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WIDENER LIBRABY
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Harvard College
Library
THE GIFT OF
Archibald Cary Coolidge |
Class cf 1887
PROFESSOR OF HISTORY
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NUOVE
EFFEMERIDI SICILIANE
DI
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ANNO II.
PAIiCRMO
TIPOGRAnA DEL GIORNALE DI SICIUA
1870
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Pl-W((a3.l.3
HARVARD COLLEGE LIBRARY
THE GIFT OF
ARCHIBALO CARY COOLIOGE
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NnOYE EFFEMERIDI SICILIANE
ANNO U. DISPENSA I. APRILE 1870
AI LETTORI
Le Bffemeridi Siciliane entrano nel i^ anno con mi-
gliori speranze che non cominciarono il primo, attesa la buona
accoglienza trovata e presso noi e fuori, e gì' incora^amenti
ricevuti dagli onesti e da' dotti. Noi non diremo con millan-
tarla da far ridere che il nostro periodico sia F unico organo
che abbia la Sicilia letteraria, nel quale si raccolgono i mi-
gliori ingegni e scrittori dell'Isola; perocché siamo usi ad at-
tendere più che alle parole ai fatti, più che al volume delle
cose al loro valore. Né fa uopo ripetere che il nostro perio-
dico sarà sempre lontano dalla politica. Ma promettiamo so-
lamente di restarci fermi nel nostro indirizzo; e, accogliendo
i consigli venutici, fare in modo che nel novello anno queste
EfTemeridi rispondano sempre più al loro titolo, coniscrìt-
ture che ma^ormente trattino argomenti siciliani; anzi ag-
giungeremo i ragguagli delle tornate ieìVAcecuierma di Scienze
e Lettere di Palermo. Quanto poi siasi fatto nell'anno già com-
piuto dà a vedere lo specchietto che è Tindice del l^ volume.
Palermo, adda l« Aprile 1870.
I Compilatori
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UNO SCOLARE DEL MICELI
0
L* ABATE BENEDETTINO CL IIVAIOLA
O
Il fiorire della scuola Hiceliana in Monreale e per 1*^ Isola fu ap-
punto nel ventennio dal 1760 al 178f, anno che moriva il Miceli,
e ingagliardivano contro la scuola di lui le polemiche del camaldo-
lese Isidoro Bianchi di Cremona, le allusioni dello scolopio Giuseppe
Guglieri diOneglia, allora insegnanti in Monreale, il frizzo poetico
del Meli e le ire prepotenti del Di Blasi; benché pur da Firenze
il Sicordini difendesse in uno dei periodici di quel tempo l' illustre
filosofo accusato di spinosista (ì)y e i valentissimi compagni e sco-
lari del Miceli, fra^ quali Niccola Spedalieii, contro cui specialmente
eran mosse le accuse del Di Blasi, abate Benedettino, dotto teo-
logo e valente storiografo di Sicilia. Ma, tuttoché, a capo della
opposizione alla scuola metafisica e teologica di Monreale fosse tanto
illustre uomo quale il Di Blasi, pur tra gli slessi benedettini il Mi-
celianismo tro\ava favore, e fra^ partigiani più fervorosi fu il gio-
vane monaco Gaspare Rivarola della Badia di S. Martino delle Scale.
Il Rivarola nasceva in Palermo a' 3 di maggio del 1753 dal Prin-
cipe di Roccella Gaspare Rivarola e da Rosaria Vanni pur di nobile
casato; e fanciullo fu educato nel monastero di San Martino, ove fece
la sua professione monastica e poi fu Priore, finché, già creato a-
(*) Da un* opera sulla Filosofia contemporanea in Sicilia.
(1) Il Sicordini, difendendo lo Spedalieri contro il Di Blasi che lo aveva accusato
di Spinosiita perchè JUieeliano, avverte sul proposito : « è falso falsissimo che la pa-
rola MUeliano equivalga in Sicilia a Spinomia, non avendo essa tal significato che
nella fantasia riscaldata di chi cosi scrive; come ne sono riassicurato per tante let-
tere d* amici Siciliani. » V. il nostro libretto Della Filoiofia moderna in Sieiliay li-
bri due, p. 156-57. Pai. 1848.
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6 NDOVB EFFEMERIDI SICILIANE
baie del monastero di S. Flavia di Callaaissetla, fu in allimo abate
delPantico Monastero di Monreale. Quivi sedendo il Balsamo, dotto
e muniflcentissimo Arcivescovo di quella Chiesa, fu il Rivarola fin-
ché visse suo Vicario Generale; attendendo cosi indefessamente
alle cure ecclesiastiche e ^gìì studi filosofici e teologici, sino che,
trattenuto a Palermo per grave malattia , cessava di vìvere in età
di anni settanta ai 20 dicembre del 1822, nel Convento dello Spirito
Santo, che già fu de' Benedettini di San Martino.
lasciò il Rivarola non pochi mss.; che di pubblicato non c'è
che l'operetta : Dissertazione in cui si prova che Maria Vergine sia
stata necessariamente concepita immacolata ecc. (Palermo 1822) ; e
sono tutti di argomento filosofico. Furono questi mss. per volontà
deir autore cìiiusi neir archivio del Monastero di S. Martino, e non
depositati in quella Biblioteca a studiarli chi volesse ; anzi sappiamo
aver ordinato il Rivarola stesso non si pubblicassero, né si uscissero
di archivio, sia slato perché umilmente sentiva di se, sia stato per
altra ragione a noi ignota. Fra que' mss. intanto, oltre gli spogli e la
raccolta copiosissima di testi di Padri e di Dottori a confermazione
della dottrina fondamentale Miceliana, e scritti propri del Guardi e
dello Zerbo, e la traduzione latina che il Barcellona, dotto padre del-
l' Oratorio, fece del Saggio storico del Miceli, il Rivarola lasciava lo
Specimen scienti/icum del Miceli cum adnotationibm Rivarola^ un
Compendio di Logica sopra il Baumeister, un Compendio del corso di
Filosofia dello Zerbo, e di suo un Corso di Filosofia^ e un volume
col titolo : Metaphisices Elemeuta ad mentem priorum saeaUorwn Pa-
trum concinnata.
La Biblioteca Nazionale palermitana possiede un esemplare ma-
noscritto segn. XXXII, E. 88, del Corso di Filosofia citato , che è
r opera stessa scritta pure in latino con altro titolo; e noi da que-
sto esemplare dellji Nazionale di Palermo (i), abbiamo per lo ap-
punto tirato i passi che valgono a darci quale sia stato il sistema
professato dal filosofo benedettino. Questo mss. che pare se non
tutto autografo, certo riveduto e corretto dalP autore, ha una Pre-
fazione che discorre sulla necessità di una filosofia appropriata al
parlare dei Padri, seguita da Prolegomeni ove si tratta delle due
cognizioni deWuomo e della certezza rispettiva che ne risulta. Indi
(i) Il titolo è: Istituzioni Metafisiche aecomodaie alle espressioni de* Padri de* primi
cinque secoli della Chiesa eper V intelligenza della loro filosofia ; per opera e studio
del p. D. Gaspaeb Rivarola Cassinese. Grosso volume di earte 779 a due faccie.
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UNO SQOLABE DSL HKEU 7
cominciano i capitoli delP opera , procedendo dalla Ontologia alla
Teologia Razionale^ alla Cosmologia, e alla Pricologia ; dopo che si
conchinde con una nota sulla interpretazione razionale del Simbolo
degli Apostoli rispetto alla Creazione.
Proponevasi il nostro una rinnovazione delP antica fliosofla de^ Pa-
dri a giovamento degli studi si filosofici e si teologici, stante che
< grandi filosofi furono insieme i Padri tutti dell'antica Chiesa de-
stinati dalla Provvidenza a propagarne le dottrine; né, avvertiva >
può alcuno usurpare nella Chiesa il nome di teologo, né esser cre-
duto adatto ad insegnar gli altri, se non, quantunque illuminato dalle
dottrine della fede, non sia pure ugualmente filosofo. • Da ciò P in-
tendimento della sua opera sia come preparazione della ragione alla
fede, sia come disciplina delP intelletto credente; e Tobbligo, d'altra
parte, che dava al teologo d'* indagare ed apprendere la filosofia dei
Padri d^ primi secoli; siccome fonte di ogni sapienza, e via onde
poter camminare con sicurezza nelle ragioni delle scienze sacre.
Pertanto, ponendo innanzi il disegno ovvero Videa della sua o-
pera e lo scopo del suo lavoro, fermava il cammino da fare, avver-
tendo : « vedremo prima ciò che essi (i Padri) hanno insegnato in-
tomo il vero Ente, per poi ridurci alle idee che sembrano averci
lasciato intorno la creazione delle cose, intorno le creature e Pa-
nimo deir uomo, e tutto ciò che vien compreso nelle ordinarie parti
della Metafisica de' nostri tempi (cioè Ontologia, Teologia, Cosmo-
cologia. Psicologia). • Cosi voleva il dotto benedettino che nella
scienza mo<i^na rivivesse Tantica; e colla Teologia camminasse in-
sieme la Filosofia; massime platonica, alla quale inclinavano sopra-
tutto i più antichi de' Padri.
I Prolegomeni poi stabiliscono la natura delle due cognizioni che
si hanno nelP uomo , cioè la cognizione del senso e la cognizione
deir intelletto, o meglio la cognizione delle cose composte e quella
del semplice, del fenomeno e della sostanza, dello sperimentale e
del reale. Di più,- altra cognizione superiore può eziandio darsi nel-
r uomo, cioè la cognizione soprannaturale, • che consiste nella comu-
nicazione della Sapienza che rialza la natura dell'uomo ad uno stato
soprannaturale e divino, e partecipe lo rende della divina natura • :
da ciò la scienza e la fede, la filosofia razionale e la filosofia rive-
lata, la teologia naturale e la teologia positiva. Alla quale distinzione
che è Miceliana (f ), segue la teorica de' principii metafisici tirata di
(1) Y. il Sa'jgio slorieo di un sistema melafisieo di V. Miceli, p. 152 e segg. nel
nostro libro // Miceli, ovvero V Apologia del SistetiM. Pai. 1865.
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8 NUOVE EFFEMEBIDI SICILIANE
peso dalle proposizioni stesse dello Specimen sdentificum del Miceli,
delia quale opera è questa del nostro una larga spiegazione, in cui
hai insieme tutte le scritture del Miceli e T interpetrazione o il senso
tradizionale che ne davano gli scolari , fra quali principalissimi il
Zerbo per la parte filosofica e il Guardi p^r la teologica.
Se non che, lo stesso soflsma, onde la ragione sufficiente è con-
fusa con la ragione intrinseca, ovvero con V essenza stessa delP es-
sere (di guisa che dal principio che niente si ha senza ragione suf-
ficiente, si conchiude che ciò che é, o V essere, è necessario, ovvero
esiste per se medesimo, né si possa dare essere che sia fatto esi-
stere da altro essere, poiché sarebbe essere e non essere nello stesso
tempo, ciò che é opposto al principio di contraddizione); é a capo
delle proposizioni fondamentali di questa ontologia del Rivarola, la
quale é proprio il cemento delle proposizioni Miceliane , poste in
testo di ogni paragrafo. Qui chiaramente va detto, quasi risposta
alle obbiezioni che si facevano allo Specimen del Miceli, che :
« (§ 8). Se altri dica che non solamente una cosa ha la ragione suffi-
ciente intrinseca cioè la propria essenza in se medesima e i propri pre-
dicati, ma che ha ancora la ragione sufficiente estrinseca, cioè in altri
da cui é prodotta; io rispondo, die tale proposizione non può ammet-
tersi nello stato metaQsico, né può ridursi a principio necessario ^
giacché non potrà mai provarsi metafìsicamente e come una^ pro-
posizione necessaria , che una cosa debba avere in aliri la sua ra-
gione sufficiente ; poiché supponendo V ipotesi che chi dà la ragione
sufficiente alla cosa sia da quella realmente distinto e^separato, già
suppongo due cose realmente distinte V una dall^altra, e se son di-
stinte può una stare senza V altra, giacché per il principio di con-
traddizione ripugna soltanto che la medesima cosa sia e non sia nel
medesimo tempo, non già che tra due cose esistenti una sia e T al-
tra non sia. Dunque in quel caso potrei senza contraddizione alcuna
togliere arbitrariamente quello in cui é la ragione sufficiente della
cosa, e lasciare la cosa medesima già distinta realmente da quella
perché non idfm simtd essct et non esseL Dunque non ripugna darsi
cosa che non abbia ricevuto da altri la sua ragione sufficiente : che
se non ripugna non può la contraria proposizione aver luogo nelle
scienze, anzi deve assolutamente escludersi. Resta adunque la corta
proposizione ciie : non repugnat dari rem quin ab alio a se distincto
et rediter sejuncto rationem sui ipsius sufficientem recipisset (i).
(I) V. sopra questa proposiziooe del Miceli il nostro libro // Miceli ovvero del-
VEnie uno e reale ecc. p. 272-275. Palermo, 1864.
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UNO SCOLARE QEL MIGBU 9
« (§ 0). La ragione sofficieDle è intrìnseca della cosa quando la cosa
è essenza di se stessa^ senza che la riceva da allro. Ratio sufficiens
intrinseca rei est sui ipsius essentia^ quin ab aUo eam recipiat.
• (§ IO). Poste le date definizioni ne nasce chiara la seguente pro-
posizione : ripugna soltanto darsi la cosa senza la ragione sufficiente
intrinseca : giacché da una parte ripugna darsi cosa senza ragione
sufficiente della cosa stessa ; dall' altro non ripugna darsi la cosa
senza ragione sufficiente estrinseca ; dunque ripugna soltanto darsi
senza la ragione sufficiente intrinseca. Repugnat solum dori rem sine
ratiani sufflcietUi intrinàeca. >
Ora, questo sofisma che Aristotile avrebbe detto d' ignoranza di
elenco, ovvero di conseguenza, così ripetuto dal Nostro, condusse il
Miceli air unico Ente vivo e reale: stante siccome si vede, era' con-
fusa la ragione sufficiente con l'essenza, e però si faceva intrinseca,
senza accorgimento che posta come intrinseca, V essere è già fatto
assoluto e necessario , né altro essere assoluto e necessario possa
darsi che uno, il quale sarà Dio. E veramente il Miceli, e gli sco-
lari come il Nostro, stelter fermi alla logica ; conchiudendo air u-
nità deir Essere e a porre il mondo come la perpetua novità della
Onnipotenza, o come TOnnipotenza stessa estrinsecamente conside-
rata, la quale riguardata nel suo essere intrinseco é insieme con la
Sapienza e la Carità uno de' tre stati necessari e immanenti dello
unico Ente reale e vivo, infinito ed eterno.
Pertanto, abbiamo appunto dal Nostro che « dalle precedenti dot-
trine devono tirarsi li seguenti corollari: e primo, che la cosa e la
sua ragione sono Tlstesso : Res et ratio sunt unum et idem: secondo;
posta la ragione si mette necessariamente la cosa, e posta la cosa si
pongono ugualmente gli attributi e i predicati , giacché non può
una cosa separarsi dalla sua essenza e da' suoi predicati: Posita ra-
tiene sufficienti ponitur res, et posita re ponitur ratio sufficieiis e-
jusdem rei (t). In questi principii stabiliremo tutto il nostro sistema
metafisico (p. 40). •
Cosi procede il Nostro, dietro le proposizioni dello Specimen Mi-
celiano, alPideniità della ragione sufficiente con P essenza reale del-
l'Ente, e dell'essenza con resistenza, e dell'una e dell'altra con
la necessità; si che l'Ente é reale, necessario, uno, sottostante ai
suoi modi, apparenti, contingenti, moltiplici; e nel primo riguardo
é Dio, siccome nel secondo é Mondo; Ragion di agire con conscienza
(I) Queste due proposizioni non saraivio mai in buona logica^ convertibili.
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10 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
intrinseca o Sapienza, e Ragion d'agire con cognizione estrinseca
0 Anima; mondo naturale come Volontà fìsica, mondo soprannatu-
rale siccome Carità (I).' .
Posta adunque la natura deir Ente reale, secondo il senso Mice-
liane, cioè che vero Ente e reale sia Tessere che abbia in se stesso
la ragione del suo esistere , va dai nostro fermata la proposizione
sessantacinqnesima che ammesso f mie reale ripugna qwAwMpte al-
tro ente rede; e aggiunge di piA: « che unica sia T essenza ed uno
il vero ente, in guisa che tutto ciò che esiste non esista in se stesso,
ma in queir unico e solo, è una dottrina non solamente certa tra^
Padri della chiesa, ma tra' filosofi ancóra cosi antichi che moderni
(p. 119). • La quale proposizione vuole intanto ristretta col senso
di molti luoghi citati de' Padri, onde conchiude: e le creature dun-
que secondo i Padri non sono veri Enti,^acci)ò il loro essere non
è indipendente -e separato da Dio, ma T essere delle creature è quello
stesso che gli comunica Iddio : il buono delle creature è in Dio ,
ch^dahii gli si partecipa a tenore della sua libera volontà.; Inesi-
stenza, la sussistenza, la forza, la vita, la virtù, e qualunque altra
cosa di positivo che osserviamo nelle creature, è tutto in Dio, e da
lui ad esse partecipato, non già che Tessere delle creature sia Ti-
stesso e^ere di Dio (che è assolutamente impartecipabile) , ma è
in Dio e da lui partecipato.... Per ora ci basta conoscere che se tutto
il buono delle creature ed il loro essere è in Dio, dunque un es-
sere solo dobbiamo ammettere ; giacché se niente altro esiste che
Iddio e le creature, non può ammettersi altro essere che quello di
Iddio e quello delle creature : se queste T hanno in Dio, dunque non
resta che un solo essere ; dunque T essere è uno; né v' é altro Ente
reale che T Uno (p. 121).... > La differenza che passa txa Dio e le
creature si è che Iddio solo è veramente, e le creature non sono
se non in quanto partecipano delT unico essere; ia guisa che il loro
essere non è proprio, né sono in loro stessi, ma da Dio (p. 123).
Pertanto , si ferma T altra proposizione che è pur miceliana, cioè:
e dato TEnte reale tutto ciò che è o può concepirsi di reale con
lui si identifica (p. 125). > Tutte le realtà sono delTEnte reale, che
è unico, perfettissimo, infinito ; stantechè ; « quando supponghiamo
altro Ente separato dall'Ente infinito, togliamo insieme Tinfinita per-
(1) Altrove, cioA neUa prefazione e nelle note ai due volami sul Mkeli, abbiamo
avvertili i riscontri della dottrina del filosofo Monrealese con lo Schelling e THi^gel,
eoi Lamennais e con Io Schopenhauer, né qui occorre ripeterli.
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UNO SCOLARE DEL MICELI II
fezione dì Dio, giacché vi sarebbe oltre a lui altro baono che a lui
mancherebbe tp. 131): • Ma, in questa equazione di ogni realtà
coir Ente reale, che è Dio, è da attendere, secondo il Nostro, che gli
attributi intrinseci^ « siccome altro non denotano né sono che la stessa
sua natura, cosi s' identiflcano perfettamente e adequatamente con lui.
Le azioni però da quell'essere prodotte (e sono le creature), le quali
non esprimono la sua essenza, ma hanno soltanto ragione in quella
e sono effetti di quella causa efiSciente, non si identificano perfet-
tamente con quella, perché non sono nò costituiscono la sua natura,
ma soltanto inadequatamente, in quanto non possono sussistere se
r essere istesso non gli comunica V essere e la forza, senza però co-
municare né la natura del suo essere, né la natura della sua forza»
ma restano sempre inerenti a lui. » É T identità che passa tra l'a-
zione e r agente : < e siccome il positivo di qualunque azione e ciò'
che somministra Tessere alPazione é una perfezione, cosi siccome
Tessere delT azione ossia ciò che òdi reale nelT azione si identifica
ed appartiene al vero Ente, ugualmente con lui si identifica qua-
lunque sua perfezione (p. 129 retro). > Se non che, il Nostro fa a
se stesso questa domanda : < Cosa dunque diremo delle creature ?
hanno esse T essenza propria é distinta , onde siamo costretti di
togliere a Dio T infinita perfezione ? o sono esse T islessa cbsa con
Dio ? i E risponde subito : « L'uno e Taltro é un assurdo. Due cose
dobbiamo considerare nelle creature , T essere e la mancanza del
medesimo, o sia il positivo e il negativo. L'essere, propriamente
parlando, non conviene alle creature, ma é in Dio ; la privazione
di ulteriore essere, o sia il negativo, conviene a lofo : quindi si ri-
cava che ciò che costituisce la creatura é Tessere con la mancanza
di ulteriore perfezione, o sia, la mancanza di ulteriore perfezione
forma Tassenza della creatura (p. 131 retro).
• Per lo che, come il buono e Tessere sono perfettament) inerenti
a Dio, formano un perfetto buono, integro e senza alcuna mesco-
lanza. Quando però T essere é comunicato alle creature, non é più
in esse un buono semplice e perfetto, perché é unito alla mancanza
di ulteriore realità, ed é in esse un bene limitato e composto. Sia
per es. T estremità di una linea : Cosa é mai che costituisce il punto
che é il fine tlella linea ? Certamente la sola mancanza della linea,
0 sia il finimento della stessa. Imperciocché il punto in se stesso
né può chiamarsi estremità, né finimento delT estremità, ma la
mancanza di punti ulteriori costituisce quelT estremo della linea
(p. 133).... .
Nella Cosmologia poi la dottrina Hiceliana va ripetuta più net-
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12 NUOVB BFFBIIEIUDI SKIUANE
tamente; che, posto che TEnte yìvo sia forza o ragione cofM-
nna di agire, e « la forza realmente non si distingue dalP azione,
come la n^one sufficiente non si distingue dalla cosa medesima di
cui è ragione, né dall'Ente stesso che agisce, ma con lui si iden-
tifica • si che « r istesso Ente in quanto denota molti attuali sforzi
si chiama forza ; in quanto si considera in astratto, cioè come pre-
dito di forza si dice Ente vivo, o sia attuoso; in quanto si consi-
dera per P attuale conato si dice statolo sia modificazione o azione
(p. Ii3), • le creature non sono che azioni o modificazioni dell'u-
nico Ente, sempre nuove, e però contìngenti, finite, moltìplicr, im-
perfette, quando PEnte vivo è eterno, necessario, infinito, uno, per-
fettissimo. La definizione della sostanza conduceva il Nostro alla stessa
conclusione delP unità delP essere , che è cosi chiara parlando del
Mondo; e b uopo qui ripetere la distinzione e definizione che ci dava
sul proposito, in questi termini: • La sostanza è reale, o sperimentale.
La sostanza reale è V istesso Ente reale, che ha il proprio essere,
e che perciò ha in se stesso la ragione sufficiente perchè sia. I«a
sperimentale è quell'Ente, che noi sperimentiamo come perdura-
bile e modificabile quantunque realmente non sia tale, e che non
sussista in se stesso, ed altro non sia, che un modo estrinseco della
sostanza reale, come si è detto parlando dell' Ente vivo. I^ sostanza
reale può chiamarsi pure sostanza prima ed inerente : le sostanze
sperimentali si possono chiamare sostanze seconde o create. Se si
dà l'Ente vivo ed infinito non può darsi che unica sostanza reale;
tutte le altre sono sostanze seconde, o sia sostanze esperimentali; giac-
ché dato l'Ente vivo infinito non si dà che unico Ente reale, come
si è provato, con cui si identifica l' essere di tutti gli altri enti e-
sistenti. Dunque il solo Ente infinito è Y<'ra sostanza reale ; dunque
r altre sostanze non sono sostanze reali , ma sostanze esperimen-
tali e sostanze seconde. E perciò non si dà che unica sostanza
reale (p. 463) > Da ciò la distinzione nel Mondo del positivo e del
negativo, come una estrinseca limitazione della Sostanza che è forza
agente in continua novità di stati o modi e termini di sua azione, dai
quali procede la contingenza o il tempo, perocché « nessuna azione
di natura non può essere eterna, quando l'Ente vivo è sempre l'i-
stesso in qualunque azione. Consideriamo una ruota che sempre gira
nel suo asse ; sempre cambia sito la sua periferia, ma è nelPistesso
asse (p. 391). » Onde, e il Mondo è lo stato delP Onnipotenza che
continuamente agisce e uno stato della medesima , come P onda è
lo stato dell'acqua, che si muove ed agisce. In istietto senso P acqua
non è onda, dapoichè se non s'inalza in globo P acqua non può
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UNO SCOLARE DSL mCBU 13
prendere la figura di onda, né frattanto possiamo negare die I^ onda
non sia acqua. L^ onda dunque né è 1^ acqua, né può dirsi che non sia
acqua, ma é un' azione ossia un termine dell^ istessa acqua. Di più,
razione dell^ acqua considerata da per se sola se non é congiunta
con la carenza di ulteriore acqua non può formare Tonda, giacché
Tonda non é altro che una parte delT acqua, che dal moto delle parti
contigue sMnnalza sopra il resto del mare che ha nelT intorno nella
sua quiete. L' azione dunque delT acqua che é un certo positivo ,
e la mancanza del rimanente dell'altra acqua nello stato delTonda
costituisce Tonda (l).Cosi TOnntpotenza che continuamente agisce né
é mondo, né é non mondo ; ma é la vita di Dio. Se però a queste
azioni 0 sia a questo stato gli si unisca la mancanza di ulteriore po-
sitivo e di ulterior essere abbiamo il Mondo. Onde, la creatura per se
stessa é niente. Questo niente però unito alle azioni delT Onnipotenza
costituisce il mondo. E quanto più o meno di positivo deriva alla
creatura, e quanto più o meno di perfezione deriva e si comunica
dalT Onnipotenza a questo niente, più o meno di perfezione si trova
nella creatura. Onde ne siegue che la creatura sia un termine delle
azioni di Dio onnipotente (p. 415-16).... e legittimamente se ne in-
ferisce che il mondo altro non sia che le azioni delT Onnipotenza
che tra loro estrìnsecamente si conoscono; o sia meglio TOnnipo-
ìemsi che conosce estrìnsecamente se stessa: ed ò a tutti permesso
dapertutto vedere T aspetto e T intrinseca (àccia di Dio onnipotente.
Onde, il mondo non può dirsi che sempre é stalo poiché sempre fu-
rono ed esistettero le azioni delT Onnipotenza ; ma allora cominciò
ad esistere il mondo aspettabile quando T Onnipotenza in quel modo
ha operato quanto estrinsecamente avesse conosciuto se stessa : onde
ne é nata la espressione de' teologi di opera ad extra (p. 420) >.
La libertà di Dio nelle sue azioni conchiude la Cosmologia^ alla
quale segue la Psicologia razionale tutta nel senso del ìiìceli , sic-
come la Ontologia e la Teologia, e la teorica del Mondo già raccolta
ne^ passi citati ed esposta largamente nella scrittura del Nostro. La
quale , siccome sopra si é detto , é sempre un largo e fedele ce-
mento del sistema Miceliano, di cui per ordine si rìpetono le pro-
posizioni fondamentali , sostenendole con sentenze tirate da' libri
dei Padri e dei Dottori cristiani, e con luoghi di filosofi cosi anti-
chi come moderni, da Pitagora e Senofane a Cartesio e al Wolfio.
Linguaggio e similitudini sono sempre e di peso da' librì del Mi-
(i) Qui il ms. legge costiluUee U mare , ma ò evidentemente errore materiale di
peona.
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14 NUOVE BFPBMERIDl SIGIMA^E
celi, OYe appunto trovi V esempio della ruota e dell' onda del mare
e simili y e fin l'ultima frase della Ontologia del Nostro , cioè nel
mondo aspettabile noi avwe innanzi come la faccia di Dio. Se non
che, le opposizioni già fatte al Miceli erano sentite pure gravissime
dal Rivarola ; e, poiché notava, siccome pur aveva fatto il Maestro,
la difiérenza del sistema delPEnte vivo dalla teorica Spinoziana dei-
Tunica Sostanza sotto i due attributi del pensiero e dell' estensione;
aggiungeva alla Psicologia un'appendice in dialogo fra lui autore e
un amico oppositore sulP argomento della immortalità dell' anima,
la tesi più formidabile a ogni sistema panteistico; e indi dava a com-
pimento delle risposte in difesa del sistema una prova della immor-
taHià deWanitna, nella quale, siccome dissi altrove, è lo sforzo mag-
giore che il panteismo abbia fatto per salvare dalle conseguenze
dell' unità dell' Essere questo domma, più che della filosofia , della
coscienza universale del genere umano.
continua) Y. Di Giovanni
DELL'ANTICA CANZONE M LISAKETTA
aiATA, DAL BOCCACCIO
LETTCBA AL CH. PBOr. YINCEMZO DI GIOVANNI
Palermo
AniGo RivERrnssmo,
É ben nota a chiunque pregia i geniali sludii, e a voi singolar-
mente che ne ragionaste nel Borghini ^1), la pietosa storia della Li-
sabetta , narrata dalla Filomena per quinta novella nella giornata
quarta del Oecamerone; ma non è generalmente diffusa la Canzone,
che a nome della misera giovane fu composta nel sec. XII o Xlil
ed era ancora cantata nella giovanezza dell'insigne novellatore. Anzi
(1) Anno 1. p. no.
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dell'antica canzone di usabetta, ec. 15
sono certo essere agli altri avvenuto quello che a me io leggendo
queH' aureo volume, cioè, cUe giunto alla One del lagrimevole rac-
conto, ed ivi trovandone il principio, senza la continuazione, mi
si destò vivissimo il desiderio di possederla e gustarla intera sino
all' ultima sillaba.
E tanto per la brama di averla ^tt' occhio , e meditarla da me
medesimo ; quanto perchè fa parte del Parnaso insulare del primo
secolo, ed ìia tutti i caratteri di essere siciliana, come voi ben dite;
soggiomaiido nelP anno trascorso in Firenze, volli trarne copia da-
gli antichi Godici, e confrontarla con la stampa, che ne fece il Po-
liziano nel 1668, senza fermarmi alla recente, che reputo poco ap-
purata (I). Fortunatamente ancora esisto T antica manuscritta a pa-
gina 28 retro, God. 32, Pluteo 42 della Laurenziana, notabilmente
diversa da quella pubblicata nel 1S68. Oltre alle minori varianti, è
nel Godice in principio una stanza di più, e nella stampa sono quat-
tro versi alla fine, mancanti nel manoscritto. Gome or la leggiamo,
è certo assai mutata di quando usci dalla mente del poeta, che la
compose. Manifestamente il Poliziano la trasse da un Godice diverso
del Laurenziano, e quello o è perduto , o io non ho avuto la for-
tuna di ritrovarlo. Tutti e due hanno difetto di rima, versi mon-
chi , parole scorrette. Essa nacque probabilmente in Messina , e
dopo di essere stata cantata da giullari e menestrelli per tutta Ita-
lia , e fatta quindi celebre dal Boccaccio , (u consegnata a' Codici
nello scorcio del secolo XIY, e ducent'anni dopo il Poliziano e Lo-
renzo il Magnifico la tramescolarono a' loro canti ; ma di già mu-
tila e adulterata.
Sicilia, seguendo suo modo,
Gome fontana viva,
Che spande tutta quanta,
crea poesie originali d^ ogni maniera, se ne delizia alcun poco, e in-
ebbriandosi nelle novelle ispirazioni, le prime dimentica e abban*
dona al mare deir oblìo. Perciò invano cercheremo fra noi questa
Canzone, o T altra
Bella, ch^ hai lo viso chiaro,
inedita tuttora e da me scoperta nel decorso anno , ma serbataci
(!) Canzone a baUo composte dal magniGco Lorenzo de' Medici e da Mescer Àgnolo
Poliziano e altri aatori, insieme colla Nenda di Barberino, e la Beca di Nicomano»
composte dal meilesimo Lorenzo. Novamente ricorrette. — Senza data di tempo o di
luogo; ma certo stampate in Firenze nel 1568. Ivi a pag. 30, N. ii4, é la Canzone
di Lisabelta.
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16 nuove' EFFrasaiDl SICILIANE
ancor essa dalla gentile Toscana; come tante e tante altre che qui
non ricordo. Questo è per noi sommo bene, ma non senza un qual-
che male , dapoichè ignorandosi colà il nostro dialetto , oltre alle
mende sopradette , vi sono aggiunte quelle provenienti dair igno-
ranza di esso, e quindi le due sopradette Canzoni hanno patito mo-
dificazioni improprie, che noi solo possiamo scovrire e sanare. Se
il Redi, che tanto pregiava il siciliano, che tanta parte delle poe-
sie nostre raccolse , non lo seppe scrìvere correttamente , quanto
strazio non doveano fame gP indotti amanuensi?
Questa Canzone è il vero ritratto dell' infanzia della poesia e della
lingua nuova, ed è di poco posteriore alla Tenzone di Ciullo, ma
anteriore alP Accademia di Federico Cesare. E senza internarci qui
nel laberinto delle ricerche della favella del primo secolo, a.^ do-
lorando lo sciupo d'inchiostro e di tempo, che si è Catto e si fa
da' nostri linguai, io credo fermamente essere stata dettata nella
favella letteraria d'allora costituita di elementi puramente dialettici
italiani, e che non risiedendo stabilmente in nessuna parte del bel
paese, era patrimonio di tutta la nazione, checché bocino i pseudo-
toscani contro quel miterino spatriato di Dante Alighieri. La lingua
nostra, e cosi le altre, è stata universale, duplice ed una.
Con questa stregua ho tentato di rintegrare quella famosa Can-
zone, valendomi del Codice Laurenziano, della stampa del 1S68, e
dei tesori del nativo idioma : cosi scegliendo le varianti di qua e
di là, ristaurando i versi, le rime o le assonanze, e tornando alla
loro ingenuità i vocaboli , mi sono sforzato di ridurla a grado di
leggersi intera, senza visibiH errori e lacune. T\ sono riuscito? Ne
dubito. Auguro ad altri la fortuna di scovrirne copia più esatta, o
di darla air Italia come la prima volta suonò sulle corde della man-
dola del poeta messinese, che alla spiaggia del Faro commiserava
i casi di Lisabetta e Lorenzo.
Voi, mio riverito amico, gradite intanto T offerta di un fiore, il
di cui olezzo non cede a quanti altri imbalsamarono le aure de' siculi
giardini , quando ancora di vepri e di rovi. non era sgombra V Italia.
Aci, febbraio 1870.
LioNARDo Vigo
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17
Canzone di Llsabetta.
Qual esso fu lo malo crisltano (I),
Che mi furò sta notte (2) la mia grasta (3)
Del basilico mio salernitano (4).
Era cresciuto foUo in gran podestà (5),
Ed io lo mi chiantai (6) colla mia mano
'» Celatamente il giorno della festa.
Chi guasta cose altrui fa villania (7).
Chi guasta cose altrui fa villania,
E fa grande, grandissimo il peccato.
Ed io, la meschinella, chM* m^avia
Una mia grasta si ben seminato^
(1) Ho adottato il verso scrìtto dal Boccaccio, non solo per atto di riverenza a
tanto autore, ma vieppiù perchè quello serbatoci dal Codice LuHrenziano é allo stesso
inreriore per tutti i riguardi, è desso : « Questo fu lo malo cristiano. •
(2) Lo parole corsive sono quelle da me aggiunte per integrare il verso.
(3) In Boccaccio è grasta, ingenua voce siciliana accettata dalla Crusca sull* auto-
rità del certaldese, e vale vaso da fiori, testo. Cresta, è parimenti voce siciliana, e
vale rottame di terra cotta, coccio, che gl'imperiti equivocano con grasta;: quantun-
que esprimenti oggetti distinti, e fra di loro diversi di suono : ogni minuzzolo della
grasta frantumala diviene gresta ; ma la gresla non è mai grasta: Nel Codice Lau-
renziano è resta, fognando la ^ di gresta, lezione da non seguirsi, tanto peKliò il
dialetto vi ripugna e la rigetta ; quanto perchè la logica ci assenna non poter con-
tenere una gresta o resta il capo di Lorenzo. Nella slampa dol Dccamerone del Le
Mounier, il sig. Fanfani rifiutò grasta, gresta e resta e scrisse grasca, parola ignota
a Sicilia e a tutti i vocabolarii. Un' altra variante ha subito questo vocabolo : nel
Sannìo si pronunzia crosta permutando la g in e, come leggo in un Discorsetto
sulla lingua parlala di Montagano nel Sannio inserito nel Giornale La Gioventù di
Firenze, anno 1866, p. 385. Ciò premesso, onde ciascuno possa scegliere e leggere a
suo modo, io preferisco grasta perchè cosi scrisse il Boccaccio, perchè la Crusca lo se-
gui, e vieppiù per non regalare Y autore di un non senso adottando gresta : perdo
la rima, e conservo l'assonanza, non isdegnata da' nostri antichi , né dai presenti
poeti popolari.
(4) Nella stampa manca la prima strofe, come hK> avvertito, che ho tolto dal Co-
dice Laurenziano; ove è scritto bcuUlico selemontano per manifesto errore del copi-
sta, che fassi evidente dal testo della novella del Boccaccio, ove si legge hasillico
salernitano.
(5) Podestà per potestà, come in Dante : « Quando verrà la nimica podestà. »
e neir uso comune in Firenze : Santa Trinità, Santa Felicita.
(6) Ckiantai, perfetto siciliano, piantai, dal verbo chiantari.
(7) NeUa stampa si legge :
nel Codice : Chi guasta l'altrui cose fa villania.
Chi guasta l'altrui cose è villania.
Ho preferito la slampa anteponendo cose ad altrui per rettificare il verso.
2
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18 NUOVE EFFEMERIDI SIQLIANE
Tanlo bella eh' allombra vi stacia (1),
Ed era dalla gente invidiata,
Fammi forata e davanti alla portai
Fummi furata, e davanti alla portai
Dolorosa, dUimé, ne fui «Tassai;
Ed io la meschinelta, oh foss' io morta t
Tanto era bella e cara V accattai f
E pur TaltrMer chT n'ebbi una malscorta (2)
Bei mio signore die cofanto amai,
Tutta r attorniai di maiorana.
Tutta r attorniai di maiorana,
E ciò di maggio fu di quel bel mese :
Tre volte lo inaffiai la settimana,
Che son dodici volte ciascun mese.
D'un' acqua chiara di viva fontana:
0 mio signore come ben s' apprese!
Or è palese che mi fu raputo (3).
6r è palese che mi fu rapato,
Ed ohimè non lo posso ritrovare !
Sed io davanti l'avessi sapulo
Quello che poi mi doveva incontrare,
Davanti V uscio mi sarei jadulo (4),
Sol la mia beUa grasfa per guardare !
Potrebbemene aiutare l'alto Iddio.
(i) Staeiaà daU' antico ttaeire o staglre per slare. Cosi Bocsto dì Uaioaldo Slo-
rta Aqoil. n. 881 :
Per r inimici intorno che ad Aquila siagia,
e n. 30i Anni mille trecenla venl'otto $tagia,
Antonio di Buccio n. 81 :
Quefti cfella terra in pace se fiagia.
Il canto popolare antichissimo dice :
Santa Lucia *n cammira stacia^
Oni tisseva ed argcnlu cusia.
Questo verbo è ancor vivo in Sicilia.
(2) MaUecn-ta qui vale avviso, presentimento.
(3) Nella sUmpa si legge :
Ror è in paese chi mi 1'' ha raputo.
Nel Codice : Or é in palese che mi fu raputo.
Ho seguito questa lezione» perchè è in armonia col resto cfelfa Canzone.
(4) Jaeiuto, nell' uso comune il partecipio si concorda nel genere come l' agget-
tivo, ma presso gli antichi in Sicilia questa regola non è costante. Qualsiasi donna
fra di noi direbbe senza scrupoli: Jtft avria curcaiu davanti la porla, e perciò di
tali discordanze di genere ne troviamo ìug. Villani, Boccaccio, Petrarca, Dante, ec.
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dell'antica canzone di lisabetta, eg. 19
Potrebbemene aiulare l'alto Iddio, -
Se egli fusse di suo piacimento,
Deli' uomo che m' è stalo tanto rio,
E'che m'ha messo in pena ed in tormento,
Che m' ha furalo il basilico mio,
Che era pieno di tanto ulimento (1):
Suo ulimento tutta mi sanava.
Suo ulimento tutto mi sanava,
Tanto avea freschi e dolci li suoi olori !
E la mattina quando la inadìava,
Ed era su la levata del sole.
Tutta la gente si maravigliava
U'onde venir potessi tanto autore?
Ed io per lo suo amor morrò di doglia (2).
Ed io per lo suo amor morrò di doglia,
Sol per amore della grasta mia:
E chi me la insegnassi or di sua voglia (3),
Farebbe grande onore e cortesia (4) :
Cenl^ ODze d^ oro eh' i' ho nella fonda (5),
Che foiose forse gliene doneria,
E doneregli un bacio in disianza (6).
E doneregli un bacio in disianza
Sol per amore della grasta mia,
E sempre alla sua vita sarei amanza:
Chi guasta cose altrui fa villania l (7)^
(1) Ulimento, olori, autori, voci antiche, dal latino ateo, io olezzo,
(i) NeUa stampa si legga :
Ond' io per lo sao amor moro di doglia.
Ho preferito la lezione del Codice.
(3) Di sua voglia, spontaneamente, di soa volontà»
(4) Nulla stampd si legge : Farebbe grande onore e coilesia , cbe ritengo prefe-
ribile al Codice, ove è scritto . « Volentier la riccatterìa. •
(ò) Fonda. Nella slampa si legge : nelle mie foglie, e per ragion di rima io a-
vrei detto foglia e conservato la legione, se avesse avuto senso ; ma trovando net-
tamente fonda nel Codice Laurenziano, preferisco la proprietà e la chiarezza alla
rima e accetto fonda, che presso gli antichi, come Brun. Latini, M. Villani, Bnti,
Fra Giordano, e vale borsa da contener danaro.
(6) Disianza, generalmente vale desiderio come in Dante; ma qui é qualche
cosa di più. Ltsabetta promettea baciarlo con affetto, gratitudine, entusiasmo.
(7) Nella istampa é chiuso il canto con questo verso :
E fa grandissimo peccato,
ripetendo il nono del principio; io lo noto senza accoglierlo.
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DEI YOCABOLARI SICILIANI
La Sicilia porta a giusta ragione il vanto di aver dato air Italia
non solo il primo vocabolario della sua lingua, ma anche quello del
suo più illustre dialetto. Niccolò Valla da Girgentì e Lucio Cristo-
foro Scobar da Siracusa, tra gli anni Ì5i6 e i820 pubblicavano,
Tuno un Vocabularium vulgare cum latino, P altro un Vocabolario
siciliano tradotto da quello latino e spagnuolo di Elio di Lebrixa.
Per quei tempi te opere loro erano quanto di più pregevole potea
sperarsi non che da Siciliani, ai quali per le scarse comunicazioni
doveano far difetto i libri, da scrittori della penisola. Fabrizio Luna
non avea tratte ancora le sue Cinquemila voci toscane dall' Alighieri^
dal Petrarca, dal Boccaccio e dall'Ariosto; non peranco Alberto Ac-
carino avea pubblicato il Vocabolario, grammatica ed ortogra^ deUa
lingua volgare; non la Fabbrica del mondo e le Ricchezze della lin-
gua vulgare sopra U Boccaccio Francesco Alunno. La stessa Acca-
demia della Crusca non era naia ancora, e un secolo dovea passare
pria di vedersene messo in luce il già tanto celebre vocabolario.
I Siciliani, Agli di una terra che fu detta la madre
De la lingua volgar cotanto in prezio^
non si rimasero dal continuare e migliorar le opere de' due lessicografi,
e come per la lingua italiana seguirono V esempio del Vaila, cosi mo-
dificando e riducendo a nuovi e più alti intendimenti il concetto
dello Scobar, vennero con lanlo ardore applicandovisi che oggi dopo
tre secoli contano da oltre a venti vocabolari tra stampati e mano-
scritti. Questa si chiama ricchezza vera, e noi tralasciando per ora
l'opera del dotto filologo di Girgenli, di tutt'altro meritevole che di
un breve cenno, verremo dando contezza di questi lavori, dello in-
dirizzo preso in tutto questo tempo dagli autori^ e degli acquisti
novelli che essi bau fatto coi lumi che appresta oggidì lo studio dei
dialetti e delle tradizioni popolari.
II Vocabolario dello Scobar (I) è diviso in due parti. Una pre-
(1) Vocabularium nebriisense : ex UUifw sermone in sieiliensem el kispaniensem
denuo traduclum. Adjuntis insuper L. GfHslophori Scobaris recondissimis addUio-
nibus etc. Venetiis, impressum per Bernardinuin Benalinni, 1520.
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DBI VOCABOLARI SIGIUANI 21
lezione in tre iiogae, latina, siciliana, castigliana, precede la prima.
Nel classificar le parole in osche^ antiche, nuove, barbare ed appro-
vate^ r autore si fa a sostener principii che più giadiziosi non so-
stennero retori vecchi e critici nuovi. A proposito delle voci barbare
dice essere inlamia V usarne. De' neologismi pensa doversene in-
trodurre solamente al bisogno ; e come Cicerone da beatus fece
beatitas e beatitudo^ e Francesco Filelfo stampedda da stampa, del-
r egual modo molte parole egli diede che sembrògli entrar doves-
sero nella lingua e nel dialetto. Sopra di questo sarebbe da avver-
tire che non sempre lo Scobar fece secondo ragion filologica : molte
voci del suo libro non persuadendo finora donde poteron derivare,
e perchè e non altrimenti debbano essere state formate ; e però
uno studio sarebbe necessario per vedere quali norme tenne il no-
stro vocabolarista in siffatto processo di formazione, quali voci ag-
giunse, quali non siciliane dal castigliano traslatò. Conciossiachè, svd-
gendo attentamente quest' opera, lo studioso entra subito in sospetto
che molte voci non sieno state allora comuni, ma piuttosto italiane
in uso da lui sicilianizzate, ovvero siciliane volute ripulir della forma
esterna; sospetto che si avvalora quando per la nessuna differenza
ortografica non puossi arguire a quali voci presenti le passate cor-
rispondano. L'ordine è alfabetico per le sole voci latine del primo
volume e per le sole voci siciliane del secondo ; ma neir uno e nel-
r altro il siciliano ci scapila, come quello che sta sempre subordi-
nato al latino; e mentre un sol vocabolo si spiega con due O/tre
vocaboli siciliani, qui, cioè nelP ordine alfabetico siciliano in cui la
parola dovrebb' essere una, il metodo non è più sbrigativo né più
libero pel dialetto. Due citazioni chiariranno il fatto : nella parte pri-
ma, alla voce charoninm corrisponde fetu incomportabili ; nella se-
conda in cui il siciliano potrebbe aver dal latino quel che esso gli
dà nella prima, si legge bactagla (1) (baltagghia) stisa^ acies; bacia-
glaandandu, agmen; bactagla a squatr a, cohors; arumpiri, eu-
neus; principali^praesidium ; quannu siincontra^ proelium;
junta, exerpitus. Donde chi non vede chiaro il volgarizzamento
del latino? Lo Scobar è ricchissimo di vocaboli; pregio non a ba-
stanza lodato. Molti di quelli che paiono delle ripetizioni forse tali
non apparirebbero se fosser definiti. Abusò di nomi verbali in ento.
(1) A* (empi dello Scobar reggeva quesla voce nel senso di schiera, iqtiadrone, ed
anche di banda o compagnia de* soldati descrìtti , i quali soldati presi insieme si
chiamano battaglione.
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22 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
e non ci lasciò molli diminuilivi , peggiorativi e vezzeggiativi , e
quasi nessun participiale. A' dì nostri questo primo lavorò va me-
glio studiato che consultato, perchè assai malagevole è colP orto-
grafìa del tempo trovarvi un vocabolo di cui si va in cqrca.
Non potremo stabilir la data in cui il palermitano Vincenzo Au--
ria. scrìveva il suo Vocabolario, che rimane tuttavia inedito nella Bi-
blioteca Comunale di Palermo (I) ; ma certo è opera del sec. XVII.
Ha buon numero di voci con qualche rara definizione specialmente
verso il mezzo e la fine, molte delle quali son prette italiane. La
ortografia ritiene poco del dialetlo, parendo a noi che TAuria a-
vesse voluto nobililar la dicitura. Verso la fine . V opera diventa
ricca più che in principio non sia, ma con tutto ciò non lascerà di
esser modesta nella sua mole. Pochissime osservazioni aveva egli
preso a scrivere sulle lettere delP alfabeto nel siciliano, ma esse non
hanno sempre una esatta applicazione nella forma delle parole a-
dottata dalPAuria. Si vede che egli prendeva degli appunti soltanto,
e metà del libro sì riduce a vocaboli dialettali posti a raffronto con
quelli della Crusca compilata da Adriano Politi. E qui è notabile
una sentenza oggidì sostenuta da vari scrittori viventi, cioè che la
lingua italiana sia senza differenza la lingua che parlasi in Toscana.
Presso a poco dello stesso stampo, ma più copioso, il Vocabolario
dello Sj^atafora (2) è molto italiano nelle voci delia lingua comune
corrispondenti alle siciliane: salvo che qua e colà non sieno queste, per
poca osservanza delle aferesi, poco ben allogate. L'autore racco-
glieva dal popolo, raramente da' libri, (di qui lo scarso numero di
arcaismi) e però diede voci che ad altri cercherebbonsi invano. Per
la prima volta rivolse V attenzione a' derivativi, a' sensi figurati, a
qualcuno delle migliaia di proverbi nostri. Altre siciliane, altre ita-
liane son le definizioM^ cui tien dietro ogni tanto un esempio clas-
sico italiano o Ialino.
Terzo dei vocabolari siciliani manoscritti viene quello copiosissimo
in quattro grossi volumi del P. Onofrio Malatesta da Palermo, com-
pilato tra gli undici anni che corsero dal 1697 alla fine del 1707.
Il titolo ne raccoglie il contenuto, ed esso è : La Crusca di la Tri-
nacria, cioè Vocabolariu sicUianu, neUu quali non sulanienU li pa-
(i) Vocabolario siciliano ed italiano compoilo dal Doli, di Legge D. VmcRNza
A UHI A paUrmilano. Ms. Qq. A 20 in 8.*
(2) Dizionario siciliano del P. Placido Spatafora. Volumi IV in 8.» Mss. t. Qq.
E. 30-32 (mancando il yoI. II) della Biblioteca Comunale di Palermo.
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DEI VOCABOLARI SiaLIANI 2S
ralt, ma ancora U frasi e ìn$di di lu parlari di dUstu Regnu si
Wasportanu alla favedda taliaiia ed alla diéma latìnu, accrisciutu m
maggiuri quantità di metafory^ arguzy, mutti eproverby, adunuUn
di frasi orcUory e puetidii e ccu li sinonimi, epiteti e tuttu quantn
ehiddn affarti liberali e miccanichi ccu la nutizia di li citati, ter ri,
casleddi^ munti, xkiumi di P isola; nomi di ii tituli e famigghi dU
n* appirté la ^nvistitura, e chi a la jurnata li pussedinu. Opira uti^
lissima e necessaria ad ogni lUtiratu e spicialmenti a li pridicaturi;
sigritary, traspurtatnri e profissuri di lingui chi ccu proprietà li vur*
rannn traslatari, sapiri pri iddi, o insignari ad autri, cumposta da
lu R. P, NoFBHi BlALAtmA^ fm/bfvri di sacra teologia^ e pridica-
Uri a TanilMi di li Minimi di S. Franciscn di Paula. A differeon
dell' Asrìa, la cui opera non ha da far nulla a petto della citala, W
Halatesla defloisce in siciliano i Tocaboli siciliani , Tacendovi molto
spesso seguire il corrispondente italiano, e sempre il latino od al-
cun testo dell'aurea latinità. Non bene sceverala vi è la frase, e
lalora per formarla è presa una semplice qualificazione; perchè, a
vedere, T amoroso vocabolarisla badava più a tradurre dall' italiane
e dal latino che a prender dalle bocche parlanti le sue voci; pra-
tica questa cernane a buona parte de' nostri , i quali si argomen*
lavano poter apprestare il tesoro del dialetto rimanendosi cultori
solitari delle lettere e degli studi filologici. Il Vigo, che nel 1837
leggeva all' Accademia di Scienze e Lettere di Palermo un assen^
nato ed eruditissimo ragionamento Ddla siciliana faveUa , d^ stm
lessici e lessicografi (f ), ebbe a notare che il ìiala testa • non bene
alloga i vocaboli, e più le frasi e te voci scientifiche non ispiega
scientificamente, nò tutte registra; • difetto eh' egli è diOBcile non ri-
scontrare in opere consimili di quel tempo e di tanta mole. Noi
vogliamo aggiungere che, pochi casi eccettuati, l'ortografia siciliana
del nostro supera quella dei suoi predecessori e di altri che ven-
nero appresso; e ciò avvertiamo a merito singolare del Malatesta^
di cui è a lamentare che l'opera presa a pubblicarsi s' arrestasse in
sui bel principio , con danno inestimabile di quanti dopo di lui a-
vrebbero potuto usufruirne gli studi.
Col Malatesta e <joir Anonimo (i), degno più deli'Auriadi esser
(1) Il Vigo dimosiraya in esso il bisogno di hh yocaI»olario di tutta risola e non
^i Palermo soltanto ; al quali un'intiera accademia e non un individuo poteva dar
nano. Parte accogliendo, parte re:spingendo le ragioni del Vigo» i4 mircli^se iMortil-
laro rispose a questo ragionamento.
(2) È senza frontispizio, e nella Biblioteca Comunale porta la segnatura 2 Qi. C.54.
Ila pag. S22 a due colonne, e corre citalo col titolo Vocabolario manoicrillo antico*
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24 NUOVE BFPBMERIDl SIGIIJANE
consultdto per la molla sua precisione e ricchezza di voci trasan-
date dagli altri, e per la buona dizione, hanno fine alla prima metà
del sec. XVIII i vocabolari siciliani non mai fln qui stampati (f ). Del-
l'anno 1751 si ha il primo dei Ire che nella seconda metà di quel
secolo segnarono il progresso della Sicilia negli studi dei suo dia-
letto, vogliam dire il Vocabolario siciliano-italùmo di Michele Del
Bono (2). Guardato dal punto di vista delle volontarie omissioni esso
ha de^ difetti gravi; né T autore se ne arrecò gran cosa, anzi nella
prerazione affretlossi ad annunziare avei: bandito gli esempi tutti
de*" nostri autori, i teriìuni delle arti e delle scienze , le voci del
regno^ la geografìa straniera, i termini bassi e antiquati, le defini-
zioni ed altre cose simili, come poco necessarie agli studiosi. D^ al-
tro lato però esso ha il merito grande ma raro ne' nostri antichi
di conoscer bene V italiano e di giovarsene a tempo e a luogo. Il
Del Bono doveir essere in Roma, che spesso cita voci e modi ro-
mani. Più dello Scobar ha de' nomi e degli addiettivi alterati, ma
come lo Scobar ha frasi inutili, riducentisi a pure e semplici propo-
sizioni.
Quel che il gesuita Del Bono credette in parte difetto del suo
Vocabolario (e diciam per una parte stante che nella seconda e-
dizione egli fu meno esclusivo e men dittatore in ordine a gusto)
costituì pel protopapa della chiesa dei Greci di iMessina Giuseppe
Vinci un pregio del suo Etyfnologicum siculum (3). Qui non ita-
liane né siciliane son le spiegazioni dei vocaboli siciliani, ma lati-
ne, e nel latino e nelle altre favelle un tempo parlate in Sicilia son
ricercati con isvariata erudizione gli etimi delle voci stesse. Qui pa-
rimenti non son trascurati vocaboli di fuori Palermo, anzi molti ve
ne hanno peregrini dell' oriente delP Isola , per incuria od errore
(1) Non è già che qualche lavoro lessicografico non siasi pubblicato nei primi cin-
quant* anni del secob passato, perchè il Serio nel IV voi. di sue Giunte al Mongitore
cita un Vocabolario sieiliano loscaìw e latino di Salv. Virga, cui si premette un
discorso sull'origine ed una grammatica del nostro dialetto; e il Narbone» 1*> un'opera
rimasta interrotta col titolo : // D'udeUo di Sicilia passato al vaglio della Crusca, Pa-
lermo, 1721 in li.* e contiene le voci sicnle comuni od affini alle toscane; 2* il Les-
sico sieolo di G. B. Caruso, annesso p.lle Rime degli Accademici accesi, che egli nuo>
vamente mandò in luce. Palermo, i7J6 in 8;* 3* una Fraseologia siciliana, italiana,
latina, Palermo, 1701 in 8 * Ma questi lavori rimangono di sotto agli inediti.
(2) Palermo, presso Giuseppe Gramignani, volumi ire, 1751-54. La seconda edi-
zione è del 1783 e seguenti.
(3) Etymologicum sieulum, auclore Iosbpu Vinci, protopapa Graecorum, S. P. Q.
M. dicatum. Afessanae, MDGCLIX, ex R. Typographia F. Gaipa.
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DD VOCABOLARI SICILUNI 25
pretermessi da^ compilatori successivi. Il tutto è modestamente il-
lustrato, e ci fe rimpiangere la leggerezza dei tempi presentì» in cui
per boria o vanità- veggiamo sfiorate certe discipline che furono
tanta gloria dei padri nostri.
Superiore al Vinci, al Del Bono e ad altri tali. Michele Pasqua-
lino dava nello scorcio del secolo passato il più copioso, il più dotto,
il più erudito vocabolario che fosse stato compilato dallo Scobar in
poi (I). Noi c'inchiniamo riverenti a tant^uomo, lieti che la Sicilia
possa vantare in lui non che un lessicografo un filologo valoroso.
L' opera del Pasqualino è in cinque volumi; precede il primo lunga
prefazione di Giuseppe-Antonio de Espinosa Alarcon, della quale in
più luoghi può dirsi quel che di alcuni studi consimili del tempo,
cioè che vaga per varie e non sempre ragionevoli ipotesi. Parla
delle moltissime voci che colle immigrazioni dei popoli , allettati
dalla feracità del suolo e dalla ridente guardatura del cielo siciliano,
vennero a tramescolarsi col nostro antico linguaggio, che già tempo
prima della saracina signoria avea tali particolarità acquistato da far
dire che in tempo de' Greci fra noi si $icilizzava (f). Paria delle
origini della lingua italiana, ed è con Dante, Petrarca, Tiraboschi ,
Muratori, Allacci ecc.; e co' siciliani Y. Auria e Mongitore. Venendo
a ragionare delP opera del Pasqualino avverte come nel prepararla
r illustre lessicografo avesse non di raro accolto dei vocaboli di al-
cune principali città dell' Isola non sempre comuni o quasi ignorate
in Palermo ; la qual cosa segna un altro passo nello studio del
nostro dialetto, avvegnaché prima del Pasqualino ciascun vocabola-
rista di Siciha quelle voci soltanto avesse accolte che udiva nella sua
provincia natale e che credeva le sole vigenti in tutta l'Isola. Il
Vocabolario del Pasqualino ha il pregio di far tesoro, in parte, delle
fatiche altrui, neglette quasi sempre da chi accingevasi a migliorar
quest' opefà, che tanto men difettosa sarà quanto più saprà Irar prò-
fitto dagli studi precedenti. Cosi dallo Scobar tolse qualche voce
antica; dal Del Bono (ed avrebbe potuto anche dallo Spatafora e dal
Malatesta) le voci più comuni; altre ne trasse dall'Anonimo, che allo
spesso cita; da vari suoi contemporanei ottenne in buon dato voci di
scienze naturali; prese dalla Crusca voci prettamente italiane, e frasi e
proverbi che rispondono a capello coi nostri; e riusci amplissimo.Pure
(1) Vocabolario sieUiano elimologico italiano e latino, delVab. Michele Pasqua<
LiKO, nobUe Barese. Tomi cinque, Palermo, dalla R. Sumperia, MDGCLXXXV.
(S) iVon aitieiuat, verum $ieili$siUU. Plaut, Men. prol. v. 13.
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26 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
non si curò in venin modo de^ participiali, che son tanta gentilezza
dei nostro linguaggio, nò più che tanto si volse alle voci d'arti eme^
stieri specialmente italiane. Guardò si alle etimologie delle nostre
voci, togliendole da un'opera manoscritta espressamente composta
dair eruditissimo padre suo Francesco, rimasta di poco incompleta.
Ma di ciò non ò u£Bcio nostro discorrere, attendendo che qualche
valente (llologo, senza dispettare il passato dica con coscienza dove
più dove meno si apponessero, dopo il Vinci, i Pasqualino quando
si appoggiarono agli etimi ebraici, caldaici, siriaci, arabi, greci, latini,
A noi basterà lo avvertire che, nelP Indagar tante orìgini , F. Pa-
squalino poteva ben passarsi di quelle parole siciliane che son pura-
mente italiane o latine; sebbene per queste ultime, argomento fa-
vorevole all'autore sia la poca differenza che dai migliori lessico-
grafi si faceva tra la lingua e il dialetto, e la persuasione che il si-
ciliano fosse nò più nò meno che una lingua, come la SìaSa noa
nazione distinta da tutte le altre.
Supplemento ai cinque volumi del Pasqualino ò il volume del Rocca,
edito in Acireale nel 1839 (I). Dicendo supplemento noi diciam
tutto, perchè esso raccoglie un gran numero di vocaboli delle pro-
viiiee di Catania e Mesisina non registrate dal palermitano. A prima
giunta sembra molto rieco per questi nuovi vocaboli, sopralutto fa-
miliari e d' arti e mestieri , ma non lo ò sempre , difettando delle
voci occidentali dell' Isola, come i nostri difettano delle voci orien-
tali. Diligente lavoro ò del resto, accurato nelle corrispondenze, e
di costa agli altri vocabolari, e di quello del Pasqualino segnata-
mente, aiuto efficacissimo.
ila un anno prima che il Rocca in Catania, il Marchese Vincenzo
Mortillaro in Palermo l' anno 1838 dava in luce, ristampandolo nel
1853 con giunte e correzioni, un Suovo Dizionario sicUimo-ikUia'
no (2). Di esso il Narbone sentenziò che parte compendia , parte
accresce il lavoro del Pasqualino; ma tal sentenza non può aversi
per vera se non da chi non conosce i lessici della Sicilia e sfoglia
appena V opera pazientissima del Mortillaro. É vero che con molta
frequenza P illusi re letterato adopera come dialettali de' vocaboli
(1) Dizionario sicUiano-iUUiano compilato su quello del Patqualitio, con correzioni
e aggiunte di Giuseppe Rocca. Acireale 1839 io 4.*
(8) Nuovo Dizionario sieiliano-ilaìiano compilato da una S'Kielà di persone di
lettere por cura di Vincenzo Mortili.aro. Volumi due. Palermo 1838 e 1844 in 4.*
iViioro DizioìMrio siciliano-italiano di V. Mortillaro. Voi. unico » seconda edi-
zione corretla ai accresciuta. Palermo, Stamperia Pensante 1853 in 4.*
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DEI TOCABOLAM SiaUANI 27
italiani, vuoi di scienze, vuoi di affici amministrativi; ma è par vero
che anche senza di essi T opera soa è ricchissima in voci, frasi, ma-
niere di dire, proverbi, sensi figurati, definizioni ecc. La quale ric-
chezza tanto più parrà quanto maggiori saranno le occasioni di ab-
battersi in voci zoologiche, botaniche, m^ineralogiche, e quanto me-
glio si potrà cavar vantaggio da quelle di arti e mestieri , si stu-
diosamente ricercate e raccolte dal nostro. Potrebbe , se si vuole ,
accagionarsi di aver rigettato molte voci non palermitane, fatto neutri
passivi i verbi riflessivi attivi, registrato non di raro il feminino
invece del mascolino o tutte e due le desinenze ; ma potrebbe in-
tanto lodarsi di aver corretti degli errori, raddirizzate delle corri-
spondenze, migliorate delle definizioni; pregi tutti che la storia del
nostro dialetto non vorrà né dovrà per istudio di parte dimenti-
care. Altre opere abbiam vedute intorno al nostro dialetto dopo
questa del Mortiliaro, e qui ci si affaccia più pronto alla memoria il
Vocabolario domestico classificato della lingua siciliana con la cor-
rispondenza italiana^ latina^ francese compilato da vari cittadini di
Catania (I). Esso è diviso per ordine metodico, e le voci che com-
pongono i vari articoli sono alfabeticamente ordinate; ciascuna è se-
guita deir abbreviata indicazione delia sua essenza e natura gramma-
ticale. La classificazione delie materie è quella del Vocabolario do-
mestico del Rambelli, salvo alcune variazioni. Spesso vi si rinvengono
tali corrispondenze siciliane italiane da vedersi chiaro come i com-
pilatori avessero spoglio il Mortiliaro. — Inoltre vuoisi ricordare il
Dizionario tascalnle familiare sicUiano-Ualiano di autore anonimo (i);
la Nomenclatura familiare siculo-italica, seguita da una breve Fraseo-
logia (3); le Osservazioni e saggio su la lingua e il Vocabolario si-
ciUano di A. Longo (i); il Saggio (f un vocabolario di Marina ita-
liano-siciliano dello scrittore di queste pagine (o); la Fraseologia si-
culo-toscana di M. Castagnola (6), e il Vocabolario siciliano italia-
no (7) di 6. Biundi, che pur esso ha la parte sua di utilità; ma per
(1) Catania, Tip. del R. Ospizio di Beneficenza. 1851, in 8.*
(2) Opera di Rosario Scadoli. Palermo, 1840 in 16.*
(3) Messina, 1840 in 8".
^4) Catania, 1843 in 8.*
(5) Firenze, Tipografia sulle Logge del Grano 18Ó3 in 8.*
(6) CaUnia, Calatola, 1863 in 8.'
(7) Vocabolario manuale eompleio sieUiano-UaliaHO, seguito da utiappendice e da
un elenco di nomi propri siciliani coU'aggiunla di un dizionario geografico, e d'wui
breve grammatica per gli Italiani. Palornio, 1850 in 12 •
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28 NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNE
la lor natura diflèrente, per la specialità degli studi che riguardano,
e per T indirizzo T uno dalP altro dissimile, siffatte pubblicazioni re-
stano di sotto a quella del Mortillaro; e ben se lo sanno i Siciliani,
che due numerosissime edizioni n'ebbero in breve volger d'anni
esaurite; onde una terza avrebbe dovuto attendersene tra poco, se
non fosse apparso il Nuovo Vocabolario siciliano-italiano compilato
ad Antonino Traina (ij. Di questo a preferenza siaci lecito intratte-
nere il nostro paziente lettore.
Giuseppe Pitrè
IL MONASTERO
DI
SANTA MARIA DELLE CIAMBRE
PRESSO BORGE^TO
I.
Chi, partendo da Borgetlo (2), si volge ad oriente, abbatiesi in
tortuosa e ripida via, che lo guida alP amena e magnifica altura
che domina il Comune, e serve di base alPaerio monte Lingone. A
mano a mano che sali, tu senti più leggiero il piede, più lieto lo
spirito, più lucida la intelligenza. E mentre, inebriato dal balsamo
delle innumerabili viole mammole che fioriscono trai rovi e le
pietre lungo la via , la mano si allunga spontaneamente a racco-
glierle; rocchio tuo si volge indietro con compiacenza, ad abbrac-
ciare la vasta e fertilissima sottostante pianura, da^ giardini di Hon-
telepre ai campi della memoranda Segesta; e in mezzo a quel
verde perenne degli oliveti e aranceti, è caro il soffermare i pen-
sieri ora a qualcuno degli otto comuni che vi stanno disseminati, ora
(1) Palermo, Giuseppe Pedone Lauriel, editore. Volume unico in 4.*
(2) Borgelto, che già fece parte deU* antico Val di Mazara, oggi è comune di circa
7000 anime in provincia di Palermo.
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IL MONASTERO DI S. MABU DELLE CIAMBRE 29
a qualche bianchissima palazzina o a qualche torre abbrunita, ora
al procelloso golfo di Castellamare ed ai monti dello stesso nome»
dietro cui appare solitaria la cima della vetusta Erico co^ saoi cam-
panili e le ciclopiche mura.
E quando la salita ha fine, tu imbatti in un prato di folta ver-
zura; e in mezzo ad esso frequenti vestigi di gran casamento, e
mura cadenti, o ancora saldi a lottare colla forza de' secoli. Chi potò
avere stanza quassù ? Che monumento fu questo, con quella svelta
torricella merlata , con quelle finestre a sesto acuto delPevo medio?
Qui stettero venerabili seguaci di S. Benedetto : questi che am-
miri, sono gli avanzi del monastero di Santa Maria dtUe Ciatnbre.
II.
Al 1346, sugli occidentali monti di Palermo, e proprio sulle ruine
di uno de' sei monasteri fondati da Gregorio Magno in Sicilia, sor-
geva semplice e modesto il Chiostro di S. Martino delle Scale dei
PP. Benedettini :e la santa fama del beato Angelo Sinesio, primo
Abate, e degli altri suoi primi confrati^lli (che da loro stessi lavora-
vano le terre, inalzavano le mura dell'abazia e copiavano codici),
si diffuse, trovò la via nei «uorì delle genti, e fruttò al monastero
molti danari, molli doni, molti feudi e comuni co' baronali diritti,
0 per mano di privati e di nobili, o di arcivescovi e di sovrani (fl).
Tra gli altri, la nobile Donna Margherita De Bianco, vedova di Gio-
vanni da Caltagirone, donava ai monaci (1360) Casale BurgeUi cutn
juribm suis, colla condizione che ivi si erigesse altro monastero col
titolo di S. Benedetto (V). E questo sì vide di li a poco (1367), mercè
la bolla facoltativa di papa Urbano Y, e la immunità data al terri-
torio da re Federico III ; e primo Abate ne fu Giovanni Sinesio,
fratello di Angelo.
Ma le sedizioni, le guerre intestine e i continui tumulti de' no
stri paesi in quel tempo , non solo disturbavan la quiete di quei
buoni religiosi, ma ne tenevano in pericolo la vita, se abbiamo a
prestar fede alle parole di Rocco Pirri : dimodoché essi bramavano
ardentemente di ridursi in luogo affatto sicuro.
(1) V. il libro De reaedifiealione S, Martini de Scolii eie. — Roghi Pibri, Sicilia
saera eie. toI. 11, par. 2*, libro IV. — Salvatore Maria Di Blasi nel voi. XI] pa-
gioa 3 e segg. degli Ojmscoli di Autori skiliani eie.
(t) Pirri op. e loc. eil. — Viti Amici, Lexicon lopograf. Siciliae, in art. Burgetius.
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30 NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNE
Mosso dalla fama di lor santità, giusto verso quel tempo, il nobile
cav. palermitano Andrea Guardabaxo istituiva suo universal erede
il monastero, per testamento de' 30 marzo 1410; volendo però che
del prezzo de' suoi armenti si edificasse un nuovo cenobio alle Ciam-
bre col titolo di Santa Maria, l monaci altro non desideravano : onde
in soli quattro mesi fu compito il cenobio, e il 20 luglio dello stesso
anno vi si trasferirono , abbandonando quel di San Benedetto (1).
Ecco dunque come e quando ebbe origine il monastero di Santa
Maria delle Ciambre, che il Di filasi appella venerabile per P anti-
chità e per i santi uomini che Tabitarono (2). Ha il nome di Cianh
bre, che non è che il francese chambre, e certo rimonta alla domi-
nazione angioina (1266-1282), mi dice chiaro che il monastero lo
ereditò dal casamento proesistente, il quale gli cesse il posto non
solo, ma forS*anco buona parte delle fabbriche sue.
Comunque siasi però, giova per adesso constatare che i monaci
vi rinvennero la desiata pace, e tornarono alle orazioni, alle abitu-
dini, ai lavori di prima. E questo affermiamo appoggiati a ciò, che
perfino lo stesso già vecchio Abate Fra Giovanni ci si mostra as-
siduo a fabbricarsi li vicino una chiesetta, che dedicar volle a Sa$Uo
Nicola tutelare, in memoria del monastero di S. Nicolò r Arena di
Catania , da dove col fratello e con altri quattro religiosi era ve-
nuto per la riedificazione di S. Martino. E cosi le Ciambre, situate
in luogo alpestre e remoto, circondate da una selva di annose quer-
ele e ginestre (3), attissime quindi allo esercizio della vita dello
spirito, venivano fama acquistando; e ne' loro grati recessi invita-
vano i PP. di S. Martino, quando per troppe cure erano stanchi,
0 bramavano un luogo più riposato, men popoloso, e più bello.
III.
San Martino delle Scale , sotto le ale de' pontefici e de' re, di-
viene ognora più vasto e più ricco. Sdegnano i suoi Abati le mo-
deste fabbriche erette dal Sinesio, e li cedono a povera genie ; e
(I) PiRRi, op. e loc. cit. pag. 1080 e 1098. — Amici, Lexicon, ad voc. Ciambrae.
(%) S. M. Di Blasi, nel voi. 1, parte 1,* pag. 53 delle Memorie per set^ire alla slo-
ria Utleraria di Sicilia.
(3) Questo magoifico bosco» ch'era famoso ne' dintorni col nome di Costa de* yeUi
e delle elei, vigeva rigoglioso e quasi intero fino a trent' anni fa. Nella rivoluzione
del 1848 ne fu consumata buona parte : al 1849 e 1850 un monaco, per meschino
guadagno, lo converse lutto in carbone.
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IL MONASTERO DI S. MARIA DELLE GIAMBRE 31
r Abate Ambrogio Isfar fàbbrica il vasto, sontuoso e sovra tutti ma-
gnifico nuovo monastero, con quel celebre tempio che, abbellito in
séguito, di tanta ammirazione ci riempie oggidì. Poco appressoi an-
che il nome di Frale come cosa volgare spregieranno i monaci, per
assumere il borioso Don (1). Già la ricca libreria di S. Martino è
cominciata a costituirsi, già parecchi uomini insigni per sapienza e
dottrina albergano quelle mura. Eppure, questi medesimi illustri pos-
pongono S. Martino alle umili Ciambre; a malgrado che queste
non vivessero più vita propria , avendo , colla morte del Sinesio,
perduto T autonomo Abate, ed ottenuto invece un semplice Priore
dipendente dalP Abate di S. Martino.
E primo, di onorata ricordanza degnissimo , troviamo il Beato
Giuliano Majali, celebre per integra vita, per dottrina e abilità nel
maneggio de' pubblici affari, e molto in pregio tenuto da' ponte-
fici Eugenio lY, Nicolò V, Calisto HI, come da re Alfonso e dal fra-
tello suo Giovanni; i quali, e il Senato palermitano con essi, lo ca-
rezzarono molto, e molto donarongli pe' suoi monaci. — Ambascia-
dorè a Costantinopoli ed a Roma per Alfonso; a Napoli per il Se-
nato e Popolo di Palermo, giovò molto questa città ed i Siciliani,
e ne ottenne il nome di padre detta patria. Ma gravato dagli anni,
ritirossi dalle molestie de^ negozi, e venne alle Ciambre. Quivi ap-
presso, tra le rupi del monte e le frondose querele, una chiesuola
costrusse e due cellette, ornandole egli stesso di pitture rappresen-
tanti i misteri della passione di Cristo: e queir oratorio recondito,
che fu testimonio per sei anni della sua vita di astinenza, di cilizi
e di pregliiere, e ne raccolse T ultimo spirto il dì 4 di olt. 1470;
queir oratorio divenne tosto famoso e venerato col nome di Chiesa
del RomiteUOj e i cittadini di Borgelto e dintorni fin da quei giorni
cominciarono a visitarlo con devoto concorso (2).
Chi amasse di più saperne su questo insigne palermitano, fonda-
tore deir Ospedal grande di Palermo e benefattore di un popolo
tutto (3), ricorra al Fazello, al Pirri, al Mongitore e a tutti gli al-
ci) PiRRi, op. c loc. cit. pag. 1063.
(2) PiRRi, op. e loc. cit. pag. 1094 e 1098: — Mungitore» Bibliolheca Siculo, vo-
lume 1, pag. 411-412.
(3) Ejas corpu.<( (scrive il Pirri) in ilio Monaslerio condilum ad nosiru tempora
igootom est: ejus venerandam ad vivum ìmaginem super Sacellum domus hospi-
talis Panormi liac epigrafe veneramur : B, Julianus May ali PanormilanuSt ordinis
S. Benedieti, €t Motuulerii S. Martini fiiius, ex auctoritale Eugenii PP, III et Re-
ffU Àlphonsi, hujus magni et t»ort /iospila/w fundalor ei institutor, anno saluiis no»-
trae MCCCCXLL
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32 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
tri dal HoDgitore citati: noi ci affrettiamo a soggiaogere poche pa-
role sa Frate Alessaadro Orbitoaio di Tortona, uomo venerabile per
santi costumi e per bella mente, il quale, morto, ottenne il titolo
di Santo. Era stato eletto Abate di S. Martino al 1482: ma depose
la sua dignità tre anni dopo, e come ferito cervo rifugissi ai solitari
monti di Borgetto; ed ivi, presso la chiesetta di S. Nicola, costruita
già dal Sinesio, inalzò, a gloria di Dio e per sollevare il suo spirito-
alcuni umili tugurii, e piantò colle proprie mani un giardino, che
dio in seguito un provento di onze 60 annue (1). Morì alle Ciam-
bre il 22 di aprile 1499, dopo quindici anni di eremitica vita, avendo
il nudo suolo a letto, digiunando ed orando continuamente.
Più universalmente conosciuto del H^'ali e deir Orbitonio, Teofllo
Folengo di Cipada presso Mantova (n.l487-m.l544) dimorò dieci
anni alle Ciambre nella qualità di Priore, e vi lasciò di sé memorie
considerabilissime, lo non narro la vita sua, né le sue opere esa-
mino, perchè non c'è storia letteraria, o dizionario biografico, o
Enciclopedia, che non consacri parecchie pagine al principe de^ poeti
macheronici Merlin Coccai (2): piuttosto, ciò che fece mentre visse
tra noi, brevemente dirò.
1/ ameno luogo. Paria salubre, il solitario frondoso bosco, T inar-
rivabile panorama occidentale, risvegliarono tutto il fuoco poetico del
Folengo; ond'egli a sue ISinfe prescelse alcuni alberi di elei e ci-
pressi, e con loro passava placidamente le ore toccando la lira. Qual-
cuno di questi cipressi, che non restò vittima della insensata bar-
barie che distrusse le elei, vive tuttora presso la Chiesa del Romi-
tello ; ma non vive più con esso il nome di Ninfa di Merlino^ che
ciascun cipresso portava fino al tramontare del passato secolo, anche
presso i popolani di Borgetto (3). I quali bensì serban ricordanza
di lu Pueta Mantuanu vissuto lassù, ma ne fauno spesso unico in-
dividuo col Beato Majalì. Ho ragion di credere che Teofilo compo-
nesse in gran parte alle Ciambre il poema La Palermitana, in cui
parecchie terzine paion proprio ritratte da' circostanti luogiii di
Santa Maria; come è certo che un poema eroico-macheronico e il
famosissimo dramma sacro, che menò tanto grido al sec. XVI, vo-
(1) Pari a lire italiane 765 annue.
(3) Anche parecchi poeti lo ricordano : cosi il Tassoni nei canto Vili delia Stc-
$hia rapita, e il nostro Mbli nei li della, FcUa galante. 11 francese Rabelais lo cita
spesso e più spesso io copia.
(3) Di Blasi, nel voi. I, parte I*, pag. 54, dello Memorie per seivire alla storia
letteraria, di Sicilia.
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IL MONASTEBO DI S. MARIA DBLLB CUMBRE 33
gUo dire V Atto della Pinta o Creazione dd mondo, furono scritti
sotto quelle stesse annose querde, sul tronco delle quali» più cbe
100 anni dopo, vide il Pirri scolpito il nome di Merlino Coccai (1).
Da' manoscritti della libreria di S. Martino ha notato il Di Blasi che
al Nostro • un dì, essendo di ritorno alle Ciambre, toccò per ven-
< tura una muletta che gli diede molto da fare per giungervi; don-
« d'ei prese occasione ... di fare quella piacevole lettera al suo
e tamiliare Palchetto . . . che comincia :
€ Legiadram mea staila tenete Falchette^ cavaUam (2).
Dovendo lomare poi in Lombardia, il Poeta si slaccò con dolore da
quei luoghi belli e diletti, e per ultimo saluto ed ultima memoria di
sé, scrisse sulla parete della sua stanza questo epigramma bellissimo :
Duke soluniy patriaeque inslary mea cura Ciambrae^
Acdpe supremum (cogor abire) vale.
Vos rupes, atque antra^ cavi gratique recessus,
Quodque horrore nemus^ sylva virore places^
Vos vitrei fontes, et amoris conscia nostri
Murmura perpetuo vere cadentis aquae :
Tuque mei testata gravem via longa laborem^
Tuque olim sancto cellula calta sene (3).
Si vestri curam gessi^ qwdquamve peregi.
Quo facti auctorem fas sit amare boni;.
Mantoutn aeternis memorate Theophilon annis,
Sitque meae vobis causa sepulta fugae.
Fino al 1627 leggevansi ancora questi versi alle Ciambre, come
noia un ms. di S. Martino; appresso, abbandonato il monastero, come
diremo, andarono dispersi tra le ruine.
IV.
Nel frattanto, Borgetto era venuto crescendo in popolazione; di
maniera che, non essendo più sufficiente ai fedeli la piccola Chiesa
di S. Antonio, l'arciprete benedettino D. Francesco Beltacera po-
neva cura che sorgesse T attuale Chiesa Madre. Fu appunto verso
questo tempo, e precisamente al 1639, che colta cooperazione del
(1) Pirri, op. e loc. cit. pag. 1095. —Deli' Atto della Pinta e deUa Palermitana
die un beir esame il prof. V. Di Giovanni nell' importantissimo suo ragionamento
Delle rappretentazioni sacre in Palermo ne' secoli XVI e XVII (Bologna, 1868).
(2) Di Blasi, neil' up., voi. e pag. cit.
(3) Sancto . . . sene : intendi il Beilo Giuliano Majali.
3
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3% NUOVE BFFBMBIUDI SICILIANE
Bellacerà suddetto, i monaci di Santa Maria abbandonarono le C|am-
bre, e vennero a costruirsi un monastero nuovo in Borgelto, al po-
sto de^ Magazinazzù come volgarmente si chiama.
E perchè tutto questo? — lo le vere cause non so, che non ho
potuto compulsare le carte delP archivio di S. Martino: ma il Pirrì^
r Amico, il Di Blasi e qualche altro affermano che alle Ciambre i
monaci erano vessati in quel tempo da ladri e da banditi, i quali,
benché ricetto ottenessero, non si restavan dal mettere le mani non
solo sulle vettovaglie e sugli arredi sacri, ma anche sulle spalle de^ Pa«
dri; anzi fecero lor qualche volta assaggiare la punta di qualche pu-
gnale. Il fatto sta che di restare alle Ciambre essi non vollero sen-
tirne pili, ed esposero le loro ragioni al Pontefice: e questi, pre-
mettendo il solito si vera sunt exposUa, accordò loro ciò che vole-
vano. Cosi gli otto monaci sacerdoti e i 24 fratelli se ne vennero
in mezzo alla gente, ed a Santa Haiia non lasciarono che un ere-
mita per tener vive le lampade. Il monastero cominciò a rovinare,
e nessuno se ne diede per inteso: solo dopo il 1750, quando già
non esisteva che Patrio, il refettorio, qualche stanza e la Chiesa,
ristorarono solo questa ultima che minacciava mina. Pur nondimanco,
divise tra il monastero di Borgetto ed il Santuario del Romitello le
imagini sacre, sul principio delP ottocento non restavano alle Ciam-
bre che pochi muri screpolati, sostenuti da un monte di macerie,
tra cui cominciarono a vegetare i rovi, e for le tane i ramarri.
V.
Chi sale oggi a visitar quegli avanzi, per leggervi la storia del-
r arte o delle vicende del monastero , sente stringersi il cuore e
non osa mettervi piede, scandalezzato che la superstiziosa ignoranza
e la barbarie si sieno date la mano per disperdere affatto ogni ve-
stigio deir antico monumento (I). Estendevasi questo per uno spa-
zio considerevolissimo di circa 60 metri quadrati, come dimostrano
le superstiti cantonate e alcuni pezzi di muro, che levano il capo
fuori la terra or sottoposta a coltura: ma quel che rimane in piedi
ò sufficiente a darci idea della magnificenza dei Benedettini , e a
farci più lamentare la perdita dell' edifizio.
(!) Compie ora l'anno chenn centinaio di gente del volgo andò a rovinare baona
parie delle fabbriche e a scavare tutte le fondara«fnla di Santa Maria, mosso dalla
sciocca e infondata credenxa che ivi fosse sepolto dell' oro, ab antico. Aggiungi che
que* casalini han servito parecchi anni «li ovile, e avrai idea del miserevole stalo
a cui soD pervenuti.
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IL MONASTERO DI S. MARIA DELLE CIAMBRE 35
Abbiamo di esso, ma aperte e cadenti, le mura della Chiesa, della
sacrestia, che le sta dietro, e d^ una elegante stanzina^ che le pog-
gia a sinistra, ossia a sad-ovesf, avendo essa Chiesa la porta a nord-
ovest. Il campanile, a destra della porla, sorge quadrato e sem|ili-
cissimo, e va a terminare con tre merli a coda di rondine per
ciascuna parte; ma ne vedi soltanto il lato sud-est, che i tre altri sono
caduti. A destra poi della Chiesa e del Campanile un atrio di circa
venti metri quadrati, che mostra i vestigi degli archi de' suoi por>
liei; a sud-est di esso il refettorio, a nord-ovest una larghissima
sala, la prima a cui metteva adito la porta principale del monaste-
ro. Un corridoio e alcune cellette, che poi continuavano ove oggi
scorre V aratro, stanno a nord-est della sala suddetta; come a nord-
est deir atrio e del refettorio veggonsi tre capaci stanze. T una de-
stinata a cànova, le altre due a cucina. Al davanti delPedifizio, e
per tutta la sua larghezza dal lato di nord-ovest, vedi uno spianato,
circuito da bassi muri, che fu già belvedere e giardinetto con viali
di passeggio. A mezzodì di questo, i muri di tre case, staccate af-
fatto dal resto delle fabbriche, destinate forse ad. uso di magazzini
0 piuttosto di foreslieria, solita a non mancar mai in qualsiasi degli
antichi conventi.
Tutto questo è ciò ette puossi ancora vedere del monastero. Il
quale a me pare che sia stato eretto in due tempi diversi, o per-
chè si appropriò parte delle fabbriche già prima esistenti, o per-
chè potè appresso subire in buona parte de^ restauri : giacché que-
sto è os.servabile, che mentre le finestre della Chiesa, e della slan-
zina che le è a sinistra sono a sesto acuto, ed a sesto acuto ancora
la porla della stessa Chiesa e la principale del convento; tutte le
altre finestre non sono che a rettangoli molto allungati. Cosi parmi
ci sia pur qualche differenza tra la fabbrica del campanile e quella,
ad esempio, delle celle a nord-est.
La cosa più importante alle Ciambre dovevano per fermo essere
gli a freschi che adornavano indistintamente tut^e le stanze; a freschi
che in massima parte portò a compimento il Bealo Majali, e sareb-
bero stati altro documento della storia artistica siciliana del sec. XY.
lo ricordo aver visto bambino tutti quei muri pieni di figure di
santi e di ornamenti altri : oggi però le procelle hanno mandato a
male e cancellato ogni cosa. Sul muro esterno della Chiesa, a sini-
stra della porta, e uguale all'altezza di questa, benché alquanto
sbiadito, vedesi piantato un San Paolo, che poggia la destra sul suo
bravo spadone. DalPaltro lato dovea certo fargli compagnia S. Pietro,
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36 NUOVE EFFEMERIDI SIQLUNE
ma non ce n' è vestigio. Denlro la Chiesa poi, mentre inciampi in
una sepoltura a cui fu rubata la lapida, o sui frantumi non molto
antichi delPaltare, non puoi far a meno di levare in alto lo sguardo
sul pezzo dì arco che divideva il coro dalla navata, dove un ma-
gnifico rabesco dai vivi e spiccati colori parrebbeti cosa fatta di ieri,
a stucco in rilievo. Eppure quest' angolo, eh' è quello che guarda
Tovest, è interamente esposto alle intemperie! ma queir a fresco è
li sempre lo stesso, e k) sarà ancor qualche tempo; mentre parecchie
figure di angioli, o santi che sieno, che gli succedono immediata-
mente, si scorgono a gran pena come leggerissime ombre.
Se dal Tempio entriamo nella sacristia, ancora qui troviamo da
tnttM lati i vestigi di colorì impressivi dal pennello delP artista. Il
moro di sud-est è diviso in cinque compartimenti, in ciascuno dei
quali stava la figura di un Santo. Non mi riesce di vedere i quat-
tro laterali : ma quello di mezzo, figura ben grande [air impiedi e
sfarzosamente colorata, benché mancante di testa e parte di busto,
panni un S. Benedetto.
Lascio qualche altra stanza e P atrio, che pur dàn segno di avere
avuto i loro colorati ornamenti, ma che oggi non mostrano cosa
che meriti attenzione, e vado per ultimo al refettorio; in fondo al
quale, nel muro di sud-ovest, io veggo in alto ed al centro la te-
sta bionda con aureola ed il petto di una imagine , eh' è donna
senza dubbio alcuno. Ma qual ^nta era mai? E perchè tanto alto
focata ? Sono domande queste a cui nulla non sappiamo rispondere
di preciso , perchè altro non si vede presso a quella testa che il
muro scalcinato. Se una ipotesi avesse valore, direi che quella do-
vett'esser^ una Madonna, ritratta in mezzo a qualche medaglione.
E cosi solamente potrei, conciliar questa figura colle altre che sta-
vano pia in basso. Cercando delle quali, ho trovato qua e là., nella
larghezza del muro, una cinquina di piedi, messi in modo che ac-
cusavano la posizione seduta di chi li portava. Avuto riguardo al
luogo, la supposizione prima su questo dipinto, già perduto^ doveva
esser quella, che in esso era slato forse effigiato, come in tutti quasi
i refettori de' PP. Benedettini , quel tratto della vita di S. Bene-
detto, quando a tavola gli venne presentato un bicchiere con veleno,
ed egli, colla forza della sua benedizione lo ridusse in pezzi. Ha il
fatto non avvalorò la supposizione. Che, all'estremo sinistro del
mura, e proprio in basso dove le macerie e la terra gli si addos-
sano, mi fu dato osservare dipinte alcune lettere maiuscole rotonde
che dicono: URAE. S. Mauc. xvi.... Non c'era che dir più: queir
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IL MONASTERO DI S. MARU DELLE GIAMBRE 37
rURAE è la fine di on versetto del cap. XYI dell' Evangelio di
S. Marco; versetto che illustrava V a fresco. Ricorsi al Nuovo Testa-
mento, cap. XYI di S. Marco, e Punico versetto che termini con
urae è il 15, che dice : Et dixit eis (Dominus) : Euntes in muadum
univenumj praedicate EvangMum omni creaturae. Quell'a fresco rap-
presentava dunque l'ultima apparizione di G. Cristo agli Apostoli,
mentre stavano a mensa.. Nobile pensiero questo , di ricordare ai
monaci, quando mangiavano, le parole di Dio che additano loro la
santa missione a cui li ha Egli chiamati.
E qui, nient' altro mi restando ad aggiungere, io fo voti perchè
tutti gli antichi monumenti di arte e letteratura, che i nostri pa-
dri 0 per ignoranza o per negligenza distrussero o abbandonarono,
vengano con accuratezza e perizia illustrati , meglio che a me, in
queste brevi parole , non fii dato di fare per Santa Maria delle
Ciambre.
Salvatore Salomonb-Marimo.
INTORNO ALLA COPIA DI UNA DELLE STORIE A MUSAICO
DELLA cappella PALATINA
LirriRA AL GAY. CESARE GUASTI AccADEiico DELIA Crusca
Firenae
Nel rispondere ad egregio uomo- della gentile Toscana voglio ora
anzi di arti tener proposito che di lettere, e di arti che in tante
guise fonno segnalata questa Isola. Perchè mentre ci gode T animo
vedendo recata a termine la splendida e dotta illustrazione del Duomo
di Monreale per opera del chiarissimo Abate Domenico Gravina, ab-
biamo un altro motivo di godimento intorno a siffatti studi, comec-
ché per diversa fsercìlazione, vedendo felicemente intrapresa dal-
l'artista Rosario Riolo la copia di uno de' fotti biblici, ond'è sto-
riata a musaico la Cappella Palatina di Palermo.
Egli, ch'è valente direttore de' bellissimi musaici delia rinomata
Cappella, ha avuto posto in mano il lavoro dall' Inghilterra, nazione
opulentissima, e aiulatrice di civiltà; dove il quadro si vuole per la
storia deir arte, ponendolo, quantunque sia unar copia, fra mezzo a
tanti di altro genere, e di altro tempo, si che rammenti la possa del-
l'ingegno artistico ne' primi secoli dopo il mille, e il testimònio il
più vivo di un tale ingegno fra noi.
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38 NUOVE EFFBMBRIDI SICILIANE
Fu scella la rappresentazione di Gesù Cristo eh' entra in Gerusa-
lemme, pojtandosi i rami delie palme; e nella forse più che quarta
parte a cui la copia è aggiunta, dà di sé buono avviso, e fa con animo
apporre, che sarà per parere l'esemplare pur desso.
A fianco del valentuomo è a Invorare un suo esperio fratello, e dopo
di lui alcuni bene intenti operai, che il Rioto seppe air uopo qui con-
durre da Cefalù, dove era andato per quella chiesa, eh' è del mede-
simo carattere. '
Sopra che giova conoscere, come grande è il desiderio che una
scuola qui si fondi di lavori a musaico. Scuola speciale per questi
di Sicilia, li quali sono singolari dai musaici soliti ad eseguirsi m
altri luoghi, che con svariatissime tinte, come egregiamente si fa
in Roma, ritraggono quadri di ogni sorta; onde par si voglia che
le pietre da incastrarsi tanto si multiplichino quanto si debbono
multtplicare le quasi infinite gradazioni di colori, affinchè si arrivi
al segno che nell'opera a musaico per poco si ravvisi l'opera a
pennello. Quando i musaici di Sicilia , e' pochi altrove eguali , ma
non cosi eccellenti né magnifici, si osservano fatti con pochi mezzi,
due 0 tre tinte e nulla più, ed, in partiC4)lare questi di Sicilia, col
bianco delle vesti, e con l'incarnato dei volti, ottenuto per colore
naturale con pietre d' una roccia calcare leggiermente marnosa, che
si trova in buon dato ne' dintorni di Palermo, e chiamano latti-
musa.
Di là deriva, che ì musaici di Sicilia ricliiedono a rifarli, o a co-
piarli, un jhetodo proprio, il quale ora mai è nelle mani di pochi
fra noi rimasti a praticarlo; ma che con l' andar degli anni, senza
rifornirsi o soccorrersi, potrà essere perduto. E ad impedire il danno
non altro sarà a farsi, che fondare una scuoia, la quale tanto valga
quanto il conservare nelP antico identico loro stile cosi stupendi edi-
fici: la Cappella Palatina, la stanza di Ruggiero dentro il real Pa-
lazzo, ta chiesa della Martorana, il Duomo di Monreale, il Duomo
,di Messina, il Duomo di Cefalù ed altri, antichi da sette oda otto'
secoli, eagion di nostra alterezza, cagion di ammirazione a tutti.
Avvegnaché ai mali che il dente del tempo possa mai arrecare,
gli artisti fidi alla scuola saprebbero sempre riparare, e gli edifici
sempre sarebbero integri come sorsero.
La scuola di cui parlasi, col patrocinio fondandosi de' reggitori
della cosa pubblica produrrà un grande ed invidiabile vantaggio,
si che benemeriti ne saranno chiamati i provvidi reggitori. Dai quali'
ora con ansia si aspetta, che sieno ordinati i ripari a taluni dei
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INTORNO ALLA GOPU Di UNA DKLLB STORIE A MOSAICO, EC. 39
monumenti con urgenza bisognevoli; i quali ripari tornano ora più
focili a praticarsi per l'accorta industria trovata da Salvatore Ver-
sace nel modo di distaccare i musaici, e in esatto modo rimetterli.
Già nella chiesa della Martorana con dolore si notano de' guasti;
già se ne notano in altri di questi celebri monumenti; La gloria
di tanti secoli senza i ripari può perire; ma la mente valida di co-
loro cui incumbe saprà accorrere, e tanta gloria starà, illesa e ri-
splendente.
Con tali cenni, con tali auguri, anzi espressioni di certezza, chiudo
le mie parole alla S. Y. Ch., la cui amicizia mi onora, e in tante
guise m' è utile, intorno alla bella copia di Rosario Riolo. (Corre-
ranno ancora sei mesi, o circa, e la copia sarà finita, e tutti la lo-
deranno, e 1 mio primo plauso sarà seguito da molti del mio an-
cora più fervidi.
D'onde per l'avvenire gli oltramontani per lavori di tal sorta
avranno più giusta causa di richiedere questi artisti, avanti che gli
altri di altre parli d'Italia; giacché alla bontà dell' esecuzione, come
di tratto sarà veduto, si aggiunge il pregio de' migliori modelli, che
in maggior numero, ed in più grande forma, qui si trovano , per
ispirare fiducia di migliore successo a favore degli artisti delia inclita
Sicilia.
Palermo, marzo 1870. Prof. Giuseppe Bozzo
IPPOLITO
DRAMMA D'EURIPIDE
(Continuai. Vedi Voi. I, disp. 10*)
Fedra
Tacete, o donne, siam perdute!
Coro
0 Fedra,
Qual si compie in tua casa aspra ventura ?
Fedra
Frenatevi, e cosi quanto là dentro
Si dice, udir potrò.
Coro
Taccio; ben trista
inizio è questo I
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40 nuovb effemeridi siciliane
Fedra
Ahimè la sciagurata!
Coro
Che intendi ta ? Che cosa esclami ? Parla,
Qoal mai novella f assaliva» o donna.
Che si t'abbrezza di spavento il core?
Fedra
Perimmo. A queste porte ay?icinateyi.
Ascoltate lo strepito, che sorge
Nella casa.
Coro
Rimanti appo le soglie.
A te il cbmor» che di là move, imiH)rta.
Dimmi, dimmi, che danno è sovraggiunto?
Fedra
Di ca?aliera Amazone rampollo
Ippolito r ancella or maledice.
Coro
Odo una voce ; non distinguo i detti....
Ha vien dalPusdo^a te ne viene il grido I
Fedra
Chiaro le appone il Cavorir le colpe,
E che tradiva i talami del Sire.
Coro
Ahi, che disastro 1 Sei tradita, o cara I
Qnal darti avviso? Omai palese è il tutto....
Perduta sei !
Ffi^RA
Me lassa!
Coro
Dagli amici
Tradita f
Fedra
IToccidea, recando in luce
I casi miei, con amistà, ma tiu*pe,
Molcer tentando questo morbo.
Coro
E in tanto
Disperato frangente or che farai ?
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IPPOLITO, BRAMMA D'EURIPIDE 41
Fkdra
Altro non so, che morir tosto. É questo
Unico scampo nei presenti affanni.
Ippolito
0 Terra madre, o rai del Sol, che sensi
Nefandi udii i
NUDRIGE
Taci, 0 figliuol ; potria
Alcuno adirti.
Ippolito
Non fla mai chMo taccia
Le orrende cose, che ascoltai.
NUDRIGB
Ten prego,
Per la vaga tua destpa;
Ippolfto
Giù le mani 1
Non toccare il mio peplo.
Nddrice
Ahi ti scongiuro
Pe' tuoi ginocchi, non Yolermi spenta I
Ippolito
Ha come, se, qual narri, i tuoi consigli
Scellerati non sono ?
Nddrice
I detti miei
Propalarsi non d^mo, o giovinetto.
Ippoltto
Ha più bello è d'assai, che i send onesti
S" espandano fra molti.
NUDRIGB
I giuri, 0 figlio.
Non dispregia.
IppoLrro
Giurò la lingua; il core
Non giurava però.
NiJDRICB
Figlio, che fai?
Brami la morte degli amici?
IppoLrro
A voi
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42 NUOVE EFFEMERIDI S1GU4AME
Deir infamia lo spalo 1 Amico alcuno
Tra i malvagi non ha
NUDiUGE
Perdona; istinto
Degli uomini è il fallire, o figlio mio.
Ifpouto
Perchè, o gran Giove, alla diurna luce
Lusinghiero degli uomini disastro
Evocasti la Donna? E se bramavi
Propagar V uman genere, non trarlo
Dalla Donna dovevi; e aprire invece
Ne' tuoi sacrati un'endica di figli
Da tramutar con oro, o rame, o ferro,
Secondo il ciascun morto; e le magioni
Cosi franche di donne abiteremmo.
Or frattanto a chi voglia in casa trarsi
Tal peste è tutta la dovizia assorta 1
Quinci ben chiaro è, che mina estrema
Son le donne per noi. Le dota il padre
Che le produsse ed educoUe, e altrove
Le accasa, e quindi fugge un gran periglio.
Ma chi tal piaga in sua dimora accoglie
Allindar di bei fregi si gioisce
Un tristo simulacro, e di mantiglie
Lo rafiazzona, e intanto ahi I sciagurato,
Le casalinghe (acuità disperde.
Fòrza gli è pur, se con legnaggi illustri
S' infamigli, guardar con lieta fronte.
Mentre il fiele ha nel cor, le amare nozze.
E se proba è la sposa, e abietti sono
I suoceri, nel ben trova il disastro.
Meglio è che nulla non arrechi altrui
La donna, e schietta di costumi, e quasi
Inutile s'alloghi entro la casa.
Detesto T erudite! Il ciel mi guardi.
Che alle mie soglie non s'appressi alcuna
Esperta più di quanto a donna è bello.
Che malizia maggior Venere infonde
In femina saputa. — Immune e scevra
L' insipiente ò da follia d' amore. ^
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IPPOLITO, DRAMMA D BUIUPIDE
Degno par fora, cbe alle mogli accesso
Non avesser le serve, e sol con elle
Albergassero muti e cnidi mostri!
Cosi lor tronca ogni balia sarebbe
Di mover ciance e d' ascoltarle. Intanto
Oggidì le malvage entro i lor tetti
Rei consigli maturano, e T ancelle
Al di fuori li recano! Venata
Cosi tu, scellerata anima, sei
Trafficando con me T inviolato
Talamo di mio padre ! lo quegli infami
Tuoi motti caccerò, le orecchie mie
Aspergendo di pure e chiare linfe.
E come iniquo potrei farmi, quando
Casto più non mi sento, per averti
Solo ascoltato? Abbi di fermo, o donna,
Che, se legato non m^ avesse il giuro
Ai Numi fatto, non vorrei dislormi
Dal rivelar tue nefandezze al padre.
Or mentre ei lungi è da Trezene, io queste
Magioni fuggirò, né di tai cose
Terrò favella. Tornerò con esso
Poscia, e vedrò, come fermar potrai
Tu con la tua padrona in lui lo sguardo!
Ben ti conosco.... avviserommi quinci
Di tua protervia. — Il Ciel vi spenga! Sazio
Non sarò mai dall' abborrir le donne.
E ripetasi pur, ch'io senza posa
Di quesf odio ragioni. Si ; perch' esse
Disoneste fur sempre I Altri pudiche
Le mostri, o lasci, eh' io le affronti sempre !
Coao
0 sciagurato, o misero destino
Delle donne! Qual arte, o qual ragione
Avrem da scioiTe di tai casi il nodo !
^ Fedra
Giusto giudicio su noi cadde! 0 Terra,
0 Luce, come fuggirò lai sorte?
E come, o fide, celerò il mio strazio?
Qual Dio, qual uomo si parrà compagno,
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44 NUOVE EFFEMERIDI SICIUANE
0 partecipe in qaeste opre maivage ?
Morta! si appressa inestricabii duolo....
Tra le donne miserrima son io 1
Ck)iio
Ahi I che tatto 6nì ; nò potè V arte,
0 regina , giovar della tua serva.
Tutto falliva t
Fedra
0 la più trista donna
Tu, de' più Adi esizial mina.
Che mai tu fosti ? Giove, ond' io mi nacqui.
Saettando col fulmine t' eetermini 1
Non ti diss' io, de' tuoi pensieri avvista.
Di tacer quanto or si mi rende infame ?
Ha tu frenarti non volesti, e quinci
Nell'obbrobrio morremo! — In altra guisa
Provveder qui fa dHiopo. — Ei d' ira ardente
Al padre svelerà, per fame offesa.
Le colpe tue; discoprirà ben anco
Al canuto Pittòo le angosce nostre,
E la Terra empierà di vitupero.
Maledetta sii tu; sia maledetto
Qua! altro, al par di te, d'empi favori
Largo si renda ai non volenti amici !
NUDRIGE
Ben a ragione il mìo fallir riprendi
0 mia reina; che l'interna ambascia
Ti vince il sentimento. — Avrei per altro.
Se non la sdegni, una risposta a darti.
Io t'allevai; t'amo; al tuo mal cercando
Un rimedio^ trovai ciò, che disvolli.
Ma, se tornata a ben fusse l'impresa.
Saggia or detta sarei ; che ognor si libra *
Secondo la ventura il senno umano.
Fedra
Bastan dunque per me, flen giuste adunque
Dopo lo scempio di me fatto, queste
Tue scuse, ond'io m'acqueti ai tuoi parlari?
NUDRICB
Ornai soverchio è il garrir nostro. Incauta
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IPPOLITO, DRAMMA D' BUIUPIDE 46
lo fui; ma pure in lai frangente io scorgo
Una via di salate, o giovinetta.
Fedra
Taci; pur dianzi di consigli iniqui •
Fosti foriera, e tanti mali ordisti.
Esci di qua; pensa a te stessa. Io sola
Ben disporrò di me medesma. — Voi,
Di Trezene o ben nate giovinette.
Mostratevi benigne ai voti miei;
Di silenzio coprite quanto udiste.
Coro
Per la casta Diana a 6iove figlia
Giuro, cbe in luce non trarrò giammai
I mali tuoi.
Fedra
Ben fovellasti. lo meco
Stessa volgendo ogni ripiego in mente.
Un rimedio trovai, come far bella
E gloriosa ai figli miei la vita,
E giovare a me stessa in tal cimento.
Che mai non macchierò la mia famiglia
Da Creta, e con Teseo non verrò mai
Dopo tante sozzure ad affrontarmi,
Per amor d^ una vita I
Coro
E vuoi tu dunque
Al supremo dei mali abbandonarti ?
Fedra
ìlorrò. Penserò il comel ^
Coro
Oh ! non dir cose ^
Di tristo augurio t
Fedra
E di non tristi avvisi
Tu pur sovviemmi. In questo di, morendo,
Ciprigna allieterò, che m'ha perduta,
E cadrò vinta dall' acerbo amore 1
Ma pur, morendo, altrui sarò d' affanno ;
Ond'ei si tegna dal levarsi altera
Sovra la mia ruìna, e meco a parte
Di questo seempiov a moderarsi impari (
Google
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46 nuove effemeridi siciliane
Coro
Oh 1 se tra balze aerìe
Vestita anchMò di piume
Fossi, e alle schiere aligere
Volesse addirmi un Nume !
Su la marittim' onda
De Tadrìana sponda
Air acque delP Erìdano
Bramerei trasvolar,
Ove tre meste Eliadi
Dal cor di doglia affranto
Per Faeton distillano
Sui neri gorghi un pianto,
Che lucid' ambra appar.
Delle canore Esperidi
N'andrei per Palma arena.
Ove del fosco pelago
Il Sir le navi afTrena,
E ogni sua possa acqueta
Presso la sacra mela
Dello stellato Empireo,
Ond' Alla è reggitor.
Colà di Giove V aula
Fonti d'ambrosia mesce.
Ed alma Dea benefica
La Terra i gaudi accresce
Sempre de' Numi in cor.
Candida V ali, o eretica
Prora, la mia reina
Traesti per la cerula
Strepente onda marina
Dalle magion' beate
A nozze sciagurate I
Ahi! che per ambi infausto
Ella spiegava il voi.
Salpando dalla gnosia
AlPatenèa contrada.
E pur, tratle le gomene
Sulla munichia rada,
Presero il fermo suol !
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IPPOLITO, DRÀIQIA D' EURIPIDE 47
Ella cosi da Venere
Spinta ad un empio amore
Fa con orrendo strazio
Trafitta V alma e il core t
E pensil fdne al tetto
Sul genial suo letto
Accomandando, il dltido
Ck)llo s'annoderà.
Vinta dai Fati, in odio
Della nemica Dea,
Preporre al turpe P inclito
Nome, e la fiamma rea
Così domar saprà 1
continua) G. De Spcches.
CURIOSITÀ STORICHE SICILIME
Raccogliamo sotto questo titolo, traendolo dai manoscritti della
Comunale di Palermo, tutto ciò che può essere utile alla storia delle
scienze, delle lettere, delle arti, e de' costumi dei Siciliani, e giace
ignorato e sepolto nelfa polvere d' uno scaffale di libreria. Comin-
ciamo a spigolare nei due volumi di Notizie piacevoli e curiose ossia
Aneddoti dilettevoU ed eruditi ecc. dell' eruditissimo parroco paler-
mitano Gaetano Alessi, tra gli Ereini Filarco Polignomio. Questi
due volami stanno ai segni Qq. H. 43 e 44; il primo ha la data
del 1776, il secondo del 1803. É da avvertire che TAutore, più che
alla eleganza della favella, badò a far tesoro di cose e di erudizieni
meno conosciute^ che valessero ad illustrare la Patria siciliana.
Salv. Salomone-Marino
(N. B. Co' numeri romani, premessi ad ogni paragrafo, indichiamo il volume; co-
gli arabi il numero che in esso volume porta lo aneddoto),
(I, 35) Farsa. Rappresentazione burlesca , che in Sicilia si fa-
ceva per le strade a dilettevole trattenimento del popolo. 11 nostro
concittadino D. Luigi D'Eredia nella sua Apologia contro il Gua-
rino (f. 9 e 10) scrive che li Siciliani, « serbando il costume an-
• tico, rappresentano, per le strade e per li borghi, componimenti
« drammatici , sotto nome di farse. > Questi componimenti erano
sopra materie facete e ridicole, come ricavo da Francesco Patrici,
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48 NUOVE EFFEMEBIDI SIGOIANE
il quale nella Poetica (dee. ist, 1. lY, f. 234), scrifendo della poesia
burlesca dice: < quali sono ora le forse o le comedie zannesche. >
Similmenle trovo, che nel fine d' una amena comedia intilolata La
Notti di Pùkrmu (stampata in Palermo presso Decio Cirillo nel 1638
in 8o) cosi conchiude V Autore di essa :
Chi nui àulri flnemu
La nostra farsa, dilla la Cumedia
Di la filici notti di Palermn.
(I, 273). BUniere metalliche in Sicilia. É cosa troppo nota
che nella nostra fertilissima Isola vt sieno miniere de' più fini me-
talli; come di oro nel feudo di Castelluccio, di argento nel territo-
rio di Caccamo, di rame nelli contorni di S. Marco; e di tanti al-
tri metalli in diversi altri luoghi , come può osservarsi nella fati-
cosa raccolta, fatta per Real Commissione dal Presidente D. Rosa-
rio Frangipane, noslro palermitano, che manoscritta conservasi nella
libreria di sua casa. In conferma dell'esistenza di tali miniere, e del
lavoro delli metalli da esse provenienti, convien sapere quanto scrisse
Giovan Giacomo Adria {De sita VaUis Mazariaé) , ed è , che . nel
luogo presso il convento de' PP. Cappuccini di Palermo apparivano
ancor nel principio del 16® secolo le vestigia delle officine metalli-
che, lavorate sin da' tempi de' Greci e de' Romani , come dice il
Leanti (Slato Pres. della Sic., Tom. I, p. 218).
Queste ofiìcine , in questo secolo , non vi sono più in veruna
parte della Sicilia, abbenchè qualche volta si sia ripigliata l'impresa
a' nostri tempi di cavarsi le miniere. Imperocché nel 1734 Barto-
lomeo Khez, chimico boemo della corte di Vienna, fu mandato in
Sicilia, ove estraendo terra e pietre dalli colli vicini alla Terra d'Ali
ed alla Terra di Fiume-dì-Nisi, ne ricavò argento, del quale coniò
alcune monete coli' impronta, da una parte , di Carlo Sesto impe-
radore , allora dominante della Sicilia , e dall' altra parte coli' im-
pronta della Sicilia, col motto: Ex visceribus meis. Similmente, nel
1740, Carlo Terzo Borbone nostro Re volle far ripigliare tale fa-
tica , facendo spiare in quelli ed altri contornì le cave di diversi
metalli; ma perchè andava molto interessato il Regio Erario in si
fatta opera, si è sospesa l' impresa.
Per soggiungere su questo punto qualche cosa intorno alla mia
patria Palermo, dico , che nelle nostre campagne vi è qualche in-
dizio di esservi miniera d'oro; imperocché nel nostro fiume Greto
si sono trovali minuzzoli di si prezioso metallo. Veggasi il Massa,
ed Amato nelli luoghi che cita il Mongitore nella Sicilia ricercata,
Tom. Il, pag. 165. (continua
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RICORDO DI ANTONINO GkTTUSO
Il primo e più naturale sentimento che si desta neir animo di
chi ascolti la flne immatura di tale che sembrava destinato ad ono-
rare la patria con opere egregie, è senza dubbio la compassione.
E codesta compassione sarà forse sentita da coloro i quali sanno
che r uomo che qui si ricorda apparteneva a quella eletta di be-
nemeriti cittadini che hanno consacrato alla famiglia e al paese na-
tivo i miti affetti del cuore e le splendide virtù dell'ingegno. Tale
fu il cav. Antonino Gattuso che, tocco a pena il quarantunesimo an-
no, si morì. Ed io, che ebbi il bene di conoscerlo da vicino, m^ in-
gegnerò di ritrarre P animo e la mente di lui, perchè la sua vita
non sia senza lode, e la sua morte senza compianto.
Il profeterò Antonino Gattuso nasceva in Termini-lmerese, terra
ferace di eletti ingegni. Apprese i primi rudimenti delle lettere ita-
liane e latine nel patrio Liceo, ove benché giovanetto, lasciò foma
d"" ingegno pronto e svegliato.
Segui poi la madre che, perduto il marito, rimasta priva di beni
di fortuna, si trasferiva nella città capitale. E qui egli, di nulPaltro
bramoso che di trovarsi in grado di aiutare la famiglia, ripigliò con
maggior lena gli studi» e frequentò le scuole che di que^ giorni te-
nevano i Padri Gesuiti. I quali, scòrte le egregie qualità di quel-
r ingegno promettente, si confidavano di poterlo ascrivere al loro
sodalizio , profferendo alla madre di lui ogni maniera di aiuto. Il
giovanetto fu cosi fortunato che potò a tempo avvedersi delle scal-
trite frodi de' Padri, e compiuto a pena il tirocinio, usci dal colle-
gio, e riacquistò quella beala indipendenza che avea pianta per poco
perduta.
Quando, nel 18&8, V isola nativa sorgeva a più lieti destini, il no-
stro pigliava volontario servizio nella nascente milizia siciliana, col
grado di ufficiale, ottenuto a concorso.
Caduta la libertà siciliana, e tornata la mala signoria de' Borbo-
ni, studiò giurisprudenza nel palermitano Ateneo, e compiuto il corso
degli studi legali, si consacrò all' avvocheria, ove die prova di molto
senno e di probità assai rara.
Uà non era questa la vita che gli arrideva di più care lusinghe.
Bensì con animo acceso volgevasi aUe lettere , che sono conforto
degli uomini, e ornamento nelle prospere cose e nelle avverse ri-
fugio, e per le quali ei sentiva speciale vocazione.
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50 NUOVE ErFEMEBIDI SIGIUANE
Quando, dcq)0 i poKtid rìvdgiiiieDti del 1860, iii^ituivasi il no-
stro Liceo Nazionale, era quivi nominato Professore titolare di lin-
gua e letteratura latina.
Pubblicò poco dopo un volume di trecento pagine che intitolò:
Storia delia hUeratwra kUina che era il frutto di lunghe meditazioni
sulla lingua del Lazio, nella quale aveva faito costanti ed amorosi
studi.
Preceduto dalla fama di onesto ed operoso insegnante, nel 1862,
era destinato alia quinta classe del R. Ginnasio Nazionale.
Cominciò V insegnamento del latino con molto profitto de' gio-
vani alfe sue cure affidati. Sapeva poco di greco» o non vi era molto
esercitato ; ma con T aiuto del suo buon volere, e ne avea molto,
rifece gì' intermessi esercizi, e se non divenne un grecista, di que-
sta dotta lingua ei seppe tanto che poteva bastare a condurre lo-
devolmente la classe.
Nella lingua italiana moUo avanti sentiva ^ e come scrìveva con
molto buon garbo, cosi era sobrio ed assennato nella parte precet-
tiva, accurato nella correzione de' compiti, arguto nelle linguistiche
e fliologicbe osservazioni.
Ma ciò che rendeva il professore Oattuso degno ^i molla lode
'era U contegno da lui tenuto in iscuola. Fedele osservatore delle
massime pedagogiche da lui dettate neir operetta: //tnoégfro dì /tn-
gua e lettere nelle scuole secondarie; si valeva dell'amore per riu-
scire nella solida e vera educazione morale de' suoi allievi.
Esempio vivo di moralità nelle parole e negli atti suoi, nello stu-
dio de' classici trasceglieva que' tratti da' quali i suoi alunni potes-
sero ritrarre esempi di pratica moralità. Li avvezzava alla prudenza
nel promettere, alla franchezza nel confessarsi colpevoli, alla libertà
del proprio pensiero, al rispetto dell' altrui opinione , all' ossequio
delle leggi, afl' orrore allo spionaggio, alla pigrizia, alla menzogna, a
qualunque bruttura. Ammise i giovani alla libera discussione su' com-
ponimenti fatti in iscuola; istituì una specie di giuri ne' casi dubbi
sulla interpretazione di alcuni regolamenti scolastici, e promosse una
associazione per soccorrere di libri e dell'occorrente da scrivere
que' giovani che* per manco di mezzi, non iK)tevano usare alle pub-
bliche scuole.
Cosi educava i suoi alunni ad esporre con lealtà e franchezza le
proprie opinioni, teneva deste le loro facoltà, il giudizio, la imma-
ginativa, il sentimento, informava il loro animo alla virtù della com-
passione e delia beneflcenza, li adusava alle faccende della vita pub-
blica e ad amministrare con giudizio ed onestà le entrate che prò-
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RIGOEDO DI ANTONINO GATTUSO 5i
venivano da talta T associazione scolastica. Era insomma il vero
maestro educatore, e la sua scuola era una famiglia. Conduceva V in-
segnamento con tanto buon metodo e con tanto amore, ct)6 sareb-
besi detto ch'egli fosse il migliore amico de' giovani.
Ma benché dell' affetto molto ei si valesse per inspirare a' giovani
il sentimento del dovere , pur sapeva mantenere il prestigio del*
r autorità, eh' è cosi necessaria all'Istitutore che sente la propria
missione.
I suoi alunni lo amavano di quell'affetto
Che più non deve a padre alcun figliuolo;
e coloro che attendono di presente agli studi liceali ed universitari
conservano gratitudine al loro buon professore Gattuso; che è questo
il nome che gli danno, nome più lusinghiero di qualunque altra lode ,
come quello che rivela le egregie doti della mente e del cuore di
quell'uomo, che ebbe viscere di padre pe' suoi alunni diletti.
II prof. Gattuso non vivea se non che nel pensiero della scuola^
alla quale aveva consacrato tutta la sua vita dì privazioni e di studi.
Egli, fra le ore assegnate allo insegnamento degli allievi del Ginnasio,
delle alunne del R. Educatorio Maria Adelaide, e degli scolari pri-
vati, dava da circa a dieci ore di lezioni al giorno. E il vederlo, fra
tante affiannose occupazioni, pur sempre calmo e tranquillo, destava
ammirazione e insieme pietà. Quella vita tanto laboriosa doveva fiac-
care qualunque vigorosa natura; pure egli dava sempre lezioni con
equabile costanza di affetto e con uguale zelo ed energia.
Ma il suo fisico doveva sentirne una potente scossa. E il dolore
della morte della madre, che andò a prendere a Termini-Imerese,
perchè gli fosse data la consolazione di poterle prestare in casa gK
estremi uflBci, la sollecitudine degli esami de' suoi allievi del Giii^
nasio e delle sue alunne dell' Educatorio, e le diuturne fatiche spen-
sero quella nobile esistenza — Moriva il 30 agosto del 1860, mar-
tire della fetica I
Ho scritto questi poclii cenni a conforto de' figli, perchè sieno
loro specchio ed esempio le virtii del padre, e a consolazione de-
gli onesti che si sono dedicati alla ptibblica istruzione. La quale se
è senza compensi, non è scarsa di conforti. Che se la vita labo-
riosa degli onesti insegnamenti è inapprezzata, e sono sconosciute
le loro modeste virtù, non cesseranno però d'esser savi e buoni:
memori che la virtù ha sempre il suo premio, non foss' altro nella
pace della buona coscienza, nell'adempimento de' propri doveri.
Carmblo Pamm.
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LETTERA INEDITA DI VIHORIO COUSIN
A SALVATORE MANCINO
Questa lettera che non ebbi a mano quando pubblicai il carteg-
gio del Cousin col Mancino nel mio libretto Salvatore Mancino e
V Edetticismo in Sicilia (Pai. 1867), è proprio quella che il Ck)usin
accennava al suo amico nelP altra de^ 20 marzo 1842 , e chMo te-
neva come perduta. Il posto pertanto che avrebbe dovuto avere nel
mio libretto sarebbe stato a pag. 35: e ci dice essa qual giudizio
portava V illustre filosofo di uno de' nostri migliori insegnanti di
quel tempo, e delle Effemeridi dì allora.
V. Di Giovanni
Man cher Monsienr,
Tai refu il y a quelque temps votre lettre du 21 AoAt I8t1. De-
puis vous avez dù recevoir de M. le Consul de Franco à Palermo
mes le(ons de 1816 et 1817^ et je vous envoie cependant celles de
1820. Vous avez donc maintenant sous les yeux tout mon premier
enseignement de 1815 à 1820. Il ne manque plus que Kant, dont
vous ^vez un morceau, et dont vous lirez un morceau plus impor-
tant dans un des prochains N». de la Revue des deux Mondes.
Je suis charme de votre nomination de Chanoine à la Gathédrale
de Pderme. Mais f espère que cela ne vous eniève à V Université,
et que vous <x)ntinuez toujours vos le^ons de philosophie. Vous a-
vez bien raison de croire qu^ un Compendio della Storia della FUo-
sofia est indispensable pourcompléter vos Bléments, et donner une
impression utile à Télude de la philosophie en Sicile. Car e" est par-
ticulièrement pour la Sicile quMi faut travailler. Votre pian est excèl-
lent; je Papprouve toutàfiait. Mais*je pense quMI faudraitmet-
tre quelque intervalle entre le premier et le second volume. Ne
vous pressez pas depublier le second volume; publiez le premier
le plus tòt possible. Plus tard je vous parlerai en détail de la ma-
nière dont vous- pourriez arranger le second volume; pour le pre-
mier , je n^ ai pas de corrections essentielles à vous proposer; car
je suppose que vous avez la seconde édition de mes le^ons de 1829,
que le libraire Didier a publié il y a plus d'un an. At-elle été
suivie dans Tèdition de Bruxelles? Je T ignoro, ne connaissant pas
cette édition qui desolo mon pauvre libraire de Paris.
Je tirai avec grand plaisir Touvrage de Tabbé Carezza auquel
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LETTERA INEDITA DI VITTORIO COUSIN, EC. 53
Yous metlrez ane préfaoe. Ne cessez de m' envoyer tout ce qui pa-
ndi de philosophie parmi tos ingénieax compatriots. SMI y a en
Siciie beaucoap de Jósuites comme le P. Romano, il feudra me ré-
ooncHier avec cet ordre qui a beaucòup à réparer enrers la philo-
sophie. Remerciez , je yous prie, le P. Romauo. Si je n'étais pas
eette fois fort occopé , je lui adresserais mes remerdments moi-
méme.
Qu' esl-ce qu' une RoYue de SicìIe nommée la Ruota, doni j' ai
re(u quelques N.' où Ton attaque rEcleclisme, ous et moi, et
où r on déiènd Romagnosi ? F aime beaucòup les Effemeridi dbut
je YOUS prie de m^ envoyer les N.' qui intéressent la Philosophie.
Yotre article du premier bimestre de 1840 est fort bon, et m^ en-
gagé à YOUS prier d' insérer parmi les annonces des Effemeridi sans
aucun traYail les titres des cinq Yolumes de mon premier enseijjne-
ment de 1815 à 1820, que yous avez maintenant entro les mains.
Rappelez-moi , je yous prie, à M. le chevalier Fraoco\ au Pére
D^ Acquisto, et aux amis de la philosophie dans votre belle Siciie.
Tout i YOUS de coeur
V. COUSIN
M Dt'cembre 1841
Paris, à la Sorboniic
CKITIC4 LETTERARIA
Solenne tornata della Accademia Palermitana di scienze, let-
tere ed arti in memoria dei suo socio e vice-presidente M.r Bene-
detto D' Acquisto arcivescovo di Monreale. Palermo, 1869.
AvoYamo annunziato già in questo Periodico la tornata della pa-
lermitana Accademia : ora abbiamo il piacere di far conoscere ai no-
stri lettori la pubblicazione degli scritti in essa letti, doYuta al Mu-
nicipio monrealese, che con gentile pensiero Yolle cosi onorare il
suo grande concittadino. — Va primo il Discorso del professore V.
Di Giovanni; il quale, con eloquenza e pulitezza assai rare oggidì,
comincia dal tessere la storia della filosofia in Sicilia nelP ultimo
Yentennio del passato secolo, dai volfiani, che aYeano sopraffatto i
cartesiani , e cedettero poscia al sensismo del Locke , a Vincenzo
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54 NIR>?B nTBimUDI tlCUANB
Hkeli < propngnttore caldissimo, in meizo ai fìiToregpalori di slra-
nieri sistemi, delle antiche tradiiioni ideali d^ filosofia italica ; »
tradizioni serbate e fecoadate dagli scolari di Iti (Zerho , Guardi,
Ritaroia) , e precipuaiii^Bte poi da Benedetto D' Acquisto. Il quale
ToNe però più uuiversale ed italiana la scienza, cont'uiaando il mi-
celiano sisfena , no correggendolo nella parte fondameutale della
teorica della creazione ; poiché il Miceli erasi fondato sulP unità pan-
teistica dell'essere^ colla sua d^trina delPEnte fivo e reale agente in
perpetua novità. Il DI Giovaimi, con quella pi*olònda dottrina che lo
distingue in flfoeofla, va mirabilmente esponendoti tutto ciò, e deli-
neando insieme T imagine delia mente e il concetto delle opere del
monrealese arcivescovo. La Pisicologia^ dove il D' Acquisto gettava le
fondamenta del nuovo ontologismo italiano, « precedendo di cinque
anni la famosa formola ideale della Introduzione allo studio della
filosofia di V. Gioberti » ; il Sistema della Scienza universale , « che
varrà per la filosofia italiana quanto la Teosofia del Rosmini e la Pro-
Mogia del Gioberti • ; il Corso di filosofia morale, il DirMo naturale^
i TratlaU di teologia dommatica, e le altre cose minori del filosofo
monrealese, fino al volume inedito della Logica : tutte queste opere
sono dimostrate e discusse dal Di Giovanni ; il quale passa a con-
chiudere quanta e quale fosse la vigoria e comprensione di mente
di monsignore D' Acquisto, e quale splendido esempio egli lasciasse
del come « possano essere combattuti da ogni lato gli avversari della
filosofia, siano che neghino la scienza per incapacità della ragione,
sia che V appugnino come vana cosa, ovvero come nome senza conte-
nuto, stante essere inutile V indagine de' prìncipi e de' fini. » E qui,
con quella forza di dotti argomenti che i lettori ricordano nella prima
dispensa del volume primo di queste Effemeridi, viene un pò contro i
moderni positivisti, che, spesso per contradizione Kantiani e sensi-
sti neUo stesso tempo, negando la metafisica , riescono alio scetti-
cismo, tenebra deir intelletto e morte del cuore umano. La conclu-
sione del discorso non può essere nò più bella nò piò passionata.
Seguono le Poesie. L* *Eic(Y(>«tM^ del De Spuches , fotte latino da
6. Montalbano e parafrasato da G. Bozzo , potrà solo ben gustare
chi si profondamente conosce il greco idioma come T illustre tra-
duttore di Sofocle e d'Euripide : l'altro di G. Spata, pur greco, reso
in terzine italiane dal Villareale , ne rafferma che i dotti classici
studt hanno ancor valentissimi cultori tra noL Semplice e bello è
il Sonetto del ricordato egregio prof. Villareale; squisite per affetto
e mirabile soavezza di numero le Stanze di U. A. Amico, gentile e
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GMTIGA U&TTBRARU 55 .
ben noto poeta ; ispirata V Ode di Giacinto Agnello, venerando e
quasi nonagenario superstite, che pensa e scrire col Aioco d* mi gio-
vane. Vorremmo adomare di qualche citazione queste nude parole,
ma non cel consente lo spazio : sicché diam fine , congratulandoci
colla risorta Accademia, che si egregiamente ripiglia i bvori suoi ,
portando splendido omaggio agli illusiri cultori delle scienze e deHe
arti, eterni luminari delle nazioni e della civiltà.
S. Salomonb-Mamno
PUBBLICAZIONI — n mg* Pedoue-Laariel si fa editore dell'opera eiii sterne IfiediiA
neUa nostra Oonranale, coi ne fece dono il Cav. Salvatore Vigo: Hemorie thriehe in-
tomo al Gavtimo éMa Sicilia dal 1815 sino al conUnàamenlo della DiUalura del
Generale Garibalii, scrìtte da Francesco Bracci* direttore al Ministero per gli affari
di Sicilia in Napoli. È un* opera di molta importania, anche per dei docuiaenti fatiiri
aggiungere dallo stesso Vigo.
— Alconi tipografi di Palermo hanno preso a rìstampare la Sieilia Nobile del Vil-
iabianca. L'opera verrà fuori a puntate, e sarà terminata in tre anni.
— L' Ab. D. Benedetto Gravina ha dato fine alla stampa della sua famosa opera*
/{ Duomo di Monreale espoelo e deeonUo. Essa A in un volume di pagine SOO in
gran foglio, al quale un altro se ne accompagna di tavole, stupendamente disegnate,
incise e colorate. Quindici anni ci è voluto per questa stampa , che restevà come
uno de' pia bei monumenti dell'arte tipografica siciliana. Tutu l'edisione èco-
suta air illustre autore la non lieve somma di lire 490,000; e ciascuna oopia si
vende lire 800. Ce ne occuperemo quanto prima.
— Il prof. Carmelo Pardi ha preso a pubblicare coi tipi del Giornale di Sici-
Uà i suoi Scritti vari in tre volumi, ciascuno al presso di lire 3, 75, che si paghe-
ranno alla consegna o in sole lire 7 anticipatemente. Il I* volume oonterrà i Veni
e gli Elogi vari, il 8* gli ScriUi critici^ il 3* gli Scrini editativi, I volumi verranno
fuorì di tre in tre mesi. Rivolgersi all' Autore o al nostro perioilico. in Palermo.
— L' illustre e venerando Giuseppe Bianchetti, già presso a varcare il suo ottante-
simo anno, vuol prendere congedo daU' officio di scrìttore pubblicando un'operetta
dal titolo : Il mio uilie. L* associasione cosu lire 8, 50, e si riceve presso l' Autore,
in Treviso, o all'ufficio del nostro Periodico. La raccomanderemmo vivamente ai let-
tori, se di raccoman* iasioni avesse bisogno un'opera di si aureo e dotto scrìttore.
I GIORNALI DI SICILIA. — In Sicilia, meno quelli che ignoriamo, si pubblicano
da sessantatrè giornali e riviste periodiche; due terzi de' quali, politici, gli altri scien-
tifici, letterari, artistici e commerciali. De' 88 che vengono fuori nella sola città di
Palermo le Nuove Effemeridi Siciliane e la Rivista Siculo sono letterari e scientifici; il
Giornale del Consiglio di Perfezionamento si occupa di scienze naturali ed economi-
che; la Gazzetta medica, la Gazzetta clinica e II Ptiam,di scienze mediche; gli Àn»
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» 58 NUOTE EFFEMERIDI SICILIANE
noli di coiiruiioni, di scienxe esatte; gli Annali di ÀgrieoUwra ùHUana, gli AUi
ddta Sodila d' ÀceUma%um4, il GiomaU ed ÀIH detta Commieiione d'agneoltwra e
pasUniMia per la Sieilia e del ComÌMÌo agrario, dì sciensa, industria ed interesse a-
grìcolo; il Circolo giuridico di sciense legali : L'Evemèro, di filosofia rasionalistica;
il Vittorino da Feltre e Istruzione ed educazione, d* istroxione pubblica; V Arte, il
Diogene, la Gazzetta artietiea, di arte specialmente draiDmaUca emosicale. Il Gier-
naie detta Camera di Commereio e il Commercio di Sicilia scriyono di cose commer-
ciali, il GiomaU di Sieilia, Il Preeunore, La Regione, L Amico del Popolo, la Gaz-
zetta di Palermo, Il Corriere Sieiliano, L'Ape Ihlea, La Luce, Homo, L'Umanitario,
di cose politiche.
Tra' capi provincia Messina ba sei diari tra cotidiani e settimanali : la Gazutta
di Meetina, Politica e Commerdo^V Aquila Latina, La Parola Cattolica, D. Marzio,
Il Ficcanaso. •* Siracusa eonta : L'Avvisatore Siracusano, La Camera di Commereio
ed Arti, Il Pttpolano, la Ferrovia Siracusa- Licata, —Catania, Il monitore detta pro-
vincia, la Gazzetta di Catania, La Redenzione, V Apostolato, Fede e Avvenire, —
Girgenti, il Giornale detta Provincia, L'Empedocle, La Pietra. —Trapani L'Imparzia-
le, Esopo. —CaltanissetU, Il Messaggiere, La Tromba nissena. Vari comuni hanno il
loro giornale politico, che yede la luce una, due, tre yolte la settimana: Acireale, Il
Cittadino, Mlstretca, L' Amastratino, Modica II Campailla, Lentini La voce del po-
polo. Marsala, L'Elettore, Ragusa L'Eco dei monti, Termini La vita nuova. Un Col-
tivatore nelino ha la città di Noto; Messina, Girgenti, Birona, Caltagirone, Mistretta
ed altri comuni hanno ciascuno il loro Rullettino del Comizio Agrario. È a notare
che uscendo di Palermo non s' incontrano se non giornali esclusivamente politici,
amministrativi e commerciali.
BIBLIOTECA VIGO — Coi primi di mano si ò aperU al pubblico di Acireale la
Biblioteca privata del cav. Salv. Vigo. Questo onorando siciliano, il cui nome solo
è un elogio non pure pel suo sapere, per la sua integrità e pel suo coraggio, ma al-
tresì per lo immenso amore che egli nutre per la Sicilia; ha raccolto in essa Biblio-
teca quanto di più raro,~di più importante e di più curioso presenti la storia sici-
liana, soprattutto in discipline ecclesiastiche; e ha disposto che i suoi concittadini se
ne giovino pe' loro sludi. L* esempio generoso del Vigo vorrebb' essere imitato.
STUDI — Il Prof. B. Aubé da Parigi è venuto a studiare in Palermo la storia delle
nostre Università, e alcuni de* nostri monumenti.
MONUMENTI — Quanto prima sarà eretto in Girgenti un monumento al fisiologo
siciliano Michele Fodera, opera dello scultore Delisi.
BELLE ARTI. Il giovane scultore palermitano Benedetto Civiletti ha terminato il
■HKlello di una figura al vero rappresenUnte un Meeto ricordo.
È una giovanetta assisa in una sedia, e coperta il corpo da una semplice cami-
cia, che cascando lascia vedere le più elette forme del seno. La posa malinconica e
gentile, le pieghe semplici e modeste, il dolce inclinar delle palpebre, e non so quale
misterioso abbandono del corpo e della mano, nella quale ha un foglio piegato .
rendono 1* opera interessante e cara. Ma più lodevole ó l'artista in quanto che in
questo suo lavoro ha adottato un fare più nobile e scelto , lasciando da parte la
magra imitazione di natura , e pur conservando qiiell' accurata finezia di esccu-
xione, oikl'egli è sUto sempre pregiato. G. P.
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BULLBTTINO BIBLIOaBAFIOO
PRIMI ELEMENTI di Eneidopedia Uni-
versale M. eompOati nMo Ateneo dal
prof, Vincenzo PAGANO.volome unico,
quad. 1*. Propedeuliea. Napoli. 1870.
Di qaesi' opera deir egr. prof, napoli-
tano non possiamo dare che an semplice
annunzio , aspettando che sia compiala,
e si vegga già attuato 1* ampio disegno ,
sopra cai dovrà essere condotta. Il primo
laogo è dato alla Propedeutica , nella
quale si espone qual sia stato il concetto
della Enciclopedia universale presso gli
antichi e presso i moderni; e quale la nuova
partizione dello scibile, gli ordini del sa-
pere > e il principio dell'unità organica
della scienza secondo l' autore. Indi do-
vranno seguire la Protologia , V AnirO'
pologia, la Cosmologia, con le loro spe-
ciali partizioni , assommate a fine di o-
gnuna in un grande ingegno, come in loro
rappresentante , cioè in S. Tommaso per
la Prolologia; in Gioberti, Vico, Dante,
BuoNAEROTi, per r Antropologia, in Ga-
lilei, e BuFALiNi per la Cosmologia, La
Protologia risponde al Sovra intelligibile,
r Antropologia all'Intelligibile, la Co-
smologia al Sensibile ; e, la formola su-
prema dell' aut. è r Essere ideale assolu-
to, là quale pel sig. Pagano ooncilierebbe
le due opposte dottrine del Rosmini e del
Gioberti. V. D. G.
PER IL CONaLIO ECUMENICO VATI-
CANO,Faofo/la del Diritto pubblico ec-
clesiastico sui rapporti della religione
e dello Slato, Trasformazionedelle teorie
moderne per Giuseppe Coco Zanghì.
Catania 1869.
Quest'operetta è nata all'occasione del-
l' opera di Adolfo Francie , PhUosophie
du drqit ecdisiastique, ed è, può dirsi una
erkica dell' opera dell* illustre scrittore
francese , cosi da dare una traccia op-
posta^ o meglio la trasformacione delle
teorie moderne sul proposito del diritto
pubblico ecclesiastico.
La crìtica intanto si attiene alla prima
parte, che è la dottrinale, dell'opera del
Franck; ed esaminando il nostro autore
i diversi sistemi riguardanti le relazioni
tra Chiesa e Stato, conchiude che il cri-
stianesimo d ordinato ad effettuire il Re-
gno di Dio sulla terra , il quale consiste
nel sottostare la materia allo spirito, l'u-
mano al divino. E però 1* umanità tutta
non potrà formare una famiglia che nella
teocrazia. Quello che poi è principal-
mente caldeggiato in questo scritto è la
libertà della Chiesa dallo Stato.
V. D. G.
PALEOETNOLOGU SICULA delU armi
in pietra raccolte in Sicilia, rivista di
Fr. Mina'-Palumbo. Palermo 1869. .
Le ricerche paleoetnografiche iniziate
oltralpe nei primi di questo secolo eb-
bero origine in Sicilia l'anno 1713,
quando cioè il famoso Francesco Cupani
viaggiando per l'isola intravvide l'uso di
alciwie selci da lui rinvenute; ed oggi son
così progredite, che il bravo naturalista
Dott. Minà-Palumbo ha potuto farne una
diligente rassegna. Le scoperte delle armi
in pietra fatte da Falconer, Anca , Gem-
mellaro, Seguenza e dallo stesso Mina in
varie grotte di Sicilia, vi sono amorosa-^
mente descrìtte ; e per esse viene a de-
durre che r uomo antico in tempi prei-
storìci vìsse contemporaneo all'elefnnte,
al cervo, alla iena; che in prìncipio abitò
nelle spiagge , ove lasciò oggetti rustici
della sua prìmìtiva industria ; che, nod.
gliorate.le sue condizioni e le sue armi (se--
conda età della pietra), s' internò nell'i -
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tS8
NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
sola lasciando tracce del sao passaggio,
finché si ridusse al centro, dove perfe-
zionò per modo le armi sue da segnare
quasi r epoca di transizione ai bronzo.
Per analogia di scuri rileva che tra le sta-
lloni di Messina, Biscari e Liccia esistet-
tero usanze comuni ; ed altresì, che le
borgate di S. Foca e S. Paolo dovettero
avere delle relazioni commerciali colle
isole eolie e col continente italiano.
Questo lavoro dell'egregio amico nostro
forma la VII" puntala della Biblioteca del
naluraUita siciliano, a cui da più anni e-
gli attende; e noi siam lieti che le Effe'
meridi potranno nelle prossime dispense
offerire a' loro lettori un nuovo saggio
di questa importantissima collezione.
G. P.
LUDOVICO 0 lo studio della vita, hmmae-
stramenti morali di Andrea Gabbi bli.
Bari 1869.
Sommamente caro ci riesce questo vo-
lumetto di morale religiosa e civile, scritto
ad ammaestramento de* giovinetti , da'
quali, fatti adulti, attende la Patria e il de-
coro e la gloria : e tanto più caro lo tro-
viamo in quantochè veste lindo e sempli-
cissimo e con disinvoltura tale , che at-
tira ì cuori suo malgrado. Il libro ha pi-
gliato la forma di racconto, perchè il dol-
ce, non fosse scompagnalo dall'utile, e
perchè più di profitto apporta il veder
vivi e pailanti in isccna gli attori. Lu-
dovico è uii padre che vien educando il
figliuolo per via ben divèrsa dalla comu-
ne , cioè menandolo con sé dopo le ore
di scuola, e moralizzando su le azioni u-
noane , pigliando opportunità da' buoni
o cattivi fatti in cui imbattevasi : ma av-
vertiva con solerte sludio di • trascegliere
e i luoghi dove andare e le vie da usare,
perchè il giovinetto , sènza pure accor-
gersene, fosse indotto a por mente a fatti
sempre nuovi, e a udire, come per caso,
i buoni ammaestramenti del babbo. > £
in questo modo tutte le virtù principali
trovansi con bei modi instillate ne' cuori
innocenti ; e i vitt e le {[Pravità combat-
tuti fieramente, resi vili, e puniti. Libri
come questi dei virtuoso e dotto signor
Gabrieli sono assai rari oggidi , preci-
puamente in Italia, terra che si compiace
delle sozzure ultramontane : onde noi gli
facciamo le sincere nostre congratulazio-
ni, e per tutti i buoni gli rendiamo gra-
zie (1). S. S-M.
VOCABOLARIO SICILIANO-ITAUANO
attenente a cose domestiche, a parecchie
arti ed a taluni mestieri» di Giuseppe
Pbbez. Disp. l' in 8.« Palermo 1870.
Diremo quanto prima di questo nuovo
Vocabolario, quando cioè potremo averlo
intiero. Ora dobbiamo restringerci ad an-
nunziarne la sola prima dispensa, dove
sono vari articoli riguardanti l'uomo nel
suo complesso, nel suo corpo, nelle sue
secrezioni , nelle sue buone e cattive
qualità morali e fisiche ; le fabbriche
pubbliche e privale, gli arredi della casa
e gli utensili più comuni.
Il eh. sig. Perez essendo dimorato più
anni in Firenze non può non fornir opera
superiore a quelle che si son fatte finora
in questo genere tra noi. G. P.
RAINARDO E LESGNGRINO per cura di
E. Tkza. Pisa 1809.
DOMENICA MATTINA, ùiil/io di Niccola
Gbotr. Pisa
Sono due elegantissime pubblicazioni
del dotto professore Teza, che non vanno
in commercio. Rainardo e Lesengrino
(volpe e lupo) è un antico poemetto, ve-
nuto forse di Francia e malamente reso
italiane, e guasto dal popolo che lo re-
citò e dallo scrittore che lo messe in car-
ta : è una pagina nuova della vita di Rai-
nardo da aggiunger alle altre fin qui pub-
blicate. Certo , che di non lieve impor-
tanza è la favola degli animali, comune
(4) Dallo stesso prof. Gabrieli ci viene gen-
Ulmeate spedito un bel canto alla libertà,
pieno di magnanimi sensi.
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BULLBTTINO BIBLIOGRAFICO
a latte le naiioni : e il Teza vi ba spese
non lievi care neir institoire de' raffronti
tra le vane tradiiioni e i vari poemi di
Rainardo , e nel rendere per quanto si
può intelligibile la scorretta scrittura del
codice da cui ricava il poemetto.
VidUUo è un quadretto di famiglia ,
tolto al Quickbom o Focile viva del Groth,
ed è affettuoso, semplice» dilicalo ; inspi-
razione affatto popolare. Al Tesa, inar-
rivabile poliglotte e gentile poeta, biso-
gna far di cappello per questa traduzio-
ne, che lascia il desiderio di vederla an-
che estesa agli altri cinque quadretti della
Fonie viva, S. S-M.
COMMEDIE di Guglielmo Shakspeare
tradotte da Cristoforo Pasqualigo :
La tempesta, I due gentiiuomini di
Verona. Milano, Treves, 1870.
Ben noto nel campo delle lettere per
degli studi sulle tradizioni popolari , il
Prof. C. Pasqualigo incomincia a dare
air Italia in forma puramente e schiet-
tamente italiana il teatro comico del mas-
simo poeta drammatico dell' Inghilterra,
e di uno de' più potenti Geni. L'opera
sua incomincia con d uè commedie, che
segnano, presso che non si dica, i primi
e gli ultimi passi di Shakspeare sul teatro
nel quale giganteggiò. La tempesta è me-
glio un dramma che una commedia ; /
due gentiluomini , come bene avvisa il
Pasqualigo, un romanzo dialogizzato, ed
una delle notevoli opere drammatiche di
lui. Li si vede il vecchio artista, che ha
preparato di lunga mano la sua macchi-
na, e plasmato da maestro i suoi perso-
naggi, qui il giovane, che muovesi come
chi non sia padrone di sé , ma che pur
sente e fa presentire il futuro scrutatore
del cuore umano. Ignote o dubbie , ma
probabilmente originali, son le fonti di
quella; avverati e seguiti in buona parte
da vari i materiali di alcuni episodi e
scene di questa. L'unaé tutta manifesta-
zione dell' animo e forse di un fatto della
vita dell' autore: opera soggettiva e allego-
rica ; r altra svolge l' essenza e la forza
dell'amore e la sua influenza sul giudicio
e sul carattere dell'uomo in generale,
senz'altro concetto più definito.
Il Pasqualigo parla in due brevi pre-
fazioni della natura e del fine di questi
due lavori; e le sue ragioni persuadono.
Auguriamoci intanto che egli non ci fac-
cia lungamente attendere la traduzione
delle altre dodici commedie shakspearia-
ne, la quale non meno della presente sia
schietta, elegante e degna del bel nome
del Prof. Pasqualigo. G. P.
NOTIZIE dei Restauratori delle^ pitture
a musaico della R. Cappella Palatina,
spigolate ed esposte da Gaetano Riolo.
Palermo tip. del Giornale di Sicilia,
4870.
Per noi ogni prun fa siepe, come dice
il proverbio, e però con piacere annun-
ziamo questo primo studio del sig. Riolo,
che dà contezza in prima de' restauri fatti
nella nostra Cappella Palatina incomin-
ciando da quelli ch'ebbero luogo l'anno
1345 e finendo a quelli che oggidì ese-
guonsi; e poi de' restauratori più valenti,
tra' quali dal sec. XY io qua sonò stati
Domenico Cangemi, Leopoldo Del Pozzo,
Mattia Moretti , Santi Cardini > il cava-
liere Serenano, Pietro Casamassima e il
vivente Ros. Riolo. Il giovane autore an-
nette de' documenti al suo libretto, e fa
lamentare che in Sicilia manchi tuttavia
una scuola di musaico, e che i pochi che
con onore e coscienza lo coltivano siano
tenuti se non da poco, certo da meno di
quel che valgono. G. P.
VERSI di Rosina Muzio-Salvo. Paler*
mo. Tip, del Giornale di Sicilia 1869.
Il gentilissimo Professore Luigi Sam-
polo dando alla luce quest'altro volume
(secondo della raccolta delle opere edite
ed inedite della Muzio-Salvo) ba reso il
miglior tributo di devozione e di affetto
alla illustre donna, che fu madre alla sua
degna consorte. Nel quale il eh. Profes-
sore ha saputo raccogliere ed ordinare
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60
NUOVE EFFEMERIDI SIGIIJANE
tutte o quasi tutte le poesie onde la Mu-
lio-SalTO manifestò i sentimenti dell'a-
nimo suo, quando patriottici, quando mo-
rali , quando domestici , e sempre caldi
e generosi. È notabile che in trentanni
di vita letteraria la esimia Muzio non a-
yesse scritto più che trentasei liriche, due
nocelle e sette romanze, in tutto quaran-
tacinque poesie ; parsimonia lodeYolis-
sima , quando il numero de' componi-
menti va , come nella nostra , di pari
passo col limae /oòordi Orazio. A che
valgono i molti versi allorché riduconsi
a puro esercizio rettorìco ? La Muzio-
Salvo cantò affetti che provò; e qualificò
bene le sue poesie apponendo in fronte
alle Liriche le parole di Lamartine Chokn-
ioni pour soulager ce qui gémit en noui.
Dicemmo altrove di codesta egregia
scrittrice e del suo poetare; ma in que-
sto rapidissimo annunzio non vogliamo
tacer cosa che torna a sua maggiore ono-
ranza, cioè che questi Verti fanno ral-
legrare della gastigatezza di forma che la
illustre defunta aveva acquistata sopra
tutto negV ultimi anni di sua esistenza \
gastigatezza che apparisce singolarmente
nel suo bellissimo verso sciolto.
G. P.
CiUOYE POESIE di Goncrttina Ramon-
oETTA-FiLETi. Palermo, Tip. del Gior-
nale di Sicilia 1870.
Altre poesie avea raccolte e ripubbli-
cate nel 186^ la egregia poetessa paler-
mitana ; e in quelle come in queste as-
sai cose paion da lodate che sono cara-
mente gentili. La signora Fileti , figlia ,
«posa, madre amorosa ad un. tempo, ha la
virtù di chiudersi nel santuario della sua
fitmiglia e di cantarne le gioie serene e
le dolorose mestizie. Di li del suo pic-
colo mondo, altro per lei non ne esiste,
tanto r assorbono le cure e gli affetti dei
vecchio genitore , dell* amorevole sposo,
de' baldi e vezzosi figliuoli che le fanno
corona intomo. Che se alcuna volta e-
sce dagli affetti domestici, tu la veJi cer-
carne degli altri nella religione, nella vir-
tù, nell'amicizia. È assente un suo figlio
dalla casa patema ? Ed ella gli manda il
proprio ritratto ammonendolo :
Venera Iddio, la patria onora, il santo
Vero, 0 figliuolo, non tradir giammai;
Suda sui libri» e ama colei che vive
Teco nel core, e per te prega e scrive.
Studiano i suoi fanciulli al suo tavoli-
no? Ed ella in essi gioisce, in essi ft*
licitasi , in essi spera. Ricorre il natali-
zio di suo padre , di una sua figliuola f
Ed elta prega dal cielo giorni lieti sul loro
capo. Se una le se ne infeEma,ella ne canta
la recuperata guarigione ; e vorrebbe in-
fonder novella vita in petto ad una che
gliene muore.
Oltre le pareti domestiche, la Fileti
non è meno affettuosa ; e però la si vede
a piangere l' inattesa dipartita della sua
MuziO' Salvo, a celebrare G. Meli, a can<
lar la Fiducia in Dio, ad affissarsi in una
tiella, a rimembrare i suoi primi verti ;
non iseostandosi da quella forma eletta,
ingenua e naturale che le meritò giova-
nissima le lodi di Tommaso Grossi.
U volumetto di queste Nuove Poe»e
chiudesi con tre traduzioni dall' inglese,,
due del Moore, una del -Pope, che è VE'
pistola di Eloisa ad Abelardo^ Di questa
ultima , se lo spazio non ci mancasse »
vorremmo lodare la mesta armonia che
tutti governa i versi della terza rima.
G. P^
n Gerente : Pietro Montaina
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NUOVE EFFEMERIDI S^^^^^^^
ANNO li. DISPENSA li. MAGGIO 1870
UNO SCOLARE DEL MICELI
0
LABATE BENEDETTINO G. RHAROLA
(Continuaz. e fine. Vedi An. 11/ disp. I.*)
Nel dialogo fra l'autore e un suo amico è fatta diXesa delle sue
dottrine che, siccome innanzi vivendo il Miceli, certamente pur si
accusavan a' suoi tempi delle conseguenze che si scorgono venire
dair unità dell' Essere ; e massime s' insisteva sulla personalità u-
mana e sulla immortalità dell'anima. Il Rivarola pertanto oltre le
risposte all'amico, e oltre gli argomenti che ne dava nella psicolo-
gia, aggiunge questo capo speciale col titolo :
Prova dell' Ihmortauta' dell'Anima
• L'anima si definisce : Ratio agmdi cum coscimtia; ossia : Yolun-
tas phisica cum cognitione extrinseca (1). Allora adunque si prova
che V Anima è immortale , quando si prova che di sua natura la
Forza di agire, che è in se slessa eterna, debba restar sempre con
la coscienza, formando questa un carattere indelebile dell' anima. Lo
che si proverà con le seguenti proposizioni :
« Prop. La Coscienza è il carattere dell'anima: il carattere è inde-
lebile ; dunque l' anima è immortale.
• Prova della maggiore. Il carattere è quello che determina lo stato
fisico dell' essere, e fa che sia quello piuttosto che I* altro, e costi-
tuisce i predicati essenziali del medesimo, e la ragione sufficiente
intrinseca della tale esistenza di queir essere senza cui non può esi-
(1) Sodo le deifiniziout sle^se dello SpeeinieH scientificum del Miceli.
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62 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Stero in allo. Ma la coscienza è quella che determina lo stato fisico
deir Essere, o sia della Forza di agire, e la mette in statu animae, per
cui inanima è anima, e senza la quale T anima non è più anima; e
perciò costituisce il predicato essenziale deir anima, o sia la ragione
sufficiente intrinseca delP esistenza delP anima, senza la quale non
può esistere in atto. Dunque la coscienza è il carattere delP anima.
• Prova della minore, cioè che il carattere è indelebile. Il carat-
tere cade immediatamente sopra il fisico stesso delP Essere, con cui
si identifica ; il fisico delP anima è indelebile ; dunque il carattere
è indelebile.
• Prova della maggiore. Il carattere è il determinante fisico dì quel-
Tessere; il predicato essenziale, e la ragione sufficiente intrinseca
della tale sua esistenza , e perciò metafisicamente connesso con il
fisico stesso, con cui si identifica ; o sia , è T istessa esistenza del-
l' Essere determinata fisicamente da quel modo che costituisce il suo
carattere e lo stato della cosa, senza il quale la cosa non è più quella.
Dunque il carattere cade immediatamente sopra il fisico slesso del-
l'Essere, con cui si identifica.
< Prova della minore. Il fisico dell' Anima sopra cui cade il carat-
tere, è r istessa ragione di agire, che in forza di quello é costituita
in islalo di Anima. U ragione di agire è indelebile perchè sempre
eterna. Dunque il fisico dell'Anima è indelebile.
« Nota, t fuori dubbio presso tutti che la vita delle spirituali so-
stanze consiste nelP intelligenza, o sia nel comprendere e pensare.
• E lale è appunto la vita sostanziale dell' anima ; cioè la vita in-
trinseca ed essenziale, e la vita accidentale estrinseca. La prima si
verte sopra se stessa, né esce fuori di sé, in tal guisa che tutta l' a-
zione vitale della viva sostanza viene interamente a compirsi in se
stessa, per cui realmente vive da per sé come qualunque sostanza,
avendo se stessa per o„'getto di sua conoscenza , senza che abbia
bisogno di alcuno oggetto estrinseco per esistere; essendo essa stessa
e la Forza conoscitiva e l' oggetto che conosce. L' altra si versa so-
pra le cose che esistono fuori di sé, e la cui cognizione dipende dalla
relazione estrinseca che ha con gli oggetti esistenti fuori di sé. La
prima adunque importa relazioixe a se stessa ed al suo essere : l' al-
tra è fondata nella relazione ai termini passaggieri ed istabili. Per
la prima vive della vita sua sostanziale, e da per se stessa come
vera sostanza e sperimentale, e con la vita propria dello spirito. Per
la seconda non vive da per se stessa, avendo bisogno degli estrin-
seci oggetti prodotti dalle sue azioni , come oggetti di sua Rutelli-
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UNO SCOLAEB DBL MICELI 63
genza sperimentale ; né vive delia vita sostanziale ed intrìnseca, ma
della vita accidentale, istantanea e flussa, fondata cioè nelle conti-
nue novità, avendo per oggetto di sua conoscenza i termini tran-
seunti ed istantanei delle azioni del suo essere, che a momento sen
passano, e costituiscono al di fuorì la sua estrinseca novità, restando
però nel suo intrìnseco sempre P istessai anima malgrado V istabi-
lità delle sue azioni; e per cui può anch'essa, perchè formata ad
imagine del suo creatore , in un senso rettamente chiamarsi Pul-
chriludo tam antiqua quam nova,
« A questo infatti ci porta la comune definizione che si dà all'a-
nima , e da ogn^ uno si enuncia : ens sui conscium et rerum extra
se positarum ; un ente cioè conoscente, che ha per oggetto di sua
cognizione se stesso, né dagli oggetti esterni dipende, — ens sui con-
scium , — e che ha al parì per altro oggetto di sua cognizione le
cose istabili materiali, e fuori sé esìstenti, e dalle quali assolutamente
dipende — et rerum extra se positarum, — Sciolta la quale relazione
perisce ancora la vita estrìnseca, e viene a concentrarsi in se stessa.
« Or noi nel primo riguardo soltanto diciamo che sia T Anima im-
mortale; cioè, ili riguardo le anioni sostanziali che risultano dalla
relazione intrìnseca con cui Pente si mette in relazione a se stesso,
conoscendo nel suo positivo le azioni già fatte nel tempo, e perciò
identificate con T istesso agente che le ha prodotto : poiché T anima
stessa neir altro aspetto, e in riguardo alla vita animale ed estrin-
seca e air istantaneo termino di sua azione [è al parì degli altri a-
nimali realmente mortale come la Scrittura e' insegna, Eccles. e. 3. 19.
— Unus interitus esthominis et jumentorum, et aequa utriusque con-
ditio : sicut moritur homo , ita et iUa moriuntur, Similiter spirant
omnia, et nihil habet homo jumento amplius.—E che in quel primo
riguardo sia V anima di sua natura immortale non vedo come possa
negarsi; poiché essendo T anima viva, P esercizio vitale è un attri-
buto essenziale della medesima ; e poiché la Forza di agire viva è
parimenti eterna , e le azioni dalP islessa prodotta sotto la cogni-
zione limitata nelPatto slesso che si sono fatte si identiOcano con
la Forza, sebbene i termini abbiano avuto la sua esistenza in mo-
mento, nel modo simile come le azioni delP Onnipotenza si identi-
ficano con P Onnipotenza stessa.» sebbene i termini di quelle sieno
in momento passati, cosi deve necessariamente P anima con la vita
intrinseca ed inamissibile e sua propria come Forza di agire cono-
scer sempre nel loro positivo le azioni una volta fatte con la co-
gnizione limitata , e che nelPatto stesso che furono fatte si iden-
tificarono con la Forza nel loro positivo. Onde deve vivere sempre
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64 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
in se stessa, comprendendo così se stessa da quel che ha operato,
quantunque più non operi fuori se stessa. Poiché, essendo T eser-
cizio vitale un allributo relativo intrinseco della Forza viva, che ri-
sulta cioè dal conoscere e dalP oggetto che si conosce , subito che
il conoscente è eterno (come eterna è infatti la Forza di agire che
senza razione repugnaj, e l'opera già falla è pure eterna (perchè
già nel suo positivo identificata con V agente in forza della connes-
sione metafìsica che ha la causa col suo effetto in cui esiste) ne viene
in conseguenza che tale relazione non può più sciogliersi tra V o-
pera fatta e T operante che Tha fatto, avendo relazione a un ter-
mine immanente e non transeunte. Poiché, è falso il credere che
le azioni che si fanno dall' anima nel tempo siano V oggetto essen-
ziale di sua cognizione. Le azioni altro non sono che il mezzo come
r Anima conosce se stessa per mezzo della sua cognizione sperimen-
tale. L' oggetto che deve T Anima conoscere è la Forza sua stessa,
altrimenti non potrebbe di se slessa godere, e priva resterebbe della
sua vita sostanziale. Siccome però la coscienza o sia la cognizione
che ha V Anima è limitata ed estrinseca, e perciò non può diretta-
mente conoscere la Forza nel suo intrinseco e immediatamente, es-
sendo in se stessa infinita; così ha bisogno di conoscerla, per cosi
dire, a posteriori, e dagli effetti prodotti, che sono appunto le o-
pere che produce ; per cui osservando che le opere da essa fatte
son buone, l'anima si conosce per buona; se le vede cattive, co-
nosce che sia cattiva.
« Potrebbe qui opporsi che la coscienza essendo creatura, per se-^
guitare ad esistere ha bisogno di conservazione, o sia di continua
creazione ; mancala la quale perisce, ritornando al suo nulla. Dun-
que la coscienza può perire , e perciò tutta V Anima : dunque V A-
nima non è immortale di sua ^natura.
« Alla soluzione di questa diiBcoltà si è già provveduto di sopra con
la distinzione che si è fallo della vita dell' anima in vita intrinseca
e vita estrinseca ; in quella vita cioè con cui vive da per sé con-
templando se stessa, e con cui vive nel tempo nella contemplazione
estrinseca degli oggetti esterni. Per cui abbiam distinto nelle di lei
operazioni i termini immanenti dai termini transeunti, quelli cioè
che restano identificati nel positivo, egli altri che esistono in mo-
mento in se stessi, ma che restano sempre nella causa da cui son
prodotti, e nella loro semplicità. Lo che è assai agevole a compren-
dersi da chiunque che lenendo presente la dottrina già esposta nella
Ontologia intorno la vita dell' Ente vivo inQnito, ne applica con una
certa analogia proporzionatamente i principi all'Ente vivo parteci-
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UNO SCOLARE DEL MICELI 68
palo, quale è appunto V Anima, che in se slessa esprime V imagine
del Crealore, a cui somiglianza è stata creata.
e Abbiam già veduto neiP Ontologia, e nella Teologia naturale, che
due vite si considerano in Dio ; o sia due azioni, circa le quali si
versa la vita intelligente delP Essere vivo : V una sostanziale ed in-
trìnseca con cui nella contemplazione di se slesso produce il Verbo,
e dalla mutua relazione ne resulta il gaudio; e P altra accidentale,
ed estrinseca,. con cui produce le creature e le conserva col com-
prenderle, che formano insieme T estrinseca sua novità. Quantun-
que però le creature siano azioni istabili e termini istantanei della
Forza influita, e costituiscono uno slato momentaneo ed islabile della
novità dell'Ente vivo, frattanto non perciò costituiscono momenta-
nea la vita stessa dell' Ente, e momentanea la sua intelligenza delle
medesime ; né perchè una tal vita resulta dall' estrinseca relazione
ed estrinseci i termini istabili e transeunti (come dicono i Teologi)
ha bisogno di conservazione, in guisa che perendo le creature pe-
risce ancora la vita di Dio e la intelligenza delle medesime. E la
rqgione si è , che le creature non sono da per se stesse oggetto
della cognizione divina , ma mezzi soltanto con cui T Onnipotenza
mettendosi in relazione con le medesime, viene cosi a contemplare
anche al di fuori V esistenza della sua forza infinita, che al di den-
tro intrinsecamente conosce nella infinita sapienza del Yerba Quindi
l'oggetto che conosce e di cui sempre gode è sempre se stesso, in
vari ed opposti modi contemplato; per cui perendo le creature non
perisce la cognizione di Dio ; né perisce V oggetto di sua cognizione.
« Or al pari nel caso nostro la coscienza non è V oggetto della co-
gnizione deir anima ; ma è soltanto il mezzo come la Forza di agire
dell' Anima (che per altro da per se stessa, appartenendo air Onni-
potenza intrinsecamente considerala, non è forza cieca ed inerte,
ma insieme è for^a di agire e di conoscere ; ed in cui la cognizione
stessa limitata ha la sua ragione sufficiente intrinseca ed eterna) per
mezzo delle azioni sotto la limitata cognizione prodotta, possa co-
noscere lo stato rispettivo di limitazione , in cui si è estrinseca-
mente confinata la Forza stessa infinita, col determinarsi m stata a-
nimae, in forza dell' estrinseca limitazione che ha assunto per via
della cognizione limitata.
• L' oggetto dunque che dee V Anima conoscere è la sua propria
forza, che ha prodotto operazioni sotto queir estrinseca limitazione.
Quella che conosce è la For^a stessa conoscente se slessa nello slato
di sua estrinseca limitazione; il mezzo poi come conoscersi limitala
in quelle sue azioni è la cognizione limitata, o sia la coscienza, che
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GG NUOVE fiFFRlieRIDI SICILIANE
poi ha la sna ragione di esistere nella Forza stessa di agire , con
cui perciò si identiGca.
« Dunque, quando questa perisce, altro non perisce se non il mezzo
con cui la Forza ha conosciuto limitatamente le sue azioni : peri-
sce il termine di sua azione, ma non perisce T azione stessa, o sia
la cognizione limitata, perchè già la limitazione della cognizione tro-
vasi identificata nella Forza stessa di agire, considerata e come ra-
gione che ha prodotto i termini della cognizione estrinseca e con-
siderata come soggetto in cui è caduta V azione di quella cognizione
estrinseca ; e perciò non ha più bisogno di conservazione, avendo
già trovato il rispettivo positivo in cui sussisteva^ e di cui è addi-
venuto il naturale ed indelebile carattere. Or limitata una volta e-
strinsecamente, la Forza di agire in vigore della creata qualità già
in essa prodotta e alla stessa immedesimata, e forza ancora addive-
nuta di limitatamente conoscersi, non può pia non conosere limi-
tatamente se stessa , ed in istato di Anima ; non potendo stare la
Forza già limitata senza la sua limitata azione di sua coscienza, non
essendo due diverse forze, ma una sola la Forza, e T istessa che li-
mitatamente agisce, e limitatamente conosce.
• Posto adunque ette la Forza in tal guisa limitata ha* già prodotto
delle limitate azioni , non vi ha dubio che debbi necessariamente
conoscerle, poiché restate permanentemente in essa le azioni pro-
dotte , perchè con essa identificate , e non essendo la Forza forza
cieca e meccanica, ma perfettissima ed intelligente, se le si toglie
la qualità di poter conoscere le sue azioni già fatte, e T importanza
e il peso delle medesime in quel rispettivo stato prodotte, le si to-
glie insieme una perfezione, e perciò finirebbe di esser forza per-
fettissima. Né può tali azioni più conoscerle con la infinita sua sa-
pienza (naturale attributo della Forza nifinita) , perchè la sapienza
non può conoscere limiti ed imperfezioni, essendo essa infinita, e
tutto rimira nella sua intrinseca ed infinita perfezione. Dunque deve
necessariamente conoscerle con la cognizione limitata, o sia con la
coscienza creata : dunque deve in essa necessariamente conservarsi
ed esistere sempre questo nuovo stato in cui V Onnipotenza si è po-
sta , e restar sempre in statu animae ; cioè con azioni proprie vi-
tali e conoscenza di sua vita (pag. 753-758.) »
Nulla è sostanzialmente dì nuovo in queste prove che non sia nelle
proposizioni dello Specimen e nel Saggio storico del Miceli; e non
avremmo sul proposito a ripetere che quello stesso altrove avver-
tito pel filosofo monrealese; cioè nessun altro più del nostro Miceli
si fu sforzato a salvare neir unità delP Ente vivo e reale la perso-
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UNO SCOLARE DBL MICELI 67
uaiità e P immortalità deli^ anima umana, ma le conseguenze che
seguono dalle premesse: Anima est Ratio agendi cum comàentia^
ieu quod idem sonat Voluntas phisica cum cognitione extrinseca —
Conscientia seu cognitio extrinseca determinatus status est seu par-
tidpatio Omnipotenliae emtrinsece considerata (Specimen ScientiBc,
pr. CVII^ CX), conducono alla negazione della personalità, poiché
non si può concedere alP anima la sostanzialità; e però a quella della
immortalità, la quale solo può seguire dalla sostanzialità, non punto
dalla fenomenalità che sarebbe propria di nostr' anima. Noi ten-
ghiamo fermo che in qualsiasi sistema panteistico non ci possa mai
esser luogo, in buona logica , per V immortalità deli' anima : e se
coir unità dell'Essere ci si parla d'immortalità di anima, potremo
si lodare la buona fede del filosofo, non però la logica del sistema.
Nel Rivaro(a> conchiudendo, abbiamo un valoroso ingegno ciie
onora non poco la scuola di Monreale , della quale fu pregio spe-
ciale colla forza di mente del caposcuola e de' seguaci essere stata
sempre compagna la bontà dell'animo; la quale forse potè non fare
scorgere le conseguenze che si celavano ne' principi professati con
tanto ardore, ma fé' restare illibata la fama del Miceli e de' suoi
scolari.
y. Di Giovanni
EMinERI SICILIANI
Gli Emittori costituiscono l'Ordine quinto dei sistema eutomolo
gico. Linneo aveva riunito in un sol ordine gli Emittori e gli Or-
totteri basatìdo la sua classificazione sulla consistenza meno solida
de' Coleotteri. Olivier ne fece due ordini , Latreille ne segui l'e-
sempio, Fabrizio gli diede il nome di Rhyngota, che fu modiflcato
da Burmeister in Rhynchota ; generalmente si è accettato il nome
di Hemiptera per distingure questo ordine.
É caratterizzato per la bocca con un becco articolato munito di
setole interne : se ne sono fatte due grandi sezioni, Heter opterà col
becco, che nasce dalla fronte, ed elitre ordinariamente divise in due
parti, la basilare coriacea, Y estremità membranacea, ed Homoptera
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68 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
c^I becco, die nasce dal mento, o parte inferiore della testa, elitre
ordinariamente coriacee, o interamente membranose.
BIBLIOQBAFIA
Poco si è fatto sugli Emilteri della Sicilia , anzi può dirsi , che
sono stati trascurati. Pure richiamano T attenzione , come tutti gli
altri, non solo per la molliplicità , ma per l'interesse agronomico,
perchè molle specie sono dannose alle piante , e dovrebbero pro-
porsi de' rimedi per distruggerle :
I. 1814. C. S. Raphinesque. Prècis des découvertes et travaux se-
miologiquesy Pcderme. Descrive due specie nuove di Afidi Aphis
striata, A. montana, ma Giovanni Passerini fa riflettere, che
per la brevlà delle frasi diagnostiche non sono riconoscibili.
II. 1839. A. Costa. Ragguaglio delle specie più interessanti di E-
mitteri Eterotteri raceolle in Sicilia , e descrizione di alcune
nuove specie de'* contomi di Palermo, negli Annali ddT Accad.
degli Asp, Nat
Novera settantasei specie raccolte in varie parti dell' Isola; me-
ritano particolare attenzione il Lyngaeus punctum raccolto nello
Etna ad una elevazione considerevole, che viveva sul Tanace-
tuni vulgare, il Pachyscdis caudatus^ e Pachymeris abietis rin-
venij^li nella regione nemorosa etnea : la Prostemma guttula, On-
cocephalus pedestris, 0. notatus , Micropus Genei delle campa-
gne di Palermo. Descrive come nuove il Nabis major, Syroma-
stes longicornis, un nuovo Genere Acunthothorax, che distingue
la specie coli' epiteto di Siculus, il Pachycoris hirtus, che secondo
Amiot , e Servine deve riferirsi all' Irochrotus maculiventris.
III. 1839. A. Costa. Di una novella specie di Henestaris, lettera al
M. Spinola, nella Corrisp. Zool, An. L 138.
In questo lavoro fa cenno dell' Odontotarsus taudatus trovato
sull'Etna, dove anco raccolse il Lyngaeus punctatoguttatus : nei
contomi di Palermo raccolse una varietà più piccola del Lyn-
gaeus punclum, il Reduvius pedestris, ed una specie nuova de-
nominata Zelus Siculus,
IV. 4840. M. Spinola. Essai stir les Hémipières, Paris,
Riporta della Sicilia la Naucoris maculata , che ha la testa , il
torace pallidi, e senza macchie, la Prostemma guttula, le cui fe-
mine sono alate, il Merocoris denticulatus ed il Selenostethium
lynceum.
V. 1841. A. Costa. Fece conoscere all'Accademia degli Aspiranti
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BMITTERl SICILIANI 69
Naturalisti, nella sednta del 6 maggio la descrizione di due nuovi
emitteri, V Aphanus parddlus e Tritomacea aphanoides, genere
anche nuovo.
VI. 1842. V. GmuANi. Insètti raccolti in Sicilia nd 1839. Atti detta
Accad. Gioenia XVIII. Riporta soltanto otto Emittori raccolti in
Palermo, Catania, Madonie, Paterno.
VII. 1843. Amiot e ScRviLLE. Hémiptères. Paris.
Essi riportano della Sicilia T Irochrotus maculiventris, Monan-
ihia davicomis, Arpactar hoemorroidalis.
Vili. 1844. 6. Romano. Degli insetti, che danneggiano gli ulivi in
Sicilia. Palermo.
Tra gli Emitteri enumera la Psytta olivetomm, Coccus oleae, Cy
adonidumy C. Hesperidum.
IX. 1850. 6. De Natale. Descrizione di una nuova specie di Pio-
jaria. Messina Tav. I.
Dona delle nozioni generali sulla classiflcazione degli Emitteri;
indi descrive la Plojaria ambigua; in un altro scritto A. Costa
fece osservare, che deve riferirsi alla P. domestica, con cui ba
molta affinità.
X. 18«')2. Mina' Palumbo. Sugli insetti , che danneggiano V ulivo
Gior. Empedocle II.
Vi è la descrizione del Coccus oleae, e di un' altra specie non
classiGcata.
XI. 1854. Mina' Palumbo. Proverbi agrari. Palermo.
Ivi si ta menzione della Cicada omi^ Cercopis sputnaria, C. san-
guinolenta, Cxcada fraxini, C. plebeja.
XII. 1858. Mina' Palumbo. Osservazioni entomologiche nette Ma-
donie. Palingenesi I. N. VI.
Tra gli insetti raccolti nelle Madonie sono calendate venticin-
que specie di Emitteri.
XIII. 18G0. Bellier De La Chiavignerie. Faune entomologiqw de
la Siede. Ann. Soc. Ent. de France 3. Ser. T. Vili.
Questo è il catalogo più esteso degli Emitteri siciliani , che è
stato pubblicato; alcuni sono di molta importanza, in tutto sono
83 specie raccolte in varie contrade dell' Isola.
XIV. 6. Brugnone. Possiede in Palermo una buona raccolta di E-
mitteri siciliani de' contorni di Palermo ; prima vi era quella
del Lidassi, che fu distrutta negli sconvolgimenti politici del-
l'anno 1860, la maggior parte classificata da 0. Costa.
In questa occasione esterno i sensi della mia gratitudine al Si-
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70
NUOTI fimafBRIDT SldLIANB
gnor A. Costa per le dilucidazioni, e correzioni fovoritemi su-
gli Emltteri della Sicilia in diverse lettere. .
Avvertenze
Si è adottato il metodo di Amiot e Serville. Parlando de* luo-
ghi dove sono stati raccolti gli Emitteri son calendati gli autori so-
pracitati colle seguenti abbreviazioni. B. Collezione Brugnone. Bll.
Bellier de la Cbavìgnerie. C. A. Costa. 6. Ghiliani. M. Hinà-Palumbo.
S. Spinola.Sr. Serville ed Amiot— Gli autori che sono calendati dopo
la specie sono quelli che la riportano di Sicilia — Le specie, che
io riporto sono state determinate da esperti Entomologi ^ e parti-
colarmente da Oronzio Costa nel suo viaggio in Sicilia.
HEMIPTERA SICULA
HETEROPTERA LTR,
Sectio I. Geocorisae Ltr.
I. LoNGiscim Amt
ì, SOLENOSTETHIUM LtNGEUM
Fbr-Amiot Ser. 27,
1840. Spinola , Essai Ins.
Hem. 361.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. Atti
XVIII 43.
Sicilia Grohmann, S-Catania
G-Caltanissetta M. Paler. B.
2. Irogbrotds Maguliventris
Grm.
1839. Costa, Pachycoris hir-
tus. Rag. Em. Sic. 141.
