvido  al 
clima  meridionale  e  agl'influssi  africani:  il  patriziato  romano  e  l'im- 
pero non  potevano  intendere  la  Sicilia  se  non  in  modo  letterario 
e  quasi  accademico,  la  smunsero,  la  involarono  a  sé  medesima;  non 
però  tanto  quamo  la  incivile  mollezza  asiatica  più  che  libica,  la 
qual  dissipò  le  divine  ispirazioni  dello  spirito  cristiano.  Nel  suolo, 
e  cosi  negli  ingegni,  la  soprabbondanza  è  il  pericolo  della  fecon- 
dità; e  dal  superfluo  all'eccesso,  cioè  dalla  forza  non  ben  gover- 
nata alla  debolezza,  è  leggiero  il  trascorrere.  Quindi  la  pendenza 
che  gl'ingegni  siciliani  hanno,  come  gli  asiatici,  verso  la  moltilo- 
quenza  per  quel  ch'è  delle  parole,  e  verso  le  dottrine  panteistiche  per 
'quel  ch'è  delle  cose;  pendenza  che  le  menti  migliori  hanno  ben  saputo 
vmcere,  massime  ne'  tempi  migliori.  La  Sicilia,  siccome  aveva  bi- 
sogno in  antico  d'  essere  terra  greca,  ha  cosi  più  che  altre  terre, 
bisogno  d' essere  cristiana,  per  potentemente  svolgere  e  diffondere 
alle  altre  parti  della  nazione  la  propria  italianità.  Gli  elementi  stra- 
nieri, a  lei  incorporati,  ella  deve  saper  convertire  in  propria  na- 
tura, e  far  che  uno  prevalga,  prevalga  il  migliore:  né  tale  certa- 
mente era  T  arabo,  né  poteva  essere  il  francese  quanto  alla  lette- 
ratura e  alla  fliosofla,  né  potrà  diventare  il  tedesco. 

E  appunto  perchè  la  civiltà  trapiantata  da  una  corte  pomposa- 
mente imitatrice  e  seminatrice  di  scandali  religiosi,  non  si  naturò 


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2<$8  NUOVE   EFFEMERIDI  SICILIANE 

alla  Sicilia,  coloro  che  furono  per  poco  primis  diventarono  in  breve 
uliimi,  se  si  crede  al  Petrarca.  Le  parole  che  leggonsi  nel  suo  Trionfo,  ^ 
il  conte  Giulio  Perlicari  stampò  trìonfalmenle  in  lettere  maiuscole, 
per  dare  un  maiuscolo  schiaffo  ai  Toscani ,  intendendo:  Voi  siete 
ora  da  sezzo^  e  noi  primi,  noi  conte  Giulio,  e  altri  conti  di  lombi 
0  dì  cervelletto,  cioè  a  dire  naturalmente  e  artificialmente  abbor- 
renti  dalla  ignoranlissima  sgrammaticatissima  vilissima  plebe.  Ma  io 
non  credo  in  tutto  né  alla  lode  né  al  biasimo;  e  alla  esagerata  lode 
imputo  il  biasimo  esagerato.  Del  resto  io  credo  la  grande  isola  ge- 
nitrice d^  assai  nobili  «ose,  senza  far  lei  donatrice  airitalia  della  sua 
lingua;  la  quale  da  documenti  irrecusabili  appare  essere  nata  a  ve- 
nirsi svolgendo,  dove  più  dove  meno,  in  tutte  le  regioni  d'Italia^ 
ma  in  Toscana  nel  modo  più  uniforme  e  più  schietto,  cioè  men 
difficilmente  accomodabile  a  tutti  i  bisogni  della  civiltà  nelle  di- 
verse magioni  della  iialiana  famiglia. 

La  lode  attribuita  »lle  lettere  siciliane  concerne  non  la  materia 
della  lingua,  ma  il  più  eletto  modo  del  sapei  la  adoprare;  del  qual 
modo  r  artificio  si  sperse,  tolto  via  quel  centro  politico  il  quale  non 
poteva,  per  molle  ragioni,  durare  a  luogo.  Quanto  alla  semplice  ma- 
teria, farebbe  opera  e  onorevole  alla  Sicilia  e  fruttuosa  alla  storia 
letteraria  e  civile  e  filosofica  dei  popoli  tutti,  chi  sopra  i  documenti 
compilasse  un  gran  dizionario  della  italianità  sicula,  incominciando 
dagli  atti  dei  tempi  barbari,  e  procedendo  alle  iscrizioni  e  alle  opere 
e  ai  canti  in  dialetto,  determinando  i  luoghi  e  i  lempi  delPuso  vario 
di  ciascun  vocabolo,  di  ciascuna  locuzione ,  acciocché  da  ultimo  se 
ne  deduca  la  proporzione  che  corre  tra  le  origini  italiche  e  le  arabe 
e  le  greche  e  le  puniche;  e  veggasi  dove  il  siciliano  appaia  più 
ricco,  dove  meno,  degli  altri  fraterni  idiomi.  Ne  riuscirebbe,  io  cre- 
do, una  lode  a  esso  più  propria  che  ad  altri,  e  comune  col  toscano 
del  pari,  o  inferiore  di  poco;  che  in  essi  due  i  modi  convenienti 
alla  dicitura  più  nobile  sono  o  più  popolari  o  più  facili  a  divenir  po- 
polari, sia  in  virtù  della  civiltà  connaturata  a^  due  popoli,  sia  per  le 
ingenite  disposizioni  dei! li  animi  e  delie  menti. 

Ma  in  questa  troppo  malmenata  questione  della  hngua,  conviene 
discernere  nettamente  tre  cose,  le  forme  grammaticali,  il  corpo  dei 
vocaboli  ciascuno  da  sé,  T estetico  e  logico  loro  congegno,  che  fa 
della  lingua  una  creazione  continua,  arte  e  scienza.  Ne'  due  primi 
rispetti,  nazione  che  voglia  avere  una  lingua,  e  non  gerghi  a  tra- 
stullo anzi  a  insidia,  deve  accettare  una  medesima  norma  di  desi- 
nenze, nominare  una  cosa  con  un  pome,  lasciando  andare  i  voca- 


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LA  SIGIUA   E  LA   SUA   CIVILTÀ"  269 

boli  che  dicono  per  l'appunto  il  medesimo  senza  varietà  nò  d'im- 
magine né  di  sentimento;  ma  poi  nelle  frasi  serbare  ciascuno  a  sé 
r  intera  libertà,  non  soggetta  a  altre  leggi  che  quelle  del  senso  co- 
mune, leggi  che  non  s'apprendono  né  dalle  grammatiche  né  dai 
dizionari,  né  dallo  studio  di  tali  o  tali  scrittori,  di  tale  o  tal  dia- 
letto. L^aver  cose  da  dire  importanti,  e  il  desiderio  onesto  d'im- 
primerle nell'animo  e  nella  mente  di  molti;  ecco  del  ben  parlare 
e  del  bene  scrivere  i  più  veri  maestri. 
Hi  rammenti  alla  famiglia  Musmeci;  e  mi  creda. 

14  Giugno  70  Fir. 

Suo  dev. 

Tommaseo 


CENSIMENTO  DELLA  POPOLAZIONE  DI  PALERMO 

FATTO  NEL  1479 


Sa  Ognuno  come  in  Sicilia  il  costume  dei  censimenti  della  po- 
polazione sia  di  antica  data,  e  che  la  città  di  Palermo  (come  anco 
talvolta  Messina  e  Catania)  non  andasse  compresa  fra  le  numera- 
zioni d*anime  anteriori  a  quella  del  1796. 

Ma  ciò  che  T autorità  governativa  non  avea  poter  di  fare  nella 
metropoli  del  regno  di  Sicilia,  faceasi  dal  Senato,  ossia  dall'auto- 
rità municipale;  e  difatti  gli  scrittori  di  cose  nostre  ricordano  pa- 
recchi censimenti  parziali  della  popolazione  delia  nostra  città,  ope- 
rati talvolta  contemporaneamente  a  quelli  che  dal  Parlamento  or- 
dinavansi  e  dalla  Deputazione  del  Regno  eseguivansi  per  tutte  le 
città  e  terre  del  regno  medesimo  (i). 

Il  più  antico  censimento  che  si  conosca  é  quello  del  1501,  fatto 
sotto  il  governo  del  viceré  Giovanni  Lanuza.  La  popolazione  del- 
l' Isola,  dice  il  Mongitore,  fu  trovata  essere  488,u00  anime ,  meno 
gli  abitanti  di  Palermo,  Messina  e  Catania.  Ha  in  un  libro  di  varie 
memorie  scritto  a  penna  (soggiunge  HI  citato  autore)  leggesi  che 

(1)  V.  in  pioposil&MoNGiroRK,  Parlamenti  generali  del  Regno  di  Sicilia.  Palermo 
I7i9,  tonfi.  I,  pag.  88,  —  e  i  Diari  della  cillà  di  Palermo.  Ivi,  !869,  lem.  I,  pag.  201. 

18 


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270  MUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

fti  carburato  Mora  Palenno  per  anime  25fi00^  MesriìM  e  stwi  casali 
31,385^  e  Catania  14,261;  in  tutto  queste  tre  città  70fi46,  che  uniti 
dia  somma  di  488,600  fanno  659^46  (I). 

L'avv.  FraDcesco  Maggiore-Perni  nel  suo  erudito  Saggio  storico- 
statistico  sui  censimenti  della  popolazione  ecc.  (2)  assicura  di  aver 
tentato  infruttuosi  lavori  nelParcliivio  del  Comune  per  trovar  delle 
notizie  sui  nostri  censimenti  onde  poterle  aggiungere  a  quelle  che 
note  erano  per  precedenti  pubblicazioni.  Ben  più  fortunato  del  mio 
egregio  amico,  io  sono  in  grado  di  offrire  agli  studiosi  di  cose  si- 
ciliane il  censimento  della  popolazione  di  Palermo  fatto  nel  1479, 
da  me  rinvenuto  nel  medesimo  archivio  del  Comune  e  propria- 
mente nel  registro  d'atti,  bandi  e  proviste  delPanno  XII*  indizione 
1478-79,  a  fog.  24. 

Ceco,  pertanto,  il  documento: 

Die  xviiijo  iulii  xije  indictionis 
mo  Cecco  Ixxviiijo 

Lu  memoriali  dato  per  li  magnifici  signuri  officiali ,  preluri  et 
iurati  di  la  felichi  chitati  di  palermu  alu  illustri  signuri  precedenti 
(il presidente  del  regno,  ch'aera  allora  Gian  Tomaso  Moncada  conte 
di  Adernò)  di  li  masunati.  genti  et  municioni  et  armi  dita  dieta 
chitati  per  causa  di  li  novi  di  lu  turchu  (3). 

in  primis 

li  focura  m  cxviiij  {sic) 

videlicet 

vij 

la  chitati  di  lucassaru(doéiar/r(àt7ecrAta) focura  e  xvij 

(1)  Op.  cil.  pag.  89. 

(2)  V.  Statistica  della  città  di  Palermo  —  Censimento  della  popolazione  nel  4861 
pubblicato  dall*  Ufficio  comunale  di  Economia  e  Slatislica.  —  Palermo,  Lao,  1865.  — 
Introduzione,  pag.  cu. 

(3)  Nello  slesso  registro  ho  trovato  l'alto  seguente  che  giova  qui  soggiungere: 

die  TÌij*  iunii  xij*  iiidictionit 
•  Quia  illuslris  presidens  per  suas  provisiones  datas  in  urbe  panormi  quinto  iunii 
xij«  indictionis  exortalur  et  mandai  magnificis  pretori  et  iuratis  quod  dieta  eivìtas 
panormi  debeai  muniri  prò  defensionc  hostium  et  maxime  magni  teucri  (sic)  de 
quo  dicitur  quod  ordinai  roagnum  oxercitum,  propterca  per  ipsos  raagnificos  pre- 
torem  et  iuratos  fuit  provisum  quod  describantur  omnes  homines  et  mulieres  urbis 
prodictc,  arma,  et  equi;  quc  doscriptio  fieri  debeat  cum  omni  diligentia  et  sollicitu- 
dine  per  ipsos  magnificos,  una  cum  aliquibus  civibus  per  co»  eligendis  de  quolibet 
quarterio.  • 


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CENSIMENTO  DI  PALERMO  NEL   1479 

la  aibergaria  {lo  stesso  rione  che  porta  oggi 

tal  nome)  focara 
chivalcadi  {seralcadi,  parie  dd  mand.  Monte 


271 


m  e  ij 


Pietà)  focora 

la  yalcza  (la  Chalza,  parte  del  mand.  Tribu- 
nali) focura 

la  coDciria  {parte  del  mand.  Castello  a  mare) 

focura 
la  iodeea  {parte  superiore  del  mand.  Tribu- 
nali) focara 

li  animi 

li  homifìi  di  fari  faclu 

li  spati 
armi  blanki 

lanczi  {lande) 

brockeri  {brocchieri) 

chilali  {celate) 

coperti  di  cavallo 

tarkecti  {targhette,  o  piccole  targhe) 

coyraczi  {corazze) 

cavalli 

balestri 
lamenti 
bonbardi 
spingardi 


VIJ 

e  xxij 


me  XXV 


VIJ 
e  XX 


V 

c  xxiij 

XIV 

m  xij 

vj   V 

m  e  Ixxxxj 

ij   vij 

m  e  xxxxviy 
Ixxxxvg 

iij   ij 

m  e  V 
e  Ixxiij 

uij 

c  xxviiu 

xxxxiig 

mcxxxv 

e  Ixxxxviiij 

viij 

c  Ixviiy 

viiij 
e  XXXX 


Ixxj 

xxxviiy 

Ix^ 


Stando  alle  notizie  dateci  dal  citato  Hongitore ,  gli  abitanti  di 
Palermo  nel  1501  ammontavano  a  25>000;  e  tanti  erano  eziandio, 
secondo  il  nostro  documento,  nel  1479.  Donde  è  a  dedurre  che  da 


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272  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

quest'ultimo  anno  sino  al  1501  la  popolazione  non  ebbe  a  subire 
aumento  né  diminuzione.  E  son  quindi  inesatte  le  notizie  raccolte 
dal  Maggiore  Perni  {ì\  secondo  il  quale  la  popolazione  nel  XV  secolo 
avrebbe  toccato  i  405,000,  e  nel  1501  sarebbe  diminuita  a  49,000. 

All'epoca  del  censimento  di  cui  favelliamo^  i  fuochi  erano  5119, 
0  piuttosto  (correggendo  un  errore  attribuibile  all'amanuense)  5109. 
Nel  1548^  secondo  il  Fazello  (2),  essi  ammontavano  a  15,000  ;  tra 
l'una  e  Tallra  cifra  vi  è  quindi  una  differenza  di  presso  che  due  terzi, 
differenza  che  si  spiega  agevolmente  avuto  riguardo  al  lungo  intervallo 
che  divide  i  due  censimenti.  Notisi  intanto  che  nel  lessico  topo- 
grafico di  Vito  Amico  (edizione  originale,  voc.  Panormus)  la  cifra  dei 
fuochi  del  1548  secondo  il  Fazello  con  evidente  errore  tipograQco, 
ripetuto  nella  traduzione  italiana,  è  ridotta  a  i500. 

Gli  homini  di  fari  factu  sono ,  a  mio  parere ,  gli  uomini  atti  a. 
portar  le  armi.  In  buono  italiano  fare  fatto  significa  operare^  e  far 
fatto  d*  arme  importa  combattere  (V.  Tommaseo ,  Dizionario  della 
lingiM  italiana,  tom.  Il,  pag.  670,  col.  I).  E  gli  uomini  atti  alle  armi 
eran  quelli  tra  i  18  e  i  50  anni.  Quindi  vediamo  che  nel  censimento 
del  Ì6i3  (3)  si  tiene  conto  a  parte  di  questi ,  come  dei  bambini, 
dei  vecchi  e  delle  donne  si  tien  separatamente  ragione.  Gli  uomini 
di  far  fatto  nel  1479  sommarono  a  6591  ,  cioè  più  che  la  quarta 
parte  della  totalità  degli  abitanti  :  e  nel  1613  tornarono  presso  a 
poco  alla  stessa  proporzione  gli  uomini  dai  18  ai  50  anni. 

La  iudeca  (Giudecca)  era  il  rione  abitato  dagli  Ebrei.  Corrisponde, 
come  notai,  e  come  tutti  sanno,  alla  parte  superiore  del  mandamento 
Tribunali,  e  propriamente  presso  al  palazzo  di  Città.  La  Giudecca  di 
Palermo  contava  nel  1479,  cioè  14  anni  prima  della  espulsione,  523 
fuochi,  e  2600  abitanti  all' incirca,  prendendo  per  base  il  rapporto 
di  I|5  che  esiste  fra  il  totale  de' fuochi  e  quello  della  popolazione 
della  intera  città  (4). 

Raffaele  Starrabba 


'  (1)  Siatistica  cit.  pag.  cv>ii  — Gli  stessi  dati  son  ripetuli  nelle  notizie  che  si  pre- 
mettono ai  bilanci  presuntivi  della  città  di  Palermo. 

(2)  De  Rebus  Sieulis,  ediz.  1560,  pag.  639. 

(3)  Statistica  cit.  pag.  cui. 

^4)  Secondo  un  documento  pubblicato  dal  eh.  La  Lumia  in  fine  della  sua  bella  mo- 
nografia sugli  Ebrei  Sieiliani  (V.  Studi  di  Sloìia  Siciliana^  tom.  IL  Palermo  1870) 
gli  Ebrei  Palennitani  nel  1493  sarebbero  stati  presso  a  5000,  e  quindi  quasi  il  doppio 
della  cifra  che  io  credo  potersi  presumere  pel  1479.  SifTatto  aumento  potrebbe  es- 
sere slato  il  prodotto  della  immigrazione  degli  Ebrei  cacciati  dalla  Provenza  per  or- 
dine di  Luigi  XI  nel  1491. 


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IPPOLITO 

DRAMMA  D'EURIPIDE 

(Continuaz.  e  fine,  vedi  voi.  II,  disp.  IV  e  V) 


Coro 
Veggo  tristo  nel  volto  e  eoo  pie  ratto 
Uq  seguace  d'Ippolito  venirne 
A  queste  case. 

Nunzio 
Ove  trovar  mi  è  dato 
Il  Re  Teseo  ?  Se  v'  è  palese,  o  donne, 
Mei  dite.  É  forse  in  questa  reggia  ? 
Coro 
'  Ei  stesso 

Dalle  soglie  vien  fuori. 
Nunzio 

Una  novella 
lo  ti  reco,  0  Signor,  di  gran  momento 
Per  te,  per  quanti  Tatenea  cittade, 
E  di  Trezene  albergano  i  confini. 


Che  avvenne  ?  Alcun  sinistro  or  novamente 
S' apprese  ad  ambe  le  città  congiunte  ? 

Nunzio 
In  fin  di  vita  è  Ippolito,  e  per  brevi 
Istanti  ancora  mirerà  la  luce. 

Teseo 
Come?  A  contesa  alcun  venia  con  esso. 
La  cui  consorte  svergognò,  del  paro 
Che  la  donna  di  lui,  che  gli  dio  vita  ? 

Nunzio 
Del  proprio  cocchio  il  giogo  e  quelle  preci, 
Che  al  padre  tuo  signor  dei  flutti  ergesti. 
Lo  spensero. 


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274  nuove  effemeridi  siciliane 

Teseo 
0  Superni  !  Or  si  che  padre 
Mi  sei  verace,  Enosigèo  I  Compiesti 
I  voli  miei  I  Ma  tu  narraiAi  come 
Fu  morto,  e  come,  per  avermi  offeso, 
Della  Giustìzia  il  percotea  la  verga. 

Nunzio 
Noi  presso  il  lido,  che  del  mar  si  cinge 
Governavamo  con  le  striglie  i  crini 
De'  puledri,  gemendo  alla  novella 
Che  un  messaggiero  ne  recò,  narrando 
Che  Ippolito  da  te  Tamaro  esigilo 
S'ebbe,  né  più  dovea  qui  mover  piede. 
Poscia  ei  medesmo  in  su  la  riva  apparve 
Ugual  recando  lacrimoso  annuncio, 
E  da  tergo  il  seguia  di  cari  amici 
Suoi  compagni  d'età  schiera  influita. 
Alfln,  cessato  il  lacrimar,  si  disse: 
Perchè  cosi  vaneggio?  È  d'uopo  ai  cenni 
Rassegnarsi  del  padre.  0  servi,  tosto 
I  corridori  a  portar  giogo  usati 
Ponete  al  cocchio;  che  non  è  più  mia 
Questa  città.  —  Quindi  ciascun  s' affretta 
E  ratto  più  che  non  potria  ridirsi, 
.    I  puledri  fnr  pronti,  e  li  traemmo 
Innanti  al  Sire  istesso;  e  come  ei  s' ebbe 
Alle  piante  allacciato  i  bei  calzari. 
Subitamente  con  la  man  dai  cocchio 
Le  redini  ritrasse,  e  con  le  palme 
Al  cielo  spante,  cosi  disse:  0  Giove, 
Si  spenga  il  viver  mio,  se  un  empio  io  sono, 
E  senta,  oh  I  senta  il  genilor,  se  vivo, 
0  se  morto  io  sarò,  di  quale  oltraggio 
Mi  ricoperse  t  In  questa,  ei  dà  di  piglio 
Al  pungolo,  e  le  mute  al  par  sospinge. 
Noi  servi  intanto  presso  i  freni  e  il  cocchio 
Seco  del  calle  prendevam,  che  ad  Argo 
Ed  Epidauro  corre,  e  in  un  diserto 
Entrammo,  ove  lonlan  da  queste  piagge 
S'apre  una  costa,  che  vagheggia  il  mare 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D'  EURIPIDE  275 

Sarooico.  Un  fragor^  quasi  di  Giove 
La  voce,  da  sotterra,  a  udirsi  orrendo, 
Quivi  echeggiò.  Tosto  i  puledri  in  allo 
Levar  le  fronti  ed  aguzzar  le  orecchie. 
Noi  da  un  nuovo  terror  lutti  compresi 
Non  sapevam  donde  quel  suono  uscisse; 
Ma  poscia  riguatando  il  marin  lido 
ETrgersi  immensa  al  ciel  mirammo  un'onda, 
Che  la  veduta  agli  occhi  mi  contese 
Delb  scironia  riva,  e  P  istmo  tutto 
Mi  ricoperse,  e  d'  Bsculapio  il  monte. 
Poscia  gonfiando,  e  pel  boiler  marino 
Riversando  per  tutto  immensa  spuma 
Con  gran  fragor  proruppe  in  su  la  spiaggia. 
Ovverà  la  quadriga,  e  furibonda 
E  triplicata,  oh  t  rio  prodigio  I  un  toro 
Gittò,  del  cui  muggito  orribilmente 
Echeggiava  la  terra.  Ai  riguardanti 
Maggior  d'ogni  altro  quel  portento  apparve. 
Grave  terror  tosto  i  cavalli  invase; 
E  il  mio  signore,  che  dell'arti  equestri 
Savio  fu  tanto,  a  sé  trasse  le  brìglie, 
E(  come  adopra  il  battellier  remando, 
Tutta  a  dietro  piegossi  la  persona. 
Ma  i  corridori  gV  infocati  freni 
Mordendo,  a  corsa  levansi,  nò  sentono 
La  man  di  chi  li  regge,  nò  di  redini, 
Nò  di  cocchio  si  curano.  —  Se  il  temo 
Egli  al  pian  dirizzava,  ecco  di  fronte 
Appariva  quel  toro,  e  ad  arretrarla, 
Furente  di  terror  fea  la  quadriga. 
Poi  quando  smaniosi  appo  la  roccia 
Rendevansi  i  corsier',  da  Iato  al  cocchio 
Ei  tacito  movea,  Anche,  sospinta 
I^  ruota  ad  un  macigno,  lo  travolse. 
Tutto  a  soqquadro  andò.  Saltare  i  mozzi 
Delle  ruote,  e  dell'assi  le  chiavarde. 
Tra  le  redini  avvinto,  e  trascinato 
Da  indissolubil  nodo  ei  per  i  sassi 
Battendo  il  capo,  lacero  le  carni 


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276  NUOVB  EFFEMERIDI  SIGIUANC 

Queste  gravi  ad  adir  movea  querele: 

Fermalevi,  o  pasciuti  alle  mie  stalle, 

Non  m'uccidete  !  0  voto  sciagurato 

Del  padre  t  Or  deb  I  chi  viene  a  porre  In  salvo 

'  Un  onest'uomo  ?  —  Ed  a  bramarlo  molli 
Fummo;  ma  tardo' era  a  seguirlo  il  passo! 
Ei  frattanto  dai  vìncoli  disciolto 
Delle  redini  infrante,  ignoro  il  come, 
Cade  spirando  ancora  un  fll  di  vita. 
Disparirò  i  cavalli,  ed  il  funesto 
Tauro,  né  so  ben  come,  in  quelle  balze. 
Servo,  0  Signor,  delle  tue  case  io  vivo; 
Ha  giammai  tanto  non  potrò,  cb'io  fede 
Tegna,  che  sia  malvagio  il  tuo  rampollo. 
Non  se  ben  anco  delle  donne  tutta 
Fosse  ai  lacci  sospesa  la  genia, 
0  s'altri  avesse  di^cifrale  carte 

^eir  Ida  empiuto  la  pinosa  costa; 
Che  Intemerato  io  lo  conobbi  sempre  I 
Coro 

Ahi!  qual  concorso  di  novelli  affanni 

Omai  si  compiei  Né  riman  difésa 

Dalla  fatai  Necessità  I 

Teseo 
Per  Podio 

Dell'uom,  che  ciò  sofferse,  al  tuo  racconto 

Io  m'allegrai;  ma  poscia  ai  Numi  e  a  lui, 

Che  di  me  nacque,  riguardando,  il  core 

Né  s'allieta,  né  duol  per  tanti  mali. 
Coro 

Ma  dunque?  Trasportarlo,  o  che  far  altro 

Al  misero  dovrem,  che  a  te  sia  grato? 

Pensaci;  e  se  t'attieni  ai  miei  conforti, 

Non  sarai  crudo  col  figlio  infelice  ! 

TE^EO 

Recatelo;  ond'  io  pur  volgendo  il  guardo 
Su  colui,  che  negò  d'aver  macchiato 
I  letti  miei,  col  ragionar  l'astringa, 
E  con  la  pena,  che  dai  Numi  ei  s' ebbe. 


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IPPOUTO,  DRAMMA  D' EURIPIDE  277 

Coro 
0  Cipri,  Talme  ÌDdocili 

Reggi  deir  Uom,  del  Nume, 

Insiem  con  lui,  che  splendido 

Di  variale  piume 

Con  Pala  rapidissima 

Ombreggia  allrui  la  mente, 

E  il  salso  mar  fremente 

Corre  e  la  terra  a  voi. 
Dei  nati  nelle  torride 

Lande,  cui  guarda  il  Sole, 

E  tra  le  balze  e  i  pelaghi 

Holce  la  giovin  prole. 

E  Puomo  ancor,  se  fervidi 

Di  voluttà  delira 

GP  investe,  gli  raggira 

L' alidorato  Amor. 
Però  da  quanto,  o  Venere, 

Sorga  nel  mondo  e  viva 

Tu  sola  ottieni,  o  diva, 

Sovraneggianti  onor\ 
Diana 
NobiI  figlio  d'Egeo,  porgimi  ascolto. 
Io  tei  comando;  Artemide  rampollo 
Di  Latona  son  io,  che  a  te  favelfo. 
0  misero  Teseo,  perchè  gioisci 
Di  questi  mali,  e  d'aver  tratto  a  morte 
Iniquamente  il  proprio  figlio,  quando 
Della  tua  donna  le  bugiarde  accuse 
Ti  fer  suaso  di  dar  corpo  all'  ombre  ? 
Ma  già  l' impiglia  manifesto  il  fio 
Del  tuo  misfatto  !  Oh  I  perchè  mai  coverto 
Dall'  obbrobrio  cosi  non  ti  profondi 
Della  terra  nei  baratri,  o  non  voli 
Lassù  migrando  ad  altra  vita,  e  lungi 
Da  tai  martiri  non  sollevi  il  piede? 
Che  al  viver  tuo  non  è  più  dato  in  sorte 
L'accomunarsi  con  la  gente  onestai 
Odi,  0  Teseo  ;  contempla  i  mali  tuoi. 
Che  se  giovar  ciò  non  mi  puote^  almeno 


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278  NUOVB  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Doglioso  io  ti  farò  I  Del  tuo  (ìgliaolo 
Perchè  illustre  sen  mora,  il  cor  si  pio 
A  mostrar  qui  mi  trassi,  e  di  tua  douna 
La  rabbia,  e  in  parte  i  generosi  spirti. 
Che  dalla  Diva  più  nemica  a  quanti 
Yirginitade  abbella,  esagitata 
E  trafitta  d'Ippolito  s'accese! 
Tentò  col  senno  superar  Ciprigna; 
Ma,  non  volendo,  alfin  soggiacque  all'arti 
Della  nudrice,  che  svelò  tal  piaga 
Sotto  la  fé  del  giuro  al  tuo  rampollo. 
Ben  a  ragione  ei  non  segui  l'iniquo 
Consiglio,  e  poi  da  te  si  vilipeso 
Tenne  sua  fede  al  giuro,  ei  che  fu  pio  I 
Ma  temendo  cader  nel  vitupero 
Colei,  vergò  calunniose  note, 
E  con  le  frodi  il  tuo  figliuolo  spense, 
E  ti  suase  I 

Teseo 
Ahimè  I 

Diana 

Ti  morde  il  core, 
0  Teseo,  questo  detto?  Attendi,  e  cheto 
Odi  quanto  io  soggiungo,  e  verserai 
Più  largo  pianto.  D' imprecar  tre  volte, 
E  non  indarno,  ti  fé'  dono  il  padre. 
Ben  lo  rammenti  ?  Or  di  tal  dono  usasti 
Contro  il  proprio  tuo  sangue,  o  scellerato, 
Potendo  oprarlo  contro  alcun  nemico. 
Il  maria  genitore  a  te  benigno 
-Quanto  dovea,  come  promise,  attenne. 
Ma  tu  li  mostri  apertamente  iniquo 
Contro  me,  contro  lui;  che  non  l'assenso, 
Né  de'  vati  il  responso  aver  ti  piacque, 
Né  reo  lo  convincesti,  e  disdegnasti 
All'  indagine  offrir  tempo  men  breve. 
Ha  frettoloso  più  di  quanto  è  bello 
Contro  il  figlio  lanciasti  il  diro  voto, 
E  r  uccidesti  ! 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D'*URIPIDE  279 

Teseo 
0  Dea,  perdalo  io  sono! 

Diana 
Opre  orrende  compiesti;  e  pur  l'è  dato 
Il  perdono  ottener.  Poiché  fu  Cipri, 
Che  nati  volle  ad  appagar  sua  brama 
Questi  lugubri  eventi.  È  fra  gli  Eterni 
Posta  una  legpe,  che  al  voler  d'  un  nume 
Non  ripugni  allro  nume,  e  alternamente 
Ognor  si  ceda.  Se  così  non  fosse, 
Né  Giove  io  paventassi,  abbi  di  fermo, 
Che  a  tal  vergogna  io  non  sarei  venuta 
Da  tollerar  Io  scempio  di  colui. 
Che  su  tutti  i  mortali  io  m' ebbi  a  core  ! 
Quinci  il  tuo  fallo  da  malizia  sciolto 
L' ignoranza  rendea;  del  caso  inoltre 
Tutte  prove  apprestò  la  tua  consorte, 
Che  per  farti  convinto  si  moria. 
Or  più  che  in  altri  del  dolor  la  piena 
Su  te  prorompe;  ma  pur  io  men  dolgo. 
Che  de'  giusti  la  morte  oh  !  non  aggrada 
Agr  Immortali;  e  son  da  noi  dispersi 
Cr  iniqui,  e  i  nati  loro,  e  le  lor  case  ! 

Coro 
Ecco  il  misero  è  qui  dilaniato 
Le  carni  giovinette  e  il  biondo  capo. 
AhiI  qual  lutto  domestioo!  Qual  doppia 
Angoscia  invase  per  divin  consiglio 
Queste  magioni  I 

Ippolito 
Ahimè,  ahimè  meschino! 
Strazialo  son  io  d'iniquo  padre 
Pel  voto  iniquo.  Ahi  !  che  son  morto....  Il  capo 
M'assaltan  martellando  acute  doglie, 
E  lo  spasimo  al  cerebro  sormonta  I 
Deh  !  fa,  eh'  io  lasso  ripasi  le  membra... 
0  r  esecrabil  giogo  de'  corsieri 
Di  mia  mano  nudritì,  m'  hai  perduto... 
M'uccidesti...  Ma  oh!  Dio,  pian  piano,  o  servi, 
Nel  trattar  queste  mie  misere  carni... 


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280  NUOVE  EFFEMERIDI  SiaUANB 

Chi  dalla  destra  mi  si  fece  ai  fianchi  ? 

Alzalemi  pian  piano,  e  via  portate 

In  equilibrio  qu^lo  sciagurato 

E  maledetto  dal  paterno  errore  I 

0  Giove,  0  Giove,  il  vedi  tu  ?  Queir  io, 

Che  fui  sì  casto,  e  con  gli  Dei  pietoso, 

lo  che  su  tutti  iT  onestà  prevalsi, 

La  vita  or  perdo...  a  manifesta  morte 

Men  vo,  sotterra...  Ahimè,  che  al  mondo  invano 

Neir  opre  belle  affaticai  pur  tanto  ! 

Ahimè,  ahimè  lo  spasmo  !  Ahi,  che  m'incalza 

Lo  spasmo  !..  Or  su  lasciatemi...  La  Morte 

A  guarirmi  ne  venga.  Ha...  uccidetemi... 

Uccidetemi...  Un  brando,  un  brando  acuto 

Vi  chiedo,  ond'  io  m' uccida,  ond'  io  ritrovi, 

Come  assopir  questa  vita  infelice  ! 

0  sciagurato  T  imprecar  paterno  ! 

0  de'  parenti  miei  le  crude  stragi  ! 

Ma  degli  avi  le  colpe  a  che  m' incalzano  ? 

Qual  fio  ne  debbo,  se  innocente  e  puro 

Di  misfatti  fui  sempre  ?  Ahimè,  che  dico  ? 

Ma  come  francherò  da  tanto  strazio 

La  vita  !  Oh  I  che  jdia  pace  a  me  meschino 

L' atra,  fatai  necessità  di  Fiuto  I 

Coro 
Ahi  !  lasso,  qual  ti  preme  orrida  sorte  I 
L'alto  cor  ti  perdea  I 

IppoLrro 

Tacete;  io  sento 
Una  fragranza,  e,  benché  il  duol  m'opprima, 
Un  conforto  ne  provo.  In  queste  case 
Artemide  s' aggira. 

Diana 

0  miserando/ 
La  tua  più  cara  Diva  ò  a  te  da  presso. 

Ippolito 
Vedi  tu,  mia  regina,  in  quale  agone 
Son  io? 

Diana 
Lo  veggo;  ma  dar  loco  al  pianto 
A  me  non  lice. 


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ippolito,  dramma  d^euripide  281 

Ippolito 
Il  cacciatore,  il  servo 
Or  più  non  hai. 

Diana 
Pur  troppo  !  Io  t' amai  tanto 
E  muori  I 

Ippolito 
Né  l'auriga,  né  de'  tuoi 
Simulacri  il  custode! 

Duna 

Per  le  trame 
Di  Cipri  scellerata  ! 

Ippolito 

Oh  I  bea  conosco 
Qual  Dea  mi  spense  t 

Duna 
Di  negarti  onori 
Si  dolse,  e  l'abborri,  perchè  pudico. 

IppoLrro 
Ella  sol  una  fu,  che  tutti,  il  sento, 
Noi  tre  distrusse. 

Diana 
Il  padre  tuo,  la  moglie 
Di  lui,  con  te. 

Ippolito 
Quindi  compiango  ancora 
La  sciagura  del  padre. 
Diana 

Ei  tratto  in  fallo 
Fu  dalle  trame  della  Diva. 
Ippolito 

0  mesto 
Padre,  per  lante  disventure  ! 
Teseo 

Sento 
Morirmi,  e  dolce  più  non  m'è  la  vita. 

Ippolito 
Di  questo  fallo  io  più  per  te  sospiro, 
Che  per  me  stesso. 


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t^  nuove  effbmebiih  siciuaifk 

Teseo 

4  ^^^  o^Q  <^^d^  spento 

10  vece  taal 

Ippolito 
0  del  maria  tao  padre 
Gli  acerbi  doni  I 

Teseo 
Oh  I  che  giammai  sai  labbro 
Non  mi  fosser  venati  I 

Ippouto 

E  a  che  giovava  ? 
Spento  sempre  m'avresti;  era  cotanto 

11  furor  tuo. 

Teseo 
Perchè  rapiroU  il  senno 
Gli  Dei. 

Ippouto 
Perchè  non  lice  anco  ai  mortali 
Contro  i  Numi  imprecar?- 

Duna 

Taci,  fra  P  Ombre 
Noo  andranno  laggiù  di  Cipri  inulte 
Lire,  onde  fosti  fulminato;  in  merto 
Di  tua  pietà,  di  tao  benigno  core. 
Ma  con  questa  mìa  man,  con  questi  dardi. 
Da  cui  scampo  non  v'ha,  d'altri,  che  al  mondo 
Il  più  caro  le  fla  m'avrò  vendetta. 
E  a  le  meschino,  per  le  tante  angosce 
Sofferte,  largirò  supremi  onori 
In  Trezene.  1^  vergini  (anciulle 
Ti  sacreran  per  lunga  età  le  chiome 
Pria  delle  nozze,  e  l'offriran  di  pianto 
Largo  tributo,  e  nenie  armoniose 
Ti  volgeran,  né  fia  taciuto  e  ignoto 
L'amor,  onde  per  te  Fedra  s'accese. 
Ma  tu^  rampollo  del  canato  Egeo, 
Accogli  fra  le  braccia  e  al  sen  distringi 
Il  figlio;  ch'ei  da  te  senza  toa  voglia 
Fu  spento;  ed  il  fallir,  se  ai  Numi  aggrada, 
È  proprio  dei  mortali.  Ed  or  t'esorto. 


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IPPOLITO,  DRAMMA  D^EURlPmE  283 

0  Ippolito,  a  cessar  tuUo  rancore 

Verso  tao  padre;  che  in  balia  del  fato 

Sei,  che  ti  strusse.  Addio  I  Che  a  me  si  niega 

Negli  estinti  aiBsarmu  e  le  pupille 

Contaminar  co'  rantoli  di  morte. 

E  già  presso  li  veggo  a  questo  agone  I 

Ippouto 
Lieta  or  vanne,  o  fanciulla  avventurata, 
E  a  te  sia  lieve  abbandonar  l'antica 
Amistà  nostra.  Ogni  rancor  depongo 
Col  padre  mio,  come  tu  vuoi;  che  sempre 
Ai  tuoi  detti  obbedii...  Ahimè,  sugli  occhi 
Mi  vengon  le  tenèbre  !..  Accogli,  o  padre, 
Sostieni  questa  misera  mia  salma... 

Teseo 
0  Aglio,  e  di  me  tristo  ah  I  che  farai  ? 

Ippolito 
Io  moro...  lo  scorgo  omai  le  inferno  porle  I 

Teseo 
E  il  cor  mi  lasci  di  tal  colpa  imparo? 

Ippolito 
Non  già;  che  la  mia  morte  io  li  perdono. 

Teseo 
Oh  I  ciel,  che  dici  ?  Del  tuo  sangue  assolto 
Mi  mandi  ? 

.  Ippolito 
Si;  Pattesto  per  Parciera 
Diana. 

Teseo 
0  caro  a  me  su  tulli,  oh  !  quanlo 
Generoso  ti  mostri  al  tuo  parente  I 

Ippouto 
Salve,  e  per  lunga  età  sii  lieto,  o  padre. 

Teseo 
Oh  I  come  hai  Palma  generosa  e  pia  I 

Ippolito 
Prega,  che  uguale  ti  sia  data  in  sorte 
La  legittima  prole. 

Teseo 

Oh  !  non  lasciarmi, 
0  figlio  mio  !  Ma  il  tuo  vigor  riprendi  ! 


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28'*  nuove  effemeridi  siciuane 

Ippolito 
Vigor?  Già  rebbi...  morto  io  sono,  o  padre... 
Toslo  il  viso  a  me  copri  con  1^  ammanto... 
Teseo 

0  d'Atene,  o  di  Palla  alle  contrade, 

Qual  uom  perdeste  t  Ahi  t  lasso  me«  che  lunghi 
Ricordi,  0  Cipri,  avrò  de'  mali  tuoi! 

Coro 
Inaspettato,  comnn  duolo  assalse 

1  cittadini  tutti,  e  fia  ben  larga 

Del  lacrimar  la  piena;  che  dei  Grandi     ' 
Più  sorge  il  nome,  se  di  pianto  è  degno  i 

G.  De  Spughes. 


AD  IPPOLITO  TITO  D'ASTE 

PER  LA  SUA  COMMOVENTE  NOVELLA  INTTfOLATA  Rachele 


....    se  tu  segui  tua  stella 
Non  puoi  fallire  a  glorioso  porto. 
Dante. 


Qual  m' ispirò  nelP  anima 

Dolce  pietà,  della  Rachele  il  fato. 

Che  tu,  gentile  Ippolito, 

Hai  cosi  ben  cantato  I 

Si,  di  soavi  lagrime 

Le  tue  possenti  note 

M'inumidir  le  gotet 
Che  mi  dipinser  vìttima 

D'una  fatale  illusion  del  core 

Lei,  che  nutrendo,  ingenua, 

Un  inconsulto  amore, 

Vide  mutarsi  in  triboli. 

Avvolta  nei  dolori, 

Della  speranza  i  Hori. 


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AD  IPPOUTO  TITO  D*  ASTE  285 

Fiaché  per  novo  palpito 

sorta  a  novella  e  sciagurata  spene. 

Quando  credea  raggiungere 

Un  sospirato  bene, 

Di  novi  affanni  un  baratro 

EUa  a  se  stessa  aprio, 

Poi  sen  volava  a  Dio. 
Tremenda  esempio  e  simbolo 

Dell'umana  fralezza,  a  noi  pur  grida 

La  tua  Rachele:  mìsero 

Sempre  chi  al  cor  si  affida 

Senza  ascoltar  gli  oracoli 

De  la  diva  Ragione 

Che  'I  giusto  e  il  ver  propone  f 
E  tu  che  del  cor  l' intimo 

Nel  casto  vei*so  rivelar  ben  puoi. 

Segui  la  nobii  opera, 

Segui,  de'  carmi  tuoi  : 

Scrivi  :  e  nei  sogni  eterei 

Del  fervido  pensiero 

Congiungi  al. Bello  il  Vero. 
Ad  alto  segno  T  animo 

Innalza,  o  gentilissimo  poeta; 

Né  puoi  fallir  (deh  credimi!) 

A  gloriosa  meta.  — 

Oh  a  questi  plausi  Italia, 

Dall'una  alP altra  sponda, 

Fia  che  un  bel  di  risponda  I 

Messina,  16  agosto  1870. 

L.  Lizio-Brono 


19 

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CRITICA  lenERARIA 


riloiofla  Blementare  a  norma  de*  profranuni  f ovematM  ec, 

esposta  da  Paolo  Morello  prof.  neW  Univ.  di  Palermo.  Palermo, 

Amenta,  18(39. 
aiementi  di  filosofo  ad  mo  dri  semiiMurio  Arcivescovile  di  CkUor 

via  pel  Sac.  Antonlno  dott.  IIaugeri  prof,  nella  R.  Univ.  di  Ca- 

(anta.  Catania,  Caronda,  1809. 
MUnoale  di  Filosofia  Blementara  ad  uso  delle  scuole  pel  proL 

Gaetano  La  Rosa.  Catania,  Calatola,  1870. 

Queste  tre  opere  di  filosofia  elementare  scritte  da  egregi  inge- 
gni e  valenti  professori,  uscite  solamente  in  un  anno ,  danno  bene 
a  vedere  come  gli  studi  filosofici  fra  noi  fioriscano  forse  più  che  al- 
trove. Delle  due  opere ,  ora  compiute ,  dei  Morello  e  del  Maugerl 
si  parlò  altra  volta  in  questo  periodico,  (anno  I,  p.  289  e  segg.),  e 
non  è  ora  altro  da  aggiungere,  se  non  che  i  due  illustri  professori 
hanno  bene  meritato  della  gioventù  studiosa  fornendo  co'  loro  la- 
vori una  facile,  ma  sempre  soda,  via  alPapprendimento  della  scienza 
aUa  quale  oggi  il  Positivismo  (à  appunto  aperta  guerra.  L^  opera  del 
Maugeri  è  una  riduzione  a  corso  elementare  della  sua  opera  mag- 
giore. Sistema  McheofUologico;  e  non  andrebbe  forse  errato  chi  di- 
cesse questa  seconda  opera  e  minore  poter  giovai*e  più  della  prima 
e  maggiore.  Né  credo  incontrerebbesi  difficoltà  a  dire,  l'autore  in 
questi  Elementi  di  Filosolìa,  senza  disdire  ir  suo  sistema  di  conci- 
liazione, essersi  più  accostalo  involontariamente  air  Ontologismo  an- 
ziché al  Psicologismo ,  massime  discorrendo  dell'  assoluto  logico  e 
delPassohito  ontotogico  (p.  361  e  segg.),  e  della  obbiettività  ed  o- 
rigine  delle  idee  (p.  312  e  segg.,  32(5  e  segg.). 

Quanto  alla  nuova  opera  del  La  Uosa,  prof,  nel  Liceo  di  Caltagi- 
rone,  già  conosciuto  per  altri  scritti  filosofici  pur  lodati,  é  da  dire 
in  prima  eh'  egli  ha  voluto  seguire  le  Istruzioni  governative  per  lo 
insegnamento  dì  filosofia  ne'  Licei  del  Regno,  si  che  la  sua  opera 
va  sulla  via  stessa  die  i'  altra  stampata  a  Firenze  dal  Conti  e  dal 
Sartini)  benché,  per  nostra  notizia  particolare,  il  La  Rosa  già  aveva 
pronto  il  suo  lavoro  innanzi  alla  stampa  di  quello  de'  due  profes- 
sori citati.  L' egr.  Autore  si  é  proposto  esporre  nel  suo  volume  quei 


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CRITICA   LETTERARIA  287 

latito  di  elementare  che  insegna  la  Filosofia  Cristiana  (pref.  p.  4),  e 
vi  è  riascito  per  bene.  L^  opera  è  divisa  in  sei  Trattali:  I.  Psicolo- 
gia empirica.  II.  Ontologia,  HI.  Logica,  IV.  Psicologia  raziotyile^  Y. 
Teologia  naturale,  VI.  Etica.  «  In  sifTalto  modo,  dice  nella  Introdu- 
sione,  stadieremo  Taonio  in  quanto  pensa  e  in  quanto  opera;  co- 
minciando dal  pensiero '«  perchè  il  pensiero  è  la  scaturigine  delle 
òpere,  e  compiremo  T oggetto  della  filosofìa,  che,  essendo  sludio 
della  sapienza,  abbraccia  tutto  V  uomo  in  quanto  pensa  ed  in  quanto 
opera  •  (p.  12).  Il  proposito  di  dare  un  Manuale  di  filosofia  cristiana 
ha  fatto  seguire  air  autore  più  che  altra  autorità  di  filosofi  contem- 
poranei quella  del  Ventura,  e  tra  gli  antichi  T  altra  di  S.  Tommaso; 
e  r  aver  voluto  lasciare  da  parte  •  ciò  che  nella  scienza  v'  ha  di 
problematico,  attenendosi  piuttosto  a  tutto  il  certo  e  il  provato,  » 
r  ha  condotto  a  scansare  i  più  ardui  punti  della  scienza  ,  proce- 
dendo per  quel  cammino  facile  e  comune  che,  se  non  è  pe'  dotti 
e  per  chi  vuole  andare  addentro  nella  speculazione  filosofica,  cer- 
tamente può  essere  di  profitto  ai  giovani ,  che  per  la  prima  volta 
'salutano  le  soglie  della  scienza.  Tuttavia,  P  autore  non  sa  del  tutto 
spogliarsi  delf  abito  metafisico  per  un  metodo  di  filosofare  che  non 
saprei  dire  quanto  possa  in  fatto  riuscire ,  e  a  proposito  delP  ori- 
gine delle  idee  dà  pure  una  sua  teorica,  che  sarebbe  quella  di  San 
Tommaso  rinnovata  dal  Ventura,  siccome  S.  Tommaso  aveva  per- 
fezionata per  la  giunta  deir  elemento  platonico  quella  più  antica  di 
Aristotile;  e  dal  fatto,  che  è  il  singolare,  dall'  intelletto  agente,  che 
è  la  facoltà  che  rende  universale  il  particolare,  e  dalla  verità,  che> 
è  luce  spirituale  presente  all'anima;  fa  ucire  Videa,  o  il  concetto 
generale  della  cosa  particolare  (p.  95  e  segg).  Al  che  aggiunge,  che 
per  r  idea  noi  conosciamo  il  fine  del  fatto,  il  perchè:  «  ma  nel  fine 
del  fatto  vi  ha  T  intenzione  di  Dio,  cioè  le  ragioni  eterne  delle  cose; 
noi  dunque  partecipiamo,  sebbene  imperfettamente  a  queste  ragioni 
eterne  delle  cose,  le  quali  costutiscono  quella  che  si  chiama  verità 
delle  cose,  e  per  questa  verità  conosciamo  il  fatto  scientificamente 
e  ce  ne  formiamo  Y  idea.  L' idea  dunque  è  il  fatto  naturale  cono- 
sciuto in  rapporto  alla  sua  origine ,  cioè  in  rapporto  alla  verità  o 
al  lume  intellettuale,  che  è  in  noi  ed  è  una  certa  manifestazione 
delle  idee  eterne  (p.  99).  Nella  formazione  della  idea  entrano,  dice 
il  nostro  Autore,  tre  elementi  che  sono:  il  fatto,  la  verità  presente 
a  noi ,  e  P  intelletto  opeiante:  i  fattori  oggettivi  delPidea  sono  il 
fatto  e  il  vero;  e  se  non  può  dirsi  che  noi  conosciamo  le  cose  nella 
verità ,  debba  però  per  necessità  dirsi  che  noi  le  conosciamo  per 


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288  NUOVE  BFFBIIBRIDI  SIGILIANR 

la  verità.  L' oolologismo  non  esagerato  potrebbe  accettare  ancb^  esso 
questa  teorica,  la  quale  propria  della  scolastica  Italiana,  non  si  op- 
pone, bensì  la  spiega  a  suo  modo,  alla  visione  ideale,  e  non  nega 
la  partecipazione  agli  esemplari  eterni  delle  cose  per  la  verità,  che 
è  il  lume  intetletluale  senza  cui  nulla  sarebbe  conosciuto. 

Questo  libro  del  prof.  La  Rosa  è  forse  il  primo  che  in  Sicilia  siasi 
scritto  con  V  intendimento  di  seguire  il  nostro  Ventura:  ma  T  Ad* 
tore  vi  ha  portato  quel  soffio  di  ontologismo  chò  è  stato  alimento 
delle  sue  sapienti  speculazioni ,  colle  quali  ha  mantenuto  lodevol- 
mente in  città  interna  dell'Isola  P indole  propria  della  filosofia  na- 
zionale italiana. 

Y.  Di  Giovanni 


SoirecclisM  totale  df  Sol»  del  22  dicembre  1870,  visibile  in  Si- 
cilia; ristUtamento  di  calcoli  esposti  agli  amatori  di  Astronomia 
da  Angelo  Agnello  antico  Assistente  Piazzi  al  A.  Osservatorio 
Astronomico  di  Palermo.  Palermo,  1870. 

Il  22  dicembre  prossimo  si  avvererà  nn  ecclisse  totale  di  sole 
che,  per  la  rarità  del  fenomeno  e  pe'  luoghi  ne'  quali  sarà  visibile, 
riuscirà  importantissimo  per  noi  Italiani. 

L' ombra  proiettata  dal  nostro  Satellite  avrà  principio  neirOceano 
Atlantico  presso  il  capo  Pareteli  nella  Groenlandia,  dove  il  Sole 
sorgerà  totalmente  ecclissato,  traverserà  nella  direzione  di  Sud  Est 
r  Atlantico,  e  toccherà  T  Europa  nelle  coste  occidentali  del  Porto- 
gallo sótto  Lisbona.  Dopo  aver  lambito  la  Spagna,  sboccherà  nel 
Mediterraneo  coprendo  Gibilterra,  entrerà  in  Barberia;  e  uscito  nel 
Mare  Africano  presso  Susa,  coprirà  Pantelleria  e  in  seguito  verrà 
ad  oscurare  una  buona  metà  della  nostra  Isola.  Cosi  saranno  im- 
mersi nelPorobra  lunare  T  intera  provincia  di  Siracusa,  quella  di  Ca- 
tania meno  qualche  Comune,  tutto  il  Circondario  di  Piazza,  di  Ter- 
ranova e  una  buona  parte  di  quello  di  Caltanissetta,  il  Circondario 
di  Girgenti  e  una  porzione  di  quello  di  Castroreale  nella  provin- 
cia di  Messina.  Poscia  P ombra  lunare,  toccando  Postrema  Calabria 
si  avvierà  per  le  isole  ionie,  traverserà  P Epiro,  la  Rumelia  e  la 
Tessaglia  per  isboccare  nel  golfo  di  Salonicco  ;  coprirà  indi  Pintera 
Calcicie,  percorrerà  il  Mare  Egeo  e  il  Mar  Nero,  sino  che  traver- 
sando il  Mard'Azof  terminerà  nflla  terra  de' Cosacchi  poco  dopo  il 
fiume  Donetz,  ove  il  Sole  tramonterà  totalmente  ecclissata 


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GRITIGA  LETTERARU  289 

Nei  133  Comani  siciliani  compresi  nella  zona  di  tokdità^  cioè 
nella  larga  striscia  oscarata  dalP  ombra,  V  intero  fenomeno  sarà  di 
circa  2  ore  e  3|4  avendo  l'ecclisse  parziale  comìnciameuto  verso 
mezz'ora  dopo  il  mezzodì  e  termina  circa  alle  3  e  i|&  p.  m.  Tec- 
clisse  totale  sarà  sempre  di  poclii  secmdi,  ma  in  Biscari  si  pro- 
trarrà sino  a'  112. 

Nella  nostra  Provincia,  come  nelle  altre  d'Italia,  non  avremo  die 
un  ecclissa  parziale  cioè  a  dire  saremo  oscurali  dalla  penombra  che 
proietterà  la  Luna;  cosi  la  potremo  vedere  ad  occhio  nudo  dinnanzi 
al  Sole  e  avvertiremo  una  leggiera  modificazione  nelP  intensità  e 
colore  della  luce  solare. 

I  nostri  astronomi,  volendo  forse  rivendicare  la  loro  mal  com- 
patibile assenza  nel  convegno  degli  astronomi  di  tutto  il  mondo 
civile  nelle  Indie  Orientali  per  istudiarvi  l'ultimo  ecclisse  totale  di 
Sole  che  avverossi  nell'agosto  I8G8,  oggi  con  Taiuto  del  nostro  Go- 
verno non  hanno  tralasciato  cosa  alcuna  nel  preparare  i  lavori  per 
lo  studio  che  deve  farsi  del  raro  fenomeno. 

La  Commissione  nommata  con  R.  Decreto' per  siffatti  lavori  com- 
ponesi  de'  profossori  Santini  presidente^  Cacciatore  vice  presidente^ 
Schiapparelli^  Donati  e  De  Gasparis,  e  questi  scelsero  a  compagni 
il  P.  Secchi  e  i  prof.  Blaserna  e  Lorenzoni.  Terranova  e  S.  Giu- 
liano furono  scelti  per  servire  di  specole  ;  ivi  saranno  trasportali 
due  cannocchiali  per  ciascuna  per  le  diverse  osservazioni  di  oltre 
quello  che  porterà  il  P.  Secchi  il  quale  è  unicamente  destinato  alle 
fotografie  dell' ecclisse. 

Si  domanderà  ora  il  perchè  di  questo  grande  interesse  che  gli  scien- 
ziati attribuiscono  a  quel  fenomeno  della  natura,  perchè  tanii  sludi, 
tanti  lavori,  tante  spese?  Forse  per  la  mera  curiosità  di  vedere  avve- 
rare le  studiate  predizioni  ?  0  forse  per  contemplare  la  natura  sor- 
presa dalle  tenebre  in  pieno  meriggio?  E  poi  descriverne  P effi- 
mero tramonto^  la  momentanea  riapparizione  delle  stelle  in  un  cielo 
nero,  il  chiudersi  dei  fiori,  lo  smarrirsi  degli  uccelli,  il  terrore  e  la 
paura  de'  contadini  che  vedranno  in  quello  innocuo  fenomeno  T  im- 
minente finis-mundi  f  E  poscia  osservare  il  ritorno  della  natura  nel- 
r ordine  e  nelle  quiete  abitudini  di  prima?  Mai  no.  In  quei  po- 
chi istanti  sì  studiano  molte  e  molte  cose,  che  ci  danno  poi  im- 
portanti scoperte  sulla  costituzione  fisica  del  Sole,  e  ci  confermano 
interessanti  ipolesi  e  teorìe. 

Neir  ecclisse  totale,  la  l^una  si  presenta  air  osservatore  come  un 
disco  circolare  nero ,  alterno  però  a  questo  si  vede  un^  aureola  o 


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290  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

corona  laminosa  biancastra  che  in  diversi  ponti  si  prolunga  in  forma 
di  fasci  luminosi  o  pennacchi;  di  più,  allumo  al  bordo  nero  della 
Lana  e  specialmente  vicino  qaesti  pennacchi  si  vedono  deUe  pro- 
minenze come  montagnaole  o  nubi  dette  protuberanze  rosee  pel 
colore  roseo  che  essi  hanno.  Questo  e  nient' altro  è  ciò  che  costi- 
tuisce r importanza  d'un  ecclisse  totale  di  Sole. 

É  in  questa  occasione  che  si  presenta  alla  scienza  nna  delle  mi- 
gliori opportunità  per  verificare  la  natura  di  quelle  enormi  protu- 
beranze» di  queirinviluppo  luminoso  di  8  mila  chilometri  di  spes- 
sore; tìen  che  per  confermare  le  sostanze  di  che  sia  formato  Pastro 
maggiore.  In  questa  congiunzione  de'  due  mondi  un  occhio  esperto, 
aiutato  Sa  tannocchiali,  da  spettroscopi  e  da  molti  altri  strumenti, 
ci  ha  polut<i  affermare  che  le  protuber.mze  non  sono  che  vei*e  fiam- 
me d' una  materia  gassosa  incandescente,  e  eh'  è  V  idrogenò  il  gas 
che  le  produce.  La  causa  di  queste  protuberanze  potrebbe  essere 
la  stessa  di  quella  che  dà  hiogo  aHe  "macchie  solari,  cioè  a  dire  alle 
correnti  ascendenti  dei  gas  interni,  capaci  di  dare  origine  a  quei 
rilievi  della  fotosfera  che  appellansi  facole  e  sopra  di  queste  le  pro- 
luberanze  rosee;  mentre,  queste  correnti  formerebbero  nelle  aper- 
ture delle  macchie  un  fenomeno  separato  e  più  grande  che  po- 
trebbe avere  relazione  coi  pennacclii  degli  ecclissi  ;  infatti  le  pro- 
tuberanze sono  state  sempre  laterali  ai  pennacchi.  Il  grande  getto 
iV  una  maróhia  darebbe  luogo  alle  correnti  laterali,  alla  formazione 
deir  argine  con  quei  sollevamenti  parziali  ed  allungati ,  che  veduti 
proiettati  nel  nucleo  corrisponderebbero  a  ciò  che  noi  chiamiamo 
correnti  e  fonti  ed  il  getto  attraversando. la  cromosfera  darebbe 
in  quei  casi  origine  direttamente  alle  grandi  protuberanze  laterali 
osservate  negH  ecclissi. Questa  ipotesi  si  accorda  con  la  teoria  piti  ac- 
cettata sul  Sole  cioè  che  esso  sia  una  massa  infuocata  gassosa  allo  stato 
di  dissociazione  per  l'elevata  temperatura.  Questo  immenso  calore 
andrà  mano  mano  trasformandosi,  cosi  questo  astro  lo  si  deve  con- 
siderare in  un  periodo  di  raffreddamento,  ma  assai  lento,  e  a  gran 
parte  del  quale  si  devono  i  fenomeni  osservati  negli  strati  super- 
ficiali, la  cui  resistenza  è  ancora  tanto  debole  da  permettere  uno 
scambio  continuo  colle  correnti  gassose  più  calde,  che  dall'  interno 
si  fanno  strada,  dando  origine  a  tutti  quei  fori  più  o  meno  eslesi 
che  chiamiamo  macchie  solari. 

Un  numero  maggiore  di  queste  macchie,  vuol  dire  una  maggior 
quantità  di  materiale  interno  del  Sole  a  noi  scoperto  e  quindi  sarà 
pri  diretta  l' influenza  che  esso  potrà  esercitare  su  di  noi.  In  que- 


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CRITICA   LKTTERAMA  291 

Sto  modo  troviamo  dimostrata  la  relazione  dei  periodi  delle  mac- 
chie eoa  qaelia  del  magnetismo  terrestre  e  delle  aurore  boreali,  e 
per  conseguenza  anche  delle  grandi  burrasche  sulla  superficie  della 
Terra. 

Conosciuto  bene  il  Sole,  potremo  un  giorno  darci  più  esatta  ra- 
gione degli  svariati  fenomeni  meteorologici;  poiché  a  quanto  pare 
tutto  è  in  armonia  e  dipendente 

Al  ministro  maggior  della  natura. 

Or,  il  prof.  Angelo  Agnello  antico  assistente  Piazzi  al  nostro  Os- 
servatorio, ha  avuto  la  buona  idea  di  dare  alle  stampe  i  suoi  rigo- 
rosi calcoli  intorno  a  questo  imminente  ecclisse.  Dalla  sua  mono- 
grafia si  rileva  con  esattezza  la  zona  di  totalità  e  la  linea  centrale 
per  la  Sicilia;  e  ciò  per  mezzo  delle  chiare  descrizioni  che  vi  hanno 
e  per  le  apposite  tavole  litografiche  rappresentanti  con  nitidezza 
la  zona  generale  di  totalità^  e  più  minutamente  la  parte  oscurata, 
della  nostra  Isola.  Trovansi  inoltre  dei  quadri  dei  Comuni  siciliani 
clie  godranno  l'immenso  spettacolo,  con  le  rispettive  durate  di  tempo 
della  completa  oscurità.  Al  suo  opuscolo  vapno  uniti  alcuni  brani 
di  un  grave  articolo  delP  illustre  prof.  Tacchini  sulP importanza  de- 
gli ecclissl,  dai  quali  noi  abbiamo  attinto  le  notizie  sopra  esposte. 

Non  volendo  ptù  dilungarci^  terminiamo,  e  col  prof.  Agnello  non 
tralasceremo  di  sperare  che  il  bel  cielo  d'ItaUa  non  abbia  a  tra- 
dìre  se  stesso ,  in  quei  preziosi  momenti ,  ne'  quali  la  natura  si 
degnerà  sollevarsi  un  tantino  il  fitto  velo,  con  cui  ci  nasconde  i 
suoi  alti  misteri. 

Noyembre  1870. 

M.  Siciliano 


Soppllinento  perenne  alla  Nuova  Enciclopedia  italiana  ^  ossia  Ai- 
vista  annuale  scientifica  >  letteraria ,  industriale  per  integrare  e 
ammodernare  l'opera  maggiore,  utilissima  ad  ogni  genere  di  per- 
sone, compilala  dagli  Scrittori  di  detta  Encicopledia;  anno  18(58-dD. 
Torino  1870. 

Questo  supplemento,  per  chi  noi  sappia,  tiene  della  rivista  pe- 
riodica e  deir  opera  a  volume:  raccogUe  cioè,  esamina,  discute  tutto 
il  nuovo,  e  ne  informa  i  suoi  numerosi  soci;  prende  un  argomento 
e  vi  stende  sopra  una  monografia,  la  quale  tirata  a  parte  costituì- 


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292  NUOVE  KPFnERIDI  SIGIUANB 

rebbe  un  libro  a  modo  e  a  garbo.  Se  non  che,  io  qaeUo  che  cerca 
tulle  le  novità,  non  trascura  T  antico,  e  come  nelle  ano  si  gvarda 
dalle  frivolezze  del  giorno  e  dalle  intemperanze  da  gazzetta,  coA 
nelle  altre  sceglie  a  studio  e  con  diligenza  ciò  che  preme  per  la 
storia  del  pensiero.  A  vedere  con  quanta  largheaa  vi  sieno  rap- 
presentate le  singole  scienze,  lettere,  industrie  ed  arti;  come  nes- 
suna nazione  vi  rimanga  negletta  per  ciò  che  riguarda  i  grandi  no- 
mini e  le  grandi  scoverle;  e  come  d' Italia  con  giusta  distribuzione 
di  nomi  e  di  argomenti  nessuna  provincia  rimanga  addietro  del- 
Pallra,  Tanimo  s*  allieta  pel  senno  e  la  equanimità  di  chi  intende 
alla  direzione  di  questo  Supplemento. 

E  poichò  noi  partiamo  a  Siciliani  e  ne^  Siciliani  vorremmo  veder 
diffusa  quest'opera,  diremo  loro  che  il  quarto  volume  del  Supple- 
mento perenne  testé  compiuto  è  più  generoso  per  le  cose  nostre 
^le  non  lo  siamo  noi  stessi.  Oltre  di  un  articolo  suir  Etna  e  di 
4ino  ben  lungo  sulla  voce  Palermo^  ove  sono  delle  notizie  sulla  no- 
stra città  non  apparse  io  nessuna  Guida ,  procedendo  con  ordine 
aldabetico  vi  troviamo  celebrali  con  lusinghiere  biogi*afie  il  filosofo 
monrealese  Benedetto  d'Acquisto,  il  patriota  siracusano  Mario  A- 
doroO'Puma ,  il  medico  e  il  musicista  di  Sciacca  del  secolo  XYll 
Leonardo  Amato  e  Cataldo  Amedei ,  il  poeta  mcs^mese  Felice  fii- 
sazza ,  Filippo  Cordova  da  Aidone ,  il  pittore  di  Trapani  Giuseppe 
Errante,  il  giovane  filosofo  e  ^triotto  Niccolò  Garzilli  da  Palermo, 
il  naturalista  catanese  Carlo  Gemmellaro,  il  filantropo  di  S.  Elisa- 
1)etta  in  Girgenti  Vincenzo  Di  Giovanni,  il  Nestore  de'  chirurgi  si- 
-ciliani  Giovanni  Gorgone  di  San  Piero  sopra  Patti,  il  diplomatico  e 
storiografo  palermitano  Rosario  Gregorio),  lo  storico  messinese  del 
sec.  XYl  Silvestro  Haurolico  nipote  del  matematico  Francesco,  il 
filosofo  di  Monreale  Vincenzo  Miceli,  la  poetessa  Rosina  Mudo  «Salvo, 
i\  letterato  Alessio  Narbone,  Gerardo  Ndcito  botanico  di  Sciacca  nel 
sec.  XYl,  Filippo  Paruta  poeta  e  letterato  palermitano  nel  sec.  XVII, 
Girolamo  Ragusa  erudito  siracusano  della  stesso  secolo ,  il  pittore 
palermitano  Vincenzo  Riolo,  il  medico  Rosario  Scuderi,  Parcheologo 
Serradifalco  e  il  poeta  Veneziano:  in  tutto  non  meno  di  23  perso- 
naggi di  ogni  provincia  siciliana.  E  se  per  poco  guardisi  a'  fatti 
più  importanti  di  questi  ultimi  anni,  si  troverà  che  essi  hanno  le 
loro  ricerche,  i  loro  sludi  negli  articoli  che  s' intitolano:  Asfalto  an- 
tico, Aurore  polari,  Carbon  fossile,  Carne  di  Cavallo,  VI  Congresso 
internazionale  di  statistica ,  Macchine  da  cucire ,  Distillazione  deUe 
bevande,  Emigrazione  europea  in  Amerim,  Essiccatori  a  forza  ctn- 


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CtffnCk  LETTKRAEIA  293 

trifugoy  F$trwie  (jàmoifetiAe  ^  F^MUografiay  Prosciugamento  dd 
Lago  FudnOj  Geografia  e  Fitografia  botatdca,  Pane  del  Lieiig,  Com- 
.  mercio  del  seme  di  lino,  Locom4^we  per  strade  ordinarie,  Maremma 
toscana^  Sonno  morboso^  Musica  moderna  e  contemporanea,  Spedi- 
zioni al  iVilo,  HecenH  scoperte  snl  Monte  palatino.  Pellegrinaggio  alla 
Mecca,  Pioggia  meteorica ,  Istmo  di  Suez ,  Progressi  della  Terapia, 
Terreni  carboniferi  in  Italia  ec.  ec.  Non  parliamo  de'  tanti  arlicoli 
di  geografia,  fisica,  archeologia,  meccanica,  storia,  medicina,  perchè 
a  colerne  solamente  recare  i  titoli  usciremmo  da'  limiti  di  un  sem- 
plice annuncio  bibliografico.  Facciamo  tuttavia  notare  cbe  essi 
son  dettati  da  valorosi  scrittori,  quali  appunto  sono  stati  i  coope- 
ratori della  Nuova  Enciclopedia ,  raccolta  preziosa  di  scritti  gravi 
ed  importanti.  Si  vede  cbe  se  ogni  articolo  non  porta  il  nome  del- 
Pautore  egli  è  per  tutt'aitro  che  non  per  mostrare  se  egli  sia  o 
non  sia  della  materia:  risultando  evidente  che  gli  articoli  apparten- 
gono a  persone  competenti  e  proprio  della  data  disciplina. 

Un'altra  cosa  vogliamo  anche  far  rilevare:  le  numerose  incisioni 
ond'è  arricchito  e  illustrato  il  testo,  e  cinque  diligeniìssime  tavole 
pel  Traforo  delle  Alpi,  pel  Fonte  sul  Po  presso  Mezzanacorti ,  per 
la  Ecclìsse  totale  del  Sole  nel  1868  e  1870,  per  la  Pressione  e  le 
Variazioni  barometriche  e  per  P  Istmo  di  Suez:  le  prime  delle  quali 
tavole  sono  ben  colorate,  come  ben  disegnate  son  tutte. 

Direttore  del  Supplemento  perenne  è  il  chiaro  letterato  cav.  Fran- 
cesco Di  Mauro  di  Pelvica;  ed  è  tutto  merito  di  lui  il  buon  anda- 
mento e  il  pregio  della  scelta  de'  vari  articoli,  non  pochi  de'  quali 
usciti  dalla  sua  penna  si  riconoscono  per  quella  purezza  di  dettato 
che  è  una  qualità  propria  del  Di  Mauro.  Come  agli  altri  tre  cosi 
anche  a  questo  quarto  volume  egli  ha  Catto  precedere  una  bella 
prefazione,  notabile  per  assennatezza  e  per  padronanza  di  classici 
dell'aurea  latinità. 

In  tale  discorso  P Autore  s'attraitiene  delle  ragioni  delPopera,  delle 
materie  onde  essa  risulta,  e  di  quanto  concerne  i  desideri  più  o 
meno  attuabili  de'  lettori  del  Supplemento.  E  siccome  la  Nuova  £n- 
dclopedia  o  meglio  il  Supplemento  vuol  essere  VUnsere  Zeit  (Il  Nostro 
Tempo)  d'Italia,  ad  esso  il  Di  Mauro  lo  paragona;  se  non  che,  basta 
guardare  le  sole  biografie  per  dichiararsi  in  favore  dell'opera  torinese, 
la  quale  per  questo  lato  non  è  vinta  neanche  dal  Dictionnaire  des 
Contemporains  del  Yapereau,  che  noi  abbiamo  consultato  nella  ul- 
tima edizione  e  che  abbiam  trovato  mancante  di  oltre  a  due  terzi 
dei  nomi  contenuti  nel  volume  di  cui  stiamo  parlando, 


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SM  NUOVE  BPPBMRRIDI  SiQUANB 

Una  cosa  potrebbe  dirsi  che  manchi  a  quesf  opera  del  benemerito 
Signor  Pomba:  nna  ririsla  bibliografica^  la  sola  che  non  trova  laogo 
nelle  pagine  periodiche  del  Supplemento,  Eppure  anche  a  questo  pen- 
sa il  Di  Haoro,  Inserendo  nella  quarta  pagina  della  copertina  d^ogni 
puntata  un  bollettino  delle  più  recenti  pubblicazioni;  donde  si  pare 
che  e  direttore  ed  editori  facciano  a  gara  per  mandar  fuori  quanto 
meglio  questa  importantissima  opera,  che  noi  non  abbiamo  parole 
abbastanxa  eflScaci  per  raccomandare  a*  nostri  lettori. 

6.  PrrRÈ 


UrielM  «celta  il  poeti  alemamil ,  Versione  di  Antonio  Dr 
Marchi,  seguita  da  un  compendio  storico  dMa  Letferatura  tedesca 
antica  e  moderna.  Palermo^  tip.  del  Giornale  di  Sicilia,  1870. 

Molti  si  danno  oggi  air  opera  del  tradurre ,  ma  quanti  vi  rìe« 
scano  con  buon  successo  non  sappiamo  davvero.  Certo  è  che  chi 
nel  traduttore  cercava  le  qualità  dell'autore  dovea  non  isconoscere 
le  gravissime  difficoltà  che  sMnconirano  quando  si  vuol  rendere 
nel  proprio  idioma  i  pensieri  e  i  concetti  d^un  altro;  difficoltà  che 
crescono  con  quelle  della  lingua  delP  originale  e  col  genere  del  com- 
ponimento da  traslatarsi. 

Della  versione  poetica  deir  egregio  prof.  Antonio  De  Marchii  qual- 
cuno che  non  rabbia  veduta  potrà  credere  chft  si  tratti  di  un  la- 
voro comune  o  da  venir  confuso  con  altri  della  giornata  ;  però  ò 
giusto  che  si  ricreda  chi  cosi  la  pensa.  Il  De  Marchi  modesto  sempre 
lo  è  tanto  pia  in  questa  pubblicazione  ;  onJ^  ella  passerebbe  forse 
inosservata  se  presa  alle  mani  anche  da  persona  indifferente  non 
facesse  risaltare  senz'altro  il  suo  merito  letterario.  Gli  è  sempre  il 
medesimo  fatto  delle  opere  pregevoli ,  le  quali  senza  apparato  di 
prefazioni,  proemi  e  avvertenze ,  sdegnose  della  reclame  che  oggi 
si  cerca,  si  compra  e  si  vende,  fannosi  strada  da  sé. 

Nel  presente  volume  sono  venticinque  liriche  scelte  da  tredici 
poeti  tedeschi  della  pleiade  gloriosa  di  questo  secalo,  a  cominciare 
da  Schiller,  uno  della  celebre  triade  del  secondo  periodo  classico 
costituito  da  Herder  e  Gothe,  e  finendo  ad  Antonio  Grùnwald  vi- 
vente. Vi  si  trovano  de^  componimenti  di  Clemente  Brentano  e  di 
F.  Krummacher,  V  uno  fondatore ,  V  altro  seguace  di  quella  scuola 
romantica  che  in  questo  secolo  segnò  in  poesia  una  deviazione  dal 
secondo  perìodo  classico;  delP  Uhland,  di  Teodoro  Kdrner  poeta  e 


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CRITICA  LETTERARIA  295 

soldato,  del  Conte  di  Platon  classico  puro  sangue,  e  di  qnell^Ema- 
nuele  Geibel  di  Lubecca,  che  nella  nuova  coUura  iniziatasi  in  Ger- 
mania nel  1832  è  il  più  celebre  e  ad  un  tempo  il  più  simpatico 
de'  lirici  viventi.  Non  parliamo  della  scelta  del  De  Marchi,  perchè 
fatta  con  molto  gusto  e  parsimonia;  c^é  piuttosto  da  mfiltere  in 
rilievo  la  traduzione,  come  quella  che  a  semplicità  gentile  accoppia 
fedeltà  che  di  rado  la  maggiore.  Dopo  Andrea  Maffei  parrebbe  curioso 
che  altri  venisse  a  volgarizzarci  la  famosa  Canzone  detta  Campana^ 
maestosa  e  sublime  creazione  nella  quale  lo  Schiller  sotto  due  diffe- 
renti aspetti,  narrativo  V  uno,  morale  e  filosofico  V  altro,  espose  il 
lavorio  che  prepara  e  porla  a  compimento  il  fondersi  del  sacro  bronzo, 
e  i  più  grandi  pensieri,  tristi  o  lieti  delle  umane  vicende,  cui  la 
faticosa  opera  a  mente  cristiana  può  ispirare.  Eppure  letta  la  versione 
del  De  Marchi  si  vede  chiaro  che  in  opere  di  questo  genere  il  tornar 
a  fare  non  è,  quando  vi  si  riesce  come  il  De  Marchi,  né  presun- 
tuoso né  inutile.  La  versione  del  Maffei  rimarrà  sempre  quella  che 
è:  né  il  De  Marchi  avrà  inteso  o  preteso  di  vincerla;  ma  la  versione 
del  nostro  è  cosi  fatta  che  pur  avendo  a  mano  la  precedente  rimane 
pregevolissima  e  degna  dì  lode.  Anzi,  a  dirla  schietta,  un  paragone 
tra  runa  e  l'altra  non  può  istituirsi,  avvegnaché  i  loro  autori  pro- 
cedano sopra  uno  stesso  campo  per  vie  differenti.  Ponendo  a  raf- 
fronto l'una  e  Pallra  troviamo  che  quegli,  il  Maffei,  rende  più  ab- 
bondante, più  fiiorila  la  forma  delPoriginale  di  Schiller,  foiose  per 
Tuso  più  frequente  della* rima;  questi,  il  De  Marchi,  la  rende  più 
fedele;  Tuno  conti  più  libero  non  rendendo  sempre  qualche  concetto 
del  tedesco  od  aggiungendo  per  vezzo  qualcuna  delle  sue  grazie  ; 
Taltro,  più  devoto  alPopera  sua,  si  stringe  quanto  più  alPoriginale 
e  ne  rende*  fedele  i  concetti  tutti,  soccorso  in  ciò  dalla  non  frequente 
rima,  cui  é  malagevole  non  ribellarsi  quando  si  vuol  dar  senso  e 
grazia  al  modello  che  si  traslata. 

E  perché  le  prove  di  questo  non  manchino,  ecco  un  brano  della 
Campana  secondo  la  versione  del  nostro.  Scegliamo  ad  arte  quello  in 
cui  fornita  Topera  della  fusione  del  metallo  si  trova  qualche  sentenza 
non  inutile  a  questi  giorni  di  spiriti  più  o  men  generosamente  e 
sinceramente  patriottici  e  bellicosi: 

Con  mano  sapiente 

Romper  la  forma  può  il  maestro^  allora 

Che  opportuno  gli  toma. 

Guai  però  se  il  bollente 

Metallo  da  se  stesso  « 


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296  NUOVK  KPFBMBBIDI  SIGIUANE 

Si  sprigiona  e  à  spande  ! 

Gol  nuBore  del  tuono 

L^' angusta  casa  intarlando  rompe; 

E  mentre  in  mille  e  mille 

Rivi  infocali  serpeggiando  fogge, 

TqUo  intomo  distmgge. 
Ove  selvaggia  forza 

Senz'ordine  prevale,  ivi  incompiuta 

Ogni  impresa  rimane. 

Allor  che  da  se  stesso 

A  libertade  in  violenìo  eccesso 

Il  popol  corre,  procellosa  e  breve 

Sempre  è  la  gioia;  e  a'  lieti  di  più  darà 

Subentra  la  sventura. 
Guai  se  nel  lieto  grembo 

Delle  città  s'annida, 

E  a  poco  a  poco  cresce  e  si  dilata 

Della  rivolta  il  foco. 

Fra  spaventose  grida 

Spezza  le  sue  catene  il  popol  Aero; 

Il  tumulto  con  gravi 

E  violenti  tocchi 

La  campana  diffonde, 

Ed  ogni  segno  eh'  alla  pace  è  sacro 

Al  reo  ftiror  risponde! 
Libertade,  uguaglianza 

Risuona  ovunque  !  —  L'armi 

I^  pacifiche  destre 

De'  cittadini  impugnano;  le  piazze. 

Tumultuando,  e  gli  alni  e  le  contrade 

Il  popolo  riempie; 

E  securo  soggiorno 

Di  feroci  masnade 

Diventa  ogni  dintorno. 

Ed  ecco  rendersi  —  donne  gentili 
A  ferocissime  —  belve  simili, 
E  con  insano  —  empio  furore 
De'  lor  nemici  —  mordere  il  core. 
Spenta  ogni  santa  -^  fiamma  è  ne'  petti; 
Sciolto  ogni  vincolo  —  di  casti  affetti; 


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mmOk  MVTBRAIHA  297 

Rotta  ogni  fede  —  leso  ogni  dritto; 
Secarì  e  liberi  —  vizio  e  delitto. 

Ecco  ora  la  traduzione  del  Maffei: 

Ben  la  forma  spezzar  con  mano  esperta 

L^  artefice  potri:  ma  guai  se  P  onda 

Deir  ardente  metallo  apra  e  sovverta 

La  sua  cretosa  sponda  1 

Col  tuon  della  saetta 

Crolla,  cieco  furente,  argini  e  porte 

Del  carcere  scommesso  e  fuor  rigetta. 

Pari  a  gola  infernale  mina  e  morte. 
Dove  insensate  e  rozze  forme  han  regno. 

Dove  un  popolo  sorge  e  per  se  stesso 

Francarsi  provi,  correre 

Lo  vedrai  d^  un  eccesso  in  altro  eccesso  t 

Oh  I  sventura  se  Pesca  a  poco  a  poco 
Suscita  nella  turba  il  civil  foco  I 

Se  dà  la  forsennata  alP  omicida- 
Ferro  con  man  frenetica  di  piglio  f 

Il  bronzo  è  nelP  artiglio 

Della  rivolta,  e  mentre  un  suon  dovria 

Propagar  di  letizia  e  d'armonia. 

Manda,  agli  urli  confuso  ed  alle  grida 

Un  misero  lamento. 

Segnai  di  violenza  e  di  spavento 

Libertà,  libertà,  per  ogni  dove 

Gridar  tu  senti  I  II  cittadin  tranquillo 

S' agita,  siccome 

Quasi  tauro  trafitto  dalP  assillo  ! 

Di  poiK>l  son  piene 

Le  piazze  e  le  contrade. 

Sanguinose  masnade 

Scorrono  in  giro;  jene 

Divengono  le  donne,  ed  alPoriore 

Giunto  lo  scherno,  in  brani 

Coi  morsi  e  con  le  mani 

Fan  del  nemico  palpitante  il  core. 

Nulla  alP  uomo  è  più  sacro  o  riverito; 

Alla  pia  verecondia  il  velo  è  tolto 

Ed  il  miglior  dal  pessimo  schernito. 


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298  NUOVE  BFFSMERmi  SICIUANB 

Se  voglia  per  avventura  istituirsi  qualche  raffronto  col  testo  schil- 
leriano  si  avrà  argomento  di  far  ragione  al  giudizio  nostro  e  nel 
tempo  stesso  a  quel  gran  traduttore  delle  gemme  oltramontane  e 
al  De  Marchi. 

Per  confermare  la  vaghezza  onde  son  rese  certe  finezze  tedesche 
ci  si  permetta  un^altra  citazione  tolta  a  caso  dal  volume  m  discorso 
una  breve  poesia  del  Geibel,  che  ha  per  titolo: 

Oh  I  NON  SOBIUDBRMI  SÌ  DOLCEMENTE  1 

Ohi  non  sorrìdermi  si  dolcemente, 

Vispa  fanciulla  dall'occhio  ardente! 

La  pura  gioia  del  tuo  bel  viso. 

Se  in  me  trasfondesi,  dolor  si  fa; 

Passato  è  il  tempo  de'  lieti  amori, 

De'  cari  sogni  chiusa  è  Tetà. 
Se  puro  e  libero,  siccome  allora,  ' 

Battermi  il  core  potesse  ancora,  ^ 

Al  tuo  sorriso  con  quanto  affetto. 

Saprei  rispondere,  con  quale  arder  I 

Come  felice  teco  sarei  ! 

Ma  al  secco  ramo  s'addice  il  fior? 
Declina  rapida  già  la  mia  stella, 

La  tua  s'innalza  ridente  e  bella; 
^  Spento  è  il  mio  core;  mesto  lo  sguardo 

Ai  di  che  furono  rivolgo  invan; 

Tu  in  violenti  palpiti  affretti 

Gioie  che  ancora  lungo  ti  stan. 
De  t  non  sonideroii  dunque  si  lieta. 

Vispa  fanciulla  !  Falsa  è  la  meta, 

La  pura  gioia  del  tuo  bel  viso. 

Se  in  me  trasfondesi,  dolor  si  fa; 

Cerchiamo  altrove,  tu  in  allro  core, 

lo  nella  tomba  felicità. 
Né  aggiungiamo  parola  lasciando  che  il  letloVe  giudichi  da  sé  la 
squisita   eleganza  e  la  spontaneità  che  è  per  entro  a  questi  versi, 
che  ci  fanno  gustare  in  si  bella  maniera  le  grazie  soavi  dell'  illustre 
poeta  di  Lubecca. 

Metà  del  volume  è  tutto  consacrato  a  un  Compendio  storico  della 
Letteratura  tedesca  antica  e  moderna.  Non  sono  che  cento  pagine: 
e  nondimeno  è  in  esse  tale  ordine  nella  distribuzione  delle  materie 


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CRITICA  LBTTBRARU  299 

che  rapprendimento  di  quelle  nozioni  storiche  può  farvisi  facile  e 
pronlo.  Basta  riportarne  il  sommario  per  convincersene: 

Considerazioni  prbliiiinarì:  Divisione  generale  —  Lingua  e  dialetti  —  Monu- 
menti ANTicHissim  —  Precursori  del  i*  periodo  classico:  Poeti  —  Primo  periodo 
r.LASSico:  I)  Componimenti  epiei-^  a)  Forme  popolari^b)  Iavotì  d*arte — Eorìco  di 
Veldeke~Ck>rrado— Volframo  d'Eschenbach^  Goffredo  di  Strassburg  ~  Rodolfo  di 
Ems^-dì  Aue  di  Wirzburg  —  2)  Componir,ienli  iiriei — a)  Lavori  d*arle  —  Gual- 
tiero von  dcr  VogelNveide^Nitharl  von  Euenthal  — Ulrico  di  Lichlenstein^Fraiieo- 
lob  e  Regensbogen  —  3)  Poesia  didattica  —  4)  Componimenti  prosastici.  ~-  De- 
cadenza: i)  Componimenti  epici  ^  2)  Componimenti  Iiriei— a^)  Cantori  d'amore 

—  b)  Canzoni  popolari  —  3)  Altri  generi  di  poesia  ~  4)  Componimenti  prosastici 

—  Prime  influenze  straniere:  I)  ~  Componimenti  epici  —2)  Componimenti  li- 
rici  —  a)  Lavori  d'arie  —  b)  Forme  populari  —  3)  Altri  generi  di  poesia  —  4) 
Prosa,  —  Influenza  greco-romana  :  i)  —  Società  lelterarìe  —  2)  Componimenti 
poetici  —  a)  Precursori  delle  scuole  silesiche  —  b)  Prima  scuola  silesica  -7  e)  Cir- 
colo poetico  di  KOnigsberg  —  d)  Seconda  scuola  silesica  —  e)  Terza  scuola  sile- 
sica —  3)  Prosa  —  1)  Poesia:  a)  Haller  e  H^gedoru  —  b)  Gottsched  e  Bodmer  ^  e) 
Circolo  poetico  di  Brema  —  d)  Circolo  poelicc  di  Halle  —  2)  Profa.  ~  Secondo  pe- 
riodo CLASSICO  :  a)  Prima  triade  poetica  Klopsiock  —  Imitatori  di  Klopstock  —>  Lea- 
sing—  Influenza  di  Lessing^Wieland,  — Seguaci  dì  Wieland — h)  Klinger  e  gs' 
niomania  —  e)  Seconda  triade  poetica,  Herder  —  Schiller  —  Goethe.  —  Deviazione 
DEL  2*  periodo  classico:  i)  Scuota  romantica  —  a)  Poeti  —  b)  Prosatori  «-  2)  /n- 
fluenza  della  scuola  romantica  — a)  I  fatalisti  e  i  poeti  patriottici.  —  Continuazione 
DEL  2*  PERIODO  CLASSICO—  Prosatori  dell'intiero  periodo:  &)  Prosa  didattica  —  h) 
Prosa  retorica  —  e)  Prosa  storica.  —  Indizi  di  una  nuova  cultura. 

Come  si  vede,  molte  ed  importanti  sono  le  materie  del  Com- 
pendio storico  del  prof.  De  Marchi;  ed  è  a  desiderare  che  VA.  con- 
fortato dal  plauso  de'  buoni  possa  svolgerle  in  altro  lavoro  speciale 
colia  larghezza  'di  forma  che  non  gli  è  slata  consentita  dal  presènte, 
per  la  quale  ha  dovuto  vincere  le  grandi  difficoltà  del  dire  in  breve 
molte  e  molte  cose. 

G.  PrrRÈ 


Beirartiflcio  pratico  dei  masaici  antichi  e  moderni,  per  Gae- 
tano RioLO,  prof,  di  disegno  nella  R.  scuola  tecnica  parallela  di 
Palermo,  con  tavola  cromolitografata.  Palermo,  Luigi  Pedone  Lau- 
riel  editore,  1870. 

Con  questo  tìtolo  veniva  pubblicalo  non  ha  guari  un  opuscolelto 
di  16  pagine,  ma  ricco  di  utilissime  notizie  sul  modo  col  quale  gli 
antichi  praticavano  i  loro  maravigliosi  musaici  murali;  e  su  quello 
adottato  dai  moderni  musaicisli  per  restaurare  quelle  antiche  opere 
e  per  eseguirne  delle  consimili,  il  merito  principale  di  avere  sco- 
perti molti  segreti  delP  artificio  tenuto  dagli  antichi  nelPesecnzione 


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300  NCOVB  BFFEMBIUOI  8ICBJANB 

dei  loro  stupendi  mosaki,  ninno  pnò  contrastarlo  al  palermitano  Rosa- 
rio Riolo,  pittore  e  direttore  capo  musaicisla  della  Beai  Cappella  di 
Palermo,  il  quale  meglio  di  ogni  altro  potò  approfondire  gli  stadi 
sol  mosaico  per  la  gi*an  ragione  che  a  lui,  intelligenlissimo  in  tale 
arte,  furono  affidati  i  ristauri  della  maggior  parte  degli  antichi  mu- 
saici siciliani,  e  specialmente  di  quelli  del  Duomo  di  Cefalù  e  della 
rammentata  Real  Cappella  Palatina.  L^  archeologo  francese  F.  Saba* 
tier  e  il  Buscemi  alloraquando  illustrarono  1  monumenti  della  rìcor* 
data  Cappella ,  convennero  entrambi  di  avere  attinte  importantis- 
sime notizie  suir  artificio  antico  del  musaico  dal  sig.  Riolo  Rosario, 
il  quale  seppe  cosi  accuratamente  studiarlo,  da  eseguire  alcuni  restauri 
siffaitamente  perfetti  che  non  è  facile  distinguerli  fhi  i  pezzi  antichi. 

Il  di  lui  figlio  prof.  Gaetano  Riolo  pubblicando  V  opuscolo  citato 
ha  reso  un  grande  servigio  a  coloro  che  prediliggono  lo  studio  del 
musaico,  il  quale  merita  molta  attenzione  per  parte  di  tutti  quelli 
che  vogliono  esercitare  con  lustro  e  decoro. 

Dopo  di  aver  parlato  della  antichità  di  questa  nobile  arte  ram- 
mentata perfino  nei  savi  volumi  delta  Bibbia,  il  Riolo  analizza  i  me- 
todi coi  quali  praticavasi  dagli  antichi  questo  genere  di  pittura  mu- 
.  raria  fatta  in  virtù  di  piccole  pietre  e  vetri  in  colori  aggiunte  le 
une  e  alle  altre  con  grande  magistero. 

Dopo  aver  passato  in  rapida  rassegna  i  vari  generi  di  musaico  e 
le  epoche  più  distinte  nelle  quali  fiori  quest'arte,  indica  i  monu- 
menti che  tuti^ora  conservano  splendide  e  preziose  reliquie  di  essa. 
E  dopo  aver  con  ragione  ricordate  le  chiese  Ravennati,  si  ferma  a 
quelle  Siciliane  di  Palermo  e  Cefalù,  che  »enza  dubbio  sono  le  phi 
belle  che  tuttora  ci  rimangono  e  che  abbiano  sapulo  sfidare  la  mano 
audace  de'  secoli.  Si  piace  finalmente  ad  ansilizzare  gli  antichi  suc- 
cessi del  musaico,  e  ciò  fa  con  quella  distinta  intelligenza  della  quale 
è  capace  questo  egregio  docente  della  scuola  tecnica  palermitana. 

E  dopo  avere  enumerati  i  metodi  antictii ,  scende  a  parlare  dei 
moderni,  e  tatti  utili  raffronti  fra  quelli  di  Roma ,  Venezia  e  Pa- 
lermo, accenna  i  vantaggi  diversi,  ne  avverte  i  difetti  e  ne  descrive 
la  pratica  utilità  aggiungendo  una  tavola  cromolitografata  per  me- 
glio spiegare  i  processi  analizzati. 

Sarebbe  desicterabile  che  di  questo  opuscolo  prendessero  cogni- 
zione tutti  quelli  che  vogliono  esercitare  l'arte  del  musaico,  facendo 
tesoro  degli  utili  insegnamenti  che  esso  contiene,  i  quali  sono  il 
frutto  di  dotte  e  parziali  indagini  e  di  profondi  e  severi  sludi. 

Torino,  1870.  D.  C.  FiNOCcmeTTf. 


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CRITICA  teTTERARU  301 

Stadi  di  storia  siciUaiia  di  Isidoro  La  Lumia.   Palermo ,  Tipo- 
grafia Lao  1870.  Volumi  due. 

Lavori  di  aita  importanza  non  meno  per  la  storia  particolare  di 
Sicilia  che  per  quella  generale  d' Italia ,  gli  Studi  delP  illustre  1^ 
Lumia  vogliono  tutt^  altro  che  un  semplice  ricordo  bibliografico;  e 
pei*ò  attendiamo  che  il  cav.  Lionardo  Vigo,  da  cui  ne  ricevemmo 
promessa,  venga  a  discorrerne  in  questo  periodico  con  quel  giu- 
dizio che  è  da  lui.  Intanto  non  ispiaccia  che  cosi  di  volo  accen- 
nassimo al  contenuto  de'  due  grossi  volumi. 

Dal  sec.  XII  al  sec.  XVIII,  da  Guglielmo  il  Buono  al  Viceré  Domenico 
Caracciolo,  il  La  Lumia  cerca,  raccoglie  e  stringe  con  illice  criterio 
vari  grandi  fatti ,  e  vi  tesse  sopra  una  storia  del  tempo  nel  quale 
essi  grandeggiano  e  fanno,  come  a  dire,  epoca.  Codeste  storie  po- 
trebbero costituirne  una  sola  se  non  vi  avessero  degli  intervalli 
tra  Tuno  e  l'altro  periodo  illustrato. 

Celebrando  gli  avvenimenti  del  secolo  di  Guglielmo  11 ,  l'Au- 
tore celebra  un  tempo  di  molta  gloria  per  la  Sicilia ,  la  quale 
sotto  si  egregio  e  generoso  monarca  sali  in  sommo  lustro  e  po- 
tenza al  di  fuori,  e  fu  prosperissima  al  di  dentro.  Nel  Matteo  Po- 
lizzi  ovvero  i  Latini  e  i  Catalani  (l:{371354)  è  una  dipintura  della 
tirannide  esercitata  dal  fiero  anti-catalano,  che  durante  e  dopo  la  mi- 
norità di  Re  Ludovico  figlio  di  Pietro  II  d^  Aragona  tenne  a  tutto 
suo  piacere  il  governo  di  Messina  e,  abile  e  destro  tanto  quanto 
ambizioso  e  dispotico,  suscitò  odi  di  fazioni  che  presto  in  rancori  e 
si  tradussero  da  ultimo  in  aperte  guerre  civili;  onde  poi  la  fine  sven- 
turata di  lui,  della  povera  moglie  e  de^  figliuoli,  tutti  trascinati  per 
le  vie  di^  Messina  dal  popolo  vindice  delle  sotTerte  onte.  Ne^  Quat- 
tro  Vicari  è  la  storia  siciliana  di  diciott'anni  dal  1378  al  1396  :  pe- 
riodo di  ribellioni,  di  lotte  intestine  e  di  sangue ,  come  altri  della 
nostra  e  della  storia  italiana  del  tempo.  Quattro  nobili  siciliani  vi 
campeggiano  contrastantisi  Tun  P  altro  il  potere  sovrano  delP  Isola 
dopo  la  morte  di  Federico  III  il  Semplice.  Gelosi ,  invidiosi  V  uno 
della  supremazia  delP  altro,  usano  e  abusano  a  capriccio  del  nome 
della  legittima  erede,  Maria  d'Aragona  minorenne,  e  si  combattono 
e  si  suscitano  contro  gente  d^  ogni  risma  e  colore,  usa  a  menar  le 
mani  là  dove  o  l'avidità  del  bottino  o  il  comando  d^  on  barone  la 
chiamasse.  Vertigini  popolari  d' ogni  maniera  vi  si  avvicendano  ed 
incalzano,  fino  a  tanto  che  le  civili  discordie  chiamano  nelle  nostre 
contrade  quella  dominazione  spagnuola  che  per  duecent'anni  ci  si 
aggravò  sul  collo. 


20 

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302  NOOTB  BFFEMBHIDI  SICIUANK 

Brevi  monografie  son  quelle  iotitotate:  GU  fifrr#t  stcOiani  ({492} 
Ottavio  d'Aragona  e  U  Duca  <F  Osstma  (1865-1623),  e  il  Viceré 
Domenico  Caracciolo  (1715-1786);  nelP  una  è  narrato  il  lagrimevole 
esilio  degli  Ebrei  dalP  isola,  che  pur  gli  avea  accolti  ed  ospitati  si 
generosamente;  neir  Ottavio  d*  Aragona  le  gesto  gloriose  del  più 
prode  e  insieme  del  più  nobile  ammiraglio  siciliano,  cui  non  man- 
carono e  r  amicizia  e  la  fiducia  e  i  maggiori  aiuti  del  Viceré  Duca 
d'Ossun^,  e  nel  Caracciolo  quanto  operò  in  Palermo  questo  ardito 
ed  anche  un  po^  bisbetico  Viceré  napolitano ,  che  diede  V  ultimo 
crollo  alla  feudalità  e  al  S.  Uffizio. 

Monograffe  più  estesa  e  non  meno  importante  è  il  GttiMpp^^f  il- 
lesi  0  i  Tumulti  di  Palermo  del  1647.  D'Alesi,  Tumile  battilor  d^oro, 
il  Masaniello  di  Sicilia ,  comparisce  in  essa  in  tutto  lo  entusiasmo 
del  capo  di  una  rivollura,  e  nella  perplessità  e  nella  morte  mise- 
revole che  fece ,  in  mezzo  a  un  popolo  che  il  segui  e  soccorse 
in  prima,  e  poi  allontanossene  per  invidia  e  sospetto. 

È  una  vera  storia  La  Sicilia  sotto  Carlo  V  Imperatore  (1516-1636), 
ove  le  prepotenze  del  Viceré  Ugo  Moncada  in  prima,  la  inettezza 
del  Duca  di  Monteleone  dipoi,  son  cagione  di  due  ardite  sommosse 
l'una  seguita  dalla  cacciata  del  feroce  Conte,  l'altra,  che  (b suscitata 
da  Luca  Squarcialupo,  dal  consolidamento  deHa  monarchia  spagnuola; 
ove  le  pratiche  de'  fratelli  Imperatore  per  sottrarre  V  isola,  donde 
vennero  esiliati,  a  Carlo,  e  donarla  tutia  al  re  Francesco  |o  di  Fran- 
cia, chiamano  da  lungi  nuovo  sangue  e  nuovi  confini;  ed  ove  l'ul- 
timo periodo  del  Caso  di  Sciacca  finisce  con  immiserire  una  delle 
più  belle  contrade  della  Sicilia. 

In  tutti  questi  studi  il  U  Lumia  tiene  una  forma  slorica  tra  la  epica 
e  la  prammatica  ;  egli  nnrra  e  discute  i  fatti,  ne  indaga  le  cagioni 
prime,  ne  ricerca  e  indovina  le  conseguenze  ultime.  Spesso  racco- 
glie in  gruppi,  in  quadri  separati  e  distinti  ipiincipali  successi  del 
periodo  che  prende  a  trattare;  tocca  appena  de'  minori,  omette  quelli 
che  a'  soli  cronisti  o  diaristi  possono  parere  importanti  Se  non  che, 
e  da  cronache  e  da  diari,  e  da  sSorie  e  da  documenti  officiali,  egli 
trae  ogni  cosa,  non  accontentandosi,  del  resto,  di  ripetere  quel  che 
gli  scrittori  hanno  ripetuto,  quando  per  un  modo  qualunque  gli  ri- 
sulti il  latto  contrario,  differente  o  variato  nelle  circostanze.  Altri 
vedrà  dove  il  La  Lumia  abbia  seguito  questa  pratica  ;  noi  diremo 
ckie  i  suoi  volumi  ci  giungono  prezioso  documento  di  critica,  di 
temperanza  non  comune  a  questi  giorni  di  aperta  guerra  al  buon 
senso  e  alla  assennatezza. 


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CRITICA  LETTBEAIUA  303 

Bella  poi  la  forma  narrativa,  bella  per  efficacia  e  forza  di  espres- 
sione. A  tempo  e  a  luogo  T  Autore  sa  trarre  dalla  sua  tavolozza  di 
artista  si  vivi  colori  che  i  suoi  quadri  toccano  T  evidenza  quando 
rappresentano  una  corte  imperiale  o  reale,  un  ritrovo  di  congiurati, 
una  popolare  sonimossa,  una  prepotenza  baronale,  una  calamità  pub- 
plica,  un  atto  di  eroismo. 

Rcperta  prodimus.  6.  Pitrb. 


V  esercito  Italiano  nel  passalo  e  neW  avvenire  per  Carlo  Ma- 
RIAMI.  Opera  premiata  con  medaglia  (T  oro  dalla  Società  pedago- 
gica italiana  neU* anno  1870,  Milano,  tip.  già  Dom.  Salvi,  i87t. 

Dopo  il  Plutarco  Italiano  V  egregio  sig.  Mariani  ci  dà  V  Esercito 
Italiano ,  il  quale,  presentato  all'  ultimo  concorso  della  Società  Pe- 
dagogica ,  risponde  pienamente  al  tema  da  essa  proposto  V  anno 
scorso;  e,  degno  in  ciò  dell*  A.  del  Plutarco,  è  stato  premiato  con 
medaglia  d*oro.  La  Commissione  aggiudicatrice  del  premio  senten- 
ziava :  e  Questa  memoria  è  senza  dubbio  la  migliore  (delle  presen- 
tate al  concorso)  e  crediamo  d'aver  già  messo  in  evidenza  il  mol- 
tissimo da  lodarsi,  il  poco  da  censurarsi...  L'a.  mostra  profondila  di 
dottrina,  ingegno  distinto,  vasta  erudizione;...  le  sue  idee  sono  ge- 
neralmente buone  e  quelle  relative  al  soldato-cittadino  buonissime, 
lo  stile  è  quasi  sempre  felice,  Timpressione  lasciata  dalla  lettura  del- 
l'opera è  gratissima...  » 

In  due  parti  è  diviso  V  Esercito  italiano,  ciascuna  di  quattordici 
capitoli.  La  prima  è  una  storia,  T altra  una  serie  di  pensieri  e  di 
proposte  suir  esercito.  L' una  dice  quel  che  ha   fatto  ed  è  stato , 

V  altra  quel  che  è,  potrebbe  o  dovrebbe  essere  detto  esercito  ri- 
spetto alla  nuova  Italia  e  alla  nuova  Europa.  Dai  tempi  di  Roma 
antica  ai  giorni  nostri,  nella  prima  parte,  la  milizia  italiana  è  accom- 
pagnata e  tenuta  d' occhio  nelle  sue  gesto,  nelle  vittorie  e  sconfitte, 
ne'  trionfi  e  negli  abbassamenti  delle  armi  sue.  Ov'  essa  proceda 
ordinata  è  apportatrice  di  civiltà  in  mezzo  a  popoli  di  civiltà  in- 
docili ;  ove  il  sacro  fuoco  della  libertà  la  infiammi  è  salute  della 
patria  sua.  Raccogliticcia  e  mercenaria  è  di  puntello  a  vecchie  mo- 
narchie assolute,  braccio  a  tirannelli  prepotenti,  a  repubbliche  ge- 
lose per  la  propria,  insofferenti  deir  altrui  prosperità.  É  operatrice 
di  grandi  atti  sotto  un  prode  capitano ,  spesso  lo  è  pure  con  un 
avventuriere;  ma  allora  solamente  è  grande,  generosa,  ardita,quando 
rivendica  un  suo  diritto  e  difende  da  straniere  aggressioni  il  prò- 


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304  NUOTE  BFFEMEBIIM  SIOUANE 

prio  lerritorìo.—  Chi  legge  il  libro  del  Mariani  non  vede  solo  qve* 
sta  milizia  nel  suo  muoversi  ed  operare;  ma  vede  altreel  gli  ordini, 
le  istituzioni ,  le  leggi  ehe  la  ressero,  e  gl'inizi,  e  i  progressi  del- 
l'arte  sua,  e  r  introdursi  e  il  perfezionarsi  di  sue  armi,  che  rag- 
giungono a'  dì  nostri  il  non  plus  ultra  della  perfezione  distruttiva 
(passi  la  frase  disgraziatamente  vera),  e  che  ci  fanno  esclamare  con 
TibuUo  : 

Quis  fuit  hotrendos  primus  qui  protulit  enses  t 
Quam  ferus  et  vere  ferreus  iUe  fuit! 

E  con  questo  vede  anche  T  Italia  ricca  e  fiorente  quando  vir- 
tuosa e  maschia ,  povera  e  tapina  quando  viziosa  ed  effeminata  ; 
oggi  felicitata  da  una  gloriosa  vittoria,  domani  e  sempre'  intristita 
per  lunghe  guerre,  per  lotte  civili,  per  governi  dispotici  e  feroci. 

La  narrazione  di  questa  prima  parte  del  libro  procede  con  ra- 
pidità straordinaria  :  e  la  storia  vi  è,  per  dir  cosi,  strettamente  rao- 
colta.  Ogni  tanto  PA.  si  ferma  come  per  pigliar  fiato,  e  volgendosi 
indietro  pronunzia  un  giudizio  sopra  un  secolo,  un  lungo  governo, 
un  prode  guerriero,  un  uomo  di  Stato,  un  mentito  eroe,  un  pre- 
teso tiranno;  e  la  sua  parola  è  franca,  severa  e,  che  più,  indipen- 
dente. 

Toccando  della  seconda  parte,  accade  riferire  che  di  molte  e  belle 
cose  viene  discorrendovi  il  ctiiaro  Autore,  le  quali  dimostrano  la  sua 
svariata  istruzione  anche  in  materie  di  non  comune  apprendimento. 
Dimostrato  che  P  esercito  presso  genti  barbare  fu  vero  elemento  di 
civiltà  e  di  progresso  anche  con  conquiste  sanguinosissime,  dice  del 
come  lo  si  debba  usare  in  tempo  di  pace  per  evitar  la  rovina  che 
esso  minaccia  col  suo  numero  sterminato  a  cagione  del  contrappeso 
voluto  dalla  sicurezza  degli  stati.  Egli  deplora  colla  presente  società 
•  di  vedere  condannata  all'ozio  una  gioventù  vigorosa  e  intelligente, 
la  quale  savianfente  adoprata  potrebbe  recare  un  grande  giova- 
mento alP  agricoltura ,  alle  industrie ,  favoreggiare  il  commercio  e 
concorrere  alla  produzione  della  ricchezza,  mentre  impugna  le  ar- 
mi a  difesa  della  patria  :  ond'  essa  dovrebbe  diventare  a  un  tempo 
elemento  di  grandezza  e  di  gloria  in  guerra,  di  prosperità  e  di  ci- 
viltà nazionale  in  pace.  »  A  convincere  della  qual  verità  viene  ri- 
cordando sommariamente  «  le  opere  più  importanti  e  insigni  che  dai 
tempi  antichi  sino  a'  nostri  giorni  compironsi  colle  soldatesche;  o- 
pere  le  quali  arrecarono  benefizi  immensi  a'  governi  ed  a'  paesi 
ne'  quali  vennero  condotte.  •  Cosi  propone  l'esercizio  di  alcune  arti 
e  mestieri  e  P insegnamento   tecnologico;  perchè,  una  t  nazione 


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GIUTIGA  LBTT1SRARIA  305 

che  possedesse  ^n  eseroito  abile  a  far  tutto  da  sé  che  gli  abbiso- 
gna«  non  sarebbe  forse  pi&  indipendente  e  pia  forte?  * 

11  Mariani  s'intrattiene  dell'arti  fabbrili  e  manifatturiere,  delle 
industrie  rurali,  della  istruzione  agraria  e  veterinaria,  cui  più  pos- 
sono e  maggiormente  debbono  chiamarsi  i  nostri  soldati;  i  quali, 
educati  secondo  i  precetti  pratici  della  scienza  agricola  e  zooiatrica, 
restituiti  contadini  ai  loro  campi  e  a'  loro  animali,  sareb'bero  utili 
a  se  stessi  e  agli  altri  migliorando  i  loro  prodotti  e  combattendo  i 
pregiudizi  e  i  mali  che  pur  troppo  flagellano  e  armenti  e  greggi. 
La  Ginnastica  il  Mariani  la  vuole  «  non  soltanto  base  della  educa- 
zione deir  esercito,  ma  eziandio  mezzo  opporlunissimo  a  renderlo 
gagliardo  e  coraggioso,  e  ad  accrescerne  le  forze  morali;  •  e  rac- 
comanda che  s' insegnino  al  soldato  <  quei  precetti  d' igiene  che 
hanno  per  iscopo  la  conservazione  della  vita  ;  ond'  eì,  lasciato  il  mi- 
litare servizio,  si  farà  per  certo  banditore  di  quelle  benefiche  dot- 
trine, e  coopererà  efficacemente  al  benessere  materiale  del  popolo.  • 
Ed  intanto  che  non  vuol  trascurali  i  campi  d' istruzione,  va  ancbe 
in  là,  e  suggerisce  alla  educazione  morale  e  intellettiva  dell'esercito 
•  un  migliore  indirizzo  pratico  nello  insegnamento  e  più  confarcente 
alle  avvantaggiate  condizioni  politiche  d'Italia;  >  e  al  compimento 
di  detta  educazione  le  scuole  militari  di  canto,  tentale  dal  Varisco 
e  sostenute  dal  Maineri  in  Milano.  Come  le  hanno  gli-ufflciali  stu- 
diosi e  come  cominciano  ad  averle  i  più  piccoli  comuni^  domanda 
pe^  soldati  biblioteche  circolanti,  e  a'  migliori  di  essi  il  premio  delle 
rappresentazioni  teatrali. 

«  Apostolo  non  della  casta  ma  della  verità,  della  libertà  e  de'  van- 
taggi della  patria,  •  il  Mariani  confessa  il  bisogno  <  di  una  istruzione 
6  di  una  educazione  forte  e  saggia  nei  sommi  uffici  deiresercilo;  • 
m^  non  disconosce  i  generosi  servigi  che  esso  presta  al  paese  ne' 
giorni  di  più  grave  pericolo  e  nelle  pubbliche  calamità. 

Un  buon  capitolo  consacra  TA.  alParmaniento  nazionale,  ma  que- 
sto tema  è  doloroso  in  Italia ,  e  a  lui  che  lo  propugna  ripetiamo 
le  sue  stesse  parole  :  <  Sventuratamente  i  ministri  italiani  sino  ad 
ora  mostrarono  di  curarsi  poco  di  esso,  o  per  malizia,  o  forse  per- 
chè non  ne  compresero  mai  V  importanza.  » 

Questo  r  Esercito  iialiane  nel  passato  e  neW  avvenire  ;  libro  nel 
quale  come  in  uno  specchio  riOettesi  una  bella  mente  e  un  nobile 
cuore.  Noi  non  conveniamo  in  tutti  i  suoi  giudizi,  né  tulle  crediamo 
attuabili  le  belle  sue  proposte,  nò  di  molti  miglioramenti  capace 
la  nostra  milizia.  Ma  noi  siamo  profani  in  questo  campo,  e  volentieri 


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306  NUOVE  EFFEMRRIDI  SIGIUANE 

ci  rimelliamo  al  Mariani,  che  in  ciò  paria  e  scrìTe  ab  exp^to,  e  che 
vuole  col  maresciallo  Bugeaud  che  V  esercito  proceda  ente  et  aratro. 
Forse  una  minor  brevità  e  la  omissione  di  fatti  in.  cui  le  milizie 
italiane  non  compariscono  od  operano  molto,  nella  prima  parte:  e, 
nella  seconda,  il  trasporto  del  cap.  XVII  e  se  vuoisi  anche  del  XYUI 
in  altro  luogo,  non  sarebbero  slati  inutili  in  questo  lavoro;  ma 
così  com' esso  lo  Esercito  Italiano  a  noi  pare  degno  di  un  valoroso 
scrittore. 

