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LIBRO PRIMO
PropoiiiioDc del poema. Concilio deKli Dei,
'C ti àflecmiaa il rilorno d' Uliiie. UinL-rva
disrcndp in Itara e, lotta la fìgOM dì MFnta
re dc'Tif], conforta Telemaco eli coNiluriì
■ Pilo ed a Sparla per capere del padre e
per Dirti ancb^ egli nel tempo aleiso canosce-
rc. Banrhetto <W Proci, cioè di colora elio
richirdoii Penelope in moglie. Feoiio vi ranta
il funesto rilorno de' Greci da Trojiii e Pene-
lope, che ode il caiilo dalle fue alarne, ne
cola giù cou due ancelle e prega femio di
preodcre un altro tema. Telemaco parla con
fermezia alta madre, ed dì Proci intima un
parlamento pel giorno tegueote, e nella «uà
BljDza ritirali a ripagare.
M...
quell' uom di mollirorme in|;egno
uTruiDi die molto errò, poicli'' ebbe a terra
Gittate d' lEion le lacre turri)
Che cilià vide molte , e delle genti ,,|
L' indolconohhei che iDvr' esso il mare i .q
Mnlti dentro del cor sofferse affanni, . ,.)
Mentre t guardar la cara vita intende i
£ i tuoi cumpagai a ricoudur '■ ma iniiaritii i.,
6 om«BA
Bicondnr dettava i »uoi compagni ,
Che delle colpe lor tulli perirò.
Slolti t che osaro violare i sacri
Al Sole Iperìon candidi buoi
Con empio dente ed irri'taro il Nume,
Che del ritorno il di lor non adduste.
Beh parte alnien di si ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove figlia e Diva.
Già tulli i Greci, che la nera Parca
Rapili non avea, ne' loro alberghi
Fuor deiP arme dedeano e fuor deir onde.
Sol dal suo regno e dalla casta donna
Bimanea lungi Ulisse : il rilenea
Nel cavo sen di solitarie grotte
La bella venerabile Calipso^
Che unirsi a lui di maritali nodi
Bramava pur, Ninfa quantunque e Diva.
£ poiché giunse al fin, votvendp gli anni^
La destinata dagli Dei stagione
Del suo ritorno in Itaca, novelle
Tra i fidi amici ancor pene durava.
Tulli pietk ne risentfan gli Eterni,
Salvo Nettuno, in cui P antico sdegno
Prima non si stancò che alla sua terra
Venuto fosse il pellegrino ilfustre.
Ma del Mondo ai confini e alla remota
Gente degli Eliòpi in duo divisa,
Vèr cui quinci il sorgente ed il cadente
Sole gli obliqui raj quindi saetta,
Nettun condotto a un^ ecatombe s^era
Di= pingui tori e di montoni; ed ivi
Rallegrava i pensieri a mensa assiso.
In questo ihezzo gli altri Dei raccolti
Nella gran reggia óeìV Olimpio Giove
Stavausi ; e primo a favellar tr^ loro
Fu degli uomini il padre e de^ Celestf,
Che il-btiio Efiato nmembraTai n cui
Titta iTea di laa min la vita Ocvtl»,
L'indilo figlio dcL pia veonbia Atride.
Pgb ; disse Giove, incolperà V uom duutjua
mpre gli Dei ? Quando a' sé fieno H nati
hiibrica, de'iaoi mnli a noi dù carto»
itoliezxa lua e li ia ma desti do. '
non Iratto dal destiao, Egial» -t .!■ ..
Inpoiò d'Agamennone la donna, < ,-|< i :
£lui d» Troja ritorDato tponaei »*»'l "■ ■'
Binché conscio dell'ultima TUina'"'<'> ,-' ''
CLe 1' Argicida eiploralor Mercurip^-M^ 'l
idalo, predicagli. AittcailU >
111 isrguF dell' Atride, «J U:ai
Guinltti di lalir, che dita voadctt^ n
Ko fin Orette, come il Volto adontili •-•> '
Dell] prima lanugine, e Io ifaariiJ iiifi' ■
Vcno il TEtagl^ de' tuoi padri 'tolÌM«'i>'l ■■
Hi ipieiti di HeroarÌD;utìli ivviai i[""liii ''
Colui nrll'alma non accolte ; <|uindi.' "
Pigò il ba d'oEoi colpa in un lot jiBBla.
Di Salaino UgliuDl, padre de'HiiBi, '
le de' regnanti, coni a lui rùpoèa
L' DccbiaUDrra Minerra, egli era dritto
Che colui non vivesie: in limil foggi» i '•'•
^biunque in simil foggia Tn«.
> di doglia per l'egregio Ulna».
Dggo. Laisol cbè da' tuoi IodU«4 •' •
Giorni couduce di ramraarca'in qiiella '
liola che del mar giace nel -cuoiM' ; ' - *
E di ieUe nereggia: isola dnve - I ' :i i '
ioggioma entro alle, sue celle itcìct^' I.
L' immortai figlia di quel aaggio Atlurt*'
Cbedel ntai> tutto i più riposti' £mhIì
Conosce, e resele oolenw* irameMa
Cbe la Totta «ofwortjuio del cieloi <
PeniOMi inconsolabitr, TacCOft» 1 1,
Amia a ài6mfy*'*«a t»m,t-aBm -
8 OOIMII-
P^roìeiìe ttirénkXof $e mai
Potess«.Ìlac& »um, trargli del pelto s
Ma'.ei-non brama che veder dai tetti .
Sbalzar dtUa tua doloe Itaca jl fump, ■
£ poi chiuder per aempre al giorno i tuimi-
Itè commuovere, OlimpiOy il. cuor ti aeotttS ;
Grati d** l}]ÌMe i aagriiìci al greco
Nari le appreiao ne^ Trojani campi
Non t^ eran forae 7 Onde rancar ai: fiero,
Giove, contra Ini dunque in te a^ alletta? j
Figlia, qual tilasciaatiuacic parola .
Dalla cliioatra de^ denti ? allor* npreae- i
h* rtema dèlie nnbi addentAtórel '
Io V uom preclaro diagradii che in seaiiio
Vince tultt i mortali^ e glMiumortiili . .
Sempre onorò di «agrifici> opimi?
Nettuno.- il Nume che la terra cinge i
D"* infuriar non Vesta pel divino :
Suo Poliremo, a cui lo scaltro Ulisae
DeìV uhic'* oGclito vedovò la. fronte, ..
Benché possente più d' ogni Ciclope:
Pel divin Poliamo, ohe JTodsa
Partorì al Nome, che pria lei soletta..
Di Forco ,. re degP infecondi mari,
Nelle cave trovò paterne grotte.
Lo scuotitor della terrenai mole .
Dalla patria il desvla da quelP istante
E, lasciandolo in vita, a errar su i neri
Flutti lu sftkTxa. Or viaj pensiam del modo
Che P infelice riedk e che- Nettuno ■ ■
1*^ ire depongo; Piignerii' con tutti .
Gli fittomi éi aelo'?'! Il tbnteaehbe indarook. '.
Di Satnmo figlinbl, pa/clse de^iNumi,. ■■
De' regi fte\, replicò a* hii- la Diva
Cui tinge gli' occhi ^n'auurrina Incci^ :
Se il ritorno- d^ Ulisse « tutti aggrada^
Cbè non aì^invlADcli^ isola 'd? Ogige :>
ODISSEA
TRADOTTA
n»POLIT0 PINDEMOWTE
MILANO-
PER GASPARE TBDFPI
i^tf
IO omsaià '
Altri le mente' con forata e hi^onln '
Spugna iergeano e le meftéand ìnnan:iii
E le molte parlian fmnaóti ' camr.
Simile a un Dio nella ^beìlSiy ma lieto
Non già dentro del teny-tedoaitniti: Pfoot
Telemaco! mirava entro H 'laò spirto ■
LMnqlito genitor, qual t^.ei^ d? «Icona •
Parte spuntando,' a sberafliorlil desse ■ - <
Per 1' ampia sala gli abborriti prenci,
£ l' onor prisco a-ricovraroie-il-regno.^ ! '' '
Fra cotali pensier Pàllade acftrse',
f^è soffrendogli il cor ohe lo straniero' -'
A cielo aperto lungamente stesse | *
Dritto nsci fuor, s^ accostò ad essai prest
Con una man la sna^ con P«Urft Patta, '-
£i*queste le drizzò parole -alata
Forestier, salve. Accogli mefoto aniòo
Tu avrai , sporrai le brame tues mftprìmA '
Vieni i tuoi spirti a rinfrancar eòi oibow^ '^ '
Ciò detto, innanzK andavi^ ed il: seguis *
Minerva* Entrati nelP eccelso albergOi* ■- ■
Telemaco portò P asta, eappoggìòlUi
A sublime colonna, ove in astieni < '
Nitida molte delP invitto Ulisse ^<
DormJfano arme simili. Indi a posanti : '
Su nobil seggio con sg.abello ài piedi '
La Dea menò, stesovi sopra- ud vagò
Tappeto ad arte intesto.; e un variato - '
Scanno vicin di lei pose a aèstesso, ' '' ■ -
Cosi , scevri ambo dagli arditi' Proci , ' i
QuelP impronto fraatuonj^ ospite a menila '
Non disagiava; e delP assente padre - '
Telemaco potea cercarlo a un tempo. •'
Ha scorta ancella da bel vaso'd* oro - < '
Purissima onda nel baeSId^orgi^to - < • •
Versava, e stendea loro uoliaciodeie#|-< >^
Bo cui la i«ggi« diiipciiMei'a' traili: •
I U»BO I II
mm • ioipor cMilidiMÌMÌ tf prania
Im «cb«ie geBeroM copia }
■brai d* ogBÌ «orto in larghi piatii ,
mk Pabile aealoa, ed auree taue,
li del aneco de^ grappoli rieolaie
■ preaentava il Dandilor aolerfta.
Ittavo i Proci ed I aedili e i ttòoi
pr wdiae occaparos aciiiia gli araldi
mn atis àMQi, e dì recente paoe - -
Inloiidi eaocatri eaipiér le ancelle.- ■
■ in 4|nel «ke 1 Proci dl^ imbandito pasto
padcanljn man anperba,' incoronaro
Rieaiaùgtto lioor rnme-i' donzelli.
Brtaiif^ MI lor del pasteggiar fii pagO|
ko dd.bere il naturai talento,
r>lgein9 ad altro il core : al canto e al ballo, -
Ebe gli ornamenti ton d^ ogni convito.
h un'* argentea cetera P araldo
wwe al buon Vcmio, che per fona il canto
pn gli amanti aciogiiea. Blantr^ ei le corde
vU riceroaTa aon maestre dita,
Pciemaco,. piegando in Ter la Dea
P che altri udirlo non potesse, il capo,'
Re parlava in lai goisa : Ospite caro,
pi sdegnerai se V alma io C apro ? in mente
Boa ban eostor che suoni: e canti. Il credo.
pedono impune agli altrui deschi^ ai tlescUi
UH tal, le cui biancbe o»sa in qualche terra
Riacciono a imputridir sotto la pioggia,
Vie tvItc nel mare il.nrgro flutto.
Ri I* egli mai lor a^ affacciasse un giorno.
In più, cbe in doayo i ricchi panni e i^oroi
thn V ali Torrebb<>ru alle piànte.
n^i des'.ri l Una -funesta- morte
Hmo ei irovò, apeaie non resta, e inTano
VavellcTiami alcun del suo ritorno»
kl MiQ riioriia.U dà piò ooo a^aoceado.
la ODI88I4
Su Tia« ciò dimmi, e non m^ asconder nulla:
Chi? di che loco ? e di che sangue sci ?
Con quai nocchier venistu e per qaal mod»^
£ su qual nave, in Itaca? Pedone
Giunto per alcun patto io non ti credo.
Di questo ancor tu mi contenta : nuovo
Giungi, o al mio genitor t^ unisce il nodo -
Deir ospitalità? Molti stranieri ';
A^ suoi tetti accostavansi ; che Ulisse
Voltava in tè d^ ogni mortale il core.
Tutto da me, gli rispondea la Diva ^
Che ceruleo splendor porta negli occbi| i<
T^ udrai narrare. Io Bfente esser mi vanto,]:
Figliuol il' Anchialo bellicoso, e ai vaghi ^
Del trascorrere il mar Tafj comando.
Con nave io giunsi e remiganti miei.
Fendendo le salate onde ver ^ente
D** altro linguaggio, e a Temesa recando
Ferro brunito per temprato rame ^
Ch'aio ne trarrò. Dalla città lontano
Fermossi e sotto il Neo froodichiomosO|
Nella baja di Retro il mio naviglio.
Si, d** ospitalità vincol m^ unisce
Col padre tuo. Chieder ne puoi rautioO|
Bistnngeodoti seco, eroe Laerte,
Che a città, com'*è fama, or più non viene | ^
Ma vita vive solitaria e trista
Ne' campi suoi con vecchierella fante.
Che, quandunque tornar dalla feconda
Vigna, per dove si trae a stento, il vede^
Di cibo il riconforta e di bevanda.
Me qua condusse una bugiarda voce
Fosse il tuo. padre in Itaca, da cui i
Stornanlo i Numi ancor j che ira gli estinti' ]
L"* illustre pellegrin, no> non comparve.
Ma vivo e a fona in barbara contrada, -^
Cui cerchia un vMto uiari gelilo ctfiidelo •^'
L »... u
nnlo: la ràtlien gente crndele
Av rd a forza in barbara contrada. ' '^
W.bmche il vuoto di pnttìt o qurllo
tiai-are insipiic io non lD^arrDglll, ascolti'
llHigio non fallace che ^n i labbri ■
(Uono a me gli Elcrtii. Ulisje troppa
■ rimarrà della aua patria in bamlo,
' itringpsj^ro ancor fermi legaai. '
qnai legnili uoid di cotanti ingegni - '
rriluppani non upria ? Ha ichiclto
rtai HI tu vera aua prole? Certo ',
t capo e ne' lefitiadri orchi ait Iliratc
Ila ■rileggi tu. Pria che per Troja,
E tntin a ti chiataù di Grecia it 6orc, ' *
oslieue anch' ei io le cavate navi,
**■">>■■ ■PI* )' t"*N *o^ ''■'<'™
Mae vkito'al Wo-IUimo, ed cfli ài mW
■non lo Mm «là lai, né mv *t(Pe|U.
B il *T«4e«lé Telemaco : SinCeio
nanacr&. He di Ini nato aflteraiM
' -L E chi fn ff '
e per ti atetto conoicMic il padre T
I foai'to fiiiHa d' nn cbe usa truoquilta
«chiena cAlto ne'anoi Irlli aveaii*!
I, poicU tn mei cbìedi, al più inrdice
(li nomini la vita, utpite, io deggio,
Se ad UllMe Penelope, ripreae
IMe allor d>1k cilnire iaci,
eenerò, vollero i Dei «he gìia«
lira il tao Dome ai alcoli pili tardi.
non, dai ver tioa ti paKir: che fetta,
« tvrbv' V>' ? Q"!>' " aovrasta cura 7
avito t Woité 7 Otaial non parmi
carco di cìaaaiD menta imbandila.
rati banchetto *i ollraggioao e torpe,
e mirarlo «jmo irne la fòco d'ira
I pad ehianqué^m'tlma ia petto chiu<l«.
l6 ODIttCA
E qui gli ergi -un lepolcro, e i pia aoleti'ni'
Aeoriigli^ qual ti* MÓaitit, oaor funebri,
£ alla madre presenta * an ftkro ìpo8o.
Dopo ciò , itudia per qual morìò t Proci
Cou inganno in Bp^gm o alla .teiiperta ; ^
Che de** iraatoUi il iiunpo e del Mòtébii
Passò^ ed uscito di papillo: aei.
Non odi in levare Oreste «1 = cielo ^
Dappoi che uccise il fraudolento Egtato^
Che il genitor famoso! amagli morto?
He la mia nave aspetta- e i <roieleoinpagQÌ,
Cui forse incresce questo indiigio« tinnirò,
Di te stesso a te caglia , e'i inies senHOni
Converti. in opre:: d^ tin «roeiP<aspelto
Ti veggio, abbine il core, -acciò >rìsuoiu
Forte ne^ di futuri anco il tuo nome.
Voci paterne son, non che benigne,
D' Ulisse il figlio ripigliava ; ed io
Ouarderolle neLsen tutti i miei giorni.
Ma tu , per fretta, ohe ti punga ,- tanto
Fermati almen che in t^pidetto bagno
Entri, e conforti la dolce alma, e lieto
Con un mio donò in man torni alla nave :
Don preziosa per materia ed arte ,
Che sempre in mente mi ti serbi f dotto
Non indegno d^ un ospite die piacque.
No, di partir mi tar.dai a lai rispose
L"* occhicenilea Diva. Il bel presente
Allor r accetterò che , questo mare
Binavigando, per ripormi in Tafo ,
T^oflfrirò nn dono anrh^ io -che al tuo nonceda.
Cosi la Dea dagli occhi glauelis j e, fòrza
Infondenklogll e ardire, 'e a -lue «ri petto
La per sé viva del suo padre imago
Bavvivatado' più ancora, aUp levossi
£ veloce, com^ aquila, disparre.
I?ji mars viglia f poiché seco in neute
«no i i5
KMtUmerò al igUvd, fietea «oriti»,
Aids le freeee imger viilet, ?«leiio
Gh0 non dal UehaiMn^in coi do^Noai
In gniNfe tt twMir, «» pi»MÌa ottenne
llil padre BÌO| elio fieffamonto mollo )
lol «ii^oi eoH ài «R^enUite otaMte^
De^ Proci non. tariOf ioni (Il tn tomatie
Ireve U tH» e il maritaggio ankro.
U TBttfir cfebba dlal.tfbta gante
i Tendicarai o no , sn. le ginoecbia
ItadHgUOei. Ben di* 8gi&m|bfmrla quinei
ÌQùìà Tarla paniaire. Alle mie toaì
dorrai In mente 2 Come, il oia s^ inalbi,
VGiaci icapi a. parlamento. inrita,
lagiona franco ad casi e al popol tutto,
Ihiamando i Naaoi.in testimooio, e ai Proci
Felle lor case rientrare ingiungi.
a madre, ore desio di nuove none
futra, ripari alla magion d^ Icario ,
he ordinerà le spontaliiie , e riera
ote apparecehierà, quale a diletta
igliuola è degno che largisca un padre.
*u poi , se non ricusi un saggio avviso ,
h^ io ti porgo, aeguir, la meglio nave
>i venti e forti remator guemisci ,
, del tuo genitor moli^ anni assente ■ .
ovelle a procacciarti , alza le vele,
roverai forse chi ten parli chiaro,
quella udrai voce fortuita, .in cui
pesso il cercato ver Giove nasconde,
ria vanne a Pilo e interroga V antico
estere : Sparta indi t' accolga e il prode
enelao biondo, che dall'' arsa Trojat-
ra i loricati Àchiri ultimo giunse.
ive ed é Ulisse in sul ritorno ? Un anno|
mchè dolente, sosterrai. Ma dove
» sapessi in P Ombre, in patria riedi
iS 0DI8SBA
Giore li manda, e<l a cui vuole e quando.
Perchè Femio racconti i tristi casi
De"* Greci, biasmo meritar non parmi ; |
Gilè quanto agli uditor giunge più nuova| '
Tanlo più loro aggrada ogni cantone.
Udirlo adunque non ti gravi, e pensa »
Ghe del ritorno il di Troja non tolse f
Solo ad Ulisse : d^ altri eroi non pochi i,
Fu sepolcro comune. Or tu risali .%
Nelle tue stanze, ed ai lavori tuoi » |
Spola e conocchia, intendi| e alle fantesche -jj
Commetti, o madre, travagliar di fonuu
Il favellar tra gli uomini assembrati .t|
Cura è delP uomo, e in que>ti alberghi mia
Più che d'ingoi altra; però ch^ io qui reggaci
Stupefatta rimase e , del figliuolo
Portando in mezzo V alma il saggio delto^
Nelle superne vedovili stanze
Kitornò con le ancelle. Ulisse a nome n
Lassù chiamava, il fren tentando al pitotol [
Finché invìolle 1' occhiglauca Palla 'f
Sopitor (Vgli affanni un sonno amico. •<!
I drudi, accesi via più ancor che prìnt n
Del desio delle nozze a quella vista, j
Tumulto fean per V oscurata sala.
E Telemaco ad essi : O della viadre
Vagheggiatori indocili e oltraggiosi.
Diletto dalla mensa or si riceva ,
Né si schiamazzi, mentre canta un Tate
Che uguale ai Numi stessi e nella Toce.
Ma , riapparsa la belP Alba , tutti
Nel Foro aduneremci, ov** io dirovvi
Senza paura che di qua sgombriate {
Che gavazziate altrove ; che V un V àììrfk
Inviti alla sua volta, e il suo divori.
Ghe se disfare impunemente un solo
Vi par meglio, seguite. Io delP Olimpo
-*• ™ Ji iti"" "M.. . 5 '^''
"•» 1.1* i'°'"'"iip ,;?■,,.
■pi«"d= I..,,,' ""?'!.. a iL""««ii
^'. «tire A, ■"'^ -ii tmnj
''■'•■■»'r„i''""'l"PoSi°'
'"> Ittca '" ; né d' • '
" """.. Si '""" "•'•'°°' '"'■
.vr.'°"'''"'m.'r',"pp"'/
•'■■"'"■'""'Ì't'' "*.„,.
"" P^'« ^ "" -iMparri '"'°
''Vello.
90 cmutk
Ah 9 ripigliò il ganon, del genitore C,
S?id1, figlio di'Polibo, il ritorno ! .^,
Giungano ancor novelle , altri indoTini .^,
L^ avida madre nel palagio accolga, L
Nèindovin più né più novelle io caro. .
Ospite mio paterno e il forestiere,
Di Tafoy ftlente, che figliuol si vanta
Bel bellicoso Ancbialo e ai Taf] impera.
Tal rispoudea : ma del ino cor nel fondo
La calata dì ciel Dea riconobbe.
1 Proci al ballo ed al soave canto
Bivolti trastullavansi, aspettando
Il bajo della notte. Della notte
Lor sopravvenne il bujo, e ai tetti loro
Negli occhi il sonno ad accettar n^ andaro. ■
Telemaco a corcarsi ove secreta
Stanza da un lato del cortil superbo
Per lui constratta si spiccava alP aura
Salse ^ agitando molte cose in mente.
£ con accese in man lucide faci
Il seguiva Euricle'a, V onesta figlia
D^ Opi di Pisenòr, che già Laerte
Col prezzo comperò di venti tori, ,
Quando fioriale giovinezza in volto :
Né cara men della consorte V ebbe.
Benché, temendo i conjugali sdegni, ^
Del toccarla giammai non s^ attentasse.
Con accese il 9eguia lucide faci :
Più gli portava amor che ogni altra terrSi
Ed ella fu che il rallevò bambino.
Costei gli apri della leggiadra stanza
La porta: sovra il Ietto egli »' assise ,*
Levò la sottil veste a se di- dosso ,
£ all' amorosa vecchia in man la pose |
Che piegolla con arte e alla caviglia
L^ appese accanto il traforato letto.
Poi d' uscire «ffrelU^asv i U \^otU
uno 1
■• dietro per Pud iP argento,
• lane, e A chitTiatello corte,
un ^r molle di tenuta lana
geà del tao eor per auelP intera
U OUBIBÌJ;! die gli ladilò Miner? a.
91
^«•w
ì
LIBRO SECONDO
ARGOMBHTO
III
Convocazione del parlamenio. Teleini
richiama de^ Proci al popolo £ agli ottii
Anlinoo, capo di quelli e il più temeri
ritorce V accusa contro la madre e vuole
et la costringa di scegliersi un nuovo mai
tra essi, mercechè il ritorno d^ Ulisse n(
più da sperarsi. Ma il tìglio gli risponde
dover f^r ciò né potere. Giove manda
aquile ; donde il vecchio Aliterse pronosti
vicino il ritorno d^ Ulisse ; e n^ é iugiurii
da Eurimaco, P altro capo de^ Proci, ma
ribaldo. Dimanda che Telemaco fa d^una na!
per andare a Pilo ed a Sparta. Mentore
studia di eccitare il popolo contra 1 Pi
e Leocrito il minaccia e scioglie il parlanusi
Telemaco, ritiratosi in riva del mare, prie
Minerva , che gli appare sotto la 6gura
Mentore e P assistenza sua gli promette,
rientra nel palagio e richiede la nuti
Buricléa del viatico. Dolore di questa per
partenza. Giunta la notte, il giovinetto imhèi
casi con Minerva, che, pur sotto la figura «
Henture, Paccoiupagua.
It
la figik del mattìa, la beffa'
dita di rofe Aarora^ tuive,
di letto aDehe ti Bgljool cP Vììme, *
panni vetU, «oipe«e il braodó
k pendaglio alP onero, i leggiadri
Ili strinse sotto i molli piedi ,
a stanaa usci rapidaiaenre
ad un degP immortali in Tolto.
agli araldi dall'* arguta Toce
tre impose i capelluti AcIiìtì ;
J, al gridar loro sceoni in fretta^
^ragonaro, s* aflbllarow £i pure
irlamento s^ avviò : tra mano
li andaste di polito rame,
inchi il seguian cani fedeli.
eiaseuBf meotr^ ei mutava il pa9S0|
itemo sédii, che dai veccbioni
K In ecdut^ ad occupar sen già:
Mata in quei punto é sì divina grazia
fKse d^ìniornoa lui Pallade amica.
Cbi ragionò primiero ? Egizio illustre,
\t il dorso avea per P dà grande in arco
Ni vario saver ricca la mente,
li le navi d** Ulisse alla feconda
K Bobili destrier ventosa Troja
Udo il più caro de^ figliuoli, Àntifo \
Islni die morte nel cavato speco *
I Ciclopc crudel, che la cruenta
riebandì del suo corpo ultima cena.
bl figli al vecr.hio rimuncan : P un, detto
brinomo, co** Proci erasi unito,
»aU« coltura de^ paterni campi
iKiedean gli altri due. Ma in quello, in quello
he più non ha, sempre s"* affisa il padre,
bt nei piaU» i di passa e che sì fatte
^4 0DI8SBA.
Parole lUor, pur lagrimando, sciolte s
O Itacesi, uditemi. Nessuua,
Dachè Ulisse levò nel mar le vele.
Qui si tenne assemblea. Chi adunò questa?
Giovane, o veglio ? E a die? Primo udì fofie
Di estrania gente che s** appressi armata ? ^
O d^ altro, da cui penda il ben comune.
Ci viene* a favellar ? Giusto ed umano
Costui, penso, esser dee. Che che s"* aggiri
Per la sua mente, il favorisca Giove ! ,
Telemaco gioia di tali accenti^
Quasi d^ ottimo augurio, e sorto in piedi»
Che il pungea d"* arringar giovane brama.
Trasse nel mezzo, dalla man del saggio
Tra gli araldi Pisenorc lo scettro
Prese e, ad Egizio indi rivolto, O, disse.
Buon vecchio, non è assai quiuci lontane
L^ uum che il popol raccolse : a te dinaiiii.
Ma qual, cui punge acuta doglia, il vedi.
iJon di gente che a noi s'' appressi armat«|
riè d^ altro, da cui penda il beiF comunei
10 vegno a favellarvi. A far parole
Vegno di me, d^ un male, anzi di duo.
Che aspramente m' investono ad un^ ora.
11 mio padre io perdei? Che dico il mio? *
Popol d^ Itaca, il nostro : a tut(i padre.
Più assai che re, si dimostrava Ulisse.
£ a questa piaga ohimè! P altra s'' arroge^
Che i)gni sostauza mi si sperde, e tutta
Spiantasi dal suo fondo a me la casa.
Mojoso assedio alla ritrosa madre
Puser de' primi tra gli Achivi i figli-
Perche di farsi a Icario e di proporgli
Trepidan tanto che la figlia ei doti
£ a consorte la dia cui più vuol bene 7
L^ intero di nel mio palagio in vece
Banchettau laatameute, e, il fior del gregge
*i a5
Itoigfndo e dell^ tmenìoi « la rieohiM
JkBm BiigUor Tendemmui oroe TÒUniloy
Tifim di tm94 né t^ ha no leooodo DJìm^,
'^it ftgombnr à* infra noi Taglia tal peste,
da tanto non son, né aguale all^ opn
la ae ai trova etperienia e fona.
Oh coaà le a?«M^ io, com* io le bramo t
! kieia che il lor peoear Tarca ogni tegno,
= % ohe pia B^ iBge^ con infamia io pero.
'Deh sfaccenda in toì pur nobil diipettoj
Temete il biaimo delle genti intomO|
DegT immortali Dei, non forte cada
DeUe colpe de^ Proci in toì la peBa,
L^ ira temete. Per l'Olimpio Gìotc,
Per Temi, che i consigli assembra e aclogliei
Costoro, amici, d' aizzarmi contro
destate, e me lasciate a quello in preda
ConlogUo sol, che il genitor mi reca.
Se non che forse Ulisse alcuni offese
Be'* prodi Achivi, ed or s"* intende i torli
Veodicame sul figlio. E ben, yoì stessi
Stendete ai beni la rapace destra :
Meglio fora per me, quando consunti
Suppellettil da toì fossemì e censo,
Da Toi, dondMo sperar potrei restauro.
Vi assalirei per la città con biande
Psrole ad uno ad un, ne cesserei
Cbe tutto in poter mio prìa^ non tornasse,
E di nuovo r ergesse in pie il mio stato.
Ma or dolori entro del petto, a cui
Non so rimedio alcun, toì mi versate.
Detto cosi, gittò lo scettro a terra,
Ruppe in lagrime d** ira, e viva corse
Di core in cor nel popolo pietade.
Ma taciturni, immoti e non osando
Telemaco ferir d^ una risposta,
lutti starano i Proci. Antiuoo solo
a6 OOIMBA.
Sorte e arringa : Telemaco, a cui bolle
Nel petto rabbia cbe il tuo dir sublimai
Quai parole pari as li ad outa nostra ?
Improntar acvra noi macchia si nera?
Non i migliori degli Acheit la cara
Tua madre, e r arti ond^è maestra inco1|
Già il terso anoo si volse, e or gira il quar
Che^ degli amanti suoi preudesi gioco.
Tutti di speme e d"* imprumeiise allatta,
Manda messaggi a tutti, ed altro ha in co:
§ue8to ancor non pensò novello inganno ?
eia sottile, tela grande., immensa,
A oprar si mise, e a sé chiamonnlMje .disse ;
Giovani, amanti miei, tanto vi piaccia.
Poiché già Ulisse tra i defunti scese.
Le mie nozze indugiar, ch^ io questo possa
Lugubre ammanto per Tcroe Laerte,
Acciò le fila inutili io non perda,
prima fornir che V inclemente Parca
Di lunghi sonni apportatrice il colga.
Non vo^che alcuna delle Achce mi morda,
Se ad uom che tanto avea d"* arredi vivo
Fallisse un drappo in cui giacersi estinto.
Con simil fola leggiermente vinse
Gli animi nostri generosi. Intanto,
Finché il giorno splenilea, tessea la tela
Superba, e poi la distesitea la notte
Al complice chiaror di mute faci.
Così un triennio la sua frode ascose,
£ deluse gli Achei. Ma come il quarto
Con le volubili ore anno sorvenne.
Noi da uu^ ancella non ignara instrutti.
Penelope trovammo cbe la bella
Disciogliea tela ingannatrice : quindi
Compierla dovè al fin, benché a dispetto.
Or, perché a te sia noto e ai Greci il tu ti
Ecco i'isposta che ti fauno i Proci.
1 thfoÉ ^ | ii>ii i> e a. tono • à fa utate
I À iipMir eotfriagìla. 'Mft4in«»
K.Uw|lBM«di9 oMè la Qfsè Mhwrrai .
■ Oiata'fiiniPtte e^ii^otla «iomgiio
l^lArio ngaiiB^ « fteoorgineoti dìttUe
it^l wH mm •* udir mai né àmìP aoti«lie •
■ K Greeia donne dallo balle liofoa,
11^ Akubepoi Miaana, a cai le nienti
mBH à latoantiàr m^ non Borirò |
? I J|>n creoesM lo^go . tempo a>l»ada
■ Taieràanoar^:Ultiia^priidensa usata
;lQn PalibaMoncrìa. noi tanto il figlio
■ faméercm, qnanto la madre in core
■ lerbeii .quatto tuO) cbe un Dio le inifise^
i-m StnÉb-propOitOi Eterna gloria fono '
■ i lè procaccerà, omi |[ran difetto
W Bi fettovaglia a te) mentre noi cerio '
V Bt te penaìjm non istaccarci, 8^ ella
r (^wì che le aggrada pia pria non impalma. -
l lo, rispo;^ Telemaco, ai casa
' Colei sbandir donde la vita io tengo ?
Dal cui lattante sen pendei bambino ?
Grave in oltre mi fora, ov'' io la madre
Dipartissi da me, sì ricca dote
Tornare a Icario. Cruccieriasi un giorno
L^ amato genitor, che forse vive,
Beocbè lontano, e puqirianmi i Numi)
Perch^ ella, sluntanandosi, le odiate
ImploreVia. vendicatrici Erinni.
Cbe le genti diriln ? No , tal congedo
Non sarà mai cb^ io liberi dal labbro.
L'avete voi per mal? Da me sgombrate;
Gozzovigliale altrove} alterMamente
L^ua V altro invitile il suo retaggio scemi.
Che se disfare impunemente un solo
Vi par meglioi seguite, lo deii'Oliippo
Gli abitatori inyoeberò, né «enza
Speme che il Satornide • tai misfatti
La debita mercè renda, e cbe inulto .
Scorra nel mio palagio il vostro sangue.
Si favellò Telemaco, e dalP alto
Del monte dne volanti aquile a lui
Mandò P etemo onniveggente Giove.
Tra lor vicine^ distendendo i vanni,
FendeaQ la vana regifon de"* venti.
Uè pcima far delP assemblea sul metto,
Che si volsero in giro e , ì* ali folte
Starnazzando^ e mirando a tutti in faccia,
Bforte augiararo t al fin, poiché a vicenda
Con r unghie il capo insanguinato e il collo
S^ebberi volaro a destra e dileguarsi
Della città su per gli eccelsi tetti.
Maravigliò ciascuno ; e ruminava
Fra sé quai mali promettesse il fato.
Quivi era un uom di molto tempo e sennOi
Di Mastore figliuol, detto Àliterse,
Che nelP arte di trar dagli osservati
Volanti augelli le future cose, ,
Tutti vinceva i più canuti crini.
Itacesi, ascollatemi, e più ancora
M^ascoltin, disse, i Proci, a cui ilavante'
S^ apre un gran precipizio. Ulisse lungi
Da^ cari suoi non rimarrà molt^ anni.
Che parlo ? £i spunta, e non ai soli Proci ^
Strage prepara e morte t altri, e non pochi |
Che abitiam la serena Itaca, troppo
Ci accorgerem di lui. Consuftiam dùnque
'Come gli amanti, che pel meglio loro
Cessar dovrian per se, noi raffreniamo.
Uom vi ragiona de** presagi esperto
Per lunghissima prova. Ecco maturo
Ciò elisio faticinai, quando per Troja
Scioj[lieano i Greci, e Ulisse ancb^i sarpata*
Auti
rt-arccetijf' p ""fila figj,- i
3(> OSISSBJl
Ne ad altre donne and rem, quali ha V Acaja
Degae di noi, perchè cagion primiera
DelP illustre contesa è la TÌrtude. ì
Eurimaco e voi tatti, il giovinetto -' j
Soggiunse allor, competitori alteri, ^ "^
Non più : già il tutto sanno uomini e Dei.; 1
Or non vi chiedo che veloce nave |
Con dieci e dieci poderosi remi , * i
Che sul mar mi trasporti. AlParenOaa \ .' ì
Pilo ed a Sparta valicare io bramo, !
Del padre assente per ritrar s^ io mai
Trovar potessi chi men parli chiaro , '
O quella udir voce fortuita in cut
Spesso il cercato ver Giove nasconde.
Vivrà? ritornerà? Benché dolente, '
Sosterrò un anno. Ma se morto e éktto
Cenere il risapessi, al patrio nido '
tliederò senza indugio; e qui nn sepolera .
Gli alzerò, renderogli i più solenni j
Qual si convien, fùnebri onori , e un altro ,
Sposo da me riceverà la madre.
Tacque e s"* assise ; e Mentore levoasi ,
Bel padre il buon compagno, a cui su tutto
Vegghiar, guardare il tutto, ed i comandi
Seguitar di Laerte, Ulisse ingiunse
Quando per Talto sai mise la nave.
O Itacesi, tal parlava il saggio
Vecchio, alle voci mìe V orecchio date.
Né giusto più , né liberal, né mite,
Ma iniquo, ma inflessibile, ma crudo
D^ ora innanzi un Re sia, poiché tra gente
Su cui stendea scetho paterno Ulisse
Più non s^ incontra un sol cui vìva in core.
Che arroganti rivali ad opre ingiuste'
Trascorran ciechi della mente, io taeoio.
Svelgono^ è ver, sin dalle sue radici
La casa di quel Grande, a cui disdetto
vno il lìtonir, nu In rftddò aléMo ' *
■m Ja vita. 0en mé^ W'-Édiro ^
t VOI, ohe nati ed infinyMii « tHI>. :.'
ilite llf ne d^vn'tel ttioth^ Il ^toalii» : '
im inclito aitate, ^hinèl ètd pi^, ' ^
tno i nM>lti fovorehialt • Tinti. .
lentor,noq to^al Mite imdiieeyfll'itMtd^
«rito d* Bvcoorir rttpote, '
t Bui dicetto ? Gontara- nói tal ardlid '
wpolo «eeilar ì Hon lieve lnip#eàt '' V '
a cente aMalIr Ae^%k mcMa ' -^
ndiiea V •'■il e i pneer.titoi.-difbrida^ V
In •tetto Re iP-ltaea tornato ; "i
«eUr tantaiM i banchettanti; PrML' •'
ino del SfM ritoimo ante' dilètto ^' '!' '
està Mia donnei ehe il sospira taitfo,- '
■orìre' il vedrla àiorte eradele,
tohè tra moki ei combattette s qnlndl'
l tuo parlar la Tanità si scorge.
, sa Tia, dÌTÌdete?i e alle vostre
scende osate vi rendete tutti,
ntòre ed Aliterse , che fedeli
Felemaco son paterni amici ,
i mctteran qoesto viaggio in ponto:
3ch^ ei del padre le novelle , in vece
cercarle lol mar , senza fatica
aspetterà nel suo palagio, io credo,
ise e ruppe il concilio. I cittadini
ogiieansi \' un dalP altro e alle lor caie
a e là s^ avviavano : d^ Ulisse
ritiraro alla magione i Procii.
Ma dalla turba solitario e scevro
Umaco rìvolite al mare i passi ,
mani asterse nel canuto mare
supplicò a Minerva : O Diva amica,
e degnasti a me ier scender dal cielO|
iender V ondo ariaponeétì^ un padre
Ss ODIt)»
Per rintracciar che non riloroa mai,
Il tuo jolo favor puommi d*»aiite - . *
GV inciampi tor che ni opporcinoo i Gh4;,
E più, che altr' uomo in Itaca, i in«l?«p .^
Proci, la cui juperbia ogHOf più inonU.
Coti pregava ; « se gli pose 4ilata
Con U faccia di Mentore 6 lj voce
Palla e a nome chiamollo e feo Ui detti;
Telemaco, né ardir giammai ne aeniro
Ti verrà nen, le li virtù col laogu»
Traifuae in te Tcracemenlc UJ>«e,
Che quanto impreso ivttt, quanto avea detl^
Compiea mai-sempre. Il tuo riaggio a v4ta'
Non andrà, qual temer, dove tu figlio
Non gli folli, io dovrei. Vero <è che ip«NS i
Dal padre il figlio non ritrae : rimane
Speisoda lui lut^O iotercallo indietro,
E raro è aiaai che aggiungalo od il paiti ,
Ma lenna a le non verrà men , né ardire,
Ed io vivere Ulitie in le già veggo.
Lieto dunque degli alti il fine aperai
He l^ anga il vano macchinar de' Proei ,
Cile non sentono, incauti e ingiuiti al pire,'
La nera Parca cbe gli aiial da tergo
Ed in un giorno sol tutti gli abbranca.
Io , d' Uliue il compagno, un tale aJQta
Ti poT|;erò che partirai di corto
Su parata di' me celere nave
E con me itCBio al Banco in ni la poppa.
Oriù, ricnlrn ne] palagio, ai Proci
Nuovamente ti mostra, ed apparecchia
Quanto al viaggia <i richiede, «il tutto
Biponi 1 il bianco celle denie pHl
Gran macinato , oh' è dell' uom la vita ,
E nell' urne il licor che la rallegra.
Compagni ■ radunarli io fretta io movo,
Che li tqiouo allogri. Ha in r areu
Il , n
ftiìfpM^^^ir«^li■^■ Itfiw vaivi r •• ^ >.»
wMior Mt|i»irii Tdaulptyiaji/ .
A GI«Téla Mlcit0:jQia. ;> ,, ,
, 1^ «Miiti 4|dU Dir» wiW>
la|pav* TdiMMOÙ. JJ Mki(i*t /
MtoJdlaaeBtey iro-awclloiii i .
•ve i Praoi, dbe a teojar ci^|ireUjy .
iqrtiUi inUndattia. Il ^9 appena «, .
iPl fc fneontro aonbuiaiido , «.{1 pMii
vanaAatiiioQ • gunurlò i» tal.jpKaftj
idibiB arringar 9 na fotta pOMw. ^
hmkU^ lealaMo, oBni.rannani .
ob dd patto ) e, qnal tolaH» «4ipra ir ..
indai il dento, a <i aoloii nmi.aaalaia»
a ip AcM t' dlcf|in& di iNiCto t
I e raniigi delti,^ «ecìo lo poaaa ^
» laccando alla 'divina PilOy.
tr del padre tuo dietro alla lanMU
Tdemaco ellor: Sedermi a menta
voì| tuperbi, e una tranquilla gioja
'arvi , a me non lice. Ah non vi baaia
jhe de^ miei più preù'osi beni
I prima eU mia voi mi rapiste?
>r eh' k> posso delPaltmi saggetsa
vrmi y e sento con le membra in petto
ciutami anco Palma, io disertarvi
jerò pure , o eh"* io qui restì , o parta.
parto 9 e non iovan , spero , e su nave
9 non mia , quando al figliuol d^Ulisse •
io sónbravi sconcio, un legno maneal
rispose cmeeiato , e destrameule
I man d* Antinòo la sua disvelse..
k il eonvilo apprettavano, rà acerbi
i Èfnùearjm dalie Ubbn i Proci. ^
34 ODISiBA
Certo, dicea di que' protervi alcuno,
Telemaco un gran danno a noi disegni
Da Pilo ajuti validi^ o da Sparta
Menerà seco, però clipei non>i#e
Che dì 8Ì fatta speme : o al suol feooi
D^ Efira condurrassi, e rftrarrantie
Fiero velen, che getterà nelP urne
Con man furtiva; e noi berem la moi
£ un altro ancor de"* pretendenti audi
Chi sa eh' egli non men, sul mar Tig)
Dagli amici lontano un di non ttiooji
Come il suo genitor ? Carco piò grav^
-Su 1« spalle ne aTremroo ; il suo reta
Partirci tutto, ma la casta madre,
E quel di noi^ ch^ ella sceglieste a ape
Nel palagio lasriar sola con solo.
Telemaco frattanto in quella soete
Di largo giro e di sublime volta
Patema sala, ove rai biondi e rotti
L^ oro mandava e V ammassato raoN
Ove nitide vesti e di fragrante
Olio gran copia chindean Parche in g
E presso al mirro ivano mtorno molte
Di vino antico, saporoso, degno
Di presentarsi a un Dio, gravide botti
Che del ramingo travagliato Ulisse
Il ritorno aspettavano. Munite
D^ opportuni serrami eranvi, e doppii
Con lungo studio accomodate imposte
Ed Euricléa, la vigilante figlia
D' Opi dì Pisenorre, il di e la notte
Questi tesori custodia col senno.
Chiamolla nella sala, e a lei tai Toci
Telemaco drizzò: Nutrice, viuo,
Sa via, m^ attigni delicato, e solo
Minor di quel che a un iufeliee terbi ,
^e mai, «campato dal de&V'm di moflc
usAo 11 35
GoapiriMe tM aoL Dodici n^eiiipt
XwKf e tutte le sosgcIU- Venti
Di Biciiuito gran gioite aìiur»
Vouflu ancor ue^ fedeli otri, e il lutto
Colloca in nn : ma tappilo tu sola.
Coaw la. notte alle Mprme ttanie
U BMdre inviti, « al solitario letto,
VnÌMÌ eoM io verrò I che Paranoia
Pilo viflUr voglio e la ferace
Spirta, e ad entrambe domandar del pa<lre.
Die lya grido, icoppiò in lagrime e 4al patto
Earidéa volar feo iquette parole:
Donde a te, caro fisiio, in mente cadde
Pentiero tal ? Tn, V unico rampollo
Di Penelope, tu, la nostra gioja,
Per tanto mondo raggirarti ? Lnnge
Dal suo nido peri T inclito Ulisse
Fra estranie genti : e perirai tu ancora.
Sciolta la fune non avrai, cbe i Proci
Ti tenderanno agguati, uccideranti,
E tatte partiraonosi tra loro
Le spoglie tue. Deh qui con noi rimani,
Con noi qui siedi, e su i marini campi.
Che fecondi non son c^he di sventure.
Lascia che altri a sua posta errando vada*
Fa cor, nntrice, ci le risponde tosto :
Senza un Nume non è questo consiglio.
Ma giura che alla madre, ov' aura altronde
Non le ne giunga prima, e ten richiegga.
Nulla dirai, che non appaja in cielo
La dodicetm' aurora ; onde col pianto
Al sno bei 4X>rpo ella non rechi oltraggio.
h* ottima vecchia il giuramento graodo
Giurò de^Numi; e a lui versò ne^cavi
Otri, versò neU^ anfore capaci,
Le candide farine e il rosso vino.
Ei, nella sala un^ altra volta entrato,
56 ODISSBA.
Tra i Proci s^arTolgea: ne in crueito mezM
Stavasi indarno la Tritonia Palla.
Vestite di Teleriiaco le forme.
Per tutto si mostrnva, ed appressava
Tutti, e loro ingiiingea che al mare in rin
Si raccogliesser nottetempo, e il ratto
Legno cbiedea di Fronio al figlio illastre,
A Noeroòn, cui non chiedealo indarno.
S^ ascose il Sole, e io Itaca omai tutte
S^ inombravan le vie. Minerva il ratto
Legno nel mar tirò, V armò di quanto
Soffre d^ arnesi un^ impalcata nave,
E al porto in bocca V arrestò. Frequenti
Si raccoglieano i reroator forzuti
Sul lido, e inanimavali la Dea
Dallo sguardo azzurrin, che altro disegno
Concepì in mente. La magion d^ Ulisse
Kitrova, e sparge su i beenti Proci
Tal di sonno un vapor, che lor si turba
L"^ intelletto e confondesi, e di mano
Casca sul desco la sonante coppa.
Sorse, e mosse ciascuno al proprio albergo,
Né fu più nulla del sedere a mensa :
Tal pondo stava su le lor palpebre.
Ma rorchigrauca Dea, ripreso il volto
Di Mentore e la voce, e richiamato
Fuor del palagio il giovinetto, disse:
Telemaco, ciascun de' tuoi compagni,
Che d^ egregi schinier veston le gambe.
Già siede al remo, e, se tu arrivi, guarda.
Ciò detto, la via prese, ed il garzont
Seguitavanc V orme. Al mar calati,
Trovar sul lido i capelluti Achivi ,
Cui di tal guisa favellò la sacra
Di Telemaco possa : Amici, in casa
Quanto al cammin bisogna, unito giace :
Trssparlarìò k mestieri. Né U madre
lUKo n S,
M.ftu,r«h«a
na, il mio peniier le incetle.
Kcqueekr.
nttùiiinamii e quelli dietro
Daneli- ]o<lì e
L>ii l'anfote e con gli olri,
«d-Ul»seil
MTO lìglia ingiuiue.
nella lalda
Il garion sopra n lalse
dd Palude, clic tu poppa
, leciiito ei le ledeai la fune
migaitti icìoImi'o, e montaro
pm nave anpVetti, e i baoabi empierà.
U Dea dalie cerulite loci
ifr^i verso 1* Otcidente un Tenia -
tttro, gagtiardo, rbe liattendo Tenn*
I pel tremulo mar 1' ale lonanti.
ino agli atlrexii, allot gridava
j ot' è 1' aibcro 7 I compogui
. .. e il groaso e loÉfo abfte in atta
Ìllriiara, e V impiantai ilWilro la -cava
lue, e di carda Tannudiro aì piede:
Poi liraTaDO in lu le biancbe Tele .
CoD bene attorti cuoi. GanSò ntl meno
U lele il vento; e forte alla carena
L'iiiurro mar romoreggiava intorno,
ìlealrF la nave sino al Gn del corso
1' Surelemeolo liquido volava.
l'gili i remi del naviglio ai Ganchl,
Wronaro di vili maschio l'urne,
1 1 ciascua degli Dei sempre viveoli
Lituro, ma più a le, Gglia di Giove,
' C^ le pupille di cilestro tingi.
II miglio correa la notte intera,
liei sao cono al Gn giuogea eoa l'alba.
LIBRO TEHZO
AfTiTo di Teleniaeo a Pilo, waentre
sagrìficaTa solentienietite a ffettuno* Il Bé
accoglie cortcti*iDente. Telemaco te gif '^
conoscere e dimandagli ^novella m
Urttore racconta ciò che nel ri tomo da
è avvenuto a tè e a^^ altri eroi della G
fermandosi più a lM%o sopra Agameni
Ma d'Ulisse nulla sa dirgli: bensì 16 censii
di andare a Sparta e richiederoe Menehtf p
che gianse di fresco dopo un lungo viagdlC
Sparisione di Minerva, ohe sotto la figuraoV
Mentore avea accompagnato Telemacb. Unì
atore, chela riconobbe, le fa il dì appressofMl
sagrifizio solenne; e commette a Pisisfratsùi ntfl
de^suoi figli, di condurre a Sparta Telemicè
•ovi-a un cocchio. Partenza ae^ d\ie gutùm
au falba del giorno seguente.
Uscito delle salse acque vermiglie
Montava il Sole per Teterea voha
Dì bronzo tutta, e in cielo ai Dei recava ^
Kd agli uomini il di sulPalma terra:
Siuando alla forte Pilo, alla cittade
ondata da Ncléo, giunse la nave.
SUyàDO allor sagrificando i Pilj
f •
i «owi Iwnl,*» od» f ÉÉ I ili .. ■>
vcsk dirittiwieBte a pr^^d»,
b MMMikiàr, pigliaiw. il pdflpy
)• é gHtaro. £ì par gittoé4.
ìm^ « MWTM il pMÌM4e%.
• aiiK ooqlbi 4i. cendeo ;tu»|i>.
K mff i H .^ giopa primiem *
^dqpor, liilU oMpU di »^.
M^mmw^ Il Bwr.pauMti»
réitov.d|ìnjinaMdii»«a,qiMili| ;
rÌ Miiji Bit — L ilMefOi», padn^
|M|iig,iri|jto aldQOMtor. I?«im
Mi Bw rt i pr rey onde n rn9fi '
■U celftCo nella menta porU.
daini, te tu nel chiedi, av»aie
à ipentir non pa6 cotanto senno*
inipente Teleoiaco rispose:
mi per qnal modo al B<*ge amico
Btterò? Cfon qua] saluto? Esperto,
ano ancor del favellar de^saggi:
Mente pndor, che a far, parole
»ei col più Tecchio il nven dVtada.
di tal gaisa ripigliò la Dea
ilfttrino lume i rai colora t
laco, di ciò che dir dovrai
da $k ti nascerà nel corei
nel cor la ti porranno i Nami:
dispetto di questi in Juce, io crfdO|.
^ mandò la madre e non ti^cfebbe.
ti, parlando, frettolosa innansi
a ampcàti le i|nfi#T.a ìqj^ . ...
4o ODISSEA
Fur tosto in mezzo alPassemblea de^Ptljf
Ove . Ne.stor sedea co'^fìgM suoi,
Mrntre i compagni, apparecchiando il pa49
Altre avvampavan delle carni , ed altre
fi egli spiedi infiliavanle. Adocchiati
Ebbero appena i forestier, che incontro
Lor si fero in un groppo, e gli abbracciarsi' '
E a seder gl'invitaro. Ad appressarli
Pisistrato iu il primo, un de'figliaoli
Del Re. Li prese ambi per mano' e in molli
Pelli , onde attappezzata era la aabbia,
Appo la mensa gli adagiò tra il caro
Suo padre ed il germano Trasimede:
Delie viscere calde ad ambi porse; '
E, rosso yin mescendo in tazza d\)ro
E alla gran 6glia delPGg/oco Giove '
Propinando^ Stranier, dissele, or prega
DelPacque il Sir, nella cui festa, i nostri
Lidi cercando, t'abbatteteti appanto.
Ma , i libamenti , come più s^ addice^
Compiuti e i prieghi, del licor soaw
Presenta il nappo al tuo compagno, in coi
pur 8^ annida , cred'^io, timor de^ Nomi ,
Quando- ha mestier de^ Numi ogni vivente»
Meno ei- corse di vita, e d^anni eguale
Par^i con me: quiudi a te pria la coppi*'
E il soave licor le pose in mano.
Godea Minerva che Tuom giusto pria
Offerto il nappo d'acro avesse a lei,
E subito a Neltun così pregava :
Odi, o Nettuno, che la terra cingi,
E questi voti appagar degna. Etema
Gloria a Nestorre, ed a^ suoi figli in primi
E noi grata mercede tt tutti i Pilj
Deirinclita ecatombe. Al mio compagno
Concedi in oltre e a me, che, ciò fornito |
Perche teaimmoy lu le patrie 'arene
tgrmtarniain rapida nan.
^licava e «dempiere tnteadn
iti ella ttrasa. Indi al ^arzDDS '
>fìFri geinina coppa e tamia ,
guai preghiera il caro Bglìa
alzò. S'abbroaloUro in Unte
I cosce, degli spiedi acoti
^ro e ai spartirò: at Bne
cembro prandio sol enne.
al suo tÌD, coti principio ■
Screnio cavalier N«torre :
i ricercare nilora 6 bello,
bi e di Tini hanno abbastanza '
il pello, e rallegrata il core. <■
i, chi giete7 e da quai lidi
! a frequentar l'ainide strade?
t voi forieF O v'aggirate,
«ali, che la dolce vita,
ere ad attrai, rischiaD sul mare?
ICO, a cui Palla un niioro ardire
•eoo, acciò del padre aliente
oterrogaue, e cbiaro a un tempa
rgMse per le genti il grido,
Icliei, rispose , illustre Tanta,
K ai deiir tuoi aou pmtv.
I daUa aeduta a pia del Nea
*»tre , ed è caji»D privata
k> ci menò. Del padre io- nttm»
la rama, cbe rrempie il taaàào, ' '
laoimo Uli«a>, onde vactsnhi' ' ' ' '
Toce che i Troiani mini,- - ''
*do con teca, al niol di*lM& '
i tatti che co' Trw pipaio,
rìam doTC Spiro igiomi.
i Giove abco la morte toIIA
ni) DÒ alcun (la qoi poleó
4S ODItOà
Brando incontrollato a^inteoM^o hi pninto
Ecoomi or dim^vc allo f^nocchk tao,
Perchè tu- 1«. mi narri,, o tUU Kabbt
Con gli occhi proprj, o dallo lobhrft v4Sta
D^un qualche ji^Uegcìof però cho moUo
Diiventocpio il partori la-, madre,
^é timore, o pietà, del palesami j
Quanto sai, U ritenga. Ahi se Tegrogi* i
Mio padre in. opra o in detto un<jua ti fiW' *-
Beqc comodo alcun, là mi* Trojan! - j
Campi che tinte il. vostro sangue, o Grraci^ •
Tel rimembrai ora, e non tacermi nulla, \
Ed il Gereoio oavalier Nestorre:
Tu mi ricordi , amico, i guai che molti '
Noi prole inyitta degli Achei patimmo-
O quando erranti, per le. torbia'londe
Ce ne andavam sovra le navi .in traccia
Di preda, ovunque ci guidasse «Achille^'
O allor che pugnava» satto ÌCt mura-
Delia QÌltado.aha di Priamo^ davo
Grecia quasi d'ieroi- spenta rimase^
Là cadde Achille e il- marziale Ajaoe^
Là Patroclo ne) senno ai Dei v<cinO|
SueirAntilo<y> là forte e gentile,
io diletto figliuol , che abil del pari
La mano ebhe ai condiui, e al corso.il pMck*
Se tu, queste sciagure ed altre assai
Per ascoltar, sino aJ quint'anno e al>aeato
Qui t^indogiassi, dalla noja oppresso
Leveresti di nuovo in mar le vele,
Ch^io non sarei del mio racconto a riva.
Nove anni-, offese macchinando, aTroìa
Ci travagliammo intorno; e, benché ogni wM
Vi s''adoprasse, d?espugoarla Giove
Ci consenti- nel decirno a fatica.
Duce col' pad re tuo non s''ardia quiw
Di aoeorg^meAtp ^areggiaE; cotanta ••
Ulto tir 21
■HfWIMN* «*' pif IBg0gU|'
i hit. t«BtTO'M«l'dM*dMllltfi» ' {
iato è dl-kiiyvMvaòM jfMinaU '
• 0liM»«d i»^ Bt iiiptrlàiMlrttl
\m. mmiM'm, parlà^am* mvenii;
m ncoltt» ooiii maturi !«fTh|t
16 Mi^te ia pfo^loniir donbi^i^
vaoM^ Ba fawjfa fa I) «Itt^
I PmHM»9 6 • iiOrefli 'in ai» le. nUH'
Utiy ti divteil» €ii«po^
■ciperi touniim e'bwi ri*ytte'
iralMrte eh» aa» rìlMiio inftiifet^
oavttil GbmCtor dèi mondò.
M» era» nià gtortiiift hr tutti;
il Bnlmmo aImv tn* molti etdd^/
idegao latildellX^cbi|flàiioà
5 gcnitor nata, che cieca*
tne figli d^Atréo dncordla ni$e.
meato in sol cader del Sole
irò incanti^ O' centra Fuso, i* Oreci|
lorbidati dal yapor del Tino
idi ad atcoltar trassero in- fbllft.
prescrÌTea che Toste tiilta
s a|irìi«8e del ritomo ai ventii
enerla invece À-gamennòne
rsk e offrir sacre ecatombe, il fiero
» a placar dell^oltraggiata Diva.
' che non sapea- ch'erano indarnot
io per fimo d^immolati tori'
i Numi non cangiano in un ponto,
prrendo di- parole acerbe,
1 movean dal lor proposto. Intanto
ataao clamor sorser gli Achivi
uibienti$ e Tiia- oomifiù agH luti;
\
44 0D188B4
i/BÌÌfO agli altri pia<«a Faneite ootQ
La notte in meno al tonno agiUvauM»
Dentro di noi: che del diiaitro il danno
GioTe ci apparecchiava. Il dì comparto.
Tirammo i legni nel divino mare^
E tu i legni yeliYDli le molte
Robe imponemmo, e le altociiite tchiaTC.
Se non che mezza roste appo TAtride
lAgamennòn rimanea ferma: Tallra
Daya neVemi, e per lo mar petcotO|
Che Nettuno spianò, correa yeloce.
Tenedo preto^ sagri Gei offri mmo, *
Anelando alla patria: ma nemico
Dagli occhi nostri rimoveala Giove^
Che di nuovo parti tra loro i Greci*
Alcuni che d'^intorno erano al ricco
Di scaltrimenti Ulisse, e al Ke de^Regi
Gratificar volean, torsero a un tratto
Le quinci e quindi remiganti navi:
Ma IO de' mali che Tavverso Nume
DÌTÌsava m"* accorsi, e con le prore,
Che fide mi seguian, fuggii per Paltò.
Fuggi di Tideo il bellicoso figlio.
Tutti animando i tuoi. L'^acque salate
Solcò più lento, e in Lesbo al fine il biood
Menelao ci trovò, che della via
Consigi iavam: se alPaspra Chic di aopra^
Psiria lasciando dal sinistro lato,
O in vece sotto Ohio, lungo il ventoto
Mimanta, veleggiassimo, D^un segno
ffettuo pregammo: ei mostrò un segno, e il ma
Koi fendemmo nel mezzo, e deirEubéa-
Navigammo alla volta, onde con quanta
Fretta sì potea più, condurci in salvo.
Sorte allora e soffiò stridulo vento,
Che volar per le nere onde, e notturni
Sorger ci feo toyra GerettO| dovo
a .
U:^; .\«.-ÌÌ' Cali Ilio kU \ /.i ,
ta it.iti'.'.óvr'iiVAi •* '.■ •
l»««f
i6 0BINI4
jfon infoier %\i Dei tmlo dileiMt
Che deironte de^Preci.e dalle trame
Potessi a pieno rìstoniMii aneiiW
Itta non a me, non ad Ulisse '6 «1 figllb
Tanta felicità dagTImaiorUU
Fu destinata; e tollerar ni''é Iona.
Poiché lai mali, ripigliò Nestorrei
Ili riduci alla neate, odola4iasa
Molti occuparti a forsa, e ioaidiàrtiy
Vagheggiatori della madre. Dimnis
Volontario piegasti al gio^o il goUm?
O in odio, colpa d^un oracol-^rse,
J cittadini Ohanno? Ad ogni modo.
Chi sa che il padre ne* aooi tetti un li
Non si ricatti, o solo, o con gli Achivi
Tutti al suo fianco, di cotanti oltragp
Se te cosi Pallide amasse, come
A Troja, duol de'^Greci, amara Ulisie
<Sl palese favor d'un Nume, quale
Di Pallade per lui, mai non si yide),
Se ugual di te cura prendesse, ai Prof
Della mente uscirian le hello none.
E d'Ulisse il figliuol: Tanto io non ft
Che s'^adempia giammai. Troppo -diccM
Buon vecchio, ed io ne maraviglio feH
Che ciò bramar, non conseguir, mi lic
Non, se agli stessi Dei ciò fosse in gf
Qual ti sentii volir fuori de'^denti|
Telemaco, parola? allor soggionae
La .Dea che lumi cilestrini gira.
Facile a un Dio, sempre che ilyof^ÌA|>ao
Bipatriiar dai più remoti lidi*
lo per me del ritorno ansi- tocret
Scorgere il di dopo infiniti ^nai.
Che rieder prima, e nel «uo prpprie i
Cader, eoroe d'Cgisto, e dell'infida
Moglie per frode il iaiMit«iid<^ Airìde.
NI 47
vte 0o]«9 coaao leggse anaiVy
jetai Dei né da mi amata capo
varia potrian, ovaatanque sopra
!a|;a in sua stagion rapporta trioe
nghi aonni disamabil Parca,
emo io l>eB| Telemaco riipOBe,
ma morte «uvdély non il' ritomo,
M gli abbia^ o Ifentore, il 'destino,
questo non più: benché a]g[li afflitti
re a un tempo e lagrimar sia gioja.
(lio d^altro dimandar Nertorre^
'ede assai più là d^ogni mortale,
a tersa, qual ai dice, or regoa,
he mirare in luì sembrami un Numes.
I di Neleo, il ver mi narra. Come
egli occhi 'Agamennone, il cui regno
leati tanto? Menelao do vVra?
morte al sommo Agamenn^e orala
{no -Egisto, che di TÌta nom tolse
miglior di aè? Non er.i dunque
argo Acaica ftlenelao? Ma forse
ino errava tra straniere genti,
ci la spada, ìmbaldanzitn, strinse.
il Gerenio cavelier Nestorre:
>, quanfio dirò, per certo il tieni,
cristi nel segno. Ah! se Pii lustre
lao biondo, poiché apparve in Argo,
Palagio trovava Egisto in vita,
>i spargea sul costui morto corpo
ugno scarso di cavata terra:
delle mura sovra il nudo campo
e augelli voravanlo, né un solo
donne d^Acaja occhio il piangea.
lotto Troja, travagliando in armi,
tvam le giornate; ed ei nel fondo
i ricca di paschi Arii^o franquilla
óelli Mspcivi di dolce veleno
50 ODiSSB/k
Cocchio io cI;irotti e corridori, e i miei
Figli, che g4ii<leraiiti aPa divina •<
Spanta, ove il bifOQ<io Menelao an^giorai^
Pr^fAlfì»''^ ^^9 Aemer che le parole' . \
Re 8Ì prjAdeote di menzogna iavolv».-
Disse; e tramontò il Sole, m tniiija vsbm. ■•
Qui 4a gran Qiva dai ceruleo ignardo!* ^
Si Trappola «OS* : Buon veochio,. t«iit» •;• rfl
Dicesti THtamcnte. Or via, J# liiigva ■ -^^
Taglinsì, .e di Ucor s^ empitto le Aocoab ■ 'i.
Pctoia, fa^ti a Nettuno e agli altri Ifanfr i
I libameoti, ai procuri ai eorpi . • >]
Bipo«Q/e spnnoi come il tempo cbieikk • i^
Già il Sol s^ ascose, e non- ^ tddioe aloMi
Troppo a luogo seder prandio ^leaafc 'v'i
Cosi Palla, né indarno. Àequt gii MnM^
Dier subijto alle man, di viso Vuam. '■ i
Goronaro i donau'Ui, ed il reeoro y ■ ■- i"'
Con le tazze augurando, a Atitii io giné.' '
I convitati s"* alzano, e le lingae •{• . •
Gittan sul Cuoco, e libano. Libato'.! /
Ch^ ebbero e a voglia lor tutti bevalo^ '
Palla e d^ Ulisse il deiforme figlio
Ritirarsi voleaoo al cavo legno»
Ma Nestore fé rm olii e con gentil* • ■ «i-
Corruccio^ Ahi Giove tolga, e gli aItjri|-4W
Non p»orijturi Pei, ch^ ire io vi ìaeèiy ' ■ -'f
Quaf Impipo -mortale a cui la edsa i : • • l
Di vestimenti non abbonda e edkxif.'-^^v
Ov/e gli ospiti suoi, non di^ egli, ai^ftolli -
MuHemeoLe a^aJdormino. Credete • .