1843. Amiot, Hèmip. 39.
Sicilia Sr-Honte Pellegrino a
Palermo C.
3. Odontotarsus Cacdatus K1.
Amiot Ser. 43.
1839. Costa, Pachyscdis cau-
datus. Rag. Em. Sic. 145.
1842. Ghiliani, Odon produ-
€tu8 Ins. Sic. 43.
Etna C-Catania 6.
4. Odontotarsus Grammigus
Lnn-Amiot Ser. 42.
Nelle Hadonie M.
5. PsACASTA Pedemontana Fbr.
Amiot Ser. 46.
Palermo, Tetyra pedemon-
tana B.
6. PSAGASTA TUBERGULATA Fbr-
Amiot Ser 46.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. 43.
Paterno GPalermo B-Bfado-
nie M.
7. PsAGASTA Granulata A, Cst.
Palermo B.
8. Trigonosoma Nigellae Fbr-
Amiot Ser. 48.
1839. Costa, Rag. Em. 145.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. 43.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia B. C-Madonie M-Pa-
terno G-Palermo B.
9. Trigonosoma Despontainii
Fbr-Amiot Ser. 48.
1817. Germar, Z. 56, 1.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. 43.
Sicilia Germar-Catania G-Pa-
lermo B.
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KMITTERI SIGILUNI
71
10. Angtrosoma Albouneatum
Fbr-Amlol Ser. 49.
1839. Costa, Graphosoma al-
bolineata Rag. Em. 145.
1860. Bellier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia C.-Bli-Hadoni6 H-Pa-
iermo B.
11. EURTGASTER HOTTE^nTOTUS
Fbr-Amiot Ser. 53.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Palermo B-Mado-
Die M
12. EuRTGASTER Haurus Lon-A-
miot Ser. 53.
1839. Costa, OdorUotarsus
maurus. Rag. Em. 145.
Sicilia C-Palermo B-Mado-
nie M.
Var. Pictos. Fbr. Madonie M.
13. EURTGASTER MaROSGANUS
Fbr. Catania Palermo C.
14. Graphosoma [.incatum Lnn.
Amiot Serv. 55.
1839. Cjosìdi Gr. nigrolineata.
Rag. Em. 145.
1858. Mina, Oss. Ent. 112.
1860. Bellier, Fau. Sic.
Sicilia C. Bll-Madonie sulle
ombrellifere M.
15. Graphosoma Semipdngta-
TUM Fbr-Amiot Ser. 55.
1839. Costa, Rag. Em. 145.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Madonie fW-Pa-
lermo B.
16. Graphosoma Flavolinea-
TUM Fbr.
1839. Costa, Rag. Em. 145.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B.
17. POBOPS Inunctcs Fbr-A-
miot Serv. 57.
1839. Costa, Rag. Em. 145.
Sicilia C-Madonie, Paler. M.
18. PODOPS SiGULUS A. Cst.
....Costa, Ann. Sor. Ent. X.
301. T. 6. F. 8.
Pidermo a S. Ciro C.
19. PoDOPS Spinolab Gene.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. 43.
Madonie 6-Questa specie fa
doppio impiego, cancellata
da Costa.
20. CopTOSOMA Globosus Fbr-
Amiot Senr. 65.
Madonie sui rannncoK H.
21. CORBOMBLAS SCARABOmES
Lnn.
Madonie sopra i ranuncoli M.
22. Odontoscelis Vn.Los(jsHahn.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. 43
Palermo G.
23. Odontoscelis Fulminosa
Lnn-Amiot. Serv. 69.
1839. CosUjRag.Em. Sic.145.
Madonie M-Palermo B. C.
Comune nelle terre aride so-
leggiate.
24. Odontoscelis Dorsalis Fbr-
Amiot Ser, 70.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic
Secondo Amiot e Serville va-
rietà della precedente. Sici-
lia Bll-PalermoB-Madonie M.
25. PiGROMBRUS BroBNs Lun-
Amiot Serv. 84.
Madonie H.-Palermo Penta-
toma bidens B.
26. Ialla NiGRiVBNTRis Fiob.
Madonie IL
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72
NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
27. Brachypefta tristb Fbr-
Amiot^Serv. 90.
1839. Costa, Cydnus trUtis,
Rag. Em. 145.
1858. Mina, Oss. Ent. 112.
Sicilia C- Palermo B-Mado-
nie M.
28.BRAGHYPELTA ATBRRIMA FfStr.
ISiiO. Beiiier. Cydnus ater-
rimus, Fau. Eat. Sic.
Sicilia Bll.-Madoai6 H.
29. Cydnus brunneus Fbr.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia BIL-Hadonie H.
30. Cydnus affinis H. S.
Palermo B.
31. Cydnus laevigollis A. Cst.
Palermo B.
32. SEmRUs MORio [iim.-Amiot
Serv. 96.
1860. Bellier, Oydnus morio^
Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll.-Madonie H.
33. Sehirus aiaoharginatus
Fbr-Amiot Serv. 97.
1839. Costa Cydnm Momar-
ginatus. Rag. Em. 145.
Sicilia C-Palermo B.
34. Tritomegas Bigolor Lnn
Amiot Serv. 98.
1839. Costa, Cydnus bicolor.
Rag. Em. 145. Sicilia C-Pa-
lermo B-Hadonie H.
35. ScioGORis Umbrigus Wlff-
Amiot Serv. 120.
1839. Costa Far. wi/wr Bag.
Em. 144.
Sicilia tipo e varietà C.
36. DORYDBRBS MaRGINATUS
Fbr-Amiot Serv. 193.
1839. Gusta, Dyroderes um-
bracìdalus. Rag. Em. 144.
Sicilia C-Palermo B-Hado-
nie M.
37. EuRYDEMA Ornata Lnn-A-
miot Serv. 126.
1839. Costa, Rag. Em. Sic.
144. Sicilia C-Madonie H.
38. EURYDEMA OlERACEA LdO-
Amiot Serv. 127.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Palermo B-Mado-
nie M.
39. STRACfflA Piota Halm.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Palermo B.
40. Strachia Festiva Lnn.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sjc.
Sicilia Bll-Madonie M.
Amiot , e Serville conside-
rano questa specie, come va-
rietà delV Eurydema ornata F.
41. Pentatoma Prasina Lnn-A-
miot Serv. 131.
Madonie nelle selve H.
42. Pentatoma Dissiiiilis Fbr-
Amiot Ser. 131.
Madonie M-Alcuni la credono
varietà della precedente.
43. Pentatoma Bacgaruh Lnn-
Amiot Ser. 132.
1839. Costa, Bag. Em. Sic.
145.
1860. Bellier. Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll. C-Palermo B-Ha-
donie M.
44. Pentatoma Yerbasci De
Geer.
1860. Boiler, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Amiot, e Serville
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EMITTBRI SIGIUANI
73^
la riporlano, come sinonimo
della P. baccarum.
45. Pentatoma Eryngu Grm.
, 1860. Beliier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia BIl-Madonie M.
46. Pentatoma Vernalis Wlflf.
1860. Beliier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia BU.
47. Pentatoma YmiDis Fbr.
1839. Costa , Rag. Em. Sic.
145.
1858. Mina, Oss. Ent. 112.
Sicilia C-Madonie M.
Questa specie fa doppio im-
piego , cancellata dal Costa
per lettera.
48. Pentatoma Intermedius
Hahn.
1860. Beliier, Fau. Ent. Sic.
Bll. Sicilia Bll.
49. Pentatoma Sphagblata Fbr.
1839. Costa , Rag. Em. Sic.
145.
Sicilia C-Palermo BMado-
nie M.
50. Pentatoma lunula Fbr.
Madonie M.
51. Pentatoma gonsimilis A.
Cst. Palermo C.
52. Pentatoma pusilla H. S.
Palermo B.
53. Aelia acuminata Lnn-A-
miot Serv. 134.
1839. Costa, Rag-Em. Sic.145.
1860. Beliier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bll. C-Palermo B^Ala-
donie M.
54. Aeua inflexa WlfT-Amiot
Serv. 134.
1860. Beliier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bll. Palermo M.
55. Aelia klugu Hahn.
Palermo B-Madonie H.
56. MORMIDEA NIGRIGORNIS Fbr-
Amiot Ser. 135.
1839. Costa , Rag. Em. Sic.
Sicilia C-J\ladonie H.
57. Nezara Smaragdula Fab-
Amiot Serv. 144.
1860. Beliier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bll Palermo B-Mado-
nie H.
58. Nezara torquata Fbr.
1839. Costa, Pentaioma tor-
quata^ Rag. Em. 145.
Sicilia C-Palermo B.
Dufour crede essere una va-
rielà della precedente
Sicilia C-Palermo B.
59.NEZARA PURPURIPENNIsHalm.
1860. Beliier, Fau. Ent.
Sic. Sicilia Bll.
60. Rhapigaster Punctipennis
illg-Amiol Serv. 148.
1839. Costa, R, griseum Rag.
Em. 145. Sicilia C-Palermo
B-Madonie M.
61. CiMEx RuFiPEs Lnn-Amiot
Serv. 149. Madonie M.
62. ACANTUOSOMA HOEMORROIDA -
Lis Lnn Amiot 154.
Madonie? M.
Continua)
Francesco Mina^-Palumbo
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CENTRATA DI HARCO ANTONIO COLONNA IN PALERMO
E I CANTI DI FILIPPO PARUTA
Reduce dalla baltaglia combattuta contro il Turco alle isole Cur-
zolari , e pieno di vittoria , ritomaya a Roma Marco Antonio Co-
lonna comandante le galere ponti6cie spedite da Pio V contro gli
Ottomani. Precedeanlo gli elogi che del suo valore aveva fatto al
Pontefice Giovanni d'Austria generale delP armata cristiana alla bat-
taglia di Lepanto. Ed entrato nella eterna città , quasi che si voles-
sero ripetere i trionfi delP antica Roma, il popolo lo incontrava fe-
steggiante a bandiere spiegatele conducealo con trionfo al Cam-
pidoglio. L' Italia aveva in lui il più grande capitano ; e Filippo II
chiamando in ispagna il principe di Castelvetrano , che da viceré
aveva tanto bene retto il governo della Sicilia, non trovava che nel
Colonna il degno successore al Gran siciliano (1).
Nel gennaro del 1577 Marco Antonio Colonna duca di Tagliacozzo e
gran contestabile del regno di Napoli era investito della dignità vice-
regia; ed accompagnato da 13 galee, giungeva in Palermo il 23 aprile
dello stesso anno (2). L'entrata solenne faceva il giorno dopo, e la città
festeggiando splendidamente il suo arrivo, accogliealo alla Garita^ e
Tonorava di archi trionfali» ne' quali erano istoriate le vittorie da lui
riportate contro i Turchi (3). 11 Senato gli preparò un bel cavallo,
e glieP offerse allo sbarcatoio : ov' erano venuti a fargli omaggio il
principe di Castelvetrano, non ancora partito, per dare assesto agli
affari di famiglia, e D. Ottavio Spinola Pretore della città.
(1) G. Eyaogelista Di Blasi {Sioria cronologica dei viceré , luogotenenti e presi-
denti del Regno di Sicilia, pag. 236, Palermo 1842) afferma di aver vedalo una
medaglia mollo rara in onore del principe di Caslolvetrano, averne nel diriUo T ef-
figie di lui, co!!' epigrafe Carolus Aragonius. Maqn. Sicclus. Antonio Perrenotlo,
deUo il Cardinal di Granvelle« solea chiamarlo anche col tilolo di gran siciliano.
(2) V. Croniche diverse di Sicilia, manoscritto della Biblioteca Comunale di Pa-
lermo, segnato Qq. F. 4.
(3) Y. Di Blasi. Op. Cit. pag. 237.
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l'entrata 01 M. ANTOraO COLONNA IN PALERMO 75
La migliore delie strade palermitane (r antico Toledo, oggi corso
y. Emmanuele) non era ancora abbellita dalle magnifiche porte che
ne chiudono le estremità ; le quali da questo viceré vennero erette
e fSaistosamente decorate (I). Né tale via, per diritto giungeva alla
marina ; limitandosi allora alla chiesa di Portosalvo. Fu il Colonna
che la protrasse al mare, e le assegnò per limite la porta novella»
che dal nome della signora Orsini sua moglie, fu intitolata Felice,
Accompagnato dal fiore dei cavalieri, che soleano accorrere in tali cir-
costanze, e dal resto delle autorità cui incombeva fare omaggio al
venuto ; arrivava il Colonna alla Cattedrale ; ed ivi, seguendo T an-
tica usanza , leggevasi la cedola reale che designavalo al governo
della Sicilia, ed eì prestava solenne giuramento.
11 canto dei poeti non mancò di plaudìre al venuto ; come non
era mancato in simili occasioni, e fu sempre assiduo anche quando
r opera di chi prese il governo non rispose ai voti dei poeti e alle
comuni aspettazioni. Però i versi di Filippo Paruta non erano basse
adulazioni nò augurio vano; che il Colonna distruttore della peste
venuta ad affligere V isola, virtuosamente modesto nel rifiutare i do-
nativi offertigli dagli ordinarli parlamenti (2), non sanguinario né
crudelmente eccentrico (3) ; ben meritò la stima dei contempora-
(1) Intendiamo dire di porta Felice e di porla Nuova. La seconda, in fondo alla
della via, dovea chiamarsi porta austriaca per ordine del viceré ; ma il popolo la
chiamò sempre porta Nuoca.
(S) V. Di Diasi, pp. cil. pag. 239; e Mongilore, Parlamenti di Sicilia, t. 1.
(3) Degli alti dei viceré spagnuoli discorrono con minuziosa dih'genza i diarii pa-
lermitani di Filippo Paruta, Niccolò Palmerino, Vincenzo Auria, e di altri, i quali
si conservano manoscritti nella Biblioteca Comunale di Palermo. I giudizii sommarii,
le condanne crudeli e le grazie sùbite e capricciose s' avvicendano con una facilità
meravigliosa-, la quale fa dispetto a chi considera come in quel tempo infelice si
fos£e fatto tanto strazio del diritto pubblico e del privato, e grande confusione del-
l'autorità coir arbitrio ; d'onde le scandalose impunità e le miserabili torture e le
morti. Ma quel che merita speciale attenzione si é questo: che i cronisti contempo^
ranei lungi dal lamentare tanto danno, alzavano plaudenti la voce fra le stragi. Ad
onore del vero bisogna confessare che il religioso rispetto a]]a sagra curuna e la vi-
gile difesa dei privilegi municipali, scompagn$iti da quel senso liberale che rende
lo storico superiore agli nwenimenli e Io fa giudice dei tempi, fanno poco onore,
agli storici di quel tempo, ed a quelli che in stagione a noi vicina ne copiarono i
giudizii. I quali tutti attingendo ad un convenzionale nella crìtica di certi avve»
nimenti, svisarono là stona che non pttò sempre .acconciarsi a gindizii stereotipi.
Se volessimo corroborare coi fatti quanto ora abbiamo affermato, dovremmo qui tra-
scrivere interamente i diarii della città di Palermo, e le cronache di quel tempo.
Però ad utile prova riportiamo dal Diario delle cose occorse nella città di Palermo
e nsl regno di Sicilia, composto dal dott. D. Vincenzo Auria palermitano (codd.
mss. segn. Qq. A. 7 e 8), il seguente brano che ci é caduto sott' occhi :
• 16i8. Martedì 14 di ^k^/ìo •— Questa sera fu condannalo al remo per anni do-
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76 NUÒVE EFFEMERIDI SIGILIANB
nei, e fu a questa Sicilia di grandissimo giovamento. Qualcmio dirà
ch^ egli abbia avolo difetti ; ma chi degli nomini ne va esente , e
chi dei governanti?
Filippo Paruta era allora segretario palermitano. Il Senato della
nostra città che comprò il titolo di eccdlentissimOy ma che insieme
a tali frascherie, comunissimo e necessarie in tempo di tanta abie-
zione politica, avea strappato alla Spagna franchigie e prerogative,
il Senato palermitano potea ben vantarsi in quel tempo di uomini
sommi. Bartolomeo Sirillio ed il Nostro furono segretarii del co-
mune ; e questi nomi bastano a testificare come allora la rappre-
sentanza comunale palermitana facesse omaggio agli uomini della
dottrina e della scienza, designandoli ai pubblici ufBcii ed onoran-
doli generosamente. Il quale fatto unito ai ricordi della nostra sto-
ria, che ci ha tramandato i nomi di altri valentissimi giureconsulti
e politici, adoperati nelle controversie fra comune e comune e nelle
difficili relazioni fra le città e il governo di Spagna; ci fanno ben
certi della mediocrità politica dei nostri tempi : tanto vantati pei
progressi della mente umana; ma, in paragone, certamente al di
sotto di quel secolo che diede quest^ ingegni alla Sicilia, ed alla pe-
nisola italica la mente di Machiavelli e Guicciardini.
Ha lasciamo di rimpiangere le nostre miserie; e torniamo a dire
del Paruta. Aveva il Nostro naturale propensione alla poesia ; e que-
sta facoltà coltivando, cogli studii delP antico perfezionò. Compose
con classica severità in latino, dettò stupende iscrizioni (1) ; e ver-
• deci sopra le galee di Sicilia un perverso garzone, che, avido di sedizione, s' aveva
• vantalo ("sic) che iu t«mpo d' occorrenza voleva saltar nel campanile della Chiesa
• di S. Antonio e sonar all'arme la tanto celebre campana. Costui , non potendo
• oprar tanto con voce, avendogli la natura proibito V uso del parlare e servirsi della
« lingua, che non ha osso , e ne rompe , «d a guisa di tagliente spada ne vibra
« molti de' colpi a danno d' altri, non fu meraviglia se quel che non poteva colla
> voce si sforzava operar con la mano per mezzo delle campane. Era cosa da ridere
• vederlo sopra una mula balbettare ferocemente per le nervate che sofTeriva negli
• omeri, non potendo con le parole o mover a pietà i circostanti, o scusarsi del de-
• Ulto , o farsi almen compagni alla pena, che per la comunanza è mezzo gau-
• dio ».
(1) Sono del Paruta alcune iscrizioni latine situate ai canti della piazza Viglie-
na, e quella che ancora si legge sulla porta d'Ossuna. Molle altre ne compose, mo-
numentali, commemorative e sepolcrali ; le quali si conservano manoscritte nella
Biblioteca Comunale di Palermo, a' segni 2Qq. C. 2i. Ed inedite sono pure le poesie
latine, ora sacre, ora eroiche; oltre a un grande numero di epigrammi in lode di poeti
si^Iiani già morti. Pubblicheremo fra breve un saggio di questi epigrammi; che in-
sieme danno un'idea della letteratura siciliana al secolo XVI.
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L^BNTIiÀTA DI M. ANTONIO COLONNA IN PALERMO 77
seggiando in volgare, colse doo poche volte le finezze del greco, e
gli fa propria quella robustezza di forma e sicurtà di gusto, che sono
indizio di arte matura e di squisito sentimento. La Biblioteca Co-
munale di Palermo possiede un volume manoscritto (2Qq. C. 21).
contenente le poesie latine e italiane del Paruta , parte autografa,
parte vergale da^ figliuoli di lui. Io che ho Ietto e trascritto quasi
tutte le composizioni del poeta palermitano, ho avuto ben ragione
di lagnarmi come tanto fior di bellezza sia rimasto nascosto sino ai
nostri giorni. Noi abbiamo dovizia da non invidiare alle altre re-
gioni d^ Italia ; e se venissero alla luce i versi di Bartolomeo Siril-
lio , di Luigi d' Eredia e di Filippo Paruta , la Sicilia avrebbe da
vantare anch^essa una scuola del secolo XVI, che gli scritti di An-
tonio Yeneàano non bastano a rappresentare (I). A quest'opera da
(1) Mi piace di riportare qualche poesia inedita di Filippo Parata e di Luigi d*&-
redia. È del primo il seguente madrigale
Per un faBoinllo di nova anni
Caro pegno del cielo.
Che sotto umano veto.
Con la voce e col viso
Apri agli orecchi e agli occhi un Paradiso :
Tu sei nuovo angioletto,
Che con doppio diletto.
Con diletto celeste
Tutte hai per gire al ciel 1* anime deste.
Di Guglielmo il Buono pensò anche di poetare; ma o non continuò, o non ci per-
vennero il resto delle stanze che doveanOf'^per lo meno, comporre un poemetto.
Queste che pubblichiamo ne costituivano il principio : ove ò ammirabile V invo-
cazione deir angelo, fatta in tempo nel quale era tema obbligato l' apostrofe alla
Mum.
Guglielmo il Buono
r$ di Sicilia
Canto il giovane Re, eh' erse nel Monte
Beai, detto da lui, divoto il tempio;
Ebb* ei le voglie air opra e lo man pronte,
E d' avversarli suoi fé' duro scempio;
Onde rivolto al ciel V invitta fronte.
Di bontà di valor tal diede esempio;
Che 1 mondo ancora in memorabil suono
Lo chiama e chiamerallo sempre il Buono.
Angel, tu che solevi a Unt' impresa
Pria sollevar la generosa mente;
Poi quando ardea. ne* più 1* aspra contesa
Davi al guerrier forza e vigor sovente;
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78 NUOVE EFFflMBBIDI SICILIANE
qualche tempo ho rivolto la mente ; e se le forze e i mezzi non
mi mancheranno , spero render noti i nomi e le opere di questi
siciliani, nuovo lustro alla nazionale letteratura.
Questa volta raccolsi alcuni canti in onore di Marco Antonio Co-
Perchè la gloria sua per tutto intesa
Desti a yirtù la più lontana gente;
Ta già custode sao, mio santo nome,
Reggi il mio stil, tu sii mio spirto e lume.
Di mirabile semplicità e d'ingenua beUezia è il seguente canto aìV Angelo Ga-
briello, da me già altrove pubblicato (V. V uomo , la religione, la patria; rac-
colta di poesie tulle e ordinate da Salvatore Cocchiara ad uso delle scuole primarie
italiane. Quarta edizione* Palermo, 1870, pag. 56).
AU' Angelo GabricUo
Santo messo, a cui Dio l' ufficio impose
D' annunziar le più secreto cose;
Tu che recasti in terra il gran decreto,
Gh' aperse il ciel dal suo lungo divieto;
Nunzio divin, eh* a quella dicesti Ave,
Ch* ad aprir V alto amor Tolse la chiave;
Ministro a la più nobil opra eletto,
Ond' ebbe V nom salute e 1 ciel diletto:
0 degli angeli caro e sommo onore,
0 fortezza di Dio, nostro fattore;
0 dal cui detto il mondo si fé' bello.
Salve, Arcangel sovrano Gabriello.
Di Luigi d' Eredia faremo gustare parte della cantica che porta per titolo // pianto
iella Mctddalena penitente, composta di^XVIlI ottave; la quale abbiamo cavalo dal
cod. ms. della Comunale di Palermo, segnato SQq. G. 38.
Il puuito della BladdaleiMi penitente
Là dove innalza un solitario monte
Gli erti suoi fianchi e le sassose spalle,
• E folte manda dall* orribil fronte
L' ombre a cader ne la profonda valle;
A piò d' un vago e cristallino fonte
Che sorge, e va per dirupato calle,
Giacea la bella Maddalena assisa,
Dagl' inganni del mondo ornai divisa.
Di sue vaghezze, un tempo ond* ebbe cura
D* ornar con arie il suo leggiadro viso -^
E r avorio coprir con V ambra pura,
E sfavillar tra vive perle un riso.
Fugge r insidie, e di sua vita oscura
Per cui dal Ciel conobbe il cor diviso,
Vool che nobile ammenda omai ristori
L' empia slagton do* suoi lascivi errori.
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L^ ENTRATA DI M. ANTONIO COLONNA IN PALERMO 79
lonna e della sua nobile famiglia. Sono ìntermediì di commedia,
che la grandiosità dello spettacolo e Teffelto scenico dorea render
mirabili. Per farsi nna giusta idea delle rappresentazioni di allora,
bisogna ricordare le immense spese che sostenne il Senato paler-
mitano per la esecuzione AeìVAUo (Ma Anto, poema drammatico
di Martino Folengo monaco cassinese, inteso più comunemente col
nome di Merlin Coccai (1). Trentamila scudi spesi per mettere in mu- ^
sica e rappresentare quest' opera al 1581 (2), doveano fare escla-
mare a Marco Antonio Colonna che « una miglior cosa altro che in
cielo veder non si poteva I (3). E veramente fti sotto il governo
del duca di Tagliacozzo che le rappresentazioni sceniche in Palermo
vennero eseguite con maggiore magnificenza. Altre volte , come
attesta V Alesi , erano bastati dodicimila scudi all' Atto della Pinta :
Quando nasce col ghiaccio il giorno breve,
E quando il lungo le campagne accende.
Ruvida v«'sle 1* nnimala neve
Di quel corpo gentil copre e difende.
Che al suo casto desio gonna si deve
Che bassa e vile al mondo, in Ciel risplende;
Chiude ricco pensier panno mendico,
E trova il Cielo a le preghiere amico.
L' oro gentil de le sue chiome bionde
Che sul tergo cadea disperso e sciolto,
Mosso da r aure il molle avorio asconde
E gli amorosi fior* di quel bel volto :
L* oro che più non si rincrespajn onde
Uà bianca man sotto un bel velo accollo,
Qual già ne le stagioni al sènso liete,
Armando amor d'inestricabil rete.
Le vaghe luci in cui si specchia il sole
Di serena onestà circonda e veste,
, Tingon le guance sue belle viole
Cui nutre 1* aura d* un amor celeste (*);
Fra bianche perle il suon de le parole
Esce, a destar le torbide tempeste.
Che sempre nova guerra al cor le fanno
Di pentimento e del suo' antico danno.
(1) V. Dì Giovanni, Delle rappresentazioni sacre in Palermo ne* secoli X VII e X Vili.
Bologna, 1868.
(2) V. Mongitore, Bibliotheca Sieula, voi. I, pag. 63.
(3) V. Alesi, Aneddoti sieUiani; ms. della fìibl. Com. di Palermo^ segnato Qq.
H. 43, pag. 45, e Scavo, Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, t. 1*
p. 11, p. 46. Palermo, 1756.
(*) DioMBditmo se «nic« aoiichè rara debba dirsi la belleiia di questi quattro veni.
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80 NUOVE EPPEMBRIDI SIGILUNB
ora si cereava di superare il già làlto, e Senato e Viceré vinceano
nello sfarzo i loro predecessori.
L^uso delle giostre, dei tomeamenti e di molti giuochi ginnastici
già invalso da antichi tempi, e cresciuto sotto il governo del mar-
chese di Pescara^ del conte Giuseppe Francesco Landrìano e del prin-
cipe di Castelvetrano, non era venuto meno sotto il Colonna. I giuo-
chi del caruseUo^ quello dello staffermo ossia del Saracino , e V al-
tro deir an^ , detto ancora della canna , aveano aria di natività
siciliana, e si eseguivano con pompa non comune. Il 18 febbraio
del 1572, D. Giovanni d'Austria reduce dalle vittorie contro i Mu-
sulmani, prendea parte al giuoco della canna in Palermo, e giostrava
col principe di Castelvetrano e con altri della nobiltà. Già il Senato
palermitano metteva annualmente fra le sue spese una somma per-
chè servisse alla rappresentazione di tragedie e di commedie , che
faceasi nel luogo istesso della Pinta ; e tali rappresentazioni, special-
mente eseguite per divertire il popolo, erano dette per antonoma-
sia atti della Pinta (I). Narra PAIesi nei suoi Aneddoti siciliani che
già era invalso quest'uso in SicMia : di eseguire grandi rappresen-
tazioni, volendo far cosa grata ai viceré ; e discorrendo ódrAtto della
Pintay dice che se ne ordinava la esecuzione allorché il Senato, in
terprete dei voti popolari, intendea di mostrare la sua gratitudine
ai governatori della Sicilia. Quando giunse il Colonna in Palermo,
simili rappresentazioni furono eseguite; e le poesie del Paruta, che
oggi noi per la prima volta mettiamo alla luce, in tale occasione ven-
nero pubblicamente recitate.
A nessuno farà certamente meraviglia il veder comparire in iscena
la Gloria, Marte, Iride, Eolo^ ì Venti^ la Sicurtà a cantar P elogio
del Colonna, ove si pensi alle condizioni del teatro di allora, allo
ideale pagano invocato nella gran parte delle rappresentazioni sce-
niche. Qualcuno sarà curioso di sapere in che modo questi nostri
progenitori personificavano le più astraile divinità mitologiche, co-
me sMngegnavano di cacciar sulla scena i Venti, e qualcosa di si-
mile; e noi li rimandiamo ad altre descrizioni che di tali rappre-
sentazioni ci lasciarono gli scrittori del tempo : nelle quali la mac-
china ci si mostra maggiormente complicata, e l'apparato scenico
assai più grandioso e formidabile (2). A persona illustre per nobi-
(1) V. Alesi, Aneddoti ticiliani, loc. cit.
(2) ^ella rappresentazione óeWAUo della Pinta, dì che abbiamo parlato, secondo
lo Scavo • dapprima eravì il Caos nelle folte tenebre avrolto, indi appariva il Para-
diso, in cui vedeasi Iddio Padre colle numerose ghiere degli angioli; la battaglia di
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l'entrata di M. ANTONIO COLONNA IN PALERMO 81
lissimo legQaggio , divenuta famosa del yalore addimostrato contro
i Tarchi, convenia che primamente si rivolgesse la Gloria; e que-
sta, ricordando ai tempi in cui era stala sua sede il Campidoglio,
si compiace che pur Analmente, per opera di un romano ci sia con
onore ritornata.
La Gloria
A Marco Antonio Golonnn viceré
Prima cagion di pregio e di valore
Agli animi gentili io sono in terra ;
Già salii un tempo a ben gradilo onore
Su M Campidoglio illustre in pace e in guerra;
Ha poi cacciommi dal mio regno fuore
Cieca fortuna, ch^ ogni cosa atterra ;
Ond' io mendica, mal mio grado, e presa
Da^ Barbari n^ andai vilmente offesa.
Pur diemmi alfin benigno amico foto
Saldo riparo e ferma alta- Colonna ;
La cui merco di novo in chiaro stato
Son di Roma famosa, altera donna;
Che sol corone, e trionfisil m'' ha dato
Di spoglie e di trofei ricca la gonna.
Nò vo sotr altra insegna o sott^altr'armi,
S" io vera bramo e nobil Gloria farmi.
Entra in iscena Marte e si rivolge a Fabrizio Colonna , figlio di
Marc^ Antonio ; esortandolo a seguire il paterno esempio. Gli pre-
senta le armi pulite alle rote di Vulcano, e lo esorla con queste a
muovere contro Bisanzio, centro delle ostilità contro i Cristiani, e
a domare V orgoglio del Germano , che valse ad abbattere la ro^
mana gcandezza.
Marte
A FabrisSo Colonna
Or che di gravi imprese aito desio,
Per dar nova materia a begl' ingegni,
Muove il tuo genitore e figliuol mio
questi, la caduta dei cattivi, e lo spalancarsi dell' Inferno rendevano stupidi gli spet*
tHtorì. Seguiva la creazione del mondo, e qai il nuovo sfavillar della luce, hi vista
del cielo, lo apparir della terra, il germogliar delle piante , lo spuntar delle stcUe,
il cammino dei due gran luminari sul firmamento , lo sguizzare dei pesci sulla su-
pericie delP acqua, il volar degli uccelli e la loro grata armonia, V improvviso scor-
rer per la terra di tutte le specie degli auimali di essa, erano una unione di mera-
Tigliese comparse. •
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82 NUOVE RFFEMERIBI SICILIANE
Ad ornar città nove e novi regni;
Opre mature, a (Tetto santo e pio,
Voglie Reali, e pensier' grandi e degni.
Ho qui portato a te, nobil Nipote,
L'armi pulite a le Vulcanie rote.
Le quai potranno con maggiore ardire
Sfidar Bisanzio a nuove alte contese;
0 del German Torgoglio e V ingiusr ire
Rompendo, vendicar Pantictie offese (I);
E perchè ognor tu le vagheggi e mire.
Ecco a lo scado le paterne imprese;
Che vincon l'altre dei passati Eroi^
E desteranti a vincer loro poi.
Compagni di Marte
0 bennato, o gran frutto
De le prime d' Italia inclite piante,
Sola speranza del romano onore :
Qui virtù, qui valore.
Qui puoi veder mai quante
Grandezze ammira in mille il Mondo tutto :
E d'uomini e di Dei
Le vittorie avanzar, l'opre, i trofei.
Né tanti onori si fanno solamente al viceré ed a Prospero suo
figliuolo. La signora Felice Orsini viceregina non andrà senza elo-
gio; e glielo fa Iride che si rivolge ad Eolo per ordine di Giunone,
onde, calmati i venti, ritorni il bei sereno, e la natura ridente fe-
steggi tanto fior di bellezza e cortesia.
Iride
A Felice Goloane Oreiai vioeregìae
. Eolo, colei che chiaramente uscita
D' umana sorte ognor sé stessa avanza :
Colei, pregio del mondo, in ciel gradita,
E del più bel del ciel qua giù sembianza;
Colei che in cima di bontà salita,
É meraviglia a la terrena stanza.
Fu, e or l'alma Giunone a te m' invio
Per far più allegro e dilettoso il die.
(1) Una varianle :
0 romp«ndo al German 1* orgoglio e 1* ire.
Vendetta far de le romano offese.
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L^ ENTRATA DI M. ANTONIO COLONNA IN PALERMO 83
Chiama i venti (die' ella), imponi loro
Che nel tuo nome temprìn Tira sil verno;
Io le cedo in virlule, ed io Fonerò;
Abbiasi ella di voi franco il governo;
Già de le Ninfe mie l'osserva il coro;
Già sola amica il Regnalor saperne.
Che più ? le assegno il mese mio; sia feslo
Per lei febbraio, ovverà prima infesto.
Bolo
Venti, 0 venti, Real chiara Felice
Dà pace lieta e seren vago a noi;
Per voi convien ch'ogni uomo, ogni pendice
IfaccogHa il grido, ammiri i morti suoi;
Or chi sua gloria altera a pien ridice
Per gli Esperii volendo e per gli Eoi?
Chi fa che Puniverso ognor la chiami.
Ed ogni età lo riverisca ed ami ?
Venti
Popolo qui vicino,
E voi gente lontana, ovunque sete.
Deh che non rivolgete
La mente e gli occhi a lume alto e divino ?
Altezza ed umiliate.
Senno e valor, grandezza e cortesia ;
Maestà, leggiadria,
Fior di bellezza e frutto d' onestate ;
Fra quantunque il ciel copra
Non vede il sol di voi più nobii opra.
Ma non basta aver fatto V elogio della gloria del viceré, del suo va-
lore, della sua nobiltà. Egli è venuto a governar la Sicilia,* egli ha
rimesso la sicurtà nel Regno. Il poeta vuol dargli lode di questi
buoni portamenti ; pe' quali vede P isola rifiorire ed i suoi abitanti
goder felicità.
La Siotirtà
A Matoo Antonio Colonna ▼ioorè
A ib che invitto e fortunato sei«
Già vincitor del danno e del periglio.
Dai cui vivace ardir, dal cui consiglio
I buoni han vita e morte infame i rei :
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84 NUOVB KFFBMBRIDl SHatlANE.
A te la schiera de^ seguaci miei.
Trionfante, per te, lieto conciglio»
Ecco or s' inchina, e dall' augusto ciglio
Prende vigor che me rinfranca e lei :
Questa è pur tua colonna e mio sostegno ;
La Sicurezza io son, quegli il furore
E la calunnia, empii avversarii tuoi.
Ricche spoglie ti reco e trofeo degno
Di te, che sol sai tanto e tanto puoi,
0 saggio, 0 valoroso, alto signore.
Compagni della Sicurtà
0 nati a miglior^ anni
Che del Re invece il gran Roman governa,
Felicitate eterna
Fa voi beati, e 1 Regno senza inganni :
Mercè di fedel cura
Al Rege, al Regno, al Reggitor sicura.
Queste che abbiamo pubblicato non sono tutte le poesie compo-
ste dal Paruta in onore di Marc' Antonio Colonna. Altre e diverse
ne esistono ancora inedite , comprese neir autografo di che sopra
abbiamo ragionato; fra le quali un poemetto ad ottave, in cui le im-
prese di questo viceré e il suo governo in Sicilia sono magniQcati.
Abbiamo voluto mettere in luce nella presente illustrazione questi
canti, perchè riferentisi a un personaggio storico ch'ebbe nome
chiaro in Italia, e fama di valoroso e sagace governatore in Sici-
lia. Saremmo assai lieti se queste nostre parole valessero a far co-
noscere il Paruta quale poeta, dove è celebre come storico e come
archeologo (i); e se la pubblicazione di questi canti invogliasse i
cultori delle lettere a rivolgere i loro studii sulla letteratura del se-
colo XVJ in Sicilia.
Palermo, nelPaprile ^el 1870.
Salvatorb CoccmARA
(1) Il Tiraboschi {Storia della leU, iL Venezia, 1796, tom. Vili, p. II, pag. 347)
dà merito grande a Filippo Parata per aver primo ia Italia rivolto lo studio della
namismatica a speciale vantaggio della storia, coli* opera intitolata Della Sieilia de-
HrUla con medaglie; la quale fu pubblicata per la prima volta in Palermo nel 1612,
indi a Roma nel 1649 per cura di Leonardo Agostini, poscia in Leone nel 1697, e
finalmente nel 1723 per opera dell* Havercamp.
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DEI VOCABOLARI SICttlANI
Se il noto proverbio « Chi tardi arriva male alloggia • potesse
applicarsi a^ lavori di compilazione, gli ultimi vocabolari del nostro
dialetto dovrebbero esser da meno de^ primi, o, alla men trista, as-
sai povera e mal fatta cosa. E veramente tali ci son riusciti quelli
che prescindendo dagli studi altrui hanno voluto rifar tutto da capo,
quasi sia da uomo prudente dimenticar del passato quel che può
giovare per l' avvenire, e mandare a male i frutti pazientissimi dei
pensiero umano. Ma per chi altrimenti guardi la bisogna, il giugner
tardi è anzi vantaggio air opera cui uno si accinge, come quella che
& suo prò di quanto sulla materia è stato raccolto. Cosi è che il Nuovo
Vocabolario del Traina, compilato su tutti quelli per noi esaminali,
e su lavori consimili, raccoglie il tesoro delle lor voci, causando i di-
fetti, che pur troppo abbiam dovuto scorgervi ; e però nelP affer-
mare fin da ora che per questo e per altri argomenti esso è mi-
gliore tra tutti, noi crediamo di apporci tanto al vero quanto dal vero
si scostarono coloro che seguirono via allatto diversa da quella del
Traina.
Già lo abbiam veduto: fino al passato secolo, poche eccezioni fotte,
non ebbesi altro concotto nella compilazione dei vocabolaii siciliani
se non che quello di mostrare come poteva tradursi in latino una
frase siciliana, come volgarizzarsi una voce latina ; e codesto con-
cetto apparisce cosi chiaro che potrebbe dirsi il solo forse cui ab-
biano inteso i nostri lessicografi. Dallo Scobar al Pasqualino si cer-
carono etimologie, a detrimento forse del dialetto che volevasi stu-
diare e facilitare altrui. Cessato il Hortillaro e quanti il seguirono
da codesta ragione di studi non a tutti graditi, il Traina ha preso
nuovo indirizzo. Egli ha badato più a riuscire che a sembrar utile;
e, nuovo ed ignoto nel campo letterario, ha ben ponderato, se e
quanto convenga ad onesto operaio del pensiero rifare il già fatto
mettendosi , per cosi dire , in capo a tutti. L' improba fatica non
Tba sgomentato; e sebbene altri sieno stati gP intendimenti diluì
in sulle prime da quelli che appaiono neir opera sua, modesti cioò
e limitati allora , alti , nobili adesso, egli vi si è abbandonato con
Google
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86 NUOVE BFPEMRRIDI SIGIUANB
taato ardore, con tanta lena e con tanto studio, che de^ risaltamenti
non è panto a dutiitare.
Il nuovo indirizzo preso dal Traina è da riguardare sotto duplice
aspello: sotlo queUo del dialetto, e sotto quello della lìngua; dal lato
dei vocaboli siciliani per una parte, e per un^ altra dal lato dei corri-
spondenti italiani. Quanto al primo e^i incominciò con far lo spo-
glio di lutti gli scrittori siciliani da Frate Atanasio d^Aci al Meli,
dal dugento al novecento, e prose e poesie letterate gli apprestarono
larga messe non abbastanza ricercata per lo innanzi.
Certo non sarebbe questa una via sempre sicura per chi voglia
arricchire il nostro vocabolario, che il letterato, volere' o non volere,
pulisce sempre il dialetto ; ma quando essa trova V appoggio del-
l' uso, e r autorità vivenle del popolo, ei ci pare la migliore da se-
guirsi. E questa segui il Traina, raccogliendo quante più polè voci,
frasi e modi di dire dalla bocca del popolo non registrate fino a
lui ; e come il più fedele linguaggio del popolo son le sue tradi-
zioni, cosi cogliendo ed iscegliendo fior da fiore, trasse preziosi pe-
culielli di voci dalle raccolte di canti popolari e di proverbi fotte
in questi ultimi anni da vari benemeriti. Del non essersi volli a
tutto questo, non è certo ad accagionare i precedenti vocabolaristi,
«ondo che lo studio dei canti è cosa nuova tra noi; ma i proverbi
eran li; e delle maniere piene di espressione e di vivacità ne ap-
prestavano a dovizia per chi non avesse schifato di consultarli.
Quando si pensi che in tredici mila proverbi da noi preparati per
le stampe , poco men che un miglia^jo di voci vi sono inedite od
inosservate fin qui, avrassi il miglior argomento in favore di que-
sti nuovi studi e del poslo che* vi ha assegnato il Traina. Tra il nu-
mero infinito di voci nuove il lettore provinciale si avviene allo
spesso in voci catanesi, messinesi, di Trapani, Marsala, Yillafrate ecc.
In altri tempi codesto avrebbe apprestato argomento di censura pel
compilatore, che volle confondere, per dirla con una nostra fk^se
storica, Francia e Spagna. La censura sarebbesi mossa di qui, donde
per univoca sentenza parte il dialetto di tutta Sicilia, e dove si son
quasi detlati i precetti ortografici e sinanco fonetici. Ma dacchò qual-
che siciliano non palermitano si è ribellato a codesta pratica; dacchò
li Pasqualino palermitano ha dato ospitalità a qualche voce vwna-
cola; dacché si è fallo avvertire che Palermo non è Sicilia (1), e
che dugento mila parlanti non hanno diritto dMmporre a due mi-
lioni, il divisamenlo del Traina si tiene per giusto e per buono nel
<1) Lionardo Vigo nel citalo scrttlo.
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DU VOCABOLARI SICIUANI 87
campo del nostro dialetto. Ma noi (e ci si perdoni se appariamo di
presumere in cosa che ci ò tanto a cuore) vogliam (are una distin-
zione, necessaria del resto, a tal proposito: e diciamo, che a nostro
credere uno è il vocabolario siciliano italiano , uno il vocabolario
dell' uso siciliano; quello è, o dovrebb' essere^ il prontuario di tutte
le voci comuni del dialetto, intese ed usate in ogni pia riposto an-
golo della Sicilia'; questo il registro delle voci speciali ai tal paese
e quivi solamente o nei suo circuito usate ed intese; V uno va prima,
r sJtro va dopo. Altrimenti, chi potrebbe d'u'e che la data voce ver-
nacola usata nel dato luogo non sia la vera voce del dialetto ? e
perchè [altra e non essa debba esser la comunemente abbracciata ?
il cav. Salvatore Vigo, caldissimo amatore delle cose siciliane,
vorrebbe riparare a questo inconveniente registrando la voce sotto^
dialettale senza spiegazione, ma col solo richiamo alla voce del dia-
letto ; cosi , egli dice , si comprenderà la differenza che corre tra
r una e V altra , e si costringerà il provinciale ad apprendere , ac-
canto alla sua , la voce che vi sostituisce ogni altro siciliano. Per
quanto ingegnosa la proposta , noi rimaniamo fermi nel nostro
convincimento, e crediamo che un vocabolario siciliano , colle de-
bite riserve e ne' giusti termini, debba esser tutto d'un pezzo e
tutto d' un colore; e che il vocabolario, per dir. cosi de' sotto ver-
nacoli, debba venir di costa ad esso, il quale avrebbe a contenere
il tesoro del parlar siciliano, preciso, minuto e senza smozzìcature,
senza idiotismi, od abusi fonetici.
Tuttavia, poiché un passo dal Traina si è dato , bisogna che da
lui si vada innanzi , raccogliendo quanto gli fia possibile ne* vari
paesL La proposta di Salvatore) Vigo affeziona in certo modo a
questo partito; per altro in tali discipline meglio è abbondare che
difettare, mollo più se si tenga di mira la efScacia ed evidenza di
locuzioni che possono venirci da un contadino di Noto, da un pe-
scatore di Trapani, da un zolfaio di Girgenii ecc.
Avvicinandosi al popolo il Traina ne ha raccolte le grazie più
gentili (1). Sono tra queste gli alterati de' verbali e participiali in
atOy ito, lite, e de' participi passati; quindi le terminazioni in tina, uni,
eddu, edday izzu, che quasi non esistevano pe' nostri vocabolaristi (2).
La grande ricchezza che ne ha acquistata l'opera sarà forse meno ap-
(I) Questo non sempre però, sopralnlto nelle lettere A. 6. C. , dove molte Voci si
possono aggiungere , che il Traina omise , e che di fatti aggiungerà in un supple-
mento alla fine del volume.
(S) Non pel Mortillaro, che moltissime ce ne diede nell' opera sua.
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88 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
urente di quel che è io realtà; avvegnaché coli' aggiunger le voci
d' uso il nostro avesse posto da parte quelle che ne' vocabolari son
troppo italiane o scientifiche perchè non vengano comunemente
usate; le sole che ha accolte — e tra queste hanvene pure di an-
tiquate , — gli è parato doversi bene tenere a mente , dubitando
non «ieno vigenti in qualche luogo di SiciKa. In ciò, a dirla schietta»
io vorremmo più ardito, si che il nostro dialetto abbiasi per lui un
vocabolario tutto siciliano, o, come desidererebbe un illustre nostro
concittadino, delle sole voci che più si allontanano dalla lingua na-
eionale. La ricchezza del Traina è anche meno apparente perchè
egli ha usato la massima scrupolosità nel togliere le ripetizioni
che nel Mortillaro si hanno di ubo slesso proverbio» di una stessa
frase, sotto le voci differenti che V uno e V altra compongono.
Insieme a tanta ricchezza molte nuove definizioni ner son venute
fuori , non esistenti fin qui. Ben dichiarata è la natura grammati-
cale delle voci ; acuta qualche provenienza francese, spagnuola ecc. ;
ben adatti i raffronti del dialetto vivente colla lingua del dugento e
del trecento d'Italia; raffronti che il Traina istituisce avendo alle mani
Busone da Gubbio, Jacopone da Todi, Dino Compagni, Guittone di
Arezzo, Guido Cavalcanti , Pier della Vigna , i Halispini, i Villani,
ed altri tali.
Venendo al secondo aspetto del nuovo indirizzo del Traina, cioè
al corrispondente italiano delle parole siciliane, crediamo superfluo
ripetere il già detto da altri e da noi stessi, or son due anni (i),
a proposito delle grandi difficoltà che s' incontrano in siffatto lavoro.
Il dialetto ha delle particolarità che non ha la lingua, o se le ha,
nessuno le conosce e sa maneggiarle del medesimo modo che 11 dia-
letto, nel quale è la vita dell' indivìduo ; però è veramente difficile,
non che il tradurre dal dialetto nella lingua, il trovare ad una voce,
ad una frase qualunque la eguale italiana. Può solo appianar questa
difficoltà una lunga dimora in Firenze, la conversazione co' meglio
parlanti, la lettura dei buoni libri toscani : tre condizioni indispen-
sabili a cosiffatta bisogna, che i nostri non seppero tutu conciliare.
Due anni di residenza in quella città, spesi in utili conversazioni,
in ricerche fruttuose ed in letture profittevoli , posero il Traina
nella condizione più favorevole ad un lessicografo ; onde il suo libro
dà il desideratum dei linguisti italiani, partigiani o no del Manzoni.
Qualche citazione da recarsi all'uopo, potrebbe mostrare quanti ab-
bagli avesser preso alcuni dei nostri vocabolaristi in tal lavoro di
{i) Sludio erUieoÉtU Canti popolari tieitiani; { XIII, pag. 15i e seg. Pai. 1808.
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DO VOCABOLÀRI SK2LIANI W
corrispondenze , sia per manco di critica , sia per difetto d' atten-
zione, sia per mala intelligenza della voce italiana; ma questi esempi
che proverebbero in fondo ^ quanto mal si fossero essi consigliati
allorché stando in Sicilia si attennero piuttosto al senso- provinciale
che al valore italiano di certe voci, e in tal senso non dubitarono
di usarle come, corrispondenze italiane quando^ forse Kalianamente
ne hanno uno diverso. Costoro inoltre, non potendo bene stabilire
un perfetto raffronto de' vocaboli, molti ne registrarono senza di-
stinzione di sinonimi; non tennero conto di barbarismi, neologismi
e francesismi, non di lingua viva e di lingua classica, non di cita-
zioni a conferma di esse voci; distinzioni che per avventura il nostro
giovane vocabolarista ha fatto valendogli il lungo studio e il grande
amore. L' uso toscano è stato sempre preferito da lui ; aiutato dai
vocabolaristi e dagli scrittori più reputati del nostro tempo. Il Za-
notto, il Carena e il nuovo Carena del Sergent per le voci d' arti
e mestieri e di uso domestico, il Palma per V agricoltura, V Ugolini
per le erronee, il Tommaseo pe' sinonimi, il Fanfani col Tommaseo
stesso per tutta la lingua, gli hanno apprestato larga e copiosa messe;
nessuna raccolta di voci, per quanto piccola od oscura , è sfuggita
aUe sne ricerche, e nessuna è rimasta senza la debita citazione, là
segnatamele dove la voce pare dubbia (1). Accade però che alcuni
di tali corrispondenti, sopratutto di frasi e locuzioni, manchino; noi
non sappiamo il perchè, ma certo vogliam credere che essi non esi-.
stano né anco ne^ vocabolari più accreditati; di che viene acconcio
avvertire come questi si sieno passati dal raccogliere tutti i dimi-
nuitivi e i participiali possibili; ed è da render lode al Fanfani, che
nel suo Vocabolarie^ ddF uso toscano li ha accennati, senza del resto
riportarli lutti; e al Tommaseo, che nel suo grande ì)izionario della
lingua Ualùma ce li viene recando.
Un cenno ancora del modo onde son registrate le voci , e della
(I) Tra* lavori diversi ctie egli ha consultali per la parie siciliana e perle corri^poD-
dense italiane abbiam trovato , oltre le raccolte di canti del Vigo e del Salomone, i
seguenti : Nomenclatura di Enrico Di Mibgo : Palermo, 1868; Parole di tuo dome'
siieo di arti e metlieri ueate nel dialetto eieUiano con le corrispondenti italiane per
AifTONiifo TuMMi NELLO. Palermo, nel Giornale La Sicilia, an. 11* e III* 1867-68; Una
ca$a sieUiana, oitia Rnceolta di voci siciliane italiane attinenti a cote domeetiehe: Pa-
lermo, 1870; Modi tcelti della lingua italiana raccolti dai Clastici scrittori e proposti
a* Giovani per Vincenzo Di Giovanni: Palermo, 1867; Sui Vocabolari della pronun-
zia e dell'uso toscano compilali da Pietro Fanfani , lettere critiche di Alberto Bu-
scaino-Gampo: Trapani , 1867; Una casa fiorentina da vendere di Pietro Fanfani.
Firenze 1868; // Borghini diretto dal Fanfani ; /( Propugnatore dello Zambrini; le
raccolte di cauti popolari e proverbi toscani del Tigri e del Giusti ecc.
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90 NUOTI BFFBUiUlfl SiGIUANK
ortografia adottai dai nostro compilatore. Qaesta parte della orto-
grafia è oramai diventata lo scoglio sn coi rompono i coltori del
parlar siciliano. Chi la p^sa in un modo e chi in un altro: ciascano
Ih da sé e a modo suo, e non vi hanno r^ole fisse nò certe. Gal-
tanissetta scrive e slampa diversamente da Messina, M^sina diyer-
samente da Trapani^ e tutti più o men diversamente da Palermo.
Ciò nasce per difetto di educazione in alcimi» da incuria in altri ,
da maniera di pronunzia in tatti. Sarebbe tempo che c^ intendes-
simo su questa materia, affin di stabilire d^ accordo» per U diaMto
siciliono comune^ una scrittura che metta fine in avvenire a piatì,
ricbiami e battibecchi tra scrittori delle varie province siciliane e
perfino di una stessa provincia e di una stessa città. Qualcosa sul
proposito si è fatta a' di nostri; e mentre scriviamo fervei opus di
un accordo tra le parti dissidenti; e Lionardo Vigo ce lo fa sperare
nella pubblicazione della sua Protostasi.
Il Traina s^è preso qualche libertà; a taluna tra esse faccìam plauso;
a tutte no, altrimenti andremmo contro noi slessi, che raccogliendo
canti e proverbi non vogliam discoslarci dalla parlata naturale. Egli
scrive quasi^ sempre bene le sue voci ; ma per non ribellarsi del
tutto al tradizionale italianismo de' vocabolaristi siciliani, spesso ne
adotta la forma rafiSnata. Se il suo libro servisse pel popolo, questa
pratica salterebbe agli occhi; ma per le persone che consulteranno
r opera sua tal pratica non sarà avvertita gran fatto. Meglio cosi.
Noi Siam d^ avviso che se in una seconda edizione egli procedesse
men rispettoso alla ortografia passata, P opera sua vi guadagnerebbe
due tanti. Le aferesi delle voci comincianti da tm, in ecc. son ne-
cessarie, e necessarie sono egualmente certe metatesi. Non sapremmo
sempre acconciarci al raddoppiamento di alcune consonanti , p. e.
della b, che il Traina usa nelle voci libirari^ Ebrei^ sebbene qual-
che volta lo avessimo, dietro la sua scorta, adottato anche noi; ciò
porta complicazioni che il nostro dialetto non ha. Da ultimo, nella
rassegna delle varie significazioni di una parola e delle varie frasi
alle quali essa prende parte, noi desideriamo un po' più di ordme.
Il Traina, accurato sempre, passa e ritorna con molta facilità dalla
frase al proverbio, dalla voce al modo di dire e viceversa. Pare
che tal difetto si vada correggendo coir avanzarsi dell'opera; ma nelle
prime lettere esiste. Potremo anche aggiungere, che un ritorno sul
lavoro arricchirebbe di assai participiali e voci alterate le prime tre
lettere dell' alfabeto ; come un altro ritorno in Toscana darebbe a-
gio a dei rafi'ronti che ad alcune parole e veggiamo mancare.
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DKI VOCABOLARI SiaUANl 91
A rendere poi meno uggiose queste nostre osservazioni ci piace
chiarire confonnemente al vero un modo proverbiale spiegato sotto
la voce cmzima dal Traina. In Sicilia, quando si fauno le orecchie
del mercante in cosa che non ci vada a' versi, si suol dire: Aa-
varrà wm la senti sta canzuna. Il compilatore crede • nato questo
modo fin dalla spoliatrice dominazione spagnuola o navarrese >. Noi
Siam riusciti ad appura*e il seguente curioso aneddoto:
Navarra fu un gran mariuolo e un ladro tanto accorto da non si
lasciar cogliere dalla Giustizia. Un giorno però fu capitato, e come-
chè le prove del delitto mancassero, ed egli non confessava, il giu-
dice molto scaltramente gli disse : • Or bene, se tu ripeti una can-
zone che recito io, ti rimando libero a casa; » e incominciò:
Navarra fu piggbiatu attortamenti..,
Navarra ripetè; e il giudice:
Navarra P hannu misu a la turtura..;
e Navarra appresso di lui. 11 giudice continuò:
E p^arrubbari cavaddi e jimenti..;
ma Navarra s^ accorse che lo si voleva trarre ad accusarsi di pro-
pria bocca, e si affrettò a soggiungere:
Navarra nun la senti sta canzuna.
Per chi desideri un saggio del metodo tenuto dal Traina neir o-
pera sua , noi riportiamo in nota quanto egli scrive sotto la voce
Cògghiri. I vari significati ed usi di questo verbo, le firasi, i modi
di dire e i proverbi che T autore vi ha raccolti insieme co^ corri-
spondenti it^ni confermeranno quanto di sopra abbiam detto. (1)
(i) Cògghiri V. a. Spiccare erbe> fiori, o frulla dalle loro piarne : cogliere, carré, E
quando si dice di fruita o altro da raccattarsi da sulla terra : roecoyliere \\l\ Pigliare:
cogliere. \\ Raccorrò, ragunare : cogliere. \\ Giungere sopraggiungere, acchiappare ; co^
oliere. \\ Colpire : cogliere. \\ Sorprendere all'improvviso ; cogliere.\\ — m pauso la-
TiNu, modo prov., scoprire, convincer alcuno per bugiardo : tbugiardare. \\ — in pallu
ECC., sorprendere nel fallo . cogliere in fallo ecc. ]] — amuri, affezioni : porre amore,
prenderti dell'amore d* alcuno. \\ cogghirisi o cuoghirisi li pezzi e li lani, o cug-
6B1BIS1LLA, battersela: concia, far fagotto. E detto a$t.: morire. ncucGHi risi tuttu,
moelrare di non saper nulla, scusarsi tacitamente o cedere e uniformarsi con pazienza:
stringersi nelle spalle, raggricehiarsi, rappicinirsi, sia per freddo che per paura o al-
tro. Il Intr. Venir a suppurazione : suppurare, infradiciare (Tomm.). \\ T. mar, — li
VILI, ritirar le vele in modo che non operino : piegare, serrar le vele. fig. Venir a con-
clusione, riepilogare.w— li bobbi, il ritirare e metter assieme i panni che furono scio-
rinati onde asciugarsi o pigliar aria: raccattare. \\ — priscu, esporsi all' aria fredda:
pigliar una imbeccata, pigliar fresco. \\ — Vizi, allontanarsi dal buon sentiero pi-
gliando Tizi : incattivire, prender vizi. \\ — dinabi, mettere insieuìe danaro: raggruz-
zolare. Talora significa riscuotere da più persone o tórre con furberia. \\ Andar at-
torno per limosina per sé o per altri: accattare, raccogliere. \\ l'acqua^ raccattarla %
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92 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
Riassumendo il molto in poco, il Ntwvo Vocabolario del Traina è
opera soda , grave ed utilissima ; pei^fetta non la diremo nò com-
pleta, che tale non sarà mai il vocabolario di una lingua vivd, che
tuttodì si arricchisce di nuove parole, vuoi per cose nuove, vuoi
per nuove istituzioni e per nuovi fatti; ma se non perfetta né com-
pleta, essa è migliore tra le pubblicate finora, senza le quali però
tale non sarebbe. Forse clii verrà dopo il Traina sarà, non diciam
più amoroso e diligente, ma più fortunato , e allora anch' egli ne
sarà, crediamo, contento, vedendo in ciò non altro che il progresso
della lingua che egli caldamente ama , e una conferma della sen-
tenza di Seneca (1): Muttum restai adhuc operis^ muUumque resta-
bit, nec ulU nato post miUe saecula predudetur occasio aUquid adji'
ciendi.
6. PrrEi
stento, rasciugarla facendola sozzare \\ ^ lu cottu b lu crudu o tutti cosi, ragonar
la roba per andar via : far fardello, affardellare, \\ cugghirim li capiddi, rassettare la
capellatura: raeeorre, melter in Mesto i capelli. \{ gugohirisi la vesta, — lv piriuolu^
tirarlo su che non ìstrascichi : suceignere. \\ Comprendere, intendere : raccapezzare. \\
— LI voti, — LI VUOI : raeeorre i voti. \\ — filu, sita ecc., ravvolger il filo nel gomi-
tolo : aggomitolare, dipanare. \\ — malatii, incorrere in malattia * ammalarsi, m-
fermarsi. \\ » abbìli V. abbiliarsi. \{ a lu cogghiri li firriola, al far de' conti: da
ultimo, aUa perfine. \[ nun putirinni cogghiri menti V. Catacoggbiri. E non poter
trarne costrutto : non poterne raccapezzare. {{ Ne* Canti popolari Toscani raccolti da
Tigìi, vi è : ioghiere, e ancora nelle campagne Aorentine si usa P, pati, cuoohiutu :
eolio,
(1) Epist. lib. i, L. XIV.
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IPPOLITO
DRAMMA D'EURIPIDE
(Coniinuaz. Vedi voi. II, dìsp. I)
Nunzio
Ajuto, ajulo ! Accorrete, accorrete,
0 vicini abitanti. Ahimè ! Fra i lacci
É la regina di Teseo consorte.
Coro
Ahimè! Tutto fini. Lfa regal donna
Non è più ; ma sospesa è a pensil fané !
Nunzio
Né v' affrettale, né si reca nn ferro ,
Che il nodo sciolga dalia saa cervice ?
Alcune del Coro
Che mai faremo, amiche? Entrar le soglie
T aggrada e tórre all' avvinghiate corde
Latregina ?
Altre del Coro
Ma che! Non ha qui forse
De^ giovani valletti ? Il darsi briga
Di troppo, non approda al viver queto.
Nunzio
Distendete, addrizzate il miserando
Cadavere. Ben tetro ufficio è questo
Pe' miei padroni!
Coro
La misera donna
Passò, com' odo, perchè ornai composta
Veniva al par d' inanimata spoglia.
Teseo
V è noto, 0 donne, che fragor sia questo
Che neiraule si leva? Alto de' servi
A me giunge il clamor, né fatto degno
Son io, che dagli Oracoli tornando
M'accolga la famiglia in lieta fronte,
E r uscio m' apra della mia dimora.
Forse novello alcun sinistro accadde
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94 NCOVB EFFEMERIDI S1GII.UNE
Alla vecchiezza di Pitlèo ? Ben mollo
Innanli egli è con gli anni; e pur mi fora
D'acerba doglia, se di lui diserte
Fosser queste mie case.
Coro
Oh] di canuti
Non si parla, o Teseo ; ma piangerai
Un vago fior di giovinezza estinto.
Teseo
Ohimè! La vita si spogliò d'alcuno
De' figli miei ?
Coro
Vivono ; estinta giace
Per estremo tuo duol la madre loro.
Teseo
Che dici ? É morta la compagna mia ?
Ma come?
Coro
Si sospese a pensil fune.
Teseo
Oppressa da tristezza, o da sinistro
Caso?
Coro
Ciò solo udimmo. Or or venuta
Qui sono a deplorar le tue sciagure.
Teseo
Ahimè I Che giova incoronarmi il crine
D' inteste frondi, se misero tanto
É il mio ritorno dalle pizie sedi?
Disserrate le imposte; aprite, o servi,
Le porte, ond'io rimiri, ahi duro aspetto!
La donna mia, che col morir m' uccise I
Coro
0 sventurata, quanto osasti! Ahi! quale
Opra compiesti da confonder tutta
Questa famiglia ! Quale ardire ! 0 spenta
D' iniquo fato per la forza e V opra
Di tua mano infelice ! E inver, chi mai
0 miseranda, t' abbujò la vita ?
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IPPOUTO, DRAMMA O'EURIPIDE 95
Teseo
Ahimè perduto pei sofferii affanni t
Immensi sono i miei lormenli. 0 Sorte,
Come grave su me, sulla mia casa
Ti riversasti t 0 inopinata offesa
D'un demone maligno, anzi mortale
Ruina di mia vita! Un mar d'ambasce
Senza scampo già veggo. Ahimè meschino t
Che ti dirò ? Come per me si puote
Nomar Tempio tuo fato, o sposa mia,
Se come augel, che dalla man trasvola,
Rapida a Plulo spiccandomi un salto
Disparisti ? Ahi sventura ! Io la ripeto
Da più rimota fonte.... da taluna
De' miei maggiori inespiata colpa !
Coro
Non a te solo, o re, tal fato incolse !
Con altri molti bai tu perdute illustri
Nozze.
Sotterra nel bcyo morendo
Abitar mi fia dolce, or che tt'ò tolta
La tua soave compagnia ; che troppo
Pili di te stessa io son per te perduto.
Ma donde udrò, come al tuo cor s' apprese
Questo feral destino? E alcun non havvi,
Che lo mi narri? 0 questa Reggia forse
Un vano stuol di servi miei rinserra?
Quanto infelice io per te sono ! Ahi ! quale
Suprema, inenarrabile sciagura
Mi s' appresenta r Ahi! che perduto io sono.
Diserta è la mia casa, orfani i figli !
Coro
0 la più cara, o la più degna donna,
Che la luce del Sole e la notturna
Stellata Luna rimirar giammai,
Mi lasciasti, lasciasti in abbandono !
Ahi che ruina alla famiglia incolse !
Circonfuse di lagrime le ciglia
Mi sento per pietà del tuo dolore,
E temo il danno che verrà dappoi!
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96 nuovb effemebioi sigiuame
Teseo
Obt ma che fia, che dir Yorrà qael foglio
Che dalla cara man pendere io yeggio?
Lettere forse mi vergò la mesta.
Delle nozze chiedendo e della prole?
Fa cor, meschina 1 Un^ altra donna mai
Non entrerà ne i talami e le case
Del tao Teseo. Ma del caston V impronta
Deir aureo anello, che fregiò V estinta
A se m'invita. Or sa; svolgansi i nodi
Di quei sigilli, e apprenderò che dirmi
Voglia omai quello scritto.
Coro
Oh ! pur quesr altra
Sciagura un Dio qui di rimando arreca I
Ahi I che vital più non saria lo stalo
* Del viver mio dopo tal fatto t Spenta,
Ahi I non più viva, la famiglia io credo
De' miei padroni. 0 Dio, se far si puote.
Non voler, che del tutto esterminata
Sia questa casa. Oh I le mie preci ascolta ;
Che di nuovi disastri io son presaga t
Teseo
Misero me i Qual altro orribil caso
Intollerando, inenarrabil giunge!
Coro
Che avvenne? Ohi parla, del tuo duolo a parte
S'esser io posso.
Teseo
Esclama, esclama orrende
Cose quel foglio ! Ah 1 come mai sottrarmi
A tanta mole di sciagure ? Al tutto
Desolato son io, mancar mi sento.
Ahimè perduto! Qaai sonar, quai note
Da quelle cifre ascolto I
Cono
Una favella
D'aspri evenli foriera, or tu riveli!
Teseo
Ohi non fla mai che a si crudele oltraggio
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IPPOLTTO, DRAMMA D'EURIPIDE 97
Intolierando queste labbra io chiuda f
0 cittadini, cittadini, Ippolito
A violenza osò macchiare il mio
Talamo, e il sacro osò sprezzar di Giove
Occhio, che tutto V Universo mira I
0 gran padre Nettuno, or delle trine
Imprecazioni, di che don mi fosti.
Ti risovvenga, e d^una d*esse uccidi
11 figlio mio; né questo giorno ei «fugga,
Se a me largisti il non pregarti invano I
Coro
Togli que^ voti, o Sire.... Appresso, oh i Dio,
Ti fia noto Terror.... M'odiJ
Teseo
No, mai !
E inoltre il bandirò da questa terra.
Cosi trafitto da V un fato, o V altro
Ei fia.... Nettuno, se il mio prego ascolta,
Spento alle case il manderà di Pluto ;
0 da questa contrada esule, errante
Ei vivrà mesta vita in suolo estrano !
Ck)RO
Ecco tuo figlio ; air uopo giunge. Smetti,
0 re Teseo, V ira malvagia, e meglio
Provvedi ai casi della tua famiglia.
continua) G. De Spugues.
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98 NUOVE EFFEMBRIDI SICILIANE
A UONARDO CAV. VIGO
Pel iuo epico nazionaU poema
Il Rugoibbo
ili un'aurea medaglia
dall' Accademia degli Zelanti di Acireale
nella eolenne generale adunanza i2 marzo 1868
Donato
Illustre vale, a Te dunque cortese.
E giusta Jnsiem, tributa Aci condegno
Onor pel carme ch'immortal ti rese
Sovra ogni proda dell'Ausonio Regno?
Oh ben sparsi sudori, oh bene spese
Vigilie a far col tuo sublime ingegno
Conte del prò' Rnggier le mire imprese
Che Trinacria francar da giogo indegno!
'Godi, 0 Spirto sovran, che n'hai ben donde;
£ nuovi lauri a cor sprone ti sia
Il plauso che ti fa Tore gioconde.
Dell' Itala Epopea, gridar s' udia»
Passò jstagion; ma 41 Genio tuo risponde:
Schiusa ai pochi è iutlor l'eccelsa via.
GenoTa, 4 gennaio 1869.
Prof. Giuseppe Gavino
CURIOSITÌ STORICHE SICILIMIE
Miniere metallielie in Sicilia (I). Prima delle ricerche del-
l'Adria e del Khez le nostre miniere metalliche erano state sag-
giate fln dal 1402. Leggesi infatti net voi. 39 fol. 62 dell'Archivio
della Cancellerìa del Regno in Palermo che il re Martino, con di-
ploma dato in Catania il 18 aprile X* indizione (H02), avendo a-
(1) Questi dae documenti su le nostre miniere, che illustrano più completamente
r argomento, dobbiamo alla squisita cortesia del ch.mo Bar. Raffaele Starrabba ,
die dal R. Archivio mandavaceli trascrìtti con sua pregiatissima lettera del 14 aprile.
Onde pubblicamente e di tutto cuore qui lo ringraziamo.
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99
vuto informazione da Berto Bilione da Messina» Filippo di Ariano
da Pozzuoli ed Andrea Carlino da Napoli della esistenza di miniere
di allume, di argento, di rame, di zolfo, di ferro e di pulviri di ga-
miUu (ne) nel territorio di Messina, e propriamente nel tenere
dei casali di Fiumedinisi e di Ali, concede loro < Ki p(»zana chir-
cari et operari in li predicti minori tuctu qaillu ki ad ipsi sirra
possibili, tam di alumi quanta di argenta, di rami, di sulfara, di
ferru, di pulviri di gamillu, quanta eciam di omni altra mitallu,
terra e pelra ki pozanu truvari in tucti li territorii di li loki pre-
dicti et in la dieta muntagna di muntiscueri, exceptu minerà di
aura, a la quali fachimu omnimoda prohibicioni, danduli licencia
ki li pozanu chircari per tri anni continui et completi.... volendu
nichilominus ki li predicti Berlu e cumpagni sianu tinuti di dari
e pagari a la curti nostra dui per chintinaru di tucti li quantitati
di dinari provenienti et ki trahirannu di li vindicioni ki farrannu
di li mitalli et pulviri predicti , promictenduli ex pacto di non
consentiri ki infra li dui anni primi.... nulla altra persuna poza
ne digia aflSdarisi in li territorii predicti a chircari et operari li
supradicti minori; in tertio vero anno.... sia licitu a la curti no-
stra ad fìdari omni altra persuna ki vogla intrari in li dicti ter-
ritorii et chircari et operari li supradicti minerii , ita tamen ki
quilli kinchi fussiru affi lati infra lu annu.... non pozanu ne di-
giann cavari ne chircari a quilli minori ki sirrannu scuperti et
travati per li predicti Bertu et soi compagni. >
Un altro documento che qui soggiungiamo proverebbe la esistenza
di miniere di ferro nel tratto di terreno tra Capizzi e Caronia. Ecco di
quanto si legge in una lettera scritta da D. Francesco Mario Bolo-
gna al Viceré Duca d'Ossuna, data il ì% ottobre 1614 e conservata
neir Archivio della Real Segreteria (Alza l,anni 1502-1624). • Per
< essequtioni dell'ordini di V. E. ho fatto riconoscere le mineri di
« ferro nella Città di Capizzi et Terra di Caronia, et per quanto da
« personì antiche et esperti mi sono informato, trovo che le mineri
< nella detta Città et Terra vi sono, et si ponno cavari, et mettiri
• in opera, anzi ho parlato con alcuni personi chi hanno lavorato
< et operato detto ferro, et specialmente il ferro della miniera di
< Schisi ; et a maggior cautela ho mandato il soldato Francesco Bel-
« tramo in detti luoghi a cavare alcuna quantità e portarla a Pa-
« lermo per farai la prova, et di quanto sequirà uni darò a V. E.
« puntualmente relazione. >
(I, 157) Mattea in veeeliiii. Quando in Palermo vogliamo in-
giuriare uno come nemico degli ecclesiastici, lo chiamiamo Mattea
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100 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
lu vecchiu. Di questo io leggo nel Giornale istorico cronologico ms.
(li D. Giuseppe Ficarra (Tom. H, pag. 3302) che « aveta per ufficio
• di catturare tutti gli ecclesfaslici, li quali (nel tempo delP Inter-
« detto) dalla Sacra Giunta erano esiliati da questo R^no, perchè
• non volevano comunicare cogli scomunicati. > Egli fu ucciso a 22
giugno 4719, ed il di lui cadavere essendo stato portato al Carmi-
ne, per ivi ricevere sepoltura, fu espulso da quelli Padri ; lo che
anche fecero li PP. Riformati, cacciandolo pure dalla Chiesa di S.
Antonio di Padova: per lo che finalmente fu sepolto nel giardino
vicino il Cimitero deir Opera Santa , fuori porta di Vicari.
GRITia LETTERARIA
aioberti e la niosofia STaova Italiana per Pietro Luciani.
Parte prima — Fttoso/to ^««ofórtca. voi. lo e*». Napoli, 1868-1869.
La spiegazione hegeliana che volle fare il prof. Spaventa della
filosofia del Gioberti ridestò nel Luciani un antico suo disegno di
ritrarre nella sua vera natura la mente e la dottrina di Vincenzo
Gioberti , e cosi è venuta fìiori in due Tolumi la Parte Prima di
quest^ opera, che fa molto onore all' egregio sig. Luciani. La filo-
sofia del Gioberti, raccolta dalle opere pubblicate si vivente V au-
tore, e si dopo la morte dello slesso dal Massari, è dal nostro critico
distinta in moterica e acroamatica, al modo delie antiche scuole; e
questa Prima Parte del suo hbro si attiene alla sola essoterica. Volle
lo Spaventa far quanto meno italiana la filosofia del Gioberti, e il
Luciani ha per iscopo mostrare questa italianissima, nostrana , cat-
tolica, e combattere coraggiosamente la corruzione del pensiero ita-
liano per r invasione della filosofìa straniera. E con la filosofia ita-
liana fa difesa eziandio della letteratura e delParte nostra, in che
appare propriamente la vita di una nazione.
Pertanto , secondo il Luciani , va opposto il suo libro a quello
dello Spaventa, da cui il Gioberti è stato in tutto franteso; e così pro-
cede ad esporre con larghezza e perizia di analisi e di sintesi tutta
la dottrina del Torinese.
Il capitolo primo è Lltalia e P HegeUanismo; e vi sono sposte le
condizioni morali d' Italia dal 1820 al 1840, e le conseguenze che
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GBITIGA LETTERARIA lOi
V hegelianìsmo avrebbe portati danni maggiori , anziccbè qualche
lace e speranza di salate air ItaUa. Nò, siccome si dà a vedere, nel
capitdo secondo sarebbe bastata al rinnovamento del proprio ita*
liane il psicologismo della scuola cartesiana ; solamente sufficiente
aU^ opera si era il platonismo fatto cristiano; ed ecco V opportunità
deUe dottrine messe innanzi dal Gioberti sì nell' ordine morale e
religioso e si nel civile e politico, li Gioberti si propose per Tlta-
lia quello che Platone per la Grecia , cioè combattere per tutto la
sofistica e riformare la scienza. Ma le dottrine di uno scrittore non
si possono studiare senza la sua vita, e però il Luciani dà nel Gap.
quarto il processo detta vita inteUetUiole e ordine ideale déUe opere
di Gioberti ; processo studiato assai bene , tanto da poter porgere
nettamente nel cap. quinto la liiieazione di tutta la dottrina di Gio-
berti ritratta dalla prima sua opera^ cioè dalla Teorica del Sopra-
naturale, (tede, il volume va concbiuso che V opera del Gioberti fu
un* opera di nazionale rinnovamento nel pensiero, che nessun' altra
filosofia tranne la giobertiana sarebbe stata e nazionale, e civile e
religiosa, qvale alP Italia si conveniva e si conviene; né è da pen-
sare che r illustre filosofo e riformatore siasi mai nelle diverse sue
opere sostanzialmente contraddetto.
Il Gioberti non cominciò a mettere in atto il suo disegno che
quando già nella sua mente era legato e compiuto. E V esecuzione
del disegno meditato per più che venti anni cominciava secondo il
Luciani con V Introduzione allo studio della filosofia, e doveva aver
fine con la Riforma Cattolica della Chiesa.
Nel nostro critico non va nulla dissimulato ; egli accetta il Gio-
berti tale quale lo danno le opere pubblicate e il Carteggio;' e in-
tanto lo mostra sempre, da dopo il 183K in poi, consentaneo a se
stesso, e non alienato mai da' principi! filosofici e religiosi ne' quali
si era fermalo. Le ultime opere non sarebbero che la spiegazione,
non della forma , ma della sostanza delle prime. E il voi. %^ di
questa Parte Prima dell' opera del nostro crìtico si apre difatti colla
sposizione della Introduzione , ctie è la prima scrittura colla quale
il Gioberti dava fuori il suo disegno.
Ad intendete meglio il quale hai in esso volume per primo l' an-
damento della filosofia italiana nel nostro secolo, finché t V autono-
mia dell' ingegno speculativo italiano spiega il suo ultimo e com-
piuto atto con Vincenzo Gioberti. > E assai profondamente è stu-
diata la polemica del Gioberti col Rosmini, cosi come sono addentro
sviscerate le due opposte dottrine dell'ontologismo e del psicolo-
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102 NUOVB KFFtMBRIDI SK^UANE
gismo , ed è guardata con molta acutezza di vista la teorica della
creazione signiScata neUa famosa formola l' Ente area le eristenze ;
nella qoale si raccolse V antica e la nuova fliosofla , e il procedi*
mento storico che die finalmente alla scienza la sifiàtia formola. Pel
Luciani tutto il forte e il secreto della filosofia giobertiana , nella
quale non vuol distinte sostanzialmente, come altri ha fotte , due
fasi , sta nella distinzione e natura del pensiero immanente e del
successivo , deir intuito e della riflessone , del modo obbiettivo e
divino e dell' altro subbiettivo e umano del pensiero ; e da ciò che
< la stessa riflessione che v' ha tra la riflessione e V intuito, tra il
pensiero successivo e V immanente, v' ha tra la filosofia essoterica
del primo periodo , e V acroamatica del secondo ; e il l^ame e la
unione che v' è tra queste due filosofie ò il medesimo che lega
ed unisce le due facoltà e i due pensieri (pag. 135). > Il critico
napolitano siccome si è detto non trova opposizione alcuna nelle
scritture del Gioberti, ma due faccio di uno stesso pensiero, due
periodi dello stesso senso, condotti da natura e da arte del filosofo
che sapeva come porgere io stesso sistema sotto forma progres-
siva, ascendendo dal più facile al senso più difficile della dottrina.
Pertanto , secondo il Luciani , il Gioberti nelle ultime opere non
smesse mai i principi delle prime ; in tutte e' è lo specchio dia-
lettico della mente delP autore, e a torto da certuni, o per lodare
0 per biasimare giusta i diversi intendimenti il filosofo torinese,
si è predicalo che Gioberti avesse contraddetto a se stesso sia fe*
licemente secondo gli uni, sia infelicemente secondo gli altri.
Il Luciani ha fatto studio pazientissimo e diligente delle lettere
del Gioberti, nelle quali trovò il filo che lega tutte le opere dello
illustre filosofo ; e non nega che ci fu tempo quando il Gioberti
ebbe della filosofia, della civiltà, e della religione tutt' altro concetto
che quello già formato nella sua mente quando si die all' opera dello
scrittore, e poi svolto per tutta la vita, senza più mutarlo nella so-
stanza, ma solamente maneggiandolo differentemente ad arte ed a ne-
cessità richiesta dal sistema medesimo. Lo svolgimento del pen-
siero del Gioberti sia rispetto a filosofia; sia rispetto a politica e a
religione fu un dramma , diviso in tre atti , dice il Luciani sopra
parole dello stesso Gioberti : « il primo atto contiene la filosofia es-
soterica, il terzo r acroamatica , il secondo , in cui accade la lotta
co' Gesuiti tappresenta il trapasso dell'una filosofia all'altra (pa-
gina 196). > U terzo atto potò aversi solt' occhio dopo morto il
Gioberti nelle opere postume; e benché per noi si creda che il
Gioberti nel terzo atto dimenticò qualche volta le mosse del primo,
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CamCA UETTKRARU 103
fingendo intanto di arerle presenti, vogliamo augurare all'egregio
crìtico che nel terzo alto sapesse yeramenle trovare il, filo di rìcon-
durd al primo senza salti e vie tortuose , ma dirittamente e eoo
continuità di cammino. Ritorneremo pertanto sopra quest'opera di
crìtica importantissima, massime per le diverse sentenze -dello Spa-
venta e del Ferri, quando avremo a mani la Parte Seconda che
tratterà della Filosofia acroamatica del grande filosofo.
• V. Di Giovanni
Mcillanisclie lUrelieii. Leipzig, Engehnann, 1870, voi. due.
Dopo r esempio dato da quei due grandi , che furono i fratelli
Grimm , le novelle popolari (Mtìrchen) sono divenute in Germania
oggetto di lunghi e pazienti studi, e già è stato largamente esplo-
rato non il suolo patrio soltanto, ma anche quello dei popoli conter-
mini, evia via quello dei lontani. La letteratura universale {Welt-
liter(Uur\ la psicologia popolare (Volkspsichologié) e la mitologia com-
parata ripromettono tutte egualmente conforti ed aiuti da quelle in-
dagini : ma forse ancora , mentre tuttavia ferve V opera di racco-
gliere e di classificare, non è giunta V ora di chi abbia a dedurre
r ultime conseguenze scientifiche di cdsifatti studi. L'Italia nostra è
stata sinora una delle Provincie meno esplorate dai dotti Tedeschi,
i quali forse isperavano che noi avremmo da per noi stessi posto
mano air opera : ma poiché quella speranza non si è ancora veri-
ficata, ecco essi stessi cominciano a raccogliere le novelle tradizio-
nali di un popolo ; e buono iniziamento a quella impresa sono i due
soli che annunziamo , di racconti siciliani. 1 quali furono raccolti
prindpalmente in Messina, dalla signorina Laura Gonzenbacli, tede-
sca nata in Sicilia; furono pubblicati dal sig. Ottone Hartwig, già noto
per altri lavori sulP isola, e riccamente annotati, con confronti con-
tinui ai racconti di altri popoli dal sig. Reinhold Kohies di Weimar.
Quanta ricchezza di poesia sia dentro a questi due volumi, se 1 può
immaginare chi, ancora neir età provetta, ricordi quelle immaginose
narrazioni, colle quali la balia o la madre gli educarono la fantasia
e gli acquietarono lo spirito nell'-età infantile.
Sono in tutto 02 novelle tradotte; che vengono riportate in dia-
letto siciliano. In fronte a ciascun volume stanno frapposti ritratti
d' una giovane di S. Pietro di Monforte e d' una vecchia di Catania,
che furono fra le più benemerite cooperatrici della signorina Gon-
zenbach. Ecco un premio , atto assai probabilmente a sollecitare
r ambizione di altre popolane raccontatrici! A. D'A.
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PREMI E ONORIFICENZE— Cosare Gaotù ha Tinto il premio di lira 1500 pro-
posto dal Mipistero della guerra per un libro di lettara pel soldato italiano. Nel
concorso il sao ms. portava il motto : arma virumque eano.
NEGROUXSIA — Il 19 marzo cessò di yiyere in Padova soa patria il conte An-
drea Cittadella- Vigodanere, Senatore del regno. *Egli contava 75 anni , ed era ano
degli scrttori più valenti e de' filantropi più sinceri d'Italia.
— Il 5 corrente in Urbino moriva il conte Tullio Dandolo, celebre storico e lette-
rato italiano.
— Il 19 è anche morto in Firenze il letterato Pietro Bigazzi.
APOLOGIA — Il letterato romano Achille Monti, in un libro or ora pubblicato in
Roma, ha tolto a difendere con buone e sode ragioni Vincenzo Monti, mostrandolo
politicamente ottimo cittadino e della libertà della patria amantissimo.
SOLENNITÀ' — Il 6 aprile è sUU celebrata in Urbino la fesU di Raffaello San-
zio, coir intervento di deputazioni speciali di Firenze, Venezia, Modena, Ravenna,
Mantova, Perugia. Il Tommaseo da Firenze vi andò a leggere un discorso ; e Tullio
Dandolo vi recò da Rom i la forma del cranio del famoso pittore.
BELLE ARTI — Il Messinese Giacomo Conti, pittore conosciutissimo , dimorante
da molti anni in Firenze, ha esposto per alcuni giorni di aprile un suo nuovo qua-
dro rappresentante i Vespri siciliani, del quale in un lungo articolo cosi ragiona il
sig. F. De Luigi nella Gazzella del popolo di Firenze:
« 11 dipinto di cui parliamo raccoglie V attenzione di chi lo guarda su tre gruppi
principali; il centro del quadro occupato dall'azione principale , cagione e stimolo
air improvvisa sommossa; la sposa oltraggiata, discinta, quasi svenuta sta per cadere
nelle braccia dei congiunti ; mentre lo sposo rivolge il pugnale desideroso di vendetta
suir atterrato Druet. Più innanzi sui due lati del quadro due episodi della lotta tre-
menda che sta per impegnarsi ; suUo sfondo la Chiesa di S. Spirito e 1 ridenti din-
torni di Palermo, poi un popolo intero che si agita, che chiama i compagni a rac-
colta, i primi segni del furore popolare , che vuol punire collo sterminio l' oltraggio
del soldato straniero, e liberare la patria da obbrobriosa servitù. La tinta del cielo
segna l' ora del tramonto, è il cielo limpido, trasparente, quasi africano della Sicilia;
sotto quel cielo« si capisce come vegetino la palma e l'arancio, come il fuoco romo-
reggiante nelle viscere della terra, animi lo sguardo, le pose minacciose e sdegnate
di quel popolo furente. Dapertutto lo sdegno, il timore, l' incertezza, la' vendetta,
la confusione, le speranze della lotta ; e tutto questo con una distribuzione felicissima
di tinte, con un armonico contrasto di colori, con una diligenza , e perfezione di di-
segno e di esecuzione fin nei più piccoli particolari, con un naturale raggruppamento
di figure , che rivelano nel Conti un artista sicuro nella mano e nel concetto. La tela
« racchiusa in una ricca cornice durata, che porta al centro nella saa parte superiore
l'emblema della Trinacria e nei quattro angoli le armi delle quattro Provincie prin-
cipali deir Isola : Palermo, Messina, Catania e Siracusa. •
— Il nostro scultore Vincenzo Genovese ha terminata una statua in legno di Gesù
Cristo risorto , destinata pel maggior tempio di Casteltermini. Essa merita lode per
la maestria ond'è condotta.
G. P.
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BULLBTTINO BIBLIOaBAFIOO
SULLE ANOMALIE di taiuni wgani del
corpo umatìo osservale dal DpU. Vin-
cenzo If ARCHESANO. Palormo, I8M.
L*A. dice an&maUe e Don deformila o
moeiruotUà del corpo umano» quelle da
M oseenrate, perchè le yarìetà delle qfuali
parla ri dipartono ai dall'ordine consueto
va non alterano le Amiioni degli appa-
recchi dell' organismo. — Non è a dire se
e quanto importino alle scienze anatomi-
che rifatte ossenrarioni, e i vantaggi che
può trarne la chirurgia operatoria; code-
sto è stato avvertito mai sempre dai più
grandi anatomisti e chirurgi da Plinio e
Solino al Caldani e al Gorgone. 11 Dot-
tor Marchesane tesse dapprima la storia
delle anomalie più celebri : e poi viene a
descrivere tutte quelle che gli è venuto
fatto di notare dal 1850 in qaa, cioè ne*
vent' anni da lui con pari pazienza ed a-
more spesi nello studio delle scienze ana-
tomiche. Tali anomalie, parte delle ossa,
parte de' vari , parte de' muscoli e delle
ghiandole, de' visceri del sistema nervoso»
r A. passa a rapida ma chiara e precisa
rassegna, raffronundole allo spesso con
altre rimili osservate da vari autori » e ,
per divozione al santo principio del cui-
que suum, citandone gli scopritori tra co-
loro che han collaborato insieme con lui.
G. P.
DISCORSO Ulto nella grande aula della
B. Università di Parma nell'apertura
di tutti gli studi il giorno XVI no-
vembre 1869 da Pietro Del Prato.
Parma, 1869.
In questo discorso , ricco di peregrine
Doliiie ed eletto per forma, l'illustre au-
tore s'intrattiene della veterinaria e della
medicina comparau in Italia da Renato
Vegerio a' di nostri. Egli, come professore
di medicina e clinica veterinaria, è me-
glio che altri nella fortunata condizione
di parlare per propria esperienza di una
facoltà che coltiva con Unto lustro e de-
coro; e però senza vanterìa e iattanza
rivendica all'Italia delle glorie che gli
stranieri si arrogarono, e mostra come lo
studio della veterinaria, che alcuni si ar-
gomentano di sfatare, fatto con coscienza
possa soccorrere e venir soccorso dalle
scienze mediche guardanti solo alla sa*
Iute dell' uomo.
Lo prime pagine di questo libretto ac-
cennano ai progresri fatti dalle scienze
morali e naturali nell'età moderna, e
agli uomini che più vi hanno contribui-
to; donde apparisce il grande amore che
il dott. Del Prato sente per la patria co-
mune, la quale va meglio onorata nelle
sue glorie, di quello che adulata nelle in-
temperanze, che prendon cosi spesso co-
lore di aspirazioni generose e di virtù
male interpretate. G. P.
DANTE E LA SICILU, Bicordi di Lio-
NARDO Vigo. Palermo, L. Pedone Lau-
riel editore, 1870.
Ben augurata ci viene questa nuova
pubblicazione dell' illustre Autore del
poema il Buggiero , e non indugiamo a
darne contezza ai nostri lettori. Son ri-
cercati in essa i legami tutti politici e let-
terari che uniscono Dante e la Sicilia no-
stra, e messi in piena luce il rispetto a-
moroso del divino poeta per le cose si-
ciliane, il suo amore ai re normanni e an-
che svevi , l'ammirarione al popolo gi-
gante del Vespro, l' odio a tutti i nemici
di lui : cose tutte registrate nel Poema ,
0 nelle altre opere minori , dalle quali
il Vigo con religioso rispetto, le va rac
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106
NU<>¥B BFFBnBIDI SIGILIANB
cuglieodo» ed amorosamente iUustrando.
TiUlo ciò che più da vicino riguarda Tar-
gom6Dto> e pad dargli luce» il Vigo esa-
mina e discute : e cosi viene poi alla
lingua, alla sua origine e grande cultura
presso di noi, onde « tutto {uello che gli
eccellenti italiani componevano.... si di-
ceva italiano; • ai poeti volgari della corte
sveva, ed a Giulio anxitutto , su V anti-
chità del quale moltissimo in questi ul-
timi tempi si è discusso. Passando poi
alle relazioni che corsero tra Dante e la
Casa d' Aragona, egli con plausibili ipo-
tesi conchiude, che il Poeta conobbe re
Federico, forse in Velletri ed in Pisa, ol-
tre air amicixia da cui eran legati , per
testimonianza del Boccacci. Ck>a inge-
gnose ed acute induzioni viene finalmente
a mostrare probabile la venoU dall' Ali-
ghieri in Sicilia, venuta che, se il silen-
zio de' sincroni non può far stabilire
come certo, è però appoggiata dagli Al^
dighieri tra noi, dalla tradizione, dalTa
imboieiata di Manfredi a Dente, per la
figli* Gostanza , dalle dichiarazioni del
Poeta stesso, dalla eonoicenza del volgare
plebeo ticiliano, dalle pitture topiche deN
r Isola : cose tutte egregiaaentft passate
a disarnHia dal nostro Autore. Gon lui a*
dunque noi ci congratuliamo di tutto cuo-
re, e per la dottrina che adorna questi
suoi ricordi, e per la nuova luce che ver-
sano essi suir Isola e sulle lettere nostre.
S. S-M.
DIZIONARIO DELLE STRADE DI PA-
LERMO, preceduto da una corsa per
Palermo e suoi dintorni e seguito da*
cenni biografici degli uomini illustri
nominati nelle lapidi della città per
Carmelo Piola. Palermo, Amcnla, 1870.
Questo libro indirizzato dalFA. a quel-
r egregio eh' ò il prof. G. Cazzino, non
solamente ci sembra pregievole per la u-
tilità che ne trarranno le classi per le
quali specialmente venne composto , ma
pel vantaggio che ne avranno tutte quelle
persone cui sarà dato di svolgerne lo pa-
gine. Infatti col nome delle strade paler-
mitane sono richiamate le tradizioni sto-
riche, e spesse volte ancora le antiche co-
stumanze della città. Le quali cose , che
molti diflkilmente riscontrerebbero nello
croniche antiche o nelle descrizioni eru-
dite che altri hanno scritto di Palermo ,
coir opera del sig. Piola a tutti ora è
dato di conoscere con facilità, e quasi di-
remmo occasionalmente, n discorso d'in-
troduzione che prende ben XXXIII pa-
gine contiene una succinta ed elaborata
istoria della città ; e in esso nulla è tra-
lasciato che sia notevole io toma alle tra-
dizioni^ alla topografia palermiuna. Al-
cuno dirà che questo libro abbia un in-
teresse temporaneo; ma noi crediamo che
sia destinato a vivere per la storia : per-
chè infatti , di topografia non ci agite-
remmo oggi fra le incertezze se i no-
stri progenitori ci avessero lasciato di si-
mili opere. S. G.
r PRIMI SEI CAPITOU DELL' EVANGE-
UO DI SAN MATTEO da un codice a
penna del XV secolo posseduto da un
sozio della A. Coni, pei testi di Uugua
ora la prima volta messi a stampa con
note e ^liarimenli. Bologna, tipi Fava
e Garagnani, 1870.
Queir illustre e dotto uomo eh' è il Gav.
Francesco Di Mauro di Pòlvica è il pos-
sessore del codice , e 1' editore di questi
sei Capitoli, come a saggio della sua in-
tera pubblicazione degli Evangeli ch'egli
preparasi a fare. Non dubitiamo che que-
sta riuscirà una delle più belle pubblica-
zioni in questo genere, si perchè avrem-
mo un prezioso testo volgare dell' Evan-
gelio e, di vantaggio, perfettamente orlo-
dosso; si ancora perchè di aureo dettolo,
se ne togli le uscite de' verbi e le termi-
nazioni de* nomi del vernacolo napoli -
tono e la ortografia romanesca , dovute al
menante che napolitono e dimorante nella
Comarca vicino Roma, avendo sott' occhio
un autografo toscano, versò nel suo la-
voro a larghe troscie i germi delle tre re-
gioni dialettiche • «
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BULLBTTINO MBUOGRAFIGO
107
li Di Manro fe vedere la superiorità del
codice suo a paragone de' due volgarina-
meDti, e non interi, conoedafi degli Evan-
geli, editi Tnno dal Cicogna, l'altro da
Cristoforo Arnoldo : fa de' rafllronti con
essi e con i testi a penna della Riceardiafka
di Firenze e con 1* edizione principe del
Tolgarinamento del Malermi. « Con la
Voigata nanti al goardo e spesso il testo
greco (egli dice) , co' Comentarìi del P.
Galmet e le Opere di San Girolamo e di
Santo Accostino, presi a chiarire le diffi-
coltà e le oscnrezse dell* originale e della
rersione. Per qnello che alla linguistica
ti attiene, nd tutte discorsi le ragioni
grammaticaU , nò tutte omisi ; ma, ser-
bando giusta misura, non lasciai nodo
da slacciare , e neppur fecimi a cercar
r osso nel fico. Il Martini e il Diodati
furono essi pure compulsati all' uopo ,
senza discorrere di più opere che siffatti
studii maravigliosamente correggono. •
Noi ci congratuliamo cordialmente col
ralente Cav. Di Mauro e, se la nostra
▼oce potesse valere a qualche cosa, lo
inciteremmo a completare il suo stu-
pendo lavoro , che non può non dargli
tutto l'onore che merita, e 1' approva-
zione de' dotti e dei buoni.
S. S.-M.
DEL aLENTO E DEL SUO DIALETTO,
Lettera di Federico Piantirri ad Er-
nesto Palumbo. Bologna, 1870.
Colto e versatile ingegno, il Dr. Pian-
tieri vuol OMWtrare in questa lettera quanti
aiuti potrebbero venire alla lingua ila-
liana dallo studio de' dialetti e segnata-
mente da^iuello del Cilento , nel quale
il sig. Piantieri nacque. A conferma del
fatto sno egli reca assai belle voci cilen-
tane, parte piccolissima d' un suo lavoro
inedito intitolato: Voci italiane da eri-
tiearn e da iUuttrarti ; ma non tiene a
mente clie alcune di esse son già tosca-
ne, e ur altre di quasi tutta l'Italia del
mezzogiorno, da Napoli a Palermo. De\^
resto dubitiamo che il manteeino sia un
composto di ante e «tuo o di manto sino,
quando esso ò per noi siciliani un alte-
rato di manio, e che baciata sia un no-
me collettivo.
n nostro bravo amico continui intanto
questi pazienti studi, e noi gliene saremo
grati. G. P.
BUON SENSO E BUON CUORE, Confi-
renze popolari di Cesare Cantd'. Mi^
lano. Ditta editrice G. Agnelli, 1870,
grosso voi. L. 4, 80.
Mancandoci lo spazio per la presente
dispensa , abbiamo rimandato alla pros-
sima un articolo critico su questa eccel-
lente nuova opera dell'illustre storico, o-
nore della Italia moderna. Ma perchè i
nostri lettori ne avessero al più presto no-
tizia, abbiamo fatto per ora questo sem-
plice annunzio. S. S-M.
LE SCUOLE MIUTARI DI CANTO, LH-
tura del prof. B. E. Mainbri ecc. Mi-
lano, Agnelli, 1870.
Il bravo maestro G. Yarisco s' ò fatto
iniziatore in Milano di una scuola di
canto pe' militari ; e nel marzo ora scorso
ha dato si bella prova del suo insegna-
mento mercè ub pubblico saggio de' suoi
allievi , che il prof. B. E. Maineri ne ha
discorso con molta lode in una lettura
che abbiamo sott' occhio. Carlo Mariani ,
il valente autore del PbÈtareo Italiano ,
ha detto il bene che si può di questa sen-
nata lettura (v. Corriere di Milano, num.
106), e noi non possiamo se non unirci
a lui nell'apprezzare quanto essi meritano
i vantaggi morali , materiali ed artistici
della novella istituzione dimostrati dal
Maineri. Bella cosa è vedere trailotti ad
atto e favoriti da persone intelligenti e di
buon cuore pensieri e disegni tendenti al
miglioramento di qualunque par. e della
società ; e però ci rallegriamo col bene-
merito sig. Yarisco , che trova iocuora-
menti all' opera sua, e col Maineri che
sa cosi bene impiegare la sua calda ed a-
morevole parola. G. P.
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NUOVE IFFElIBaiDI SIGILUIfl
ELOGIO AGCADEMIGO DEL PROFES-
SORE GAY. CARLO GEIIMELLARO
IHto all' Accademia Gioenia di icienze
■ naturali dal Dott. Andrca Aradab.
CaUnia. Calatola, 18<M^.
Bel tributo di onoranza ha reso ali* il-
lustre sno socio Carlo Gemmellaro l'Ac-
cademia Gioenia pnbblicandooe questo
elogio scrìtto dal eh. prof. Aradas. Nel
quale dogio tu trovi guardato dal giusto
panto il celebre naturalista, vuoi come
scienziato e vuoi come cittadino. L' Ara-
das ce ne ritrae la mente ed il cuore,
ma più quella che questo, e ce ne fa la-
menure viemmaggiormente la perdiu
mettendolo in relazione a' tempi in cui
egli comparve e fecesi innanzi nel campo
della vulcanologia. Peccato che in una
opera importantissima come questa il
eh. Autore sia stato costretto alla forma
accademica, la quale ha fatto si che pò»
chissima parte di notizie sia entrata nelle
sue pagine. Di fatti, mentre l' opera ò
in un bel volume in 4* di fogli 200, soli
quaranta servono allo elogio, dove senza
dubbio avrebbe potuto entrare qualcuna
delle 123 note che VA. con infinito stu-
dio accoda all'elogio stesso.
Cosa che non dobbiam tacere intanto
é che , volendosi tesser la storia delle
scienze naturali in Sicilia nel sec. XIX,
non potrà farsi a meno del presente vo-
lume, che tutta la compendia ed illustra.
G. P.
LA PRIAIIÈLE dant Us diffèrmUet LU-
tiraturet anciennei et modemes par F.
G. BBRGVAifN. Colmar, Imprimerie De-
cker.
II. Bergmann, ben noto agli Italiani per
dei lavori pregevolissimi sopra Dante, in
questa nuova operetta ha tolto a studiare ^
un genere di componimento, la cui impor-
tanza non si ò finora apprezzala. Il nome
di Priamela ei lo sceglie perillustrare una
specie di madrigale, di cui il primo o l'ul-
timo verso racchiude la proposizione sin-
tetica che viene svolta ne' versi seguenti
0 nd precedenti. Cott per citare un esem-
pio nostrano, quando si dice cogli Assa-
roti, nella pfovìnda di Catania:
Dui su' li paisi di lu munnu:
Asarn primu e Roma secnnnu;
si è già detu una breve Priamela, come
moltissime se ne dicono dai letterati e
dal popolo. La PriamtU è un componi-
mento didattioo; e il Bergmann con eru-
dizione copiosa la esamina presso tutti i
popoli antichi e moderni, aoeompagnan-
Jola con gravità di concetti e profondità
di vedute fin dal suo primo nascimento.
E basti del primo ricordo di uno scrit-
tore, su cui avremo argomento di ritor-
nare quanto prima. G. P.
COMTE DE PUYMAIGRE : Heum per-
duet. Metz, Rousseau-Pallez.
Le ore spese all'arte son sempre bene
spese , e il Conte de Puymaigre è stato
molto ingiusto co' suoi versi raccoglien-
doli sotto il titolo di Heuret perduet. Chi
è capace di sentire e coltivar l' arte col-
r affetto e la devozione ond'egli coltiva
quella de* carmi , chi nella poesia trova
come lui l'espressione dell'anima santa-
mente innamorata del bello , del buono,
del vero , non può dirsi che non impie-
ghi bene il suo tempo.
Questo volume riunisce in sé molti e
non comuni pregi ; duo de' quali , e
di non poco c^nto per noi . l'affettuoso
ricordo che l'A. fa dell'Italia e delle sue
bellezze e lo studio che vi mostra dei
classici italiani, di Dante soprattutto. Del
quale, il Puymaigre non solo ritrae a pro-
posito concetti e versi, ma benanche tra-
duce nella sua lingua e con fedele ele-
ganza il Y dell' Inferno. Altre traduzioni
ha l'A . ; ma i lettori sapranno conpren-
dere perchè noi italiani preferiamo que-
ste del Divino poeta. Di affetti casti e se-
reni abbondano molte pagine ; e noi ci
Siam sentiti sollevare alla virtù leggendo
questi modesti fiori, che anche per nói,
noll'obblio a cui li ha condannati l'A., e-
salano un soave olezzo. G. P.
/{ Gerente : Pietro Montaina
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NUOYEJEFFEHERim SICILIANE
ANNO II. DISPENSA III. GIUGNO 1870
SUL DIALEnO GRECO
DI SICILIA
(Continuaz. Vodi voi. I, disp. XI)
IL
Il sig. Giovanni Arens ^ di cui nel precedente articolo commen-
dammo la dissertazione filologica sol dialetto di Sicilia, raccolse in
fine del suo pregevole lavoro i vocaboli, che sono speciali ai Sici-
liani (De vocabulis , quae Sieulis propria stmt) e lo fece nel § 21,
che è r ultimo, dalla pag. 44 » 52. In questo piccolo glossario egli
ha creduto omettere mofte parole, che noi, allargando un poco il
suo concetto, avremmo amato non si tacessero in un libro sul lin-
guaggio dei Sicelioti, né si trascurassero con tanto stretta parsimo-
nia. Ond' è, che messici a discorrerò suU' argomento, varie di que-
ste voci, delle quali il filologo alemanno non volle occuparsi, ver-
remo soggiungendo qui; il che sarà giudicato non inutile, onde dal
fatto sin'oggi possiamo meglio vedere il da farsi ulteriormente per
r indirizzo avvenire di questi studi.
'v6ai. Questa voce si trova adoperata a dinotare i torrenti di fuoco
e di sassi liquefatti, che impetuosamente prorompono dal cratere
dell'Etna ; cioè il fenomeni vulcanico preso dal lato suo più saliente,
eh' è la corrente di lava. Tucidide adopera il vocabolo, parlando ap-
punto del torrente di fuoco vomitato dali^Elna : 6 j3iSa$, cosi egli, xoù
Ttopò<; ix TTi<; AXvrt\<; (III. 116). Platone, assegnando con intuito su-
blime una causa unica alle eruzióni vulcaniclie ed al calore delle
sorgenti termali , la simboleggiava nel Piriflegetonle (DupicpXeYeOtuv)
fiume di fuoco che scorre nelle viscere della terra, massa in fusione
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iiO NUOVE BFFBMERIDI SICILIANE
e sempre in moto. Al. Humboldt osserva nel Cosmos (1), che, se-
condo le idee geognostiche dei grand' uomo, come ce le presenta
il Fedone (2), il fiume di Platone corrisponde, per V attività vulca-
nica, al calore centrale interno della scienza moderna. Tal' è, dice
egli , quello che chiamano il Piriflegetonte , di cui alcune porzioni
escono verso P allo, e formano lorrenti di fuoco (ol ^uaxe<;) che ap-
pariscono ovunque sulla terra {^ oi^ viyjiàdx «nii; ^^ic) — Questi fiSaocec
sono veramente le correnti di lam^ come dice Humboldt, e non le
montagne ignivome, come vorrebbero Schneider, Passow, e Schleier-
macher. Dippiù Platone distingue le correnti di lava (^éatxtc) da quelli
che nel capo superiore (LX) chiama fiumi di umida creta (^pou
icT^Xou ico-caiJLoi) — Diodoro parlando de' Sicani e degli spaventi che
loro cagionarono V eruzioni dell' Etna adopera lo stesso vocabolo
p6ai (Y. 6.); ed in altro luogo narra, che molte città situate presso
il mare, e non lungi dall' Etna, furono sepellite .6icò -eoo xaXwjjivou p^a-
xo< (XIY. 89). Il Wesselingio, nelle sue note a Diodoro, cementando
r aringa di Licurgo contro Leocrate, e le parole di Ermogene {De
Invent IL), di Strabene (VI. pag. 269. Xlll. p. 628), di Appiano^
di Tullio, Longino etc., vuole a torto, che la voce ^<K esprima non
solo il profluvio del fuoco eruttato , ma i luoghi altresì devastati
dalla lava, e gli stessi crateri dell' ignivoma montagna (3). Nel che
è stato ribattuto dal can. Alessi (4). Anche Teofirasto avea scritto un
trattato sulla corrente vulcanica in Sicilia, nepl tou ^óaxo< èv ZvKtXUf ,
che vien citato da Diogene Laerzio (Y. 39) ma sventuratamente non
pervenne sino a noi (5). Come si vede, Teofrasto adopera la stessa
parola, che tutti gli altri. Essa è quindi di un uso speciale per di-
notare il torrente dell' Etna.
La voce ^u(xS occorre continuamente ne' diplomi greci del medio
evo, per fiume , torrenle. La sua etimologia chiaramente è da puu)
scorro^ donde rivus^ rio. U r dolce esprime nelle lingue la flui-
dità {rigo, roro, aura, aere etc).
(1) Tom. I. pag. 451.
(V <t>aiO(ov cap. LXI. Citiamo l'ediz. di Firmìo Didot, Paris 1856 secondo la re-
cens. di Hirschig.
(3) AdnoiaL ad Diod. SU, BiM,. Hisl. Y. 6. XIV. 59
(4) Sior, Crii, deU'Elna, Disc. 1.
(5) Si consultino pure Scoi, di Eschilo Prom. 367 ; Sesto Empirico; Arìslotile nepl
6au(jLao{a)v Axou9(jLd(xa)v ossia Mirab, Atucull, t. II. pag. 833. sez. 38 Bekker ;
Teofrasto Depl AfOcov ossia De Lapidib. { 22. p. 4S7 Schneider. Una quantità di altri
passi esplicanti la voce ^^ ha riunito Ukert Gwgtxiphie der Grieehen, und Romer.
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SUL DIALETTO GRECO DI SICILIA III
Kaxairop6(jL{a<;, da icopBfiio'c Stretto, d detta di Aristotile nel suo trattalo
de' luoghi e nomi dei venti ( Avéjawv eé<jetc xal icpoaTj^op^at l. 973. e-
diz. Bekker) è il nome dato dai Sicelioti ad un venio, che spira dallo
StretlO di Messina : év Bì ZtxeXfqc xaxa7top6(jL{ac. Tcvécov àizh ToO icopOjjLoO.
Lo StretlO di Messina vien ordinariamente chiamato Tcope^ibc £ixe-
Xtx<{<;, cosi Strabene II. 5. 19 — itopejjLcJc e xVP^^*? Tucidide IV. 24
— Tcopejji^c StxeXCai; AristoUle Mir. 142 — icopOiJLÒc £xuXXato< Ateneo
VII. 311 — ZtxeXòi; f(fo< Dionisio Periegeta 83.-6 nepl x^v ix^sxXav
ito^\K6(; Platone ep. VII. 3i5.
U mare si muove in questo stretto con una corrente, die alterna
la soa direzione giusta il periodo della marèa ; il che i poeti rive-
stirono della favola di Scilla e Cariddi. L' Alighieri accenna al fluire
e rifluire delle onde vorticose, in quei versi:
Come fa Tonda là sovra Cariddi,
Che sMnfrange con quella in cui sMntoppa.
Si sa, che il fenomeno de' vortici e de' fili reflui è cagionato dallo
incontro delle correnti sottomarine del Ionio e del Tirreno. I Mes-
sinesi distinguono la corrente col greco nome di rema ; quand' en-
tra da settentrione, la chiamano rema discendente ; quando viene da
mezzogiorno, la dicono rema montante (1).
Ripx(x<; è il nome d' un altro vento, ricordato da Aristotile ( A-
vé|«Dv elaeic xa{ icptxnjYopfat I. 973, ediz. Bekker) e cosi chiamato in
Italia e in Sicilia, perchè spira dal Circeo h $à 'lxoiXi<f xa( ZixtXi<f Klp-
xa< Sia xb itvetv ành xou Ktfxa{oo. — Seneca (QtMest. Nat. V. 17) 'fa del
pari menzione d' un vento Circeo (K(pxtoc), al quale Augusto, trovan-
dosi nelle Gallio, votò un tempio, perchè rendea T aria salubre.
AtpxCav. Teofrasto (nepl AvipDv fr. V). parla d'un rapido vento (ip-
Y&<rci^<) che i Sicelioti chiamarono AspxCa (da ^spxu) vedo?) Ecco il
passo, che da taluni però si vorrebbe correggere (2). ol (jlIv oiSv o-
XufjLTcCav, oV Sé SxCpova xaXou9i, o\ itepl ZtxeXfocv Aepxfoiv.
Questi vocaboli concementi l' istoria naturale dell' Isola non sono
notati da Arens. Cosi quelli di alcune pietre, piante, e di animali.
Ax^^c. L' agata è tutta cosa siciliana; e tale è pure il nome, che
in un glossario greco siculo non dovea venir trasandato. Fu detta
così dal fiume Achato od Agato^ chiamato Dritto da Cluverio e da
(I) Leggasi sulla famigerata Cariddi un lungo capitolo dello Spallanzani no* suoi
Viaggi alle due Sicilie. La Memoria dello Scinà Sui fili reflui e vitrtiei apparenti
dello Stretto di Mestina trovasi nel num. 26 delia Btbl. Ital. fcbbr. 1818 e nel vo-
lume 1. delle Mem, del Capozzo.
{2} V. Scbneider.
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ii2 . NUOVE EFFKMBEIDI SIGIUANE
Massa (i). L'agata ^ com' è nolo , di pasta più fina della selce» è
una sorta di quarzo che si forma nelle cavità delle lave antiche. Il
merito priucìpale delle agate in tutte le loro varietà (diafiane, semipel-
Incide, macchiettate, «pataaa^àTTjc xepot^^dtxTjc, aap$«x<4'"l<. odjia^^dkTjc^Xeu-
xoiyàvr\(;, xopaXXoax<i'ci)<;) è nella gaiezza e leggiadria dei colori (2). La
più pregiata dagli antichi era l' agata orieotale; delP agata onice tace-
vano i cammèi; aveano Pagata diaspro e Pagata arborizzata. Teofrasto
nella soa opera sulle pietre (nepl Twy Aieov) riconosce Tetimologia dei-
V agata dal fiume Achato in Sicilia: KaXò< $1 A(6oc xal & <xx<^'^<: ^ à-
xh 'Ax<i'tou icora^jLoo xoo iv 2w«X(<j[ (3). Plinio scrive, che V agata lu tra
noi la prima volta rinvenuta , reperta primum in Sicilia jnxta flu-
meìi eiusdem nominis (4). Lo slesso sottosopra legge» nel Ditta-
mondo (IIL 13) Agato fiume dair agata pietra. Parlando di questa vo-
ce, fanno a proposito e V Acate, compagno fedele di Enea (v. ScoL
d^ Om. Iliad. IL 702) ; ed un Acate siculo , compagno di Bacco
(Nonn. Dion. 13, 309, ed altrove); e r.4oat^, che occorre in molti
luoghi di Sicilia, a testimonianza d'Amico; ed il nome di Agata
reso illustre dalla vergine martire della nostra Chiesa primitiva.
Certo le agate siciliane furono conosciutissime nelP antichità, ed as-
sai ricercate, poiché se restavano inferiori in durezza alle orientali,
ben a' colori variati e brillanti le superavano. Le sale di Cerone,
secondo un passo di Atenèo (V. 207), erano lastricate di agate e di
altre pietre preziose delP isola. Ed in Sicilia era copia di cammei e
pietre incise. Solino descrive T agata di Re ¥irro, in cui erano rap-
presentati a maoehie naturali Apollo citaredo e le nove Muse. Que-
sta nobile pietra si lavora con sega, ruota, spianatoio; riceve bel
pulimento, e serve oggi per mille oggetti, come scatole, impugna-
ture ecc. Il nome dunque di à^dcxT^c può ritenersi per siciliano.
Kdbcxoc. Si sa che questa pianga spinosa, sorla di cardo, ricordata
da Teocrito, a? xàv tzóBol xdbcx<K txui|/e (fd. X), cresce specialmente in
Sicilia. Ne parla Atenèo (I. IL), il quale deriva irvocaboio da xdco,
pungo, bruciOy e lo conferisce col ^Cvopa de' Greci e coi cardus dei
romani. La cinara o cardus sativus è il nostro carciofo. Sul cacto»
si vegga Teofrasto ncpl <puxòiv *i<rcop(a<; ossia Hist. Plant, VI. 4. (5).
Plinio, in un passo molto conosciuto dai nostri naturalisti {Hist. Nat.
(1) V. Amico Dizion. Topogr, della Sic,
(2) Agata è wta pietra nera e tonne delle bianche veryolate^ e pare che V uomo
vi $i vegga entro (Franco Sacchelli).
(3) Fr. 2. e yeggasì Schneidcr a queslo luogo. Cil^i un fiume deUo slebso nome
nella Media sull* autorità di Dionisio ('ericgeta.
(4) HUt. Nat. XXXVll. 54.
(5) Ed a i|U('«sio luojjo vodi Siluipidpr vol.lU. p. 498
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SUL DIALETTO GRECO DI SICIUA il 3
XXI. 57.) scrive così : Et cactos quoque in Sicilia tantum nascitur,
9uae proprietatis et ipse: in terra serpunt catdes, a radici emissi, lato
folio et 9pùi080. Caules vocant cactos : nec fasliéUunt in dbis, invete-
ralos quoque. Il nome di cactos va quindi esteso a molte piante spi-
nose, alcune delle quali alimentari *H xiìxtoc, come dice Atenèo, è
tutta la pianta : ol xiixTot sarebbero i nostri carciofi (t).
Molte specie di cactos si coltivano nei giardini di Sicilia, notevoli
per la bizzarria delle forme e per la bellezza de^ fiori. Il fico d' In-
dia {Ficus Indica) che ricopre i luoghi pietrosi e le rupi calcaree
e generalmente sì coltiva in tutti i paesi dell' Isola nostra come pure
in Ustica, Panaria, Basiluzzo, Lipari, Favignana, Lampedusa, Pantel-
leria, dic^i da' botanici cactus opuntia (2).
n-cipvt^ e ZxaXCa. Il luogo dianzi citato di Plinio continua cosi: U-
nnm caulem return habent^ qnem vocant pternica (3), eiusdem sua-
vitatis, sed vetustatis impatientem : semen ei lanuginiSy quem pappon
vocant: quo detracto et corticc, teneritas similis cerebropalmaeest:
vocant ascaliam (&). axé^vi^ , come hanno i codici di Teofrasto, e
non Tclpvi^, come hanno quelli di Atenèo (5), è dunque il caule o lo
scapo dritto del cactos, come oxaXCa n'è il frutto. Praas {Synops. planL
fi. d. p. 206) scrisse, che icxipvi^ è il Silybum marianum L. Quanto
a <nco(X(a, che Plinio rende ascalia, Schneider ricorda sul testimonio
d'Anguillara la voce sccdera de' Greci moderni.
iisXà(jLitupov, nome di erba, in cui degenera il frumento, però men
cattiva del loglio. Galeno Ja ricorda nella sua opera degli alimenti
(L. I. cap. ult). E Teofrasto {Hist. PI. Vili. 5 ) parlando dei fru-
menti, scrive : il Siciliano ha peculiare il così detto (xeXà{j.i7upov, il
quale non è nocivo, né come il loglio pesante e cefalalgico, 6 $1 St-
xeXò< ?8tov S^^et t^ (j.eXà^Tcupov )t«Xoó[tevov, 8 l<mv à^Xa^lc, xaì oò^ <SW-
Tctp tiXpoi, Popò xal xecpaXaXY^c. Corrisponde al fxiSoYpov de' Greci : onde
Dìoscoride (lY. 17.) afferma, che il (lóoc^pov da taluni si chiama (j^e-
(i) Si consultino anche Dioscor. VI, 32, 33. Paol. Egin. V. cap. penult.
(%) Sulle varie sorta di eactot fra noi si veggano Gupani Hortui Cathol. p. 58, 78.
t Panpk. Sic. II. 169; Ucria Horlus PanornU p. 90, 202 ; Gussone Florae Sic. Pro-
dromus Nap. 1827. p. 559.
(3) Plinto toglie di peso da Teofrasto, che scrìve : Itsocv Bì xauXòv òpOòv à-
<p!T}(7tv 8v xaXou9i Tcrépvtxa. //«(<• pl* VI. 4, 11. dove si legga Schneider volume
terzo p. 498.
(4) E Teofrasto : xò Bì iteptxdipitiov.... I|jtcpepe« Ttp tou «potvtxoc i^'A£(fà^
Xc|>. xaXouat Sé dbtò oxaXfav. l^oc. eit.
(5) Atenèo dà la slessa definizione del icxépviS , dicendolo : 6p0ò^ xtK xdbcxou
xouXdc. Lib. II.
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IH NUOVE EFFEMERIDI SKIUANE
Xd(^7n>po¥. Il myagrum rugosum cresce ovunque in Sicilia, nelle vie,
nei campi aridi argillosi, e nei seminati; come pure in Lipari, Pa-
vignana, Levanzo, Marelimo, I^mpedusa (I). Si conoscono il mya-
grum hispanicum, pantcukUnm, rt$gosum, saHvum, sphaerocarpum ec.
R{v(x$o<;, neutro, ma di genere mascolino presso Teocrito, benché
si trovi in A^rìstofane , Demostene, Sofocle ecc., pure è dato dagli
scoliasti e da^ lessicograQ come peculiare ai Sicelioti per esprimere
la volpe, che nel greco dicesi àXcàiciit Al verso di Teocrito (v. 25);
lo Scoliaste nota appunto , che i Sicelioti denominavano xfvaSoc la
volpe; e questo nome , che avea in Sicilia V astuto animale , trae
da xiveco pel suo dimenare osceno e frodolento: o\ Ztx&Xidkai -f(&p
T^v àXcincexa xivoeSov icpo^scY^p^^^^^* toioutov *^àp xò C(>>ov icacyoOpYOv. x(-
va$oc 3è icapà tou xivetvOai Iv alSot ^ avaiSùK, ^ icocpà tò xtvet<70ai Iv
^6Xt^, Veggasi al proposilo il più recente Scoliaste d' Aristofane ,
(Nub. 447) , r Etimologico Grande da noi già menzionato (pag.
514, 5), ed Csichio. Suida dà il diminutivo xiv^Stov, ed il vocabolo
attribuisce a que^ di Sicilia.
I>a volpe, flagello de' pollai e del pecorile , è comune nelle no<
stre campagne (2).
Kc^cDv. 1 Siciliani cosi chiamavano tòv xcopic^v il ghiozzo (lat. go-
bius, gobio)y come riferisce Atenèo (VII. p. 309. C.) dalle glosse di
Nicandio Colofonie, e dallo scritto di Apollodoro intomo a Sofrone.
ZixeXuù'cat $' elaiv ol xbv xcoptòv xci^Ocova xoXouvxec SUeUoU SOnO quMi
che chiamano cothon il ghiozzo. La parola si trova in Epicarmo (3).
Adx^^poc è pure voce siciliana , che si trova in Eschilo (fram-
menti delle Forddi) anzi si adduce come prova del suo Sicelismo.
Aeschylus tragicfés^ v'ir utìque Siculus, Col termine sopra citato at-
testa Atenèo (IX. p. 412) che i Sicelioti chiamassero il cacciatore
dei cinghiali, in greco aiSa^P^^- Dice infatti ; oòx àyvow 8è Sri ol ice-
pl T^v SixeXCav xaxotxouvxec ào^éSwpov xocXouat tòv tìckt^^w. Elsichio S. V.
afferma pure che il avSaYpoc dei Greci corrisponde alPà^^é^poc de-
gli Italioti (àcr^^^crtpoc ò aiSaYpoc '^^?à ìxaXotc.) Ugualmente il Gram-
matico degli Aneddoti di Bekker p. 457, 21. ÌTaXuoTat xòv (uSorfpov
à(7xé$b>pov xscXouviv. Si Confronti Eustazio lUad. p. 774, 23. Odiss. pa-
gina 1872, 3, 13.
(1) V. Ucria Hor. Panorm, p. 268; Cupaqi Hor. dUhoL p. 188; Cassone Floi-ae
Siculae Synopsis voi. 11. P. I. Nap. 1843. pag. 140-4, 165, 903.
(2) V. Orunzio Costa Fauna SicUiatM Nap. 1840.
(3) V. Raflnesque Schmallz Indice d* Ittiologia Siàliana, ouia Catalogo metodico
.dei nomi latini^ italiani e siciliani dei petei, che ti rinvengono in Sicilia. Mess. 1810.
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SOL DULETTO GRECO DI SIULIA 115
Due vocaboli siciliani si hanno ne' seguenti due nomi di città, che
addurremo come esempio, non sapendo perchè T Arens li abbia nel
glossario tralasciati.
z^Y^Xt), (à-fxXtv. Zancla, secondo Ecatèo citato da Stefano di Bi-
sanzio a questa parola, sarebbe cosi delta dai re Zanclo, di cui parla
Diodoro (IV. 85) ; ma secondo T etimologia indicata da Tucidide ,
Strabene^ Stefano summenzionato, e dalP EtujjloXoyixòv Mé^a, viene
cosi denominata dalla fake con voce che sembra tratta dal linguag-
gio de^ Siculi, probabilmente a dinotare la forma del vasto suo porto.
Tucidide scrive : La città fu primafnente dai Siculi chiamata Z ancia
di nome^ perchè il luogo ha figura di falce, e Zanclon i Siculi chia-
fMUM la falce, Sw\ia. xò \i.ì^ icpòJxov Zér^xXr^ ?iv xdiv £ixeXu>v xXT)6et9a,
Srt $peicavoctSlc xò yip^^^'* '^^^ ^^^ ^^^' '^ ^^ $péicavov ot XtxeXol (dé^-
xXov xaXwdiv (Tucid. VI. 4). Ugualmente Strabene dice , che Zan-
cla fu in prima detta cosi a cagione della tortuosità del sito, poiché
Zanclon diceasi ciò eli' è obbliquo e tortuoso. zà^xXT) itpcJxepov x«-
Xou(jivtì Sià^x^v oxoXwJxTjxa xwv x<Jicti>v. ZàpcXov ^àp IxaXctxo x^ ^koXmJv.
Stefano Bizantino scrive, che la falce (xò Spéicavov) si dicea dai Si-
culi (d^Y^XT) (Tucidide dà la forma C^-p^Xov) e che perciò sia stata
chiamata C<^kXt) la città Sta xò ixet Rpc^vov xò $péi»xvov àicoKpiS4/at. Ni-
candro , nel suo poema sulla Sicilia (lib. X.) racconta pure , che
Saturno avea nascosto colà la sua falce, e chiama Zancla Speicavi^tSoc
obtu. Il tipo delle antiche medaglie Zandèe è un delfino , dentro
una specie di falce. La forma dorica è AàvxXe nelle monete (i).
A zdrfxXT) aggiungiamo: réXa. Ecco quanto scrive su questo vocabolo
Ste£au[)0 Bizantino: La città piglia nome dal fiume Gela, ed il fiume si
chiama così^ perchè genera di molla pruina: questa infatti con vocabolo
proprio degli Opid e dei Siculi dicesi yéXa. KaX&Txat 81 àicòicoxa[j.dO riXa.
b 81 «oxatJLÒ^, 8x1 itoXX^v «àj^vrjv ^evv^f. xaóxijv yàp xri Oicixwv (pcov^ xal Stxe-
Xò#v Y^Xav Xi^egOat. Veggasi puro Tucidide (VI. 4), Erodoto (VII. 153)
e r Exu(jLoXoYtxòv ui-^oL p. 225, 6. Il réXa corrisponde perciò al latino
gdu. Onde il Brunet crede che la parola appartenga air osco, epico,
0 siculo. Esichio però spiega questo vocabolo come splendore del sole
(ocò^n^ 4^XCou) per eXi^v. col digamma. E cosi i moderni dotti editori del
Thesaurus linguae grecae di Stefano e Apud SiaUos, Gdu, nomine a
splendore stempio, quod recte monuit Lennep. ad Phalar, p. 308. >
Venga oi*a il nome di due famose divinità siciliane.
naXixo{ , lungo , secondo Eschilo , Nonno e i Latini , ma anche
breve secondo Teognosto. Diceansi anche AéXXot.
Era celebre neir antichità la fontana degli Dei Palici , ossia dei
(I) V. Eckhel Doelr, Numm. I. p, 187, 219.
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116 NUOVE EFFEMERIDI SIOMANE
, di cui Virgilio : Pinguis ubi et placabilis ara Palici (Aen
IX. 585). Era quel sacro ed anlichissimo ricinto in un piano, che
stendeasi presso Hineo, fra i territori di Gela e dì Catana. Famoso
il luogo , e ricordato perciò da Aristotile nella sua opera delle
narrazioni mirabili , iiepl eaufjuzaCtov AxoudjjLàxtov , come da Diodoro
(XI 89.) e da Strabene (VI. p. 275); notevole per oracoli (V. Ma-
crob. Saturn. V. 19. p. 127. ed. Preller) e pei giuramenti solenni
e terribili, ctie vi si faceano, ond' era comune credenza che mai gli
spergiuri scampassero alla vendetta dei cieli. Presso il rinomato san-
tuario^ trasferi la^ sua capitale Ducezio , e si diedero convegno gli
schiavi ribellati. Molti scrissero, siciliani e stranieri, intorno a^ no-
stri Palici, come Giuseppe Allegranza {Opmc. Erud. Cremona 1781
p. 203), il principe di Biscari (Viaggio per tutte k Antich. detia Sic,
Pai. 1817. p. 63), Tab. Frane. Ferrara {Mem, sopra il lago dei Pa-
lici, ora lago Naftia in Sic, nelle Memorie del Capozzo voi. I. Pa-
lermo 1840) , L. Coco Grasso {Rifless. sopra Fantico lago dei Palici
Pai. 1843), Brunet de Presle (Op. cit. Par. III. § 10), 6. Michaélis
(Die Paliken,DresA, 1856) ed E. Krause {Die Paliken in Gaea IS69).
Eschilo nella tragedia d<'gli &nei (fr. 259, ed. di Firmin Didot
Par. 1846 e tom. Il, p. 193. ediz. Boissonade) vuol trovare nel greco
la etimologia del nome de' Palici. Qual nome, dUf egli, danno loro
i mortali f — Giove volle si chiamassero venerandi Palici — Dura tut-
tavia, come è ragione, la fama loro f — Dura; poiché di nuovo (*4-
Aiv) ritornano dal buio in questa luce.
Ti SriBev auTotc ^vojjia TiOéaxat Ppoxof;
XejJLvoòc naX(xou< Zeù< ètptexai xaXetv.
H xai DaXixùJv eòX($Yd>c {J^évei cpdkic;
HàXiv Y^ ^xoud ex oxdtouc "zÓò ì^ (pàoc.
L'etimologia di Eschik) (ành xou 'iràXtv lxé(T6ai) vien adottata da
Macrobio, che fa pure figliuoli i Palici di Giove e di Talia. Un' al-
tra strana etimologia , da (paXX^c, proposta da Creuzer nella Symb.
(t. II. p. 229 , e 669) viene combattuta da Ebert (Dissert. Siculae
p. 184). Più ragionevole sembra il derivare la yoce Palici da Pale,
dea della terra, conde lo spiegare AéXXot per duelli o gemelli. E cosi
il culto ed il nome di queste divinità non sarebbero che siculi. Chec-
ché ne sia di questa probabilissima sentenza , certo è che il voca-
bolo appartiene al dialetto di Sicilia, come dice Calila citalo da Ma-
crobio; ouc aSeXcpoùc t(Ì)v UaXixuJv ol £txeXi(òxai vo(jl{2[ou9i. {Sat. V. 19.)
L^Arens avrebbe anche potuto occuparsi delle seguenti altre voci
appartenenti al culto, alle feste, alle dignità dei Sicelioti.
Continua) Sac. Isidoro Carini
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EMinERI SICILIANI
(Continaaz. e fine. V. voi. II, disp. II*)
Pam. XZ. SuPERiGOHNGs AmioU
63. Spartocera Lobata H. S.
Madonie M.
64. Verlusia Quadrata Fbr-
Amìot Serv. 203.
1839. Costa, Rag. Em. Sic.144.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ma-
donie M.
65. Verlusia Sdlcicornis Fbr-
Spinola 147.
1839. Costa, Rag. Em. 144,
Sic. C-Palermo B-Madonie M.
66. Syromastes Marginatus
Lnn-Amiot 207.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
1858. Mina. Oss. Eni. 112.
1860. Bellier, Fan. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Madonie M-Pa-
lermo B.
67. Syromastes Longigornis
A. Cst.
1839. Costa, Rag. Em. 140.
Affine al precedente. Paler-
mo C.
68. Camptopus Lateralis Grm-
Amiot Ser. 225.
1839: Costa, Alydus lateralis
Rag. Em. 144.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ma-
donie, comune M.
69. Alydus Calgaratus Lnn-
Amiot, Serv. 226.
Madonie M.
70. Stenocephalus Acilis Scpl.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Madonie M.
71. MlCRELYTRA FOSSULARUM
Fbr-Amiol Ser. 231.
1839. Costa, Jf. aptera Rag.
Em. 144.
Sicilia C-PalermoB-CataniaH.
72. Chorosoma Schilungii
Schmm-Amiot 231.
1839. Costa C. artmdinis.
Rag. Em. 144.
Sicilia C-Palermo M.
73. NEmES Clavipes Fbr-Amiot
Serv. 234.
Palermo, Berytus davipes B.
74. Neides TiPULARiA Lnn-A-
miot Serv. 233.
1860. Bellier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bll-Catania M-Paler-
mo, B.
73. CoREus spiNiGER Fbi-Spi-
nola 151.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
1860 Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Catania, Mado-
nie M.
76. Ceraleptus gragu^ioorms
H. S.
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Ii8
NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Palermo C.
77. Ceralbptus squalibus A.Gst
Palermo C.
78. GoNOGERUS VENATOR Fbr
Amiot Ser. 239.
1860. Bellier; Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bll.
79.60NOGERUS TRIQUETRIGORNIS
Bmb-Amiot. 240.
Palermo B.
80. xMerogoris dentigulatus
Hahm.
1839. Costa, Rag. Em. 144
1840. Spinola, Essai 215.
Sicilia i\. S-Palermo B.
81. MeROCORIS INERMIS ....
Palermo B.
82. Therapha hvosgiami Lnn-
Amiot Serv. 245.
1839. Costa, Rkopalus hyo-
«cìamt, Rag. Em. 144.
1858. Mina, Lygaeus. Oss.
Ent. 112.
Sicilia C-Madonie H-Palermo
Coryxus hyosciami B.
83. Rhopalus capftatus Fbr-
Amiot Ser. 246.
1839, CosU, Rag. Em. Sic.
144.
Sicilia C-Madonie Catania M.
84. Rhopalus sanguineus A.Cst.
Sicilia C.
^ 85. Rhopalus crassicornis Fbr-
Amiot Serv. 246.
1839. CosU,'Kag. Em. 144.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Madonie Paler^
mo M.
86. Rhopalus parumpungtatus
Sili.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll.
87. Rhopalus errans Fbr.
Madonie H.
88. Pseudophloeus Fallonii
Schll-Amiot Serv. 247.
Madonie M.
Fani. XXX. Inferigornes A-
miot.
89. Lygaeus lULrrARis Rss-A-
miot. Ser. 249.
• 1839. Costa, Rag. Em. 144.
1850. Mina, Oss. Ent. 112.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ma-
doaie M.
90. Lygaeus bqubstris Lon-A*
miot Ser. 149.
1839. Costa , Rag. Em. Sic.
144.
1858. Mina, Oss. Ent. 112.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ma-
donie M.
91. Lygaeus saxatilis Fab A-
miot Serv. 250.
1839. Costa Rag. Em. 144.
1858. Mina, Oss. Ent. 112.
1860. Bellier, Fau. EnL Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ma-
donie Catania M.
92. Lygaeus punctum Fbr-A-
miot 250.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
Etna sul Tanacetum vulga-
re C.
93. Lygaeus PUNCTATO-GUTTATUS
Fbr.
1839. CosU, Rag. Era. 144
Sicilia C-Palermo B.
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BMITTBRI SICILIANI
119
9\. Ltgaeus gheucus Lcs.
1860. Bellier, Fan. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Hadonie, Termini
M-Palermo B.
95. Lygaeds NERii Grm.
Palermo B.
96. Lygaeus familiaris Lim.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Catania M.
97. TrITOMAGEA APUANOmES Cst.
1841. Cosla, Rev. Zool. 297.
» » Accad. Asp. Nat.
6 Hag.
Palermo C.
98. Henestaris Spinolae A. Cst.
Amiot 250.
Sicilia rara C.
99. Polyacanthos echii Fbr-A-
miot Sers 252.^
1839. CosiB^Pachymerus echU
Rag. Em. Ii4.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Madonie, Cata-
nia M-Palermo B.
lOO.POLYACANTHUS PIGTDS Schll.
Madonie H.
101.RHYPAROGHROMUS ROLANDRI
Lnn-Amiot 253.
1839. Costa, Packyrnerus Ro-
landri^ Rag. Em. 144.
1860. Bellier, Fan. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ma-
donie H.
102. Rhyparoghromus pini Lnn-
Amiot 254.
1839. Costa, Pachffmeruspini
Rag. Em. 144.
Sicilia C.
103. Rhyparoghroiius marginb-
puNGTATus Schll-Amiot 254.
1389. Costa , Pùckymerus
marg. Rag. Em. 144.
Sicilia C-Palermo B-Cata-
nia M.
104. Rhyparoghromus abietis
Fabr.
1839. Costa, Pachymerus a-
bietis. Rag. Em. 144.
Etna regione de^ pini C.
105. Rhyparoghroiius superi-
THROPUS A. Cst.
1839. Costa Pack, supererò -
pus. Rag. Em. 144.
Palermo C.
106. Rhyparoghromus paralle-
LUS A. Cst.
1839. Costa, Pack, parallelus,
Rag. Em. 144.
1841. idem idem idem. Sto-
Em. Eter. negli Ann. Soc.
Ent. Fr. X; 290, T. VI. F.
5. S. Ciro C.
107. Rhyparoghromus vulgaris
Schll-Amiot' 254.
Uadonie M.
108. Rhyparoghromus lusgus
Fbr.
1839. Costa , Pack, luscus.
Rag. Em. 144.
Sicilia C-filadonie M.
109. Rhyparoghromus rombima-
CULA A. Cst.
1839. Costa, Pùch. rombima-
culOn Rag. Em. 144.
Sicilia. C.
110. Bbosus QUADRATUs Fbr-A-
miot 254.
1860. Bellier, Rhiparocro-
mas quadratm Fau. Ent.
Sicilia BlIPalermo B.
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120
NUOVE BFFBHERnM SICILIANE
111. Stbnogastbiì tardus Hahn
Amiot 2KS.
Sicilia M.
1 12. Stbnogaster hyaupennis
A. Cst.
Sicilia Bll.
113 Cnras claviculus FII-A-
miot Ser. 259.
Sicilia M.
1 1 ì. Cyhodema tabida Spal-A-
imiot 200.
Sicilia M.
HS. OpHTHALMICUS PALLIDIPEN-
Nis A. Cst-Amiot 261.
Palermo B.
116. Ophthalmigus albipennis
Fbr-Amiot 261.
Palermo B.
117. Ophthalmigus ertthroge-
PHALus Srvll-Amiot 261.
Palermo B-Madonie H.
118. Ophthalkigus uneola
Bmb.
Palermo B-IMadonie H.
1 19. Anthogoris nbmorum Lim-
Amiot 263.
Sicilia H.
120. Aphanus parallelus A.Cst.
1841. A. Costa, Accad. Asp.
Nat. 6.
Mag. Palermo, S. Ciro C.
Tarn. ZVm Caggigenae Amiot.
121. Pyrrhogoris Aegyptiagus
Lnn-Amiot 270.
1839. Costa, Astemma Ae-
gyptiaca, Rag. 144.
Sicilia C-Hadonie M.
122. Pyrrhogoris apterus Lnn.
1839. Costa Astemma aptera ,
Bag. Em. 144. Sicilia C.
Palermo C.
fami. V. BiCELLULi Amiot.
123. Mmis LAEviGATUS Lnn-A-
miot 277. Sicilia M.
124. HiRIS GALGARATUS FIIA-
miot 278.
1860. Bellier, M, vireiis Fau,
Ent. Sic.
Sicilia Bli.
125. Mmis EKRATiGus Lnn-A'
miot 278.
1860. Bellier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bll.
126. HiRis su^GORNis Lnn-Spi-
nola 186.
Sicilia H.
127. Phytogoris strutus Lnn-
Amiot 279.
Madonie comune M.
128. Phytogoris nbmoralis Fbr.
Sicilia H.
129. Phytogoris ymmuLus Fbr.
Sicilia M.
130. Phytogoris flavomagula-
Tus Fbr-Amiot 279.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic
Sicilia Bll.
131. Capsus Aetnbus A. Cst.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
1841 Costa, An. Soc. Ent. X.
Etna C.
132. Capsus ater Lnn-Amiot
281.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia BINPalermo B-Mado-
nie.
133. Capsus bipungtatus Fbr.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll.
134. Capsus SBXPUNGTATUs Fbr.
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BMRTEIU SICILIANI
121
1860. Bellier, Faa. Eot. Sic.
Sicilia BlUPalenno B.
Var. Nankinus Dfr.
1860. BeHier Phytocoris San-
ckiniana, Fau. E&t. Sic.
Sicilia fili.
Vab. cabbonarios Dfr.
1860. Bellier, Pau. Ent. Sic.
Sicilia Bli.
f 3S. Capsus rubro-mabginatus
Lcs.
1860. Belii^, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bli-Madcmie M.
136. Capsus ioniatus Sch.
1860. Bellier, Fau. EuL Sic.
SicUia BU.
137. Capsus gapillaris Fbr-A-
miot 281.
liadonie M.
138. Globigbps clavatus Lnn*
Amiot 282.
1839. Costa, Capms davatus.
Rag. £m. Sic. 144.
Sicilia C.
139. Helkbotema Spinigobnis
Fbr-Amiot 283.
liadonie M.
S"am. VX. DuGTiBOSTRi Amiot.
140. Phymata Crassipes Fbr-
Amiot 290.
Madonie M.
141. Phymata Ebosa Lnn-A-
miot 290.
1860. Bellier , Syrtis erosa,
Fau. Ent Sic. Questa specie
cancellata da Costa per let-
tera.
142. TiNGis Pybi Fbr-Amiot 297.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
Sicilia C.
143. MONANTHU ECHII Wff-A-
miot 297.
Madonie H.
144. MoNANTUU Clavigobnis
Lnn. i843.Amiot,Uemp.298.
Sicilia Amiot Ser.
145.MONANTHIA CONVEBGENsKIg .
Palermo B.
146. Sebbntuia Atbigapilla
Spnl-Amiol 300. Sicilia M.
147. Abadus Betulae Lnn-A-
mìot 308.
1839. Costa , A. carticalis ,
Rag. Em. Sic. 144.
1860. BeUier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia C. BU-Madonie H .
148. Abadus Spinola» Gène.
1842. Ghiliani, Ins. Sic. 43.
18K8, Uinà Oss. Ent. 112.
Madonie G. H.
149. Abadus Depbessus Fbr.
Sicilia H.
150. AcANTHu Legtuabia Lnn-
Amiot 313. Tutta Sicilia.
Fam. VXX. NuomosTBi Amiot.
151. PiBATES Stbidulus Fbr-A-
miot 325.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
1860. Bellier , Fau. Ent. Sic'
Sicilia Bll. C-Palermo B-Ma-
donie M.
152. Hetastbmma Guttula Fbr-
Amiot 329.
1839. Costa, Prostemma gut^
tuia. Rag. Em. Sic. 144.
1840. Spinola , idem idem.
Essai 96.
Spinola fa conoscere, che le
femine di Sicilia sono alate*
Pater, a S. Ciro C.
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122
NCM)VE EFFEMBEIDI SICILIANE
153. Hbtastbiima Luodulum
Hlg-SpiDola 96.
1839. CosU, Prostemma {ti-
ddidum. Rag. Em. Sic. 145.
Gli esemplari siciliani sono
più grandi di quelli descritti
da Spinola C.
154. Nabis Aptbra Fbr-Amiot
33f.
1839. Costa, Rag. Em 144.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. Bll.
155. Nabis Subaptera De Geer-
Amiot 33i.
Palermo B-Madonie M.
156. Nabis Fera Lnn-Amiot
332.
1860. Bellier, Fau. Eni. Sic.
Sicilia Bil-Palermo B-Mado-
nie H.
157. Nabis Major A. Cst.
1839. Costa, Rag. Em. 135.
Palermo C.
158. Nabis Longipbnnis A. Cst.
Palermo C.
159. Nabis YmmDLUs Spn. 107.
Sicilia ?
160. RBDimusPERSONATUsLnn-
Amiot 337.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia C. BU-Hadonie Bl,
161. Rbduvios Palupes....
Palermo B.
162. ReDUVIUS VlLROSUS....
Palermo B.
163. Harpagtor Cruentus Fbr
Amiot 365.
1839. Costa, Rag. Em. Sic.
144.
1860. Bellier, Fau. Ent Sic.
Sicilia C. Bll-Palermo B-Ha-
donie li.
164. Harpagtor HoEMORRomA-
us Fbr.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
1843. Amiot, Hem. 366.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sia
Sicilia C. Bit. Sr-Palermo B-
Catania M.
165. Harpagtor Aegyptugos
Fbr Amiot 366.
Palermo B.
166. Harpagtor Sangcineus
Fbr.
1860. Bellier, Fau. Ent Sic.
Sicilia B.
167. Harpagtor Anndlatds
Lnn.
1858. lima, Oss. Ent. 112.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia BU-Madonie H.
168. Harpagtor Gmseds Fbr.
1860 Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Madonie M. ^
109. Harpagtor Pedestris W.
1839. Costa, Redavius pede-
stris. Cor. Zool. 1. 138. Pai. C.
170. Aganthothorax Sigulus
A. Cst.
1839. CosU Cor. Zool. 1. 138.
Idem idem, Rag, Em. Sic 137.
Sicilia C.
171. HoLOTRicmus Maurus Fbr-
Amiot 377.
Cyrtffi Cst. Palermo B.
172. Holotrighius Oenudatus
A. Cst. Palermo B.
173. Ongogephalus Squaudus
Brm-Amioi 387.
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EMITTUII SiaUANI
123
Palermo B-Hadonie M.
174. Ongogbphalus Notatus KI.
1839. Costa, Rag. Em. Sic.
144. Sicilia C-Palermo B.
175. Ptgolampis Pallipes Fbr-
Amiot 391.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
Sicilia C.
176. Ptgolampis Fbmoratus
A. Cst.
1863. Costa, Ent. della Cai.
Ut. 9. Palermo C.
177; Embsodema Uomestiga
Scpl-Amiot 396.
1839. Costa, Rag. Em. 144.
Sicilia C-Palermo B.
178. Ploearu Yagabijnda Lnn-
Amiot 397.
1860. De Natale, P. ambigua
Sa poc. Cros. 5. Sicilia.
179. Htdrometra Stagnorum
Lnn -Amiot 400.
Madonie M. C.
180. Salda Uttoralis Lmi-A-
miot 405.
Madonie H.
181. Pelogonus Marginati»
Ltr-Amiot 409. Madonie H.
Fam. VIZI. Ploteres La-
treille.
182. Gerris Paludum Fbr-A-
miot 417. Madonie M.
183. Gerris Lacustris Lnn- A-
miot 417.
1838. Mina , Oss. Ent. 112.
Madonie M-Palermo B.
184. Gerris Canalium L. Ofr-
Amiot 418.
Madonie M.
185. Gerris Costae H. S.
1869. Costa Per lettera.
Sicilia.
186. Gerris Rufosgutellata
Ltr-Amiot 418.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia.
187. Velia Rivulorum Fbr-A-
miol 418.
Madonie M.
188. Velia Currens Fbr-A-
miot 420.
1860. BelUer, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Madonie M.
Sectio 11. Hydrocorisae Ltr.
Fam. I. BiGEMMi Amiol.
Fam. IZ. Peduupti Amiot.
189. Naucoris CiMiGOiDES Lnn-
Amiot 433.
Palermo B.
190. Naucoris Maculata Fbr-
Amiot 434.
1840. Spinola, Essai 54.
Sicilia S.
191. Nbpa Cinerea Lnn-Amiot
44a
1858 Mina, Oss. Ent. 112.
Catania, Madonie, Paler. M.
192. Ranatra Linearis Lnn-
Amiot 443.
Madonie, Palermo M.
Fam. XZZ. Pediremi Amiot.
193. CoRiSA Geoffroyi Leacb-
Amiot 447. Madonie M.
194. CoRiSA Struta Lnn-A-
miot 447. Madonie M-Pal. B.
195. SiGARA Leucocephala Spnl-
Amiot 448. Sicilia M.
196. NOTONEGTA GLAUCA LUl-
Amiot 452.
1858. Mina Oss. Ent. 112.
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124
NUOVE EFFEMERIDI SICIUANE
Madonie M-Palermo B
i98. Anisops Sardous H. S.
Niveus Sp. non Fbr.
Hadonie. M/
HOMOPTERA LTR.
Sectio I. Auchenorhynchi Dmr.
Fam. X. Stridulantes Llr.
198. Gicada Fraxini Fbr-A-
miol 479.
1858. Mina, Oss. Ent. 113.
In tutta Sicilia.
I9d. CiGADA Orni Lnn-Amiol ■
481. ;
1858. Mina, Oss. Ent. 113.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll-Madonie M.
200. CiGADA TlBIALIS PnZ.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll.
201. CiGADA Pyghaea Olv.
1860. Bellier, Fau. Ent Sic.
Sicilia Bll.
202. CiGADA Montana....
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll.
203. GiGADA Sanguinea Fbr-A-
miot 492. Sicilia M.
Fam. XZ. Subterigurnes A-
miot.
204. Pseudophana Europaba
Lnn-Amiot 506. Madonie M.
^5. BURSINIA HOEMIPTBRA A.
• Cst.
18... 0. Costa, Fulgora Hoe-
miptera, Fau. Sic. Etna C.
206. COLOSGEUS BONELLU Ltr-
Amiot 508. Sicilia M.
207. Issus Lauri Lnn.
1860. Bellier, Fau. Eat. Sic.
Sicilia Bll.
208. Hysteropterum Immagula-
TUM Fbr-Amiot 519. Sicilia.
209. POEGOOPTERA SiGULA 0.
Cst.
18.... 0. Costa, Corr. Zool I.
Palermo C.
Fam. ZZI. Anterigornes A-
miot.
210. Gargara Genistae Fbr-A-
miot 538. Sicilia.
211. POLYGLYPTA SlGULA....-A-
miot 541.
Pel nome riporto la presen-
te , come siciliana , mentre
Amiot, e Servine per patria
gli donano il Messico.
212. Centrotus Cornutus Lnn-
Amiot 551.
1858. Mina, Oss. EnU 113.
Hadonie sulle felci M.
213. TriegphoraSanguinolenta
Lnn-Amiot 561.
1854. Mina Proy. Agr. 193.
Madonie M.
214. Triegphora MactataGhu.
1860. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia.
215. Aphrophora Spumaria Lnn
Amiot 566.
1854. Mina, Prov. Agr. I9L
1858. Mina, Oss. Ent. 113.
Madonie M.
216. Ptyelus LiNEATUs Lnn-A-
miot 567.
ISriO. Bellier, Fau. Ent. Sic.
Sicilia Bll.
217. Ptyelus Bipasciatus Lnn-
Amiot 567. Madonie M.
218. EVAGANTHUS INTERRUPTUS
Lnn-Amiot 575. Sicilia H.
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EMITTERI SICILIANI
li^
219. Ledra AURiTA Lnn-Amiol
277.
Sicilia nelle foreste
220. EoPELix CUSPIDATA Fbr-A-
miot 583. Sicilia.
Sectlo II. Sternorbynchi Amiot.
Fanu X. Phytoputuires Brm.
221 PsYLu FICUS Lnn-Amiot
S93. Madonie H.
222. PSYLLA OLIVETORUX Ltr.
1844. Romano, Ins. noe. 24.
1854. Mina, Prov. Agr. 230.
1858. Mina, Oss. Ent. 113.
Sicilù) comune.
223. SlPHONOPHORA ARTEMISUE
Fscl.
224. — ABSiNTU Lnn.
225. — LACTUCAB Pssr.
226. — MALVAE Msly.
227. — ROSAE Lnn.
228. — URTIGAE Scbrk.
229. Rhopalosiphum Pbrsigae
Slr.
230. Mtzus cerasi Fbr.
231. Hyalopterus pruni Fbr.
232. Aphis brassicae Lnn.
233. — CARDUi Fbr.
234. — CRATEGI KItb.
235. — EV0NYMI Fbr.
236. — FRANGULAE Koh.
237. — GENISTAE ScpI.
238. — HEDERAE Kllb.
239. — LAGTUCAE Fscl.
240. — MALVAE Kch.
241. — NERI Kllb.
242. — ORIGANI Pssr.
243. — PAPAVERis Fbr.
244. — PLANTAGiMS Schrk.
245. — RANUNGULI Kllb.
246. Aphis sambugi Lnn.
247. — uRTiCAE Fbr.'
248. SlPHOGORYNE FOENICULI
Pssr.
2^9. Chaithophorus saucivora
Wlkr.
Questi aOdi sono più o me-
no abbondanti in Sicilia, non
• garenlisco bene la classifica-
zione, perchè essendo m-
setti piccoli , ed i caralleri
un poco dubbi, sono slati
determinati più per le piante
su cui vivono.
250. Hvzoxaus MALI BIt-Amiot
612.
Dopo il 1850 mollo comune
in Sicilia.
Fam. XZ. Puytathelgi Amiot.
251. Coccus ADONmuM Lnn.
1844. Romano, Ins. noe. 25.
Sicilia.
252. Coccus HESPERmuM Llr.
1844. Romano, Ins. noc« 25.
Sicilia.
253 Coccus oleae Llr.
1844. Romano, Ins. noe. 25.
Sicilia.
25 'i Coccus PERSICA E Fbr.
Madonie M.
Si trova una specie mollo
dannosa sul fico, un' allra sul
làndro, una terza sul leccio,
una quarta sulla quercia gio-
vine, ma rara. Degli afidi ne
ho veduto una specie mollo
grossa nera sul castagno gio-
vine^ la quale vive pure sulla
giovine quercia.
Francesco Mlna'-Palumbo
9
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RICERCHE SLAVE IN ITAUA
LETTERA AL PROF. V. DI GIOVANNI
Chiarissimo professore^
L* illustre storico russo Vincenzo Hakausew è stalo fra noi negli
scorsi mesi, ed io mi ebbi il piacere di apprezzarne il merito dav-
vicino, per Tamichevole relazione che me ne ha procacciato il sig.
Carlo Hupf, chiarissimo professore di storfa a Kònigsbérg. — Egli per
incarico del suo governo è nello impegno di raccogliere documenti
relativi agi! Slavi , neìrattuale ardentissima febbre di panslavismo.
Ha viaggiato Tltalia, e partito da Palermo mi avvisa d'avere scritta
una lunga dissertazione sulla storia Ragusea (YII-XU secolo) pel
suo apice il prof. Lamonsay , il quale sta pubblicando nientemeno
un archivio storico-slavo. Or voglio far sapere per lo mezzo delle
sue Effemeridi che questo professor Makausew dava in luce nel
1861 le Memorie degli stranieri (YI-X secolo) intorno alla religione,
alla vita privata e pubblica, e ai costumi degli Slavi; e queste me-
morie si stamparono a spese deirUniversità di Pietroburgo, la quale
onorò con una medaglia d'oro^ V Autore , per quesf opera riputata
unica nel suo genere, e della quale se ne esauri P edizione. Essa,
comprende la critica di tutto ciò che gli stranieri (VI-X secolo)
hanno scritto sulla parte etnografica delle antichità slave. Ed è di-
visa in due parti, nella prima delle quah, in cui segna gli scrittori
bizantini ed arabi dimostra dirò cosi a priori colle notizie della
vita e degli scritti loro quanta fede si meritino; nella seconda che
può dirsi a posteriori espone quanto evvi di giusto e di vero nelle
notizie ch'eglino hanno tramandato sugli Slavi. — Stampò poi nel
1865 a spese della Società storico-archeologica delP università di
Mosca una storia delle relazioni diplomatiche della Russia colPantica
repubblica di Ragusa ; storia basata su documenti inediti , che co-
minciando da Pietro il grande si protrae sino alla caduta della re-
pubblica (1808). In essa trovansi per appendice molti diplomatici
documenti, e molte poesie scritte da Ragusei in servo (illirico). Ia-
lino, ed italiano. Inoltre due piante di Ragusa, una del secolo XI,
oltre delle operazioni militari di Russi e Francesi all'assedio di Ra^
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RIGERGHe SLAVE IN ITALIA IÌ7
gasa, il qaale pose termiae a quella repubblica, di poca fede o di
seite bandiere come chiamaroola i contemporanei.
Indi nel 1867 pubblicò in Pietroburgo certi cenni statistici, etno-
grafici e storici sugli Slavi transdanubiani (della Turchia) e adria-
tici, frutto di lunghi studi da lui fatti nel non breve soggiorno
(1861-1865) fra gli Slavi meridionali. — In essi fra* varii articoli
si trova un viaggio col quale è forse il primo fra' suoi compatrioti
che avesse annunziato la verità sul Montenegro, tanto quanto pro-
vocò ad ira lo czar Nicolò. Vi si trovano pure le interessanti re-
miniscenze deirnltima insurrezione in Erzegovina sotto la condotta
del voivoda Luca Yukalovich.
Altra sua pregevole opera è quella delle ricerche sui monumenti
storici e sugli storiografi di Ragusa, pubblicata in Pietroburgo nel
1865 da queiraccademia di scienze , la quale accordogli in seguito
nel 1869 il premio del conte Herarow. I monumenti di che trattasi
si trovano In massima parte scoperti o, per lo meno, pubblicati da
lui per prima volta; come a dire gli annali di Ragusa (YII-XVII
sec.);la cronaca del Milazio della fine del sec; XIII; la descrizione di
• Ragusa di Filippo De Diversis del 1435, la storia dì Ragusa del
senatore Giugno Resti del secolo XYill; la metropoli sacra ragusina
e gli uomini illustri di Serafino Cerva ecc. Ed è ammirabile il '
giudizio nel precisar le epoche, e la critica su la vita e gli scritti
degli storici ragusei. Nel primo capitolo di quest^opera si risolvono
in modo felice i più importanti punti della storia, di Ragusa: ei la
crede slavinizzata non già nei secoli X-XI ma al finir del secolo
XIV e indica in modo preciso la causa della sua decadenza e della
sua caduta.
Questo scrittore ha in ItaUa compilato con grande attenzione
molte memorie , tiopo serie ricerche fa ite tra noi. E prima una
dissertazione tessuta su documenti rinvenuti a Venezia, sul famoso
impostore Stefano Piccolo , il quale facendosi credere V imperatore
Pietro III dominò molt'anni il Montenegro, fece guerra ai Turchi,
minacciò Venezia. Pregevolissima è poi un'altra memoria suir ar-
chivio fiorentino e sui documenti relativi alla storia slava che con-
tengonsi in esso.
Io so ora finalmente ch^ ei s' occupi proprio d.elle cose nostre ,
dietro i documenti non pochi che ha rinvenuto presso di noi.* E
prepara la stampa della storia delle relazioni diplomatiche e com-
merciali di Ragusa con Venezia — della congiura spagnaola contro
Venezia nella quale ebbe parte Ragusa , — della storia delle rela-
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128 NUOVE EFFEMERIDI SIQLIANE
zioni degli Slavi con Firenze , — della Storia delle relazioni degli
Slavi meridionali cogli Angioini di Napoli, — delle relazioni d' Italia
cogli Slavi meridionali nel secolo XY, ecc. Né è a dubitare che sia
per isvolgere sifiEatti argomenti con dottrina, e con quel senno che
ne^ precedenti e in altri scritti ha dimostrato. Or egli è andato a
Molise per visitare te colonie slave, e stimasi il primo che dia delle
notizie precise del dialetto che ìk si parla e eh' ei crede un impa-
sto del bulgaro col serbo. Nel mentre dobbiam trovare degna d' o-
gni lode la premura degli oltramontani di studiar fra noi con soler-
zia le cose nostre per T interesse che ne risente la storia di loro,
riesce doloroso che gli stranieri vengano a spolverar le carte no-
stre, e ci additino quelle che parlano di noi. Dappoiché oramai noi
svogliati» generalmente di ciò che concerne la vera gloria nostra par
che ci occupassimo a preferenza di illusorie fantasmagorie!
Aprile 1870*
Y. MORTILLARO
STELLA E KIUPERLI
SPOSA MAOMETTO IV NEL 1642
Anche questi due poveri Agli di Aci, Stella e Kiuperli, salirono
in fama, e tramandarono alla posterità il loro nome. La grandezza
de' Kiuperli, e le intestine discordie suscitatesi nella casa imperiale
a cagione di Stella , fan si eh' io non appuUri parole nel tesserne
ristoria; le sincrone testimonianze suppliranno questa volta all'im-
maginazione del romanzatore.
La città che oggi abitiamo^ nel 1582 nominavasi AquUia o in me-
moria della volgare tradizione di aver qui disfatto i servi il Con-
sole Aquilio, 0 perchè s'erano trasferiti gli abitanti dellMgutto, che
fu cognominata Vecchia nelP Aquila nuova. Qualunque si fosse l'eti-
mologia di questo nome , eh' io ignoro , essa comprendeva gli at-
tuali municipii di Aci S. Antonio, Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci
Castello e Aci-Reale, ultima nata, e che sopraslà oggi agli altri per
popolazione, ricchezza , svoigfmento di commerci , e magistrature,
^a allora? Era sì piccola, che quantunque il Parlamento di Siracusa
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STBLIJl E KIDPERLI 129
e r imperatore Carlo V, V avessero elevato al grado di città , e a*
vesse ottenuto diritti e privilegi uguali a quelli di Catania, ad istar
latine, gli stessi naturali la diceano terra.
Retrocedete con la mente oltre due secoli e mezzo indietro ; e
senza eh' io ve lo indichi, vedrete un poggio da S. Biagio alla chiesa
del Suffragio , con umili case , abitate di uomini di grande cuore>
eh' ebbero la virtù di sostenere un' ambasceria a Carlo V, elevare
il palagio senatorio, la basilica di S. Sebastiano, i conventi monastici,
ch'erano i Ginnasii e Licei del tempo. Non avevano tante cisterna
da conservare l'acqua abbisognevole al consumo annuale, quella in^
nanzi la chiesa di S. Pietro^ addetta al servigio comune, si esauriva
prima del luglio, per lo che dalle fontane lungo la spiaggia, ove
pollano le acque del fiume Aci seppellite dalle moltiplici lave del-
l' Etna, era provvista largamente la crescente AquUia ìwva.
Dicono i filosofi naturali soggiacere la marina di Aci a sette strati
di lava; non so se ciò sia immaginazione o realità , e nessuno fra
di essi determina quale sia l'ultimo strato superiore per non es-
• sere colto in fallo ; certo si è non essermi riuscito a verificare il
loro detto. Comunque vada la cosa, quella nìarìna ha del singolare
e del pittorico. A cominciare dalla Grotta delle Colombe a ponente,
sino all' Acqua dd Ferro a mezzogiorno, vi presenta una balza quasi
perpendicolare di metri 159, 70, cioè di palmi siciliani 618^ 76, la
quale sembra che penda sul capo a chi la guardi di sotto in su.
Par fatta per nidificarvi gli avoltoi, e pure l' uomo l' ha tramutala
in verziere , tanta l' industria de' suoi cultori , uomini veramente ^
ambidestri , perchè sono al tempo medesimo campagnuoii e mari-
nari. U Grotta delle Colombe era vasta e profonda nei 1558, i ba-
salti prismatici, che la componevano bellameste arcuali dalla na-
tura, sono stati rovesciati negli abissi del mare dalle tempeste nei
secoli seguenti, e grande parte a' nostri giorni; ma quanto ancora
ne esiste può fare ben congetturare agli avvenire l'antica sua for-
ma. La Pietra delle sarpe, è una piramide basaltica formata dal fuoco
fluido del vulcano per darci immagine perfetta di quelle di Egitto:
essa le sta di costa, e in parte ne occulta l'ingresso, a chi la cer-
chi con l'occhio dalla fontana della Zia Potenza. È questa la najade
delle nostre cento fontane, e l' acqua che da essa scaturisce, vince
in pregio anche quella di Miuccio che viene appresso , tanto lim-
pida, ghiaccia, leggiera e soave essa è, e non v' ha chi le si acco-
sti, e non ne beva un sorso, anche senza aver sete, per vaghezza
e diletto. Nell'anno di cui parliamo viveva Zia Potenza, che l'avea
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130 NUOVE EFFKMEBIDI SICILIANE
cavala a universo benefìcio, e di cui ancora ricorda il nome, e lo
ricorderà in perpetuo tanto per la pia donna, quanto per i luttuosi
casi di cui fu testimonio.
Miuccio suo marito avea dato nome air altra fontana ch^era ac-
costo alla loro casetta di abitazione^ e vivendo di pesca, lasciava alla
moglie Potenza la cura de' figli eh' essa spediva a vendere acqua
in Aci Aquilia a mezzo soldo la brocca , mentre egli in mare pe-
scava giovandosi de' suoi misteri orditi di propria mano. Dio avea
aiTicchilo que' coniugi, paghi del loro stato, di sei figliuoletti, dei
quali il maggiore a 15 marzo di quell'anno per essi fatale, era col
padre alla pesca delle sarde nel golfo di Catania, altri tre erano in
città a vender la famosa acqua della Zia Potenza, e 4M>stei con la
figlia Stella di 7 anni e il piccolo Masuccio di 6 baloccavano in casa
con la madre.
Nel seno, o ansa che descrive la spiaggia dalla Pietra delle sarpe
alla fontana della Zia Potenza, non erano che circa venti tra donne
e ragazzi e intenti ad asciugar reti, a imbianchir tele , o alle do-
mestiche faccende, si rianimavano al raggio ristoratore ^el sole o-
riente che a larghe e tremule strisce indorava le crespe del mare. In-
tanto rasentando le scogliere di S. Tecla una galera algerina s' era
fermata alla Mala Discesa, Un trar d'archibugio da terra, a non in-
sospettire la gente, inalberò l'aquila nera in campo bianco , inse-
gna della nazione siciliana, scolpita ne' nostri antichi nummi, <x)n-
-servata come segno di vita politica per tanti e tanti secoli, e strap-
pataci violentemente da' Borboni nel 1819, quando tramutarono la
regina del tirreno in provincia di Napoli; e che ancora immensa e
marmorea, quasi voglia proteggerla, si vede grandeggiare in Paler-
mo nella reggia de' nostri monarchi. Difatti, quanti all' alba si ac-
corsero di quella galera colà fermala, la ritennero per nostra e de-
stinata a guardare le coste e la marineria siciliana dagli assalti dei
barbareschi.
Frattanto essa avea messo a terra due grandi caicchi carichi dei
più destri pirati, e costoro inerpicatisi per la Mala Discesa, e per-
dendosi e occultandosi tra le opunzie, i cespugli e i massi vulca-
nici, aveano circuito dall'alto la marina della Scala, e guizzando <x>-
me fulmini inaspettatamente dal laberinto de' precipiti ciottoli del-
l'enorme balzo Timpa piombarono addosso agli sprovveduti, e detto
fatto li legarono. In quel mentre la galera si era accostata alla Scala,
i caicchi alla spiaggia, e senza curare di lagrime e grida, tutti i pri-
gioni e le loro masserizie furono imbarcati. Quando se n'ebbe voce
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STELLA E K1UPERLI 131
in città, la galera era al largo, e i miseri cattivi appena dagli oc-
chi poteano scorgere il pino di S. Tecla, albero ultra millenario no-
bile avanzo deir archeologia vegetabile, che dal gigantesco tronco e
dalla vasta chioma conifera guidava i naviganti dal promontorio di
S. Alessio^ antico argenno, a quello di Agosta, antico seno mega-
rico.
Tra quegP infelici erano la Zia Potenza, Stella e Masuccio; il pa-
dre e gli altri quattro figli erano campati perchè assenti, lo tralascio
di descrivere anche a larghi tocchi, lo strazio«de^ prigioni, il. dolore
di vedersi per tutta la vita divelti dalla patria e da^ suoi; lo schianto
degli altri loro consorti di sventura; non è lettore che non possa
immaginarlo, e supplire questa lacuna, scendendo appena nelP inti-
mo del proprio cuore, e ponendosi idealmente al loro luogo. La Zia
Potenza non resse al cumulo de^ suoi dolori, e mori in Algeri dopo
pochi mesi di prigionia abbracciata a^ figliuoletti Stella e Masuccio.
Poco dopo quegli orfani desolati furono condotti a Costantinopoli
e lor fortuna volle di essere compri dal Cafri- Agà capo degli eunu-
chi bianchi, per conto del gran Signore. Il tempo che tutto can-
cella, col lento lavorio della sua lima, fece perdere mano mano ai
nostri giovanetti la memoria de^ fratelli, del padre, della patria, e
ultime quella della madre e della favella nativa , e solo i registri
del Serraglio conservarono la ricordanza della loro origine. Il vi-
cendevole amore fra di essi non si estinse giammai , anzi vieppiù
si rafforzava e crescea. La sveltezza del loro corpo, il baleno degli
occhi, la grazia e Tingenuìtà di cui erano adorni, li fecero predislin-
guere tra il popolo degli schiavi del Serraglio; talché furono edu-
cati con vigile affetto.
Il Serraglio non solo è una città per se stesso, ma contiene quanto
di più illustre e splendido possa avere queir impero. La Bisanzio
degli antichi , la Stambul degli ottomani, la Costantinopoli de' cri-
stiani, è la vaga e bella metropoli del mondo per la sua postura ,
i mari che P intorniano, le ricchezze che TAsia e l'Europa le tri-
butano, mentf essa congiungendole, siede sopra di entrambe quelle
due parti del mondo antico. Solimano II fece elevare il Serraglio
nel luogo più gradevole della regina del Bosforo, sur un promon-
torio triangolare , air imboccatura del mar nero. Due lati di esso
si specchiano neir Egeo o mar di Marmerà, il terzo domina V im-
menso panorama della città. Il Serraglio ha molte porle dal lato di
mare e di terra, e di quesl' ultime una soltanto è aperta. I capigis
guarda porta, la custodiscono sotto gli occhi di un pascià: le altre
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132 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
stan chiuse , e non si aprono che in casi straordinarii per (ardine
del Sultano.
Serraglio vale palagio, non harem, casamento delle donne che cor-
rispondente al gineceo degli antichi, n' è parte. Ogni turco paò a-
Tere un harem^ ma il solo imperatore può avere un Serraglio.
Esso è d'una estensione dismisurata, la sua circonferenza è di
circa otto miglia siciliane, cioè poco meno di 12 chilometri. Oltre
gl'immensi giardini e le spaziose piazze, contiene la moschea, il
palagio imperiale, quello del tesoro de' sultani defunti , quello del
Consiglio di Stato o Divano , con tutti quegli degli ufficìi , che ne
dipendono, e gli archivi governativi, due collegi per le schiave, due
per gli schiavi educati dal pubblico, i quartieri delle odalische, delle
favorite, delle sultane e de' loro teneri figli; gli appartamenti di
tutti i dignitarii dello Siato, ma castrati, come eunuchi bianchi e
neri, muti, segretarii, archìvarii, professori; le scuderie, e in quella
del sultano non sono meno di due mila cavalli turchi, urani, per-
siani. — Ck)là non entra nessuno armato, non vi sono soldati, né sono
permesse arme di ogni sorta. I bosta^igys o giardinieri ne fanno la
guardia; la milizia, durante la sessione del divano, custodisce iner-
me la prima corte esteriore.
Gli schiavi sono divisi ne' collegi secondo la loro età; Stella en-
trò nelPhasoda delle femmine, e Masuccio in quella de' maschi, per
essere educati sotto gli occhi del principe co' loro consorti, desti-
nati ad occupare i più grandi ufficìi dell' impero. Non appena fu-
rono ivi ammessi, e vennero notati i loro nomi ne' registri, e as-
sunsero vestimenta all' orientale , s' iniziò la loro educazione. En-
trambi si mostrarono docili, rispettosi, intelligenti, i loro hogias o
inaestri^ li additavano come modello , e li colmavano di elogi. In
poco passarono dalla prima nella seconda hasoda , e appresero a
leggere, a scrivere, a parlare il turco, T arabo , il persiano, quindi
la geografia, T istoria ottomana e universale , e Masuccio il latino ,
nella qual Jingua si predistinse.
Qui giunti è mestieri occuparci isolatamente de' due nostri cari
protagonisti ; seguiamo Stella , per indi tornare a Masuccio. Essa
sovrastava in merito, come in bellezza alle sue cinque in sei cento
compagne ; quanto più grandeggiava, tanto più attirava a sé l' am-
mirazione e r amore dell' hasoda tutta quanta. E siccome sol essa
non s'avvedea della propria superiorità, la gelosia, l'invidia che,
come pianta malefica, facilmente germinano in cuor di donna, non
r offendeano, ed era anzi l' atnore dell' hasoda.
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STELLA E KIUPERLI 133
Il sultano, che spesso saole intertenersi eoa quelle fanciulle, un
giorno volle a lungo conversare con Stella ; egli era Selim II, uno
de** prìncipi più intelligenti e crudeli, che abbiano regnato su^ mu-
sulmani. Il colloquio si converti in accademia ; la nostra concitta-
dina con la modestia della vergine, non solo gli parlò bene in a-
rabo, in persiano e in turco, ma con ingenuità e soavità senza pari^
gli svolse la storia e la geografìa particolare e universale, come se
invece di giovarsi della memoria , avesse letto in un libro. Cantò
quindi, danzò e suonò vari strumenti con tale» grazia e leggiadria
da elevare all'estasi quanti ebbero il bene di vederla e di udirla.
I di lei hogìas, eh*" erano presenti, ne giubilavano, e si accrebbe la
comune maraviglia e compiacimento, quand' essa pose sotto gli oc-
chi di Selim un quadro intessuto di margheritine a varii colori ,
rappresentante il vasto impero degli Osmali con i mari, i fiumi, i
monti, le isole , cosi leggiadramente ed esattamente ritratti da di-
sgradarne il pennello. L'imperatore la regalò di una collana di perle,
e i suoi maestri e la kadu-kaia , sua direttrice , di ogni sorta di
doni : da quel giorno, abbenchè non assunta al talamo imperiale ,
fu riverita come sultana. E per le peregrine doti della mente, del
cuore e della persona, a quel di Stella, fu aggiunto l'appellativo di
Lucente, a dimostrare essere il più splendido astro di quelPempireo.
Compiva appena. 20 anni quando Amuralte III succedeva nel trono
di Costantinopoli a suo padre Selim II nel 1595. Un mese dopo,
il novello signore annunziò al capo degli eunuchi , e alla sovrain-
tendente delle odalische, come il dimani avrebbe scelto una arachi
0 favorita. Tutte quelle vergini attendeano con ansia questo piace-
vole avviso, e non appena fu bandito T heìvet, fu una festa ne' giar-
dini e nei moltiplici quartieri del Serraglio. All' ora prescritta com-
parvero quanti colà si trovavano; gli eunuchi sì posero in guardia
a tutti gli sbocchi, intimando di allontanarsi ognuno per fino dalle
muraglie de' giardini dell' hasoda, sotto pena di morte. AH' apparire
del giovane sovrano un popolo di bellezze uniche in sul fiorire della
vita gli si presentò, rivaleggiando con i modi più seducenti e vo-
luttuosi a chi meglio potesse ispirare amore e affetto in cuore di
queir essere privilegiato su tutti i mortali. Esse vestivano abiti tra-
sparenti e corti, ciò eh' è severamente vietato, tranne quando siano
chiamate dall'helvet, aveano nude le braccia, e il seno leggermente
velato. E così come silfidi , intessevano e balli e canti e suoni , i-
solate e a coro e in masse ondulanti, con le più seducenti attitudini
e movenze.
Amuratte inebbrìalo d'ineffabile dilelto, ordinò la rhomea^ famosa
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134 NUOVE EFFEMERIDI 8IGILUNE
danza greca, la più leggiadra di quante se ne osano nell^ harem. Al-
lora si schierarono tulle ordinale in ale, come prescrive T ordina-
mento di questo ballo, e secondo V altezza di ogni odalisca. Al suono
degli strumenti musicali , s^ intrecciarono le volubili ridde , e cia-
scuna poi a solo si presentava al principe deponendo, con agile guizzo
de' piedi, un flore sul primo gradino del trono. Com'era naturale.
Stella vinse e per grazia, beltà, leggerezza di moti, e nobiltà tutte
le compagne , e quando posò la rosa sul tappeto imperiale , trovò
nella sua mano rialzandosi la pezzuola della predilezione. Dopo ciò
Amuratte disiiarve, e la giovinetta fra gli universali omaggi passò
al bagno, fu profumata, vestila d'oro e di gemme, scelse le dame
di onore della novella sua corte , e accompagnala da' canti e dai
suoni di entrambe le hasode, entrò timida nella camera nuziale a sa-
crificare all' amore.
Stella divenne in breve, e senza quasi ambirlo, arbitra d' Amu-
ratte, dopo che ne conquistò il cuore, mosse a suo libito la di lui
mente. Non era sol uno de' grandi dignilarii dello Stato , il quale
non riverisse o non consultasse la famosa arachi, che già formava
la gloria e l' ornamento migliore del Serraglio ; ma essa non era
felice, un dolore intimo la travagliava. Stella salita a tanta potenza,
adorata dall'intera città, benedetta da' poveri che le perdonavano
le acquisiate ricchezze e pregavano Dio di accrescergliele , perchè
le spandeva a loro sollievo, non avea ancora potuto cingere la sua
fronte del diadema imperiale, e dal grado di hungiar-arachi, prima
favorita, passare a quello di arachi sultana.