G.  PnRÈ. 


NECROLOGIA 


Il  giorno  21  settembre  moriva  in  Palermo,  dopo  breve  malattia, 
in  età  di  anni  61,  T  illustre  uomo  cav.  prof.  Emerico  Amari,  com- 
pianto non  da  soli  parenti  e  amici,  ma  da  tutta  la  città,  anzi  dalla 
Sicilia  intera.  Intelletto  altissimo,  tanto  da  speculare  e  trovare  un 
nuovo  aspetto  della  flIosoQa  della  storia  con  la  sua  Critica  di  una 
scienza  delle  legislazioni  comparate  (Genova  1857);  specchio  di  virtù 
domestiche  e  civili ,  morali  e  religiose  ;  il  cav.  Emerico  Amari  fu 
tale  figura  che  raramente  si  ripete,  per  compiutezza  di  carattere, 
armonia  di  virtù  e  di  affetti,  che  non  saprei  più  a  chi  somigliarlo 
Ira'  viventi,  o  con  chi  de'  passali  fare  riscontro.  Scienziato  e  let- 
terato di  vasta  dottrina  e  svariata  erudizione,  intendeva  assai  le  arti, 
e  di  esse  discorreva  o  giudicava  con  gusto  sanissimo;  profondo  nella 
meditazione  della  scienza,  era  nella  pratica  sempre  esperto  secondo 
la  materia  a  cui  si  applicava;  e  scrittore,  e  uomo  di  stalo,  professore 
sia  alla  cattedra  di  Diritto  penale  in  Palermo,  sia  a  quella  di  Alo- 
sofìa  della  storia  nelP  Istituto  Superiore  di  Firenze,  oratore  alla  ca- 
mera palermitana  del  1848  e  a  quella  di  Torino  e  di  Firenze  del 
1861  e  1867,  ministro  del  1848,  della  Dittatura  e  della  Luogote- 
nenza nel  1860,  fu  personaggio  in  teoria  ed  in  pratica,  in  morale 
e  in  politica  sempre  uguale  a  se  stesso,  costante  e  saldo  ne^  prin- 
cipi di  libertà  per  tutti  e  di  vero  progresso  che  abbia  sua  radice 
nella  virtù  e  nella  giustizia,  tanto  da  non  aver  mai  ceduto  a*"  giudizi 
mutabili  de'  tempi,  qualunque  ne  fosse  la  conseguenza.  Dagli  amici 


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NECROLOGIA  307 

yeri  che  sempre  lo  cìrcondaroao  per  qaesti  ultimi  dieci  anni ,  fa 
più  che  amato^  venerato:  e  o  in  villa  o  in  città,  nella  modestia  e 
nella  sapienza  dett^uoma  venerando,  raccoglievano  essi  esempio  e 
conforto  come  saper  vinche  tempi  corrotti  da  ipocrisia  di  nomi;  e 
come  pti  che  onori  e  premi  dispensali  oggi  per  turpe  mercato  di 
eosdenea,  ambire  la  gloria  che  tocca  ai  pochi  d' invidiabile  onestà. 
Altri  dirà  a  lungo  della  vita  e  delle  opere  di  Bmerico  Amari;  a 
cui  il  Consiglio  Comunale  ha  decretato  un  degno  monumento  in 
San  Domenico;  noi  dando  notizia  della  sua  morte,  la  quale  più  che 
di  filosofo,  fu  di  santo,  né  diversa  dalla  vita,  non  sappiamo  nel  do- 
lore che  ci  ha  sopraffatti,  che  augurare  aUa  Sicilia  novella  fortuna  da 
poter  altra  volta  veder  rinnovato  ne^  suoi  figli  lo  stampo  più  che 
raro  di  Emerico  Ainari. 

Y.  Di  Giovanni 

XLJLrrASLB  POUVX 

11  giorno  10  ottobre  moriva  in  Girgenli,  ove  dimorava  da  lun- 
ghissimo tempo,  il  siracusano  Raffaele  Politi.  Egli  conlava  ottanta- 
sette anni,  ed  era  autore  di  oltre  a  settanta  pubblicazioni  di  ma- 
terie letterarie  e  archeologiche.  Amico  di  Giovanni  Meli,  che  nella 
gioventù  di  lui  dedicògU  una  delle  sue  migliori  poesie,  fu  poeta  fa- 
cile, spiriloso  e  vivace:  essendo  ad  un  lempo  valoroso  pittore,  in- 
cisore e  archeologo.  Tenne  vari  carichi,  tra'  quali  quello  di  R.  Cu- 
stode  delle  Antichità  di  Girgenti  e  di  Console  generale  di  Baviera; 
e  fu  socio  oltre  che  di  molte  illustri  accademie,  della  Socielà  Uni- 
versale degli  architetti  britannici  di  Londra,  e  del  celebre  Istituto 
di  Francia. 

ATreOI  OZBRA&ZO 

Nato  in  Torino  il  di  23  febbraio  i80i  Luigi  Cibrario  cessava  di 
vivere  presso  Salò  il  1©  ottobre. 

Egli  veniva  da  umile  stato,  e  nondimeno  giunse  a'  gradi  e  alle 
dignità  di  Conte,  Senatore,  Ministro  di  Slato,  Primo  segretario  par- 
ticolare della  Corona  ecc.,  amico,  nella  buona  e  neir  avversa  fortuna 
di  Carlo  Alberto.  A  22  anni  fu  dottore  in  legge  ;  e  prima  e  dopo 
dettò  de'  versi  eleganti.  La  Storia  della  Monardiia  di  Savoia,  la 
la  Storia  di  Torino^  la  Storia  di  Cbieri,  la  Storta  di  Ginevra^  ecc. 
gli  meritarono  rinomanza  di  storico  valente. 

(Cultore  dell'araldica,  scrisse  DeWOrigine  de*  Cognomi;  fu  economista 
nella  Economia  politica  nd  Medio-Evo,  e  mente  versatile  nei  libri  : 
le  Artiglierie  dai  1300  al  1700  ;  Della  schiavitù  e  del  servaggio  ;  la 


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308  NUOYB  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Morte  di  Carmagnola;  Notizie  storico-geneatogiche  ùé  sovrani  saboitdi 
ecc.,  senza  dire  di  varie  opere  classiche  di  cui  curò  le  edizionL  Fa 
uomo  di  retta  fede  politica:  e  da  ministro  e  da  consigliere  della  co- 
rona ebbe  la  rara  ventura  di  rimanere  superiore  a*  parliti. 

G.  P. 


RECENTI  PUBBLICAZIONI  ^Raccolla  araldicn,  fase.  1.  Pai.  Huber  in  4»;  Trat- 
tato $uUa  Coltivazione  degli  Olivi  e  la  Manifattura  dell'  Olio  per  il  prof.  Girolamo 
Caruso.  Pai.  Lorsnaider  in  8*;  Sullo  stalo  e  tulla  riforma  della  Legislazione  de*  Pub- 
blici Archivi  in  Italia.  Saggio  di  G.  Silvetri.  Pai.  Pedone  in  8»;  Principi  di  mediche 
scienze  seguiti  da  due  analoghi  articoli  delle  arterie  e  delle  vene  ecc.  per  G.  Lo  Ca- 
scio  Cacioppo.  Pai.  Lao  in  8*  ;  Prime  Lezioni  popolari  di  Chimica  inorganica  pel 
Doti.  Francesco  Orsoni.  Sciacca  tip.  Mandracchì.i  in  8*;  Le  monete  delle  antiche  città 
di  Sicilia  descritte  ed  illustrate  da  Antonino  Salinas,  fase.  I.  Pai.  Lao  in  4*;  Guida 
alla  soluzione  de*  Problemi  aritmetici  ad  uso  delle  scuole  magisti-ali ,  ginnasiali^  e 
tecniche  por  G.  Faglisi.  Pai.  Giliberti  in  8°;  Osservazioni  storiche  e  diplomatiche  in- 
tiìrno  a*  diplomi  détta  R.  Cappella  Palatina  del  can.  Cesare  Pasca,  agli  studiosi  della 
diplomatica^  sieola.  Palermo  Russitano  in  d";  Catalogo  dei  prodotti  agricoli  siciliani 
raccolti  ed  annoiati  dal  prof.  Sac.  Paolo  Cullrera.  Pai.  Lorsnaider  in  8*;  Studii  zoo- 
logici e  zooiatriei  adattati  a  tutte  le  intelligenze  per  il  me^iico-chirurgo  veterinario 
Stanislao  Polverini.  Voi.  I.  Girgenti,  in  8*;  Saggio  elementare  di  talune  funzioni  a 
periodo  sempUee  con  una  nota  sulla  risoluzione  delle  equazioni  numeriche  per  Al- 
fonso Zinna.  Siracusa,  tip.  Norcia,  in  8*;  L'Uomo  e  la  Scimia,  di  Michele  Ciacerì- 
Riszone.  Modica;  /n<omo  al  conato  di  delinquere  ìiello  stato  attuale  della  scienza  e 
del  diritto  po$Uivo,  Dissertazione  dell' avf.^arìo  Di  Mauro.  Catania,  Caronda;  Roma 
e  il  Mondo  nel  1869,  Discorso  del  sac.  Franco  Fisichella,  Catania,  Coco;  Rendiconto 
statistico  degli  ammalati  curati  nelV  Ospedale  S.  Marco  di  Catania  T  a.  i869  per 
Mario  Ronsisvallo.  Catania,  Calatola  ;  Diuertazione  fisica,  geografica,  astronomica, 
geologica  ecc.  delle  zone  della  terra  per  Benedetto  Lupi.  Catania,  Musumeci-Papale; 
Avifauna  del  Modeneu  e  della  Sicilia  per  Pietro  Doderlein,  fase.  I,  II,  in  4*.  Pa- 
lermo, Lao;  Sui  cementi  e  loro  applicazioni  per  V  ing.  Felice  Giarrusso.  Palermo , 
Pedone,  in  8*;  Osservazioni  sulla  malattia  degli  agrumi  di  Ant.  Pennisi  Mauro.  Pai. 
Lorsnaider  in  8*;  Sui  diversi  processi  di  guarigione  delle  ferite,  ricerche  e  deduzioni 
del  Dr.  G.  Cavaliere.  Pai.  Lima  in  S*";  Sullo  sviluppo  e  la  durata  delle  correnti  d'in- 
duzione e  delle  estraconenti.  Ricerche  di  Pietro  Blaserna.  Pai.  Lao  in  4*;  Ragguaglio 
di  un  secondo  triennio  di  Clinica  medica  nella  R:  Jlniversitd  di  Palermo,  del  prof. 
Carlo  Maggiorani.  Pai.  Lio  in  4*;  Elementi  di  Filosofia  positiva  del  prof.  Francesco 
de  Felice.  Catania,  tip.  Coco,  fascicolo  I,  in  8*;  Amalasunta,  Poema  epico-dramma- 
tico del  professor  Paolo  Sansone,  2'  ediz.  Pai.  Lao  il  8*;  La  Storia  antica  breve- 
mente esposta  da  Camillo  Randazzo,  Pai.  Mirto  in  8"*;  /  Germani  prima  della  caduta 
dell'  Impero  romano.  Cenni  storici  di  G.  B.  Siragusa.  Pai.  Tip.  del  Giorn.  di  Sicilia 
in  8*;  Cenno  necrologico  dell*  ing.  areh,  Gaetano  Picone  scritto  da  Luciano  De  Be- 
ncdictis.  Siracusa,  tip.  Puleio,  in  8*»;  Siracusa  dal  1826  al  1860  por  il  prof.  Salva- 


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VABI&TA'  300 

tore  Ghindemi.  Siracusa,  tip.  Eredi  Pulejo,  un  grosso  voi.  in  8%  Soprauna  Letlm-a  di 
N,  Tommaseo,  preceduta  da  un  Discorso  di  Em.  De  Benedictis.  Siracusa,  Pnleio, 
in  8%  Resoconto  degli  atti  dell'  Accademia  del  Progresso  in  Palazzolo-Acreide  pel  1867 
redatto  dalsegr,  avy.  Nicolò  Zocco.  Ragusa,  tip.  PicciUo  e  Antoni,  in  12*;  Viaggi  di 
Enrico  Wanton  a*  regni  delle  seimie  e  dei  cinocefali.  Opera  di  Zaccaria  Seri  man  ve- 
neziano. Pai.,  tip.  Gandiano,  in  8*-,CaWo  Gemmellaro  scrittore  di  cose  patrie  per  Em.' 
Lombardo-Giudice.  Catania,  Calatola;  La  Gioventù  e  V  avvenire,  Conferenza  di  Gio- 
vanni Alfieri.  Modica;  Lo  spirito  d*  Italia  nella  lingua  e  nelle  lettere,  per  B.  Casii- 
glia,  Parte  prima:  Lingua  e  amore,  Milano,  Biblioteca  dei  popolo,  in  iQ^Grillu  ossia  il 
Bandito  Siciliano,  canti  XIII  di  Carmelo  Piola  trasportati  in  italiana  favella  dal 
prof.  G.  Cazzino.  Palermo,  Amenta;  Poesie  e  Versioni  poetiche  di  G.  B.  Sansone. 
Pai.,  tip.  Giornale  di  Sicilia;  Amore  e  intr^o,  Ricordi  d'una  elezione  raccolli  ed 
ordinati  da  C.  Galatti.  Messina,  tip.  Ribera;  Dodici  Odi  di  Giovanni  Meli  tradotte 
da  Licurgo  CappelUiti.  Messina,  tipografia  Filomena;  Le  Maddalene  pentite  dello 
stesso,  in  8*  ;  Nove  Giorni  in  Terrasanta ,  narrazione  di  un  Viaggio  di  Catello 
Gaeta,  Palermo,  Lao;  Documenti  e  Fatti  relativi  alle  strade  etnea  e  stesicorea  di 
Catania  per  Eligio  Sciuto:  Memoria  1*  storico -artistica.  Catania,  Pastore,  in  4;  /  pìimi 
atti  costituzionali  dell'  Aug.  Casa  di  Savoia  ordinati  in  Palermo»  Prima  Sedes,  Co^ 
rona  Regie,  Regni  Caput,  Vittorio  Amedeo  Regnante;  ricavati  dall'archivio  di  Stato 
in  Torino  dall'  avv.  Gius.  Spata.  Torino,  R.  Tipografia,  in  8*;  Pandetta  delle  Gabelle 
e  de*  Diritti  della  Curia  di  Messina,  edita  da  Quintino  Sella,  con  una  prefazione  di 
Pietro  Vayra.  fms.  della  Biblioteca  dell'  Università  di  Cagliari  della  seconda  metà 
del  sec.  XIV);  Giovan  da  Procida  e  il  Ribellamento  di  Sicilia  nel  1282  secondo  il 
codice  vaticano  5256  per  Vincenzo  Di  Giovanni.  Bologna,  tip.  Fava,  in  S";  Alcune 
Questioni  di  poesia  popolare  per  Giuseppe  Pitrò.  Firenze,  tip.  dell'Associazione,  in  8*; 
Raccolta  di  voci  siciliane  italiane  attenenti  a  cose  domestiche  e  ad  arti  e  mestieri 
per  Salvatore  Cocchiara.  Pai.,  Amenta,  in  8**;  Il  maestro  elementare.  Cantica  del 
prof.  Giuseppe  Bellini.  Girgenti,  tip.  Romita  in  8*; 

PROSSIME  PUBBLICAZIONI—  Fra  breve  saranno  pubblicati  in  un  volume  in-8« 
tip.  Roberti,  tutti  gli  Scrini  vari  editi  e  inediti  di  Francesco  Maccagnonc^  principe 
di  Granalelli. 

—  Il  Dolt.  Macaluso  da  Palermo  ha  compito  e  preso  a  stampare  una  sua  opera 
col  titolo:  Le  droghe  vegetali  medicinali  esposte  con  nuovo  metodo. 

—  Promettesi  dal  sig.  S  tiv.  Cassarà  una  Biblioteca  letteraria  di  operette  minori  in 
volgare  d'invenzione  della  ciltà  arcivescovile  e  seminario  di  Monreale.li  titolo  si  com- 
prende poco,  ma  il  Cassarà  vuol  dire  che  gli  autori  antichi  delle  prose  e  de'  versi 
che  egli  metterà  in  luce  saranno  monrealesi. 

—  Fra  non  guari  vedranno  la  luce  i  Monumenti  siciliani  fotogrofali  edetcritti  dal 
Dolt,  Saverio  Cavallari,  direllore  delle  antichità  di  Sicilia, 

Di  qucst'  opera  importantissima,  eseguita  per  disposizione  del  Ministero  delf  Istru- 
zione Pubblica,  e  per  incarico  datone  al  Cavallari  dalla  Commissione  di  Antichità 
e  Belle  Arti  di  Sicilia,  sarà  per  ora  pubblicata  la  prima  parte,  che  abbraccia  Taor- 
mina, Siracusa,  Pantalica,  Cave  d'Ispica  e  Agrigento  ;  e  lisulla  di  num.  38  tavole 
illustrate.  Tutu  l' opera  sarebbe  divisa  in  tre  parli. 

La  parte  descrittiva  dell'opera  ha  in  mira  di' mettere  in  rilievo  lo  stato  attuale 
dei  monumenti,  V  epoca  del  rinvenimento  di  essi,  i  rislauri  e  gli  scavi  fatti  sino  al 
31  luglio  1870 ,  quelli  cominciati  e  intrapresi ,  e  quelli  da  intraprendere  pel  tratto 
successivo. 


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3i0  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNB 

—  Il  prof.  Giuseppe  Seguenza  ,  di  cui  abbiamo  ammirato  testé  in  Messina  una 
preziosa  e  ricca  coileziooe  conchiologica  degna  di  figurare  tra'  migliori  musei  d'Eu- 
ropa ,  sta  per  pubblicare  in  Inghilterra  un  lavoro  sui  Brachiopodi  terziari  delF  /• 
tolta  meridionale.  Di  lui  si  attendono  anche  ì  seguenti  lavori  :  1«  E$ame  de*  Bra» 
ehiopodi  pubblicati  dal  prof.  Oronzio  G.  Cotta;  8*  Conchiglie  foetUi  del  pioceno  a%' 
lieo  identiche  ai  viventi  de"  mari  del  Nord. 

—  Il  prof.  B.  E.  Maineri  pubblicherà  tra  poco  un  volume  di  escursioni  col  ti- 
tolo :  Sull'  Amo  e  sui  Po,  editore  il  Bortololti  di  Milano.  S'attende  dello  stesso:  Im 
Guerra  franco-germanica  nel  i870,  narrata  tu  fonti  unciali  e  positive  dal  Dott.  Fe- 
derico D5rr,  prima  versione  italiana  con  proemio.  Il  i*  fase,  di  quest'opera  in  A- 
lemagna  è  già  alla  7*  ediz.  df  18000  esemplari. 

—  La  Ditta  tipografica  Giacomo  Agnelli  in  Milano  sta  per  pubblicare  quattro  o- 
pere  interessanti  col  (itolo  :  /  doveri  e  i  diritti  d*  ogni  buon  Italiano  ;  memorie  e 
speranze  fer  U  popolo,  di  Niccolò  Tommaseo  (L.  2.  80)  —  La  patria  e  la  famiglia, 
del  prof.  Pietro  Pacini  di  Lucca ,  con  prefazione  e  giunte  di  Niccolò . Tommaseo 
(L.  ì  75);  —  la  ristampa  del  libro  tanto  bene  accolto,  di  Cesare  GantA  :  Buon  tento 
e  Buon  cuore  ih.  4  80),  la  cui  prima  numerosa  edizione  si  è  esauriti  in  meno  di 
due  mesi;  e  il  Portafoglio  d'un  Operaio»  dello  stesso  Cesare  Cantù. 

—  Il  Dott.  Pollale,  bibliotecario  in  Dillingen  in  Baviera,  sta  traducendo  in  tedesco 
gli  Sludi  tutta  lingua  umana  di  Alessandro  Ghiradini,  de*  quali  si  è  parlato  nel 
nostro  giornale. 

BELLE  ARTI  —  Il  pittore  Francesco  Di  Giovanni  ha  eseguito  un  bellissimo  ritratto 
del  nostro  Salvatore  Vigo.  In  una  carta  che  sta  sotto  due  libri  si  leggono  lo  se- 
guenti parole,  che  sono  la  biografia  dell'integro  patriotto:  «  Invitato  a  giurare  la 
Costituzione  di  Napoli  sotto  pena  di  destituzione  dell'alto  ufficio  che  occupava  nel 
Ministeio,  rispose  :  Salvatore  Vigo ,  siciliano ,  giurerà  la  Costituzione  di  Sicilia. 
Napoli,  24  Febbraro  I8i8.  •  I  libri  sono  lo  Scinà  e  il  Gregorio  ,  e  accennano  agli 
studi  del  Vigo,  le  cui  severe  sembianze  son  reóe  colla  massima  verità  e  disinvol- 
tura. 

—  Il  prof.  Francesco  Lojacono  ha  terminato  in  Palermo  ed  esposto  in  una  sala  del 
palazzo  comunale  un  nuovo  paesaggio,  commessogli  da  Vienna.  I  giornali  cit- 
tadini ne  fanno  molte  lodi. 

•—  Lo  scultore  Vincenzo  Genovese  ha  condotto  a  termine  in  Palermo  sua  patria 
due  statuette  in  marmo  rappresentanti  il  Bi$o  e  il  Pianto. 

—  Il  pittore  palermiUno  sig.  Pensabeno  ha  terminato  un  bel  ritratto  di  Emerico 
Amari. 

"  Lo  scultore  D'Amore  ha  finito  il  modello  d'  una  statua  di  Vincenzo  Florio, 
che  dovrà  esser  condotta  in  marmo,  merco  pubblica  sottoscrizione,  in  Palermo. 

—  Lo  scultore  messinese  Zappala  sta  eseguendo  in  Roma  un  busto  di  GiusKppe  La 
Farina.  È  stato  esposto  nelle  sale  del  Palazzo  comunale  di  Messina  il  Iodato  quadro 
del  messinese  Giacomo  Conti  rappresentante  i  Vetpri  ticiliani ,  del  quale  abbiamo 
già  parlato. 

—  Ci  scrivono  da  Parma  :  A  questa  Esposizione  la  Sicilia  è  stata  degnamente  rap- 
presentata dair  artista  Liardo  palermitano.  Egli  ha  avuto  la  medaglia  d'argento 
per  una  testa  dipinta  e  pochi  disegni. 

SOLENNITÀ'  —  11  giorno  i3  novembre  sarà  inaugurata  in  Partinico  una  Biblio- 
teca pubblica  con  un  discorso  del  prof.  Carmelo  Pardi,  il  quale  si  è  adoperato  ef- 
ficacemente per  si  bella  istituzione. 


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BUIiLETTINO  BrBLIOGBAFIOO 


1  niO-PARASSm  ,  ovvero  ConiribvU^ 
alto  itudio  di  caiw  morbo^  non  btn 
Al  nomili  tf  dagli  aniicki  p^r  Gilseite 
CAAuae.  2*  ediz.  Palermo  ^  A  menta, 
1870,  in  8-  gr- 

Studio  di  molu  imporiansa  mUst  mo- 
derna palologia  generale  è  la  etiologia, 
la  qnale  ba  trof  alo  un  nuovo  campo  da 
seguire  nelle  osserviuinTii  microscopiche 
del  noBìTÌ  tessuti.  Cmlpste  osàervaitonì 
gettano  vìva  luce  sopra  I&  c^usa  di  molte 
maLlfliiìe,  ignote,  mal  comprese  o  frain- 
tese dagli  antichi:  vogliam  dire  il  zoo- pa- 
rassitiamo 0  il  lìto-para!»siLi^mo,  che  og- 
gidì occupano  tanti  os^rvatnrì  t}  danno 
taoti  libri.  U  Detlor  (bardile  pubblicava 
nn  anno  addietro  ed  ora  ripubblica  q\ìz- 
%iù  suo  lAvoro,  il  f^uale  aggirasi  sopra 
nna  parte  de'  parassiti,  la  vegetale.  Egli 
espane  le  alimi  e  le  prc^prie  e^pmenzij 
intorno  a  tali  cause  mi-rbifere;  e,  con- 
vinto com'  ^  della  natura  ìifTatto  vegeiak 
de'  par^^iTi  che  esamini  .  iniptffna  la 
teoria  di  quegli  istologi  che  vedono  in 
essa  una  rteororm  azione  palo  log  iea.  Cosi 
è  che  etip>iie  i  caratteri  generali  di  tanti 
parassiti,  la  loro  esseijEa  ,  i  risultamentr 
microscopki  otlenuti  dagli  nitri  e  da  lui 
9ie§»i,  e  I  '.raduati  processi  onde  ì  fito* 
parassiti  aherano  Torganismo  umano. 
E  da  ten(*r  conto  in  Ititto  il  lavoro  del 
Iirincipio  speri mentJiltf  che  vi  si  difende, 
L*  A.  vi  sì  basa  ed  alAda  iiiltframwilt?. 
iftia^fi  non  pago  abbaitanM  di  raccoman- 
darlo  n"  cui  tori  dell'arte  ^^bttiire  pi<r  una 
ponderata  diagnosi.  Tm'  libri  C4J0  sul  iati 
da  lui  godiamo  di  vedtfmr  figuri  re  di- 


clini fecenli,  italiani  e  slrauicri  :  »l  clitì 
dimostra  con  (|ual  coscienza  T  egregio 
Bottor  Cardile  abbia  studiato  e  meditato 
la  fiua  lesi.  In  una  ristampa  intanto  agli 
potrebbe  colla  uiiìata  sua  diligenza  curare 
i  tiLùIi  di  alcune  opere  i^lraniere. 

C.  R 

SOPRA  LA  IMPOHTANZA  DELLA  FI- 
LOSOFIA RAZIONALE l/tKOr«o di  Rao- 
SPERO  Dei.  Rio  ecc.  Modena,  *870. 

Sapi  en  te  m  e  n  te  pensa  lo,  e  seri  t  lo  co  n  se- 
vera elega  tiaa,  é  questo  dJs<;orso  in  leso  a 
cornimi [pre  in  favore  della  bnona  e  pe- 
renne filosofìa  le  ridicole  stranezze  dei 
predicatori  del  posUivitmo  con  tempora* 
nei  e  da'  ciurmadori  del  tiÒÉro  pentigro. 
Con  molta  temperanza  di  modi,  ma  con 
lùfica  sempre  stringente,  sono  tirati  alla 
contraddizione  si  i  primi  p  sì  i  secondi;  e 
va  sol  enne  mi  nte  confermata  la  saldezza  a 
la  naturate  necessità  della  Rlosofia  razio- 
nale, senza  cui  le  stesse  m'itemi ticbe  e 
Ip  scienze  lìsicbe  m^ntherebberQ  di  ra- 
gione. Lo  spregio  della  filosofìa  è  avver- 
tito nuocere  aasai,  o  ai  pubblid  »tudi  e 
alfa  morale  oducaxioue  della  gioventù, 
a  Ufi  alb  stessa  dignità  ddl'  uomo  ,  e 
quando  la  logica  più  non  go^^i*rna  le  men- 
ti ,  allora  va  per  via  il  buon  senso,  e  il 
sofisma  confali  ma  lo  sperpero  di  ogni  s.i- 
perp*  siccome  l.i  corro  zi  urte  bandisce  ogni 
più  sanU  viriù.  Ci  congratuliamo  dì  cuore 
riiir  vi^^  del  Rio  *  che  coM  coraggiosa- 
mente e  doflamente  é  sceso  a  combattere 
li  battaglie  della  scienza  contro  i  n;o- 
derni  SulUti.  V.  0*  G. 


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312 


NOOVB  BFFBMBRIDI  SIGIUANE 


VOCABOLARIO  POLIGLOTTO  DI  GEO- 
GRAFIA ecc.  per  Carlo  Mensinobr 
con  prefazùme  di  B.  E.  ìf  ainbri.  Mi- 
lano, Berntrdoni,  1870. 

È  un  volume  di  oltre  300  pagine  in 
8*  gr.,  nel  quale  rillustre  prof.  Mensin- 
ger,  slavo  di  nascita  ma  italiano  atstte- 
tudine  ac  voluntale,  ha  voluto  tentare 
la  restituzione  de*  nomi  geografici  alla 
loro  esattezza  genuina  senza  le  modifi- 
cazioni che  essi  hanno  subito  nelle  lin- 
gue europee  e  sopratutto  nella  italiana 
e  nella  tedesca.  Leggendola  erudita  pre- 
fazione del  valoroso  prof.  B.  E.  Mai- 
neri  ,  scrittore  sempre  facile  e  purgato , 
c*è  proprio  da  rimaner  maravigliali  delle 
differenze  che  esistono  tra  i  nomi  pro- 
pri d'imperi,  regni,  repubbliche,  prin- 
cipali, ducati,  Provincie,  cìrcoli,  distretti, 
città,  borghi  e  villaggi,  quali  sono  in- 
tesi comunemente  e  i  nomi  genuini.  Con- 
quiste* congressi,  guerre  d'indipendenia, 
guerre  di  dispotismo,  ragioni  di  Stato, 
necessità  diplomatiche,  ambizioni  soddi- 
sfatte, hanno  modificalo,  trasformato, 
travisato  la  UDmenclalura  geografica  a 
danAO  non  che  delle  tradizioni  locali  e 
della  storia,  della  filologìa  e  della  etno- 
grafia. Di  qui  apparisce  evidente  1*  im- 
portanza del  presente  lavoro  »  il  quale 
ha  di  mira  un  intento  generoso,  «  che 
altri  potrebbe  pur  chiamare  riforma, 
(già  da  non  pochi  sentiu  ed  invocata) 
nei  medesimi  studi,  investigazioni  e  dot- 
trino  della  geografia  contemporanea.  » 

L'opera  è  un  saggio  di  quella  generale 
che  il  Mensinger  intende  presentare  agli 
studiosi  d'ogni  disciplina  (tutti  avendone 
bisog'o),  e  il  prof.  Mainerì  raccomandan- 
dola colla  sua  efficace  parola  non  tra- 
lascia di  manifestare  i  suoi  timori  sulta 
difficoltà  della  riforma  vuoi  per  parte 
di  chi  la  propone,  vuoi  per  parte  di  chi 
dovrebbe  metterla  ad  alto.  Noi  crediamo 
far  cosa  buona  raccomandando  anche  noi 
lo  esame  accurato  di  questo  primo  ten- 
tativo, il  quale  potrebbe  venir  coronato 
da  ottimi  risultamenii.  G.  P. 


I  GERMANI  PRIMA  DELLA  CADUTA 
DELL'  IMPERO  ROMANO,G«iim<torù:» 
di  Gian  Battista  Siracusa.  Palermo, 
1870. 

Considerando  la  civiltà  dell*  Europa,  e 
segnatamente  dell'  Italia,  come  il  risultato 
del  cristianesimo  ,  delle  leggi  romane*  e 
delle  istituzioni  germaniche;  1'  A.  ha  ri- 
volto i  suoi  studi  sopra  questo  terzo  ele- 
mento, intomo  al  quale  non  saranno  mai 
superflue  nuove  indagini. 

(}uesto  che  ha  messo  fuori  il  Siragusa 
è  un  semplice  saggio  del  suo  lavoro  so- 
pra i  Germani ,  e  tratta  delle  origini  di 
questi  popoli,  e  delle  questioni  in  tomo 
al  nome  di  essi.  L'  A.  si  mostra  molto 
accorato  in  queste  pagine,  e  nel  mettere 
a  raffronto  le  opinioni  varie  degli  sto- 
rici ,  giudizioso.  Ond'è  che  noi,  mentre 
ci  congratuliamo  coli*  A.  per  quesu  sua 
pubblicazione,  vogliamo  augurarci  che 
egli  condurrà  a  fine  il  suo  lavoro  sopra 
i  (xermanì.  S.  C. 

LA  STRAGE  DI  S.  BARTOLOMEO,  Mo- 
nografia  ttoricO'CrUica  (dulia  North 
Brilifh  Review)  con  introduzione  ed 
aggiunte  di  documenti  inediti  tratti 
dalV  Archivio  generale  di  Venezia, 
Venezia,  Antonelli,  1870. 

Autore  di  questa  monografia  ò  un  alto 
personaggio  inglese  ,  il  quale  ha  voluto 
conservare  l' anonimo  ;  traduttore  quel 
Tommaso  Gar  che  è  tanto  lustro  degli 
studi  storici  in  Italia.  LVuuo  pubblicolla 
anonima  nella  North  Britith  RevieWtVtiU 
tro*  facendola  conoscere  agli  Italiani  por 
mezzo  degli  atti  del  R.  Istituto  veneto, 
vi  ha  premesso  un  breve  ma  importante 
riassunto  de'  fatti  politici  e  religiosi  che 
concorsero  allo  sviluppo  della  tragedia 
francese;  e  aggiunto  irentadue  documenti 
autentici  quasi  tutti  ignoti ,  tratti  dagli 
archivi  veneti,  che  ad  essa  si  riferiscono. 
È  notabile  nella  monografia  il  giudizio 
che  r  illustre  Anonimo  pronunzia  sugli 
autori  ed  esecutori  della  Strage  di  S.  Bar- 


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BULLETTINO  BIBLtOGRAFIOO 


313 


tolomeo;  giudizio  suggerito  da  ben  pon- 
derato esame  de'  documenti  che  il  dotto 
personaggio  ha  potuto  consultare,  e  ci|are 
a  piò  di  pagina,  t  Le  chiese  francesi,  e- 
gti  dice ,  risuonarono  sovente  di  furiose 
declamazioni;  e  poscia  echeggiarono  di 
profani  canti  di  gioia.  Ma  il  clero  di  Fran- 
cia non  figura  come  protagonista  nell'  i- 
niziativa  e  nella  esecuzione  del  sangui- 
nario decreto.  Il  Conti ,  contemporaneo 
bensì,  ma  troppo  distante  per  aTerne  co- 
gnizione accurata,  riferisce  che  i  parrochi 
andavano  attorno  segnando  con  una  croce 
bianca  coloro  che  erano  «ondannati  a  pe- 
rire. Egli  viene  contradetto  dai  registri 
municipali  di  Parigi.  Morvillo,  vescovo 
d'Orléans,  benché  avesse  rinunciato  l'uf- 
ficio di  guardasigilli  cedutogli  da  l' Hò- 
pital,  occupava  tuttavia  il  primo  posto 
nel  consiglio  reale.  Fu  consultato  airuN 
timo  momento;  e  si  disse  che  egli  svenne 
quasi  di  orrore.  Riavutosi ,  diede  il  suo 
voto  concordemente  cogli  altri.  È  il  so- 
lo prelato  francese  (eccettuati  i  cardi- 
nali) la  cui  complicità  sembri  accerta- 
ta... Sorbin  (predicatore  d$l  re)  è  l'u- 
nico prete  della  capitale,  complice  distin- 
tamente in  queir  atto  del  Governo  fran- 
cese •  (pag.  59-60).  E  più  sotto  parlando 
del  predicatore  gesuita  Edmondo  Anger  : 
«  Tre  giorni  dopo  la  sua  partenza  ,  più 
di  200  ugonotti  furono  assassinati.  Tranne 
questi  due  casi  (Sorbin  e  Anger)  non  si 
sa  che  il  clero  di  nessuna  parte  di  Francia 
cooperasse  ad  incoraggiare  gli  assassini... 
Era  comune  opinione  in  quel  tempo  (e 
non  ò  ancora  cessata)  che  il  massacro 
fosse  stato  promosso  e  sancito  dalla  corte 
di  Roma.  Nessuna  prova  di  complicità 
anteriore  all'evento  fu  mai  prodotta  ; 
ma  sembrò  tutta  consistere  in  ciò  che  si 
suppose  essere  accaduto  nell'afiTare  della 
dispensa  (del  matrimonio  di  Margherita 
di  Valois  eoi  re  di  Navarra)  •  pag.di-62. 
La  traduzione  del  Gar  è  fatta  italiana- 
mente :  il  che  vuol  dir  molto. 

G.  P. 


I  CONVENTI  DI  PALERMO  ,  Romanzo 
tUmeo  in  tre  volumi  di  Oscar  Pio. 
Milano,  Battezzati,  1870. 

Questo  povero  nostro  paese  sta  diven- 
Undo  lo  zimbello  di  quanti  hanno  il  bi- 
sogno di  divertirsi  alle  spalle  altrui.  Il 
sig.  Oscar,  che,  come  direbbe  il  Pariui , 
per  bizarria  dell'  accidente ,  dal  nome 
del  eaeato  è  detto  Pio,  è  uno  di  questi 
ootali  ;  e  nella  persuasione  di  rigenerare 
la  Sicilia  scrive  quest'  opera  magna,  e  la 
battezza  per  romanzo  stoìieo.  Noi  siamo 
tutl*  altro  che  sostenitori  delle  fraterie  , 
ma  crediamo  ingeneroso  ,  per  non  dire 
inonesto ,  il  combatterle ,  il  vituperarle 
ora  che  sono  cadute.  11  sig.  Pio  fa  come 
un  giovinotto  ufficiale  garibaldino  da  noi 
conosciuto  nel  ISeO,  il  quale  non  sapendo 
che  si  fare  dell'enorme  sua  sciabola ,  e 
rincrescendogli  forte  che  essa  rimanesse 
tuttavia  inoperosa ,  non  potendo  eserci- 
tarsi ad  ammazzar  vivi,  divertivasi  a  cin- 
cischiar morti  ;  egli«  il  sig.  Pio,  picchia 
sopra  ctrpi  morti.  Noi  non  gì'  invidiamo 
la  gloria  che  ne  riporterà;  ma  però  invi- 
tiamo i  cultori  dell' arte  romanzesca  slo- 
rica di  prendere  a  modello  i  Conventi 
di  Palermo ,  sfcbe  ne  facciano  tesoro 
per  opere  eonsimiii.  Badiao,  per  carità, 
al  dialogo,  che  il  dialogo  del  sig.  Oscar 
ò  singolare  :  le  persone  vi  parlano  col 
loro  dialetto  e  gergo.  I  siciliani  p.  e.  vi 
ciarlano,  e  bestemmiano  in  siciliano  che 
è  un  piacere,  proprio  comesi  fa  al  trivio 
e  al  bordello.  Ad  essi  c'ò  alcuno  che  ri- 
sponde in  italiano ,  ed  in  italiano  alla 
Oscar.  Le  «ose  più  basse  vi  sono  raccolte 
con  grandissima  diligenza,  e  il  sig.  Pio 
pare  che  se  ne  tenga  :  tutti  i  gusti  son 
gusti,  diceva  queir  ebreo  che  si  vedeva 
impalare. 

Come  prova  poi  del  come  il  sig.  Pio 
abbia  studiato  i  nostri  costumi,  la  no- 
stra storia,  il  nostro  dialetto,  che  egli  si 
sente  l'animo  di  rappresentare  e  ritrarre, 
ci  basterà  far  notare  questo  fatto  che, 
adoperando  egli  a  certo  punto  la  voce 
Vweiria,  che  significa  mercato  di  come- 


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314 


NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANB 


stibili ,  e  volendone  dare  It  elìmologit, 
sentenzia  che  ia  Vuceiria  è  cosi  detta  per 
!e  grandi  voci  che  yì  si  fanno. 

Quando  si  hanno  romanzieri  e  filologi 
di  quesu  fatta  e'  è  proprio  da  rallegrar- 
sene e  con  essi  e  con  gli  editori  loro;  ano 
de'  qaali,  il  famoso  editore  della  BihHO' 
teca  galante,  Enrico  Folini  di  Milano  , 
non  ha  avuto  a  vergogna  di  affidare  te- 
stò al  sig.  Oscar  la  compilazione  dì  una 
nuova  Sloria  d*  Italia  dall'  origine  alla 
eonquitta  di  Roma,dopo  quelle  del  Canta, 
del  Sismondi,  del  Balbo  ecc.;  stoiia  (?) 
la  quale  egli  ci  ha  pregato  di  raccoman  • 
dare  efficacemente,  siccome  col  presente 
articoletto  intendiamo  fare.        G.  P. 

LA  PIETRA  FILOSOFALE  ovvero  uli- 
litd  delle  cote  inutili  del  prof.  PiKTno 
FoHNARi.  Milano,  1870. 

LA  UBERTA*  DI  COSCIENZA  del  prof. 
Felice  Uda.  Milano,  1870. 

È  quella  una  conferenza  tenuta  dal 
prof.  Fornari  in  Milano,  e  costituisce  il 
secondo  volumetto  della  II  serie  della 
Biblioteca  del  popolo  italiano  fondata  e 
diretta  da  quel  valentuomo  che  è  Vin- 
cenzo De  Castro.  L' A.  Con  molta  viva- 
cità viene  toccando  de'  vantaggi  che  pos- 
sono recare  alle  industrie  e  alle  mani- 
fatture certe  cose  che  perla  loro  vilesza 
sono  condannate  al  corbello  della  spaz- 
zatura e,  peggio  ancora,  al  cesso.  L'  u- 
rina,  le  ossa,  i  cenci,  l'acqua  di  sapone, 
gli  olii  di  catrame ,  le  acque  ammonia- 
cali, la  benzina,  Tacido  fenico  o  carbo- 
lieo,  i  fiori,  sono  tutti  cose  inutili,  da  cui 
la  scienza  ha  saputo  trarre  grandissime 
somme  in  ingrasso  di  terra,  in  fosforo, 
caru,  gas  illuminante  ecc;  e  il  Fornari 
ne  parla  con  conoscenza  e  disinvoltura. 

Non  sappiamo  dir  nulla  della  confe- 
renza del  prof.Felice  Uda,  perchè,  a  vero 
dire,  dietro  alcune  belle  parole  del  De 
Castro  agli  amia  dell*  educazione  del  po- 
polo, colle  quali  è  degnamente  racco- 
mandato questo  nuovo  Florilegio  di  let- 
ture popolari,  non  sappiamo  acconciarci 


a  uno  stile  che  noli'  Uda,  scrittore  felice 
di  nome  e  di  fatto,  ci  pare  stranissimo. 
Ecco  p.  e.  come  egK  comincia  il  suo  di- 
scorso :  «  Signori...  Io  vi  parlerò  alla 
buona,  ma  con  franchezza  ed  animo  con- 
vinto.... Sono  pensieri  condensati,  spre- 
muti in  poche  pagine,  osservazioni  di- 
stillate ,  qua  e  là  aspirazioni  e  desideri 
al  bene,  spesso  spesso  qualche  conforto  •. 
So  questa  maniera  di  scrivere  possa 
comportarsi  in  serietà,  giudichi  l'autore 
stesso.  G.  P. 

RELAZIONE  E  PROGETTO  intomo  al 
miglioramento  della  torte  de*  Trovatelli 
nella  cUtà  di  Mistrelta.  Estensore  avv. 
G.  M.  Orlando.  Mistretta,  1869. 

Si  può  discutere  sulla  opportunità  delle 
considerazioni  di  questo  ragguaglio,  ma 
non  negare  che  esso  è  pieno  di  senno  e 
di  dottrina  .  L' avv.  Orlando ,  che  ne  ò 
r  A.  e  che  ebbesi  a  collabordlori  i  sigg. 
Ortoleva  e  Nigrelli ,  vi  ritiisume  «  le  vi- 
cissitudini e  le  questioni  economiche  e 
sociali  svoltesi  intorno  a  questi  innocenti 
mn  sgraziati  relitti;  »  col  quale  lavoro  ri- 
sponde all'  incarico  avuto  dal  Consiglio 
comunale  di  Mistretta  di  studiare  il  mag- 
gior miglioramento  della  condizione  dei 
trovatelli.  L' A.  s'ispira  a  principi  uma- 
nitari, e  comprende  e  inculca  vivamente 
quella  pia  e  filantropica  istituzione,  per 
la  quale  presenta  analogo  disegno  in  di- 
ciannove articoli. 

Le  parole  dell'  Orlando  trovarono  egli 
eco  nel  Consiglio  di  Mistretta?      G.  P. 

SULLA  VITA  E  SULLE  OPERE  DI  A- 
LESSANDRO  VOLTA,  Dieeorto  del 
prof.  Natale  Saya,  ieUo  il  17  marzo 
1870  nella  fetta  del  R.  Liceo  Mauro- 
lieo.  Messina,  1870. 

Il  prof.  Saya  nell*  ultima  festa  liceale 
in  Messina  tolse  ad  argomento  del  suo  di- 
scorso A'essandro'Volta.  La  scelta  fu  buo- 
nissima e  meglio  ancora  il  discorso,  nel 
quale  il  Saya  seppe  con  chiari  e  precis.- 


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BULLBTTINO  BIBUOGRAFIGO. 


315 


detti  esporre  lo  stato  ìd  cui  trovaytnsi  le 
scienze  fisico- chimiche  pria  del  Volta  e 
poi  far  riloTare  come  la  scoperta  del  gas 
delle  paladi,  V  endianulro,  la  pila  elet- 
triea  e  in  generale  gli  interessanti  stadi 
del  grande  Comasco  ayessero  contribaito 
sommamente  al  progresso  delle  scienze  e 
fossero  stati  germi  di  grandi  trovati;  dei 
qaali  oggi  noi  godiamo  con  immenso  van- 
taggio ne'  telegrafi  deUriei,  nella  galva- 
nopUutiea  ecc. 

Sia  lode  al  Saya,  che  col  suo  eloquente 
discorso,  onorò  degnamente  il  grande  uo- 
mo che  si  propose  di  celebrare. 

M.  S. 

PER  LA  MORTE  del  Comm.  Prof.  Pie- 
tro Cuppari ,  Tornata  generale  della 
A.  Aeeademia  peloritana.  Messina , 
1870. 

UGO  FOSCOLO.  Commemorazione  di 
Giovanni  Db  Castro.  Milano  1870. 

Nel  mese  di  giugno  la  Peloritana  dì 
Messina  per  nobile  iniziativa  del  suo  Se- 
gretario Generale  prof.  Caura-Litttieri 
teneva  una  seduta  straordinaria  in  onore 
del  suo  rimpianto  socio  Pietro  puppari, 
prof,  nella  R.  Università  di  Pisa.  La  let- 
tura di  quella  adunanza  ò  la  pubblica- 
zione sopra  annunziata.  In  quaranta  pa- 
gine il  Catara-Lettieri  offre  Alcuni  ri^ 
cordi  tullavita  e  tulle  opere  dell'illustre 
Agronomo  ,  il  quale  nato  in  Messina  e 
trapiantatosi  in  Toscana  sjppe,  come  a 
dire,  fondarvi  una  scuola  di  agronomia, 
che  venne  in  molta  rinomanza  presso  le 
migliori  d'Europa.  L' elogista  non  è  cul- 
tore della  disciplina  di  cui  s' intrattiene; 
ma  pure  associando  alla  sapienza  lo  af- 
fetto che  dell'antico  allievo  ed  amico  con- 
serva, ne  ritrae  mollo  bene  il  concetto 
delle  opere  scientifiche. 

Il  Mitchell  e  il  Vayola  hanno  anch'essi 
celebrato  il  loro  concittadino,  questi  con 
una  bella  ode  latina,  quegli  con  un  po- 
limetro  italiano ,  di  cui  non  vuoisi  ta- 
cere la  schietta  eleganza,  la  facile  ver- 
se^a^ura  e  quella  serena  ispirazione  che 


non  manca  mai  alla  Musa  dell*  illustre 
poeta  Messinese. 

Per  la  FesU  scolastica  del  Liceo  Bec- 
caria di  Milano  belle  parole  in  comme- 
morazione di  Ugo  Foscolo  ha  pronun- 
ziate ed  or  pubblicate  il  eh.  prof.  Gio- 
vanni De  Castro.  Brevemente  egli  ac- 
cenna alle  opere  del  Cantore  de'  Sepol- 
cri, e  a'  titoli  di  benemerenza  che  egli 
ebbe  verso  la  patria  italiana,  di  cui  fu 
scrittore  robusto  ,  nobile  e  dignitoso.  U 
De  Castro,  letterato  ben  nolo  in  Italia, 
é  se  non  ci  falliamo,  autore  di  una  ra- 
gionata biografia  del  personaggio  che  lo- 
da, ed  è  stato  de'  più  insistenti  nel  pro- 
pugnare il  trasporto  delle  ceneri  di  Lui 
in  Firenze.  G.  P. 

CANZONI  POPOLARI  INEDITE  in  dia- 
letto tardo  eentrale  ottia  logudorete  ; 
feconda  terie  :  Canzoni  ttoriehe  e  pro- 
fane. Cagliari,  tipografia  del  Commer- 
cio, 1870,  in  S\ 

Raccoglitore  ed  editore  di  queste  can- 
zoni storiche  e  profane  ò  il  benemerito 
can.  Giovanni  Spano,  il  quale  non  si 
stanca  mai  di  illustrare  e  arricchire  di 
sempre  nuove  pubblicazioni  V  isola  sua 
natale.  Le  canzoni  sono  190,  e  molte  di 
esse  dì  argomento  erotico.  Gli  autori  ne 
sono  in  gran  parte  conosciuti,  e  se  vuol 
sapersi  come  abbia  fatto  lo  Spano  a  ca- 
pitarle bisogna  ricordarsi  che  in  Sarde- 
gna chi  desidera  per  le  sue  circostanze 
la  voce  del  poeta  va  a  cercarsela,  e  Tot- 
tiene  :  le  poesie  improvvisate  per  la  data 
occasione  rimangono  tradizionali  in  fa- 
miglia. I  poeti  possono  essere  mezzana- 
mente istruiti  come  digiuni  affatto  di  let- 
tere: e  allora  ne  viene  che  le  canzoni,  le 
quali  noi  chiameremmo  meglio  po«fie 
popolari,  o  non  diventano  patrimonio  «li 
tutto  il  popolo,  o  non  sono  di  forma  af- 
fatto popolare. 

Rivoltici  più  volte  allo  Spano  per  sa- 
pere se  la  Sardegna  abbia  rispetti  come 
quelli  della  Italia  tutta,  ci  ha  risposto  : 
essercene  pochissimi,e  difficile  lo  averne. 


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316 


NUOVB  EFPEMEBIDl  SIGIUANE 


il  popolo  non  appreizarli  molto.  Qaesto 
fallo  lascia  la  vera  poesia  popolare  sarda 
ancora  inesplorala. 

Intanto  chi  può  avere  il  diligente  e 
pregevole  volarne  dello  Spano  vi  legga 
sopratallo  la  deghina  del  sec.  XV  :  Vita 
imprete  e  morte  di  Nicolò  Boria  ,  do- 
camento  storico  che  potrebbe  riempire 
molte  lacane  della  biografia  dell*  infelice 
Conte.  A  noi  son  piaciati  ana  decina  di 
rispetti  sparsi  in  tutu  la  raccolta,  i^quali 
ci  fanno  argomentare  della  dolcezsaed 
importanza  de'  canti  consimili  sardi.  Per 
chi  studia  i  raffronti  notiamo  che  la  sfida 
n.  43  del  poeu  Maloccu  al  poeta  Ma- 
rena ò  quasi  ana  stessa  cosa  colla  sfida 
siciliana  del  Pavone  al  Veneziano  in 
Monreale;  che  lo  stoniello  n.  23  salto  a- 
mante  schiavo  in  Barberia  è  anche  con- 
simile in  Sicilia  ;  e  che  il  canto  n.  27  , 
secondo  noi  il  più  anticg  di  lutto  il  vo- 
lume, ricomparisce  in  ogni  contrada  Ji 
Europa  ;  in  Sicilia  è  il  Tuppi-tuppi ,  i 
Due  Amanii^  gV Innamorati  ecc. ,  nel 
Friuli  la  Canzone  a  strofe  alternate, 
nella  Lorena  V  Entretien  d'un  Seigneur 
et  d'une  Bergère  ecc.  Ciacco  dell'Anguil- 
lara  trovatore  ne  fece  argomento  di  una 
tenzone,  Ciullo  d'Alcamo  del  suo  famoso 
contrasto.  G.  P. 

POESIE  E  VERSI  di  Salvatore  Batti - 
STINO,  prof,  nel  R.  Ginnasio  di  Sira- 
cusa, Siracusa,  Puleio,  1870. 

È  an  bel  volume,  in  cui  V  A.  ebbe  la 
debolezza  di  raccogliere  quello  che  ha 
scritto  dal  18i6  in  qua.  Per  le  prose  la- 
sciamo slare,  che  in  prosa  il  mediocre 


si  tollera,  sebbene  certi  giudizi  contro  gli 
scrittori  stranieri  ci  richiamino  a  quelli 
intollerantissimi  di  chi  ci  bociava  dietro  : 
«  fuggite  come  peste  gli  scriitori  non  ita^ 
liani  •;  ma  per  le  poesie  no.  I  temi  sono 
la  più  parte  frivoli  e  d'occasione:  e  ba« 
sta  dire  che  per  sole  morti  vi  hanno  tre 
canti,  quattro  odi  saffiche,e  non  so  quanti 
sonetti  da  aggiungersi  ad  altri  per  mo- 
nache, capi  d*anni,  cholerì,  cantanti,  ar- 
rivi d'amici,  guarigioni  di  re,  santi,  poeti 
ecc.  Qualche  canzonetta  è  delicata,  ma 
noi  non  sapremmo  consigliare  il  prof. 
Battislino  di  scriverne  delle  altre.  Invece 
scriva  delle  prose,  per  le  quali  ha  buona 
attiludino  e  certo  garbo  che  gli  affe- 
ziona il  lettore.  Abbiamo  bisogno  più  di 
assennate,  ancbe  mediocri,  prose,  che  di 
eleganti  versi.  II  Battistino  ci  si  mani- 
festa scrittore  di  molla  operosità,  di  buon 
volere,  e  noi  gli  auguriamo  fruiti  più 
maturi  del  suo  ingegno.  G.  P. 

IN  MORTE  della  signora  Concetta  Testa- 
ferrata;  il  figliuolo  di  lei  sac.  Isidoro 
Carini.  Palermo,  i870,  in  4*. 

Non  sapremmo  lodar  meglio  questa 
quattordici  ottave  che  dicendole  affettuo- 
sissime  qaali  sa  dettarla  un  cuore  come 
quello  del  Carini,che  rottiau  e  sventurata 
madre  sua  tenne  e  guardò  con  culto  di 
religione.  L'affetto  pon  toglie  nulla  alla 
castigatezza  di  forma  del  Carini,  il  quale 
se  non  coltivasse  i  severi  studi  filologici 
e  archeologici  che  i  nostri  lettori  cono- 
scono, potrebbe  lodarsi  di  quelli  geniali 
ed  amoni  di  poesia.  G.  P. 


CORREZIONI 
Pag.  237,  lin.  17  :  isiaea  forma,  corr.  isiaea  sacra. 


Il  Gerenk  :  Pietro  Montaina 


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HDOTE  EFFEIERIDI  SICIUAHE 

ANNO  IL  DISPENSE  Vili  E  IX.  NOV.  E  DICEMBRE  1870 

BMNO  DI  UN  CODICE  CEFALUTANO 

LNEDITO  DEL  SECOIX)  XIV 

FBOEMIO 

il. 
SVotisie  ral  TalmUrlo  di  OefolA  e  mi  cosi  detto  XMto  Rosso 

Sin  dal  1841  pendeva  una  lite  abbastanza  grave  e  intricata  fra 
il  Decurionato  di  Cefalù  e  quella  Mensa  Vescovile.  Trattavasi  di  ta- 
lune prestazioni,  che  il  Vescovo  continuava  a  riscuotere  tuttavia 
dalla  città,  e  che  il  Decurionato  volea  soppresse  come  feudali,  ed 
in  conseguenza  della  feudalità  estinta  ed  abolita.  Agitandosi  quella 
lunga  ed  importante  controversia,  l'attenzione  venne  richiamata  sui 
diplomi  della  Chiesa  fondata  e  dotata,  come  si  sa ,  dalla  munifi- 
cenza di  re  Ruggiero.  Difatti ,  sul  cadere  del  1857,  durando  la 
causa,  e  vacando  la  Sede  per  la  morte  del  Vescovo  mons.  Proto, 
il  Verificatore  D.  Pietro  Ciofalo  sì  recava  in  Cefalù,  neir  interesse 
del  demanio ,  a  fine  di  rintracciarvi  e  trasportare  in  Palermo  il 
cosi  detto  Libro  Rosso^  contenente  tutti  i  privilegi  raccolti  di  quella 
Sede  Vescovile;  nò  questo  codice  solamente,  ma  quei  documenti 
altresì  di  cui  facea  sentirsi  il  bisogno  per  dirimere  V  insorta  qui- 
stione.  Andata  a  vuoto  una  prima  spedizione  del  Ciofalo,  egli  im- 
prendeane  una  seconda  per  incarico  avutone  dal  Governo  con  mi- 
nisteriale de^  14  dicembre  di  queir  anno.  I  diplomi  deir  Archivio 
Getalulano,  che  ora  per  ordine  del  Luogotenente  Generale  voleansi 
depositati  e  custoditi  nel  Grande  Archivio  di  Palermo,  erano  stati 
obbietto  di  cure  per  parte  dell'  estinto  Vescovo  mons.  Proto ,  il 
quale  fin  dal  1831  avea  pensato  di  riunire  in  apposita  stanza ,  e 

21 


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318  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

serbare  in  decente  custodia  il  suo  tabularlo  Vescovile,  con  fare 
redigere  dal  can.  Domenico  Messina  un  repertorio  ossia  catalogo 
di  tutti  i  documenti,  nel  numero  di  ben  seicento,  ìndicand(me  la 
data,  il  nome  del  concedente,  e  sommariamente  il  contenuto. 

Essendo  precisi  gli  ordini  del  Governo,  il  can.  Messina  conse- 
gnava al  Ciofalo,  previo  verbale,  numero  centoventinove  documenti 
cioè  tredici  pergamene  fra  greche  ed  arabiche,  e  centosedici  la- 
line;  oltreacciò  tre  codici,  anch'essi  in  pergamena.  Tra  questi  tre  co- 
dici era  il  cosi  detto  Libro  Rosso y  desiderato  principalmente,  ri- 
cercato anche  nell'Archivio  Comunale,  e  confuso  con  altro  omo- 
nimo della  Comune.  Di  cotal  Libro  diremo  or  ora.  Intanto  questa 
preziosa  parte  del  tabularlo,  rimasta  prima  alla  Direzione  dei  Rami 
e  Dritti  Diversi,  fu  poco  dopo  depositata  presso  la  Soprintendenza 
Generale  degli  Archivi,  ove  si  conserva  tuttavia  in  decente  ar- 
madio, spiegati  i  diplomi  secondo  il  metodo  del  Fumagalli.  Ri- 
mane il  resto  del  tabularlo,  composto  di  parecchi  diplomi  nor- 
manni, di  moltissimi  altri  del  dugento  e  del  trecento,  d'altri  an- 
cora.posteriori,  in  possesso  del  Capitolo  di  Cefalù,  appunto  nella 
stanza  destinata  a  quest'  uso  da  mons.  Proto,  è  colà  ho  potuto  ve- 
derli per  cortesia  del  Decano  e  del  Benef.  Luigi  Pintom,  che  qui 
mi  è  grato  mentovare. 

Aggiungerò,  che  nel  1888,  Mons.  Ruggiero  Blundo,  nuovo  Ve- 
scovo di  Cefalù,  fece  pratiche  col  Governo  per  la  restituzione  de* 
perduti  diplomi  neir  Archivio  Vescovile,  adducendo  il  bisogno  che 
aveane  per  provvedere  all'esatta  amministrazione  e  al  sostegno 
migliore  delle  proprietà  della  sua  Mensa.  Ma  nuli' ostante  il  tabu-, 
lario  si  rimase  diviso  e  dimezzato;  le  centoventinove  pergamene 
e  i  tre  codici  in  Palermo  nel  Grande  Archivio;  le  rimanenti  carte 
in  Cefalù,  presso  il  Capitolo. 

De'  tre  codici,  che  abbiamo  citato,  l'uno  costa  di  pagine  otto 
ed  è  del  secolo  XIII;  vi  si  legge  di  mano  posteriore  Libellus  odo 
paginarum  continens  instrumenta  et  acta  diversa  antiqtui.  L'altro 
è  composto  di  diciannove  pagine,  e  contiene  anch'esso  diplomi  come 
il  precedente.  Ambidue  sono  in  piccolo  formato.  I  pochi  diplomi 
greci,  che  vi  si  trovano ,  verranno  compresi  nell'  intiera  raccolta 
delle  carte  greche  ed  arabiche  di  Sicilia,  a  cui  lavora  il  chiaris- 
simo cav.  prof.  Cusa.  Ma  io  non  mi  occuperò  che  del  maggiore  dei 
codici,  ed  è  il  terzo  ed  ultimo,  inteso  Libro  Rosso. 

Il  Rollus  Rvbeusy  come  lo  si  chiamò  volgarmente  dalla  legatura? 
appunto  come  oggi  si  presentano  ai  Parlamenti  il  Libro  Rosso  ' 


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BRANO  DI  UN  CODICE  GEFALUTANO  319 

il  Libro  Azzurro  y  il  Ltì)ro  Yerde,  venne  compilato  con  tutte  le 
formalità  giudiziarie,  per  ordine  del  Vescovo  eletto  di  Cefalù  Fra 
Tommaso  da  Butera.  Costui,  Canonico  di  Siracusa  ed  Arcidiacono 
di  Morreale,  fa  scelto  al  Vescovado  di  Cefalù  da  quel  Capitolo, 
e  nel  (ti  penultimo  di  giugno  1329  venne  confermato  da  Guidotto 
Arcivescovo  di  Messina  suo  metropolitano,  a  cui  come  suffraganeo 
prestò  Tommaso  il  giuramento.  Però  il  Pontefice  Clemente  IV  si 
oppose  alla  consacrazione  delP  Eletto,  e  gli  negò  T  approvazione. 
Di  lui  principalmentevtre  cose  si  ricordano,  cioè  Taver  ordinato 
si  compilasse  il  Libro  Rosso,  V  aver  fatto  trasferire  in  orrevole  luogo 
dentro  il  Duomo  i  cadaveri  dei  Vescovi  suoi  predecessori,  e  Ta- 
Tere  scoverto  in  Polizzi  il  corpo  di  San  Gandolfo.- 

Circa  alla  compilazione  del  Libro  Bosso ,  Fra  Tommaso  da  fiu- 
terà, ch^'era  stato,  secondo  avvertimmo ,  Arcidiacono  in  Mon'eale 
seguiva  r  esempio  datogli  pochi  anni  innanzi  da  queir  Arcivescovo,^ 
Arnaldo  di  Rassach,  di  nazione  Catalano,  che  fu  al  governo  della 
diocesi  Morrealese  dal  1306  al  1324.  Arnaldo  avea  fatto  compilare, 
com^  ei  pare  in  tre  esemplari,  un  codice,  ora  perduto,  il  quale  col 
titolo  di  CoUectanea  privilegiorum,  comprendea  le  carte  latine  più 
importanti  di  quella  Chiesa  Metropolitana  e  dell'  annesso  Mona- 
stero. Più  fortunato  della  Collectanea  Morrealese,  perv^ne  fino  a 
noi  il  Rollo  Cefalutano  di  cui  ho  parlato.  Esso  è  in  formato  grande, 
senza  frontispizio,  di  numero  centodiciassette  pagine  oltre  le  prime 
tre  che  non  hanno  numerazione,  non  porta  più  legatura  rossa,  ma 
bianca,  di  pergamena  leggiera,  ed  è  scritto  in  nitidi  caratteri  del 
secolo  decimoquarto.  La  lettura  n'  è  molto  difficile  nel  principio^ 
essendo  logora  assai  dal  tempo  la  pergamena,  ed  in  qualche  pa- 
gina calcata  e  ricalcata  in  tal  maniera  da  costituire  una  vera  con- 
fasione  ed  un  garbuglio  di  malagevole  districamento.  n  codice 
porta  in  fronte  T  incarico  dato  dair  Eletto,  a  cui  il  codice  deve 
la  sua  origine,  al  notare  Guglielmo  da  Mistretta;  indi  un  catalogo, 
dei  diplomi  che  conterrà;  poi  una  leggenda  in  cui  si  racconta  la 
fondazione  della  Chiesa  Cattedrale  di  Cefalù;  dippiù  una  descri- 
zione officiale  ed  autentica  dei  cinque  quadri  dipinti,  che  esiste- 
vano sulle  pareti  esteme  del  tempio,  e  precisamente  sotto  il  por- 
tico ,  che  soggiacque  ad  innovazioni  sul  cadere  del  secolo  XV , 
Quadri  rappresentanti  Ruggiero  I  Re,  Guglielmo  I,  Guglielmo  li,. 
Costanza  Imperatrice,  e  Federico;  appresso  riporta  la  serie  dei 
Vescovi  di  quella  Sede  fino  a  Fra  Tommaso  da  fiuterà;  dopo  ciò 
comincia  la  irascrizione  dei  privilegi,  che  forma  la  parte  potissima 


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320  NCOVB  EFFEMERIDI  SICILIANE 

del  codice.  A  margine  di  esso,  ed  a  pie  di  pagina  si  leggono  sommarf 
e  note  di  varie  mani  e  di  tempi  differenti.  Nei  primi  fogli  qualche 
titolo  e  qualche  iniziale  sono  in  inchiostro  rosso.  A  pag.  115  re- 
tro si  legge  avvertito  dal  Regio  Visitatore  Don  Niccolò  Daneo:  Con- 
sistit  liber  hic  privilegiorum  tranmmptomm  hujm  sancte  eccìme  ee- 
faludensis  m  paginis  centum  decem  et  septem  praeter  alias  tre$  pri- 
mas  repertorii  et  aliam  mediam  ulHmam.  A  pag.  116  vi  è  un^  al- 
tra simile  nota  più  antica  di  alquanti  anni.  Inoltre  il  volume  ha 
il  visto  deir  ultimo  Regio  Visitatore  Mons.  De  Giocchis,  e  proprio 
in  fine  un^  altra  avvertenza  di  antica  mano  :  Hic  liber  consistit  in 
foliis  scriptis  centum  viginti. 

Il  codice  fu  noto  air  erudito  palermitano  Vincenzo  Auria,  che 
nella  sua  operetta  intitolata:  DelV  origine  ed  antichità  di  Cefaìù  città 
piacentissima  Notizie  Tlistorichey  cosi  ne  scrisse:  ho  ritrovato  scritta 
questa  historia  (della  fondazione  del  Duomo)  in  un  libro  di  tutti 
i  privileggi  della  Chiesa  Cefalutana  concesseli  dai  re  e  imperatori,  fatti 
raccorre  in  un  volume  d*  ordine  di  Tommaso  da  Butera,  Vescovo  di 
CefaUL  nell'anno  1329,  compilato  e  scritto  da  Guglielmo  da  Mistretta 
Maestro  Notaro  della  Corte  Vescovale  di  Cefaltt,  nel  qual  volume  nel 
principio  vi  è  tutto  il  successo  scritto  in  lingua  latina  della  venuta 
del  re  Roggiero  in  Cefalà,  e  la  fondazione  della  Chiesa  Vescovale  (1). 

Il  medesimo  Auria  estrasse  varie  notizie  dal  nostro  codice ,  e 
\d  riunì  con  altre ,  insieme  a  diverse  iscrizioni  antiche  di  Ce- 
faìù, nel  suo  lavoro  :  Raccolta  di  antichità  di  Sicilia  di  Don  Vin- 
cenzo Auria  palermitano,  cavata  dalla  Sicilia  antica  di  Filippo  Clu- 
verio,  artic.  Alcune  notizie  intomo  alla  dttà  e  Chiesa  di  CefiM,  che 
forma  il  mss.  D.  166  della  nostra  Librerìa  Comunale.  Nel  /mano- 
scritto si  trova  qualche  notizia ,  che  non  si  rinviene  neir  opera 
stampata. 

E  Tab.  Rocco  Pirri  ricorda  di  Fra  Tommaso  da  Butera:  In  li- 
bro quoque  quem  Rollum  Rubeum  appellant  omnia  privilegia  oc  iura 
ecctesiae  hu^us  exscribenda  curavit  (2). 


(1)  Ivi  Palermo  per  t  CireUi  1656i  in  V  pag.  46.  Vedi  pure  a  pag.  74.  Il  lavoro 
dell*  Auria  fu  tradotto  in  latino  col  titolo  :  NotUia  Historiea  originis  et  antiqui^ 
Uiiit  Cephalaedit  urbis  plaeentissimae  Siciliae,  ex  ilcUico  latine  verlit,  reeentuU,  no* 
tulas  adieeit ,  atque  aliquot  nummie  auxit  Sigeb.  Havercampus,  nel  voi.  XIV  del 
fhetaurus  antiquitatum  et  hitloriarum  Siciliae,  Lugd.  Batav.  1723  in  fog.  vasta 
compilazione  cominciata  dal  Grevio,  e  continuala  dal  Burmanno. 

(D  Sie.Saer.  II,  809  edis.  Pai.  1733. 


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BRANO  DI  UN  CODICE  GEFALDTANO         321 

Indi  al  nostro  codice  fa  accennato  dal  Gregorio  (1),  e  suirautorità 
del  nostro  celebre  pubblicista  dal  dotto  sig.  Huillard  di  Bréhol- 
les,  che  non  lo  vide  (2).  Il  Duca  di  Serradifalco,  a  proposito  del- 
l'anzi  cennata  pittura  del  portico  estemo  di  Cefalù,  ricorda  la  de- 
scrizione che  se  ne  contiene  nel  nostro  codice  (3).  Ed  ugualmeDte 
scrìve  r  inglese  Dennis  nella  sua  Guida  di  Sicilia ,  ricordando  il 
nostro  Libro  rosso  (4)  che  però  non  vide,  poiché,  a  proposito  dei 
quadri ,  egli  li  crede  forse  in  musaico  (perhaps  in  mosaic)  mentre 
il  codice  dice  chiaro  che  fossero  affreschi. 

L'ab.  Gioachino  Di  Marzo  si  riferisce  del  pari  al  RoUus  ruheus  (5), 
Egli  cita  poi  alcune  memorie  del  XIV  secolo  esistenti  nelV  archivio 
della  chiesa  di  Cefalù  (6).  in  cui  dice  trovarsi  la  concessione  fatta 
da  Guglielmo  II  alla  detta  chiesa  ;  cita  pure  un'  altra  scrittura, 
^in  cui  si  contiene  un  catalogo  dei  vescovi  di  Cefalù;  ma  veramente 
non  si  tratta  che  delP  unico  Libro  rosso  di  cui  finora  si  è  parlato. 
Del  quale  fa  pure  menzione  il  sig.  Giuseppe  Spata  nel  volume 
delle  sue  Pergamene  Greche  (7).  E  con  lui  chiudiamo  queste  no- 
tizie sul  codice  di  Fra  Tommaso  da  Butera,  e  sugli  scrittori  no- 
stri che  l'hanno  ricordato. 

12. 

OefalA  pria  dell*  epoca  SVormaniia 

Cefalù  (Ke?paXo(5tov  secondo  Diodoro ,  o  Ke<paXoiS{?  secondo  Stra- 
bene ed  anche  Ke^Xo(Seic  giusta  alcuni  mss.)  è  città   Vescovile 


(1)  Jki  Regali  Sepolcri  della  maggior  Chiesa  ii  Palermo.  Vedi  Opere  edis.  Pen- 
sante i853.  p.  700. 

(2)  Historia  DiplomcUiea  Frideriei  Secundi  U  p.  Ì26. 

(3)  Veggasi  V  opera  Del  Duomo  di  Monreale  e  di  alcune  Chiese  Siculo-Normanne, 
nota  3S  al  Bagionamento  II ,  ove  dice  :  Nel  citalo  m$.  del  1329 ,  quasi  un  secdlo 
posteriore,  si  parla  di  essa  come  esistente,  ed  ami  vicina  a  perdersi  per  ingiuria  del 
ttmpo. 

(4)  These  deeorations  are  described  in  an  old  mmuscript  of  the  year  1329  ,  as 
ihm  existing,  though  greatljf  injured  bf  the  effects  ofage,  so  that  Ihey  can  hardly 
kave  been  less  than  a  eentury  eariier.  Vedi  A  Handbook  foì'  travellei*s  in  Sieily , 
London,  lohn  Murray,  A  Ibernarle  Street,  1864.  pag.  262. 

(5)  Delle  Belle  Arti  in  Sicilia  da*  Normanni  s  no  alla  fine  del  sec.  XIV.  Paler* 
mo  1858.  pag.  153,  e  noU  al  Dizton.  Topogr.  di  Amico  art.  Cefalù. 

(6)  Delle  BeUe  Arti  étc.  il,  258. 

(7)  Pai.  1861,  pag.  52. 


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322  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

nelFantico  Val  Demìna,  e  segna  il  limite  fra  questo  ed  il  Val  di 
Mazzara  (1).  Sedea  V  antica  città  sulla  vetta  di  scoscesa  e  difficile 
rupe,  che,  specchiandosi  nel  mare  settentrionale  dell'  Isola ,  vol- 
gesi  qual  promontorio  a  levante  (2).  Il  suo  nome  è  dalla  voce 
greca  xetpaXiJ,  capo^  secondo  un'etimologia  tecilissima,  afferrata  da 
Fazello,  Maurolico,  Carnevale,  Pirri  e  fin,  dall' Auria ,  da  quanti 
insomma  ricordaronsi  dell'  ardito  promontorio  su  cui  venne  co- 
struita Gefalù. 

Eppure  r  Hoffinann  ed  il  Bochart  vollero  meglio  ricorrere  al  pu- 
nico, quando  non  vi  pensò  neppure  l' istesso  p.  Cascini,  cosi  vago 
di  etimologie  peregrine ,  e  pur  qui  contento  della  greca ,  che  è 
tanto  naturale  (3). 

Chi  visita  Cefalù  non  può  trascurare  i  notevoli  avanzi  antichi, 
ch'essa  tuttora  conserva,  e  che  diedero  argomento  e  materia  ai 
diversi  storipgrafi. 

Fazello  li  osservò  dei  suoi  tempi,  vide  i  resti  d' una  ci  Ita  rovi- 
nata ,  del  circuito  d' un  miglio.,  e  quelle  che  egli  dice  reliquie 
d'un  tempio  dorico  (4). 

Ma  tali  avanzi,  se  assicuravano  alla  città  di  bei  secoli  d' esi- 
stenza, tuttavolta  non  conferivano  il  dritto  di  segnar  epoche  e 
di  stabilir  precisa  la  sua  cronologia,  Ond'  è  che ,  muovendosi  il 
quesito  circa  al  tempo  della  fondazione  di  Cefalù ,  lo  storico  do- 


(1)  Limes  vatlium  Nemorum  et  Mazarae  CephaledU  Civitoi,  dice  il  Maofolico.  È 
a  48  miglia  a  levante  di  Palermo.  Anche  Tolomeo  la  chiama  Ke^aXoi8(c;  KecpaXoiS- 
^oc  ■  ricordi  bizanlini  del  IX  secolo;  Cephaloedit  Plinio;  Cephatudium  altri  latini; 
Gefalùdi  o  Seefalùdi  gli  Arabi.  V.  Amari  Storia  dei  Mutulm,  di  Sic,  I,  307-8.  Pri- 
sciano  grammatico  scrìve,  lib.  II:  A  Caralifms,  Caralitanut,  a  Taurominio ,  Tau- 
rominitanut;  a  CephcUoedio,  Cephaloedilanus;  a  Drepano,  Drepanitanw.  Sull'orto- 
grafia latina  di  Cefalù  scrisse  pure  Mongitore  :  vedi  mss  F.  222  delia  Libr.  Comu- 
nale di  Pai.  a  pag;  73.  Se  Cephaledum  debba  scriversi  con  dittongo^  o  senza. 

(2)  Il  capo  che  più  sporge  nel  mare  fu  chiamalo  volgarmente  Mareafava, 

(3)  Di  S.  Rosalia  Verg.  Pater m.  Lib.  Tre  Pai.  1651.  pag.  356.  Del  resto  sulle 
probabili  vestigia  dei  Fenici  in  Cefalù ,  può  vedersi  Movers  Die  Phónicier  II  ^  i , 
338 ,  ed  Holm  Geschichte  Sieiliens  in  A  Iterlhum  Leipzig.  1870  ,  pag.  100.  I  Fenici 
ehe  colle  loro  stazioni  marittime  aveano  preceduto  i  Greci  su  quasi  tutte  le  rìvo 
del  Mediterraneo,  nella  Grecia  slessa,  in  Creta,  a  Cipro,  in  Egitto ,  in  Libia,  in  I- 
spagna,  ed  anche  sul  lato  occidentale  d'Italia,  trafficavano  certo  in  tutti  i  punti 
delle  coste  di  Sicilia,  come  racconta  Tucidide  e  ciò  prima  che  arrivassero  i  Greci, 
i  quali  doveano  col  loro  energico  sistema  di  colonie  prendere  il  luogo  delle  piccole 
stazioni  fenicie,  una  delle  quali  fu  probabilmente  Cefalù. 

(^  Deca  I.  Lib.  IX.  Cap.  IH. 


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BRANO  DI  UN  CODICE  GEFALUTANO  323 

menicano  scrisse  saggiamente,  la  città  essere  antica ,  ma  eh'  egli 
non  sapea  nulla  de^  primi  suoi  abilatori.  E  come  lui ,  il  Caran- 
dini  alia  sua  volta  confessò  la  stessa  lodevole  e  modesta  igno- 
ranza (1). 

Un  Cristoforo  Scanello,  detto  il  Cieco  di  Forliy  stese  una  cro- 
naca dì  Sicilia  stampata  in  Napoli  del  1587,  ed  in  essa  congetturò 
che  tanto  Cefalù  come  la  vicina  Imera  sieno  state  fondate  dai  Cal- 
cidesi. 

Ma  una  tal  opinione  non  piacque,  né  potea  piacere  al  letterato 
palermitano  D.  Vincenzo  Auria,  che  scriveva  appunto  per  esaltare 
V  origine  e  V  antichità  di  Cefalù.  Egli   dissertò  sulP  opinione  di 
Scanello"  nel  Capo  II  del  suo  libro,  e  gli  parve  che  quesf  autore 
non  fosse  abbastanza  sulla  buona  strada.  Perciò  nel  Capo  III  so- 
stenne che  Cefalù  venne  costruita  dai  Sicani,  e  questo  per  la  sem- 
plice ragione  che  fu  posta  a  sedere  sulla  montagna.   Soggiunse 
che  la  fondazione. avvenne  cent'anni  giusto  prima  della   guerra 
di  Troja,  che  tal  epoca  corrisponde  all'anno  1634  avanti   Cristo, 
che  Ercole  vi  arrivò  Tanno  1283  e  via  di  questo  passo.  Né  pago 
a  tanto,  nan-ò  le  gesta  dell'  invincibile  eroe,  tutto  ciò  che  fece  in 
€efalù,  gli  onori  che  vi  ebbe  ecc.  Anzi  a  miglior  conferma  del  tutto 
trovò  ossa  di  giganti  dissepellite,  parlò  di  Polifemo,  trattò  la  qui- 
stione ,  se  Ulisse  l'avesse  accoppato  nelle  spelonche  di  Mongi- 
bello,  0  nelle  grotte  Ericine,  ed  altri  punti  di  peregrina  archeo- 
logia (2). 

Circa  al  sodo  poi,  che  sarebbe  stato  di  darci  una  descrizione  ac- 
curata degli  antichi  avanzi  di  mura  ,  ecco  quel  tanto  che  ce  ne 
volle  dire  il  nostro  autore,  t  Vicino  la  chiesa  di  S.  Venera  appa- 
iono le  mine  dell'  antica  città  di  Cefalù,  scorgendosi  un  muro  di 
grosse  pietre  quadrate,  le  quali  sono  sostentate  senza  calce  all'uso 
antichissimo  di  quei  tempi.  Nella  sommità  della  rocca  vedesi  il 


(1)  Deseriptio  eeeles,  Cephaledit.  Mantuae  1592* 

(2)  Questa  trattazione  dei  giganti  teneva  la  sommilàdeUascienia  afiliqaarìa  agli 
<»cchi  di  D.  Vincenzo  Auria,  e  di  parecchi  archeologi  nostri  del  XVI  e  XVII  secolo, 
p.  e.  il  Valguarnera  e  cosiffatti  :  «  Hor  quanto  sia  gagliardo  indilio  (così  l'Aunaa 
pag.  20) ,  ed  argomento  di  non  poca  antichità  a  quel  paese  o  Città ,  dove  si  sono 
ritrovali  questi  corpi  di  Giganti;  gli  huominì  dotti ,  e  ver;ici  professori  delle  cose 
antiche  a  bastanza  il  conoscono;  il  perchè  stimo  non  haver  |»en  fatto  un*  autor  mo- 
derno, il  quale  ritrovando  cosi  Mìe  memorie  nella  patria  sua  trascuratamente  pas- 
sandole in  silenzio,  V  ha  privato  d'  una  tale  e  si  grande  ant  chità;  e  quasi  tenendo 
a  scherno  quella  delPaltrui  Città,  c«m  la  quale  poteva  far  utile  a  se  slesso.  • 


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324  NUOVE  EFFEMERIDI  SICIUANE 

tempio  destratto.*....  Il  qnal  luogo  comanemente  dai  Cefalutani  è 
chiamato  il  Choro,  serbando  ancor  hoggi  il  nome  sacro  del  Choro 
deir  antica  chiesa  mutandosi  quel  tempio  profano  degli  Idoli  in  al- 
bergo del  vero  Dio  nel  tempo  della  Christianità....  In  quesf  edi- 
ficio, che  mostra  essere  stato  tempio,  come  hanno  creduto  gli  scrit- 
tori, ho  visto  una  Croce  fatta  nel  muro  d^  alcune  pietruccie  di  coli»* 
rosso.  Ed  in  alcune  finestre  vi  si  veggono  le  insegne  della  real 
famiglia  di  Aragona  dei  re  di  Sicilia  »  (1).  Fuori  la  porta  detta 
Giudecca^  si  veggano  (nota  a  p.  62)  alcuni  avanzi  di  fabbriche  an- 
tiche e  particolarmente  presso  la  chiesa  di  S.  Antonio.  E  son  que- 
sti i  soli  ragguagli ,  che  contiene  il  lavoro  archeologico  dell'  Au- 
ria  sulle  antichità  Gefalutane. 

Il  prìncipe  di  Biscarì,  parlando  dei  medesimi  avanzi,  disse  solo 
che  appena  se  ne  ravvisino  le  vestigia  nel  sito  sovrastante  alla 
moderna  Cefalù  (2). 

Fra  i  non  Siciliani,  mettendo  da  parte  il  P.  ^Lupi  (3),  tutta  una 
serie  di  dotti  stranieri,  il  viaggiatore  francese  Houel  (4),  il  tede- 
sco G.  A.  lacob  (5),  V  illustre  architetto  Hittorflf  si  benemerito  dei 
nostrì  monumenti  (6) ,  e  più  di  proposito  il  Nott  (7) ,  si  occupa- 
rono delle  antichità  di  Cefalù,  e  degli  importanti  avanzi  delle  vec- 


(1)  Op.  eit.  p.  63. 

(2)  Viaggio  per  tutu  U  Antichità  delia  Sicilia  de  critte  da  Ignazio  Paterno  Prin- 
cipe di  Bitean,  Pai.  1817.  Gap.  XXU.  Vedi  pure  Natale  Disc.  YIII. 

(3)  Descrit.  di  Cefalù  nelle  sue  Ditsertaz.  Faenxa  1785,  t.  Il,  p.  IM. 

(4;  Voyage  pietoresque  des  UesM  Siale,  de  Lipari  et  de  Malte,  Paris  178Ì-1787, 
voi.  IV,  p.  92.  Ut.  XLIX-LI.  Anche  l'inglese  Wood  ,  che  visitò  la  Sicilia  dopo 
VHoapI,  nel  1818,  e  pubblicò  a  Londra  1831  i  suoi  Viaggi  ia  Italia,  Sicilia  e  Grecia, 
descrisse  la  casa  ciclopea  di  Cefalù,  com'egli  la  definisce.  Ma  i  saoi  disegni  lasciano 
a  desiderare  anche  più  che  qnei  dcH*  Houel. 

(5)  Neuere  Naehriehten  uber  SicUien,  Hann.  1823. 

(6)  Architecture  antique  de  la  Sieile.  Paris  1826  e  seg. 

(7;  G.  P.  NoU  Avanzi  di  Cefalù  negli  Ann,  delVIitit,  di  Corritp.  Archeolog,  1831 
i.  Ili,  p.  270-87  e  Monum,  T.  XXYHI,  e  XXIX.  Il  diligente  lavoro ,  che  citiamo, 
é  una  lettera  indiriszata  al  cav.  Bunsen  ,  e  tradotta  dall'inglese.  Il  dotL  Nott  fu 
in  Sicilia,  e  visitò  gli  avanzi  di  Cefalù  due  volte ,  cioè  verso  il  1824 ,  e  nel  1828, 
nel  qual  anno  verificò  1  suoi  primi  disegni  e  le  misure  prese  deiredìAzio  ciclopeo. 
Nella  primavera  del  1824,  egli  comunicò  questi  disegni  ai  signori  Hìttorff  e  Zanth. 
che  ritornavano  pure  dalla  Sicilia,  e  mostrarono  i  loro  all'areheologo  inglese.  11  Nott 
non  conoscca  dapprim.i  l'opera  di  Houel,  ma  ne  die  a  questo  proposito  notizia  il 
sig.  Hittorff  nel  dicembre  del  1829,  con  lettera  diretta  al  Panofka.  Però  i  disegni, 
che  il  medesimo  dott.  Nott  comunicò  all'Istituto  Romano  di  Corrispondenza  Archeo- 
logica, sono  molto  più  accurati  dei  precedenti  datici  da  Houel  e  da  Wood. 


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BRANO  DI  UN  GODICK  CEFALUTANO  325 

chie  sae  mura ,  ai  quali  tutti  si  può  aggiungere  anche  il  West- 
phal,  che  ha  trattato  taluni  punti  della  geografia  antica  della  Si- 
cilia. 

Ultimo  r  accuratissimo  sig.  Dennis,  attuale  console  d' Inghilterra 
in  Palermo,  ne  scrisse  colla  solita  esattezza  nel  suo  pregevole  Ma- 
nuale pei  viaggiatori  in  Sicilia  che  ben  meriterebbe  fra  noi  una 
versione.  Osservando  nel  sito  della  città  antica  V  isolata  costruzione 
poligona,  che  vi  rimane  (1),  la  riconobbe,  qual'  è,  per  vetustissima 
ed  evidentemente  di  quel  genere  di  monumenti  conosciuti  in  Gre- 
cia ed  in  Italia  sotto  nome  di  pelasgici.  Egli  propende  a  credere 
che  r  edifizio  sia  stato  un  palazzo,  e  non  un  tempio ,  come  ave- 
vano tutti  ripetuto  col  Fazello;  distingue  poi  neir  edifizio  istesso 
tre  periodi  differenti  l)  ì  tempi  deir  antica  Cephaloedium;  2)  V  e- 
poca  di  Roma  Imperiale;  3)  quella  della  Chiesa  primitiva.  Sicché 
non  ostante  il  più  .recente  carattere  d' una  parte  di  quei  resti,  ò 
ben  certo  che  P  altra  è  fra  i  più  vetusti  monumenti  di  Sicilia,  e 
fa  risalire  molto  innanzi  i  primordi  di  Cefalù  (2).  Così  il  Nott  con- 
getturò r  edifizio  ciclopeo  contemporaneo  alle  vetuste  mura  di 
Tirinto. 

Le  autorità  antiche  intorno  alla  nostra  città  furono  raccolte  nella 
Sicilia  antiqua  del  dotto  e  diligente  Cluverio  (3). 

Strabone  la  dice  iccJXtdfjia,  oppidum,  con  molto  dispiacere  dell'Au- 
ria,  che  perciò  si  mette  a  confutarlo  (4).  •  U  altro  e  maggior  lato 
deir  Isola  di  Sicilia,  scrive  infatti  il  vecchio  geografo,  benché  nep- 
pur  esso  sia  molto  popolato,  tuttavia  conta  abbastanza  abitatori;  ivi 
sono  gli  appidi  di  Alesa,  Tindari,  Egesta  e  Cefaledio  i  (5). 

Racconta  Diodoro,  che  il  punico  generale  Imilcone  Panno  396 
a.  C.  strinse  alleanza  cogli  Imeresi  e  cogli  abitanti  il  castello  (cpp<$u- 
piov7  detto  Cefaledio  (6).  Cefaledio  dunque  non  era  altro  che  un 

(i)  /(  tlood  originally  on  the  summit  of  the  heaéUand  ,  where  vestiget  of  it  are 
tt'dl  vitible.  Geo.  Dennis  A  Handhook  fur  travellert  in  SieUy  p.  260  e  2t)6. 
(1)  Sono  pure  osservabili  le  vestigia  di  mura  ciclopiche  nella  città  bassa. 

(3)  L.  n.  cap.  IV,  pag.  286.  Lug>l.  Hatav.  1619. 

(4)  Op.  eit,  pag.  5  e  seg. 

(^)  'h  51  XoiTc^  xal  [u^iTzri  icXsupà  xaJirep  oò8'  aòx^  icoXudtv6pu)icoc,  5- 
(MOC  (xavu>c  ffuvoutetTai.  xal  yàp  AXataa,  xaX  Tuv^lc,  xal  xò  twv  AIy«- 
ffxéwv  è(ji7ropctov  xal  Kt:paXo($tov,  itoXl9\ta.xà  iort.  Geoyraph.  Lib.  VI,  cap.  II, 
edis.  Tauchnix.  Lipsia    I8i9. 

(6)  np^^  ijIv  I(jiepaCou<  xal  toùc  to  KetpaXoiSiov  cppoupiov  xaxoixouvxoc 
(^iX(av  iicoii{^xo.  Lib.  XIV  cap.  LVi,  ediz.  Firmin  Didot  Parigi  1843-44. 


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3!26  NOOVB  BFPEHKaiDI  SIOLUNB 

(ppoupiov ,  ossia  castello^  per  Diodoro ,  e  probabilmente  una  dipen- 
denza d' Imera.  L' alleanza,  dì  cai  egli  parla,  era  stata  formata  con- 
tro Dionigi  tiranno  di  Siracusa.  Ma  riusci  a  costui  d^  impadronirsi 
per  tradimento  di  Ce&ledio,  come  di  Enna  e  di  Solunto  (1).  Poi 
r  anno  307  a.  C.  Agatocle  espugnata  Cefaledio  vi  prepose  LepHne  (2). 
Più  tardi,  al  tempo  della  prima  guerra  punica,  t  Romani  muovendo 
verso  Cefalù  con  dugencinqiAanta  navi,  a  tradimento  la  prendono  (3). 
La  città  era  perciò  d^  accesso  malagevole,  e  munita,  inaccessibile 
dalla  parte  di  mare  nella  direzione  di  Tindari,  e  dalla  parte  di  terra 
difesa  dalP  acropoli. 

Cicerone  nelle  Verrine  ha  parlato  del  supremo  sacerdozio  di 
Cefalù,  e  del  mese  in  cui  si  creava  (4);  Tha  ricordato  inoltre  in- 
sieme a  Tindari,  Alunzio,  Apollonia,  Engio,  Gapizzi  (5). 

Plinio  nel  Lib.  Ili  della  sua  Uistoria  NaturaUs^  in  cui  descriye 
r Europa,  venendo  nel  capo  XIV  a  dire  della  Sicilia,  fece  men- 
zione di  Cefalù  con  Palermo,  Solunto,  Imera,  Alunzio,  Agatimo, 
Tindari,  Milo  (6). 

Silio  Italico  accennò  in  due  versi  del  suo  poema  al  noto  pesce 
del  mar  di  Cefalù: 

Quaeque  procelloso  Cephaloedias  ora  profundo 
Caeruleis  horrent  campis  pascentia  cete  (7). 

Ma  già  dei  tonni ,  de^  quali  era  antichissima  la  pesca  in  Cefalù, 
avea  parlato  Archestrato,  che  addurremo  qui  nella  traduzione  dello 
Scinà  : 

Alla  sacra  d'intorno  ed  ampia  Samo 

Molto  grosso  vedrai  pescarsi  il  tonno, 

(*)  napéXape  51  §tà  irpoSo^fac  KetpaXotótov  xal  SoXouvta  %ol\  x^v  "fivvav. 
Diod,  Lib.  XIV.  78. 

(2)  Ke<p«Xo{5tov  51  IxicoXiopxiJffOC  AeicxNijv  jjilv  xaiSx^j?  lirijxeXìiT^v  dntiXtictv. 
Diod.  XX,  56. 

(3)  Pwjjiatot....  SwtxoffCatc  itevnSxovxa  vauolv  eU  tò  KsfaXiS^v^v  IXWvxe^, 
xouxo  5ià  itpo5o(j(av  itopéXaPov,  Diod,  XXIII  18. 

(4;  Aeetu.  in  Verrem  Lib   H,  cap.  5Ì  edix.  Zumpt  Berlino  1831. 

(5)  Tyndarilanam  nobilistimam  CivUalem,  Cephaloedilanam,  Haluntinam,  Apol- 
lonieMem,  Enguinamt  Capitinam,  perditat  ette  ha^  iniquUate  deeumarum  intelli" 
getit  Verr.  Lib.  III.  C.  43. 

(6)  Oppida:  Panormum,  Solus,  Himera  eum  ftuoio,  Cephaloedis,  Aluntium,A- 
gatymum,  Tyndarit  colonia  »  oppidum  Mylae,  et  unde  coepimui,  Pelorut.  V.  edis. 
venexiana  del  Bellinelli  1784. 

(1)  Lib.  XIV  «52. 


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BRANO  DI  UN  CODICE  CEFALITrANO  327 

Glì^  orcìno  alcuni,  ed  altri  chiamai!  ceto. 
Convien  di  questo  a  te  comprar,  se  a^  numi 
Cena  imbandissi,  e  ti  convien  comprarlo 
Senza  tardar,  senza  far  lite  al  prezzo. 
In  Carìsto  e  Bisanzio  è  poi  gustoso; 
Molto  miglior  di  questo  è  quel  che  nutre 
Neir  isola  famosa  dei  Sicani 
Di  Tindaro  la  spiaggia,  e  Cefaledi  (1). 

Tra  i  cosmografi  e  geografi,  furono  citati  quanto  a  Cefalù  Pom- 
ponio Mela  ed  il  gran  Tolomeo.  Ma  quanto  air  autorità  di  Pom- 
ponio allegata  da  Fazello  e  da  fra  Benedetto  Passafiume,  osservava 
già  TAuria  di  non  trovarsi  il  passo  in  quistione  (2).  E  circa  al 
geografo  ed  astronomo  alessandrino,  egli  ha  realmente  fatto  me- 
moria di  Cefalù  (3). 

Questa  città  ha  pure  la  propria  numismatica,  ed  è  a  ricordarsi 
fra  le  altre  sue  medaglie  quella  degli  Eracleoti.  Oltre  i  tipi  di 
Bacco  e  di  Apollo,  recano  le  monete  cefalutane  quello  di  Ercole 
colla  testa  dell'eroe  da  un  lato,  e  nel  rovescio  la  clava,  la  faretra 
e  la  pelle  del  leone.  Ercole  ebbe  un  culto  certamente  neir  an- 
tica Cefalù ,  ed  a  lui  è  consacrato  un  cippo  od  altare  rinve- 
nuto ivi  nell'aprile  1766 ,  e  pubblicato  poc' appresso  dal  Torre- 
muzza  (4). 

n  medesimo  antiquario  mise  anche  in  luce  un  piombo  greco 
del  Museo  di  San  Martino,  che  è  dei  tempi  della  cristiana  Cefalù. 
Esso  ha  da  un  latb  la  solita  formola  Kupie  Bot^eet  tù>  aw  Bo6Xtù^  e  dal- 
l' altro  'avo).,..  T7jpT)T....  ou  KE©aXT)Stow.  È  uuo  dei  molti  piombi  bizanti- 
ni, che  ha  serbato  la  Sicilia. 

Qui  verrebbe  il  parlare  della  Sede  Vescovile  di  Cefalù  nei  tempi 
bizantini  e  musulmani.  Ma  noi  contenti  di  semplici  accenni  non 
ce  ne  occuperemo.  Certo  che  Tanno  869  la  città  aveva  un  Ve- 
scovo. Infatti  nel  Concilio  ecumenico  Vili,  IV  di  Costantinopoli , 


(1)  V.  Scinà  /  Frammenti  della  Gastronomia  di  Areheslralo,   Pai.  1823,  testo  e 
tradazione.  Il  frammento  citato  è  presso  Ateneo  VII,  302  a. 

(2)  Op.  eit.  p.  4. 

(3)  Geogr.  DI,  4.  3. 

«  (4;  Sic.  Inter,  GÌ.  I.  n.  i3.  Veggasi  C.  Inter.  Gr.  ^92.  Questo  cippo  è  mutilo  so- 
pra. Le  tre  parole  della  base  sono  edite  da  Gualterio  Ant.  tabb.  SicU,  eet,  pag.  46, 
n.  296,  da  Muratori  t.  lU,  p.  1747,  12.,  da  Torremozza  ci.  XIV.  n.  138.,  nel  C. 

/  fwcr.  Gr.  n.  5593. 


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328  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGII4ANE 

tenuto  contro  lo  scismatico  Fozio.e  Gregorio  Asbesta  Vescovo  di 
Siracusa  in  favore  di  S.  Ignazio  patriarca  greco,  trovasi  interve- 
nire all'Azione  IH  un  Niceta  Vescovo  di  CefeJù,  Niceta  deo  ami- 
cissimo episcopo  Cephaludis  (1) ,  come  altresì  nell'Azione  IV  (2) 
e  nell'Azione  X  (3).  Dippiù  nella  Disposizione  dell'Imperatore 
Leone  il  Sapiente,  trovasi  questo  Vescovo  di  Cefaledio  soggetto  al 
metropolitano  di  Siracusa  (4).  Non  si  può  dunque  ricusare  alla  città 
la  sede  Vescovile  innanzi  ai  tempi  Normanni  (5). 

Cefalù,  deUa  dagli  Arabi  Oefaludi  o  Scefaiùdi  (6),  decadde  cer- 
tamente sotto  la  loro  dominazione,  finché  non  riedificolla  Re  Rug- 
giero. Nell'837  i  Mttsulinani  l'assediarono,  ma,  resistendo  essa  per  la 
fortezza  del  sito,  le  giunsero  per  mare  rinforzi  bizantini,  onde  fu 
tolto  r  assedio  e  gì'  infedeli  ritrattisi  verso  Palermo  vi  riseppero 
la  morte  di  Ziadet-Allah  (7).  Ma  l'anno  858  si  arrese  ad  Abbàs- 
ibn-Fadhl,  che  reggeva  allora  la  Sicilia,  e  fu  distrutta,  rimanendo 
però  liberi  tutti  i  cittadini ,  il  che  non  consenti  Abbàs  alla  for- 
tezza di  Kasr-el-Gedtd  (Castel  Nuovo)  o  Kasr-el-Hedid  (Castello  del 
Ferro)  che  sarebbe  Gagliano  secondo  l' illustre  Amari,  neppur  colla 
taglia  di  15  mila  dinar  (8).  Neil'  860  il  medesimo  Abb&s  sbaragliò 
presso  Cefalù  un  altro  esercito  bizantino,  che  probabilmente  mar- 
ciava lungo  la  costiera  settentrionale  sopra  Palermo  (9).  Abu-Ali- 
Hasan,  che  scrisse  verso  il  1050 ,  lasciò  detto ,  che  Cefalù  fosse 
città  forte ,  guardata  da  un  castello  sovra  alta  rupe  a  cavaliere 
della  spiaggia  (10). 


(I)  Mansi  Sacrar .  Conciliar,  nova  et  ampligs.  coUectio  tom.  XVI  Ven.  i77i.  pa- 
gina 44. 
(S)  Ivi  pag.  54. 

(3)  Wi  pag.  159. 

(4)  Insieme  còlle  sedi  di  Taormina,  Messina,  Termini,  Palermo,  Trapani,  Lilibeo, 
Triocala,  Girgenti;  Tindari,  Lentini,  Alesa,  Malta  e  Lipari. 

(5)  Niceta  è  stalo  menzionato  dall*  ab.  D.  Vincenxo  Tortoreti  in  un  suo  Discorso 
citato  dair  Auria  a  pag.  41  e  sUmpato  in  Madrid  nel  1633,  là  dove  dice:  De  la  Ce- 
faludente  aimas  noticia,  jmet  duella  tenemos  en  la  oclava  tynodo  expreua  menlion, 
donde  ie  firma  Niceta  Obìspo  Gcfaliilano. 

(d;  Ibn-eUAlhir,  estratti  nella  Bibliot,  Arabo-Sic.  dell*  Amari  pag.  2i7.  Edrisi 
Geogr, 

(7)  V.  Amari  Si.  dei  Mutulm.  I,  307-9. 

(8)  Op.  eit.  U,  327. 
(^  Op.  di.  II,  335. 

(10)  I  frammenti  di  Abu-Ali  e  d'Ibn-Kallà*  furono  conservali  da  lakùt,  che  ne 
228  pubblicò  il  Mo^gefn-el'Boldànt  ossia  diiionario  geografico,  di  cui  è  un  com-l 


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BRANO  DI  UN  CODICE  GE^ALUTANO  329 

In  una  casa  privata,  nella  parte  più  bassa  dèlia  città,  si  possono 
appena  vedere  gli  avanzi  di  un  bagno  con  resti  d^iscrizioni  arabe 
nelle  colonne.  Nel  detto  castello  poi,  di  accesso  difficile,  che  corona 
la  sommità  del  promontorio ,  fu  confinalo  Carlo  lo  Zoppo ,  allora 
Prìncipe  di  Salerno,  quando  fu  preso  da  Ruggiero  Loria  nella  vit- 
toria navale  del  golfo  di  Napoli  al  1284.  Quindici  *anni  più  tardi, 
vi  si  rinchiudea  suo  figlio  Filippo,  Principe  di  Taranto,  preso  da 
Federico  II  éi  Sicilia  nella  battaglia  della  Falconarìa  cosi  celebre 
nelle  guerre  del  Vespro. 

Continua)  Sag.  IsmoRo  Carini 


pendio  il  Meràtid-ei-Iliitét  pubblicato  a  Leyda  dal  prof.  laynboll.  Per  Cefalù  vedi 
il  Mo'gem  e  il  Meràsid  nella  Bibl.  Arabo- Sieula  p.  ili  e  iS8  del  testo,  e  la  Storia 
dell*  Amari  II,  437.  Essa  è  fra  i  nomi  dì  città  notati  nel  Mo'gem,  mentre  le  terre 
minori  son  distinte  coi  nomi  di  bdedi^  boleida.  kalà\  1uT\a\  dhia\  V.  Amari  slesso 
11,  431-4.   ' 


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CANZONE 


Al  chiarissimo  prof.  Letterio  Usio-Bnino 

Messina 


AnUco  Carissimo 

Frugando  e  rifrugando  i  Codici  della  Biblioteca  Laorenziana , 
mi  venne  sott'  occhio  una  bizzarra  Ganzarne ,  che  reputo  inedita, 
antichissima ,  senza  fallo  siciliana  e  proprio  messinese.  L' origi- 
nale della  stessa  è  posto  nel  pluteo  42 ,  Cod.  32 ,  p.  29  retro , 
giusto  in  seguito  della  famosa  Canzone  di  Lisabetta  messinese 
ancor  essa ,  ricordata  dal  Boccaccio  e  di  cui  riferisce  soltanto  il 
primo  Terso  nella  Giornata  4*  Novella  5*  che  ho  pubblicata  nella 
sua  vera  lezione  (1).  Pertanto  a  voi  intitolo  la  presente  Canzone, 
e  vi  appartiene  per  dritto  di  cittadinanza. 

È  siciliana  per  le  forme,  la  frase,  la  flsonomia;  e  chi  ha  con- 
suetudine con  sifatti  studìi,  se  ne  accorge  alla  prima  lettura;  come 
noi  distinguiamo  nel  continente  il  siciliano  alla  pronunzia,  alPaspet- 
to.  Lo  è  perchè  sono  connesse  a  catena  le  nove  stanze  dì  cui  si 
compone,  come  quasi  tutti  i  nostri  canti  di  lungo  flato.  Ed  autentica 
meglio  la  sua  origine,  V  esservi  adoperati  vocaboli  deir  intutto  in- 
sulari, quali  sono,  a  non  andar  pel  sottile,  addimorare,  anticristOy 
scorsoney  tortagnCy  giugnetto^  bruca^  pizzo,  sJtraglia,  malvizzo,  rizzo 
ecc.  La  fa  sospettare  messinese  V  èssere  trascritta  dopo  quella  di 
Lisabetta,  e  ciò  conferma  indubitatamente  il  verso 

Che  annegato  sia  nel  Faro. 
La  reputo  antichissima,  meno  per  essere  inserita  in  un  Co- 
dice del  1300,  e  perciò  cognita  e  divulgata  anteriormente  in  To- 
scana; ma  vieppiù  per  la  patina  arcaica  di  cui  s' informa ,  simile 
a  quella  delle  nostre  monete  greco-sicole.  Il  Prati,  che  sta  come 
sole  su  tutti  i  linguai,  la  giudica  del  1100  :  io  la  ritengo  coeva 
0  di  poco  posteriore  a  quella  di' Giulio  d'Alcamo. 

(1)  Ntiore  Effemeridi  Siciliane,  .  __  ^ 


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CANZONE  331 

Nata  a  Messina ,  al  pari  della  Canzone  di  Lisabetta ,  fé  il  giro 
della  Sicilia  e  della  terraferma  italiana,  variata,  lacera  e  corrotta 
trapassando  da  una  in  altra  regione  della  penisola,  da  una  in  altra 
bocca,  e  da  ultimo  dettata  a  chi  la  scrisse  mutila  e  guasta,  non 
meno  del  passionato  lamento  della  misera  Lisabetta.  In  questo 
stato  io  la  trovo,  e  rispettandola  come  sacra  reliquia,  ho  appena 
osato  qua  e  là  ritoccarla,  studiandomi  restituirle  la  originaria  sem- 
bianza. Nelle'  note  ho  dato  ragione  de^  restauri,  e  spiega  de^  passi 
e  vocaboli  oscuri.  A  dire  il  vero  la  ritengo  incompiuta ,  ma  chi 
ardirebbe  aggiungervi  una  strofe  di  chiusa?  Non  io  di  certo. 

Avendo  richiamato  alla  memoria  le  opere  de^  sette  secoU  del 
nostro  Parnaso ,  non  ho  ricordato  un  Canto  congenere.  Molti  ne 
abbiamo  nei  quali  V  innamorato  desidera  la  morte  del  coniuge 
della  donna  amata  :  molti  di  veneficii  ed-incantesimi  a  cominciare 
da  Teocrito;  ma  che  ve  ne  siano  di  strana  anzi  impossibile  ese- 
cuzione, con  intreccio  di  esseri  inesistenti,  mi  è  ignoto.  È  un  in- 
ganno, uno  scherzo  del  poeta  ?  Indovinala  grillo.  Non  sono  io  l'E- 
dipo di  questa  sfinge.  Ve  la  dò  come  la  trovo. 

Vi  avverto  che  le  parole  corsive  sono  da  me  aggiunte  o  va- 
riate ad  integrare  il  verso  o  la  rima,  e  i  versi  segnati  d' asterisco 
sono  slati  da  me  modificati  ad  accrescerne  la  chiarezza. 

State  sano  e  credetemi 

Aci  20  Agosto  1870. 

L' Anteo  vo$tro 

L.  Vigo 

Bella,  ch'hai  lo  viso  chiaro  (1), 
Tal  marito  t' ha  Dio  dato 
L' alto  Dio  lo  ti  levasse  ! 
Che  annegato  sia  nel  Faro 
Chi  parola  pria  ne  trasse  (2) 

•  Se  vuoi  far  eh'  eslo  di  mora  (3) 

*  Questo  fa  senza  dimora  (4). 

.(ì)  In  Ciolk)  st.  11.  Donna  eoi  viso  deri, 

(2)  Chi  primo  parlò  di  questo  parentato.  Neil'  originale  si  leggo  :  Cki  parola  ne 
trasse,  ed  essendo  il  verso  manchevole,  vi  ho  supplito  quel  pria  per  compierlo  e 
rendere  il  senso  più  evidente. 

(3)  L*  originalo  dice:  Se  tu  vuo*  far  che  tinwra  :  è  un  non  senso,  perciò  ho  ten  • 
tato  restiluirio  alla  pristina  lezione. 

(k)  Neil*  originale  :  Ed  or  che  dimora;  errato  senza  fallo,  per  cui  ho  modificato  il 
verso  conte  si  vede. 


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NUOVE  EFFEMERIDI  SIQUANE 

Se  vuoi  far'  chiesto  di  mora 
La  faccia  di  quel  giudeo  (1),  . 
Guardalo  quando  va  fora, 
Dagli  dello  chamoleo  (2): 
Di  una  medicina  ancora 
Bella,  quanto  diraggio  eo; 
Per  Dio  prendi  osto  consiglio. 

Prendi,  oh  prendi  osto  consiglio. 
Bella,  se  questo  vuoi  fare. 
Prendi  Tala  di  un  coniglio. 
Che  sette  anni  aggia  a  volare, 
La  coda  di  un  volpiglio  (3), 
Che  sia  nato  a  mezzo  mare  (4), 
Non  addimorare,  —  o  bella  (8). 

Or  non  ci  addimorare,  o  bella: 
Se  vivo  io,  che  mora  quel  tristo. 
Dagli  della  rosolella  (6), 
La  fronda  di  un  anticristo  (7), 
E  d'un  somaro  la  sella, 
Che  giammai  non  fosse  visto 
Deb,  danne  al  tristo  —  raddobbato  (8). 


(1)  Faccia  di  giudeo.  La  voce  iudiu  o  giudiu  manca  in  UiUi  i  Doslri  dieci  voca- 
bolarii. 

(S)  Chamoleo t  è  lo  scamonio  de'  greci,  scamonea  degli  italiani ,  tcammónia  dei 
siciliani,  Convulfut  scamonia  di  Linneo ,  il    cai  racco  è  polentissimo  drastico. 

(3)  Neil*  originale  é  volpigno  per  manifesto  errore. 

(i)  Da  qui  cominciano  griudo^inelli,  scherii  o  aberranze ,  comunque  battezzare 
si  vogliono. 

(5)  Addimorare,'  pretto  siciliano,  indugiare,  perder  tempo, 

{^)  Rosolella,  per  rotella  o  roseella  frutto  del  corbezzolo. 

(7)  Antieritto,  pianta  montana,  ancor  oggi  cosi  chianutta  dopo  tanti  secoli.  I  bo- 
tanici qui  rbanno  battezzato  Daphne  laureola  che  comincia  a  vegetare  sull'  Etna 
da  Monte  Marzo  in  sopra,  o  Euphofbia  caracciat, 

(8)  Baddobbaio  è  termine  siciliano.  Deriva  da oddubòa  salsa  d'aglio,  pepe  e  acqua 
calda  usata  da'  contadini,  per  cui  addubbata  vale  nel  senso  proprio  sazio,  nel  tra- 
slato rivestito.  ViUan  rifatto.  Quindi  or  nel  proprio,  or  nel  figurato  abbiamo  ad- 
dubbamenlu,  addul}bateddu,  addubbalizzu,  addubbarisi,  addubbaziari,  e  il  pro- 
verbio 

E  n'  ha  manciatu  sta  vucca  pastizzi. 

Ora  si  addubba  a  pani  e  ramuraxzi. 

lìflddobbaio  in  italiano  è  termine  marinaresco  de'  calafati. 


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CANZONE  333 


Deh,  danne  al  tristo  raddobbato, 
Ch'è  cotanto  duro  e  forte; 
E  d^un  gambaro  lardato, 
Ch^  abbia  le  mascelle  torte 
Intanto  gli  uscirà  il  fiato: 
Bella,  se  questo  gli  apporto 
La  morte  —  avara  in  presente  (1). 

La  morte  avara  in  presente, 
Bella,  se  questo  gli  dono; 
Vagli  Pala  di  un  serpente 
Lo  fiele  di  uno  schorsone  (2), 
La  coda  di  uno  scorpione, 
D' uno  storione  —  pisce  (3). 

D'uno  storione  pisce  (4), 
Che  sia  nato  alla  montagna; 
Se  ti  secura  (8)  •in  tai  (6)  bisce, 
Che  appello  non  rimagna  (7) 


(I)  Avara.  Dal  verbo  avare  per  avere  S.  GaterÌD^  da  Siena  lett.  li.  «  Avarete  in 
pace  raqqaistali  li  figliaoli,  et  avarele  il  debito  vostro.  • 
(ì)  Sehortone,  voce  affiitlo  siciliana»  serpe,  scorzone. 

(3)  Piicie,  neir  originale  sta  peteie,  e  siccome  deve  rimare  con  bisce,  V  ho  modi- 
ficato alla  latina»  seguendo  V  oso  cornane  di  Sicilia  ove  si  pronunzia  fuei, 

(4)  Neir  originale  si  legge  SchorpUme,  evidente  errore  del  copista.  L'ho  restituito 
come  certo  lo  scrisse  il  poeta. 

(5>  Seeura,  v.  a.  usata  dal  Barberini,  dal  Guittone,  Passavanti  ec.  nel  senso  att. 
neut.  ass.  e  pass.  Qui  vale  se  ti  assicuri  o  ti  giovi  di  questa  biscia  ,  cioò  del  ser- 
pente, dello  scorsone,  dello  scorpione  ec.  come  ti  ho  consigliato,  tuo  marito  morrà 
senza  speranza  di  riparo,  appelh, 

((()  Neiroriginale  sembra  leggersi  ial;  ma  ò  evidente  che  la  ^  è  una  t  male  scritta 
perchè  altrimenti  non  potrebbe*  concordare  col  plurale  bisce. 

(7)  Rimagna  per  rimanga,  come  in  Dante 

Alior  lo  presi  por  la  cuticagna, 
B  dissi  converrà  che  tu  ti  nomi, 
0  che  capei  qui  su  non  ti  rimagoa.  Inf.  32,  97. 

Tanto  dice  di  farmi  sua  compagna, 
Gh'  io  sarò  là  dove  fia  Beatrice  : 
Quivi  convien  che  senza  lui  rimagna.  Purg.  23,  ii7. 

2i 


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334  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANB 

D'una  tortagna  — (1)  di  lattuca  (2), 
*  E',  guai  a  chi  ilia  duca  (3). 

D'una  tortagna  di  lattuca, 
Che  sia  nata  di  giugnetto  (4), 
Radicata  di  una  bruca  (5) 
Pampane  tre  di  ulivetto, 
Ed  uno  moschetto  —  (6)  e  due  ova, 
E  guai  che  lui  trova. 

Ed  uno  moschetto  e  due  ova, 
Chi  sie  nato  senza  pizzo  (7), 
Una  straglia  (8)  che  lo  strozzi, 
La  coda  dì  un  malvizzo  (9) 
E  uno  (40)  rizzo  — (11)  di  caniglia 
E  guai  che  lui  piglia 
Ma  d' un  (12)  rizzo  di  caniglia  (13). 

(I)  Turtagna,  manca  in  Mortiilaro  e  in  Rocca,  corda  di  vìmini  o  sarmenti  o  al- 
tra pianta  verde.  Nota  la  rima  al  mezzo>  ripetuta  nella  stanza  seguente— Probabil- 
mente qui  il  senso  è  monco  pel  difetto  di  un  verso,  che  io  non  oso  supplire. 

(S)  Neiroriginale  si  legge  lattugha  ,  e  dopo  dugha  e  siccome  rimano  con  tnruca 
li  ho  ricatti  aUa  giusta  ortografia. 

(3)  Ho  variato  lievemente  il  versa  per  renderlo  più  intelligibile.  Neil*  originale 
sta  scritto  :  E  guai  eh*  illa  àagha.  Guai  chi  la  porti,  dal  latino  ducere. 

{h)  Giugnelto,  voce  insulare  per  luglio,  onde  il  proverbio  * 
Giugnettu,  la  fauci  'n  petta. 

(5)  Bruca,  Tamarix  galliea,  in  iuliano  Tamarice. 

(6)  Moschetto,  anche  qui  e'  è  la  rima  in  mezzo. 

(7)  Pizzo,  becco.  Il  proverbio  dice  :  Pari  a  lu  pizza  ca  ò  marvizzu.  Leggasi  nella 
viu  di  Gola  di  Rienzo  p.  29,  Firenze,  Le  Moniiier,  1854  : 

•  Una  bella  palomba  bianca  tenea  nel  sao  pizzo  una  corona  di  mortella  ».  Da 
qui  per  similitudine  alle  terre  sporgenti  dicesi  pizzo,  perciò  Pizzo  Falcone  a  Na- 
poli, Pizzo  di  Calabria,  e  in  siciliano  pelra  pizzuta. 

(S)  Straglia,  in  siciliano  direbbesi  slragghia,  forse  è  1*  etiuM  di  ilrangulari,  ma 
oggi  questa  voce  non  è  in  uso. 

(9)  Malvizzo,  uccello  di  passo,  cbe  i  vocabolari!  fhnno  sinonimo  di  tordo,  men- 
tre tra  essi  sono  assai  differenti. 