Cbe a me vesti non sieno e coAtri bcttftl -
No, su palco di pavé il figlio 'C^fo '. •
Dì co^ont^ uom non giacerà, nae, vìt*| : (
E viyo Ufi 40I de^ figli miei, cIm ^uafiti
Verranno alle mie case ospiti aocolgt* -
ve<xl«io amico, replicjb la Diva
in
•uvra il
^ eoB6ii solfe anft ru|>e,
~ f mùtri, e BOB da FmCo
^oU, Anatro i gnra tfotti
^fiB pteoolelto aaHOu
m fiarcaro ì IcgBi |
.ft^alBBe a ipvo fiiti^ e aolB
olArB'Mwi' dolPanBcra prém ' ■
r %Mtiy il Tooto oPoBdt,
fe
»>«
MB OTBoa te M rB«lM tra fOBlt
-imwM a* agghraTa, o tona
GB di iPcCtcMrarila € d^ oro,
i «Boi detir Plai<iao EgialOt *
B B tradÌHCBto 9peoé9p ^ ' ■
gK-Argift. ed anni aette
MieeBe 11 Irea rìtnme.
e BBBB rttoro^ d* Atene
BM aeiagBra 11 pari ai Nami Oreilei
ttfWffftdB aatetMB del padre illtiitre
|lift di vita, e la fntiébre eena
Allori iBibandi per V odiosa
a BieB che per V irobeHe dmdo»
giorno Menelao comparve,
chezxa riportando seco
del pOBdo gemean le stanche naTi.
~ BOB V iBiitar, non vagar troppo,
do in preda le sostanze ai Proci,
06 tra lor die non avran consunto,
li, e fl viaggiar ti tomi danno,
ek** io bramo, anzi tVsorto e strìngo
fl Be di Sparta trovi. Ei teste giunse
^ akri, che in quel mar furia di crudo
cacciasse, perderla la speme
er più : Bur cosi immenso e orrendo
Bai prò d^ un anno ' aogel noi varea.
■ave ed hai coropagfni. E se mai ibsae
di too 0g»da Et itrretire ria,
OauMà 4
59 - 0DIUB4 I
Di lacid^ oro gioTÌnette . coma. -J
Tal lupplicaya | e V uJi Palla. Quindi W
Generi e tìgli al suo reale ostello T
Nestore precedea. Giooti , posaro W
Su gli scanni per ordine e su i tM|^ 'V'
11 Re canuto un presioso tìbO| ■'
Che dalla scoverchiata urna la fida 1;
Custode attinge nelP andeeim^ anno p 1-
Lor meseea nella coppa , e alU poatettl»-. V
Figlia libava deirEgìoco Giove, W
Supplichevole orando. E gli altri anoon v
Lìbaro e a voglia lor bebbero. Al fioe V
Trasser, per chiuder gli occhi , ai tetti IlV
Ma nella sua magione il venerato 1
Nestore vuol che del divino Ulisse 1
La cara prole in traforato letto • •■
Sotto il sonante portico s^ addormaf %
£ accanto a lui Pisistrato , di gente g
Capo e il sol de^ figli uoi che sin qui fifa ^ ^
Celibe vita. £i del palagio eccelso .j4|
Si corcò nel più interno ; e la reale
Consorte il letto preparògU e il sonno*
Tosto che del mattin la bella figlia
Con le dita rosate in cielo apparve , <'
Surse il buon vecchio, usci del tetto, e inuMl
S"^ assise alP alte porte in «u i politi , .1
Bianchi e d^ unguento luccicinti marni y t
Su cui sedea par nel consiglio ai Numi |
Nele'o , che , vinto dal destin di morte^ '
Nelle case di Pluto era già sceso. j
Nestore allora, guardian de^ Greci, 1
Lo scettro in man , sedea vi. I figli , uaoiti I
Di loro stanca maritale anch^ essi , 1
Frequenti al vecchio si stringeano inlorao d
Eohefròne, Perseo, Stfazio ed Areto, ' ^
E il nobii Trasimede, a cui ti* aggionie. j]
Sesto V eroe Pisistrato. Menerò . '?
I.IBIO III SS
le il figlio deifórme, e al fianca
rio del padre , che le labbra
(le voci aprii Figli diletti ,
limoni il Toler mio fomite.
tra i Numi V Atenea Minerva
gg^ io ' Tenerar , che nel solenne
;to a acro manifesta io vidi ?
oi diinaae ai verdi paschi vada |
tirata aal bifolco giunga
va<M;herella. Un altro mova
pile alla nave e , salvo due ,
compagni mi conduca. E un teno
chiami , V ingegnoso mastro ,
ioTenca ad inaurar le corna.
i tre qui rimangano , e alP ancelle
le meoae apparecchiar, sedili
ir nel palagio , e tronca selva ,
;>ar« dal fonte acqua d^ argento.
ÌDdamo ei parlò. Venne dal campo
ineila fera, e dalla nave
pite i compagni; il fabbro venne,
•cando gli strumenti e V armi ,
le f il buon martello e le tanaglie
ìbricate , con che V òr domava :
acrifìci suoi mancò la Diva.
die il noetalio ; e il fabbro , come
► V ebbe , ne vestì le corna
iovenca , acciocché Palla , visto
jtgor biondo, ne gioisse in core.
corna la vittima Echefróne
a, e Strazio: dalle stanze Àreto
m'' ond.i in un bacile a vaghi
origliato d^ una mau portava ,
ieir altra in bel cjnestro e saie ;
icoifo Trasimede in |)u;;i)o
pa r acuta scure , die sul <:ap(i
era della vittima; ed iJ vaso
54 ODISSIA
Che il sangne raccorrà , Perseo tenéa.
Ma de^ cavalli il domator , P antico
Nestore, il rito cominciò s !• roani
S^ asterse , sparse il sal«t^ orzo , e « PaBt
Prrgava molto y vteW ardente fiónina
Le primizie gittando y f peli svelti
Dalla vergine fronte. Alla giovenca
S^accostò il forte Trosimede aHora^
E con la scure acuta, onde colpillóy
Del collo i nervi La recise, e tutto
Svigori il corpo : supplicanti grido
Figliuole alaaro e nuore e la pudico
Di Nestor donna, EHridi'ce, che primo
Di Cliraén tra le figlie al moodo noeqoei
Poi la buetisa, che giacea, di terra
Sollevar nella tpsta , e in quel che là
Beggean cosi, Pibistraio scannoUa.
Sgorgato il sangue nereggiante e acorsai
£ abbandonate dnllo spirto V osso ^
La divisero in fretta : ne tagliaro
Le intere cosce , qual comanda il rito ^
Di doppio le covrirò adipe ^ e i erudr
Brani vi adatiàr sopra. Ardeale il veglio-
Su gli scheggiati rami , e le spruzsavo '
Di ross&y'ìtif mentre abili donielti
Spiedi tenean di cinque punte in mono-
Arse le cosce , e i visceri gustati ,
Minuti pezzi fcr delP altro corpo ^
Che rivolgeano ed abbrottiano ìb&
Negli acuti schidoni. Policasta ,
La minor figlia di Nestorre. intadUr.
Telemaco lavò , di bionda V uuso
Liquida oliva , e gli vesti una fina
Tunica o un ricco manto ^ ed egli
Fuor del tepido bagno agP Immortali
Simile in volto , e a Nestore avvioati
Pastor di genti e ^li s^ amìso al fianco»
MWO HI Sf
Ic.wni ci) imbanJila ,
Iwlirtlar: drjnn'th tifietiì
Mi'li di vennìglio tìbo
'dntoli* delV oro,
ati inatunK fiira
tiri F delU nclc ,
uin i) ravatier Npstorre :
XelriiMco, III »ia,
'iustrata , di gente
ta BBieltoiiigli e , le briglie
1, non la iknn al corjiu
, cbe lUa campagna
Me^ gsnnni agli ocubi
luaiaDO le turri.
deitrier tulto qutt giorno
fo eh' era lor >ul collo.
ole , .ed imbriiofan le tLrade)
lì a Fera , e alla magione
'àr , del prode tiglio
Alfeo, dorè ripoii
lied oa|iitaJI.Foni.
I mattin la brlla lìgli«
lei con le rosate dita,
>alli , e la fregiata
del vealibol fuori
dKl porticn Moante.
I il Neilorfde, ei]udli
>. I pingui Cam jii
biondeggianti iiidielro
Faggio Tali A>po feltro f e il vslbfll
Gli «lltuUi destrier morpcn le gunbe»
Che ritaeente e il Pilìete al ine
Del tSagffio perrenoero che d?onibnj
Il Sol ctdvto, ti oopria la tcm.
L IB SO QUARTO
e FiiiitrJto giungono a Sparli net-
ilie Menelaa celebrava le nozie del
leg^prnte e della Bgliuola Ermìane.
rit El-'na il riconoacono o^fTolmen-
figlio d' UIii»e. Encomi di queitu ,
iDEione in TrlemacD e n^gli altri
, lina alle lagrime ;« arti6zia d^ E-
r ralTr^Darle. Tutti vanoo a dormire.
rsa I' aurora , Menelao ode da Tele-
con isdegno la inioleoza àe' Proci
li narra il suo viaggio in Egitlo e
ìtÌ inlesfi da Proteo intorno ad Aga-
□e, ad Ajace d'Oilea ed anche ad
1 Prori intanto risolioos d''inBÌdÌare
ICO al tua ritorno P d' nccidei'lo.
ia di Penelope , che n^ è informata,
'allade poi con un sogno piacevole
rU.
all'ampi*, che tra ì dui
'- , e le regali «MS.
e| figlio e della figlia iouenc
rta quel dì le doppie uoiu ,
58 OD188I1
E ttflU tmid faoubcftMKr LT orni '1
Spedia d^ Achille al bellicoBO figlio ,
Cui promessa Pavea soli'* Ilio ud glorilo ,
Ed or compioano il maritaggio i Numi.:
Quindi cavMl} e tfoorfiiif aA« famosa
Cittade de^Mirmidoni condurla
Doveano, e a Pii ro cfare su lor regnava.
E alla figlia d^ Alettore Spartano
L^ altro , il gagliardo Megapente , unis ,
Che d^ una schiava sua tardi gli nacque :
Poiché ad Eléoa griflmeitifli Dei
Prole non concedeau dopo la sola
D^*amor-4fgm Enàì&tte, À ^tfi delTanret
¥cnerr la beltk splendea nef volto.
Cosi p^r V alto spazìoero albergo
Kall^gravansi assisi a lauta mensa
Di'HeMlao gli amfei ed i vicini ;
Mexitre vate divin tra- )(A* edntava,
L'^'aiigeifte» cf^rff percolemfo, e dire
Damaten sgiliiisìixii> nel meno
GcPKtenypra*fatto a) eanio I dotti salH.
Mett^ atrio infanto s'arrestare i figli
Di Nestore e d^ Ulisse. Efeonéo ,
Un vigil servo d^l secondo Atride,
l'ritoiO' adocchioHi, e con Pannunzio corse
De* popoli al pastore , ed alP ofeccLào
Gli susurrò cosi : Due forestieri
NeA^ atrio ^ o Mettelao di Giove alunno |
CoMÌa' d^ ero$ ^ ehe del Satarnio prole
Semorauo in vista. Or di'*: sciorre i cavalli
Dobbiamo , o i forestieri a un altro forse
Mandar de^ Greci che gli accolga e onori?
D'^'ir I infiammessi, e in colai guisa il bioAi
Menelao gli rispose : O di Boéte
Figli uohi , Eteonéo, tu non sentivi
Già dello sceim> negli andati tempi ,
E or sembri a me barabotr^giar co^ déììL
p^'^ì
IO di mfllilevMiiiidki mm> >■*» -(
«ltMMi«làr:So»glfi«itidK^ ; ><L
MSTilO i foMlMonidM. )^.
«r ddlk itnMifit«MÌDt: > »• 'f
e Ipm « ii jB alM AlnMè» ^"^
rrL-fiteonfoilMl^ !:.!' ' nn
fÌM». «Nntfjioff Mdnii*^ . ' ì »'l*
e 4ÌBuliie>oi«ii nifUy > -. . l
sto land» Il tcfgatd ' 'T
(Ip o g gtt i». loéè mer y anf itf Umil
mnnellf osfiiU , tiie m gìw ' '
» naraTÌglia carchi
nMV€an t però* «ke gla nd e -
i«c , qaal di Sale a Lana p
• IMcnalaa ki règgia,
sazjr che per gh occhi tirtrAf«|
> <{aJÌàr tepide coacha ;
r Halle pudiche- aaceUa
feiond'olio anti, e dì aaalM *
ìmkì e di vellasi manti,
> appo i^ Atride. Quirt
Demi da biel^ aoreo Taao
keo- bacila: oa^ooda pora
I liemieK k>0o< un liscia draao f
laggia dlsf^ensiera i paDt
ÌBBpoff biaoabitiiaii , a: di ffoBte
to gen^ota copi» ;
oda caro» i« largft» pintM
le ioaleo^ e taaza d'^ofa*.
agenda ad- ambidaa la muÈa^
;, loF distc, ed alla gMqa-
il cor: poàaia, chi siate , odremv.
Nidri non s^ esUaie ìk boIm
Qo ODIttlA '
E da sceltrtU Re voi diacendete.
Piante ooUli di radice vile ,
Sia loco al vero, germogliar non pouMi.
Detto cotl| r abbnittolato tergo
Di pingue bue, che ad enor grande iman]
Messo gli avean , d^ in sn U menaa lolae^ '
E innanzi il mise agli ospiti , che proots ' J
Steser le mani all^ imbandita fera. J
Ma de** cibi il desir psgo e de^ vini , ^
Telemaco 9 piegando in rér Pamieo, '
81 cbe altri ndirlo non potesse , il capo « j
Tale a lui favellò: Mira , o diletto ^
Dell^alma mia, 6gUo di Nestor^ come '
Di rame, argento, avorio , elettro ed oro
L^ echeggiante magion riaplende intorno I
Si fatta , io credo, è delPOlimpio Giove
L^aula di dentro. Oh gP infiniti oggetti!
Io maraviglio più, quanto più guardo.
L^ infere il Ae di Sparta, e ad ambo dinas
FgUuoli miei , chi gareggiar mai poote
De^ mortali con Giove? Il suo palagio ,
Ciò ch^ei dentro vi serba • eterno è tutto.
guanto air umana stirpe , altri mi vinca
i beni , o ceda, io so che, molti affanni
Durati , e molto navigato mare ,
Queste ricchezze Tettavo anno addussL
Cipri, vagando , e la Fenicia io vidi,
E ai Sidonj , agli Egizj e agli Etiopi
Giunsi, e agli Erembi, e in Libia, ove le agndls
Figlian tre volte nel girar d^ un anno ,
E spuntan ratto gli agnellin le corna }
Né signore o pastor giammai difetto
Di carne paté , o di rappreso latte ^
Ridondando di latte ognora i vasi.
Mentr^ io vagava, qua e là , tesori
Raorogliendo ^ il fratello altri m^ uccise
Di furto, aii^improT vista, e per inganno
UMO it Ol
BtìadelU: «nindi
PO • qneiti'Miii in gw h ow •
•d ovQB^iML' i padri 'imM^
boom udir aoféttt. ' -t
i ?JMBai dal Andò
mdi • d^a|ÌMlBMt - '
ddlv m parti 'l^ttii%
iv« ameqoe' prodi •
veide Argo feraae-
fOf eH toipiro'tiitt^ ' * '"'i
»^ ne^ aliai tatti auUoi • ; » • ^
li ooKy or naonuBoulé'' ' V
die' non paotrahmié '"
tfirtezsa, a al fin MiUnt» ^
sto alle fo hrpriaiisdolaa.^'
iir an cosi non m^nanm > ^
, come d^ un lol -ohe 'ìn^nt^
lui penao, il cil>o e il tonodK
essuno in tutta V oste
ido, o sostenetido il malOi
Ma dispose il fato
9se d^ ogni tempo, e ch^ io
igion traessi i giorni, y
[io da tanti anni, e ignoro
o giaccia. Il piange intanto
3no, e la prudente
*maco, che il padre
ne'*, suoi dolci alberghi,
ianto «ubitana voglia
'elemaco, che a terira
giù dalle palpebre,
do, ed il purpureo manto
ilzò dinanzi al volto,
imprese) e se a lui stetto *
il padre, interrogarlo'
63 0DM6fA
Dovesse pria, ne serbar nallm in petto^
Si e Bo ieatzoaafvingli nel capo.
HeatM c<]»l Cpa d«e alava y 4tride|
Elena daU^ fiooctsa te proftiaiatm •
Sut^ttamst fitaiie con. It Ade ancelle^ '
Che Di«pa pare» dall^ amo d^ oro. '<
Bel teggw AdrasU avvioinallCy Aloippe ^
Tappeto in man di notte lana, e Filo
Panier retami di forbito.argmte.
Don già d' Akaadra^ deiU «oglio ìlUnlit '
Del fortunato PoKboy ehe i gionrf ■[
nella rifioa aie«MM £gÌBa Tobo. ''■ 1'
A MeneU» due eoBc£t argentee^ étm ' '^
Trìpodi e dicci aurei telenli «i dieèifc >'• ^
Ma io oaasorte ornar d^ cìetii doM- • > > '-'
Elaia volle o Darle : una leggiadro'"- '■/
CoBoediìo d^ 6r le- ponc^ed il paoàn»
Ritondo aottoy e di forbito arganto^ • ;" *
ÌS« non 4{«anto le labbra otq guenik ■■
Qociio rioolno di audato rftaine
L^ anceUa Filo le nccava, e sopra -'^
Vi.riposafA la oonoochia, a cm
Fini si ravrolg^ao piarpuni velli.
Ella raccolta nel suo seggio, e pMli
8nl polito «gabello i molli piedi|
Con ^[«ciii aecenii a Menelao si tolsos - '
Sa^am ooi^ Menelao di Giovo altuMM^'
Chi sieno i dóe che ai nostri tetti efetMwf^
Parlar m' « iw%t^ il vero, o il iilao ip diiafl
Però (9b^ io mai non TÌdi, e grande UoMii^
Nel veder euHavigUa, uomo ne doMm
Cosi alimi «omigliar, tome d* Ulisse
Somigliar dee qoesto garaone ai figie^- ■ ■ ^
Ch^era bambino ancor» quando, per ceipt " j
Ahi ! di me svergogoaUi e Greci, a TrB|ft ^ :
Giste, ecoendendo «na si orrenda gaerm. •
Tofia r Airide dalia bipnda diiomas
te m^,àfìàymm «ta^ttl^.f i./ »
rhrai fri ■■ Alirtwii i ( T
HJwtwj .tipiwgiiirtlhi;^ liti 'i ^'A
iBijMii» mai, «il «mM iMfaivia
IP il»|qidi iWttiap U igitak /'.
yctliMfnlllMÀsdàglÉoi'rM.iO id
1 lfMÌ:ÌHHI«rlwL«(«lk% '^MilU 'fi
,'4A« MNiwrl» «rìhNUìI'J» 91(1
^iien M Avo 0MiMgtt».iiTflAli;A
a> ieiuniibo Xi provai- • • !>< '
folla, e iio«gJi ff«tfa.< . .. /!'f
ianc9 4t sciagura tfeacct ■
reM li Af idai biondi 'CrinI, .^/^
04^6 ipurai tt éf lio aduoqae
pggÌ4i aisìiùsaifDo, cbà fttia|iref i'-'
o8^ a<i pgni jrbohio? Dinas
tenaava ««fcroi .omm *egnly >
aov^tilUi f^Grfci, :
*itornia^isii i cavi legni
vaonoWeggeiite Oiovc '
r a iqi óeUù Ttcioe .
i «icgifia^ «v^ b «pBiénÌ«»
r» dict 4iii,iìiiii?A.aa«t .
tielk ipìiia <^^ io prifli9 *Tm! .
■•• '
3 0D1II11
Oli e palagi» ad abiUr Teniue
Col figlio, le sosUDie e il popol tattob '
Cosi, TÌTendo sotto un cirlo^ e speiao ^
L^ un V altro TÌsitando. avi«mo i doki •
Frutti raccolti d^ anìstà >i fida s
Né P un dair altro li tarìa dia ^ionto.
Che steso non si fosse il negro velo
Di morte sovra noi. Ma un tanto b^na
Giove c^ invidiò, cui del ritorno
piacque fraudar queir infelice sola.
Sorse in ciascuno a tat parole *Vi Tirv
figlio ed il seconde Àtrìdef
Ifè asciutte avea Pisistrato le guance^
Che il fratello incolpabile, cui morte j
Die dell^ Auròra la famosa prole, 1
Tra sé membrava, e che tai detti aeiolitf -J
Atrìde, il vecchio Nestore mio padre
Te di prudenza singolar lodava.
Sempre che in mezzo al ragionare alterM ',
lituo nome venia. Fa, se di tanto
Pregarti io posso, oggi a mio senno. Poet
Me dilettan le lagrime tra i nappi.
Ma del mattin la figlia il duovo giorno
Birondurrà ; ne mi fia grave allora
Piauger chiunque al suo destin soggiaeqttf :
Che solo un tale onore agP infelici
Defungi avanza, che altri il crin si tronehii |
E alle lagrime giuste allarghi il freno.
Anco a me tolse la rea Parca un frate.
Che r ultimo non fu delPoste greca.
Tu il sai, che il conosoestL Io ne vederlo -
Potei, ne a lui parlar ; ma udii che Antilocj
Su tutti si mostrò gli emuli suoi.
Veloce al corso e di sua man gagliardo. '
E Menelao dai capei biondi ; Amioo, ''
LÌIHO IT 65
^«om pio assennato e in più m stara etadc,
^ non è questa tua, né pensamenti
ini ayria né detti; e ben ai pare
mi e agli altri da chi tu nascesti.
D la prole d^ un eroe si scorge,
del fiatale al giorno e delle noize
tino Gioyajun fortunato corso,
le al Nelide , che invecchiare ottenne
100 palagio nio!lemente e saggi
B mirar, non che delP asta dotti.
iqne, sbandito dalle ciglia il piantO|
ripensi alla cena, e nn^ altra volta
^ pura so le mani onda si sparga.
pmoni alterni anche al novello Sole
■a Telemaco e me correr potranno.
Disse; ed Asfalìone, un servo attento,
trgea sa le man Tonda, e i convitati
tvamente cibavansi. Ma in altro
^sicro allora E lena entrò. Nel dolce
'ino, di cui bevean, farmaco infuse
4>ntrario al pianto e alP ira, e che Toblio
'eco inducea d^ ogni travaglio e cura.
Skì'onque misto col vermiglio umore
lei seno il ricevè, tutto quel giorno
•agrime non gli scorrono dal volto,
'od, se la madr«; o il genitor perduto ,
^on, se visto con gli occhi a sé jlavante
Hglio avesse o fratel di spada ucriso.
-atai la Gglia delP Olimpio Gio\e
farmachi insigni possedè», rlie in dono
^be da Polidamna, dalla moglie
Di Tone neir Egitto, ove possenti
^cchi diversi la feconda terra
nodacei quai salubri e quai mortali;
Ed ove più, che i medicanti altrove ,
Totti san del guarir V arie divina ,
liccome gente da Peón discesa.
66 ODISSEA
Il ncpente già infuso, e a serri imposto
Versar dalP urne nelle tazze il vino |
£ Ha co8> parlò : Figlio d^ Atréo ,
E voi, d^ eroi progenie, i beni e i mali
Manda dalP alto alternamente a ognuno
L** onnipossente Giove. Or pasteggiate
Nella magione assisi, e dc^ sermoni
Piacer prendete in pasteggiando , mentre
Cose io racconto, che saranno a tempo.
Non già eh** io tutte le fatiche illuttrì
Aicordar sol del paziente Ulisse
Possa, non che narrarle : una io ne acelfOy i
Che a Troja^ onde gran duolvenneagli/ "*
L'^uom forte imprese e a Gn condusse. Il
Di sconee piaghe afflisse, in rozzi panni
S^ avvolse, e penetrò nella nemica
Gittade occulto, e di mendico e achiavo
L,e sembianze portando, ei che de^ Gfeoi
Si diverso apparta lungo le navi.
Tal si gittò nella trojana terra ,
Ne conoscealo alcuno. Io fui la sola
Che il ravvisai sotto T estranie forme,
£ tentando 11 andava ; ed ei pur semprt
Da me schermiasi con V usato ingegno.
Ma come asperso d^ onda, unto decliva
L^ ebbi e di veste cinto, ed affidato
Con giuramento che ai Trojani piima
Noi manifesterei che alle veloci
Navi non fosse ed alle tende giunto^
Tutta ei m^ aperse degli Achei la mente.
Quindi, passati con acuta spuda
Molti petti nemici, alP oste argiva
Col vanto si rendè d'Yalta scaltrezza.
Stridi mettean le donne iliache ed urli:
Ma io gioia tra me; che gli occhi a Sparta
Già rivolgeansi e il core, e da me il fallo
Si piagneva in cui Venere mi spinse,
w
JHJ
IflWDmi dalU m
«ontrads , tHH
figlinoU, e da!
pudico ^E;
a un consorte,
a cui, sflggciw
o beltà, nulla mancava, "
Atride dalla crt
onria, giustamente. Io terra
col guardo ^^h
"oVne'l S^u^'ma
puri a quella ^^^|
e Uliueatmal
roa vidi. :^r
>rò, baili, e che E
.oitenne in grembCn^lj
intaglialo, ove
.andò adlUu, il Gor de'' Grrici.
o crrdo.da uo
flsverao Nume,
ia de'Tcucr. =
core alava ,
gcsU, e ugu.U
a un Dio nel volto
tue Dc'iTobo ve
nia.
Le al cavo Bggui
ito intorno
i e il palpavi, i
= a Doiiie i primi
legli Achei, coni
LraffnenJo
loune le diverge voci.
aHÌri io, Diomi
^de e Uli5«
, adìunnu ; e il
buon TLdfdo ed io
D, e di gsoppiar
fuor del cavallo
Otta dal profon
do ventre , >
ti eravam ; m»
noi permise
ardenti, ci con
tenne Uliw-
□i altro, fuorché il lolo Antjal»,
ider voleatij e
Uliue.toito , :
gli calc6 con le
robusta
iodate, né ce»»ò
, che allroye :
e Palla,
t la Grecia ei fu ulule.
. doglia, □ Uiiuelao, ni? accrMce, '
il garzone. A ohe gli valas
l"D!rn''cb'e altro, un cor di ferro?
piaccia FJ ornai che ritravivau
68 ODISSEA .
I^ove posarci, Acciò su noi dd tónno
I^a dolccEza ineffabile discenda.
Si disse s e V argiva Elena alP ancelle
I letti apparecchiar sotto la loggia ,
Belle gittaryi porporine coltri ,
£ tappeti disteoderri e ai tappeti
Manti Tcllosi sovrapporre ingiunse.
Quelle^ tenendo in man lucide £scl ,
Uscirò e i letti apparecchiaro : innanzi
Movea V araldo e gli ospiti guidava.
Così nelP atrìo s** adagiaro entrambi:
I^el più interno corcavasi PAtride^
£ la divina tra le donne Eléoa
II sinuoso peplo, ond^ era cinta,
Depose e giacque del consorte a lato.
Ma come del maUin la bella figlia
Babbelli il ciel con le rosate dita,
Menelao sorse^ rivestissi, appese
Per lo pendaglio alP omero la spada ,
£ i bei calzar sotto i pie molli avvinse:
Poi, somigliante nelP aspetto a un Numei
Lasciò la stanza rapido, e s* assise
Di Telemaco al fianco ; e, Qua), gli disse,
Cagione a Sparta su V immenso tergo
De) negro mar, Telemaro, V addusse?
Pubblico affare, o tuo ? Schietto faTella.
E in risposta il garzon: Nato d** Atréo,
Per risaper del genitore io venni.
Jn dileguo ne van tutti i miei beni,
Colpa una gente nequitosa e audace ,
Che gli armenti divorami e le gregge,
£ ingombra sempre il mio palagio, e anels
Della madre alle nozie. Io quindi abbracc
L^ tue ginocchia, e da te udir m' aspetto ,
O visto, su le labbra inteso V abbi
D^nn qualche viandante, il tristo fine
^el padre miOf che lycaluialo aisoi
he mai dii "? '' "maiwa f^T ■
F ''■ » "s w "' o'™* ;,,""»
t "•! I" "? of, f '"' ""»;, 2a.
lSjX'£arp:£' :
V"" » 1» ,if. .""• ^
ODISSEA
per un intero di concavo legno,
Cui stridulo da poppa il vento spiri.
Porto acconcio ti s* apre , onde ii_ nocchière
Poscia <^e V acqua non salata attintéf'
Facilmente nel mar vara la nare.
Là venti di mi ritenean gli Dei:
me delle navi i condottieri amici
Comparver naS su per P azzurro piano,
Le immobili acque ad increspar col fiikk
£ gik con le vivande anco gli spirti
per fermo ci fallian^ se una Dea, latti
l^me pietosa, non m^ aprfa Io scampoì ^i
Idotéa, del marin vecchio la figlia , L
Cui fieramente in sen V alma io comiilMA i-^
Occorse a me, che solitario emviTy. ,s
Mentre i compagni dalla fame stretti . ,^ìi
Giravan l' isoletta, ed i ricurvi
Ami gettavan qua e là nelPonde.
Fprestier, disse , come fu vicina , ,
Sei tu del senno e del giudicio in bandai
O degli affanni tuoi prendi dilettOi
Che cosi, a un ozio volontari^ in predt| . f
Neir isola t^ indugi, e via non trovi . ■
D' uscirne mai? Langue frattanto il cort .|-
De** tuoi compagni, e si consuma indalte y
O qual tu sii delle immortali Dtvea «
Credi, io le rispondea, che da me ven^ y*
Cosi lungo indugiar? Vien dai heaiti n
Del vasto cielo abitatori etemi ,
Ch^ io temo aver non leggiermente o£M »
Deh, poiché nulla si nasconde ai Nami# .|
Dimmi, qual è di lor che qui m^ arrcìtlM
£ il mar pescoso mi rinserra intorno? j
£ repente la Dea : Foresi ier , nulla . i
Celarti io ti prometto. Il non bugiardo ]
Soggiorna in queste parti egizio veglÌ0| j|
L^ immortai Proteo, mio credato padi«|
' i tosili tutti àci gran mar cnnosce
obbedisce a Nettuno. Eì del vt^iggio
à le (traric t del ritorno,
tn, (Undo in if^ualo, imìgnorirli
H hi tn po)i>. E qurtlo anear, te il bran^
"ni da lui, che iH frlicp o ar-vena
—. — bacata l'enlrb Gni^hé lontano
l'nr Tic ne aiidaTi perlglioae e lunghe.
' Ila In gli agguati, io replicai, m' insegna
Old' io cosi improTTiao » Proteo arrivi,
■ Cii'et DOD mi ifD^a delle mani. Un duoic
f Biffidlmente da un mortai si doma.
Qn»to avrai por da me, la Dea riprtie,
_,&ne ulito ■ meno cielo è il Sole,
FlPaliail vecchio iIìtìd dal cupo fondo,
I E (tacito della bruna oiida, ehe il ytnto
f Occidentale inrreipagli ani capo ,
I S'adagia «l'ro i tuoi cavi antri, e aliddurniti
Eipetie a Ini dormon le foche intorno,
Wonne raiia dì Alosidna bella ,
Già pria dell' onda uacite, e il grave odore
Lunge apiranli del profondo mare,
la le là guiderò , te acconciamente
CollDcbetò, ratto che il di s'inalbi :
Ha di quanti coutphgni appo la nave
Ti «ano, eleggi i tre che tu più lodi.
Ecco le u»Die del vegliardo e V arti i
Pria noverar le foche a i^inqne a cinqne,
Tbitindole tntte j indi nel meno
Corcirii anch' eì, quasi pastor tra il greg^t.
Tiitoeli appena nelle ciglia il lonno,
lirordit«vi allor lol della forca ,
E Itti, che molto bì dibatte e tenta
Gsiuarvi delle man, fermo tenete.
Ei <!' <^QÌ belva che la terra paice
Tettiri le «embianie, e in nci|iia e in foco
i pailonUiao arilDrej
2 a ODIMIA
; voi gli fate delle braccia nodi:
Sempre più ìadÌMol abili e tenacL
Bla quando interrogarti al fin V udnif
Tal mostrandosi a te, cpiale idrajosai,
Tu cetsa, o prode, ddklla fona, e il ve ^
Sciogli; e sappi da lui obi è in. i Niud^ ^
Che ti contende la natia oonlrada. .'••*^
Disse e nelle fiottanti onde s^iommim. >iV
io, combattuto da pensier diversi, '■ .'^
Colà n' andai, dove giacean dei mare > *-J^
Su la sabbia le navi, a cai dapreaio . ^^^
La cena in fretta s** apprestò.. Sorvenne ^
La preziosa notte, e noi sul lido
Ci addormentammo al mormorio delPae^ÌMll^
Ma noichè del raattin la bella figlia ■
Coosperse il ciel d"* orientali rose.
Lungo il lido io movea, molto ai Celesti '
Pregando, e i tre, nel cui valor per tolte '
Le meli facili imprese io più fidava,
Conducea meco. La Deessa intanto
Dal seno ampio del mare, in chWa entfalik
Quattro pelli recò del corpo tratte
Novellamente di altrettante foche;
E ^ramava con esse inganno al padre.
Scavò quattro covili entro V arena :
Quindi s** assise, e ci attendea. Noi presse
Ci femmo a lei, che subito levossi
£ noi dispose ne'' scavali letti
£ i cuoi recenti ne addossò. Moleste
Le insidie ivi tornavano { che troppo
Nojava delle foche in mar nutrite
L** orrendo puzzo. R chi a marina belve
Può giacersi vicin ? Se non che al nostro
Stato provvide la cortese Diva,
Che ambrosia, onde spirava alma fragraMi|
Venneci a por sotto le afflitte nari.
Cui del mar più non giunse il grave odorei
"^ MlMc« Le dtlbmlIbdM
lO iuif O in frottv e ft MaBo -a mio
Mi MHogioiÉo fl fciirii ngliaH«9
9i6. CSomU aoi ]irÌMy
ànCrir totpetto.
teMa twi grotto gfiiefiiiw
grid«|« 1« nmite *
^ imo gktamno illlo^M^
r«iì ftM MM obUò in linei {MaMou
iwe epperw di*grtn giablia, e in drm» ■'
nitoiil «I te futtn e in ^vem enoiaw^
BeenÉjy<eBde liquida, e In enbiiiM
Pianto dnemato Tcrdeggiò. Ma noi
U tonerant femo pia sempre. iUlora
L* aatoto^vef Uo, che nel petto stanco
Troppo sentian ornai stringer lo spirtO|
Con questo voci inferrogommi : Atride,
QmI la de^ Nomi che d^ insidiarmi .
Ti die il coniglio e di pigliarmi a forza f
Di che mestieri hai tu? Proteo, io risposi,
Tu il sai. Perché il dimandi « ancor t^nfingi t
Sai ehe gran tempo V isoletta tiemrai,
Qie acampo i^ninci io non ritroTO e sento
Distniggermisi il core. Ah dimmi, quando
Nalla .oelaai ai Dei, chi degli Eterni
M* ineetipa, • mi rinchiude il mare intorno.
Non dovevi salpar, riprese il Dio,
Gho onorato pria Giove e gli altri Nomi
IKaagrifici non avessi opimij
Se in Drcve al natio suol giungere ardevL
Or la tot patria, degli amici il volto,
I la augloB beo fobbricato il fato
livedcr non ti dii,Jove tu prima
M fino» ^ltO| che dn Giove acende.
^4 ODlfcSBA
KoD risaluli la corrente, e porgi
Ecatombe perfette ai Dii. beati.
Che il bramato da te mar V aprirannoi»
A tai parole mi a** infranse il core^
Udendo che d^ Egitto in sn le rive .<
Ricondurmi io doTea per gli atri Autdf ■ <
Lunga e difBcil via. Pur disti: Vecchio^ ' '
Ciò tutto io compierò. Ma or. rispondi, i
Ti priego.y a questo, e schiettamente pidll
Salvi tornaro co^ veloci legni
Tutti gli Achivi che lasciammo addictrO| *
Partendo d^iliòny Nestore ed io?
. O neri alcun d' inopinata morte
Nella sua nave, o ai cari amici in gnìwlw|| ,
Posate V armi, per cui Troja cadde ? ■
Atrìde, ei replicò, perchè tal eota
Hi cerchi tu? Quel. chMo nelP alma MwJh
Saper non fa per te, cui sensa piantò» - ^
Tosto che a te palese il tutto fia,
Non rimarrà lunga stagione il ciglio.
Molti colpi V inesorabil Parca,
E molti non toccò. Due soli xlnci
De^ vestiti di rame Achei guerrieri
Morirò nel ritorno { e ritenuto
Del vasto mar nel seno un terzo vive. ■
Ajace ai legni suoi dai lunghi remi
P/pri vicino. Dilivrato in prima
DalP onde grosse e su gli enomù assiso -
Girci macigni, a cui Mettun lo spinaoi
Potea scampar^ benché a Minerva in ivi.
Se non gli uscia di bocca un orgoglioso
Motto che assai gli nocque. Osò vantarsi ''
Che in dispetto agli Dei vincer del maro
Le tempeste varria. Nettuno ndiUo
Boriante in tal guisa, e cai tridente.
Che in man di botto Si piantò^ percoMe ' ''
La Giréa pietrai e ia dae apenolU i V om
1"
. fratello coj/f °',u »»'«• „
.fuggi ?«"» "^It^atdoo «P»
ln"«*a ""Ti ?pU .«•?«"•
Con promes-«» " j^g >P'* ;„tero,
B»IV eccelsa '«'*. ^o e forse a g
non traras,as,e .Sno^^^„„, Te u^empia frode
'^^ '«f^twa i»-»' » *°Tr Viride.
Men., fcsuja • ^„„<,ti aodb J ^^„„dns.e,
^ ^' *'""2„de pensando, e «> ^« , loro,
CoK orrende v j scanno q» . „
, l .ceolto a «»«? 'Uta innanzi ^ P«»
^9 ODISSEA
Non visse d'Agamennone o d'Eglsto
Solo un compagno , ma di tutti corA
Confuso e misto nel palagio il sangue.
E a me schiantossi il core a quelle T
Pianto io versava su V arena *ateM ,
Né più mirar del So) volea la luce.
Ma come di plorar , di voltolarmi
Sovra il nudo terren sazio gli parv^
Tal seguitava il non mendace vecckiòt
ResU, o figlio d'Atréo, dair infinite
Lagrime per un mal che ornai compemc
Non paté alcuno, e tVgomenta in vec^
Più veloce che puoi, riedere in Argo.
Troverai vivo ne' suoi tetti Egisto,
O Pavrà poco dianzi Oreste ucciso,
£ tu al funebre assisterai bancbettOt
Disse; e di gioja nn improvviso ragfii
Nel mio cor balenava. Io già d'Ajaee,
Risposi, e del fratello assai compresi.
Chi è quel terzo che il suo reo destino
Vivo nel scn del mare, o"«stinto forae»
Ritiene? Io d'udir temo e bramo a nn U
£ nuovamente il non bugiardo Veglio
D^Itaca il Re, che di Laerte nacque.
Costui dirotto dalle ciglia il pianto
Spargere io vidi in solitario scoglio.
Soggiorno di Galipso, inclita Ninfa,
Che rimandarlo niega: ondaci, cui solo
Non avanza un naviglio e non compa
Che il trasportin del mar su Tampio è
Star gli convìen della sua patria In bai
Ma tu, tu^ Menelao, di Giove alunno.
Chiuder gli occhi non dei nella nutrici
Di cavalti Argo ; che noi vuole il fato.
Te neir elisio campo rd ai confini
Manderan della terra i Numi etemi|
Lk 'tc riiiede Radamanto^ e icom
'w>«^«
» *•**" "fy«itto, «**• " •;• foce
7$ omMià J
il prudente Teleinaeo rìtpote s ' ^1
Gran tempo qui non ritenemi , Airìde. - ^n
Non ct^e a me non gloTitse un anno intani i
La patria e i miei quasi obliando, teoo hÌ
Oueste case abitar; che alla tua voce r-À
Il alma di gioja ricercarmi io sento. ,.J
Ma già muojon di tedio i miei compagni ^
Nell^ alta Pilo ; e tu m^ arresti troppo. -^-A
Guai siasi il don di che mi tuoi far lieto^j
Un picciol sia tuo prezioso arnese. -1
Ad Itaca i destrieri addur non penaO| i
Penso lasciarli a te, bello deHuoi . i
Hegni ornamento: perocché signor^ *!
Tu sei d^ ampie campagne, ove fiorisce -i
Loto e cipero, ove frumenti e spelde, * ^
Ove il bianc'orzo d^ ogni parte alligna.- <
Ma non larghe carriere, e non aperti (
Prati in Itaca vedi : è di caprette '1
Buona nutrice, e a me di ver più gratti
Che se cavalli nobili allevasse.
Nulla del nostro mare isola in verdi
Piani si stende, onde allevar destrieri|
E men dell'* altre ancora Itaca mia.
Sorrise il forte ne"* conflitti Atride,
£ , la mano a Telemaco stringendo ,
Sei, disse, o figlia', di buon sangue, e aqoail
Tua favella il dimostri. E bene,i doni
Ti cambi ero : farlo poss^ io. Di quanto
La mia reggia contien, ciò darti io vogliO|
Che più mi sembra prezioso e raro :
Grande urna ef6giata, argento tutta ,
Dai labbri in fuor , sovra cui V oro splende^
Di Vulcano fattura. Io dalP egregio *
Fedimo, re di Sidone, un di Tebbi» "^
Quando il palagio suo me, che di Troj«
yen(a, raccolse) e tu n^ andrai con quitti- '
Cosi tra lor si ragionava. Intanto >^
««*•
T^ <tìi., i"*** fS
• •?* ^ Ul ctoe'»«* \ -.Afa <»■» 6«*»°>^
So OMSBEA
Con si nobil girsone e si infeUee
Stare in sol niego ? Giorentà tegnillo
Della miglior tra il popolo itaeese ,
£ condottier salfa la negra nave
Mentore, o un Dio che ne yettU VMp«lto.i
£ maraTÌglio io ben ch^ ieri tu Palba
Mentore io scórsi. Or come allor la negTt
Nave sali f che veleggiava a Pilo ?
Disse I e del padre alla magion si rese.
Atterriti rimasero. Cessaro
Gli altri da^ giuochi e s"* adagiaro anch^efli^^
£ a tutti favellò d^Eupite il figlio: i
Se gli gonfiava della furia il core *'
Di caligine cinto, e le pupille ^
Nella fronte gli ardean come duo fiamme.
Grande per fermo e audace impresa è questa^
Cui già nessun di noi fede prestava , "*
Viaggio di Telemaco ! Un garzone ,
Un fanciullo gittar nave nel mare ,
Di tanti uomini ad onta, e aprire al Tento
Con la pili scelta gioventù le vele ? i
Ne il male qui s^ arresterà : ma Giove
A Telemaco pria fri^nga ogni possa
Che una tal piaga dilatarsi io veggia.
Su via , rapida nave e Venti remi
A me, si eh** io Io apposti, e al f>uo ritomo
Nfl^olfo che divide Itaca e Same
Colgalo s e il folle con suo danno impari
h* onde a stancar del genitore in traccia.
Codi Antinoo parlò. Lodi e conforti
Gli davan tutti : indi sorgeano e il piede
NelP alte stanze riponean d^ Ulisse.
Ma de' consigli che nutriano in mente
Penelope non fu gran tempo ignara.
Ne la feo dotta il banditor MeJonte,
Che udìa di fuori la consulta iniqoai
£ àgli orecchi di lei pronto recolla.
UBM nii 8r
dboltrnaMur la aoglia*
dKètet Anldo, onde tal fretUf
Pivoi ti aunémot Fprte
UBne fe solerti anoeUo
•i IflviBo, « rotato
pvestiiiloffo? Oh Ibfio ((iMito
r ettremo • e a ne trttaaUo
Maer. né àltroii Tfìftil ehe| tmVté
Die TeteoMoo fl' retaggio
iir, vi ladnnate in folla.
•la Toi da^Toilri padri ,
iTale picdolfstti e imberbi,
hte tmea eon loro UIìmo.
I opre aoleftando , o in detti ,
mr . de|^ nomini •cettrati »
portano agli «ni, e agli altri amore?
alcon mai : ^indi T indegno
»prar aMegUo 8i pavé > e il morto
Dti favor voi gli rendete,
ggio Medonle : li Dei piacetse
o ilpeggior maly reina, foMe!.
Proci se ne cova in petto
assai 9 che Giove sperda : il caro
e a Pilo sacra e alla divina
volse , per ritrar del padre |
di spada al suo ritorno,
e infelice a tali accenti
entissi le ginocchia e il core.
spazio la voce m ancelle ,
ii pianto le s** empier, distinta
e oai labbri uscir parola.
fine : Araldo, e perchè il figlio
:cossi ? Quai cagioo, qual forza
o a salir 1« ratte navi ,
eri del mar sono e V immensa
imiditli ? Brama esli dunque
sii di Ite Bei mooao il nome ?
A 6
$2 ODISSEA
Qiial de' due spinto, il banditor riprese |j
L'abbia sul mare| a domandar del padre,
Se la propria sua voglia, o un qualche Ni
Beina, ignoro. E sovra Torme sue
Bitornò, cosi detto, il fido araldo.
Fiera del petto roditrice doglia .1
Penelope iugombrò ; né , perchè molti 4
Fossero i seggi , le bastava il core
t)ì posare in alcun; sedea sul nudo ^
Limitar della stanza, acuti lai ^
Mettendo; e quante la serviano ancelle | .^
Si di canuta età, come di biondai j
Ululavano a lei d'intorno tutte. ,
Ed ella, forte lagrìmando, Amiche, ,
Uditemi, dicea. Tra quante donne ,
Inacquerò e crebbcr meco, ambasce tali ]
Chi giammai tollerò ? Prima un egregio
Sposo io perdei, d'invitto cor, fregiato : ,
B' ogni virtù tra i Greci, ed il cui nome 1
Per l'Ellada risuona, e tutta l'Argo.
Poi le tempeste m' involaro il dolce
Mio parto, in fama non ancor salito ,
£ dei viaggio suo nulla io conobbi.
Sciauratel cravi puri' istante noto,
Ch'ei nella cava entrò rapida nave ;
Né di voi fu cui suggerisse il core
Di scuotermi dal sonno? Ov' io la fuga
Potuto avessi presentirne, certo
Da me, benché a fatica, ei non partia,
O me lasciava nel palagio estinta.
Ma de^ serventi alcun tosto mi chiami
L'antico Dolio, schiavo mio, che dato
Fummi dal genitor quand'io qua vennii
Ed or le piante del giardin m'ha in cnc«t 1
Vo' che a Laerte corra e il tutto narri|
Sedendosi appo luì, se mai Laerte
Di pianto aspersa la senii sua guancia
f li
al fwpalo • bgoini
hs whluiUr runiè» nuBO ■
lUiiPifl dM dhlao Ulitte;
etU qui b«lia &jripiéi|
iptt Um nr* ài terbi .=
p«rta- 11 tolto io Mp|U| 9à figlio,
a Curiae o il ro«o vino
t qpui giortr eoi gionuoonto
Mk gli dbicì, «Im ore agli onooiii i
q^iMMO daUo aoft parima
l|fioiide^ e ta «an mbiadaiti f
y fiiHKbo ftpontaaMt-.in cielo
aoi^amni, 'Onde eoi pianto
•^ aUivggiaiia il tao bel eoroow
bagoa^-e bianca Tetto pvoaéig '
aBOfUe tao nell^alto aseeto.^ -
ioofra che il figliool'ti i|oanH t
er più con imbaaciatè il Teglia
e afflitto assai. Ho, Unto ai Noni
Arcctio la progenie in ira,
erme TÌver non ne debba, a cui
uraglìe sorgano, e i remoti
ran di messe allegri campi,
leste Toci ie sopì nel petto
, e il pianto le arrestò sai ciglio.
ossi, bianca yeste prese,
ancelle sue neir alto ascesa ,
;r'*orzo nel canestro, e il sale,
I supplicò. M^ascolta, disse,
(loco Giove inclita figlia,
contorto ne^paterni tetti
agna o di bue cosce mai t^ arse,
me ton risorvenga: il figlio
i, e sgombra dal palagio i Proci,
à ciascuD di monta P orgoglio.
in no ^rìdo dopo. Ui paroh j
84 ODlSUBi
E PAlcnéa Minerva il priego accolse.
Tumulto fcan sotto le oscure volte
Coloro intanto, e alcun dicea: La mollo
Vagheggiata Reina ornai le nozze
Ci appresta, e ignora che al tao Bglio
S^apparecchia da noi. Tanto dal vero *"
Quelle superbe menti ivan lontane. i
Ed Antinoo: Sciaurati, il dire incanto^
Che potria dentro penetrar, frenate.
Ma cne più badiam noi? Tacitamente '
Quel che tutti approvar mettiamo in opili^
Ciò detto, Tenti scelse uomini egregi | ^
Ed al mare aTTÌossi. Il negro legno
Vararo^ alzaro Palbero, asiettaro
Gli abili remi in Tolgitoi di cao]0|
E le candide vele ai venti aprirò.
Poi, recate arme dagli arditi aerTÌ|
NelPalta onda fermar la negra nave.
Quivi cenare; e stavansi aspettando
Che più crescesse della notte il bujo.
Ma la grama Penelope nell'alto
Giacca digiuna, non gustando cibo,
Bevanda non gustando; e a lei nel petto
Sul destin dubbio di si cara prole
Fra la speme e il timor Palma ondeggiaTii
Qual debuttanti leoncin la madre.
Cui fan corona insidiosa intorno
I cacciatori, che a temere impara
E in diversi pensier Palma divide:
Tal fra se rivolvea cose diverse,
Fincbè la invase un dolce sonno. StCM
Sul ieUo, e tutte le giunture sciolta,
La dcMUia inconsolabile dormia.
▲lk>r la Dea dalPazzurrino aguardo
Nuova cosa pensò. Compose un lieve
Fantasma, che sembrava in tutto Iftima,
D'Uario «n^altra ù^Via^ a cuv legato
di TeMaflia vft^ Mgglonio.
la ÌBfi& <PmiiM al tctté^ ' -
lA tnaqvUlaiM ù-coit^ > '
a ki «bttdiMe € il pianto;
iftttto Mlbdd temine
ìmmMf e, standola tul eepOf
enelopa, dieea,
io^o? GTiaiaMirtali Dei
OH Teglioiiti né trista. ;
fliool toOf perehè de^nlni \
> lallir mai boq ineone.
■y okedoraiia de^iogoi
tenie in ao le portrs
de Tenitto? Io mal da jMrim ' ;
m, ceil da longe iilb«rclii { ^ ^
7io Tinca qoel martfr ^eln eentof ,
ringe Phlaa, io, die nn coniorlif
lon, di al gran core, ornato
1 tra i Greci, ed \\ cai nome
t risuona e PArgo tutta!
questo che il diletto 6glio
tta nave^ ao giovipetto
le e deirusanze ignaro.
er lui, che per Ulisse, io piango y
i sorprenda o tra le genti
> in mare, alcun sinistro: tanti
che rinsidiano, e di vita
fsian leyar, ch^egli a me torn*.
>rese il simulacro oscuro:
te questi ribrezzi, e spera.
il siegue di cotanta possa ,
per sé la brameria: Mìnerya ,
iì te punse, e di cui 6da
infbrto ambasciatrice io venni.
già Penelope a rincontro:
. Dea aei dungue^ o almeno oditli
86 ODISSEA
La voce d^una Dea, parlarmi ancora
Di queiraltro infelice or non potrai?
Vivr? rimira in qualche parte il Sole?
O ne^ baui calò regni di Piato?
Ratto riprese il simulacro oscuro:
svi viva, o no, non t'aspettar elisio narri.
Spender non piace a me gli accenti indai
Disse; e pel varco, ond'*era entrata, uscei
Si mescolò cocenti, e dileguossi.
Ma la Reina si desiò in quel pantO|
Ed il cor si senti d'ua^improWisa '
Brillar letizia, che lasciolle il sogno,
Che si chiaro le apparve innanzi Talba:
I Proci Ponde già fendeano^, estrema
Macchinando a Telemaco mKia;
Siede tra la pietrosa Itaca e Sataae
Ua^isola in quei mar, che Asteri e dettai
Pur dirupata, né già troppo grande.
Ma con sicuri porti, in cui le navi
D'*ambo i lati entrar nonno. Ivi in afgUI
Telemaco attendean griniqui 4chei.
I
I
T*^
LIBBO QUINTO
ooBoilio degli DeL. Pallide si lagne
e riteDDto lie nelP isole di GeKpeo,
tepU d^emmanareTeleffleco. Giove
(escorio ^a Calipto, che mal Toleft»
eda UlÌMe. Partenza dì quftto tovni
e di latta da -lui conitrutta. Netta-
Ite contro usa orribil tempeste , per
E^ata la barca, ei gettasi a nuoto;
t)uto d' una fascia , che Jno, Dea del
diede, approda, dopo infiniti patì-
J^ isola de^ Feaci.
.arora, levandosi a Titone
, abbandonava il croceo Iettò,
portava ed ai mortali il giorno}
i a concilio i Dei beati
>n Giove altitonante in meztOy
isanza cede ogni altro Nume.
» Palla de ir egregio Ulisse^
>uo grado appo la Ninfa scorge
lesse ane acerbi casi,
disse , e voi tutti d^ Olimpo
lui } che in eterno siete ,
8S oBitnA
Spoglili di ginstiua e di petade , -k,^
E iniquiUte e crodelià u Testa
D^ ora innanzi ogni Re^ qoando V imigOi '
jy Ulisae più non tìto in un aol core
Di qaella gente ch^ ei reggea da padra.
Ei nell'* isola intanto , ove Galipso
In csTe grotte ripugnante il tiene |
Giorni osi'osi e travagliosi mena ;
E del tornare alla sua patria è nulla, *
Poiché navi non ha , non ha compagni ,
Che il carreggio del mar su V ampio terp^
Che più? Il ègliuol, che alP arenosa Pib
MoMC ed a Sparta onde sayer di laì|
Tor di vita si brama al suo ritorno. '
Figlia , qua! ti sentii fuggir parola
Del recinto de** denti ? a lei rispose
L"* adunator di nubi Olimpio Giove.
Tu stessa in te non divisavi . come
Rieda Ulisse alla patria , e di qui*'' tristi
Vendetta faccia? In Itaca il Ggliuolo
Per opra tua, chi tei contende? salvo
Rientri , e V onde navigate indarno
Rinavighi de^ Proci il reo naviglio.
Disse, e a Mercurio, sua diletta prole.
Così si rivolgea : Mercurio, antico
De"* miei comandi apportator fedele.
Vanne, e alla Ninfa dalle crespe chiome
Il fermo annunzia mio voler che Ulisse
Le native contrade omai rivegga.
Ma noi guidi uom, né Dio. Parta su traTi
Con multiplici nodi in un congiunte |
E il ventesimo di della feconda
Scheria le rive, sospirando, attinga |
E i Feaci V accolgano, che quasi
DegP immortali al par vivon felici.
Ks^i qual Nume onoreranlo, e al dolce
Nativo loro il manderan per nave ,
• 1 1
.1
imo ▼•
l« AirtnM|U ed oro « vaili,
n leoo qmXIm tìdU Troia
avrk , ao 0911 Ut prada p
b| no ritoroATft ìUmos
a coti , ^i anki o Palto ■..-.>
palagio a lui daUtìma* . •*
prodo meiMggero. Al piedlo ' -. f
talar belli, ai^rei» «mmorUliy : 1 V
» il portavaDO « o« i oaa^ / ;
infiniti a par eoi ▼eoto» ' . ■ ■
vergt nelle maA rtcoMi «
tali doloemepfce aMooiWy : . ;.y
•iaoe» e li dÌMOnoa aiiQoni|i ki/
1 tra man V aovo fendeo.
ebbe di Piteria i 9Ìo|iiip
Lo e 81 gittò aol oMuroc ' >
i radea vdocémento p .1
•o che pe^ vasti golfi
traccia de* minuti peiei|
gran sale i Tanni bagna*
iti sen venia radendo
e molte V Argioida Ermeto.
ì fu alP isola remota ,
r dagli azzurrini flutti ,
3 ei sen già , finché vicina
lui la spaziosa grotta,
ella Ninfa il crin ricciuta,
Nume alla sua grotta in seno.
splendea foco, e la fragranza
dente e deir ardente tio
spargea Pisola intorno,
ido con leggiadra voce ,
i deir ordita tela
I d^ ór lanciando andava,
verde V incavato speco /
loppi vi cresceano e gli alni >
À odor bruni cipressi ì
90 oDisseA
E tra i lor rami fabbricato il nido
S'aveano augelli dalle lunghe penne ^
Il gufo, lo sparviere e la loquace
Delle rive del mar cornacchia amica.
Giovane Vite di purpurei grappi
S^ ornava e tutto rivestìa lo speco.
VÌ>lvean quattro bei fonti acque d^argen
Tra sé vicini prima, e poi divisi
L^un dall' altro e fuggenti; e di viole
Ricca si dispiegava in ogni dove
Be'* molli prati PMmmortal verzura.
Suesta scena era tal che sino a un Non
on pvOtea farsi ad essa e non sentirsi
Di maraviglia cotmo e di dolcezza.
Mercurio, immoto , s^ ammirava; e , mei
Lodatola in suo core, alP antro cavo ,
Non indugiando più , dentro si mise.
Galipso , inclita Dea , non ebbe in lui
Gli occhi affissati che il conobbe : quai
Per distante che Pun dalP altro albergh
Celarsi l' uno alP altro i Dei non poonc
Ma nella grotta il generoso Ulisse
Non era: mesto sui deserto lido,
Cui spesso si rendea , sedeasi ; ed ivi
Con dolori , con gemiti , con pianti
Strnggeasi V alma , e P infecondo mare
Sempre agguardava, lagrime stillando.
La Diva il Nume interrogò , cui posto
Su mirabile avea seggio lucente :
Mercurio , Nume venerato e caro ,
Che della verga d^ òr la man guerniscì ,
Qual mai cagione a me, che per V add
Non VISI lavi , oggi t^ addusse? Parla.
Cosa ch^ìo valga oprar, ne si sconvegn<
Disdirti ie non saprei , se il pur volessi.
Su via , ricevi P ospitai convito :
Pasci» /avellerai. Detto , la mensa ,
reo nettare ▼ertègii. - • ^
lefte AeMMgertf eq^elli^
i prìaa velWibne oéeVe «• " * * '
iMa le labtoi in tali aeeeiiti'9' •},
Dio dnoqoe rieiùedi 1^ ll'Vfróy ' ^
tu tnov, -acliietto* lo li luQM»*'
io^Salnnioii Églto ' ' ■ -••^>
lo mi dik Giri vortla itoal ' « * •'
onde ariae ^ < ininitei "ondt y ' ' ' '•
»B iorgre^ • éagrifici -f '■■- •«• 3
i ci eÉm ed ecatombe iHnAb^
to di Gioiw a un alito RMW ^ >^
obliar libe. -Te eo, ' 'j* ••
irmato, i fiomi lieiia •'
ramo tra quanti alla' oiUade •
nanxi combatteao nove antd.'^^':
amo al fin , Troja eombuftv f * '
Bar le ritornanti Tele.
lino ingiari'àr Minerra, |^
bufere, e immensi fluiti
Hevò. Tutti perirò
io i compagni, ed ei dal Tento
1 fiotto ai lidi tuoi portato,
congederai di botto;
ir dalla sua terra lunge |
bensì , gli amici e Tallo
»alagio é a lui destino,
lipso e, con alate
dendo, Àh^ Numi ingiusti,
invidia non più intesa è qaesta|
lea con maritale amplesso
a un mortai, voi noi soffrite?
ta di rosato Aurora
oi, Dei, cui vita
acre livor mordea^
igia il rintriicciò ia casta
Q9 ODIMKA
Dal peggio aureo Diana, e dMoiproTTiM
Morte il colpi cttn ioTÌsibil dardo.
E allor (^e venne inanellata il crino *
Cerere a Giation tutta amorosa,
E 1^1 naggeie che il pesante aratro
Ti-e ?oUe aperto avea se gli concesse^
Giove» CUI V opra non fu ignota, uxicise
Giasion con la folgore affocata. ^
Cosi voi, Dei, con invid^ occhio al fianco
Mi vedete un eroe da me serbato.
Che solo stava in su i ^]e8chini avami
Della nave, che il telo igneo di Giove
Nel mare oscuro gli percosse e sciolse.
lo raccogliealo amica, io lo nutria
Gelosamente, io promelteagli eterni
Giorni e dal gel della vecchiezza immuni.
Ma quando troppo é ver che alcun di Giovi
Precetto violare a un altro Nume
Non lice od obliar, parta egli e soIchi|
Se il comandò V Egidarmato , i campi
Non seminati. Io noi rimando certo ;
Che navi a me non sono e non compagni,
Qie del mare il carreggino sul tergo.
Ben so^vcrrogli di consiglio e il modo
Gli additerò che alla sua dolce terra
Su i perigliosi flutti ci giunga illeso.
Ogni modo il rimanda, PArgicida
Soggiunse, e pensa che infiammarsi d^ ira
Potrebbe centra te V Olimpio un giorno.
£ sul fin di tai detti a lei si tolse.
■L* augusta Ninfa, del Saturnio udita
La severa imbasciata, il prode Ulisse
Per icercar b^ avviò. Tro volto assiso
Del mare in su la sponda, ove le guance
Di lagrime rigava, e consumava
Col pensier dìel ritorno i suoi dolci anni.
Che della Ninfa non pungcalo amoro;
ib Miti nella OTajjtml
'^" Mi» e ^ i Mnitt «O0«IK 'V
P ilboi» e F iaOflotido uiVf
i p et ie hfriawndo , ■gWMtdter • • <-
»» gli dlM, ìb queiU tlmm '
;M ai liar, bA ooaioiBMa 1 doM
ri kc|^ «ni ooMi la diputifft,
kilw vietarti, Mfokftl io pMMò. ' • '^
^ fk, !• tniTi aaUa atlfa tronelMr,
h|i • 0M aiti palchi a te aòMM
wa che Mi aiar IbMo ti pitirtt
LA cttdido paa, die r im^oftcuia
IM ifaiBsly lo di parìatim* mèòM
Hnmò lieor, gio|a dell* alòtti
ft «rdMTÒ s ti irettirò aon tìII
■li. e ti maoderò da tergo an Tento
he elle cootrtde tae ti spioga illeso ,
d ehe d* Olimpo agli abiianti piaccia ,
ioa coi di senno in prora io già non regtio.
laccapricciossi a q lesto il no» mai vinto
^ sTentare Ulisse , e , O Dea , rispose
!oa alate parole ^ altro di fermo j
^•a fl congedo mio , tu Tolgi in mente ,
Wtioì ch^ io-Tarchi su tal barca i groMÌ
id difficile mar flutti tremendi ,
^ le navi pia ratte e d^ ugnai fianchi
'■aite e liete di quel Tento amico
^ da GioTO parti Tarcano appena.
^ sa barca si fatta , e a tuo culrpettOt
[la lilirò , doTO tu pria non degni
*Bare a me con giuramento grande
^ aessoBO il tuo cor danno m* ordisce.
Wnìsa PAtiMutide ep deìlm mano
94 OSlSSBà
Divina careggiandolo , la lingua
Sciolse in tai voci : Un cattivello ici^
Né ciò che per le fa scordi giammai.
Quali parole mi parlasti ? Or sappia .
Dunque la Terra e il Ciel superno e Tatrai
Che sotterra si votive , acqua di Stige ,
Di cui né più solenne han né pia «acro
CrV Iddii beati giuramento ; sappia
Che nessuno il mio cor danno t^ ordisce.
Quello ansi io penso e ti propongo ch^io
dorrei per me, se in cotanO uopo io fossi.
Giustizia regge la mia mente , e un' alou
pietosa , lion di ferro , iu me b^ annida.
Ciò detto, abbandonava il lido in frettai
E Ulisse la seguia. Giunti alla grotta.
Colà, dond^ era V Àrgicida sorto ^
S^ adagiò il Laerziade ; e la Dea molti
Davante gli mettea cibi e licori ,
Quali ricever può petto mortale,
poi gli s^ assise a fronte ; e a lei le ancellt
L^ ambrosia e il roseo ne'ttare imbandirò.
Come ambo paghi della mensa furo,
Con tali accenti cominciava Talta
Di Calipso beltade : .0 di Laerte
Figlio divin, molto ingegnoso Ulisse |
Cosi tu parti adunque, e alla nativa
Terra e alle case de^ tuoi padri vai ?
Va A poiché, si t' aggrada , e va felice.
IVIa se tu scorger del pensier potessi •
per quanti a£fanni ti comanda il fato
prima passar che al patrio suolo arrìfl^
Questa casa con me sempre vorresti
Custodir, ne son certa , e im mortai vitjA
Da Calipso accettar : benché si viva
Btama t^ accenda della tua consorte ,
A cui giorno non é che non sospiri.
Pur non cedere a lei «é di statura
K^S'Kni Ulisse .! * "P""^" i' riWn
Br'" «aasia D_ f.r-':'' cono.™ :
I^-Mcjue morls/e e ,■' J''^ <?' Mntra
£*'«'' desio ci,e mi /' Pensiero Tm,. .
ÌZi'T-'''''':'","''
'M e tnaato air. *PP»ne.
*""« "«. li,, j. "Pepili.