Io qui potrei sostituire alla mia penna , quella dell' illustre Sa-
gredo, il quale narra nelle sue storie i casi di questa celebre donna (i),
ma non dilungandomi da quant' egli riferisce, aggiungo che la no-
stra Stella avea dato selle figlie ad Amuratte, e che Dio, quantunque
cosi feconda, le avea niegato un solo maschio. L' imperatore ad onta
di ciò e della legge volea proclamarla sultana, ma la di lui madre
vi si oppose gagliardamente, aggiungendo eh' essa avrebbe dovuto
saper dare un erede all' impero per meritare cotanto onore, e quindi
r imperatore dovette smettere dal suo proposito. Ma Stella senza
corona di brillanti sul fronte , fu teneramente amata dal principe,
potè beneficare quanti infelici ebbero a lei ricorso , e comandare
quel vasto impero, soccorsa da' segreti consigli del suo Masuccio.
ContintM) LiONARDo Vico
(1) Tom. VI, libro XII, pag. 216.
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DI DUE STATUE DEL SEGOLO XV
IN S. MARIA DI GESÙ'
Xiettera ad Agottiao dallo
Chiarissimo Signore,
Colla mia del 10 dicembre 1869 ebbi T onore di tenerle parola
della statua in marmo di S. Maria del Soccorso scolpila da Giorgio
Demiiano palermitano nell'anno 1487 per la chiesa di S. Vincenzo
di questo Comune, la quale ultimamente fu passata in questa ma-
dre chiesa nella cappella di S. Giuseppe. Ora adempio alla pro-
messa di &rle menzione di quell'altra statua di S. Maria di Gesù,
citata nell'atto di convenzione fatto col nominato scultore.
E pria di tutto debbo confessarle, che nel leggere in queir atto
notarile T espressione melioratam figure sancte Marie de Jesu Ther-
marum, subito mi si affacciò il dubbio, che quella statua potrebbe
essere anche parto dello stesso scultore, per cui osservazioni e ri-
cerche erano necessarie a farsi sulla predetta opera, onde poterne
formare un adeguato giudizio.
La statua di eccellente marmo a grandezza naturale sotto titolo
di santa Maria della Visitazione* che si trova nella quarta cappella
della chiesa di S. Maria di Gesù , è air impiedi sopra un nugolo ,
in cui in piccole figure si vede scolpito il presepe che a destra ha
un angioletto ed a sinistra una santa, entrambi in ginocchio ; agli
estremi poi seguono due teste di serafini , e quindi due stemmi
con un leone rampante , armi gentilizie della famiglia Bruno. Il
Bambino supino sulle braccia della Madre rivolge graziosamente la
testa allo spettatope annunziando il Verbo coir indice che esce dalla
bocca , mentre colla sinistra tiene il mondo e lo avvicina al suo
seno; e la Diva colla testa scoverta, dalla quale scendono ondeg-
gianti le tracce sul petto, presenta il suo figliuolo con tale un mo-
vimento della persona che è assai sorprendente, e dà molta vita al
gruppo.
11 nudo sente un poco del secco, e non ha quello sviluppo che
r artista seppe trovare nel panneggiamento naturale e morbido.
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136 NUOVE EFFEMBRmi SICILIANE
massimamente nel manto che raccolto sotto le dì lei braccia forma
graziose pieghe , nelle qaali traspare il nudo senza afifetlazione al-
cuna : i capelli e i sopraccigli sono dorati, come pare lo è il manto
nei lembi e negli arabeschi dipintivi di sopra ; gli occhi son colo-
rati di oscuro, le bocche di color roseo, e V interno del manto di
azzurro.
Altro gruppo di marmo a mezzana grandezza si trova in quella
chiesa esprimente la Pietà, segnato di S. Maria di lesus 1480: in
esso è ammirevole per la espressione di cordoglio la Madre Addo-
lorata che tiene sulle ginocchia il suo Gesù morto, il cui nudo al-
quanto secco non è privo di merito; i panni han poco rilievo, ma
buone pieghe ; e sopratutto è notabile nel fondo del gruppo per
la parte estetica un coro di sei angioletti in preghiera.
Che lo scultore Giorgio Demilano fosse stato conosciuto dagli ono-
revoli fratelli Bruno fondatori della chiesetta di S. Maria di Gesù è ben
certo, poiché si trova scritto negli atti di notar Antonio de Michele
sotto il giorno 16 ottobre 1484, che quell'artista si obbligava ese-
guire un arco con suoi pilastri di pietra calcarea per la cappella
della stessa a spese degli enunciati Bruno ; i quali in quella con-
giuntura di adornare la chiesetta non è improbabile che avessero
allogato pure al suddetto scultore T esecuzione della statua di S. Maria
della Visitazione, fatta parimente a loro spese come lo provano le
armi gentilizie scolpite nella base.
La chiesetta, che in origine era formata da un semplice rettan-
golo colla porta rivolta al NE e rimpelto unica cappella decorata
dall' arco eseguito in pietra calcarea dal Demilano, fu in seguilo per
li bisogni della crescente popolazione elargata e ridotta alla attuale
forma coir ingresso al NO, aggiungendosi altre quattro cappelle la-
teralmente a quella prima esistente ove era la statua della Visita-
zione , che in quella occasione fu situata nelP altare della contigua
cappella appartenente alla famiglia Bruno, la quale con non indifife-
renti somme, unitamente alle oblazioni di altre faunglie opulenti del
paese, aiutarono a murare quella sacra fabbrica.
Or dall' importante documento sopra citato , e dall' espressione
{melioratam etc.) che fa quasi chiaramenle vedere esser T autore
della statua di S. Maria della Visitazione lo stesso Giorgio Demilano,
poiché dobbiamo credere che nissuno sia cosi ardito da promettersi
fare T opera sua migliore di quella fatta da un altro; e dalla somi-
glianza poi dello stile nel panneggiamento; dal modo identico di
trattare il nudo; dal concedo, che é priìBa e sovrana dote dell' arte,
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DI DUE STATUB DEL SEC. XV 137
in ambo le statue bene espresso , io ne conchiado che la statua
di S. Maria della Visitazione è lavoro del nominato Demilano.
Per quanto riguarda poi il gruppo della Pietà, eseguito anni prima,
potrebbe benissimo attribuirsi a queUa scuola.
Ecco quanto ho potuto raccorrò di notizie sui due gruppi della
chiesa di S. Maria di Gesù, e quanto penso degli stessi. A migliori
schiarimenti, ed a giudizi più maturi il resto.
Mi creda con tutto rispetto ed affezione suo
Da Termini-Imerese, 1870.
Dev."» servo
Ignazio de Michele
GOTTSCHOLK
0
IL MUSICO DELLA MORTE (1).
Aperto è il ciel di Dio
Air alma innamorata, e tutta assorta
In quest' unica gioja al mondo è morta.
Schiller, Canz, deHa Camp,
Nel pensier della morte un di rapito,
Ei si commosse nel profondo cor;
E nell'arcana idea deirinQnito
Arder s'intese di celeste amor.
Della terra dimentica, pel cielo
L'està tic' alma già facea cammin;
E quasi sciolta dal corporeo velo,
Sentia l'afflato angelico, divin.
(I) «.È morto a Rio Janeiro in età di 4Q anni il famoso pianista Gottscholk. Nel-
r ultimo suo concerto egli avea cominciato a sonare sul piano forte una magnifica
ispirazione melodica, intitolala la m&rie, quando tutto ad un tratto egli si arresta,
vacilla e cade privo di sensi. Dopo 15 giorni di lotta accanita col morbo struggi-
tore la sua vita sì spense nel più bel fiore. Strana coincidenza ! • U Univeno Illu-
strato, a. IV. N. 2^ 27 febr. i87a
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138 NVOYU EFFEMEBIDI SIGUJANE
Ed ecco un Cherabin, sull' arpa d' oro
Dolce melodiaado, a lei s' offirì...
E • la pare sarai del noslro Coro»
Nel volger (disse) di non luoghi dì.
• De la bella Armonia nei santo amplesso
Sei tu vissuta gloriosa, ognor:
E nel bacio di Lei V ha pur concesso
Lasciar la terra T Infinito Amor.
• E tu la nota omai sciogli dal petto,
Che fia r estrema e ch'io t'ispirerò:
Pria che Morte si faccia al tuo cospetto.
Che tu canti la Morte i' chiedo e yo\ >
Disse — e qual nebbia in aere vanio;
Ma tal possanza a quello spirto die.
Che di Morte il mistero ei lesse in Dio,
E del mistero mterprete si fé.
A melodici numeri divini
Il suo novo fidando alto pensier,
Che un accordo parea di Cherubini
Temprato air armonie del Primo Ver. —
Ecco egli siede, e i cembali commossi
Fa della sua melòde risonar:
L'odon gli amici e sentono, percossi
Di meraviglia, M core palpitar...
Ma perchè di pallor si tinse il viso?
Perchè T agile mano si ristè ?..
Perchè lo sguardo ai cieli tien si fiso ?.
Qual mai fantasma innanzi a lui si fèl-
li fantasma di Morte! Una corona
Di eterni fiori ella gli posa al crin;
E e or te da' sensi (dice a lui) sprigiona
La tua diletta... vieni, o pellegrin ì •
Ei la contempla in estasi I Terrore
La Morte ad altre genti apporterà...
Ma da ch'egli le sciolse un suon di amore,
Più la Morte per lui terror non hai
(Messina 10 marzo 1870)
L. Lizio-BnuNo
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CURIOSITÀ STORICHE SICIUANE
(f, 222) Oonfraternite nelle malattie donano al oonDrati aoo-
eorso di danaro. É costume nella nostra città , che alcune Con-
gregazioni, 0 Confraternite, qualora sono ammalati li loro Coufrati,
somministrano loro una certa quantità di denaro ogni giorno, per
mantenimento nelle sue malattie ; siccome pure detti Confrati , in
ogni mese o settimana, in occasione di morte di alcun Confratello
pagano certa quantità di denaro per cumulo di tale sussidio o per
celebrazione di messe. Discorrendo un giorno sopra tale uso , mi
disse uno , per altro letterato , che questo stile non è .troppo an-
tico ; che le Congregazioni, per sua primiera istituzione, tutte ba-
davano a coltivare lo spirito, niente incaricandosi del temporale; e
che dal 1600 in poi , e forse più tardi , furono introdotte in esse
le tasse, le quali sono state la causa della dissipazione del profitto
spirituale.
Questa proposizione universahnente proferita non è vera; impe-
rocché trovo anche nella nostra Sicilia , nel secolo duodecimo di
nostra salute. Confraternite a guisa delle nostre accennate. Il primo
, Arcivescovo di Messina, che fu Nicolò, fondò ed approvò una Con-
fratemila nella chiesa del Priorato di S. Maria de' Latini in Mes-
sina nel 1178; e nelli Capitoli di detta Confraternita trovo, che < si
« aliquis ex Confralribus infirmilate detentus fuerit , nec habuerit
• unde vitam susientare posset, de ipsius Confratria bonis servien-
« dum. » (Veggasi il Pirri in Not. Eccl Messan. pag. 398, col. 1 ,
• liti. C.) Ecco il sussidio dato dalla Confraternita. Di più, • XXX vi-
• ces singulis sabbatis unusquisme singulas ad oleum portabit fol-
« leras. * Ecco la tassa pagata dalli confrati. Che erano li follavi f
moneta di cui parla il sig. Principe di Torremuzza negli Opuscoli
di Autori Siciliani lom. XVI, pag. 349 (1).
((, 51) Ucenzla di Sclmeca. Quando taluno si parte da una
conversazione senza domandar licenza, sogliamo dire che se ne va
alla Francese: io però, che sono un palermitano, direi che questo
tale si parte cu la licenzia di Scimeca, Per T intelligenza di questo
modo di parlare, un tempo usalo in Palermo ed ora ignorato (2),
(1) Veggasi adanque a quale antichità rimontino, in Sicilia, le Socieià di mtUuo
ioccorgo, come oggi si chiamano, in Palermo abbiamo di esse documenti certi nel
500, negli Statuti delia Congregazione di Vi$ila-poveì'i.
(2) Questo modo proverbiale non è punto ignoralo dal popolo , che lo ripete
tuttavia non solo in Palermo, ma pur nei Comuni della Provincia. '
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140 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
deve sapersi, che D. Giuseppe Scimeca , nostro conciltadino , offi-
ciale della Tavola , morto nel 1646 , aveva un costume , ed era :
« Post colloqutionem cum amicis, aliisque, sino ulta urbana saluta-
« tiene discedere ; unde in proverbinm abiit : Scimechae lic^itia
e discedere, > Ck)si Hongitore, T. 1, Bibl Sic. pag. 403, coi. 2 in 6ne.
(I, 371) Vicolo innestato. Da parecchi anni in qua si ò intro-
dotta la inoculazione del vajolo con felice riuscita. Il nostro Re Fer-
dinando Terzo Borbone (nato a 42 gennaio 4751), essendo in età
di anni 26 compiti, volle che si facesse sopra di sé questo esperi-
mento nel marzo del 1778; quale essendo sortito felicemente, recò
gran consolazione Ò tutti i suoi popoli : per lo che nella nostra città
di Paleimo a 3, 4 e 5 del mese di aprile 1778, in ringraziamento
a Dio per tal beneficio^ si espose alla pubblica adorazione il SS. Sa-
gramente in tutte le chiese sagramentali ; e nelP ultimo di detti
giorni si cantò il Te Deum in tutte le medesime chiese si de' Se-
colari, come de^ Regolari; cantandosi nella Cattedrale dalF Arcive-
scovo D. Francesco Ferdinando Sanseverino, colPinlervento del vi-
ceré Marco Antonio Colonna Principe di Stigliano.
(I, 529) Vicolo: sna inocnlasione Introdotta in Palermo.
D. Giuseppe Carcame, Spedallero deir Ospedale Grande e Nuovo in
questa Capitale, vedendo che la maggior parte di fanciulli Projetti (1)
in 4etto Spedale moriva col male del vajolo , ricorse al nostro Re
Ferdinando Terzo Borbone, acciò si compiacesse di far propagare
in tutto questo nostro Regno la utile pratica della inoculazione, o
sia innesto del vajolo, con far chiamare in codesta Capitale . nella
primavera e nelP autunno, otto Barbieri ed otto Levatrici per volta
dalle principali città del Regno, onde po^no istruirsi del metodo,
che convenga adoperarsi in tale innesto , ed indi eseguirlo su dei
Projetti de' rispettivi paesi. Piacque al Re tale progetto; e con un
suo dispaccio de' 30 agosto 1788 accordò per tre soli anni quattro-
cento oncie all'anno (2), da prendersi dalP Azienda di Educazione,
per il mantenimento di tali Barbieri ed Ostetrici, durante la loro
dimora. Fu assegnalo per luogo di detta scuola la Casa deW Audi-
tare nella nostra campagna di Malaspina. Fu assegnato per maestro
di tale scuola il dottor D.Francesco Berna: per Direttore e Sopra-
intendente del tutto il sopracennato signor D. Giuseppe Carcame,
attuale Spedaliere dello Spedale Grande. Si apri detta scuola per la
prima volta a lo ottobre 1788. S. Salomone-M arìno
(1) i trovalelli.
(2) Uro MdO iialiano annue.
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CRITICA LETTERAIUA
SoiSfni e Baan Senso, Serate campestri di Vingknzo Di Giovanni.
Palermo, tipografia Sdii, 1870.
Pregiatissimo sig. Professore
A me spetta non giudicare il libro di Lei, ma sibbene impararci.
Lo spirito del quale mi pare sapientemente raccolto nelle parole
trizi del sofisma, e virtù dd buon senso; e qui potrebbesi inventerò
e dire : buon senso ddla virti^ e sofisma del vizio : perchè il torto
neir operare (e i nostri antichi dicevano torto la colpa) è contor-
cimento d'argomentazioni e di significati , la dirittura nella mente
è nell'animo rettitudine. E perdio la linea diritta è la più breve,
gl'ingegni che si sviano nel falso, si stancano e a breve andare in-
fiacchiscono : dove al contrario la retta agilità del pensiero è de-
strezza nel fatto verace e fausta; onde i furbi da ultimo sono i più
gonzi, e i tristi riescono a fine trista. Ella fa bene a dimostrare dalle
conseguenze come sia cattivo il falso, e il vero sia buono; per con-
seguenze intendendo e le deduzioni da' prìncipi e le sequele dei
fatti. Ond' io non concederei, com' Ella , egregio uomo , fa , che il
panteismo a' dì nostri passeggia trionfalmente, quando non si con-
fondano, come nel trionfo di Cesare, le grida di vittoria e i vitu-
peri. Il prof. Yanzolini, che dev' essere una degna, persona quando
Ella lo chiama amico , poteva meglio spendere i suoi ozi eruditi
che nel gareggiare con un traduttore così valente come il Mar-
chetti è, e nel lottare con un dicitore cosi potènte com' è Lucrezio,
e nel far leggere agli ignoranti di latino un cosi ridicolo filosofante.
Ha tutte le dottrine degli atei sono sottosopra, cosi trionfali come
le lucreziane, che condussero il povero gentiluomo a impazzare e
buttarsi dalla finestra. II prof. De Filippi , prima di consumare la
sua rivelazione scientifica intorno alla parentela degli scienziati co-
gli scimmiotti, andò a visitare la China , e morì cristiano. Io non
so se alcun uomo di buon senso, professore o mandarino che fosse,
si sia nelle ore estreme pentito d'esser vissuto cristiano sincera-
mente, e abbia detto : io voglio morire credente nella mia frater-
nità colle scimmie.
E' bisogna in vero essere un Creso di povertà mentale e un Er-
io
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142 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
cole di debolezza, per dire sol serio : io credo al non credere , il
dubbio di quel ch^ allri crede è il mio domma , il no è il mio si,
il fenomeno è la mia realtà, io sto a' fatti di fuori, ma nego quelli di
dentro; nego a tutti gli uomini la ragione, e facend'uso della ragione
mia che non ho, impongo ad essi che sì figurino di non lo avere; e
se non hanno tanta immaginazione da soffocar la ragione, io lì sco-
munico, e (quel ch'é più terribile) mi rido di loro. Cotesta gente
(poca e piccola in verità) interdice a se stessa non solamente Tuso
della ragione, ma Tuso di tutte le parole che accennano direttamente
0 indirettamente a ragione : non possono né cercare il perchè delle
cose, né, parlando con gli uomini, dire perchè, senza dare una men-
tita a se stessi, senza riconoscere Dio. Ragione è vocabolo che non
ha senso se causa non V ha : né causa ha senso , se le si neghino
gli attributi di possente a produrre Teffetto e di libera. Più gli a-
nimali della materia moltiplicano gli effetti decapitati di causa, e più
mollipUcano i miracoli della necessità, i misteri del nulla; più ur-
tano nel senso comune degli uomini e nella evidenza irrecusabile
delle cose. E però argutamente Ella li mette alle prese con le bel-
lezze della natura e con le ispirazioni delParte, col vergine istinto
del giovanetto innocente, e col cuore pio della donna affettuosa. Chi
potesse svellere dal cuore agli uomini la pietà verso Dio , svelle-
rebbe la pietà verso i parenti, la patria, gV infelici; e, facendo gli
nomini da meno dei bruti, con questa prova avvererebbe insieme
e confuterebbe le dottrine sue stupide. Ma Ella , signore , educato
da una madre buona e dal consorzio d'un popolo religioso, sapendo
dalla superstizione la religione discemere con la virtù del pensiero,
saprà finaincare i concittadini suoi da quell^altra superstizione ch^al-
tri vorrebbe adesso innestarci, la quale sarebbe già più feroce se
non attendesse vilmente una più comoda impunità. Onori e premi
Ella non attende a tal prezzo ; e ne ha già d' incomparabili nella
stima de^ buoni e nella propria coscienza.
U maggio 1870. Fìr.
tuo dev,
Tommaseo
Al CA. siy. Frof. Ab. Vincenzo Di Giovanni
Palermo.
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CRITICA LETTERARIA 143
Baoa flenso e buon onore, conferenze popolari di Cesare Cantu\
Milano, Giacomo Agnelli editore, 4870.
In Italia, oggidì che tanto le passioni politiche han sopraffatto gli
animi, si pensa, giudica e opera con idee preconcette, si prende a
punto di partenza di ciascun^ azione la simpatia o T antipatia per
questa o quelT altra cosa, pel tale o tal altra individuo. In tanto
scombussolamento di cervelli , un povero autore imbatte a dar
fuori un^ opera, frutto di lunghi studi e più lunga (Saftica, e si
trova di fironte schiere di critici bianchi, e rossi, e neri, e gialli,
e senza colore anche. Se una parte dice bravo te T altra di botto
crucifige! se quella trova il libro virtuoso, questa lo predica im-
morale, e invoca per esso Vianathema sit a cui essa stessa non [cre-
de. Per r autore poi non se ne parlai Chi lo adora genio, ehi lo
trova testa di rapa; chi lo dm onesto e vero liberale, chi lo insulta
per retrogrado e antitaliano; chi finahn^nte le vorrebbe più consen-
taneo a se stesso, meno partigiana» meno superficiale ec. ec; Tutto
questo vespaio suolsi accendere in generalo per certi uomint alto
locati a forza di studio e di costanza, da sé solr, e sprezzanti sem-
pre la passaggiera e vana aura popolare di moda. A questi taU ap-
partiene Cesare Cantù.
Quest^uomo, dì- straordinario ingegno e una delle prime gtorie
dellMtalia moderna, TitaKano il più noto ai due mondi per la sua
Storia Universale; qaesV uomo stuzzica i nervi di parecchi, e li fa
atteggiare a disprezzante sorriso, lo convengo che anche ad uomini
di chiara fama non vada molto a sangue il suo modo di pensare; con-
vengo che nelle opere sue faccia qualche volta capolino la fretta, e
qualche giudizio sia troppo avventato, e qualche cosa detta con un
po^ di confusione ; ma devesì pur convenire che non si dee sen-
tenziare a chius' occhi de' suoi lavori, senza leggerli innanzi da cima
a fondo; non si dee condannare senza ascoltar innanzi te sue buone
ragioni, che non son poche per eerto, né lievi.
Abbiamo premesso queste parole per manifestare P opinion no-
stra suir illustre storico, pria di esaminar brevemente V ultimo suo
Hbro che s' intilola Buon senso e buon cuore; acciocché qualcuno ,
udendoci favellare del Canta, si risparmi di saltar sulla sedia come
un eroe da romanzo, per riversare, pigmeo contro il gigante, un
sacco di contumelie sul nuovo volume, che non ha visto neppur di
che sesto esso sia.
Il libro è rivolto specialmente alle classi operaie; e il titolo stesso
vi dice che a queste vuole far intendere la verità e operare il bene
educando la mente ed il cuore , aumentando le nostre facoltà no-
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14& NUOVE BFFBMBRIDI SIGIUANE
bili, allontanando i mali ed i vizi, correggendo gli istinti» operando
sempre il bene, riavvicinandocì sempre a quella moralità grande
ed eterna che sublima Tuomo, che gli spiriti eleva sulla materia.
• Ma affinchè la voce della ragione sia ascoltata, (ei dice) bisogna
passi pel cuore, che è il fattor comune dell' intelligenza. Prima qua-
lità de*" libri popolari è V essere affettuosi, come dettati dalla bontà
per ispirare la bontà *. Ed affetto non manca al libro suo , ed in
talune pagine è si intenso da commuovere i leggitori; affetto e com-
mozione dovuti anche in parte alle nobili verità annunziate ed e-
sposte con profonda convinzione. La voce che parla è quella slessa
di Omobono e di Carlambrogio di treni' anni fa, che tutti nella fan-
ciullezza imparammo a conoscere non senza nostro vantaggio: ma
adesso risuona più matura, più conforme ai nuovi bisogni e alle
nuove tendenze della società, e rivolta agli uomini adulti più che
ai giovanetti. Il libro, nelP intiero, è un sistema di sana filosofia,
ma filosofia pratica che dilettando insegna, per via d'esempi, di
parabole, di precetti, e viene istillando nei cuori una morale soave
ed operosa, che ci spinge ad odiare il vizio, amare la virtù, la pa-
tria, i fratelli, seguire in tutto i doveri che ci legano a Dio ed
al prossimo. Dalla nostra coscienza, dal nostro senso morale, dalle
armonie delle opere di Dio, il Cantù ci conduce ad elevarci a Dio
stesso, da esse rivelato e dall' anima nostra sentito : ci richiama ai
doveri e ai diritti nostri , al perfezionamento dello spirito e del
corpo, alla bontà insomma morale e alla prosperità materiale. Tutto
entra a far parte di questo libro : scienza e letteratura, arte e po-
litica, con tutte le loro successive diramazioni; né per ciò si ha un
centone, come una mente meschina potrebbe darci. Il Cantù par
nato fatto per riunire in unico gruppo le varie manifestazioni dello
scibile, e da ognuna saper trarre partito : egli ravvicina il moderno
air antico, il prossimo al lontano, e instituisce imparziali raffronti
che ora all'uno ora all'altro fanno dare la preferenza: egli mette
a nudo i mali del tempo , e in ispecie della patria nostra , e pro-
pone rimedi* che sempre han loro base sugli ammaestramenti de-
rivati dalla dirittura e dalla bontà dell'animo.
Un egregio crìtico, Francesco De Sanclis, che pur non è molto
amico al Cantù, a pag. 293 de' suoi Saggi critici scrivea : e Si rim-
provera agU Italiani, come ai Tedeschi, che non sanno l'arte di
fare un libro: quest'arte la possiede Cantù, quasi con la slessa
perfezione degli scrittori francesi. • Questa sentenza con maggior
ragione puossi ripetere a proposilo del buon senso e buon cuo-
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GRITIGA LETTERAMA 14S
re, perchè qui veramente l'Autore ha messo la opera tutta Parte
sua , dovendo in forma popolare dire agli artigiani cose che al*
trimrati dette ingenerebbero presto noia e confusione. Leggendo
queste \A\ Conferenze e gli YIII brevi RaccotUi che per entro vi
sono molto a proposito innestati , il lettore procede con piacere
sempre crescente fino alPultima pagina; e terminato poi il volu-
me , non può non ritornare ancora una volta indietro , principal-
mente a certi capitoli squisitamente ghiotti, come : Il progresso —
tuomo è perfettibile — domina la natura: Quinto^ Non far omid-
Ho : // medico : Perfezionare Fintelligenza e il raziocinio : La pro-
prietà — industria — commercio — contratti — lavoriamo ; Del rp-
spettare la proprietà nelle varie sue forme^ ed altri molti che sa*
rebbe qui lungo a trascrivere. Noi vorremmo che molti giovani di
oggidì, senza imprecare, al solito, in odio auctoris centra il Cantù,
aprano con buon animo questo suo libro : siamo certi che non lo
getteranno cosi facilmente, e muteranno la passionata loro opinio-
ne, e troverannosi in fine più ricreati, più disposti a fare il bene
e respingere il male« al buon senso ed al buon cuore.
Salvatore Salomone-Uarino
BalUi storia della Baronessa di Carini. — Lettera al Ch.mo
Prof, Angelo De Gubernatis -r Firenze.
Ck,mo Signore,
Se tuttavia mi indugiassi a farle quei ringraziamenti, che ora le fo,
mancherei a quella cortesia ch'Ella ha voluto gentilmente usar meco,
onorando di non breve esame e con graziose parole il mio volu-
metto ultimo (1^, nella pregiata sua Rivista Europea (A. I, voi. If,
Case. 30, maggio 1870: pag. B63-S66). Però ho meglio stimato di-
rìgerle pubblicamente la mia risposta, perchè premevami di mettere
in chiaro alcuni panti su cui Ella fa qualche osservazióne» onde
potessero gli spassionati lettori, che non han veduto il mio libro,
avere di questo un concetto adequato.
Ella non sì accontenta facilmente a credere storica la leggenda
della Baronessa di Carini , e la vorrebbe non propria della Sicilia
ma e appartenente invece a tutta la letteratura leggendaria >. A lei
sembra di poco peso la nota storica de' diaristi sincroni Filippo
(1) La Baronessa di Carini, leggenda storica popolare del see. XVI in poesia sici-
liana, con discorso e note, Palermo, tipof rafia del Giornale di Sicilia, 1870.
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H6 NUOVE EFFEMBRIDI SICILIANE
Panila , Valerio Rosso , Palmerìno e rAnonimo , sol perchè poco
chiaramente si espressero, e chiamano Donna la giovane Caterina:
a lei infine sa male che io mi lasci « andar ingenuamente a ere-
« dere che i frammenti somiglianti alla leggenda siciliana, esistenti
« ne' canti di altre parli dltalia, siano un imprestito che la Sicilia
« ha fatto al rimanente d'Italia. »
A me sa male invece dover contraddire 4a opinion sua, e dirle
che pretta storia è il Cktóo di Caterina La Grua figlia del Baron di
Carini. Che, grazie alla squisita gentilezza deirArcbivario di Casa Ca-
rini, sig. sac. Sansone, dietro raccomandazione. deU'ab. Cina, io ho
potuto minutamente ricercare i volumi tutti delP lurchivio de^ si-
gnori Talamanca-La Grua , dopo la pubblicazione del mio libro. E
le ricerche vennero aconfermare tutte le mie asserzioni, ed anche
alcune ipotesi che si appoggiavano alia tradizion popolare; qualche
lieve cosa poi ebbi a correggere sull'autenticità delle carte dell'Ar-
chivio stesso. Cosi ho trovato che la madre di Caterina non fu la
Tocco e Manriquez, come supponea il Yillabianca, ma Laurea Lanza
figlia del Barone di Trabia , e diveniva sposa del Baron di Carini
il 21 settembre 1543, 2* indiz., come può rilevarsi dall'atto auten-
tico di notar Ricca , esistente nell' Archivio. L' anno della nascita
di Caterina non ò indicato, come nemmeno quello de' suoi quattro
firatelli e delle tre sorelle: questo è certo però, -ch'ella era la mag-
giore, essendo* le altre andate a marito in fi*esca età Tuna al 1568,
l'altra al 4561, la terza al 1573. Ho rilevato ancora dai volumi del-
l'Archivio che la povera madre, forse in conseguenza della morte
di Caterina, moriva dopo pochi mesi al 156i. E Io stesso anno, ai
21 di ottobre, il Barone si rimaritava con Ninfa Ruis de* Baroni di
Santostefano; e mortagli anco questa moglie, passava a terze nozze
ali marzo, 3* indz. 1565, con Paula Sabia e Spinola. Egli poi mo-
riva al 1592, dopo 56 anni di baronato, del quale fu investito nel
1536, appena morto il padre. Il suo vero nome era Pietro Vincenzo,
ma si chiamò Vincenzo II, avuto riguardo al primo Vincenzo, padre
del padre suo.
Io avea pur detto che per un Ludovico Vernagallo, che avea spo-
sato una Elisabetta La Grua, erano parenti i Vernagallo e i La Grua.
Or bene, anche ho trovato che questo Ludovico Vernagallo era il
padre del giovine Vincenzo, amante di Caterina, e che la sua moghe
Elisabetta era precisamente l'ultima nata del barone Vincenzo I
La Grua. Io asseriva che il Castello fu chiavato e murato; devo ag-
giungere che il padre fece poi murare la conmnicazione tra la stanza
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GRITIGA LETTERARU 147
dove avea scannato la figlia e il proprio appartamento, e vi fece aprire
la nuova porla che dà nelP atrio e su cui a lettere maiuscole ro-
tonde in lastra marmorea fece scrivere le parole Et nova sint omnia,
quasi ad allontanar ogni memoria che gli rammentasse il suo mi-
sfotto. Quando io lessi quelle parole al Castello , sospettai di que-
sto : ma non ne avendo certezza, lo tacqui. Tutte queste cose ed
altre , che appariranno nella seconda edizione del volumetto mio
(già quasi esaurita essendo la prima) , ho tratto specialmente dai
volumi della Genealogia di Casa Carini, de^ Privilegi , e dai molti
(153S-1592) che racchiudono le immense Possessioni ec. di Vin-
cenzo li.
E se tutto questo non bastasse a provar che tutto è storico nella
leggenda di Caterina, ho anche a mano un documento che viene a
dar ragione a una mìa ipotesi non solo, ma anche alla costante tra-
dizione popolare di tre secoli. Io avea detto che Vincenzo Verna-
gallo, cerco a morte da Pietro, si nascose da prhna; poi pentito si
die a Dio, « non sappiamo in quale convento; certo non in Sicilia,
dove il feroce Talamanca lo avrebbe scannato fin sugli altari. •
Or bene , quella garbatissima e rispettabilissima persona ch^ è il
Barone Francesco Paolo Vemagallo principe di PatU, ultimo super-
stite dei Vemagallo del sec. XYI , possiede autenticato ed in per-
gamena il testamento di D, Vincenzo Vemagallo (ramante di Ca-
terina) morto monaco sacerdote cartnditano a Madrid, e questo te-
stamento porta la data de' 22 settembre 1582.
Lascio a lei ora, chiarissimo signore , il giudicare s' eir era cosa
da revocar in dubbio la verità storica del caso della Baronessa di
Carini: e senza pur i miei documenti d'ora, credo che le asser-
zioni de' Diaristi del cinquecento bastino, perchè quanta importanza
abbiano per la nostra storia quelle rozze sincrone scritture, non e' è
fra noi chi T ignori. Perchè del Catto parlarono in modo oscuro po-
chi tra' contemporanei, io ho largamente esaminato da pag. 40 a 44,
e anche a pag. 70-71 del libro mìo, bench'Elia^ non ne (àcci pur
cenno, quando dice che nessun altro scrittore del tempo ne parla.
E mi duole forte anche il dirle che priva di ogni valore è quella
sua osservazione, che nei Diaristi Caterina « figurerebbe Signora
Donna e non fanciulla. > Chi è stato in Sicilia, o ha avuto un po'
a mano le cose siciliane, sa benissimo che il Donna^ che vale pur
Signora, è dato comunemente a tutte le donne nobili o ricche dai
tre anni in su , allo stesso modq che il Don è de' nobili o ricchi
anche da' tre anni in poi. Ed ho visto molti Continentali far le me-
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148 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
ra vigile venendo in Sicilia e udendo, ad es., dire a ragazzine e a
ragazze puberi, ugualmente che a spose ed a vecchie, Signura Donna
Pippina^ Signura Donna Amalia ecc. In Palermo poi il Don e Donna
è anche oggi dalo a qualsiasi classe di persone, il che fo molta im-
pressione ai nostri buoni villici di contado, che quel titolo credono
spetti di dritto ai nobili e ricchi soltanto.
In fine, senza che io pensi menomamente a e mettere passioni
autonomistiche nelle questioni letterarie, > come a lei piacque dire,
io continuo a sostenere che la leggenda passò dair Isola al Conti-
nente. Trovo somiglianze di versi, trovo leggende analoghe : ma in
Italia sono pure e vaghe leggende, in Sicilia è storia , né sono io
che sogno un Castello di Carini, una impronta di sangue, una lastra
marmorea, un fascio di documenti autentici di archivio , e di cro-
nache, perchè tutto questo esiste ancora qui visibilissimo a tutti. Del
resto Ella tenga pure la sua opinione, e cosi qualunque altro quella
che gli piace, perchè io so rispettarla come vorrei rispettata la mia.
E accolga i sensi di rispetto affettuoso del suo
Palermo, li 15 maggio 1870.
Dev.mo obbLmo
S. Salomone-Habino
Biblioteca Storiea e lìetteraria di Sicilia p ossia raccolta di
opere inedite e rare di scrittori siciliani dal secolo XVI al XIX,
pubblicale sui manoscritti detta Biblioteca Comunale precedute da
prefazioni e corredate di note per cura di Gioacchino Di Uarzo;
voi. IV. Palermo, L. Pedone-Lauriel editore, HDCCCLXIX.
Questo nuovo voldme della pregevolissima Biblioteca storica e
letteraria di Sicilia che V ab. Di Marzo vien con singoiar diligenza
pubblicando ; volume che costituisce il quarto dei Diari della città
di Palermo^ può dirsi tutto insieme una storia della metà del se-
colo XYII. Lo compongono quattro cronache V una più importante
dell'altra, vogliam dire una Veridica Reazione di tumulti occorsi nd-
Fanno^ XV ind., 1647 e 1648 netta Città di Palermo, descritti dal
Dott. Marco Serio; gli Annales Panormi sub annis D. Ferdinandi
de Andrada archiepiscopi panormitani ab anno 1646 di Rocco Pirri;
un' Epitome ^eìle seconde rivoluzioni di Palermo del Dr. D. Diego
Aragona; e una Breve redazione del come si scopri la congiura maC'
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GRITIG4 LETTEBARU 149
chmaia da akumper sollecare Palermo e U regno, eddsuccesso iéUa
eaUura e del supplizio, di* ebbe luogo cofUro alcmii di essi.
Tutte e quattro questa relazioni son tratta da^ manoBcritti origi-
nali e da copie eastenli nella nostra Biblioteca Comunale, e il Di
Marzo ha avuto cura di presentarle nella miglior chiarezza possi-
bile traducendo dal latino la seconda e dallo spagnuolo le ultime
due; le quali per la scorrezione del testo avrebbero presentate dif-
ficoltà non minori di quelle che presentano gli Annales Panarmi
del Pirri, manoscritto zeppo di richiami, postille, interpolazioni e
pentimenti d^ogni maniera.
Da tutto il libro poi ne scaturisce cosa che Tegregio Di Marzo
avverte nella prefazione, cioè che la verità ne viene tutt' altro che
intiera su^ fotti narrati; il che rafforza sempr^iù la sentenza, che
finora la nostra storia si è fondata su documenti e giudizi officiali.
11 Serio e il Pirri , uomini onesti si ma di buona fede e di non
dubbia parzialità pel governo viceregnale, non potevano per la loro
posizione socievole e per Tindole loro approvare scrivendo i moti fi-
voluzionari de' Siciliani capitanati da Giuseppe D' Alesi, e però non
potevano non stigmatizzarli nelle loro scritture. Sicché di quei tu-
multi,—prova evidentissima delle sofferenze de' popoli tiranneggiati
e conquisi --non altro ci giunge che la voce del biasimo che im-
pone alla voce generosa di chi avrebbe voluto celebrare, e forse ce-
lebrò, nobili sensi, atti magnanimi e fiere vendette.
G. PrrRÈ
Scritti vari di Carmelo Pardi, voi. I. Palermo, tipografia del Gior-
nale di Sicilia, 1870.
Dopo quasi trent'anni di vita onestamente operosa nel campo
delle lettere il Prof. Carmelo Pardi si è determinato a raccogliere
e ripubblicare i suoi Scritti vari in vetso e in prosa ; unica sod-
disfazione air animo di chi avendo pur fatto qualche cosa pe' buoni
studi (luò nella torbida corrente che tutto oggidì travolge ed allaga
presentarsi co' frutti del suo ingegno.
Il primo volume della raccolta del Pardi è già venuto fuori in
questa settimana passata, e contiene i Versi, gli Elogi vari, gli E-
logi funebri. Tra' versi sono odi, canzoni, inni, terzine, carmi , e-
pistoie di elegante fattura , nella quale lo studio de' grandi nostri
poeti, e segnatamente delP Alighieri, del Foscolo e del Leopardi ,
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IKO NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
va a paro col sentimento, che nel Pardi è schietto e caldissimo.
Nell'ode civile egli si leva dignitoso qoale il soggetto lo consiglia
ed ispira; affettuoso ne' canti pel popolo, dov'è morale che educa
ed amore che afihratella ; appassionato nel cantar di domestiche
gioie 0 di sventure private di amici; eminentemente biblico nei
soggetti religiosi, egli tocca con eguale maestria e delicatezza ogni
maniera di stile : di che danno beU^ argomento i versi Al sole, ABe
donne siciliane, V avvenire^ La missione ddla donna, Il pianto del-
torf anello. La Vergine ne* profeti^ Geremia e Gerusalemme, La ca-
rità. La casa di Uworo, Il fabbro ecc.
Negli Elogi vari, pur non guardando alla forma sempre ben mo-
dellata sulle orazioni funebri dì reputati scrittori, vuoisi notare la
verità dell'elogio, lontano da quelle smaccate adulazioni, che in
componimenti di tal genere rare volte mancano. In questa e in
quella pagina hai notizie pregevolissime di persone e di fatti sici-
liani, ed ammonimenti ed esempi ne' quali ogni giovane si senturà
eccitato ad affetti gagliardi e a virtù generose. Da questo lato le
opere del Pardi sono veramente degne di plauso , perchè in esse
non è dato avvenirsi in una biografia, in un ricordo funebre, donde
non si rilevino chiari gì' intendimenti dell'Autore, di consigliare per
via di esempi, e consigliando istruire, dilettare, ammaestrare. E un
altra cosa ne sembra degna di attenzione in queste prose del Pardi,
cioè a dire le molte e svariate conoscenze artistiche là sopratutto
dov'egli s'intrattiene a discorrere del D'Antoni e delia maniera che
egli segui in pittura. Certo che molti discorrono d'arte a' di nostri,
ma quanti ne intendono le ragioni e la storia ? 11 nostro valente
scrittore, artista anch' egli nella poesia, ha mente e cuore per com-
prendere e far comprendere il beilo ovunque lo trovi, e da chiun-
que esso parta.
Desiderosi che questo annunzio , necessariamente breve, segnali
una pubblicazione fatta con amore e coscienza, noi attendiamo
il secondo de' tre volumi che di essa ci si promette.
G. PlTRà
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ONORIFICENZE. All'illustre cay. Uonardo Vigo ó stata conferita la citudinania
di Palermo pei suoi meriti cirili e letterari e specialmente per il nobile poema il
Buggiero,
BELLE ARTI. Il paesista Francesco Loiacono, mandando i snoi quadri a Vien-
na, ha ricernto elogi immensi e meritatissimi: e un loAgo articolo della Freie Prette,
che parla di lui, adopera parole molto belle e onorifiche.
— La Commissione di antichità e belle arti ha incaricato V artista sig. Francesco
Padovani perché fossero staccati e passati sulla tela i dae pezzi rimasti del famoso
e grandioso fresco di Pietro Novelli, esistente nell'atrio dell' ex-Ospedale grande, ora
Caserma della ss. Trinità. Il trasporto de' due pezzi , che contengono gruppi di fi-
gure, è stato eseguito mirabilmente, senzachò il colorito, le intonazioni, i conu>mi,
le velature soffrissero menomamente alcun guasto, e presentamente si ammirano
nello studio del Padovani, donde passeranno al Museo.
* Sappiamo che la suddetta Commissione incaricò l' artista sig. PozzìIIo di ripulire
il fresco del pittore palermitano del sec. XV Antonio Crescenzio, li trionfo ddia
morie, che stava dirimpetto al fresco del Novelli, per farlo poi trasportare pur sulla
tela dal Padovani.
Ci si assicura che la Commissione abbia divisato far tagliar l'altro non men celebre
fresco del Moniealese, esistente nella volta del refettorio degli ex-Benedettini di san
Martino, rappresentante Daniele nella fotta de* leoni.
— I giornali di Messina annunziano che il rinomato incisore messinese cav. Aloy-
8Ìo Juvara riportava H premio d'incisione aH* Esposizione dì Belle Arti in Roma pel
suo stupendo lavoro a bulino la Madonna di Napoli , che destò già l' ammirazione
dei più insigni artisti a Parigi ed a Berlino.
TEATRI. Il nostro egregio amico poeta, Domenico Calati* Fiorentini palermitano,
avendo letto il suo dramma : Milton a Victor Hugo, n' ebbe lodi e incoraggiamenti
non solo, ma fu da queir illustre con particolarità raccomandato alla Direzione del
Teatro della Porte Saint 'Martin, ove il MUlon, tradotto dallo stesso Calati in fran-
cese, andrà sulle scene dopo il Tor^[uemada di Victor Hugo. Dopo ciò, dioesi, il
Calati avrebbe fermato il suo domicilio a Parigi, per riuscire, decisamente» scrittore
francese.
MONUMENTI. Il 7 maggio è stata innalzala a Sorrento la statua di Torquato Tasso
scolpila dall'artista Cali, ed eretta per cura del Municipio sorrentinese.
— Intorno al modello della statua del Piazzi , la quale verrà innalzata in Ponte
di Valtellina sua patria, cosi in/orma da Milano il Prof. B. E. Maineri nella Val'
^ellina di Sondrio :
€ 11 Piazzi è posto su ritto, il capo scoperto, in abito del suo Ordine.
« Le braccia conserte inferiormente al petto; stringe esso con la sinistra un rotolo
spiegazzato in parte, in cui per alquanti segni intendesi rappresentare lo zodiaco.
Rivolto al cielo, lo vedi immerso in un' idea fissa, specie di contemplazione astro-
nomica propria delle speculazioni sue; posa espressa molto felicemente e assai ben
favorita dal costume religioso del frate e dal suo panneggiamento.
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162 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUÀNE
« Di sotto Ja statua, immedìatameDte, ossia nel fregio del piedistallo , scolti nel
bassoriiieyo , redensi gì* istromenti della scienia cui inlese— l'astrolabio, il com-
passo, il telescopio, ecc. — e alla sommità del dado , sotto l'arco onde vuoisi figa*
rare il firmamento con gnsto bene scello brillerà, indorato a fuoco, il pianeta Cere-
re, dal quale partiranno raggi nelle rispettive direzioni. Su V anteriore superficie del
dado si leggerà la iscrizione storica o d* elogio; e nelle laterali, le epigrafi seconda-
rie. La statua riuscirà alta m. 2, 40.— e m. 3. il piedistallo; onde complessivamente
un* altezza di oltre m. 5. il solo monumento.
« La commissione di BreVa, composta dei sigg. cav. prof. Abbondio Sangiorgio, cav.
prof. Antonio Calmi , Angelo Biella scultore e Mosè Bianchi , pittore , meritamente
ritenne assai bene interpretato 41 concetto, e, in ispecie, per quanto riflette V espres-
sione degna dell' artista. E io sono permaso che V esecuzione in marmo ne accrescerà
con efficacia l' effetto^ poiché l' armonia delle proporzioni non può essere meglio giu-
dicata che in fine, e quando il monumento si troverà a suo posto. •
PROSSIME PUBBLICAZIONI. U tipografia del Giornale II Cittadino di Acireale
mette a stampa la seconda edizione , riveduta e cresciuta, delle Ouervazioni mlta
malattia degli agrumi del sig. Antonio Pennisi -Mauro. Ogni copia costerà lira «ina.
— L'egregio poeta prof. Ugo Antonio Amico sta pubblicando pei tipi del GìoT'
naie di Sicilia degli Sciolti diretti al valente nostro pittore Francesco Loiacono.
CONCORSI ED ESPOSIZIONI. 11 comìzio agrario del circfindario dt Palermo ha de-
liberato di conferire un premio di L. 600 all' inventore di una macchina adatta alla
trebbiatura del sommacco, la quale riuscisse a separare la foglia dai rami con eco-
nomia di tempo e di spesa in confronto alla trebbiatura comune.
NECROLOGIA. È morta in Firenze, il 15 di aprile, la illustre scrittrice di opere
filosofiche, la marchesa Marianna Florenzi-Waddington.
— È morto in Torino sua patria nella grave età di 85 anni V ab. Amedeo Peyron,
uno dei più grandi orientalisti d' Europa.
— L' 8 di maggio ò morto a Parigi in età di 83 anni l'illustre storico Francesco
Abele Villemain.
— Sou morti ancora il sommo fisico berlinese Enrico Gustavo Magnus, e il dotto
climatologo Rodolfo Vivenot da Vienna, il quale, con singolare affetto illustrò la nostra
Palermo , come retidenza sanitaria preferendola a qualunque altra città italiana.
Di lui scrisse una bella commemorazione il dottor Giuseppe Arcoleo.
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BULLETTINO BIBLIOOBAFIOO
PRIMÀLITA' DI DIRITTO. Studi del-
l'avvocato Giambattista Pigonb ecc.
Girgenti» 1870.
Questo libretto ò la parte prima di un
lodevolissimo lavoro coi da più anni ha
atteso il sig. Picone , con animo a vista,
della rainosa alterazione de* principi u-
niversali, di sostenere la necessaria rì-
staurazione de' principi, da cui poter a-
vere, smessi i cenci germanici e francesi
nelle discipline speculative, una filosofia,
una letteratura, e una civiltà nostrale e
cristiana. False e abbaglianti dottrine,
hanno portato perniciosa confusione nelle
idee di libertà, di* legge, di moralità, di
autorità, di sovranità; e però è necessità
il ritornare ai principi che sono le pri-
malilà di diritto, se si vuol salvare l'età
nostra da terrìbile corruzione condacentis
a ferrea barbarie. « Io non so compren-
dere, dice l'A., scienza del diritto senza
morale, uè diritti nò doveri umani senza
filosofia instaurala nel Vangelo, » di guisa
che ripete col Vico : • il vero Dio come è
principio della vera religione, lo è pure -
del vero diritto e della vera giurispru-
denza. » A confermare la quale sentenza
e a rafforzare il concetto della sua neces-
saria instaurazione dei sommi principi
va brevemente notando l'A. le conse-
guenze venute su dalla negazione di Dio
e del Vangelo, e la negazione che ne usci-
rebbe a filo di logica di tanti pronunziali
sopra cui oggi s'intende levare il novello
edificio sociale.
Il lavoro é tutto informato de' sensi
della vera scuola italiana e benché pro-
ceda per tocchi (e però occorrerebbe più
stretto legame nella sua disposizione),
non lascia cosa che riguardi quanto e* è
di più rilevante o in morale o in politi-
ca. Desideriamo che venghi fuori presta-
mente l'opera per intero, e siam certi ne
verrà molto onore all'aalofe, utile DO0
poco ai nostri tempi. V. D. G.
RISULTATI DELLE OSSERVAZIONI
SULL' ELETTRICISMO ATMOSFERI-
CO istituite nel R. Osservatorio di Mo-
dena, memoria del prof. Domenico Ra-
6ONA. Modena» 1870.
Queste osservazioni elettriche , sono
state registrale per mezzo del condut'
lore mobile del Prof. Palmieri, migliorato
con opportune modificazioni introdotte
dall' illustre prof. Ragoua.
Egli, pei dati di 185 giorni di osserva-
zioni, ricava delle importantissime con •
clusioni sull'elettricità messa in rapporto
colla pressione atmosferica^ colle piogge
e coi temporali; come pure sulle correnti
telluriche, ec. Noi non potendo per a-
mor di brevità trascriverle tutte quanto
ne citeremo soltanto alcune : « L' iden-
tità delle due curve, elettrica e barome-
trica, deve a mio credere aprirci un nuo-
vo punto di vistib sulla causa delle oscil-
lazioni diurne barometriche. Egli ò certo
che l'aria deve essere tanto più elastica
quanto più è carica di fluido elettrico,
perchè cresce la ripulsione tra te^ sue mo-
lecole elementari.
« Or il barometro indica e rappresenta
non solo le variazioni di peso, ma ancora
quelle di elasticità. Quindi dovrà esser
più basso nelle ore in cui l'aria è meno
elastica, ossia meno carica di fluido elet-
trico, e più alto nelle ore in cui cresce la
carica della elettricità atmosferica. Que-
sta spiegazione è in intima reiasione col
fatto da me ritrovato sin dal 1865, e anche
recentemente confermato, cioè che la forza
elastica del vapore acqueo contenuto nel-
l'atmosfera, segue un periodo diurno i-
dentico a quello della pressione atmosfe-
rica, e in conseguenza identico ancora a
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154
NUOVE EFFSMERIDl SlGIiJANE
quello della eleurìcità atmosferica — Pare
che le oscilladoDÌ regolari e diame del
barometro siano di due specie. La prima
dipende dal calore, e la seconda dalla e-
lettrìcità. La prima è rappresentata da
una curva a un solo massimo e un solo
minimo, e dipende dal calore, perchA i
massimi e minimi coincidono con quelli
della temperatura diurna. >La seconda è
rappresentata da una curva a due massimi
e due minimi, e dipende dalla elettricità
perchè i massimi e minimi coincidono
con qaelle della elettricità atmosferica. •
M. S.
NUMISMATICA CONTEMPORANEA SI-
CULA o$$ia le monete di eorto prima
del 1860 per Giacomo Maior< A. Pal.,ti-
pografia di Pietro Pensante i870, pr.
L. «.
Quest* operetta ad onta della modestia
e della semplicità colla quale si presenta
è un lavoro commendevole che onora VA.
e segna un progresso dell* arte litografica
presso di noi. Essa è la prima che nel
suo genere siasi fatta in Sicilia, e merita
un tributo di lode il Majorca che ha sa-
puto cosi bene ideare ad eseguire il suo
concetto.
Quanto alla parte letteraria può ripu-
ursi quest'operetta interessante non solo
pe* numismatici ma per gli storici e per
gli economisti che delle cose nostre s'in-
teressano. E fra' tanti pregi che racchiude
ha il vantaggio di correggere financo scrit-
tori che in siffatte materie avevano assunto
il primato. A buoni conti la novità del-
l'opera, l'esattessa, l'eleganza, l'im-
portania di essa la rendono sommamente
pregevole, e degna di passare per le mani
di tutti. Che se con ispecialità concerne
le cose nostre, non è per noi soltanto che
essa è pubblicata; giacché accresce sicu-
ramente il patrimonio della numisma-
tica generale. V.
OSSERVAZIONI SULLA MALATTIA DE-
GLI AGRUMI di Antonino Pbnnisi-
Mauro. Palermo, Lorsnaider, 1870.
La malattia, comunemente detta Ca-
gna, che oggi tanto danno ha recato agli
agrumi di Sicilia , è in quest'opuscolo
studiata con profondità di vedute e con
dottrina, non scompagnata dalla pratica,
delle cose di agraria. L* A. trova che a-
gli antichi essa fu nota fio a cominciare
da Teofrasto, e che nei tempi seguenti
la descrisse benissimo Filippo Re. Fatto
osservare che i rimedi adoprati a spe-
gnerla sono stati fallaci ed inefficaci, per-
chè è inutile cercar di allontanare un ma-
le quando non è riconosciuta la esseosa
della sua natura e la sua patogenesi; egli,
con plausibili ipotesi appoggiate da' ri-
sultati che gli hau dato gli esperimenti
di più anni, viene a coochiudere , come
una sovrabbondante concimssione fuori
de' limiti e del metodo della natura possa
esser la causa di questo flagello del com-
mercio e dell'industria siciliana. E pur
facendo delle altre dotte e scnnaie a^ser-
vazioni sulla coltura degli agrumi, ai
modo come tra noi è praticata, rileva il
danno che agli stessi porta la cosi detta
9bàrbola , la $eonca e la teugna ; queste
due ultime per concimar più ampiamente
e profondamente l' albero , intendendo
dargli più vita, mentre non si fa che af-
frettarle la morte. E ricorre alle prove
che la chimica e la pratica giornaliera
gli dà sui concimi, e conchiude eon al-
tre osservazioni sui metodi curativi della
cagna fino a qui messi in uso.
Noi facciamo plauso al signor Pennisi-
Mauro, e non possiamo che incitarlo sem-
pre più a darci di simili lavori che sono
di una inestimabile utilità pubblica.
S. S--M.
I POETI ITALIANI DE* GODICI DI AR-
BOREA, Note di Adolfo Bohoognoni.
Ravenna 1870.
Dà occasione a questa pregevole scrit-
tura del prof» Borgognoni il giudizio dato
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BOLLETTINO BIBUOGRAFIGO
155
dall' accademia di Berlino sopra i famosi
codici ariMresi illustrati dal Martini salle
ìnterpetraiioDi del Pillilo , ed indi dal
Conte Bandi di Yesme che ne compiva la
pnbblicazioné. Il signor Borgognoni ag-
giunge altre ragioni a quelle per le quali
r Accademia berlinese giudicò apocrifi i
ms. di Arborea ; e massime combatte
r autenticità de' versi di Aldobrando da
Siena usciti in quest* ultimi anni da un
codice del secolo XY, che da Palermo un
- anonimo mandò in regalo al Comune di
Siena: e non sa come si potè accettare da
taluni un Gherardo da Firenze, che sa-
rebbe stato capo di una scuola di lirici
italiani fiorita innanzi a Dante, il quale
pur non ne fiata, ove avrebbe dovuto tiralo
dair argomento fame discorso. Una can-
zonetta riferita al 12S7 era stala da noi
giudicata per lo mend fattura del 400; ora
è detta di più recente manipolazione ;
e sia. intanto^ noi non mutiamo , sino
ad altri argomenti, il giudizio che demmo
altrove su que' Codici, perocché ci sem-
brano esagerati gli estremi di chi tutto
afferma e di chi tutto nega, e l' appro-
vazione del Manno raffermò molto la
nostra crìtica. 11 Borgognoni infine tocca
il problema intomo alla scuola siciliana
del secolo XIII, cioè se i nostri poeti a-
vessero scrìtto nel siciliano del tempo o
nell'italico comune; al che bisognerebbe
spazio e opportunità a rispondere; quan-
do noi ci fermiamo qui solamente ad an-
nunziare il libretto dell'egregio professo-
re, e cosi il giudizio dell'Accademia di
Berlino sui Codici Arboresi. V. D. G.
NOVELLA d'una donna e d'uno uomo
che non poteano aver figliuoli ; ietto
inedUo del buon teeolo della lingua. Bo-
logna, FavaeGaragnani, MDCCCLXX.
Quel fior di gentilezza e instancabile
ingegno eh' è il sig. Francesco Zambrìni
è l'editore della presente Novella, che in
sostanza non è che una piae favolosa nar-
razione, un Attempro del genere di quelli
di fra Filippo da Siena. Vaghezza ed ef-
Acacia di lingua non le fadifetto, né quella
in(dfEiJ)ile semplicità si abituale a' nostri
antichi, e da noi boriosi posteri smanila.
U libretto^ venuto fuori per le nozze Ghi-
nassi-Ugolini, ed in soli 80 esemplari
per ordine numerati, è indiretto a Gio-
vanni Chinassi padre dello sposo, e eoo
carissime parole di afl'etto che rivelano
pienamente la bontà d' animo dello illu-
stre scrittore. S. S.-M.
LUCHINO VISCONTI, Tragedia di Al-
fonso AccDRso. Firenze 1870.
Presentiamo a' nostri lettori un nuo-
vo scrittore»il quale nudrito di begli studi
e dotato di non poco buon gusto s' è
messo pel campo delle lettere col desi-
derio di contribuire al loro avanzamento.
L'Accurso non comincia come pur troppo
sogliono molti giovani d'oggidì, ingegni
vivaci ma insofTerenti di precetti, i quali
fomiti alla buona i loro, corsi trovano
entratura nella direzione di un diario
politico e vi parlano e sparlano di tutto
e di tutti; egli s'è posta una mano sul
cuore « e poiché l'ha sentito battere ha
seguito la poesia, e di essa la parte dram-
matica. Primo fratto del suo ingegno è
una tragedia : Luchino Viteonéi ; sog-
getto non nuovo per chi conosce il ro-
manzo la Margherita Pusterla del Gantù,
dal quale l'autore lo trasse. Se ne togli
qualche carattere di personaggio e qual-
che scena che l'Accurso potrebbe con
poca fatica ridurre alla giusta convenien-
za, questo lavoro è per molti capi me-
ritevole di lode anche per ragion dell'in-
treccio , sicché r animo si allieta nella
speranza che l'Accurso possa riuscire va-
lente in un genere di letteratura fin qui
poco fortunato tra noi. Più che altro ci
sembra da notare nel Luchino Vieconii
la facilità e scorrevolezza del verso non
privo di eleganza che ritrae da' buoni
poeti.
Sforniti cerne siamo di autorità, non
sappiam consigliare in cosa estranea ai
nostri studi; ma non lasciamo di far rìle-
vare le belle doti dell* Accurso in giorni
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1B6
NUOTE EFFEUniDI 81GIL1ANB
nei quali molli vànDOsi yantando di scudi
ed altitudine che non hanno.
G. P.
STORNELLI di Goffredo FiUNCBscfli.
Bologna, G. Monti, i870.
V Autore di questi benvenuti Stornelli
rivela un cuore che ridonda di affetto gen-
tile e di pura fede, ed il suo volumettino
adesca il lettore dalla priuia all' ultima
pagina , avvegnaché non sempre corretta
o poetica sia la frase, e generi una certa
monotonia quel consacrare due stornelli
dello stesso numero di versi e disposi-
zione a ciascun argomento. Difettucci per
altro resi anco meno apparenti da quel-
l'aura di malinconia, spesso unita a un
po' di satira, che pigliano molti di quei
versi. Ecco un esempio, che può dar an-
che idea del suo poetare.
La Fede
Ieri un signore dalla barba nera
Mi disse che la speme ò una bugia;
E quando scenda a me rultima sera
Non rivedrò di là la madre mia;
Che nel mondo non v' ha giusto, né vero,
E lutto dee finir nel cimitero;
Che bisogna goder fìn che e* é vita ;
Si che il meglio ò di far piassa pulKa.
Neil' ascoltarlo io dentro mi sentiva
Preso da un senso di paura arcana ;
Provai cantare, e la canzon moriva
Pari all'ultimo snon d'arpa lontana.
Ma la notte scendea nel bruno velo,
E volsi gii occhi desiosi al cielo ;
Vidi le stelle e l'anima sincera
Rise dell'uomo dalla barba nera.
S. S.-M.
PER NOZZE ILLUSTRI DI WEIL WEIS-
CINZANO DI RODI. Canti popolari ve-
ronerì. Verona, aprile 1870.
Sono 24 vUlolle popolari del veronese,
edite dal eh. Ettore Scipione Righi, che
fanno seguilo al Saggio pur da fui pub-
blicato al i803 , e lasciano il desiderio
che l'egregio raccoglitore metta presto a
luce r intera jaccol la eh' egli della poesia
popolare veronese tiene in pronto. Ai cul-
tori della musa del popolo riusciran sem-
pre gradite queste delicate verginali com""
posizioni, che nella rozza lor veste non
perdono al paragone de' parti letterate -
sebi : a noi in ispedal modo son giunte
poi carissime, e per se stesse e per il rac-
coglitore che ce ne fé' dono, e teniamo io
pregio singolare. S. S.-M.
SULLA STRADA NAZIONALE DA BI-
VONA A GIR6ENTI per Cianciana e
Aa/7a(ia It; Osservazioni di Gartano Di
GicvANNi. Girgeoti 1870.
Il bravo signor Gaetano Di Giovanni
mentre attende alla pubblicazione delle
sue Memorie storiche su Casteltermini
non trascura quel che torna proficuo al
commercio del territorio nel quale egli
nacque e vive in operosità continuala ;
però ha scritto quesl* opuscolo per dimo-
strare cosa che tornerebbe utilissima al
commercio di tutta la sua provincia, cioè
che la futura strada nazionale da Bivona
a Girgenti toccando Cianciana deve cor-
rere lungo la diretta via di Raffadali an-
ziché la divergente di Cattolica. Cianciana
non è il paese rimasto proverbiale pel
poco lusinghiero ricordo che ne fece il
Meli ; esso conta 4746 abitanti laboriosi
ed economici; è salubre, ridentc,floridis-
sima. 1 suoi terreni solforosi sarebbero
capaci di apprestare un'annua produ-
zione di 800.000 quintali metrici di mi-
nerale,quando oggi per manco di vie non
ne danno che appena 40,000 1 A che dun-
que gli ostacoli in un* opera di tanto gio-
vamento per la Sicilia ? Noi ci uniamo
coir egregio Di Giovanni nei far voti per-
chè si cessi dalle passioni private in fac-
cia all' incremento materiale della indu-
stria e del commercio siciliano. G. P.
Il Gerente : Pietro Montaina
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NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
ANNO II. DISPENSE IV E V. LUGLIO ED AGOSTO 1870
METEOROLOGIA
Perchè i venti che spirano dai deserti tropicali
sono caldi si di griorno che di notte P
Riandando sui fenomeni dei venti, che spirano dai deserti com-
presi tra i tropici, o che di poco se ne scostano, sorgeva sponta-
neamente la questione perchè montano ad una temperatura si atta
sì; nel giorno, che nella notte. Sorge spontanea la questione perchè
quanto alto in quei deserti è il grado di calore termometrico nel
giorno, altrettanto depresso è nel corso della notte. Nasce dunque
da sé la dimanda perchè la temperatura dei venti, che ne derivano,
non subisce le stesse vicende; perchè per es. il soffio dei sirocco,
ch^è si caldo nel giorno, non assume i caratteri d^un vento bo-
reale nella notte.
Tutti i viaggiatori narrano, che quanto nei deserti è intenso il
calore nel giorno, altrettanto è rigido il freddo nella notte. Tyndall,
uno dei più insigni scienziati di Europa, ch^ebbe Tenore di suc-
cedere a Faraday, genio sublime^ che nel 1868 hanno perduto le
scienze, in una opera, che porta per titolo: Beat as a mode of mo-
tion, caratterizza in questi termini Talternativa delle temperature nel
deserto di Sahara: « In Sahara, where the wind ìs flame, and the soii
•^ is (ire, the refrìgeration at night is often painful tobear. Icy has
« been formed in this region at night. * Nel Sahara ove il suolo è
fuoco, ed il vento è fiamma, è spesso penoso il freddo notturno.
In quella regione T acqua nella notte si è ridotta a ghiaccio. Questo
avvicendamento rapido di alte e basse temperature tra il giorno
e la notte mi muove a credere, che tra i deserti e le regioni vi-
cine corra quello scambio di correnti atmosferiche, che vi è nella
estiva stagione tra i mari e le terre limitrofe.
Il deserto nella notte dovrà comportarsi come il mare nel gior-
no; e come nel giorno spira il vento di mare , che modera V ec-
cesso del calore estivo, cosi nella notte spirerà un vento dal de-
ll
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158 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
serto, che rinfrescherà le vicine regioni; da queste poi nel giorno
soffierà un vento opposto simile al vento di terra, che nella notte
invade un tratto di mare che si dilunga alquanto dalle spiagge.
Da simili cause nascono ' somiglianti effetti; si vede da ciò, che
non è da porsi in non cale la indagine, perchè i venti dei deserti
tropicali conservino nella notte un^ alta temperatura , che poco o
sulla differisce da quella del giorno. Per risolvere la questione è
da premettersi, che nel giorno quei deserti si scaldano fortemente
sotto i cocenti raggi del sole, e che il raffreddamento notturno è
r effetto deir irradiazione, ossia detP emissione del raggi calorifici
lanciati dalle terre nei vuoti spazi del cielo. 11 calore irradiato nella
notte è proporzionale alla serenità e alla siccità dell'atmosfera, che
sovrasta i deserti, poiché quando Paria è ingombra di nebbie, o di
vapore acqueo, il calore irradiato è assorbito dalle nebbie e dai va-
pori, e ricacciato in parte sulle sottogiacenti terre. Uno degli osta-
coli pia potenti alla dispersione del calore emesso dagli oggetti ter-
restri è il vapore acqueo disseminato nell' atmosfera. Il potere as-
sorbente dell'aria secca è insensibile. É questa una verità dimo-
strata da Tyndall, e di già accolta nei corsi scientifloi. Or Parìa, che
sovrasta i deserti, nella notte per P ordinario è serena, e d'una estre-
ma siccità. Si disperderà dunque in brevissimo tratto di tempo nella
notte tutto il calore , che nelle terre dei deserti si accumula nel
giorno^ vieppiù, che quelle terre spesso arenose, mal conducendo il
calore, scaldansi solamente alla superficie , senza che il calore del
sole penetri negli strati sottoposti. Ecco perchè alP alta temperatura
del giorno succede tosto un rigido freddo nella notte. Nella luna
priva di acqua e di atmosfera nessun mezzo assorbe , e modera i
raggi incidenti del sole , o arresta P irradiazione lunare. Le zone
dunque della luna esposte ai raggi del sole soffriranno un eccesso
di caldo, al quale succederà un eccesso di freddo nelP assenza della
luce solare.
Da queste nozioni s' inferisce, che per non subire i deserti tro-
picali il freddo notturno deve sopravvenire nella loro atmosfera una
causa., che intercettando il calore irradiato nella notte , lo ricacci
alla superficie terrestre. Questa causa è la densa polvere, che in-
gombra la loro atmosfera, quando v' insorgono venti impetuosi ; e
taU devono essere il khamsin, il simoun, il sirocco, perchè il loro
soffio invadesse regioni ben lontane dai deserti.
Il sirocco , che talvolta soffia impetuoso in Sicilia dovrà avere
P impelo d' un uragano nel deserto di Sahara.^ d'onde ritrae P ori-
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SUL DIALETTO GRECO DI SICILIA 1S9
gine. Non vi sarà allora T alternativa di estremo caldo nel giorno,
e di rigido freddo nella notte. I raggi calorifici nella notte emessi
dair aride terre^ si volgeranno giù riflessi dalle densissime nubi di
polvere; onde la temperatura notturna si scosterà di poco da quella
del giorno, ed il sirocco nella notte ci verrà talvolta si caldo quanto^
nel giorno.
Se mal non mi appongo, panni, che in questa guisa sia da risolversi
la proposta questione. I venti impetuosi dei deserti possono spirare
aridi e secchi, come il sìmoun nelle coste occidentali dell^ Africa «
o modificarsi nel lungo tragitto, come il sirocco, che in alcune re-
gioni giunge carico di vapore acqueo somigliante più o meno alle
correnti atmosferiche equatoriali.
Pqof. G. Lo Cicero
SUL DIALETTO GRECO
DI SICILIA
(Continuaz. e fine vedi voi. lU disp. IIU
*A(ji^<icoXo<;, che nel senso di ministro, sacerdote di raro è adope-
nato nel greco, né da altri se non da'" soli poeti, davasi da' Siracu-
sani a personaggi ornati d'amplissimo sacerdozio. Scrive Diodoro,
che Timoleonte (ol. CIX) stabili un supremo annuo magistrato, che
V Siracusani chiamarono Amfipolia di Giove Olimpio, e primo Am-
fiipolo del Dio fu. Gallimene xaTédrìj^e Se xal x V ^«"^ ivtauxèv lvTi(i.o-
xàtT^v òp)(^^v , \h à|x<piiroX(av Ai^c OXojjiitfou ol £upax(5aiot xaXoOai. tmX
if^édr^ irp6»xo< à{Ji^(itoXo< Aiò< OXujJiitiou KaXXijjtévti^ (1). Sul nome 6
sulla dignità d'Amfìpolo in Sicilia dissertò dottamente il tedesco E-
bert (2).
ìepofAvàfxovec. noti nelle nostre greche iscrizioni (V. C. J. Gr. nu-
mero 5545, 5640, su (AvàfACDv ivi t IH. pag. 584). Lo Scoliaste d' A^
ristorane Nub. 623 dice [xvàjxwv ufiicio sacerdotale.
(I) XVI, 70. Cf. Verrin. 11. 61. IV, 61.
(1) De Amphipolorum apud Syracusanos sacerdoUo nel volarne StxeXiwv Regi-
moniii Prussorum 1830.
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160 NUOVE EFPfilKRIDI SICILIANE
ìep(&7roXo< è nome di sacerdote, cftrator sacrorum, che si trova in
un decreto dei Geloi (I).
KaxeviQciSaioc nome d'un altro magistrato oell' iscrizione di cui sopra.
ìspoeuTTjc è nome di sacrificatore, sacerdote in Agrigento (2).
eaXiSata. Le Talisio erano un sacrificio, che faceasi a Cerere verso
la fine di luglio e dopo la raccolta del grano. Ad esse è consacrato
r Idillio VII di Teocrito, il quale chiama la dea àXqx&^oc trebbiatrice
od aiatrice.
eeoYà(Aus, che in greco vale nozze degli Jki, erano presso i Sice-
lioti le solennità celebrate per anno a festeggiare le nozze di Plu-
tone e di Proserpina (3). 'AveecnixSpta erano dette le feste del giorno
primo, dal portare dei fiori, àizh xoO «pipetv Sveea (il Florifertum dei
Romani ?) o perchè in quel giorno si offk*issero a Libera come alle
altre dèe (Y. Boeckh Explicatt. Pind. p. 577) corone di fiori ; o
che le fanciulle v^ incedessero redimite le chiome di tali serti ; o
che il dio deir inferno avesse rapito la figliuola di Cerere, mentre
occupavasi a raccoglier fiori colle sue compagne. Polluce {OMmast.
I. 37) scrive, che presso i Sìcelioti le Antesforie eie Teogamie erano
della dèa Proserpina KcfpT^c Tcopà XtxeXtc^Tat? ^tofà^kui xat 'AvOe^^t^pia.
Anche Argo avea le sue feste de^ fiori sacre a Giunone, che pos-
sedea un tempio in quella città col nome di àvOeta (Pausania Corinth).
*Ava(xaXuim{pia (da àva)caX<5TCTeiv svelare) 'eran finalmente chiamati i
giorni secondo e terzo delle Teogamie. Pei greci 'AvoxaXuTcxT^piov
era il giorno in cui la novella sposa compariva in pubblico, sco-
prendo la faccia velata (Esichio). 'AvaxotXuirxtSpia diceansi i doni ,
che il marito e i congiunti e gli amici faceano alla sposa al suo
apparire per la prima volta senza velo (Snida). Taluni cercavana
r origine della parola neir uso che non permettea al marito pria
del terzo giorno di vedere la faccia della sposa. Mueller (4) edE-
bert (5) considerano xà 'AvoxaXuTcriipia come parte delle siciliane Teo^
gamie o feste delle nozze di Proserpina (6).
(1) V. Torremuzza InteripL Sic. p. 84. Muratori Tket. p. 642. DorvìUe Sicul.
p. SOlelc. eC. /. Gr. n. 5475.
(i) Iscr. Agrigenl. presso Gruter. p, 401. *EtcI lepoOuxou 'ixéxa. V. Torre-
muzza ck. p. 76. C. l. Gr. n. 5491.
(3) V. Eckhel Docl. Numm. IV. 454.
(4) Dor. h 401. Prolegg. p. 155.
(5) SixeXicóv cit. Heortologii Si$uli inilia.
(6) V. Gaetani Itag. in hitt. tacr. Sic. p. 19. Thci. Sic. Il, e Vinc. MirabeUa
{>. 162. The$. Sic. XI.
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SUL DIALETTO GRECO DI SICILIA 161
eea(jio<p<Spioc, nome di un mese cosi denominato dalle feste Tesmo-
ferie (6ea[i.<Kp<Jpi«) istituite in onore di Cerere detta 6t<»|xo<p<Jpo(; (1)
cioè legislatrice (Virgil. Aeneid. IV. 57). Le leggi di Dracene eran
chiamate 6e(r(jidc, dalla prima parola di ciascuna di esse (Aelian. Var.
hist, VII. 10). Sul digiuno e sulla continenza delle donne nelle Te-
smoforie leggasi Ovidio Metam. X. ti mese %t<j\M^6^io<: , di cui vedi
Torremuzza {Inscript SicU, p. LXXf.) ed Ebert (XixeXwiv Heartolo-
gii Siculi initia) è siciliano , e corrisponde pei Gelei ad ottobre.
BtdiKOf^pita^jresmof orione, è pure il nome di un mese Cretese presso
Ideler {Chronol. voi. f. p. 426). Il tempio di Cerere e di Proser*
pina .si dicea ee(r(jio<p<iptov; come il verbo 6e(r(xo<popidCu> signiQcava ce-
lebro le feste di Cerere legislatrice.
E poiché ci è occorso di citare il nome del mese siciliano ettf(M-
vdpioc, ecco la lista dei mesi, quali si trovano nelle nostre greche
iscrizioni, o leggonsi nelle anse dei vasi fittili rinvenuti in Siracusa,
Catania, Messina, Palermo, Acre, Erico, Gela. Sono AYpi^vioc, 'Apta-
(A^Tux (il primo mese dell'anno civile secondo il calendario Taor-
minese V, C. /. 6r. n. 8640), Ba8p<Jjjito«, A<fcXioc, eMjjwxpdpioc, etvSai-
9to<, Kapvetoc (penultimo mese dell'anno civile agrigentino), KvC^ioc,
nd(va(Ao<, ns^oYsCxvuo^, *rax{v6toc, £(jk(v6ioc. Sui quali mesi veggasi C.
F. Hermann Uber Griech. Monatskwide Gotting 1844. Bergk Beit.
z, monatsk. ed il C. /. Gr. t. III. pag. 675 e segg.
'Àv^oxiàpxYìc Manca questo vocabolo anche neirultima edizione del
Thesaurus grecae linguae di Stefano; ove però si rinviene 'Av^xcCa
secondo un'iscrizione taorminese (Franz. C. Inscr. voi. III. p. 635
n. 5640, 22). Nota il citato Franz a p. 642, che àv$oxt(a può farsi
derivare da àva^o^i^ {receptio , repromissio) e sembra indicare un
istituto, in cui si dà danaro ad interesse. Vox àv^oxefa ab à^oL^o-^-^
facta est et videtur ad institutum aliquod pertinere quo foenori dan
tur pecuniae residuae. V 'Av$oxi(&pxT)c pertanto, che è un ufficio del
quale occorre menzione nelle iscrizioni siciliane, sembra che soprin-
tendesse al buon impiego del pubblico danaro (2).
Tpuxx(£8apxo<, sorta di censore, secondo GottUng Programma leu.
1834. « Explicantur ìnscriptiones Acrenses III in Sicilia repertae ad
(I) Questo epiteto si trova anche dato ad Iside da Diodoro, ed a Bacco da Orfeo,
ma pia conmnemente si attribuisce a Cerere, la prima che insegnò agli uomini l' u-
tilitA delle leggi.
(i) V. Garrncci negli Annali numitm. editi da Gius. Fiorelli (a. 1846, p. SOI).
L'Arena De dicU, Sic. p. 19, cita div^xefct P«r esempio della mutazione fra x e v
Aéxo|juxi per Sl^o|juxi dissero i Jonì.
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I6Ì NUOVE CFFEMeRIDl SICILIANE
legem Hieronicam perlinentes » nasce da Tptocxàc, divisione di tribù
(Mueller Dor, II, p. 82). Vedi C. L Gr. n. 5425.
4>pa$aTii;p. In un^ iscrizione d' Acre, copiata da Thorlacius, dotto
antiquario danese, e pubblicata con altri marmi della collezione lu -
dica nel Giorn. Arcad. di RonM t. XXXV . p. 339 , e segg. , indi
con varianti da Raoul- Rochet te nella Memoria che or citeremo, p. ^,
leggesi YpajxjjtaxevK xai cppaSixTjp. Abbiamo dunque in *pat5aTiip il
nome d'un pubblico impiegato; e la sua relazione con Y(xx(X(xaxeùc,
scrivano, secretorio induce a spiegarlo come una sorta di scriba e
d' oratore pubblico, diverso dal KupoS. precone (I).
SiTo^iSXaS (V. C. /. Gr. num. 5640) custode dei grano, e iixwviov
granaio (2), sono due voci che non occorrono nemmanco nel glos-
sario deir Arens. Uniamo al Ztxciviov l' altra voce 'EAa«c<JfAiov, che è
luogo dove si elabora Polio (V. Maffei Art. crit. lapid. Ili, p. 102),
e non già oli veto , come spiegarono Grutero , Gualterio e Torre-
muzza. V. C. /. Gr. Bum. ^594.
La maggior parte delle nostre greche iscrizioni, come quelle di
Gela, Tauromenio, Neeto , Acre , sono relative all' istituzione , alle
categorie ed alle spese dei ginnasi. L' Arens nota nel suo glossa-
rio la parola Naupoi , che Rochette spiegò come equivalente a gio-
vani nel dialetto siracusano d^'Acre, osservando che la parola greca
NcopoC, sinonimo di Néoi, potè scriversi e pronunziarsi Nòpoi in que-
sto dialetto, in cui il dittongo ex di talune parole contraevasi in a.
Il Naupo( trovasi in un marmo greco, pubblicato da Gualterio 2, 3;
Muratori t. II. p. 631, 3; Torremuzza CI. I, p. 9, num. 19 e
trovato in Messina, concernente una classe di giovani del ginna-
sio. Tien dietro alla voce Naupoi una serie di nomi propri, e Pi-
scrizione si termina colla parola A<^po^(xai. Trattasi dunque d' un
monumento dedicato a Venere ; e i dedicatori , tutti i membri. di
una stessa corporazione , son insieme indicati col vocabolo Naupoi
Non ricavandosi lume di sorta dalle parole Naupot e NaupCCetv presso ,
Esichio, vi fu chi interpretò Nai»po{ come Jlfiwt o Acrobati, quasi
Notupo^xai per Neupòpàxai; chlpensò coti Torremuzza accennarsi sotto
quel titolo una classe di sacerdoti o magistrati; chi congetturò con
(1) Deriva da ^ppaSav (<ppaSdtCei>' Esicliio; V. C. /. Gr. l. Ili, pagina 579, no.
mero 5425.
(2) Sul (xiTtiviov, come sulaitepovai e suUxaxaSi'xiov della V. tavola laorminese
vedi Camarda nella RivUta Sieula voi. I. a. 1869, pag. 140, e voi. Ili, a. 1870, pa-
gina 565, e segg., non che le segaenti crttiobe: Flcckei$en Annali fase. V. pag. 305,
H Literarischet Centralblalt di Lipsia n. %7. 26 giugno 1869 pag. 801.
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SUL DIALETTO GRECO DI SIÉlLtA IBS
Panofka {Lett al duca di Serradifalco Pìr. 1825 p. 38), che i Naupo{
fossero siali ispellorì dei lempt, proponendo T etimologia da va<$c.
e da òpqÉv. Rochelte, spiegando giovani riconosce in NaupoC un terme
de quelque dialecte particulier de la Sicile, Vune de ces expressions,
locales, qui d'Areni se trouver en si grand nombre dans le langage
riche et varie des populations grecques de ce pays {Mem. sopradetta
p. 98-9). Però nel C. L Gr. n. 5Gi5, si spiega più semplicemente il
Naupo£ coirattico Neu)p<^<;, doricamente Nao>p<$<;. e indi mutato in Naup<{c.
Perlocchè sarebbero i Noeupot quasi Nau^ptSXoxec, Icpopoi wv veu>p(oi>v.
Ma se r Arens accetta il NaupoC , omette nel suo glossarielto la
voce 'AXstcp^JfAevot, che s' incontra pure in un* iscrizione di Sicilia presso
Gualterio n. 316 p. 48. Gli AXEt(p<{fAefot coslituiscono un* altra cate-
goria fra la giovenlù del ginnasio, diversa da quella degli efebi^ a-
dolescenti (i»s<<Sxepoi).
Nupwpoc. Trovasi NtS|i<poi in un' iscrizione rinvenuta nelle^ rovine di
Acre, la moderna Palazzolo e che fu pubblicata da Panofka Lett ed
duca di Serradif. p. 37. 40, e della quale si occupano pure Lelron-
ne Journ. des Sav. an. 1827, luglio, p. 391-2, ed a lungo ftaoul-Ro-
chette Mémoire sur les médailks SicUienwes de Pjgrrhus nelle sue
Mém. de Numism. et (f Antiq. Paris Imprim. Boy. 1840, pag. 87 e
segg. Panofka interprela M\Lf^i come un nome proprio, NófA^poc od
anche Nu{ji<p(Àv. Lelronne sia per la lezione n^jx^oc o Nu(i<p(o(;. Ma H
menzionato Raoul-Rochetle, rigetlando come inammessibile le cor-
rezioni di Panofka e di Lelronne, mette in sicuro la lezione M^l^h
che è richiesta dalla leltura del maf mo, sebbene la parola non sia
indicala da verun altro lessicografo, nò prodolta in altro monumento.
Essa però, scrive il dotto archeologo francese, pùt fart bien exister
dans la langue, doni nous sommes si loin de posseder le vocabulaire
entier. Secondo lui, se Mik^n ò la giovane zitella o la nuova mari-
tata , NiSppoc potè venir adoperalo in qualche dialelto della Sicilia
■greca per indicare giovane nubile (No^uptoc). Pel medesimo Rochelte
il NiSfjupoi 'lépovocMeli' iscrizione Acrense sarebbe, nel dialelto di quella
città , una locuzione equivalente al Neav{(jxot ìepòvsioi d' un marmo
di Noto. Egli conforta con lungo discorso la sua spiegazione, e forma
dei Nó{A(poi una nuova categoria di giovani d'età più provetta (1)^
Soggiungeremo due nomi di monete.
Aa(AapéT8tov^ forma dorica, o A7){xsepéTEtov, è voce nolald da Polluce
(Onomast. IX, 85), da Esichio (s. v.), dallo Scoliaste, da Pindaro (01.
(1) Ma yedasi C. /. Gr. toio. ili, pag. 584 n. 5431.
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\(\% NUOVR EFFRMRRIDI SICILIANE
II. *i%.\ e si trova in Diodoro (XI. 2C). fi codice tlorenlino dell' i-
stesso Diodoro, e lo Scoliasle or ora citato hanno in buona ortogra>
fia Aajxap^Teiov o ATjjxapéTetov ; gli altri COdici viziOSamente Aafjuxpéxiov
con Polluce, e AT)(iiatpéTiov con Esichio. Questa moneta, che forse è
la prima in oro di cui fece uso Siracusa^ prende il nome da Dama-
reta, moglie di Gelone; la quale, secondo A ripetuto Polluce, la fece
coniare nella prima guerra punica , allorché , mancando Gelone di
danaro, chiese a tutte le donne i loro gioielli. Invece Diodoro narra
che la regina fecela coniare della nota corona d^oro di cento ta-
lenti offertale da^ riconoscenti Cartaginesi. Damareta dic^ egli , re-
galata da loro d'una corona di cento talenti d'oro, coniò una mo-
neta, detta dal nome suo Damarezia, <rct<pava)6et(ja òir' aòx&v èxaxòv
Della Damarezia scrissero il duca di Luynes, Ott. Mueller, Boeckh,
ed il dottore Hultsch specialmente nella diss. De Damareteo argenteo
Syracusano nummo.
Al nome siciliano della Damarezia segue quello d' una seconda mo-
neta, della quale ha trattato di recente il eh. proL Salinas, cui deve
già molto e dovrà assai di più la patria numismatica. <friXi<rc($eu>v,
v(((jLi(r(jLa( TI, dice Esichio nel suo glossario, fUistidèo specie di mo-
neta. Cosi è da scriversi la parola, e non già <&iXi(rc($iov (Y. Hultsch
De Damareteo ec. p. 9, segg.) * Per lezione de' filologi troppo cor-
rivi nel correggere i testi antichi (cosi opportunamente il Salinas)
non sarà senza ft*utto il ricordare, che un tale ignorando V esistenza
di queste medaglie era stato sollecito a togliere la parola «^iXittC-
Seiov da quel passo di Esichio per supplirvi un'altra più nota ^tXtica-
treiov • (1). Sulla regina Filistide, e sul Pilistidèo veggasi Schiavo Dom.
Del teatro di Sirac. fatto costruire dalla regina Filistide negli Opusc.
eruditi appartenenti alla st, di Sic. mss. F. 34. 3r>. della Lib. Com.
di Pai., Mem, relat. alT antico teatro di Sirac, del Conte Gaetani nella
Nuova race, di opusc, d'auL Sicil, lom. VII. Pai. 1795. p. 171 e
segg.; Del teatro di Sirac. nelle Mem. sulla vita letteraria del cav,
Landolina di Frane, di Paola Avolìo Giorn, di Se. leti, ed arti per
la Sic. tom. LV. p. 41; Leti, del dr. Teod. Panofka a S. E. il Duca
di Serradi falco sopra una iscriz. greca del teatro di Sirac. Fir. 1825;
Letronne Joum. des Sav. 1847. p. 387; CorpMs Inscr. Gr. voi. IH. p.565
n. 5369, 2, e p. 573. n. 5395, 4; Eckhel I. p. 264, 265; Feder. 0-
sanu De Philistide Syracusanorum regina , orazione Inaugurale alla
fi) V. J. Schiiger De Num. Alex. Magn. p, 67.
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SUL DIALETTO 6RBG0 DI SIGIUA 165
Università di Giessen per V anno 1825; Brunet de Prede Rech. 9ur
les Établ. ies 6rec$ m Sic. P. II. § 47 ; Salinas Di du$ mon. della
reg. Filistide nel period. La Sicilia an. Ili, n. 20. e nei Period. di
Numism. e di SfragisL an. I. fase. Y. Fir. 1869. L' Osann sostiene
che r ignota regina fa figliuola del Siracusano Leptine tolta in i-
sposa da Cerone li. In ciò è stato seguito da Raod-Rochette, Ser-
radifaico, Brunet , Luynes, e dair ultimo illustratore di quella mo-
neta, prof. Salinas (1). ^
I due seguenti sono nomi di due fazioni sociali, molto importanti
neir antica storia di Siracusa.
ra(jL<$poi 0 -^ttjìiLÓpoì. è voce che significa coloni, possessori dei Ich
tifondi , proprietari dette terre , ammessi air amministrazione della
tx>sa pubblica. Ttuiy.6poi, dice Esichio (s. v.), sono coloro che si af-
feticano circa a^ terreni, o che ritraggono dalla terra, ol ir&pl xV t^v
icovoiS{i8Voi, ^ fAotpav elXìj^cJTec ttic Y^^* L' EwfioXoYtJcòv Miya Sbaglia
l' accento, scrivendo ìxaXwv Ye^^f^opot. I geomori^ ovvero gamori con
forma dorica, furono in Siracusa una parte, classe o tribù, che vo-
gliam dire , di quella città. Cosi Erodoto (VII, 155). Corrispondono
essi forse ai y^py^^ ^ xXT^pou^oi Ateniesi, agricoltori o coloni. Nella
vecchia repubblica d' Atene distinguevansi tre ordini di popolo, cioè
EòTOxtpiSat, rewjKJpot e AìjfAtoupYoC, ricordati da Polluce (Vili, HI); ciò
secondo V istituzione di Teseo, come da Plutarco (in vita e. XXY).
I dotti editori del Thesaurus di Stefano nolano, che il marmo pa-
(I) Né è tutta la bibliografia dell* iscrizione e della moneta, che si riferiscono
alla regina Filistide. Soggiungeremo qui in nota i luoghi di quegli autori che ne
trattarono, benché talora per incidente e non in appòsite monografie. Fra i nostri,
Capodieci Antichi monumenti di Siracuta illustrati Sirac. 1813, in 4*, t. II, { 17,
18, 20; La Verità in prospetto eie, Mess. 1818, in 8*, p. 74; etc. Fra i non Siciliani
Visconti leonogr. Or. t. 2« p. II, p. SO-28; AnnaL dell' Istit. di Corritpond. Ar-
eheol. t. Ili, p. 344-5; Sestini Lettere scritte dalla Sicilia III, 118; Munter Nachri-
ckten von Neapfl und Sieilien p. 362; Riedesel Viaggio in Sicilia etc. p. 63, ediz.
italiana Pai. 1821; Kephalides Reise durch Italien II, 31; Hugh«is Travels in Si-
city etc. t. I, p. 99; Donaldson Supplement tp the antiquities of Atheti Londra 1830;
in fol. p. 46*51; Gottling nel Reinisehe Museum II, Jabrg. 1833, I. Heft, p. 163-9.
Ometto, Biscarì, Logoteta, Pigonato, Jagemanni, Smith, Mommsen, ec.
Raoul-Rochette Mémoire sur les médailles Siciliennes de Pyrrhus sostiene la grande
analogia di stile e di fabbrica, che esiste fra le medaglie delta regina Filistide e quelle
battute a nome dei Sicelioti; sulle quali ultime vedasi Esùme della celebre medaglia
antica battuta in nome di tutti i Siciliani disserl. del march. Haus Palermo 1827,
dal Giornale di scienze etc. t. XVIII, an. 8* n. VII, p. 71 e segg. Lettera del can.
Alessi al sig. Eduardo Gerhard nel Bullett, di Corrispond, delVistit. Areheol. 1833,
n. 1, p. 8-15.
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166 NUOVE EFFBMBRIDI SICILIANE
rio presso Boeckh voi. II. p. 296, S2. en zrPAKorxAlz ae tqn o-
MOPQN KATEXONTQN THN APXHN giustamente vd corretto teqho-
PQN.
RaXtxiSpioi. Cosi dice Esichio furoa chiamati coloro ^ che sotten-
trarono ai gamori (o\ èTccidéXeovrec ^e^Hw^poO- Costoro erano servi, e
cacciarono i padroni (toì»c xup(ou<; UépaXov). I CtUidrii infatti, schiavi
in gran parte, erano in Siracusa come gli Iloti di Sparta. La rivo-
luzione loro contro i Gamori, che precedette di poco la dominazione
di Gelone, fu in sostanza una rivoluzione de' proletari contro i pos-
sidenti (1).
Altri li dicono servi degli esuli siracusani, i quali , coltivando i
campi, crebbero sì da cacciare i propri signori. Snida scrive invece
questa parola così : KaXXixtSptoi (Veggasi pure Fozio pag. 165, 14).
Quanto alP etimologia del vocabolo, scrivendo egli xaXXix^Sptoi, dice
che così si chiamassero dal loro riunirsi per esser molto numerosi;
òvo(iÌ967)9av $s ành xou tU xaòxè ouvcXOeTv navtoSaicol Svxtc. Walckenaer
deriva invece il nome xiXXtxiSptoi, giusta la lezione da lui seguita, da
xtXXftiv e x\5piot, cioè cA^ hanno scacciato i loro padroni. Con pro-
babilità uguale almeno Ot. Mueller {Dor. IL 56) crede che i Cilliri
fossero Siculi, e siculo il loro nome.
Nò vorremo preterire queste altre voci, che rischiarano la storia
della Sicilia Dorica.
Mottaov è un personaggio di commedia, detto così da' Hegaresi di
Sicilia, con voce tratta da. |Aa(rào[xat, o (xaa<7(io(jMi, ù>(i9i, mangio, se-
condo scrive Atenèo (XIV, p. 659.) sulP autorità del filosofo Cri-
sippo. Ecco le parole: XptSffuicitoc 6 (piX($a(Kpoc xòv MaCacova àtzò Toù [jLa9ao6ai
o^etat xéxXT)96ai.... ex xtùv Iv £txeX{a McYopécdv. Intorno a questo Me-
sone possono consultarsi gli interpreti dello stesso Atenèo, e Mei-
nekio Comment voi. I. p. 22 segg. É da [>À<ruil tnascMa che viene
il masticare italiano.
Opua. ^. Epicarmo usa di frequente questa voce per indicare la
(i) V. Briiuet de Preste principio della Parte 111> o la moderna diligentissima sto»
ria della Sicilia antica di Holui> cioè Getchiehte SicUiens in Alterthum vod Ad.
Ilolm. Leipzig Verlag von Wilhctm Ei.gelmann 1870, Voi. 1, pag. 147. Sui CUrochi
Penetti, Perieeit ec., e sulle varie condizioni e classi d' uomini presso i Greci
antichi vedi hoeckh Economie politique dei Alhéniens li 199; Wallon Histoire de
Veulavage dani Vanliqùilé; Reyuald La liberlé et les republiquet Grecques; Peyron
La Laconia comiderata nelle classi e nel numero degli abitanti (Mem. della R. Ac-
cad. delle Se. di Tor. ser. 11, t.XVil)» e la recente opera del Cibrario Della Schiavitù
t del Servaggio ìom. I, Nil, 1868. P. I. C. L
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SUL DULETTO GRECO DI SIGILU 167
corda, come notò Ulpiano ia Aten. (IX, in princ). Oltre ad Esichio,
che ha il vocabolo òptk nel suo glossario, Eustazio scrive: che Epi-
carmo denomitM ò^^<; quelle che comunemente si dicono corde {Od.
p. 1915, 21^: Oti Bé xàc xoivcóc Ae^ofLevac X^P^^ 6p6otq ETzijatpyjo^ 6vo-
noxa^wY^^» è lo slesso che npoaoYWY^c (da irpoaàYojxat). Erasmo ri-
tiene TtpodaY^Y^^s che interpreta per esploratori. Budeo rimette ito-
xaYu>Y(5at. Quanto al significalo , Aristotile (Polit. V , il) dice vi
sono esploratori, come in Siracusa i così detti iroTaYa>Y^^ec. aXX 'eTvat
xaTaax(iirowc, oTov Tcepl ^upoocouaac al itoxorftayl^tq xaXotSfJievai. NotOVOlo
è il passo che segue di Plutarco nella vita di Dione^ cap. XXYIII,
il quale cosi definisce questa classe di persone, emissari del tiranno:
TOÙ< xaXoujxévouc icpoaaY***Y^^^> àv6pciitou< àvo^Couc xat OeoTc i^^poóc, ot
ic8piev($i7xouv &v T^ ffdXet xa'cafJLejJiiYH''^^^^ "^^^ Supoexouvioic TcoXuicpaYH'^^^^'
xec x«i 8iaYYéXXovT8c t(J> xupàvvtf) xdtc te Swtvoiac xal tàc <pu)và< ixA^xcov^
t così detti Prosagogidi, uomini scellerati, a' Numi stessi odiosi, che
framezzo i cittadini soleano andar attortio, spiar di ciascuno sensi
-e parole, e riferirne al tiranno,
^Hxiaxec. Erano fogne e chiaviche > alle quali diede il suo nome
l' architetto Feace , sovrintendente di lavori pubblici in Agrigento^
e per cura del quale si costruirono le cloache sotterranee, come at-
testa Diodoro (XI, 25^ 3).
Finalmente sono vocaboli del dialetto grecq di Sicilia quelli, che
ancora qui soggiungiamo.
AvTOfioc è voce anch' essa siciliana. 'Avxójjiouc; scrive Esichio, chia-
mano i siciliani i pali {(nLÓlonac). Sono specialmente i pali acuti. SMn-
contra sovente la voce Svxojioc nelle tavole, d' Eraclea, dove Mazoc-
chi spiega ora palo, ora palizzata pag. l??, e segg. Può derivarsi
questa voce da avxo», dtvxduo, &yno\iai mi fo incontro; o si può invece
prender ^vxo(jio<; quasi àvàxofjLoc, che seca er divide una terra dall'al-
tra, limite, termine. Vedasi anche Franz C. J. Gr. voi. HI, pag. 706,
A. ciie r intende anche per via.
Bàjjiixa. Occorre neir Idillio XV di Teocrito, e nel senso di cati-
nella, secondo taluni. I/Ahrens però adotta Ba(xa e traduce quel passo
folle pedem, mentre degli altri chi sostituisce in quel luogo stamina,
e chi volge fer aqtiàm. Il Camarda, nella sua versione, annota che
vàfjLoe è la conca, che formasi dalPacciua nella sua sorgente , ed il
'Bajifxa o è il luogo ove SÌ tuffano gli oggetti, ovvero l'atto del tuf-
farli, donde deriva il B<i7txi<j(xa. Esichio ha hà^L^ (forma che non si
dee preferire a pa(A(xo() e spiega la parola per tintura^ specie di un-
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168 NUOVE KPFBIiBRIDI SICILIANE
guento , liquido di cucina (juscttlum) in cui s^ intinga il pane o il
companatico o ciò che mangiasi in umido; ed aggiunge che dicesi
cosi dai Siracusani. Bàik^a , x6 -^[m naX (xópou xt (iipoc, xal x6 l{i-
.^(&(&a, ZupflQcoiSdtoi. Dal passo di Esichio si vede, che pà(&(&a non è
' veramente la catinella, ma esprime solo la lozione. L^Arens De diai.
Sic. p. 19 , reca la parola B^(i|jia in esempio della mutazione del
P in fA.
Boov($c- Questo vocabolo denota tumulo, clivo, acervo. Nel senso
di coUitia (X<{<poc) lo dice Frinico (p. 156-355 Lob.) usitato e con-
sueto nella poesia siracusana. bouv<{<; Iv ^ì t$ «upoxouaCtj^ irotT^^ct
xoce<D(jL(XT)'cat. L'adopera Filemone poeta della nuova Commedia. Elio
Dionisio lo rigetta come barbaro e forestiero (1) ; ed Eustazio si-
milmente lo ripudia come Libico od Africano (2), seguendo in ciò
Erodoto (IV , 199) che lo dà per vocabolo dei Cirenei , dai quali
potò facilmente venire air Egitto. Lo si trova perciò di sovente nella
versione alessandrina delle Sante Scritture; né sdegnarono d' usarlo
Pausania , Strabene, Polibio, Diodoro. Yeggasi V 'et\>hloXoyix^v uì-^ol
p. 528, 5. Bouvdc è passato nel dialetto comune , occorre di conti-
nuo ne' nostri diplomi del medio evo, e si è conservato nel greco
moderno. Dippiu parecchi monti della Grecia oggi si dicono ^uvà,
per testimonianza del Villoison (3).
. u&iu^ è un derivato di Mcu(ju>; , come (atì^op da y^r^x^^ * ^ Feste
menziona, che i Siciliani chiamano momar lo stolto. Quanto a Ma>-
(jux. cosi nel suo dizionario ne scriveva lo Stefano; quam originem
habeat, nondutn apud uUum ex graecis lexicographis atU scholiastis legi,
quod qtiidem meminerim, Ma>(ioc però occorre per vergogna, igno-
minia, vitupero, in Omero, Pindaro, Simonide, Sofocle, Callimaco.
Esichio lo spiega rimprovero^ vitupero (^y^^) ^ h^h^ dichiara come
rimproccio, biasimo, infamia {[dit.^ic , ^veiSoc , ed «to^oc). Eustazio
(II. A. p. 154, 45) ricorda, che (xcùiiap si trova in Licofrone 1134.
Momo è un Dio derisore di tutti gli altri dèi presso Luciano (Her-
mot e. XX). Esiodo nella Teogonia 214, lo dice lìglio della notte.
Sofocle compose una favola satirica col titolo di questo nume. E
Momo si applicò poscia a chiunque imitasse il Dio beffardo e scher-
nitore.
Se volessimo stare air autorità di Varrone (de L. L. Y. 36. pa-
ci) V. Eustazio ad. lliad \. 710, p. 880, 2).
(S) Ad Odyu. T. p. 1854, 21.
(3) Proleg. ad Homer, II, p. 1, Sture. De dhi Alex. p. 154.
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SUL DULBTTO GRECO DI SICILIA 169
gina 178, Sp.) itj^ixòc sarebbe uoa voce sicula per x<^ic grazia^ voce
che si troverebbe in Sofrone (lAoitol 2vTt(iot) e donde ripeterebbe o-
rigine il mutuus, contratto di mutuo de^ latini. < Si datum quod rei-
datur^ Muiuumy quod SicuU (Aotxov; Uaque scribit Sophron (lotxov àvx^
|u>(tou (1). • Ma l'Ahrens, che raccoglie i frammenti di Sofrone (2),
e perciò reca il passo allegato (fr. ult. p. 393 dell'opera sovracitata)
crede che debbasi leggere non già (xoixol hx^Mi^ sibbene \m\ toI
àvrl (ju>(^ nel quale proverbio i^i stia in luogo di ì\mì lì (mix<Sc
dunque non esiste pel dotto tedesco , il quale soggiunge che mti-
tmu deriva chiaramente muto, moveo. Giudichino i dotti su questo
luogo controverso di Epicarmo.
iiav<^ per pane credono alcuni voce sicula. Di essa scrive Atenèo
(lib. III. C). < I Hessapi chiamano il pane colla voce icav<^. e taluni
poeti Siciliani e Tarantini la sazietà (t^v 7cXt)<j(aovi;v) dicono iuiv(av^
come ^dcvta ciò che riempie lo stomaco (xdt iTXfi(r{Aia). I Romani poi
chiamano panis ciò che ^oc i Greci. » L'Ahrens crede, che a torto
«dbK>c si attribuisca ai Sicelioti; poiché Ttavfa per 7cXìj<j|aovt5 e xà icà-
via per tà icXiS(r(Ata , che si trovano nei poeti Siciliani e Tarantini,
non sembrano avere relazione con itdtvoc (3). Lasciamo anche qui
giudicare ai filologi se TAhrens abbia ragione a rigettare il naytéc.
ndXxoc, che si trova nei frammenti di Epicarmo vuoisi da taluni
raffrontare al puh puUis dei latini, che è una sorta di minestra com-
posta di farro o di legumi cotti in acqua, deLqual cibo si nutrirono
per lungo tempo i Romani , giusta la testimonianza di Plinio e di
Valerio Alassimo. Plinio dice (XVIII, 8, 19) « par che la nostra polta
sia stata tanto ignota alla Grecia, quanto air Italia la polenta. • Vi-
detur tam puU ignota Graeciae fuisse, quam ItaUae polenta. Varrone
(L. L. 105) scrivendo di pub rimane incerto, se la voce sia da it((X-
xtx, 0 se formata per onomatopeia. Ecco le sue parole: haec appel-
lata vel quod ita Graeci, vd ab eo, ut scribit Apollodorus, quod ita
sonet quum aquae ferventi insipitur. Il passo di Apoilodoro, secondo
congettura Heyne {ad ApoUodor. 1. p. 4^1) si trovava nel libro Utpl
Emx<&ptAou (4). Lasciamo ai dotti di studiare la provenienza e V uso
(t) Si veda anche Esichio.
(2) V. AhreRS Op eit. p. 476, L. Bolzon De Sophrone M Xenareko mitnographU
Lyck 1856.4. Lo stesso Sophroneorum mimorum reliquias dispoi. Marienb. 1867- 4.
(3) V. Ahrens Loe. cU. p. 393.
(I) Vedi su d'Epicarmo» oltre l'antica opera del Grysar De Doriensium Comoedia
Gol. 18S8, 8, la raccolta dei frammenti jSammlung dar fragmeMe) di H. Polmann,
Kraseman Epiearmi Fragm. Harles 1834, ed A. 0. F. Lorenz Leben und Sehriften
dei Koeri EpUKarmos. Berlino 1864.
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170 NUOVE EFFEMERIDI SICIUANE
dèlia poUa antichissima fra i popoli italici, e di ricercare retimologia
di questa minestra ricordata nel greco di Epicarmo e che appagava
la ft'ugalità de^ prischi Italiani.
Come abbiamo fatto per queste, cosi molte altre parole si potreb-
bero soggiungere , tutte omesse nel glossarietto delPArens (1).
Cosi R<$p<7ai, nel senso di tempie^ le due ossa del cranio presso le
orecchie, voce che si trova in Empedocle; Kà-zo^^ il rumore, come
dice Esichio, prodotto dagli avanzi del vino gittate con violenza per
terra, e sparso al suolo, secondo una usanza de^ greci nei conviti
detta Kf^rca^c (Dicearco da Uessina presso Aten. XV. p. 666. B.
dice il Xdttot^ nofM siciliano, ZuceXucòv ^vo(xa. y. pure Callimaco presso
Atenèo XY. p. 668. C); Aerate, specie di marmitta o tegame presso
i Siracusani, come scrive Suida, «apà Supavoud^otc xò xijfavov (V. Ar-
chestrato di Gela presso Atenèo I. p. 5. C); At)(jlvC(jxo< , lemniico^
piccola fascia a colori, che pendea dalie corone: secondo Esichio è
voce siracusana nel senso di piccola benda, imperocché i Siracusani
chiamavano XìifAv(<ncou<; le tenie o fascio strette xàc (rcevàc xaiv{flu; (V.
Servio in Yirg. Aen. V. 269); M^^a, voce siciliana, pudenda, da [U^o^
medius (V. Geli. II. 7); se si vuole, nàirica^ papà, voce data per si-
ciliana da Orione di Tebe Dizion, Etimolog. ediz. Sturz Lipsia f 8i0
p. 136. in 4®, ove dice, che da' Siracusani si fa naxr^p icà(;, con re-
duplicazione 7càica<, e con un pleonasmo di ir, iràTCTcac: ouxu) ^l ì^vitzù
iroepà 2:upoQcou9(otc, h ictfxi{p icac, xal àva$ticAaata9(AÒc icàmcc, xal ivXeova-
(7(Au> xou it, ndbcitac (V. Zonar. p. 1498, ed Eustazio p. 565, 17, i^
quale aggiunge T analogia di ma per madre, &<jwp xal jjl5 jjnixijp. Fe-
ste notò Pa prò parte, et pò prò popolo poritum est in SaUari Car-
mine. Pd è la radice Indo-germ. che trova riscontro neiro^ semitico
donde abba, abbate ec); £iS<papoe, che è nei Mimi di Sofrone , nel
senso di pellicola che si forma sul latte dette yp^^c nel greco (V.
Esichio); ♦dtvoTtwpKjjjLdc, usato da Bione, per indicare il volgere d'au-
tunno (Y. Aten, YII, 282, B. si consuhi Heinekio Com. voi. III.
p. 403.); 4»<ip{AtYS, cetra, frequente in Omero ma attribuita ai Siculi
dal grammatico degli Aneddoti di Bekker p. 4096. ec. ec.
Nuovi studi e nuovi monumenti non potrebbero che fornire
nuove aggiunzioni. Noi però non andremo oltre^ e conchiuderemo
citando le seguenti parole di Raoul-Rochette. « Il n'est pas demo-
numents écrits de la langue des Grecs de ce pays (la Sicilia), qui ne
(1) Non sappiamo p«rò perchè il Brunet proponga come siciliano il vocabolo
RfltioSa^, carcere sollerraneo presso gli Spartani ed anche appo gli Ateniesi.
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SUL DIALETTO GRECO DI SICILIA 171
nous offrent, à mesure qu* on m découvre des expresfions nouvettes
et singulières qu^U faut bien nous rèsouire à accepter comme au-^
thmtiques^ en attendant que nous puissions leur trouver un sens pro-
pre ou une expression analogue; et ce h*estpas un si grand maUieur
que cette necessitò d^enrichir nos dictionnaires au moyen de ces mots
nouveaux qui peuvent ajouter à nos connaissances (I) ».
Qualche altro esempip, qualche altra osservazione potremmo dì
più soggiungere, che nel lavoro delPArens non troviamo, f Sira-
cusani , per esempio, diceano ^ 'ktiU^ femminile , invece del ma*
scolino (V. Frin. p. 55) , cosi come fecero pure i padri greci e
gli scrittori bizantini (Y. Eustazio p. 1504. 78). Il nome d'I&rcole,
'H(xxxXtì<; , pronunziavasi "HpuxXo^ nel dialetto Siracusano com' era
parlato nei Mimi di Sofrone (2); e T "HpuxXoi; è VHercules dei Latini.
In lavori di tal fatta è ben naturale, che resti sempre ad aggiun-
gere e sempre avanzi a spigolare. Ha , come abbiam detto or ora,
ci fermeremo qui.
La fatta rassegna di talune parole, appartenenti al greco di Sicilia,
e non considerate nel piccolo glossario del valente sig. Arens^ valga
intanto a persuadere qual partito possa cavarsi da un elenco com-
pleto ed accurato dì tutte le voci , sia nelP interesse archeologico ,
sia in quello della filologia e per la conoscenza dei più antichi lin-
guaggi che si parlarono in Sicilia anteriormente e simultaneamente
al greco. Si è veduto, che il favellare de' Siculi qui e colà riceve
lume dalle tracce, che ha lasciato nel greco dei Sicelbti; e noi forse
tenteremo di esporre altra volta quanto oggi si è potuto conoscere,
da cosi scarse reliquie , sulla lingua di quei veluslissimi padri no-
stri, la quale Diodoro chiama dialetto barbaro (^ pdlppopoc StdtXsxtoc twv
£ixeXa>v). E siccome dell'Isola scrive il medesimo Diodoro (V. 6.) :
il commercio, che per tal modo ì Greci vi portarono, e U grosso nu-
mero di essi, che navigavano in Sicilia^ fecero, che gli abitanti detta
medesima imparassero la lingua def Grecia ed adottassero la stessa
maniera di vivere, abbandonato insieme e il barbaro dialetto che par-
lavano prima^ e il nome che prima portavano; cosi viemmeglio ci si
rende chiaro, che gran parte delle speranze di conoscere il Siculo
antico riposa sullo studio del greco di Sicilia. Il che cresce per noi
la benemerenza della dotta Germania e del sig. Giov. Arens.
IsiDOKo Carini
ti) Mèm. cit. pag. 91.
(?) Esichio V. HpuxaXov. tòv *Bpa>cX£a Stóppwv. Walckenaeri4<ionia2.p.5KK).
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DELLA FILOSOFIA IN SICILIA
DAGU ANTICHI TEMPI AL SECOLO XVII
(*)
Nei tempi più floridi della caltara greca, splendida di arti , no-
bilissima per lettere, non furono fra noi tenute in minor pregio e-
ziandio le scienze» e massime la filosofla. Anzi è sapato, come dopo
Pitagora, Senofane stesso abbia fatto stanza in Sicilia, nelle cui
pia illustri città recitava i suoi versi, e innamorava i giovani allo
studio della sapienza: e si sa pure come Epicarmo faceva ne' tea-
tri quasi popolari le sentenze della scuola italica o pitagorica, più
diffusa neir Isola, che non era la eleatica, e specialmente allora che
Empedocle girgentino, stato in Crotone e Metaponto co' pitagorici e
in Elea con Parmenide e gli eleatici, si fece maestro di una scuola
che ebbe il nome di neopitagorismo siciliano.
Di que' tempi era P isola nostra il foco della coltura che si disse
italo-greca, e fra noi si raccoglievano cosi dalla contermine Italia^
siccome dalla Grecia più lontana i sapienti più famosi che allora
fiorivano. Laerzio riferisce nella vita di Pitagora essere stato questo
fliosofo in Catania, Imera e Taormina, liberate da lui dal mal go*
verno; e secondo Porfirio un tal Symico tiranno di Centuripe a per-
suasione di Pitagora lasciava in libertà la città , e donava ai Cea-
turipini parte dei suoi beni. Senofane poi, per testimonianza dello
stesso Laerzio, dimorò in Sicilia ai tempi di Cerone circa T olim-
piade 78*, quando già Empedocle era in età di presso a 16 anni,
essendo nato verso T olimpìade 74 o 75; e quando Epicarmo, per
non dar ombra a Cerone come fliosofo, vestiva di poesia e met-
teva in bocca de^ suoi comici personaggi la dottrina pitagorica ,
nella quale Ipparco ammaestrava tutti senza la disciplina dell'arcano,
siccome in opposto al senso volgare Petrone imerese annunziava la
pluralità de' mondi , e la rotazione della terra intorno al suo asse
insegnavano pubblicamente Ecfanto ed Iceta siracusani, il Ritter non
nega che Senofane sia venuto in Sicilia; ma pone come errore di ero-
(1) È il sommario di un lavoro, cui attende l'Autore, e che dovrà legarsi a quello
già pubblicato Della fiiotofia moderna in SkiJlia, libri due (Pai. 1868), cui farà se^
guìto l'altro Della fUoiofia conlémporanea in Sicilia^ libri tre.
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DELLA FILOSOFIA IN SIQLIA 473
nologia il credere che T agrigentino fosse stalo discepolo del vec-
chio dì Colofone: anzi né manco vuol fare di Empedocle un uditore
di Parmenide e di Anassagora, secondo la teslimonian/.a di Teofia-
sto e di Alcidamante; sulla ragione che Empedocle fioriva verso la Sì*
olimpiade, quando già Senofane era vissuto nella 60*, e Parmenide
nato verso la 65" (1 j. Ma se la pia comune opinione sta alla testimo-
nianza di Timeo che fa Senofane contemporaneo di Cerone e d' Epi-
carmo, e se si sa bene che Senofane visse tanto vecchio da passare i
novant^anni, per qual ragione Empedocle che nella 84" olimpiade già
fioriva, non poteva conoscere Senofane nelP olimpiade 77-78*, quando
appunto Cerone governava Siracusa ed Epicarmo scriveva le sue
commedie ? Parmenide poi non aveva più che 65 anni, quando So-
crate neir olimpiade 83" era ancor giovane, siccome ci fa sapere
Platone; e Socrate era nato nel quarto anno delP olimpiade 77"; e
però se potè conversare con Parmenide Socrate giovane, molto più
potò ascoltarlo Empedocle che fioriva nelPolimpiade 84", e doveva
^ esser nato un tre olimpiadi innanzi a Socrate. Di Anassagora si sa
pure che moriva verso la olimpiade 88"; e però potè bene avere
scolare il nostro Empedocle, più giovane di circa un ventennio del
suo maestro che era nato secondo Laerzio nelPolimp. 70".
Se non che, lasciando da parte questa disputazione cronologica,
quantunque importantissima per le attinenze della scuoia agrigen-
tina, è poi innegabile che Tinsegnamento di Empedocle diede fin
da quei tempi una certa indole propria alla filosofia siciliana, la quale,
se pare essere stata, smessa dal messinese Dicearco oramai meglio
interpretato che non dagli stessi antichi , fu per lo più sempre
mantenuta; e, rafforzata dal soggiorno di Platone in Siracusa, durò
lungamente sino alla caduta della filosofia alessandrina , e fino che
gli Arabi ci portarono il loro aristotelismo, che indi fatto cristiano
occupò i nostri filosofi del tempo della scolastica. 1 frammenti che
restano de^ poemi filosofici del nostro Agrigentino ci danno una fi-
losofia ontologica, psicologica e morale che non si può afi^atto con-
(i) 11 est appelé , d' aprés Tliéophrasie ei Aicidamas , discìpie el ìmiialeur de
Parmenide ; et si Hermippe le fait disciplc de Xénophane doni il a imité le gcnre
épique, la première de ces assertions est contraire à la chronologie, el la seconde
semble èlre résullt^c de la comparaison d«s ouvrages de ces deux philosophos, et
témoigne de la ressemblancc enlre le mode d'exposition d' Empedocle et celui des
EUéates. C'est la similitude qui existe enlre la physique mécanique d'Empedocle el
d'Anaxagore, qui a fail dire que la primier avait entendu le second. V. Hisl. de la
Philosophie Ancienne l. J, I. V, eh. VI, p. i30 Paris 1858.
l'i
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174 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
fondere con T insegnamento de' filosofi fisici di Mileto, né con Tal-
tro degli atomisli di Abdera ; né manco con T idealismo idealista
degli eleatici, ovvero con la pura aritmetica cosmica de^ pitagorici di
Crotone. In Empedocle abbiamo è vero una certa parentela che lo
collega cogli eleatici, co' jonici, co' pitagorici (I); ma astretto più
di lutti co' pitagorici Filolao e Timeo, e di Parmenide ha queir u-
nità prima senza cui non è la moltiplicità; tantoché se Filolao, Ti-
meo e Parmenide furono ravvicinati e compiuti l'un l'altro in Pla-
tone, il nostro Empedocle é il mezzo che congiunge quegli antichi
col sapiente figlio di Aristone (2). Il Ritter pone il nostro Empedocle
piuttosto fra gli eleatici , che fra' pilagorici , de' quali ultimi se-
condo l'illuslre storico conosceva si lo dottrine, ma poco o nulla
ne professò (3), né poi sarebbero secondo lui in accordio con la vera
cronologia le relazioni che si dicono di Empedocle con la scuo-
la di Pitagora (4). Se non che, posto quanto sopra si é avvisato ,
abbiamo piuttosto ragione di starci noi, anziché coli' illustre sto-
rico alemanno, col nostro Scinà, il quale non fa ammaestrare Em-
pedocle direttamente dal capo della scuola italica > ma lo conta si
fra' pitagorici , anzi che fra gli eleatici, quantunque « Empedocle
qual allievo de' pitagorici e degli eleatici non seppe abbandonar
punto le idee da lui apprese in ambedue quelle scuole (5). » Che
se attendiamo poi a' frammenti che ci restano, raccogliamo maggior
materia di dottrine pitagoriche che di elealiche: il che ci conferma
sempre dell'indole della filosofia siciliana d'allora pitagorica o almeno
pitagorizzante più che altrove. Né sapremmo poi perchè il Riiter né
manco vorrebbe posto fra i pilagorici il nostro Ecfanto (6) di Si-
(ì) V. Scina', Memorie tulio vita e filosofia di Empedocle girgenlino, mem. HIV
(2) Lucrezio disse di Empedocle non parere credibile che fosse sialo di progenio u-
mana ; e a nostri tempi Arluro Schopenhauer lo ha detto un uomo compiuto, nella
cui filosofia era appunto per l'amore e Codio la famosa teorica che il tedesco filosofo
ha esposta della Volontà assoluta «
(3) V. Hiit, de la Philosopk. ancienne t. I, L V, eh. V, p. 430. l'aria I8f)8.
(4) V. Bitter, Op. cU. I. V, eh. II, p. 376-77. La morte di Pilagora si pone dopo
la distruzione che i Crotoniati fecero di Sibari, distruzione che portò la persecuzione
de' Pitagorici, e il lumullo plebeo guidalo dal demagogo Cilouc contro Pitagora,
Milone, e tulla la scuola; dV)po il quale avvenimento i Pilagtir.ci si disperdevano e
Pitagora moriva in Metaponto quasi abbandonalo. Ora la distruzione di Si bari av-
venne nel terzo anno detrOlim{>iade 67, sei o selle olimpiadi innanzi alla nasciu di
Empedocle, il quale cosi non nasceva che appena qualche olimpiade dopo la mollo
di Pitagora, che alcuni (i\ Meiners, e lo Stanley^ (longono nella olimp. 69*, 70* o 71".
(5) V. Op. cit. mem. Ili p. iOI.
(6) V. Op, cil, 1 lY. eh i. p. 304.
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DELLA FILOSOFIA IN SICILIA i75
racusa, che con liiela ed Epicaimo, siccome pur faceva Pelroae d1-
mera, spandevaDo pelP Isola il pitagorismo, recalo fra noi da Cro-
tone ove i nostri accorrevano pieni di ardore per la scienza, il cui
amore era stato nelle nostre città lasciato da Pitagora in persona.
Era invero in Sicilia cosi professata dappertutto la dottrina pitago-
rica, che Eschilo dovette qui farsi pitagorico, e Pindaro alla corte
di Cerone spesso si compiacque di pitcigorizzare alla siciliana (1).
Pertanto, non solo le dottrine pitagoriche sono sparse pertutto
ne' pochi versi che ci restano de^ cinquemila che componevano i
due poemi di Empedocle sulla Natura e sulle Purgazioni, da Ci-
cerone anteposti a quelli di Senofane e di Parmenide , e da A-
l'istotile a tutti i didascalici (2), e tali che furon reputati degni di
essere cantati nelle grandi adunanze de' giuochi Olimpici; ma in Si-
cilia può dirsi era allora la stanza sicura de'' Vitagorici (3), i quali,
specialmente Locresi e Tarentini , venivano indi accetti alla corte
-del primo Dionisio , frequentata e da Archita e da' più illustri
maestri di que^ tempi. E già Petrone d^ Imera , e Iceta ed Ec-
fanto di Siracusa, l'ultimo de' quali si tiene per uno de' più anti-
chi scolari di Pitagora, stantechè Iceta si fa anteriore a Filolao, a-
vevano insegnato la pluralità de' mondi, e la rotazione della terra
intorno al suo asse; ed Epicarmo aveva filosofato sul teatro in pi-
tagoriche sentenze, siccome alla guisa eleatica, dunde la sofìstica, era
stata maneggiata la fìlosofìa da Gorgia leontino (4); quando ad imi-
tazione di Senofane accorso alla corte di Cerone, venne Platone a
quella di Dionisio, che trovò innamorato della fìlosotìa, coltivata fra
noi tanto nobilmente die a queir età si riferiscono dai più i pitago-
rici Colais da Selinunte, Lisiade da Catania, Evandro leontino, ol-
tre i due famosi per la loro amicizia, Damone e Pitia siracusani, e
quel Dione che fu discepolo di esso Platone, e il conlropposto del vi-
zioso Dionisio, cui inflne piacque meglio il molle Arislippo che la
severità richiesta dall'ateniese fìlosofo. La seconda volta poi che
(1) SaNA', Op. eit. mem. I. pag. 25.
(±) V. SciNA* Stor. della Letter. di Sicilia ne' tempi greci, p. i88. Pai. 1840.
(3) Scina', Slor. della Letter. di Sicilia ne' tempi greci, p. 204, ed. cil.
(4) V. Garofalo, Dìscoìsì inltrmo a Gorgia Leontino. Pater. 1831. A testimonianza
del molto favore che in Sicilia godevano i filosoB, più che nella stessa Grecia. Pla-
tone fa dire ad Ippia vantandosi de* guadagni ottenuti col suojnsegnanaenlo, que-
ste parole, che sono rivolle a Socrate: • Io andai qualche volta in Sicilia: viveva
quivi Protagora; era molto lodato; era assai più avanzato negli anni di me: ebbene
io mi portai via più di cencinquanla mine; in un paesuccio, che è Inico, più di vri:!i
Oline.* S. Ippia magg. nel Piai. Irad. dal Mariiui, l. I p. 550.
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176 NUOVE EFFEMERIDI SIGILIANB-
Platone fu in Sicilia chiamatovi per consiglio di Dione dal giovine
Dionisio, Siracusa vide insieme raccolti più Olosofi clìe non aveva
Atene : « eranvi Platone e Dione, Aristippo ed Eschine, Speusippo
ateniese, Xenocrate da Calcedonia, Helcione da Cizico, Eudosso da
Gnido, e molli pitagorici d'Italia e di Sicilia, che qua e là inse-
gnavano, o parlamentavano tra loro de' più alti argomenti di filo-
sofia (t). » Tantoché, Platone medesimo ebbe che studiare nel pi-
tagorismo siciliano, e da' poemi di Empedocle siccome da' mimi del
nostro Soft'one colse quella delicatezza di favella onde i suoi dia-
loghi si dissero dettati dalle Grafie istesse: né per altra ragione ,
che questa dimora in Sioilia in mezzo ai nostri filosofi, cercò Speu-
sippo r accordio tra Platone e Pitagora, e si senti in Xenocrate il
soffio della filosofia pitagorica, e la reminiscenzia de' dogmi empe-
doclei. Che se vogliamo d'altra parte attendere ai Siciliani che sep-
pero farsi illustri in quelle scuole che la Greoia ebbe da Platone e
da Aristotile, o meglio da Socrate, troviamo ohe t Monimo da Si-
racusa fu illustre tra i Cinici; nominanza acquistarono Simmia da
Siracusa e Timagora da Gela nella scuota di Megara ; Evemero il
Al essenio ebbe grido tra i Cireaiaci, e Dioearco da Messina fu or-
oamento e decoro del Peripato (2). Sul proposito del quale filosofo,
reputato un materialista, stanteché , secondo avverte Cicerone, in-
segnava r anima essere un bel aulla e nome vano (3), non segui-
remo il giudizio più comune, ma quello del saggio illustratore de'
frammenti e della filosofia di Dicearco; che» come seguiiatore di Ari-
stotile, non volle forse altro insegnare se non T anima appunto o
lìnlelletto passivo essere perituro, perocché solo immortale, eterno,
divino, si è r intelletto agente, ovvero la mente, che non mai fu detta
morire, siccome si dice proprio dell' anima, ne' libri del nostro messi-
nese (4). Il quale discorrendo in un libro apposta intorno alla di-
vinazione ne' sogni, sarebbe stalo in conèraddizione con se slesso,
ove neir uomo niente allro che corpo avesse veduto.
Di Evemero poi, che Clemente alessandrino ed Araobio fanno an-
ziché messinese agrigenliao, sappiamo quanta parte ebbe, spiegando
(1) V. Scina', Op. cit., p. 237.
(2) Scina', Op. cit., p. 307. • Monirao fiori nel 3' dcll'ol. il6> e dopoquesta olim-
piade Simmia, Timagora, ed Evemero nel 2"* della 119» e Dicearco nel 3 della 122. •
Op. cU., p. 308, II. 1.
(3) V. TuscuL, L. 1, e. XI.
(4) V. Errante, / Fiamnienlì di Dicearco da Messina r.iccoUi ed illuslcali, v. 1.
ar!. ni. Pai. 1822.
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DELLA FILOSOFIA IN SICILIA 177
come miti st*»rìci le antiche divinità del paganesimo, alla ruina del
politeismo; e d^ altro canto come la sua opera sia stata voluta ri-
petere da' razionalisti e da' critici moderni per la storia e la dog-
matica del cristianesimo, si d»e P antico messinese può vantare nel-
r autore della Vie de Jèsfis un rinnovatore della vecchia scuola che
dal suo nome si disse degli evemeristi; della guisa slessa che gli an
licbi aUegorisH ebbero chi già prima rinfrescò le loro teoriche con
tatto lo sfarzo della metafisicheria hegeliana nel teologo Fe<lerico
Strauss, e nel critico Baur.
E lasciando le antiche scuole del secondo periodo della greca 01©
sofia, nei tempi romani , ne' quali la Sicilia non fa più il miluogo
della greca cultura, la filosofia fra noi ebbe può dirsi scarsi cultori ; o
almeno solo sappiamo di Probo lilibetano o ericino che si fosse^ il
quale fu amico di Porfirio che venne in Sicilia a trovarlo in Lili-
beo sotto r impero di Gallieno, dimorandovi eziandio sello Claudio:
tantoché, pare il nostro Probo aver dovuto professare le slesse dot
trine dei Platonici Alessandrini; siccome alla stessa scuola dovette
pure appartenere quel Crisoario , cui, secondo Ammonio, Porfirio,
che tenne qui scuola, intitolò la sua famosa Introduzione ai libri di
Aristotile, sì che potrebbe anch' egli essere stato tli Lilibeo (t). Gli e-
rudili poi ci dicono pure sull'autorità di S> Agostino di un Porfi-
rio siciliano vissuto circa la -fine del IV secolo (2); voluto da al-
cuni confondere col. Porfirio di Tiro, detto siciliano per la dimora
e la scuola tenuta in Sicilia; e si conosce come siciliano quel Giu-
lio Firmico Materno che scrisse il libro De errore profanarum re-
Kgionum , indirizzato agli augusti Costantino e Costante (3). Né
(i) L*Arnari dice di Porfirio» che era « capitalo nell'isola per osservare l'Etna e fallo-
> visi a scrivere (verso il 270) un trattato a difesa del paganesimo. Il filosofo Probo da
• Lilibeo, die visse in queir età, e i molti discepoli ch'ebbe Porfirio ne\ suo lungo
• soggiorno in Sicilia » combatterono insieme con lui questa guerra nooplalonica
• contro il cristianesimo : e i sofismi loro tornarono vani al par che i supplizi! a
» froDte del principio morale de' novatori {Storia de* Musulmani di Sicilia, t. i ,
« p. 17). • È nssai probabile che Probo abbia sposata la filosofìa neoplatonica : ma
non saprei donde l'Amari abbia attinto che il nostro siciliano combatt4Ì insieme con
. Porfirio in nome della filosofìa neoplatonica contro il Cristianesimo; stante i nostri
eruditi a quanto mi sappia dolersi che di Probo nulf altro si conosca, tr.inno cho
Porfirio gli fu amicissimo, e venne in Sicilia per amor di lui. V. Renda Hagusa ,
Sicilia Biblioih, vetus, p.235 Romje 1700.— Mongitore, Bibliolh. Scuin t. 2, p.l92.
Panor. 1714 — Narbonb, hior. della Letter. Siciliana, t. V. p.... Pai.
fi) Vedi tutte le testimonianze favorevoli o contrarie a un Porfirio siciliano noi
MoN6iTi;RB, Bibliolh, Sic, v. II, p. 191.
(3)'V. Mongitore, Bibliolh. cit. t. 1, p. 412-14.
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178 NUOVE CFFEMBRIDI SlCILlANIì:
meglio florenle di nostri filosofi è V epoca bisanlina , se ne to-
gli un Santippo di Tauromenio , convertito poi al cristianesimo da
San Pancrazio , e forse filosofo neoplalonico , siccome era voga di
qne' lempi {\).
Uopo i quali vengono gli arabi ; e di questi non restano nelle
nostre biblioteche che un trattato di Metafisica di Moisè ben-Aabir
Allak in quella di San Martino, un altro di Principi generali di Abn-
Said al Asme ricordato da Abulfeda, in quella di Girgenti, ove si
ba pure la spiegazione di cose ambigue di Mohamed ben Roscid (2);
e son noli i Conforti politici d'Ibn Zafer, libro già pubblicato è dotta-
mente illustrato da Michele Amari nel 1851. Sulla fine del decimo seco-
lo, cioè intorno al 1000, tenne scuola in Sicilia, ove si rifugiò dalle per-
secuzioni d'Ibn-Abi-Amir o Almanzor, quella' id-ibn-Fethun-ibn-Mo-
kram da Cordova filologo e filosofo illustre della gente de' Togibili (3):
ma di quel tempo più che a filosofia gli arabi siciliani attendevano a
quanto pare alla medicina , alla giurisprudenza , alla teologia , alla
grammatica, alla poesia, alla agiografia (4); e non prima della corte
Normanna e Sveva la filosofia ricomparisce splendidamente in Si-
cilia. Che, appena era forse posto in pie il nuovo Regno cristiano,
che fioriva fra noi S filosofava in latino un tal Giovanni, dal Cave
detto filosofo e dialettico in queW età celebratissimo, (5), e non diverso
per avventura dal Giovanni di Sicilia cui appartiene il ms. 1450
Saint'German, che è, siccome avvisa PAmari, un trattato di retto-
rica (6). De' tempi Svevi, cioè sotto Federico e Manfredi si nomina
poi un Bartolomeo da Messina che per ordine e piacere di r^ Manfredi
recava in latino dal greco e non da IP arabo P Etica di Aristotile, man-
data da esso re alPUniversità di Parigi, siccome altre traduzioni aristo-
teliche aveva innanzi mandale a quella di Bologna Pimperatore Fede-
rico (7), di cui si sa avere avuti a Corte oltre lo scolastico Scoto, due
(1) V. Gabtaki, Vii, Sanct. Sieul. Isag. e. 17 n. 6. Animad. v. l. 1 p. 13.
C2) V. NARBO^rB, Istoria della LelteraL siciliaiia, t. VI. Ep. Saracena, p. 206 Pai.
(Z) Amari Op. ciL v. % p. 472.
(k) Amari Op. cU, v. % L. Ili, p. 318 e segg.
(H) • Joannes natione italus, philosoplius ei dialecticus suo tempore celeberrimus ,
claruit anno 1060. Puer adhuc palrein in Siciliam comilatus, prima ibi erudilionis
fundamenia posuil • HUl. Script, Eccles. l. II, p. 202.
(6) V. Amari, Storia de' Muiulmani di Sicilia, v. I. p. XXX Fir. 185i.
(7) Il Tiraboschi spiega come sia la stessa che V altra di Federico ai dottori di Bo'
logna la lettera di Manfredi ai maestri di Parigi , pubblicata sul cod. Colberlino
nella Collezione de' PP. Marlene e Durand. L' illustre storico nota che dalla Corte
di Federico uscirono le prime traduzioni ch'ebbe l'Italia delle opere di Aristotile,
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DELLA FILOSOFIA IN SICILIA 179
Agli del gran Comentatore Ibn-Roschid o Averroe, i quali in quella
tanta celebrità che godeva il fondatore della scuola di Marocco span-
devano facilmente sotto la imperiale protezione le dottrine arabo-
aristoteliche del padre, e contribuivano molto a far dare al giovine
imperatore il nome di filosofo materialista per V insegnamento del-
l' Intelletto universale in mezzo alle amorose canzoni e ai conviti
e al galante brio della Cuba e della Zisa. Che la Corte Siciliana di
fatti fosse slata benjB ammaestrata nella filosofia greca ed araba di
que^ tempi il sappiamo dalle lodi che di Manfredi fece Tegiziano Gè-
mal-el-din. ambasciadore al re per parte del Sultano di Egitto Bibars,
riferite negli annali di Abulfeda; e si sa del libro EI-BiesàiI es Si-
kilia, ovvero Quesiti SicUiani, che Ibn-Sab'in scriveva verso il 1246
da Ceuta > per risposta alle tesi che P imperatore Federico già a-
veva proposto ai filosofi musulmani di allora (I). Un secolo dopo
fioriva in Messina una scuola di dialettici , co^ quali disputava per
lettere il Petrarca, accusando le loro sottigliezze all'amico Tom-
maso Caloria; e Nicola Bonetti pur messinese , professava una Me-
thaphisica, chey anziché risentirsi della speculazione araba ^ già era
piena dello spirito delle scuole latine di Occidente; siccome alla
scuola tomista eziandio apparteneva quel Filippo de Barberiis sira-
cusano, il quale sulla metà del quattrocento scriveva tre libri sulP/m-
morkUità delf anima, due stUla Provvidenza, ed altri tre storici sugli
inventori delle scienze e delle arti meccaniche.
Scolastico parimente quanto il Bonetti e il De Barberiis fu Giu-
liano Falciglia di Salemi autore di quattro libri De setisu composito.
De medio demonstrationis^ De sophistarum regtUis, De terminis mo-
ralibus; e aristotelico più che sulla fine del einquecento non era
condoUesul testo greco» e non arabico; ed aggiunge: • É certotlie qualche opera di
Aristotile fu per ordine di Manfredi recata in latino, e non dall'arabico* ma dai
greco. Ne abbiamo la prova in an codice a penna della libreria di S. Croce in Fi-
renze citati» dal eh. Mehus, in cai .si contiene V Etica di qael filosofo tradotta dal
greco da Bartolomeo di Messina: Incipit liber magnorum Ethicorum Aristotelit tran"
status de greco in tatinum a Magistro Bartholomeo de M essana in euria Illustrissimi
Manfredi serenissimi Regis Ciciliae scieutiae amatorie de mandato suo ecc. Forse altre
opere ancora di Aristotile, che ai tempi di Federico non erano state tradotte fece
Manfredi recare in latino, e per render noto il valore e 1' erudizione de' suoi , man-
dolle in dono ali* università di Parigi, usando perciò della lettera stessa, di cui usato
avea Federico ntill' inviare le altre ai professori Bolognesi. • V. Storia della tetterai.
Italiana, l.IY, lib.H pAg.130. Mod. 1774; e Renan, Averroès et VAverroisme, { XIV,
p. 286. Par. «861.
H) V. Amari, Slor. de'Mnsutm. di SieUia. v. 1, Tavola Analit. p.XXXVIll. XLIX.
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180 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
ornai conceduto, r autore della Introduzione alla Logica di Aristotile,
Barloloiueo Castelli messinese, della slessa scuola che Giovanni Bo-
logna palermitano a)mpendiatore ùeW Arte dialettica che stam-
pava in f.ovanio nel 4550. Né altro che scolastici e aristotelici
5*i debban tenere il Lo Faso di Gaccamo, cui appartiene il li-
bro Perihermcnias, sive de Interpetratione (1549); il Calvo Solonia
di Avola autore di un altro libro sulla Introduzione di Porfirio ai
Predicamenti di Aristotile, e di una Apologia per le esposizioni di
Aristotile (1575) avverso il Balduino già maestro del Lo Faso, e
logico in quella età rinomato; il Capra, nicosioto, il quale nel 1589
mandava fuori due Quesiti, Tuno De sede animae et mentis ad Ari-
stotelis praecspta, adversns Gnienum, T altro De Imtnot^talitate A-
nimae rationalis , justa principia Aristotelis , adversus Epicnrum ,
Lttcretinm, et Pythagoricos; il Bolani di Messina autore (ìeìVOpuslo-
gicum (Mess. 1597); il Chiavelli, palermitano, illustratore del terzo
libro de anima di Aristotile (1591), secondo che già innanzi aveva
fatto il Pizza di Chiaramonte, il quale trattava nel 1553 de divino
et humano ìntellectu, et de hominis sensu, ex Peripatheticis. Né è da
dimenticare P erudito Matteo Selvaggio che circa la metà del sec. XYI
esponeva in un'opera, che intitolava Lectura, i libri della Fisica di
Aristotile. Veramente, la scolastica e PAristotelismo fra noi duraron
più che nelle altre parti d'Italia, e quasi per tutto il secolo decimoset-
timo ci imbattiamo in opere filosofiche che odorano sempre si del-
l'una e si deir altro. Serafino Rotella messinese, dopo il Trimarcbi suo
concittadino autore di una summula o Introductiones ad Logicam
juxta Aristotelis et D. Thomae Aquinat, (lermanum sensum (1536),
raccoglieva sulla metà di quel secolo F/or^5 in Aristotelis Organum,
Fructm honoris in Isagegen Porphirii et universam Aristotelis Phi-
losophiam (1652); Bonaventura Belletti caianese Dispntationes in Or-
ganum Aristotelis, e in librum de Anima (1639-1643-1660), e An-
tonino Botti palermitano altre disputazioni in Aristotelis Logicam,
Philosophiam naturalem et Methaphysicam (t. IH. 1671). Che anzi
non mancarono in Sicilia lullisti. tomisti, e scotisli (1): un p. Vittorio
da Palermo cappuccino diede una Declaratio dilucida in Artem Ray-
mundi Lulli (I636J; e Raffaele Bonerba di Agira, dopo PEncftfrt-
dion Scoticum di Gaspare Sgliemma palermitano in Organum logi-
cum Aristotelis (Pan. 1648), e il libro di Illuminato Oddo, collesa-
(1) Fu pure lullista, e compose eziandio una sua Arie Magna un lai Triolo da Tra-
pini, siccome riferisce V. Nobile nel suo Tesoro Nascosto 23.
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DELLA HLOSOFIA IN SIGIUA Idi
nese, Logica peripatetica od mentem Scoti, qua subtilissimi doctrina
declartHur (Pan. 1661), tentava la loro conciKazione con Peperà To-
tius PhUosophiae natiiralis dispositiones , in quibus omnes inter D.
Thomam et Scotum controversiae principales cum doctrina card,
jEgidii iUustrantur (t. II. Pan. 1671). Solo inchinevole a Platone fa
allora un Raimondo del Pozzo, che scrisse in latino un libro De ani-
ma, e una Sylva variarutn Quaestionnm (1664-1667), e in volgare
il Circolo tusculano, ove si trattano alcune proposizioni platoniche
dd Timeo, e si aggiunge la scuola Aristoteiica con le sette dei filo*
soft (Mess. 1656) ; e dalla filosofia sperimentale si mostrò colti-
vatore pur quasi solo Simone Rao Requesens palermitano e Ve-
scovo di Patti, autore di Letlioni filosofiche sopra varie materie, par^
ticolarmenle sopra Galileo Galilei, non però pubblicate, e quindi non
a noi pervenute (I). E potremmo eziandio aggiungere altri insegna-
tori fra noi di filosofìa scolastica di quel tempo, come, il Bruni cbe
dava un libro Logicalium disputationum (Pan. 16'4l); Agostino Spinoo
autore delle Quaestiones philosophicae ad Logicam spectantes (1861); il
Castiglione pel suo Cursus Philosophiais (1691); il Giattino per la sua
Logica e per la versione intrapresa, ma non potuta compiere, di
tutte le opere di Aristotile (1651); il Vita per l'opera De objecto Logi-
eoe (1670); il Cordici, ericino, cui si allribuiscouo da Luca Waddingo
taluni Commentari suUa Logica di Aristotile-, ed altri non pochi. Né è da
scordare che le opere di questi siciliani non solamente erano stampate
in Sicilia, ma eziandio fuori, a Napoli, a Roma, a Padova, a Venezia, a
Milano, a Genova, a Parigi, a Barcellona. Onde in Roma e in Parigi,
e già prima a Goa, si pubblicavano eziandio gli studi orientali di Pro-
spero Intercetta da Piazza, e di Nicolò Longobardo pur siciliani e
tutti e due gesuiti; cioè il Confudus Sinarum Philosophus^ sive
Scientia sinensis latine exposita, (IGG7-1687), delPIntorcetta, la più
antica di tutte le opere intorno alla Filosofia cinese (2); e P altro
libro De Confucio ejusque doctrina^ oltre quello deW anima e sue fa-
coltà, scritto in cinese, del Longobardo (15t>5-1655), coetaneo di
Giordano Ansalone di Sanlostefano, morto in Cina nel 1634, da cui
r Europa aveva avuto le notizie De Idolis, sectis, et superstitionibus
Sinensium, cum eorum confutatione.
Pare i nostri Siciliani, essere stati più cbe altrove, se ne eccettui
(1) V. MoNGiTORE, Biblioiheea Sieulat t. II pag. 231-33.
(2) V. il nostro scrino Degli serillori Siciliani omessi nella Storia della letteratura
Latina di Cesare Cantù, nella rivista La Sicilia, unno I n. 2» Pai. 1865.
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Ì8% NUOVE EFFEMEiUDl SICIUANE
ADlonio Casserioo di Noto che nel secolo XV recava in Ialino i
libri de Republica di Platone ed altri dialoghi dello stesso filosofo,
dedicandoli a Re Alfonso, chiusi nel campo scolastico, mentre nelle
altre parti dMtalia coglievano fama Giordano Bruno, Tommaso Cam-
panella , Galileo Galilei : e si deve a Gian Alfonso Sorelli e poi al
Fardella e al Campailla Pentrata neir Isola della nuova filosofia, che
si disse Cartesiana e poi Leibniziana , tutte e due scalzate dalla
scuola che pigliava nome dal Miceli e da Monreale, fermando un
indole propria di filosofare, che più che straniera si addimostrava di
abito e di tradizioni italiana.
V. Di Giovanni
ILLUSTRAZIONE DI UN TRITTICO
mmm ma pmacotega coiunalb di teriinmierssc
Un IriUico in legno di cent. 21 — 16, che appartiene alla classe
dei irillici pitturati o ecclesiastici, teslè acquistato dai deputati della
biblioteca Liriniana di Termini-Imerese, sotto la cui direzione mi-
gliora e cresce di numero la Pinacoteca comunale istituita coi qua-
dri lasciati dal benemerito D. Antonino Gargotta e Cocilovo , è il
tema di queste mie poche pagine; poiché esso mi sembra impor-
tante si per le credenze religiose dei cristiani di quei tempi, come
ancora per la storia della pittura in Sicilia (1).
Il protagonista di questo pregevole dipinto è la Madonna col bam-
bino in braccio, a cui fan corteggio angioli , apostoli ^ e santi ve-
scovi e dottori della chiesa greca, i quali co' loro scritti sostennero
la divina maternità di Maria^ e la consustanzialità del Figlio di Dio
col suo Divin Padre, contro l'eresie degli Ariani e Nestoriani. Per-
ciocché Ario atessandrino verso l'anno 315 o 321 non potendo otte-
nere il vescovato* di Alessandria giurò vendicarsi del vescovo Ales-
sandro eletto a succedere in quella chiesa al morto vescovo A-
cliilie. Né potendo toccarlo nei costumi, lo accusò di sabeUianismo
sul mistero della Trinità; punto non temendo di asserire che il Verbo
(I) 11 Irìuico fp portato al barone K. Jannelli, il quale, conoscendone l'importHnza
lo fece acquistare per la Pinacoteca comunale di Termi ni -Imerese.
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ILLUSTRAZIONE DI UN TRITTICO i83
non era né etemo né eguale al Padre , ma che non era se non se
una creatura tratta dal niefile.
Quesla eresia fa condannata nel Concilio Niceno, che è il primo
Concilio Ecumenico, tenuto Panno 325 sotto il ponteficato di San
Silvestro, regnando T imperatore Costantino. Durò questo Concilio
dal 19 giugno ai 25 agosto; v'intervennero 318 vescovi; S. Silve-
stro vi mandò come suoi legati Vito e Vincenzo preti della chiesa
romana, e come presidente del Concilio Osio vescovo di Cordova;
pure volle assistervi V imperatore Costantino , benché allora fosse
semplice catecumeno. Nel suddetto Concilio Niceno fu definita la
fede della consustanzialità del Figlio di Dio col suo Divin Padre. Vi
fu fatto un simbolo nel quale entrò il vocabolo consustanzialey che
diventò in seguito distintivo di cattolicità. Quel simbolo chiamasi an-
cora il simbolo di Nicea.
Nestorio, patriarca di Costantinopoli , fu elevato a quella sede
Tanno 428. Combattè da prima con molto zelo lutti gli eretici,
specialmente gli Ariani, i Hacedoniani ed i Novaziani. Quando Ala*
nasio, prete di Antiochia, che seco avea condotto in Costantinopoli,
osò un giorno predicare che la Beata Vergine non dovea chiamarsi
Madre di Dio, Nestorio invece di biasimare quel temerario T onorò
pubblicamente , e sostenne che come eranvi due nature in Gesù
Crisio, cosi eranvi pure due persone, la divina e T umana , e per
conseguenza due figli, V uno Dio e l'altro uomo; dal che proveniva
non doversi Maria chiamare Madre di Dio (Theotocos), ma soltanto
Madre di Cristo (Chrislotocos). Egli aggiungeva che Cristo era u-
nito al Verbo non già di anione iposlatica , ma di una unione di
abitazione del Verbo nella umanità, come in un tempio, e per so-
cietà, per comunicazione di potenza, di benevolenza, di dignità. Se-
condo Nestorio ed i nestoriani il Verbo figHo ili Dio non si è fatto
uomo assumendo V umana natura dalla Beata Vergine; ma è discesa
suir uomo nato da lei: Essa ha partorito il tempio di Dio, non co-
lui che abita nel tempio.
S. Cirillo di Alessandria combattè questi errori con diverse opere
indirizzate all' imperatore Teodosio il giovane, a Pulcheria, e ad Eu-
dossia sorelle di questo principe. Ne scrisse anche al Papa S. Cele-
stino , il quale condannò i detti errori in un Concilio tenuto in
Roma nel 430. L'anno seguente poi fu radunato il Concilio gene-
rale di Efeso, il quale condannò anco Nestorio e lo depose (1).
(i) EslraUo dal Dizionario Universale delle scienze ecclesiastiche di Giraud e Ri-
chard
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184 NOOVE EFFEMERIDI SIGILUNB
Ho credalo indispensabile premettere questi pochi cenni salPe-
resie delle diverse sette condannate dai Concili, 1 quali diffiniiiva-
mente stabilirono la divina maternità di Maria; che forma il con-
cetto religioso del trittico in parola, le di cui figure con greche i-
scrizioni segnate ora mi proverò a passare in rassegna (0-
Esternamente
Nell'imposta destra : Un S. Cristoforo di figura colossale con te-
sta di agnello , vestito da guerriero con lungo bastone in mano ,
che passa un fiume portando sulla spalla destra Gesù Bambino che
colla sinistra mano carezza quella testa di agnello, e coir altra lo
benedice; a destra del Bambino, vestito di tunica, vi sono i mono-
grammi ( iQxc ) ^^^ Cristo.
In questa figura, seguendo Pantica tradizione, che Cristoforo, sol-
dato di professione ma uomo di perversi costumi , fu poi conver-
tito a santa vita da Gesù Cristo; volle l'artista esprimere il cangia-
mento morale col figurarlo di corpo colossale da guerriero con un
capo di mansueto agnello^ alludendo cosi alla metamorfosi dì lupo
in agnello.
Questa figura poi probabilmente vi fu posta nelPestremo del trit-
tico perchè si attribuiva comunemente a questo santo la potenza
di liberare da morte repentina coloro che in quel giorno ne aveano
veduto Timagine : per la qual cosa si vede spesso dipinto in di-
verse scale di case di abitazione, o nelle porte esterne delle chiese.
Sopra la delta imposta : Un mezzo busto di S. Niccolò, la cui ve-
nerazione era molto diffusa^ massimamente in oriente.
Neir imposta sinistra : Un mezzo busto di S. Atanasio Alessan-
drino, uno de** quattro principali dottori della Chiesa Greca.
Più sotto ivi : Un mezzo busto di S. Melezio vescovo di Antio-
chia, detto il grande, nato in Melitene nel secolo lY, il quale colla
sua dottrina sostenne la divinità del Verbo in faccia alla setta de-
gli Ariani, che gli fecero soffrire persecuzioni ed esilii. La sua fede
però stette salda a fante prove, e restituito alla sua sede dalP im-
peratore Graziano, assistè al concilio di Costantinopoli. I Greci in
•conseguenza della sua santa vita metteanlo a paro dei più illustri
padri della loro Chiesa.
(1) Le iscrizioni greche Turono tetle ed interpretate da* chiai issimi canonici Pietro
^nfilippo ed Agostino GiufiTrt^ Caruso.
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ILLOSTRAZIONB DI UN TRITTICO 185
Più sotlo ancora, e neir islessa linea : Altre due figure di santi
Greci, non vescovi, le cui iscrizioni sono poco visibili.
Neir angolo superiore sinistro : Un mezzo busto di S. Gregorio
vescovo (forse il Nisseno) che colla destra benedice alla greca e colla
sinistra tiene un libro.
Aperte le due imposte del Irittioo : Nel centro si vede dipinta
sino a mezza vita la Madonna col Bambuio seduto in braccio, ve-
stito di lunga veste di color verdastro, il quale tiene nella sinistra
mano un papiro ossia la divina scrittura, ed alza la destra in atto
di benedire alla greca; ha nel capo un nimbo tripartito in modo di
croce, con le lettere o cuN, che significano V ENTE, un manto por-
porino scende giù dalla testa alla Vergine che la cnopre interamente
a sinistra si leggono i consueti monogrammi ^p ^^ cioè Madre
di Dio, e Taltra leggenda, che significa Madre di Dio Salvatore.
A destra ed a sinistra vi sono due angioletti vestiti , in mezzo
busto, con le iscrizioni, che potrebbero significare lode al Bambino,
0 Voce netta via,
A destra più sotto: Una figura intera ravvolta in largo panno,
barbata ed alala, che colla destra benedice alla greca, e colla sini-
stra tiene un libro aperto in cui vi sono scritte le seguenti parole:
Perchè grandi cose à fatto a me Colui che è potente. Questa figura è
Tapostolo S. Matteo (come si vede dalla iscrizione) simboleggiato:
sempre colPangelo, ma qui colla specialità delle ali poste nella di
lui virile persona, giacché è l'Evangelista che scrisse della gene-
razione di Gesù Cristo secondo la carne; mentre dall'altro lato vi è
dipinta la figura intera di S. Giovanni evangelista, che scrisse del-
reterna generazione del Divin Vei'bo incarnato , avvolto in largo
mantello, imberbe, che benedisce colla deUra alla latina, e poggia
nel petto la sinistra mano.
Né dee far meraviglia, che PEvangelista S. Matteo mostri ai fe-
deli una iscrizione tratta dal Vangelo di S. Luca. Perciocché i Pa-
dri della Chiesa riputavano tutti e quattro gli Evangeli come for-
manti unica opera. Onde ebbe a dire S. Agostino nel Trattato XXXVI
sopra S. Giovanni : < In quatnor Evangeliis, vel potius quatuor li-
tris unins Evangelii Sanclm Ioannes Apostolus non immerito se-
cundum inteUigentiam spiritnulem aquilae comparatasi altius multo-
que sublimius aliis tribus eheooit praedicatiotiem snam •. Sotto la Ma-
donna e neir islessa linea vi sono tre figure di vescovi Greci in
alto di benedire colla destra, o nella sinistra ciasciino tiene un U-
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186 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
bro. Dolla iscrizione si rileva essere gli altri dottori principali della
Chiesa Greca; cioè S. Giovanni Crisostomo, S. Gregorio Nazianzeno,
e S. Basilio Magno.
Sulla testa della Madonna corrisponde una corona, che, chiuso il
trittico, resta nel centro superiore esterno.
A destra dell' imposta interna : Due mezze figure , cioè una di
un vecchio con lunga barba bianca, che porta un cappellino rosso,
e r altra di donna, sottostanti ad un angelo in intera figura, in palu-
damento, che colla destra benedice e colla sinistra loro offre un
giglio. Dalle iscrizioni laterali chiaro si scorge, che esse sono S.
Zaccheria e S. Elisabetta, genitori di S. Giovanni il precursore.
Sotto vi è S. Giorgio a cavallo che uccide il dragone (come^lo
conrernia la iscrizione).
Nell'altra imposta interna sono due mezze figure rappresentanti
S. Gioacchino e S. Anna, che da Maria a loro soprastante di mezza
la persona, e in alto lo Spirito Santo, alzata dal seggio , sono be-
nedetti alla latina. Sulla figura di Maria vi è scritto : Ammirevole
nel seno Madre di Dio,
Sotto le dette figure vi è replicata la figura equestre del S. Gior-
gio, che uccide il capo de' saraceni con P iscrizione afios amhzeox,
che significa santo benevolo, propizio, etc.
Il S. Giorgio è un'introduzione di pia devozione che aveano i
seguaci della chiesa greca verso quel santo, ma che replicato nel-
r altro lato in atto di uccidere il capo de' saraceni coli' addiettivo
benevolo, pare che alluda alla di lui apparizione nella famosa bat-
taglia di Corame, data dal conte Ruggiero l'anno 1063, nella quale
dice il Malalerra (1) • che Seiione venuto fuori dalla città con tren-
• lasei militi volse in fuga trentamila saraceni. Sopraggiunte poi il
• conte stesso con cento militi, stava in pendente se doveva atlac-
< car battaglia coi saraceni , malgrado la grande sproporzione del
• numero. Ursello di Baliol lo minacciò di non volerlo mai più ac-
< compagnare, se schivava di venire alle mani coi nemici. L' eser-
i cito normanno si mosse. Fu visto allora uscir dalla fila e correre
■ il primo sopra i nemici, un ignoto cavaliere, coperto di armi lu-
■ centissime, sopra bianco cavallo, avente in mano un bianco ves-
« siilo, con sopra una croce. Tutti conobbero esser quello S. Gior-
• gio, il quale, vescovo e patriarca di Alessandria in vila, era già
• divenuto dopo morte cavaliere, e patrono di cavalieri. »
Dall' introduzione del S. Giorgio che uccide il capo de' saraceni,,
e dal rosso manto della Madonna , colore caratteristico del manto
(l) Palmerì S*3inma p. iO. V. li. Pai. i837.
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ILLUSTRAZIONE DI UN TRITTICO 187
di quella imagine apparsa sulla porta di mezzogiorno di Palermo
al conte Ruggiero, allorctiò assediava quella città, di cui s'impadronì
poco dopo sottomettendo i saraceni Tanno 1071 ; e dal carattere
artistico di quel dipinto, io la credo opera del XII secolo; negli ul-
timi anni del quale si estinse colla imperatrice Costanza la dinastia
normanna (1).
Greche sono le iscrizioni, e sullo stampo di quelle imagini pit-
turate dai greci bizantini è la Madonna col bambino, ma neir altre
figure che fan corona alia gran Madre di Dio vi si scorge altro mo-
vimento e varietà che fan credere probabilissimo esser lavoro
di siciliano pennello , poiché sin dal principio del cristianesimo
quegli artisti esercitavano la loro arte , la quale maggiormente
crebbe in vigore neir ottavo secolo colla rappresentazione delle i-
magini sacre in onta alla eresia degli iconoclasti, che in altre parti
erano riusciti a distruggere tutte le sacre figure. Ma i siciliani ga-
gliardamente combattendo quella setta, tennero immune da quella
barbarica devastazione tutta Pisola; ove la maggior parte dei cri-
stiani si componeva di greci di nazione, e di siciliani appartenenti
alla chiesa greca.
Il disegno delle figure é alquanto secco ma i contorni sono fran-
camente eseguiti; il colore trasparente e brillante mi sombra dato
a tempra mista, o più probabilmente air encausto , maniera di di-
pingere con colori misti alla cera , usata dagli antichi greci e ro-
mani , e che si crede fosse stata sempre vigente in Sicilia anche
dopo il decadimento delle arti , e durata sino al secolo XY come
lo conferma il famoso quadro del trionfo della Morte dipinto air en-
causto da Antonio Crescenzio su di una parete dell' atrio dell' ospe-
dale di Palermo (2).
E finalmente sembrami opportuno avvertire, che tutte le ligure
ed i panneggiamenti sono graflSli prima della doratura generale, e
quindi contornati a nero ; il nudo è preparato con colore bruno
chiaro, e contornato collo stesso colore alquanto più scuro; però i
sopracigli, le palpebre, e gli orchi sono in nero; colori trasparenti
velano i panni sulle pieghe già disegnate ; e le mezze tinte ed i
lumi delle carni sono dati a tocciù risoluti e di molto corpo che
fan contrasto su quella ma&sa preparata con colore bruno (3).
Ignazio De Michele:
(ì) Ab. Gravina. Sopra un'antica iinagine p. 9. Fai. 1855, Lao.
(2> Di Marzo. Storia delle belle arti in Sicilia p. 120, V. III.
(3) Una Madonna col bambiTio sopra tavola con fondo dorato e con anreole scol-
pile nel fondo di cent. 51—39, coli' istesso artifizio di colori , e sullo stesso fìpci
ieratico si conserva nella mia raccolta di quadri.
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STELLA E KlUPERLI
(Continuaz. e fine vedi voi. Il, disp. UI)
Costai entrato cinqaenne nel 1S82 nel collegio del Serraglio, ove
compi i sQoi studii , come è ricordato di sopra, nel 1607 era già
venticinquenne, e per la sua dottrina, coraggio e virtù d^ogni ma-
niera, era divenuto uno de^ personaggi più rispettali deir impero.
É probabile che il favore della sorella abbia contribuito a farlo co-
noscere , e a' primi suoi voli ; non appena ebbe a£9dati de' co-
mandi militari , e potè svolgere i suoi pensieri nel Divano con la
qualità di Pascià , sali a tal grado di pubblica estimazione , da a-
cquistare la pienezza della grazia del principe, del mufli, del cai-
macan o governatore di Costantinopoli, e de^varii ministri.
Quest'umile schiavo, dichiaralo tale uomo di Stato di cui non han
pari i cristiani, e che meritò di esser paragonato a Sully per Tarle
di governare , e per integrità e giustizia , avea assunto il nome
di Mélìémet Kiuperli. Di lui scrivono tutti gli storici musulmani,
con leggieri equivoci cronologici, talché seguendoli, io farò ritratto
del suo merito insigne. La di lui discendenza mantenne il cognome
del grande da cui nacque, e V ultimo di essi Numan Kiuperli ebbe
la gloria di ottenere le lodi dello stesso Voltaire.
Héhémet Kiuperli fu elevalo al grado di Pascià di Damasco da
Amnratte, e di Visir Arem da Maometto IV alPetà di 70 anni nel
1647. Vigoroso sino alPestrema vecchiezza , ^'ingegno pronto, vi-
vace , fecondo , consumalo nella difficile arte di reggere i popoli ,
accrebbe di molto la potenza delP impero. Conlemperando la man-
suetudine con il rigore, dice Lorenzo Crasso (I), il grande Kiuperli
seppe tenere a freno un popolo, che solo può imbrigliarsi con i
gaslighi di sangue. Allora il trono di Maometto IV corse pericolo
dì essere rovesciato, ma il braccio di Kiuperli lo sostenne, conso-
lidò e disperse i suoi nemici.
Orcano pascià di Aleppo tenlò elevare air impero Solimano ,
nato segretamente da Amu ralle e da Racima sulle frontiere della
Persia , mentre costui guerreggiava contro i persiani , e tenuto
(l) Elogi de' Cajpiiaui illitsiri. Venezia 1683, p. 351.
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STELLA E KIOPERLI 189
sempre celalo da Kacima per timoce che Paraki sultana non lo a-
Tesse fatto morire. Orcano sollevò lutta PAsia, e vicino a Smirne nei
campi di Trocaksga , assalì Kiuperli, che comandava un esercito
di 80,000 combattenti. In quella memorabile battaglia, Kiuperli Te"
predigli di valore; ma, senza sua colpa, fu disfatto, e perdette per
fino Tartiglieria e i bagagli. Quella rotta imprevista avrebbe disa-
nimato qualsiasi capitano; ma Kiuperli non cesse a^ colpi dell'av-
versa fortuna. Addatosi che Orcano invece di raccogliere i fruiti
della vittoria, temporeggiava oziando, Kiuperli simulò voler patteg-
giare seco luì, iniziò i trattali per mezzo di ambascerie, e per trarlo
alle lunghe proponea condizioni difficili ad essere accette. Cosi per
mezzo di continui progetti e rifluii da questa parte e da quella ,
il Visir Arem ebbe comodo e tempo di radunare un esercito più
forte del primo. Chiamò da Costantinopoli il fanciullo Maometto lY,
e lo pose alla testa delPesercito ; non già per dirigerlo o coman-
darlo, ma bensì perch* era persuaso che i ribelli corrotli dalle de-
lizie e dalle prede, sorpresi e assalili air imprevista , impauriti da
nuovo formidabile esercito, e colpiti giustamente dal ribrezzo di
impugnare le armi contro la persona del loro legittimo sovrano,
non avendo coraggio di venire alle mani, si fossero o sbandati , o
ritratti alle di lui bandiere, abbandonando quelle di Orcano. Tanta
antiveggenza, sortì felice effetto; la fortuna ottomana fu pienamente
ristorata e accrebbesi la gloria del gran capitano. Non appena Or-
cano ebbe certezza che Maometto lY in persona sostenuto da un
novello esercito più gagliardo del primo, comandalo da Kiuperli,
veniva ad assalirlo, fu colpito da sgomento, e ì suoi soldati gli
niegarono ubbidienza. Moslravasi pronto ad accettare i palli ante-
cedentemente proposti da Kiuperli per finta di pace, ma costui lo
sorprese improvvisamente, lo ebbe in potere insieme a Solimano,
e li fece strangolare ambedue. In cosi fallo modo Kiuperli associò
il vacillante diadema sul capo del suo monarca, il quale dalla so-
rella Siella era amalo come proprio di lei figlio (1).
Un altro importante servizio rese Kiuperli air impero dopo que-
sto fatto; i giannizzeri si ammutinarono, e, prese le armi, tentarono
deporre il principe; ma il Yisir li ritornò alla pristina ubbidienza
con pubblico plauso e maraviglia (2).
Se egli fu grande in vita, non lo fu meno in morte: per innalzare
(i) Crasso» ivi.
(ì) Grassi, l. 1. p. 420. SiUosiri 1. e.
12
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190 ìNuove effemeridi siciliane
il figlio Achniel al visirato, usò tale astuzia , da rimaoerne memo-
rabile ricordanza negli annali ottomani. È legge invariabile di quel-
r impero che niun figlio o nipote del monarca, anche per parte di
donna possa succeder alle cariche del padre. Ciò non ostante Mé-
hémet Kiuperli ruppe quest^ uso durissimo, introducendo un esem-
pio di unica eccezione in questa legge non prima, né dopo mai vio-
lata. Suo figlio Aclimet era uomo di estraordinario merito , aveva
aiutato efficacemente il padre a debellare Orcano, e perciò ben de-
gno di ottenere il visirato. Kiuperli consumato dagli anni e dalle
memorande imprese, ammalossi; e conoscendo essere omai giunta
r ultima sua ora, chiamò immediatamente il figlio, gli affidò il de-
posito de' segreti più gravi dello Stato con V ordine espresso di se-
condare la sua astuzia. Comprendeva egli bene che essa gli avrebbe
potuto produrre una fine infelice; ma la brama di beneficare il fi-
glio, e la certezza che per poco assai gli avrebbero potuto antici-
pare una morte vicina ed inevitabile, lo animarono e determinarono
a compiere Pardìtissima impresa. Finito il segreto colloquio col figlio,
si pose a letto e fece spargere la voce della sua malattia, che rattri-
stò la capitale. L' imperatore gli mandò il suo medico, che trovò mo-
ribondo il visir, e subilo dopo gl'invio i membri del Divano per
riprendersi il gran suggello dell' impero. Ma il vecchio finse di aver
perduto la parola e V intelligenza, e cosi dopo pochi giorni spirava
il 19 ottobre dell'anno 1633, di oltantasei anni. Achmet suo figlio
si recò tantosto dal monarca , nelle di cui mani depose il suggella
imperiale, e una lettera dei morto padre nella quale gh dicea che
il suo figlio Achmet era depositario de' segreti dello Stato. L' im-
peratore , memore de' meriti e degli obblighi che lo legavano a
Méhémet Kiuperli , e al di costui figlio Achmet , estimò prudente
di non far passare in altri segreti di tanto rilievo, e creò quindi Vi-
sir Arem il giovane Achmet Kiuperli di 32 anni appena , ma per
la pratica acquistata sotto il genitore, maturo, savio, prudente (I).
Fu costui inoltre strenuo capitano di eserciti, e non solo fu celebre
per le vittorie riportate assieme al padre contro di Orcano, ma del
pari per quelle ottenute da sé solo. Combattendo contro Venezia ,
fu dapprima battuto a Raab da Monlecuccoli; ed allora egli pose o-
gni sua cura a conquistare T isola di Candia. Morosini capitan ge-
nerale de' veneziani la difendeva per mare, e Mont-brun uffiziale
francese per terra; mercè il loro coraggio e di un rinforzo di (5 in
(l) Crasso, toc. cii.
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STELLA E KIUPERLI 19i
7,000 uomini inviativi da Luigi XIY, resistette due anni; ma final-
mente dovette arrendersi il 27 settembre 1669. Kiuperli entrò in
Candia per capitolazione, ed acquislossi una gloria immortale. Vol-
taire dice che i turchi in queir assedio si mostrarono superiori a'
(Tistiani nella conoscenza dell'arte militare.
Gli storici attribuiscono a questo Gran Visir il progetto della guerra
di Candia intrapresa e continuata con tanto accanimento a solo fine
di sterminare i giannizzeri (I). Dopo quest'impresa Kiuperli assali
la Polonia, a cui tolse la Lucrania, la Podolia, la Volinia e concesse
la pace a prezzo di un annuo tributo di 20,000 scudi. Altre guerre
intraprese contro l'Ungheria e la Transilvania, cosicché egli fu ri-,
spettato e temuto entro e fuori delP impero.
Come uomo di Stato, la storia registra molli fatti , che onorano
questo grand' uomo. Io ne narrerò qualcheduno a comprovare il
suo merito. Viaggiando in Asia con l' imperatore , notò costui una
magnifica casa appartenente a un ricco armeno; era intorniata di
splendidi giardini e de' più vaghi ornamenti ; il Sultauo l'ammirò
dapprima, e poi volle entrarvi. Gliene furono dischiuse le porte, ne
percorse i verzieri, e i boschetti a cavallo, e" sempre piùincantato
della sua bellezza, volle visitarne gì' interni quartieri. La loro grazia
e nobiltà rispondeva al rimanente dell'edifizio. Richiesto l'armeno
quanto gli costasse, rispose 4,000 piastre. Il Principe tacque, e ri-
messosi a cavallo continuò il viaggio. Camminando, manifestò al Vi-
sir il desiderio di acquistarla, e il sospetto che costasse al proprie-
tario molto di pili di quanto avea dichiarato, e Qual motivo ha
potuto farlo, mentire? » aggiunse il Sultano. • il timore », rispose
Kiuperli, « che conosciute le sue ricchezze, non gli venisse imposta
una tassa maggiore di quella che paga. » • Ebbene, • disse il Prin-
cipe, • vorrei comprare questa casa, ma molto più del suo valore,
dovendo io dare V esempio della giustizia. Domani fate venire que-
st' uomo innanzi a me. » Allorché egli giunse, il Sultano lo richiese
se consentiva a vendere la casa pel prezzo dichiarato, e dietro la
di lui risposta affermativa, gli fu enumerato il denaro. L'armeno
lo ricevea tremando a verga, desolato dalla perdita a cui soggiacea>
perché la casa gli costava molto di più. Allora il Sultano gli disse,
sempre consigliato dal savio Kiuperli : « Tu hai mentito sul valore
della tua proprietà, io potrei profittare della tua menzogna, ma il
Corano me lo vieta; devo seguirne i precelti come ogni altro ero-
(1) Grassi, i. 1, p. 79.
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Ì\H NUOVE EFF£MERU)I SICILIANE
dente essendo io il primo giudice dell' impero. • Ciò dello gli fece
quintuplicare la moneta.
Un ricco proprietario di Gallipoli avendo avuto vivo desiderio di
comprare una casa vicina alla sua, ne fece proposta al proprietario
che vi si negò costantemente. Speculò quindi di forzare il suo vi*
cino alla rendita, con testimonii i quali deponessero cbe quel ne-
gozio era stato conchiuso , e data e ricevuta la caparra. Cosi per-
venne a procurarsi tre falsi testimonii , e con essi si presentò al
giudice i che era di lui amico , richiedendogli di obbligare il pro-
prietario a stipulare il contratto di vendila. Il giudice interrogò quei
cittadino, di cui conosceva appieno la probità, e costui negò di aver
consentito alla vendita della sua casa, e di averne ricevuto il caparro
e k) giurò sul Corano. 11 giudice allora concepì de' sospetti ^ fece
chiamare il litigante, a cui manifestò le sue difficoltà, e costui come
amico del giudice, gli confidò il vero, gli aggiunse i testimonii es-
sere falsi, che non volea frodarlo sul prezzo della casa, ma unica-
mente obbligarlo a vendergliela, e diede al Cadi una borsa di 500
piastre, perchè gli desse la sentenza a favore. Costui finse di con-
sentirvi, fece chiamare il proprietario della casa, interrogò V acqui-
sitore e i testimonii, che gnirarono il falso. E rivoltosi al proprie-
tario gli chiese se avesse de^ lestimoni in suo favore, ed essendo-
gli stato risposto di non averne nessuno: « Ebbene, allor disse, ec-
cone cinquecento , che depongpno per voi. > Cosi detto mostrò il
sacco contenente le 500 piastre portategli per corromperlo. Di colpo
fece arrestare il litigante e i testimonii, ne die notizia a Kiuperli^
il quale d^ accordò col Divano, ordinò la morte del corruttore, dei
testimonii e la confisca de' loro beni a favore del proprietario; e per
essere utile quest' esempio tei ribile e memorando, la lesta de' col-
pevoli fu esposta alla porta della casa che avevano voluto rapirgli
con tanta ingiustizia (i).
Questo Gran Visir movendo per la Servia alla testa dell' esercito,
traversò un villaggio abitato da cristiani greci. Costoro non aveano
nò sacerdoti, né chiesa, perchè l'Ulema vietava esservi chiese nei
paesi ove non ve ne fossero preesistite quando erano stati conqui-
stati. Non ostante quest'uso, non scritto, ma religiosamente seguito,
Kiuperli ordinò di erigervìsi una chiesa, e che vi si chiamasse un
prete greco per servirla. Alle critiche de' devoti, egli rispose, gli
uomini abbisognare di una religione per non divenire malfattori ,
(I) Grassi t. I- p. 304, .305, 306, 307. — Crasso p. 3Ò2.
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STELLA E KIUPERU 193
e Ghiera meglio essere abitato V impero da greci, che coltivassero
le terre e pagassero le imposte , anziché da bestie feroci. Per
riconoscenza di quest^ atto di tolleranza , impose a quei coloni il
tributo di una gallina per ogni capo di famiglia, quante volte egli
ripassasse di là. Al momento gliene furono portate venti , quanti
erano i capi di famiglia del villaggio. Riloroando Kiuperli Tanno
susseguente a Costantinopoli , traversò IMstesso luogo , e ricevette
900 galline da' capi di casa, ch'eransi affrettati a stabilirsi in quella
contrada. — « Ecco, egli disse agli ufficiali, che lo circondavano, gli
effetti della tolleranza. Ho accresciuto la potenza del nostro mo-
narca, e obbligato costoro a benedire il nostro governo, che odiano
per la differenza della religione. »
Siccome gli Spalti conducevano all' esercito un gran numero di
cavalli da mano riccamente bardati, costosi equipaggi e tende d'im-
menso lusso, Kiuperli vietò loro queste spese inutili ed eccessive,
che servivano di esca a' nemici per disfarli ed impossessarsene, e
li rese più potenti e liberi nelle azioni guerresche (i).
É da notarsi ugualmente un fatto , che altamente onora questo
gran Visir. I turchi hanno molti ordini monastici, e monaci che di-
cono Dervis, e disiingono con differenti nomi. Molti fra costoro ma-
cerano crudelmente il proprio corpo per divozione , e fk*a di essi
sono i kadris. Essi vanno d'està e d'inverno co' piedi e le gambe
nude sino al ginocchio, il lor vestito è grottesco, come quello dei
monaci cristiani ; Kiuperli abolì il loro ordine col pretesto di non
esser vestiti decentemente; ma in vero per isbarazzare lo Stato
di quegli oziosi parassiti ; avrebbe fatto lo stesso di tutti gli al-
tri, se fosse vissuto più lungamente; ma i suoi sforzi riuscirono a
nulla , dapoichè dopo la sua morte l' ordine de' kadris fu ristabi-
lito (2).
Negli ultimi momenti della sua vita, un imano gli presentò il
Corano per pregare , Kiuperli posta la mano sul libro , sclamò :
< Profeta, io saprò fra breve se hai detto o no la verità; mi sono
astenuto di nuocere al prossimo, e invece ho fatto tutto il bene
che mi è stato possibile , e spero in Dio , fonte di giustizia e di
misericordia. »
Achmet Kiuperli mori a 47 anni per aver bevuto tropp' acqua di
cannella, di cui servivasi invece, di vino, secondo gli scrittori fran-
(1) Grassi ivi p. 97.
{%) Iti p. 887.
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194 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
cesi (1), dopo aver regnalo 15 anni con pari prudenza e fortuna,
ma sopra tulio con somma equità (2).
Il di costui fratello Maometto nel 1089 sali al visirato, e ristabili
la potenza delF impero ottomano in Ungheria. Giunse di vittoria in
vittoria sino al Belgrado , che prese d' assalto. Estese le sue armi
a Yalcowart, e attaccò quindi gli austriaci presso Sabankermea, e
li avrebbe disfatto , se non lo avesse freddato una palla di can-
none (3).