(IG)  Ed  uno,  in  questo  verso  e  neirnltimo  per  ragion  del  metro  ho  levato  qui  la 
d,  air  ed;  e  li  Vo  all' uno. 

(li)  Rizzo,  nome  insulare  del  riccio,  echinus  terveziris  Linn.  Qui  probabilmente 
l'autore  intendea  alludere  alla  pelle  del  riccio,  della  quale  si  servono  le  tessitrici 
come  di  spazzola  per  nettare  i  fili  della  tela  posti  in  telaio  dopo  di  averli  rammor- 
biditi colla  bozzina. 

(12>  V.  nota  29. 

(13)  Caniglia,  crusca. 


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TAVOLA  CRONOLOGICt 

DI 

PITTORI,   SCULTORI   E   ARCHITETTI 

SICILIANI  0  DIMORANTI  IN  SICIUA 
DAL  SÉGOLO   XII  AL  XVIII 

(i) 


Secolo  Patria  Nato      Fiori      Morte 

XII.  M.ro  Pietro  (Dipi,  di  Gugliel- 

mo  II  di  concessione  alia  Ch. 

di  Morr.) 1176 

XIII.  Antonio  d'Antonio    ....  Messina        .  .  1267 

XIV.  Camulio  Bartolom.    .....  Palermo        .  .  1347 

»    D'Antonio  Jacopello.    .    .    .  Messina        .  .  1400 

XV.  Maggio  (di)  Nicolò 1402 

»    Miranda  Francesco,  lavora  di 

tarsia  con  flg.  sulla  porla  del 

Duomo 1452 

»    Laurano  Francesco  in  Paler- 


({)  De'  mss.  di  diversa  materia  lasciati  dal  prof.  Melchior  Galeotti ,  l'autore  del 
bel  libro  intorno  ad  Antonio  Gagini  e  la  sua  scuola,  abbiamo  avuto  questa  Tavola 
cronologica  e  queste  Notizie ,  che  con  piacere  pubblichiamo  nel  nostro  periodico  , 
cosi  come  le  abbiamo  trovate;  dolenti  che  l'autore  non  potè  compire  almeno  la  storia 
della  Pittura  in  Sicilia,  che  aveva  già  dieci  anni  addietro  cominciata  a  scrivere  e  a 
pubblicare  in  forma  di  lettere  al  ch.  prof.  Ippolito  Topin,  scrittore  anch'esso,  ben- 
ché straniero,,  di  un  saggio  di  storia  della  pittura  in  Sicilia;  della  quale  storia  dal 
Galeotti  intrapresa  non  restò  ohe  solamente  la  lettera  i*,  pubblicata  qui  in  Sicilia 
nel  Gioenio  di  Catania,  e  nella  Religione  e  Patria  di  Palermo,  e  in  Francia,  ove  fu 
tradotta,  nella  Tribune  arttsiique  et  littéraire  du  Midi,  IV  annèe,  4860,  n.  K,  6  e  7. 

Questa  Tavola  A  di  data  certamente  anteriore  agli  studi  dell'  autore  sul  Gagini  e 
la  sua  Scuola,  che  altrimenti  sarebbe  slata  più  completa,  e  senza  lacuna  di  altri  no- 
stri artisti;  e  cosi  le  Notizie  sono  pure  del  tempo  stesso  che  era  compilata  questa 
Tavola,  ma  sarebbero  assai  importanti  ove  non  si  avesse  il  solo  secolo  XVII ,  ma 
tutti  i  secoli  a  cominciare  dal  secolo  XII. 

In  altra  dispensa  pubblicheremo  altra  Tavola  cronologica  e  illustrativa  de'  Pittori 
Messinesi  particolarmente,  compilata  sulle  Memorie  di  M.  Grano. 

/  Compilatori 


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336  NUOVE  EFFEMERIDI  SiaUANE 

Secolo  Patria  Nato  Fiori       Morte 

mo.  (scultore,  sue  statue).  .  Venezia       .  .  1460 

XV.  Oliva  Pietro Messina        .  .  1491      .  . 

»  Riccardo.^,  tavola  di  S.  Pie- 
tro e  P.  con  soscr.  in  S.  Pie- 
tro la  Bagnara 1494     .  . 

i    D'Antonio  Salvatore.    .    .    .  Messina 

i    Panico  Maestro  (de)  sua  tavola 

di  S.  Alberto  nella  compagnia 1412 

i    Antonello  da  Messina    .    .    .  Messina        .  .  1470 

•    Pino  da...." Messina        .  .  1474      .  . 

i  Chiana  (de  la)  Bartolommeo  , 
scultore  in  manni,pila  d'aqua- 
santa  nella  parrocchia  di  S. 

Giacomo 1460     .  . 

»    Cascetta,  Salvo,,  architetto 14S8      .  . 

1»  Gambara  Antonio  sctUt.  Porta 
di  marmo  meridion.  del  Duo- 
mo      1432 

Crescenzio  Antonio 1440 

Vigilia  Tommaso Palermo       .  .  1475 

XVI.  Desaliba  Antonio Messina        .  .  1508 

Franco  Alfonso    «    .    .    .    .  Messina      1406  1520 

Alibrando  Girolamo  ....  Messina      1470  1519    1524 
Sesto  (da)  Cesare,  (passò  molti 

anni  in  Messina)     .    •    .    .Milano  1514y.l524 

Antonio  (d')  Salvo    ....  Messina        .  .  1511    1525 

Arzo  (dO  Tommaso   ....  Messina        .  .  1516      .  . 

Ruzzoloni  Pietra Palermo       .  .  1518     .  . 

Anemolo  Vincenzo   ....  Palermo       .  .  1527  d.  1542 
Caldara  Polidoro ,  fondatore  (  Caravag- 
della  scuola  ec.  in  Messina  .  (     gio        1493  1528 1543-5 
Palermo  (da)  Antonio  .    .    .  Palermo       .  .  1528 
Italiani  frat.  Paolo  e  Giovan- 
ni, pittori  in  Palermo.    .    .  Genova        .  .  1521 

Gagini  Antonio v.  1480  1503    1^36 

Gagini  Vinc.  ag.  del  pred 15....    1595 

Gagini  Domenico     1564 

Del  Duca  Giacomo   ....  Palermo       .  .  1571 


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TAVOLA  CRONOLOGICA  DI  PITTORI,  ECC.  337 

Secolo  Patria  Nato      Fiori       Morte 

XVI.  Guinaccia  Ofeodati  (visse  in 
Messina  e  fu  scolare  di  Po- 
lidoro)   Napoli  .  .      1851      .  . 

Riccio  Mariano,  scolare  di  Po- 
lidoro   ........  Messina      1810     .  . 

Del  Duca  Ludovico  ,  fratello 
di  Giacomo,  celebre  nel  get- 
tar bronzi Palermo       

Sichichi  Ludovico     ....  Erico  .  .      1870 

Scudaniglio  Annibale,  sculto- 
re      Trapani        .  .      1882      .  . 

Potenzano  Frane,  (credesi  sco- 
lare di  Anemolo) 1880 

Mosca  Giulio  scoi.  delPAnem 1898 

Bruno   Francesco    ....  Palermo       .  .      1891 

Laureti   Tommaso    ....  Palermo 

Zaccarella  Francesco  e  Cur- 
zio suo  figlio,  Arch.  Mess.      Messinesi      .  .      1588 

Giordano  Stefano ,  scolare  di 
Polidoro 18il      .  . 

Volpe  (della)  Fr.  Gabriele 1833     ,  . 

Vignerìo  Giacomo,  scolare  di                             1882     .  . 
Polidoro Messina        

lazzaro  Alfonso ,  scolare  di- 
Polidoro     Messina        

Riccio  Mariano,  scolare  di  Po- 
lidoro     1810     .  . 

Riccio  Antonello,figlio  del  pre- 
cedente e  di  lui  scolare 1891 

Anna  (d')  Stefano    ....  Messina        .  .      1590 

Rafb  Pietro ,  polidorista   .    .  Messina        .  .      1560 

Dalliotta  Bened.,  polidorista  .  Messina        .  .      156i 

St....  Giangiacomo  •  .    .    .    .  Messina        .  .      1591 

Napoli  (di)  Cesare    ....  Messina       1550    1582 

Saltamacchia  Placido 1595      .  . 

Bramò  Paolo Palermo       .  .      1589 

Spalletta  Fr.  Nicolò  ....  Caccamo       .  .      1626      .  . 

Wolbrek  Simone,  stabilito  in 
Palermo Olanda         .  .      1585 


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338 


NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 


Secolo  Palria 

XVI.  Calameck  Lorenzo  (chiamato 

dal  Senato  di  Messina)    .    .  Italia 

Angusciola  Sofonisba  (In  Pa- 
lermo maritata  con  Fabrizio 
Moncada) Cremona 

Fondulo  Gio.  Paolo ,  stabilito 
a  Palermo Cremona 

Maflfei  Giov.  e  Nic.   figlio 

Montorsoli  fr.  Agnolo  e  Mar- 
tino, vennero  in  Messina 

Calamech  Andrea  ,  scultore  e 
architetto Carrara 

Cardino  Francesco    ....  Messina 

Paladino  Filippo  ,  venne  e 
mori  in  Sicilia Firenze 

Albina  Gius,  detto  il  Sozzo  .  Palermo 

Wierix  incisore 

Bagolino  Sebastiano     .    .    .  Alcamo 

XVII.  Mirabella  Niccolò     ....  Nicosia 
Salerno  Gius.  d.  Zoppo  di  G.  Cangi 
Camarda  Gaspare     ....  Messina 
Asaro  Pietro  d.   il  monocolo  )Regal- 

di  Regalmuto )muto 

Forte  La  Manna  Giov.     .    .  Calascib* 
Catalano  Antonio   d.  rAnt.%..  Messina 
Albina  Pietro ,  f.  di  Gius.    .  Palermo 
Rodriquez  Alonzo     ....  Messina 
Caravaggio  Michelang.  slette  )  Caravag- 

molto  in  Sicilia )    (fio 

Mennitì    Mario Siracusa 

Novelli  Pier  Antonio,  padre 

del  Morrealese Morreale 

Carrera  Vito Trapani 

Novelli  Pietro  d.  il  morrealese  Morreale 
Comande  Simone  Frane,  di  lui 

fratello Messina 

Nero  (lo)  Frane,  ine.  arch.    .  Caltagir. 
Barbalunga  Antonio ....  Messina 
Catalano  Antonio  41  giovine,  fi- 


Nato  Fiori  Morte 

.  .  1570  .  . 

1535  15....  1602 

.  .  1573  .  . 


1547  1564 

1550   .  . 
1599 


1554   .  .  1614 

1584  1611 

1543  .  . 

1597  1610 

1600  .  . 

1600  .  . 

1606  1655 

1597  1617  .  . 

.  .   1605  .  . 

1560   .  .  1630 

.  .  1626 

1578   .  .  1648 


1577 


1609 
1640 


.  .   1624 

1607  1631 

1603  1639  1647 


1588 


1600 


1634 
1653 
1649 


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TAVOLA  CRONOLOGICA  DI  PITTORI,  ECC. 


339 


Secolo  Palria 

glio  del  sopradelto.    .    .    .  Messina 
XVII.  Rodriquez  Luigi,  fratello  di  A- 

lonzo Messina 

Carrega  Andrea Trapani 

Asturino  Gerardo Palermo 

Cozza  Francesco .  .  .  .  .  Palermo 
Smiriglio  Mariano  ....  Palermo 
Barbera  (la)  Vincenzo .  .  .  Termini 
Costantino  Placido  ....  Messina 
Loverde  Giacomo  ....  Trapani 
Paler.  (da)  Fr.  Domenico  Magri  Palermo 
Anselmo  (d')  Carlo  ....  Palermo 

Giannotti  Biagio Messina 

Guagliata  G.  B Messina 

Casembrot  Abramo  ,   (  tenne 

scuola  in  Messina)  ....  Olanda 
Durand  G.  B.  in  Messina  .    .  Borgogna 

Marcii  Domenico Messina 

Pulegio  Antonino Messina 

Tuccari  Antonio Messina  * 

Suppa  Andrea Messina 

Scilla  Giovanni    .  ' .    .    .    .  Messina 

Gaetano  Antonio Messina 

Guargena  Domenico ....  Messina 

Fulco  Giovanni Messina 

Mirelli  Ant.     .    .    .  • 

Beva  Antonio 

Van  Houbracken    Giovan.  in 

Messina 

Tocino  Ant 

Fiorenza  Pietro Palermo 

Lasso  Giulio  arch.   in  Pai.   .  Roma 

Pò  (del)  Pietro Palermo 

Pò  (del)  Teresa,  fig.  di  P.  .  Palermo 
Abbadessa  (P)  Pietro.    .    .    .  Catania 

Vallelunga  Giov Palermo 

Aprile  Carlo  scultore  •  .  .  Palermo 
Guercio  Vincenzo  scultore  .  Palermo 
Travaglia  Giov.  scul.    .    .    .  Palermo 


Messina 


Fiandra 


Nato      Fiori        Morie 

1585   .  .   1666 


1585 


1606 


1677 

1625  1663 

.  .  1682 

.  .  1636 

1624 

1630  .  . 

.  .  1687 


.  •  1689 

1618  .  . 

1603   .  .  1674 

1670 

.  .   1650  .  . 

1612   .  .  1676 

1600   .  .  1689 

1620   .  .  1660 

1628  .  .  1671 

1629  1667  1700 

1630  .  .  1700 
1610  .  .  1663 
1605  1672  .  . 

.  -   1667  .  . 

.  .   1669  1701 

.  .   1640  .  . 

.  .   1640  .  . 

.  .   1652  ,  . 

.  .   1620  .  . 

1610   .  .  1692 

.  .   1689  .  . 

.  .   1640  .  . 
.  .   1639 
1661 

.  .   1673  .  . 


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340 


NUOVE  EFFKMBBIDI  SICIUANE 


Secolo  Patria 

XVn.  Anello  Ant.  scultore.  .  .  .  Palermo 
Guercio  Gaspare ,  t  di  Vin. .  Palermo 
Rollo  Ant.  scultore  ....  Trapani 

Cimino  G.  B Palermo 

Certo  Bonavent.  arch.  .    .    .  Messina 

Ardoino  Anna Messina 

Bòsio  Gaetano  arch 

Papaleo  Pietro  scul.  .  .  .  Palermo 
Aquila  (dO  Carlo  scultore.  .  Palermo 
Amato  Giacomo  arch.  .  .  .  Palermo 
Lunghi  Martino  architetto,  (fu 

in  Sicilia  e  Napoli).    .    ...  Milano 

Marchese  Vincenzo 

Paglia  Fr.  Luigi,  domenicano 

Pinna  Frane,  architetto.    .    .  Trapani 

La  Mattina  Nunzio  scul 

Tedeschi  Greg.  scul 

Mottone....  architetto 

G(mtini....  architetto 

Vaccarini....  architetto 

Aquila  Pietro Palermo 

Aquila  Fr.   Faraone  ,  fratello 

di  Pietro Palermo 

Ivara  Filippo   .    .    .   t.    .    .  Messina 

Calandrucci  Giac Palermo 

Giannetti  Filippo Messina 

Gabriele  Onofrio Messina 

€omo  (da)  fr.  Emman.  .    .    .  Como 
Monaco  (lo)  Gristof. ....  Messina 

Falce  (la)  Antonio Messina 

Geli  Placido Messina 

BalesUiero  Giuseppe    .    .    .  Messina 
Madiona  Antonio .....  Siracusa 
Grano  Antonino Palermo 


Nato     Fion  Morte 
1671 

1673  .  . 

l6Si  .  . 

1690  .  . 

1660  .  . 

1697  .  . 


1632  1695  1718 

.  .   1655  .  . 

1643  1670  1752 

.  .  1651 

.  .  1718 

.  .   1674  .  . 

1659  1660 


1653 


,  , 

1691 

,  , 

1685 

,  , 

1735 

1660 

1695 

1707 
1702 

1616 

1706 

1701 

•  • 

1712 

,  , 

1710 

•  • 

1709 

1654 

1719 

,  , 

1 

682 

1718 

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TAVOLA    CRONOLOGICA  DI  PriTORI,   ECC.  341 

NOTIZIE 

SECOLO  XVll. 

Andrea  Oarrey a.  -^  Nel  principio  del  secolo  XVII  nacque  in 
Trapani  da  onorati  ed  agiati  parenti.  Il  padre  suo  pensò  di  cre- 
scerlo nella  virtù  e  nelle  lettere.  Nel  ginnasio  dei  Gesuiti  studiò 
umane  lettere  e  filosofia.  Indi  neir  università  di  Catania  il  dritto, 
e  ne  ottenne  la  laurea  dottorale.  Morti  i  suoi  genitori,  abbandonò 
lo  studio  delle,  leggi,  e  diessi  alla  pittura,  per  la  quale  avea  sem- 
pre avuto  passione.  Dapprima  studiò  sotto  il  Novelli.  Poi  andò  a 
Roma  e  scelse  a  maestro  il  Wandick.  Non  tardò  a  rendersi  caro 
al  nAèstro  dipingendo  quadri  che  gli  erano  applaudili.  Molte  opere 
di  lui  sono  in  Trapani,  molte  si  sono  vendute  agli  stranieri. 

Poi  si  stabilì  in  Palermo,  ove  molto  dipinse  si  a  olio  che  a  fresco, 
e  ove  mori  nel  1677.  Fu  sepolto  in  S.  Giuseppe  de'  Teatini. 

Il  suo  fuoco  e  la  sua  vivacità  di  rado  gli  permettevano  di  dar 
finimento  a'  suoi  dipinti.  Ma  la  franchezza  e  naturalezza  del  suo 
pennello  lo  fan  riguardare  come  eccellente  pittore.  (FerrOy  Guida 
pag.439.)(Ma  le  sue  asserzioni  non  sono  appoggiate  a  documenti 
autorevoli). 

Andrea  Carrega  (dice  il  Mongitore)  dottore  in  ambe  le  Leggi, 
trapanese ,  tratto  dal  suo  naturale  genio  per  la  pittura  vi  si  ap- 
plicò talmente  che  riuscinne  egregio.  Visse  lungamente  in  Pa- 
lermo, ove  mori  nel  1672.  Dipinse  a  fresco  le  due  cappelle  del 
Sacramento  di  N.*  Sig.'  Libera  inferni  nel  nostro  Duomo  per  o- 
pera  deir  Arcivescovo  Lonzano  etc.  (Mss.  p.  406.  V.  Amato).  Cercò 
d' imitare  il  Novelli ,  ma  non  potè  raggiungere  il  gran  vigore  di 
quel  pennello,  specialmente  nella  finitezza  delle  teste  e  V  espres- 
sione delli  affetti.  Ad  ogni  modo  fu  egli  spiritoso  pittore,  bizzano, 
spedito;  concepiva  con  proprietà  le  sue  composizioni,  e  con  fran- 
chezza eseguivale.  È  celebre  in  Casteltermini  il  suo  quadro  di  San 
Giuseppe  air  altare  maggiore  della  sua  Chiesa.  Di  questo  quadro, 
come  di  Giuseppe  Paladino,  parla  il  Lanzi  con  elogio  t.  2.  Il  Lanzi 
dice  ancora  trovar  considerato  fra  i  valenf  uomini  di  queir  Isola 
il  Carrega,  e  crede  aver  dipinto  assai  per  privati  etc. 

Viocenso  lia  Barbiera  -*  Nato  in  Termini,  visse  nei  principi 
del  sec.  decimo  settimo.  Sono  sue  opere  in  Termini:  I  freschi 
nella  Casa  Comunale  del  1610,  raffiguranti  alcuni  avvenimenti  del- 


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342  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

1^  antica  storia  patria.  A  olio  un  deposto  di  Croce  nella  chiesa 
dei  Paolotti  ;  la  Nascita  di  H.  V.  nella  chiesa  della  Misericordia. 
La  Natività  nella  chiesa  di  s.  Giovanni  Battista.  Presso  i  Dome- 
nicani una  V.  SS.  che  prega  il  Divin  Figlio  a  non  scagliare  i  suoi 
fulmini  contro  quella  città  a  lui  devota. 

Paolo  Giudice  (Domenicano)  promette  di  stabilire  le  differenti 
epoche  di  due  pittori  Vincenzo  La  Barbiera  e  Giuseppe  Salerno  (p.2). 
La  Barbiera  in  Termini  sua  patria  lasciò  non  poche  opere,  le  quali 
ben  lo  assicurano  che  il  suo  nome  sorviverà  a  parecchi  secoli  (ivi). 
Argomenta  che  fosse  stato  discepolo  del  Domenichino  in  Napoli 
da  una  testa  di  s.  Antonio  Abate,  bellissima.  —  M^  mentre  la  Bar- 
biera operava  da  sporto  maestro  in  Sicilia  lo  Zampieri  avea  23 
anni,  né  ancora  avea  veduto  Napoli.  —  ^ 

•  La  Gloria  del  quadro  di  s.  Giovanni  Battista  (nella  sua  chiesa) 
è  cosi  ben  composta  e  colorita,  e  gli  angioletti  sono  sì  leggiadri  e 
vezzosi  che  ti  rammentano  il  fare  del  pittor  Bolognese.  E  più 
nella  tela  di  sanf  Anna,  che  dee  riputarsi  il  suo  capolavoro.  »  (In 
s.  Antonio  Abbate  di  Mussomeli).  Dòpo  averne  fatta  una  ininuta 
descrizione  soggiunse:  t  Ciò  che  in  questo  dipinto  è  degno  di  con- 
siderazione e  procaccia  al  La  Barbiera  il  nome  di  pittore,  è  la  di- 
sposizione artificiosa  delle  figure  che  nello  insieme  considerate 
fanno  un  bel  tutto ,  e  V  azione  di  ognuna  di  esse  poco  lascia  a 
desiderare  perchè  si  dicesse  perfetta.—  Né  in  questa  ha  saputo  sco- 
priie  la  menoma  pecca  —  •  (p.  3).  E  dopo  di  aver  rilevate  altre  bel- 
lezze prosieguo  :  •  Malgrado  questi  e  simili  pregi  che  adornano 
il  quadro,  hannovi  non  poche  mende,  alcune  delle  quali  all'in- 
gegno del  pittore  ,  altre  a'  suoi  studi ,  si  debbono  ascrivere. 
Della  prima  specie  sono  certa  timidezza  di  pennello,  poco  fecon- 
dità neir  inventare  e  colorire  debole:  della  seconda,  contorni  nin 
pò  trascurati  e  inesatti  sono  quelli  del  piccol  Gesù,  pieghe  troppo 
minute  e  fusione  di  colorii  spiacenti  •  (p.  4). 

Ecco  r artefice  che  nella  tela  di  sant'Anna  col  suo  comporre 
si  fa  presso  al  Domenichino! 

«  Nello  Sponsalizio  (iti  Termini  nella  chiesa  dell'Annunziata)  tra 
molte  figure  mal  disegnate  e  peggio  dipinte,  hanno  alcune  che 
innamorano  lo  spettatore.  Questa  strana  mescolanza  di  buono  e 
di  cattivo  in  una  medesima  pittura  mi  fa  sospettare  che  egli  si 
facesse  ajutare  da  qualche  discepolo,  osservandosi  in  certe  parti 
del  quadro  un  tocco  di  pennello  diverso  da  quello  del  pittor  ter- 
minese...  Chi  voglia  far  prova  di  tal  considerazione  guardi  la  volta 


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TAVOLA  CRONOLOGICA  DI  PITTORI,  ECC.  343 

della  Casa  comunale  di  Termini  ove  il  buono  accanto  al  cattivo 
chiaramente  si  scorge.  E  qui  giova  avvertire  che  appiè  di  vari 
quadri  trovasi  Vincenzo  La  Barbiera  inventore  e  sMntendea  di  essi 
ch^  ei  ne  fece  soltanto  gli  schizzi,  ma  furon  da  altri  nel  modo  più 
miserabile  dipinti  »  (p.  4). 

n  N.  A.  avea  si  da  principio  promesso  riconoscere  in  questo 
pittore  due  diflferenti  maniere.  La  prima  più  ampia ,  alquanto  li- 
bera, piacevole;  la  seconda  secca,  timida,  disgustosissima  (p.  2.) 
Ci  dica  ora  a  quale  delle  due  maniere  appartengono  le  opere  a 
olio  0  a  fresco  delle  quali  ha  ragionato.  Questo  noi  fa.  Dice  che 
quelli  della  prima  maniera  sono  dipinte  nel  principio  del  XYII 
secolo;  ma  non  sono  accennate  né  fatte  rilevare  con  le  date.  Del 
che  dovea  fare  diligente  ricerca.  Poi  dice:  •  Le  altre  lavorate  dopo 
il  16lo  sono  indegne  del  suo  nome.  •  Ma  quali  sono? 

Poi  dice  che  il  La  Barbiera  imitò  VAnemolo.  La  deposizione  del 
pittore  imerese  è  poco  più  che  una  copia  del  palermitano.  Si  ac- 
costò bene  air  originale  e  le  idee  da  lui  introdotte  (la  Madonna 
sorretta  dalle  altre  pie  femine)  nulla  pendono  in  paragone  delle 
imitate.  Nello  Sponsalizio  imitò  eziandio  TAnemolo  (p.  5.) 

Nulladimeno  (conchiude)  merita  onorato  seggio  in  mezzo  a  non 
pochi  pittori  che  precessero  una  stagione  più  gloriosa  per  la  si- 
ciliana dipintura  (p.  6.) 

B.  È  pregevole  per  la  vaghezza  del  colorito ,  correzion  df  di- 
segno e  robustezza  di  pennello.  Formossi  uno  stile  medio  tra 
quello  del  Caravaggio  e  del  Paladino.  Suoi  freschi  in  Termini 
del  1610: 

In  s.  Domenico  della  stessa  città  è  suo  il  s.  Cosmo  che  me- 
dica le  piaghe  ad  un  giovine,  colla  data  del  1612  e  il  suo  nome. 

Nel  1607  dipinse  un  s.  Giovanni  Battista  nella  Chiesa  di  detto 
santo  in  Termini,  pel  prezzo  di  onze  30. 

Nel  1624  erasi  stabilito  in  Palermo. 

Nel  1637  dipingeva  i  freschi  del  Reale  Archivio  del  Palazzo  in 
concorrenza  col  Novelli  per  ordine  del  Governo. 

Nel  1625  il  Senato  gli  fé  dipingere  il  s.  Agatone  nel  Duomo, 
che  è  ora  nella  sacrestia  per  dar  luogo  a  quello  di  Agostino  Bel- 
trano  Napolitano  del  1652. 

L'Amato  si  eontradice  asserendo  che  nel  1625  il  Senato  fece 
dipingere  il  s.  Agatone  all' Asturino. 

L'Amato  dice  che  nel  1679  il  Senato  fece  dipingere  la  santa 
Rosalia  pel  Duomo  al  La  Barbiera.  Ma  pare  incredibile ,  perchè 


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^ii  NOOYE  BFrEMfiBlOI  SIGIUANB 

in  tal' anno  il  piltore  contar  dovea  più  di  90  anni^  Vedi  Atnato. 

metro  Aquila  (Palermitano).  Di  onorata  e  civile  (amiglia  n. 
prima  della  metà  del  17o  secolo  con  un  genio  e  una  forte  indi- 
nazione  allo  stadio  delle  belle  arti.  E  sebbene  applicato  alle  letr 
tere,  per  avere  abbracciato  lo  stato  ecclesiastico,  e  giunto  anche  al 
sacerdozio,  non  lasciò  mai  di  studiare  profondamente  il  disegno  sotto 
la  direzione  di  Francesco  Lo  Nero^  non  ispregevole  incisore  in 
bulino,  e  dotto  in  geometria  e  in  meccanica.  Morto  costui,  Pietro 
gli  fece  il  ritratto  in  intaglio  (1653).  Andò  poi  a  compire  i  suoi 
studi  in  Roma ,  ove  presa  amicizia  col  Maratta ,  furongli  da  lui 
indicate  le  divine  pitture  di  RafiEaello  e  de'  Caraccio  e  s'ei  non 
volea  seguire  le  sfrenatezze  degli  artefici  di  quei  tempi,  consul- 
togli  di  studiarne  assiduamente  le  opere  e  il  carattere. 

Pietro  possedeva  bene  il  disegno;  e  cominciò  a  farsi  conoscere 
in  Roma  con  intagliare  all'acqua  forte  con  somma  esattezza  e  di- 
ligenza le  52  storie  delle  Logge  del  Vaticano  di  Raffaello  e  dei 
suoi  scolari.  Egli  pubblicò  quivi  questo  suo  lavoro  nel  1674  e  da 
Giov.  Giac.  de'  Rossi  ne  fu  fatta  la  dedica  a  Cristina  regina  di 
.Stvezia.  Intagliò  anche  molto  bene  e  in  più  grande  la  battaglia  di 
Costantino  di  Giulio  Romano^  che  vien  preferita  a  quelle  più  an- 
tiche del  Scall)ergio  dal  Perreyo  d' Anversa  e  da  altri.  «  Benché 
intagliata  da  molti  in  antico  (dice  M.  Bottarì),  la  intagliò  poi 
Pietro  Aquila  in  grande ,  ricavandola  dalla  pittura  ;  ed  è  una 
delle  maggiori  stampe  che  vada  in  giro,  ed  è  molto  bella  per  di- 
segno e  per  intaglio.  » 

Il  Cavallucci^  uno  dei  più  valenti  pittori  dei  giorni  nostri,  di- 
ceva in  Roma  al  Conte  Napione:  •  quanto  a  me  io  mi  attengo  ai 
e  contorni  dell'Aquila  a  preferenza  delle  più  famose  stampe  mo- 
•  derue  delle  Loggie  dì  Raffaello.  »  Ed  infatti  tenevale  apjpese  alle 
pareti  del  suo  stadio,  come  attesta  lo  stesso  Napione,  il  quale  os- 
serva bene  di  ciò  la  ragione,  perchè  P.  Aquila,  a  giudicio  del  Bai- 
dinucci  era  ancor  buon  pittore,  e  valente  disegnatore,  essendo  il 
disegno  la  base  fondamentale  di  tutte  le  arti  figurative  —  L'Aquila, 
dice  il  Bellori^  co'  suoi  disegni  ed  intagli  ha  arricchito  i  musei. 
Or  benché  in  Italia  fosse  più  rinomato  come  valente  incisore  in  rame 
che  come  pittore ,  lasciò  egli  tuttavia  moltisshne  opere  A  a  olio 
che  a  fresco  in  Sicilia  di  sommo  pregio  :  che  se-  i  dotti  viaggia- 
tori jie  tacciono,  la  ragione  è  quella  che  dice  il  Lanzi;  €  che  i  pa- 
lermitani, ove  capiti  un  forestiere  di  gusto  poco  altro  gli  additano 
che  le  opere  del  Novelli  •  (St.  pitt.  tom.  %)  Sono  suoi  i  due  quadroni 


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TAVOI^  CRONOLOGICA  Di'  PITTORI,   ECC.  3&5 

nelle  laterali  mura  dell'Altare  maggiore  della  Chiesa  della  Pietà. 
Uno  rappresenta  rincontro  del  figlio  prodigo  col  padre.  L'altro  Da- 
vidde-a  cavallo  cui  dà  i  pani  di  proposizione  il  SonMno  levita,  É  suo 
il  quadro  della  Morte  di  S.  Benedetto  nella  Chiesa  delle  Vergini. 
Il  S.  Gregorio  Magno  e  il  S.  Benedetto  nella  Chiesa  di  Monserrato. 
La  sua  maniera  è  tutta  Caracce^ca.  È  suo  il  fresco  della  volta  della 
Cappella  del  Rosario  in  Santa  Zita.  Trovansi  nelle  case  partico- 
lari vari  suoi  quadri  di  stanza,  e  molti  ne  ha  il  principe  di  Cutò, 
nella  cai  casa  l'Aquib  servi  da  secreianu, 

11  Bechi  letterato  fiorentino  che  illiistrù  questa  pinacoteca j  pro- 
testò di  non  aver  parlato  dei  dipìnti  delPA^tiiila,  nonché  di  qaello 
del  Maratti  e  del  Sennari ,  perchè  ìmìiienstL  Ma  credo  che  non 
Tide  opere  delTAquila,  e  se  le  vide  non  le  osservò  bene. 

In  Ti'apani  tiensi  pi-egiato  un  S.  Ludomm  Bertrando  delPAquìIa. 
Un  Figliuol  prodigo  nella  quadrerìa  sig.  Venuti  in  Trapani. 

Un  gentiluomo  palermitano  avea  deirAquita  la  Negazione  ili  San 
Pietro  in  casa  di  Gaifa  con  più  ligure  di  donne  e  di  soldati  di- 
pìnti a  lume  di  notte,  dinanzi  ad  un  braciere  con  accesi  carboni. 
Questo  quadro  fu  venduto  dal  possessore  per  tenue  somma  ad  un 
pittore,  che  lo  vendette  a  gran  prezzo  ad  un  francese  intendente 
di  pittura,  M.  T  Aquila  ne'  primi  anni  del  sec.  XVIIL 

I  II  buon  pittore  e  degno  Sacerdote  P.  Aquila  ha  intagliate  o- 
pere  di  Annibale  Caracci  nel  palazzo  Farnese  ,  dico  le  stupende 
pitture  della  Galleria  e  T  antiche  statue  che  per  entro  a'  portici 
sì  ammirano,  e  finalmente  opere  di  Giovanni  Lanfranco  negli  orti 
Borghesi ,  di  Pietro  da  Cortona  ne'  palazzi  di  casa  Sacchetti ,  ed 
altre  di  Giro  Ferri,  belle  invenzioni  di  Carlo  Maratta  ,  ed  anche 
sue  proprie  tutte  air  acqua  forte.  {ComÌm\  ^progrm.  dell'arte  di 
ìntagL  in  ratm.  Proem.  Firenze  1686  cap.  6), 

Teresa  del  Fo  (PakrmitamJ  Figlia  di  Pietro  e  sorella  dì  Già* 
corno.  Alcuni  la  dicono  Romana.  Colia  dii-ezione  del  padre  di- 
venne eccellente  nella  pittura  e  neirin tagliare  in  rame  io  Napoli, 
dove  visse  col  padre. 

VAh.  G.  B.  Paciehelli  nelle  memorie  dei  Viaggi  (p.  4,  T.  6) 
scrivendo  di  soggetti  illustri  che  viveano  in  Napoli  nel  !68o^  fra 
gli  altri  vi  annovera,  t  Pietro  del  Po  Siciliano  colla  llglia  Teresa' 
iuUJgIiatrice  all'acqua  forte.  *  E  nelle  Metmrie  Novelle  (p,  I,  pa^ 
gina  128)  scrive  una  lettera  a  Monsignor  Rallaele  Fabretti ,  nella 
quale  vanta  oltre  modo:  i  il  pennello,  pastello,  ago>  bulino  della 
sìgnoL-a  Teresa  del  Po  cittadina  e  accademica  Romana^  Gglia  e  so- 


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316  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

rella  dei  signori  Pietro  e  Giacomo,  soggetti  di  grido  primario  nel 
valore  pittorico.  Accoppia  ella  colla  morale  il  credito  delP  Arte 
che  con  miglior  sorte  però  avrebbe  a  ri  splendere  nel  pregio  dei 
talenti  fra  ciascun'altra.  I  suoi  Avori  si  vagamente  coloriti  son  cari 
ai  Sovrani.  Leggonsi  in  sua  casa  testimonianze  di  conto  d'inge- 
gni pellegrini  e  di  personaggi  più  chiari  in  Europa.  Valgono  i 
suoi  lavori  a  prestar  degno  ornamento  in  qualsiasi  Galleria;  sa- 
pendo ella  concepir  colla  mente  e  produr  colla  mano  sempre  fe- 
conde quantità  di  forme  tutte  vaghe  e  di  plauso  al  più  accorto 
giudicio.  Ella  merita  dai  Grandi  visite  onorarie  e  lodevoli  espres- 
sioni eziandio  dalle  metropoli  più  discoste.  »'  (Napoli,  20  otto- 
bre 1689).  Fin  qui  il  Pacichelli,  il  quale  erra  nel  dirla  Romana, 
se  pur  tale  non  la  voglia  perchè  ascritta  air  accademia  de'  pittori 
Romani.  Mongitore,  Mss.  p.  428. 

FraneMco  Aquila  Faraone  (Palermitano)  —  Nato  in  seconde 
nozze  dal  padre  di  Pietro  dopo  la  metà  del  XVII,  apprese  dal  fra- 
tello il  disegno  e  V  arte  d' intagliare  il  rame  a  bulino.  Con  esso 
in  Roma  studiò  le  migliori  opere,  e  divenne  non  inferiore  al  fra- 
tello nella  correzione  del  disegno  e  nella  eleganza  de'  contomi. 
Copiò  ed  espresse  col  bulino  le  Grazie  del  Correggio.  Due  sue 
stampe  sono  lodatissinie  di  due  quadri  di  queir  inarrivabile  arte- 
fice. La  prima  della  Vergine  sedente  col  bambino  in  camicia  che 
colla  destra  benedice,  e  tien  V  altra  mano  nella  sinistra  della  Ma- 
donna. V'é  in  lontananza  S.  Giuseppe  che  lavora.  Dedicò  questa 
stampa  a  G.  Pietro  Baglioni  nel  1691.  (Nota  al  tom.  V.  del  Va- 
sari, pag.  107). 

Un  altro  quadro  del  Correggio  intagliò  due  volte  Francesco  in 
una  carta  grande  e  in  una  piccola,  non  sulPoriginale  medesimo, 
ma  sopra  una  buona  copia  del  Carpi  (L' Assunzione  di  N.  D.). . 

Nella  Certosa  di  Pavia  oravi  del  Correggio  a  olio  una  V.  SS.  che 
mette  una  camicia  indosso  a  Cripto  fanciulletto,  che  ora  dicesi  an- 
dato in  Spagna.  Fu  esso  intagliato  in  rame  dal  nostro  Francesco. 
Sono  le  sue  opere  tenute  in  gran  pregio  in  tutte  le  raccolte  di 
stampe.  (Nota  al  t.  8**  del  Vas.  pag.  338). 

•  l  due  fratelli  Pietro  e  Francesco  Aquila  (dice  il  Milizia)  si 
contradistinsero  nella  fine  dello  scorso  secolo  nell'acqua  forte  nelle 
opere  di  Caracci  e  di  Maratta  >  benché,  secondo  il  suo  costume 
di  non  perdonare  a  ninno,  aggiunga  che  sono  rimproverati  di  ma- 
grezza. Di  che  né  il  Baldinucci,  né  il  Bottari,  né  alcun  altro  giam- 
mai gli  ha  incolpati. 


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TAVOLA  CAONOLOGIGA  DI  PITTOBI,   ECC.  347 

Oiacinto  Oalandmoci  —  Nato  in  Palermo  verso  il  1660  appli- 
cossi  al  disegno  sotto  la  disciplina  di  Andrea  Carrega^  il  quale  co- 
noscendo i  talenti  deir  allievo  e  compiacendosene,  da  lui,  ancor- 
ché giovinetto,  si  fece  ajutare  ne'  freschi  che  dipingeva  nella 
volta  della  gran  tribuna  di  s.  Giuseppe  dei  Teatini.  Sono  suo  la- 
voro alcune  sacre  storie,  accanto  a  quelle  più  vaste  del  suo  mae- 
stro. Morto  costui,  recossi  a  Roma  per  meglio  perfezionarsi  nel- 
r  arte.  Si  pose  sotto  il  Maratta,  e  die  prova  del  suo  valore,  arric- 
chendo dopo  il  1695  delle  sue  pitture  la  Chiesa  di  S.  Antonio  dei 
Portoghesi  (Vasi,  Itin.  istrut.  di  Roma  T.  2.) 

Fattosi  buon  nome  in  Roma  colle  sue  opere,  ne  giunse  il  grido 
alla  sua  patria,  e  richiesto  dalle  monache  del  Salvatore  d'un  gran 
quadro  di  santa  Rosalia,  lo  mandò  loro  da  Roma  nel  1703,  che 
fu  lodato  per  la  correzion  del  disegno,  per  la  vivacità  del  colo- 
rito, per  la  scelta  delle  forme  e  V  aria  delle  teste;  sicché  in  quel- 
la anno  medesimo  ne  fu  stampata  una  compiuta  relazione. 

Richiamato  alla  patria  dalle  istanze  de'  suoi  concittadini,  insieme 
con  G.  B.  suo  fratello,  venuto  seco  da  Roma,  dipinse  a  fresco  la 
volta  della  Compagnia  di  S.  Lorenzo.  Dipingeva  il  quadro  della 
Y.  SS.  del  Rifugio  quando  la  morte  lo  colse  nell'età  di  46  anni 
nel  1707. 

L'anzidetto  quadro  fu  finito  da  suo  fratello,  il  quale  nel  1704 
avea  ottenuta  dall'Accademia  di  Roma  il  premio  nella  seconda 
classe  de'  pittori. 

Giacinto  ò  lodato  dal  Crescimbeni  nella  sua  Arcadia,  lib.  4  pa- 
gina 143.  È  lodato  dal  Bellori  nella  Vita  del  Maratti. 

Melchior  Galbotti 


N.  B.  Nella  Lettera  T  al  sig^Topin' sulla  storia  della  pittura  in 
Sicilia,  il  Galeotti  ricorda  del  sec.  IX  un  Zaccaria  Cefo ,  vescovo 
di  Taormina,  pittore;  e  un  Joannellus  de  Brando^  forse  palermitano, 
che  dipingeva  una  tavola  della  Madonna  dell'  Itria,  oggi  in  Cata- 
nia, nel  1571.  E  nel  libro  intorno  ad  Antonio  Gagini  e  la  ma  scuola 
soiTo  nominati  tra  i  Gagini  Giacomo  e  Antonio  Agli  del  sommo  scul- 
tore, e  scultori  anch'  essi;  e  tre  Ferrari  emuli  in  lavori  dr  plastica 
de'  Gagini  e  contemporanei;  e  non  pochi  altri  artisti,  specialmente 
statuari,  del  sec.  XVI  e  del  XVII,  fra  quali  il  Gio.  Batt.  Li  Volsi 
che  fece  nel  1630  la  statua  in  bronzo  di  Carlo  V  in  Piazza  BolognL 


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348  NUOVE  BFPBlIBRmi  SICILIANE 

Artisti  che  non  si  leggono  in  questa  Tavola ,  già ,  come  si  è  av- 
visato anteriore  agli  ultimi  studi  deir  autore,  sono  i  Mastrangeli^ 
un  De  Noto,  un  Vincenzo  Ingofer,  il  La  Face,  il  Mendoìa  (Fran* 
Cesco),  i  due  Giti  (Giovanni  ed  Orsolo),  il  Bonanno  (Rinaldo),  il 
Mora  (Fabrizio),  il  Mazzola  (Domenico) ,  il  Berettario  (Antonino), 
il  De  Scalisi  (Angelo)  il  Barbato  (Antonio)  ec.;  tutti  fioriti  nel  se- 
colo XVI:  de'  quali  il  nostro  scrittore  ricorda  le  opere  nel  libro 
suddetto^  cosi  onorevolmente  accolto  dairaccademia  di  Berlino  (Leti, 
air  aut.  27  genn.  1862),  alla  quale  ne  fece  relazione  il  prof.  Guhl 
(v.  Supplim.  àUe  notizie  di  Berlino  ec.  n.  77,  1**  apr.  1862);  e  da' 
giornali  francesi,  come  dalla  Tiibune  artistique  et  littéraire  du  Midij 
nella  quale  ne  diede  un  beir  esame  e  giudizio  il  Chaumelin  (VT* 
ann.  mars,  1862,  p.  77  e  segg.;  il  quale,  maravigliato  che  nessun 
dizionario  artistico  o  biografico  avesse  parlato  del  Gagini,  Pune  de$ 
plus  grandes  gloires  artistiques  de  la  Sicile^  si  compiace  per  la  sto- 
ria deir  arte ,  che:  e  il  était  réservó  à  Melchior  Galeotti  de  nous 
«  faire  admirer  ce  merveilleux  genie,  en  nous  révélant  ses  gigan- 
c  tesques  travaux,  en  nous  faisant  connattre  la  part  considerale 
«  qu'il  prit  au  mouvement  de  )a  Renaissance  et  Tinfluence  qu'il 
e  eut  sur  ses  contemporains.  i  Tanta  copia  di  artisti,  onde  è  stata 
ricca  la  Sicilia ,  foceva  conchiudere  al  Galeotti  il  suo  libro  con 
queste  parole:  €  Ella  (la  Sicilia)  ha  avuto  scuole  di  scultura,  pit- 
tura, architettura,  e  di  quasi  tutte  le  altre  minori  arti,  da  gareg- 
giare colle  più  illustri  di  altrove  (p.  143).  • 

/  Compilatori 


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DI  ALCUNI  TRATTATI  DI  MASCALCIA 

ORA  PUBBLICATI  PBR  LA  PRIMA  VOLTA 

DA   Pietro    Delprato    e   da    ItVLigì   Barberi 


Z. 

La  Collezione  di  opere  inedite  e  rare  pubblicate  per  cura  della 
R.  Commessione  pe'  testi  di  lingua  è  stata  non  è  guari  arricchita 
di  tre  volumi  di  Mascalcia  (1),  curati  dall'egr.  prof.  Pietro  Delpralò, 
e  pel  testo  latino  dal  eh.  ab.  Barberi;  nei  quali  sono  stati  pubbli- 
cati per  la  prima  volta  alcuni  volgarizzamenti  de'  secoli  XIII  e 
XJV  del  libro  di  Mascalcia  voltato  dall'arabo  in  latino  da  Maestro 
Moisè  da  Palermo,  e  il  trattalo  della  cura  d^"  cavalli  di  Lorenzo 
Rusio,  romano,  recato  in  volgare  siciliano  del  secolo  XIV  ;  «  mo- 
numento, siccome  dice  V  editore,  di  lingua  vernacola  italiana,  che 
pel  rispetto  della  filologia  è  senza  dubbio  d' importanza  non  lieve 
(avv.  al  voi.  I,  pag.  VIII).^ 

Ai  quali  Volgarizzamenti  del  libro  di  Maestro  Moisè  va  innanzi 
una  bellissima  prefazione  del  Delprato,  nella  quale  si  discorre  dei 
due  Ippocrati,  V  uno  greco,  Taltro  indiano,  che  il  medio  evo  tenne 
come  principali  scrittori  di  ippiatrica,  e  della  raccolta  degP  ippia- 
trici  greci  del  IX  secolo,  non  ignorata  in  Italia,  ove  per  gli  Arabi 
di  Sicilia  erano  anzi  penetrate  scritture  che  venivano  dalla  Persia 
e  dair  India,  siccome  è  stato  provato;  e  vi  sono  ricordati  gli  scrit- 
tori italiani  che  continuarono  nel  medio  evo  con  perizia  singo- 
lare lo  studio  della  medicina  degli  animali. 

Al  Trattato  del  Rusio  segue  poi  un  volume  che  dà  la  storia  della 
veterenaria  dagli  antichi  tempi  ai  nostri,  sotto  il  modesto  titolo  di 
Notizie  Storiche  degli  Scrittori  Italiani  di  Veterenaria.  Tantoché 
questa  pubblicazione  che  ha  regalalo  all'  Italia  l'egr.  Delprato,  può 
dirsi  francamente  nulla  lasciare  a.  desiderare  ,  e  gareggiar  bene 
co'  lavori  di  dotti  stranieri  o  nostrani  sul  proposito,  come  l' Heu- 
singer  e  l'Ercolani:  anzi  a  compimento  della  sua  opera  non  lasciò  il 

(i)  V.  Traltali  di  Mascalcia  altribuUi  ad  IppocraU  IradoUi  dall'arabo  in  latino  da 
Maestro  Moisè  da  Paleimo,  volgarizzati  iMltecolo  XI H,  ee.  Bologna,  presso  G.  Ro- 
magnoli, 186). 

La  Maxcnìcia  di  Lor<*nzo  Rusio^  volyarizzaniento  del  secolo  XIV  ecc.  voi.  due. 
Uolog.'ia,  G.  Romugnoli  1867-1870. 

2a 


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350  NUOVg  EFFEMERIDI  SICILIANE 

dotto  e  solerlissimo  editore  di  fornire  il  volume  delle  Notizie  di 
no  Indice  delle  malattie  indicate  o  descritte  da  Lorenzo  Bmio ,  dì 
an  Elenco  delle  medicine  e  degli  argomenti  terapeutici  ìMaU  o  con- 
sigliati da  Lorenzo  RusiOy  e  di  un  Glossario  di  voci  da  notare  per 
la  loro  0  speciale  o  nuova  significazione.  Nel  quale  Glossario  trovi 
per  lo  più  voci  che  tuttora  vivono  nel  dialetto  siciliano,  e  si  sen- 
tono ogni  di  per  le  stalle  o  da'  mozzi.  Il  lungo  discorso  del  Dei- 
prato  tratta  ne'  primi  ||  sino  al  XIII  della  Veterenaria  presso  gli 
antichi;  ma  dal  §  XIV  sino  all'  utimo,  che  è  il  CL,  si  occupa  tutto 
della  ippiatrica  in  Italia,  specialmente  nel  medio'evo,  quando,  a  detta 
dell'  Heusinger,  solamente  l' Italia  ebbe  una  Veterenaria,  ereditata 
dalla  Grecia  e  dagli  Arabi.  E  però  dalla  Veterenaria  in  Italia  nel 
nono  e  decimo  secolo  (§  XIV,  p.  27),  sino  al  conte  Francesco  Bonsi 
(n.  1803)  che  Filippo  Re  pone  in  primo  luogo  fra'  benemeriti  in 
Italia  della  Zooiatrìa  ;  anzi  sino  a  Giacomo  GandoUi  e  a  Michele 
Buniva,(n.  1814),  l'uno  professore  di  Veterenaria  nella  Università 
bolognese,  l'altro  direttore  dello  stesso  studio  in  quella  di  Torino; 
sono  discusse  accuratamente  e  con  molta  erudizione  le  vicende  de- 
gli studi  e  r  importanza  delle  opere  di  Ippiatrica  fra  noi.  Né  oltre 
a  ciò  manca  il  discorso  di  un'appendice  di  documenti  ed  aggiunte 
per  la  storia  della  Veterenariay  riguardanti  e  Lorenzo  Rusio,  e  un'o- 
pera di  ippiatrica  orientale  stampata  sono  pochi  anni  (1866)  in  Ge- 
rusalemme dalla  Tipografia  de'  PP.  Francescani,  e  la  GiurisiM'udenza 
Veterenaria  di  Ippolito  Bavacossa,  e  la  Veterenaria  di  Pelaganio 
(sopra  la  quale  scrisse  una  memoria  il  Molin),  e  ilBartoIomeo di 
Messina  traduttore  dell'  opera  di  lerocle  ippiatro  greco ,  e  alcuni 
codici  sia  di  Mascalcia,  sia  di  Falconeria,  esistenti  in  queste  Biblio- 
teche comunale  e  nazionale  di  Palermo  e  in  Catania,  da  noi  ai- 
travolta  illustrati  (1);  e,  infine,  la  confermazione  che  il  testo  del 
Rusio  è  in  antico  siciliano;  e  t  f u  certo  un  singolare  privilegio  de' 
t  siciliani  quello  di  conservarci  opere  d'ippiatrica  scritte  nel  loro 
•  linguaggio,  e  nessuno  potrebbe  mai  disconoscere  una  tale  qua- 
«  lità  in  alcuni  codici  dell'opera  di  Giordano  Ruffo,  in  quella  di 
t  Giovanni  de  Cruyllis,  e,  per  quanto  crediamo,  nel  nostro  Rusio. 
«  Ninno  seppe  mai  ricordare  scrittura  veterenaria  dettata  in  un 
€  dialetto  diverso  dal  siciliano,  e  quando  si  pretendesse  il  contra- 
t  rio  per  questo  del  Rusio,  se  ne  avrebbe  il  pruno  esempio.  Fra 
«  le  popolazioni  italiane,  la  siciliana  quasi  iniziò  ed  accrebbe  più 

(i)  V.  nel  Borghini  di  Firenze,  anno  IL    p.  577,  la  feUera  al  cav.  Frane.  Zam- 
brìni.  ora  dal  Delprato  riforita  nel  suo  discorso  a  p.  213  e  seg. 


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DI  ALCUNI  TRATTATI  DI  M ASGAIXIA  351 

•  che  l'altre  il  patrimonio  della  Velerenaria  :  Moisè  da  Palenno 
e  tradusse  i  libri  indiani  di  Mascalcia,  Bartolomeo  da  Messina  ira- 
«  ^làtò  la  raccolta  greca  di  Jerocle,  indicato  col  nome  di  Eracleo 
t  od  Eroteo  ;  d' altri  antichi  scrittori  siciliani  di  veterenaria  ab- 
c  biamo  non  ha  guari  discusso  da  non  credere  necessari  nuovi  ar- 

•  gomenli  di  prova  •  (p.  228).  Delle  quali  parole,  che  fanno  cosi 
bello  onore  alla  Sicilia,  rendiamo  i  debiti  ringraziamenti  air  illu- 
stre autore;  al  quale  avremmo  voluto  fossero  stati  anche  noti  gli 
scrittori  siciliani  d' ippiatrica  de'  secoli  ultimi,  affinchè  più  vivo  e 
più  compiuto  fosse  riuscito  il  suo  dotto  lavoro,  di  tanto  interesse 
per  la  storia  della  medicina  in  Italia.  L'aver  poi  accompagnato 
del  testo  latino  si  i  due  volgarizzamenti  de'  Trattati  di  Maestro 
Moisè  e  si  il  volgare  del  Rusio,  è  stato  opportuno  divisamenta  a 
meglio  intendere^  V  antico  dettato  toscano  e  siciliano,  nel  quale  ut- 
timo  specialmente  non  sono  molto  rare  le  scorrezioni  del  menante, 
ovvero  qualche  giunta  fuori  luogo,  come  a  ragion  d'es.  a  p.  215,  ove 
il  periodo  che  comincia:  L' altra:  fa  la  mia  ec.  sino  a  Recipe  la 
radicina  ec,  non  è  nel  Ialino,  e  dovette  essere  una  interpellazione 
per  la  quale  la  postilla  del  margine  passò  dentro  il  testo.  Per- 
locchè ,  è  da  dar  molta  lode  eziandio  all'  ab.  Luigi  Barbieri  che 
cosi  bene  curò  i  testi  latini,  cioè:  Liber  IpocraUs  de  infinnitatibus 
equorum  et  curis  eorum;  Liber  nhariscaltie  eqìwrum  et  cure  eorum;  e 
Laurentii  Rusii  de  cura  equorum  Liber ^  aggiungendo  al  testo,  di  Ip^ 
pocrate  ,  che  il  Barberi  crede  rifatto  suU'  antico  volgarizzamento 
del  libro  di  Maestro  Moisè,  e  al  secondo  d'incerto,  importantissime 
annotazioni  per  le  voci  di  barbara  latinità  ;  cosi  come  non  men 
dotte  note  eziandio  ha  apposte  ai  due  lesti  volgari,  che  seguono 
i  trattati  latini,  col  titolo  Libro  di  Mascalcia  che  traslatò  dal  greco 
in  latino  Maestro  Moisè  di  Palermo  (p.  203),  e  questo^  libro  di  Ma- 
scalcia di  cavala^  muli  e  asini  fu  traslatato  da  Maestro  Moisè  di  Pa- 
lermo (p.  iì7),  I  quali  testi  volgari  riscontrati  coi  due  testi  pur  vol- 
gari che  precedono  nel  volume,  per  cura  del  Delpraio,  e  son  ri- 
feriti al  secolo  XIII ,  danno  invero  una  lezione  più  pulita  e  me- 
glio andante  della  prima,  tanto  che  pare  chiaramente  aversi  una 
data  più  recente,  benché  non  si  allontanino  dal  secolo  XIV,  e  ci 
senti  perciò  tutto  V  odore  e  sapore  delicatissimo  del  beato  trecento. 

Se  non  che,  questi  Trattati  di  Mascalcia  o  di  Maestro  Moisè  o 
di  Lorenzo  Rusio,  ci  conducono  a  fermarci  un  poco  di  proposito 
e  sopra  Maestro  Moisè,  e  sopra  il  dettato  specialmente  del  libra 
del  Rusio,  quale  ora  è  stato  pubblicato  nella  Collezione  bolognese 
sopi'a  citata. 


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MAESTRO  NOISfi  DI  PALERMO 

E  GLI  ANTICHI  TESTI  DI  MASGALQA 

IN  VOIXSARB  SICIUANO 


La  cura  degli  animali,  cavalli  specialmente  o  falconi,  fu  degli 
effici  più  nobili  che  fosser  tenuti  a  Corte  de'  nostri  re  normanni, 
svevi,  angioini,  aragonesi.  Un  maestro  Guglielmo  scrittore  di  fal- 
coneria €  fu  nutrito  in  la  corte  del  re  Rugero  et  poi  stete  con 
k)  figliolo:  »  Maestro  Moisè  di  Palermo  traslatò  dall'arabico  in  la- 
tino 0  sotto  di  Guglielmo  o  sotto  gli  svevi  il  libro  della  mascalcia 
de"  cavalli  che  si  diceva  scritto  alla  corte  di  Cosroe  da  un  Ippocrate 
indiano  meglio  che  greco;  Girolamo  Ruffo,  marescalco  di  Federico  II, 
scrisse  di  Mascalcia,  dopo  Maestro  Moisè,  per  le  stalle  dello  imperato- 
re; Bartofomeo  da  Messina  tradusse  in  latino  i  libri  ippiatrici  di  Je- 
rocle  0  di  Erocle  greco  per  comando  di  Manfredi;  Lorenzo  Rusio 
romano ,  familiare  del  cardinale  di  S.  Adriano  Napoleone  degli 
Orsini ,  componeva  il  suo  libro  sopra  i  lesti  di  Maestro  Moisè  e 
di  Giordano  Ruffo  e  di  Bartolomeo  di  Messina,  a^  tempi  de'  pri- 
mi Aragonesi,  e  tosto  ^  Tolgarìzzava  in  siciliano;  siccome  sotto  gli 
ultimi  scrivevano  Bartolo  Spadafora  e  Piero  Andrea  i  loro  trat- 
tati di  Maniscalcheria,  che  abbiamo  ms.  per  le  nostre  Biblioteche. 
La  veterenaria  del  medio  evo  è  dovuta  pertanto  ai  siciliani ,  e 
nngolarmente  a  Maestro  Moisè,  il  quale  riducendo  in  latino,  sic- 
come si  è  detto,  quanto  era  passato  agli  arabi  dalla  Persia  e  dal* 
V  India  sul  proposito,  aprì  la  via  agli  scrittori  che  seguirono,  dì 
guisa  che  conosciuto  quello  che  i  Greci  avevano  registrato  della 
materia  nella  i-accolta  fatta  da  lerode  e  tradotta  da  Bartolomeo 
da  Messina,  fu  agevole  dapprima  a  Giordano  Ruffo,  e  poi  a'  suoi 
continuatori,  raccogliere  in  un  corpo  gli  antichi  ammaestramenti 
avvalorati  da  nuove  esperienze,  e  dare  air  Italia  una  speciale  arte 
che  assai  più  si  stendesse  di  quello  che  era  stato  lasciato  scritto 
da  Cohimella ,  Vegezio,  e  Palladio.  Il  libro  traslatato  da  Maestro 
Moisè  nel  secolo  XIII  si  vuole  che  fosse  stata  Peperà  che  dal 
persiano  era  stata  fatta  araba  da  lano  Damasceno  nel   nono  se- 


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'  DI  ALCUNI  TRATTATI  DI  MASCALCIA  3$S 

colo,  siccome  dal  latino  fa  indi  falta  volgare  nello  stesso  secolo 
XIII  0  su'  principi  del  XIV.  Sotto  Cosroe  Nuscirivar,  quando  dup- 
fiìSìio- maestro  Tlppocrate  deir  antichissimo  libro  di  Maniscalcia, 
savio  medico  d' India  siccome  è  detto  in  sul  capitolo  !<>  del  li- 
bro che  ordinava  ad  onore  di  esso  re,  furono  fatte  traduzioni  dal- 
V  indiano  in  pehlwi,  e  da  questa  favella  furono  ridotte  in  arabo, 
onde  vennero,  passati  in  Occidente,  nel  latino  e  nel  volgare  ita- 
lico :  né  Ippocrate  cela  al  re  persiano  eh'  egli  raccoglieva  quei 
8noi  ammaestramenti  delU  fiori  de'  suoi  antecessori ,  e  da'  libri 
de*  savi^  che  furono  trovati  nelli  armadi  delU  regi  (1). 

Noi  non  sappiamo  di  Maestro  Moisè  (forse  degli  ebrei  di  Paler- 
mo) più  di  quanto  potè  dire  il  Tiraboschi,  e  già  innanzi  aveane 
scritto  il  Hongitore  e  dopo  notò  il  Narbone;  cioè,  che  Moisè  fosse 
uno  di  quelli  che  da  Federico  o  da  Manfredi  fossero  stati  ado- 
perati per  le  molte  versioni  che  allora  si  facevano  alla  Corte  pa- 
lermitana di  opere  filosofiche,  fisiche  e  mo  rali  scritte  in  arabo  o 
in  greco.  Nel  titolo  del  ms.  della  Biblioteca  Estense ,  citato  dal 
Muratori,  è  detto  di  quel  Libro  d' Ippocrate  de  curationibus  infir- 
mtatum  eqmrum  che  era  stato  voltato  de  lingua  arabica  in  latinam 
da  Maestro  Moisè  de  Palermo  (2);  ed  è  curioso  che  non  riferendosi 
comunemente  a  Maestro  Moisè  che  la  sola  traslazione  latina  dal- 
l' arabico,  qualche  altro  ms.  dica  che  la  versione  fosse  stata  fatta 
dal  greco,  anzi  non  si  sa  se  allo  stesso  Moisè  pur  si  debba  la  ver- 
sione volgare  che  si  ha  de'  Trattati  di  Mascalcia  dell' Ippocrate 
indiano.  L' Argelati  riferisce  aver  veduto  un  codice  bellissimo  in 
carta  pecora  del  secolo  XIII,  presso  il  Conte  Ornalo  Silva,  conte- 
nente diversi  trattati  di  Maniscalcheria,  e  fra  essi  il  libro  d' Ip- 
pocrate, in  fine  del  quale  si  legge  a  chiusa  del  I^  V:  e  Qui  fini- 
sce il  libro  della  Mascalcia  che  traslatoe  di  Greco  in  Latino  Mae- 
stro Moisè  da  Palermo  t;  e  dopo  il  Libro  VI:  •  Qui  finisse  il  libro 
della  Mascalcia  il  quale  traslatoe  Maestro  Moisè  da  Palermo  »  (3). 

Certo  è  intanto  che  il  libro  traslatato  da  Maestro  Moisè  fu  la 
fonte  di  tutte  le  opere  che  ebbe  il  medio  evo  in  Italia  intorno  a 
veterenaria;  e  il  bolognese  Pietro  de'  Crescenzi,  il  vecchio  autore 
de'  libri  di  agricoltura,  fiorito  tra  il  1235  e  il  1307,  copia  qualche 
volta  alla  lettera  i  trattati  di  Maestro  Moisè;  da'  quali  trattati  poco 


(1)  V.  TraUaii  di  JUateaUia  ecc.  p.  206. 

(S)  V.  Storia  della  LHL  IkU,  t.  IV.  L.  UI,  e.  L  p,  804.  MUano  1833. 
(3)  V.  La  àla$caUia  4i  Lorenzo  Ru$io  ec.  voi.  S  p.  iS. 


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354  NUOVE  BVFBMBRIDI  SIGILUNE 

0  nulla  si  dipartono  gli  scrittori  del  sec.  XIII  e  XTV  sino  al  XVII, 
tanto  da  potersi  dire  a  ragione  •  essere  stato  il  libro  di  Moisè  di 

<  Palermo  la  principale  e  più  conosciuta  autorità  da  cui  ricava- 
t  rono  i  loro  libri  i  più  pregiati  scrittori  che  dal  1250  sino  al  1600 
e  trattarono  la  medicina  degli  animali  (1).  Confrontando  il  libro 
t  nono  di  Crescenzio  coir  opera  di  Ruffo,  incontransi  diversi  ca- 

<  pitoli  che  sembrano  copia  fedele  gli  uni  degli  altri;  ma  essi  sono 
€  appunto  cosi  perchè  Ruffo  e  Crescenzio  rimasero  ad  un'unica 
fl  fonte,  ossia  al  libro  di  Moisè  di  Paleimo  >;  siccome  al  Ruffo  si  at- 
tengono Lorenzo  Rusio  e  messer  Bonifacio,  e  mastro  Piero  di  An- 
drea, e  altri  de'  secoli  XIV,  XV,  e  seguenti. 

Nò  è  da  passare  sotto  silenzio  come  nel  tempo  stesso  che  la  Si- 
cilia dava  air  Italia,  e  però  alP  Europa,  con  la  traslazione  di  Mae- 
stro Moisè  il  libro  d'ippiatrica  più  famoso  che  avesse  l'Oriente, 
originariamente  forse  scritto  in  lingua  sanscrita,  e  poi,  prima  che 
in  arabo,  in  persiano  e  in  greco;  Bartolomeo  da  Messina  riduceva 
-appunto  in  latino  il  hbro  greco  di  leroclo  o  Erateo,  uno  degli  ip- 
4)iatrici  che  fiorirono  ai  tempi  di  Costantino  Cesare  e  aiutarono 
la  raccolta  degli  scrittori  greci  geoponici  fatta  da  Cassiano  Basso, 
a  cui  lerocle  o  Eroteo  intitolava  il  suo  libro,  siccome  si  legge 
nel  cod.  ms.  che  fu  secondo  il  Tiraboschi  della  libreria  di  San 
Salvadore  in  Bologna  (2) ,  ed  ora  è  nella  Bibliot.  della  R.  Uni- 
versità della  stessa  città  (3)  :  Incipit  liber  Eraclei  ad  Bassum  de 
-curafione  equorum  in  ordine  perfecto  translatus  de  greco  in  latinum 
XI  Magistro  Bartholomeo  de  Messana  in  Curia  illustrissimi  Man- 
fredi serenissimi  Regis  Siciliae  amatoris,  et  mandato  suo.  Ma  nò 
anco  più  altre  notizie  abbiamo  di  questo  Bartolomeo  da  Messina, 
traduttore  eziandio  de'  libri  Morali  di  Aristotile  (4) ,  tranne  che 
fosse  stato  medico  e  forse  di  nobile  sangue,  siccome  nota  il  Mon- 


{!)  V.  Trailati  di  Mascalcia,  p.  XXXVI-XXXVII. 
'(2)  Op,  cU.  t.  IV,  L.  n,  p.  243.  ed.  ciu 

(Z)  La  Matcalcia  di  Lorenzo  Rusio,  voi.  %  pag.  212. 

(4)  Cosi  il  Tiraboschi  a  proposito  delle  tradazioni  di  Aristotile  che  non  dall*  a- 
rabico  ma  dal  greco  si  facevano  alla  Corte  di  Federico  e  di  Manfredi  :  •  Ne  abbiamo 
«  Ja  prova  in  un  coilice  a  penna  della  libreria  di  Santa  Croce  in  Firenze ,  citato 
«  dal  eh.  Mehos  (Vita  Ambros.  eamald.  p.  155)  in  cui  si  contiene  1*  Etica  di  quel 
•  filosofo  tradotta  dal  greco  da  Bartolomeo  di  Messina  :  Incipit  liber  magnorum 
Elhieorum  Aristotelis  translatus  de  graeeo  in  latinum  a  magistro  Bartholomeo  de 
Messana  in  Curia  illustrissimi  Manfredi  Serenissimi  Begis  Ciciliae  scientiae  amaloris 
de  mandato  suo  ecc. 


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DI  ALCUNI  TRATTATI  DI  MASCALCIA  355 

gìtore  sulla  testimonianza  di  un  catalogo  di  medici  presso  il  Ti- 
raquello  (1). 

Un  poco  più,  air  incontro,  sappiamo  di  Giordano  Ruflfo,  non  si- 
ciliano di  nascila,  ma  tale  a  considerarsi  per  la  sua  stanza  alla 
Corte  di  Federico,  presso  cui  dovetter  essere  in  molto  onore,  se 
il  suo  cognome  si  legge  co'  notabili  del  Regno  tra  quelli  che  sotto- 
scrissero il  testamento  dell'  Imperatore  a  13  die.  del  1250  in  Fio- 
rentino. Una  nota  che  o  in  latino  o  in  volgare  si  legge  in  fine  de' 
codici  del  Trattato  di  Mascalcia  di  Giordano  Auffo,  ci  fa  sapere  chi 
fosse  stato  Fautore  e  che  grado  ayesse  tenuto  alla  Corte  Sici- 
liana dello  Svevo.  Nel  cod.  latino  della  Bibliot.  dell'Archiginnasio 
Romano  della  Sapienza  si  ha  :  e  Hoc  opus  composuit  lordanus 
«  Rufifus  de  Calabrica  Miles  et  familiaris  Domini'  Friderici  Impe- 
c  ratoris  secundi  Romanor.  memorie  recolende,  qui  inslructus  fue- 
«  rat  piene  per  eundem  dominum  de  omnibus  supradictis:  exper- 
c  tus  etiam  fuerat  poslmodum  probabiliter  in  maristalla  equorum 
«  ejusdem  Domini,  in  qua  fuit  per  magnum  temporis  spatium  com- 
c  moratus  »:  e  in  altro  cod.  volgare  siciliano  a  nostro  credere  del 
sec.  XIII,  ora  nel  Museo  Britannico ,  sta  scritto ,  siccome  è  rife- 
rito dal  Bruce-Whyte:  •  Kista  opera  fu  facpta  per  la  autoritate  di 
«  lu  Paladiu  e  di  altri.  Ma  quellu  ki  riguarda  li  morbi  et  le  cure 
e  specialmente  fu  trovato  per  me  signore  Giordano  Rufifu  di  Ca- 
c  labria  trattato  per  Herocle  marìscalco  per  le  stalle  de  l'Impera- 
c  toreFedericu  lungu  tempu  defuntu.»  Nella  quale  nota  è  bene  av- 
visato da  maestro  Giordano,  che  sino  a  suo  tempo  governava  le  stalle 
imperiali  il  trattato  di  Herocle  (quello  stesso  recato  in  latino  da 
Bartolomeo  di  Messina),  scrittore  antico  o  come  è  detto  lungu  tempu 
defunto  ;  né  credo  altrimenti  si  possa  intendere  l' ultima  parte  di 
essa  nota,  nella  quale  le  parole' sono  abbastanza  disordinate. 

Vero  è  pertanto  che  Giordano  Ruffo  non  sia  stato  siciliano,  ma 
vivendo  alla  corte  di  Sicilia,  forse  prima  che  in  latino,  siccome 
pur  ha  creduto  il  eh.  Delprato  (2) ,  egli  die  fuori  il  suo  trattato 
in  siciliano;  e  proprio  del  secolo  XIII  parte  il  dettato  del  codice 

(I)  «  Bartbolomeiiiii  de  Messaoa  skoluoi  inv«DÌ  apod  Tiraqunllum  de  nobUiiaU, 
«e.  SI  p.  S63  in  CaUlogo  Mcdicoram  -  y.  Biblioth.  Sieuia,  t.  I,  p.96.  Pai.  1708. 

V.  Gregorio,  Opere,  pag.  815. 

(S)  Trattati  di  Mascalcia  atlribuUi  ad  Ippoerate  tradotti  dall*  arabo  ìd  latino  d4 
maestro  Moiiò  da  Palermo,  yolgarizzati  nel  sec.  XIII  messi  in  lace  per  cora  di  Pie- 
tro Del  Prato  ecc.  Prelimin.  p.  XXX.  Bologna  1865.  (CoUex,  di  Op,  ined,  e  rare 
della  Commeii.  pei  Tali  di  lingua). 


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3S6  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNE 

del  Museo  Britannico,  il  cui  cominciamento  é  appunto  questo:, 
e  Izi  cominza  lu  libru  di  maniscalchia  cumpostu  da  lu  maestro 
€  Giordano  Russo  di  Galicia,  mariscalo  delF  Imperatore  Federico, 
e  Conciosia  cosa  ke  inter  tutti  li  animati  de  la  umana  generat- 
«  tione  per  usu  deputati,  nullu  cere  (o  cene, cioè  ce  ne  è?)  fin 
e  nobile  di  lu  cavallu,  né  ancora  nullu  cere  (o  cene?)  allu  homu 
€  più  comodu.  Nobile  ancora  per  la  umana  dignitate,  e  splendidis^ 
e  Simo,  e  senza  di  issu  in  verità  nullu  homu  pò  aviri  gloria,  ne 
e  pò  sustenirsi.  Ma  essendu  più  comodu  vale  più  di  tutti  li  altri 
e  animali;  nullu  potè  ni  fare  li  ofilcìi  di  lu  cavallu,  ni  ki  si  trova 
•  si  doctu.  Ora  dico  di  di  lui  naturale,  e  alle  persone  digne  come  e 
«  conveniente,  e  alle  nobili  senza  fatica....  (i)  >  Né  in  altro  vol- 
gare, che  siciliano,  benché  più  pulito,  sarebbe  il  cod.  citato  dal 
Molin,  e  già  della  Biblioteca  Damiani  di  Venezia  ;  il  quale  inco- 
mincia :  e  Nui  messeri  Jordanu  Russu  di  Calabria  volimu  insignari 
«  achelli  chi  avinu  a  nutricari  cavalli  secundu  chi  avimu  imparata 
e  nela  manestalla  de  lu  ìmperatnrì  Federicu  chi  avimu  pruvatu  e 
e  avimu  complita  questa  opira  nelu  nomu  di  Deu  e  di  santu  Aloi:  » 
ovvero  Taltro  citato  da  Michele  Yannucci  della  Biblioteca  de'  conti 
Melzi  riferito  alla  metà  del  secolo  XIII,  quando  già  si  sa  dal  Ti- 
raboschi,  dal  Morelli,  e  dalFHeusinger,  che  il  Marescalco  imperiale 
aveva  appunto  composto  il  suo  libro  (2). 

Che  se  poi  romano,  né  affetto  siciliano,  quantunque  avesse  po- 
tuto trovarsi  alla  oorte  angioina  di  Napoli,  è  Lorenzo  Rusio,  fami- 
liare del  cardinale  Napoleone  Orsini,  il  volgarizzamento  più  antico 


(1)  La  Matcakia  di  Lwenzo  Rvsio  ecc.  v.  11,  ed.  cit.  p.  2S3. 

(%)  Non  cito  il  ms.  della  Biblioteca  di  Siena  dalKab.  De  Angelis  giudicalo  del  12id 
poiché  se  non  è  il  ms.  di  Mascalcia  che  il  Venturi  dice  essere  del  Ì3i5,  è  nitro  di 
data  più  recente  «  e  come  dal  eh.  cay.  Luciano  Bianchi  ho  saputo»  de'  primi  anni 
del  XV;  né  è  il  BufTo^  né  il  Rusio,  bensì  un  compendio  de*  Trattati  di  Mascalcia 
conosciuti,  fatto  in  quel  secolo,  e  in  dettato  toscano,  siccome  é  a  ve<lere  da  questo 
capitolo  che  ho  potuto  avere  trascritto  |)er  gentilezza  del  detto  cay.  Bianchi. 
•  Di  le  inehavature  eh'  rompono  ìa  corona  e  dela  cura,  lv, 

DÌYÌ«»ne  alchuna  volta  p  mala  cura  che  la  ichiayalura  non  e  ben  churata  ne  cer- 
chiata si  che  la  putredine  richiusa  dentro  al  ongnia  si  fa  via  d  uscire  fuore  intra 
la  carne  viva  el  unghia  rioc  sopra  ci  piede  ronpedo  la  carne  e  diventa  ferita  che 
fitta  putredine  la  qual  ferita  si  chura  nel  modo  che  io  (o)  isegnato  nel  precedente 
capitolo  di  sopra  la  ir.chiavatura  dentro  sotto  el  snolo  sia  richiesta  i  cholal  modo 
e  Bìa  taglala  i  fino  al  vivo  E  poi  churata  sicondo  che  (e)  detto  de  laltre  ichiavature  • 
(a  e.  48.  Cod.  L.  VI,  15  della  Bibl.  Comunale  di  Siena). 


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DI   ALCUNI  TRATTATI   Dì   MASCALCIA  357 

cbe  abbiamo  del  suo  trattato  di  Mascalcia  è  in  volgare  siciliano,  e 
certamente  del  sec.  XIV,  e  anteriore  all'altro  libro  di  MarUscalcMa 
che  fu  scritto,  vuoi  da  Giovanni  de  Ciniyllis,  vuoi  da  Bartolo  Spa- 
dafora,  siccome  avvisò  lo  Scavo  (1),  in  lu  annu  di  incamacioni  di 
nostru  SigmriJhu.  Xpu.  a  li  MCCCLXVIIL  Questo  trattato  del  Ru- 
sio,  che  dobbiamo  al  eh*  Delprato,  possiamo  dire,  tranne  scritture 
di  storia,  essere  l'opera  più  hinga  in  volgare  siciliano  del  se- 
colo XIV,  dopo  il  volgarizzamento  della  Regola  dì  S.  Benedetto 
del  secolo  XIII,  e  il  trattato  di  Mascalcia  del  Ruffo  che  pare  già 
contemporaneo  a  questa  Regola  benedettina  del  MCCliiij.  Che  se 
fu  per  qualcuno  detto  non  siciliano,  bensì  romagnolo  o  sardesco, 
il  dettato  di  questo  Trattato  volgare  del  Rusio;  quanto  a  non  es- 
sere sardesco  basterebbe  Fautorìtà  e  i  riscontri  fatti  sul  proposito 
dall'egregio  dottor  Filia  (2);  e  quanto  ad  esser  senza  dubbio  si- 
ciliano, sarebbe  sufSciente  la  lettura  di  un  solo  dei  capitoli  di 
esso  Trattato,  ove  trovi  a  ogni  passo  voci  siciliane,  le  quali  tut- 
tora sono  vive  e  familiari  al  nostro  popolo.  Dovrei,  a  darne  esem- 
pio ,  mettere  sottocchio  le  intere  pagine  del  volume  :  ma  eccone 
qui  tante  che  basteranno  all'uopo,  così  come  aprendo  il  libro  oc- 
corrono alla  vista:  pag.  41,  f  lu  capestru  de  cannova  con  capezolu 
de  coiru  (oggi  si  scrive,  lu  capistru  di  cannavu ,  cu  capizzuni  di 
coriu)  »;p.55:  f  quandu  lu  cavallu  se  deve  aprebennare  (oggi  ap- 
pruvinnari)  »;  p.  83:  f  secundu  la  qualitate  de  li  cavalli,  e  de  le  Io- 
cura  duve  ademuranu  »;  p.  103:  e  et  questa  pigniata  cusi  chiusa 
miclela  nu  fumu  (questo  nu  furhu  è  proprio  della  parlata  di  Pa- 
lermo) »;  p.  211,  137, 177-79-199:  e  pigniata  nova;  lu  'mpriastru  ec. 
de  malva....  de  la  cucuccia  salvaleca  ;  farina  de  furmintu ,  o  de 
lu  furmentu;  sangesuca  >;  p.  201:  e  insenmura  >;  p.  205:  e  a  quellu 
midemmu  vale  assai  lu  sucu  de  l'assensu  »;  p.  281:  e  leghese  c'una 
pecsa  >;  p.  283:  <  tutta  quella  fossecta  sia  piena  »;  p.  285:  e  acca- 
sione;  plumazoli  de  la  stuppa;  bonmace;  cioene  >;  p.  315:  e  aina  (ar- 
dore, fretta)  »;  p.  321:  e  lassa  issire  lu  sangue  line  che  lu  cavallu  a- 
develisca  (3)  »;  p.  326:  t  tari  »;  p.  331:  t  fondamentu  (per  ^intestino 


(1)  Questo  importantissimo  volgarizzamento  spero  tra  breve  poter  tutto  o  in  parte 
pubblicare,  appena  potrò  avere  a  mia  disposizione  il  codice  io  cui  si  contiene. 

C2)  V.  La  Mascalcia  di  Lorenzo  Rtisio  ecc.  v.  II.  Notizie  Stori chet  {  XXIX,  p.  68. 

(3)  Nel  Glossario  che  ò  infine  del  volume,  questo  verbo  adevelisca  è  spiegnìo  av- 
vilisea^  cioè  venga  meno  (p.  321,  v.  issire).  ina  la  voce,  ancor  viva  in  Sicilia,  non 
vale  che  Io  stesso  che  indebolisca. 


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358  NUOVE  EFFEMERIDI  SIQLIANE 

retto)  »;  p.  363-373:  f  subiniri  (soccorrere);  candolu  (cannello)  »;  p. 
377:  f  e  poi  eh'  ene  sangniatu  »;  p.  433:  t  dengle  paglia  et  orio  am- 
manicare  tuctu  Tannu  »;  p.  407:  f  capura  (per  fili)  »;  p.  425:  f  mucce- 
care  (morsicare)  »;  tutte  voci  o  maniere  che  sono  del  vivo  parlare 
siciliano,  di  cui  tutto  il  trattato  conserva  bene  la  natura,  quantunque 
chi  fosse  stato  V  amanuense  del  codice  che  ha  servito  di  testo  al 
chiarissimo  editore ,  intendeva  quanto  più  ridurre  le  forme  e  le 
voci  originali  del  volgar  siculo  al  nobile  toscano,  al  quale  già  avea 
dato  bella  e  invidiabile  foma  la  prosa  del  Compagni,  del  Boccac- 
cio, delle  Cronache  e  delle  Novelle  antiche. 

Nel  volume  delle  Cronache  Siciliane  de'  secoli  XIII^  XIY  e  XV 
sono  belli  esempi  di  prosa  siciliana  narrativa  del  secolo  XIV,  quale 
la  Conquesta  di  Sicilia  di  fra  Simone  da  Lenlini;  e  in  altre  occa- 
sioni abbiamo  pur  dato  saggio  della  prosa  devota  di  quel  secolo; 
ora  si  è  aggiunto  e  ricordato  questo  ricco  esempio  di  prosa  dida- 
scalica; e  speriamo  di  giorno  in  giorno  farsi  sempre  più  nume* 
rosi  i  siciliani  scrittori  dì  prosa  volgare,  che  succedettero  ai  ri- 
matori assai  celebrati  de'  secoli  XIII  e  XIV. 

V.  Di  Giovanni. 


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LA  QUISTIONE 

DELLE  PERGAMENE  E  DEI  CODICI 

DI  ARBOREA 


Al  Chiarifisimo  e  stimatissimo  Prof.  Vincenzo  Di  Giovanni 

anche  ai  grandi  sUirìci  avviene  di  essere 

più  ricchi  di  critica  e  di  siile,  che  di  pazienza: 
e  la  pazienza  dei  riscontri  è  virtù  rora  nelle  in- 
telligenze superiori. 
^  Manno,  Della  Forluna  delle  parole,  j).  176. 

Nessuno  meglio  di  Voi,  che  già  da  tanti  anni  consacrate  la  vita 
allo  studio  delle  cose  della  vostra  cara  e  classica  Sicilia ,  si  che 
ad  ogni  tratto  aggiungete  alla  sua  ricca  storia  nuove  ed  erudite 
Illustrazioni,  è  in  grado  di  misurare  il  dolore  nefando  arrecato  ai 
Sardi,  per  la  guerra  sleale  che  si  va  facendo,  contro  la  Storia  di 
Sardegna,  da  nuovi  inquisitori  che  per  semplici  sospetti  e  pregiu- 
dizi, 0  velleità  o  gelosie,  vogliono  gittare  alle  fiamme  le  perga- 
mene ed  i  fogli  cartacei  d'Arborea  come  opera  fraudolenta,  senza 
risparmio  d'ingiurie  e  dMnsinuazioni  contro  la  repiftazione  dei 
grandi  uomini  che  presero  ad  illustrarli.  Come  Sardo ,  ho  cre- 
duto mio  dovere  anch'io  pigliar  parte,  uscendo  dai  confini  della 
scienza  che  professo,  in  tanta  questione  nella  quale  pur  mi  stu- 
dierò  di  essere  calmo  quanto  è  possibile,  chiedendo  venia  se  nella 
forte  esasperazione  talvolta  l'animo  sMndegna  per  caldo  amore  di 
patria,  e  per  i  vincoli  di  sangue  e  di  amicizia,  onde  sono  legato 
all'illustre  Pietro  Martini. 

Oh,  vivesse  egli  ancora ,  come  panni  di  vederlo  irradiante  dai 
dolci  lineamenti,  dagli  occhi  larghi  e  vivi,  ben  fatto,  e  mediocre 
solo  nella  persona  !  t  f 

Oh,  vivesse  egli  ancora  !  !  che  l'illustre  suo  amico  conte  Bandi 
di  Vesme  non  sarebbe  oggi  quasi  solo ,  a  difendere  l'autenticità 
di  quelle  famose  carte  d'Arborea  contro  molti  che  si  o  no  in 
buona  fede,  ma  tutti  pregiudicati,  fanno  un  caso  di  Sciacca,  come 
direbbe  un  Siciliano,  per  ogni  virgola  o  punto,  e  per  ogni  parola 


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360  Nuove  BFFBMKRIDl  SIGILIAKC 

e  coslruUo  che  vi  vanno  sofisticando.  Ma  no,  vivaddio,  che  tanta 
eredità  non  andrà  dilapidata  !!  perocché  contro  questi  più  gagliarda 
che  mai  si  leverà  la  voce  degli  uommi  imparziali  e  sapienti.  E 
Voi  tra  questi,  non  è  vero  ?  prenderete  parte  per  omaggio  al  vero 
e  per  caldo  affetto  al  Martini,  al  Manno,  (che  pur  furono  vostri  a- 
mici)  e  allo  Spano;  cosi  come  al  Lamarmora  e  al  Vesme  che  dirsi 
possono  anche  Sardi,  pei  loro  studi  sulla  mia  isola  nativa. 

Pertanto,  io  non  indugio  a  significarvi  che,  percorrendo  come 
ho  potuto  la  Storia  di  alcuni  popoli  che  stabilirono  le  diverse  co- 
lonie della  Sicilia ,  onde  venire  a  capo  di  alcune  quistioni  etno- 
grafiche, ho  dovuto  imbattermi  in  argomenti  che  riflettono  la  lin- 
gua e  i  dialetti  che  qua  stesso  ebbero  culla  e  sviluppo.  Laonde 
stretto  dal  dolore  come  mi  trovava  per  lo  strazio  che  vuol  farsi 
della  Storia  Sarda,  e  trovando  ad  ogni  passo  delle  rassomiglianze 
e  dei  fatti  e  degli  apprezzamenti  morali,  che  bene  ordinati,  io  av-^ 
viso,  potranno  tornare  vantaggiosi  in  questa  guerra  ad  oltranza 
contro  le  Pergamene,  mi  è  giunta  grata  Poccasione  di  mettere  sulla 
c^rta  alcune  mie  riflessioni. 

In  verità  ,  non  è  che  io  non  trepidi  pensando  air  autorità  di 
grandi  uomini  d'Italia  e  di  Berlino,  che  nelle  varie  parti  vollero 
assoggettare  al  crogiuolo  le  Pergamene  arboresi;  ma  parendomi  di 
essere  sicuro  alle  spalle  del  conte  Vesme  che  si  vittoriosamente 
rispondeva  ai  colpi  degli  avversari,  e  rincorato  dalla  giustizia  ed 
onestà  della  causa  che  difendo ,  mentre  alcuni  forse  anco  più  di 
me  ignari  di  paleografia  e  per  ogni  verso  estranei  alla  lite,  cam- 
biarono Vamen  dei  sacristi  in  calunnie  e  vituperi,  mi  faccio  a  ri- 
spondere come  ed  in  quanto  posso  alla  critica  degli  illustri  ber- 
linesi e  di  monsignore  Liveràni,  alludendo  qualche  volta  ad  altri 
che  con  peggiori  intenzioni  soffiarono  il  fuoco  della  controversia. 

I. 

Movendo  dagli  appunti  dello  Jaffè  sulla  paleografia,  che  il  conte 
Vesme  ha  confutato  già  con  argomenti  ed  esempi  i  più  convin- 
centi ,  siccome  tratti  da  antichi  manoscritti  e  dalle  stesse  perga- 
mene d' Arborea,  dirò  anzitutto  di  sembrarmi  vano  il  pretendere, 
che  dalla  mancanza  dell'uniformità  delle  lettere  e  della  irrego- 
larità del  procedere  di  esse  in  un  documento  antico,  si  possa  giu- 
dicare della  falsità  del  medesuno.  Imperocché  sarebbe  ^  stesso 
che  ritenere  per  calligrafi  tutti  gli  scrittori  ed  amanuensi  dei  tempi 
passati  e  presenti,  i  quali  osserviamo  che  solamente  per  cambiare 


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LB  PERCAMENB  DI  ARBOREA  36i 

la  penna  o  Tincbiostro,  o  per  soprassedere  allo  scrivere  e  ricomin- 
ciare variando  la  posizione,  fanno  perdere  al  carattere  sempre  più  o 
meno  delia  richiesta  uniformità.  Né  qui  soggiungo  che  a  molti  ca- 
pita di  stentare  a  leggere  anco  la  propria  scrittura  alla  fine  per 
esempio  di  una  lunga  lettera ,  mentre  sulle  prime  il  carattere  è 
chiaro  ed  uniforme. 

Questa  irregolarità  poi  è  sempre  più  manifesta  in  coloro  che  scrì- 
vono ora  in  una  lingua  ed  ora  in  un'  altra  ,  come  hanno  dovuto 
fare  quelli  che  scrissero  in  latino  ed  in  sardo  nel  secolo  XII  e 
XIII  0  prima  autorì  od  amanuensi  delle  pergamene  in  discorso.  Ed 
io  confesso  che  se  dovessi  scrivere  nel  mio  dialetto  non  solo  mi 
troverei  impacciato,  ma  anco  nella  ridicola  posizione  di  sgramma- 
ticare e  commettere  errori  ortografici  ad  ogni  pie  sospinto,  tanto 
che  sarebbe  senza  uniformità  e  come  scritto  da  chi  voglia  falsi- 
ficare un  carattere  non  proprio. 

Questa  mancanza  di  uniformità  agh  occhi  di  alcuni  antiquari 
congiunta  alla  rozzezza  dei  caratteri  è  valsa  invece  a  giudicare 
della  vetustà  dello  scrìtto.  E  per  recarne  un  esempio  accenno  alla 
scrìttura  che  si  legge  sul  coperchio  di  un  vaso  d'argilla  rinve- 
nuto in  Cenluripe  con  rozzi  caratteri  e  voci  e  costrutto  partico- 
lari, che  tuttavia  fu  giudicato  di  esecuzione  di  un  privato  scono- 
sciuto dal  tempo  dei  Sicoli  e  forse  400  anni  a.  C,  e  che  Jaffè  V  a- 
vrebbe  rotto! 

Chi  è  poi  che  non  sappia  che  altro  è  parlare  ed  altro  scrivere 
bene  in  una  lingua,  sopratutto  se  in  sul  nascere  ed  in  tempi  che 
Tarbitrio  da  indi  in  poi  lascia  il  luogo  alle  regole  o  leggi  rela- 
tive? E  quanti  poi  non  furono  gli  uomini  grandi  che  avevano  l'hor^ 
ror  calami^  tantoché  neirapporre  la  firma  spropositavano  ? 

Ne  fa  fede  Taneddoto  rispetto  a  Carlo  V,  il  quale  sottoscrivendo 
un  trattato  in  mezzo  ad  una  salve  di  cannoni,  scrisse  Caracolus 
invece  di  Carolus.  Tanto  che  un  lepido  spagnuolo  disse  :  P(^a  un 
caraccio  tanto  fuego  ? 

Che  di  più?  anco  la  formazione  delle  lettere  è  particolare  in 
certi  paesi ,  opperò  in  Sicilia  generalmente  per  r  si  usa  quasi 
un  V.—  E  spesso  si  cambiano  le  lettere  e  si  aggiungono  voci  parti- 
colari, e  si  immettono  idiotismi,  come  nel  Dorico  si  cambiavano 
tutte  le  vocali  in  a,  mutavano  le  desinenze  dei  verbi  e  la  i»  in 
m,  ed  oggi  i  Sardi  ed  i  Siciliani  mutano  Vo  finale  in  u,  la  i  in  f, 
e  la  doppia  {(  in  doppia  dd;  p.  e.  castello  casteddu^  capello  capiddu. 

Un  simile  vezzo  delle  lingue  o  dialetti  parlati  si  mostra  senza 


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362  NUOYE  EFFEMERIDI  SIGILUNE 

volersi  da  coloro  che  scrìvono  o  copiano,  si  che  a  dirne  una  di 
più ,  oggi  stesso  i  Toscani  mutano  in  t  la  ultima  lettera  dei  co- 
gnomi, perchè  tra  loro  quasi  sempre  i  cognomi  finiscono  in  i.  Se 
lo  Jaffè  avesse  avuto  famiHarità  del  sardo  idioma ,  non  avreb- 
be fatta  una  quislione  capitale  dell'  uso  dell' j  come  consonante 
fin  dal  secolo  XII  in  Sardegna ,  ricavando  da  ciò  la  falsità  delle 
pergamene.  In  alcuni  paesi  di  quest'  isola  egli  sappia  che  si  dice 
m  0  ju  e  giù  il  giogOy  come  ianìMjanua^e  genna  òaijanua  latino 
la  polla.  Ma  se  egli  vuol  trovare  la  raj^one  di  questi  e  simili 
£itti  che  sanno  emanciparsi  dalle  regole  che  vorrebbe  che  fos- 
sero nate  colla  lingua ,  e  per  dir  meglio  la  grammatica  e  Tor- 
titgrafta  e  calligrafia  assieme  alle  lingue  o  dialetti  scritti,  potrebbe 
dirmi  perchè  ad  esempio  nelle  vite  di  Plutarco  pubblicate  a  Ve- 
lu^ia  verso  il  MDLXXXII  si  legga  vitij  per  vizi  e  non  vitUf 

In  quanto  alla  costanza  tedesca  che  ei  vuole  ancora  neir  uso 
delle  sigle,  è  d'uopo  ricordare,  che  dalla  storia  antica  di  Oriente 
e  da  quella  della  Grecia  rilevasi  che,  non  di  rado  una  stessa  abbre- 
viatura aveva  il  valore  di  più  parole  come  dimostrerò  in  seguito. 
Inlanto  mi  piace  far  notare  che  oggi  stesso  le  sigle  messe  in  uso 
nelle  curie  toscane  sono  cosi  arbitrarie  e  polifoniche  e  particolari 
a  loro,  che  a  leggere  una  testimonianza  giudiziaria  scritta  or  sono 
due  anni  a  Livorno ,  intorno  ad  una  mia  lite  civile  ,  ci  è  voluto 
lo  studio  di  tre  individui  a  poterla  decifrare.  Ora  se  quest'  uso  è 
variato  in  questi  tempi  secondo  i  diversi  luoghi,  perchè  ciò  stesso 
non  poteva  avverarsi  in  tempi  antichi,  e  quindi  ritenere  che  il 
sistema  delle  sigle  in  Sardegna  al  XII  secolo  avesse  qualche  cosa 
di  peculiare,  come  difatti  V  ebbe  e  lo  dimostra  il  Vesme  ? 

Sappiamo  le  fatiche  durate  dal  celebre  Champollion  allo  scopo 
di  stabilire  il  reale  significato  dei  segni  cuneiformi  di  lettere,  sil- 
labe e  geroglifici  di  parole  shnboliche,'e  tuttavia  nella  gran  luce 
e 'te  egli  ha  sparso  non  è  dato  sempre  di  tradurre  colle  stesse 
cidavi  un'iscrizione  od  un  papiro  di  Babilonia,  di  Ninive  e  di  Me- 
dia, sebbene  abbiano  tutte  ritratto  da  un  medesimo  fonte.  Ma  e- 
ziandìo  in  Oriente  sono  refrattari  alle  leggi  assolute  dello  Jaffè. 
E  a  tacere  che  il  primo  alfabeto  venne  coi  Fenici  che  lo  reca- 
rono in  Grecia  e  nelle  isole  del  Mediterraneo  e  con  essi  il  vezzo 
di  abbreviare,  come  meglio  comportava  l'uso  e  spesso  ancora  lo 
spazio  d^un  pezzo  di  mattone,  o  di  granito, o  di  marmo,  o  di  un  pezzo 
di  papiro  o  quello  di  una  moneta,  l'arbitrio  in  ogni  tempo  ha  po- 
tuto sul  modo  di  scrivere.  E  ciò  è  tanto  vero  che  altrimenti  non 


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LE  rERGAMENB  DI  ABBORBX  363 

potrebbe  spiegarsi  ad  esempio  come  i  Sicilioti  nelle  epigrafi  a  pia- 
cimento lasciassero  l' uso  di  alcune  lettere  mentre  il  loro  alfa- 
beto cadmeo  era  già  poco  ricco,  verso  la  quindicesima  olimpiade. 

Presso  questi  poi,  a  dirla  di  sghembo,  nelle  monete  di  Abacena, 
di  Erico  e  Segesta ,  le  epigrafi  erano  scritte  alla  bmtrophedon , 
arbitrariamente  cioè  dalla  destra  a  sinistra  per  ricominciare  dalla 
destra  e  viceversa ,  tantoché  in  un^  era  stessa ,  più  in  una  che 
in  altra  provincia  o  località  diverso  era  V  uso  ed  il  vezzo  dello 
scrivere.  Ne  volete  di  più,  ed  in  tempi  a  noi  più  assai  vicini? 
Esaminate  un  libro  stampato  a  Venezia  verso  il  MD  e  confronta- 
telo con  un  altro  pubblicato  a  Firenze,  e  vedrete  a  mo  d'esempio 
in  quello  scriversi  come  dissi  vitìi  ed  in  questo  vizi  o  vitj;  nel 
primo  spesso  il  P  colla  lineola  di  traverso  sulla  gamba,  come  ab- 
breviatura di  per  a  casaccio  e  nel  secondo  quasi  mai  una  abbre- 
viatura, ed  allo  stesso  tempo  ed  in  una  stessa  pagina  vedi  cambiare 
le  lettere  di  una  medesima  parola  p.  e.  Vinegia  e  Vinetia  e  Vi- 
nezia^  ciò  che  può  anco  osservarsi  negli  scritti  di  Macchiavelli. 

Di  simili  esempi  ne  recherei  a  centinaia  e  più  ancora,  e  potrei 
mostrare  che  mano  a  mano  coi  secoli  la  stampa  ha  seguito  nelle 
abbreviature  le  fasi  e  le  modificazioni  delle  quali  è  stata  capace 
la  calligrafia;  su  questa  però,  comechè  assai  meglio  conferisca  alla 
quistione  in  disamina  e  mi  offra  grata  e  bella  occasione  a  ringra- 
ziare i  signori  impiegati  di  questa  ricca  BiSlioteca  nazionale  4i 
Palermo,  che  pur  gentilmente  e  con  affetto  mi  spianarono  la  via 
per  la  scelta  di  libri  più  rari  ed  opportuni,  mi  è  utile  soggiun- 
gere che  il  Walter,  Lexicon  Diplomaticum ,  porta  esempi  innu- 
merabili di  abbreviature  diverse  poste  in  uso  rispetto  ad  una 
stessa  parola  nei  manoscritti  di  uno  stesso  secolo,  o  di  secoli  dif- 
ferenti. Così  nel  medesimo  sec.  Vili  si  è  usata  ad  arbitrio  V  ab- 
breviatura p  e  p  onde  significare  per  e  cosi  in  altri  quattro  modi 
nello  stesso  sec.  Vili  mentre  da  questo  fino  al  XIII  si  è  voluta 
variare  per  ben  24  guise.  Nel  sec.  XIV  colla  sigla  a*  si  è  inteso 
significare  alio  modo^  che  nel  successivo  XV  si  è  invece  abbre- 
viato colla  sigla  (Mi*.  Il  p  in  significazione  di  pre  e  prae  dal  secolo 
VIII  al  MDI  ebbe  a  variare  nientemeno  che  in  52  modi  mentre 
la  sigla  p  ha  potuto  significare  prae  nel  sec.  XV  e  propterea  nel 
XIII.  Cosi  eziandio  contro  le  osservazioni  dello  Jaffè  trovi  una 
medesima  sigla  per  denotare  ar^  er,  ir^  ro  ecc.  Epperò,  nonostante, 
come  ei  dice  «  Lo  scopo  della  scrittura  sia  di  rendere  il  pensiero 
leggibile  >,  non  è  di  fatto  sventuratamente  leggibile,  si  che  moltis- 


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36i  Nuove  ErPlìlfBRIOl  SIGIUANE 

simi  non  ci  si  trovano  punto  fra  quelle  abbreviature,  che  dicon 
fatte  per  velare  invece  il  pensiero  e  limitare  la  scienza  o  lo  sci- 
bile ad  una  casta. 

Del  resto  tutti  i  vizi  e  le  virtù,  e  quindi  i  mali  ed  i  beni  hanno 
i  loro  riscontri,  quei  di  tempi  più  remoti ,  con  questi  più  vicini 
a  noi.  Epperò ,  cóme  ad  esempio,  le  abbreviature  del  carattere 
coi-sivo  in  Egitto  della  VII  dinastia  erano  più  assai  in  numero  di 
quelle  che  si  facevano  ai  tempi  della  XVIII  e  XIX  dinastia,  cosi 
le  abbreviature  dei  principi  del  nostro  evo-medio  in  un  dato  paese 
come  in  Sardegna,  potevano  esser  in  maggior  numero  di  quelle 
usate  dopo,  in  altri  paesi  d'Italia. 

Ma  per  dare  un'  ultima  risposta  allo  JalTò  sulla  assoluta  sentenza 
di  volere  che  in  ogni  tempo  e  lino  dai  primordi  dello  svilappo 
delle  lingue  e  dialetti  si  avesse  uno  ed  identico  modo  di  scri- 
vere e  di  abbreviare ,  lo  dirigerò  alla  pag.  509  del  Manuel  D"  /- 
stoire  ancienne  de  VOrient  de  Francois  Lanortnant^  dove  Paut.  oltre 
al  farci  conoscere  che  il  valore  idiografico  e  fonetico  dei  segni 
delle  scritture  egiziane  non  è  sempre  lo  stesso,  poicchè  possono 
avere  un  doppio  valore  sopratutto  in  idiomi  diversi ,  malgrado 
scritti  col  medesimo  sistema  di  scrittura  ed  il  medesimo  loro 
fonte  di  origine,  soggiunge  che  la  scrittura  cuneiforme  introdotta 
dogli  Scitici,  preceduti  dai  Semitici  e  sacerdoti  ariani  in  Babilo- 
nia ,  dovette  subire  alquante  modificazioni  in  ordine  alla  pro- 
nunzia ed  alla  significazione  ;  perchè  ciascun  popolo  dovea  im- 
primervi il  valore  del  proprio  idioma  e  sino  i  peculiari  idiotismi, 
si  che  in  quelle  scritture  havvi  eziandio  la  polifonia,  cioè  il  va- 
lore divei-so  che  dassi  ad  un  unico  segno,  il  quale  può  tuttavia 
significare  il  valore  di  tre  oggetti  diversi. 

Finalmente  lo  scriba,  V  amanuense  ed  il  libraio,  che  cosi  Giulio 
Cesare  appellò  i  suoi  servi  che  scrivevano  ciò  die  ei  di  molte 
cose  in  un  tempo  stesso  dettava,  tutti  questi  a  norma  della  mag- 
giore 0  minore  coltura  del  proprio  idioma  si  allontanarono  come 
oggi  si  allontanano  dalla  unica  legge  di  scrivere,  dal  die  lo  JatTè 
ha  tentato  di  trarre  un  argomento  di  condanna  conti-o  le  carte 
arboresi  con  un  piglio  altero  di  giudizio,  non  meno  di  quello  di 
monsignore  Liverani,  che  non  so  se  Orazio  si  sarebbe  limitato  a 
chiamarla  Superbia  quaesita  meritis. 

II. 

Allo  Jaflfè  segue  il  Tobler  che  già  imbevuto  dalle  sentenze  del 
primo  esordisce  con  impazienze  isteriche,  come  direbbe  il  Manno, 


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LE  PERGAMeNE  DI  ARBOREV  365 

(la  recare  stupore  anziché  meraviglia.  Difatti  egli  dice  che  si  do- 
vevano attendere  i  documenti  anteriori  al  secolo  IX  intorno  alla 
lingua  romanza  in  Italia,  ma  da  altre  parti  del  romano  impero 
ove  incominciò  a  decadere  la  lingua  latina  sulle  labbra  del  po- 
polo, e  non  mai  dalla  Sardegna  cosi  lontana  dal  Lazio.  Cosic- 
ché egli  giudicava  a  priori  sulle  relative  scoperte  d' avvenire.  Se 
non  che  la  storia  letteraria  di  Sicilia  e  quella  di  altri  popoli  ben 
lontani  dalla  riva  sinistra  del  Tevere  hanno  già  smentito  questo 
suo  dire,  perocché  le  poesie  in  dialetto  siciliano  e  quelle  italiane 
di  Giulio  d' Alcamo  precedettero  di  molto  le  armonie  volgari  del 
Lazio,  ciò  che  nessuno  Ano  ad  ora  ha  potuto  negare  anco  aven- 
done palesato  la  più  viya^4{fìlosìa.  nel  petto. 

Con  eguale,  se  non  con  più  odioso  disdegno  non  vuole  ammettere 
nei  Sardi  delP evo-medio  quell'amore  alla  poesia  ed  alle  lettere 
insito  nell'animo  dei  meridionali  e  consentaneo  sopratutto  all'in- 
dole isolana  che  per  ischemo  dicesi  attaccato  allo  scoglio. 

Ma  e  perch.è  ciò,  e  perché  egli  deride  altresì  alla  operosità  let- 
teraiia,  comechè  mai  né  per  anni,  né  per  secoli  il  cervello  ed  il 
cuore  dei  Sardi,  non  avesse  mai  sentito  né  palpitato  pari  alla  stir- 
pe orientale  greca  e  romana  dalle  quali  dipendono  ?  0  che  forse 
v'ha  miglior  popolo  che  al  Siciliano  abbia  fraternizzato  per  ori- 
gine, per  guerre  e  per  glorie?  Che  se  fosse  lecito  misurare  il 
passato  dal  presente,  disonestando  cosi  la  fama  degli  antichi  eroi 
e  sapienti,  per  la  schiavitù  durata  dai  presenti,  allora  sogghignando 
potrebbe  sostenersi  che  è  un  sogno  la  fervidezza  dello  ingegno 
de'  Siciliani,  che  sono  fantasmi  i  poeti  suoi  dei  quali  la  Grecia 
facea  tesoro,  che  Babilonia,  Cartagine  e  Grecia  sono  favole.  Ma  egli 
dirà:  in  Sicilia  sono  tuttora  saldi  gli  antichi  e  memorandi  monu- 
menti di  sua  grande  istoria,  ma  in  Sardegna  si  vanno  fabbricando 
da  questi  tempi  di  miseria.  Ebbene,  e  faccia  allora  il  sig.  Tobler, 
faccia  scomparire  dalla  Sardegna  i  preziosissimi  monumenti  che 
possiede  da  tempi  vetusti  e  si  provi  a  dichiarare  falsi  od  acqui- 
stati da  oltre  mare  le  ricche  e  preziose  collezioni  di  oggetti  di 
archeologia,  che  possiede  in  vari  musei  di  privati  ed  in  quello 
più  unico  che  raro  di  Cagliari.  Ma  no,  l'aristocrazia  della  scienza 
del  sig.  Tobler  qui  vale  assai  meno  di  quella  di  un  gran  nego- 
ziante, che  a  suo  talento  può  togliere  il  valore  ad  una  merce  po- 
sta in  vendita  col  mezzo  di  agenti  e  di  sensali,  veri  parassiti  delle 
industrie  e  del  commercio,  tali  e  quali  i  pseudo-letterati  portavoce 
di  Tobler  e  suoi  illustri  colleghi. 


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366  NUOfE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

L^  esistenza  di  questi  monumenli  è  notoria  fin  dai  secoli  re- 
moti, si  che  Ninfadoro  da  Siracusa  fino  dalla  115'  olimpiade  scri- 
vendo del  suo  viaggio  in  Asia  accennò  pure  alle  mirabilia  della 
Sicilia  e  della  Sardegna ,  che  è  quanto  il  celebre  ab.  Scinà  ha 
voluto  far  rilevare  nella  sua  storia  letteraria  di  Sicilia  dei  tempi 
greci  citando  il  lib.  VII!  a  pag.  332  ed  il  lib.  XIII  a  pag.  589  ed. 
bip.  di  Ateneo. 

Tuttavia  ritengo  che  agli  occhi  di  molti  quel  numero  straordi- 
nario di  nuraghi  non  sarà  creduyto  il  covo  dei  falsificatori  delle 
carte  d'Arborea,  nò  che  quindi  s'attribuiscano  al  secolo  nostro, 
solo  perchè  ad  esempio  i  Ciclopi  o  Lestrigoni,  o  Fenici  o  Egiziani 
di  quelle  torri  dì  pietra  a  grandi  massi  non  gli  fabbricarono  pure 
in  Sicilia,  o  perchè  non  siano  colossali  come  le  mura  di  Micene, 
di  Tirinto  e  di  Neuplia.  Qui  però  ne  ha  fatto  fede  Aristotile  e  Dio- 
doro siculo,  e  più  che  altri  mai  ne  giudica  recentemente  il  già 
citato  Francesco  Lenormant,  e  quasi  a  confusione  dei  detrattori 
delle  carte  d' Arborea  nello  stesso  senso  che  ne  giudicava  nel  se- 
colo IX  deirE.  C.r Antonio  de  Tarros  di  Sardegna,  poiché  da 
questo  come  da  quello  si  vuole  che  servissero  per  la  osservazione 
e  adorazione  degli  astri  egualmente  come  usaronsi  i  talvioti  delle 
isole  Baleari  e  i  zikurat  di  Assiria  uniformi  tra  loro  nella  costru- 
zione e  nel  tipo  perchè  fatti  allo  stesso  scopo. 

Pertanto,  a  chi  non  a1)bia  Tanimo  pregiudicato,  non  tornerà  diffi- 
cile l'arguire  invece  che  la  Sardegna,  appunto  perchè  ricca  di  questi 
monumenti  e  quindi  popolata  di  molte  e  grandi  città  anco  all'epoca 
della  dominazione  romana,  ha  dovuto  avere  i  suoi  tempi  di  flo- 
ridezza e  di  coltura,  la  quale  come  osserverò  in  appresso  non  po- 
teva essere  distrutta  quando  viose  i  Cartaginesi  ed  uccise  Amil- 
care loro  duce,  520  anni  av.  C.  Né  conveniva  a  questi  d'annien- 
tarla quando  ebbero  a  soggiogarla  ,  nò  tampoco  era  ciò  poi  con- 
sentaneo ai  Romani  che  tenevano  quell'isola  popolata  meglio  che 
da  due  milioni  e  mezzo  di  Sardi:  era  il  granaio  d'Italia.  Né  final- 
mente sia  da  credersi  caduta  così  in  basso  da  non  aver  figli  che 
illustrassero  ed  amassero  la  loro  madre  patria  per  le  guerre  ci- 
vili del  medio  evo,  quando  la  Sardegna  per  unica  fortuna  non 
provò  di  quei  tempi  barbari  che  le  sole  invasioni  saracenesche, 
se  ne  eccettui  i  15  anni  di  occupazione  durata  dai  vandali  re- 
gnante Genserico.  Anzi  profittando  allora  dell'aiuto  dei  Pisani  e 
della  loro  dominazione  oltre  al  proprio  idioma ,  guadagnò  per 
questi  r  italiano,  e  più  che  mai  la  Sardegna,  tenne  sacro  il  culto 


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LB  PERGAMENE  Dh   ARBOREA  367 

della  propria  storia  con  quella  dei  suoi  uomini  illustri  prosperati 
nelle  lettere. 

Il  signor  Tobler  è  quindi  spinto  a  dubitare  maggiormente  della 
veridicità  di  quei  documenti  perchè ,  ei  dice ,  i  pochi  riferentisi 
air  Italia ,  rimasero  sconosciuti  ai  Toscani  ed  allo  stesso  Dante  ; 
nelle  di  cui  opere,  a  dirla  di  passaggio,  si  ha  spesso  la  mania  o 
vana  gloria  di  trovarvi  anco  quello  che  forse  egli  non  ha  mai 
pensato  né  creduto.  Cosicché  dopo  questo  peregrino  avviso  do- 
vrebbesi  ritenere,  che  tutti  gli  antichi  manoscritti  contenenti  fatti 
relativi  alla  nazione  ove  furono  creati,  e  non  conosciuti  del  capo 
luogo  di  essa  siano  meritevoli  di  scherno  e  passino  in  vendita 
colla  carta  dei  paladini.  Davvero  che  questo  sarebbe  un  bel  prov- 
vedimento per  le  Biblioteche  italiane  ed  estere  !  ! 

Ad  ovviare  però  molte  osservazioiii  in  proposito  egli  salta  di  pie 
pari  i  quattro  fogli  che  si  conservano  nelP  archivio  di  Firenze  e 
con  questi  il  manoscritto  di  22  fogli  pervenuti  alla  Biblioteca  di 
Siena  da  un  anonimo  Palermitano ,  tutti  di  gran  valore  e  rite- 
nuti per  sinceri,  ed  allo  stesso  tempo  addentellati  con  vari  tratti 
delle  pergamene  arboresi.  E  forse  tra  i  falsificatori  havvi  ezian- 
dio un  Palermitano? 

A  vero  dire  questo  sistema  di  critica  non  é  troppo  edificante, 
perocché  Vio  torna  a  scapito  della  logica  ,  ed  il  vero  s' oscura  a 
danno  di  molti. 

Ei  dichiara  di  essere  convinto  degli  appunti  gravissimi  già  fatti 
dallo  Jaffè,  eppure  senza  volerlo  dimostra  il  contrario,  di  che  im- 
magino, nella  sua  grande  generosità,  non  ha  tenuto  conto  il  Ve- 
sme  limitandosi  gentilmente  di  ridurre  Jaffé  a^li  elementi  di  pa- 
leografia.   .  ■   ^ 

Difatti  il  Tobler  conviene  che  quelle  pergamene  e  fogli  carta- 
cei difflcilmente  fossero  scritti  da  un  solo  e  medesimo  amanuense 
del  secolo  XV  perché  in  caratteri  troppo  diversi  e  su  carte  con 
marche  di  fabbriche  assai  diverse,  mentre  lo  Jafifé  é  d^avviso  con- 
trario e  perciò  appunto  perché  scritte  da  mano  imperita  affibbia 
loro  la  scomunica  maggiore.  Di  chi  adunque  dei  due  Berlinesi  è 
la  ragione? 