^ 0DIS8IÀ
Cretcean^ piopp't ^^^ ® ^^^^ ^ ^^^^ ftbrtì,
Ciascan risecco di gran tempo e anicciO| '
Che gli Mlruccioli ageTole sulPonHa. '
Le altere piante gli additò col dito,
£ alla saa grotta il pie torse la DiTa. |
Egli a troncar cominciò il bosco; Popra
Nelle man delPeroe correa veloce.
Venti distese af suolo arbori interi^
Gli adeguò, li poli, l'un destramente
Con Taltro pareggiò. Calipso intanto
Kecayft seco gli appuntati succbj.
Ed ei forò le travi e insieme unillei
E con incastri assicurolle e chiovì.
Larghezza il tutto avea, quanta ne danno
Di lata nave trafficante al fondo
Periti fabbri. Su le spesse travi
Combacianti tra sé lunghe stendea
Noderose as«i, e il tavolato alzava.
L^albero con Tanteuna ersevì ancora,
E constrasse il timon, che in ambo i lati
Armar gli piacque d^in trecciati salci
Gontra il marino assalto e molta selva
Gìttò nel fondo per zavorra o stiva.
Le tue tele, o Calipso, in man gli andaro,
E buona gli usci pur di man la vela.
Cui le funi legò, legò le sarte.
La poggia e Torza: al fin, possenti leve
Supposte, spinse il suo naviglio in mare,
Che il di quarto splendea. La Dea nel quinta
Congedollo dalPisola: odorate
Vesti gli cinse dopo on caldo bagno;
Due otri, Pan di rosseggiante vino,
Di limpid^acqua P altro, e un zaino in cai
Molte chiudeansi dilettose dapi
Collocò nella barca^ e fu suo dono
Un lenissimo ancor ?ento innocente.
Che fDandò innanzi ad mcct&i^ar^U il mare:
dell'* innoeflnlè tento ,
^aiodiy al tjanoBe •■
3 ptno. dirige* ooo arte, .
fadaa. am le palpebre H tomiOi
at|— to le Plefadi mirava
atiwaoBtar Bodle e POna
[letta-i para il Curo e là d fira^ .
' ado «aaspra in Orloae» e sola
lido Oeelm «dcgM^ lavarti %
I A»^ IBtMe, navigando^ a nanea
dovea^ «DBM la 'Diva iogiante.
Mllecrióava a tette gianii
«aspi d^ ArtlUritii. Il di novelle , .
WeonWo eo^eiMÌ monti omWaij
ée^ Fcaei» a eoi la jitrada * •
ilo pie oarta e ^e appaèla
nói» ecuda alle laeche onde iofinu
liai'inflAli'di Selma lo Kène-
per le talte onde tranqaiUa
ite NeitDri, che rìtoroava
'Etièpia, e nel profondo core
crocciato che mai, sqoasfando il eapO|
k! ditte dentro a se, nuovo decreto,
*io fai tra gli EUopi, intorno a Ulisse
lunque i Numi ? £i già la terra vede
'fcaeiy che il fato a lui per meta
tae lunghe dìsventure assegna. .
BoltOy io- credo, a tollerar gli resta*
le i Cf ciato di piglio al gran tridcnte|
ii radunò, sconvoke V acque,
incitò di lutti i venti i^ ire,
itenra di nuvoli coverse,
il mar : notte di elei giù tcese.
itero sul mar quasi in un groppo
y Baro e Nolo e il celere Poiieole
[^«ilon die 'pruine aspre su rali
■ eil immenai Éuill ianaha e volve.
CWftu ^
fa?'
q8 odissea
Disrior sentissi le ginoccbia e il core
Di Laerte il figlinol, che tal si dolse '
Mei secreto dell'* alma: Ahi me infelice! ■
Che di ose sarà ornai ? Temo non torni ^
Verace troppo della Ninfa il detto , -1
Che al patrio nido io giungerei per nietx»
Belle fatiche solo e delP angosce.
Di quai nuvole il cielo ampio inghirlanda
Giove, ed il mar conturba ? E come tutti'
Fremono i venti ? A cerla morte io corvob
Oh tre fiate fortunati e quattro ,
Cui perir fu concesso innanxl a Troja, '^
Per gli Atridi pugnando ! E perchè allonj
Non caddi anch ''io che al morto Achille intera
Tanto i Trojani in me lance scagliaro? 1
Srpolto i Greci co' funebri onori \
ISr avriano e alzato ne^ lor rantr al cielo. ^
Or per via così infausta ir deggio a Dite.
Mentre così doleasi, un^ onda grande '
Venne d^ alto con furia e urtò la baret '
E rigiroUa; e lui, che andar lasciossi
Dalle mani il timon, fuori ne spinse.
Turbine orrendo d' agfrruppati venti
Ij"* albrro a mezzo gli (iacco : lontane
Vela ed antenna caddero. £i gran temno '
Stette di sotto, mal potendo il capo
Levar dalP onde impetuose e grosse ; .
CItc le vesti gravavanlo rhe in dono
Da Calipso ebbe. Spuntò tardi, e molla
Dalla bocca gli uscia, gli piovea multa
Dalla testa e dal crino onda salata.
Non però della zatta il prese oblio:
Ma, da sé i flutti respingendo, ratto 'i
L"* apprese, e glàdi sopra, il Gn di morte ^
Schivando^ vi scdea. Rapfala il flotto
Qua e là per lo golfo. A quella guis^i
Che sovra i campi il Tramontan d"* aulni
i
imo ▼ 9g
Isa d^ annodate spine*,
alsavanla ani mare.
portare a Borea V offre , ,
bè davan^ a sé la cacci,
e d^ Occidente al vento.
1 vide dal tallon di perla
dmoy Ino chiamata al tempo ^
ra i mortali : or nel mar gode
ì e Leocot^a si noma.
1 cor per lui d'^ alta pietade,
onda fuor, qual mergo, a toIo^
▼i oene avvinte assisa }
silo : Perchè, meschine,
li con te d^ ira si acerba *
r della terrena mole ,
na i mali F Ah I non fia certo
aantoildefcii, spenga i tuoi giornL
rista m^ hai d** uomo non folle,
insegno. I panni tuoi svestiti ,
viglio da portarsi ai venti ,
cerca il feacese lido ,
ita de** guai V assegna il fato.
»rendi , e la avvolgi al petto,
)rtal, ne temer morte o danno.
Fcacia il lido appena ,
in mar dal continente lungi
;orci u<^l gitlarla il volto.
i a lui V immortai fuscia data ,
• qual mergo, in seno al fosco
pante, che su lei si chiuse,
està e in forse il paziente
ivi no, e con se stesso,
lo i sospir, tal si consiglia:
nuovo non mi tessa inganno
rni alcun, che dal mio legno
^iiiugc. Io così tosto penso
gli ) che la terra dove
f OO ODISSEA
Di scampo el m^affìdò troppo é lontana»
Ma ecco quel che ottimo parmii quanto
l^IoDgiunte rimarran tra lor le travi ,
Non abbandonerolle, e co'' disastri
Fermo io combatterò. Soiorralle il Motto?
Porrommi a nuoto, né veder so meglioii
Tai cose in sé volgea, quando Nettano
Sollevò un^ onda immensa, orrenda, gni
Di monte in guisa e la sospinse. Come
Disperse qua e U vanno le secche
Paglie, di cui sorgea gran mucchio in pi
Se mai le investe un furioso turbo.
Le tavole pel mar disperse andaro.
Sovra un sol trave a cavalcioni Ulisaa
Montava : i panni che la Dea Galipao
Dati gli avea svestì, s^ avvolse al petto i
L^ immortai benda e si ^ittò De^ gorghi i
Bocron , le braccia per notare aprendo» ^-^
Né già «^ ascose dal ceruleo IddiO| i
Che, la testa crollando^ A. questo modo
Erra, dicea tra se, di flutto in flutto
Dopo tante sciagure e a genti arriva.
Da Giove amate : benché speme io porli ' *
Che né tra quelle brillerai di gioja.
Così Nettuno; e della verde sferza {
Toorò i cavalli alle leggiadre chiome » i\
Cbe il condussero ad Ega, ove gli splende J
Nobile altezza di rcal palagio. \
Pallade intanto, la prudente Gglia
Di Giove, altro penso. Fermò gli alati 'i
Venti , e silenzio impose loro e tutti ~
Gli avvinse di sopor, fuorché il veloce 4
Borea , che, da lei spinto, i vasti flutti ^
Dinanzi a Ulisse infranse, ondaci le ri? e
Del vago di remar popol Feace
Pigliar potesse, ed ingannar la Parca.
Dm giorni in cotal foggia e tante notti '^
Ifollb erraTB, e 0pìeMO il cort
«•affla. Bla quando: 1' Alba
ate dt purpurea roae
•eco, tacqueti il reuto,
lillo aereo regnava intomo.
coi levò io alto un grotao
rra flon lontana scòrte,
fendo le branoie ciglia. *
' dolee a no figliuol pio la Tittii
che so dolente letto
nnto^ distrutto e dk uo niali|;no
^i|ue lunghi di percottOy
cidial morbo corteii
gli Dei f tale ad Ulisse . ^ i
I 5rerde della selva jppanre,
MaiulOy ambi morea di tutta
piedi a quella volta. Come
il , quanto d^ noni corre un gridO|
>i romor : poiché i ruttati
lo del mar flotti tremendi,
m si rorapean Jidi ronchiosi,
\ naugghiayano e di biauca
*ian tutta la sponda, mentre
e di navigli o seno
irla, ma liltorati punte
in fuori e scogli e sassi,
a tanto ed il coraggio Ulisse
ite, e dice a sè^ gemendo:
he Giove il disperato suolo
) m^ abbia la via per Ponde apertai .
me fuor non veggio il come?
Tonde acuti sassi ^ a cui
I flotto intorno freme ,
: ya su liscia e lucente:
IO è il luar che nelP arena
pie securàmenle io valga.
Irar meo vogho, un gran maroso
Sovra di lé pnù lormi, e in dura j;
Cncciarnii | o »' io lungo le rupi cei
JJAtando un porto n una <lrclÌTe i
Temo non procellosa onda m' ■**<
E loipirando gravementtf in grani
Hi l'isoipiogi del pescoso mare.
Forse un de' moitri ancor, ebe mo
Ve' gorglii (uni la nobile Anfitrile,
M'aualirà: che Todio io ben eotto
Che m' La quel Dio per cui la teri
Stando egli in lai prniien,una «e
TraportoUo con >è vèr Tineguala
Spiaggia , cbe lacerata in un lol f
Le pelle nvrfagli , e sgretolale foi
Sema un coniiglio, clie nel cor gli
Lacchi cerulea Dìts. AfTerrb ad ai
Mani la rupe, in ch'ei già da**, e
Gnmendo l'attenpa. Deluso intani
Gli pnBsò su la lesta il violento
Fluito : le non che por, toniando
Con nuova furia il ripercosse, e li
Lo sballò della spiaggia al mare in
Polpo così dalla pietrosa tana
Strappato virn, salvo che a lui HO
KrtUn lapilli nelle brancfae inBtIi
E Ulisie in vece la squarciata pel
Delle nervose man laiciò alla rupe
L'onde allora II coprirò, e l'infelie
Conira il Tato p'rfa ; ma infuse ■
Nuoio pensier l'Occhiaziurrina. !
Dall'onde, il lido costeggiava, ai l
Che vcl poiiavan, coutV'asLando) 4
Mirando sempre se da qualche pt
Scendesse una pendice, o un seno
Jìi dall'opra cestb che d^un bel
Giunto ai vide all'argentina foce.
Uttimo qui gli seaibrb il loco al I
quel che né di sassi aspro era
perto ai yeuìu Avtìsò ratto
inor elio derolTeasi al maire,
itro di se preghiera feos
[Qf tu aii ne di qnest^ acqae ,
te 9 coi sospirai cotanto,
li di Nettano e ie minacee
ì, io m^appresento. È saera eoaa
lOMurtali ancor l^uom, che d'altcon^
*rando « com^ io « che dopò molti ■
f&noi ecco alla tua corrente .
e ai ginooohi toot Pietà d^ Ulisse 9
supplioe Tedi , o Re , ti prenda,
ed il Nume acdietò il corso, e i^Doda
sparse una perfetta ealma ^
ce il salvò del suo bel fiume,
tocca la terra , ambo i ginocehi -
legò- le nerborute braccia:
gran sale V affliggea. Gonfiara
laoto il suo corpo , e per la bocca
ir gli sgorgava e per le nari;
oza respiro e senza voce
e spento di vigore affatto^
pa nel suo corpo enlrò stanchezza.
il fiato ed il pensier riebbe ,
1 petto la divina benda
e gittolla ove amareggia il Qume«
nte rapivala j né tarda
derla fu con man la Dea.
onda ritrattosi, chinossi
li giunchi , e baciò V alma Terra»
lecreto della sua grand^alma
lava e sospirava insieme:
*ei, che mi rimane ancora
lioso a tollerar? Dov^ io
gravosa notte al fiume in riva
isi, Paer freddo e il molle guazia
me dJpenaag § d'tilauL iaferuia
If>4 QBISSM
Struggere ti tatto) che su t primi albori
Nemica brezza spirerà dal fiume.
Salirò al colle in Tcce ed alP ombrosa
Selya , e m"* addormirò tra i folti arbusti ,
Sol che ncQ vieti la fiacchezza o il ghiado,
Che ilsoono in me passi furtivo? Preda
Diventar delle fere e pasto io temo.
Dopo molto dubbiar^ questo gli parve
Hen reo partito. Si rivolse al bosco ,
Che non lunge dalP acque a un poggio in eii
Fea di.M mostra, e s"* in temo tra due
Si vicini arboscei ^he dalla stessa
Radice uscir pareano, ambi d' ulivo ,
Ma domestico V un , V altro selvaggio.
La forza non crollavali de^ venti ^
ISè V igoeo Sole co^ suoi raggi addentro
Li saettava , né le dense piogge
Penetrayan tra lor: si uniti insieme
Crebbero e tanto s** intrecciaro i rami.
Ulisse sottentrovvi, e ammouticossi
Di propria man comodo letto, quando
Tal ricchezza era qui di foglie sparse
Che ripararvi uomini tre , non che uno t
Potuto avriano ai più crudeli verni.
Gioì alla vista delle molte foglie
L' uom divino e corcossì entro alla foglie
£ a sé di foglie sovrappose un monte.
Come se alcun che solitaria suole
Condur la vita in sul confin d^ un campo |
Tizzo nasconde fumeggìante ancora
Sotto la bruna cenere, e del foco,
Perchè cercar da sé lungi noi debba ^
Serba in tal modo il prezioso seme :
Cosi celossi tra le foglie Ulisse.
Pallade allor , che di si rea fatica
Bramava torgli P importuno senso ,
Un sonno gli versò dolce negli occhi ,
l«e dUeiU palpebre a VA n«\w\4^
. t . • . * ■•
LIBEO SESTO
I
4IQ0lglST0
ide .va aelF Itole de* Felci ed ap|Mn«
IO a Neatiee. fif iia del re AMdoo | è
ta eeodorai al fivme a larar le Testi |
landosi il fiomo delle tue neae. N «»-
itteoota dal padre il eoochtò, efoe della
Levate le Tetti , nietteii a giaoeare alla
Don le tae ancelle. Lo strepito risT^Na
che anoor dormia^ e che , presentatoti
principessa ^ pregala di sovTenimento*
I soccorre di cibo e yestito e guidalo
ta
atre sepolto in nn profondo sonno
MMava il travagliato Ulisse ,
fa al popol de^Feaci e alPalta
Ita t''awiò. Ouesti da prima
Iti d** Iperéa fecondi piani
limora lolean , presso i Ciclopi ,
'■ di cor superbo e a^snoi ricini
> molesta più, quanto più fòrte.
A Nausitoo f somigliante a un Dio f
l sede IcTolli , e in una terra
W|^ aomim iDdiittrì iì mar divido
-T- i:i^
106 -ODISSEA
Gli allogò, nella Scheria; e qui condasse
Alla ciilade una muraglia intorno ,
Le case fabbricò , divise i campi ,
E agP Immortali i ^aacri templi eresse.
Colpito dalla Parca , ai foschi regni
Era già sceso , e Alcinoo , che i beati
Numi assennato avean, reggea lo scettro.
L^pcchioilentra Dea, che sempre fissi
Nel ritorno d"* Ulisse ayea la mente >
Tenne verso la reggia , e alla secreta
Dedalea stanza si rivolse , dove
Giovinetta dormfa che le Immortali
1>^ indole somigliava e di fattezze ,
Jlaasica i ^el He figlisr; ed alitf porta |
Che rinchiusa era . e risplendea 'Dèi h^j
Giacean due , P una quinci e V altra qnìMB
Pudiche ancelle, cui le Grazie istesse
Di non vulgar beltà la £sicoia ornerò.
La Dea che gli occhi in azzurrino tinge
Quasi fiato leggier di pìcciol vento,
S^ avvicinò della fanciulla al letto,
E sul capo le stette, e, preso il volto
Della figlia del prode in mar Dimacte
Molto a lei cara , e ugual d''elade'a lei|
Cotali le drizzò voci nel sonno :
Deh , Nausica , perchè te cosi lenta
La genitrice piirtori ? Neglette
Lasci giacerti le leggiadre vesti ,
Benché delle tue nozze il di a"* appressi.
Quando le membra tue cinger dovrai
Delle vesti leggiadre, e a quelli offrirne
Che scQrgeranti dello sposo ai tetti.
Cosi fama s^ acquista, e ne gioisce
Col genitor la veneranda madre.
Dunque i bei panni , come il cielo imbiané
Vadasi a por nelP onda:, io- nelP impresa}
OudeL trarla più ratto a fio lu possi |
ì
UBtO ^ 107
D BWg wgM ti Mrò. Yer^ùt, io credei y
Non rimarral^grao pezza } e già di quatta.
Fra e«i nascesti e tu, popol Feace
[ migliori ti ambiscono. So vìa,
Spantato appena in Oriente in Sole*
FroTa V inclito padre , e de^ gagliardi
Moli il richiedi e del polito carro.
Che i pepli , gli scheggiali e i preiloti
Manti Gondaca : poiché sa distanno
Dalla città i laTacri che del còcchio
Calerti, e non del piede., a te i^addieet
Finiti ch'^ebbe tali aceenti e- messo
Consiglio tal della fanciulla in petto »
La Dea, che gaarda con azzurre luci
Air Olimpo toro&, tornò alla ferma
Be'* sempiterni Dei sede tranquilla ,
Che né i venti commuovono , né bagna
l^a pioggia mai , né mai la neve ingombra j
Ma un seren puro vi si spande sopra
Da nube alcuna non offeso, e un vivo
Candido lume la circonda in cui
Si giocondau mai sempre i Dii beati.
L^Àurora intanto dio su Paureo trono
Comparve in Osìente, e alla sopita
Vergine dal bel peplo i lumi aperse.
La giovinetta s'^ammirò del sogno,
E al padre per narrarlo ed alla madre
Corse, e trovolli nel palagio entrambi.
La madre assisa al focolare e cinta
Dalle sue fanti e cdh la destra al fuso
Lane di fina porpora torcea.
Ma nel caro suo padre, in quel che al grande
Concilio andava, ove attendeanlo i capi
De"* Feacesi , s"* abbatté Nausica ,
E, stringendosi a lui, Babbo mio dolce.
Non vuoi tu farmi apparecchiar, gli disse^
L^ eccelso carro dàUe lieyi ruote,
I06 0D19SE4
Àccioccbé le neglette io reclii al fiume
Vesti OAcurate, e nitide le torni?
Troppo a te si convien che tra i soprtni
Nelle coninlte ragionando aiedi ,
Seder con nonde Teatimenta |n doiM.
jCinque in ctaa ti redi amati figli ,
Due jgià nel maritaggio, e tre cui rìde
Celibe fior di giovinezza in volto.
Ottetti al ballo ir vorrian con panni tempra
òinnti dalle lavande allora allora.
E tai eote a me ton per tutte in cara.
Tacque^ a tanto; che toccar le nono
Sue gioTanili non t^ardia col padre.
Ma ei oomprete il tutto e ti ritpoaet
Me dì quetto io potrei, né d^altro, » fif^ia.
Non todditiiurtL Va: Talto, impalcato
Carro veloce appresteranti i tervi.
Diate s e gli onlini diede, e pronti i tervi
La mular biga dalle lievi ruote
Trasser fuori, e allestirò, e i forti muli
Vi miter sotto e gli accoppiaro. Intanto
Venia Nautica eoe le belle vesti.
Che tn la biga lucida depose.
Cibi graditi e di sa por diversi
La madre collocava io gran paniere,
E'-nel capace ten d^otre .caprigno
Vino infbndea soave : indi alla figlia ,
ChWa tul cocchio, perchè dopo il bagno
Se con le ancelle, che segufanla, ungeste^
Porse in ampolla d"* òr liquida oliva.
Nautica in man le rilucenti briglie
Prete, prete la sferza, e die di questa
«Sovra il tergo ai quadrupedi robusti ,
Che si moveano strepitando^ e i patti
Senza pota alinngavano, portando
Le Tetti, e la fanciulla, e non lei tela,
Quando ai fianchi di lei tedean le ancelle.
U fur dcU'argirntino (lume
ondanti acqua perenne,
ecliia non e che non si ter»,
muli, E al TorlicosD Gume,
morseccbiar cibo, loave
I pari, li nianiJBro in riva.
cocchio in le braccia i drappi
> gìttavanli neironda,
;iiTa tutta; e in largbe foMe
preato pie peilandu a prova.
ietti d^ogni W brnttura ,
. l'altro gli slendean tul lido,
pietraie il mar poliva.
ìume paiteggiàr mi margo :
■Ito co' raggi Bureolncenti
Irjppi rasciugava ìl Sole.
della incnia ogni dfSi'o,
e, d'Erimtnto,
tra agli omeri, prendendo
rvi e de' cinghiai diletto i
•role di Giove, a lei d'intorno
:ccc Ninfe, onde a Latona
:or tacita giaja ; ed ella
sovrana e della fronte'
;e a tutte l'altre, e vaga
più qual da lei meno é vinta:
va tra le ancelle* questa
II rito I vergine intatta.
gìon che al suo paterno tetto,
utili, e ripiegati i manti ,
110 Ofii&SIA
Bitornar dispone*, nacque an noTello*
Consiglio io niente alPocchiglauca Difa«
perchè Ulisse dissonnisi^ e gli appaja
La gioTinelta dalle nere ciglia,
Che de^ Feaci alla cittade il guidi.
Nausica in man tolse la palla, e ad una
Delle compagne la scagliò : la palla
DesTiossi oal segno a cui volava,
E nel profondo vortice cade.
Tutte misero allora un alto grido.
Per cui si ruppe incontanente il sonno
Nel capo a Uli^tse, che a seder drizzossii
Tai cose in sé volgendo: Ahi fra qual gente ^
Mi ritrovo io? Cruda, villana, ingiusla,
O amica degli estrani, e ai Dii sommessa?
Quel che Porccchio mi percosse un grido
Femmiuil parmi di faociulle Ninfe.
Che de^ monti su i gioghi orti e de'^fianii *
Nelle sorgenti e per V erbose valli
Albergano. O son forse umane voci,
Che teste mi ferirò? Io senza indugio
Dagli stessi occhi mìei sapronne il vero.
Ciò detto, uscia Teroe fuor degli arbusti ,
E con la man gagliarda, in quel che usds,
Scemò la selva d\in foglioso ramo,
Che velame gli valse ai fìnnchi intomo.
Quale dal natio monte, ove la pioggia
Sostenne e i venti impetuosi, cala
Leon, che nelle sue forze confida:
Foco son gli occhi suoi ; greggia ed armento,
O le cerve salvatiche, al diciuno
Ventre ubbidendo, parimente assalta,
Né, perchè senta ogni pastore in guardisi
Tutto teme investir Povile ancora :
Tal, benché nudo, sen veniva Ulisse,
Necessità stringendolo, alla volta
Delle fanciulle dal ricciuto crine,
loaMi'Ti ut
[o di MÌliaggiiiei eom^en^
iota raisembrò , cbe tat^
qua e là per V alte me.
IdDOO la diletta figlia ^
ide nelPalma infaie ardire ^
drogai tredkito le membra , .
gli di enntra, « immota stette.
pensieri ei dividea la mente:.
»echia ttrignere a Naasica,
icante in atto^ o di lontano- .-...:
molto eon biande jMirole
ittà mostrargli e d^nna Tetta
Dy ▼oletae.À elò- trattenne} • ;" - -^
atrìngèr de^ginocaht sdegnò '• « '
be in lei ti^ rifveg^iaiiM. Actenti
le inviò blandi' e aeoorti a dar tempo^
j odi t miei T0ti, Ab degg^ io Dea i <
à , o umana donna ? ^ tu alcuna •
) Dive ch«% in Olimpo' han seggio >
ade, agli atti, ai maestoso
spetto y io Pìmmortal Diana,
1 Giove la figlia, in te ravvilo. .
quelli che la terra nutre
iprisli al dì, tre volte il padre
tre la madre veneranda,
tre volte i tuoi germani,
anforto almo 8* allarga e brilla
Ita gioja il cor, sempre che in danza
3 entrar si grazioso germe.
: su tutti olirà ogni detto
*à un di nelle sue case addarti
'ì carca nuziali doni.
tal è^ offerse unqua nel volto
imina o d^ uomo alle mie eiglia:
mirando, e riverenza tìcmnii.
Ilo era bensì che «n giorno in Dclo
."•ara d^ Apollo ; rrgersi io vidi
119 0BI8MU
If UOVO nnipollo di mirabil fMlma t
Che a Delo ancora io mi condoiti , e
Mi segufa gente annata in quel Tiaggio
Che in danno riuscir doveami al fine.
E com^ io , fissi nella palma gli occhi |
Colmo restai di maraviglia, quando
Di terra mai non surse arbor ti bello ,
Cosi te , donna, stupefatto ammiro ^
E le ginocchia tue, benché m^ opprima
Dolore immenso , io pur toccar non OMi
Me uscito deir Ogigia isola dieci -
Portava giorni e dieci il vento e il-fiotld
Scampai dalP onda ieri soltanto , e nn Noi
Su queste piagge , a trovar forte nuovi
Disastri, mi gittò: poscia che stanchi
Di travagliarmi non credMo gli KtemL
Pietà di me. Regina, a cui la prima
Dopo tante sventure innansi io vegBO|
Io , che degli abitanti , o la campagnA
Tengali o la città, nessun conobbL
La citiade m^ addita , e un panno émaimi
Che mi ricopra ; dammi un sol , se pamù
Qua recasti con te, di panni invoglioi»
E a te gli Dei, quanto il tuo cor desiai
Si compiaccian largir : consorte e figli,
E un sol volere in due { però eh'' io vita
Non so più invidiabile che dove
La propria casa con un^alma sola
Veggonsi governar marito e donna.
Duol grande i tristi n^ hanno, e gioja i
Ma quei ch^ esultan più , sono i due sposi.
O forestier , tu non mi sembri ponto
Dissennato e dappoco , allor rispose
La verginetta dalle bianche braccia.
L'Olimpio Giove, che sovente al tristo '|
Non men che al buon felicità dispensa,' •!
Mandò a te la sciagura , e tu da forte ^
tltMIft tlS
f polishè ai nostri^ li^i
ane mnpnàmr'^ diirettC| o d^ altro
r^oliei ti éMm ed ai meaeliliil
ti dUa^io^ lo la eittade
lìoki riemo, e il noiae dirti
tanti, t d^Fead albergo
sitamla itola^ fd io nacqui
lanioiaf Aleinoo | in cai li eosaui
r ai jpntringe, e delP impero.
r«B^ 1lai«lca$ e alle conpagnei
e» iwmaten. In qoal parte
rcd f perdiè ir^ apparse nn novo t
BàaU d*vn nenfoo il volto?
ìmmi & e non fia che a noi / attenti
Mvtars tanto agii Dei tias eari«'
f in een ddPonde||iantè Mara
rivina f Tivlatn dirui
Taltro ddla rtirpe naana.
•o é -«ostai, die a qaeste piagge
nando, e a coi piriMare oriraolti.
ieri , vedete , ed i mendidii
da Giove tutti, e non v^ lia dono
si , che lor non torni caro.
di cibo e di bevanda il nuovo *
iccorrete j e pria d^ un bagno
fiume, ove non puote il vento,
npagne ristéro ed a vicenda
:«ro ; e y come avea d^ Alcinoo
ingiunto , sotto nn bel frascato
Ulisse 9 e accanto a lui le vesti
nnica e manto e la rinchiusa
(Mila- delP òr liauida oliva :
d entrar col pie nella corrente
miro. Ila Teroet Fanciulle ,
Ti da me non vi sia grave ,
o questa salsoggine marina
If4 ' />DtSSIA
beir oliva licor,roiiforto ignoto -
Da lungo tempo alle mie membra. Io eed
Hou la?erommì nel cospetto TOitro
Che tra voi itarmi non ardisco ignudou ■
Trasf-er le anrelle indietro, ed a Nanna
Ciò rifortaro. Ei dalle membra il sono ,
IVettunio sai, che gP incrostò' le larghe
Spalle ed il tergo, sì togliea col fiume ,
£ la bruttura del feroce mare
Dal capo s"* astergea; Ma come tolto
Si fa lavato ed unto e di que^ panni
Vestito ch^ebbe da Nansica in dono.
Lui Minerva , la prole alma di Giove,
Idaggior d^ aspetto, e più ricolmo in
Bese, e più fresco e ae^ capei lucenti ,
Che di giacinto a fior parean sembianti |
Su gli omeri cader gli feo le anella.
E qual se ciotto mastro , a cui delParte
KuUa celaro Pallade e Vulcano ,
Sparge alP argento il liquid** oro intomOi
Si che air ultimo suo giunge con Poprtij
Tale ad Ulisse V Atenéa Minerva
Gli omeri e il capo di decoro asperse ,
Ad Ulisse, che poscia, ito in disparte,
Su la riva sedea del mar canuto, [
Di grazia irradiato e di beltade.
La donzella stordiva ; ed alP ancelle
Dal crin ricciuto disse : Un mio pensiero I
Nascondervi io non posso. Avversi, il gisfl|
Che le nostre afferrò sponde beate,
Kon erano a costui tutti del cielo j
Gli abitatori : egli d^ uom vile e abbietto <
Vista m** avea da prima , ed or simile i
Sembrami a un Dìo che su V Olimpo sic^
Oh colui fosse tal che i Numi a sposo
Mi destinaro ! Ed oh piacesse a lui ^
Fermar qui la sua stanza ! Orsù , di cibo
Italp^ wmJ At, e di iMfUifa.
Hi^ ftoqUaieo oon oroecbb Ceto^
■UDida aegotr,: «1k> e. bevanda
Mtejbabuidiro ). e il parimte
e raura preadeat 4»*1 ^ fnn tenpo
i riitorì della oMOia indarno.
V^nd^luvm forgine novello
» iamagiaà. Sol vago carro'
icfato. veatiflienta pose.
Ite i a^oli di forte oQghiay e talae.
«à UUiM eonfortava : Sorgi,
Wf ao alla dttade ir ti talenta
do padre veder, nel coi palagio
iglioran della Feacia i capi,
■andò folle non mi sembri panto,
modo terrai. Finche moviamo
loi tra le fatiche e de** coloni,
>n Je ancelle dopo il carro vittni
entameiite : io. ti sarò per guida.
da presso la cittade avremo,
iremci. È la città da un alto
cerchiata, « due bei porti vanta
{osta foce, on qoinci, e V altro quindi,
cui rive tatti in longa fila
dal mare i navigaoti legnL
n porto e V altro si distende il £»ro
i^fo quadre e da vicina cava
Àte lastricato $ e al foro io mtzio
fico tempio di Nettun si. leva.
^i arnesi delle negre navi,
(ne e vele, a racconciar s** intende
mdì a ripolir: che de^Feaci
lusingano il core archi e faretre,
eleggianti e remiganti navi,
ni passano allegri il mar spumaiile.
ileitoro a mio potete io . sfuggo
Le Toci a mire, non alcun da terfo
Hi morda, e tal, che i* abbattcM > m
Della feccia più vii. Chi è, Don diU)
QqcI foreatiero che Nautica liegne,
Bello d^apPtlD e grande? Ore trai
Certa è lo «poio. Forse alcun dì quelli
Che da noi parie il mar, ramingo gigari
Ed dia il ricevè, che uscla di nave)
O da lunghi ohìaiaato ardenti voti
Sc»e di Cirio e le comparve aa Hame
Che aecu riterrà lutti i suoi giorul.
Più bello ancor, ne aadii ella straia in M
D^ UDITI d'altronde Tenuto e a lui doM
Dappoi elle i molti, che 1' ambiano, iDM
Feaci tanto avanti ebbe in diapetlo.
Cosi dirlana; e crudelmente ofTesa
tic saria la mia fama. Io «tewa sdegna
Concepirei cantra chiunque osaste,
De' genitori non contenti in faccia.
Pria meachiarai con gli nomini che aortf
Foste delle sue nczze il di
Dunque a' miei detti btda ;
Rilorqo e scorta impetrerai dal padK
Follo di pioppi ed a Minerva sacro
Ci a' offrirù per via bosco fronzuto,
Cui vìva fante bagna, e molti prati
Cingono 1 ivi non più dalla cittade
Lonlan, che un gridar d'uomo, il bel m4
Giace del padre, e I' orto suo verde^^ '
Ivi tanto che a quella ed al paterno
Tello io giunga, sostieni j e allor che gM
Mi crederai, tu pur t' inurba e cero»
Il palagio del Re. Del Re il palagio
Gli ocohi tonto a sé chiama, e nn bnM
Vi ti patria condur ; che de' Feaci
Non sorge ostello che il paterno adcgvL
Eulnlo nel corti!, lapidaiiiente
M»0 TI
"^
re mia per Ir bd
, Ella .^ynnti gI
p^rbe
■
r.co.
ime le colora li
volto,
fl
laU a una colon
na, torce
■
stupor, purpuri
■e Ime.
■
go Te fantesche,
e prciio
Ire ìì trono, i.i .
.hVi, .JU.
,1 Di
'"• fl
:lla TiU il nettar
We. '
■
stendi alle gi
• braccìni onJe Ira pgco
o alle natie contrade,
le lieo, ti spunti il giorno.
ler le patrie tpoiiile,
Lviti, e degli amici il volta,
tnente ogni >ospEtto.
della lacen te (Terza
ipe 4Ì vigoroti muli,
laiciaro il fiume ad<ji>>trD.
ido ed alternilido a gara,
pprcbé Ulitse a piede
.se iris'asiise. Quindi
eeav, in tali accenti !
deirggfoco figlia,
Dde mi ibaliò Nettuno.
E gradito e non indegno
Feact iu m' ■ppreiciitì.
» l'udì: tot aou aacura
1 18 ODimi
Viiibilnieiite gli astUtea, per tema
Del zio poitfnte, al cui tremendo eniecÌ9
"Era, pria che i natii lidi toccaise.
Benaglio eterno il pari ai Nomi Uliiie;
•
LIBRO SETTIMO
▲BGOYBVtO
'M giunge alla cittSi ed alla reggia 9 6
ICO dopo, a cui Minerva sotto umanA
eventasi, e cai di pia cose informa
r gli conviene. Stapor di lui alla vi"
palagio d^ Alcinoo e descrizione cosi
>, come del famoso giardino. Entrato
io supplica la regina Arete, dalla qua*
pur dal Re e dagli altri capi, è con
i ricevuto. Interrogato dalla R**gina |
lobbe le vesti e IP egli avea indosso ,
qual modo capitò, lasciata CalipsOi
dfe^ Feaci.
cosi pregava il paziente
lisse , dal vigor de'*muU
sra Nausira alla cittade.
"* Alcinoo alla magion sublime |
» nel vestibolo , e i germani ,
>ar degli Eterni, intorno a lei
>arte venian: sciolsero i muli,
ti recaro entro la reggia:
DciuUa il piede alla secreta
la stanza, e raccendeale il foco
li» '
fiofteaANi, vw «n.vi
WaU lo Epiro « n le Mm«4
. GMidetta^tt«l prods AImboo oAM k
Perehi il Fewi ei.0«MDaiids«&, • Ui|^
Qaal le un Dio ftiTellame, adjm ìt
Coite> Nantica dal hncfrio di nete
Ballcfò nel paUgìof tè ora il Ibea
* Baceeodevle e mettaa la cena in
Olitw ili tanto torte e il eai
Della ritta. Ma V Atenea Btiperva ,
Che da lui non torcea rocchio
Di molta il cinse inipenetrabil
. Onde neitun Feace o di. parole,
8<Mmtrandolo» il mordeite, o il d
Del nome e della patria. Éi fìà già ca
NrlP amena città, quando la OÌTa
Gli occhi cerulea se gli fece incontro ^
Non dissimile a vergine che piena
Sul giovinetto capo urna sottentL
Stettegli a fronte in tal semhiansay
Cosi la interrogava: O figlia, al tetlo
' jy Alcinoo, che tra ouesti uomini iinparftyj
Vuoi tu condurmi? Io forestier di longei
£ dopo molti guai venni , ne alcuno
Della ritrà conobbi o del contomo.
Ospite padre, rispondea la Diva
Dai glauchi lumi, il tetto desiato
Mostrar ti posso di leggier; che quello
Del mio buon genitor per poco il toeea.
Ma in silenzio tu seguimi, e lo tguardo
Non drizzare ad alcun, non che la voce»..
Bender costoro agli stranieri onoro x>:
Non sanno punto, né accoglienio amlclion
Trova o carezse qui chi altrendo
Etti, fidando neNe ratte navi.
Per favor di Nettuno il vasto
lo QD istante varcano: veloci
\m9 Vtkf^ Mi -ptaéBt 9ÙBO Ite fogni;
Dette tu note, fitttoloM Palk
I «rtnra innaaiL e IWna ai ùe mlonn»
\ ì Tmà ippifwU «dar tn| lofó t
^ vwleailo la poaieote Diftì
fUe» elM «1 «M» Imi MWDre tntendea^
di aacn V vntokù oéam nalM.
I«» i porti • i bei eoDttnitti legni
^■Nglwva • le raperbe fttsxe
^ i prenci b^ «Menbraao, e le lunghei
HtMilo emaiimido. eeceUe »ura •
•teceeti aiMiite é di jrip«rL
f aon prima dlAldnoo alle regali-
Ée appffCMaro che Mtnenra disse : -
Leti^otpite padre, ìa faccia il telto
^ BU richiedi t là vedni gli alanni
[ Giove. I iHvnciy a làuta mema aitiiL
Mati dentroy e non temer : Puom franco
efai difBooltate, a eul s^ incontri,
fno ai trae» benché di lunge armi,
a la regina, che ti noma Arete
MMBon con Alcinoo il sangue yanta^
l'qffirirk alla vista. 11 Dio che scuote
suo tridente la terrena molci
^ambin ricerè dalla più bella
!ia di queir età, da Peribéa,
t minor d^ Eurimedonte, a cui
iganti obbodia ToUracotata
nie rea, che per le lunghe guerra
col suo Re stesso al fin s^ estinse.
1 di lei s'^accese, e n^ebbe un figlio,
oc generoso , il qual fu padre
;nore e Alcinoo ; e sul Feace
Tonava. 11 primo, a cui fslKa
el miglior sesso ^ avca di pòco
la reggia la consorte addotta,
>llo dair argenteo arco il trafisse \
Ké rimaM éi lui che una figlinola^
Arele, e qiieila in moglie Alrinno tolie,''<
E veii«n>!la &cniniei<1p : donna
Non ine in nodi marflali itretta, _
Che (lalto al buu spato in mente ùeiu
E io gran pregio, non meo P hanno, ed u"
Portante ! Dgli e i cittadini ancora,
Che a lei, quandunque va per le cittade, I
Gli occbi alzan , come a Diva, e r — — ■""
Peitivi la ricevoRo; che «enno
He a lei pur manca vèr chi più tiea caro,
E le liti non rado ella compone.
Se un loco prender nel suo cor ta lai,)
La terra dove i lumi apriiti at giorno,
Le magion de'' Inai padri, e degli amìd
I noti volti riveder couQda.
Detto, la Dea ch'é nelle Ind aizarra
Su pel mare infruttìrero lancio»!.
Lasciò la bella Stheria, n Maratona
Trovò ed Atene dalle laiche vie,
E nel suo tempio entrò , che d' Eretteo
Fu r6rca inespugnabile. Ma Uliiie
AU' otUllo reale il pie movea ,
B Molte cote rivolge! per V •lata,
Pria eli' ci toccane della aORJia il bnWI
CU d' Alcinoo magnanimo l'aueuito
Palagio chiara, qnal di Sole o Luna,
Mandava luce. Dalla prima foglia
Sino al fondo correan due di manedci
Bame pareti riaplendentì, e un fregio
Di ceruleo metal girava intomo.
Porte d' t-T tutte la inconcuaaa caN
Chiudp:>iT: a'ergean dal limitar di bcons
Saldi rtipiti argeutei, ed un argenteo
Soateneano architrave, e anello d' oro
Le porte ornava; d'ambo i lati a cui
Sfaru d'argento e d'or vi^li cani i .
I di Tokaii dit in lor ti pose
t dolte, 6 db TMcliiem iaaanl
rolli 6 da morte, oade guardato
PAleiBoo a gbriòM albergo. '
lo ai iModeaB le doe iiarea ,
tedia ^oinei e foiDdl affiaw
li pepli •oYrappoali^ lunga
leone di Sehena opra solerte. '
*Feaci t^aitideanoi prinii', ■ -. . f
IO ai cibi ed ai lieor porgendo,
r foetteanti eiaaean giomo alante)
>tte ganoniin ero sealti
littalU a ^nde arte eettrotti
an tome con héi in tn le menae.'
iota il Be terfono ancelle i Pone
ràetra rìtonda il biondo grano '
«0} e r altre o teaion paniii| o fbii
rapida man rotano aiaise,
don ad ognor, qoali abitate
nto foglie di sublime pioppo*
Ione i drHppi a maraviglia intesti^
se un olio a' òr su yi scorresse.
; quanto' i Feaci a regger navi
non han che li pareggi, tanto
1 tele in oprar le Feacesi/
ano iudustre più che alPaUre donne
Minerva e più sottile ingegno,
ii 6anco alla reggia un orto grande,^
ponno in di quattro arar due torì|
si, e viva siepe il cinge tutto.
i crescon verdeggianti piante,
> e il melagrano e di vermigli
carico il melo e col soave
ettareo la canuta oliva.
Frutto qui, regni la state o il verno ,
1 non esce fuor : quando «i dolce
slagione ao zefBreUo spira,
i
194 ODimà
Che nentve aÌNiiiU P an, TalUe inaliini ^
Sovra la para giovane e sa PavK
L^ uva e là pera invecchia, e 1 pomi e Ì fidi
Presto ai fieni ed ai pomi. AbiianMcata
Vi laMureggia una feconda vigna,
De^ cui grappoli il Sol parte aiaaeeea
Nel più aereo ed apriooi e parte altrove
La man dispicca dai fogliosi tralci,
O calca il pie ne* larghi timi t acerbe
Qua buttau V uve i ridolentì fiorii
E di.porpora là tingonsi e d"* oro.
Ma del giardino in sul confin tu vedi
D^ogni erba e d^ ogni fior sempre vestirti
Ben eulte ajuole, e scaturir due fonti
Che non taccion giammai: V una per tutto
Si dirama il giardino, e V altra corre.
Passando dei cortil sotto alla soglia,
Sin davanti al palagio ; e ar questa vanno
Gli abitanti ad attignere. Si i>ella
Sede ad Alcinoo destinaro i Numi.
Di maraviglia tacito e sospeso
Ulisse cola stava \ e visto ch^ ebbe
Tutto, e rivisto con secreta lode,
Neil' eccels.i magion ratto si mise,
Trovò i Fcaci coiidottirri e prenci,
Cbe libavan co^ nappi alP Argicida
Mercurio, a cui librar solean da sezzo.
Come dei letto eli assalia la brama j
E innanzi trapassò deutro alla folta
Nube che Palla gli avea sparsa intorno.
Finché ad Arete e a) suo marito giunse.
Circondò con le braccia alla Reina
Le ginocchia ( ed in quel da lui ataccotsi
La nube sacra e in vento si disciolse.
Tutti repente ammutolirò e forte
Stupìan, guardando V uora clic alla Reina
SuppUcàSi in tal forma: (J del divino
MBVtJWtooh, UhNtn Anto,
• UtoMdiU ta« dot» biOaìIi
utn la regno, ngno al tu* orawit^
1 futÈd GraiMi utMir, «ai M Mid
flw d Dei ooundiao, « m^ IpH
riiAiwn doHMtidM • gU mmÌ
• ■*aMuMuo.lfMHBrfan. Or ni
irt»w^myrewMM»,MieiooAtÌBlww
• patifi i« Mi MBda od «gli «Mid ,
. cai Tiro loBtu tea 1 fuai ||taB taBao. -
NfM e aodb al bMdare e tunainl d 1ÌM»
m P iMBMada aaam tadetkai
alon fra tanti «pria la labbra. AI «m
rI6 r eroe veoohio Eton^ , «ha fak pM«to
lite Bvea com trapatute, a tutti
fjieoojia ,TÌDoea, nan meo che d' asm.
linoo, dideoon amico petto ,
coti toma oDor che (u T immonda
aere il forettier lieda j e le nnllo
oreti, egli è perchè od tao oenno aapaUa.
*ia, levai di terra e io aedia il poni
rehicttita d'argento ; e ai banditori
■cer (Mmanda, onde al gran Giora anocn^
I del falmine gode, e ** aeconpagiM
' Tonerandi lupplici, libiamo.
dìipeniiera poi di qael ohe in actba
ne preMnti al (brettier per «ena.
UeÌBoa, udito dò, lo icaltro 1Ili«M
»e per Ban, dal focolare alaolla^
l'adagiò forra an lac^te «emio ,
Ho aorgenia prima il piò diletto
' Moi ^liaoli che aedeagli acoanto,
inueo di virtù Laodamanta.
Ito TaDMlla da bel nw d'oro
tìmìb)^ acqna nal badi d* ai^ienlo
i — ._ _ ..._.i_ j — ^ polito f
aUaMbi
IlG ODISSEA
Pani venne ad imporre e di serbate
Dapi gran copia. Ma la sacra ponm
Di Alcinoo al banditor : PontonoO| il roiio
Licore infondi nelle Uzze e in giro
Becalo a tutti, onde al gran Giove ancort|
Che del fulmine gode, e s** accompagna
Go^ venerandi supplici, libiamo.
Disse ; e Pontonoo il buon licore infoie
E il recò, propinando, a tutti in giro.
Ma il Re, come libato ebbero e a piena
Voglia bevuto, in tai parole uscio:
O condottieri de^ Feaci e capi,
Ciò che il cor dirvi mi consiglia, udite.
Già banchettati foste : i vostri alberghi
Cercate adunaue e riposate. Al primo
Baggio del Sole in numero più spessi
Ci adunerem, perchè da noi s^ onori
L^ ospite nel palagio, e più superbe
Vittime immoleransi : indi con quale
Scorta al suol patrio, per lontan che giacda,
Possa, non pur senza fatica o noja, ^
Ma lieto e rapidissimo condursi ,
Diviseremo. Esser dee nostra cura
Che danno non V incolga in sin ch^ ei tocco
Non abbia il suol natio. Colà poi giunto |
Quel «offrirà che le severe Parche
Nel di del suo natale a lui filaro.
E se un Dio fosse dalP Olimpo sceso?
Altro 8* avvolgerla disegno in mente ■
De^Numi allora. Spesso a noi mostrarti
NelP ecatombe più solenni, e nosco
Starsi degnaro ad una mensa. Dove
Un qualche viandante in lor s' awegna ^
Non V occultano a noi, che per vetusta
Orìgine lor siam molto vicini.
Non altrimenti che i Ciclopi antichi,
E de^ Giganti la selvaggia stirpe.
WM^^liHvltpoMiltinioUKiM^ . '*?
I ifoito ftàntuto. lo dell?imineiMo
I ai feiki JdiiUiftori eterni
Piiiole MrifHo: nk d^aspetto.
%lio ai flfB éà^ mortali a a qiiànt( *
cofMioala ia pia aagaaeioso ilatò.
id aldina -di lor etdo ne* mali s -^
li a^ if>v>- »^ crearo i Noni*
Binar uà ;1aasi#tay anoor ebe afiitiò •:
it.aha DnUa ioiodi|>ià mokató' '
fl diginn «ontray^diaoi l^aom mal |moW
•nticatfÉ par araiwaM o doglia^
fcnda io.aen de^inait por <|oeiCo interno
wb'flàa sai di donandar non rette > '
il afelio pia non raynawnti i danai- fldei|
i dU atendà ed ai liòor la inano« • > - ^
voi, aoBi|iariò in Oitente il gìorttOf '
aadamrì vi piacoia. lo non rieoio ,
li i Baiai iarvi^' 1^ alto eaae e i oampi ,
oeelii al Inme del «Sol chìoder per tempre.
Kne i a tatti aiacoiiano e fóan gran ressa
ì lo ttraoiery che ragionò si bene ,
ma scorta impetrasse. Al fin , libato
'dibero e a pien bevuto, il proprio albergo
icun cercava 9 per eotrar nel sonno.
. nella reggia rimaneasi Ulisse,
presso gli sedeano Alcinoo e Arete ^
otre le ancelle del convito i vasi
Ila mensa toglieano. Arete prima
i livellò, come colei che il manto
enobbe-e la tunica , leggiadre
Iti che di sua man tessute avea
i le toa fanti, e che orvedeagli in domo.
aaier* gli disse con alate voci ,
questo io le cercar voglio la prima s
i sei tu ? Donde sei? I#a chi tai panni? ■
a ci fili creder tu che ai nostri lidi
Uisero errante n naufraga approitaslì ì
E il laegio UlUie replichigli: Forte,
Beginu, i mali raccontar cbo molti
MNniiarD gli Dei. Quel che più brami
Sapere, io toccherò. Lontana giare
Va' Isola nel mar che 0»igia è delta.
" e la fallare Gglia
Quivi d'Allanle la fallare Gglia
Dal ben IwU Mpai, CtUDM, «ItaBte, ■.
Teniba Dm. mh (Mi nMita USmà'
C«i*an, o i»' airxUSL'Vm O amm iàfi
fina kti«e mIo ■ Umani nw i »|hi Mt :
Dappoi dM Giòra a Ma par.Poada «laHl
I« itfU Bava fbUonnda .a ai alifc", '
Tutu JBorli M ttrs i aiat nowiia^ i'--'.
Ha ie, eoa ainbe maiu da careoa '
Della nafe d>bracciatoioi , per ii**e
Giorni fili trapoTtato , e sella Ibaca
Decima notte alf iioletta *pinto
Della, Dea, che m' accobe, a amieatMnti
Hi trattava e nodrive, e pra^ettaa
Da morte iMicurarmi e daTOcefaiena)
He perb il cor ni piegJ> aiai nel petto.
Sette anni ioleri io mi Tedea con le^
E di pereihii lagrime ì dinn!
Panni bagoBTa ohe mi pone in dona
Ha tolto che l' ottaro anno ti yoIso ,
La Diva , a foue imperiai meuag|ìo
Del figliuol di Saturno, o di lei Hewi
Hatamento iinproTTÌM , alle mie caie
^tornar confortavami. Su travi
Da multiplici nodi in un coogionto
Con molti doni accommiatommi i pma
Candido é doloe Tin diemmi e odorate
Vaiti feitimmi, e, ad increap^rati H mut
Un plaoido mandi) Tento innooeBte.
b (beai Tiaggiara e «ette cionil
Al le Ufoida linde. iU amon mU^OM
Irò comuni monti ombrosi
e a aie infelice il core
altri guai Bi''BppBrec('bìaB>r
icilò i TrnM, il mar commossa
*, rhe il naviglio frale
Htlitsf aironde •opro.
e il turbo. A nuoto aUon
iiair, (ìnrbè alla Toatri
bla mi Bospintr, a il Hutto.
n, nelfuscir itell'acfiue,
ì
I di foglie e Ira gli arbusti
infuse luogo &onno un Dio.
a nulle intino all'alba,
ilmerigsioie pik ralava
ile il sole, aJlor che il dolce
mdonò. Vidi le ancella
a trastullar au l'erba,
Ite, che una Dea mi parve,
lierp io porsi; eri ella arniM
(juol non s'attende mai
a elii ìi fresca, in cui sVblwtta,
sca età sempre folleggia.
pan, Tino posse ni e,
bagno a me nel GuiQeì ~
. He infelice il falò
t repente: Ospite, in (jiteato
La mia Ggll« Braliì, rhu non eonc!ui
Te con le ancelle alla inagÌon,qu*i
Tu a lei primiera topplicato aveaii
Eccelw eroe, non mi biaamir, ri
Lo arattro Uliigr, per cagioa li lie
La incolpabil fancinlU. Ella nt^Dgi
Di aegoilarU con le ancelle; ni io
Men gaardai per timor che il Ino
T'inBam malie di sdegno. U roana, i
jRazu noi liamo al voipetUre incli
Ed Alcinoo Ai quoto: Oipìte, no'
Già noD a^inniila In me, ebe Tdo
Si pronta mente. Alla ragione io cei
E quel che oneilo è più, tempre ic
Ed oh piacMte ■ Giove, a Palla e
Che, qual ti icorgo, e d' un parer
Spola Tolesii a le far la mia Bglia,
Genero mio chiamarti, e la tua lU
Fernur tra noi'. Case otterrelti e b
Da me, dove il restar ma ti s^ad
Che ritenerti a forza, e l'cpitale
Giove oltraggiar, nullo qui Ga che
PeiA rosi su Talba il tuo viaggio
Noi disporrtm, che abbandonarti
Nella nave potrai, mentre i Feaci
L'azzurra calna romperan co'reiui:
Né ceiaeran, cbe nella patria meaw
T'abbiano e ovunque ti verrà deifa
Foia' anco oltrF Pbubéa, cui pii! lo
D'ogni altra regloa che alzi dal m
Dicon 4'ie'noitri che la tider, quar
A Tizio, figlio della terra, il binnd
Kadamanto conduiiero. &ll'Eub<Sa
S'indrizi&r, l'afTerr&r, ne ritornaro
Tatto in un giornn; e non fu grav
OoDoaeeraJ quanto lien bene intesi
La noitre navi, e i giovaiii gigliard
siiM VII. l3l'
|fslltf^«iAtoM|irÀ 11 mar «oVmi»
Plol a tu detb il pasrente Ulitte,
k ImccaU kfandc^ O Giare p^dre,
mAf, tskte adempir le tue proaefte
" ai àlcnoool £i gloria eterna aTiaiini^
penò selle ÌBit«"èiue il piede,
ila aorrean tra lor parole alterne.
Beioa candida le braocia,
iMtanto alle futteache impote
coUoear aoflò la lotgiìi>
irVi porporine eoltri,
diatenderri, e ai tappeti ,
irelloei aorrapporTe. Uscirò
j,1lrMbdò lo man laetde fad^
' leilo sprimàcciaro in fretta,
jìb% Soifi, ' oipite» ' or piioif >
a Ullisey cliinder'^li ori^hi al loimm
Eo al foreatier Tinvito tptacqde. ■ •
._ ei aotto il portioò aliante
Éa*addormia neHra forati letti.
Mnoo ai corcò del tetto eccelso
iP penetrali; e a lui da presso Arete^
I consorte real, che a sé ed a lui
ttfèrò di saa mano il letto e i sonni.
i
LIBRO OTTAVO i
'•i
à R GOM EH T |
Congresso de^ Feaci, in cui si delibert f
Ulisse debba essere alla patria'sua ricpndotT
Alcinoo dà un solenne convito^ nel qqakC
modoco canta d'^una conlesa che Uliau
desimo e Achille ebbero un giorno tra
Il primo non può ritenere le lagrime. Si
ai giuochi, ovVgli dà prova di sé al discb|.i
ove Demodoco canta la rete di. Vulcano,
che si fanno ad Ulisse. Questi ad un i(
convito seute ricordare dallo stesso cani
il gran cavallo di legno e la caduta di Ti
e si lascia di nuovo cadere il pianto dagli
chi. Alcinoo allora il sollecita a manifestai
a dire il suo nome e a raccontare le suo
venture.
lfl.n tosto che rosata ambo le palme
Couiparve in ciel Paggiornatrice Aororii
Surse di letto la sacrata possa
Del magnanimo Alcinoo^ e il divin
Bovesciator delle ciltadi Ulisse.
ha possanza d^Alcinoo al parlam«itO|
Che i Feaci teneao presso le navi,
Prima d^ognì altro mosse. A mano tffll
Venìano i Fcacesi e su polita
LIMO Ttn. ttt
tMi. L*<Micliigla«ca Dfva,
» il ritorno ui mttMé «Ura^
«gìo btnditor lo' forile,
*a?T0lgea por lo oìitailoy ' -^
VO CÌlMOtlOi «I Slly dioofty
I o coodotUeriy al forO| al ferop ><
col dolio •tniiiier oho |iuiMo
» testé per molto moroi • - «
, che deiraom^ del NimìoIio la tlto.
tutti eccitò. Delia raccolta ■
in brey'oiii i t^gl pieni,
lardava con le ^elia in arco
il figtiaol: ohe a lui Minerya '
ipo diffuse e la le spalle
izia, ed in grandena e iii fioro
e in gagliardia, perch^^ ne^ petti
Gisse riyerensa e affetto^
i giuochi , ove chiamato .
r di sé prova, uscir con vanto.
i tutti, e in una massa uniti,
irrìngò Alcinoo in questa guisa:
ieri de'^Feaci, e prenci,
cor dirvi mi comanda, udite,
ne ignoto foreslier, che venne
3 ignoro ancor, se donde il Sole
(onde tramonta, ai tetti miei)
landa pel viaggio, e prega
tto concessa. Or noi rosane
rem con lui^ Uomo, il sapele,
iei non capitò che mesto
lovesse sovra queste piagge
> di scorta i giorni e i mesi*
dunque nel profondo mare
Tonde non battuto ancora,
II cinquanta e due garzoni,
>ol tutto gli ottimi. Costoro ,
IcgnO} e avvinti ai banchi i lemi^
Mm qnèi che di' hulòiifl orMH
TcDcmo ad «mi. e il iHindiM oil p
L^inaorfal^ 'DeiMdMo^«'««i Gita» *, c^
8pifmienpre..deVàiiy.;UxfiA Mivoi. .-i
]M?nD<|ae Teilro, ohe VimSbipm^ il poHb i
. Detto» 41 miie iil via» T«tti ivioÉttrUi^
fiegnfanlo ari nnai a «It^ìmnartal evrtoie^
L^araldo iudicinafeii. I ^iiufiuiita . ' : .
-^ GanoiiL edae^emell re inipAtto :AÌ«t»>
Faro dei nar non seminato al lìde^ .
La iiliye- negra nel nrofoodo jnaee • =
Trassero, alzaro Taloeiro e la vela.
I luoghi remi assicurar con forti - •
Lacci di pelle, a niara?ìg1ia il tutto, i
E, le candide vele al Tento aperte, J
Arrestaro nelPalta onda ^)a nave: |
Poscia d^Àtcinoo ritrovar Palbergo. '
Già i portici s^empiean, sVnipieano I dkioM
Kon clie ogni stanza^ della varia gentei |
Che s'^accogliea, bionde e canute teste, ]
Una turba in6iiita. 11 Ae quel giorno {
Diede al sacro coliel dodici agnelle,
Otto corpi di verri ai bianchi denti|
£ due di tori dalle torte corna.
Gli scojàr, gli acroDciàr, ne appareechitvih
Convito invidiabile. L^araldo *
Bitorno fco, per man guidando il TAte,
Cui la Musa portava iramenso amore.
Benché il ben gli temprasse e il male imim
Degli occhi il vedovò, ma del più doke
Canto arricchillo. Il banditor nel mtae
Sedia d^argento borcb iettata a lui
Pose, e r affisse ad nna ^an eolomiaf i
Poi la cetra Tocale a un aureo diiodo -^
(|ifiit Mvrft tt èipo, ed iBff^ogli I
s ft ftMioar con nuino Indi Ptvetie. /
blltt^ MI d<MO gti distcM ayaiiU ; /
panitr fopra, tona eapaee <U<tu ||
«I, <{iHil volU nel pongea' dedo^
femtgMò'lieoÉ' icaldaaie il p^tUL
ime U lana riìitiitiata I e tpenU. <
I tela la aiafcnoi V egrefiò Tate ,'
fià tatù antlati in oor la Màsa»
mti'il -pragio- a rìtonar ti volte ,
llieado ott eaotoy di cui fino al eielo
t fn qoe* di la faina. Era V antica
HiB <P Uliaae o del Peliade Achille,
ado di acerbi detti ad un «olenne
rito aacro ti ferirò entrambt
I de^ prodi à^amfnnÒQ gioia ''
tanente in te, vinti a codteta
ire i prima degli Achei ; chò qaatto
la caduta 'd^ Ilio era il segnale,
to da FelK) nella sacra Pilo,
sito appena della soglia il marmo,
lini allurar udi, che di que^ mali ,
sovra i Teucri, per voler di Giove,
BKHarsi doveano, e su gli Aohivi,
ominciava a dispiegar la tela,
tai memorie il Laeraiade, preso
■apio ad ambe le man purpureo manto,
Inuse in t(*sta, e il nobil volto ascosCi
sognando che lagrime i Feaci
tesserlo stillar sotto le ciglia.
qne il cantor divino ; ed ci, rascintte
jiaaoce in fretta, dalla testa il manto
olse, €, dato a una ritonda coppa
M^io, libò ai Numi. 1 Feacesi ,
gioja erano i carmi, a ripigliarli
leta ecscitavano, che aprfa
le labbra; eoaoramentQ
l3(S 0DIS9CA
Coprirsi il toUo e lagrimare Uliase.
Così, gocciando lagrime, da tutti
Celossi. Alcinoo sol di lui s^ avvide
E V adocchiò, sedendogli da presso.
Oltre cbe forte sospirare udillo ;
Ey più neh aspettando. Udite, disse ,
Della Fpacia condottieri e prenci.
Già del.comuQ convito e dell^ amica
De^ conviti solenni arguta cetra .
Godemmo. Usciamo, e ne^ diversi giaochi
Proviamciy perchè V ospite , com'' aggia
Rimessa il pie nelle paterne case ,
Narri agli amici, che V udranno attenti, i
Quanto al cesto e alla lotta, e al salto « al oon^
Cede a noi, vaglia il vero, ogni altra geolA»
Disse, ed entrò incammino; e i prenciiosioi
Seguianlo. Ma V araldo, alla caviglia
K'iappiccata la sonante cetra,
Prese il cantor per mano, e fuor dei tetto
Menollo : indi guidavalo per quella
Strada in cui posto crasi Alcinoo e i capi.
Movean questi veloce al Foro il piede |
£ gente innumerabilc ad un corpo
Lor tenea dietro. Ed ecco sorger molta ,
Per cimentarsi gioventù forzuta.
Sorse Acronco ed Oc/alo, Eleatréo sorse,
E Nauteo e Primneo e Anchialo: levossi
Eretmeo ancor, Fonico, Proto, Toóne,
Non che Anabesinco, non che Amfiàlo i
Di Politico Tcctonide la prole.
E non ch^ Curialo alP omicida Marte
Somigliante, e Naubolide, che tutti|
Ma dopo il senza neo Laodaraante,
Vincea di corpo e di beltà. Né assisi
] tre rcslàr figli d^ Alcinoo: desso
Laodamaute, Alio, ohe al Rege nacque
Òecoudo, e Clitoaoc pori ad un Nume.
" '
fM ooffwjìi k primi ma. Uà ìau§9
U mia&à mwL MÌmeitti # tolti
■MM TobTCno in un nopp^
{lobè'dl jpolferft^ lerudo.
gli altri? Glitooéo^ die 9 gimto
tjn ' i a ia ai *flii| laidallì mdiatro
'iiil0rvallo,olia I pi^lardi nriL
il latolaB corputaati tmol, ~ ^
Flf-ÉbBiao BOfal feiHfeoo a aa^ ofi. ■
al oMwriMtiMta lotla 9
^Eariali» fvaraba. Il maggior salto
lila i|iMooltc»y e il dìf^ lanta
;fbÉa^. miméan, mm^ Elatreo.
•« ile ve|al figlio egregio,
Mrerotiebbe la palma.
al- diletto .4e^ oenami poatO|
tra lor 'LaodapMmte : ▲miei ,
vìa, P estraneo domandiani di qoesle
vve, se aloana in gìo?eiit4 oe apprese,
ibaón taglio e^mt sembra ; e, dorè ai fianchi,
re alle gambe, e delie mani ai dossi
irdisi, e al fermo collo, una robusta
ira io veggio, e non mi par che ancora
, li anni verdi l^ abbandoni il nerbo.
ps U fransero t disagi all^ onde in erembo:
Aè aon e, qnauto il mar, siccome 10 credo,
nriseònfigger Poom, benché assai fòrte.
. Laodamante, il tuo parlar fu bello,
panalo rispondea. Però P abborda
To ftesso e il tenta \ e a fuori uscir V invita.
Come iV Alcinoo V iocolpabil figlio
tsto ebbe udito, si fé"* innanzi e , stando
nwaxo, Orsù, gli disse , ospite padre,
Fa ancor ne^ giochi le tue forze assaggia,
It aloon mai ne apparasti a' giorni tuoi,
Sdegno è l>en che non ten mostri ignaro:
(■Mulo io bmx to f^ V nom gloria mag^iote^
T'
ìirì.-^,.
1 dunque « (t
D;
.ir alma.
Fot
o il desìi
Di
ri I..0 ri.
'KBÌ'
ilardcri-.
¥i
.ei^i^-v.
, e i remi
Il gli risposi
itiU, a che
Che
quelle -pneiie che la
>uo diletto ca^rrilat
m'hai viila di tal,
inoUì bani'hi i' aliac
' il Iranica
lulU e
erba il e
giindagni rt
rto di'irslii
Hirollo biecn e rrpli
Male aasai rarellasli. e i
Somigli in tulio. Casi é
Le più care non du^ <U
iiigi-gno
L'' un bHlnxa ii
Gl'i
ì hi, :
r delle
P<fr la città, gliocdii .