Abdula Kiuperli fu Caimacan di Costantinopoli sotto Maometto IV.
Questo Sultano s'era fatto odiare nel suo (ungo regno pel di lui
carattere duro e crudele; ma i consigli e il merito eminente del
suo Caimacan, mentre da un lato lo temperavano, dalP altro ne man-
tenevano il prestigio. Egli ritardò quanto potè la di costui depo-
sizione, che avvenne nel 1087. Fu cliiamato al ministero da
Muslafà II nel 1703 , e mori benedetto e onorato da tutto il po-
polo (4).
Numan Kiuperli elevato a gran Visir da Achmet III ^ annunziò
sin da' primi atti della sua amministrazione cif egli avrebbe seguito
le tracce de' quattro gran Visir Kiuperli , da cui discendeva ; ma
ebbe la disgrazia di essere chiamalo a governare sotto un principe,
che negligeva i suoi doveri, la sua gloria e V interesse dell' impero.
La rigida probità di questo Visir , disse Voltaire , fu la sola causa
della sua caduta. Difatti sotto il regno d' Aclimet molti abusi si erano
introdotti ; il di lui predecessore non pagava i giannizzeri dal te-
soro nazionale, ma dal denaro ottenuto con estorsioni arbitrarie. Kiu-
perli, appena entrato al ministero, li pagò dal tesoro, com' era de-
bito; ma Achmet, che amava ad accumular metallo, ne lo rimpro-
verò, dicendogli che il Visir preferiva l'utile de' sudditi a quello
dell' imperatore; e gli aggiunse: t U tuo predecessore Chorluli sapea
ben trovare altri mezzi per pagare le mie truppe, t II gran Visir
rispose: t Se egli avea l'arte di arricchire l'Altezza tua con le sue
rapine, è questa un' arte che io mi glorio d' ignorare (5). l^opo due
mesi di ministero egli fu destituito; la virtù e l'integrità non po-
teano convenire a un cattivo principe. Ma die avvenne all'uno e
(1) Dictionnairc des hommes illustres. Paris 1789.
(2) Grassi t. 2, p. 2i5, 16, 17.
(3) Diclionnaire 1. e. -Grassi l. 1 pag. 421.
(4) Ivi l. 2 p. 257.
(5) Storia di Carlo XII, lib. V, p, i77. Venezia 1810, e Grassi t. 2 p. 244.
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STELLA B KIUPERLl 195
air altro? Il ministro passò la sua vita in una dolce tranquillità nel-
Pisola di Negroponte e circondato d^ amici, e il Sultano disprezzalo
fu deposto e fini i suoi giorni nel fondo di un carcere. Egli sa-
rebbe rimasto sul trono senza dubbio , se avesse avuto de^ mi-
nistri pari a Kiuperli: Achmet deponendolo , nominò in sua vece
a Baltagi Maometto Pascià di Siria, antico taglia legna del ser-
raglio.
Chiudo quest' articolo con le parole di Lorenzo Crasso , e Alfio
Grassi; il primo dice: e Questa famiglia Kiuperli , eh' esiste ancora
fra' turchi , è presso de' medesimi veneranda appunto per li molti
meriti di questi suoi antenati, che hanno lasciato memorie illustri
in pace ed in guerra. E tra i molti privilegii e distinzioni di cui
gode in queir impero, ha ancor questa, cioè che dovendo qualcuno
di essa esser punito di morte, non gli si può troncare la testa, ma
a guisa della famiglia imperiale, il di cui sangue è proibito di span*
dorsi, deve essere strozzato (1). • E il secondo: « I-o ripelo, è que-
sto r unico esempio negli annali turchi , di cinque individui ( e a-
vrebbe potuto dir sei) discendenti della stessa famiglia, elevati alle
prime dignità dell' impero Ci). »
LiONARDO Vigo.
(1) L. e.
(2) Ivi t. 2. p. Mi.
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CANTI POPOLARI SICILIANI
E SCANDINAVI (1)
Quando nelle lunghe sere d'inverno si sta in discorso con una
donna piena d' ingegno e di sentimento , ognuno avrà sentito un
soffio d'un mondo ideale che solleva l'anima ed alza la volontà
verso gli atti generosi; ma quando nella primavera pur si svegliano
le selve, allora si reca il desiderio di fuggire fuori nelle campagne
per ischerzare sui cader del sole colle villanelle e per immergersi nel
bagno deir intatta natura. Ogni disputa letteraria si dimentica men-
tre che l'anima si rallegra d'ascoltare i canti che dalle vigne e
dalle case risonano nella tranquilla aria. Non c'è per tutt'il mondo
capanna cosi infelice, dove il canto sarà passato con testa china; do-
vunque trova un suo nido , ma l' indole dei canti varia secondo
quella differente natura, nella quale consiste la diversità dei popoli.
La poesia Italiana nel suo stile e nella sua forma resterà sempre
più 0 meno classica. L' opposizione profonda fra anima e materia
della poesia nordica, la ferocia e l' inclinazione al misterioso , che
significa il romanticismo, sia che parli in Byron od in Goethe, non
mai s' unirà coli' indole meridionale. Ancora è lo stesso Sole dell'an-
tichità, che splende sulla Grecia e sull' Italia; gli stessi monti mi-
ransi nel mare Mediterraneo ; la stessa natura crea lo stesso po-
polo, e se anche il panteismo Greco e l'idea antica del fato è cam-
biata colla coscienza d'una provvidenza e d'una riconciliazione etica,
nulladimeno l' indole antica parla sempre nel modo di sentire
e d' immaginare degl' Italiani. Dove il cielo per lo più è continua-
mente sereno, dove la pioggia e la neve paiono un'ingiuria della na-
tura , che viene a disturbare la felicità come un ospite spiacevole
che agghiaccia una festa di nozze, l' uomo intende la disgrazia come
una ingiustizia fattagli dalla fortuna, e perciò non vuole rassegnarsi
ma lamenta, grida e cerca vendetta; da ciò proviene nei suoi canti
quella gioia infinita nella felicità e queir odio e quella disperazione
violenta nell'avversità.
(1^ Siamo lieti di pubblicare il presente articolo che riguarda tanto da vicino le
cose -nostre. Autore di esso è il Dottor Martin Schneckloth, dotto poeU danese, il
quale, venuto Ja Copenaghen per istudiare la lingua e la letteratura italiana, dopo
aver visitate varie città d* Italia, si è fermato alcun tempo qui in Palermo.
%
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GANTI POPOLARI S1CILÌANI, £€. 197
L' uomo nordico , tradito nell^ amore , si alloataoa superbo dalla
fanciulla, chiude in sé la doglia e diventa malinconico e triste come
r oscure sue selve d' abeti. Il meridionale in contrario impallidisce,
delira, si vendica e poi ride ed ama un'altra volta.
Non è senza interesse osservare, che Freia, la dea d' amore nella
mitologia Scandinava, fu tradita da suo marito. Quella poi sul suo
carro camminava di paese in paese fra popoli incogniti per trovarlo,
piangendo lacrime di oro, ma non lo trovò mai.
Là io trovo il simbolo delP amore , quello che non cerca ven-
detta, che languisce e resta sempre fedele al suo primo sentimento,
succhiando come da un fiore Tunica rimembranza della sua vita. Ho
veduto nella Danimarca una villanella sedotta di rara bellezza, che
diventò mezzo matta dal piangere, e che mai non parlava, altro che
per domandare dello spesso a sua madre: dimmi, dimmi, mamma mia,
quando torna la mia luce? Tutto aveva perduto, ma la speranza non
poteva lasciare mai. É lo stesso tipo che la Margherita in Faust.
Nella preghiera di Margherita, dopo che ella ha portato i fiori alla
Madonna, poesìa d'una semplicità inestimabile, si manifesta la stessa
mesta rassegnazione, che non porta neanche un pensiero di maTodio
al seduttore, e che é ricca di poesia e di dolore latente, ma tanto
diversa dall'indole meridionale.
Due canzoni basteranno per significare la differenza.
La villana Danese canta:
Ed io Sabato a sera
Solettamente assisa, io T aspettai.
Il cor diceami: Spera;
Verrà, ch'ei tei promise. E sospirai.
Ma non venisti a met
Coir alba di Domenica
Sorsi, ed i miei capelli ravviai:
Corsi in chiesa sollecita
E al camposanto; e allor per te pregai.
Ma non venisti a me!
E non venisti in chiesa
Neppur quel giorno. E in chiesa non entrasti,
Perchè altra donna hai resa
Dell'amor tuo (elice, e me (scordasti.
Ahi, non venisti a me I
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198 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
E raccoglier le rose
Volevo ove non cresce alcun rosajo:
E le luci amorose
Lassa ! cercai dove P amor non è.
Ahi, non venisli a me! (I)
In confronto a questo canto metterò un^ ottava della raccolta di
Pitrè:
'Nna li profunni prufunnati grutti
La stissa terra chianciri vurria;
Chianci lu mari cu li pisci tutti,
Li stiddi cu lu celu 'n cumpagnia;
Chianci lu Reni cu tutta la Curti;
Chianci lu Turcu e tutta la Turchìa;
Ed ora amici mei, chianciti tutti,
Cà la me bedda abbannunau a mia (2).
Vedi la disperazione e vedi la rassegnazione. Il Siciliano ha bi-
sogno di chiamare lutto Puniverso per isdegnare Pamante perOda,
per compiangere la sua sfortuna; la Danese si racchiude sola colla
dolorosa rimembranza, s'innamora del suo dolore, della poesia delle
lagrime, diventando fra mezzo agli uomini una monica muta , la
quale, come la moglie del re Olaf Tryggavason dopo il combatti*
mento di Svolder, mangiando soltanto un pomo al giorno , cerca
in cielo quella speranza, che fu schiacciata in terra.
E giunta la rassegnazione, che mai può entrare nel cuore Sicilia-
no? Può dimenticare^ può scordare, ma non mai rassegnarsi. La pas-
sione , la sente nel momento più forte che ognun altro , la sente
sin al morire^ ma la burrasca passa ed il mare resta limpido e fre-
sco come prima.
La giovane Siciliana, abbandonata dalP amante suo, non piange
sin che i capelli diventano bianchi e gli occhi si chiudono. Il sole
Siciliano ride e la sua fanciulla non può piangere sempre; il cielo
nordico piange, e la sua figlia non sa ridere.
Cosi nel pianto come nel riso il canto popolare trova la sua poe-
sia, cammina avanti come un dio, ora ridente, ora triste, secondo
il paese che passa. Intanto non sarà bisogno ricordare, che Pidea,
(4) L'Autore ebbe questa elegante e fedele versione poetica dalla gentilezza del
prof. Carmelo Pardi, cui la diede in prosa.
(2) Canti popolari sieiliani raccolii ed illuslraii, voi. I, pag. 342. Palermo, Pe-
done-Lauriel 1870.
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GANTI POPOLARI SICILIANI, EC. 199
che conforma il comune umano, resta sempre superiore alle diffe-
renze.
Certamente non è Io stesso fiore, quello, che fiorisce sulla lava
dell'Etna o l'altro che cresce sotto l'aurora boreale; ma qualunque an-
dasse in Scandinavia per trovare in ogni giovane una Freia pian-
gente ed una Margherita lamentosa commetterebbe lo slesso er-
rore come certi settentrionali, arrivati in Italia, che si sentono il-
lusi di non trovare in ogni ragazza una baccante, che canta e balla
sui monti con uno strumento alla mano.
Ciò che è comune per ogni forma di canti popolari è quel rap-
presentar l'uomo^ reale come esiste in carne ed ossa, quel limitarsi
alla realtà, riguardando ogni fatto come speciale, mentre che la poe-
sia dell'arte raccoglie i fatti speciali in categorie, introduce l'idea
e rappresenta l'uomo nella lotta fra la coscienza eterna e le pas-
sioni temporali; non cerca l' uomo nella realtà se non che per per-
fezionare il carattere nella sua corrispondente idea, cioè, per tro-
varne il lipo. ^
Nella poesia popolare degli Scandinavi si distinguono tre epoche,
principiando dal tempo mitologico, che fuori delle molte saghe e-
roiche ci ha lascialo le due Eddo, monumenti stupendi d'una fan-
tasia, che nello stesso tempo può essere anzi selvaggia e rozza, co-
me può essere sublime e graziosa, d'un pensiero, che abbraccia
l'intimo segreto dell'animo, d'un popolo, che brancolando fra le
urne dei morti, ha trovato T ampia e chiara idea dell' immortalità
e del giudizio eterno, della resurrezione della carne e dopo la ca-
duta del iJtondo d'un solo Dio, chiamato il padre di tutto.
L'Edda antica fu raccolta nel 1090, l'Edda posteriore un secolo e
mezzo dopo.
Nel secolo mille trecento il Saxo Gramalicus nella sua storia di
Danimarca raccolse molti canti del popolo; intanto traducendoli in
latino ne ha tolto l'odore.
La meglio parte dei canti del medio-evo dobbiamo alle signo-
rine nobili, che si divertirono di raccogliere canti e ballate in grande
numero sulla vita cavalleresca, sui duelli, i fatti d'amore e le con-
troversie fra le famiglie nobili. Questa è la fonte, donde il re dei
poeti Scandinavi Adam Oehlenschlaeger ha cavalo il motivo della
sua tragedia < Ael et Yalborg , • poesia, che lotta in bellezza collo
stesso Romeo di Shakspeare. Il cavaliere Ael torna da Roma, dove
ha cercato la dispensa per poler sposare la sua cugina Yalborg ;
ma mentre che egli è stato assente il giovane re s' è innamorato
della sua fidanzata , e nel momento , quando il vescovo sta all' al-
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200 NUOTE EFFRMBRIDI SICILIANE
tare per unire i dae amanti, nn monaco, portando il libro de' bat-
tesimi, fa sapere che Ael e Yalborg sono comari. Le nozze si
lasciano, Ael si prepara per un altro viaggio , ma intanto entrano
I nemici nel paese, ed Ael colta spada in mano muore per difen-
dere quel re, a cui aveva giurato la fede, ma che voleva togliergli
la sposa. Yalborg , trovato il suo Ael esalando la vita muore di
dolore nelle sue braccia. Questo come esempio instar omnium; ve
ne sono cento e cento altri.
L^ ultima epoca è quella dei canti moderni, trattando per lo più
r amore, fatti ridicoli dei piccoli paesi, e dopo il 1848 canti patrio-
liei e canti scherzevoli, che alludono alla vita politica.
Gli esseri mistici dei Greci e Latini, i satiri ed i founi, le ninfe
e le drìadi non esistono più nella superstizione del popolo Italiano.
Animali orribili compariscono già nelle favole, ma nei canti non
ne ho trovato V orme. Certo che i Siciliani sono superstiziosi in ri-
guardo alla mala fattura, alla magia , alPamore imprestato ec., ma
r imaginazione ha già abbandonato la veste antica e ha preso una
forma astratta, mentre che la fantasia Scandinava vive ancora nella
concrezione. Certi esseri delP aiiticliilà sono rimasti nel medio evo
sin ai di nostri, manifestando cosi il carattere popolare.
Chi non ha inleso dire delle Alfe (le Elverpiger) degli Scandinavi?
Le colline, dove abitano, alla sera si levano sulle colonne di fuoco,
e le ragazze escono fuori con la piena luna per danzare sui laghi
e sui fonti, leggiere e graziose come le cerve, vestite con veli di
nebbia o cantando con una voce sottile come d' una argentea cam-
panella. Cercano dì adescare i bei giovani nella loro danza, dando loro
a bere d' un aureo boccale, che fo obbliare loro tutt'il mondo per
seguire follemente i leggieri loro passi. Quando canta il gallo alla
mattina si chiudono dentro le colline, ed il giovane si trova morto
sullo stesso colle, con una saetta nel cuore.
La prima origine di questa fantasia sarà stato il movimento delle
nebbie alla sera sui laghi salvatici; ma il popolo ne ha trovato bene
il simbolo del vago amore giovanile, di quel primo tempo di sogni
erotici della gioventù, e la saetta è la vendetta orribile sopra quella,
che non sa fuggire per tempo.
• Noekken , • che suona nei torrenti e che sa anche insegnare
il suono agli uomini, cliìedendone in tributo la loro anima immor-
tale, t Havfruen, » T avvenente vergine del mare, che mesta colla
sua arpa canta alla notte nei giunchi ed alletta i giovani amorosi
a gittarsi nelle onde per acquistare P anima loro e diventare im-
mortali come gli uomini, sono tut^i immagine d* un'indole, che in-
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CANTI POPOLARI SiaUAM, EC. 201
dividaalitza la natura e ne cerca un simbolo nei fondi più mistici
ed ideali dell' anima nostra. I celebri poeti Heiberg ed Andersen
nei drammi e nelle favole hanno rappresentato il senso poetico di
quel mondo, e nella poesia di Oeblenschlaeger risuona come d'una
musica lontana Teco del canto alfiano.
Nessun popolo, se non il Greco, ha avuto una mitologia cosi ricca
di fantasia e di forma plastica, nessun popolo ha avuto una abbon-
danza di ballate e di poesia epica , e nessun popolo ha riserbato
con tanto amore e con tanta stima le tradizioni dei padri come
gli Scandinavi, particolarmente V isola Island, che è una fonte ine-
sauribile di canti e racconti popolari. Ma se qualcuno va cer-
cando r intimo sentimento delle passioni umane. Tedio e Tamore
nella lor forma più pura e più lirica, vada in Sicilia e vedrà come
esca dal cuore de' villani e dei pescatori pari a una pioggia di fuoco
dal cratere delPElna. Ecco il paese deir amore, dove anche le nude
ossa nella sepoltura chiamano il nome delP amante, ecco il paese
della vendetta, a cui nessun sangue è t sacrosanto, • il paese dove
la lingua non può creare vocabolo assai sdegnoso per esprimere
Podio e doye la gelosia si stende « macari alla mosca. > L' amore
che vuol essere unico ed esclusivo per soddisfisure alla sua idea, è
sospettoso senza fine, e di più in un popolo, dove facilmente si reca
la fantasia e crea ogni forma di sospetto. Leggiamo nella raccolta di
Vigo quell'ottava graziosa, dove ramante, ingelosendosi delPacqua
vuol far aprire la sua vena per dar a lavarsi alla sua innamorata.
Sono pensieri tutti meridionali; da Island abbiamo un fatto, che
il padre, abbandonato col suo figlio nel deserto, taglia le vene del
suo petto, e nutrisce il fanciullo col suo sangue. Ma, quale differenza
di soggetto!
Non parlerò dei proverbi, delle sfide, e delle ninne-nanne, che
mai ho trovato graziose come in Sicilia.
Non era intenzione mia di far un opuscolo dotto , ma soltanto
di abbozzare qualche impressione; felice come sono di aver veduto
questi monti e questo mare , dove volava la fantasia di Omero ,
dove sonavano le campane del Vespro , anzi felice di aver inteso
quei canti dolci ed armoniosi d' un popolo , che una volta cono-
sciuto, non si può altro che amare. Sono i Geni della gioia , che
danzano avanti la chitarra meridionale: è l'angiolo delle lacrime
che s'appoggia all'arpa nordica. Ma è lo stesso spirito immortale,
che mai si spegne nei canti del popolo.
Pakrmo, li i9 giugno 1870.
Martin Sghneekloth
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LE ODI DI S. SOFRONIO
SCOVERTE DA PIETRO MATRANGA (ì) ^
Pietro Matranga, dotto ellenista e versato in paleografia, scoverse
sono parecchi anni, nella biblioteca Vaticana e tradusse in prosala
tina , air infuori della prima che fu tradotta dal cardinale Sirleto ,
le Odi di S. Sofronio , che pubblicò corredate di note e osserva-
zioni (2). Felice scoverta veramente, che fa onore al Matranga, co-
nosciuto per altre sue produzioni letterarie , e soprattutto per la
dotta sua opera su gli scavi in via Graziosa.
Patriarca di Gerusalemme visse il Sofronio e fiorì nel settimo se-
colo. Fu scrittore elegante, sobrio, e pieno di venustà; poiché il suo
poetare è scorrevole , facile , disinvolto , e sovente fervido , come
suol essere quello de' poeti , che segnatamente s^ ispirano alle dot-
trine evangeliche, e pura è la lingua, di che ei fa uso.
Leone AUazio ne discorse con molta lode, stimando elegantissimi
i sm)i versi, piissimi, e pieni di dolce melodia.
Ed in vero sono essi di tale o tanta bontà, che le lodi di sì il-
lustre letterato, che a taluno potrebbero sembrare esagerate, sono
beù meritate a non dir scarse, molto più se si riflette che il So-
fronio scrisse in tempi , che le lettere scadute in basso andavano
ogni di più dalla classica loro dignità sensibilmente degenerando.
É noto infatti come in quella stagione anziché dir cose gli scrit-
tori chiacchieravano; sicché a' pensieri maschi e robusti, ed alla e-
Jeganza del dettato succedeva una certa vacua verbosità, e poco si
badava al ritmo , che costituisce T ordine del movimento , cotanto
necessario anche nella prosa.
Ben a ragione dunque é stato il Sofronio ammirato; e qualunque
lode gli va data, non é mai troppa, mentre nel deperimento, in cui
si trovavano le lettere, seppe egli dar fuori nobili ed eleganti com-
ponimenti ; e ciò che più importa con maravigliosa semplicità dir
cose alle ed arcane difficili a dire, come nota il Fozio, che tra gli
altri pregi ne ammirò la profonda dottrina ne' misteri di nostra
religione (3).
(1) Osservazioni critiche a proposito della versione della prima Ode pubblicata
da Papas Vincenzo Schirò, Messina, Capra, 1870.
(8) Spicilegium Romanum voi. IV. Romae 1840 lypis Collegi Urbani.
(3; Fozio in myriob. cod. 231.
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LE ODI DI S. SOFRONIO, EG. 203
Il metro, di cui fece uso il Sofronio, è il metro anacreontico in
giambi di metri a calaletti impuri , che si scandono per dissodia ,
ma vi sono interpolatamente, se ne togli TOde XVill, frammischiati
versi di altro metro secondo il vezzo del tempo di rompere i versi
coi cosi delti xouxouXX^ok;. 0 (xvaxXu)|Aévoi<;, Che sono versi di sei pie-
di, il primo, il terzo e quinto composti di un pirricchio , e di un
spondeo gli altri tre.
Il valente scopritore delle Odi quantunque riconosca essere questi
versi, che ei chiamò anapestici, dagli anacreontici affatto dissimili,
pure li loda tra perchè interrompono il prolungalo concento dal
metro, e perchè servono ad esprimere qualche pensiero all'argo-
mento consentaneo, o ad emettere qualche epifonema. Però il dotto
autore della sua biografia su la considerazione poc'anzi fatta circa
all'uso in quel secolo di rompere i versi con altri di melro diverso,
non tiene accordo con lui (i), ed io ci ho i miei dubbi; sebbene
possa dirsi , che la varietà, massime in un lungo componimento ,
riuscir pos§a opportuna, ed essere cagione di bellezza.
Ma sia di ciò quel che si voglia , certa cosa ella è , che se non
ne accrescono, non scemano i pr^gi delle Odi, le quali veramente
meriterebbero di essere recale dalla greca air italiana favella, onde
potessero girare per le mani di lutti, ed essere comunemente as-
saporate ed intese.
Per quanto io mi sappia non ha finora chi abbia a ciò dato o-
pera, essendomi soltanto nota la traduzione in versi anacreontici
di una sola Ode, che è la XVIII stUla Santa Croce, inserita dal Ca-
marda nel Giornale Scilla e Cariddi di Messina, e dallo stesso ri-
prodotta in fine della biografìa del Matranga citata di sopra ; onde
che degno di elogio è il valoroso grecista, e mio amico Papas Vin-
cenzo Schirò (2), il quale pare intenda a supplire un tal volo. Come
ne da a credere il saggio di traduzione italiana in versi sciolti testé
pubblicalo della prima Ode sopra P annunziazione di Mc^ia,
Non sarà discaro cir io con quella brevità , che si possa mag-
giore, dica quel che sento del merita" di questa traduzione, della
(1) Nicolò Camabda Biografia di Pietro Mairanga, pag. IO.
(2) Abbiamo di lui parecchie poesie greche. Tra le altre ve ne ha due composte
in versi esametri e pentametri, 1' una ^r ^V Illustri Aeeadtmici peloritani morti nel
Colera del 1867 e l'altra per l'eccidio del venerando monistei'odi Creta a noìneAr-
codio. Furono entrambe pubblicate con la versione del eh Riccardo Milchell m versi
Ialini la prima, e in toscani la seconda , ed io ne feci plauso in una epistola cri-
tica allo stesso autore, che trovasi inserita ni^l Diogene di Palermo/Novembre 1868
anno XI.
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Ì04 NUOVE EFFEMERIDI SIGif JANE
quale recherò ifi mezzo qualche esempio, che lascio a' grecisti di
confrontare col testo, e decidere se vada o no fallito nell'avviso.
In tre modi, scrìve un illustre letterato, si può traslatare di lìn-
gua in lingua; o trasportando air ingrosso i soli pensieri, e questo
è un cattivo tradurre: o trasfondendo perfettamente T indole e il
sapore deir originale, e questo è tradurre difficile bensì , ma otti-
mo: 0 stando alla lettera volgarizzare schiette le parole e le frasi,
e questo è tradurre utile soltanto per coloro, che studiano le lingue.
Non è uopo dire come il primo modo di tradurre sia da evitare
maggiormente nella versione di poeti scrittori, giacché un'idea, una
verità filosofica qualunque modo si esprima in prosa rimane sem-
pre la stessa, laddove ne' poeti bisogna conservare quella partico-
lariti , e accidentalità che sono proprie della poesia , e il bello ne
costituiscono. Tali sono a cagion di esempio gli epiteti, che operano
come il colorito nella pittura, e trattandosi di antichi scrittori danno
sovente qualche traccia, o barlume da penetrare in alcuni dkrisa-
menti di vecchie età, che si confondono e perdono nella notte de'
secoli.
D'altra parte se si volesse nel. caso nostro con rigida fedeltà te-
ner dietro all'originale non si giungerebbe a renderne un nitido
e perfettamente somigliante ritratto ; che anzi ne andrebbero in
massima parte perdute la eleganza e la venustà. La qual cosa viene
chiaramente confermata dallo stesso Sofronio, il quale malgrado
che avesse nelle prime otto odi, secondo che giustamente osserva
il Hatranga, accomodato alla sua lira certe nude storiche notizie
degli evangeli; nondimeno è cosi ammirabile la disposizione delle
parole, la soavità della locuzione, e una certa tal quale ingenuità
d'immagini, che lette nel testo sempre ti piacciono e ti gustano,
mentre travasate parola a parola diventano fredde, e perdono quella
ingenua vaghezza, che vi risplende e direi quasi vi si sente, come
ce ne abbiamo una non dubbia prova nel saggio in latino del Cardinal
Sirleto, che delle Odi del Sofronio fu un tempo possessore (1).
Lo Schirò si studia di scansare gli eccessi de' sopracitati due gravi
difetti, perchè non segue, dirò cosi, giudaicamente il testo , né di
molto se ne allontana, ma tiene la via di mezzo che è tra la licenza
troppa, e la troppa servitù.
Se non che invece dell'anacreontico ha egli adoperato il verso
sciolto per non essere forse legato e servo della rima, che suole
(1; Spicilog. Rom. voi. IV pag. XXV, e seg.
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LE ODI DI S. SOFRONIO, BC. 205
accrescere le difficoltà nel tradurre, e per il movimento dramma-
tico dell' Ode, per cui ne sarebbe venuto fuori una specie d' inno
alla forma Manzoniana , e in certo modo dirò anche triviale #er
l'espressioni disse, rispose, soggiunse, che ripetutamente vi s'incon-
trano.
Comunque si sia il verso è di buon conio ed armonioso senza
essere monotono, perchè qua e là spezzato, e scelta e poetica n'è
la lingua, eccettone qualche rarissima espressione, che mi è sem-
brata più propria della prosa, che della poesia.
É stato lodato il principio deir Ode prima Sofroniana per la soa-
vità de' versi non solo, ma per un certo impelo poetico, con cui
l'autore invoca che gli sia concessa lingua simile a fìioco ardente.
Or la traduzione, salva la diversità del metro, ne fa una bella co-
pia che rende somiglianza.
Dal Paraclèto Spirilo di Dio
Sugli Apostoli sceso a' preghi nostri
Ne concedi, o Maria, lingua simile
A foco ardente: perchè a dir del tuo
Parto stupendo, o diva madre, agli occhi
De* mortali da Dio fatto palese.
Grave difficil'opra eli' è dèi tutto
All'umana favella.
E pia sotto :
Re della terra pose Adam, lui primo
Agli umani fé' padre, a lui V impero
D'ogni opera terrena Iddio concesse.
Vita santa ei vivea; ma n' ebbe invidia
Il demon triste, e contro Adam vibrato
Un brando insidioso, lo trafisse
L' abbominevoi drago. Una profonda
Atra nube a' precordi allor si strinse
Della prole dell'uomo, e con funesto
Alimento nutrilla, onde ricadde
Con eccidio feral precipitando
In sul terreno resnpina, e giacque*
Questo pezzo nel lutto gareggia con l'originale, e ne conserva
l'indole e il sapore. Che se vi si fa uso di alcuni epiteti , e qual-
che voce che noci sono nel testo, ciò non deroga al merito della
versione, perchè sono essi bene appropriati, e danno anzi maggior
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206 NUOVE EFPBIIBIUDI 8IGUJANE
forza ed efficacia al pensiero che l'autore ha inteso esprimere, co-
mechè non sia da negare che gli epiteti in genere limitino il con-
cello, e non lascino il piacere a chi legge di aggiungerli da sé in
quel modo che meglio gli piaccia o sembri, e gli suggerisca la pro-
pria fantasia.
E tu, gran donna,
Yergin fregiata di tutta saviezza
Colui, che non capir gli eccelsi ed ampi
Spazi del cielo, entro la pura chiostra
Del tuo ventre chiudesti il Verbo in carne
Di un limite segnando
è stringata versione, perchè stretta quanto il testo, ma che ne rì<
tonda ed esprime bellamente il pensiero o meglio la sentenza che
vi si contiene, la quale ha del grandioso e del sublime.
Ed ora non mi resta che esortare lo Schirò a continuare con o-
gnor più diligente accuratezza e degno stile la sua versione, certo
di far cosa utile per coloro principalmente che ignari del greco
non possono leggere nel testo, e gustare un antico scrittore per
tanti titoli pregevole, di tante bellezze adorno, e meritamente ap-
prezz^o.
Francesco Crispi
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IPPOLITO
DRAMMA D'EURIPIDE
(Continoaz. vedi voi. II» disp. II)
Ippolito
Subitamente che il tuo grido intesi,
0 padre, accorsi. Perchè gemi? Udirne
L' ignorata cagion da te desio.
Ha che? Spenta (oh! stupor) la tua consorte
Veggio, e pur dianzi io la lasciava, e molto
Non ha, ch^ ella gioiva i rai del Sole.
Che mai le avvenne? Come è spenta? Udirlo
Da te, padre, vorrei. Taci? Nei mali
Il silenzio non giova. Il cor^ che tutto
Saper agogna, avido è pur de^ casi
Avversi. E indegno è che tu celi, o padre,
Agli amici (che dico?) ai più che amici
Le tue sciagure.
Teseo
Q scellerati e stolli,
A che mille arti d'kisegnar v'aggrada,
E di scrutar e macchinar su tutto.
Quando poi non sapeste, e non cercaste
Una cosa fin qui; come nel senno
Ammaestrar chi dMntelletto è privo!
IppOLrro
Gran sofo hai detto chi forzar potesse
Gli stolti ad aver senno ? Un tal sottile
Ragionar qui mal torna; e temo» o padre.
Sopraffatto dai mali il tuo linguaggio.
Tesso
Era ben d'uopo, che fra noi chi fido
Si profferisce un manifesto segno
Riportasse del core, e discevrato
Cosi fosse dal vero il falso amico;
E che due lingue Puomo avesse; Tuna
Sol faconda pel dritto, e Taltra in altro
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208 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Modo; onde fosse dalla proba Tempia
Ripresa.... Illusi non saremmo allora I
Ippouto
Forse all^ orecchio ti si fee taluno
Tuo prediletto a calunniarmi, e colli
Da sinistro siam noi, benché innocenti ?
Stupefatto son io ! La tua favella,
Che da tutta ragione omai trasmoda,
Terror mi fa.
Teseo
Ha la malizia umana
Fin dove giunge ? Qual fia meta a tanto
D'impudenza e d'ardire? E se la schiatta
Peggior de' padri suoi crescesse ognora
Dall'una all'altra età, d'uopo saria
Che alla Terra apponesse un'altra Terra
Qualche Nume del ciel, perchè la turba
Degli iniqui albergar quivi potesse !
Rimirate costui, che di me nato
[ miei letti macchiò, costui di tutti
Scellerati il maggior omai convinto
Dalla spenta mia donna ! Orsù; ti mostra,
Poiché venuto a tanta infamia sei.
Mostra or qui la tua fronte innanzi al padre !
Tu con gli Dei, qual personaggio eccelso,
Conversi? Casto, e d'ogni labe immune
Tu? Ne' tuoi vanti non porrò mai fede;
Che fora un incolpar d' insipienza
E di follia gli Eterni. Or va; t' esalta,
D' usar cibi frugali, e per tuo sire
Orfeo togliendo, e coltivando il fumo
Delle molte dottrine, all' orgie irrompi !
Ma convinto già fosti t A tutti io dico
Di fuggir tal genia! Le insìdie tendono
Co' gravi detti, e traman l'onte. É morta
Costei; ma il suo morir credi tuo scampo?
T' inganni, o scellerato. E sovra Lei
Quai giuri prevarranno, o quai parole,
Da fuggir quest'accusa? E dirai forse
Che ti odiava costei, che abbominata
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IPPOLITO, DRAMMA D' BURIPIDE 209
L'illegittima prole è ognor dagli altri
BeDQati figli? Na cosi diresti
Ch'ella da stolta mercantò la vita,
Se per odio con te far gitto volle
Di quanto al mondo è più soave. 0 forse
Dirai, che mentre dal mascbil pensiero
La mollezza è lontana, innata vive
Nelle donne ? Ha giovani conosco
Nulla più fermi delle donne, quando
Cipri lor turba il giovenil pensiero;
Ma si fan prò del sesso loro!— Teco
A disputar perchè ne vegno, intanto
Che di tue colpe tesfimon sicura
É-qui presente questa spoglia inane?
Va; fuggi tosto da Trezene in bando!
Né moverai vèr la divina Alene,
0 dovunque si stenda il poter mio.
Che, se dopo tali onte io fia piegato
Da te, parrommi di iattanze vote
Girne superbo, e negheran, che domo
Fu da me P isimio Sinnì, ed i marini
Scironii scogli non faran più fede.
Ch'io terribile ognor sono ai ribaldi!
Coro
Poiché tutto quaggiù si muta e passa,
Non so chi debba più nomar felice!
IppoLrro
Padre, tremenda è Tira tua, tremenda
É del tuo cor la tempra I Abile intanto
Questa accusa si mostra ai bei parlari,
Più che non chieda T onestà; nò destro
Arringator di popoli son io!
Meno inesperto a ragionar mi sento
Co' miei compagni; perchè l'uom dai saggi
Negletto, è più gradito e armonioso
Orator fra le turbe. E pur la fiera
Necessità di questo orrìbìl caso.
Mio malgrado, mi sforza a scior la lingua.
E da pria ti dirò, che m'assalisti,
Come se perder mi volessi, come
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210 NUOVE EFFeMEBIDI SICILIANE
Un reo mi fossi, che non ha discolpa.
Vedi tu questa luce e questa terra ?
. Qui non nacque mortai di me più casto.
Benché tu il nieghi. A venerar da pria
1 Numi appresi, e in amistà mi strinsi
Con chi provossi di fuggir dall'opre
Ingiuste, e nel cui sen vive il pudore
Di non propor le colpe, o di dar mano
A chi si piace di sozzure e d'onte.
Né schernitor di chi conviva meco,
0 padre, io fui; ma co' presenti amici
E coi lontani ognor mi porsi uguale;
Ed immune son io pur di quell' opra.
Onde pensasti avermi colto in fallo.
Puro da nozze è il corpo mio finora;
Né so l'opre di Venere, se togli
Quanto ne intesi, o rimirai tra pinte
Imagini, e bramoso io di tal vista
Non sono, perchè vergine ho la mente.
Ma se nel mio pudor non hai tu fede,
Mostrar dèi tu, come corrotto io fui !
Forse perch'olla di bellezza tutte
Avanzava le dome? 0 ch'io sperai,
L' ereditario talamo occupando,
Dominar tutta la famiglia ? E tanto
Vanitoso mi credi e forsennato ?
0 perchè dolce è pur ai sobri il regno?
No mai; se pur la monarchia nel fango
Non volga il cor di chi si piace hi essa t
Io ben vorrei nelle palestre elleno
Vincer primiero; e dei secondi onori
Nella città vivrei contento sempre
Con gU ottimi compagni. In questa guisa
Felicità si merca ed il rimosso
Periglio è largo di maggior dolcezza.
Che non l' impero. — Una difesa io tacqui
Soltanto; ogni altra è a te palese. Ov' io
Un testimone a me simil m'avessi,
0 disputassi con costei pur viva,
Dall' opre lor conosceresti gli empi.
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IPPOLITO» DRAMMA D'EURIPIDE 21 i
Ed or ti giuro per la Terra e Giove,
Ch'io non ho tòcco la tua sposa mai»
E che di questo né pensier, né brama
Presi giammai. E sa un ribaldo io sono,
Vilipeso ed infame io morir possa,
E di me spento il pelago e la terra
Non accolga le carni t — Or se costei
Vita si tolse da spavento còlta,
Non so; che parlar <dtre a me si vietai
Pura serbarsi ella non seppe, e intanto
Ha sembianza d^onesta; e noi, che pari
Vivemmo sempre, il crudo fato- opprime 1
Coro
Assai dicesti in tua difesa, il giuro
(Prova non lieve) profferendo ai Numi.
Teseo
Ha non è questi un ciurmador, un mago,
Che s' argomenta con quei blandi modi
Vincermi il core.... egli, che me suo padre
D'ignominia colmò?
Ippolito
Stupor mi prende,
0 padre mio, di te. Se tu mi fossi
Figlio, sbandito non T avrei, ma spento,
Se toccar la mia sposa osato avessi t
Teseo
Ben foveUasli; ma perir non devi
Con quella norma, che a te stesso imponi;
Che pronta morte agli infelici aggradai
Ma dalla patria errando in perorine
Piagge trarrai ben dolorosa vita.
É questo il merto riserbato agli empi!
Ippolito
Che fai! Né il tempo indicator del Vero
Attender vuoi; che si mi scacci in bando ?
Teseo
Oltre r Atlante, se potessi, e il Ponto,
Ti bandirei, tanto io ti abborro!
ippoLrro
E il giuro,
E la fede e gli oracoli de' Vati,
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212 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Non offendi cosi, col discacciarmi
Non giudicato dalla patria terra?
Teseo
Chiaro t'accusa quello scritto, ed uopo
Non ha di sorti; ed agli augei sul nostro
Capo migranti un gran saluto io rendo!
Ippouto
0 Numi» e perchè mai non sciolgo il labbro.
Se da voi, che pur tanto onoro e colo,
lo son perduto ? Ma no mai; che invano
Convincer tenterei chi d'uopo fora,
E indamo infrangerei la fé giurata !
Teseo
Ahi ! che mi uccide questa tua pietade
Ipocrita ! Né tosto andrai tu lunge
Da questa patria ?
Ippolito
0 me perduto ! E dove
Mi volgerò ? Qual peregrino ostello
Me, fuoruscito per tal colpa, accolga ?
Teseo
Ti raccorrà chi delP altrui consorti
Ospitar si diletta i corruttori,
E alle colpe domestiche i compagni !
ippoLrro
Ah ! ciò m' accora, e son già presso al pianto,
Perchè un empio ti sembro, e tal mi credi!
Teseo
Pianger allora, e provveder dovevi
Ai casi tuoi, pria di oltraggiar la donna
Del padre tuo.
Ippouto
Deb! chi vi toglie, o case,
D'alzar le voci, ed attestar, se un tristo
Mi sia!
Teseo
Ma dunque a testimoni or fuggi»
Che non han vóce? E apertamente iniquo
Non ti mostra l'estinta anco tacendo?
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IPPOLITO, DRAMMA D'BURIPIDE 213
Ippolito
Oh! sMo mirarmi di me stesso a fronte
Potessi, e deplorar le mie sciagure !
Tesbo
Esercitato ad onorar te stesso
Sei pia, che a riverire i padri tuoi.
Ippolito
0 sciagurata madre! 0 rei natali!
Deb ! eh' io non vegga tra gli amici alcuno
Di spurio nascimento !
Tbsko
E voi beni tosto
Non lo scacciate, o servi? E non udite,
Gom'io vMmposi, che sia tratto in bando!
Ippolfto
Verserà pianto chi di loro ardisca
Toccarmi. Da te stesso or tu, se il core
Ti basta pur, discacciami !
Teseo
Ben farlo
Saprò, se non ti pieghi ai detti miei,
Percb^ io nulla pietade bo del tuo bando !
Ippouto
Tutto parmi già fermo. Ahimè perduto!
E tutto io veggio, e favellar m' è tolto !
0 figlia di Latona, o la più cara
Delle Dive per me, compagna mia
E di caccia e d'albergo, omai T illustre
Atene fuggirò ! Salve, o citlade,
0 terra d' Erettòo i Trezenio campo,
Salve tu pur, che si felici e molte
Cose contieni da passarvi lieti
1 più begli anni! Per restrema volta
Io ti rimiro e ti favello ! 0 miei
D' età compagni, o giovani di questa
Terra, venite a salutarmi, e scòrta
Hi siale nel fuggir da queste rive;
Che di me non vedrete un uom più casto
Giammai, benché noi creda il padre mio.
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214 NIM^TB C^niOaiDI SIGIUANK *
Coro
— Quando mi toma air anima
Santo de' Nomi affetto.
Fugge da questo petto
L'affanno ed il dolor.
Ma, se la mia speranza
Alla ragion sommetto,
Ogni gentil fidanza
Tosto vacilla e mnor.
Tante vegg" io fra gli uomini
Venture ed opre stolte;
Da tanti error' travolte
Veggo le nostre età I
ChMo m'abbia (e sien dal Fato
Queste mie preci accolte)
Fortuna in ricco stato,
Serena ilarità,
Nome non vii, né splendido,
E fàcil cor, che sempre
Del mondo si contempre
* Al rapido alternar.
Felicità godrei
Cosi d'eterne tempre;
Né si turbata andrei,
C!ontro ogni mio sperar,
Visto d'Atene ellenica
L'astro più chiaro e degno,
Dal rio paterno sdegno
Spinto all'altrui confini
0 selva aspra montana.
Ove ti die conveguo
I^ virginal Diana, -
0 lido cittadin.
Ivi co' veltri correre
La fera fuggitiva
Godevi, e la tua Diva
Predar godea con tei
Ma porre ai gioghi usati
L'enete mute in riva
Di Limna omai da' Fati
Concesso più non t'è.
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IPPOLITO, DRAmU D'UDMNW 2iS
Non pia Ina Musa vigile
Al giogo della lira
Nell'alta si raggira
Patema toa magìon t
Sacrato al bel riposo
Di Cintia, invan desira
Il verde basco ombroso
Di ttte corolle il dea.
Gessata è fira le vergini
Del tuo sponsal la gara
Con questa fuga amara,
Che ognora io piangerò I
Tuo grembo invan s' aprio.
Madre dolente e cara;
Non hai più figlio, ond' io
I Numi imprecherò.
E voi^ pronube Grazie,
Perchè sbandir cosi
Da' lari, dalla patria
Un uom che non falli ?
continua) G. De Spughes.
€RITI€4 LETTEMRU
Memorie ttoriche intorno cU Governo della Sicilia dal 1815 sino
al cominciamento della Dittatura del Generate Garibaldi scrìtte da
Francesco Bracq. Palermo, Luigi Pedone-Lauriel editore, 1870.
Una sentenza del Balbo va innanzi a questo libro, la quale suona
cosi : « La verità, finché è taciuta, non è verità , e non può farsi
strada. La verità su noi bisogna : io non volerla negare se è dura;
2o studiarla per conoscerla; 3o conosciuta, dirla molto, anzi sempre
tutta e sola. • In questa sentenza ognuno troverà lo scopo e glln-
tendimenti del Bracci, a cui se grazia di stile fa difetto alcuna volta,
abbonda eflBcacia di parola ed evidenza di fatti.
Queste Memorie storiche, rimaste inedite per la morte prematura
del Bracci , avrebbero subito forse la sorte di tante altre della no-
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216 NUOVE EFFEMERIDI SKUUANB
stra Comunale se il cav. Salvatore Tigo con queir amor patrio che
è da lui non ne avesse in vari modi afifrettata la pubblicazione. Il
sig. Luigi Pedone-Lauriel se n^ è fallo editore, e già un ms. ignoto
fino a ieri corre oggi oltralpe a dar contezza di noi e delle cose
nostre.
in dieci capi TA. racconta la nostra storia dal 1815 al 1860, qua-
rantacinque anni di dolori, di sventure, di efSmere gioie, di onte
invendicale, di soprusi, di vergogne d^ogni genere; e frammezzo a
tante notìzie nuove e mal note il lettore è quasi condotto a vedere
come r assoluto potere de' sovrani avesse conculcate le antiche
franchigie della Sicilia, dando luogo alla lotta gigantesca, che i Si-
ciliani ebbero a sostenere dal 1815 al 1860 sotto quattro re, per
rivendicare i loro imprescrittibili diritti dMndipendenza e di libertà.
Onde, per questo riguardo, le Memorie del Bracci son da tenere
nel pregio che non si nega mai alle opere fatte per sentimento di
bene e per difesa e giustificazione del proprio paese. Che se il let-
tore s^ avviene qua e colà in qualche giudizio poco favorevole ai
Napolitani, chi non vede anche in questo una ragione di più per
condannare chi tra Napolitani e Siciliani alzava una barriera, ab-
bassandola soltanto perchè tra gli uni e gli altri vi fosse un pal-
leggio d' ingiurie, o i due pesi e le duo misure onde i popoli di
qua e di là del Faro erano governati? Del resto affratellati in
una sola famiglia, gare e rancori son cessati; e neppure in queste
pagine ne sarebbe rimasto seniore, se il Bracci avesse avuto agio
di ritornare sul suo manoscritto e distinguere la buona gente na-
politana da quella « burocratica, » che teneva campo nelle aule mi-
nisteriali.
A giusliflcazione e conferma delle cose narrate Teditore ha fatto
seguire queste Memorie da undici documenti di molta importanza.
Nella lettura del libro non può prescindersi dalla lettura loro, so-
praltutto deir Atto politico del Re Carlo III di Spagna del 6 otto-
bre 1769, delia Protesta dtf Baironidi Sicilia neWanno 1811 e del-
l'opuscolo del P. Ventura sulla Questione sicula nel 1848 sciolta nel
vero interesse deità Sicilia, di Napoli^ deU'Italia. E su questi richia-
miamo rattenzione di quanti ci hanno fraintesi e mal giudicato.
G. Purè
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• GRinGA LETTERAMA 217
CtostaiiBa VÌA66 Ignoransa , ossia la conquista M sapere mal-
grado gli ostacoU, di G. L Crak; traduzione libera di Pietro Ro-
TOfiDi. Firenze, Barbèra, 1870.
Fra i libri più raccomandabili ascili testé alla luce, havvi certa-
mente questo, che un valoroso nostro letterato volle fare italiano.
Non a caso diciamo fare italiano, che questa non è una traduzione
delle solite ma un completo rifacimento per adattare il libro ai no-
stri bisogni.
Il suo titolo ancora più che un proverbio è un grave ammoni-
mento. Se c^ è paese, che abbia bisogno di ricordarsene, è il nostro.
Yipcere la ignoranza operando, volgere la costanza ad un alto se-
gno, ecco un debito per noi, che quotidianamente si svela e ci con-
vìnce della sua bellezza e necessità.
La lotta cogli ostacoli ò la prova dei caratteri; e sollecitarci a que-
sta prova è grande beneflzio, sollecitarcene colPesempio dei migliori
è finissimo accorgimento, Noi ^i poniamo volentieri in quelle vie,
in cui scorgiamo orme riverite , e troviamo couforto di memorie
indimenticabili.
La trama del libro invoglia deir ordito, in cui una mano maestra
e nostra, andò trapungendo italici nomi, sicché meglio ci si imponga
r invito degli avi. Fra questi nomi illustrati dalla penna dell'egre-
gio Rotondi ci piace ricordare quei dell' Oriani, dd Parìni, dell' Al-
fieri, del Tartaglia, del Parini, del Rossini, del Giusti, del Machia-
velli, ecc., che V autore inglese aveva obliali, e che non potevano
traspirarsi, senza grave ingiustizia, in un libro come questo; ripara-
zione e regalo, ad un tempo, che il Rotondi ci fa.
Il primo capitolo del libro è opportunamente alla dassificaziohe
degli ostacoli, che uno deve superare per uscire dalla mediocrità e
acquistare un posto segnalato nella scienza, nell'arte e nella vita.
Conoscere gli ostacoli, guardarli da vicino, abiluarvisi, trionfarne,
ecco il merito ed ecco insieme l'epica materia di queste pagine.
Nei successivi capitoli tutte le cause che avversano o ritardano i
moti geniali e possenti dello spirito ci passano sotto gli occhi , e
depongono davanti al fermo giudizio della mente e pel conforto de-
gli esempli ogni loro terribilità o fatalità.
L'oscura origine, che avviluppa gli ingegni e le forze; la prima
gioventù, che spesso, nell'allegra fretta dei piaceri, disordina o manda
a male i migliori propositi, le gravi e assorbenti cure della vita; le
armi stesse, nemiche dei pacifici studi; l' estrema povertà, che im-
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2i8 NUOVK EPPfiMRRIM SlCtLIimE .
miserisoe la mente; i difetti fisici, che creano un ostacolo quasi in-
superabile; ia tarda età in cui i molli si lasciano vincere dalla svo-
gliatezza, il difetto di libri, scuole, maestri che costringe a far da
sé, raddoppiamento di fatica e di merito; nessuna condizione o di-
q[>osizìone di cose, che affronti, paralizzi e stanchi la volontà, è di-
menticata dair autore; ma la volontà esce vittoriosa da ogni prova
e scrìve trionfalmente in questo volume t propri decreti e le pro-
prie glorie. A capo dei travagli s'additano poi i premi, e sublime
fra questi il diletto dd sapere.
Ove si dispiega meglio llnsistente energia della mente è nel campo
deHe scienze positive e delle industrie. Per cui l'autore va consa-
crando capitoli speciali ai progressi deìP ottica , ai perfezionamenti
déUe macchine a vapore^ alla manifattura del cotone, ecc.
Né poteva mancare un capitolo sui viaggi, alta e pericolosa car-
riera che dischiuse la cognizione della terra ed in cui pure gli Ita-
liani si collocano fra i primi; de' quali sono tolti ad esempio il Bol-
zoni dal Craik, ed il meno conosciuto eppur valorosissimo Vidua
dal Rotondi.
I nostri lettori ci sappiano grado di aver loro rammentato l'o-
pera del Craik. Neil' interesse della pubblica educazione si deve sa-
lutare con gioia, da tutti, questo volume, che il Rotondi ha saputo
presentarci cosi italiano nello &tile, ne' concetti, n^li affetti.
Giovanni De Castro.
Hieerche intorno al &il»ro di Sindibftd per Domenico Comfa-
RETTI. Milano, Bernardoni, 1869.
il celebre racconto dei Sette Savi ha dato origine a due princi-
pali gruppi di libri popolari , l' uno orientale , l' altro occidentale.
Entrambi questi gruppi son molto differenti tra di loro, e l' occi-
dentale ha tali differenze in tutte le sue versioni che l' istituire un
confronto con quello rispetto al libro primitivo, sarebbe un tentar
cosa fuori l'ordine de' fatti.
Vero è che la provenienza indiana non si può contrastare ad en-
trambi i gruppi, ma le versioni occidentali son da riguardarsi più
che altro come rampolli secondari dell'antico libro indiano , rap-
presentanti una fase lontana e postuma; però è che quanti si son
dati a pnbblicarìe e ad illustrarle non hanno neppure sfiorato, meno
il Benfey in lavori speciali, il grave assunto della storia del Sm-
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CRITICA LETTBRARU 2i9
dibdd, in cai i testi orientali riconoscono la loro parte più rile-
vante. A ciò il professore Comparetti ha riTolto testé i suoi pro-
fondi studi , per vedere quali sieno in tutte le versioni orientali
oggi conosciute gli elementi originali e quali quelli dovuti al ca-
priccio di ciascun autore ; mettere insieme il contenuto di lutti i
testi che può costituire il testo comune a tutti; ritrovare quale in
questo fosse la forma del racconto principale, quali e quanti i rac-
conti in esso inseriti; indagare e stabilire a qual tempo questo an-
tico testo risalga. E siccome la più antica menzione del Sindibàd
ricorre in libri arabi del secolo X; il Comparetti crede cosa di non
poca importanza la ricerca di una versione da cui le altre derivino,
anteriore a quel secolo ; e designa col titolo di Libro di Sindibàd
il testo immediatamente originale e più antico dopo il prototipo
indiano, a cui non si estendono le sue ricerche. Le versioni che
riconoscono per base loro questo Libro sono : Il Syntipas , testo
greco tradotto dal sirìaco, del secolo XI ; le Parabole di Sandabar
tradotte dalP arabo in ebreo; il Sindibàdnàmeh, poema persiano ine-
dito s(»*itto nel 1375; la Ottava notte del Tùti-nàrnehéi Nacbschebt,
poeta persiano morto nel 1329; i SeUe Viziri , testo arabo che fa
parte di alcune compilazioni delle Mille e una notte; il LUnro de los
engannos , et assayamientos de las mugeres , traduzione spagnuola
d'un testo perduto fatta nel 1252 *ed ora per la prima volta pub-
blicata dal Comparetti. Con queste il dotto professore viene a ricosti-
tuire il Libro di Sindibàd, ricostituzione cosi paziente, giudiziosa e
profonda che meglio non potrà desiderarsi. Imperciocché, seguendo
parola a parola le versioni succennate, il Comparetti ne va notando
proposizione per proposizione le differenze.
Ecco, spoglio di ogni raffronto, il risultato delle ricerche del no-
stro autore:
« C'era nell'India un re di nome Kùrush, era potente, savio, giu-
sto e amato dai suoi popoli; essendo già inoltrato in età non aveva
dalle sue mogli avuto figliuoli, e il pensiero di non lasciare erede
lo rendeva triste. Una notte una delle sue mogli vedendolo triste
gli chiese il perché, ei glielo disse, ed essa consigliò la preghiera.
Così fece, ed ebbe un figlio.
« Nato il figlio, aduna il re gli astrologi perché ne cavino Toro-
scopo; trovano che il principe è minacciato da una disgrazia a venti
anni. A sette anni il principe é a£Bdato ai maestri; a 13 anni non
aveva imparato nulla. Il re aduna i savi per consiglio; questi tro-
vano che il miglior maestro è Sindibàd. Studia il principe altri sei
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220 NUOVE EFFEMERIDI SIQUANE
•
aoni e mezzo sotto Sindibàd^ ma inutilmente; a i9 Vi non aveva
imparato nulla.
« Il re aduna nuovamente i savi per consiglio. Sindibàd offre d'in-
segnare in sei mesi , pena la vita e le sostanze se manchi ; solo
chiede al re che prometta di « non fare ad altri quel eh' ei non vor-
rebbe fosse fatto a lui. » Dopo una dìsputa fra Sindibàd e i savi che
non credono alia possibilità della sua promessa, T offerta è accettata,
e posto il patto in iscritto , col giorno e Torà del ritorno del principe.
Sindibàd prende il principe seco^ fa costruire un palazzo, e segna
tutto lo scibile sulle pareti; si rinchiude col principe, segregandolo
da tutti.
e Prima che spiri il termine fissato, il principe ha appreso tutto.
Il re chiede notizie; Sindibàd risponde che il principe è pronto, e
che domani lo ricondurrà. Prima di ricondurlo, Sindibàd interroga
le stelle, e vede che il principe corre rischio di morte se parlerà
prima di sette giorni. Sindibàd si nasconde. 11 prìncipe va a corte;
gran festa; corte plenaria; il principe rimane muto;- cercano Sindi-
bàd, e non lo trovano. Chi attribuisce il silenzio del principe allo
effetto di una bevanda datagli da Sindibàd perchè presto imparasse,
chi a timidezza. Una delle donne del re dice che da giovinetto era
solito confidarsi con'Iei; propone di condurlo nella propria stanza,
e d' indurlo a parlare. La donnd non riesce a far parlare il princi-
pe. Allora gli dice che il padre è vecchio, e che ormai tocca a lui a
regnare. Gli propone di uccidere il padre di comune accordo, e di
sposarsi poi. A quella proposta il principe va in collera, dimentica
il proposilo di non parlare, e le dice : fra sette giorni potrò darli
la risposta che meriti. La donna, vedendosi compromessa, vuol pro-
curare la morte del principe prima che passino i sette giorni. Si
straccia le vesti e grida, accusando quel preteso muto di aver vo-
luto farle violenza. Il re condanna il figlio a morte. Udendo ciò, i
suoi selle viziri si radunano, e deliberano dMntercedere.
« Un vizir sì presenta al re, e con due racconti fa sospendere la
esecuzione per quel giorno; V indomani va la donna dal re, e con
un racconto fa confermare la condanna;* ma un secondo vizir la fa
sospendere nuovamente con due racconti, e cosi di seguito fino al
settimo giorno, nel quale la donna, vedendosi ormai vicina ad es-
sere scoperta, fa costruire un rogo , e ci si mette sopra per farsi
bruciare; ma il re, saputa la cosa, la fa salvare, e ordina che il fi-
glio sia ucciso; nuovamente però il settimo savio con due racconti
fa sospendere V esecuzione, e cosi arriva V ottavo giorno, in cui il
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GRITIGA LETTERARIA 221
prìncipe parìa. L^ ottavo giorno di buon^ ora il prìncipe manda una
donna a chiamare il primo dei viziri. Gli racconta tutto, ringrazia
lui e i compagni, promette ricompensa ^ e lo prega di andare dal
padre ad annunziargli ch'ei parla. Saputo ciò, il re manda a chia-
mare il principe. 11 re siede in trono; corte plenaria ; si presenta
il prìncipe, fa omaggio, e interrogato dal re, racconta la minaccia
delle stelle e V insidia della donna; chiede che sian fatti venire tutti
i savi; con questi viene anche Sindibàd. Chiede il re a Sindibàd il
perchè della sua assenza; questi lo spiega. Intanto, dice il re, poteva
darsi che io facessi uccidere mio tìglio, e se P avessi fatto, di chi
sarebbe slata la colpa, mia, di mio figlio, della donna, o di Sindi-
bàd ? Ciascuno di questi casi trova un sostenitore. Sindibàd osserva
che nessuno ha colto nel segno; il re interroga il principe, il quale
risponde col racconto « Gli ospiti avvelenati , » e chiede di chi fu
la colpa, della fante, del serpe, dell' uccello, o del padrone di casa ?
Sostenute queste quattro opinioni da quattro savi , Sindibàd trova
che nessuno ha colto nel segno; il principe risolve il problema di-
cendo che in questi casi la colpa è del destino.
« Tutti ammirano la sapienza del principe; Sindibàd dice che non
ha altro da insegnargli, e che ninno è più sapiente di lui. Il prìn-
cipe però osserva ch'ei conosce tre persone che ne sanno più di
lui, e narra tre racconti : lo II bimbo di tre anni; 2o il bimbo di
cinque; 3o il vecchio cieco. Chiede il re come mai il principe non
imparò prima quel clie riusci ad imparare poi. Risposta del principe.
Ordina il re che venga la donna. Questa confessa tutto. Interroga
il re la corte che cosa debba farsi di lei. Taluni propongono varie
mutilazioni, altrì la morte. Allora la donna racconta e La volpe. •
Il re rimette al principe il decidere. Questi esclude la morte, e so-
stliuisce una pena men grave. Segue un dialogo fra il re, Sindibàd
e il principe , nel quale sono esposti molti principi di morale. In
questo dialogo è intercalato un racconto di Sindibàd, col quale ri-
sponde al re che diede a chi sia dovuta la sapienza di suo figlio.
Il re incorona pubblicamente il suo figliuolo, cedendogli il trono,
e si ritira nella solitudine a servire Dio. *
Questo il quadro del Libro di Sindibàd.
In un secondo capitolo di quesf opera, P A. mette a confronto i
racconti contenuti nelle varie versioni , per mostrare quali in cia-
scuna sieno gli originali, quali no. Ciascuna versione ne ha degli uni
e degli altri, ma quella che ha maggior numero di racconti comuni
a più versioni e che però avvicinasi di più al testo antico è il Syn-
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222 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
tipas e, dopo di esso, il Libro de los Engannos. Questo LdbrOy dice
il dotto Conte de Puymaigre in un giudizioso opuscolo sul lavoro
in discorso , è importaotissiroo non solo per la questione sì bea
trattata dal Comparetti, ma altresì per la storia della letteratura (*a-
stigliana. Esso • è una prova delP influsso che la letteratura araba
incominciò ad esercitare in [spagna sotto il regno di Alfonso il Savio,
le cui opere non meno che quelle del figlio suo Sancho il Severo,
offrono tante tracce dell'azione esercitala dalP Oriente. Giovanni E-
manuele, nipote del primo di questi re e cugino del secondo, può
trovare nel Libro de los Engannos un modello che sorpassò, e di
molto, scrivendo il Libro del conte Lucanor^ una delle migliori rac-
colte di conti e d'apologhi che il medio evo abbia dalo(l). » Co-
stituisce il terzo capitolo della presente memoria una serie di os-
servazioni e di argomenti non men ragionati che giusti intorno alla
Vili notte del TUti-nàrneh^ la quale fuvvì chi credette antica d'as-
sai, e che il dotto Prof, dimostra* come gli altri testi, posteriore al
Libro di Sindibàd. Consimili osservazioni contiene lo stesso capitolo
e il seguente pei secondi racconti de' viziri del Sindibàd, per il Syn-
tipas, a cui P A., malgrado le contrarie e false opinioni anche di va-
lenti filologi, assegna la data degli ultimi anni dell' XI secolo; e da
ultimo per le Parabole di Setidabar.
Un' indagine che poteva dirsi appena incominciata fuori d' Italia,
oggi è con gravi e pertinaci studi spinta innanzi da un italiano. Cosi
non e' è da lamentar anche in questo che d' oltralpe vengano sem-
pre a noi le scoverte più importanti e le osservazioni più profonde.
Un lavoro come questo del jComparetii non passerà inosservato, ne
Siam sicuri, tra gli studiosi più illustri delle tradizioni popolari com-
parate, che pur non son pochi né da poco, fuori la penisola; e noi
Siam lieti di averne dato a onesto rallegramento de' nostri lettori
queste brevi informazioni. 6. Pitrè
Animarlo tcientlflco ed Indnttriale «/^oiuioto dagli Editori della
Biblioteca Ulile sotto la direzione di T. Grispigni e L. Trevellini
ecc. Anno VI, 1869.— Mìbno, E. Treves, 1870.
Sia per i progressi che si sono fatti nelle Scienze, sia per le
grandi opere che si sono ultimale durante l'anno scorso, il <869
negli annali della civiltà sarà d' un gradino più allo in confronto
agli altri anni passali.
{\)Le fÀvre de Sindibàd. Mclz, Housst'jiu-Pallez, 1870, in H*. pag. ì\.
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CRITICA LETTERARU 223
La famosa apertura delP Istmo di Suez e V inumeosa ferrovia del
Pacifico hanno reso un fatto ciò che secoli fa non si sarebbe con-
cepito forse nemmeno in un bel sogno d'estate: vogliam dire quel
giro intorno al nostro globo, che |)Ochi anni addietro , facendo a
strazione de^ pericoli e degli ostacoli a cui si doveva andare incon-
tro, avrebbe assorbiti non meno di tre anni e chi sa quanf orò; e
che oggi si compie comodamente in soli 80 giorni t
La ferrovia del Pacifico, che abbraccia non meno di 26 gradi, e
che congiunge i lidi delP Atlantico con quelli del Pacifico , non fu
terminata che in soli 3 anni, cioè a dire sei anni prima del tempo
prestabilito. Un esercito d' uomini, non destinati però a riportare le
micidiali vittorie d'oggigiorno, ma bensì una ben altra vittoria, quella
della scienza sulla natura , lavorava sì alacremente su quella lìnea da
armare 17 chilometri di via al giorno. In altri tempi questa straor
dinarìa ed audace attività sarebbe stata una epopea; oggi ci con-
ferma quella or tanto nota sentenza che volere è. potere.
E il nuovo cordone telegrafico transatlantico, che mette in comu-
nicazione la Francia e gli Stati Uniti, non è anche questa una delle
più colossali e difficili imprese che V uomo sia riuscito di compiere
felicemente? Chi avrebbe sognato che l'Europa e gli Stati Uniti
vicendevolmente si avrebbero potuto trasmettere da 100 a 120 se-
gnali , in media , parole , solamente in parecchi minuti attraverso
un oceano?!
Come dico, non è stato solo per queste colossali imprese che
r anno 1869 si è distinto sopra i suoi antecessori, ma ancora per
tutte le scienze naturali generalmente parlando le quali sonosi in-
dirizzate a un avvenire di luce, di verità % e di potenza.
Ed in vero gli studi del P. Secchi sulPAnalisi spettrale de' corpi
celesti; quelli che tendono ad armonizzare gli svariati fenomeni me-
teorologici, le industrie e le arti con le scienze; gli sludi antropo-
logici che mirano a stabilire le vere posizioni che occupano tanto
l'uomo quanto gli animali nella natura; gli studi meccanici riservati
a sostituire V uomo macchina e a rendere i più difiìcili e nello stesso
tempo ì più interessanti servigi alla società ; i lavori dell' Ericson
e del Mouchot, non meno che quelli delP ing. Cavazzi, stati dimen-
ticati nel presente Annuario^ ma de' quali abbiamo parlato in altra
occasione (t), tendenti a utilizzare il calor solare; gli sludi del Tom-
masi per trarre dalla marea una forza motrice; gl'incessanti disegni
I (I) Di alcune recenti Intensioni. Palermo, 1870.
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224 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
per le ferrovie di montagoa; i lavori del Cottrau per le ferrovie
economiche ; i tentativi del Thompson per le locomotive stradali ;
le molte applicazioni scientifiche: tutto questo ci fa senza vana lu-
singa sperar molto e poi molto. '
Or, X'AmuaTio scientifico ed industriale che da sei anni viene
pubblicato dal benemerito editore sig. E. Treves, è una pubblica-
zione di cui r Italia risentiva fortemente la mancanza , ma di cui
ora molto si avvantaggia. La direzione dello stesso è affidata a^ pro-
fessori F. Grispigni e L. Trevellini, i quali non tralasciano cura al-
cuna perchè riesca quanto meglio completo. Ogni scienza è trattata
da un valente professore speciale, cosi V Astraiwmia dallo Schiap-
parelli, la Meteorologia e la Fisica del Globo dal Denza, la Fisica
dal Ferrini, la Chimica dal Sestini, la Uedicina e Chirurgia dai Mo-
riggia, la Paleoetnologia dal Pigorini, V Antropologia dalPIssel, la fio-
tanica dal Marcucci, la Geologia, Paleontologia e Mineralogia come
pure le Industrie ed Applicazioni scientifidie dal Grispigni, V Agra-
ria dal Caccianiga, la Meccanica dal Colombo, V Ingegneria e i La-
vori pubblici dal Trevellini, la Geografia e Viaggi dal Malfatti, VArte
Militare dal Romiti e la Marina da un ufficiale di Marina, che non
si è voluto far conoscere. Inoltre vi ha una rivista delle Esposizioni
e Congressi e una Necrologia del 1869; a cui si vogliono aggiun-
gere le illustrazioni parte intercalate nel testo parte in tavole se-
parate, che all'uopo non mancano mai. In sififatta maniera gli ap*
prezzamenti e le notizie sono esposte con quella dottrina, preci-
sione ed ampiezza che si richiede in questi lavori. Quello che ci
rallegra poi è vedere come d^ anno in anno gli Annuari del signor
Treves si sieno considerevolmente ingranditi di volume; ciò che mo-
stra la buona accoglienza falla loro dagli Italiani e il bisogno ognor
crescente de' buoni libri.
Di una sola cosa ci sembra mancante il presente Annuario : vo-
gliamo dire d'una Bibliografia generale de' Ubri risguardanti scienze
ed industrie pubblicali entro Tanno in Italia; con essa potrebbesi
vedere il movimento intellettuale della Penisola.
Pria di far punto non possiamo passarci da alcune idee venuteci
nel leggere le riviste di questo Annuario; e, p. e. : il Denza parla
estesamente de' diversi fenomeni meteorologici e di altre impor-
tanti cose, ma non consacra nemmeno un capitolo per quel nUste-
rioso agente che si chiama Ozono; eppure ce n'era bisogno. L'uf-
ficiale di Marina e il Romiti, nelle loro riviste vogliono sostenere
la necessità d'una marina militare formidabile e degli eserciti stan-
ziali per la semplice tutela delle genti, oltre che lo stesso Romiti
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CRITICA LETTERAIUA 225
crede giusti i campi d'istruzione e le grandi manovre del 1869, e
desidera che ogni anno si rinnovino su maggiore scala simili eser-
citazioni; noi. crediamo che queste idee non siano quelle che pro-
fessano generalmente grilaliani) che non ignorano il loro pur troppo
emnnto erario, e che preferiscono meglio Puomo dedicato all'indù-
strìa e al lavoro. Migubungelo Siciliano
8n talune questioni etnograiiche. Lettera del Prof. Francesco
Randacio al Prof. Luigi Calori. Palermo, Glamis, 1870.
Molli e svariali argomenti riguarda questa importante lettera; e
su tutti con brio, vivacità ed argutezza quando si quando no pro-
nunzia un giudizio franco ed ardito. Il Randacio, professore di A-
natomia descrittiva nella nostra Università, accompagna con essa
lettera sedici crani di Siciliani al suo collega prof. Calori, che per
ragion di sludii antropologici gliene ebbe fatto richiesla. Se bene
abbiam saputo seguire il ragionamento, egli, il Randacio, non si mo-
stra molto tenero de' principi etnografici ed antropologici di al-
cuni scrittori moderni, parehdo a lui, come a molli pare , che in
ciò si sia andato mollo a vapore e con soverchia buona fede nel-
r accettare oggetti rinvenuti in veiusle caverne, e nel sentenziar
questo un'arme di pietra, quest'altro un dente di rinoceronte, ecc.
Egli trova che in Sardegna e in Sicilia, dove nacque e dove insegna,
sianvi quasi tutto le razze umane e presso che non dica quella del
negro, se se ne eccettui il nero cupo della pelle. Ogni dimensione,
ogni forma di cranio vi è rappresentata. Contro la opinione di
Broca vi hanno crani di persone idiote, più grossi di quelli famosi
di Cnvier, di Schiller , di Napoleone 1, e ve ne ha d'ingegni sve-
gliatissimi piccoli oltre ogni previsione anatomica. Vi hanno crani a
glabella larga con poca o nessuna intelligenza; crani divisi alla parte
superiore dell'occipitale da un osso vormiano di forma trìangolare
come quelli che Tschudi regalò solamente a' prischi abitatori del
Perù; crani siculi dolicocefali con frequente sutura frontale mediana,
come quelli che Lauret e Yogt pretesero in individui della fronte
larga e della testa brachiocefala; crani non rarissimamente sferici e
crani tettocefali alla Baer o piramidali alla Pichard. Tutto questo ,
ed insieme le varietà di dimensioni e di forme del corpo tutto, fa
venire il prof. Randacio alla seguente professione di fede :
e Io son d' avviso che l' uomo ebbe la sua origine come tutti gii
altri esseri organizzati, che le razze umane non siano ben definite,
e che accidentalmente nel lasso dei secoli ne siano molte rinate che
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226 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
già perirono un tempo, e che per circostanze forlaite si propaghino
su larga scala, o restino in pochi esemplari, e possano corrispon-
dersi quelle di vicine con lontane regioni e tempi, senza che si am-
metta assolutamente il commercio o la trasmigrazione di razze in
altre razze. E quindi preoccupato di ciò, fortemente io dubito che
per sifTatli studi impazienti e basati, su rari e non sempre auten-
tici oggetti, la storia della umanità, che ne è lo scopo, non poggi
sopra solide basi.
« Soggiungerò, che quando anche non fosse nato Eraclito il quale
ritenendo il fuoco siccome principio e fine d' ogni cosa, inculcava
r ustione dei corpi umani, e Siila diversamente di Numa Pompilio,
non avesse rimesso in uso quel vezzo, allo scopo di non far cadere
il suo cadavere nelle mani di chi poteva farne il ludibrio in cui e-
gli mise quello di Mario; io porlo opinione che le ossa e gli sche-
letri degli antichissimi popoli, e risorgessero pure dalle urne cine-
rarie, io porto opinione, che assai poco vantaggio porterebbero al-
TetnograOa ed air antropologia , più di quello che ne ottenga dai
tedeschi moderni. Pei quali poi, a dirla di passaggio, il fatto della
potenza intellettuale è legato più alla intima struttura del cervello,
anziché alle forme del cranio od al volume del cervello od air al-
bero genealogico. »
In un^ altra questione egualmente importante, la pretesa compres-
sione de^ crani de^ neonati in Sardegna, il Randacio è molto espli-
cito. Egli nega che tal costume fosse stalo introdotto dai Saraceni
che colà dimorarono , aborriti dagP indigeni , 40 anni appena ;
affermazione che si trova in armonia con ciò : che nessuna abitu-
dine saracinesca persista tuttavia in queir isola. Anzi egli nega che
compressione veruna si faccia nelle teste, se già compressione non
sia il palpeggiare momentaneo che suol farsi dalle levatrici al cra-
nio del nuovo essere.
L' opuscolo del Randacio non è parto di fantasia , ma frutto dì
sladt e di osservazioni : e però da questo lato ci par da tenere in
considerazione. Forse in più luoghi procede troppo a sbalzi; forse
non tutto quello che accenna esamina, che tutto avrebbe richiesto lar-
ghissimo svolgimento e un libro, quando il Randacio volle scrivere un
opuscolo; forse non a tutte le idee in esso annunziate si può far
plauso da chicchessìa; ma il pregio che ha non gli si può negare;
e noi ci rallegriamo del bel lavoro, si ben coronalo dalla tavola si-
nottica che vi va annessa, di questo nuovo ribelle a certe teorie
che non hanno ancora il sussidio dì fatti certi ed invariabili.
G. PlTRÈ.
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CO!^PERENZe PER GLI STUDI DEL DIALETTO SICILIANO
Volendosi (Idi cullori del nostro dialello e della sua speciale let-
teratura di vocabolari, grammatiche, cronache, canti popolari, pro-
verbi ecc., ordinare la uniformità ortografica e lessicografica e lut-
tociò che delti argomenti concerne, in guisa da essere stabilita una
regola uniforme e generale in queste materie; nel mese di giugno
testò decorso si è divisato di convocare in Palermo un' adunanza
nelle sale della Biblioteca Comunale per discutere quanto fosse oc-
corso sul proposito.
Dal giorno 3 al giorno 12 luglio si tennero pertanto quattro con-
ferenze pubbliche, alle quali presero parte, secondo lo annunzio da-
tone dalla Commissione provvisoria ne' giornali, molti di coloro che
in Palermo e nel restante dell' isola aveano scritto in dialetto o sai
dialetto siciliano. Tra essi, per le varie provincie siciliane, furono i
signori: Girolamo Ardizzone, prof. Antonino Cangemi, Salvatore Coc-
chiera, prof. Saverio Cavallari , ab. Gioacchino Di Marzo , cav. Isi-
doro La Lumia, prof. Domenico Mastruzzi, prof. Matteo Mosso, Ni-
colò Poma-Cangemi, Carmelo Piola, Giuseppe Pitrè, G. B. Santan-
gelo, Giuseppe Silvestri, Salvatore Salomone-Marino, prof. Antonino
Salinas , Antonino Traina, della provincia di Palermo; Alberto Bu-
scaino, prof. Vincenzo Di Giovanni della provincia di Trapani; Rocco
Gramitto-Ricci da Girgenti ; Michele Serra-Caracciolo da Siracusa;
cav. Lionardo Vigo, avv. Michele Cali della provincia di Catania; il
cav. Emerico Amari e Pavv. Francesco Maggiore-Perni, Tuno Pre-
sidente, r altro Segretario della Nuova Società per la Storia di Sici-
lia; e il dott. Martin Schneekioth da Copenaghen, venuto in Palermo
per gli studi del nostro dialetto. A proposta dell'Amari furono ad
unanimità eletti a Presidente e a Segretario delle Conferenze L. Vigo
e 6. Pitré.
Il Presidente lesse un dotto ed elaborato discorso, nel quale mo-
strò come- in tutti i secoli ne' quali si è scritto o stampato in dia-
letto non si sia serbata uniforme ortografia. Enumerò gli abusi dei
cinquecentisti nell'uso delle lettere alfabetiche xk y,le quali si sono
roano mano corrette; e gli errori di aver voluto creare una lingua
illustre siciliana, che fortunatamente è scomparsa. Disaminò il nostro
alfabeto, additando gli errori che vi sono nel mal adoperarlo, e come i
vari scrittori abbian adulterato la grafia siciliana. E dopo varie os-
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228 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
seirazioni conchiuse esser necessario 1» che i Canti popolari si scrì-
vano possibilmente nella pronunzia del luogo in cui sono stati rac-
colti ; 2o che i Vocabolaristi registrino i vari nomi di unico oggetto
usato neir isola apponendo la definizione alla voce adoperata in Pa-
lermo; 3® che tutti i letterati i quali iìi prosa o in verso dettano
le loro opere in siciliano si valgano di unica ortografia. In conse-
guenza di questo il Presidente propose un Saggio di ortografia per
essere esaminalo e quindi sanzionato dalla Conferenza.
A varie osservazioni diedero luogo questi tre articoli, sostenendosi
contrarie opinioni tra' presenti. Approvati i primi due articoli, i
signori Di Giovanni , Gramitlo , Pilrè , Traina e Vigo furono no-
minati componenti la Commissione per esaminare e discutere il Sag-
gio ortografico proposto dal Presidente. Detta Commissione forni
in private sedute il suo compilo, e alla terza pubblica conferenza
il Presidente ne lesse il rapporto; dal quale risultò, quel saggio, tolte
poche modificazioni, essere stato accettato alla unanimità; in un sol
punto però essersi la Commissione trovata discordante , cioè nella
maniera di supplire la x non più usata nella scrittura del nostro dia-
letto. Ciò diede luogo a una discussione vivissima, non potendosi
conciliare i pareri de* soci palermitani: Cangemi, Cocchiara^ Pitrè,
Traina, ecc. che volevano sostituito la e alPa? e scrivere damma, duri,
dumi^ e de' soci Di Giovanni, Gramitlo, Maàlruzzi, Vigo ecc. che prefe-
rivano, e il Vigo più che altri, la a?, per dire sdamma, sduri^ sdumi.
La discussione si protrasse per la terza e quarta seduta , nella
quale si ragionò con copia di esempi e di argomenti. Finalmente
il Di Giovanni propose e la conferenza approvò die le voci scritte
dagli antichi con la x come xiuri, xiumi^ xiamma ecc. meglio che
colla se si possano scrivere colla e, purché la e sia pronunziata con
leggiero sibilo che la preceda.
Dopo di ciò avendo la Conferenza approvato il Saggio del Vigo,
il Dr. H. Schneekioth pronunziò un breve, affettuoso e dotto di-
scorso, col quale togliendo congedo dalla Sicilia, dove era slato per
sette mesi, dimostrò la importanza degli studi del dialetto non solo
per la filologia, ma anche per la raccolta delle Iradizionl popolari.
« Desidero, egli conchiuse, alla Sicilia molli geni come il Meli,neiridillio
e nella poesìa erotica. Vorrei soltanto che essi si limitino a quello
spazio, che la storia ha concesso al dialetto. Ognuno che non os-
serva quei confini, troverà sulla sua tomba, scritto dalla mano della
storia, lo stesso epitaffio che nel camposanto di Roma sta scritto
sulPamico di Byron : Qui riposa uno, il cui nome è scritto sulle onde.
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varietà' 229
Le conferenze si chiusero rimanendo stabilito che si dovessero
quandochessia riconvocare ad invito dei Segretario e dietro propo-
sta di 10 Soci. L'ordine dei giorno per la Conferenza prossima
fu fermato : Voci siciliane mancanti alla liihgua comwie ed esistite
in essa ne^ secoli XIII e XIY,
Gli atti delle Conferenze, depositati nella Biblioteca Comunale, sa-
ranno quanto prima dati alle stampe. 6. Pitrè
HE£ESTlV\JBBUCAZ\Om.'" Adriana da Castiglione, Tragedia di Antonio De
Marchi (Palermo , Pedone) ; Vocabolario siciliano-italiano attenente a cose dome-
ttiche» a parecchie arti e ad alcuni meslieri di G. Perez (Palermo, Lao); Sullo svi-
luppo e la durala delle correnti d'induzione e delle estracorrenti , per PieKo Bla-
sema (Palermo, Lao); Su la Origine dell'Anima Umana ecc. Dissertazione di Do-
menico B. Gravina, abate cassinese (Palermo, Lao); Sull'Eedisse totale di Sole delti
Dicembre 1870 visibile in Sicilia, Bisultamenti di calcoli esposti agli aìnaloii di astro-
nomia da Angelo Agnello (Palermo, Pedone); Biblioteca storica e letteraria di Sicilia
ecc. voi. V. (Palermo, Pedone); Monografia de* Prati artificiali di P. Alfonso-Spa-
gna (Pai., Pedone); La Proprietà de' sudditi d'uno Stato belligerante in mare di E-
manuele Pelaez (Pai., Pedone); Flora, Racconto di S. Malato-Todaro (Pai., Pedone);
Lezioni elementari di Macchine a vapore, date da Roberto Gill (Palermo , L. Pe-
done); Grillo, ossia il Bandito siciliano. Canti 21 di C. Piota , dal dialetto sici-
liano volti in italiano da Gius. Cazzino (Palermo, Amenla); Sul Cimitero dit e-
rigersi in Termini-imerese , Memoria per Giuseppe Ciofalo (Termini , Giuffrè) ;
Della Intolleranza religiosa e politica. Ricordi di Giuseppe Lo Giudice (Messina, Ri-
bera); La Libertà del Cambio e delle Banche, per Salvadore Buscemi (Messina, Ri-
bera) ; L'Italia al Mille, Saggio di G. Galatti ; L' Uccellatore, Manuale di Or-
nitologia per la Sicilia corredalo di molte cognizioni utili intomo alle varie Caccie
ecc. per Antonio Ruggeri (Messina), Osvaldo , Novella in versi, di Dom. Pianaroli
(Messina, tip. dell* Avvenire); Saggi di Logologia àe\ prof. Raff. Di Francia (Mes-
sina, Capra) ; Diplomi greci inediti ricavati da alcuni mss. della Biblioteca Comu-
nale di Palermo, tradotti da G. Spala (Torino, Stamperia reale).
I SICILIANI ALL'ESTERO— Il Giornale di Gottinga Gòttinger gelehrte Anzeigen
ha due articoli del prof. Liebrecht in lode del 1* voi. de' Canti popolari siciliani
raccolti ed illustrati da G. Pilrò e sopra La Baronessa di Carini, leggenda popolare
pubblicata da S. Salomone ; altro articolo su qnest' ultimo libretto é nella Revue
critique di Parigi, a firma del Conte de Puymaigre. VAthenaeum di Londra del 16
luglio parla molto onorevolmente degli Scritti vari di C. Pardi; e cosi anche la Revue
des Cours Littéraires di Parigi^del libro: Sofismi e Buon senso. Serate campestri di V.
Di Giovanni. Nel 1* fase, dell' Archaeològiuhe Zeitung di Berlino é un articolo di
Heidemann Sul Becco di bronzo e sui Vasi del Museo di Palermo.
CONGRESSI ED .ESPOSIZIONI. — Tra' giorni 3 e 12 luglio si son tenute in Pa-
lermo delle conferenze per gli sludi del dialetto siciliano ; di che una breve rela-
zione è in questa dispensa delle Effemeridi.
— Ne* mesi di giugno e luglio è stata aperta in Palermo un' Esposizione di arti
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230 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
belle, industriali e maniXatlurìere; vi si sono ammirati molti lavori e prodotti della
provincia palermitana. L' Esposizione s' è chiusa colla distribuzione di medaglie d* ar-
gento e di bronzo, il giorno 24 p. p.
. BELLE ARTI. — Un bel leone in marmo ha ora ultimalo Io scultore B. Delisi
pel monumento che egli prepara a Vincenzo Florio.
— Il prof. Nunzio Morello ha scolpito una Selvaggia in atto di deporre in terra
il sue bambino, per afferrar 1* arco e uccidere una fiera che minaccia assalirla.
SOLENNITÀ'. — S'è inaugurato nella Filarmonica Bellini in Palermo un mezzo-
busto di G. Rossini, opera del Delisi.
ACCADEMIE. — Il cav. Lionardo Vigo, eletto citudino di Palermo, é venuto a rin-
graziare personalmente la rappresentanza municipale. In questa occasione la Nuova
Società per la Storia di Sicilia si è convocala in seduta slraord inaria per udire dal-
l'onorando autore del Ruggiero la lettura della monografia Sopra CiuUo d* Alcamo
e la canzone « Roea fresca aulentistima, • alla quale il Vigo ha atteso per più anni.
— Si è ricostituta in Palermo la Libera Società degl' Insegnanti, che ebbe vita al
1866. Il suo scopo è quello di promuovere l'incremenlo della istruzione e delta educa-
zione e di assicurare un mutuo soccorso a' suoi socii. Fedele a' suoi principii ben-
ché con tre mesi di vi la, ha già provveduto alla istruzione dei detenuti del carcere
di Palermo, mandandovi ad insegnare due de' suoi socii ; e nuove scuole fra breve
aprirà domenicali e serali. Il municipio di Palermo, ad incoraggiare questo operoso
sodalizio gli ha largito un sussidio di lire tremila. La Società conta i50 soci effet-
tivi e non pochi onorari , fra le celebrità italiane. Ha una Riviila italiana d'istru-
zione e d' educazione, che pubblica a sue spose, e della quale è già uscito il primo
numero.
INVENZIONI E SCOPERTE. — Il nostro M. Siciliano ha inventalo un Timone da
lui detto aulomalicOf il quale con risparmio notevole di spesa sostituisce l'assistenza
del timoniere seguendo sempre la direzione della bussola. Il Siciliano ha inviato al-
K Esposizione internazionale marittima il suo disegno, accompagnandolo con una
memorietta stampala.
POLEMICA. — Di vivi attacchi è sialo segno in questi mesi passali il nostro egre-
gio collaboratore prof. L. Lizio-Bruno I suoi avversari lo hanno fcitto reo di un Boz-
zetlo sociale da lui pubblicato nella Scena di Venezia, spacciandovi adombrato il de-
funto F. Bisazza. Gli attacchi si sono spinti a tanto da consigliar l'Accademia Pelo-
ritana di Messina a cancellare dal suo albo il Lizio. L' Aec^idemia non giunse a que-
sto, ma ne fece ragione di una tornala straordinaria, la quale venuta a conoscenza
de' soci peloritani di Palermo, li eccitò a manifestare per lettera, fatta poi di pub-
blica ragione, il lor rincrescimenu» per la inconsulta discussione dell'accademia me-
desima. L* onor. sodalizio dichiarò la sua incompetenza in una questione affatto e-
slranea a' suoi sludi; vari giornali di Sicilia e del continente levarono la voce in di-
fesa del Lizio, e la guerra è cessata. Adesso il Lizio ha pubblicalo un opuscolo dedicalo
agli onesti, col lilolo: / miracoli di una nuova inquisizione (Messina, D'Amico, 1870);
col quale combatte le accuse de' suoi oppositori. Quest' opuscolo è intitolato ai soci
dell'Accademia Peloritana residenti in Palermo, quegli slessi che spontaneamente at-
testarono la loro stima all'egregio prof. Lizio- Bruno.
NECROLOGIA. — Nella grave età di 80 anni, è morto in Palermo il sig. Giacinto
Agnello, letterato e cittadino egregio. Un elogio di lui è stato Ittio il giorno 3 luglio in
una tornata della Società di Storia per la Sicilia, dall'aw. Francesco Maggiore-Perni;
elogio pieno di care ricordanze e di fatti riguardanti la storia siciliana e la vita del
defunto. G. I*.
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BXTIiLETTINO BIBLIOaBAFICO
LEZIONI CLINICHE SULLE MALATTIE
MENTALI con effetti legali; pretto la
R, Univertità degli Studi di Pater'
mo t per Francesco Pionocco. Paler-
mo, Lorsnaider. 1869, in 8*.
L*JIlastre psichiatro Dr. Pìgnocco, il
quale sin dal 1838 Tanta già delle gravi
pubblicazioni intorno alle malattie men-
tali da lui indefessamente studiate , in
questa prima lezione si occupa dell'or-
ganamento del Manicomio, come mezzo
efficacissimo a guarir la follia. Egli lo
guarda dal lato igienico e dal lato am-
ministrativo, quello per Paria, il calo-
rico, l'acqua, la luce, il vestire e il re-
gime alimentare ; questo pel sapere , la
filantropia , la onestà , che sono mezzi
morali tanto necessari in chi si addice al
S.ncerdozio di curare quanti hanno per-
duto il ben dell' intelletto. Stabilisce le
grandi sezioni che d' un Manicomio do-
vrebbero farsi ; il sistema d* abitazione
in generale, quello cio^ di isolamento e
quello di associazione, le varie parti del-
l'Ospìzio, il giardino, il bagno, la stanza
di conversazione, il refettorio ec.; e mo- •
stra come ciò che egli dice sia il risul-
tato delle sapienti osservazioni de' psi-
chiatri più illustri d' Europa. Cosi potes-
sero le proposte e i desideri del Prof. Pi-
gnocco diventare un fatta^ Manicomio
della nostra città t G. P.
INTRODUZIONE ALLA SCIENZA DEL
DIRITTO INTERNAZIONALE in rela-
zione alla fUotofta della Storia, Corto
dell'anno 1867-68 espotto nella Uni-
vertità di Palermo da Paolo Morello,
ecc. voi. II. Palermo, Vini, 1870.
Nel Bullettino bibliografico della di-
spensa V, del voi. I, di questo periodico,
demmo a suo tempo avviso del voi. I
di quest'opera, della quale annunziamo
ora con piacere il voi. II. Il quale s'in-
trattiene , siccome era promesso » della
Sovranità piò che altro, e in specie dello
Stato qual è di diritto perchè costituisca
la scienza del diritto internazionale , e
dello Stato qual è di fronte al mondo po-
litico e alla scienza del diritto interna-
zionale. Cinque Lezioni di questo volume
sono di Critica di alcune teorie intorno
alla Sovranità; e l'ultima, come Appen-
dice, è la stupenda Prelezione al Corso
di Diritto internazionale contemplato in
relazione alla filosofia della storia, letta
dall'Autore a principio del corso del 1864
in questa R. Università di Palermo.
Assai vigorosa è la critica della teoria
del Buchez ragguardata sì nei suoi prin .
cipj, e si nelle sue applicazioni : ed im-
portantissima per gravità di considera-
zioni sul diritto pubblico è la Lezione
XXI del Diritto potitivo univertale. Ma
la parte principale del libro è nella le-
zione Della Sovranità in generale, e non
possiamo qui non notare, benché di vo-
lo, come l'Autore abbia sapulo altissi-
mamente trattare questo punto che è car-
dine e centro delle sue teoriche, ferman-
do che la Sovranità sia • attributo essen-
ziale dell' Umanità, epperò fondamenta-
le nell'ordine delle sue leggi costitutive; >
e il suo princìpio essere identico al di-
ritto di signorìa sullo spazio e sul tempo
proprio dell' Umanità , nella cui Idea ò
essenziale quella sovranità, onde il fatto
supremo delle Nazioni, degli Stati, delle
forme de' Governi. E nel principio di
Sovranità , cosi considerato, si ha man-
tenuto tutto il giure della scienza del Di-
ritto Internazionale.
Dal titolo stesso dell'opera l'Autore
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23iK
NUOVE EFFBMBRIDl SICILIANE
ha voluto farci sapere che assai più am-
pio svolgimento potrebbero avere le sue
dottrine; le quali in questa Introduzione
si presentano insieme alla critica delle
dottrine opposte, e richiederebbero altro
lavoro più ampio per essere organate in
corso dottrinale, che darebbe tutto com-
piuto il sistema, da cui risulterebbe lu-
minosamente essere il Diritto « la mani-
festazione continua della Giustizia di Dio
nel mondo delle Nazioni.* V. D. G.
TRAINATO DI GEOMETRIA PRATICA
ad uso delle scuole eleìnentari e degli
operai per G. M. Ciofalo. Termìni-I-
merese, 1870.
Questo breve trattato del Ciofalo è tulio
consacrato per gli operai e i giovanetti
delle scuole elementari, i quali mal sof-
frono i teoremi e i corollari quantunque
di grande interesse. In esso s' insegna il
modo come trovare delle estensioni in-
cognite, e misurare certi corpi nella pra-
tica molto comuni , ma stati trascurati
dalla maggior parte de* trattatisti. Le ope-
razioni soggette ai calcali superiori delle
matematiche sono facilitate per via di
rapporti numerici, per lo che vi hanno
delle tavole per estrazioni delle radici
quadrale e cube ec. In verità, questo modo
d' istruire quasi meccanicamente non ci
aggrada molto, ma il libro del Ciofalo è
commendevolissimo per la precisione che
esso ha nel descrivere i modi pratici af-
fin di costruire le svariate figure geome-
triche; ed altresì per la chiarezza che di-
mostra nell'esecuzione <le* problemi di
cui è ricco questo Trattalo; solo avrem-
mo desiderio in qualche definizione mag-
giore esattezza. M. S.
DIARI DELLA CITTA* DI PALERMO
DAL SEC. XVI AL XIX, pubblicati
sui mss. della Biblioteca Comunale,
preceduti da prefazioni e corredati di
note per cura di Gioacchino Di Marzo
Voi. V. Palermo, L. Pedone-Lauriel,
MDCCCLXX.
Questi Diari ronlinuano a darci notizie
preziose e curiosissime intomo a' fatti
occorsi in Palermo ne' secoli passati. Del
presente volume non può che ripetersi
quel che de' precedenti abbiam detto si
per ciò che riguarda i buoni, spesso in-
genui e sempre troppo crudeli autori, e
si per le fatiche spesevi dal paziente Di
Marzo. Il Dr. Vincenzo Auria è il com-
pilatore del Diario e dell.} memorie di-
verse di questo volume; V uno e le altre
costituenti la storia palermitana dall'an-
no 1653 al 1674 e la storia di Sicilia nel
tempo della Ribellione di Messina dal
1674 a tutto il 1675. A quest'ultima parte
del volume in discorso riferiranno molta
importanza quei non siciliani lettori che
conoscono poco i fatti dolorosissimi di
quella infortunata rivoluzione, che fu cosi
fatale non meno a' Messinesi che agli
altri isolani. Perchè giudichi ognuno della
curiosità di queste pagine ecco qui alcuni
versi che durante e prima quella ribel-
lione corsero per le piazze di Messina e
Palermo. Nel mese di settembre del 167S
fu affisso questo cartello guerresco :
Messinesi, che si fa?
Siamo schiavi già si sa.
0 morte o libertà!
Un cartello a lettere d'oro afllssato
a' Quattro Cantoni in Palermo la notte
de* 84 ottobre 1674 ci ricorda gli odi ter-
ribili tra* Messinesi e tra' Palermitani :
Si nun ammazzamu li Missinisi
Chiamiremu li Pranzisi;
odi alimentali dal governo vicereale di
allora. Pochi mesi appresso, a' 17 marzo
1675, un altro cartello messinese diceva :
li C6 di Spagna ni ha pieno la pancia,
E ne fa morir di fame il re di Francia.
G. P.
STUDI STORICI SULLA TIPOGRAFIA
intomo V origine deWarte della stampa
del tipografo Frani.bsco Gì liberti.
Palermo, tipografia dell' autore 1870.
Questo libretto , picciolo di moie , è
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BOLLETTINO BIBUOGEAFIGO
233
fratto di lunghi e pallenti studi, comin-
ciati dall'autore sin dal 1854, e fa pia-
cere vedere tanta erudizione intomo alla
propria arte in un nostro tipografo, che
come il Piola, già pur tipografo, e il Mi-
ra, libraio, sa farla all' uopo da scrittore^
e dare saggio di molta critica. E sulla
stampa ha scrìtto il Piota, e un Manuale
di Bibliografia, molto lodato dagli inten-
denti, fu pubblicato pochi anni sono, dal
Mira , dopo il quale or viene questo li-
bretto del Giliberti non meno lodevole de-
gli altri, e ispirato da grande amore al-
l' Italia, prima a dar proprio la stampa
all'Europa co' suoi caratteri mobili, indi
ripetuti dalla Germania. Qua e là in que-
sti Siudi del Giliberti si correggono o con-
traddicono taluni asserti del Mira ; e
molto importante è il { II, nel quale si
notano i primi libri comparsi in Italia,
dal 1465 a tutto quel secolo XV e ai prin-
cipi del XVl; e l'arte stessa si fa crite-
rio a giudicare la difficile questione della
priorità tra Italia e Germania. Fra' pri-
miuimi stampatori noi ci abbiamo il fa-
moso Filippo De Lignamine , messinese
(1467), che fondava a Roma la seconda
tipografia, e dava in Sicilia saggi della
nuova arte prima che uscissero fra noi
le stampe di Maestro Rigo d' Alamania
e di Andrea de Wcrmacia (1473-1477).
E per tutta Italia l'Aut. conchiude : « la
storia della tipografia sta per noi.... e se
vi è popolo che voglia impadronirsi del-
l' onore che ne deriva, per la teoria de'
caratteri mobili, questo popolo non può
essere che l'italiano. » Intanto si al Gili-
berti e si al Mira mancheranno, come
sono mancali, i mezzi da continuare ne'
loro studi, ad onorare il nome de' nostri
tipografi e librai ; e noi non possiamo
che solamente incoraggiarli di parole.
V. D. G.
STORU DE' PITTORI SARDI • CaUOogo
dmrittivo ddla privala Pinacoteca del
Can, GioviNNi Spano. Cagliari , A la-
gna, 1870.
ACQUE TERMALI di San Saturnino
presso BenetuUi, (Cagliari, 1870.
11 primo di questi due opuscoli ò di
pagine 60 in 8* mass., diviso in due parti
come il titolo stesso dà a divedere. Intorno
alle pitture antiche e a' pittori sardi la
parte prima oflfre notizie copiose e presso
che ignote finqui; il che vuol dire, molto
doversi fare ancora perchè la storia non
solo civile, ma anche letteraria, artistica,
scientifica d'Italia, possa toccare ad una
méta un po' considerevole. E vedere poi
con quanta presunzione venghiamo a giu-
dicar delle altre province : sentenziando
quella, povera di artisti, questa, analfa-
beta, una terza, non vista mai né studia-
ta, barbara! quasi che i soli grandi pianeti
risplendano in cielo e i piccoli non sieno
parte dell'universo mondo. »- Da pagina
89 sino alla fine é la parte seconda del-
l' opuscolo in parola ; e vi hai descritte
tutte le opere di una Pinacoteca che lo
Spano è venuto formando di suo. Molti
degli artisti ricordati nelle precedenti no-
tizie son gli autori di queste opere , le
quali si riducono a meglio che 46 pittare
su tavola; 96 tele; 38 pitture su rame e
su pietra ; 9 miniature; 8 maioliche: in
tutto,poco meno che duecento favorì d'ar^
te, ne' quali é rappresentata la Sardegna
artistica.
L'opuscolo sulle Acque termali di S.
Saturnino presso Benetutti dà la storia di
quelle acque medicinali conosciute ed ap>
prezzate fin dai tempi migliori di Carta*
gine e di Roma« ne' quali delle lapidi fu*
rono apposte a un luogo di loro scaturig-
gine. A' di nostri esse sono state analiz-
zate in parte econtengono solfati di calce
e di soda, silice, cloruro di sodio ecc. Per
quelle di S. Saturnino, sopra tutto, lo Spa-
no caldeggia la fabbrica di uno stabili-
mento balneario e per far cessare la mal-
sania che regna in quelle vicinanze , e
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iU
NUOVE EFFEMERIDI SIGXUANE
per dare un nuovo argomento di salute
a'Sardi, e per agevolare il loro commercio
coi non Sardi, i quali accorressero a quel-
l'ospizio. Saranno le generose parole dello
Spano ascollate? Lo dovrebbero, ma forse
non lo saranno, perchè nell'anno di gra-
zia 1870 non son gli Spano quelli che
trovano favore a prò d' una istituzione
santa in faccia a consigli di provincia e
a governi centrali. G. P.
INGAxXNI, FALSITÀ* E VERITÀ'. Pro-
verbi Ialini illiUtraU da Atto Van-
NVGCi. Venezia, Antonelli, 1870.
Ogni nuovo capitolo di quest' opera
su' Proverbi latini, che V illustre Profes-
sore Vannucci dà in luce, fa crescere in
noi il desiderio di vederla presto pubbli-
cata per intiero. È un quarto saggio quel-
lo che egli ci regala ora col titolo su-
detto, e con esso ci spiega da ottantasette
proverbi e modi proverbiali latini in-
torno agli inganni, alla falsità e alla ve-
rità presso gli antichi Romani, ne' quali
vizi e virtù greche coesistettero e si per-
petuarono. Non ripetiamo lodi che po-
trebbero parere stereotipe trattandosi del
Vannucci ; auguriamo si a* lettori una
bella occasione perchè si procurino que-
sto prezioso saggio , stampato negli Atti
deir Istituto Veneto di scienze, lettere ed
arti e non messo in vendita. Nel quale
troveranno e morale e storia ed erudizio-
ne quanta non se ne trova in molti libri
che di Mudi morali, storici ed eruditivi
portano il titolo e menano vanto.
G. P.
CORREZIONI E GIUNTE al Vocabolario
degli Aecademiei della Crusca (lotterà
B) a cura di Alfonso Cbrquetti.
Porli, Casali, 1870.
Dopo quanto è «tato dello ,• in queste
Effemeridi t dell'opera del prof. Ccrquet-
ti, è superflua ogni raccomandazione per
parte nostra. Il volume che annunziamo
verte sulla lettera B, tutto di correzioni
e di giunte proposte dall'egregio Forli-
vese all'interminabile Vocabolario della
Crusca. Il saggio che ne abbiamo sotto
occhio assicura del buono che sarà per
entro all'opera intiera; temiamo solo che
per desiderio di impinguarla il valente
critico scenda a certe minutezze non com-
portabili da chi ama lo scrivere efficace
e disinvolto. G. P.
LE RIME DI FRANCESCO PETRARCA
col eomento di Giuseppe Bozzo; voi. I.
Palermo, Amenta, 1870.
Questo nuovo Comento delle Rime del
Petrarca è molto opportuno in tempi
che gli animi hanno bisogno di miti af-
fetti e di tornare alle dolcezze squisitis-
sime dell* arte, distratti da passioni ne-
miche alla gentilezza delle lettere e alla
soave contemplazione dell' ideale. Il pro-
fessore Bozzo ha premesso al suo Ce-
mento un lodevolissimo discorso sulla
natura e grintendimenti del Canzoniere ,
Ch'amore in Grecia nudo e nudo in Roma
D' un velo candidissimo adornando
RenJea nel grembo a Venere celeste.
E quest' amore ideale, celeste, del Pe-
trarca va sempre confermato dal Cemen-
tatore per tutte le chiose del volume, e,
oltre il Proemio, con la Digressione, che
è in fine del volume , sopra la prima
parte del Canzon iere, la quale se ritorna
bene sulle Rime in vita di M. Laura con-
duce logicamente a quelle in morte, che
comporranno il secondo volume e sa-
ranno la seconda parte.
Non mancano nelle note frequenti ri-
scontro con Dante, già pure dal Bozzo co-
mentato; e sobrie e bene a proposito sono
sempre le chiose o filologiche od esteti-
che che si hanno ad ogni componimento
del grande Poeti. L'edizione, adorna di
un bel ritratto del Petrarca, è nitida e
corretta diligentemente, e tutto il volume
può ben dirsi elegante.
Plaudiamo l'egr. profesbore di questo
nuovo suo studio, e asi)ettiamo che pre-
sto sia compiuto. V. D. G.
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BULLBTTINO BIBLIOGRAFICO.
235
DELLA VITA E DEGÙ STUDI DI At
MEDEO PEYRON, iVoiisM raccolte da
Fbdbrioo Sclopis. Torino, Stamperia
Reale, 1876.
Una delle più gravi perdite fatte testé
dalle scienze filologiche in Italia è quella
del celebre Amedeo Peyron morto il 27
aprile 1870 in Torino sua patria. Di lui
molti hanno scritto di recente, e alcuni
anche bene, ma lo elogio che ce ne ha
dato il Conte Federigo Sclopis, pronun-
ziato alla R. Accademia di scienze e let-
tere in commemorazione del suo antico
socio, é la più bella biografia da noi let-
ta. Allo Sclopis, da Presidente di quel-
r onorando sodalizio, tocca di quando in
quando il doloroso ufficio di ricordare le
virtù di mente e di cuore di qualche il-
lustre personaggio; ed egli lo fa , come
abbiam veduto testò pel Paleocapa , pel
Manno, pel Matteucci, pel Mittermayer,
ed ora pel Peyron, con piena conoscenza
delle discipline nelle quali essi segnala-
ronsi, con affeito che sopravvive alla mor-
te e con coscienza di scrittore. G. P.
POESIE DI Cesare Cantu'. Firenze,Suc-
cessori Le Mounier 1870.
DUECENTO SONETTI in dhletlo roma-
ne$co di G. G. Belli con prefazione e
note di L. Moraxdi. Firenze, Barbèra,
1870.
Porgiamo avviso di questi due vo-
lumi differentissimi tra di loro, usciti or
ora pe' tipi Le Mounier e Barbèra, riser-
bandoci di parlarne nel venturo fascico-
lo. Quello del Cantù comprende VAlgiio o
la lega fomòarcia (poema), e poi romanze,
sermoni, liriche varie ed inni sacri. L'al-
tro del Belli, oltre a* sonetti raccolti dalla
tradizione orale o scelti dalla edizione ro-
mana, contiene un lungo studio critico del
Morandi col titolo: La satira in Roma e
G, G. Belli. G. P.
NUOVI CANTI E TRADUZIONI di Sa-
verio Baldacchini. Napoli, GhioJ1870.
Settanta componimenti del Baldacchini
raccolti in un elegante volume sono un
beir acquisto per le nostre lettere, in cui
i buoni esempi poetici vengono ogni dà
stremando. V'ha nella poesia del Bal-
dacchini una serenità di affetti e con
essa un' arcana malinconia che ti con-
forta e ti anima insieme; tutto spira amo-
re e carità per 1* umana creatura, che il
poeta guarda da cristiano e da cristiano
compatisce, e da cittadino vuol educata
a virtù civili e ad esempi generosi. Nelle
Imitazioni e Traduzioni egli è originale,
e se i suoi componimenti non portassero
in capo quel titolo , il lettore li crede-
rebbe cosa propria del Baldacchini.
Forse questo bel volume, che a noi è
venuto dalla gentile e affettuosa amici-
zia del valoroso poeta napolitano Vin-
cenzo Baffi , non va in commeicio : e
però non a tutti sarà dato ricreare lo
spirito e nobilitar la mente ne' casti e
nobili versi del Baldacchini. G P.
LIRICHE SCELTE DI POETI ALEMAN-
NI, Vertione di Antonio De Marchi.
seguita da un Compendio storico della
Letteratura tedesca antica e moderna.
Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia,
1870.
Libro di molta utilità per gli studiosi
delle due letterature, l'alemanna e la i-
taliana ; del quale diamo per ora il
solo annunzio, essendo nostro pensiero
occuparcene nella critica letteraria della
seguente dispensa delle Effemeridi. È un
elegante volumetto diS24 pagine, che co-
sta lire due e mezzo. G. P.
A FRANCESCO LOJACONO, Versi di Ugo
Antonio Amico. Palermo 18T0.
Questi versi del sig. Amico, elegantis-
simi, sono una confeiroa sempre più
splendida della bella fama che gode f'au-
tore di poeta delicato, gentile, e di forme
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236
NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
severamente classiche. La natura, ispira-
trice vera delle stupende tele del Loia-
c^no, vi è dipinta in modo da gareggiare
la parola concolori, tanto che non sapresti
dire chi la vincesse; e l'animo sente nella
lettura de' versi dell' Amico quel ricrea-
mento stesso che lo solleva ne' laoghi o
montanini o littorani che l' artista ha ri-
tratto dal vero della nostra isola. La villa
Belmonte sul pendio del Pellegrino che
scende a punta del seno di Palermo , è
cosi maestrevolmente descritta che ti sem-
bra passeggiare per que' viali , e respi-
rare r aura odorata che si leva, in tanta
belleua di cielo e di veduta di mare, di
città, di monti , da quelle floride ajuole
che circondano il principesco palano. Ai
poeti del Loiacono si accorda a meravi-
glia la soavità de' versi del prof. Amico.
V. D. G.
LE MIE VEGUE. Versi di G. Costan-
tino da Mettina. Messina, tip. Filo-
mena, 1870.
POESIE POPOLARI di Giovanni Mulè-
Bbrtòlo. Caltanissetia, 1870.
Mese per mese i versi non mancano
mai nel campo delle lettere, e questi due
volumettini sono un saggio de* molti che
son venuti alla luce in Sicilia in queste
settimane passate. Non diremo che sem-
pre sia poesia in essi; che anzi ve ne ha
assai poca; e in più luoghi è solamente
qualche graiioso concetto che costituisce
il meglio e il tutto. Buoni studi addi-
mostra il sig. Costantino, ed affetti sere-
ni; spontaneità il sig. Mule e una certa
vivacità di stile. Però, come del primo
non sappiam capire che pubblichi i suoi
versi • per avere un incoraggiamento al-
l'arduo e malagevole cammino che n à
accinto percorrere » ; quasiché si stampi
per essere incoraggiati e nou si sia in-
coraggiati pel bene che si fa: cosi del se-
condo ci maraviglia la scelta di eerti
temi, ottimi a tempo opportuno^ fuor di
luogo adesso, che i nobili entusiasmi son
finiti. Air antico nostro condiscepolo sig.
Mule osserveremo inoltre che per iscri-
vere in forma popolare non siano da se-
guire i poeti letterati da stornelli, ma il
popolo poeta, fonte inesaurìbile di poe-
sia semplice e disinvolta. G. P:
CURIOSITÈS LINGUISTIQUES (par Bbbo-
MANN. Mulhouse, Imprìmerie Rader,
1870).
Llllusire Decano della facoltà di Let-
tere all'Università di Strasburgo, cav. G.
F. Bergmann, in questo primo scrìtto di
Curiotità linguistiche vuol mostrare come
1 cangiamenti che han portato le diffe-
renze di forma tra le parole francesi e
le loro corrispondenti latine sieno in-
cominciate nella lingua latina medesima;
di maniera che la lingua francese non ha
fatto che seguire e continuare in gran
parte le tradizioni e gli esempi lasciatile
dalla latina. Molte citazioni del latino
antico e del francese « sopperite da pro-
fonde conoscenze filologiche, confortano
quest'assunto del Bergmann; il quale se
fosse svolto con men brevità e concisione
fornirebbe argomento d' un bel volume.
A* filologi non passerà, speriamo, inos-
servata questa grave scrittura , che fa
bella introduzione alle altre promesseci
dall'Autore. G. P.
// Gerente : Pietro Montaina
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NUOVE EFFEIERim SICILIANE
ANNO li. DISPENSE VI E VII. SETT. ED OTTOBRE 1870
ISCRIZIONE GRECA DI SIRACUSA
Fino ai 1858 non vedeasi allro dei tempio credalo di Diana in
Ortigia (contrada Resalibra) clie due colonne doriche^ ie quali inai-
zavansi dal piano della casa de' fratelli Santoro , suiPistesso livello
di via S. Paolo. Cominciati solo gli scavi nell'ora detto anno 1868,
vennero portali molto innanzi nel 1864, dopoché il presidente della
Commissione di Antichità e Belle Arli, sig. Francesco Di Giovanni,
si fu recato sui luogo in compagnia del sig. Isidoro La Lumia (1).
li tempio, che è di forma esaslilo-periptera, era stalo dai danese Fe-
derico Hunter ritenuto come il più vetusto fra i monumenti greci
d'Italia; ed ecco si demolisce la casa Santoro, e fra altre importanti sco-
perte si rinviene , precisamente nei gradino superiore del prospetto
orientale, un'iscrizione greca, scolpila nel tufo calcare e molto guasta
dal tempo.
L'iscrizione fa interpretata e messa in luce per la prima volta dal
eh. ellenista sig. Giuseppe De Spuches, il quale lesse e tradusse così :
KXeo.... e< £7coiej£ tot TeXovt 6|aov xat duveOejiv laeiaxa lepa.
Cleo..,es fecit Geloni, aeque ac famiiiaribus, isiaca forma.
Prima ancora che fosse edita l'iscrizione, una /eltera suirargomento
aveva indirizzato al Di Giovanni il direttore delle antichità doti. Save-
rio Cavallari, nella quale, dopo aver congetturalo dalla collocazione
del tempio, eh' esso era stato costruito in un'epoca in cui tutte le
più eminenti posizioni fossero di già occupate da altri tempi che
(1) W. BuUelt.deUa Commiu. d'Antich, e BeUe ArtiinSic. nuro. 1 Scoverte tiel
tempio creduto di Diana in Siracusa,
16
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* 238 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
decoravano anche la saéra isola dì Ortigìa , cosi ne scrìveva: • Se
nscrìzione trovala determina un^epoca che non oltrepassa il Y se-
colo a. C. e che corrisponde all'epoca di Gelone, è chiaro che do-
vevano già in quell'epoca esistere molti tempt dedicati alle princi-
pali divinità, e mollo più quello dedicalo alla Dea protettrice che
diede il nome d'Ortigia a queir Isola come ricordanza dei luogo di
sua nascita. — I dati che sì riferiscono sulla topografla del nostro
tempio, sono di una importanza positiva ; e se altre scoperte non
li distruggono^ resteranno sempre tanli elemenli di grave conside-
razione. Per coloro però assuefatti a dare, non si sa come, ai mo-
numenti epoche remotissime e che vogliono inviluppare ogni an-
tico monumento con il manto delPoscurità, e ricorrere a tempi fa-
votosi ed incerti , diremo , per consolarli , come il nome indicato
nella iscrizione del nostro tempio , dì Cleomedes o Cleomenes , è
probabilmenle quello di un artefice celebre nella coslruzìone di
tempii sacri, e che figurerà neiristorìa nelle prime file tra i nomi
i più insigni di tutta la Grecia in onore della Siciliana cultura e
civiltà. Anteriori gli sarebbero solo i nomi quasi mitici di Dedalo
e dei fratelli Trofonio ed Agimede illustri architetti che costruirono
il. tempio di Delfo; il primo de' quali era da Apollo fatto morire
di dolcissima morte sette giorni dopo la costruzione di quel tempio,
e fu divinizzato sotto il nome di Giove Trofonio venerato in Le-
badia: quel tempio dopo essersi bruciato, fu cominciato a ricostruire
nel VI secolo a. C. dairarchitetto Spintauro, ma compito un secolo
dopo. Gli allri più celebrali architetti' fiorirono in tempi posteriori
al nostro Cleomedes o Cleomenes probabilmente Siracusano; e sono
da annoverarsi tra loro Anlistate , Kallischro ed Anlimachide, che
costruirono all'epoca de' Pisistrali il tempio di Giove in Atene. Ictino
e Callicrate edificarono nel 438 a. C. il famoso Partenone dopo un
lavoro dì 16 anni, e nel 430 Tislesso felino costruiva il tempio di
Apollo Epicurio in Bassa presso Figalia. L'architetto Libone co-
struiva il tempio di Giove in Olimpia , che fu terminato nell'anno
425 a. C, e finalmente al lY secolo Pileo inalzava il tempio qua-
dralo dì Prìene. Da ciò si vede come il nostro artefice fu tra i
primi, e rinomatissimo costruttore da meritare un'iscrizione su di
un tempio sacro >(<).« Il nostro tempio Siracusano (diceva inoltre
lo stesso Cavallari) per lo stile architettonico, si può assegnare ad
un'epoca contemporanea o poco posteriore al tempio di Minerva in
(1) N«l Giovn, fli Sic. seti. 1864. Num. 143,
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ISCRIZIONE GRBGA DI SIRACUSA 239
/
Egina costrailo poco dopo la gaerra persica, o in lermine medio
de' Umili di tempo , marcati dalia fondazione e distruzione di Se-
linunte etTettuita dai Cartaginesi 20 anni prima di fiorire Fidia (1).»
Concbiudea finalmente congetturando « die altro tempio di Diana
esistesse di altra costruzione > ma che poi alPepoca floridissima di
Gelone fosse con più sontuosità ricostruito sul tipo dominante del
puro dorico > (2). Cosi il Cavallari, e le sue idee sono state comuni
al DI Giovanni ed al De Spuches.
Or dopo ciò che si scrisse in Sicilia su quest'argomento, in Ger-
mania è stato pubblicato nel dotto periodico il Philologus (XXVI,
p. 568) un articolo di R. Bergmann sulP epigrafe medesima. È
quello che io presento qui tradotto dal tedesco, credendo utile che
venga a conoscenza degli studiosi si della greca epigrafia, come dei
nostri monumenti.
Sag. Isidoro Carim
L' Iscrizione grreca nel gradino superiore, lato orien-
tale, del tempio recentemente scavato in Siracu-
sa (Ortigia).
Ritrovandomi in Siracusa nel febbraio dello scorso anno, ho esami-
nato ripetutamente Tiscrìzione greca di un rigo, scoperta nell'anno
1864, che è nel lato orientale del tempio scavato in Ortigia in prossi-
mità dell'istmo, sotto delle tre colonne meridionali nel più alto gra-
dino della stilobate. Essa fu pubblicata per la prima volta dal prin-
cipe Giuseppe De Spuches in Palermo in una lettera indirizzala
al prof. Francesco Perez {D'Anna epigrafe greca trovata in Siracusa
nel tempio creduto di Diana. Palermo 4 nov. 1864, in-%o, stamperia
Tamburello e C). Indi Tu resa di comune conoscenza per la copia
fattane dal dottor Giulio Schubring negli Annali per la filologia
classica, supplem. IV. p. 672, e dallo stesso ne\ Philologus XXlì, p.
637 e segg., e XXIII, p. 363 segg. nel quale ultimo luogo se ne
tratta più minutamente coli' aggiunta di una seconda copia. L'iscri-
zione non pertanto sta tuttavia come un grave enigma, alla cui so-
luzione voglio ora contribuire.
La copia di G. De Spuches fondata su tre fac-simili a lui inviali,
(I) Giorn. di Sic. Xum. 159.
C2)Ivi.
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240 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
le due dei doli. Schubriog e quella^ non è guari, amichevolmente
comuDìcalami dal prof. Adler di fierliuo, il quale visitò il tempio
alcune settimane dopo di me e lo disegnò, per la prima metà ac-
cordano nella sostanza colla mia copia nella tavola annessa; soltanto
esse non comprendono le vestigia di lettere ancor visibili nella lacuna
tra kaeo ed EZ; ma per la seconda metà offrono, come dimostra la ta-
vola, talune differenze.
La scrittura presenta neirinsieme lo stesso carattere, che quella
dell'elmo trovato in Olimpia e che Cerone consacrò dal bottino della
battaglia di Cuma, 01. 76, 3 {Corp. Inscr. Gr. n. 16. Rose, Itiscr.
Gr, Vetust. tab. Vili, i, Franz. Elem. epigr. Gr. n.27. Confrontisi
Kirchhoff Studien zur geschichte des griech. alphab. p. 196 e seg.).
Tuttavia P^ e la 5 hanno una forma più arcaica, che in quella. Il
rho colla rotondità aperta e col tratto diacritico, il quale, sebbene
in parte distrutto, pure è ancor sempre da riconoscersi chiaramente
(si confr. la mia copia colla copia Adler) risponde al rho delle ta-
volette di bronzo Cumane di Democari (BuUett. Napolit. VI, p. 65,
e più agevolmente presso Kirchhoff loc. cit. p. 221). In tre luoghi
riscrizione è punteggiala con un punto in forma d'un o minuto, e
precisamente, ne' due primi senza dubbio dietro un nome proprio,
nel terzo anche probabilmente dietro un simile nome, su di che ri-
verrò più giù. Nella tessera di bronzo di Poticastro, spettante ad
un tempo più antico (C. /. Gr. n. 4. Rose, hiscr. Gr. vet. tab. XI,
p. 83 segg Franz, Elem. epigr. Gr. n. 23 : confrontisi Kirchhoff
loc. cit. p. 2i9, segg.) le singole parole sono divise alla maniera
etrusca e romana da un punto, il quale manca soltanto dopo T ar-
ticolo e la congiunzione xa{ (veggasi per questo Boeckh nel C. /.
Gr. I, p. 10 a, Osann SylL Inscr. ani. p. 74, sgg. Franz, 1. e. p.
80 e 62) mentre nell'iscrizione dell'elmo geronico non vediamo più
adoperata alcuna interpunzione. Per il che son di opinione con Kirch-
hoff, che r iscrizione di cui si tratta è un pò più antica di quella
dell'elmo. Con lui del pari non iscorgo nel primo nome quello
dell'architetto, ma bensì d'un cittadino di Siracusa, il quale a sue
spese fece costruire una parte del tempio, fossero stale pure le tre
colonne meridionali, o, ciò che parmi più verisimile, i gradini dello
stilobate. Confrontisi il resoconto della Società Archeologica di Ber-
lino del 6 maggio di quest' anno. Circa al nome dell' uomo, non
so restituirlo con sicurezza. Ai supplementi proposti da Schubring
nel Vhilol XXIII , pag. 363, KXeo[xpax{8]7i(; o K,Xeo[|Aaxt8]Ti(; o
KXco[vaxx(8]T)<; si oppoue già l' USO dorico dell'oc invece dell' tj nelle
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ISCRIZIONE GRECA DI SIRACUSA 241
desinenze della prima declinazione. La es (i]<;) può solo apparte-
nere ad un nome della terza. É probabile che la lacuna contenesse
da cinque a sei lettere , mentre in uno spazio affatto simile stanno
le sei lettere noi££E , ma non per questo di necessità , e la cir-
costanza particolarmente notata da Schubring loc, cit che le prime
quattro lettere (kXso) sono le più grandi e più larghe di tutta Pi-
scrizione favorisce la credenza, che il lapicida continuasse a scri-
vere in somigliante proporzione , dalla quale cominciò ad allon-
tanarsi alquanto nella desinenza ES. Che si pensi a KXeo[(T0£v]7j(; o
KXeo[Yév]Ti<;, lo vietano gli avanzi di lettere, che seguono dopo V o ,
i quali possono provenire da una my con linee laterali alquanto di-
vergenti. Perciò si può congetturare KXeo[fjisv]Ti<; o KX£o[fjit5$]T)c, il
che insieme con KXeoYsvYj? e KXeojesvT)*; era stato ancora proposto da
G. De Spuches.
Dopo èiro{T|je vi è T]w[ir£X]a)vi, forma dativa con crasi, che si è letta
finora erroneamente t(ì> réXwvi. Viene dunque con ciò risoluta la
importante quistione , a quale divinità appartenesse questo tempio
per molti riguardi cosi notevole. Esso non era dedicato ad Artemide,
ma ad Apollo. Ricorda Brodiano presso Eustazio {Commentar, ad Ho-
mer. Il p. 183, 10) che i Dori chiamavano Apollo AireXXov. A que-
sti luoghi ed agli altri allegati da L. Dindorf nel Thesaurus Linguae
Gr. Parigi s. v. 'A'7C£XX<i>v, devesi aggiungere un passo dal frammento
del KtopaXidxoc del comico Epilico, (presso Ateneo IV, p. 140 A): 'ev
AjiuxXawtv irap' 'AiréXXu) (V. Ahrens de dial. Dor. p. 122 e p. 482,
e segg. insieme alPart. dell' istesso dotto • laconici » nel nUoL
VI , p. 652-655). Non solamente par che la forma sia dorica, ma al-
tresì, che Pabbian avuto originariamente comune tutti i popoli greci,
come anche una parte degli Italici (si confronti Bergk Beitràge zur
griechischen monatskunde p. 43, in nota, collo scritto di C. F. Her-
mann sulla conoscenza dei mesi presso 1 Greci p. 45 segg.) Che
altra volta esistesse nel dialetto ionico, si deduce dal nome di mese
'ATreXXawàv occorrente in Tenos (C. J. Gr. Il, n. 2338, 15) e quanto
agli Eoli è d'uopo ammettere, che come dicevano f^ovxac per òScJvta;.
ISuvac per 68uva<;, similmente devono pure aver detto 'ATtsXXwv per
'AirrfXXtóv. Confi-. Boeckh nel C. I. Gr. p. 721 , e segg. ed Ahrens
de dial. Aeol. p. 80. L'antica forma latina Apollo (< Apellinem an-
tiqui dicebant prò Apollinem > Paol. Diac. p. 22, 14, ed. 0. Muel-
ler) è stala già ricordata da Mattaire Gr. linguae dial. p. 152. D.
oda 0. Mueller Dorier L p. 301. Quest'ultimo nota Etrueker 11^
p. 69, 113 una simile forma osca aTCTceXXouv, ch'egli trovò nelPiscri-
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242 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
zione Mainertina di Messina presso Castelli Inscr. Sic. Y, 45, p. 55.
Questa iscrizione , nella quale < i due medicea e la Comunità dei
Hamertini dedicano qualche cosa ad Appellunes • è ora letta più
correttamente da Mommsen UnterUal, dici. tav. XII, pag. 193 segg.
e contiene nel luogo in quislione le parole aTiTceXXouvTii aoexopo, che
significa Apollini sacra , dopo di che è da rettificare la citazione
di L. Dindorf loc. cit. — Si consulti altresi su di ciò Mommsen loc.
cit. pag. 245 e 25i. Della fusione dell'articolo nel nome del dio per
mezzo della crasi non difettano esempi nelle arcaiche iscrizioni. 11 no-
tevole documento ionico di Alicarnasso edito da C. F. Newton nel-
r opera A history of discoveries at Halicarnassus, Cnidus and Bran-
chidae nella tav. LXXXV, ed illustrato voi. Il, pag. 671 e seg, , e
di .cui si è trattato da Sauppe Góttinger Nachrichten von der G. A.
Vniversim 1863 , num. 7 (V. Philol, XXI, pag. 302) ed in parte
anche da Klrchhoflf loc. cit. p. 120 e segg. offre nel verso 36 tò-
•ic(5XXu)v[oc. La forma TcbicdXXwvt si trova: lo) nell' iscrizione di Her-
mesianax nel lato dritto della sedia di una delle statue nella via sa-
cra di Branchida C. /. Gr, n. 39, 3, (si consulti Praef. p. XXVI, e
segg.) Franz loc. cit. n. 48, presso Kirchhofif loc. cit. p. 139 e segg; 2°)
neir iscrizione Didimea deir Histaios , che prima fu pubblicata da
Ussing, Graeske og Latinske fndskr if ter K}òbenì\B\iì 1854 p. 36 n. 4
e più esattamente da Newton loc. cit. p. 787 n. 72 presso Kirch-
hoff loc. cit. p. 130 e 249, (TO)iKJXXa)[vi) ; 3°) in un vaso di Adria
nella collezione Bocchi C. I. Gr.^ n. 8340 (TÒ)7r(JXXa>v[t). Molti sono
gli esempi per T ortografia con un lambda: tcj) ATcdXwvt nelP iscri-
zione sul dorso di un leone di pietra di Branchida; questa fu pub-
blicala dapprima per comunicazioni epistolari di Newton, nelle Noti-
zie mensili dell'accademia berlinese delle scienze 1859, p. 660 sotto
il n. 1, e per la seconda volta con alcune varianti nell'opera citata
di Newton tav. XCVII, 66 (si confronti il voi. Il p. 777 e segg.);
ambedue le copie presso KirchhofT p. 140 e segg. ATcdXwvt nelPe-
pigramma delV ex-voto ài Platea nelPAtmeidan in Costantinopoli,
ottimamente edito da Frick nel 3o supplemento degli Annali per la
classica filologia p. 487, e segg. (confrontisi Kircbboff p. 211). Nelle
iscrizioni de' vasi comparisce AitdXwv C. J. Gr. IV, n. 740 \ 74i9
7552, b, 7620. A7t({Xtovoc nello stesso luogo, n. 7419, 7420, 7422,
7571 6, 7619 b. Che oscillasse molto la scrittura di questo nome
e de' nomi da esso derivati fra una e due X, ben chiaro apparisce
se si mettano insieme coi connati esempi anche le forme che si
presentano simultanee nel documento ionico di Alicarnasso, tò)ir(iX-
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ISGRIZIONB GRECA DI SIRACUSA 243
Xwv[o(;] (V. 36), 'AicoXXLwvQcp (y. 4»), AicoXXcovtóew (v. IO), 'A7to[Xa).
v($7ic (v. 30) e r 6 'A7c]oX[a>v]($eci> xJmc<{XXci>vi dell' iscrizione d' Herme-
sianax (secondo V ha restituito più sicuramente Kirchlioff). Alcun
altro con questo affine vedi presso Sauppe loc. cit. p. 320 e seg.
'AicéXu)v oppure 'aic(ÌX(i>v divenne per sincope e mutamento di co in
ou, nel dialetto tessalico, "attXoi^v , col quale può conferirsi Apulu
ed Aplu nelle pàtere etrusche. V. Boeckh nel C. /. Gr, n. 1766,
voi. I, p. 860, Ahrens de dial. Aeol p. 218 e seg. Y. Mueller E-
trusker II, p. 69.
Nella seconda metà delP iscrizione pare che V incavo circolare, che
si trova fra il primo a e Pi, non sia né interpunzione né un o, come
é data da Schubring, ma un guasto nella pie tra. La interpunzione
dopo la seguente A , in confronto coi due altri luoghi, dove V in-
terpunzione é usata, mi fa vedere verisimile, che anche qui ad essa
dovea precedere un nome proprio. Questo può essere Nij&xac, for-
mato da Nt<Toc, come rXauxérac, da rXauxoc, e sia come nome pa-
tronimico in genitivo. Il nome del figlio, che a questo appartiene
si supplisce fàcilmente con EòxX^c , la fine dell' iscrizione con xal
*Hpac. Qual rapporto abbiano i nomi EuxXììc ed *Hpac, lo* mostrerà
la restituzione delle seguenti otto o nove lettere dopo V o aspirato.
Risulta dunque dalla ricerca che fin qui abbiamo fatto la seguente
lezione :
KXeo[|x6v]T)c 0 KXeoQxiJSjYjc èitoCTjae [T]o)['itéX]ci)vf [6 at?
EòxX]tìc [Nli<i[éT]«? [x«l 'H]pa[(;.
Branderburgo.
R. Bergmann
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DI UN DOCUMENTO INEDITO
RIGUARDANTE UNA DELLE ANTICHE PORTE DI PALERMO
Al Gh."" sig. Salvatore 8aIomone-Hf arino
Chiarissimo Signore
Gralo della cortesia eoa cui Ella degnossi accettare il documento
riguardante le miniere di Ali e Fiumedinisi, mi permetto comuni-
cargliene un altro degno egualmente deir attenzione dei lettori delle
Nuove Effemeridi
É desso un atto per cui il Comune di Palermo concede al no-
bile Jacopo di Bologna P antica porla di Busuemi, e con essa Tedi-
fizio soprastante , per lo censo dì tari sei annuali. Prima però di
ragionarne sembrami opportuno di trascriverlo qui appresso per
come r ho ricavato dal registro di Atti , bandi e proviste del sud-
detto Comune per Tanno IX indizione 1475-76, a foglio 151.
• Universitas felicis panormilane urbis universis et singulis presen-
tes nostras inspecturis litteras notum fieri volumus quod in mirandis
cassari nostri menibus meridiem versus porta adhuc (1) bnsuldeni
nomine, quadrato lapide, vetustissima; ex qua traddilur melellum
primum romane gentis ducem cum panormitanis civìbus, cartaginen-
sium castra, simul et ferocissimos elefantes, hoslesque cunctos su-
perasse, fugasse et penitus evertisse; cujus quidem porte solum ad-
huc rubeis quibusdam lapidibus marmoreys stratum esse cematur (2).
(1) Adestft
(J) Cernilur.
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DI UN DOCUMENTO INEDITO 24S
cnpientes ne tam laudabile ediflcium vetostate toUebatur (1) nobili
viro iacobo bonie (2) concive precipuo sese nobis offerente in eis-
dem (3) porte edificio (4) superiori parte velie habilabilem illud (5)
redducere, nec de vetustatis venerande forma aliquid velie detra-
here, ìmmo illud omni arte et ingenio conservare , adonto etiam
*quod aliquod predium (6) prope privatas ac proprias edes babet,
matura orciai ium nostrorum deliberalione preheunte, superficiem
illam cum tote edificio superiori eidem iacobo suisque beredibus et
successoribus quibuscumque duximus concedendam, iure tamen per«
petui census tarenorum sex anno quolibet ab eodem iacobo et quo-
cumque futuro successore , paclis emphiteolicis legalibus et munì-
cipalibus nobis perpetuo reservatis ; ac etiam ne venerando dive
dare monasterio iniuria fiat, ne scilicet aspectus vel prospectus ex
tali orìatur edificio in ipsius monasteri! detrimenlum. quarum qui-
dem presentium licterarum aucloritate iubemus, ut prò ulriusque
partis memoria et cautela de huiusmodi concessione nostra cum no-
stro sindaco instrumentum conficialur. in quorum quidem testimo-
nium presentes fieri ìussimus nostrorum (7) iuratorum (8), pretore
absente , ac magno sigillo munimine roboratas. datas in novo no'
stre residentie palatio (9) die xxvj iulii viiij^ indictionis M^^cccclxxvj.
*{* philippus de gilibertis iuratus et prior.
*|* cola di bulogna.
'f cola matheo di branchi iuratus.
^ leonardus de barlholomeo iuratus.
•{• ioannes de rigio iuratus.
•f pelrus de bononia iuratus.
. vidit raynaldus sindicus. •
(1> Illabatur,
(2) Cosi il lesto. Intendo Bononie coiraiuto dell* annotazione marginale M rogi-
slro che dice cosi: Pro nobili iacobo de bononia concettio porte buliudeni,
(3) Eiutdem,
(4) Edifica.
(5) Cosi il testo scorrettamente. L* intelligenza ò chiara,
(6) Cosi panni doversi leggere , benché il testo vi si presti appena. Ed intende-
rei che il concessionario si avesse podere attiguo a case attaccate alla porta. Ad ogni
modo, ripeto, la lettura è dubbia.
(7) Nostrum. ^
(8j Suppl. tubtcriptionibus.
(9) Cioò l'attuale Palazzo di Città che cominciò ad edificarsi dopo il 1470. Nel re-
gistro del Comune dell* anno X ìndiz. 1476-77 incontransi n^lti documenti i quali
trovano ch'esso era tuttavia in corso di costruzione.
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246 NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNB
La prima cosa a notare nel documento sopra riferito ella è che
il nome della porta vi si trova scritto in modo assai pia vicino alla
saa arabica origine.
É da ricordare in proposito che in un laogo della descrizione di
Palermo verso la metà del X secolo lasciatapi dal geografo mosul-
mano Ibn Haucal (1) si fa menzione di una porta rivolta a mez-
zodì e chiamata arabicamente Bàb es-sudàn. Il Prof. Hicliele Amari
dichiarando quel luogo, osservò che la porta cui si accennava doveva
esser quella detta di Busuemi (2). Or il nostro documento del quale
si scorge che la porta istessa dicevasi allora di Busuldeni o di Bui-
sudeni conferma evidentemente Topinione del nostro illustre orien-
talista, dapoichò BtUsudeni è lo stesso che Bàb es-ttédàn.
A proposito della etimologia di questa parola mi piace il ricor-
dare ancora quel che ne dissero i nostri eruditi che più special-
mente occuparonsi della topografia dell'antica Palermo. Il Cascini
pare che V abbia spiegato per termine , confine (3). Giova riportar
qui le sue parole: « Porta Busuemi cioè porki e termine.... Questa
« sola porta si era conservala per tanti secoli fin air età nostra in-
« tiera col suo nome antico Busuem, insanie molibus epectabUte, dice
« il Fazello (4), e fu rovinata nel 1585 (5) per alzar quivi lo spe-
« dale del Beato Giovanni di Dio colle pietre di quella , costume
« di Palermo spesso notato dal Fazello, di rovinare le sue antica-
t glie venerande, senza necessità; come vide pure, e si dolse, nel
« 1549 svellere il resto delle mura da questa porta fin al Palazzo
« Regio, benché saldissime , delle quali ve ne rimangono ancora i
• manifesti segnali. >
Ho voluto trascrivere le parole di queir erudito gesuita per mo-
strare che il Morso sbagliava allorquando facevagli dire che Busuemi
^ secondo il Fazello significhi porta insanie moUbw spectabilis (6).
(i; V. Amari. Deicriplion de Palerms au milieu du X* siècle par Ebn Haueal. Su
nel Journ. Asiatique, année 1845. Il tetto arabo ò riprodotto nella BUd, Arabo-Si-
cula dello slesso Amari (Lipsia, Brockbaus» 1857) a pag. 4.
(f) Lo stesso (nei Journ. Aiial,) nota (23).
- (3) Cascini, Vila di S. Rotalia, Palermo 1651. Digressione I (in fine del voi.) p.Y.
(4) De rebus Sieulis, Dee. h lib. Vili, cap. I.
(5) Dai Diari di Palermo del Paruta risulta invece che la demolizione fu comin-
ciaU nel 1587.
(6) MoASO, Descrizione di Palermo anlieo. Ivi {%* edizione) 1827, pag. 246 e 247.
Veggasi ancora la nota (1) alla pag. 247. Confrontando questa nou col testo sembra
cbe quivi sia incorso qualcbe errore tipografico. Nella nota infatti l'autore tentando
di spiegare l'etimologia data dal Cascini dice che sarebbe troppo stentato il dedurla
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DI UN DOCUMENTO INEDITO 247
Dapoìchè, né il Fazeilo disse questo, nò il Cascini intese in tal
modo le parole del nostro insigne storico (1). Ma il bello si è che
il Uorso prese ad esaminar sul serio la etimologia data dal Cascini,
e dopo avervi almanaccalo su per alcun poco, la rigettò (S). Ciò
nondimanco egli non fu di costui più felice allorché polendola far
da indovino (son sue parole) pretese dedurla dalla voce arabica (té-
zum (f) che secondo lui, significlierebbe linea segmenti , funictUus
traiectuSy • per la ragione che sotto quella porla oravi il piccolo
• ponte per cui si tragittava alla opposta sponda del sobborgo. *
Credo superfluo il fermarmi a ripetere quel che pria di lui ne a-
vea già dello il Giardina, il qual mise a contributo tutto rOrienle
per rintracciar Torigine di quella strana parola (3). Checché ne sia
però di queste spiegazioni, giustizia vuole che si ricordi che né il
Cascini né il Giardina sapevan d'arabico, e che il Morso, orientali-
sta non ispregevole, non arrivò a tempo per giovarsi del capitolo
d'Ibn Haucal e della Biblioteca Arabo-Sicuta.
La porta di Busuemi colla sua torre esistette fino al 1587 nel
sito oggi occupato dalP ospedale degli ex-Benfratelli; e per dar luogo
ad esso fu demolila quella pregevole anticaglia che un secolo in-
nanzi voi evasi con tanta sollecitudine conservata (4). Il Giardina
credette che il mezz'arco sottostante al castello d'acqua di via Bi-
scoltari, esistente fin oggi , fosse un avanzo della porta, « per la
• torre vicina (quella compresa nel palazzo del Conte Federico ?)
t secondo il costume di fabbricar le torri a lato delle porte; • ma
il Palermo *dice senz'altro che la torre fu demolita fin dalle fonda-
daU' unione* dallo voci arabiche bàb (portai e fairim (termine). Ma nel lesto si dice:
• Busuemi che signi Oca (secondo il Cascini) porta insanii molibus ipeetabUii. • Per
togliere questa contraddizione bisognerebbe sapporre che per errore tipografico sic
slata omessa nel testo la parola temane dopo la parola porta.
(1) Fazeilo disse solo che la porta, fabbricata di enormi massi, era arabicamente
chiamata Busuemi, Loc. ci(.
(2) Morso, luogo e nota cìt.
(3) Giardina, Le antiche porte di Palermo. I?i 1732, Gap. XIII.
(4) Diari della città di Palermo. Ivi, 1869, Voi. I pag. 112. Francesco Barone
(de Maiettate Panormit. lib. III, cap, XI, J 2) dice che la torre apparteneva alla fa-
miglia lo Castrone, e cita in appoggio una deposizione di testimoni ridotta agli atti
di Notar Matteo Fallarà nell'anuo 1488. Io ho trovato nel citato registro del Comune
dì Palermo (Ìog. 190) un termine di 4 giorni accordato a frate Cristoforo lo Castrone
per provare che la torre era di sua proprietà, (12 agosto 1476). Dallo stesso Barone
si ritrae che la tórre suJetta fu espropriata dal Comune per demolirla e destinarne
l'area alla costruzione deU' ospedale, e che la famiglia lo Castrone fu indennizzata
della perdita che pertanto venne a risentire.
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248 NtJOVE EFFEMERIDI SICILIANE
menta (i), né le memorie sincrone lascian dubitare che ne sia ri-
masta superstite alcuna parte. Se cosi è, il mezz'arco di cui parla
il Giardina, non può essere un avanzo delP antica porta , né sem-
bra per altro eh' esso accenni a quell'epoca saracenica nella quale
la porta doveUe essere edificala.
Il nostro documento mostra che a queirediOcio annettevasi una
importanza stòrica. Credevasi che dalla porta di fiusuemi fosse
uscito Metello ad attaccar T esercito Cartaginese condotto da Asdru-
baie, e che perciò essa fosse un monumento della prelesa alleanza
della città di Palermo e della romana repubblica , alleanza donde
facevansi scaturire i vantati privilegi di quella, cioè la insegna del-
l' aquila d' oro , il titolo di pretore attribuito al primo magistrato
della città, la qualifica di urbs^ e le altre franchigie di cui credevasi
che Palermo avesse goduto ai tempi delia dominazione Romana.
Per intender meglio ciò che qui sopra ho accennato non sarà su-
perfluo il ricordare che Tanno 251 av. Cr. Asdrubale capitano de' Car-
taginesi credendo che l'esercito Romano scoraggiato per le immense
perdite subite durante V impresa d'Affrica, ed indeboUto, perchè una
metà orasene ritornala in Roma col console Fulvio, si pensò sorpren-
dere Metello che coll'altra metà dell'esercito si rimaneva in Panormo
aspetlando che fosse trascorsa la stagion della mèsse. Usci pertanto
da Lilìbeo e per la via di Selinunte sen venne ad accamparsi ai
confini dell'agro panormilano. Né per questo Metello inducevasi ad
uscire dalla città : — di che il Cartaginese ascrivendo a paura la di
luì condotta , faceasi audacemente innanzi , e disceso per la gola
della montagna veniva accostandosi alle mura e distruggendo insieme
i còlli; ma, ciò nulla ostante, il Romano non mutava consiglio. Al-
lora Asdrubale valicò l'Oreto, e fé' passarlo ai suoi elefanti, e lo-
stochè l'ebbe varcato inconlrossi con alcuni drappelli di scorridori
i quali aveano il compilo di tenerlo a bada tinche l'esercito romano
si fosse ordinato. Intanto altri drappelli di arcieri situali al di qua
del fossato che custodiva la città eran pronti ad accogliere con una
grandine di freccio gli elefanti come venivano accostandosi , ed a
rifugiarsi nel fossato allorché quelle immani bestie accennavano di
precipitarsi lor contro, per tornare a saettarli appena messi al co-
perto. Sulle mura poi stavano gU operai panormitani (ol t^; à^opac
pàvaudoi) preparati a ricevere con una scarica di dardi gli assalilori.
impegnatasi la zuffa, i condottieri degli elefanti, gareggiando d'au-
(1) Palermo, (Gaspare) Guida di Palermo (ediz. del iS57) pag. 499.
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DI UN DOCUMENTO INEDITO
dacia col lor capitano ed agognando a coglier le primizie della spe-
rata vittoria, aifrontavan compatti gli arcieri, i quali eran presti a
riparar nel fossato, e di quivi a molestare a farla di freccio gli e-
lefanti, i quali inaspriti da tante trafitture e crivellati dai nembi
di saette che piovean dalle mura^ tornavano furiosamente addietro
cacciandosi sotto i piedi tutti quanti in lor s'imbattevano, gettando
cosi il disordine e lo scompiglio tra le file dei Cartaginesi. Allora
Metello che già stavasi pronto coi soldati presso la porta della città,
piombò sul fianco sinistro dell' esercito nemico e lo costrinse a fuga
precipitosa. Gli elefanti e i lor condottieri caddero tutti in mano
del viocitore che se ne avvalse a render più splendida la sua en-
trata trionfale in Roma.
Questo è, secondo Polibio (1), il genuino racconto del fatto, rac-
conto che con poche e non rilevanti differenze (delle quali ho te-
nuto talvolta conto) vediamo ripetuto da Diodoro , Plutarco , Dio-
nigi d'Alicarnasso ed altri storici aotichi. 1 più recenti, e in ispe-
cie i nostri , vennero ricamando su questa tela altri piccoli aned-
doti più 0 men verisimili, ma per vero dire non appoggiati da
veruna autentica testimonianza. Tra' nostri va ricordato in prima li-
nea il celebre Pietro Ransano (I428-U92) autor delP opuscolo de
Anafore Primordiis et Progresm felicis urbis Panarmi (2). In que-
sto scritto che risale al 1470 (3) l'erudito domenicano imprese a
dimostrare che i Romani , e per memoria del fatto , e per grati-
tudine verso i Palermitani , restituirono loro la libertà , stabi-'
lirono in Palermo una colonia Romana, accordarono il titolo di pre-
tore al primo magistrato della città ed a questa Tuso delP insegna
deir aquila d' oro, e \ollero finalmente che Palermo si chiamasse
urbs a somiglianza di Roma che urbs si diceva per eccellenza (4).
Il nostro documento, di cinque o sei anni posteriore al libro del
Ransano, aggiunge solo una nuova circostanza, cioè che dalla porla
(1) tìiiloriarum reliquiae, lib. 1 cap. 40. Edit. Didot, Parisiis 1852. — Pars. 1. pa-
gina 31-32.
(2) Pubblicalo in Piilermo pe' lipi di Stefano Amalo nel 1737 e riprodoUo nel
toni. IX della raccolta di Opuscoli di Autori Siciliani (1767). L'egregio ab. Gioac-
chino Di Marzo ne ha pubblicato la versione in volgare siciliano falla dallo slesso
autore (Palrrmo, Lorsnaidor, 1864).
(3; La dedicatoria ad Arnaldo Sottile porta lu data del 30 settembre 1470. (V. la
edìz. Di Marzo, pag. 50).
{ì) Hansano, edix. cit. |»ag. 72-77.
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250 N1K)Vt BFFEMBaiDl SICILIANE
di Basnemi usciva Metello col suo esercito ad assalir ie schiere Car-
taginesi (1). .
Queste tradizioni scartava bruscamente il Fazello, del quale giova
qui riferir le parole. • Ransano dice , non fondato in alcuna auto-
• ritè che il titolo della città (urbs), il nome della pretura e Tin-
« segna, eh' è un'aquila d'oro, furono date dal Senato Romano a
• questa città dopo la vittoria di Metello contro Asdrubale. Onde i
« Palermitani hanno per volgatìssimo quel distico di Giovanni Naso
• Siciliano, che dice:
« Tacta fide sodam stahiit sibi Roma Panormum
e Hinc aquila et praetor et decus urbis adest,
• ma la fede e credenza di queste cose si stiano appresso di coloro
• che hanno avuto ardire di scrivere siffatte cose, e credanle a lor
t modo (2). »
In tempi in cui si giurava suir auteìiticità della famosa iscrizione
caldaica della torre di Baych le parole di questo padre della storia
siciliana doveano sembrar troppo ardite. E quindi l' Inveges dopo
aver riferito le parole di luì, quasi rimbeccandolo, assume a dimo-
strare che certo è V aver Palermo ottenuto molti privilegi dalla Ro-
mana Repubblica, come « la residenza proconsolare, e dopo i suoi
« tempii la pretoriana, il titolo di Repubblica, la dignità di Senato,
« r immunità , la libertà, la società, il Patrono e la Colonia (3) ; »
cose tutte, a creder suo, provate coir autorità di medaglie, d'iscri-
zioni, di storici.
Farei opera lunga e noiosa se volessi qui passare a rassegna tutti
gli autori che impresero a sostenere P assunto del Ransano e che
moltiplicaronsi, per cosi dire, all' infinito nei tempi lacrimevolissimi
(ì) Cb e Metello stava presso la porta della città lo dice Polibio, come abbiam ve-
duto più sopra. Questa porta guardava il lato dell' agro palermitano bagnato dal
fiume (rOreto) e quiudi rispondeva necessariamente al mezzogiorno. D* altra parte.
Diodoro (Ediz. Didot. Tom. II, pag. 450) nota che i Cartaginesi venivano per la via
di Selinunte e scendevano dalla gola della montagna, cioè , come crede l' Inveges
(Annali di Palermo tom. I pag. 419) dalla Valle della Fico. Porta che guardasse a
mezzogiorno v'era solo quella di Busuemi; dunque di qui dovette uscire Metello.
È questo, se non erro, il ragionamento ch'ebbe a far Seco medesimo l'inventore della
leggenda conservataci dal nostro documento, senza considerare che la porta col suo
nome arabico mostrava di essere stata edificata all' epoca musulmana. Questa, più
che tradizione , può dunque dirsi una deduzione, certo poco fondata, una specie di
commento alle notizie trasmesseci dagli storici.
(2) Fazkllo, de Rebus SUuliSf Dee. I, lib. Vili , cap. I. (Ho trascritto dalla ver-
sione di Fra Remigio Fiorentino).
(3) Inveges, Annali di Palermo, Parte I, pag. 417.
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DI UN DOGUHENTO INEDITO 251
in cui le gare municipali tra Palermo e Messina furon cagione di
guerre fraterne ed occasioni a feroci violenze da parte dei domi-
natori stjTanieri (1). Ma non credo di dover preterire Vincenzo Au-
ria che ci lasciò un discorso deW officio e prerogative del Pretore e
Senato di Palermo, nel quale dopo aver narrato distesamente la bat-
taglia di Panormo e ricordate tutte le medaglie che alludono ai fatti
soyracennati (se è da aggiustar fede al Parata che le pubblicò ed
allo Inveges che sulla di costui fede le riferì), si estende a ragio-
nare dei privilegi accordati a Palermo, in ricompensa della sua fe-
deltà, dalla Romana Repubblica^ e scende quindi a passare a rasse-
gna gli scrittori che tolsero a sostenere il suo assunto (2). Tra que-
sti non è da trasandare Filippo Parata , il primo illustratore della
siciliana numismatica e forse il primo editore di una raccolta di mo-
nete, il quale lasciò inedita una giustificazione del nome di Senato
che usa la città di Palermo, il di cui autografo possedevasi dalPAu-
ria medesimo. In questo scritto il Parata asseriva, t che negli an-
« tichi registri della ciltà di Palermo si legge che Metello vittorioso
t e trionfante fosse entralo e ricevuto con grande allegrezza dal po-
« polo Palermitano dentro quella porta che sino ai tempi di esso
« Parata si disse di Busuemi (3). > E parmi certo che il documento
cui accenna quivi TAuria sulla fede del Parala non sia altro che
quello che oggi vede la luce.
Ma il più solido argomento che potè produrre V A uria si fu la
seguente iscrizione che tuttora si legge sotto il portico del nostro
Palazzo di citlà (4) :
L. GAEGILIO. METELLO.
ROM. LN SICILIA. COS. _
S. P. Q. R. GONSIDERAS.
FIDBM ET DEVOTIO
NICM. RBIP. PANOR.
EAM. SIBI. SOTIAM.
STATUIT. UNDE. UR
Bis. PRAETORIS.ET A
QUiLAE. DEGUS. GEPiT.
(i) Posson vedersene i nomi e ì litoli dei libri presso N a rbone Bibliografia Sieola
ì, 217, e IV, 359, come ancora ne' Diedri della eitlà di Palermo voi. V e VI. \yu 1870
passim, dove ne son ricordati parecchi che vider la luce durante la rivoluzione di
Messina (1674) o in quel tomo.
(i) AuRiA, Hiitoria Cronologica delli signori Viceré di Sicilia. Palermo 1697 p.211.
(3) Lo stesso, op. cit. pag. 230.
(4) Lo stesso, op. cit. pag. 233.
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252 NOOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Qaesta iscrieione fa pubblicata, credo per la prima volta, dal Ba-
rone (1), altro celebre panegirista dei privilegi di origine romana
il quale non è a dire se Tavesse accollo come oro di coppella. Tutti
gli scrittori che vennero dopo di lui non mancarono di riprodurla
senza dubitare per niente della sua autenticità. Dovea trascorrere
quasi un secolo innanzi che uno scrittore non sospetto certamente
di soverchio criticismo , il P. Gaetano Noto, gesuita , manifestasse
il sospetto della falsità della iscrizione medesima (2). Del resto il
Noto non ostante che avesse ritenuto come apocrifo questo docu-
mento principalissimo pe' sostenitori de^ palermitani privilegi, rico-
nobbe come validi gli altri argomenti addotti dall' Auria, vai quanto
dire, riputò che l'autenticità dei privilegi di Palermo, fosse o non
fosse apocrifa V iscrizione, restava sempre inconcussa. Ben altrimenti
giudicava però il dotto Principe di Torremuzza il quale facendo sue
le osservazioni del Noto dichiarava nettamente che V iscrizione in
parola era opera moderna, non solo per le ragioni filologiche e pa-
leografiche addotte dal suo predecessore, ma eziandio perchè (come
evidentemente a chiunque si mostra) , essa non ha nulla che tiare
col monumento su cui è scolpita, il quale non è che un semplice
sarcofago dell'epoca romana donoe fu cancellata l'antica epigrafe
per sostituirvene una nuova (3). Che ne pensasse poi quel valente
archeologo dei voluti privilegi di Palermo si appalesa chiaramente
da ciò eh' ei dice intorno ad un' altra iscrizione scolpita in una base
di marmo (4) esistente anch' essa nel nostro Palazzo di città, e A-
« spetterà qui taluno da me, scrìve il Torremuzza, che sul signifi-
. calo io mi trattenga dello parole RESPUBLICA PANHORMITANO-
t BUM , le quali in questa e in tant' altre nostre Iscrizioni si leg-
• gono, dovendomi credere bene informato di quanto su questo ti-
« tolo di Respublica si abbia ne' tempi passati già scritto. Ma io, che
« vivo disingannalo abbastanza su questo affare, e che sto nella i-
• dea non mendicar la mia patria vane distinzioni da quelle cose^
< che da per sé dar non ne possono, rispondo soltanto coli' autorità
« dell' erudito Cavaliere Annibale degli Abati OHvieri in occasione
« di scriver sulla stessa materia per la cospicua città di Pesaro di
t lui patria: Errant tamen vehementer ii qui ex hoc Reipublicae ti-
(1) De maiestate Panormitana, lib. I, pag. 41.
(2) Noto, Iscrizioni di Palermo. Ivi 1721 pag. 79.
(3; Torremuzza, Le antiefie iscrizioni di Palermo Ivi, 1762. A p:ig. io è il rame
in cui si vede ritratto il sarcofago colla iscrizione. A pag. 267-70 si ha rilluslra-
lionc. V. ancora Siciliae et oliiacentium insularum velei^m imcripUonum uova colle-
elio dello slesso autore. Panor. 1769, a pag. 277.
(4) Iscrizioni di Palermo, pag. 1J5.
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DI UN DOCUMENTO INEDITO 253
e tuia Pisauruiriy supra reliquas lialiae Civitates extoUere nituntur,
« et bella indicta, paces compositas , leges latas, Populos in servitù-
« tem redactos ex eo somnianL RespubUca Pisaurmsis nil aliud si-
• gnificat nisi commune^ seu communitas Pisaurmsis^. ut usitato ho-
« die vocabulo utar; recte igilur Coloniae aeque, ac Municipia ita ap-
• pellantur. »
Se oggi seinbr(^ebbe insulso e ridicolo il ripestare sifTatti argo-
menti di privilegi più o meno anticlii , più o meno favolosi , per
dedurne poi quelle conseguenze che ne ritraevano! Barone, gPIn-
veges, gli Auria , non mi pare in verità del tulio inutile il ricer-
care se alcun fondamento essi si abbiano avuto nella storia del pae-
se; imperciocché delle risultanze di un esame siffatto la storia può
sempre avvantaggiarsene.
É da ricordare, per la prima cosa , che le più cospicue città di
Sicilia dopo la morte di Martino, che fu P ultimo re che qui fer-
masse la sua residenza, cominciarono a contendere fra loro , qual
per conservare e qual per arrogarsi il primato sulle altre. Palermo
reggia di Ruggiero, non potea tollerare che i re o i viceré risedes^
sero altrove che nel suo Sacro Regio Palazzo, illustre per la stanza
che vi ebbero i re normanni e lo svevo Federigo, e celebre per es-
sere slato la culla della lingua e della poesia italiana. Messina però
teneasi più degna di Palermo , sia per la sua felice posizione ma-
rittima , ond' era V emporio del commercio d' Oriente ^ sia perchè
conservava in se più vive che altrove le tradizioni della domina-
zion Bizantina. Catania, sede di quasi tutti i re della dinastìa Ara-
gonese, opponeva per dir cosi la teoria dei fatti compiuti , e non
ammetteva nemmeno che si mettesse in discussione se la capitale
della Sicilia dovesse essere altra città che lei stessa. Queste gare
municipali che noi diciamo a buon' diritto meschine, e di cui noD
è diffìcile incontrar le tracce nello stesso XIV secolo, cioè non molto
tempo dopo la guerra del Vespro, manifestaronsi acremente al tempo
del Vicariato della Regina Bianca , e furon principale cagione del-
l''assodarsi della trisecolare dominazione spagnuola che da Sicilia
passò a far sentire il suo peso nella terraferma Italiana.
Siffatto antagonismo manifestossi in modo assai virulento intorno
al 1470, ed è notevole che nel parlamento di Catania (1478) prorup-
pesi in escandescenze da parte degli ambasciatori (deputati) di Mes-
sina appunto per sostenere il diritto di precedenza eh" essi si attri-
buivano su i loro colleghi di Palermo (1).
(ì) V. in proposilo Diblasi SUria CronoL dei Viceré. Palermo 1790 voi. I , pa-
gina 200-306. 17
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254 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Or mi pare assai probabile che per sostenere somiglianti recipro-
clie pretese si fosser coniali privilegi e monumenti onde risultasse
In modo diretto o indiretto la precedenza di Palermo , Messina o
Catania su tutte le altre città del regno. Cosi si spiegherebbe come
presso a poco nello stesso tempo in cui Messina produceva la let-
tera della Madonna o il diploma d'Arcadie, Palermo mettesse in-
nanzi r is^^rizione della torre di Baych, quella di Metello e con essa
le cento altre in cui si parla di Retpublica Panormitana^ genuine o
no che si fossero, ma interpretate sempre sotto T influenza di un
preconcetto sistema. A simili arti prestavasi per altro mirabilmente
il secolo XYy che fìi il secolo degli eruditi e dei falsificatori di te-
sti e di monumenti. Cosi per ultimo, si spiegherebbe come la tra-
dizione intonio a porta di Busuemi conservataci dal nostro docu-
mento, sconosciuta al Ransano, qualche anno dopo che questi scrisse
il suo libro ci si possa presentare come divolgatissima.
Ma le falsificazioni han sempre un sostrato di verità. E la leggenda
dei privilegi ài Palermo s'appoggia per certo sul fatto della Colonia
Augusta che fu quiVi stabilita al tempo della dominazione Romana.
Che Palermo, caduta in poter de' Romani ebbesi la sua colonia
militare è noto a tuttì^ come notissimo è che T ordinamento di af-
fette colonie modellavasi su quello della città dominante. Cosi le co-
lonie avevano i duumviri che arieggiavano i consoli della Repub-
blica, i decurioni che ritraevan dal Senato, la plebe. I nostri eru-
diti del XV secolo passaron di sopra alla dipendenza delle colonie
dalla madre patria, non tennero in conto P importanza politica che
esse potevano avere, e sol perchè chiamaronsi repfMUche anco le
colonie, credettero in buona fede che la repubblica palermitana fosse
stata a suo tempo presso che indipendente. L'aquila romana fu
lo stemma di tutte le colonie , ed anziché segnale di autonomia ,
potrebbe prendersi piuttosto come testimonianza dello assorbimento
di tutte le singole personalità politiche in quel centro di unità fer-
rea che fu la dominazione romana. Del resto P autorità di Bartolo-
meo di Neocastro invocata non so quanto a proposito dall' Auria, c'in-
durebbe a credere die l'aquila palermitana provenga dalla domi-
nazione sveva e che Palermo come ct^ r^afeP avesse adottato (1).
Resta a dire del titolo di pretore assunto dal primo magistrato
della città. Sarebbe assolutamente fuori luogo il discorrer qui del-
(1) • Cani aulem otves ipsi de stata civitatis ipsius salubri disponerenl , nomen
• Romanae matrì» £ce1esiaa invocantes, statum commonem firmant, etTeiiTlam /m-
• pmali% aquiìae^ quod aemper ipsi cives consueverunt gerere ec. • Barth. i>e Neo-
castro Hiiioria ap. Amato de Principe tempio Panorm. pag. 510.
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DI UN DOGUMBNTO INEDITO 255
r origine e dell'autorità del pretore presso i Romani e della isti-
tuzione dei pretori delle provincie. Però importa rilevare che non
nel XV secolo, vai quanto dire air epoca del risvegliarsi delle tra-
dizioni romane, ma Qn dal 1320 il baitUo di Palermo assumeva il
titolo di Pretore. Di che ci è testinionianza una dichiarazione dello
stesso baiulo (I) nella quale si legge! « pridie restauratuh est per
« MB ET RESosGiTATUM de comilio tudicufìi UHiversitati8 nomen pre-
t TORis, et recessum a nomine bayulatt$s. • Quest^ atto porla la data
del 14 novembre IV indizione, che torna al I3i0, e quindi è a cor-
reggere lo sbaglio del Gregoria il quale, pur riproducendo il citato
documento (2), sulla fede dell' iinon^^i Chronicon Sicti/u/n (3) as-
serì che il baiulo di Palermo fu nominato Pretore nel i3ii, cioè al
tempo della incoronazione del re Federigo.
A parte le altre cose su esposte, il testé riferito documento prova
chiaramente che Ano al XIV secolo le tradizioni romane non si di-
menticavan fra noi, che anzi esse venivano risuscitandosi dal popolo
air ombra delle più larghe libertà comunali che gli Aragonesi ac-
cordavano alle siciliane città. E questo conservarsi delle antiche tra-
dizioni prova senza dubbio che la stirpe Ialina ,. lungi dallo estin-
guersi) come a taluno è piaciuto di credere, sopravvisse in Sicilia»
non ostante che sotto la musulmana dominazione fosse stata com*
pressa e quasi soffocata ; e ch^ essa risorta sotto i Normanni e già
forte sotto gli Svevi, si ricostituì legalmente sotto gli Aragonesi i
quali, come ognun sa, furono gli autori del definitivo ordinamento
municipale Siciliano (4).
L' importanza dell' argomento chiederebbe in vero più ampio svi-
luppo di quello che può avere in una semplice lettera. E come let-
tera la mia è già troppo lunga. Fo punto adunque, pregando Lei,
egregio Signore, a volermi scusare del fastidio che le ho forse ar-
recato, e ad accettare i miei cordiali saluti.
Palermo IS ottobre 1870.
Suo Dev**
Raffaele Starrabba
(!) Si veda ap. Testa Vita Reg. Frid. Monumenta pag. 233. Gregorio Conside-
raz. sulla St. di Sic. lib. IV cap. HE { 427. L' originale si legge nel Qualemuspe-
ticlionum anni pretentis IV e indieionis ec. Ms. deUa Bibl. Com. di Palermo, segnalo
Qq. F. 3J, fog. 18. (Questo Ms. non ò che un registro d'atti del Comune di Palermo).
(ì) Gregorio loc. cit., nota (23).
(3) Ap. Gregorio Biblioth, Aragon. Tom. H, pag. 216.
(4) Si veda in proposito Amari, La guerra del Vespro Sieiliàno (Firenze Le Mon •
nier 1866) Vul. L cap. 11 e specialmente la nota a pag. 15.
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LA FIAMMA E LA TITA
Non come fiamma, ette per forza è spenfR,
Ma, che per se medesraa si consame,
Se ne andò in pace Tanìma eonlenla
A guisa d*un soave e chiaro lume,
Coi nutrimento a poco a poco manca.
Tenendo al fin il suo usato costume
Petrarca.
il poeta paragona r eslina^ione della vita di Laura alla fiamma,
cui va mancando il suo nutrimento. Non di rado avviene , che il
presentimenlo d'un vero incognito ne precede la scienza. Seneca
piesenliva, che verrebbe tempo, in cui i posteri scoprirebbero le
leggi inalterabili dei movimenti dei corpi celesti, quando le straor-
dinarie apparizioni delle comete non sarebbero più i segni di si-
nistri avvenimenti. La forza di gravitazione, che domina in tutti i
corpi della natura fu un presentimento priachè la scienza ne in-
vestigasse le leggi. I rapporti tra la fiamma e la vita presentironsi
dai poeti pria che entrassero nel dominio della scienza. Che la fiamma
sia una immagine della vita è una verità si poetica» che fisica; poi-
ché i fenomeni della fiamma d'una candela , o d*una lucerna sono
somiglianti ai fenomeni della vita. I fenomeni fisici della fiamma
sono la lucentezza, la mobilità ed il calore, i quali decrescono come
va mancando la materia, che alimenta la combustione. La vita delPuo-
mo è una sorgente di calore come la fiamma. É bella, e mobile come
la fiamma nella crescente età. NelP età cadente decresce il suo ca-
lore; la pigrizia succede alla mobilità, al vigore della gioventiì , e
alle rosee guance della fanciullezzza succedono la fiacchezza,! ed il
pallore immagine di vicina morte L' analogia è più completa nei
fenomeni chimici. La fiamma per l'alta temperatura scompone Polio
0 la cera nei loro elementi elàmici, onde Torigine del gas idrogeno
bicarbonato. LMdrogeno combinandosi all'ossigeno delParia si con-
verte in vapore aqaeo; e le molecole di carbone montando nella
fiamma allo stato dlncandesceuza, le danno quella lucentezza, che
la rende si bella. AlP apice della fiamma, ove il calore è al maxi-
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LA FIAMMA E LA VITA 257
mum, decresce V intensità della lace, perchè spariscono le molecole
di carbone incandescenti, combinandosi alPossigeno delParia, onde
risulta il gas acido carbonico. Simili fenomeni ripetonsi nel pro-
cesso della respirazione che alimenta la vita; poiché mancando Tuna,
manca Paltra. Nella respirazione Tossigeno dell'aria ispiralo pene-
trando nei polmoni si compone chimicamente col carbonio del
sangue, e coir idrogeno della limfa, onde hanno origine Tacido car-
bonico ed il vapore di acqua, eh' espiransi. Che questi prodotti si
generano nella tlamma , e nella respirazione si dimostra coi se-
guenti esperimenti:
i. Si tenga un recipiente, che contiene frantumi di neve sopra
la fiamma d' una lucerna dalla quale sia distante due o tre deci-
metri. Bentosto la parete esterna del recipiente si copre di ru-
giada, ossia di vapore aqueo prodotto dalla combustione deirolio,
e condensato sulla fredda parete del recipiente. Se si espira sopra
la lamina di un temperino o di un rasoio , si vede la lamina ap-
pannarsi. Queir appannamento è un vapore prodotto nella respira-
zione, e condenzato dal freddo della lamina. Quella nuvoletta, che
spesso si vede uscire dalla bocca nel rigido inverno è vapore aqueo
condensato dal freddo delParia. L'enorme massa di carbon fossile
consumato dall'innumerevoli macchine a vapore in Manchester, e
in Birmigham versando una immensa copia di vapore aqueo nel-
l'atmosfera di quei luoghi vi ha reso più frequenti le pioggie.
2. Pongasi un capo d'un tubo ricurvo di vétro in comunicazione
coll'apice d'una fiamma , peschi l' altro in limpida acqua di calce
contenuta in un recipiente; si vedrà tosto l'acqua intorbidarsi, as-
sumere un color latteo, e una sostanza precipitarsi al fondo. Quel
precipitato è un carbonaio di calce risultante dalla chimica x^ombi-
nazione tra la calce disciolla, e il gas acido carbonico, eh' è' uno
dei prodotti della fiamma.
Un effetto simile si produce espirando in un tubo che pesca nella
limpida acqua di calce. Vi è dunque produzione di acido carbonico
nel processo della respirazione. Faraday calcola sette oncie il car-
bone, che un uomo nella respirazione consuma in 24 ore, settanta
oncie quel che è consumato da una vacca, e 79 quel che consuma
un cavallo. La combustione di quel carbone negli organi della loro
respirazione mantiene il loro calore animale, ossia quel calore co-
stante, senza il quale si spegnerebbe la vita; calore indipendente
dal calore meteorologico dell'atmosfera , che varia negli animali a
sangue caldo, rimanendo costante negl' individui della stessa specieu
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258 NDOTE EFFEMERIDI 8IGILUNE
Marayigliosa e la qaantilà di gas acido carbonico che per la respi-
razione si diffonde nelPatmosfem. Nella sola Londra la massa di a-
cido carbonico prodotto dalla respirazione in 24 ore si calcola 548
tonnellate. L^aria diverrebbe mefetica se quelPacido carbonico non
fosse assorbito dalle piante, che se ne assimilano il carbone, e n^e-
mettono T ossigeno sotto razione della luce. Quel cangiamento
dunque del gas ossigeno in acido carbonico a noi si nocevole, poi-
ché Pistessa aria non può respirarsi due volte, è la vita delle piante
e dei vegetabili, che ritraggono il carbone dall'atmosfera, la quale
lo riceve da noi in forma di gas acido carbonico; cosi per le leggi
della natura esiste un reciproco legame tra la vita delle piante e
degli animali.
Dair esposte osservazioni s'inferisce una completa analogia tra i
prodotti della fiamma e della respirazione. La combustione , ch^ ò
lenta nella respirazione, è rapida nella fiamma.
Si spegne la fiamma se manca l'alimento , o se si carbonizza il
lucignolo. Si spegne la vita se viene meno l'ossigeno , o si altera
profondamente il meccanismo dei pulmoni, ch'esercita le funzioni
del lucignolo della vita. Dall'analogia tra i fenomeni della fiamma,
e della vita non è da inferirsi, che si conosce la vita al pari, che
la fiamma. La fiamma è un fluido gassoso combustibile, ed incan-
descente; la sua forma conica è un effetto del crescente calore nel
fluido gassoso che monta , e delle correnti di aria rarefatta , che
ascendono da tutti i lati del suo perimetro. Si conoscono dunque
l'essenza e la forma della fiamma. Ma chi mai conosce V essenza
della vita degli animali, non che delle piante ? Bssa è un mistero,
ed uno scoglio in cui va sempre ad infrangersi l'orgoglio dell'u-
mana scienza. Or se debbonsi tener come sacri i misteri della na-
tura per non perderci in vane ipotesi , ed efimeri sogni , perchè
non devono venerarsi i misteri della religione figlia del cielo ?
G. \jO Cicbro.
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DI T. GIUNIO CALPURNIO
E DI TRE SUOI VOLGARIZZATORI
I.
Quando di quesli giorni ebbi veduto il volgarizsamenlo che delle
buccoliche di VirgiKo, Nemesiano e Calpurnio pubblicò a Genova
U sig. Iacopo D^ Oria, non lieve maraviglia mi giunse leggendo at
pag. Xll^ che la sola versione a lui conosciuta deiregloghe calpur-
Biane fosse quella del patrizio Giuseppe Farsetti, stampata a Vene-
zia nel 1761. E con affetto mi rìsovvenni di quell'egregio uomo
che fu U prete Antonio Pàscoli di Ravenna, culto per isquisite let-
tere, amabile per bontà di core; il quale, a me suo compagno
nelle visite giornaliere che in Bologna di state facevamo al com-
mendatore F. Zambrini nella dilettosa ed ariosissima villa di Val-
scura, ripetevami con accentuate parole quel notissimo « habent sua
fata Ubtìli • e questo egli dicevami non senza ragione, quando di
taluni lavori pubblicati in Romagna, provincia feracissima d'ingegni,
venivami parlando ; o che io delle cose siciliane con lui favellassi,
e più d'una volta dei traduttori di Calpurnio, ignorati anzi non pe-
netrati in quelle provincie. E parendomi che il ricordar qualcuno
di loro fosse opera non pure degna di lode, si ancora profittevole
agli studi , verrò dicendo qualcosa su questo bucolico siciliano , e
sui due siciliani volgarizzatori ed un terzo genovese, paragonandoli
alcun poco tra loro sine studio et ira.
II.
La buccolica poesia è oggidì caduta , aè parmi possa ritornarle
tempo nuovo di vita se non ringiovanendola si come deir idillio fe-
cero il Alonti, il Leopardi, il Carrer, e il Mamiani : però V ideale
di essa vive e vivrà nella mente e nel core di ogni uomo; che non
sempre nei tumulti delle passioni, nelle lotte asprissime di parte,
nel trionfo dell' intrigo, nella baldanza degli scimuniti può riposarsi
e adirarsi l' intelletto ; che anzi a fuggir tanta noja , o meglio ne-
quizia, si ricorre avidamente alla tranquilla serenità dei campi, al-
Poscuro viale delle pergole, ai greppi solitaria per rinvenirvi quella
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260 NUOVE RFFCMERIDI SICILIANE
pace, che la turbolenza umana invidia alle città. E quesl' ideale fu
agli antichi così caramente diletto, che Virgilio non seppe di altra
guisa imaginare il luogo ove dopo morte stanno le anime degli eroi,
se non dipingendo una scena campereccia qual si addice alle egloghe,
poetizzando nel sesto delPEneida al verso 673.
Nulla certa domus; lucis habitamus opacis^
Biparuinque toros, et prata recentia rivis
Incolimus.
E r anima afTettuosa del mantovano, che aveva provato i rigori
della fortuna, ben seppe ritrarre nel canto pastorale quella tranquil-
lità, che sola tempera i disagi della vita, T agonia dell'ingegno. Ma
egli non superò punto il siracusano Teocrito, che Tarte fu da lui
messa solo nella venusta semplicità della forma, non sempre nel-
r ingenua grazia del pensiero ; e chi guarda più attentamente ve-
drà che Calpurnio peggiorò il difello virgiliano, spintovi forse dalla
condizione del tempo in cui visse; e dallo ingegno che non ebbe
né ardito come Teocrito, né soavemente ra^sto come Virgilio.
III.
Gli studi che eccellenti ingegni hanno consacrato a Calpurnio,
mi concedono eh' io me ne passi alla lesta. Però siccom' egli av-
viene spesso che gli ammiratori esaltino fuor di misura, e i de-
trattori dican roba da chiodi senza misericordia; io penso che il
giusto mezzo sul merito vero del siciliano bucolico stia in questo:
eh' egli ha versi numerosi, i quali non so come invitassero al sonno
r acerrimo Giulio Cesare Scaligero; ma non elegantissimi sempre
nella forma, anzi più volte quella luce mite, che l'innamora in Vir-
gilio, è nel nostro uno splendore abbacinato. Ncilla invenzione ei
seguita il mantovano e il siracusano, ma non li avanza giammai per
la sentenza verissima del Buonarroti, che disse, non andar punto in-
nanzi chi si mette dietro alle pedate altrui. Forse l'unica egloga,
che non è plasmata secondo norme tolte ad altri poeti è la settima,
dove si canta di una festa data al popolo romano da Carino, e ri-
cordala da Flavio Vopisco nella vita di questo Cesare; la quale egloga
con tutto che poco sia accetta al Wernsdorf, pare ad altri critici
un'ingegnosa invenzione; ed è stata ragione di studi gravissimi a
parecchi dotti, grandissimo tra i quali Scipione Maffei. Ma una nota
più vera è a farsi, alla quale pochi han posto mente: Calpurnio, come
ogni altro scrittore, non seppe guardarsi, né del tutto forse avreb-
belo potuto, di seguire l'andazzo del tempo suo, nel quale la filo-
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DI T. GIUNIO GALPURNIO 201
sofìa cominciava a pigliare aulorità sulParte; e noi vediamo i pastori
ora in un modo, ora in un altro mostrarsi più di fllosofìa sapienti,
naturale o speculativa che fosse, anzi che amorosi di quelle rusticane
faccende, di quei ludi pastorali o qualcos'altro di simile, che dovrebbe
essere argomento più acconcio alle ispirazioni buccoliche (I). E) que-
sto non so che di arcano e di chiuso, quest'aura di mistero, que-
sto pensiero latente, fece che il nostro poeta fosse ai tempi di mezzo
studiato ed esaminato; come forse più innanzi ci occorrerà ancora
una volta accennare.