Egli,  il  Tobler,  in  seguito  non  vuole  assolutamente  che  da  Sai- 
taro  e  quindi  da  Torbeno  Falliti  si  fosse  potuto  conservare  la  pa- 
storale in  lingua  sardesca  riportata  dal  Martini  a  pag.  184  della 
sua  Raccolta^  comeché  destituita  d' ogni  importanza.  E  passi  il  vo- 
ler modellare  i  cervelli  dei  trapassati  coi  nostri ,  dico  io ,  ma  il 


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368  NUOVE  EFFCMBRIDI  S1CIUANE 

volerne  anco  da  ciò  ricavare  argomento  di  falsità,  supponendo  e 
facendo- supporre  che  siiTattamente  venisse  scrìtta  in  questi  anni, 
onde  dare  ad  intendere  che  fino  dal  1079  si  scrivesse  in  Sardegna 
il  suo  idioma,  è  cosa  inqualiGcabile.  Si  vuole  che  il  falsificatore 
0  i  falsificatorì  usassero  ogni  studia  per  trarre  i  dotti  in  inganno; 
ma  infarinati  come  gli  suppongono  di  tutto  quanto  concerne  la 
paleografia,  la  filologia,  la  numismatica,  storia  ecc.  ecc.  allo  stesso 
tempo  spediscono  loro  delle  patenti  di  baggei:  imperocché  avendo 
r  abilità  di  scrivere  coi  caratteri  del  medio  evo  avrebbero  potuto 
preferire  a  quella  pastorale  una  questione  di  Appio  governatore 
f  dell'isola  (come  leggesi  nella  vita  di  Cesare  del  Plutarco)  che  andò 
l  a  far  atto  di  omaggio  a  Cesare  in  Lucca.  0  meglio  ancora  vi  a- 
j  vrebbero  potuto  innestare  un  qualche  periodo  relativo  ad  Ugo- 
lino, che  allora  sarebbero  diventate  veridici  agli  occhi  loro- 
Non  mi  par  giusta  più  né  la  bilancia,  né  i  pesi  e  la  misura  che 
pongonsi  in  uso.  Ad  ogni  modo  il  valore  di  quella  pastorale  non 
è  cod  da  poco  come  vuol  dare  ad  intendere,  perQccbè  nella  me- 
desima si  annunzia  T  uccisione  del  Vescovo  Felice  in  un  fatto 
d' armi  contro  i  Saraceni,  dei  quali  allora  ne  perirono  1500  e  dei 
Sardi  solamente  80.  Perciò  è  da  reputarsi  una  interessante  pa- 
gina di  Storia,  ed  un  documento  assai  più  pregevole  dei  molti  ad 
esempio  che  ne  troviamo  in  Muratori,  per  altro  conservati  e  sot- 
tratti alle  ingiurie  dei  secoli. 

Il  Tobler  non  vuol  dare  nessun  credito  alla  storia  di  Giorgio 
di  Lacon  ,  perchè  non  suppone  in  lui  tanta  erudizione  da  aver- 
gli permesso  di  recare  i  necessari  schiarimenti  sulla  identità  della 
lingua  sarda  colla  rustica  romana ,  e  sulle  analogie  tra  il  Sardo, 
ritaliano,  lo  Spagnolo,  ed  il  Provenzale  e  Francese.  È  facile  detto 
ciò ,  ma  bisogna  provarlo ,  e  provare  altresì  che  mai  siansi  dati 
degli  uomini  capaci  a  trattare  di  materie  consimili  anco  in  tempi 
anteriori  a  quelli.  Egli  soggiunge  che  un  lavoro  simile  a  quello 
di  Giorgio  di  Lacon  meglio  che  da  lui  Sardo  si  dovea  attendere 
da  un  Toscano  o  da  un  Romano;  onde  è  che  io  gli  chiedo,  se  ri- 
corda che  il  primo  a  scrivere  le  regole  di  grammatica  greca  sia 
sialo  Corace  Siracusano  e  non  un  greco,  mentre  lo  stesso  Aristo- 
tile anco  nel  formulare  dopo  tempo  la  sua  grammatica  non  lasciò 
di  unirla  a  quella,  indirizzandole  ad  Alessandro  re  di  Macedonia. 
Se  non  che,  vi  fu  pure  un  tedesco.  Teofilo  Buhle,  il  quale  pre- 
tendeva invece  di  doversi  attribuire  al  filosofo  Anessimene  anzi- 
ché agli  altri  due  :  ma  siccome  nemmeno  questo  tedesco  era  in- 


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LE  PERGAMENE  Di  ARBOREA  369 

fallibile,  perciò  venne  confutato  da  vari  italiani  e  da  un  altro  di 
Germania  appellato  Schoel.  A  lutto  ciò  egli  fa  seguire  un  nuovo 
tratto  dMngiusta  requisizione  filologica,  richiedendo  che  nei  do- 
cumenti sardeschi  si  dovesse  trovare  una  distinzione  tra  il  no- 
minativo ed  i  casi  obliqui ,  perchè  queste  inflessioni  del  latino 
nelle  Gallie  si  mantennero  lino  al  secolo  XIV.  In  verità  in  que- 
sto modo  di  criticare  io  ci  trovo  il  difetto  di  certi  pittori  che  in- 
vaghiti di  un  tipo  nordico  ti  dipingono  il  viso  di  una  Siciliana  ,, 
con  due  occhi_ appannati  come  un  mollusco  bivalve.  Stando  però  \ 
nel  serio  non  si  sa  comprendere  come  è  che  abbia  voluto  tacersi 
che  simili  inflessioni  se  durarono  cosi  nelle  Gallie ,  furono  di- 
svelte assai  prima  in  altre  parti  e  nella  stessa  Sardegna,  dove 
assai  rimase  dal  latino  da  oui  ì  volgari  ebbero  nascimento.  Né 
vale  il  dire  che  queste  inflessioni  non  avrebbero  guastato  Tarmo- 
nìa  del  Sardo  idioma,  perchè  ricco  di  snelle  desinenze,  giacché 
nello  Spagnolo  tuttavia  non  si  conservarono  quelle  stesse  dei  casi 
obbliqui  del  latino. 

Da  questi  appunti ,  mi  duole  il  dirlo ,  rilevo  senz^  altro  che  ei 
poco  0  nulla  s' intenda  del  valore  fonico  del  Sardo  idioma ,  più 
armonioso  assai  di  quanto  male  si  creda  nel  leggerlo.  Però  sia 
nella  pronuncia,  sia  nelle  parole  e  nel  costrutto,  varia  tanto  in 
varie  parti  dell'isola  che  uno  stesso  Sardo,  recandosi  da  un 
paese  in  un  altro,  ha  d' uopo  di  usare  T  italiana  lingua  o  di  cer- 
carsi un  interprete  onde  essere  capito  dal  volgo. 

Posto  ciò,  che  non  è  esclusivo  alla  Sardegna ,  non  dee  recare 
argomento  di  falsità  il  leggere  cantesity  cantai,  in  un  documento 
Sassarese ,  ed  apu  cantau ,  cioè  ho  cantato  cagliaritano ,  oppure 
cantava  V  antica  forma  del  perfetto  ind  icativo  cantau ,  cantastu , 
cantat ,  che  cosi  si  pronuncia ,  mentre  si  scrive  cantai ,  cantasti 
cantait  E  notisi  in  Cagliari  si  dice  apu  cantao,  e  non  contesiti 
per  cantai ,  mentre  si  dice  d' altra  parte  per  coivi  cantasse.  Non 
({Stante  io  porto  opinione  che  nella  coniugazione  dei  verbi  spe- 
cialmente fuori  di  Sassari  vi  siano  state  molte  variazioni  nei 
tempi  vicini  a  noi,  perchè  p.  e.  mia  avola  cagliaritana  diceva  /u- 
rit  e  fudi  per  era,  mentre  attualmente  si  dice  /tof,  forse  perchè 
furit  si  dice  e  si  scrive  ancora  per  significare  ru6t  tu,  deir  mdi- 
cativo  tempo  presente.  Per  la  qual  cosa  il  ritenere  il  citarit,  u- 
sarity  furity  come  forme  recenti  innestate  a  sproposito  nel  Memo- 
riale linguistico  di  Gomita  di  Orrà  è  un  voler  dare  corpo  alle 
ombre. 


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370  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

A  dirla   senza  ambagi  nel   leggere  questa  critica  basata  nella 
maggior  parte  su  vane  supposizioni  condite  dal  sarcasmo,  che  i 
dotti  sanno  gettare,  da  un  momento  air  altro  mi  aspettava  di  sen- 
tire ciò  che  altra  volta  disse  un  bello  spirito  cioè,  che  il  dialetto 
Sardo  non  aveva  futuro,  perchè  i  Sardi  non  pensano  che  al  pre- 
sente, e  quindi  fllologicando  si  fosse  soggiunto  che  trae  la  su'a  o- 
rigine  dalla  bella  Albione,  (ed  essa  pensa  all'avvenire)  dove  pure 
come  in  Sardegna  a  formare  il  futuro  si  va  in  cerca  dei   verbi 
ausiliari  essere  ed  avere.  Però  ritenga  il  sig.  Tobler  che  nel  dia- 
letto Sardo  cosa  che  va  anco  meglio  diretta  al  Monsignore  Live- 
rani,  vi  sono  tutti  i  segni  i  più  belli  della  madre  lingua  e  sino  i 
difetti  della  sua  prediletta  figlia  toscana.  Che  se  vuol  far  capo  ad 
Iglesias  ad  altra  parte  del  Sulcis,  onde  allietarsi  in  queiremporio 
di  scavi  di  piombo  argentifero,  di  calamina  e  di  lignite  ecc  :  os- 
serverà in  quegli  abitanti  mutarsi  in  z  la  /  tuttavolta  che  sepjue 
alle  consonanti  6,  e,  /,  g,  e  così  udrà  puòricu  per  publico,  creinen- 
zia  per  clemenza,  affrittti  per  afflitto,  groria  per  gloria,  della  guisa 
stessa  che  si  sente  in  Sicilia.  Colà  forse  crederebbe  come  io  ebbi 
a  supporre  affettato  e  rimbellito  V  idioma  perchè  quasi  più  italia- 
nizzato che  in  altre  provincie  Sarde  della  parte  meridionale.  Im- 
perocché dicono  lesinna  per  lesina,  mentre  in  Cagliari  dicesi  mia 
da  suha^  latino  ;  arcollaiu ,  per  arcolaio,  sciogli-trama  in  cagliari- 
tano; e  cosi  scrimera  per  scriminatura ,  gringera  in  cagliaritano  ; 
roncillu  per  ronciglio,  pudazza  in  cagliaritano;  e  colà  come  pure 
a  Cagliari  dicesi  sahidoni ,  e  marra  che  invece  a  Sassari ,  dicesi 
spidu  come  in  Sicilia,  per  spiedo,  e  zappa.  E  notisi  che  non  è  da 
supporre  che  il  Sulcis  abbia  cosi  italianizzato  il  dialetto  perchè 
ivi  maggiori  sieno  stati  recentemente  i  mezzi  di  coltura  o  di  co- 
municazione coi  toscani,  appetto  a  Cagliari:  perocché  se  avvi  paese 
fedele  alle  sue  tradizioni  anco  nel  vestire  delle  signore  è  il  Sul- 
cis ;  tanto  che  direi  si  mantiene  come   la  Lituania  ligia  alla  ori- 
gine sua  giapetica. 

Da  questi  riflessi  ne  scaturisce  invece  T  influenza  dei  Giudici 
Pisani  nel  Sulcis  e  la  veridicità  di  quello  Statuto  o  Breve  di  Villa 
di  Chiesa ,  Iglesias  capo  luogo  del  Sulcis ,  redatto  in  lingua  ita- 
liana, comechè  ivi  fosse  in  uso  la  lingtui  pisana  ed  italiana  ante- 
riormente al  giudicato  di  Conte  Ugolino  di  Donoratico,  signore  de 
la  sexta  parte  de  lo  Regno  di  Callari  ecc.  che  è  quanto  rilevasi 
dadla  iscrizione  che  recentemente  scoperse  il  Conte  Vesme,  e  che 
promette  di  illustrare,  credo,  assieme  air  accennato  Breve- 


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LB  PERGAMENE  DI  ARBOREA  371 

Frattanto  avrei  stimato  che  il  sig.  Tobler  si  fosse  compiaciuto 
di  osservare  la  molta  analogia  che  esiste  tra  il  dialetto  siciliano 
ed  il  sardo,  scrìtto  e  non  parlato,  specialmente  col  gallurese,  che 
assai  s' accosta  eziandio  al  Corso,  e  col  Sassarese;  perocché  avrebbe 
trovato  forse  la  chiave  deir  origine  comune  del  romanzo  nelle  i- 
sole,  e  quindi  la  ragione  della  possibilità  che  in  esse  tutte  come 
in  Sicilia  siasi  potuto  scrivere  in  dialetto  e  fino  dal  seconSo  se- 
colo deirera  Cristiana. 

E  tantopiù  io  mi  confermo  in  quest'  opinione  in  quantochè ,  a 
tacere  che  hanno  comuni  non  pochi  idiotismi  come  bertida  bi- 
saccia, e  mandroni  poltrone,  la  Sicilia  e  la  Sardegna  ebbero  quasi 
identica  P  origine,  lo  sviluppo,  le  guerre,  le  colonie,  i  commerci, 
le  invasioni,  e  le  confederazioni  coi  Greci,  coi  Tirreni  ecc  :  come 
dimostrerò  in  seguito. 

III.  . 

Con  uguale  ardore  sorge  il  Dove  e  stringendo  il  maglio  come 
sul  ferro  caldo  batte  a  più  non  posso  sulle  povere  pergamene , 
che  fortunatamente  sono  poco  sensibili  e  quasi  fossilizzate  dopo 
sei  secoli  circa  di  loro  nascimento.  Egli  senz'altro  esordisce  di- 
chiarando che  la  storia  della  Sardegna  al  medio  evo,  per  quanto 
ne  risulta  da  quei  documenti,  è  un  grande  anacronismo,  perchè 
suppone  una  cultura  la  quale  oggi  è  da  ravvisarsi  come  un  de- 
siderio patriottico  e  nuir altro.  Che  più  d'insinuante  e  mor- 
dente può  uscire  dalla  bocca  di  un  giudice,  onde  prevenire  i  let- 
tori della  sua  sentenza  air  ostracismo  ?  Essa  stessa  però  non  pro- 
duce neir  animo  di  tutti  quella  triste  impressione  che  può  inge- 
nerare negli  uomini  pecore  e  di  facile  approdo,  perocché  vi  si 
scorge  una  odiosa  e  gratuita  asserzione.  Che  se  fosse  capitato  fra 
le  mani  del  Dove  quel  volume  di  fogli  di  papiro  conservati  fino 
ad  ora ,  li  salvi  il  cielo  dai  danni  del  bombardamento  presso  la 
biblioteca  di  Parigi ,  dove  nientemeno  si  legge  un  co3ice  di  ci- 
viltà superiore  a  quella  di  Confucio,  coi  datali  tuttavia  del  regno 
di  Assa  Talhera  della  V  dinastia  egiziana ,  egli  il  Dove  avrebbe 
composte  le  labbra  al  rìso  sardonico,  e  li  avrebbe  scomunicati 
assieme  agli  egiziani,  perché  appunto  non  sono  conformi  a  quanto 
credevasi  fino  a  pochi  anni  or  sono ,  e  perché  discordano  affatto 
colla  civiltà  attuale  dell'Egitto,  nonostante  vada  rìprendendo  l'an- 
tico suo  splendore. 

In  séguito  egli  appunta  le  pergamene  perché  non  offrono  molte 


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37S!  ISUOVK  RFPEMBRIDI  SICILIANE 

relazioni  della  Sardegna  cogli  altri  Slati,  ciò  che  non  è  vero  asso- 
lutamente e  che  non  dà  ragione  a  dubitare  della  sincerità  di 
esse ,  potendo  limitarsi ,  come  quelle  di  molti  altri  ad  un  solo 
paese. 

Però  ove  più  spicca  P  uggia  è,  dove  egli,  proponendosi  di  con- 
frontarle coi  tratti  delle  notizie  sincere  della  storia  Sarda,  onde 
escludere  il  falso,  fa  il  viso  dell'armi  a  tuttociò  appunto  che  ar- 
monizza colla  Storia  di  Sardegna  del  Manno,  coi  documenti  con- 
conservati negli  Archivi  di  Cagliari  ritenuti  da  lui  slesso  per  sin- 
ceri. E  vedasi  mò  che  metodo  di  investigazione,  o  di  inquisizione: 
ammette  nei  falsificatori  V  abilità  o  lo  studio  di  sapere  fabbricare 
i  manoscritti  sul  fondamento  dei  documenti  Sardi  sinceri,  mentre 
niega  loro  l'astuzia  di  poterli  arricchire  dalla  Storia  di  oltre 
mare. 

Qui  non  parlo  degli  anacronismi  che  ha  creduto  di  pescare  in- 
tomo alle  date  delle  invasioni  del  Museto,  perchè  vittoriosamente 
r  ha  combattuto  il  Conte  Vesme,  ma  non  so  tacere  il  grande  caso 
che  ei  faccia  su  d' uno  errore  consimile  mentre  si  trovano  ad  o- 
gni  passo  rispetto  ai  datali  di  molti  re  di  Oriente ,  ad  esempio , 
in  Egitto;  e  V  Amari  gli  trovò  egualmente  in  molti  documenti  di 
Pisa  senza  che  perciò  gli  sia  venuto  in  mente  di  giudicarli  falsi. 
Che  più  ?  questi  anacronismi  sono  ad  ogni  pie  sospinto,  relativa- 
mente al  tempo  di  diversi  giudici,  nel  Pantateuco,  poiché  i  giu- 
dici stessi  registravano  le  leggende  popolari  od  i  referti,  non  sem- 
pre esatti ,  tanto  che  quel  Nino  famoso  marito  di  Semiramide  è 
una  fola,  perchè  attuabnente  si  deduce  dalle  iscrizioni  e  monu- 
menti di  ogni  maniera  illustrati  da  uomini  sommi  in  Egitto,  che 
questa  tremenda  coppia  non  è  mai  esistita.  E  questi  orientalisti 
hanno  altresì  rilevato  non  pochi  anacronismi  rapporto  ai  datali 
dei  re  di  Babilonia  registrati  da  compilatori  di  tempi  posteriori 
alla  rovina  di  questa  grande  città,  senza  che  perciò  quei  compi- 
latori stessi  meritino  il  marchio  del  falsificatore,  salvo  il  caso  di 
fergli  risuscitare  e  porli  fra  i  contemporanei  per  assistere  alle  le- 
zioni di  Storia  a  modo  nostro.  A  conforto  di  ciò  potrei  addurre 
mille  esempi;  un  ultimo  però  ne  aggiungo  perchè  prezioso,  ed  è 
che  i  versi  fenici  tradotti  poi  da  Plauto  nella  Commedia  Poenur 
lu8  sono  zeppi  di  errori  per  colpa  degli  scribi  fenici  come  ha  pro- 
vato il  Lenoimant. 

Dagli  errori  di  data  passa  a  quelli  di  patria,  notando  che  Mu- 
seto era  delle  isole  Baleari  e  non  di  Africa;  ma  supposto  ancora 


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LE  PERGAMENE  DI  ARBOREA  373 

che  il  Dove  ne  avesse  avuto  notizia  dal  circoncisore  di  Mogòhid- 
ibn-Abd-Allah  signore  di  Denina,  sul  quale  confessa  già  che  fino 
dal  secolo  XII  siansi  introdotte  delle  falsità  intorno  alla  Storia  di 
questo  nome ,  dirò  che  neppure  per  V  errore  della  patria  siensi 
tenute  per  apocrife  le  memorie  su  taluni  Siciliani  creduti  Greci 
e  viceversa,  né  le  tradizioni  sulla  patria  di  Omero,  anco  non  ne 
avesse  mai  avuta,  se  si  vuole  che  non  sia  mai  esistito. 

Intanto  P animo  del  sig.  Dove  s'accende  e  dice  stolta  e  mali- 
gna menzogna  quanto  si  riferisce  alla  convenzione  dei  Genovesi, 
e  Pisani,  cioè  di  prendersi  questi  l'isola  e  quegli  il  bottino,  men- 
tre di  fatto  i  Pisani  occuparono  la  Sardegna  ,  e  gli  altri  non  ri- 
sparmiaronli,  a  quanto  me  ne  disse  put  Ja  mia  nonna  fino  da  bam- 
bino, neppure  i  marmi  ^he  esìstevano  in  Santa  Gilla ,  luogo  un 
tempo  delizioso  e  residenza  dei  pretori  Romani,  e  poi  cattedrale 
di  Cagliari,  ridotto  ora  ad  isoletta  in  mezzo  ad  un  estesissimo  sta- 
gno da  prima  popolato  d'agrumi  e  da  palazzi  di  nobili  personaggi. 

Né  in  questa  crìtica  v'ha  penuria  di  sarcasmi,  giuocati  ben'  in- 
teso con  belle  frasi  che  ne  velano  si  li  aculei,  ma  non  gli  spunta. 
Epperò  pone  in  ridicolo  i  sardi  eroi  perchè  cosi  sarebbero  ap- 
pellati in  seguito  alle  prove  di  valore  che  diedei*o  nello  scacciare 
più  volte  i  Saraceni  dall'  isola,  come  rilevasi  ancora  dalle  perga- 
mene. A  rintuzzare  però  questo  frizzo ,  come  molti  altri  si  levb 
generosamente  il  Vesme  colle  parole  dell'  Amari,  che  io  pure  ri- 
peto come  in  segno  di  gratitudine  a  tanto  uomo,  e  come  un  con- 
forto ai  miei  fratelli  di  Sardegna.  Ecco  le  parole  testuali  dell'  A- 
mari:  •  Fiera  gente,  assicurata  dalla  povertà  {eppure  era  il  granaio 
e  d'Italia)  dal  proprio  valore,  e  dai  luoghi  aspri  e  salvatichi,  scansò 
t  il  giogo  dei  Musulmani  ;  i  quali  fatto  fardello  (710 ,  752 ,  813, 
e  816,  817,  935,)  dell'oro  e  argento,  ma  spaventati  insieme  dai 
t  frequenti  naufragi  e  dalla  resistenza  degli  isolani  nelle  scorre- 
e  rie  minori  li  lasciarono  tranquilli ,  avvezzi  a  star  sempre  colle 
e  armi  allato ,  da  buscarsi  appo  di  loro  più  colpi  che  preda,  i  E 
quindi  citando  uno  storico  Arabo  ne  reca:  e  Gli  abitatori  della  Sar- 
«  degna  sono....  uomini  prodi  e  di  saldo  proponimento ,  che  non 
e  lasciano  mai  l' armi.  > 

Il  veleno  poi  di  simil  frizzo  è  reso  più  potente  dal  sapere  che 
il  Dove  non  può  ignorare  lo  slancio  ed  il  valore  mostrato  dai  sardi 
nell'assalto  che  sostennero  contro  i  Cartaginesi  nel  535-515  se- 
condo Giustino.  E  qui  a  maggiore  intelligenza  piacemi  riportare 
alcuni  brani  del  Lenormant  più  volte  citato ,  e  precisamente  dal 


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374  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

parag.7  del  2o  tom.  t  Les  Tyriens  s'etaient  bornés  à  posseder  quel- 
c  ques  comptoir  sur  la  còte  de  Sardaigne.  Les  Carthaginois,  qui 
<  avaient  au  «ontraire  adoptè  le  systeme  de  se  creer  un  vaste 
e  empire  coloniale  resolurent  de  se  emparer  complétement  de  cette 
e  grande  fle,  facile  a  conserver  au  moyen  de  leur  flotte,  dont  les 
e  fertiles  campagnes  leur  promettaient  un  vèritable  grenier  (T  abon- 
e  dance  et  dont  les  mines  d*  argent  excitaient  leur  convoitise.  i  E 
quindi  t  vainqueurs  en  Sicilie ,  dice  Giustino,  les  Carthaginois  por- 
t  tarent  leurs  annes  en  Sardaigne.  Il  y  perdirent,  dans  une  cruelle 
e  défàite  la  plupart  de  leur  soldats.  »  In  quella  stessa  battaglia  fu 
spento  Amilcare  condottiero  dei  soldati  Cartaginesi.  Indi  a  poco 
però ,  rinnovato  lo  assalto  con  forze  preponderanti  Cartagine- 
si ,  ordinate  dal  celebre  Magone ,  piegò  in  basso  la  fortuna  dei 
Sardi ,  i  quali  tuttavia  raccoltisi  in  parte  nelle  montagne  e  nelle 
foreste  ad  ogni  tratto  e  per  più  anni  ritentarono  liberarsi  dagli 
invasori,  fino  a  quando  furono  intieramente  quasi  sottomessi  per 
circa  tre  secoli,  e  più  che  dal  giogo  e^Jdalla  miseria,  dalla  libertà 
e  prospero  commercio  industriale  ed  agricolo.  Qui  potrei  oppor- 
tunamente ricordare  non  pochi  tratti  della  storia  sarda  del  Man- 
no, ma  di  questo  grande  uomo  che  spesso  incensano  gli  Ale- 
manni e  spesso  dimenticano,  se  non  toma  ai  loro  fini,  è  meglio 
tacere  adesso  per  gloria  maggiore  di  suo  nome. 

Dalla  storia  recente  del  Lenormant  potrei  recare  vari  altri  pe- 
riodi che  accennano  a  guerre  sostenute  dai  Sardi  nientemeno  che 
ai  tempi  della  XIX  dinastia  Egiziana  ed  al  secolo  XIV  a.  G.  C. 
Essi  ad  esempio  una  volta,  guidati  da  Maurmuire,  assieme  ai  Si- 
culi e  Pelasgo  Tyrreni  di  Italia ,  Achei ,  e  Laconi  e  Libi  già  da 
tempo  confederati,  invasero  V  Egitto,  come  rilevasi  da  una  iscri- 
zione dettata  da  Faraone ,  e  tradotta  da  Rougè  fra  quelle  tante 
rinvenutesi  in  Menphi.  Anzi  sulla  relativa  battaglia*  vi  ha  cosi  un 
numero  di  accurati  bollettini  ufficiali  su  i  luoghi  occupati  dagli 
invasori  e  su  quello  degli  invasi,  e  sul  numero  dei  morti  e  pri- 
gionieri dei  primi,  sconfitti  dal  numero  e  dalla  strategia,  che  ai 
Berlinesi  sarebbe  sembrata  una  parodia  di  guerra  di  questo  se- 
colo, se  un  fatto  consimile  fosse  stato  particolareggiato  da  G.  di 
Lacon  delle  carte  Arboresi. 

Del  resto  è  molto  recente  un  glorioso  tratto  della  storia  di 
Sardegna  dal  quale  eziandio  ricavasi  il  valore  dei  suoi  figli.  Fu 
il  28  gennaio  1793,  che  Cagliari  difesa  da  copiose  milizie  nazionali 
improvvisate  ed  accorse  da  tutti  i  punti  delFIsola,  diede  prova  di 


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LB  PERGAMENB  DI  ARBOREA  375 

rara  intrepidezza  e  valore  contro  i  francesi  che  orrendamente  la 
borabardorono.  E  dal  13  al  17  febbraio,  dopo  19  giorni  di  tregua 
onde  essi  rinforzavansi  colla  divisione  del  contrammiraglio  La 
Touche-Treville,  furono  giorni  memorandi  per  gloria  ai  Sardi,  che 
in  mezzo  alle  bombe,  granate  e  palle  nemiche  si  slanciavano  come 
leoni  ed  esterminarono  le  migliaia  di  soldati  che  ne  sbarcarono. 
Dapertutto  quella  truppa  nonostante  disciplinata  ed  agguerrita, 
quanto  baldanzosa  per  la  vittoria  che  non  guari  avea  riportata 
sulla  Contea  di  Nizza,  dapertutto,  fu  messa  in  rotta,  mentre  più 
d'uno  dei  vascelli  fu  incendiato  e  calato  a  fondo  dalle  palle  di 
pochi  artiglieri  Sardi,  si  che  il  26  dello  stesso  mese  la  mal  ricom- 
posta flotta  ne  tornò  scornata  ai  propri  lidi. 

10  finirei  qua  la  risposta  al  Dove,  se  non  che  mi  giova  far  no- 
tare, che  ei  nello  scorgere  un  altro  segno  della  falsità  delle  per- 
gamene, in  ciò  che  si  riferisce  alla  venuta  di  nobili  Pisani  in  Sar- 
degna contro  Museto,  perchè  il  Manno  ha  detto  che  questi  nobili 
venissero  in  tempi  posteriori,  contradice  a  quanto  prima  asseriva, 
cioè  che  i  falsificatori  avessero  posta  la  Storia  di  Manno  a  fonda- 
mento della  carte  Arboresi. 

IV. 

11  Mommsen  altro  illustre  personaggio,  facente  parte  della  Com- 
missione berlinese,  non  lascia  alla  sua  volta  e  in  tono  grave  di 
stigmatizzare  le  carte  di  Arborea.  Difatti  egli  incomincia  a  dichia- 
rare false  le  iscrizioni  del  minutario  del  notaio  Gili  pubblicato  dal 
Martini,  perchè  vi  si  adopera  il  pronome  possessivo  come  nella  lin- 
gua italiana  moderna:  eppure  ne  trovo  degli  esempi  che  ho  sotto 
gli  occhi  nelle  iscrizioni  latine  di  Milazzo  che  riproduce  il  Ba- 
rone Giuseppe  Piaggia  nella  sua  opera  «  Nuovi  Studi  sulla  cit- 
tà di  Milazzo.  »  Havvene  una  copiata  V  anno  MDCCLXXXIII,  da 
4ina  pergamena  del  13  marzo  1680  intorno  alla  consagrazione  di 
una  chiesa  ed  altare  in  onore  dei  Santi  Stefano,  Vincenzo,  Pro- 
spero, e  Faustino,  dove  è  scritto:  t  huius  civitatis  Mylarum  nostrae 
messanemis  Diocesis  ecc.  e  poi  :  discursm  nostrae  visitationis  ecc. 
Ed  in  un'altra  che  trovasi  sulla  porta  della  antica  casa  di  città 
nella  cittadella  :  Splendei  mis  ecc.  Regibus  gratiis  ,  MDCCIII.  E 
sulla  tomba  di  Aurelio  Lisi  ed  Anna  Musta^io  :  In  quod  ipse 
et  sui  germanique  fratres  del  MDCCCXV.  Un'altra  del  1745 
dove  è  scritto  :  Sepulcrum  hoc  sibi  suisque  stabilire  curavit.  Altra 
del  MDCCXX  :  tumulata  suis.  Altra  del  MDCLVII  Protho  construit 
aere  sm. 


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376  NUOVE  KFFEMeBlDI  SICIUANE 

Finalmente  un  esempio  stupendo  ne  ricavo  da  una  iscrizione 
del  i8  marzo  69  delF  era  volgare  rinvenuta  a  Sterzili  in^ Sarde- 
gna, dove  sta  scritto  DECRETO  SVO;  iscrizione ,  come  dirò  fra 
poco,  riconosciuta  famosa  dallo  stesso  Mommsen. 

Bene  è  vero  che  anco  il  Vesme  non  reputa  sincere  quelle  iscri- 
zioni, ma  dissente  di  molto  intorno  all'epoca  nella  quale  qualche 
semidotto  ha  forse  voluto  aggiungerla  nel  codice  del  Gili  in  epoca 
posteriore  al  secolo  XV.  Tuttavia  difende  Tautenticilà  del  codice 
appartenente  a  quella  deir  autore,  perchè  non  è  guari  fra  le  carte 
dell'archivio  d'Iglesias  si  trovò  un  autografo  del  Gili  che  armo- 
nizza pienamente  col  codice,  il  quale^d'altra  parte  non  è  da  con- 
fondersi colle  carte  Arboresi  come  osserva  il  Vesme. 

Rispetto  alle  aggiunte  di  scrìtti  recenti  in  vetustissimi  bisogna 
ricordare  che  questo  è  vezzo  antico  ;  ma  chi  sa  tenere  il  bu- 
ratto, come  la  crusca  li  fa  svolare  in  sulla  farina  e  V  una  dal  l'al- 
tra scevera  e  pone  a  suo  luogo.  Cosi  ad  esempio  avvenne  delle 
pi»esie  di  Teognide,  che  frammischiate  a  versi  e  voci  e  concetti  di- 
suguali, diedero  motivo  a  Sylburg,  Heyne,  e  Walsemburg,  a  di- 
chiararle apocrife  e  di  nessun  valore;  nonostante  esaminate  dopo 
con  miglior  pazienza  e  studio  furono  rimesse  alla  prisca  loro  pu- 
rezza ed  avvenenza  come  riferisce  il  Welker  nella  sua  opera  Theo- 
tUdis  Reliquiae.  Questo  è  vero  esempio  di  sapienza  e  giustizia  let- 
teraria !  ! 

Alcuni  frammenti  di  Epicarmo  e  vari  idilli  di  Teocrito  e  la 
stesso  cronaca  sulla  spedizione  di  Dione  contro  Dionisio  e  tanti 
altri  ed  altri  subirono  la  stessa  sorte  ,  ma  le  corruzioni  portate 
0  da  oscuri  poeti,  o  da  semidotti  o  grammatici,  o  amanuensi  igno- 
ranti od  anco  da  inspirati  d' amor  patrio ,  è  certo  che  non  val- 
sero a  distruggere  il  vero,  e  tutto  ciò  che  poteva  esservi  di  classico 
e  di  antico. 

Indi  Mommsen  pone  a  bersaglio  anco  i  nomi  di  Marcus  Elio , 
Furgius  Susinius,  Caius  Nestor,  perchè  nomi  assolutamente  non 
Romani,  dice  egli,  e  che  per  trovarsi  nel  codice  Gameriano  pro- 
vano la  sua  falsità.  Tuttavia  in  una  famosa  iscrizione  su  di  una 
lastra  di  bronzo  rinvenuta  nel  villaggio  di  Estersili  in  Sardegna 
nel  1866  coi  datali  del  18  marzo  69,  come  accennai,  essendo  Ot- 
tone imperatore  vi  si  trova  M.  AELIVS  cioè  Marco ,  Elio.  Cosa 
che  il  Mommsen  non  può  ignorare  perchè  anco  lui  si  adoperò 
molto  illustrando  questa  bella  iscrizione. 

Quindi  è  ch(^  se  questo  Elio  non  è  Romano,  non  è  neppure 
Sardo,  né  tampoco  uno  di  quegli  spettri  che  vede  il  Liverani. 


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LE  PBRGAMBNE  DI  ARBOREA  377 

Del  resto  chi  ne  assicura  che  non  siano  accadale  delle  corru- 
zioni scrìvendo  e  copiando  quei  nomi  ?  Lo  vediamo  tulio  di,  e  lo 
stesso  monsignore  Liverani,  p.  e.  nel  suo  ultimo  scrìtto  contro  le 
carte  di  Arborea  scrive  Rymel  invece  di  Rymer  e  Du  Gange  in- 
vece di  Ducange  come  altri  usa  di  scrìvere. 

Neir  intento  di  far  comparire  falso  lo  stesso  codice  Garneriano, 
perchè  contiene  delle  aggiunte  a  margine  di  tempo  posteriore,  e 
che  collimano  con  recenti  scoperte,  suppone  che  il  fabbricatore 
di  quel  codice  se  lo  avesse  tenuto  in  serbo,  quasi  a  caccia  di 
nuove  scoperte  di  antiquarì,  per  ingemmarne  la  sua  fattura,  e 
poi  venderla  come  ha  fatto  per  pochi  soldi ,  o  darla  a  balia  fino 
a  quando  diventando  adulta  a  16  anni  si  fosse  mutata  in  sirena. 
Sul  serìo  però  il  Yesme  ha  confutato  questo  falso  supposto  e  le 
insinuazioni  assai  poco  benevoli  che  vi  traspirano  ;  perocché  li- 
mitandosi al  valore  paleografico,  come  al  JafTè,  ha  mostrato  a  lui 
r  antichità  incontestabile  pur  colle  aggiunte  in  discorso. 

Nessun'  altra  osservazione  mi  resta  a  fare  ai  signorì  Illustri  della 
Commissione  Berlinese,  quantunque  resti  molto  a  dire  intomo 
agli  apprezzamenti  morali  di  quella  crìtica:  opperò  desidero  che 
mi  si  perdoni  il  mio  scrìvere  talvolta  concitato  e  vestito  di  frasi 
molto  vive,  perocché  isolano  come  sono  non  posso  presentarmi 
con  mentite  vesti,  e  toccato  nelPonore  della  patria  non  so  com- 
pormi al  sorrìso  ed  alla  longanimità.  Passo  ad  altro. 

V. 

Non  é  guarì  Monsignore  Liverani  con  un  forbito  articolo  pub- 
blicato nella  Rivista  Europea,  l^  fascicolo  del  2o  voi.,  ancora  egli 
si  scaglia  contro  le  carte  Arboresi  e  più  forte  che  altrì  mai  le 
falmina  T  anatema. 

É  un  altro  campione  non  men  forte  dei  berlinesi  nelle  lettere, 
opperò  alla  sua  voce  autorevole  si  china  il  capo  da  molti ,  fra  i 
quali  non  é  dato  di  rìspondere  che  di  rado  e  sommesso  nel  mondo 
letterario.  Sicché  edotto  come  sono  di  si  alta  fama  dovrei  pie- 
gare dal  mio  proponimento  e  sconfortato  attendere  che  altri 
si  misuri  con  lui.  Ma  siccome  io  non  intendo  sfidarlo  nel  va- 
sto campo  del  suo  sapere,  e  solo  mi  limito  ad  una  parte  dove 
egli  mostrò  un  lato  debole;  e  siccome  io  partecipo,  si  o  no  diret- 
tamente, ai  colpi  che  ei  vibrava  in  quello  scritto,  raccolgo  le  mie 
forze  e  come  posso  reagisco  lusingato  da  miglior  fortuna. 

Con  tuono  superbo  e  là  per  là  vi  dice,  che  nessuno  degli  ar- 


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378  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNB 

gomenti  allegati  dagli  alemanni  abbia  il  valore  di  una  dimostra- 
zione, e  che  stantechè  il  Vesme  non  si  difese  bene,  perciò  quelli 
abbiano  il  dritto  a  dichiarar  false  le  carte  Alberesi,  che  da  parte 
sua  si  appalesano  sospette  e  quindi  degne  di  abbandonarsi  all'u- 
niversale riprovazione. 

Io  forse  avrò  le  traveggole  ;  ma  più  volte  lessi  e  sempre  mi 
persuasi  di  avere  sotto  gli  occhi  una  solenne  contradizione. 

Venendo  ai  particolari,  dopo  di  aver  prevenuto  a  bello  studio 
r animo  del  lettore,  osserva  come  indizio  di  falsità  il  vedersi  in 
quelle  carte  mutata  la  chiave  delle  cifre  in  una  stessa  pagina. 
Ma  a  tacere  che  questa  obbiezione,  sebbene  in  modo  diverso,  si 
fece  già  dallo  Jaffè  e  la  combattè  il  Vesme,  questa  eguaglianza 
che  pure  non  manca  in  quelle  carte,  considerate  separatamente, 
non  è  argomento  serio;  perchè  supposto  che  in  un  medesimo  palin- 
sesto avessero  scritto  più  d'uno  amanuense,  nemmeno  perciò  se 
fosse  scritto  p.  e.  nell'VlII  sec.  lascerebbe  di  essere  sincero. 

Suiruso  di  variare  la  chiave  ne  dissi  sufficientemente  più  so- 
pra, tuttavia  non  tornerà  affatto  inutile  lo  accennare  che  questa 
variazione  lamentata  e  stigmatizzata  dal  Liverani  è  'frequentissi- 
ma anco  nei  libri  antichi.  Epperò  se  egli  avesse  come  me  sotto 
occhio  Topera  del  famoso  anatomico  Gabriele  Falloppio,  pubblicata 
a  Francoforte  nel  MDC  non  tarderebbe  a  convincersi  della  inu- 
tile sua  pretesa.  Che  se  poi  non  è  convinto  lo  dirigo  e  ai  Capituli 
facU  per  la  Universitati  di  la  felichi  citati  di  Palermu,  »  delPanno 
1419  ed  esistenti  nelF  Archivio  Comunale  palermitano,  e  sono  l'o- 
riginale stesso  approvato  e  firmato  dal  viceré  Speciale,  ove  in  uno 
stesso  paragrafo  trovasi  adoperato  imperochi ,  e  imperoki  ;  ecianir 
deUy  eciam,  ancora^  etiamdiu;  pozzanu  e  poczanu;  prezzu  e  preczu; 
puJbplica  e  publica. 

Soggiunge  che  essendo  venuta  meno  la  necessità  di  scrivere 
palinsesti  nel  1400,  meno  ancora  vi  sarebbe  stata  la  necessità  di 
rescriversi  nel  XV  sec.  la  pergamena  scritta  originalmente  a  caratteri 
deirvill.  Questa  necessità  od  opportunità  che  ei  dice,  da  quali  fonti 
la  deduce  o  con  qual  metro  la  misura  ?  Per  altro  contrariamente  al 
suo  avviso  in  queir  epoca  ed  anco  un  secolo  dopo  si  sono  fab- 
bricati palinsesti  e  si  sono  cambiati  i  caratteri  sulla  chiave  vi- 
gente, nel  tempo  posteriore;  così  in  Sicilia  si  fece  nel  1400,  onde 
per  dir  cosi  «ternizzare  i  documenti  di  tempi  lontanissimi.  Ed  in 
casi  simili  appunto  avvenne  che  gli  amanuensi,  volendo  ricopiarli 
fedelmente  cogli  antichi  caratteri,  ne  erano  sviati  dalle  nuove  abi- 


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LE  PBRGAMEiNE  DI  ARBOREA  379 

tudini  e  nuove  foriùe  di  caratteri  e  di  sigle  e  fino  di  voci,  si  da 
sembrare  stentati  o  poco  uniformi,  senza  che  però  abbiano  corso 
pericolo  nel  tribunale  degli  antiquari. 

Tra  questi  palinsesti  capita  male  anco  quello  che  contiene  un 
romanzetto  e  un'ode  in  sardo  idioma  su  d'un  antica  cronaca  o 
lettera,  cancellata  a  quest'  ultimo  scopo,  egli  dice,  da  quegli  stessi 
ai  quali  doveva  stare  a  cuore  la  conservazione  del  primo  scritto. 
Ma  e  da  dove  egli  ha  potuto  giudicare  che  il  cancellamento 
della  cronaca  sia  stata  fatta  dai  nuovi  raccoglitori  di  carte  antiche 
0  che  a  questi  non  sia  ciò  sembrato  opportuno  se  quella  lettera 
fosse  già  ripetuta  in  altra  pergamena?  Questo  appunto  se  fosse 
giusto  darebbe  appiglio  a  credere  falsi  tutti  i  palinsesti,  che  non 
sono  altro,  come  egli  può  insegnarmi ,  che  antiche  pergamene 
delle  quali  si  è  cancellato  il  primo  scritto  per  iscriverne  uno  cre- 
duto migliore  o  più  consentaneo  al  caso. 

Egli  quindi  volendo  dare  ad  intendere  che  tutte  quelle  pergamene 
fossero  stale  raffazzonate  da  sembrar  vere  anco  adoperandole  per 
legare  libri  (che  malizia  di  falsificatori  1 1  e  che  finezza  flscale  del 
Liverani  !  !  )  mette  in  ridicolo  la  prosa  sarda  del  740,  perchè  copiata 
nel  1079  sotto  il  Giudice  Saltare ,  comechè  in  quelP  epoca  nes- 
suno sapesse  leggere  e  scrivere  in  Sardegna,  secondo  le  asser- 
zioni del  Vesme.  É  un  ammasso  di  errori  di  nomi  e  di  date  !  ! 
Ma  dove  mai  è  che  il  Vesme  ha  neppure  ideato  ciò,  quando 
invece  propugna  V  istruzione  letteraria  in  quell'  isola  già  da  tempi 
anteriori  ajl'era  C.  e  più  ancoi-a  nei  primi  secoli  dell'evo  me- 
dio ?  Egli  ha  frainteso  come  quando  mise  in  bocca  al  sig.  La  Lu- 
mia, storiografo  valente  di  Sicilia,  delle  cose  che  ei  mai  non  sognò, 
si  che  lo  redarguì  fino  a  costringere  il  Liverani  a  dichiarare  il 
solenne  qui  prò  quo. 

Egli  adombra  eziandio  allo  aprire  il  libro  del  Sardo  Gomita  e 
lo  mette  neiranacroiiismo  di  101  anni  perchè  dello  Spagnolo;  sic- 
ché dovrà  egualmente  dubitare  delle  antiche  carte  di  Spagna  per- 
chè hanno  del  Sardo,  e  dubiterà  dei  documenti  del  Lazio  che  del- 
l'uno e  dell'altro  ha  pure  i  segni  materni,  come  ne  ha  il  francese 
0  il  provenzale.  Egli  non  sa  un  jota  del  sardo  idioma  1 1 

Tra  le  tante  che  dice  v'ha  quella  di  titolo  di  Historìa  de  ssa  lin- 
guai Sardesca^  creduto  altro  anacronismo,  perchè  ei  vuole  che  in 
quei  tempi  il  titolo  di  Storia  non  si  desse  alle  cose  grammaticali, 
essendo  questo  un  privilegio  dei  tempi  nostri.  Ebbene  sappia  e- 
gli  che  la  grammatica  di  Gorace  e  di  Aristotile  da  essi  fu  scritta 


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380  NUOVE  EFFBMEIUDI  SIGILUNE 

fra  le  cose  filosofiche  e  storiche  del  tempo,  epperò  gli  amanuensi 
dopo  gli  posero  il  nome  più  recente  di  grammatica,  che  quegli  non 
avevano  mai  adoperato.  Laonde  è  più  consentaneo  a'  tempi  anti- 
chi il  titolo  di  Storia,  tantopiù  che  il  Liverani  non  dice  sotto  qual 
titolo  si  dovessero  mettere  allora  l'opera  di  Giorgio  di  Lacon  sul- 
l^indole  del  sardo  idioma  spigolata,  da  Gomita.  Nel  copiarsi  che 
si  è  fatto  dei  frammenti  di  quella  storia  forse  si  sarà  potuto  va- 
riare di  voci  ecc:  per  circostanze  estrinseche  alla  veridicità  del 
primo  antico  scritto,  su  i  motivi  più  sopra  accennati.  Però  a  riba- 
dire rimportanza  di  questi  mi  torna  acconcio  ricordare  un  giu- 
dizio del  sig.  Wolynski  che  tanto  calza.  Egli  dice  •  se  troviamo 
qualche  errore  storico,  geografico,  cronologico  ecc:  nei  libri  at- 
tualmente ascritti  alle  Sibille,  ciò  proviene  dal  fatto  che  i  com- 
pilatori dei  carmi  sibillini  del  medio  evo  hanno  messo  molte  cose 
che  probabilmente  erano  di  altri  autori ,  ma  che  essi  credevano 
Sibilline.»  Ma  che  dire  di  anacronismi  di  scrittori  di  tempi  oscuri 
quando  il  signor  monsignore  Liverani  ne  commette  ad  ogni  passo 
nella  critica  contro  V  opera  De  Sibyllis  dello  stesso  citato  Wolyn- 
ski;  tanto  che  suppone  e  poi  dà  per  certo  quei  codici  sibillini  siano 
fabbricati  da  un  cristiano  nel  tempo  di  Domiziano  e  Adriano,  men- 
tre Cicerone  ne  scrisse  43  anni  avanti  G.  C.  ed  altri  ancora  ne 
parlarono  come  rilevasi  da  Tito  Livio  e  dai  commenti  che  ne  fe 
Macchiavelli ,  intorno  alla  influenza  della  religione,  essendo  tri- 
buno Terentillo  ?  Meglio  che  io  non  sappia  a  questo  rispetto  di 
anacronismi  il  Wolynski  ha  redarguito  il  Liverani  in  quello  stesso 
fascicolo  dove  questo  ha  tentato  di  sfregiare  le  carte  di  Arborea 
e  gli  uomini  che  le  illustrarono. 

Seguendo  ancora  i  suoi  appunti  a  questo  rispetto  accennerò  al 
ridicolo  in  cui  vuol  mettere  il  supposto  del  Martini,  e  quello  del 
Vesme,  allorché  il  primo  dice  che  in  Sardegna  nel  secolo  VII  si 
parlasse  in  latino,  ed  il  secondo  invece  il  greco.  Ma  cosa  ne  crede 
Egli?  Il  Liverani  per  tutta  obbiezione  dichiara  che  la  lingua  in  un 
popolo  non  cambia  mai,  adducendo  Tesempio  della  Alsazia  e  della 
Lorena,  ove  si  parla  sempre  il  tedesco  malgrado  la  lunga  dominazione 
francese.  Allora,  di  grazia,  come  è  che  vennero  le  diverse  lingue 
filiate  dalla  ariana  ?o  che  forse  nacquero  con  quei  certi  aborigeni 
nati  dalle  zolle  di  ciascun  paese  ?  E  quale  sarà  stala  la  prima  lingua 
de'  Sardi  ?  e  perchè  T  ha  egli  stesso  riconosciuta  spagnolizzata 
nel  libro  di  Gomita? 

Egli  ne  viene  quindi  a  spiegare  come  il  latino  siasi  trasforma- 


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LE  PERGAMENE  Di  ARBOREA  381 

to,  filiandone  il  volgare,  e  qaindi  i  dialetti  secondo  le  modalità 
locali:  però  avrei  stimato  di  chiarirmi  le  diverse  modalità  di  uib 
istesso  paese,  tanto  che  a  Tours  si  parla  il  miglior  francese,  ed  a. 
Siena  il  miglior  italiano  ecc.  Avrei  poi  sopratutto  stimato  che  mi 
avesse  data  unMdea  delle  modalità  che  hanno  prodotto  e  mante- 
nato  in  Sardegna  uno  straordinario  numero  di  dialetti,  mentre 
in  una  parte  di  provincia  tuttora  si  parla  il  latino,  forse  quello  che 
Polibio  ritiene  per  antichissimo  e  dillicìle  a  capirsi ,  come  quel  lo 
usato  nel  l*"  trattato  tra  i  Caitaginesi  e  Romani  nel  509  e  quell'altro 
del  tempo  delPespulsione  di  Tarquinio,  sotto  il  consolato  di  Giunio 
Bruto.  Dove  poi  non  capisco  nulla  affatto  è  nel  luogo  in  cui  dichiara 
che  il  fiorentino  sia  più  itaHemo,  perché  rassomiglia  al  latino;  che 
se  r  induzione  fosse  vera,  qual  paese  più  italiano  del  Sardo  che 
del  latino  conserva  tuttora  le  cognugazioni,  ad  esempio  ^  amti, 
tiU  amas^  ipsu  amaty  ecc.  le  desinenze  in  s  nel  plurale  e.  g.  af/lic^ 
tionesj  le  voci  e.  g.  eros  per  domani,  i  pronomi  possessivi  e.  g. 
tu8^  ms  y  ecc.  e  cosi  la  frase,  e.  g.  da  mhi  tres  panes^  ecc.  ?  E 
notisi  che  cosi  si  parla  e  scrive  tuttora  e  non  in  lingua  spagnola, 
malgrado  la  lunghissima  dominazione  rovinosa  di  Spagna  di  cui 
il  Ciomita  non  ne  risenti  la  influenza.  Se  il  Liverani  poi  si  reche- 
rà, come  ho  potuto  presentire,  in  Sicilia ,  e  si  compiacerà  di  di- 
portarsi in  Brente,  non  tarderà  a  reputare  italianissimo  quel  paese 
a  preferenza  degli  altri  di  quest'  isola  e  del  continente,  perchè  in 
Brente  si  parla  con  molte  voci  latine. 

Corruciato  allora  per  le  male  arti  dei  falsiflcatod,  che  egli  vede 
da  per  tutto,  coglie  al  balzo  la  concessione  fatta,  dal  Vesme  sulla 
possibilità  di  una  falsificazione  in  una  breve  scrittura  e  non  nelle 
moltissime  e  vane  carte  Arboresi,  per  cui  dice  che  moltiplicandosi 
questa  possibilità ,  si  possa  pure  facilmente  comprendere  come 
quelle  e  più  di  quelle  se  ne  siano  fabbricate.  Epperò  mi  -  ha 
fatto  venire  in  sul  dubbio  che  egli  pretenda,  che  tutti  coloro  ca- 
paci di  scrivere  un  verso  come  Dante,  pari  a  Lui  divinamente 
sappiano  scrivere  una  Divina  Commedia. 

In  appoggio  di  quest'ultima  attività  dei  falsi  fabbricatori  ne 
adduce  V  esempio  palpitante  del  Mario  Alberti  ;  però  non  lascia 
d^  indicare  che  questo  si  sarebbe  scopèrto  assai  più  per  t^npo 
quando  invece  di  scrivere  piccole  cose  su  disparati  oggetti  e  fa- 
cendo eziandio  nuove  per  antiche  monete  e  medaglie,  si  fosse  lir . 
mitato  ad  una  storia  di  un  paese.  All'auge  poi  di  quel  falsifica- 
tore ,  valsero  i  giudizi  di  coloro  che  giurano  in  verba  magispri , 
come  adesso  molti  fanno  contro  le  carte  arboresi.  25,, 


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382  NUOYK  EFFfiMBHlOl  SIGIUANE 

Intanto  l' incentivo  dell^  Alberti  era  di  buscarsi  denari  ed  onori 
come  molti  ne  ebbe  di  fatto;  ma  ed  ai  falsificatori  sardi  qual  com- 
penso è  mai  toccato  ?  Essi  già  per  iscrivere  tutta  quella  mole  di 
pergamene  e  palinsesti  per  lo  meno  avrebbero  dovuto  impiegare 
un  50  anni,  trasferendosi  nel  continente  e  lavorando  e  scartabel- 
lando per  le  biblioteche  ed  archivi  fino  a  mettersi  nella  posizione 
di  fingere  cosi  bene  i  caratteri  antichi  da  trarre  in  inganno  molti 
uomini  seri  e  versatissimi  in  simili  materie.  Né  basta  :  avrebbe- 
ro dovuto  fare  studio  negli  antichi  scrittori  in  prosa  e  poesia 
tanto  d^  arrivare  nei  componimenti  italiani  a  suj[)erare  in  forma  , 
eleganza,  sapore  e  robustezza  tutti  quasi  i  carmi  che  dai  primi 
tempi  del  volgare  italiano  fino  ad  ora  siensi  conosciuti  in  Toscana 
e  Sicilia.  Ma  ciò  é  impossibile,  perchè  la  vena  poetica  non  si  ac- 
quista nei  libri,  come  non  si  compra  il  criterio.  Costoro  avrebbero 
dovuto  conoscere  la  storia  a  menadito ,  e  cosi  la  geografia  e  la 
numismatica.  E  finahnente  avrebbero  dovuto  fare  incetta  di  per* 
gamene  npn  scritte  da  archivi  notarili,  che  conosce  il  Liverani , 
dove  mi  duole  di  non  sapere  se  vi  siano  calamai  ed  inchiostro  pur 
del  secolo  VII  o  del  XII  per  impedire  lo  spionaggio  della  chimica, 
e  quindi  scrivere  e  mettere  in  commercio  tutto;  e  per  che  cosa  ? 
per  la  somma  di  circa  4ue  mila  lire.  Questi  Alberti  ed  Annio  da 
Viterbo  dove  sono,  mei  saprebbe  dire  monsignore  Liverani? 

In  verità,  che  le  supposizioni  ingiuriose  a  questo  rispetto,  non 
hanno  nò  modi  nò  confini,  peroccbò  la  più  semplice  logica  vi  si 
perde. 

Ma  dove  sono,  io  richieggo,  questi  uomini  che  per  una  scodella 
di  lenticchie  hanno  permutata  la  corona  da  poeti  e  letterati  che 
sarebbensi  cinta  con  tanta  suppellettile  di  cognizioni  e  con  si  rara 
vena  poetica  ?  No,  V  amor  di  patria  non  poteva  ridurgli  a  si  mal 
partito,  quando  meglio  che  a  scrivere  e  cantare  sui  tempi  che  fu- 
rono, si  sarebbero  immortalati  sui  tempi  che  sono,  illustrando  la 
patria  coi  nomi  propri. 

Questi  riflessi  però  non  si  accomodano  air  indole  altera  del  Li- 
vecani ,  il  quale  pone  a  fondamento  eziandio  della  falsità  delle 
pergamene  il  modesto  uso  di  chiamare  in  aiuto  la  testimonianza 
di  uomini  illustri  sulla  veridicità  delle  medesime,  come  ha  fatto 
il  Yesme,  ed  hanno  fatto  sempre  tutti  gli  antiquari.  Egli  anzi  di- 
chiara di  non  aver  mai  fatto  prò  di  testimoni  quando  illustrava 
alcuni  antichi  documenti,  comechò  di  fragile  terra  ei  non  cono- 
sca la  propria  e  comune  origine.  Tuttavia ,  quando  non  è  guari 


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LE  PKR6A1IBNB  DI  ARBOBK^  383 

tentava  confutare  ex  cattedra  il  Dottore  Arturo  Wolynski  in- 
torno all'operetta  De  Sibyllis  chei)iù  sopra  dissi ,  non  ischiva 
di  appoggiarsi  alla  autorità  di  Thorlucius  di  Alessandro  Block  e 
Triedliep.  E  vedasi  coincidenza  tt  pure  in  questa  circostanza  ei 
suppone  cose  non  possibili,  tanto  che  il  Yolynski  lo  prega  a  mo- 
strargli il  fonte  degli  errori  da  lui  inventati  e  che  hanno  dato 
corpo  agP  imaginari  falsificatori.  Eppure  egli  si  crede  infallibile  ! 

Al  postutto  facendo  tesoro  deir  arte  oratoria  e  del  bello  stile 
che  tanto  lo  distingue,  fa  un  tenero  fervorino  al  Vesme  perchè 
smarrito,  come  lo  crede,  tra  le  foreste  di  Sardegna,  ritomi  al 
gregge  compunto  dei  trascorsi. 

Epperò  illudendosi  che  il  Vesme  rìnunzi  al  suo  profondo  con- 
vincimento sulla  sincerità  delle  pergamene,  più  forte  alza  la  voce 
e  dà  il  colpo  di  grazia  a  quelle  innoccenti  figlie  della  verità,  fi- 
gli, dice,  il  Vesme  si  meraviglia  che  i  dotti  berlinesi  abbiano  po- 
tuto tursi  un'  idea  di  si  fraudolenta  merce ,  e  di  sì  svergognati 
falsificatori  leggendo  poche  linee:  ebbene,  a  me  basta  una  sola  pa- 
rola dalla  quale  in  modo  irrevocabile  si  deduce  e  si  conferma  la 
sentenza.  Questa  parola  è  insurrectionem.  Egli  V  ha  proprio  pe- 
scata fra  le  centinaia  di  migliaia  della  pergamena  delle  vite  di 
Sertorio.  E  siccome,  egli  dice,  la  parola  insurrectio  in  senso  di 
ribellione  come  ivi  è  usata  non  data  fra  noi  che  dall'SO,  cosi  es- 
sendo adoperata  in  uno  scritto  come  quello  dei  primi  secoli  dei- 
Fera  cristiana  svela  la  mano  del  falsificatore  moderno. 

Senonchò  più  fornito  di  accortezza  che  di  pietà  accenna  alla 
patente  di  Enrico  re  di  Inghilterra  nella  quale  è  usata  la  parola 
insurrectio;  ma,  come  egli  dice,  nel  mite  significato  di  invasione 
della  pubblica  autorità;  onde  è  che  trovando  un  oppositore  nel 
classico  Alberti  perchè  Tha  ritenuta  originaria  della  Polonia  e 
poi  passata  in  Inghilterra,  se  ne  disbriga  ,col  tacciarlo  decaduto 
dalla  sua  opinione.  Frattanto  a  sincerarmi  di  questa  fatale  parola 
licersi  a  Ducange  e  là  trovo,  nientemeno  che  i(  insurrectio ,  reb-^ 
belUo:  apud  Rymer^  t.  8,  pag.  124. 

E  tosto  aperto  questo  famoso  tomo  e  Iettar  quella  pagina  e  la 
seguente,  più  volte  mi  fu  dato  rinvenire  T  insurrectio.  Intanto  ad 
evitare  le  gratuite  interpretazioni  ne  riporto  il  seguente  brano  : 
«  Et  si  contingat  aliquas  huyusmodi  Congrega tiones  et  Insurrec- 
<  tiones  fieri  (quod  absit)  in  futurum,  aut  aliquem  de  populo  no* 
t  stro  sic  temere  DeccoUari,  Occidi,  vel  destrui  Malefactorum  hu- 
•  yusmodi  Temeritatibus  totis  virìbus  obviare  curetis  t.  Datato  daU 
rotto  febbraio  1400,. 


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384  NIK>VK  EFFBMSaiDl  SHUUANE 

Ora  ben  si  scorge  anco  da  chi  appena  sappia  tradurre  un  brano 
di  latino  che  qui  la  parola  Congregatùmes  etinturrecUonef  è  usata 
nel  senso  di  congiuratori  ribelli,  che  insorgono  contro  il  governo. 

Egli  però  ricorre  a  più  scaltro  sotterfugio,  e  concedendo  che 
quella  parola  uscisse  dalla  bocca  sola  di  Enrico  nel  1400  vuol 
dare  ad  intendere  che  rimasta  sia  a  Londra  in  incubazione  fino 
all'SO  per  insorgere,  infiammata  in  quel  tempo  sotto  la  repubblica 
francese. 

Ora  senza  che  io  voglia  chiedere  da  quando  in  qua  sappiasi 
dei  nuovi  vocaboli  introdotti  da  quel  re  nella  lingua  latina ,  se 
certo  non  era  egli  Cicerone,  e  se  non  sia  possibile  che  allora  ap- 
punto si  fosse  adoperata  una  voce  in  disuso  e  nata  nella  antica 
latinità,  0  che  per  qualunque  altro  caso  sia  stata  a  cognizione  del 
Belatone  e  non  del  Sertonio,  come  errava  il  Liverani,  io  dico,  e 
perchè  questa  parola  non  sarà  sortita  prima  dalla  bocca  dì  Dela- 
ione  anziché  da  quella  di  Enrico  seicento  anni  dopo.  Anzi  io  per 
redarguizione  dirò,  se  è  la  parola  insurrecUo  che  fa  giudicare  della 
falsità  di  quelle  pergamene,  questa  stessa  poteva  essere  suflBciente 
per  dichiarare  pure  falsa  la  patente  di  Enrico  se  per  caso  in  que- 
sti ultimi  tempi  fosse  capitata  sotto  la  inquisizione  del  Liverani. 
Ma  a  quanto  mi  pare,  qualche  scrittore  classico  ha  dato  al  verbo 
insvrgere  il  significato  del  ribellarsi  che  &  un  individuo  contro 
un  altro,  e  tanto  più  sono  di  questo  avviso  in  quanto  che  il  Ca- 
lepino a  schiarimento  dello  stesso  v^rbo  scrive  inmrgere  regnis 
alicuius  b.  e.  ai  regna  inmdenda. 

Nel  Porcellini  è  pure  citato  il  cantra  feroci  gnatus  inmrgens 
mnax  vulta  nel  senso  di  sollevamento,  e  là  pure  è  soggiunto  a 
maggiore  dilucidazione:  inmrgere  regnis  alicu/usque  hoc  est  ad  re- 
gna invaienda.  E  meglio  ancora  ei  riferisce  le  parole  di  Tacito  a^ 
Mb.  il,  cap.  16.  Insurgere  paullatim  munia  Senatus^  magistratuum 
kgufn  in  se  traere,  dalle  quali  se  non  v'  ha  da  imbroccare  la  rea 
parola  che  tanto  scandalo  ha  prodotto  neiranimo  di  Monsignore, 
v'ha  certo  a  confortarsi,  perchè  trovasi  un^  eco  perfino  nella  Bib- 
bia ,  dóve  certamente  non  avrà  messo  vìrgola  il  sacrìlego  pugno 
del  falsario  del  canto  di  Gìaleto^ 

Questa  parola  adunque  rinvenuta  dal  Liverani  e  caratterizzata 
ceme  il  testimone  severo  della  falsità  delle  pergamene,  non  è  alla 
fin  fine  che  una  supposizione  che  va  a  dileguarsi  come  quella  di 
altra  volta  del  Promis  sulla  parola  turcos. 

Epperò  io  pregherei  che  d^ora  innanzi   gli  oppositori  fossero 


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LK  PER6AMBNB  DI  ARBOREA  385 

più  freddi  nello  investigare,  che  accesi  nello  scrivere,  in  materia 
di  somma  importanza  come  questa. 

Dae  cose  solamente  voglio  dire  concludendo.  La  prima  è  che  i 
nomi  del  Baille,  del  Hanno,  del  Martini,  del  Lamarmora,  del  Vesme, 
dello  Spano,  del  Decastro  e  del  Pellitu,  che  illustrarono  e  che  appog- 
giarono le  pergamene  arboresi,  non  hanno  d' uopo  di  avvocati  ai 
difesa.  Essi  tutti  su  i  quali  in  modo  subdolo  si  vorrebbe  far  ca- 
dere la  risponsabilità  di  una  frode  imaginaria,  sono  posU  cosi  in 
alto  dalle  loro  virtù  cittadine  e  dai  loro  meriti  scientifici,  che  a 
tentare  in  fino  a  loro  è  opera  stolta,  come  di  chi  ideasse  con  un 
soffio  di  mandare  a  picco  risola  di  Sardegna. 

L^altra  è  quindi  un^appello  ai  miei  fratelli  dell'isola  perchè  la- 
sciando le  reticenze,  depongano  suiraltare  della  patria  i  nomi  di 
coloro,  che. già  4a  tempo  lontano  tolsero  da  archivi  le  pergamene. 

È  certo  che  non  verranno  immolati  e  dispersi  al  venlo  nel  cre- 
dere che  le  abbiano  trafugate,  come  hanno  fatto  non  pochi  ama- 
tori di  cose  antiche.  Ed  io  so  e  mi  fu  detto  che  qualche  vecchio  ' 
nella  sua  giovinezza  abbia  visto  questi  documenti  ad  Oristano,  ed 
abbia  udito  che  si  reputavano  preziosi,  ma  che  non  si  potevano  deci* 
frare.  A  me  fu  detto  da  persona  integerrima,  che  tuttora  esiste  ad 
Oristano  qualche  altro  di  questi  documenti,  e  che  non  si  consegna 
per  il  timore  di  non  essere  creduto  usurpatore  Fattuale  possi- 
dente ;  ma  io  vorrei  che  nelP  animo  di  costoro  più  che  V  amor 
proprio  s^  accendesse  quello  della  patria  e  della  verità  iu  favore 
degli  innoccenti  fi^telli  calunniati. 

E  a  voi,  stimatissimo  Prof.  Dì  Giovanni^  chieggo  mille  scuse 
per  avervi  trattenuto  si  a  lungo  e  non  sempre ,  utilmente ,  che 
r  animo  esasperato  irrompe,  e  pur  volendo  non  sa  far  tesoro  della 
calma  e  delle  forme  che  fanno  degni  e  simpatici  gli  stessi  av- 
versari. Valete, 

Frangbsgo  Randacio 

N.  B.  Questo  scritto  era  già  sotto  la  composizione  tipografica, 
6  parte  stampato,  quando  venne  fuori  la  risposta  del  conte  Bandi 
di  Vesme ,  e  V  altra  del  signor  Francesco  Carta,  sardo ,  all'  arti- 
colo di  monsignor  Liverani  sulle  Pergamene  di  Arborea  ;  nelle 
quali  risposte  gli  autori  convengono  col  prof.  Randacio  in  non 
pochi  argomenti. 

/  Compilatori. 


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SAGGIO  DI  TEOCRITO 


L'IDILLIO  NELL'ARTE   GRECA 


Le  conceziòtìi  delibarle  prendendo  il  lor  movimento,  e  lo  svi- 
luppo dalle  circostanze  peculiari  de^  tempi,  vengon  poi  a  manife- 
starsi in  varie  forme,  sebbene  tutte  intendano  al  medesimo  scopo 
cioè,  di  commentare  con  V  idealità  i  fenomeni  dello  spirito,  e  della 
natura;  e  di  fecondare  con  la  fantasia  inventrice  e  accalorare  con 
r  affetto  purificante,  gr  istinti  dell'  animo  nostro,  e  le  sue  aspira- 
zioni al  Bello.  Una  di  queste  maniere  gentile,  schietta,  pittorica, 
*  delicata  assunse  Parte  greca  nella  creazione  delF  Idillio.  I  cen- 
atomi in  cui  questo  genere  poetico  si  raccoglie;  le  modulazioni 
'onde  i  suoi  sentimenti  si  esplicano;  quella  cotal  mistura  di  rusti- 
^cità  campereccia,  e  di  squisitezza  cittadina;  quelle  abbondo  voli  ar- 
monie-the  suonano  con  le  frasche,  coi  rivoletti ,  co'  venti  ;  quei 
colori  succedentisi  che  si  digradano  e  si  ritingono  in  mille  guise 
col  mattino,  col  meriggio,  con  la  quiete  vespertina;  tutte  le  par- 
tizioni insomma  onde  si  fa  sentire  dentro  il  cuore  umano  la  mu- 
sica deir  Idillio,  5ono  incarnate  in  una  realtà  presente,  per  mezzo 
di  una  idealità  attinta  nel  passato.  V  arte  cristiana  ispirandosi  po- 
tentemente nella  beata  luce  d'  un  futuro  che  deve  sovrastare  di 
gran  lunga  ad  4)gni  trascorsa  bellezza,  non  ricorre  ai  tipi  idillici 
con  quella  fecitità,  e  verità  insieme  con  cui  Parte  greca  giunse 
a  ritrarli.  E  poi  minore  è  il  bisogno  perchè  il  pensiero  poetico  si 
provi  in  tal  genere  primitivo,  quando  ormai  le  vie  a  lui  aper- 
te nelle  moderuB  società,  alla  chiusa  de'  monti  natii  hanno  so- 
stituito i  valicati  oceani;  e  al  lare  paterno  la  mondiale  famiglia.  Il 
concetto  religioso  della  paganità  appresta  vasi  inoltre  con  maggior 
facilezza  a  risecare  la  parte  rurale  dal -resto  del  Bello  cosmico, 
dacchè^,  il  principio  mitologico  divinizzando  la  natura ,  faceva  di 
essa  tante  divise  rappresentazioni  per  quanti  eran  gli  obietti  in 
cui  le  divinità  si  manifestavano  alle  imaginose  menti.  Per  lo  con- 
trario il  principio  vero,  unificatore  della  creazione  tutta,  parlante 
la  potenza  di  un  solo  Dio,  non  permise  al  poeta  cristiano  di  di- 
sgregare le  pastorali  contingenze  per  formarne  una  totalità  esi- 


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SAGGIO  DI  TBOCaiTO  387 

stente  da  sé  ;  ma  bene  gli  apprese  a  considerarle  come  un  vago 
episodio  del  grande  poema  delP  universo.  Gessner  delineo  qual- 
che punto  di  tal  episodio  con  un  affettuoso  lirismo.  Per  queste  ca- 
gioni r  idillio  greco  che  non  potè  riprodursi  neir  arte  nuova  della 
parola,  trovò  meglio  il  suo  rammodernamento  in  quella  della  mu- 
sica ;  giacché  questa  è  V  arte  del  presente  ,  e  tutte  le  volte  che 
cerca  di  ispirarsi  al  bello  d'  una  futura  perfezione,  priva  com'essa 
è  d^  un  tipo  costante ,  lo  fa  in  cosi  indeterminata  girìsa ,  che  la 
soavità  del  presente  non  iscemasi,  e^  la  melodia  non  va  a  perdersi 
giammai  nei  misteri  deir  avvenire.  Ben  disse  il  Manzoni  che  il 
ciclo  della  poesia  pastorale  è  ormai  chiuso.  Ha  molte  sono  le  forme 
in  che  V  arte  un  di  esplicatasi ,  non  vive  che  del  passato ,  e  in 
esso  vagheggia  i  suoi  ideali,  già  compiuti  in  isquisiti  lavori.  Con 
Anacreonte  sono  sparite  le  sue  ghirlande,  la  sua  cicala,  la  sua  co- 
lomba ;  e  pure  quei  tipi  di  poetico  acume ,  e  di  divini  momenti 
resteranno  a  figura  perpetua  di  bellezza;  e  quando  per  nuove  co- 
municazioni di  popoli  saranno  abbandonate  le  antiche  vìe  alpine, 
oh  r  arte  ricercherà  quelle  nevi,  quelle  giogaie  deserte  !  si  l'arte 
che  non  conosce  altra  sterile  solitudine,  che  quella  dell'  utile  ;  e 
si  piace  di  risalire  ai  suoi  tipi  con  amore  immortale;  e  ciò  dopo 
secoli  di  trasformate  realità.  Però  a  tal  fine ,  e  a  non  altro  mi- 
rando, a  noi  é  sembrata  acconcia  opera  lo  studiare  la  venustà  i- 
dillica  neir  arte  greca ,  e  ritentare  fra'  non  pochi  che  vi  si  sono 
provati,  di  esprimere  qualcuna  delle  sue  geniali  forme ,  nel  me- 
tro italiano.  Con  siffatti  intendimenti  pubblicammo  nel  18^  in  Pa- 
lermo una  versione  in  rima  di  alcuni  Idillii  di  Mosco ,  e  Bione, 
ed  abbiam  poscia  condotto  la  versione  di  sei  Idilli  di  Teocrito. 
Questo  nostro  Saggio,  anch'esso  in  rima,  comprende:  Il  Pastore 
e  i  Bifolchi  =  Gli  operai ,  ovvero  i  Mietitori  —  I  Pescatori  —  Da- 
gli Amori ,  Frammento;  —  che  già  vennero  messi  a  stampa  nelle 
Nuove  Effemeridi  Siciliane,  Dispense  6,  8,  9  e  10  an.:  1869-70;  e 
altri  due  Idillii,  cioè.  Le  Talisie,  ossia  il  viaggio  di  primavera,  e 
Il  Bifolchetto,  che  diamo  parimente  nello  stesso  giornale.  Ciascuno 
Idillio  é  accompagnato  di  brevi  note  che  risguardino  qualche  Inter* 
petrazfone,  o  variante  che  sia.  Né  lasciam  di  soggiungere  che  il 
culto  in  Sicilia  al  padre  della  Buccolica  poesia  è  stato  perenne; 
e  quando  il  Borghi  ci  veniva,  quasi  ispirato  dalla  presenza  de'  luo- 
ghi ,  metteva  fiato  a  melodiare  con  nuovi  versi  i  bei  carmi  del 
pastore  siracusano;  ma  non  andò  oltre  di  qualche  Idillio,  che  diede 
tradotto  nel  Giornale  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti,  Pare  a  noi  opera 


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388  NUOVE  EFFKMKRIDI  SICILIANE 

d^  un  dolce  affetto  qualunque  studio  in  prosa  o  in  verso  facciasi 
M  Sicilia  pel  vecchio  Simichide. 

^Messina,  «etlembre  1870. 

Riccardo  Hitcuell 


Xe  Talisie,  ossia  il  yiaggrio  di  primavera 

IDILUO  VII. 

^Era  nella  stagion  che  verso  Alente 
J^eregrini  andavam  dalla  ciltade 
Eucrito  ed  io,  terao  sen  venne  Aminta 
Che  célebravan  le  Talisie  feste 
A  Cerere  i  due  figli  di  Licope 
Frasidàmo  ed  Antigene,  onoranda 
Prole,  se  ancor  di  quegli  antichi  padri 
Vive  alcuno  fra  noi  chiaro  rampollo. 
Da  Clizia  e  di  Calcon  che  contro  al  balzo 
Costrinse  le  ginocchia,  e  dal  profondo 
Trasse  il  fonte  Burèo.  Dattorno  al  fonte 
Verdeggiando  ne^  rami  i  pioppi  e  gli  olmi 
Levavano  le  chiome,  e  di  beir  ombre 
Una  selva  vi  fean;  né  del  cammino 
Giunti  eravam  nel  mezzo,  e  non  peranco 
^11  sepolcro  di  Brasila  apparìa. 
Che  a  noi  ci  venne  incontro  un  peregrino 
Di  Cidone,  un  buon  uom  caro  alle  Muse, 
Licida  che  di  capre  era  custode. 
Chi  non  V  avria  raffigurato  ?  in  tutto 
D^un  custode  di  capre  avea  sembianza. 
D^  irto  becco  lanoso  in  su  la  spalla 
Tenea  la  fulva  pelle,  onde  partia 
Odor  di  fresco  caglio,  e  un  vecchio  manto 
Con  ampio  nodo  distringeva  al  petto  (1). 


(1)  Leggo  ic^axepu*  largo,  ampio  ,  come  porla  la  Stereotipa  di  Lipsia ,  e  r  Edi- 
zione del  1854  curata  da  E.  L.  Ahrens ,  invece  di  'KXoxtoi^  e  secondo  che  com- 
mentano gli  Scoliasti,  i  quali  soggiungono  che  scrivesì  anche  icXoxep<}>. 


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SAGGIO  DI  TEOCRITO  389 

Ei  d'oleastro  una  ritorta  verga 

Portava  nella  destra,  e  dolcemente 

Ridendo  mi  chiamò  con  guardo  amico, 

Che  le  labbra  ridevangii,  e  mi  disse: 

0  Simichida,  a  qual  loco  tu  muovi 

Or  nel  merigge  che  il  ramarro  dorme 

Sotto  le  siepi,  e  non  battono  Tali 

Le  capelluto  allodole  ?  Ti  affretti 

A  genial  convito,  o  al  torchio  vai 

D^  alcun  de'  cittadini  ?  Che  al  veloce 

Tuo  piede  i  sassi  intoppano,  e  di  sotto 

Ai  sandali  ti  stridono.  A  tal  voce 

Io  risposi  co^  Licida  amico, 

Fra  quanti  son  bifolchi,  e  mietitori 

Te  celebrar  odo  da  tutti  eccelso 

Modulator  d' avene,  e  il  cor  me  n^  empie 

Una  gran  gioia,  benché  in  mente  io  m'abbia 

Che  potrei  pareggiarti,  n  nostro  calle 

Ci  mena  alle  Talisie:  che  V  opimo 

Gnor  delle  primizie,  ed  il  banchetto 

Indicono  i  compagni  alla  precinta 

Cerere,  che  fé'  pìngue  il  lor  ricolto, 

E  l'aia  ne  colmò!  Ma  poi  che  s'apre 

Un  calle  a  noi,  ed  una  sola  aurora, 

Melodiam  la  campereccia  rima; 

Forse  il  canto  dell'  un  l' altro  seconda. 

Fervida  bocca  delle  Muse  io  sono. 

Ed  ottimo  cantor  mi  dicon  tutti 

Ma  non  si  lieve  è  il  mio  pensier  che  il  creda: 

No,  della  terra  in  nome,  che  l' eletto 

Sicelida  di  Samo,  o  il  buon  Fileta 

Vincer  non  so  nei  carmi;  e  come  rana 

Disputo  invano  a'  grilli  arguti  il  vanto. 

Furo  scaltri  i  miei  detti,  e  il  mandriano 

Aprendomi  un  dolcissimo  sorriso. 

Questo  vincastro  io  farò  tuo,  mi  disse, 

Poiché  un  germe  divino  in  te  si  accoglie 

Quello  artefice  io  sdegno  che  all'altezza 

D' Oromedonte  ragguagliar  vorria 

Di  sua  casa  il  fastigio,  e  mi  ian  noia 


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390  NUOVE  BFPBMBRIDI  81G1LIA!<IE 

Le  garrule  cornacchie  delle  Mase, 
Che  dietro  agPinni  del  Cantor  di  Chio 
Si  faticano  indamo;  Or  muovi  ed  ambo 
Svegliamo  i  metri  pastorali;  lo  voglio 
Provar  se  piaccia  a  te  breve  canzone, 
Che,  non  è  guari,  meditai  sul  monte. 

Portino  a  Hilitene  aure  seconde 
Ageanatte  ancor  che  dei  Capretti 
Tramonti  il  lume,  e  intumidiscan  Tonde. 

E  sul  rigonfio  mar  Noto  si  getti, 
E  Orlon  tocchi  il  pie  nelF  oceano 
Purché  Licida  fugga  i  caldi  affetti. 

Che  r  animo  per  lui  mi  bolle  insano; 
E  gli  Alcioni  fabbricando  il  nido 
Ne  ritornino  il  mar  tranquillo  e  piano. 

E  tolgan  Noto  ed  Euro  che  al  lido 
L'estreme  alghe  sospinge:  che  fra  quanti 
Augelli  pasce  il  mar,  se  vero  è  il  grido; 

Più  di  loro  son  vaghe  le  mutanti 
Azzurrine  Nereidi:  e  a  Militene 
Volgano  Ageanatte  aure  costanti. 

Tutto  facil,  gii  sia,  con  vele  piene 
Entri  laddove  il  bel  porto  si  espande  (1) 
E  alior  ch'ei  tenga  le  bramate  arene. 

Di  rose,  o  aneti  io  porterò  ghirlande 
0  di  bianche  viole,  e  al  fuoco  appresso 
Berò  di  Pteleo  vin  coppa  ben  grande. 

Tosta  sarà  la  fava,  al  fuoco  istesso: 
D' apio,  di  gniza,  e  d' asfodillo  un  letto 
All'altezza  d'un  cubito  fia  messo. 

Dolcemente  io  berò,  pien  dell'affetto 
D' Argeanatte,  e  a  ber  le  gocce  estreme 
Ai  molli  nappi  terrò  il  labbro  stretto. 


(1)  Qualcuno  proporrebiie  in  questo  luogo  cCicXooc  invece  di  eOicXoov  accordan- 
dolo coD  Ageanatte,  Ma  una  tal  Icjzione,  per  quanto  buona  si  voglia  credere  «  non 
Aggiungerebbe  nulli  alle  circostanze  di  già  espresse  dal  poeta,  cioè ,  che  Ageanatte 
navigando  prosperamente  arrivi  in  Mitilene.  La  stereotipa  di  Lipsia  che  poru  que- 
sta variante,,  adottata  dall'  Ahrens,  segue  nel  testo  la  lezione  antica,  che  è  quella 
di  tutte  le  edisioui. 


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SAGGIO  DI  TBOGIUTO  391 

E  dae  pastori  moveranno  insieme 

Delle  pive  il  tener,  Tuno  Acamese, 

E  nato  r  altro  dal  Licopio  seme. 
E  Titiro  dirà  come  si  accese 

Dafni  bifolco  un  di  per  Sènea,  e  come 

A  correr  tutta  la  montagna  prese. 
E  le  quercie  che  infrondano  le  chiome 

D^  Imera  al  margo,  lui  plorar  che  scemo 

D^ogni  vigore  si  struggea,  siccome 
In  Rodope,  o  sul  vertice  dell'Emo, 

Le  nevi  si  risolvono  o  nelPAto, 

0  sulla  vetta  del  Caucaso  estremo. 
Dirà  come  ampia  cassa  al  tempo  andato 

Vivo  accolse  un  pastor,  dove  lo  chiuse 

La  scelleranza  d'un  padrone  ingrato; 
E  che  dei  fiori  i  balsami  eran  use 

L' api  a  recargli  volando  da'  prati; 

E  il  mele  in  bocca  gli  stillar  le  Muse. 
Cornata  avventuroso,  a  te  da'  fati 

Venne  concesso  si  felice  evento: 

A  te  nel  chiuso  cedro  i  delicati  (1) 
Favi  dell'  api  dando  l' alimento, 

Della  vaga  stagion  compisti  il  die  (2) 

Cosi  non  fossi  nei  miei  giorni  spento! 
Le  belle  capre  per  montane  vie. 

Ti  aderberei;  e  tu  sott'elce  o  pino 

Giaceresti,  di  dolci  melodie 
Empiendo  l'aere,  o  Comata  divino. 

Qui  chiuse  il  canto:  e  alla  mia  volta  io  dissi; 

Licida  amico,  d'altri  eletti  carmi 


(1)  Qualcuno  alla  parola  Ké$pov  che  leggasi  due  versi  ìnnanti  ha  fatto  corrispon- 
dere la  pianta  del  cedro  e  non  la  cassa.  Per  me  ho  seguito  V  opinione  di  tutti  gli 
interpetri  che  è  quella  appunto  dello  seoliaste ,  il  quale  nota  t\^  xuv  xlSpov  xùv 
Xép^HTi  ^  TIC  ^v  ano  xsSpou  xatewtuafffxsviS:  nM  cedro  ^venivano  le  api)  cioè, 
nella  cassa  la  quale  di  cedro  era  costrutta. 

(2)  Itoc  v^iov  nou  nel  testo  il  tempo  phmayerile  ,  naturo  alla  nsciu  di  Co- 
rnata. Gli  Scoliaste  riferendo  che  alcuni  v'  intendano  un  intiero  anno  xivlc  x*'  Z- 
Xov  lviauT(Ìv  soggiungono  che  vi  si  può  interpetrare  il  mutamento  delle  stagioni, 
prendendo  una  sola  delle  quattro  partii  cioè,  quella  di  primavera. 


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392  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

M^  erudìron  le  Ninfe,  allor  che  i  buoi 
Pasturava  pe'  monti;  e  forse  al  trono, 
Di  Giove  il  grido  ne  sali.  Qual  d^essi 
Suona  più  dolce  io  vo^  cantarti,  e  mi  odi  ; 
Poiché  vivi  si  caro  alle  Camene. 

A  Simichida  starnutar  gli  Amori; 
Che  tanto  il  meschinello  ama  Hirtone, 
Quanto  le  capre  la  stagion  dei  fiorì. 

Sospira  Arato  a  un  tenero  garzone, 
Egli  che  a  Simichida  è  il  più  diletto: 
Ed  Arìsti  gentil  ben  vi  s'appone. 

Aristi,  che  anche  Febo  al  suo  cospetto 
Citareggiar  da'  trìpodi  farìa; 
Ei  sa  qual  voglia  arde  d'Arato  il  petto. 

Tu  Pane,  lo  rìduci  alla  sua  via, 
Tu  che  d'Omolo  tieni  i  dolci  piani 
0  il  tenero  Filino,  o  un  altro  ei  sia. 

Tu  lo  rìduci  nelle  care  mani 
Senza  che  di  chiamarlo  Arato  stanchi. 
Che,  se  questi  desir  non  fai  tu  vani   . 

Non  ti  battano  più  gli  omerì  e  i  fianchi 
Gli  Arcadi  (ànciuUetti  con  le  squille, 
Quando  su  Tare  cacciagion  ti  manchi. 

Se  il  nieghi,  io  voglio  che  mille  ugne  e  mille 
Ti  fendano  le  membra,  e  fra  gli  spini 
Ti  si  chiudano  al  sonno  le  pupille. 

E  a  mezzo  il  verno  t' abbiano  i  confini 
Deir  Ebro,  e  i  gi(^hi  degli  Edonii  monti, 
A  cui  sono  gli  Artoi  lidi  vicini. 

E  r  estate  gli  Etiopi  non  conti 
T' abbian  pastor,  dei  Blemi  a  V  antro,  donde 
Alcun  non  vede  più  del  Nilo  i  fonti. 

Di  Bibli  e  Teti  le  dolcissime  onde 
Lasciate,  o  voi,  che  fra  le  sale  altere 
Dìona  acccoglie  dalle  treccie  bionde; 

0  voi  d'Amori  leggiadrette  schiere, 
Che  a  mele  vermigliuzze  io  rafiiguro, 
Or  voi  mostrate  come  l'arco  fere. 


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SAGGIO  DI  TEOGBITO  393 

Ferite  poi,  ferite  il  garzon  duro 

Che  deir  ospite  mio  nulla  ha  pietade, 

E  che  di  molle  pera  è  più  maturo. 
A  lui  gridan  le  donne:  La  beltade 

Tu  consumi,  o  Filino,  e  questo  fiore 

Rapidamente  illanguidisce,  e  cade. 
Più  non  vegliam  delle  sue  porte  fuore 

0  Arato,  e  più  non  faticbiam  le  piante; 

Altri  il  gallo  vi  chiami  al  primo  albore. 
Poni  in  tal  ludo  sol  Melone  amante; 

Ma  piaccia  a  noi  goder  quiete  sicura; 

E  la  vecchia  non  manchi  che  dinnante 
Sputando  ne  dilegui  ogni  sventura. 

Queste  cose  cantai,  qjiand^egli  diemmi 

Il  vincastro  e  d'un  simile  sorriso 

Qual  prima  sfavillò,  lasciando  il  dono 

Ospitai  delle  Muse;  e  a  mano  stanca 

Se  ne  andò  pel  cammin  che  a  Pissa  fiede: 

Meco  sen  venne  Eucrito  e  il  bello  Aminta. 
Di  Frasidamo  noi  gimmo  alle  soglie, 

Te  i  tetti  si  calavano  ricolmi 

Di  fresco  giunco  e  di  parapmee  foglie. 
Sovr'essi  ne  adagiammo  ch'eran  colmi 

Di  gioia  i  cori,  e  a  noi  sul  capo  lenti 

Àgitavan  le  cime,  i  pioppi  e  gli  olmi. 
Dall'antro  ddle  Ninfe  le  correnti 

Fea  risonar  daccanto  un  sacro  rivo; 

Fra  i  rami  ombrosi  le  cicale  ardenti 
Non  riposavan  dal  lor  metro  estivo, 

Stridea  lontano  la  calandra  in  parte 

Ove  il  folto  dei  pruni  era  più  vivo. 
Lodole,  e  cardellini  untan  lor  aile, 

Gemea  la  tortorella,  e  bionda  schiera 

D'api  volava  a'  fonti  d'ogni  parte» 
V'era  il  tesoro  delH' estate  e  v'era 

Dell'autunno  il  tesor,  le  mele  ai  lati, 

Di  sotto  ai  pie  correvano  le  pera. 


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394  NUOVE  EFFEMBRIOI  SICILIANE 

Alla  terra  piegavansi  gravati 

Delle  susine  i  rami,  ed  il  suggello, 

Alle  botti  s^apria  di  quattro  estati. 
Dite,  0  Ninfe  divine,  che  V  ostello 

Tenete  sulle  vette  del  Pamasso, 

Forse  ad  Ercole  offrìa  nappo  si  bello, 
Di  Tolo  antico  nel  cavato  sasso, 

Chiron  degli  anni  già  canuto?  0  forse 

Quei  che  le  rupi  fea  volare  al  basso; 
Quei  che  forte  pastor  TAnàpo  scorse, 

Polifemo  gustò  bevanda  pari, 

Allor  che  in  danza  la  sue  stalle  corse? 
Certo  licor,  più  dilettosi  e  cari 

Mesceste,  o  vaghe  Ninfe,  a  noi  garzoni. 

Di  Cerere  Areal  presso  gli  altari: 
Oh  ancora  il  cielo  d^  agitar  mi  doni 

n  ventilabro  in  si  gran  copia;  ed  ella, 

Tenendo  in  man  papaveri  e  covoni, 

Mostri  il  sorriso  della  faccia  bella. 

Messina,  setlembre  1870. 

i  RlGCAaDO  MlTGHBLL 


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PAOLO  MAURA 

POETA  SICILIANO  DEL  SECOLO  XVII 
(*) 


Questa  ristampa  non  mi  è  parsa  inutile  per  più  ragioni.  Pri- 
mieramente perchè  Paolo  Maura  è  uno  di  quei  pochi  classici  scrit- 
tori del  nostro  dialetto  che  presto  divennero  e  tuttavia  manten- 
gonsi  popolari  ;  in  secondo  perchè  la  scorrettissima  edizione  del 
1759  fatta  dal  Trento  (2)  è  ornai  una,  invero  poco  pregiata ,  ra- 
rità bibliografica;  e  finalmente  perchè  in  questo  fervore  di  canti 
popolari  che  invade  tutta  V  isola  non  era  giusto  dimenticare  un 
antico  poeta ,  quasi  T.  unico,  pel  tempo  in  cui  fiori,  che  impron- 
tasse le  sue  poesie  di  quelle  forme  cosi  schiette  e  cosi  vive  che 
oggi  ammiransi  tanto. 

La  presente  edizione  è  stata  condotta  con  ogni  dilingenza  e  cpn 
critica  severa.  Al  Maura  non  mancò,  fra  le  altre ,  la  sventura  de- 
gli editori  postumi;  e  certamente  egli  non  poteva  cadere  in  peg- 
giori mani  di  quelle  dei  signori  Accademici  che  prepararono  e 
fecero  a  loro  spese  T  edizione  del  Trento.  Sia  per  rispetto  alla 
fama  delFautore,  sia  per  riguardo  alla  dignità  del  lettore,  io  ho  cre- 
duto opportuno  scegliere  il  meglio  di  quant^  essi  stamparono  alia 


(1)  In  giorni  iiui  quali  gli  sludi  delle  iradizioni  popolari  sono  rÌTolti  alla  ricerca 
degli  aatori  di  una  data  poesia  divenuta  canto  del  popolo,  non  possiamo  non  ac- 
cogliere con  gradimenlu  lo  annunzio  che  si  stia  preparando  una  nuova  edizione 
delle  poesie  di  Paolo  Maura  poeta  siciliano  molto  popolare  del  secolo  XVII.  Questo 
aniiunxio  ci  vien  pòrto  d^il  sig.  Luigi  Capuana,  a  suggerimento  del  quale  il  tipo- 
grafo sig.  Calatola  di  Catania  s'  ò  messo  alla  ristampa  di  quel  poeta,  ristampa  che 
porterà  innanzi  la  presente  prefazione.  /  Compilatori 

(2)  Li  veri  canzuni  ccu  la  Pigghiata,  e  na  divota  cumpusizioni  italiana  supra 
l'Ave  Maria  di  D.  Paulu  Maura  celebri  pueta  di  la  cita  di  Miniu.  Una  e  ceu  aleuni 
antri  sinceri  canzuni  di  D.  Oraziu  Capuana  baruni  di  lu  regiu  Casteddu  di  la  stissa 
cita.  Si  sUmpanu  a  spisi  di  TAccademici  di  Miniu.  In  CalUgiruni  nellu  palazzu 
dellu  111.  Senatu  pri  Siuiuni  Trento,  1759.  Cu  lioenza  di  lu  Soperiuri. 


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396  NUOVE  EFFEMEEIOl  SICaUANB 

rinfusa ,  riordinarlo,  correggerlo,  dove  occorreva ,  con  un  mano- 
scritto del  tempo  che  per  sorte  ho  potuto  riscontrare  ;  e  in  que- 
sto modo  spero  aver  vendicato  la  memoria  del  poeta  mineolo  dal 
grave  insulto  arrecatole  dalla  stupida  ignoranza  dei  suoi  amici. 

Per  coloro  che  non  potranno  avere  in  mano  1^  edizione  dei 
Trento  onde  far  i  confronti  colla  mia,  basti  sapere  che  in  essa  di 
parecchie  ottave,  che  sono  componimenti  staccati,  se  ne  fa  spesso 
uno  solo  ;  che  molte  varianti  si  danno  come  fossero  componimenti 
diversi  :  che  talvolta  viene  cosi  stranamente  mutato  il  titolo  d^un 
componimento  da  non  potersene  affatto  raccapezzare  più  il  senso: 
e  non  parlo  della  smisurata  caterva  degli  errori  tipografici  che 
rendono  la  lettura  di  quella  edizione  proprio  insopportabile. 

A  quelli  che  possono  biasimare  la  mia  severità  nell^  escludere 
da  questa  ristampa  i  componimenti  mediocri ,  confesso  che  avrei 
voluto  essere  ancora  più  severo  ;  ma  me  ne  sono  ritenuto  per  ri- 
guardo a  certe  voci  non  comuni  del  nostro  dialetto  che  cosi  pos- 
sono porgere  un  esempio  pel  futuro  vocabolario  siciliano.  Però  io 
non  ho  tolto  senza  dare  un  compenso;  giacché  in  quest^  edizione 
si  leggeranno  parecchie  cosettine  inedite  e  affatto  sconosciute  che 
valgono,  senza  dubbio ,  quelle  messe  da  parte;  si  avranno  resti- 
tuiti i  veri  titoli  dei  componimenti  che  a  questo  modo  quasi  ri- 
nascono a  nuova  vita  ;  e  si  sapranno  i  nomi  delle  persone  a  cui 
furono  indirizzate  alcune  poesie,  che  allora  non  vennero  pubbli- 
cati non  so  dire  perchè: 

Aviei  voluto  aggiungere  una  biografia  del  poeta,  ma  per  que- 
sta non  ci  fu  lasciato  nessun  ricordo,  air  infuori  dei  pochi  che 
possonsi  ricavare  dalle  sue  poesie.  Si  sa  solamente  ch^egli  nac- 
que da  Carlo  e  Pietra  Maura  il  23  gennaio  1638;  che  lo  stesso 
giorno  dello  stesso  mese  sposò  nel  1763  Doralice  Limoli,  e  che 
in  ultimo  morì  in  Mineo  nel  1711. 

La  tradizione  locale  è  stata  intanto  meno  dimenticona  della  cro- 
naca col  suo  poeta.  E  da  essa  ho  potuto  spillare  alcune  notizie 
che  illustrano,  com'oggi  suol  dirsi,  la  Pigghiata;  ma  le  dò  per  quel 
che  valgono  e  senza  la  menoma  guarentigia.  Però  bisogna  conve- 
nire che  non  c^è  ragione  di  diffidarne;  la  tradizione  si  accorda 
col  documento  e  lo  spiega:  può  esser  benissimo  storia  schietta. 

La  tiadizione  dunque  ci  narra  che  il  poeta  fu  riamato  amante 
di  una  l'agazza  di  casa  Maniscalco,  allora  un  nobile  e  potente  ca- 
sato Mineb.  I  parenti,  non  volendo  permettere  lo  scandalo  d'una 
unione  disuguale,  chiusero  Tinnamorata  ragazza  nel  monastero  di 


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PAOLO  MAUBA  397 

Santa  Maria  degli  Angioli,  e  credettero  cosi  troncare  di  botto  una 
passione  che,  secondo  le  idee  di  quel  tempo,  poteva  imprimere 
un^onta  indelebile  sullo  stemma  della  famiglia.  Però  fecero  i  conti 
senza  Toste.  Il  fuoco  dei  due  innamorati  divampò  più  forte;  gli 
ostacoli,  invece  di  smorzarlo  servirono,  com'è  il  solito,  ad  attiz- 
zarlo meglio;  e  il  campanile  e  le  grate  del  monastero  tennero  il 
posto  delle  flnestre  e  dei  terrazzini  per  Tamorosa  corrispondenza. 
La  cosa  non  poteva  rimanere  un  mistero.  Il  giovane  poeta  passava 
le  intiere  giornate  seduto  su'  gradini  della  chiesetta  dello  Spirito 
Santo  ,  cogli  occhi  rivolti  a  quel  campanile  e  a  quelle  grate  da 
cui  una  mano  gentile  e  desiata  gV  inviava  %ra  un  caro  segnale, 
ora  un  dolce  salutò^  I  parenti  della  giovinetta  non  stavano  cogli 
occhi  chiusi,  e  prendevano  sospetto  del  menomo  che  ;  molto  più 
che  i  due  amanti ,  accecati  dalla  passione,  non  sapevano  ristarsi 
da  certe  imprudenze,  e  ne  rincoravano  ogni  giorno  la  dose.  In- 
fatti si  sospettò  finalmente  che  avessero  tentato  una  fuga  abbor- 
tita  per  caso.  I  Maniscalco,  montati  sii  tutte  le  furie,  giurarono 
di  perdere  T  audace  innamorato,  e  Vautxnità  seppe  subito  che  un 
miscredente ,  uno  scomunicato ,  tulbava  con  iscandalo  di  tutta  la 
città  la  sacra  quiete  delle  spose  di  Cristo. 

n  nobilume,  il  pretume  di  quel  tempo,  cuciti  a  rete  doppio,  si 
rovesciarono,  com'oggi  si  direbbe  su  quel  protestante,  su  quel  ri- 
voluzionarioy  e  il  povero  Maura  fu  arrestato,  carcerato  prima  nel 
Castello  di  Piazza,  poi  nella  Vicaria  di  Palermo:  e  quando  potè  u- 
scirne  via,  i  mali  patiti  lo  avevano  guarito,  se  non  dell'amore 
certo  della  baldanza  giovanile  con  cui  aveva  sfidato  i  pregiudizi 
sociali.  Cosi  fini  in  apparenza  uno  di  quei  frequenti  e  dolorosi 
drammi  della  vecchia  società  oggi  resi  impossibili. 

In  apparenza  si,  perchè  se  il  Maura  potè  forse  trovar  nella  vita 
di  famiglia  conforti  al  suo  dolore  ,  ed  anco  V  obblio  ;  la  misera 
giovinetta  non  potè  dimenticare  tanto  presto  un  amore  che  l'aveva 
si  violentemente  agitata,  e  non  è  difficile  figurarsi  di  che  lagrime 
e  di  che  grida  disperate  dovette  risanare  la  sua  cella  prima  che  il 
sentimento  religioso  non  avesse  finalmente  persuasa  la  infelice  a 
rassegnarsi  ! 

Ma  il  poeta  ha  vendicato  tutti  e  due  t  e  la-  sua  vendetta  durerà 
ancora  un  pezzo!  Nella  Pigghiata  egli  non  ha  risparmiato  nessuno 
dei  'suoi  nemici.  Che  serie  stupenda  di  ritratti  e  di  caricature! 
Tutti  ci  sfilano  dinanzi  come  una  processione  gi'ottesca  con  un 
fremito  bestiale  sulle  labbra, con  una  gioia  feroce  sul  viso;  cre- 

26 


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398  NUOVE  EFFEMERIDI  StCIUANE 

dono  di  subissare  il  poeta,  averne  aHegra  vendetta ,  e  non  s*  ac- 
corgono che  vivono  oramai  la  vita  deir  arte,  immortali  impotenti 
che  il  poeta  si  compiace  di  presentare  al  nostro  riso  ed  al  nostro 
disprezzo!  E  non  c2q[)iscono  che  le  vittime  del  loro  animalesco 
furore  vengono  da  noi  non  solo  conciante,  ma  amate;  e  che  quella 
che  rimane  nelFombra^  quella  che  non  ha  modo  di  forsi  ascoltare, 
potrà  esser  lieta  delle  sue  pene  se  oggi,  dopo  quasi  due  secoli , 
noi  c^  inteneriamo  in  bvore  di  lei  allorché  leggiamo  che  dsd  prò* 
fondo  del  suo  carcere  il  poeta  esclamava  : 

Ma  punì  miicunsolu  qualchi  pocu 
Quannu  ^ntra  sti  me'  guai  passa  a  pinsari 
La  causa  ppi  cu^  patu  un  tantu  focu. 

Ckrussi  tutti  Tai&nni  mi  su'  cari, 
Duci  li  peni,  ed  a  stu  cori  affrittu 
Nun  e'  è  turmeniu  chi  lu  po'  turbari  f 

Nella  Piggiata^  H  più  lungo  dei  componimenti  che  il  Maura 
abbia  scrìtto,  l' arte  del  poeta  è  veramente  somma.  Il  soffio  della 
vita  è  passato  per  li,  e  ne  ha  fatta  un'  opera  letteraria  che,  dopa 
tanta  distanza,  par  nata  appena  ieri.  Trovi  nello  stile  una  fre- 
schezza che  ricrea,  una  limpidezza  ammirabile,  e  quel  pregio  che 
mi  piace  chiamare  il  toscanesimo  del  nostro  dialetto.  II  Maura  non 
isforza  il  siciliano,  non  lo  gonfia,  non  lo  vuol  rendere  letterato; 
teme  il  guastarlo  e  se  ne  guarda.  Perciò  in  lui  non  trovi  ombra 
d' imitazione  dotta,  sia  nella  forma,  sia  nel  concetto.  Tutto  vi  va 
per  la  piana,  ma  non  pel  volgare;  tutto  vi  è  spontaneo,  di  getto, 
pensato  e  parlato  alla  buona,  ma  efficacemente,  ma  arditamente , 
con  quella  maestria ,  la  più  difficile  di  tutte.  Infatti ,  mentre  il 
concetto  pare  uno  di  quelli  che  si  presentano  a  pruna  vista ,  da 
alcune  varianti  si  può  scorgere  per  quale  trafila  abbia  passato,  e 
meglio  si  vedrebbe  se  potessero  trovarsi  gli  autografi  sperduti. 
Che  il  Maura  dovesse  possedere  un  senso  squisite  dell'  arte  si  ca- 
pisce tosto  riflettendo  ch'egli  visse  nel  seicento,  e  confrontando 
lo  sue  poesie,  per  esempio  i  canti  d' amore,  con  lutto  quello  che 
si  beli  in  quel  tempo  di  lambiccato  e  di  strano  dai  nostri  poeti 
vernacoli.  Il  segreto  del  Maura  mi  pare  stia  in  questo;  ch'egli 
può  dire  francamente: 

Io  mi  son  un  che  quando 
Amore  spira  noto,  ed  a  quel  modo 
Che  detta  dentro  vo  significando. 


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PAOLO' MAURA  399 

Cosi  lì  SUO  frizzo  perde  di  raro  V  atticismo  che  gli  è  pròprio 
anzi  è  spesso  velato  d'una  leggiera  nube  di  malinconia  che  lo 
accosta  diìVhtmor  dei  moderni.  E  nel  Maura  T uomo  moderno  c'è, 
ed  assai  bene  accentuato.  Serpeggia  per  le  sue  poesie  uno  spi- 
rito di  rivolta  contr'ogni  oppressione,  contr'ogni  pregiudizio  che, 
guardando  al  suo  tempo,  h  davvero  sorpresa.  Egli  non  teme  di 
dirci  che  la  Giustizia,  scappata  via  da  questo  mondo  perchè  vide 
manomesse  le  sue  leggi  ed  i  suoi  riti, 

Lassau  in  vinnitta  di  so'  ribbeddi 
Un  recipe  di  pruvuli  e  di  baddi, 

la  rivoluzione  in  petto  e  in  persona  t 

Il  inaggior  difetto  che  si  possa  rimproverare  al  Maura  è  come 
direbbero  i  francesi,  che  la  rime  n'  est  pas  riche.  Il  poeta  esce  di 
i*aro  da  certe  assonanze  predilette;  poco  male ,  se  per  compenso 
ne  abbiamo  tutti  i  pregi  che  ho  accennato  qui  innanti. 

Dalle  poesìe  del  Maura  non  vanno  disgiunte  nell'edizione  del 
Trento  le  poesie  del  barone  Orazione  Capuana,  e  non  ho  voluto 
ometterle  anche  qui,  con  parchissima  scelta.  I  canti  del  Capuana 
sono  tutti  d'amore;  però  la  passione  vi  si  sente  di  rado.  È  vero 
che  il  concetto  vi  è  talora  trovato  e  reso  felicemente,  ma  spesso 
è  troppo  stillato  e  arieggia  il  secolo.  Le  pochissime  che  ristampo 
sono  il  fìore  delle  sue  non  numerose  ottave  e  bastano  per  mo- 
strare in  lui  un  ingegno  non  volgare.  Ma  da  lui  al  Maura  ci  corre 

Orazio  Capuana  nacque  dal  dottor  Giuseppe  e  da  Donata  Ta- 
luna verso  il  1608.  Sposò  dapprima  Lucenzia  Soldano ,  donna  di 
pietosi  costumi,  poi  nel  1669  Lucrezia  Limoli.  Ebbe  vita  avven- 
turosa. Si  trovò  mescolato  ai  tumulti  di  Napoli  quando  Masaniello 
suscitò  la  real  repubblica  napolitana,  maneggiò  in  quell'occasione 
importantissimi  affari  per  conto  del  Viceré  Rodrigo  Ponzo  de  Leon, 
e  corse  pericoli  assai  gravi.  Filippo  IV  ne  lo  rimeritò  creandolo 
barone  del  Castello  col  regalo  di  mille  ducati.  Mori  nel  1691. 
L'ottava  inedita  di  lui  che  fu  tratta,  anni  fa,  da  un  antico  ma- 
noscritto di  poesie  siciliane  della  biblioteca  dell' ex-convento  dei 
Cappuccini  in  Mineo,  si  trova  in  bocca  del  popolo  e  merita  di 
starci. 

Giudichi  ora  il  savio  lettore  se  quest'  edizione  corrisponde  agli 
intendimenti  con  cui  ho  cercato  condurla,  e  se  mantiene  le  pro- 
messe. 

Luigi  Capuana. 


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SUGLI  ANEDDOTI  SICILIANI  DI  A.  LONGO 

E 

IL  DISCORSO  DEL  DOTT.  HARTWI6 


Lettera  di  L.  Vigo  a  6.  Pitrè 


Amco  MLassiMo 

Come  tessera  delP  amicizia  indissolubile  che  ci  collega,  vi  mando 
per  r  anno  nuovo  il  volume  degli  Aneddoti  sidliani  del  cav.  Aga- 
tino Longo  da  voi  con  tanta  brama  desiderato.  Questo  celebre 
professore,  che  ad  ottani'  anni  ha  il  vigore  mentale  di  un  giovane, 
ha  scritto  su  quasi  lutto  lo  scibile  daH\esordire  del  presente  se- 
colo, né  ancora  si  arresta,  talché  per  onnigena  sapienza  può  pa- 
ragonarsi a  Leibnizio  soltanto.  Or  egli  celiando  circa  il  1840  det- 
tava questi  aneddoti  di  varia  natura,  fra  loro  apparentemente  sle- 
gati, quasi  apologhi  di  pratica  moralità,  trasmettendo  cosi  agli  av- 
vertimenti taluni  de'  mille  avvenimenti  briosi,  istruttivi,  lepidi/ 
quasi  tutti  proverbiali,  di  reminiscenze  di  antichi  pregiudizi,  che 
si  ripetono  tradizionalmente  fra  di  noi,  e  fon  parte  del  reperto- 
rio casalingo  di  molte  delle  nostre  faoniglie  cittadine  e  campe- 
stri. Arieggiano  de'  fogli  sparsi  ;  ma  nessuno  senza  utile  chiusa , 
frizzo,  allusione,  ricordo.  L'uomo  di  straordinaria  potenza  intel- 
lettuale, non  dorme  neppure  fra  i  nonnulla,  quando  par  che  sba- 
digli e  sonnecchi. 

La  loro  pubblicazione  è  di  antica  data;  s'iniziò  nel  1843  ìd 
Palermo  nell'  Occhio^  Giornale  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti;  fu  con- 
tinuata nella  Strenna  catanese  del  1845,  nello  scordo  di  quel- 
l'anno  medesimo  l'evulgò  il  Musumeci  Papale,  ed  io  l'annunziai 
alla  p.  112  de'  Prolegomini  a'  Canti  popolari  siciliani  sin  dal  1857, 
talché  in  siffatto  modo  si  ebbero  la  massima  pubblicità. 

Sono  essi  80  in  68  articoli  corredati  da  quattro  litografie  ed 
impressi  con  eleganza.  Sono  nel  maggior  numero  dettati  in  ita- 
liano, ma  taluni  nel  nostro  dialetto ,  e  tutti  quanti  allegrati  dei 
vezzi  della  favella  insulare  spiegali  con  apposite  annotazioni,  delle 


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ANEJ)DOTI  SICILIANI  401 

quali  potrà  giovarsi  il  nostro  Traina  nella  compilazione   del  suo 
Nuovo  Vocabocario  siciliano. 

Or  come  il  duLta  HarU  ig  nel  suo  Discoiìso  sìiìVorigùie  dd  dia- 
letto HCìUnm^  premesì^o  all,i  Haccolta  di  mt^dlim  siciUmie  della 
signora  Lnum  liuii:àu!iliych,,  paò  diro  che  *  riirteiizione  de'  lei* 
lei"ili  siciliani  non  sì  è  livolla  sinora  allo  studio  delle  novel- 
line popolari  della  loro  patria  ,  e  questa  racoolUi ,  la  prima  nel 
suo  genere,  è  stala  compilata  da  stranieri  ?  (i)  "  1  tedeschi  han 
fama  di  diligenza  e  (jonderazìonc  profonda,  e  ben  la  merita- 
no; ma  come  il  doti.  0.  Hartwig  avendo  egli  àoggiornalo  a  lun- 
go in  Sicilia,  possedendo  e  citando  coniinno  i  Canti  popolari 
da  me  raccolti,  avendo  frugato  minatamente  i  nostri  storici  o  i 
nostri  giornali,  poteva  ignorare  T  opera  del  Longo?  Se  la  dì  co- 
stui pubblicazione  era  anteriore  di  ventisette  anni  a  quella  della 
Gonsenbacli,  e  generalmente  conosciuta;  perchè  dìcliiarara  quella 
posteriore  anlecedente,  e  asseverare  che  i  letterati  siciliani  non 
s'erano  rivoUi  finora  a  cosifatle  investigazioni  t 

Gli  Aneddoti  del  Longo  sgannano  il  popolo  di  nuovi  e  invete- 
rali pregiudìzi,  giovano  in  parie  alla  inve^ltgazìone  della  nostra 
genesi,  e  perciò  oltre  a'  loro  pregi  intrinseci,  anche  per  i|uesto 
sono  degni  dì  nota.  Mentre  le  novelline  della  GouBenbach,  che  io  j 
non  ho  lette,  air  opposto,  stando  al  giudizio  dell' Hartwig  •  non  ' 
hanno  alcun  carattere  specialmenle  nazionale,  ma  Irovansi  inge- 
nenie  nello  slesso  stato  di  sviluppo  di  tutte  le  altre  dell' Europa 
meridionale  (2)  i.  In  ogni  modo  non  era  il  caso  di  sfreggiarci  cosi 
al  vivo  asserendo  che  dovettero  yenìre  gli  stranieri  ad  esplorare 
Je  nostre  miniere. 

Di  fa  Iti  li  80  Aneddoti  del  Longo  sono  nella  loro  quasi  totalità 
utile  documento  universo  o  insulare.  Molti  espongono  in  quadri 
r  origine  leggendaria  de"  nostri  proverbi  (3);  alui  narrano  scal- 
irimcnti  sottili  per  isvegliare  la  mente  del  popolo,  o  per  dar  prova 
deir  ingegno  siciliano  (4);  pochi  le  giullerie  del  nostro  Bertoldino 
Giufà,  vezzeggiativo  di  Giosafatie  e  di  altri  uomini  semplici  (5); 
parocclii  ammaestrano  con  opportuni   avvertimenti    come  scher- 


mi) Bitisia  Sicula^  Luglio  &l  ^osio  ÌB70.  p.  g« 

{%}  Ivi.  p.  ai, 

^3j  Sono  L-sai  prrMdpal(]ieiiU3  qiiclti  ili  N.  ù,  13,  tS,  IO.  'M,  4i.  f>i 

(\}  (7,  3S.  io,  47,  i<»,  53,  33,  56,  S7,  SU,  60,  iH,  ni. 