L'altro ncUiao e >iHI
Pe^r iiiimorUli Dei :
rm ii|
fi» il» d 49tti moi t^AirTiip Intomo. '
t0 iregU la beltày aèf 'neglio
•ar npfflan gli stem Eterni oa toIIo t .
OQ die poco delU mentt ▼ali,
TaBggetU r anina nel petto 9
me TìDiBt articoUBilo : 10 nuovo
•on àm^ eioohiy f aal ta eianei, e creato
eh^ io degli alieti andai tra i priMi,
Ile potei de* verdi anni e di qaetto
eia fidarmi. Or ne, che aapre laticlM
li i tm rami penetrando e l'onde»
iCvrtobj domerò. K non pertanto
«nterommi: che mordace troppo
I tuo aermon , uè pid tenermi io valgo.
MC) e co^ panni ttetfti, in chWa involto^
iìoBti, ed afferrò masaictiio disco,
quelli onde giocar solean tra loro
.0 di mole soverchiava, e pondo.
Ilo in aria e con la man robusta
pi ose : sonò il sasso, ed i Feaci |
naviganti celebri , que^ forti
igaton , 8^ abbatterò in terra ^
la ^iga del sasso, il qual, partito
»i valida destra, i segni tutti
damente sorvolò. Minerva,
ite ornane forme, il segno pose,
l'ospite conversa, Un cieco, diste,
7ar, palpando, tei potria : che primo ^
{ià di poco, e solitario sor^e.
questa -prova dunque alcun timore
Oanga : lunge dal passarti, alcuno
i Feaci non fia che ti raggiunga,
illegrossi a tai voci e si compiacque
aeniade che nel circo nom fosse
tanto il favoria. Quindi ai Feaci
mollemente le parole volse :
Uo arriva te, o damigelli^ e on altra
l^O ODISSEA
Pari, o più grande^ fulminarne fU breve
Voi mi vedrete, io penso. £d anco in altri
Gertamiy o cesto o lotta o corso ancora |
Chi far periglio di sé stesso agogut.
Venga in campo con me : poiché di vero
Mi provocaste oltre misura. Uom tìvo
Tra i Feacesi io non ricuso, salvo
Laodamante, che ricetto dammi.
Chi entrar vorrebbe con Tamico in giostra
Stolto e da nulla è senza dubbio, e tutte
Storpia le imprese sue, chiunque in mei»
D'^un popolo stranier ton chi V alber«[a
Si presenta a contendere. Degli altri
Nessun temo o dispregio, e son con bitti
Nel di più chiaro a misurarmi pronto.
Come colui che non mi credo imbelle |
?uale il cimento sia. L'^arco lucente
rattare appresi : imbroccherei primajO|
Saettando un guerrier delPoste avversa,
Benché turba d''amici a me d^ intorno
Centra queir oste disfrenasse i dardi.
Sol Filottete mi vincea delParco,
Mentre a gara il tendean sotto Ilio i Gre
Ma quanti su la terra or v^ ha mortali,
Cui la forza dei pane il cor sostentai
Io di gran lunga superar mi vanto:
Che non vo^ pormi io già co^ prischi eroi.
Con Eurito d^ Ecalia o con Alcide,
Che agli Dei stessi di scoccar nelParte
Si pareggiare. Che ne avvenne? Giorni
Sorser pochi ad Eurito, e le sue case
Noi videro invecchiar, poscia che Apollo
Forte si corruccio che di&Qdato
L^avesse alParco, e di sua man rnccise.
DelPasta poi, quanto nessun di freccia
Saprebbe, io. traggo. Sol nel corso io. te:
Non mi vantaggi alcun : che tra che mo
uno vili - f(t
I mire^cf eht non fó 11 mìo legnò
toTogliato, a me, qiid prìoM,
ice Tinledel ginoooliio. -
i ciascuno, e Alcinoo telo
•restier, la tua favella
i ci potea. Sdegnato- a dritto
udaci onde icolui ti morse,
iBtrar vuoi che t^accompagna,
ir da chi tanto o quanto scorga
ta non fia. Ha tn m^aseolta,
in dly quando nel tuo palagio
la sposa e i figli à mensa,
dì gentile in nof s^annida,
li, possi a un illustre amico
narrar, quali redammo
a?i per voler di Giove.
lè al cesto ne alla lotta egregi ;
Boviam, correndo, i passi
|[Iia naTÌghiarao. In oltre
empre il banchettar ci toma,
anza ed il cangiar di veste,
acri e i letti molli,
voi, che tra i Feaci il sommo
arte della danza avete,
straniero a"* suoi più cari,
e paterne mura,
ccontar, quanto anche al ballo,
nautico studio ed alla corsa, '
e le genti abbiam vantaggio.
)noo, per Targuta cetra ,
lagio alla colonna pende,
1 divin Deraodoco la reca,
parti V araldo ; e al tempo stesso
love a presedere ai gioocni
Iti dai comuni voti,
K> agguagliaro, e dilatare,
quanto le persone, il circo^ .
t
iTub V iraldo con la cetra, e i:
La pou) di Demodoco , che al ci
S''adBgiò in mezzo. Dsoiatori alle
IVilU éccetlanu e in mi fiorir
Fcano al ««lo Mnoa, ed il bri i
Ca'pT«>ti piedi pereoUano. Ulia»
De'lrcUolaai pie gli ifolgorii
Molta lodava { a Bon ti riavea
Dalla atnpor djft.BringDiDbraTa
' Ha il porta di'via, citaiTggiiDil
Del bellicoia Marie s della «tati
Di vago «erto il aia Vrner C)prì|
Preae a cantai gli amori ed il bki
Lor con*enar sella •■perba oaa*
Del Re del fooco. di eoi Marta i
Letto nacflbib nefandamente, ma
Doni offerti alia Dea, oou ouÌ la.
Repente il Sole, che la colpa vii
A Vulcan nuniioUaj e tjacati-, ud
L' annamio doloroao, alla ana m
Fucina none, ati' immartal vrnd
Macchinando celi' anima. Sai ce
Piantb Ulta magna incude( e «ri
Nodt, per ambo imprigionarli, o
A frangerai jmpaiaibili o a diido
Fabbricate le intidie, ci, cootra
D' ira bollendo, alla acereta aUr
Ore iteio giiceagU il caro letto,
S'aVTib ia fretta, e alla lettiera
Spirae per tatto i Sni lacci intc
E molti loapendeane all'alta trai
Ouai Bla lottiliulme d'aragna.
Con tanta orditi e >1 ingegoou
Cbe né d^un Dio li potea l^occhii
Poacia che tutta degi' ioduatri ii
Circondato ebbe il ietto, ir 6a»
Terr» bea fabbricata e, piil che
UNO un* i4S
tbMÌi^ hi dilette. In qaetto mészo
\titf db» 4V»ro i 'corridori imbrigliai .
é Tedétto non IstiTa indarno. V
Ac partir rMrnìo fabbro, e, samprt
I aor portanoo la di varo serio
Ila il eap» Cipriprna, «Ha marione
1 gna auatro de^ Inocbl in t^e^a ttOiMw
■mala di fioeo em la Dira ,'
I Sitemide oanipoMente padre
i eaaìogale albéi^ I e Marte, entrando^
( tfovo cbe poiira, e lei ner mano
m e a nome chiamò t Venere^ dìtaei
ito ci oapetta il solitario letto.
^CB« «aet Vnlcano t altroTC, a Lenno ~
• ai Sintii di selvaggia Tpee.
haeqoa P inrittf a Venere, e sa qaelto
i eoa IfartOy e si corcò t ma i laoei
Ir if avToigean per cotal gatsa intorno»
le stendere nna man, levare oa piade,
■Ito era indamo; e s' accorgeano al ùae,
>i aprirsi di scampo aloana via.
STTÌcinaTa intanto il fabbro illustre ,
^ Tolta die dal suo viaggio a Lenno i
iroecliè il Sole spìa ter la trista
Oria gli raccontò. Tutto dolente
■■■Bfe al suo ricco tetto ed arrestossi
ElPatrio : immenta ira P invase, e tale^^
d petto un grido gli scoppiò che tutti
dP Olimpo Tudir gli abitatori.
Giove padre, e voi disse, beati
>Bi, che d** immortai vita godete,
>w^ venite a rimirat* da riso,
t Mie insopportabili : Ciprigna,
i Giove iglia, me, pcr4:hè impedito
>* piedi aon, cunpre d^infamia ognora ,
I ■ tao cor nelP omicida Marte
Mti come in colui èbe bello e sano
l44 ODISSEA
Nacque di gambe ^ dove io mal mi regge
Chi scD Tuole incolpar? Non forse i soli,
Che tal non mi dovean mettere in loce,
Parenti miei? Testimon siate, o Numi,
Del lor giacersi uniti e deir ingrato
Spettacol che oggi sostener m^ è forza.
Ma infredderan nelle lor voglie , io aedo
Benché si accesi ^ e a cotai sonni in pred
Più non vorranno abbandonarsi. Certo
Non' si svilupperan d^ est^ catene ,
Se tutti prima non mi toma il padre
Quei ch'io pesi in sua man doni dotai
Per la fanciulla svergognata : quando •
Bella, sia loco al ver, églia ei possiedei
Ma del proprio suo cuor non donna pus
Disse ; e i Dei s** adunare alla fondata .
Sul rame casa di Vulcano. Venne
Nettuno , il Dio per cui la terra trena.
Mercurio venne de'' mortali amico ,
Venne Apollo dal grande arco d'' argenti
Le Dee non già; che nelle stanze loro
Biteneale vergogna; Ma i datori
D"* ogni bramato ben Dei sempitemi
Neil' atrio s"* adunar: sorse tra loro
Un riso inestinguibile, mirando
Di Vulcan gli arti6ci; e alcun , volgendo
Gli occhi al vicino , in tai parole uacia :
Fortunati non sono i- nequitosi
Fatti, e il tardo talor T agile arriva.
£oco Vulcan , benché si tardo , Blartei
Che di velocità tutti d^ Olimpo
Vince gli abitator, cogliere : il colse«
Zoppo essendo , con V arte ; onde la bdI
Dell' adulterio gli può tórre a dritto.
Àllor cosi a Mercurio il gajo Apollot
Figlio di Giove, messaggero accorto.
Di grate cose dispensier cortese,
iwiiilo iD si tenaci nodi
tlPanrcft Venere da presto?
Ito fotse I gli rispose il Rama
» e ad opre turpi «Trensoi
»ir dtlP argenteo arco ^ e in l^ai
tanti io ibi trovasti ayrinto , <
•«ero i Nnmi in me lo sgaattlo
tntte le DeeI Non mi dorria
ùP aurea Venere da presso.
I e in gran riso i Sempitemi diera»
idea^etlnnOy an« Vulcano,
mastro , senza fin pregava , ;^
Gradivo , e con alate
dicea : Scioglilo. Io t^ entro
e che agl^ Immortali in faccia
BOBipensera » com^ è ragione.
, rispose il Dio dai pie distòrti
itier dalle remlee chiome ,
car da me. Triste son qaelle '
e rfae dannosi pe^ tristi,
arti agi** Immortali in faccia
e Marte , de"* suoi lacci sciolto ,
9 , fuggendo , anco s^ affranca 7
Liftfarò , riprese il Nume
rra circonda e fa tremarla,
ein d"* arabo i pie zoppo ingegnoso :
fAra il ricusar né lice.
i''un sol suo tocco i lacci infrante,
iheri fur , sattaro in piede ,
in Tracia corse: ma la Diva
iroica , riparando a Cipri ^
i fermò , dove a lei sacro
ia un bosco , ed un aitar vapora,
razie lavare e del fragrante
s la beltà cresce de^ Numi ,
lei le delicate membra :
a vestii* che meraviglii,
IO
i/j6 omssBAs
Non mcn elio la Dra stessa, era il sno n
Tal cantava Oemodoco ; ed Ulisse
E que' remigator forti, que"* chiari
Navigatori y di piacere, udendo ,
Le vene ricercar sentiansi e Possa.
Ma di Laodamante e d"* Alio soli,
Che gareggiar con loro altri non ^osà ,
Ad Alcinoo mirar la danza pfacqae.
Nelle man tosto la leggiadra palU
Si recaro , che ad essi avea P industre
Polibo fatta e colorata in rosso.
L** un la palla gittava in ver le fosche
Nubi , curvato indietro; e P altro, un si
Spiccando , riceveala ed al compagno
La rispingea senza fatica o sforzo ,
Pria che di nuovo il suol col pie tocca
Gittata in alto la vermiglia palla ,
La nutrice di molti amica terra
Co^ dotti piedi cominciaro a battere f
A far volte e rivolte alterne e rapide ,
Mentre lor »"* applaudia dagli altri giov
Nel circo , e acute al ciel grida s^ alzava
Così ad Alcinoo V Itacese allora :
O de** mortali il più famoso e grande.
Mi promettesti danzatori egregi ,
E ingannato non m"* hai. Chi può mirai
Senza inarcar dello stupor le ciglia ?
Gioì d'^ Alcinoo la «aerata possa ,
£ ai Feaci rivolto , Udite, disse ,
Voi che per sangue e merto i primi si
Saggio assai pjirmi il forestiero , e deg'
Che di ricchi Porniam doni ospitalL
Dodici reggon questa gente illustri
Capi , e tra loro io tredicesmo siedo.
Tunica e manto ed un talento d^oro
Presentiamgli ciascuno, e tosto e a aa t
Ond^ ei , cosi donato, alla mia cena
ftiato rm 147
yltà glofa nel eor vegoa e t^ atsidt.
iato , che il feri d^ acerbi motti 9
doni e in an con le parole il plaohL ^
uenao die ciaacuno , e un banditore ^
mI^ pendoni ; e coai Earialo : Alcinoo ,
ià umoao de^ mortali • grande , ,
•pite io placherò , come tu imponL
offrirò questa di temprato rame
eie spada , che d^ argento ha Telsa ,
raginm d^ aTorio $ e f u P avorio
Uato dalP artefice di fresco.
P' avrai io penso , il forestiere a sdegnar
i& détto I a Ulisse in man la spada poi6
^]i accenti: Ospite padre , salve,
lora fu profferta e incauta voce,
adala e seco il turlùne la. porli,
te della tua donna e degli amici ,
ide lungi e tra i guai gran tempo vivi ,
ve conceda i d<*sTati (^sp«!tti.
iWe , gli replicò subito Ulisse,
ICO, e tu. Gli abitator (T Olimpo
oli felici dì : né mai nel petto
volger d^ anni uopo o desir ti nasca
questa spada ch^ io da te ricevo ,
ifihè placato già sol da'* tuoi detti.
!qae ; e il buon brando agli omeri sospese.
ria dechinava il sole , e innanzi a Ulisse
rsno i doni. Gli onorati araldi
b reggia portaro i doni eletti ,
dai figli del Re tolti e alP augusta
Ire davante collocati furo.
Doo entrò alla reggia , e seco i prenci ,
altamente sederò $ e del Re il sacro
He in forma tal parlò ad A rete :
na, sa via , la più sald''arca e bella
rtraggi , ed una tunica vi stendi
I nuoto di coi aitila oùèadi il lustro.
1 48 ODISSEA
Scaldisi in oltre allo stranier nel caro
Rame sul foco una purissima onda,
Perch'ei, le membra asterse e TÌsti ia h
Ordin -riposti de'^Feaci i doni ,
Meglio il cibo gli sappia, e più gradito
Scendagli al core per P orecchio il canto
Io questa gli darò di pregio eccelso
Mia coppa d' oro , acciò non sorga giorno
ChVi d^ Alcinoo non pensi, al Satum/de
Libando nel suo tetto, e agli altri Numi.
Disse; ed \rete alle sue fanti ingiunge
Porre il treppiede in su le brac; ardenti.
Quelle il treppiede in »u le ardenti brae
Posero , e versar V onda e le raccolte
Legne accendeanvi sotto : il cavo rame
Cingean le fiamme, e si scaldava il fonte.
Arete fuor della secreta stanza
Trasse delP arche la più salda e bella ,
E tutti con la tunica e col manto
Vi allogò i doni in vestimenta e in oro.
Indi assennava l'ospite: Il coverchio
Mrtti tu stesso e bene avvolgi il nodo,
Non forse alcun ti n.ioccia , ove te il dolc
Sonno cogliesse nella negra nave. '
L^ accorto eroe, che non udilla indarno <
Mise il coverchio , e V intricato nodo
Prestamente formò, di cui mostrato
Gli ebbe il secreto la Dedalea Circe.
E qui ad entrar la dispensiera onesta
LMnvitava nel bagno. Ulisse vide
I lavacri fumar tanto più lieto
Che tai conforti s** accostar di rado
Al suo corpo dal di che della Ninfa
Le grotte più noi ritc-nean, dov^era
D"* ogni cosa adagiato al par d'' un Nume.
Lavato ed unto per le scorte ancelle
E di tnoDlo leggiadro e di leggiadra
Tmrfei dnto , «Ila gipeooiU mensa
Da* tepidi laTacri Uliite giva.
Namira^ eaì iplendca latta iiel toUo
Li beltk degli Dei , deUa aaperba
Itli fermoeii alle liieenti porte,
taudava Ulìaae e 1* aomiirara e questa
badaragli dal aen parole alate t
Mee , oipite , tìtì , e ti rieorda »
Cmm aaru. i|ella natia tq[a terra ,
K «aelU Alide pria Teoue a te salute.
Kaaaioii del pro^ Alcinoo inclita figliai
Ulisse rispoodeale « oh ! cosi GìotCi
LHHiiionantè di Ginoon marito
Tsglia che il di del mio ritorno spanili
GoB* io nel dolce ancor nido nati?o
SipIMre, aaal Dea, t^ onorerò : cbè fosti
Is mia aalTena to , fancialla illustre.
Già le carni parUansi e nelle coppe
Gli amidi vini si mesceano. Ed ecco
n bapditor venir , gaidar per mano
V onorato da tutti amabil vate »
E adagiarlo, facendogli d'^un^ alta
Colonna appoggio, ai convitati in mezzo*
Ulisse allor dall'* abbrostìta e ghiotta
Schiena di pingue, dentibianco verro
Tagliò un florido brano , ed alP araldo,
Te\ disse , questo , e al vate il porta • ondalo
bendagli , benché afflitto, un qualche onore.
Cui è cbe in pregio e in riverenza ì vati
^•ìu tenga? i vati, che ama tanto e a cui
Si dolci melodie laMusa impara.
Poiiù V araldo il dono , e il vate il prese^
£ per V alma gli andò tacita gioja.
alle vivande intanto e alle bevande
rorgeao la mano{ e furo spenti a|>peaa
WU tàiue i deliri e d^Ua sete
^il la^ia UiiSM tali aoocali icioUe ;
iSo ODISSEA
Deniodoco , lo te sopra ogni vivente'
Sollevo, te ; che la canota figlia
Del sommo Giove ' o Apollo stesso inspira.
Tu i casi degli Àchtvi e ciò che opraro ,
Ciò che s.offriro , con estrenfia cura,
Quasi visto r avessi o da'' que^ prodi
Guerrieri udito , su la cetra poni.
Via, dunque , siegui e T edifìzio canta
Bel gran cavallo che dMnteste travi ,
Con Pallade al suo fianco , Epco constrasse;
E Ulisse penetrar feo nella rócca
Dardania pregno (stratagemma insigne!)
pegli eroi per cui Troja andò in faville.
Ciò fedelmente mi racconta, e tutti
Sclamar m** udranno, ed attestar che il petto
Di tutta la sua fiamma il Dio faccende.
■Demodoco , che pieno era del Nume ,
D''alto a narrar premi oa come gli Achiyi|
Gittato il foco nelle tende, i legni
Parte salirò e aprir le vele ai venti ^
Parte sedean col valoroso Ulisse
Ne^ fianchi del cavallo entro la ròcca.
I Troi , standogli sotto in cerchio assisi,
Molte cose diccan , ma incerte tutte ,
£ in tre sentenze divideansi: o il cavo
Legno intagliato lacerar con l' armi ,
O addurlo in cima d^una rupe, e quindi
Precipitarlo o il simulacro enorme
Agli adirati Numi offrire in voto.
Questo prevalse alfin : poiché destino
Kra che allor perisse Ilio superbo
, Ch^ ricettata nel suo grembo avesse
L' immensa mole intesta ove de' Greci ,
Morte ai Troi per recar, sedeano i capi.
Narrava pur come de"* Greci i figli,
Fuor di quella versatisi e lasciate
Le cave insidie, la ciltade a terra
IT' 'iP'"" ' '" '" ' ■
K ' LiBiofm , i5i
Giltm} • «Miei mentre i lor eompagni
GjastiviB- qua e>là palagi e templi,
Vnm di Deifobo «Ila casa
ASità dmn li eneléo ' corte , qaal Marte ,
I uo doro V ebbe a toatener ooniiltOy
'Hoodensd tìdoìU^, aatpire Palla.
A tali voci, a tifi licotifi Ulisse
Vlraggeatì dentro e per le smorte giance
fievea lagrioM già dalle palpebre.
Ikal donna piange il molto amato «poso
ube alla ana terra innanzi e ai cittadini .
Guide e ai pargoli suoi , da cui lontano
Talea tener T ultimo giorno $ ^d ella.
Che moribondo il vede e palpitante, -
Sovra- Ini a** abbandona ed urla e' strìdei
Kmtre ba^ di dietro chi delP asta il tergo
Le fa battendo e gli omeri ^ è le intima
IchiaTitù dura, e gran fatica e straaio«
tt che già del dolor la miserella
Smunto ne porta e disfiorato il yolto:
Coli Ulisse di sotto alle palpebre
Consumatrici lagrime piovea.
Par del suo pianto non s'accorse alcuno |
Salvo Re Alcinoo , che sedeavli appresso
E gemere il sentìa: però ai Feaci ,
Vdite , disse, o condottieri e prenci.
DfpoDga il vate la sonante cetra ;
Cbè a tutti il canto suo grato non giunge.
l)al primo istante ch'^ei toccolla, in pianto
Cominciò a romper T ospite , a cui siede
Certo un'' antica in srn cura mordace,
limano adunque dalle corde astenga }
■^lieto allo stranier del par che a noi |
^ il ricettammo , questo giorno cada,
^^lìo altro non v^ lia. Per chi tal festa?
*^ chi la scorta preparata e i doni |
"^ ^iità pegni •, e le accoglienze oneste ?
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LIBRO NONO
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Ne ipettacol più grato havvi che e
Tutta uQa gente 9Ì diuoWe ìd gioji
Suaado' alla menta, die il canloi
ohi ■■Mimo in ordine, e le lai
Colme di cìho aon, di vino Purn
Donde compier nelP auree taiie it
E ai convitati assiti il porga in g
Ma lu la ilorla de' miei guai dom
Ifio HbbotI ed iaacerbi II duolo.
I prùi dirò qiial poi, qaalndlP estremo
onto serberò delle «rentore ,
graW e molte m^iorìaro iNami?
la il mio nome, acciò, se TÌta un giorno
« coDcede riposaci e ferma ,
^Mpitalità ci nnitca il nodo,,
akè qaioci lontan sorga il mio tetto.
H, il 6glio di Laerte, io sono,
tatti accorgimenti al mondo in pregio
à Boto per fama in sino agli astri.
IP la aerena Itaca, dove
fronde Nérìto si lera
in vista, ed a. cui giaccion molte
tra loro isole intorno,
, Same e la di selve brana
AlPorto e al mezzogiorno qaeste,
ri pofo ai riTolge, e meno
tinente fugge: aspra di Fcogli,
gagliarda gioventù nutrice.
I giammai Puom può della natia
flootrada veder cosa più dolce?
y inclita Diva, in cave grotte
ea, mi ritenea con arte
ne case la dedalea Circe,
do d^avermi entrambe a sposo.
t Calipso a me, né Circe il core
1 mai; chù di dolcezza tutto
ia avanza, e nulla giova un ricco
^ido albergo a chi da^suoi disgiunto
ti eairania terra. Or tu mi chiedi
1^ da Troja prescriveami Giove
labil ritorno ; ed io tei narro.
Iwaro, de'^Ciconi alla sede,
le laaciaTA Troja, il vento spinse.
ggiai la città, strage menai
ibi la filli ^ '^ '^ molte robe
1» ^ .o»i
Dividemmo • WaMae.^ ohe MmfM»
Cutoqao ebbe oj|mI parta. !• gli Mórtn
Partir rabito • in firiiU| « i fcrteuMti |
Dispregiando il mie dir , peeore piqgiii|>
PìDgoi a scannar tortocornati tori,
E largbi nappi ad ateingar sul lido.
8^ alloDtanaro in questo meato , « tdoì
Diero i Giconi ai Gcoui Ticini , '
Cbe pia addentro abitavano. Costoro y
Cho in numero vincean gli altri| ed in foli
£ battagliare a pie , eone dal carro j
Sapean del pari, mattutini , e tuitij
Quante son fronde a primavera e fiori |
Vennero; e attor di cielo a noi mesebini
Biversò addosso un gran sinistro Giove.
Stabile accanto alle veloci navi
Pugna si comraetlea: d"* ambo le partì
Vplavao'le pungenti aste omicide.
Finché il mattin durava, e il sacro Sole
Acquistava del elei, benfìhè più scarsi,
Sosteoevam della battaglia il nembo.
Ma come il Sol , calandosi alP Occas#|
L'ora menò che dal pesante giogo *
Si disciolgono i buoi, rachiva forza
Fu dalPa&te de^ Ciconi respinta. t
Sei d foconi page i agli schinieri egregi j
Perde ogni nave: io mi salvai col resto^ j
Lieti nel cor delia schivata morte, n
£ de^compagui nella pugna uccisi 4
Dolenti in un , ci allargavam dal lidos i
Ma le ondivaghe navi il lor cammino j
Non prose^^uian, che tre fiate in priarf
Non si fosse da noi chiamalo a nome j
Ciascun di quei che giacean freddi adiHm
L^adunator de^ nembi olimpio Giovi m
Contro ci svegliò intanto uua feroee J
Ti;iu|*cstJL Burcui^ che d'atro nubi 1
uno n. * tS^
in tempo rieoTene e il marOi
li cielo a piombo tcéae.
egai , ohe moTeaosi obliqui ^
tre e quattro parti il forte larbou
tre ammainamnio, e ratto
Erettammo io Ter la •piaggiai .
>rni intéri | e tante notti ,
isiy e addolorati e moti.
V Alba dai capei li d^orò
recò , gli alben alxaU)
e le candide Tele»
igli lederam, la cura
• lasciandone ed al Tento.
quello da toccar le ornate
tie: se non cbe Borea e qn^atpn
le, cbe la Maléa giraTa,
dietro e da Citerà sTolse.
ifaasti di sul mar pescoso
mi traportaro. Ài fine
sbarcammo in su le rive
i, un popolo a cui cibo
anta ii florido germoglio.
nella terra, acqua attignemmo
.mmo appo le navi. Estinti '
! i desiri e della sete ,
:go de** nostri , a cui per terzo
i araldo, e a investigar li mando
ali il paese alberghi e nutra.
s"* affrontaro a quella gente ^
dal voler la vita loro ,
to a savorar lor porse.
1' esca dilettosa e nuova
ea, con le novelle indietro
iva tornar: colà bramava
iDgiando del soave loto,
a natia sbandir dal petto,
lagrimosi al mar per forza
I
f
«S8 ' ODI
fi rieoadolil, eirtro i eavail leplì' ^ » ' j
Li eacdat, gli •bmmìm dì sotto i lurtwi '
E ag^i altri risalir eoo gran pceateia
Le negre, navi oom andai, ttoo forse
Ponesse aleon nel dolce -loto il dente,
E la niitrìa ctdessegU dal eore.
Quei le navi saliano, e sovra i bamdii .
SedeanPun dopo Pallro, e gfan battendo
Co^ pareggiati remi il mar canuto.
Ci portammo oltre, e de^Cidopi ahieri|
Cile TiYon seoxa leggi, a rista fummo.
Saestii lasciando ai Numi ogni pensiero «
è rimo o seme por ne soglion gleba
Col vernerò spezzar ; ma il tutto, viene '
Ifon seminato, non piantato o arato,
L^orzo, il frumento e la gioconda vite,
Che si carca di grosse uve, e cui Giove
Con pioggia tempestiva educa e cresce.
Leggi non han, non radunanze, in cui
Si consulti tra lor: de'^monti eccelsi -
Dimorati per le cime, o in antri cavi;
Su la moglie ciascun regna e su i figli,
Né l'uno alPaltro tanto o qunnto guarda.
Ai Ciclopi di contra, e né vicino
Troppo né lunge un"* isoletta siede
Di foreste ombreggiata, ed abitata
Da un'infinita nazi'on di capre
Silvestri, onde la pare alcun non turbai
Che il cacciatòr, che per burroni e bo8(^
8i consuma la vita, ivi non entra, |
Non aratore o mandrian v^ alberga. J
Manca d^umani totalmente, e solo i
Le belanti caprette, inculta, pasce. <
Però che navi dalle rosse guance >i
Tu cerchi indarno tra ì Ciclopi, indarno <
Cerchi fabbro di nave a saldi banchi ,
Su cui paMare i gol6, e le straniere
dito n \i^
ff ifft9Ì delle genti t ut anta
Tan r una delP altra ai lidi ,
deserta addar coloni,
on è certo, e in sua tlagione
bbe. Molli e irrìgui prati
n riva del canuto mare.
I di grappi ogtior le riti,
pingue snolo il voiner cnHro
cbe altissima troncanrl
tempo la'' bramata mense,
•rto dirò? Non T^faa di fune
ra mestieri; e chi già entrorri
uò indugiar che de^ nocchieri
li raccendano, e secondi
enti. Ma del porto in cima -
grotta, sotto cai zampilla
a onda d^una fonte e a. cui
simi pioppi ombra e corona,
ramo, e p(^r V oscura notte ^
1 ogni veduta, un Dio scorgea:
snsa caligine alle navi
)rno« né splendea di cielo
he d"* un nembo era coverta,
sun V isola vide, e i vasti
do volventisi, che prima
non fossimo. Approdati,
;le ra«*cogliemmo, uscimmo
PÀlba dalle rosee dita,
disciogliendoci , aspettammo.
6glia del mattino appena ,
che in noi gran maraviglia
leggiavamo. Àllor le Ninfe,
*se deir Egioco Giove ,
di convito i miei compagni ,
re levaro. E noi repente,
tì archi e le asticctuole acute ,
ire di noi (atte , in tal guisa
HH^^^HI
(Gq
OBI SUE
3 il boirr. Il
«Ito*
_ Ch' >o n
OQ to .c doi Nl<
mi in >i hn
fv'tKI
m Fucine
■ DDdki >
.avi mi «es"'^"'
K Opre 01
: io dieci n
•ebW.
BÌmpivIa «reran, quuda la a
DbpcfUapno de' Cicnì aituda.-
E da' CialopL nel 'ricin pacM
Idrata intanto lenCTiB lo ciglia,
E Mlir vedeviDto il lumo, • miila
Col belo deiragnrlte e drllc capre
B*ccogli«Tiin le voci. Il Sole atroio.
Ed apptne le teocbre, le membra
Sul tDirin lido > rìpoiar gellammo.
Ha come del maltin U Gjlit ione,
Tolti chitmati > parlameoto , Amici ,
Diui, ti piaccia rimaner, mcnlr^io
Uolli g(Dle a spiar Wcol mio IrfDO,
Se ingiuila, lopetcbierole, k1 raggi a,
O di core oipìtal liui ed ■ coi
Timor de''Buiiii <ì r*cchlud;i in petto.
Detto, io montai la nave, e ai remiganti
HoDtarla ingiuDai e liberar la fune.
E quei ratto ubbidirò, e gii *o i bancbi
Sedean Tun dopo r«ltro, e gian battcB^
Cd' pareggiali remi il mar canuto.
GioDti ali* terra, cbe lorgeaci a froBb
SpelODca cccela* celi'' eitremo fiaoco
Di lauri opaca e al mar vicina io vidi.
Entro giaceavi innnmcrabil gre^a,
Pceore e capre, e di reciae pietre
Conpoate, di gran pini e querce onbnH
Albi minto n correa d'iotoroo.
''»» hpvanrf, „„ /. '' petto.
Lai ikm trovamiMii d» pcvP effe ei
Le fiecore lanìgere adermLYe^
Entrati, gli occhi ttnpe&tti in giro
Mol portaTam t le aggratleciele ooiElie
Gedeano ài peao 4e^ formaggii e piene '
D* agnelli e di capretti erma to ataUes'
JS 1 più grandi, i menanir i Beli epye«iy
Tetti, come T etede, evean del peri
Lev ptvrprie-. «taiiia | e i petterek veai, <j
Sèechie, conche} catini, evi* ei le popp^ >
Prtier tolea delle feeoéde madn^
Entro il aieee nòtayano. Qnl finrto
I compagni pregavanmi che, tolle
Pria ai quel cacio, si tornasse addietro^
Capretti s"* adducessero ed agnelli
Alla nave di fretta, e in miir a"* entrasse.
Ma io non toUì, benché il meglio fosse s ,
Quando io bramava pur vederlo, in faoci^i
£ trar doni da lui. che riuscirci
Ospite si inamabile dovea.
Racceso il foco, un sagri Ozio ei Numi
Femmo, e assaggiammo del rappreso latte
Indi r attendevam uelP antro assisi.
Venne^ pascendo la sua greggia, e in
Pondo non lieve di risecca sehra^
Che la cena cocessegli, portando.
Davanti alP antro gittò il carce, e tale
Levossene un romor, che sbigottiti
Nei più interno di quel ci ritraemmo»
£ì dentro mise le feconde madri,
Ei gP irchi a cielo aperto, ed i monUml
Nella corte lasciò. Poscia una vasta
Sollevò in alto ponderosa pietra.
Che ventici uo da quattro ruote e forti
Carri di loco non avriano smossa,
£ V ingresso acciecò della spelonca.
:
uno ix i63
ì agnelle U8Ìao, e le belanti
vfnea, tatto serbando i! rltOf
ita i parti mettea aotto^ e a qaélku
candido latte inaieme atrinie,
inestri d^ intrecciato "Hnco
ammontato { ci P altro menOp
« della cena esser beranda,
ro i pastoreed vasi,
ste sciolto cotidiane cnrCi
: foco accendea, ci scòrse e disiet
i, cbi siete ? E da quai lidi
e a frf ({uentkr V umide strade?
trafficanti ? O errando andate^
rsali, che la vita in forse^
IO altrui recaV, metton so i flutti ?
« al rimbombo, ed alP orrenda
el mostroi ci s** infranse il core, .
:osi gli rispondea : Siam Greci,
Voja partiti e trabalzati
!ruleo mar da molti venti^
> il suol natfo^ per altre vie»
aggi non pensati, a queste,
que agli Dei, sponde afferrammo,
o, e cen yantiam, per nostro rapo «
iride Agamennone che il mondo
iella sua fama, ei che distrusse
grande, e tante genti ancisel
rostesi alle ginocchia tue,
preghiam d^ ospiti in grado,
uo dono rimandarci Vioìì,
i^ o potentissimo, gli Dei :
supplici siam, pensa, e che Giove
cante vendica, e TestranOi
pital , che !'' arronipagna, e il rende
le altrui. Ciò detto, io tacqui.
;on atror<» alma: li fal'isce,
>, il scHDo^ tu iìi lunge ^ieni,
l64 OD188I&
Che vuol che i nnmi io rWeritet e temi.
L^ Egidarmato di Saturno figlio
Non temono i Ciclopi, o gli altri Iddìi :
Cile di loro Siam noi molto più fbrti.
fiè perchè Giove inimicarmi io debba j \
A te concederò perdono, e a questi j
Compagni luoi^ se a me il mio «or noi detti
Va aimmi : ove approdasti ? All^orlo estrm
Di questa terra, o a più propinquo lido? ^
dosi egli tastommi \ ed io, che molto
D^ esperienza ricettai nel petto,
Bavvistomi del tratto, incontanente
Arte in tal modo gli rendei per arte:
^'etfuno là, Ve termina, e s^ avanza
La vostra terra con gran punta in marsi
Spinse la nnvc mia centra uno 8C0glÌ0|
E le spezzate tavole per Tonda
Seti portò il vento. DalPestremo danno
Con qtie&ti pochi io mi sottrassi appena*
Nulla il barbaro a ciò : ma , dando un laiKM
La man ponea sovra i compagni, e due
Brancavane ad un tempo, e, quai cagnuolì)
Percoteali alla t'erra, e ne spargea
Le cervella ed il sangue. A brano a brano
Dilacerolli, e s'imbandì la cena.
Qual digiuno leon , che in monte albergai
Carni ed interiora, ossa e midolle,
Tutto vorò , consumò tutto. E noi
A Giove ambo le man tra il pianto alzinil
Spettacol miserabile scorgendo
Con gli occhi nostri^ e disperando teampo.^
Poiché la gran venlraja empiuto s^eboe^'
Pasteggiando delP uomo, e puio latte
Tracannandovi sopra, in fra le agnelle ^_
Tutto quant'^era ci si distese, e giacque
lo, di me ricordandomi, pensai
Farmigli presso, e la pungente spada
UBio is i65
Inr mnim M, ttakuo^ e al petto» do?e
* eonta dal fiegtto fi cingt,
feruìoi Sa poa eh^ vidi m. e«rta
nói pan inioBtnnr«niiBp,.e MMrbas
non «n da noi tot ÓMÌVìmmm^M^
àéiy antro la iforaata piatn
Q^po fii^iitiiBO i^ÌDpote. ,.
fmendo, attendèf am l^iarora,
te f aanm, a lioto in ìroaeo il cido |
Jbeo ai j ra fp en dea, mugnai le graiia #
feaia beUcj aeconeiamente il tatto,
il parti A onatta mettea tottOi e a quatta*
appena ni delle tne cure uséitOi * .
i altri dna ni ghermì de^ cari amiei^
lunana, deunò, Satollo,
lil greu[« Ator deiraotro, tolto
itipa il duoDeato tasso, ,
i.Mr «ntro alla bocca indi ripoaej
IjÙà a faretra il ino coveremo assetta*
io. pel monte si mandava il pingue
' ^ davanti, alto per via fischiando.
IO tutti a raccolta i miei pensieri
laiy per iscoprir, come di lui
licermi io potessi, e un^ immortale
comprarmi col favor di Palla.
al fin mi parve il meglio. Un verde, enorme
■co decliva, che il Ciclopo svelse
terra, onde fermar con quello i pas8Ì|
la stalla a inaridir giacca.
» «corger credeva m di nave
j meacanteggiante, e P onde brune
venti remi a valicare usata ;
igo era e sì grosso, io ne recisi
kta e fei piedi , e la recisa parte
ai compagni da polirla. Come
fu, da un lato io PafGlai,
itolai. nel foco^ e sotto U fim0|
|66 ODIUBA. '
Ch^vi in ^n copia s'aecoglieA, I\ueoìL
Quindi a sorte lirar coloro io feci,
Che alzar meco dovessero, e al Ciclope
L^adasto palo conficcar nelP occhio.
Tosto che ì sensi gli togliesse il tonno.
Fortuna i quattro, eh** io hramaTa, appanto
Donommi , e il quinto io fui. Gadea la sert^
E dai campi toroava il fier pastore ,
Che la sua greggia di lucenti lane
Tutta introdusse nel capace speco t
O di noi sospettasse^ o prescrivesse
Cosi il Saturnio. Nuovamente imposto
Quel, che rimosso avea, disconcio masiO,
Pecore e capre alla tremola voce
Mungea sedendo , a maraviglia il tntio^
E a questa mettea sotto, e a quella i partL
Fornita ogni opra, m^abbrancò di naovo
Due de** compagni, e cenò d^ essi il mostro.
Allora io trassi avanti, e, in man tenendo
D'*«!dra una coppa, Te**, Ciclope, io dilli i
Poiché cibasti umana carne, vino
Bevi ora, e impara, qual su Fonde salse
Bevanda carreggiava il nostro legno.
Questa , con cui librar, recarti io yolli|
Se mai, compunto di nuova pietade.
Mi rimandassi alle paterne case*
Ma il tuo turor passa ogni segno. Iniqao !
Chi più tra gP infiniti uomini in terra
Fia che s''accosti a te ? Male adoprasli.
La coppa ci tolse , e bebbe , ed uii soprenc
Del 8oa\elicor prrse diletto, "
K un'' altra volta meu chiedea : Straniero |
ospi
Vino ai Ciclopi la feconda terra
Produce col favor di tempestiva
, mB9 Gww U BOiiffB oTe infRitM i
to è «Bibrotia e BÀUre celeste.
tìre'iFùlUio i^ll atendee la eoppa.
e 16' la gli tteti | ed ei ne Tide
»ltena taa tre'Yolto il fondo,
m^ accorti che saliti al capo
ente lìcor gli erano I fami ,
ode io dritUTUgli : Il mio liome^
, TUOI ? L* avrai t ma non frodarmi ' ''
prometM a me dono ospitale.
é il nóme s me la madre è il pAdrt
I nessuno , e tutti gli altri amia.
»D fiero oor t L' ultimo cb^ lo
»V sarà Nessuno. Questo
i da me dono ospitale,
e die indietro e royescion cascò*'
leir antro con la gran ceryice
& su 1' omero; e dal sonno,
J doma , Tinto , e dalla- molta
oppresso , per la gola fuori
vino , e della carne i pezzi ,
anti mandava orrendi rutti. *
inente delP ulivo il palo
cenere io spinsi ; e in questo gli altri '
r& , non forse alcun per tema
ndònasse nel miglior delP opra,
7erde quantunque,. a prender fiamma
li parve ^ rosseggiante il trassi
foeri ardenti , e al mostro andai
orno i compagni: un Dio per* fermo
ito ardimento il cor ci armava.
ifferrÀr V acuto palo , e* in meno'
chic il cdnBccaro , ed io di sopra ,
imi ) su i pièy movealo in giro,
allor che tavola di nave
30 appuntata investe e fora,
ri il regge con manOj altri tiranda
l(i6 ODISSEA I
Va d' amba 1 tali le coregge , o attann ^
L'' inaUiacabilf trapano si valve- il
Si nell'' ampia lucerna il tr*vc aoceM ^
Ifui giravamo. Scaturiva il sang-ie , .>i
la pupilli bruciava , ed un focaia ^
Vapor , che tutta la palpebra e il ciglio j
Struggeva , usciii della pupilla , e 1' imt^
Cre^iiLarne io seoifa rotte radici. ?
Qiial M fabbro talor nell' onda fredda , ^
AttiiflZ» un'' ascia o una itridente «cure ,-%!
E temprò il ferro, e gli die fona ; Uta^
L'occbiointorao al (roacon cigola e fr^
Urlo il Ciclope bÌ tremenda mige , ■
E tanto l'antro rimbombi), cbe ooi 4
Qua e lì ci apargemmo impaucili
Ei fuor cavoui dell^ occhiaja il. tnTB ,
E da tè lo «cagliò di langue lordo, ■
Furiando per doglia 1 indi i Ciclopi ,
Che non lontani le veatose citile
Abitavan de^ monti in cave grotte ,
Con voce alta chiamava. Ed i Ciclopi
guioui e quindi iccorrean , la voce iidiUi
sofTermando alla spelonca il paiso,
Della cagione il richiedean del duolo.
Per quale aStta, o Pulifemo, tanto
Gridaltu mai 1 Pecche coii ci turbi
Sa baliamìca notte e i dolci sonni F
irati alcun la greggia ? o uccider fòrte .
Con inganno ti vuole, o a forxa aperta I
£ PollieBio dal profonda ipeca;
Jtessuno , amici, iiccìdemi, e ad ioganBO,
Ron già con la^virtude. Or se netiuao
Ti nuoce, rispondeano, e solo alberghi, ,
DaGioveéilmorbo.enun v'ha scampo. AlM
I^mì bene, a &c Nettun, diiuare i prM||
Dopo ciò, rìtornir su i lor vestigi i
£d * ne U eoE ridei , cbe iol d* ut now
1 li foHS la mia Itodt ordrla.
Poiiferao ila duuli aspi oniccialoj
■piraoda alUmenle, e braocDUado
, il pietron di loco Lnlae.
■ Ctnngesse ad aggrappar:
1 Semplici lads inme. Ma io gli amici
|£ me RtiidtaTa rìicattar , correndo
I9tr moltR strade eoo la mente aslnta t
, e già pendea
a le teste il diiaslro. Al fine in queaU,
) mollo girar , frauda io m'arresto,
toni di graa mole , e pingui e lielU
H (ulta carchi porporina lana ,
1^0 ' 0Dini4
Che dalle pance dd velluto grpgfB
Pendean gli uomini avvinti. Ultimo, aicia
De''8uoi velli bellissimi gravato
L''ariete> e dì me, cui molte cose
S^aggiravan per Palma. Poiiferao
Tai detti, brancicaodolo , gli volse:
Ariete dappoco , e perchè iiiori
Coti da sexzo per la grotta mVsd?
Già Don solevi delPagnelle addietro
Bestarti: primo, e di gran lunga, i molli
Fiori del prato a lacerar correvi
Con lunghi passi; degli argentei fiumi
Primo giungevi alle correnti; primo
Bitornavi da sera al tuo presepe:
Ed oggi ultimo sei. Sospiri forte
L^ocfhio del tuo signor? P occhio che un trìito
Mortai mi svelse co^suoi rei compagni,
poiché doma col vin m^ebbe la mente,
Nessuno, clPio non credo in salvo ancora.
Oh! se a parte venir de** miei pensieri
Potessi, e, voci articolando, dirmi.
Bove della mia forza ei si ricovra^
Ti giuro che il cervel dalla percossa
Testa schizzato scorreria per rantro.
Ed io qualche riposo avrei da'mali
Che Nessuno recommi, un uom da nulla.
Disse; e da se lo spingea fuori al pasco.
Tosto che dietro a noi P infame speco
Lasciato avemmo, ed il cortile ingiusto,
Tardo a scìormi io non fui dalPari'ete,
£ poi gli altri a slegar, che, ragunate
Molte in gran fretta piedilimghe agnellOi
Cacciavanscle avanti in sino al mare.
Desiati apparimmo, e come usciti
Dalle fauci di Morte, a quei che in gaardU
Bimaser della nave, e che i compagni.
Che non fedeano, a lagrimar ai diero.
la io DOD eonfenùalo, e con le ciglia
ienno lor fea di ritenere il pianto,
S comaudava lor che, messe in naye
«e molte in pria yelloiplendenti agDeIl6|
iì fendessero 1 flutti. E già il naviglio
iaUan, sedean su i banchi, e percotendo
ìian Go^ remi concordi il bianco mare.
fa come fummo no gridar d^uom lontani j
}osi il Gidopp io motteggiai: Ciclope,
}olDr che nel tuo cavo antro, le grandi
Pone abusando, divorasti, amici
!loo eran dunque d^un mortai da nnlla,
S il mal te pur coglier dovea. Malyagio!
Ihe la carne cenar nelle tue case
fon temevi degli ospiti. Vendetta
?erò Giove ne prese, e gli altri Ifumi.
A queste voci Polifemo in rabbia
fontò più alta, e con istrana possa
icaliò d^un monte la divelta cima,
]he davanti alla prua caddemi: al tonfo
j^acqua Ipvossì, ed innondò la nave,
Ihe alla terra crudel, dai rifluenti
flutti pt^rtata, quasi a romper venne.
Aa io, dato di piglio a un lungo pal0|
fc la staccai, pontaudo; ed i compagni
)^incuryar8Ì sul remo, e in salvo addarsi^
^iù deVenpi pregai, che della voce:
i quelli tutte ad inarcar le terga,
korso di mar due volte tanto, i detti
i Polifemo io rivolgea di nuovo,
lenché gli amici con parole blande
)'*ambo ì lati tenessermi: Infelice!
E^erchè la fern irritar vuoi più ancora?
uosi poc^anzi a saettar si mise,
Che tre dita mancò, che risospinto
Non percotessc al continente il legno.
Fa che gridare favellar ci senta.
Ctm la noif^ eemUti • m fmM^mm
Sfiraoslleiès tento jOoIiii ' JUideffia*
Ip^dta mio cor noD il jpiagtvaL .Qaittdi,
CwUp^ tondini eoo fi» 'adegao in peào^
S» delM. notte, in ebe or Ipi giadi ^dcAn»
Ti d&ifderà, gli nanerai clw UliaM^
D^ttica abitetor» %Uii a Laerte» ,
etAi^iCor idi eitte£, U <& ti tolae.
Bgli allora^.; ulnlandoi Oliimà !. riapoie |
Dà* priidii ▼alicinj eccomi eòlto.
IndoTÌno era qni, prode nono e illailrei
Teleoio^ fialiiiol d^Earìnoy die avea
J'ellVrte ilpregìo, ed ai <*icljDpi in meno
rofetando invecchiava. Ei queste cose
Mi presagi : mi presagi che il caro
Lume deiroccbio spegneriami Ulisse.
Se non ch^ io sempre uom gigantescp e be!
E di forze invincioili dotato.
Rimirar m^aspettava^ ed ecco in vece
La pupilla smorzarmi un piccoletto
Greco ed imbelle, che col vin mi vinse.
Ma qua, su vìa, vientene, Ulisse, cb''io
Ti porga rospital dono, e Nettuno
Di fortunare il tuo ritorno prieghi.
Io di lui nacqui , ed ei sen vanta, e soIO]
Voglia], mi sanerà, non altri, io credo»
Tra i mortali nel mondo, o in ciel tra i Mai
Oh ! così potess** io, ratto ripresi ,
Te spogliar della vita, e negli oscuri
Precipitar regni Ji Pluto, come
Ne da Nettuno ti verrà salute.
Ed eiy le palme alla stellata volta
Levando , il supplicava : O cbiomazsnrrOi
Che la terra circondi, odi un mio voto.
Se tuo pur son , se padre mio ti chiami | .
Dì tento mi contenU ; in patria UUaie |
. uno ix 17'
Miao» abitKtor, figlio a-Laertè;
Stro^itor di eìtUdi| unaaa non rìeda*
E dove il n^Uo -aiiolo, e w patema
Caie fl dettili non gli nligaite, alaMmo . '
Ti ginoifA tardi e a ateiito, e in ni^ve altni£|
Piidalì in pria tolti I compagni ^ e.noofe
llelPaTita magion trori teiagore; *'
Fatte le pred, e da Nettuno aòcoltei
ftdieTÒ mi maMo di più vasta mole,
1^ rotandol nell^aria, e una pia grande*
iWia Immenta imprimendoTi , laneiollo.
Odde dopo la popoa^ e -del timone
Iia ponla rasento: lerossi al tonfo
£^r.da, e il legno eoprl, che alPitolettaf
" Info dal mar, sabitameote giunte,
liri eran P altre navi in ra P arena,
i compagni , che assisi ad e^se intorno^
atlendean sempre con gli occhi il pianto*
i tosto in secco la yeloce naye
Tirammo, e fuor n^usciromo^ e, dpi Ciclope
Tnttone il gregge, il dividemmo in guisa ,
Che parte ugual nVbbe ciascuno. È vero
Che voller che a me sol, partite l' agne,
il soperho ariete anco toccasse.
Io di mia roano al Saturnide, al cinto
D'oscure nubi Correttor del Mondo,
. Il'^Mcisi, e ubarsi le fiorite cosce.
Ms non curava i sagrifìzi Giove,
Che anzi tra se volgea, com'* io le navi
^ Tette, e tutti i compagni al fin perdessi.,
L^ intero di sino al calar del Sole
Sedevam banchettando: il Sole ascoso ,
Ed apparse le tenebre, le membra
Sai marin lido a riposar gettammo.
Ma come del mattin la fìgliay V Alba
Dilirosata in Oriente sorse,
I compagni esortai, comandii loro
174 . ODÌSSKiL
Di rimbarcarsi , e liberar ìe funi.
£ quei si rimbarcavano , e su i banchi
Sedean Tun dopo PalttOi e percotendo
Citali eo^ remi concordi il bianco mare.
Godi noi lieti per lo scampo nostro, ^
S per raltroi srentara in un dolenti.
Del mar di iiaofo solcayam le spame.
É
LIBRO DECIMO
» giange airisoU Eolia. Eolo gli fii 11
'an otre, in coi tatti i Tentif Don oom-
zefiro, Bon rinehiotL I compagiii tdol^
otre; e i Tenti ne scappano , e rìpor-
lisse ad Eolo , che ti ditcaccìa da tè.
Ila città de\ Lestrigoni , popolo anche
antropofago, e perde la pia parte dei
ni e le navi, eccetto nna, con la quale
ill'isola di Circe. Costei gli traiforma
i la metà de^ compagni: aaWo uno, che
darne la naova. Ulisse con Perba
he Mercurio gli diede , scioglie Tin-
itatoun anno con Circe, questa il cos-
'ire alla casa di Plutone; ed ei •^addi-
perduip uno de^ compagni | a muHm
emmo neirEolia^ ove il diletto
tortali Dei d'Ippota figlio,
>itaya in isola natante,
ta un muro d^infraogibil ramci
iscia circonda eccelsa rupe,
sei d^in sesso e sei del r altro,
iquer figli in rasa; ed ei congiunse
lo maritai suure e fratelli^.
176 oiiisnà
.Che ifeàn tfegli aimi il pia bèi fior sol toM
Costoro ciascun di tieiton tra il padre l|
Caro, e Taugusla madre, ed una menta j
Di Tarìe carca delicate dapi. ]
Tutto il palagio, finche il giorno spltede, i
Spira fragranze, e d'^armonie rii uona, i
Poi, caduta su Pisola la notte, ;
Chiudono aì sonno le bramose ciglia
In traforati e attappezzatì letti
Con le donne pudicne i fidi aporL |
Questo il paese fu, questo il superbo
Tetto, in cnì me per un intero mese.
Co'^UMdì più gentil Eolo trattava.
Di molte cose mi chiedea: di Troja,
Del navi le de'Gwrì, e del ritorno;
E il tutto io gli narrai di punto in punto.
Ma come, giunta del partir mio Pera,
parole io mossi ad impetrar licenza,
Ei. non che dissentir, del mio viaggio
Pensiersi tolse e cura, e della pelle
Di bue novenne appresentommi un otrCj
Che imprigionava i tempestosi venti:
)*oichè decenti dispensier supremo
Fu da Giove nomato; ed a sua voglia
Stringer lor puote, o rallentare il freno.
L^otre nel fondo del naviglio avvinse
Con funicella lucida d^argento,
Che non ne uscisse la più picriol aura;
E sol tenne di fuori un opportuno
ZeBro, cui le navi e i naviganti
Diede a spinger su Tonda. Eccelso donO|
(ilie la nostra follia volse in disastro!
Nove di senza posa, e tante notti
Veleggiavano; e già ventaci incontro
Nel decimo la patria, e omai vicini
Quei vedevam che raccendeano i focili} |
Quando me slawco, Y»erdO io regger volli
a naTe il timon, nò in mano altrui,
e il corso affrettar, lasciarlo mai,
>rese il sonoo. I miei compagni inlanto
cllaYan tra loro, e fean pensiero
argento ed oro alle mie case, doni
generoso Ippotade, io recassi,
li! rome di sé, dicea taluno
Ito al tuo Yicin, tutti innamora
ai, dovunque navigando arriva!
ù da Troja dispogliata arredi
>rta belli e preziosi; e noi,
le vie stesse niisarammo, a casa
niam con le man vote. In oltre questi
•potade gli die pegni d'^amore.
ì, veggiam quanto in suo grembo asconda
"o e d argento la bovina pelle.
MI prevalse il mal consiglio. L^otre
preso e sciolta; e immantinente tutti
furia ne scoppiar gli agili venti,
ubitana orribile procella
ap{a dalla patria, e li portava
nrosi Dciralto. Io, cui Pinfausto
no si ruppe, rivolgea neiralma,
li poppa dovessi in mar lanciarmi|
)fTrir muto, e rimaner tra i vivi,
ni, rimasi: ma, coverto il capo,
nel fondo io giacca, mentre le navi,
i compagni di lutto enipieano indame,
cciava in Eolia il 6ero turbo,
idemmo a terra,acqua attignemmo,ea mensa
»o le navi ci adagiamtao. Estinta
cibarsi e del ber Pinnata voglia,
on un deVompagni e con Paraldo
ivìsi d'^Eolo alla magion superba;
a la dolce sposa e i 6gli cari
:iiettante il trovai. Sul limitare
•vam deìhi porta. Alio slapott
Odismma 19
M„,lraro ( figli, e co
D parole alate,
«liise, mi dicHii, e
me vrnUto ?
Oliai I'ibmU demon
e-s. non fu da noi
aTverso? Cerio
lasciata indietro,
P<.rchè»llapMm b
al tùo palagio, e ovu
Ti ta|[^n1j(«e più, a
.0 eÌ..ng=sH.
Ed io cor petto d'»
marezza colmo;
Triiti compagni, e
un lonna invailo a 1
Condono m'hMHv
SOtBÉEKT
Che ilrolrte,^
Le a
Quelli aBioutira, Hk U<hlli(yi paJi^
Via, riipoie, d4 qaoita bri^v kMU,;
■.O degli uonrini tutti il più nalngioi
Cbè ■ me uè aerar, né rìmliidar J»u dff
lice un mortai che degli Eterni è in ìn>
Ti», poichi l'odio tor ona ti coodoMB.
Coti Eolo ibandia ine dal suo tetto.
Che de' gemiti miei tutto •oniTs.
Metti di QUOTO prendeTara dell'altoi
Ha ai slincavan di lottar eoa Tonda,
Brmtgando, i eompagni, e del ritorno
Uona \» (peme neMoglioii petti.
Slei d) navigavomo, e notti tei;
E col aeltima Sol della aoblime
Citt^ di Lamo dalle larghe porte,
Di Leilrigooia, pervenimmo a Ytsta.
Qnivi pastor, che a sera entra col gregg
Chiana un altro, ohe fuor con rarmenlD
Quivi mima i monne arrla doppia mereri
L' una pascendo i buoi , V altra !• agodl
Dalla candida lana : si vicini
Sono il diurno ed il nottnrno fteo.
Sello ed amoio ii''è 11 portsf eea«UÌ'Mi
Cercbianlo d' ogni pirte , e tra due pva
Che iporgon fuori e ad lacontrar ai *■
S'apre uQ?-uigttiuWic;L.\«&A «a«(w
.'79
^^.«.o a entrar tur pronti,
i TÌ tenean le ondÌTagantt
mnte tra lor; quando né grande
mai, né picciola onda, e sempre
& yì appar tacita ^ bianca.
asi col naviglio fuori )
«o estremo con intorta fune
dai : pòi , tu la rupe asceso ,
i discoprja , mirava intorno.
bne non si scorgea, ne d"* uomo :
ra salir vedeasi an fumo.
lor due compagni , e con V araldo
i investigar , quali V ignota
sduce abitatori e nutre. -
iritta seguitar I per dove
loHuceano alla cittade
i monti la troncata selva ;
Itero a una real fanciaUj ,
*igone Antifate alla figlia,
*Dute d'^Artacia, onde costuma
10 attignere , in quel punto
scendea linfe d^ argento.
da presso , e chi del loco
e su qual gente avesse impero ,
laro; ed ella pronta V alto
6 con man tetto del padre.
veano il limitare appena,
na trovar di si gran mole y
brava una montagna ; e un gelo
"' orror correr pel sangue.
tto Àntifate chiamava
ica piai:za , il rinomato
che disegnò lor tosto
ra e orrenda. Uno afferronne ,
?na ; gli altri due con fuga
iunsero alle navi.
cittade intanto eropiea
i8o ocitsd
Aniifate- I IpslrÌEoni Tudiro,
E uxortt»n e rlii da uD lalo ci
Forti di biacrio, in numero
E gigiDtt alla Titta- Immente
Coti dai monti > fulminar lì-d
Che d'' uomini apìranti e infra
Sane n«1 porlo un luon tetro
Ed alEuni infiliali eran con V
Suali peici guiziBnt<,e alle fi
PDU future riieibati. Iltnb
Tal aeguia atrage , io , i^uiial
E la fune recita , a' miei comi
Dar di forza nel mar co' remi
Se il fuggir morte premea lor
Di tal modo arrancavano , eh
Msaai, rhe pi(<vean d'alto, il
Lietamente ichiiò : ma gli altj
Coli reataro trrarellati e aper
Contenti dello icampo, e iti
Per li troppi compagni in ti ci
Guisa pelili, iiavigammo avan
E au risola Eéa torgemmo , :
Circe, Diva terribile, dal en
Kuora germana del prudente
Dal Sole aggiornator nacque,
Dell' antico Ocràn' Egli naia ili
Taciti a trrra ci accostammo,
Non senza un Dio clie ci guid
Porlo, e lul lido u
Bepidamente and
Ferinato il pie »
LIBIO Z 181
Tsi an famo salir d** infra una seira
querce annose, che in un vasto piano
Circe alla magion torgeano intorno.
rar disposi senza indugio in via |
1 paese cercar: poi , ripensando,
egao in vece rivoltare i passi ,
o dare ai compagni , e alcuni prima
Bplorare inviar, mi parve il meglio.
tra la nave e me poco restava :
lodo ad un de** Celesti , in cui pietaile
quella solitudine io destai ,
taaoed armato di ramose corna
oare alla mia volta un cervo piacque.
alo dal Sole, che il cuocea co^ raggi,
paschi uscia della foresta, e al Biime
ndea con labbra sitibonde ; ed io
k spina lo colsi a mezzo tergo
che tutto il passò V asta di rame.
la polve cade , mandando un grido,
'ia ne volò Talma. Accorsi , e, il piede
itando in esso, dalla fonda piaga
issi il corro sanguigno , ed il sanguigno
TO deposi a terra : indi virgulti
•elsi e giunchi , attorcigliaili , fune
spaune lunga ne composi , e i morii
di ne strinsi delP euorme fera.
fin sul collo io la mi tulsi , e mossi ,
la lancia puggiandomi, al naviglio,
è mal potuto avrei sovra una sola
alla poi'tar così sformata belva.
fssola nave scaricaila; e ratto
D soavi parole i mici compagni ,
piesto rivolgendomi ed a quello,
lì tentai rianimare : Amici ,
ima del nostro di d"* Aide alle porte
D calerem , benché ci uppriiiia il duolo.
, lincile cibo aY<;ui^i avcui iicuic ,
I
189 oDisnià
Non iDettiamll ta oblio $ né àìVìm
Fame lasciataci consumar di dent
Quelli, ubbidendo alle mie voci ,
iJelle latebre loro, e, in riva al 1
Che frumento non genera ^ venut
Stupian del cervo : si gran corpo <
E come sazj del mirarlo furo ,
Ne apparecchiaro non yiilgar con'
Sparse prima di chiara onda le p
Così tutto quel di sino alP Occast
Di carne opima e di fumoso vino
L'^alma riqonfortamm* : il Sol ca
1& comparse le tenebre, nel sonni
Ci.seppelliromo al mormorio dell
Ma sorta del mattin la rosea G^
Tutti io raccolsi a parlamento , e
Compagni^ ad onta di guai tanti.
Qui, d^ onde T Àustro spira o Pi
£ in qual parte il Sole alza, in q
Noto non e. Pur consultare or v
Qual consiglio da noi prender si
be v''ha un consiglio: di che fori
Io d^ in su alpestre poggio isola 1
Ginta da molto mar, che bassa g
£ nel cui mezzo un nereggiante
P^ infra un bosco di querce al e
Kompere a questo si sentirò il
D^ Àntifate membrando^ e del C
La ferocia, i misfatti , e le nefan
Della carne delP uom mense im
Strida metteano, e discioglieansi
Ma del pianto che prò ? che dell
Tutti in due schiere uguali io li
E diedi ad ambo un duce: alP i
Eipriloco , e me alP altra. Indi n
Bame delinei mo agitavam le sorti
Ed Earìloco usci , che i n via si p*
Sema dimora. Ventici ne compagni,
lagrìouuidoy il seguian ; ne aiTatto asciulle
Di noi, cJbe rimanemmo, eran le guance.
Edificata con lucenti pietre
Di Circe ad escila magion a^oflersei
Che Tagheggiava una feconda valle.
Montani lupi e leon falbi, di'* ella
Mansuefatti avea con sue bevande.
Stavano a guardia del palagio eccel80|
Kè lor già s"* avventavano ; ma in vece
loiiogando icotean le lunghe code,
£ <u V anche 8^ ergeano. E quale i cani
Blandiscono il signor, che dalla mensa
Si leva, e ghiotti bocconcelli ha in mano:
tal quelle di forte unghia orride belve
jIì ospiti nuovi, che smarriti al primo
l^ederle s* arrctraro, ivan blandendo,
'innti alle porte, la Deessa udirò
)ai ben torti capei, Circe, che dentro
^nterellava con leggiadra voce,
ùi un"* ampia tessea, lucida, fina,
laravigliosa, immortai tela, e quale
)ella man delle Dive uscir può solo,
^olite allor, denomini capo, e molto
'iù caro e in pregio a me, che gii altri lutti,
iciogliea tal detti : Amici, in queste mura
rggiorna, io non so ben, se donna o Diva,
'he, tele oprando, del suo dolce canto
utta fa risentir la casa intorno,
oce mandiamo a lei. Disse, e a lei voce
^ndaro ; e Circe di là tosto, ov** era,
evossi, e apri le luminose porte,
ad entrare invitavaii. In un groppo
I seguian tutti incautamente, salvo
nriloco, che fuor , di qualche inganno
)spettando, rcbtò. La Dea li pose
ivra aplcrididi seggi ; e lor mescca
^^^~
^^^M
^■^H
Bi
IH!
in.,..
Bianca
mnio Tino con rappreso Utt^^^TJ
i farina e mei recente : e un succo
DclU patria 1' obWÌo ciaicun l«.vtMe.
FrMO e TÓIato dai meichini il nappo.
Ci'rre
baltelli d'
una v»rK5, e io «ile
Stalla
cbiiideali :
, letole, vo<
avEao di porco teita,
re; rna 'o spirto
H|tf corni» ì fratti
Ifnniio Tcrace dell' lattatlo caio
.Tenne rapito Euritoco alla nave.