IV.
Dei tre volgarizzatori calpurniani dei quali parlerò due vivon tut-
tavia; (e Dio li prosperi di sanità) uno. il più amoroso forse nello
studio del buccolico latino è passalo da trentanove anni; e la me-
moria di lui vive solo tra pochi che pregiano tuttavia gli studii da
lui coltivati. Non dispiaccia ai leggitori di queste Effemeridi che al-
cuna cosa io ne ricordi , e che traggo da uno scritto di Agostino
Gallo, benemerito davvero per Pamore da lui messo nelle cose si-
ciliane ; e che è la sola ricordanza che abbiamo di Gaetano Fuxa.
Il quale nasceva in Palermo da Casimira Salerno e da Gaspare
nel 176i; e studiò lettere umane sotto Domenico Salvagnini di Pa-
dova, venuto tra noi col Palese suo concittadino e col Valesio e Lo-
doh di Siena dopo il 17:^8, quanto nobilissima gara di studio mosse
i padri teatini a scemare la supremazia che nello insegnamento a-
vevano ottenuto i gesuiti (i). Quanto si piaceva degli studi, e in
essi avanzava con lode, tanto la sorte gli si faceva contraria; spe-
cie dopo la morte del genitore ; che la madre, cui rimase la cura
dei tìgliuoli più che a Gaetano attese a provvedere i due altri fra-
telli uno maggiore, minor Paltro al nostro. É incredibile con qual
animo soffrisse i colpi deiravveisa fortuna; e come i pochi risparmi,
possibili in tale strettezza, egli mettesse in compra di libri, (3) nello
studio dei quali trovava alcun sollievo ai penosi travagli della vita.
Mi passo di quaich' altra notizia, che mi allontanerebbe parecchio
dal mio proposito ; e dirò solo ctAi'ei morisse avanti di veder pub-
(1) V. neirEgl. 8 il canto di Tìmeta; la 5 é poi didascalica, e l'argomento pare
dedotto dal 3* delle Georgiche.
(2) V. Scina' Prospetto di St. Leti, di Sicili;i, pag. 12 Palermo, 1860.
(3) Son degne di nota le parole con le quali il Fuia chiude la prefazione • posso
ìngenuamenle confessare per questi miei studi non mi essere stato apprestalo giam-
mai alcun aiuto né privato né pubblico. • Veggosi sulle sue sventure la noia 9. al-
r egloga terza.
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262 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
blicata la saa versione calpurniana ; e lasciasse manoscritta P altra
delle poesìe tiballiane, che conservasi nella Comunale di Palermo;
al certo lavoro non molto degno delle squisitissime grazie delPele-
giaco romano.
y.
Ed ora tornando là onde ebbi prese le mosse, vengo ai tradut-
tori calpurniani. E tacendomi del Farsetti» e del Biondi, che soltanto
conosco di nome; e dell'egloga prima volgarizzata da Alessandro
Marchetti, che per essere sola non può pigliar luogo in questa mia
disamina; dirò sotto brevità della versione del Fuxa (1), di quella
del Chindemi (2), e delP ultima del D' Oria (3); permettendomi una
qualche dimanda prima di parlar di loro più da vicino. E anzi tutto
non so concedere al D' Oria ch'egli tuttavia divida le undici eglo*
ghe tra Nemesiano e Calpuruio ; divisione venuta con la stampa
parmense del 1493, per cura deirUgoleto, e copiata parecchie volte;
che, pacandomi di altre autorità, dopo quel che disse Giovan Cri-
stiano Wernsdorf nel volume secondo dei suoi Poetae kUini mi-
nores, e ribadi il Beck curatore ed annotatore zelante dell'egloghe
del nostro, come ne è prova la edizione di Lipsia del 1803 , non
credo sia più a prestar credenza al famoso manoscritto che Tad-
deo Ugoleto recò di Germania ; e che tolse al siciliano quattro e-
gloghe per darle al cartaginese. E mi fa specie ancora più pen-
sando come il D*Oria. già si ben nolo per altri lavori di studi clas-
sici, senza una qualche ragione, che io sconosco, non poteva esser
tratto in inganno cosi facilmente. Ma che che si voglia di ciò un'altra
dubbiezza mi sorge in mente che non si può di leggieri risolvere:
le testimonianze che ci rimangono in lode del buccolico siciliano
sono tali da farlo avere in pregio agli studiosi, sì come lo tennero
i nostri maggiori ; e vi fu stagione in cui V egloghe di Calpurnio
furon lette nelle scuole da professori dottissimi, e di questo ce ne la-
sciò memoria Lilio Gregorio Giraldi al dialogo quarto della sto-
ria dei poeti. Or come mai d' un poeta si illustre , cosi sapiente-
mente annotato, per oltre quarantasei volle riprodotto per le stampe.
(1) Egloghe di T. Giuiiio Calpurnio iradotte da Gaetano Faia e dal medesimo
eorrette ed iUuBtrate, in Palermo presso la Reale Stamperia, 4831. {eoi lesto).
(1) Bnceolica del siciliano Tito Calpornio, versione del Prof. Salvatore Chindemi
Catania, dai tipi di Pjetro Giuotini, 1844 (col letto).
(Z) Le Bucoliche di Virgilio di Nemesinoe Calpurnio volgariziate da Iacopo D'O-
ria, Genova co* tipi del R. I. de* sordo-muti i863.
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DI T. GIUNIO GALPURNIO 263
non se ne hanno che cinque versioni , mentre innumerevoli sono
quelle del mantovano ? Non tacerò che la nettezza del colorilo» il
numero soavissimo del mantovano abbiano invogliali parecchi; ma
a chi ben guarda, cinque volgarizzatori son poca cosa» e qualche
ragione dovrebbe trovarsi. QuaPessa siasi non dirò io già in que-
sto scritto : forse non è lontano il tempo, in cui ne potrò più lun-
gamente discorrere. Ora passo ai traduttori , e prego a voler cre-
dere che né ira né amore di parte mi muovono a signiflcare l'o-
pinion mia, qual'essa siasi, più al Fuxa favorevole , che ai due e-
gregi e valorosi viventi. È pur vera' cosa che il verso del Fuxa
non va cosi limpido e netto come avrebbe potuto, e qualche volta
dovuto ; che talune fiate il saper della imgua non é gradevole , e
ci senti un che d' incondito che non é graziosamente italiano: é ve-
rissimo ch^ ei non diede allo sciolto quella giacitura spontanea e
quella varietà ond'ei ti piglia aria più poetica, e un fare più spigliato:
ma entro a quel non so che di rude, o di non ben levigato tu ci hai
più da vicino il nostro buccolico, che po^ poi non sarà, credo giam-
mai in gran lode per pregi così fatti; e mi pare in fine che il Fuxa,
cosi malmenato dalla fortuna, abbia meglio che i due altri sentito
e signiflcato il poeta, il quale di sé stesso cantò :
Frange, puer, calamos, et itianes desere musas;
/, potius glandesy rùbìcundaque coUige cornu^
Due ad mulctra greges^ et lac venale per urbem
Non tacitus porta. Quid enim libi fistula reddet
Quo tutere famein f certe mea carmina nemo
Praeter ab hìs scopuUs ventosa remormurat echo.
Egloga, IV, v. 23.
Altri ben altre mende nolo in questa versione : noi le saltiamo
però che non il minuto ma P intero ; non un errore parziale ma
il beninsieme guardiamo; e questo mi toglie dal debito di troppo
sottili avvertenze.
Secondo tra i volgarizzatori siciliani é il prof. Chindemi^ che mi-
sesi all'opera, per consigli e conforti avuti da due illustri uomini
il Gargallo e TAvolio. Piacemi riferir di lui alcune parole, che sono
a pag. XXXIV , con le quali egli parla del Fuxa: t questo grande
« uomo, che sostenne tante fatiche e spese per far cosa gratissima
• alla Sicilia e alla patria, resta ignorato, non ha avuto nò spaccio
« né fama; se non lo raccomanda ai lettori la versione , ben però
« lo fan meritare le noie, e le grandi illustrazioni che vi ha fatto;
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264 NUOVE EFFBllERfDI SICILIANE
t a cqì protesto riconoscenza e ammirazione, che voglio conoscano
« i miei lettori. » Parole queste che davvero onorano Tegregio uomo
che ie scrisse; e turbano di dolore non poco chi venera la memoria
del Fuxa , già quasi ignorato tredici anni dopo la stampa del suo
eruditissimo lavoro Ut Ma vengasi ad altro.
La poesia del Chindemi ha pregi e difetti, come di consueto ogni
umano lavoro : egli omise io sciolto , e diessi alla rima ; ma non
parmi che felicemente riesca. Fervido nello amore dei classici, pia
che dalla ragione lasciasi non di rado sospingere dalP affetto ad u-
sar voci, che sciuperebbero anco una bellissima scrittura; che non
credo sia delizia poetica il numine (pag. i\) il prof erre (23) le noci
viridi: (27) nò il veliera piacerà ad alcuno fatto italiano in caprie
chiome, (25) né il languentes herbas vedrassi di lieta voglia in er-
bette rionale, (25) né il sitientes hortos in orti rifimti; (29) né il
clivoslene jacenles in quel verso: e dolcemente pendianti {t) divi (93).
E per l'assonanza spiacciono ancora non pochi versi, come ca-
vezze la cavalla; (9) intento io stava stupidamente rimirando; (93)
coglieva Fior nella valle del vezzier vicino; (409) ed altri molli. Né
alcuno loderà il Chindemi di quel verso: Spieghi U fronte a spe**
serena; (129) né di questa trasposizione: visto aWovil fu pendere; (41)
né del costrutto della prima stanza dei canto d'Ida a pagina ili;
né alcuno tradurrà : satus aethere, haec 'populis ventura cano , in
germe, divin, celeste, questi futuri sovveniri ai popoli io canto. Dor-
rebbemi senza flne se l'onorando uomo si avesse a male queste
mie parole; ma io vi son tratto da dura necessità; né egli, che avrà
di certo ripulito il suo lavoro giovanile, statogli compagno negli
anni delP esilio, tardi a darcene una seconda edÌ2Ìone, ove sieno
scomparse queste maccatelle, a decoro del suo nome, e del poeta
latino; il quale anche, trj tante cose verissime, disse dei suoi versi
nell'egloga 4, v. 14-15.
mea rusticitas, si non valet arte polita
Carminis, et certe valeat pietate probari.
Ultimo é in fine il D'Oria, che imprese le sue versioni per puro
piacere, non già col pensiero di darle aUa luce; (pag. XIII) e cedette,
ciò facendo, al desiderio degli amici, che a veder mio non lo in-
gannarono. Egli preferì il verso rimato allo sciolto; quantunque altri
avrebbelo consigliato altrimenti; né in cioè a maravigliare: quando
Io Strocchi pubblicò la georgica virgiliana in isciolti, tutti i buoni
avrebbonla voluta in terza rima , metro a lui acconcissimo , se si
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DI T. GIUNIO GALPURMO 265
guarda la mirabil versione di Callimaco; e tutti volevano lo sciolto
e non i terzetti nella georgica medesima fatta italiana dal marchese
Luigi Biondi. A me pare che il pubblico altro diritlo non abbia
fuor quello di aver cosa buona, e non iscempia e balzana; tutt'altro
sì lasci alta coscienza degli aulori. E il D'Oria ha fatto meglio che
non abbìan fatto il Fuxa e il Chindemi; che ha dato una veste i-
talianamente bella al pensiero calpurniano ; e i versi sono fluidi ,
netti , e molti di essi torniti proprl«) stupendamente. Se non che
parecchie volte ei vela Timagine del suo esemplare ; la ripiega a
giaciture che non sono nel latino; sfrondala qualche poco, o la colo-
risce di alcuna tinta più soave, più cara, e se vuoi ancora più poe-
tica; ma allora siamo alla rifazione, non più alla traduzione; la diffi-
coltà della quale , a dirla nettamente , a me pare istia in questo ,
che per quanto T indole delle due lingue il consenta non ci sia
imagine, non detto, non forma che non appaja in amendue ; e il
Chindemi e il D'Oria a volle falliscono a questo solenne precetto
delParte. Laonde non son pochi, io mi penso, coloro , cui maglio
riusciranno grate le negligenze del Fuxa, che gli splendori del D'Oria;
al quale non plaudiamo certo per lo sdrucciolo usato nella egloga 3,
spiacendo questo sgradevolissimo metro nelPegloghe del Sannazaro,
nelle comedie delPAriosto, nelle stanze del Mazza, del Gargallo, ecc.
Del resto anco il d' Oria ci avrà avuto il suo gusto, e ne sarà ri-
masto contento; e ciò sia meglio per lui. I leggitori gli sapran gra-
zie più delle ottave , che delle terzine o slegate Iroppo , o sover-
chiamente strozzate.
VI.
Qua giunto a me toccherebbe mettere innanzi uno o due luoghi
di Calpurnio, e con esso paragonar le versioni dei tre, per vedere
se bene o male siami apposto nel mio giudizio; però volentieri me
ne passo; che non parmi sano criterio il pescar due brandelli ove
il Fuxa fosse meglio degli altri riuscito; o alP incontro ove costoro
avesser fatto più bene clrei non seppe. Né poi le mie osservazioni
toccano alcun luogo preso in isola, sì bene Pintero volgarizzamenlo;
e per ciò penso faran meglio coloro che, a sburgiardarmi, tutte in-
tere confronteranno quelle versioni col testo; che almanco cosi qual-
cuno guarderà certi libri /che fan venire lo stomachino ai leziosi
sapientoni in giubba di oggigiorno. Qual prò , qual vantaggio alle
lettere da questi confronti, da queste Iraduzioni? Nulla e molto:
chi si mette a si fattf studi per ismania di parer saputo non ci gua-
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266 i^UOVE EFFEMEBIDI SICILIANE
dagnerà un" acca: chi però guarderà in essi come la storia del pen-
siero si manifesti , anco sotto diverse apparenze , sempre lucida e
netta ^ vedrà che senza Virgilio non avremmo avuto Calpurnio: il
primo latinizza il pensiero di Teocrito, come questi forse seppe trar
vantaggio infinito dai canti di Slesicoro. U distanza di tempo che
separa il mantovano dal siculo dei giorni di Caro fu ricca di di-
verse nuove apparen/.e o piegature onde pigliò abito il canto pa-
storale: Tibullo, Properzio, Ovidio, Stazio ed altri ci han dato scene
di poesia buccolica eccellente, quantunque non mai con intendimento
di essere cantori di carme buccolico, che si esplica nella sua vera
forma col nostro Calpurnio. ti quale giovandosi di ogni modo o nu-
mero usato dai migliori che lo precedettero, o che facesse al suo
bisogno, ci viene innanzi non con la veste linda dei tempi di Me-
cenate; ma con la sdrucita di quelli di Caro, quando irrefrenata era
la tracotanza dei pretoriani , e troppo vicine le minacce dei bar-
bari. Egli aveva in Virgilio un modellò , perfetto ancora neir alle-
gorìa ; e di questa si giovò a compiangere le condizioni della u-
mana famiglia, quaPera mentre ei visse; e a far conoscere alcun
poco le sue. E quest'allegoria piacque, come tutti sanno, nell'evo
di mezzo, e fu veste prima dei buccolici : Petrarca e Boccaccio se
ne servirono neir egloghe che pur ci avanzano; Dante nelle due con
le quali rispose a quelle di Giovanni de Virgilio ; e mi pare non
ne difettino quelle men conosciute , ma pur degne di esserlo, che
dettò Albertino Mussato, ingegno austero e magnanimo. Chi vorrà
guardare nei secoli successivi si stancherà di quelle latine del San-
nazaro, e delle italiane del Rota: vedrà che questo dialogo pastorale
piglia altra forma coir Aminta del Tasso, e il Pastor fido del Gua-
rini; e che langue e sonnacchia nelP infinita caterva dei drammi pa-
storali del secfuto; e si risveglia ancora una volta rigoglioso di vita,
splendido d*ogni ingenuità campestre^ odorato di ogni grazia, e fre-
schezza con la musa divina del nostro Meli, perchè questo ciclo si
compisse per un cittadino di chi avevalo cominciato. Nei tempi ro-
mani Tegloga fu bisogno della mente; in quei di mezzo strumento
air allegoria ; nei successivi lascivia di arte, e sfarzo di imagini.
Torquato la rianima, ma grimitatori l'insozzano : Meli la ritrae dal-
l'abbandono, e dalla turpezza, e ce la rida bellissima nella venustà
delle sue forme; quasi una statua di scalpello greco, disseppellita
dai ruderi di qualche tempio antico, perchè ricordi altra volta gli
esemplali di ogni più bella perfezione.
Ugo Antonio A meo
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U SICILIA E U SU CIVILTi
LETTERA AD AGOSTINO GALLO
Pregiatissimo Signore,
A renderle del libro donatomi quelle grazie che credo degne di
Lei veramente, Le dirò che la cura posta in dar a conoscere la
vita e .L li scritti del Cerretani, dimostra la troppo indulgente bontà
deir animo suo, e conferma alla Sicilia la bella lode di terra ospi-
tale. A ospizio, non sempre gradito ella accolse da antico stranieri
diversi ; e fu cotesto contemperamento di sangui e di tradizioni ,
che diede alla nazione siciliana si grande potenza, facendola essere
insieme più nazioni; ma fu cotesta commistione stessa ^ in quanto
non preparata e non digerita, cagione di guai.
La civiltà dorica col suo vigore severo fece riparo provvido al
clima meridionale e agl'influssi africani: il patriziato romano e l'im-
pero non potevano intendere la Sicilia se non in modo letterario
e quasi accademico, la smunsero, la involarono a sé medesima; non
però tanto quamo la incivile mollezza asiatica più che libica, la
qual dissipò le divine ispirazioni dello spirito cristiano. Nel suolo,
e cosi negli ingegni, la soprabbondanza è il pericolo della fecon-
dità; e dal superfluo all'eccesso, cioè dalla forza non ben gover-
nata alla debolezza, è leggiero il trascorrere. Quindi la pendenza
che gl'ingegni siciliani hanno, come gli asiatici, verso la moltilo-
quenza per quel ch'è delle parole, e verso le dottrine panteistiche per
'quel ch'è delle cose; pendenza che le menti migliori hanno ben saputo
vmcere, massime ne' tempi migliori. La Sicilia, siccome aveva bi-
sogno in antico d' essere terra greca, ha cosi più che altre terre,
bisogno d' essere cristiana, per potentemente svolgere e diffondere
alle altre parti della nazione la propria italianità. Gli elementi stra-
nieri, a lei incorporati, ella deve saper convertire in propria na-
tura, e far che uno prevalga, prevalga il migliore: né tale certa-
mente era T arabo, né poteva essere il francese quanto alla lette-
ratura e alla fliosofla, né potrà diventare il tedesco.
E appunto perchè la civiltà trapiantata da una corte pomposa-
mente imitatrice e seminatrice di scandali religiosi, non si naturò
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2<$8 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
alla Sicilia, coloro che furono per poco primis diventarono in breve
uliimi, se si crede al Petrarca. Le parole che leggonsi nel suo Trionfo, ^
il conte Giulio Perlicari stampò trìonfalmenle in lettere maiuscole,
per dare un maiuscolo schiaffo ai Toscani , intendendo: Voi siete
ora da sezzo^ e noi primi, noi conte Giulio, e altri conti di lombi
0 dì cervelletto, cioè a dire naturalmente e artificialmente abbor-
renti dalla ignoranlissima sgrammaticatissima vilissima plebe. Ma io
non credo in tutto né alla lode né al biasimo; e alla esagerata lode
imputo il biasimo esagerato. Del resto io credo la grande isola ge-
nitrice d^ assai nobili «ose, senza far lei donatrice airitalia della sua
lingua; la quale da documenti irrecusabili appare essere nata a ve-
nirsi svolgendo, dove più dove meno, in tutte le regioni d'Italia^
ma in Toscana nel modo più uniforme e più schietto, cioè men
difficilmente accomodabile a tutti i bisogni della civiltà nelle di-
verse magioni della iialiana famiglia.
La lode attribuita »lle lettere siciliane concerne non la materia
della lingua, ma il più eletto modo del sapei la adoprare; del qual
modo r artificio si sperse, tolto via quel centro politico il quale non
poteva, per molle ragioni, durare a luogo. Quanto alla semplice ma-
teria, farebbe opera e onorevole alla Sicilia e fruttuosa alla storia
letteraria e civile e filosofica dei popoli tutti, chi sopra i documenti
compilasse un gran dizionario della italianità sicula, incominciando
dagli atti dei tempi barbari, e procedendo alle iscrizioni e alle opere
e ai canti in dialetto, determinando i luoghi e i lempi delPuso vario
di ciascun vocabolo, di ciascuna locuzione , acciocché da ultimo se
ne deduca la proporzione che corre tra le origini italiche e le arabe
e le greche e le puniche; e veggasi dove il siciliano appaia più
ricco, dove meno, degli altri fraterni idiomi. Ne riuscirebbe, io cre-
do, una lode a esso più propria che ad altri, e comune col toscano
del pari, o inferiore di poco; che in essi due i modi convenienti
alla dicitura più nobile sono o più popolari o più facili a divenir po-
polari, sia in virtù della civiltà connaturata a^ due popoli, sia per le
ingenite disposizioni dei! li animi e delie menti.
Ma in questa troppo malmenata questione della hngua, conviene
discernere nettamente tre cose, le forme grammaticali, il corpo dei
vocaboli ciascuno da sé, T estetico e logico loro congegno, che fa
della lingua una creazione continua, arte e scienza. Ne' due primi
rispetti, nazione che voglia avere una lingua, e non gerghi a tra-
stullo anzi a insidia, deve accettare una medesima norma di desi-
nenze, nominare una cosa con un pome, lasciando andare i voca-
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LA SIGIUA E LA SUA CIVILTÀ" 269
boli che dicono per l'appunto il medesimo senza varietà nò d'im-
magine né di sentimento; ma poi nelle frasi serbare ciascuno a sé
r intera libertà, non soggetta a altre leggi che quelle del senso co-
mune, leggi che non s'apprendono né dalle grammatiche né dai
dizionari, né dallo studio di tali o tali scrittori, di tale o tal dia-
letto. L^aver cose da dire importanti, e il desiderio onesto d'im-
primerle nell'animo e nella mente di molti; ecco del ben parlare
e del bene scrivere i più veri maestri.
Hi rammenti alla famiglia Musmeci; e mi creda.
14 Giugno 70 Fir.
Suo dev.
Tommaseo
CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE DI PALERMO
FATTO NEL 1479
Sa Ognuno come in Sicilia il costume dei censimenti della po-
polazione sia di antica data, e che la città di Palermo (come anco
talvolta Messina e Catania) non andasse compresa fra le numera-
zioni d*anime anteriori a quella del 1796.
Ma ciò che T autorità governativa non avea poter di fare nella
metropoli del regno di Sicilia, faceasi dal Senato, ossia dall'auto-
rità municipale; e difatti gli scrittori di cose nostre ricordano pa-
recchi censimenti parziali della popolazione delia nostra città, ope-
rati talvolta contemporaneamente a quelli che dal Parlamento or-
dinavansi e dalla Deputazione del Regno eseguivansi per tutte le
città e terre del regno medesimo (i).
Il più antico censimento che si conosca é quello del 1501, fatto
sotto il governo del viceré Giovanni Lanuza. La popolazione del-
l' Isola, dice il Mongitore, fu trovata essere 488,u00 anime , meno
gli abitanti di Palermo, Messina e Catania. Ha in un libro di varie
memorie scritto a penna (soggiunge HI citato autore) leggesi che
(1) V. in pioposil&MoNGiroRK, Parlamenti generali del Regno di Sicilia. Palermo
I7i9, tonfi. I, pag. 88, — e i Diari della cillà di Palermo. Ivi, !869, lem. I, pag. 201.
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270 MUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
fti carburato Mora Palenno per anime 25fi00^ MesriìM e stwi casali
31,385^ e Catania 14,261; in tutto queste tre città 70fi46, che uniti
dia somma di 488,600 fanno 659^46 (I).
L'avv. FraDcesco Maggiore-Perni nel suo erudito Saggio storico-
statistico sui censimenti della popolazione ecc. (2) assicura di aver
tentato infruttuosi lavori nelParcliivio del Comune per trovar delle
notizie sui nostri censimenti onde poterle aggiungere a quelle che
note erano per precedenti pubblicazioni. Ben più fortunato del mio
egregio amico, io sono in grado di offrire agli studiosi di cose si-
ciliane il censimento della popolazione di Palermo fatto nel 1479,
da me rinvenuto nel medesimo archivio del Comune e propria-
mente nel registro d'atti, bandi e proviste delPanno XII* indizione
1478-79, a fog. 24.
Ceco, pertanto, il documento:
Die xviiijo iulii xije indictionis
mo Cecco Ixxviiijo
Lu memoriali dato per li magnifici signuri officiali , preluri et
iurati di la felichi chitati di palermu alu illustri signuri precedenti
(il presidente del regno, ch'aera allora Gian Tomaso Moncada conte
di Adernò) di li masunati. genti et municioni et armi dita dieta
chitati per causa di li novi di lu turchu (3).
in primis
li focura m cxviiij {sic)
videlicet
vij
la chitati di lucassaru(doéiar/r(àt7ecrAta) focura e xvij
(1) Op. cil. pag. 89.
(2) V. Statistica della città di Palermo — Censimento della popolazione nel 4861
pubblicato dall* Ufficio comunale di Economia e Slatislica. — Palermo, Lao, 1865. —
Introduzione, pag. cu.
(3) Nello slesso registro ho trovato l'alto seguente che giova qui soggiungere:
die TÌij* iunii xij* iiidictionit
• Quia illuslris presidens per suas provisiones datas in urbe panormi quinto iunii
xij« indictionis exortalur et mandai magnificis pretori et iuratis quod dieta eivìtas
panormi debeai muniri prò defensionc hostium et maxime magni teucri (sic) de
quo dicitur quod ordinai roagnum oxercitum, propterca per ipsos raagnificos pre-
torem et iuratos fuit provisum quod describantur omnes homines et mulieres urbis
prodictc, arma, et equi; quc doscriptio fieri debeat cum omni diligentia et sollicitu-
dine per ipsos magnificos, una cum aliquibus civibus per co» eligendis de quolibet
quarterio. •
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CENSIMENTO DI PALERMO NEL 1479
la aibergaria {lo stesso rione che porta oggi
tal nome) focara
chivalcadi {seralcadi, parie dd mand. Monte
271
m e ij
Pietà) focora
la yalcza (la Chalza, parte del mand. Tribu-
nali) focura
la coDciria {parte del mand. Castello a mare)
focura
la iodeea {parte superiore del mand. Tribu-
nali) focara
li animi
li homifìi di fari faclu
li spati
armi blanki
lanczi {lande)
brockeri {brocchieri)
chilali {celate)
coperti di cavallo
tarkecti {targhette, o piccole targhe)
coyraczi {corazze)
cavalli
balestri
lamenti
bonbardi
spingardi
VIJ
e xxij
me XXV
VIJ
e XX
V
c xxiij
XIV
m xij
vj V
m e Ixxxxj
ij vij
m e xxxxviy
Ixxxxvg
iij ij
m e V
e Ixxiij
uij
c xxviiu
xxxxiig
mcxxxv
e Ixxxxviiij
viij
c Ixviiy
viiij
e XXXX
Ixxj
xxxviiy
Ix^
Stando alle notizie dateci dal citato Hongitore , gli abitanti di
Palermo nel 1501 ammontavano a 25>000; e tanti erano eziandio,
secondo il nostro documento, nel 1479. Donde è a dedurre che da
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272 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
quest'ultimo anno sino al 1501 la popolazione non ebbe a subire
aumento né diminuzione. E son quindi inesatte le notizie raccolte
dal Maggiore Perni {ì\ secondo il quale la popolazione nel XV secolo
avrebbe toccato i 405,000, e nel 1501 sarebbe diminuita a 49,000.
All'epoca del censimento di cui favelliamo^ i fuochi erano 5119,
0 piuttosto (correggendo un errore attribuibile all'amanuense) 5109.
Nel 1548^ secondo il Fazello (2), essi ammontavano a 15,000 ; tra
l'una e Tallra cifra vi è quindi una differenza di presso che due terzi,
differenza che si spiega agevolmente avuto riguardo al lungo intervallo
che divide i due censimenti. Notisi intanto che nel lessico topo-
grafico di Vito Amico (edizione originale, voc. Panormus) la cifra dei
fuochi del 1548 secondo il Fazello con evidente errore tipograQco,
ripetuto nella traduzione italiana, è ridotta a i500.
Gli homini di fari factu sono , a mio parere , gli uomini atti a.
portar le armi. In buono italiano fare fatto significa operare^ e far
fatto d* arme importa combattere (V. Tommaseo , Dizionario della
lingiM italiana, tom. Il, pag. 670, col. I). E gli uomini atti alle armi
eran quelli tra i 18 e i 50 anni. Quindi vediamo che nel censimento
del Ì6i3 (3) si tiene conto a parte di questi , come dei bambini,
dei vecchi e delle donne si tien separatamente ragione. Gli uomini
di far fatto nel 1479 sommarono a 6591 , cioè più che la quarta
parte della totalità degli abitanti : e nel 1613 tornarono presso a
poco alla stessa proporzione gli uomini dai 18 ai 50 anni.
La iudeca (Giudecca) era il rione abitato dagli Ebrei. Corrisponde,
come notai, e come tutti sanno, alla parte superiore del mandamento
Tribunali, e propriamente presso al palazzo di Città. La Giudecca di
Palermo contava nel 1479, cioè 14 anni prima della espulsione, 523
fuochi, e 2600 abitanti all' incirca, prendendo per base il rapporto
di I|5 che esiste fra il totale de' fuochi e quello della popolazione
della intera città (4).
Raffaele Starrabba
' (1) Siatistica cit. pag. cv>ii — Gli stessi dati son ripetuli nelle notizie che si pre-
mettono ai bilanci presuntivi della città di Palermo.
(2) De Rebus Sieulis, ediz. 1560, pag. 639.
(3) Statistica cit. pag. cui.
^4) Secondo un documento pubblicato dal eh. La Lumia in fine della sua bella mo-
nografia sugli Ebrei Sieiliani (V. Studi di Sloìia Siciliana^ tom. IL Palermo 1870)
gli Ebrei Palennitani nel 1493 sarebbero stati presso a 5000, e quindi quasi il doppio
della cifra che io credo potersi presumere pel 1479. SifTatto aumento potrebbe es-
sere slato il prodotto della immigrazione degli Ebrei cacciati dalla Provenza per or-
dine di Luigi XI nel 1491.
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IPPOLITO
DRAMMA D'EURIPIDE
(Continuaz. e fine, vedi voi. II, disp. IV e V)
Coro
Veggo tristo nel volto e eoo pie ratto
Uq seguace d'Ippolito venirne
A queste case.
Nunzio
Ove trovar mi è dato
Il Re Teseo ? Se v' è palese, o donne,
Mei dite. É forse in questa reggia ?
Coro
' Ei stesso
Dalle soglie vien fuori.
Nunzio
Una novella
lo ti reco, 0 Signor, di gran momento
Per te, per quanti Tatenea cittade,
E di Trezene albergano i confini.
Che avvenne ? Alcun sinistro or novamente
S' apprese ad ambe le città congiunte ?
Nunzio
In fin di vita è Ippolito, e per brevi
Istanti ancora mirerà la luce.
Teseo
Come? A contesa alcun venia con esso.
La cui consorte svergognò, del paro
Che la donna di lui, che gli dio vita ?
Nunzio
Del proprio cocchio il giogo e quelle preci,
Che al padre tuo signor dei flutti ergesti.
Lo spensero.
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274 nuove effemeridi siciliane
Teseo
0 Superni ! Or si che padre
Mi sei verace, Enosigèo I Compiesti
I voli miei I Ma tu narraiAi come
Fu morto, e come, per avermi offeso,
Della Giustìzia il percotea la verga.
Nunzio
Noi presso il lido, che del mar si cinge
Governavamo con le striglie i crini
De' puledri, gemendo alla novella
Che un messaggiero ne recò, narrando
Che Ippolito da te Tamaro esigilo
S'ebbe, né più dovea qui mover piede.
Poscia ei medesmo in su la riva apparve
Ugual recando lacrimoso annuncio,
E da tergo il seguia di cari amici
Suoi compagni d'età schiera influita.
Alfln, cessato il lacrimar, si disse:
Perchè cosi vaneggio? È d'uopo ai cenni
Rassegnarsi del padre. 0 servi, tosto
I corridori a portar giogo usati
Ponete al cocchio; che non è più mia
Questa città. — Quindi ciascun s' affretta
E ratto più che non potria ridirsi,
. I puledri fnr pronti, e li traemmo
Innanti al Sire istesso; e come ei s' ebbe
Alle piante allacciato i bei calzari.
Subitamente con la man dai cocchio
Le redini ritrasse, e con le palme
Al cielo spante, cosi disse: 0 Giove,
Si spenga il viver mio, se un empio io sono,
E senta, oh I senta il genilor, se vivo,
0 se morto io sarò, di quale oltraggio
Mi ricoperse t In questa, ei dà di piglio
Al pungolo, e le mute al par sospinge.
Noi servi intanto presso i freni e il cocchio
Seco del calle prendevam, che ad Argo
Ed Epidauro corre, e in un diserto
Entrammo, ove lonlan da queste piagge
S'apre una costa, che vagheggia il mare
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IPPOLITO, DRAMMA D' EURIPIDE 275
Sarooico. Un fragor^ quasi di Giove
La voce, da sotterra, a udirsi orrendo,
Quivi echeggiò. Tosto i puledri in allo
Levar le fronti ed aguzzar le orecchie.
Noi da un nuovo terror lutti compresi
Non sapevam donde quel suono uscisse;
Ma poscia riguatando il marin lido
ETrgersi immensa al ciel mirammo un'onda,
Che la veduta agli occhi mi contese
Delb scironia riva, e P istmo tutto
Mi ricoperse, e d' Bsculapio il monte.
Poscia gonfiando, e pel boiler marino
Riversando per tutto immensa spuma
Con gran fragor proruppe in su la spiaggia.
Ovverà la quadriga, e furibonda
E triplicata, oh t rio prodigio I un toro
Gittò, del cui muggito orribilmente
Echeggiava la terra. Ai riguardanti
Maggior d'ogni altro quel portento apparve.
Grave terror tosto i cavalli invase;
E il mio signore, che dell'arti equestri
Savio fu tanto, a sé trasse le brìglie,
E( come adopra il battellier remando,
Tutta a dietro piegossi la persona.
Ma i corridori gV infocati freni
Mordendo, a corsa levansi, nò sentono
La man di chi li regge, nò di redini,
Nò di cocchio si curano. — Se il temo
Egli al pian dirizzava, ecco di fronte
Appariva quel toro, e ad arretrarla,
Furente di terror fea la quadriga.
Poi quando smaniosi appo la roccia
Rendevansi i corsier', da Iato al cocchio
Ei tacito movea, Anche, sospinta
I^ ruota ad un macigno, lo travolse.
Tutto a soqquadro andò. Saltare i mozzi
Delle ruote, e dell'assi le chiavarde.
Tra le redini avvinto, e trascinato
Da indissolubil nodo ei per i sassi
Battendo il capo, lacero le carni
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276 NUOVB EFFEMERIDI SIGIUANC
Queste gravi ad adir movea querele:
Fermalevi, o pasciuti alle mie stalle,
Non m'uccidete ! 0 voto sciagurato
Del padre t Or deb I chi viene a porre In salvo
' Un onest'uomo ? — Ed a bramarlo molli
Fummo; ma tardo' era a seguirlo il passo!
Ei frattanto dai vìncoli disciolto
Delle redini infrante, ignoro il come,
Cade spirando ancora un fll di vita.
Disparirò i cavalli, ed il funesto
Tauro, né so ben come, in quelle balze.
Servo, 0 Signor, delle tue case io vivo;
Ha giammai tanto non potrò, cb'io fede
Tegna, che sia malvagio il tuo rampollo.
Non se ben anco delle donne tutta
Fosse ai lacci sospesa la genia,
0 s'altri avesse di^cifrale carte
^eir Ida empiuto la pinosa costa;
Che Intemerato io lo conobbi sempre I
Coro
Ahi! qual concorso di novelli affanni
Omai si compiei Né riman difésa
Dalla fatai Necessità I
Teseo
Per Podio
Dell'uom, che ciò sofferse, al tuo racconto
Io m'allegrai; ma poscia ai Numi e a lui,
Che di me nacque, riguardando, il core
Né s'allieta, né duol per tanti mali.
Coro
Ma dunque? Trasportarlo, o che far altro
Al misero dovrem, che a te sia grato?
Pensaci; e se t'attieni ai miei conforti,
Non sarai crudo col figlio infelice !
TE^EO
Recatelo; ond' io pur volgendo il guardo
Su colui, che negò d'aver macchiato
I letti miei, col ragionar l'astringa,
E con la pena, che dai Numi ei s' ebbe.
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IPPOUTO, DRAMMA D' EURIPIDE 277
Coro
0 Cipri, Talme ÌDdocili
Reggi deir Uom, del Nume,
Insiem con lui, che splendido
Di variale piume
Con Pala rapidissima
Ombreggia allrui la mente,
E il salso mar fremente
Corre e la terra a voi.
Dei nati nelle torride
Lande, cui guarda il Sole,
E tra le balze e i pelaghi
Holce la giovin prole.
E Puomo ancor, se fervidi
Di voluttà delira
GP investe, gli raggira
L' alidorato Amor.
Però da quanto, o Venere,
Sorga nel mondo e viva
Tu sola ottieni, o diva,
Sovraneggianti onor\
Diana
NobiI figlio d'Egeo, porgimi ascolto.
Io tei comando; Artemide rampollo
Di Latona son io, che a te favelfo.
0 misero Teseo, perchè gioisci
Di questi mali, e d'aver tratto a morte
Iniquamente il proprio figlio, quando
Della tua donna le bugiarde accuse
Ti fer suaso di dar corpo all' ombre ?
Ma già l' impiglia manifesto il fio
Del tuo misfatto ! Oh I perchè mai coverto
Dall' obbrobrio cosi non ti profondi
Della terra nei baratri, o non voli
Lassù migrando ad altra vita, e lungi
Da tai martiri non sollevi il piede?
Che al viver tuo non è più dato in sorte
L'accomunarsi con la gente onestai
Odi, 0 Teseo ; contempla i mali tuoi.
Che se giovar ciò non mi puote^ almeno
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278 NUOVB EFFEMERIDI SICILIANE
Doglioso io ti farò I Del tuo (ìgliaolo
Perchè illustre sen mora, il cor si pio
A mostrar qui mi trassi, e di tua douna
La rabbia, e in parte i generosi spirti.
Che dalla Diva più nemica a quanti
Yirginitade abbella, esagitata
E trafitta d'Ippolito s'accese!
Tentò col senno superar Ciprigna;
Ma, non volendo, alfin soggiacque all'arti
Della nudrice, che svelò tal piaga
Sotto la fé del giuro al tuo rampollo.
Ben a ragione ei non segui l'iniquo
Consiglio, e poi da te si vilipeso
Tenne sua fede al giuro, ei che fu pio I
Ma temendo cader nel vitupero
Colei, vergò calunniose note,
E con le frodi il tuo figliuolo spense,
E ti suase I
Teseo
Ahimè I
Diana
Ti morde il core,
0 Teseo, questo detto? Attendi, e cheto
Odi quanto io soggiungo, e verserai
Più largo pianto. D' imprecar tre volte,
E non indarno, ti fé' dono il padre.
Ben lo rammenti ? Or di tal dono usasti
Contro il proprio tuo sangue, o scellerato,
Potendo oprarlo contro alcun nemico.
Il maria genitore a te benigno
-Quanto dovea, come promise, attenne.
Ma tu li mostri apertamente iniquo
Contro me, contro lui; che non l'assenso,
Né de' vati il responso aver ti piacque,
Né reo lo convincesti, e disdegnasti
All' indagine offrir tempo men breve.
Ha frettoloso più di quanto è bello
Contro il figlio lanciasti il diro voto,
E r uccidesti !
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IPPOLITO, DRAMMA D'*URIPIDE 279
Teseo
0 Dea, perdalo io sono!
Diana
Opre orrende compiesti; e pur l'è dato
Il perdono ottener. Poiché fu Cipri,
Che nati volle ad appagar sua brama
Questi lugubri eventi. È fra gli Eterni
Posta una legpe, che al voler d' un nume
Non ripugni allro nume, e alternamente
Ognor si ceda. Se così non fosse,
Né Giove io paventassi, abbi di fermo,
Che a tal vergogna io non sarei venuta
Da tollerar Io scempio di colui.
Che su tutti i mortali io m' ebbi a core !
Quinci il tuo fallo da malizia sciolto
L' ignoranza rendea; del caso inoltre
Tutte prove apprestò la tua consorte,
Che per farti convinto si moria.
Or più che in altri del dolor la piena
Su te prorompe; ma pur io men dolgo.
Che de' giusti la morte oh ! non aggrada
Agr Immortali; e son da noi dispersi
Cr iniqui, e i nati loro, e le lor case !
Coro
Ecco il misero è qui dilaniato
Le carni giovinette e il biondo capo.
AhiI qual lutto domestioo! Qual doppia
Angoscia invase per divin consiglio
Queste magioni I
Ippolito
Ahimè, ahimè meschino!
Strazialo son io d'iniquo padre
Pel voto iniquo. Ahi ! che son morto.... Il capo
M'assaltan martellando acute doglie,
E lo spasimo al cerebro sormonta I
Deh ! fa, eh' io lasso ripasi le membra...
0 r esecrabil giogo de' corsieri
Di mia mano nudritì, m' hai perduto...
M'uccidesti... Ma oh! Dio, pian piano, o servi,
Nel trattar queste mie misere carni...
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280 NUOVE EFFEMERIDI SiaUANB
Chi dalla destra mi si fece ai fianchi ?
Alzalemi pian piano, e via portate
In equilibrio qu^lo sciagurato
E maledetto dal paterno errore I
0 Giove, 0 Giove, il vedi tu ? Queir io,
Che fui sì casto, e con gli Dei pietoso,
lo che su tutti iT onestà prevalsi,
La vita or perdo... a manifesta morte
Men vo, sotterra... Ahimè, che al mondo invano
Neir opre belle affaticai pur tanto !
Ahimè, ahimè lo spasmo ! Ahi, che m'incalza
Lo spasmo !.. Or su lasciatemi... La Morte
A guarirmi ne venga. Ha... uccidetemi...
Uccidetemi... Un brando, un brando acuto
Vi chiedo, ond' io m' uccida, ond' io ritrovi,
Come assopir questa vita infelice !
0 sciagurato T imprecar paterno !
0 de' parenti miei le crude stragi !
Ma degli avi le colpe a che m' incalzano ?
Qual fio ne debbo, se innocente e puro
Di misfatti fui sempre ? Ahimè, che dico ?
Ma come francherò da tanto strazio
La vita ! Oh I che jdia pace a me meschino
L' atra, fatai necessità di Fiuto I
Coro
Ahi ! lasso, qual ti preme orrida sorte I
L'alto cor ti perdea I
IppoLrro
Tacete; io sento
Una fragranza, e, benché il duol m'opprima,
Un conforto ne provo. In queste case
Artemide s' aggira.
Diana
0 miserando/
La tua più cara Diva ò a te da presso.
Ippolito
Vedi tu, mia regina, in quale agone
Son io?
Diana
Lo veggo; ma dar loco al pianto
A me non lice.
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ippolito, dramma d^euripide 281
Ippolito
Il cacciatore, il servo
Or più non hai.
Diana
Pur troppo ! Io t' amai tanto
E muori I
Ippolito
Né l'auriga, né de' tuoi
Simulacri il custode!
Duna
Per le trame
Di Cipri scellerata !
Ippolito
Oh I bea conosco
Qual Dea mi spense t
Duna
Di negarti onori
Si dolse, e l'abborri, perchè pudico.
IppoLrro
Ella sol una fu, che tutti, il sento,
Noi tre distrusse.
Diana
Il padre tuo, la moglie
Di lui, con te.
Ippolito
Quindi compiango ancora
La sciagura del padre.
Diana
Ei tratto in fallo
Fu dalle trame della Diva.
Ippolito
0 mesto
Padre, per lante disventure !
Teseo
Sento
Morirmi, e dolce più non m'è la vita.
Ippolito
Di questo fallo io più per te sospiro,
Che per me stesso.
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t^ nuove effbmebiih siciuaifk
Teseo
4 ^^^ o^Q <^^d^ spento
10 vece taal
Ippolito
0 del maria tao padre
Gli acerbi doni I
Teseo
Oh I che giammai sai labbro
Non mi fosser venati I
Ippouto
E a che giovava ?
Spento sempre m'avresti; era cotanto
11 furor tuo.
Teseo
Perchè rapiroU il senno
Gli Dei.
Ippouto
Perchè non lice anco ai mortali
Contro i Numi imprecar?-
Duna
Taci, fra P Ombre
Noo andranno laggiù di Cipri inulte
Lire, onde fosti fulminato; in merto
Di tua pietà, di tao benigno core.
Ma con questa mìa man, con questi dardi.
Da cui scampo non v'ha, d'altri, che al mondo
Il più caro le fla m'avrò vendetta.
E a le meschino, per le tante angosce
Sofferte, largirò supremi onori
In Trezene. 1^ vergini (anciulle
Ti sacreran per lunga età le chiome
Pria delle nozze, e l'offriran di pianto
Largo tributo, e nenie armoniose
Ti volgeran, né fia taciuto e ignoto
L'amor, onde per te Fedra s'accese.
Ma tu^ rampollo del canato Egeo,
Accogli fra le braccia e al sen distringi
Il figlio; ch'ei da te senza toa voglia
Fu spento; ed il fallir, se ai Numi aggrada,
È proprio dei mortali. Ed or t'esorto.
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IPPOLITO, DRAMMA D^EURlPmE 283
0 Ippolito, a cessar tuUo rancore
Verso tao padre; che in balia del fato
Sei, che ti strusse. Addio I Che a me si niega
Negli estinti aiBsarmu e le pupille
Contaminar co' rantoli di morte.
E già presso li veggo a questo agone I
Ippouto
Lieta or vanne, o fanciulla avventurata,
E a te sia lieve abbandonar l'antica
Amistà nostra. Ogni rancor depongo
Col padre mio, come tu vuoi; che sempre
Ai tuoi detti obbedii... Ahimè, sugli occhi
Mi vengon le tenèbre !.. Accogli, o padre,
Sostieni questa misera mia salma...
Teseo
0 Aglio, e di me tristo ah I che farai ?
Ippolito
Io moro... lo scorgo omai le inferno porle I
Teseo
E il cor mi lasci di tal colpa imparo?
Ippolito
Non già; che la mia morte io li perdono.
Teseo
Oh I ciel, che dici ? Del tuo sangue assolto
Mi mandi ?
. Ippolito
Si; Pattesto per Parciera
Diana.
Teseo
0 caro a me su tulli, oh ! quanlo
Generoso ti mostri al tuo parente I
Ippouto
Salve, e per lunga età sii lieto, o padre.
Teseo
Oh I come hai Palma generosa e pia I
Ippolito
Prega, che uguale ti sia data in sorte
La legittima prole.
Teseo
Oh ! non lasciarmi,
0 figlio mio ! Ma il tuo vigor riprendi !
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28'* nuove effemeridi siciuane
Ippolito
Vigor? Già rebbi... morto io sono, o padre...
Toslo il viso a me copri con 1^ ammanto...
Teseo
0 d'Atene, o di Palla alle contrade,
Qual uom perdeste t Ahi t lasso me« che lunghi
Ricordi, 0 Cipri, avrò de' mali tuoi!
Coro
Inaspettato, comnn duolo assalse
1 cittadini tutti, e fia ben larga
Del lacrimar la piena; che dei Grandi '
Più sorge il nome, se di pianto è degno i
G. De Spughes.
AD IPPOLITO TITO D'ASTE
PER LA SUA COMMOVENTE NOVELLA INTTfOLATA Rachele
.... se tu segui tua stella
Non puoi fallire a glorioso porto.
Dante.
Qual m' ispirò nelP anima
Dolce pietà, della Rachele il fato.
Che tu, gentile Ippolito,
Hai cosi ben cantato I
Si, di soavi lagrime
Le tue possenti note
M'inumidir le gotet
Che mi dipinser vìttima
D'una fatale illusion del core
Lei, che nutrendo, ingenua,
Un inconsulto amore,
Vide mutarsi in triboli.
Avvolta nei dolori,
Della speranza i Hori.
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AD IPPOUTO TITO D* ASTE 285
Fiaché per novo palpito
sorta a novella e sciagurata spene.
Quando credea raggiungere
Un sospirato bene,
Di novi affanni un baratro
EUa a se stessa aprio,
Poi sen volava a Dio.
Tremenda esempio e simbolo
Dell'umana fralezza, a noi pur grida
La tua Rachele: mìsero
Sempre chi al cor si affida
Senza ascoltar gli oracoli
De la diva Ragione
Che 'I giusto e il ver propone f
E tu che del cor l' intimo
Nel casto vei*so rivelar ben puoi.
Segui la nobii opera,
Segui, de' carmi tuoi :
Scrivi : e nei sogni eterei
Del fervido pensiero
Congiungi al. Bello il Vero.
Ad alto segno T animo
Innalza, o gentilissimo poeta;
Né puoi fallir (deh credimi!)
A gloriosa meta. —
Oh a questi plausi Italia,
Dall'una alP altra sponda,
Fia che un bel di risponda I
Messina, 16 agosto 1870.
L. Lizio-Brono
19
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CRITICA lenERARIA
riloiofla Blementare a norma de* profranuni f ovematM ec,
esposta da Paolo Morello prof. neW Univ. di Palermo. Palermo,
Amenta, 18(39.
aiementi di filosofo ad mo dri semiiMurio Arcivescovile di CkUor
via pel Sac. Antonlno dott. IIaugeri prof, nella R. Univ. di Ca-
(anta. Catania, Caronda, 1809.
MUnoale di Filosofia Blementara ad uso delle scuole pel proL
Gaetano La Rosa. Catania, Calatola, 1870.
Queste tre opere di filosofia elementare scritte da egregi inge-
gni e valenti professori, uscite solamente in un anno , danno bene
a vedere come gli studi filosofici fra noi fioriscano forse più che al-
trove. Delle due opere , ora compiute , dei Morello e del Maugerl
si parlò altra volta in questo periodico, (anno I, p. 289 e segg.), e
non è ora altro da aggiungere, se non che i due illustri professori
hanno bene meritato della gioventù studiosa fornendo co' loro la-
vori una facile, ma sempre soda, via alPapprendimento della scienza
aUa quale oggi il Positivismo (à appunto aperta guerra. L^ opera del
Maugeri è una riduzione a corso elementare della sua opera mag-
giore. Sistema McheofUologico; e non andrebbe forse errato chi di-
cesse questa seconda opera e minore poter giovai*e più della prima
e maggiore. Né credo incontrerebbesi difficoltà a dire, l'autore in
questi Elementi di Filosolìa, senza disdire ir suo sistema di conci-
liazione, essersi più accostalo involontariamente air Ontologismo an-
ziché al Psicologismo , massime discorrendo dell' assoluto logico e
delPassohito ontotogico (p. 361 e segg.), e della obbiettività ed o-
rigine delle idee (p. 312 e segg., 32(5 e segg.).
Quanto alla nuova opera del La Uosa, prof, nel Liceo di Caltagi-
rone, già conosciuto per altri scritti filosofici pur lodati, é da dire
in prima eh' egli ha voluto seguire le Istruzioni governative per lo
insegnamento dì filosofia ne' Licei del Regno, si che la sua opera
va sulla via stessa die i' altra stampata a Firenze dal Conti e dal
Sartini) benché, per nostra notizia particolare, il La Rosa già aveva
pronto il suo lavoro innanzi alla stampa di quello de' due profes-
sori citati. L' egr. Autore si é proposto esporre nel suo volume quei
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CRITICA LETTERARIA 287
latito di elementare che insegna la Filosofia Cristiana (pref. p. 4), e
vi è riascito per bene. L^ opera è divisa in sei Trattali: I. Psicolo-
gia empirica. II. Ontologia, HI. Logica, IV. Psicologia raziotyile^ Y.
Teologia naturale, VI. Etica. « In sifTalto modo, dice nella Introdu-
sione, stadieremo Taonio in quanto pensa e in quanto opera; co-
minciando dal pensiero '« perchè il pensiero è la scaturigine delle
òpere, e compiremo T oggetto della filosofìa, che, essendo sludio
della sapienza, abbraccia tutto V uomo in quanto pensa ed in quanto
opera • (p. 12). Il proposito di dare un Manuale di filosofia cristiana
ha fatto seguire air autore più che altra autorità di filosofi contem-
poranei quella del Ventura, e tra gli antichi T altra di S. Tommaso;
e r aver voluto lasciare da parte • ciò che nella scienza v' ha di
problematico, attenendosi piuttosto a tutto il certo e il provato, »
r ha condotto a scansare i più ardui punti della scienza , proce-
dendo per quel cammino facile e comune che, se non è pe' dotti
e per chi vuole andare addentro nella speculazione filosofica, cer-
tamente può essere di profitto ai giovani , che per la prima volta
'salutano le soglie della scienza. Tuttavia, P autore non sa del tutto
spogliarsi delf abito metafisico per un metodo di filosofare che non
saprei dire quanto possa in fatto riuscire , e a proposito delP ori-
gine delle idee dà pure una sua teorica, che sarebbe quella di San
Tommaso rinnovata dal Ventura, siccome S. Tommaso aveva per-
fezionata per la giunta deir elemento platonico quella più antica di
Aristotile; e dal fatto, che è il singolare, dall' intelletto agente, che
è la facoltà che rende universale il particolare, e dalla verità, che>
è luce spirituale presente all'anima; fa ucire Videa, o il concetto
generale della cosa particolare (p. 95 e segg). Al che aggiunge, che
per r idea noi conosciamo il fine del fatto, il perchè: « ma nel fine
del fatto vi ha T intenzione di Dio, cioè le ragioni eterne delle cose;
noi dunque partecipiamo, sebbene imperfettamente a queste ragioni
eterne delle cose, le quali costutiscono quella che si chiama verità
delle cose, e per questa verità conosciamo il fatto scientificamente
e ce ne formiamo Y idea. L' idea dunque è il fatto naturale cono-
sciuto in rapporto alla sua origine , cioè in rapporto alla verità o
al lume intellettuale, che è in noi ed è una certa manifestazione
delle idee eterne (p. 99). Nella formazione della idea entrano, dice
il nostro Autore, tre elementi che sono: il fatto, la verità presente
a noi , e P intelletto opeiante: i fattori oggettivi delPidea sono il
fatto e il vero; e se non può dirsi che noi conosciamo le cose nella
verità , debba però per necessità dirsi che noi le conosciamo per
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288 NUOVE BFFBIIBRIDI SIGILIANR
la verità. L' oolologismo non esagerato potrebbe accettare ancb^ esso
questa teorica, la quale propria della scolastica Italiana, non si op-
pone, bensì la spiega a suo modo, alla visione ideale, e non nega
la partecipazione agli esemplari eterni delle cose per la verità, che
è il lume intetletluale senza cui nulla sarebbe conosciuto.
Questo libro del prof. La Rosa è forse il primo che in Sicilia siasi
scritto con V intendimento di seguire il nostro Ventura: ma T Ad*
tore vi ha portato quel soffio di ontologismo chò è stato alimento
delle sue sapienti speculazioni , colle quali ha mantenuto lodevol-
mente in città interna dell'Isola P indole propria della filosofia na-
zionale italiana.
Y. Di Giovanni
SoirecclisM totale df Sol» del 22 dicembre 1870, visibile in Si-
cilia; ristUtamento di calcoli esposti agli amatori di Astronomia
da Angelo Agnello antico Assistente Piazzi al A. Osservatorio
Astronomico di Palermo. Palermo, 1870.
Il 22 dicembre prossimo si avvererà nn ecclisse totale di sole
che, per la rarità del fenomeno e pe' luoghi ne' quali sarà visibile,
riuscirà importantissimo per noi Italiani.
L' ombra proiettata dal nostro Satellite avrà principio neirOceano
Atlantico presso il capo Pareteli nella Groenlandia, dove il Sole
sorgerà totalmente ecclissato, traverserà nella direzione di Sud Est
r Atlantico, e toccherà T Europa nelle coste occidentali del Porto-
gallo sótto Lisbona. Dopo aver lambito la Spagna, sboccherà nel
Mediterraneo coprendo Gibilterra, entrerà in Barberia; e uscito nel
Mare Africano presso Susa, coprirà Pantelleria e in seguito verrà
ad oscurare una buona metà della nostra Isola. Cosi saranno im-
mersi nelPorobra lunare T intera provincia di Siracusa, quella di Ca-
tania meno qualche Comune, tutto il Circondario di Piazza, di Ter-
ranova e una buona parte di quello di Caltanissetta, il Circondario
di Girgenti e una porzione di quello di Castroreale nella provin-
cia di Messina. Poscia P ombra lunare, toccando Postrema Calabria
si avvierà per le isole ionie, traverserà P Epiro, la Rumelia e la
Tessaglia per isboccare nel golfo di Salonicco ; coprirà indi Pintera
Calcicie, percorrerà il Mare Egeo e il Mar Nero, sino che traver-
sando il Mard'Azof terminerà nflla terra de' Cosacchi poco dopo il
fiume Donetz, ove il Sole tramonterà totalmente ecclissata
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GRITIGA LETTERARU 289
Nei 133 Comani siciliani compresi nella zona di tokdità^ cioè
nella larga striscia oscarata dalP ombra, V intero fenomeno sarà di
circa 2 ore e 3|4 avendo l'ecclisse parziale comìnciameuto verso
mezz'ora dopo il mezzodì e termina circa alle 3 e i|& p. m. Tec-
clisse totale sarà sempre di poclii secmdi, ma in Biscari si pro-
trarrà sino a' 112.
Nella nostra Provincia, come nelle altre d'Italia, non avremo die
un ecclissa parziale cioè a dire saremo oscurali dalla penombra che
proietterà la Luna; cosi la potremo vedere ad occhio nudo dinnanzi
al Sole e avvertiremo una leggiera modificazione nelP intensità e
colore della luce solare.
I nostri astronomi, volendo forse rivendicare la loro mal com-
patibile assenza nel convegno degli astronomi di tutto il mondo
civile nelle Indie Orientali per istudiarvi l'ultimo ecclisse totale di
Sole che avverossi nell'agosto I8G8, oggi con Taiuto del nostro Go-
verno non hanno tralasciato cosa alcuna nel preparare i lavori per
lo studio che deve farsi del raro fenomeno.
La Commissione nommata con R. Decreto' per siffatti lavori com-
ponesi de' profossori Santini presidente^ Cacciatore vice presidente^
Schiapparelli^ Donati e De Gasparis, e questi scelsero a compagni
il P. Secchi e i prof. Blaserna e Lorenzoni. Terranova e S. Giu-
liano furono scelti per servire di specole ; ivi saranno trasportali
due cannocchiali per ciascuna per le diverse osservazioni di oltre
quello che porterà il P. Secchi il quale è unicamente destinato alle
fotografie dell' ecclisse.
Si domanderà ora il perchè di questo grande interesse che gli scien-
ziati attribuiscono a quel fenomeno della natura, perchè tanii sludi,
tanti lavori, tante spese? Forse per la mera curiosità di vedere avve-
rare le studiate predizioni ? 0 forse per contemplare la natura sor-
presa dalle tenebre in pieno meriggio? E poi descriverne P effi-
mero tramonto^ la momentanea riapparizione delle stelle in un cielo
nero, il chiudersi dei fiori, lo smarrirsi degli uccelli, il terrore e la
paura de' contadini che vedranno in quello innocuo fenomeno T im-
minente finis-mundi f E poscia osservare il ritorno della natura nel-
r ordine e nelle quiete abitudini di prima? Mai no. In quei po-
chi istanti sì studiano molte e molte cose, che ci danno poi im-
portanti scoperte sulla costituzione fisica del Sole, e ci confermano
interessanti ipolesi e teorìe.
Neir ecclisse totale, la l^una si presenta air osservatore come un
disco circolare nero , alterno però a questo si vede un^ aureola o
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290 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
corona laminosa biancastra che in diversi ponti si prolunga in forma
di fasci luminosi o pennacchi; di più, allumo al bordo nero della
Lana e specialmente vicino qaesti pennacchi si vedono deUe pro-
minenze come montagnaole o nubi dette protuberanze rosee pel
colore roseo che essi hanno. Questo e nient' altro è ciò che costi-
tuisce r importanza d'un ecclisse totale di Sole.
É in questa occasione che si presenta alla scienza nna delle mi-
gliori opportunità per verificare la natura di quelle enormi protu-
beranze» di queirinviluppo luminoso di 8 mila chilometri di spes-
sore; tìen che per confermare le sostanze di che sia formato Pastro
maggiore. In questa congiunzione de' due mondi un occhio esperto,
aiutato Sa tannocchiali, da spettroscopi e da molti altri strumenti,
ci ha polut<i affermare che le protuber.mze non sono che vei*e fiam-
me d' una materia gassosa incandescente, e eh' è V idrogenò il gas
che le produce. La causa di queste protuberanze potrebbe essere
la stessa di quella che dà hiogo aHe "macchie solari, cioè a dire alle
correnti ascendenti dei gas interni, capaci di dare origine a quei
rilievi della fotosfera che appellansi facole e sopra di queste le pro-
luberanze rosee; mentre, queste correnti formerebbero nelle aper-
ture delle macchie un fenomeno separato e più grande che po-
trebbe avere relazione coi pennacclii degli ecclissi ; infatti le pro-
tuberanze sono state sempre laterali ai pennacchi. Il grande getto
iV una maróhia darebbe luogo alle correnti laterali, alla formazione
deir argine con quei sollevamenti parziali ed allungati , che veduti
proiettati nel nucleo corrisponderebbero a ciò che noi chiamiamo
correnti e fonti ed il getto attraversando. la cromosfera darebbe
in quei casi origine direttamente alle grandi protuberanze laterali
osservate negH ecclissi. Questa ipotesi si accorda con la teoria piti ac-
cettata sul Sole cioè che esso sia una massa infuocata gassosa allo stato
di dissociazione per l'elevata temperatura. Questo immenso calore
andrà mano mano trasformandosi, cosi questo astro lo si deve con-
siderare in un periodo di raffreddamento, ma assai lento, e a gran
parte del quale si devono i fenomeni osservati negli strati super-
ficiali, la cui resistenza è ancora tanto debole da permettere uno
scambio continuo colle correnti gassose più calde, che dall' interno
si fanno strada, dando origine a tutti quei fori più o meno eslesi
che chiamiamo macchie solari.
Un numero maggiore di queste macchie, vuol dire una maggior
quantità di materiale interno del Sole a noi scoperto e quindi sarà
pri diretta l' influenza che esso potrà esercitare su di noi. In que-
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CRITICA LKTTERAMA 291
Sto modo troviamo dimostrata la relazione dei periodi delle mac-
chie eoa qaelia del magnetismo terrestre e delle aurore boreali, e
per conseguenza anche delle grandi burrasche sulla superficie della
Terra.
Conosciuto bene il Sole, potremo un giorno darci più esatta ra-
gione degli svariati fenomeni meteorologici; poiché a quanto pare
tutto è in armonia e dipendente
Al ministro maggior della natura.
Or, il prof. Angelo Agnello antico assistente Piazzi al nostro Os-
servatorio, ha avuto la buona idea di dare alle stampe i suoi rigo-
rosi calcoli intorno a questo imminente ecclisse. Dalla sua mono-
grafia si rileva con esattezza la zona di totalità e la linea centrale
per la Sicilia; e ciò per mezzo delle chiare descrizioni che vi hanno
e per le apposite tavole litografiche rappresentanti con nitidezza
la zona generale di totalità^ e più minutamente la parte oscurata,
della nostra Isola. Trovansi inoltre dei quadri dei Comuni siciliani
clie godranno l'immenso spettacolo, con le rispettive durate di tempo
della completa oscurità. Al suo opuscolo vapno uniti alcuni brani
di un grave articolo delP illustre prof. Tacchini sulP importanza de-
gli ecclissl, dai quali noi abbiamo attinto le notizie sopra esposte.
Non volendo ptù dilungarci^ terminiamo, e col prof. Agnello non
tralasceremo di sperare che il bel cielo d'ItaUa non abbia a tra-
dìre se stesso , in quei preziosi momenti , ne' quali la natura si
degnerà sollevarsi un tantino il fitto velo, con cui ci nasconde i
suoi alti misteri.
Noyembre 1870.
M. Siciliano
Soppllinento perenne alla Nuova Enciclopedia italiana ^ ossia Ai-
vista annuale scientifica > letteraria , industriale per integrare e
ammodernare l'opera maggiore, utilissima ad ogni genere di per-
sone, compilala dagli Scrittori di detta Encicopledia; anno 18(58-dD.
Torino 1870.
Questo supplemento, per chi noi sappia, tiene della rivista pe-
riodica e deir opera a volume: raccogUe cioè, esamina, discute tutto
il nuovo, e ne informa i suoi numerosi soci; prende un argomento
e vi stende sopra una monografia, la quale tirata a parte costituì-
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292 NUOVE KPFnERIDI SIGIUANB
rebbe un libro a modo e a garbo. Se non che, io qaeUo che cerca
tulle le novità, non trascura T antico, e come nelle ano si gvarda
dalle frivolezze del giorno e dalle intemperanze da gazzetta, coA
nelle altre sceglie a studio e con diligenza ciò che preme per la
storia del pensiero. A vedere con quanta largheaa vi sieno rap-
presentate le singole scienze, lettere, industrie ed arti; come nes-
suna nazione vi rimanga negletta per ciò che riguarda i grandi no-
mini e le grandi scoverle; e come d' Italia con giusta distribuzione
di nomi e di argomenti nessuna provincia rimanga addietro del-
Pallra, Tanimo s* allieta pel senno e la equanimità di chi intende
alla direzione di questo Supplemento.
E poichò noi partiamo a Siciliani e ne^ Siciliani vorremmo veder
diffusa quest'opera, diremo loro che il quarto volume del Supple-
mento perenne testé compiuto è più generoso per le cose nostre
^le non lo siamo noi stessi. Oltre di un articolo suir Etna e di
4ino ben lungo sulla voce Palermo^ ove sono delle notizie sulla no-
stra città non apparse io nessuna Guida , procedendo con ordine
aldabetico vi troviamo celebrali con lusinghiere biogi*afie il filosofo
monrealese Benedetto d'Acquisto, il patriota siracusano Mario A-
doroO'Puma , il medico e il musicista di Sciacca del secolo XYll
Leonardo Amato e Cataldo Amedei , il poeta mcs^mese Felice fii-
sazza , Filippo Cordova da Aidone , il pittore di Trapani Giuseppe
Errante, il giovane filosofo e ^triotto Niccolò Garzilli da Palermo,
il naturalista catanese Carlo Gemmellaro, il filantropo di S. Elisa-
1)etta in Girgenti Vincenzo Di Giovanni, il Nestore de' chirurgi si-
-ciliani Giovanni Gorgone di San Piero sopra Patti, il diplomatico e
storiografo palermitano Rosario Gregorio), lo storico messinese del
sec. XYl Silvestro Haurolico nipote del matematico Francesco, il
filosofo di Monreale Vincenzo Miceli, la poetessa Rosina Mudo «Salvo,
i\ letterato Alessio Narbone, Gerardo Ndcito botanico di Sciacca nel
sec. XYl, Filippo Paruta poeta e letterato palermitano nel sec. XVII,
Girolamo Ragusa erudito siracusano della stesso secolo , il pittore
palermitano Vincenzo Riolo, il medico Rosario Scuderi, Parcheologo
Serradifalco e il poeta Veneziano: in tutto non meno di 23 perso-
naggi di ogni provincia siciliana. E se per poco guardisi a' fatti
più importanti di questi ultimi anni, si troverà che essi hanno le
loro ricerche, i loro sludi negli articoli che s' intitolano: Asfalto an-
tico, Aurore polari, Carbon fossile, Carne di Cavallo, VI Congresso
internazionale di statistica , Macchine da cucire , Distillazione deUe
bevande, Emigrazione europea in Amerim, Essiccatori a forza ctn-
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CtffnCk LETTKRAEIA 293
trifugoy F$trwie (jàmoifetiAe ^ F^MUografiay Prosciugamento dd
Lago FudnOj Geografia e Fitografia botatdca, Pane del Lieiig, Com-
. mercio del seme di lino, Locom4^we per strade ordinarie, Maremma
toscana^ Sonno morboso^ Musica moderna e contemporanea, Spedi-
zioni al iVilo, HecenH scoperte snl Monte palatino. Pellegrinaggio alla
Mecca, Pioggia meteorica , Istmo di Suez , Progressi della Terapia,
Terreni carboniferi in Italia ec. ec. Non parliamo de' tanti arlicoli
di geografia, fisica, archeologia, meccanica, storia, medicina, perchè
a colerne solamente recare i titoli usciremmo da' limiti di un sem-
plice annuncio bibliografico. Facciamo tuttavia notare cbe essi
son dettati da valorosi scrittori, quali appunto sono stati i coope-
ratori della Nuova Enciclopedia , raccolta preziosa di scritti gravi
ed importanti. Si vede cbe se ogni articolo non porta il nome del-
Pautore egli è per tutt'aitro che non per mostrare se egli sia o
non sia della materia: risultando evidente che gli articoli apparten-
gono a persone competenti e proprio della data disciplina.
Un'altra cosa vogliamo anche far rilevare: le numerose incisioni
ond'è arricchito e illustrato il testo, e cinque diligeniìssime tavole
pel Traforo delle Alpi, pel Fonte sul Po presso Mezzanacorti , per
la Ecclìsse totale del Sole nel 1868 e 1870, per la Pressione e le
Variazioni barometriche e per P Istmo di Suez: le prime delle quali
tavole sono ben colorate, come ben disegnate son tutte.
Direttore del Supplemento perenne è il chiaro letterato cav. Fran-
cesco Di Mauro di Pelvica; ed è tutto merito di lui il buon anda-
mento e il pregio della scelta de' vari articoli, non pochi de' quali
usciti dalla sua penna si riconoscono per quella purezza di dettato
che è una qualità propria del Di Mauro. Come agli altri tre cosi
anche a questo quarto volume egli ha Catto precedere una bella
prefazione, notabile per assennatezza e per padronanza di classici
dell'aurea latinità.
In tale discorso P Autore s'attraitiene delle ragioni delPopera, delle
materie onde essa risulta, e di quanto concerne i desideri più o
meno attuabili de' lettori del Supplemento. E siccome la Nuova £n-
dclopedia o meglio il Supplemento vuol essere VUnsere Zeit (Il Nostro
Tempo) d'Italia, ad esso il Di Mauro lo paragona; se non che, basta
guardare le sole biografie per dichiararsi in favore dell'opera torinese,
la quale per questo lato non è vinta neanche dal Dictionnaire des
Contemporains del Yapereau, che noi abbiamo consultato nella ul-
tima edizione e che abbiam trovato mancante di oltre a due terzi
dei nomi contenuti nel volume di cui stiamo parlando,
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SM NUOVE BPPBMRRIDI SiQUANB
Una cosa potrebbe dirsi che manchi a quesf opera del benemerito
Signor Pomba: nna ririsla bibliografica^ la sola che non trova laogo
nelle pagine periodiche del Supplemento, Eppure anche a questo pen-
sa il Di Haoro, Inserendo nella quarta pagina della copertina d^ogni
puntata un bollettino delle più recenti pubblicazioni; donde si pare
che e direttore ed editori facciano a gara per mandar fuori quanto
meglio questa importantissima opera, che noi non abbiamo parole
abbastanxa eflScaci per raccomandare a* nostri lettori.
6. PrrRÈ
UrielM «celta il poeti alemamil , Versione di Antonio Dr
Marchi, seguita da un compendio storico dMa Letferatura tedesca
antica e moderna. Palermo^ tip. del Giornale di Sicilia, 1870.
Molti si danno oggi air opera del tradurre , ma quanti vi rìe«
scano con buon successo non sappiamo davvero. Certo è che chi
nel traduttore cercava le qualità dell'autore dovea non isconoscere
le gravissime difficoltà che sMnconirano quando si vuol rendere
nel proprio idioma i pensieri e i concetti d^un altro; difficoltà che
crescono con quelle della lingua delP originale e col genere del com-
ponimento da traslatarsi.
Della versione poetica deir egregio prof. Antonio De Marchii qual-
cuno che non rabbia veduta potrà credere chft si tratti di un la-
voro comune o da venir confuso con altri della giornata ; però ò
giusto che si ricreda chi cosi la pensa. Il De Marchi modesto sempre
lo è tanto pia in questa pubblicazione ; onJ^ ella passerebbe forse
inosservata se presa alle mani anche da persona indifferente non
facesse risaltare senz'altro il suo merito letterario. Gli è sempre il
medesimo fatto delle opere pregevoli , le quali senza apparato di
prefazioni, proemi e avvertenze , sdegnose della reclame che oggi
si cerca, si compra e si vende, fannosi strada da sé.
Nel presente volume sono venticinque liriche scelte da tredici
poeti tedeschi della pleiade gloriosa di questo secalo, a cominciare
da Schiller, uno della celebre triade del secondo periodo classico
costituito da Herder e Gothe, e finendo ad Antonio Grùnwald vi-
vente. Vi si trovano de^ componimenti di Clemente Brentano e di
F. Krummacher, V uno fondatore , V altro seguace di quella scuola
romantica che in questo secolo segnò in poesia una deviazione dal
secondo perìodo classico; delP Uhland, di Teodoro Kdrner poeta e
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CRITICA LETTERARIA 295
soldato, del Conte di Platon classico puro sangue, e di qnell^Ema-
nuele Geibel di Lubecca, che nella nuova coUura iniziatasi in Ger-
mania nel 1832 è il più celebre e ad un tempo il più simpatico
de' lirici viventi. Non parliamo della scelta del De Marchi, perchè
fatta con molto gusto e parsimonia; c^é piuttosto da mfiltere in
rilievo la traduzione, come quella che a semplicità gentile accoppia
fedeltà che di rado la maggiore. Dopo Andrea Maffei parrebbe curioso
che altri venisse a volgarizzarci la famosa Canzone detta Campana^
maestosa e sublime creazione nella quale lo Schiller sotto due diffe-
renti aspetti, narrativo V uno, morale e filosofico V altro, espose il
lavorio che prepara e porla a compimento il fondersi del sacro bronzo,
e i più grandi pensieri, tristi o lieti delle umane vicende, cui la
faticosa opera a mente cristiana può ispirare. Eppure letta la versione
del De Marchi si vede chiaro che in opere di questo genere il tornar
a fare non è, quando vi si riesce come il De Marchi, né presun-
tuoso né inutile. La versione del Maffei rimarrà sempre quella che
è: né il De Marchi avrà inteso o preteso di vincerla; ma la versione
del nostro è cosi fatta che pur avendo a mano la precedente rimane
pregevolissima e degna dì lode. Anzi, a dirla schietta, un paragone
tra runa e l'altra non può istituirsi, avvegnaché i loro autori pro-
cedano sopra uno stesso campo per vie differenti. Ponendo a raf-
fronto l'una e Pallra troviamo che quegli, il Maffei, rende più ab-
bondante, più fiiorila la forma delPoriginale di Schiller, foiose per
Tuso più frequente della* rima; questi, il De Marchi, la rende più
fedele; Tuno conti più libero non rendendo sempre qualche concetto
del tedesco od aggiungendo per vezzo qualcuna delle sue grazie ;
Taltro, più devoto alPopera sua, si stringe quanto più alPoriginale
e ne rende* fedele i concetti tutti, soccorso in ciò dalla non frequente
rima, cui é malagevole non ribellarsi quando si vuol dar senso e
grazia al modello che si traslata.
E perché le prove di questo non manchino, ecco un brano della
Campana secondo la versione del nostro. Scegliamo ad arte quello in
cui fornita Topera della fusione del metallo si trova qualche sentenza
non inutile a questi giorni di spiriti più o men generosamente e
sinceramente patriottici e bellicosi:
Con mano sapiente
Romper la forma può il maestro^ allora
Che opportuno gli toma.
Guai però se il bollente
Metallo da se stesso «
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296 NUOVK KPFBMBBIDI SIGIUANE
Si sprigiona e à spande !
Gol nuBore del tuono
L^' angusta casa intarlando rompe;
E mentre in mille e mille
Rivi infocali serpeggiando fogge,
TqUo intomo distmgge.
Ove selvaggia forza
Senz'ordine prevale, ivi incompiuta
Ogni impresa rimane.
Allor che da se stesso
A libertade in violenìo eccesso
Il popol corre, procellosa e breve
Sempre è la gioia; e a' lieti di più darà
Subentra la sventura.
Guai se nel lieto grembo
Delle città s'annida,
E a poco a poco cresce e si dilata
Della rivolta il foco.
Fra spaventose grida
Spezza le sue catene il popol Aero;
Il tumulto con gravi
E violenti tocchi
La campana diffonde,
Ed ogni segno eh' alla pace è sacro
Al reo ftiror risponde!
Libertade, uguaglianza
Risuona ovunque ! — L'armi
I^ pacifiche destre
De' cittadini impugnano; le piazze.
Tumultuando, e gli alni e le contrade
Il popolo riempie;
E securo soggiorno
Di feroci masnade
Diventa ogni dintorno.
Ed ecco rendersi — donne gentili
A ferocissime — belve simili,
E con insano — empio furore
De' lor nemici — mordere il core.
Spenta ogni santa -^ fiamma è ne' petti;
Sciolto ogni vincolo — di casti affetti;
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mmOk MVTBRAIHA 297
Rotta ogni fede — leso ogni dritto;
Secarì e liberi — vizio e delitto.
Ecco ora la traduzione del Maffei:
Ben la forma spezzar con mano esperta
L^ artefice potri: ma guai se P onda
Deir ardente metallo apra e sovverta
La sua cretosa sponda 1
Col tuon della saetta
Crolla, cieco furente, argini e porte
Del carcere scommesso e fuor rigetta.
Pari a gola infernale mina e morte.
Dove insensate e rozze forme han regno.
Dove un popolo sorge e per se stesso
Francarsi provi, correre
Lo vedrai d^ un eccesso in altro eccesso t
Oh I sventura se Pesca a poco a poco
Suscita nella turba il civil foco I
Se dà la forsennata alP omicida-
Ferro con man frenetica di piglio f
Il bronzo è nelP artiglio
Della rivolta, e mentre un suon dovria
Propagar di letizia e d'armonia.
Manda, agli urli confuso ed alle grida
Un misero lamento.
Segnai di violenza e di spavento
Libertà, libertà, per ogni dove
Gridar tu senti I II cittadin tranquillo
S' agita, siccome
Quasi tauro trafitto dalP assillo !
Di poiK>l son piene
Le piazze e le contrade.
Sanguinose masnade
Scorrono in giro; jene
Divengono le donne, ed alPoriore
Giunto lo scherno, in brani
Coi morsi e con le mani
Fan del nemico palpitante il core.
Nulla alP uomo è più sacro o riverito;
Alla pia verecondia il velo è tolto
Ed il miglior dal pessimo schernito.
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298 NUOVE BFFSMERmi SICIUANB
Se voglia per avventura istituirsi qualche raffronto col testo schil-
leriano si avrà argomento di far ragione al giudizio nostro e nel
tempo stesso a quel gran traduttore delle gemme oltramontane e
al De Marchi.
Per confermare la vaghezza onde son rese certe finezze tedesche
ci si permetta un^altra citazione tolta a caso dal volume m discorso
una breve poesia del Geibel, che ha per titolo:
Oh I NON SOBIUDBRMI SÌ DOLCEMENTE 1
Ohi non sorrìdermi si dolcemente,
Vispa fanciulla dall'occhio ardente!
La pura gioia del tuo bel viso.
Se in me trasfondesi, dolor si fa;
Passato è il tempo de' lieti amori,
De' cari sogni chiusa è Tetà.
Se puro e libero, siccome allora, '
Battermi il core potesse ancora, ^
Al tuo sorriso con quanto affetto.
Saprei rispondere, con quale arder I
Come felice teco sarei !
Ma al secco ramo s'addice il fior?
Declina rapida già la mia stella,
La tua s'innalza ridente e bella;
^ Spento è il mio core; mesto lo sguardo
Ai di che furono rivolgo invan;
Tu in violenti palpiti affretti
Gioie che ancora lungo ti stan.
De t non sonideroii dunque si lieta.
Vispa fanciulla ! Falsa è la meta,
La pura gioia del tuo bel viso.
Se in me trasfondesi, dolor si fa;
Cerchiamo altrove, tu in allro core,
lo nella tomba felicità.
Né aggiungiamo parola lasciando che il letloVe giudichi da sé la
squisita eleganza e la spontaneità che è per entro a questi versi,
che ci fanno gustare in si bella maniera le grazie soavi dell' illustre
poeta di Lubecca.
Metà del volume è tutto consacrato a un Compendio storico della
Letteratura tedesca antica e moderna. Non sono che cento pagine:
e nondimeno è in esse tale ordine nella distribuzione delle materie
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CRITICA LBTTBRARU 299
che rapprendimento di quelle nozioni storiche può farvisi facile e
pronlo. Basta riportarne il sommario per convincersene:
Considerazioni prbliiiinarì: Divisione generale — Lingua e dialetti — Monu-
menti ANTicHissim — Precursori del i* periodo classico: Poeti — Primo periodo
r.LASSico: I) Componimenti epiei-^ a) Forme popolari^b) Iavotì d*arte — Eorìco di
Veldeke~Ck>rrado— Volframo d'Eschenbach^ Goffredo di Strassburg ~ Rodolfo di
Ems^-dì Aue di Wirzburg — 2) Componir,ienli iiriei — a) Lavori d*arle — Gual-
tiero von dcr VogelNveide^Nitharl von Euenthal — Ulrico di Lichlenstein^Fraiieo-
lob e Regensbogen — 3) Poesia didattica — 4) Componimenti prosastici. ~- De-
cadenza: i) Componimenti epici ^ 2) Componimenti Iiriei— a^) Cantori d'amore
— b) Canzoni popolari — 3) Altri generi di poesia ~ 4) Componimenti prosastici
— Prime influenze straniere: I) ~ Componimenti epici —2) Componimenti li-
rici — a) Lavori d'arie — b) Forme populari — 3) Altri generi di poesia — 4)
Prosa, — Influenza greco-romana : i) — Società lelterarìe — 2) Componimenti
poetici — a) Precursori delle scuole silesiche — b) Prima scuola silesica -7 e) Cir-
colo poetico di KOnigsberg — d) Seconda scuola silesica — e) Terza scuola sile-
sica — 3) Prosa — 1) Poesia: a) Haller e H^gedoru — b) Gottsched e Bodmer ^ e)
Circolo poetico di Brema — d) Circolo poelicc di Halle — 2) Profa. ~ Secondo pe-
riodo CLASSICO : a) Prima triade poetica Klopsiock — Imitatori di Klopstock —> Lea-
sing— Influenza di Lessing^Wieland, — Seguaci dì Wieland — h) Klinger e gs'
niomania — e) Seconda triade poetica, Herder — Schiller — Goethe. — Deviazione
DEL 2* periodo classico: i) Scuota romantica — a) Poeti — b) Prosatori «- 2) /n-
fluenza della scuola romantica — a) I fatalisti e i poeti patriottici. — Continuazione
DEL 2* PERIODO CLASSICO— Prosatori dell'intiero periodo: &) Prosa didattica — h)
Prosa retorica — e) Prosa storica. — Indizi di una nuova cultura.
Come si vede, molte ed importanti sono le materie del Com-
pendio storico del prof. De Marchi; ed è a desiderare che VA. con-
fortato dal plauso de' buoni possa svolgerle in altro lavoro speciale
colia larghezza 'di forma che non gli è slata consentita dal presènte,
per la quale ha dovuto vincere le grandi difficoltà del dire in breve
molte e molte cose.
G. PrrRÈ
Beirartiflcio pratico dei masaici antichi e moderni, per Gae-
tano RioLO, prof, di disegno nella R. scuola tecnica parallela di
Palermo, con tavola cromolitografata. Palermo, Luigi Pedone Lau-
riel editore, 1870.
Con questo tìtolo veniva pubblicalo non ha guari un opuscolelto
di 16 pagine, ma ricco di utilissime notizie sul modo col quale gli
antichi praticavano i loro maravigliosi musaici murali; e su quello
adottato dai moderni musaicisli per restaurare quelle antiche opere
e per eseguirne delle consimili, il merito principale di avere sco-
perti molti segreti delP artificio tenuto dagli antichi nelPesecnzione
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300 NCOVB BFFEMBIUOI 8ICBJANB
dei loro stupendi mosaki, ninno pnò contrastarlo al palermitano Rosa-
rio Riolo, pittore e direttore capo musaicisla della Beai Cappella di
Palermo, il quale meglio di ogni altro potò approfondire gli stadi
sol mosaico per la gi*an ragione che a lui, intelligenlissimo in tale
arte, furono affidati i ristauri della maggior parte degli antichi mu-
saici siciliani, e specialmente di quelli del Duomo di Cefalù e della
rammentata Real Cappella Palatina. L^ archeologo francese F. Saba*
tier e il Buscemi alloraquando illustrarono 1 monumenti della rìcor*
data Cappella , convennero entrambi di avere attinte importantis-
sime notizie suir artificio antico del musaico dal sig. Riolo Rosario,
il quale seppe cosi accuratamente studiarlo, da eseguire alcuni restauri
siffaitamente perfetti che non è facile distinguerli fhi i pezzi antichi.
Il di lui figlio prof. Gaetano Riolo pubblicando V opuscolo citato
ha reso un grande servigio a coloro che prediliggono lo studio del
musaico, il quale merita molta attenzione per parte di tutti quelli
che vogliono esercitare con lustro e decoro.
Dopo di aver parlato della antichità di questa nobile arte ram-
mentata perfino nei savi volumi delta Bibbia, il Riolo analizza i me-
todi coi quali praticavasi dagli antichi questo genere di pittura mu-
. raria fatta in virtù di piccole pietre e vetri in colori aggiunte le
une e alle altre con grande magistero.
Dopo aver passato in rapida rassegna i vari generi di musaico e
le epoche più distinte nelle quali fiori quest'arte, indica i monu-
menti che tuti^ora conservano splendide e preziose reliquie di essa.
E dopo aver con ragione ricordate le chiese Ravennati, si ferma a
quelle Siciliane di Palermo e Cefalù, che »enza dubbio sono le phi
belle che tuttora ci rimangono e che abbiano sapulo sfidare la mano
audace de' secoli. Si piace finalmente ad ansilizzare gli antichi suc-
cessi del musaico, e ciò fa con quella distinta intelligenza della quale
è capace questo egregio docente della scuola tecnica palermitana.
E dopo avere enumerati i metodi antictii , scende a parlare dei
moderni, e tatti utili raffronti fra quelli di Roma , Venezia e Pa-
lermo, accenna i vantaggi diversi, ne avverte i difetti e ne descrive
la pratica utilità aggiungendo una tavola cromolitografata per me-
glio spiegare i processi analizzati.
Sarebbe desicterabile che di questo opuscolo prendessero cogni-
zione tutti quelli che vogliono esercitare l'arte del musaico, facendo
tesoro degli utili insegnamenti che esso contiene, i quali sono il
frutto di dotte e parziali indagini e di profondi e severi sludi.
Torino, 1870. D. C. FiNOCcmeTTf.
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CRITICA teTTERARU 301
Stadi di storia siciUaiia di Isidoro La Lumia. Palermo , Tipo-
grafia Lao 1870. Volumi due.
Lavori di aita importanza non meno per la storia particolare di
Sicilia che per quella generale d' Italia , gli Studi delP illustre 1^
Lumia vogliono tutt^ altro che un semplice ricordo bibliografico; e
pei*ò attendiamo che il cav. Lionardo Vigo, da cui ne ricevemmo
promessa, venga a discorrerne in questo periodico con quel giu-
dizio che è da lui. Intanto non ispiaccia che cosi di volo accen-
nassimo al contenuto de' due grossi volumi.
Dal sec. XII al sec. XVIII, da Guglielmo il Buono al Viceré Domenico
Caracciolo, il La Lumia cerca, raccoglie e stringe con illice criterio
vari grandi fatti , e vi tesse sopra una storia del tempo nel quale
essi grandeggiano e fanno, come a dire, epoca. Codeste storie po-
trebbero costituirne una sola se non vi avessero degli intervalli
tra Tuno e l'altro periodo illustrato.
Celebrando gli avvenimenti del secolo di Guglielmo 11 , l'Au-
tore celebra un tempo di molta gloria per la Sicilia , la quale
sotto si egregio e generoso monarca sali in sommo lustro e po-
tenza al di fuori, e fu prosperissima al di dentro. Nel Matteo Po-
lizzi ovvero i Latini e i Catalani (l:{371354) è una dipintura della
tirannide esercitata dal fiero anti-catalano, che durante e dopo la mi-
norità di Re Ludovico figlio di Pietro II d^ Aragona tenne a tutto
suo piacere il governo di Messina e, abile e destro tanto quanto
ambizioso e dispotico, suscitò odi di fazioni che presto in rancori e
si tradussero da ultimo in aperte guerre civili; onde poi la fine sven-
turata di lui, della povera moglie e de^ figliuoli, tutti trascinati per
le vie di^ Messina dal popolo vindice delle sotTerte onte. Ne^ Quat-
tro Vicari è la storia siciliana di diciott'anni dal 1378 al 1396 : pe-
riodo di ribellioni, di lotte intestine e di sangue , come altri della
nostra e della storia italiana del tempo. Quattro nobili siciliani vi
campeggiano contrastantisi Tun P altro il potere sovrano delP Isola
dopo la morte di Federico III il Semplice. Gelosi , invidiosi V uno
della supremazia delP altro, usano e abusano a capriccio del nome
della legittima erede, Maria d'Aragona minorenne, e si combattono
e si suscitano contro gente d^ ogni risma e colore, usa a menar le
mani là dove o l'avidità del bottino o il comando d^ on barone la
chiamasse. Vertigini popolari d' ogni maniera vi si avvicendano ed
incalzano, fino a tanto che le civili discordie chiamano nelle nostre
contrade quella dominazione spagnuola che per duecent'anni ci si
aggravò sul collo.
20
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302 NOOTB BFFEMBHIDI SICIUANK
Brevi monografie son quelle iotitotate: GU fifrr#t stcOiani ({492}
Ottavio d'Aragona e U Duca <F Osstma (1865-1623), e il Viceré
Domenico Caracciolo (1715-1786); nelP una è narrato il lagrimevole
esilio degli Ebrei dalP isola, che pur gli avea accolti ed ospitati si
generosamente; neir Ottavio d* Aragona le gesto gloriose del più
prode e insieme del più nobile ammiraglio siciliano, cui non man-
carono e r amicizia e la fiducia e i maggiori aiuti del Viceré Duca
d'Ossun^, e nel Caracciolo quanto operò in Palermo questo ardito
ed anche un po^ bisbetico Viceré napolitano , che diede V ultimo
crollo alla feudalità e al S. Uffizio.
Monograffe più estesa e non meno importante è il GttiMpp^^f il-
lesi 0 i Tumulti di Palermo del 1647. D'Alesi, Tumile battilor d^oro,
il Masaniello di Sicilia , comparisce in essa in tutto lo entusiasmo
del capo di una rivollura, e nella perplessità e nella morte mise-
revole che fece , in mezzo a un popolo che il segui e soccorse
in prima, e poi allontanossene per invidia e sospetto.
È una vera storia La Sicilia sotto Carlo V Imperatore (1516-1636),
ove le prepotenze del Viceré Ugo Moncada in prima, la inettezza
del Duca di Monteleone dipoi, son cagione di due ardite sommosse
l'una seguita dalla cacciata del feroce Conte, l'altra, che (b suscitata
da Luca Squarcialupo, dal consolidamento deHa monarchia spagnuola;
ove le pratiche de' fratelli Imperatore per sottrarre V isola, donde
vennero esiliati, a Carlo, e donarla tutia al re Francesco |o di Fran-
cia, chiamano da lungi nuovo sangue e nuovi confini; ed ove l'ul-
timo periodo del Caso di Sciacca finisce con immiserire una delle
più belle contrade della Sicilia.
In tutti questi studi il U Lumia tiene una forma slorica tra la epica
e la prammatica ; egli nnrra e discute i fatti, ne indaga le cagioni
prime, ne ricerca e indovina le conseguenze ultime. Spesso racco-
glie in gruppi, in quadri separati e distinti ipiincipali successi del
periodo che prende a trattare; tocca appena de' minori, omette quelli
che a' soli cronisti o diaristi possono parere importanti Se non che,
e da cronache e da diari, e da sSorie e da documenti officiali, egli
trae ogni cosa, non accontentandosi, del resto, di ripetere quel che
gli scrittori hanno ripetuto, quando per un modo qualunque gli ri-
sulti il latto contrario, differente o variato nelle circostanze. Altri
vedrà dove il La Lumia abbia seguito questa pratica ; noi diremo
ckie i suoi volumi ci giungono prezioso documento di critica, di
temperanza non comune a questi giorni di aperta guerra al buon
senso e alla assennatezza.
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CRITICA LETTBEAIUA 303
Bella poi la forma narrativa, bella per efficacia e forza di espres-
sione. A tempo e a luogo T Autore sa trarre dalla sua tavolozza di
artista si vivi colori che i suoi quadri toccano T evidenza quando
rappresentano una corte imperiale o reale, un ritrovo di congiurati,
una popolare sonimossa, una prepotenza baronale, una calamità pub-
plica, un atto di eroismo.
Rcperta prodimus. 6. Pitrb.
V esercito Italiano nel passalo e neW avvenire per Carlo Ma-
RIAMI. Opera premiata con medaglia (T oro dalla Società pedago-
gica italiana neU* anno 1870, Milano, tip. già Dom. Salvi, i87t.
Dopo il Plutarco Italiano V egregio sig. Mariani ci dà V Esercito
Italiano , il quale, presentato all' ultimo concorso della Società Pe-
dagogica , risponde pienamente al tema da essa proposto V anno
scorso; e, degno in ciò dell* A. del Plutarco, è stato premiato con
medaglia d*oro. La Commissione aggiudicatrice del premio senten-
ziava : e Questa memoria è senza dubbio la migliore (delle presen-
tate al concorso) e crediamo d'aver già messo in evidenza il mol-
tissimo da lodarsi, il poco da censurarsi... L'a. mostra profondila di
dottrina, ingegno distinto, vasta erudizione;... le sue idee sono ge-
neralmente buone e quelle relative al soldato-cittadino buonissime,
lo stile è quasi sempre felice, Timpressione lasciata dalla lettura del-
l'opera è gratissima... »
In due parti è diviso V Esercito italiano, ciascuna di quattordici
capitoli. La prima è una storia, T altra una serie di pensieri e di
proposte suir esercito. L' una dice quel che ha fatto ed è stato ,
V altra quel che è, potrebbe o dovrebbe essere detto esercito ri-
spetto alla nuova Italia e alla nuova Europa. Dai tempi di Roma
antica ai giorni nostri, nella prima parte, la milizia italiana è accom-
pagnata e tenuta d' occhio nelle sue gesto, nelle vittorie e sconfitte,
ne' trionfi e negli abbassamenti delle armi sue. Ov' essa proceda
ordinata è apportatrice di civiltà in mezzo a popoli di civiltà in-
docili ; ove il sacro fuoco della libertà la infiammi è salute della
patria sua. Raccogliticcia e mercenaria è di puntello a vecchie mo-
narchie assolute, braccio a tirannelli prepotenti, a repubbliche ge-
lose per la propria, insofferenti deir altrui prosperità. É operatrice
di grandi atti sotto un prode capitano , spesso lo è pure con un
avventuriere; ma allora solamente è grande, generosa, ardita,quando
rivendica un suo diritto e difende da straniere aggressioni il prò-
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304 NUOTE BFFEMEBIIM SIOUANE
prio lerritorìo.— Chi legge il libro del Mariani non vede solo qve*
sta milizia nel suo muoversi ed operare; ma vede altreel gli ordini,
le istituzioni , le leggi ehe la ressero, e gl'inizi, e i progressi del-
l'arte sua, e r introdursi e il perfezionarsi di sue armi, che rag-
giungono a' dì nostri il non plus ultra della perfezione distruttiva
(passi la frase disgraziatamente vera), e che ci fanno esclamare con
TibuUo :
Quis fuit hotrendos primus qui protulit enses t
Quam ferus et vere ferreus iUe fuit!
E con questo vede anche T Italia ricca e fiorente quando vir-
tuosa e maschia , povera e tapina quando viziosa ed effeminata ;
oggi felicitata da una gloriosa vittoria, domani e sempre' intristita
per lunghe guerre, per lotte civili, per governi dispotici e feroci.
La narrazione di questa prima parte del libro procede con ra-
pidità straordinaria : e la storia vi è, per dir cosi, strettamente rao-
colta. Ogni tanto PA. si ferma come per pigliar fiato, e volgendosi
indietro pronunzia un giudizio sopra un secolo, un lungo governo,
un prode guerriero, un uomo di Stato, un mentito eroe, un pre-
teso tiranno; e la sua parola è franca, severa e, che più, indipen-
dente.
Toccando della seconda parte, accade riferire che di molte e belle
cose viene discorrendovi il ctiiaro Autore, le quali dimostrano la sua
svariata istruzione anche in materie di non comune apprendimento.
Dimostrato che P esercito presso genti barbare fu vero elemento di
civiltà e di progresso anche con conquiste sanguinosissime, dice del
come lo si debba usare in tempo di pace per evitar la rovina che
esso minaccia col suo numero sterminato a cagione del contrappeso
voluto dalla sicurezza degli stati. Egli deplora colla presente società
• di vedere condannata all'ozio una gioventù vigorosa e intelligente,
la quale savianfente adoprata potrebbe recare un grande giova-
mento alP agricoltura , alle industrie , favoreggiare il commercio e
concorrere alla produzione della ricchezza, mentre impugna le ar-
mi a difesa della patria : ond' essa dovrebbe diventare a un tempo
elemento di grandezza e di gloria in guerra, di prosperità e di ci-
viltà nazionale in pace. » A convincere della qual verità viene ri-
cordando sommariamente « le opere più importanti e insigni che dai
tempi antichi sino a' nostri giorni compironsi colle soldatesche; o-
pere le quali arrecarono benefizi immensi a' governi ed a' paesi
ne' quali vennero condotte. • Cosi propone l'esercizio di alcune arti
e mestieri e P insegnamento tecnologico; perchè, una t nazione
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GIUTIGA LBTT1SRARIA 305
che possedesse ^n eseroito abile a far tutto da sé che gli abbiso-
gna« non sarebbe forse pi& indipendente e pia forte? *
11 Mariani s'intrattiene dell'arti fabbrili e manifatturiere, delle
industrie rurali, della istruzione agraria e veterinaria, cui più pos-
sono e maggiormente debbono chiamarsi i nostri soldati; i quali,
educati secondo i precetti pratici della scienza agricola e zooiatrica,
restituiti contadini ai loro campi e a' loro animali, sareb'bero utili
a se stessi e agli altri migliorando i loro prodotti e combattendo i
pregiudizi e i mali che pur troppo flagellano e armenti e greggi.
La Ginnastica il Mariani la vuole « non soltanto base della educa-
zione deir esercito, ma eziandio mezzo opporlunissimo a renderlo
gagliardo e coraggioso, e ad accrescerne le forze morali; • e rac-
comanda che s' insegnino al soldato < quei precetti d' igiene che
hanno per iscopo la conservazione della vita ; ond' eì, lasciato il mi-
litare servizio, si farà per certo banditore di quelle benefiche dot-
trine, e coopererà efficacemente al benessere materiale del popolo. •
Ed intanto che non vuol trascurali i campi d' istruzione, va ancbe
in là, e suggerisce alla educazione morale e intellettiva dell'esercito
• un migliore indirizzo pratico nello insegnamento e più confarcente
alle avvantaggiate condizioni politiche d'Italia; > e al compimento
di detta educazione le scuole militari di canto, tentale dal Varisco
e sostenute dal Maineri in Milano. Come le hanno gli-ufflciali stu-
diosi e come cominciano ad averle i più piccoli comuni^ domanda
pe^ soldati biblioteche circolanti, e a' migliori di essi il premio delle
rappresentazioni teatrali.
« Apostolo non della casta ma della verità, della libertà e de' van-
taggi della patria, • il Mariani confessa il bisogno < di una istruzione
6 di una educazione forte e saggia nei sommi uffici deiresercilo; •
m^ non disconosce i generosi servigi che esso presta al paese ne'
giorni di più grave pericolo e nelle pubbliche calamità.
Un buon capitolo consacra TA. alParmaniento nazionale, ma que-
sto tema è doloroso in Italia , e a lui che lo propugna ripetiamo
le sue stesse parole : < Sventuratamente i ministri italiani sino ad
ora mostrarono di curarsi poco di esso, o per malizia, o forse per-
chè non ne compresero mai V importanza. »
Questo r Esercito iialiane nel passato e neW avvenire ; libro nel
quale come in uno specchio riOettesi una bella mente e un nobile
cuore. Noi non conveniamo in tutti i suoi giudizi, né tulle crediamo
attuabili le belle sue proposte, nò di molti miglioramenti capace
la nostra milizia. Ma noi siamo profani in questo campo, e volentieri
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306 NUOVE EFFEMRRIDI SIGIUANE
ci rimelliamo al Mariani, che in ciò paria e scrìTe ab exp^to, e che
vuole col maresciallo Bugeaud che V esercito proceda ente et aratro.
Forse una minor brevità e la omissione di fatti in. cui le milizie
italiane non compariscono od operano molto, nella prima parte: e,
nella seconda, il trasporto del cap. XVII e se vuoisi anche del XYUI
in altro luogo, non sarebbero slati inutili in questo lavoro; ma
così com' esso lo Esercito Italiano a noi pare degno di un valoroso
scrittore.
G. PnRÈ.
NECROLOGIA
Il giorno 21 settembre moriva in Palermo, dopo breve malattia,
in età di anni 61, T illustre uomo cav. prof. Emerico Amari, com-
pianto non da soli parenti e amici, ma da tutta la città, anzi dalla
Sicilia intera. Intelletto altissimo, tanto da speculare e trovare un
nuovo aspetto della flIosoQa della storia con la sua Critica di una
scienza delle legislazioni comparate (Genova 1857); specchio di virtù
domestiche e civili , morali e religiose ; il cav. Emerico Amari fu
tale figura che raramente si ripete, per compiutezza di carattere,
armonia di virtù e di affetti, che non saprei più a chi somigliarlo
Ira' viventi, o con chi de' passali fare riscontro. Scienziato e let-
terato di vasta dottrina e svariata erudizione, intendeva assai le arti,
e di esse discorreva o giudicava con gusto sanissimo; profondo nella
meditazione della scienza, era nella pratica sempre esperto secondo
la materia a cui si applicava; e scrittore, e uomo di stalo, professore
sia alla cattedra di Diritto penale in Palermo, sia a quella di Alo-
sofìa della storia nelP Istituto Superiore di Firenze, oratore alla ca-
mera palermitana del 1848 e a quella di Torino e di Firenze del
1861 e 1867, ministro del 1848, della Dittatura e della Luogote-
nenza nel 1860, fu personaggio in teoria ed in pratica, in morale
e in politica sempre uguale a se stesso, costante e saldo ne^ prin-
cipi di libertà per tutti e di vero progresso che abbia sua radice
nella virtù e nella giustizia, tanto da non aver mai ceduto a*" giudizi
mutabili de' tempi, qualunque ne fosse la conseguenza. Dagli amici
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NECROLOGIA 307
yeri che sempre lo cìrcondaroao per qaesti ultimi dieci anni , fa
più che amato^ venerato: e o in villa o in città, nella modestia e
nella sapienza dett^uoma venerando, raccoglievano essi esempio e
conforto come saper vinche tempi corrotti da ipocrisia di nomi; e
come pti che onori e premi dispensali oggi per turpe mercato di
eosdenea, ambire la gloria che tocca ai pochi d' invidiabile onestà.
Altri dirà a lungo della vita e delle opere di Bmerico Amari; a
cui il Consiglio Comunale ha decretato un degno monumento in
San Domenico; noi dando notizia della sua morte, la quale più che
di filosofo, fu di santo, né diversa dalla vita, non sappiamo nel do-
lore che ci ha sopraffatti, che augurare aUa Sicilia novella fortuna da
poter altra volta veder rinnovato ne^ suoi figli lo stampo più che
raro di Emerico Ainari.
Y. Di Giovanni
XLJLrrASLB POUVX
11 giorno 10 ottobre moriva in Girgenli, ove dimorava da lun-
ghissimo tempo, il siracusano Raffaele Politi. Egli conlava ottanta-
sette anni, ed era autore di oltre a settanta pubblicazioni di ma-
terie letterarie e archeologiche. Amico di Giovanni Meli, che nella
gioventù di lui dedicògU una delle sue migliori poesie, fu poeta fa-
cile, spiriloso e vivace: essendo ad un lempo valoroso pittore, in-
cisore e archeologo. Tenne vari carichi, tra' quali quello di R. Cu-
stode delle Antichità di Girgenti e di Console generale di Baviera;
e fu socio oltre che di molte illustri accademie, della Socielà Uni-
versale degli architetti britannici di Londra, e del celebre Istituto
di Francia.
ATreOI OZBRA&ZO
Nato in Torino il di 23 febbraio i80i Luigi Cibrario cessava di
vivere presso Salò il 1© ottobre.
Egli veniva da umile stato, e nondimeno giunse a' gradi e alle
dignità di Conte, Senatore, Ministro di Slato, Primo segretario par-
ticolare della Corona ecc., amico, nella buona e neir avversa fortuna
di Carlo Alberto. A 22 anni fu dottore in legge ; e prima e dopo
dettò de' versi eleganti. La Storia della Monardiia di Savoia, la
la Storia di Torino^ la Storia di Cbieri, la Storta di Ginevra^ ecc.
gli meritarono rinomanza di storico valente.
(Cultore dell'araldica, scrisse DeWOrigine de* Cognomi; fu economista
nella Economia politica nd Medio-Evo, e mente versatile nei libri :
le Artiglierie dai 1300 al 1700 ; Della schiavitù e del servaggio ; la
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308 NUOYB EFFEMERIDI SICILIANE
Morte di Carmagnola; Notizie storico-geneatogiche ùé sovrani saboitdi
ecc., senza dire di varie opere classiche di cui curò le edizionL Fa
uomo di retta fede politica: e da ministro e da consigliere della co-
rona ebbe la rara ventura di rimanere superiore a* parliti.
G. P.
RECENTI PUBBLICAZIONI ^Raccolla araldicn, fase. 1. Pai. Huber in 4»; Trat-
tato $uUa Coltivazione degli Olivi e la Manifattura dell' Olio per il prof. Girolamo
Caruso. Pai. Lorsnaider in 8*; Sullo stalo e tulla riforma della Legislazione de* Pub-
blici Archivi in Italia. Saggio di G. Silvetri. Pai. Pedone in 8»; Principi di mediche
scienze seguiti da due analoghi articoli delle arterie e delle vene ecc. per G. Lo Ca-
scio Cacioppo. Pai. Lao in 8* ; Prime Lezioni popolari di Chimica inorganica pel
Doti. Francesco Orsoni. Sciacca tip. Mandracchì.i in 8*; Le monete delle antiche città
di Sicilia descritte ed illustrate da Antonino Salinas, fase. I. Pai. Lao in 4*; Guida
alla soluzione de* Problemi aritmetici ad uso delle scuole magisti-ali , ginnasiali^ e
tecniche por G. Faglisi. Pai. Giliberti in 8°; Osservazioni storiche e diplomatiche in-
tiìrno a* diplomi détta R. Cappella Palatina del can. Cesare Pasca, agli studiosi della
diplomatica^ sieola. Palermo Russitano in d"; Catalogo dei prodotti agricoli siciliani
raccolti ed annoiati dal prof. Sac. Paolo Cullrera. Pai. Lorsnaider in 8*; Studii zoo-
logici e zooiatriei adattati a tutte le intelligenze per il me^iico-chirurgo veterinario
Stanislao Polverini. Voi. I. Girgenti, in 8*; Saggio elementare di talune funzioni a
periodo sempUee con una nota sulla risoluzione delle equazioni numeriche per Al-
fonso Zinna. Siracusa, tip. Norcia, in 8*; L'Uomo e la Scimia, di Michele Ciacerì-
Riszone. Modica; /n<omo al conato di delinquere ìiello stato attuale della scienza e
del diritto po$Uivo, Dissertazione dell' avf.^arìo Di Mauro. Catania, Caronda; Roma
e il Mondo nel 1869, Discorso del sac. Franco Fisichella, Catania, Coco; Rendiconto
statistico degli ammalati curati nelV Ospedale S. Marco di Catania T a. i869 per
Mario Ronsisvallo. Catania, Calatola ; Diuertazione fisica, geografica, astronomica,
geologica ecc. delle zone della terra per Benedetto Lupi. Catania, Musumeci-Papale;
Avifauna del Modeneu e della Sicilia per Pietro Doderlein, fase. I, II, in 4*. Pa-
lermo, Lao; Sui cementi e loro applicazioni per V ing. Felice Giarrusso. Palermo ,
Pedone, in 8*; Osservazioni sulla malattia degli agrumi di Ant. Pennisi Mauro. Pai.
Lorsnaider in 8*; Sui diversi processi di guarigione delle ferite, ricerche e deduzioni
del Dr. G. Cavaliere. Pai. Lima in S*"; Sullo sviluppo e la durata delle correnti d'in-
duzione e delle estraconenti. Ricerche di Pietro Blaserna. Pai. Lao in 4*; Ragguaglio
di un secondo triennio di Clinica medica nella R: Jlniversitd di Palermo, del prof.
Carlo Maggiorani. Pai. Lio in 4*; Elementi di Filosofia positiva del prof. Francesco
de Felice. Catania, tip. Coco, fascicolo I, in 8*; Amalasunta, Poema epico-dramma-
tico del professor Paolo Sansone, 2' ediz. Pai. Lao il 8*; La Storia antica breve-
mente esposta da Camillo Randazzo, Pai. Mirto in 8"*; / Germani prima della caduta
dell' Impero romano. Cenni storici di G. B. Siragusa. Pai. Tip. del Giorn. di Sicilia
in 8*; Cenno necrologico dell* ing. areh, Gaetano Picone scritto da Luciano De Be-
ncdictis. Siracusa, tip. Puleio, in 8*»; Siracusa dal 1826 al 1860 por il prof. Salva-
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VABI&TA' 300
tore Ghindemi. Siracusa, tip. Eredi Pulejo, un grosso voi. in 8% Soprauna Letlm-a di
N, Tommaseo, preceduta da un Discorso di Em. De Benedictis. Siracusa, Pnleio,
in 8% Resoconto degli atti dell' Accademia del Progresso in Palazzolo-Acreide pel 1867
redatto dalsegr, avy. Nicolò Zocco. Ragusa, tip. PicciUo e Antoni, in 12*; Viaggi di
Enrico Wanton a* regni delle seimie e dei cinocefali. Opera di Zaccaria Seri man ve-
neziano. Pai., tip. Gandiano, in 8*-,CaWo Gemmellaro scrittore di cose patrie per Em.'
Lombardo-Giudice. Catania, Calatola; La Gioventù e V avvenire, Conferenza di Gio-
vanni Alfieri. Modica; Lo spirito d* Italia nella lingua e nelle lettere, per B. Casii-
glia, Parte prima: Lingua e amore, Milano, Biblioteca dei popolo, in iQ^Grillu ossia il
Bandito Siciliano, canti XIII di Carmelo Piola trasportati in italiana favella dal
prof. G. Cazzino. Palermo, Amenta; Poesie e Versioni poetiche di G. B. Sansone.
Pai., tip. Giornale di Sicilia; Amore e intr^o, Ricordi d'una elezione raccolli ed
ordinati da C. Galatti. Messina, tip. Ribera; Dodici Odi di Giovanni Meli tradotte
da Licurgo CappelUiti. Messina, tipografia Filomena; Le Maddalene pentite dello
stesso, in 8* ; Nove Giorni in Terrasanta , narrazione di un Viaggio di Catello
Gaeta, Palermo, Lao; Documenti e Fatti relativi alle strade etnea e stesicorea di
Catania per Eligio Sciuto: Memoria 1* storico -artistica. Catania, Pastore, in 4; / pìimi
atti costituzionali dell' Aug. Casa di Savoia ordinati in Palermo» Prima Sedes, Co^
rona Regie, Regni Caput, Vittorio Amedeo Regnante; ricavati dall'archivio di Stato
in Torino dall' avv. Gius. Spata. Torino, R. Tipografia, in 8*; Pandetta delle Gabelle
e de* Diritti della Curia di Messina, edita da Quintino Sella, con una prefazione di
Pietro Vayra. fms. della Biblioteca dell' Università di Cagliari della seconda metà
del sec. XIV); Giovan da Procida e il Ribellamento di Sicilia nel 1282 secondo il
codice vaticano 5256 per Vincenzo Di Giovanni. Bologna, tip. Fava, in S"; Alcune
Questioni di poesia popolare per Giuseppe Pitrò. Firenze, tip. dell'Associazione, in 8*;
Raccolta di voci siciliane italiane attenenti a cose domestiche e ad arti e mestieri
per Salvatore Cocchiara. Pai., Amenta, in 8**; Il maestro elementare. Cantica del
prof. Giuseppe Bellini. Girgenti, tip. Romita in 8*;
PROSSIME PUBBLICAZIONI— Fra breve saranno pubblicati in un volume in-8«
tip. Roberti, tutti gli Scrini vari editi e inediti di Francesco Maccagnonc^ principe
di Granalelli.
— Il Dolt. Macaluso da Palermo ha compito e preso a stampare una sua opera
col titolo: Le droghe vegetali medicinali esposte con nuovo metodo.
— Promettesi dal sig. S tiv. Cassarà una Biblioteca letteraria di operette minori in
volgare d'invenzione della ciltà arcivescovile e seminario di Monreale.li titolo si com-
prende poco, ma il Cassarà vuol dire che gli autori antichi delle prose e de' versi
che egli metterà in luce saranno monrealesi.
— Fra non guari vedranno la luce i Monumenti siciliani fotogrofali edetcritti dal
Dolt, Saverio Cavallari, direllore delle antichità di Sicilia,
Di qucst' opera importantissima, eseguita per disposizione del Ministero delf Istru-
zione Pubblica, e per incarico datone al Cavallari dalla Commissione di Antichità
e Belle Arti di Sicilia, sarà per ora pubblicata la prima parte, che abbraccia Taor-
mina, Siracusa, Pantalica, Cave d'Ispica e Agrigento ; e lisulla di num. 38 tavole
illustrate. Tutu l' opera sarebbe divisa in tre parli.
La parte descrittiva dell'opera ha in mira di' mettere in rilievo lo stato attuale
dei monumenti, V epoca del rinvenimento di essi, i rislauri e gli scavi fatti sino al
31 luglio 1870 , quelli cominciati e intrapresi , e quelli da intraprendere pel tratto
successivo.
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3i0 NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNB
— Il prof. Giuseppe Seguenza , di cui abbiamo ammirato testé in Messina una
preziosa e ricca coileziooe conchiologica degna di figurare tra' migliori musei d'Eu-
ropa , sta per pubblicare in Inghilterra un lavoro sui Brachiopodi terziari delF /•
tolta meridionale. Di lui si attendono anche ì seguenti lavori : 1« E$ame de* Bra»
ehiopodi pubblicati dal prof. Oronzio G. Cotta; 8* Conchiglie foetUi del pioceno a%'
lieo identiche ai viventi de" mari del Nord.
— Il prof. B. E. Maineri pubblicherà tra poco un volume di escursioni col ti-
tolo : Sull' Amo e sui Po, editore il Bortololti di Milano. S'attende dello stesso: Im
Guerra franco-germanica nel i870, narrata tu fonti unciali e positive dal Dott. Fe-
derico D5rr, prima versione italiana con proemio. Il i* fase, di quest'opera in A-
lemagna è già alla 7* ediz. df 18000 esemplari.
— La Ditta tipografica Giacomo Agnelli in Milano sta per pubblicare quattro o-
pere interessanti col (itolo : / doveri e i diritti d* ogni buon Italiano ; memorie e
speranze fer U popolo, di Niccolò Tommaseo (L. 2. 80) — La patria e la famiglia,
del prof. Pietro Pacini di Lucca , con prefazione e giunte di Niccolò . Tommaseo
(L. ì 75); — la ristampa del libro tanto bene accolto, di Cesare GantA : Buon tento
e Buon cuore ih. 4 80), la cui prima numerosa edizione si è esauriti in meno di
due mesi; e il Portafoglio d'un Operaio» dello stesso Cesare Cantù.
— Il Dott. Pollale, bibliotecario in Dillingen in Baviera, sta traducendo in tedesco
gli Sludi tutta lingua umana di Alessandro Ghiradini, de* quali si è parlato nel
nostro giornale.
BELLE ARTI — Il pittore Francesco Di Giovanni ha eseguito un bellissimo ritratto
del nostro Salvatore Vigo. In una carta che sta sotto due libri si leggono lo se-
guenti parole, che sono la biografia dell'integro patriotto: « Invitato a giurare la
Costituzione di Napoli sotto pena di destituzione dell'alto ufficio che occupava nel
Ministeio, rispose : Salvatore Vigo , siciliano , giurerà la Costituzione di Sicilia.
Napoli, 24 Febbraro I8i8. • I libri sono lo Scinà e il Gregorio , e accennano agli
studi del Vigo, le cui severe sembianze son reóe colla massima verità e disinvol-
tura.
— Il prof. Francesco Lojacono ha terminato in Palermo ed esposto in una sala del
palazzo comunale un nuovo paesaggio, commessogli da Vienna. I giornali cit-
tadini ne fanno molte lodi.
•— Lo scultore Vincenzo Genovese ha condotto a termine in Palermo sua patria
due statuette in marmo rappresentanti il Bi$o e il Pianto.
— Il pittore palermiUno sig. Pensabeno ha terminato un bel ritratto di Emerico
Amari.
" Lo scultore D'Amore ha finito il modello d' una statua di Vincenzo Florio,
che dovrà esser condotta in marmo, merco pubblica sottoscrizione, in Palermo.
— Lo scultore messinese Zappala sta eseguendo in Roma un busto di GiusKppe La
Farina. È stato esposto nelle sale del Palazzo comunale di Messina il Iodato quadro
del messinese Giacomo Conti rappresentante i Vetpri ticiliani , del quale abbiamo
già parlato.
— Ci scrivono da Parma : A questa Esposizione la Sicilia è stata degnamente rap-
presentata dair artista Liardo palermitano. Egli ha avuto la medaglia d'argento
per una testa dipinta e pochi disegni.
SOLENNITÀ' — 11 giorno i3 novembre sarà inaugurata in Partinico una Biblio-
teca pubblica con un discorso del prof. Carmelo Pardi, il quale si è adoperato ef-
ficacemente per si bella istituzione.
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BUIiLETTINO BrBLIOGBAFIOO
1 niO-PARASSm , ovvero ConiribvU^
alto itudio di caiw morbo^ non btn
Al nomili tf dagli aniicki p^r Gilseite
CAAuae. 2* ediz. Palermo ^ A menta,
1870, in 8- gr-
Studio di molu imporiansa mUst mo-
derna palologia generale è la etiologia,
la qnale ba trof alo un nuovo campo da
seguire nelle osserviuinTii microscopiche
del noBìTÌ tessuti. Cmlpste osàervaitonì
gettano vìva luce sopra I& c^usa di molte
maLlfliiìe, ignote, mal comprese o frain-
tese dagli antichi: vogliam dire il zoo- pa-
rassitiamo 0 il lìto-para!»siLi^mo, che og-
gidì occupano tanti os^rvatnrì t} danno
taoti libri. U Detlor (bardile pubblicava
nn anno addietro ed ora ripubblica q\ìz-
%iù suo lAvoro, il f^uale aggirasi sopra
nna parte de' parassiti, la vegetale. Egli
espane le alimi e le prc^prie e^pmenzij
intorno a tali cause mi-rbifere; e, con-
vinto com' ^ della natura ìifTatto vegeiak
de' par^^iTi che esamini . iniptffna la
teoria di quegli istologi che vedono in
essa una rteororm azione palo log iea. Cosi
è che etip>iie i caratteri generali di tanti
parassiti, la loro esseijEa , i risultamentr
microscopki otlenuti dagli nitri e da lui
9ie§»i, e I '.raduati processi onde ì fito*
parassiti aherano Torganismo umano.
E da ten(*r conto in Ititto il lavoro del
Iirincipio speri mentJiltf che vi si difende,
L* A. vi sì basa ed alAda iiiltframwilt?.
iftia^fi non pago abbaitanM di raccoman-
darlo n" cui tori dell'arte ^^bttiire pi<r una
ponderata diagnosi. Tm' libri C4J0 sul iati
da lui godiamo di vedtfmr figuri re di-
clini fecenli, italiani e slrauicri : »l clitì
dimostra con (|ual coscienza T egregio
Bottor Cardile abbia studiato e meditato
la fiua lesi. In una ristampa intanto agli
potrebbe colla uiiìata sua diligenza curare
i tiLùIi di alcune opere i^lraniere.
C. R
SOPRA LA IMPOHTANZA DELLA FI-
LOSOFIA RAZIONALE l/tKOr«o di Rao-
SPERO Dei. Rio ecc. Modena, *870.
Sapi en te m e n te pensa lo, e seri t lo co n se-
vera elega tiaa, é questo dJs<;orso in leso a
cornimi [pre in favore della bnona e pe-
renne filosofìa le ridicole stranezze dei
predicatori del posUivitmo con tempora*
nei e da' ciurmadori del tiÒÉro pentigro.
Con molta temperanza di modi, ma con
lùfica sempre stringente, sono tirati alla
contraddizione si i primi p sì i secondi; e
va sol enne mi nte confermata la saldezza a
la naturate necessità della Rlosofia razio-
nale, senza cui le stesse m'itemi ticbe e
Ip scienze lìsicbe m^ntherebberQ di ra-
gione. Lo spregio della filosofìa è avver-
tito nuocere aasai, o ai pubblid »tudi e
alfa morale oducaxioue della gioventù,
a Ufi alb stessa dignità ddl' uomo , e
quando la logica più non go^^i*rna le men-
ti , allora va per via il buon senso, e il
sofisma confali ma lo sperpero di ogni s.i-
perp* siccome l.i corro zi urte bandisce ogni
più sanU viriù. Ci congratuliamo dì cuore
riiir vi^^ del Rio * che coM coraggiosa-
mente e doflamente é sceso a combattere
li battaglie della scienza contro i n;o-
derni SulUti. V. 0* G.
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312
NOOVB BFFBMBRIDI SIGIUANE
VOCABOLARIO POLIGLOTTO DI GEO-
GRAFIA ecc. per Carlo Mensinobr
con prefazùme di B. E. ìf ainbri. Mi-
lano, Berntrdoni, 1870.
È un volume di oltre 300 pagine in
8* gr., nel quale rillustre prof. Mensin-
ger, slavo di nascita ma italiano atstte-
tudine ac voluntale, ha voluto tentare
la restituzione de* nomi geografici alla
loro esattezza genuina senza le modifi-
cazioni che essi hanno subito nelle lin-
gue europee e sopratutto nella italiana
e nella tedesca. Leggendola erudita pre-
fazione del valoroso prof. B. E. Mai-
neri , scrittore sempre facile e purgato ,
c*è proprio da rimaner maravigliali delle
differenze che esistono tra i nomi pro-
pri d'imperi, regni, repubbliche, prin-
cipali, ducati, Provincie, cìrcoli, distretti,
città, borghi e villaggi, quali sono in-
tesi comunemente e i nomi genuini. Con-
quiste* congressi, guerre d'indipendenia,
guerre di dispotismo, ragioni di Stato,
necessità diplomatiche, ambizioni soddi-
sfatte, hanno modificalo, trasformato,
travisato la UDmenclalura geografica a
danAO non che delle tradizioni locali e
della storia, della filologìa e della etno-
grafia. Di qui apparisce evidente 1* im-
portanza del presente lavoro » il quale
ha di mira un intento generoso, « che
altri potrebbe pur chiamare riforma,
(già da non pochi sentiu ed invocata)
nei medesimi studi, investigazioni e dot-
trino della geografia contemporanea. »
L'opera è un saggio di quella generale
che il Mensinger intende presentare agli
studiosi d'ogni disciplina (tutti avendone
bisog'o), e il prof. Mainerì raccomandan-
dola colla sua efficace parola non tra-
lascia di manifestare i suoi timori sulta
difficoltà della riforma vuoi per parte
di chi la propone, vuoi per parte di chi
dovrebbe metterla ad alto. Noi crediamo
far cosa buona raccomandando anche noi
lo esame accurato di questo primo ten-
tativo, il quale potrebbe venir coronato
da ottimi risultamenii. G. P.
I GERMANI PRIMA DELLA CADUTA
DELL' IMPERO ROMANO,G«iim<torù:»
di Gian Battista Siracusa. Palermo,
1870.
Considerando la civiltà dell* Europa, e
segnatamente dell' Italia, come il risultato
del cristianesimo , delle leggi romane* e
delle istituzioni germaniche; 1' A. ha ri-
volto i suoi studi sopra questo terzo ele-
mento, intomo al quale non saranno mai
superflue nuove indagini.
(}uesto che ha messo fuori il Siragusa
è un semplice saggio del suo lavoro so-
pra i Germani , e tratta delle origini di
questi popoli, e delle questioni in tomo
al nome di essi. L' A. si mostra molto
accorato in queste pagine, e nel mettere
a raffronto le opinioni varie degli sto-
rici , giudizioso. Ond'è che noi, mentre
ci congratuliamo coli* A. per quesu sua
pubblicazione, vogliamo augurarci che
egli condurrà a fine il suo lavoro sopra
i (xermanì. S. C.
LA STRAGE DI S. BARTOLOMEO, Mo-
nografia ttoricO'CrUica (dulia North
Brilifh Review) con introduzione ed
aggiunte di documenti inediti tratti
dalV Archivio generale di Venezia,
Venezia, Antonelli, 1870.
Autore di questa monografia ò un alto
personaggio inglese , il quale ha voluto
conservare l' anonimo ; traduttore quel
Tommaso Gar che è tanto lustro degli
studi storici in Italia. LVuuo pubblicolla
anonima nella North Britith RevieWtVtiU
tro* facendola conoscere agli Italiani por
mezzo degli atti del R. Istituto veneto,
vi ha premesso un breve ma importante
riassunto de' fatti politici e religiosi che
concorsero allo sviluppo della tragedia
francese; e aggiunto irentadue documenti
autentici quasi tutti ignoti , tratti dagli
archivi veneti, che ad essa si riferiscono.
È notabile nella monografia il giudizio
che r illustre Anonimo pronunzia sugli
autori ed esecutori della Strage di S. Bar-
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BULLETTINO BIBLtOGRAFIOO
313
tolomeo; giudizio suggerito da ben pon-
derato esame de' documenti che il dotto
personaggio ha potuto consultare, e ci|are
a piò di pagina, t Le chiese francesi, e-
gti dice , risuonarono sovente di furiose
declamazioni; e poscia echeggiarono di
profani canti di gioia. Ma il clero di Fran-
cia non figura come protagonista nell' i-
niziativa e nella esecuzione del sangui-
nario decreto. Il Conti , contemporaneo
bensì, ma troppo distante per aTerne co-
gnizione accurata, riferisce che i parrochi
andavano attorno segnando con una croce
bianca coloro che erano «ondannati a pe-
rire. Egli viene contradetto dai registri
municipali di Parigi. Morvillo, vescovo
d'Orléans, benché avesse rinunciato l'uf-
ficio di guardasigilli cedutogli da l' Hò-
pital, occupava tuttavia il primo posto
nel consiglio reale. Fu consultato airuN
timo momento; e si disse che egli svenne
quasi di orrore. Riavutosi , diede il suo
voto concordemente cogli altri. È il so-
lo prelato francese (eccettuati i cardi-
nali) la cui complicità sembri accerta-
ta... Sorbin (predicatore d$l re) è l'u-
nico prete della capitale, complice distin-
tamente in queir atto del Governo fran-
cese • (pag. 59-60). E più sotto parlando
del predicatore gesuita Edmondo Anger :
« Tre giorni dopo la sua partenza , più
di 200 ugonotti furono assassinati. Tranne
questi due casi (Sorbin e Anger) non si
sa che il clero di nessuna parte di Francia
cooperasse ad incoraggiare gli assassini...
Era comune opinione in quel tempo (e
non ò ancora cessata) che il massacro
fosse stato promosso e sancito dalla corte
di Roma. Nessuna prova di complicità
anteriore all'evento fu mai prodotta ;
ma sembrò tutta consistere in ciò che si
suppose essere accaduto nell'afiTare della
dispensa (del matrimonio di Margherita
di Valois eoi re di Navarra) • pag.di-62.
La traduzione del Gar è fatta italiana-
mente : il che vuol dir molto.
G. P.
I CONVENTI DI PALERMO , Romanzo
tUmeo in tre volumi di Oscar Pio.
Milano, Battezzati, 1870.
Questo povero nostro paese sta diven-
Undo lo zimbello di quanti hanno il bi-
sogno di divertirsi alle spalle altrui. Il
sig. Oscar, che, come direbbe il Pariui ,
per bizarria dell' accidente , dal nome
del eaeato è detto Pio, è uno di questi
ootali ; e nella persuasione di rigenerare
la Sicilia scrive quest' opera magna, e la
battezza per romanzo stoìieo. Noi siamo
tutl* altro che sostenitori delle fraterie ,
ma crediamo ingeneroso , per non dire
inonesto , il combatterle , il vituperarle
ora che sono cadute. 11 sig. Pio fa come
un giovinotto ufficiale garibaldino da noi
conosciuto nel ISeO, il quale non sapendo
che si fare dell'enorme sua sciabola , e
rincrescendogli forte che essa rimanesse
tuttavia inoperosa , non potendo eserci-
tarsi ad ammazzar vivi, divertivasi a cin-
cischiar morti ; egli« il sig. Pio, picchia
sopra ctrpi morti. Noi non gì' invidiamo
la gloria che ne riporterà; ma però invi-
tiamo i cultori dell' arte romanzesca slo-
rica di prendere a modello i Conventi
di Palermo , sfcbe ne facciano tesoro
per opere eonsimiii. Badiao, per carità,
al dialogo, che il dialogo del sig. Oscar
ò singolare : le persone vi parlano col
loro dialetto e gergo. I siciliani p. e. vi
ciarlano, e bestemmiano in siciliano che
è un piacere, proprio comesi fa al trivio
e al bordello. Ad essi c'ò alcuno che ri-
sponde in italiano , ed in italiano alla
Oscar. Le «ose più basse vi sono raccolte
con grandissima diligenza, e il sig. Pio
pare che se ne tenga : tutti i gusti son
gusti, diceva queir ebreo che si vedeva
impalare.
Come prova poi del come il sig. Pio
abbia studiato i nostri costumi, la no-
stra storia, il nostro dialetto, che egli si
sente l'animo di rappresentare e ritrarre,
ci basterà far notare questo fatto che,
adoperando egli a certo punto la voce
Vweiria, che significa mercato di come-
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314
NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANB
stibili , e volendone dare It elìmologit,
sentenzia che ia Vuceiria è cosi detta per
!e grandi voci che yì si fanno.
Quando si hanno romanzieri e filologi
di quesu fatta e' è proprio da rallegrar-
sene e con essi e con gli editori loro; ano
de' qaali, il famoso editore della BihHO'
teca galante, Enrico Folini di Milano ,
non ha avuto a vergogna di affidare te-
stò al sig. Oscar la compilazione dì una
nuova Sloria d* Italia dall' origine alla
eonquitta di Roma,dopo quelle del Canta,
del Sismondi, del Balbo ecc.; stoiia (?)
la quale egli ci ha pregato di raccoman •
dare efficacemente, siccome col presente
articoletto intendiamo fare. G. P.
LA PIETRA FILOSOFALE ovvero uli-
litd delle cote inutili del prof. PiKTno
FoHNARi. Milano, 1870.
LA UBERTA* DI COSCIENZA del prof.
Felice Uda. Milano, 1870.
È quella una conferenza tenuta dal
prof. Fornari in Milano, e costituisce il
secondo volumetto della II serie della
Biblioteca del popolo italiano fondata e
diretta da quel valentuomo che è Vin-
cenzo De Castro. L' A. Con molta viva-
cità viene toccando de' vantaggi che pos-
sono recare alle industrie e alle mani-
fatture certe cose che perla loro vilesza
sono condannate al corbello della spaz-
zatura e, peggio ancora, al cesso. L' u-
rina, le ossa, i cenci, l'acqua di sapone,
gli olii di catrame , le acque ammonia-
cali, la benzina, Tacido fenico o carbo-
lieo, i fiori, sono tutti cose inutili, da cui
la scienza ha saputo trarre grandissime
somme in ingrasso di terra, in fosforo,
caru, gas illuminante ecc; e il Fornari
ne parla con conoscenza e disinvoltura.
Non sappiamo dir nulla della confe-
renza del prof.Felice Uda, perchè, a vero
dire, dietro alcune belle parole del De
Castro agli amia dell* educazione del po-
polo, colle quali è degnamente racco-
mandato questo nuovo Florilegio di let-
ture popolari, non sappiamo acconciarci
a uno stile che noli' Uda, scrittore felice
di nome e di fatto, ci pare stranissimo.
Ecco p. e. come egK comincia il suo di-
scorso : « Signori... Io vi parlerò alla
buona, ma con franchezza ed animo con-
vinto.... Sono pensieri condensati, spre-
muti in poche pagine, osservazioni di-
stillate , qua e là aspirazioni e desideri
al bene, spesso spesso qualche conforto •.
So questa maniera di scrivere possa
comportarsi in serietà, giudichi l'autore
stesso. G. P.
RELAZIONE E PROGETTO intomo al
miglioramento della torte de* Trovatelli
nella cUtà di Mistrelta. Estensore avv.
G. M. Orlando. Mistretta, 1869.
Si può discutere sulla opportunità delle
considerazioni di questo ragguaglio, ma
non negare che esso è pieno di senno e
di dottrina . L' avv. Orlando , che ne ò
r A. e che ebbesi a collabordlori i sigg.
Ortoleva e Nigrelli , vi ritiisume « le vi-
cissitudini e le questioni economiche e
sociali svoltesi intorno a questi innocenti
mn sgraziati relitti; » col quale lavoro ri-
sponde all' incarico avuto dal Consiglio
comunale di Mistretta di studiare il mag-
gior miglioramento della condizione dei
trovatelli. L' A. s'ispira a principi uma-
nitari, e comprende e inculca vivamente
quella pia e filantropica istituzione, per
la quale presenta analogo disegno in di-
ciannove articoli.
Le parole dell' Orlando trovarono egli
eco nel Consiglio di Mistretta? G. P.
SULLA VITA E SULLE OPERE DI A-
LESSANDRO VOLTA, Dieeorto del
prof. Natale Saya, ieUo il 17 marzo
1870 nella fetta del R. Liceo Mauro-
lieo. Messina, 1870.
Il prof. Saya nell* ultima festa liceale
in Messina tolse ad argomento del suo di-
scorso A'essandro'Volta. La scelta fu buo-
nissima e meglio ancora il discorso, nel
quale il Saya seppe con chiari e precis.-
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BULLBTTINO BIBUOGRAFIGO.
315
detti esporre lo stato ìd cui trovaytnsi le
scienze fisico- chimiche pria del Volta e
poi far riloTare come la scoperta del gas
delle paladi, V endianulro, la pila elet-
triea e in generale gli interessanti stadi
del grande Comasco ayessero contribaito
sommamente al progresso delle scienze e
fossero stati germi di grandi trovati; dei
qaali oggi noi godiamo con immenso van-
taggio ne' telegrafi deUriei, nella galva-
nopUutiea ecc.
Sia lode al Saya, che col suo eloquente
discorso, onorò degnamente il grande uo-
mo che si propose di celebrare.
M. S.
PER LA MORTE del Comm. Prof. Pie-
tro Cuppari , Tornata generale della
A. Aeeademia peloritana. Messina ,
1870.
UGO FOSCOLO. Commemorazione di
Giovanni Db Castro. Milano 1870.
Nel mese di giugno la Peloritana dì
Messina per nobile iniziativa del suo Se-
gretario Generale prof. Caura-Litttieri
teneva una seduta straordinaria in onore
del suo rimpianto socio Pietro puppari,
prof, nella R. Università di Pisa. La let-
tura di quella adunanza ò la pubblica-
zione sopra annunziata. In quaranta pa-
gine il Catara-Lettieri offre Alcuni ri^
cordi tullavita e tulle opere dell'illustre
Agronomo , il quale nato in Messina e
trapiantatosi in Toscana sjppe, come a
dire, fondarvi una scuola di agronomia,
che venne in molta rinomanza presso le
migliori d'Europa. L' elogista non è cul-
tore della disciplina di cui s' intrattiene;
ma pure associando alla sapienza lo af-
fetto che dell'antico allievo ed amico con-
serva, ne ritrae mollo bene il concetto
delle opere scientifiche.
Il Mitchell e il Vayola hanno anch'essi
celebrato il loro concittadino, questi con
una bella ode latina, quegli con un po-
limetro italiano , di cui non vuoisi ta-
cere la schietta eleganza, la facile ver-
se^a^ura e quella serena ispirazione che
non manca mai alla Musa dell* illustre
poeta Messinese.
Per la FesU scolastica del Liceo Bec-
caria di Milano belle parole in comme-
morazione di Ugo Foscolo ha pronun-
ziate ed or pubblicate il eh. prof. Gio-
vanni De Castro. Brevemente egli ac-
cenna alle opere del Cantore de' Sepol-
cri, e a' titoli di benemerenza che egli
ebbe verso la patria italiana, di cui fu
scrittore robusto , nobile e dignitoso. U
De Castro, letterato ben nolo in Italia,
é se non ci falliamo, autore di una ra-
gionata biografia del personaggio che lo-
da, ed è stato de' più insistenti nel pro-
pugnare il trasporto delle ceneri di Lui
in Firenze. G. P.
CANZONI POPOLARI INEDITE in dia-
letto tardo eentrale ottia logudorete ;
feconda terie : Canzoni ttoriehe e pro-
fane. Cagliari, tipografia del Commer-
cio, 1870, in S\
Raccoglitore ed editore di queste can-
zoni storiche e profane ò il benemerito
can. Giovanni Spano, il quale non si
stanca mai di illustrare e arricchire di
sempre nuove pubblicazioni V isola sua
natale. Le canzoni sono 190, e molte di
esse dì argomento erotico. Gli autori ne
sono in gran parte conosciuti, e se vuol
sapersi come abbia fatto lo Spano a ca-
pitarle bisogna ricordarsi che in Sarde-
gna chi desidera per le sue circostanze
la voce del poeta va a cercarsela, e Tot-
tiene : le poesie improvvisate per la data
occasione rimangono tradizionali in fa-
miglia. I poeti possono essere mezzana-
mente istruiti come digiuni affatto di let-
tere: e allora ne viene che le canzoni, le
quali noi chiameremmo meglio po«fie
popolari, o non diventano patrimonio «li
tutto il popolo, o non sono di forma af-
fatto popolare.
Rivoltici più volte allo Spano per sa-
pere se la Sardegna abbia rispetti come
quelli della Italia tutta, ci ha risposto :
essercene pochissimi,e difficile lo averne.
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316
NUOVB EFPEMEBIDl SIGIUANE
il popolo non appreizarli molto. Qaesto
fallo lascia la vera poesia popolare sarda
ancora inesplorala.
Intanto chi può avere il diligente e
pregevole volarne dello Spano vi legga
sopratallo la deghina del sec. XV : Vita
imprete e morte di Nicolò Boria , do-
camento storico che potrebbe riempire
molte lacane della biografia dell* infelice
Conte. A noi son piaciati ana decina di
rispetti sparsi in tutu la raccolta, i^quali
ci fanno argomentare della dolcezsaed
importanza de' canti consimili sardi. Per
chi studia i raffronti notiamo che la sfida
n. 43 del poeu Maloccu al poeta Ma-
rena ò quasi ana stessa cosa colla sfida
siciliana del Pavone al Veneziano in
Monreale; che lo stoniello n. 23 salto a-
mante schiavo in Barberia è anche con-
simile in Sicilia ; e che il canto n. 27 ,
secondo noi il più anticg di lutto il vo-
lume, ricomparisce in ogni contrada Ji
Europa ; in Sicilia è il Tuppi-tuppi , i
Due Amanii^ gV Innamorati ecc. , nel
Friuli la Canzone a strofe alternate,
nella Lorena V Entretien d'un Seigneur
et d'une Bergère ecc. Ciacco dell'Anguil-
lara trovatore ne fece argomento di una
tenzone, Ciullo d'Alcamo del suo famoso
contrasto. G. P.
POESIE E VERSI di Salvatore Batti -
STINO, prof, nel R. Ginnasio di Sira-
cusa, Siracusa, Puleio, 1870.
È an bel volume, in cui V A. ebbe la
debolezza di raccogliere quello che ha
scritto dal 18i6 in qua. Per le prose la-
sciamo slare, che in prosa il mediocre
si tollera, sebbene certi giudizi contro gli
scrittori stranieri ci richiamino a quelli
intollerantissimi di chi ci bociava dietro :
« fuggite come peste gli scriitori non ita^
liani •; ma per le poesie no. I temi sono
la più parte frivoli e d'occasione: e ba«
sta dire che per sole morti vi hanno tre
canti, quattro odi saffiche,e non so quanti
sonetti da aggiungersi ad altri per mo-
nache, capi d*anni, cholerì, cantanti, ar-
rivi d'amici, guarigioni di re, santi, poeti
ecc. Qualche canzonetta è delicata, ma
noi non sapremmo consigliare il prof.
Battislino di scriverne delle altre. Invece
scriva delle prose, per le quali ha buona
attiludino e certo garbo che gli affe-
ziona il lettore. Abbiamo bisogno più di
assennate, ancbe mediocri, prose, che di
eleganti versi. II Battistino ci si mani-
festa scrittore di molla operosità, di buon
volere, e noi gli auguriamo fruiti più
maturi del suo ingegno. G. P.
IN MORTE della signora Concetta Testa-
ferrata; il figliuolo di lei sac. Isidoro
Carini. Palermo, i870, in 4*.
Non sapremmo lodar meglio questa
quattordici ottave che dicendole affettuo-
sissime qaali sa dettarla un cuore come
quello del Carini,che rottiau e sventurata
madre sua tenne e guardò con culto di
religione. L'affetto pon toglie nulla alla
castigatezza di forma del Carini, il quale
se non coltivasse i severi studi filologici
e archeologici che i nostri lettori cono-
scono, potrebbe lodarsi di quelli geniali
ed amoni di poesia. G. P.
CORREZIONI
Pag. 237, lin. 17 : isiaea forma, corr. isiaea sacra.
Il Gerenk : Pietro Montaina
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HDOTE EFFEIERIDI SICIUAHE
ANNO IL DISPENSE Vili E IX. NOV. E DICEMBRE 1870
BMNO DI UN CODICE CEFALUTANO
LNEDITO DEL SECOIX) XIV
FBOEMIO
il.
SVotisie ral TalmUrlo di OefolA e mi cosi detto XMto Rosso
Sin dal 1841 pendeva una lite abbastanza grave e intricata fra
il Decurionato di Cefalù e quella Mensa Vescovile. Trattavasi di ta-
lune prestazioni, che il Vescovo continuava a riscuotere tuttavia
dalla città, e che il Decurionato volea soppresse come feudali, ed
in conseguenza della feudalità estinta ed abolita. Agitandosi quella
lunga ed importante controversia, l'attenzione venne richiamata sui
diplomi della Chiesa fondata e dotata, come si sa , dalla munifi-
cenza di re Ruggiero. Difatti , sul cadere del 1857, durando la
causa, e vacando la Sede per la morte del Vescovo mons. Proto,
il Verificatore D. Pietro Ciofalo sì recava in Cefalù, neir interesse
del demanio , a fine di rintracciarvi e trasportare in Palermo il
cosi detto Libro Rosso^ contenente tutti i privilegi raccolti di quella
Sede Vescovile; nò questo codice solamente, ma quei documenti
altresì di cui facea sentirsi il bisogno per dirimere V insorta qui-
stione. Andata a vuoto una prima spedizione del Ciofalo, egli im-
prendeane una seconda per incarico avutone dal Governo con mi-
nisteriale de^ 14 dicembre di queir anno. I diplomi deir Archivio
Getalulano, che ora per ordine del Luogotenente Generale voleansi
depositati e custoditi nel Grande Archivio di Palermo, erano stati
obbietto di cure per parte dell' estinto Vescovo mons. Proto , il
quale fin dal 1831 avea pensato di riunire in apposita stanza , e
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318 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
serbare in decente custodia il suo tabularlo Vescovile, con fare
redigere dal can. Domenico Messina un repertorio ossia catalogo
di tutti i documenti, nel numero di ben seicento, ìndicand(me la
data, il nome del concedente, e sommariamente il contenuto.
Essendo precisi gli ordini del Governo, il can. Messina conse-
gnava al Ciofalo, previo verbale, numero centoventinove documenti
cioè tredici pergamene fra greche ed arabiche, e centosedici la-
line; oltreacciò tre codici, anch'essi in pergamena. Tra questi tre co-
dici era il cosi detto Libro Rosso y desiderato principalmente, ri-
cercato anche nell'Archivio Comunale, e confuso con altro omo-
nimo della Comune. Di cotal Libro diremo or ora. Intanto questa
preziosa parte del tabularlo, rimasta prima alla Direzione dei Rami
e Dritti Diversi, fu poco dopo depositata presso la Soprintendenza
Generale degli Archivi, ove si conserva tuttavia in decente ar-
madio, spiegati i diplomi secondo il metodo del Fumagalli. Ri-
mane il resto del tabularlo, composto di parecchi diplomi nor-
manni, di moltissimi altri del dugento e del trecento, d'altri an-
cora.posteriori, in possesso del Capitolo di Cefalù, appunto nella
stanza destinata a quest' uso da mons. Proto, è colà ho potuto ve-
derli per cortesia del Decano e del Benef. Luigi Pintom, che qui
mi è grato mentovare.
Aggiungerò, che nel 1888, Mons. Ruggiero Blundo, nuovo Ve-
scovo di Cefalù, fece pratiche col Governo per la restituzione de*
perduti diplomi neir Archivio Vescovile, adducendo il bisogno che
aveane per provvedere all'esatta amministrazione e al sostegno
migliore delle proprietà della sua Mensa. Ma nuli' ostante il tabu-,
lario si rimase diviso e dimezzato; le centoventinove pergamene
e i tre codici in Palermo nel Grande Archivio; le rimanenti carte
in Cefalù, presso il Capitolo.
De' tre codici, che abbiamo citato, l'uno costa di pagine otto
ed è del secolo XIII; vi si legge di mano posteriore Libellus odo
paginarum continens instrumenta et acta diversa antiqtui. L'altro
è composto di diciannove pagine, e contiene anch'esso diplomi come
il precedente. Ambidue sono in piccolo formato. I pochi diplomi
greci, che vi si trovano , verranno compresi nell' intiera raccolta
delle carte greche ed arabiche di Sicilia, a cui lavora il chiaris-
simo cav. prof. Cusa. Ma io non mi occuperò che del maggiore dei
codici, ed è il terzo ed ultimo, inteso Libro Rosso.
Il Rollus Rvbeusy come lo si chiamò volgarmente dalla legatura?
appunto come oggi si presentano ai Parlamenti il Libro Rosso '
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BRANO DI UN CODICE GEFALUTANO 319
il Libro Azzurro y il Ltì)ro Yerde, venne compilato con tutte le
formalità giudiziarie, per ordine del Vescovo eletto di Cefalù Fra
Tommaso da Butera. Costui, Canonico di Siracusa ed Arcidiacono
di Morreale, fa scelto al Vescovado di Cefalù da quel Capitolo,
e nel (ti penultimo di giugno 1329 venne confermato da Guidotto
Arcivescovo di Messina suo metropolitano, a cui come suffraganeo
prestò Tommaso il giuramento. Però il Pontefice Clemente IV si
oppose alla consacrazione delP Eletto, e gli negò T approvazione.
Di lui principalmentevtre cose si ricordano, cioè Taver ordinato
si compilasse il Libro Rosso, V aver fatto trasferire in orrevole luogo
dentro il Duomo i cadaveri dei Vescovi suoi predecessori, e Ta-
Tere scoverto in Polizzi il corpo di San Gandolfo.-
Circa alla compilazione del Libro Bosso , Fra Tommaso da fiu-
terà, ch^'era stato, secondo avvertimmo , Arcidiacono in Mon'eale
seguiva r esempio datogli pochi anni innanzi da queir Arcivescovo,^
Arnaldo di Rassach, di nazione Catalano, che fu al governo della
diocesi Morrealese dal 1306 al 1324. Arnaldo avea fatto compilare,
com^ ei pare in tre esemplari, un codice, ora perduto, il quale col
titolo di CoUectanea privilegiorum, comprendea le carte latine più
importanti di quella Chiesa Metropolitana e dell' annesso Mona-
stero. Più fortunato della Collectanea Morrealese, perv^ne fino a
noi il Rollo Cefalutano di cui ho parlato. Esso è in formato grande,
senza frontispizio, di numero centodiciassette pagine oltre le prime
tre che non hanno numerazione, non porta più legatura rossa, ma
bianca, di pergamena leggiera, ed è scritto in nitidi caratteri del
secolo decimoquarto. La lettura n' è molto difficile nel principio^
essendo logora assai dal tempo la pergamena, ed in qualche pa-
gina calcata e ricalcata in tal maniera da costituire una vera con-
fasione ed un garbuglio di malagevole districamento. n codice
porta in fronte T incarico dato dair Eletto, a cui il codice deve
la sua origine, al notare Guglielmo da Mistretta; indi un catalogo,
dei diplomi che conterrà; poi una leggenda in cui si racconta la
fondazione della Chiesa Cattedrale di Cefalù; dippiù una descri-
zione officiale ed autentica dei cinque quadri dipinti, che esiste-
vano sulle pareti esteme del tempio, e precisamente sotto il por-
tico , che soggiacque ad innovazioni sul cadere del secolo XV ,
Quadri rappresentanti Ruggiero I Re, Guglielmo I, Guglielmo li,.
Costanza Imperatrice, e Federico; appresso riporta la serie dei
Vescovi di quella Sede fino a Fra Tommaso da fiuterà; dopo ciò
comincia la irascrizione dei privilegi, che forma la parte potissima
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320 NCOVB EFFEMERIDI SICILIANE
del codice. A margine di esso, ed a pie di pagina si leggono sommarf
e note di varie mani e di tempi differenti. Nei primi fogli qualche
titolo e qualche iniziale sono in inchiostro rosso. A pag. 115 re-
tro si legge avvertito dal Regio Visitatore Don Niccolò Daneo: Con-
sistit liber hic privilegiorum tranmmptomm hujm sancte eccìme ee-
faludensis m paginis centum decem et septem praeter alias tre$ pri-
mas repertorii et aliam mediam ulHmam. A pag. 116 vi è un^ al-
tra simile nota più antica di alquanti anni. Inoltre il volume ha
il visto deir ultimo Regio Visitatore Mons. De Giocchis, e proprio
in fine un^ altra avvertenza di antica mano : Hic liber consistit in
foliis scriptis centum viginti.
Il codice fu noto air erudito palermitano Vincenzo Auria, che
nella sua operetta intitolata: DelV origine ed antichità di Cefaìù città
piacentissima Notizie Tlistorichey cosi ne scrisse: ho ritrovato scritta
questa historia (della fondazione del Duomo) in un libro di tutti
i privileggi della Chiesa Cefalutana concesseli dai re e imperatori, fatti
raccorre in un volume d* ordine di Tommaso da Butera, Vescovo di
CefaUL nell'anno 1329, compilato e scritto da Guglielmo da Mistretta
Maestro Notaro della Corte Vescovale di Cefaltt, nel qual volume nel
principio vi è tutto il successo scritto in lingua latina della venuta
del re Roggiero in Cefalà, e la fondazione della Chiesa Vescovale (1).
Il medesimo Auria estrasse varie notizie dal nostro codice , e
\d riunì con altre , insieme a diverse iscrizioni antiche di Ce-
faìù, nel suo lavoro : Raccolta di antichità di Sicilia di Don Vin-
cenzo Auria palermitano, cavata dalla Sicilia antica di Filippo Clu-
verio, artic. Alcune notizie intomo alla dttà e Chiesa di CefiM, che
forma il mss. D. 166 della nostra Librerìa Comunale. Nel /mano-
scritto si trova qualche notizia , che non si rinviene neir opera
stampata.
E Tab. Rocco Pirri ricorda di Fra Tommaso da Butera: In li-
bro quoque quem Rollum Rubeum appellant omnia privilegia oc iura
ecctesiae hu^us exscribenda curavit (2).
(1) Ivi Palermo per t CireUi 1656i in V pag. 46. Vedi pure a pag. 74. Il lavoro
dell* Auria fu tradotto in latino col titolo : NotUia Historiea originis et antiqui^
Uiiit Cephalaedit urbis plaeentissimae Siciliae, ex ilcUico latine verlit, reeentuU, no*
tulas adieeit , atque aliquot nummie auxit Sigeb. Havercampus, nel voi. XIV del
fhetaurus antiquitatum et hitloriarum Siciliae, Lugd. Batav. 1723 in fog. vasta
compilazione cominciata dal Grevio, e continuala dal Burmanno.
(D Sie.Saer. II, 809 edis. Pai. 1733.
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BRANO DI UN CODICE GEFALDTANO 321
Indi al nostro codice fa accennato dal Gregorio (1), e suirautorità
del nostro celebre pubblicista dal dotto sig. Huillard di Bréhol-
les, che non lo vide (2). Il Duca di Serradifalco, a proposito del-
l'anzi cennata pittura del portico estemo di Cefalù, ricorda la de-
scrizione che se ne contiene nel nostro codice (3). Ed ugualmeDte
scrìve r inglese Dennis nella sua Guida di Sicilia , ricordando il
nostro Libro rosso (4) che però non vide, poiché, a proposito dei
quadri , egli li crede forse in musaico (perhaps in mosaic) mentre
il codice dice chiaro che fossero affreschi.
L'ab. Gioachino Di Marzo si riferisce del pari al RoUus ruheus (5),
Egli cita poi alcune memorie del XIV secolo esistenti nelV archivio
della chiesa di Cefalù (6). in cui dice trovarsi la concessione fatta
da Guglielmo II alla detta chiesa ; cita pure un' altra scrittura,
^in cui si contiene un catalogo dei vescovi di Cefalù; ma veramente
non si tratta che delP unico Libro rosso di cui finora si è parlato.
Del quale fa pure menzione il sig. Giuseppe Spata nel volume
delle sue Pergamene Greche (7). E con lui chiudiamo queste no-
tizie sul codice di Fra Tommaso da Butera, e sugli scrittori no-
stri che l'hanno ricordato.
12.
OefalA pria dell* epoca SVormaniia
Cefalù (Ke?paXo(5tov secondo Diodoro , o Ke<paXoiS{? secondo Stra-
bene ed anche Ke^Xo(Seic giusta alcuni mss.) è città Vescovile
(1) Jki Regali Sepolcri della maggior Chiesa ii Palermo. Vedi Opere edis. Pen-
sante i853. p. 700.
(2) Historia DiplomcUiea Frideriei Secundi U p. Ì26.
(3) Veggasi V opera Del Duomo di Monreale e di alcune Chiese Siculo-Normanne,
nota 3S al Bagionamento II , ove dice : Nel citalo m$. del 1329 , quasi un secdlo
posteriore, si parla di essa come esistente, ed ami vicina a perdersi per ingiuria del
ttmpo.
(4) These deeorations are described in an old mmuscript of the year 1329 , as
ihm existing, though greatljf injured bf the effects ofage, so that Ihey can hardly
kave been less than a eentury eariier. Vedi A Handbook foì' travellei*s in Sieily ,
London, lohn Murray, A Ibernarle Street, 1864. pag. 262.
(5) Delle Belle Arti in Sicilia da* Normanni s no alla fine del sec. XIV. Paler*
mo 1858. pag. 153, e noU al Dizton. Topogr. di Amico art. Cefalù.
(6) Delle BeUe Arti étc. il, 258.
(7) Pai. 1861, pag. 52.
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322 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
nelFantico Val Demìna, e segna il limite fra questo ed il Val di
Mazzara (1). Sedea V antica città sulla vetta di scoscesa e difficile
rupe, che, specchiandosi nel mare settentrionale dell' Isola , vol-
gesi qual promontorio a levante (2). Il suo nome è dalla voce
greca xetpaXiJ, capo^ secondo un'etimologia tecilissima, afferrata da
Fazello, Maurolico, Carnevale, Pirri e fin, dall' Auria , da quanti
insomma ricordaronsi dell' ardito promontorio su cui venne co-
struita Gefalù.
Eppure r Hoffinann ed il Bochart vollero meglio ricorrere al pu-
nico, quando non vi pensò neppure l' istesso p. Cascini, cosi vago
di etimologie peregrine , e pur qui contento della greca , che è
tanto naturale (3).
Chi visita Cefalù non può trascurare i notevoli avanzi antichi,
ch'essa tuttora conserva, e che diedero argomento e materia ai
diversi storipgrafi.
Fazello li osservò dei suoi tempi, vide i resti d' una ci Ita rovi-
nata , del circuito d' un miglio., e quelle che egli dice reliquie
d'un tempio dorico (4).
Ma tali avanzi, se assicuravano alla città di bei secoli d' esi-
stenza, tuttavolta non conferivano il dritto di segnar epoche e
di stabilir precisa la sua cronologia, Ond' è che , muovendosi il
quesito circa al tempo della fondazione di Cefalù , lo storico do-
(1) Limes vatlium Nemorum et Mazarae CephaledU Civitoi, dice il Maofolico. È
a 48 miglia a levante di Palermo. Anche Tolomeo la chiama Ke^aXoi8(c; KecpaXoiS-
^oc ■ ricordi bizanlini del IX secolo; Cephaloedit Plinio; Cephatudium altri latini;
Gefalùdi o Seefalùdi gli Arabi. V. Amari Storia dei Mutulm, di Sic, I, 307-8. Pri-
sciano grammatico scrìve, lib. II: A Caralifms, Caralitanut, a Taurominio , Tau-
rominitanut; a CephcUoedio, Cephaloedilanus; a Drepano, Drepanitanw. Sull'orto-
grafia latina di Cefalù scrisse pure Mongitore : vedi mss F. 222 delia Libr. Comu-
nale di Pai. a pag; 73. Se Cephaledum debba scriversi con dittongo^ o senza.
(2) Il capo che più sporge nel mare fu chiamalo volgarmente Mareafava,
(3) Di S. Rosalia Verg. Pater m. Lib. Tre Pai. 1651. pag. 356. Del resto sulle
probabili vestigia dei Fenici in Cefalù , può vedersi Movers Die Phónicier II ^ i ,
338 , ed Holm Geschichte Sieiliens in A Iterlhum Leipzig. 1870 , pag. 100. I Fenici
ehe colle loro stazioni marittime aveano preceduto i Greci su quasi tutte le rìvo
del Mediterraneo, nella Grecia slessa, in Creta, a Cipro, in Egitto , in Libia, in I-
spagna, ed anche sul lato occidentale d'Italia, trafficavano certo in tutti i punti
delle coste di Sicilia, come racconta Tucidide e ciò prima che arrivassero i Greci,
i quali doveano col loro energico sistema di colonie prendere il luogo delle piccole
stazioni fenicie, una delle quali fu probabilmente Cefalù.
(^ Deca I. Lib. IX. Cap. IH.
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BRANO DI UN CODICE GEFALUTANO 323
menicano scrisse saggiamente, la città essere antica , ma eh' egli
non sapea nulla de^ primi suoi abilatori. E come lui , il Caran-
dini alia sua volta confessò la stessa lodevole e modesta igno-
ranza (1).
Un Cristoforo Scanello, detto il Cieco di Forliy stese una cro-
naca dì Sicilia stampata in Napoli del 1587, ed in essa congetturò
che tanto Cefalù come la vicina Imera sieno state fondate dai Cal-
cidesi.
Ma una tal opinione non piacque, né potea piacere al letterato
palermitano D. Vincenzo Auria, che scriveva appunto per esaltare
V origine e V antichità di Cefalù. Egli dissertò sulP opinione di
Scanello" nel Capo II del suo libro, e gli parve che quesf autore
non fosse abbastanza sulla buona strada. Perciò nel Capo III so-
stenne che Cefalù venne costruita dai Sicani, e questo per la sem-
plice ragione che fu posta a sedere sulla montagna. Soggiunse
che la fondazione. avvenne cent'anni giusto prima della guerra
di Troja, che tal epoca corrisponde all'anno 1634 avanti Cristo,
che Ercole vi arrivò Tanno 1283 e via di questo passo. Né pago
a tanto, nan-ò le gesta dell' invincibile eroe, tutto ciò che fece in
€efalù, gli onori che vi ebbe ecc. Anzi a miglior conferma del tutto
trovò ossa di giganti dissepellite, parlò di Polifemo, trattò la qui-
stione , se Ulisse l'avesse accoppato nelle spelonche di Mongi-
bello, 0 nelle grotte Ericine, ed altri punti di peregrina archeo-
logia (2).
Circa al sodo poi, che sarebbe stato di darci una descrizione ac-
curata degli antichi avanzi di mura , ecco quel tanto che ce ne
volle dire il nostro autore, t Vicino la chiesa di S. Venera appa-
iono le mine dell' antica città di Cefalù, scorgendosi un muro di
grosse pietre quadrate, le quali sono sostentate senza calce all'uso
antichissimo di quei tempi. Nella sommità della rocca vedesi il
(1) Deseriptio eeeles, Cephaledit. Mantuae 1592*
(2) Questa trattazione dei giganti teneva la sommilàdeUascienia afiliqaarìa agli
<»cchi di D. Vincenzo Auria, e di parecchi archeologi nostri del XVI e XVII secolo,
p. e. il Valguarnera e cosiffatti : « Hor quanto sia gagliardo indilio (così l'Aunaa
pag. 20) , ed argomento di non poca antichità a quel paese o Città , dove si sono
ritrovali questi corpi di Giganti; gli huominì dotti , e ver;ici professori delle cose
antiche a bastanza il conoscono; il perchè stimo non haver |»en fatto un* autor mo-
derno, il quale ritrovando cosi Mìe memorie nella patria sua trascuratamente pas-
sandole in silenzio, V ha privato d' una tale e si grande ant chità; e quasi tenendo
a scherno quella delPaltrui Città, c«m la quale poteva far utile a se slesso. •
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324 NUOVE EFFEMERIDI SICIUANE
tempio destratto.*.... Il qnal luogo comanemente dai Cefalutani è
chiamato il Choro, serbando ancor hoggi il nome sacro del Choro
deir antica chiesa mutandosi quel tempio profano degli Idoli in al-
bergo del vero Dio nel tempo della Christianità.... In quesf edi-
ficio, che mostra essere stato tempio, come hanno creduto gli scrit-
tori, ho visto una Croce fatta nel muro d^ alcune pietruccie di coli»*
rosso. Ed in alcune finestre vi si veggono le insegne della real
famiglia di Aragona dei re di Sicilia » (1). Fuori la porta detta
Giudecca^ si veggano (nota a p. 62) alcuni avanzi di fabbriche an-
tiche e particolarmente presso la chiesa di S. Antonio. E son que-
sti i soli ragguagli , che contiene il lavoro archeologico dell' Au-
ria sulle antichità Gefalutane.
Il prìncipe di Biscarì, parlando dei medesimi avanzi, disse solo
che appena se ne ravvisino le vestigia nel sito sovrastante alla
moderna Cefalù (2).
Fra i non Siciliani, mettendo da parte il P. ^Lupi (3), tutta una
serie di dotti stranieri, il viaggiatore francese Houel (4), il tede-
sco G. A. lacob (5), V illustre architetto Hittorflf si benemerito dei
nostrì monumenti (6) , e più di proposito il Nott (7) , si occupa-
rono delle antichità di Cefalù, e degli importanti avanzi delle vec-
(1) Op. eit. p. 63.
(2) Viaggio per tutu U Antichità delia Sicilia de critte da Ignazio Paterno Prin-
cipe di Bitean, Pai. 1817. Gap. XXU. Vedi pure Natale Disc. YIII.
(3) Descrit. di Cefalù nelle sue Ditsertaz. Faenxa 1785, t. Il, p. IM.
(4; Voyage pietoresque des UesM Siale, de Lipari et de Malte, Paris 178Ì-1787,
voi. IV, p. 92. Ut. XLIX-LI. Anche l'inglese Wood , che visitò la Sicilia dopo
VHoapI, nel 1818, e pubblicò a Londra 1831 i suoi Viaggi ia Italia, Sicilia e Grecia,
descrisse la casa ciclopea di Cefalù, com'egli la definisce. Ma i saoi disegni lasciano
a desiderare anche più che qnei dcH* Houel.
(5) Neuere Naehriehten uber SicUien, Hann. 1823.
(6) Architecture antique de la Sieile. Paris 1826 e seg.
(7; G. P. NoU Avanzi di Cefalù negli Ann, delVIitit, di Corritp. Archeolog, 1831
i. Ili, p. 270-87 e Monum, T. XXYHI, e XXIX. Il diligente lavoro , che citiamo,
é una lettera indiriszata al cav. Bunsen , e tradotta dall'inglese. Il dotL Nott fu
in Sicilia, e visitò gli avanzi di Cefalù due volte , cioè verso il 1824 , e nel 1828,
nel qual anno verificò 1 suoi primi disegni e le misure prese deiredìAzio ciclopeo.
Nella primavera del 1824, egli comunicò questi disegni ai signori Hìttorff e Zanth.
che ritornavano pure dalla Sicilia, e mostrarono i loro all'areheologo inglese. 11 Nott
non conoscca dapprim.i l'opera di Houel, ma ne die a questo proposito notizia il
sig. Hittorff nel dicembre del 1829, con lettera diretta al Panofka. Però i disegni,
che il medesimo dott. Nott comunicò all'Istituto Romano di Corrispondenza Archeo-
logica, sono molto più accurati dei precedenti datici da Houel e da Wood.
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BRANO DI UN GODICK CEFALUTANO 325
chie sae mura , ai quali tutti si può aggiungere anche il West-
phal, che ha trattato taluni punti della geografia antica della Si-
cilia.
Ultimo r accuratissimo sig. Dennis, attuale console d' Inghilterra
in Palermo, ne scrisse colla solita esattezza nel suo pregevole Ma-
nuale pei viaggiatori in Sicilia che ben meriterebbe fra noi una
versione. Osservando nel sito della città antica V isolata costruzione
poligona, che vi rimane (1), la riconobbe, qual' è, per vetustissima
ed evidentemente di quel genere di monumenti conosciuti in Gre-
cia ed in Italia sotto nome di pelasgici. Egli propende a credere
che r edifizio sia stato un palazzo, e non un tempio , come ave-
vano tutti ripetuto col Fazello; distingue poi neir edifizio istesso
tre periodi differenti l) ì tempi deir antica Cephaloedium; 2) V e-
poca di Roma Imperiale; 3) quella della Chiesa primitiva. Sicché
non ostante il più .recente carattere d' una parte di quei resti, ò
ben certo che P altra è fra i più vetusti monumenti di Sicilia, e
fa risalire molto innanzi i primordi di Cefalù (2). Così il Nott con-
getturò r edifizio ciclopeo contemporaneo alle vetuste mura di
Tirinto.
Le autorità antiche intorno alla nostra città furono raccolte nella
Sicilia antiqua del dotto e diligente Cluverio (3).
Strabone la dice iccJXtdfjia, oppidum, con molto dispiacere dell'Au-
ria, che perciò si mette a confutarlo (4). • U altro e maggior lato
deir Isola di Sicilia, scrive infatti il vecchio geografo, benché nep-
pur esso sia molto popolato, tuttavia conta abbastanza abitatori; ivi
sono gli appidi di Alesa, Tindari, Egesta e Cefaledio i (5).
Racconta Diodoro, che il punico generale Imilcone Panno 396
a. C. strinse alleanza cogli Imeresi e cogli abitanti il castello (cpp<$u-
piov7 detto Cefaledio (6). Cefaledio dunque non era altro che un
(i) /( tlood originally on the summit of the heaéUand , where vestiget of it are
tt'dl vitible. Geo. Dennis A Handhook fur travellert in SieUy p. 260 e 2t)6.
(1) Sono pure osservabili le vestigia di mura ciclopiche nella città bassa.
(3) L. n. cap. IV, pag. 286. Lug>l. Hatav. 1619.
(4) Op. eit, pag. 5 e seg.
(^) 'h 51 XoiTc^ xal [u^iTzri icXsupà xaJirep oò8' aòx^ icoXudtv6pu)icoc, 5-
(MOC (xavu>c ffuvoutetTai. xal yàp AXataa, xaX Tuv^lc, xal xò twv AIy«-
ffxéwv è(ji7ropctov xal Kt:paXo($tov, itoXl9\ta.xà iort. Geoyraph. Lib. VI, cap. II,
edis. Tauchnix. Lipsia I8i9.
(6) np^^ ijIv I(jiepaCou< xal toùc to KetpaXoiSiov cppoupiov xaxoixouvxoc
(^iX(av iicoii{^xo. Lib. XIV cap. LVi, ediz. Firmin Didot Parigi 1843-44.
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3!26 NOOVB BFPEHKaiDI SIOLUNB
(ppoupiov , ossia castello^ per Diodoro , e probabilmente una dipen-
denza d' Imera. L' alleanza, dì cai egli parla, era stata formata con-
tro Dionigi tiranno di Siracusa. Ma riusci a costui d^ impadronirsi
per tradimento di Ce&ledio, come di Enna e di Solunto (1). Poi
r anno 307 a. C. Agatocle espugnata Cefaledio vi prepose LepHne (2).
Più tardi, al tempo della prima guerra punica, t Romani muovendo
verso Cefalù con dugencinqiAanta navi, a tradimento la prendono (3).
La città era perciò d^ accesso malagevole, e munita, inaccessibile
dalla parte di mare nella direzione di Tindari, e dalla parte di terra
difesa dalP acropoli.
Cicerone nelle Verrine ha parlato del supremo sacerdozio di
Cefalù, e del mese in cui si creava (4); Tha ricordato inoltre in-
sieme a Tindari, Alunzio, Apollonia, Engio, Gapizzi (5).
Plinio nel Lib. Ili della sua Uistoria NaturaUs^ in cui descriye
r Europa, venendo nel capo XIV a dire della Sicilia, fece men-
zione di Cefalù con Palermo, Solunto, Imera, Alunzio, Agatimo,
Tindari, Milo (6).
Silio Italico accennò in due versi del suo poema al noto pesce
del mar di Cefalù:
Quaeque procelloso Cephaloedias ora profundo
Caeruleis horrent campis pascentia cete (7).
Ma già dei tonni , de^ quali era antichissima la pesca in Cefalù,
avea parlato Archestrato, che addurremo qui nella traduzione dello
Scinà :
Alla sacra d'intorno ed ampia Samo
Molto grosso vedrai pescarsi il tonno,
(*) napéXape 51 §tà irpoSo^fac KetpaXotótov xal SoXouvta %ol\ x^v "fivvav.
Diod, Lib. XIV. 78.
(2) Ke<p«Xo{5tov 51 IxicoXiopxiJffOC AeicxNijv jjilv xaiSx^j? lirijxeXìiT^v dntiXtictv.
Diod. XX, 56.
(3) Pwjjiatot.... SwtxoffCatc itevnSxovxa vauolv eU tò KsfaXiS^v^v IXWvxe^,
xouxo 5ià itpo5o(j(av itopéXaPov, Diod, XXIII 18.
(4; Aeetu. in Verrem Lib H, cap. 5Ì edix. Zumpt Berlino 1831.
(5) Tyndarilanam nobilistimam CivUalem, Cephaloedilanam, Haluntinam, Apol-
lonieMem, Enguinamt Capitinam, perditat ette ha^ iniquUate deeumarum intelli"
getit Verr. Lib. III. C. 43.
(6) Oppida: Panormum, Solus, Himera eum ftuoio, Cephaloedis, Aluntium,A-
gatymum, Tyndarit colonia » oppidum Mylae, et unde coepimui, Pelorut. V. edis.
venexiana del Bellinelli 1784.
(1) Lib. XIV «52.
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BRANO DI UN CODICE CEFALITrANO 327
Glì^ orcìno alcuni, ed altri chiamai! ceto.
Convien di questo a te comprar, se a^ numi
Cena imbandissi, e ti convien comprarlo
Senza tardar, senza far lite al prezzo.
In Carìsto e Bisanzio è poi gustoso;
Molto miglior di questo è quel che nutre
Neir isola famosa dei Sicani
Di Tindaro la spiaggia, e Cefaledi (1).
Tra i cosmografi e geografi, furono citati quanto a Cefalù Pom-
ponio Mela ed il gran Tolomeo. Ma quanto air autorità di Pom-
ponio allegata da Fazello e da fra Benedetto Passafiume, osservava
già TAuria di non trovarsi il passo in quistione (2). E circa al
geografo ed astronomo alessandrino, egli ha realmente fatto me-
moria di Cefalù (3).
Questa città ha pure la propria numismatica, ed è a ricordarsi
fra le altre sue medaglie quella degli Eracleoti. Oltre i tipi di
Bacco e di Apollo, recano le monete cefalutane quello di Ercole
colla testa dell'eroe da un lato, e nel rovescio la clava, la faretra
e la pelle del leone. Ercole ebbe un culto certamente neir an-
tica Cefalù , ed a lui è consacrato un cippo od altare rinve-
nuto ivi nell'aprile 1766 , e pubblicato poc' appresso dal Torre-
muzza (4).
n medesimo antiquario mise anche in luce un piombo greco
del Museo di San Martino, che è dei tempi della cristiana Cefalù.
Esso ha da un latb la solita formola Kupie Bot^eet tù> aw Bo6Xtù^ e dal-
l' altro 'avo).,.. T7jpT)T.... ou KE©aXT)Stow. È uuo dei molti piombi bizanti-
ni, che ha serbato la Sicilia.
Qui verrebbe il parlare della Sede Vescovile di Cefalù nei tempi
bizantini e musulmani. Ma noi contenti di semplici accenni non
ce ne occuperemo. Certo che Tanno 869 la città aveva un Ve-
scovo. Infatti nel Concilio ecumenico Vili, IV di Costantinopoli ,
(1) V. Scinà / Frammenti della Gastronomia di Areheslralo, Pai. 1823, testo e
tradazione. Il frammento citato è presso Ateneo VII, 302 a.
(2) Op. eit. p. 4.
(3) Geogr. DI, 4. 3.
« (4; Sic. Inter, GÌ. I. n. i3. Veggasi C. Inter. Gr. ^92. Questo cippo è mutilo so-
pra. Le tre parole della base sono edite da Gualterio Ant. tabb. SicU, eet, pag. 46,
n. 296, da Muratori t. lU, p. 1747, 12., da Torremozza ci. XIV. n. 138., nel C.
/ fwcr. Gr. n. 5593.
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328 NUOVE EFFEMERIDI SIGII4ANE
tenuto contro lo scismatico Fozio.e Gregorio Asbesta Vescovo di
Siracusa in favore di S. Ignazio patriarca greco, trovasi interve-
nire all'Azione IH un Niceta Vescovo di CefeJù, Niceta deo ami-
cissimo episcopo Cephaludis (1) , come altresì nell'Azione IV (2)
e nell'Azione X (3). Dippiù nella Disposizione dell'Imperatore
Leone il Sapiente, trovasi questo Vescovo di Cefaledio soggetto al
metropolitano di Siracusa (4). Non si può dunque ricusare alla città
la sede Vescovile innanzi ai tempi Normanni (5).