(5)  t,  2,  H,  il,  SS,  ad,  WS,  4S,  31,  5i, 


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402  NUOVE  EFFCMEIODl  SICILIANE 

mirsi  da'  pericoli  e  da'  tranelli  de'  rabula  curiali  e  della  umana 
perfidia  (1);  come  il  savio  dee  comportarsi  con  gl'inverecondi  e 
importuni  (2);  nò  la  satira  vi  è  omessa  (3);  i  costumi,  gli  errori 
popolari  hanno  ivi  il  loro  cantuccio,  vi  troviamo  quindi  i  morti 
che  notte  tempo  girano  per  le  case  il  2  novembre  e  regalano  i 
bimbi  di  ninnoli,  gingilli  e  confetti;  il  riconto  del  lupo  mannaro^ 
di  Harrabecca,  della  Mammadraga,  del  Babau ,  del  Babalutu  (4)  ; 
le  burle  vi  sono  frammiste  (5);  cosi  gli  effetti  della  immagina- 
zione esaltata,  e  gli  acconci  espedienti  a  risanarla  (6)  ;  ad  esser 
brevi  sono  notevoli  gli  aneddoti  storici  sul  Diotaro  di  Catania,  la 
enizione  del  1669,  il  terremoto  del  1693,  i  Taraglioni  di  Aci-Trezza 
e  consimili  (7), 

Né  si  creda  il  Longo  senza  predecessori  :  egli  primo  adoperò 
la  prosa,  molti  la  poesia,  colori  diversi  di  unica  tavolozza  nel  ge- 
nere narrativo;  e,  tra  costoro  primeggiano  il  massimo  Meli,  Tem- 
pio, Marraffino,  Grassi  Cambino,  Cueli,  Cangi,  dal  quale  il  Longo 
ritrasse  l' aneddoto  22  (8).  "Essi  ora  con  l' apologo,  ora  con  la  fa- 
vola, ora  con  l'ingenuo  racconto  dipinsero  e  ricordarono  le  cre- 
denze, le  reminiscenze,  le  leggende  e  storielle  del  nostro  popolo, 
talchò  lo  scopo  di  fotografare  gli  usi  de'  pastori,  de'  marinai ,  le 
veglie  invernali  delle  nonne,  e  cosi  apprestare  al  filosofo  le  fila 
della  grande  tela,  che  collega  questa  e  quella  progenìe,  e  ne  de- 
termina le  discendenze,  gli  incrociamenti,  i  passaggi  ec.  era  ini- 
ziata da  tempoi  Per  ragione  di  brevità  non  richiamo  alla  memoria 
dell' Hartwing  le  opere  de'  secoli  precedenti;  che  sono  state  re- 
gistrate dal  Mongitore,  dal  Narbone,  dallo  Scinà  e  da  me  mede- 
simo. 

Or  come  ciascun  vede,  quel  dotte  alemanno  non  ha  certo  il  me- 
rito dell'  imparzialità,  e  chi  legge  il  di  lui  Discorso  può  dubitare 
a  buon  dritto  di  esser  veramente  colpabili  di  errori  Mons.  Gio- 
vanni Di  Giovanni,  Francesco  Perez ,  Vincenzo  Di  Giovanni ,  Isi- 
doro la  Lumia,  Innocenzio  Pulci  e.  altri  illustri  siciliani,  annove- 


(1)  3,  23,  39,  45,  47,  65,  68. 

(2)  26,  34,  43,  55. 

(3)  5,  16,  41. 

(4)  19,  24,  28. 

(5;  il,  12,  33.  43. 

(6)  10,  14. 

P)  27,  28,  29,  30,  31,  32,  40.  50,  54. 

(8)  Gangi  edis.  di  Catania,  1839,  p.  99. 


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ANEDDOTI  SICILIANI  Ì03 

rando  aache  T  oscuro  mìo  nome  fra  cotanto  senno,  talché  sembra 
che  egli  poco  abbia  voluto  ponderare  le  nostre  considerazioni.  Pa- 
rimenti ci  fa  dubitare  potersi  restringere  e  sminuire  di  luce  le 
deduzioni  dell'Amari  sulP influenza  lombarda  in  Sicilia,  che  egli 
ritiene  come  vangelo  storico,  e  forse  non  lo  sono. 

Se  ci  venisse  poi  da  altra  parte  il  picco  e  ripicco  continuo  di 
gretto  patriottismo  locale^  di  gretto  amor  di  campanile  e  simili  scal- 
fiture  (1),  ci  moverebbe  soltanto  a  compassione;  ma  non  cosi  quando 
r udiamo  ripetere  in  Lipsia,  da  un  prussiano  sapiente,  il  quale 
conosce  a  prova  le  storie  siciliane  nuove  ed  antiche.  Sicuri  nel 
nostro  convincimento  della  schiettezza  de^  nostri  giudizi,  ragio- 
niamo delle  glorie  di  Sicilia,  come  di  Grecia  od  Egitto  si  fossero, 
fnentre  forse  altri  ce  ne  invìdia  V  incontrastabile  eredità,  e  valica 
mari  e  terre  ad  assidersi  su^  nostri  focolari  per  istudiarne  le  reli- 
quie. Or  questo  nostro  peccato  di  gretto  patriottismo  di  campanile^ 
ove  lo  scopre  il  dott  Hartwig  ?  È  desso  politico  o  letterario?  Tastia- 
mo la  piaga.  Sta  bene  appellare  V  Amari  provato  compatriota  nel 
senso  di  cittadino  italiano,  anzi  è  poco;  noi  gli  offriamo  e  aggiun- 
giamo corone  di  quercia  a  quelle  di  lauro  meritate  dalla  di  lui 
valenzia,  e  plaudiamo  il  Governo  nazionale  di  avere  in  lui  pre- 
miato il  merito  e  gli  studi.  L'Amari  è  gloria  nostra,  ma  secolui 
altri  mille  non  amano  meno  la  patria  di  quel  gentile  cui  ferve  il 
cuore  da'  giovani  anni  del  Precida  (2).  E  T  Hartwig  e  il  mondo 
contemporaneo  ne  hanno  prova  incontrovertibile.  Per  opera  assi- 
dua, coraggiosa,  concorde  de'  suoi  dotti,  Sicilia  insorse  la  prima 
nel  1848,  e  proclamò  decaduti  i  Borboni;  e  quindi  nel  1860  ab- 
dicò unanime  la  oltosecolare  autonomia  del  suo  campanile.  Nò  a 
ciò  arresiossi,  avvegnaché  contribuì  efflcs^cemente  col  danaro  e  col 
sangue  ad  emancipare  intero  il  reame  di  Napoli,  riunendolo  al- 
l'Italia (3).  Chi  ci  vietava  di  roborare  la  indipendenza  insulare? 
L' idea  nazionale  fé  tacere  T  utilità  materiale  :  non  un  solo  fra  i 
dotti  ignorava  l' avvenire,  anzi  ben  prevedeva  lo  stato  presente, 

(ì)  Ivi  p.  16,  aa 

{%)  Lirica  di  L.  Vigo,  4'  editione,  Torino  1862,  p  83. 
;f3)  Liberar  Sicilia  é  vero 

Circa  a  mille  italiani, 

Ma  yi  unendo  un  altro  zero 

Di  gaerrier  siciliani, 

E  dippiù  due  milioni 

i)i  «ompaite  opinioni. 


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404  NUOVE  EFPEMBRIDI  SICILIANE 

mentre  lo  vestiva  d'oro  air  occhio  delle  masse;  ed  è  questo  il 
peccato,  che  V  isola  non  ci  vuol  perdonare.  Air  integrità  nazionale 
sacrificammo  spontanei  rutile  proprio  tramutando  in  provincia  la 
più  valida,  antica,  isolata  monarchia  italiana.  Il  plebiscito  siciliano 
perciò  fu  atto  sublime  di  abnegazione,  disinteresse,  eroismo! 

E  questo  in  quanto  a  politica;  che  dire  per  le  lettere  e  le  scien- 
ze? Mentre  da  oltremare  peggio  da  oltr'alpe  rado  ci  giungono 
fiori,  e  in  loro  vece  e  per  lo  più  spine  pungenti,  noi  poco  o  nulla 
gelosi  del  proprio  decoro,  siamo  facili  ammiratori  degli  strani,  che 
d^alto  in  basso  ci  guardano,  nò  ci  risparmiano  il  sermoncino  o 
r  epigramma.  E  solenne  riprova  della  inesistenza  del  patriottismo 
locale^  e  air  opposto  della  crescente  esistenza  deir  abitudine  d' ido- 
latrare quanto  ci  viene  di  fuori,  facendo  eco  per  fino  alle  ingiurie, 
ce  la  presta  il  Discorso  dellUartwig,  tradotto,  stampato  e  difinso  dal 
più  voluminoso  giornale  siciliano,  la  Rivista  Sicula^  senza  neppure 
una  timida  parola  di  protesta  della  sua  Direzione.  Cosa  avrebbero 
fatto  in  caso  consimile  i  dotti  alemanni,  immacolati,  irreprensibili 
di  grettezza  e  municipalismo  ?  Per  lo  meno  avrebbero  detto  inur- 
bano quello  scritto  gettandolo  nel  dimenticatoio.  Air  Italia,  e  par- 
ticolarmente alla  Sicilia,  nulla  aveva  negato  o  ritolto  Iddio  per 
conservare  la  grandezza  a  cui  pervenne  all'epoca  greca,  e  le  spo- 
liazioni romane  e  de'  settentrionali  dapprima ,  e  poi  la  tirannide 
principesca  e  teocratica  collegata  in  turpe  connubio ,  e'  immese- 
rirono  e  adimarono ,  talché  in  vari  rami  dello  scibile  ({uesta  o 
quella  nazione  ci  sorpassò.  E  chi  lo  sconfessa  ?  Il  tempo,  il  buon 
governo,  se  mai  l'Italia  potrà  conseguirio,  ci  porranno  a  paro  alle 
genti  consorelle  ;  ma  intanto  perchè  tentare  di  lacerarci  i  bran- 
delli della.....  porpora,  e  farci  rei  di  amarla  un  berlinese,  mentre 
la  Prussia  è  tanto  avida  degli  altrui  campanili? 

Se  chiamasi  amor  di  campanile  il  dolersi  Sicilia  di  aver  resti- 
tuito Tuno  per  cento  di  quanto  contribuì  e  contribuisce  al  con- 
sorzio nazionale ,  causa  vera  degl'  inconsulti  moti  del  settembre 
1866;  di  essere  -diminuiti  i  suoi  commerci,  il  valor  de'  suoi  ge- 
neri, irretiti  gli  scambi  di  ogni  maniera  da  intollerabili  vincoli 
finanziarii;  essere  tanto  sopraccarica  la  proprietà  di  crescenti  e 
moltiplici  dazi,  da  essere  atterzato  il  valore;  e  per  fino  di  vedere 
il  Fisco  divenuto  condomino  de'  beni  de^  cittadini  mercè  la  ini- 
qua tassa  delle  successioni;  di  crescere  e  giungere  a  tale  lo  sgo- 
verno da  divenire  proverbiale;  in  questo  caso  funestissimo  ricordi 
r  Hartwig  che  anche  le  pietre  hanno  elaterio,  agli  infelici  è  con- 


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ANEDDOTI  SICILIANI  '  405 

cesso  il  lamento,  che  univoco  si  ripete  dalle   Alpi  a  Mongibello. 
E  qui  non  c^  entrano  nò  politica,  né  lettere. 

Lasciando  questo  doloroso  argomento,  che  non  è  qui  luogo  di 
svolgere  e  disaminare,  che  dire  degli  envri  di  coi  V  Hartwig  ci 
addebita  ?  Chi  giudica  fra  lui  e  tanti  illustri  storici ,  letterati  e 
diplomatici  siciliani  ?  Non  egli  di  certo  ;  la  modestia  glielo  do- 
vrebbe vietare.  Il  non  convenire  secolui  in  quanto  alla  storia  pa- 
tria, non  è  errore,  ma  semplice  discordanza  di  opinione.  Pel  passo 
di  Diodoro  che  assevera  da  me  male  applicato,  lo  mediti  più  ac- 
curatamente, e  si  avvedrà  non  essere  per  me  caso  nò  di  con/iter 
nò  di  assoluzione:  del  vocabolo  girio  è  più  convenevole  non  par- 
lame.  In  quanto  a'  lombardi  essendo  il  suo  detto  un  ricalco  in 
parte  del  Degubematis,  e  in  parte  delP  Amari,  gli  sia  noto  che 
al  primo  son  già  tre  anni  io  satisfeci  (1);  al  secondo,  che  merita 
rispetto  e  onori  distinti,  sodisfarò  con  apposita  disamina  diretta 
alla  Società  di  Storia  patria  di  Palermo,  come  ho  di  già  pubbli- 
camente promesso  (2). 

È  ciò  basti  per  gli  Aneddoti  del.Longo  e  il  Discorso  deir Har- 
twig. 

L  Vigo. 


(1)  V.  La  Rivista  La  SicUifi,  aprile  1868. 

i'ì) Canti  popolari  sicHiani»  raccolta  amplissima,  p.i24  (opera  in  corso  di  Mnmpai)^ 


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LEHERE 

DI  GIUSEPPE  BORGHI,  DI  GINO  CAPPONI 
E  DI  GIUSEPPE  PUCCI 


Firenie.  16  del  1834. 

Mio  Pregiatissimo  e  Carissimo  Amico 

Avrei  voluto  rispondere  colla  più  grande  sollecitudine  alla  let- 
tera vo&tra  dei  16  del  perduto  settembre;  ma,  essendo  fuori  di  Fi- 
renze il  Marchese  Giuseppe  Pucci,  non  ho  ricevuto  che  ieri  il  fo- 
glio di  lui,  sebbene  mostri  la  data  de^  7  corrente:  per  lo  che  mi 
sarebbe  stato  unpossibile  il  rendere  a  voi  medesimo,  prima  d'oggi, 
una  replica  soddisfacente.  Dico  pertanto  che,  chiunque  sia  stato 
il  beiringegno ,  che  ha  sparsa  per  Napoli  la  mala  voce  che  mi 
tocca,  è  egli  un  calunniatore  birbante. 

I  fogli  che  qui  vi  trasmetto  nel  loro  originale ,  ve  le  compro- 
vano largamente.  Capponi  attesta  non  aver  perduto  alcun  libro  : 
Pucci  dichiara  non  aver  io  posto  mai  piede  nella  sua  Biblioteca, 
né  aver  mai  avuto  libri  da  lui.  Mi  pare  che  simili  certificali  siano 
perentorii.  Bisogna  però  ch'io  vi  dica  di  dove  può  esser  nata  si 
l'atta  moi-morazione  calunniosa.  Nel  1831  il  Bibliotecario  Rigeli 
s'accorse  che  nella  Riccardiana  mancavano  di  circa  12  volumi  tra 
manoscritti  e  stampali:  l'uno  dei  quali  era  l'Edizione  principe  delle 
opere  di  Lattanzio;  gli  altri  erano  cose  di  minor  conto.  Quell'ec- 
cellenle  uomo  ne  fece  subito  referto,  come  doveva;  ma,  durante 
il  processo  e  le  ricerche  della  polizia,  se  ne  mori.  Nella  mia  qua- 
lità di  Sollo-bibliolecario  di  quella  I.  e  R.  Libreria,  assistei  co'  Sin- 
daci alla  rifezione  dell'inventario,  dal  quale  risultò  semplicemente 
la  predetta  mancanza.  Né  intorno  a  quella  poteva  essere  incolpato 
io  medesimo  o  come  negligente  o  come  disonesto  :  perocché  fino 
alia  morte  del  Rigeli,  non  era  io  il  consegnatario  dei  codici,  e  non 
ne  aveva  le  chiavi.  Il  processo  poi  ha  provato  che  la  mancanza 
(in  parte  almeno)  risaliva  a  circa  dodici  anni  prima  che  fosse  av- 
vertita dal  Bibliotecario.  Nuova  ragione  per  escluder  da  me  be- 


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LBTTBRB  407 

nanco  il  sospetto,  giacché  in  quel  tempo,  io  non  era  in  Libreria, 
m  a  ne'ppure  in  Firenze.  Insomma,  è'  vero  che  nella  Biblioteca  Rie- 
cardiana ,  dove  io  stava  impiegato ,  mancarono  dei  libri  :  ma  gli 
è  pur  infallibile  esser  risultato  da  un  solenne  giudizio  che  a  lut- 
t'allri  che  a  me  se  ne  deve  T  imputazione.  Che  se  di  ciò  si  vo- 
lesse un  altro  argomento  ancor  più  solenne,  vaglia  per  tutti  TI.  e 
R.  Rescritto  de'  7  corrente ,  col  quale  Sua  Altezza  Imperiale  e 
Reale ,  accogliendo  la  mia  domanda ,  mi  accorda  la  gii]d)ilazione 
dairimpiego,  e  me  ne  conserva  Tintela  provvisione,  pagabile  dalla 
I.  e  R.  Depositeria.  Penso  che  in  nessuna  parte  del  mondo  si  trat- 
terebbero i  ladri  cosi.  Mi  sono  disteso  in  quest^argomento,  perchè 
mi  preme  singolarmente  di  purgarmi  presso  di  Voi,  e  presso  Tot- 
timo  signor  Conte  da  una  calunnia,  non  saprei  dire  se  più  insen- 
sata 0  più  maligna,  ma  che  pur  mi  poteva  nuocere  nella  estima- 
zione d'ambedue,  presso  i  quali  lo  avere  un  buon  nome  è  più  bi- 
sogno per  me  che  ambizione.  Non  mi  distenderò  sull'altra  tara 
che  m'affibbia  l'Eminentissimo  sulla  mia  condotta  sociale  per  ri- 
spetto al  mio  stato  ecclesiastico,  perchè  so  che  la  mia  condotta 
è  pura  e  irrepresensibile  a  fronte  di  quella  di  chicchessia.  Ma  se 
si  vuol  far  parte  di  condotta  il  cappello  a  tre  punte  in  testa,  e  il 
ferrajolino  che  vi  spazzi  le  natiche,  allora  io  converrò  che  posso 
èssere  accagionato  di  non  sapermi  condurre.  Nella  città  dove  è 
tutto  per  la  forma,  va  bene  che  si  pensi  cosi;  ma  quella  città  non 
sarà  mai  la  mia,  ve  lo  ripeto.  Che  se  il  buon  Ricci  vi  scrisse  che 
io  sperava  di  andar  quanto  prima  a  quella  volta,  voi  faceste  be- 
nissimo il  cemento  alle  parole  di  lui,  interpretando  che  io  mi  con- 
fidava di  recarmivi  di  passaggio  per  Napoli.  E  il  signor  Conte  sa 
che  questa  mia  speranza  non  era  priva  di  fondamento.  Adesso  per- 
tanto che  sono  sgombrate,  cred'io,  perfettamente  le  nuvole,  adesso 
vorrei  che  cotesto  mio  e  vostro  egregio  padrone  mi  trovasse  co- 
stà un  punto  ubi  consistam.  E  di  ciò  a  voi  ed  a  lui  mi  raccomando 
propriamente  colle  mani  in  croce.  Non  gli  scrivo  direttamente  per 
timore  di  riescirglinnolesto,  ma  se  voi  credete  ch'io  lo  debba  fare, 
lo  farò  subito  al  vostro  avviso.  Frattanto  riveritemelo  mille  e  mille 
volte  colla  bocca  e  col  cuore,  e  ditegli  ch'io  dormirò  più  tran- 
quillo ,  allorché  saprò  che  siano  dileguate  dall'animo  suo  quelle 
ombre  che  i  birboni  avevano  tentato  d'ingerirvi  a  carico  mio.  No: 
sono  povero,  son  disgraziato;  ma  non  sono  capace  di  nere  azioni. 
Da  Livorno  non  mi  è  pervenuto  né  TEsemplare  della  Raccolta  ne- 
cr  ologica  per  la  Contessa ,  che  l'ottimo  signor  Conte  m'annunziò 


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408  NUOVE  EFFBMBRIDI  SICILIANE 

d'avermi  spedito,  né  il  libretto  che  mi  dite  d' avermi  diretto  voi 
stesso.  Dubito  che  la  via  di  mare  sia  mezzo  poco  sicuro  :  è  asso- 
lutamente da  preferirsi  rinvio  per  la  posta,  sotto  fascia.  Quanto 
alle  vostre  commissioni,  le  ho  fatte;  meno  quella  che  si  riferisce 
alla  tragedia,  che  m' è  stato  impossibile  di  ripescare  sinora  :  ma 
non  ne  dispero.  Addio  mio  caro  amico.  Le  aspetto  con  anzietà  le 
vostre  lettere,  potete  immaginarlo.  Sono  intanto  pieno  di  attacca- 
mento e  di  riconoscenza. 

Vostro  affmo  Amico  verfl 

Giuseppe  Borghi 

Al  Chiarissimo 

Sig,  abbate  Urbano  Lampredi 

Firenze,  30  gennaio  1834. 

Mio  Carissimo  ed  otUmo  Amico 

Due  parole  cosi  alla^  sfuggita,  perocché  la  posta  non  mi  dà  tempo 
a  diffondermi.  Il  suggerimento  che  mi  date  di  stampare  la  mia 
lettera,  non  parmi  ch'io  lo  debba  eseguire  per  ora^  giacché  la  cosa 
farebbe  troppo  strepito,  ed  acquisterebbe  quel  peso  che  non  ha 
né  può  aver  la  calunnia.  E  cosi,  pendendo  il  giudizio  del  pubblico, 
difBcihnente  potrei  acquistar  grazia  presso  alcuno  che  mi  raccolga: 
lo  che  è  ciò  che  più  mi  stringe,  come  servo  all'ottimo  nostro  si- 
gnor Conte.  Fate  dunque  che  io  possa  innanzi  raccomandarmi  in 
qualche  guisa,  ed  allora  daremo  faoco  alla  bomba ,  sempre  però 
con  prudenza  e  discrezione,  perché,  sia  virtù  o  viltà  d'animo,  io 
non  m'offendo  troppo  delle  ingiurie  della  canaglia.  Mi  basta  la 
stima  delle  persone  dabbene.  Piatti  non  ha  ricevuto  nulla  fin  qui. 
Gigi  del  Bono  mi  promette  di  (are  delle  ricerche  per  ripescare 
la  vostra  Tragedia.  Se  queste  saranno  infruttuose ,  porrò  allora 
l'articolo  in  Gazzetta.  Farò  annunziare  quanto  prima  la  Tra- 
duzione dell'Aralo,  ed  io  stesso,  di  concerto  col  Piatti,  mi 
darò  pensiero  di  trovarle  sfogo.  Scrissi  all'ammiraglio  Cicciagoff, 
e  gli  acclusi  la  vostra  stampa.  Risposta  non  me  ne  ha  data.  Se 
volete  tornerò  a  scrivergli.  Tenterò  le  varianti  che  mi  suggerite 
al  primo  e  secondo  de'  miei  Inni.  Addio  mio  caro  Lampredi.  Rac- 
comandatemi molto  all'  egregio  signor  Conte.  Egli  solo  può  con- 
servarmi alla  società  e  alle  lettere.  Senza  Lui,  terminerò  col  sep- 
peUirmi.  Sono  pieno  di  riconoscenza,  di  stima  e  d'affetto. 

Vostro  aff.mo  per  la  vita 

Giuseppe  Borghi 

Al  medesimo. 


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LETTERE  409 

Firenze,  1^  dicembre  1833. 

Mio  Caro  Amico 

La  vostra  Lettera  mi  ha  veramente  sorpreso;  ed  è  per  me  un 
problema  insolubile.  Io  non  ho  coscienza  né  di  fatto  né  di  detto 
che  possa  disonorarmi  di  rimpetto  a  chi  che  sia  :  e  non  so  inten- 
dere come  un  alto  Personaggio  abbia  voluto  calunniarmi.  Sapessi 
ahneno  la  natura  di  questa  calunnia;  che  io  mi  studierei,  con  pru- 
denza si ,  ma  con  energia ,  di  polverizzarla  venisse  pur  ella  dal- 
l' Imperatore  o  dal  Papa.  Ma  voi,  per  soverchia  gentilezza,  mi  par- 
late con  tanto  riserbo,  che  m' è  impossibile  di  fissare  le  mie  idee: 
però  vi  prego  istantemente  di  abbandonare  qualunque  riguardo, 
e  di  narrarmi  le  cose  con  apostolica  franchezza.  All'amore  che  a- 
vete  per  me ,  non  negherete ,  spero ,  questa  condiscendenza  ec. 

Giuseppe  Borghi 

Al  medesimo. 

Sig.  Canonico  Pregiatissimo 

Avendo  adi  lo  lia  V.  S,  che  u  Napoli  sono  state  sparse  voci  in- 
giuriose sul  &U0  conto,  e  delle  quali  io  posso  assolverla  con  certa 
tesLimoriianza,  mi  faccio  un  dovere  di  dichiarare^  porcile  Ella  ne 
faccia  il  conto  cita  a  lei  piacerà,  che  nessun  lil^ro  è  mancato  dalla 
mia  libRTia,  del  quale  io  possa  accagionare  clìicche&sia ,  e  inolio 
meno  imputare  a  V,  S,  !a  minima  indelicatezza  a  questo  riguardo 
E  mi  pregio  dichiamrmi  con  vera  stima. 

Suu  Iki^utUr  Servai. 

Gino  Cappom 

AL  chi^rtssirnu 

%.  Can.  Giuseppe  Borghi 

Sig,  Canonico  Pr^iaiissiìm 

Bichiamandomi  con  la  dì  lei  compita  lettera  del  27  cadiìto  tU- 
cembre  a  darle  una  dichiarazione  dì  verità,  io  devo  annuire  a  bìì 
sua  dimanda,  e  intendo  farlo  coirà t testare  a  chicchessia  non  avere 
mai  avuto  occasione  di  riceverla  nella  mia  piccola  Libreria,  né  di 
aver  fatto  pervenire  in  sue  mani  direttamente  alcuno  dei  miei  li- 
bri tanto  manoscritti  che  stampali. 


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410  NUOVE  EFFEMERIDI  SlCIUANE     . 

Credo  il  mio  detto  qui  sopra  essere  di  una  si  completa  ed  as- 
soluta natura  da  escludere  ogni  dubbio,  onde  spero  avere  piena- 
mente sodisfatto  al  suo  desiderio.  Perdoni  l'indugio  accagionato 
della  mia  assenza  da  qui  ove  trovavasi  diretta  la  lettera,  che  mi 
ha  atteso  di  ritomo  :  intanto  con  rispetto  ed^ossequio  ho  il  pia- 
cere di  dichiararmi. 

Di  Lei  Sig.  Can.  Prog.-» 
Moiitopolì,  7  del  1834. 

/)«?.'•  t  Obbl.*''  Ser riture 

Giuseppe  Pucci 

A\  medesimo 


rJUTiC\  LETTEKAìlLl 


Oeceo  d'Aseoli,  Racconto  storico  del  secolo  XIV  di  Pietro  Fan- 
FANI,  seconda  edizione  con  aggiunte  e  mutazioni.  Firenze,  1870. 

Chi  si  da  a  leggere  questo  nuovo  libro  del  Fanfani,  senza  pri- 
ma dare  un'  occhiata  alle  parole  deiP  autore  premesse  al  suo  rac- 
conto, si  aspetterà  tutt'  altro  di  quello  che  si  trpva;  e  colle  idee 
in  testa  del  romanzo,  quale  oggi  comunemente  si  fa  e  s'inten- 
de, si  dirà  poco  contento  di  questo  lavoro  dell' illustre  scrittore. 
Ma,  leggendo  innanzi  che  questo  Cecco  d'Ascoli  «  non  è  un  ro- 
manzo nel  proprio  significato  che  ora  suol  darsi  à  tal  voce  >;  e 
stando  a  queste  parole  dell'autore  :  «  Io  ho  voluto  solamente  fare 
un  racconto,  che  desse  qualche  diletto  non  senza  istruzione.  Nar- 
rando il  compassionevole  caso  di  Cecco  d' Ascoli ,  ho  avuto  per 
proposito  di  render  familiare  tra  il  popolo  quel  bel  periodo  di 
storia  fiorentina,  di  metter  in  veduta,  come  suol  dirsi,  la  vita  in- 
tima dei  Fiorentini,  le  usanze  e  i  costumi  di  quel  tempo,  ed  an- 
che di  descrivere  in  parte  com'era  allora  Firenze.  Il  racconto  è 
molto  variato  di  avventure,  di  guerre,  di  piacevolezze  e  di  amori; 
ma  ho  fuggito  a  disegno  ciò  eh' è  pascolo  più  ghiotto  ai  volgari 
lettori  di  romanzi,  dico  le  esagerazioni  di  ogni  maniera,  passioni 
violente,  lascivie  ed  oscenità,  orribili  colpe  e  delitti ,  tutto  quel- 
r  apparecchio  insomma  dell'  arsenale  de'  romanzieri ,  per  mezzo 
del  quale  si  turba  e  si  sconvolge  l' animo  e  la  mente  de'  lettori; 


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CRITICA  LETTERARIA  MI 

tenendomi  invece  alia  temperanza  di  ogni  cosa,  e  ingegnandomi 
di  toccare  il  cuore  per  altra  via,  acciocché  il  mio  libro  possa  la- 
sciarsi leggere,  anche  alle  fanciulle  {hù  gelosamente  guardate , 
senza  un  pericolo  al  mondo,  ed  il  lettore  se  ne  senta  placida- 
mente commosso,  e  provocato  al  bene,  anzi  che  al  male ,  (p.  X, 
XI)  »;  troverà  invece  il  lettore  che  il  Fanfani  rispose  per  bene 
al  disegno,  che  gli  parve  da  potersi  colorire  con  qualche  buono  ef- 
fetto  (p.  Vili). 

Il  miserando  caso  di  maestro  Cecco  serve  all'autore  di  nodo  per 
stringere  intorno  ad  esso  narrazioni  di  fatti,  descrizioni  di  foste, 
usanze,  vita  pubblica  e  privata  dei  tempi  in  che  vìsse ,  e  della 
città  singolarmente  che  fu  spettatrice  della  pena  deH\\j*colano;e  però 
dalfenlnita  solenne  del  buca  di  Calabria  in  Firenze  al  processo 
e  supplizio  di  maestro  Cecco,  ci  Imi  tanta  varietà  di  dramma,  di 
costumi,  di  passioni,  di  a\'venUire  di  guerre,  di  ire  di  fazioni,  di 
delicati  alTetli,  di  fervidi  amori,  di  glorie  cavalloret^ché,  di  basse 
invidio,  di  finto  zelo  religioso,  di  codarde  amicizie ,  di  debolezza 
e  di  grandezza  di  animi,  di  amor  paterno  e  di  amor  liliale,  dì 
scienza  e  di  baggianate  aslrologichej  di  facile  favore  di  popolo  e 
di  opposta  persecuzione,  dì  pietà  e  di  sdegno;  che  tanti  accessori 
li  rendono  ben  dipinta  la  le  la,  e  piena  di  vita,  e  curiosa,  si  che 
ti  pare  aver  parte  in  *joe'  fatti  die  li  passano  innanzi^  o  Lieti  e 
infelici,  sia  nella  piazza  de'  Priori  e  in  ijuelUi  di  S.  Giovanni , 
nel  palagio  del  Podestà  o  nel  convento  di  S.  Croce,  sia  nelle  case 
e  nel  giardino  de'  Cavalcanti ,  nella  prioria  di  Setiiinello  ^  o  nel 
monastero  di  Mugello.  Quanta  varietà  di  caratlero  tra  il  Duca  di 
Calabria  e  il  veccliio  Gerì  Cavalcanti,  tra  la  Duchessa  e  la  Bice, 
tra  Guglielmo  d'Artese  e  GastrucciOj  tra  maestro  Cecco  d'Ascoli 
e  messe r  Dino  del  Garbo,  tra  la  Badessa  di  Mugello  e  la  Simona 
della  cui-a  di  Settimello,  tra  frate  Marcu  e  il  vescovo  di  iV versa  , 
tra  il  prete  da  Settimello  e  rinr|uisitore  di  Santa  Cruco  t  quanta 
diversa  cosa  la  cena  e  il  brio  della  jjtirroccbia  di  Seltiniello,  o 
la  baldoria  e  i  motti  pungenti  della  bettola  presso  PistojaI 

Guglielmo  e  la  Bice  sono  due  carissime  ligure ,  ideale  del  va- 
lore, della  cortesia  e  dell' amore:  il  Gerì  Cavalcanti  é  li  iiroprio 
un  Morenti  no  de'  suoi  tempi-  il  Duca  dì  Calabria  e  Caslruccio  sono 
quali  ce  li  lasciò  la  salaria;  e  i|uali  li  ricordano  le  scritture  di  quei 
secolo  maestro  Cecco,  niesser  Dino  e  H  ves^covo  di  A  versa.  La  Ba- 
dessa e  frate  Marco  sono  tratti  dalPindole  di  que'  teuqii  die  spessa 
ila  vano  quello  che  queste  due  ligure  cosi  ben  ci  rappresentano  ; 


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412  NUOVB  EFFKMBBIDI  SICILIANE 

e  se  4  prete  di  Settimello  e  la  Simona  da  lontano  ti  fanno  ri- 
cordare del  don  Abbondio  e  della  Perpetua,  sono  intanto  figure 
del  secolo  XIV  e  toscane,  non  della  Lombardia  del  secolo  del  car- 
dinale Borrcnneo  e  deir  Innominato.  Quanto  poi  a  costumi ,  ad 
usanze  di  feste  cittadine,  o  a  mosse  di  guerra,  o  a  splendore  di 
conviti,  la  Firenze  del  secolo  XIV  è  lì,  messa  tra  il  grande  e  l'u- 
mile, tra  rantica  fierezza  repubblicana  e  la  nuova  debolezza,  che 
non  sapeva  più  co'  fatti  guardare  gli  antichi  ordini  del  Comune, 
già  vicini  a  cedere  alle  forze  del  Duca  di  Atene;  il  che  è  ben 
messo  nella  figura  del  Gon&loniere  della  città  innanzi  al  Duca 
di  Calabria,  da  cui  si  sente  spiattellare  che  la  somma  del  potere 
sia  tutta  in  sue  mani,  e  a  sua  voglia  si  facciano  i  priori  e  gli  uf- 
fici. Maestro  Cecco  è  condotto  al  supplizio  per  invidia  e  vendetta; 
invidi  a  di  scienza,  vendetta  di  delusi  amori  ;  e  Tuna  e  V  altra  si 
colorano  dello  zelo  di  religione  e  di  patria,  accusando  TAscolano 
di  dispregiatore  di  Dante  e  nemico  di  Firenze ,  e  di  paterino  e 
negromante  in  fatto  di  fede.  Se  non  cìie,  a  potersi  sfogare  V  in- 
vidia di  messer  Dino  die  agio  la  potenza  e  V  arte  della  Duchessa 
offesa  ne'  suoi  intendimenti  e  nel  suo  orgoglio  si  dal  Gugliehno 
d' Artese  e  si  da  maestro  Cecco  ;  e  la  vendetta  della  Duchessa 
potè  finire  al  supplizio  di  Maestro  Cecco  perchè  vi  mise  mano  il 
vescovo  di  Aversa;  dando  via  a  tutto  l'avvenimento  l'amore  di 
Guglielmo  con  la  Bice ,  e  il  matrimonio  avvenuto  e  P  opera  di 
maestro  Cecco  che  per  frale  Marco  e  il  priore  di  Settimello  fa 
riuscire  il  matrimonio  e  cader  del  cuore  di  messer  Geri  Caval- 
canti messer  Dino,  entrando  egli  l'Ascolano  a  parte  delle  pure  gioje 
della  casa  Cavalcanti  e  del  nobile  cavaliere  degli  Artese.  Nessuna 
esagerazione  d' intreccio ,  tutto  vi  è  naturale  e  posato  ;  e  diresti 
questo  racconto  rappresentarti  l' arte  che  dalla  serenità  del  Beato 
Angelico  ti  passa  pel  Perugino  a  Raffaello  e  ad  Andrea  del  Sarto. 
Rispetto  a  lingua  usata  nel  Racconto,  l'autore  stesso  ha  detto 
nella  prefazione  :  «  Della  lingua  che  dirò?  Dirò  che  ci  ho  speso 
attorno  ogni  più  amorosa  cura;  studiandomi  di  essere  italiano,  senza 
abuso  di  toscanità  (p.  XV)  »  e  nessuno  de'  lettori  dirà  che  il  fatto 
va  altrimenti  (4).  1  piccioUssimi  nei  che  una  critica  schizzinosa 


(<)  Sappiamo  che  il  sig.  Brockhaus  di  Lipsia,  il  primo  tra  gli  editori  di  Ger- 
mania, ha  fatto  domanda  al  Fatifani  di  volergli  permettere  la  ristampa  del  Ceuo 
d*  Ascoli  nella  sua  celebre  collezione  ài  aulori  Ilatiani,  e  che  l'autore  ha  già  accoi- 
ViU  le  condizioni  proposte. 


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CRITICA   LETTERARIA  413 

e  pedante  polrebbe  trovare  anche  ne^  più  perfetti  modelli  di  clas- 
sico scrivere,  non  potranno  mai  toglier  merito  a  un  lavoro  che 
varrà  tra  le  più  belle  scritture  di  eletta  lingua  de'  tempi  nostri. 
È  vero  si  che  il  Cecco  d' Ascoli  avrebbe  potuto  esser  maneggiato 
con  più  largo  disegno,  e  con  più  estesa  tela  di  storia  e  politica 
e  letteraria  del  tempo  :  ma  cosi  pigliato  V  argomento,  non  sarebbe 
stato  più  il  Cecco  d'Ascoli  del  Fanfani,  bensì  una  dotta  monografia 
filosofica;  non  un  racconto  da  dilettare  e  commuovere  provocando 
al  bene;  ma  una  storia  da  istruire  degli  errori,  de'  vaneggiamenti 
della  ragione,  e  delle  miserie  de'  tempi. 

Il  Fanfani  non  scrisse  pei  cultori  di  storia  di  filosofia,  siccome  né 
meno  pe'  perduti  nella  lettura  de^  romanzi  quali  oggi  comune- 
mente si  tengtmo;  e  ciò  avvisò  nella  epigrafe  del  suo  libro.  Il 
Cecco  d'Ascoli  è  proprio  quello  che  fu  nel  disegno  dell'  autore;  e 
a  chi  non  piace  dirà  il  vecchio  artista  fiorentino: 
Tò  il  legno;  e  fallo  tu. 

V.  Di  6u)Vanm. 


Vita  di  Bartoloinea  d*AL\riatio  per  Loai^xzo  Leò^u.  Todi,  pr€tttf 

Natoli,  in  8. 

Un  fallo  de^no  di  (^serrazìone  nel  campo  delle  discipline  sto- 
fiche  è  l'indirizzo  della  spectalilit  ch'esse  prendono.  In  tempi 
non  molto  da  noi  lontani  chi  guardava  mi  seria  la  storia  dì  un 
municipio,  di  una  cilLadtuza  qualunque  f  Non  c'era  una  sturia  di 
Italia  ?  e,  a  farla  generosa,  non  c'ei*a  una  storia  di  Toscana,  una 
storia  di  Napoli,  una  storia  di  Sicilia  ?  Ebbene  :  in  esse  ce  n'era 
d'avanzo  per  la  storia  della  nazione  che  comprende  e  Toscani,  e* 
Napolitani,  e  Siciliani. 

Chi  la  discorre  cosi  non  si  appone  al  vero.  Dacché  si  è  capito 
con  Cesare  Balbo  che  *  al  sorgere  de'  Comuni  sorge  una  storia 
particolare  di  ognuno,  si  sminuzza»  mulUpUcandosi,  quella  univer- 
sale d'Italia  (1)  s  la  bisogna  presentasi  altrimenti.  Da  ciò  que- 
sl' attività  insolila  di  studiosi  che  sudano  a  li-arre 'luce  d'onde 
prima  era  buio  fitto ,  da  documeuii  cioò  irascurati  o  non  cono- 
sciuti per  io  addietro  :  dà  ciò  molte  città  vantano  oggiwai  il 
loro  annalista,  alcune  il  loro  storico,  parecchi  da^  quali   valenti. 

(U  Sotfimdm  diUi  -t&iii  dtUUK  Itb.  VI;  (  IS. 

27 


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414  NUOVE  EFreMBRim  sigiuanb 

Ond^  è  a  sperare ,  e  non  senza  buon  fondamento ,  che  preparala 
acconciamente  la  materia,  possa  in  un  non  lontano  avvenire  sor- 
gere un  ingegno  fortunato  che  le  dia  ordine  filosoQco  e  concetto 
unico  in  una  storia  generale  degna  della  nazione  di  cui  toglierà 
a  narrare  le  glorie  e  le  sventure. 

Per  rUmbria  (giacché  d'altre  terre  delta  penisola  qui  non  ac- 
cade intrattenersi)  ebbesi,  tanno  già  tre  anni,  un'assennata  storia 
di  Asisi,  bene  meditata  e  meglio  scrìtta  dal  prof.  Antonio  Crìsto- 
fari,  la  quale  godiamo  di  aver  lodata  in  una  rivista  siciliana  (1).  An- 
che prima  di  essa  però  se  n'era  veduta  un'altra  della  vita  e  delle 
geste  di  un  capitano  umbro,  il  quale  per  quarantanni  prese  parte 
a'  I svolgimenti  non  pur  del  Tedino,  dove  probabilmente  sorti  i  suoi 
natali,  ma  altresì  di  tutta  l'Umbria,  Venezia,  Romagna  e  Napoli. 

È  autore  della  nuova  Vita  di  Bartolatiieo  diAlviano  il  deputato 
Lorenzo  Le6nìj,  il  cui  valore  nell'arte  storica,meglio  che  dalle  lodi 
ond'è  veramente  degno,  apparirà  dell'esposizione,  quale  che  essa 
sia,  del  suo  libro;  senza  di  che  potrebbero  pigliar  colore  di  pia- 
centerìa  le  lodi  stesse.  Questo  solo  dobbiamo  fin  da  ora  avvertire, 
che  nessuna  opera  fu  più  ingiustamente  dimenticata,  quanto  que- 
sta suH'Alviano.  L' habent  qtioque  sua  fata  libelli  è  una  sentenza 
dolorosamente  vera,  ed  ognuno  potrà  convincersi  che  i  buoni  li- 
bri scarseggiano  al  pari  degli  atti  generosi;  che  quegli  è  da  più 
tenuto  che  più  eccita  la  turba  de'  lettori  con  feroci  scene  e  con 
frasi  reboanti,  non  chi  colla  profondità  degli  studi,  colla  fede  nel 
trionfo  della  giustizia  e  del  diritto  de'  popoli  offre  esempi  nobi- 
lissimi da  imitare. 

Bartolomeo  di  Alviano  fu  guerriero  di  ventura,  e  più  ardimen- 
toso che  non  comportasse  la  corruzione  della  milizia  italiana  in 
sul  cadere  del  secolo  XV;  e  fu  più  volte  infelice  nelle  sue  im- 
prese, ma  le  male  prove  e  i  disastri  non  lo-  sconfortarono  mai.  Il 
vescovo  Giovio,  che  tenevasi  più  di  una  bugia  che  di  dieci  ve- 
rità, il  fa  nascere  di  bassa  gente;, ma  Bartolomeo  discendeva  dalla 
nobile  e  possente  famiglia  de'  Liviani ,  da  taluni  fatta  originare 
da  antico  casato  romano.  Suoi  genitori  furono  Francesco  di  Ugo- 
lino Liviani  ed  Isabella  Atti ,  dal  cui  alvo  Bartolomeo,  ultUno  di 
cinque  figli,  fu  tratto  per  operazione  chirurgica,  di  che  ella  su- 
bitamente morissi.  Ebbe  educazione  dicevole  alla  nobiltà  sua  ,  e 
forniti  i  primi  studi  sotto  il  tudertino  Antonio  Pacini,  di  non  poca 

(1)  Ori  del  Popolo,  gioniale  di  Palermo,  a.  1,  disp.  7-8. 


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.CRITICA   LETTERARIA  415  , 

fama  a  que^  giorni,  e  quelli  di  gentilezza  e  di  cavalleria  in  casa 
di  Napoleone  Orsino,  che  amollo  come  figliuolo,  ed  ebbelo  a  com- 
pagno in  assai  imprese  arrischiale;  fu  quasi  per  diventare  uomo 
di  chiesa  più  presto  che  uomo  d^armi.  Imperciocché,  cessato  di 
vivere  Giovan  Rainaldo  Liviani  abate  di  s.  Valentino ,  ricca  ba- 
dia giuspadronato  della  famiglia,  ei  per  ordine  del  padre  avesse 
dovuto  lasciare  la  cotta  del  guerriero  per  quella  del  pretp: 
e  prete  sarebbe  riuscito,  pessimo  prete  forse,  se  la  morte  di  Fran- 
cesco non  fosse  venuta  anzi  tempo  a  fargli  tramutare  la  badia  di 
s.  Valentino  con  la  rocca  di  Alviano,  il  silenzio  delle  pareli  do- 
mestiche co^  rumori  della  gente  riottosa  e  manesca  colla  quale 
prese  ad  usare. 

Viaggiò  per  molte  città  non  solo  di  Napoli  e  d'Italia  tutta,  ma 
altresì  di  Francia  e  di  Germania  :  e,  ritornando  in  casa  gli  Orsini, 
senti  viva  bramosia  di  esercitare  nelle  armi  il  proprio  valore,  non 
talentandogli  punto  dì  menar  vita  di  borie  e  di  prepotenze  da  ca- 
stellano. Leggere  in  fondo  al  cuore  nessuno  può,  ma  dal  poco  che 
si  vede,  e  dal  molto  che  si  ode  a  dire,  TAlviano  ebbe  sentimento 
grandissimo  di  sé,  e  coscienza  superiore  non  già,  ma  pari  alla  di- 
gnità sua  :  virtù  di  cui  furono  degni  gli  uomini  d'ogni  tempo  nati 
a  grandi  cose.  Militò  a  25  anni  (1478)  primamente  sotto  Sisto  IV 
e  il  re  di  Napoli  nella  guerra  contro  Lorenzo  de'  Medici,  che  pur 
era  tutto  negli  Orsini  ;  e,  poi  che  dalla  Toscana  passò  nelle  Pu- 
glie a'  soldi  di  Alfonso  di  Calabria  a  combattere  i  barbareschi , 
andossi  a  mettere  a  difesa  del  papa,  che  negli  Orsini  avea  trovato 
validissimo  sostegno  contro  il  duca  di  Ferrara  in  prima,  e  poscia  con- 
tro i  Veneziani  già  suoi  alleati.  E  fece  prova  d'alto  valore,  talché 
n'ebbe  in  moglie,  come  per  premio^  Bartolomea  sorella  cugina  di 
Virginio  Orsini.  Le  quali  prove  non  furono  nulla  a  petto  di  quelle 
arditissime,  e  fors'anco  temerarie,  da  lui  date  a  Todi  quando,  preda 
questa  città  alle  fazioni  di  parte  Atti  e  Chiaravallesi  che  le  die- 
dero presso  che  non  si  dica  il  crollo,  egli,  partitosi  di  Roma,  pe- 
neti-ava  in  patria,  e  infrenava  le  passioni  bollenti ,  e  colla  fuga 
riduceva  al  silenzio  Vittorio  ed  ^Itobello  da  Canale.  In  compenso 
di  questo  e'  riceveva  e  teneva,  investitone  da  Innocenzo  Vili,  la 
carica  di  Governatore  di  Todi,  ma  se  ne  spogliava  indi  a  un  anno, 
stanco  di  tante  scene  di  sangue  o  forse  desioso  di  quella  pace 
che  fino  al  suo  trentasettesimo  anno  non  aveva  gustata  giammai. 

Breve,  fugacissima  fu  quella  pace  per  l' Alviano.  Le  discordie 
sempre  vecchie  e  nuove  degl'  Italiani,  le  fazioni  che  agitarono  e 


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416  NUOVE  EFFEMERIDI  SiaUA!<IE 

ammiserirono  la  penisola  e,  più  che  altro,  le  voglie  sfrenate  dei 
principi,  le  arti  poco  evangeliche  di  Giuliana  della  Rovere,  i  bassi 
espedienti  di  Loidovico  il  Moro,  che  pur  di  riuscire  nel  suo  in- 
tento di  scalzare  quel  duca  Gian  Galeazzo  Visconti,  di  cui  teneva 
temporaneamente  il  potere,  non  si  sa  che  non  avrebbe  fatto:  tutto 
questo  chiamava  in  Italia  i  Francesi  con  alla  testa  Carlo  Vili. 
Fonte  inesauribile  di  guai  codesta  venuta ,  ad  arrestare  la  quale 
a  nulla  valsero  le  armi  tutte  degli  Aragonesi,  rafforzate  in  prima  , 
non  sostenute  poi,  non  avvalorate  sempre  dalle  armi  orsinesche , 
dalle  papali  e  da  quelle  di  Firenze.  Imperciocché  queste  ultime 
dovettero  cedere  alla  prepotenza  straniera;  il  papa  per  sicurtà  dei 
suoi  domini  fu  presto  a  comporsi  con  quei  Francesi  di  cui  aveva 
affrettato  la  discesa,  e  che  poi  erasi  apprestato  a  combattere  con 
Alfonso,  quindi  con  Ferdinando  ;  e  gii  Orsini  si  abbandonarono 
dell'animo  allorché  il  loro  Virginio  e  Pitigliano  caddero  in  una 
delle  tante  rappresaglie  in  mano  dei  Francesi.  L^Alviano  per 
quanto  fu  in  lui  sostenne  Tenore  della  sua  parte  con  una  ener- 
gia, che  avrebbe  potuto  salvar  gli  Aragonesi  ove  i  suoi  consigli 
si  fossero  seguiti  ;  ma  quando  a  ogni  cosa  vide  toccar  male,  e  si 
annoiò  della  vita  faziosa  più  che  a  valoroso  condottiero  non  si 
convenisse;  cedette  anche  luì,  e  mutò  bandiera.  Troppo  tardi  fu 
preso  questo  partito,  ed  in  mal  punto.  Ferdinando,  rifattosi,  ap- 
prestossi  a  una  battaglia;  V  Alviano,  fatto  prigione ,  potè  a  fatica 
salvarsi,  per  mala  guardia  di  chi  lo  custodiva,  nelle  terre  orsine- 
sche, e  correre  a  tener  fronte  ai  Borgia ,  e  a  resistere  a'  Colon- 
nesi,  soverchiatori  degli  Orsini. 

Quivi,  sopperito  dalle  sostanze  della  moglie,  fece  massa  di  uo- 
mini e  si  afforzò  in  Bracciano,  dove  costruì  un  nuovo  bastione, 
poiché  il  papa  per  vendicare  gV  insulti  fatti  a'  suoi  predecessori 
dagli  Orsini,  prigioni  tuttavia  Virginio  e  i  figliuoli,  mandava  sol- 
dati a  prenderne  per  forza  i  castelli.  Un  brigantino  che  dal  Te- 
vere stavasi  trasportando  sopra  carri  al  lago  di  Bracciano,  fu  da 
Bartolomeo,  nottetempo,  incendiato  collo  scorapiglix)  di  quanti  lo 
conducevano.  Il  cardinal  Borgia  fu  a  un  pelo  che  non  rimanesse 
ghermito,  cacciando  per  le  campagne  di  Montemario.  Dopo  varia 
fortuna,  in  cui  molta  gente  fu  d'ambe  le  parti  uccisa,  e  capitani 
fatti  prigioni,  e  città  e  terre  predate  e  perdute  a  vicenda  da^  due 
eserciti  incontratisi  tra  Loriano  e  Bassano;  i  papalini  furono  rotti, 
e  la  vittoria  rimase  piena  e  decisiva  per  gli  orsineschi.  U  assedio 
di  Bracciano  venne  tolto;  ma  i  vincitori,  tristizia  de'  tempi  I  do- 


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GRITIGA   LBTTERARU  &17 

veliero  prender  sembianza  di  perditori  per  {sfuggire  alle  lontane 
vendette  de^  papi,  polenti  allora  che  con  un  solo  cenno  riduce- 
vano alla  obbedienza  i  più  temuti  monarchi. 

Né  per  ciò  cessavasi  dalle  intestine  guerre;  avvenimenti  terri- 
bili, pieni  di  perfìdia  e  di  sangue  erano  i  fatti  del  giorno.  Gli 
uomini  animosi  erano  considerali  e  consideravano  sé  stessi  quasi 
flagelli,  buoni,  per  chi  li  sapesse  maneggiare,  a  recar  altrui  mo- 
lestia e  tormenti  :  né  caleva  dell'  amistà  di  ieri ,  né  degl'  inte- 
ressi del  domani^  -*  L' Alviano ,  che  di  buona  ragione  poteva  e 
doveva  parteggiare  per  la  miglior  causa,  quella  della  giustizia  e 
della  libertà,  preferi  di  farsi  puntello  a  un  vecchio  dispotismo. 
Imperciocché,  partito  Carlo  Vili  d'Italia,  recuperata  Firenze  la 
pristina  libertà,  egli  si  mise  in  animo,  e  con  ogni  maniera  di  stra- 
tagemmi si  adoperò,  a  restituire  sul  trono  V  inetto  e  vanaglorioso 
Pietro  de'  Medici,  già  dimorante  in  Roma.  Gli  falli  però  l' intento 
prima  di  condurlo  ad  alto,  non  solo  per  le  piogge  copiosissime 
che  gli  allentarono  il  cammino,  ma  anche  e  specialmente  per  l'i- 
natteso tumulto  suscitato  e  fatto  scoppiare  nella  sua  Todi  dai  Co- 
lonnesi,  dai  Chiaravallesi,  dai  Gatti,  dai  Savelli  ;  la  quale  pria  che 
riempisse  di  lutto  Viterbo,  Terni,  Monlecchio,  dovett'  egli  andar 
a  sedare,  senza  risparmio  di  vile  da  canto  suo,  di  altrui  sostanze 
da  parte  de'  suoi  soldati.  Ed  irrequieto  e  turbolento  com'  egli 
era,  tanto  da  inveire  più  tardi  contro  gli  stessi  Chiaravallesi,  coi 
quali  gli  Orsini  avevano  conchiusa  una  pace  onorevole,  chi  sa  a 
quanto  ingloriose  imprese  sarebbesi  messo ,  ove  la  guerra  tra  i 
Veneziani  e  i  Fiorentini  (1498)  non  lo  avesse  per  alcun  tempo 
chiamato  fuori  di  patria,  capitano  con  Carlo  Orsino  de'  difensori 
di  Piero  de'  Medici.  Guerra,  che  fu  tra  le  più  vuote  di  effetto, 
nella  quale  l' onore  di  Bartolomeo  e  de'  Veneziani  non  ebbe  ad 
avvantaggiarsi  né  colle  sottile,  né  co'  tafiferugli,  né  colle  avvisa- 
glie che  consumarono  un  tempo  e  un  lavoro  prezioso,  e  fomen- 
tarono sospetti ,  e  accrebbero  le  ire  de'  repubblicani  costretti  a 
dimandar  pace. 

Salilo  al  trQUo  di  Francia  il  leggiero  e  maligno  Luigi  XII,  non 
toccò  sorte  migliore  alle  cose  d'Italia,  traenti  di  giorno  in  giorno 
a  maggiore  rovina  per  questo  parteggiare  continuo  ed  efferato  di 
signorotti  e  di  tirannelli.  Il  franco  Monarca  ebbe  impegno  di  non 
alienarsi  l' animo  di  quanti  gli  potevano  nuocere ,  e  s' inlese  di 
buon'ora  con  quanti  potevano  giovargli.  Rafforzò  la  potenza  o 
la  prepotenza  spagnuola  in  Italia,  accarezzò  papa  Alessandro,  unissi 


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418  ìNUOVK  KFFEMEIilDl  SICILIANE 

in  amistà  e  cospirò  a^  danni  de'  Veneziani.  Costoro,  esosi  a'  prin- 
cipi, non  amati  da'  popoli,  scherniti  dagli  stranieri ,  tentennando 
tra  la  potenza  turchesca  e  T  austriaca,  ebbero  solo  fedeltà  e  so- 
stegno nel  braccio  del  Liviani.  Ma  anche  questo  venne  loro  a 
mancare  quando  nuove  rivolture,  provocate  nel  lodino,  chiama- 
ronlo  colà,  non  a  comporre,  ma  a  schiacciare  le  parti  fatte  impu- 
nemente e  spudoratamente  assassine.  L'opera  sua  fu  salutare,  come 
quella  che,  associatasi  all'  opera  riparatrice  de'  papalini  e  de'  prin- 
cipi romani,  mise  freno  a  codesti  scellerati  de'  Chiaravallesi,  dei 
quali  rimarrà  memoranda  la  morte  lunga,  terribile,  feroce  appre- 
stata allo  esiziale  Altobello.  L'Alviano  si  ritrasse,  ma  per  poco,  a 
Venezia,  che,  avuto  sentore  degli  straordinari  accidenti  de'  Bor- 
gia, se  ne  spiccò,  correndo  a  ristaurare  qui  un  barone  spodestato, 
l'ha  punir  un  predatore,  sciupandosi  sempre  in  zuffe  infruttose 
sfortunate,  inoneste  talvolta,  finché  morto  il  successore  di  Ales- 
sandro, Pio  ni,  sali  al  pontificato  Giulio  II. 

Allora  (1503)  sua  precipua  aspirazione  fu  di  scalzare  i  Fran- 
cesi d"  Italia,  e  farne  prendere  il  posto  dagli  Spagnuoli.  Era  moda 
del  tempo:  in  cui  era  tenuto  più  degno  di  plauso  chi  meglio 
sapesse  cooperare  a  sostener  la  straniera  signoria  in  casa  nostra. 
Accecati  dai  rumori,  pochi  si  awedeano  allora  di  quella  tirannide 
che  ribadiva  le  loro  catene.  —  Bartolomeo  fu  lancia  spezzata  di 
Cousalvo  di  Cordova,  e  da  sé  fece  più  che  Navarro  e  Prospero 
Colonna  con  tutto  lo  esercito  spagnuolo  attendato  lungo  il  Gari- 
gliano  a  spiare  inoperoso  le  mosse  del  francese.  Egli  ebbe  l'ar- 
dimento di  passare  il  fiume;  egli  assali  di  notte  il  nemico,  e  Io 
trafisse  di  faccia  e  di  Hanco,  e  lo  snidò  dal  propugnacolo  di  Gaeta, 
e  ricacciollo  là  dond'  era  prima  venuto.  —  Favori  e  mercedi  ebbe 
in  grande  copia,  ma  le  rette  sue  intenzioni  non  valsero  ad  ov- 
viare a'  malumori  seminati  tra  lui  e  Consalvo,  foiose  da  un  frau- 
dolento disegno  di  questo  ultimo,  di  dar  ragione  con  essi  al  Li^ 
viani  di  gettarsi  altrove  ad  aprire  agli  Spagnuoli  uno  sbocco  nella 
Toscana;  come  né  manco  valsero  a  dar  vittoria  al  capitano  tuderte 
sovra  i  Fiorentini,  i  quali  egli,  mosso  da  ardente  voglia  di  con- 
quista o  da  irrequietezza  d' animo,  o,  che  è  più  probabile ,  ecci- 
tato alla  segreta  dai  nemici  della  libertà  fiorentina  (PandplfoPe* 
tnicci,  i  Vitelli,  il  cardinale  de'  Medici  ec.),  si  accinse  di  andare 
a  combattere  con  300  uomini  d'arme  e  500  fanti.  Anzi  n'ebbe 
piena  disfatta  a  s.  Vincenzo,  per  la  quale  gli  convenne,  ferito,  di 
ritirarsi  in  Pisa  :  e,  guarito  di  poi,  andarsi  a  rioonciliaVe  col  suo 


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GRITIGA  LeTTERARU  419 

antico  compagno,  che  accolselo  onorevoimente ,  presentandolo  di 
una  spada  e  di  un  cavallo  da  guerra. 

Questa  disfatta  non  lo  sconfortò  per  nulla,  né  scemò  rattissimo 
conto  che  di  lui  si  nudrìva  presso  le  corti  principali  d'Italia,  ami- 
che 0  nemiche  di  lui.  Giulio  II,  che  intese  a  curare  delle  vecchie 
piaghe  i  suoi  slati  e  a  restituirli  alla  pristina  integrità ,  e  che 
gridò  davvero:  Fuori  i  barbarie  avrebbelo  voluto  con  sé,  quando 
ne  ricevette  in  Perugia  gli  omaggi;  avrebbelo  voluto  anche  Ta- 
ragonese;  desiavanlo  quanti  ne  sapeano  apprezzare  il  valore  e  Tar- 
dimento.  —  Egli  però  preferì  rìacconciarsi  con  Venezia.  E  buon 
per  lei  che  gli  confidò  il  pieno  potere  sovra  le  armi  quando  più 
n'  ebbe  bisogno,  quando  minacciata  dalle  picche  tedesche  rìversan- 
tisi  dalle  gole  e  dagli  sbocchi  de'  monti,  con  accompagnamento  di 
prodi  mandavate  a  fronteggiarle,  e  rincularle.  E  Bartolomeo  corse 
e  pugnò:  e  fu  la  sua  una  marciata  trionfale  da  Venezia  fino  a 
Gorizia  e  a  Trieste.  Si  sgominarono  spauriti  i  nemici  :  più  di  1000 
rimasero  morti  sul  campo,  5000  prigionieri.  Fiume  e  Pardenone 
si  resero,  che  V  impeto  del  Liviani  urtava,  precipitava  ogni  cosa. 
Dalla  sua  spada  moveva  una  virtù,  che  parve  miracolo  in  un  eroe 
de'  nostri  giorni.  Fu  prova  di  valore  latino  contro  furore  tedesco, 
grazie  alla  quale,  fu  veduto  Palato  leone  correre  vittorioso  a  po- 
sarsi su  terre  anche  non  italiane  in  giorni  nei  quali  di  virtù  latina 
era  tanto  bisogno.  Vero  è  che  i  Francesi  spalleggiarono  codesta  guer- 
ra, ma  PAlviano  mostrò,  come  senza  il  loro  soccorso,  la  repubblica 
avesse  saputo  tenere  a  rispettosa  distanza  i  suoi  imprudenti  ne- 
mici; come  certi  nodi,  più  presto  che  sciolti  dalla  fredda  diplo- 
mazia, vadano  tagliati  da  una  spada  generosa  ;  cóme ,  infine ,  la 
libertà  non  si  piatisca  colla  palma  stesa,  ma  si  acquisti  col  pugno 
chiuso.  Venezia  libera  fu  larga  di  onorificenze  e  di  privilegi  al 
suo  eroe,  cui  détte  quanto  più  potesse  a  quei  giorni ,  nobiltà  e 
cittadinanza  :  titolo  questo  che  a'  di  nostri  abbiamo  veduto  reso 
comune  (e  i  miei  buoni  siciliani  del  1860  e  del  1866  devono  ri- 
cordarsene) a  un  secondo  Washington  e  a  un  nuovo  Berg. 

La  lega  di  Cambray  troncò  sul  più  bello  le  gioie  della  repub- 
blica e  la  domestica  quiete  di  Bartolomeo.  Avrebbe  potuto  Vene- 
zia con  un  colpo  di  mano  scongiurar  la  tempesta  che  si  accumu- 
lava sul  suo  capo,  ma  non  curossi  di  guadagnare  le  simpatie  del 
papa,  né  quelle  di  Ferdinando  per  combattere  Tedeschi  e  Fran- 
cesi che  minacciosi  piombavano  sulla  ricca  città.  Fidente  abbastan- 
za nelle  sue  ricchezze  e  nella  canizie  del  suo  Senato,  assoldò  di 


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,  420  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Ogni  risma  gnerrieri  e,  duce  supremo  il  conte  Piligliano,  e  dopo 
lui  Bartolomeo,  mandò  a  difesa  dello  Stato,  difesa  ad  un  tempo  di 
tutta  Italia.  In  questa  sciagurata  guerra  salvo  fu  Tonore  degPItaliani, 
non  salva  la  patria  loro.  Accagionasi  di  tanta  iattura,  e  con  troppa 
leggerezza,  l'audacia  abituale  deir  Alviano ,  che  parve  in  quella 
congiuntura,  e  non  fu,  temerità,  e  che  forse  avrebbe  potuto,  se  non 
infrenata  dal  superbo  Senato,  rendere  men  tristi  le  sorti  della 
regina  deirAdrialico.  Conciossiachè,  dove  ne  avesse  condiviso  lo 
ardire  abbracciandone  il  disegno  che  mirava  ad  eccitare  i  lom- 
bardi a  battere  i  Francesi  nello  scendere  delle  Alpi,  pria  che  po- 
tessero far  massa:  ovvero  avesse  seguito  nella  parte  più  energica 
quello  del  Pitigliano,  che  proponeva  l'abbandono  di  qualche  terra, 
il  trinceramento  del  nerbo  dell'esercito  dietro  l'Oglio  e  il  Serio, 
e  l'aspettativa;  la  repubblica  sarebbene  uscita  vittoriosa.  Qualche 
perdita  fu  fatta  dell'esercito  veneziano  al  primo  scontro,  andati  a 
male  i  timidi  e  malfondati  disegni  del  Senato,  che  condannavano 
alla  difensiva  e  capi  e  soldati  insofferenti  di  menar  le  mani.  Fu 
un  momento  che  V  Alviano  dovette  cedere ,  repugnante  per  più 
ore,  a  ciò  che  da  tutti  si  volle,  passar  l'Adda,  recuperar  la  bor- 
gata di  Trivigiio  abbandonata  dai  realisti.  Questo  segnò  il  prin- 
-cipio  della  rotta  de^  repubblicani ,  perchè  re  Ludovico  potè  pas- 
sare sopra  tre  punti  l'Adda ,  e  mettere  quasi  senza  colpo  ferire, 
il  piede  nel  Veneto.  Le  zuffe  furono  quindi  accanite  e  sangui- 
nose, e  grande  carnificina  fu  fatta  degl'italiani,  ed  atti  di  un  va- 
lore piuttosto  che  raro  unico  fecero  i  ^uci.  Nell'ultima  battaglia, 
4Jhe  durò  più  di  tre  ore,  20  pezzi  di  artiglieria  e  6000  cadaveri 
veneziani  restarono  sul  campo.  L'AIviano  stesso,  trafelato  per  la 
fetica ,  Jordo  di  sangue  e  suo  e  d'altri,  venne  in  potere  del  ne- 
mico. 

La  sua  prigionia  fu  protratta  per  quattro  lunghi  anni ,  senza 
pietà  del  signore  che  il  fé'  condurre  a  Parigi.  Come  trascorresse 
per  lui  quel  tempo,  è  agevole  supporre:  ritornare  sui  passati  giorni, 
dettame  gli  avvenimenti  e  i  casi,  e  narrare  in  amare  pagine  gli 
ottenuti  trionfi,  e  le  infrenate  sedizioni,  e  i  provocati  tumulti,  e 
le  gioie,  e  i  palpiti,  e  i  dolori.  Finalmente,  rappaciatesi  Francia 
e  Venezia,  fu  libero  Bartolomeo,  senza  che  pure  dalla  bocca  di  lui 
uscisse  rampogna  contro  i  suoi  carnefici;  anzi  per  volere  della 
repubblica,  a'  cui  servizi  si  rimise  da  generale,  fece  causa  comune 
con  essi,  e  con  essi  combattè.  Umane  vicissitudini!  Le  sue  bat- 
taglie non  ismentirono  la  sua  valentia  :  lui  alla  testa  guardarono 


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CRITICA  LETTERARIA  421 

fidenti  ì  vecchi  soldati,  i  quali  ebbero  di  che  emulare  col  suo  e- 
sempio  antiche  prodezze  e  recenti  vittorie.  L'Àlviano  vinse  in  più 
fatti  d'armi,  e  negli  assedi  sopratutto,  ma  la  soverchia  fidanza  dei 
suoi  gli  nocque  più  del  poco  impeto  nemico.  Vincitore  a  Cremona 
e  in  su  quel  di  Padova,  toccò  una  rotta  nel  Tirolo,  dove  a  una  sua 
strepitosa  vittoria  ebbe  forza  di  mutar  faccia  il  subito  scoramento 
de'  contadini  discesi  dalle  montagne  e  volgenti  codardamente  le 
spalle  allo  avversario;  sicché  e  Francesi  e  Veneziani  sarebbero 
stati  travolti  nel  turbine  della  irrompente  oste  nemica,  se  carità 
di  patria  non  avesse  consigliato  Prospero  Colonna,  capitano  di 
parte  contraria,  a  dare  con  sottile  ai-tiUzio  alla  Repubblica  il  be- 
neficio del  tempo. 

Con  Girolamo  Savorgnaiio,  altro  eroe  del  Friuli,  Barlolomeo 
trasse  protitlo  da!  salutare  indugio  e,  come  se  non  fossero  .siali 
nulla  i  travagli  di  tanti  anni,  mise  insieme  per  la  terza  volta  un 
eserciio.  Mercè  di  esso  si  videro  lavate  col  sangue  le  sofferte  onte, 
Ghiaradadda  e  Vicenza  vendicate  con  Marignano  in  (juelle  famose 
giornale  di  settembre  (J5!7),  die  coslarono  la  vita  a  18000  per- 
soné"  spente  nel  furor  delle  mischie  con  un  eroismo  degno  di 
causa  migliore  per  gl'Ispano-impei-iali,  delfe^ito  che  sortirono  per 
i  FrancO'Vetjcziani.  E  furono  quelli  i  giorni  di  maggior  gloria, 
ma  non  di  maggiore  letizia  pel  i^apitano  tuderte.  Egli  appres la- 
vasi all'assedio  di  Brescia,  e  accennava  a  Verona;  ma  uscito  di 
Bergamo  passava  di  vita  in  Ghedi  nel  vigore  di  sue  forze,  nel 
fior  delle  speranze,  nel  più  caldo  dello  aspirazioni,  addi  7  otto- 
bre del  1515.  Con  lui  spegnevansi  alcuni  malumori  nati  sorda- 
mente tra'  Friulani  del  Savorgnano  e  i  Veneziani  di  Bartolomeo; 
ma  con  lui  spegnevansi  pure  le  più  belle  spei-anze  della  veneta 
repubblica.  Nuovi  pencoli  la  minacciarono ,  ma  i  tasi  di  essa  è 
meglio  consultare  nelle  storie  generali  dìtalìa  o  in  quelle  par- 
ziali di  Venezia,  che  questa  del  Leónij  non  ne  dice  deir  altro. 

Fu  PAI  Viano  dei  più  possenti  bracci  della  Hepubblica ,  della 
quale  corno  in  vila  i  guiderdoni,  così  meritò  dopo  morte  conde- 
gne onorificenze.  Se  nei  primi  anni  del  suo  esercizio  alle  armi 
non  parteggiò  sempre  pel  diritto  e  per  la  giustizia:  se  accanto  a^ 
france&i  fu  liberale  della  sua  vita ,  chi  potrà  con  coscienza  dire, 
che  egli  servisse  allo  straniero  per  mettervi  le  catene?  (lolpn  de' 
tempi  che  egli  non  avesse  avuto  una  patria  da  servire,  che  ve- 
ramente ei  ne  fu  meriievole  J  Colpa  della  fortuna  ,  die  e^di  non 
lasciasse  affatto  imjnacolato  e  superiore  airinvidia  di  quanti  scroc- 


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422  mX>¥B  EFFEMEBIDI  SKaiAlfB 

caronsi  e  Tengono  tattodl  scroccandosi  una  bma  che  a  pochi  soli 
si  addice.  Codesto  cuore  di  bronzo  non  si  roppe  giammai.  Fa 
marmo  predestinato  ad  una  nobile  scultura,  e  che  gli  acerbi  de- 
stini dltalia  lasciarono  fondersi  in  calcina  ! 

Pure  a  noi  sembra  non  del  tutto  trista  la  sorte  di  lui,  dacché 
postuma  e  serotina  ma  piena  onoranza  gli  è  stata  resa  da  un 
tardo  nepote,  Lorenzo  Leónij.  E  certo,  se  i  benemeriti  della  pa- 
tria trovassero  tutti  un  biografo  pari  a  costui,  non  sarebbe  per 
nulla  a  deplorare  questa  seconda  morte  per  le  anime  de^  generosi^ 
Poblio  dei  posteri. 

L^  opera  del  Leónij  è  non  solamente  bella ,  ma  anche  buona  : 
bella  come  opera  d^arte,  la  quale  può  andare  soggetta  a  pochi  ap- 
punti :  buona  come  opera  patriottica,  che  inculca  prìncipi  nobilis- 
simi. De'  quali  sarebbe  giusto  offerìre  un  saggio  a  certi  padri  deUa 
patria^  che  menano  vanto  di  patriottismo  che  non  ebbero  mai.  Ma 
a  che  proporre  modelli ,  quando  la  pelle  degli  uomini  sì  è  con- 
vertita in  cotenna  di  rinoceronte  ?  I  Del  resto,  a'  pochi  che  avranno 
Ietto  quest'opera  è  già  tatto  chiaro  com'ella,  tale  quafè,  venisse 
pubblicata  in  Todi  sotto  gli  occhi  di  una  censura  tutf  altro  che 
benevola,  e  però  con  pericolo  non  lieve  dell'autore. 

La  figura  delPAiviano  si  fa  grande  in  mezzo  a  quelle  de'  suoi 
contemporanei,  non  di  rado  giganteggia  fra  quelle  di  un  pugno  di 
eroi.  Ad  osservarla  da  tutti  i  lati  è  delineata  maestrevolmente  in 
lutto  e  per  tutto  il  bene  ed  il  male  che  può  dirsene.  Ma  il  bene  è 
assai  più  del  male,  e  come  in  quello  lo  storico  lodasi  del  suo  perso- 
naggio e  ne  condivide  i  perigli  delle  imprese,  la  gioia  delle  vittorie, 
la  tranquillità  degli  ozi  passaggierì;  cosi  nel  male  rammaricasi  co- 
me de'  trascorsi  di  un  amico,  pel  quale  in  certo  punto  implora 
perdono  da'  suoi  lettori.  Nulla  tace  che  possa  concorrere  a  ritrarre 
l'indole  tempestosa  e  fiera  del  Liviani;  onde,  ricordando  a  pag.  120 
una  cieca  vendetta  che  esso  faceva  di  un  Goldifredo  Calcaro,  gen- 
tiluomo veronese  a'  servizi  del  signore  tedesco,  che  avealo  insul- 
tato di  dietro  col  dirgli  maligna  bestia^  gobbo^  il  Leónij  soggiun- 
ge :  e  Se  non  si  ricordava  della  benignità  cristiana ,  poteva  del 
magnanimo  sprezzo  degli  antichi  eroi  pagani  farsi  imitatore.  Il 
sangue  del  Calcaro,  il  sangue  della  poveretta  Astancolle  sono  per 
certo  brutti  fregi  nell'armatura  dell'Alviano.  Avremmo  voluto  che 
nel  generoso  petto  non  avesse  accolto  la  trista  voluttà  della  ven- 
detta, alla  quale  pur  troppo  noi  Italiani  siamo  proclivi,  ed  abbiamo 
di  ria  semenza   mietuta  una  pessima  paglia.  Duolmi  nel  vivo  di 


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GRITIGA   LBTTBRAIUA  423 

non  potere  in  qaesta  parte  offerire  Fesempio  del  mio  eroe,  parmi 
aver  quasi  a  dannare  un  amico;  ma  vinca  il  vero,  e  sappiano  gli 
uomini,  che  non  bastano  innanzi  alla  storia  a  cancellare  una  brut- 
tura, i  lunghi  travagli,  e  la  splendida  gloria.  >  Di  guisa  che  può 
dirsi  deirautore  della  Vita  di  Alviano  quello  che  fu  detto  delPil- 
lustre  autore  del  Beccaria  e  del  diritto  penale:  e  egli  ammira,  ma 
non  è  mai  V  idolatra  del  suo  eroe.  > 

I  tempi  sono  a  perfetta  conoscenza  del  Lednìj,  il  quale  li  giu- 
dica senza  studio  di  parte.  La  storia  del  secolo  XVI  gli  è  cosi  fa- 
miliare come  la  storia  del  secol  nostro  con  tutte  le  passioni,  con 
tutti  gli  sconci  e  le  virtù  del  tempo.  Laonde ,  non  una  semplice 
biografia  è  da  dire  la  sua,  bensì  una  storia  che  ricerca  le  ragioni 
de^  fatti,  e  segue  con  diligenza  gli  eventi  moltiplici  e  svariati. 
Rapido  ne'  passaggi,  franco  nelle  narrazioni,  ha  delle  pagine  de- 
gne de'  migliori  storici.  Belle  sono  quelle  dove  Fautore  dolora 
che  vengano  negletti  e  mal  giudicati  alcuni  uomini  meritevoli  di 
riverenza;  più  belle  le  pagine  che  descrivono  la  morte  di  Alto- 
bello  in  Acquasparta;  da  non  trasandarsi  questa,  che  è  pregio  di^l 
presente  articolo  citare  in  parte:  «  Taluna  volta  al  tacilo  morire 
di  un  inerte  giorno  pugnevalo  il  desiderio  della  cara  moglie,  e 
del  suo  figliuolo,  e  delle  dolci  figliuole;  e  si  figgeva  nella  mente 
la  rimembranza  de'  monti  delF  Umbria ,  e  delF  Alpi  Friulane ,  e 
sgorgavano  dalla  fantasia  e  dal  cuore  dell'Italiano  i  versi  e  le 
rime,  una  poesia,  forse  rozza,  ma  per  fermo  passionata  e  virile. 
Ciance  non  erano  quei  versi,  né  quelle  prose,  e  perché  non  erano 
ciance,  F  età  ignava  e  canora  non  le  servò  !  Servammo ,  stolti  ! 
tanti  prostitutori  della  parola,  tanti  commettitori  di  rime ,  tanti 
obbedientissimi  cortigiani,  e  non  abbiamo  neppure  una  riga  né 
dell'  Alviano,  né  di  Pietro  Strozzi,  né  di  Dante  da  Castiglione,  nò 
di  siffatti  valenti,  che  in  Italiano  suolo,  o  raminghi,  colse  la  morte 
e  la  sventura,  o  troppo  spesso  la  calunnia  ricoperse  e  fece  obliare.  » 

Queste  parole  servono  anco  a  dare  un  saggio  della  forma  del 
libro  del  Leònij,  la  quale  costituisce  in  fondo  il  massimo  de'  pregi 
ond'  esso  deve  andar  lodato;  forma  grave,  classica,  piena  di  stu- 
dio. A  cui  non  talenta  questa  lode  di  tale  che  non  conosce  altri- 
menti Lorenzo  Leònij,  si  procuri  almeno  la  lettura  della  Vita  del- 
l' AlvianOy  perché  altre  citazioni  non  approderanno  a  nulla.  Qual^ 
che  difetto  però  ve  lo  troverà  :  e  il  principale  é  l'affettazione  della 
forma,  frequentemente  intramezzata  da  latinismi  e  da  arcaismi.  Tro- 
verà, p.  e.;feciono  e  damra  a  carte  34,  dove  Io  studio  pazientemente 


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424  NUOVE  EFFEMERIDI  SlGIUANB 

durato  dair  autore  sui  classici  si  traduce  in  un  vero  artiQzio;  chente 
per  quale  (pag.  6  e  65),  ridottato  (10),  me  per  cade  (44),  infen- 
gissimo  (124),  ed  augumentare  (49),  e  commerzi  (51)  ecc.  Quanto 
al  resto  vogliamo  notare  come  dall'altezza  alla  quale  il  Leònij  si 
tiene  non  sembrano  comportabili  queste  parole:  t  Fu  pertanto  forza 
air  Alviano  ridursi  a  sustentar  la  guerra  minuta,  e  paziente,  die- 
tro alle  fosse  e  alle  mura  della  città  spiare  il  nemico  per  dargli 
qualche  bussa  improvvisa  e  svignare,.,  •  (pag.  IH);  né  tampoco  il 
traslato  espresso  più  innanzi  (pag.  113):  t  gì' Ispano-imperiali  da- 
pertutto  sono  assiepati  da  nemici,  veggiono  dapertutto  sul  capo 
loro  una  tetra  ghirlanda  di  soldati  e  di  contadini ,  e  quasi  è  lor 
forza  toccarla.  >  Sono  sottigliezze,  ma  le  vogliamo  ricordare  per 
debito  dMmparzialità. 

In  omaggio  a  questo  principio  non  taceremo  da  ultimo  come , 
guardando  tutto  insieme  il  lavoro  dello  storico  tuderte ,  un  po' 
affrettata  apparisca  la  fine ,  dove  qualche  cenno,  sulle  cose  di 
terraferma  dopo  la  morte  dell' Alviano  non  sarebbe  stato  super- 
fluo. Ma  che  è  mai  codesta  menda,  e  quella  che  qualche  critico 
potrebbe  apporre  al  sistema  di  filosofia  della  storia  seguito  dal 
Leònij,  di  fronte  a'  219  documenti,  inediti  quasi  tutti,  che  occu- 
pano due  terzi  del  bel  volume  esaminato  ?  I  quali,  raccolti  parte 
neir  archivio  municipale  di  Todi,  parte  negli  archivi  di  Vienna  e 
di  Firenze,  parte  ancora  in  Venezia  dagli  estratti  delle  delibera- 
zioni segrete  del  Senato,  dai  Commemoriali,  dalle  lettere  del  Con- 
siglio de'  Dieci  ecc.,  avvalorano  il  testo  tutto  della  narrazione. 

Giuseppe  Pitrè 


Z  Viaggi  di  aio.  da  BlKanda villa  p  volgarizzamento  antico  to- 
scano ora  ridotto  a  buona  lezione  coU'aiuto  di  due  testi  a  penna 
per  cura  di  Francesco  Zambrini,  voi.  !<>  Bologna  presso  Gae- 
tano Romagnoli  1870  (disp.  CXIII  della  Scelta  di  curiosità  lette- 
rarie inedite  o  rare  ecc.  prezzo  L.  7). 

Il  eh.  editore  ci  fa  sapere  nella  sua  elegantissima  prefazione  a 
quésti  Viaggi^  dedicati  agli  egregi  cav.  Francesco  di  Mauro,  e  dot- 
tor cav.  Giuseppe  Pitrè ,  che  il  Mandavilla  cavaliere  inglese  ver- 
rebbe quarto  fra  quanti  narrarono  i  loro  viaggi  nel  medio  evo  e  in 
favella  italiana  e  in  altra  onde  tosto  furono  recati  nella  nostra,  cioè 
dopo  il  Polo,  fra  Riccoboldo,  il  beato  Odorico;  il  qual  ultimo  descri- 


i 


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CRITICA   LETTKRARU  425 

veva  il  suo  Pellegrinaggio  nel  1318,  quando  il  Mandavilla  faceva  i  suoi 
viaggi  nel  1322,  e  la  sua  narrazione  veniva  recata  nel  nostro  vol- 
gare, quasi  rifatta  o  parafrasata  t  sul  finire  del  sec.  XIV  o  al  più 
sul  cominciare  del  susseguente  XV  »:  tantoché  il  eh.  editore  crede 
potersi  considerare  quasi  lavoro  italiaìWy  e  collocarsi  t  tra  le  de- 
scrizioni originali  che  abbiamo  nella  nostra  letteratura  >  ;  vai 
quanto  dire  co'  v  iaggi  in  Terrasanta  del  Frescobaldi,  del  Sigoli, 
del  Gucci,  di  Niccolò  da  Poggibonsi,  di  fra  Mariano  da  Siena,  di 
Luchino  del  Campo,  deirAnonimo  (edito  dal  Melga),  tutti  della 
fine  del  secolo  XiV  e  dei  primi  anni  del  XIV*  Per  le  lanle 
parli  di  Oliente  che  il  Mandavilla  ebbe  visi  late  ,  oltre  Terni 
Santa  e  il  Cairo,  questa  narrazione  è  &\anaii5sini3  ,  tiiena  di 
tante  maraviglie  da  pa&sare  i  fanla&tici  racconti  stessi  dei  nostri 
anticliì.  11  codice  poi  sopra  il  quale  fu  esemplala  l'edizione  che 
qui  arinunziaiiio  ^  oltre  le  slampe  del  secolo  XV,  e  speciaimetile 
quella  de!  Ì488,  fu  il  M^gHubechiano,  CI.  XXXV,  n. '221,  riscon- 
trato TieUe  varianiione'  luoghi  dubbi  col  Riccardiano,  segn,  nu- 
mero i017;  e  tanta  cura  vi  mise  fìllustre  editore,  solenne  mae- 
stro in  qu6.sli  sludij  ila  farne  un  libro  carissimo  a  clii  ne  manco 
vi  vuol  cercare  io  stampo  e  le  ragioni  del  nostro  antico  volgare, 
ma  cogliervi  le  notizie  svariate  e  Tingenuil^  della  narrazione  di 
strane  avventure,  e  le  curiose  medicine  che  &i  pi'opone  F autore 
dairOriente  regalare  agli  uomini  di  Europa,  secondo  T  intentli- 
mento  di  dare  oltre  ai  viaggi  ammaestrmueHìo  di  costumi  e  di  ra- 
gioni €  fiifferenzie  d'almni  pam,jmrhé  molte  genti  pigliano  diletto 
d'udire  ime  nuore  (p.  28), 

Quest'opera  del  Mandavilla  nel  testo  volgare  er-a  di  venula  *  rara 
per  modo,  che  indarno  oggi  polrohbesi  dai  curiosi  possedere  »: 
e  però  dobbiamo  assai  ringraziamenli  alFegr,  editore  di  averla 
cosi  agevolmente  messa  di  nuovo  innanzi  agli  studiosi  di  nostra 
lingua ,  con  quella  dilìgente  e  dotta  cura  con  che  assiduamenio 
sa  regalarci  o  nuovi  o  non  comuni  testi  de' primi  secoli  della  lin- 
gua, conducendo  nel  tempo  stesso  con  sapiente  direzione,  in  tempi 
poco  favorevoli  a  silTalti  sludi,  la  Coìiczimie  di  opeir  inedite  e  rare 
de"  ptimi  tre  secoli  dfillti  lingua  pubblica  tu  per  cura  della  Com- 
messione  pe'  testi  di  liugua,  e  la  fe?ff*i  di  Curiodtà  letterarie  ine- 
dite 0  rare,  che  fa  di  Àpprndiee  alla  Collezione  maggiore,  oltre  al 
periodico/i  Propìtgnatore,  che  raccoglie  sludi  di  lllologta.di  let- 
teratura e  di  storia ,  per  cooperazione  di  alcuni  soci  della  Com- 
missione citata. 


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426  Nuove  kppbmkhiui  siciliane 

Ad  esempio  poi  del  dettato  del  libro,  e  delle  curiosità  che  con- 
tiene, riportiamo  qui  questo  luogo  che  appunto  dice  della  Sicilia, 
la  quale  è  grande  isola  e  imito  inuma: 

e  In  questa  isola  di  Cicilia  è  un  giardino  verde  e  fìorilo  dao- 
gni  stagione,  si  di  verno  come  di  state  (1):  questa  isola  circunda 
bene  CCCL  miglia.  Al  contrario  (2),  tra  Cicilia  e  Italia  non  è  altro 
che  un  piccolo  braccio  del  mare,  el  quale  si  chiama  il  Farro  di 
Messina.  Cicilia  si  è  tra  el  mare  Adriano  e  el  mare  di  Lombar- 
dia, e  da  Cicilia  in  Calabria  non  sono  oltre  che  YIII  leghe  lom- 
barde. In  Cicilia  è  una  maniera  di  serpenti  e  qua'  conoscono  e  fi- 
gliuoli ligittimi  da'  bastai*di ,  perchè  e  padri  loro ,  che  vogliono 
vedere  la  pruova ,  lasciano  andare  le  serpe  intorno  a'  detti  fi- 
gliuoli; e  se  gli  mordono,  sono  bastardi,  e  se  non  gli  danno  noja, 
sono  ligittimi  e  di  lìgitlimo  matrimonio  nati.  E  questo  fanno  molti 
per  vedere  se  anno  ligliuoli  ligittimi  o  no.  Item,  in  quella  ìsola 
è  il  monte  Ethna,  el  quale  sempre  arde ,  «  chiamasi  Mungibello 
e  Vulcano,  ove  ardono  due  fuochi  e  gettono  diverse  fiamme  e  di- 
versi colori;  e  per  la  mutazione  di  queste  fiamme,  sanno  le  gente 
del  paese  quando  sarà  carestia  e  buona  derrata ,  freddo  e  caldo, 
umido  e  secco ,  e  universalmente  conoscono  a  cbe  modo  si  go- 
verna il  tempo  d' Italia  :  e  questo  Vulcano  sono  XXV  miglia ,  e 
dicesi  che  questa  bocca  è  dello  'nfemo.  • 

Di  simili  strane,  ma  dilettevoli,  narrazioni  e  descrizioni  il  libro 
è  ben  ricco,  e  diverte  colla  copia  della  buona  lingua  il  curioso 
leggitore.  V.  D.  G. 


Sul  Vocabolario  poliziotto  di  Geografia  per  Carlo  Hensingee 
con  Prefazione  di  B.  E.  Mainbri  (Milano  1870).  Lettera  del  Comr 
pilatore  al  dottor  Giuseppe  Pitrè. 

Gentilissimo  Signore 

Rendendole  grazie  infinite  per  la  bontà  d' aver  concesso  nelle 
pagine  delle  Nuove  Effemeridi  Siciliane  un  posticino  al  Vocabolario 
poliglotte,  debbo  da  prima  dichiarare  :  che  questo  lavoro  —  an- 
che ampliato  —  non  eccederà  mai  i  limiti  dell'Europa;  che  nelle 
attuali  condizioni  mie,  avendo  a  lottare  con  difficoltà  davvero  im- 
mense, non  mi  è  possibile  allargare  la  sfera  dell'  opera  presente. 

Ora  quindi  si  sta  preparando  un  vocabolario  completò  d' Europa 

(ì)  Foiseiil  giardino  allora  famoso  di  PaUrmo,  detto  la  Cuncumaf 
(t)  Nelle  antiche  slauipe.  si  leggo,  forse  [liù  correlUiineiite,  al  conturno. 


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GRITIGA   LKTTERARU  427 

fatto  su  questo  genere,  il  quale  conterrà  più  di  6000  nomi  di 
fìumi,  rivi,  ruscelli  etc.  Il  chiarissimo  prof.  B.  E.  Maineri  ha  ben^ 
profferito  la  parola  riforma^  la  quale  a  prima  xista  potrebbe  scon- 
certare qualche  tenacissimo  di  memorie  giovanili  (parto  di  geo^ 
grafia)  ma  invece,  chi  ben  interpreti  quella  sua  prefazione  al  mio 
dizionario  poliglotte,  il  concetto  del  Maineri  si  potrebbe  tutto 
quanto  riassumere  in  questi  due  vocaboli  unicuifjtie  suum;  la  quale 
massima,  ridotta  in  pratica,  farebbe  si  che  la  maggior  parte  delle 
carte  geografiche  avrebbesi  a  riformare  secondo  più  facili  e  natu- 
rali ragioni.  Il  disegno  è  semplice.  Ed  ecco  il  come  :  formandosi 
una  nuova  carta  di  Europa,  si  metterebbero  in  Italia  tutti  i  nomi 
italiani,  p.  e.  Nizza  e  non  Nice,  Trento  e  non  Trient,  Cuneo  e 
non  Còni;  in  Francia  tutto  in  francese,  in  Russia  tutto  in  russo, 
in  Grecia  in  greco.  Un  vocabolario  quindi  di  simil  fatta  servi- 
rebbe di  chiave  in  ogni  lavoro  scientifico  letterario.  Onde,  trat- 
tandosi della  capitale  della  Turchia,  vi  si  troverebbe  Stambul  o 
hlambul  (città  deir  islamismo)  ;  in  greco  Kov^otvxivoicoXtc  (città  di 
Costantino)  in  italiano  Costantinopoli  ;  in  tedesco  KonstantinopI  ; 
in  slavo  Carogrod  (leggasi  Tsarogrod)  (città  degli  Tsarì  o  Cesari) 
(sottinteso  Russi;)  in  bulgaro  Ortukeuvi  e  neir  antico  Bizantium. 
Osservando  attentamente  questo  solo  esempio,  ognuno  vede,  come 
sarebbe  ingiusto,  di  voler  questa  città  chiamare  soltanto  Costan- 
tinopoli, perchè  cosi  si  usa  di  nominarla  in  Italia. 

In  Italia,  sino  al  di  d'oggi,  si  danno  annualmente,  nelle  città 
principali,  esami  di  lingue  straniere  viventi ,  intendendosi  con 
tale  qualificazione  le  lingue  francese ,  inglese  e  tedesca.  Ora  di- 
cami, gli  ottanta  milioni  di  Slavi,  non  hanno  essi  forse  lingua  di 
sorta  ?  ed  avendola,  non  hanno  una  propria  letteratura  ?  e,  pos- 
sedendo questa,  non  vi  è  forse  nulla  di  buono  che  meriti  essere 
trapiantato?  Basterebbe  far  la  prova,  e  allora  si  persuaderebbero 
che  gli  Slavi  non  meritano  T epiteto  di  semibarbari,  come,  pur 
troppo,  ogni  momento  sentesi  profferire  da  tanti  e  tanti,  molto  lo- 
quaci, perchè  ignari. 

La  presente  opera  mia,  offèrta  come  ben  afferma  Io  stesso  Mai- 
neri,  al  pubblico  come  semplice  saggio,  altro  non  è  poi  che  un 
supplemento  a  tante  opere  di  questo  genere,  nel  quale  però  Te- 
lemento  slavo  è  trattato  con  maggior  cura. 

Mi  abbia  con  piena  osservanza. 

Milano,  addi  29  Novembre  1870 

Dtvoliaimo 

Prof.  C.  Monsingkr. 


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IL  TITOLO  DI  DON 


Da  un  voi.  ms.  miscellaneo  della  Biblioteca  comunale  palermi- 
tana, segn.  Q  Q  F.  231  togliamo  queste  curiose  notizie  sul  titolo 
oggi  comunissimo  in  Sicilia  del  Don, 

Brudisione  ral  titolo  di  Don. 

t  U  re  di  Spagna  Filippo  III  concedette  nel  1621  per  dispaccio 
reale  a  una  persona  nobile  il  privilegio' prò  se  et  suis  del  Bon. 
Si  domanda  a  quali  pei-sone  e  a  che  grado  di  nobiltà  concedeva 
il  suddetto  tìtolo.  Si  desidera  di  ciò  la  risposta  confermata  da 
qualche  autorità  ed  erudizione.  • 

€  E  cosa  più  che  volgare  che  dal  Domnus  latino  è  forse  nato 
il  Don  spagnuolo,  avendo  tanta  affinità  questa  lingua  con  quella. 
Se  pure  non  è  dair  ebreo  Adon,  dotninìis,  perchè  spesso  nella 
pronunzia  si  lascia  V  aleph.  Di  che  esso  cominciasse  ad  usarsi  nella 
Spagna,  ritrovo  che  Leonigildo  re  XVI  fu  .il  primo  ad  ordinare 
che  il  re  si  chiamasse  signore^  che  vestisse  di  porpora,  e  che  a- 
vesse  scettro  e  corona  (1);  e  Bernardo  Giustiniani  dice  (2)  che  a 
tempo  di  Pelagio  re  si  stabili  di  dare  il  Don  ai  re  di  Spagna.  Or 
questo  titolo  reale  l'ebbero  a  singoiar  pregio  portarlo  ne'  loro 
nomi  li  personaggi  più  sublimi  della  Monarchia,  e  la  cosa  andò 
tanto  air  eccesso  che  dai  magnati  passò  tal  titolo  ai  nobili ,  da 
costoro  alle  persone  civili,  e  da  queste  ai  servidori  della  sala  alta: 
motivo  per  cui  non  solo  per  questo  titolo,  ma  anche  per  tutti  gli 
altri,  dei  quali  si  caratterizzavano  le  persone  di  conto  con  del  no^ 
bilis  magnifioASy  messeri,  honorabilis  etc.  fu  fatta  prammatica  nei 
Regno,  l' anno  1552 ,  colla  quale  abolito  venne  V  abusivo  costu- 
me de'  detti  titoli  ne'  registri  pubblici  de'  notari ,  e  sol  ven- 
ne permesso  ciò  che  di  onore  per  reale  concessione  tenevasi  da 
qualche  nobile.  Come,  per  esempio,  il  titolo  dHUustre  furo- 
no obbligati  i  notari  marcarlo  per  trattamento  dei  principi ,  du- 
chi, marchesi  e  conti  ;  lo  spettabile  per  i  Baroni  feudatari ,  ed  il 
tnagnificus  per  i  soli  capitani  di  giiìstizia:  e  cosi  immediatamente 

(1)  Garri.li,  Lettere  eecletiailiche,  t.  lY.  iett   b. 

(2)  Storia  della  Monarchia  di  Spagna,  L.  Ili  e.  1. 


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IL  Tìtolo  di  don  429 

a  questi  unicamente  investito  veggevasi  del  titolo  di  Don ,  quel 
personaggio  che  ne  mostrava  la  sua  particolare  pergamena.  Era 
esso  un  titolo  di  nobiltà ,  e  solea  concedersi  a  persone  di  fa- 
miglie illustri  ed  ai  cadetti  dei  titolati  del  regno,  e  questo  per 
qualche  servigio  prestato  alla  corona ,  e  per  guiderdone  di 
qualche  virtuosa  impresa  eseguita  da  colui  in  prò  del  pubblico. 
Il  Marchese  Antonino  Emmanuele  in  veggendosi  scevro  del  trat- 
tamento di  nobile  e  magnifico  che  quasi  ab  immemorabili  contava 
ne'  suoi  antichi,  curò  ottenere  un  tal  titolo  e  lo  conseguì  al  1611, 
appunto  per  avere  mantenuto  due  cavalli  a  sue  spese  nel  servizio 
militare  del  regno.  Questo  è  quanto  in  pochi  minuti  di  tempo 
ho  potuto  raccogliere  sulP  erudizione  di  questo  punto,  riservan- 
domi illustrarla  maggiormente  con  maggior  comodo  in  altro  tempo  >. 
Queste  notizie  sono  del  marchese  di  Villabianca,  Francesco 
Maria  Emmanuele;  al  quale  non  sappiamo  da  chi  erano  state  ri- 
chieste col  quesito  che  precede  questa  risposta  data  da  esso  al 
Villabianca.  Da  un  altro  ms.  miscellaneo  seg.  Q.  Q.  F.  210  sap- 
piamo poi  che  nel  1732  fu  dato  avviso  da'  regii  consultori  che 
proibiva  potersi  vendere  il  titolo  del  Don;  e  ciò  perchè  conce- 
duto in  origine  come  titolo  personale  e  di  benefìcio  sovrano.  La 
quale  consulta  potrà  chi  vuole  leggerla  a  fogl.  67  del  ms.  citato. 

V.  D.  G. 


AD    OAESAREM   OANTIX' 

DE  suo  LIBRO 

BUON  SENSO  E  BUON  CUORE 


Oarrnen  (1) 

Nil  potius  laudem  quam  qnae  pietate  magistra 
Perspicuo  eloquio,  Caesar,  documenta  dedisti. 
Tu  sapere  et  bene  velie  doces:  caelestia  dona! 

(1)  Monsignore  Slaurerighi  uno  dei  più  «lislinti  fra  gli  oblatì  di  Milano,  scrisse 
questi  bellissimi  versi  in  lode  de!!' eccellerne  spirito  ond'  è  animalo  il  libro  del  si- 
gnor Canlù  ,  del  quale  abbiamo  soli*  occhio  (lode  ancor  più  conchiudenle)  la  se- 
conda edizione 

La  versione  italiana  die  facciamo  succedere  al  testo  latino,  devesi  all'elegante 
penna  dell'  abate  Jacobo  Bernardi. 

28. 


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430  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

Fontibus  bis  oritura  quidem  nisi  forte  superstet 

Extremum  exitium  populis  errantibus.  Huc  nunc 

Conspirant  Romae  sanctorum  oracula  Patram 

Quae  sapere,  ut  reduces  divina  ad  pascua  gentes. 

Et  bene  velie  jubent  firmantia  dogmata  verum. 

Ob  utlnam  valeant  tarpato  extradere  mnndo 

Errorum  quotquot  prodiere  immania  monstra 

Tartareis  latebris,  queis  et  civilia  passim 

Jara  atque  officia  ebeu  !  prodigata  :  quibusque 

Horrida  barbaries  jam  cunctis  incubat  oris. 

Qno  res  nostra  ruet,  Caesar,  ni  in  pubblica  damna 

Sacra,  profana  simul  ratio  conjuret  amice? 

Tu  prò  parte  tua  egregio  praecepta  labore 

Ilaliae  recinis.  Nullis  fleterritus  iris 

Inconsulta  Patrum  et  vulgi  deliria  lance 

Expendis  justa;  a  turpi  secernis  honestum, 

Indicisque  viam  securis  gressibus  aptam, 

Dum  paucis  studeas  operam  detergere  mendis, 

Arduus  ingenio,  ast  animo  magis  arduus  insta. 

Succedant  alii  generoso  pectoi-e  fortes, 

Et  voce  et  scriptis,  recti  quA  semita  tendit. 

Undique  regnantis  quis  propugnacula  Ditis 

Quis  ruat,  atque  bonis  victricia  comparet  arma  ? 

Hoc  opus,  hic  labor  est;  huc  vergunt  vota  precesque. 

Exoriare  aliquis  nostris  ex  finibus  ultor, 

Ense  potens,  patriae  sacro  inflammatus  amore,    * 

Qui  dudum  arrepto  consortia- nomina  regno 

Dejicias,  vilesque  procos.  Sic  quaevis  hirudo 

Disperea^  populi  extremo  insatiata  cruore. 

Italia  infelix  longum  miseranda  ruinas 

Sustinet  omnigenas,  et  turpia  quaeque,  perempto 

Numinis  obsequio,  sublatis  legibus  aequi. 

Exoriare  aliquis,  tempio  sua  jura  decusque 

Qui  redimas  populis  roores,  de&  fraeiMK  scelestós.   /<u^*^^-^ 

Nulla,  0  Cesare,  nulla  emmi  più  dolce 
Che  laudar  q»e^  tuoi  scritti,  ove  si  vivi 
I  precetti  del  vero  in^  chiaro  eloquio 
Espor  ti  piacque,  e  dell'augusta  fede 
L'informasti  alla  scuola.  È  don  celeste 
Rettamente  sapet\  volere  il  bene, 

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GARMB  431 

Ciò  che  tu  insegni,  e  se  alle  plebi  erranti 
Non  sovrasta  il  temuto  ultimo  danno, 
Da  questa  fonte  la  salvezza  piglia 
,  Suo  nascimento.  E  ridestano  i  Padri, 
Testé  in  Roma  raccolti,  a  questa  meta 
Dagli  oracoli  santi  il  vigor  primo: 
Gilè  i  donimi  eccelsi,  ond'  ogni  ver  s' imperna, 
Alle  genti  ridotte  ai  paschi  eletti 
Della  legge  divina,  hanno  per  fine 
Che  ognun  chiaro  conosca  e  adempia  il  bene. 
Ed  oh  !  valgano  alfin  da  questo  mondo 
Corrotto  a  discacciar  la  turba  immane 
De'  vizii,  usciti  fuor  dalle  infernali 
Latebre  a  sovvertir  miseramente 
Ogni  dritto  e  dover  della  civile 
Convivenza,  evocando  un'altra  volta 
L' infrunita  barbarie  a  comun  danno. 
E  qua!  mai  si  dischiude  orrido  abisso 
Ove  non  sorga,  o  Cesare,  la  sacra 
E  profona  ragione,  insiem  congiunte 
Amicamente,  a  dileguar  la  fiera 
Dell'eccidio  minaccia?  In  guisa  aperta 
Tu  la  tua  parte  arditamente  compi, 
0  Cesare,  e  la  nova  opra  consacri 
Dell'Italia  in  profitto:  e  non  t'arresta 
L'ira  fremente,  ma  su  giusta  lance 
11  delirio  dei  padri  e  delle  plebi 
Pesi,  e  l'onesto  acutamente  scerni 
Da  ciò  eh'  è  turpe,  e  la  secura  additi 
Via  dove  por  fidatamente  i  passi; 
E  deterso  il  lavoro  arduo  da  poche 
Mende,  prosegui  imperturbato,  e  sia 
L' ingegno  eretto  e  ancor  più  eretto  il  core. 
Altre  sorgano  teco  anime  forti 
E  generose,  di  parole  e  scritti 
Magnanimi  feconde  e  seguan  i'  orme 
Che  nel  retto  sentiero  hai  tu  segnate. 
Ma  chi  del  fiero  demone  che  regna 
Sì  largamente  le  trincero  abbatte  ? 
Chi  porge  ai  buoni  le  vittrici  insegne  t 
Qui  l'opra  e  la  fatica: "e  voti  e  preci 


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432  Nuove  effemeridi  shuuane 

Tendono  a  questo.  Alfin  sorga  da^  nostri 

Lidi  chi  tutto  sìa  Tiamma  d'amore 

Per  la  sua  patria,  e,  indomito  di  braccio. 

Temuto  scenda  alla  vendetta,  e  spazzi 

Via  chi  del  mal  governo  ha  si  gran  parte 

Settariamente  invasa,  ed  i  mendaci 

Adulatori  e  vili,  e  le  bramose 

Del  popolo  mignatte,  ognor  suggenti 

Il  sangue,  cui  non  lasciano  che  piene. ^ 

Patria  infelice  1  di  ruine  molte 

E  lagrimose  da  lungh'^anni  oppressa 

E  da  turpi  delitti:  a  Dio  negata 

Obbedienza,  e  dell'onesto  infrante 

Le  leggi;  oli!  sorga  alfiiì  chi  riguadagni. 

Air  onore  ed  al  tempio  i  sacri  dritti, 

E  i  costumi  componga,  e  i  rei  corregga. 


ALL'AVV.  PROF.  GIOV.  FR4IHCI0SI  ID  A  PIA  BARSOTTI 

DOLENTISSIMI  PER  LA   RECENTE  IRREPARABILE  PERDITA 

DEL  GAV.  GIOVANNI  BARSCTTI 

Prof.  (li  Meccanica  Nazionale  nell'Universilà  di  Pisa 

Sonetto 

Mentre  si  fera  ambascia  il  cor  mi  preme 
Per  la  morte  di  Lei  che  tanto  amai 
Ch'  io  n'  avrò  sempre  lagrimo&i  i  rai 
Fin  che  giungano  a  me  V  ore  supreme  ; 

Qual  dal  Panaro  vien  suon  di  chi  geme 
Sovra  un  gelido  avel  rompendo  in.  lai  ? 
Miseri  Sposi  )  Oh  !  poi  che  abbiam  di  guai 
Non  dissimil  cagion,  piangiamo  insieme. 

Piangiamo  si,  ma  ne  conforti  intanta 
Che  la  bontà  divina  ha  sì  gran  braccia. 
Che  tutti  vuol  con  sé  nel  ttegno  Santo. 

Che  i  nostri  cori  dal  desio  portati, 
Omai  fuor  di  periglio,  a  faccia  a  faccia 
S^  affiseranno  in  Dio  fatti  beati. 

innova,  addi  20  decembre  1870. 

Prof.  Giuseppe  Cazzino 


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LEGGLISSI  TOTALE  DEL  SOLE  IK  SICILIA 

NEL  IDICEMBRE  DEL  1870 


Seduta  deirAccademia  di  Scienze  e  Lettere  di  Palermo 

Il  Presidente  apre  la  seduta  dicendo  :  Malgrado  V  ampiezza  della  -sala  destinata 
«Ile  sedute  ordinarie  della  nostra  Accademia  pure  l'affluenza  del  pubblico  per  ascol- 
tare il  discorso  niifliunziato  delTHIustre  astronomo  P.  Angelo  Secchi ,  intorno  allo 
Ecclissi  del  22  dicembre  «  é  stata  cosi  numerosa  che  ci  siamo  trovati  costretti  di 
pregare  il  Rettore  della  R.  Università,  che  gentilmente  condiscese  ,  a  farci  aprire 
questa  vasta  sala  destinata  alle  Conferenze. 

Poi  it  Presidente  interprete  dell' ansia  del  numeroso  pubblico  accorso,  riman- 
dando afta  prossima  seduta  la  lettura  del  verbale  dell'adunanza  precedente,  dà  la 
parola  all'  emerito  P  Secchi,  il  quale  dà  conto  sommario  dei  risultati  dtleuutt  nel- 
l'occasione dell*  ultimo  ecclissi. 

Egli  esordi  col  dire  di  non  esser  preparato  che  a  riferire  in  poche  parole  nello 
stile  consueto  delle  accademie,  mi  che  l'uditorio  imprevisto  l'obbligava  natural- 
mente a  maggiore  sviluppo,  onde  implorava  la  pubblica  indulgenza  su  questa  e- 
sposizione  non  avendo  in  ordine  che  pochi  e  non  ben  disposti  appunti.  Aggiungeva 
nn  rendiconto  completo  non  potersi  ora  sperare  per  mancanza  di  pubblicazioni 
officiali ,  onde  si  restringerebbe  forzatamente  a  parlare  delle  osservazioni  fatte 
dalla  Commissione  italiana  e  di  alcune  altre  poche  di  cui  aveva  avuto  comezza. 

Dice  che  il  vero  motivo  che  \t»  avea  spinto  ad  accettare  la  parola  centro  anche 
il  peso  delle  precedenti  ragioni  che  lo  consigliavano  a  tacere  era  che  bramava  di 
cogliere  cosi  un'occasione  di  mostrare  in  pubblico  la  sua  gratitudine  per  questa 
popolazione  siciliana  che  V  avea  accolto  con  tanta  cortesia  e  dimostrazioni  di  stima. 
Cominciando  dal  suo  ospite  il  sig.  prof.  Cacciatore  ,  direttore  dell'  Osservatorio 
reale,  che  con  infinita  generosità  e  cortesia  avea  messo  a  sua  disposizione  l' Osser- 
vatorio e  la  sua  casa,  e  passando  a  tutti  i  ceti  tanto  degli  scienziati  che  dei  ma- 
gistrati e  dei  signori  di  ogni  ordine,  egli  aveva  avuto  da  tutti  ed  in  tutte  le  città 
M  distinte  dimostrazioni  di  onore,  che  si  trovava  lieto  di  cogliere  questa  occasione 
per  pubblicamente  tutti  ringraziare. 
Passò  quindi  ad  esporre:  i  preparativi  fatti  per  questo  ecclissi  e  i  risultati  ottenuti. 
1  preparativi  furono  fatti  in  grande  scala,  e  non  inferiori  a  nessuno  dei  prece- 
denti. Nella  sola  Sicilia  si  ebbero  commissioni  officiali  di  Americani,  di  Inglesi  e  di 
Alemanni  oltre  molti  altri  volontari  che  contribuirono  a  moltiplicare  i  centri  di  osser- 
vazione. La  commissione  italiana  era  divisa  in  due  gruppi  posti  atle  esire.iiiià  della  ^ 
zona  di  totalità  nell'Isola,  cioè  ad  Augusta  e  in  Terranova.  Quella  di  sede  in  Au- 
gusta era  divisa  in  4  gruppi  destinati  a  speciali  osservazioni.  Il  prof,  ''acciatore 
col  signor  Agnello  all'  osservazione  dei  contatti  e  misure  di  preciiione.  Il  P.  Secchi 
e  il  Padre  Denza  per  4e  fotografie  e  lo  studio  spettroscopico  della  corona.  Il  signor 
Donati  per  la  spettroscopia  delle  protuberanze;  il  prof.  Blaserna  era  incaricato  di 
studiare  la  polarizzazione  della  luce  della  Corona  e  il  Padre  Denza  avea  con  vari 
«fficiali  del  PUbiseitoed  altri  volontari!  organizzato  un  servizio  metereologico  a  fre- 
quenti intervalli  durante  l'ecclissi.  A  Terranova  simile  distrbuzione  di  lavoro  si  era 
istituita  tra  i  signori  professori  Tacchini,  Nobile,  Lorenzoni,  e  Miiller,  Serra  ecc. 


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434  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Una  speciale  distribuzione  di  osservatori i  nel  senso  trasversale  alia  zona  della 
totalità  era  stata  fatta  nella  Calabria  presso  Re^ggio  dal  R.  P.  Serpieri  scolopio  in 
accordo  col  sig.  cap.  liuffa  di  ^txito  maggiore,  il  qaale,  occupato  nel  fare  la  carta 
di  quella  regione  ,  dispose  che  fossero  scaglionati  di  tanto  in  tanto  vari  ingegneri 
topografi  nella  linea  normale  alla  zona  ,  affine  di  trovare  il  punto  preciso  in  cui 
r  eclissi  finiva  di  esser  totale. 

Finalmente  nel  senso  verticale  molli  arditi  viaggiatori  osarono  sfidare  le  nevi  del- 
r  Etna,  0  salirono  a  grandi  altezze;  il  sig.  Peters  andò  fino  ai  Alonti  Rossi,  il  sig. 
D»  Schio  sali  sino  a  due  mila  metri.  Se  il  cielo  corrispondeva  ali*  ardir  loro  si  sa- 
rebbero avuti  certo  risultali  di  grande  importanza,  ma  fin  d'  ora  possiamo  dire  che 
a  compenso  del  loro  zelo  non  ebbero  che  la  neve  e  la  grandine  sugli  objettivi  dei 
loro  lelescopii  ;  invece  dei  desiderati  raggi  delle  aureole  solari.  L' idea  però  resta  e 
il  disserente  fece  rilevare  i  vantaggi  che  si  avrebbero  ad  osservare  le  protuberanze 
anche  in  pieno  sole  su  quella  velli  sublime.        * 

Ogni  osservatore  avea  uno  scopo  determinato  e  prefisso»  onde .  non  andare  va« 
gando  incerto  nell*  opera.  Ma  lo  scopo  principale  era  lo  studio  delta  Corona  nelle 
forme  e  neUa  estensione»  per  cui  furono  oltre  i  disegni  destinati  gli  apparati  foto- 
grafici; i  quali  mezzi  naturalmente  doveano  dare  anche  le  protuberanze.  Lo  studio 
spettrale  poi  era  quello  che  occupava  il  primo  posto  per  rilevare  la  natura  chi- 
mica delle  sostanze  che  formano  questi  inviluppi  solari ,  e  perciò  numerosi  erano 
quelli  di  apparati  spettroscopici  potenti  provveduti  e  di  varie  qualità  e  forza. 

Le  particolarità  che  spettavano  alle  cipcostanztf  fisiche  del  fenomeno ,  aveano 
pure  il  loro  personale  fissato,  come  apparirà  dall'  esposto  dei  risultati  ottenuti. 

Questi  risultati  benchò  imperfetti  e  benché  generaJmente  contrastati  dallo  stito 
del  cielo  burrascoso;  che  in  più  punti  frusciò  le  fatiche  degli  astronomi;  pure  non 
cessano  di  essere  sommamente  importanti  e  tali  da  render  memorabile  eclissi. 

Primieramente  nella  corona  furono  ad  Augusta  dal  Padre  Denza  vedute  due  linee 
ben  decise^  luminose  su  spettro  continuo.  Una  di  queste  fu  notata  anche  a  Terra- 
nov3-e  fissata  bene  dal  signor  Lorenzofrì,  1*  altra  non  fu  veduta  da  esso  si  velluta 
dal  P.  Denza,  ma  stando  nel  mezzo  tra  il  verde  e  il  giallo  coinciderebbe  con  quella 
già  accennata  dagli  Americani  nel  1869  e  che  fu  creduta  dubbiosa.  La  vivacità  di 
queste  due  righe  era  singolare,  e  fu  deplorabile  che  la  brevità  del  tempo  accorciati» 
per  pili  della  metà  dal  passo  di  una  nube,  non  permettesse  di  fissare  la  posizione. 
Questo  è  già  un  risultato  assai  importante.  Nelle  protuberanze  il  sig.  Donati  ad  Au- 
gusta con  un  potente  speltroscopio  a  sei  prismi  potè  notare  la  forza  e  l' intensiu 
delle  righe  principali,  e  la  maggiore  altezza  della  riga  gialla ,  il  che  spiega  T  orlo 
giallo  che  quelle  protuberanze  aveano  direttamente  vedute  e  mostra  che  questa  stria 
distende  da  una  sostanza  diversa  dair  idrogeno.  II  sig.  Lorenzoni  a  Terranova  oltre 
le  tre  principali  vide  moltissime  altre  righe  nella  regione  specialmente  del  verde 
e  fissò  la  posizione  di  alcune.  Questo  risultato  ebbe  pure  il  sig.  prof.  Nobile  e  il 
sig.  Burton.  Da  questa  osservazione  importante  resta  confermata  la  compi icaziooe 
delia  composizione  delle  protuberanze»  quale  già  era  siaia  veduta  nelle  compli- 
cazioni H  sole  scoperto,  ma  insieme  mostra  quale  immenso  vantaggio  si  abbia  an- 
cora a  sperare  dagli  eclissi,  malgrado  la  bella  scoperta  del  sig.  Jannsen. 