Ma Dcn potea per iterati iforiì
La lingua diinodai-. gonfi portara
Di pianto i lumi, e □□ tÌoIgdIo daota
L' alma gli percotea. Hoi, &giirandB
Srenture nel penaier, con maraviglift
I.' interhigammo ) ed ci l'eccìdio al Qui
De' compagni narrò '■ Nobile Uliaw,
Attrareraato delle querce il boaco,
Come Lu comandavi, eccoci a fronte'
Hagion conitrutla di politi marmi,
Che di mezzo ■ uoa valle alto a' ergea.
Teaaea di dentro una gran tela, e canto,
Donna o Diva, chi 'I la 7 «tridolo aliava.
Voce mandare a lei. Leroa^, e apene
Le porte, e ne icvitò. Tutti ad un corpa
Hella magico di lavveduta mente
Segnianla: io no, che ioapettat di frod»
Svanirò iniieme tutti; e per ialarmi
Lmga eh' io feci ad eaplorare aaaiao,
Tnccl* d' alcdn di lor più non m' appari)
Oiue: ed io grand* alle mia «palla, « •«■
!ipach d'argento bullettala appeal.
tlMO z iSS
Appetì un Talid^ arco, e ingianii a lui ^
Che innanzi per la via stessa mi gisse.
^» Euriloco, i ginocchi ad ambe mani
Strìngendomi, e piangendo, Ah! mal mio gradO|
Con supplici gridò parole alate,
li non guidarmi, o del gran Giove alunno^
Donde, non che altri ricondur, tu stesso
Bitornar non potrai. Fuggiamj fuggiamo
Senza indugio con questi e la TÌcina
Pirca schiviam, fincuè schivarla è dato.
Eariloco, io risposi, e tu rimanti ,
Di carne e vino a riempirti il ventre y
Lungo la nave. Io, cui severa strìnge
necessitate, andrò. Ciò detto, a tergo
La nave negra io mi lasciava e il mare.
Già per le sacre solitarie valli
Delia Maga possente alPalta casa
Presso io mi fea, quando Mercurio, il Nume
Che arma dell^ aureo caduceo la destra.
In forma di garzone, a cui 6orisce
Di lanuggine molle il mento appena,
Mi Tenne incontro, e per la man mi prese ^
E , Misero ! diss^ ei con voce amica ,
Perché ignaro de^ lochi, e tutto solo ,
Muovi cosi per queste balze a caso?
Sono io poter di Circe i tuoi compagni ,
Eh chiudon, quai verri, anguste stalle.
Venistu forse a riscattarli ? Uscito
Dell^ immagine tua penso che a terra
Ta ancor cadrai. Se non che trarti io voglio
Paor d^ ogni storpio, e in salvo porti. Prendi
Questo mirahil farmaco, che il tristo
Giorno dal capo tuo storni, e con esso
Trova il tetto di Circe , i cui perversi
Consigli tutti io V aprirò. Bevanda
Milla, e di succo esiziale infusa ,
Colei V appie&tcrà : ma le iue tazze
Tta mnM brando cIm U pende al Imi
E, d! ferirla in «tto, a l«i t* «TVOBlk
Ghwii noaqireM da Uaiorw «m attne
T* oflnrà proaU t «od Toler tal il.letto '
toelti Dea rìcutare, acciò ti tetoka
CU amioì, e amiea li ti renda. Sole
Bt-rinrarti cotlringila col grande'
Dcf r iamprlali Dei giorO| cIm lialla
Pia non sarà per macohiparti a danno |
Onde, poiché V arra l^armi fpofliate^
Del cor k fona non ti ipogli ancofa.
Finito il ragionar, V erba salubre
Porsemi già dal suol per lui divelta p
E la natura divìsoiine: bruna
11^ è la radice; il fior bianco di latte}
MoU'i Numi la chiamauo : resiste
Alla mano mortai, che vuol dal suolo
Staccarla; ai Dei, che tutto ponno, cede*
Detto, dalla boscosa isola il fiume
Alle pendici delP Olimpo ascese;
Ed io ver Circe andai ; ma di pensieri
Io gran tempesta m^ ondeggiava il core.
Giunto alla Diva dalle belle trecce,
La voce alzai dall' atrio. Udimmi e ratti
Levotfsi e aprì le luminose porte,
E m^ Invitava : io la seguia non lieto.
Sovra un distinto d^ argentini cbiovi
Seggio a grand^ arte fatto e vago assai
Mi pose: lo sgabello i pie reggea.
Quindi con alma, che pensava nali,
La mista preparommi in aureo nappo
Bevanda incanta trice, ed io la presi
Dalla sua mano, e bebhì ; e non mi nonpi
Però in quel che la Dea me della lunga
IIBBO X 187
Verga p^rcoise, e^ Vanne, disse, e a terra
CoHaot compagni nella stalla giaci |
Tirai dal fianco il brando, e coutra lei.
Di trafiggerla in atto, io mi scagliai.
Circe, mandando una gran Tooe, corse
Bapida sotto il colpo, e le ginocchia
Con le braccia af^rrommi, e queste alate
Parole mi drizzò, non senza pianto :
Chi sci tu ? donde sei? la patria dove?
Bove i parenti a te ? Stupor m^ ingombrai
Cbe r incanto bevuto in te non possa ,
Quando io non vidi, cui passasse indarno
Per la chiostra de"* denti il mio veleno.
Certo un"* anima invitta in petto chiudL
Sarestu forse quel sagace Ulisse,
Che Mercurio a me sempre iva dicendo
Dover dMlio venir su negra nave?
Per fermo sei. Nella vagina il brando
Biponi, e sali il letto mio: dal core
B^ entrambi ogni sospetto amor bandisca.
Circe, risposi, che da me richiedi?
In cortese ver te , che in sozze belve
Mi trasformasti gli uomini ? Kivolgi
Tacite frodi entro te stessa j ed io
la tua penetrerò stanza secreta ,
Onde, poiché m'^avrai Tarmi spogliate,
Bel cor la forza tu mi spogli ancora ?
No, se non giuri prima, e con quel grande
Degl'immortali Dei giuro, che nulla
Più non sarai per macchiuarmi a danno.
Dissi ; e la Dea giurò. Di Circe allora
1^ belle io salsi maritali piume.
Quattro serviano a lei nel suo palagio
Di cpielle Ninfe che dai boschi nate
Sodo, o dai fonti liqtiidi, o dai sacri,
Che dcvolvonsi al mar, rapidi fìumi.
L^uua gìttava su i politi seggi
0$ mm0
Bel ti^pMi Afàpéi^inA mO» y *
Bei ikpp«tt MMtea di lifaneo |bof ,
L^tn BMtete d>fffaito iuuul et mbI
Spiegsvcy e d*oro v^ ioipoiiea eaaaitrf •
HaMee hiUnik nelTargeiitee bioeehe-
8««TÌtnBli Tini, e d'auree Une
CofMrfe I» meate : ma le «(oarte 11 fieioe
Fonte reeerei e raeceiidee gran fnoeo
Sotto il fMtO treppiè, cbe V onde eepOt
Già ferM qveite nel ciTeto bromo,
E mO ^ 'llinfk guidò pi bagno, e Pondi
Pd eepò' nollemente e per le apalle
Spargerai non cesto, ch^o ni sentii
Di ?igor nuovo rifiorir le membra.
Lavato ed uuto di licor d^olÌTa,
E di tanica e clamide coverto,
Sovra un distinto d'^argentini chiovi
Seggio a grand'arte fatto, e vago assai.
Hi pose : lo sgabello i pie regg«;a.
E un^ altra Ninfa da bel vaso d"* oro
Purissima acqua nel bacil d^ argento
Mi versava ) e stendtami un liscio desGO|
Che di candido pane e di serbate
Dapi a fornir la dispensiera venne.
Cibati) mi dicea la veneranda
Dispensiera, ed instava; ed io, d"* ogni eica
Schivo, in altri pensieri, e tutti foschi,
Tenea la mente, pur sedendo, infissa.
Circe, ratto che avvidesi ch^io mesto
Mon mi curava della mensa punto ,
Con queste m^appressò voci sul labbro :
Perché cosi, qua! chi non ha favella ,
Siedi| Ulisse, struggendoti, e vivanda
Non tocchi né bevanda ? In te «oapetto
S^ annida forse di novello inganno?
Dopo il mio giuramento a torto temi.
Ed io : Ciccei qaal mai retto uomo e laggi
L1BB0 Z 189
ViraDda toccberia prima , o bevandai
Cbe i 8001 Vedesse riscattati e salvi ?
Fa che liberi io scorga i mici compagni ,'
Se vaoi che della mensa io mi sovvegna.
Circe usci tosto con in man la Terga ^
E della stalla %V infelici trasse,
Cbe di porci noTenni avean Pasprtto.
Tolti le stavan di rincontro; e Circe,
D^ ano air altro passando , un prezioso
Sovra lor distendea begnino unguento.
C)i odiati peli, cbe la tazza infesta
Produsse , a terra dalle membra loro
Cidtyano ; e ciascun più, die non era |
Grande apparve di corpo , e assai più fresco
D^etade in faccia, e di beltà più adomo.
Mi ravvisò ciascuno , ed afferrommi
^i destra; e un cosi tenero e si forte
Compianto si levò , cbe Ja magione
Ne risonava orrendamente , e punta
Sentfasi di pieti la stessa Maga.
Ella, standomi al Oanco, sovrumano
Di Laerte figliuol , provvido Ulisse ,
Corri, diceami, alla tua nave, e in secco
La tira , e cela nelle cave grotte
U ricchezze e gli arnesi : indi a me torna |
£ i diletti compagni adduci teco.
BPentrò il suo dir nelPalma. Al lido io cor8Ì|
Ei compagni trovai, che appo la cave
I)i lagrime nutriansi e di sospiri.
Come, se riedon le satolle vacche
iJai verdi prati al rusticale albergo ,
I citelli saltellano e alle madri ,
Che più serraglio non ritienli, o chiostra |
^n frequente muggir corrono intorno :
Coti con pianto a me, vistomi appena.
Intorno s** aggiravano ì compagni ,
£ quei mostravan su ìa faccia segni |
\rjO OIDSGSJt
Cbevl at «cor^rfan, te il dolce nMa ,
Dove nacqncro e creliliero , te l*aapra
luca aTe.ser tBCM. O, Ugrimaiulo
Dicein, di Giove alunno, una tal gioji
Sarebbe ■ tleiita in noi , se ci accoglìefsi
D'Itaca il porlo. Ma, su vU, l'acerbo,
Falò degli allri raccontar ti piaccia.
Ed io eon dolce favellar : La nave
Si tiri in secco , e nelle cave irrotte
Le ritclieMe si celino e gli arneii.
Poi aeguitemi in Trelta ; ed ì compagni
Nel tetto sacro dell' illuilre Circe
T<!drcle aaaiai ad una meriBa , in cui
DI là «Tof^i desio la eopia regni.
Pronti obbedirò. Ripugnava Euriloeo
Solo, ed or questo m arrestava, or quel
Gridando, Sventurati , ove ne «DdiamoI
QaRl mai vi ponge del disattro tele ,
Che diaeendiate alla Maliarda , e vólti
Atte iti leoni, io lupi o in soui verri.
Il no palagio a ruatodir danniti ?
Il'' ospizio avrete del Ciclope , quando
Cataro i nostri nella gratta , e que«l<>
Prode liliale guidavali , di cui
Horte ai miseri fu la atollo ardire.
Cosi Euriloeo ; ed io la lunga spada
Ctvar pensai della vagina, e "
Dal basto ai pie sbalzargli ii
Bencbè vincol di sangue a e
Ha tatti quinci TÌteneanmi,
Con favella gentil : Di Giove
Coatoi ani lido , ae ti piace ,
Ddk nave rìmangasi , e alla
Hagion noi gnida. Detto ciò, dal bian
Heco venUn , uè reatb qoegU iddictm
T*ntO della minaccia .ebbe ipavento.
Con p — -"— = ™ — =-' - — ■
tiBaq X igt
Degli altri , che lavati , unti e di buone
l'uniche cìnti e di bei manti furo.'
Siedati a mensa li trovammo. Come
Si Bguardaro P un V altro , e sul passato
Con la mente tomaro , in pianti e in grida
Davano; e ne gemean pareti e volte.
U^appreasò allora , e mi parlò in tal guisa
L^ inclita tra le Dive: O di Laerte
Gran prole, o ricco di consigli Ulisse,
Modo al dirotto lagrimar si ponga.
Noto è a me pur, quanti nel mar pescoso
Baraste affanni , e so le crude offese
Che vi recaro in terra uomini ostili*
So via, gioite ornai finché nel petto
Vi rinasca P ardir, ch^ era in voi, quando
Itaca alpestre abbandonaste in prima.
Baiti or gli spirti avete , e freddo il sangue p
Per la memoria de** viaggi amari
Nelle menti ancor viva , e P allegrezza
Disimparaste tra cot&nti guai.
Agevolmente ci arrendemmo. Quindi
Pel continuo rotar d** un anno intero
Giorno non ispunlò che a lauta mensa
Me non vedesse e i miei compagni in festa.
Ma rivolto già Panno, e le stagioui
Tornate in se col variar de** mesi,
Ed il cerchio dei dì molti compiuto ,
I compagni , trae ndomi in disparte ,
Infelice! mi dissero, del caro
Cielo nativo e delle avite mura
Non ti rammenterai , se vuole il fato
Che in vita tu rimanga e le rivegga?
{!Ìano avviso mi parve. Il Sol caduto |
E coverta di tenebre la terra ,
Qnei si corcaro per le stanze ; ed Ì0|
Salito il letto a maraviglia bello
Di C^ife, supplichevoli drizzai
IQI ODISSEA
Alla Dea 9 che m^udì, queste parole :
Àttiemmi, o Circe^ le iiopro messe, e a] cara
Kendimi natio ciel, cui sempre fola^
Non pore il mio , ma de' compagni il eorrn
Dé^ compagni, che stanno a me d^ intorno^ - :
Sempre che tu da me t^ apparti, e tutta,
Con le lagi'ime lor mi struggon V àìauu
O di Laerte sovrumana prole «
La Dea rispose , ritenervi a Iona
Io più oltre non vo\ Ma un' altra via
Correre in prima è d^uopo: è d^uopo i §a»Alk
Di Plato e di Proserpina aoggionu
Vedere in prima , e interrogar lo spirto
Del Teban vate» che^ degli occhi cicgo,
Paro conserva della mente il lume}
Di Tireaia, coi sol die Proserpina
Tutto portar tra i morti il senno anliem .
Gli altri non son che vani spettri ed OalM»
Rompere il core io mi sentii. Piangea $
Su le piume giacendomi, ne i raggi
Volea del So) più rimirare. Al fine.
Poiché del pianger mio , del mio voltarmi
Su le piume io fui sazio , Or qual, ripresi.
Di tal viaggio sarà il duce? AlV Orco
Nessun giunse finor su negra nave.
Per difetto di guida, ella rispose,
Non t'anDOJar. L^ albero alzato, e aperte
Le tue (Candide vele, in su la poppa
T^ assidi , e spingerà Borea la nave.
Come varcato V Oceano avrai ,
Ti appariranno i bassi lidi , e il folto
Di pioppi eccelsi e d^ infecondi salci
Bosco di Proserpina : a quella piaggia,
Che rOcean gorghiprofondo batte,
Ferma il naviglio, e i regni entra di Pluto.
Jtupe ivi sbalza, presso cui due fiumi
S^ urtan tra lot iomote^^\U)À.Q) ^ uniti
Heir AdMAmte cadono s Gocito «
liamo éi StiM, e Piriflegetonte. '
^ppràuU alla rape , ed nna fossa ,
Clw va eabito ai afenda in lango e in largo i
Scava, o prode ^ ta itesso} e mei con tioo^
Indi TÌn paro e lim odiati m^ onda
Vénarly a cuor de^ trapassati , intonto ,
S di bianche farine il tutto aspergi.
Poi degli estinti prega i frali e TÒtt
Gspi, e prometti lor che nel tuo tetto ^
Eatrato con la nare in porto appena ,
Vaeea infeconda, delP armento 6ore,
Lor sagrificherai, di doni il rogo
BìfBBpiendo § e che al sol Tiresia , e a pirtè,
Iiamolerai neriasimo ariete ,
Che della greggia tua pasca il più hello*
Ganpiata ai Mani le preghiere, nceidi
Pscora bmna, ed un monton, che alPOreo
Volgan la fronte; ma eonrerso tieni
Del 6ume alla corrente in quella il viso.
Molte ombre accorreranno. A^ tuoi compagni
le gik sgozzate vittime e srojate
Mettere allor sovra la fiamma , e ai Numi ,
^ prepotente Pluto e alla tremenda
Proserpina drizzar voti comanda.
-Età col brando sguainato siedi,
Rè consentir che ^ anzi che parli al vate-,
I Mani al sangue arcoslinsi. Repente
II profeta verrà, duce di genti,
Che sul viJf^gio tuo , sul tuo ritorni)
Pel mar pescoso alle natie contrade
Ti darà, quanto basta, indizio e lume.
Cosi Ja Diva; e d'^in su P aureo trono
l'Aurora comparì. Tunica e manto
Circe fctessa vestimmi ; e a se ravvolse
Sella, rnndiila, 6na ed ampia gonna \
ODìmtA \%
)f)4 OBISStA
SÌ Strinse al .6aiioo un*, aureak £|Mrf% * ì^
Sa i ben torti capei velo s* jmpoae.
Ma io, patsa^ido ^i^iiyia i^.fltin stpn»
G«il|iMi¥|i i' ofl^pagni I tt, 9/i «m «i \
fifk.winM 'àM gli abbordava;! T^mpa
Kob' « piarci afiorare i di^lei- ¥»m-
Par^aoM» M i toato. Il mi opnaìgUa Circ
St loTaro e obbedirò. AAfi, ohe nò
Mi al ooneetM rìconduiii tatti t .
Un ^|if«|io|ro T^era, V qqal .potate
Dopo . gli. ilUtì Tenia « poco aelT tarmi
Porto ni . troppo deliii men|o. a^ecorto.
Caldo "dei buon licpra i ondf |rri§qaai j
fiiillWlao dailt : altrt,ed al pfla^o
jfi ai corcò , per Hnfircacarai j iìjk elma.
VdìJt^ il topf ddU.partCìpia e il mot
Bitooaacal «d' im tcatjto « ;«;9er lai tingi
CJAlVi'.di Jtictro afoendére,ojbliando> ..
Mosse di punta sovra il tetto o cadd
Precipite dall'* |^lto : il collo ^ai nodi
di V infranse , e volò P anima a Dite
Raganatisi i miei , Forse.., io lor dia
AUe patrie contrade andar, credete.
Ma un altro pria la venerabìl Diva
Ci destinò canirain , che ai foschi regi
Di Pluto e di Proserpioa conduce ,
Per quivi inLerrognr del rinomato
Trhan Tire sia V indo'^ino spirto.
Duci mortale gli assalse a questi dei
Piahgeano e feruii rinianean li lì
E la chioma stracciavansi : ma indarn(
Lo strazio della chioma era ed il pian
Mentre al mar tristi tendevamo, e s|
Lagrime spargevam, Circe, che in via
Pur s^ era posta , alla yeloce nave
Legò la bruna pecora e il montone.
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i» ■ JP?" ^ "* •▼▼edemiiio .
195
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LIBRO UNDfiaMO
▲BGOMIVTO
Ulisse continuando U sua narrazione, giange
ai Cimroerj e va nelP inferno. Gompiule le
debite c«frin)o«iic , gli appariscono le Ombre
de"* morii; e quella d^ Elprnore é la prima eoe
mi farella. Poi Tiresia P informa ae' venturi
suoi casi e Tinsegna come superarli. Appariiioo
della madre, dalla quale intende lo stato della
propria famiglia. Vengon poi le antiche eroine
e appresso gli eroi , tra i quali Agamennonf|
Achille ed Ajace. Finalmente vede Minosse i
l'izio, Tantalo, Sisifo ed Ercole: finche, preso
da timore I ritorna in fretta alla nave.
Gì
iuntì al divino mare | il negro l'agno
Prima varammo, albero ergemmo e velei
£ prendemmo le vittime , e nel cavo
Legno le introducemmo : indi con molto
Terrore e pianto vVntravam noi stessi.
La dal crin crespo e dal canoro labbro
Dea veneranda un gonfiator di Vela
Vento in poppa mandò, che fedélmente
Ci accompagnava per P ondosa vii :
Tal che oziosi nella ratta nave
Dalla rrrulea prua giacean gli arnesi ,
E noi tranquilli iede^aLm,U cutt^
UIRO ZI
tlmonier Sueiandtfne, ed al Tento
laudo il di riiplendè| con relè ipnaé-
vigsTano. Spento il giórno, è adombra
sopcrte le vie deli-Oceano
eco la nave i gelidi confini.
Ve la gente de^ Cimmerj alberga,
i nebbia e bujo aempitérao inTolye.
nti pel ciclo stelleggiato, o scenda ,
sfavillante d^Ar Sole non guarda
egl'infelici popoli, che trista
conda ognor pernizFosA notte.
Lddotto in m Parena il boon naviglio
1 montoine e la pecora sbarcati,
i corrente delPOceano in riva
nminavam, finché venimmo ai lochi
i la Dea c'^insegnò. Quivi per mano
*iloco teneano e Peri mede
due vittime; ed io, fuor tratto il brandO|
vai la fossa cubitale, e mele
1 vino, indi yin puro e lucid^onda
'sàivi, a Gnor de^ trapassati, intorno
!i oiancbe farine il tutto aspersi.
degli estinti le debili teste
gai, promisi lor che nel mio tetto,
rato con la nave in porto appena,
;ca infeconda, delParmento fiore,
•agrificherei, di doni il rogo '
npiendo} e che al sol Tiresia, e a parte,
aolerei nerissìmo ariete,
: della greggia mia pasca il più bello,
te ai Mani le preci, ambo afferrai
Fittime, e sgozzàile in su la fossa,
tutto riceveane il sangue oscuro,
ecco sorger della gente morta
più cupo nelPErebo, e assembrarsi
>allid'*Ombre: giovanetto spose,
Koni ignari delle nozze, vecchi
Da DiMnifa fnrtiiaa aisui vertuti,
E «erginelle ient^rr, c1i« impTcci
Parlano i cuori di recente lutto; ,
E molli dalle acute 8>te goerrìeri
np| rampa un, di feriti, a cui rossi^fgia
Sul prllo anwr rintangiiiDito uubtrrgo.
Arcorresn quinci e giiinili , E Lanti s tonilo
Aggiravan la fossa, e con Ui griJa,
Cti'io ne gelai per >ubitaDa tema.
Pure a EurilacD ìq^hdiì e a Perimedc
Le già icanoate vittime e aeojatc
Por III la e>mma, e motH ai Dei far voti,
Al prepotente Fiuto e allo Iremcnili
Fmserpina: ma io col brando ignudo
Sedei né conientia che al vivo iingne,
Pria ob^io Tirella ioteiragato ■*«•»;
S'aocoatanerdelPOmbrei tAIì capi.
Primo ad oflrirai • me fu il itmuUeit
D^EIpenore) di cui non rìncKiudea '
La tèrra il corpo nel grembo ancora.
L*MÌato in caaa Paietam di Circe
Non lepollo cadavere e non piantai
Ciii incaluvaci illor direna cura.
Piami a vederlo e ne lentii pleiade,
E, con alate tqcì a luieonTCrn,
Elpenore, diai''io, come icendeitt
Nell'oacura caligine? Veniiti
Pili ratto a pie, ch''ia aii ti negra nave.
Ed ei, piiDRfodo: di Laerte egr^if
Prole, sagace Uliaae, un nequitoio
Demone avverao, e il molto vin m*l>flfc*&
Stretto dal aouno alla magione in dma,
Hea diaciolai ad un tratto, e, per la Ia4fl
Di cal^ non membracdo interna koala, .
Halli di punta lovra il tetto, e iPalta '
Precipitai) della cervice ■ nodi
Boppeni, ed io toUì qUa con io tplrtoi -
uno SI IQ9
Ora io per quelli da oni lana* tÌtì.
Per la contate tna, pel vecchio padre,
Che a tanta coirà V ailev/» bambino,
Pel giocane Telenacti, che dolce
nella casa laiciatti unico germe,
Ti prego, qoando ì& so, che alia Gircea
Isola il légno arriverai di nuovo,
Ti pregò cbe di me, signor mio, 'togli
Là rieordarti, onde io non resti , eòme
Della partcmfà spiegherai le vele^ ' '
Sema lagrime addietrè e senza tómba ,
E tu Tenghi per qoesfo ai Numi in tra.
Ma con queir armi, ich^ io yestfa, sul foco
Mi poni^ e in ritìi' del canuto mare
A un misero guerrier tumulo innalza ,
Di cui faTelli la ventura etade.
Queste cose m^ adempì ; ed il bnon remo,
Ch'^ io tra i compagni miei, mentre vivea ;
Solca trattar, sul mìo sepolcro infìggi.
Sventurato, io risposi, a pìen fornita
Sarà, non dubitarne, ogni tua voglia.
Così noi sedevam, meste parole
Parlando alternamente, io con la spada
8ul vivo sangue ognora, e a me di conlra
La forma lieve del compagno, a cui
Suggeria molti accenti il suo disastro.
Comparve in questo delP antica madre
L^ Ombra sottile, d^ Anticlca, cbe nacque
Dal magnanimo Autolieo, e a quel tempo '
Era tra i vivi eh'' io per Troja sciolsi.
La vidi appena, che pietà mi strinse ,
E il lagrimar non tenni t ma né a lei,
Quantunque men dolesse, io permettea
Al sangue atro appressar, se il vate prima
Favellar non s^ udia. Levossi al fine
Con l'aureo scettro nella man fiimosa
h* alma tebana di Tiresla, e ratio
aOO ODISMU I
Mi riconoblje^ € disse s Uomo infelloei jr
Perr.hé| del dole abbandonati i. raggi,
Le dimore inamabili de^ oorU .
Scendesti' a visitar ? D^ queiU fMS«
Ti scoaia, e torci in altra pmrte il brando^
Si cb? -io ^ beya del aangpe»; e il ytr ti nam. :
11 pie ritrasai,. e invaginai r.aaito ; .
B^ argf nt^e torcbie tempestato brando.
Ma ei|,D0Ìcbe bevqto ebbe^ io. talfuiia.
Movea le labbra : Rinomato Uliuey ■
Tu al!» dqlcesxa del riUnW> aneli y '-,. -^
E un Name invidioso il ti coniende»
Cc^me celarli da Nettu9,.olM gnivtt
Cantra te concepì adegnp nd petlp
Pel figjipy a cui spegnesti in Ironia Voeclutf
pur, sebbene a gran pena, Itaea avrai j ^
Sol obe.t^ steaao e i tuoi compagni affnpii
QuaùdOi tutti del mar vinti i perìgli|
Approderai col ben formato legno
Alla y.erde Trinacria isola, in cui
Pascon del Sol, che tutto vede ed odci
I nitidi montoni e i buoi lucentL
Se pfisceranno illesij e a voi non caglia^
Gh^ ^ella patria, il rivederla dato.
Benché a stento, vi 6a. Ma dove osiate
Lana o corno toccargli, eccidio a^ tuoi
E alla nave io predico ed a te stesso.
£ ancor che morte tu «cbivasai^ tardo
Fora, ed infausto, e senaa un aol compigmoi
E su nave strauiera, il tuo ritorno. .
Mali oltra ciò f* aspetteranno a caia i
protervo stuol di giovani orf^ogliusi, •
Che ti spolpa, ti mangia e alla divina
Mog^e con doni aspira. É ver che a lunfo.,
Non rimarrai senza vendetta. Uccisi
Punc[ue o per frode, o alla più chiara iucc^
Mei tuo palagio i temertrj amauMi
uno ZI 101
fidi ira ben fatto remo, e la tÌa ti meitis
rat tenere il pie, che ad aoa Boofa
ite non sii che non coaoice il mare|
coflperae di tal vi?aade gusta,
dulie navi dalle rosse guaDcej
Jtt* politi remi, ale di na?e,
iiia Tanta. Un manifesto segno i
Iter nella contrada io ti prometto,
ti di che ad^ltro pellegrino, a cai
ibatterai per via, te qaelPamese,
che al vanto sa Wj^ il gran si sparge,
tar dirà su la gagliarda spalla,
repente nel suol conficca fi remo.
,yiUimtt perfette a Re Nettuno
nate, un toro, un ariète e un Terrò,
li, e del cielo gli abitanti tutti
Pordine dovuto offri ecatombe
la tua reggia, ove a te fuor del mare^
poco a poco da muta vecchiezza,
temente consunto, una cortese
ravTerrk morte tranquilla, mentre
ce intorno i popoli vivranno,
racol mio, che non t'inganna, è questo,
^iresia, io rispoodea, così prescritto
i dubbiar ne pitrebbe?) nanno i GelestL
ciò narrarmi ancora: io della madre
Il ima scorgo, che tacente siede
)o la cava fossa, e d^uno sguardo,
1 che d''un molto, il suo Ggliuol non degna.
* far dcgg^io, perchè mi riconosca?
eglii Troppo bene io nella mente
ti porrò. Quii degli spirti al sangue
1 difeso da te giunger potranno,
orran parole non bugiarde: gli altri
te si ritrarran taciti indietro.
-late a me tai cose, in seno a Dite
profetante Re raloia i^immerM,
Bifl
■■^
i03
Mi io di \k no
mi'tóglSca. la m3Ón'\
S'accosti intanto,
né del negro sanane "J
Prima beve, che
avviiommi, e queste "J
iti dmiò kerima
ndo alate voci? ',!
- Deh rome, figliun
mio, scenilestu \ìn ,.1
Sntto Tallra calig ne? Chi vive. ' 'T]
Difficilmente qoeati alhergfii mira, "5
Però che .a.ti Cu
Correnti n divìd,
no, e il temuto ,'
Ocean, cui Tarca
e ad non. non lìce, ''
Se noi trasporta
Forse da Troja, e
na dedalea nave. ^
dopo molti errori.
Con la tia^e e i e
orapagni a queato bùio' '
Tu vieni? Né tre
ar sapesti ancora
Itaca tua? uè dei
a tua consorte
Riveder nel pilag
il cafo volto?
u madre .mia, neceiillì, riijtbil ,
L'atmi" ihdaVinà • int^rrb^r 'mH^dàn*
Del (ebano Tireais. II kuolo Acheo '
Hon vidi ancor, né t liti nostri attinti]
Ma vo ramingo, e dalle core òpprtMO,
Dappoi che a Troja ne''pDl(dn bella
Seguii',' per diierlarla, 11 primo Atride,
8(1 via, mi narra, e ichiett* mente, ctuns
Te la di lunghi sonni apporiatritie
Parca domò. Ti vinse un lun^o'moibo,
O te Di'inii faretrata asiatae
Con improvrisa non ani>r» fretti*}.'
Ti*e l'antico padre, il O^lio vive, .
Che in Itaca io lasciai? Nelle man lont
BeiU, paiaò ad altrqi làmiarìéebnii^
E ch'io non rìeda pili, ai (k Agioatf '
E la eantorte mia qual cor, qual iiiAxt '
Serba? Dimora col NDciuIla''e'tiit^" ' "
GeloaameDte' ''■■■toditee^, d élctmó
Tra i primt degli achei fbAC'Imi'
%nH ■HnViKMtfeiuU"
i;flik itttn UwÌ4 miì' ìà Mglia- '
nlngioj e Iciitaint^ale a lai
yt piatìto i di, bcorron la natU.'
iti tuo retaggio in sin ch'io vììli^
U il Gglio su i paterni campi /'
Mce, e alle più illustri Rirnie, ''
ba eiiacuno, e che non dee
E al regno ilispregiat-, s'aMÌdo.:''
ì dì pasta Laerte, e mai " ',
tao Tien: «olii non letti,
t,'o strati aontaosi, o manti. '
iuta ignobili coverta
■ ì servi a) fecolare il verna * '
idi cenerFj^ te toroa
itatp, o il verdcgniante autunii(4f<
mi li di raccolte foglie
li qna e là per la feconda
preme iravagliata, e il duolo
ttgendo la tua sorte: arrogi
ezia increicevole che il colse.
□enti de''niici itanefai giMniì
termine a roe, cui kon' Diana,
infainbile, di no wrdo
Bualt», o ili qne'raorbi invaM,
in tnr delle contante membra
tior con odiosa tabei
lo di vederti, ma raHànno
lontananta, ma i gentili
)ilnmi tuoi, nobile Uliua,
1 di >1 dolce hinnomi tolta,
landò tra me, Peitint* madra
ingenni al seti: (re volte coni,
aio cor mi lospingea, vèr lei,
te m''nid foor delle braooiti,
ibia sottile, lieve sogno,
acerba ni trtBsKi e ntto,
e, k diuHa, pen&è ni «fiiuL
irubbraerbrli br»mo=o, onde «tico • Dltó,
Le ixBi. giiii.i.lo r>in anriltro al collo,
Si (tuoi ci «ilolUrno iinbi, e di pianto?
Fsntssm» fano, Brci6 più icmpre io m'augi,
Fone l'alia Proaerpioa maniloTDmi?
defili uomini tuUi il più infelice,
la vfiierandci genilrìce aggiunic,
Ko , IVgregia Proserpina, di Giove
I.B Qgli*, r.on t'iDganca. £ de'morttJi
Tale il deilio, daccbc non boo più in fili)
Che i muicoli tra tè, l'otis ed i nertì
Nue li corgiuDgan più: tolto romama
La,,^aD pominza dell'ardente frinì,
Camf prima le blancbaacsta abbandona,
E tavola per l'aere il nudo apìrto.
Ma tu d''uM:ir^ alla i>i|ien)a luce, .
Tia quettq tiujo affiettn) e. cjb iiben^illii
E porte»! uflP apliaa acolpito , .
Penelope da le riuppia «■ giorno,. : . <; -
Mentre ceni /ayellavam, foipiote '
nell'inclita Proterpina le figlia .■
D^li eroi compariaiii), e le conioTt!,
B tràean della foiw al inargo in.ioljh
Io, rome ìnterrogaTle ad una adiuna
RJToIgfa meco) e ciò mi parve il qieglio*
Stretta la ipada, non pitia cbe tutte
Beeitero acC un tempo. ^Ua ma volta
Co)) aecorreidiaacuDB, e J'uooratp ,
IiigDaggiti ed i auoi caai a me Darrara.
Prima i^apprsaenlà riltnitre Tiii»,. .
Che del gran Sa^monea figlia, « Goiiwria ,
Di Creteo, un de'Eglinoi d'B<»lo,^iA tìUtt-''
. Coatti dhin fiume nell'amore atcìitai . . 'J
Dtll'Eaipéo divin, cbe U {UÀ b^a ' ^
Sovra i pi& ameni camiti onda TÌ*dkai - '-
Enetao a hag»*ni in qucgll<ar^Mli ^l^«l>>-
IwMHQ Àmie die u (erra uwai:! m i ah^
Limo li 9o5
slhinoy in forma di quel Dio, rorcossi
ilio foe Yorticose acque alla fere;
la porporfggìante onda dintorno
ii ite^te, in arco si piegò , qnal monte ,
li celando , e la giovine, coi tosto
itoli'* ei la zona virginale, e un casto
ipore infuse. Indi per man la prese ^
chiamolla per nome e tai parole
ì (eoi Di questo amor, donna, t** allegra.
>mpiiito non avrà Tanno il suo giro,
le diverrai di bei fanciulli madre,
uaudo vanne giammai degP Immortali
>n ri'escoii le nozze. I bei fancinlli
-endìin cura, e nutrisci. Or vanne, esftppr,
a il sappi soia , che tu in me vedesti
rttuno, il Nume che la terra sruote.
isse, e ne^ gorghi suoi T accolse il mare.
Eila^i Neleo e Pelia, ond^ era grave,
alleviò. Forti del sommo Giove
inistri, r un nelP arenosa Pilo,
;1P ampia l^'altro j e di feconde gregge
cca laolco, ebbe soggiorno e scettro
uindi altra prole, Esòn , Perete, e il chiaro
3mator di cavalli Amitnòne ,
lede a Creteo costei , che delle donne
■ina parve alla sembianza e agli atti.
Poi d^Asópo la figlia, Antiopa, v^nne,
le dell'amor di Giove andò superba,
due figli creò , Zelo e Anfìone.
;be costoro dalle sette porte
'imi fondaro , e la munir di torri:
le mal potean la spaziosa Tebe
nza torri guardar, benché gagliardi.
Venne d'^Àmfitriòa la moglie, AlcmenSi
le la Saturnide P animoso Alcide,
)r di leone , partorì. Megara ,
i Creonte wagnaDÌmo figliuola ,
306 ODISSEA
]p moglie deir invitto £rcoIe, venne.
D^ Edipo ancor la genitrice io vidi.
La leggiadra Epicasta, che nefanda
Per cecìlk di mente opra commise ^
L^ uom disposando da lei :nato. Edipo
La man, con che avea prima il padre uccisOi
Porse alU madre: né celaro i Dei
Tal mis&tto alle genti. Ei per crudele
Voler de'^Numi neir amena Tebe
Addolorato au i Gadmei regnava.
Ma la donna, cai vinse il proprio affiinno.
L'infame nodo ad un"* eccelsa trave
Legato 9 scese alla roagion di Plato
Dalle porte infrangibili, e tormenti
Lasciò indietro al Ggliuol, quanti ne dasno
Le ulirici Furie, die una piadre invoca.
Vidi colei non mcn, cbe ultima na^ae
Àll'^lasid-i Anfvón, cui P arenosa
pilo negli anni andati , e il Miniéo
Orcomeno ubbidia ; l'egregia Glori,
Ghe Neleo, di lei preso, a se congiunse,
Poscia eh'' egli ebbe di dotali doni
La vergine ricolma. Ed ella il feo
Bieco di vaga e di lui degna prole.
Di Nestore , di Gromio , e delreroc
Pereclimeno; e poi di quella Pero
Ghe maraviglia fu d^ogni mortale.
Tulli i vicini la cbiedean.* ma il padre
Sol concedeala a chi le belle vacche
Dalla lunata spaziosa fronte,
Ghe appo fiè riteneasi il forte I6cle,
Gli rimenasse , non leggiera impresa ,
Dai pascoli di Filaca. L** impresa
Melampo assunse , un indovino illustre^
Se non che a lui s"* attraversaro i fati ,
£ pastori salvatici, da cui
«Soffrir dovè cV as^tc caVcvvc. \\ ^kciwvV^.
ime li 107
noD prima, già in sé rivolto V anno»
esi auccedetlersi ed i giorni,
ompiér le itagioui il corso usato,
i Jficle , a flui gli oracoli de? Numi
hti ayea V irreprensibii vat6«
loi f inceli ruppe, e cosi al tempo
Ilo di Giove i^adempiea consiglio,
eda comparve, da cui Tindaro ebbe
! figli alteri , Castore e Polluce»
n di cavalli domatore, e P altro
ile invitto. Benché l' alma terra
Dgagll nel sen , di vita un germe
si Giove tra V Ombre anco gli onora )
nno: ciascun giorno, e alternamente,
irono gli occhi, e chiudonli alla lucei
orloai al par van degli Eterni.
*opo costei mi si parò davanti
loeo la consorte , Ifimidéa :
di dol<% d"* amor nodo si strinse
Scootiterra. Ingenerò due figli ,
a un Dio pari , e V inclito Iftaltc,
la luce del Sol poro fruirò
di statura ugual, ne di beltadc ,
i noHri la comun madre aulica,
che fra tutti d^ Oiiun si taccia.
I avcan tocco il decim^dnno arvcora ,.
•■ in largo nove cubiti , e tre volte
Ito cresciuti erano in lungo i corpi.
:sti volendo ai sommi Dei su V eira
)va portar sediziosa guerra ,
Dssa sovra V Olimpo , e sovra TOssa
irborifero Palio impor tentare,
de il ciclo scalar di monte in monte;
il fcan, se i volti pubertà infiorava ;
i di Giove il figliuolo, e di Latona
'nninolli ambo die <Icl primo pelo
' gonncé* noa omhravnno ed ;l mculo-
Frdr» Fomparve Bfiror, Proeri e Arlur
Chr l'amarle Tfit'o rapi (U CrHa ,
E al tuoi rccoixlo dalla lacra Alme
ConJur \olcai Vanf eper»nw I In Nisio,
Cui cinge un vBito mar, fu Ha D'Ora,
Pfr P indizio di Bacco, aggiunta f moria.
Ne reatb Mera ÌDDOiserrata indìelro,
Sé Climpiie reni, né 1' abfoorrita
Eiirilc, che il MIO diletto iposc
¥n iin «urto monil veudrr polpo.
Ma doTfl io tutte degli ero! le apparse
Fi|lie.,omarvoWi,eIccon.orir,
Pru raancherlimi la ditin* Nolte.
EB me par Irnpo da potar la tal*
in DBTc o qui , tutta dal mio ritoni»
Ai Celeili lasciando, e a voi, b cnra.
Taeque. I Feaci per V oicura mU
BUTanai muti e nel piacere auorti..
Buppe II ailentio l' immortai BcflMi
La braceiobìanca Aretei FcacMi,
Cbe Ti par di coititi J del tuo araifiianlef
Della maicbii persona f e di qael aeooo
Che in lui riiiede? Oipile è mio, ma tal
Dell'onor, ch'io riccio, a parte liete.
Non congedate in fretta, e lenia doni
Chi nulla tìen, voi, che di bnono in tua.
Per fiTCìr degli Dei tanto lerbate.
Qui fafcllb Echenéo , che gli allri taU
Viticea d'etade: Fuor del legno, anici,
Arcte non colpi con la ina tocc.
Obbedfacaaì a lei : io non che prima
Del He rriempio altenderenra , e llrdrtH
Ciò «ari ch'ella vuole , AIbìdod diaM,
t vita e Kctlro a me laacian gli IM
Cnn esser dee comun die lieto ci pirta,
E piò ebe d' altri, mia, >' io qui ion primo.
Uàaoo re, cbe ili grandeiu e fuma,
HJpKM Ulisse, ogni mortale siinEJ,
&(i n«ri ancor mi rilenpstc e sei ,
E Edi teurlR intanto, e ricchi doni
Vi|ipiTecchiatt« , io non dovrei sgradirlo ;
tic quinto io tornerò eoa mio più piene
A'niei salii natii, tanto la gente
Cbipiù onore aocorrantni e con pinnTfétto.
Ed Alcinoo in ricpoiu: Allora, (11ì*b«,
(V ti adocchiamo, un impostor fallace, '
D'ilte menzogne inaipettato fabbro,
horger non sospetliain, quali benigna
u terra qaa e la molti ne paioe.
''^giadrfa di parole i labbri t'orna, l
"i prudenza minor t' alberga in petto,
l'opre de' Greci e le tue doglie, quasi
^ ipirto della Musa in le piovesae,
^ narraiti Cosi ch'era un vederle.
"A tìegui, e dimmi, se l'apparve alcuna
I*i tanti eroi «he veleBRÌsro a Troja
tfco, e ipenli rimanervi. La Nolte
Con (eoli palli or per lo ciel e.
tL, finché ci esporrai stupende e
Nim 6a chi del dormir qui si raiomcn».
Oiundo parlar di te sino all'aurora
*i cODientiste il duol, «ina alPaurora
'v penderei dalle tue labbra imniota.
Vha an tempo, Alinnoo, il i racconti, ed havri,
bliue ripigliò, di sonni un tempo.
Cbe M udir vuoi più avanti io non rìcnso
Li sorte di color molto più dura
R*ppi«senlarti, cbe scampar dai risrhi
b' una terribil guerra, e nel ritorno.
Colpa d'una rea donni, ohimè 1 perirò.
foirJié le (ÌEaiiBiiuli Ombre fawoae
Oamm t4
910 ODUnA
La cut* PrMcrpfn» «bb» diipg w i f» > -
Metto, e cinto aa qnei che fato ofuale
Trovar d^Gguto negP ÌD6di all^riiii.
Si levò d^jLgameoDone il AnlMaa.
Assaggiò app«na detPotearo saii|ne|
Che ravvisomnil ; e dali^ triiti aglia •
Vertaya in copia lagriae,- e le mani
Mi iteodea «li toocanni iavaa- breinoae i
Che quel yigor , qaella poisaiiia|ich^eni
Nelle tue membra abbta<enti ed alle |
Derelitto r aTea. Lagrime anob^ io-
Sparti a Tederio, e intenenii nelPalaa^-
E tai yoci| nomandolo, gU ▼olai i - -
O inclito. d^ Atr^o figliO| ode^ prodi
Re, Agamennone, «rual destin ti ▼iaie|
E i tanghi t^arredll tonni di morte ?
Nettuno in mar ti domò forte, i fieri
Spirti eccitando de' crudeli venti?
O t"* offesero in terra uomini oatilì', -
Che armenti depredavi e pingui -gregge |
O delle patrie mura, e delle catte ' -
Donne- a difesa, roteavi il brabdo?
Laerztaile preclaro, accorto Uliiiei >
Katto riapote delPAtride F Ombrai -• ■
Me non domò Nettuno alPonde èopie^
Né m** offetero in terra nomini •ostili. '
Egitto, ordita con la mia pervema <
Donna luia frode, a tè 4nTÌtomnri, e: a
Come alle greppie incontapevòl 'bae|
L^ empio mi trucidò. Coti morii -'
Di morte infelicitsimai e noti kiége -
Gli amici -mi- cadeau, quai perillntlri
Nosze, o banchetto aontootOy-o^UntA
A ditpendio comun menta imbànidita ,
Cadono i verri dalle jMa;&ehe aaanew : '
Benché molti, a^ tool giorni o in- folle
Vedetti <alint^ o in «ingoiar. eertamé^
«mo XI 911
UIÉ pietà iooool?*Trebbe, . ■ f. ■ ...^
randb, ebt stati «IP ospitali n* :!...•!
intorno erftTtftii mentre totétà > : • '>' »
:«OffMM(gne'iI.|Mivinietito tatto.. . • ..? .M
pnte io MiitCi TèCB pietóse. w .!.'.
igiMtiì Prienoi^ di Ceuendiity . ■ / («i/i
iftèiiDestra .B,^ occidee de. preiee, i f>M' )
glie -ÌDiqae ) ed io gieeendo hiteci^ -t
iorii>onds imin oeroA?e il breedeti y*<
ifroBteta sì rivolto sltroiire:, < \^••^.^ * >
occhi e mc^ che già seend'ee tv^rOtaileNS
Me nèr eompoc degne le lahbniéi i ■ o' t
à rea P^^ pià'Orodel.nondMttiM in
Dnm cne sj «troei 4»prtf coemelti^T f;'(
qaeeta tatedel^ ebe.il dajintt eatGCOMii'l
», cui s'^em vergioe éongiuBtej - ini
l dove io credeacbe'riidBoaildoy l-
oli e servi iD^ecoorriancon iieste^ . .i/.
I c]ie:tnlta;del: peccar ss 1^ srte^ <
oprldSnfsniia, e quante al mondo:
uno « le ■ più oneste erico ne asperse,
quanta, io ri pigliai,, serra gli Atridi '
ornine attiraro ira ,di Giove V
molti de^ Greci £Iena strage I
>, cogliendo detl^estenva' il. iempo^ '^
ta rete Glitftrtnnstra .tese. ;
odi troppa tu steiso^ .ei rispondra ,
i tua donna fto» usar dolcezza ,
tutto a lei svelar,! ma parte. narra .
oi secreti a lei^, parte ne taòi.
é a te dalla tua venir disastro
!ebba ).che Penelope, la saggia
d^ Icario, altri consigli ha in core*
I ancor giovinetta, e con uo' bimbo |- •
alla mamma le pendea «ontenlO|
lasciavi navigando a Tro^a :
gi il 'tao Teleu^ai^ £sljce ^
Cià •'ualile Don tra gli noinliri, e il «lil
faAre Ini vedrà un KÌamo, ed egli at p
Giutti bacì porrà sOTi'i la fronte.
Ha la conaorte mia uè questo alineiio
' Hi ronirnlì ch^io satoDauì gli occU
Hel vdIIq del mio figlio, e pria mi apra»
Credi al fino a'taiei detlt, eiò nel (bado
Barba del p^Lto : le native spisf gè
SRcretamenle afferra, « a tatti ignoto,
&andD lìdar piiì non ai puote in donai.
tìh mi eoDta, e afihiettatnenle i udiri
Dove (junlD niio figlio i giorni tra^F
lu Oreoneno forae ì O forse tienlD
Pilo M4» Ma , » U eaNce. Sputa
Pmmw Ha Hnwlaar Certo Bo* *MM -
FiDor MUem fi mfo sentita Onri». '
Ed io < PcMOit 41 qiò doaaudi^ tMI»,
Ut, «oinè eontc» i por «e Onatt (pte''
Le dolci «urB 41 irànv o^-wHiahM t
Lodo BOB DiMt it nnUan «1 vénl^ ■■■
'Coti Mi4ind»*hanui»eBt4 • Il vallB
DI lagnm* figaodo, « tiMl di Olli^
ti) od I
Sonerlo'n>ìrt«4etMùi4« AeUUf- '
Di RatMcU, d'AotOoNO d>^Mit
Che gli Aehel tBttl, a* Il Pidlde tOfH,
Di corpo tnperaVa a di aesbij^i^i' <
Hi riconobbe 4ri Mtac*- ri oatN' /:
Etcide I*i«iag0| », Imentaa^^ ■■!' "
O, diue, di 'Laerte laflila pmla,^ ■ . i •
Suil nuava in mente, aaiagant», ad|i
acchina' eiae ad ogsi alln il fri g ihio
Come ouali ealar .ne'ibaBU'N|id): ''/ <
DegHertinll maglon, cboaltfs Ben mm'
Ole ««(«e Ama'* almi ~"
Di P«leo,i«, ■
Taaio kpatoti
uno SI ai3
Tirarfi lo leeti a interrogar, dio P arie .
Di pccndor m* integnawe Itaca alpeatre,
S eM pre inrollo ne^ f ual» l^aeaiea terra
iXom Wdi ancor, oè il patrio lido attinsi.
Ila A le, fifrte Aell^lc, uom più beato
Han Ai né giannai fta. Vivo d' do Numo
T* odoravamo al pari, ed or tu regni
Som I defanti^ Pooi triitarti morto?
Iloo conaoUrmi della mortela Ulinte
Xe|riionva il Pelido. lo priatonrei; •
Servir bifDlco per mercede a coi ■
Seano e il cibo difendesse* i giorni,
Che dèi Mondo defunto aver V impero.
So Tia dò lasda, e del mio figlio iUastro
Parlami In vece. Nelle ardenti pugne
Corre tra i primi avanti? E di Peléo,
Del mio gran genitor, nulla sapesti ?
Siegnon fedeli a riverirlo i molti
~ Minnidoni, o nelP Ellada ed in Ftia
Spregiato vive per la troppa etade,
Cne le membra gli agghiaccia? AhiUshe guardarlo
Sotto i raggi del Sol più non mi lice:
Che passò il tempo che la troica sabbia
D^ esanimi io covWa corpi famosi,
Proteggendo gli Achei. S^, io con la forza^
Che a qne* giorni era in me, toccar potessi
Per un istante la patema soglia,
A chiunque oltraggiarlo e degli onori
Fraudarlo ardisse, questa invitta mano
Metterebbe nel core alto spavento.
Ilulla, io risposi, di Peléo, ma tutto
Del figliuol posso, e fedelmente, dirti,
Di Neottolemo tuo, che alP oste achiva
lo stesso sopra cava e d^ uguai fianchi
Munita nave ri menai da Sciro.
Sempre che ad ilio tenevam consulte^
Prrmj egli a favellar s^ aUiva in piedi,
I
»•::"" -.tcu "'>■•;•.'&
"» ■"' ss a.«p" "S • ~» '■«'",
°", -, Orio*'"*' aÌU «» »■"
«.l„.ii>»t> " *.. ■ Alt » >' '
tompirfiino ; e cinicun luol ^nsi nnrrJVìi.
Sul dello «proto Telamanio Ajacf^
Sbri in diipsrte il diidegnoio apirln, '
fmhi tìrIo Ha me nelli conte»
Mi'irnii del Pelide appo le navi.
Teli, U madre f enerauda, in mrzio
Itfnr, e giudicaro i Teacri e Palla.
Oh iMli mai non !*«>■' io tal palma,
Gl'alma terra nel auo vasto grembo l
^kr dorea sì glorì'oBa teda,
^ice, a cui d' D»pcltu e d^opre illuatri,
iìho P il re premi bile Pelidc, '
l'oli fu Ira i Greci rrhi a|;guag1Iariì oiaite I
» con blande parole, Ajace, dissi,
'iglìo del sommo Telamun, gli idpi-ni V:
'<r quelle maladetle arme cdurfUÌ
dunque né morto apoglieTai ? Fatali i <
'ftia ttttr f-li Dei quHl'' arme ai Greci, '
■te in te perderò aria >i ferniB torre,
lai per te nulla meo, che prr Aclillle,
■olenti andiaiii( né alcnn iiV in colpaj il crcdh
la Gioire, che ioGnilo ai belticpii '
laoai odio porta, la tua morte volle,
lu via, l'' accosta, o He, porgi corleie
''orecchio alle mie voci, e la eocerciiii
fina 4«l nòereta animo doms.
Unii* C(1i • Òb E wa, ritraendo II picd't
fn Paltr* degli eatioti Ombre li miao.
^, Myteadnto lo ifuiti, una riapoaU
ttrm Ì3*^ in m* avn* | ac non che Togli*
UIkk a timinr n' ardea nei petto.
Mìmma io vidi, del Baturalb il chì«r«
RfliBol, dieaaaiio in trono,* uà aDreoieftlra
Nlb|iniht in nD'iteon ra|ianr alI'Onbr*,
Sbt IhUb, qiul leduta e quale in piedi)
•Mia di tè randeanfli entro l'oMiim
V fìaio ww dilli'' uribc foru,- ■
9)6 oimin
Vidi II granile OtVon, ehe delle 6er%
Che acche un di tetra i boeaoi moDlì,
Or gli «prtlrì argiiln de' prati inferni
Per l'isfitdFlo io camn ; e maneggiala
Ferpetoi mazza d'' lofraiigibil ramei
Eeoo poi Tizio, della Terra figlio,
Che iforzar non temè V alma di Giove
SpoM, Lalona, clic valgeati a Pilo
Perle rldenli plnopée campagne.
f<ul trrren distendcTisi e ingooibi'aTa
£ due avolloj, Tuo [jninri, e Taltro qDind
Ch'' ei con mano icacciar tentava indarno,
ItodeiLgli il cor, sempre lìccaDdo addeulR
Nelle fibre rinate il corro roatroL
8taf a U preaao e
vSitibondo woalnTuì, e una atillm , -[i
flan ne potea gutlan efaè (}aa>te Toto: >*
CbitiiTa li trgVia le. branow labbra, . ■•<•
Tante l' onda fuggii dal fondo uaort*, ' "i
81 cbe tpparÌBgli ai pie siilo ODa bnuM . ,t
!)■ un Genio aiverto inaridita terra. - *
Piante luperbr, il Dclagrniia, ^ perO)
E di luride poma il melo adamo,
£ il dolce fico, e la canata ali*«,
Gli pìegavan aul capo ì carchi rami)
E in quel eh' egli itendca dritto 1* 4Mtf%-''
Vèr le nubi lanciava i raini il vanlai - - ■
Sififo altrore amiiurato uaao •• i '■'
TrarDDaeraltrt»««poEU«t«dl|Bar(.
PanfMlo iaeaairabitb Cwlai. ' . < r.'ì^
L»:gm pietra alla cima alta J* MI maUtff
Urtando eon le man, coi pie penUnlaii A
SpinRMj'Dia giuntolo ufaigMoa BOfrOi»'
Cnc rìtoipiuti ila bs potn anprcMO
SI Sl^
fcrtio h ¥i< mMa pel chioo
Sìmi alU wle la pcMote maita.
Ei MPffWMBte di tatù soft fona
%m la «acBJiy^ dalle nembim a fronde
Il wideffe ce|a?afli« e pcranne
Dtl ei|»o gli talU di polve un nembo.
ITSniole ni t^oifene al 6n la poMa,
Ani 11 fiintaMBai però di^ei ie^Nuiiii
GìMoodati alla^jnensa, e ean ipota
€i liede aeeanlo la dal pie leggiadro
BIM| di CAofe figlia e di Ginnonei
Che nota il patte cotamata d'ora
MoanaiaaTaB gli tpirti a lui d^ intorno .^
Gnw volanti aogei da tahitana
^Tcna oonpretif ed ei fotco^ qaal notte^
Ot^ Pareo in mano, e con lo strai tal nenro^
U io atto ad ognor di chi taetta ,
QrnodanMiBte qna e U guatava.
Ht il petto attravenagU uoh larga ^
ITòr Cintura terribile | tu cui
Stofbte vedeausi opre ammiraude,
Onàj ciogbjai feroci e leon torvi
X pegno e ttragi e sanguinose morti :
I GaUira , a cui Ineguale o prima o dopo
; HtB labbricò| qual die si fosse, il mastro.
Mi «guardò , riconobbemi , e con voce
lagubre, O, disse di Laerte Bglio y
Uuse accorto , ed infelice a un^ ora ,
Cerio un crudo t^ opprime avverso fato | ,
QmI sotto i rai del Soie anch^ io sostenni.
. riflbuol quantunque deir Egioco Giove,
^ f soggetto vivendo ad uom che tanto
Vilea manco di me ^ molto io soffersi.
■iUche gravi ei nP addossava , e un tratto
Vdinnii a quinci trarre il Can trifaucCi
I ^Upruva di tutte a me più dura
1 sciubrdivj|jli j ed io vcuoiy e quiuci il Cane
Taeijae e ad piA yraCMMlo EMm
Di Io«d lo aotf motmbI, aitai «ipellasdì
De^ 'prodi , c]ie«pariro, è oani gna taapa
E OBO** 4ao fona mi tacieè ou aq Miii
Ch^io.piA Todbr brMDo?a-| «woi-piWtrif
Tetèo • Piritoo, gflértoM )>role
Degl^imaiorttli Dd. Ma aa IniBlto
Popol di tfiird^oov IhifUràBo à oi iaa»
Si ragOBavai e lo qaella ai^iau p t ù ff lao
Timor m^aaiatae tooo Porriliil loatal r
DéU« tNÉModK Gorgòae la Diva ' ^
Proterpina iaiflMio a aio doll^Oreai;
Ditnofoè senza dimora al àavo logoo
Mossi , e ai compagni comandai salirlo
E liberar le funi ; ed i compagni
Batto il salìano e s'^assìdean sa i baocbL
Aria r aleggiar de^ remi il cavo legno
Mandava innanzi d'^Ocejn su Pondet
Poscia cjuel, che IctobsÌi ottimo yentOt
LIBRO DUODECIMO
b«ir>«}la di Ciice, esequie d'EIpe-
Lrtcnza d'Ulisie. Queiti, ammaestrtlD
JnDce il pericolo delle Sirene, schiTB
|«rTanti e paua tra Scilla e Cariddr,
I icDia perdita di due de' eompi^nt,
IPiiola Trinacria, cioè alla SiciJia,
mpagni uccidono i buoi del Sole, «
Ielle lor carni. Giove fulmina la na-
ti periscono, eccetto Ulisie, che an
li drlla aave si pone. In tate stata
a Scilla e Ciriddi, lalvandoti da que-
1 con uoWte maravigli osa ) e dopo
arni giunge air ia ola di Calipso. E
lè la n»Te mCl dalle oOlmU
finme Oceano, ed all'E^
nio Dell' immi-.e IO mare, '
li alberghi dell'Aaron e i baUl
del Sole I lucidi Levanti ,
uave, che fn in '.ecco tratte,
corcati >a la mota «piaggiai
■no dell'allM il ucro Imne,
del ■natiin la bella B|tM
. del con le route diu,
DI Circe andaro «llk magloiM alftutai ,
Che delP esento Elpenore la frtdda
Spoglia ne npoiiaeiero. TroncamiiM'
Frastini e abeti , e alP infelice amico.
Dolenti ir core e lagrìmosi il cigli»,
L^eaeaaie femmo ove tporg^sa pia il lido.
Uè pnma il corpo e le armi ebbe arte il h
Che noi | eompotto un tumulo , ed eretta
Soprani una colonna, il ben formato
Remo inBggcmmo della tomba in cima.
If entr^ era?amo al tristo nfBdo intenti |
OrcCi che à* Aide d tapea tornati ^
S^ adomò, e venne in fretta, e con |a Dei
Venner d^un passo le terrenti IVinle,
Fona di carni e pan seco Recando «
)S ros9o Tino che le venne infiamma.
L^ inclita tra le Dee itaTa nel meno
£ cosi fa?ella?a : O sventurati ,
Che in carne viva nel soggiorno entnate
D^ Aide , e di cui la sorte è due fiate
Morir, quando d'^ogni altro uomo é una K
Su via , tra i cibi scorra ed i licori
Tutto a voi questo di su le mie rive.
Come nel ciel rosseggerà V Aurora ,
Ifavighereie $ ma il cammino , e quanto
Di aaper v^ è mestieri , udrete in prima |
Si che nou abbia per un mal consiglio
Grave in terra od in mare a incorvi dani
Chi persuaso non sariasi? Quindi
Tra lanci piene e coronate taxie,^
Finché il Sol si mostrò , sedemmo a mei
11 Sol celato , ed imbrunito il mondOf
Si Golcaro i compagni appo la nave.
M.I Circe me prese per mano e trasse
Da parte e a seder pose { indi , seduta
Di contra , interrogommi , ed io tu tutto
' La satisfeci pienamente! Allora
»*ciogliea rUluBtfe DfnI '
ieatì o^ni ooia. Or quello Murila j . :
■wanifeataTti , e cbe al Mm | M .
inno nrlla mente i NuinL ': ''.
M giuDgerii da prìmai •■ f
Ófiaa chiunque i lidi loi* '> ' .'
■ prora *eleggiai>da tocM> ' ''-^
I i lidi incautemeote aflem ■• ''!
BM , e d' ode il canto , a U / '^ .
MB fedet , né i cari Bgli '•
t ioconlro ta te loglie io ÌMl>>, '
t, KdcDdo in un bel prila > ''
no canto dallo argute U fc fci»'» ' ^-^
hi il piiifgger : roa non IHIMV '"'.'
'ama dì putrefatti corpi, f - '■ l,
K maraile , un monte i' ata>> - ' '
» lil w pa w I ■ 'tam iwMlli- ••-■■ -''
tI pMH ^ ea rtii w b *««& ' '- -J
, M tvA I mI Aa diritto
na*« air albvra t oomp^al - ^
, • t piedi itriD^ntl e la «nt|
; diklto di lentir la-voee
«BB tu non psrd*. B dova
, o comandaul a'' iDoi. di tdoM |
e raddoppino ed i laeeL
raamno tu laral , due tia
irapao innanzi ^ ed io non dloo'
fioTi pigliar , ma, ma oobm d\wbe
3 l' avrò , la
Mule pendenti , « cui rinbonba '
nrra AnfitriU H aalitf Aotlo.
: beati nella lor hTella
la Erranti. Rdd A» o|BÌ altro wg a B o >
rie Boa iBBtia impnaaMenta
loBiba por efas al paiiè Oion - '
■!
j i'
Kecan V ambroiia t li poliU pielr
Sempre alcuna, ne farà* 6 della i
Surroga in ▼ece altra colonba il |
Nave non itcaibpò dal periglioto
Varco sin aui } che de? navigli tut
Le tavole <iel pari e i naviganti
Sen porta il vincitor fluito » e la ]
Di mortifero foco atra procella.
Sola^quelP Argo che solcava il n
Degli uomini pensiero e degli Di
Trapassar valse, navigando a Gol
E se non ohe Giuoon , cui molte
Giasone atava « di sua man la spi
Quella non meno avrfan centra I
Bupi cacciata i tempestosi flutti.
. Dairaltra parte hawi due scogl
Va sino agli astri , e fotca nube j
Ne su V acuto vertice , V estate
Gorra , o V autunno, un puro cii
Montarvi non potrebbe allr^y o i
Venti maui movesse e venti pie4
Si liscio è il sasso e la costa aup<
Nel mezzo volta alP Occidente e
S^ apre oscura ca\erna , a oui da
Dovrai ratto passar \ giovane arci
Ghe dalla nave disfrenasse il dare
Non toccherebbe 1 '.incavato speci
Scilla ivi alberga , che moleste g
DI mandar non ristli. La coatei v
Altro non par che un gnajolar p
Di lattante .oagnuol : ma Scilla è
Mostra jf e sino ad un Dio , che a
Non mirerebbe in lei senza ribrc
Dodici ha piedi : « anterfori lutti ,
Sin luBghiatimi. colli , e au ciascui
Spaventosa. una tetta , « nelle ho
Di ipeui 4eoti un triplicato giro
ftino xii fsi
I la morte, |rià imarìi in ogni dente.
00 ]a metà di lè nelP Jnoavato
paco pffoibndo elkr a^attaffia^ e faoii
poife le teate , rigiuirdanda Ihtomo ^ .
sddfimpeacftr, Iqpi o akton paote
i que** nòatfii lAantor che a mille a miUe
UaJe Anfitiite flo* ano! gorghi e nutMu
tmai B^eiihiert'oltrepabalu'o ìlled |:
ijehè quante apfè ditoocate bo<»he^
nti dal :ea?o legno nomini inrola;
m l^altro *'*alaa coptrappoito aooglte',
3 dardo tuo pe tolpiHa la eima.
«ttde verdeggia in qUcato^ e d' ampie foglie
trailo ficp^e AlKa sue falde aaaorbo' -
1 temuta Catiddi il negro mare*i
I fiale il riatta yiO tre nel giorno . ■
aaaoihe orribilmente. Or ta a 'Gariddi { '>
m Oaccoatary mentre il mar negro, inghicìtét
li mal aépria dalla mièa estrema
ittano atesso dili^rarti. À Scilla - • < ■ i
icflti Ticino 9 e rapido trascorri,
irder oet de** compagni entro la na^ie
ama pia aasai 'cme perir tutti a un tempo.