Cefalù, deUa dagli Arabi Oefaludi o Scefaiùdi (6), decadde cer-
tamente sotto la loro dominazione, finché non riedificolla Re Rug-
giero. Nell'837 i Mttsulinani l'assediarono, ma, resistendo essa per la
fortezza del sito, le giunsero per mare rinforzi bizantini, onde fu
tolto r assedio e gì' infedeli ritrattisi verso Palermo vi riseppero
la morte di Ziadet-Allah (7). Ma l'anno 858 si arrese ad Abbàs-
ibn-Fadhl, che reggeva allora la Sicilia, e fu distrutta, rimanendo
però liberi tutti i cittadini , il che non consenti Abbàs alla for-
tezza di Kasr-el-Gedtd (Castel Nuovo) o Kasr-el-Hedid (Castello del
Ferro) che sarebbe Gagliano secondo l' illustre Amari, neppur colla
taglia di 15 mila dinar (8). Neil' 860 il medesimo Abb&s sbaragliò
presso Cefalù un altro esercito bizantino, che probabilmente mar-
ciava lungo la costiera settentrionale sopra Palermo (9). Abu-Ali-
Hasan, che scrisse verso il 1050 , lasciò detto , che Cefalù fosse
città forte , guardata da un castello sovra alta rupe a cavaliere
della spiaggia (10).
(I) Mansi Sacrar . Conciliar, nova et ampligs. coUectio tom. XVI Ven. i77i. pa-
gina 44.
(S) Ivi pag. 54.
(3) Wi pag. 159.
(4) Insieme còlle sedi di Taormina, Messina, Termini, Palermo, Trapani, Lilibeo,
Triocala, Girgenti; Tindari, Lentini, Alesa, Malta e Lipari.
(5) Niceta è stalo menzionato dall* ab. D. Vincenxo Tortoreti in un suo Discorso
citato dair Auria a pag. 41 e sUmpato in Madrid nel 1633, là dove dice: De la Ce-
faludente aimas noticia, jmet duella tenemos en la oclava tynodo expreua menlion,
donde ie firma Niceta Obìspo Gcfaliilano.
(d; Ibn-eUAlhir, estratti nella Bibliot, Arabo-Sic. dell* Amari pag. 2i7. Edrisi
Geogr,
(7) V. Amari Si. dei Mutulm. I, 307-9.
(8) Op. eit. U, 327.
(^ Op. di. II, 335.
(10) I frammenti di Abu-Ali e d'Ibn-Kallà* furono conservali da lakùt, che ne
228 pubblicò il Mo^gefn-el'Boldànt ossia diiionario geografico, di cui è un com-l
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BRANO DI UN CODICE GE^ALUTANO 329
In una casa privata, nella parte più bassa dèlia città, si possono
appena vedere gli avanzi di un bagno con resti d^iscrizioni arabe
nelle colonne. Nel detto castello poi, di accesso difficile, che corona
la sommità del promontorio , fu confinalo Carlo lo Zoppo , allora
Prìncipe di Salerno, quando fu preso da Ruggiero Loria nella vit-
toria navale del golfo di Napoli al 1284. Quindici *anni più tardi,
vi si rinchiudea suo figlio Filippo, Principe di Taranto, preso da
Federico II éi Sicilia nella battaglia della Falconarìa cosi celebre
nelle guerre del Vespro.
Continua) Sag. IsmoRo Carini
pendio il Meràtid-ei-Iliitét pubblicato a Leyda dal prof. laynboll. Per Cefalù vedi
il Mo'gem e il Meràsid nella Bibl. Arabo- Sieula p. ili e iS8 del testo, e la Storia
dell* Amari II, 437. Essa è fra i nomi dì città notati nel Mo'gem, mentre le terre
minori son distinte coi nomi di bdedi^ boleida. kalà\ 1uT\a\ dhia\ V. Amari slesso
11, 431-4. '
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CANZONE
Al chiarissimo prof. Letterio Usio-Bnino
Messina
AnUco Carissimo
Frugando e rifrugando i Codici della Biblioteca Laorenziana ,
mi venne sott' occhio una bizzarra Ganzarne , che reputo inedita,
antichissima , senza fallo siciliana e proprio messinese. L' origi-
nale della stessa è posto nel pluteo 42 , Cod. 32 , p. 29 retro ,
giusto in seguito della famosa Canzone di Lisabetta messinese
ancor essa , ricordata dal Boccaccio e di cui riferisce soltanto il
primo Terso nella Giornata 4* Novella 5* che ho pubblicata nella
sua vera lezione (1). Pertanto a voi intitolo la presente Canzone,
e vi appartiene per dritto di cittadinanza.
È siciliana per le forme, la frase, la flsonomia; e chi ha con-
suetudine con sifatti studìi, se ne accorge alla prima lettura; come
noi distinguiamo nel continente il siciliano alla pronunzia, alPaspet-
to. Lo è perchè sono connesse a catena le nove stanze dì cui si
compone, come quasi tutti i nostri canti di lungo flato. Ed autentica
meglio la sua origine, V esservi adoperati vocaboli deir intutto in-
sulari, quali sono, a non andar pel sottile, addimorare, anticristOy
scorsoney tortagnCy giugnetto^ bruca^ pizzo, sJtraglia, malvizzo, rizzo
ecc. La fa sospettare messinese V èssere trascritta dopo quella di
Lisabetta, e ciò conferma indubitatamente il verso
Che annegato sia nel Faro.
La reputo antichissima, meno per essere inserita in un Co-
dice del 1300, e perciò cognita e divulgata anteriormente in To-
scana; ma vieppiù per la patina arcaica di cui s' informa , simile
a quella delle nostre monete greco-sicole. Il Prati, che sta come
sole su tutti i linguai, la giudica del 1100 : io la ritengo coeva
0 di poco posteriore a quella di' Giulio d'Alcamo.
(1) Ntiore Effemeridi Siciliane, . __ ^
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CANZONE 331
Nata a Messina , al pari della Canzone di Lisabetta , fé il giro
della Sicilia e della terraferma italiana, variata, lacera e corrotta
trapassando da una in altra regione della penisola, da una in altra
bocca, e da ultimo dettata a chi la scrisse mutila e guasta, non
meno del passionato lamento della misera Lisabetta. In questo
stato io la trovo, e rispettandola come sacra reliquia, ho appena
osato qua e là ritoccarla, studiandomi restituirle la originaria sem-
bianza. Nelle' note ho dato ragione de^ restauri, e spiega de^ passi
e vocaboli oscuri. A dire il vero la ritengo incompiuta , ma chi
ardirebbe aggiungervi una strofe di chiusa? Non io di certo.
Avendo richiamato alla memoria le opere de^ sette secoU del
nostro Parnaso , non ho ricordato un Canto congenere. Molti ne
abbiamo nei quali V innamorato desidera la morte del coniuge
della donna amata : molti di veneficii ed-incantesimi a cominciare
da Teocrito; ma che ve ne siano di strana anzi impossibile ese-
cuzione, con intreccio di esseri inesistenti, mi è ignoto. È un in-
ganno, uno scherzo del poeta ? Indovinala grillo. Non sono io l'E-
dipo di questa sfinge. Ve la dò come la trovo.
Vi avverto che le parole corsive sono da me aggiunte o va-
riate ad integrare il verso o la rima, e i versi segnati d' asterisco
sono slati da me modificati ad accrescerne la chiarezza.
State sano e credetemi
Aci 20 Agosto 1870.
L' Anteo vo$tro
L. Vigo
Bella, ch'hai lo viso chiaro (1),
Tal marito t' ha Dio dato
L' alto Dio lo ti levasse !
Che annegato sia nel Faro
Chi parola pria ne trasse (2)
• Se vuoi far eh' eslo di mora (3)
* Questo fa senza dimora (4).
.(ì) In Ciolk) st. 11. Donna eoi viso deri,
(2) Chi primo parlò di questo parentato. Neil' originale si leggo : Cki parola ne
trasse, ed essendo il verso manchevole, vi ho supplito quel pria per compierlo e
rendere il senso più evidente.
(3) L* originalo dice: Se tu vuo* far che tinwra : è un non senso, perciò ho ten •
tato restiluirio alla pristina lezione.
(k) Neil* originale : Ed or che dimora; errato senza fallo, per cui ho modificato il
verso conte si vede.
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NUOVE EFFEMERIDI SIQUANE
Se vuoi far' chiesto di mora
La faccia di quel giudeo (1), .
Guardalo quando va fora,
Dagli dello chamoleo (2):
Di una medicina ancora
Bella, quanto diraggio eo;
Per Dio prendi osto consiglio.
Prendi, oh prendi osto consiglio.
Bella, se questo vuoi fare.
Prendi Tala di un coniglio.
Che sette anni aggia a volare,
La coda di un volpiglio (3),
Che sia nato a mezzo mare (4),
Non addimorare, — o bella (8).
Or non ci addimorare, o bella:
Se vivo io, che mora quel tristo.
Dagli della rosolella (6),
La fronda di un anticristo (7),
E d'un somaro la sella,
Che giammai non fosse visto
Deb, danne al tristo — raddobbato (8).
(1) Faccia di giudeo. La voce iudiu o giudiu manca in UiUi i Doslri dieci voca-
bolarii.
(S) Chamoleo t è lo scamonio de' greci, scamonea degli italiani , tcammónia dei
siciliani, Convulfut scamonia di Linneo , il cai racco è polentissimo drastico.
(3) Neil* originale é volpigno per manifesto errore.
(i) Da qui cominciano griudo^inelli, scherii o aberranze , comunque battezzare
si vogliono.
(5) Addimorare,' pretto siciliano, indugiare, perder tempo,
{^) Rosolella, per rotella o roseella frutto del corbezzolo.
(7) Antieritto, pianta montana, ancor oggi cosi chianutta dopo tanti secoli. I bo-
tanici qui rbanno battezzato Daphne laureola che comincia a vegetare sull' Etna
da Monte Marzo in sopra, o Euphofbia caracciat,
(8) Baddobbaio è termine siciliano. Deriva da oddubòa salsa d'aglio, pepe e acqua
calda usata da' contadini, per cui addubbata vale nel senso proprio sazio, nel tra-
slato rivestito. ViUan rifatto. Quindi or nel proprio, or nel figurato abbiamo ad-
dubbamenlu, addul}bateddu, addubbalizzu, addubbarisi, addubbaziari, e il pro-
verbio
E n' ha manciatu sta vucca pastizzi.
Ora si addubba a pani e ramuraxzi.
lìflddobbaio in italiano è termine marinaresco de' calafati.
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CANZONE 333
Deh, danne al tristo raddobbato,
Ch'è cotanto duro e forte;
E d^un gambaro lardato,
Ch^ abbia le mascelle torte
Intanto gli uscirà il fiato:
Bella, se questo gli apporto
La morte — avara in presente (1).
La morte avara in presente,
Bella, se questo gli dono;
Vagli Pala di un serpente
Lo fiele di uno schorsone (2),
La coda di uno scorpione,
D' uno storione — pisce (3).
D'uno storione pisce (4),
Che sia nato alla montagna;
Se ti secura (8) •in tai (6) bisce,
Che appello non rimagna (7)
(I) Avara. Dal verbo avare per avere S. GaterÌD^ da Siena lett. li. « Avarete in
pace raqqaistali li figliaoli, et avarele il debito vostro. •
(ì) Sehortone, voce affiitlo siciliana» serpe, scorzone.
(3) Piicie, neir originale sta peteie, e siccome deve rimare con bisce, V ho modi-
ficato alla latina» seguendo V oso cornane di Sicilia ove si pronunzia fuei,
(4) Neir originale si legge SchorpUme, evidente errore del copista. L'ho restituito
come certo lo scrisse il poeta.
(5> Seeura, v. a. usata dal Barberini, dal Guittone, Passavanti ec. nel senso att.
neut. ass. e pass. Qui vale se ti assicuri o ti giovi di questa biscia , cioò del ser-
pente, dello scorsone, dello scorpione ec. come ti ho consigliato, tuo marito morrà
senza speranza di riparo, appelh,
((() Neiroriginale sembra leggersi ial; ma ò evidente che la ^ è una t male scritta
perchè altrimenti non potrebbe* concordare col plurale bisce.
(7) Rimagna per rimanga, come in Dante
Alior lo presi por la cuticagna,
B dissi converrà che tu ti nomi,
0 che capei qui su non ti rimagoa. Inf. 32, 97.
Tanto dice di farmi sua compagna,
Gh' io sarò là dove fia Beatrice :
Quivi convien che senza lui rimagna. Purg. 23, ii7.
2i
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334 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANB
D'una tortagna — (1) di lattuca (2),
* E', guai a chi ilia duca (3).
D'una tortagna di lattuca,
Che sia nata di giugnetto (4),
Radicata di una bruca (5)
Pampane tre di ulivetto,
Ed uno moschetto — (6) e due ova,
E guai che lui trova.
Ed uno moschetto e due ova,
Chi sie nato senza pizzo (7),
Una straglia (8) che lo strozzi,
La coda dì un malvizzo (9)
E uno (40) rizzo — (11) di caniglia
E guai che lui piglia
Ma d' un (12) rizzo di caniglia (13).
(I) Turtagna, manca in Mortiilaro e in Rocca, corda di vìmini o sarmenti o al-
tra pianta verde. Nota la rima al mezzo> ripetuta nella stanza seguente— Probabil-
mente qui il senso è monco pel difetto di un verso, che io non oso supplire.
(S) Neiroriginale si legge lattugha , e dopo dugha e siccome rimano con tnruca
li ho ricatti aUa giusta ortografia.
(3) Ho variato lievemente il versa per renderlo più intelligibile. Neil* originale
sta scritto : E guai eh* illa àagha. Guai chi la porti, dal latino ducere.
{h) Giugnelto, voce insulare per luglio, onde il proverbio *
Giugnettu, la fauci 'n petta.
(5) Bruca, Tamarix galliea, in iuliano Tamarice.
(6) Moschetto, anche qui e' è la rima in mezzo.
(7) Pizzo, becco. Il proverbio dice : Pari a lu pizza ca ò marvizzu. Leggasi nella
viu di Gola di Rienzo p. 29, Firenze, Le Moniiier, 1854 :
• Una bella palomba bianca tenea nel sao pizzo una corona di mortella ». Da
qui per similitudine alle terre sporgenti dicesi pizzo, perciò Pizzo Falcone a Na-
poli, Pizzo di Calabria, e in siciliano pelra pizzuta.
(S) Straglia, in siciliano direbbesi slragghia, forse è 1* etiuM di ilrangulari, ma
oggi questa voce non è in uso.
(9) Malvizzo, uccello di passo, cbe i vocabolari! fhnno sinonimo di tordo, men-
tre tra essi sono assai differenti.
(IG) Ed uno, in questo verso e neirnltimo per ragion del metro ho levato qui la
d, air ed; e li Vo all' uno.
(li) Rizzo, nome insulare del riccio, echinus terveziris Linn. Qui probabilmente
l'autore intendea alludere alla pelle del riccio, della quale si servono le tessitrici
come di spazzola per nettare i fili della tela posti in telaio dopo di averli rammor-
biditi colla bozzina.
(12> V. nota 29.
(13) Caniglia, crusca.
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TAVOLA CRONOLOGICt
DI
PITTORI, SCULTORI E ARCHITETTI
SICILIANI 0 DIMORANTI IN SICIUA
DAL SÉGOLO XII AL XVIII
(i)
Secolo Patria Nato Fiori Morte
XII. M.ro Pietro (Dipi, di Gugliel-
mo II di concessione alia Ch.
di Morr.) 1176
XIII. Antonio d'Antonio .... Messina . . 1267
XIV. Camulio Bartolom. ..... Palermo . . 1347
» D'Antonio Jacopello. . . . Messina . . 1400
XV. Maggio (di) Nicolò 1402
» Miranda Francesco, lavora di
tarsia con flg. sulla porla del
Duomo 1452
» Laurano Francesco in Paler-
({) De' mss. di diversa materia lasciati dal prof. Melchior Galeotti , l'autore del
bel libro intorno ad Antonio Gagini e la sua scuola, abbiamo avuto questa Tavola
cronologica e queste Notizie , che con piacere pubblichiamo nel nostro periodico ,
cosi come le abbiamo trovate; dolenti che l'autore non potè compire almeno la storia
della Pittura in Sicilia, che aveva già dieci anni addietro cominciata a scrivere e a
pubblicare in forma di lettere al ch. prof. Ippolito Topin, scrittore anch'esso, ben-
ché straniero,, di un saggio di storia della pittura in Sicilia; della quale storia dal
Galeotti intrapresa non restò ohe solamente la lettera i*, pubblicata qui in Sicilia
nel Gioenio di Catania, e nella Religione e Patria di Palermo, e in Francia, ove fu
tradotta, nella Tribune arttsiique et littéraire du Midi, IV annèe, 4860, n. K, 6 e 7.
Questa Tavola A di data certamente anteriore agli studi dell' autore sul Gagini e
la sua Scuola, che altrimenti sarebbe slata più completa, e senza lacuna di altri no-
stri artisti; e cosi le Notizie sono pure del tempo stesso che era compilata questa
Tavola, ma sarebbero assai importanti ove non si avesse il solo secolo XVII , ma
tutti i secoli a cominciare dal secolo XII.
In altra dispensa pubblicheremo altra Tavola cronologica e illustrativa de' Pittori
Messinesi particolarmente, compilata sulle Memorie di M. Grano.
/ Compilatori
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336 NUOVE EFFEMERIDI SiaUANE
Secolo Patria Nato Fiori Morte
mo. (scultore, sue statue). . Venezia . . 1460
XV. Oliva Pietro Messina . . 1491 . .
» Riccardo.^, tavola di S. Pie-
tro e P. con soscr. in S. Pie-
tro la Bagnara 1494 . .
i D'Antonio Salvatore. . . . Messina
i Panico Maestro (de) sua tavola
di S. Alberto nella compagnia 1412
i Antonello da Messina . . . Messina . . 1470
• Pino da...." Messina . . 1474 . .
i Chiana (de la) Bartolommeo ,
scultore in manni,pila d'aqua-
santa nella parrocchia di S.
Giacomo 1460 . .
» Cascetta, Salvo,, architetto 14S8 . .
1» Gambara Antonio sctUt. Porta
di marmo meridion. del Duo-
mo 1432
Crescenzio Antonio 1440
Vigilia Tommaso Palermo . . 1475
XVI. Desaliba Antonio Messina . . 1508
Franco Alfonso « . . . . Messina 1406 1520
Alibrando Girolamo .... Messina 1470 1519 1524
Sesto (da) Cesare, (passò molti
anni in Messina) . • . .Milano 1514y.l524
Antonio (d') Salvo .... Messina . . 1511 1525
Arzo (dO Tommaso .... Messina . . 1516 . .
Ruzzoloni Pietra Palermo . . 1518 . .
Anemolo Vincenzo .... Palermo . . 1527 d. 1542
Caldara Polidoro , fondatore ( Caravag-
della scuola ec. in Messina . ( gio 1493 1528 1543-5
Palermo (da) Antonio . . . Palermo . . 1528
Italiani frat. Paolo e Giovan-
ni, pittori in Palermo. . . Genova . . 1521
Gagini Antonio v. 1480 1503 1^36
Gagini Vinc. ag. del pred 15.... 1595
Gagini Domenico 1564
Del Duca Giacomo .... Palermo . . 1571
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TAVOLA CRONOLOGICA DI PITTORI, ECC. 337
Secolo Patria Nato Fiori Morte
XVI. Guinaccia Ofeodati (visse in
Messina e fu scolare di Po-
lidoro) Napoli . . 1851 . .
Riccio Mariano, scolare di Po-
lidoro ........ Messina 1810 . .
Del Duca Ludovico , fratello
di Giacomo, celebre nel get-
tar bronzi Palermo
Sichichi Ludovico .... Erico . . 1870
Scudaniglio Annibale, sculto-
re Trapani . . 1882 . .
Potenzano Frane, (credesi sco-
lare di Anemolo) 1880
Mosca Giulio scoi. delPAnem 1898
Bruno Francesco .... Palermo . . 1891
Laureti Tommaso .... Palermo
Zaccarella Francesco e Cur-
zio suo figlio, Arch. Mess. Messinesi . . 1588
Giordano Stefano , scolare di
Polidoro 18il . .
Volpe (della) Fr. Gabriele 1833 , .
Vignerìo Giacomo, scolare di 1882 . .
Polidoro Messina
lazzaro Alfonso , scolare di-
Polidoro Messina
Riccio Mariano, scolare di Po-
lidoro 1810 . .
Riccio Antonello,figlio del pre-
cedente e di lui scolare 1891
Anna (d') Stefano .... Messina . . 1590
Rafb Pietro , polidorista . . Messina . . 1560
Dalliotta Bened., polidorista . Messina . . 156i
St.... Giangiacomo • . . . . Messina . . 1591
Napoli (di) Cesare .... Messina 1550 1582
Saltamacchia Placido 1595 . .
Bramò Paolo Palermo . . 1589
Spalletta Fr. Nicolò .... Caccamo . . 1626 . .
Wolbrek Simone, stabilito in
Palermo Olanda . . 1585
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338
NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Secolo Palria
XVI. Calameck Lorenzo (chiamato
dal Senato di Messina) . . Italia
Angusciola Sofonisba (In Pa-
lermo maritata con Fabrizio
Moncada) Cremona
Fondulo Gio. Paolo , stabilito
a Palermo Cremona
Maflfei Giov. e Nic. figlio
Montorsoli fr. Agnolo e Mar-
tino, vennero in Messina
Calamech Andrea , scultore e
architetto Carrara
Cardino Francesco .... Messina
Paladino Filippo , venne e
mori in Sicilia Firenze
Albina Gius, detto il Sozzo . Palermo
Wierix incisore
Bagolino Sebastiano . . . Alcamo
XVII. Mirabella Niccolò .... Nicosia
Salerno Gius. d. Zoppo di G. Cangi
Camarda Gaspare .... Messina
Asaro Pietro d. il monocolo )Regal-
di Regalmuto )muto
Forte La Manna Giov. . . Calascib*
Catalano Antonio d. rAnt.%.. Messina
Albina Pietro , f. di Gius. . Palermo
Rodriquez Alonzo .... Messina
Caravaggio Michelang. slette ) Caravag-
molto in Sicilia ) (fio
Mennitì Mario Siracusa
Novelli Pier Antonio, padre
del Morrealese Morreale
Carrera Vito Trapani
Novelli Pietro d. il morrealese Morreale
Comande Simone Frane, di lui
fratello Messina
Nero (lo) Frane, ine. arch. . Caltagir.
Barbalunga Antonio .... Messina
Catalano Antonio 41 giovine, fi-
Nato Fiori Morte
. . 1570 . .
1535 15.... 1602
. . 1573 . .
1547 1564
1550 . .
1599
1554 . . 1614
1584 1611
1543 . .
1597 1610
1600 . .
1600 . .
1606 1655
1597 1617 . .
. . 1605 . .
1560 . . 1630
. . 1626
1578 . . 1648
1577
1609
1640
. . 1624
1607 1631
1603 1639 1647
1588
1600
1634
1653
1649
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TAVOLA CRONOLOGICA DI PITTORI, ECC.
339
Secolo Palria
glio del sopradelto. . . . Messina
XVII. Rodriquez Luigi, fratello di A-
lonzo Messina
Carrega Andrea Trapani
Asturino Gerardo Palermo
Cozza Francesco . . . . . Palermo
Smiriglio Mariano .... Palermo
Barbera (la) Vincenzo . . . Termini
Costantino Placido .... Messina
Loverde Giacomo .... Trapani
Paler. (da) Fr. Domenico Magri Palermo
Anselmo (d') Carlo .... Palermo
Giannotti Biagio Messina
Guagliata G. B Messina
Casembrot Abramo , ( tenne
scuola in Messina) .... Olanda
Durand G. B. in Messina . . Borgogna
Marcii Domenico Messina
Pulegio Antonino Messina
Tuccari Antonio Messina *
Suppa Andrea Messina
Scilla Giovanni . ' . . . . Messina
Gaetano Antonio Messina
Guargena Domenico .... Messina
Fulco Giovanni Messina
Mirelli Ant. . . . •
Beva Antonio
Van Houbracken Giovan. in
Messina
Tocino Ant
Fiorenza Pietro Palermo
Lasso Giulio arch. in Pai. . Roma
Pò (del) Pietro Palermo
Pò (del) Teresa, fig. di P. . Palermo
Abbadessa (P) Pietro. . . . Catania
Vallelunga Giov Palermo
Aprile Carlo scultore • . . Palermo
Guercio Vincenzo scultore . Palermo
Travaglia Giov. scul. . . . Palermo
Messina
Fiandra
Nato Fiori Morie
1585 . . 1666
1585
1606
1677
1625 1663
. . 1682
. . 1636
1624
1630 . .
. . 1687
. • 1689
1618 . .
1603 . . 1674
1670
. . 1650 . .
1612 . . 1676
1600 . . 1689
1620 . . 1660
1628 . . 1671
1629 1667 1700
1630 . . 1700
1610 . . 1663
1605 1672 . .
. - 1667 . .
. . 1669 1701
. . 1640 . .
. . 1640 . .
. . 1652 , .
. . 1620 . .
1610 . . 1692
. . 1689 . .
. . 1640 . .
. . 1639
1661
. . 1673 . .
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340
NUOVE EFFKMBBIDI SICIUANE
Secolo Patria
XVn. Anello Ant. scultore. . . . Palermo
Guercio Gaspare , t di Vin. . Palermo
Rollo Ant. scultore .... Trapani
Cimino G. B Palermo
Certo Bonavent. arch. . . . Messina
Ardoino Anna Messina
Bòsio Gaetano arch
Papaleo Pietro scul. . . . Palermo
Aquila (dO Carlo scultore. . Palermo
Amato Giacomo arch. . . . Palermo
Lunghi Martino architetto, (fu
in Sicilia e Napoli). . ... Milano
Marchese Vincenzo
Paglia Fr. Luigi, domenicano
Pinna Frane, architetto. . . Trapani
La Mattina Nunzio scul
Tedeschi Greg. scul
Mottone.... architetto
G(mtini.... architetto
Vaccarini.... architetto
Aquila Pietro Palermo
Aquila Fr. Faraone , fratello
di Pietro Palermo
Ivara Filippo . . . t. . . Messina
Calandrucci Giac Palermo
Giannetti Filippo Messina
Gabriele Onofrio Messina
€omo (da) fr. Emman. . . . Como
Monaco (lo) Gristof. .... Messina
Falce (la) Antonio Messina
Geli Placido Messina
BalesUiero Giuseppe . . . Messina
Madiona Antonio ..... Siracusa
Grano Antonino Palermo
Nato Fion Morte
1671
1673 . .
l6Si . .
1690 . .
1660 . .
1697 . .
1632 1695 1718
. . 1655 . .
1643 1670 1752
. . 1651
. . 1718
. . 1674 . .
1659 1660
1653
, ,
1691
, ,
1685
, ,
1735
1660
1695
1707
1702
1616
1706
1701
• •
1712
, ,
1710
• •
1709
1654
1719
, ,
1
682
1718
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TAVOLA CRONOLOGICA DI PriTORI, ECC. 341
NOTIZIE
SECOLO XVll.
Andrea Oarrey a. -^ Nel principio del secolo XVII nacque in
Trapani da onorati ed agiati parenti. Il padre suo pensò di cre-
scerlo nella virtù e nelle lettere. Nel ginnasio dei Gesuiti studiò
umane lettere e filosofia. Indi neir università di Catania il dritto,
e ne ottenne la laurea dottorale. Morti i suoi genitori, abbandonò
lo studio delle, leggi, e diessi alla pittura, per la quale avea sem-
pre avuto passione. Dapprima studiò sotto il Novelli. Poi andò a
Roma e scelse a maestro il Wandick. Non tardò a rendersi caro
al nAèstro dipingendo quadri che gli erano applaudili. Molte opere
di lui sono in Trapani, molte si sono vendute agli stranieri.
Poi si stabilì in Palermo, ove molto dipinse si a olio che a fresco,
e ove mori nel 1677. Fu sepolto in S. Giuseppe de' Teatini.
Il suo fuoco e la sua vivacità di rado gli permettevano di dar
finimento a' suoi dipinti. Ma la franchezza e naturalezza del suo
pennello lo fan riguardare come eccellente pittore. (FerrOy Guida
pag.439.)(Ma le sue asserzioni non sono appoggiate a documenti
autorevoli).
Andrea Carrega (dice il Mongitore) dottore in ambe le Leggi,
trapanese , tratto dal suo naturale genio per la pittura vi si ap-
plicò talmente che riuscinne egregio. Visse lungamente in Pa-
lermo, ove mori nel 1672. Dipinse a fresco le due cappelle del
Sacramento di N.* Sig.' Libera inferni nel nostro Duomo per o-
pera deir Arcivescovo Lonzano etc. (Mss. p. 406. V. Amato). Cercò
d' imitare il Novelli , ma non potè raggiungere il gran vigore di
quel pennello, specialmente nella finitezza delle teste e V espres-
sione delli affetti. Ad ogni modo fu egli spiritoso pittore, bizzano,
spedito; concepiva con proprietà le sue composizioni, e con fran-
chezza eseguivale. È celebre in Casteltermini il suo quadro di San
Giuseppe air altare maggiore della sua Chiesa. Di questo quadro,
come di Giuseppe Paladino, parla il Lanzi con elogio t. 2. Il Lanzi
dice ancora trovar considerato fra i valenf uomini di queir Isola
il Carrega, e crede aver dipinto assai per privati etc.
Viocenso lia Barbiera -* Nato in Termini, visse nei principi
del sec. decimo settimo. Sono sue opere in Termini: I freschi
nella Casa Comunale del 1610, raffiguranti alcuni avvenimenti del-
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342 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
1^ antica storia patria. A olio un deposto di Croce nella chiesa
dei Paolotti ; la Nascita di H. V. nella chiesa della Misericordia.
La Natività nella chiesa di s. Giovanni Battista. Presso i Dome-
nicani una V. SS. che prega il Divin Figlio a non scagliare i suoi
fulmini contro quella città a lui devota.
Paolo Giudice (Domenicano) promette di stabilire le differenti
epoche di due pittori Vincenzo La Barbiera e Giuseppe Salerno (p.2).
La Barbiera in Termini sua patria lasciò non poche opere, le quali
ben lo assicurano che il suo nome sorviverà a parecchi secoli (ivi).
Argomenta che fosse stato discepolo del Domenichino in Napoli
da una testa di s. Antonio Abate, bellissima. — M^ mentre la Bar-
biera operava da sporto maestro in Sicilia lo Zampieri avea 23
anni, né ancora avea veduto Napoli. — ^
• La Gloria del quadro di s. Giovanni Battista (nella sua chiesa)
è cosi ben composta e colorita, e gli angioletti sono sì leggiadri e
vezzosi che ti rammentano il fare del pittor Bolognese. E più
nella tela di sanf Anna, che dee riputarsi il suo capolavoro. » (In
s. Antonio Abbate di Mussomeli). Dòpo averne fatta una ininuta
descrizione soggiunse: t Ciò che in questo dipinto è degno di con-
siderazione e procaccia al La Barbiera il nome di pittore, è la di-
sposizione artificiosa delle figure che nello insieme considerate
fanno un bel tutto , e V azione di ognuna di esse poco lascia a
desiderare perchè si dicesse perfetta.— Né in questa ha saputo sco-
priie la menoma pecca — • (p. 3). E dopo di aver rilevate altre bel-
lezze prosieguo : • Malgrado questi e simili pregi che adornano
il quadro, hannovi non poche mende, alcune delle quali all'in-
gegno del pittore , altre a' suoi studi , si debbono ascrivere.
Della prima specie sono certa timidezza di pennello, poco fecon-
dità neir inventare e colorire debole: della seconda, contorni nin
pò trascurati e inesatti sono quelli del piccol Gesù, pieghe troppo
minute e fusione di colorii spiacenti • (p. 4).
Ecco r artefice che nella tela di sant'Anna col suo comporre
si fa presso al Domenichino!
« Nello Sponsalizio (iti Termini nella chiesa dell'Annunziata) tra
molte figure mal disegnate e peggio dipinte, hanno alcune che
innamorano lo spettatore. Questa strana mescolanza di buono e
di cattivo in una medesima pittura mi fa sospettare che egli si
facesse ajutare da qualche discepolo, osservandosi in certe parti
del quadro un tocco di pennello diverso da quello del pittor ter-
minese... Chi voglia far prova di tal considerazione guardi la volta
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TAVOLA CRONOLOGICA DI PITTORI, ECC. 343
della Casa comunale di Termini ove il buono accanto al cattivo
chiaramente si scorge. E qui giova avvertire che appiè di vari
quadri trovasi Vincenzo La Barbiera inventore e sMntendea di essi
ch^ ei ne fece soltanto gli schizzi, ma furon da altri nel modo più
miserabile dipinti » (p. 4).
n N. A. avea si da principio promesso riconoscere in questo
pittore due diflferenti maniere. La prima più ampia , alquanto li-
bera, piacevole; la seconda secca, timida, disgustosissima (p. 2.)
Ci dica ora a quale delle due maniere appartengono le opere a
olio 0 a fresco delle quali ha ragionato. Questo noi fa. Dice che
quelli della prima maniera sono dipinte nel principio del XYII
secolo; ma non sono accennate né fatte rilevare con le date. Del
che dovea fare diligente ricerca. Poi dice: • Le altre lavorate dopo
il 16lo sono indegne del suo nome. • Ma quali sono?
Poi dice che il La Barbiera imitò VAnemolo. La deposizione del
pittore imerese è poco più che una copia del palermitano. Si ac-
costò bene air originale e le idee da lui introdotte (la Madonna
sorretta dalle altre pie femine) nulla pendono in paragone delle
imitate. Nello Sponsalizio imitò eziandio TAnemolo (p. 5.)
Nulladimeno (conchiude) merita onorato seggio in mezzo a non
pochi pittori che precessero una stagione più gloriosa per la si-
ciliana dipintura (p. 6.)
B. È pregevole per la vaghezza del colorito , correzion df di-
segno e robustezza di pennello. Formossi uno stile medio tra
quello del Caravaggio e del Paladino. Suoi freschi in Termini
del 1610:
In s. Domenico della stessa città è suo il s. Cosmo che me-
dica le piaghe ad un giovine, colla data del 1612 e il suo nome.
Nel 1607 dipinse un s. Giovanni Battista nella Chiesa di detto
santo in Termini, pel prezzo di onze 30.
Nel 1624 erasi stabilito in Palermo.
Nel 1637 dipingeva i freschi del Reale Archivio del Palazzo in
concorrenza col Novelli per ordine del Governo.
Nel 1625 il Senato gli fé dipingere il s. Agatone nel Duomo,
che è ora nella sacrestia per dar luogo a quello di Agostino Bel-
trano Napolitano del 1652.
L'Amato si eontradice asserendo che nel 1625 il Senato fece
dipingere il s. Agatone all' Asturino.
L'Amato dice che nel 1679 il Senato fece dipingere la santa
Rosalia pel Duomo al La Barbiera. Ma pare incredibile , perchè
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^ii NOOYE BFrEMfiBlOI SIGIUANB
in tal' anno il piltore contar dovea più di 90 anni^ Vedi Atnato.
metro Aquila (Palermitano). Di onorata e civile (amiglia n.
prima della metà del 17o secolo con un genio e una forte indi-
nazione allo stadio delle belle arti. E sebbene applicato alle letr
tere, per avere abbracciato lo stato ecclesiastico, e giunto anche al
sacerdozio, non lasciò mai di studiare profondamente il disegno sotto
la direzione di Francesco Lo Nero^ non ispregevole incisore in
bulino, e dotto in geometria e in meccanica. Morto costui, Pietro
gli fece il ritratto in intaglio (1653). Andò poi a compire i suoi
studi in Roma , ove presa amicizia col Maratta , furongli da lui
indicate le divine pitture di RafiEaello e de' Caraccio e s'ei non
volea seguire le sfrenatezze degli artefici di quei tempi, consul-
togli di studiarne assiduamente le opere e il carattere.
Pietro possedeva bene il disegno; e cominciò a farsi conoscere
in Roma con intagliare all'acqua forte con somma esattezza e di-
ligenza le 52 storie delle Logge del Vaticano di Raffaello e dei
suoi scolari. Egli pubblicò quivi questo suo lavoro nel 1674 e da
Giov. Giac. de' Rossi ne fu fatta la dedica a Cristina regina di
.Stvezia. Intagliò anche molto bene e in più grande la battaglia di
Costantino di Giulio Romano^ che vien preferita a quelle più an-
tiche del Scall)ergio dal Perreyo d' Anversa e da altri. « Benché
intagliata da molti in antico (dice M. Bottarì), la intagliò poi
Pietro Aquila in grande , ricavandola dalla pittura ; ed è una
delle maggiori stampe che vada in giro, ed è molto bella per di-
segno e per intaglio. »
Il Cavallucci^ uno dei più valenti pittori dei giorni nostri, di-
ceva in Roma al Conte Napione: • quanto a me io mi attengo ai
e contorni dell'Aquila a preferenza delle più famose stampe mo-
• derue delle Loggie dì Raffaello. » Ed infatti tenevale apjpese alle
pareti del suo stadio, come attesta lo stesso Napione, il quale os-
serva bene di ciò la ragione, perchè P. Aquila, a giudicio del Bai-
dinucci era ancor buon pittore, e valente disegnatore, essendo il
disegno la base fondamentale di tutte le arti figurative — L'Aquila,
dice il Bellori^ co' suoi disegni ed intagli ha arricchito i musei.
Or benché in Italia fosse più rinomato come valente incisore in rame
che come pittore , lasciò egli tuttavia moltisshne opere A a olio
che a fresco in Sicilia di sommo pregio : che se- i dotti viaggia-
tori jie tacciono, la ragione è quella che dice il Lanzi; € che i pa-
lermitani, ove capiti un forestiere di gusto poco altro gli additano
che le opere del Novelli • (St. pitt. tom. %) Sono suoi i due quadroni
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TAVOI^ CRONOLOGICA Di' PITTORI, ECC. 3&5
nelle laterali mura dell'Altare maggiore della Chiesa della Pietà.
Uno rappresenta rincontro del figlio prodigo col padre. L'altro Da-
vidde-a cavallo cui dà i pani di proposizione il SonMno levita, É suo
il quadro della Morte di S. Benedetto nella Chiesa delle Vergini.
Il S. Gregorio Magno e il S. Benedetto nella Chiesa di Monserrato.
La sua maniera è tutta Caracce^ca. È suo il fresco della volta della
Cappella del Rosario in Santa Zita. Trovansi nelle case partico-
lari vari suoi quadri di stanza, e molti ne ha il principe di Cutò,
nella cai casa l'Aquib servi da secreianu,
11 Bechi letterato fiorentino che illiistrù questa pinacoteca j pro-
testò di non aver parlato dei dipìnti delPA^tiiila, nonché di qaello
del Maratti e del Sennari , perchè ìmìiienstL Ma credo che non
Tide opere delTAquila, e se le vide non le osservò bene.
In Ti'apani tiensi pi-egiato un S. Ludomm Bertrando delPAquìIa.
Un Figliuol prodigo nella quadrerìa sig. Venuti in Trapani.
Un gentiluomo palermitano avea deirAquita la Negazione ili San
Pietro in casa di Gaifa con più ligure di donne e di soldati di-
pìnti a lume di notte, dinanzi ad un braciere con accesi carboni.
Questo quadro fu venduto dal possessore per tenue somma ad un
pittore, che lo vendette a gran prezzo ad un francese intendente
di pittura, M. T Aquila ne' primi anni del sec. XVIIL
I II buon pittore e degno Sacerdote P. Aquila ha intagliate o-
pere di Annibale Caracci nel palazzo Farnese , dico le stupende
pitture della Galleria e T antiche statue che per entro a' portici
sì ammirano, e finalmente opere di Giovanni Lanfranco negli orti
Borghesi , di Pietro da Cortona ne' palazzi di casa Sacchetti , ed
altre di Giro Ferri, belle invenzioni di Carlo Maratta , ed anche
sue proprie tutte air acqua forte. {ComÌm\ ^progrm. dell'arte di
ìntagL in ratm. Proem. Firenze 1686 cap. 6),
Teresa del Fo (PakrmitamJ Figlia di Pietro e sorella dì Già*
corno. Alcuni la dicono Romana. Colia dii-ezione del padre di-
venne eccellente nella pittura e neirin tagliare in rame io Napoli,
dove visse col padre.
VAh. G. B. Paciehelli nelle memorie dei Viaggi (p. 4, T. 6)
scrivendo di soggetti illustri che viveano in Napoli nel !68o^ fra
gli altri vi annovera, t Pietro del Po Siciliano colla llglia Teresa'
iuUJgIiatrice all'acqua forte. * E nelle Metmrie Novelle (p, I, pa^
gina 128) scrive una lettera a Monsignor Rallaele Fabretti , nella
quale vanta oltre modo: i il pennello, pastello, ago> bulino della
sìgnoL-a Teresa del Po cittadina e accademica Romana^ Gglia e so-
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316 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
rella dei signori Pietro e Giacomo, soggetti di grido primario nel
valore pittorico. Accoppia ella colla morale il credito delP Arte
che con miglior sorte però avrebbe a ri splendere nel pregio dei
talenti fra ciascun'altra. I suoi Avori si vagamente coloriti son cari
ai Sovrani. Leggonsi in sua casa testimonianze di conto d'inge-
gni pellegrini e di personaggi più chiari in Europa. Valgono i
suoi lavori a prestar degno ornamento in qualsiasi Galleria; sa-
pendo ella concepir colla mente e produr colla mano sempre fe-
conde quantità di forme tutte vaghe e di plauso al più accorto
giudicio. Ella merita dai Grandi visite onorarie e lodevoli espres-
sioni eziandio dalle metropoli più discoste. »' (Napoli, 20 otto-
bre 1689). Fin qui il Pacichelli, il quale erra nel dirla Romana,
se pur tale non la voglia perchè ascritta air accademia de' pittori
Romani. Mongitore, Mss. p. 428.
FraneMco Aquila Faraone (Palermitano) — Nato in seconde
nozze dal padre di Pietro dopo la metà del XVII, apprese dal fra-
tello il disegno e V arte d' intagliare il rame a bulino. Con esso
in Roma studiò le migliori opere, e divenne non inferiore al fra-
tello nella correzione del disegno e nella eleganza de' contomi.
Copiò ed espresse col bulino le Grazie del Correggio. Due sue
stampe sono lodatissinie di due quadri di queir inarrivabile arte-
fice. La prima della Vergine sedente col bambino in camicia che
colla destra benedice, e tien V altra mano nella sinistra della Ma-
donna. V'é in lontananza S. Giuseppe che lavora. Dedicò questa
stampa a G. Pietro Baglioni nel 1691. (Nota al tom. V. del Va-
sari, pag. 107).
Un altro quadro del Correggio intagliò due volte Francesco in
una carta grande e in una piccola, non sulPoriginale medesimo,
ma sopra una buona copia del Carpi (L' Assunzione di N. D.). .
Nella Certosa di Pavia oravi del Correggio a olio una V. SS. che
mette una camicia indosso a Cripto fanciulletto, che ora dicesi an-
dato in Spagna. Fu esso intagliato in rame dal nostro Francesco.
Sono le sue opere tenute in gran pregio in tutte le raccolte di
stampe. (Nota al t. 8** del Vas. pag. 338).
• l due fratelli Pietro e Francesco Aquila (dice il Milizia) si
contradistinsero nella fine dello scorso secolo nell'acqua forte nelle
opere di Caracci e di Maratta > benché, secondo il suo costume
di non perdonare a ninno, aggiunga che sono rimproverati di ma-
grezza. Di che né il Baldinucci, né il Bottari, né alcun altro giam-
mai gli ha incolpati.
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TAVOLA CAONOLOGIGA DI PITTOBI, ECC. 347
Oiacinto Oalandmoci — Nato in Palermo verso il 1660 appli-
cossi al disegno sotto la disciplina di Andrea Carrega^ il quale co-
noscendo i talenti deir allievo e compiacendosene, da lui, ancor-
ché giovinetto, si fece ajutare ne' freschi che dipingeva nella
volta della gran tribuna di s. Giuseppe dei Teatini. Sono suo la-
voro alcune sacre storie, accanto a quelle più vaste del suo mae-
stro. Morto costui, recossi a Roma per meglio perfezionarsi nel-
r arte. Si pose sotto il Maratta, e die prova del suo valore, arric-
chendo dopo il 1695 delle sue pitture la Chiesa di S. Antonio dei
Portoghesi (Vasi, Itin. istrut. di Roma T. 2.)
Fattosi buon nome in Roma colle sue opere, ne giunse il grido
alla sua patria, e richiesto dalle monache del Salvatore d'un gran
quadro di santa Rosalia, lo mandò loro da Roma nel 1703, che
fu lodato per la correzion del disegno, per la vivacità del colo-
rito, per la scelta delle forme e V aria delle teste; sicché in quel-
la anno medesimo ne fu stampata una compiuta relazione.
Richiamato alla patria dalle istanze de' suoi concittadini, insieme
con G. B. suo fratello, venuto seco da Roma, dipinse a fresco la
volta della Compagnia di S. Lorenzo. Dipingeva il quadro della
Y. SS. del Rifugio quando la morte lo colse nell'età di 46 anni
nel 1707.
L'anzidetto quadro fu finito da suo fratello, il quale nel 1704
avea ottenuta dall'Accademia di Roma il premio nella seconda
classe de' pittori.
Giacinto ò lodato dal Crescimbeni nella sua Arcadia, lib. 4 pa-
gina 143. È lodato dal Bellori nella Vita del Maratti.
Melchior Galbotti
N. B. Nella Lettera T al sig^Topin' sulla storia della pittura in
Sicilia, il Galeotti ricorda del sec. IX un Zaccaria Cefo , vescovo
di Taormina, pittore; e un Joannellus de Brando^ forse palermitano,
che dipingeva una tavola della Madonna dell' Itria, oggi in Cata-
nia, nel 1571. E nel libro intorno ad Antonio Gagini e la ma scuola
soiTo nominati tra i Gagini Giacomo e Antonio Agli del sommo scul-
tore, e scultori anch' essi; e tre Ferrari emuli in lavori dr plastica
de' Gagini e contemporanei; e non pochi altri artisti, specialmente
statuari, del sec. XVI e del XVII, fra quali il Gio. Batt. Li Volsi
che fece nel 1630 la statua in bronzo di Carlo V in Piazza BolognL
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348 NUOVE BFPBlIBRmi SICILIANE
Artisti che non si leggono in questa Tavola , già , come si è av-
visato anteriore agli ultimi studi deir autore, sono i Mastrangeli^
un De Noto, un Vincenzo Ingofer, il La Face, il Mendoìa (Fran*
Cesco), i due Giti (Giovanni ed Orsolo), il Bonanno (Rinaldo), il
Mora (Fabrizio), il Mazzola (Domenico) , il Berettario (Antonino),
il De Scalisi (Angelo) il Barbato (Antonio) ec.; tutti fioriti nel se-
colo XVI: de' quali il nostro scrittore ricorda le opere nel libro
suddetto^ cosi onorevolmente accolto dairaccademia di Berlino (Leti,
air aut. 27 genn. 1862), alla quale ne fece relazione il prof. Guhl
(v. Supplim. àUe notizie di Berlino ec. n. 77, 1** apr. 1862); e da'
giornali francesi, come dalla Tiibune artistique et littéraire du Midij
nella quale ne diede un beir esame e giudizio il Chaumelin (VT*
ann. mars, 1862, p. 77 e segg.; il quale, maravigliato che nessun
dizionario artistico o biografico avesse parlato del Gagini, Pune de$
plus grandes gloires artistiques de la Sicile^ si compiace per la sto-
ria deir arte , che: e il était réservó à Melchior Galeotti de nous
« faire admirer ce merveilleux genie, en nous révélant ses gigan-
c tesques travaux, en nous faisant connattre la part considerale
« qu'il prit au mouvement de )a Renaissance et Tinfluence qu'il
e eut sur ses contemporains. i Tanta copia di artisti, onde è stata
ricca la Sicilia , foceva conchiudere al Galeotti il suo libro con
queste parole: € Ella (la Sicilia) ha avuto scuole di scultura, pit-
tura, architettura, e di quasi tutte le altre minori arti, da gareg-
giare colle più illustri di altrove (p. 143). •
/ Compilatori
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DI ALCUNI TRATTATI DI MASCALCIA
ORA PUBBLICATI PBR LA PRIMA VOLTA
DA Pietro Delprato e da ItVLigì Barberi
Z.
La Collezione di opere inedite e rare pubblicate per cura della
R. Commessione pe' testi di lingua è stata non è guari arricchita
di tre volumi di Mascalcia (1), curati dall'egr. prof. Pietro Delpralò,
e pel testo latino dal eh. ab. Barberi; nei quali sono stati pubbli-
cati per la prima volta alcuni volgarizzamenti de' secoli XIII e
XJV del libro di Mascalcia voltato dall'arabo in latino da Maestro
Moisè da Palermo, e il trattalo della cura d^" cavalli di Lorenzo
Rusio, romano, recato in volgare siciliano del secolo XIV ; « mo-
numento, siccome dice V editore, di lingua vernacola italiana, che
pel rispetto della filologia è senza dubbio d' importanza non lieve
(avv. al voi. I, pag. VIII).^
Ai quali Volgarizzamenti del libro di Maestro Moisè va innanzi
una bellissima prefazione del Delprato, nella quale si discorre dei
due Ippocrati, V uno greco, Taltro indiano, che il medio evo tenne
come principali scrittori di ippiatrica, e della raccolta degP ippia-
trici greci del IX secolo, non ignorata in Italia, ove per gli Arabi
di Sicilia erano anzi penetrate scritture che venivano dalla Persia
e dair India, siccome è stato provato; e vi sono ricordati gli scrit-
tori italiani che continuarono nel medio evo con perizia singo-
lare lo studio della medicina degli animali.
Al Trattato del Rusio segue poi un volume che dà la storia della
veterenaria dagli antichi tempi ai nostri, sotto il modesto titolo di
Notizie Storiche degli Scrittori Italiani di Veterenaria. Tantoché
questa pubblicazione che ha regalalo all' Italia l'egr. Delprato, può
dirsi francamente nulla lasciare a. desiderare , e gareggiar bene
co' lavori di dotti stranieri o nostrani sul proposito, come l' Heu-
singer e l'Ercolani: anzi a compimento della sua opera non lasciò il
(i) V. Traltali di Mascalcia altribuUi ad IppocraU IradoUi dall'arabo in latino da
Maestro Moisè da Paleimo, volgarizzati iMltecolo XI H, ee. Bologna, presso G. Ro-
magnoli, 186).
La Maxcnìcia di Lor<*nzo Rusio^ volyarizzaniento del secolo XIV ecc. voi. due.
Uolog.'ia, G. Romugnoli 1867-1870.
2a
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350 NUOVg EFFEMERIDI SICILIANE
dotto e solerlissimo editore di fornire il volume delle Notizie di
no Indice delle malattie indicate o descritte da Lorenzo Bmio , dì
an Elenco delle medicine e degli argomenti terapeutici ìMaU o con-
sigliati da Lorenzo RusiOy e di un Glossario di voci da notare per
la loro 0 speciale o nuova significazione. Nel quale Glossario trovi
per lo più voci che tuttora vivono nel dialetto siciliano, e si sen-
tono ogni di per le stalle o da' mozzi. Il lungo discorso del Dei-
prato tratta ne' primi || sino al XIII della Veterenaria presso gli
antichi; ma dal § XIV sino all' utimo, che è il CL, si occupa tutto
della ippiatrica in Italia, specialmente nel medio'evo, quando, a detta
dell' Heusinger, solamente l' Italia ebbe una Veterenaria, ereditata
dalla Grecia e dagli Arabi. E però dalla Veterenaria in Italia nel
nono e decimo secolo (§ XIV, p. 27), sino al conte Francesco Bonsi
(n. 1803) che Filippo Re pone in primo luogo fra' benemeriti in
Italia della Zooiatrìa ; anzi sino a Giacomo GandoUi e a Michele
Buniva,(n. 1814), l'uno professore di Veterenaria nella Università
bolognese, l'altro direttore dello stesso studio in quella di Torino;
sono discusse accuratamente e con molta erudizione le vicende de-
gli studi e r importanza delle opere di Ippiatrica fra noi. Né oltre
a ciò manca il discorso di un'appendice di documenti ed aggiunte
per la storia della Veterenariay riguardanti e Lorenzo Rusio, e un'o-
pera di ippiatrica orientale stampata sono pochi anni (1866) in Ge-
rusalemme dalla Tipografia de' PP. Francescani, e la GiurisiM'udenza
Veterenaria di Ippolito Bavacossa, e la Veterenaria di Pelaganio
(sopra la quale scrisse una memoria il Molin), e ilBartoIomeo di
Messina traduttore dell' opera di lerocle ippiatro greco , e alcuni
codici sia di Mascalcia, sia di Falconeria, esistenti in queste Biblio-
teche comunale e nazionale di Palermo e in Catania, da noi ai-
travolta illustrati (1); e, infine, la confermazione che il testo del
Rusio è in antico siciliano; e t f u certo un singolare privilegio de'
t siciliani quello di conservarci opere d'ippiatrica scritte nel loro
• linguaggio, e nessuno potrebbe mai disconoscere una tale qua-
« lità in alcuni codici dell'opera di Giordano Ruffo, in quella di
t Giovanni de Cruyllis, e, per quanto crediamo, nel nostro Rusio.
« Ninno seppe mai ricordare scrittura veterenaria dettata in un
€ dialetto diverso dal siciliano, e quando si pretendesse il contra-
t rio per questo del Rusio, se ne avrebbe il pruno esempio. Fra
« le popolazioni italiane, la siciliana quasi iniziò ed accrebbe più
(i) V. nel Borghini di Firenze, anno IL p. 577, la feUera al cav. Frane. Zam-
brìni. ora dal Delprato riforita nel suo discorso a p. 213 e seg.
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DI ALCUNI TRATTATI DI M ASGAIXIA 351
• che l'altre il patrimonio della Velerenaria : Moisè da Palenno
e tradusse i libri indiani di Mascalcia, Bartolomeo da Messina ira-
« ^làtò la raccolta greca di Jerocle, indicato col nome di Eracleo
t od Eroteo ; d' altri antichi scrittori siciliani di veterenaria ab-
c biamo non ha guari discusso da non credere necessari nuovi ar-
• gomenli di prova • (p. 228). Delle quali parole, che fanno cosi
bello onore alla Sicilia, rendiamo i debiti ringraziamenti air illu-
stre autore; al quale avremmo voluto fossero stati anche noti gli
scrittori siciliani d' ippiatrica de' secoli ultimi, affinchè più vivo e
più compiuto fosse riuscito il suo dotto lavoro, di tanto interesse
per la storia della medicina in Italia. L'aver poi accompagnato
del testo latino si i due volgarizzamenti de' Trattati di Maestro
Moisè e si il volgare del Rusio, è stato opportuno divisamenta a
meglio intendere^ V antico dettato toscano e siciliano, nel quale ut-
timo specialmente non sono molto rare le scorrezioni del menante,
ovvero qualche giunta fuori luogo, come a ragion d'es. a p. 215, ove
il periodo che comincia: L' altra: fa la mia ec. sino a Recipe la
radicina ec, non è nel Ialino, e dovette essere una interpellazione
per la quale la postilla del margine passò dentro il testo. Per-
locchè , è da dar molta lode eziandio all' ab. Luigi Barbieri che
cosi bene curò i testi latini, cioè: Liber IpocraUs de infinnitatibus
equorum et curis eorum; Liber nhariscaltie eqìwrum et cure eorum; e
Laurentii Rusii de cura equorum Liber ^ aggiungendo al testo, di Ip^
pocrate , che il Barberi crede rifatto suU' antico volgarizzamento
del libro di Maestro Moisè, e al secondo d'incerto, importantissime
annotazioni per le voci di barbara latinità ; cosi come non men
dotte note eziandio ha apposte ai due lesti volgari, che seguono
i trattati latini, col titolo Libro di Mascalcia che traslatò dal greco
in latino Maestro Moisè di Palermo (p. 203), e questo^ libro di Ma-
scalcia di cavala^ muli e asini fu traslatato da Maestro Moisè di Pa-
lermo (p. iì7), I quali testi volgari riscontrati coi due testi pur vol-
gari che precedono nel volume, per cura del Delpraio, e son ri-
feriti al secolo XIII , danno invero una lezione più pulita e me-
glio andante della prima, tanto che pare chiaramente aversi una
data più recente, benché non si allontanino dal secolo XIV, e ci
senti perciò tutto V odore e sapore delicatissimo del beato trecento.
Se non che, questi Trattati di Mascalcia o di Maestro Moisè o
di Lorenzo Rusio, ci conducono a fermarci un poco di proposito
e sopra Maestro Moisè, e sopra il dettato specialmente del libra
del Rusio, quale ora è stato pubblicato nella Collezione bolognese
sopi'a citata.
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MAESTRO NOISfi DI PALERMO
E GLI ANTICHI TESTI DI MASGALQA
IN VOIXSARB SICIUANO
La cura degli animali, cavalli specialmente o falconi, fu degli
effici più nobili che fosser tenuti a Corte de' nostri re normanni,
svevi, angioini, aragonesi. Un maestro Guglielmo scrittore di fal-
coneria € fu nutrito in la corte del re Rugero et poi stete con
k) figliolo: » Maestro Moisè di Palermo traslatò dall'arabico in la-
tino 0 sotto di Guglielmo o sotto gli svevi il libro della mascalcia
de" cavalli che si diceva scritto alla corte di Cosroe da un Ippocrate
indiano meglio che greco; Girolamo Ruffo, marescalco di Federico II,
scrisse di Mascalcia, dopo Maestro Moisè, per le stalle dello imperato-
re; Bartofomeo da Messina tradusse in latino i libri ippiatrici di Je-
rocle 0 di Erocle greco per comando di Manfredi; Lorenzo Rusio
romano , familiare del cardinale di S. Adriano Napoleone degli
Orsini , componeva il suo libro sopra i lesti di Maestro Moisè e
di Giordano Ruffo e di Bartolomeo di Messina, a^ tempi de' pri-
mi Aragonesi, e tosto ^ Tolgarìzzava in siciliano; siccome sotto gli
ultimi scrivevano Bartolo Spadafora e Piero Andrea i loro trat-
tati di Maniscalcheria, che abbiamo ms. per le nostre Biblioteche.
La veterenaria del medio evo è dovuta pertanto ai siciliani , e
nngolarmente a Maestro Moisè, il quale riducendo in latino, sic-
come si è detto, quanto era passato agli arabi dalla Persia e dal*
V India sul proposito, aprì la via agli scrittori che seguirono, dì
guisa che conosciuto quello che i Greci avevano registrato della
materia nella i-accolta fatta da lerode e tradotta da Bartolomeo
da Messina, fu agevole dapprima a Giordano Ruffo, e poi a' suoi
continuatori, raccogliere in un corpo gli antichi ammaestramenti
avvalorati da nuove esperienze, e dare air Italia una speciale arte
che assai più si stendesse di quello che era stato lasciato scritto
da Cohimella , Vegezio, e Palladio. Il libro traslatato da Maestro
Moisè nel secolo XIII si vuole che fosse stata Peperà che dal
persiano era stata fatta araba da lano Damasceno nel nono se-
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' DI ALCUNI TRATTATI DI MASCALCIA 3$S
colo, siccome dal latino fa indi falta volgare nello stesso secolo
XIII 0 su' principi del XIV. Sotto Cosroe Nuscirivar, quando dup-
fiìSìio- maestro Tlppocrate deir antichissimo libro di Maniscalcia,
savio medico d' India siccome è detto in sul capitolo !<> del li-
bro che ordinava ad onore di esso re, furono fatte traduzioni dal-
V indiano in pehlwi, e da questa favella furono ridotte in arabo,
onde vennero, passati in Occidente, nel latino e nel volgare ita-
lico : né Ippocrate cela al re persiano eh' egli raccoglieva quei
8noi ammaestramenti delU fiori de' suoi antecessori , e da' libri
de* savi^ che furono trovati nelli armadi delU regi (1).
Noi non sappiamo di Maestro Moisè (forse degli ebrei di Paler-
mo) più di quanto potè dire il Tiraboschi, e già innanzi aveane
scritto il Hongitore e dopo notò il Narbone; cioè, che Moisè fosse
uno di quelli che da Federico o da Manfredi fossero stati ado-
perati per le molte versioni che allora si facevano alla Corte pa-
lermitana di opere filosofiche, fisiche e mo rali scritte in arabo o
in greco. Nel titolo del ms. della Biblioteca Estense , citato dal
Muratori, è detto di quel Libro d' Ippocrate de curationibus infir-
mtatum eqmrum che era stato voltato de lingua arabica in latinam
da Maestro Moisè de Palermo (2); ed è curioso che non riferendosi
comunemente a Maestro Moisè che la sola traslazione latina dal-
l' arabico, qualche altro ms. dica che la versione fosse stata fatta
dal greco, anzi non si sa se allo stesso Moisè pur si debba la ver-
sione volgare che si ha de' Trattati di Mascalcia dell' Ippocrate
indiano. L' Argelati riferisce aver veduto un codice bellissimo in
carta pecora del secolo XIII, presso il Conte Ornalo Silva, conte-
nente diversi trattati di Maniscalcheria, e fra essi il libro d' Ip-
pocrate, in fine del quale si legge a chiusa del I^ V: e Qui fini-
sce il libro della Mascalcia che traslatoe di Greco in Latino Mae-
stro Moisè da Palermo t; e dopo il Libro VI: • Qui finisse il libro
della Mascalcia il quale traslatoe Maestro Moisè da Palermo » (3).
Certo è intanto che il libro traslatato da Maestro Moisè fu la
fonte di tutte le opere che ebbe il medio evo in Italia intorno a
veterenaria; e il bolognese Pietro de' Crescenzi, il vecchio autore
de' libri di agricoltura, fiorito tra il 1235 e il 1307, copia qualche
volta alla lettera i trattati di Maestro Moisè; da' quali trattati poco
(1) V. TraUaii di JUateaUia ecc. p. 206.
(S) V. Storia della LHL IkU, t. IV. L. UI, e. L p, 804. MUano 1833.
(3) V. La àla$caUia 4i Lorenzo Ru$io ec. voi. S p. iS.
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354 NUOVE BVFBMBRIDI SIGILUNE
0 nulla si dipartono gli scrittori del sec. XIII e XTV sino al XVII,
tanto da potersi dire a ragione • essere stato il libro di Moisè di
< Palermo la principale e più conosciuta autorità da cui ricava-
t rono i loro libri i più pregiati scrittori che dal 1250 sino al 1600
e trattarono la medicina degli animali (1). Confrontando il libro
t nono di Crescenzio coir opera di Ruffo, incontransi diversi ca-
< pitoli che sembrano copia fedele gli uni degli altri; ma essi sono
€ appunto cosi perchè Ruffo e Crescenzio rimasero ad un'unica
fl fonte, ossia al libro di Moisè di Paleimo >; siccome al Ruffo si at-
tengono Lorenzo Rusio e messer Bonifacio, e mastro Piero di An-
drea, e altri de' secoli XIV, XV, e seguenti.
Nò è da passare sotto silenzio come nel tempo stesso che la Si-
cilia dava air Italia, e però alP Europa, con la traslazione di Mae-
stro Moisè il libro d'ippiatrica più famoso che avesse l'Oriente,
originariamente forse scritto in lingua sanscrita, e poi, prima che
in arabo, in persiano e in greco; Bartolomeo da Messina riduceva
-appunto in latino il hbro greco di leroclo o Erateo, uno degli ip-
4)iatrici che fiorirono ai tempi di Costantino Cesare e aiutarono
la raccolta degli scrittori greci geoponici fatta da Cassiano Basso,
a cui lerocle o Eroteo intitolava il suo libro, siccome si legge
nel cod. ms. che fu secondo il Tiraboschi della libreria di San
Salvadore in Bologna (2) , ed ora è nella Bibliot. della R. Uni-
versità della stessa città (3) : Incipit liber Eraclei ad Bassum de
-curafione equorum in ordine perfecto translatus de greco in latinum
XI Magistro Bartholomeo de Messana in Curia illustrissimi Man-
fredi serenissimi Regis Siciliae amatoris, et mandato suo. Ma nò
anco più altre notizie abbiamo di questo Bartolomeo da Messina,
traduttore eziandio de' libri Morali di Aristotile (4) , tranne che
fosse stato medico e forse di nobile sangue, siccome nota il Mon-
{!) V. Trailati di Mascalcia, p. XXXVI-XXXVII.
'(2) Op, cU. t. IV, L. n, p. 243. ed. ciu
(Z) La Matcalcia di Lorenzo Rusio, voi. % pag. 212.
(4) Cosi il Tiraboschi a proposito delle tradazioni di Aristotile che non dall* a-
rabico ma dal greco si facevano alla Corte di Federico e di Manfredi : • Ne abbiamo
« Ja prova in un coilice a penna della libreria di Santa Croce in Firenze , citato
« dal eh. Mehos (Vita Ambros. eamald. p. 155) in cui si contiene 1* Etica di quel
• filosofo tradotta dal greco da Bartolomeo di Messina : Incipit liber magnorum
Elhieorum Aristotelis translatus de graeeo in latinum a magistro Bartholomeo de
Messana in Curia illustrissimi Manfredi Serenissimi Begis Ciciliae scientiae amaloris
de mandato suo ecc.
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DI ALCUNI TRATTATI DI MASCALCIA 355
gìtore sulla testimonianza di un catalogo di medici presso il Ti-
raquello (1).
Un poco più, air incontro, sappiamo di Giordano Ruflfo, non si-
ciliano di nascila, ma tale a considerarsi per la sua stanza alla
Corte di Federico, presso cui dovetter essere in molto onore, se
il suo cognome si legge co' notabili del Regno tra quelli che sotto-
scrissero il testamento dell' Imperatore a 13 die. del 1250 in Fio-
rentino. Una nota che o in latino o in volgare si legge in fine de'
codici del Trattato di Mascalcia di Giordano Auffo, ci fa sapere chi
fosse stato Fautore e che grado ayesse tenuto alla Corte Sici-
liana dello Svevo. Nel cod. latino della Bibliot. dell'Archiginnasio
Romano della Sapienza si ha : e Hoc opus composuit lordanus
« Rufifus de Calabrica Miles et familiaris Domini' Friderici Impe-
c ratoris secundi Romanor. memorie recolende, qui inslructus fue-
« rat piene per eundem dominum de omnibus supradictis: exper-
c tus etiam fuerat poslmodum probabiliter in maristalla equorum
« ejusdem Domini, in qua fuit per magnum temporis spatium com-
c moratus »: e in altro cod. volgare siciliano a nostro credere del
sec. XIII, ora nel Museo Britannico , sta scritto , siccome è rife-
rito dal Bruce-Whyte: • Kista opera fu facpta per la autoritate di
« lu Paladiu e di altri. Ma quellu ki riguarda li morbi et le cure
e specialmente fu trovato per me signore Giordano Rufifu di Ca-
c labria trattato per Herocle marìscalco per le stalle de l'Impera-
c toreFedericu lungu tempu defuntu.» Nella quale nota è bene av-
visato da maestro Giordano, che sino a suo tempo governava le stalle
imperiali il trattato di Herocle (quello stesso recato in latino da
Bartolomeo di Messina), scrittore antico o come è detto lungu tempu
defunto ; né credo altrimenti si possa intendere l' ultima parte di
essa nota, nella quale le parole' sono abbastanza disordinate.
Vero è pertanto che Giordano Ruffo non sia stato siciliano, ma
vivendo alla corte di Sicilia, forse prima che in latino, siccome
pur ha creduto il eh. Delprato (2) , egli die fuori il suo trattato
in siciliano; e proprio del secolo XIII parte il dettato del codice
(I) « Bartbolomeiiiii de Messaoa skoluoi inv«DÌ apod Tiraqunllum de nobUiiaU,
«e. SI p. S63 in CaUlogo Mcdicoram - y. Biblioth. Sieuia, t. I, p.96. Pai. 1708.
V. Gregorio, Opere, pag. 815.
(S) Trattati di Mascalcia atlribuUi ad Ippoerate tradotti dall* arabo ìd latino d4
maestro Moiiò da Palermo, yolgarizzati nel sec. XIII messi in lace per cora di Pie-
tro Del Prato ecc. Prelimin. p. XXX. Bologna 1865. (CoUex, di Op, ined, e rare
della Commeii. pei Tali di lingua).
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3S6 NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNE
del Museo Britannico, il cui cominciamento é appunto questo:,
e Izi cominza lu libru di maniscalchia cumpostu da lu maestro
€ Giordano Russo di Galicia, mariscalo delF Imperatore Federico,
e Conciosia cosa ke inter tutti li animati de la umana generat-
« tione per usu deputati, nullu cere (o cene, cioè ce ne è?) fin
e nobile di lu cavallu, né ancora nullu cere (o cene?) allu homu
€ più comodu. Nobile ancora per la umana dignitate, e splendidis^
e Simo, e senza di issu in verità nullu homu pò aviri gloria, ne
e pò sustenirsi. Ma essendu più comodu vale più di tutti li altri
e animali; nullu potè ni fare li ofilcìi di lu cavallu, ni ki si trova
• si doctu. Ora dico di di lui naturale, e alle persone digne come e
« conveniente, e alle nobili senza fatica.... (i) > Né in altro vol-
gare, che siciliano, benché più pulito, sarebbe il cod. citato dal
Molin, e già della Biblioteca Damiani di Venezia ; il quale inco-
mincia : e Nui messeri Jordanu Russu di Calabria volimu insignari
« achelli chi avinu a nutricari cavalli secundu chi avimu imparata
e nela manestalla de lu ìmperatnrì Federicu chi avimu pruvatu e
e avimu complita questa opira nelu nomu di Deu e di santu Aloi: »
ovvero Taltro citato da Michele Yannucci della Biblioteca de' conti
Melzi riferito alla metà del secolo XIII, quando già si sa dal Ti-
raboschi, dal Morelli, e dalFHeusinger, che il Marescalco imperiale
aveva appunto composto il suo libro (2).
Che se poi romano, né affetto siciliano, quantunque avesse po-
tuto trovarsi alla oorte angioina di Napoli, è Lorenzo Rusio, fami-
liare del cardinale Napoleone Orsini, il volgarizzamento più antico
(1) La Matcakia di Lwenzo Rvsio ecc. v. 11, ed. cit. p. 2S3.
(%) Non cito il ms. della Biblioteca di Siena dalKab. De Angelis giudicalo del 12id
poiché se non è il ms. di Mascalcia che il Venturi dice essere del Ì3i5, è nitro di
data più recente « e come dal eh. cay. Luciano Bianchi ho saputo» de' primi anni
del XV; né è il BufTo^ né il Rusio, bensì un compendio de* Trattati di Mascalcia
conosciuti, fatto in quel secolo, e in dettato toscano, siccome é a ve<lere da questo
capitolo che ho potuto avere trascritto |)er gentilezza del detto cay. Bianchi.
• Di le inehavature eh' rompono ìa corona e dela cura, lv,
DÌYÌ«»ne alchuna volta p mala cura che la ichiayalura non e ben churata ne cer-
chiata si che la putredine richiusa dentro al ongnia si fa via d uscire fuore intra
la carne viva el unghia rioc sopra ci piede ronpedo la carne e diventa ferita che
fitta putredine la qual ferita si chura nel modo che io (o) isegnato nel precedente
capitolo di sopra la ir.chiavatura dentro sotto el snolo sia richiesta i cholal modo
e Bìa taglala i fino al vivo E poi churata sicondo che (e) detto de laltre ichiavature •
(a e. 48. Cod. L. VI, 15 della Bibl. Comunale di Siena).
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DI ALCUNI TRATTATI Dì MASCALCIA 357
cbe abbiamo del suo trattato di Mascalcia è in volgare siciliano, e
certamente del sec. XIV, e anteriore all'altro libro di MarUscalcMa
che fu scritto, vuoi da Giovanni de Ciniyllis, vuoi da Bartolo Spa-
dafora, siccome avvisò lo Scavo (1), in lu annu di incamacioni di
nostru SigmriJhu. Xpu. a li MCCCLXVIIL Questo trattato del Ru-
sio, che dobbiamo al eh* Delprato, possiamo dire, tranne scritture
di storia, essere l'opera più hinga in volgare siciliano del se-
colo XIV, dopo il volgarizzamento della Regola dì S. Benedetto
del secolo XIII, e il trattato di Mascalcia del Ruffo che pare già
contemporaneo a questa Regola benedettina del MCCliiij. Che se
fu per qualcuno detto non siciliano, bensì romagnolo o sardesco,
il dettato di questo Trattato volgare del Rusio; quanto a non es-
sere sardesco basterebbe Fautorìtà e i riscontri fatti sul proposito
dall'egregio dottor Filia (2); e quanto ad esser senza dubbio si-
ciliano, sarebbe sufSciente la lettura di un solo dei capitoli di
esso Trattato, ove trovi a ogni passo voci siciliane, le quali tut-
tora sono vive e familiari al nostro popolo. Dovrei, a darne esem-
pio , mettere sottocchio le intere pagine del volume : ma eccone
qui tante che basteranno all'uopo, così come aprendo il libro oc-
corrono alla vista: pag. 41, f lu capestru de cannova con capezolu
de coiru (oggi si scrive, lu capistru di cannavu , cu capizzuni di
coriu) »;p.55: f quandu lu cavallu se deve aprebennare (oggi ap-
pruvinnari) »; p. 83: f secundu la qualitate de li cavalli, e de le Io-
cura duve ademuranu »; p. 103: e et questa pigniata cusi chiusa
miclela nu fumu (questo nu furhu è proprio della parlata di Pa-
lermo) »; p. 211, 137, 177-79-199: e pigniata nova; lu 'mpriastru ec.
de malva.... de la cucuccia salvaleca ; farina de furmintu , o de
lu furmentu; sangesuca >; p. 201: e insenmura >; p. 205: e a quellu
midemmu vale assai lu sucu de l'assensu »; p. 281: e leghese c'una
pecsa >; p. 283: < tutta quella fossecta sia piena »; p. 285: e acca-
sione; plumazoli de la stuppa; bonmace; cioene >; p. 315: e aina (ar-
dore, fretta) »; p. 321: e lassa issire lu sangue line che lu cavallu a-
develisca (3) »; p. 326: t tari »; p. 331: t fondamentu (per ^intestino
(1) Questo importantissimo volgarizzamento spero tra breve poter tutto o in parte
pubblicare, appena potrò avere a mia disposizione il codice io cui si contiene.
C2) V. La Mascalcia di Lorenzo Rtisio ecc. v. II. Notizie Stori chet { XXIX, p. 68.
(3) Nel Glossario che ò infine del volume, questo verbo adevelisca è spiegnìo av-
vilisea^ cioè venga meno (p. 321, v. issire). ina la voce, ancor viva in Sicilia, non
vale che Io stesso che indebolisca.
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358 NUOVE EFFEMERIDI SIQLIANE
retto) »; p. 363-373: f subiniri (soccorrere); candolu (cannello) »; p.
377: f e poi eh' ene sangniatu »; p. 433: t dengle paglia et orio am-
manicare tuctu Tannu »; p. 407: f capura (per fili) »; p. 425: f mucce-
care (morsicare) »; tutte voci o maniere che sono del vivo parlare
siciliano, di cui tutto il trattato conserva bene la natura, quantunque
chi fosse stato V amanuense del codice che ha servito di testo al
chiarissimo editore , intendeva quanto più ridurre le forme e le
voci originali del volgar siculo al nobile toscano, al quale già avea
dato bella e invidiabile foma la prosa del Compagni, del Boccac-
cio, delle Cronache e delle Novelle antiche.
Nel volume delle Cronache Siciliane de' secoli XIII^ XIY e XV
sono belli esempi di prosa siciliana narrativa del secolo XIV, quale
la Conquesta di Sicilia di fra Simone da Lenlini; e in altre occa-
sioni abbiamo pur dato saggio della prosa devota di quel secolo;
ora si è aggiunto e ricordato questo ricco esempio di prosa dida-
scalica; e speriamo di giorno in giorno farsi sempre più nume*
rosi i siciliani scrittori dì prosa volgare, che succedettero ai ri-
matori assai celebrati de' secoli XIII e XIV.
V. Di Giovanni.
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LA QUISTIONE
DELLE PERGAMENE E DEI CODICI
DI ARBOREA
Al Chiarifisimo e stimatissimo Prof. Vincenzo Di Giovanni
anche ai grandi sUirìci avviene di essere
più ricchi di critica e di siile, che di pazienza:
e la pazienza dei riscontri è virtù rora nelle in-
telligenze superiori.
^ Manno, Della Forluna delle parole, j). 176.
Nessuno meglio di Voi, che già da tanti anni consacrate la vita
allo studio delle cose della vostra cara e classica Sicilia , si che
ad ogni tratto aggiungete alla sua ricca storia nuove ed erudite
Illustrazioni, è in grado di misurare il dolore nefando arrecato ai
Sardi, per la guerra sleale che si va facendo, contro la Storia di
Sardegna, da nuovi inquisitori che per semplici sospetti e pregiu-
dizi, 0 velleità o gelosie, vogliono gittare alle fiamme le perga-
mene ed i fogli cartacei d'Arborea come opera fraudolenta, senza
risparmio d'ingiurie e dMnsinuazioni contro la repiftazione dei
grandi uomini che presero ad illustrarli. Come Sardo , ho cre-
duto mio dovere anch'io pigliar parte, uscendo dai confini della
scienza che professo, in tanta questione nella quale pur mi stu-
dierò di essere calmo quanto è possibile, chiedendo venia se nella
forte esasperazione talvolta l'animo sMndegna per caldo amore di
patria, e per i vincoli di sangue e di amicizia, onde sono legato
all'illustre Pietro Martini.
Oh, vivesse egli ancora , come panni di vederlo irradiante dai
dolci lineamenti, dagli occhi larghi e vivi, ben fatto, e mediocre
solo nella persona ! t f
Oh, vivesse egli ancora ! ! che l'illustre suo amico conte Bandi
di Vesme non sarebbe oggi quasi solo , a difendere l'autenticità
di quelle famose carte d'Arborea contro molti che si o no in
buona fede, ma tutti pregiudicati, fanno un caso di Sciacca, come
direbbe un Siciliano, per ogni virgola o punto, e per ogni parola
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360 Nuove BFFBMKRIDl SIGILIAKC
e coslruUo che vi vanno sofisticando. Ma no, vivaddio, che tanta
eredità non andrà dilapidata !! perocché contro questi più gagliarda
che mai si leverà la voce degli uommi imparziali e sapienti. E
Voi tra questi, non è vero ? prenderete parte per omaggio al vero
e per caldo affetto al Martini, al Manno, (che pur furono vostri a-
mici) e allo Spano; cosi come al Lamarmora e al Vesme che dirsi
possono anche Sardi, pei loro studi sulla mia isola nativa.
Pertanto, io non indugio a significarvi che, percorrendo come
ho potuto la Storia di alcuni popoli che stabilirono le diverse co-
lonie della Sicilia , onde venire a capo di alcune quistioni etno-
grafiche, ho dovuto imbattermi in argomenti che riflettono la lin-
gua e i dialetti che qua stesso ebbero culla e sviluppo. Laonde
stretto dal dolore come mi trovava per lo strazio che vuol farsi
della Storia Sarda, e trovando ad ogni passo delle rassomiglianze
e dei fatti e degli apprezzamenti morali, che bene ordinati, io av-^
viso, potranno tornare vantaggiosi in questa guerra ad oltranza
contro le Pergamene, mi è giunta grata Poccasione di mettere sulla
c^rta alcune mie riflessioni.
In verità , non è che io non trepidi pensando air autorità di
grandi uomini d'Italia e di Berlino, che nelle varie parti vollero
assoggettare al crogiuolo le Pergamene arboresi; ma parendomi di
essere sicuro alle spalle del conte Vesme che si vittoriosamente
rispondeva ai colpi degli avversari, e rincorato dalla giustizia ed
onestà della causa che difendo , mentre alcuni forse anco più di
me ignari di paleografia e per ogni verso estranei alla lite, cam-
biarono Vamen dei sacristi in calunnie e vituperi, mi faccio a ri-
spondere come ed in quanto posso alla critica degli illustri ber-
linesi e di monsignore Liveràni, alludendo qualche volta ad altri
che con peggiori intenzioni soffiarono il fuoco della controversia.
I.
Movendo dagli appunti dello Jaffè sulla paleografia, che il conte
Vesme ha confutato già con argomenti ed esempi i più convin-
centi , siccome tratti da antichi manoscritti e dalle stesse perga-
mene d' Arborea, dirò anzitutto di sembrarmi vano il pretendere,
che dalla mancanza dell'uniformità delle lettere e della irrego-
larità del procedere di esse in un documento antico, si possa giu-
dicare della falsità del medesuno. Imperocché sarebbe ^ stesso
che ritenere per calligrafi tutti gli scrittori ed amanuensi dei tempi
passati e presenti, i quali osserviamo che solamente per cambiare
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LB PERCAMENB DI ARBOREA 36i
la penna o Tincbiostro, o per soprassedere allo scrivere e ricomin-
ciare variando la posizione, fanno perdere al carattere sempre più o
meno delia richiesta uniformità. Né qui soggiungo che a molti ca-
pita di stentare a leggere anco la propria scrittura alla fine per
esempio di una lunga lettera , mentre sulle prime il carattere è
chiaro ed uniforme.
Questa irregolarità poi è sempre più manifesta in coloro che scrì-
vono ora in una lingua ed ora in un' altra , come hanno dovuto
fare quelli che scrissero in latino ed in sardo nel secolo XII e
XIII 0 prima autorì od amanuensi delle pergamene in discorso. Ed
io confesso che se dovessi scrivere nel mio dialetto non solo mi
troverei impacciato, ma anco nella ridicola posizione di sgramma-
ticare e commettere errori ortografici ad ogni pie sospinto, tanto
che sarebbe senza uniformità e come scritto da chi voglia falsi-
ficare un carattere non proprio.
Questa mancanza di uniformità agh occhi di alcuni antiquari
congiunta alla rozzezza dei caratteri è valsa invece a giudicare
della vetustà dello scrìtto. E per recarne un esempio accenno alla
scrìttura che si legge sul coperchio di un vaso d'argilla rinve-
nuto in Cenluripe con rozzi caratteri e voci e costrutto partico-
lari, che tuttavia fu giudicato di esecuzione di un privato scono-
sciuto dal tempo dei Sicoli e forse 400 anni a. C, e che Jaffè V a-
vrebbe rotto!
Chi è poi che non sappia che altro è parlare ed altro scrivere
bene in una lingua, sopratutto se in sul nascere ed in tempi che
Tarbitrio da indi in poi lascia il luogo alle regole o leggi rela-
tive? E quanti poi non furono gli uomini grandi che avevano l'hor^
ror calami^ tantoché neirapporre la firma spropositavano ?
Ne fa fede Taneddoto rispetto a Carlo V, il quale sottoscrivendo
un trattato in mezzo ad una salve di cannoni, scrisse Caracolus
invece di Carolus. Tanto che un lepido spagnuolo disse : P(^a un
caraccio tanto fuego ?
Che di più? anco la formazione delle lettere è particolare in
certi paesi , opperò in Sicilia generalmente per r si usa quasi
un V.— E spesso si cambiano le lettere e si aggiungono voci parti-
colari, e si immettono idiotismi, come nel Dorico si cambiavano
tutte le vocali in a, mutavano le desinenze dei verbi e la i» in
m, ed oggi i Sardi ed i Siciliani mutano Vo finale in u, la i in f,
e la doppia {( in doppia dd; p. e. castello casteddu^ capello capiddu.
Un simile vezzo delle lingue o dialetti parlati si mostra senza
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362 NUOYE EFFEMERIDI SIGILUNE
volersi da coloro che scrìvono o copiano, si che a dirne una di
più , oggi stesso i Toscani mutano in t la ultima lettera dei co-
gnomi, perchè tra loro quasi sempre i cognomi finiscono in i. Se
lo Jaffè avesse avuto famiHarità del sardo idioma , non avreb-
be fatta una quislione capitale dell' uso dell' j come consonante
fin dal secolo XII in Sardegna , ricavando da ciò la falsità delle
pergamene. In alcuni paesi di quest' isola egli sappia che si dice
m 0 ju e giù il giogOy come ianìMjanua^e genna òaijanua latino
la polla. Ma se egli vuol trovare la raj^one di questi e simili
£itti che sanno emanciparsi dalle regole che vorrebbe che fos-
sero nate colla lingua , e per dir meglio la grammatica e Tor-
titgrafta e calligrafia assieme alle lingue o dialetti scritti, potrebbe
dirmi perchè ad esempio nelle vite di Plutarco pubblicate a Ve-
lu^ia verso il MDLXXXII si legga vitij per vizi e non vitUf
In quanto alla costanza tedesca che ei vuole ancora neir uso
delle sigle, è d'uopo ricordare, che dalla storia antica di Oriente
e da quella della Grecia rilevasi che, non di rado una stessa abbre-
viatura aveva il valore di più parole come dimostrerò in seguito.
Inlanto mi piace far notare che oggi stesso le sigle messe in uso
nelle curie toscane sono cosi arbitrarie e polifoniche e particolari
a loro, che a leggere una testimonianza giudiziaria scritta or sono
due anni a Livorno , intorno ad una mia lite civile , ci è voluto
lo studio di tre individui a poterla decifrare. Ora se quest' uso è
variato in questi tempi secondo i diversi luoghi, perchè ciò stesso
non poteva avverarsi in tempi antichi, e quindi ritenere che il
sistema delle sigle in Sardegna al XII secolo avesse qualche cosa
di peculiare, come difatti V ebbe e lo dimostra il Vesme ?
Sappiamo le fatiche durate dal celebre Champollion allo scopo
di stabilire il reale significato dei segni cuneiformi di lettere, sil-
labe e geroglifici di parole shnboliche,'e tuttavia nella gran luce
e 'te egli ha sparso non è dato sempre di tradurre colle stesse
cidavi un'iscrizione od un papiro di Babilonia, di Ninive e di Me-
dia, sebbene abbiano tutte ritratto da un medesimo fonte. Ma e-
ziandìo in Oriente sono refrattari alle leggi assolute dello Jaffè.
E a tacere che il primo alfabeto venne coi Fenici che lo reca-
rono in Grecia e nelle isole del Mediterraneo e con essi il vezzo
di abbreviare, come meglio comportava l'uso e spesso ancora lo
spazio d^un pezzo di mattone, o di granito, o di marmo, o di un pezzo
di papiro o quello di una moneta, l'arbitrio in ogni tempo ha po-
tuto sul modo di scrivere. E ciò è tanto vero che altrimenti non
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LE rERGAMENB DI ABBORBX 363
potrebbe spiegarsi ad esempio come i Sicilioti nelle epigrafi a pia-
cimento lasciassero l' uso di alcune lettere mentre il loro alfa-
beto cadmeo era già poco ricco, verso la quindicesima olimpiade.
Presso questi poi, a dirla di sghembo, nelle monete di Abacena,
di Erico e Segesta , le epigrafi erano scritte alla bmtrophedon ,
arbitrariamente cioè dalla destra a sinistra per ricominciare dalla
destra e viceversa , tantoché in un^ era stessa , più in una che
in altra provincia o località diverso era V uso ed il vezzo dello
scrivere. Ne volete di più, ed in tempi a noi più assai vicini?
Esaminate un libro stampato a Venezia verso il MD e confronta-
telo con un altro pubblicato a Firenze, e vedrete a mo d'esempio
in quello scriversi come dissi vitìi ed in questo vizi o vitj; nel
primo spesso il P colla lineola di traverso sulla gamba, come ab-
breviatura di per a casaccio e nel secondo quasi mai una abbre-
viatura, ed allo stesso tempo ed in una stessa pagina vedi cambiare
le lettere di una medesima parola p. e. Vinegia e Vinetia e Vi-
nezia^ ciò che può anco osservarsi negli scritti di Macchiavelli.
Di simili esempi ne recherei a centinaia e più ancora, e potrei
mostrare che mano a mano coi secoli la stampa ha seguito nelle
abbreviature le fasi e le modificazioni delle quali è stata capace
la calligrafia; su questa però, comechè assai meglio conferisca alla
quistione in disamina e mi offra grata e bella occasione a ringra-
ziare i signori impiegati di questa ricca BiSlioteca nazionale 4i
Palermo, che pur gentilmente e con affetto mi spianarono la via
per la scelta di libri più rari ed opportuni, mi è utile soggiun-
gere che il Walter, Lexicon Diplomaticum , porta esempi innu-
merabili di abbreviature diverse poste in uso rispetto ad una
stessa parola nei manoscritti di uno stesso secolo, o di secoli dif-
ferenti. Così nel medesimo sec. Vili si è usata ad arbitrio V ab-
breviatura p e p onde significare per e cosi in altri quattro modi
nello stesso sec. Vili mentre da questo fino al XIII si è voluta
variare per ben 24 guise. Nel sec. XIV colla sigla a* si è inteso
significare alio modo^ che nel successivo XV si è invece abbre-
viato colla sigla (Mi*. Il p in significazione di pre e prae dal secolo
VIII al MDI ebbe a variare nientemeno che in 52 modi mentre
la sigla p ha potuto significare prae nel sec. XV e propterea nel
XIII. Cosi eziandio contro le osservazioni dello Jaffè trovi una
medesima sigla per denotare ar^ er, ir^ ro ecc. Epperò, nonostante,
come ei dice « Lo scopo della scrittura sia di rendere il pensiero
leggibile >, non è di fatto sventuratamente leggibile, si che moltis-
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36i Nuove ErPlìlfBRIOl SIGIUANE
simi non ci si trovano punto fra quelle abbreviature, che dicon
fatte per velare invece il pensiero e limitare la scienza o lo sci-
bile ad una casta.
Del resto tutti i vizi e le virtù, e quindi i mali ed i beni hanno
i loro riscontri, quei di tempi più remoti , con questi più vicini
a noi. Epperò , cóme ad esempio, le abbreviature del carattere
coi-sivo in Egitto della VII dinastia erano più assai in numero di
quelle che si facevano ai tempi della XVIII e XIX dinastia, cosi
le abbreviature dei principi del nostro evo-medio in un dato paese
come in Sardegna, potevano esser in maggior numero di quelle
usate dopo, in altri paesi d'Italia.
Ma per dare un' ultima risposta allo JalTò sulla assoluta sentenza
di volere che in ogni tempo e lino dai primordi dello svilappo
delle lingue e dialetti si avesse uno ed identico modo di scri-
vere e di abbreviare , lo dirigerò alla pag. 509 del Manuel D" /-
stoire ancienne de VOrient de Francois Lanortnant^ dove Paut. oltre
al farci conoscere che il valore idiografico e fonetico dei segni
delle scritture egiziane non è sempre lo stesso, poicchè possono
avere un doppio valore sopratutto in idiomi diversi , malgrado
scritti col medesimo sistema di scrittura ed il medesimo loro
fonte di origine, soggiunge che la scrittura cuneiforme introdotta
dogli Scitici, preceduti dai Semitici e sacerdoti ariani in Babilo-
nia , dovette subire alquante modificazioni in ordine alla pro-
nunzia ed alla significazione ; perchè ciascun popolo dovea im-
primervi il valore del proprio idioma e sino i peculiari idiotismi,
si che in quelle scritture havvi eziandio la polifonia, cioè il va-
lore divei-so che dassi ad un unico segno, il quale può tuttavia
significare il valore di tre oggetti diversi.
Finalmente lo scriba, V amanuense ed il libraio, che cosi Giulio
Cesare appellò i suoi servi che scrivevano ciò die ei di molte
cose in un tempo stesso dettava, tutti questi a norma della mag-
giore 0 minore coltura del proprio idioma si allontanarono come
oggi si allontanano dalla unica legge di scrivere, dal die lo JatTè
ha tentato di trarre un argomento di condanna conti-o le carte
arboresi con un piglio altero di giudizio, non meno di quello di
monsignore Liverani, che non so se Orazio si sarebbe limitato a
chiamarla Superbia quaesita meritis.
II.
Allo Jaflfè segue il Tobler che già imbevuto dalle sentenze del
primo esordisce con impazienze isteriche, come direbbe il Manno,
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LE PERGAMeNE DI ARBOREV 365
(la recare stupore anziché meraviglia. Difatti egli dice che si do-
vevano attendere i documenti anteriori al secolo IX intorno alla
lingua romanza in Italia, ma da altre parti del romano impero
ove incominciò a decadere la lingua latina sulle labbra del po-
polo, e non mai dalla Sardegna cosi lontana dal Lazio. Cosic-
ché egli giudicava a priori sulle relative scoperte d' avvenire. Se
non che la storia letteraria di Sicilia e quella di altri popoli ben
lontani dalla riva sinistra del Tevere hanno già smentito questo
suo dire, perocché le poesie in dialetto siciliano e quelle italiane
di Giulio d' Alcamo precedettero di molto le armonie volgari del
Lazio, ciò che nessuno Ano ad ora ha potuto negare anco aven-
done palesato la più viya^4{fìlosìa. nel petto.
Con eguale, se non con più odioso disdegno non vuole ammettere
nei Sardi delP evo-medio quell'amore alla poesia ed alle lettere
insito nell'animo dei meridionali e consentaneo sopratutto all'in-
dole isolana che per ischemo dicesi attaccato allo scoglio.
Ma e perch.è ciò, e perché egli deride altresì alla operosità let-
teraiia, comechè mai né per anni, né per secoli il cervello ed il
cuore dei Sardi, non avesse mai sentito né palpitato pari alla stir-
pe orientale greca e romana dalle quali dipendono ? 0 che forse
v'ha miglior popolo che al Siciliano abbia fraternizzato per ori-
gine, per guerre e per glorie? Che se fosse lecito misurare il
passato dal presente, disonestando cosi la fama degli antichi eroi
e sapienti, per la schiavitù durata dai presenti, allora sogghignando
potrebbe sostenersi che è un sogno la fervidezza dello ingegno
de' Siciliani, che sono fantasmi i poeti suoi dei quali la Grecia
facea tesoro, che Babilonia, Cartagine e Grecia sono favole. Ma egli
dirà: in Sicilia sono tuttora saldi gli antichi e memorandi monu-
menti di sua grande istoria, ma in Sardegna si vanno fabbricando
da questi tempi di miseria. Ebbene, e faccia allora il sig. Tobler,
faccia scomparire dalla Sardegna i preziosissimi monumenti che
possiede da tempi vetusti e si provi a dichiarare falsi od acqui-
stati da oltre mare le ricche e preziose collezioni di oggetti di
archeologia, che possiede in vari musei di privati ed in quello
più unico che raro di Cagliari. Ma no, l'aristocrazia della scienza
del sig. Tobler qui vale assai meno di quella di un gran nego-
ziante, che a suo talento può togliere il valore ad una merce po-
sta in vendita col mezzo di agenti e di sensali, veri parassiti delle
industrie e del commercio, tali e quali i pseudo-letterati portavoce
di Tobler e suoi illustri colleghi.
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366 NUOfE EFFEMERIDI SICILIANE
L^ esistenza di questi monumenli è notoria fin dai secoli re-
moti, si che Ninfadoro da Siracusa fino dalla 115' olimpiade scri-
vendo del suo viaggio in Asia accennò pure alle mirabilia della
Sicilia e della Sardegna , che è quanto il celebre ab. Scinà ha
voluto far rilevare nella sua storia letteraria di Sicilia dei tempi
greci citando il lib. VII! a pag. 332 ed il lib. XIII a pag. 589 ed.
bip. di Ateneo.
Tuttavia ritengo che agli occhi di molti quel numero straordi-
nario di nuraghi non sarà creduyto il covo dei falsificatori delle
carte d'Arborea, nò che quindi s'attribuiscano al secolo nostro,
solo perchè ad esempio i Ciclopi o Lestrigoni, o Fenici o Egiziani
di quelle torri dì pietra a grandi massi non gli fabbricarono pure
in Sicilia, o perchè non siano colossali come le mura di Micene,
di Tirinto e di Neuplia. Qui però ne ha fatto fede Aristotile e Dio-
doro siculo, e più che altri mai ne giudica recentemente il già
citato Francesco Lenormant, e quasi a confusione dei detrattori
delle carte d' Arborea nello stesso senso che ne giudicava nel se-
colo IX deirE. C.r Antonio de Tarros di Sardegna, poiché da
questo come da quello si vuole che servissero per la osservazione
e adorazione degli astri egualmente come usaronsi i talvioti delle
isole Baleari e i zikurat di Assiria uniformi tra loro nella costru-
zione e nel tipo perchè fatti allo stesso scopo.
Pertanto, a chi non a1)bia Tanimo pregiudicato, non tornerà diffi-
cile l'arguire invece che la Sardegna, appunto perchè ricca di questi
monumenti e quindi popolata di molte e grandi città anco all'epoca
della dominazione romana, ha dovuto avere i suoi tempi di flo-
ridezza e di coltura, la quale come osserverò in appresso non po-
teva essere distrutta quando viose i Cartaginesi ed uccise Amil-
care loro duce, 520 anni av. C. Né conveniva a questi d'annien-
tarla quando ebbero a soggiogarla , nò tampoco era ciò poi con-
sentaneo ai Romani che tenevano quell'isola popolata meglio che
da due milioni e mezzo di Sardi: era il granaio d'Italia. Né final-
mente sia da credersi caduta così in basso da non aver figli che
illustrassero ed amassero la loro madre patria per le guerre ci-
vili del medio evo, quando la Sardegna per unica fortuna non
provò di quei tempi barbari che le sole invasioni saracenesche,
se ne eccettui i 15 anni di occupazione durata dai vandali re-
gnante Genserico. Anzi profittando allora dell'aiuto dei Pisani e
della loro dominazione oltre al proprio idioma , guadagnò per
questi r italiano, e più che mai la Sardegna, tenne sacro il culto
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LB PERGAMENE Dh ARBOREA 367
della propria storia con quella dei suoi uomini illustri prosperati
nelle lettere.
Il signor Tobler è quindi spinto a dubitare maggiormente della
veridicità di quei documenti perchè , ei dice , i pochi riferentisi
air Italia , rimasero sconosciuti ai Toscani ed allo stesso Dante ;
nelle di cui opere, a dirla di passaggio, si ha spesso la mania o
vana gloria di trovarvi anco quello che forse egli non ha mai
pensato né creduto. Cosicché dopo questo peregrino avviso do-
vrebbesi ritenere, che tutti gli antichi manoscritti contenenti fatti
relativi alla nazione ove furono creati, e non conosciuti del capo
luogo di essa siano meritevoli di scherno e passino in vendita
colla carta dei paladini. Davvero che questo sarebbe un bel prov-
vedimento per le Biblioteche italiane ed estere ! !
Ad ovviare però molte osservazioiii in proposito egli salta di pie
pari i quattro fogli che si conservano nelP archivio di Firenze e
con questi il manoscritto di 22 fogli pervenuti alla Biblioteca di
Siena da un anonimo Palermitano , tutti di gran valore e rite-
nuti per sinceri, ed allo stesso tempo addentellati con vari tratti
delle pergamene arboresi. E forse tra i falsificatori havvi ezian-
dio un Palermitano?
A vero dire questo sistema di critica non é troppo edificante,
perocché Vio torna a scapito della logica , ed il vero s' oscura a
danno di molti.
Ei dichiara di essere convinto degli appunti gravissimi già fatti
dallo Jaffè, eppure senza volerlo dimostra il contrario, di che im-
magino, nella sua grande generosità, non ha tenuto conto il Ve-
sme limitandosi gentilmente di ridurre Jaffé a^li elementi di pa-
leografia. . ■ ^
Difatti il Tobler conviene che quelle pergamene e fogli carta-
cei difflcilmente fossero scritti da un solo e medesimo amanuense
del secolo XV perché in caratteri troppo diversi e su carte con
marche di fabbriche assai diverse, mentre lo Jafifé é d^avviso con-
trario e perciò appunto perché scritte da mano imperita affibbia
loro la scomunica maggiore. Di chi adunque dei due Berlinesi è
la ragione?
Egli, il Tobler, in seguito non vuole assolutamente che da Sai-
taro e quindi da Torbeno Falliti si fosse potuto conservare la pa-
storale in lingua sardesca riportata dal Martini a pag. 184 della
sua Raccolta^ comeché destituita d' ogni importanza. E passi il vo-
ler modellare i cervelli dei trapassati coi nostri , dico io , ma il
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368 NUOVE EFFCMBRIDI S1CIUANE
volerne anco da ciò ricavare argomento di falsità, supponendo e
facendo- supporre che siiTattamente venisse scrìtta in questi anni,
onde dare ad intendere che fino dal 1079 si scrivesse in Sardegna
il suo idioma, è cosa inqualiGcabile. Si vuole che il falsificatore
0 i falsificatorì usassero ogni studia per trarre i dotti in inganno;
ma infarinati come gli suppongono di tutto quanto concerne la
paleografia, la filologia, la numismatica, storia ecc. ecc. allo stesso
tempo spediscono loro delle patenti di baggei: imperocché avendo
r abilità di scrivere coi caratteri del medio evo avrebbero potuto
preferire a quella pastorale una questione di Appio governatore
f dell'isola (come leggesi nella vita di Cesare del Plutarco) che andò
l a far atto di omaggio a Cesare in Lucca. 0 meglio ancora vi a-
j vrebbero potuto innestare un qualche periodo relativo ad Ugo-
lino, che allora sarebbero diventate veridici agli occhi loro-
Non mi par giusta più né la bilancia, né i pesi e la misura che
pongonsi in uso. Ad ogni modo il valore di quella pastorale non
è cod da poco come vuol dare ad intendere, perQccbè nella me-
desima si annunzia T uccisione del Vescovo Felice in un fatto
d' armi contro i Saraceni, dei quali allora ne perirono 1500 e dei
Sardi solamente 80. Perciò è da reputarsi una interessante pa-
gina di Storia, ed un documento assai più pregevole dei molti ad
esempio che ne troviamo in Muratori, per altro conservati e sot-
tratti alle ingiurie dei secoli.
Il Tobler non vuol dare nessun credito alla storia di Giorgio
di Lacon , perchè non suppone in lui tanta erudizione da aver-
gli permesso di recare i necessari schiarimenti sulla identità della
lingua sarda colla rustica romana , e sulle analogie tra il Sardo,
ritaliano, lo Spagnolo, ed il Provenzale e Francese. È facile detto
ciò , ma bisogna provarlo , e provare altresì che mai siansi dati
degli uomini capaci a trattare di materie consimili anco in tempi
anteriori a quelli. Egli soggiunge che un lavoro simile a quello
di Giorgio di Lacon meglio che da lui Sardo si dovea attendere
da un Toscano o da un Romano; onde è che io gli chiedo, se ri-
corda che il primo a scrivere le regole di grammatica greca sia
sialo Corace Siracusano e non un greco, mentre lo stesso Aristo-
tile anco nel formulare dopo tempo la sua grammatica non lasciò
di unirla a quella, indirizzandole ad Alessandro re di Macedonia.
Se non che, vi fu pure un tedesco. Teofilo Buhle, il quale pre-
tendeva invece di doversi attribuire al filosofo Anessimene anzi-
ché agli altri due : ma siccome nemmeno questo tedesco era in-
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LE PERGAMENE Di ARBOREA 369
fallibile, perciò venne confutato da vari italiani e da un altro di
Germania appellato Schoel. A lutto ciò egli fa seguire un nuovo
tratto dMngiusta requisizione filologica, richiedendo che nei do-
cumenti sardeschi si dovesse trovare una distinzione tra il no-
minativo ed i casi obliqui , perchè queste inflessioni del latino
nelle Gallie si mantennero lino al secolo XIV. In verità in que-
sto modo di criticare io ci trovo il difetto di certi pittori che in-
vaghiti di un tipo nordico ti dipingono il viso di una Siciliana ,,
con due occhi_ appannati come un mollusco bivalve. Stando però \
nel serio non si sa comprendere come è che abbia voluto tacersi
che simili inflessioni se durarono cosi nelle Gallie , furono di-
svelte assai prima in altre parti e nella stessa Sardegna, dove
assai rimase dal latino da oui ì volgari ebbero nascimento. Né
vale il dire che queste inflessioni non avrebbero guastato Tarmo-
nìa del Sardo idioma, perchè ricco di snelle desinenze, giacché
nello Spagnolo tuttavia non si conservarono quelle stesse dei casi
obbliqui del latino.
Da questi appunti , mi duole il dirlo , rilevo senz^ altro che ei
poco 0 nulla s' intenda del valore fonico del Sardo idioma , più
armonioso assai di quanto male si creda nel leggerlo. Però sia
nella pronuncia, sia nelle parole e nel costrutto, varia tanto in
varie parti dell'isola che uno stesso Sardo, recandosi da un
paese in un altro, ha d' uopo di usare T italiana lingua o di cer-
carsi un interprete onde essere capito dal volgo.
Posto ciò, che non è esclusivo alla Sardegna , non dee recare
argomento di falsità il leggere cantesity cantai, in un documento
Sassarese , ed apu cantau , cioè ho cantato cagliaritano , oppure
cantava V antica forma del perfetto ind icativo cantau , cantastu ,
cantat , che cosi si pronuncia , mentre si scrive cantai , cantasti
cantait E notisi in Cagliari si dice apu cantao, e non contesiti
per cantai , mentre si dice d' altra parte per coivi cantasse. Non
({Stante io porto opinione che nella coniugazione dei verbi spe-
cialmente fuori di Sassari vi siano state molte variazioni nei
tempi vicini a noi, perchè p. e. mia avola cagliaritana diceva /u-
rit e fudi per era, mentre attualmente si dice /tof, forse perchè
furit si dice e si scrive ancora per significare ru6t tu, deir mdi-
cativo tempo presente. Per la qual cosa il ritenere il citarit, u-
sarity furity come forme recenti innestate a sproposito nel Memo-
riale linguistico di Gomita di Orrà è un voler dare corpo alle
ombre.
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370 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
A dirla senza ambagi nel leggere questa critica basata nella
maggior parte su vane supposizioni condite dal sarcasmo, che i
dotti sanno gettare, da un momento air altro mi aspettava di sen-
tire ciò che altra volta disse un bello spirito cioè, che il dialetto
Sardo non aveva futuro, perchè i Sardi non pensano che al pre-
sente, e quindi fllologicando si fosse soggiunto che trae la su'a o-
rigine dalla bella Albione, (ed essa pensa all'avvenire) dove pure
come in Sardegna a formare il futuro si va in cerca dei verbi
ausiliari essere ed avere. Però ritenga il sig. Tobler che nel dia-
letto Sardo cosa che va anco meglio diretta al Monsignore Live-
rani, vi sono tutti i segni i più belli della madre lingua e sino i
difetti della sua prediletta figlia toscana. Che se vuol far capo ad
Iglesias ad altra parte del Sulcis, onde allietarsi in queiremporio
di scavi di piombo argentifero, di calamina e di lignite ecc : os-
serverà in quegli abitanti mutarsi in z la / tuttavolta che sepjue
alle consonanti 6, e, /, g, e così udrà puòricu per publico, creinen-
zia per clemenza, affrittti per afflitto, groria per gloria, della guisa
stessa che si sente in Sicilia. Colà forse crederebbe come io ebbi
a supporre affettato e rimbellito V idioma perchè quasi più italia-
nizzato che in altre provincie Sarde della parte meridionale. Im-
perocché dicono lesinna per lesina, mentre in Cagliari dicesi mia
da suha^ latino ; arcollaiu , per arcolaio, sciogli-trama in cagliari-
tano; e cosi scrimera per scriminatura , gringera in cagliaritano ;
roncillu per ronciglio, pudazza in cagliaritano; e colà come pure
a Cagliari dicesi sahidoni , e marra che invece a Sassari , dicesi
spidu come in Sicilia, per spiedo, e zappa. E notisi che non è da
supporre che il Sulcis abbia cosi italianizzato il dialetto perchè
ivi maggiori sieno stati recentemente i mezzi di coltura o di co-
municazione coi toscani, appetto a Cagliari: perocché se avvi paese
fedele alle sue tradizioni anco nel vestire delle signore è il Sul-
cis ; tanto che direi si mantiene come la Lituania ligia alla ori-
gine sua giapetica.
Da questi riflessi ne scaturisce invece T influenza dei Giudici
Pisani nel Sulcis e la veridicità di quello Statuto o Breve di Villa
di Chiesa , Iglesias capo luogo del Sulcis , redatto in lingua ita-
liana, comechè ivi fosse in uso la lingtui pisana ed italiana ante-
riormente al giudicato di Conte Ugolino di Donoratico, signore de
la sexta parte de lo Regno di Callari ecc. che è quanto rilevasi
dadla iscrizione che recentemente scoperse il Conte Vesme, e che
promette di illustrare, credo, assieme air accennato Breve-
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LB PERGAMENE DI ARBOREA 371
Frattanto avrei stimato che il sig. Tobler si fosse compiaciuto
di osservare la molta analogia che esiste tra il dialetto siciliano
ed il sardo, scrìtto e non parlato, specialmente col gallurese, che
assai s' accosta eziandio al Corso, e col Sassarese; perocché avrebbe
trovato forse la chiave deir origine comune del romanzo nelle i-
sole, e quindi la ragione della possibilità che in esse tutte come
in Sicilia siasi potuto scrivere in dialetto e fino dal seconSo se-
colo deirera Cristiana.
E tantopiù io mi confermo in quest' opinione in quantochè , a
tacere che hanno comuni non pochi idiotismi come bertida bi-
saccia, e mandroni poltrone, la Sicilia e la Sardegna ebbero quasi
identica P origine, lo sviluppo, le guerre, le colonie, i commerci,
le invasioni, e le confederazioni coi Greci, coi Tirreni ecc : come
dimostrerò in seguito.
III. .
Con uguale ardore sorge il Dove e stringendo il maglio come
sul ferro caldo batte a più non posso sulle povere pergamene ,
che fortunatamente sono poco sensibili e quasi fossilizzate dopo
sei secoli circa di loro nascimento. Egli senz'altro esordisce di-
chiarando che la storia della Sardegna al medio evo, per quanto
ne risulta da quei documenti, è un grande anacronismo, perchè
suppone una cultura la quale oggi è da ravvisarsi come un de-
siderio patriottico e nuir altro. Che più d'insinuante e mor-
dente può uscire dalla bocca di un giudice, onde prevenire i let-
tori della sua sentenza air ostracismo ? Essa stessa però non pro-
duce neir animo di tutti quella triste impressione che può inge-
nerare negli uomini pecore e di facile approdo, perocché vi si
scorge una odiosa e gratuita asserzione. Che se fosse capitato fra
le mani del Dove quel volume di fogli di papiro conservati fino
ad ora , li salvi il cielo dai danni del bombardamento presso la
biblioteca di Parigi , dove nientemeno si legge un co3ice di ci-
viltà superiore a quella di Confucio, coi datali tuttavia del regno
di Assa Talhera della V dinastia egiziana , egli il Dove avrebbe
composte le labbra al rìso sardonico, e li avrebbe scomunicati
assieme agli egiziani, perché appunto non sono conformi a quanto
credevasi fino a pochi anni or sono , e perché discordano affatto
colla civiltà attuale dell'Egitto, nonostante vada rìprendendo l'an-
tico suo splendore.
In séguito egli appunta le pergamene perché non offrono molte
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37S! ISUOVK RFPEMBRIDI SICILIANE
relazioni della Sardegna cogli altri Slati, ciò che non è vero asso-
lutamente e che non dà ragione a dubitare della sincerità di
esse , potendo limitarsi , come quelle di molti altri ad un solo
paese.
Però ove più spicca P uggia è, dove egli, proponendosi di con-
frontarle coi tratti delle notizie sincere della storia Sarda, onde
escludere il falso, fa il viso dell'armi a tuttociò appunto che ar-
monizza colla Storia di Sardegna del Manno, coi documenti con-
conservati negli Archivi di Cagliari ritenuti da lui slesso per sin-
ceri. E vedasi mò che metodo di investigazione, o di inquisizione:
ammette nei falsificatori V abilità o lo studio di sapere fabbricare
i manoscritti sul fondamento dei documenti Sardi sinceri, mentre
niega loro l'astuzia di poterli arricchire dalla Storia di oltre
mare.
Qui non parlo degli anacronismi che ha creduto di pescare in-
tomo alle date delle invasioni del Museto, perchè vittoriosamente
r ha combattuto il Conte Vesme, ma non so tacere il grande caso
che ei faccia su d' uno errore consimile mentre si trovano ad o-
gni passo rispetto ai datali di molti re di Oriente , ad esempio ,
in Egitto; e V Amari gli trovò egualmente in molti documenti di
Pisa senza che perciò gli sia venuto in mente di giudicarli falsi.
Che più ? questi anacronismi sono ad ogni pie sospinto, relativa-
mente al tempo di diversi giudici, nel Pantateuco, poiché i giu-
dici stessi registravano le leggende popolari od i referti, non sem-
pre esatti , tanto che quel Nino famoso marito di Semiramide è
una fola, perchè attuabnente si deduce dalle iscrizioni e monu-
menti di ogni maniera illustrati da uomini sommi in Egitto, che
questa tremenda coppia non è mai esistita. E questi orientalisti
hanno altresì rilevato non pochi anacronismi rapporto ai datali
dei re di Babilonia registrati da compilatori di tempi posteriori
alla rovina di questa grande città, senza che perciò quei compi-
latori stessi meritino il marchio del falsificatore, salvo il caso di
fergli risuscitare e porli fra i contemporanei per assistere alle le-
zioni di Storia a modo nostro. A conforto di ciò potrei addurre
mille esempi; un ultimo però ne aggiungo perchè prezioso, ed è
che i versi fenici tradotti poi da Plauto nella Commedia Poenur
lu8 sono zeppi di errori per colpa degli scribi fenici come ha pro-
vato il Lenoimant.
Dagli errori di data passa a quelli di patria, notando che Mu-
seto era delle isole Baleari e non di Africa; ma supposto ancora
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LE PERGAMENE DI ARBOREA 373
che il Dove ne avesse avuto notizia dal circoncisore di Mogòhid-
ibn-Abd-Allah signore di Denina, sul quale confessa già che fino
dal secolo XII siansi introdotte delle falsità intorno alla Storia di
questo nome , dirò che neppure per V errore della patria siensi
tenute per apocrife le memorie su taluni Siciliani creduti Greci
e viceversa, né le tradizioni sulla patria di Omero, anco non ne
avesse mai avuta, se si vuole che non sia mai esistito.
Intanto P animo del sig. Dove s'accende e dice stolta e mali-
gna menzogna quanto si riferisce alla convenzione dei Genovesi,
e Pisani, cioè di prendersi questi l'isola e quegli il bottino, men-
tre di fatto i Pisani occuparono la Sardegna , e gli altri non ri-
sparmiaronli, a quanto me ne disse put Ja mia nonna fino da bam-
bino, neppure i marmi ^he esìstevano in Santa Gilla , luogo un
tempo delizioso e residenza dei pretori Romani, e poi cattedrale
di Cagliari, ridotto ora ad isoletta in mezzo ad un estesissimo sta-
gno da prima popolato d'agrumi e da palazzi di nobili personaggi.
Né in questa crìtica v'ha penuria di sarcasmi, giuocati ben' in-
teso con belle frasi che ne velano si li aculei, ma non gli spunta.
Epperò pone in ridicolo i sardi eroi perchè cosi sarebbero ap-
pellati in seguito alle prove di valore che diedei*o nello scacciare
più volte i Saraceni dall' isola, come rilevasi ancora dalle perga-
mene. A rintuzzare però questo frizzo , come molti altri si levb
generosamente il Vesme colle parole dell' Amari, che io pure ri-
peto come in segno di gratitudine a tanto uomo, e come un con-
forto ai miei fratelli di Sardegna. Ecco le parole testuali dell' A-
mari: • Fiera gente, assicurata dalla povertà {eppure era il granaio
e d'Italia) dal proprio valore, e dai luoghi aspri e salvatichi, scansò
t il giogo dei Musulmani ; i quali fatto fardello (710 , 752 , 813,
e 816, 817, 935,) dell'oro e argento, ma spaventati insieme dai
t frequenti naufragi e dalla resistenza degli isolani nelle scorre-
e rie minori li lasciarono tranquilli , avvezzi a star sempre colle
e armi allato , da buscarsi appo di loro più colpi che preda, i E
quindi citando uno storico Arabo ne reca: e Gli abitatori della Sar-
« degna sono.... uomini prodi e di saldo proponimento , che non
e lasciano mai l' armi. >
Il veleno poi di simil frizzo è reso più potente dal sapere che
il Dove non può ignorare lo slancio ed il valore mostrato dai sardi
nell'assalto che sostennero contro i Cartaginesi nel 535-515 se-
condo Giustino. E qui a maggiore intelligenza piacemi riportare
alcuni brani del Lenormant più volte citato , e precisamente dal
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374 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
parag.7 del 2o tom. t Les Tyriens s'etaient bornés à posseder quel-
c ques comptoir sur la còte de Sardaigne. Les Carthaginois, qui
< avaient au «ontraire adoptè le systeme de se creer un vaste
e empire coloniale resolurent de se emparer complétement de cette
e grande fle, facile a conserver au moyen de leur flotte, dont les
e fertiles campagnes leur promettaient un vèritable grenier (T abon-
e dance et dont les mines d* argent excitaient leur convoitise. i E
quindi t vainqueurs en Sicilie , dice Giustino, les Carthaginois por-
t tarent leurs annes en Sardaigne. Il y perdirent, dans une cruelle
e défàite la plupart de leur soldats. » In quella stessa battaglia fu
spento Amilcare condottiero dei soldati Cartaginesi. Indi a poco
però , rinnovato lo assalto con forze preponderanti Cartagine-
si , ordinate dal celebre Magone , piegò in basso la fortuna dei
Sardi , i quali tuttavia raccoltisi in parte nelle montagne e nelle
foreste ad ogni tratto e per più anni ritentarono liberarsi dagli
invasori, fino a quando furono intieramente quasi sottomessi per
circa tre secoli, e più che dal giogo e^Jdalla miseria, dalla libertà
e prospero commercio industriale ed agricolo. Qui potrei oppor-
tunamente ricordare non pochi tratti della storia sarda del Man-
no, ma di questo grande uomo che spesso incensano gli Ale-
manni e spesso dimenticano, se non toma ai loro fini, è meglio
tacere adesso per gloria maggiore di suo nome.
Dalla storia recente del Lenormant potrei recare vari altri pe-
riodi che accennano a guerre sostenute dai Sardi nientemeno che
ai tempi della XIX dinastia Egiziana ed al secolo XIV a. G. C.
Essi ad esempio una volta, guidati da Maurmuire, assieme ai Si-
culi e Pelasgo Tyrreni di Italia , Achei , e Laconi e Libi già da
tempo confederati, invasero V Egitto, come rilevasi da una iscri-
zione dettata da Faraone , e tradotta da Rougè fra quelle tante
rinvenutesi in Menphi. Anzi sulla relativa battaglia* vi ha cosi un
numero di accurati bollettini ufficiali su i luoghi occupati dagli
invasori e su quello degli invasi, e sul numero dei morti e pri-
gionieri dei primi, sconfitti dal numero e dalla strategia, che ai
Berlinesi sarebbe sembrata una parodia di guerra di questo se-
colo, se un fatto consimile fosse stato particolareggiato da G. di
Lacon delle carte Arboresi.
Del resto è molto recente un glorioso tratto della storia di
Sardegna dal quale eziandio ricavasi il valore dei suoi figli. Fu
il 28 gennaio 1793, che Cagliari difesa da copiose milizie nazionali
improvvisate ed accorse da tutti i punti delFIsola, diede prova di
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LB PERGAMENB DI ARBOREA 375
rara intrepidezza e valore contro i francesi che orrendamente la
borabardorono. E dal 13 al 17 febbraio, dopo 19 giorni di tregua
onde essi rinforzavansi colla divisione del contrammiraglio La
Touche-Treville, furono giorni memorandi per gloria ai Sardi, che
in mezzo alle bombe, granate e palle nemiche si slanciavano come
leoni ed esterminarono le migliaia di soldati che ne sbarcarono.
Dapertutto quella truppa nonostante disciplinata ed agguerrita,
quanto baldanzosa per la vittoria che non guari avea riportata
sulla Contea di Nizza, dapertutto, fu messa in rotta, mentre più
d'uno dei vascelli fu incendiato e calato a fondo dalle palle di
pochi artiglieri Sardi, si che il 26 dello stesso mese la mal ricom-
posta flotta ne tornò scornata ai propri lidi.
10 finirei qua la risposta al Dove, se non che mi giova far no-
tare, che ei nello scorgere un altro segno della falsità delle per-
gamene, in ciò che si riferisce alla venuta di nobili Pisani in Sar-
degna contro Museto, perchè il Manno ha detto che questi nobili
venissero in tempi posteriori, contradice a quanto prima asseriva,
cioè che i falsificatori avessero posta la Storia di Manno a fonda-
mento della carte Arboresi.
IV.
11 Mommsen altro illustre personaggio, facente parte della Com-
missione berlinese, non lascia alla sua volta e in tono grave di
stigmatizzare le carte di Arborea. Difatti egli incomincia a dichia-
rare false le iscrizioni del minutario del notaio Gili pubblicato dal
Martini, perchè vi si adopera il pronome possessivo come nella lin-
gua italiana moderna: eppure ne trovo degli esempi che ho sotto
gli occhi nelle iscrizioni latine di Milazzo che riproduce il Ba-
rone Giuseppe Piaggia nella sua opera « Nuovi Studi sulla cit-
tà di Milazzo. » Havvene una copiata V anno MDCCLXXXIII, da
4ina pergamena del 13 marzo 1680 intorno alla consagrazione di
una chiesa ed altare in onore dei Santi Stefano, Vincenzo, Pro-
spero, e Faustino, dove è scritto: t huius civitatis Mylarum nostrae
messanemis Diocesis ecc. e poi : discursm nostrae visitationis ecc.
Ed in un'altra che trovasi sulla porta della antica casa di città
nella cittadella : Splendei mis ecc. Regibus gratiis , MDCCIII. E
sulla tomba di Aurelio Lisi ed Anna Musta^io : In quod ipse
et sui germanique fratres del MDCCCXV. Un'altra del 1745
dove è scritto : Sepulcrum hoc sibi suisque stabilire curavit. Altra
del MDCCXX : tumulata suis. Altra del MDCLVII Protho construit
aere sm.
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376 NUOVE KFFEMeBlDI SICIUANE
Finalmente un esempio stupendo ne ricavo da una iscrizione
del i8 marzo 69 delF era volgare rinvenuta a Sterzili in^ Sarde-
gna, dove sta scritto DECRETO SVO; iscrizione , come dirò fra
poco, riconosciuta famosa dallo stesso Mommsen.
Bene è vero che anco il Vesme non reputa sincere quelle iscri-
zioni, ma dissente di molto intorno all'epoca nella quale qualche
semidotto ha forse voluto aggiungerla nel codice del Gili in epoca
posteriore al secolo XV. Tuttavia difende Tautenticilà del codice
appartenente a quella deir autore, perchè non è guari fra le carte
dell'archivio d'Iglesias si trovò un autografo del Gili che armo-
nizza pienamente col codice, il quale^d'altra parte non è da con-
fondersi colle carte Arboresi come osserva il Vesme.
Rispetto alle aggiunte di scrìtti recenti in vetustissimi bisogna
ricordare che questo è vezzo antico ; ma chi sa tenere il bu-
ratto, come la crusca li fa svolare in sulla farina e V una dal l'al-
tra scevera e pone a suo luogo. Cosi ad esempio avvenne delle
pi»esie di Teognide, che frammischiate a versi e voci e concetti di-
suguali, diedero motivo a Sylburg, Heyne, e Walsemburg, a di-
chiararle apocrife e di nessun valore; nonostante esaminate dopo
con miglior pazienza e studio furono rimesse alla prisca loro pu-
rezza ed avvenenza come riferisce il Welker nella sua opera Theo-
tUdis Reliquiae. Questo è vero esempio di sapienza e giustizia let-
teraria ! !
Alcuni frammenti di Epicarmo e vari idilli di Teocrito e la
stesso cronaca sulla spedizione di Dione contro Dionisio e tanti
altri ed altri subirono la stessa sorte , ma le corruzioni portate
0 da oscuri poeti, o da semidotti o grammatici, o amanuensi igno-
ranti od anco da inspirati d' amor patrio , è certo che non val-
sero a distruggere il vero, e tutto ciò che poteva esservi di classico
e di antico.
Indi Mommsen pone a bersaglio anco i nomi di Marcus Elio ,
Furgius Susinius, Caius Nestor, perchè nomi assolutamente non
Romani, dice egli, e che per trovarsi nel codice Gameriano pro-
vano la sua falsità. Tuttavia in una famosa iscrizione su di una
lastra di bronzo rinvenuta nel villaggio di Estersili in Sardegna
nel 1866 coi datali del 18 marzo 69, come accennai, essendo Ot-
tone imperatore vi si trova M. AELIVS cioè Marco , Elio. Cosa
che il Mommsen non può ignorare perchè anco lui si adoperò
molto illustrando questa bella iscrizione.
Quindi è ch(^ se questo Elio non è Romano, non è neppure
Sardo, né tampoco uno di quegli spettri che vede il Liverani.
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LE PBRGAMBNE DI ARBOREA 377
Del resto chi ne assicura che non siano accadale delle corru-
zioni scrìvendo e copiando quei nomi ? Lo vediamo tulio di, e lo
stesso monsignore Liverani, p. e. nel suo ultimo scrìtto contro le
carte di Arborea scrive Rymel invece di Rymer e Du Gange in-
vece di Ducange come altri usa di scrìvere.
Neir intento di far comparire falso lo stesso codice Garneriano,
perchè contiene delle aggiunte a margine di tempo posteriore, e
che collimano con recenti scoperte, suppone che il fabbricatore
di quel codice se lo avesse tenuto in serbo, quasi a caccia di
nuove scoperte di antiquarì, per ingemmarne la sua fattura, e
poi venderla come ha fatto per pochi soldi , o darla a balia fino
a quando diventando adulta a 16 anni si fosse mutata in sirena.
Sul serìo però il Yesme ha confutato questo falso supposto e le
insinuazioni assai poco benevoli che vi traspirano ; perocché li-
mitandosi al valore paleografico, come al JafTè, ha mostrato a lui
r antichità incontestabile pur colle aggiunte in discorso.
Nessun' altra osservazione mi resta a fare ai signorì Illustri della
Commissione Berlinese, quantunque resti molto a dire intomo
agli apprezzamenti morali di quella crìtica: opperò desidero che
mi si perdoni il mio scrìvere talvolta concitato e vestito di frasi
molto vive, perocché isolano come sono non posso presentarmi
con mentite vesti, e toccato nelPonore della patria non so com-
pormi al sorrìso ed alla longanimità. Passo ad altro.
V.
Non é guarì Monsignore Liverani con un forbito articolo pub-
blicato nella Rivista Europea, l^ fascicolo del 2o voi., ancora egli
si scaglia contro le carte Arboresi e più forte che altrì mai le
falmina T anatema.
É un altro campione non men forte dei berlinesi nelle lettere,
opperò alla sua voce autorevole si china il capo da molti , fra i
quali non é dato di rìspondere che di rado e sommesso nel mondo
letterario. Sicché edotto come sono di si alta fama dovrei pie-
gare dal mio proponimento e sconfortato attendere che altri
si misuri con lui. Ma siccome io non intendo sfidarlo nel va-
sto campo del suo sapere, e solo mi limito ad una parte dove
egli mostrò un lato debole; e siccome io partecipo, si o no diret-
tamente, ai colpi che ei vibrava in quello scritto, raccolgo le mie
forze e come posso reagisco lusingato da miglior fortuna.
Con tuono superbo e là per là vi dice, che nessuno degli ar-
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378 NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNB
gomenti allegati dagli alemanni abbia il valore di una dimostra-
zione, e che stantechè il Vesme non si difese bene, perciò quelli
abbiano il dritto a dichiarar false le carte Alberesi, che da parte
sua si appalesano sospette e quindi degne di abbandonarsi all'u-
niversale riprovazione.
Io forse avrò le traveggole ; ma più volte lessi e sempre mi
persuasi di avere sotto gli occhi una solenne contradizione.
Venendo ai particolari, dopo di aver prevenuto a bello studio
r animo del lettore, osserva come indizio di falsità il vedersi in
quelle carte mutata la chiave delle cifre in una stessa pagina.
Ma a tacere che questa obbiezione, sebbene in modo diverso, si
fece già dallo Jaffè e la combattè il Vesme, questa eguaglianza
che pure non manca in quelle carte, considerate separatamente,
non è argomento serio; perchè supposto che in un medesimo palin-
sesto avessero scritto più d'uno amanuense, nemmeno perciò se
fosse scritto p. e. nell'VlII sec. lascerebbe di essere sincero.
Suiruso di variare la chiave ne dissi sufficientemente più so-
pra, tuttavia non tornerà affatto inutile lo accennare che questa
variazione lamentata e stigmatizzata dal Liverani è 'frequentissi-
ma anco nei libri antichi. Epperò se egli avesse come me sotto
occhio Topera del famoso anatomico Gabriele Falloppio, pubblicata
a Francoforte nel MDC non tarderebbe a convincersi della inu-
tile sua pretesa. Che se poi non è convinto lo dirigo e ai Capituli
facU per la Universitati di la felichi citati di Palermu, » delPanno
1419 ed esistenti nelF Archivio Comunale palermitano, e sono l'o-
riginale stesso approvato e firmato dal viceré Speciale, ove in uno
stesso paragrafo trovasi adoperato imperochi , e imperoki ; ecianir
deUy eciam, ancora^ etiamdiu; pozzanu e poczanu; prezzu e preczu;
puJbplica e publica.
Soggiunge che essendo venuta meno la necessità di scrivere
palinsesti nel 1400, meno ancora vi sarebbe stata la necessità di
rescriversi nel XV sec. la pergamena scritta originalmente a caratteri
deirvill. Questa necessità od opportunità che ei dice, da quali fonti
la deduce o con qual metro la misura ? Per altro contrariamente al
suo avviso in queir epoca ed anco un secolo dopo si sono fab-
bricati palinsesti e si sono cambiati i caratteri sulla chiave vi-
gente, nel tempo posteriore; così in Sicilia si fece nel 1400, onde
per dir cosi «ternizzare i documenti di tempi lontanissimi. Ed in
casi simili appunto avvenne che gli amanuensi, volendo ricopiarli
fedelmente cogli antichi caratteri, ne erano sviati dalle nuove abi-
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LE PBRGAMEiNE DI ARBOREA 379
tudini e nuove foriùe di caratteri e di sigle e fino di voci, si da
sembrare stentati o poco uniformi, senza che però abbiano corso
pericolo nel tribunale degli antiquari.
Tra questi palinsesti capita male anco quello che contiene un
romanzetto e un'ode in sardo idioma su d'un antica cronaca o
lettera, cancellata a quest' ultimo scopo, egli dice, da quegli stessi
ai quali doveva stare a cuore la conservazione del primo scritto.
Ma e da dove egli ha potuto giudicare che il cancellamento
della cronaca sia stata fatta dai nuovi raccoglitori di carte antiche
0 che a questi non sia ciò sembrato opportuno se quella lettera
fosse già ripetuta in altra pergamena? Questo appunto se fosse
giusto darebbe appiglio a credere falsi tutti i palinsesti, che non
sono altro, come egli può insegnarmi , che antiche pergamene
delle quali si è cancellato il primo scritto per iscriverne uno cre-
duto migliore o più consentaneo al caso.
Egli quindi volendo dare ad intendere che tutte quelle pergamene
fossero stale raffazzonate da sembrar vere anco adoperandole per
legare libri (che malizia di falsificatori 1 1 e che finezza flscale del
Liverani ! ! ) mette in ridicolo la prosa sarda del 740, perchè copiata
nel 1079 sotto il Giudice Saltare , comechè in quelP epoca nes-
suno sapesse leggere e scrivere in Sardegna, secondo le asser-
zioni del Vesme. É un ammasso di errori di nomi e di date ! !
Ma dove mai è che il Vesme ha neppure ideato ciò, quando
invece propugna V istruzione letteraria in quell' isola già da tempi
anteriori ajl'era C. e più ancoi-a nei primi secoli dell'evo me-
dio ? Egli ha frainteso come quando mise in bocca al sig. La Lu-
mia, storiografo valente di Sicilia, delle cose che ei mai non sognò,
si che lo redarguì fino a costringere il Liverani a dichiarare il
solenne qui prò quo.
Egli adombra eziandio allo aprire il libro del Sardo Gomita e
lo mette neiranacroiiismo di 101 anni perchè dello Spagnolo; sic-
ché dovrà egualmente dubitare delle antiche carte di Spagna per-
chè hanno del Sardo, e dubiterà dei documenti del Lazio che del-
l'uno e dell'altro ha pure i segni materni, come ne ha il francese
0 il provenzale. Egli non sa un jota del sardo idioma 1 1
Tra le tante che dice v'ha quella di titolo di Historìa de ssa lin-
guai Sardesca^ creduto altro anacronismo, perchè ei vuole che in
quei tempi il titolo di Storia non si desse alle cose grammaticali,
essendo questo un privilegio dei tempi nostri. Ebbene sappia e-
gli che la grammatica di Gorace e di Aristotile da essi fu scritta
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380 NUOVE EFFBMEIUDI SIGILUNE
fra le cose filosofiche e storiche del tempo, epperò gli amanuensi
dopo gli posero il nome più recente di grammatica, che quegli non
avevano mai adoperato. Laonde è più consentaneo a' tempi anti-
chi il titolo di Storia, tantopiù che il Liverani non dice sotto qual
titolo si dovessero mettere allora l'opera di Giorgio di Lacon sul-
l^indole del sardo idioma spigolata, da Gomita. Nel copiarsi che
si è fatto dei frammenti di quella storia forse si sarà potuto va-
riare di voci ecc: per circostanze estrinseche alla veridicità del
primo antico scritto, su i motivi più sopra accennati. Però a riba-
dire rimportanza di questi mi torna acconcio ricordare un giu-
dizio del sig. Wolynski che tanto calza. Egli dice • se troviamo
qualche errore storico, geografico, cronologico ecc: nei libri at-
tualmente ascritti alle Sibille, ciò proviene dal fatto che i com-
pilatori dei carmi sibillini del medio evo hanno messo molte cose
che probabilmente erano di altri autori , ma che essi credevano
Sibilline.» Ma che dire di anacronismi di scrittori di tempi oscuri
quando il signor monsignore Liverani ne commette ad ogni passo
nella critica contro V opera De Sibyllis dello stesso citato Wolyn-
ski; tanto che suppone e poi dà per certo quei codici sibillini siano
fabbricati da un cristiano nel tempo di Domiziano e Adriano, men-
tre Cicerone ne scrisse 43 anni avanti G. C. ed altri ancora ne
parlarono come rilevasi da Tito Livio e dai commenti che ne fe
Macchiavelli , intorno alla influenza della religione, essendo tri-
buno Terentillo ? Meglio che io non sappia a questo rispetto di
anacronismi il Wolynski ha redarguito il Liverani in quello stesso
fascicolo dove questo ha tentato di sfregiare le carte di Arborea
e gli uomini che le illustrarono.
Seguendo ancora i suoi appunti a questo rispetto accennerò al
ridicolo in cui vuol mettere il supposto del Martini, e quello del
Vesme, allorché il primo dice che in Sardegna nel secolo VII si
parlasse in latino, ed il secondo invece il greco. Ma cosa ne crede
Egli? Il Liverani per tutta obbiezione dichiara che la lingua in un
popolo non cambia mai, adducendo Tesempio della Alsazia e della
Lorena, ove si parla sempre il tedesco malgrado la lunga dominazione
francese. Allora, di grazia, come è che vennero le diverse lingue
filiate dalla ariana ?o che forse nacquero con quei certi aborigeni
nati dalle zolle di ciascun paese ? E quale sarà stala la prima lingua
de' Sardi ? e perchè T ha egli stesso riconosciuta spagnolizzata
nel libro di Gomita?
Egli ne viene quindi a spiegare come il latino siasi trasforma-
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LE PERGAMENE Di ARBOREA 381
to, filiandone il volgare, e qaindi i dialetti secondo le modalità
locali: però avrei stimato di chiarirmi le diverse modalità di uib
istesso paese, tanto che a Tours si parla il miglior francese, ed a.
Siena il miglior italiano ecc. Avrei poi sopratutto stimato che mi
avesse data unMdea delle modalità che hanno prodotto e mante-
nato in Sardegna uno straordinario numero di dialetti, mentre
in una parte di provincia tuttora si parla il latino, forse quello che
Polibio ritiene per antichissimo e dillicìle a capirsi , come quel lo
usato nel l*" trattato tra i Caitaginesi e Romani nel 509 e quell'altro
del tempo delPespulsione di Tarquinio, sotto il consolato di Giunio
Bruto. Dove poi non capisco nulla affatto è nel luogo in cui dichiara
che il fiorentino sia più itaHemo, perché rassomiglia al latino; che
se r induzione fosse vera, qual paese più italiano del Sardo che
del latino conserva tuttora le cognugazioni, ad esempio ^ amti,
tiU amas^ ipsu amaty ecc. le desinenze in s nel plurale e. g. af/lic^
tionesj le voci e. g. eros per domani, i pronomi possessivi e. g.
tu8^ ms y ecc. e cosi la frase, e. g. da mhi tres panes^ ecc. ? E
notisi che cosi si parla e scrive tuttora e non in lingua spagnola,
malgrado la lunghissima dominazione rovinosa di Spagna di cui
il Ciomita non ne risenti la influenza. Se il Liverani poi si reche-
rà, come ho potuto presentire, in Sicilia , e si compiacerà di di-
portarsi in Brente, non tarderà a reputare italianissimo quel paese
a preferenza degli altri di quest' isola e del continente, perchè in
Brente si parla con molte voci latine.
Corruciato allora per le male arti dei falsiflcatod, che egli vede
da per tutto, coglie al balzo la concessione fatta, dal Vesme sulla
possibilità di una falsificazione in una breve scrittura e non nelle
moltissime e vane carte Arboresi, per cui dice che moltiplicandosi
questa possibilità , si possa pure facilmente comprendere come
quelle e più di quelle se ne siano fabbricate. Epperò mi - ha
fatto venire in sul dubbio che egli pretenda, che tutti coloro ca-
paci di scrivere un verso come Dante, pari a Lui divinamente
sappiano scrivere una Divina Commedia.
In appoggio di quest'ultima attività dei falsi fabbricatori ne
adduce V esempio palpitante del Mario Alberti ; però non lascia
d^ indicare che questo si sarebbe scopèrto assai più per t^npo
quando invece di scrivere piccole cose su disparati oggetti e fa-
cendo eziandio nuove per antiche monete e medaglie, si fosse lir .
mitato ad una storia di un paese. All'auge poi di quel falsifica-
tore , valsero i giudizi di coloro che giurano in verba magispri ,
come adesso molti fanno contro le carte arboresi. 25,,
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382 NUOYK EFFfiMBHlOl SIGIUANE
Intanto l' incentivo dell^ Alberti era di buscarsi denari ed onori
come molti ne ebbe di fatto; ma ed ai falsificatori sardi qual com-
penso è mai toccato ? Essi già per iscrivere tutta quella mole di
pergamene e palinsesti per lo meno avrebbero dovuto impiegare
un 50 anni, trasferendosi nel continente e lavorando e scartabel-
lando per le biblioteche ed archivi fino a mettersi nella posizione
di fingere cosi bene i caratteri antichi da trarre in inganno molti
uomini seri e versatissimi in simili materie. Né basta : avrebbe-
ro dovuto fare studio negli antichi scrittori in prosa e poesia
tanto d^ arrivare nei componimenti italiani a suj[)erare in forma ,
eleganza, sapore e robustezza tutti quasi i carmi che dai primi
tempi del volgare italiano fino ad ora siensi conosciuti in Toscana
e Sicilia. Ma ciò é impossibile, perchè la vena poetica non si ac-
quista nei libri, come non si compra il criterio. Costoro avrebbero
dovuto conoscere la storia a menadito , e cosi la geografia e la
numismatica. E finahnente avrebbero dovuto fare incetta di per*
gamene npn scritte da archivi notarili, che conosce il Liverani ,
dove mi duole di non sapere se vi siano calamai ed inchiostro pur
del secolo VII o del XII per impedire lo spionaggio della chimica,
e quindi scrivere e mettere in commercio tutto; e per che cosa ?
per la somma di circa 4ue mila lire. Questi Alberti ed Annio da
Viterbo dove sono, mei saprebbe dire monsignore Liverani?
In verità, che le supposizioni ingiuriose a questo rispetto, non
hanno nò modi nò confini, peroccbò la più semplice logica vi si
perde.
Ma dove sono, io richieggo, questi uomini che per una scodella
di lenticchie hanno permutata la corona da poeti e letterati che
sarebbensi cinta con tanta suppellettile di cognizioni e con si rara
vena poetica ? No, V amor di patria non poteva ridurgli a si mal
partito, quando meglio che a scrivere e cantare sui tempi che fu-
rono, si sarebbero immortalati sui tempi che sono, illustrando la
patria coi nomi propri.
Questi riflessi però non si accomodano air indole altera del Li-
vecani , il quale pone a fondamento eziandio della falsità delle
pergamene il modesto uso di chiamare in aiuto la testimonianza
di uomini illustri sulla veridicità delle medesime, come ha fatto
il Yesme, ed hanno fatto sempre tutti gli antiquari. Egli anzi di-
chiara di non aver mai fatto prò di testimoni quando illustrava
alcuni antichi documenti, comechò di fragile terra ei non cono-
sca la propria e comune origine. Tuttavia , quando non è guari
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LE PKR6A1IBNB DI ARBOBK^ 383
tentava confutare ex cattedra il Dottore Arturo Wolynski in-
torno all'operetta De Sibyllis chei)iù sopra dissi , non ischiva
di appoggiarsi alla autorità di Thorlucius di Alessandro Block e
Triedliep. E vedasi coincidenza tt pure in questa circostanza ei
suppone cose non possibili, tanto che il Yolynski lo prega a mo-
strargli il fonte degli errori da lui inventati e che hanno dato
corpo agP imaginari falsificatori. Eppure egli si crede infallibile !
Al postutto facendo tesoro deir arte oratoria e del bello stile
che tanto lo distingue, fa un tenero fervorino al Vesme perchè
smarrito, come lo crede, tra le foreste di Sardegna, ritomi al
gregge compunto dei trascorsi.
Epperò illudendosi che il Vesme rìnunzi al suo profondo con-
vincimento sulla sincerità delle pergamene, più forte alza la voce
e dà il colpo di grazia a quelle innoccenti figlie della verità, fi-
gli, dice, il Vesme si meraviglia che i dotti berlinesi abbiano po-
tuto tursi un' idea di si fraudolenta merce , e di sì svergognati
falsificatori leggendo poche linee: ebbene, a me basta una sola pa-
rola dalla quale in modo irrevocabile si deduce e si conferma la
sentenza. Questa parola è insurrectionem. Egli V ha proprio pe-
scata fra le centinaia di migliaia della pergamena delle vite di
Sertorio. E siccome, egli dice, la parola insurrectio in senso di
ribellione come ivi è usata non data fra noi che dall'SO, cosi es-
sendo adoperata in uno scritto come quello dei primi secoli dei-
Fera cristiana svela la mano del falsificatore moderno.
Senonchò più fornito di accortezza che di pietà accenna alla
patente di Enrico re di Inghilterra nella quale è usata la parola
insurrectio; ma, come egli dice, nel mite significato di invasione
della pubblica autorità; onde è che trovando un oppositore nel
classico Alberti perchè Tha ritenuta originaria della Polonia e
poi passata in Inghilterra, se ne disbriga ,col tacciarlo decaduto
dalla sua opinione. Frattanto a sincerarmi di questa fatale parola
licersi a Ducange e là trovo, nientemeno che i( insurrectio , reb-^
belUo: apud Rymer^ t. 8, pag. 124.
E tosto aperto questo famoso tomo e Iettar quella pagina e la
seguente, più volte mi fu dato rinvenire T insurrectio. Intanto ad
evitare le gratuite interpretazioni ne riporto il seguente brano :
« Et si contingat aliquas huyusmodi Congrega tiones et Insurrec-
< tiones fieri (quod absit) in futurum, aut aliquem de populo no*
t stro sic temere DeccoUari, Occidi, vel destrui Malefactorum hu-
• yusmodi Temeritatibus totis virìbus obviare curetis t. Datato daU
rotto febbraio 1400,.
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384 NIK>VK EFFBMSaiDl SHUUANE
Ora ben si scorge anco da chi appena sappia tradurre un brano
di latino che qui la parola Congregatùmes etinturrecUonef è usata
nel senso di congiuratori ribelli, che insorgono contro il governo.
Egli però ricorre a più scaltro sotterfugio, e concedendo che
quella parola uscisse dalla bocca sola di Enrico nel 1400 vuol
dare ad intendere che rimasta sia a Londra in incubazione fino
all'SO per insorgere, infiammata in quel tempo sotto la repubblica
francese.
Ora senza che io voglia chiedere da quando in qua sappiasi
dei nuovi vocaboli introdotti da quel re nella lingua latina , se
certo non era egli Cicerone, e se non sia possibile che allora ap-
punto si fosse adoperata una voce in disuso e nata nella antica
latinità, 0 che per qualunque altro caso sia stata a cognizione del
Belatone e non del Sertonio, come errava il Liverani, io dico, e
perchè questa parola non sarà sortita prima dalla bocca dì Dela-
ione anziché da quella di Enrico seicento anni dopo. Anzi io per
redarguizione dirò, se è la parola insurrecUo che fa giudicare della
falsità di quelle pergamene, questa stessa poteva essere suflBciente
per dichiarare pure falsa la patente di Enrico se per caso in que-
sti ultimi tempi fosse capitata sotto la inquisizione del Liverani.
Ma a quanto mi pare, qualche scrittore classico ha dato al verbo
insvrgere il significato del ribellarsi che & un individuo contro
un altro, e tanto più sono di questo avviso in quanto che il Ca-
lepino a schiarimento dello stesso v^rbo scrive inmrgere regnis
alicuius b. e. ai regna inmdenda.
Nel Porcellini è pure citato il cantra feroci gnatus inmrgens
mnax vulta nel senso di sollevamento, e là pure è soggiunto a
maggiore dilucidazione: inmrgere regnis alicu/usque hoc est ad re-
gna invaienda. E meglio ancora ei riferisce le parole di Tacito a^
Mb. il, cap. 16. Insurgere paullatim munia Senatus^ magistratuum
kgufn in se traere, dalle quali se non v' ha da imbroccare la rea
parola che tanto scandalo ha prodotto neiranimo di Monsignore,
v'ha certo a confortarsi, perchè trovasi un^ eco perfino nella Bib-
bia , dóve certamente non avrà messo vìrgola il sacrìlego pugno
del falsario del canto di Gìaleto^
Questa parola adunque rinvenuta dal Liverani e caratterizzata
ceme il testimone severo della falsità delle pergamene, non è alla
fin fine che una supposizione che va a dileguarsi come quella di
altra volta del Promis sulla parola turcos.
Epperò io pregherei che d^ora innanzi gli oppositori fossero
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LK PER6AMBNB DI ARBOREA 385
più freddi nello investigare, che accesi nello scrivere, in materia
di somma importanza come questa.
Dae cose solamente voglio dire concludendo. La prima è che i
nomi del Baille, del Hanno, del Martini, del Lamarmora, del Vesme,
dello Spano, del Decastro e del Pellitu, che illustrarono e che appog-
giarono le pergamene arboresi, non hanno d' uopo di avvocati ai
difesa. Essi tutti su i quali in modo subdolo si vorrebbe far ca-
dere la risponsabilità di una frode imaginaria, sono posU cosi in
alto dalle loro virtù cittadine e dai loro meriti scientifici, che a
tentare in fino a loro è opera stolta, come di chi ideasse con un
soffio di mandare a picco risola di Sardegna.
L^altra è quindi un^appello ai miei fratelli dell'isola perchè la-
sciando le reticenze, depongano suiraltare della patria i nomi di
coloro, che. già 4a tempo lontano tolsero da archivi le pergamene.
È certo che non verranno immolati e dispersi al venlo nel cre-
dere che le abbiano trafugate, come hanno fatto non pochi ama-
tori di cose antiche. Ed io so e mi fu detto che qualche vecchio '
nella sua giovinezza abbia visto questi documenti ad Oristano, ed
abbia udito che si reputavano preziosi, ma che non si potevano deci*
frare. A me fu detto da persona integerrima, che tuttora esiste ad
Oristano qualche altro di questi documenti, e che non si consegna
per il timore di non essere creduto usurpatore Fattuale possi-
dente ; ma io vorrei che nelP animo di costoro più che V amor
proprio s^ accendesse quello della patria e della verità iu favore
degli innoccenti fi^telli calunniati.
E a voi, stimatissimo Prof. Dì Giovanni^ chieggo mille scuse
per avervi trattenuto si a lungo e non sempre , utilmente , che
r animo esasperato irrompe, e pur volendo non sa far tesoro della
calma e delle forme che fanno degni e simpatici gli stessi av-
versari. Valete,
Frangbsgo Randacio
N. B. Questo scritto era già sotto la composizione tipografica,
6 parte stampato, quando venne fuori la risposta del conte Bandi
di Vesme , e V altra del signor Francesco Carta, sardo , all' arti-
colo di monsignor Liverani sulle Pergamene di Arborea ; nelle
quali risposte gli autori convengono col prof. Randacio in non
pochi argomenti.
/ Compilatori.
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SAGGIO DI TEOCRITO
L'IDILLIO NELL'ARTE GRECA
Le conceziòtìi delibarle prendendo il lor movimento, e lo svi-
luppo dalle circostanze peculiari de^ tempi, vengon poi a manife-
starsi in varie forme, sebbene tutte intendano al medesimo scopo
cioè, di commentare con V idealità i fenomeni dello spirito, e della
natura; e di fecondare con la fantasia inventrice e accalorare con
r affetto purificante, gr istinti dell' animo nostro, e le sue aspira-
zioni al Bello. Una di queste maniere gentile, schietta, pittorica,
* delicata assunse Parte greca nella creazione delF Idillio. I cen-
atomi in cui questo genere poetico si raccoglie; le modulazioni
'onde i suoi sentimenti si esplicano; quella cotal mistura di rusti-
^cità campereccia, e di squisitezza cittadina; quelle abbondo voli ar-
monie-the suonano con le frasche, coi rivoletti , co' venti ; quei
colori succedentisi che si digradano e si ritingono in mille guise
col mattino, col meriggio, con la quiete vespertina; tutte le par-
tizioni insomma onde si fa sentire dentro il cuore umano la mu-
sica deir Idillio, 5ono incarnate in una realtà presente, per mezzo
di una idealità attinta nel passato. V arte cristiana ispirandosi po-
tentemente nella beata luce d' un futuro che deve sovrastare di
gran lunga ad 4)gni trascorsa bellezza, non ricorre ai tipi idillici
con quella fecitità, e verità insieme con cui Parte greca giunse
a ritrarli. E poi minore è il bisogno perchè il pensiero poetico si
provi in tal genere primitivo, quando ormai le vie a lui aper-
te nelle moderuB società, alla chiusa de' monti natii hanno so-
stituito i valicati oceani; e al lare paterno la mondiale famiglia. Il
concetto religioso della paganità appresta vasi inoltre con maggior
facilezza a risecare la parte rurale dal -resto del Bello cosmico,
dacchè^, il principio mitologico divinizzando la natura , faceva di
essa tante divise rappresentazioni per quanti eran gli obietti in
cui le divinità si manifestavano alle imaginose menti. Per lo con-
trario il principio vero, unificatore della creazione tutta, parlante
la potenza di un solo Dio, non permise al poeta cristiano di di-
sgregare le pastorali contingenze per formarne una totalità esi-
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SAGGIO DI TBOCaiTO 387
stente da sé ; ma bene gli apprese a considerarle come un vago
episodio del grande poema delP universo. Gessner delineo qual-
che punto di tal episodio con un affettuoso lirismo. Per queste ca-
gioni r idillio greco che non potè riprodursi neir arte nuova della
parola, trovò meglio il suo rammodernamento in quella della mu-
sica ; giacché questa è V arte del presente , e tutte le volte che
cerca di ispirarsi al bello d' una futura perfezione, priva com'essa
è d^ un tipo costante , lo fa in cosi indeterminata girìsa , che la
soavità del presente non iscemasi, e^ la melodia non va a perdersi
giammai nei misteri deir avvenire. Ben disse il Manzoni che il
ciclo della poesia pastorale è ormai chiuso. Ha molte sono le forme
in che V arte un di esplicatasi , non vive che del passato , e in
esso vagheggia i suoi ideali, già compiuti in isquisiti lavori. Con
Anacreonte sono sparite le sue ghirlande, la sua cicala, la sua co-
lomba ; e pure quei tipi di poetico acume , e di divini momenti
resteranno a figura perpetua di bellezza; e quando per nuove co-
municazioni di popoli saranno abbandonate le antiche vìe alpine,
oh r arte ricercherà quelle nevi, quelle giogaie deserte ! si l'arte
che non conosce altra sterile solitudine, che quella dell' utile ; e
si piace di risalire ai suoi tipi con amore immortale; e ciò dopo
secoli di trasformate realità. Però a tal fine , e a non altro mi-
rando, a noi é sembrata acconcia opera lo studiare la venustà i-
dillica neir arte greca , e ritentare fra' non pochi che vi si sono
provati, di esprimere qualcuna delle sue geniali forme , nel me-
tro italiano. Con siffatti intendimenti pubblicammo nel 18^ in Pa-
lermo una versione in rima di alcuni Idillii di Mosco , e Bione,
ed abbiam poscia condotto la versione di sei Idilli di Teocrito.
Questo nostro Saggio, anch'esso in rima, comprende: Il Pastore
e i Bifolchi = Gli operai , ovvero i Mietitori — I Pescatori — Da-
gli Amori , Frammento; — che già vennero messi a stampa nelle
Nuove Effemeridi Siciliane, Dispense 6, 8, 9 e 10 an.: 1869-70; e
altri due Idillii, cioè. Le Talisie, ossia il viaggio di primavera, e
Il Bifolchetto, che diamo parimente nello stesso giornale. Ciascuno
Idillio é accompagnato di brevi note che risguardino qualche Inter*
petrazfone, o variante che sia. Né lasciam di soggiungere che il
culto in Sicilia al padre della Buccolica poesia è stato perenne;
e quando il Borghi ci veniva, quasi ispirato dalla presenza de' luo-
ghi , metteva fiato a melodiare con nuovi versi i bei carmi del
pastore siracusano; ma non andò oltre di qualche Idillio, che diede
tradotto nel Giornale di Scienze, Lettere ed Arti, Pare a noi opera
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388 NUOVE EFFKMKRIDI SICILIANE
d^ un dolce affetto qualunque studio in prosa o in verso facciasi
M Sicilia pel vecchio Simichide.
^Messina, «etlembre 1870.
Riccardo Hitcuell
Xe Talisie, ossia il yiaggrio di primavera
IDILUO VII.
^Era nella stagion che verso Alente
J^eregrini andavam dalla ciltade
Eucrito ed io, terao sen venne Aminta
Che célebravan le Talisie feste
A Cerere i due figli di Licope
Frasidàmo ed Antigene, onoranda
Prole, se ancor di quegli antichi padri
Vive alcuno fra noi chiaro rampollo.
Da Clizia e di Calcon che contro al balzo
Costrinse le ginocchia, e dal profondo
Trasse il fonte Burèo. Dattorno al fonte
Verdeggiando ne^ rami i pioppi e gli olmi
Levavano le chiome, e di beir ombre
Una selva vi fean; né del cammino
Giunti eravam nel mezzo, e non peranco
^11 sepolcro di Brasila apparìa.
Che a noi ci venne incontro un peregrino
Di Cidone, un buon uom caro alle Muse,
Licida che di capre era custode.
Chi non V avria raffigurato ? in tutto
D^un custode di capre avea sembianza.
D^ irto becco lanoso in su la spalla
Tenea la fulva pelle, onde partia
Odor di fresco caglio, e un vecchio manto
Con ampio nodo distringeva al petto (1).
(1) Leggo ic^axepu* largo, ampio , come porla la Stereotipa di Lipsia , e r Edi-
zione del 1854 curata da E. L. Ahrens , invece di 'KXoxtoi^ e secondo che com-
mentano gli Scoliasti, i quali soggiungono che scrivesì anche icXoxep<}>.
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SAGGIO DI TEOCRITO 389
Ei d'oleastro una ritorta verga
Portava nella destra, e dolcemente
Ridendo mi chiamò con guardo amico,
Che le labbra ridevangii, e mi disse:
0 Simichida, a qual loco tu muovi
Or nel merigge che il ramarro dorme
Sotto le siepi, e non battono Tali
Le capelluto allodole ? Ti affretti
A genial convito, o al torchio vai
D^ alcun de' cittadini ? Che al veloce
Tuo piede i sassi intoppano, e di sotto
Ai sandali ti stridono. A tal voce
Io risposi co^ Licida amico,
Fra quanti son bifolchi, e mietitori
Te celebrar odo da tutti eccelso
Modulator d' avene, e il cor me n^ empie
Una gran gioia, benché in mente io m'abbia
Che potrei pareggiarti, n nostro calle
Ci mena alle Talisie: che V opimo
Gnor delle primizie, ed il banchetto
Indicono i compagni alla precinta
Cerere, che fé' pìngue il lor ricolto,
E l'aia ne colmò! Ma poi che s'apre
Un calle a noi, ed una sola aurora,
Melodiam la campereccia rima;
Forse il canto dell' un l' altro seconda.
Fervida bocca delle Muse io sono.
Ed ottimo cantor mi dicon tutti
Ma non si lieve è il mio pensier che il creda:
No, della terra in nome, che l' eletto
Sicelida di Samo, o il buon Fileta
Vincer non so nei carmi; e come rana
Disputo invano a' grilli arguti il vanto.
Furo scaltri i miei detti, e il mandriano
Aprendomi un dolcissimo sorriso.
Questo vincastro io farò tuo, mi disse,
Poiché un germe divino in te si accoglie
Quello artefice io sdegno che all'altezza
D' Oromedonte ragguagliar vorria
Di sua casa il fastigio, e mi ian noia
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390 NUOVE BFPBMBRIDI 81G1LIA!<IE
Le garrule cornacchie delle Mase,
Che dietro agPinni del Cantor di Chio
Si faticano indamo; Or muovi ed ambo
Svegliamo i metri pastorali; lo voglio
Provar se piaccia a te breve canzone,
Che, non è guari, meditai sul monte.
Portino a Hilitene aure seconde
Ageanatte ancor che dei Capretti
Tramonti il lume, e intumidiscan Tonde.
E sul rigonfio mar Noto si getti,
E Orlon tocchi il pie nelF oceano
Purché Licida fugga i caldi affetti.
Che r animo per lui mi bolle insano;
E gli Alcioni fabbricando il nido
Ne ritornino il mar tranquillo e piano.
E tolgan Noto ed Euro che al lido
L'estreme alghe sospinge: che fra quanti
Augelli pasce il mar, se vero è il grido;
Più di loro son vaghe le mutanti
Azzurrine Nereidi: e a Militene
Volgano Ageanatte aure costanti.
Tutto facil, gii sia, con vele piene
Entri laddove il bel porto si espande (1)
E alior ch'ei tenga le bramate arene.
Di rose, o aneti io porterò ghirlande
0 di bianche viole, e al fuoco appresso
Berò di Pteleo vin coppa ben grande.
Tosta sarà la fava, al fuoco istesso:
D' apio, di gniza, e d' asfodillo un letto
All'altezza d'un cubito fia messo.
Dolcemente io berò, pien dell'affetto
D' Argeanatte, e a ber le gocce estreme
Ai molli nappi terrò il labbro stretto.
(1) Qualcuno proporrebiie in questo luogo cCicXooc invece di eOicXoov accordan-
dolo coD Ageanatte, Ma una tal Icjzione, per quanto buona si voglia credere « non
Aggiungerebbe nulli alle circostanze di già espresse dal poeta, cioè , che Ageanatte
navigando prosperamente arrivi in Mitilene. La stereotipa di Lipsia che poru que-
sta variante,, adottata dall' Ahrens, segue nel testo la lezione antica, che è quella
di tutte le edisioui.
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SAGGIO DI TBOGIUTO 391
E dae pastori moveranno insieme
Delle pive il tener, Tuno Acamese,
E nato r altro dal Licopio seme.
E Titiro dirà come si accese
Dafni bifolco un di per Sènea, e come
A correr tutta la montagna prese.
E le quercie che infrondano le chiome
D^ Imera al margo, lui plorar che scemo
D^ogni vigore si struggea, siccome
In Rodope, o sul vertice dell'Emo,
Le nevi si risolvono o nelPAto,
0 sulla vetta del Caucaso estremo.
Dirà come ampia cassa al tempo andato
Vivo accolse un pastor, dove lo chiuse
La scelleranza d'un padrone ingrato;
E che dei fiori i balsami eran use
L' api a recargli volando da' prati;
E il mele in bocca gli stillar le Muse.
Cornata avventuroso, a te da' fati
Venne concesso si felice evento:
A te nel chiuso cedro i delicati (1)
Favi dell' api dando l' alimento,
Della vaga stagion compisti il die (2)
Cosi non fossi nei miei giorni spento!
Le belle capre per montane vie.
Ti aderberei; e tu sott'elce o pino
Giaceresti, di dolci melodie
Empiendo l'aere, o Comata divino.
Qui chiuse il canto: e alla mia volta io dissi;
Licida amico, d'altri eletti carmi
(1) Qualcuno alla parola Ké$pov che leggasi due versi ìnnanti ha fatto corrispon-
dere la pianta del cedro e non la cassa. Per me ho seguito V opinione di tutti gli
interpetri che è quella appunto dello seoliaste , il quale nota t\^ xuv xlSpov xùv
Xép^HTi ^ TIC ^v ano xsSpou xatewtuafffxsviS: nM cedro ^venivano le api) cioè,
nella cassa la quale di cedro era costrutta.
(2) Itoc v^iov nou nel testo il tempo phmayerile , naturo alla nsciu di Co-
rnata. Gli Scoliaste riferendo che alcuni v' intendano un intiero anno xivlc x*' Z-
Xov lviauT(Ìv soggiungono che vi si può interpetrare il mutamento delle stagioni,
prendendo una sola delle quattro partii cioè, quella di primavera.
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392 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
M^ erudìron le Ninfe, allor che i buoi
Pasturava pe' monti; e forse al trono,
Di Giove il grido ne sali. Qual d^essi
Suona più dolce io vo^ cantarti, e mi odi ;
Poiché vivi si caro alle Camene.
A Simichida starnutar gli Amori;
Che tanto il meschinello ama Hirtone,
Quanto le capre la stagion dei fiorì.
Sospira Arato a un tenero garzone,
Egli che a Simichida è il più diletto:
Ed Arìsti gentil ben vi s'appone.
Aristi, che anche Febo al suo cospetto
Citareggiar da' trìpodi farìa;
Ei sa qual voglia arde d'Arato il petto.
Tu Pane, lo rìduci alla sua via,
Tu che d'Omolo tieni i dolci piani
0 il tenero Filino, o un altro ei sia.
Tu lo rìduci nelle care mani
Senza che di chiamarlo Arato stanchi.
Che, se questi desir non fai tu vani .
Non ti battano più gli omerì e i fianchi
Gli Arcadi (ànciuUetti con le squille,
Quando su Tare cacciagion ti manchi.
Se il nieghi, io voglio che mille ugne e mille
Ti fendano le membra, e fra gli spini
Ti si chiudano al sonno le pupille.
E a mezzo il verno t' abbiano i confini
Deir Ebro, e i gi(^hi degli Edonii monti,
A cui sono gli Artoi lidi vicini.
E r estate gli Etiopi non conti
T' abbian pastor, dei Blemi a V antro, donde
Alcun non vede più del Nilo i fonti.
Di Bibli e Teti le dolcissime onde
Lasciate, o voi, che fra le sale altere
Dìona acccoglie dalle treccie bionde;
0 voi d'Amori leggiadrette schiere,
Che a mele vermigliuzze io rafiiguro,
Or voi mostrate come l'arco fere.
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SAGGIO DI TEOGBITO 393
Ferite poi, ferite il garzon duro
Che deir ospite mio nulla ha pietade,
E che di molle pera è più maturo.
A lui gridan le donne: La beltade
Tu consumi, o Filino, e questo fiore
Rapidamente illanguidisce, e cade.
Più non vegliam delle sue porte fuore
0 Arato, e più non faticbiam le piante;
Altri il gallo vi chiami al primo albore.
Poni in tal ludo sol Melone amante;
Ma piaccia a noi goder quiete sicura;
E la vecchia non manchi che dinnante
Sputando ne dilegui ogni sventura.
Queste cose cantai, qjiand^egli diemmi
Il vincastro e d'un simile sorriso
Qual prima sfavillò, lasciando il dono
Ospitai delle Muse; e a mano stanca
Se ne andò pel cammin che a Pissa fiede:
Meco sen venne Eucrito e il bello Aminta.
Di Frasidamo noi gimmo alle soglie,
Te i tetti si calavano ricolmi
Di fresco giunco e di parapmee foglie.
Sovr'essi ne adagiammo ch'eran colmi
Di gioia i cori, e a noi sul capo lenti
Àgitavan le cime, i pioppi e gli olmi.
Dall'antro ddle Ninfe le correnti
Fea risonar daccanto un sacro rivo;
Fra i rami ombrosi le cicale ardenti
Non riposavan dal lor metro estivo,
Stridea lontano la calandra in parte
Ove il folto dei pruni era più vivo.
Lodole, e cardellini untan lor aile,
Gemea la tortorella, e bionda schiera
D'api volava a' fonti d'ogni parte»
V'era il tesoro delH' estate e v'era
Dell'autunno il tesor, le mele ai lati,
Di sotto ai pie correvano le pera.
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394 NUOVE EFFEMBRIOI SICILIANE
Alla terra piegavansi gravati
Delle susine i rami, ed il suggello,
Alle botti s^apria di quattro estati.
Dite, 0 Ninfe divine, che V ostello
Tenete sulle vette del Pamasso,
Forse ad Ercole offrìa nappo si bello,
Di Tolo antico nel cavato sasso,
Chiron degli anni già canuto? 0 forse
Quei che le rupi fea volare al basso;
Quei che forte pastor TAnàpo scorse,
Polifemo gustò bevanda pari,
Allor che in danza la sue stalle corse?
Certo licor, più dilettosi e cari
Mesceste, o vaghe Ninfe, a noi garzoni.
Di Cerere Areal presso gli altari:
Oh ancora il cielo d^ agitar mi doni
n ventilabro in si gran copia; ed ella,
Tenendo in man papaveri e covoni,
Mostri il sorriso della faccia bella.
Messina, setlembre 1870.
i RlGCAaDO MlTGHBLL
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PAOLO MAURA
POETA SICILIANO DEL SECOLO XVII
(*)
Questa ristampa non mi è parsa inutile per più ragioni. Pri-
mieramente perchè Paolo Maura è uno di quei pochi classici scrit-
tori del nostro dialetto che presto divennero e tuttavia manten-
gonsi popolari ; in secondo perchè la scorrettissima edizione del
1759 fatta dal Trento (2) è ornai una, invero poco pregiata , ra-
rità bibliografica; e finalmente perchè in questo fervore di canti
popolari che invade tutta V isola non era giusto dimenticare un
antico poeta , quasi T. unico, pel tempo in cui fiori, che impron-
tasse le sue poesie di quelle forme cosi schiette e cosi vive che
oggi ammiransi tanto.
La presente edizione è stata condotta con ogni dilingenza e cpn
critica severa. Al Maura non mancò, fra le altre , la sventura de-
gli editori postumi; e certamente egli non poteva cadere in peg-
giori mani di quelle dei signori Accademici che prepararono e
fecero a loro spese T edizione del Trento. Sia per rispetto alla
fama delFautore, sia per riguardo alla dignità del lettore, io ho cre-
duto opportuno scegliere il meglio di quant^ essi stamparono alia
(1) In giorni iiui quali gli sludi delle iradizioni popolari sono rÌTolti alla ricerca
degli aatori di una data poesia divenuta canto del popolo, non possiamo non ac-
cogliere con gradimenlu lo annunzio che si stia preparando una nuova edizione
delle poesie di Paolo Maura poeta siciliano molto popolare del secolo XVII. Questo
aniiunxio ci vien pòrto d^il sig. Luigi Capuana, a suggerimento del quale il tipo-
grafo sig. Calatola di Catania s' ò messo alla ristampa di quel poeta, ristampa che
porterà innanzi la presente prefazione. / Compilatori
(2) Li veri canzuni ccu la Pigghiata, e na divota cumpusizioni italiana supra
l'Ave Maria di D. Paulu Maura celebri pueta di la cita di Miniu. Una e ceu aleuni
antri sinceri canzuni di D. Oraziu Capuana baruni di lu regiu Casteddu di la stissa
cita. Si sUmpanu a spisi di TAccademici di Miniu. In CalUgiruni nellu palazzu
dellu 111. Senatu pri Siuiuni Trento, 1759. Cu lioenza di lu Soperiuri.
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396 NUOVE EFFEMEEIOl SICaUANB
rinfusa , riordinarlo, correggerlo, dove occorreva , con un mano-
scritto del tempo che per sorte ho potuto riscontrare ; e in que-
sto modo spero aver vendicato la memoria del poeta mineolo dal
grave insulto arrecatole dalla stupida ignoranza dei suoi amici.
Per coloro che non potranno avere in mano 1^ edizione dei
Trento onde far i confronti colla mia, basti sapere che in essa di
parecchie ottave, che sono componimenti staccati, se ne fa spesso
uno solo ; che molte varianti si danno come fossero componimenti
diversi : che talvolta viene cosi stranamente mutato il titolo d^un
componimento da non potersene affatto raccapezzare più il senso:
e non parlo della smisurata caterva degli errori tipografici che
rendono la lettura di quella edizione proprio insopportabile.
A quelli che possono biasimare la mia severità nell^ escludere
da questa ristampa i componimenti mediocri , confesso che avrei
voluto essere ancora più severo ; ma me ne sono ritenuto per ri-
guardo a certe voci non comuni del nostro dialetto che cosi pos-
sono porgere un esempio pel futuro vocabolario siciliano. Però io
non ho tolto senza dare un compenso; giacché in quest^ edizione
si leggeranno parecchie cosettine inedite e affatto sconosciute che
valgono, senza dubbio , quelle messe da parte; si avranno resti-
tuiti i veri titoli dei componimenti che a questo modo quasi ri-
nascono a nuova vita ; e si sapranno i nomi delle persone a cui
furono indirizzate alcune poesie, che allora non vennero pubbli-
cati non so dire perchè:
Aviei voluto aggiungere una biografia del poeta, ma per que-
sta non ci fu lasciato nessun ricordo, air infuori dei pochi che
possonsi ricavare dalle sue poesie. Si sa solamente ch^egli nac-
que da Carlo e Pietra Maura il 23 gennaio 1638; che lo stesso
giorno dello stesso mese sposò nel 1763 Doralice Limoli, e che
in ultimo morì in Mineo nel 1711.
La tradizione locale è stata intanto meno dimenticona della cro-
naca col suo poeta. E da essa ho potuto spillare alcune notizie
che illustrano, com'oggi suol dirsi, la Pigghiata; ma le dò per quel
che valgono e senza la menoma guarentigia. Però bisogna conve-
nire che non c^è ragione di diffidarne; la tradizione si accorda
col documento e lo spiega: può esser benissimo storia schietta.
La tiadizione dunque ci narra che il poeta fu riamato amante
di una l'agazza di casa Maniscalco, allora un nobile e potente ca-
sato Mineb. I parenti, non volendo permettere lo scandalo d'una
unione disuguale, chiusero Tinnamorata ragazza nel monastero di
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PAOLO MAUBA 397
Santa Maria degli Angioli, e credettero cosi troncare di botto una
passione che, secondo le idee di quel tempo, poteva imprimere
un^onta indelebile sullo stemma della famiglia. Però fecero i conti
senza Toste. Il fuoco dei due innamorati divampò più forte; gli
ostacoli, invece di smorzarlo servirono, com'è il solito, ad attiz-
zarlo meglio; e il campanile e le grate del monastero tennero il
posto delle flnestre e dei terrazzini per Tamorosa corrispondenza.
La cosa non poteva rimanere un mistero. Il giovane poeta passava
le intiere giornate seduto su' gradini della chiesetta dello Spirito
Santo , cogli occhi rivolti a quel campanile e a quelle grate da
cui una mano gentile e desiata gV inviava %ra un caro segnale,
ora un dolce salutò^ I parenti della giovinetta non stavano cogli
occhi chiusi, e prendevano sospetto del menomo che ; molto più
che i due amanti , accecati dalla passione, non sapevano ristarsi
da certe imprudenze, e ne rincoravano ogni giorno la dose. In-
fatti si sospettò finalmente che avessero tentato una fuga abbor-
tita per caso. I Maniscalco, montati sii tutte le furie, giurarono
di perdere T audace innamorato, e Vautxnità seppe subito che un
miscredente , uno scomunicato , tulbava con iscandalo di tutta la
città la sacra quiete delle spose di Cristo.
n nobilume, il pretume di quel tempo, cuciti a rete doppio, si
rovesciarono, com'oggi si direbbe su quel protestante, su quel ri-
voluzionarioy e il povero Maura fu arrestato, carcerato prima nel
Castello di Piazza, poi nella Vicaria di Palermo: e quando potè u-
scirne via, i mali patiti lo avevano guarito, se non dell'amore
certo della baldanza giovanile con cui aveva sfidato i pregiudizi
sociali. Cosi fini in apparenza uno di quei frequenti e dolorosi
drammi della vecchia società oggi resi impossibili.
In apparenza si, perchè se il Maura potè forse trovar nella vita
di famiglia conforti al suo dolore , ed anco V obblio ; la misera
giovinetta non potè dimenticare tanto presto un amore che l'aveva
si violentemente agitata, e non è difficile figurarsi di che lagrime
e di che grida disperate dovette risanare la sua cella prima che il
sentimento religioso non avesse finalmente persuasa la infelice a
rassegnarsi !
Ma il poeta ha vendicato tutti e due t e la- sua vendetta durerà
ancora un pezzo! Nella Pigghiata egli non ha risparmiato nessuno
dei 'suoi nemici. Che serie stupenda di ritratti e di caricature!
Tutti ci sfilano dinanzi come una processione gi'ottesca con un
fremito bestiale sulle labbra, con una gioia feroce sul viso; cre-
26
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398 NUOVE EFFEMERIDI StCIUANE
dono di subissare il poeta, averne aHegra vendetta , e non s* ac-
corgono che vivono oramai la vita deir arte, immortali impotenti
che il poeta si compiace di presentare al nostro riso ed al nostro
disprezzo! E non c2q[)iscono che le vittime del loro animalesco
furore vengono da noi non solo conciante, ma amate; e che quella
che rimane nelFombra^ quella che non ha modo di forsi ascoltare,
potrà esser lieta delle sue pene se oggi, dopo quasi due secoli ,
noi c^ inteneriamo in bvore di lei allorché leggiamo che dsd prò*
fondo del suo carcere il poeta esclamava :
Ma punì miicunsolu qualchi pocu
Quannu ^ntra sti me' guai passa a pinsari
La causa ppi cu^ patu un tantu focu.
Ckrussi tutti Tai&nni mi su' cari,
Duci li peni, ed a stu cori affrittu
Nun e' è turmeniu chi lu po' turbari f
Nella Piggiata^ H più lungo dei componimenti che il Maura
abbia scrìtto, l' arte del poeta è veramente somma. Il soffio della
vita è passato per li, e ne ha fatta un' opera letteraria che, dopa
tanta distanza, par nata appena ieri. Trovi nello stile una fre-
schezza che ricrea, una limpidezza ammirabile, e quel pregio che
mi piace chiamare il toscanesimo del nostro dialetto. II Maura non
isforza il siciliano, non lo gonfia, non lo vuol rendere letterato;
teme il guastarlo e se ne guarda. Perciò in lui non trovi ombra
d' imitazione dotta, sia nella forma, sia nel concetto. Tutto vi va
per la piana, ma non pel volgare; tutto vi è spontaneo, di getto,
pensato e parlato alla buona, ma efficacemente, ma arditamente ,
con quella maestria , la più difficile di tutte. Infatti , mentre il
concetto pare uno di quelli che si presentano a pruna vista , da
alcune varianti si può scorgere per quale trafila abbia passato, e
meglio si vedrebbe se potessero trovarsi gli autografi sperduti.
Che il Maura dovesse possedere un senso squisite dell' arte si ca-
pisce tosto riflettendo ch'egli visse nel seicento, e confrontando
lo sue poesie, per esempio i canti d' amore, con lutto quello che
si beli in quel tempo di lambiccato e di strano dai nostri poeti
vernacoli. Il segreto del Maura mi pare stia in questo; ch'egli
può dire francamente:
Io mi son un che quando
Amore spira noto, ed a quel modo
Che detta dentro vo significando.