Le  punte  delle  falci  acutissime  a  cui  fu  ridotto  il  sole,  analizzate  da  me  poco 
dopo  la  totalità  appena  fatte  le  fotografie»  mi  diedero  uno  spettro  discontinuo,  con 
numerose  e  larghe  interruzioni,  ma  il  mio  scopo  allora  non  essendo  quest*  analisi 
ma  solo  il  rilevare  la  forma  della  protuberanza  nello  spettroscopio ,  non  ne  fissai 


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L^BCGLISSI  TOTALB  DBL  SOLE  IN  SIGIIJA  435 

I  grappi  il  sìg.  prof.  Nobile  a  Terranova  ha  con  più  particolari tà  stodiato  questo 
fenomeno  e  rilevatovi  delle  linee  numerosissime  di  molte  delle  quali  ha  fissato  la 
posizione.  Questa  è  pure  una  osservazione  capitale,  perchè  permette  di  profittare 
degli  ecclissi  anche  non  couli  in  avvenire  per  studiare  la  composizione  dello  strato 
superficiale  della  fotosfera  solare. 

Le  fotografie  della  corona  o^n  ebbero  luogo  per  causa  di  ana  nube  che  passò 
in  quel  momento  avanti  al  Sole  e  lo  copri  per  oltre  la  metà  del  tempo,  ma  emerso 
che  ne  fu,  potemmo  fnrne  una  delicatissima  delle  protubeianze  dal  lato  occidenule. 

II  sole  si  vide  ricchissimo  oltremodo  di  protuberanze  di  maravigliuse  forme  e  va- 
rietà, giustificando  quello  che  erasi  fin  dal  mattino  veduto  negli  spettroscopii.  La 

.  fotografia  verrà  confrontala  coi  numerosi  disegni  falti  a  Terranova  e  da  noi.  Molte 
fotografie  delle  fasi  furono  fatte  'che  saranno  utili  per  rilevare  quale  fiducia  si  possa 
nella  fotografia  collocare  nel  prossimo  passaggio  di  Venere  avanti  al  Sole  nd  1874. 

La  corona  apparve  ove  fu  sereno  (e  lo  fu  in  pia  punti ,  come  per  incantesimo 
spteiandosi  le  nubi)  coaie  una  beUa  aureola  brillante  fornita  di  raggi  conici  sparsi 
tutto  intorno  ed  in  generale  retti  ed  acuminati.  Questi  raggi  parvero  in  alcuni  siti 
come  staccati  e  non  connessi  tra  loro  alla  base  dall'aureola  generale  che  orla  la 
luna.  Ma  questo  non  è  cbé  uu  effeUo  delt*  assorbimento  della  nostra  atmosfera  che 
non  era  in  coodixioni  normali  per  cui  l'aureola  stessa  si  trovò  assai  ristretta  e  ridotta 
Vnche  per  la  poca  altezza  del  sole  alle  proporzioni  di  quella  che  fu  altre  volte  ve- 
duta neHe  regioni  «ettentrionali.  La  fotografia  ha  istruito  il  dissevente  che  anche  la 
luce  solare  diretta  era  ridotta  ad  1|4  della  sua  forza  reJati vanente  a  quella  che  si 
fea  in  estate;  e  quindi  la  corona  ancora  dovea  apparire  più  stretta  di  quella  veduta 
a  sole  più  alto.  A  Terranova  Saturno  si  vide  toccare  il  vertice  df  uno  di  questi  raggi 
fatto  a  forma  di  mitra.  Solo  in  pochi  siti  alcuno  di  questi  raggi  apparve  tortuoso; 
in  generale  furono  rettilinei. 

La  luce  della  corona  fu  trovoU  lai  sìg.  Blaserna  fortemente  polarizzau ,  il  che 
fu  confermalo  dalTinglese  sig.  Reynard  che  ne  defini  anche  il  piano  di  polarizza- 
zione in  direcione  radeale  al  sole.  Questo  è  uno  dei  punti  che  occorrea  chiarire  es- 
sendo le  antecedenti  osservazioni  contraddittorie:  stabilito  il  fatto  resta  ora  a'darno 
la  spiegazione;  sul  «he  non  sono  tutti  d'accordo. 

Al  momento  delfaccosUrsi  della  totalità  è  bello  il  vedere  l'appressarsi  dell'ombra 
•e  studiare  le  varie  fasi  del  colore  del  cielo  che  successivamente  vestono  l'orizzonte. 
Questo  studio  fu  fatto  ad  Augusta  dal  sig.  cap.  Pistoia  di  stato  maggiore  dall'alto 
della  cittadella»  che  notò  in  vivace  descrizione  il  vario  succedersi  all'orizzonte  lon- 
tano sparso  di  nubi  quella  b^la  scena  di  luce  e  li  oscurità ,  quasi  alba  che  rapi- 
damente arriva  e  si  dilegua.  Quivi  poi  e  in  molti  altri  siti  furono  vedute  quelle 
cosi  dette  ombre  volanti  o  strisce,  che  notate  in  altri  eclissi  precedenti,  restavano 
«ncora  problematicbe. 

Queste  in  nessun  sito  furono  meglio  studiate  che  presso  la  tona  limite  della  to- 
talità cioè  a  Reggio  e  fuori  di  essa  a  Messina.  Risulta  dalla  redazione  del  P.  Ser- 
pierì  e  dei  professori  Segnenza  e  Corba  che  queste  strisce  ombrose  erano  dì  una 
larghezza  apparente  di  uno  a  due  decimetri  o  più  secondo  la  distanza  dell'oggetto 
su  cui  apparivano;  inoltre  che  esse  erano  parallele  all'orlo  della  falce  solare  e  che 
orlavano  tutto  il  cono  dell'ombra  lunare. 

Cosi  ben  definito  il  fenomeno,  si  potrà  dai  fisici  passare  alla  loro  spiegazione  non 
ancora  ben  -chiara,  ma  che  al  disserente  sembrava  dover  essere  molto  connessa  collo 
•iato  atmosferico  tnireslre ,  allora  ((eneralmeiOe  agitato.  Furono  singolari  ie  sansa- 


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436  NUOVE  KPFBMERIOI  SICILIANE 

zioni  che  il  molo  di  quosle  ombre  produssero  negli  osservatori:  e  perfino  negli  ani- 
mali che  ne  furono  spaventali;  e  la  genie  diceva  die  pareva  che  il  mondo  girasse. 

L'influenza  sul  colore  degli  oggelli  quando  erano  rischiarati  solo  dalla  estremi 
luce  del  lembo  solare  fu  studiata  pure  dal  signor  cap.  Buffa  e  da  alcune  signore, 
che  avendo  esposto  al  sole  stoffe  e  carte  (iflle  dei  colori  dello  speltro  solare;  videro 
offuscarsi  le  tinte  come  se  fossero  coperte  da  un  velo,  e  sparire  in  prima  H  tinta 
azzurra.  Molle  altre  os^rvazìoni  vennero  fatte  che  non  sono  riferibili  in  si  corto 
ragguaglio,  e  che  non  sono  senza  importanza,  ma  ommettonsi  per  brevità. 

Risulta  pure  dal  detto,  essere  sialo  quest'eclissi  fecondo  di  gramli  risultamenti , 
ed  aver  aperto  la  via  a  nuovi  studi,  il  che  lo  renderà  perciò  solo  benemerito  della 
scienza. 

In  fine  il  disserente  espose  gli  studi  fatti  dalla  Commissione  italiana  alle  sue  due 
stazioni,  a  fine  di  determinare  le  coordinate  geografiche,  dei  luoghi,  servendosi  per 
la  longitudine  del  telegrafo  elettrico  ,  come  pure  \s^  deternnnazione  degli  elementi 
magnetici  assoluti  e  differenziali  nelle  variazioni  diurne  e  la  copiosa  serie  di  osser- 
vazioni orarie  meteorologiche  fatte  in  questa  oc^Misione  per  oltre  a  10  giorni  conse- 
cutivi, i  quali  sludi  sarrbbero  da  sA  soli  già  di  molta  importanza ,  e  basterebbero 
anche  senz'altro  a  giustificare  Tattivilà  della  Commissione. 

Il  pubblico  plaudùsce  questo  discorso,  dopo  di  che  l'ora  essendo  larda  il  Presi- 
dente leva  la  seduta. 

Il  Segretario  generale  II  Presidente 

Giovanni  Rafparlb  Principe  Galati 


RECENTI  PUBltLlCAZIONI  —  Si  è  pubblicalo  il  2«  voi.  dei  Canli  pop'flari  sici- 
liani raccolti  ed  iliustrati  da  Giuseppe  Pilrè  (Palertno,  tipografi!  del  Giornale  di 
Sicilia  J87i) ,  il  quale  contiene  280  canti  da  aggiungere  ai  727  del  1*  volume,  e 
sono  :  56  Leggende  e  Storie,  53  IndnvineUit  42  Invocazioni  e  Preghiere.  36  Canti 
fanciullesckif  31  Ninna-nanna,  21  Aria,  16  Fioii  per  palii,  8  Canti  religiosi  e  mo- 
rali, 6  Conlrculi,  5  Salire,  tutti  annotati.  ralTronlati  e  illustrali.  Segue  un  Glossa- 
rio per  tutti  e  due  i  volumi,  e  31  Melodie  popolari  scrupolosamente  raccolte  nelle 
varie  province  siciliane  per  ogni  genere  di  Canti  dell'Isola. 

Con  questi  due  volumi  il  dottor  PitrA  ha  incominciato  una  Biblioteca  delle  Tra- 
dizioni popolari  sieiliaite,  che  si  verrà  pubblicando  a  spese  del  solerle  nostro  edi- 
tore sig.  Luigi  Pedone- Lauriel,  e  verrà  fuori  coll'ordiue  seguente:  voi  III.  Sludi 
di  poesia  popolare^  IV-V.  Racconti  e  Fiabe  popolari;  VI.  Giuochi  fanciulleschi;  VII. 
Feste  popolari;  YIII-XII.  Proverbi  raffrontati  con  quelli  dei  Dialetti  d' Italia  ecc. 

Il  dottor  Adolfo  Holm,  profes^re  al  Liceo  di  Lubecca,  ha  pubblicato  in  Lipsia  il 
primo  volume  della  Storia  della  Sicilia  antica  {Geschiehle  Sieilien's  im  Allherthum), 
intanto  che  egli  viene  viaggiando  per  l'is  da  nostra  prima  di  metter  fuori  il  2*  ed 
ultimo  volume.  È  probabile  che  questa  profonda  ed  importantissima  opera  venga 
quinto  prima  tradotta.  Diari  della  Città  di  Palermo  del  secolo  XVI  al  XIX  pub' 
blicati  kui  nianoscrit.  i  della  Biblioteci  Comunale,  preceduti  da  prefazione  e  corredati 
di  note  per  cura  di  Gioacchino  Di  Marzo  voi.  VIL  Palermo,  L.  Pedone- Lauriel  1871. 
Le  Bime  di  Fraì^cesco  Petrarca  con  noie  di  Giuseppa  Bozzo,  volume  2*  Palermo. 
A  menta,  1871.  Nella  solenne  Distribuzione  dei  premi  agli  alunni  delle  scttole  ele- 
mentari e  deir  Asilo  rurale  Margherita.  Digcorso  del  prof.  Luigi  Mercanti  ni.  Pa- 
lermo, tipografia  del  Giornale  di  Sicilia  1871.  Della  Istruzione  nei  Licei.  Lettera  al 


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varietà'  437 

signore,  C.  Napoli  per  Clorrado  Musolino.  Noto,  Morello,  1871.  VA»  le  e  la  Crilica 
a  propofilo  di  Mario  Rapiiardi.  Brevi  osservazioni  dell'  uvv.  N.  Nicefuro.  Catania, 
coi  tipi  della  Gazietta  1871.  Per  Vaperlura  degli  sludi  nella -R.  Università  di  Pa- 
lermo, Discorso  Ulto  il  16  nov.  1870  da  Mariano  Mucciarelli.  Palermo  Pedone  1870. 
Cola  di  Rienzo,  tragedia  di  Nicolò  Gallo.  Pai.,  tip.  del  Giornale  di  Sicilia,  1870. 
Ippolito,  Dramma  d'Euripide,  volgariazato  da  Giuseppe  de  Spuches.  Palermo  1870. 
iscrizioni.  Nuove  poesie  e  prose  di  Giuseppe  Costantino-Ali  di  Messina.  Messina, 
tip.  popolare  1870.  Saggi  di  Critica  letteraria  per  Giuseppe  Pitrè.  Palermo,  tipo- 
grafia del  Giornale  di  Sicilia  1871.  //  Dlrillo  Pubblico  ed  U  Papa  p<T  il  cav.  dot- 
tor Aristide  Battaglia  avvocato.  Palermo,  Amenta  1870.  Genesi  della  l'Iea  del  Di- 
ritto  per  Nicolò  Gallo.  Palermo,  tip.  del  Giorn.  di  Sicilia  1871.  De^rizione  di  al- 
cune Conchiglie  fossili  del  Cretaceo  superiore  dei  dintorni  di  Termini- Imerese,  pel 
prof.  Saverio  Ciofalo.  Catania,  Galatola  1870.  Sui  nervi  del  gtulo,  Lettera  al  pro- 
fessore Jf.  Schiff,  per  il  prof.  Francesco  Randacio  deirUniversità  «li  Palermo.  Na- 
poli, 1870.  Sunto  della  Lezione  preliminare  al  corso  di  Anatomia  patologica  data 
dal  professore  Fasce  nella  Università  di  Palermo.  (Palermo,  Slabi  liraento  Operai - 
tipografi).  Lezioni  cliniche  sulle  malattie  mentali  con  effetti  legali,  presso  la  R.  Uni- 
f)ersHà  degli  studi  di  Palermo  per  Francesco  Pignocco.  Pai.,  Lao  1870. 

I  SICILIANI  ALL'ESTERO  — Nella  rivisU  annua  universale  (\eìV  Alhenaeum  di 
Londra  parlasi  con  lode  dei  due  volami  di  Studi  di  Stoì'ia  sicilinua  del  La  Lumia; 
della  Palingenesi,  poema  di  Mario  Rapisardi  da  Catania;  degli  s  itdi  di  poosi»  popu- 
lare  di  G.  Pitrè  e  Salomone-Marino.  Nel  Journal  des  Èconomisti's  di  Parigi  ('selt.1870) 
Jeggesi  un  bel  giudizio  di  Corcuelle  Seneuil  sulla  Libertà  del  cambio  e  delle  banche 
del  messinese  Salvadore  Buscemi.  V  Indèpendance  hellen  que  tìi'.i  17  dicembre  loda 
il  2<*  volume  delle  Storie  di  Tucidide  tradotte  da  Niccolò  Cam  irla.  Del  1*  volume 
dei  Canti  popolari  siciliani  raccolti  ed  illustrati  dal  Pitrè  banno  scritto  mollo  favo- 
revolmente la  Revue  universelle  di  Parigi  del  mese  di  ago:>to,  e  U  grunde  rivista  in- 
glese dì  Londra  The  Academy  dei  15  dicembre. 

SOLENNITÀ*  — 11  13  novenr.bre  è  stata  inaugurata  la  Biblioteca  di  Parlinico,  prò 
mossa  con  tanto  zelo  ed  amore  dal  prof.  Carmelo  Pardi.  Il  discorso  letto  da  lui  fu, 
come  doveva  aspettarsi,  animato  dai  più  nobili  sensi  per  la  bella  istituzione,  ed  é 
da  sperare  cbe  quel  Municipio  non  indugi  più  oltre  a  mandarlo  fuori.  Sappiamo  in- 
tanto che  il  desiderio  di  un  anno  addietro  del  Pardi  è  ora  tal  fatto  che  parla  elo- 
quente :  la  Biblioteca  di  Partinico  conta  oramai  4000  volumi  ! 

PREMII  ED  ONORIFICENZE— Il  giorno  18  dicembre  l'Accademia  palermitana  di 
Scienze,  Lettere  ed  Ani  ha  tenuto  una  tornata  solenne  in  onore  dell'estinto  cav.  tC- 
merico  Amari.  Il  socio  aw.  Fr.  Maggiore-Perni  vi  lesse  un  lungo  dotto  e  affettuoso 
discorso  Sulla  vita  e  sulle  opere  dell*  illustre  siciliano,  del  qiial  discorso  informe- 
remo nel  fascicolo  seguente. 

—  Una  commemorazione  consimile  fece  nell'Universi tà  di  Modena  il  chiarissimo 
professore  Sbarbaro. 

—  Il  giorno  8  dicembre  il  prof.  Angelo  Secchi  tenne  in  Palermo  in  una  pubblica 
tornata  dell'Accademia  di  Scienze  e  Lettere  una  Conferenza  sulla  EecUssi  tot»Ue  di 
sole  dei  fi  novembre. 

—  È  probabile  cbe  al  posto  di  Direttore  del  R.  Conservatorio  di  Napoli,  venga 
messo  il  palermitano  maestro  Petrella,  o,  come  altri  dice,  il  maestro  Pietro  Platania. 

INVENZIONI  E  SCOPERTE  —  Nella  demolizione  dei  fabbricati  che  inirombrano 
il  tetto  della  chiesa  della  Martorana  furono  rinvenuti  molti  oggetti  di  ceramica  che 
risalgono  all'  epoca  saracena  :  in  alcuni  di  essi  sono  disegni  bizzarri.  Furono  ptire 
rinvenuti  frammenti  d'arabeschi  qpn  lettere  arabiche,  modellati  in  gesso. 


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U8  NUOVE  EFFBMKBIDl  SUUIAia 

BELLE  ARTI  —  Da  quldie  Icoipo  lo  seollore  prof.  Nonxio  Morello  ha  finito  e 
fa  Tedere  nel  me  stadie  1* oltima  sua  beU'opera.in  fesso.  È  nna  figura  sedata,  e 
nffntmit^  vo*  Indiana  nell*  atto  che ,  come  ali*  apparire  di  nna  belva ,  depone 
il  suo  caro  lattante  per  dar  di  piglio  ali*  arco  e  alle  saette.  Vivace  la  posa ,  fiera 
nel  Tollo  e  in  preda  ad  ansioso  torbamenlo»  non  è  perduta  o  trascurata  in  essa  la 
▼enustà  delle  forme  ;  ansi  ò  appunto  molto  a  lodare  questo  lavoro  ;  perchè  il  Mo- 
rello vi  ha  disposato  lo  spirito  alla  eleganza,  1'  ardimento  alla  grazia,  per  modo  che 
le  opposte  doti  fanno  in  essa  contrasto  ed  armonia  ad  un  tempo.  La  BKirbidesza  e 
carnosità  delle  membra  è  indizio  del  grande  amore  col  quale  l' artista  ha  modellato 
questa  sua  opera,  in  cui  la  classicità  della  forma,  senza  servile  imitazione,  e  la  na- 
turalezza, senza  materialismo  gretto  e  plebeo,  sono  in  bel  modo  congiunte. 

Noi  vorremoM  far  voti  che  si  egregia  opera  fosse  tradotu  in  nurmo;  e  pia  fervidi 
li  faremmo  se  potesse  rimanere  a  Palermo.  Crediamo  però  che  non  può  mancarle 
fortuna,  se,  eome  ci  si  afferma,  sarà  quella  messa  in  mostra  nel  1871  alla  Esposi- 
zione di  Torino. 

—  Il  sig.  Loiacono  ha  compiuto  ed  esposto  uno  dei  paesaggi  che  egli  sa  fare  ;  ed 
esso  é  suito  acquistato  d^l  nostro  Municipio. 

— Un  gran  furto  di  o^tti  del  complessivo  valore  di  lire  più  che  100,000  ò  stato 
consumato  nel  R.  Museo  di  Palermo.  Tra  essi  sono  i  seguenti:  oggetti  sacri  dell'O- 
livella,  prezzo  venale  ed  intrinseco  L.  1380S,  55;  pietre  e  camei,  prezzo  venale  Li- 
re IMO;  prezzo  artistico  L.3000;  orificeria  antica,  prezzo  venale  L.  iOO;  prezzo  ar^ 
tistico  L.  6000;  monete,  prezzo  venale  L.  3000;  prezzo  artistico  L.  6000;  più  altri 
quattro  oggetti  sacri,  prezzo  venale  L.  4000;  prezzo  artistico  L.  8(100;  in  tutto  prezzo 
veiinle  L.  Si,iOS,  55;  prezzo  artistico  L.  3I.40S,  55. 

Particolarmente  troviamo  annotata ,  per  la  pisside  dell' Olivella  d'oro  lavorata  a 
cesello,  la  somma  di  L.  4877,  55. 

—  Il  valoroso  artista  sig.  Rosario  Riolu  è  stato  incaricalo  di  restaurare  gli  stu- 
pendi mosaici  rinvenuti  nella  piazza  della  Vittoria  in  Palermo;  od  egli  ha  fornito  l'o- 
pera sua  e  )lla  maestria  che  tutti  conoscono. 

Lo  stesso  sig.  Kiolo  darà  mano  tra  breve  ai  restauri  dei  mosaici  che  decorano  le 
pareti  interne  dulia  Chiesa  della  Mariorana. 

—  Il  giovane  «cultore  sig.  Civi letti  è  in  sul  compiere  in  creta  una  bellissima  sta- 
tua di  Torquato  Tasso  nelle  ultime  ore  di  sua  vita.  L' infelice  autore  della  Genoa' 
lemme  liberala  è  rappresentato  sedente  in  un  seggiolone  a  bracciuoli  col  capo  presso 
che  abbandonato  sopra  un  guanciale.  La  destrn  posa  sul  braccio  della  seggiola ,  la 
sinistra  tiene  (e  questo  è  un  bel  pensiero  dell' artista),  uaa  corona  di  alloro,,  da  cut 
pare  che  il  poeta  tragga  un  intimo  confoito  ali*  animo  esacerbato  dai  travagli  del 
corpo  e  da  tutto  il  proprio  abbandono.  Nel  viso  gli  si  leggono  le  speranze  del  pas- 
sato e  i  dolori  del  presente;  e  se  ne  rimane  commossi  e  impietositi.  Tutto  insieme 
il  lavoro  ò  pregevolissimo  per  la  jMsìiura,  il  disegno,  il  panneggiamento,  e  pel  con- 
cetto tutto  che  lo  domina;  e  di  questo  ci  rallegriamo  col  giovane  ariisU. 

Il  Civiletti  ha  offerto  con  isponunea  generosità  questo  Tasso  a  Sorrento;  quel  Mu- 
nicipio ha  gradilo  il  dono,  ora  ò  a  desiderare  che  veduto  che  1*  abbia  non  indugi  ad 
affidare  al  nostro  concittadino  l' esecuzione  della  statua  in  marmo  :  premio  del  resto 
meritato. 

NECROLOGIA  —  Ai  S3  dicembre  ò  morto  in  Palermo  il  valoroso  archeologo  e  fi- 
lologo tedesco  sig.  R.  Bergmann  di  Brandeburgo,  di  cui  uno  scrìtto  sulla  epigrafe 
di  Siracusa  ò  stata  pubblicata  nel  fase,  precedente  delie  Effemeridi. 

«—  È  morto  in  Napoli  nella  età  di  74  anni  il  nestore  della  musica  classica  Save- 
rio Mercadante  di  Altamura. 


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BULLETTINO  BIBLIOGBAFIOO 


L' UNIVERSO,  Lellure  filosofico-naturali 
di  atlronomia^  geologia,  paleontologia, 
fisica,  metereologia,  zoùlogia,  filologia 
e  antropologia  del  prof.  Raffaele 
Pompa  ecc.  voi.  1.  Carlo  Messina  edi- 
lore,  Firenze,  1870. 

Quest'opera  dell*  egregio  prof.  Pompa 
«ara  di  tre  volami,  de'  quali  è  già  uscito 
H  1*  che  contiene  quattordici  Letture , 
cioè  Lett.  !•  i  Cteh,  Leti.  «•  le  nebulose 
Leu.  3*  le  stelle,  V  il  sole  5«  il  sistema 
planetario,  Lett.  6"  osservazioni,  sui  si- 
stema planetario,  Leu.  ?•  le  lune.  Leti, 
d*  le  comete,  Lett.  9*  i  piccoli  asteroidi 
Lett.  10*  il  calorico,  LetL  lì*  la  luce, 
Lett.  12*  /'  aria,  Leti.  13*  V  elettricità, 
Lett.   14*  i  fenomeni  atmosferici. 

La  trattazione  di  tanta  materia  è  ben 
condotta,  e  in  naodi  assai  facili,  giusta 
V  intendimento  deM'  autore  e  lo  scopo 
4el  libro,  di  non  negare  gli  studi  na- 
turali in  grazia  dei  metaBsici,  né  la  fi- 
losofìa per  la  fisica  ,  e  far  nel  tempo 
stesso  che  agevolmente  venissero  in  co- 
noscenza de'  più  i  trovati  più  sodi  dcUe 
scienze  naturali,  nieHte  opposti  alla  «co- 
scienza ,  alla  ragione  e  mai  alla  feile 
4legli  uomini.  Però,  Y  autore  ci  fa  sa- 
pere sin  dal  proemio  del  suo  libro  •  ìa 

•  scopo  del  presente  libro  è  di  mettere 
•«  in  piena  luce  quanto  di  mirabile  vi  è 
-<  oggi  negli  studii  della  natura,  e  quanto 
«  abuso  se  ne  faccia  dai  materialisti  na- 
■«  turalisti  attuali,  con  quel  tirar  eh*  essi 

•  fanne  immoderate  conseguenze.  •  È 
insomma  un  libro  che  per  facili  letture 
si  propone  senza  negare  i  progressi  veri 
^ellc  scienze  naturali ,  combattere  la 
scuola  naturalistica  del  Vogt,  del  Mole- 


scott,  e  del  Buchner;  sofistica,fn  scienza, 
epicurea  in  pratica.  Questo  P  volume 
dà  porzione  della  Parte  I.  di  tutto  il 
corso  ddle  letture  che  sarà  diviso  in  tre 
Parti,  cioè  Parte  I,  della  nalwra  inorgo' 
niea;  Parte  li  della  natura  organica  a- 
nimale  e  vegetale.  Parte  HI,  ddl'Anro- 
pologia  ,  e  ci  auguriamo  veder  presto 
pubblicata  tutta  intiera  essa  opera. 

L'editore  signor  Carlo  Messina  vi  ha 
premessa  un'avvertenza  ai  Lettori  piena 
di  «olio  buon  senso  e  di  virtuosi  av- 
visi sulla  educazione  inlelleltiva  «  mo- 
rale,, cui  si  dovrebbe  attendere  a  miglio- 
rare davvero  il  p4»polo  ;  e  noi  ci  con- 
gratuliamo col  prof.  P«mba  di  avere  a- 
vuio  il  .suo  libro  un  editors  cosi  amo- 
roso e  intelligenie  del  vero  bene  che 
.tutti  dovremmo  procurare  airitalia,  in- 
vece che  colorare  scelleratamente  di  o« 
nesto  none  ogni  più  diycegevole  vizio 
0  peggi» ,  che  corrompa  po|K>Ii  e  go« 
verni.  V.  D.  G. 


MEMORIA  SOPRA  L'ANTICA  CATTE- 
DRALE DI  OTTANA  .  E  SCOPERTE 
ARCHEOLOGICHE /ci/l«fi  nelC Isola  i» 
lutto  Vanno  1879  pel  Can.  Giovanw 
Spano.  Cagliari,  Tipog.  del  Commer- 
cio i87a 

Ed  ecco  qua  la  relazioae  annuale  delle 
scoperte  archeologiche  fatte  in  Sardegna 
in  tutl0  il  1870.  Lo  Spano  è  sempre  li 
pronto  a  dareela  piena  di  notizie,  di  e- 
rudìzione,  di  vita,  quale  glielo  consente 
l'amore  ardentissimo  deir  isola  sua  na.- 
tale,  i  lunghi  studi  suU'  antichità ,  e  la 
salute,  più  presto  prospera  che  elione- 


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NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 


vote  air  età  sua.  E  noi  diamo  il  benve- 
nolo  a  questa  memoria,  «  ce  Tanguriamo 
messaggiera  di  altre  moltissime  ,  e  pel 
bene  che  vogliamo  alla  Sardegna,  conso- 
rella della  Sicilia,  e  per  la  stima  affet- 
tuosa che  sentiamo  dello  Spano. 

Come  negli  altri  ragguagli  anche  in 
questo  egli  ha  voluto  illustrare  un  mo- 
numento storico  sardo  prima  di  scendere 
alle  novità  archeologiche;  e  stavolta  ha 
.scelto  la  Cattedrale  di  Oltana ,  colossale 
monumento  oggi  poco  conosciuto,  de- 
serto e  non  curato,  la  cui  fondazione  si 
fa  rimonUre  a  poco  più  che  otto  secoli 
addietro.  Fra  le  scoperte  più  importanti 
giova  ricordare  di  Tharros  una  stele  fe- 
nicia .  nella  quale  rammentasi  per  la 
prima  volta  il  nomn  di  Astarte  ,  deo  » 
corno  si  sa  ,  adorala  dai  Cananei  nella 
Fenicia  ;  due  balsamari,  alcune  monete 
romane ,  vasetti ,  urne  cinerarie  ecc;  di 
Sulcis  una  forma  o  pane  di  piombo  del 
peso  di  34  chilogrammi  ,  dei  tempi  di 
Mii!nsto ,  il  qua!  pane  dinota  che  in 
qui'l  lu(»go  sia  stata  una  fonderia  per 
eonio  del  Governo;  molte  monete  ed.i- 
sciizioni  romane;  di  altri  antichi  |)aesi, 
idolctti  in  bronzo,  massi  granìtici,  armi 
di  pietra  ,  un  nuraghe,  stoviglie,  sigilli 
di  bronzo,  corniole  e  pietre  incise,  lu- 
ct'rne ,  iscrizioni  ec.  oc.  Di  lutto  ciò  il 
ran.  Spano  parla  lungamente,  nulla  tra- 
lasciando che  ne  dia  contezza  e  spiega- 
zione e  ne  niustri  le  analogie  con  altre 
antidiilà  illuslrate  da  altri  e,  più  che 
da  altri  da  lui. 

In  generale,  in  ordine  ad  acquisii  ar- 
cheologici r  anno  1870  ha  arriso  allo 
Spano;  e  dicendo  allo  Spano  intendiamo 
dire  alla  Sardegna  «  perchè  noi  in  que- 
st'  uomo  venerando  veggiamo  personifi- 
cata quella  classica  e  pure  sdimenticata 
isola.  G.  P. 

OSSERVAZIONI  STORICHE  E   DIPLO- 
MATICHE  inl&mo  ai  diplomi    della 
Real  Cappella  Palatina  del  Cam.  Ce- 
sare Pasca.  Palermo  1870. 
Chi  non  potrìt  avere  a  mano  il  Tabu- 


larlo della  Real  Cappella  Palatina  del 
Garofalo,  e  del  Mortillaro,  né  attonde- 
re  a  quanto  sol  proposito  è  stato  fatto 
da*  nostri  scrittori  e  raccoglitori  di  di* 
plomi  e  pergamene  antiche,  avrà  in  que- 
sto lavoro  del  can.  Pasca  quanto  gli  ba- 
sterà per  la  storia  de*  diplomi  della  Real 
Cappella  e  per  la  notizia  del  loro  con- 
tenuto. 

Oltre  la  descrizione  de*  diplomi,  come 
sono  oggi  disposti  in  ordine,  vi  bai  in 
questo  volume  raccolte  belle  avvertenze 
sulla  diplomatica  antica  siciliana,  sui 
caratterino  i colori  usati  nelle  pergamene, 
su*  diplomi  bilin;;ui,  sul  computo  degli 
anni  ne'  diplomi  arabo  normanni,  e  in- 
fine suir  officio  de*  notari;  né  manca 
una  elegante  incisione  del  diploma  del 
re  Ruggiero  del  1139.  Ogni  pubblicazione 
che  fa  ricordare  i  dimentichi  nepoti  della 
grandezza  de*  loro  antichi  e  de'  monu- 
menti che  hanno  lasciati ,  è  sempre  da 
accogliere  con  riconoscenza  e  con  plauso. 
V.  D.  G. 

VESTIGIA  PRIMITIVE  DELLA  LINGUA 
E  DE*  DIALETTI  ITALIANI  di  Cesare 
Canto*.  Venezia,  1870. 

Questo  opuscolello  del  Cantù  é  una 
giunta  importantissima  alla  Dissertazione 
suir  origine  della  Lingua  Italiana  dello 
stesso  autore  (Nap.  4865).  Vestigia  del 
volgare,  che  non  si  direhbe  della  prima 
infanzia,  sono  in  un  atto  del  960;  e  più 
che  vesligia,  é  una  Ug^onduola  tutta  in 
voljjare,  la  poesia  che  uscì  da  Monte  Cas- 
sino nel  1865,  e  fu  riferita  al  sec.  X!  : 
documenti  che  non  dovrebbero  far  più 
dubitare  della  iscrizione  volgare  del  mille 
esistente  nella  Chiesa  di  S.  Giovanni  in 
Erice.  L'aut.  non  mostra  diflìcollà  a  rite- 
nere il  nostro  Giulio  avesse  cantato  tri  il 
1174  e  il  1193;  e  anzi  che  a  Dino  Compa- 
gni crei^le  appartenere  il  poema  deU7ti- 
telligenza  a  qualche  poeta  siciliano  dei 
tempi  normanni  o  svevi.  Cosi  crede  pure 
che  molti  de*  nostri  canti  popolari  storici 
siano  contemporanei  agli  avvenimenti  : 


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BUIXETTINO  BIBUOGRAFICO 


4&i 


e  sé  noD  accetta  quanto  il  Giambullari 
disse  di  Lucio  Drusi,  come  il  primo  che 
avesse  dato  le  forme  siciliane  al  toscano; 
non  può  dirsi  nemmeno  dopo  questo 
scritto  del  Cantù  che  alcuno  abbia  pro- 
vato gli  antichi  rimatori  siciliani  aver 
preso  a  imitare  i  toscani,  siccome  i  To- 
scani fecero  de'  siciliani,  tanto  che  ogni 
nobile  composizione,  a  testimonianza  di 
Dante,  si  disse  tieiliana. 

È  infine,  questo  dell*  illustre  storico, 
un  opuscolo  da  tenersi  caro ,  pe'  docu- 
menti citati,  da  quanti  attendono  agli 
studi  intorno  le  orìgini  e  lo  spiegamento 
del  volgare  italiano  per  tutta  la  Penisola. 

V.  D.  G. 


LEZIONI  DI  STORIA  UNIVERSALE  con- 
dotta sino  al  Ì8tf7  con  particolare  ri- 
guardo alla  storia  d'Italia  per  Anto- 
nio Matscheg  prof,  nel  Liceo  Fosca rioi 
in  Venezia,  quarta  ediz.  Venezia  1870 
2  voi.  (Medio  Evo —  Evo  Moderno). 

Quest'opera  del  bravo  aut.  della  Storia 
di  Cesare  è  un  corso  compiuto  di  Storia 
Universale,  poiché  tra  breve  uscirà  fuori 
il  volume  dell*  Elfo  anlieo,  ed  altro  vo- 
lume sarà  aggiunto  per  la  storia  contem- 
poranea, a  cominciare  dal  i815  al  1867. 
VEvo  medio  comincia  dalla  morto  di  Co- 
stantino e  giunge  alla  scoverta  del  nuovo 
mondo,  onde  comincia  VEvo  moderno, 
che  viene  sino  a  noi.  Le  vicende  civili 
sono  dairautore  fatte  seguire  dalle  vi- 
cende della  civiltà  e  della  cultura;  e  nella 
pulita  brevità  e  chiarezza  della  narra- 
zione trovi  sempre  quel  pacato  giudizio 
che  dovrehb'  essere  la  principalissima 
dote  degli  storici.  Due  Appendici  Crono- 
logiche pel  Medio  Evo,  e  per  VEvo  mo- 
derno, da'  Papi  ai  Presidenti  degli  Stati 
Uniti,  fanno  più  pregevole  quest'opera, 
che  in  mano  ai  giovani,  pe'  quali  è  stala 
scritta,  sarà  loro  di  molto  profitto  e  di 
bello  esempio  a  rettamente  giudicare  de- 
gli avvenimenti  spesso  o  frantesi  o  per 


malignità  svisati  da  ignoranti  ovvero  da 
perversi  scrìttorì..  V.  D.  G. 

8TUDI  HLOLOGICI,  Strenna  pel  <871« 
Modena,  Hp.  Soliani  1870. 

Sono  otto  anni  che  il  eh.  cav.  B.  Ve- 
ralti  vien  dando  fuori  una  raccolta  di 
sludii  filologici  che  foi».sero  come  Strenna 
del  novello  anno  ;  e  già  abbiamo  sotto 
occhio  il  libretto  di  quesl'  anno  1871  . 
vivo  di  belle  avvertenze  filologiche,  di 
esempii  non  citati,  u  corretti,  o  meglio 
spiegati,  e  per  di  più  di  una  |irefuzione 
mollo  opportuna  sul  conto  che  debba 
farsi  dell'uso  in  materia  di  lingua,  oggi 
che  si  vorrebbero  per  certuni  bandire  i 
vocabolari  delta  lingua  scritta  per  ec- 
cesso opposto  a  quello  che  si  potè  fare 
o  dire  ne'  tempi  passati. 

Le  voci  che  si .  notano  sono  disposte 
per  ordine  alfabetico  a  uso  dei  vocabo- 
larii;  e  sono  un  centocinquanta  o  presso, 
fra  le  quali  molte  del  Bartoli.  E  a  pro- 
posito di  scagliosa  data  a  pietra,  avver- 
tiamo il  eh.  raccoglitore  che  anche  in 
Sicilia  pietra  che  si  scaglia  (scarda,  scag- 
ghia)  varrebbe  che  si  sparte  in  mille 
pezzi,  in  scaggìùe,  scarde,  come  è  pro- 
prio delle  pietre  mezzo  cedevoli  e  moz- 
zo dure,  0  di  quelle  che  si  dividono  in 
-strati  quasi  in  foglie  ;  siccome  non  ci 
parrebbe  per  altro  verso  da  accettare 
cosi  come  è  scritta  la  voce  slappast\ele, 
senza  la  desinenza  in  vocale  che  com- 
pirebbe il  composto  zucca,  e  darebbe  la 
buon'aria  di  voce  italianissima.  Molto  ò 
poi  da  lodare  V  egregio  sig.  Yeratti  di 
aver  sapulo  per  pilli  anni  cosi  degna- 
mente continuare  gli  studi  del  Parenti, 
e  con  tanta  severità  di  giudizio  fornir 
sempre  nuovo  capitale  al  Vocabolario , 
e  bei  regali  ai  cultori  degli  studii  filo- 
logici io  Italia.  V.  D.  G. 

VOLGARIZZAMENTO  dalla  lettera  di  San 
Paolo  agli  Efesini.  Siena,  tip.  Sordo- 
muti, 1870. 

Questo  volgariazamento  del  buon  secolo 


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442 


NUOVE  EFFEMERIDI  SiaUANE 


è  oscilo  fuori  per  cura  d«l  parr.  Alessan- 
dro ToU,  editore  di  altri  testi  del  buon 
secolo,  in  occasione  delle  Nozze  Palmieri 
Buoniignori,  ed  eraveramontedf^noche 
vedesse  U  luce  per  la  copia  della  buona 
lingua  e  le  elette  maniere  che  ci  trovi,  sic- 
come in  tulle  le  seriliwre  di  quei  tempi 
d*  oro  per  la  italiana  favella.  11  eli.  edi- 
tore ha  fornito  questo  volgarinamento  di 
opportuni  rìscootri  sia  rolla  Volgata*  sia 
col  testo  greco,  e  di  sapienti  annolasioni 
te<ilogiche  che  chiariscono  all'  uopo  la  dot- 
trina dell'Apostolo.  Quel  che  è  singolar- 
mente da  notare  nella  lezione  di  que.slo 
testo  è  il  leggervi  frali  invece  di  fraieUi, 
alla  latina  ,  e  qualche  altra  voce  di  uso 
non  frequenle  ne'  testi  medesimi  antichi. 
Desidereremo  poi  che  l'cgr.  e*lilore  parr. 
Toti  desse  fuori  altre  parti  di  quanto  vol- 
gariizamento  •  corapilaloe  ordinata  mente 
trailo  di  lutU  e  quattro  evangeli,  •  cosi 
come  non  vorremo  né  Bianco  si  tentasse 
3i  soli  VI  capi  pubblicali  del  S.  Matteo 
sopra  uh  codice  del  sec.  XV,  V  allro  eg. 
uomo  nostro  carissimo  collega  nel  la  Com- 
missione pe'  testi  di  lingua  cav.  France- 
sco Di  Mauro  di  l'ollica.  V.  D.  G. 


LE  RIMR  DI  FRANCESCO  PETRARCA 
eoi  coinenlo  di  Giuseppe  Bozzo.  voL 
secondo.  Palermo,  Amenta  1870. 

Del  primo  volume  di  <|ueslo  Comenta 
si  diede  avviso  nella  di8p.IV-V  di  queste 
Effemeridi;  e  col  nostro  giudizio  si  ac- 
cordò quello  del  Ptopu^natore  di  Bolo- 
gna. Questo  secondo  volume  comprende 
le  Rime  m  «torte  di  Mmdowa  laura,  i 
Trionfi,  e  le  Rimétofra  vari  argommti;, 
e  ognuna  di  queste  parti>  cosi  come  nel 
primo  volume>  è  seguita  da  dotte  digretr 
sioni  intorno  alla  parte  del  Canzoniere 
cui  fanno  di  conchiusione.  Nelle  quali 
digre$tioni  trovi  delle  sottili  e  felici  in- 
terpetrazioni  di  qualche  passo  dubbio  o 
oscuro  del  grande  Poeto;  o  belle  consi- 
derazioni suir  indole  della  poesìa  e  sulle 
cagioni  di  qualche  piìli  famoso  componi- 


mento del  Petrarca  :  il  che  accresce  pre- 
gio alle  note  che  in  questo  volume  sono 
forse  più  spesse  che  nel  primo  ,  e  alle 
avvertenze  estetiche  che  ci  hai  per  lo 
più  ad  ogni  componimento,  eondolic  con 
savio  giudizio  e  gusto  bene  educato  alle 
bellezze  classiche  de'  padri  di  no.«lra  let- 
teratura. Né  mancano  infine  i  raffronti 
con  figure  e  locuzioni  di  altri  fioeti» 
quali  specialmente  Virgilio  e  Dante,  ov- 
vero con  luoghi  scrìttorali  cosi  noti  al 
doUo  poeto  dell'  Africa  «  all'autore  de' 
libri  della  Vita  solilaria,  del  Dispreiza 
del  mondo,  e  de'  Rimedii  déVuna  e  tlei^ 
r  (Ulra  fortuna^ 

Auguriamo  al  nostro  piiese  che  sieno 
frequenti  fra  noi  questi  sludi,  da'  quali 
non  solamente  guadagna  la  buona  col> 
tura  delle  lettere,  bensì  l'educatione  vir- 
tuosa delia  mente  e  del  cuore. 

V.  D.  G. 


VIAGGIO  AVVENTOTOSO  és  Coneordia 

su  quel  di  Modena  o  Nolo  in  Sicilia^ 

dell' avv.   Ernesto  Corti,   prof,   tli 

Lettere  itoliane.  Noto,  1871. 

Rare  volle  s'è  scritto  di  cose  siciliane- 

vedale  in  viaggi  senza  bolle  diritte  o  di 

traverso  a  questo  povera  isola;  eppure. 

incredibile  diclut  questo  viaggio  avven^ 

turoso  dice  bene  di  tutti  noi.  Grazie  al 

sig.  avv.  Ernesto  Corti  t 

Partendo  da  Concordia  il  sig.  Corti  si 
recava  quest'  anno  passato  a  Palermo  , 
Messina,  Catonia>  Patagonia,  Galtogiro- 
ne,  Siracusa,  Nolo»,  ove  forse  rimane  pro- 
fessore di  lettere  italiane.  Quello  che  ff^i 
accade  di  comico  e  di  tragico,  quel  che 
vede  di  buono  e  di  cattivo ,  quel  che 
cerca  di  sapere  e  che  ode  a  narrare,  egli 
descrive  e  riferisce  con  una  vivacilà  eh» 
alletto  e  afEeaiona.  È  vero  che  c^rte  cose 
narrate  sono  o  s<tnno  del  comune ,  ma 
che  perciò!  il  Corti  le  presento  per  com- 
piere la  sua  narrazione.  É  vero  cho  qual- 
che inesattezza  sul  conto  nostro  e'  è,  ma 
tra  le  tonte  che  ne  snocciolano  certi  no- 
stri giudici  d"^ oltremonte  e  4'  oltremare 


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BULLETTINO  BIBUOGRAFIGO 


443 


le  pochÌ3SÌine  del  Corti  sunl  nugae,  e  ce 
ne  compeosa  largamente  lo  entusiasmo 
eh'  egli  ha  per  la  Sicilia  e  la  sua  venera- 
zione per  le  memorie  di  essa.  Cosi  il  let- 
tore siciliano  e  non  siciliano  non  s'av- 
venisse allo  sposso  in  errori  tipografici, 
che  deturperebbero  il  senso  se  il  vivace 
autore  non  li  avesse,  almeno  nella  nostra 
copia^  corretti  a  penna  !  G.  P. 


IL  BUCATO  IN  FAMIGLIA,  Diuono  pro- 
nunziato il  dì  84  novembre  per  la  so- 
lenne preminziune  delle  eeuole  elemen- 
tari  maschili  e  femminili  in  Mineo.  Ca- 
tania, 1870. 

Dopo  letto  questo  discorso  del  nostro 
signor  Luigi  Gipuana  noi  non  ci  sium 
potuti  trattenere  dair  esclamare:  Bene- 
detto lui,  che  sa  pensare  e  scrìvere  a  quel 
modo!  E  davvero  che  pochi  discorsi  ci 
è  vieouto  fatto  di  leggere  intorno  a  pre- 
miazioni ,  in  cui  sia  tanto  amore  della 
gioventù,  tanta  nobiltà  di  sentire,  e,  che 
più  è,  tanto  desiderio  del  bene  e  del  pro- 
gresso quanto  ne  ha  questo  caro  signor 
Capuana;  il  quale  lasciando  per  un  mo- 
mento la  letteratura  militante,  di  cui  ò 
strenuo  campione,  invila  al  meritato  pre- 
mio i  fanciulli  e  le  fanciulle  delle  scuole 
elementari  del  suo  paese  natale.  Egli  ri- 
corda gli  antichi  metodi  scolastici  non 
per  il  comun  vezzo  di  dir  male  del  pas- 
sato, ma  per  far  vedere  che  da  quelli  a 
questi  ci  corre  una  buona  differenza  se 
non  per  gl'intendimenti  certo  per  gli  e- 
spedienti  tutti  dell'insegnare.  E  chiama 
Il  Bucato  in  famiglia  questo  discorso, 
perchè  essendo  nella  istruzione  pubblica 
di  Mineo  qualche  laccherei  la  ancora  da 
togliere,  e  non  pochi  difettuzà  da  cor- 
reggere, il  Capuana  ha  voluto  parlarne 
in  famiglia  come  si  fa  della  roba  spor- 
ca, ma  non  si  che  la  sua  voce  non  giun- 
ga pure  a  noi,  che  fino  a  pochi  mesi  ad- 
dietro lamentavamo  il  lungo  tacere  di  si 
valente  scrittore. 

A  pagina  il  del  suo  discorso  il  Ca- 


puana presenta  un  bel  tipo  di  maestro, 
•  uno  di  quei  geni  benefici  dell'istruzione 
che  sagriflcava  non  solo  la  sua  vita,  ma 
ogni  suo  avere  per  e^sa...  Cotesto  mae- 
stro eccezionale ,  dettava  da  mattina  a 
sera  con  sublime  coraggio  contro  l'ine- 
sperìenza  e  contro  i  cattivi  metodi;  »  e 
noi  vogliamo  ricordarlo  perchè  anche  da 
noi  si  renda  una  teslimoiiianza  di  gra* 
titiidine  a  si  modesto  e  paziente  educa- 
tore. Egli  era  il  Dolt.  Vincenzo  Costan- 
zo, a  cui  Mineo  ha  posto  una  lapide  eoo 
questa  iscrizione ,  se  bene  indoviniamo, 
del  Capuana  * 

Dottor  Vincenzo  Costanzo 

QuaranVanni  dMasuavUa  laboriosissima 

Consacrò  al  pubblico  insegnamento 

Con  affetto  e  disinteresse  senza  pari, 

I  discepoli 

GU  posero  questo  marmo 

Nacque  a%i  aprile  Ì9()i 

Mon  di  tifo  a  U  novembre  1868 

Vittima  del  suo  z^o  pegli  ammalati. 

Riposi  in  pace  t 

Onore  a  questo  benefattore  della  pub- 
blica istruzione.  G.  P. 


COMMEMORAZIONE  DI  EMERICO  A- 
MARI  letta  U  19  novembre  1870  nella 
Università  di  Palermo  da  Ldiqi  Sam- 
POLO.  Palermo,  1871. 

Come  biografia  questa  commemorazio- 
ne ci  dà  copiose  notizie  dell'  illustre  e 
venerato  nostro  concittadino  ;  come  rì- 
vista  ci  dà  il  concetto  delle  opere  di  lui, 
concetto  che  il  Sanjpolo  ritrae  dall'in- 
sieme di  esse  ed  avviva  e  chiarisce  colle 
scienze  giuridiche,  le  quali  egli  professa 
nella  nostra  Università.  Noi  udimmo 
dalla  bocca  dell'  egregio  professor  Sam- 
polo  queste  amorevoli  pagine,  e,  giova 
il  dirlo,  rimanemmo  confortati  che  in 
tanto  delirar  di  parti  fosse  qualche  bel- 
r  anima  che  serbasse  tuttavia  memoria 
dell'illustre  filosofo  e  giurista,  di  cui  fu 
celebre  il  patriottismo  dei  tempi  passati 


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ìkì 


NUOVE  EFF£IIBRIDI  SIGIUANE 


e  rimarrà  venerala  la  costanza  e  fer- 
mezza delle  opinioni.  E  però  non  pos- 
siamo non  rallegrarci  col  Saropolo  della 
sua  bella  e  buona  azione.  G.  P. 

PRIMA  STRENNA  TIPOGRAFICA.  Fi- 
renze, Tip.  delia  Società  dei  Composi - 
.   lori  tipografi  1871. 

Del  progredire  dell' arte  tipografica  in 
Ital:a  è  bellissima  prova  questa  elegante 
Strenna,  nella  qnale  poiché  Targomento  o 
meglio  il  concetto  di  una  strenna  per  l'arte 
tipografica  è  affatto  nuovo,  molti  valenti' 
scrittori  ilaliani  han  voluto  soltanto  que- 
gli ariicoli  inserire  che  hanno  stretta  rela- 
zione coll'arte  dello  stampatore.MI  Tt>ro- 
maseo,  che  in  ogni  operabuona  non  man- 
ca mai,  vi  ha  parlato  dell 7i»(7ut/r»a  delle 
slampe;  Giulio  Pozzoli,  del  Con/e.P.  LtVto, 
soldato,  scì'Utore,  fipopra/b;  Michele  Boero 
dell 7n /luetica  che  possono  avere  le  asso- 
ciazioni t  pografiche  sulle  altre  società  o- 
peraie\  il  sempre  caro  Maineri  vi  ha  lar- 
gamente illustrato  un  quadro  di  Giusep- 
pe Mazza  rappresentante  Cola  Montano 
e  Compagni  in  tipografia;  C.  A.  Piovano 
vi  ha  posto  un  lungo  bozzetto  sullMp- 
prendista  compositore  tipografo  ecc.  Le 
poesie  non  vi  mancano,  e  parecchie  anche 
belle.  Ce  n'è  due  del  Dall'Ongaro:  La  Car- 
tiera, I  Tipografi;  una  del  Bernardi  a  G. 
B,  Bodoni  pel  monumento  da  erigersi  in 
Saluzzo;  una  del  prof.  P.  Contini:  Gli  Or- 
fanelli tipografi,  varie  altre  del  Professore 
Regonati  ,  Buriani  ecc.  Vi  sono  pochi 
scritti  altri  morali  e  di  varietà;  due  ri- 
tratti: quello  dell'  Autore  deWe  Famiglie 
illustri  d'Italia  e  quello  di  Angelo  Co- 
lombo, tipografo  milanese,  che  è  un  pro- 
motore infaticabile  delle  glorie  tipografi- 
che italiane;  tre  belle  pagine  di  musica. 


pag. 


che  sono  un  Galops  per  piano  forte  del 
maestro  Giovanni  Varìsco,  promotore  in 
Milano  delle  scuole  militari  di  canto.  E  so 
a  tutto  questo  si  aggiunge  una  edizione  ni- 
tidissima ,  correttissima,  e  d'una  sempli- 
cità ignota  a  molti  tipografi  che  vanno 
per  la  maggiore,  ei  si  avrà  argomento  di 
dire  che  questa  prima  strenna  tipografica 
è  una  cara  e  squisita  cosa.  E  davvero  cbe 
ogni  persona  dell'  arte  dovrebbe  posse- 
derla non  solo  per  apprendervi  molle  cose 
che  non  si  sanno  o  non  si  vogliono  saper 
da  tutti»  ma  altresì  perchè  su  di  ossa  ogni 
volenteroso  tipografo  avrebbe  Jicheemu- 
lare  alcuni  valorosi  operai  non  conos^iuii 
da  tutti.  G.  P. 

SULLE  OPERE  DI  ROSINA  MUZIO-SAL- 
VO, Bibliografia  di  Ant.  Zoncada. 
Pai.  1870. 

Son  sedici  pagine  piene  di  afiello  e  di 
ammirazione  per  la  nostra  Mmìo-Salvo; 
alle  quali  dà  occasione  la  ristampa  t<siè 
fatta  delle  opere  di  lei  dal  eh.  prof. 
Luigi  Sampolo.  Lo2toocada  fa  belle  con- 
siderazioni sopra  le  scrittrici  del  XVI  e 
del  XIX  secolo ,  e  ne  tira  conseguenze 
quanl'  esser  possano  favorevoli  a  queste 
ultime,  le  quali  non  celebrano  più  amori 
propri,  ma  bensì  la  patria,  la  famiglia, 
la  educazione,  la  religione  ecc.  Tra  que> 
ste  scrittrici  egli  pone  in  prima  riga  la 
Muzio- Salvo,  e  ne  giudica  e  loda  le  o- 
pere  tutte  in  prosa  e  in  verso.  Peccato 
che  questa  rivista  non  abbia  potuto  mei- 
tersi  come  introduzione  a  quei  due  vo- 
lumi, che  avrebbe  fallo  buona  compa- 
gnia allo  studio  biografico  che  delia  rim- 
pianta donna  scriveva  il  prof.  Sumpolo. 
G.  P. 


ERRORI 

CORREZIONI 

^  360, 

lin.  30:  apu  cantao    . 

.    apu  cantau 

» 

.    36:n*6i/tt.    . 

.    ruba  colui 

370, 

•     15:  mutarsi  ili  z 

.    mutarsi  in  r 

• 

•     22:  ósLSuba.     . 

.    da  subula 

• 

•    2o:  sahidoni 

.    schùloni 

376, 

•    .32:  Fui  gius.    . 

.     .    Jurgius 

383, 

•     21:  Sertorio.    . 

.     .    Serionio 

//  Gerente  :  Pietro  Montaina 


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NUOVE  EFFEHERIDIJICILIANE 

ANNO  II.  DISPENSE  XI E  Xll.  FEBBR.  E  MARZO  1871 


BRANO  DI  UN  CODICE  CEFU.UTANO 

INEDITO  DEL  SECOLO  XIV 


§3. 

Oeiàlà  e  la  saa  Cattedrale  sotto  i  xrormaiiiil. 

Dopo  questi  lievissimi  accenni  alla  storia  antica  di  Cefalù,  an- 
drò soggiungendo  distintamente  qualche  altra  parola  sugli  argo- 
menti ,  di  cui  s' intrattiene  il  brano  di  codice  ora  per  la  prima 
volta  da  me  pubblicato. 

Fra  le  tante  cure  ed  occupazioni  del  conquisto,  volse  il  conte 
Ruggieri  la  sua  operosità  ed  energia  a  rialzare  e  fondare  di  nuovo 
le  Sedi  Vescovili  delF  Isola.  Traina  nel  1081  ebbe  già  la  sua,  che 
poi  nel  1096  si  trasferì  in  Messina  per  volere  dello  stesso  Conte; 
la  sua  ebbe  Catania  nel  1091;  nel  1093  sorsero  le  Sedi  di  Sira- 
cusa, Girgenti  e  Mazzara;  nel  1094  TAbsfle  del  Monastero  di  s.  Lu- 
cia venne  insignito  di  funzioni  vescovili.  Primogenita  fu  dunque  la 
Sede  Trainese ,  e  dai  diplomi  chiaramente  risulta  che  s.  Maria 
di  Traina  va  innanzi  a  tutte  le  altre  chiese  costrutte  dal  prode 
figlio  di  Tancredi  di  Hauteville  (1).  Ora  appunto  Cefalù  è  del 
numero  di  quelle  città  e  castella,  che  il  Conte  concedeva  con  di- 
ploma del  1082  alla  Chiesa  Trainese  (2). 

Di  queir  epoca ,  era  essa  per  ingiuria  dei  tempi  e  per  le  vi- 
cende cennate  rimpicciolita  d'importanza,  e  poco  men  che  diserta 

(1)  Vedi  in  proposito  la  Memoria  del  Can.  Di  Chiara  Sulla  Chiesa  di  Traina  pri- 
maria Cappella  Regia  di  Sicilia  ,  puliblicala  nel  tomo  I  deUa  Biblioteca  taera  di 
Buscemi. 

(2)  Pirri  1,  495. 

29 


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446  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILUNE 

*  • 

di  gente.  L'Amari  avverti ,  che  vivesse  in  Cefalù  gente  berbera; 
e  lo  rilevò  difatti  da  alcuni  nomi  propri  serbatici,  come  Badis  e 
Tarakùt,  villani  di  quel  contado,  non  che  Begia^i  ossia  di  Bugìa,  e 
Righi,  nome  anch'esso  africano  (1),  oltre  ai  nomi  etnici  di  f  otama 
e  di  Howara  (2).  Ma  al  pari  di  Palermo ,  Catania,  Girgenti,  Maz- 
zara  e  Trapani,  scarseggiava  Cefalù  di  popolazione  cristiana,  fin- 
ché nel  corso  del  duodecimo  secolo  si  rifomi  di  gente  venuta 
dalle  città  marittime  del  continente,  appunto  a  quel  modo  che  av- 
venne in  Messina,  Patti  ed  altre  città  della  costa  di  Sicilia,  un 
po'  sparute  d'abitanti  all'epoca  del  conquisto  (3). 

Fu  Re  Ruggiero,  il  glorioso  successore  del  Conte,  che  ricostruì 
la  vetusta  Cefalù.  Per  opera  di  lui ,  gli  abitanti  si  fermarono  di 
preferenza  nella  città  bassa,  in  un  angolo  sottoposto,  sul  lido  del 
mare.  Cosi  in  un  diploma  del  tempo  di  Guglielmo  II  si  legge:  mani- 
pstum  est  quod  felicis  memorie  rex  Rogerius  avus  vester  civitatem 
CephaluH  a  fundamentis  reediflcavit  (4),  vale  a  dire  che  le  mura 
e  le  case  rovinate  inalzò  e  rimise  in  piedi,  in  modo  da  poterse- 
gli  dar  lode  di  averla  come  per  la  seconda  volta  fondata.  Alla 
quale  testimonianza  si  può  aggiungere  quella  di  Falcando,  da  cui  si 
accenna  alle  mura  nuove  di  Cefalù  costruite  da  Re  Ruggiero  (5), 
E  poiché  tra  le  nuove  fabbriche  la  più  nobile  e  cospicua  fu  quella 
del  Duomo ,  conviene  stabilirne  con  precisione  l'origine,  sceve- 
rando la  verità  dalla  leggenda,  che  venne  appresso  foggiata,  e  non 
solo  fu  ritenuta  dal  popolo,  ma  dal  nostro  codice  si  perpetuò  ne- 
gli scrittori. 

Si  narrò  adunque,  che  partito  Ruggiero  da  Napoli  per  recarsi 
in  Sicilia,  una  tempesta  venne  addosso  all'armatetta  (Fazello  la 
fa  costare  di  tre  navi)  net  golfo  di  Salerno,  appena  uscita  dalle 
bocche  di  Capri.  Dopo  aver  vagato  fra  molti  pericoli  in  balia  delle 
onde,  il  pio  Normanno,  diserto  d'ogni  umana  speranza,  si  volge 
con  preghiera  e  con  lagrime  ad  implorare  l'aiuto  divino:  anzi  fa 
voto,  che,  se  vivo  campi  dalla  procella,  in  quel  lido  dov'ei  sarà 
per  approdare,  debba  costruire  e  dotare  splendidamente  un  tempia 
in  onore  del  santissimo  Salvatore  e  dei  Santi  Apostoli.  Fatto  questo 

(1)  Rìgha  è  nome  di  tribù  berbera. 

(2)  Storta  dei  if utuim.  HI,  SII. 

(3)  Veggasi  Amari  Op.  di.  III,  232. 

(4)  Pirri  li  802. 

f5;  Prtulereo  Cephaludi  nova  moenia.  Vedi  presso  Del  Re  Cronitii  e  ScrUt.  Sincr. 
ìiap.  voi.  I.  Nap.  1843,  p.  281, 


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BRANO  DI  UN  GODIGE  GBPALUTANO  447 

volo,  ecco  d'an  tratto  rasserenarsi  Taere,  abbonacciarsi  il  mare  e  lo 
stolo  siciliano  approdare  in  Ce&lù  il  6  agosto,  giorno  del  Salvatore. 
Qui  Ruggiero,  tostochè  mette  piede  a  terra ,  grato  della  salvezza 
ottenuta,  si  fa  lieto  a  tracciare  Tarea  del  nuovo  tempio,  ed  or- 
dina inoltre  la  costruzione  di  una  Cappella  in  onore  di  S.  Gior- 
gio, che  gli  era  apparso  nella  tempesta. 

Tacciono  questo  racconto  gli  scrittori  contemporanei ,  e  lo  ri- 
feriscono invece  ricavandolo  dal  nostro  codice  tutti  gli  scritto- 
ri posteriori,  come  a  dire  Fazello  (i),  Passafiume  (J) ,  Carandi- 
ni  (3) ,  Auria  (4) ,  Inveges  (5),  Buonflglio  (6) ,  Pirri  (7) ,  Sum- 
monte  (8),  il  p.  Cascini  (9),  Caruso  (10),  il  principe  di  Biscari  (11), 
Di  Blasi  (12),  il  duca  di  Serradifalco  (13),  Di  Marzo  (14),  e.Den- 
nis  (15). 

Non  può  esitarsi  a  rigettare  questa  narrazione  come  leggendaria, 
nò  vi  ha  dubbio  ch'essa  venne  formata  ad  illustrare  la  fondazione 
del  Duomo  di  Cefalo,  a  quél  modo  stesso  che  un'altra  ne  fu  foggiata 
per  quello  di  Monreale.  Il  Cassinese  Di  Blasi  la  respinse  già  nella 
sua  Storia ,  come  la  respinse  pure  il  Serradifalco.  Il  eh.  signor 
Dennis,  mentre  racconta  il  fatto,  non  lascia  però  di  far  le  sue  me- 
raviglie pel  silenzio  in  cui  lo  lasciano  i  diplomi  (16).  E  scrittori 
e  diplomi,  affatto  silenziosi  sul  viaggio  sulla  tempesta  sullo  scampo, 
costituiscono  due  ragioni  decisive  per  negare  ogni  fede  alla  nar- 
razione. Come  potrebbe  altrimenti  supporsi,  che  se  re  Ruggiero 

(I)  Deca  I.  Lib.  IX  Gap.  HI. 

<2)  De  Origine  Eceles.  Cephatud.  pag.  3. 

(3)  DescripL  eccl.  Ceph.  ManCusM  1593. 

<4)  Op.  cU.  pag.  45-6. 

f5)  Ann.  di  Pai.  par.  Ili,  pag.  243-4  Pai.  1651. 

(6)  Prima  parte  deWHiit,  Siciliana  Lib.  IV.  pag.  213.  Mebs.  1738. 

(7)  II.  7W. 

(8)  Storia  di  Napoli,  Lib.  II,  cap.  L  pag.  7. 

(9)  Di  S.  Rosalia  eie.  p.  14. 

(ÌO)  Mem.  Stor,  par.  Il,  lib.  II,  voi.  I,  pag.  102.  Pai,  1737. 

(II)  Viaggio  etc.  Cap.  XXIL 

(ip  Storia  del  Regno  di  SicUia.  Lib.  VIL  Sex.  IL  Cap.  XVI. 

(13)    Del  Duomo  di  Monreale  eU.  RagìoDam.  II. 

(14>  Nota  al  Dizion.  Topogr.  di  Vito  Amico  art.  Gefalù. 

(18)  Op.  eit.  pag.  260. 

(16)  It  is  tingular  however  that  the  diplome  in  whieh  king  Roger  endotoed  kii  new 
ekttrch,  dated  1145,  maket  no  mention  of  tuch  a  voto,  merelg  atsigning  a$  kit  rea- 
son  for  founding  so  grand  a  tempie,  kis  gralitude  lo  the  Saviour  (or  the  worldly 
honours  and  the  regal  lille  whieh  he  hnd  aequired. 


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448  NUOVE   EFFEMERIDI  SiCIUANE 

fosse  campato  da  un  si  grave  pericolo  di  naufragio,  ed  avesse 
poi  trovato  salvezza  in  Cefalù,  di  quest^avvenimento  non  si  facesse 
pur  motto  dagli  storici  contemporanei,  che  ci  parlarono  tanto  di 
lui,  delle  sue  opere,  degli  avvenimenti  del  suo  regno,  come  l'A- 
bate Telesino  e  Falcone  Beneventano  ?  ò  mai  verisimile  e  possi- 
bile che  ninna  parola  relativa  alla  tempesta,  al  voto,  allo  scampo 
si  rinvenisse  nei  diplomi ,  neppure  in  quello  di  dotazione  dato 
del  1145,  dove  Ruggiero  assegna  invece  tutt' altre  ragioni  alla  fon- 
dazione, tutt'altri  titoli  alla  gratitudine  sua  verso  il  Salvatore  (la 
gloria  conseguita,  il  titolo  regio  acquistato,  un  desiderio  per  lun- 
ghi anni  nutrito)  fuorché  Tunica  ragione,  ed  il  solo  titolo  che  si 
supporrebbero  per  veri  (1)  ? 

Si  aggiunga  a  queste  osservazioni  la  parte,  che  in  tutto  ciò  rap- 
presenta il  personaggio  di  San  Giorgio,  che  si  disse  comparso  al 
Re  nella  tempesta. 

Si  sa  ,  che  sulla  storia  sincera  di  San  Giorgio  di  Cappadocia 
venne  a  sopredificarsi  di  buon'ora  il  racconto  leggendario.  Un'antica 
tradizione  addita  tuttavia  ai  pellegrini,  a  mezza  lega  da  Beyruth» 
in  riva  al  mare,  il  luogo,  dove  Messer  San  Giorgio  ^  secondo  dice 
il  sire  d' Englure,  uccise  il  dragone  che  desolava  quelle  contrade 
e  liberò  la  figliuola  del  re  ;  si  fa  inoltre  vedere  ,  un  miglio  più 
lontano,  dal  lato  della  montagna ,  la  caverna  abitata  dal  terribile 
mostro.  Su  di  ciò  non  è  parola  alcuna  nei  documenti  antichi  re- 
lativi alla  vita  del  Santa  (2),  ed  è  solo  nel  secolo  duodecimo  che 
per  la  prima  volto  fa  capolino  la  leggenda  del  drago.  Indi  vieu 
essa  ricevuta,  passa  in  un  gran  numero  di  scrittori,  e  costoro  ne 
collocano  la  scena  ora  in  Libia ,  ora  in  Cappadocia ,  e  più  tardi 
nelle  vicinanze  di  Borito  ossia  Beyruth.  Hons.  Mi3lin,  uno  degli 
ultimi  dotti  visitatori  dei  Luoghi  Santi,  fa  nascere  a  buon  dritto 
la  leggenda  dalle  pitture  allegoriche  cosi  comuni  in  Cristianità  del 
San  Giorgio  a  cavallo,  che  atterra  un  mostro,  mentre  una  donna 
vestita  di  abiti  reali  assiste  al  fiderò  combattimento  (Z).  Simile 

(ì)  Ecco  le  parole  :  Dignum  et  radanole  fyre  duximus  ad  iolvatorig  nailri  hono- 
rem domum  conslruere  et  odiHiu»  gloriam  aulam  fundare  qui  nobii  et  honorem  con- 
^tUil  et  noitrum  nomen  laude  regia  ilecoravit.,..  Hoc  Uaque  racione  àucti  ex  lonqa 
iam  tempore  ad  honorem  tancti  ealvatorispropotuimus  ecclesiam  conslruere  in  eivi- 
lale  cephaludi,..,  Quam  volente  deo  et  salvatore  noilro  cooperante  fundavimus  alque 
eomtruximut.  Dipi,  di  apr.  ii45,  iiid.  IX.  presso  Pirri  IL  800. 

(2)  Cosi  in  no  ross.  delia  Bibliot.  AnOìros.  di  num^  158.. 

(3;  /  luoghi  Santi  voi.  I,  cap.  VI. 


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BRANO  DI  UN  GODIGB  GBPALUTANO  449 

rappresentazione ,  descritta  negli  ammirabili  versi  del  Tasso,  (1), 
volea  simboleggiare  probabilmente  la  liberazione  deir  Imperatrice 
Alessandra  dal  dèmone  dell'idolatria  ottenuta  per  opera  del  santo 
martire  di  Cappadocia  (2).  È  risaputo  del  resto  che  tali  pitture 
allegoriche  risalgono  fin  ai  primi  secoli  della  Chiesa. 

San  Giorgio,  come  simbolo  di  vittoria ,  diventò  tanto  popolare 
nel  medio  evo,  si  nelP  Oriente  come  nell'  Occidente  cristiano,  che 
egli  è  fra  i  Santi  citati  con  preferenza  dai  Musulmani,  i  quali  ne 
fecero  un  soldato  cristiano  originario  della  città  di  Mossul  sul  Ti- 
gri, Narrano ,  che  per  tre  volte  messo  a  morte  per  tre  volte  ri- 
suscitò, e  gli  attribuiscono  inoltre  tanti  miracoli  (3).  Che  anzi  la 
divozione  degli  Islamiti  verso  San  Giorgio  arrivò  fin  a  dar  ingresso 
nel  paradiso  al  suo  rinomato  cavallo,  ed  a  farvelo  soggiornare  in- 
sieme al  cane  dei  Sette  Dormenti,  air  ariete  di  Abramo,  all'asina 
di  Balaam ,  air  asina  su  cui  cavalcò  Nostro  Signore  la  Domenica 
delle  Palme ,  alla  giumenta  su  cui  credono  salisse  al  cielo  Mao- 
metto, ed  anche  al  cavallo  su  cui  Maometto  stesso  fuggì  dalla  Mecca 
in  Medina,  ed  air  asina  del  profeta  Esdra  (4). 

Il  Comune  di  Genova  uni  la  sua  splendida  storia  a  quella  del 
santo  martire;  le  sue  flotte  issarono  sulla  capitana  lo  stendardo  di 
San  Giorgio,  ed  i  suoi  maestrati  lo  chiamarono  nei  documenti  di 
officio  invitto  e  glorioso  vessillifero  della  Repubblica. 

San  Giorgio  torna  spessissimo  nelle  guerre  dei  Crociati,  e  cosi 
si  trova  nella  storia  dei  Normanni.  Narra  il  cronista  Malaterra  , 
che  alla  battaglia  di  Cerami,  un  cavaliero  di  bello  e  possente  a- 
spetto  ,  montato  sopra  nn  cavallo  bianco ,  con  bianca  armatura  , 
lancia  con  pennoncello  bianco  e  croce  rossa  ,  apparisse  nel  più 

(1)  D'una  pietosa  istoria,  e  di  devote 

FigQTO  la  saa  stanca  era  dipinta. 
Vergine  bianca  il  bel  volto,  e  le  gote 
Vermiglia  è  quivi  presso  un  drago  avvinta. 
Coirasla  il  mostro  un  cavati«r  percole  : 
Giace  la  fera  nel  buo  sangue- estima. 
Genu.  Cani.  Xli. 

f2)  Vedi  i  Bollandisti  Aeta,  Sanct. 

(3)  Vedi  d'Ohsson  Tableau  de  V  Empire  Olliman  l»l,  pay.  192.  TI<>ninpcT*fi«r. 
Orient.  pag.  loO  e  segg.  Marraeci  Prodromus  alPAIcorano  par.  11  ,  pag.  75  ed  Oi- 
ter  Vnyage  en  Turquie  et  en  Pene  l.  I,  pag.  437  e  segg. 

(4)  Vedi  Marracci  Prodromus  par.  IV,  pag.  116;  par.  II,  p.  19  e  79;  il  Commen- 
tario deir  Alcorano  dello  stesso  autore  p.  427;  Gagnier  Vita  Mohammedis  p.  34  e 
Reinaud,  Deeeripl.  de*  èionum.  Mutulm,  du  Cabinet  de  M.  le  Due  de  lUacas  I.  ]. 


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450  NOOVB  EFFEMBRIDI  SICILIANE 

fitto  delia  mischia ,  e  guidasse  alla  vittoria  sugP  infedeli  i  gner- 
rieri  cristiani.  Parimenti  narra  il  nostro  codice,  che  San  Giorgio 
apparve  a  Re  Ruggiero  nella  tempesta ,  e  lo  assicurò  della  libe- 
razione. Certo  è  che  a  pie  della  rupe  in  Cefalù  fu  costruita  in  o- 
nore  del  santo  martire  una  chiesa ,  intitolata  da  lui ,  la  quale  i 
marinai  fecero  poi  ristaurare  ma  dedicandola 'a  San  Leonardo.  Ai 
tempi  delPAurìa  non  era  più  che  un  reclusorio  di  povere  don- 
zelle nubili.  •  Mi  ricordo  (dice  questo  scrittore,  parlando  del  tem- 
pietto di  San  Giorgio)  haver  visto  nelle  mura  di  esso  depinto  lo 
arrivo  del  Re  coi  segni  della  passata  tempesta  >  (i). 

Esclusa  quest'  origine  popolare  e  foggiata,  accenniamo  ora  ai  mo- 
numenti genuini  relativi  alla  fondazione  della  celebre  Cattedrale. 

Mentre  inalzavasi  la  città  nuova  e  muniasi  di  mura ,  Re  Rug- 
giero facea  costruire  il  tempio  al  Salvatore  (J).  Si  è  ripetuto  da 
tutti,  che  la  prima  pietra  ne  fu  posta  Tanno  1131,  nel  giorno  di 
Pentecoste,  sondo  presente  Ugone  arcivescovo  di  Messina,  il  quale 
consenti  T  erezione  e  dichiarò  la  diocesi  'di  Cefalù  suffraganea 
della  Chiesa  metropolitana  di  Messina,  sulla  facoltà  chiestane  al- 
l'antipapa Anacleto,  per  cui  allora  parteggiava  Ruggiero  (3).  Però 
non  panni  possibile ,  come  un  sì  gran  tempio  siasi  compito  nel 
giro  di  pochi  mesi ,  e  ciò  mentre  lo  stesso  iQonarca  inalzava  la 
Regia  Cappella  di  Palazzo.  Imperocché  è  certo,  che  la  Cattedrale 
di  Cefalù  è  ricordata  come  già  compiuta  in  un  diploma  di  Rug- 
giero, di  marzo  anno  greco  6640  (1132)  indiz.  X.  (4). 


(I)  Op.  eìL  pag.  46-7. 

'(t)  Una  CronHca  mss.  serbaUi  dall'  Aurìa,  e  da  lui  congetturala  opera  di*Alvaro 
PalernA,  scrive  :  Anno  Domini  4190  /u  f?«  Bugeri  habitao  CAt/oiri,  et  fieki  fari  la 
telesia  et  episeopatu  di  Chifalù. 

(3)  Ea  propter  dum  dominut  noster  dei  gracia  Sicilie  et  itaìie  rex  gìoriosissimus 
alque  invicissimus  apud  eephaledem  in  die  penieeotlet  fundandx  grada  in  eodem  loro 
tccletiam  ad  honorem  taneti  ealvaforis  et  beaforum  apoitolorum  pelri  ol  pauli  pto 
anima  pairis  $ui  pie  memorie  rogerii  primi  eomitit  matriique  sue  adela$ie  regine , 
sua  denique  redempcione  et  omnium  peccatorum  suorum  deliberacione  pauperum  de- 
nique  ae  iranseuneium  suslentacìone  veniàset  eonsUio  et  assensu  tam  messanensium, 
quam  traynensium  canonicorum  prò  eo'lem  dfi  opere  ineipiendo,  oum  et  nos  ibidem 
adessemus  eie.  Dipi,  dell*  Arciv.  Ùgone  di  oUobre  113i  indiz.  X  che  leggasi  presso 
Pirri  I  389,  Questo  prelato  ^opo  il  4139  fu  rimossodalla  sua  sede  coi  cardinali  a  ve- 
scovi nominati  dall'antipapa  Anaclelo,  e  ciò  per  disposixione  del  Ponteftee Innocenzo 
secondo,  e  del  Concilio  Lateranense.  La  bolla  legittima  di  erezione  è  del  papa  Ales- 
sandro ni  di  aprile  1171  indizioDe  IV,  colla  quale  è  nominato  Bosone  primo  vescovo 
di  Cefalù. 

(4)  Quapropter  ego  rogerius  rea  polens  in  ehristo  et  ftdelissimus  hee  predkla  non 


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BRANO  DI  UN  CODICE  CEFALOTANO  451 

Riferisco  dunque  le  parole  del  diploma  di  ottobre  1131 ,  dtm 
damihus  rex  apud  cephakdem  fundandi  grada  ecclesiam....  venisset 
(sulle  quali  parole  si  è  creduto  che  il  Duomo  fosse  solo  in  quel- 
la anno  cominciato)  ad  un  tempo  anteriore  d^  alquanti  anni  al  1131» 
anno  del  diploma.  E  ciò  si  ravvalora  dalla  bolla  di  Anacleto,  pur 
deiranno  sopradetto,  colla  quale  T Antipapa  soggetta  a  Cefalù  la 
chiesa  della  Bagnara,  e  rafferma  le  donazioni  già  fattele,  quidquid 
prenominata  cephaludensis  ecclesia  legitime  possideat^  il  che  difficile 
mente  si  concepirebbe ,  se  la  Cattedrale  non  fosse  stata  tampoco 
iniziata.  E  quanto  dice  Ruggiero  nel  citato  diploma  greco  del  suc- 
cessivo anno  1132,  feci  edificare  templtm  ab  inicio  fandacionis  stie, 
non  allude  forse  con  queir  ab  inicio  ad  un  discreto  periodo  an- 
teriore di  tempo? 

Cefalù  riaveva  il  suo  antico  Vescovato,  e  per  opera  di  Re  Rug- 
giero distaccavasi  da  Messina,  a  cui  dopo  Traina  T  aveva  aggregato 
il  Conte  di  lui  padre  (1).  Il  munifico  Re  concedea  alla  Chiesa  tutta 
ia  città  ed  il  mare  (2).  L^anno  1137  chiamò  poi  nel  gran  tempio 
da  lui  edificato,  secondo  narra  il  nostro  codice  e  si  rileva  dai  di- 
plomi, i  Canonici  regolari  dì  S.  Agostino ,  i  quali  vi  si  traspor- 
tarono dal  loro  cenobio  di  Bagnara  in  Calabria,  abitarono  il  mo- 
nastero contiguo  alla  chiesa,  e  vi  rimasero  fino  al  1671  (3). 

Scrive  Fazello,  che  Ruggiero  fece  accomodare  al  tempio  di  Ce- 
falù le  colonne  del  tempio  vecchio  che  era  stato  sulF  altura  ;  e 
ciò  può  ritenersi  benissimo  (4).  Circa  poi  air  opera  stupenda  dei 
musaici ,  questa  non  ebbe  il  suo  compimento  che  Tanno  1148. 
Tanto  si  rileva  dalla  seguente  iscrizione  del  tempo ,  che  leggesi 
sotto  le  figure  degli  Apostoli. 


ignorani  una  cum  aliU  chritlianii  qui  ea  ore  -jidéli  el  devolo  prolifenlur  feci  edi/i» 
cari  lemplum  epiicopaius  ab  inieio  fundacionis  tue  in  loco  qui  dieitur  etphaludurn 
in  nomine  et  honore  folwUoris  ad  gloriam  dei  et  talvacionem  hominum.  Dipi,  del 
Tabul.  della  Chiesa,  presso  il  Gr.  Arch.  in  Pai. ,  pubblicalo  in  parte  da  Pirri  li  . 
799,  e  poi  da  SpaU  Le  Perg,  etc.  pag.  433.  • 

*  (1)  lam  prephatam  ecclesiam  tedem  epitcopalem  fore  deinceps  dominop  restante  de* 
cemimut.  B(A\a  di  Anacleto. 
(S)  V.  Dipi.  cit.  del  1145. 

(3)  Vedi  il  diploma  relativo  alla  chiamata  dei  GanoBici  regolari  nella  cit.  opera 
del  Serradifalco  ragionam.  Il  noU  37. 

(4)  Temptum  in  ea  maximum  mutwo  ac  vermieulato  opere  hominum  Salvatori  di* 
catum,  ac  episcopali  digniUUe  exornatum  eondidit,  columnit  e  tempio  veteri  eo  eom* 
pvrtatis  ab  oppido  vetusto  deserto.  Op.  cit. 


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452  NUOVE  EFFBMERIDI  SICILIANE 

Rogerius  rex  egregius  plenis  (con.  plenm)  pietaHs 
Hoc  statuii  templum  motus  zelo  deitatis. 
Hoc  opibm  ditat  variis  varioqìie  decore 
Omat  magnificat  in  Salvatoris  honore 
Ergo  structori  tanto  Salvator  adesto 
Ut  sibi  sfuJbmissos  conservet  corde  modesto. 
Anno  ab  incamacUme  domini  millesimo  ceìitesimo  XLVIII  mài- 
cione  XI  anno  V.  regni  ejus  XVIII  hoc  opus  musei  factum  est 

Non  è  però  dell'epoca,  ma  posteriore,  come  per  se  pare,  Tal- 
Ira  iscrizione,  che  anche  qui  riferisco: 

Hoc  sacrum  templum  a  pio  Rogerio  primo  Sicilie  Rege  ab  anno 
MCXXXI  ad  MCXLVIII  fìindatum  omatum  dotatum  fuit  sedente 
Innocentio  VI  (deve  correggersi  li)  pontifica  maximo  ex  privilegio 
sicut  Rome  signatur  plumbo. 

Soggiungerò  che ,  oltre  la  Cattedrale ,  non  mancano  in  Cefelù 
altre  costruzioni  di  quel  periodo  o  poc' appresso.  Nella  via  prin- 
cipale è  un  notevole  fabbricato,  senza  dubbio  dei  tempi  Normanni, 
che  il  popolo  chiama  Casa  di  Ruggiero  dalla  tradizione  che  fosse 
stata  da  lui  inalzata  per  propria  residenza.  Di  fronte  vi  è  un'al- 
tra costruzione  dell'  epoca  stessa  ,  detta  Palazzo  del  Marchese  di 
Ceraci.  D' architettura  antica  è  pure  il  campanile  della  chiesa  del- 
l'Annunziata;  e  rimangono  in  qualche  punto  finestre  a  sesto  a- 
cuto  divise  da  colonnine  ed  altri  curiosi  avanzi  dell'  arte  medie- 
vale. 

Parla  di  Cefalù  il  geografo  Musulmano  Edrisi,  che  visse  in  Pa- 
lermo alla  corte  di  Ruggiero  (1).  La  città  fu  poi  visitata  dall'a- 
rabo viaggiatore  Ibn-Giobair,  che  la  descrive  come  t  abbondante 
di  prodotti  del  suolo,  ricca  di  molte  risorse,  circondata  di  vigneti 
e  di  altre  piantagioni,  e  fornita  di  mercati  stabili.  Un  certo  nu- 
mero di  Musulmani  soggiorna  in  questa  città.  Essa  è  dominata  da 
una  vasta  rocca  di  forma  circolare ,  sopra  la  quale  s' innalza  un 
castello,  il  più  forte  che  possa  immaginarsi ,  preparato  dai  Cri- 


(1)  l\  capitolo  di  Edrisi  sulla  Sicilia  iradotto  dal  Mngrì,  fu  aunolato  dal  Tar- 
dia  (Vedi  la  sua  Disseriazione  negli  Opusc.  di  Aul.  Sieil.  tom.  Vili,  p.  233.  e  segg.) 
Dopo  il  Gregorio,  il  prof.  Amari  ripubblicò  il  testo  di  Edrisi  relativo  all'isola  no- 
stra. Una  versione  del  geografo  arabo  lavorò  il  laubert»  di  molto  inferiore  a  quella, 
che  ci  diedero  Dozy  e  D«  Gocje  per  la  parte  che  riguarda  1'  Africa  e  la  Spagna  />f - 
scription  de  VAfrique  et  de  i  Espayne  Leida  Brill.  1866.  » 


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BRANO  DI  UN  CODICE  CEPALDTANO         453 

stiani  onde  difendersi  dalP  attacco  inaspettato  di  qualche  flotta 
uscita  di  terra  di  Musulmani  (che  Iddio  gli  aiuti)  (1).  t 

Sul  commercio  di  Cefalù  neir  epoca  Normanna  si  possono  ca- 
var notizie  dai  diplomi  della  Chiesa;  uno  dei  quali  arabo  del  se- 
colo XII,  in  cui  si  ricordano  i  dinar  d^  Abd-el-Mumen  ed  i  robai 
ducali  di  Sicilia ,  é  un  contratto  pel  quale  taluni  marinài  Musul- 
mani convengono  di  trasportare  da  Cefalù  a  Messina  certa  moneta 
d'  oro  d^  un  sire  Guglielmo.  Esso  diploma,  come  osservò  V  Amari 
che  lo  cita  sulla  copia  trasmessagli  dal  mio  maestro  prof.  cav.  Cusa, 
contiene  un  curioso  esempio  delle  usanze  commerciali  d' allora  , 
perchè  ,  laddove  gli  altri  marinai  danno  sicurtà  sui  propri  beni, 
un  pellegrino  Othman,  non  possedendo  nulla,  vende  sé  medesimo 
al  banchiere  a  patto  di  riscattarsi  colla  consegna  della  moneta. 

14. 

Arehitettnra,  e  decorazione  della  Cattedrale  di  Oefalà. 

La  splendida  Cattedrale  di  Cefolù  fondata  dal  Re  Ruggiero  sorge 
nella  parte  più  alta  della  moderna  Cefalù,  con  larga  piazza  dinanzi, 
a  pie  deir  erta  ed  elevata  rupe  che  le  sta  dietro,  e  non  sólo  di 
gran  lunga  sovrasta  gli  altri  più  modesti  ediflzi  di  quella  città  che 
ha  tutta  Tana  del  medio  evo,  ma  è  per  la  Sicilia  uno  dei  più  bei 
monumenti  dell'  arte  cristiana,  e  Fra  tutti  i  tempi  (cosi  il  sig.  G.  B. 
F.  Basile)  di  quello  stile  così  splendidamente  ornato  primeggia 
senza  dubbio  la  Basilica  di  Cefalù  per  la  perfezione  artistica  delle 
sue  musaiche  rappresentanze,  e  per  la  tecnica  di  precisione  colla 
quale  si  veggono  i  lavori  condotti  (2)  t  La  sua  forma  esterna,  come 
quella  del  Duomo  di  Morreale  ed  anche  del  nostro,  accenna,  fra 
altri  elementi,  al  carattere  dell'arte  visigotica,  quella  cioè  che  ri- 
cinse le  chiese  di  toiTi  e  di  merli  nella  sommità  delle  mura  (3). 
Il  prospetto  anteriore,  volto  ad  occidente,  è  fiancheggiato  da  torri 
quadrate  che  toiscono  a  piramide  {fastigia  acuminata).  Esso  pre- 
senta un  portico,  diviso  in  tre  grandi  arcate,  quel  desso  che  Tan- 

(ì)  Vedi  gli  estratti  di  n)D-Giobair  nella  tìibliot,  Arabo-Sicula  dell' Amari,  e  la 
versione  nel  loum.  Asiai.  an.  Ì845-46.  L'intiero  testo  fu  pubblicalo  da  W.  Wright 
in  Leida  1853. 

f2)  Giom.  diAnlichild  e  Bette.  Arti  Anno  H.  n.  15. 

(3)  Veggasi  il  discorso  di  Carlo  Troya  DetV ArehUeltura  Gotica  Nap.  1857  in  cui 
l'ithistre  storico  si  studia  di  ristabilire  l'influonza  gotica  nell'archìtmiira  roedieyaltì. 


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454  NUOVE  EFFEMERIDI  SICIUANE 

no  1480  venne  restaurato  da  Mons.  Giovanni  Gatto,  e  le  cui  mura 
ora  lisce  erano  anticamente  coperte  di  pitture,  delle  quali  il  no- 
stro codice  ci  dà  la  descrizione.  Al  di  sopra  è  una  ricca  decora- 
zione di  una  doppia  fila  di  archi  ad  ogiva,  Tuna  suiraltra.  Sono 
notevoli  l'arco  a  pieno  centro  della  porta  antica,  e  gli  ornati  di 
essa  a  stile  moresco  (1).  LMntemo  è  diviso  in  due  corpi,  V  ante- 
riore scompartito  in  tre  navate  da  due  file  di  colonne,  il  poste- 
riore più  alto  per  quattro  gradini  e  comprendente  la  soka  ed  il  vi- 
ma.  In  fondo,  nella  conca  delPabside,  giganteggia  la  sublime  mezza 
figura  del  Divin  Salvatore  che  di  lassù  dominando  tutto  il  tem- 
pio dispone  Tanima  del  credente  a  sensi  di  profonda  adorazione. 
La  navata  eentrale  ha  il  tetto  di  legno,  restaurato  nella  sua  mag- 
gior parte  al  1559 ,  come  da  un'  iscrizione,  che  a  stento  si  può 
leggere  dal  basso  :  Hic  in  ...  die  mensis  maii  anni  ...  1559.  Le 
travi  un  tempo  dorate  e  dipinte  hanno  un'iscrizione  in  caratteri 
gotici ,  della  quale  non  è  stato  letto  altro  che  il  nome  di  Man- 
fredi e  la  data  del  1263.  Io  vi  ho  scorto:  Regnante  illìistri  vica- 
rio domino  nostro  inclyto  regi  mainfrido  regni  Sicilie  ...  magni- 
ficus  Comes  henricus  de  vigintimilUis.... 

Ciò  però  che  attira  dippiù  Tattenzione  nel  Duomo  di  Cefalù  è 
lo  stupendo  magistero  dei  musaici ,  i  quali  decorano  il  solo  san- 
tuario della  chiesa,  e  precisamente  la  metà  intema  della  tribuna 
e  le  pareti  dell'  abside.  Forse  fu  in  animo  a  Ruggiero,  che  la  de- 
corazione fosse  comune  a  tutta  la  vasta  Cattedrale ,  ma  la  sua 
morte  caduta  nel  1154  ed  i  sedici  lunghi  anni  che  durò  il  lavoro 
de'  musaici  ne  l'avranno  impedito. 

Se  primi  in  ordine  di  tempo  sono  i  musaici  di  S.  Maria  del- 
l' Ammiraglio,  primi  in  ordine  di  merito  son  quelli  di  Cefelù , 
specialmente  i  più  antichi,  che  hanno  una  incontestabile  superio- 
rità (2),  e  soltanto  possono  assimilarsi  a  quelli  del  Coro  della 
Cappella  Palatina.  Per  consenso  degli  uomini  competenti  son 
queste  le  più  perfette  opere  di  tal  sorta,  e  valgono  forse  in  arte 
quanto  i  lavori  di  Giotto  e  dell'  Orcagna.  In  sostanza ,  i  musaici 
dell'epoca  di  re  Ruggiero  per  grandezza  di  figure,  concetto,  for- 

(1)  V.  Serradifalco  Op.  eit.  alle  tav.  XVHI-XXII,  che  presentano  la  ioUa,  il  vima, 
il  santuario,  la  protasif  e  il  diaconico,  e  Di  Mano  Op.  eit,  voi.  II.  Pai.  i859.  Lib.  V» 
coi  disegni. 

(i)  Dennis  osserva,  che  il  Serradifalco  non  avrebbedovuto  esitare  nel  collocarli  in- 
nanzi agli  altri.  Indeed  doe$  noi  hetUaie  lo  pronounee  thete  mo$aitt  lo  ite  mori  pre^ 
cUm$  ai  itforkt  ofari  Ihan  any  othen  oflhal  period  tcrought  in  SicHy  Op.  cit^  p.  SGi^ 


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BRANO  DI  UN  CODICE  CGFALOTANO  455 

ma ,  stile ,  simmetria  e  morbidezza  di  mosse  e  di  fogge ,  effetto 
di  colorito,  accordo  generale ,  sono  superiori  a  quelli  di  tutto  il 
resto  d'Italia^  anche  del  Duomo  di  Venezia,  e  mostrano  quel  me- 
raviglioso sviluppo,  che  fé  dire  al  Sabatier,  dq)o  osservati  i  mu- 
saici di  Cefalù,  formar  essi  i  più  belli  esempì  della  scuola  bizan- 
tina, dopo  le  pitture  del  monte  Athos  ch^egli  aveva  già  visitato  (1). 
Sotto  la  colossale  mezza  figura  del  Salvatore,  che  ha  intorno  il 
distico 

Factus  homo,  factor  hominis,  factique  Redemptor 
Ivdko  corporeus  corpora  corda  Deus, 

e  pelle  pareli  laterali  del  santuario  accanto  al  Salvatore  stesso, 
sono  ordinale  in  tre  scompartimenti  le  figure  della  Vergine,  de- 
gli Arcangeli,  degli  Apostoli,  dei  Profeti,  Santi ,  Pontefici ,  come 
Melchisedech,  Abramo,  Mosè,  Davidde,  Salomone,  Gioele,  Amos, 
Giona,  Michea,  Naum ,  Osea,  Abdia ,  Pietro ,  Vincenzo ,  Lorenzo , 
Stefano,  Gregorio,  Agostino,  Silvestro,  Dionisio,  Teodoro,  Giorgio, 
Demetrio,  Nestore,  Nicolao,  Basilio,  Crisostomo,  Gregorio  teologo. 
Questi  musaici  e  quelli  che  ornano  il  santuario  della  Regia  Cap- 
pella rivelano  i  medesimi  artisti;  ai  quali  rimangono  inferiori  gli 
autori  dei  musaici  della  seconda  epoca  '  Palatina  (regno  di  Gu- 
glielmo I)  e  del  Duomo  di  Morreale  (regno  di  Guglielmo  II).  (2). 

Su  d'una  muraglia,  fra  due  finestre,  la  Cattedrale  di  Cefalù  serba 
un  curioso  affresco  della  Vergine  col  Bambino,  serviti  da  Angioli, 
d'arte  rozza  ma  antica ,  forse ,  come  si  è  scritto,  del  secolo  XIII. 
In  una  colonna  poi  è  dipinta  una  figura,  semiscomparsa,  detta 
dal  popolo  re  Ruggiero,  che  par  tenga  un'urna  su  cui  vedonsi  rap- 
presentate due  piccole  leste;  stile  veramente  arcaico  e  primitivo. 

Custodivasi  un  tempo  nella  sagrestia  del  Duomo ,  e  pare  che 
tuttavia  durasse  fin  all'  epoca  dell'ab.  Vito  Amico,  la  dalmatica  di 
Ruggieri ,  di  cui  così  scrive  L' Auria  :  e  Conservasi  finalmente  in 
detta   Chiesa  la  veste  del  re  Ruggiero  tessuta  d'oro  e  di  seta, 

(1^  Vedi  una  sua  lettera  Sui  lavori  a  mumico  nel  Giorn,  Offic.  di  Sic.  del  21  giu- 
gno 1888,  num.  132. 

(2)  I  mosaici  di  ('efalù  vennero  restaurali  da  Rosario  Riolo  negli  anni  1857,  59, 
62,  66,  68.  Vedi  sulla  nostra  scuola  moderna  de'  mosaicisti  il  giornale  Scuole  e 
Strade  an.  1,  num.  3,  e  La  Ditcuuione  an.  XI  num.  57.,  non  che  un  opuscoletto 
col  titolo  :  Sui  musaici  di  Cefalù,  Morreale  e  Palermo  e  sulla  neceuilà  d'una  scuola 
di  musaico  in  Sicilia.  Idee  del  Prof.  Luigi  Clemente.  Cef.  1868.  In  gennaro  del  1867 
il  Ministro  d'Istruzione  pubblica  sig.  Berli  promosse  ridea  d*  impiantarsi  in  Sicilia 
una  scuoia  dei  musaici,  ma  poi  non  s'approdò  a  nulla. 


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456  NUOVE  BFFKMERIDI  SIGIUANC 

ed  è  venerata  dai  Cefàlatani  come  cosa  d'un  re  cotanto  divoto  e 
zelantissimo  Chrìstiano;  propagatore  della  fede  Catholica,  ed  estir- 
patore deir  empia  sètta  Saracenica  :  onde  nella  Chiesa  di  Cefalù, 
a  di  27  febbraro  si  fanno  Tesseqaie  fdnerali  ogn'anno  in  comme- 
moratione  della  morte  di  quel  Re,  e  si  mette  la  detta  veste  so- 
pra an  Tumulo  cantandovisi  soUennemente  T Officio,  e  la  Messa 
con  presenza  del  Vescovo  e  del  Magistrato  della  Città,  concorren- 
dovi tutti  i  Cittadini  ricordevoli  di  pregare  per  T  anima  del  lor 
benignissimo  Benefattore  (1).  » 

Oggi  che  Tab.  Bock  ha  studiato,  pubblicato  splendidamente  ed 
illustrato  nel  suo  stupendo  lavoro  Die  Kleinodien-ecc,  ossia  il  Te- 
soro deWImpero  Germanico  (Vienna  1864),  anche  le  insegne  regie 
de^  Normanni  di  Sicilia  involateci  dalla  rapacità  di  Arrigo  ed  ag- 
giunte al  tesoro  imperiale;  Topera  del  dotto  orientalista  ci  fa  mag- 
giormente rimpiangere  la  perdita  della  dalmatica  suddetta ,  che 
non  esisteva  più  sin  dai  tempi  del  Di  Blasi.  Io  ho  potuto  vedere 
solo  quello  che  vide  il  Dennis  (2),  cioè  fra  altri  piccoli  rimasu- 
gli e  reliquie  ed  insieme  con  una  corona  certamente  posteriore 
di  tempo,  poveri  brani'  di  quella  veste  riccamata  in  oro,  in  cui 
non  osservai  nessun  vestigio  d^iscrizione  o  di  caretteri  cufici.  Nar- 
rano che  i  viaggiatori  inglesi  abbiano  consumato  via  via  la  regia 
veste,  prendendone  ad  ogni  volta  pezzetti  e  frammenti!  (3). 

Pria  di  terminare  questo  cenno  sulla  Cattedrale  ricorderemo  an- 
che il  chiostro  del  Monastero  annesso,  monumentale  polla  scul- 
tura siciliana  de  1  XII  secolo;  anteriore  e  solo  inferiore  in  merito 
al  morrealese  dalle  cento  colonne ,  e  ricinto  per  tre  lati  di  por- 
tici ed  archi  acuti  poggianti  su  92  colonnine  binate,  e  Questo  chio- 
stro (scrive  il  Dennis)  è  davvero  un  saggio  sommamente  istrut- 
tivo ed  interessante  dell'architettura  siculo-normanna,  ed  è  solo 
inferiore  per  estensione  e  bellezza  a  quello  di  Monreale  (4).  » 
I/uno  e  l'altro  però  han  fatto  dire  allo  Springer  (5),  che  la  pla- 
stica decorativa  deve  considerarsi  come  creazione  siciliana. 


(ì)  V.  Loe.  eii.  p.  51. 

(2)  Op.  cU,  p.  268. 

(3)  Ir  un*  invenUrio  dei  1283,  che  riguarda  il  Tesoro  delia  Chiesa  di  Cefalù  (V. 
Qq.  H,  8,  paR.  641)  si  annoirino,  fra  altri  oggeUi,  18  cappe,  6  pianete,  od  alcune 
tonacello,  dono  della  regia  munificenza  alla  Catledrale, 

(4)  Op.  eit,  pag.  265. 

(5)  Die  MUtelaUerliehe  kunsi  in  Palermo  Bonn  1869. 


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BRANO  DI  UN  CODICE  CBFALUTANO  457 


Relazioni  di  Federico  Imperatore  coi  principi  ICnsnlmani 
e  missione  del  yeiicoyo  diovanni  di  Oefalà. 

Il  nostro  codice  ci  dà  notizia  di  una  missione  affidala  dall'Im- 
peratore Federico  II  a  Giovanni  di  Cefalù ,  e  su  di  essa  dirà  il 
nostro  storico  Michele  Amari  nella  seconda  parte  del  volume 
terzo  che  darà  compimento  al  dottissimo  lavoro  sui  Musulmani 
di.  Sicilia.  Intanto  sulla  scorta  del  Bréholles  farò  qui  un  rapido 
ricordo  per  ordine  d'anni  delle  vaile  ambascerie  dei  Siciliani 
in  Oriente  e  dei  rapporti  deirimperatore  co'  principi  Musulmani. 

Ai  tempi  Svevi  la  conoscenza  dell'arabo  era  molto  diffusa  fra 
noi.  Certo  seppero  questa  lingua  Giovanni  di  Palermo,  Errico  del- 
l'Abbate, Ruggiero  de  Amicis,  ed  Alberto  Fallamonaco.  Che  anzi 
dotti  greci  e  giudei  v'er  ano  in  Sièilia,  incaricati  d'insegnar  l'arabo 
agli  arabi  stessi  del  regno,  essendo  volontà  di  Federico  non  solo 
che  i  suoi  sudditi  Musulmani  imparassero  l'italiano,  ma  altresì 
che  non  dimenticassero  l'arabo  (i). 

Correndo  l'anno  1227,  il  Soldano  d'Egitto  Malek-Kamel,  veden- 
dosìr  minacciato  da  suo  fratello  Malek-Moadham,  re  di  Damasco,  e 
procurando  perciò  di  aver  un  ausiliare  in  Federico,  gli  manda  collo 
emiro  Fakr-eddìn,  ad  offerire  le  città  sante  appena  sarebbero  in 
potere  delle  truppe  Egiziane.  Allora  l'Imperatore  fa  partire  pel 
Cairo  il  suo  fedele  Berardo,  arcivescovo  di  Palermo.  Costui  viene 
accolto  in  Egitto'  con  tutte  le  maggiori  distinzioni  ed  è  di  ritorno 
in  Puglia  nel  gennaro  1228,  con  preziosi  doni  e  con  lettere  d'a- 
micizia dalla  parte  del  Soldano  (2). 

Il  18  febbraio  1229  una  tregua  è  stabilita  per  dieci  anni ,  tra 
il  Soldano  Malek-Kamel  e  Federico  IL  Questa  tregua  stipula  :  re* 
stituzione  a'  Cristiani  di  Gerusalemme ,  Betlem,  e  Nazareth,  con 
tutti  i  villaggi  intermedi;  Sidone  col  suo  porto  e  colla  pianura 
circostante  resi  parimenti  ai  Franchi;  permesso  ai  medesimi  rico- 


(1)  Vedi  lettera  del  24  dicembre  12S7.  per  Abdall^h  presso  Bréholles  Hist.  Dipi 
Frider.  IL  l.  V.  p.  603. 

(2)  Cr.  fiflakrizi  e  Abulfeda  citali  da  Reinaud  nella  Bibliolh.  des  histor.  arabes 
dei  croisades,  t.  IV.  p.  427.  Hicc.  di  S.  (ierm  Chronk.  ano.  1228. 


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458  NCOVE  EFFEMBRIOl  SIGIUANE 

struire  loppe,  Cesarea  e  il  nuovo  castello  di  Monteforte  appajrte- 
nente  ai  Teutonici  (i). 

In  marzo  1232  il  Soldano  di  Damasco  invia  a  Federico  magni- 
fici regali.  In  luglio  dello  stesso  aiiino  l'Imperatore  riceve  in  Pu- 
glia  un^ambasciata  del  Soldano  d'Egitto,  i  cui  deputati  si  trovano 
alla  sua  corte  nello  stesso  tempo  che  quelli  del  Vecchio  della 
Montagna.  In  un  pranzo  di  cerimonia,  che  fu  dato  in  questa  occa- 
sione, si  videro  non  senza  meraviglia ,  osserva  il  BrèhoUes,  molti 
vescovi  Siciliani  sedere  a  lato  degli  Emiri  d'Egitto  e  de'  formidabili 
assassini  di  Siria  (2).  Più  tardi  ancora,  all'assedio  di  Brescia,  nel 
1238,  guerrieri  Egiziani  inviati  dal  Soldano  figurano  nell'armata 
cosmopolita  di  Federico  II  (3). 

Del  20  aprile  1231  l'Imperatore  conchiude  un  trattato  con  Yahia 
soprannominato  Abu-Zacharia,  della  dinastia  de'  Beni-Hafs,  principe 
di  Tunisi ,  resosi  fin  dal  1226  indipendente  dagli  Almohadi  (4). 
Indi  a  rinnovare  forse  la  convenzione  del  1231 ,  invia  a  Tunisi 
una  ambasciata  composta  di  Notar  Giovanni  di  Palermo  e  di  un 
Enrico  dell'  Abbate,  che  porta  in  questa  occasione  il  titolo  di  Con- 
sole (5).  Par  che  le  trattative  sieùo  state  seguite  da  un  pieno 
successo  (6);  poiché  indi  in  poi  i  principi  di  Tunisi  si  mostrano 
amici  agli  interessi  di  Casa  Sveva. 

Trattandosi  di  mandar  un'ambasciata  al  Soldano  di  Egitto  Safeh- 
Nogem-eddin-Ayùb  (Sett;  1241)  allo  scopo  di  rinnovare  gli  antichi 
trattati  di  commercio  già  conchiusi  con  suo  padre  Malek-Kamel  » 


(I)  Veggasi  HiiL  diplom,  t:  lU.  p.  104  e  segg. 

(i)  Bréh.  HiiL  diplom,  t.  IV.  p.  369.>370  e  noi.  1. 

(3^  Erant  mim  eum  eo.„.  milUes  regit  Angliae ,  Francia  et  hpaniae ,  comet 
Provincioé  cum  cenium  milUibui,  milUet  quoque  Soldani  et  Vatacii  Graeeorum  m- 
peratorii,  aliarumque  diver$arum  genlium.  Chronie  de  reb.  in.  Ital.  gest  p.  174. 

(4)  La  versione  daU'arabo  di  questo  trattato  conchiuso  alla  metà  del  mese  di  giù» 
madi«el-akher  628  (cioè  il  20  aprile  1231)  fu  pubblicaU  da  Leibuitz  {Cod.jur,  genL 
diplomai,  t.  1.  p»  13);  da  Liinig  {Cod.  Ilal.  diplomai,  t.  II,  p.  878;,  che  lo  dice  tra* 
dotto  dall'arabo  per  [opera  di  Marco  Oìtelio  Ci terone  verso  il  1620  sopra  un  mano- 
scritto che  si  trovava  probabilmente  all'Escuriale  (V.  Uréh.  Introd.  p.  GCGLXX);  da 
Dumont  {Corps  Diplomai,  t.  I,  168),  e  finalmente  da  Brèholles  Hitt.  Diplom.  t.  III. 
p.  276. 

(5)  V.  Brèholles  Hisl.  dipi.  t.  V,  p.  687,  726  e  745.  Questo  personaggio  è  rin^ 
Viato  a  Tunisi  con  Oberto  Fallomonacó  nel  1237  o  1238.  Ivi  p.  966. 

(6)  V.  Brèholles  Inlrodueiion  pag.  COGLXXII. 


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BRANO  DI  m   CODICE  GBFALUTANO  459 

Federico  prepone  air  ambasciata  Ruggiero  de  Amicis,  capitano  e 
maestro  giustiziere  in  Sicilia  e  in  Calabria,  e  già  adoprato  come 
ambasciatore  presso  vari  principi  Musulmani.  GF  inviati  giungono 
in  Alessandria  su  di  un  vascello  chiamato  il  Mezzo-Mondo,  e  pas- 
sano al  Cairo  dopo  visitata  la  valle  di  Fayùm.  Il  loro  ingresso 
nella  capitale  d' Egitto,  colla  scorta  di  tutta  la  cavalleria  Egiziana, 
fu  magnifico  e  festoso.  La  sera ,  narrano  i  cronisti  arabi  ,  Cairo 
nuova  e  vecchia  vengono  illuminate  come  in  giorno  di  comune 
tripudio,  e  il  Soldano  li  accoglie  con  onori  e  riguardi  singolari. 
Negli  ultimi  mesi  del  1242,  Ruggiero  de  Amicis  stava  tuttavìa  al 
Cairo  col  Soldano  (i).  Le  convenzioni  che  in  quest'occasione  sti- 
polaronsi  tra  Federico  II  e  Malek-Kamel  sono  letteralmente  ripro- 
dotte nel  trattato  conchiuso  il  1290  fra  il  re  d' Aragona  e  Sicilia 
e  il  Soldano  Kelaun  (ì). 

Circa  il  mese  di  settembre  1242,  Federico  II,  mantenendo  pa- 
cifiche relazioni  coi  Califfi  Almohadi  di  Marocco,  manda  colà  una 
ambasciata  con  Oberto  Fallamonaco  (3).  Questa  data  concorda  colla 
fine  del  regime  d'A)[)del-Wahid,  e  crede  il  BréhoUes  che  in  que- 
sta occasione  sieno  stati  proposti  al  dottore  Spagnuolo  Ibn-Sabin 
residente  allora  a  Ceuta  i  quesiti  filosofici ,  di  cui  Federico  II 
avea  chiesto  invano  la  soluzione  a  vari  dotti  orientali  (4). 

Quanto  alla  missione  in  Babilonia  di  Giovanni  vescovo  di  Ce- 
felù  ometto  qualunque  ricerca,  sapendo  che  fra  poco  n'avrà  par- 
lato TAmari  coirautorità ,  che  gli  danno  incontestabile  la  critica 


(1)  •Et  in  illis  diebu»  dominus  Rogeriui  de  Amicu  manebai  in  Babyloniam  ei  in 
Cairum  eum  Soldano  •  Append.  mi  Galfr.  Malat.  all'anno  1S41  I*  Ind. 

(%)  V.  Bréholles  Inlroduetion.  —  Partie  Hiitorique,  ' 

(Z)  Af^no  Domini  1244,  primae  indietionit,  Uberlus  de  Fallamonica  de  mandato 
domini  imperatoris  ivit  apud  Maroceum.  Append.  ad  Galfr.  MakUerr,  pr.  Maratori 
Script,  i.  V..  p.  603. 

(i)  V.  Bréholles  Introduci,  p.  CCCLXXIII.  L'  Amari  trovò  in  un  mss.  di  Ox- 
ford un  saggio  di  tali  quesiti  o  problemi  filosofici  indirizzati  dapprima  da  Federico 
II.  ai  dottori  d'Arabia,  di  Siria  e  d*Egitto,  e  poscia  trasmessi  di  nuovo  al  Califfo  Al- 
mohade  Raseid,  perchè  li  presentasse  ad  un  filosofo  spagnuolo  di  nome  Ibn-Sabin, 
giovine  e  sagice  pensatore  stabilito  a  CeuU.  L'età  di  Ibn-Sabin,  nato  in  Marcia  nel 
1318»  e  la  fine  del  regno  di  Ruscid  fan  collocare  l'epoca  di  siffatti  quesiti  filosofici  di 
Federico  ai  dotti  Musulmani,  fra  il  1240  e  il  1242.  V.  Amari  Questioni  phihiophi- 
qaet  adretsées  aux  savanti  musulmani  par  l' empereur  Frédèric  II ,  nel  Journal 
Asiat.  1833.  n.  3. 


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460  NUOVE  BFFBMBRIDI  ^IGIUANE 

sapiente  che  dirìge  i  suoi  lavori  storici/  non  che  i  lunghi  studi 
da  lui  durati  su  tutto  quest'argomento  che  maneggia  da  moit'anni. 
Certo  Giovanni  ricevette  onorifiche  accoglienze  dal  Soldano  di 
Babilonia,  e  l'Imperatore  ricambiolle  collo  splendido  ricevimento 
che  die  alla  sua  volta  in  Sicilia  agli  ambasciatori  del  Soldano.  Ne 
mosse  alti  lamenti  il  Papa  Innocenzo  lY  nella  sentenza  di  depo- 
sizione promulgata  contro  Federico  a  17  luglio  1245.  e  Et  nuper 
(dice  il  Papa)  nundos  Soldani  Babilonie^  postquam  idem  Soldanus 
Terre  Sancte  oc  christianis  habitatoribns  eitts  per  se  oc  suos  dam- 
pna  gravissima  et  inextimabiles  iniurias  irrogaHret^  fecitper  regmm 
Sicilie  cum  laudibus  ad  eitisdem  Soldani  excellentiam ,  sicutfertur, 
bonorifice  sttscipi  et  magnifice  procurari  (1). 

Sag.  Isidoro  Carini 


(I)  Presso  Bréh.  Hi$L  diplom.  l.  VI.  P.  I.  p.  3»S) 


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BELLE  ARTI  K  CIVILTÀ 

(Contiiiiiaz.  0  fine.  V.  voi.  I,  disp.  VII!) 
(i) 

11  dispotismo  militare  assorbiva  tutte  le  cariche  civili ,  e  con- 
duceva la  società  a  distrurre  Tantica  civiltà  romana.  Il  merito  in- 
dividuale veniva  negletto  eccettuandone  quadche  adulatore,  e  quelli 
che  primeggiavano  erano  solamente  i  torbidi  condottieri  delle  le- 
gioni ,  ed  i  caporioni  de'  pretoriani ,  i  quali  cogliendo  il  destro 
cercavano  con  la  violenza  d^  appropriai-si  il  dominio  dell'impero. 

Le  risorse  dello  Stato  in  tali  condizioni  non  erano  sufficienti 
a  soddisfare  l'ingordigia  di  quelle  rapacissime  orde  di  torbidi 
soldati,  poco  culti,  d' origine  barbara ,  che  parlavano  lingue  che 
s' ignoravano  in  Roma:  il  che  rendea  facile  ogni  ammutinamento 
consentito  dai  loro  capi,  ma  ignorato  dal  popolo  romano,  dal  Se- 
nato, e  da  coloro  che  vegliavano  per  la  sicurezza  dell'imperatore; 
«luindi  non  fu  più  possibile  mantenere  quella  spirante  civiltà,  che 
in  certo  modo  si  era  procurato  ristabilire  nello  scorcio  del  secondo 
secolo  dell'Era  volgare. 