Tal ragionava ^ ed lo: -Quando ra^ avregnà
shirarC} o Circe , la fatai Gariddi ,
spinger , dimdii il ver, Scilla non deggio /
kegli amioi adistrugi^rnoi'S^ avventa ? ;
svenrtnrato , rispoudea la Di<fa\,
'oaqaeie pirgne \n 'mente 'ed i travagli -
irolgi aneorv ne ceder pensi ai Numi? -
OH mortai credi tu Scilla? Eterno^
Mila . e doro e faticoso e immettali' ■
Uè -ed inespngnahile , da eui >.-'.•■.
chermo non havti, e «ui fu^ir fia il ttieRllò.
e indugi ^ e 'vesti appè la i^coglio T aron =| '
(locherà , temo , ad ■ u n i secondo assaltò , |
tanti de^ eompagni» nn^ altra rokà >
»4
Ti npMi.qriiiite tMÌtiM» bondiff. i
Vob dunque sul palago, e U auih
Cnìéìf che al mondo fenerò tal poto , ^
B ritenerla f che a novella preda
Non ti danei , potrà , nel eomo inveok
Allora ineontro ti verran In bdln
Spiagge della Trinacria iaola , dofie
PMce il gregge del Sol • paaée ì* a r»ent o»
Sette branchi di buoi ^ dP agnelle tanti ,
B di tette cinquanta i branisfai tnttL
Non eretoe o scema , per natale o aoilff
Branco $ e le Dive tono i lor naitorl ,
Faetoia e Lanpezie il crin rteeinte |
Che partorì d^ Ipertone al. figlio ,
Ninfe leggiadre , la immortu Neera.
Come r augusta madre ambo le fRnh
Dopo 11 felice parto ebbe nodrìte,
A. soggiornar lungi da sé mandolle
Nella Trinacria \ e le paterne vaoche
Dalla fronte lunata ed i patemi
Monton lucenti a custodir lor diedeu
Pascoleranno intatti ^ e a voi soltanto
Calerà del ritomo? il suol nativo |
Non però senia gtiai , fiavi coneemo.
Ma se ^ovenca molestate od agna.
Sterminio a te predico , e al l^[no> ì^ImL
E pognam che tu salvo ancor ne andwri 4
Riederai tardi e a gran fatica e «olii
Disse; e sul trono d^òr V Aurora a pnaifi.
Circe , non molto poi | da me rìvosse
Per P isola i suoi |>assi } ed lo , trovatA
La nave , a entrarvi » e a disnodar la ftMt
Confortava i compagni { ed i compagni
V^ entrmro , s^ assidean su i bmiflhi , e 1
Fean eo^ remi nel mar spume à* irfarto
La Dea possente ci spedijnn amine
Vento di vela nonfiatorf dm fido
LIBKO zìi 325
OSO eannio ne accompagnaTa :
lepfl*U nella negra nave
MW -cernita i lunghi cerni ,
I, di apiBgerei e gnidarei
I él tìinoi>ier la-cura) e al Tento.
irbato del oore, Amioi, io dÌMé,
i par che a totti voi «a conto
picdìaae m me T indita Circe,
■dau^nei aiceioechè, tristo oiietOy
n'preoda ignari il nostro fato.
io pria delle Sirene il verde
la Toce dilettosa ioginn^.
i^io Teda io sol) ma toi' diritto
na?e alP albero legate
a ai, ch'aio dar non possa un crollo {
di alegarmi io tì pregassi
le ciglia, o- comandassi yToi
e doppiatrmi, ed i lacci,
e -dò loro io discoprla, la nave,
I da poppa ìV Tcntp, in picciol tempo
rene alP isola pervenne.
Dto cadde y ed agguagliòsti il mare ,
assonnò un demoneii 1 compagni
pronti, e ripiegar le vele,
nave collocarle : quindi
lu i l)anchi, ed imbianca^an Tonde
remi di polito abete.
Itile cera, onde una tonda
ran massa,^ sminuzzai con destro
ìlato; ed i frammenti n'^iva
do e premendo in fra le dita.
Idarsi tardò la molle pasta )
B lucidissimi dalP alto,
t i rai dMperìone il figlio.
)agni incerai senza dimora
:hie fli mia mano ;• e quei diritto
nave alP albero log.iro
^^^^^^^^B
_ Con r.i
np, i fi
. .,r"nB"od.m
i, e le nani
■ Poi .n
i bilichi
■ ttUnt.
IO il mii
-, the ne torPiT» biinra
■ Gii.,v.
igando il
i forza, rrtvi
m, quinto
■ Conci
i.n firido
. dell'uomo, t
lite Sir»e
■ Ti«ml.
Udito il
flciEcllar de'
■ Kron
lanlot..
^ Un dolce «ntn
, iciorre:
^ D molto illuatre UlistP, o di
>gU Achei
Sommi
. «Iorio i
vii, qua vi.
-Ferm»
U„^ye,
e il nostro <
rantolicolti
N^BSun
li qoa B.. negra legno.
_ ChP n.
m odi».
E pria q-jestii.
che noi
Dalle labbra n
Tote, che innonda, di dil<!tto il eore,
E di molto savPT U mente abbellì.
Che non pur rio, ehe loppnrtaro a Tra
Per releate voler Teucri ed Argivi ,
Hoì conoaciam, ma non avvila au tutta
La delle vite ccrbatriceleira
Ni)1la, che ignoto o acuro a noi rimangi
Coli- cantaro. Ed io, porger volendo
Più da vicino il dilettato orecchio.
Cenno ai compagni fea. che ogni legan
Fonemi rotto; e quei più ancor mi rem
Incurvavano it dono, e Perìmede
Soritea ratto, ed Kuriloco , e di nuovi
Nodi cmgeanmi, e mi premean più ani
Come traicorta fu (anlo la nave.
Che non potea la periglio»» voce
Delle Sirene agEiiingcrei, coloro
A «è la cera dall'orecchie toato,
E dalle membra a me tollero i laccL
Giii rimanea l' iaola indietro ; ed ee
Draao apparirmi un fumo e vatli floU
E gli orecchi intronarmi atto fragore.
Ne abigottito i miei'Fo ^pagni, e i Inng
tiiao xn M7
neiÉi di man lor caddero, e la naye,
Che ée* fidi suoi remi era tarpa la.
Là ìamantiiiente t^arreslò» Iffa io
Di w di giù per la ceraia movendo,
K 0OB blanda favella or «piesto, or quello
De^eomiMigni abbordando^ O, dissi, meco
Sin qua passati per cotanti affanni,
X« ci iOTrasta nn maj^gior mal, che quando
Infittito Tifor di Polifemo
MT antro ci cbiudea. Par quioci ancora
Gal valor mio vi trassi, e col mio senno,
S vi fla dolce 11 rimembrarlo un giorno.
Tisi donqoe, via, ciò ch^io comando, tutti
Facdam s voi, standp sovra I banchi, Tonde
Pncotete co* remi, e Giove, io spero,
Ganccderii dalle correnti scampo.
Ma to, che 'il timon reggi, abbiti in mente
QlKSto , nò Poblfar: guida il naviglio
Fttor del fumo e del fiotto , ed air opposta
lape ognor mira, e ad essa tienti, o noi
Gftterai neir orribile vorago^
Tatti alla voce mia ratto ubbidirò.
Se non ch^io Scilla, immeJicabil pisga,
Tacqui, non forse, abbandonati i banchi,
I^on sovra l'altro per soverchi.! tema
Bella nave cacciasse rsi nel fondo.
K qni, di Circe, che vietommi Tarme,
Hegletto il disamabile coroanHo,
Is delParme vestiami, e con due lunghe
Rell' impavida mano aste lucenti
Salfa sul palco della nave in prua,
Attendendo colà, che T efferata
Abitatrice delP infame scoglio
Indi, gli amici a m'*invo1ar. sbalzasse:
Uè, perché del ficcarli in tutto il bruno
M-icigno stanchi io mi sentissi gli occhi,
Dd parte alcuna rimir.iria io valsi.
I
_ _ „ lato, '
iir altro fra t' orribile Cariddi ,
Che del mare inghiollla Tonde spcmoic.
Sempre cbe rtgetlaisle, liccome
Caldtiji in mollo rilucente foco,
MoimoraTa bollendo ; e i larghi gprsiti .
Che indaTan sino si cielo, in vetta d'imbc
Gli scogli ricadevano- Ma quando
Commoveasi di dentro, ed alla m|ic
Ter rihilm ente rimbombava intorno,
E, l'opda il seno aprendo, un'anurrign»
Sabbia parea nell'imo fondo: verdi
Le guance di paura a tutti io acArsi.
Mentre in Cariddi teneram le cigli*.
Sei de* compagoi, i pia di man gagliardi ,
Scilla rapinimi dal naviglio. Io gli occhi
Toni, e li vidi che levati in allo
Braccia e piedi agitavano, ed Ulisse
Ct^iamavan, laaii '. per l'estrema volta.
Qual pescatur che tu pendrnle rupe
TulTa di bue silvestre in mare il coma
Con lunghiiaima canoa, uu' infedele
Esca ai minuti abitatori orrendo,
E fuor li trae dell' onda, e palpiUnti
Scagliali sul terren : non altrimenti
Scilla i compagni dal naviglio aliaTa,
E innanzi divoravali allo speco,
Che doleoti meltean grida, e lo mani
Hel gran diiaitro mi «teodeano ibdanm
Fra i molti acerbi casi, ond' io latteont^ .
Solcando il mar, la visli, oggetto mai
Di c<ilanta pielìi non mi l'oftenc "^
Scilla e C:iriddi oltrepassate, in faceta'
La feconda ci appone iiola amena,
li gFegge del Sol paser, e l'annerito i
giuDgeon dall'ampie' lUlle a uoi,
lati su l'aure ed i mugBia
ivriit itlor mi si ivegliaro in ments
TcbatiTate e della o^SKa Circe,
D l'isola brliivar del Sol doVeiii,
li rallegra ogni Tivffnle il raggio,
io, ConTpagei, lar dicea, per quanto
angoiLÌali, la tealemi udite
Tehan Tate e della injga Circe,
Q l'isola icliirar debba del Sole,
li rallegra ogni vivente il raggili.
affermala che il maggior de' guai
i c^i e coglierla- Laiciarla indietro
nvien dunque con. la negra nave.
Ipo tal delti fu qiiatì mortale.
molettarmi Eutiloco io tal giiiti
ava: Uliise, un barbaro io li cLìarno.
lè di forze abbondi, e mai non cedi.
bea è io te cbe non sìa ferri), u' tuoi
podi il toccar terra, e di non parca
sul lido ristorarli. Etigi
\o a caio errtam, bencbé la notte
1 produca dlaaitroii Tenti.
li fuggir.potrà r ultimo danni),
repente uà prgceiloso Gatp
ezii'di ci a.»^a, o di I-oocnle,
de' Numi anco ad onta, il legno iperdaf
wdiiea oggi alla divioa notte,
cena oelP ìsola t'appretti.
il dì (punti, aalirem di nuOTO
Te, e Dell' immenia onda entreremo-
Mtl favella con apptauio accolta
i compagni ad una; e io ben m'avvidi
tali un Genio prepotente ordfa.
>CO, Ì0rÌ)pMÌ, oggimai troppa,
I
Juili «nh. .J un lol, r..ra4 mi hit.
Gi>trale ■Imi'rx) , e col pii'i uldo gìuiii ,
Che, tt grrgS' l'UTÌ.tni, iroriRioo sroPiil
iioìi fia uhi, ipinlo da tlolteUB iniqua,^
Ciuvenri iiccirla, o pecorella ofrendxi
Hi ttnijuilii di ciò pBiIeggprcle,
Cbe itt don TI porte li benigna Circe.
Quelli giniaro, e non « tutto a 6dc
L''ÌnTlo1ahil giuro ebber CQiidutta,
Clic U nave nel porlo appo va> ronla
Ferntsro, e ne «monUra, e lauta cena
SoUitr mente appitccchiàr mi lido.
Paga iJplle vÌTaude e de^ licori
La naturale afidilà pungente,
KiwTfenianBi di color che Sciita
Dalla niièra nsTe alto rapiti
Toroiti, e lì piangean, Bncbè di]ee*e
Su gli occhi lagrimou) il dolce ioddo.
Già coni avea del auo camniin due l<
h* notte, e dechiuavano le iteltr,
Quando il cinto di uembi Olimpio Gioì
Deiló un gagliardo, turbinoio vento.
Che la terra cOTCrae, e il mar di nubi,
E la notte di cielo a piombo cadde.
Ma come fioi roncriaiu Aurora
Cfilorò il ciel con le roiate dita, .
Tirammo a terra il legno, e in CITO ip«
De' leggi ornalo delle Ninfe, eh' Iti
1 lor balli te^^ean, l' introducemmo.
Subito io tutti mi raccolsi intomo,
E, Compagni, digi'ii', cibo e beranda
Kri lanci ai^cor nella veloce nave.
Se non vogliala perir, lungi, vedete.
La man dal gregge e dall'* armento i •)
Terribil Dio, che tulio vede ed ode.
Falcono i montou pingui e t biasim te
Diui j * aecbetlni i lentrMl pcUi.
m Intero toem Anatro giammai
ar Doa leiìsta, e poicia dato
^es mai, cbe di Levante o d' Auitro.
U Jan n<jii Talli loro, rd il tìdo,
•nti, e della vita avari,
%tau V arnteuta. Ef già la nave
lODleDea più. Givano iduuquc,
I bisogno li pupgra, dispersi
■ola, d' augelli e pelei in traccia,
chi ed ami, o di quale altra preda
aisie alle man) però die forte
i dentro F importuna fame.
compagni iccvra, Dna re mot*
del piede lolilaria piaggia,
erni a tupplicar, le alcun la vìi
loittasae del ritorno ; e in parte
I, elle d' anra non it^ntiasi colpo,
di limpid' onda, e' a Ioni aliai
itatili del cielo ambo le palme,
■ri andò ,'che d'' un Iranquilla eonno
ili ed il pellD riempiermi i Numi.
lieo ftatlanlD od mal consiglio
nnanzi ai compagni ; da ai scertM
re oppreui, la mìa loce udite,
odrose cerio ad uom le morti i
Ila tanto, rhe il perir di fame.
ù ti tarda ? Merrìam via le belle
icbe, e aagriSci ai fiumi olTiiaoio.
: afferrar oi larà dato ì lidi
, al Sole {perione un ricco
rllutlr« aliererooj'appeodcrema
ille mura prtiioii doui.
el, per li buoi dalla luperba
crucciato, iperder voglia il legno,
un Dio gii contratti, io tolgo V alioa
1 i flutti «alar, che, au. deirrtf
4uidci^ iotiuchw più • tuuga.
a3a oDiMB»
Diite; s liiUl lesciiEiatKi. Ineortanntl)
Del Sol cacciale le più (itile taccile
Di fronti' larga, e eoa le corna in arco,
Che dalla nave non pascean luntane,
StavatiD ad eue inlorno , f, eAIIs primi)
l'er dilfilo che avpao di candìil'' orzo,
Tenete foglie di sublime quercia.
Voti frano agli Dei. Compiuti j totì,
Le vJllinic tgoizaro, e le ico).iro ,
E, le coice taglialone, ili xiWia
Le coprirò doppiate, e i crudi brani
Sopra vi collocaro. Acqua, che il roiM
Vino iciiiaue, onde jjati'iD disagio ,
Vfiriavan poi tu i sogriGcì ardeoLi,
E abbroitlan lutti grinteitioi. Quindi,
Le interiora, tutto l' altro in prazi
Fu meno, e inulto negli acuti ipiedi.
E ■ me iiiL'l delle ciglia il dolce leDDO.
Sor»!, e alla nt.ve in fretta io mi condiiu
Ha vicina del lutto aDcor non m' era ,
Cb' io mi lenlii doli' «VTampate carni
Nuovere incuntro un odoroso vento,
£ gridai, lamentando, ai Numi eterni:
O Giove padre, « voi. Dei aempre itanli,
Certo in un crudo e fatai lonno toì
Hi irppelliitp, le doveaii intanto
Compier da colesloro un tal miafatto.
Nunzia non tarda dell' ucoiio armento,
Lampczie al Sole anài> di lungo peplo
' Coperta. Il Sole, in gracde ira montato.
Si volse ai Numi, e. Giove,; dius, e voi
Tutti, immortali Dei, paghino il tu
Del Laei'zude Ulisse i rei compagni.
Che le giovenche trucidarmi oairo.
Della cui villa, o ch^ io per la atclUt*
Volli »liw,o ditcendeaai, nuovo
tÌBBO sii aSS
Diletta ciaieon di prendea il mio enre.
Cojpac pena io lor bU d'una uiiura :
cilerò nella msgioD di Fiuto ,
E il popal morto porterò mii luce.
E il nimbirero Giure a luì rìkpsse :
Tngl' Immartali, □ Sole, ei ì roorlali
Vll^M tu I' almi t^rri, e in cielo , i nggì.
W fulmine BfTocato il lor naviglio
SfricellErò del negro mar nel aeno.
Queste coee Cilip-to un giorno udia
Dal rneiiaggier Mercurio, e a me narrolla
i> ricciuta il bel crìa Ninfa Calipso.
Giunto alla nave, io rampognava or questo
D(' compagni, ed or quel : ma ViolalD
V armento fu , né avea compenso il male.
Strani prodigj intanto agi' infelici
Uoitravano gì' Udii; le fresche pelli
BlrÌ«iaT»Q sul terren, muRgian le inclite
E de' buni lor sembrava udir la voce.
Pur rlcl fior d«ir armento ancor .d giorni
Si cibjro i colpevoli. Comparsa
La scttim'allia, il lurbiooio vento
L'albero prontamente, e dispiegate
Le bianche vele, ci mettemmo in mare.
Di vista già della Trinacria usciti,
Altro non ci appacia ohe il cielo e l'onda,
QDsndii il Saturnio sul veloce legno
Soipfie in atto una cerulea nube-,
liollo cui tulle intenebrar» Tacque.
L) nave non correa clie un tempo breve ;
Whc rjtlo uno stridulo Ponente ,
Iifurundui, imperveriindo, venne
Ifconlra, e ruppe con tremenda buifi
le due tuoi dell aliterò, oba a pap^
9ì4 QSIUU
CaJdet ed antenne in uno, e vde a Mrtt
RelU .enlba ..resero. Percome
f alber, cadendo, al timoniere in capo,
E r oB» IVacaii^gli j ed ei da popp^
Stilb nel mar, di palombaro in guiu,
E eacciaia volò dal corpo I' alma.
Ma Giove, che tonato avea più volle,
ScaE'i^ ■' fulmine suo eoDtra la aaTe,
Cbe li girò, dal fiilaiine colpita
Del Saliimio, t ('empieo di zolfo lutti.
TuUi fuor ne causarono i compagni,
E ad caia intorno l' ondeggiali te tale,
Qnai corrigli portava; e coti Giove
11 ritoino togliea loro, e la vita.
Jo pel naviglio su e giù movea,
Finché gli sciolte la tempesta i fianchi
Dalla careni, che rìmaie inerme.
Poi la base dell' albero l' Irata
Onda icLiantA: ma di taurino cuo}o
Rivesllalo una (trrscìa, ed io con quesl*
L' albero e la carena in un legai,
E sopra mi v' aiiitt) e tale i venti
Esiziali mi apingean su ]''onde.
2e6ro a un trailo rallenti la rabbia ■
Senonché sopraggiunse un Austro in Tretti
Cbe, nojandomi forte, in vèr Cariddi
' fiicondur mi volea. L' intera notte
Scorsi su i Aulti ; e col nove Ilo Sole
Tra la grotta di Scilla, e la corrente
Hi ritrovai della fatai vorago,
Cbe in quel pnnto ingbioUia le salse spu
Jo , llanciaDdomi in alto, ■ quel «elvaggio
H' aggrappai Geo eccello, e mi v' atlenni
Suil vipistrello ; che ni dove i piedi
irmar, né come aiceniieTe, io aapea.
Tanto eran lungi le radici, e tanto
Semoti dalla nuuo i lun^^, i
li, eh* d'omljrj ricoprìjn CarirtJL
Jiiu<|ue io iD'ilIcnea, b ri iDiude tempre,
' niellati dall' orrendo sLiiso
ur gli aiaaii d<?lU nave. Al line
HI un liìugo desia vennero a galla-
la itagion che il giudicante, Bciglte
le di calili gìoTaai conteie,
[e dal faro, e per cennr s' avvia,
'onde uiciro i iiupirati avanii.
inccìa apersi »ìlora, e mi labciaì
piombai- con gran tonfo all'onde in menoi
lunge da q uè'' legni, r. cui m' sa sili
opra, e delle man remi io mi feci.
irgli nomioi il padre e de' Celesti
iiEdermi non permiie a Scilla j
taccata sa ria mi orrida morte.
D^ve di mi traballava it fiotto,
decima notte i Dei sul lido
ettàr dell' Ogigia iiola , dove
no alberga, la divìoa Ninfa,
raccoglieami smica, e in molte gutlQ
onfortava. Perchè ciò ti narro?
>»e, Alcinoo illuitre, ieri le udivi,
dia con teco la tua casta donna.
ridir, «h'io diasi, a me non torna.
LIBRO DECIMOTfiBZO
AftOOMivTO
%
1 - • '
Nno^i regftli ad iJlisse. TqUo è collo
nella naye, che ad Itaca dee condurlo,
•^accommiata dal re, e s'^ìmbarca. i Feaci i
pongono in 8U la spiaggia | mentre dorrai
al lor ritomo Nettuno converte in pieti
naTe loro. Destatosi, .Ulisse non riconoM
patria per Cagion d^ina nebbia, che Pai
gli levò intorno. Questa gli appare in fc
di pastorello: gP insegna, qual modo d
tenere per uccidere i 'Proci ; e gli sugge
di nascondere in un antro vicino i doni
i Feaci, in partendo, ayeaif lasciati sul
Finalmente il trasforma in vecchio meni
acciocché iaiuno in Itaca il riconosca.
dtavansi tutti per P oscura sala
Taciti, immoti, e nel diletto assorti.
Cosi al fine il silenzio Alcinoo ruppe ;
Poiché alla mia venisti alta , e di rame
Solido e liscio edificata casa ,
yoi tutti } che yòtar nel mio palagio
uh s39
^ tf fiè'dfgrt aidtnie Tiaó ' -
pp^f- fld «feolUre il ¥ftte ,
Poro d^arlìfieio miro,'
don, die de^Feaot- i capi
bretUer, Parca polita
grembo aecolie. Ord^on treppiede
an^ama il preseatiam per tetta,
che tntta in questi dooi,
e potremmo al gra^e peto
soli I la città concorra,
tacquero i detti, eal^proprio alberga*
e piume a ritrovar \ al volte,
lei mattin la bella Bglia
iel con le rosate dita, ■
e affrettavansi , portando
1 onora V uom , Oronzo foggiato.
iC, ch'adirò per questo in naye,
ite sotto i banchi il mise,
itre daran de^ remi in acqua ,
issa alcun de^Feacest
P offendesse urna o treppiedew
ursi al real tetto , dove
rii attendea, tardaro i prenci.
P Alcinoo la sacrata possa
il gioi'Do uccise al guirlandatòj
i- Signor dell'Universo,
[ui cosce, un prandio lauto
etamente j. e il venerato
Demodoco , il divino
rcuote la sonante cetra. .
[ capo alla diurna lampa
ea , se tramontasse al fine ;
DO ael cor tempre gli stava,
lan , che dalla prima luce
ri e col pesante aratro •
franse riposato e durO|'
Caie gradilo il Sole in accidente
Pel d»ia della cena , a cui ■' airti
Con le ginoecbia, cbe gli tveman tolto:
Til cadde a Uliise in occidente il Sole.
Tolto agli sniantì del remar Feaci ,
E al Re, più che ad alimi, cosi Arni.
F^rcianii , Alcinoo, i llbamenti, e ili»
Handatem!; e fl'lddii vi giiardir» «einpr
Tutti ho già i miei deair : pronU è la i
E detU naie in ma giarcioro i doni.
Da cui vogliano i Pei cbe prò mi vegn.
Togliano ancor, cbe in Itaca l'egregia
CanBortc io trovi , e i cari amici in vìi
Voi, reitondovi qui , jerbale in gioji
Quellp, che uniste a voi , vergini >pDic,
E i dolci fì;U cbe ne avntr : i Numi
T" ortiia d' ogoi vii-iil , i\i poua mai
I di voitri turbar pubblico danno.
Tacqucifapplaiidiaciikiruno,.! mollo il
Si compÌBcesie allo slranicr, da cui
Uicita era il nobile favrlla.
Ed Alcinoo atl' arild? allor tai detti :
PantonoOgil vino roeaci, e ■ tiitli in
Pattila , acciò da noi , pregata Giove ,
S' accommiati oggimai P capile amico.
Mescè r araldo il vino, o il porse in
E tulli dai lor apggi agi' immortali
Numi libato. Ma il divino Ulisse
Sorse, e d' Arele in man gemina pose
Taiza rotonda, è tai parole sciolse !
Viri felici di , Regina illustre ,
CoiDun retaggio degli umani, lo parto
Te del popol, demagli e del marito
II rispetto feliciti e ramare.
Dille, e varcò la soulia. Alcinoo innai
Unii TfT gli fece il bandilor , che al rat
r
I.IMO Klli 33g
I gniduK e al mare; e Arele dietro
e gli 'pedi , 1< una con ler»
io mann, ed un lucente minta.
con la Tedile »re,i, e con bianchi
lena, e roiseggi.intl tini,
alor,cnme ani lido furo,
inli tolseru, e nel fondo
ive allogàri poi su la poppa
andidilinifl b«Ua oallre ,
inquilto il formier dormiate. '
iÒ^Bli. e tacilo Borcosii.
-dean lu ì bancbi, e, polche ic lolla
orato 91990 ebber Ufune,
julce sonno al Laerzlide , on lonno
0, inenoitabile, e alla morte
:n e^nal, sn le palpebre sceae.
eteri Ita via compier toUd<1o :
Te correa con alta poppa ,
la cui precipitava il groiio
nante mar flutto cileitro.
licura, né t' avrla aparviere ,
Igei telociiiimo , raggianta,
^lere prora i lalii flutti
, un uom leco recaddo ai Diì
tenno , chi inGnitì alTannì
i*ea tn V armi , avea tra l'onde ,
d'obbiio apana ogai cnra^ in brtcdff
>nno placìdiitimo fiiacei.
cODiparre qnel •( fulgid^ astro ,
» rojea Aurora è raeuaggiero ,
I nate ad Itaca approdava,
rln è qui del marin Tecchio Fotm,
It
àat iporgnit) in mar lidi teoictiìi
ino all'altro ripieganti incontrtì
il veolo lipaTano e dal fiotto.
JSpjnde 90VI
1 U cima i largb
i rami
Vivace oli«
1, e presao a que.
sU UD anli
S'apre amabile, opaco, ed' ali
e Kinfe
Wajadi aa«(
j. Anfore ed uro
e, in cui
Toma.. U ;
Vi toD di m
armo tulle, e poi
r di DiariDi
lunghi telai
i, dote purpurei
drappi.
Waiaviglis J
1 veder, trssoa li
! Hiufe.
Perenni oui
^duepoit,
Mettono ad
esso: ad Aquiloo
>i volge
.i allVom; Ta lira, the
(iuarda, ha più del divino, ed un mor
Per lei non varca: ella è la via ^e'Nuc
In questo porto ai Feacetì conio
DiritlfliDenle entrò l'agile nave,
Che sul lido andò mena: di sì folli
Kemigalori la spingean le brjcria!
Si KiUaro nel Mo; e Ulis.r in prima
Co^bianchi lini e con la bella.colire
Sollevar dalla nave, e (espellilo
Bel tonno, aiccom'era, in su l'arena
Poterlo giù. Poi ne levare ì doni,
Ch'ei riporlo dalla Fracia genie
Per favor di Minerva, ed al piede udÌI
li collocaro della terde oliva,.
Viandanle, e la man bu lor mt^tteue ,
Mentre l'ei-oe dormia. Quindi rllomo
Fean con la nave alla ualia contrada.
Nelluco intanto, the serbava in met
Le minacce che un di centra il divino
Laeriiade icagliù, cosili penaiem
He spia?! di Gitile-. Ginre f adrp.
it
t 1 Dei n
FcncFii,
, che mui'Uli
i
ne ileon
l'urlgine? lo
1 creJe»
a i»o1a ai «»>ì
>T»3e In
, sii .ff.nui
UVtise,
promellfstì r del tuo capo
/col «nnn. Ma i Feaci
il IrasporlftrBU ratta naie,
il (teposero e i[ Foliaaro
brnnio e in oro e in bd iM.uti
immenia, e qai\ dairar<n Tiujit
™6 iiè"itornBva"illLo." *
lerra seunLilor possente,
3 parlasti? Alcun Je'Numi
■egio non hx , né iiere ftra
Dio si poderoso e antico,
ora troppo ifi sue fòrze alUro
giuiiar, tu ne puoi sempre,
.■■ aggradirà, prender vendetta.
i forse, o nubip»dre Giove,
rete, a'io dal tuo
ricondur gli oipili il veno
ive ritornante; e in oltre
1 lor città montagna imporre.
teva il Nubipaiire, il meglio,
ne, anco a me sembrai quaDiIo
corgersn dal lido
mt a lutto curio, e poco
iglio abbia lembiinu, • ogcrtto
Ofnun di meraviglia) e in olire
1 lor eillk moiitigna imporrci
L'acque (M ■> weinlo »' ""
^* ^ rhe 41"""° » "^,,1 còlto '" ""IT
lunge gran tempo, e Palla ciato
> dì nul-bii, per celarlo altrui,
ijuanto è raestìcr dargli cootei»,
'. la moglie, i Gittadin, gli amici
mìsip, cb« pria de' trilli Proci
ti non abbia univrnal macEllo.
li ogni ciua gli parea muUlo,
iglie itradr, i beo difeai porti,
imbcoic fcreitf, e Talte rupi.
ah fermo su i pie la patria igaot*.
lon Irnne le lagrime, e la mimo
a\ tra qua! Duovi, Citronia genta
\oì Chi aa, ae nequitOBa e cruda,
■ti in vece ed ospitale e pia !
[ueita recar ntoila ricchezza,
re io ileiso? (jli nella Selleria fona
>tR, ed io giunta sircccelui casa
ro signor magnanimo, che accolta
in«Dte m^ avesse, e riinaDilatQ
atnentc! lo dove porla ignora,
leiarla To'qui, che altri la involi.
rhe aaggi eran dunque e Dira che probi
eacesi i condotlieri e i capi,
n, ma in questa iconoiciuta piaggia
ur mi réni. Li punisca Giove
pplici custode, a cui nesiuao
, e cbe noD lascia inulto un fallo.
:e nccbeize Doveriam, veggiamo,
■ nop ne portb nulla la nave.
Xt tal rose, ì tripodi luperbi
ra e l'urne a l'ora e le titiiuta
leggiadre^ e Don fdlliagli nulla.
\ sua patria sospirava, e molli
» il lido dfl mar romoreggiaula
• |aD.«Dli fea. PaUade ■Hors, ^
9^4 oniani
Ili piiloTelTo iI*?liriilo in tm
Quale Nti Gglin di Re moltnri al gnardo,
S'oKene a luì: danpin e ben fatta veste
Avea d^intorno agli cmcri, ralzari
Sotto i pie malli, e nella deitra nn dardo.
Gio) UliiBC a mirarla, e ìncontaitenlG
Le muBse incontro con toi detti: Amico,
Che qui primiero mi t'arFicci, salve.
Dell non mi TafT^icdar con alma oilile:
Ma qae>ti beni e me «erba, cbc abbracril
Le lue ginocchia, e te, quii nuiue, invoo
Cbe terra è qiieita? elle città? che gentci
Una di-irondicinle iriole forse?
O di rccondo continente ipiaggia ,
Cbe sceode in lino al mar? SchieUo fave
Stolta Bei bene, o di lontaa venitti,
La Dea ritpoie datraniirro ignardor
Sn di quota contrada , ospite, chiedi-
Cui non è nota? La conosce appieiiu
Qoal vrr T aurora e. il Sol, ^ual ver l'oiti
Piottc soggiorna. Alpcslra sorge, e male
Slerile non perù torna: di grano
niiponde, e d' uva, e la rugiada sempre
Bagnala, e il nembo: ottimo pasco i Dani
E le capre vi trovano , verdeggia
D'ogni pianla, e perenne acqua l'irriga.
Sin d'Ilio Hi campì, che dal suol ache«
Come sentii narrar, motto dii'
D' Itaca giunge , o foresliero ,
Al nome della patria, che lu i labbri
Dell' immortai sonò fìglia di Giovt,
S'empiè di gioja il Laenfade, e tarilo
A risponder non fu, benché, volgendo
Nel suo cor sempre gli artìRcj usali.
Contraria al vero una novi^lla ordisse;
io già d' luca udia nell'ampia Creta,
iiino uit »45
langf ael nnr giaòe, • 4oiide )6 Tenni j
i recando degnici beni , e ai figli
iandoiM metà. Di Crefa. io fuggo,
àkè tì ocGÌti Qrtilooo, il diletto
éomeoéo figliuol. da cui nel corao
I non eira colà che non perdesse,
toi di tolta la IrojaDa preda,
tMli in meno alPonde, in mezzo airarme/
ngli mi costò, volea fraudarmi,
piato f ch^ io d^ altri guerrieri duce
il padre di lui servir negassi.
{■el di' ci nella strada liscia dal campo,
tesi iosidie con un mio compagno,
i laucùa il ferii. Notte assai fo6ca. ■
ife ingombravate, non òhe agli altri, a lui,
! di yita io spogliai , rimasi occulto,
irai sul lido una fenicia nave ,
qiiegP illustri naviganti ricca
xede offersi, e li pregai che in Pilo
ponessero 9 o in Elide divina,
ainio degli Epei. Se lion clic il vento '
i gii svolse j e forte a Iof nai cuore;
i inganni non pensavano. Venimmo,
ioroi errando , a questa piaggia , e a forza
remi e con gran stento, il porlo entrammo,
della cena favcllossi punto,
thè ciascuno in grande uopo ne fosse;
de] naviglio alla rinfusa usciti,
(vana su P arena. Ivi un tranquillo
IO me stanco invase; e quei levate
. nave 9 e deposte , ov' io giacca ,
«e ricchezze, in ver la popolosa
le andare, e me lasciar nel duolo.
nife a <|uesto la degli occhi azzurra,
1 Bian ieareggiollo; e uguale a donna-
, di gr^n sembiante, e di famosi
ci c:4|»ci:U| la uà uoiusiitu-'app^jrYei
,4fi OBIoii ^
E a coti fatti accrnti il volo icioIk l *•
Cerio tagace anca Ira i Numi, e iota
Cnlui tarla clic d'ingannar ncirarte
Te inpcrBiie I Sciagurato , acaltro,
Di frodi insizìabiìe, non cesii
Dunque né in patria dai fallaci delti,
Che ti piarcion co>i aia dalla colla?
Va di questo non più: che d'' aiLuiie ar
IHarilri siami ta di gran lunga tiAti
D^inventivr i mbrlali, e di pamU
Enrpaiii , tutti io dr uran langa i Ifumi
Dnnqiie h 6^1)1 raniiar di Giove
Tu nna tnptnli, chp a t« auisto ieinprc
Ti fri truvnre appo ì Fcaci? E or vfnii
Frr ammonirti, e prt celare i falli
Col mio aoGcnrio a la iplendidi doni,
Non rlir narrarti ciò che per dettino
Hel Ino palagio a sopportarti resta.
TiiaofTri, beiiclie atlrettoi eatl uomo d a i
l.'urriyo luo non palnar: ma tieni
Cliiiiai nel petto i tuoi dolori , e sola
11 lilcniio rispondi adii t'oltraggia. ■
R lotto il Tirco di «ornigli Ulissec
D i Ilici I mei) te , o Dea , può ravvitarti
Moria! , cuì.f appreient) , ancor clje *i|
Tante forine rivesti, lu ben rammento
Che viiilar ti "
lire noi ,
Co ni bai Ir vam i
Per cavarmi d' affanno. Abbandonato '
Molo ■ me itesio , e alllilta io già npi
Pincbè frii eh* il tua labbro ìd tn ì I
UDortill finirò. Ora io ti prìrgo
b E^Bii padre, quando ia lem n
Idia patria min , rreAami, e Icmo
) di me prender ti voglia E'ocii,
!ga dirmi, o Op>, le veramente
«ehi II»
{ Des
ivolgB
li te ateiia uan nbli'i, Quind^io
Htri ingeEno- 1"' ftcondia e leniio.
•he dopo errur molli giimgeaae,
e (ìrU mirar rorrfa repente;
nulla M^ere , o rliiriìpr piare,
I gran t -
.che
pan t' i
ipell.
D nel piiTitoi di, se
1 io non ebbi mai del tuo rìlorno,
! ritorno solitario e triatoi
I che al zio Netliin con te cniccinta
:ehio che spegneiti al Gglio in fronte,
lar non volea. Ha or li moilro
a il lito, e a credermi io ti sforzo.
1 porto di Forcine, e la verde
»*a oliva che gli lorgc in cima.
on lunge l' opaco antro ameno,
ibi legiltime alle Ninfe
:cr aolevi. Ecco il sublime '
monte che di selve ondeggia.
•f e ruppe la nebbia, e il «ilo appans.
li.UliMe alla diletta TÌitA
■S* iiatrla, e baciò l'alma terra.
IvMMo le maA , mbitamente .
NLtapppHrtii flajadi Ninfe,
aiS OL...S.A
^l^n creitri rivedervi, a caa devole
Ulibra in vece io sjiluLuvi , a di Giove
ISale, a cui doni porgtreiu novelli.
Se me in vita camerva , e di felici
A Telemaco mio concede aulica
La bcliicQia del SaUmio (tgli*.
La Uea dagli occhi di cileitro Unii ,
Che d' Jjuto iu ti manchi. Or lenia indii
liei CHTD urti della divina grotta,
Su via, poaiam queate riccbeue io salvo
E di ciò consultiira che più li torna.
Taccjue , ed entraTi nrlla grotta oicur
Le a&coEaglie cercandoce; ed Uliue,
L''ora ed il bromo, e le iuperbe veali
Porlando , la leguia. Tutto depoae
Acconciamente dell' EgfooD GlOTB
La figlia , e T antro d un toacign» chlut'
GIÙ fiilto, al pie della «aerata oliva
A>nbi >F.lendo,c inveitignndn l'arte
Di tor di mezio i temerari Proci ,
Coi a pirlar la piima era Minerva:
Sludiar cunvienti, o Laerzfade , come
nii-tter la man su gli arroganti drudi
Ciie regnano in tua casa, oggi è ten'ual
E .Iella moglie tua con ricchi doni
Chiedono a gara le bramate nozie.
Ella, ogiiar sospirando il tuo ritorno,
Ciascun di speme e d' impromeise allilU,
Manda messaggi a tutti , ed altro ha in co
Ali! dunque, le rispose il saggio Ulitu,
Me dell' Atride Agimennòn V acerbo
Fato altendea nelle paterne case,
Se il lutto , inclita Dea , tu non m' aprivi
Ma tu la via , che a vendicarmi io prendi,
M' addita , e a me soccorri , e quell' «udì
Spirto Di' infondi, che acteudeaiui quaudi
i Troja le farooic a
III del pari al Tianci
eoa Ireoeatn allor
L un sol mnnietita in ijiieiti impreia.
9iipi!rbi , che Ie lue loatanze
a male, imbratteran di Baneue
està liscia ed Durar freaca pell« ,
: le membra flcsiibili ti e uo [ire,
leccherò, raggrinzerò j di bionda
cui lo agiianlo di cìaicua rifugga;
ocrbi pui, si beiti ors e li vivaci.
30 li oicuri, e avtan tai pieghe iatamo,
■ turpe ai Proci e alla tua donna e at Eglio
lascijati bambin, cosa parrai.
prima cerca de'' tuoi pingui verri
(In guardrail cbe V ama, Cil ama * .1
roTcrai, che guarderà la nera
ggia che beve d'Ar.clusa aj iònie.
Ila pietra del Corvo addenta e rampe
lolce ghianda, per k cui virlude
oiiilo lul daiao adipe creice.
ri ti ferma, ed al suo Banco aitilo
gni coaa il ricbiedìt ed io frattanto
ró alla bella nelle donne Sparta,
rascia del Ggliuol, che vi a' addiiue,
eiaper di te dal bellicoso
elao biondo, e udir, te vivi, e dove.
rrclié non dirgliel In , cni noto è il tutto?
u.e il liceo di couìlglì Ulta^e.
db non t' ami^gn , ripigliò la Dpi
Che dtntrr in «Itrui Ir: luci intenda.
]o item, rome ad acquialarsi i^ gridOj
Gìii l'JDvriivB là, 've nulla il turbi:
Là' ve tranquillo, e d'ogni caia a);iata,
■ Tifi rrgal aiede delf Alride albergo.
So ben che agguati io nave negra i Pron
Teudongli, deViaDdo a lui dar morti
Pria eh' ei torni; ma invan: oliè anii,lul yi«
Coprirà i suoi nemici e toni la terra.
Disse Minerva , e della los polente
Verga 1' eroe loccù. S' inaridisce
La molle cule, e ei rinrreipa; rarì
Spuntano, e bianchì au U testa ■ crini;
Tutta d'un vecchio li persomi ei prende
Botto dnglì anni, e bianco; i- roachi,f-!lintÌ
■ Tunica trista, e mala cappa in dosso
L' amica Dea cacciògli, ambo squarciale,
Discolorate, affumicate esoize;
Sopra gli Testi anCor di ralto cervo
Un gran cuoja spelato, e nella destra
Pose bastone; ed una vii bisaccia.
Che in più luoghi *' apria, per una torta
Coreggia antica agli omeri sospese.
V un dall' altro st°acc&rs'i|e alla divina
Sparta, del figlio in trucia', andò HinctTt-
LIBRO DECIMOQUAETO
iw gii]nf;calla caia d' Euméo. CondraroM
li traraii qii»lo btion serro, accaglienia
A il Ilio padrone tenzn conoscerlo) e
pio Hip hnnno tra loro. UIbif finfe dì
di Creta e racconta le sue fj1>« aneQ-
Sioi iliiio d'Euméo e cena. SopraTienola
Wtle fredda e lempesto», liliale con al-
iala coricarsi sotto una jpelonca in guar*
elle lue mandrf.
, la riva laicista, enirb in un* aipra
1, e per gioghi e per ailTMlrì lochi,
rivolse, dove Palla m Ostro
'ea I' inclito Euméo, di coi fra tulli
Me i mielior ferri alcun non era
heni del padron meitlio f^ardaue.
ilio aisÌBo nella prima entrala
ampio e bello ed altamente citrulla
bricava Euméo con pietre tolte
M cava propinqua, e mentre lungi'
li Ulisie , e seni' alcun dal veglio
e o da Penelope Mccorso:
' irta ti«pe riclngeab, e tolti
aSi onisii..
Di bruna , che ipeijb , r|i>cr^ia «oriaU
Dodici «'eran dentro una appo Talti'a
CoDodc alalie , cìie cinquanta a icra
Madri feconde ricerean ciascuna.
I maschi dormfan fuor, mollo più icarsi ,
Perchè scemati d al f ingordo dente
De^ Proci , a cui mandar lempre dovea
L' ottiiDa della greggia il buon custode.
Trecento ne contala egli , e sessanta ^
E preiio lor, quando Tolgca la noUe ,
OuaUro cani giacean pari a leoni ,
CKe il paslor di ma mano avea nodrìti.
Calzari allor a' accoioudava ai piedi ,
Di bue tagliando una ben tinta pelle,
* Mentre chi qua chi lÀ giano i ganonì.
Tre condncean la nera Diandra, e il quarU
Alla cittade col tributo nsato,
to stesso Euméo spedialo, e a que' superi
Cui ciascun di gli aridi ventri empiea
DelU sgozzata vittima la carne.
Videro UhBte i latratori cani ,
B a lui con grida corsero t nia egli
S' aisise accorto, e il basloa pose a Ieri
Pur Gero slraiio alle sue stalle avanti
SolTrla , a" Euméo non era , il qual , veidci
Scagliandosi dair atrio e la bovina
Pelle di man lasciandosi cadere.
Sgridava i suol mastini, e or questo, or qui
Con spesse pietre qua o là cacciava.
Poi, livello .il suo Re, Veccliio, gli disM
Poco falli non le u' andassi in pezzi ,
E il biasmo in me ne ricadesse , quasi
Sciagure altre io uon pala , io , -me dolc
Siedo, e piJDgo un signore ai Numi egui
E I pingui verri all'alimi gola allevo ;
Meuli' ci s' .aggira pei cstiuuii: Uii'c.
Fimelieo e digiuno j ove ancor Tìia ,
E gli splenda d«l Sole il dolce lume.
M< tu lieguimi, o veochio , ed il mio albergo
VLcatene , -acciò, come di cibo e vino
' Sentirai sazio il nalurat talento ,
[ Li tua patTÌl io coooica e i mali tuoi.
Gb ^tt» , gli entrò iananzi , e V iotrodui»
L nel padiglione >ui>. Qui di faglioii
I Virgulti densi , sovra cui velloso
■ CtiDJo diatele di selvaggia capra,
Ui feoj Don IO miai pid , le letto , o seggio.
L'eroe gioia dell aecoglieuza amica,
EcDti favellava: Ospite, Giove
Con tatti gli altri Dei compia t tuoi roti
[d'accoglienza lai largo ti paghi.
E ta COBI gli rispondesti , Enmeo!
Buon vecebio , a me non lice uno straniero i
ìtue di te men degno , avere a scherno ;
elicgli stranieri tutti ed i mendichi
VcDgan da Giovp. Poco fare io posso ,
foco potendo far servì che atanno
^pre in timor sotto nn novello impero:
Pure anco un piccio] don grafia ritrova-
Colui fraudaro del ritorno i Numi,
Chi; amor sincero mi portava, e dato
t'oderò avrfami e casa e donna motta
bramata; e quanto al ùa dolce signore
A lervo dà , che io ano prò sudi , e il cui
Travaglio prosperar degnino ì Dei ,
Come arridono ni mio. Certo er giovalo,
Sf incanutiva qui , molto m^ avrebbe.
Ma peri 1^ iufelice. Ah perchè tutta
0' Elena in vece non peri la stirpe
Che di cotanti eroi sciolse le membra f
Quel prode ancli'ei volger le prore armato ]
Per Ponor degli Alridi , a Troja volle.
Delta cosi , la tunica si elrbv;
aSi ODisxA
Col cinto, ed alle itjlle in Tretu moiir,
E, tolti duE dalla rincluusa maniira
Giovioflli porcelli, ambo gli upcL»e,
Gli Bbbroniù, gli ipurlì, iirgli appuntati
Spiedi glMoBsse: indi, arrostilo il tutto.
Caldo e fumante Dpglì staisi spiedi
Becollo, E il poie «1 Laerniade iuDanii ,
E di farina, candir, I' asperse.
Ciò fatto, e in tana d^ ellria meacioto
l'umor dolce dell' uva, a lui di frnnte
S'aatiise, e rincorollo in questa forma.'
Su via, qoet mangia, o fareitier, che a str
Lice imiiandir, di porcellcttl carni:
Quando i più Brandi corpi ed i più pingui
PieUde iu petto né timor de'Komì.
Ha non amaa gli Dei l'opere tnalfage,
E il giusto ricompensano ed il retto-
Quelli che armati su le alimi HTÌere
ScftiJcino, e a cui tornar Giove eonteotl
CoMcpni carchi alla naiia contrada,
Spavento ad essi aueor delle dicioe
Vend
ette passa nel rapace
eVdlvin.
Certo
per voce umana o
Han
della mo.le dei mio
le conten»,
PoicEi
è né gareggiar, come
il addice,
fv
a sua dunna, nÈ ai d
Vogl
altrui beni
Senz
pudore alcun slrug
ono in pace
Giùv
di jioHe non prò
uce, in cui
Una
vilUma o doc paghi
lì renda.
E il
più scelto licor bevo
no a oltraggio
Dovi
la molta ei possndea
qual venti
Sul r
mortali
Kon
elicita insieme. Udiiù vuoi!
Dodi
i armenti ueir Epir
, e tanto
Di pcGoicUe grcQgi e di
majal'i
• LiBno-xtv 955
li di capre comodi serragli ,
loroettiei tutta, e di stranieri
ori a.gaardia* Jn Itaca serragli
•apre aodici, e^ larghi, e oelr eatremo
ti della oampagoai e'coa robusti
;odi| che ogai di recano ai drudi
I nel vasto eaprii reggion più gratta
ia e più bella, lo so' i porci Teglìo
dia mandra il fior s^pipre lor maoikK
liue intanto, tenta dir parola,
o ita cacciar la fame er», e la tele | '
ali ai Proci niacchioa?a in petto,
rancati ch^ egli ebbe i fiacchi spirti|
éo la tazza, entro coi ber solca ,
la gli porse, ed ei la prese, e 'qoetti
i, brillando in core, ad Eum^ò volta :
30, ìebi V nom . fu si ricco e fotte
del tuo ti comprò, come racconti ?
o tu il dici per V Atriqe. lo forte
bbilo. Il Saturnio e gli altri Numi
o, 8^ io di lui visto alcuna posso
ezza darri, io, che vagai cotanto.
;cchio, rispose Eurpéo d^ uomini capo^
>gria che venisse oggi il ritorno
\ege a nunziar, nò la sua donna
cederebbe, né il diletto fìglio :
pò usati a mentir son questi erranti |
mestieri' han d* asilo. Un non ne giunge,
la Reina mia non si presenta^
false cose non favelli, o vane,
i ella accoglie con benigno aspetto ,
o cose domanda, e dalle ciglia
idono le lagrime: costume
onna, cui mori lo sposo altrove,
i m? accerta che tu ancor, buon vecchio,
favola a ordir non foisi pronto | •
e tunica e manto altri ti. desK?
a 55 obissBà
Ma i cani, io temo , ed i Tcloci angelU
Tutta dair ossa gli staccar la cale ,
O i pesci il divoraro , e V ossa igmlde
GiadcioD sul lido nelP arena involte'.
Così perìo., lungo agli amici aflfknno
Lasciando, ed a me più, che, ovunque io radij
Non ispero trovar bontà si grande ^
Non, se del padre e della madre al dolbe
Nativo albergo io riparassi. È \ero
Che rivederli ardentemente io bramo, .
Nella terra nalUi par men li piango'
D^ Ulisse , ond*^ io r assenza ognor sospiro.
Ospite , cosi appena io nomar V oso ,
Benché lontan da. me: tanto ei m^ amava*
Tal pigliava di me cura e pensiero.
Maggior fratello , dopo ancor la cruda
Sua dipartita, io più sovente il chiamo.
Dunque^ Teroe riprese, al suo ritomo
Non credi , e stai sul uiego ? Ed io ti giarp
Che Ulisse rìede; né già parlo a caso.
Ma tu la strenna del felice annunzio
M** appresta , beUa tunica e bel manto ,
Di cui mi coprirai , com^ egli appaja.
Prima , sebben d^ ogni sostanza scusso ,
Nulla io riceverei : che delle infcme
Porte al par sempre io detestai chi vinto
Dalla sua povertade, il falso vende.
Chiamo il Saturnio in testimonio , chiamo
L^ ospitai mensa, e delP egregio Ulisse
II venerando focolar, coi venni:
Ciò ■eh'* io dico, avverrà. Q u est** anno istesso
L^un mese uscendo, o entrando l'altro, il piedi
Ei metterà nella sua reggia, e grande
Di chiunque il Bgliuolo e la pudica
Donna gli oltraggia , prenderà vendetta.
B tu in ri(ipost<i gli dicesti , Euméo:
Né strenna, o vecchio, io ti darò, né Ulisit
. LtUO ZIT 957
■à pfd adlm «uà reggia il pi^de.
, tnmqnillo b«vf » • ad altra ooaa
n la liogaar die mi ernccia troppo
Dobii aignor la rìnembraoia.
■ da parte ì giaranenli, e Uliue
, qoal bramiam tutti , io, la Regina ,
tico Laerte, e il pari a un Nume
leo y per eoi tremando io yìtq.
fanciullo y efae d^ Ulisse oacque ,
poscia, qual pianta In florid^oi*tOy
r gli Dei» si eh^io eredea che il padre
DO 4f guaglieria I come d^ aspetto ,
la mente or degli Eterni alcuno
^flj*, io penso, o de* mortali. Ei mosse»
paterne investigando , a Pilo,
iti i Proci tendongli al ritorno ,
tutto d"* Arcesio il sangue manchi»
li questo più: trarranlo a morie
nemici , o forse a vóto ancora
die andranno , e la sua destra Giove
o gli terrà. Ma tu gli affanni
•ft8Ì,OTecchio, e il tuo destin mi narra.
ta ? Donde sei ? Dove i Parenti ?
tua città ?.Quai li menaro
*ri, e di qua) gui&a, e con qual nave?
n Itaca il pie non ti condusse.
ìy rispose lo scaltrito Ulisse,
aniente io dirò. Ma un anno intero,
ieri uscito a sue faccende ogni altro |
.ai consumasse ad una lauta
liglione tuo mensa tranquilla^
:coxitar non basteria le pene
tessermi a Dei piacque la vita.
m^ è r ampia Creta , e mi fu padre
om , cui di legittima consorte
tacquero in casa e cre1)ber figli.
ipra donna generò , nò m* ebbe
MA yfj
MVn ppr ciò d'i'' fialelli il pidpe in Ci
V IlMiHe CwWr, di cai a,i »»aUi
Sfntftiui il Bugnut! nclk vciie. e « ci
Pfr TiMuna, daiìsia e illuiLrc piule
ilÌTÌn rcndr^iii d«i Crr'^ii onore
Sorpreaa ditta l'arca, e id Aide ipi
Tri) aè pnrlito ìf loiUmc i figli ,
GilUli! in pria k sarti , a me dì JCi
Ma dotin» io miai di grjn beai in i
E ■ me soia il dovei; però eli' io vi
Ron fili d' «spello, né fugace in f uè
V. henclie nulla o^i mi reati , e gU
M^ opprimsno , ed i sujii , Ja inrMC ,
P,,b dalli pagtii r>vvi»ni anro».
Forza tra v armi e aidir HarU e M
Srmpre inruiero a me, quaitdo t iBÌ|
Prr gli agguati io acFglìea cuntra ■ e
n allor elle primo, e si-aia mai la i
Dinqmi a n<e veder, orile batlaglie
Mi araijUava, e color che dal mio bt
Si anrtraeino, ì) raggiungea eoa Ta
Tal nrlti guerra io fui. Un della pat
Non (tilett^van l'arti, d della caia
Le molli cure, e della prole. Navi
Dilettavano e puine e rilucenti
Dardi o quadrelti amlii amare, orr
rn>e piT molli , a me loavi e lirUe,
Come VRri dell' uom aono i desìrì.
Prinia die la greca oile Itin cercai
fiore fiale io comandai sul niaTc
Contra g^nte almniera; e la furt^D»
Coli m' urite che tra dò ch>> in ai
TocQommi della preda , e quel ch'il
A mio lenno eleggea, rapidimeote
Crebbe il mio alato, e non paaaò gn
Che in wnim ftcfin te» t Crateti
Uf»6 jtT
«I*
lo Giove quel fati!
Viaggio .
che mandb tinte
Ime a Pinta,
legni ondivaghi ed
i\ nota
IdlmenéD d<era il
govpriio,
t^ «rbbe a ricioar,
grave
e" li ardita >rgei
«DtiipUgnavamno
mo al Un, Troja m
Greci,
n busta,
noi e ti diìperse ..
Nume.
le Giove una più r
a lenlfir»
diirgnò- Panato i
n mpie
cari appena « la
ilelU
vergi<i8>ri a mn
fOnlimjU,
a»» adi' tgitto M
lidi
ic,n,pag,,i eM-T.
V.ftli
lati ■ navigar m'in
lune.
i adornai; ri a n
on poebe
n «.'di '',Utirae*''IÒ
dav».
,lb.i in OrìcrUe appar.B,
«mmo -, ron un B
urea m popp
fido, a gp voi 01 fu le
Bollir a sri-onda, il
mar fendemmfc
Tu ne leffiemnjtr ntftUi
ri MdrvaiD, fifilà^flo
ri al noifro ujpc,.r<) il vento.'
Il quinto la t>r4nii^« frire
it brironil» E(i11p|ìuine, .
me arreilai le vctruianti
i compagni c^naniui che in ffUtd
rinaaFHtera, e U Irrra
bmai té eiflorir'iMt^ 'Uo.
i, da DD vdir folle a da no d*C9
rtatì, « Mecbe|^r le belle
••d^i Egi^, a ria menarne
iSo oTirMU
Coltintorì ■ Decìdere. Ne {rìanie
Torto ti rumore illi cittk, né prina
L^iurorR compir) cbe i cUUdini
Vennero, e pieno di gstiIIÌ e finti
Fu tutto il campo e del fulgor dell'
Colale allora il Fulminante poi«
Z)«>ir di fuga tle^ compagni in petto
Che un aol far fronte non oiaTa; ucci
Fiir parte, e parte presi, e ad opre d
Efortatii e, OTUoqne riiolgeanti gli oci
Va diiaitro apparii. Ma il Satuniide
Kuovo coDiiglio m' iolpirò nel core.
Deh percLi neìV Egitto anch^io non i
Se nuovi guaì m'apparecchiava it fai
Io I' elmo della legta al luol depoii.
Dagli omeri Io icudo, e giltai lunga
Ila me Is lancU: indi ai cavalli incon
Coni e al cocchio del He, strinsi e bai
Le sue ginoccliia; ed ei lerbomml in v
Compunto di pietà me, che pitgnea.
Levò nel cocrbio e «1 suopaligto adi
£ ier che gli altri a^UHllan c«a Pai
Di rabbia Mcail, e mi Voleano estinti
Va il IleIoata«Lfl con cenni e eoa i
Teneali per timor deiroapitala
Giove, che i supplicanti, ■ cui menad
Dall'nom non s' usi, vendicar rooljc)
STtl^amii io colà viisi, e uni teMrL'
Baccolsi: doni mi porge« chinatile.
Foi, volgendo l'ottave anno, no Fedi
Comparve, uom fraudolenta e di nei
Gran labbro, ohe già molti avea tradì
Nella Fenicia e aeguiCarle, dove
Caia «'poderi avea, coi tu i piegommi)
E Meo lo dimorai di Sole un giro.
I Tolle per la Libia, e anse
èr fODia me carear la naye.
« f in Libia Tendermi a gran prezzo
il tristo. Io ohe potea? Costretto »
il legaitais benché del vero
nrmee per la mente un lampo.
1 aoroe il rapido naTi^lic.
ragliar do Aqailon'ffiriTa in poppa^ .
fu ordià r ultimo eccidio Giove.
«A Greta ai redea, né altra
ma eido in ogni parte , o marei
il Fnlminator aul noftro capo
d^ allo una eemlea nnbe ,
BOI tutto intenebrànii Paocfiie. •
ik t^oltOj e al fin lanciò il #ao telo
n nave, che del fiero colpo
«e p B^ empieo di lolfo^ e tatti
ttero giù. Quai corvi, intorno
irwran an per V onde , e Giove
iea oon la patria anco la vita.
B aolo nel mortai perìglio:
nani venir mi fece il luogo
Iella nave , a cai m^ attenni ^
Il laaciai su i tempestosi
arlar per nove giorni ai venti s
■ notte decima mi spinse
iroti alla terra il negro fiotto*
reeproti il Sir , V eroe Fidone ,
» na* accolse. A sorte il figlio
mi trovò tutto tremante
4> e ornai dalla fatica vinto j
Bun tollevatomi , del padre
etto mi condusse , e pormi
! manto ai compiacque in dossow'
d"* Uliaae udii. Diceami il Rego
■Gcolse^i e il trattò cortctomantt
K quanta al fin di pr<
t)lis>
colto e
Uf^OElo: farli, clie p
Padri t fìglijioli a lail
E agghifige» cìle" "i C
Per Giuve coAbalÙ^é '
Quftria in^ovrna, i^'
Colli d'Ilaca tua rinpi
StBginn dDvp» nalptet
Poi,'l>t»ndd, giurò ^
Traili! lanbTC, ti rei
Per rimrnarrò Ib'flac
M.' >(p»i)'Ìlcconitnìalfi
Al r^a» Dulìrlilo Du
Di n^crhi^ri T^proli
' Coilordoveaii raccont
li,. ronsielmlrBMn,
Sunvam^nlereVai.
Da lem fu 1' nndÌTae
11 nPBro m^appari eìo'
Tunica t manto m! i|
In doaiD mi grttir ìtr
E,T*niilÌ (ll'àmetisì
He Dfìì» iiaTF con be
Fune Irgaro. Indi >i>ui
Fmtolura del mar |ii'
Ha un 'Nume r^ippe i
Giù sdrucciolai pel lìn
Mi conipgnaì col petti
AAtando- remigai il i
Fuor di lor villa io fui
Surget di querce uni I
Quei, iK me con dolci
Vi credendo cerciroe
Si rùAntoito ; e ne f
■fit«iii^a¥eaD, d^nn nòm saputo
benigni at pattoreccio albrrgO|'
in vita il deflUn mi Tirole ancora
la a lui la tua risposta, Enniéo;
ospiti misffro , tu V alma
imovesti addentro , i tuoi Ttag»!
lo e i malr tuoi. Sol ciò non lodo i
Ulisse dicesti , e non tei credo.
, degno uom, qiial sei, mentire indarno?
)^ io pur troppo , qual del suo ritor'np
nodrir si possa , e V infinito ,
i portano i Nnroì , odio io òòhosco.
eì non cadde^ combditendo, a Trojft «
i amici in sen dopo la guerra.
) avrfànlo nobilmente i Greci,
tomba sua verrfa un ritampo
■ta al suo 6gliuol: ma inonorato
)ie crudeli sei rapirò in vece.
ne provo diiul , che appo la mandri
i occulto , ed a città non vado,
quando Penelope , ro»npar80
.lene banda con novelle alcuno ,
imi a sé per caso. Allora stanno
r intorno allo straniero, e mille
domande , così quei die doglia
isenza del Re sentono in petto,
;ulor , che gioja j e le sostanze
truggon frattanto in tutta pace,
domande far dal di non amo ,
i deluse un vagabondo Etólo ,
omicidio , che al mio tetto giunse,
io P acrarezznva; ed ei mi disse,
nesso Jdomene'o nelP ampia Creta
) avealo risarcir le navi
irpcella sconquassate , e aggiunse
fStHte o r autunno al suo paesQ'
rXi ben compagna to e ricco;
JS4 0.,..,.
Union volrrnil e tu, levchio Inltllri^,
Con tatti dflti, puicliè un Dio t' aclJutH ,
MulcfrE lusingar I che non per quello
Ben Iratlalo larai, ro3 perchè lemo
L'' ospitai Giove, e cbe bo di te pìetade.
Un incredulo cor, riipoM Ulii«e,
Tu chiudi in le, quando a preilaimi («de
Hi co' miei giuramenti ìndur ti pouo.
Su via, fermili ud pntto, e teatimouì
rie kien detraila gì' immortali Dei.
Kiederk il tua signor, com^ io predilli ?
Tunica e manto Tettimi, e a Uulichio
Mi manda, ov' io da motti giorni ir brunir.
Ma t" ei non torna, eccìU i serTÌ , e gelU
He capovolto da UD>ccelM rupe.
Si che più non ti beffi alcnn mepdìcoi
Gran merlo in vero, e memorabil dooc,
Il piitor ripigliò, m' aci]uisterei
Appo la DOBlra e la ventura elade,
Sl-, ricevuto acendoti, e [rollata
Oapitalmcnte, io f ti<:ddeui, t faq^
Ti ineui del >ea 1^ anima citai .
I miei compngiù
S^ appretterà nel padiglioo la meDU.
Coii tra lor dic«aeoj ed ecco il nero
Gregge, e i garaoni che ne^ tuoi leiTtgli
Metteanlo : immeoM delle pingui troje^
Che aDdaranii a corcar, torte il grugortl*
Ratto ai compagni ùvellava Euméo i
L'ottimo a me de'' porci, afiBiichè miM)l
Pel Tfa|itq di lungi oipite, e od tratto
Hoì pur fetta bcciam, noi, che toffriiMO
Perquetto armento dalle, bianche laWi
Hrnitc in tipoto e io giojt altri le.onM
Fatiche A Hwtnit « ^ *^U^ . •
Kino xrr itt
Detto eoilf eoo «fBUU acarQ
Qv^rcia te€c4 reci«e 9 e quelli OQ griMO
D^anni dnqae d^età poroo meoarOf
E al . focolare il coUocftr daranti.
Né de^ Gcletii Euméo, ehe molto lenno
NatrÌTa in tè , dimentieotti. I peli
Dal capo trelti del gmgnante, in meno
GittoUt al foco, e iHoalzò roti ai Numi
Pel ritorno d^ Ulisse. Indi un troncone
Della quercia, ch^ei fèsse, alto levando |
Percosse, e senza Tita a terra stese
La vittima. I garzoni ad ammazsarUi
Ad abbronzarla e a farla in pezzi | ed egli
I erodi brani da ogni membro tolti
Parte metteali su Tomento , e parte
Di farina bianchissima cospersi
Consegnavali al foco. Il rcbto tutto
Poi sminnzcaro e V abbrostiro ioGsso
Con modo acconcio negli spiedi, e al fine
Dagli spiedi cavato in aa la mensa
Poserlo. E(ime'0| ohe sapea il giusto e il rettO|
Surse, e il tutto divise in sette parti:
Offrì runa alle Ninfe, ed al figliuolo
Di Maja, e Taltre a ciascun porse in giro.
Ma delP intera del sannuto achiena
Solo Ulisse onorava, e gaudio in petto
Spandea del Sire, che diceasli : Euméo ,
Cosi tu possi caro al padre Giove
Viver, qual vivi a me, poiché si grande
Nello stato, in ch^ io son, mi rendi onore.