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PAOLO' MAURA 399
Cosi lì SUO frizzo perde di raro V atticismo che gli è pròprio
anzi è spesso velato d'una leggiera nube di malinconia che lo
accosta diìVhtmor dei moderni. E nel Maura T uomo moderno c'è,
ed assai bene accentuato. Serpeggia per le sue poesie uno spi-
rito di rivolta contr'ogni oppressione, contr'ogni pregiudizio che,
guardando al suo tempo, h davvero sorpresa. Egli non teme di
dirci che la Giustizia, scappata via da questo mondo perchè vide
manomesse le sue leggi ed i suoi riti,
Lassau in vinnitta di so' ribbeddi
Un recipe di pruvuli e di baddi,
la rivoluzione in petto e in persona t
Il inaggior difetto che si possa rimproverare al Maura è come
direbbero i francesi, che la rime n' est pas riche. Il poeta esce di
i*aro da certe assonanze predilette; poco male , se per compenso
ne abbiamo tutti i pregi che ho accennato qui innanti.
Dalle poesìe del Maura non vanno disgiunte nell'edizione del
Trento le poesie del barone Orazione Capuana, e non ho voluto
ometterle anche qui, con parchissima scelta. I canti del Capuana
sono tutti d'amore; però la passione vi si sente di rado. È vero
che il concetto vi è talora trovato e reso felicemente, ma spesso
è troppo stillato e arieggia il secolo. Le pochissime che ristampo
sono il fìore delle sue non numerose ottave e bastano per mo-
strare in lui un ingegno non volgare. Ma da lui al Maura ci corre
Orazio Capuana nacque dal dottor Giuseppe e da Donata Ta-
luna verso il 1608. Sposò dapprima Lucenzia Soldano , donna di
pietosi costumi, poi nel 1669 Lucrezia Limoli. Ebbe vita avven-
turosa. Si trovò mescolato ai tumulti di Napoli quando Masaniello
suscitò la real repubblica napolitana, maneggiò in quell'occasione
importantissimi affari per conto del Viceré Rodrigo Ponzo de Leon,
e corse pericoli assai gravi. Filippo IV ne lo rimeritò creandolo
barone del Castello col regalo di mille ducati. Mori nel 1691.
L'ottava inedita di lui che fu tratta, anni fa, da un antico ma-
noscritto di poesie siciliane della biblioteca dell' ex-convento dei
Cappuccini in Mineo, si trova in bocca del popolo e merita di
starci.
Giudichi ora il savio lettore se quest' edizione corrisponde agli
intendimenti con cui ho cercato condurla, e se mantiene le pro-
messe.
Luigi Capuana.
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SUGLI ANEDDOTI SICILIANI DI A. LONGO
E
IL DISCORSO DEL DOTT. HARTWI6
Lettera di L. Vigo a 6. Pitrè
Amco MLassiMo
Come tessera delP amicizia indissolubile che ci collega, vi mando
per r anno nuovo il volume degli Aneddoti sidliani del cav. Aga-
tino Longo da voi con tanta brama desiderato. Questo celebre
professore, che ad ottani' anni ha il vigore mentale di un giovane,
ha scritto su quasi lutto lo scibile daH\esordire del presente se-
colo, né ancora si arresta, talché per onnigena sapienza può pa-
ragonarsi a Leibnizio soltanto. Or egli celiando circa il 1840 det-
tava questi aneddoti di varia natura, fra loro apparentemente sle-
gati, quasi apologhi di pratica moralità, trasmettendo cosi agli av-
vertimenti taluni de' mille avvenimenti briosi, istruttivi, lepidi/
quasi tutti proverbiali, di reminiscenze di antichi pregiudizi, che
si ripetono tradizionalmente fra di noi, e fon parte del reperto-
rio casalingo di molte delle nostre faoniglie cittadine e campe-
stri. Arieggiano de' fogli sparsi ; ma nessuno senza utile chiusa ,
frizzo, allusione, ricordo. L'uomo di straordinaria potenza intel-
lettuale, non dorme neppure fra i nonnulla, quando par che sba-
digli e sonnecchi.
La loro pubblicazione è di antica data; s'iniziò nel 1843 ìd
Palermo nell' Occhio^ Giornale di Scienze, Lettere ed Arti; fu con-
tinuata nella Strenna catanese del 1845, nello scordo di quel-
l'anno medesimo l'evulgò il Musumeci Papale, ed io l'annunziai
alla p. 112 de' Prolegomini a' Canti popolari siciliani sin dal 1857,
talché in siffatto modo si ebbero la massima pubblicità.
Sono essi 80 in 68 articoli corredati da quattro litografie ed
impressi con eleganza. Sono nel maggior numero dettati in ita-
liano, ma taluni nel nostro dialetto , e tutti quanti allegrati dei
vezzi della favella insulare spiegali con apposite annotazioni, delle
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ANEJ)DOTI SICILIANI 401
quali potrà giovarsi il nostro Traina nella compilazione del suo
Nuovo Vocabocario siciliano.
Or come il duLta HarU ig nel suo Discoiìso sìiìVorigùie dd dia-
letto HCìUnm^ premesì^o all,i Haccolta di mt^dlim siciUmie della
signora Lnum liuii:àu!iliych,, paò diro che * riirteiizione de' lei*
lei"ili siciliani non sì è livolla sinora allo studio delle novel-
line popolari della loro patria , e questa racoolUi , la prima nel
suo genere, è stala compilata da stranieri ? (i) " 1 tedeschi han
fama di diligenza e (jonderazìonc profonda, e ben la merita-
no; ma come il doti. 0. Hartwig avendo egli àoggiornalo a lun-
go in Sicilia, possedendo e citando coniinno i Canti popolari
da me raccolti, avendo frugato minatamente i nostri storici o i
nostri giornali, poteva ignorare T opera del Longo? Se la dì co-
stui pubblicazione era anteriore di ventisette anni a quella della
Gonsenbacli, e generalmente conosciuta; perchè dìcliiarara quella
posteriore anlecedente, e asseverare che i letterati siciliani non
s'erano rivoUi finora a cosifatle investigazioni t
Gli Aneddoti del Longo sgannano il popolo di nuovi e invete-
rali pregiudìzi, giovano in parie alla inve^ltgazìone della nostra
genesi, e perciò oltre a' loro pregi intrinseci, anche per i|uesto
sono degni dì nota. Mentre le novelline della GouBenbach, che io j
non ho lette, air opposto, stando al giudizio dell' Hartwig • non '
hanno alcun carattere specialmenle nazionale, ma Irovansi inge-
nenie nello slesso stato di sviluppo di tutte le altre dell' Europa
meridionale (2) i. In ogni modo non era il caso di sfreggiarci cosi
al vivo asserendo che dovettero yenìre gli stranieri ad esplorare
Je nostre miniere.
Di fa Iti li 80 Aneddoti del Longo sono nella loro quasi totalità
utile documento universo o insulare. Molti espongono in quadri
r origine leggendaria de" nostri proverbi (3); alui narrano scal-
irimcnti sottili per isvegliare la mente del popolo, o per dar prova
deir ingegno siciliano (4); pochi le giullerie del nostro Bertoldino
Giufà, vezzeggiativo di Giosafatie e di altri uomini semplici (5);
parocclii ammaestrano con opportuni avvertimenti come scher-
mi) Bitisia Sicula^ Luglio &l ^osio ÌB70. p. g«
{%} Ivi. p. ai,
^3j Sono L-sai prrMdpal(]ieiiU3 qiiclti ili N. ù, 13, tS, IO. 'M, 4i. f>i
(\} (7, 3S. io, 47, i<», 53, 33, 56, S7, SU, 60, iH, ni.
(5) t, 2, H, il, SS, ad, WS, 4S, 31, 5i,
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402 NUOVE EFFCMEIODl SICILIANE
mirsi da' pericoli e da' tranelli de' rabula curiali e della umana
perfidia (1); come il savio dee comportarsi con gl'inverecondi e
importuni (2); nò la satira vi è omessa (3); i costumi, gli errori
popolari hanno ivi il loro cantuccio, vi troviamo quindi i morti
che notte tempo girano per le case il 2 novembre e regalano i
bimbi di ninnoli, gingilli e confetti; il riconto del lupo mannaro^
di Harrabecca, della Mammadraga, del Babau , del Babalutu (4) ;
le burle vi sono frammiste (5); cosi gli effetti della immagina-
zione esaltata, e gli acconci espedienti a risanarla (6) ; ad esser
brevi sono notevoli gli aneddoti storici sul Diotaro di Catania, la
enizione del 1669, il terremoto del 1693, i Taraglioni di Aci-Trezza
e consimili (7),
Né si creda il Longo senza predecessori : egli primo adoperò
la prosa, molti la poesia, colori diversi di unica tavolozza nel ge-
nere narrativo; e, tra costoro primeggiano il massimo Meli, Tem-
pio, Marraffino, Grassi Cambino, Cueli, Cangi, dal quale il Longo
ritrasse l' aneddoto 22 (8). "Essi ora con l' apologo, ora con la fa-
vola, ora con l'ingenuo racconto dipinsero e ricordarono le cre-
denze, le reminiscenze, le leggende e storielle del nostro popolo,
talchò lo scopo di fotografare gli usi de' pastori, de' marinai , le
veglie invernali delle nonne, e cosi apprestare al filosofo le fila
della grande tela, che collega questa e quella progenìe, e ne de-
termina le discendenze, gli incrociamenti, i passaggi ec. era ini-
ziata da tempoi Per ragione di brevità non richiamo alla memoria
dell' Hartwing le opere de' secoli precedenti; che sono state re-
gistrate dal Mongitore, dal Narbone, dallo Scinà e da me mede-
simo.
Or come ciascun vede, quel dotte alemanno non ha certo il me-
rito dell' imparzialità, e chi legge il di lui Discorso può dubitare
a buon dritto di esser veramente colpabili di errori Mons. Gio-
vanni Di Giovanni, Francesco Perez , Vincenzo Di Giovanni , Isi-
doro la Lumia, Innocenzio Pulci e. altri illustri siciliani, annove-
(1) 3, 23, 39, 45, 47, 65, 68.
(2) 26, 34, 43, 55.
(3) 5, 16, 41.
(4) 19, 24, 28.
(5; il, 12, 33. 43.
(6) 10, 14.
P) 27, 28, 29, 30, 31, 32, 40. 50, 54.
(8) Gangi edis. di Catania, 1839, p. 99.
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ANEDDOTI SICILIANI Ì03
rando aache T oscuro mìo nome fra cotanto senno, talché sembra
che egli poco abbia voluto ponderare le nostre considerazioni. Pa-
rimenti ci fa dubitare potersi restringere e sminuire di luce le
deduzioni dell'Amari sulP influenza lombarda in Sicilia, che egli
ritiene come vangelo storico, e forse non lo sono.
Se ci venisse poi da altra parte il picco e ripicco continuo di
gretto patriottismo locale^ di gretto amor di campanile e simili scal-
fiture (1), ci moverebbe soltanto a compassione; ma non cosi quando
r udiamo ripetere in Lipsia, da un prussiano sapiente, il quale
conosce a prova le storie siciliane nuove ed antiche. Sicuri nel
nostro convincimento della schiettezza de^ nostri giudizi, ragio-
niamo delle glorie di Sicilia, come di Grecia od Egitto si fossero,
fnentre forse altri ce ne invìdia V incontrastabile eredità, e valica
mari e terre ad assidersi su^ nostri focolari per istudiarne le reli-
quie. Or questo nostro peccato di gretto patriottismo di campanile^
ove lo scopre il dott Hartwig ? È desso politico o letterario? Tastia-
mo la piaga. Sta bene appellare V Amari provato compatriota nel
senso di cittadino italiano, anzi è poco; noi gli offriamo e aggiun-
giamo corone di quercia a quelle di lauro meritate dalla di lui
valenzia, e plaudiamo il Governo nazionale di avere in lui pre-
miato il merito e gli studi. L'Amari è gloria nostra, ma secolui
altri mille non amano meno la patria di quel gentile cui ferve il
cuore da' giovani anni del Precida (2). E T Hartwig e il mondo
contemporaneo ne hanno prova incontrovertibile. Per opera assi-
dua, coraggiosa, concorde de' suoi dotti, Sicilia insorse la prima
nel 1848, e proclamò decaduti i Borboni; e quindi nel 1860 ab-
dicò unanime la oltosecolare autonomia del suo campanile. Nò a
ciò arresiossi, avvegnaché contribuì efflcs^cemente col danaro e col
sangue ad emancipare intero il reame di Napoli, riunendolo al-
l'Italia (3). Chi ci vietava di roborare la indipendenza insulare?
L' idea nazionale fé tacere T utilità materiale : non un solo fra i
dotti ignorava l' avvenire, anzi ben prevedeva lo stato presente,
(ì) Ivi p. 16, aa
{%) Lirica di L. Vigo, 4' editione, Torino 1862, p 83.
;f3) Liberar Sicilia é vero
Circa a mille italiani,
Ma yi unendo un altro zero
Di gaerrier siciliani,
E dippiù due milioni
i)i «ompaite opinioni.
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404 NUOVE EFPEMBRIDI SICILIANE
mentre lo vestiva d'oro air occhio delle masse; ed è questo il
peccato, che V isola non ci vuol perdonare. Air integrità nazionale
sacrificammo spontanei rutile proprio tramutando in provincia la
più valida, antica, isolata monarchia italiana. Il plebiscito siciliano
perciò fu atto sublime di abnegazione, disinteresse, eroismo!
E questo in quanto a politica; che dire per le lettere e le scien-
ze? Mentre da oltremare peggio da oltr'alpe rado ci giungono
fiori, e in loro vece e per lo più spine pungenti, noi poco o nulla
gelosi del proprio decoro, siamo facili ammiratori degli strani, che
d^alto in basso ci guardano, nò ci risparmiano il sermoncino o
r epigramma. E solenne riprova della inesistenza del patriottismo
locale^ e air opposto della crescente esistenza deir abitudine d' ido-
latrare quanto ci viene di fuori, facendo eco per fino alle ingiurie,
ce la presta il Discorso dellUartwig, tradotto, stampato e difinso dal
più voluminoso giornale siciliano, la Rivista Sicula^ senza neppure
una timida parola di protesta della sua Direzione. Cosa avrebbero
fatto in caso consimile i dotti alemanni, immacolati, irreprensibili
di grettezza e municipalismo ? Per lo meno avrebbero detto inur-
bano quello scritto gettandolo nel dimenticatoio. Air Italia, e par-
ticolarmente alla Sicilia, nulla aveva negato o ritolto Iddio per
conservare la grandezza a cui pervenne all'epoca greca, e le spo-
liazioni romane e de' settentrionali dapprima , e poi la tirannide
principesca e teocratica collegata in turpe connubio , e' immese-
rirono e adimarono , talché in vari rami dello scibile ({uesta o
quella nazione ci sorpassò. E chi lo sconfessa ? Il tempo, il buon
governo, se mai l'Italia potrà conseguirio, ci porranno a paro alle
genti consorelle ; ma intanto perchè tentare di lacerarci i bran-
delli della..... porpora, e farci rei di amarla un berlinese, mentre
la Prussia è tanto avida degli altrui campanili?
Se chiamasi amor di campanile il dolersi Sicilia di aver resti-
tuito Tuno per cento di quanto contribuì e contribuisce al con-
sorzio nazionale , causa vera degl' inconsulti moti del settembre
1866; di essere -diminuiti i suoi commerci, il valor de' suoi ge-
neri, irretiti gli scambi di ogni maniera da intollerabili vincoli
finanziarii; essere tanto sopraccarica la proprietà di crescenti e
moltiplici dazi, da essere atterzato il valore; e per fino di vedere
il Fisco divenuto condomino de' beni de^ cittadini mercè la ini-
qua tassa delle successioni; di crescere e giungere a tale lo sgo-
verno da divenire proverbiale; in questo caso funestissimo ricordi
r Hartwig che anche le pietre hanno elaterio, agli infelici è con-
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ANEDDOTI SICILIANI ' 405
cesso il lamento, che univoco si ripete dalle Alpi a Mongibello.
E qui non c^ entrano nò politica, né lettere.
Lasciando questo doloroso argomento, che non è qui luogo di
svolgere e disaminare, che dire degli envri di coi V Hartwig ci
addebita ? Chi giudica fra lui e tanti illustri storici , letterati e
diplomatici siciliani ? Non egli di certo ; la modestia glielo do-
vrebbe vietare. Il non convenire secolui in quanto alla storia pa-
tria, non è errore, ma semplice discordanza di opinione. Pel passo
di Diodoro che assevera da me male applicato, lo mediti più ac-
curatamente, e si avvedrà non essere per me caso nò di con/iter
nò di assoluzione: del vocabolo girio è più convenevole non par-
lame. In quanto a' lombardi essendo il suo detto un ricalco in
parte del Degubematis, e in parte delP Amari, gli sia noto che
al primo son già tre anni io satisfeci (1); al secondo, che merita
rispetto e onori distinti, sodisfarò con apposita disamina diretta
alla Società di Storia patria di Palermo, come ho di già pubbli-
camente promesso (2).
È ciò basti per gli Aneddoti del.Longo e il Discorso deir Har-
twig.
L Vigo.
(1) V. La Rivista La SicUifi, aprile 1868.
i'ì) Canti popolari sicHiani» raccolta amplissima, p.i24 (opera in corso di Mnmpai)^
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LEHERE
DI GIUSEPPE BORGHI, DI GINO CAPPONI
E DI GIUSEPPE PUCCI
Firenie. 16 del 1834.
Mio Pregiatissimo e Carissimo Amico
Avrei voluto rispondere colla più grande sollecitudine alla let-
tera vo&tra dei 16 del perduto settembre; ma, essendo fuori di Fi-
renze il Marchese Giuseppe Pucci, non ho ricevuto che ieri il fo-
glio di lui, sebbene mostri la data de^ 7 corrente: per lo che mi
sarebbe stato unpossibile il rendere a voi medesimo, prima d'oggi,
una replica soddisfacente. Dico pertanto che, chiunque sia stato
il beiringegno , che ha sparsa per Napoli la mala voce che mi
tocca, è egli un calunniatore birbante.
I fogli che qui vi trasmetto nel loro originale , ve le compro-
vano largamente. Capponi attesta non aver perduto alcun libro :
Pucci dichiara non aver io posto mai piede nella sua Biblioteca,
né aver mai avuto libri da lui. Mi pare che simili certificali siano
perentorii. Bisogna però ch'io vi dica di dove può esser nata si
l'atta moi-morazione calunniosa. Nel 1831 il Bibliotecario Rigeli
s'accorse che nella Riccardiana mancavano di circa 12 volumi tra
manoscritti e stampali: l'uno dei quali era l'Edizione principe delle
opere di Lattanzio; gli altri erano cose di minor conto. Quell'ec-
cellenle uomo ne fece subito referto, come doveva; ma, durante
il processo e le ricerche della polizia, se ne mori. Nella mia qua-
lità di Sollo-bibliolecario di quella I. e R. Libreria, assistei co' Sin-
daci alla rifezione dell'inventario, dal quale risultò semplicemente
la predetta mancanza. Né intorno a quella poteva essere incolpato
io medesimo o come negligente o come disonesto : perocché fino
alia morte del Rigeli, non era io il consegnatario dei codici, e non
ne aveva le chiavi. Il processo poi ha provato che la mancanza
(in parte almeno) risaliva a circa dodici anni prima che fosse av-
vertita dal Bibliotecario. Nuova ragione per escluder da me be-
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LBTTBRB 407
nanco il sospetto, giacché in quel tempo, io non era in Libreria,
m a ne'ppure in Firenze. Insomma, è' vero che nella Biblioteca Rie-
cardiana , dove io stava impiegato , mancarono dei libri : ma gli
è pur infallibile esser risultato da un solenne giudizio che a lut-
t'allri che a me se ne deve T imputazione. Che se di ciò si vo-
lesse un altro argomento ancor più solenne, vaglia per tutti TI. e
R. Rescritto de' 7 corrente , col quale Sua Altezza Imperiale e
Reale , accogliendo la mia domanda , mi accorda la gii]d)ilazione
dairimpiego, e me ne conserva Tintela provvisione, pagabile dalla
I. e R. Depositeria. Penso che in nessuna parte del mondo si trat-
terebbero i ladri cosi. Mi sono disteso in quest^argomento, perchè
mi preme singolarmente di purgarmi presso di Voi, e presso Tot-
timo signor Conte da una calunnia, non saprei dire se più insen-
sata 0 più maligna, ma che pur mi poteva nuocere nella estima-
zione d'ambedue, presso i quali lo avere un buon nome è più bi-
sogno per me che ambizione. Non mi distenderò sull'altra tara
che m'affibbia l'Eminentissimo sulla mia condotta sociale per ri-
spetto al mio stato ecclesiastico, perchè so che la mia condotta
è pura e irrepresensibile a fronte di quella di chicchessia. Ma se
si vuol far parte di condotta il cappello a tre punte in testa, e il
ferrajolino che vi spazzi le natiche, allora io converrò che posso
èssere accagionato di non sapermi condurre. Nella città dove è
tutto per la forma, va bene che si pensi cosi; ma quella città non
sarà mai la mia, ve lo ripeto. Che se il buon Ricci vi scrisse che
io sperava di andar quanto prima a quella volta, voi faceste be-
nissimo il cemento alle parole di lui, interpretando che io mi con-
fidava di recarmivi di passaggio per Napoli. E il signor Conte sa
che questa mia speranza non era priva di fondamento. Adesso per-
tanto che sono sgombrate, cred'io, perfettamente le nuvole, adesso
vorrei che cotesto mio e vostro egregio padrone mi trovasse co-
stà un punto ubi consistam. E di ciò a voi ed a lui mi raccomando
propriamente colle mani in croce. Non gli scrivo direttamente per
timore di riescirglinnolesto, ma se voi credete ch'io lo debba fare,
lo farò subito al vostro avviso. Frattanto riveritemelo mille e mille
volte colla bocca e col cuore, e ditegli ch'io dormirò più tran-
quillo , allorché saprò che siano dileguate dall'animo suo quelle
ombre che i birboni avevano tentato d'ingerirvi a carico mio. No:
sono povero, son disgraziato; ma non sono capace di nere azioni.
Da Livorno non mi è pervenuto né TEsemplare della Raccolta ne-
cr ologica per la Contessa , che l'ottimo signor Conte m'annunziò
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408 NUOVE EFFBMBRIDI SICILIANE
d'avermi spedito, né il libretto che mi dite d' avermi diretto voi
stesso. Dubito che la via di mare sia mezzo poco sicuro : è asso-
lutamente da preferirsi rinvio per la posta, sotto fascia. Quanto
alle vostre commissioni, le ho fatte; meno quella che si riferisce
alla tragedia, che m' è stato impossibile di ripescare sinora : ma
non ne dispero. Addio mio caro amico. Le aspetto con anzietà le
vostre lettere, potete immaginarlo. Sono intanto pieno di attacca-
mento e di riconoscenza.
Vostro affmo Amico verfl
Giuseppe Borghi
Al Chiarissimo
Sig, abbate Urbano Lampredi
Firenze, 30 gennaio 1834.
Mio Carissimo ed otUmo Amico
Due parole cosi alla^ sfuggita, perocché la posta non mi dà tempo
a diffondermi. Il suggerimento che mi date di stampare la mia
lettera, non parmi ch'io lo debba eseguire per ora^ giacché la cosa
farebbe troppo strepito, ed acquisterebbe quel peso che non ha
né può aver la calunnia. E cosi, pendendo il giudizio del pubblico,
difBcihnente potrei acquistar grazia presso alcuno che mi raccolga:
lo che è ciò che più mi stringe, come servo all'ottimo nostro si-
gnor Conte. Fate dunque che io possa innanzi raccomandarmi in
qualche guisa, ed allora daremo faoco alla bomba , sempre però
con prudenza e discrezione, perché, sia virtù o viltà d'animo, io
non m'offendo troppo delle ingiurie della canaglia. Mi basta la
stima delle persone dabbene. Piatti non ha ricevuto nulla fin qui.
Gigi del Bono mi promette di (are delle ricerche per ripescare
la vostra Tragedia. Se queste saranno infruttuose , porrò allora
l'articolo in Gazzetta. Farò annunziare quanto prima la Tra-
duzione dell'Aralo, ed io stesso, di concerto col Piatti, mi
darò pensiero di trovarle sfogo. Scrissi all'ammiraglio Cicciagoff,
e gli acclusi la vostra stampa. Risposta non me ne ha data. Se
volete tornerò a scrivergli. Tenterò le varianti che mi suggerite
al primo e secondo de' miei Inni. Addio mio caro Lampredi. Rac-
comandatemi molto all' egregio signor Conte. Egli solo può con-
servarmi alla società e alle lettere. Senza Lui, terminerò col sep-
peUirmi. Sono pieno di riconoscenza, di stima e d'affetto.
Vostro aff.mo per la vita
Giuseppe Borghi
Al medesimo.
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LETTERE 409
Firenze, 1^ dicembre 1833.
Mio Caro Amico
La vostra Lettera mi ha veramente sorpreso; ed è per me un
problema insolubile. Io non ho coscienza né di fatto né di detto
che possa disonorarmi di rimpetto a chi che sia : e non so inten-
dere come un alto Personaggio abbia voluto calunniarmi. Sapessi
ahneno la natura di questa calunnia; che io mi studierei, con pru-
denza si , ma con energia , di polverizzarla venisse pur ella dal-
l' Imperatore o dal Papa. Ma voi, per soverchia gentilezza, mi par-
late con tanto riserbo, che m' è impossibile di fissare le mie idee:
però vi prego istantemente di abbandonare qualunque riguardo,
e di narrarmi le cose con apostolica franchezza. All'amore che a-
vete per me , non negherete , spero , questa condiscendenza ec.
Giuseppe Borghi
Al medesimo.
Sig. Canonico Pregiatissimo
Avendo adi lo lia V. S, che u Napoli sono state sparse voci in-
giuriose sul &U0 conto, e delle quali io posso assolverla con certa
tesLimoriianza, mi faccio un dovere di dichiarare^ porcile Ella ne
faccia il conto cita a lei piacerà, che nessun lil^ro è mancato dalla
mia libRTia, del quale io possa accagionare clìicche&sia , e inolio
meno imputare a V, S, !a minima indelicatezza a questo riguardo
E mi pregio dichiamrmi con vera stima.
Suu Iki^utUr Servai.
Gino Cappom
AL chi^rtssirnu
%. Can. Giuseppe Borghi
Sig, Canonico Pr^iaiissiìm
Bichiamandomi con la dì lei compita lettera del 27 cadiìto tU-
cembre a darle una dichiarazione dì verità, io devo annuire a bìì
sua dimanda, e intendo farlo coirà t testare a chicchessia non avere
mai avuto occasione di riceverla nella mia piccola Libreria, né di
aver fatto pervenire in sue mani direttamente alcuno dei miei li-
bri tanto manoscritti che stampali.
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410 NUOVE EFFEMERIDI SlCIUANE .
Credo il mio detto qui sopra essere di una si completa ed as-
soluta natura da escludere ogni dubbio, onde spero avere piena-
mente sodisfatto al suo desiderio. Perdoni l'indugio accagionato
della mia assenza da qui ove trovavasi diretta la lettera, che mi
ha atteso di ritomo : intanto con rispetto ed^ossequio ho il pia-
cere di dichiararmi.
Di Lei Sig. Can. Prog.-»
Moiitopolì, 7 del 1834.
/)«?.'• t Obbl.*'' Ser riture
Giuseppe Pucci
A\ medesimo
rJUTiC\ LETTEKAìlLl
Oeceo d'Aseoli, Racconto storico del secolo XIV di Pietro Fan-
FANI, seconda edizione con aggiunte e mutazioni. Firenze, 1870.
Chi si da a leggere questo nuovo libro del Fanfani, senza pri-
ma dare un' occhiata alle parole deiP autore premesse al suo rac-
conto, si aspetterà tutt' altro di quello che si trpva; e colle idee
in testa del romanzo, quale oggi comunemente si fa e s'inten-
de, si dirà poco contento di questo lavoro dell' illustre scrittore.
Ma, leggendo innanzi che questo Cecco d'Ascoli « non è un ro-
manzo nel proprio significato che ora suol darsi à tal voce >; e
stando a queste parole dell'autore : « Io ho voluto solamente fare
un racconto, che desse qualche diletto non senza istruzione. Nar-
rando il compassionevole caso di Cecco d' Ascoli , ho avuto per
proposito di render familiare tra il popolo quel bel periodo di
storia fiorentina, di metter in veduta, come suol dirsi, la vita in-
tima dei Fiorentini, le usanze e i costumi di quel tempo, ed an-
che di descrivere in parte com'era allora Firenze. Il racconto è
molto variato di avventure, di guerre, di piacevolezze e di amori;
ma ho fuggito a disegno ciò eh' è pascolo più ghiotto ai volgari
lettori di romanzi, dico le esagerazioni di ogni maniera, passioni
violente, lascivie ed oscenità, orribili colpe e delitti , tutto quel-
r apparecchio insomma dell' arsenale de' romanzieri , per mezzo
del quale si turba e si sconvolge l' animo e la mente de' lettori;
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CRITICA LETTERARIA MI
tenendomi invece alia temperanza di ogni cosa, e ingegnandomi
di toccare il cuore per altra via, acciocché il mio libro possa la-
sciarsi leggere, anche alle fanciulle {hù gelosamente guardate ,
senza un pericolo al mondo, ed il lettore se ne senta placida-
mente commosso, e provocato al bene, anzi che al male , (p. X,
XI) »; troverà invece il lettore che il Fanfani rispose per bene
al disegno, che gli parve da potersi colorire con qualche buono ef-
fetto (p. Vili).
Il miserando caso di maestro Cecco serve all'autore di nodo per
stringere intorno ad esso narrazioni di fatti, descrizioni di foste,
usanze, vita pubblica e privata dei tempi in che vìsse , e della
città singolarmente che fu spettatrice della pena deH\\j*colano;e però
dalfenlnita solenne del buca di Calabria in Firenze al processo
e supplizio di maestro Cecco, ci Imi tanta varietà di dramma, di
costumi, di passioni, di a\'venUire di guerre, di ire di fazioni, di
delicati alTetli, di fervidi amori, di glorie cavalloret^ché, di basse
invidio, di finto zelo religioso, di codarde amicizie , di debolezza
e di grandezza di animi, di amor paterno e di amor liliale, dì
scienza e di baggianate aslrologichej di facile favore di popolo e
di opposta persecuzione, dì pietà e di sdegno; che tanti accessori
li rendono ben dipinta la le la, e piena di vita, e curiosa, si che
ti pare aver parte in *joe' fatti die li passano innanzi^ o Lieti e
infelici, sia nella piazza de' Priori e in ijuelUi di S. Giovanni ,
nel palagio del Podestà o nel convento di S. Croce, sia nelle case
e nel giardino de' Cavalcanti , nella prioria di Setiiinello ^ o nel
monastero di Mugello. Quanta varietà di caratlero tra il Duca di
Calabria e il veccliio Gerì Cavalcanti, tra la Duchessa e la Bice,
tra Guglielmo d'Artese e GastrucciOj tra maestro Cecco d'Ascoli
e messe r Dino del Garbo, tra la Badessa di Mugello e la Simona
della cui-a di Settimello, tra frate Marcu e il vescovo di iV versa ,
tra il prete da Settimello e rinr|uisitore di Santa Cruco t quanta
diversa cosa la cena e il brio della jjtirroccbia di Seltiniello, o
la baldoria e i motti pungenti della bettola presso PistojaI
Guglielmo e la Bice sono due carissime ligure , ideale del va-
lore, della cortesia e dell' amore: il Gerì Cavalcanti é li iiroprio
un Morenti no de' suoi tempi- il Duca dì Calabria e Caslruccio sono
quali ce li lasciò la salaria; e i|uali li ricordano le scritture di quei
secolo maestro Cecco, niesser Dino e H ves^covo di A versa. La Ba-
dessa e frate Marco sono tratti dalPindole di que' teuqii die spessa
ila vano quello che queste due ligure cosi ben ci rappresentano ;
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412 NUOVB EFFKMBBIDI SICILIANE
e se 4 prete di Settimello e la Simona da lontano ti fanno ri-
cordare del don Abbondio e della Perpetua, sono intanto figure
del secolo XIV e toscane, non della Lombardia del secolo del car-
dinale Borrcnneo e deir Innominato. Quanto poi a costumi , ad
usanze di feste cittadine, o a mosse di guerra, o a splendore di
conviti, la Firenze del secolo XIV è lì, messa tra il grande e l'u-
mile, tra rantica fierezza repubblicana e la nuova debolezza, che
non sapeva più co' fatti guardare gli antichi ordini del Comune,
già vicini a cedere alle forze del Duca di Atene; il che è ben
messo nella figura del Gon&loniere della città innanzi al Duca
di Calabria, da cui si sente spiattellare che la somma del potere
sia tutta in sue mani, e a sua voglia si facciano i priori e gli uf-
fici. Maestro Cecco è condotto al supplizio per invidia e vendetta;
invidi a di scienza, vendetta di delusi amori ; e Tuna e V altra si
colorano dello zelo di religione e di patria, accusando TAscolano
di dispregiatore di Dante e nemico di Firenze , e di paterino e
negromante in fatto di fede. Se non cìie, a potersi sfogare V in-
vidia di messer Dino die agio la potenza e V arte della Duchessa
offesa ne' suoi intendimenti e nel suo orgoglio si dal Gugliehno
d' Artese e si da maestro Cecco ; e la vendetta della Duchessa
potè finire al supplizio di Maestro Cecco perchè vi mise mano il
vescovo di Aversa; dando via a tutto l'avvenimento l'amore di
Guglielmo con la Bice , e il matrimonio avvenuto e P opera di
maestro Cecco che per frale Marco e il priore di Settimello fa
riuscire il matrimonio e cader del cuore di messer Geri Caval-
canti messer Dino, entrando egli l'Ascolano a parte delle pure gioje
della casa Cavalcanti e del nobile cavaliere degli Artese. Nessuna
esagerazione d' intreccio , tutto vi è naturale e posato ; e diresti
questo racconto rappresentarti l' arte che dalla serenità del Beato
Angelico ti passa pel Perugino a Raffaello e ad Andrea del Sarto.
Rispetto a lingua usata nel Racconto, l'autore stesso ha detto
nella prefazione : « Della lingua che dirò? Dirò che ci ho speso
attorno ogni più amorosa cura; studiandomi di essere italiano, senza
abuso di toscanità (p. XV) » e nessuno de' lettori dirà che il fatto
va altrimenti (4). 1 piccioUssimi nei che una critica schizzinosa
(<) Sappiamo che il sig. Brockhaus di Lipsia, il primo tra gli editori di Ger-
mania, ha fatto domanda al Fatifani di volergli permettere la ristampa del Ceuo
d* Ascoli nella sua celebre collezione ài aulori Ilatiani, e che l'autore ha già accoi-
ViU le condizioni proposte.
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CRITICA LETTERARIA 413
e pedante polrebbe trovare anche ne^ più perfetti modelli di clas-
sico scrivere, non potranno mai toglier merito a un lavoro che
varrà tra le più belle scritture di eletta lingua de' tempi nostri.
È vero si che il Cecco d' Ascoli avrebbe potuto esser maneggiato
con più largo disegno, e con più estesa tela di storia e politica
e letteraria del tempo : ma cosi pigliato V argomento, non sarebbe
stato più il Cecco d'Ascoli del Fanfani, bensì una dotta monografia
filosofica; non un racconto da dilettare e commuovere provocando
al bene; ma una storia da istruire degli errori, de' vaneggiamenti
della ragione, e delle miserie de' tempi.
Il Fanfani non scrisse pei cultori di storia di filosofia, siccome né
meno pe' perduti nella lettura de^ romanzi quali oggi comune-
mente si tengtmo; e ciò avvisò nella epigrafe del suo libro. Il
Cecco d'Ascoli è proprio quello che fu nel disegno dell' autore; e
a chi non piace dirà il vecchio artista fiorentino:
Tò il legno; e fallo tu.
V. Di 6u)Vanm.
Vita di Bartoloinea d*AL\riatio per Loai^xzo Leò^u. Todi, pr€tttf
Natoli, in 8.
Un fallo de^no di (^serrazìone nel campo delle discipline sto-
fiche è l'indirizzo della spectalilit ch'esse prendono. In tempi
non molto da noi lontani chi guardava mi seria la storia dì un
municipio, di una cilLadtuza qualunque f Non c'era una sturia di
Italia ? e, a farla generosa, non c'ei*a una storia di Toscana, una
storia di Napoli, una storia di Sicilia ? Ebbene : in esse ce n'era
d'avanzo per la storia della nazione che comprende e Toscani, e*
Napolitani, e Siciliani.
Chi la discorre cosi non si appone al vero. Dacché si è capito
con Cesare Balbo che * al sorgere de' Comuni sorge una storia
particolare di ognuno, si sminuzza» mulUpUcandosi, quella univer-
sale d'Italia (1) s la bisogna presentasi altrimenti. Da ciò que-
sl' attività insolila di studiosi che sudano a li-arre 'luce d'onde
prima era buio fitto , da documeuii cioò irascurati o non cono-
sciuti per io addietro : dà ciò molte città vantano oggiwai il
loro annalista, alcune il loro storico, parecchi da^ quali valenti.
(U Sotfimdm diUi -t&iii dtUUK Itb. VI; ( IS.
27
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414 NUOVE EFreMBRim sigiuanb
Ond^ è a sperare , e non senza buon fondamento , che preparala
acconciamente la materia, possa in un non lontano avvenire sor-
gere un ingegno fortunato che le dia ordine filosoQco e concetto
unico in una storia generale degna della nazione di cui toglierà
a narrare le glorie e le sventure.
Per rUmbria (giacché d'altre terre delta penisola qui non ac-
cade intrattenersi) ebbesi, tanno già tre anni, un'assennata storia
di Asisi, bene meditata e meglio scrìtta dal prof. Antonio Crìsto-
fari, la quale godiamo di aver lodata in una rivista siciliana (1). An-
che prima di essa però se n'era veduta un'altra della vita e delle
geste di un capitano umbro, il quale per quarantanni prese parte
a' I svolgimenti non pur del Tedino, dove probabilmente sorti i suoi
natali, ma altresì di tutta l'Umbria, Venezia, Romagna e Napoli.
È autore della nuova Vita di Bartolatiieo diAlviano il deputato
Lorenzo Le6nìj, il cui valore nell'arte storica,meglio che dalle lodi
ond'è veramente degno, apparirà dell'esposizione, quale che essa
sia, del suo libro; senza di che potrebbero pigliar colore di pia-
centerìa le lodi stesse. Questo solo dobbiamo fin da ora avvertire,
che nessuna opera fu più ingiustamente dimenticata, quanto que-
sta suH'Alviano. L' habent qtioque sua fata libelli è una sentenza
dolorosamente vera, ed ognuno potrà convincersi che i buoni li-
bri scarseggiano al pari degli atti generosi; che quegli è da più
tenuto che più eccita la turba de' lettori con feroci scene e con
frasi reboanti, non chi colla profondità degli studi, colla fede nel
trionfo della giustizia e del diritto de' popoli offre esempi nobi-
lissimi da imitare.
Bartolomeo di Alviano fu guerriero di ventura, e più ardimen-
toso che non comportasse la corruzione della milizia italiana in
sul cadere del secolo XV; e fu più volte infelice nelle sue im-
prese, ma le male prove e i disastri non lo- sconfortarono mai. Il
vescovo Giovio, che tenevasi più di una bugia che di dieci ve-
rità, il fa nascere di bassa gente;, ma Bartolomeo discendeva dalla
nobile e possente famiglia de' Liviani , da taluni fatta originare
da antico casato romano. Suoi genitori furono Francesco di Ugo-
lino Liviani ed Isabella Atti , dal cui alvo Bartolomeo, ultUno di
cinque figli, fu tratto per operazione chirurgica, di che ella su-
bitamente morissi. Ebbe educazione dicevole alla nobiltà sua , e
forniti i primi studi sotto il tudertino Antonio Pacini, di non poca
(1) Ori del Popolo, gioniale di Palermo, a. 1, disp. 7-8.
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.CRITICA LETTERARIA 415 ,
fama a que^ giorni, e quelli di gentilezza e di cavalleria in casa
di Napoleone Orsino, che amollo come figliuolo, ed ebbelo a com-
pagno in assai imprese arrischiale; fu quasi per diventare uomo
di chiesa più presto che uomo d^armi. Imperciocché, cessato di
vivere Giovan Rainaldo Liviani abate di s. Valentino , ricca ba-
dia giuspadronato della famiglia, ei per ordine del padre avesse
dovuto lasciare la cotta del guerriero per quella del pretp:
e prete sarebbe riuscito, pessimo prete forse, se la morte di Fran-
cesco non fosse venuta anzi tempo a fargli tramutare la badia di
s. Valentino con la rocca di Alviano, il silenzio delle pareli do-
mestiche co^ rumori della gente riottosa e manesca colla quale
prese ad usare.
Viaggiò per molte città non solo di Napoli e d'Italia tutta, ma
altresì di Francia e di Germania : e, ritornando in casa gli Orsini,
senti viva bramosia di esercitare nelle armi il proprio valore, non
talentandogli punto dì menar vita di borie e di prepotenze da ca-
stellano. Leggere in fondo al cuore nessuno può, ma dal poco che
si vede, e dal molto che si ode a dire, TAlviano ebbe sentimento
grandissimo di sé, e coscienza superiore non già, ma pari alla di-
gnità sua : virtù di cui furono degni gli uomini d'ogni tempo nati
a grandi cose. Militò a 25 anni (1478) primamente sotto Sisto IV
e il re di Napoli nella guerra contro Lorenzo de' Medici, che pur
era tutto negli Orsini ; e, poi che dalla Toscana passò nelle Pu-
glie a' soldi di Alfonso di Calabria a combattere i barbareschi ,
andossi a mettere a difesa del papa, che negli Orsini avea trovato
validissimo sostegno contro il duca di Ferrara in prima, e poscia con-
tro i Veneziani già suoi alleati. E fece prova d'alto valore, talché
n'ebbe in moglie, come per premio^ Bartolomea sorella cugina di
Virginio Orsini. Le quali prove non furono nulla a petto di quelle
arditissime, e fors'anco temerarie, da lui date a Todi quando, preda
questa città alle fazioni di parte Atti e Chiaravallesi che le die-
dero presso che non si dica il crollo, egli, partitosi di Roma, pe-
neti-ava in patria, e infrenava le passioni bollenti , e colla fuga
riduceva al silenzio Vittorio ed ^Itobello da Canale. In compenso
di questo e' riceveva e teneva, investitone da Innocenzo Vili, la
carica di Governatore di Todi, ma se ne spogliava indi a un anno,
stanco di tante scene di sangue o forse desioso di quella pace
che fino al suo trentasettesimo anno non aveva gustata giammai.
Breve, fugacissima fu quella pace per l' Alviano. Le discordie
sempre vecchie e nuove degl' Italiani, le fazioni che agitarono e
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416 NUOVE EFFEMERIDI SiaUA!<IE
ammiserirono la penisola e, più che altro, le voglie sfrenate dei
principi, le arti poco evangeliche di Giuliana della Rovere, i bassi
espedienti di Loidovico il Moro, che pur di riuscire nel suo in-
tento di scalzare quel duca Gian Galeazzo Visconti, di cui teneva
temporaneamente il potere, non si sa che non avrebbe fatto: tutto
questo chiamava in Italia i Francesi con alla testa Carlo Vili.
Fonte inesauribile di guai codesta venuta , ad arrestare la quale
a nulla valsero le armi tutte degli Aragonesi, rafforzate in prima ,
non sostenute poi, non avvalorate sempre dalle armi orsinesche ,
dalle papali e da quelle di Firenze. Imperciocché queste ultime
dovettero cedere alla prepotenza straniera; il papa per sicurtà dei
suoi domini fu presto a comporsi con quei Francesi di cui aveva
affrettato la discesa, e che poi erasi apprestato a combattere con
Alfonso, quindi con Ferdinando ; e gii Orsini si abbandonarono
dell'animo allorché il loro Virginio e Pitigliano caddero in una
delle tante rappresaglie in mano dei Francesi. L^Alviano per
quanto fu in lui sostenne Tenore della sua parte con una ener-
gia, che avrebbe potuto salvar gli Aragonesi ove i suoi consigli
si fossero seguiti ; ma quando a ogni cosa vide toccar male, e si
annoiò della vita faziosa più che a valoroso condottiero non si
convenisse; cedette anche luì, e mutò bandiera. Troppo tardi fu
preso questo partito, ed in mal punto. Ferdinando, rifattosi, ap-
prestossi a una battaglia; V Alviano, fatto prigione , potè a fatica
salvarsi, per mala guardia di chi lo custodiva, nelle terre orsine-
sche, e correre a tener fronte ai Borgia , e a resistere a' Colon-
nesi, soverchiatori degli Orsini.
Quivi, sopperito dalle sostanze della moglie, fece massa di uo-
mini e si afforzò in Bracciano, dove costruì un nuovo bastione,
poiché il papa per vendicare gV insulti fatti a' suoi predecessori
dagli Orsini, prigioni tuttavia Virginio e i figliuoli, mandava sol-
dati a prenderne per forza i castelli. Un brigantino che dal Te-
vere stavasi trasportando sopra carri al lago di Bracciano, fu da
Bartolomeo, nottetempo, incendiato collo scorapiglix) di quanti lo
conducevano. Il cardinal Borgia fu a un pelo che non rimanesse
ghermito, cacciando per le campagne di Montemario. Dopo varia
fortuna, in cui molta gente fu d'ambe le parti uccisa, e capitani
fatti prigioni, e città e terre predate e perdute a vicenda da^ due
eserciti incontratisi tra Loriano e Bassano; i papalini furono rotti,
e la vittoria rimase piena e decisiva per gli orsineschi. U assedio
di Bracciano venne tolto; ma i vincitori, tristizia de' tempi I do-
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GRITIGA LBTTERARU &17
veliero prender sembianza di perditori per {sfuggire alle lontane
vendette de^ papi, polenti allora che con un solo cenno riduce-
vano alla obbedienza i più temuti monarchi.
Né per ciò cessavasi dalle intestine guerre; avvenimenti terri-
bili, pieni di perfìdia e di sangue erano i fatti del giorno. Gli
uomini animosi erano considerali e consideravano sé stessi quasi
flagelli, buoni, per chi li sapesse maneggiare, a recar altrui mo-
lestia e tormenti : né caleva dell' amistà di ieri , né degl' inte-
ressi del domani^ -* L' Alviano , che di buona ragione poteva e
doveva parteggiare per la miglior causa, quella della giustizia e
della libertà, preferi di farsi puntello a un vecchio dispotismo.
Imperciocché, partito Carlo Vili d'Italia, recuperata Firenze la
pristina libertà, egli si mise in animo, e con ogni maniera di stra-
tagemmi si adoperò, a restituire sul trono V inetto e vanaglorioso
Pietro de' Medici, già dimorante in Roma. Gli falli però l' intento
prima di condurlo ad alto, non solo per le piogge copiosissime
che gli allentarono il cammino, ma anche e specialmente per l'i-
natteso tumulto suscitato e fatto scoppiare nella sua Todi dai Co-
lonnesi, dai Chiaravallesi, dai Gatti, dai Savelli ; la quale pria che
riempisse di lutto Viterbo, Terni, Monlecchio, dovett' egli andar
a sedare, senza risparmio di vile da canto suo, di altrui sostanze
da parte de' suoi soldati. Ed irrequieto e turbolento com' egli
era, tanto da inveire più tardi contro gli stessi Chiaravallesi, coi
quali gli Orsini avevano conchiusa una pace onorevole, chi sa a
quanto ingloriose imprese sarebbesi messo , ove la guerra tra i
Veneziani e i Fiorentini (1498) non lo avesse per alcun tempo
chiamato fuori di patria, capitano con Carlo Orsino de' difensori
di Piero de' Medici. Guerra, che fu tra le più vuote di effetto,
nella quale l' onore di Bartolomeo e de' Veneziani non ebbe ad
avvantaggiarsi né colle sottile, né co' tafiferugli, né colle avvisa-
glie che consumarono un tempo e un lavoro prezioso, e fomen-
tarono sospetti , e accrebbero le ire de' repubblicani costretti a
dimandar pace.
Salilo al trQUo di Francia il leggiero e maligno Luigi XII, non
toccò sorte migliore alle cose d'Italia, traenti di giorno in giorno
a maggiore rovina per questo parteggiare continuo ed efferato di
signorotti e di tirannelli. Il franco Monarca ebbe impegno di non
alienarsi l' animo di quanti gli potevano nuocere , e s' inlese di
buon'ora con quanti potevano giovargli. Rafforzò la potenza o
la prepotenza spagnuola in Italia, accarezzò papa Alessandro, unissi
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418 ìNUOVK KFFEMEIilDl SICILIANE
in amistà e cospirò a^ danni de' Veneziani. Costoro, esosi a' prin-
cipi, non amati da' popoli, scherniti dagli stranieri , tentennando
tra la potenza turchesca e T austriaca, ebbero solo fedeltà e so-
stegno nel braccio del Liviani. Ma anche questo venne loro a
mancare quando nuove rivolture, provocate nel lodino, chiama-
ronlo colà, non a comporre, ma a schiacciare le parti fatte impu-
nemente e spudoratamente assassine. L'opera sua fu salutare, come
quella che, associatasi all' opera riparatrice de' papalini e de' prin-
cipi romani, mise freno a codesti scellerati de' Chiaravallesi, dei
quali rimarrà memoranda la morte lunga, terribile, feroce appre-
stata allo esiziale Altobello. L'Alviano si ritrasse, ma per poco, a
Venezia, che, avuto sentore degli straordinari accidenti de' Bor-
gia, se ne spiccò, correndo a ristaurare qui un barone spodestato,
l'ha punir un predatore, sciupandosi sempre in zuffe infruttose
sfortunate, inoneste talvolta, finché morto il successore di Ales-
sandro, Pio ni, sali al pontificato Giulio II.
Allora (1503) sua precipua aspirazione fu di scalzare i Fran-
cesi d" Italia, e farne prendere il posto dagli Spagnuoli. Era moda
del tempo: in cui era tenuto più degno di plauso chi meglio
sapesse cooperare a sostener la straniera signoria in casa nostra.
Accecati dai rumori, pochi si awedeano allora di quella tirannide
che ribadiva le loro catene. — Bartolomeo fu lancia spezzata di
Cousalvo di Cordova, e da sé fece più che Navarro e Prospero
Colonna con tutto lo esercito spagnuolo attendato lungo il Gari-
gliano a spiare inoperoso le mosse del francese. Egli ebbe l'ar-
dimento di passare il fiume; egli assali di notte il nemico, e Io
trafisse di faccia e di Hanco, e lo snidò dal propugnacolo di Gaeta,
e ricacciollo là dond' era prima venuto. — Favori e mercedi ebbe
in grande copia, ma le rette sue intenzioni non valsero ad ov-
viare a' malumori seminati tra lui e Consalvo, foiose da un frau-
dolento disegno di questo ultimo, di dar ragione con essi al Li^
viani di gettarsi altrove ad aprire agli Spagnuoli uno sbocco nella
Toscana; come né manco valsero a dar vittoria al capitano tuderte
sovra i Fiorentini, i quali egli, mosso da ardente voglia di con-
quista o da irrequietezza d' animo, o, che è più probabile , ecci-
tato alla segreta dai nemici della libertà fiorentina (PandplfoPe*
tnicci, i Vitelli, il cardinale de' Medici ec.), si accinse di andare
a combattere con 300 uomini d'arme e 500 fanti. Anzi n'ebbe
piena disfatta a s. Vincenzo, per la quale gli convenne, ferito, di
ritirarsi in Pisa : e, guarito di poi, andarsi a rioonciliaVe col suo
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GRITIGA LeTTERARU 419
antico compagno, che accolselo onorevoimente , presentandolo di
una spada e di un cavallo da guerra.
Questa disfatta non lo sconfortò per nulla, né scemò rattissimo
conto che di lui si nudrìva presso le corti principali d'Italia, ami-
che 0 nemiche di lui. Giulio II, che intese a curare delle vecchie
piaghe i suoi slati e a restituirli alla pristina integrità , e che
gridò davvero: Fuori i barbarie avrebbelo voluto con sé, quando
ne ricevette in Perugia gli omaggi; avrebbelo voluto anche Ta-
ragonese; desiavanlo quanti ne sapeano apprezzare il valore e Tar-
dimento. — Egli però preferì rìacconciarsi con Venezia. E buon
per lei che gli confidò il pieno potere sovra le armi quando più
n' ebbe bisogno, quando minacciata dalle picche tedesche rìversan-
tisi dalle gole e dagli sbocchi de' monti, con accompagnamento di
prodi mandavate a fronteggiarle, e rincularle. E Bartolomeo corse
e pugnò: e fu la sua una marciata trionfale da Venezia fino a
Gorizia e a Trieste. Si sgominarono spauriti i nemici : più di 1000
rimasero morti sul campo, 5000 prigionieri. Fiume e Pardenone
si resero, che V impeto del Liviani urtava, precipitava ogni cosa.
Dalla sua spada moveva una virtù, che parve miracolo in un eroe
de' nostri giorni. Fu prova di valore latino contro furore tedesco,
grazie alla quale, fu veduto Palato leone correre vittorioso a po-
sarsi su terre anche non italiane in giorni nei quali di virtù latina
era tanto bisogno. Vero è che i Francesi spalleggiarono codesta guer-
ra, ma PAlviano mostrò, come senza il loro soccorso, la repubblica
avesse saputo tenere a rispettosa distanza i suoi imprudenti ne-
mici; come certi nodi, più presto che sciolti dalla fredda diplo-
mazia, vadano tagliati da una spada generosa ; cóme , infine , la
libertà non si piatisca colla palma stesa, ma si acquisti col pugno
chiuso. Venezia libera fu larga di onorificenze e di privilegi al
suo eroe, cui détte quanto più potesse a quei giorni , nobiltà e
cittadinanza : titolo questo che a' di nostri abbiamo veduto reso
comune (e i miei buoni siciliani del 1860 e del 1866 devono ri-
cordarsene) a un secondo Washington e a un nuovo Berg.
La lega di Cambray troncò sul più bello le gioie della repub-
blica e la domestica quiete di Bartolomeo. Avrebbe potuto Vene-
zia con un colpo di mano scongiurar la tempesta che si accumu-
lava sul suo capo, ma non curossi di guadagnare le simpatie del
papa, né quelle di Ferdinando per combattere Tedeschi e Fran-
cesi che minacciosi piombavano sulla ricca città. Fidente abbastan-
za nelle sue ricchezze e nella canizie del suo Senato, assoldò di
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, 420 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Ogni risma gnerrieri e, duce supremo il conte Piligliano, e dopo
lui Bartolomeo, mandò a difesa dello Stato, difesa ad un tempo di
tutta Italia. In questa sciagurata guerra salvo fu Tonore degPItaliani,
non salva la patria loro. Accagionasi di tanta iattura, e con troppa
leggerezza, l'audacia abituale deir Alviano , che parve in quella
congiuntura, e non fu, temerità, e che forse avrebbe potuto, se non
infrenata dal superbo Senato, rendere men tristi le sorti della
regina deirAdrialico. Conciossiachè, dove ne avesse condiviso lo
ardire abbracciandone il disegno che mirava ad eccitare i lom-
bardi a battere i Francesi nello scendere delle Alpi, pria che po-
tessero far massa: ovvero avesse seguito nella parte più energica
quello del Pitigliano, che proponeva l'abbandono di qualche terra,
il trinceramento del nerbo dell'esercito dietro l'Oglio e il Serio,
e l'aspettativa; la repubblica sarebbene uscita vittoriosa. Qualche
perdita fu fatta dell'esercito veneziano al primo scontro, andati a
male i timidi e malfondati disegni del Senato, che condannavano
alla difensiva e capi e soldati insofferenti di menar le mani. Fu
un momento che V Alviano dovette cedere , repugnante per più
ore, a ciò che da tutti si volle, passar l'Adda, recuperar la bor-
gata di Trivigiio abbandonata dai realisti. Questo segnò il prin-
-cipio della rotta de^ repubblicani , perchè re Ludovico potè pas-
sare sopra tre punti l'Adda , e mettere quasi senza colpo ferire,
il piede nel Veneto. Le zuffe furono quindi accanite e sangui-
nose, e grande carnificina fu fatta degl'italiani, ed atti di un va-
lore piuttosto che raro unico fecero i ^uci. Nell'ultima battaglia,
4Jhe durò più di tre ore, 20 pezzi di artiglieria e 6000 cadaveri
veneziani restarono sul campo. L'AIviano stesso, trafelato per la
fetica , Jordo di sangue e suo e d'altri, venne in potere del ne-
mico.
La sua prigionia fu protratta per quattro lunghi anni , senza
pietà del signore che il fé' condurre a Parigi. Come trascorresse
per lui quel tempo, è agevole supporre: ritornare sui passati giorni,
dettame gli avvenimenti e i casi, e narrare in amare pagine gli
ottenuti trionfi, e le infrenate sedizioni, e i provocati tumulti, e
le gioie, e i palpiti, e i dolori. Finalmente, rappaciatesi Francia
e Venezia, fu libero Bartolomeo, senza che pure dalla bocca di lui
uscisse rampogna contro i suoi carnefici; anzi per volere della
repubblica, a' cui servizi si rimise da generale, fece causa comune
con essi, e con essi combattè. Umane vicissitudini! Le sue bat-
taglie non ismentirono la sua valentia : lui alla testa guardarono
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CRITICA LETTERARIA 421
fidenti ì vecchi soldati, i quali ebbero di che emulare col suo e-
sempio antiche prodezze e recenti vittorie. L'Àlviano vinse in più
fatti d'armi, e negli assedi sopratutto, ma la soverchia fidanza dei
suoi gli nocque più del poco impeto nemico. Vincitore a Cremona
e in su quel di Padova, toccò una rotta nel Tirolo, dove a una sua
strepitosa vittoria ebbe forza di mutar faccia il subito scoramento
de' contadini discesi dalle montagne e volgenti codardamente le
spalle allo avversario; sicché e Francesi e Veneziani sarebbero
stati travolti nel turbine della irrompente oste nemica, se carità
di patria non avesse consigliato Prospero Colonna, capitano di
parte contraria, a dare con sottile ai-tiUzio alla Repubblica il be-
neficio del tempo.
Con Girolamo Savorgnaiio, altro eroe del Friuli, Barlolomeo
trasse protitlo da! salutare indugio e, come se non fossero .siali
nulla i travagli di tanti anni, mise insieme per la terza volta un
eserciio. Mercè di esso si videro lavate col sangue le sofferte onte,
Ghiaradadda e Vicenza vendicate con Marignano in (juelle famose
giornale di settembre (J5!7), die coslarono la vita a 18000 per-
soné" spente nel furor delle mischie con un eroismo degno di
causa migliore per gl'Ispano-impei-iali, delfe^ito che sortirono per
i FrancO'Vetjcziani. E furono quelli i giorni di maggior gloria,
ma non di maggiore letizia pel i^apitano tuderte. Egli appres la-
vasi all'assedio di Brescia, e accennava a Verona; ma uscito di
Bergamo passava di vita in Ghedi nel vigore di sue forze, nel
fior delle speranze, nel più caldo dello aspirazioni, addi 7 otto-
bre del 1515. Con lui spegnevansi alcuni malumori nati sorda-
mente tra' Friulani del Savorgnano e i Veneziani di Bartolomeo;
ma con lui spegnevansi pure le più belle spei-anze della veneta
repubblica. Nuovi pencoli la minacciarono , ma i tasi di essa è
meglio consultare nelle storie generali dìtalìa o in quelle par-
ziali di Venezia, che questa del Leónij non ne dice deir altro.
Fu PAI Viano dei più possenti bracci della Hepubblica , della
quale corno in vila i guiderdoni, così meritò dopo morte conde-
gne onorificenze. Se nei primi anni del suo esercizio alle armi
non parteggiò sempre pel diritto e per la giustizia: se accanto a^
france&i fu liberale della sua vita , chi potrà con coscienza dire,
che egli servisse allo straniero per mettervi le catene? (lolpn de'
tempi che egli non avesse avuto una patria da servire, che ve-
ramente ei ne fu meriievole J Colpa della fortuna , die e^di non
lasciasse affatto imjnacolato e superiore airinvidia di quanti scroc-
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422 mX>¥B EFFEMEBIDI SKaiAlfB
caronsi e Tengono tattodl scroccandosi una bma che a pochi soli
si addice. Codesto cuore di bronzo non si roppe giammai. Fa
marmo predestinato ad una nobile scultura, e che gli acerbi de-
stini dltalia lasciarono fondersi in calcina !
Pure a noi sembra non del tutto trista la sorte di lui, dacché
postuma e serotina ma piena onoranza gli è stata resa da un
tardo nepote, Lorenzo Leónij. E certo, se i benemeriti della pa-
tria trovassero tutti un biografo pari a costui, non sarebbe per
nulla a deplorare questa seconda morte per le anime de^ generosi^
Poblio dei posteri.
L^ opera del Leónij è non solamente bella , ma anche buona :
bella come opera d^arte, la quale può andare soggetta a pochi ap-
punti : buona come opera patriottica, che inculca prìncipi nobilis-
simi. De' quali sarebbe giusto offerìre un saggio a certi padri deUa
patria^ che menano vanto di patriottismo che non ebbero mai. Ma
a che proporre modelli , quando la pelle degli uomini sì è con-
vertita in cotenna di rinoceronte ? I Del resto, a' pochi che avranno
Ietto quest'opera è già tatto chiaro com'ella, tale quafè, venisse
pubblicata in Todi sotto gli occhi di una censura tutf altro che
benevola, e però con pericolo non lieve dell'autore.
La figura delPAiviano si fa grande in mezzo a quelle de' suoi
contemporanei, non di rado giganteggia fra quelle di un pugno di
eroi. Ad osservarla da tutti i lati è delineata maestrevolmente in
lutto e per tutto il bene ed il male che può dirsene. Ma il bene è
assai più del male, e come in quello lo storico lodasi del suo perso-
naggio e ne condivide i perigli delle imprese, la gioia delle vittorie,
la tranquillità degli ozi passaggierì; cosi nel male rammaricasi co-
me de' trascorsi di un amico, pel quale in certo punto implora
perdono da' suoi lettori. Nulla tace che possa concorrere a ritrarre
l'indole tempestosa e fiera del Liviani; onde, ricordando a pag. 120
una cieca vendetta che esso faceva di un Goldifredo Calcaro, gen-
tiluomo veronese a' servizi del signore tedesco, che avealo insul-
tato di dietro col dirgli maligna bestia^ gobbo^ il Leónij soggiun-
ge : e Se non si ricordava della benignità cristiana , poteva del
magnanimo sprezzo degli antichi eroi pagani farsi imitatore. Il
sangue del Calcaro, il sangue della poveretta Astancolle sono per
certo brutti fregi nell'armatura dell'Alviano. Avremmo voluto che
nel generoso petto non avesse accolto la trista voluttà della ven-
detta, alla quale pur troppo noi Italiani siamo proclivi, ed abbiamo
di ria semenza mietuta una pessima paglia. Duolmi nel vivo di
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GRITIGA LBTTBRAIUA 423
non potere in qaesta parte offerire Fesempio del mio eroe, parmi
aver quasi a dannare un amico; ma vinca il vero, e sappiano gli
uomini, che non bastano innanzi alla storia a cancellare una brut-
tura, i lunghi travagli, e la splendida gloria. > Di guisa che può
dirsi deirautore della Vita di Alviano quello che fu detto delPil-
lustre autore del Beccaria e del diritto penale: e egli ammira, ma
non è mai V idolatra del suo eroe. >
I tempi sono a perfetta conoscenza del Lednìj, il quale li giu-
dica senza studio di parte. La storia del secolo XVI gli è cosi fa-
miliare come la storia del secol nostro con tutte le passioni, con
tutti gli sconci e le virtù del tempo. Laonde , non una semplice
biografia è da dire la sua, bensì una storia che ricerca le ragioni
de^ fatti, e segue con diligenza gli eventi moltiplici e svariati.
Rapido ne' passaggi, franco nelle narrazioni, ha delle pagine de-
gne de' migliori storici. Belle sono quelle dove Fautore dolora
che vengano negletti e mal giudicati alcuni uomini meritevoli di
riverenza; più belle le pagine che descrivono la morte di Alto-
bello in Acquasparta; da non trasandarsi questa, che è pregio di^l
presente articolo citare in parte: « Taluna volta al tacilo morire
di un inerte giorno pugnevalo il desiderio della cara moglie, e
del suo figliuolo, e delle dolci figliuole; e si figgeva nella mente
la rimembranza de' monti delF Umbria , e delF Alpi Friulane , e
sgorgavano dalla fantasia e dal cuore dell'Italiano i versi e le
rime, una poesia, forse rozza, ma per fermo passionata e virile.
Ciance non erano quei versi, né quelle prose, e perché non erano
ciance, F età ignava e canora non le servò ! Servammo , stolti !
tanti prostitutori della parola, tanti commettitori di rime , tanti
obbedientissimi cortigiani, e non abbiamo neppure una riga né
dell' Alviano, né di Pietro Strozzi, né di Dante da Castiglione, nò
di siffatti valenti, che in Italiano suolo, o raminghi, colse la morte
e la sventura, o troppo spesso la calunnia ricoperse e fece obliare. »
Queste parole servono anco a dare un saggio della forma del
libro del Leònij, la quale costituisce in fondo il massimo de' pregi
ond' esso deve andar lodato; forma grave, classica, piena di stu-
dio. A cui non talenta questa lode di tale che non conosce altri-
menti Lorenzo Leònij, si procuri almeno la lettura della Vita del-
l' AlvianOy perché altre citazioni non approderanno a nulla. Qual^
che difetto però ve lo troverà : e il principale é l'affettazione della
forma, frequentemente intramezzata da latinismi e da arcaismi. Tro-
verà, p. e.;feciono e damra a carte 34, dove Io studio pazientemente
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424 NUOVE EFFEMERIDI SlGIUANB
durato dair autore sui classici si traduce in un vero artiQzio; chente
per quale (pag. 6 e 65), ridottato (10), me per cade (44), infen-
gissimo (124), ed augumentare (49), e commerzi (51) ecc. Quanto
al resto vogliamo notare come dall'altezza alla quale il Leònij si
tiene non sembrano comportabili queste parole: t Fu pertanto forza
air Alviano ridursi a sustentar la guerra minuta, e paziente, die-
tro alle fosse e alle mura della città spiare il nemico per dargli
qualche bussa improvvisa e svignare,., • (pag. IH); né tampoco il
traslato espresso più innanzi (pag. 113): t gì' Ispano-imperiali da-
pertutto sono assiepati da nemici, veggiono dapertutto sul capo
loro una tetra ghirlanda di soldati e di contadini , e quasi è lor
forza toccarla. > Sono sottigliezze, ma le vogliamo ricordare per
debito dMmparzialità.
In omaggio a questo principio non taceremo da ultimo come ,
guardando tutto insieme il lavoro dello storico tuderte , un po'
affrettata apparisca la fine , dove qualche cenno, sulle cose di
terraferma dopo la morte dell' Alviano non sarebbe stato super-
fluo. Ma che è mai codesta menda, e quella che qualche critico
potrebbe apporre al sistema di filosofia della storia seguito dal
Leònij, di fronte a' 219 documenti, inediti quasi tutti, che occu-
pano due terzi del bel volume esaminato ? I quali, raccolti parte
neir archivio municipale di Todi, parte negli archivi di Vienna e
di Firenze, parte ancora in Venezia dagli estratti delle delibera-
zioni segrete del Senato, dai Commemoriali, dalle lettere del Con-
siglio de' Dieci ecc., avvalorano il testo tutto della narrazione.
Giuseppe Pitrè
Z Viaggi di aio. da BlKanda villa p volgarizzamento antico to-
scano ora ridotto a buona lezione coU'aiuto di due testi a penna
per cura di Francesco Zambrini, voi. !<> Bologna presso Gae-
tano Romagnoli 1870 (disp. CXIII della Scelta di curiosità lette-
rarie inedite o rare ecc. prezzo L. 7).
Il eh. editore ci fa sapere nella sua elegantissima prefazione a
quésti Viaggi^ dedicati agli egregi cav. Francesco di Mauro, e dot-
tor cav. Giuseppe Pitrè , che il Mandavilla cavaliere inglese ver-
rebbe quarto fra quanti narrarono i loro viaggi nel medio evo e in
favella italiana e in altra onde tosto furono recati nella nostra, cioè
dopo il Polo, fra Riccoboldo, il beato Odorico; il qual ultimo descri-
i
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CRITICA LETTKRARU 425
veva il suo Pellegrinaggio nel 1318, quando il Mandavilla faceva i suoi
viaggi nel 1322, e la sua narrazione veniva recata nel nostro vol-
gare, quasi rifatta o parafrasata t sul finire del sec. XIV o al più
sul cominciare del susseguente XV »: tantoché il eh. editore crede
potersi considerare quasi lavoro italiaìWy e collocarsi t tra le de-
scrizioni originali che abbiamo nella nostra letteratura > ; vai
quanto dire co' v iaggi in Terrasanta del Frescobaldi, del Sigoli,
del Gucci, di Niccolò da Poggibonsi, di fra Mariano da Siena, di
Luchino del Campo, deirAnonimo (edito dal Melga), tutti della
fine del secolo XiV e dei primi anni del XIV* Per le lanle
parli di Oliente che il Mandavilla ebbe visi late , oltre Terni
Santa e il Cairo, questa narrazione è &\anaii5sini3 , tiiena di
tante maraviglie da pa&sare i fanla&tici racconti stessi dei nostri
anticliì. 11 codice poi sopra il quale fu esemplala l'edizione che
qui arinunziaiiio ^ oltre le slampe del secolo XV, e speciaimetile
quella de! Ì488, fu il M^gHubechiano, CI. XXXV, n. '221, riscon-
trato TieUe varianiione' luoghi dubbi col Riccardiano, segn, nu-
mero i017; e tanta cura vi mise fìllustre editore, solenne mae-
stro in qu6.sli sludij ila farne un libro carissimo a clii ne manco
vi vuol cercare io stampo e le ragioni del nostro antico volgare,
ma cogliervi le notizie svariate e Tingenuil^ della narrazione di
strane avventure, e le curiose medicine che &i pi'opone F autore
dairOriente regalare agli uomini di Europa, secondo T intentli-
mento di dare oltre ai viaggi ammaestrmueHìo di costumi e di ra-
gioni € fiifferenzie d'almni pam,jmrhé molte genti pigliano diletto
d'udire ime nuore (p. 28),
Quest'opera del Mandavilla nel testo volgare er-a di venula * rara
per modo, che indarno oggi polrohbesi dai curiosi possedere »:
e però dobbiamo assai ringraziamenli alFegr, editore di averla
cosi agevolmente messa di nuovo innanzi agli studiosi di nostra
lingua , con quella dilìgente e dotta cura con che assiduamenio
sa regalarci o nuovi o non comuni testi de' primi secoli della lin-
gua, conducendo nel tempo stesso con sapiente direzione, in tempi
poco favorevoli a silTalti sludi, la Coìiczimie di opeir inedite e rare
de" ptimi tre secoli dfillti lingua pubblica tu per cura della Com-
messione pe' testi di liugua, e la fe?ff*i di Curiodtà letterarie ine-
dite 0 rare, che fa di Àpprndiee alla Collezione maggiore, oltre al
periodico/i Propìtgnatore, che raccoglie sludi di lllologta.di let-
teratura e di storia , per cooperazione di alcuni soci della Com-
missione citata.
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426 Nuove kppbmkhiui siciliane
Ad esempio poi del dettato del libro, e delle curiosità che con-
tiene, riportiamo qui questo luogo che appunto dice della Sicilia,
la quale è grande isola e imito inuma:
e In questa isola di Cicilia è un giardino verde e fìorilo dao-
gni stagione, si di verno come di state (1): questa isola circunda
bene CCCL miglia. Al contrario (2), tra Cicilia e Italia non è altro
che un piccolo braccio del mare, el quale si chiama il Farro di
Messina. Cicilia si è tra el mare Adriano e el mare di Lombar-
dia, e da Cicilia in Calabria non sono oltre che YIII leghe lom-
barde. In Cicilia è una maniera di serpenti e qua' conoscono e fi-
gliuoli ligittimi da' bastai*di , perchè e padri loro , che vogliono
vedere la pruova , lasciano andare le serpe intorno a' detti fi-
gliuoli; e se gli mordono, sono bastardi, e se non gli danno noja,
sono ligittimi e di lìgitlimo matrimonio nati. E questo fanno molti
per vedere se anno ligliuoli ligittimi o no. Item, in quella ìsola
è il monte Ethna, el quale sempre arde , « chiamasi Mungibello
e Vulcano, ove ardono due fuochi e gettono diverse fiamme e di-
versi colori; e per la mutazione di queste fiamme, sanno le gente
del paese quando sarà carestia e buona derrata , freddo e caldo,
umido e secco , e universalmente conoscono a cbe modo si go-
verna il tempo d' Italia : e questo Vulcano sono XXV miglia , e
dicesi che questa bocca è dello 'nfemo. •
Di simili strane, ma dilettevoli, narrazioni e descrizioni il libro
è ben ricco, e diverte colla copia della buona lingua il curioso
leggitore. V. D. G.
Sul Vocabolario poliziotto di Geografia per Carlo Hensingee
con Prefazione di B. E. Mainbri (Milano 1870). Lettera del Comr
pilatore al dottor Giuseppe Pitrè.
Gentilissimo Signore
Rendendole grazie infinite per la bontà d' aver concesso nelle
pagine delle Nuove Effemeridi Siciliane un posticino al Vocabolario
poliglotte, debbo da prima dichiarare : che questo lavoro — an-
che ampliato — non eccederà mai i limiti dell'Europa; che nelle
attuali condizioni mie, avendo a lottare con difficoltà davvero im-
mense, non mi è possibile allargare la sfera dell' opera presente.
Ora quindi si sta preparando un vocabolario completò d' Europa
(ì) Foiseiil giardino allora famoso di PaUrmo, detto la Cuncumaf
(t) Nelle antiche slauipe. si leggo, forse [liù correlUiineiite, al conturno.
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GRITIGA LKTTERARU 427
fatto su questo genere, il quale conterrà più di 6000 nomi di
fìumi, rivi, ruscelli etc. Il chiarissimo prof. B. E. Maineri ha ben^
profferito la parola riforma^ la quale a prima xista potrebbe scon-
certare qualche tenacissimo di memorie giovanili (parto di geo^
grafia) ma invece, chi ben interpreti quella sua prefazione al mio
dizionario poliglotte, il concetto del Maineri si potrebbe tutto
quanto riassumere in questi due vocaboli unicuifjtie suum; la quale
massima, ridotta in pratica, farebbe si che la maggior parte delle
carte geografiche avrebbesi a riformare secondo più facili e natu-
rali ragioni. Il disegno è semplice. Ed ecco il come : formandosi
una nuova carta di Europa, si metterebbero in Italia tutti i nomi
italiani, p. e. Nizza e non Nice, Trento e non Trient, Cuneo e
non Còni; in Francia tutto in francese, in Russia tutto in russo,
in Grecia in greco. Un vocabolario quindi di simil fatta servi-
rebbe di chiave in ogni lavoro scientifico letterario. Onde, trat-
tandosi della capitale della Turchia, vi si troverebbe Stambul o
hlambul (città deir islamismo) ; in greco Kov^otvxivoicoXtc (città di
Costantino) in italiano Costantinopoli ; in tedesco KonstantinopI ;
in slavo Carogrod (leggasi Tsarogrod) (città degli Tsarì o Cesari)
(sottinteso Russi;) in bulgaro Ortukeuvi e neir antico Bizantium.
Osservando attentamente questo solo esempio, ognuno vede, come
sarebbe ingiusto, di voler questa città chiamare soltanto Costan-
tinopoli, perchè cosi si usa di nominarla in Italia.
In Italia, sino al di d'oggi, si danno annualmente, nelle città
principali, esami di lingue straniere viventi , intendendosi con
tale qualificazione le lingue francese , inglese e tedesca. Ora di-
cami, gli ottanta milioni di Slavi, non hanno essi forse lingua di
sorta ? ed avendola, non hanno una propria letteratura ? e, pos-
sedendo questa, non vi è forse nulla di buono che meriti essere
trapiantato? Basterebbe far la prova, e allora si persuaderebbero
che gli Slavi non meritano T epiteto di semibarbari, come, pur
troppo, ogni momento sentesi profferire da tanti e tanti, molto lo-
quaci, perchè ignari.
La presente opera mia, offèrta come ben afferma Io stesso Mai-
neri, al pubblico come semplice saggio, altro non è poi che un
supplemento a tante opere di questo genere, nel quale però Te-
lemento slavo è trattato con maggior cura.
Mi abbia con piena osservanza.
Milano, addi 29 Novembre 1870
Dtvoliaimo
Prof. C. Monsingkr.
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IL TITOLO DI DON
Da un voi. ms. miscellaneo della Biblioteca comunale palermi-
tana, segn. Q Q F. 231 togliamo queste curiose notizie sul titolo
oggi comunissimo in Sicilia del Don,
Brudisione ral titolo di Don.
t U re di Spagna Filippo III concedette nel 1621 per dispaccio
reale a una persona nobile il privilegio' prò se et suis del Bon.
Si domanda a quali pei-sone e a che grado di nobiltà concedeva
il suddetto tìtolo. Si desidera di ciò la risposta confermata da
qualche autorità ed erudizione. •
€ E cosa più che volgare che dal Domnus latino è forse nato
il Don spagnuolo, avendo tanta affinità questa lingua con quella.
Se pure non è dair ebreo Adon, dotninìis, perchè spesso nella
pronunzia si lascia V aleph. Di che esso cominciasse ad usarsi nella
Spagna, ritrovo che Leonigildo re XVI fu .il primo ad ordinare
che il re si chiamasse signore^ che vestisse di porpora, e che a-
vesse scettro e corona (1); e Bernardo Giustiniani dice (2) che a
tempo di Pelagio re si stabili di dare il Don ai re di Spagna. Or
questo titolo reale l'ebbero a singoiar pregio portarlo ne' loro
nomi li personaggi più sublimi della Monarchia, e la cosa andò
tanto air eccesso che dai magnati passò tal titolo ai nobili , da
costoro alle persone civili, e da queste ai servidori della sala alta:
motivo per cui non solo per questo titolo, ma anche per tutti gli
altri, dei quali si caratterizzavano le persone di conto con del no^
bilis magnifioASy messeri, honorabilis etc. fu fatta prammatica nei
Regno, l' anno 1552 , colla quale abolito venne V abusivo costu-
me de' detti titoli ne' registri pubblici de' notari , e sol ven-
ne permesso ciò che di onore per reale concessione tenevasi da
qualche nobile. Come, per esempio, il titolo dHUustre furo-
no obbligati i notari marcarlo per trattamento dei principi , du-
chi, marchesi e conti ; lo spettabile per i Baroni feudatari , ed il
tnagnificus per i soli capitani di giiìstizia: e cosi immediatamente
(1) Garri.li, Lettere eecletiailiche, t. lY. iett b.
(2) Storia della Monarchia di Spagna, L. Ili e. 1.
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IL Tìtolo di don 429
a questi unicamente investito veggevasi del titolo di Don , quel
personaggio che ne mostrava la sua particolare pergamena. Era
esso un titolo di nobiltà , e solea concedersi a persone di fa-
miglie illustri ed ai cadetti dei titolati del regno, e questo per
qualche servigio prestato alla corona , e per guiderdone di
qualche virtuosa impresa eseguita da colui in prò del pubblico.
Il Marchese Antonino Emmanuele in veggendosi scevro del trat-
tamento di nobile e magnifico che quasi ab immemorabili contava
ne' suoi antichi, curò ottenere un tal titolo e lo conseguì al 1611,
appunto per avere mantenuto due cavalli a sue spese nel servizio
militare del regno. Questo è quanto in pochi minuti di tempo
ho potuto raccogliere sulP erudizione di questo punto, riservan-
domi illustrarla maggiormente con maggior comodo in altro tempo >.
Queste notizie sono del marchese di Villabianca, Francesco
Maria Emmanuele; al quale non sappiamo da chi erano state ri-
chieste col quesito che precede questa risposta data da esso al
Villabianca. Da un altro ms. miscellaneo seg. Q. Q. F. 210 sap-
piamo poi che nel 1732 fu dato avviso da' regii consultori che
proibiva potersi vendere il titolo del Don; e ciò perchè conce-
duto in origine come titolo personale e di benefìcio sovrano. La
quale consulta potrà chi vuole leggerla a fogl. 67 del ms. citato.
V. D. G.
AD OAESAREM OANTIX'
DE suo LIBRO
BUON SENSO E BUON CUORE
Oarrnen (1)
Nil potius laudem quam qnae pietate magistra
Perspicuo eloquio, Caesar, documenta dedisti.
Tu sapere et bene velie doces: caelestia dona!
(1) Monsignore Slaurerighi uno dei più «lislinti fra gli oblatì di Milano, scrisse
questi bellissimi versi in lode de!!' eccellerne spirito ond' è animalo il libro del si-
gnor Canlù , del quale abbiamo soli* occhio (lode ancor più conchiudenle) la se-
conda edizione
La versione italiana die facciamo succedere al testo latino, devesi all'elegante
penna dell' abate Jacobo Bernardi.
28.
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430 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
Fontibus bis oritura quidem nisi forte superstet
Extremum exitium populis errantibus. Huc nunc
Conspirant Romae sanctorum oracula Patram
Quae sapere, ut reduces divina ad pascua gentes.
Et bene velie jubent firmantia dogmata verum.
Ob utlnam valeant tarpato extradere mnndo
Errorum quotquot prodiere immania monstra
Tartareis latebris, queis et civilia passim
Jara atque officia ebeu ! prodigata : quibusque
Horrida barbaries jam cunctis incubat oris.
Qno res nostra ruet, Caesar, ni in pubblica damna
Sacra, profana simul ratio conjuret amice?
Tu prò parte tua egregio praecepta labore
Ilaliae recinis. Nullis fleterritus iris
Inconsulta Patrum et vulgi deliria lance
Expendis justa; a turpi secernis honestum,
Indicisque viam securis gressibus aptam,
Dum paucis studeas operam detergere mendis,
Arduus ingenio, ast animo magis arduus insta.
Succedant alii generoso pectoi-e fortes,
Et voce et scriptis, recti quA semita tendit.
Undique regnantis quis propugnacula Ditis
Quis ruat, atque bonis victricia comparet arma ?
Hoc opus, hic labor est; huc vergunt vota precesque.
Exoriare aliquis nostris ex finibus ultor,
Ense potens, patriae sacro inflammatus amore, *
Qui dudum arrepto consortia- nomina regno
Dejicias, vilesque procos. Sic quaevis hirudo
Disperea^ populi extremo insatiata cruore.
Italia infelix longum miseranda ruinas
Sustinet omnigenas, et turpia quaeque, perempto
Numinis obsequio, sublatis legibus aequi.
Exoriare aliquis, tempio sua jura decusque
Qui redimas populis roores, de& fraeiMK scelestós. /<u^*^^-^
Nulla, 0 Cesare, nulla emmi più dolce
Che laudar q»e^ tuoi scritti, ove si vivi
I precetti del vero in^ chiaro eloquio
Espor ti piacque, e dell'augusta fede
L'informasti alla scuola. È don celeste
Rettamente sapet\ volere il bene,
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GARMB 431
Ciò che tu insegni, e se alle plebi erranti
Non sovrasta il temuto ultimo danno,
Da questa fonte la salvezza piglia
, Suo nascimento. E ridestano i Padri,
Testé in Roma raccolti, a questa meta
Dagli oracoli santi il vigor primo:
Gilè i donimi eccelsi, ond' ogni ver s' imperna,
Alle genti ridotte ai paschi eletti
Della legge divina, hanno per fine
Che ognun chiaro conosca e adempia il bene.
Ed oh ! valgano alfin da questo mondo
Corrotto a discacciar la turba immane
De' vizii, usciti fuor dalle infernali
Latebre a sovvertir miseramente
Ogni dritto e dover della civile
Convivenza, evocando un'altra volta
L' infrunita barbarie a comun danno.
E qua! mai si dischiude orrido abisso
Ove non sorga, o Cesare, la sacra
E profona ragione, insiem congiunte
Amicamente, a dileguar la fiera
Dell'eccidio minaccia? In guisa aperta
Tu la tua parte arditamente compi,
0 Cesare, e la nova opra consacri
Dell'Italia in profitto: e non t'arresta
L'ira fremente, ma su giusta lance
11 delirio dei padri e delle plebi
Pesi, e l'onesto acutamente scerni
Da ciò eh' è turpe, e la secura additi
Via dove por fidatamente i passi;
E deterso il lavoro arduo da poche
Mende, prosegui imperturbato, e sia
L' ingegno eretto e ancor più eretto il core.
Altre sorgano teco anime forti
E generose, di parole e scritti
Magnanimi feconde e seguan i' orme
Che nel retto sentiero hai tu segnate.
Ma chi del fiero demone che regna
Sì largamente le trincero abbatte ?
Chi porge ai buoni le vittrici insegne t
Qui l'opra e la fatica: "e voti e preci
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432 Nuove effemeridi shuuane
Tendono a questo. Alfin sorga da^ nostri
Lidi chi tutto sìa Tiamma d'amore
Per la sua patria, e, indomito di braccio.
Temuto scenda alla vendetta, e spazzi
Via chi del mal governo ha si gran parte
Settariamente invasa, ed i mendaci
Adulatori e vili, e le bramose
Del popolo mignatte, ognor suggenti
Il sangue, cui non lasciano che piene. ^
Patria infelice 1 di ruine molte
E lagrimose da lungh'^anni oppressa
E da turpi delitti: a Dio negata
Obbedienza, e dell'onesto infrante
Le leggi; oli! sorga alfiiì chi riguadagni.
Air onore ed al tempio i sacri dritti,
E i costumi componga, e i rei corregga.
ALL'AVV. PROF. GIOV. FR4IHCI0SI ID A PIA BARSOTTI
DOLENTISSIMI PER LA RECENTE IRREPARABILE PERDITA
DEL GAV. GIOVANNI BARSCTTI
Prof. (li Meccanica Nazionale nell'Universilà di Pisa
Sonetto
Mentre si fera ambascia il cor mi preme
Per la morte di Lei che tanto amai
Ch' io n' avrò sempre lagrimo&i i rai
Fin che giungano a me V ore supreme ;
Qual dal Panaro vien suon di chi geme
Sovra un gelido avel rompendo in. lai ?
Miseri Sposi ) Oh ! poi che abbiam di guai
Non dissimil cagion, piangiamo insieme.
Piangiamo si, ma ne conforti intanta
Che la bontà divina ha sì gran braccia.
Che tutti vuol con sé nel ttegno Santo.
Che i nostri cori dal desio portati,
Omai fuor di periglio, a faccia a faccia
S^ affiseranno in Dio fatti beati.
innova, addi 20 decembre 1870.
Prof. Giuseppe Cazzino
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LEGGLISSI TOTALE DEL SOLE IK SICILIA
NEL IDICEMBRE DEL 1870
Seduta deirAccademia di Scienze e Lettere di Palermo
Il Presidente apre la seduta dicendo : Malgrado V ampiezza della -sala destinata
«Ile sedute ordinarie della nostra Accademia pure l'affluenza del pubblico per ascol-
tare il discorso niifliunziato delTHIustre astronomo P. Angelo Secchi , intorno allo
Ecclissi del 22 dicembre « é stata cosi numerosa che ci siamo trovati costretti di
pregare il Rettore della R. Università, che gentilmente condiscese , a farci aprire
questa vasta sala destinata alle Conferenze.
Poi it Presidente interprete dell' ansia del numeroso pubblico accorso, riman-
dando afta prossima seduta la lettura del verbale dell'adunanza precedente, dà la
parola all' emerito P Secchi, il quale dà conto sommario dei risultati dtleuutt nel-
l'occasione dell* ultimo ecclissi.
Egli esordi col dire di non esser preparato che a riferire in poche parole nello
stile consueto delle accademie, mi che l'uditorio imprevisto l'obbligava natural-
mente a maggiore sviluppo, onde implorava la pubblica indulgenza su questa e-
sposizione non avendo in ordine che pochi e non ben disposti appunti. Aggiungeva
nn rendiconto completo non potersi ora sperare per mancanza di pubblicazioni
officiali , onde si restringerebbe forzatamente a parlare delle osservazioni fatte
dalla Commissione italiana e di alcune altre poche di cui aveva avuto comezza.
Dice che il vero motivo che \t» avea spinto ad accettare la parola centro anche
il peso delle precedenti ragioni che lo consigliavano a tacere era che bramava di
cogliere cosi un'occasione di mostrare in pubblico la sua gratitudine per questa
popolazione siciliana che V avea accolto con tanta cortesia e dimostrazioni di stima.
Cominciando dal suo ospite il sig. prof. Cacciatore , direttore dell' Osservatorio
reale, che con infinita generosità e cortesia avea messo a sua disposizione l' Osser-
vatorio e la sua casa, e passando a tutti i ceti tanto degli scienziati che dei ma-
gistrati e dei signori di ogni ordine, egli aveva avuto da tutti ed in tutte le città
M distinte dimostrazioni di onore, che si trovava lieto di cogliere questa occasione
per pubblicamente tutti ringraziare.
Passò quindi ad esporre: i preparativi fatti per questo ecclissi e i risultati ottenuti.
1 preparativi furono fatti in grande scala, e non inferiori a nessuno dei prece-
denti. Nella sola Sicilia si ebbero commissioni officiali di Americani, di Inglesi e di
Alemanni oltre molti altri volontari che contribuirono a moltiplicare i centri di osser-
vazione. La commissione italiana era divisa in due gruppi posti atle esire.iiiià della ^
zona di totalità nell'Isola, cioè ad Augusta e in Terranova. Quella di sede in Au-
gusta era divisa in 4 gruppi destinati a speciali osservazioni. Il prof, ''acciatore
col signor Agnello all' osservazione dei contatti e misure di preciiione. Il P. Secchi
e il Padre Denza per 4e fotografie e lo studio spettroscopico della corona. Il signor
Donati per la spettroscopia delle protuberanze; il prof. Blaserna era incaricato di
studiare la polarizzazione della luce della Corona e il Padre Denza avea con vari
«fficiali del PUbiseitoed altri volontari! organizzato un servizio metereologico a fre-
quenti intervalli durante l'ecclissi. A Terranova simile distrbuzione di lavoro si era
istituita tra i signori professori Tacchini, Nobile, Lorenzoni, e Miiller, Serra ecc.
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434 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Una speciale distribuzione di osservatori i nel senso trasversale alia zona della
totalità era stata fatta nella Calabria presso Re^ggio dal R. P. Serpieri scolopio in
accordo col sig. cap. liuffa di ^txito maggiore, il qaale, occupato nel fare la carta
di quella regione , dispose che fossero scaglionati di tanto in tanto vari ingegneri
topografi nella linea normale alla zona , affine di trovare il punto preciso in cui
r eclissi finiva di esser totale.
Finalmente nel senso verticale molli arditi viaggiatori osarono sfidare le nevi del-
r Etna, 0 salirono a grandi altezze; il sig. Peters andò fino ai Alonti Rossi, il sig.
D» Schio sali sino a due mila metri. Se il cielo corrispondeva ali* ardir loro si sa-
rebbero avuti certo risultali di grande importanza, ma fin d' ora possiamo dire che
a compenso del loro zelo non ebbero che la neve e la grandine sugli objettivi dei
loro lelescopii ; invece dei desiderati raggi delle aureole solari. L' idea però resta e
il disserente fece rilevare i vantaggi che si avrebbero ad osservare le protuberanze
anche in pieno sole su quella velli sublime. *
Ogni osservatore avea uno scopo determinato e prefisso» onde . non andare va«
gando incerto nell* opera. Ma lo scopo principale era lo studio delta Corona nelle
forme e neUa estensione» per cui furono oltre i disegni destinati gli apparati foto-
grafici; i quali mezzi naturalmente doveano dare anche le protuberanze. Lo studio
spettrale poi era quello che occupava il primo posto per rilevare la natura chi-
mica delle sostanze che formano questi inviluppi solari , e perciò numerosi erano
quelli di apparati spettroscopici potenti provveduti e di varie qualità e forza.
Le particolarità che spettavano alle cipcostanztf fisiche del fenomeno , aveano
pure il loro personale fissato, come apparirà dall' esposto dei risultati ottenuti.
Questi risultati benchò imperfetti e benché generaJmente contrastati dallo stito
del cielo burrascoso; che in più punti frusciò le fatiche degli astronomi; pure non
cessano di essere sommamente importanti e tali da render memorabile eclissi.
Primieramente nella corona furono ad Augusta dal Padre Denza vedute due linee
ben decise^ luminose su spettro continuo. Una di queste fu notata anche a Terra-
nov3-e fissata bene dal signor Lorenzofrì, 1* altra non fu veduta da esso si velluta
dal P. Denza, ma stando nel mezzo tra il verde e il giallo coinciderebbe con quella
già accennata dagli Americani nel 1869 e che fu creduta dubbiosa. La vivacità di
queste due righe era singolare, e fu deplorabile che la brevità del tempo accorciati»
per pili della metà dal passo di una nube, non permettesse di fissare la posizione.
Questo è già un risultato assai importante. Nelle protuberanze il sig. Donati ad Au-
gusta con un potente speltroscopio a sei prismi potè notare la forza e l' intensiu
delle righe principali, e la maggiore altezza della riga gialla , il che spiega T orlo
giallo che quelle protuberanze aveano direttamente vedute e mostra che questa stria
distende da una sostanza diversa dair idrogeno. II sig. Lorenzoni a Terranova oltre
le tre principali vide moltissime altre righe nella regione specialmente del verde
e fissò la posizione di alcune. Questo risultato ebbe pure il sig. prof. Nobile e il
sig. Burton. Da questa osservazione importante resta confermata la compi icaziooe
delia composizione delle protuberanze» quale già era siaia veduta nelle compli-
cazioni H sole scoperto, ma insieme mostra quale immenso vantaggio si abbia an-
cora a sperare dagli eclissi, malgrado la bella scoperta del sig. Jannsen.
Le punte delle falci acutissime a cui fu ridotto il sole, analizzate da me poco
dopo la totalità appena fatte le fotografie» mi diedero uno spettro discontinuo, con
numerose e larghe interruzioni, ma il mio scopo allora non essendo quest* analisi
ma solo il rilevare la forma della protuberanza nello spettroscopio , non ne fissai
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L^BCGLISSI TOTALB DBL SOLE IN SIGIIJA 435
I grappi il sìg. prof. Nobile a Terranova ha con più particolari tà stodiato questo
fenomeno e rilevatovi delle linee numerosissime di molte delle quali ha fissato la
posizione. Questa è pure una osservazione capitale, perchè permette di profittare
degli ecclissi anche non couli in avvenire per studiare la composizione dello strato
superficiale della fotosfera solare.
Le fotografie della corona o^n ebbero luogo per causa di ana nube che passò
in quel momento avanti al Sole e lo copri per oltre la metà del tempo, ma emerso
che ne fu, potemmo fnrne una delicatissima delle protubeianze dal lato occidenule.
II sole si vide ricchissimo oltremodo di protuberanze di maravigliuse forme e va-
rietà, giustificando quello che erasi fin dal mattino veduto negli spettroscopii. La
. fotografia verrà confrontala coi numerosi disegni falti a Terranova e da noi. Molte
fotografie delle fasi furono fatte 'che saranno utili per rilevare quale fiducia si possa
nella fotografia collocare nel prossimo passaggio di Venere avanti al Sole nd 1874.
La corona apparve ove fu sereno (e lo fu in pia punti , come per incantesimo
spteiandosi le nubi) coaie una beUa aureola brillante fornita di raggi conici sparsi
tutto intorno ed in generale retti ed acuminati. Questi raggi parvero in alcuni siti
come staccati e non connessi tra loro alla base dall'aureola generale che orla la
luna. Ma questo non è cbé uu effeUo delt* assorbimento della nostra atmosfera che
non era in coodixioni normali per cui l'aureola stessa si trovò assai ristretta e ridotta
Vnche per la poca altezza del sole alle proporzioni di quella che fu altre volte ve-
duta neHe regioni «ettentrionali. La fotografia ha istruito il dissevente che anche la
luce solare diretta era ridotta ad 1|4 della sua forza reJati vanente a quella che si
fea in estate; e quindi la corona ancora dovea apparire più stretta di quella veduta
a sole più alto. A Terranova Saturno si vide toccare il vertice df uno di questi raggi
fatto a forma di mitra. Solo in pochi siti alcuno di questi raggi apparve tortuoso;
in generale furono rettilinei.
La luce della corona fu trovoU lai sìg. Blaserna fortemente polarizzau , il che
fu confermalo dalTinglese sig. Reynard che ne defini anche il piano di polarizza-
zione in direcione radeale al sole. Questo è uno dei punti che occorrea chiarire es-
sendo le antecedenti osservazioni contraddittorie: stabilito il fatto resta ora a'darno
la spiegazione; sul «he non sono tutti d'accordo.
Al momento delfaccosUrsi della totalità è bello il vedere l'appressarsi dell'ombra
•e studiare le varie fasi del colore del cielo che successivamente vestono l'orizzonte.
Questo studio fu fatto ad Augusta dal sig. cap. Pistoia di stato maggiore dall'alto
della cittadella» che notò in vivace descrizione il vario succedersi all'orizzonte lon-
tano sparso di nubi quella b^la scena di luce e li oscurità , quasi alba che rapi-
damente arriva e si dilegua. Quivi poi e in molti altri siti furono vedute quelle
cosi dette ombre volanti o strisce, che notate in altri eclissi precedenti, restavano
«ncora problematicbe.
Queste in nessun sito furono meglio studiate che presso la tona limite della to-
talità cioè a Reggio e fuori di essa a Messina. Risulta dalla redazione del P. Ser-
pierì e dei professori Segnenza e Corba che queste strisce ombrose erano dì una
larghezza apparente di uno a due decimetri o più secondo la distanza dell'oggetto
su cui apparivano; inoltre che esse erano parallele all'orlo della falce solare e che
orlavano tutto il cono dell'ombra lunare.
Cosi ben definito il fenomeno, si potrà dai fisici passare alla loro spiegazione non
ancora ben -chiara, ma che al disserente sembrava dover essere molto connessa collo
•iato atmosferico tnireslre , allora ((eneralmeiOe agitato. Furono singolari ie sansa-
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436 NUOVE KPFBMERIOI SICILIANE
zioni che il molo di quosle ombre produssero negli osservatori: e perfino negli ani-
mali che ne furono spaventali; e la genie diceva die pareva che il mondo girasse.
L'influenza sul colore degli oggelli quando erano rischiarati solo dalla estremi
luce del lembo solare fu studiata pure dal signor cap. Buffa e da alcune signore,
che avendo esposto al sole stoffe e carte (iflle dei colori dello speltro solare; videro
offuscarsi le tinte come se fossero coperte da un velo, e sparire in prima H tinta
azzurra. Molle altre os^rvazìoni vennero fatte che non sono riferibili in si corto
ragguaglio, e che non sono senza importanza, ma ommettonsi per brevità.
Risulta pure dal detto, essere sialo quest'eclissi fecondo di gramli risultamenti ,
ed aver aperto la via a nuovi studi, il che lo renderà perciò solo benemerito della
scienza.
In fine il disserente espose gli studi fatti dalla Commissione italiana alle sue due
stazioni, a fine di determinare le coordinate geografiche, dei luoghi, servendosi per
la longitudine del telegrafo elettrico , come pure \s^ deternnnazione degli elementi
magnetici assoluti e differenziali nelle variazioni diurne e la copiosa serie di osser-
vazioni orarie meteorologiche fatte in questa oc^Misione per oltre a 10 giorni conse-
cutivi, i quali sludi sarrbbero da sA soli già di molta importanza , e basterebbero
anche senz'altro a giustificare Tattivilà della Commissione.
Il pubblico plaudùsce questo discorso, dopo di che l'ora essendo larda il Presi-
dente leva la seduta.
Il Segretario generale II Presidente
Giovanni Rafparlb Principe Galati
RECENTI PUBltLlCAZIONI — Si è pubblicalo il 2« voi. dei Canli pop'flari sici-
liani raccolti ed iliustrati da Giuseppe Pilrè (Palertno, tipografi! del Giornale di
Sicilia J87i) , il quale contiene 280 canti da aggiungere ai 727 del 1* volume, e
sono : 56 Leggende e Storie, 53 IndnvineUit 42 Invocazioni e Preghiere. 36 Canti
fanciullesckif 31 Ninna-nanna, 21 Aria, 16 Fioii per palii, 8 Canti religiosi e mo-
rali, 6 Conlrculi, 5 Salire, tutti annotati. ralTronlati e illustrali. Segue un Glossa-
rio per tutti e due i volumi, e 31 Melodie popolari scrupolosamente raccolte nelle
varie province siciliane per ogni genere di Canti dell'Isola.
Con questi due volumi il dottor PitrA ha incominciato una Biblioteca delle Tra-
dizioni popolari sieiliaite, che si verrà pubblicando a spese del solerle nostro edi-
tore sig. Luigi Pedone- Lauriel, e verrà fuori coll'ordiue seguente: voi III. Sludi
di poesia popolare^ IV-V. Racconti e Fiabe popolari; VI. Giuochi fanciulleschi; VII.
Feste popolari; YIII-XII. Proverbi raffrontati con quelli dei Dialetti d' Italia ecc.
Il dottor Adolfo Holm, profes^re al Liceo di Lubecca, ha pubblicato in Lipsia il
primo volume della Storia della Sicilia antica {Geschiehle Sieilien's im Allherthum),
intanto che egli viene viaggiando per l'is da nostra prima di metter fuori il 2* ed
ultimo volume. È probabile che questa profonda ed importantissima opera venga
quinto prima tradotta. Diari della Città di Palermo del secolo XVI al XIX pub'
blicati kui nianoscrit. i della Biblioteci Comunale, preceduti da prefazione e corredati
di note per cura di Gioacchino Di Marzo voi. VIL Palermo, L. Pedone- Lauriel 1871.
Le Bime di Fraì^cesco Petrarca con noie di Giuseppa Bozzo, volume 2* Palermo.
A menta, 1871. Nella solenne Distribuzione dei premi agli alunni delle scttole ele-
mentari e deir Asilo rurale Margherita. Digcorso del prof. Luigi Mercanti ni. Pa-
lermo, tipografia del Giornale di Sicilia 1871. Della Istruzione nei Licei. Lettera al
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varietà' 437
signore, C. Napoli per Clorrado Musolino. Noto, Morello, 1871. VA» le e la Crilica
a propofilo di Mario Rapiiardi. Brevi osservazioni dell' uvv. N. Nicefuro. Catania,
coi tipi della Gazietta 1871. Per Vaperlura degli sludi nella -R. Università di Pa-
lermo, Discorso Ulto il 16 nov. 1870 da Mariano Mucciarelli. Palermo Pedone 1870.
Cola di Rienzo, tragedia di Nicolò Gallo. Pai., tip. del Giornale di Sicilia, 1870.
Ippolito, Dramma d'Euripide, volgariazato da Giuseppe de Spuches. Palermo 1870.
iscrizioni. Nuove poesie e prose di Giuseppe Costantino-Ali di Messina. Messina,
tip. popolare 1870. Saggi di Critica letteraria per Giuseppe Pitrè. Palermo, tipo-
grafia del Giornale di Sicilia 1871. // Dlrillo Pubblico ed U Papa p<T il cav. dot-
tor Aristide Battaglia avvocato. Palermo, Amenta 1870. Genesi della l'Iea del Di-
ritto per Nicolò Gallo. Palermo, tip. del Giorn. di Sicilia 1871. De^rizione di al-
cune Conchiglie fossili del Cretaceo superiore dei dintorni di Termini- Imerese, pel
prof. Saverio Ciofalo. Catania, Galatola 1870. Sui nervi del gtulo, Lettera al pro-
fessore Jf. Schiff, per il prof. Francesco Randacio deirUniversità «li Palermo. Na-
poli, 1870. Sunto della Lezione preliminare al corso di Anatomia patologica data
dal professore Fasce nella Università di Palermo. (Palermo, Slabi liraento Operai -
tipografi). Lezioni cliniche sulle malattie mentali con effetti legali, presso la R. Uni-
f)ersHà degli studi di Palermo per Francesco Pignocco. Pai., Lao 1870.
I SICILIANI ALL'ESTERO — Nella rivisU annua universale (\eìV Alhenaeum di
Londra parlasi con lode dei due volami di Studi di Stoì'ia sicilinua del La Lumia;
della Palingenesi, poema di Mario Rapisardi da Catania; degli s itdi di poosi» popu-
lare di G. Pitrè e Salomone-Marino. Nel Journal des Èconomisti's di Parigi ('selt.1870)
Jeggesi un bel giudizio di Corcuelle Seneuil sulla Libertà del cambio e delle banche
del messinese Salvadore Buscemi. V Indèpendance hellen que tìi'.i 17 dicembre loda
il 2<* volume delle Storie di Tucidide tradotte da Niccolò Cam irla. Del 1* volume
dei Canti popolari siciliani raccolti ed illustrati dal Pitrè banno scritto mollo favo-
revolmente la Revue universelle di Parigi del mese di ago:>to, e U grunde rivista in-
glese dì Londra The Academy dei 15 dicembre.
SOLENNITÀ* — 11 13 novenr.bre è stata inaugurata la Biblioteca di Parlinico, prò
mossa con tanto zelo ed amore dal prof. Carmelo Pardi. Il discorso letto da lui fu,
come doveva aspettarsi, animato dai più nobili sensi per la bella istituzione, ed é
da sperare cbe quel Municipio non indugi più oltre a mandarlo fuori. Sappiamo in-
tanto che il desiderio di un anno addietro del Pardi è ora tal fatto che parla elo-
quente : la Biblioteca di Partinico conta oramai 4000 volumi !
PREMII ED ONORIFICENZE— Il giorno 18 dicembre l'Accademia palermitana di
Scienze, Lettere ed Ani ha tenuto una tornata solenne in onore dell'estinto cav. tC-
merico Amari. Il socio aw. Fr. Maggiore-Perni vi lesse un lungo dotto e affettuoso
discorso Sulla vita e sulle opere dell* illustre siciliano, del qiial discorso informe-
remo nel fascicolo seguente.
— Una commemorazione consimile fece nell'Universi tà di Modena il chiarissimo
professore Sbarbaro.
— Il giorno 8 dicembre il prof. Angelo Secchi tenne in Palermo in una pubblica
tornata dell'Accademia di Scienze e Lettere una Conferenza sulla EecUssi tot»Ue di
sole dei fi novembre.
— È probabile cbe al posto di Direttore del R. Conservatorio di Napoli, venga
messo il palermitano maestro Petrella, o, come altri dice, il maestro Pietro Platania.
INVENZIONI E SCOPERTE — Nella demolizione dei fabbricati che inirombrano
il tetto della chiesa della Martorana furono rinvenuti molti oggetti di ceramica che
risalgono all' epoca saracena : in alcuni di essi sono disegni bizzarri. Furono ptire
rinvenuti frammenti d'arabeschi qpn lettere arabiche, modellati in gesso.
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U8 NUOVE EFFBMKBIDl SUUIAia
BELLE ARTI — Da quldie Icoipo lo seollore prof. Nonxio Morello ha finito e
fa Tedere nel me stadie 1* oltima sua beU'opera.in fesso. È nna figura sedata, e
nffntmit^ vo* Indiana nell* atto che , come ali* apparire di nna belva , depone
il suo caro lattante per dar di piglio ali* arco e alle saette. Vivace la posa , fiera
nel Tollo e in preda ad ansioso torbamenlo» non è perduta o trascurata in essa la
▼enustà delle forme ; ansi ò appunto molto a lodare questo lavoro ; perchè il Mo-
rello vi ha disposato lo spirito alla eleganza, 1' ardimento alla grazia, per modo che
le opposte doti fanno in essa contrasto ed armonia ad un tempo. La BKirbidesza e
carnosità delle membra è indizio del grande amore col quale l' artista ha modellato
questa sua opera, in cui la classicità della forma, senza servile imitazione, e la na-
turalezza, senza materialismo gretto e plebeo, sono in bel modo congiunte.
Noi vorremoM far voti che si egregia opera fosse tradotu in nurmo; e pia fervidi
li faremmo se potesse rimanere a Palermo. Crediamo però che non può mancarle
fortuna, se, eome ci si afferma, sarà quella messa in mostra nel 1871 alla Esposi-
zione di Torino.
— Il sig. Loiacono ha compiuto ed esposto uno dei paesaggi che egli sa fare ; ed
esso é suito acquistato d^l nostro Municipio.
— Un gran furto di o^tti del complessivo valore di lire più che 100,000 ò stato
consumato nel R. Museo di Palermo. Tra essi sono i seguenti: oggetti sacri dell'O-
livella, prezzo venale ed intrinseco L. 1380S, 55; pietre e camei, prezzo venale Li-
re IMO; prezzo artistico L.3000; orificeria antica, prezzo venale L. iOO; prezzo ar^
tistico L. 6000; monete, prezzo venale L. 3000; prezzo artistico L. 6000; più altri
quattro oggetti sacri, prezzo venale L. 4000; prezzo artistico L. 8(100; in tutto prezzo
veiinle L. Si,iOS, 55; prezzo artistico L. 3I.40S, 55.
Particolarmente troviamo annotata , per la pisside dell' Olivella d'oro lavorata a
cesello, la somma di L. 4877, 55.
— Il valoroso artista sig. Rosario Riolu è stato incaricalo di restaurare gli stu-
pendi mosaici rinvenuti nella piazza della Vittoria in Palermo; od egli ha fornito l'o-
pera sua e )lla maestria che tutti conoscono.
Lo stesso sig. Kiolo darà mano tra breve ai restauri dei mosaici che decorano le
pareti interne dulia Chiesa della Mariorana.
— Il giovane «cultore sig. Civi letti è in sul compiere in creta una bellissima sta-
tua di Torquato Tasso nelle ultime ore di sua vita. L' infelice autore della Genoa'
lemme liberala è rappresentato sedente in un seggiolone a bracciuoli col capo presso
che abbandonato sopra un guanciale. La destrn posa sul braccio della seggiola , la
sinistra tiene (e questo è un bel pensiero dell' artista), uaa corona di alloro,, da cut
pare che il poeta tragga un intimo confoito ali* animo esacerbato dai travagli del
corpo e da tutto il proprio abbandono. Nel viso gli si leggono le speranze del pas-
sato e i dolori del presente; e se ne rimane commossi e impietositi. Tutto insieme
il lavoro ò pregevolissimo per la jMsìiura, il disegno, il panneggiamento, e pel con-
cetto tutto che lo domina; e di questo ci rallegriamo col giovane ariisU.
Il Civiletti ha offerto con isponunea generosità questo Tasso a Sorrento; quel Mu-
nicipio ha gradilo il dono, ora ò a desiderare che veduto che 1* abbia non indugi ad
affidare al nostro concittadino l' esecuzione della statua in marmo : premio del resto
meritato.
NECROLOGIA — Ai S3 dicembre ò morto in Palermo il valoroso archeologo e fi-
lologo tedesco sig. R. Bergmann di Brandeburgo, di cui uno scrìtto sulla epigrafe
di Siracusa ò stata pubblicata nel fase, precedente delie Effemeridi.
«— È morto in Napoli nella età di 74 anni il nestore della musica classica Save-
rio Mercadante di Altamura.
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BULLETTINO BIBLIOGBAFIOO
L' UNIVERSO, Lellure filosofico-naturali
di atlronomia^ geologia, paleontologia,
fisica, metereologia, zoùlogia, filologia
e antropologia del prof. Raffaele
Pompa ecc. voi. 1. Carlo Messina edi-
lore, Firenze, 1870.
Quest'opera dell* egregio prof. Pompa
«ara di tre volami, de' quali è già uscito
H 1* che contiene quattordici Letture ,
cioè Lett. !• i Cteh, Leti. «• le nebulose
Leu. 3* le stelle, V il sole 5« il sistema
planetario, Lett. 6" osservazioni, sui si-
stema planetario, Leu. ?• le lune. Leti,
d* le comete, Lett. 9* i piccoli asteroidi
Lett. 10* il calorico, LetL lì* la luce,
Lett. 12* /' aria, Leti. 13* V elettricità,
Lett. 14* i fenomeni atmosferici.
La trattazione di tanta materia è ben
condotta, e in naodi assai facili, giusta
V intendimento deM' autore e lo scopo
4el libro, di non negare gli studi na-
turali in grazia dei metaBsici, né la fi-
losofìa per la fisica , e far nel tempo
stesso che agevolmente venissero in co-
noscenza de' più i trovati più sodi dcUe
scienze naturali, nieHte opposti alla «co-
scienza , alla ragione e mai alla feile
4legli uomini. Però, Y autore ci fa sa-
pere sin dal proemio del suo libro • ìa
• scopo del presente libro è di mettere
•« in piena luce quanto di mirabile vi è
-< oggi negli studii della natura, e quanto
« abuso se ne faccia dai materialisti na-
■« turalisti attuali, con quel tirar eh* essi
• fanne immoderate conseguenze. • È
insomma un libro che per facili letture
si propone senza negare i progressi veri
^ellc scienze naturali , combattere la
scuola naturalistica del Vogt, del Mole-
scott, e del Buchner; sofistica,fn scienza,
epicurea in pratica. Questo P volume
dà porzione della Parte I. di tutto il
corso ddle letture che sarà diviso in tre
Parti, cioè Parte I, della nalwra inorgo'
niea; Parte li della natura organica a-
nimale e vegetale. Parte HI, ddl'Anro-
pologia , e ci auguriamo veder presto
pubblicata tutta intiera essa opera.
L'editore signor Carlo Messina vi ha
premessa un'avvertenza ai Lettori piena
di «olio buon senso e di virtuosi av-
visi sulla educazione inlelleltiva « mo-
rale,, cui si dovrebbe attendere a miglio-
rare davvero il p4»polo ; e noi ci con-
gratuliamo col prof. P«mba di avere a-
vuio il .suo libro un editors cosi amo-
roso e intelligenie del vero bene che
.tutti dovremmo procurare airitalia, in-
vece che colorare scelleratamente di o«
nesto none ogni più diycegevole vizio
0 peggi» , che corrompa po|K>Ii e go«
verni. V. D. G.
MEMORIA SOPRA L'ANTICA CATTE-
DRALE DI OTTANA . E SCOPERTE
ARCHEOLOGICHE /ci/l«fi nelC Isola i»
lutto Vanno 1879 pel Can. Giovanw
Spano. Cagliari, Tipog. del Commer-
cio i87a
Ed ecco qua la relazioae annuale delle
scoperte archeologiche fatte in Sardegna
in tutl0 il 1870. Lo Spano è sempre li
pronto a dareela piena di notizie, di e-
rudìzione, di vita, quale glielo consente
l'amore ardentissimo deir isola sua na.-
tale, i lunghi studi suU' antichità , e la
salute, più presto prospera che elione-
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440
NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
vote air età sua. E noi diamo il benve-
nolo a questa memoria, « ce Tanguriamo
messaggiera di altre moltissime , e pel
bene che vogliamo alla Sardegna, conso-
rella della Sicilia, e per la stima affet-
tuosa che sentiamo dello Spano.
Come negli altri ragguagli anche in
questo egli ha voluto illustrare un mo-
numento storico sardo prima di scendere
alle novità archeologiche; e stavolta ha
.scelto la Cattedrale di Oltana , colossale
monumento oggi poco conosciuto, de-
serto e non curato, la cui fondazione si
fa rimonUre a poco più che otto secoli
addietro. Fra le scoperte più importanti
giova ricordare di Tharros una stele fe-
nicia . nella quale rammentasi per la
prima volta il nomn di Astarte , deo »
corno si sa , adorala dai Cananei nella
Fenicia ; due balsamari, alcune monete
romane , vasetti , urne cinerarie ecc; di
Sulcis una forma o pane di piombo del
peso di 34 chilogrammi , dei tempi di
Mii!nsto , il qua! pane dinota che in
qui'l lu(»go sia stata una fonderia per
eonio del Governo; molte monete ed.i-
sciizioni romane; di altri antichi |)aesi,
idolctti in bronzo, massi granìtici, armi
di pietra , un nuraghe, stoviglie, sigilli
di bronzo, corniole e pietre incise, lu-
ct'rne , iscrizioni ec. oc. Di lutto ciò il
ran. Spano parla lungamente, nulla tra-
lasciando che ne dia contezza e spiega-
zione e ne niustri le analogie con altre
antidiilà illuslrate da altri e, più che
da altri da lui.
In generale, in ordine ad acquisii ar-
cheologici r anno 1870 ha arriso allo
Spano; e dicendo allo Spano intendiamo
dire alla Sardegna « perchè noi in que-
st' uomo venerando veggiamo personifi-
cata quella classica e pure sdimenticata
isola. G. P.
OSSERVAZIONI STORICHE E DIPLO-
MATICHE inl&mo ai diplomi della
Real Cappella Palatina del Cam. Ce-
sare Pasca. Palermo 1870.
Chi non potrìt avere a mano il Tabu-
larlo della Real Cappella Palatina del
Garofalo, e del Mortillaro, né attonde-
re a quanto sol proposito è stato fatto
da* nostri scrittori e raccoglitori di di*
plomi e pergamene antiche, avrà in que-
sto lavoro del can. Pasca quanto gli ba-
sterà per la storia de* diplomi della Real
Cappella e per la notizia del loro con-
tenuto.
Oltre la descrizione de* diplomi, come
sono oggi disposti in ordine, vi bai in
questo volume raccolte belle avvertenze
sulla diplomatica antica siciliana, sui
caratterino i colori usati nelle pergamene,
su* diplomi bilin;;ui, sul computo degli
anni ne' diplomi arabo normanni, e in-
fine suir officio de* notari; né manca
una elegante incisione del diploma del
re Ruggiero del 1139. Ogni pubblicazione
che fa ricordare i dimentichi nepoti della
grandezza de* loro antichi e de' monu-
menti che hanno lasciati , è sempre da
accogliere con riconoscenza e con plauso.
V. D. G.
VESTIGIA PRIMITIVE DELLA LINGUA
E DE* DIALETTI ITALIANI di Cesare
Canto*. Venezia, 1870.
Questo opuscolello del Cantù é una
giunta importantissima alla Dissertazione
suir origine della Lingua Italiana dello
stesso autore (Nap. 4865). Vestigia del
volgare, che non si direhbe della prima
infanzia, sono in un atto del 960; e più
che vesligia, é una Ug^onduola tutta in
voljjare, la poesia che uscì da Monte Cas-
sino nel 1865, e fu riferita al sec. X! :
documenti che non dovrebbero far più
dubitare della iscrizione volgare del mille
esistente nella Chiesa di S. Giovanni in
Erice. L'aut. non mostra diflìcollà a rite-
nere il nostro Giulio avesse cantato tri il
1174 e il 1193; e anzi che a Dino Compa-
gni crei^le appartenere il poema deU7ti-
telligenza a qualche poeta siciliano dei
tempi normanni o svevi. Cosi crede pure
che molti de* nostri canti popolari storici
siano contemporanei agli avvenimenti :
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BUIXETTINO BIBUOGRAFICO
4&i
e sé noD accetta quanto il Giambullari
disse di Lucio Drusi, come il primo che
avesse dato le forme siciliane al toscano;
non può dirsi nemmeno dopo questo
scritto del Cantù che alcuno abbia pro-
vato gli antichi rimatori siciliani aver
preso a imitare i toscani, siccome i To-
scani fecero de' siciliani, tanto che ogni
nobile composizione, a testimonianza di
Dante, si disse tieiliana.
È infine, questo dell* illustre storico,
un opuscolo da tenersi caro , pe' docu-
menti citati, da quanti attendono agli
studi intorno le orìgini e lo spiegamento
del volgare italiano per tutta la Penisola.
V. D. G.
LEZIONI DI STORIA UNIVERSALE con-
dotta sino al Ì8tf7 con particolare ri-
guardo alla storia d'Italia per Anto-
nio Matscheg prof, nel Liceo Fosca rioi
in Venezia, quarta ediz. Venezia 1870
2 voi. (Medio Evo — Evo Moderno).
Quest'opera del bravo aut. della Storia
di Cesare è un corso compiuto di Storia
Universale, poiché tra breve uscirà fuori
il volume dell* Elfo anlieo, ed altro vo-
lume sarà aggiunto per la storia contem-
poranea, a cominciare dal i815 al 1867.
VEvo medio comincia dalla morto di Co-
stantino e giunge alla scoverta del nuovo
mondo, onde comincia VEvo moderno,
che viene sino a noi. Le vicende civili
sono dairautore fatte seguire dalle vi-
cende della civiltà e della cultura; e nella
pulita brevità e chiarezza della narra-
zione trovi sempre quel pacato giudizio
che dovrehb' essere la principalissima
dote degli storici. Due Appendici Crono-
logiche pel Medio Evo, e per VEvo mo-
derno, da' Papi ai Presidenti degli Stati
Uniti, fanno più pregevole quest'opera,
che in mano ai giovani, pe' quali è stala
scritta, sarà loro di molto profitto e di
bello esempio a rettamente giudicare de-
gli avvenimenti spesso o frantesi o per
malignità svisati da ignoranti ovvero da
perversi scrìttorì.. V. D. G.
8TUDI HLOLOGICI, Strenna pel <871«
Modena, Hp. Soliani 1870.
Sono otto anni che il eh. cav. B. Ve-
ralti vien dando fuori una raccolta di
sludii filologici che foi».sero come Strenna
del novello anno ; e già abbiamo sotto
occhio il libretto di quesl' anno 1871 .
vivo di belle avvertenze filologiche, di
esempii non citati, u corretti, o meglio
spiegati, e per di più di una |irefuzione
mollo opportuna sul conto che debba
farsi dell'uso in materia di lingua, oggi
che si vorrebbero per certuni bandire i
vocabolari delta lingua scritta per ec-
cesso opposto a quello che si potè fare
o dire ne' tempi passati.
Le voci che si . notano sono disposte
per ordine alfabetico a uso dei vocabo-
larii; e sono un centocinquanta o presso,
fra le quali molte del Bartoli. E a pro-
posito di scagliosa data a pietra, avver-
tiamo il eh. raccoglitore che anche in
Sicilia pietra che si scaglia (scarda, scag-
ghia) varrebbe che si sparte in mille
pezzi, in scaggìùe, scarde, come è pro-
prio delle pietre mezzo cedevoli e moz-
zo dure, 0 di quelle che si dividono in
-strati quasi in foglie ; siccome non ci
parrebbe per altro verso da accettare
cosi come è scritta la voce slappast\ele,
senza la desinenza in vocale che com-
pirebbe il composto zucca, e darebbe la
buon'aria di voce italianissima. Molto ò
poi da lodare V egregio sig. Yeratti di
aver sapulo per pilli anni cosi degna-
mente continuare gli studi del Parenti,
e con tanta severità di giudizio fornir
sempre nuovo capitale al Vocabolario ,
e bei regali ai cultori degli studii filo-
logici io Italia. V. D. G.
VOLGARIZZAMENTO dalla lettera di San
Paolo agli Efesini. Siena, tip. Sordo-
muti, 1870.
Questo volgariazamento del buon secolo
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442
NUOVE EFFEMERIDI SiaUANE
è oscilo fuori per cura d«l parr. Alessan-
dro ToU, editore di altri testi del buon
secolo, in occasione delle Nozze Palmieri
Buoniignori, ed eraveramontedf^noche
vedesse U luce per la copia della buona
lingua e le elette maniere che ci trovi, sic-
come in tulle le seriliwre di quei tempi
d* oro per la italiana favella. 11 eli. edi-
tore ha fornito questo volgarinamento di
opportuni rìscootri sia rolla Volgata* sia
col testo greco, e di sapienti annolasioni
te<ilogiche che chiariscono all' uopo la dot-
trina dell'Apostolo. Quel che è singolar-
mente da notare nella lezione di que.slo
testo è il leggervi frali invece di fraieUi,
alla latina , e qualche altra voce di uso
non frequenle ne' testi medesimi antichi.
Desidereremo poi che l'cgr. e*lilore parr.
Toti desse fuori altre parti di quanto vol-
gariizamento • corapilaloe ordinata mente
trailo di lutU e quattro evangeli, • cosi
come non vorremo né Bianco si tentasse
3i soli VI capi pubblicali del S. Matteo
sopra uh codice del sec. XV, V allro eg.
uomo nostro carissimo collega nel la Com-
missione pe' testi di lingua cav. France-
sco Di Mauro di l'ollica. V. D. G.
LE RIMR DI FRANCESCO PETRARCA
eoi coinenlo di Giuseppe Bozzo. voL
secondo. Palermo, Amenta 1870.
Del primo volume di <|ueslo Comenta
si diede avviso nella di8p.IV-V di queste
Effemeridi; e col nostro giudizio si ac-
cordò quello del Ptopu^natore di Bolo-
gna. Questo secondo volume comprende
le Rime m «torte di Mmdowa laura, i
Trionfi, e le Rimétofra vari argommti;,
e ognuna di queste parti> cosi come nel
primo volume> è seguita da dotte digretr
sioni intorno alla parte del Canzoniere
cui fanno di conchiusione. Nelle quali
digre$tioni trovi delle sottili e felici in-
terpetrazioni di qualche passo dubbio o
oscuro del grande Poeto; o belle consi-
derazioni suir indole della poesìa e sulle
cagioni di qualche piìli famoso componi-
mento del Petrarca : il che accresce pre-
gio alle note che in questo volume sono
forse più spesse che nel primo , e alle
avvertenze estetiche che ci hai per lo
più ad ogni componimento, eondolic con
savio giudizio e gusto bene educato alle
bellezze classiche de' padri di no.«lra let-
teratura. Né mancano infine i raffronti
con figure e locuzioni di altri fioeti»
quali specialmente Virgilio e Dante, ov-
vero con luoghi scrìttorali cosi noti al
doUo poeto dell' Africa « all'autore de'
libri della Vita solilaria, del Dispreiza
del mondo, e de' Rimedii déVuna e tlei^
r (Ulra fortuna^
Auguriamo al nostro piiese che sieno
frequenti fra noi questi sludi, da' quali
non solamente guadagna la buona col>
tura delle lettere, bensì l'educatione vir-
tuosa delia mente e del cuore.
V. D. G.
VIAGGIO AVVENTOTOSO és Coneordia
su quel di Modena o Nolo in Sicilia^
dell' avv. Ernesto Corti, prof, tli
Lettere itoliane. Noto, 1871.
Rare volle s'è scritto di cose siciliane-
vedale in viaggi senza bolle diritte o di
traverso a questo povera isola; eppure.
incredibile diclut questo viaggio avven^
turoso dice bene di tutti noi. Grazie al
sig. avv. Ernesto Corti t
Partendo da Concordia il sig. Corti si
recava quest' anno passato a Palermo ,
Messina, Catonia> Patagonia, Galtogiro-
ne, Siracusa, Nolo», ove forse rimane pro-
fessore di lettere italiane. Quello che ff^i
accade di comico e di tragico, quel che
vede di buono e di cattivo , quel che
cerca di sapere e che ode a narrare, egli
descrive e riferisce con una vivacilà eh»
alletto e afEeaiona. È vero che c^rte cose
narrate sono o s<tnno del comune , ma
che perciò! il Corti le presento per com-
piere la sua narrazione. É vero cho qual-
che inesattezza sul conto nostro e' è, ma
tra le tonte che ne snocciolano certi no-
stri giudici d"^ oltremonte e 4' oltremare
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BULLETTINO BIBUOGRAFIGO
443
le pochÌ3SÌine del Corti sunl nugae, e ce
ne compeosa largamente lo entusiasmo
eh' egli ha per la Sicilia e la sua venera-
zione per le memorie di essa. Cosi il let-
tore siciliano e non siciliano non s'av-
venisse allo sposso in errori tipografici,
che deturperebbero il senso se il vivace
autore non li avesse, almeno nella nostra
copia^ corretti a penna ! G. P.
IL BUCATO IN FAMIGLIA, Diuono pro-
nunziato il dì 84 novembre per la so-
lenne preminziune delle eeuole elemen-
tari maschili e femminili in Mineo. Ca-
tania, 1870.
Dopo letto questo discorso del nostro
signor Luigi Gipuana noi non ci sium
potuti trattenere dair esclamare: Bene-
detto lui, che sa pensare e scrìvere a quel
modo! E davvero che pochi discorsi ci
è vieouto fatto di leggere intorno a pre-
miazioni , in cui sia tanto amore della
gioventù, tanta nobiltà di sentire, e, che
più è, tanto desiderio del bene e del pro-
gresso quanto ne ha questo caro signor
Capuana; il quale lasciando per un mo-
mento la letteratura militante, di cui ò
strenuo campione, invila al meritato pre-
mio i fanciulli e le fanciulle delle scuole
elementari del suo paese natale. Egli ri-
corda gli antichi metodi scolastici non
per il comun vezzo di dir male del pas-
sato, ma per far vedere che da quelli a
questi ci corre una buona differenza se
non per gl'intendimenti certo per gli e-
spedienti tutti dell'insegnare. E chiama
Il Bucato in famiglia questo discorso,
perchè essendo nella istruzione pubblica
di Mineo qualche laccherei la ancora da
togliere, e non pochi difettuzà da cor-
reggere, il Capuana ha voluto parlarne
in famiglia come si fa della roba spor-
ca, ma non si che la sua voce non giun-
ga pure a noi, che fino a pochi mesi ad-
dietro lamentavamo il lungo tacere di si
valente scrittore.
A pagina il del suo discorso il Ca-
puana presenta un bel tipo di maestro,
• uno di quei geni benefici dell'istruzione
che sagriflcava non solo la sua vita, ma
ogni suo avere per e^sa... Cotesto mae-
stro eccezionale , dettava da mattina a
sera con sublime coraggio contro l'ine-
sperìenza e contro i cattivi metodi; » e
noi vogliamo ricordarlo perchè anche da
noi si renda una teslimoiiianza di gra*
titiidine a si modesto e paziente educa-
tore. Egli era il Dolt. Vincenzo Costan-
zo, a cui Mineo ha posto una lapide eoo
questa iscrizione , se bene indoviniamo,
del Capuana *
Dottor Vincenzo Costanzo
QuaranVanni dMasuavUa laboriosissima
Consacrò al pubblico insegnamento
Con affetto e disinteresse senza pari,
I discepoli
GU posero questo marmo
Nacque a%i aprile Ì9()i
Mon di tifo a U novembre 1868
Vittima del suo z^o pegli ammalati.
Riposi in pace t
Onore a questo benefattore della pub-
blica istruzione. G. P.
COMMEMORAZIONE DI EMERICO A-
MARI letta U 19 novembre 1870 nella
Università di Palermo da Ldiqi Sam-
POLO. Palermo, 1871.
Come biografia questa commemorazio-
ne ci dà copiose notizie dell' illustre e
venerato nostro concittadino ; come rì-
vista ci dà il concetto delle opere di lui,
concetto che il Sanjpolo ritrae dall'in-
sieme di esse ed avviva e chiarisce colle
scienze giuridiche, le quali egli professa
nella nostra Università. Noi udimmo
dalla bocca dell' egregio professor Sam-
polo queste amorevoli pagine, e, giova
il dirlo, rimanemmo confortati che in
tanto delirar di parti fosse qualche bel-
r anima che serbasse tuttavia memoria
dell'illustre filosofo e giurista, di cui fu
celebre il patriottismo dei tempi passati
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ìkì
NUOVE EFF£IIBRIDI SIGIUANE
e rimarrà venerala la costanza e fer-
mezza delle opinioni. E però non pos-
siamo non rallegrarci col Saropolo della
sua bella e buona azione. G. P.
PRIMA STRENNA TIPOGRAFICA. Fi-
renze, Tip. delia Società dei Composi -
. lori tipografi 1871.
Del progredire dell' arte tipografica in
Ital:a è bellissima prova questa elegante
Strenna, nella qnale poiché Targomento o
meglio il concetto di una strenna per l'arte
tipografica è affatto nuovo, molti valenti'
scrittori ilaliani han voluto soltanto que-
gli ariicoli inserire che hanno stretta rela-
zione coll'arte dello stampatore.MI Tt>ro-
maseo, che in ogni operabuona non man-
ca mai, vi ha parlato dell 7i»(7ut/r»a delle
slampe; Giulio Pozzoli, del Con/e.P. LtVto,
soldato, scì'Utore, fipopra/b; Michele Boero
dell 7n /luetica che possono avere le asso-
ciazioni t pografiche sulle altre società o-
peraie\ il sempre caro Maineri vi ha lar-
gamente illustrato un quadro di Giusep-
pe Mazza rappresentante Cola Montano
e Compagni in tipografia; C. A. Piovano
vi ha posto un lungo bozzetto sullMp-
prendista compositore tipografo ecc. Le
poesie non vi mancano, e parecchie anche
belle. Ce n'è due del Dall'Ongaro: La Car-
tiera, I Tipografi; una del Bernardi a G.
B, Bodoni pel monumento da erigersi in
Saluzzo; una del prof. P. Contini: Gli Or-
fanelli tipografi, varie altre del Professore
Regonati , Buriani ecc. Vi sono pochi
scritti altri morali e di varietà; due ri-
tratti: quello dell' Autore deWe Famiglie
illustri d'Italia e quello di Angelo Co-
lombo, tipografo milanese, che è un pro-
motore infaticabile delle glorie tipografi-
che italiane; tre belle pagine di musica.
pag.
che sono un Galops per piano forte del
maestro Giovanni Varìsco, promotore in
Milano delle scuole militari di canto. E so
a tutto questo si aggiunge una edizione ni-
tidissima , correttissima, e d'una sempli-
cità ignota a molti tipografi che vanno
per la maggiore, ei si avrà argomento di
dire che questa prima strenna tipografica
è una cara e squisita cosa. E davvero cbe
ogni persona dell' arte dovrebbe posse-
derla non solo per apprendervi molle cose
che non si sanno o non si vogliono saper
da tutti» ma altresì perchè su di ossa ogni
volenteroso tipografo avrebbe Jicheemu-
lare alcuni valorosi operai non conos^iuii
da tutti. G. P.
SULLE OPERE DI ROSINA MUZIO-SAL-
VO, Bibliografia di Ant. Zoncada.
Pai. 1870.
Son sedici pagine piene di afiello e di
ammirazione per la nostra Mmìo-Salvo;
alle quali dà occasione la ristampa t<siè
fatta delle opere di lei dal eh. prof.
Luigi Sampolo. Lo2toocada fa belle con-
siderazioni sopra le scrittrici del XVI e
del XIX secolo , e ne tira conseguenze
quanl' esser possano favorevoli a queste
ultime, le quali non celebrano più amori
propri, ma bensì la patria, la famiglia,
la educazione, la religione ecc. Tra que>
ste scrittrici egli pone in prima riga la
Muzio- Salvo, e ne giudica e loda le o-
pere tutte in prosa e in verso. Peccato
che questa rivista non abbia potuto mei-
tersi come introduzione a quei due vo-
lumi, che avrebbe fallo buona compa-
gnia allo studio biografico che delia rim-
pianta donna scriveva il prof. Sumpolo.
G. P.
ERRORI
CORREZIONI
^ 360,
lin. 30: apu cantao .
. apu cantau
»
. 36:n*6i/tt. .
. ruba colui
370,
• 15: mutarsi ili z
. mutarsi in r
•
• 22: ósLSuba. .
. da subula
•
• 2o: sahidoni
. schùloni
376,
• .32: Fui gius. .
. . Jurgius
383,
• 21: Sertorio. .
. . Serionio
// Gerente : Pietro Montaina
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NUOVE EFFEHERIDIJICILIANE
ANNO II. DISPENSE XI E Xll. FEBBR. E MARZO 1871
BRANO DI UN CODICE CEFU.UTANO
INEDITO DEL SECOLO XIV
§3.
Oeiàlà e la saa Cattedrale sotto i xrormaiiiil.
Dopo questi lievissimi accenni alla storia antica di Cefalù, an-
drò soggiungendo distintamente qualche altra parola sugli argo-
menti , di cui s' intrattiene il brano di codice ora per la prima
volta da me pubblicato.
Fra le tante cure ed occupazioni del conquisto, volse il conte
Ruggieri la sua operosità ed energia a rialzare e fondare di nuovo
le Sedi Vescovili delF Isola. Traina nel 1081 ebbe già la sua, che
poi nel 1096 si trasferì in Messina per volere dello stesso Conte;
la sua ebbe Catania nel 1091; nel 1093 sorsero le Sedi di Sira-
cusa, Girgenti e Mazzara; nel 1094 TAbsfle del Monastero di s. Lu-
cia venne insignito di funzioni vescovili. Primogenita fu dunque la
Sede Trainese , e dai diplomi chiaramente risulta che s. Maria
di Traina va innanzi a tutte le altre chiese costrutte dal prode
figlio di Tancredi di Hauteville (1). Ora appunto Cefalù è del
numero di quelle città e castella, che il Conte concedeva con di-
ploma del 1082 alla Chiesa Trainese (2).
Di queir epoca , era essa per ingiuria dei tempi e per le vi-
cende cennate rimpicciolita d'importanza, e poco men che diserta
(1) Vedi in proposito la Memoria del Can. Di Chiara Sulla Chiesa di Traina pri-
maria Cappella Regia di Sicilia , puliblicala nel tomo I deUa Biblioteca taera di
Buscemi.
(2) Pirri 1, 495.
29
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446 NUOVE EFFEMERIDI SICILUNE
* •
di gente. L'Amari avverti , che vivesse in Cefalù gente berbera;
e lo rilevò difatti da alcuni nomi propri serbatici, come Badis e
Tarakùt, villani di quel contado, non che Begia^i ossia di Bugìa, e
Righi, nome anch'esso africano (1), oltre ai nomi etnici di f otama
e di Howara (2). Ma al pari di Palermo , Catania, Girgenti, Maz-
zara e Trapani, scarseggiava Cefalù di popolazione cristiana, fin-
ché nel corso del duodecimo secolo si rifomi di gente venuta
dalle città marittime del continente, appunto a quel modo che av-
venne in Messina, Patti ed altre città della costa di Sicilia, un
po' sparute d'abitanti all'epoca del conquisto (3).
Fu Re Ruggiero, il glorioso successore del Conte, che ricostruì
la vetusta Cefalù. Per opera di lui , gli abitanti si fermarono di
preferenza nella città bassa, in un angolo sottoposto, sul lido del
mare. Cosi in un diploma del tempo di Guglielmo II si legge: mani-
pstum est quod felicis memorie rex Rogerius avus vester civitatem
CephaluH a fundamentis reediflcavit (4), vale a dire che le mura
e le case rovinate inalzò e rimise in piedi, in modo da poterse-
gli dar lode di averla come per la seconda volta fondata. Alla
quale testimonianza si può aggiungere quella di Falcando, da cui si
accenna alle mura nuove di Cefalù costruite da Re Ruggiero (5),
E poiché tra le nuove fabbriche la più nobile e cospicua fu quella
del Duomo , conviene stabilirne con precisione l'origine, sceve-
rando la verità dalla leggenda, che venne appresso foggiata, e non
solo fu ritenuta dal popolo, ma dal nostro codice si perpetuò ne-
gli scrittori.
Si narrò adunque, che partito Ruggiero da Napoli per recarsi
in Sicilia, una tempesta venne addosso all'armatetta (Fazello la
fa costare di tre navi) net golfo di Salerno, appena uscita dalle
bocche di Capri. Dopo aver vagato fra molti pericoli in balia delle
onde, il pio Normanno, diserto d'ogni umana speranza, si volge
con preghiera e con lagrime ad implorare l'aiuto divino: anzi fa
voto, che, se vivo campi dalla procella, in quel lido dov'ei sarà
per approdare, debba costruire e dotare splendidamente un tempia
in onore del santissimo Salvatore e dei Santi Apostoli. Fatto questo
(1) Rìgha è nome di tribù berbera.
(2) Storta dei if utuim. HI, SII.
(3) Veggasi Amari Op. di. III, 232.
(4) Pirri li 802.
f5; Prtulereo Cephaludi nova moenia. Vedi presso Del Re Cronitii e ScrUt. Sincr.
ìiap. voi. I. Nap. 1843, p. 281,
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BRANO DI UN GODIGE GBPALUTANO 447
volo, ecco d'an tratto rasserenarsi Taere, abbonacciarsi il mare e lo
stolo siciliano approdare in Ce&lù il 6 agosto, giorno del Salvatore.
Qui Ruggiero, tostochè mette piede a terra , grato della salvezza
ottenuta, si fa lieto a tracciare Tarea del nuovo tempio, ed or-
dina inoltre la costruzione di una Cappella in onore di S. Gior-
gio, che gli era apparso nella tempesta.
Tacciono questo racconto gli scrittori contemporanei , e lo ri-
feriscono invece ricavandolo dal nostro codice tutti gli scritto-
ri posteriori, come a dire Fazello (i), Passafiume (J) , Carandi-
ni (3) , Auria (4) , Inveges (5), Buonflglio (6) , Pirri (7) , Sum-
monte (8), il p. Cascini (9), Caruso (10), il principe di Biscari (11),
Di Blasi (12), il duca di Serradifalco (13), Di Marzo (14), e.Den-
nis (15).
Non può esitarsi a rigettare questa narrazione come leggendaria,
nò vi ha dubbio ch'essa venne formata ad illustrare la fondazione
del Duomo di Cefalo, a quél modo stesso che un'altra ne fu foggiata
per quello di Monreale. Il Cassinese Di Blasi la respinse già nella
sua Storia , come la respinse pure il Serradifalco. Il eh. signor
Dennis, mentre racconta il fatto, non lascia però di far le sue me-
raviglie pel silenzio in cui lo lasciano i diplomi (16). E scrittori
e diplomi, affatto silenziosi sul viaggio sulla tempesta sullo scampo,
costituiscono due ragioni decisive per negare ogni fede alla nar-
razione. Come potrebbe altrimenti supporsi, che se re Ruggiero
(I) Deca I. Lib. IX Gap. HI.
<2) De Origine Eceles. Cephatud. pag. 3.
(3) DescripL eccl. Ceph. ManCusM 1593.
<4) Op. cU. pag. 45-6.
f5) Ann. di Pai. par. Ili, pag. 243-4 Pai. 1651.
(6) Prima parte deWHiit, Siciliana Lib. IV. pag. 213. Mebs. 1738.
(7) II. 7W.
(8) Storia di Napoli, Lib. II, cap. L pag. 7.
(9) Di S. Rosalia eie. p. 14.
(ÌO) Mem. Stor, par. Il, lib. II, voi. I, pag. 102. Pai, 1737.
(II) Viaggio etc. Cap. XXIL
(ip Storia del Regno di SicUia. Lib. VIL Sex. IL Cap. XVI.
(13) Del Duomo di Monreale eU. RagìoDam. II.
(14> Nota al Dizion. Topogr. di Vito Amico art. Gefalù.
(18) Op. eit. pag. 260.
(16) It is tingular however that the diplome in whieh king Roger endotoed kii new
ekttrch, dated 1145, maket no mention of tuch a voto, merelg atsigning a$ kit rea-
son for founding so grand a tempie, kis gralitude lo the Saviour (or the worldly
honours and the regal lille whieh he hnd aequired.
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448 NUOVE EFFEMERIDI SiCIUANE
fosse campato da un si grave pericolo di naufragio, ed avesse
poi trovato salvezza in Cefalù, di quest^avvenimento non si facesse
pur motto dagli storici contemporanei, che ci parlarono tanto di
lui, delle sue opere, degli avvenimenti del suo regno, come l'A-
bate Telesino e Falcone Beneventano ? ò mai verisimile e possi-
bile che ninna parola relativa alla tempesta, al voto, allo scampo
si rinvenisse nei diplomi , neppure in quello di dotazione dato
del 1145, dove Ruggiero assegna invece tutt' altre ragioni alla fon-
dazione, tutt'altri titoli alla gratitudine sua verso il Salvatore (la
gloria conseguita, il titolo regio acquistato, un desiderio per lun-
ghi anni nutrito) fuorché Tunica ragione, ed il solo titolo che si
supporrebbero per veri (1) ?
Si aggiunga a queste osservazioni la parte, che in tutto ciò rap-
presenta il personaggio di San Giorgio, che si disse comparso al
Re nella tempesta.
Si sa , che sulla storia sincera di San Giorgio di Cappadocia
venne a sopredificarsi di buon'ora il racconto leggendario. Un'antica
tradizione addita tuttavia ai pellegrini, a mezza lega da Beyruth»
in riva al mare, il luogo, dove Messer San Giorgio ^ secondo dice
il sire d' Englure, uccise il dragone che desolava quelle contrade
e liberò la figliuola del re ; si fa inoltre vedere , un miglio più
lontano, dal lato della montagna , la caverna abitata dal terribile
mostro. Su di ciò non è parola alcuna nei documenti antichi re-
lativi alla vita del Santa (2), ed è solo nel secolo duodecimo che
per la prima volto fa capolino la leggenda del drago. Indi vieu
essa ricevuta, passa in un gran numero di scrittori, e costoro ne
collocano la scena ora in Libia , ora in Cappadocia , e più tardi
nelle vicinanze di Borito ossia Beyruth. Hons. Mi3lin, uno degli
ultimi dotti visitatori dei Luoghi Santi, fa nascere a buon dritto
la leggenda dalle pitture allegoriche cosi comuni in Cristianità del
San Giorgio a cavallo, che atterra un mostro, mentre una donna
vestita di abiti reali assiste al fiderò combattimento (Z). Simile
(ì) Ecco le parole : Dignum et radanole fyre duximus ad iolvatorig nailri hono-
rem domum conslruere et odiHiu» gloriam aulam fundare qui nobii et honorem con-
^tUil et noitrum nomen laude regia ilecoravit.,.. Hoc Uaque racione àucti ex lonqa
iam tempore ad honorem tancti ealvatorispropotuimus ecclesiam conslruere in eivi-
lale cephaludi,.., Quam volente deo et salvatore noilro cooperante fundavimus alque
eomtruximut. Dipi, di apr. ii45, iiid. IX. presso Pirri IL 800.
(2) Cosi in no ross. delia Bibliot. AnOìros. di num^ 158..
(3; / luoghi Santi voi. I, cap. VI.
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BRANO DI UN GODIGB GBPALUTANO 449
rappresentazione , descritta negli ammirabili versi del Tasso, (1),
volea simboleggiare probabilmente la liberazione deir Imperatrice
Alessandra dal dèmone dell'idolatria ottenuta per opera del santo
martire di Cappadocia (2). È risaputo del resto che tali pitture
allegoriche risalgono fin ai primi secoli della Chiesa.
San Giorgio, come simbolo di vittoria , diventò tanto popolare
nel medio evo, si nelP Oriente come nell' Occidente cristiano, che
egli è fra i Santi citati con preferenza dai Musulmani, i quali ne
fecero un soldato cristiano originario della città di Mossul sul Ti-
gri, Narrano , che per tre volte messo a morte per tre volte ri-
suscitò, e gli attribuiscono inoltre tanti miracoli (3). Che anzi la
divozione degli Islamiti verso San Giorgio arrivò fin a dar ingresso
nel paradiso al suo rinomato cavallo, ed a farvelo soggiornare in-
sieme al cane dei Sette Dormenti, air ariete di Abramo, all'asina
di Balaam , air asina su cui cavalcò Nostro Signore la Domenica
delle Palme , alla giumenta su cui credono salisse al cielo Mao-
metto, ed anche al cavallo su cui Maometto stesso fuggì dalla Mecca
in Medina, ed air asina del profeta Esdra (4).
Il Comune di Genova uni la sua splendida storia a quella del
santo martire; le sue flotte issarono sulla capitana lo stendardo di
San Giorgio, ed i suoi maestrati lo chiamarono nei documenti di
officio invitto e glorioso vessillifero della Repubblica.
San Giorgio torna spessissimo nelle guerre dei Crociati, e cosi
si trova nella storia dei Normanni. Narra il cronista Malaterra ,
che alla battaglia di Cerami, un cavaliero di bello e possente a-
spetto , montato sopra nn cavallo bianco , con bianca armatura ,
lancia con pennoncello bianco e croce rossa , apparisse nel più
(1) D'una pietosa istoria, e di devote
FigQTO la saa stanca era dipinta.
Vergine bianca il bel volto, e le gote
Vermiglia è quivi presso un drago avvinta.
Coirasla il mostro un cavati«r percole :
Giace la fera nel buo sangue- estima.
Genu. Cani. Xli.
f2) Vedi i Bollandisti Aeta, Sanct.
(3) Vedi d'Ohsson Tableau de V Empire Olliman l»l, pay. 192. TI<>ninpcT*fi«r.
Orient. pag. loO e segg. Marraeci Prodromus alPAIcorano par. 11 , pag. 75 ed Oi-
ter Vnyage en Turquie et en Pene l. I, pag. 437 e segg.
(4) Vedi Marracci Prodromus par. IV, pag. 116; par. II, p. 19 e 79; il Commen-
tario deir Alcorano dello stesso autore p. 427; Gagnier Vita Mohammedis p. 34 e
Reinaud, Deeeripl. de* èionum. Mutulm, du Cabinet de M. le Due de lUacas I. ].
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450 NOOVB EFFEMBRIDI SICILIANE
fitto delia mischia , e guidasse alla vittoria sugP infedeli i gner-
rieri cristiani. Parimenti narra il nostro codice, che San Giorgio
apparve a Re Ruggiero nella tempesta , e lo assicurò della libe-
razione. Certo è che a pie della rupe in Cefalù fu costruita in o-
nore del santo martire una chiesa , intitolata da lui , la quale i
marinai fecero poi ristaurare ma dedicandola 'a San Leonardo. Ai
tempi delPAurìa non era più che un reclusorio di povere don-
zelle nubili. • Mi ricordo (dice questo scrittore, parlando del tem-
pietto di San Giorgio) haver visto nelle mura di esso depinto lo
arrivo del Re coi segni della passata tempesta > (i).
Esclusa quest' origine popolare e foggiata, accenniamo ora ai mo-
numenti genuini relativi alla fondazione della celebre Cattedrale.
Mentre inalzavasi la città nuova e muniasi di mura , Re Rug-
giero facea costruire il tempio al Salvatore (J). Si è ripetuto da
tutti, che la prima pietra ne fu posta Tanno 1131, nel giorno di
Pentecoste, sondo presente Ugone arcivescovo di Messina, il quale
consenti T erezione e dichiarò la diocesi 'di Cefalù suffraganea
della Chiesa metropolitana di Messina, sulla facoltà chiestane al-
l'antipapa Anacleto, per cui allora parteggiava Ruggiero (3). Però
non panni possibile , come un sì gran tempio siasi compito nel
giro di pochi mesi , e ciò mentre lo stesso iQonarca inalzava la
Regia Cappella di Palazzo. Imperocché è certo, che la Cattedrale
di Cefalù è ricordata come già compiuta in un diploma di Rug-
giero, di marzo anno greco 6640 (1132) indiz. X. (4).
(I) Op. eìL pag. 46-7.
'(t) Una CronHca mss. serbaUi dall' Aurìa, e da lui congetturala opera di*Alvaro
PalernA, scrive : Anno Domini 4190 /u f?« Bugeri habitao CAt/oiri, et fieki fari la
telesia et episeopatu di Chifalù.
(3) Ea propter dum dominut noster dei gracia Sicilie et itaìie rex gìoriosissimus
alque invicissimus apud eephaledem in die penieeotlet fundandx grada in eodem loro
tccletiam ad honorem taneti ealvaforis et beaforum apoitolorum pelri ol pauli pto
anima pairis $ui pie memorie rogerii primi eomitit matriique sue adela$ie regine ,
sua denique redempcione et omnium peccatorum suorum deliberacione pauperum de-
nique ae iranseuneium suslentacìone veniàset eonsUio et assensu tam messanensium,
quam traynensium canonicorum prò eo'lem dfi opere ineipiendo, oum et nos ibidem
adessemus eie. Dipi, dell* Arciv. Ùgone di oUobre 113i indiz. X che leggasi presso
Pirri I 389, Questo prelato ^opo il 4139 fu rimossodalla sua sede coi cardinali a ve-
scovi nominati dall'antipapa Anaclelo, e ciò per disposixione del Ponteftee Innocenzo
secondo, e del Concilio Lateranense. La bolla legittima di erezione è del papa Ales-
sandro ni di aprile 1171 indizioDe IV, colla quale è nominato Bosone primo vescovo
di Cefalù.
(4) Quapropter ego rogerius rea polens in ehristo et ftdelissimus hee predkla non
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BRANO DI UN CODICE CEFALOTANO 451
Riferisco dunque le parole del diploma di ottobre 1131 , dtm
damihus rex apud cephakdem fundandi grada ecclesiam.... venisset
(sulle quali parole si è creduto che il Duomo fosse solo in quel-
la anno cominciato) ad un tempo anteriore d^ alquanti anni al 1131»
anno del diploma. E ciò si ravvalora dalla bolla di Anacleto, pur
deiranno sopradetto, colla quale T Antipapa soggetta a Cefalù la
chiesa della Bagnara, e rafferma le donazioni già fattele, quidquid
prenominata cephaludensis ecclesia legitime possideat^ il che difficile
mente si concepirebbe , se la Cattedrale non fosse stata tampoco
iniziata. E quanto dice Ruggiero nel citato diploma greco del suc-
cessivo anno 1132, feci edificare templtm ab inicio fandacionis stie,
non allude forse con queir ab inicio ad un discreto periodo an-
teriore di tempo?
Cefalù riaveva il suo antico Vescovato, e per opera di Re Rug-
giero distaccavasi da Messina, a cui dopo Traina T aveva aggregato
il Conte di lui padre (1). Il munifico Re concedea alla Chiesa tutta
ia città ed il mare (2). L^anno 1137 chiamò poi nel gran tempio
da lui edificato, secondo narra il nostro codice e si rileva dai di-
plomi, i Canonici regolari dì S. Agostino , i quali vi si traspor-
tarono dal loro cenobio di Bagnara in Calabria, abitarono il mo-
nastero contiguo alla chiesa, e vi rimasero fino al 1671 (3).
Scrive Fazello, che Ruggiero fece accomodare al tempio di Ce-
falù le colonne del tempio vecchio che era stato sulF altura ; e
ciò può ritenersi benissimo (4). Circa poi air opera stupenda dei
musaici , questa non ebbe il suo compimento che Tanno 1148.
Tanto si rileva dalla seguente iscrizione del tempo , che leggesi
sotto le figure degli Apostoli.
ignorani una cum aliU chritlianii qui ea ore -jidéli el devolo prolifenlur feci edi/i»
cari lemplum epiicopaius ab inieio fundacionis tue in loco qui dieitur etphaludurn
in nomine et honore folwUoris ad gloriam dei et talvacionem hominum. Dipi, del
Tabul. della Chiesa, presso il Gr. Arch. in Pai. , pubblicalo in parte da Pirri li .
799, e poi da SpaU Le Perg, etc. pag. 433. •
* (1) lam prephatam ecclesiam tedem epitcopalem fore deinceps dominop restante de*
cemimut. B(A\a di Anacleto.
(S) V. Dipi. cit. del 1145.
(3) Vedi il diploma relativo alla chiamata dei GanoBici regolari nella cit. opera
del Serradifalco ragionam. Il noU 37.
(4) Temptum in ea maximum mutwo ac vermieulato opere hominum Salvatori di*
catum, ac episcopali digniUUe exornatum eondidit, columnit e tempio veteri eo eom*
pvrtatis ab oppido vetusto deserto. Op. cit.
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452 NUOVE EFFBMERIDI SICILIANE
Rogerius rex egregius plenis (con. plenm) pietaHs
Hoc statuii templum motus zelo deitatis.
Hoc opibm ditat variis varioqìie decore
Omat magnificat in Salvatoris honore
Ergo structori tanto Salvator adesto
Ut sibi sfuJbmissos conservet corde modesto.
Anno ab incamacUme domini millesimo ceìitesimo XLVIII mài-
cione XI anno V. regni ejus XVIII hoc opus musei factum est
Non è però dell'epoca, ma posteriore, come per se pare, Tal-
Ira iscrizione, che anche qui riferisco:
Hoc sacrum templum a pio Rogerio primo Sicilie Rege ab anno
MCXXXI ad MCXLVIII fìindatum omatum dotatum fuit sedente
Innocentio VI (deve correggersi li) pontifica maximo ex privilegio
sicut Rome signatur plumbo.
Soggiungerò che , oltre la Cattedrale , non mancano in Cefelù
altre costruzioni di quel periodo o poc' appresso. Nella via prin-
cipale è un notevole fabbricato, senza dubbio dei tempi Normanni,
che il popolo chiama Casa di Ruggiero dalla tradizione che fosse
stata da lui inalzata per propria residenza. Di fronte vi è un'al-
tra costruzione dell' epoca stessa , detta Palazzo del Marchese di
Ceraci. D' architettura antica è pure il campanile della chiesa del-
l'Annunziata; e rimangono in qualche punto finestre a sesto a-
cuto divise da colonnine ed altri curiosi avanzi dell' arte medie-
vale.
Parla di Cefalù il geografo Musulmano Edrisi, che visse in Pa-
lermo alla corte di Ruggiero (1). La città fu poi visitata dall'a-
rabo viaggiatore Ibn-Giobair, che la descrive come t abbondante
di prodotti del suolo, ricca di molte risorse, circondata di vigneti
e di altre piantagioni, e fornita di mercati stabili. Un certo nu-
mero di Musulmani soggiorna in questa città. Essa è dominata da
una vasta rocca di forma circolare , sopra la quale s' innalza un
castello, il più forte che possa immaginarsi , preparato dai Cri-
(1) l\ capitolo di Edrisi sulla Sicilia iradotto dal Mngrì, fu aunolato dal Tar-
dia (Vedi la sua Disseriazione negli Opusc. di Aul. Sieil. tom. Vili, p. 233. e segg.)
Dopo il Gregorio, il prof. Amari ripubblicò il testo di Edrisi relativo all'isola no-
stra. Una versione del geografo arabo lavorò il laubert» di molto inferiore a quella,
che ci diedero Dozy e D« Gocje per la parte che riguarda 1' Africa e la Spagna />f -
scription de VAfrique et de i Espayne Leida Brill. 1866. »
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BRANO DI UN CODICE CEPALDTANO 453
stiani onde difendersi dalP attacco inaspettato di qualche flotta
uscita di terra di Musulmani (che Iddio gli aiuti) (1). t
Sul commercio di Cefalù neir epoca Normanna si possono ca-
var notizie dai diplomi della Chiesa; uno dei quali arabo del se-
colo XII, in cui si ricordano i dinar d^ Abd-el-Mumen ed i robai
ducali di Sicilia , é un contratto pel quale taluni marinài Musul-
mani convengono di trasportare da Cefalù a Messina certa moneta
d' oro d^ un sire Guglielmo. Esso diploma, come osservò V Amari
che lo cita sulla copia trasmessagli dal mio maestro prof. cav. Cusa,
contiene un curioso esempio delle usanze commerciali d' allora ,
perchè , laddove gli altri marinai danno sicurtà sui propri beni,
un pellegrino Othman, non possedendo nulla, vende sé medesimo
al banchiere a patto di riscattarsi colla consegna della moneta.
14.
Arehitettnra, e decorazione della Cattedrale di Oefalà.
La splendida Cattedrale di Cefolù fondata dal Re Ruggiero sorge
nella parte più alta della moderna Cefalù, con larga piazza dinanzi,
a pie deir erta ed elevata rupe che le sta dietro, e non sólo di
gran lunga sovrasta gli altri più modesti ediflzi di quella città che
ha tutta Tana del medio evo, ma è per la Sicilia uno dei più bei
monumenti dell' arte cristiana, e Fra tutti i tempi (cosi il sig. G. B.
F. Basile) di quello stile così splendidamente ornato primeggia
senza dubbio la Basilica di Cefalù per la perfezione artistica delle
sue musaiche rappresentanze, e per la tecnica di precisione colla
quale si veggono i lavori condotti (2) t La sua forma esterna, come
quella del Duomo di Morreale ed anche del nostro, accenna, fra
altri elementi, al carattere dell'arte visigotica, quella cioè che ri-
cinse le chiese di toiTi e di merli nella sommità delle mura (3).
Il prospetto anteriore, volto ad occidente, è fiancheggiato da torri
quadrate che toiscono a piramide {fastigia acuminata). Esso pre-
senta un portico, diviso in tre grandi arcate, quel desso che Tan-
(ì) Vedi gli estratti di n)D-Giobair nella tìibliot, Arabo-Sicula dell' Amari, e la
versione nel loum. Asiai. an. Ì845-46. L'intiero testo fu pubblicalo da W. Wright
in Leida 1853.
f2) Giom. diAnlichild e Bette. Arti Anno H. n. 15.
(3) Veggasi il discorso di Carlo Troya DetV ArehUeltura Gotica Nap. 1857 in cui
l'ithistre storico si studia di ristabilire l'influonza gotica nell'archìtmiira roedieyaltì.
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454 NUOVE EFFEMERIDI SICIUANE
no 1480 venne restaurato da Mons. Giovanni Gatto, e le cui mura
ora lisce erano anticamente coperte di pitture, delle quali il no-
stro codice ci dà la descrizione. Al di sopra è una ricca decora-
zione di una doppia fila di archi ad ogiva, Tuna suiraltra. Sono
notevoli l'arco a pieno centro della porta antica, e gli ornati di
essa a stile moresco (1). LMntemo è diviso in due corpi, V ante-
riore scompartito in tre navate da due file di colonne, il poste-
riore più alto per quattro gradini e comprendente la soka ed il vi-
ma. In fondo, nella conca delPabside, giganteggia la sublime mezza
figura del Divin Salvatore che di lassù dominando tutto il tem-
pio dispone Tanima del credente a sensi di profonda adorazione.
La navata eentrale ha il tetto di legno, restaurato nella sua mag-
gior parte al 1559 , come da un' iscrizione, che a stento si può
leggere dal basso : Hic in ... die mensis maii anni ... 1559. Le
travi un tempo dorate e dipinte hanno un'iscrizione in caratteri
gotici , della quale non è stato letto altro che il nome di Man-
fredi e la data del 1263. Io vi ho scorto: Regnante illìistri vica-
rio domino nostro inclyto regi mainfrido regni Sicilie ... magni-
ficus Comes henricus de vigintimilUis....
Ciò però che attira dippiù Tattenzione nel Duomo di Cefalù è
lo stupendo magistero dei musaici , i quali decorano il solo san-
tuario della chiesa, e precisamente la metà intema della tribuna
e le pareti dell' abside. Forse fu in animo a Ruggiero, che la de-
corazione fosse comune a tutta la vasta Cattedrale , ma la sua
morte caduta nel 1154 ed i sedici lunghi anni che durò il lavoro
de' musaici ne l'avranno impedito.
Se primi in ordine di tempo sono i musaici di S. Maria del-
l' Ammiraglio, primi in ordine di merito son quelli di Cefelù ,
specialmente i più antichi, che hanno una incontestabile superio-
rità (2), e soltanto possono assimilarsi a quelli del Coro della
Cappella Palatina. Per consenso degli uomini competenti son
queste le più perfette opere di tal sorta, e valgono forse in arte
quanto i lavori di Giotto e dell' Orcagna. In sostanza , i musaici
dell'epoca di re Ruggiero per grandezza di figure, concetto, for-
(1) V. Serradifalco Op. eit. alle tav. XVHI-XXII, che presentano la ioUa, il vima,
il santuario, la protasif e il diaconico, e Di Mano Op. eit, voi. II. Pai. i859. Lib. V»
coi disegni.
(i) Dennis osserva, che il Serradifalco non avrebbedovuto esitare nel collocarli in-
nanzi agli altri. Indeed doe$ noi hetUaie lo pronounee thete mo$aitt lo ite mori pre^
cUm$ ai itforkt ofari Ihan any othen oflhal period tcrought in SicHy Op. cit^ p. SGi^
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BRANO DI UN CODICE CGFALOTANO 455
ma , stile , simmetria e morbidezza di mosse e di fogge , effetto
di colorito, accordo generale , sono superiori a quelli di tutto il
resto d'Italia^ anche del Duomo di Venezia, e mostrano quel me-
raviglioso sviluppo, che fé dire al Sabatier, dq)o osservati i mu-
saici di Cefalù, formar essi i più belli esempì della scuola bizan-
tina, dopo le pitture del monte Athos ch^egli aveva già visitato (1).
Sotto la colossale mezza figura del Salvatore, che ha intorno il
distico
Factus homo, factor hominis, factique Redemptor
Ivdko corporeus corpora corda Deus,
e pelle pareli laterali del santuario accanto al Salvatore stesso,
sono ordinale in tre scompartimenti le figure della Vergine, de-
gli Arcangeli, degli Apostoli, dei Profeti, Santi , Pontefici , come
Melchisedech, Abramo, Mosè, Davidde, Salomone, Gioele, Amos,
Giona, Michea, Naum , Osea, Abdia , Pietro , Vincenzo , Lorenzo ,
Stefano, Gregorio, Agostino, Silvestro, Dionisio, Teodoro, Giorgio,
Demetrio, Nestore, Nicolao, Basilio, Crisostomo, Gregorio teologo.
Questi musaici e quelli che ornano il santuario della Regia Cap-
pella rivelano i medesimi artisti; ai quali rimangono inferiori gli
autori dei musaici della seconda epoca ' Palatina (regno di Gu-
glielmo I) e del Duomo di Morreale (regno di Guglielmo II). (2).
Su d'una muraglia, fra due finestre, la Cattedrale di Cefalù serba
un curioso affresco della Vergine col Bambino, serviti da Angioli,
d'arte rozza ma antica , forse , come si è scritto, del secolo XIII.
In una colonna poi è dipinta una figura, semiscomparsa, detta
dal popolo re Ruggiero, che par tenga un'urna su cui vedonsi rap-
presentate due piccole leste; stile veramente arcaico e primitivo.
Custodivasi un tempo nella sagrestia del Duomo , e pare che
tuttavia durasse fin all' epoca dell'ab. Vito Amico, la dalmatica di
Ruggieri , di cui così scrive L' Auria : e Conservasi finalmente in
detta Chiesa la veste del re Ruggiero tessuta d'oro e di seta,
(1^ Vedi una sua lettera Sui lavori a mumico nel Giorn, Offic. di Sic. del 21 giu-
gno 1888, num. 132.
(2) I mosaici di ('efalù vennero restaurali da Rosario Riolo negli anni 1857, 59,
62, 66, 68. Vedi sulla nostra scuola moderna de' mosaicisti il giornale Scuole e
Strade an. 1, num. 3, e La Ditcuuione an. XI num. 57., non che un opuscoletto
col titolo : Sui musaici di Cefalù, Morreale e Palermo e sulla neceuilà d'una scuola
di musaico in Sicilia. Idee del Prof. Luigi Clemente. Cef. 1868. In gennaro del 1867
il Ministro d'Istruzione pubblica sig. Berli promosse ridea d* impiantarsi in Sicilia
una scuoia dei musaici, ma poi non s'approdò a nulla.
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456 NUOVE BFFKMERIDI SIGIUANC
ed è venerata dai Cefàlatani come cosa d'un re cotanto divoto e
zelantissimo Chrìstiano; propagatore della fede Catholica, ed estir-
patore deir empia sètta Saracenica : onde nella Chiesa di Cefalù,
a di 27 febbraro si fanno Tesseqaie fdnerali ogn'anno in comme-
moratione della morte di quel Re, e si mette la detta veste so-
pra an Tumulo cantandovisi soUennemente T Officio, e la Messa
con presenza del Vescovo e del Magistrato della Città, concorren-
dovi tutti i Cittadini ricordevoli di pregare per T anima del lor
benignissimo Benefattore (1). »
Oggi che Tab. Bock ha studiato, pubblicato splendidamente ed
illustrato nel suo stupendo lavoro Die Kleinodien-ecc, ossia il Te-
soro deWImpero Germanico (Vienna 1864), anche le insegne regie
de^ Normanni di Sicilia involateci dalla rapacità di Arrigo ed ag-
giunte al tesoro imperiale; Topera del dotto orientalista ci fa mag-
giormente rimpiangere la perdita della dalmatica suddetta , che
non esisteva più sin dai tempi del Di Blasi. Io ho potuto vedere
solo quello che vide il Dennis (2), cioè fra altri piccoli rimasu-
gli e reliquie ed insieme con una corona certamente posteriore
di tempo, poveri brani' di quella veste riccamata in oro, in cui
non osservai nessun vestigio d^iscrizione o di caretteri cufici. Nar-
rano che i viaggiatori inglesi abbiano consumato via via la regia
veste, prendendone ad ogni volta pezzetti e frammenti! (3).
Pria di terminare questo cenno sulla Cattedrale ricorderemo an-
che il chiostro del Monastero annesso, monumentale polla scul-
tura siciliana de 1 XII secolo; anteriore e solo inferiore in merito
al morrealese dalle cento colonne , e ricinto per tre lati di por-
tici ed archi acuti poggianti su 92 colonnine binate, e Questo chio-
stro (scrive il Dennis) è davvero un saggio sommamente istrut-
tivo ed interessante dell'architettura siculo-normanna, ed è solo
inferiore per estensione e bellezza a quello di Monreale (4). »
I/uno e l'altro però han fatto dire allo Springer (5), che la pla-
stica decorativa deve considerarsi come creazione siciliana.
(ì) V. Loe. eii. p. 51.
(2) Op. cU, p. 268.
(3) Ir un* invenUrio dei 1283, che riguarda il Tesoro delia Chiesa di Cefalù (V.
Qq. H, 8, paR. 641) si annoirino, fra altri oggeUi, 18 cappe, 6 pianete, od alcune
tonacello, dono della regia munificenza alla Catledrale,
(4) Op. eit, pag. 265.
(5) Die MUtelaUerliehe kunsi in Palermo Bonn 1869.
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BRANO DI UN CODICE CBFALUTANO 457
Relazioni di Federico Imperatore coi principi ICnsnlmani
e missione del yeiicoyo diovanni di Oefalà.
Il nostro codice ci dà notizia di una missione affidala dall'Im-
peratore Federico II a Giovanni di Cefalù , e su di essa dirà il
nostro storico Michele Amari nella seconda parte del volume
terzo che darà compimento al dottissimo lavoro sui Musulmani
di. Sicilia. Intanto sulla scorta del Bréholles farò qui un rapido
ricordo per ordine d'anni delle vaile ambascerie dei Siciliani
in Oriente e dei rapporti deirimperatore co' principi Musulmani.
Ai tempi Svevi la conoscenza dell'arabo era molto diffusa fra
noi. Certo seppero questa lingua Giovanni di Palermo, Errico del-
l'Abbate, Ruggiero de Amicis, ed Alberto Fallamonaco. Che anzi
dotti greci e giudei v'er ano in Sièilia, incaricati d'insegnar l'arabo
agli arabi stessi del regno, essendo volontà di Federico non solo
che i suoi sudditi Musulmani imparassero l'italiano, ma altresì
che non dimenticassero l'arabo (i).
Correndo l'anno 1227, il Soldano d'Egitto Malek-Kamel, veden-
dosìr minacciato da suo fratello Malek-Moadham, re di Damasco, e
procurando perciò di aver un ausiliare in Federico, gli manda collo
emiro Fakr-eddìn, ad offerire le città sante appena sarebbero in
potere delle truppe Egiziane. Allora l'Imperatore fa partire pel
Cairo il suo fedele Berardo, arcivescovo di Palermo. Costui viene
accolto in Egitto' con tutte le maggiori distinzioni ed è di ritorno
in Puglia nel gennaro 1228, con preziosi doni e con lettere d'a-
micizia dalla parte del Soldano (2).
Il 18 febbraio 1229 una tregua è stabilita per dieci anni , tra
il Soldano Malek-Kamel e Federico IL Questa tregua stipula : re*
stituzione a' Cristiani di Gerusalemme , Betlem, e Nazareth, con
tutti i villaggi intermedi; Sidone col suo porto e colla pianura
circostante resi parimenti ai Franchi; permesso ai medesimi rico-
(1) Vedi lettera del 24 dicembre 12S7. per Abdall^h presso Bréholles Hist. Dipi
Frider. IL l. V. p. 603.
(2) Cr. fiflakrizi e Abulfeda citali da Reinaud nella Bibliolh. des histor. arabes
dei croisades, t. IV. p. 427. Hicc. di S. (ierm Chronk. ano. 1228.
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458 NCOVE EFFEMBRIOl SIGIUANE
struire loppe, Cesarea e il nuovo castello di Monteforte appajrte-
nente ai Teutonici (i).
In marzo 1232 il Soldano di Damasco invia a Federico magni-
fici regali. In luglio dello stesso aiiino l'Imperatore riceve in Pu-
glia un^ambasciata del Soldano d'Egitto, i cui deputati si trovano
alla sua corte nello stesso tempo che quelli del Vecchio della
Montagna. In un pranzo di cerimonia, che fu dato in questa occa-
sione, si videro non senza meraviglia , osserva il BrèhoUes, molti
vescovi Siciliani sedere a lato degli Emiri d'Egitto e de' formidabili
assassini di Siria (2). Più tardi ancora, all'assedio di Brescia, nel
1238, guerrieri Egiziani inviati dal Soldano figurano nell'armata
cosmopolita di Federico II (3).
Del 20 aprile 1231 l'Imperatore conchiude un trattato con Yahia
soprannominato Abu-Zacharia, della dinastia de' Beni-Hafs, principe
di Tunisi , resosi fin dal 1226 indipendente dagli Almohadi (4).
Indi a rinnovare forse la convenzione del 1231 , invia a Tunisi
una ambasciata composta di Notar Giovanni di Palermo e di un
Enrico dell' Abbate, che porta in questa occasione il titolo di Con-
sole (5). Par che le trattative sieùo state seguite da un pieno
successo (6); poiché indi in poi i principi di Tunisi si mostrano
amici agli interessi di Casa Sveva.
Trattandosi di mandar un'ambasciata al Soldano di Egitto Safeh-
Nogem-eddin-Ayùb (Sett; 1241) allo scopo di rinnovare gli antichi
trattati di commercio già conchiusi con suo padre Malek-Kamel »
(I) Veggasi HiiL diplom, t: lU. p. 104 e segg.
(i) Bréh. HiiL diplom, t. IV. p. 369.>370 e noi. 1.
(3^ Erant mim eum eo.„. milUes regit Angliae , Francia et hpaniae , comet
Provincioé cum cenium milUibui, milUet quoque Soldani et Vatacii Graeeorum m-
peratorii, aliarumque diver$arum genlium. Chronie de reb. in. Ital. gest p. 174.
(4) La versione daU'arabo di questo trattato conchiuso alla metà del mese di giù»
madi«el-akher 628 (cioè il 20 aprile 1231) fu pubblicaU da Leibuitz {Cod.jur, genL
diplomai, t. 1. p» 13); da Liinig {Cod. Ilal. diplomai, t. II, p. 878;, che lo dice tra*
dotto dall'arabo per [opera di Marco Oìtelio Ci terone verso il 1620 sopra un mano-
scritto che si trovava probabilmente all'Escuriale (V. Uréh. Introd. p. GCGLXX); da
Dumont {Corps Diplomai, t. I, 168), e finalmente da Brèholles Hitt. Diplom. t. III.
p. 276.
(5) V. Brèholles Hisl. dipi. t. V, p. 687, 726 e 745. Questo personaggio è rin^
Viato a Tunisi con Oberto Fallomonacó nel 1237 o 1238. Ivi p. 966.
(6) V. Brèholles Inlrodueiion pag. COGLXXII.
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BRANO DI m CODICE GBFALUTANO 459
Federico prepone air ambasciata Ruggiero de Amicis, capitano e
maestro giustiziere in Sicilia e in Calabria, e già adoprato come
ambasciatore presso vari principi Musulmani. GF inviati giungono
in Alessandria su di un vascello chiamato il Mezzo-Mondo, e pas-
sano al Cairo dopo visitata la valle di Fayùm. Il loro ingresso
nella capitale d' Egitto, colla scorta di tutta la cavalleria Egiziana,
fu magnifico e festoso. La sera , narrano i cronisti arabi , Cairo
nuova e vecchia vengono illuminate come in giorno di comune
tripudio, e il Soldano li accoglie con onori e riguardi singolari.
Negli ultimi mesi del 1242, Ruggiero de Amicis stava tuttavìa al
Cairo col Soldano (i). Le convenzioni che in quest'occasione sti-
polaronsi tra Federico II e Malek-Kamel sono letteralmente ripro-
dotte nel trattato conchiuso il 1290 fra il re d' Aragona e Sicilia
e il Soldano Kelaun (ì).
Circa il mese di settembre 1242, Federico II, mantenendo pa-
cifiche relazioni coi Califfi Almohadi di Marocco, manda colà una
ambasciata con Oberto Fallamonaco (3). Questa data concorda colla
fine del regime d'A)[)del-Wahid, e crede il BréhoUes che in que-
sta occasione sieno stati proposti al dottore Spagnuolo Ibn-Sabin
residente allora a Ceuta i quesiti filosofici , di cui Federico II
avea chiesto invano la soluzione a vari dotti orientali (4).