Il  terzo  secolo  scorse  nel  più  duro  dispotismo  militare  con  pic- 
cole eccezioni  ;  ed  invano  Alessandro  Severo  cercava  di  fare  ri- 
nascere la  letteratura  antica ,  la  poesia  e  le  spiranti  arti.  Erano 
frutti  fuori  stagione  :  Gibbon  loda  questo  imperatore  per  la  sua 
frugalità  e  per  l'amicizia  che  accordava  ai  dotti  e  virtuosi  del  suo 
tempo,  fra  i  quali  sempre  primeggiava  Ulpiano. 

Alessandro  Severo ,  dice  l' isterico  inglese  :  si  affatigava  colle 
arti  più  gentili,  ad  ispirare  a  quella  fiera  moltitudine  il  sentimento 
del  dovere  e  a  ristaurare  ahneno  r  immagine  di  quella  disciplina, 
alla  quale  i  romàni  andavano  debitori  del  loro  impero  sopra  tante 
nazioni  etc.  Ma  questo  savio  consiglio  fu  invano;  ogni  tentativo  di 
riforma  serviva  soltanto  ad  accrescere  i  mali ,  cui  egli  studiava  di 
opporre  un  rimediò. 

(ì)  Con  quest'articolo,  conlinuaziuDO  del  {  IX  pubblicalo  a  pag  380-384  del  voi. 
1*  delle  Effemeridi,  l'egregio  autore  ha  compiuta  la  prima  [larte  del  suo  lavoro,  che 
considera  egli  stesso  corno  un  compendio  di  cose  conosciute  e  messe  in  ordine  allo 
scopo  delP  opera.  La  i*  e  3*  p.,  che  il  D.r  Cavallari  pubblicherà  in  un  libro  pros- 
simo a  venire  alla  luce,  avranno  uno  sviluppo  più  esteso,  trattandosi  di  periodi  di 
storia  d'arte  in  cui  lo  svolgimento  storico  a<lalto  al  titolo  :  Belle  arti  e  eiviltd  ri- 
«hicde  maggiore  larghezza. 

/  compilatori 

30 


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M'i  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Questo  imperatore  dopo  tante  vittorie  terminò  la  sua  vita  as- 
sassinato nella  propria  tenda  dair  infame  Massimino. 

Un  altro  uomo  eccezionale  del  3®  secolo  fu  il  temuto  impera- 
tore Aureliano,  .che  i  suoi  soldati  in  un  inno  militare  acclamavano 
manm  ad  ferrum^  e  celebravano  raccontando  che  il  loro  Impera- 
tore avea  versato  tanto  sangue  umano,  quanto  vino  si  conservava 
nelle  cantine  di  Roma. 

Eppure  questo  intrepido  e  feroce  Imperatore ,  dopo  avere  di- 
strutto Palmira ,  ed  ammazzato  senza  distinzione  di  sesso  e  di 
età  tutti  gli  abitanti  di  quella  città,  faceva  costruire  il  tempio  dei 
Sole  con  grande  magnificenza,  in  commemorazione  della  vittoria 
riportata  in  Emessa,  che  guadagnava  per  Tapparizione  durante  la 
pugna  del  suo  prediletto  Dio  della  luce  che  avea  imparato  a  ve- 
nerare sin  dalla  sua  infanzia  per  insinuazione  di  sua  madre  sa- 
cerdotessa di  un  santuario  di  quel  Dio. 

Aureliano  celebrò  in  Roma  le  sue  vittorie  con  un  trionfo  che 
superò  in  isplendore  e  varietà  tutti  gli  anteriori  trionfi.  Vopisco 
raccontando  V  ingresso  trtonfale  in  Roma  di  questo  imperatore, 
dice  che  il  suo  carro  fu  accompagnato  da  20  elefanti,  e  da  una 
grande  quantità  di  tigri,  leoni ,  leopardi ,  giraffe  ed  altri  animali 
del  deserto.  Lo  seguivano  ottocento  gladiatori  apparigliati,  desti- 
nati per  le  feste  da  darsi  per  divertire  il  popolo  nelP  anfiteatro, 
ed  a  questi  facevano  seguito  i  prigionieri  delle  diverse  nazioni 
vestiti  nei  ricchi  loro  costumi  nazionali ,  tra  i  quali  notavasi  Ze- 
nobia  regina  deir  Oriente  abbigliata  dal  regal  vestito  adornato  di 
pietre  preziose  e  trascinando  una  lunga  catena  d^oro  làassiccio 
legata  alle  mani  ed  ai  piedi. 

Terminate  le  feste  del  trionfo  Aureliano  faceva  innalzare  ia 
Roma  sulla  collina  del  Quirinale  uà  magnifico  tempio  dedicato  al 
Sole;  il  culto  del  potente  Iddio  della  luce  si  ritenne  come  una 
espressione  religiosa  dell'  impero  militare  di  quel  tempo  sino  a 
Giuliano  Apostata  (1). 

Al  giorno  d'oggi  i  viaggiatori  che  visitano  in  Oriente  le  rovine 
di  Balbek  e  di  Palmira  possono  distinguere  tra  le  reliquie  rimaste 
in  quelle  principali  città  dell'Oriente,  le  opere  eseguite  al  tempo 
deir  impero  di  Aureliano  da  quelle  più  antiche ,  per  il  corrotto 
gusto  ammanierato,  e  quasi  strano,  simile  alle  fabbriche  dette  ba- 
ci) i  frammenti  di  quel  ricco  e  colossale  (empio  dedicalo  al  Sole  da  Aoreliano»  si 
osservano  nel  giardino  Colonna,  che  taluni  chiamano  impropriamente  il  frontespizi» 
di  Nerone. 


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BELLE  ARTI  E  CIVILTÀ^  463 

rocche  dei  tempi  modernissimi ,  che  si  costruirono  in  Europa  in 
condizioni  quasi  identiche  particolarmente  dell'epoca  di  Luigi  XIV 
sino  al  dispotismo  dell' impero  militare  di  Napoleone  Bonaparte. 

L'esecuzione  tecnica  di  quasi  tutte  le  opere  fatte  sotto  il  re- 
gimento  militare  del  3"  secolo  dell'  Era  volgare  ,  ha  l' impronta 
della  trascuraggine  o  della  profusione  ostentata  priva  di  ogni 
delicato  sentimento  puro  per  le  arti;  anzi  chiaramente  si  scor- 
ge come  in  quelle  opere,  le  arti  si  esercitassero  quale  un  me- 
stiere di  occasione  ad  intervalli ,  e  ripreso  casualmente  per  le 
virtù  individuali  di  qualche  imperatore,  e  da  ciò  ne  risultava,  che 
nel  mancato  esercizio  delle  opere  d'arte,  improvisamente  venivano 
ordini  di  opere  colossali  e  capricciose ,  che  si  dovevano  pronta- 
mente eseguire  a  forza  d'oro;  ma  il  numero  degli  artisti  non  era 
sufficiente ,  e  quindi  si  sperimentava  il  bisogno  di  ricorrere  ai 
guastamestieri ,  o  ad  aiutanti  poco  esercitati  nel  gusto  e  nella 
tecnica  esecuzione. 

Il  ciclo  normale  del  gusto  nazionale  era  continuamente  inter- 
i-otto da  successi  strepitosi  che  scuotevano  e  sviavano  l'intera  vita 
sociale  dei  popoli ,  né  la  moda  momentanea  poteva  sostituire  gli 
studi  negletti  e  riaccendere  il  perduto  sentimento  del  bello  da 
una  determinata  occasione  in  servizio  dell'ostentazione  e  del  ca- 
priccio di  un  despota. 

Tutte  le  produzioni  di  quel  secolo  sino  all'abdicazione  che  Dio- 
cleziano fece  alla  presenza  della  sua  armata  riunita  presso  il 
campo  di  Nicomedia  (304  d.  C.)  portano  l' impronta  di  una  com- 
pleta decadenza,  però  non  si  deve  disconoscere  che  i  monumenti 
architettonici  di  quell'epoca  si  fanno  notare  per  la  grandiosità  del 
concetto  e  delle  moli,  per  l'arditezza  e  varietà  della  composizione 
ricca,  anzi  fantastica,  esuberante  nella  parte  ornamentale,  ma  senza 
purità  di  stile,  cosa  che  spesso  rende  quei  monumenti  di  un  a- 
spetto  triviale  ed  anmianierato. 

In  questo  stato  ridotte  le  arti  peggiorarono  sempre  sino  all'  e- 
poca  della  divisione  dell'impero  romano,  ma  tosto  presero  un  as- 
petto proprio  per  i  nuovi  elementi  introdotti  sotto  l' ispirazione 
del  Cristianesimo,  e  lo  zelo  e  la  pietà  di  S.  Elena  madre  di  Co- 
stantino il  Grande.  L'arte  figurata  però  fu  quasi  intieramente  abo- 
lita, e  l'architettuia  stessa  perdeva  la  sua  forma  organica,  ed  i 
monumenti  che  si  costruirono  nella  nuova  Roma  (CostantinopoliJ 
subirono  quelle  modiflcazioni  che  diedero  il  sostanziale  carattere 
dell'architettura  detta  Bizantina,  la  quale  si  diffuse  in  tutto  l'im- 


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464  nuoviì:  kppkmbridi  siciliane 

pero  (1^  Oriente  sino  air  Adriatico,  alla  Sicilia  da  un  lato,  e  dal- 
Taltro  in  tempi  posteriori  arrivò  a  penetrare  in  Russia. 

X. 

Trasformazione  dell^arohitettora  romana 
in  quella  detta  Bizantina 

La  causa  della  divisione  deirjmpero  romano  avea  un'origine 
rimota,  dapoicbè  pria  di  verificarsi,  due  regioni  mondiali  aveano 
attirato  T  attenzione  degli  ambiziosi  caporioni  che  aspiravano  al 
potere  supremo  delP  impero. 

Una  regione  era  centro  di  forza  e  potenza  militare  ruvida,  di- 
sciplinata e  civile,  in  cui  le  legioni  nella  vita  dura  degli  accam- 
pamenti, 0  quasi  sempre  alla  presenza  dMntrepidi  e  valorosi  ne- 
miei,  si  vedevano  forzati  di  conservare  il  prestigio  delPantica  virtù 
dei  romani  :  questa  regione  occupava  una  grande  zona  al  Nord 
dell^uropa  e  si  distendeva  da  Oriente  alPOccidente,  comprendendo 
|a  Dacia ,  le  provincie  delia  Pannonia  e  del  Danubio ,  una  gran 
parte  delle  Alpi  e  quasi  tutta  la  Gallia  ed  i  territori  limitrofi  ai 
Germani  conquistati  ma  sempre  in  guerra. 

L^altra  regione  componevasi  deir  Italia ,  delle  provincie  della 
Grecia,  delPAsla  minore,  dell'Egitto,  delle  altre  provincie  afri- 
cane ,  e  di  tutte  quelle  conquistate  neir  Oriente.  Questa  regione 
si  preferiva  alPaltra,  per  la  dolcezza  del  clin^ ,  per  le  ricchezze 
da  tanto  tempo  cumolate  in  quei  centri  di  sapere,  d'industria  e 
di  antica  civiltà,  e  per  le  innumerevoli  opere  d'arte. 

Le  legioni  che  stanziavano  in  queste  contrade  trovavano  tante 
piacevoli  occupazioni  da  far  perdere  ogni  virilità  ai  soldati  che 
trascuravano  la  disciplina  militare  dandosi  ai  piaceri  ed  alla  mol- 
lezza, e  perdevano  quel  vigore  e  quella  maschia  fermezza ,  che 
conservavano  le  legioni  del  Nord  dell'Europa  sempre  alla  pre- 
senza d'indomiti  nemici  amanti  della  propria  libertà. 

Ed  infatti  Cesare  ritornato  dalle  Gallio  batteva  in  Farsaglia  le 
numerose  schiere  di  Pompeo  :  Ottavio  Augusto  vinceva  Antonio 
amante  e  protettore  di  Cleopatra ,  ed  in  tutte  le  lotte  posteriori 
sino  a  Costantino  il  Grande,  sempre  prevalsero  coloro  che  reduci 
dalie  Gallio  e  dalla  Pannonia  sebbene  con  forze  minori  debella- 
vano le  effeminate  legioni  dell'Oriente. 

Costantino  nell'anno  3ii  d.  d  traversando  celermente  le  Alpi 


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BELLE  ARTI  E  CIVILTÀ*  465 

con  40  mila  soldati  scelti,  batteva  presso  Susa  il  suo  competitore 
Massenzio  che  comandava  un'armata  poderosissima.  In  Verona  di- 
sperdeva un'altra  armata,  ed  al  Ponte  Milvio  alla  vista  della  Città 
etema  guidato  dal  sacro  vessillo  della  Croce  (Labarum)  rinversava 
con  una  impetuosa  carica  i  nemici  e  lo  stesso  Massenzio  nel  Te- 
vere. Restava  tuttavia  Licinio  col  quale  momentaneamente  dovette 
dividersi  V  Impero ,  ma  venuto  Costantino  in  contesa  con  questo 
crudelissimo  compagno,  lo  batteva  in  Laybach  Aemonia  ed  a  Ct- 
balis  nella  Pannonia,  e  Analmente  dopo  di  averlo  distrutto  presso 
Adrianopoli  e  Bizanzio ,  restava  solo  Signore  di  tutto  V  impero 
romano. 

Si  può  asserire  che  con  Costantino  un'Era  novella  cominciava 
in  tutto  il  mondo  romano ,  e  particolarmente  V  Oriente  risorgeva 
a  nuova  vita  per  la  fondazione  di  Costantinopoli  che  divenne  un 
centro  che  dovea  rivaleggiare  con  la  capitale  dell'antico  impero, 

Costantino  il  Grande  impediva  con  la  sua  saggezza  quella  scel- 
lerata persecuzione  da  tanto  tempo  sofiTerta  dai  Cristiani ,  e  ad 
essi  concedeva  i  dritti  civili  che  godevano  tutti  i  romani.  Il  va- 
lore personale  di  Costantino,  e  le  sue  splendide  vittorie  V  innal- 
zaroilo  ad  una  signoria  senza  rivali,  e  quindi  il  suo  orgoglio  ed 
assolutismo  non  si  potò  accomodare  alle  antiche  forme  repubbli- 
cane che  tuttavia  esistevano  nel  Senato  di  Roma,  dove  ancorasi 
respirava  quell'atmosfera  degli  antichi  tribuni  della  plebe. 

Le  belle  arti  nel  tempo  di  Costantino  erano  cosi  decadute  da 
non  poter  gareggiare  in  bellezza  e  grandiosità  con  gl'innumere- 
voli monumenti  di  Roma  innalzati  dai  suoi  antecessori,  ed  il  suo 
Arco  di  trionfo  del  Campo  Vaccino  presso  il  Colosseo ,  dimostra 
r  insuflScienza  degli  artisti  di  quel  tempo ,  i  quali  appena  pote- 
rono improvvisare  queir  edifìzio  raccogliendo  ed  accozzando  vari 
ruderi  dei  monumenti  cadenti  per  vetustà  ed  incuria.  Il  così  detto 
Battistero  attribuito  da  taluni,  forse  impropriamente,  a  Costantino, 
è  un  ediflzio  senza  originalità  nò  purezza  di  forme,  ma  solamente 
si  nota  la  profusione  e  la  goffagine  degli  ornati. 

Nella  sua  breve  dimora  in  Roma  Costantino  si  accorse  di  non 
potere  immortalare  il  suo  nome  e  la  sua  stirpe  con  opere  che 
.sorpassassero  la  magnificenza  di  quelle  esistenti;  nò  primeggiare 
tra  tante  illustri  famiglie  di  Re,  di  Consoli ,  Tribuni  ed  Impera- 
tori che  aveano  creato  la  grandezza  dell'impero  romano,  e  quindi 
le  reminiscenze  esistenti  nell'antica  Capitale  del  mondo  essendo  un 
ostacolo  alla  sua  ambizione  ed  al  suo  assolutismo,  lo  facevano  ri- 


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466  NUOVE  BPPBMEKIOI  SICILIANE     ' 

solvere  a  fondare  una  nuova  Capitale  e  costruirla  in  una  posi* 
zione  centrale  e  propizia  per  dominare  le  provincie  dell'Asia,  dei- 
TAfrica  e  delP  Europa. 

Nel  Bosforo  e  presso  il  luogo  stesso  dove  Costantino  avea  bat- 
tuto Licinio,  innalzò  Costantinopoli  sopra  sette  Colli  ad  imitazione 
di  Roma. 

Le  descrizioni  delle  bellezze  naturali  di  questa  nuova  Ciltà 
che  si  leggono  in  vari  scrittori  antichi  e  moderni  sono  superflue 
a  riferire ,  e  basta  quanto  ne  dice  V  isterico  inglese  Gibbon  nel 
lo  volume,  cap.  VII,  della  sua  opera  sulla  dacadenza  e  rovina  del- 
IMmpero  romano. 

Costantino  per  giustificare  la  sua  vanità,  e  dare  sfogo  al  suo  i- 
stinto  superstizioso,  gettava  le  fondamenta  di  Costantinopoli  per 
ubbidire  ai  comandi  di  Dio.  Pro  commoditate  Urbis  ^  quam  mia- 
temo  nomine,  jubente  Beo,  donavimm ,  e  con  riti  quasi  pagani  e 
processioni.  V  imperatore  guidato  da  Lui,  V  invisibile  guida  ,  sta- 
biliva i  limiti  della  vastissima  Capitale  in  tese  francesi  7800  se- 
condo il  Danville. 

La  Grecia,  l'Egitto ,  TAsla  minore  furono  spogliate  da  questo 
nuovo  Yefre  di  tutte  le  più  belle  opere  d'arte  che  non  si  erano 
trasportate  in  Roma,  e  in  breve  Costantinopoli  conteneva  le  più 
belle  opere  di  Fidia,  di  Prassilele  e  di  tanti  rinomati  artisti;  ma 
con  tutto  ciò  volendo  nel  giorno  natalizio  della  Città  che  la  sua 
statua  fosse  accompagnata  da  una  processione  con  grande  pompa, 
questa  statua  di  Costantino  fu  rozzamente  scolpita  in  legno,  e  do- 
rala per  occultarne  la  materia. 

In  pochissimo  tempo  e  a  furia  furono  terminate  le  mura  della 
Città,  i  portici  e  gH  edifizi  principali;  ma  le  imperfezioni  di  quelle 
costruzioni  furono  tali  da  doverle  nuovamente  rifare  e  alla  meglio 
restaurare.  La  costruzione  <lelle  mura  occidentali  si  cominciava  al 
4  novembre  dell'anno  326  d.  C.  Due  grandi  piazze  adomate  di 
portici  ed  innumerevoli  colonne  svelte  da  antichi  monumenti  de- 
coravano la  piazza  di  Augusta  Elena,  e  quella  che  portava  il  no- 
me delF  imperatore  stesso.  Nel  centro  di  quest'  ultima  sopra  un 
piedestallo  s^  inalzava  una  colonna  di  porfido  con  la  statua  di  A- 
pollo  raggiante  di  luce  in  cui  gli  adulatori  raffiguravano  una  im- 
magine dell'imperatore. 

L' ippodromo  era  un  grande,  edifizio  di  400  passi  lungo  e  100 
largo  adornato  con  belle  statue  ed  obelischi,  e  del  famoso  tripode 
consacrato  dagli  antichi  greci  nel  santuario  di  Delfo.  Presso  Pip- 

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BELLE  ARTI  E  CIVILTÀ^  467 

podromo  fece  cosiruire  Costantino  il  suo  imperlai  Palazzo  con 
grandiosi  cortili  circondati  di  portici  e  giardini  sontuosi;  e  non 
solamente  faceva  costruire  grandi  teairi  ed  anfiteatri,  bagni,  e  la 
casa  di  città ,  ma  fece  edificare  sontuosi  palazzi  per  invogliare  i 
senatori  e  le  più  cospicue  famiglie  dell'impero  a  venire  ad  abi- 
tare nella  nuova  Roma  (1).  Le  innumerevoli  opere  che  fece  co- 
struire Costantino  nella  città  che  dovea  portare  il  suo  nome,  sono 
rapportate  da  moltissimi  antichi  scrittori,  e  la  enumerazione  fatta 
da  Anna  Comneno  delle  opere  d'arte  che  distrussero  i  Crociat 
alla  presa  di  Costantinopoli ,  ne  attesta  la  quantità  e  la  bellezza 
delle  opere  perdute  per  l'ingordigia  dei  barbari  campioni  della 
Croce,  eccettuati  i  Veneziani,  i  quali  più  cufti  dei  soldati  d^  Oc- 
cidente salvarono  tanti  capolavori  d'arte,  tra  i  quali  si  noverano 
i  cavalli  di  bronzo  che  oggi  adomano  il  frontone  del  S.  Marco 
di  Venezia. 

Con  le  spoglie  ricavale  dagli  antichi  monimienti  delle  eulte 
Provincie  dell'  Oriente  ,  in  breve  tempo  divenne  Costantinopoli 
un  centro  di  ricchezza,  di  lusso  e  di  sapere;  e  l'ammirazione  che 
destavano  le  opere  di  Fidia  e  di  Prassitele  richiamava  alla  me- 
moria del  popolo  greco  bizantino,  l' istoria  e  l' antica  letteratura 
dei  loro  antenati,  e  quindi  un  risorgimento  novello  si  verificò  in 
Oriente  senza  comunicarsi  a  tutto  l' impero  romano. 

Le  opere  che  si  costruirono  dal  tempo  di  Costantino  sino  a 
Teodosio  presero  un  carattere  speciale ,  particolarmente  nelP  ar- 
chitettura sacra ,  la  quale  per  maggiormente  allontanarsi  dalle 
forme  dei  tempi  del  paganesimo,  prese  una  forma  organica  tutta 
nuova.  Si  perdeva  ogni  rilievo  o  sporgenza  nei  membri  architet- 
tonici, supplendo  però  murate  intere  con  ricchi  ornamenti,  pre- 
ziose intarsiature  di  marmi,  o  musaici  con  ornali  sopra  un  fondo 
d'oro  per  dimostrare  la  ricchezza  e  la  ostentazione  del  lusso  o- 
rientale. 

L'arte  nuova  che  si  diffuse  in  tutto  l'impero  d'oriente,  armo- 
nizzava con  la  civiltà  di  quel  tempo  e  veniva  rivestita  di  quella 
superfluità  d'ornati  e  di  particolari  futili  e  capricciosi  a  somi- 
glianza di  quelle  nuove  forme  organiche  sociali  e  governative 
dell'impero  bizantino. 

Una  delle  prime  chiese  cristiane  attribuite  a  Costantino  fu 
quella  dedicata  agli  Apostoli   rivestila  tutta  di  variati  e  preziosi 


<l)  Weber,  tteschichle  des  romìscfeen  Kaiserreichs;  voi.  i,  pa^.  K2I  e  ri22. 


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468  NUOYE  BFFeMERIDI  SICILIANE 

marmi ,  e  la  Chiesa  di  S.  Sofia  cominciata  nel  360  della  nostra 
Era,  la  quale  bruciava^  nel  404  (1),  e,  dopo  fatta  costruire  dalFar- 
chitetto  Rufino  con  volte  per  ordine  delP Imperatore  Teodosio; 
la  Cupola  ne  crollava. 

Sant'Elena  fece  costruire  molte  chiese  in  Palestina  che  si  pos- 
sono considerare  come  veri  archetipi  deir  architettura  detta  Bi- 
zantina, e  fra  queste  primeggiano  la  chiesa  del  Santo  Sepolcro, 
che  fu  diflformata  nella  grande  nstaurazione  fatta  nel  XII  secolo, 
e  la  basilica  consacrata  alla  madre  di  Dio  in  Betlem  (2). 

Il  più  bel  tipo  però  deir  architettura  bizantina  è  la  Chiesa  di 
Santa  Sofia  fatta  per  la  terza  volta  ricostruire  da  Giustiniano  dal- 
Tarchitetto  Antemio  assistito  da  Isidoro  da  Mileto  nel  530  al  537. 

Questa  novella  arte  prevalse  in  tutto  r  impero  d^  Oriente,  e  si 
diffuse  sino  alle  eoste  delPAdrìatico  e  alla  Sicilia,  ed  in  tempi  po- 
steriori penetrò  nelle  Russie. 

La  mancanza  che  si  nota  sin  dai  primordi  di  questa  nuova  arte 
è  quella  della  scultura  figurativa ,  che  venne  abolita  in  odio  al 
politeismo;  ma  allorché  fu  ripresa  dopo  molto  tempo  si  erano  già 
<limenticate  le  forme  ed  il  gusto  antico;  e  quindi  sorse  sotto  un 
nuovo  ordine  d^  idee  e  di  principi  religiosi  molto  differenti.  Nei 
musaici  bizantini  primeggiano  sempre  la  figura  del  Redentore,  le 
immagini  della  Vergine  madre  dì  Dio,  le  figure  degli  Apostoli  e 
dei  Santi,  e  rappresentazioni  dei  fatti  principali  del  nuovo  e  del 
vecchio  testamento  quasi  sempre  in  compartimenti  sopra  fondi  do- 
rati. La  forma  dei  tempi  pagani  fu  parimente  abolita,  e  la  basi- 
lica venne  convertita  in  Chiesa.  Neil'  Oriente  però  prevalsero  gli 
edifizi  circolari  o  poligonali  sormontati  da  cupole  dorate  quasi 
prive  di  luce,  sempre  con  tre  absidi  destinate,  quella  centrale  al- 
l'altare con  r  immagine  del  Salvadore,  e  le  altre  per  gli  Apostoli 
Pietro  e  Paolo. 

Noi  ci  proponghiamo  nei  seguenti  capitoli  di  trattare  più  dif- 
fusamente delle  arti  dopo  la  divisione  dell'impero  romano  in  due 
ramificazioni  principali,  cioè  le  arti  e  la  civiltà  in  Oriente  e  nel- 
r  Occidente. 


(1)  Si  può  consultare  la  bella  opera  di  Sàlzenberg  pubblicata  per  cura  del  Mini- 
stero Prussiano  sulla  S.  Sofia  di  Costantinopoli. 

(2)  Vedi  Lcs  Eglises  de  la  terre  sainte  par  le  Comte  Melchior  De  Vogue.  Quest'o- 
pera pubblicata  a  Parigi  nel  id60,  ò  multo  interessante  per  le  ricerche  storiche  fallo 
dairautore,  per  la  precisione  dd  esattezza  dei  disegni,  e  per  le  conoscenze  artistiche 
d«U'autore,  il  quale  sa  ben  distinguere  in  quelle  chiese  le  rinnovazioni  posteriori. 


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BELLE  ARTI  E  aVILTx"  469 

Deipari  e  orientale  o  Bizantina  noteremo  i  monumenti  principali 
che  la  caratterizzano,  e  tratteremo  poscia  dalle  diramazioni  di 
quest'arte  nelle  altre  provincie  conservando  il  suo  tipo  originario 
nell'Asia  minore,  sulle  rive  deirAdrìatico,  neir  Italia  meridionale 
ed  in  Russia. 

Tratteremo  con  specialità  della  trasformazione  che  subì  V  arta 
bizantina  sotto  V  influenza  degli  arabi  seguendone  tutte  le  parti- 
colarità che  si  vedono  in  Egitto,  in  Persia,  In  Ispagna  ed  in  Si- 
cilia registrandone  i  monumenti  più  notevoli. 

L^arte  occidentale  la  descrìveremo  cominciando  della  distruzione 
dei  tempi  del  Politeismo  sino  alPordinamento  delle  nuove  forme 
nei  primi  tempi  Cristiani,  neir  epoca  dei  Carolingi ,  sotto  i  Lon- 
gobardi neir  Ituiia ,  e  dei  Franchi  ed  i  Sassoni  in  Germania  ed 
Inghilterra,  e  sotto  i  Normanni  in  Francia,  in  Inghilterra,  e  nel- 
r  Italia  meridionale.  Noteremo  in  varie  tabelle  i  monumenti  di 
maggiore  interesse  che  caratterizzano  lo  stile  delle  varie  epoche, 
e  finalmente  ragioneremo  deirarchìtettura  Ogivale  e  sui  varianti 
sino  al  cosi  detto  risorgimento  delle  arti.  In  capitoli  separati  trat- 
teremo degli  elementi  classici  che  si  conservarono  neir  Italia  cen- 
trale sino  a  Lapo  e  Brunellesco,  e  delle  incrostazioni  esteme  delle 
fabbriche  come  ricordanza  dell' architettura  policroma  degli  an- 
tichi ;  e  ci  occuperemo  in  ultimo  dell  '  architettura  feudale,  delle 
case  comunali,  de' palagi  dei  nobili  e  ricchi  cittadini  che  abban- 
donando i  loro  castelli,  si  diedero  ad  una  vita  più  sociale  e  civile 
abitando  quelle  grandi  città  che  divennero  poscia  tanti  centri  di 
civiltà  e  di  belle  arti. 

D.r  Saverio  Cavallari 


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DI  GIOVANNI  NASO 

K  DELLA  INTRODUZIONE  DELL'AHTE  TIPOGRAFICA  IN  PALERMO 


Giovanni  Naso  da  Corleone,  detto  per  antonomasia  il  Siciliano, 
appartenne  a  quella  eletta  schiera  di  dotti  e  di  letterati  che  nella 
seconda  metà  del  secolo  XV  accrescevan  lustro  e  decoro  all'Isola 
na<^tra  e  che  insieme  al  magnanimo  Alfonso,  il  fondatore  del  ri- 
nomato studio  di  Catania ,  il  protettore  e  V  amico  delle  lettere  e 
e  dei  letterati ,  adoperavansi  con  tutta  efficacia  a  spingere  nella 
via  del  progresso  la  generale  coltura.  Le  scarse  memorie  che 
di  lui  ci  rimangono,  lo  danno  a  divedere  per  uom  dotto  ed  eru- 
dito almeno  secondo  i  suoi  tempi  (1)  ;  ed  il  celebre  Lucio  Ma- 
rineo  da  Yizzini ,  che  fu  suo  discepolo,  ebbe  a  dir  di  lui  che  se 
la  morte  non.  Tavesse  immaturamente  rapito ,  per  virtù  poetica 
e  per  nobiltà  di  verso  egli  avrebbe  potuto  gareggiar  co'  più 
grandi,  e  perfln  collo  stesso  Virgilio  (2). 

Alle  poche  notizie  che  intorno  al  Naso  forniscono  gli  scrittori 
di  cose  letterarie  siciliane,  alcune  altre  mi  è  dato  di  aggiun- 
gerne che  la  sua  vita  direttamente  riguardano ,  o  che  il  valor 
letterario  di  lui  con  novelle  prove  addimostrano.  Queste  no- 
tizie che  han  dato  occasione  al  presente  scritto,  ricavansi  prin- 
cipalmente da  taluni  documenti  inediti  esistenti  neirarchivio  del 
Comune  di  Palermo,  i  quali  come  degni  di  nota  per  più  d'un  ri- 
guardo, non  credo  inutile  il  pubblicare.  E  poiché  il  nome  di  Gio- 
vanni Naso  legasi  strettamente  alla  introduzione  dell'arte  tipo- 
grafica in  Palermo,  anzi  per  questo  appunto  il  nome  di  lui  si 
raccomanda  alla  posterità,  mi  lusingo  che  non  sarà  discaro  ai  lettori 
ch'io  m'intrattenga  di  questo  avvenimento  importantissimo,  tanto 
più  che  la  inesausta  fonte  onde  ho  attinto  le  notizie  di  sopra 

(1)  MoNGiTOBE  Biblioth.  Sieula,  toin.  I  p:ig  355.—  Narbone  Storia  Letteraria  di 
Sicilia,  tom.  X,  lib.  HI.  Gap.  III.  pug.  446  e  scg.;  tom.  XI.  lib.  Ili,  cap.  VII.  p.  79 
e  tom.  XII,  Appendice  III,  pig.  73  e  scgg. 

(2)  Lccii  Marinbi  epìitolae.  lib.  V ,  epiil.  ad  Culaldum  Parisium,  Ediz.  di  Va- 
gliadolid.  15i6. 


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DI  UIOVANM  NASO   EC  471 

cennate,  offre  qualche  altro  documento  onde  nuova  luce  deriva 
eziandio  su  tale  assunto. 
Da  un  privilegio  del  Municipio  di .  Palermo  (i)   risulta   che 


<i)  Stimo  opportuno  pubblicar  qui  il  ilocumento  sopracitato  perchè    mi  sembrA 
Miteressuute  anche  in  riguardo  alla  storia  delle  vicende  della  pubblica. istrusione. 

Jhesu!i 

Uniyprsitas  felicis  urbis  panormi  prestanti  vivo  inlianni  nasini  siculo  saluleuu 
><*um  olim  te  in  i  oapolitano  stadio  publice  actu  legeniem  in  liane  felicem  urbero  ad 
«amdem  lecturnm  conduxissemu.s,  constitulo  tibi  qnoiibet  anno  dum  legens  (ile)  nn- 
-ciaruni  vigilili  saiariu  praut  in  quadam  provisione  iiosiru  sub  daia  panurmi  xxvj 
^augusti  quarte  indiclionìs  pruxiine  preterite  laciu.sconlinetur.  cuius  provisioniscujn 
sigillo  pendente  lenor  per  omnia  lalis  est. —  Universitas  felicis  urbis  panormi  pre- 
stanti viro  iohanni  nasoni  agnoniento  sìculo  salutem  «onsueverunt  patres  et  maìo- 
res  nostri  quociens  hanc  urbem  bonarum  artium  precepturibus  carere  contigli  ali- 
<qucni  clarum  viru.n  a  longioribus  etiam  pariibus  puljblico  salario  conducer»,  ne 
udolescentes  nostre  urbis  civium  filii  rclittis  bonarum  arliuai  sludiis  lasciviis  ine- 
pliis(]iie  iluiutaxnt  openm  darent.  volentes  igitur  iios  ipsoriiin  huiusinodi  lauda- 
bilem  consueludinein  ac  scieniiarn  soqiie  adolescenti busque  et  bis  qui  dooliores  fieri 
^upiunt  optimum  preceptorem  tradere  te  tandem  e  numero  multonim  qui  in  mon- 
-cium  nostraruin  cxamine  occurrerunl  elegimus.  tuqne  muhisequidem  ultra  salarium 
pubblicum  muneribus  donabere  qui  bus  protetto  neinu  uiiquam  alias  donalus  extitil, 
teque  onines  miruni  in  loodun  amabimus  colemiisque.  tenore  igitur  pre^entis  pri- 
\ilegii  pablicum  salarium  unciariura  xx*'  buhis  Sicilie  regni  monete  priyatoram  sco- 
larium  salario  in  tua  voluntate  et  arbitrio  resenrato  de  et  ex  iuribus  et  redditibus 
c^ibelle  carnium  diete  urbis  exolvendura  consliturmus  decernimus  ac  dare  solvere 
et  assignare  annìs  singulis  pollicemur  et  nos  sollemniter  obligamus  iuramusque. 
quocìrca  nobili  eiusdem  urbis  Ibesaurario  diciraus  et  mandamus  quod  de  dicto  un- 
ciarum  xx^^  salario  ex  diete  Gabelle  iuribus  et  redditibus  dum  legeres  annis  sin- 
gulis iuxta  presentis  privrlegii  seriem  respondeat  et  per  qnos  deceat  faciat  integre 
Tesponderi.  in  cuius  rei  testimonium  presens  privilegium  (ieri  iussimiis  subscrìptio- 
niBus  nostris  ac  sigillo  communi  nostro  inpendenti  roboratum.  actuin  et  datum 
in  eadem  urbt!  diexxvj  mcnsis  augusti  quarte  indictionis  m*cccclx\j*.  f  no6  petrus 
de  speciali  miles  et  pretor  confirraamus  f  iacobu  di  bu legna  iuratns  «t  prìor  f  gul- 
lelmu  ramnndu  rìmbau  iuratu  f  cx>la  castillitta  iuratu  f  iobanni  baiamunli  iuratu  f 
johanni  pelm  di  rìgio  iuratu,  Postea  vero  anno  viiij*  indictionis  cnm  uecessitatibus 
qiiibusdam  urgenlibus  de  dicto  salario  uncias  decem  deduxissemus,  tu  eam  deduc- 
tionem  semper  graviler  pertulisti  eoque  sub  spe  consequendi  uncias  dictas  xx^*  quo- 
libet  anno  a  serviciis  illustrissimi  domini  ferdinaiidi  ulterioris  Sicilie  regis  a  dicto 
neapolilano  studio  ubi  condnctus  eras  pabl^lico  salario  disceasisti.  et  facta  per  te 
maxima  nobis  instantia  ut  ssilarium  predìctum  unciarum  xx'*  totum  reintegra- 
re vellemus  attento  etiam  quod  prò  cancellano  te  nobis  oflerres  ad  componen- 
dum  scilicet  litteras  et  epistolas  Ialino  sermone  ad  viros  egregios  faciendas  si  quando 
opus  forel  et  nobis  piacerei  fuittandem  per  nos  civium  ad  sufficientem  numerum 
convocato  Consilio  provisum  ac  ita  harum  serie  providemus  quod  tibi  sit  et  esse  de- 
beat totum  integnim  dittanim  unciarum  xx**  salarium  restitutum  quod  tibi  resti - 


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472  NUOVE  EFFEHEIUDI  SICILIANE 

fino  al  1471  Giovanni  Naso  professava  lettere  nello  studio  di 
Napoli.  In  queir  anno  medesimo  era  egli  chiamato  in  Paler- 
mo allo  stesso  ufficio,  col  salario  di  onze  venti  annuali.  Ma 
grazie  alle  strettezze  finanziarie  in  cui  per  avventura  trovavasi 
allora  il  Comune,  il  detto  stipendio  nel  1475  veniva  ridotto  ad 
oncie  dieci;  di  che  il  Naso  ebbe  a  muover  lamento,  adducendo 
di  aver  lasciato  il  servizio  di  re  Ferrante  di  Napoli  in  conside- 
razione della  convenienza  maggiore  che  gli  offeriva  Palermo.-  Due 
anni  dopo,  cioè  nel  1477,  il  Comune  accoglieva  le  di  lui  rimo- 
stranze, e  in  riguardo  del  servizio  di  cancelliere  che  oltre  a  quello 
di  pubblico  lettore  egli  si  offeriva  a  prestare ,  ad  componendtm 
scilicet  litteras  et  epistolas  latino  sermone  ad  viros  egregioSy  si  quando 
opus  forety  reintegravate  nel  godimento  del  primitivo  stipendio  (1). 

taimus  ac  reintegrainus  ioxta  diui  prescripti  privilegii  seriem  pleiiiorem  cum  pre- 

dicto  monère  cancellarìatnsadiunclo,  idcirco  nobili  eidem  noslre  universilalis  thesau- 

rario  dicimus  et  Dnandamus  quatenus  de  diclo  unciarum  vigiliti  salario  ex  quibusvis 

nostre  uni  versi  latis  luribns  et  redditibus  quibuscnmque  annis   singalis   libi   duna 

legtris  iuxta  prescripti  privilegii  seriem  respondeat  etresponderi  faciat eflffctive.  da* 

tum  panormi  xxij  febraarii  decime  indictionis  m*cccclxxvij*. 

t  nos  Simon  de  septimo  miles  et  pretor 

f  ea  iohanni  adama  priolo  et  iurata 

t  ego  alferius  de  leophante  inralns 

t  ego  Simon  de  calvellis  iuratus 

t  ego  guilielmns  ramandns  rimbaus  iaratos 

f  eu  francisca  di  vintimigla  iuratus 

t 

(in  ultima  crucc  non  est  signatus  ioraius  quia  fuil  mnrtuas^i. 

Nola  marginale  :  X*  madii  x*  indictionis  prefaius  nobilis  ioannis  inposse  ma- 
gnifici preloris  prestitit  iuramentum  tactis  scripturis  de  bene  fidcliter  et  legalitcr  ex- 
ercendo  ipsum  officium  cancellarii  et  sic  bnbiiit  possessionein  dicti  oflScii. 

lìeg.  di  Attit  Bandi  e  Prowiile  del  Comune  di  Palermo^  X*  indizione  1476-77. 
fol.  fifivirso  e  seg};. 

(1)  \\  documento  di  cui  sopra  bo  tenuto  discorso  segna,  se  non  m'inganno,  Tori- 
gine  della  carica  di  Caneelliere  del  Senalo  di  Palermo.  Gl'intendenti  delle  cose  no- 
stre sanno  cbe  correva  differenza  tra  il  Cancelliere  ed  il  Maestro  Nolaro  de*  du- 
rati che  era  il  vero  segretario  del  nostro  Magistrato  municipale  e  che  dovette  avere 
origine  comune  ai  Giurati,  mentre  il  Caneelliere  era  quell'ufficiale  che  avea  Tinca- 
rico  di  tenere  la  corrispondenza  del  sapremo  Magistrato  della  città  colle  persone 
di  riguardo.  Che  quest'ultima  carica  sia  stata  creata  in  occasione  dell'offerta  fatta 
dal  Naso  mi  par  che  risulti  dal  conlesto  del  documento  anzidetto.  Cosi  si  spiega 
benissimo  il  concorso  del  volo  del  consiglio  civico  evidentemente  richiesto  per  la 
istituzione  di  una  carica  nuova  cbe  dopo  il  1477  comincia  a  figurare  negli  elenchi 
degli  ufficiali  annuali  e 'perpetui  del  comune  premessi  d'ordinario  ai  registri  di  atti 
bandi  e  proviste. 

Questa  carica  fu  sempre  occupata  da  uomini  di  lellere ,  tra'  quali  vanno  prìnci- 


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DI  GIOVANNI  NASO  EG.  473 

Pochissimi  sono  invero  gli  scritti  che  del  nostro  Giovanni  ci  son 
pervenuti.  Quello  onde  a  lui  derivò  maggior  rinomanza  è  un  poe* 
metto  in  esametri  latini  in  cui  prese  a  descrivere  le  solenni  fe- 
ste celebrate  in  Palermo  in  occasione  della  resa  di  Barcellona  di 
Spagna  (1472).  Un  Alfonso  da  Segura,  spagnuolo  e  discepolo  di 
Lucio  Marineo ,  così  ne  scriveva  «  Post  annum  inde  Panormum 
«  ad  Ioannem  Nasonem,  cognamento  Siculum^  transit.  Hic  est  ille 
«  Ioannes  Naso  cuius  extat  opus  heroicum  de  celebritate  rerum 
f  quas  Panormum.  (leg.  Panormus)  edit  quum  Barcinona  Gothalana 
e  civilas  rebellis  Ioanni  regi  in  deditionem  post  decem  annos  se 
«  subiecit  (1)  ». 

Un  altro  carme  latino  del  Naso  è  quello  in  lode  de'  Trapanesi, 
scritto  nel  1476.  Serpeggiava  in  quel  tempo  la  pestilenza  in  I- 
talia  e  in  Oriente.  La  Sicilia  era  stata  troppo  di  frequente  afflitta 
da  quel  terrìbile  flagello;  indi  la  costernazione  generale  del  po- 
polo e  la  sollecitudine  veramente  esemplare  dei  magistrati  mu- 
nicipali di  tutte  le  città  e  terre  deir  Isola  che  adoperavansi  a 
tutt^uomo  di  scongiurare  il  perìcolo  della  invasione  del  morbo  e- 
sizìale.  I  Giurati  ed  il  popolo  della  città  dì  Trapani  si  distinsero 
sopra  gli  altri  ed  ebber  la  fortuna  di  riuscire,  almen  per  quella 
volta,  ad  allontanare  il  grave  disastro.  Il  Municipio  palermitano 
attestava  alla  città  sorella  la  sua  gratitudine  e  la  sua  ammirazione 
per  mezzo  dei  versi  del  Naso  il  quale  in  qualità  di  cancelliere 
'pel  Comune  e  di  riputato  poeta  ebbe  incarico  di  dettarli.  Questi 

palmcnie  ricordati  Bartolo  Sirillo  (morto  a  Madrid  nel  i598)  terso  ed  elegante 
scrittore  di  prose  e  poesie  italiane,  etl  autore  della  Tragedia  diS.  Calei'itui  che,  i- 
nediU  tuttora  fra  i  manoscrilti  della  nostra  biblioteca  comunale,  aspetta  una  mano 
pietosa  che  la  sottragga  alla  ingiusta  dimenticanza;  —  Filippo  Paruia  (morto  nel 
1629)  autore  della  Sieil'a  descritta  eim  metiaglie  —  il  primo  libro  di  numismatica 
che  siasi  forse  pubblicato  in  Italia  —  anch*egli  non  dispregevole  scrittore  italiano; 
Francesco  Barone  e  Manfredi  da  Morreale  (morto  in  esilio  a  Gaeta  nel  1664)  nomo 
eruditissimo,  autore  di  parecchio  opere  in  difesa  dei  patrii  privilegi,  celebre  per  la 
parte  ch'egli  ebbe  nella  sommossa  del  1617,  ma  più  ancora  per  la  persecuzione 
alliratasi  dal  tribunale  della  santa  Inquisizione;  —  e  Francesco  Strada  notissimo 
autore  del  libro  intitolato  Le (//om  'lelC Aquila  trionfante  scrino  in  risposta  all'altro 
libro  non  men  famoso  del  gesuita  messinese  Placido  Reina  che  porta  per  titolo 
Lldra  decapitata,  documenti  entrambi  delle  lacrimevoli  e  V"rgognose  gare  munici- 
pali che  fuion  cagione  di  tanti  danni,  non  pure  alle  due  più  cospicue  città  deU'  1- 
i*Aiì,  ma  ben  puri!  alla  Sicilia  tutta. 

(I)  Epistola  de  lauditms  Lucii  Marinei  —  Tra  le  epistole  del  Marineo,  lib.  VI  ; 
ediz.  di  Vaglindolid  citata.  Questa  epistola  fu  riprodotta  dallo  Schiavo  nel  voi.  II 
delle  Memorie  per  servire  alla  Storia  Letteraria  di  Sicilia  a  pag.  306. 


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474  NVOYE  EFPniBBlDl  SHUUANE 

versi  se  non  posson  dirsi  modello  di  latina  eleganza ,  si  dislin- 
guono  per  cerla  spontaneità,  che  non  dispiace.  Essi  son  trascritti 
in  un  registro  di  atti  del  Municipio  donde  li  ho  copiati ,  e  non 
credo  inutile  il  pubblicarli,  non  foss'allro,  come  saggio  della  dif- 
ferente maniera  di  vedere  tra  il  nostro  secolo  mercantile  il  quale 
par  che  goda  di  dilatare  le  vie  a  quel  morbo  asiatico  che  va  sr 
spesso  desolando  TEuropa,  ed  il  secolo  di  Alfonso  che  voleva  u- 
sate  tutte  le  precauzioni  possibili  onde  evitare  i  morbi  epidemici 
e  contagiosi,  e  giudicava  degni  della  pubblica  benemerenza,  più 
che  altri ,  coloro  che  a  siffatto  intento  si  fossero  in  ogni  modo 
cooperati  (1). 

(1)  lluc  ubi  fttlx  lapsa  est  de  coelo  tincU  cruore 

El  DrcpAiium  ds  m  nonioaliira  fuit, 
Vexit  ab  infecto  fanesUm  Duper  ibero 

IiìMiK  pestifero  munere  mìssa  laem. 
Illa  8cd  ut  primuui  laelain  descendit  in  urbem 

Gaiidet  esperalis  impia  fnneribus 
S(>einque  cipit  populos  el  cunctas  Iriiiacris  uras» 

Miscere  insidiìs  perniciosa  suis 
llospitii  primum  temeravit  iur/i  fidemque 

Cruda  patri  naiw  eripiendo  duos 
Exiu  furti vum  sufTundeiis  diva  veuenum 

Serpebal  tacita  contagione  domos, 
Serisil  cura  patrum  medits  in  moenibus  >iot>tuai 

Alqne  freqnens  celeri  pellere  ccrtat  ope. 
Nil  iroprovisum:  nil  quod  mortalis  egestas 
Invenit  auxilio  deseruere  patres. 
Per  siculas  urbes  caveant  contagia  cladis 

Scribitur:  atque  ipsi  nil  minus  illa  cavent. 
Hos  servare  inbent,  illos  exire,  redire 

lam  nuUos:  alios  conti noere  domi 
Oiducunt  plures:  portae  claudunlnr  in  uno. 

Hoc  pariter  cunctos  invigilare  vides. 
Nec  puerì  cessant:  matres  castaeque  pucllae 

Sacra  deosque  pia  poscere  tempia  prece. 
Audiit  omnipotens  sollertnm  vota  precesque 

Propitios  meruit  provida  cura  deos. 
Nam  sic  illa  sibi  minus  indignata  refogit 

Irrita  bis  voti  non  redi  tura  sui 
Urbs  modo  iam  poscat  victricis  praemia  palmae 

Per  quam  Trinacriae.  pestifer  arbor  abest  • 
A  Scilicet  Alciden  mendax  sua  Graecia  iacUt 

Monstra  quae  domnit  terribilesque  feras, 
Plus  tamen  est  peslem  quam  vincere  monsira  ferasque 

Cum  dts  mortales  conscruisse  maous 


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01  GIOVANNI  NASO   EG.  475 

Il  SUO  distico  in  cui  accennasi  alia  pretesa  alleanza  tra  Palermo 
e  la  Romana  repubblica  fu  riportato  da  me  nello  scrittarello  sul 
documento  riguardante  Tanlica  porta  di  Busuemì.  Anch'esso  levò 
molto  grido,  e  non  è  quasi  scrittore  che  tratti  deirorigine  e  del- 
Tantichità  di  Palermo  che  non  lo  riferisca. 

Oltre  a  questi  scritti  abbiamo  ancora  di  lui  una  raccolta  di  detti 
di  celebri  Siracusani  desunta  dagli  apoftegmi  di  Plutarco,  pubblicata 
come  appendice  ad  un'  opera  di  Cristoforo  Scobar  de  rebw  prae- 
claris  Syracusanis  (l\  e  finabnente  la  prefazione  o  piuttosto  let- 
tera dedicatoria  premessa  alla  edizione  principe  delle  Consuetudines 
urbis  Panhormi  eseguita  in  Palermo  nel  1478  sotto  la  di  lui  di- 
rezione. 

In  questo  scritto  il  Naso  ci  lasciò  la  storia  della  introduzione 
dell'arte  tipografica  in  Palermo.  Eccomi  dunque  alla  seconda  parte 
della  mia  trattazione  poiché  T  ordine  slesso  delle  cose  mi  vi  con- 
duce. All'uopo  io  farò  principalmente  tesoro  delle  notizie  che  lo 


Scilicet  ul  quondam  vicirix  e\  hoste  redibal 

Destra  triumphintes  alta  re^ebal  equas. 
Est  mortale  tamen  roortales  vincere  vires 

Devicta  nulli  gloria  peste  fuil 
Vendicet  hanc  Drepanuro  cerio  sibi  pignore  laudem 

Peste  bi9  e  vieta  bina  trophea  pelat 
Redde  tuae  Drep&no  merìios  Trìquelra  triomphos  ^ 

£t  sacra  per  Orepannm  sospita  facta  Deo. 

Panormilani  Drepanensibus  9.  P.  D. 

Pro  plusquam  bumana  vestra  solertia  qua  nuper  quoque  serpentem  ac  iam  ar- 
dentem  intra  parìetes  vestras  pestem  pellentes  adooirabiles  cives  egistis  imiaortali-  ' 
tatem  deberì  vobis  censniinus.  Sapiens  enim  ac  felix  Tcrtus  yestra  non  modo  pro- 
spexit  sibi  sed  et  nos  queque  et  uoiversam  Sieiliam  (qnod  vix  ope  divina  posse  iam 
fieri  credebatur)  ab  imminenti  certoque  saovae  cladts  perìculo  hberavit,  Deum  pro- 
pitium  merita  sedulitate  sua.  Itaque  a  cive  nostro  Ioanne  Nasone  siculo  poeta  ora- 
toreque  maximo  et  publice  et  bone  enidiendam  isventutem  nostram  cooducto  car- 
mina quaedam  iussu  nostro  in  vestram  laudem  composita  visa  nobis  aetemitatis 
optima  moDumenu  in  nostro  praetorio  asservari  et  ad  vos  mitti  volumus.  Ac^ipite 
ergo  lamquam  testatum  per  nos  veslrae  virtutis  eiogium  et  perpetuae  nostrae  in 
vos  benevolentiae  firmum  futurum  auct4iramentam  Valele.  Ex  felici  urbe  nostra  pa- 
iibormo  Idibos  laonarii  etc. 

Heg,  di  AUi,  Bandi  e  Proviste  dell'anno  IX'  indis.  1475-76,  fol.  ìfk,  vino. 

(1)  Stampata  a  Venezia  nel  1520.  La  raccolta  del  Naso  fu  riprodotta  nelle  Memorie 
per  servire  alla  Storta  letteraria  di  Sicilia  del  Can.  Domenico  Schiavo^  tom.  I,  par- 
te IV»  pag.  51. 


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476  NUOVE  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

Stesso  Naso  ci  ha  ti-asmesso ,  giovandomi  ancora  delP  altro  docu- 
mento cui  più  sopra  ho  accennato. 

Il  primo  che  avesse  messo  su  una  lipogralia  in  Palermo  fu  An- 
drea di  Wormacia  o  Guarmagia  (Worms).  Chiamatovi  dai  giurati 
venne  egli  in  questa  città  nell'ottobre  o  novembre  del  1476.  ti 
Comane  apprestogli  tutti  gli  arnesi  necessari  air  esercizio  della 
sua  nobile,  arte  (1).  Il  Pretore  di  quel  tempo  era  Simone  Setti- 
mo; i  Giurati,  Giovanni  Adamo,  Alfiere  di  Leofante,  Simone  Cal- 
vello, Gugliehno  Raimondo  Rimbau,  Francesco  Ventimiglia;  Sin- 
daco quel  Rinaldo  Sottile  che  procacciò  alla  patria  il  benefìcio 
della  introduzione  di  quel  gran  trovato  che  dovea  nel  volger  di 
pochi  anni  trasformare  la  faccia  del  mondo  (2). 

Il  primo  saggio  della  nuova  tipografia  fu,  assai  probabilmente  il 
codice  delle  Consuetudines  Urbis  Panhormi.  Queste  leggi  municipali 
osservate  fin  da  tempi  immemorabili,  confermate  e  giurate  dai  nostri 
re  insieme  ai  privilegi  della  città,  studiate  e  chiosate  da  giurisperiti 
di  grido,  riassumono,  per  cosi  dire,  la  storia  della  città  medesima 
e  lasciano  scorger  le  traccie  delle  differenti  schiatte  che  lungo  il 
corso  de^  secoli  eran  venute  a  respirar  le  aure  tepide  e  profumate 
della  Conca  d' oro.  I  cittadini  le  osservavano  scrupolosamente ,  i 
magistrati  del  Comune  ritenevano  lor  sacro  dovere  il  custodirle, 
e  presentavano  al  viceré  ed  al  re  medesimo  le  loro  energiche  ri- 
mostranze se  quelle  per  avventura  erano  da  chi  si  fosse  meno- 
mamente vtolate.  Nulla  è  quindi  più  naturale  che  in  Palermo  le 

(1)  Ecco  io  proposito  il  docamento  deirarchivio  CoaMinale  (Reg.  di  Alti,  bandi  e 
provine  dell'anno  X*  indizione  1476>77,  fog.  74  verso) 

•  Eodem  (13  novembre  1476) 

•  Pro  magislro  andrìa  de  guarmagia  ihiotinico ,  cui   de   mandato  magnificorum 

•  pretoris  et  inratorum  fueinnt  conugnate  una  caxia  di  liclerì  di  stampa  di  «lagnu 

•  et  unum  torculare  di  Ugnami,  de  presentando  ipsas  ,  res  ad  omnem  mandatum 
«  ipsorum  magnificorum  oflicialium,  in  forma  curie  etc.  renunciando  etc. 

•  «  Fideiusfit  magister  nicolaus 
•  de  medicis  aromatarins.  • 

(2)  •  El  nune  huie  quoque  noslrae  foeliei  panhormilanae  urbi  ne  haec  tanta  deessH 
foelicUas,  Tu  praelor  nobUmime,  eum  nero  huiui  anni  panhormUanorum  collegio,,, 
procurante  lìanaldo  Sudile  insigni  iureeonsullo  urbisque  syndico  curaslis  oc  effècistis 
ut  Andreas  de  Wormacia  eius  artis  professor  (h.  e.  artis  lypogrephicae)  oHicinam 
impressoriam  exerceret.  •  Dedicatoria  deUa  edizione  delle  Consuetudines  Urbis  Pa- 
nhormi fatta  ne!  1478.  Questa  dedicatoria  può  leggersi  per  intero  nel  tom.  XLII, 
pag.  147  e  segg.  <iel  Giornale ,  di  scienze,  lettere  ed  arti  per  la  Sicilia  —  Lettere 
bibliografiche  delt'ab,  iNicoLÒ  Duscemi. 


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DI  GIOVANNI  NASO  EC.  477 

primizie  dell' arte  tipograOca  si  fosser  consacrate  al  codice  delle 
CanstietiidineSy  tanto  per  diffonderne  la  conoscenza  fra  i  cittadini 
e  per  agevolarne  loro  lo  studio. 

Il  nostro  Giovanni  Naso  fu  incaricato  di  curar  la  impressione 
di  quel  libro  preziosissimo,  certo  come  uomo  il  quale  meglio  che 
altri  poteva  adempiere  alla  delicata  missione,  tanto  come  letterato 
che  come  pratico  della  materia.  E  veramente  nella  sua  non  breve 
dimora  in  Napoli,  dove  la  stampa  era  stata  già  introdotta  innanzi 
il  i47i ,  egli  potè  impratichirsi  del  recente  trovato,  e  come  e- 
sperto  esser  poi  designato  a  dirigere  la  edizione  di  cui  ci  occu- 
piamo. 

E  il  fatto  rispose  benissimo  allHntento,  poiché  Tedizione  riuscì 
degna  del  libro,  e  del  Comune  che  volle  procurarla,  come  può  ve- 
dersi dall'esemplare  che  ne  possiede  la  nostra  Biblioteca  Nazionale, 
già  dei  Gesuiti;  il  quale  è  stato  descritto  ed  illustrato  dal  Hortil- 
laro  (L)  dal  Buscemi  (2),  dal  Tornabene  (3)  e  dal  Mira  (4);  ond'  è 
ch'io  mi  dispenso  di  descriverlo  alla  mia  volta,  limitandomi  sola- 
mente a  notare  che  la  lezione  seguita  in  questa  prima  stampa  diffe- 
risce in  molti  punti  da  quella  adottata  nelle  posteriori,  specialmente 
da  quella  del  Muta,  di  che  ho  avuto  ragion  di  accorgermi  con- 
frontando i  due  testi  per  incarico  del  D.r  Ottone  Hartwig,  il  quale, 
com'  è  noto,  ha  impreso  a  stampare  le  antiche  Consuetudini  de}le 
città  Siciliane,  ed  ha  già  dato  fuori  quelle  di  Messina  (5). 

Si  è  creduto  che  il  Naso  avesse  stampato  in  Palermo  il  suo 
poemetto  per  le  feste  in  occasione  della  resa  di  Barcellona,  anzi 
si  è  preteso  che  T  edizione  di  questo  opuscolo  precedesse  in  or- 
dine di  tempo  quella  delle  Consuetudines.  Il  Mongitore  ebbe  a 
ritener  così  senza  dubbio,  poich'egli  messe  appunto  in  capo  alla 
lista  degli  scritti  del  Naso  questo  delle  feste,  e  datone  il  titolo  a 

(i;  MoRTiLLARO«  Studìo  bibUografico»  parte  II,  {  III;  Appendice  per  la  Sieilia.  Sta 
nel  voi.  I  dolle  sue  Opere. 

(2)  Buscem  Lettere  bibliografiche  cit.;  nel  Giornale  di  scienze  lettere  ed  arti  per 
la  Sieilia,  tom.  XUI  pag.  I4M54. 

(3>  Tornasene,  Storia  critica  della  tipografia  Siciliana  deU  1471  al  1536.  Catania 
1839;  pag.  47. 

(4)  Mira,  Manunle  di  Bibliografia,  Palermo  1802,  lom.  Il,  pag.  373. 

(5^  Codex  lurit  munieipalis  Siciliae.'  Die  mittelalterliehen  Stadtreckte  Siciliens  , 
mit  hittorischen  Einleitungen ,  herautgegeben  von  Otto  Hartwig  —  Heft  1  —  Das 
Stadlrecht  von  ifeMina— Cassel  nnd  Gottingen,  Georg  H.  Wigand,  1867. — Sarà  questa 
una  raccolta  importaDtissima  di  cui  noi  Siciliani  dobbiamo  saper  grado  a  questo 
flotto  straniero. 

31 


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478  NUOVB  EFPEMeaiDl  SIGIUANE 

SUO  modo,  soggiunse  Tindicazione  del  luogo.  Fondavasi  egli  sulla 
teslimonianza,  male  intesa,  anzi  storpiata,  di  Alfonso  da  Segura; 
e  dico  storpiata  perchè  dove  nel  testo  di  costui  si  dice  «  Hic  est 
ille  Ioannes  Naso  cuìììs  extat  opus  hericum  de  celebritate  rermn 
quas  Panormum  edidit  >  il  Mongitore  ha  letto  ^tM»  Panormi  edidit{i), 
senza  avvedersi  che  travisava  cosi  il  concetto  del  Seguritano,  fa- 
cendo insieme  strazio  della  grammatica. 

Due  bibliografi  siciliani,  l'abb.  Giuseppe  Logoteta  e  il  Cassinese 
Francesco  Tomabene  scartarono  come  chimerica  l'opinione  del 
Mongitore,  ma  non  si  awider  per  nulla  dell'errore  in  cui  questi 
era  incorso.  A  me  non  è  venuto  fette  di  leggere  quel  che  ne 
scrisse  il  Logoteta,  la  cui  opera  (2)  non  esiste,  o  non  si  trova, 
nelle  nostre  due  pubbliche  biblioteche,  né  mi  è  riuscito  di  vedere 
un  Giornale  di  Sicilia  che  stampavasi  nel  i799  in  cui  dovrebbe 
essere  un  articolo  o  memoria  che  accenna,  o  riguarda  la  edizione 
di  cui  mi  sto  occupando.  Mi  è  forza,  pertanto,  passar  difilato  dal 
Mongitore  al  Tomabene  di  cui  giovami  riportar  le  parole. 

€  Il  Mongitore  ed  Alfonso  Seguritano ,  benché ,  nissuno  esem- 
«  piare  avessero  visto,  pure  asseriscono  dal  Naso  essersi  data  alle 
e  stampe  in  Palermo  nel  secolo  XV  un'opera  titolata  De  celebrità- 
«  te  rerum  opus  heroicum ,  Panhormi.  Le  inchieste  e  sedule  mie 
«  premure  a  richiederne  nuove,  mi  hanno  cerziorato  che  questa, 
e  edizione,  come  dice  il  Logoteta,  é  chimerica  anzi  é  la  stessa  (sic) 
t  che  queiropusooletto  del  medesimo  autore  titolato  : 

«  Joannis  Nasoni»  Siculi  Panhormi,  de  spectaculis  a  Panohormi- 
«  tanis  in  Aragonei  regis  laudem  editis,  Barchinonia  in  fidem  re- 
e  cepta;  dedicata  a  Giovanni  Bonanno,  di  cui  egli  scrive:  Virum  op- 
•  timum  et  iureconsultum  egregium:  l'operetta  è  in  verso,  di  cui  ecco 
«  il  princìpio: 

«  Hic  spectaculis  fulgens  pendet  latema  sub  altis 
«  Quae  se  volventes  ostendit  crebra  figuras 
f  Tutus,  ut  accenso  cum  clara  refUlserit  igni 
•  Attonitos  visu  suspecta  retardet  euntes  (3). 

(1)  Bibliolheea  Sieula,  loc.  fii. 

(i)  Spieilegium  typographkum  de  sieulis  edUionibut  saeeuU  XV,  Panormi  1807 
(Ap.  Narbonb,  Bibliogr.  Sieola,  lom.  I.  pag.  362). 

(3^  Il  principio  del  poemetto  del  Naso  è  ben   diverso  da  quello  dato  dal  Torna- 
rne. I  primi  tre  versi  sono  i  seguenti  : 

Saera  cano  feUosque  dies  quos  iaeta  Panormum 
Expeeiata  sui  postquam  Victoria  regis 
Audirunt,  eelehrat.  Sed  lu  rex  inclite  nobis,  etc. 


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DI  GIOVANNI  NASO  BG.  479 

t  Questa  edizione  viene  rapportala  dal  Denis  (!)  dal  Panzer  (2) 
€  dal  Logotela,  dal  Giornale  di  Sicilia,  Però  quale  edizione?  oh 
«  errore  !  la  resa  di  Barcellona  dopi»  un  assedio  di  dieci  anni  so- 
«  stenuto  dal  re  Giovanni  d^Aragona,  avvenne  correndo  l'anno  1472, 
€  e  la  giuliva  notizia  giunse  a  Sicilia,  terminata  appena  la  sessio- 
c  ne  parlamentaria  già  rannata  in  quella  slagione  a  Polizzi,  per 
«  la  quale  nuova  il  viceré  di  quel  tempo,  Lupo  Ximenes  Durrea- 
c  ne  diede  lieto  avviso  a  tutte  le  Università  del  regno  con  lettera 
«  circolare,  in  cui  ordinavasi  renderne  pubbliche  grazie  a  Dio,  e 

<  €omandavasi  si  facessero  festeggiamenti  ed  illuminazioni,  essendo 
e  questa  vittoria  la  causa  della  pace  in  tutti  gli  Slati  di  Spagna;  son 

•  questi  festeggiamenti  che  descrive  appunto  il  siculo  poeta  Naso 

<  come  rilevasi  dai  versi  sopracitati;  ora  non  è  improbabile  detti 
€  versi  essere  stati  sospinti  al  trono  di  Spagna,  tanto  più  che  il  Bo- 

•  nanne  a  cui  furono  dedicati  contava  in  quella  Corte  ;  certo  u- 

•  scir  dovettero  nel  tempo  di  quella  festa,  o  poco  dopo,  altrimenti 
f  nissun  effetto  avrebbero  potuto  ingenerare  nel  l'animo  de'  leggi- 
€  tori;  se  poi  si  vorrà  opinare  che  stampati  si  fossero,  ed  allora 

•  al  più  presto  poterono  vedere  la  luce  circa  il  1478 ,  sondo  la 
«  prima  edizione  palermitana  finita  in  quell'anno ,  per  quanto  si 
i  è  detto ,  cioè  anni  sei  da  che  quella  festa  avvenne  nella  capi- 

•  tale:  ciò  posto  è  a  supporre  che  la  descrizione  di  una  semplice 

•  festa  si  desse  fuor  di  tempo  alla  luce  ?  Poi  dalle  parole  edidit 

•  Panhormi  del  Seguritano  non  deve  giudicarsi  essere  stato  quel- 

•  l'opuscolelto  stampato,  ma  piuttosto  composto  in  Palermo,  quasi 

•  dicesse  composuit  Panhormi  ;  tanto  più  che  nessuno  autore  dei 

•  sopracitati  vanta  averne  veduto  alcun  esemplare  (3)  ». 

Qui  bisogna  osservare  che  il  Tomabene  scriveva  evidentemente 
col  preconcetto  di  dimostrare  che  la  stampa,  pria  che  in  Palermo, 
fosse  stata  introdotta  in  Catania  o  in  Messina.  E  siccome  non  è 
possibile  che  chi  scrive  con  un  partito  preso  non  cada,  senza  quasi 
saperlo,  in  abbagli ,  quindi  è  che  veggiamo  l'egregio  bibliografo 
Catanese  incorrere  in  grave  contraddizione ,  come  a  dire  nel  di- 
chiarar chimerica  la  esistenza  di  un  opuscolo  di  cui  poi  riferisce 
esattamente  il  titolo.  Se  egli,  del  resto,  avesse  letto  attentamente 

fi)  Denis  Mich.  Anflalium  iypographieomm  Mieh.  MaUlake  supplemetilum. 
Viennae  i789.  Part.  II.  pag.  623.  n.  5171. 

(2)  Panzer  G,  W.  Annales  Typographiei  enumdali  ei  aneli.  Norimbergae»  1793- 
Tom.  IV,  pag.  165,  num.  485. 

(y  ToRNABENE,  op.  cil.  pag.  52-5o. 


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480  NUOVE  KFFEMRRIDI  SICILIANE 

il  Denis,  che  pure  ha  citalo,  avrebbe  osservato  che  questo  dotto 
bibliografo  dovette  aver  so  Inocchio  un  esemplare  del  libro  contro- 
verso esistente  in  una  biblioteca  monastica  di  Sliria  (1) ,  e  ciò 
sarebbe  bastato  a  provargli  che  Tedizione  che  gli  piacque  chia- 
mar chimerica  era  perfettamente  reale.  E  se  finalmente  egli  avesse 
riscontrato  il  dotto  catalogo  della  ricca  biblioteca  di  Lord  Spen- 
cer compilato  dal  Dibdin  —  e  pubblicato  sedici  anni  innanzi  il 
1839  —  vi  avrebbe  trovato  la  descrizione  esatta  del  bello  esem- 
plare deiropuscolo  in  discorso  che  si  possiede  da  quella  libreria 
e  che  qui  mi  piace  trascrivere: 
•  Non  so  comprendere,  scrive  quel  dotto  bibliografo,  perchè  il 

■  Duca  di  Cassano  mette  questo  volume  elegantemente  stampato 
<  tra  le  produzioni  della  stampa  Napolitana.  Se  cosi  fosse,  potrebbe 
e  essere  stampato  da  Moravo.  Ha  io  inclino  a  considerarlo  come 

■  produzione  della  stampa  Veneziana,  e  come  stampato,  probabil- 
f  mente  da  G.  hubeus  o  da  Bernardo  o  Luca  Veneto. 

■  Il  volume  comincia  con  una  dedicatoria  in  versi  diretta  dal- 

■  l'autore  a  Giovanni  Bonanno ,  uomo  eccellente  ed  egregio  giu- 
f  reconsulto,  la  quale  occupa  la  carta  segnata  a,  i.  Colla  carta  a, 
e  2,  comincia  V  opera  col  seguente  titolo: 

■  Ioannis  Nasonis  Siculi  PanhomUs  de  Spectaculis  a  PanhomUtanis 
«  in  Aragonei  regis  laudem  ediUs  Barchinonia  in  fidem  eius  recepta 
f  foeliciter  incipit.  • 

■  Seguono  19  linee.  La  pagina  intera  ha  24  linee.  L'opera  ha 
«  il  registro  a,  ft,  e,  in  ottavo ,  meno  la  carta  a ,  4 ,  che  sembra 
€  mancare;  a  meno  che  V  a,  1,  sia  erroneamente  chiamato  a ,  2, 

■  e  una  carta  bianca  (mancante)  formi  Fa,  1.  Ma  non  si  scorge 
«  alcuna  interruzione  di  senso  tra  le  carte  a,  3,  ed  a^  4.  L'opera 
«  finisce  così,  colla  carta  e,  7,  verso: 

«  Ad  laudem  dei  et  in  patriae  oc  Regis  aragonei  honorem. 
e  La  carta  e,  8  è  bianca. 

e  Questo  è  un  esemplare  molto  bello  ed  intero,  rilegato  di  re- 
e  cente  in  marocchino  giallo.  Sembra  che  sia  già  appartenuto  ad 
e  una  famiglia  chiamata  Beneventano  —  e  sul  recto  della  carta  va- 
e  lante  porta  scritto  :  Codice  del  400  (2).  > 

i^i)  Dbmis»  toc.  cit.  «  IoAHNis  Nasonis,  de  tp&iiaeulis  panoiinilanU,  4*.  Adm.»  (Cioè 
tu  Bibliotkeea  Coenobii  Admontensit  0.  S.  B.  in  Styria»—  V.  la  tavola  deUe  abbre- 
viazioni premessa  all'opera). 

(i)  DiBDiM  T.  F.  DetCì'ipUve  ealahgue  of  the  bookt  printed  in  the  XV  eenluryla- 
lely  forming  part  of  the  library  of  the  Duke  Cauano-Serta  and  noto  the  property  or 
G.  I.  Spencer.  London  1823,  pag.  77,  num.  118. 


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DI  GIOVANNI  NASO  EC.  481 

Ma  del  non  aver  tenuto  presenta  quel  che  ha  scritto  questo  in- 
signe bibliografo  non  darà  carico  al  Tornabene  chi  ricorderà  che 
in  Sicilia,  grazie  alle  immense  difficoltà  che  sperimentavansi  nelle 
comunicazioni  coU'estero,  i  libri  nuovi  e  le  scoverle  della  moderna 
scienza  arrivavano  quando  pel  resto  d'Europa  eran  già  vecchie;  e 
che  quindi  può  darsi  benissimo  che  egli  allorquando  scrivea  la  sua 
storia,  sconoscesse  il  Dibdin  e  le  sue  dotte  opere;  ciò  che  non  ó 
per  nulla  strano,  poiché  il  diligentissimo  P.  Narbone  che  scrisse 
molto  più  tardi  del  Catanesa  bibliografo  non  citò  nemmeno  il  ca- 
talogo della  Spenceriana  sul  proposito  deir  opuscolo  del  Naso,  ma 
si  limitò  solamente  a  riferire  ciò  che  ne  avean  pensato  il  Mon- 
gitore,  il  Tornabene  e  gli  altri  scrittori  siciliani  che  più  sopra 
ho  citato  (1).  Però  questo  dotto  gesuita  credendo  che  il  passo  di 
Alfonso  da  Segura  su  cui  ^i  era  fondato  dai  nostri  fosse  errato , 
vi  fece  una  correzione  sostituendo  alla  voce  qìMs  un  quod,  di  tal 
che  la  sua  lettura  è  apw  heranicum  de  celebritate  rerum  quod  Pa- 
normi  edidit  (2).  Egli  cosi  metteva  al  coverto  la  grammatica  già  stra- 
ziata dal  Mongitore  e  dagli  altri  che  lo  seguirono ,  ma  travisava 
il  concetto  del  Seguritano  il  quale  altro  non  disse  che:  Dopo  un 
anno  (Lucio  Marineo)  passò  a  Palermo  presso  Giovanni  NasOy  detto 
il  Siciliano.  Questi  è  quel  Giovanni  Naso  di  cui  si  ha  un'opera  e- 
roica  (cioè ,  un  poema  eroico)  intorno  alle  cose  celebri  che  fece 
Palermo  (cioè,  alle  solenni  feste  celebrate  in  Palermo)  allorquando 
Barcellona  città  catalana  ribelle  a  re  Giovanni  dopo  dieci  anni  si 
arrese  a  discrezione. 

Il  lettore  avrà  notato  che  dei  nostri  scrittori,  dal  Mongitqre  al 
Narbone ,  ninno  avea  veduto  V  opuscolo  controverso.  La  fortuna 
di  averlo  per  le  mani  toccò,  pel  primo ,  al  Mira ,  intelligente  li- 
braio ed  amantissimo  degli  studi  bibliografici.  Egli  se  ne  servì  per 
provare,  contro  il  Tornabene,  che  la  stampa  era  stata  introdotta  in 
Palermo  fin  dal  1473,  compito  facilissimo  per  chi  prende  le  parole  del 
Seguritano  nel  senso  in  cui  le  presero  il  Mongitore  e  gli  altri  che  lo 
seguirono  ed  è  quindi  in  grado  di  opporre  un  fatto  ad  una  semplice 
discettazione.  Ma  il  Mira,  per  dir  vero,  non  si  limitò  a  questo;  egli 
prese,  per  così  dire,  in  parola  il  Tornabene  ragionando  presso  a 

(1)  ìNarbonb«  op.  cil.  tom.  X  —  Epoca  Catligliana  —  Secolo  XV ,  lib.  III.  pag. 
2Ì6-247. 

(2)  Anco  lo  Schiavo  ayeva  letto  quod  il  q%uu  del  lesto;  ma  lasciando  come  suva 
il  Panorrnum  riuscì  a  storpiar  peggio  del  Mongitore  il  senso  delie  parole  del  Se- 
guritano. V.  le  cit.  Memorie  per  $tn'vire  alla  Storia  leti,  di  Sic,  voi.  II,  pag.  309. 


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482  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

poco  nel  seguente  modo.  Se  V  opuscolo  del  Naso  fa  stampato  ve- 
ramente, diceva  il  bibliografo  catanese,  lo  fu  per  certo  nel  i472, 
cioè  quando  le  feste  eran  celebrate  ;  altrimenti  mssun  effetto  a- 
vrebbe  potuto  ingenerare  neir  animo  de' leggitori.  Ma*  non  essen- 
dovi  memoria  di  tipografia  esistente  in  Palermo  a  quel  tempo , 
dee  dirsi  che  quella  edizione  è  chimerica.  E  il  Mira:  ma  l'edizione 
esiste,  dunque  fu  fatta  nel  1472,  o  meglio,  nell'anno  susseguente, 
perchè  le  feste  avevan  luogo  nel  novembre,  ed  un  certo  lasso  di 
tempo  tra  quelle  e  la  stampa  del  libro  dovette  pur  correre.  Ed 
ecco  provato,  secondo  il  pensamento  del  Mira,  che  la  stampa  fu 
introdotta  fra  noi  fin  dal  1473  (1). 

È  superfluo  il  rilevare  che  V  ingegnosa  dimostrazione  del  Mira 
crolla  dalia  base  quando  le  manca  il  puntello  della  testimonianza 
del  Segurìtano;  osserverò  piuttosto  che  ha  troppo  dell'  assoluto  il 
dire  che  le  descrizioni  di  feste  stampinsi  sempre  contemporanea- 
mente alla  celebrazione  delle  feste  medesime.  Ai  nostri  giorni  suol 
esser  cosi;  che  anzi  abbiam  talvolta  di  certe  descrizioni  che  le  di- 
resti piuttosto  profezie,  quali  son  quelle  che  ci  regalan  d'ordinario 
i  diari  politici.  Ma  non  credo  che  la  teoria  del  Tomabene  troverebbe 
esatto  riscontro  coi  fatti,  se  volessimo  risalire  ai  secoli  trascorsi  fino 
a  quello  in  cui  Giovanni  Naso  dettava  il  suo  poemetto.  Per  lo  meno 
ho  upa  prova  in  contrario  nella  Relatiane  delle  feste  fatte  in  Pa- 
lermo nel  MDCXXV  per  lo  trionfo  delle  gloriose  reliquie  di  S.  Ro- 
salia Vergine  Palermitana  scritta  dal  Dr.  D.  Onofrio  Paruta  Cano- 
nico della  Chiesa  Metropolitana  di  Palermo,  figlio  di  Filippo,  e  poi 
perfetOonata  da  Don  Simplicio  Paruta  Monaco  Cassinese  ,  e  dal  me- 
desimo dirizzata  alV  Illustrissimo  Senato  di  Palermo  (2).  Questa  de- 
scrizione, come  ricavasi  dalla  prefazione  dell'  editore,  era  rimasta 
inedita  per  la  modestia,  soverchia  o  no,  del  suo  autore,  e  fu  pub- 
blicata in  Palermo  nel  16.^1,  coir  aggiunta  di  quattro  grandi  in- 
cisioni in  rame  rappresentanti  archi  di  trionfo  eretti  per  la  cir- 
costanza. Ecco  dunque  una  descrizione  di  feste  stampata  ventisei 
anni  dopo  che  le  feste  medesime  furon  celebrate. 

Il  Mira  ha  detto  inoltre  che  quella  edizione  e  presenta  uno  dei 
<  primi  saggi  dell'arte  della  stampa  eseguito  in  Palermo  nel  tempo 
f  in  cui  non  era  permesso  agli  stampatori  il  libero  esercizio  del- 


Vedi 


(I)  Mira  G.  M.  Manuale  di  Bihìwgrafia,  Palermo  1862,  lom.  Il,  pag.  369-370. 
(3j  II  vero  autore  di  qaesta  traduzione  fu,  secondo  il  Mongitore,  Filippo  Paruta. 
Bibliolh.  Sieula,  voi.  II,  pag.  174. 


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DI  GIOVANNI  NASO  BO  483 

«  Tarlo  loro.  >  Ma  pur  non  tenendo  in  conto  la  testimonianza 
dal  medesimo  Giovanni  Naso  il  qual  disse  che  il  magistrato  mu- 
nicipale huic  quoqm  nostrae  foelici  panhormHanae  urbi  ne  haec 
tanta  deesset  foelicitas  avea  procurato  che  TAndrea  di  Worms  ve- 
nisse ad  aprire  qui  fra  noi  una  tipografia,  conviene  osservare 
che  in  Palermo  non  sussisteva  alcuna  delle  ragioni  che  altrove 
costringevano  i  tipografi  a  lavorare ,  come  oggi  si  direbbe ,  alla 
macchia;  dacché  non  esistendo  quivi  uno  studio  come  a  Catania, 
e  non  conoscendosi  pertanto  fra  noi  la  classe  de'  librarii ,  o  co- 
pisti, i  tipografi  potevano  lavorare  allo  scoperto  e  in  pien  meriggio 
con  libertà  e  con  piena  sicurezza.  Quindi  anco  di  quest'altro  ar^ 
gomento  sembrami  non  sia  da  far  caso  alcuno. 

Dalle  cose  anzidette  sembrami  si  possa  inferire  che  la  testimo- 
nianza del  Seguritano  non  prova  aOatto  che  la  descrizione  delle 
feste  per  la  resa  di  Barcellona  sia  stata  stampata  in  Palermo,  e  che 
Targomento  messo  innanzi  dal  Mira  non  ha  nulla  di  sodo,  poiché 
non  è  vero  che  le  descrizioni  di  feste  si  stampino  sempre  contem- 
poraneamente alle  feste  medesime. 

Venuti  meno  gli  argomenti  con  cui  si  è  preteso  provare  che 
il  poemetto  del  Naso  fosse  stato  stampato  in  Palermo  è  precisa- 
mente nel  1472  o  1473,  rimane  a  vedere  se  esso  avesse  potuto 
essere  stampato  quivi ,  dopo  le  Consuetudines,  Sebbene  non  mi 
senta  in  grado  di  pronunziare  un  giudizio  in  siffatta  quistione, 
dirò  pure  tuttavia  che  i  tipi  del  poemetto  non  mi  paion  molto  si- 
mili a  quelli  delle  Consuetudines.  Se  questo  sia  argomento  suffi- 
ciente a  dichiarare  che  la  stampa  del  primo  non  appartiene  alla 
tipografia  palermitana,  lascio  che  lo  dica  chi  ne  sa  più  di  me. 

Checché  ne  sia  della  quistione  tecnica,  prima  di  conchiudere, 
voglio  richiamar  Tattenzione  del  lettore  sopra  un'altra  circostanza^ 
Dal  primo  documento  da  me  più  sopra  ricordato  rilevasi  che  il 
Naso  fece  dimora,  certo  non  breve,  in  Jtapoli,  ove  dovette  avere 
molte  relazioni:  non  è  dunque  improbabile  che  quivi  egli  avesse 
fatto  stampare  il  suo  poemetto.  Da  un'altra  parte  si  ricordi  che  il 
Duca  di  Cassano  Serra  valentissimo  conoscitore  di  libri  opinava 
'  che  quella  edizione  fosse  il  prodotto  di  napolitana  tipografia.  Il 
Dibdin  da  cui  abbiamo  questa  notizia  non  adottò  la  sentenza  del 
Cassano,  ma  io  penso  che  se  quello  egregio  bibliografo  avesse  po- 
tuto vedere  il  documento  già  ricordato,  avrebbe  certamente  ade- 
rito all'opinione  emessa  da  quest'ultimo,  poiché  non  sembra  ch'e- 
gli avesse  documenti  positivi  per  sostenere  che  quella  edizione 
appartenesse  a  Venezia  piuttosto  che  a  Napoli. 


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484  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

Questo  mio  povero  scritto  forse  non  incontrerà  il  gradimento 
di  que^  tali  che  credono,  a  torto,  carità  di  patria  il  sostenere  il 
falso  oTassurdo  quando  sul  falso  o  sull'assurdo  una  pretesa  glo- 
ria municipale  si  appoggia.  Se  avessi  voluto  dar  retta  ad  uomini 
siffatti,  avrei  stracciato  il  foglio  e  lasciato  che  Giovanni  Naso  dor- 
misse in  pace,  e  che  la  mìa  città  natale  continuasse  a  godersi  la 
falsa  gloriola  di  avere  avuto  la  stampa  cinque  anni  prima  del  1478. 
Ma  ho  pensato  in  vece  che  correggere  un  eiTore,  piccolo  ed  insigni- 
flcante  quanto  si  voglia,  è  sempre  un'opera  buona;  e  guidalo  da 
questa  massima  ho  dato  alla  luce  il  mio  lavoro.  Sarò  dunque  im- 
putabile di  soverchia  esigenza  se  dirò  che  mi  aspetto  che  il  lettore 
nel  giudicarne  non  voglia  dimenticare  la  rettitudine  delle  mie 
intenzioni  ? 

Palermo,  febliraio  1871. 

Raffaele  Starrabba 


SULLETA  GEOLOfilGA  DELLE  ROGGE  SECONDARIE 

DI  TAORMINA 


Nel  mentre  vado  rendendo  di  pubblica  ragione  i  fatti  più  ri- 
marchevoli delle  formazioni  cristalline,  paleozoiche  e  secondarie 
della  provincia  di  Messina,  che  mi  hanno  appreso  gli  studi!  e  le 
ricerche  continue,  credo  utilissimo  anticipare  qualche  parola,  sulla 
formazione  giurassica  di  Taormina,  di  cui  sinora  si  hanno  idee  si 
vaghe  ed  incerte,  quali  da  oltre  trenta  anni  furono  emesse  dallo 
Hoffmann  e  dal  Gemmellaro. 

Le  rocce  di  Taormina  sono  costituite  di  strati  calcarei  e  dolo- 
mitici per  la  maggior  parte,  che  hanno  subito  grandi  spostamenti 
che  presentano  una  pendenza  presso  a  poco  uniforme  verso  S.  S.  E. 
e  che  appartengono  in  parte  alla  formazione  giurassica,  in  parte 
sono  ancora  più  antichi,  ed  in  parte  più  moderni. 

La  serie  di  tali  strati  poggia  direttamente  sulla  fìllade  dell'e- 
poca carbonifera ,  ed  è  costituita  dei  piani  seguenti  :  Trias  infe- 
riore e  superiore,  Retice,  Lias  inferiore,  medio  e  superiore,  Ti- 
tonico  e  Neocomiano. 


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SULL^ETA^  DELLE  ROCCE  SECONDARIE  485 

La  formazione  triassica  si  eleva  in  forma  di  monti  e  di  colline 
dolomitico-calcaree,  costituendo  le  prominenze  dette  del  Castello, 
di  Venerella,  di  Mola  ec. 

Essa  ricorda  colla  più  grande  somiglianza  il  triassico  superiore 
delle  Alpi,  e  quantunque  non  mi  abbia  esibito  sinora  alcun  fos- 
sile, è  dato  importantissimo  quello  di  vederla  in  relazione  sotto- 
stante collo  strato  Retico. 

Alla  base  degl'immensi  depositi  dolomitico-calcarei  giace  un 
conglomerato  rosso  che  passa  a  gres ,  e  sovrasta  a  deboli  strati 
di  calcare  e  di  dolomite ,  sarebbe  questo  il  nuovo  grès  rosso ,  o 
trias  inferiore  a  cui  inclinerei  di  riferirlo,  ma  potrebbe  rappre- 
sentare benanco  membro  del  Permeano. 

Il  terreno  Aetico  è  formato  di  strati  calcarei  brunastrì  e  con 
brachiopodi  alla  base  di  strati  nero-bruni  e  con  molti  pettini  alla 
parte  superiore. 

I  fossili  raccolti  in  parte  ricordano  la  fauna  degli  strati  ad  A- 
iicula  contorta  della  Spezia  descritta  da  Capellini,  in  parte  quella 
dogli  strati  sirceronici  di  Lombardia  illustrata  dallo  Stoppani,  ma 
ciò  che  è  assai  rimarchevole  si  è  che  i  brachiopodi  spettano  alle 
specie  che  il  Suess  raccoglieva  nelle  Alpi  austriache. 

Le  poche  specie  sinora  ben  determinate  sono  le  seguenti: 
Lima  punctata  Sow. 
Pecten  Helil  D'Orb. 
Pinna  miliaria  Stopp. 
Plicatulu  intns  striata  Emm. 
Terebratula  pyriformis  Suess. 

•         gregaria  Suess 
Physnehonclla  fìssicostata  Suess. 
•  subrìmosa  Suess. 

II  Capo  S.  Andrea  siccome  i  vicini  scogli  e  proraontorii ,  e  il 
monte  dove  sono  le  cave  di  marmo,  sono  costituiti  di  tre  strati 
calcarei,  Tinferiore  bianchiccio  venato ,  il  medio  grigiastro  for- 
mato in  gian  parte  dall'accumulo  di  cronoidi,  il  superiore  rosso 
con  vene  bianche  e  strati  di  marna  rossa  schistosa. 

Lo  strato  inferiore  non  mi  ha  offerto  alcun  fossile,  lo  strato 
medio  racchiude  la  fauna  caratteristica  del  Lias  medio,  il  calcare 
rosso  contiene  qualche  lalennite. 
1  fossili  del  calcare  a  crinoidi  ben  determinati  sono: 
Lima  cucharìs  D'Orb. 
Terebratula  punctata  Sow. 


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i^6  NDOVB  BFFEUBHIDl  SIGILIANC 

Waldheimia  Partschìi  Saess. 
Phynchonella  serrala  Sow. 
Spiriferìna  rostrata  Schloth. 
Queste  specie  determinano  benissimo  Petà  dello  strato  che  li 
racchiude. 
Probabilmente  anco  al  Lìas  medio  spetta  il  calcare  rosso. 
.Presso  Savoca  infatti  in  un  lembo  di  calcare  rossastro  io  rac- 
coglieva VAmmonites  Grenoiallotixii. 
Lo  strato  inferiore  potrebbe  spettare  al  Lias  inferiore. 
Dal  lato  orientale  e  meridionale  i  monti  di  Taormina  sono  cinti 
da  calcari  marnosi  di  color  grigiastro,  i  quali   rappresentano  il 
Lias  superiore,  che  in  taluni  luoghi  contiene  molte  ammoniti,  tra 
le  quali  fa  d'uopo  ricordare  le  seguenti  specie:    ' 
Ammonites  complanatus  Brug. 
»         primordialis  Schlot. 

•  falcifer  Sow. 
»         racliaus  Rew. 

»  comensis  de  Buch. 

»  algovianus  Opp. 

»  Partschii  Haver 

•  communis  Sow. 

In  un  fondo  alla  valle  di  S.  Venera  presso  Giardini ,  allorché 
si  é  completamente  traversata  la  formazione  eocenica,  s'incontra 
un  calcare  grigiastro  con  banchi  di  calcare  rosso-chiaro.  Questa 
formazione  bisogna  che  si  rapporti  all'epoca  Tiionica^  dappoiché 
in  essa  vi  ho  raccolto  VAptychus  Beyrichi  Oppel. 

Finalmente  la  collina  di  calcarlo  secondaria  con  piromaca  al- 
ternante con  stra torelli  di  schisto,  che  è  presso  la  stazione  di 
Giardini,  ed  altre  dal  lato  sud  di  Taormina,  mi  hanno  offerto  sol- 
tanto degli  Attici  e  qualche  frammento  di  Belennite ,  tra'  quali 
fossili  si  riconoscono  bene: 

VApticus  anguli-costatus  Pichet  e  de  Loriol 

e  il  Belemnites  lattu.  Blaino 
le  quali  specie  sono  sufficienti  a  farcì  riconoscere  in  quelle  rocce 
la  formazione  Neocomiana. 

Messina  18  aprile  1871. 

G.  Segurnza 


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L'ONOEE  H) 


A  braccetto  con  mia  moglie  uscivo  dal  teatro ,  stiacciati  tra  la 
folla.  Accanto  a  noi  veniva  il  figlio  di  quel  barone  di  Roccafosca 
che  fu  già  patrono  di  mio  padre.  Tutto  idee  liberali  e  voglia  di 
far  niente;  pomposo  di  vista,  scipito  di  gusto  come  le  zucche,  e- 
gli  chiamava  guadagnar  tempo  il  perderlo ,  e,  come  i  cani ,  non 
credeva  che  un  povero  potess'  essere  un  galantuomo.  Tratto  dalla 
sigariera  un  rotolino  di  tabacco,  fregato  un  solfino  ai  calzoni  come 
fa  Vittorio  Emanuele,  con  aria  di  me  ne  impippo  si  pose  a  sfia- 
tare tanfate  di  fumo  in  faccia  ai  circostanti.  Una  ne  toccò  proprio 
negli  occhi  a  mia  moglie,  che  trasse  indietro  il  capo  esclamando 
pel  bruciore.  Indispettito,  su  quel  subito  io  gridai,  —  Uh  che  vil- 
lania !  > 

Quel  signorino ,  che  vedete  se  era  un  modello  di  urbanità,  si 
voltò  come  un  basilisco  e,  cavando  di  bocca  quel  sucido  coso,  pro- 
ruppe: —  Per  e.!  villano  a  lei,  operajo  della  mi'  pentola  !  •  e  se- 
guitò brontolando  prima,  poi  insultando  ad  alta  voce.  Mariantonia 
mi  serrava  col  gomito,  sicché  io  ringoiai  un  poco  e  due;  poi  scop- 
piai a  rispondergli  col  sale  e  col  pepe,  e  tiratici  fuor  della  pigia, 
si  veniva  certo  ai  pugni ,  con  gran  divertimento  del  colto  pub- 
blico, se  mia  moglie  non  si  fosse  interposta  e  non  mi  avesse  tra- 
scinato di  viva  forza  a  casa. 

Passai  come  sulle  spine  le  prime  ore;  poi ,  dato  giù  quel  bol- 
lore, m'addormentai,  e  dimenticai  quella  scenata.  La  mattina  mi 
avviavo  al  telonio ,  quando  sento  bussare  ,  ed  ecco  entrano  due 
persone  civili  (dico  di  abito),  una  delle  quali  era  Manfredo  Bru- 
schi, e  mi  dichiarano  eh'  io  avevo  oltraggiato  il  barone  Lucio  Roc- 
cafosca ,  di  cui  mi  presentarono  il  biglietto  da  visita;  e  che  ve- 
nivano a  (  hiedermene  riparazione  colle  armi. 

Dio  de'  dei  1  Son  rimasto  di  sasso.  Io,  mi  pareva  talmente  d' es- 
sere stato  r  offeso ,  che  non  credevo  mi  restasse  altro  a  fare  se 
non  perdonargli  e  dimenticarlo  :  ed  ecco  invece  cotesto  signore 
chiamarmi  soddisfazione  come  fosse  lui  T  oltraggiato,  in  virtù  delle 

(l)  Qaeslo  brano  del  Portafoglio  di  un  Operaio  era  stato  mandato  dall'  Autore 
prima   chr  fmtse  pubblicalo  il  suo  libro.  /  Compilatori. 


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488  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

leggi  d'una  forsennata  cavallerìa,  che  dà  ragione  a  chi  sa  maneg- 
giar il  fioretto  0  la  pistola. 

Ho  sangue  anch'  io  nelle  vene,  e  mi  montò  alla  testa,  e  strin- 
gendo i  pugni  e  battendo  i  piedi  proruppi:  —  Gnor  si  :  ci  balte- 
remo:  manderò  i  miei  padrini  a  concerXare.  > 

Questi  due  musi  erano  venuti  in  abito  nero,  cappello  a  cìlin- 
dro,  guanti  chiari,  come  è  prescritto  in  queste  atroci  buffonate, 
cui  per  antitesi  rifilano  il  nome  di  partite  d' onore.  Io  corsi  a  do- 
mandare r  Imbivere  e  il  capitano  Carenza,  che ,  altrettanto  ceri- 
moniosi ,  sarebbero  dovuti  presentarsi ,  e  quantunque  onesti  uo- 
mihi,  assegnar  V  ora,  prescegliendo  le  pistole  ;  giacché  io  non  a- 
vèva  mai  maneggiato  nessun'  arma ,  fuor  quando  bisognò  per  di- 
fender la  patria. 

Non  varrei  a  descrivere  ilrimescolamento  della  mia  povera  donna 
e  de'  figliuoli,  che  mi  vedeano  già  bello  e  ucciso  da  uno  che  a- 
vea  avuto  ozio  per  esercitarsi  al  bersaglio  :  ucciso  un  uomo,  un 
operajo ,  un  padre ,  per  bizzarria  d' un  signorino  che  vuol  (arsi 
nominare  in  paese,  e  acquistar  credito  di  prode  fra  gli  eroi  suoi 
pari  del  caffè  e  del  club,  lo  li  confortava  ,  ma  avea  bisogno  di 
conforti  io  stesso,  non  tanto  perchè  temessi  d' aver  un  braccio  o 
la  testa  rotta ,  ma  per  le  convulsioni  che  mi  metteva  addosso  il 
pensare  che  i  letterati  chiamano  bravura  o  civiltà  quel  che  tra 
noi,  gente  onesta  e  laboriosa ,  diehiarerebbesi  1'  ultima  degrada- 
zione d'un  selvaggio. 

E  tale  la  qualificò  perfino  il  capitano  Carenza.  Egli  non  se  ne 
mostrò  sorpreso:  n'ha  vedute  tante  di  tali  spacconate  che  nei  sol- 
dati si  giudicano  dovere:  pure  lanciossi  soldatescamente  a  decla- 
mare contro  questa  usanza  incivile  di  pretesi  civilizzati,  che,  non 
valendo  a  mostrarsi  in  altro  modo  meno  abjetto  ,  si  gloriano  di 
mortificare  un  onesto  operajo,  un  franco  scrittore ,  un  prudente 
marito.  Ove  sentimento  di  dignità  gli  restasse,  il  bel  mondo  do- 
vrebbe vomitar  da  sé  queste  valenlerie  di  pompa,  questo  eroismo 
di  convenzione.  Il  non  curarsi  della  vita  propria  si  chiama  corag- 
gio sol  quando  produce  qualche  bene.  Di  toglierla  a  un  altro  non 
v'  è  ragione,  fuorché  la  necessità  di  difender  sé  slesso ,  e  anche 
allora  ne'  limiti  della  moderata  difesa;  cioè  contro  un  aggressore 
ingiusto  e  da  cui  io  non  possa  altrimenti  salvar  la  mia  vita.  Ma 
il  sangue  non  lava  niente,  anzi  non  fa  che  sporcare.  Al  petulante 
che  vi  sbraveggiò  a  bella  posta  per  provocarvi,  spulategli  nel  muso 
(diceva  egli) ,  giacché  la  legge  hon  arriva  a  punirlo  come  o  as- 


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l'onore  489 

sassino  o  suicida.  Se  colui  ha  la  ragione  per  sé,  la  faccia  valere 
coi  mezzi  d^uome,  la  parola,  la  pei'suasione,  i  tribunali,  non  con 
quello  del  mastino  o  dei  facchini  dèi  porto.  Con  questi  egli  per- 
derà r  onore  in  faccia  ad  ogni  persona  ragionevole  e  civile:  Tac- 
qnisterà  solo  in  faccia  ai  fiacchi ,  che  rispettano  chi  sa  dare  pu- 
gni e  pistolettate.  L^  onore  d^un  uomo  noa  dipende  da  un  altro, 
non  dai  pregiudizi  d' una  società  educata  dalle  gazzette.  E  voi,  o- 
nesto  ed  abile  opera\jo  (diceva),  vorreste  scendere  lìn  a  cimentare 
|a  vostra  testa  di  galantuomo  contro  un  mascalzone  che  sente  i- 
nutìle  la  sua?  oibò!  Abbassereste  la  dignità  d' operajo  fin  a  per- 
sona non  capace  che  di  far  letame.  » 

Men  violento  mi  predicò  il  sig.  Edoardo  quando  andai  a  pren- 
der congedo  e  raccomandargli  i  figliuoli  miei  se  restassi  morto  o 
dovessi  fuggire.  Molta  gente  erasi  fatta  intorno  a  sentirlo;  e  poiché 
io  ripetevo  che  V  onore  non  mi  permetteva  di  ricusar  la  sfida,  — 
Come  onore  ?  (egli  esclamò.)  Andiamo  !  L' onore,  signor  sì ,  è  la 
più  importante  dote  dell' operajo,  e  consiste  nel  sapere  che  egli 
è  un  essere  completo  per  sé ,  responsabile  dei  proprj  atti ,  non 
già  soltanto  uno  strumento  di  fabbrica,  una  cifra  del  rendiconto: 
e  che  tal  dignità  non  gli  viene  da  nascita  o  ricchezza  o  prospe* 
rilà,  ma  dalP  anima  sua.  L' onore  fa  che  rispettiate  voi  stessi  , 
non  vogliate  esser  condannati  a  lavorare  in  luoglii  malsani  ;  ve- 
stiate modesti  ma  decentemente;  non  vi  esponiate  a  un  torto  ,  a 
un'  ingiuria,  a  sentirvi  dire  bugiardi  o  ingannatori;  delle  merci  e 
del  lavoro  non  domandiate  che  il  prezzo  giusto;  a  fronte  agli  al- 
tri non  stiate  in  ginocchio  né  in  punta  de'  piedi  ,  ma  ritti  della 
persona. 

Avete  un  debito  :  muore  il  creditore  ;  le  carte  non  si  trovano; 
ma  il  vostro  onore  vi  fa  confessare  e  restituire. 

Il  massajo  in  isbaglio  vi  diede  un  viglietto  da  20  franchi  per 
uno  da  ì:  non  se  ne  accorgerà  mai,  e  a  voi  verrebbe  opportuno 
per  un  taglio  di  pantaloni,  ora  che  V  inverno  si  avvicina.  Ma  l'o- 
nore vi  fa  andarlo  a  restituire. 

Il  cenciajuolo  trovò  una  spilla  ;  il  vetturino  trovò  una  valigia: 
r  onore  gi'  impone  di  cercarne  il  padrone. 

L' onore  lo  arrischiate  al  giuoco,  anzi  già  lo  perdete  dacché  lo 
mettete  a  repentaglio. 

L'onore  fa  che  non  si  facciali  piangi  per  pitoccare  quando  si 
può  guadagnare  da  sé,  ma  non  si  respinga  ogni  benefizio,  e  s'ac- 
cetti anche  la  carità  quando  sentasi  di  meritarla.  Giacomo  ha  sem- 


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490  NUOVE  EFFeMemoi  sicilianc 

pre  voluto  pagare  il  medico,  la  comare,  lo  speziale,  fuicliè  potè; 
caduto  infermo,  ricorse  entrare  nello  spedale,  benedicendo  i  pii  che 
prepararono  quel  ricovero.  Nunziatina  sua  moglie  stentava  nella 
miseria  quando  vide  comparire  nella  sua  stamberga  una  signora, 
che  s'informò  del  suo  stato,  le  mandò  uTia  coperta  pel  letto,  legna 
pel  fuoco,  le  collocò  un  fanciullo  air  asilo  e  una  giovinetta  presso 
le  figlie  della  carità.  Nunziatina  non  si  tenne  lesa  nel  suo  onore^ 
e  prega  per  quella  buona  signora,  la  quale  mette  T  onor  suo  nel- 
r  assistere  ai  bisognosi  e  nelP  andar  alla  casa  del  povero  più  che 
alla  corte  della  principessa. 

Un  tale  vi  propone  una  cattiva  azione  per  far  quattrini  ;  quel 
ricco  fa  lucicare  dei  marenghi  suir  occhio  della  bella  sartina,  del- 
l' operoso  ferrajo:  ma  essi  riflettono:  —  «  Il  mio  onore  noi  mi  con- 
sente; son  pov^o  ma  onorato,  via  da  me,  tentatore.  • 

Quella  fanciulla  è  povera  e  mal  in  arnese ,  stenta  il  pane:  ma 
ha  r  onor  duo,  e  sentesi  superiore  alle  peccatrici  in  diamanti;  non 
soffre  le  si  dicano  motti  sconci  o  proposizioni  oscene,  né  i  giovi- 
notti,  perchè  in  giubba,  beffino  la  virtù  eh'  essa  vi  oppone. 

Quella  cameriera  starebbe  ad  agio  in  casa  di  quel  sìgnorazzo, 
godrebbe  comodità:  ma  il  suo  onore  sarebbe  in  pericolo;  e  se  no 
scosta  povera,  ma  col  tesoro  più  prezioso. 

E  r  onore  di  vostra  moglie,  di  vostra  figlia  ?  Miserabile  chi  sof- 
fre in  ciò  la  minima  transazione ,  la  più  piccola  indulgenza  !  À- 
vete  visto  l' altro  giorno  quella  infelice,  di  cui  la.  macchina  afferrò 
il  grembiule  ?  ben  presta  trascinò  lei  stessa  sotto  le  sue  inesora- 
bili ruote  e  la  stritolò.  Gli  è  tal  quale  con  questi  incentivi:  il  di* 
sonore  ricade  su  tutta  la  famiglia,  e  peggio  sul  marito,  che  non 
abborre  dal  mangiar  il  pane  del  suo  disonore.  Dica ,  —  Son  po- 
vero ,  non  voglio  aggiungere  alla  mia  miseria  il  peso  dell'  infa- 
mia; sarò  come  quel  re  che,  caduto  prigioniero,  esclamava:  —Tutto 
è  perduto  fuorché  l' onore.  • 

Ma  r  onore,  di  ammazzar  un  altro  per  un  puntiglio  non  lo  trovo 
nel  vangelo,  non  nella  coscienza,  non  nelle  costumanze  dì  noi,  che 
non  siamo  guasti  dagli  assurdi  pregiudizj  della  buona  società.  Il 
galantuomo  non  si  domanda  che  cosa  dirà  il  mondo.  E  che  cosa  non 
dirà  il  mondo,  qualunque  sia  l'azione  che  si  faccia  ?  Domandatevi 
che  cosa  direste  se  vedeste  vostro  padre,  il  marito  di  vostra  so- 
rella metter  la  sua  testa  a  fronte  a  quella  d' un  contino  vani- 
toso. » 

Scrollavasi  tutto  nell'udir  ciò  il  capitano  Carenza,  e  proruppe: 


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l'onore  491 

—  Andrò  io  a  dir  due  parole  come  va  a  cotesto  signorino  e  a  quelle 
due  goffe  comparse  da  scena,  e  gli  fero  capire  dove  sta  Ponore.  > 

E  andò  zoppicando ,  e ,  non  mi  disse  il  modo ,  ma  zoppicando 
tornò  a  rassicurar  mia  moglie  e  me  e  il  vicinato  che  aveva  rab- 
berciata la  cosa  senza  scapito  del  mio  onore. 

Di  fatto  non  m' accorsi  che  nessuno  diminuisse  d' affetto  e  di 
rispetto  per  me;  se  n^è  fatto  un  fru  fru  per  un  par  di  gior- 
ni ,  poi  nulla  più  :  noi  ringraziammo  il  capitano  Carenza ,  ma 
quello  spadaccino  e  que^  suoi  comparì  io  non  ho  mai  saputo  che 
di  sprezzarli.  Di  li  a  poco  il  barone  aggiunse  alla  sostanza  di  suo 
padre  V  ingente  eredità  d' uno  zìo,  fece  un  buon  matrimonio,  cioè 
con  ricca  dote;  subito  il  re  lo  nominò  sindaco  e  cavaliere;  quando 
vennero  le  elezioni,  il  comitato  non  si  ricordò  del  sig.  Anselmo 
Castigliola  né  del  sig.  Edoardo,  i  quali  sarebbero  stati  indipendenti, 
bensì  inviò  al  parlamento  il  barone  di  Boccafosca;  ma  il  capitano 
Carenza  mi  susurra  air  orecchio:  —  N'  importa;  egli  è  un  vile.  » 

C.  Cantu' 


SULL'ESILIO  E  SULLA  MORTE  DI  OVIDIO 

ELEGIA  DI  ANGELO  POLIZIANO 

VOLGARIZZATA   (1) 


E  giace  appo  TEusìno  il  roman  vate, 
Copre  il  vate  roman  barbara  terra. 
Terra  barbara,  u'  scorre  il  gelid'Istro, 
Copre  il  cantor  dei  più  soavi  amori. 
Né  ti  vergogni  che  a  cotanto  alunno 
Ti  mostri,  0  Roma,  più  crudel  de'  Ceti  ? 
Non  fuvvi  alcun  tra  i  molti  Sciti,  ahi  Muse, 

(1)  Questo  volgarÌKKamento,  fatto  in  altrettanti  versi  qii»nli  sodo  nell'  originale, 
ci  spiace  non  poter  accompagnare  col  testo  latino,  come  era  desiderio  del  volga- 
rizzatore; tèsto,  del  rimanente,  che  ciascuno  può  aver  tra  mano ,  nelle  opere  del 
Poliziano  edite  dal  Barbèra  di  Firenze.  /  Compilatori, 


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492  NUOVE  EFPCMERIDI  SIQLUNE 

Che  all'egro  tolde  rincrescioso  morbo  ? 
Che  sul  letto  gli  agio  le  fredde  membra, 
0  in  dolce  eloquio  il  dì  gli  feo  men  lungo? 
Che  pur  tastogli  i  battiti  del  polso, 
0  a  man  spedita  gli  apprestò  fomenti? 
0  chiuse  i  rai  notanti  in  sen  di  morte, 
0  pio  lo  spiro  a  fior  di  labbri  accolse  ? 
Non  fuYTi  alcun;  tu,  marzia  Roma,  e  tieni 
Di  là  dal  Ponto,  ahi  cruda,  i  sozii  antichi. 
Non  fuYvi  alcun;  moglie  e  nepoti,  ahi  lunge» 
Né  la  figlia  seguia  Tesule  padre. 
Bossi  immani  il  lenir,  Coralli  biondi, 
0  i  Ceti  cor  di  sasso  in  pelli  avvolti, 
0  il  truce  orrendo  Sarmata  che  spesso 
Va  sul  cavai  di  cui  si  bebbe  il  sangue. 
Sarmata  cui  scosse  le  tempia  fischia 
Giù  per  gli  occhi  dal  fronte  il  crin  brinoso. 
Bessi,  Coralli  e  Sarmata  l'estinto 
Piansero  e  il  Geta  si  percosse  il  volto: 
E  monti  lo  piangeano  e  selve  e  fiere, 
E  ristro  è  fama  che  tra  Tonde  il  pianse, 
E  intepidissi  Tagghiacciato  Ponto 
Delle  Nereide  al  lacrimar  dirotto. 
Lievi  accorser  gli  augei  colPalma  Venere 
Nel  pronto  rogo  a  sottopor  le  faci: 
E  quando  il  divampar  Tebbe  consunto 
Le  reliquie  adunaro  in  urna  chiusa, 
E  tai  note  scolpir  sul  sasso  apposto: 
e  Qui  dei  teneri  amor  giace  il  maestro.  » 
Sacra  linfa  vi  sparge  essa  la  Dea 
Tre  volte  e  quattro  colla  man  di  neve, 
E  al  vate  spento  voi  scioglieste,  o  Muse, 
Carmi  che  al  labbro  mio  ridir  non  lice. 


Niccolò  Poma-Cangemi 


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VEBSI  INEDITI  (1) 


Per  Album 

Tu  vuoi  ch'io  scriva  !  Di  sorriso,  e  fiori 
Questi  tuoi  fogli  spargere  desio, 
E  alla  speme  involando  i  bei  colori, 
Gridare  al  pianto,  alla  mestizia  addio; 
Ma  ben  lo  sai,  di  triboli  e  dolori 
Buiamente  s'intesse  il  viver  mìo; 
Adunque  taccio,  e  su  tue  nere  chiome 
Depongo  un  bacio,  e  qui  l'oscuro  nome. 

Per  Album 

0  giovanotta  che  festosa  ascendi 
Questo  di  vita  a  te  facil  sentiero, 
E  corone  odorose  alFara  appendi 
AlPamor  sacra,  alla  virtude,  al  vero: 
Alla  sant'opra  liètamente  attendi. 
Né  sgomento  s'arresti  il  tuo  pensiero, 
Se  quell'amato  aitar  vedrai  negletto, 
E.  del  piacere  il  tempio  a  mille  accetto. 


Rosina  Muzio-Salvo. 


(1;  Dobbiamo  queste  due  otUve  alla  geuulena  del  prof.  L.  Sampolo»  genero  della 
illustre  defunta.  (/  Compilatori 


3^ 

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CRITICA  LETTERARIA 


Giovanni  Villani  nnd  die  lÈ^ggenàz  di  Messer  dianni  di  Pro* 
cida;  von  Otto  Habtwig.  Miinchen,  1871. 

Son  noti  gli  studi  che  in  questi  ultimi  tempi  sono  stati  fatti 
sopra  la  Storia  del  Vespro  siciliano  e  sopra  le  cronache  ad  esso 
riferentisi;  studi  a^  quali  ha  dato  occasione  la  celebrata  Storia  della 
Guerra  del  Vespro  di  Michele  Amari,  il  quale  è  rimasto  sempre  fermo 
nell'opinione  manifestata  Tanno  1842,  cioè  che  quel  famoso  av- 
venimento fosse  stato  opera  del  popolo  e  non  conseguenza  di  una 
congiura  iniziata  e  condotta  innanzi  da  Giovanni  da  Precida.  Er- 
molao Rubieri  a  Firenze  (1),  Antonio  Cappelli  a  Modena  (2),  Sal- 
vatore de  Renzi  a  Napoli  (3) ,  Vincenzo  Di  Giovanni  a  Paler- 
mo (4),  hanno  tutti ,  ciascuno  con  propri  argomenti ,  sostenuto 
contrario  avviso ,  tra'  quali  i  due  ultimi  mettendo  fuori  delle 
cronache  di  quel  fatto  non  mai  fin  qui  pubblicate;  e  non  è  an- 
cora un  anno  decorso  che  il  Di  Giovanni  un'  altra  cronaca  stam- 
pava secondo  la  lezione  del  codice  vaticano  5256  (5).  Anche  da  ol- 
tralpe s' è  preso  parte  alla  questione,  altri  credendo  piuttosto  al- 
Tardimento  popolare  degli  oppressi  Siciliani  contro  lo  straniero  do- 
minatore, ed  altri  al  macchinamento  di  una  congiura  condotta  dai 
baroni  di  Sicilia  e  aiutata  dal  papa,  dal  Paleologo  e  dal  re  di  A- 
ragona:  anima  della  quale  Giovanni  da  Precida;  e  già  vi  si  sono 
impegnati  tra  gli  altri,  Tanno  1867, l'Hirsch  in  un  periodico  let- 
terario di  Gottinga  (6)  ed  ora  il  Dr.  Oddone  Hartwig  in  una  ri- 
vista storica  di  Monaco  (7). 

11  nome  di  questo  scrittore  tedesco  non  è  nuovo  per  la  Sicilia; 
anzi  è  oramai  molto  familiare  a'  nostri  dotti,  che  ne  conoscono  i 
lavori  pazientissimi  sulla  cultura ,  sulla  storia  e  sul  dialetto  del- 
Tlsola.  Il  suo  nuovo  scritto  Giovanni  Villani  e  la  Leggenda  di  Mes- 

(1)  Apologia  di  Giovanni  daProcida,  Ricerche  storico- critiche  di  E.  RtJBiRRi.  Fi- 
renze, Barbera  1856. 

(i)  Ciovanni  di  Procida  e  il  Vespro  iieiliano;  nel  voi.  1  delta  Mistellanm  di  0> 
ptucoli  inedili  e  rari  dei  secoli  XIV  e  XV.  Torino,  1861. 