E tu dicesti, riipondeudo, Euméo t
O preclaro degli ospiti, ti ciba^
E di quel godi, che imbandirti io valgo.
Concede o niega il Correttor del mondo,
Come gli aggrada più : che tutto ei pnote.
Ciò detto , ai Numi le primizie offerse^
E, libato àfì^egU pbbe^ in man d^\}U«itt)
Clll^ a\ lue lacir itdta, pai* U tan*. '
- Mr>*<lt>o> oli' ei del rmprio, e do) laptnd»
Tièla Rrgini né Lncrlt, avci,
Mentre lungi «M il Sw, eoinp™ d.i Tifj,
]1 piiiieirflipentbi blmilcina aì obi
ha iDiRu ; r, |li>ga det mnngiar U voglia ,
P.igcqln'Ma ili-l l>pr, Mriaiilie il pnne
iL.icrular, é r)( altri a dar le nienibra il MBl
Kxloi^ll sffrfKaTinti e ulalli.
V'uic* anrvrrinr ft ditatUoia iiall«>
&OTP piove* •■•ns.iultrrallu, e licTo
Di Pi>nenlé iptrini aii vanto aoi^oio.
lIlftM AtoF, pnitlié vedMti Unta
Caifizalo ila F.Minéo, Icntirc i< 'vo1l«,
Sf^fli prNtiue H pntptia iriaDlo^ li iIbkhii
Quii d^ alcun da' qsnpafiH aver gli kttf.
Euméo, diar eg\t, ■imitami,' • i oonpafoi
M^ aicottin tulti. la millantH-Aii felqauit*
VagH*,rq»ai pii ofinant^ it folle «ina,
ClieialioltiipiAisggiBi caiitwmoue
PUft'Ihld'BgDi imeiira, > ravltmiriite -
Killer, ipioor aallv i>npro*rài ed ineha
S urlio ■ parlali A"" fta-lalete'i) inrglio.
a daaciie'im tratto a oicalar* io prati,
Nulla io trrrò nel pelM. Oh di qnel Sora
Foui,«>tirrajaii ià quetlo tnnn ch^ìo
Srnltoài- al Irmpa- clw aolL'Ilio ^ip'alt '
Tenilenimo, Uliaie -rct 4 trmaàn Alrida '
E, r(«) ai-aia piaVqnt, ì» m-m duce! '
Tojio «ha alla eituile-e airàhe mur*
Virini fuiBiKi, tra i fitigiilli denai
K ncItrrannr.pilacUaPa terra
Oitceniiabaoitai-mi, ìmpròntt'ltOttM •
Ci aiMae t in «rullo TraiMnIan KifBan^
S f edi t ala neib, t}iMl>gelaU tiriìia, ' "'
E gli jtMdl inuMU*» U ' shiaceio. OH- dW|
cut BvMi-u«u»«tai4àM^^
«rteudo dai compagni , il uiinto
Itnia mi* Imcìsì tra loro; ,
rando uii li purtgenU Terno i
nica , un ciugula e uii;0 scudo
tulli. DelU nutU il Iftio ..
;U ailri <x><.ie\^ttO,,.e sii tJl.isse , ' ,'„j
S'acea da oifmo , io fai parofe..'. .-.
o d.i e^-nii», Wm>i: ■■■;
I jialtro di Laeile Gslio,
Ionia il eeì iW Lo più tra i vivi i
.rrò. Mi Fal(a ,hi iii.i.lo. Dn Dj(.;
Jelusc.dlvdlipiùT iuir; .j
l iiiapiromini. Or^'{ii:i!a scainpbT ,
ijaruin uiflle, u^ iu^i parlilo ■;. -l
{li non Al, e!ic all' afini, proÀÓ. ';
D Greco non l'oda. E p^i, iéì bntàf
e della man soslfpnu al menti^ '.;
Mae , un sugnu , un diviii aogpl'y . .,
fo m'avvertì cbs dilungati , ' ' . '
ci lìain dalle velocf riavi^
.) pattur di genti Agamennótle
I di noi, perctié , te. bttt gfi MlUbn •
li altri guerrieri e né nSfarM. '
. e Toanli!, d' Aodremdn'e il fi^ò, .
corse al uavil , deposto prima
reo tuo manto; ed lo con gioji
li e vi atcUi entro in lìn cbe appirva
lior, quelle forie io non pianicMi ,
; alcun de'' inai compagni ,'Euinea) '
rema e amore ad Un buon leccbio,
fornirla i ma or , veggendo
niei cenci , ciaicun tiemmi a vile.
)ù , EumÓD j gli litfoadutt allora t
gOS ovtnu
Belli Tu , imtTo , U tua ttoHi
Non l' uicl delle ULbra o t«
Perù di veste o d' altro che
Merta tupplicaote uomo , in l
Difello non avrai. Ma , nato j
T' adallerai gli ujati pina! i
Poche lOD qui le cippe , e a
Di tdoica Bfin puote alcun mi
Star dee contento ad una >o1
CoBie giuDiQ »r^ è-' Ull»e il E
Ei di vestirti e di maodartl ,
Ti COniislia il tuo cor, peDiier
S> alzS , coit dieenda , e pr
Pooeagli il letto, e di montoi
Felli itendeavi , la che V eroe
B d^ un largo il copri suo de
Ch' egli a lé itoBo circondar
Quando turliava il ciel fiera I
Così là giacque Uliate; e acca
SI corcnro i gariooi: ma core
DitgiuDto da' suoi verri Euote
Fuori uscito ei n' armava ; e I
Gioia, mirando lui del suo Re
Curare i beni, benché lungi i!
Prima ei aoipese agli omeri gì
L' acuta spada: indi a t£ intoi
Manto gittò, che il difeodca i
TtAse una pelle di corputa e f
Capra; e un pungeote dardo ii
Degli uomini spavento e de' in
ÌX
a> andò a
•\«*»
uttù HflOic»9Dnfo
Hinem «ppire di notts a Tdemico, e t|'
iroHii di tornara iu Itaca. Ei ti congedB
HcDelao, e parte col figliqala di Neilore.
iDta a Pilo, lì rimbarcB , tenia rirnlrars
t> ciltà, e accoglie nella ma nivB un inda-
D d'Argo , chiamata Teocliméno , eh» fu <
(relto laaciar la palrii per omicidiD. Prat- '
ta Bolloqnj tra Uliue ed EumÉo ; il qumi
con ricuDascendolo ancora , gli narra
N di'carMTJ . Feaitj rapito fu, mim-i
n EédcìdUo, dalPiMla Siria « Tendili» é'
tta. Tei emani, arrìfato uIto ali» ipbffa
ui^ Manda alia citlà la naTe, e va tatto
I alla oaaa éC Eo^^ , d) cai enaevoB b
tl^ampia LaecdemoBe Uìnerta
i**a intanto ad ■minoDir d^UIÌMtf
iclìta prole che di far ritorno
) patrie coDtndf «ra gik tempo,
ntoHo ebe giac«a di Henelaa
l'atiio con Piiiitrato. lofombrava
molle loono di Nettorre il -figliai
rUIiuide, eoi J'inceru Mtta
PenUTUe id Ofìmn, e lD*an {SrlSi
D'alto i balHai moi ip«rgè« la notte.
La Dm cbe anntr* |li oeAÌ ^ pra ■non
AraKwWl
Km & per l4
Doni, « agni >dd rivai d'òoiliilo vui-^r.
GuiHa Don àe\ palagÌD ■ Ine tliiprtlo i
Pirle ar'bpni con h madre IV>ca:
Però rliP >ù qual ror s^jliMa ogni doniti.
Ingratutb hrtff* 4rl tt^tiiiio ipoio
La «voya pati] r fìrì Ufoi prffni figli
S- di <tol«i che ifKÌ'ie impaimnlU
Ifw li n«ni^Dla più, più ncifi rjctm,
«iiaiwla ^ì.Cm) biijn itrlla tonba giarp.
t, Mrtil* h Viaorr, a qu]>|e aivrclU
Più dabbrnp ti araibri p più imlitl
Commclii ir lullo, rìnrhè illuilrr ipnia
Ti prriEnlino al guardo i Dpi rlpmenti-
. Altro dirolti, e il riporrai uri rarr.
Defili imatiti i più rei, che ter dal a^aai»
Prima vorriaoti, «Iir ^Ifi p)ilria arrjvij
Hel mar Ira la picfe» IUc« e SadW
Sttnoo in agguata. Io crederò che indarw
E che la terra pria l'oiia ipolpite
DcHdoì neniei chiaderì nel ttno.
Hdd perlanlo W nait in^ lontana
I Tioii, e pOUvroo. naviga i un ■miao r-rriIiT
I Trnta tMuTÌerà qael Im gli Cl^i-aì, .-lit .1
Cbiwiqile ai«, Ibi», ti (]ire«|lc« giiardcif a 71
tmit d'IUci giunto all^ pia C4(iV!nk, i i . )'
Biri >ar'^ bacia ir la di.tb, »■ luUi ^> •:
Jlli ciltii i componi ) ( l^ il ritaloiie
C,eti:i ile'' v<Tri, che HDSnm tten ti TUOla. ■'
Srro pisB» U (u>ttr,.Piit in .au, l'alba '
MinJjt .iRBilÌFanda alla Kfginn,
Cbr a lei ijji Pilo ritcruMti iHi'tn.
Ciò liptto, in un htUa )*J«c all' Olinp»'
Egli r «miao «Ul:iuD dulce soiiiia,
UrUp^Bln dal pie,. Mbilo unno. i . t
E ^li Hriitò qiirs4e paiola: Sori^i, t
PitittraLn, ed al OKuiliio i con-ujorì
Solili amigli il ti inttupnni. e iitci>ppit ,. , I
St anclie ij itaggio qaMra aver U(e enik • t'
T«ln(ia«i>, il Sfitoridi rispoie, ,■ . , i« i /■
tcnrlié « tarili ili parlir, non lice. • . ■• t
Drir ilfA nulle ciiTRggiiu- pc 1' on^T*. , I
Poco TAurora tariipcà. Sostieni
Tanto almen, clie il di Uncla faprrto AtriJtf
Ponga nel CDOchio gli Qipitali di>ni, i
e grntilnii^nle ti licenii. EiRi'na t
. L'ospite rimeaibranTa in pelto derbft
Di chi un he\ prgno d' amistii gii porM. ^
DiuC; e nel ttona d'or IMurora appair?. 1
Il prode M^'oclao, <ti li^ttn ;>l1or*
SailD e d' nUal» della bflU llliiai).
Venne alla »olu Ieri né prin» il cara
Pigliuol .H' Ulisse l< avvisò cb« in fratU
Drlla lucfate tunica le membra '
Cime, e gitiò il gran manto a lé dMnterB«t
Ed uact fuori, e l'.ilibordii e gli diiMi
Pi|tlia d' iilre>, di Giove 'Iminu, duce
J)i genti, me rimandi oggi al diletto
; SitJTO ei<l, eui gii) oon T ilmiL \a i«^> >
»3» DDMMl
Telemaco, rliposp il forte Alridt,
Io litcDFrti qui lungi itugioDE
Voa TOglio a tuo mal cuorf. Oilio chi imi
Gli espili suoi rcstcggiar troppo, o troppo
Sprrgiirli 1 il mrglìo lempre è star nel mta
Certo peccao M par chi dUrorleie
L''aipÌle caccia di restar bramoso,
E cbi bramoto di partir 1' arrctla,
Comialo indu[iianlP| e quando scorp
Che ierirsi dciia, dagli commiato.
Tanto dinora loi eh' io non vulgarì
Doni nel cocchio, te {>r»rnte, ponga
E comandi alle femmme che un pronto
Conforto largo di ai-rbete dapi
T' apprrstin nrlta lala. È glorìoio
Del par, che utile, a te dell' inEnils
Terra tu 1 campi non pixir digiuno.
Tuoi tu ìggiratti per la Grecia e l'Argo!
Giungrvb i miei drttrieri, e alle diverte
Cilt^ li condurrò : treppiede, o conca
Di bconzo, o di:R bene appaJBti muli,
O Tifa d' oro effigiata tiiu ,
Ci donerà '«alcuno, e lenia doni
Cittade non aari che ci arconmlati.
Telemaco a rincontro i Menelao,
Di GioTc alunno, ccndottier di geati ,
Rel'inio palagio, ove nciiun che ÌI guariK,
Partendone, io laariai, rieder mi giova ,
Acciocché, mentre il padre indamo io ccit
Tulli io non perda i tuoi ttiorì e miei.
Ddito quello, ad Eleiu e alle fanti
L' Alridc comanda a' apparfcrhiaMe
SubiU e lauta menta. Eteon^o ,
Che poco lungi dal cuo He dormi'*.
Sorto appena di letto, a lui sen Tenne )
E il foco (uicitar, cuocer le carni,
GÌ' impòlt UrDc\»0'. ne «A ikbbidir^i
LIBRO X? 9'}^
OD iiUiite di Boete il 6glio.
>doraU tolitaria lUnza
ao acrte, e non già sol ; cLè seco
El^iia e Hegapentr. Giunti
e U rieca tappèìleltil giace-.
V Atrìdc biondo una ritonda
i« coppa, e di levare 'un^ urna
ento al figlio Mega peti te ingiunse,
donna fèrmossi air arche innanii,
prplì gfacean) che da lei stessa
gliatì già fàroi e variati
Igni aorta d* artificio. El^na
ampio traeane ed il più bclTo
lolUplici fregi: era nel fondo
irca, e si rilusté, ih quél che aliollo,
tella parve che dai flutti emerga.
ài doni le stanse »ttniversafo,
è furo a Telemacc davante,
ae«ti accenti Menelao converse :
nato cosi, come tu il brami ,
nsenta, o Telemaco, il ritorno
tonante di Giunon marito,
quei, che possiedo, a te dar voglio
he mi sembra più leggiadro e raro:
ma effigiata, argento tutta ,
Q quanto su i labbri oro gialleggia ,
jlcano fattura. Il generoso
Sidone, Fediroo, donolla
, che d' Ilio ritornava, e cui
ò ne^ suoi tetti ; e a te io la dono.
Uride in mano gli mettea la tonda
Da coppa : Megapente ai piedi
icò V urna sfolgorante ; e poi
, bella guancia, a lui di contra
col peplo su le braccia e disse :
1 anco da me, fìgìio dilf^tto,
? altro doDO; e per memon^ WcixX»
,,4 om...» 1
Utile mani d' Eléaa. AOa Ina «pMB.
nd lospiralodì dille sue none
LFnitfmbra coprirà. Rima i>ga intanlD
Della prudente genitrice in guardia
E t'iatla poltrii terra e alle anperb
Caie de'' padri tuoi giungi felice.
Ei con gioja ael prete; e i doni Ini
poiché ammiraU la materia e l'arie
N'ebbe, allogò Piiiiirato nel carro.
Quindi TAttide dalla bionda leda
Arabi condusse nella reggia , dove
SoTra i troni ledettero, [.''aacella
Subitamente da bel yaio d'oro
nell'argenteo bacile acqua lucente
Spandea, alendea deiro polito, io cu
La veneranda diipenaiera i bianchì
Pani venne ad imporre, e non git
Delle dapi serbate, onJ'é custode.
Kleanéo parlia le carni, e il vino
Megappntc verasTa; e i due slranier
La mano all'uno e oiralLro ivan poi
Ha come aaij della tnenia furo,
Aggiogato i cavalli, t la vergatii
Biga pronti taliro, e t'agitaro
Fuor dell'atrio e del pgrlico aonante
Uicl con eiai Menelao, ipumoia,
Perchè libaaaer pria, ciotola d'oro
Nella dettra tenendo, e de' cavalli
Permoaai a fronte e , propinando, di
Salute, prodi giovanelti, ■ voi
Ed al paitor de' popoli aalute
Per vostra bocca, a Nestore, che fuiv
Dolce, qual padre, aottn i Teneri mi
Ed il aaggio Telemacft a rincontro
Tatto, non dubitar, di Giove aluDiia,
Sapri il buon vecchia. Oh poteta'io noi
ToiU eh.'' io ik!> vdWm^uI UUua
M .fluiti •Mdriccki doni
.,5
a te rioevetli, e racconlargli.
ccoglìeou IO n'ebbi equilcomm
ivellava) a a lui ili «opra n a deii
lr«
Ila volò, chebiiD» e granile
cu oca con rIÌ BiIuDcfai artigli
irte rapia. Dietro gridando
e donoE leeorrcan: roaquelE»
ò, puril» dctni, :ii àar. ganoni,
it,..id<i.lri«rÌTolDÌnnllo.
strato a dir: Nubile Atride,
'S
n le sWsBo, «■ a le fot.f , o e noi:
s
ijigio ioTioro i Sempiterni.
.fi
*iaMt«mtnt-<ta.)i» oMiavfc -
rfCRk* «kè «* r M#ÌM a. H^
mota «oU«te aquila mcm
10 monlB, che ìidoI sparti gtiwda, .
rw« nel Rortil Dodriu ,
ximoitì UKite, alk. patirne
■unto 'da lonUnì lidi,
oci pìomberk; (e pur non nono
«r.àpparecrhia orrida (Dorte. '
Jenaott allor : Coi4 oiò Togtia
mante di Giunoa marito,
oli da me to avrai) qnal Diva!
1 1 dcatrieri flagellò, die ratti
per la cittade e «i campi uaniro.
I r intero di, iqnuiando il gi<^,
ambi (tSTa lul rubu*to collo.
ilJi il, Sole, edimbrunlati le itra^f
(ioTani a Fera e alla magiotio
■le arrivlr, del prode figlio
locio d' Alleo,' aure ripoii
baa^utUi «dotpiiAU.deki. , .
9^6 ODISSIJk
Ma come al Sole con le man rotate
L'Aurora aperse le celesti porte^
I cavalli aggiogaro, e risalirò
La Yergolata biga, e V agitare
Fuor delPatrioe del portico sonante.
Sferzò t destrier Pisistrato • e i destrieri
Di buon grado Tolarano { né molto
Stetter di Pilo ad apparir le torri.
Allor cosà Telemaco si yobe
Al.figliuol di Nestorre: O di Neatone -,
Figliuol, non desti a me fede, che senpft '
Ciò tu faresti, che mi fosse gio)a?
}'atemi ospiti siam, siam d^ nn^ etadej
E più ancor ci unirà questo Tiaggio.
Non mi guidare oltra il naviglio mio.
Colà mi lascia: ritenermi il Tecchio ■ 4
Mal mio grado appo se, di carenarmi 1
DESIOSO, potrebbe ; e a me bisogna 1
Toccare in breve la natia contrada. j
Mentre cosi Tun favellava, alP altrOi |
Clie d^attener la sua promessa i modi j
Discorrea con la mente, in questo pane 3
Dover fermarsi. Ripiegò i destrieri I
Verso il mare e il naviglio ; e i bei pi**^
Onde ornato il compagno avea PAlnde,
Scaricò su la poppa. Indi, Su via,
Monta, disse, di fretta, e a' tuoi comandi
Pria la nave salir, che me il mio tetto
Riceva I e il tutto al genitore io tfarri.
So, qoal chiuda nel petto alma sdegnotf
Ti negherà il congedo, in su la riva
Verrà egli stesso, e benché sensa dooi
Da lui, credalo, tu non partissi, un forte
Della collera sua scoppio io preveggOi
Dette tai cose, alla città de^Pil}
Spinse i destrieri dal leggiadro crine,
E àìV eceelM mt^on ta^vdo giunse.
. _ : Pronti Ull»«,
npagoi, arniale,c IH montiBinvi e andilmo.
•coUaio r ubLiidìra. Irumintinente
iitava , e «''iiiidsa ciatcun in ì baiicbi.
\a partenin sccelcraDiln, a pali»
Ughi ailj poppa e iigriSci ofTili;
Dado «sul dalla vcrdeArgo fcraca
( non voluta uEciiVone i^Doto
klulaDte appretaollo : era indoTÌno,
di Helainpo dalla gtirpi! boped.
(JIa madre di greggi ipciita Pilo
|lBai|>p prima «ogeiomaya, e, eorat
«CD nota, superba vi abiUva mleltot
>i, fi'gS""''' '' patria rd il più illudr*
B anno intero ritencagU a {ina,
■Bìlò ad altre genti, e duri Ucci
p' albergo d. Filaro e dolori
•aTi loitenoe per la vaga Piglia
lINelco, e per l'audace opra, cui metia
Ili arca nel capo la Iremendj Erinni.
U teampò dalla morie, e a Pilo adduiic
e CDDtrasIate allomugglilanti vaccbe,
I vendicò dell' infedel UMo ,
konaorte al frate! U vaca Pera
I Filace menò. Quindi IIP altrica
R nobili deitrien Argo len venne,
laleodo il lato cke >u i molti Argivi
■CDiate ; Bpuso quivi srvtic: al cielo
ferole pirtredrlla .ui dimora;
L forti geuetò Mantio e AnLIfàle.
Rq>ie>ta il grande Oieléa nacque, « d''Oialé»
l>>ITalDr di genti Anfiarao ,
kunto autor Febo portava e Giove.
Nt di vecchieiza noa toccò la logtiai
Diti generati AuSlucu e Akiueiìiie ,
flk Tebi perì djili fiiii «Tua
Uuiini trillilo. Ma lU Hmtio >1 gìorn*
Clllo u.cirQ e l'olilì.le. L" Aurora ,
r la beltà cbe in Clito alU tpUndel,
I
lUpUiOi e il calluci tri gf JDitDDi'talLi '
H Frbn, ipcDlo Anfiano, cooccim i
più, chead «llr'uuro, de'valicÌDJ il dami
A PolìBde, il quii , crucciato al (laUrc,:
Trapittò in Ipereaia, ove « ciaicuoo
Ufi fiiluTO iquirciiir loira Ìl vrlauie. -i
Fi|tUo * quedu era il ptllrgriD che II
Di Telriuiicu al nioco , e >i chiamaTl i
Tpocliméno : appo la negra n»»ci ,
Henlr'ei libava e aupplicava, il cotit, i
E a lui con voci ulate , Amica, diiw, ,
pDirh'io II truvu a queiU uIGci inleiilo,
Ve' (agrilitj (noi , prl Dìo cui gli offrii
per la luo capo, sieuo e per cotcEti
Compagni tuoi, non mi naiconder nuli
Di quanta io chieilcrò. Clii, e donde M
Dove i pjrenli a le ? I» p.itiia dove?
Slrahier, co^i Telemaco ritpoie , -
Su i labbri miei no<i donerà che il len
Itaca è la mia patria, il padre è Uliiie
l>e un padre bo ancor: quel.di cui fortei*
Pcrb con negra nave e gente fida
Partii, cercai^do per^iierti lochi
Novelle di quel iniiero, cui lunga
Tipii dalla. patria ma jran tempo il fai
B il pari ai Dei Teocliméno : Auch^i
Lungi erro dalla n>i>, diccbé Vucdai
Uom drUa mia tribù, che laicib multi
Parenti e «mici prt'pouenti in Argo.
Delle lor man vendicatrici uicitOi
Fuggo, e «ieguo il deilin che l'ampia ìa
Con pie ramiogo a calp<-»tar mi tncge,
Deh lu la nave tua me lopplicaBla
Hieovrt , • d* cglor dw, T«^a Amt
r.
s
8q i miei Tftligi, tu, che il piiof, ttif saWa.
Jl prudute Telemaco di dhoto:
"1 mia naT^y ia tui nlir to bramii
r aod poM mai eVio ti retfpinpa.
imi^ur: Don mancberanli in nave*
dbe di darli è in me, doni ospitali»
detto y Fasta dalla mau gli prese,
delia naye stesela sol palco,
na flsoiitoTTi, e sedè in poppa, è al fianco
ir il feo Teòcltméno. Sciolto
compagni le foni, ei loro imposo
eofrere agli allrmi . ed t compari
"*' iibhlidiro s il groiso abete .in allo
aròf e rhopiantaro enUb la ca? a
y dì tùféà Paiinìòdaro al piede,
le cftntftdV Tele in so tiraro
m bene^ attorti cuoi. La Dea cb^ in giro
i^llé ^hle d* aiznrriito muovei
'''^le mandò dal cielo uh vento
S gagliardo, perché in brevi istanti
fisarassé del mar ronde il naviglio.
passò il b«)on Ifgno e la di belle
le irrigata Calci(]e,che il Sole
t^inontava, ed imbrunìan le strade;
Si spinto sempre d^ quel vento amico ,
*iii governava un Dio, sopra Fea sorse,
d^ Ik costet^giò V Elide , dove
pgnan gli Epei. Quinci il 6g1iuol d^Ulissa
fra le scoscese Echinadi si mise,
^■r rivolgendo nel suo cor^ «e i lacci
liverebbe de^Prori, o vi cadrebbe.
Ma in altra parte Ulisse e il buon custode
ficdean $oiV esso il padiglione a cena,
[B non longe ^edean gli altri pastori*
[FfO de^cibi il naturai talento ^
Ulisse fiiTellò , tentando Eumeo ,
Wf POH ceMaodo dalle cure amichf 1
>.uméo , disse , in^ accolla j e Tiù pur tutti,
l'uilo clie il cìr] c'inalbi , alla citudc,
On<riote nou ci)n>Dmi,ed i romponi,
Condurmi io Togliu ■ mendicar U vita.
Fidata mi provvrdì. Andrò Ta|iondo
Di porla io porla , e ricercando , come
Sfonami rea nece.iilì, dii un pone
Mi porg», ed una ciotola. D' Iliiste
Mi fiiró diletti, e alla tua donna laggia
Novelle recheronne , e avvolgerODimi
Tra i Pi-opÌ alteri, cl]c lasciarmi fats«
HeUj lor copia non vorran digiuno.
Io, cìie che piaccia lor, lubilo e benfl) ■
Eseguìrb; poicLè laper t'è d'*uop« J
Cbe, per favor del messaggero Ennete, |
Da cui grazia ed onore acquista ogni opi>»'', I
Tal lon elle ne'' servigi, u il foco «par»
Raccor convenga , o le riieccbe legna
Fendere, o cuocer le tagliale carni,
O il vio d'alto versore, uffici tutti
Ch-. i minori preitar togliono ai e"ndi,
ìlr nessun vince su 1' immi'nia terra-
Sdegnato assai gli rispoDdcsli, Ennico :
Ahil qual pensier ti cadde, oipite, in capo?
Brani perir , te raggirarti penai
Tra i Proci, la cui folte oltracotanta
Sale del ciel sino alla ferrea volta.
Credi a te aomigliare i lor duDielli?
Giovani in belle vestimenti, ed unti
La ebioma sempre e la leggiadra (accM|
Minìatrann ai iiiperbii e sempre carche
Delle carni , de' pani e de' licori
Splendono agli occbi le polite menae.
Buuni: clu né ■ ne I né de' c<Miipi|DÌ
tino zv dSi
ad alcon la tua prefenia ìanatj
ne giooto sia d^UIisM il 6g1io ,
tunica e manto e da lai acorta
ai , dove che andar t^ aggradi.
iOf rispose il paziente Ulisse ,
rioye amar te, siccome io t^ amo |
i al Tagar mio lungo ed alP inopia
fine l lo non so peggio vita :
I melico stomai^o latrante
pi a errar , per acchetarlo | sforza ^
mali a soffrir che ad una vita
s** accompagnano e raminga,
iando Tuoi eh** io teco resti e aspetti
.co , su via ) della canata
d** Ulisse parlami e del padre ,
tempo che il figlinol sciolse perTroja^
ecchiezza il limitar toccava.
del Sole in qualche parte i rai?
ide la magion freddi gli accolse ?
jc , ripigliò V inclito Euméo ,
a me tu non udrai che il vero*
vive ancora e Giove prega
stanca dal corpo alma gli tragga:
Jel 6glio per T assenza, tanto
morte si duol della prudente
, che intatta disposollo , e in triiU
o il collocò vecchiezza cruda,
ananza del suo 6glio illustre
a poco , ed infelicemente ,
i la condusse. Ah tolga Gioye ,
al m'^è amico e con amor mi tratti^
u simil via discenda a Dite I
slla visse , m^ era dolce cosa ,
dolente bì mostrasse in faccia ,
rof^arla e il ricercarla spesse :
?11a mi nutrì con la de"* pepli
Uimene , sua figliuola egregia ^
E ite^tnot parli riiltuno. Con qupsla
Mii romr filmina della noitra elide
Arubi lul primo iiividlnbil fiore ,
SpoK lei fera in Sol
e ricf:lii doni
H^dibi-rtie
Lp^^iidre in doiao e bei calzari ai piedi,
MaadD i catnyii nliilar In mti lignorn,
Cile «Il cor ciBECun di vie più m'imuti.
Quanto geco io perdetlì! t ver !:lie (|un(e
Fmirfae dure, in che U vìla io spendo ,
Mi furtuilano i Numi, e cb'ia :;Ii estrani
Fìnar ne ulimenlai , non cbe me limo.
Ma di falli confortò o' di parole
Sperare or da Penelopetion lire :
Che tutta Jn predn di >u[terba g^cnle
£ Il ina(;ion ; né alTa' R'rglna -|>onna
liapprtteMlarii e hr ddiUanile i tertì ,
Piglia.
E poi di nuell
Sfitipre- rillegr:
Te (lilla patria Inngi e ds' pai
l'ayTèdiilD Uli«
O incanì A meni e abbandonalo roili
Prccio le agnelli □ ì turi, e gente oilile
Ti rapi in le n>TÌ e ai tetti addane
Oì nukitd Re, che li Compib a gran pretu
Ea a rìncontro Euméo , d''uoiiiÌiii capai
?uaDdo ■ te rUaperlo , oipite , cale ,
acita a^rolta fl goditi e alle labbra
HetU, aitilo i 1> laua. Or coit lungha
Xàt DOlli Tao che trapaiaar li poDDQ
Fitte dornendo , e novcUando parie.
LIMO wr aSS
i 1^0 d^ uopo iimàfiii al tempo:
n tonno nuooe. Ove degli altri
le ad alcuno, esca e •' addonaa» '
lianco V Oriente, siegaa,
però, gì** ispidi Terri.
am nel padiglione a meniay
cenda delle nostre doglie
nembrandole^ prendendo 9
mali ancora uom che soi&rse
olto vagò prende diletto.
la, se mai parlar ne udisti,
•Io di fopra e Siria è detta.
Iti del corrente Sole
veggono. Già grande
ipo, ma buona ; armenti e greggi
1 copia, e ogni speranza vince
ito e col vino. Ivi la fame
mai, né alcun funesto morbo
?Dto i roisfri mortali:
1 crine agli abitanti imbianca,
ndo in man P arco d"* argentO}
Artemide, e gli uccide
lon vista un dolce colpo.
i ivi 6011 di nerbo eguale}
lide Ciazio, il mio divino
Ulna e T altra il ireu reggea.
giorno di Fenicj, scaltra
.el mar misuratrice iliiistrei
e negra, ciie in6nite
se stessa bagattelle induslrL
ucsti una Fenicia donna,
re scliiava nel palagio aveaj
'au persona, e di leggiadri
erta. 1 maculati panni
fonte presso il cavo legno,
] di que^ ribaldi a ciò la trassoi
'inmine incaute, ancor cbe Tòte
1
»
Mun tien d' ogni virtuile, il lenno iOfolt.
Poscia chi Ime, ri eh indeal e, e donrie ^o
VeouU ) ed «Ila lenxa indugio V alte . <
Del padi'c low caie iddilbgli t dioe : • i
lo CLttadipa della chiara al mondo -i
Sidone iDflallifcra, e del ricca . n
Aribanle Bgliuola eiaer mi vaoto. lì
Tafj Ldroni mi rapirò od glo™, 1
Che ben degno di me preizo lor diede, -t
Non ti uria, colui rispose allora, 4{
Caro duoquu il iF|oitci, ed il loperbo «i
Be'* Cuoi parenti rivedere albergo? J
SiTeder lur, che por lon vivi e io fami 1
Si doviiiB tra noi ; Cerio mi libra, i
' Lft donna Hpigliii, lol che *oi totti >r
Di ticqndumi il oalio luol giuriate • '
Salva >ul mar navigero, e sicura.
Disse; e lutti giuravano, E in lai g^m
Tra lor di nuoio (avello la donna i
StitcTi or cheti, e o per trovarmi al font*
E incontrarmi tra via, nemna mi pulL
Biiaprebbdo il vecchio, e di cateoe
He graverebbe, •ospettindo, e a voi
Morte, cred' io, macchinerà*. La cou-
Tcnete duoaue in leno, e a provvederti
Di quanto > è meitier, peniate intanto..
La nave appien vettovagliata e carca.
Giungane a me l'unnnniio in tu*ta fretta
Ed io, non che altro, recherò con meco
guanto sotto alle man verrammi d^oro.
Altra mercè vi darà ancora : un GgUo
Di queit^ ottimo Re nel luo palagio
Ballevo, un vifpo tal che ad Ofa^ ìatiDl*
Fuor mi icappa di caia. Io ri ptomeUs
AUt UTC BuiltuloTi i nà Toi
tieuol taot ne ritrarr , _
{m venderlo il rapniate b eitr^nic gpnti.
Oiiu, e alla reggia l'ilortin. Coloro,
K paeae resUnda un anno intero,
%nho il carco, e di *ilpare in paoto, ''
ht messaggio alla femmina tpediro, i
^0 apeiHr d'' accorgi meni i miittro,
ÌK con UD bello, aureo monile, e «r ambra '
'■ptnenle ìnticcciato, ■ noi aen Tenne,
tirire ed ancelle il rivolgean tra mano,
Inio non lieve promettendo , e a gara.
il occbi vi [enean »u. Tacilamente 1
begli amroiocò alla donna: indi alla naf»
alzava i pasti. Ella per mano allora
resemi e fuori osci : tro*ò le mense
tU'airio, e i nappi, in cbe beveao del padn
'eommensalì al parlamento andati
«"un esso il padre caro ; e di que' nappi
tre, cbe in grembo tielb, via ne portava )
Edio 4e^<iÌGla n-lla mia stollezza.
Gii trtMVntivK iLS^Iste di'tenijbn
hnpriaai ogni strada ) a noi Teloni . . . .
CiuDgeniniti al porto a alla Fenici» turai' .
Tenj taltti, le campagne acquose .
FmderMi 'lieti con un Tento in poppa, :
Qifia Giore spiocSTan. tisi giorni . - '
k fi^nderano, e notti sei : ma Oiora i .' '-
Osefltnb non ebbe agli altri agpuntVti
Ole dalla Dea d''aTTeDlar dardi amante '■'
Upita fa la nequitosa donna.'
Mia WriDtiK con rimbomba cadde, ■ <
Ì^Mii trrttU folaga. Tra V acquo :
jUKagliarai Psaid, etei fntara
I M «À^ì Tlldli I e nella naT« ... . .,i
'>le io rimiri, abbandonato e mertoi t
*« Foste • il Tento li MMpinM «Ib^ '-
a85 oDiMià
D^ Itaca, òcre me comprò Laerte*
E codi questa terra ospite, io vidi.
Eaméo, rispose il. paiieote Ulisse,
Molto a me r alma commoTCSti in pcltO| '
Narraodo t casi tuoL Ma Gioye almeno
Vicin tosto ti pose al male il tene.
Poiché vemsti ad un aignor cortese.
Che quanto a rallegrar, noo rhe a seri>in^>
La Tita é d^ uopo non ti niega. Ed io
Sol dopo luoghi e incomodi viaggi
Di terra in terra, a queste rive approdo.
Tali fra lor correan parole alterne.
Dormirò al fin « ma non un lungo sonno t
Che in seggio a comparir d^ oro la bella
Già non tardò ditirosata Aurora.
Frattanto di Telemaco i compagni
Pjresso alla riva raccogliean le vele.
U albero dechinàr, lancisro a remi
La nave in porto, T ancore gittarO|
Ed i canapi avvinsero. Ciò faito^
Sul lido uscfano, ed allestian la cena.
Bintuzzata la fame, e spenta in loro
La sete, Voi, cosi d** Ulisse il figlio,
Alla città guidatemi la nave,
Mentre a^ miei ca*npi ed ai pastori io nOfO
Del cielo alP imbrunir, visti i lavori,
lo pure inurberommi, e in premio a voi
Lauto domane imbandirò convito.
Ed io dove ne andrò, figlio diletto ?
Teocliméno disse. A chi tra quelli
Che nella diseoscesa Itaca sono
più potenti olfrirommi ? Alla tua madre
Dritto ir dovronne e alla magion tua beHi
Il prudente Telemaco riprese :
Io stesso in miglior tempo al mio pabgio
T^iuvierei, dove cortese ospizio
Ta- non avresti a desìLare. Or maU
LtUOZT -987
lìterfsltt la non sarei con tecM^i >•■
te Tedrfa penelope, che «oeTra
Prociy a. cui raro.u raoftrai tele
le più alle stanze a oprarp intende*,
uoin. bensì jt^ additerò, cui franco
i pres^'ntarti ; Eurìniaro, del saggio I
ho il BgUo, chfi di Nume in guisa, .
iran gPItacesi. Egli è il più predai
: regno, più che gli altri, e la coàsocka-
Jlisse aftetta. Ha se, pria che fuetto , .
^Uggiosi compiaci Proci .tutti > ;
i aoenderaooo a^ abitan con Plu^»,
Himpio il sa, benché. si ^Ito alberghi»
al favellava 4 ed ;iii^.augello a destra
volò sovra il capo, uno sparviere, ,
[o nunzio d^ Apollo : avea nelP ugna;.
ica colomba, e la spennava, e a terra
lo stesso Telemaco e la nave
piume ne spargea. Teoclimcno
vide appena, che il garzon per mano
le e il trasse in disparte e sì gli disse :
za un Nume, o Telemaco, V augello
I volò a destra. Io, che di contra il vidi^
augurale il riconobbi. Stirpe
regia della tua qui non si trova,
possente ad ognor fia la tua casa,
osi questo , Telemaco rispose,
vveri, o fofpstier, concio lai pegni
darei d** amistà, che te, chiunque
risconlr».«se, cliiameria beato,
ndì si volse in c>tal guisa al Odo
compagno Pireo : Figlio di Clito,
che le voglie mie fesli mii sempre
quanti a Pilo mi seguirete a Sparta,
idurnii il f >rrstiero in tua magione
celati, e usargli, Hncliè io vengo, onore.
*er tardi, gli rispose il buon Piré0|
<
Cb« ta Tenitiì, io ne «vrb cara, i nuli*
I)'' otpitik Bir^ che nel mìo Ietto,
Dove il condurrà toslo, ei non rìcFTa.
Dttto, lalse il naviglio, e dopo lui
Gli altri iHllanloi e a' atsidcaa nu i banrbL
TelioMico l'avviiisei bei caliari
Sotto i pie molli, e la >ua Talid'aata
BameuppimUta, ctie giacca sul palco
D«1U nsTe, io man tolae ; e quei le funi
SciAlaero. SI tpingean m ron li riTe
Vèr II cilln, rome il garaone ingiunie ;
Ed ei atndiaTa il pitao, m tio die inntnii
Gli a'epcrfie il cortile, OTe le molle
S' BCCDVacciavan setoloce Icrafe,
Tra cui vived 1' inclito Euiuéj, che, o FmiE
Nella veglia, D nel boduo, i tuoi padroni
Donoenda ancor, non ebe vegliando, acmi
UBM) DECDfOSBSTO
ABOOMSHTO
Leliiia d* EamiSo all' arrÌTor di Telemaco «
tandalo «Uà ciltk |>cr avvertir del ino
la madre. Minerva appare ad Ulitie,
itttilaiace le aae aembianu e gli ooman-
d& scoprirti al figliuolo. Intanto qae'^Proci,
Inrano m agguato, accortisi del ritorno di
'deoaco , escono di qaello , e si rendono in
lltiea. Eoméoy eseguito V ordine, si riconduce
f4i villa , ne riconosce però Ulisse , cui Pal-
. Uè nuovamente trasforma.
h inclito Eoméo nel padiglione, e Ulissei
kceso il foco in su la prima luce,
jwcgier pasto allestiano ; e fuori al campo
Wnerì porci uscfan gli altri custodi.
jU ì cani latrator , non che a Telemaco
Ifon abbajar , festa gli feano intorno.
•^avvide Ulisse del blandir de^ cani,
^ d^ aomo un calpestio raccolse , e queste
^oci drizzò al pastor: Certo qua, Eumco,
^ tuo compagno o cunoscontc , giunge ;
^oiché^ lontani dal gridare, i cani
i«alratori careMzanìo , ed il basso
Odissea \ ^
990 ODISSEA
Ue'Àuoi ricini pie strepito io sento.
fVoii era Ulisse al fia di questi detti ,
Che nelPatrio Telemaco gK apparve.
Balzò Euméo stupefatto , e a fui di mano
I Tasi , ove mescea [''ardente Tino,
Caddero: andògli incontro, e if capo, ed ambi
Gli baciò i rilucenti occhi e le mani ,
E un largo pianto di dolcezza sparse.
Come tenero padre un 6glio abbraccia ,
Che il decini''aùno da remota piaggia
Bitoma , unico 6glio , e tardi nato ,
Per cui soffri cento dolori e cento :
Non altrimenti Eum^o, gittate al collo
Del leggiadro Telemaco le braccia}
Tutto baciollo , quasi allora nscito
Dalle branche di Morte, e lagrimando^
Telemaco, gli disse , amato lume ,
Venisti adunque l Io non avea più speme *
Dì te veder , poiché volasti a Pilo.
Su via, diletto Oglio, entrar ti piaccia,
Sì ch'aio goda mirarti or che dVtronde
Nel mio soggiorno capitasti appena.
Baro i campi tu visiti , e i pastori :
Ma la città ritienti , e la funesta
Turba de' Proci che osservar ti cale.
Entrerò, babbo mio, quegli rispose:
'Che per te, per vederti e le lue voci
Per ascoltare, al padiglione io vegno.
Bestami nel palagio ancor la madre ?
O alcun de' Proci disposolla , e nu'lo
Di coltri e strati , e ai sozzi aragni in ^Ttài
Giace del figlio di Laerte il letto?
Nel tuo palagio , ripigliava Euméo ,
Bìman con alma intrepida la madre ,
Benché nel pianto a lei passino i giorni ^
Passin lo notti \ ed ella viva indarno.
Ciò dello , V asla A^Wa. ttv^xi ^\ ^\t.\^ ^
ui» ni ui
ÒMco 9 ^«'Bcttea mi mima
•ogiia I M cBtnn. 'Uliiw « lui
» ino aan coBMBtlib, p, Slatti, [ ' ,
cr, dlM«,auÌM'i DB dirà Mggi*^ ..~
tvHMfMla et|nniM noitra,
tlPaoiao i loDtan.'tèe dir mA jòiMlé. -
«, indietM firtM. dt Buon
Hi ti M|g)a gMnhjit diiteM . . j
li Tsrdi , e bb> tcIIoh jpclle , -
inon T^adagiÀ. Poi le nntaiie' ,.
Broa addlelro abbnutolile canii
cb tu i taglieri t e, sc'eancatri ' .
'nn aoTra l' altn in fretta ipaùi, ,
MO tìdo Delle tane inhiwfi ' .
••« di Miitn egli i^aiiiie. . '''
Ila della meitM ebbero appena
lerio naturar, che baeite
■caad Eaniéo drizio parole :
, d'onde quegO ospite ? In che ruÌW
nocchieri ad Itaca il menaro ?
a piedi lu l'onda ei qua non nane.
coli gli ritpondtiti Euméa:.
6(;liu.>l, ti ceierb. Natia '
mpia Creta rgU «i vanta, e dice
lonlii d'un Niime arverio. Al Gne
giù da on> Teiprnzia naTc,
io lognrio traile.' In tri ronieono.
be tu *>i<.i , ne h: >ol li rammrnla
di tuo luppticanEr ambiice il nome.
e al mio cor , TelomacD ripresi ,
Euméo , lu proferisli. CoDie^
je ricettar nella paterna
pollaio? Troppo io sim verde ancora,
iZ'Smr
Viva Gol tiglio
preienl3
Benil si tu(i
E una spaila a Hue tagli, e bei eaUBri
Dar voglio , e Ih inviarlo , ot' ei desia, j
Che ic a te piace ritenerla, e cun j
Prenderne, io vesti, e d''agni sorta e>tui
Perché te non consumi, e i tuoi campai
Qna manderò. Ma ch'eì t'accosti ai Fm
Cbe d'ingiurie il TeriscaDa, e d' oUraf;e
Con dolor mia, non larì mai cb'io mO
Che potrla nontro a tanti e ù valenti
nemici un lai, bruche pniraoso e lottai
Nobili! amica, casi allora UUise, .^
Se anco a me favellare or si concede,
)1 cor nel petto mi si rode, udendo
Li indegnitade in tua magion de'' Proe
Mentre di Ul sembiante io pur ti veggo
Cedi tu volontario? O in odio forse
Per I>oracol d'un Dio l' tia la ciltadi:
O i fratelli abbandcinanli cui tanto
S'affula r uom nelle più dure imprese
Non bof Perché dod sod d'Ulisse il Gg
Perchè Ulisie non lou 7 Vorrei che troi
Per mano «trina mi cadesse il cjpoi
S' io , nella reggia penetrando, tutti
Non tnandjiii in rovina. E quando ine
Me ioverebiasac l'inanità turba.
Perir lorrei nella mia reggia uccìdo
Pria che mirar tuttora opre lì turpi,
Gii ospiti mal menati , violale
Aliì colpirle t»iAcvi\ie, «4 TOihiotlito
A caso , inùaitio , t «.™ W». « V.-ìW
liw» , eecoti Q ver , ritto riipoie ì
enta Telemaco i Don tutti
DO ì cittadia ne ite^fratellt,
ito rnom nelle piò dubbie- iiiipre«« .
iHpog|iani, rìduam^nui io pouo. .
1 Sàtnniio che di no*tra itirpa
In età ipanuue «i mI rwDpolkh
< Msarfc Lterte colo,
il •do UliNe , « pMcia UIìm* . .
sift Dcl paligift,^ vdìm Bglio,
p»eo gódii fmndi |MtnloMi
1 (ente al notlro «Ibeifo bi him. ! '.' ^
i Ck Dntidifo'e S«bm, e U teiraif '
), e b {lietroM Itaca ptebd,
a U itttn della inadiv agofwu
t ri|ettar può, aé hmm
Balnli nom. Inl^nto i Prooi
mo i deichl con le pingai nembra .
■gofiate vittime, e gli aTcrì
Dffifon tutti) né andrk noQ» GmCt, ;
in grata aarò vittima io iteaio.
1 de' auinì au ì giootichi pota.
, tu vanoe rapido e alla madre
che lalvo io le tornai da Filo.
larralo a lei che alcun non Cait ,
Achivi, I! ^ua rifdi, ov'io m^arreato.
li che molli del mio «angue han *ct«.
a ia riapoita gli diceili, Euméo:
cOj veggo, ad uom die intende parli.
in vorrai che meno all'iDrelirn
la via ilriia io vada f
e un tempo e triito^
lei campi ai lavar guardava iotenlo j
-ggìava co' s«rvi. Ed oggi é fama
da qud di che naviguli a Pito,
d'Ulii
-IjH ■ «iWkw-»"^^^
^é i'aslfggLÙ ro'tervi, ui dc^campi
PtA ni lavori guardò ; mi laspiMiido
SiiMlr, e piatiKi-nilQ, e alle scarna olia
S^arngge, ohimp' T inarrJiU cute.
GriD pi eli ile ! Telemaco riprcie.
■ flt litcianinlu inror per bre*! ùlintl
• KelU taa d'iella. Se in man aottn lui
~ H!, il ritorno a procurar del pjdrt
li TÌvolgercl>bG agni mhi cura?
, , )ni adunque l' ambaariala, e riedi^
l 'Ri a lui pe'cjoipi dWerlir; maialo
I Vriega la madre , cbe in lui vece al i
StcreCa imbaacialrice e frettoluM
La ffnerauda ecDiioma destioi.
belLo roil, eocìlullot ed ei voa m»
Prtfi i caliarj ■ e ■vvìutiaeti aj pi&lii
Eubilan-rureitta citià tendca.
Vfm parti dalla italta il blion EUslodei
Gh« r armigera Dea non le nr addette
SceEf! dal del», e lomigliante ld vista
A bella e 6"i"le , « 'le'piil I'l^I lavori
Femmina esperla , il ttrmò alla porta
Del padiglion di coolra, e a Ulisse ap
Teleuiaco non lidelai che a lutti
Hon li moilran el* Iddìi. Tidela il p*.
E i ma'lini la videro, che a lei
Non ahbajìr, ma del oorlll nel foodo
Trepidi li relaro e guaiolanti.
Ella accennò co' lopraccigli , e il pidr
Nrlla corte alla Dea, che li gli diue:
(> La>rz(ade generoto e accorto.
Tempo ì' die al tuo Bgliuol tt. ti pale
linde, sleitninio mcdilarido ai Proci,
Moviate uniti alla città. Vicina,
£d acciiila a pugnar , lotto m' avrete.
•9S
VM. ta reco circondargli a un tratta
VNti le membra, b il corpo farai
^ande e più rabaato, ecco k guance
itai, e già ricolorani in bruno
'■Exurro tirar sa per lo mento
i «he parein d'argento ìu prima.
Dea apari, lìeutrù Ulisse! e il Bslio,
taraviglìa preso e da terrore,
«|1i igirardi, e poscia, Ospite, diair,
1 da quel di prima or mi li niottri,
panni tu vcsri, ed a te stesso
■ini tornigli. Alcun per tèrmo sei
•bitanti deir Olimpo. Amico
dine, acciò per noi vittime grate,
i »' offrano a le doni rcll' oro
n loop alcun degl' Immortali, CItMa
rifpondea. Perchè agli Dai n' *ggaa|II F
padre ie ipn ■ quel per oui tanta (offiri
toa freaoa ctk aciagure ed onte,
li dicendo, baciò il figlio, e «I piàsto,
ianlro gli occhi avea collantemente
sto ain qui, I'' uidta aperte,
aaco d' aver an gli occhi il padre
ere uKur non sa. Ho, replicaTa,
t tu. In il genilor bod aei,
per Maggior mia pena, un Diamlngnaa.
SOM oprar noD Tale nom da ti atcaaO|
meatier che a auo talento il voglia
ovaDÌre od inreochiarlo un Rnoe-
io i capei teatè, turpe le Tealì
ed ora un Cellcola pareggi.
lemaod, ripreac il aaggioeroe»
per TBritade a te a* addice.
repoaiiedii
vifii* dalai
ifiU dalai tnmaapnratot
Si, quello io lon, clie dopo tanti afT-mni
Durati' e Unii, nei vigesini'' anno
La mia palna rividi. Opra fu i]uesU
Della Tnlonia bellieoaa Diva,
Glie qual più aggrada a lei, Ule mi rormi
Ora un canuto meadicaolA, e qnando
Cionne con bei pauoi al corpo iulorno:
Perù che aliare un de' morlali a) ciclo,
Q Degli abiiii porlo, è lieve ai HumL
Coti detto, E^a»i«e. Il figlio allora
Del genitoc a' abbandonò sul colia.
In Ijgrìme icopplando ed in sii^bioai.
Ambi un vivo desir aentfan del pianto :
IfK di voci >ì Dubili e itridenti
JtisQnai a'' ode il Baccheggiata nido
D'aquila o d'avolt(()o, a cui paitore
Bubù i GgUuoli non aueof penaati,
Come de'pianti loro e delle gridd
Miseramente il padigllon aaoava.
E già pliignciili e siispirosi ancora
Lasciati avi'iall, tramontando, il Sole,
Se il figlio al padre non dicea: Qual rive,
Padre, qua Li candiiue, e quai nocchieri?
Certo in Itaca il pie non ti portava.
Celerò iJ vero a te? l'eroe rispose.
I Feaci sul mar dotti, e di quanti
GiuDgouo errando alle lor piagge, induitti
fiiconduttari, me su ratta nave
Dormendo per le satge onde guidaro,
£ in Itaca deposero. Ui fero
Di bronzo in oltre «d'oro e inteiti pamùf
Bei doni, e molti, che in profonde j^rotU
Per consiglio divio giaecionmi aacosu
Ed io qua venoì al Bo, teco de* Proci
Nostri nemici a,divisar la itrage.
Con l'avviso di Pallade. Su via,
Contali R a», ai eh' io eoaoic», qanBti
tino STI 497
mhIbI fonOf e quali, e nella mente
bri, le contra lor combatter aoli^ ^
in aiuto chiamare altri convegna.
padre mio, Telemaco ripreie,
» tempre ndla te celebrar la fama
sUicoso di man, di mente accorto:
!a ìA cosà dicesti or gigantesca
otanto, che alta maraTiglia UemmL
ne soli battagliar con molti e forti ?
on pensar che a una decade, o a due folf|
iontin: sono assai più. Ginqaantadne
ioTanl eletti da Dalichio uscirò,
sei donzelli li seguiano. Venti
e mandò Same, e quattro ; e abbandoaaro
enti Zacinto. Itaca stessa danne
odici, e tutti prodi; e Vha con essi
[edonte araldo, ed il canlor dÌ¥ÌnO|
due nelParte loro incliti scalchi,
i affronterem con questa turba intera,
he la nostra magiou possiede a forza?
emo che allegra non ne avrem vendetta*
e rinvenir si può chi a noi soccorra
lon pronto braccio e cor dunque tu pensa*'
Chi a noi soccorra ? rispondeagU Ulisse,
riudicar lascio a te, Gglio diletto,
e Pallade a noi basti, e baiti Giove,
ì cercar d^ altri, che ci ajuti, io deggia.
E il prudente Telemaco : Quantunque
liedan lungi da noi su l'alte nubi,
lessun ci può meglio ajutar di loroì
]he su i mortali imperano e su i Divi.
Non sedrran da noi lungi gran tempo,
1 saggio Ulisse ripigliava, quando
>ara della gran lite arbitro Marte,
tfa tu il palagio su P aprìr delP alba
Frova e t aggira tra i superbi Proci.
Ile poi simile in vista ad un mendica'
Hi verrà ~^D tM re atH^M
Soffrjldi E dove ancor lu mi v«
Tnr per li più furor della togl
D' acerbi colpi far, lo xlegno al
Sul di reasar dalle follie gli eiorl
Parole mando di mele coDapers<
A cui Don badcran: ptrb i^he p
L' ultimo lorra lor giorno fatali
Altro dirotti, e tu fedel cODierv
Kel tuo petto ne fu. i>ci tu mio
Scorre pei le tue tene il sangui
Noji odi «IcuQ ili'è in BUA magi
E né a Laerte pur, nò g| fido f
Né alla steoa Penelope, ne Teo
Noi eoli apìercm, tu ed io, Ping
Bell'ancelle e dc'iecvi ; e Tedre
Sua) ci lilpetti, e nel bdd cor <
quale a ne non guardi, e te
Benché fiior dell' infaniia, e no
Padre, ripreie il giovinctlo il
Spero che me conoscerai tra pò
E eh' io né ignavo ti parrù, né
a troppo ulitc a
Cicdo,
a fura ;
Vagar dorresti luDgaii
Visitando i lavori, e ciaicuD sei
Tentando ; e intanto i Proci en
Beo tastar puoi delle fanteiche
guai colpevole sia, quale ianot
' '' ' ìnvcatigar pe'' (
Ma de' fan
, aatar. ._ , _ _
Segno ti die l' Egida rm sto Giove
Mentre ai fean da lor ifuésle
Li iia?e, che Telemaco e i comj
uno jcn
idotll «fM àk PUo , alla citUde
nise. e nel |>orto entrò. Tiraro in secco,
tbili terri e dÌMmaro il iegnO|
di Clito alla casa i preiloti
ni* recaro delì^ Airide. In oltre
«e no amido alla mlBigion d' UIìsm
ntundo a Penelope che il «figlio
* campi tuoi ai trattenea, perch^ella,
rto entrar aenxa lui nel porto il legoO|
BDOTo pianto non bagoasse il volto,
nido ed il paator dier Tno nelP altro
1 la atfssa imbasciata entro ì lor petti,
pria varcar della magion la soglia
I il lianditor gridò tra le fantesche :
ila, è giunto il tuo diletto figlio.
I il pastore a lei sola, ed alP orecchio^
^ tutto espose che yersato in core
lemaco gli avea : quindi aJle mandre
Ornare affrettavasi , V eccelse
le lasciando e gli steccati a tergo.
la tristezza e dolor P animo invase
'Proci. Uscirò del palagio, il vasto
lile attraversaro, ed alle porte
!ean davanti. Amici, in cotal guisa
imaco a parlar tra lor fu il primoy
«3, che dite voi di questo, a cui
e ai poca ciasphedun prestava,
^io di Telemaco? Gran cosa
o, e condotti audacemente a fincv
rien nave mandar delle migliori
buoni remiganti, acciocché torni
Ila di botto che agli agguati stava.
offerte non avca P ultime voci,
Anfinomo, rivolti al lido gli occhi|
egno scorse nel profondo porto,
litri inteai a ripiegar le vele,
. i remi a deporre, e, dolcemente
A licenda tcdean gli esplorator
Poi, dato volta il Sol, la Dotte a
Hai non paisammo, ma au ratt
Stancavam V onde bìdo ai primi
Tendeado iosidie ni giovaae, e I
Preparandogli eccidio. E non i
Nella sua patria il riconduce u
Canaulltam dunque, come certa
Dare al giovane qui. Speriamo
La noatra impresa maturar, a' e
Ch« non gli falla il senno, e a I
La gente, come un dì, più non
Hon Jiapettiam che a parlamenti
Gli Achìvi tatti, rè crediam cbe
Si mottri e molle troppo. Ardi
Ve^olo , *, «orto ir -■" -■— -'
Il gli ordivai
Frereuìrlo è mestieri, l
Della cittade spegnerlo,
Non piace forte a Toi I
M
Ai doni, U Regina impalr
rimmutiro a calai voci. Al Si
n lor écV? Areziade NI
i prole, AnGnoioo, che, dace
■ compctUor cbe dal ferace
ìa uscirò, e di più aans mente
ÌTali dotato, alla Regina
le ogni altro agiadia co' detti buoi*
diue, troppo forte impreta
if« a£btt« BB rad pme. I Nni^ ,.
dÙHMia la pria. Sul dì Gmwa
fl mkr r fibrati il oolpo io tUMO|
• gU allfi animar j doT*cì dep^
kBcnta, fo vi eoluiglia tUrri '
Amio il Qglio, e non iudirno*
Iti, e rìeotrlr Dell'* ampia «ah,
a i Mggi nitidi poiaro.
la catta Penelope, cbe adito
ler bocca del fedel HedoDte
Ul rischio del Bglìuol, coniigUo
di oomparire ai tracotaoti
liTaiite. La ditina doona
eli' erma itanza; e con le ancelle
aitar delta dedalea lala
I, e adombrando co^ lottili veli,
pendeii) dal capo, ambe le guance
>o lampogniva io qneiti accenti:
IO, alma oltraggiala, e di iciagure
inator, nella cittì y' ha dunque
t gii eguali tuoi primo lanUrti
ggena oii e per facandia ì Tale
«ai non foili. Inaano I e al par elle ilUW
>, cbe di Telemaco alla *itt
e DOD curi i (upplici, per cut ,
dair allo >i dichiara- l|noto
.ti fj aio qoi, che faggltiTOi
iptnv», e abigottito un ^iiuk
3o9
Il ps^re tuo, rhe ile'Tetproti a danno
Co' Tal] pri-dalor gVra congiunto?
Koatri amici rrao quelli, e. parlo a morl^
Volgano, il cor voleao trargli de) pptlo, T^
Non che i suoi campi disrrtar: ini UlifM ]
Si Ictn) M frammiici e, henrhìi ardrnlì,
Li rtlenca. Tu di quest'uom ti
Kuini (■ diionori; la coniorle
Ne ambìici, uccidi il lielio^ e me nr\ fon.
Sommergi ileltc cure; Atil t-eua, e agli oltril
È da te, r
Figlia illuitre cricàrio, a lei rispose
Knrìmaco di Polibo, fi corr
E sì triiti peiisier da le di»
Non è, non fu, non sirn tosi diì ardila
Contra il tiglio d'Ulisi ' '
He TITO, e CD» quFEli occbi in froule ajjeil
T)i coteitui, rosa uon duLbia, il agra
Meli disttuttor deìle citta.ti Ulisse
Tolte non rado suvr^ i suoi finocchi .
Le incolte carni ìirVn man mi pnsr,
L'almo licor m''->{{n. Quindi uum più
In non ho di Telemaco, e non voglio
Cbe la morie dai Proci rgli paventi-
Se la mandan gli Dei, chi può ■cgniparct'B
Cosi dicea, lei - ■ ' *
L'ec<^idia del GrUuoI gli
slava in core.
Ha ella .aUe alle .uè sia
i.ze, dove
A lagrimar <i dava il >u.
Pinrhè, pfr tregua a tao
ti affanni, ui
Sonno inilutle l'ocrbigla..
e» Palla.
Con lanoMe rompavve
il lido Eumi
Ad Ulis.ee a Tclemaro,
che. pingue
SagnBcalo ai Numi adiil:
In porro.
Lauta se f\c aWrsMao ccv
,s \« o,v«\ ^\w
Se nun .Aie VaWt. a\ V.0.1
eiiM^e »^\;\s
into XTI 3o3
lai della <aa v^gt tocco ,
hiezxa il ritornò di prima ,
ì auoi cenci ; onde il pastore
lase in faccia; e, mal potendo
I cor la sabitaua gioja ^
anzio a Penelope non gisse.
;a il buon pastor ! così primiero
parlò. Qaal corre grido
rk? Vi rientraro i Proci?
iou sol mare insidie ancora ?
li gli rispondesti , Euméo :
a questo io non avea , passando
dini : che portar V avviso |
redir , fu sol mia cura,
reenni al banditor, che primo
indo alla Regina. Un'* altra
quando la vidi io stesso.
il monte che a Mercurio sorge ,
e signoreggia , vidi ,
te scendere nel porto
mini piena, e d^aste acute
i scudi. Sospettai che il legno
Proci ^ ne più avanti io seppi.
ci Telemaco sorrise ,
rdando il padre e gli occhi a un tempo,
e sch vando. A. questo modo
ni opra , e già parati i cibi ,
lal parte in questi ognun godea»
1 lor desio più non richiese »
al 6n tutti, ed il salubre
>oono ricettar nel petto.
LIBRO DECIHOSETTIHO
AtTiTo prima di Telrmaco ali» cttli
d'' Dli'ise accompagnato da Gumco. I
tnaiiltalo dai caprajo M^lauzio, e ricor
alle porle del palazzo dal vccdiio cani
che ne moorc dì gioja. Entrato nella
forma di vecchio mendico, va intorni
tandojC Antinon lo scaccia superbami
■è, e uiio egabello gli lancia coolro.
pe gli fa saper per Erime'o ehe derii
{lartargli. Riapostit d' Uliase.
i. osto che aperte del maltin la 6gti*
Con rosea man 1* eteree porte il Sole.
Telemaco , d'Uliue il caro geriìie.
Che inarharsi Tolea , sotto le piante
S" awiDac i bei calzari , e la nodosa
Laocìa , che in man ben gli V attiva, I
E queste al suo paslor drizza parole:
Babbo, a citlade io vo, perrfae la ms(
Veggami e ce>BÌ il doloroso pianto,
Che altramente cessar, credo, non p
Tu riofelice foreitier la vita
Guidavi a mendicat; d'un pan, d'un e
Nappo a«iv msiwìiM» Ai \ti «<»mU
5o5 \
W'^
UB»o xtii ^^ ^,0^ Vice
^^"*' • A\e^ i^^^ ^^ \ - «nomini*
cam*»»^ Wetc , offe n<Vr r»^"»"'
♦ft non nretc, ^ poso,
'*"* .om' *H«'° '*' V e mali
ioaco 8cnt presella ^^^^Tv
^a t»f '"^^ 'f ^en fondato a^*"*^^" -a
r asta e arp;gf i^:^^^^^^
« in ca«a, »« / ;\ vide
'"'ao peortrb. P","!'*; polite
atido , l"' . , '^ clic «e v^ .
" ";« n«t» 'l^"'' »'*=f véne r pari ,
,tt»l>t» "*;' e «IV »»«» ^*i caro
vi » »»"• b!ne\ope . «^* !,„ ,\ cotto,
3o8
Vfniitl adunque I ia aoa atdeu piàri
Fissare in t^ daeebè udb ralU tiXTR, y
Contra ogni mia detir, dietro alla faia*
Del efnilor fiirtL*amente^a Pilo -:
T' addusse. Parla : qnslc innontra STté
Uadrc, di*! grate [isdiìo ond'io oamf
Replicava Trleiiinfo, il doinrc i
Non cinnorarrni in patto, t lo apaieatn
Ma in allo HJi fan \b anrelle : quivi
Lavala e cinta d'una [lura veitr
Le mrmlica delicate, a tutti ■ Numi .
Ecatombe Ipgiliini» prometti.
Se mi cans'nte il . end i ranni Giore. ,
lo per un d'guo forestìer elie Tenne (
Mpo da Pile, andrò »1U pì:iii.. Un^té
Co'' mici Gdi compagni io la ape^ii, ,
E comniiik a Pireo, che in atta nia|;)(Hi4
L' introdiiwae e tino al mio rilorna J
Cnn nnore il tralUase, e con aifeUo.
Penelope d' intègre a tutti i Maini '
Ecalo
uibe TotaTui
U, OTB al figlio
Il .<■!
ndicarii con.
lentia se Giove.
NET.
<cir fuor del palagio
Molto
Urdi')! Vi!
Ita gli empiea la man»,
EH».
'. bianchi il
-.eBuian oa..i fed-li.
Stupii ciascun, m
entr'eiointATa il pane
T^lB
lui Palk diffiue.
Gli
Iteri Proci
ataTangli da questo
Lato.
e da qu«l,
TOfi parlando amictot.
cor fraudi 00Ti|«dB>
Man.
;l profondo
Seno
n eh' ei tDsl
Ioli »cìogliea (!a,DHÌ,f
Eia,
doie.Kdea
Mentore, dora
àntif.