Quanto alla missione in Babilonia di Giovanni vescovo di Ce-
felù ometto qualunque ricerca, sapendo che fra poco n'avrà par-
lato TAmari coirautorità , che gli danno incontestabile la critica
(1) •Et in illis diebu» dominus Rogeriui de Amicu manebai in Babyloniam ei in
Cairum eum Soldano • Append. mi Galfr. Malat. all'anno 1S41 I* Ind.
(%) V. Bréholles Inlroduetion. — Partie Hiitorique, '
(Z) Af^no Domini 1244, primae indietionit, Uberlus de Fallamonica de mandato
domini imperatoris ivit apud Maroceum. Append. ad Galfr. MakUerr, pr. Maratori
Script, i. V.. p. 603.
(i) V. Bréholles Introduci, p. CCCLXXIII. L' Amari trovò in un mss. di Ox-
ford un saggio di tali quesiti o problemi filosofici indirizzati dapprima da Federico
II. ai dottori d'Arabia, di Siria e d*Egitto, e poscia trasmessi di nuovo al Califfo Al-
mohade Raseid, perchè li presentasse ad un filosofo spagnuolo di nome Ibn-Sabin,
giovine e sagice pensatore stabilito a CeuU. L'età di Ibn-Sabin, nato in Marcia nel
1318» e la fine del regno di Ruscid fan collocare l'epoca di siffatti quesiti filosofici di
Federico ai dotti Musulmani, fra il 1240 e il 1242. V. Amari Questioni phihiophi-
qaet adretsées aux savanti musulmani par l' empereur Frédèric II , nel Journal
Asiat. 1833. n. 3.
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460 NUOVE BFFBMBRIDI ^IGIUANE
sapiente che dirìge i suoi lavori storici/ non che i lunghi studi
da lui durati su tutto quest'argomento che maneggia da moit'anni.
Certo Giovanni ricevette onorifiche accoglienze dal Soldano di
Babilonia, e l'Imperatore ricambiolle collo splendido ricevimento
che die alla sua volta in Sicilia agli ambasciatori del Soldano. Ne
mosse alti lamenti il Papa Innocenzo lY nella sentenza di depo-
sizione promulgata contro Federico a 17 luglio 1245. e Et nuper
(dice il Papa) nundos Soldani Babilonie^ postquam idem Soldanus
Terre Sancte oc christianis habitatoribns eitts per se oc suos dam-
pna gravissima et inextimabiles iniurias irrogaHret^ fecitper regmm
Sicilie cum laudibus ad eitisdem Soldani excellentiam , sicutfertur,
bonorifice sttscipi et magnifice procurari (1).
Sag. Isidoro Carini
(I) Presso Bréh. Hi$L diplom. l. VI. P. I. p. 3»S)
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BELLE ARTI K CIVILTÀ
(Contiiiiiaz. 0 fine. V. voi. I, disp. VII!)
(i)
11 dispotismo militare assorbiva tutte le cariche civili , e con-
duceva la società a distrurre Tantica civiltà romana. Il merito in-
dividuale veniva negletto eccettuandone quadche adulatore, e quelli
che primeggiavano erano solamente i torbidi condottieri delle le-
gioni , ed i caporioni de' pretoriani , i quali cogliendo il destro
cercavano con la violenza d^ appropriai-si il dominio dell'impero.
Le risorse dello Stato in tali condizioni non erano sufficienti
a soddisfare l'ingordigia di quelle rapacissime orde di torbidi
soldati, poco culti, d' origine barbara , che parlavano lingue che
s' ignoravano in Roma: il che rendea facile ogni ammutinamento
consentito dai loro capi, ma ignorato dal popolo romano, dal Se-
nato, e da coloro che vegliavano per la sicurezza dell'imperatore;
«luindi non fu più possibile mantenere quella spirante civiltà, che
in certo modo si era procurato ristabilire nello scorcio del secondo
secolo dell'Era volgare.
Il terzo secolo scorse nel più duro dispotismo militare con pic-
cole eccezioni ; ed invano Alessandro Severo cercava di fare ri-
nascere la letteratura antica , la poesia e le spiranti arti. Erano
frutti fuori stagione : Gibbon loda questo imperatore per la sua
frugalità e per l'amicizia che accordava ai dotti e virtuosi del suo
tempo, fra i quali sempre primeggiava Ulpiano.
Alessandro Severo , dice l' isterico inglese : si affatigava colle
arti più gentili, ad ispirare a quella fiera moltitudine il sentimento
del dovere e a ristaurare ahneno r immagine di quella disciplina,
alla quale i romàni andavano debitori del loro impero sopra tante
nazioni etc. Ma questo savio consiglio fu invano; ogni tentativo di
riforma serviva soltanto ad accrescere i mali , cui egli studiava di
opporre un rimediò.
(ì) Con quest'articolo, conlinuaziuDO del { IX pubblicalo a pag 380-384 del voi.
1* delle Effemeridi, l'egregio autore ha compiuta la prima [larte del suo lavoro, che
considera egli stesso corno un compendio di cose conosciute e messe in ordine allo
scopo delP opera. La i* e 3* p., che il D.r Cavallari pubblicherà in un libro pros-
simo a venire alla luce, avranno uno sviluppo più esteso, trattandosi di periodi di
storia d'arte in cui lo svolgimento storico a<lalto al titolo : Belle arti e eiviltd ri-
«hicde maggiore larghezza.
/ compilatori
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M'i NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Questo imperatore dopo tante vittorie terminò la sua vita as-
sassinato nella propria tenda dair infame Massimino.
Un altro uomo eccezionale del 3® secolo fu il temuto impera-
tore Aureliano, .che i suoi soldati in un inno militare acclamavano
manm ad ferrum^ e celebravano raccontando che il loro Impera-
tore avea versato tanto sangue umano, quanto vino si conservava
nelle cantine di Roma.
Eppure questo intrepido e feroce Imperatore , dopo avere di-
strutto Palmira , ed ammazzato senza distinzione di sesso e di
età tutti gli abitanti di quella città, faceva costruire il tempio dei
Sole con grande magnificenza, in commemorazione della vittoria
riportata in Emessa, che guadagnava per Tapparizione durante la
pugna del suo prediletto Dio della luce che avea imparato a ve-
nerare sin dalla sua infanzia per insinuazione di sua madre sa-
cerdotessa di un santuario di quel Dio.
Aureliano celebrò in Roma le sue vittorie con un trionfo che
superò in isplendore e varietà tutti gli anteriori trionfi. Vopisco
raccontando V ingresso trtonfale in Roma di questo imperatore,
dice che il suo carro fu accompagnato da 20 elefanti, e da una
grande quantità di tigri, leoni , leopardi , giraffe ed altri animali
del deserto. Lo seguivano ottocento gladiatori apparigliati, desti-
nati per le feste da darsi per divertire il popolo nelP anfiteatro,
ed a questi facevano seguito i prigionieri delle diverse nazioni
vestiti nei ricchi loro costumi nazionali , tra i quali notavasi Ze-
nobia regina deir Oriente abbigliata dal regal vestito adornato di
pietre preziose e trascinando una lunga catena d^oro làassiccio
legata alle mani ed ai piedi.
Terminate le feste del trionfo Aureliano faceva innalzare ia
Roma sulla collina del Quirinale uà magnifico tempio dedicato al
Sole; il culto del potente Iddio della luce si ritenne come una
espressione religiosa dell' impero militare di quel tempo sino a
Giuliano Apostata (1).
Al giorno d'oggi i viaggiatori che visitano in Oriente le rovine
di Balbek e di Palmira possono distinguere tra le reliquie rimaste
in quelle principali città dell'Oriente, le opere eseguite al tempo
deir impero di Aureliano da quelle più antiche , per il corrotto
gusto ammanierato, e quasi strano, simile alle fabbriche dette ba-
ci) i frammenti di quel ricco e colossale (empio dedicalo al Sole da Aoreliano» si
osservano nel giardino Colonna, che taluni chiamano impropriamente il frontespizi»
di Nerone.
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BELLE ARTI E CIVILTÀ^ 463
rocche dei tempi modernissimi , che si costruirono in Europa in
condizioni quasi identiche particolarmente dell'epoca di Luigi XIV
sino al dispotismo dell' impero militare di Napoleone Bonaparte.
L'esecuzione tecnica di quasi tutte le opere fatte sotto il re-
gimento militare del 3" secolo dell' Era volgare , ha l' impronta
della trascuraggine o della profusione ostentata priva di ogni
delicato sentimento puro per le arti; anzi chiaramente si scor-
ge come in quelle opere, le arti si esercitassero quale un me-
stiere di occasione ad intervalli , e ripreso casualmente per le
virtù individuali di qualche imperatore, e da ciò ne risultava, che
nel mancato esercizio delle opere d'arte, improvisamente venivano
ordini di opere colossali e capricciose , che si dovevano pronta-
mente eseguire a forza d'oro; ma il numero degli artisti non era
sufficiente , e quindi si sperimentava il bisogno di ricorrere ai
guastamestieri , o ad aiutanti poco esercitati nel gusto e nella
tecnica esecuzione.
Il ciclo normale del gusto nazionale era continuamente inter-
i-otto da successi strepitosi che scuotevano e sviavano l'intera vita
sociale dei popoli , né la moda momentanea poteva sostituire gli
studi negletti e riaccendere il perduto sentimento del bello da
una determinata occasione in servizio dell'ostentazione e del ca-
priccio di un despota.
Tutte le produzioni di quel secolo sino all'abdicazione che Dio-
cleziano fece alla presenza della sua armata riunita presso il
campo di Nicomedia (304 d. C.) portano l' impronta di una com-
pleta decadenza, però non si deve disconoscere che i monumenti
architettonici di quell'epoca si fanno notare per la grandiosità del
concetto e delle moli, per l'arditezza e varietà della composizione
ricca, anzi fantastica, esuberante nella parte ornamentale, ma senza
purità di stile, cosa che spesso rende quei monumenti di un a-
spetto triviale ed anmianierato.
In questo stato ridotte le arti peggiorarono sempre sino all' e-
poca della divisione dell'impero romano, ma tosto presero un as-
petto proprio per i nuovi elementi introdotti sotto l' ispirazione
del Cristianesimo, e lo zelo e la pietà di S. Elena madre di Co-
stantino il Grande. L'arte figurata però fu quasi intieramente abo-
lita, e l'architettuia stessa perdeva la sua forma organica, ed i
monumenti che si costruirono nella nuova Roma (CostantinopoliJ
subirono quelle modiflcazioni che diedero il sostanziale carattere
dell'architettura detta Bizantina, la quale si diffuse in tutto l'im-
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464 nuoviì: kppkmbridi siciliane
pero (1^ Oriente sino air Adriatico, alla Sicilia da un lato, e dal-
Taltro in tempi posteriori arrivò a penetrare in Russia.
X.
Trasformazione dell^arohitettora romana
in quella detta Bizantina
La causa della divisione deirjmpero romano avea un'origine
rimota, dapoicbè pria di verificarsi, due regioni mondiali aveano
attirato T attenzione degli ambiziosi caporioni che aspiravano al
potere supremo delP impero.
Una regione era centro di forza e potenza militare ruvida, di-
sciplinata e civile, in cui le legioni nella vita dura degli accam-
pamenti, 0 quasi sempre alla presenza dMntrepidi e valorosi ne-
miei, si vedevano forzati di conservare il prestigio delPantica virtù
dei romani : questa regione occupava una grande zona al Nord
dell^uropa e si distendeva da Oriente alPOccidente, comprendendo
|a Dacia , le provincie delia Pannonia e del Danubio , una gran
parte delle Alpi e quasi tutta la Gallia ed i territori limitrofi ai
Germani conquistati ma sempre in guerra.
L^altra regione componevasi deir Italia , delle provincie della
Grecia, delPAsla minore, dell'Egitto, delle altre provincie afri-
cane , e di tutte quelle conquistate neir Oriente. Questa regione
si preferiva alPaltra, per la dolcezza del clin^ , per le ricchezze
da tanto tempo cumolate in quei centri di sapere, d'industria e
di antica civiltà, e per le innumerevoli opere d'arte.
Le legioni che stanziavano in queste contrade trovavano tante
piacevoli occupazioni da far perdere ogni virilità ai soldati che
trascuravano la disciplina militare dandosi ai piaceri ed alla mol-
lezza, e perdevano quel vigore e quella maschia fermezza , che
conservavano le legioni del Nord dell'Europa sempre alla pre-
senza d'indomiti nemici amanti della propria libertà.
Ed infatti Cesare ritornato dalle Gallio batteva in Farsaglia le
numerose schiere di Pompeo : Ottavio Augusto vinceva Antonio
amante e protettore di Cleopatra , ed in tutte le lotte posteriori
sino a Costantino il Grande, sempre prevalsero coloro che reduci
dalie Gallio e dalla Pannonia sebbene con forze minori debella-
vano le effeminate legioni dell'Oriente.
Costantino nell'anno 3ii d. d traversando celermente le Alpi
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BELLE ARTI E CIVILTÀ* 465
con 40 mila soldati scelti, batteva presso Susa il suo competitore
Massenzio che comandava un'armata poderosissima. In Verona di-
sperdeva un'altra armata, ed al Ponte Milvio alla vista della Città
etema guidato dal sacro vessillo della Croce (Labarum) rinversava
con una impetuosa carica i nemici e lo stesso Massenzio nel Te-
vere. Restava tuttavia Licinio col quale momentaneamente dovette
dividersi V Impero , ma venuto Costantino in contesa con questo
crudelissimo compagno, lo batteva in Laybach Aemonia ed a Ct-
balis nella Pannonia, e Analmente dopo di averlo distrutto presso
Adrianopoli e Bizanzio , restava solo Signore di tutto V impero
romano.
Si può asserire che con Costantino un'Era novella cominciava
in tutto il mondo romano , e particolarmente V Oriente risorgeva
a nuova vita per la fondazione di Costantinopoli che divenne un
centro che dovea rivaleggiare con la capitale dell'antico impero,
Costantino il Grande impediva con la sua saggezza quella scel-
lerata persecuzione da tanto tempo sofiTerta dai Cristiani , e ad
essi concedeva i dritti civili che godevano tutti i romani. Il va-
lore personale di Costantino, e le sue splendide vittorie V innal-
zaroilo ad una signoria senza rivali, e quindi il suo orgoglio ed
assolutismo non si potò accomodare alle antiche forme repubbli-
cane che tuttavia esistevano nel Senato di Roma, dove ancorasi
respirava quell'atmosfera degli antichi tribuni della plebe.
Le belle arti nel tempo di Costantino erano cosi decadute da
non poter gareggiare in bellezza e grandiosità con gl'innumere-
voli monumenti di Roma innalzati dai suoi antecessori, ed il suo
Arco di trionfo del Campo Vaccino presso il Colosseo , dimostra
r insuflScienza degli artisti di quel tempo , i quali appena pote-
rono improvvisare queir edifìzio raccogliendo ed accozzando vari
ruderi dei monumenti cadenti per vetustà ed incuria. Il così detto
Battistero attribuito da taluni, forse impropriamente, a Costantino,
è un ediflzio senza originalità nò purezza di forme, ma solamente
si nota la profusione e la goffagine degli ornati.
Nella sua breve dimora in Roma Costantino si accorse di non
potere immortalare il suo nome e la sua stirpe con opere che
.sorpassassero la magnificenza di quelle esistenti; nò primeggiare
tra tante illustri famiglie di Re, di Consoli , Tribuni ed Impera-
tori che aveano creato la grandezza dell'impero romano, e quindi
le reminiscenze esistenti nell'antica Capitale del mondo essendo un
ostacolo alla sua ambizione ed al suo assolutismo, lo facevano ri-
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466 NUOVE BPPBMEKIOI SICILIANE '
solvere a fondare una nuova Capitale e costruirla in una posi*
zione centrale e propizia per dominare le provincie dell'Asia, dei-
TAfrica e delP Europa.
Nel Bosforo e presso il luogo stesso dove Costantino avea bat-
tuto Licinio, innalzò Costantinopoli sopra sette Colli ad imitazione
di Roma.
Le descrizioni delle bellezze naturali di questa nuova Ciltà
che si leggono in vari scrittori antichi e moderni sono superflue
a riferire , e basta quanto ne dice V isterico inglese Gibbon nel
lo volume, cap. VII, della sua opera sulla dacadenza e rovina del-
IMmpero romano.
Costantino per giustificare la sua vanità, e dare sfogo al suo i-
stinto superstizioso, gettava le fondamenta di Costantinopoli per
ubbidire ai comandi di Dio. Pro commoditate Urbis ^ quam mia-
temo nomine, jubente Beo, donavimm , e con riti quasi pagani e
processioni. V imperatore guidato da Lui, V invisibile guida , sta-
biliva i limiti della vastissima Capitale in tese francesi 7800 se-
condo il Danville.
La Grecia, l'Egitto , TAsla minore furono spogliate da questo
nuovo Yefre di tutte le più belle opere d'arte che non si erano
trasportate in Roma, e in breve Costantinopoli conteneva le più
belle opere di Fidia, di Prassilele e di tanti rinomati artisti; ma
con tutto ciò volendo nel giorno natalizio della Città che la sua
statua fosse accompagnata da una processione con grande pompa,
questa statua di Costantino fu rozzamente scolpita in legno, e do-
rala per occultarne la materia.
In pochissimo tempo e a furia furono terminate le mura della
Città, i portici e gH edifizi principali; ma le imperfezioni di quelle
costruzioni furono tali da doverle nuovamente rifare e alla meglio
restaurare. La costruzione <lelle mura occidentali si cominciava al
4 novembre dell'anno 326 d. C. Due grandi piazze adomate di
portici ed innumerevoli colonne svelte da antichi monumenti de-
coravano la piazza di Augusta Elena, e quella che portava il no-
me delF imperatore stesso. Nel centro di quest' ultima sopra un
piedestallo s^ inalzava una colonna di porfido con la statua di A-
pollo raggiante di luce in cui gli adulatori raffiguravano una im-
magine dell'imperatore.
L' ippodromo era un grande, edifizio di 400 passi lungo e 100
largo adornato con belle statue ed obelischi, e del famoso tripode
consacrato dagli antichi greci nel santuario di Delfo. Presso Pip-
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BELLE ARTI E CIVILTÀ^ 467
podromo fece cosiruire Costantino il suo imperlai Palazzo con
grandiosi cortili circondati di portici e giardini sontuosi; e non
solamente faceva costruire grandi teairi ed anfiteatri, bagni, e la
casa di città , ma fece edificare sontuosi palazzi per invogliare i
senatori e le più cospicue famiglie dell'impero a venire ad abi-
tare nella nuova Roma (1). Le innumerevoli opere che fece co-
struire Costantino nella città che dovea portare il suo nome, sono
rapportate da moltissimi antichi scrittori, e la enumerazione fatta
da Anna Comneno delle opere d'arte che distrussero i Crociat
alla presa di Costantinopoli , ne attesta la quantità e la bellezza
delle opere perdute per l'ingordigia dei barbari campioni della
Croce, eccettuati i Veneziani, i quali più cufti dei soldati d^ Oc-
cidente salvarono tanti capolavori d'arte, tra i quali si noverano
i cavalli di bronzo che oggi adomano il frontone del S. Marco
di Venezia.
Con le spoglie ricavale dagli antichi monimienti delle eulte
Provincie dell' Oriente , in breve tempo divenne Costantinopoli
un centro di ricchezza, di lusso e di sapere; e l'ammirazione che
destavano le opere di Fidia e di Prassitele richiamava alla me-
moria del popolo greco bizantino, l' istoria e l' antica letteratura
dei loro antenati, e quindi un risorgimento novello si verificò in
Oriente senza comunicarsi a tutto l' impero romano.
Le opere che si costruirono dal tempo di Costantino sino a
Teodosio presero un carattere speciale , particolarmente nelP ar-
chitettura sacra , la quale per maggiormente allontanarsi dalle
forme dei tempi del paganesimo, prese una forma organica tutta
nuova. Si perdeva ogni rilievo o sporgenza nei membri architet-
tonici, supplendo però murate intere con ricchi ornamenti, pre-
ziose intarsiature di marmi, o musaici con ornali sopra un fondo
d'oro per dimostrare la ricchezza e la ostentazione del lusso o-
rientale.
L'arte nuova che si diffuse in tutto l'impero d'oriente, armo-
nizzava con la civiltà di quel tempo e veniva rivestita di quella
superfluità d'ornati e di particolari futili e capricciosi a somi-
glianza di quelle nuove forme organiche sociali e governative
dell'impero bizantino.
Una delle prime chiese cristiane attribuite a Costantino fu
quella dedicata agli Apostoli rivestila tutta di variati e preziosi
<l) Weber, tteschichle des romìscfeen Kaiserreichs; voi. i, pa^. K2I e ri22.
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468 NUOYE BFFeMERIDI SICILIANE
marmi , e la Chiesa di S. Sofia cominciata nel 360 della nostra
Era, la quale bruciava^ nel 404 (1), e, dopo fatta costruire dalFar-
chitetto Rufino con volte per ordine delP Imperatore Teodosio;
la Cupola ne crollava.
Sant'Elena fece costruire molte chiese in Palestina che si pos-
sono considerare come veri archetipi deir architettura detta Bi-
zantina, e fra queste primeggiano la chiesa del Santo Sepolcro,
che fu diflformata nella grande nstaurazione fatta nel XII secolo,
e la basilica consacrata alla madre di Dio in Betlem (2).
Il più bel tipo però deir architettura bizantina è la Chiesa di
Santa Sofia fatta per la terza volta ricostruire da Giustiniano dal-
Tarchitetto Antemio assistito da Isidoro da Mileto nel 530 al 537.
Questa novella arte prevalse in tutto r impero d^ Oriente, e si
diffuse sino alle eoste delPAdrìatico e alla Sicilia, ed in tempi po-
steriori penetrò nelle Russie.
La mancanza che si nota sin dai primordi di questa nuova arte
è quella della scultura figurativa , che venne abolita in odio al
politeismo; ma allorché fu ripresa dopo molto tempo si erano già
<limenticate le forme ed il gusto antico; e quindi sorse sotto un
nuovo ordine d^ idee e di principi religiosi molto differenti. Nei
musaici bizantini primeggiano sempre la figura del Redentore, le
immagini della Vergine madre dì Dio, le figure degli Apostoli e
dei Santi, e rappresentazioni dei fatti principali del nuovo e del
vecchio testamento quasi sempre in compartimenti sopra fondi do-
rati. La forma dei tempi pagani fu parimente abolita, e la basi-
lica venne convertita in Chiesa. Neil' Oriente però prevalsero gli
edifizi circolari o poligonali sormontati da cupole dorate quasi
prive di luce, sempre con tre absidi destinate, quella centrale al-
l'altare con r immagine del Salvadore, e le altre per gli Apostoli
Pietro e Paolo.
Noi ci proponghiamo nei seguenti capitoli di trattare più dif-
fusamente delle arti dopo la divisione dell'impero romano in due
ramificazioni principali, cioè le arti e la civiltà in Oriente e nel-
r Occidente.
(1) Si può consultare la bella opera di Sàlzenberg pubblicata per cura del Mini-
stero Prussiano sulla S. Sofia di Costantinopoli.
(2) Vedi Lcs Eglises de la terre sainte par le Comte Melchior De Vogue. Quest'o-
pera pubblicata a Parigi nel id60, ò multo interessante per le ricerche storiche fallo
dairautore, per la precisione dd esattezza dei disegni, e per le conoscenze artistiche
d«U'autore, il quale sa ben distinguere in quelle chiese le rinnovazioni posteriori.
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BELLE ARTI E aVILTx" 469
Deipari e orientale o Bizantina noteremo i monumenti principali
che la caratterizzano, e tratteremo poscia dalle diramazioni di
quest'arte nelle altre provincie conservando il suo tipo originario
nell'Asia minore, sulle rive deirAdrìatico, neir Italia meridionale
ed in Russia.
Tratteremo con specialità della trasformazione che subì V arta
bizantina sotto V influenza degli arabi seguendone tutte le parti-
colarità che si vedono in Egitto, in Persia, In Ispagna ed in Si-
cilia registrandone i monumenti più notevoli.
L^arte occidentale la descrìveremo cominciando della distruzione
dei tempi del Politeismo sino alPordinamento delle nuove forme
nei primi tempi Cristiani, neir epoca dei Carolingi , sotto i Lon-
gobardi neir Ituiia , e dei Franchi ed i Sassoni in Germania ed
Inghilterra, e sotto i Normanni in Francia, in Inghilterra, e nel-
r Italia meridionale. Noteremo in varie tabelle i monumenti di
maggiore interesse che caratterizzano lo stile delle varie epoche,
e finalmente ragioneremo deirarchìtettura Ogivale e sui varianti
sino al cosi detto risorgimento delle arti. In capitoli separati trat-
teremo degli elementi classici che si conservarono neir Italia cen-
trale sino a Lapo e Brunellesco, e delle incrostazioni esteme delle
fabbriche come ricordanza dell' architettura policroma degli an-
tichi ; e ci occuperemo in ultimo dell ' architettura feudale, delle
case comunali, de' palagi dei nobili e ricchi cittadini che abban-
donando i loro castelli, si diedero ad una vita più sociale e civile
abitando quelle grandi città che divennero poscia tanti centri di
civiltà e di belle arti.
D.r Saverio Cavallari
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DI GIOVANNI NASO
K DELLA INTRODUZIONE DELL'AHTE TIPOGRAFICA IN PALERMO
Giovanni Naso da Corleone, detto per antonomasia il Siciliano,
appartenne a quella eletta schiera di dotti e di letterati che nella
seconda metà del secolo XV accrescevan lustro e decoro all'Isola
na<^tra e che insieme al magnanimo Alfonso, il fondatore del ri-
nomato studio di Catania , il protettore e V amico delle lettere e
e dei letterati , adoperavansi con tutta efficacia a spingere nella
via del progresso la generale coltura. Le scarse memorie che
di lui ci rimangono, lo danno a divedere per uom dotto ed eru-
dito almeno secondo i suoi tempi (1) ; ed il celebre Lucio Ma-
rineo da Yizzini , che fu suo discepolo, ebbe a dir di lui che se
la morte non. Tavesse immaturamente rapito , per virtù poetica
e per nobiltà di verso egli avrebbe potuto gareggiar co' più
grandi, e perfln collo stesso Virgilio (2).
Alle poche notizie che intorno al Naso forniscono gli scrittori
di cose letterarie siciliane, alcune altre mi è dato di aggiun-
gerne che la sua vita direttamente riguardano , o che il valor
letterario di lui con novelle prove addimostrano. Queste no-
tizie che han dato occasione al presente scritto, ricavansi prin-
cipalmente da taluni documenti inediti esistenti neirarchivio del
Comune di Palermo, i quali come degni di nota per più d'un ri-
guardo, non credo inutile il pubblicare. E poiché il nome di Gio-
vanni Naso legasi strettamente alla introduzione dell'arte tipo-
grafica in Palermo, anzi per questo appunto il nome di lui si
raccomanda alla posterità, mi lusingo che non sarà discaro ai lettori
ch'io m'intrattenga di questo avvenimento importantissimo, tanto
più che la inesausta fonte onde ho attinto le notizie di sopra
(1) MoNGiTOBE Biblioth. Sieula, toin. I p:ig 355.— Narbone Storia Letteraria di
Sicilia, tom. X, lib. HI. Gap. III. pug. 446 e scg.; tom. XI. lib. Ili, cap. VII. p. 79
e tom. XII, Appendice III, pig. 73 e scgg.
(2) Lccii Marinbi epìitolae. lib. V , epiil. ad Culaldum Parisium, Ediz. di Va-
gliadolid. 15i6.
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DI UIOVANM NASO EC 471
cennate, offre qualche altro documento onde nuova luce deriva
eziandio su tale assunto.
Da un privilegio del Municipio di . Palermo (i) risulta che
<i) Stimo opportuno pubblicar qui il ilocumento sopracitato perchè mi sembrA
Miteressuute anche in riguardo alla storia delle vicende della pubblica. istrusione.
Jhesu!i
Uniyprsitas felicis urbis panormi prestanti vivo inlianni nasini siculo saluleuu
><*um olim te in i oapolitano stadio publice actu legeniem in liane felicem urbero ad
«amdem lecturnm conduxissemu.s, constitulo tibi qnoiibet anno dum legens (ile) nn-
-ciaruni vigilili saiariu praut in quadam provisione iiosiru sub daia panurmi xxvj
^augusti quarte indiclionìs pruxiine preterite laciu.sconlinetur. cuius provisioniscujn
sigillo pendente lenor per omnia lalis est. — Universitas felicis urbis panormi pre-
stanti viro iohanni nasoni agnoniento sìculo salutem «onsueverunt patres et maìo-
res nostri quociens hanc urbem bonarum artium precepturibus carere contigli ali-
<qucni clarum viru.n a longioribus etiam pariibus puljblico salario conducer», ne
udolescentes nostre urbis civium filii rclittis bonarum arliuai sludiis lasciviis ine-
pliis(]iie iluiutaxnt openm darent. volentes igitur iios ipsoriiin huiusinodi lauda-
bilem consueludinein ac scieniiarn soqiie adolescenti busque et bis qui dooliores fieri
^upiunt optimum preceptorem tradere te tandem e numero multonim qui in mon-
-cium nostraruin cxamine occurrerunl elegimus. tuqne muhisequidem ultra salarium
pubblicum muneribus donabere qui bus protetto neinu uiiquam alias donalus extitil,
teque onines miruni in loodun amabimus colemiisque. tenore igitur pre^entis pri-
\ilegii pablicum salarium unciariura xx*' buhis Sicilie regni monete priyatoram sco-
larium salario in tua voluntate et arbitrio resenrato de et ex iuribus et redditibus
c^ibelle carnium diete urbis exolvendura consliturmus decernimus ac dare solvere
et assignare annìs singulis pollicemur et nos sollemniter obligamus iuramusque.
quocìrca nobili eiusdem urbis Ibesaurario diciraus et mandamus quod de dicto un-
ciarum xx^^ salario ex diete Gabelle iuribus et redditibus dum legeres annis sin-
gulis iuxta presentis privrlegii seriem respondeat et per qnos deceat faciat integre
Tesponderi. in cuius rei testimonium presens privilegium (ieri iussimiis subscrìptio-
niBus nostris ac sigillo communi nostro inpendenti roboratum. actuin et datum
in eadem urbt! diexxvj mcnsis augusti quarte indictionis m*cccclx\j*. f no6 petrus
de speciali miles et pretor confirraamus f iacobu di bu legna iuratns «t prìor f gul-
lelmu ramnndu rìmbau iuratu f cx>la castillitta iuratu f iobanni baiamunli iuratu f
johanni pelm di rìgio iuratu, Postea vero anno viiij* indictionis cnm uecessitatibus
qiiibusdam urgenlibus de dicto salario uncias decem deduxissemus, tu eam deduc-
tionem semper graviler pertulisti eoque sub spe consequendi uncias dictas xx^* quo-
libet anno a serviciis illustrissimi domini ferdinaiidi ulterioris Sicilie regis a dicto
neapolilano studio ubi condnctus eras pabl^lico salario disceasisti. et facta per te
maxima nobis instantia ut ssilarium predìctum unciarum xx'* totum reintegra-
re vellemus attento etiam quod prò cancellano te nobis oflerres ad componen-
dum scilicet litteras et epistolas Ialino sermone ad viros egregios faciendas si quando
opus forel et nobis piacerei fuittandem per nos civium ad sufficientem numerum
convocato Consilio provisum ac ita harum serie providemus quod tibi sit et esse de-
beat totum integnim dittanim unciarum xx** salarium restitutum quod tibi resti -
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472 NUOVE EFFEHEIUDI SICILIANE
fino al 1471 Giovanni Naso professava lettere nello studio di
Napoli. In queir anno medesimo era egli chiamato in Paler-
mo allo stesso ufficio, col salario di onze venti annuali. Ma
grazie alle strettezze finanziarie in cui per avventura trovavasi
allora il Comune, il detto stipendio nel 1475 veniva ridotto ad
oncie dieci; di che il Naso ebbe a muover lamento, adducendo
di aver lasciato il servizio di re Ferrante di Napoli in conside-
razione della convenienza maggiore che gli offeriva Palermo.- Due
anni dopo, cioè nel 1477, il Comune accoglieva le di lui rimo-
stranze, e in riguardo del servizio di cancelliere che oltre a quello
di pubblico lettore egli si offeriva a prestare , ad componendtm
scilicet litteras et epistolas latino sermone ad viros egregioSy si quando
opus forety reintegravate nel godimento del primitivo stipendio (1).
taimus ac reintegrainus ioxta diui prescripti privilegii seriem pleiiiorem cum pre-
dicto monère cancellarìatnsadiunclo, idcirco nobili eidem noslre universilalis thesau-
rario dicimus et Dnandamus quatenus de diclo unciarum vigiliti salario ex quibusvis
nostre uni versi latis luribns et redditibus quibuscnmque annis singalis libi duna
legtris iuxta prescripti privilegii seriem respondeat etresponderi faciat eflffctive. da*
tum panormi xxij febraarii decime indictionis m*cccclxxvij*.
t nos Simon de septimo miles et pretor
f ea iohanni adama priolo et iurata
t ego alferius de leophante inralns
t ego Simon de calvellis iuratus
t ego guilielmns ramandns rimbaus iaratos
f eu francisca di vintimigla iuratus
t
(in ultima crucc non est signatus ioraius quia fuil mnrtuas^i.
Nola marginale : X* madii x* indictionis prefaius nobilis ioannis inposse ma-
gnifici preloris prestitit iuramentum tactis scripturis de bene fidcliter et legalitcr ex-
ercendo ipsum officium cancellarii et sic bnbiiit possessionein dicti oflScii.
lìeg. di Attit Bandi e Prowiile del Comune di Palermo^ X* indizione 1476-77.
fol. fifivirso e seg};.
(1) \\ documento di cui sopra bo tenuto discorso segna, se non m'inganno, Tori-
gine della carica di Caneelliere del Senalo di Palermo. Gl'intendenti delle cose no-
stre sanno cbe correva differenza tra il Cancelliere ed il Maestro Nolaro de* du-
rati che era il vero segretario del nostro Magistrato municipale e che dovette avere
origine comune ai Giurati, mentre il Caneelliere era quell'ufficiale che avea Tinca-
rico di tenere la corrispondenza del sapremo Magistrato della città colle persone
di riguardo. Che quest'ultima carica sia stata creata in occasione dell'offerta fatta
dal Naso mi par che risulti dal conlesto del documento anzidetto. Cosi si spiega
benissimo il concorso del volo del consiglio civico evidentemente richiesto per la
istituzione di una carica nuova cbe dopo il 1477 comincia a figurare negli elenchi
degli ufficiali annuali e 'perpetui del comune premessi d'ordinario ai registri di atti
bandi e proviste.
Questa carica fu sempre occupata da uomini di lellere , tra' quali vanno prìnci-
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DI GIOVANNI NASO EG. 473
Pochissimi sono invero gli scritti che del nostro Giovanni ci son
pervenuti. Quello onde a lui derivò maggior rinomanza è un poe*
metto in esametri latini in cui prese a descrivere le solenni fe-
ste celebrate in Palermo in occasione della resa di Barcellona di
Spagna (1472). Un Alfonso da Segura, spagnuolo e discepolo di
Lucio Marineo , così ne scriveva « Post annum inde Panormum
« ad Ioannem Nasonem, cognamento Siculum^ transit. Hic est ille
« Ioannes Naso cuius extat opus heroicum de celebritate rerum
f quas Panormum. (leg. Panormus) edit quum Barcinona Gothalana
e civilas rebellis Ioanni regi in deditionem post decem annos se
« subiecit (1) ».
Un altro carme latino del Naso è quello in lode de' Trapanesi,
scritto nel 1476. Serpeggiava in quel tempo la pestilenza in I-
talia e in Oriente. La Sicilia era stata troppo di frequente afflitta
da quel terrìbile flagello; indi la costernazione generale del po-
polo e la sollecitudine veramente esemplare dei magistrati mu-
nicipali di tutte le città e terre deir Isola che adoperavansi a
tutt^uomo di scongiurare il perìcolo della invasione del morbo e-
sizìale. I Giurati ed il popolo della città dì Trapani si distinsero
sopra gli altri ed ebber la fortuna di riuscire, almen per quella
volta, ad allontanare il grave disastro. Il Municipio palermitano
attestava alla città sorella la sua gratitudine e la sua ammirazione
per mezzo dei versi del Naso il quale in qualità di cancelliere
'pel Comune e di riputato poeta ebbe incarico di dettarli. Questi
palmcnie ricordati Bartolo Sirillo (morto a Madrid nel i598) terso ed elegante
scrittore di prose e poesie italiane, etl autore della Tragedia diS. Calei'itui che, i-
nediU tuttora fra i manoscrilti della nostra biblioteca comunale, aspetta una mano
pietosa che la sottragga alla ingiusta dimenticanza; — Filippo Paruia (morto nel
1629) autore della Sieil'a descritta eim metiaglie — il primo libro di numismatica
che siasi forse pubblicato in Italia — anch*egli non dispregevole scrittore italiano;
Francesco Barone e Manfredi da Morreale (morto in esilio a Gaeta nel 1664) nomo
eruditissimo, autore di parecchio opere in difesa dei patrii privilegi, celebre per la
parte ch'egli ebbe nella sommossa del 1617, ma più ancora per la persecuzione
alliratasi dal tribunale della santa Inquisizione; — e Francesco Strada notissimo
autore del libro intitolato Le (//om 'lelC Aquila trionfante scrino in risposta all'altro
libro non men famoso del gesuita messinese Placido Reina che porta per titolo
Lldra decapitata, documenti entrambi delle lacrimevoli e V"rgognose gare munici-
pali che fuion cagione di tanti danni, non pure alle due più cospicue città deU' 1-
i*Aiì, ma ben puri! alla Sicilia tutta.
(I) Epistola de lauditms Lucii Marinei — Tra le epistole del Marineo, lib. VI ;
ediz. di Vaglindolid citata. Questa epistola fu riprodotta dallo Schiavo nel voi. II
delle Memorie per servire alla Storia Letteraria di Sicilia a pag. 306.
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474 NVOYE EFPniBBlDl SHUUANE
versi se non posson dirsi modello di latina eleganza , si dislin-
guono per cerla spontaneità, che non dispiace. Essi son trascritti
in un registro di atti del Municipio donde li ho copiati , e non
credo inutile il pubblicarli, non foss'allro, come saggio della dif-
ferente maniera di vedere tra il nostro secolo mercantile il quale
par che goda di dilatare le vie a quel morbo asiatico che va sr
spesso desolando TEuropa, ed il secolo di Alfonso che voleva u-
sate tutte le precauzioni possibili onde evitare i morbi epidemici
e contagiosi, e giudicava degni della pubblica benemerenza, più
che altri , coloro che a siffatto intento si fossero in ogni modo
cooperati (1).
(1) lluc ubi fttlx lapsa est de coelo tincU cruore
El DrcpAiium ds m nonioaliira fuit,
Vexit ab infecto fanesUm Duper ibero
IiìMiK pestifero munere mìssa laem.
Illa 8cd ut primuui laelain descendit in urbem
Gaiidet esperalis impia fnneribus
S(>einque cipit populos el cunctas Iriiiacris uras»
Miscere insidiìs perniciosa suis
llospitii primum temeravit iur/i fidemque
Cruda patri naiw eripiendo duos
Exiu furti vum sufTundeiis diva veuenum
Serpebal tacita contagione domos,
Serisil cura patrum medits in moenibus >iot>tuai
Alqne freqnens celeri pellere ccrtat ope.
Nil iroprovisum: nil quod mortalis egestas
Invenit auxilio deseruere patres.
Per siculas urbes caveant contagia cladis
Scribitur: atque ipsi nil minus illa cavent.
Hos servare inbent, illos exire, redire
lam nuUos: alios conti noere domi
Oiducunt plures: portae claudunlnr in uno.
Hoc pariter cunctos invigilare vides.
Nec puerì cessant: matres castaeque pucllae
Sacra deosque pia poscere tempia prece.
Audiit omnipotens sollertnm vota precesque
Propitios meruit provida cura deos.
Nam sic illa sibi minus indignata refogit
Irrita bis voti non redi tura sui
Urbs modo iam poscat victricis praemia palmae
Per quam Trinacriae. pestifer arbor abest •
A Scilicet Alciden mendax sua Graecia iacUt
Monstra quae domnit terribilesque feras,
Plus tamen est peslem quam vincere monsira ferasque
Cum dts mortales conscruisse maous
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01 GIOVANNI NASO EG. 475
Il SUO distico in cui accennasi alia pretesa alleanza tra Palermo
e la Romana repubblica fu riportato da me nello scrittarello sul
documento riguardante Tanlica porta di Busuemì. Anch'esso levò
molto grido, e non è quasi scrittore che tratti deirorigine e del-
Tantichità di Palermo che non lo riferisca.
Oltre a questi scritti abbiamo ancora di lui una raccolta di detti
di celebri Siracusani desunta dagli apoftegmi di Plutarco, pubblicata
come appendice ad un' opera di Cristoforo Scobar de rebw prae-
claris Syracusanis (l\ e finabnente la prefazione o piuttosto let-
tera dedicatoria premessa alla edizione principe delle Consuetudines
urbis Panhormi eseguita in Palermo nel 1478 sotto la di lui di-
rezione.
In questo scritto il Naso ci lasciò la storia della introduzione
dell'arte tipografica in Palermo. Eccomi dunque alla seconda parte
della mia trattazione poiché T ordine slesso delle cose mi vi con-
duce. All'uopo io farò principalmente tesoro delle notizie che lo
Scilicet ul quondam vicirix e\ hoste redibal
Destra triumphintes alta re^ebal equas.
Est mortale tamen roortales vincere vires
Devicta nulli gloria peste fuil
Vendicet hanc Drepanuro cerio sibi pignore laudem
Peste bi9 e vieta bina trophea pelat
Redde tuae Drep&no merìios Trìquelra triomphos ^
£t sacra per Orepannm sospita facta Deo.
Panormilani Drepanensibus 9. P. D.
Pro plusquam bumana vestra solertia qua nuper quoque serpentem ac iam ar-
dentem intra parìetes vestras pestem pellentes adooirabiles cives egistis imiaortali- '
tatem deberì vobis censniinus. Sapiens enim ac felix Tcrtus yestra non modo pro-
spexit sibi sed et nos queque et uoiversam Sieiliam (qnod vix ope divina posse iam
fieri credebatur) ab imminenti certoque saovae cladts perìculo hberavit, Deum pro-
pitium merita sedulitate sua. Itaque a cive nostro Ioanne Nasone siculo poeta ora-
toreque maximo et publice et bone enidiendam isventutem nostram cooducto car-
mina quaedam iussu nostro in vestram laudem composita visa nobis aetemitatis
optima moDumenu in nostro praetorio asservari et ad vos mitti volumus. Ac^ipite
ergo lamquam testatum per nos veslrae virtutis eiogium et perpetuae nostrae in
vos benevolentiae firmum futurum auct4iramentam Valele. Ex felici urbe nostra pa-
iibormo Idibos laonarii etc.
Heg, di AUi, Bandi e Proviste dell'anno IX' indis. 1475-76, fol. ìfk, vino.
(1) Stampata a Venezia nel 1520. La raccolta del Naso fu riprodotta nelle Memorie
per servire alla Storta letteraria di Sicilia del Can. Domenico Schiavo^ tom. I, par-
te IV» pag. 51.
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476 NUOVE EFFEMERIDI SIGIUANE
Stesso Naso ci ha ti-asmesso , giovandomi ancora delP altro docu-
mento cui più sopra ho accennato.
Il primo che avesse messo su una lipogralia in Palermo fu An-
drea di Wormacia o Guarmagia (Worms). Chiamatovi dai giurati
venne egli in questa città nell'ottobre o novembre del 1476. ti
Comane apprestogli tutti gli arnesi necessari air esercizio della
sua nobile, arte (1). Il Pretore di quel tempo era Simone Setti-
mo; i Giurati, Giovanni Adamo, Alfiere di Leofante, Simone Cal-
vello, Gugliehno Raimondo Rimbau, Francesco Ventimiglia; Sin-
daco quel Rinaldo Sottile che procacciò alla patria il benefìcio
della introduzione di quel gran trovato che dovea nel volger di
pochi anni trasformare la faccia del mondo (2).
Il primo saggio della nuova tipografia fu, assai probabilmente il
codice delle Consuetudines Urbis Panhormi. Queste leggi municipali
osservate fin da tempi immemorabili, confermate e giurate dai nostri
re insieme ai privilegi della città, studiate e chiosate da giurisperiti
di grido, riassumono, per cosi dire, la storia della città medesima
e lasciano scorger le traccie delle differenti schiatte che lungo il
corso de^ secoli eran venute a respirar le aure tepide e profumate
della Conca d' oro. I cittadini le osservavano scrupolosamente , i
magistrati del Comune ritenevano lor sacro dovere il custodirle,
e presentavano al viceré ed al re medesimo le loro energiche ri-
mostranze se quelle per avventura erano da chi si fosse meno-
mamente vtolate. Nulla è quindi più naturale che in Palermo le
(1) Ecco io proposito il docamento deirarchivio CoaMinale (Reg. di Alti, bandi e
provine dell'anno X* indizione 1476>77, fog. 74 verso)
• Eodem (13 novembre 1476)
• Pro magislro andrìa de guarmagia ihiotinico , cui de mandato magnificorum
• pretoris et inratorum fueinnt conugnate una caxia di liclerì di stampa di «lagnu
• et unum torculare di Ugnami, de presentando ipsas , res ad omnem mandatum
« ipsorum magnificorum oflicialium, in forma curie etc. renunciando etc.
• « Fideiusfit magister nicolaus
• de medicis aromatarins. •
(2) • El nune huie quoque noslrae foeliei panhormilanae urbi ne haec tanta deessH
foelicUas, Tu praelor nobUmime, eum nero huiui anni panhormUanorum collegio,,,
procurante lìanaldo Sudile insigni iureeonsullo urbisque syndico curaslis oc effècistis
ut Andreas de Wormacia eius artis professor (h. e. artis lypogrephicae) oHicinam
impressoriam exerceret. • Dedicatoria deUa edizione delle Consuetudines Urbis Pa-
nhormi fatta ne! 1478. Questa dedicatoria può leggersi per intero nel tom. XLII,
pag. 147 e segg. <iel Giornale , di scienze, lettere ed arti per la Sicilia — Lettere
bibliografiche delt'ab, iNicoLÒ Duscemi.
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DI GIOVANNI NASO EC. 477
primizie dell' arte tipograOca si fosser consacrate al codice delle
CanstietiidineSy tanto per diffonderne la conoscenza fra i cittadini
e per agevolarne loro lo studio.
Il nostro Giovanni Naso fu incaricato di curar la impressione
di quel libro preziosissimo, certo come uomo il quale meglio che
altri poteva adempiere alla delicata missione, tanto come letterato
che come pratico della materia. E veramente nella sua non breve
dimora in Napoli, dove la stampa era stata già introdotta innanzi
il i47i , egli potè impratichirsi del recente trovato, e come e-
sperto esser poi designato a dirigere la edizione di cui ci occu-
piamo.
E il fatto rispose benissimo allHntento, poiché Tedizione riuscì
degna del libro, e del Comune che volle procurarla, come può ve-
dersi dall'esemplare che ne possiede la nostra Biblioteca Nazionale,
già dei Gesuiti; il quale è stato descritto ed illustrato dal Hortil-
laro (L) dal Buscemi (2), dal Tornabene (3) e dal Mira (4); ond' è
ch'io mi dispenso di descriverlo alla mia volta, limitandomi sola-
mente a notare che la lezione seguita in questa prima stampa diffe-
risce in molti punti da quella adottata nelle posteriori, specialmente
da quella del Muta, di che ho avuto ragion di accorgermi con-
frontando i due testi per incarico del D.r Ottone Hartwig, il quale,
com' è noto, ha impreso a stampare le antiche Consuetudini de}le
città Siciliane, ed ha già dato fuori quelle di Messina (5).
Si è creduto che il Naso avesse stampato in Palermo il suo
poemetto per le feste in occasione della resa di Barcellona, anzi
si è preteso che T edizione di questo opuscolo precedesse in or-
dine di tempo quella delle Consuetudines. Il Mongitore ebbe a
ritener così senza dubbio, poich'egli messe appunto in capo alla
lista degli scritti del Naso questo delle feste, e datone il titolo a
(i; MoRTiLLARO« Studìo bibUografico» parte II, { III; Appendice per la Sieilia. Sta
nel voi. I dolle sue Opere.
(2) Buscem Lettere bibliografiche cit.; nel Giornale di scienze lettere ed arti per
la Sieilia, tom. XUI pag. I4M54.
(3> Tornasene, Storia critica della tipografia Siciliana deU 1471 al 1536. Catania
1839; pag. 47.
(4) Mira, Manunle di Bibliografia, Palermo 1802, lom. Il, pag. 373.
(5^ Codex lurit munieipalis Siciliae.' Die mittelalterliehen Stadtreckte Siciliens ,
mit hittorischen Einleitungen , herautgegeben von Otto Hartwig — Heft 1 — Das
Stadlrecht von ifeMina— Cassel nnd Gottingen, Georg H. Wigand, 1867. — Sarà questa
una raccolta importaDtissima di cui noi Siciliani dobbiamo saper grado a questo
flotto straniero.
31
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478 NUOVB EFPEMeaiDl SIGIUANE
SUO modo, soggiunse Tindicazione del luogo. Fondavasi egli sulla
teslimonianza, male intesa, anzi storpiata, di Alfonso da Segura;
e dico storpiata perchè dove nel testo di costui si dice « Hic est
ille Ioannes Naso cuìììs extat opus hericum de celebritate rermn
quas Panormum edidit > il Mongitore ha letto ^tM» Panormi edidit{i),
senza avvedersi che travisava cosi il concetto del Seguritano, fa-
cendo insieme strazio della grammatica.
Due bibliografi siciliani, l'abb. Giuseppe Logoteta e il Cassinese
Francesco Tomabene scartarono come chimerica l'opinione del
Mongitore, ma non si awider per nulla dell'errore in cui questi
era incorso. A me non è venuto fette di leggere quel che ne
scrisse il Logoteta, la cui opera (2) non esiste, o non si trova,
nelle nostre due pubbliche biblioteche, né mi è riuscito di vedere
un Giornale di Sicilia che stampavasi nel i799 in cui dovrebbe
essere un articolo o memoria che accenna, o riguarda la edizione
di cui mi sto occupando. Mi è forza, pertanto, passar difilato dal
Mongitore al Tomabene di cui giovami riportar le parole.
€ Il Mongitore ed Alfonso Seguritano , benché , nissuno esem-
« piare avessero visto, pure asseriscono dal Naso essersi data alle
e stampe in Palermo nel secolo XV un'opera titolata De celebrità-
« te rerum opus heroicum , Panhormi. Le inchieste e sedule mie
« premure a richiederne nuove, mi hanno cerziorato che questa,
e edizione, come dice il Logoteta, é chimerica anzi é la stessa (sic)
t che queiropusooletto del medesimo autore titolato :
« Joannis Nasoni» Siculi Panhormi, de spectaculis a Panohormi-
« tanis in Aragonei regis laudem editis, Barchinonia in fidem re-
e cepta; dedicata a Giovanni Bonanno, di cui egli scrive: Virum op-
• timum et iureconsultum egregium: l'operetta è in verso, di cui ecco
« il princìpio:
« Hic spectaculis fulgens pendet latema sub altis
« Quae se volventes ostendit crebra figuras
f Tutus, ut accenso cum clara refUlserit igni
• Attonitos visu suspecta retardet euntes (3).
(1) Bibliolheea Sieula, loc. fii.
(i) Spieilegium typographkum de sieulis edUionibut saeeuU XV, Panormi 1807
(Ap. Narbonb, Bibliogr. Sieola, lom. I. pag. 362).
(3^ Il principio del poemetto del Naso è ben diverso da quello dato dal Torna-
rne. I primi tre versi sono i seguenti :
Saera cano feUosque dies quos iaeta Panormum
Expeeiata sui postquam Victoria regis
Audirunt, eelehrat. Sed lu rex inclite nobis, etc.
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DI GIOVANNI NASO BG. 479
t Questa edizione viene rapportala dal Denis (!) dal Panzer (2)
€ dal Logotela, dal Giornale di Sicilia, Però quale edizione? oh
« errore ! la resa di Barcellona dopi» un assedio di dieci anni so-
« stenuto dal re Giovanni d^Aragona, avvenne correndo l'anno 1472,
€ e la giuliva notizia giunse a Sicilia, terminata appena la sessio-
c ne parlamentaria già rannata in quella slagione a Polizzi, per
« la quale nuova il viceré di quel tempo, Lupo Ximenes Durrea-
c ne diede lieto avviso a tutte le Università del regno con lettera
« circolare, in cui ordinavasi renderne pubbliche grazie a Dio, e
< €omandavasi si facessero festeggiamenti ed illuminazioni, essendo
e questa vittoria la causa della pace in tutti gli Slati di Spagna; son
• questi festeggiamenti che descrive appunto il siculo poeta Naso
< come rilevasi dai versi sopracitati; ora non è improbabile detti
€ versi essere stati sospinti al trono di Spagna, tanto più che il Bo-
• nanne a cui furono dedicati contava in quella Corte ; certo u-
• scir dovettero nel tempo di quella festa, o poco dopo, altrimenti
f nissun effetto avrebbero potuto ingenerare nel l'animo de' leggi-
€ tori; se poi si vorrà opinare che stampati si fossero, ed allora
• al più presto poterono vedere la luce circa il 1478 , sondo la
« prima edizione palermitana finita in quell'anno , per quanto si
i è detto , cioè anni sei da che quella festa avvenne nella capi-
• tale: ciò posto è a supporre che la descrizione di una semplice
• festa si desse fuor di tempo alla luce ? Poi dalle parole edidit
• Panhormi del Seguritano non deve giudicarsi essere stato quel-
• l'opuscolelto stampato, ma piuttosto composto in Palermo, quasi
• dicesse composuit Panhormi ; tanto più che nessuno autore dei
• sopracitati vanta averne veduto alcun esemplare (3) ».
Qui bisogna osservare che il Tomabene scriveva evidentemente
col preconcetto di dimostrare che la stampa, pria che in Palermo,
fosse stata introdotta in Catania o in Messina. E siccome non è
possibile che chi scrive con un partito preso non cada, senza quasi
saperlo, in abbagli , quindi è che veggiamo l'egregio bibliografo
Catanese incorrere in grave contraddizione , come a dire nel di-
chiarar chimerica la esistenza di un opuscolo di cui poi riferisce
esattamente il titolo. Se egli, del resto, avesse letto attentamente
fi) Denis Mich. Anflalium iypographieomm Mieh. MaUlake supplemetilum.
Viennae i789. Part. II. pag. 623. n. 5171.
(2) Panzer G, W. Annales Typographiei enumdali ei aneli. Norimbergae» 1793-
Tom. IV, pag. 165, num. 485.
(y ToRNABENE, op. cil. pag. 52-5o.
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480 NUOVE KFFEMRRIDI SICILIANE
il Denis, che pure ha citalo, avrebbe osservato che questo dotto
bibliografo dovette aver so Inocchio un esemplare del libro contro-
verso esistente in una biblioteca monastica di Sliria (1) , e ciò
sarebbe bastato a provargli che Tedizione che gli piacque chia-
mar chimerica era perfettamente reale. E se finalmente egli avesse
riscontrato il dotto catalogo della ricca biblioteca di Lord Spen-
cer compilato dal Dibdin — e pubblicato sedici anni innanzi il
1839 — vi avrebbe trovato la descrizione esatta del bello esem-
plare deiropuscolo in discorso che si possiede da quella libreria
e che qui mi piace trascrivere:
• Non so comprendere, scrive quel dotto bibliografo, perchè il
■ Duca di Cassano mette questo volume elegantemente stampato
< tra le produzioni della stampa Napolitana. Se cosi fosse, potrebbe
e essere stampato da Moravo. Ha io inclino a considerarlo come
■ produzione della stampa Veneziana, e come stampato, probabil-
f mente da G. hubeus o da Bernardo o Luca Veneto.
■ Il volume comincia con una dedicatoria in versi diretta dal-
■ l'autore a Giovanni Bonanno , uomo eccellente ed egregio giu-
f reconsulto, la quale occupa la carta segnata a, i. Colla carta a,
e 2, comincia V opera col seguente titolo:
■ Ioannis Nasonis Siculi PanhomUs de Spectaculis a PanhomUtanis
« in Aragonei regis laudem ediUs Barchinonia in fidem eius recepta
f foeliciter incipit. •
■ Seguono 19 linee. La pagina intera ha 24 linee. L'opera ha
« il registro a, ft, e, in ottavo , meno la carta a , 4 , che sembra
€ mancare; a meno che V a, 1, sia erroneamente chiamato a , 2,
■ e una carta bianca (mancante) formi Fa, 1. Ma non si scorge
« alcuna interruzione di senso tra le carte a, 3, ed a^ 4. L'opera
« finisce così, colla carta e, 7, verso:
« Ad laudem dei et in patriae oc Regis aragonei honorem.
e La carta e, 8 è bianca.
e Questo è un esemplare molto bello ed intero, rilegato di re-
e cente in marocchino giallo. Sembra che sia già appartenuto ad
e una famiglia chiamata Beneventano — e sul recto della carta va-
e lante porta scritto : Codice del 400 (2). >
i^i) Dbmis» toc. cit. « IoAHNis Nasonis, de tp&iiaeulis panoiinilanU, 4*. Adm.» (Cioè
tu Bibliotkeea Coenobii Admontensit 0. S. B. in Styria»— V. la tavola deUe abbre-
viazioni premessa all'opera).
(i) DiBDiM T. F. DetCì'ipUve ealahgue of the bookt printed in the XV eenluryla-
lely forming part of the library of the Duke Cauano-Serta and noto the property or
G. I. Spencer. London 1823, pag. 77, num. 118.
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DI GIOVANNI NASO EC. 481
Ma del non aver tenuto presenta quel che ha scritto questo in-
signe bibliografo non darà carico al Tornabene chi ricorderà che
in Sicilia, grazie alle immense difficoltà che sperimentavansi nelle
comunicazioni coU'estero, i libri nuovi e le scoverle della moderna
scienza arrivavano quando pel resto d'Europa eran già vecchie; e
che quindi può darsi benissimo che egli allorquando scrivea la sua
storia, sconoscesse il Dibdin e le sue dotte opere; ciò che non ó
per nulla strano, poiché il diligentissimo P. Narbone che scrisse
molto più tardi del Catanesa bibliografo non citò nemmeno il ca-
talogo della Spenceriana sul proposito deir opuscolo del Naso, ma
si limitò solamente a riferire ciò che ne avean pensato il Mon-
gitore, il Tornabene e gli altri scrittori siciliani che più sopra
ho citato (1). Però questo dotto gesuita credendo che il passo di
Alfonso da Segura su cui ^i era fondato dai nostri fosse errato ,
vi fece una correzione sostituendo alla voce qìMs un quod, di tal
che la sua lettura è apw heranicum de celebritate rerum quod Pa-
normi edidit (2). Egli cosi metteva al coverto la grammatica già stra-
ziata dal Mongitore e dagli altri che lo seguirono , ma travisava
il concetto del Seguritano il quale altro non disse che: Dopo un
anno (Lucio Marineo) passò a Palermo presso Giovanni NasOy detto
il Siciliano. Questi è quel Giovanni Naso di cui si ha un'opera e-
roica (cioè , un poema eroico) intorno alle cose celebri che fece
Palermo (cioè, alle solenni feste celebrate in Palermo) allorquando
Barcellona città catalana ribelle a re Giovanni dopo dieci anni si
arrese a discrezione.
Il lettore avrà notato che dei nostri scrittori, dal Mongitqre al
Narbone , ninno avea veduto V opuscolo controverso. La fortuna
di averlo per le mani toccò, pel primo , al Mira , intelligente li-
braio ed amantissimo degli studi bibliografici. Egli se ne servì per
provare, contro il Tornabene, che la stampa era stata introdotta in
Palermo fin dal 1473, compito facilissimo per chi prende le parole del
Seguritano nel senso in cui le presero il Mongitore e gli altri che lo
seguirono ed è quindi in grado di opporre un fatto ad una semplice
discettazione. Ma il Mira, per dir vero, non si limitò a questo; egli
prese, per così dire, in parola il Tornabene ragionando presso a
(1) ìNarbonb« op. cil. tom. X — Epoca Catligliana — Secolo XV , lib. III. pag.
2Ì6-247.
(2) Anco lo Schiavo ayeva letto quod il q%uu del lesto; ma lasciando come suva
il Panorrnum riuscì a storpiar peggio del Mongitore il senso delie parole del Se-
guritano. V. le cit. Memorie per $tn'vire alla Storia leti, di Sic, voi. II, pag. 309.
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482 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
poco nel seguente modo. Se V opuscolo del Naso fa stampato ve-
ramente, diceva il bibliografo catanese, lo fu per certo nel i472,
cioè quando le feste eran celebrate ; altrimenti mssun effetto a-
vrebbe potuto ingenerare neir animo de' leggitori. Ma* non essen-
dovi memoria di tipografia esistente in Palermo a quel tempo ,
dee dirsi che quella edizione è chimerica. E il Mira: ma l'edizione
esiste, dunque fu fatta nel 1472, o meglio, nell'anno susseguente,
perchè le feste avevan luogo nel novembre, ed un certo lasso di
tempo tra quelle e la stampa del libro dovette pur correre. Ed
ecco provato, secondo il pensamento del Mira, che la stampa fu
introdotta fra noi fin dal 1473 (1).
È superfluo il rilevare che V ingegnosa dimostrazione del Mira
crolla dalia base quando le manca il puntello della testimonianza
del Segurìtano; osserverò piuttosto che ha troppo dell' assoluto il
dire che le descrizioni di feste stampinsi sempre contemporanea-
mente alla celebrazione delle feste medesime. Ai nostri giorni suol
esser cosi; che anzi abbiam talvolta di certe descrizioni che le di-
resti piuttosto profezie, quali son quelle che ci regalan d'ordinario
i diari politici. Ma non credo che la teoria del Tomabene troverebbe
esatto riscontro coi fatti, se volessimo risalire ai secoli trascorsi fino
a quello in cui Giovanni Naso dettava il suo poemetto. Per lo meno
ho upa prova in contrario nella Relatiane delle feste fatte in Pa-
lermo nel MDCXXV per lo trionfo delle gloriose reliquie di S. Ro-
salia Vergine Palermitana scritta dal Dr. D. Onofrio Paruta Cano-
nico della Chiesa Metropolitana di Palermo, figlio di Filippo, e poi
perfetOonata da Don Simplicio Paruta Monaco Cassinese , e dal me-
desimo dirizzata alV Illustrissimo Senato di Palermo (2). Questa de-
scrizione, come ricavasi dalla prefazione dell' editore, era rimasta
inedita per la modestia, soverchia o no, del suo autore, e fu pub-
blicata in Palermo nel 16.^1, coir aggiunta di quattro grandi in-
cisioni in rame rappresentanti archi di trionfo eretti per la cir-
costanza. Ecco dunque una descrizione di feste stampata ventisei
anni dopo che le feste medesime furon celebrate.
Il Mira ha detto inoltre che quella edizione e presenta uno dei
< primi saggi dell'arte della stampa eseguito in Palermo nel tempo
f in cui non era permesso agli stampatori il libero esercizio del-
Vedi
(I) Mira G. M. Manuale di Bihìwgrafia, Palermo 1862, lom. Il, pag. 369-370.
(3j II vero autore di qaesta traduzione fu, secondo il Mongitore, Filippo Paruta.
Bibliolh. Sieula, voi. II, pag. 174.
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DI GIOVANNI NASO BO 483
« Tarlo loro. > Ma pur non tenendo in conto la testimonianza
dal medesimo Giovanni Naso il qual disse che il magistrato mu-
nicipale huic quoqm nostrae foelici panhormHanae urbi ne haec
tanta deesset foelicitas avea procurato che TAndrea di Worms ve-
nisse ad aprire qui fra noi una tipografia, conviene osservare
che in Palermo non sussisteva alcuna delle ragioni che altrove
costringevano i tipografi a lavorare , come oggi si direbbe , alla
macchia; dacché non esistendo quivi uno studio come a Catania,
e non conoscendosi pertanto fra noi la classe de' librarii , o co-
pisti, i tipografi potevano lavorare allo scoperto e in pien meriggio
con libertà e con piena sicurezza. Quindi anco di quest'altro ar^
gomento sembrami non sia da far caso alcuno.
Dalle cose anzidette sembrami si possa inferire che la testimo-
nianza del Seguritano non prova aOatto che la descrizione delle
feste per la resa di Barcellona sia stata stampata in Palermo, e che
Targomento messo innanzi dal Mira non ha nulla di sodo, poiché
non è vero che le descrizioni di feste si stampino sempre contem-
poraneamente alle feste medesime.
Venuti meno gli argomenti con cui si è preteso provare che
il poemetto del Naso fosse stato stampato in Palermo è precisa-
mente nel 1472 o 1473, rimane a vedere se esso avesse potuto
essere stampato quivi , dopo le Consuetudines, Sebbene non mi
senta in grado di pronunziare un giudizio in siffatta quistione,
dirò pure tuttavia che i tipi del poemetto non mi paion molto si-
mili a quelli delle Consuetudines. Se questo sia argomento suffi-
ciente a dichiarare che la stampa del primo non appartiene alla
tipografia palermitana, lascio che lo dica chi ne sa più di me.
Checché ne sia della quistione tecnica, prima di conchiudere,
voglio richiamar Tattenzione del lettore sopra un'altra circostanza^
Dal primo documento da me più sopra ricordato rilevasi che il
Naso fece dimora, certo non breve, in Jtapoli, ove dovette avere
molte relazioni: non è dunque improbabile che quivi egli avesse
fatto stampare il suo poemetto. Da un'altra parte si ricordi che il
Duca di Cassano Serra valentissimo conoscitore di libri opinava
' che quella edizione fosse il prodotto di napolitana tipografia. Il
Dibdin da cui abbiamo questa notizia non adottò la sentenza del
Cassano, ma io penso che se quello egregio bibliografo avesse po-
tuto vedere il documento già ricordato, avrebbe certamente ade-
rito all'opinione emessa da quest'ultimo, poiché non sembra ch'e-
gli avesse documenti positivi per sostenere che quella edizione
appartenesse a Venezia piuttosto che a Napoli.
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484 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
Questo mio povero scritto forse non incontrerà il gradimento
di que^ tali che credono, a torto, carità di patria il sostenere il
falso oTassurdo quando sul falso o sull'assurdo una pretesa glo-
ria municipale si appoggia. Se avessi voluto dar retta ad uomini
siffatti, avrei stracciato il foglio e lasciato che Giovanni Naso dor-
misse in pace, e che la mìa città natale continuasse a godersi la
falsa gloriola di avere avuto la stampa cinque anni prima del 1478.
Ma ho pensato in vece che correggere un eiTore, piccolo ed insigni-
flcante quanto si voglia, è sempre un'opera buona; e guidalo da
questa massima ho dato alla luce il mio lavoro. Sarò dunque im-
putabile di soverchia esigenza se dirò che mi aspetto che il lettore
nel giudicarne non voglia dimenticare la rettitudine delle mie
intenzioni ?
Palermo, febliraio 1871.
Raffaele Starrabba
SULLETA GEOLOfilGA DELLE ROGGE SECONDARIE
DI TAORMINA
Nel mentre vado rendendo di pubblica ragione i fatti più ri-
marchevoli delle formazioni cristalline, paleozoiche e secondarie
della provincia di Messina, che mi hanno appreso gli studi! e le
ricerche continue, credo utilissimo anticipare qualche parola, sulla
formazione giurassica di Taormina, di cui sinora si hanno idee si
vaghe ed incerte, quali da oltre trenta anni furono emesse dallo
Hoffmann e dal Gemmellaro.
Le rocce di Taormina sono costituite di strati calcarei e dolo-
mitici per la maggior parte, che hanno subito grandi spostamenti
che presentano una pendenza presso a poco uniforme verso S. S. E.
e che appartengono in parte alla formazione giurassica, in parte
sono ancora più antichi, ed in parte più moderni.
La serie di tali strati poggia direttamente sulla fìllade dell'e-
poca carbonifera , ed è costituita dei piani seguenti : Trias infe-
riore e superiore, Retice, Lias inferiore, medio e superiore, Ti-
tonico e Neocomiano.
Google
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SULL^ETA^ DELLE ROCCE SECONDARIE 485
La formazione triassica si eleva in forma di monti e di colline
dolomitico-calcaree, costituendo le prominenze dette del Castello,
di Venerella, di Mola ec.
Essa ricorda colla più grande somiglianza il triassico superiore
delle Alpi, e quantunque non mi abbia esibito sinora alcun fos-
sile, è dato importantissimo quello di vederla in relazione sotto-
stante collo strato Retico.
Alla base degl'immensi depositi dolomitico-calcarei giace un
conglomerato rosso che passa a gres , e sovrasta a deboli strati
di calcare e di dolomite , sarebbe questo il nuovo grès rosso , o
trias inferiore a cui inclinerei di riferirlo, ma potrebbe rappre-
sentare benanco membro del Permeano.
Il terreno Aetico è formato di strati calcarei brunastrì e con
brachiopodi alla base di strati nero-bruni e con molti pettini alla
parte superiore.
I fossili raccolti in parte ricordano la fauna degli strati ad A-
iicula contorta della Spezia descritta da Capellini, in parte quella
dogli strati sirceronici di Lombardia illustrata dallo Stoppani, ma
ciò che è assai rimarchevole si è che i brachiopodi spettano alle
specie che il Suess raccoglieva nelle Alpi austriache.
Le poche specie sinora ben determinate sono le seguenti:
Lima punctata Sow.
Pecten Helil D'Orb.
Pinna miliaria Stopp.
Plicatulu intns striata Emm.
Terebratula pyriformis Suess.
• gregaria Suess
Physnehonclla fìssicostata Suess.
• subrìmosa Suess.
II Capo S. Andrea siccome i vicini scogli e proraontorii , e il
monte dove sono le cave di marmo, sono costituiti di tre strati
calcarei, Tinferiore bianchiccio venato , il medio grigiastro for-
mato in gian parte dall'accumulo di cronoidi, il superiore rosso
con vene bianche e strati di marna rossa schistosa.
Lo strato inferiore non mi ha offerto alcun fossile, lo strato
medio racchiude la fauna caratteristica del Lias medio, il calcare
rosso contiene qualche lalennite.
1 fossili del calcare a crinoidi ben determinati sono:
Lima cucharìs D'Orb.
Terebratula punctata Sow.
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i^6 NDOVB BFFEUBHIDl SIGILIANC
Waldheimia Partschìi Saess.
Phynchonella serrala Sow.
Spiriferìna rostrata Schloth.
Queste specie determinano benissimo Petà dello strato che li
racchiude.
Probabilmente anco al Lìas medio spetta il calcare rosso.
.Presso Savoca infatti in un lembo di calcare rossastro io rac-
coglieva VAmmonites Grenoiallotixii.
Lo strato inferiore potrebbe spettare al Lias inferiore.
Dal lato orientale e meridionale i monti di Taormina sono cinti
da calcari marnosi di color grigiastro, i quali rappresentano il
Lias superiore, che in taluni luoghi contiene molte ammoniti, tra
le quali fa d'uopo ricordare le seguenti specie: '
Ammonites complanatus Brug.
» primordialis Schlot.
• falcifer Sow.
» racliaus Rew.
» comensis de Buch.
» algovianus Opp.
» Partschii Haver
• communis Sow.
In un fondo alla valle di S. Venera presso Giardini , allorché
si é completamente traversata la formazione eocenica, s'incontra
un calcare grigiastro con banchi di calcare rosso-chiaro. Questa
formazione bisogna che si rapporti all'epoca Tiionica^ dappoiché
in essa vi ho raccolto VAptychus Beyrichi Oppel.
Finalmente la collina di calcarlo secondaria con piromaca al-
ternante con stra torelli di schisto, che è presso la stazione di
Giardini, ed altre dal lato sud di Taormina, mi hanno offerto sol-
tanto degli Attici e qualche frammento di Belennite , tra' quali
fossili si riconoscono bene:
VApticus anguli-costatus Pichet e de Loriol
e il Belemnites lattu. Blaino
le quali specie sono sufficienti a farcì riconoscere in quelle rocce
la formazione Neocomiana.
Messina 18 aprile 1871.
G. Segurnza
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L'ONOEE H)
A braccetto con mia moglie uscivo dal teatro , stiacciati tra la
folla. Accanto a noi veniva il figlio di quel barone di Roccafosca
che fu già patrono di mio padre. Tutto idee liberali e voglia di
far niente; pomposo di vista, scipito di gusto come le zucche, e-
gli chiamava guadagnar tempo il perderlo , e, come i cani , non
credeva che un povero potess' essere un galantuomo. Tratto dalla
sigariera un rotolino di tabacco, fregato un solfino ai calzoni come
fa Vittorio Emanuele, con aria di me ne impippo si pose a sfia-
tare tanfate di fumo in faccia ai circostanti. Una ne toccò proprio
negli occhi a mia moglie, che trasse indietro il capo esclamando
pel bruciore. Indispettito, su quel subito io gridai, — Uh che vil-
lania ! >
Quel signorino , che vedete se era un modello di urbanità, si
voltò come un basilisco e, cavando di bocca quel sucido coso, pro-
ruppe: — Per e.! villano a lei, operajo della mi' pentola ! • e se-
guitò brontolando prima, poi insultando ad alta voce. Mariantonia
mi serrava col gomito, sicché io ringoiai un poco e due; poi scop-
piai a rispondergli col sale e col pepe, e tiratici fuor della pigia,
si veniva certo ai pugni , con gran divertimento del colto pub-
blico, se mia moglie non si fosse interposta e non mi avesse tra-
scinato di viva forza a casa.
Passai come sulle spine le prime ore; poi , dato giù quel bol-
lore, m'addormentai, e dimenticai quella scenata. La mattina mi
avviavo al telonio , quando sento bussare , ed ecco entrano due
persone civili (dico di abito), una delle quali era Manfredo Bru-
schi, e mi dichiarano eh' io avevo oltraggiato il barone Lucio Roc-
cafosca , di cui mi presentarono il biglietto da visita; e che ve-
nivano a ( hiedermene riparazione colle armi.
Dio de' dei 1 Son rimasto di sasso. Io, mi pareva talmente d' es-
sere stato r offeso , che non credevo mi restasse altro a fare se
non perdonargli e dimenticarlo : ed ecco invece cotesto signore
chiamarmi soddisfazione come fosse lui T oltraggiato, in virtù delle
(l) Qaeslo brano del Portafoglio di un Operaio era stato mandato dall' Autore
prima chr fmtse pubblicalo il suo libro. / Compilatori.
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488 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
leggi d'una forsennata cavallerìa, che dà ragione a chi sa maneg-
giar il fioretto 0 la pistola.
Ho sangue anch' io nelle vene, e mi montò alla testa, e strin-
gendo i pugni e battendo i piedi proruppi: — Gnor si : ci balte-
remo: manderò i miei padrini a concerXare. >
Questi due musi erano venuti in abito nero, cappello a cìlin-
dro, guanti chiari, come è prescritto in queste atroci buffonate,
cui per antitesi rifilano il nome di partite d' onore. Io corsi a do-
mandare r Imbivere e il capitano Carenza, che , altrettanto ceri-
moniosi , sarebbero dovuti presentarsi , e quantunque onesti uo-
mihi, assegnar V ora, prescegliendo le pistole ; giacché io non a-
vèva mai maneggiato nessun' arma , fuor quando bisognò per di-
fender la patria.
Non varrei a descrivere ilrimescolamento della mia povera donna
e de' figliuoli, che mi vedeano già bello e ucciso da uno che a-
vea avuto ozio per esercitarsi al bersaglio : ucciso un uomo, un
operajo , un padre , per bizzarria d' un signorino che vuol (arsi
nominare in paese, e acquistar credito di prode fra gli eroi suoi
pari del caffè e del club, lo li confortava , ma avea bisogno di
conforti io stesso, non tanto perchè temessi d' aver un braccio o
la testa rotta , ma per le convulsioni che mi metteva addosso il
pensare che i letterati chiamano bravura o civiltà quel che tra
noi, gente onesta e laboriosa , diehiarerebbesi 1' ultima degrada-
zione d'un selvaggio.
E tale la qualificò perfino il capitano Carenza. Egli non se ne
mostrò sorpreso: n'ha vedute tante di tali spacconate che nei sol-
dati si giudicano dovere: pure lanciossi soldatescamente a decla-
mare contro questa usanza incivile di pretesi civilizzati, che, non
valendo a mostrarsi in altro modo meno abjetto , si gloriano di
mortificare un onesto operajo, un franco scrittore , un prudente
marito. Ove sentimento di dignità gli restasse, il bel mondo do-
vrebbe vomitar da sé queste valenlerie di pompa, questo eroismo
di convenzione. Il non curarsi della vita propria si chiama corag-
gio sol quando produce qualche bene. Di toglierla a un altro non
v' è ragione, fuorché la necessità di difender sé slesso , e anche
allora ne' limiti della moderata difesa; cioè contro un aggressore
ingiusto e da cui io non possa altrimenti salvar la mia vita. Ma
il sangue non lava niente, anzi non fa che sporcare. Al petulante
che vi sbraveggiò a bella posta per provocarvi, spulategli nel muso
(diceva egli) , giacché la legge hon arriva a punirlo come o as-
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l'onore 489
sassino o suicida. Se colui ha la ragione per sé, la faccia valere
coi mezzi d^uome, la parola, la pei'suasione, i tribunali, non con
quello del mastino o dei facchini dèi porto. Con questi egli per-
derà r onore in faccia ad ogni persona ragionevole e civile: Tac-
qnisterà solo in faccia ai fiacchi , che rispettano chi sa dare pu-
gni e pistolettate. L^ onore d^un uomo noa dipende da un altro,
non dai pregiudizi d' una società educata dalle gazzette. E voi, o-
nesto ed abile opera\jo (diceva), vorreste scendere lìn a cimentare
|a vostra testa di galantuomo contro un mascalzone che sente i-
nutìle la sua? oibò! Abbassereste la dignità d' operajo fin a per-
sona non capace che di far letame. »
Men violento mi predicò il sig. Edoardo quando andai a pren-
der congedo e raccomandargli i figliuoli miei se restassi morto o
dovessi fuggire. Molta gente erasi fatta intorno a sentirlo; e poiché
io ripetevo che V onore non mi permetteva di ricusar la sfida, —
Come onore ? (egli esclamò.) Andiamo ! L' onore, signor sì , è la
più importante dote dell' operajo, e consiste nel sapere che egli
è un essere completo per sé , responsabile dei proprj atti , non
già soltanto uno strumento di fabbrica, una cifra del rendiconto:
e che tal dignità non gli viene da nascita o ricchezza o prospe*
rilà, ma dalP anima sua. L' onore fa che rispettiate voi stessi ,
non vogliate esser condannati a lavorare in luoglii malsani ; ve-
stiate modesti ma decentemente; non vi esponiate a un torto , a
un' ingiuria, a sentirvi dire bugiardi o ingannatori; delle merci e
del lavoro non domandiate che il prezzo giusto; a fronte agli al-
tri non stiate in ginocchio né in punta de' piedi , ma ritti della
persona.
Avete un debito : muore il creditore ; le carte non si trovano;
ma il vostro onore vi fa confessare e restituire.
Il massajo in isbaglio vi diede un viglietto da 20 franchi per
uno da ì: non se ne accorgerà mai, e a voi verrebbe opportuno
per un taglio di pantaloni, ora che V inverno si avvicina. Ma l'o-
nore vi fa andarlo a restituire.
Il cenciajuolo trovò una spilla ; il vetturino trovò una valigia:
r onore gi' impone di cercarne il padrone.
L' onore lo arrischiate al giuoco, anzi già lo perdete dacché lo
mettete a repentaglio.
L'onore fa che non si facciali piangi per pitoccare quando si
può guadagnare da sé, ma non si respinga ogni benefizio, e s'ac-
cetti anche la carità quando sentasi di meritarla. Giacomo ha sem-
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490 NUOVE EFFeMemoi sicilianc
pre voluto pagare il medico, la comare, lo speziale, fuicliè potè;
caduto infermo, ricorse entrare nello spedale, benedicendo i pii che
prepararono quel ricovero. Nunziatina sua moglie stentava nella
miseria quando vide comparire nella sua stamberga una signora,
che s'informò del suo stato, le mandò uTia coperta pel letto, legna
pel fuoco, le collocò un fanciullo air asilo e una giovinetta presso
le figlie della carità. Nunziatina non si tenne lesa nel suo onore^
e prega per quella buona signora, la quale mette T onor suo nel-
r assistere ai bisognosi e nelP andar alla casa del povero più che
alla corte della principessa.
Un tale vi propone una cattiva azione per far quattrini ; quel
ricco fa lucicare dei marenghi suir occhio della bella sartina, del-
l' operoso ferrajo: ma essi riflettono: — « Il mio onore noi mi con-
sente; son pov^o ma onorato, via da me, tentatore. •
Quella fanciulla è povera e mal in arnese , stenta il pane: ma
ha r onor duo, e sentesi superiore alle peccatrici in diamanti; non
soffre le si dicano motti sconci o proposizioni oscene, né i giovi-
notti, perchè in giubba, beffino la virtù eh' essa vi oppone.
Quella cameriera starebbe ad agio in casa di quel sìgnorazzo,
godrebbe comodità: ma il suo onore sarebbe in pericolo; e se no
scosta povera, ma col tesoro più prezioso.
E r onore di vostra moglie, di vostra figlia ? Miserabile chi sof-
fre in ciò la minima transazione , la più piccola indulgenza ! À-
vete visto l' altro giorno quella infelice, di cui la. macchina afferrò
il grembiule ? ben presta trascinò lei stessa sotto le sue inesora-
bili ruote e la stritolò. Gli è tal quale con questi incentivi: il di*
sonore ricade su tutta la famiglia, e peggio sul marito, che non
abborre dal mangiar il pane del suo disonore. Dica , — Son po-
vero , non voglio aggiungere alla mia miseria il peso dell' infa-
mia; sarò come quel re che, caduto prigioniero, esclamava: —Tutto
è perduto fuorché l' onore. •
Ma r onore, di ammazzar un altro per un puntiglio non lo trovo
nel vangelo, non nella coscienza, non nelle costumanze dì noi, che
non siamo guasti dagli assurdi pregiudizj della buona società. Il
galantuomo non si domanda che cosa dirà il mondo. E che cosa non
dirà il mondo, qualunque sia l'azione che si faccia ? Domandatevi
che cosa direste se vedeste vostro padre, il marito di vostra so-
rella metter la sua testa a fronte a quella d' un contino vani-
toso. »
Scrollavasi tutto nell'udir ciò il capitano Carenza, e proruppe:
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l'onore 491
— Andrò io a dir due parole come va a cotesto signorino e a quelle
due goffe comparse da scena, e gli fero capire dove sta Ponore. >
E andò zoppicando , e , non mi disse il modo , ma zoppicando
tornò a rassicurar mia moglie e me e il vicinato che aveva rab-
berciata la cosa senza scapito del mio onore.
Di fatto non m' accorsi che nessuno diminuisse d' affetto e di
rispetto per me; se n^è fatto un fru fru per un par di gior-
ni , poi nulla più : noi ringraziammo il capitano Carenza , ma
quello spadaccino e que^ suoi comparì io non ho mai saputo che
di sprezzarli. Di li a poco il barone aggiunse alla sostanza di suo
padre V ingente eredità d' uno zìo, fece un buon matrimonio, cioè
con ricca dote; subito il re lo nominò sindaco e cavaliere; quando
vennero le elezioni, il comitato non si ricordò del sig. Anselmo
Castigliola né del sig. Edoardo, i quali sarebbero stati indipendenti,
bensì inviò al parlamento il barone di Boccafosca; ma il capitano
Carenza mi susurra air orecchio: — N' importa; egli è un vile. »
C. Cantu'
SULL'ESILIO E SULLA MORTE DI OVIDIO
ELEGIA DI ANGELO POLIZIANO
VOLGARIZZATA (1)
E giace appo TEusìno il roman vate,
Copre il vate roman barbara terra.
Terra barbara, u' scorre il gelid'Istro,
Copre il cantor dei più soavi amori.
Né ti vergogni che a cotanto alunno
Ti mostri, 0 Roma, più crudel de' Ceti ?
Non fuvvi alcun tra i molti Sciti, ahi Muse,
(1) Questo volgarÌKKamento, fatto in altrettanti versi qii»nli sodo nell' originale,
ci spiace non poter accompagnare col testo latino, come era desiderio del volga-
rizzatore; tèsto, del rimanente, che ciascuno può aver tra mano , nelle opere del
Poliziano edite dal Barbèra di Firenze. / Compilatori,
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492 NUOVE EFPCMERIDI SIQLUNE
Che all'egro tolde rincrescioso morbo ?
Che sul letto gli agio le fredde membra,
0 in dolce eloquio il dì gli feo men lungo?
Che pur tastogli i battiti del polso,
0 a man spedita gli apprestò fomenti?
0 chiuse i rai notanti in sen di morte,
0 pio lo spiro a fior di labbri accolse ?
Non fuYTi alcun; tu, marzia Roma, e tieni
Di là dal Ponto, ahi cruda, i sozii antichi.
Non fuYvi alcun; moglie e nepoti, ahi lunge»
Né la figlia seguia Tesule padre.
Bossi immani il lenir, Coralli biondi,
0 i Ceti cor di sasso in pelli avvolti,
0 il truce orrendo Sarmata che spesso
Va sul cavai di cui si bebbe il sangue.
Sarmata cui scosse le tempia fischia
Giù per gli occhi dal fronte il crin brinoso.
Bessi, Coralli e Sarmata l'estinto
Piansero e il Geta si percosse il volto:
E monti lo piangeano e selve e fiere,
E ristro è fama che tra Tonde il pianse,
E intepidissi Tagghiacciato Ponto
Delle Nereide al lacrimar dirotto.
Lievi accorser gli augei colPalma Venere
Nel pronto rogo a sottopor le faci:
E quando il divampar Tebbe consunto
Le reliquie adunaro in urna chiusa,
E tai note scolpir sul sasso apposto:
e Qui dei teneri amor giace il maestro. »
Sacra linfa vi sparge essa la Dea
Tre volte e quattro colla man di neve,
E al vate spento voi scioglieste, o Muse,
Carmi che al labbro mio ridir non lice.
Niccolò Poma-Cangemi
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VEBSI INEDITI (1)
Per Album
Tu vuoi ch'io scriva ! Di sorriso, e fiori
Questi tuoi fogli spargere desio,
E alla speme involando i bei colori,
Gridare al pianto, alla mestizia addio;
Ma ben lo sai, di triboli e dolori
Buiamente s'intesse il viver mìo;
Adunque taccio, e su tue nere chiome
Depongo un bacio, e qui l'oscuro nome.
Per Album
0 giovanotta che festosa ascendi
Questo di vita a te facil sentiero,
E corone odorose alFara appendi
AlPamor sacra, alla virtude, al vero:
Alla sant'opra liètamente attendi.
Né sgomento s'arresti il tuo pensiero,
Se quell'amato aitar vedrai negletto,
E. del piacere il tempio a mille accetto.
Rosina Muzio-Salvo.
(1; Dobbiamo queste due otUve alla geuulena del prof. L. Sampolo» genero della
illustre defunta. (/ Compilatori
3^
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CRITICA LETTERARIA
Giovanni Villani nnd die lÈ^ggenàz di Messer dianni di Pro*
cida; von Otto Habtwig. Miinchen, 1871.
Son noti gli studi che in questi ultimi tempi sono stati fatti
sopra la Storia del Vespro siciliano e sopra le cronache ad esso
riferentisi; studi a^ quali ha dato occasione la celebrata Storia della
Guerra del Vespro di Michele Amari, il quale è rimasto sempre fermo
nell'opinione manifestata Tanno 1842, cioè che quel famoso av-
venimento fosse stato opera del popolo e non conseguenza di una
congiura iniziata e condotta innanzi da Giovanni da Precida. Er-
molao Rubieri a Firenze (1), Antonio Cappelli a Modena (2), Sal-
vatore de Renzi a Napoli (3) , Vincenzo Di Giovanni a Paler-
mo (4), hanno tutti , ciascuno con propri argomenti , sostenuto
contrario avviso , tra' quali i due ultimi mettendo fuori delle
cronache di quel fatto non mai fin qui pubblicate; e non è an-
cora un anno decorso che il Di Giovanni un' altra cronaca stam-
pava secondo la lezione del codice vaticano 5256 (5). Anche da ol-
tralpe s' è preso parte alla questione, altri credendo piuttosto al-
Tardimento popolare degli oppressi Siciliani contro lo straniero do-
minatore, ed altri al macchinamento di una congiura condotta dai
baroni di Sicilia e aiutata dal papa, dal Paleologo e dal re di A-
ragona: anima della quale Giovanni da Precida; e già vi si sono
impegnati tra gli altri, Tanno 1867, l'Hirsch in un periodico let-
terario di Gottinga (6) ed ora il Dr. Oddone Hartwig in una ri-
vista storica di Monaco (7).
11 nome di questo scrittore tedesco non è nuovo per la Sicilia;
anzi è oramai molto familiare a' nostri dotti, che ne conoscono i
lavori pazientissimi sulla cultura , sulla storia e sul dialetto del-
Tlsola. Il suo nuovo scritto Giovanni Villani e la Leggenda di Mes-
(1) Apologia di Giovanni daProcida, Ricerche storico- critiche di E. RtJBiRRi. Fi-
renze, Barbera 1856.
(i) Ciovanni di Procida e il Vespro iieiliano; nel voi. 1 delta Mistellanm di 0>
ptucoli inedili e rari dei secoli XIV e XV. Torino, 1861.
(3) Il secolo Xai e Giovanni da Procida. Studi Biorico- morali di Salv. Db Rks-
£•. Napoli, 1860.
(4) V. Collezione di opere inedile o rare. Cronache siciliane d*ii secoli XUi,
XIV e XV pubblicate per cura del prof. V. Di Giovanni. Btilogiia 1865.
(3) Giovan da Proctda e il Ribellamento di Sicilia nel iiSì secondo il Codice va*
licano 5256 per V. Di Giovanni Bologna 1870.
(6) GoUinger gelehrte Anzeigen 1867, pag. 196.
n) Hislorisehe Zeilsehrift, voi. XXIV, pag. 233-271, Munchen, 1871
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CRITICA LETTKRARU 49S
ser Gianni di Procida vuoP essere una rivista critica di quanto si
é fatto su questa controversia , e sopra le fonti delle varie leg-
gende del Procida; e noi sentiamo il dovere di rendergli quelle
grazie che possiamo maggiori per la pazienza e cura ond' egli ha
studiato il grave argomento; le dotte pagine del suo opuscolo son
prova manifesta del tempo ch'egli ha dovuto spendere per ve-
nire a qualche plausibile risultato.
L'Hartwig tratta la importante questione se la cronica siciliana
del Ribellamenta, che il Gregorio intitolò Historia conspirationis
Ioannis de Procida^ sia l'originale da cui trasse il suo racconto
il Villani, ovvero se la storia del Villani abbia dato origine alla
cronica siciliana; di guisa che senza la priorità sopra il Villani la
cronica avrebbe assai poca autorità e dovrebbe piuttosto dirsi, come
la disse un tempo V Amari, un romanzo storico del sec. XIV. Il
critico alemanno non è lontano dal seguire V opinione dell' Amari,
cioè che il Villani sia la fonte della cronica siciliana , ma lascia
dubitare che un altro testo sin oggi non iscoperto sia stato pur
la fonte del Villani, al qual testo forse si riferiscono i tre testi
che si conoscono della cronaca del RibellamentUy cioè il siciliano,
il modanese ed il romano. Argomento al suo discorso sono ap-
punto tali testi , ma TA. si ferma su quello del codice Spinelli,
già noto all'Amari sin dalla prima edizione della sua opera. Stu-
diatolo attentamente, l'Hartwig osserva che tolte poche insignifi-
canti particolarità , VHistoria compiraUonis ciciliana trae origine
da quello. Osserva altresì che la lezione della leggenda modanese
non può derivare dal testo Spinelli, perchè esso è meno corretto
senza cessare di esser più antico; che il codice vaticano fu fatto
sul modanese ; che la priorità del racconto siciliano su questo
viene mostrata dai raffronti di una lettera di Niccolò IV a Pietro
d' Aragona.
È curiosa una osservazione che il valente critico fa alla Historia
conspirationis edita dal Di Giovanni sul codice stesso che servì al
Gregorio e che trovasi nella Biblioteca Comunale di Palermo, cioè
che il Di Giovanni l'abbia pubblicata e anche non sempre meglio
che il Gregorio » (pag. 237); quando si sa che l'egregio Editore
la ripubblicò tal quale, modiOcandovi appena quei punti nei quali
poco esattamente era stato letto e stampato il codice palermitano:
di che egli avverte nelle molte note del suo volume. E tanto
più è curioso in quanto l'Hartwig crede poter giustificare r osser-
vazione, già stata fatta dall'Hirsch nel GóUinger gelehrte Anzeigen
con ciò solamente, che là dove il Gregorio lesse esattamente vu.
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496 IfUOTE EFFEMERIDI SICILIANE
rt digiaU , il Di Giovauni legge vai n' indigiaH. Ma chi non dira
questa una inesattezza lipograQca ? E che (Hrebb' egli ma dotto
ed accurato critico come THartwig se noi gli cilassimo non poche
di tali inesattezze, nelle quali egli è incorso rìstampando poche righe
dei testi volgari ? Co^ p. e^ là ove il Di Giovanni ha oUantadui
egli stampa ottanludui (pag. 238) ; ad un vuliri muta in an un
vuUri (242); Et incontinenti in e in continenti (246) ; piacque in
peaque (242); e di non timiri in e ti non tinUiri (246); chi ndi u-
nisce in chindi; Alaimu divide in Al 'ainm, Simt nugae^ diciamo
noi: ma per quel che valgano, nessuno che abbia stampato vorrà
ferne colpa alPHartwig. E non sappiamo altresì persuaderci come
egli colga cagione addosso al Di Giovanni di aver omessa la voce
figloU nelfe seguenti parole che trovansi nel codice Spinelli,
e La nostra benedi tieni ti mandamu (parla Papa Niccolò IH a Carlo
D^Angiò) con sacra cosa che li nostri (figloli) di Sicilia signuriati
non ngiuti boni per lu Be Garlu.... • (pag. 247); quando è noto
che il Di Giovanni abbia messo fuori il codice siciliano esemplato
sul testo Spinelli, ma non materialmente il codice stesso, il quale
l'anno 1865, data della ristampa, non si sapeva neppure in mano
di chi fosse.
Cercata e provata poi Porigine deUe tradizioni circa la partecipa-
zione di Giovanni da Precida al Vespro, basandosi sulle sparse no-
tizie di quei tempi, passa l^rtwig alla ricerca della orìgine let-
teraria della cronica siciliana, che T Amari crede opera di un a-
mico della famiglia di Giovanni. E poiché esistono in napolitano
le Croniche delP inclita Città di Napoli con li bagni di Pozzuoli et
fschia di Gio. Villano Napolitano (i), e queste hanno per fonda-
mento quelle del Villani , e dal 1360 a cui giungevano furono
continuate Ano al 1382 da un Bartolomeo Caracciolo; se si pensi
che Beatrice figlia del Precida sposò nel 1267 Bernardino Carac-
ciolo, e che tra i Caracciolo e i Precida esisteva strettissima re-
lazione, perciò è facile per (^egregio critico il supporre che Bar-
tolomeo Caracciolo fosse stato l'autore della nostra leggenda (pa-
gina 269j. Questa congettura è molto ingegnosa e plausibile, e se
&i potesse scoprire Taneflo intermedio che THartwig sospetta tra il
lesto Villani e le due lezioni della leggenda, forse le sue suppo-
sizioni acquisterebbero maggior fondamento di quello'che ora pos-
sane meritarsi. Ma tant'è, che il negare resistenza di Giov. Vil-
lano, ed il fare un solo di due personaggi quali sono il fiorentino
(i; Napoli, apprnsso Gark Por^ite. iSOO.
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CRITICA LETTERARIA 497
ed il napolitano, è cosa che non tutti sapranno menar l)uona al
dottor Hartwig. Se deve aggiustarsi fede alle testimonianze sto-
riche ed ai codici che delle Croniche del Villano si hanno non pur
nella Palatina di Modena (i) ma anche nella Nazionale di Paler-
mo (2), quel cronista visse come ogni altro che * mangia, e beve,
e dorme e veste panni; » e già fin dal secolo passato le Memorie per
servire alla storia letteraria di Sicilia recano la seguente iscri-
zione, che è pure in Engenio e in Biasio, stata apposta nella cap-
pella gentilizia ov^egli il Villano fu sepolto: Uicjacet Ioannes Viltà-
ntis dictus RumbuSy qui obiit anno DomivU MCCCXI^ V Indici; III die
mensis novembris (3).
Il lavoro del sig. Hartwig è molto acuto nelle osservazioni. Lo
{imore della Sicilia e degli studi della nostra storia vi si famanife^
sto assai vivo e sentito; ciò che ha dovuto crescere alPA. la per-
sistenza nelle ricerche e la pazienza nelle indagini e nelle inve-
stigazioni. Tuttavia lo scrìtto dà a divedere tante dubbiezze quante
le difficoltà che incontrò il dottor Hartwig; il quale spesso ci ap-
parisce incerto e perplesso ciica al rifiutare o airattenersi ad una
opinione; e mentre sembra pronunziarsi per questa propende per
quella, rifiutandole poi entrambe, ed entrambe accarezzandole,
Che il sì e il no nel capo gli tenzona.
GWSEPI*E PlTRÈ.
Sreve Storia della Oostitnxiime tmgìeBe di Ercole Ricotti. To-
rino, E, Loescher 1871 in y, (L. 7 80).
Molto da meno un tempo delPItalìa, V Inghilterra è oggi assai
più florida, più savia, più potente della nostra Penisola. Donde
tanto beneficio ? Da nient'altro che dalla sapiente sua costituzione,
nella quale sta tutta riposta la intima storia deiringhilterra. e La
costituzione inglese, dice bene il Ricotti, è la sintesi di tutta la
vita della nazione, che la reputa sua più bella gloria, e palladior
e prerogativa. Essa non è confinata in pochi fogli stampati ; in-
vano si cercherebbero. Fu fatta riga per riga a misura dei biso-
gni e delle forze crescenti della nazione; un inglese non ha bi-
sogno di leggerla; egli la succhia col latte la tiene in fondo al
petto, come cosa sua la più cara... »
Compreso della importanza di essa, Tillustre Storico delle Com^
(1; Y. Cappelli, Giovanni di Procida e il Ve$pro Sieil. p. 41, ed. cit
(2) V. Di Giovanni, Giovan da Proeida etc. p. 10-11, etl. cit.
<3) V. Parie U, p. 7 e 18. Paler. 4755.
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498 NUOVE EFFEMERIDI SICILIANE
pagnie di ventura e della Monarchia Piemontese ne ha fatto ar-
gom^fnto di una continuata serie dì discorsi detti alla R. Univer-
dita di Torino, ed ora li manda alla luce iu un grosso ed ele-
gante volume, riassunti e spogli delle disgressioni , esplicazioni
e ripetizioni proprie di qualunque insegnamento orale.
L^opera del Ricotti, divisa in quattro parti e tutte insieme in
39 capitoli pei 1456 dei quali parla, abbraccia quattro periodi di.
tempo, dalla caduta, cioè, della dominazione romana alla conces-
sione della Magna Charta (411-1215), al trono della Casa di Tu-
dor (1485), alla seconda e definitiva rivoluzione (1688), e ai no-
stri tempi (1867), in cui è stata messa a fuori la seconda ed ul-
tima riforma elettorale: perìodi che con sano giudizio i^A. deno-
mina degli apparecchi^ delle &(m, delle lotte, del trionfo.
UÀ. vi narra con singolare lucidità di concetto e di stile gli
avvenimenti tristi e lieti, le opere onorate ed ingloriose di quella
grande nazione , la quale come in uno specchio vedesi ritratta
nel suo sapiente sistema rappresentativo, ignoto agli antichi Stati
di Grecia e di Roma, noto soltanto a pochi Stati meridionali d^Eu-
ropa, che Tebbero dopo il 1000. Ma nel narrare, il Ricotti non
si restrìnge semplicemente a^ fatti: ciò non si addice a lui, sto-
rico dei migliori d'Italia. II Ricotti esamina bene, pondera , giu-
dica e ne trae fuori conseguenze a cui non accenna il modesto
titolo che sta in fronte al suo importantissimo libro. Noi siamo
intieramente estranei alla disciplina che ha consigliato Topera del-
Tillustre Professore: ragione per cui ci restringiamo a farne un
breve annunzio piuttosto che un lungo articolo, siccome dovrem-
mo; ma dal poco che alla facoltà nostra è dato di vedere, cre-
diamo che essa sia non solo un'opera storica pregevolissima, ma
anche iin trattato molto ben ragionato di quel sistema rappre-
sentativo. E però non sapremmo far di meglio che consigliarne
la lettura à quanti ha'nno rivolto 1^ ingegno a questa maniera di
studi proficui ed onorati. Essi troveranno che il soggetto stesso
ha ispirato al valoroso scrittore delle pagine qui molto semplici,
là degnamente elevate, altrove modestamente eloquenti , e sem-
pre acconce air argomento e al fatto. E con questo troveranno
pure un senso pratico, una moderazione ed una assennatezza ,
che solo poche anime oneste possono avere in un tempo di uni-
versale sviamento di buon senso e di buon criterio.
G. PrrRÈ.
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GRITIGA LETTERARIA Ì99
£« Veglia di Venere, Versione dal latino per Ugo Antonio A'
Mico. Palermo, tip. del Giornale di Sicilia, 1871.
Il Pervigilium Veneris è un inno scrìtto per la festa di Venere^,
da cantarsi la vigilia, il quale sotto un certo aspetto può essere
posto a lato al Carmen saeculare di Orazio. La sostanza corrìsponde
affatto alla sua destinazione. Venere vi è celebrata non tanto ,
come disse il Bàhr, quale fondatrice e padrona del romano im-
pero, quanto, come bene avvisa il prof. U. A. Amico , quale ge-
nitrice deir universo ; procreatrice degli animali tutti ; che con-
serva e propaga il seme di ogni cosa; in breve, quale Lucano la
disse nel decimo della Farsalia : fecutida Venìis aictarum semina
rerum possideL II poeta vi canta la primavera , perchè in questa
stagione singolarmente si rivela la onnipotenza di Venere, e in
questo argomento può darsi che l'autore avesse sottocchio Vir-
gilio, come anche nel resto ha imitato Lucrezio, Ovidio, Orazio
ed altri (1). L' autore ci è ignoto finora, e le ricerche e gli studi
del Wernsdorff, del Paldamus e del Bucheler per venirne a capo
non sono stati cosi fortunati da provare se* si apponesse meglio
Giuseppe Scaligero che lo attribuì a un Catullo Urbicario, scrit-
tore della decadenza, o Aldo Manuzio, Erasmo, Huersio ecc. che
ne credettero autore Catullo; se Lipsie, che lo portò al secolo di
Augusto, 0 Sarpe a cui non parve soverchio farlo in parte del
sec. XV: sebbene e T uno e l'altro, a vedere, molto si discostino
dal vero. Non meno dubbio è stato il luogo ove il Pervigilium ve-
niva cantalo; ma con qualche buona ragione addotta dal professor
U. A. Amico si può dire che esso fosse stato, piuttosto che una
isoletta del Tevere fra Roma ed Ostia come vuole il Wernsdorff,
queir (bla Catana di Sicilia, che dalle parole del poeta : quantus
Etnae campus est ci si dà a divedere < nell^ pianura feracissima
cui chiude T Etna dall' un canto, e dalPaltro la patria di quel Ja-
copo da Lentini, che doveva crescere lustro e sidendore alla corte
degli Svevi. • Comunque sia di questo , la poesia è stupenda , e
nella sua bellezza dà Taria di parecchie miniature, squisitamente
pennelleggiate, ognuna delle quali ritrae una idea netta, grazio-
sissima; e tutte insieme sono legate in unità da armoniosa accor-
danza di tinte e di concetti.
Di essa ci ha regalato una versione poetica il professore Amico,
e se noi dicessimo che nelle nuove forme egli è riuscito a ri-
(i) storia della Mleralura romana del Dote. G. C. P. Babhii. Voi 1, cap. Vili'
Torino, 1830.
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600 NOOVB EFFEMERIDI SICILIANE
trarre quel nitore d'ìmagìni e quella soavezza di numero che,
negletti in alcun luogo, fecero pure che taluni critici tenessero
il Pervigilium Veneris per lavoro degno di Catullo, noi non di-
remmo se non quello che sentiamo. Y" ha nella forma dell'Amico
un non so che di morbido e di leggiero, di gentile e di affettuoso
che la rende amabile e delicata; ond'essa si acconcia tanto più
agevolmente alle squisitezze e venustà catulliane quanto più l'a-
nimo dell'Amico al passionato cantore delle Nozze di Peleo e Teti
propende ed inclina. Ecco perchè la sua traduzione, in quella che
si stringe quanto più al testo, è cosi spontanea come un compo-
nimento originale. L'ignoto autore del Pervigilium Veneris cantò
con leggadria di forma:
Rura fecundat voluptas, rura Venerem sentiunt:
Ipse amor puer Dionae rure natus dicitur:
Hunc ager cum parturiret ipsa suscepit sinu:
Ipsa florum delicatis educavìt osculis.
E l'Amico con non minor leggiadria e con fedeltà esemplare:
Feconda i campi voluttate; i campi
Senton Venere; e dieesi che Amore,
Il pargoletto di Dì'on, nascesse
Del campo; e non sì tosto esso lo spose
Ch'ella al seno il raccolse, e dei fioretti
I molli l'educar baci soavi.
Donde si vede che quasi per ogni parola latina egli ne dà una
italiana, misurata ed affatto a quella rispondente; parsimonia che
mostra precisione e chiarezza di concetto nel traduttore.
Più sotto il poeta descrive il raccogliersi della notturna rugiada
sui (lori e i mirabili suoi effetti in sul far dell' alba; ed ecco con
che grazia e soavità:
En micnnt lacrimae trementes de caduco pendere:
Gutta praeceps orbe parvo sistinet casus suos;
En pudorem florulentae prodiderunt purpurae:
Humor ille, quem serenis astra rorant noctibus.
Mane virgineas papillas solvit umenti peplo.
Come si vede, questo passo non è di assai facile intelligenza:
e, compreso che sia, non del tutto inchinevole alla misura poe-
tica voluta 0 consigliata dall'arte. Eppure , a cui non parrà stu-
pendamente italianalo nei seguenti versi deir Amico?
Ecco al peso leggier splendon tremanti
Le lacrime; e la stilla a cader presso
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varietà" 501
In picciol orbe si chiudendo arresla
La vicina caduta; e le di fiori
Porpore ricche di scoprir P ascoso
Pudore. Quell'umor, che irroran gli astri
Da le notti serene, al primo primo
Romper de l'alba con l'umido peplo
Le corolle verginee discioglie.
Questa si chiama arte nobilissima, che si fa amare sin da co-
loro che non le ebbero professalo culto giammai: e noi ne ren-
diamo merito all' egregio professore, che si maestrevolmente sa
incarnarla.
G. PlTRÈ
'mrjm.wm.mw^iB^,^^^
1 SICILIANI ALL'ESTERO — La rivista Góltinger gelehrU Anzeigen , fase. 17 ,
pag. 655-667 , ha un rendiconto del prof. Liebrechl sul 2* voi. delle Tradizioni
popolari tieUiane pubblicate da G. Pi tré.
NUOVI GIORNALI — Tra' giornali nati di fresco dobbiamo notare la Rivista
ilaliana, la CiviUà ilaliana e la Rivitla municipale di Palermo; V Eco d'Intera di
Termini; VEco del Sud di Sciacca. Da Venexia ci giunge il 1* fase, di un Archivio
Veneto, periodico importantissimo, che si occuperà di, storia veneta. Vi scrivono
Ad. Bartoli, U Fulin, Francesco Ferra ra« il Gar ecc.
INVENZIONI E SCOVERTE — Presso la gradinato del sagrario annesso al ere-
dulo tempio di Giove Olimpico in Selinunte il prof. Saverìu Cavallari, direttore de-
gli scavi in Sicilia, ha rinvenuto una statua di tufo calcare finissimo e poco disco-
sto una importantissima iscrizione greca. Detta statua ha la (testa rivolta in alto
con una corta barba, la bocca aperta con segni di dolore, una lunga chioma che
scende all*omere sinistro; e ^tta insieme contorta col braccio destro in alio.
SOLENNITÀ' — 11 giornoW gennaro si è festeggiato in Messina il XXUI anni-
versario della liberaiione di essa città , lenendosi nel teatro la premiazione delle
scuole primarie e secondarie. Vi lesse un buon discorso il prof. P. Macrì e com-
pose eleganti iscrisiooi il Preside del R. Liceo llaurolico, prof. Giuseppe Morelli:
ogni cosa stata stampata in &lessiua (tip. Popolare) a cura degli studènti di quel
Liceo.
— 11 17 icarzo, giorno destinato alla festa letteraria in onore dei grandi pensa-
tori italiani, il R. Liceo di Palermo ha celebrato in prose e versi italiani e latini
ì\ nome dì Rosario Gregorio. Il discorso é stato letto dal prof. Vincenzo Di Giovan*
ni, e pubblicato dall'editore sig. Luigi Pedone- Laariel in un bel volumetto.
— In Messina l'elogiato fu Andrea Gallo, di cui lesse con molta lode il professor
Letterio Lizio -Bruno, seguito da alcuni studenti liceali.
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502 Nuove EFFEMERIDI SIGIUANE
BELLE ARTI — Lo scultore Benedetto I}el>si ha compioto ed esposto nel suo siutlio
la statua di Vincenso Florio da noi altre volte annonziata. L'uomo, che con uii co-
raggio piuttosto unico che raro si costituì capo del commercio siciliano di questo
ultimo trentennio, è ritratto con una verità, che mai la maggiore, in quella bel-
lissima statua. Egli sta seduto in un seggiolone a bncciuoli e, tra sospeso e ripo-
sato pensa; nella sua abituale calma, e tuttavia in quella gravità, che mal s'inter-
preterebbe severità di contegno. Questo lavoro verrà collocato tra giorni nel mo-
numento preparato al benemerito cittadino in S. Maria di Gesù in Palermo.
— Lo stesio sig Delisi ha portato in gesso una Fornarina nel momento in cui
essa si riposa mentre servo di modello al famoso Pittore dèlie vergini morenti.
Quanta delicatezza, quanta maestria in quella statuetta t
RECENTI PUBBLICAZIONI — / Mali di Palermo descritti da Giuseppe Santìlippo.
Palermo, Francesco Giliberli. Baeeonli di Salvatore Malato-Todaro; Pai. L. PeJone
Lauriel. editore. Elvira Trezzi» racconto dei tempi, di Raff. Palizzolo; Palermo, ti-
pografia del Giorn. di Sicilia; Primi elementi di Grammatica italiana per C. Guz-
zi no. Pai. Sandro n editore. La Proprietà è un furto, la famiglia un nome , Capi^
toh di Rocco Ricci-Gramitto, Gìrgenti, Tip. Romito. Alla Gzrmnnia. Canto di An-
tonio De Marchi; Pai. Tip. del Giorn. di Sicilia. Saggto di traduzioni dal franee$^
e dal tedeuo per Matteo Raeli di Vincenzo; Noto, tip. Morello. La Meta, rifletiioni
economiche di Mario Landolina ; Catania, Tip. Roma. Rapporti della Eitradizion^
colla forza estensiva del Giure punitivo, per Giuseppe Taranto; Pai. tip. del Gior-
nale di Sicilia. Per V inaugurazione della Biblioteca di Pariinieo, Discorso di Car-
melo Pardi; Pai., stamp. Lorsnaider. Su la Èaccolfa di Canti popolari siciliani di
Giuuppe Pi tré, per Suiv. Salomone- Marino; Pai., tip. de] Gior:i. di Sicilia Rosaria
Gregorio e le sue Opere , Discorso del prof. Vincenzo Di Giovanni con lettere e do-
cumenti inedili; Pai.. L. Pedone Lauriel editore. Principi logici estratti dall'Organo
di Aristotile e annotali da Vincenzo Di Giovanni per us» degli Alunni di Filosofia,
Pai., Salv. Biondo editore. Le pretese Amate di Dante di G. F. Bergmann, Ferf(oit«
di G. Pi tré; Bologna, G. Romagnoli editore. Elenenti di Storia Ecclesiastica del P.
Salvatore Lanza; Pai., tip. Bircellona. VArle di ben vivere e trattare per tutti, u
nuovo Galateo di Giov. Di Pietro; Pai. tip. Olivieri. // pìimato artistico degli Ha-
, liani,Esercitazioni scolastiche degli alunni delConvilto dei Chierici R'Ssi in èionreate\
Palermo, Lao. Sugli Usi popolari siciliani per la Festa di S. Giovanni BcUtista,
Lettera di G. Pitrè alla Baronessa Ida von Duringsfeld-Reinsberg ; Firenze, tip.
deirAwociatione. Fra Scilla e Cariddi Racconto di Cecilia Stazzone marchesa De'
Gregorio; Firenze alia Galileiana. Prolegomeni al Coìto di Diritto penale, d<«l prof.
Mariano Mucciarelli; Pai., tip. Mirtu. ,
PROSSIME PUBBUCAZIONl — La porta arabo-normanna nell'ex monastero della
Martorana in Palermo, per cura di Gaetano Riolo ed Andrea Terzi. Questo pre-
zioso inluglio in legno, unico anziché rro, di purissimo stile arabico, sarà ripro-
dotto in un fascicolo iu-4 grande; edizioiie di lusso, con tre tavole incise, ed a dne
t^nte e copertina cromolitografeu ; al prezzo di L 7 (rivolgersi al sig. G. Ri.>lo,
Pilermo. via Giovanni Meli 42). Prorerbi e Canti popolari napolitani ora per la
prima volta pubblicati da G. Pitrè; Palermo, L. Pedone Lauriel ; Poesie scelte di
tìiovanni Meli, trnd. col testo a fronte ed annotate da Licurgo Cappelletti; Setùti
cari di Carmelo Pardi , voi. II. VOtica di Tolomeo traduzione latina inedita Jet
sec. XII pfl siciliano Kugenio Ammirato. Torino, a spese della R. Accademia di
Scienze.
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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO
LE DHOr.lIE VEGETALI MEDICLNALI
esjHjste con nuov» m elodo ec pel Dot-
tor AvTONiNo Macaluso. Palermo, ti-
pografia del Giorn. di Sic. 1871.
Per chi studia Materia Me'ìicOt ili non
lieve difficoltà riesce il dovere appren-
dere le droghe vegetali medicinali e le
droghe prodotti estrattivi ed esudati delle
piante, appunto perchè classi iìcate o per
famiglia botanica, o per ordine alfabe-
tico, 0 per virtù medicinale; classifica-
zioni, come ognun vede, che debbono di
necessità mettere insieme piante e so-
stanze disparatissime e fisicamente e mi-
croscopicameote. L*egr. Prof. Macaluso,
nel lodevolissìmo intento dì agevolare a-
gli studiosi la via di apprendere mate-
ria medica . e conoscere i vari caratteri
de'medicinali, le qualità migliori e le do-
lose sofisticazioni si è accinto ad una clas-
sificazione fatta con nuovo metodo , ed
ha già messo fuori quella parte che ri-
guarda le droghe vegeUdi medicinali.
Egli prende a base la struttura bo-
tanica delle diverse parti delle piante
che somministrano droghe medicinali,
e quindi in tre famiglie comprende : a)
le droghe tirale dal sistema assi le delle
piante; h) le droghe del sistema appen-
dicolare delle piante; e) le droghe som-
ministrate da piante ag<ime.
Ogni famiglia viene divisa in classe, la
classe in ordini, gli ordini in gruppi ; e
così tenendo sempre di vista la struttura
anatomica delle droghe, con nesso scien-
tifico e facile si studian tutte le droghe
vegetali medicinali dalle radici e dai riz-
zomi ai fiori ed ai frutti. Alla fine di o-
I gol gruppo di droghe il Macaluso fa un
[ riassunto comparativo dulie diverse spe-
I eie e varietà in esso comprese, il quale
j chiama Esercizio, che ha lo scopo di ren-
I dere più facile lo studio delle droghe,
di riunire al metodo analitico il sinte-
tico in un breve e semplicissimo quadro.
j Avendo attentamente letto il libro, pare
! che l'egr. A abbia raggiunto stupenda-
mente lo scopo che si propose; e che ab-
bia fatto un lavoro veramente utile e per
tutl'i lati cximmendevole. Per non recar
che un solo esempio, tutta h parte che
tratta delle Chine'chine, (pagg. 138-190)
non può essere più chiara, più esatta e
semplice, perchè tu possa a bella prima
distinguere una specie da un' altra, una
buona da una cattiva.
E qui ci restiamo, perché insufficienti
sarebbero le nostre lodi al .«.acaluso,
dopo quelle che uomini illustri e consu-
mati nella scienza gli hanno prodigate.
S. S.-M.
IL PLESSIMETRO £ LO STETOSCOPIO
pel doli. Isidoro Cai.oiro. i' ediz. Na-
poli, tip. Giannini. 1870.
Oggidì, che alla completa esplorazione
degli organi interni del torace e dell'ad*
dome ed alla precisa diagnosi delle lor
malattie il medico ha trovato un gran
sussidio nella percussione e nella ascol-
tazione; la scienza, progredendo sempre,
si è sforzata di perfezionare quegli islm-
menti inventati a tal uopo, cioè il pUs-
sitnelro e lo ttetoseopio.
L'egregio dott. Caloiro ha messa fuori
questa sua dotta monografia • a bene
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S04
MJOVE EFPeMERIDl SIGIUANE
<1eiriirle medica e ad aiuto di chi res»*r-
ciln • f nella quale, tessendo la storia
della plessi inelria e della stetoscopia e
dando le norme necessarie alla esatta
«pplicacionc dei due strumenti ne* vari
casi, viene a proporre per entrambe delle
modiflcazioni pregevoli ed assennate, che
risultano , direi, dalla sottile na fiusta
«ritica ch*ei fa agli stes<%i strumenti nelle
varie forme fin qui adopratf. Il plessi-
metro da lui proposto, e già aoceiuto e<l
adoprato con vantaggio dal Tommasi di
Napoli , è di avorio « di forma ovale e
curvilineo in larghezi.i ; molto comodo
per adattarsi agli spazi intercostali degli
individui magri, e ili maggior risonanza
del plessimetro circolare. Lo stetoscopio
è di acero, in uiiic«> pezzo, con Timbulo
ad orlo rovesciato (p^T non recar mo-
lestie airinferrao), e am disco superiore
amovibile e concavo (per non esercitare
compressione sulPesterno delVorecchio e
modificare i suoni^. .
Noi ci soDcriviamo , in gciu>re , alle
conclusioni del Caloiro, e non saremmo
alieni dall' accogliere il suo plessimetro
« il suo stetoscopio ; e mentre é nostro
desiderio che la pratica de' medici rati-
fichi i vantaggi già segnalali dal chiaris • ^
Simo autore, desideriamo che il suo li-
bretto vada per le mani di molti dot- i
tori, specialmente dell'isola nostra, i quali
assai cose importanti che ignorano vi
impareranno di plessimetria e stetoscopia
normale. E un ultimo nostro desiderio
ancora non vogliamo tacere, che in al- '
tra edizione del pregievolissimo suo li-
bro il (Caloiro estenda un po' più la p.-irte '
storica, specialmente per ciò che rignar- '
da lo steioscopio, che ail infinite modi-
ficazioni é andato soggetto fino alla re- ,
conte del Nicmayer (Viicuoxilon).
S. S.-M.
METRO NOTO BADGE-- Educa tuo fi-
glio, Libro d* Educazióne Nazionale,
voi. unico. Livorno 1870, pr. L. 4. I
(Questo libro di elegante edizione rar-
' coglie Precetli, Esempi , istruzioni suK
l'Educazione, e l'Autore Imi saput'i seo
gliere a suo nobile scopo quello che e' é
, di più grave, nel governo o nel riordi-
I nameoto degli Stali, l'educazione pub-
! blica per Tinsegnamento. L'opera va di-
I visa in tre parti: la prima. Precelti; la
I seconda , Esempi ; la terxa , Lezioni di
' morale ec^mtmiea. La parte prima , che
è come il fund&mcnto del libro, è la più
importante perchè lratt.i dsM* Igiene sino
alla Religione; o applicazione de* precetti
di essa parte prima sono gli esempi della
parte seconda,siccome compimento le le-
lioni di adorale della terza. Noi non ap-
proviamo quanto l'Autore dice a prupu-
fito della ReligiuDe, stante che avrcbb*.-
dovuto scrivere altrimenti di certe ma-
terie ch'egli dovette a suo tempo studiare
e conoscere: la Religione com'egli la pre-
senta diviene o affare di sentimento , o
affare di politica: la sua divinità è sva-
nita; e il sacerdote è inutile ingombro ,
ovvero, com* egli 1' Autore il crude og;*!
divenuto, un essere che « raccoglie il d.»
sprezzo, l'abbandono» l'indifferenza (pa>
gina iSS). In mezzo ai pregi del suo li-
bro il sig. Noto Badge ha seminato tali
mende, e falsi giudizi che in an libr > di
educazione fa uopo mancassero, perchè
sia libro che possa veramente riuscire di
utile a tutti, e di bene ai leggitori.
I libri di educazione non debbono mai
sentire delle passioni del tempo;e avrem-
mo voluto che di questo si fosse sempre
ricordato l'egr. Autore, a cui non manca
ingegno e abilità a riuscir bene ne' pro-
positi. V. D. G.
KNHIOiETTO ossia IL GALATEO DEL
FANCIULLO proposto dal prof.CosTa^f-
Tiifo RoDBLLA. Operetta premiata dal
Municipio di Torino f Concorso baruf-
fi) 187i, presso G. B. Paravia.
Ecco un buono e caro libretto, che forso
nou avremmo se non fosse stato il con-
corso bandito dal benemerito prof. Baruf-
fi, per un buon Galateo. Cosi la gente <w
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BULLETTINO NBLI06BAFIG0
50&
Desta 0 amante del bene come il Baraffi
fa nascere i baoni libn ; cosi le persone
giudiziose» sennale , islroile come il sig.
RoJella , trovano argomenta di conforto
nelle opere loro: e. se non altro, trovano
ehi le legga* le apprezzi e ne tenga conto.
L'Enrichetto del sig. Rodella è un caro
e ben educato giovinetto , lutto senno e
pazienza, lutto afTabilità e amorevolezza,
il quale dalla prima levata del mattino ,
air andata a letto della sera, opera con-
forme le regole della buona creanza , e
secondo i dettami della buona coscienza.
In casa è tutto libri , in iscuola tutto o-
recchi per raccogliere gl'insegnamenti del
maestro; dapertutlo oiodello di virtù e di
buon costume. Dalle scuole elementari
mano mano salisce fino al liceo, fino al-
l' università , donde Elnrichetio esce me-
dico-chirurgo laureato, e va ad esercitare
la sua professione con filantropia, dism-
teiesse ed onestà. In lui si raccoglie lar-
gamente quello che si è saputo seminare;
egli è quel che si prefisse di essere : un
fior di galantuomo.
L' EnìHeketlo del sig. Rodella è un bel
tipo . che gli educatori dovrebbero pro-
porre ai loro alunni: e noi lo presentiamo
loro , ben persuasi che se essi amano la
morali*, come 1' amano di fatti, ce ne sa-
pranno grado. 0. P.
STUDIO CRITICO sulla Educazione e
lìdruzione dell* uomo di mare per N.
V. DisTEFANO- Isaia. Palermo, Ameii-
ta J871.
Il sig. Distefano parlando di marini
a persone che si presume conoscano il
mare , parla ab experlo, e mostra tulio
il marcio che e* è nello insegnamento di
questa classe di persone, le quali hanno
la disgrazia di non essere all'altezza de-
gli studi d'ogni ragione a cui dovrebbero
essere educati. Il suo lavoro tende a in-
trodurre qualche importarne riforma nel-
la parte tecnica dello insegnamento : il
che a lui viene suggerito dallo esercizio
continuato che egli ha potuto fare sin
qui sull'argomenloy emanilo lezioni a gio.
vani aspiranti alla patente di capitano
di lungo corso. E si che dovrebbe te-
nersi conto delle sue proposte, acciò st
vedano cessare certi inconvenienti che
mostrano il difetto di ehi formulava i
programmi che regolano tutta la islilu-
zione dei collegi nautici e delle scuole
esterne di navigazione. Porse nello scritto
del prof. Distefano non tutto risponde ai
nobili desideri dell' Autore ; forse non
c'è tutto il legame che in ogui scrittura
è da cercar sempre : ma ciò non toglie
che esso abbia i germi di un bene, che
.... vital nutrimento
L'isrcrà poi quando sarà digesto.
G. P.
CIULLO D'ALCAMO e h ma Tenzone.
Comento di L. Vigo. Uologna 1871.
Questo Comento del nostro illustre si-
ciliano fu pubblicato dal Propugnatore
di Bologna e in libretto a parte di p. 103.
Ci duole che per difetto dì spazio nou
possiamo darne conveniente esame , at-
tesa r importanza dell' argomento e la
gravità dello scritto eruditissimo, dopo
il quale, se nuove ricchezze non mandino
fuori o i nostri Archivi o le liiblioleche
Italiane, poco o nulla si può aggiungere
sul conto del poeta Alcamese e sulle no-
tizie che a Ciullo e al suo Canio si pos-
sano riferire. Delh Tenzone è cibila uìia
nuova lezione , con assai noie critiche :
uia più di lutto è importHrite il Discorso
che la preced- pur con le sue note, di-
viso in 18 II , che riguardano il iUolo
e la scpna della Tenzone , lo stato di
Ciullo e dell'Amata, i valori del medio
evo, il letnpu quando Ciullo scrisse» la di-
fesa, lo Imperatore, gU agoslari , W
Saladino t il Soldano , \i lingua della
Tenzone, il pugliese, Voriografia, metro,
eodici e stampe della stessa, il suo pre-
gio.
Avremmo desideralo che l'illustre Au-
tore avesse pur detto qualcosa intorno
agli antichi monu ncnti di n(»slra lingua
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506
NUOVE KFFEMfilIUDl SIGILIANC
che escono fuori iJalle famose Carte Ar-
boreti, e la lin;ua e poesia «lai vecchio
Siciliano: ma avrà avute le sue ragioni
perchè si tacque, mentre tanto rumore
ni fa in Italia sopra ì delti Codici di Ar-
borea; e resta sempre airAutore la bella
gloria di aver sapulo con questo suo
nuovo lavoro innalzare a Ciullo più che
la statua che la sua città untale tarda
a erigere al primo Rimatore nella dolce
favella italica. V. D. (;.
LEZIONI DI STORIA UNIVERSALE con-
dotta $ino al 1867 con parlieofare ri-
guardo alta storia d'IlcUia per Anto-
nio Matschru, prof, nel Liceo Fosca -
fini etc. IV* edii. (Storia AirriCA, 0-
rimlate-greeo' romana) Venezia 1871.
È per ordine il primo volume de' tre,
ne* quali Tegr. prof. Matscheg, ha dato
la sioria universale sino al 1815, la qua-
le sarà compiuta con un quarto volume
che giungerà sino al 1867. Dì questo vo-
lume non avremmo che a dire quello
stesso che de' due precedentemente stam-
pati; se pure non si dovesse aggiungere
che ci pare quest*ultimo anche avanzare
i primi in bella disposizione, ed essere
ben ricco di quanto giovi alla storia in
cognizioni speciali archeologiche, lette-
rarie, politiche ed economiche de' tem-
pi antichi.
C'è poi una tavola cronologica che rie-
sce di assai utile nello studio , e fa un
bel pregio del voinme. anzi di tutto que-
sto Corso del Matscbeg.
Rispetto al giudizio d^llo storico sarà
più difficile la storia contemporanea, ma
CI verrà dal Matscbeg tiicuram^nte un li-
libro degno del pacato e imparziale giu-
dizio di che ha dato esempio ne' volumi
stampati; il che non sarà piccola lode al-
l' autore , né piccolo benefizio alla gio-
ventù studiosa. V. D. G.
STORIA ECCLESIASTICA DI TAORMI-
NA, opera inedita di mons. Giovann*
Di Giovanni tradotta d.tl latino e con-
tinuata sino ai nostri giorni dal sacer-
dote Fbthonio Grima ec. Palermo 1870.
Il Consiglio comunale di Taormina
provvedeva sin dal 1865 che ross«;rodate
alla luce le due storie, civile eJ ecclesia-
stica, di Taormina, lasciate BIS. dall'in-
signe autore del Codice diplomatico ^i-
culo, e (Mia Storia ecclesiastica di ^ici-
lia, monsig. Giovanni Di Giovanni, taor-
minese, e de* più illustri uomini che u-
liorarono la Sicilia n>*l secolo XVIII. Que-
ste due storie furono dall' autore scritte
in Ialino ; ma sono state pubblicate ri-
dotte in volgare, la 'prima cioè la storia
civile nel 1869, e questa, la ecclesiastica,
negli ultimi mesi del 1870. Abbondano
in questo libro l'eruihziune e la critica «
die fanno un bel pregio degli scrìtti de|
Di Giovanni; e i prìmi secoli della chiesa
taorminese sino alla invasions saracine-
sca, sonv esposti con tanta ampieiza di
racconto e ricchezza di testimonianze, da
far assai dilettevole e importante la let-
tura del libro anche per chi non fosse
cittadino di Taormina.
li traduttore ha aggiunto al te<to una
appendice sullo stato della chiesa di Taor-
mina dal 1750 al 1870, e siccome si do-
vette alle cure del Di Giovanni , che fu
Rettore del seminario arciv<»covi le di Pa-
lermo (del quale seminario, oltre la sto-
ria de' seminari in generale, scrisse una
storia speciale, tuttavìa inedita, e conti-
nuata sino al 1859 dal Narbone), la Bolla
colla quale il Pontefice Benedetto XIV
concedeva al detto seminario il privilegio
della laurea dottorale in sacra teologia,
il Grima ha pubblicato pure in fine del
libretto, come compimento della prefa-
zione, essa Bolla del 30 aprile 17i9.
Lodiamo il Municipio taorminese di
cosi onore^e deliberazione ispirata di
I vero amor patrio; e facciamo pure le no-
I s T' Ioli al traduttore sac. Grima per le
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BULLETTINO BlfiLlOGRAFlGO
307
cure della traduzione ben condotta, e da
scambiare facilmente per originale.
V. D. G.
notizie: STORiCHe di Ca$ieliermini e
mo Urrilorio , per Gaetano Di Gio-
vanni; fase. IV. Girgenti, tip. Monles,
1871.
Questa nuova puntata dell'opera pre-
gevolissima del sig. Di Giovanni contiene
tre capitoli del lib. Il*, i quali trattano
della origine musulmana dei casali ca-
stelterminesi, delle vicenda loro in sullo
scorcio del secolo X, del periodo di a-
narcbia e d i conquasso cbe segui tra il
1040 e il 1060» quando l' isola videsi a
un tratto divisa in molti piccoli stati fra
loro rivali e guerreggianti; del ritorno di
tutto il territorio al nome cristiano die-
tro l'impresa del Conte Ruggiero; e de-
gli avvenimenti che ebbero luogo all'e-
poca normanna e svevo-angioina, cioè
dal 1087 al 1282.
Non aggiungiamo lodi a quelle di cui
hanno fatto degne queste notizie stori'
che, autorevoli riviste dltalia^tra le quali
il PiopugìMlore di Bologna e la Rivi-
sta Europea di Firenze; e ci congratu-
liamo coll'cgregio autore, a cui facciam
preghiera di condurre presto a icrinine la
si bene incominciata opera. G. F.
NOTIZIE DELLA VITA E DEGLI STUDI
del Conte Ldigi Cibrar.o, socio della
R. Accademia delle scienze, raccolte da
Fedirigo Sclopis , Presidente della
medesima. Torino , Stamp4*ria Reale
1870.
• Il nome di Luigi Gibrario, che fu
venerato e caro a quanti il conobbero vi-
vente, sarà a buon diritto celebre presso
i posteri, così per le molte opere sue let-
terarie . come per avere con esse di-
schiusa la fonte di altri lavori che si po-
tranno ancora condurre con gran van-
taggio della storia patria. •
Con queste parole l'illustre Conte Fe-
derigo Sclopis chiude la notizie biogra-
fico-critiche intomo ad uno dei più va-
lenti scrittori contemporanei, che con lo
ingegno e col cuore seppe ai-^fuistarsi
alte dignità in Italia e meritata roputa-
siono all'estero.
Delle quali notizie non possiam dire
lutto il bene che vogliamo perché ci par-
rebbe di ripetere ciò cbe di altn scritti
consimili Jello Sclopis avemmo a dire in
queste Effemeridi a proposito del Manno,
del Maiteucci q del Mittermayer, soci del-
la R. Accademia delle Scienie di Torino»
e però elogiati da lui. Questi lavori del-
l'integro Uomo distalo, del sapiente Sto-
rico della Legislazione italiana, dell'illu-
stre Presidente dell'Accademia torinese ,
hanno tutte il raro pregio .dell' affetto ,*
figlio della lunga consuetudine avuta dal-
l'autore colle p«>rsoiie lodate, e la tem-
perania maggiore delle opinioni. Sicché
il giorno in cui egli si persuada a racco-
gliere e metter fuori in un sol volume si
belle scritture , darà un nuovo est mpio
di ammirazione agli estinti , e di devo-
zione alla patria, e appresterà delle no-
tizie preziose alla storia delle scienze a
delle lettere. G. P.
PER EMBRICO AMARI L'ACCADEMIA
PALERMITANA 01 SCIENZE, LET-
TERE ED ARTI nella solènne foniate
del 18 (Zie. 1870. Commemorazione. Pa-
lermo 1871.
Questo librcUo contiene un Discorso o
Saggio sopra Emerico A mari e le sue o-
pere del socio avv. Francesco Maggiore
Perni; alcuni ricordi di Giuscfpe Di Mon-
za, poesie greche, lati ne« italiane de'sigg.
Giuseppe De Spuches« Giusep(>e Monlal-
bano, Ugo Antonio Aioico, M^rio Villa-
reale, Gio. Di S.ilvo, e inscrizioni del prof.
Giuseppe Bozzo ; oltre una brevissima
narrazione della seduta accademita con-
sacrata alla memoria di Emerico A man
morto in Palermo a' 21 sett. 1870. Parta
principale della tornata dcil'dccademia e
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508
NUOVE KFPUKRIDl SIGIUANE
però ili rpiesto librello, fa il discorso dd-
l'avv. Francesco Maggiore Perni , che si
psiende per un 100 pagine di stampa, e
fa il rìtratto più compilo che possa desi-
derarsi de'tempi ne' qoali visse ed operò
TAmari come uomo politico e professure
(li diritto; presentando cosi Timagìne as-
sai rilevata della mente e del cuore del-
rillosire filosofo e virtuoso cittadino.
Il sig. Maggiore Perni ha scrìtto dell'A-
man come aiTettuosisissimo amico può
scrivere di maestro, la cui perdita per le
rare virtù di mente e di animo, pubbli-
che e private, si tiene da tutti irrepara-
bile. Pieno di savi giudizi, moderato in
mezzo a tanta esagerazione di parti che
fa disperare del buon senso, questo di-
scorso condotto in largo disegno ricorda
i Saggi del MacaUy, e, tranne qualche
menda nella forma, è un bell'esempio di
lavori che diano tutto intiero un uomo il-
lustre co' suoi tempi e col suo paese.
L' Elenco de' mss. lasciati dall' Amari,
scientifici, letterarìi, politici, e di svariato
argomento, ha fatto maraviglia anche Ur
gli amici stessi che da più anni godevano
l 'affetto- dell* Amari, e veneravano con
sincero rispetto le virtù di tant'uomo.Sap-
piamo che il conte Amarì farà disporne
per la stampa una buona raccolta dì essi
scrìtti, e siamo lieti che, pur mancato ai
vivi, il nome di Emerico Amarì tornerà
ft crescere novella glorìa alla Sicilia.
Seguono al discorso del Maggiore Perni
i Hieardi di Giuseppe Di Mensa, ne' quali
si presenta l'Amari alla cattedra di di-
ritto penale dell'Università di Palermo
come primo maestro fra noi, e ispiratore
ne' giovani, della teoria del progresso
sociale; e in questi Itieordi senti tutto
l'afTetto che un discApolo pnò serban* in
cuore pel suo antico maestro. Le poesìe,
cioè la elegia greca del De Spuohes, tra-
dotta in latino dal Mootalbano e io ita-
liano da Ugo Antonio Amico, la elegìa la-
tina pur del Montalbano e le ottave del
Villareale, sono la più bella corona che si
avesse potuto intrecciare sulla veneranda
testa dell'Amarì. Le iscrizioni raccolgono
infine tutte le lo<ii dell'estinto, che
Mtbe tempre da tutti piaueot amore
rispetto
e taeeiò di te hh nome
ehe corre tenta macchia ai più lontani
nepoti.
V. D. G.
1 VIAGGI DI GIO. DA MANi)A VILLA ,
volgftrizzamento antico toecano ora
ridallo a buona lezione ecc. per cut a
di Francbsco Zamnini; v. H. liologna
Romagnoli, 1870, (preszo L. 7).
Questo volume secondo de' Viaggi del
Mandavillk, cosi egregiamente curalo dal
eh. editore, non è meno importante, né
meno curioso del primo, che forse a-
vanza per stranezza di racconti, e bel-
lezza di narrazione. Molta parte del vo-
lume narra del gran Cane, e del prete
(ìiovaniii, e di meraviglie e di usanze tali
di paesi , che il libro dà colla squisita
forma della buona lingua piacevolissima
lettura. La descrizione del Catai e del
palazzo del Gran Cane ò cosi ghiotta che
se non fosse dì più pagine dovremmo
riferirla per intero; e molte altre pagine
a saggio della lingua e dei racconti sa-
rebbero eziandio a citare , se ora che
questi Viaggi si sono ristampati non fos-
sero già facili alla lettura di chi volesse
cercarli. La Scelta di curiotilà che in e-
legantissima edizione dà fuorì il Roma-
gnoli si è arrìcchita con questi Viaggi del
Mandavilla di un bel gioielin ; e noi
ne rìngrasiamo quanto più si possa il
eh. editore Comm. Zambrini, :he gover-
na sapientemente e amorevolmenle cosi
caraS<^to \. D. G.
IL GIARDINO D'ITALIA, Pfre«rrtiia2Ìom
dìB. E. Mainbri. Opera prnniata dalla
Società pedagogica ilaliana nelC anno
I87a Milano, tip. già Dom. Silvi 1871.
Attivissimo sempre e pur sempre ricco
di pensieri e di affetti, il prof. Maineri
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BULLBTTINO BIBLIOGRAFICO
509
ritrae in questo elegaote volume (di pag.
270), le sue impressioni durante un suo
recente viaggio per la Toscana e per la
città di Ferrara. — Lucci, Firenze, Siena,
Pisa, Livorno e da ultimo Ferrara sono
le citta e province che egli visita e delle
quali s'intrattiene, quando perrìoordarne
la storia, quando por descriverne i mo-
numeiili sacri e profani , antichi e mo-
derni , quando per elogiarne i cittadini
più illustri negli sludi e nelle armi. L'o-
pera sua (iene delfa storia, del viaggio e
del romanzi» ad un tempo, e nondimeno
non ha la gravità dell' una, la facile leg-
gerezza dell'altro ed il lenucinio del ro-
manzo. Essa disegna, pennelleggia e co-
lorisce con mano maestra e leggiera quello
che il suo autore ha velluto; e i suoi di-
segni sono corretti, spiccati; le sue tinte
ben fuse; ì suoi colori vivaci , morbidi^
che danno bella intonazione all'insieme.
Il Mai neri vi si manifesta in tutta la schiet-
tezza deir animo suo , amabile , mesto,
delicato; amante delle glorie d'Italia, de-
volo alla storia di lei, nemico di ogni
nmana bruttezza, pieno di senno, di ret-
titudine e di equanim tà : un uomo in-
somma che pensa come non pensano molti
parabolani e sputatondi dei giorni nostri.
Per servirci delle parole della Commis-
sione pedagogica italiana, aggiudicatrice
de* premi , il libro • è ricco di episodi,
ed è scritto con una rara felicita di stile •;
sicché , anche per questo ci pare che il
Giardino dltalia sìa da lodarsi. £ si che
noi lo vedremmo assai di buon animo cpn-
sigliaio come un buono e bel libro di let-
turti, e i>erò come premio agli scolari stu-
diosi ed intelligenti. G. P.
RACCONTI di Salv. Malato Todaro. Se-
conda edizione, Palermo, L. Pedone -
Lauriel. editore, 1871.
In questa ristampa il benemerito edi-
tore sig. Pedone-Lauriel ha riunito quat-
tro racconti del eh. prof. Malato-Todaro;
de' quali il primo , Pietro Torrigiani ,
pubblicato di fnsco nella Rwitia Sicuh
e non mai fin qvi a parte; il secondo,
Flota, anch' esso pubblicato nel perio-
dico palermitano e corso in un volumetto
che ebbe rapido spaccio; il terzo ed il
quarto. La Buca della talvezza e l'Amor
paUrnOygìii apparsi nell'elegante volume
di RaccotUi popolari , editi in Palermo
nel 1862.
LabreviUi dello spazio non ci consente
di scrivere quanto per noi si dovrebbe
: di questo bel volume; del quale in parte
! fecero a suo tempo molle lodi il Tom-
' m.iseo ed il Gontìi, giudici per ogni ra-
I gione autorevoli e ciedibili per onesta
I e per sapere. Pure non possiamo non
i congratularci coH'egregio Professore della
, maniera onde son condotti questi suoi
lavori, e più per la forma eletta oud'egli
riveste i suoi pensieri ed i suoi affetti.
Questo libro volle dedicalo l'A. a due
suoi buoni ed amorosi fanciulleltiie an-
che di questo ci congratuliamo con lui.
G.P.
GIAGOMIN DA ROMA. Novella di Fran-
cesco Zambrini. Bologna, R.Tip. 1871.
I Tiiacomin da Roma è un ufficiai di
I dogana, il quale un 30 anni addietro
stando in Faenza venne in proverbio per
la sua mania di fare il cascamorto ed
I il parassita. Una Tolta tra le altre, non
I invitalo interviene ad una cena in casa
di un Conte, dalla cui moglie s'era ar-
! gomenlato di trovar grazia. Quivi gliene
avvengono di tutti i «olori , da disgra-
! darne quelle tanto comiche di Sir Wil-
' liens. Ebbro, è condotto al Pratel di
Mangone a riposar sulla neve, donde
. alcuni masnadieri, rubatolo, il traggono
I «allo spedale ; e , dall'ebbrezza guarito .
I dopo uno strano avvenimento per cui
; trovasi a pericolo di vita , torna libero
'< a casa.
I È questa la novella saporitissima dcl-
I lo Zambrini , dalla quale vuoisi rica-
vare che in fondo in fondo i furfanti e
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510
NUOVE EFFEMERIDI SIGILUNE
i mestatori vanno sempre a galla, ed il
mondo è sempre di chi sa pigliarlo. 11
ritratto di ser Giacomino ò una cara cosa,
ed eccolo qaale ce lo dà l'autore: • Egli
era un omiciattolo di circa trentacinque
anni, vedovo con due fanciulle, bassetto
e pochino della persona , con un colai
visuccio animato, ri tondello e colorito,
che sembrava una mela rossa appassita;
e se non fosse ch'egli aveva pure il mento
adorno di' colali basettino di topo, sem-
pre di pomata lardellate, e d'un po' di
pizzetlo, e' non saria stato gran fallo ri-
putarlo una femminuccia in bracbesse ,
piuttosto che un maschio. Ed oltre a ciò
pianto giulivo e lieto con quale vi vo-
gliale persona sempre si dimostrava , e
soprattutto colle donne , che , se io do-
vessi dipignere proprio la felicità, bene
senza tema di andare erralo , trarrei di
netto costui (pag. 12). •
Quanti di codesti Giacomiiii non si
trovano in ogni città e paese t E chi sa
qual Giacomino non si trovi raffiguralo
in qnello si ben pennelleggialo dallo
Zambrini t Dire poi che la novella come
lavoro di arte è bellissima, parai sover-
chio, perché ciò va inteso. Lo Zambrini
è così valente maestro nell'arte dello scri-
vere, che é sempre nuovo piacere a leg-
gerlo, molto più quando la materia il
consigli ad uno stile come questo, feste-
vole, brioso e pieno di fine allusioni
che sapraniino d'agro a pia d'uno.
G. P.
IL GAROFANO CORALLO di Karel
Beroman.h, Traduzione di Coucettina
Sampolo Mdzio-Salyo. Palermo, Gili-
berti editore, 1871.
Il titolo che !'A. ha dato al suo rac«
conto non ha d% far nulla col contenuto
di esso. Il racconto parla degli amori non
lieti di un Renalo, che avendo pre.<o ad
amare una Susanna sua cugina, carirsi-
roa 0 virtuosissima giovinetta, partilo per
^russello ebbe posto amore ad una Cla-
rice , giovane vaga ma civettuola, della
cui voltabilità accortosi, ritornò al primo
amore. 11 sig. Bergmann vuol mostrare
che l'orgoglio e la vanità sono tanto sti-
mabili quanto la semplicità e la mo-
destia. Egli ha delle scene commoventi,
come ne ha altre di poco interesse per
la classe di 1 eltori ai quali il Garofano
potrebbe mettersi in mano. L'A. è un
osservatore molto accurato, e sebbene
scenda talvolta fino alla maniera onde
venga ballato un Waltzer od una Polka;
0 al color brunaslro degli stivalettini
delle ragazze che ballano, nondimeno in
più luoghi penetra nel cuore dei perso-
naggi con fstuJio e con sagacilà.
La traduzione della egregia signora
Concettina Sampolo Huzio-Salvo « con-
dotta con molto garbv e diligenza: il che
non è poco in una versione ove s'incon-
trano tante difficolta quante non ne san-
no vedere coloro che di siroiglianti la-
vori non abbiano forniti giammai.
G. P.
APPENDICE AGLI STUDI VARI di Al-
berto Bdscaiko -Campo. Trapani, tip.
Modica-Romaoo, 1871.
Al bello e meritamente lodato Volume
di Studi vari pubblicato nel 1867 l'illu-
stre A. ha fallo seguir ora qnesV Appen-
dice, ch« contiene alcuni -^hri scritti man-
dali fuori in varie occasioni dopo quel-
l'anno. Accenniamo di volo alle quattro
ìrtiert» Sulla lingua d^Ilalia, su' Nuovi e-
lementi di grammatica italiana del Piaz-
za, Classicismo 0 toscanità^ La via di Dan-
te per la piaggia deserta , neNe quali il
Buscaino mostrasi crilico insigne e filo-
logo erudito e profondo; non toccheremo
nemmeno, che di passaggio, della Chiusa
che va da pag. 115 a 120 . e che parti
molto curiosa ed importante pel giudizio
che V\. medesimo dà dell*» propri*» scrii -
ture: noi amiamo invece fermarci alle
Correzioni e giunte che fa al voi. degli
Studi, e tra queste in ispecie a quelle che
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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO
Sii
riguardano le lettere critiche sul vocabo-
lario dell'uso toscano del Paiifani.
Duolci moltissimo, in vero, il vedere
scesi ili lizza poco benevolmente due il-
lustri scrittori e filologi italiani , come
il Fanfani ed il Buscaino, de' quali in
grande pregio teniamo l'ingegno e gli
stadi: duolci ancora più il doverci pro-
nunziare in una quistione tanta delicata.
Ognuno sa che il Buscaino , il quale e
dal popolo toscano e da* libri ha stu-
diato per t>ene la lingua dell'uso e clas-
sica italiana, fu il primo a portare uria
critica seria , sennata e garbatissima sul
Vocabolario dell'uso del Fanfani. Questi
se no adontò: e pur riconoscendo la giu-
stezza delle acute osservazioni del Bu-
scaino, molle ne accolse nelle Voci e
maniere del parlar fiorentino, stampate
lo scorso anno; a molle rispose nel libro
medesimo , ma con poca gentilezza , e
spesso con villania, ridendo de' non to-
scani che fanno ridere i toscani veri colle
litro smancerie ed improprietà. Quindi
continua qui e qua a dir peggio , dar
dell'asino al Buscaino, attaccarlo di ma-
lafede ec. .Ma il Buscaino gli risponde
'per le rime e senza peli sulla lingua ;
|.i coglie di contradizione da un passo
all'altro de' suoi libri e de' suoi assio-
mi, che vorrebbe da unico e solo oracolo
di lingua imporre a tutta Italia; appog-
gia con copia di esempi e ragioni quello
ch'egli, il Buscaino, ha affermato; e di-
mostra la poca lealtà del Fanfani, pub-
blicando qualche brano di lettera di ini,
che dicv al tutto diverso da ciò che nelle
Voci e maniere ha stampato contro il
nostro siciliano. — > Noi, guardando senxa
idee preconcette e senza passione la cosa,
confessiamo cbe 1' uno e l'altro scrittore
ha ecceduto, ma che il Buscaino non ha
poi tutto 0 il principale torto ; e messo
nei suoi panni , chiunque avrebbe fatto
lo stesso e peggio. Ma le parole son pa-
role, e vogliamo augurarci che rimanes-
sor tali , e i due valenti nomini cessas-
sero da queste dissidtoze che portano
poco prò' e mollo danno alle lettere ita-
liane. S. S.-M.
STATUTI MINERARI della Valle di Bros-
so del secolo XV, per A. Bertolotti.
Torino, stamp. reale, 1871.
LTtalia deve non poco al valente e
laboriosissimo signor Antonio Bertolotti
per i molti suoi studi d'ogni maniera .
ma più di lutto storici, sul Canaveso; e
i lettori del nostro Periodico ricorderan-
no quanto scrivemmo de' Fasti Cana-
vcsani dell'islesso autore. Qggi egli ci
manda il prezioso dono del soprannotato
libretto, nel quale non ò chi non rico-
nosca una grande importanza anche dal
solo titolo. Pur l'A. ha voluto arri cchire
la pubblicazione degli Statuti con molte
notizie sui vari statuti minerari di varie
Provincie italiane, con la storia delle
miniere di Brosso, oltre ai cenni storici
sull'industria minerale del Piemonte ed
alle opportunissime note comparative con'
altri consimili statuti delle italiane Pro-
vincie. Gli statati di Brosso,' parte in
latino e parie in italiano , cominciano
dal 1497 e vengono, colle successive ag-
giunte, fino a quelli riformati nel 1602.
Noi facciamo all'illustre A. le nostre sin-
cere e cordiali congratulazioni per que-
sta nuova operetta. S. S.-M.
TRAGEDIE D' EURIPIDE, tradotte da
Giuseppe De Spuches. Napoli, 1871.
Questo volume si compone de' capola-
vori di Euripide, cioè dell^ Medea, del-
Vlppolilo, delle Fenicie, deWEeuba, del
ResOp del Ciclope, e di nbte critiche, fi-
lologiche , storiche e mitologiche sopra
esse tragedie, che ora sono state raccolte
insieme in seconda edizione per cura del-
l' egregio prof. Francelco Prudeozano; il
quale, ha premesso al volume una Ma
prefaiioncella e sulle tragedie d'Euripi-
de, e soi pregi di questa versione del
De Spuches. Di qutste versioni una
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512
NUOVE EFFEMERIDI SICIUANE
cioè VlppoiUo , osci la prima volta in
questo perìodico , e però i nostri let-
tori sanno bene quanto sia il valore , e
come poeta originale e come grecista del-
l' eg. traduttore, nò ignoreranno la bella
fama, che gode iii Italia, iu poesia . in
archeologia, in lettere grech*;. Pregio sin-
golarissimo di queste versioni del De Spu-
ches è il farti scordare che hai a mano
una traduzione, e il saper vincere colla
rima nc'Cori difficoltà che parrebb4*ro in-
superabili al verso scioUo; e poi l'usarti
sempre lingua e frase classica ed elegan-
te. Delle versioni del !>> Spuclies abbiamo
il giudizio compctentissimo del Tom-
maseo e dell'Ambrosoli, di molto onore
al nostro siciliano: e sulla Medea tenne
TAmbrosoii di proposilo una Lettura al
R. Istituto Lombardo nell'adunanza del-
1*8 febbraro 1866. Nella quale Lettura,
assai dotta e da maestru.si accenna spesso
al Bellotli; e si conchnide sopra i due il-
lustri traduttori d'Euripide , che • può
• dirsi onorevole al sijr. De Spuclies, che
• la sua versione debba piacere ed esser
• lodata in un paese a cui Felice Bellotli
• ha donata la sua; nù sani piccolo ac-
• creseimento di fama e testimonianza di
• merito al Del lotti , che la sua trailu-
• zione non sia falla dimenticare da qua-
• sta del sig. De Spuches • (p. 10). In
questo annunzio non possiamo riferire a
saggio luoghi e versi di queste versioni
del De Spuches : ma noD possiamo non
dire che bella gloria viene alla Sicilia
dalla fama del De Spuches, poeta di forme
cosi classiche, e cultore di studi sifTatlt
che, nella presente declinazione degli alti
e severi sludi letterari, può dirsi col suo
esempio non esser del tutto venuti meno,
e restare tuttavia chi sappia coltivarli no-
bilmente e con degna lode. V.D.G.
GRILLO OSSIA IL BANDITO SICILIA-
NO. Cauti XII di Carmelo Piola, tra-
tportati in italiana favella dal prof.
CiusBPPE Cazzino. Palermo, 1870.
Non è queslo il luogo di parlare del-
l'originale dì questa traduzione, il quale
allorché usci in luct* col titolo Griddu o
tia lu sbannutu ticilinnu (Palermo. 1861)
meritò i giusti plausi di quanti sanno
timere in pre^o non pur la buona poesia
ma altresì la lelleralura di dialetto.
Vogliamo solamente toccare della ver-
sione del eh. prof. (>azzino,con)e quella
che ad una certa fedeltà, soli' ogni ri-
spetto lodevolissima, unisce la facile e-
leganza che si è usi di ammirare in o-
pere consimili dell'illustre Professore di
Genova. E perchè le nostre parole ab-
biano una evidente prova, scegliamo così
come vien viene una ottava del b«'l poe-
ma d«*l nostro concittadino, per farla se-
guir subilo dalla versione italiana del
Cazzino. Il poeta, caldo di amor patrio,
celebra la Sicilia, e nella piena dell'af-
fetto esclama:
Bedda Sicilia mìa, lu si' l'elctui
Mudellu chi l'Elernu ha ironiaginatu;
'Nzoccu si trova in tia tuttu è pt^rfi^ttu,
Tutlu ò duci armunia, tuttu è pisutu:
E sidd'accadi spissu chi l'elTetlu
Nun è siccomu fu predestinatu.
La culpa non è tua; ma l'omu infami
E* chi nun sì sazia mai ntra li so'brami.
E il prof. Cazzino con molta feliciui di
corrispondenza:
Beila Sicilia mia, lu sei l'eletto
Model ch'ebbe l'Eterno immaginato;
Però che quanto ò in te tutto é perfeilo
Tutto armonico e tutto ponderato.
E se tal fiala incontra che rcfrelto
Non risulti qual fa predestinato.
Tua la colpa non è, sì dell'infame
Uom non mai sazio di sfogar sue brame.
Esempì come questo potrebbero addur-
senc moltissimi ; ma questo solo parci
sufficiente a conforma del pensier nostro.
Intanto non possiamo non render vive e
colme grazie al valoroso traduttore, della
premura ch'egli prende nel far conoscere
le cose nostre agli altri provinciali d'I-
talia , i quali non ne saprebbero forse
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BOLLETTINO BIBUOCRAPlCf)
Sia
Italia st; tuli versioni non Tossirò. Al G.-ir.-
Zino devpsi oramai il parlicolar bi'iieQfìio
ili veder divulgale in buon ilsiliauo molle
belle cosi^ del Meli , del Tempio . del
fiangi e del Piola. G. P.
PER LE NOZZE DOHIADELAIM. Ve-
rona, premiata Tipografia di (ì. Fran-
ceschini, 1871.
Per queste t)en augurale iiezxe l'egre-
gio sig. Adolfo Gemma ha messo fuori
un grazioso e affi'IUioso poiimetro , di-
retto alla sposa a nomo dello zio di lei,
e una versione deir£ro e Leandro di
Museo, che parecchi amici vollero inti-
tolato olio sposo. Questo bellissimo e
soavissimo poemetto greco è reso nel
dolce nostro idioma coti molto garbo e
dolcezza di numeri ; mostrando chiara-
mente che il traduttore sia ben adden-
tro nello studio de* classici poeti nostri
non solo, ma de' greci e Ialini eziandio.
Noi ce ne congratuliamo di cuore collo
esimio sig. Gemma , speeialmenle ai di
che corrono, ne* quali col buon senso
son iti a fondo i buoni, geniali e dt»tti
studi, per non dir delle Muse, fatte già
spigolistre sguaiate e luridissime.
S. S.-M.
LEGGENDA DI S.MARGARITA V eM.
in ultava rinia scritta da ineerto Tre-
eentitta , con un esempio morate in
prosa. Bologna, tip. Fava e Garagnani
1871.
Questa ingenua e divota leggenda pub-
blicata dair illustre comm. Zambrini ci
richiama ad altre consimi li di quel se-
colo decimoquarto, io cui molte di tuli
leggende nacquero in mezzo al popolo e
vennero scritte noi solitari monasteri. Il
fondo CI sembra molto popolare t s as-
somiglia , specie per la parte delle ten-
tazioni del demonio, ad alcune storie in
poesia siciliana , e con particolarità a
quelle che nei secoli XVI e XVII, corsero
fino a Napoli e vennero tradotte a Fi- i
renZH. La lezione non è di'lle migliori ;
e noi pensiamo clu» una migliore non ne
esista, cosi indacendoci a credere la for-
ma semplice, e però poco letterata del
componimento. V'hanno dei versi difet-
tosi assai, wu in mezzo ai 488 dei quali
risulla ve ne hanno alcuni bellissimi per
forza, efflcacia e disinvoltura, proprio
usciti dal cuore. Un altro indizio di for-
ma popolare ci viene dalla maniera di
rimare non poche delle ottave a solo o
fra di loro. Alcune hanno consonanza
ed assonanza, come lu ottave XXI, XXIV,
XXXIII: e spesso le rime baciate onde
si chiude un'ottava sono le rime altresì
dell'oiliiva seguente, di che vedi le XVI,
XVII, XXI, XXD, XXIII, LVI.
Quattro diversi testi sul medesimo ar-
gomento conosce in ìstampa lo Zam-
brini, ma d' uno all' infuori, che ò una
pretta traduzione del francese , tatti in
prosa. Questa , ora per la prim» volta
pubblicata, è, secondo dice il comm<Mi-
datore Zambrini , un antico documento
popolare da unire ai molti altri già po-
sti in luce, il quale se non è scevro af-
fatto di mende, certo né pur va mancante
al tutto di pregi e di maestrevoli traiti.
E a questo giudizio delP illustre edi-
tore ed annotatore della prosente leg-
genda, pienamente ci uniformiamo.
G. P.
ALLA GERMANIA, Canto di Antonio de
Marchi. Palermo, tip. del Gioiti, di
SUUia 1871.
Canto grave e dignitoso, nel quale Te-
gregio prof, de Marchi senza O'Iio né di<>
sprezzo altrui celebra quella nazione, la
cui austerità di costumi, severità di disci-
plina , profondità di studi e fermezza di
propositi ha trionfato sopra un'altra, po-
tentissima fino ad ieri. Le glorie germa-
niche vi hanno parole di ammirazione ,
ma i mali onde in passato quei popoli
furono cagione all'Italia non vi son ta-
ciuti , e l'autore fa bene distinguere la
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5i4
NDOVB EFFEMERIDI SICILIANE
lor fortuiiala ma ingloriosa possanza di
un tempo dalla non immerilata ooova
grandezia ; nella quale par trova» come
ogni altro scrittore, grandi fatti da lodare
ed eccessi da biasimare. La Francia gli
ispira sentimenti generosi , ben diversi
da quelli che molti poHti dei di nostri
si sono argomentali di manifestare a pro-
posito della terribile guerra che ha con-
tristato il cuor d'Europa.
Vorremmo avere spailo da apprestare
un saggio della bella poesia del De Alar-
chi, ma esso ci manca affatto, e noi ci
rimaniamo congratulandoci col nostro ca-
rissimo amico, il quale con tanta ispira-
zione ed eleganza sa scrivere e poetare,
ti. p.
INAUGURAZIONE del Ginnaiio e della
Biblioteca di Partinieo. Palermo, 1871.
Le belle isiiluzioni che diedero luogo
a' lavori contenuti iti questo volume sono
ben note ai nostri lettori ; e però ce ne
passiamo , non senza ricordare ch^ so-
pratutto della Biblioteca, Partinieo va de-
bitore a quel carissimo Carmelo Pardi,
che ne fece sua cura, delizia e stadio.
Precede il volume una dedicatoria al
Sindaco di Partinieo, 8Ìg.Gius.La Franca,
scritta dal Pardi. Segue una relazione
dello stesso sulla Pubblica Itlruzione in
Partinieo, dalla quale apprendiamo che
quel Comune ha 17 scuole con 479 allievi,
per le spese delle quali ha già stanziato
la cilra di L. 6<)48 ; una Biblioteca con
4000 volumi; una Società operaia con ol-
tre 100 soci intesi ul mutuo soccorso in
prò degl'infermi e all'esercizio dHIc buone
virtù cittadine. Segue ancora un Discorso
inaugurale del sig. Molisi, all' apertara
delle teoole ginnasiali e della scuola tec-
nica, dove con molto calore dice della i^
struzione in riguardo al concetto politico,
religioso e morale. A questa prosa ten-
gono dietro poesie di vari autori, qual-
cuna un po' arguta ; ma nell' insieme
troppe.
Per la Inaugurazione della BibUoleea
vi ha il già annunziato discorso del Par-
di , che non poteva essere più acconcio
alla fausta circostanza: pieno di afletto,
come sempre il Pardi . di nobili senti-
menti, e di desideri generosi.Moito erudito
é UD Diseorto bibliografi .o del sig. Poma-
Cangemi: dove sono però alcune inesat-
tezze da correggere, tra le quali bisogna
dire che non fu iiessarino ma Bessariooe
quegli che arricchì con altri la Marciana
di Venezia. Inoltre la Biblioteca (del l'U-
niversità?) di Torino non contiene 100000
ma 325000 volumi; e del pari quella di
Padova 80000 non 80O0O; 174,(JO0 e non
90000 quella di Napoli ; 130000 e non
40000 quella di Pietroburgo; 16000 e non
70000 la universitaria , e 430000 e rvou
850000 la maggiora di Copenaghen, e cosi
di seguilo. Forse l'egregio sig. Poma at-
tinse tali notizie a fonti non recenti.
Anche qui le poesie non mancano; ma,
ripetiamo, son troppe , e forse sarebbe
stato meglio faro più piccolo il volume
consacrando parte della spesa di esso alla
compera di libri più utili che non sono
i versi talvolta oziosi. lì. P.
I COMPILATORI
Vincenxo Di 0iovaniii
0iii8eppe ntrè
Salvatore Salomone-Marino.
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INDICE
DI QUESTO n ANNO
SCIENZE MORAU
Uno scolare del Miceli^ e Vab. Benedettino G. Rivarola. V.
Bi Olovaimi pag. 5-61
Della filosofia in Sicilia dagli antichi tempi al secolo XVII.
V. Bi Oiovaonl. i 173
L'Onore, 0. Canta. . . • 487
SCIENZE FISICHE E NATURALI
Emitteri siciliani. Fr. Mina Vnlnmbo 67-117
Perchè i venti che spirano da' deserti tropicali sono caldi
si di giorno che di notte. O. Xiocicero • 157
La fiamma e la vita. O. Xiocicero > 256
Sull'eia geologica delle rocce secondarie di Taormina. 0. Se-
qnensa > 484
LETTERATURA
Dell'antica canzone di Lisabetta citata dal Boccaccio, &•
Vigo 14
De'' Vocabolarii siciliani. 0. Pitrè > 20-85
Lettere inedite di V. Coosin a Salv. Mancino. V. Bi dio-
vanni 52
L'entrata di Marcò Antonio Colonna in Palermo e i canti
di Filippo Parata. S. Ooccliiara ' > 74
Sul dialetto greco di Sicilia. Z. Carini 109-159
Canti popolari siciliani e scandinavi. SS. Schneekloth. » 196
Le odi di S. Sofronio scoperte da Pietro Matranga. F. Ori-
spi 202
Di T. Giunio Calpumio e di tre suoi volgarizzatori. V,
A. Amico > 259
La Sicilia e la sua Civiltà. T. Vommaseo » 267
Canzone antica. Xi. Vigo. » 330
Di alami Trattati di Mascalcia ora pubblicati per la prima
volta da P. Delprato e L. Barberi — Maestro Moisé di
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ol6 NUOVE EFFEMERIDI SiaUANC
Palfwio e gli antichi testi di Mascalcia in volgare siciliano,
V. Di aiovanoL » 352
La Questione delle Pergamene de' Codici di Arborea. T, &an-
dsicio » 359
L' Idillio nell'Arte greca &. MitcliM » 386
Paolo Mtmra poeta siciliano del secolo XVII. &• Oa-
vmmmau t 395
SugU AtieddoU Siciliani di A. Longo e il discorso del dottor
Hartwig II. Vfffo » 400
BelU ArU e Civiltà. M. CavallaH > 461
BELLE ARTI
Intorno la copia di una delle storie a musaico della Cap-
pella palatina di Palermo. CI. Bono. » 37
Due statue del sec. XF, in S. Maria di Gesù Z. De MI»
eliele i 135
Illustrazione di un trittico esistente nella pinacoteca Comu-
nale di Termini'Imerese. Z. He MUchele t 18^
Tavola cronologica di Pittori^ Scultori e Architetti Siciliani
0 dimorati in Sicilia dal secolo XII al XVIII. M. Oa-
leotti \ » 335
STORIA ED ARCHEOLOGIA
Il monastero di S. Maria delle Ciambre presso Borgetto.
S. Salomone-BSarino. » 28
Ricerche Slave in Italia V. Bf ortillaro » 126
Iscrizione greca di Siracusa. Z. Carini — &• Sery-
manoa * 237-239
Di un documento inedito riguardante una delle antiche porte
di Palermo. &• Starrabba. » 244
Censimento delia popolazione di Palermo fatto nel 1479, &•
Starrabba > 269
Brano di un Codice Cefalutano inedito del secolo XIV.
I. OaHni » 317-445
Di Giovanni Naso e della Introduziorte delVarte tipografica
in Palermo. &• Starrabba '. . » 470.
POESIA
Ippolito. Dramma di Euripide, versione. O. Be Spnclies. t 39-93
107-273
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INDICE 517
A Lionardo Vigo^ Sonetto. 0. ttassino ' t 98
Gottscholk 0 il musico della Morte. &. Usto Brano. . • 137
Ad I. T. D'Aste. I». Uzio-Smno » 28i
Saggio di Teocrito. Le Talisie^ versione. &• BKitcliell. t 388
Ad ÙBsarem Cantàl De suo libro Buon senso- e buon cuore.
Stanrenglii e Bernardi > 429
AWaw. G. Franciosi e a Pia Bat^sotti. Sonetto. CI. 0nB-
slno » 432
Sull'esilio e sulla morte di Ovidio , elegia di A. Poliziano
Versione. Xf . Poma-Oangemi • 491
Versi inediti. Wi. BRusio-Salvo > 493
RACCONTI E NOVELLE
Stella e Kiuperli. &. Vigo '.....• 128-188
CRITICA
Solenne tornata deir Accademia palermitana di Scienze e Let-
tere in memoria del suo socio Monsignor Benedetto D^ Ac-
quisto. S. Salojnone-BCarino > 53
Gioberti e la filosofia nuova italiana per Pietro Luciani. V.
Di Giovanni » 100
Sidlianische Màrcheny A B'A t 103
Sofismi e Buonsenso , Serate Campestri di V. Dì Giovanni.
Xr. Tommaseo > 141
Buonsenso e Buoncuore^ Conferenze popolari di Cesare
Cantu\ S. Salomone-BCarino > 143
Della Storia della Baronessa di Carini. S. Salomone-
Biarino > 145
Biblioteca storica e letteraria di Sicilia di 6. Dì Marzo. O.
«tré » 148
Scritti vari di Carmelo Pardi. 0. BItrè » 149
Memorie storiche intomo al governo d^lla Sicilia per F.
Bracci. O. Titrè. > 215
Costanza vince Ignoranza per 6. L. Craik. CI. Be Ca-
stro . t 217
Ricerche intomo al Libro di Sindibdd per Don. Cohparbtti.
O. Wtrè • 218
Annuario scientifico ed industriale di T. Grispigni e L. Tre-
VELLiNi. BK. Siciliano t 222
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5t8 NUOVE RFFKMBRIDI SICILIANE
Su talune 'questioni etnografiche^ Lettera di F. Randagio. CI.
Wtrè. # 228
Filosofia elemertlare a norma dei programmi governativi^ di
P. Morello. V. I>i CHovanni > 286
Elementi di Filosofia^ di A. Maugbri > ivi
Manuale di Filosofia elementare di G. La Rosa ...» ivi
Sulf Ecclisse totale di Sole del 22 dicembre 1870 per A. A-
gnello. M. Siciliano » 288
Supplimento perenne alla nuova Enciclopedia. 0. ntrè. » 291
Liriche scelte di poeti alemanni, versione di A. Db Habchi.
O. Pftrè .294
DeW Artificio pratico de* musaici antichi e moderni per G.
Riolo. B. O. riaocchietti . » 299
Studi di Storia siciliana di L La Lumia. 0. ntré. . » 301
V Esercito italiano nel passato e nell'avvenire per C. Mariani.
O. «tré. . » 303
Cecco d"" Ascoli Racconto di P. Fanfani. V. Bi OiOTanai. • 410
Vita di B.d'Alviano, per L. Lbònu. 0. Pitrè. ...» 413
/ Viaggi di G. da Mandavilla per cura di F. Zambrim.
V. B. O , . . . » 424
Sul Vocabolario poligloUo per C. Mknsingbr con prefazione di
B. E. Maineri. O. Mensinger » 426
Giovanni Villani und die Leggenda di Stesser Gianni di Pro-
cida, von Otto Hartwig. 0. ntrè » 494
Breve Storia della Costituzione inglese per E, Ricotti. 0.
«tré » 497
La veglia di Venere. Versione del latino per U. A. Amico.
O. «tré » 499
VARIETÀ
Curiosità storiche siciliane. S. Salomone-Marino. . 47-98-139
Conferenze per gli studi del Dialetto siciliano. 0. Vitrè. » 227
Lettere inedite di G. Borghi, G. Capponi, G. Pucci . . » 406
Il titolo di Don. V. B. O » 428
L^Ecclissi totale di Sole in Sicilia nel dicembre del 1870. Se-
duta delV Accademia di Scienze e Lettere di Palermo . » 433
Varietà 55-104-181.229-308-436-501
BIOGRAFIE E NECROLOGIE
Ricordo di Antonino Gattuso. O. Pardi > 49
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INDICE S19
Emerico Amari. V. Bi 0loTaiiiil » 306
Raffaele Politi. O. V i 307
Luigi Cibrario. 0. P > 307
BULLETTINO BIBUOGRAFICO
(N.B. Notiamù pir 9rdm€ alfabeiie» gU AtUori 4% cui ni parlato : U nwnéro m-
dka ìa pagina,)
Accuno A. 158. — Amico U. A. 235. — Aradas A. 108. — Battistino S. 316. —
BergmanD 6. F. 106-236. — BergmanD Karel 810. — Bertolotti A. 8ii. — Borgo-
gnoni A. i84.— BoxzoG. 234-442. —Bnscaino-Campo A. 810. — Caloiro I. 803.^
Cantù C. 107, 235, 440. — Capuana L. 443.— Cardile G. 311.— Canni I. 316.—
Gatara-Leftieri A. 315. — CerquetU A. 234. — Ciofalo 6. M. 232. — Coco-Zanghi
C. 57. — Cani E. 442. — Coslanlioo G. 236. — De CasUo G. 315. — Del Prato P.
105. — Del Rio P. 311 . — De Marchi A. 235-513. — De Pnymaigre Th. 106. — Di
Giovanni Gael. 156-507. — Di Giovanni Giov. 806.— Di Mano G. 232. — Di Mauro
di Polvica F. 106. — Di Stefano Isaia N. 805. — Pomari P. 314. — Fianceschi G.
156.— Gabrieli A. 56. — Gar T. 312. — Gaisino G. 512. — GiliberU F. 232.—
Maealvao A. 508. — Mainerì B. E. 107, 312, 508. —Maiorca G. 154. — Malato-
Todaro S. 509. — Marchesano V. 106. — Matscbeg A. 441-506. — Minà-Palmnbo
F. 57. — Morandi L. 235. — Morello P. 231. — Mulè-Bertòlo G. 236. — Mnrio-
Salvo R. 80. — Moiio-Salvo Sampolo C. 810. — Noto-Bad^e P. 804. — Orlando G.
M. 314. — Pagano V. 87. — Pasca C. 440. — Pasqaaligo C. 80. — PeDnisi-Mauro
A. 154. —Perez G. 88.— Piantierì F. Ì07.--Picone G. B. 163. — Pignocco F.
231. — Pio 0. 313.— Pìola C. 106-812. —Pompa R. 439. — RagOM D. 183.—
Ramondelta FUetì C. 60. — Righi E. S. 186. — Riolo G. 80. — Rodella G. 804. —
Sampolo L. 443.— Saya N. 314. — Sclopis F. 238-807. — Siragusa G. B. 312.—
Spano G. 233, 318, 349 — Spucbes G. 811. — Te» E. 86. — Toti A. 441. — Ùda
F. 314.- Vannncci A. 234. - Fori 4U. 807, 813, 814.-VeralU B. 4M.— Vigo
L. 108, 808. — Zambrìni F. 188, 806, 809, 813. -Zoncada A. 444.
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Séoet ehe ii#n hanne pagato il Periedie#
Dopo i vari annunzi nella copertina del Periodico e le Ire Cir-
colari agli associati che non han pagato ancora il prezzo di loro
associazione, siamo costretti ad invitarli pubblicamente acciò sod-
disfino al più presto il loro debito.
NoUrbtrtolo Filippo — Palermo L.
Simiani Carlo — laem
Saya-Moleti Prof. Scipione — Messina
Catora-Leltieri Prof. Cav. Antonio — Idem
Messina-Faulisi Michele — Alimena ,
Mastriani Prof. Giuseppe — Napoli
£3rrelli Cav. Camillo — Idem
arsala Atv. Gaetooo — Idem
Lombardi Prof. Eliodoro — Cefalo
Coco Prof. Giuseppe— Acireale
Cali Giovanni — Idem
Sbano Prof. Corrado — Nolo
Municipio di Noto
Russo Vincenzo — Partinico
Rac^suglia Gaetano — idem
Lo Vasco Sac. Giuseppe — idem
Cannisso notar Raffaele — idem
Giordano dott. Alfonso — Lercara Friddi ,
Municipio di Villalba
Florena aw. Andrea — MistretU
Lipari Biagio— Idem. ••:•••
Ministero della Pubblica Istruiione — Firenze ....
Galati-Fiorentini aw. Domenico — Idem
Amodei Pietro — Sambuca-Zabut ,
Fruscella prof. Niccola-Marìa — Campobasso .....
Sganga dott. Giuseppe — Ciminna
Impelliixeri sac. Santi — Alcamo
Biblioteca Comunale di Mantova
Inghilleri Calcedonio — Termini -Imereee
Tiiolo Vincenzo — Castelvelrano
Storiano can. Gaspare — Mazzara
Costanzo prof. Giuseppe Aurelio — Cosenza
Palazzolo sac. Antonino — Terrasini
Gabrieli prof. Andrea— Bari
Muscìotto-Juppa sac. Silvestre — Geraci-Siciilo ....
Boncooapagni prìncipe Baldassare — Roma
Russo-Signorerii can. Antonino — Paterno
Vento Arciprete Giuseppe — Sciacca
Carella Antonino— Palermo
Lombardo Gaspare — Idem
Augello dott. Pasquale — Delia
Bonomo Salvatore — Palermo
Alagna-Spanò prof. Antonino — Marsala
^caminacl Luigi — S. Margherita di Belice . . . • . .
Biblioteca della Camera dei Deputati — Firenze ...
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Totale Lire fi2fi —
// Gerente : Pietro Montaina
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