(3)  Il  secolo  Xai  e  Giovanni  da  Procida.  Studi  Biorico- morali  di  Salv.  Db  Rks- 
£•.  Napoli,  1860. 

(4)  V.  Collezione  di  opere  inedile  o  rare.  Cronache  siciliane  d*ii  secoli  XUi, 
XIV  e  XV  pubblicate  per  cura  del  prof.  V.  Di  Giovanni.  Btilogiia  1865. 

(3)  Giovan  da  Proctda  e  il  Ribellamento  di  Sicilia  nel  iiSì  secondo  il  Codice  va* 
licano  5256  per  V.  Di  Giovanni   Bologna  1870. 
(6)  GoUinger  gelehrte  Anzeigen  1867,  pag.  196. 
n)  Hislorisehe  Zeilsehrift,  voi.  XXIV,  pag.  233-271,  Munchen,  1871 

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CRITICA   LETTKRARU  49S 

ser  Gianni  di  Procida  vuoP  essere  una  rivista  critica  di  quanto  si 
é  fatto  su  questa  controversia  ,  e  sopra  le  fonti  delle  varie  leg- 
gende del  Procida;  e  noi  sentiamo  il  dovere  di  rendergli  quelle 
grazie  che  possiamo  maggiori  per  la  pazienza  e  cura  ond'  egli  ha 
studiato  il  grave  argomento;  le  dotte  pagine  del  suo  opuscolo  son 
prova  manifesta  del  tempo  ch'egli  ha  dovuto  spendere  per  ve- 
nire a  qualche  plausibile  risultato. 

L'Hartwig  tratta  la  importante  questione  se  la  cronica  siciliana 
del  Ribellamenta,  che  il  Gregorio  intitolò  Historia  conspirationis 
Ioannis  de  Procida^  sia  l'originale  da  cui  trasse  il  suo  racconto 
il  Villani,  ovvero  se  la  storia  del  Villani  abbia  dato  origine  alla 
cronica  siciliana;  di  guisa  che  senza  la  priorità  sopra  il  Villani  la 
cronica  avrebbe  assai  poca  autorità  e  dovrebbe  piuttosto  dirsi,  come 
la  disse  un  tempo  V  Amari,  un  romanzo  storico  del  sec.  XIV.  Il 
critico  alemanno  non  è  lontano  dal  seguire  V  opinione  dell'  Amari, 
cioè  che  il  Villani  sia  la  fonte  della  cronica  siciliana ,  ma  lascia 
dubitare  che  un  altro  testo  sin  oggi  non  iscoperto  sia  stato  pur 
la  fonte  del  Villani,  al  qual  testo  forse  si  riferiscono  i  tre  testi 
che  si  conoscono  della  cronaca  del  RibellamentUy  cioè  il  siciliano, 
il  modanese  ed  il  romano.  Argomento  al  suo  discorso  sono  ap- 
punto tali  testi ,  ma  TA.  si  ferma  su  quello  del  codice  Spinelli, 
già  noto  all'Amari  sin  dalla  prima  edizione  della  sua  opera.  Stu- 
diatolo attentamente,  l'Hartwig  osserva  che  tolte  poche  insignifi- 
canti particolarità ,  VHistoria  compiraUonis  ciciliana  trae  origine 
da  quello.  Osserva  altresì  che  la  lezione  della  leggenda  modanese 
non  può  derivare  dal  testo  Spinelli,  perchè  esso  è  meno  corretto 
senza  cessare  di  esser  più  antico;  che  il  codice  vaticano  fu  fatto 
sul  modanese  ;  che  la  priorità  del  racconto  siciliano  su  questo 
viene  mostrata  dai  raffronti  di  una  lettera  di  Niccolò  IV  a  Pietro 
d' Aragona. 

È  curiosa  una  osservazione  che  il  valente  critico  fa  alla  Historia 
conspirationis  edita  dal  Di  Giovanni  sul  codice  stesso  che  servì  al 
Gregorio  e  che  trovasi  nella  Biblioteca  Comunale  di  Palermo,  cioè 
che  il  Di  Giovanni  l'abbia  pubblicata  e  anche  non  sempre  meglio 
che  il  Gregorio  »  (pag.  237);  quando  si  sa  che  l'egregio  Editore 
la  ripubblicò  tal  quale,  modiOcandovi  appena  quei  punti  nei  quali 
poco  esattamente  era  stato  letto  e  stampato  il  codice  palermitano: 
di  che  egli  avverte  nelle  molte  note  del  suo  volume.  E  tanto 
più  è  curioso  in  quanto  l'Hartwig  crede  poter  giustificare  r osser- 
vazione, già  stata  fatta  dall'Hirsch  nel  GóUinger  gelehrte  Anzeigen 
con  ciò  solamente,  che  là  dove  il  Gregorio  lesse  esattamente  vu. 


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496  IfUOTE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

rt  digiaU ,  il  Di  Giovauni  legge  vai  n'  indigiaH.  Ma  chi  non  dira 
questa  una  inesattezza  lipograQca  ?  E  che  (Hrebb'  egli  ma  dotto 
ed  accurato  critico  come  THartwig  se  noi  gli  cilassimo  non  poche 
di  tali  inesattezze,  nelle  quali  egli  è  incorso  rìstampando  poche  righe 
dei  testi  volgari  ?  Co^  p.  e^  là  ove  il  Di  Giovanni  ha  oUantadui 
egli  stampa  ottanludui  (pag.  238)  ;  ad  un  vuliri  muta  in  an  un 
vuUri  (242);  Et  incontinenti  in  e  in  continenti  (246)  ;  piacque  in 
peaque  (242);  e  di  non  timiri  in  e  ti  non  tinUiri  (246);  chi  ndi  u- 
nisce  in  chindi;  Alaimu  divide  in  Al  'ainm,  Simt  nugae^  diciamo 
noi:  ma  per  quel  che  valgano,  nessuno  che  abbia  stampato  vorrà 
ferne  colpa  alPHartwig.  E  non  sappiamo  altresì  persuaderci  come 
egli  colga  cagione  addosso  al  Di  Giovanni  di  aver  omessa  la  voce 
figloU  nelfe  seguenti  parole  che  trovansi  nel  codice  Spinelli, 
e  La  nostra  benedi  tieni  ti  mandamu  (parla  Papa  Niccolò  IH  a  Carlo 
D^Angiò)  con  sacra  cosa  che  li  nostri  (figloli)  di  Sicilia  signuriati 
non  ngiuti  boni  per  lu  Be  Garlu....  •  (pag.  247);  quando  è  noto 
che  il  Di  Giovanni  abbia  messo  fuori  il  codice  siciliano  esemplato 
sul  testo  Spinelli,  ma  non  materialmente  il  codice  stesso,  il  quale 
l'anno  1865,  data  della  ristampa,  non  si  sapeva  neppure  in  mano 
di  chi  fosse. 

Cercata  e  provata  poi  Porigine  deUe  tradizioni  circa  la  partecipa- 
zione di  Giovanni  da  Precida  al  Vespro,  basandosi  sulle  sparse  no- 
tizie di  quei  tempi,  passa  l^rtwig  alla  ricerca  della  orìgine  let- 
teraria della  cronica  siciliana,  che  T  Amari  crede  opera  di  un  a- 
mico  della  famiglia  di  Giovanni.  E  poiché  esistono  in  napolitano 
le  Croniche  delP  inclita  Città  di  Napoli  con  li  bagni  di  Pozzuoli  et 
fschia  di  Gio.  Villano  Napolitano  (i),  e  queste  hanno  per  fonda- 
mento quelle  del  Villani ,  e  dal  1360  a  cui  giungevano  furono 
continuate  Ano  al  1382  da  un  Bartolomeo  Caracciolo;  se  si  pensi 
che  Beatrice  figlia  del  Precida  sposò  nel  1267  Bernardino  Carac- 
ciolo, e  che  tra  i  Caracciolo  e  i  Precida  esisteva  strettissima  re- 
lazione, perciò  è  facile  per  (^egregio  critico  il  supporre  che  Bar- 
tolomeo Caracciolo  fosse  stato  l'autore  della  nostra  leggenda  (pa- 
gina 269j.  Questa  congettura  è  molto  ingegnosa  e  plausibile,  e  se 
&i  potesse  scoprire  Taneflo  intermedio  che  THartwig  sospetta  tra  il 
lesto  Villani  e  le  due  lezioni  della  leggenda,  forse  le  sue  suppo- 
sizioni acquisterebbero  maggior  fondamento  di  quello'che  ora  pos- 
sane meritarsi.  Ma  tant'è,  che  il  negare  resistenza  di  Giov.  Vil- 
lano, ed  il  fare  un  solo  di  due  personaggi  quali  sono  il  fiorentino 

(i;  Napoli,  apprnsso  Gark  Por^ite.  iSOO. 

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CRITICA   LETTERARIA  497 

ed  il  napolitano,  è  cosa  che  non  tutti  sapranno  menar  l)uona  al 
dottor  Hartwig.  Se  deve  aggiustarsi  fede  alle  testimonianze  sto- 
riche ed  ai  codici  che  delle  Croniche  del  Villano  si  hanno  non  pur 
nella  Palatina  di  Modena  (i)  ma  anche  nella  Nazionale  di  Paler- 
mo (2),  quel  cronista  visse  come  ogni  altro  che  *  mangia,  e  beve, 
e  dorme  e  veste  panni;  »  e  già  fin  dal  secolo  passato  le  Memorie  per 
servire  alla  storia  letteraria  di  Sicilia  recano  la  seguente  iscri- 
zione, che  è  pure  in  Engenio  e  in  Biasio,  stata  apposta  nella  cap- 
pella gentilizia  ov^egli  il  Villano  fu  sepolto:  Uicjacet  Ioannes  Viltà- 
ntis  dictus  RumbuSy  qui  obiit  anno  DomivU  MCCCXI^  V  Indici;  III  die 
mensis  novembris  (3). 

Il  lavoro  del  sig.  Hartwig  è  molto  acuto  nelle  osservazioni.  Lo 
{imore  della  Sicilia  e  degli  studi  della  nostra  storia  vi  si  famanife^ 
sto  assai  vivo  e  sentito;  ciò  che  ha  dovuto  crescere  alPA.  la  per- 
sistenza nelle  ricerche  e  la  pazienza  nelle  indagini  e  nelle  inve- 
stigazioni. Tuttavia  lo  scrìtto  dà  a  divedere  tante  dubbiezze  quante 
le  difficoltà  che  incontrò  il  dottor  Hartwig;  il  quale  spesso  ci  ap- 
parisce incerto  e  perplesso  ciica  al  rifiutare  o  airattenersi  ad  una 
opinione;  e  mentre  sembra  pronunziarsi  per  questa  propende  per 
quella,  rifiutandole  poi  entrambe,  ed  entrambe  accarezzandole, 

Che  il  sì  e  il  no  nel  capo  gli  tenzona. 

GWSEPI*E  PlTRÈ. 

Sreve  Storia  della  Oostitnxiime  tmgìeBe  di  Ercole  Ricotti.  To- 
rino, E,  Loescher  1871  in  y,  (L.  7  80). 

Molto  da  meno  un  tempo  delPItalìa,  V  Inghilterra  è  oggi  assai 
più  florida,  più  savia,  più  potente  della  nostra  Penisola.  Donde 
tanto  beneficio  ?  Da  nient'altro  che  dalla  sapiente  sua  costituzione, 
nella  quale  sta  tutta  riposta  la  intima  storia  deiringhilterra.  e  La 
costituzione  inglese,  dice  bene  il  Ricotti,  è  la  sintesi  di  tutta  la 
vita  della  nazione,  che  la  reputa  sua  più  bella  gloria,  e  palladior 
e  prerogativa.  Essa  non  è  confinata  in  pochi  fogli  stampati  ;  in- 
vano si  cercherebbero.  Fu  fatta  riga  per  riga  a  misura  dei  biso- 
gni e  delle  forze  crescenti  della  nazione;  un  inglese  non  ha  bi- 
sogno di  leggerla;  egli  la  succhia  col  latte  la  tiene  in  fondo  al 
petto,  come  cosa  sua  la  più  cara...  » 

Compreso  della  importanza  di  essa,  Tillustre  Storico  delle  Com^ 

(1;  Y.  Cappelli,  Giovanni  di  Procida  e  il  Ve$pro  Sieil.  p.  41,  ed.  cit 
(2)  V.  Di  Giovanni,  Giovan  da  Proeida  etc.  p.  10-11,  etl.  cit. 
<3)  V.  Parie  U,  p.  7  e  18.  Paler.  4755. 


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498  NUOVE  EFFEMERIDI  SICILIANE 

pagnie  di  ventura  e  della  Monarchia  Piemontese  ne  ha  fatto  ar- 
gom^fnto  di  una  continuata  serie  dì  discorsi  detti  alla  R.  Univer- 
dita  di  Torino,  ed  ora  li  manda  alla  luce  iu  un  grosso  ed  ele- 
gante volume,  riassunti  e  spogli  delle  disgressioni ,  esplicazioni 
e  ripetizioni  proprie  di  qualunque  insegnamento  orale. 

L^opera  del  Ricotti,  divisa  in  quattro  parti  e  tutte  insieme  in 
39  capitoli  pei  1456  dei  quali  parla,  abbraccia  quattro  periodi  di. 
tempo,  dalla  caduta,  cioè,  della  dominazione  romana  alla  conces- 
sione della  Magna  Charta  (411-1215),  al  trono  della  Casa  di  Tu- 
dor  (1485),  alla  seconda  e  definitiva  rivoluzione  (1688),  e  ai  no- 
stri tempi  (1867),  in  cui  è  stata  messa  a  fuori  la  seconda  ed  ul- 
tima riforma  elettorale:  perìodi  che  con  sano  giudizio  i^A.  deno- 
mina degli  apparecchi^  delle  &(m,  delle  lotte,  del  trionfo. 

UÀ.  vi  narra  con  singolare  lucidità  di  concetto  e  di  stile  gli 
avvenimenti  tristi  e  lieti,  le  opere  onorate  ed  ingloriose  di  quella 
grande  nazione ,  la  quale  come  in  uno  specchio  vedesi  ritratta 
nel  suo  sapiente  sistema  rappresentativo,  ignoto  agli  antichi  Stati 
di  Grecia  e  di  Roma,  noto  soltanto  a  pochi  Stati  meridionali  d^Eu- 
ropa,  che  Tebbero  dopo  il  1000.  Ma  nel  narrare,  il  Ricotti  non 
si  restrìnge  semplicemente  a^  fatti:  ciò  non  si  addice  a  lui,  sto- 
rico dei  migliori  d'Italia.  II  Ricotti  esamina  bene,  pondera ,  giu- 
dica e  ne  trae  fuori  conseguenze  a  cui  non  accenna  il  modesto 
titolo  che  sta  in  fronte  al  suo  importantissimo  libro.  Noi  siamo 
intieramente  estranei  alla  disciplina  che  ha  consigliato  Topera  del- 
Tillustre  Professore:  ragione  per  cui  ci  restringiamo  a  farne  un 
breve  annunzio  piuttosto  che  un  lungo  articolo,  siccome  dovrem- 
mo; ma  dal  poco  che  alla  facoltà  nostra  è  dato  di  vedere,  cre- 
diamo che  essa  sia  non  solo  un'opera  storica  pregevolissima,  ma 
anche  iin  trattato  molto  ben  ragionato  di  quel  sistema  rappre- 
sentativo. E  però  non  sapremmo  far  di  meglio  che  consigliarne 
la  lettura  à  quanti  ha'nno  rivolto  1^  ingegno  a  questa  maniera  di 
studi  proficui  ed  onorati.  Essi  troveranno  che  il  soggetto  stesso 
ha  ispirato  al  valoroso  scrittore  delle  pagine  qui  molto  semplici, 
là  degnamente  elevate,  altrove  modestamente  eloquenti ,  e  sem- 
pre acconce  air  argomento  e  al  fatto.  E  con  questo  troveranno 
pure  un  senso  pratico,  una  moderazione  ed  una  assennatezza , 
che  solo  poche  anime  oneste  possono  avere  in  un  tempo  di  uni- 
versale  sviamento  di  buon  senso  e  di  buon  criterio. 

G.  PrrRÈ. 


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GRITIGA   LETTERARIA  Ì99 

£«  Veglia  di  Venere,  Versione  dal  latino  per  Ugo  Antonio  A' 
Mico.  Palermo,  tip.  del  Giornale  di  Sicilia,  1871. 
Il  Pervigilium  Veneris  è  un  inno  scrìtto  per  la  festa  di  Venere^, 
da  cantarsi  la  vigilia,  il  quale  sotto  un  certo  aspetto  può  essere 
posto  a  lato  al  Carmen  saeculare  di  Orazio.  La  sostanza  corrìsponde 
affatto  alla  sua  destinazione.  Venere  vi  è  celebrata  non  tanto , 
come  disse  il  Bàhr,  quale  fondatrice  e  padrona  del  romano  im- 
pero, quanto,  come  bene  avvisa  il  prof.  U.  A.  Amico ,  quale  ge- 
nitrice deir  universo  ;  procreatrice  degli  animali  tutti  ;  che  con- 
serva e  propaga  il  seme  di  ogni  cosa;  in  breve,  quale  Lucano  la 
disse  nel  decimo  della  Farsalia  :  fecutida  Venìis  aictarum  semina 
rerum  possideL  II  poeta  vi  canta  la  primavera ,  perchè  in  questa 
stagione  singolarmente  si  rivela  la  onnipotenza  di  Venere,  e  in 
questo  argomento  può  darsi  che  l'autore  avesse  sottocchio  Vir- 
gilio, come  anche  nel  resto  ha  imitato  Lucrezio,  Ovidio,  Orazio 
ed  altri  (1).  L' autore  ci  è  ignoto  finora,  e  le  ricerche  e  gli  studi 
del  Wernsdorff,  del  Paldamus  e  del  Bucheler  per  venirne  a  capo 
non  sono  stati  cosi  fortunati  da  provare  se*  si  apponesse  meglio 
Giuseppe  Scaligero  che  lo  attribuì  a  un  Catullo  Urbicario,  scrit- 
tore della  decadenza,  o  Aldo  Manuzio,  Erasmo,  Huersio  ecc.  che 
ne  credettero  autore  Catullo;  se  Lipsie,  che  lo  portò  al  secolo  di 
Augusto,  0  Sarpe  a  cui  non  parve  soverchio  farlo  in  parte  del 
sec.  XV:  sebbene  e  T  uno  e  l'altro,  a  vedere,  molto  si  discostino 
dal  vero.  Non  meno  dubbio  è  stato  il  luogo  ove  il  Pervigilium  ve- 
niva cantalo;  ma  con  qualche  buona  ragione  addotta  dal  professor 
U.  A.  Amico  si  può  dire  che  esso  fosse  stato,  piuttosto  che  una 
isoletta  del  Tevere  fra  Roma  ed  Ostia  come  vuole  il  Wernsdorff, 
queir  (bla  Catana  di  Sicilia,  che  dalle  parole  del  poeta  :  quantus 
Etnae  campus  est  ci  si  dà  a  divedere  <  nell^  pianura  feracissima 
cui  chiude  T  Etna  dall'  un  canto,  e  dalPaltro  la  patria  di  quel  Ja- 
copo da  Lentini,  che  doveva  crescere  lustro  e  sidendore  alla  corte 
degli  Svevi.  •  Comunque  sia  di  questo ,  la  poesia  è  stupenda ,  e 
nella  sua  bellezza  dà  Taria  di  parecchie  miniature,  squisitamente 
pennelleggiate,  ognuna  delle  quali  ritrae  una  idea  netta,  grazio- 
sissima;  e  tutte  insieme  sono  legate  in  unità  da  armoniosa  accor- 
danza  di  tinte  e  di  concetti. 

Di  essa  ci  ha  regalato  una  versione  poetica  il  professore  Amico, 
e  se  noi  dicessimo  che  nelle  nuove  forme  egli  è  riuscito  a  ri- 

(i)  storia  della  Mleralura  romana  del  Dote.  G.  C.  P.  Babhii.  Voi  1,  cap.  Vili' 
Torino,  1830. 


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600  NOOVB  EFFEMERIDI  SICILIANE 

trarre  quel  nitore  d'ìmagìni  e  quella  soavezza  di  numero  che, 
negletti  in  alcun  luogo,  fecero  pure  che  taluni  critici  tenessero 
il  Pervigilium  Veneris  per  lavoro  degno  di  Catullo,  noi  non  di- 
remmo se  non  quello  che  sentiamo.  Y"  ha  nella  forma  dell'Amico 
un  non  so  che  di  morbido  e  di  leggiero,  di  gentile  e  di  affettuoso 
che  la  rende  amabile  e  delicata;  ond'essa  si  acconcia  tanto  più 
agevolmente  alle  squisitezze  e  venustà  catulliane  quanto  più  l'a- 
nimo dell'Amico  al  passionato  cantore  delle  Nozze  di  Peleo  e  Teti 
propende  ed  inclina.  Ecco  perchè  la  sua  traduzione,  in  quella  che 
si  stringe  quanto  più  al  testo,  è  cosi  spontanea  come  un  compo- 
nimento originale.  L'ignoto  autore  del  Pervigilium  Veneris  cantò 
con  leggadria  di  forma: 

Rura  fecundat  voluptas,  rura  Venerem  sentiunt: 

Ipse  amor  puer  Dionae  rure  natus  dicitur: 

Hunc  ager  cum  parturiret  ipsa  suscepit  sinu: 

Ipsa  florum  delicatis  educavìt  osculis. 
E  l'Amico  con  non  minor  leggiadria  e  con  fedeltà  esemplare: 

Feconda  i  campi  voluttate;  i  campi 

Senton  Venere;  e  dieesi  che  Amore, 

Il  pargoletto  di  Dì'on,  nascesse 

Del  campo;  e  non  sì  tosto  esso  lo  spose 

Ch'ella  al  seno  il  raccolse,  e  dei  fioretti 

I  molli  l'educar  baci  soavi. 
Donde  si  vede  che  quasi  per  ogni  parola  latina  egli  ne  dà  una 
italiana,  misurata  ed  affatto  a  quella  rispondente;  parsimonia  che 
mostra  precisione  e  chiarezza  di  concetto  nel  traduttore. 

Più  sotto  il  poeta  descrive  il  raccogliersi  della  notturna  rugiada 
sui  (lori  e  i  mirabili  suoi  effetti  in  sul  far  dell' alba;  ed  ecco  con 
che  grazia  e  soavità: 

En  micnnt  lacrimae  trementes  de  caduco  pendere: 

Gutta  praeceps  orbe  parvo  sistinet  casus  suos; 

En  pudorem  florulentae  prodiderunt  purpurae: 

Humor  ille,  quem  serenis  astra  rorant  noctibus. 

Mane  virgineas  papillas  solvit  umenti  peplo. 
Come  si  vede,  questo  passo  non  è  di  assai  facile  intelligenza: 
e,  compreso  che  sia,  non  del  tutto  inchinevole  alla  misura  poe- 
tica voluta  0  consigliata  dall'arte.  Eppure ,  a  cui  non  parrà   stu- 
pendamente italianalo  nei  seguenti  versi  deir Amico? 

Ecco  al  peso  leggier  splendon  tremanti 

Le  lacrime;  e  la  stilla  a  cader  presso 


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varietà"  501 

In  picciol  orbe  si  chiudendo  arresla 

La  vicina  caduta;  e  le  di  fiori 

Porpore  ricche  di  scoprir  P  ascoso 

Pudore.  Quell'umor,  che  irroran  gli  astri 

Da  le  notti  serene,  al  primo  primo 

Romper  de  l'alba  con  l'umido  peplo 

Le  corolle  verginee  discioglie. 
Questa  si  chiama  arte  nobilissima,  che  si  fa  amare  sin  da  co- 
loro che  non  le  ebbero  professalo  culto  giammai:  e  noi  ne  ren- 
diamo merito  all'  egregio  professore,  che  si  maestrevolmente  sa 
incarnarla. 

G.   PlTRÈ 


'mrjm.wm.mw^iB^,^^^ 


1  SICILIANI  ALL'ESTERO  —  La  rivista  Góltinger  gelehrU  Anzeigen  ,  fase.  17  , 
pag.  655-667  ,  ha  un  rendiconto  del  prof.  Liebrechl  sul  2*  voi.  delle  Tradizioni 
popolari  tieUiane  pubblicate  da  G.  Pi  tré. 

NUOVI  GIORNALI  —  Tra'  giornali  nati  di  fresco  dobbiamo  notare  la  Rivista 
ilaliana,  la  CiviUà  ilaliana  e  la  Rivitla  municipale  di  Palermo;  V  Eco  d'Intera  di 
Termini;  VEco  del  Sud  di  Sciacca.  Da  Venexia  ci  giunge  il  1*  fase,  di  un  Archivio 
Veneto,  periodico  importantissimo,  che  si  occuperà  di,  storia  veneta.  Vi  scrivono 
Ad.  Bartoli,  U  Fulin,  Francesco  Ferra ra«  il  Gar  ecc. 

INVENZIONI  E  SCOVERTE  —  Presso  la  gradinato  del  sagrario  annesso  al  ere- 
dulo  tempio  di  Giove  Olimpico  in  Selinunte  il  prof.  Saverìu  Cavallari,  direttore  de- 
gli scavi  in  Sicilia,  ha  rinvenuto  una  statua  di  tufo  calcare  finissimo  e  poco  disco- 
sto una  importantissima  iscrizione  greca.  Detta  statua  ha  la  (testa  rivolta  in  alto 
con  una  corta  barba,  la  bocca  aperta  con  segni  di  dolore,  una  lunga  chioma  che 
scende  all*omere  sinistro;  e  ^tta  insieme  contorta  col  braccio  destro  in  alio. 

SOLENNITÀ'  — 11  giornoW  gennaro  si  è  festeggiato  in  Messina  il  XXUI  anni- 
versario della  liberaiione  di  essa  città ,  lenendosi  nel  teatro  la  premiazione  delle 
scuole  primarie  e  secondarie.  Vi  lesse  un  buon  discorso  il  prof.  P.  Macrì  e  com- 
pose eleganti  iscrisiooi  il  Preside  del  R.  Liceo  llaurolico,  prof.  Giuseppe  Morelli: 
ogni  cosa  stata  stampata  in  &lessiua  (tip.  Popolare)  a  cura  degli  studènti  di  quel 
Liceo. 

— 11  17  icarzo,  giorno  destinato  alla  festa  letteraria  in  onore  dei  grandi  pensa- 
tori italiani,  il  R.  Liceo  di  Palermo  ha  celebrato  in  prose  e  versi  italiani  e  latini 
ì\  nome  dì  Rosario  Gregorio.  Il  discorso  é  stato  letto  dal  prof.  Vincenzo  Di  Giovan* 
ni,  e  pubblicato  dall'editore  sig.  Luigi  Pedone- Laariel  in  un  bel  volumetto. 

—  In  Messina  l'elogiato  fu  Andrea  Gallo,  di  cui  lesse  con  molta  lode  il  professor 
Letterio  Lizio -Bruno,  seguito  da  alcuni  studenti  liceali. 


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502  Nuove  EFFEMERIDI  SIGIUANE 

BELLE  ARTI —  Lo  scultore  Benedetto  I}el>si  ha  compioto  ed  esposto  nel  suo  siutlio 
la  statua  di  Vincenso  Florio  da  noi  altre  volte  annonziata.  L'uomo,  che  con  uii  co- 
raggio piuttosto  unico  che  raro  si  costituì  capo  del  commercio  siciliano  di  questo 
ultimo  trentennio,  è  ritratto  con  una  verità,  che  mai  la  maggiore,  in  quella  bel- 
lissima statua.  Egli  sta  seduto  in  un  seggiolone  a  bncciuoli  e,  tra  sospeso  e  ripo- 
sato pensa;  nella  sua  abituale  calma,  e  tuttavia  in  quella  gravità,  che  mal  s'inter- 
preterebbe severità  di  contegno.  Questo  lavoro  verrà  collocato  tra  giorni  nel  mo- 
numento preparato  al  benemerito  cittadino  in  S.  Maria  di  Gesù  in  Palermo. 

—  Lo  stesio  sig  Delisi  ha  portato  in  gesso  una  Fornarina  nel  momento  in  cui 
essa  si  riposa  mentre  servo  di  modello  al  famoso  Pittore  dèlie  vergini  morenti. 
Quanta  delicatezza,  quanta  maestria  in  quella  statuetta  t 

RECENTI  PUBBLICAZIONI  —  /  Mali  di  Palermo  descritti  da  Giuseppe  Santìlippo. 
Palermo,  Francesco  Giliberli.  Baeeonli  di  Salvatore  Malato-Todaro;  Pai.  L.  PeJone 
Lauriel.  editore.  Elvira  Trezzi»  racconto  dei  tempi,  di  Raff.  Palizzolo;  Palermo,  ti- 
pografia del  Giorn.  di  Sicilia;  Primi  elementi  di  Grammatica  italiana  per  C.  Guz- 
zi no.  Pai.  Sandro n  editore.  La  Proprietà  è  un  furto,  la  famiglia  un  nome  ,  Capi^ 
toh  di  Rocco  Ricci-Gramitto,  Gìrgenti,  Tip.  Romito.  Alla  Gzrmnnia.  Canto  di  An- 
tonio De  Marchi;  Pai.  Tip.  del  Giorn.  di  Sicilia.  Saggto  di  traduzioni  dal  franee$^ 
e  dal  tedeuo  per  Matteo  Raeli  di  Vincenzo;  Noto,  tip.  Morello.  La  Meta,  rifletiioni 
economiche  di  Mario  Landolina  ;  Catania,  Tip.  Roma.  Rapporti  della  Eitradizion^ 
colla  forza  estensiva  del  Giure  punitivo,  per  Giuseppe  Taranto;  Pai.  tip.  del  Gior- 
nale di  Sicilia.  Per  V inaugurazione  della  Biblioteca  di  Pariinieo,  Discorso  di  Car- 
melo Pardi;  Pai.,  stamp.  Lorsnaider.  Su  la  Èaccolfa  di  Canti  popolari  siciliani  di 
Giuuppe  Pi  tré,  per  Suiv.  Salomone- Marino;  Pai.,  tip.  de]  Gior:i.  di  Sicilia  Rosaria 
Gregorio  e  le  sue  Opere  ,  Discorso  del  prof.  Vincenzo  Di  Giovanni  con  lettere  e  do- 
cumenti inedili;  Pai..  L.  Pedone  Lauriel  editore.  Principi  logici  estratti  dall'Organo 
di  Aristotile  e  annotali  da  Vincenzo  Di  Giovanni  per  us»  degli  Alunni  di  Filosofia, 
Pai.,  Salv.  Biondo  editore.  Le  pretese  Amate  di  Dante  di  G.  F.  Bergmann,  Ferf(oit« 
di  G.  Pi  tré;  Bologna,  G.  Romagnoli  editore.  Elenenti  di  Storia  Ecclesiastica  del  P. 
Salvatore  Lanza;  Pai.,  tip.  Bircellona.  VArle  di  ben  vivere  e  trattare  per  tutti,  u 
nuovo  Galateo  di  Giov.  Di  Pietro;  Pai.  tip.  Olivieri.  //  pìimato  artistico  degli  Ha- 
,  liani,Esercitazioni  scolastiche  degli  alunni  delConvilto  dei  Chierici  R'Ssi  in  èionreate\ 
Palermo,  Lao.  Sugli  Usi  popolari  siciliani  per  la  Festa  di  S.  Giovanni  BcUtista, 
Lettera  di  G.  Pitrè  alla  Baronessa  Ida  von  Duringsfeld-Reinsberg  ;  Firenze,  tip. 
deirAwociatione.  Fra  Scilla  e  Cariddi  Racconto  di  Cecilia  Stazzone  marchesa  De' 
Gregorio;  Firenze  alia  Galileiana.  Prolegomeni  al  Coìto  di  Diritto  penale,  d<«l  prof. 
Mariano  Mucciarelli;  Pai.,  tip.  Mirtu.  , 

PROSSIME  PUBBUCAZIONl  —  La  porta  arabo-normanna  nell'ex  monastero  della 
Martorana  in  Palermo,  per  cura  di  Gaetano  Riolo  ed  Andrea  Terzi.  Questo  pre- 
zioso inluglio  in  legno,  unico  anziché  rro,  di  purissimo  stile  arabico,  sarà  ripro- 
dotto in  un  fascicolo  iu-4  grande;  edizioiie  di  lusso,  con  tre  tavole  incise,  ed  a  dne 
t^nte  e  copertina  cromolitografeu  ;  al  prezzo  di  L  7  (rivolgersi  al  sig.  G.  Ri.>lo, 
Pilermo.  via  Giovanni  Meli  42).  Prorerbi  e  Canti  popolari  napolitani  ora  per  la 
prima  volta  pubblicati  da  G.  Pitrè;  Palermo,  L.  Pedone  Lauriel  ;  Poesie  scelte  di 
tìiovanni  Meli,  trnd.  col  testo  a  fronte  ed  annotate  da  Licurgo  Cappelletti;  Setùti 
cari  di  Carmelo  Pardi ,  voi.  II.  VOtica  di  Tolomeo  traduzione  latina  inedita  Jet 
sec.  XII  pfl  siciliano  Kugenio  Ammirato.  Torino,  a  spese  della  R.  Accademia  di 
Scienze. 


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BULLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


LE  DHOr.lIE  VEGETALI  MEDICLNALI 
esjHjste  con  nuov»  m elodo  ec  pel  Dot- 
tor AvTONiNo  Macaluso.  Palermo,  ti- 
pografia del  Giorn.  di  Sic.  1871. 

Per  chi  studia  Materia  Me'ìicOt  ili  non 
lieve  difficoltà  riesce  il  dovere  appren- 
dere le  droghe  vegetali  medicinali  e  le 
droghe  prodotti  estrattivi  ed  esudati  delle 
piante,  appunto  perchè  classi iìcate  o  per 
famiglia  botanica,  o  per  ordine  alfabe- 
tico, 0  per  virtù  medicinale;  classifica- 
zioni, come  ognun  vede,  che  debbono  di 
necessità  mettere  insieme  piante  e  so- 
stanze disparatissime  e  fisicamente  e  mi- 
croscopicameote.  L*egr.  Prof.  Macaluso, 
nel  lodevolissìmo  intento  dì  agevolare  a- 
gli  studiosi  la  via  di  apprendere  mate- 
ria medica .  e  conoscere  i  vari  caratteri 
de'medicinali,  le  qualità  migliori  e  le  do- 
lose sofisticazioni  si  è  accinto  ad  una  clas- 
sificazione fatta  con  nuovo  metodo ,  ed 
ha  già  messo  fuori  quella  parte  che  ri- 
guarda le  droghe  vegeUdi  medicinali. 

Egli  prende  a  base  la  struttura  bo- 
tanica delle  diverse  parti  delle  piante 
che  somministrano  droghe  medicinali, 
e  quindi  in  tre  famiglie  comprende  :  a) 
le  droghe  tirale  dal  sistema  assi  le  delle 
piante;  h)  le  droghe  del  sistema  appen- 
dicolare delle  piante;  e)  le  droghe  som- 
ministrate da  piante  ag<ime. 

Ogni  famiglia  viene  divisa  in  classe,  la 
classe  in  ordini,  gli  ordini  in  gruppi  ;  e 
così  tenendo  sempre  di  vista  la  struttura 
anatomica  delle  droghe,  con  nesso  scien- 
tifico e  facile  si  studian  tutte  le  droghe 
vegetali  medicinali  dalle  radici  e  dai  riz- 
zomi  ai  fiori  ed  ai  frutti.  Alla  fine  di  o- 


I   gol  gruppo  di  droghe  il  Macaluso  fa  un 
[   riassunto  comparativo  dulie  diverse  spe- 
I   eie  e  varietà  in  esso  comprese,  il  quale 
j   chiama  Esercizio,  che  ha  lo  scopo  di  ren- 
I   dere   più  facile   lo  studio  delle  droghe, 
di  riunire  al  metodo  analitico  il  sinte- 
tico in  un  breve  e  semplicissimo  quadro. 
j       Avendo  attentamente  letto  il  libro,  pare 
!   che  l'egr.  A   abbia  raggiunto  stupenda- 
mente lo  scopo  che  si  propose;  e  che  ab- 
bia fatto  un  lavoro  veramente  utile  e  per 
tutl'i  lati  cximmendevole.  Per  non  recar 
che  un  solo  esempio,  tutta  h  parte  che 
tratta  delle  Chine'chine,  (pagg.  138-190) 
non  può  essere  più  chiara,  più  esatta  e 
semplice,  perchè  tu  possa  a  bella  prima 
distinguere  una  specie  da  un'  altra,  una 
buona  da  una  cattiva. 

E  qui  ci  restiamo,  perché  insufficienti 
sarebbero   le  nostre   lodi   al  .«.acaluso, 
dopo  quelle  che  uomini  illustri  e  consu- 
mati nella  scienza  gli  hanno  prodigate. 
S.  S.-M. 

IL  PLESSIMETRO  £  LO  STETOSCOPIO 
pel  doli.  Isidoro  Cai.oiro.  i'  ediz.  Na- 
poli, tip.  Giannini.  1870. 

Oggidì,  che  alla  completa  esplorazione 
degli  organi  interni  del  torace  e  dell'ad* 
dome  ed  alla  precisa  diagnosi  delle  lor 
malattie  il  medico  ha  trovato  un  gran 
sussidio  nella  percussione  e  nella  ascol- 
tazione; la  scienza,  progredendo  sempre, 
si  è  sforzata  di  perfezionare  quegli  islm- 
menti  inventati  a  tal  uopo,  cioè  il  pUs- 
sitnelro  e  lo  ttetoseopio. 

L'egregio  dott.  Caloiro  ha  messa  fuori 
questa  sua   dotta  monografia  •  a  bene 


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S04 


MJOVE  EFPeMERIDl  SIGIUANE 


<1eiriirle  medica  e  ad  aiuto  di  chi  res»*r- 
ciln  •  f  nella  quale,  tessendo  la  storia 
della  plessi inelria  e  della  stetoscopia  e 
dando  le  norme  necessarie  alla  esatta 
«pplicacionc  dei  due  strumenti  ne*  vari 
casi,  viene  a  proporre  per  entrambe  delle 
modiflcazioni  pregevoli  ed  assennate,  che 
risultano ,  direi,  dalla  sottile  na  fiusta 
«ritica  ch*ei  fa  agli  stes<%i  strumenti  nelle 
varie  forme  fin  qui  adopratf.  Il  plessi- 
metro da  lui  proposto,  e  già  aoceiuto  e<l 
adoprato  con  vantaggio  dal  Tommasi  di 
Napoli ,  è  di  avorio  «  di  forma  ovale  e 
curvilineo  in  larghezi.i  ;  molto  comodo 
per  adattarsi  agli  spazi  intercostali  degli 
individui  magri,  e  ili  maggior  risonanza 
del  plessimetro  circolare.  Lo  stetoscopio 
è  di  acero,  in  uiiic«>  pezzo,  con  Timbulo 
ad  orlo  rovesciato  (p^T  non  recar  mo- 
lestie airinferrao),  e  am  disco  superiore 
amovibile  e  concavo  (per  non  esercitare 
compressione  sulPesterno  delVorecchio  e 
modificare  i  suoni^.    . 

Noi  ci    soDcriviamo ,  in  gciu>re ,   alle 
conclusioni  del  Caloiro,  e  non  saremmo 
alieni   dall'  accogliere  il  suo  plessimetro 
«  il  suo  stetoscopio  ;  e  mentre  é  nostro 
desiderio  che  la  pratica  de'  medici  rati- 
fichi i  vantaggi  già  segnalali  dal  chiaris  •    ^ 
Simo  autore,  desideriamo  che  il  suo  li- 
bretto vada   per  le  mani  di  molti  dot-    i 
tori, specialmente  dell'isola  nostra,  i  quali 
assai  cose  importanti  che    ignorano  vi 
impareranno  di  plessimetria  e  stetoscopia 
normale.  E  un  ultimo  nostro  desiderio 
ancora  non  vogliamo  tacere,  che  in  al-   ' 
tra  edizione  del   pregievolissimo  suo  li- 
bro il  (Caloiro  estenda  un  po'  più  la  p.-irte   ' 
storica,  specialmente  per  ciò  che  rignar-   ' 
da  lo  steioscopio,  che  ail  infinite  modi- 
ficazioni é  andato  soggetto  fino  alla  re-    , 
conte  del  Nicmayer  (Viicuoxilon). 

S.  S.-M. 

METRO  NOTO  BADGE-- Educa  tuo  fi- 
glio,  Libro  d*  Educazióne  Nazionale, 
voi.  unico.  Livorno  1870,  pr.  L.  4.       I 
(Questo  libro  di  elegante  edizione  rar- 


'  coglie  Precetli,  Esempi ,  istruzioni  suK 
l'Educazione,  e  l'Autore  Imi  saput'i  seo 
gliere  a  suo  nobile  scopo  quello  che  e'  é 
,  di  più  grave,  nel  governo  o  nel  riordi- 
I  nameoto  degli  Stali,  l'educazione  pub- 
!  blica  per  Tinsegnamento.  L'opera  va  di- 
I  visa  in  tre  parti:  la  prima.  Precelti;  la 
I  seconda ,  Esempi  ;  la  terxa ,  Lezioni  di 
'  morale  ec^mtmiea.  La  parte  prima ,  che 
è  come  il  fund&mcnto  del  libro,  è  la  più 
importante  perchè  lratt.i  dsM* Igiene  sino 
alla  Religione;  o  applicazione  de*  precetti 
di  essa  parte  prima  sono  gli  esempi  della 
parte  seconda,siccome  compimento  le  le- 
lioni  di  adorale  della  terza.  Noi  non  ap- 
proviamo quanto  l'Autore  dice  a  prupu- 
fito  della  ReligiuDe,  stante  che  avrcbb*.- 
dovuto  scrivere  altrimenti  di  certe  ma- 
terie ch'egli  dovette  a  suo  tempo  studiare 
e  conoscere:  la  Religione  com'egli  la  pre- 
senta diviene  o  affare  di  sentimento  ,  o 
affare  di  politica:  la  sua  divinità  è  sva- 
nita; e  il  sacerdote  è  inutile  ingombro , 
ovvero,  com*  egli  1'  Autore  il  crude  og;*! 
divenuto,  un  essere  che  «  raccoglie  il  d.» 
sprezzo,  l'abbandono»  l'indifferenza  (pa> 
gina  iSS).  In  mezzo  ai  pregi  del  suo  li- 
bro il  sig.  Noto  Badge  ha  seminato  tali 
mende,  e  falsi  giudizi  che  in  an  libr  >  di 
educazione  fa  uopo  mancassero,  perchè 
sia  libro  che  possa  veramente  riuscire  di 
utile  a  tutti,  e  di  bene  ai  leggitori. 

I  libri  di  educazione  non  debbono  mai 
sentire  delle  passioni  del  tempo;e  avrem- 
mo voluto  che  di  questo  si  fosse  sempre 
ricordato  l'egr.  Autore,  a  cui  non  manca 
ingegno  e  abilità  a  riuscir  bene  ne'  pro- 
positi. V.  D.  G. 

KNHIOiETTO  ossia  IL  GALATEO  DEL 
FANCIULLO  proposto  dal  prof.CosTa^f- 
Tiifo  RoDBLLA.  Operetta  premiata  dal 
Municipio  di  Torino  f Concorso  baruf- 
fi) 187i,  presso  G.  B.  Paravia. 

Ecco  un  buono  e  caro  libretto,  che  forso 
nou  avremmo  se  non  fosse  stato  il  con- 
corso bandito  dal  benemerito  prof.  Baruf- 
fi, per  un  buon  Galateo.  Cosi  la  gente  <w 


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BULLETTINO  NBLI06BAFIG0 


50& 


Desta  0  amante  del  bene  come  il  Baraffi 
fa  nascere  i  baoni  libn  ;  cosi  le  persone 
giudiziose»  sennale  ,  islroile  come  il  sig. 
RoJella ,  trovano  argomenta  di  conforto 
nelle  opere  loro:  e.  se  non  altro,  trovano 
ehi  le  legga*  le  apprezzi  e  ne  tenga  conto. 

L'Enrichetto  del  sig.  Rodella  è  un  caro 
e  ben  educato  giovinetto  ,  lutto  senno  e 
pazienza,  lutto  afTabilità  e  amorevolezza, 
il  quale  dalla  prima  levata  del  mattino , 
air  andata  a  letto  della  sera,  opera  con- 
forme le  regole  della  buona  creanza ,  e 
secondo  i  dettami  della  buona  coscienza. 
In  casa  è  tutto  libri ,  in  iscuola  tutto  o- 
recchi  per  raccogliere  gl'insegnamenti  del 
maestro;  dapertutlo  oiodello  di  virtù  e  di 
buon  costume.  Dalle  scuole  elementari 
mano  mano  salisce  fino  al  liceo,  fino  al- 
l' università  ,  donde  Elnrichetio  esce  me- 
dico-chirurgo laureato,  e  va  ad  esercitare 
la  sua  professione  con  filantropia,  dism- 
teiesse  ed  onestà.  In  lui  si  raccoglie  lar- 
gamente quello  che  si  è  saputo  seminare; 
egli  è  quel  che  si  prefisse  di  essere  :  un 
fior  di  galantuomo. 

L' EnìHeketlo  del  sig.  Rodella  è  un  bel 
tipo .  che  gli  educatori  dovrebbero  pro- 
porre ai  loro  alunni: e  noi  lo  presentiamo 
loro  ,  ben  persuasi  che  se  essi  amano  la 
morali*,  come  1'  amano  di  fatti,  ce  ne  sa- 
pranno grado.  0.  P. 

STUDIO  CRITICO  sulla  Educazione  e 

lìdruzione  dell*  uomo  di  mare  per  N. 

V.  DisTEFANO- Isaia.  Palermo,  Ameii- 

ta  J871. 

Il  sig.  Distefano  parlando  di  marini 
a  persone  che  si  presume  conoscano  il 
mare ,  parla  ab  experlo,  e  mostra  tulio 
il  marcio  che  e*  è  nello  insegnamento  di 
questa  classe  di  persone,  le  quali  hanno 
la  disgrazia  di  non  essere  all'altezza  de- 
gli studi  d'ogni  ragione  a  cui  dovrebbero 
essere  educati.  Il  suo  lavoro  tende  a  in- 
trodurre qualche  importarne  riforma  nel- 
la parte  tecnica  dello  insegnamento  :  il 
che  a  lui  viene  suggerito  dallo  esercizio 
continuato  che  egli  ha  potuto  fare  sin 


qui  sull'argomenloy  emanilo  lezioni  a  gio. 
vani  aspiranti  alla  patente  di  capitano 
di  lungo  corso.  E  si  che  dovrebbe  te- 
nersi conto  delle  sue  proposte,  acciò  st 
vedano  cessare  certi  inconvenienti  che 
mostrano  il  difetto  di  ehi  formulava  i 
programmi  che  regolano  tutta  la  islilu- 
zione  dei  collegi  nautici  e  delle  scuole 
esterne  di  navigazione.  Porse  nello  scritto 
del  prof.  Distefano  non  tutto  risponde  ai 
nobili  desideri  dell'  Autore  ;  forse  non 
c'è  tutto  il  legame  che  in  ogui  scrittura 
è  da  cercar  sempre  :  ma  ciò  non  toglie 
che  esso  abbia  i  germi  di  un  bene,  che 
....  vital  nutrimento 
L'isrcrà  poi  quando  sarà  digesto. 
G.  P. 

CIULLO  D'ALCAMO  e  h  ma  Tenzone. 

Comento  di  L.  Vigo.  Uologna  1871. 

Questo  Comento  del  nostro  illustre  si- 
ciliano fu  pubblicato  dal  Propugnatore 
di  Bologna  e  in  libretto  a  parte  di  p.  103. 
Ci  duole  che  per  difetto  dì  spazio  nou 
possiamo  darne  conveniente  esame  ,  at- 
tesa r importanza  dell' argomento  e  la 
gravità  dello  scritto  eruditissimo,  dopo 
il  quale,  se  nuove  ricchezze  non  mandino 
fuori  o  i  nostri  Archivi  o  le  liiblioleche 
Italiane,  poco  o  nulla  si  può  aggiungere 
sul  conto  del  poeta  Alcamese  e  sulle  no- 
tizie che  a  Ciullo  e  al  suo  Canio  si  pos- 
sano riferire.  Delh  Tenzone  è  cibila  uìia 
nuova  lezione  ,  con  assai  noie  critiche  : 
uia  più  di  lutto  è  importHrite  il  Discorso 
che  la  preced-  pur  con  le  sue  note,  di- 
viso in  18  II ,  che  riguardano  il  iUolo 
e  la  scpna  della  Tenzone  ,  lo  stato  di 
Ciullo  e  dell'Amata,  i  valori  del  medio 
evo,  il  letnpu  quando  Ciullo  scrisse»  la  di- 
fesa, lo  Imperatore,  gU  agoslari ,  W 
Saladino  t  il  Soldano ,  \i  lingua  della 
Tenzone,  il  pugliese,  Voriografia,  metro, 
eodici  e  stampe  della  stessa,  il  suo  pre- 
gio. 

Avremmo  desideralo  che  l'illustre  Au- 
tore avesse  pur  detto  qualcosa  intorno 
agli  antichi  monu  ncnti  di  n(»slra  lingua 


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506 


NUOVE  KFFEMfilIUDl  SIGILIANC 


che  escono  fuori  iJalle  famose  Carte  Ar- 
boreti, e  la  lin;ua  e  poesia  «lai  vecchio 
Siciliano:  ma  avrà  avute  le  sue  ragioni 
perchè  si  tacque,  mentre  tanto  rumore 
ni  fa  in  Italia  sopra  ì  delti  Codici  di  Ar- 
borea; e  resta  sempre  airAutore  la  bella 
gloria  di  aver  sapulo  con  questo  suo 
nuovo  lavoro  innalzare  a  Ciullo  più  che 
la  statua  che  la  sua  città  untale  tarda 
a  erigere  al  primo  Rimatore  nella  dolce 
favella  italica.  V.  D.  (;. 

LEZIONI  DI  STORIA  UNIVERSALE  con- 
dotta $ino  al  1867  con  parlieofare  ri- 
guardo alta  storia  d'IlcUia  per  Anto- 
nio Matschru,  prof,  nel  Liceo  Fosca - 
fini  etc.  IV*  edii.  (Storia  AirriCA,  0- 
rimlate-greeo' romana)  Venezia  1871. 

È  per  ordine  il  primo  volume  de'  tre, 
ne*  quali  Tegr.  prof.  Matscheg,  ha  dato 
la  sioria  universale  sino  al  1815,  la  qua- 
le sarà  compiuta  con  un  quarto  volume 
che  giungerà  sino  al  1867.  Dì  questo  vo- 
lume non  avremmo  che  a  dire  quello 
stesso  che  de'  due  precedentemente  stam- 
pati; se  pure  non  si  dovesse  aggiungere 
che  ci  pare  quest*ultimo  anche  avanzare 
i  primi  in  bella  disposizione,  ed  essere 
ben  ricco  di  quanto  giovi  alla  storia  in 
cognizioni  speciali  archeologiche,  lette- 
rarie, politiche  ed  economiche  de'  tem- 
pi antichi. 

C'è  poi  una  tavola  cronologica  che  rie- 
sce di  assai  utile  nello  studio ,  e  fa  un 
bel  pregio  del  voinme.  anzi  di  tutto  que- 
sto Corso  del  Matscbeg. 

Rispetto  al  giudizio  d^llo  storico  sarà 
più  difficile  la  storia  contemporanea,  ma 
CI  verrà  dal  Matscbeg  tiicuram^nte  un  li- 
libro  degno  del  pacato  e  imparziale  giu- 
dizio di  che  ha  dato  esempio  ne'  volumi 
stampati;  il  che  non  sarà  piccola  lode  al- 
l' autore ,  né  piccolo  benefizio  alla  gio- 
ventù studiosa.  V.  D.  G. 


STORIA  ECCLESIASTICA  DI  TAORMI- 
NA, opera  inedita  di  mons.  Giovann* 
Di  Giovanni  tradotta  d.tl  latino  e  con- 
tinuata sino  ai  nostri  giorni  dal  sacer- 
dote Fbthonio  Grima  ec.  Palermo  1870. 

Il  Consiglio  comunale  di  Taormina 
provvedeva  sin  dal  1865  che  ross«;rodate 
alla  luce  le  due  storie,  civile  eJ  ecclesia- 
stica, di  Taormina,  lasciate  BIS.  dall'in- 
signe autore  del  Codice  diplomatico  ^i- 
culo,  e  (Mia  Storia  ecclesiastica  di  ^ici- 
lia,  monsig.  Giovanni  Di  Giovanni,  taor- 
minese,  e  de*  più  illustri  uomini  che  u- 
liorarono  la  Sicilia  n>*l  secolo  XVIII.  Que- 
ste due  storie  furono  dall'  autore  scritte 
in  Ialino  ;  ma  sono  state  pubblicate  ri- 
dotte in  volgare,  la 'prima  cioè  la  storia 
civile  nel  1869,  e  questa,  la  ecclesiastica, 
negli  ultimi  mesi  del  1870.  Abbondano 
in  questo  libro  l'eruihziune  e  la  critica  « 
die  fanno  un  bel  pregio  degli  scrìtti  de| 
Di  Giovanni;  e  i  prìmi  secoli  della  chiesa 
taorminese  sino  alla  invasions  saracine- 
sca, sonv  esposti  con  tanta  ampieiza  di 
racconto  e  ricchezza  di  testimonianze,  da 
far  assai  dilettevole  e  importante  la  let- 
tura del  libro  anche  per  chi  non  fosse 
cittadino  di  Taormina. 

li  traduttore  ha  aggiunto  al  te<to  una 
appendice  sullo  stato  della  chiesa  di  Taor- 
mina dal  1750  al  1870,  e  siccome  si  do- 
vette alle  cure  del  Di  Giovanni  ,  che  fu 
Rettore  del  seminario arciv<»covi  le  di  Pa- 
lermo (del  quale  seminario,  oltre  la  sto- 
ria de'  seminari  in  generale,  scrisse  una 
storia  speciale,  tuttavìa  inedita,  e  conti- 
nuata sino  al  1859  dal  Narbone),  la  Bolla 
colla  quale  il  Pontefice  Benedetto  XIV 
concedeva  al  detto  seminario  il  privilegio 
della  laurea  dottorale  in  sacra  teologia, 
il  Grima  ha  pubblicato  pure  in  fine  del 
libretto,  come  compimento  della  prefa- 
zione, essa  Bolla  del  30  aprile  17i9. 

Lodiamo    il   Municipio  taorminese  di 

cosi  onore^e  deliberazione  ispirata  di 

I  vero  amor  patrio;  e  facciamo  pure  le  no- 

I  s  T'  Ioli  al  traduttore  sac.  Grima  per   le 


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BULLETTINO  BlfiLlOGRAFlGO 


307 


cure  della  traduzione  ben  condotta,  e  da 
scambiare  facilmente  per  originale. 
V.  D.  G. 

notizie:  STORiCHe  di  Ca$ieliermini  e 
mo  Urrilorio ,  per  Gaetano  Di  Gio- 
vanni; fase.  IV.  Girgenti,  tip.  Monles, 
1871. 

Questa  nuova  puntata  dell'opera  pre- 
gevolissima del  sig.  Di  Giovanni  contiene 
tre  capitoli  del  lib.  Il*,  i  quali  trattano 
della  origine  musulmana  dei  casali  ca- 
stelterminesi,  delle  vicenda  loro  in  sullo 
scorcio  del  secolo  X,  del  periodo  di  a- 
narcbia  e  d  i  conquasso  cbe  segui  tra  il 
1040  e  il  1060»  quando  l' isola  videsi  a 
un  tratto  divisa  in  molti  piccoli  stati  fra 
loro  rivali  e  guerreggianti;  del  ritorno  di 
tutto  il  territorio  al  nome  cristiano  die- 
tro l'impresa  del  Conte  Ruggiero;  e  de- 
gli avvenimenti  che  ebbero  luogo  all'e- 
poca normanna  e  svevo-angioina,  cioè 
dal  1087  al  1282. 

Non  aggiungiamo  lodi  a  quelle  di  cui 
hanno  fatto  degne  queste  notizie  stori' 
che,  autorevoli  riviste  dltalia^tra  le  quali 
il  PiopugìMlore  di  Bologna  e  la  Rivi- 
sta Europea  di  Firenze;  e  ci  congratu- 
liamo coll'cgregio  autore,  a  cui  facciam 
preghiera  di  condurre  presto  a  icrinine  la 
si  bene  incominciata  opera.        G.  F. 

NOTIZIE  DELLA  VITA  E  DEGLI  STUDI 
del  Conte  Ldigi  Cibrar.o,  socio  della 
R.  Accademia  delle  scienze,  raccolte  da 
Fedirigo  Sclopis  ,  Presidente  della 
medesima.  Torino  ,  Stamp4*ria  Reale 
1870. 

•  Il  nome  di  Luigi  Gibrario,  che  fu 
venerato  e  caro  a  quanti  il  conobbero  vi- 
vente, sarà  a  buon  diritto  celebre  presso 
i  posteri,  così  per  le  molte  opere  sue  let- 
terarie .  come  per  avere  con  esse  di- 
schiusa la  fonte  di  altri  lavori  che  si  po- 
tranno ancora  condurre  con  gran  van- 
taggio della  storia  patria.  • 
Con  queste  parole  l'illustre  Conte  Fe- 


derigo Sclopis  chiude  la  notizie  biogra- 
fico-critiche  intomo  ad  uno  dei  più  va- 
lenti scrittori  contemporanei,  che  con  lo 
ingegno  e  col  cuore  seppe  ai-^fuistarsi 
alte  dignità  in  Italia  e  meritata  roputa- 
siono  all'estero. 

Delle  quali  notizie  non  possiam  dire 
lutto  il  bene  che  vogliamo  perché  ci  par- 
rebbe di  ripetere  ciò  cbe  di  altn  scritti 
consimili  Jello  Sclopis  avemmo  a  dire  in 
queste  Effemeridi  a  proposito  del  Manno, 
del  Maiteucci  q  del  Mittermayer,  soci  del- 
la R.  Accademia  delle  Scienie  di  Torino» 
e  però  elogiati  da  lui.  Questi  lavori  del- 
l'integro Uomo  distalo,  del  sapiente  Sto- 
rico della  Legislazione  italiana,  dell'illu- 
stre Presidente  dell'Accademia  torinese , 
hanno  tutte  il  raro  pregio  .dell' affetto  ,* 
figlio  della  lunga  consuetudine  avuta  dal- 
l'autore colle  p«>rsoiie  lodate,  e  la  tem- 
perania  maggiore  delle  opinioni.  Sicché 
il  giorno  in  cui  egli  si  persuada  a  racco- 
gliere e  metter  fuori  in  un  sol  volume  si 
belle  scritture ,  darà  un  nuovo  est mpio 
di  ammirazione  agli  estinti ,  e  di  devo- 
zione alla  patria,  e  appresterà  delle  no- 
tizie preziose  alla  storia  delle  scienze  a 
delle  lettere.  G.  P. 


PER  EMBRICO  AMARI  L'ACCADEMIA 
PALERMITANA  01  SCIENZE,  LET- 
TERE ED  ARTI  nella  solènne  foniate 
del  18  (Zie.  1870.  Commemorazione.  Pa- 
lermo 1871. 

Questo  librcUo  contiene  un  Discorso  o 
Saggio  sopra  Emerico  A  mari  e  le  sue  o- 
pere  del  socio  avv.  Francesco  Maggiore 
Perni;  alcuni  ricordi  di  Giuscfpe  Di  Mon- 
za, poesie  greche,  lati ne« italiane  de'sigg. 
Giuseppe  De  Spuches«  Giusep(>e  Monlal- 
bano,  Ugo  Antonio  Aioico,  M^rio  Villa- 
reale,  Gio.  Di  S.ilvo,  e  inscrizioni  del  prof. 
Giuseppe  Bozzo  ;  oltre  una  brevissima 
narrazione  della  seduta  accademita  con- 
sacrata alla  memoria  di  Emerico  A  man 
morto  in  Palermo  a'  21  sett.  1870.  Parta 
principale  della  tornata  dcil'dccademia  e 


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508 


NUOVE  KFPUKRIDl  SIGIUANE 


però  ili  rpiesto  librello,  fa  il  discorso  dd- 
l'avv.  Francesco  Maggiore  Perni ,  che  si 
psiende  per  un  100  pagine  di  stampa,  e 
fa  il  rìtratto  più  compilo  che  possa  desi- 
derarsi de'tempi  ne'  qoali  visse  ed  operò 
TAmari  come  uomo  politico  e  professure 
(li  diritto;  presentando  cosi  Timagìne  as- 
sai rilevata  della  mente  e  del  cuore  del- 
rillosire  filosofo  e  virtuoso  cittadino. 

Il  sig.  Maggiore  Perni  ha  scrìtto  dell'A- 
man  come  aiTettuosisissimo  amico  può 
scrivere  di  maestro,  la  cui  perdita  per  le 
rare  virtù  di  mente  e  di  animo,  pubbli- 
che e  private,  si  tiene  da  tutti  irrepara- 
bile. Pieno  di  savi  giudizi,  moderato  in 
mezzo  a  tanta  esagerazione  di  parti  che 
fa  disperare  del  buon  senso,  questo  di- 
scorso condotto  in  largo  disegno  ricorda 
i  Saggi  del  MacaUy,  e,  tranne  qualche 
menda  nella  forma,  è  un  bell'esempio  di 
lavori  che  diano  tutto  intiero  un  uomo  il- 
lustre co'  suoi  tempi  e  col  suo  paese. 
L'  Elenco  de'  mss.  lasciati  dall'  Amari, 
scientifici,  letterarìi,  politici,  e  di  svariato 
argomento,  ha  fatto  maraviglia  anche  Ur 
gli  amici  stessi  che  da  più  anni  godevano 
l 'affetto-  dell*  Amari,  e  veneravano  con 
sincero  rispetto  le  virtù  di  tant'uomo.Sap- 
piamo  che  il  conte  Amarì  farà  disporne 
per  la  stampa  una  buona  raccolta  dì  essi 
scrìtti,  e  siamo  lieti  che,  pur  mancato  ai 
vivi,  il  nome  di  Emerico  Amarì  tornerà 
ft  crescere  novella  glorìa  alla  Sicilia. 

Seguono  al  discorso  del  Maggiore  Perni 
i  Hieardi  di  Giuseppe  Di  Mensa,  ne'  quali 
si  presenta  l'Amari  alla  cattedra  di  di- 
ritto penale  dell'Università  di  Palermo 
come  primo  maestro  fra  noi,  e  ispiratore 
ne'  giovani,  della  teoria  del  progresso 
sociale;  e  in  questi  Itieordi  senti  tutto 
l'afTetto  che  un  discApolo  pnò  serban*  in 
cuore  pel  suo  antico  maestro.  Le  poesìe, 
cioè  la  elegia  greca  del  De  Spuohes,  tra- 
dotta in  latino  dal  Mootalbano  e  io  ita- 
liano da  Ugo  Antonio  Amico,  la  elegìa  la- 
tina pur  del  Montalbano  e  le  ottave  del 
Villareale,  sono  la  più  bella  corona  che  si 
avesse  potuto  intrecciare  sulla  veneranda 


testa  dell'Amarì.  Le  iscrizioni  raccolgono 
infine  tutte  le  lo<ii  dell'estinto,  che 

Mtbe  tempre  da  tutti  piaueot  amore 

rispetto 

e  taeeiò  di  te  hh  nome 

ehe  corre  tenta  macchia  ai  più  lontani 

nepoti. 

V.  D.  G. 

1  VIAGGI  DI  GIO.  DA  MANi)A  VILLA  , 
volgftrizzamento  antico  toecano  ora 
ridallo  a  buona  lezione  ecc.  per  cut  a 
di  Francbsco  Zamnini;  v.  H.  liologna 
Romagnoli,  1870,  (preszo  L.  7). 

Questo  volume  secondo  de'  Viaggi  del 
Mandavillk,  cosi  egregiamente  curalo  dal 
eh.  editore,  non  è  meno  importante,  né 
meno  curioso  del  primo,  che  forse  a- 
vanza  per  stranezza  di  racconti,  e  bel- 
lezza di  narrazione.  Molta  parte  del  vo- 
lume narra  del  gran  Cane,  e  del  prete 
(ìiovaniii,  e  di  meraviglie  e  di  usanze  tali 
di  paesi  ,  che  il  libro  dà  colla  squisita 
forma  della  buona  lingua  piacevolissima 
lettura.  La  descrizione  del  Catai  e  del 
palazzo  del  Gran  Cane  ò  cosi  ghiotta  che 
se  non  fosse  dì  più  pagine  dovremmo 
riferirla  per  intero;  e  molte  altre  pagine 
a  saggio  della  lingua  e  dei  racconti  sa- 
rebbero eziandio  a  citare ,  se  ora  che 
questi  Viaggi  si  sono  ristampati  non  fos- 
sero già  facili  alla  lettura  di  chi  volesse 
cercarli.  La  Scelta  di  curiotilà  che  in  e- 
legantissima  edizione  dà  fuorì  il  Roma- 
gnoli si  è  arrìcchita  con  questi  Viaggi  del 
Mandavilla  di  un  bel  gioielin  ;  e  noi 
ne  rìngrasiamo  quanto  più  si  possa  il 
eh.  editore  Comm.  Zambrini,  :he  gover- 
na sapientemente  e  amorevolmenle  cosi 
caraS<^to  \.  D.  G. 

IL  GIARDINO  D'ITALIA,  Pfre«rrtiia2Ìom 
dìB.  E.  Mainbri.  Opera  prnniata  dalla 
Società  pedagogica  ilaliana  nelC  anno 
I87a  Milano,  tip.  già  Dom.  Silvi  1871. 
Attivissimo  sempre  e  pur  sempre  ricco 

di  pensieri  e  di  affetti,  il  prof.  Maineri 


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BULLBTTINO  BIBLIOGRAFICO 


509 


ritrae  in  questo  elegaote  volume  (di  pag. 
270),  le  sue  impressioni  durante  un  suo 
recente  viaggio  per  la  Toscana  e  per  la 
città  di  Ferrara. —  Lucci,  Firenze,  Siena, 
Pisa,  Livorno  e  da  ultimo  Ferrara  sono 
le  citta  e  province  che  egli  visita  e  delle 
quali  s'intrattiene, quando  perrìoordarne 
la  storia,  quando  por  descriverne  i  mo- 
numeiili  sacri  e  profani  ,  antichi  e  mo- 
derni ,  quando  per  elogiarne  i  cittadini 
più  illustri  negli  sludi  e  nelle  armi.  L'o- 
pera sua  (iene  delfa  storia,  del  viaggio  e 
del  romanzi»  ad  un  tempo,  e  nondimeno 
non  ha  la  gravità  dell'  una,  la  facile  leg- 
gerezza dell'altro  ed  il  lenucinio  del  ro- 
manzo. Essa  disegna,  pennelleggia  e  co- 
lorisce con  mano  maestra  e  leggiera  quello 
che  il  suo  autore  ha  velluto;  e  i  suoi  di- 
segni sono  corretti,  spiccati;  le  sue  tinte 
ben  fuse;  ì  suoi  colori  vivaci ,  morbidi^ 
che  danno  bella  intonazione  all'insieme. 
Il  Mai  neri  vi  si  manifesta  in  tutta  la  schiet- 
tezza deir  animo  suo ,  amabile ,  mesto, 
delicato;  amante  delle  glorie  d'Italia,  de- 
volo alla  storia  di  lei,  nemico  di  ogni 
nmana  bruttezza,  pieno  di  senno,  di  ret- 
titudine e  di  equanim  tà  :  un  uomo  in- 
somma che  pensa  come  non  pensano  molti 
parabolani  e  sputatondi  dei  giorni  nostri. 
Per  servirci  delle  parole  della  Commis- 
sione pedagogica  italiana,  aggiudicatrice 
de*  premi ,  il  libro  •  è  ricco  di  episodi, 
ed  è  scritto  con  una  rara  felicita  di  stile  •; 
sicché  ,  anche  per  questo  ci  pare  che  il 
Giardino  dltalia  sìa  da  lodarsi.  £  si  che 
noi  lo  vedremmo  assai  di  buon  animo  cpn- 
sigliaio  come  un  buono  e  bel  libro  di  let- 
turti,  e  i>erò  come  premio  agli  scolari  stu- 
diosi ed  intelligenti.  G.  P. 

RACCONTI  di  Salv.  Malato  Todaro.  Se- 
conda edizione,  Palermo,  L.  Pedone - 
Lauriel.  editore,  1871. 

In  questa  ristampa  il  benemerito  edi- 
tore sig.  Pedone-Lauriel  ha  riunito  quat- 
tro racconti  del  eh.  prof.  Malato-Todaro; 
de'  quali  il  primo ,  Pietro  Torrigiani , 


pubblicato  di  fnsco  nella  Rwitia  Sicuh 
e  non  mai  fin  qvi  a  parte;  il  secondo, 
Flota,  anch'  esso  pubblicato  nel  perio- 
dico palermitano  e  corso  in  un  volumetto 
che  ebbe  rapido  spaccio;  il  terzo  ed  il 
quarto.  La  Buca  della  talvezza  e  l'Amor 
paUrnOygìii  apparsi  nell'elegante  volume 
di  RaccotUi  popolari  ,  editi  in  Palermo 
nel  1862. 

LabreviUi  dello  spazio  non  ci  consente 

di  scrivere  quanto  per  noi   si  dovrebbe 

:   di  questo  bel  volume;  del  quale  in  parte 

!  fecero  a  suo  tempo  molle  lodi  il  Tom- 

'   m.iseo  ed  il  Gontìi,  giudici  per  ogni  ra- 

I    gione  autorevoli  e  ciedibili    per  onesta 

I  e  per  sapere.  Pure  non   possiamo   non 

i   congratularci  coH'egregio  Professore  della 

,    maniera  onde  son  condotti  questi  suoi 

lavori,  e  più  per  la  forma  eletta  oud'egli 

riveste  i  suoi  pensieri  ed  i  suoi  affetti. 

Questo  libro  volle  dedicalo  l'A.  a  due 
suoi  buoni  ed  amorosi  fanciulleltiie  an- 
che di  questo  ci  congratuliamo  con  lui. 
G.P. 

GIAGOMIN  DA  ROMA.  Novella  di  Fran- 
cesco Zambrini.  Bologna,  R.Tip.  1871. 

I      Tiiacomin  da  Roma  è  un   ufficiai  di 
I  dogana,  il   quale  un  30  anni  addietro 

stando  in  Faenza  venne  in  proverbio  per 

la  sua  mania  di  fare  il  cascamorto  ed 
I  il  parassita.  Una  Tolta  tra  le  altre,  non 
I   invitalo  interviene  ad  una  cena  in  casa 

di  un  Conte,  dalla  cui  moglie  s'era  ar- 
!   gomenlato  di  trovar  grazia.  Quivi  gliene 

avvengono  di  tutti  i  «olori ,  da  disgra- 
!  darne  quelle  tanto  comiche  di  Sir  Wil- 
'   liens.  Ebbro,  è  condotto  al   Pratel  di 

Mangone  a  riposar  sulla  neve,  donde 
.  alcuni  masnadieri,  rubatolo,  il  traggono 
I  «allo  spedale  ;  e ,  dall'ebbrezza  guarito  . 
I  dopo  uno  strano  avvenimento  per  cui 
;  trovasi  a  pericolo  di  vita  ,  torna  libero 
'<   a  casa. 

I       È  questa  la  novella  saporitissima  dcl- 
I   lo   Zambrini  ,  dalla  quale  vuoisi  rica- 

vare  che  in  fondo  in  fondo  i  furfanti  e 
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510 


NUOVE  EFFEMERIDI  SIGILUNE 


i  mestatori  vanno  sempre  a  galla,  ed  il 
mondo  è  sempre  di  chi  sa  pigliarlo.  11 
ritratto  di  ser  Giacomino  ò  una  cara  cosa, 
ed  eccolo  qaale  ce  lo  dà  l'autore:  •  Egli 
era  un  omiciattolo  di  circa  trentacinque 
anni,  vedovo  con  due  fanciulle,  bassetto 
e  pochino  della  persona ,  con  un  colai 
visuccio  animato,  ri  tondello  e  colorito, 
che  sembrava  una  mela  rossa  appassita; 
e  se  non  fosse  ch'egli  aveva  pure  il  mento 
adorno  di'  colali  basettino  di  topo,  sem- 
pre di  pomata  lardellate,  e  d'un  po'  di 
pizzetlo,  e'  non  saria  stato  gran  fallo  ri- 
putarlo una  femminuccia  in  bracbesse , 
piuttosto  che  un  maschio.  Ed  oltre  a  ciò 
pianto  giulivo  e  lieto  con  quale  vi  vo- 
gliale persona  sempre  si  dimostrava ,  e 
soprattutto  colle  donne ,  che  ,  se  io  do- 
vessi dipignere  proprio  la  felicità,  bene 
senza  tema  di  andare  erralo ,  trarrei  di 
netto  costui  (pag.  12).  • 

Quanti  di  codesti  Giacomiiii  non  si 
trovano  in  ogni  città  e  paese  t  E  chi  sa 
qual  Giacomino  non  si  trovi  raffiguralo 
in  qnello  si  ben  pennelleggialo  dallo 
Zambrini  t  Dire  poi  che  la  novella  come 
lavoro  di  arte  è  bellissima,  parai  sover- 
chio, perché  ciò  va  inteso.  Lo  Zambrini 
è  così  valente  maestro  nell'arte  dello  scri- 
vere, che  é  sempre  nuovo  piacere  a  leg- 
gerlo, molto  più  quando  la  materia  il 
consigli  ad  uno  stile  come  questo,  feste- 
vole, brioso  e  pieno  di  fine  allusioni 
che  sapraniino  d'agro  a  pia  d'uno. 
G.  P. 

IL  GAROFANO  CORALLO  di  Karel 
Beroman.h,  Traduzione  di  Coucettina 
Sampolo  Mdzio-Salyo.  Palermo,  Gili- 
berti  editore,  1871. 

Il  titolo  che  !'A.  ha  dato  al  suo  rac« 
conto  non  ha  d%  far  nulla  col  contenuto 
di  esso.  Il  racconto  parla  degli  amori  non 
lieti  di  un  Renalo,  che  avendo  pre.<o  ad 
amare  una  Susanna  sua  cugina,  carirsi- 
roa  0  virtuosissima  giovinetta,  partilo  per 
^russello  ebbe  posto  amore  ad  una  Cla- 


rice ,  giovane  vaga  ma  civettuola,  della 
cui  voltabilità  accortosi,  ritornò  al  primo 
amore.  11  sig.  Bergmann  vuol  mostrare 
che  l'orgoglio  e  la  vanità  sono  tanto  sti- 
mabili quanto  la  semplicità  e  la  mo- 
destia. Egli  ha  delle  scene  commoventi, 
come  ne  ha  altre  di  poco  interesse  per 
la  classe  di  1  eltori  ai  quali  il  Garofano 
potrebbe  mettersi  in  mano.  L'A.  è  un 
osservatore  molto  accurato,  e  sebbene 
scenda  talvolta  fino  alla  maniera  onde 
venga  ballato  un  Waltzer  od  una  Polka; 
0  al  color  brunaslro  degli  stivalettini 
delle  ragazze  che  ballano,  nondimeno  in 
più  luoghi  penetra  nel  cuore  dei  perso- 
naggi con  fstuJio  e  con  sagacilà. 

La  traduzione  della  egregia  signora 
Concettina  Sampolo  Huzio-Salvo  «  con- 
dotta con  molto  garbv  e  diligenza:  il  che 
non  è  poco  in  una  versione  ove  s'incon- 
trano tante  difficolta  quante  non  ne  san- 
no vedere  coloro  che  di  siroiglianti  la- 
vori non  abbiano  forniti  giammai. 

G.  P. 


APPENDICE  AGLI  STUDI  VARI  di  Al- 
berto Bdscaiko -Campo.  Trapani,  tip. 
Modica-Romaoo,  1871. 

Al  bello  e  meritamente  lodato  Volume 
di  Studi  vari  pubblicato  nel  1867  l'illu- 
stre A.  ha  fallo  seguir  ora  qnesV Appen- 
dice, ch«  contiene  alcuni  -^hri  scritti  man- 
dali fuori  in  varie  occasioni  dopo  quel- 
l'anno. Accenniamo  di  volo  alle  quattro 
ìrtiert»  Sulla  lingua  d^Ilalia,  su'  Nuovi  e- 
lementi  di  grammatica  italiana  del  Piaz- 
za, Classicismo 0  toscanità^  La  via  di  Dan- 
te per  la  piaggia  deserta  ,  neNe  quali  il 
Buscaino  mostrasi  crilico  insigne  e  filo- 
logo erudito  e  profondo;  non  toccheremo 
nemmeno,  che  di  passaggio,  della  Chiusa 
che  va  da  pag.  115  a  120  .  e  che  parti 
molto  curiosa  ed  importante  pel  giudizio 
che  V\.  medesimo  dà  dell*»  propri*»  scrii  - 
ture:  noi  amiamo  invece  fermarci  alle 
Correzioni  e  giunte  che  fa  al  voi.  degli 
Studi,  e  tra  queste  in  ispecie  a  quelle  che 


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BULLETTINO  BIBLIOGRAFICO 


Sii 


riguardano  le  lettere  critiche  sul  vocabo- 
lario dell'uso  toscano  del  Paiifani. 

Duolci  moltissimo,  in  vero,  il  vedere 
scesi  ili  lizza  poco  benevolmente  due  il- 
lustri scrittori  e  filologi  italiani ,  come 
il  Fanfani  ed  il  Buscaino,  de'  quali  in 
grande  pregio  teniamo  l'ingegno  e  gli 
stadi:  duolci  ancora  più  il  doverci  pro- 
nunziare in  una  quistione  tanta  delicata. 
Ognuno  sa  che  il  Buscaino  ,  il  quale  e 
dal  popolo  toscano  e  da*  libri  ha  stu- 
diato per  t>ene  la  lingua  dell'uso  e  clas- 
sica italiana,  fu  il  primo  a  portare  uria 
critica  seria  ,  sennata  e  garbatissima  sul 
Vocabolario  dell'uso  del  Fanfani.  Questi 
se  no  adontò:  e  pur  riconoscendo  la  giu- 
stezza delle  acute  osservazioni  del  Bu- 
scaino, molle  ne  accolse  nelle  Voci  e 
maniere  del  parlar  fiorentino,  stampate 
lo  scorso  anno;  a  molle  rispose  nel  libro 
medesimo  ,  ma  con  poca  gentilezza ,  e 
spesso  con  villania,  ridendo  de'  non  to- 
scani che  fanno  ridere  i  toscani  veri  colle 
litro  smancerie  ed  improprietà.  Quindi 
continua  qui  e  qua  a  dir  peggio  ,  dar 
dell'asino  al  Buscaino,  attaccarlo  di  ma- 
lafede ec.  .Ma  il  Buscaino  gli  risponde 
'per  le  rime  e  senza  peli  sulla  lingua  ; 
|.i  coglie  di  contradizione  da  un  passo 
all'altro  de'  suoi  libri  e  de'  suoi  assio- 
mi, che  vorrebbe  da  unico  e  solo  oracolo 
di  lingua  imporre  a  tutta  Italia;  appog- 
gia con  copia  di  esempi  e  ragioni  quello 
ch'egli,  il  Buscaino,  ha  affermato;  e  di- 
mostra la  poca  lealtà  del  Fanfani,  pub- 
blicando qualche  brano  di  lettera  di  ini, 
che  dicv  al  tutto  diverso  da  ciò  che  nelle 
Voci  e  maniere  ha  stampato  contro  il 
nostro  siciliano.  — >  Noi,  guardando  senxa 
idee  preconcette  e  senza  passione  la  cosa, 
confessiamo  cbe  1'  uno  e  l'altro  scrittore 
ha  ecceduto,  ma  che  il  Buscaino  non  ha 
poi  tutto  0  il  principale  torto  ;  e  messo 
nei  suoi  panni ,  chiunque  avrebbe  fatto 
lo  stesso  e  peggio.  Ma  le  parole  son  pa- 
role, e  vogliamo  augurarci  che  rimanes- 
sor  tali ,  e  i  due  valenti  nomini  cessas- 
sero da  queste  dissidtoze  che  portano 


poco  prò'  e  mollo  danno  alle  lettere  ita- 
liane. S.  S.-M. 


STATUTI  MINERARI  della  Valle  di  Bros- 
so  del  secolo  XV,  per  A.  Bertolotti. 
Torino,  stamp.  reale,  1871. 
LTtalia  deve  non  poco  al  valente  e 
laboriosissimo  signor  Antonio  Bertolotti 
per  i  molti  suoi  studi  d'ogni  maniera . 
ma  più  di  lutto  storici,  sul  Canaveso;  e 
i  lettori  del  nostro  Periodico  ricorderan- 
no quanto  scrivemmo  de'  Fasti  Cana- 
vcsani  dell'islesso  autore.  Qggi  egli  ci 
manda  il  prezioso  dono  del  soprannotato 
libretto,  nel  quale  non  ò  chi  non  rico- 
nosca una  grande  importanza  anche  dal 
solo  titolo.  Pur  l'A.  ha  voluto  arri  cchire 
la  pubblicazione  degli  Statuti  con  molte 
notizie  sui  vari  statuti  minerari  di  varie 
Provincie  italiane,  con  la  storia  delle 
miniere  di  Brosso,  oltre  ai  cenni  storici 
sull'industria  minerale  del  Piemonte  ed 
alle  opportunissime  note  comparative  con' 
altri  consimili  statuti  delle  italiane  Pro- 
vincie. Gli  statati  di  Brosso,'  parte  in 
latino  e  parie  in  italiano  ,  cominciano 
dal  1497  e  vengono,  colle  successive  ag- 
giunte, fino  a  quelli  riformati  nel  1602. 
Noi  facciamo  all'illustre  A.  le  nostre  sin- 
cere e  cordiali  congratulazioni  per  que- 
sta nuova  operetta.  S.  S.-M. 

TRAGEDIE   D'  EURIPIDE,  tradotte  da 
Giuseppe  De  Spuches.  Napoli,  1871. 

Questo  volume  si  compone  de'  capola- 
vori di  Euripide,  cioè  dell^  Medea,  del- 
Vlppolilo,  delle  Fenicie,  deWEeuba,  del 
ResOp  del  Ciclope,  e  di  nbte  critiche,  fi- 
lologiche ,  storiche  e  mitologiche  sopra 
esse  tragedie,  che  ora  sono  state  raccolte 
insieme  in  seconda  edizione  per  cura  del- 
l' egregio  prof.  Francelco  Prudeozano;  il 
quale,  ha  premesso  al  volume  una  Ma 
prefaiioncella  e  sulle  tragedie  d'Euripi- 
de, e  soi  pregi  di  questa  versione  del 
De  Spuches.   Di    qutste  versioni  una 


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512 


NUOVE  EFFEMERIDI  SICIUANE 


cioè  VlppoiUo  ,  osci  la  prima  volta  in 
questo  perìodico  ,  e  però  i  nostri  let- 
tori sanno  bene  quanto  sia  il  valore ,  e 
come  poeta  originale  e  come  grecista  del- 
l' eg.  traduttore,  nò  ignoreranno  la  bella 
fama,  che  gode  iii  Italia,  iu  poesia  .  in 
archeologia,  in  lettere  grech*;.  Pregio  sin- 
golarissimo di  queste  versioni  del  De  Spu- 
ches  è  il  farti  scordare  che  hai  a  mano 
una  traduzione,  e  il  saper  vincere  colla 
rima  nc'Cori  difficoltà  che  parrebb4*ro  in- 
superabili al  verso  scioUo;  e  poi  l'usarti 
sempre  lingua  e  frase  classica  ed  elegan- 
te. Delle  versioni  del  !>>  Spuclies  abbiamo 
il  giudizio  compctentissimo  del  Tom- 
maseo e  dell'Ambrosoli,  di  molto  onore 
al  nostro  siciliano:  e  sulla  Medea  tenne 
TAmbrosoii  di  proposilo  una  Lettura  al 
R.  Istituto  Lombardo  nell'adunanza  del- 
1*8  febbraro  1866.  Nella  quale  Lettura, 
assai  dotta  e  da  maestru.si  accenna  spesso 
al  Bellotli;  e  si  conchnide  sopra  i  due  il- 
lustri   traduttori  d'Euripide  ,  che  •  può 

•  dirsi  onorevole  al  sijr.  De  Spuclies,  che 

•  la  sua  versione  debba  piacere  ed  esser 

•  lodata  in  un  paese  a  cui  Felice  Bellotli 

•  ha  donata  la  sua;  nù  sani  piccolo  ac- 

•  creseimento  di  fama  e  testimonianza  di 

•  merito  al  Del  lotti ,  che  la  sua  trailu- 

•  zione  non  sia  falla  dimenticare  da  qua- 

•  sta  del  sig.  De  Spuches  •  (p.  10).  In 
questo  annunzio  non  possiamo  riferire  a 
saggio  luoghi  e  versi  di  queste  versioni 
del  De  Spuches  :  ma  noD  possiamo  non 
dire  che  bella  gloria  viene  alla  Sicilia 
dalla  fama  del  De  Spuches, poeta  di  forme 
cosi  classiche,  e  cultore  di  studi  sifTatlt 
che,  nella  presente  declinazione  degli  alti 
e  severi  sludi  letterari,  può  dirsi  col  suo 
esempio  non  esser  del  tutto  venuti  meno, 
e  restare  tuttavia  chi  sappia  coltivarli  no- 
bilmente e  con  degna  lode.       V.D.G. 

GRILLO  OSSIA  IL  BANDITO  SICILIA- 
NO.  Cauti  XII  di  Carmelo  Piola,  tra- 
tportati  in  italiana  favella  dal  prof. 
CiusBPPE  Cazzino.  Palermo,  1870. 

Non  è  queslo  il  luogo  di  parlare  del- 


l'originale dì  questa  traduzione,  il  quale 
allorché  usci  in  luct*  col  titolo  Griddu  o 
tia  lu  sbannutu  ticilinnu  (Palermo.  1861) 
meritò  i  giusti  plausi  di  quanti  sanno 
timere  in  pre^o  non  pur  la  buona  poesia 
ma  altresì  la  lelleralura  di  dialetto. 

Vogliamo  solamente  toccare  della  ver- 
sione del  eh.  prof.  (>azzino,con)e  quella 
che  ad  una  certa  fedeltà,  soli' ogni  ri- 
spetto lodevolissima,  unisce  la  facile  e- 
leganza  che  si  è  usi  di  ammirare  in  o- 
pere  consimili  dell'illustre  Professore  di 
Genova.  E  perchè  le  nostre  parole  ab- 
biano una  evidente  prova,  scegliamo  così 
come  vien  viene  una  ottava  del  b«'l  poe- 
ma d«*l  nostro  concittadino,  per  farla  se- 
guir subilo  dalla  versione  italiana  del 
Cazzino.  Il  poeta,  caldo  di  amor  patrio, 
celebra  la  Sicilia,  e  nella  piena  dell'af- 
fetto esclama: 

Bedda  Sicilia  mìa,  lu  si'  l'elctui 
Mudellu  chi  l'Elernu  ha  ironiaginatu; 
'Nzoccu  si  trova  in  tia  tuttu  è  pt^rfi^ttu, 
Tutlu  ò  duci  armunia,  tuttu  è  pisutu: 
E  sidd'accadi  spissu  chi  l'elTetlu 
Nun  è  siccomu  fu  predestinatu. 
La  culpa  non  è  tua;  ma  l'omu  infami 
E* chi  nun  sì  sazia  mai  ntra  li  so'brami. 

E  il  prof.  Cazzino  con  molta  feliciui  di 
corrispondenza: 

Beila  Sicilia  mia,  lu  sei  l'eletto 
Model  ch'ebbe  l'Eterno  immaginato; 
Però  che  quanto  ò  in  te  tutto  é  perfeilo 
Tutto  armonico  e  tutto  ponderato. 
E  se  tal  fiala  incontra  che  rcfrelto 
Non  risulti  qual  fa  predestinato. 
Tua  la  colpa  non  è,  sì  dell'infame 
Uom  non  mai  sazio  di  sfogar  sue  brame. 

Esempì  come  questo  potrebbero  addur- 
senc  moltissimi  ;  ma  questo  solo  parci 
sufficiente  a  conforma  del  pensier  nostro. 
Intanto  non  possiamo  non  render  vive  e 
colme  grazie  al  valoroso  traduttore,  della 
premura  ch'egli  prende  nel  far  conoscere 
le  cose  nostre  agli  altri  provinciali  d'I- 
talia ,  i  quali  non  ne  saprebbero  forse 


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BOLLETTINO  BIBUOCRAPlCf) 


Sia 


Italia  st;  tuli  versioni  non  Tossirò.  Al  G.-ir.- 
Zino  devpsi  oramai  il  parlicolar  bi'iieQfìio 
ili  veder  divulgale  in  buon  ilsiliauo  molle 
belle  cosi^  del  Meli ,  del  Tempio  .  del 
fiangi  e  del  Piola.  G.  P. 

PER  LE  NOZZE  DOHIADELAIM.  Ve- 
rona, premiata  Tipografia  di  (ì.  Fran- 
ceschini,  1871. 

Per  queste  t)en  augurale  iiezxe  l'egre- 
gio sig.  Adolfo  Gemma  ha  messo  fuori 
un  grazioso  e  affi'IUioso  poiimetro  ,  di- 
retto alla  sposa  a  nomo  dello  zio  di  lei, 
e  una  versione  deir£ro  e  Leandro  di 
Museo,  che  parecchi  amici  vollero  inti- 
tolato olio  sposo.  Questo  bellissimo  e 
soavissimo  poemetto  greco  è  reso  nel 
dolce  nostro  idioma  coti  molto  garbo  e 
dolcezza  di  numeri  ;  mostrando  chiara- 
mente che  il  traduttore  sia  ben  adden- 
tro nello  studio  de*  classici  poeti  nostri 
non  solo,  ma  de'  greci  e  Ialini  eziandio. 
Noi  ce  ne  congratuliamo  di  cuore  collo 
esimio  sig.  Gemma  ,  speeialmenle  ai  di 
che  corrono,  ne*  quali  col  buon  senso 
son  iti  a  fondo  i  buoni,  geniali  e  dt»tti 
studi,  per  non  dir  delle  Muse,  fatte  già 
spigolistre  sguaiate  e  luridissime. 

S.  S.-M. 

LEGGENDA  DI  S.MARGARITA  V  eM. 
in  ultava  rinia  scritta  da  ineerto  Tre- 
eentitta  ,  con  un  esempio  morate  in 
prosa.  Bologna,  tip.  Fava  e  Garagnani 
1871. 

Questa  ingenua  e  divota  leggenda  pub- 
blicata dair  illustre  comm.  Zambrini  ci 
richiama  ad  altre  consimi  li  di  quel  se- 
colo decimoquarto,  io  cui  molte  di  tuli 
leggende  nacquero  in  mezzo  al  popolo  e 
vennero  scritte  noi  solitari  monasteri.  Il 
fondo  CI  sembra  molto  popolare  t  s  as- 
somiglia ,  specie  per  la  parte  delle  ten- 
tazioni del  demonio,  ad  alcune  storie  in 
poesia  siciliana  ,  e  con  particolarità  a 
quelle  che  nei  secoli  XVI  e  XVII,  corsero 
fino  a  Napoli  e  vennero  tradotte  a  Fi-  i 


renZH.  La  lezione  non  è  di'lle  migliori  ; 
e  noi  pensiamo  clu»  una  migliore  non  ne 
esista,  cosi  indacendoci  a  credere  la  for- 
ma semplice,  e  però  poco  letterata  del 
componimento.  V'hanno  dei  versi  difet- 
tosi assai,  wu  in  mezzo  ai  488  dei  quali 
risulla  ve  ne  hanno  alcuni  bellissimi  per 
forza,  efflcacia  e  disinvoltura,  proprio 
usciti  dal  cuore.  Un  altro  indizio  di  for- 
ma popolare  ci  viene  dalla  maniera  di 
rimare  non  poche  delle  ottave  a  solo  o 
fra  di  loro.  Alcune  hanno  consonanza 
ed  assonanza, come  lu  ottave  XXI,  XXIV, 
XXXIII:  e  spesso  le  rime  baciate  onde 
si  chiude  un'ottava  sono  le  rime  altresì 
dell'oiliiva  seguente,  di  che  vedi  le  XVI, 
XVII,  XXI,  XXD,  XXIII,  LVI. 

Quattro  diversi  testi  sul  medesimo  ar- 
gomento conosce  in  ìstampa  lo  Zam- 
brini, ma  d'  uno  all'  infuori,  che  ò  una 
pretta  traduzione  del  francese  ,  tatti  in 
prosa.  Questa  ,  ora  per  la  prim»  volta 
pubblicata,  è,  secondo  dice  il  comm<Mi- 
datore  Zambrini ,  un  antico  documento 
popolare  da  unire  ai  molti  altri  già  po- 
sti in  luce,  il  quale  se  non  è  scevro  af- 
fatto di  mende,  certo  né  pur  va  mancante 
al  tutto  di  pregi  e  di  maestrevoli  traiti. 

E  a  questo  giudizio  delP  illustre  edi- 
tore ed  annotatore  della    prosente   leg- 
genda, pienamente  ci  uniformiamo. 
G.  P. 

ALLA  GERMANIA,  Canto  di  Antonio  de 
Marchi.  Palermo,  tip.  del  Gioiti,  di 
SUUia  1871. 

Canto  grave  e  dignitoso,  nel  quale  Te- 
gregio  prof,  de  Marchi  senza  O'Iio  né  di<> 
sprezzo  altrui  celebra  quella  nazione,  la 
cui  austerità  di  costumi,  severità  di  disci- 
plina ,  profondità  di  studi  e  fermezza  di 
propositi  ha  trionfato  sopra  un'altra,  po- 
tentissima fino  ad  ieri.  Le  glorie  germa- 
niche vi  hanno  parole  di  ammirazione  , 
ma  i  mali  onde  in  passato  quei  popoli 
furono  cagione  all'Italia  non  vi  son  ta- 
ciuti ,  e  l'autore  fa  bene  distinguere  la 


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5i4 


NDOVB  EFFEMERIDI  SICILIANE 


lor  fortuiiala  ma  ingloriosa  possanza  di 
un  tempo  dalla  non  immerilata  ooova 
grandezia  ;  nella  quale  par  trova»  come 
ogni  altro  scrittore,  grandi  fatti  da  lodare 
ed  eccessi  da  biasimare.  La  Francia  gli 
ispira  sentimenti  generosi ,  ben  diversi 
da  quelli  che  molti  poHti  dei  di  nostri 
si  sono  argomentali  di  manifestare  a  pro- 
posito della  terribile  guerra  che  ha  con- 
tristato il  cuor  d'Europa. 

Vorremmo  avere  spailo  da  apprestare 
un  saggio  della  bella  poesia  del  De  Alar- 
chi,  ma  esso  ci  manca  affatto,  e  noi  ci 
rimaniamo  congratulandoci  col  nostro  ca- 
rissimo amico,  il  quale  con  tanta  ispira- 
zione ed  eleganza  sa  scrivere  e  poetare, 
ti.  p. 

INAUGURAZIONE  del  Ginnaiio   e  della 
Biblioteca  di  Partinieo.  Palermo,  1871. 

Le  belle  isiiluzioni  che  diedero  luogo 
a'  lavori  contenuti  iti  questo  volume  sono 
ben  note  ai  nostri  lettori  ;  e  però  ce  ne 
passiamo  ,  non  senza  ricordare  ch^  so- 
pratutto della  Biblioteca,  Partinieo  va  de- 
bitore a  quel  carissimo  Carmelo  Pardi, 
che  ne  fece  sua  cura,  delizia  e  stadio. 

Precede  il  volume  una  dedicatoria  al 
Sindaco  di  Partinieo,  8Ìg.Gius.La  Franca, 
scritta  dal  Pardi.  Segue  una  relazione 
dello  stesso  sulla  Pubblica  Itlruzione  in 
Partinieo,  dalla  quale  apprendiamo  che 
quel  Comune  ha  17  scuole  con  479  allievi, 
per  le  spese  delle  quali  ha  già  stanziato 
la  cilra  di  L.  6<)48  ;  una  Biblioteca  con 
4000  volumi;  una  Società  operaia  con  ol- 
tre 100  soci  intesi  ul  mutuo  soccorso  in 


prò  degl'infermi  e  all'esercizio  dHIc  buone 
virtù  cittadine.  Segue  ancora  un  Discorso 
inaugurale  del  sig.  Molisi,  all'  apertara 
delle  teoole  ginnasiali  e  della  scuola  tec- 
nica, dove  con  molto  calore  dice  della  i^ 
struzione  in  riguardo  al  concetto  politico, 
religioso  e  morale.  A  questa  prosa  ten- 
gono dietro  poesie  di  vari  autori,  qual- 
cuna un  po'  arguta  ;  ma  nell'  insieme 
troppe. 

Per  la  Inaugurazione  della  BibUoleea 
vi  ha  il  già  annunziato  discorso  del  Par- 
di ,  che  non  poteva  essere  più  acconcio 
alla  fausta  circostanza:  pieno  di  afletto, 
come  sempre  il  Pardi  .  di  nobili  senti- 
menti, e  di  desideri  generosi.Moito  erudito 
é  UD  Diseorto  bibliografi  .o  del  sig.  Poma- 
Cangemi:  dove  sono  però  alcune  inesat- 
tezze da  correggere,  tra  le  quali  bisogna 
dire  che  non  fu  iiessarino  ma  Bessariooe 
quegli  che  arricchì  con  altri  la  Marciana 
di  Venezia.  Inoltre  la  Biblioteca  (del l'U- 
niversità?) di  Torino  non  contiene  100000 
ma  325000  volumi;  e  del  pari  quella  di 
Padova  80000  non  80O0O;  174,(JO0  e  non 
90000  quella  di  Napoli  ;  130000  e  non 
40000  quella  di  Pietroburgo;  16000  e  non 
70000  la  universitaria ,  e  430000  e  rvou 
850000  la  maggiora  di  Copenaghen,  e  cosi 
di  seguilo.  Forse  l'egregio  sig.  Poma  at- 
tinse tali  notizie  a  fonti  non  recenti. 

Anche  qui  le  poesie  non  mancano;  ma, 
ripetiamo,  son  troppe ,  e  forse  sarebbe 
stato  meglio  faro  più  piccolo  il  volume 
consacrando  parte  della  spesa  di  esso  alla 
compera  di  libri  più  utili  che  non  sono 
i  versi  talvolta  oziosi.  lì.  P. 


I  COMPILATORI 

Vincenxo  Di  0iovaniii 

0iii8eppe  ntrè 

Salvatore  Salomone-Marino. 


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INDICE 

DI  QUESTO  n  ANNO 


SCIENZE  MORAU 

Uno  scolare  del  Miceli^  e  Vab.  Benedettino  G.  Rivarola.  V. 

Bi  Olovaimi pag.    5-61 

Della  filosofia  in  Sicilia  dagli  antichi  tempi  al  secolo  XVII. 

V.  Bi  Oiovaonl.  i      173 

L'Onore,  0.  Canta. .    .    •      487 

SCIENZE  FISICHE  E  NATURALI 

Emitteri  siciliani.  Fr.  Mina  Vnlnmbo 67-117 

Perchè  i  venti  che  spirano  da'  deserti  tropicali  sono  caldi 

si  di  giorno  che  di  notte.  O.  Xiocicero •      157 

La  fiamma  e  la  vita.  O.  Xiocicero >      256 

Sull'eia  geologica  delle  rocce  secondarie  di  Taormina.  0.  Se- 

qnensa >      484 

LETTERATURA 

Dell'antica  canzone  di  Lisabetta  citata  dal  Boccaccio,  &• 

Vigo 14 

De''  Vocabolarii  siciliani.  0.  Pitrè >  20-85 

Lettere  inedite  di  V.  Coosin  a  Salv.  Mancino.  V.  Bi  dio- 
vanni 52 

L'entrata  di  Marcò  Antonio  Colonna  in  Palermo  e  i  canti 

di  Filippo  Parata.  S.  Ooccliiara '   >        74 

Sul  dialetto  greco  di  Sicilia.  Z.  Carini 109-159 

Canti  popolari  siciliani  e  scandinavi.  SS.  Schneekloth.   »      196 
Le  odi  di  S.  Sofronio  scoperte  da  Pietro  Matranga.  F.  Ori- 

spi 202 

Di  T.  Giunio   Calpumio  e  di  tre  suoi  volgarizzatori.  V, 

A.  Amico >      259 

La  Sicilia  e  la  sua  Civiltà.  T.  Vommaseo »      267 

Canzone  antica.  Xi.  Vigo. »      330 

Di  alami  Trattati  di  Mascalcia  ora  pubblicati  per  la  prima 
volta  da  P.  Delprato  e  L.  Barberi  —  Maestro  Moisé  di 


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ol6  NUOVE  EFFEMERIDI  SiaUANC 

Palfwio  e  gli  antichi  testi  di  Mascalcia  in  volgare  siciliano, 

V.  Di  aiovanoL »      352 

La  Questione  delle  Pergamene  de'  Codici  di  Arborea.  T,  &an- 

dsicio »      359 

L' Idillio  nell'Arte  greca  &.  MitcliM »      386 

Paolo  Mtmra  poeta  siciliano   del  secolo  XVII.  &•  Oa- 

vmmmau t      395 

SugU  AtieddoU  Siciliani  di  A.  Longo  e  il  discorso  del  dottor 

Hartwig  II.  Vfffo »      400 

BelU  ArU  e  Civiltà.  M.  CavallaH >      461 

BELLE  ARTI 

Intorno  la  copia  di  una  delle  storie  a  musaico  della  Cap- 
pella palatina  di  Palermo.  CI.  Bono. »        37 

Due  statue  del  sec.  XF,  in  S.  Maria  di  Gesù  Z.  De  MI» 
eliele i       135 

Illustrazione  di  un  trittico  esistente  nella  pinacoteca  Comu- 
nale di  Termini'Imerese.  Z.  He  MUchele t      18^ 

Tavola  cronologica  di  Pittori^  Scultori  e  Architetti  Siciliani 
0  dimorati  in  Sicilia  dal  secolo  XII  al  XVIII.  M.  Oa- 
leotti \ »      335 

STORIA  ED  ARCHEOLOGIA 

Il  monastero  di  S.  Maria  delle  Ciambre  presso  Borgetto. 

S.  Salomone-BSarino. »        28 

Ricerche  Slave  in  Italia  V.  Bf  ortillaro »      126 

Iscrizione    greca   di  Siracusa.    Z.    Carini  —  &•   Sery- 

manoa       *  237-239 

Di  un  documento  inedito  riguardante  una  delle  antiche  porte 

di  Palermo.  &•  Starrabba. »      244 

Censimento  delia  popolazione  di  Palermo  fatto  nel  1479,  &• 

Starrabba >      269 

Brano  di   un  Codice  Cefalutano  inedito  del  secolo  XIV. 

I.  OaHni »      317-445 

Di  Giovanni  Naso  e  della  Introduziorte  delVarte  tipografica 

in  Palermo.  &•  Starrabba '.    .     »      470. 

POESIA 

Ippolito.  Dramma  di  Euripide,  versione.  O.  Be  Spnclies.    t  39-93 
107-273 

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INDICE  517 

A  Lionardo  Vigo^  Sonetto.  0.  ttassino '   t  98 

Gottscholk  0  il  musico  della  Morte.  &.  Usto  Brano.  .    •  137 

Ad  I.  T.  D'Aste.  I».  Uzio-Smno »  28i 

Saggio  di  Teocrito.  Le  Talisie^  versione.  &•  BKitcliell.  t  388 
Ad  ÙBsarem  Cantàl  De  suo  libro  Buon  senso-  e  buon  cuore. 

Stanrenglii  e  Bernardi >  429 

AWaw.  G.  Franciosi  e  a  Pia  Bat^sotti.  Sonetto.  CI.  0nB- 

slno »  432 

Sull'esilio  e  sulla  morte  di  Ovidio ,  elegia  di  A.   Poliziano 

Versione.  Xf .  Poma-Oangemi •  491 

Versi  inediti.  Wi.  BRusio-Salvo >  493 

RACCONTI  E  NOVELLE 

Stella  e  Kiuperli.  &.  Vigo '.....•    128-188 

CRITICA 

Solenne  tornata  deir Accademia  palermitana  di  Scienze  e  Let- 
tere in  memoria  del  suo  socio  Monsignor  Benedetto  D^ Ac- 
quisto. S.  Salojnone-BCarino >        53 

Gioberti  e  la  filosofia  nuova  italiana  per  Pietro  Luciani.  V. 
Di  Giovanni »      100 

Sidlianische  Màrcheny  A  B'A t      103 

Sofismi  e  Buonsenso ,  Serate  Campestri  di  V.  Dì  Giovanni. 
Xr.  Tommaseo >      141 

Buonsenso  e  Buoncuore^  Conferenze  popolari  di  Cesare 
Cantu\  S.  Salomone-BCarino >      143 

Della  Storia  della  Baronessa  di  Carini.  S.  Salomone- 
Biarino >      145 

Biblioteca  storica  e  letteraria  di  Sicilia  di  6.  Dì  Marzo.  O. 
«tré »      148 

Scritti  vari  di  Carmelo  Pardi.  0.  BItrè »      149 

Memorie  storiche  intomo  al  governo  d^lla  Sicilia  per  F. 

Bracci.  O.  Titrè. >      215 

Costanza  vince  Ignoranza  per  6.  L.  Craik.  CI.  Be  Ca- 
stro     .    t      217 

Ricerche  intomo  al  Libro  di  Sindibdd  per  Don.  Cohparbtti. 
O.  Wtrè •      218 

Annuario  scientifico  ed  industriale  di  T.  Grispigni  e  L.  Tre- 
VELLiNi.  BK.  Siciliano t      222 


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5t8  NUOVE  RFFKMBRIDI  SICILIANE 

Su  talune 'questioni  etnografiche^  Lettera  di  F.  Randagio.  CI. 

Wtrè.      #      228 

Filosofia  elemertlare  a  norma  dei  programmi  governativi^  di 

P.  Morello.  V.  I>i  CHovanni >      286 

Elementi  di  Filosofia^  di  A.  Maugbri >        ivi 

Manuale  di  Filosofia  elementare  di  G.  La  Rosa  ...»  ivi 
Sulf  Ecclisse  totale  di  Sole  del  22  dicembre  1870  per  A.  A- 

gnello.  M.  Siciliano »      288 

Supplimento  perenne  alla  nuova  Enciclopedia.  0.  ntrè.  »  291 
Liriche  scelte  di  poeti  alemanni,  versione  di  A.  Db  Habchi. 

O.  Pftrè .294 

DeW Artificio  pratico  de*  musaici  antichi  e  moderni  per  G. 

Riolo.  B.  O.  riaocchietti .    »      299 

Studi  di  Storia  siciliana  di  L  La  Lumia.  0.  ntré.  .  »  301 
V Esercito  italiano  nel  passato  e  nell'avvenire  per  C.  Mariani. 

O.  «tré. .    »      303 

Cecco  d"" Ascoli  Racconto  di  P.  Fanfani.  V.  Bi  OiOTanai.  •  410 
Vita  di  B.d'Alviano,  per  L.  Lbònu.  0.  Pitrè.  ...»  413 
/  Viaggi  di  G.  da  Mandavilla  per  cura  di  F.  Zambrim. 

V.  B.  O ,  .    .    .    »      424 

Sul  Vocabolario  poligloUo  per  C.  Mknsingbr  con  prefazione  di 

B.  E.  Maineri.  O.  Mensinger »      426 

Giovanni  Villani  und  die  Leggenda  di  Stesser  Gianni  di  Pro- 

cida,  von  Otto  Hartwig.  0.  ntrè »      494 

Breve  Storia  della  Costituzione  inglese  per  E,  Ricotti.  0. 

«tré »      497 

La  veglia  di  Venere.  Versione  del  latino  per  U.  A.  Amico. 

O.  «tré »      499 

VARIETÀ 

Curiosità  storiche  siciliane.  S.  Salomone-Marino.  .  47-98-139 
Conferenze  per  gli  studi  del  Dialetto  siciliano.  0.  Vitrè.  »  227 
Lettere  inedite  di  G.  Borghi,  G.  Capponi,  G.  Pucci  .    .    »      406 

Il  titolo  di  Don.  V.   B.  O »      428 

L^Ecclissi  totale  di  Sole  in  Sicilia  nel  dicembre  del  1870.  Se- 
duta delV Accademia  di  Scienze  e  Lettere  di  Palermo  .    »      433 
Varietà 55-104-181.229-308-436-501 

BIOGRAFIE  E  NECROLOGIE 

Ricordo  di  Antonino  Gattuso.  O.  Pardi >       49 

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INDICE  S19 

Emerico  Amari.  V.  Bi  0loTaiiiil »      306 

Raffaele  Politi.  O.  V i      307 

Luigi  Cibrario.  0.  P >      307 

BULLETTINO  BIBUOGRAFICO 

(N.B.  Notiamù  pir  9rdm€  alfabeiie»  gU  AtUori  4%  cui  ni  parlato  :  U  nwnéro  m- 
dka  ìa  pagina,) 

Accuno  A.  158.  —  Amico  U.  A.  235.  —  Aradas  A.  108.  —  Battistino  S.  316.  — 
BergmanD  6.  F.  106-236.  —  BergmanD  Karel  810.  —  Bertolotti  A.  8ii.  —  Borgo- 
gnoni A.  i84.— BoxzoG.  234-442. —Bnscaino-Campo  A.  810.  — Caloiro  I.  803.^ 
Cantù  C.  107,  235,  440.  — Capuana  L.  443.— Cardile  G.  311.— Canni  I.  316.— 
Gatara-Leftieri  A.  315.  —  CerquetU  A.  234.  — Ciofalo  6.  M.  232.  —  Coco-Zanghi 
C.  57.  —  Cani  E.  442.  —  Coslanlioo  G.  236.  —  De  CasUo  G.  315.  —  Del  Prato  P. 
105.  —  Del  Rio  P.  311 .  —  De  Marchi  A.  235-513.  —  De  Pnymaigre  Th.  106.  —  Di 
Giovanni  Gael.  156-507.  — Di  Giovanni  Giov.  806.— Di  Mano  G.  232.  — Di  Mauro 
di  Polvica  F.  106.  —  Di  Stefano  Isaia  N.  805.  —  Pomari  P.  314.  —  Fianceschi  G. 
156.— Gabrieli  A.  56.  — Gar  T.  312.  — Gaisino  G.  512.  —  GiliberU  F.  232.— 
Maealvao  A.  508.  —  Mainerì  B.  E.  107,  312,  508.  —Maiorca  G.  154.  —  Malato- 
Todaro  S.  509.  —  Marchesano  V.  106.  —  Matscbeg  A.  441-506.  —  Minà-Palmnbo 
F.  57.  —  Morandi  L.  235.  —  Morello  P.  231.  —  Mulè-Bertòlo  G.  236.  —  Mnrio- 
Salvo  R.  80.  —  Moiio-Salvo  Sampolo  C.  810.  —  Noto-Bad^e  P.  804.  —  Orlando  G. 
M.  314.  —  Pagano  V.  87.  —  Pasca  C.  440.  —  Pasqaaligo  C.  80.  —  PeDnisi-Mauro 
A.  154.  —Perez  G.  88.— Piantierì  F.  Ì07.--Picone  G.  B.  163.  —  Pignocco  F. 
231.  — Pio  0.  313.— Pìola  C.  106-812. —Pompa  R.  439.  —  RagOM  D.  183.— 
Ramondelta  FUetì  C.  60.  —  Righi  E.  S.  186.  —  Riolo  G.  80.  —  Rodella  G.  804.  — 
Sampolo  L.  443.—  Saya  N.  314.  —  Sclopis  F.  238-807.  —  Siragusa  G.  B.  312.— 
Spano  G.  233,  318,  349  —  Spucbes  G.  811.  —  Te»  E.  86.  —  Toti  A.  441.  —  Ùda 
F.  314.- Vannncci  A.  234.  -  Fori  4U.  807,  813,  814.-VeralU  B.  4M.— Vigo 
L.  108,  808.  —  Zambrìni  F.  188,  806,  809,  813.  -Zoncada  A.  444. 


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Séoet  ehe  ii#n  hanne  pagato  il  Periedie# 


Dopo  i  vari  annunzi  nella  copertina  del  Periodico  e  le  Ire  Cir- 
colari agli  associati  che  non  han  pagato  ancora  il  prezzo  di  loro 
associazione,  siamo  costretti  ad  invitarli  pubblicamente  acciò  sod- 
disfino al  più  presto  il  loro  debito. 


NoUrbtrtolo  Filippo  —  Palermo L. 

Simiani  Carlo  —  laem 

Saya-Moleti  Prof.  Scipione  —  Messina 

Catora-Leltieri  Prof.  Cav.  Antonio  —  Idem 

Messina-Faulisi  Michele  — Alimena , 

Mastriani  Prof.  Giuseppe  —  Napoli 

£3rrelli  Cav.  Camillo  —  Idem 
arsala  Atv.  Gaetooo  — Idem 

Lombardi  Prof.  Eliodoro  —  Cefalo 

Coco  Prof.  Giuseppe— Acireale 

Cali  Giovanni  —  Idem 

Sbano  Prof.  Corrado  —  Nolo 

Municipio  di  Noto 

Russo  Vincenzo  —  Partinico 

Rac^suglia  Gaetano  —  idem 

Lo  Vasco  Sac.  Giuseppe  —  idem 

Cannisso  notar  Raffaele  —  idem 

Giordano  dott.  Alfonso  —  Lercara  Friddi , 

Municipio  di  Villalba 

Florena  aw.  Andrea  —  MistretU 

Lipari  Biagio— Idem.     ••:••• 

Ministero  della  Pubblica  Istruiione  —  Firenze    .... 

Galati-Fiorentini  aw.  Domenico  —  Idem 

Amodei  Pietro  —  Sambuca-Zabut , 

Fruscella  prof.  Niccola-Marìa  —  Campobasso  ..... 

Sganga  dott.  Giuseppe  —  Ciminna 

Impelliixeri  sac.  Santi  — Alcamo 

Biblioteca  Comunale  di  Mantova 

Inghilleri  Calcedonio  —  Termini -Imereee 

Tiiolo  Vincenzo  —  Castelvelrano 

Storiano  can.  Gaspare  —  Mazzara 

Costanzo  prof.  Giuseppe  Aurelio  —  Cosenza 

Palazzolo  sac.  Antonino  —  Terrasini 

Gabrieli  prof.  Andrea—  Bari 

Muscìotto-Juppa  sac.  Silvestre  —  Geraci-Siciilo    .... 

Boncooapagni  prìncipe  Baldassare  —  Roma 

Russo-Signorerii  can.  Antonino  —  Paterno 

Vento  Arciprete  Giuseppe  — Sciacca 

Carella  Antonino— Palermo 

Lombardo  Gaspare  —  Idem 

Augello  dott.  Pasquale  —  Delia 

Bonomo  Salvatore  —  Palermo 

Alagna-Spanò  prof.  Antonino  —  Marsala 

^caminacl  Luigi  —  S.  Margherita  di  Belice     .    .    .  •  .    . 
Biblioteca  della  Camera  dei  Deputati  —  Firenze  ... 


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Totale  Lire  fi2fi  — 


//  Gerente  :  Pietro  Montaina 

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