) od Aliterai
Gliei
■an oompaso
i' dalla 7nra»'«t«l«>i
Ape
axtÌKii^y
>¥W\Ìl' qvù om* ...
vmo xfìì lo^
i^dimandira. Sopn^ginnie intanto
k>,*]ancia Aidiom, il qual nel foto
h cittAdr il foreitìer «lenava,
ni %* «ko Telemaco f i^ oKene.
osi primo favellò Pireo;
emtcoy farai che al mio soggiorno
igtD le donne tue per que* aoperhi
li onde Menelao U fu corifse.
I il prudente Telemaco : Pireo,
Ito e ancor di quesl^ cote il 6ne.
i Proci, me accretamente anciso,
io diTtderausii il mio retaggio,
sa, che alcnn Hi loro, io di qae^ doni
che tu goda. E dove io lor dia morte,
ie lieto recar li potrai lieto,
^isse^ e guirlò nella sua bella casa
»spite sventurato. Ivi, deposte
ra i troni le clamidi yellute,
ser nel bagno; e conn* astersi ed nnti
le servili man furo, e di manto
;o e di Taga tunica vestiti,
i ricchi seii^gi a collocarsi andaro.
[uì r ancella da belP aureo vaso
issim^ acqna nel bacil d^ argento
raava, e stcnilea loro un liscio desco,
cui la saggia dispensiera i bianchi
li venne ad imporre, e non già poche
Ile 'dapi non fresche, ond** è custode,
lelope sedca di fronte al caro
;lio, e non lungi dalle porte; e Qoi
Ili purpurei, a una polita sede
ggiandosi, torcea. Que"* due la destra
Mideano ai cibi, ne fu pria repressa
&me loro, e la lor sete spenta
le in tai voci la madre i labbri apriva:
, figlio, premerò, salita in alto^
tei che divenne a me iii|ubre XcUo^
l
i
\
Dappoi che « ^^^, ,„gubfe ^,
a,i lo da 1'" " « tu DViW» * „
Con buon <'»?'='"° J, cui Teucc. e
. L'arsiva ^'^^U^'.' U""» »"'»'"
Cl„e.Veam.,q>'^ »^,,j^l,o. lo «-.o.
<;,>arta m' *^"^" . yUim- • "^ ""
«•■"»' •= 'trrtl IHlo uonùm .^
VoleJiig'»f".';i,e uialaccoila ce
1 ce.b.ulli .u" l^;, ^^„„ feroce,
T.IBI<Ì XYl 309
*Ttl coitoro tffrontasift ! Amare none
borali le loro, 'e It lor vita un pnnto.
guatilo alla laa domanda, il Re toggiuniei
Ciò raccontarti- lenza filande intendo,
Cbe un oracol veraf*e'>il mnrin v<*crIiio
Troteo sTclomii*!. AiseviraTa il Nump
Cbe nudUe e molle lagrime dagli occhi
Spargere il vide in loìifario scoglio,
Soggiorno di Galipso^ inclita Ninfa,
Che rimandarlo iiiega ; ond^ ei, cui solo
Noo avanza un naviglio -e non compagni
Che il carrcggìn del mar sn P ampio dorso.
Star gli cunvien dellii sua patria in bando.
Ciò in Isparta raccolto, io n^ partii;
E un vento in poppa m^ invVaro i Numi|
Che rattÌMÌmo ad Itaca mi spinse.
Con tai VOCI THemacj alla madre
L^ anima in prlto 8t:ompi<;liava. Insorte
Tcooliniéuo allora ; veneranda
Della gran prole di Laerte donna,
Tutto ei già non conobbe. Odi i miei delti ;
Vero e intcgio sarà P orarci mio.
Primo tra i Numi in te.<>limonio Giove
£ la mensa ospitai cliiaino ed il sacro
Del grande Ulisse limitar, cui venni :
Lo sposo tuo nella sua patria terra
Siede, o cammina, le male opre ascolta,
E morte a tutti gli orgogliosi Proci
Nella sua mente ftemina. Mei <! s^e
Chiaro dal eit lo un volutnr, rli^ io scòrti
E al tuo 6glio uio.strai, sedendo in nave.
E la SJggia Penelopr : Doli cpiento,
Oppile, accada ! Tali e tanti avresti
Del mio sincero amor pegni cbe ognuno
Ti cbiameria, scontrandoti, bejto.
Mentre cosi parlando e rispondendo
Di Jeatro ìtau la madrf| il é^lio e il ral^i
Ih, viUm V ■ «
Gli alteri Proci *Ua ma^^ion d*Tint«
Uisclki lanciavan per ililcllo e lUcdì .
Sul paviiDeatn lavoralo e terio,
D«lla baldaiua lur salito arrlugo.
Ma giunU IVa della menu, e «ddotlA
Le vitlìine da tulli intoruo 1 cunpi,
M«>lonL>, che nel genia li Proci dava
Più rheHllroin ù-a gli^iraliti, e ai lor b«nrheU
Sempre luiUtea. Gioiani, dìiie, quauJu
Goàttlr ornai de'giothi, enlrar v'aggtadi,
Sì che il conviviu i} tinbandiica. Ingrati
Coti DSD panni il condiva» al tpinpn.
Surtero iinmanlinenlp, ed alle voci
Del baoditor uoii rcpugo.iro. Entiitì,
DppaMTr ni le tf die ■ mirili laro.
Pingui cipre ncannaTinai e i più grandi
Montoni e groui potei e una bueua
Di branco; e il prandio t'appreatava. E uilaoU
Dai campi alla cittide ■aaard''ua nauo
Preparavano Ulisse ed il pastore.
Pi'jii favellava EuiuL-a d* uomini C^po :
Però che gravi aan l'ire jde' grandi,
MaTÌaiu:)ttà vedi che gcemata é il eiaroo,
E iiifredderì pid l'aere in yèc la >era.
T»i cose ad uoiii che non le ignora insegni,
flipigliò il Laei-zlide. £bben, moviamo :
Ma vamiDÌ ÌMiianiii e <lk, le da una pianU
Il recìdesti, un farle legno, a cui
Per la via, che malvagia odo, io mi regga.
Dime e agli omeri suoi per una torta
Corda il luo rotto e vii Mino aoipeae,
K il bramato ballon poriegU Euniéa.
(^uiadi le alalie abbaudooir, di coi
• l'ftÉiUli agwrdU • i anrf. '
Ift-dMà Mita K» CoriM >
. !
ni ]iwlsiM«<eoBÌè-meiÉbra ' ■ ^-
.1
ti p\à tnvpi • il;^iW9 Re «trito - ■
D pattore «llor guidaVa. '
Dia il'tentiero aspro,'- «lift 'èitttdo - '
icìai> ed apparfa'la bella^
ignea claae«ii, IbslewartefiiUai
para tra Perbe onda ToWea. • ;
erta tra Règit Haco prinn^- ■
oe FoTittore. Rotondo > •
■nidosi la corcfaiaya an- boMio^ • •
idea Ponda^da un taaso^ie toprm '.
vi topgea tafro'aUe Nidl^,
fa preci il viandante e donL
olio il 6gliuol, Melanxio^ -in toro
&: rooducta- le- capre, il fiore
e^ ai Proci $ e il seguian due pattoff.
Pfwna, che bravolli e indcgae
loro e temerarie voci ,
t commovean d^ (Jliaae il core.
ea cbe un tristo a un tristo è guida,
orma, indi gli accoppia. Doto •
:|uel ghiottone, o buon porcajo,
dico importuno e delle mense
e a molte signorili porte
si gli omeri, di pane
ledendo, non treppiedi o conche?
Italie a custodir mei dessi
irmi la corte e armici capretti
molle sd arrecar, di solo
ere ingrosseria ne' fianchi.
D solo alle tristi opre intese,
r non varrà, vorrà piò presto,
in porta domandando^ un'tentro
laaalabile. Ma senti
3fl ODItSBA
Cosa dia certo «y venir dee. 80 ali* «Ha
Magion i^accosterk del grande Ulisse,
Mulli igabelli di maa d^uum lanoiati
Alla ava tc»U voleranno intomo
E le cotte trarrannogit di loco.
Ciò disse ed appr^ssollo e nellf cotd
Gli die d^un calcio, come stolto ch^era,
fké dalla via punto lo smosse! fermo
Bestaya Ulissp, ? in sé Tolgea se V alma
Col nodoso boston torgli d^ytisse,
O in alto sollevarlo^ e su la nuda
Terra gettarlo capovolto. £t V ira
Contenne e sopporta. Se non ch'.Eam9fl
Al caprar si converse e improverollo|
£i levate le man, molto pregava :
O beile figlie delP Egioco, Ninfe
Nàjadi, «e il mio Ae v^ arse giammai
D^ agnelli e di capretti i pingui lomblt
Empiete il voto mio. Rieda, ed nn MuoM
La via gli mostri. Ti cadr la, caprajo.
Quella superbia dalle ardite cielia,
Con cui vieni oltraggioso, e si frequente^
Dai campi alla città. Quindi per colpa
De^ cattivi pastori a mal va il gregge.
Oh oh, Melanzio ripigliò di botto.
Che mi latra oggi quello scaltro cane,
Che un giorno io spedirò sovra uoa bruì
Nave dalla serena Itaca luuge.
Perchè a me in copia vettovaglia trovi :
Cosi il Dio dal sonante arco d^argento
Telemaco uccidesse oggi, o dai Proci
Domo fosse il garzon, come ad Ulisse
Non sorgerà della tornata il giorno !
Ciò detto^ ivi iasciolli ambo, che leaU
Moveano il piede, e, suo camnin segneni
D^Uliss^ alla magion ratto pervenne»
Subito éotran t i^aMÌdea ir* i Proci
M rinpelto ad EnrioiAoo ^ che tatto i*
Sra il tuo. amore ) ne i donteJU «ocorti-
B la solerte- dupeosiera , ìnnaDiì
Un lolo utante «^ indugitro a porgli
Qu^i parte delle carni , e i pani queita.
UlÌMo ed il pastore al regio albergo
Biangeano intanto. S^ arresterò, udita
li' armonia duloe della cava cetra :
iChè V usata canaon Femio intonaTa*
Tale ad Kuméo , che per man prete, allora
Vavellò il 'Laeraiade i Euméo , d^ Uliaie
È bella casa ecco per certo. Fora ,
oebé tr^ molte , il ravrisarla liere.
Ii^ un pian su l' altro monta , è di muriglia
Cinto il cortile e di steccati, doppie
Sodo e salde le porte. Or chi espugnarla
Potrfa ? Gran prandio tì si tiene , io credos
Poiché Todor delle TÌTan(l«; sale ,
X risuooa la eetera , cui fida
Toljer compagna de^- conviti i N'unii.
E tu cosi gli rispondesti , Euméo i
Facile a te , che lunge mai dal segno
Ifitn yai , fu il riconoscerla. Su yia ,
Ciò peuiiasi che dee farsi. O tu primiero
Entra e ai proci ti mesci , ed io qui resto ]
tu rimani , e metterommi io dentro.
Ka troppo a bada non i:itar : che forse y
Te yeggendo di fuor , potrebbe alcuno
Percu'tterti , o scacciarti. Il tutto pesa.
Quel veggio anch^io che alla tua niente splendej
di replicava il paziente Ulisse.
Dentro mettiti adunque t io rimarrommi.
Muovo ai colpi non sono , e alle ferite ,
IFAa costanza m^ insegnare i molti
^''^ r armi e in mar danni sofferti , a cui
*^esto s^ ag!(i ungerà. Tanto comanda
^ hnn iuvitta dellMu^ordo ventre |j
I
per cui ralant? P uoin <jura etiche,
Dell' infrronilo mar purlan sn i campt.
Casi rlicmn Ira lor , quaiiito ATgo, ìli
Ch'alvi giaqfa , (lei piiVente 11 line , ,
La testa , ed anibn solleva gli orecchi.
Mulrillii un gicrrtio di ma watt V prix!,'
Ha FÒrae, spiata dal suo falò a Troja,
Poco fruito potè. Bensì condurlo
Centra i lepri ed i ceni e le silvcilii
Capre »ole> U gìoTentù robusla.
HegUtlo aliar giacca Del tnollu Gmo <
Di muli e buoi sparso alle porte innaia
Finobà, i poderi a fecondar d' UlisH-,
Hel togllciBcro i servi. Iri il buon cane,
I]j tii>pi secche pien ,' corcato alala.
QoBt'iCgli vide il tuo lignee più pretw ,
> E , benché tra qat" cruci , Il riroDoblie
Squaabb la coda leilrggiaiiiti} , ed ainhe
le orecchie , che driiiate avea da prim
Cader lageib > ma iocuntro al auo .isi.o
Muover, ■icccne un di, gli In dlsdelLn
Vlìiie, ri|tu>cdalolo, •''ailetae
Con man furtiva dalla gnaocia il piante
Celandoli da Euméa , cui disse tostò :
Euméo , quale sliipoj ? Sei fìnto fìace
Cotetto , che a me par cane lì bello.
Ha non so , se del pati ei fu veloce ,
O bulla valìe, coinè quei da mensa
Cui nutron per bellézia i lor padrooL
E tu coiii gli riipondeiti , Euniéo :
Del mio Ite lungi murto è questo il can
Se tal fosse di corpo e d' aiti , quale
^asciotl,, , a Troja veleggiando , Ulisse ,
Sì Febee a vederlo e si gagliardo ,
Gran marariglia ne trarresti : fiera
Kofl adocchian che UeHullo boico
B nel fondo , e la cu) tracou
t^av Or riafortuiiio ei aente.
:aGa ìuage il tuo padrone ,
'i lai le pigre àacelìe:
il padrone lor più luin impera.
|(i«<ad nm yop.l* ta>. vlrtnda^
>r« ^ gÌBD|4 il di Mnile.
I ,-tl -pie nal MatuoM ■Iberfo
tnlowi drìtbuqut^ *i Proci |
,' il fido un I potei* ella *i*t« . ,
jo dica anni a dicci Uliue,
■ Del «anno dfl)« uqrtecliiiite.
egregia Tclenwa fu tlprinit
jeue il ptitor oelU, ntpcrba.
.alo j e a iG il cbiainò d' uo cénDO.
ToUo d' ogni intorDo. il giucdo ,
> acatiDo ivi giacente^ dova
Ica lo ifiilco e le infinite
rtìre ai banchetUoti frocj.
ed a Telemaco di cDotra
I presto il de«co , e vi i' usliet
>, e paai dal caneitro tolti.
ivi a non molto anch^egli eatran
'cenci e nel batton nodoio ,
ienva il tergo , a un iafelice
r d' anni oarro. Entiatu appena ,
fraitineo limitar leJea ,
palle appoggiandoBÌ ad un aaldo
ipreuin , cui gik perito
%izl> a piombo , e ripoll con arte.
il piitor cbiama, e, togliendo
avea pana il bel caoeitro, e quudlL
■Jleiiia man capir potea,
gli dica, all'-Mpite tqnu,
Ii<l onuttA
£ gU conativla islie a oiaaenii de\ Proci
8' «crosti nl^ndil;Mldo. A cui i&el fendo
DelPiMopi«'case6 nuoce il pudore.
Aiidò^il pMtOr repcnle ^i allò ttranie
SoffcmaiMloii- io faccia, Ospite, diste,
Ci& i¥ manda Teléiaace , e t* raginvge
Che mendicattdio li preaenti a ognuno
De* Proci in giro. A cui nel fondo, ei dk
DelP innpia cascò nuoce il pudore.
E il Laerziade rìspondci : Re -Giore ^
Telemaco dal riel con ordiio guarda
Benigno si cMei nulla brami ind»rndj||'
Detto ciò solo, pirfse. ad ambe mant '
Ulisse il tutto, e colà -innanzi ai piedi
Su la bisaccia ignobile sei pose.
Fiucbè il divin' Demodoco cantava ,
Cibavasi V nom- saggio t al tempo sttsfo
L^un dal cibo cessò, P altro dal canto.
Strepitavano i Proci entro la sala i
Ma Palla, al figlio di Laerte apoiirsa,
V esortò i pani ad accattar dai rroci,
Tastando chi più asconda , o men tristi
Benché a tutti la Dea scempio destini.
£i volse a destra , e ad accattar da tolti
Gio , stendendo la man , come se mai
Eserritito non avesse altr^ arte.
Mossi a pietade il succorrcano , e forte
Slupjano, e domandavansi a vicenda,
Chi fosse e d^ onde il forestier veniste
E qui Melanzio, Udite, o dell' illuslr
Penelope, dicea . vagheggiatori.
L'^ospite io vidi, a cui la via mostrava
De^ porci il guardìan : ma da qual chil
Stirpe disceso egli si vanti, ignoro.
Guardian famosissimo , Antinoo
Cosi Euméo rimbrottò, perche eosUii
Cuidaali. alla alla? Ci'jaanoaa f«irN
uno xvt 3i7
^«gabondanti paltonieri infetU f ' .
^«Ile mente flagrilo ? O, ch« d^UlÌHa. .
^i ti nu|ra ciaicnti , poco li otlc ,
»%i qucflto ancor, donde io non »q, chiamaiU?
£ tal rispoata ta gli fe^M, EafDé>:
^MP) .AnlinoOyaei ta , ma bea non parli,
ni nn forestiero a invitar mai d* altronde
^a, dove tal non sia che al mondq giovi,
&IRMS prof<*ta .o sanator di morbi
^ fiifllifo ìndustre in legno o nobil rata
Slfr.'le.noatr^ alme di dolci'zz.'i innondi?
JS^iic**-! invitansi 'ognor , non un mendico
^M ci coniiimi , e non dilplti o arrva.
Ma tu, 4 ministri del mio Re lontano
^ù, che ogni altro <le^ Proci e de^ miniitri
Me più| che ogni altro, tormentar non ceasi.
^on men curo io però , finché la «aggia
Penelope e Telemaco deiforme
tTivono a me nella magion d^ Ulisse.
Ha Telemaco a lui; Taci, parole
OD cangiar molte con Antiooo. C usansa
t)i coatui V assalir con aspri detti
Chi non Poffeiide, e incitar gli altri ancorai
t^oi, converso a quel tristo, In ver, sogj;iun8e|
Cura di me, qual padre, Antinoo, prendi |
Tu che P ospite vuoi si duramente
Quinci sbandire. Ah noi consenta Giove !
vagline; io, non che oppormi, anzi Pesigo.
La ma<lre d^annojare , o alcun de^ servi
Del^wdre mìo , tu non temer per questo-
Ma cosa tal non è da te , cui »<uIo
La propria goU soddisfar talenta.
O alto di favella e d^ alma indomo,
D' Eupite disse incontanente il figlio ,
Che parlasti , Telemaco ? Se i Proci
Slnel don cV io a^rbo a lui gli fesser tutti^
tarai aìjmeao ei dorrU tie lune iu ca^ai
l
SlB ODIHU
Dt noi lontano; p, lo sgabella prno.
Su cui tenea beando i molli piedi,
AUa in aria il rnoslrò. Gli atrrì cartel!
6li eran pur d'alcun che, ai cli''ei tron
3)1 carni e pani la bisaccia colma.
Ventre alla loglia, degli Achivi i doni
Ver fusUr, ritoroiia, ad Anlinoo
Si iecmà ionanci e diiie : Amico, nulli
Dunque mi porgi ? Drgli Achivì il prima
Hi tetnbrl, tome qoei ebr a Re lomigliii
Quindi, pii^ ancor, cbe ngli altrt, b te l'aJ
Largo mostrarti .- io le tue ludi, il giura.
Per tutu Bpargerb P immenia trrra.
Tempo già fa eh' io, di te al par felice,
Be41e caie abitava, e ad un raminga,
guai foEifl e in gitale alalo a me veniiie,
el mio largia; molti avea serri, f nnll*
Si ci& fiIUami onde gioiscon quelli
Che ricchi e fortonsli il mondn chiama.
Giove, il perche ei ne si, fitrui-^pr mi »o
Ei, che in Egitto per mia mal mi spioie
Con ladroni raoltivaghi : viaggio
Lungo e funeste, ^el^ EgllLo Gume
Permai le ratte navi, ed ai nompa^
Beitame a ^ardia ingianii, e quelPigm
Terra ire alcnni ad esplorar daU' alto.
Uà queiti da un ardir falle e da «n ciec
Desio portati, a saccheggiar h belle
Campagne degli Egizj, a via menarne
Le donne e i figli non parlanti, i grami
Coltivatori a uccidere. Volonne
Tolto il rumore alta città; né prima
L' alba ■''imporpora, the i cittadini '
Vennero e pieiio di caTilli e fanti
Fu tutto il campo e del fulgor dHPan
C«tale allor» tì fulminante pose
Dnir a fai» 4e' «m'(n«« Va -V**»
.)M»lr>
lìili fiol nf un
FW »ltra Egitl,
tUSO ItTll
sol fjr testo nnii osava: orcir
■ Ir p«rle,- e parte pmi, e ad opre di
"- OTuoqoB riiolgeami gii oe
-»■—.»»■ ìlj appalta. Ke consegnArO
'Ucnrrtnre JasìiIf, cbn in qaelle
■muto , fl dominava in Cipr
_ __, itrao ifi rriali, al fin qua v»
..di Biinio cosi d^ Eupitc il Bgiìa
sì falla I
in dosoo lui
e un^ altri
conobbi più impuderte e aq
riiW ■ ciMcun Tun dopo l'altro, <
Mcan per te la man atnin roniiglìo
À (rotta cndn- ogiit ritegno, doTc
M U.eopii e dell'* aUriii li Hnni.
rtAìrepBcavs il LliTiiailf
' ' ' slqunnta^^lla.sen
■uimn adunque in te .-,
creder patria ebe pur di uR
idietli
mode
IMWM creder pairu eoe pur a
h Mtpptìi»Hile tu daresti un Erani
. _ . . menia, tu cbe li
'«dirai »on sapeati e i
ttthrrit la SR.ibeUu, «<{ aiientallo ,
■U II punta detta delira >palla
se il tareillero^ Uliiw ferina <
,, ((oal rupe, né d^ Antinoo il oo
leln : henai tacila la testa
>I1Ò, agitinila la VPiuielta in core. '
Hiw mito fieoD, e a\ (i
Sit DDiìral
Fa>rUaV( rosi: Coniprtilori
Drll^ lUosIre heina, udir vi pitcnia
alt che il Qor dirvi mi comandi^. Dorè
Ve' campi, ppr la gffggifl a pct 1' urmcnta
riigonilo è r uoM feritu, il porla io ptcc. '
Me por la Iriita ed imporliiDS fame,
Gran fonte dì Hisailrì, Antinoo oflcsc.
Mi KB hi propÌ7J i Dei', m lii Parìe Dllriel,
Clii non 111 nulla, ridia sioiie il ^ariio ■
Pria, che quel delle none, AnlioDO ealgL j
t: d^fiunitc il Ogliuot: Tranquillo e anii
Cibali, o foreMiere, o qnlrii:! agomlira,
Acciò gli achiavi, poiahe lì rai-plli.
Per li piedi a le man te del palagio
Ncn Iraggan fuori, e tu pc vada in pr?il,
Tulli d' ira a' aecnero, ed alcuno ,
Mal, diise, fetli, Eupiliile, un tapino
Viandante a ferir. Sriaurato 1 S' egli
Dcb'ì abitanti deir Olimpo fotte?
Spejso li' fstrano pcUpgiino io forma
Per le citladi ai raggira un Nume ,
Veilendo ogni iimibiaoia e alle maWage
De' mortali opre ed alle giuste guarda.
Tai voci Atilinoo diipregiava. Inisnto
Della percDua rea gran duol nel petto
Telemaco oodria. Non però a tsrra
Dalle ciglia una lagrima gli cadde.
Sul crollò anch'' ei lacitamente il capo,
numinando nel cor Vaila vendetta.
Ma la laggia Penelope, rui giunse
L' aimuBiio in allo dell'' indegno colpo.
Tra le ancelle proruppe in questi aceeoll:
Deh cosi lui d' un de' suoi dardi il Kume
Dal famoso d' argento arco feriaea I
Ed Eurìnomc a lei : Se gf tminorlali
Fesaer pieni i miei votr, a un »ol de' Prari
flon puwtnttm \a. nuoV i\W ia ciela.
■irti . .■; aijl^
• rìpitwv ■■ ■■"' ■ •'
utvtu astiai ' ,.
r katàatfo abBoiìb. " .
ti- infHirp ' ■,:
In^hrtil uSno èolAoi.
*OHO.glV"<» . ,-
il j~ercuotP. _,
in qopll» lltiiie
. Ha la Regina,
V., gli dW« ,
io, ed a me Indi
1 c<i1lai]uio io >CCP
; mai i^oli gli occllr,
uom ni nssenlrit.
Rr tu, Rrgìna,
Si tal fiTflIa
l' ebbi e tre notti,
odiata nave:
i suoi B0.1Ì.
illailre vate
ti Gfììt a UlÌMe
I, dpl grande
i lì, cadendo
altro, a' taoi giooccU
313
ODISIU
'^
Ali'aviUma
iot. tesori add
La prudeuLe Penelope a
rincontro :
V*nae, eì a
me V invia, s
M io r as
Gli altri f
jor delle pirt
o nel pal^i
Trsilullin p
r, poseii elle
i>a lieto il.
Credono i n>ji.ii ddk lor
aoitanae,
Di cui .olo
UDÌ parte i le
-vi loro
Toce^no ; ed
eiii qui r ini
ro.giorm.
BanchetUn
aiilamenle, e
Gar del gr
Struggendo
dell' armea lo
e le ri co In
DelU raiglio
■ Faono una
trsES! né t' Uà un altro
■ . Glie .tto a &r.>.;.rU lia. Mt V eroe giù
■ E pi«Di con
Telemaco di tanti
■ Barbari oltr
endettL
■ Finito m
avea, che il
Elio ruppe
■ ]d un alto <
^rnuto, opde
a cua
■ niumù tutta
La Hegin. ri.
W E, Va, disi
ad Eumco, e
rri. e il m
Mandami. Starnutare alle mia voci
Rnn udisti Telemaco ? Maturo
De' Proci k il fato, né alcun Sa cbe "
db Kntt ancora, e in mente il serbi. (,
Verace in tutto ei mi riesca, i cenci
Gli cangerà di botto in vesti belle.
Cone il lido pastore e allo ttraniera
Standogli presso, Ospite padre, dine,
- Te U aaggia Penelope, U madre
Di Telemaco, vuole: il cor 1> af^uga
D' Ulisse a ricercar, benché sol dato
Le nbbian «in qui le sue ricerche duo
Quando verace li conosca, i cenci
Ti cangerà di botto in Te>li_ belle.
Cibo non mancherà chi ti largiaca,
Se tu r andrai per la tiltà chiedendi
Eumco, rispose il paziente Ulime,
^F LlB|io xvn 1»3
nb>, da me Dulia d<1 l'aro
rrUrà. So Io TÌ«nde appieno
Uli»e, con cui lorle i^i m'ebbi rgiiBle:
■
la lurbo dimoile de' Proci,
■
SDÌ del citi Sina alla IcTm valla
1
nU l'audace incotania, io temo.
«■ tMte, Dicnlr' ia gU lungo la sai» ,
n* oprando di mal, percotso io fui}
non pteveDoe il doloroso insuKo
Ummco, non clie altri. Il Sol cadente
i upettar nelle lue tUnze adunque
\ la conforla. Mi domandi allora
Il rìlorno a< Ulisse innanzi al foco :
(lehè il -seslild mio mal mi difende.
J
t il «ai, cui prima aupplicsnie io venni.
Die ToIU, udito queito, il buon poitorei
Penelope a lui, che già la soglia
a pie Tarcavft : Non mei Ruidi, Eiimeo ?
he pPDja il foresLipr? Tema dn' Proci,
Tergogna di si forse ocr.upollo?
Ui quel mendica coi riUen vergogna !
la tri coti U riipondeiti, Eumea :
, tome altri farebbe in pori stato,
'■np^rbi Khivar l'onte desia.
Bché it di oda. Cosi'mrglio voi
Irete rugionor lola con solo.
Brao senno in lui, cliiunqiie tU, dimora.
!i riprese: rbè sì nudaci e ingiuisli
uba l'intero mondo nomini allrove.
Euméo ritornò ai l'roci, e di Telemaco
riandò, onde altri noi) poleeie udiilo.
P orecchia vicin, Caro, gli disse,
mandre, tua riccheiia e mio soalegno,
eoslodire io .0. Tu su le coie
li veglia , « più sovra le «tesso, e penta
•
\t i giorni pasii tra nna genie ostile,
t,
iii^
.
=i»4 ■">'"■* .«
Cui prima, ch'ella nr<i, Giove diiperdf.
Si, babbo mio, Telemaco rispose.
Pirti, ma dopo il cibo, e al dì noTcllo
Torna, e vUtimc pingui adduci teco.
Tacque ; ed Edméa lovrK il polito s
HuoTami!ntR sedea. Cibato, ai campi
Ire afTrctlOMi, gli steccati addietro
LaacianJo e la magion d'' uomini pteoa
GozzoTÌgliaDli, cui piacere ÌI balio
Era, e il canto piacer, mentre »pÌegaTa
L^ ali sue nere eoTri lor la Nolte.
iJ
IRÒ DEaHOtTAVO
AMOOMBVTO
tento tra Irò ed Ulisse , che rim»-
ra. Penelope si presenta ai Proci
) insuUino gli ospiti , e che, aspi*
ozze di lei , in vece di offerirla
do il costume , divorino le sue
DÌ de^ Proci a Penelope. Sopray-
otte , Ulisse è insultato nuova-
la con parole dalP ancella Mel'an-
a Eurimaco , che uno sgabello |
:e Àntinoo , lanciagli contro.
nte pubblico sorvenne »
per la cittade usato,
tor , che mai non disse
ibo e per vin molto , Basta |
vederlo , ancor che poco
uore in si gran corpo fosse,
me Àrnéo : così chiamollo |
tacque, la diletta madre,
ini tutti Irò nomato
:olui che le imbasciate
, qual gliene desse il carco.
)pena , che sracciava Ulisse
sa ed il mordea co^ detti :
1' dal vestibolo , se vaoi
Gli'' io non li Irajgi fuor per un de' piedi.
Kon rc-rfi I' aininirear , perch'io ti traggi,
L>i lullL » DicF Pur Di'' arroiii«eo e Btiiuig
ila letati , o cIIe preie io con te >F°ns.
Bieco VWenf gUatollo, r, Scijgaralo,
Hiipose, in npri io non t' ufrenilo d in m
T' insidia io punto. Qiicìt* inglii eutnnl
Ci eapirìi. Tu nqn dovreati Doja
D«t mio brne lentir, tu, riie un mfndicg
Hi Muibci at par di me- Di«pen»tori
Delle rirchczie all' jom lano r Cdnli.
InritiirDii a pugnar koq li consìglio,
Onde ìmBaniiniito, bencUè VECchia , il' in
Le labbra io non t' insanguini ed il peltQ.
Più guai tranquillo io ne aarei domano:
Cbè sili migion del Gglio di Laerte
Bilornò lar tu non potresti, io credo.
Pub, sdegnrita il pezieote Irò riprese,
Più volubili i detti a questa ghiotto
Corrono , e ratti più , che non a Tecchia
Che tempre al focolar s'aggira intorno.
S' io i(uc»le man poagogli addosso , tutti
Dalle mascelle, come a ingordo porco
Entralo fra te biade , i denti io schianta.
Or bene, un cinto senza più licuoprt,
E qnrsti ci cnnoscano alla cuena
Che tosto
C.>sì sui liscio limitar delj^ alte
Porte gartian d'ingiuriati molti. *,
ATTÌinssene Antinoo e , dolcemente
Ridendo, sciolte tal parole: Amici,
Nulla di sì gioconda a questi alberghi
Gli abitata:* dell' etra uuq<i> mandato» :
Si biiticcian tra lor 1' ospite ed Irò ,
E Bi'a l* '"*'* faimniwiaMtfi. Su ri».
tlB»0 XTlll 3lj
Wtotta laceeDiìiinìi anrora.
tk*TO, mite risa dando ,
tnccionl l'afrallaro intorno.
ft coùi Nobili proci ,
Gnsier mio. Di que' wnlrrgU ^
di langue e graiso enipiu
kn per la fuliirn cena ,
fpiu vorrà chi vince , e quii
Hro convito i parte siaj
^noi a' aERiri altro cencioso,
«me a tutti. Ha l'accorto erocfi
atìan le asluile, Amici, dìsie,'}
Ifli anni e dai dliastri roUo
tt pugnar non panni bdlo.
■pisge imperlota fame. ■ '^ ■■ ■'•
■rate almrn che nciiano. Irò '
r, ne della nao ^ijliarda
L, male adopTando: troppo
^bbe aliar duro il cimenta.
. E di Telemaco in tal gulia
ioaia favellò: Straniero,
er coitni ti detta il core?
: uè alcun temer de' Proci.
k percaotere , con molti
ere avri. Gli ospiti io euro,
la non cpn danna» certo
ed AntinoD, ambo prudenti.
eiaicuno approvò il detto. UlìatS
tolto , e de'sDoi panni nn cìnto
e nudi ì lati omeri, nudo
gran petto e te robuite braccia ,
Sanciti HiicDpri! Minerva, '
ai icpie dall'Olimpo, lotto
al pntor le membra crebbal'
Proci firmmrate, e aleoao
, Tclgeiidoti al Ticino < -
E, ili >tr.ccUr9! crudi, <
Bulli gli ivclli genitali il
Un Ircmorgli entri ja e
ì : dubilava
coti dar gli
br«v ^riiw gay
Fri Teilibola fuor tlnn >lta rorlp
E ■ll'eDtrala itcl pnrticn. Ciò Ihtlo,
Col doHn al muro l'apnofiRiù gli poi6
Baatnne in mkiin e. Qui, gli disic, or liedl '
£ loccia dal paìayia i raol e i ciacchi j ;
Vi pia arrogarti, così vii, qiial aei.
Sii gli Dtpili doiainio e lu i mendichi ;
Che un' altra Tulti noa t* iiicoalri paggio, i
Goal dicendo, si BÌttava inlornn i
Alle spalle il tuo Eaino, « al limitare ;
BylDrn»M e s«<le»TÌ. KIcntrarQ
C[>n dolce riso in in le labbia i Proci, .
Ed a lui blande riVolgean parolet . ^
OipiU, GioTB a te coti gli altri Numi ,
Quanto pili brami e t' è più curo inviii
A te, che U città smorbasti a un tr«U« '<
Di qucitn ìiumlabile accalione, ' /,
Che ad Ecbelo. degli uomini flagello, :
Tri poco andrà su gli Epìroti Hill. .
Cnij parUri>; e deir augurio Ulia«e
Gtiea Dpiralma;G Antiiioo uu gr^ia Tentrigli*
e Anniioma
:a taxxa, Sai
Ueti Bcorrauti aloenu i di futuri.
inUiionia, Teroe scaltro rispose,
D'inletiilinicnla e di ragion dotato
li ti-mbri , e ni qupato tu ritrai da) padra.
!>:< Nilo O.ilirhii-nae. ond'io la fama
''"Ilare udia, buono del par, che ricco,
■'< cui diconli nate j e fede ancora
■ Kc fa il [uo aconn. e le pnrole e gli atti. ,
, '^ te d»D<fue io favello, e tu ì mipi detti
"iccti e Mtba in le. Sai lu di luanla
SBO 0D1UIA
Spira e passeggia <a la terra o serpe , |
Ciò cheaimondo havvidipiù infermoFÉ PaOBW»
Finché stato felice i Dei gli danno ,
E il suo ginocchio di Vigor, fiorisce,
Non crede che venir debbagli sopra
LMnfortanio giammai. Sopra gli viene?
Con ripugnante alma indegnata il soffre :
Che quali i giorni son , che foschi o chiari
De^ mortali il gran padre e de"* Celesti
D^alto gli manda, tal dell'* nomo è il core^
Vissi anch^io vita fortunata e illustre,
E, secondando la mia forza , e troppo
Nel genitor fidando e ne^ germani,
Non giuste, vaglia il vero', opre io comn^isL
Ma ciascuno a ben far dee por T ingegno,
E quel che dai Numi ha fruir tranquillo:
Ne costoro imitar, che iniquamente
Struggono i beni , e la pudica donna
Oltraggian d^ un eroe , che lungo tempo
Dalla sua patria e dagli amici, io credo,
Lontano ancor non rimarrà; che a questi
Luoghi anzi è assai vicino. Al tuo ricetto
Quindi possa guidarti un Dio pietoso ,
E torti agli occhi suoi, com^ egli appajat
Poiché decisa seniEa molto sangue.
Messo eh ''egli abbia in sua magione il piede.
Non 6a tra i Proci e lui P alta contesa.
Libò , ciò detto, e accostò ai labbri il nappt
£ tornollo ad ArGnomo. Costui
Per la sala iva, conturbato il core,
£ squassando la testa ed il suo male
Divinando , ma invan : fuggir non puote ,
Legato anch^ ei da Palla , onde cadesse
Per P asta di Telemaco, Nel seggio^
Donde sorto era, si ripose intanto.
Ma d^ Icario alla 6glia , alla prudente
Pe nelope , U Dea dai glauchi lami
unoznii ^c
Spirò il diteno di moftranS ai Procij
Pcrehè lor r allargaise il core io petto
Di naoTa ipeme, ed ìa opor pid grande
Frewo II consorte e il Aglio ella saUsie.
Diede, né ben fa come, in un gran riito,
E Ui detti formò : Sento un desire
NoD pria fentito di mostrarmi ai Procij^
Eurìaome, bencli^io tatti gli abberra.
Utile aTTÌso in lor presenza io bramo
A Telemaco dare, il qual troppo usa
Goo que** superbi giovani, che accenti
Ti drizzan Mandi, e instdianti da tergo.
Saggio è il consiglio, Eurinome rispose.
Va, figlia , dunque ed il tuo nato assenni.
Ka pria ti lava, e su le guance poni
L^ usato unguento. Apparir vuoi con faccia
Dalle lagrime tue solcata e guasta ?
Quel pianger sempre e dalPun giorno alPaltro
Nullo divario far, poco s** addice.
Olà venne il figlio nelP età fiorita ^
Iq cai vederlo con V cuor del mento
Si ardentemente supplicavi ai Numi.
Per zelo che di me P alma ti scaldi,
Replicava Penelope, di bagni,
Eurinome , o di liscj, or non parlarmL
Il dì che Ulisse s^ imbarcò per Troja
ToUermi rgni beltà dal volto i Numi,
^onsi Autonoe mi chiama, e (ppodamfa|
Che da lato mi stieno. Ai Proci sola
^on ofTrirommi ; che pudor mei vieta.
1*acque$ e la vecchia Eurinome le donne
A chiamar tosto e ad affrettarle, uscio.
ila V occhiazzurra Dea, nuovo pensiero
Pormando nella mente, alla pudica
biglia dM cario un molle sonno infuse,
^ntre giacca sovra il suo seggio, e tutte
^ molle sonno le sciogliea le membra^
iZt omsEU
Palla Mlneira di ce\csli iIddÌ
La rifornii!, prichè di lei più erinprp
lnvighi*»er fili Achei. Pria >u le guance
Qiteltk, cbe tieu dalla bellcua il carne,
Spine ditina oieniD, onde si lualra
La ipgbirlanilata il' Ar Vcoer, se niai
b Va delle Grafie al diletlosa ballo :
Foi di corpo 1.1 crebbe, e ricalmolla
Rei rollo, e tal tu lei caa.lor ditlete
ChersTorio tagliala allora allora
Ceder daveal« ai poragoii. La Dita
nimll dell' Olimpo in .u le cime.
Venner le ancelle «trepitando, e ratta
Si riscoiie Penelope dal sonno
E con man gli occhi itropicclotai e din
Sual dolce tanna tirila lua fate' ombra
e infelice copri 1 Deh così dolce
Uorte subitamente in me la casta
Artemide scoccaiae ; ed io T elade
D°'u'n Troe ' cu"! non°To"s°é 'in Grecia il
Così ^Gtto, acendea dalle luperne
Lucide stanze al basso, e non fiì soli,
Hi con Autonoe e Ippodamfa da tergo.
Sul limitar della Dedalea sala ;
0»e i Proci aedeaii, trovasi appena.
Che arresta il pie tra 1' una e V altra a
L' ottimi! delle donne, e co'' sottili
Veli del capo ambe le gnance adotnbri
■fienia fona restaro e senza moto;
L'alma più inteneria, si raddoppiava
Delle no2ie il deiire in ogni petto.
Ella queste a Telemaco parole i
Figlio, io te più non riconosco. Sensi
Hutriit ITI mente più maturi e scorti
KcUa tiu fanàullciu^ed or, cjie grvd
LIBRO svili 333
Ti TPggio, e in un' «tà più ferma entrato,
Or, che stranici', che a rigaarJar sì fésse
La tua statura e la beltà, te prole
D^nom beato dirla, più non dimostri
Giustizia, o senno. Tollerar si indegno
Trattamento d^ un ospite in tua reggia?
Oltraggio si crude1,che vendicato
Non siagli, puote a un forestier qui usarsii
Che su te non ne cada eterno scorno?
Il prudente Telemaco rispose:
Madre y perchè ti crocci, io non mi sdegno,
lleglio , che pria ch'aio di fanciullo uscissi ^
I*e umane cose, il pur mi credi, intendo,
E tra lor non confondo il torto e il dritto.
Ma tutto oprare, o antiveder, non valgo.
Circondato qual sono , e insidVato
Da fiera gente, e d^assistenti solo.
Quanto alla lotta tra V estranio ed Irò ,
Parte i Proci non v^ ebbero, e del primo
Fu la vittoria. Ed oh ! piacesse al padre
Gloye , e alla Diva Pallade, e ad Apollo ,
Che tentennasse a cotestor già domi
ha. testa , e si sfasciassero le membra ,
Nel vestibolo agli uni , a agli altri in sala,
Come a qaelP Irò che alle porle or siede
DelPatrìo, il capo qua e là piegando.
D^uti ebbro in gui&a , e che su i pìecii starsi
^on può, ne a casa ricondursi : tanto
Le membra riportonne afflitte e peste.
Cosi la madre e il figlio. Indi tai yoci
Barimaco a Penelope drizzava:
Piglia d^Icario, se te vista tutti
^Tesser per Plasio Argo gli Achivi ^
Turba qui dì rivali assai più folta
Banchetteria dallo spuntar delPAlba;
Che non v^ha donna che per gran serobiant(*|
Per bellezza e per senno a te s' ag^nn^^U.
E hi nobile a ini (V icario fx^jjWok \
334 . .
r>I>l>9BIV
Eurimace, Tirtn, •
pmlnanza, lullo
Mi rapirò gU Dei.
quanJo gli Arfivi
S ri oli e r per Troje
1, e iQn gli Algidi UTi»ie.
S'egli, ripoittì il.
.uà magione il piede.
A TFggere il mio s
loto ancor prendeue,
Ciò mia glori, mi
rehba e bella mh.
Ora io m' angoipi»
,: unti . me sul capo
. dMmbinrrurBi ir alto,
Prese la mia con
1. alia delira, e, Donna,
> già che i fori! Achui
Da Tioj. Idi
Poické senio pugnaci essere i Teucri,
GVan .agiltarj e cavalieri egregi
Che pel campo «gilar sanno i detlHeri
Bapidameole : quei die Tn brete il falò
Delle guerre terribili derìde. .
guindi, se ine rfcondurraB gli EUmi, 'j
Troja riterrà morto, o cattWo, ]
Bupetta il padre mio, U niFidre onora,
Come (igS'i ^^ ancur più. fincb'io sou Jung
E Blfor che del suo pel -cedrai vesHto
Del figlio il mento, a qual ti Ra più in grad
Tal favellava; eJ ecco giunto il tempo.
L'' infausta notte apparita, che dee
' Port&re a in? queste oilioie nozze,
. A- me, cui GioTC ogni leliiia spense.
Ma tiù U mia tristezza oggi più aggraT!
Che gj^ mi antiebì non si fuardan pur
Coror, che douna illustre, e d''uoni posai
M Figlia UD di ambiano, e contendean Ira
' Belle conducean vittime, gli amiei
per convitar dello bramala dunna,
E doni a questa offriaii : non già l'alimi
Struggcano impunemente a mensa ansìai.
Disae, e V une %tQVcU'elU in tal inod
Litio XYIU 33Q
Pel Teslibolo fuor imo »Ua eorte
E alt' entrato óé\ portico. Ciò fatto,
Col doMo al muro Pappog^iò, gli pose
Bastone in mano e. Qui, gli disse, or siedi
£ iisaccia dal palagio i cani e i ciacchi}
Ne più arrogarti, cosi vii, qual sei.
Su : gli ospiti dominio e su ì mendichi :
Che un^ altra volta non V incontri peggio»
Cosi dicendo, si gitUva intorno
Alle spalle il suo caino, e al limitare
RitornaTa e scdea?i. Ri'entraro
Con dolce riso in su le labbra i Proci ^
Ed a lui blande riyolgean parole:
Ospite , Giove a te con gli altri Numi
Quanto più brami e è più caro invìi ,
A te, che la città smorbasti a un tratto
Di questo insaziabile accattone,
Che ad Echeto, degli uomini fI<igcU0|
Tra poco andrà su gli Epiroti lidi.
Così parlaro; e delP augurio Ulisse
Godea nelPalma^e Antiiioo un gran ventriglio
Di sangue e di pingiiedine ripieno
Gli recò innanzi. Ma il valente Anflnomo
Due prrsentògli dal canestro tolti
Candidissimi pani, e, propinando
^n aurea tazzn, Salv<', disse, o padre,
Forpstier, salve: se infelice or vivi,
Lieti ficorranti almeno i di futuri.
Antìnorao, Teroe scaltro rispose,
D^ intendimento e di ragion dotato
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre |
Da Niso Dulichicnsc, oodMo la fima
Sdnarc udia, buono del par, che ricco^
Da cai diconti nato ; e fede ancora
Ne fa il tuo senno, e le parole e gli atti.
A te <lnnquc io favello, e tu i miei detti
Ricevi e berba in te. Sai tu di quanto
336 DDtiin
Scblavp d''U]iisp, (lei Ke voilro a*wnle
Ver 9Ì lunga traginn, la venpranda
Kegin.! yoilra » rìlrovar Siilile.
Fusi rotiDdo o pettinando lane,
Sedetele vicinii e ne'' ^uai mali
La cauFortalp. MÌO penaìpr fraftaiifo
Sark che li Praci non fillicra il lume.
Suando attendere ancor Tole*9er l'Alba,
e UDII iitancheran : che molto io anno
Da molto tempo a tollerare aireiio.
Quegli detti lor feo. ttiier le ancelle
E a vicenda guardatami, e icbernirìa
Con villane parole una Melaoto,
Bella guancia, ■''ardia. Dolio coaleì
Generò, ma Penelope nutrilla,
Siccome Bglia, nulla mai di qnanto t
Lusinga le fanriDlle, ■ lei negando : * J
ire l'afaìHt per ciò con la Regina 1
Melania mai, rhe anzi trartiala, e a^cra *
Tu, cbfe, ìa vece d' andar nel l* officina
C* UD fal'bro a cDricorìi o in lil tavtenia,
Qui tra lina (rhirra te ne itai di nreucì,
LiAiKO cianciando e intfepidn. Alla mente
Ti salì tenzs forse il molto vino,
O d' aom briaco hai tu la mente, e qnindi
Senza eonllrutto parli. O esalti tanto,
Percbè il ramingo Ito vincrtti ? Bada
Non aleuti qui lenza indugiare iniorg;a.
Che, d' Irò aitai miglior, le nella tetta
Con le robuite man pedi, e t'intoni
Tutto di tangur, e dd palagio acacci.
Bieco g»alrA\a » I» riipone Uliaie t
Cignn, io tiUo » TAtTOMtj \ Vo-à «.«m^
Litio XTiit 3ac^
Pel Tetlibolo fuor sioo »Ua eorte
E alf entrata àéX portico. Ciò fatto,
Col dotta al muro Tappoggiò, gli pose
Battone io mano e, Qih, gli dune, or siedi
£ teaccia dal palagio i cani e i ciacchi }
Ne più arrogarti, cosi vii, qual sei.
Su : gii ospiti dominio e su i mendichi :
Gbè un^ altra volta non V incontri peggio»
Cosi .dicendo , sì gitUva intorno
AII0 tpalle il suo caino, e al limitare
lUtomaTa e sedea?i. Ri'entraro
Con dolce riso in su le labbra i Proci,
Ed a lui blande riyolgean parole:
Ospite, Gio?e a te con gli altri Numi
Quanto più brami e t^ è più caro invii ,
A te, che la città smorbasti a un tratto
Di questo insaziabile accaltone,
Che ad Echeto, degli uomini fl<igell0|
Tra poco andrà su gli Epiroti lidi.
Cosi parlaro; e deir augurio Ulisse
Oodea nelPalma;e Antinoo un gran ventriglio
Dì sangue e di pingiiedioe ripieno
Gli recò innanzi. Ma il valente AnOnomo
Duf presenlògU dal canestro tolti
Candidissimi pani, e, propinando
^on aurea tazza, Salve, disse^ o padre,
Forestier, salve: se infelice or vivi,
Lieti scorranti almeno i di futuri.
Anfìnorao, Peroe scaltro rispose,
D^ intendimento e di ragion dotato
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre |
Da Niso Diilichiensc, ood^o la f^ma
S«nare udia, buono del par, che ricco.
Da cui diconti nato ; e fede ancora
Me fa il tuo senno, e le parole e gli atti.
A te dunque io fivelio, e tu 1 miei detti
liicevi e berba in te. Sai tu di quanto
E date quattro ila ipniar ai
Sode buliDlne col ppsanle aratrai'
Vedretli il mio *Ìgor, Tfi!re*ti come
Aprir «oprei ilrìlto e profondo il «otre!
Poni ancor cbp il Salurnio un' oipro gtI^
lU qualclie parte ci Tolgeise a.ldmiu.
Ed ioiRudo e due lance ed alle tempie
Salda celata di metallo aipisi,
HiitD si primi gu«rrier mi acorgeretti
Nella baltagli.'i, e TimpiirtuDa fame
Gitlarc a me non oseresti in fac-ia-
Or protervo è il tuo labbro, e duro il (e
E forte incerta gnìta a grande lembri,
Perrbè con poca gente ati e non braii:
Ma Uliiie giunga, o apprcsri alntena, e qii«
PortP, bencbé a».ii largbe, a le già vhiLu
ftcfili amari, cred' io, pjui di fu^i
Deh come a uu tratto sembrerfana an^u
Eurimaco in maggior collera talte,
E, guardandolo bieco, Ahi doloroio.
Diale, vuoi tu eh' io ti diserti ? Ardiici
Coli gracchiar fra lanti.e nulla temi ?
O il vin i" ingombra, o tu naacrati pana,
U qui^t vinto Irò ti cnò di senno.
Ciò detto, prese lo agabel : ma Uliiìe
S'' abbassava d' AnQnomo ai ginocchi.
Per cansarsì da l£urin>!>co, che lo vece
Nella man destra del coppier percosse.
Cascata rimbomliò la coppa interra,
E il piocerna ululando andò riverso.
Strepitavano i Proci entro la sala
Dall'ombre cinta delta notte, e alcuno,
Mirindu ti tuo vlcin, Unrto, dicea,
PtioM cte (juttVj <v«t'^ o*\Asi tdiie !
i.iBiK> xvni 32<)
PpI vestibolo fuor sino alla corte
E all' entrata del portico. Ciò fatto,
Gol dosso al muro Pappog^iò, gli pose
Bastone in mano e. Qui, ^i disse, or siedi
£ scaccia dal palagio i cani e i ciacchi j
Né più arrogarti, cosi vii, qual set.
Su. gli ospiti dominio e su i mendicbi :
Cbè un^ altra ?olta non V incontri peggio»
Cosi dicendo, si gittava intorno
Alle spalle il suo caino, e al limitare
RitornaTa e 8cdea?ì. Ri'entraro
Con dolce riso in su le labbra i Proci ^
Ed a luì blande rìvolgean parole:
Ospite , GioTe a te con gli altri Numi
Quanto più brami e t^ è più caro invìi ,
A te» ohe la città smorbasti a un tratto
Di questo insaiiabile accattone,
Che ad Ecbeto. degli uomini flagello ,
Tra «poco andrà su gli Epiroti lidi.
Cosi parlaro; e deir augurio Ulisse
Oodea nelPalma;e Antiiioo un gran ventriglio
Di sangue e di pinguedine ripieno
Gli recò innanzi. Ma il valente Anflnomo
Due presenlògU dal canestro tolti
Candidissimi pani, e, propinando
4^on aurea tazza, Salv^', disse^ o padre,
Forestier, salve: se infelice or vivi,
liieti scorranti almeno i di futuri.
Àntìnorao, Peroe scaltro rispose,
D^ intendimento e di ragion dotato
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre |
Da Niso Oulirhionsc, ondalo la f^ma
S«nare udia, buono del par, che ricco^
Da rui diconti nato ; e fede ancora
Me fa il tuo senno, e le parole e gli atti.
A te duoffue io favello, e tu i miei detti
Kicevi e «erba in te. Sai tu di quanto
LIBRO DÈCIMONON
']
Parliti
Proci, Irai partano
UliHc eT
e Bup>r
iori. Tclen
Vi U CDtic
con DUue
ani; E Prati
che eolu è
pe ic CD de per f"
ri matto. Queiti
una iloria
che U Hegin
■ ode e
animo. La nutrice
Euriclé.
ooice, laMndnlo, Cline
Ptnc
epe gli n
un (ogno,
e gli p.lf.3
to cbe inle
propoire
i Proci, rome
condiz
OH delle no
•Ile qiuti
uon può .ra
^ai più
sottrarli.
N,ii
^eir ampiii tali rimanea l' eroe ,
^tcage con Palla macchinaudo ai ProM.
Subito al fi|;Iio si converte e dlue:
Telemaco, 1<;Tar di quoti luoghi
L' armi contiene, e trasportarle in allo.
Se le bell'armi chiederanno i Proci ,
Con parolette • lusingarli t6lto,
Io, lor dirai, dal fumo atro le tolai,
Perché non cran più qiiali Uacjolle
Ulitie il giorno che per Troja sciolte j
H* deturpate, scolorale, oiunque
Il bruuQ \e Uiccli la^ot iti loco.
Ibitoiit in me qupito limar, nnn tane
Dopa tirolto vAlar dì dolri tane
Tm voi Si.rgcss"' un' improvriia Hi*,
e l'un r>llio feriur, etl i1 romilo
Conlaminaste, e gli ipomali. Granrto
lllpltamrntu è iir uam lo iIpsio ferra.
Tekmaco leeul del ina ditello
padre il coraando. e alla nulrire . cui
Testa B » dìmindb: Msinnii
Sa T
:e l<ir
Le femmine rinchiuie, in sin rW io Tinni,
Che qui nella mia infanzia, e n ri P a neon
Uri padre, mi guatlb neglette il fumo,
Tniporti in alto. Cullocarle io voglio,
Dive del furo iinn le attinga il Tninpo.
' Ed Euridàa, Figlio, lispose, in petto
Beh ti " ^
Che regger p
193, e intatti
chi la itrada
Titcbiirtrà? Qua
Coa le Eiarrole in min v^iiliu ic mibciic.
^11 forralifr, Telemaco riprerf.
i non pritirollo Inerte,
dei, perché ogni parta
:ffi Innge, io
iTimo baiti
[Bri ben conitrutta gineceo fcm
I Dliiie inrontaneote e il caro figlio
|*^iTEaDO ad allogar gli elmi chinmati,
'Cli umbilicalj <.'>iai e l'aste acul<- {
^ riaoti ad ainliy l'atene'i Minerva,
J'neiido io maub una lucerna d' orOf
•hiariasìnia npargea lume d' intarla.
t Trlemaco al padre-. O padre, ijiials
urtento! Le par«tì ed ì bei palchi,
I le tratfi d* abete e k labliini
ittaane a me rifolgui'ire iu veggio.
cete, io credoj ijna dentro alcun dc^ IfumL
i
3j, .....1^ -^
Tjrl, mpoic Uliiir; i tuoi pensieri M
ltinir.rra in K, m'^ crrmre allre. U.iaia J
Degli abitanti dell' Utimpo è ijuesta. ]
Ot lu v»oot! a corn.Tli: io (jiu riaango ,1
Lfi oncelle a ipìar meglio, e della la^jl* J
Madre le iDcliirilc ■ provocur, che idìiIHI
Certi, ed ni pianla tnitlflt u<JÌre ìvffia. '
Oiiie; e il figliuolo ìndi spiccasii, e al ti'
Delle faci tplemlor nella remota
Celli « ritirò da' anni ripoti,
L'* 'aurora >d appettar: ina nella sila,
Strage cou Palla agli orgoglioii Proci J
Archi tettando, riinmea Perae. fl
La prudenti: Hr.iiia intanto uiclj. J
Pari a Diana, e all' aurea Tener pari, J
Della itaoKi acereta. Al fiico appreuo im
L'uiato leggio di gran pelle ateia, .J
E cui d' Icmalio V ingegno» mano !■
Tutto d' avorj e nr^eiili Jvea cainmeisa, |
Le CDllo(aro: kMsmh lo piante ,
Uà patito sg.ibells. In questa i>ede ^
La madre di Telein:ico pniavs. i,
Veiiner le ancelle dalle bianche bracql
A tor TÌ« dalle mense il pan rimasta,
E i vAti nappi, Qnite be«ean gli amanti,
poi dai bracieri il raciioipenlo foco
Sopi-a vi accalasiìr, perrliè schiarata
La aala fune e riscaldata a un tempo.
M«lanto aliar per la seconda volta
Ulisse rampognava : Uipite, aduniue
La notte ancur t' avvolgerai moleilo
Per questa caia e ad oc chic fai le doDae? '
Fuori, «cijgurato, esci, e del COUfitO, .
Che iagajasti, t' appaga i o ver , peicotH
Da questo tizzo, sajlerai la soglia.
Con t^cvo iguat4« )p ria^Aie tH^^* ••
LIBRO XIX. 343
Malvagia , pprrhr ;. nir ;;urrra sì atroro?
Perchè la faccia iniu ioiòr n()ii lustra?
Perch'aio mal vesto e, dal bisogno astretto,
Qual tapino nonio e viandante, accatto?
reIJce un giorno anclPio splendidi ostelli
Tra le genti abitava , e ad un ramingo ,
^ual fo%fe , o in quale stato a me s"* offrisse ,
Del mio largia ; molti ave» servi , e nulla
Di ciò mi venia meno , ond' è chiamato
Bieco , e beata Tuom vita conduce.
Ala Giove, il figlio di Saturno, e nota
La cagione n' è a lui , disfar mi volle.
Guarda però non tutta un giorno cada ,
l)oDna , dal viso tuo quella beltade ,
Di cui fra V altre ancelle or vai superba :
Guarda, non monti in ira, e ti punisca
X^u tua padrona ; o non ritorni Ulisso,<
Come speme ne' petti ancor ne vive.
£ a^ ei perì , tal per favor d"* Apollo
I^uor venne il fìglio delPacerba etade,
' Che femmina di cui sicn turpi i fatti
)lul potila nel palagio a lui celarsi.
Udì tutto Penelope , e V ancella
Sgridò repente : O temerario petto,
Cagna sfacciata , io pur nelle tue colpe ,
Che in testa riradraiinoti , ti colgo.
Sapevi b?n, poiché da me V udisti,
Ch^ io lo straniero interrogar volea ,
Un conforto cercando in tanta doglia.
Dopo questo , ad Eurinomc si volse
Con tali accenti : Eurinome , uno scanno
Reca' e una pelle, ove, sedendo, m^oda
L^ ospite favellargli , e mi r: sponda.
Disse; e la dispensiera un liscio scanno
Beco in fretta e uiù pose e d' una densa
Pelle il copri.' Vi s' adagiava il molto
Dai casi alHitto e non mai domo Ulisse,
B44 ODftSVA
Cui Penflnpa a dir coki prendea t
Oiipile , io questo chi^dcrotti in prima.
Ciii? di che loco? e di rfae atirpe tei?
E Ulìaie, che più là d' ogni uomo teppe:
Donna , esser poo (rianimai pel mondo tottt >
Chi la lingua snodare osi in tuo biasmof
La gloria tua sino alle stelle aal« ,
Qual di Ke sommo, che^ sembiante a un (fm
É su molti imperando uomini e forti |
Sostiene il dritto : la ferace terra
Dì folti gli biondeggia orzi e frumenti f
Gli arbor di frutti aggravansi ; roboite
Figlian le pecorelle, il mar da pesci
Sotto il prudente reggimento { e giorni
L^ intera naxìon mena felici.
Ma pria che della patria e del Hgnaggie|
Di tutt^ altro mi 'chiedi, acciò non creici
Di tai memorie il dolor mio più ancora.
Un infelice io son , né mi conviene
Seder . piagnendo , nella tua magione;
Ckèisuoi confìni ha il pianto,eai luoghi vaolà
Mirare e ai tempi. Se non tu, sdegnarsi
Ben potrfa contro a me delle serventi
Tue aoune alcuna , e dire ancor che quella
Che fuor mVsce drgli ocohi, è il molto TÌIM<
£ la 8a|!f!ia Penelope a rincontro :
Ospite, a u)e vii tu, sembianza, tutto
Kapito fu dagP Immortali, quando
Ci) Greci ad Ilio navigava Ulisse.
S* ei rientrando negli alberghi ariti ,
A reggere il mio stato ancor togliesse.
Ciò mia gloria sarebbe e beltà mia.
Or le cure ni'' opprimono che molta
Mandare a me gli abitator d^ Olimpo.
Quanti ha Dulichio e Same e la aelvott
Zacinto e la serena Itaca prenci
Mi ambUcou riyufoaotQ \ e sottoaopn
l'ibbo zix 345
Volgoli coli la reggia mìa , che poco
Agli ospiti ornai fommi , e ai «upplicanti
Vedrr, oè troppo degli araldi io caro.
Io mi consumo, sospirando Ulisse.
Quei m^ Affrettano intanto ali^ abborritjp
ratso , ed io cootra lor dMnganni m'armo.
Pria grande a oprar tela sottile , immensa ,
Nelle mie stanze , come un Dio spirommi,
Hi diedi, e ai Proci incontanente io dissi :
Giovani, amanti miei, tanto ▼) piaccia ,
Quando già Ulisse tra I defunti ècese,
Le mie nozze indugiar cli^ io questo pona
Lugubre ammanto per P eroe Laerte,
Acciocché a me non pera il vano stame ^
Prima fornir che V inclementr* Parca
Di lunghi sonni apportatrice il colga.
Non vo'^clie alcuna delie Achee mi morda,
Se ad uom , che tanto avea d^ arredi vivo ,
Fallisse un drappo , in cui giacersi estinto.
A questi detti s^ acclietaro. Intanto
Io, finché il di splendea, V insigne tela
Tesseva , e poi la distessea la notte
Di mute faci alla propizia fiamma.
Un triennio cosi 1! accorgimento
Sfuggii degli Achei tutti , e fede ottenni.
Ma, giuntomi il quarto anno, e le stagioni
Tornate in se con lo scach^r de^ mesi ,
E de^ celeri di compiuto il giro ,
Còlta da Proci , per viltà di donne
Nulla di me curanti , alla sprovvista ,
£ gravemente improverata , il drappo
Condurre al termin suo dovei per forza.
Ora ione declinarle odiale nozze
S^u né trovare altro compenso. A quelle
M^ esortano i parenti , e non comporta
Che la sua casa ^li si strugga , il figlio ,
CliC'ii/mai tiitlo ccnodce e al suo retarlo
' 3»
Intender può >
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li da eie
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ligniegio
S.p.r
vuoi <lu
nqu
e?
Io te l'i:
iiipinio. E Tfi
Cile BUgumeiito ne avran gii afiim,
Kalural sÈnio di diiiinqua TJise
Utt>rro pellfgrin Tnnlt'anDi e molli
Dalli palrii lanlna: ma tu uva c»ii
D' inlermgarnii ) e latiEfrirli io voglio, i
Bcijj t feconda (otra il ne|!ro mare j
Giace una trrra, rlir s'appella Crrla, 1
Dalle ibIk onde <r<>|ni parie altinla. J^
Gli abilanti t^ abbondano , e noTsnla fl
Conli(!i] citudi , e la favrlla è diala i II
Poicbè vi non gli .Ai-bri , ooiivi > naiii
Maghaiiimi Cretesi ed i Cid<,nj ,
£i Oorj in tre diViai, e i buon PeUtgi.
Gnoaio vi gorge , città vaila , in cui
Quel Minore regnò che del Tonante
Ogni nono anno era agli arcani ammcuo.
Ei |en»ó Deiicalione, »nd'io.
Cui naicendo d^ Etón fu posto il nome .
Kaccpii , e nacque il mio frate Idomeitiio
Di popoli paitor, diedi Tirtule
Primo , non cbe d' eia , co' degni Alridi
Lk vidi Uli»e ed ospitali doni
Gli feci. A Creta spinto atea lo un forte
Vento, che, menlr' ei pur vèr la aupciba
Truja 111 'Ita , dalle Malce lo tvolae ,
E il fermn nell'Antniso , ove Io «pcco
D' Il iti a t'apre in disastrosa piaggia ,
ili che Bcaoipù dalle burratclu aj^peiia.
alU città^ d^domenéo,
leraDdo.e caro egli chiamava
sao7 cercò : se non che il giorno
decimo o undecimo che a Troja
il mio fratello era sul mare,
addussi nel palagio, a cui
'agi mincava, e dorè io stesso
»nor gli rendei ch'aio seppi meglio»
ir opra mia che la cittade
pan, dolce vino, e buoi da mazza,
compagni a rallegrar, gli diede,
di nell' isola restaro,
levato da un avverso Nume
t^rsava un Àqnijon si fiero,
tento si reggea l' uomo su i piedi,
il di terzodecimo al fin cadde )
vnn gli Achei Tonile trancruiile.
fìngra, menzogne molte al vero
>ruferendo : ella, in udirle,
vrer^iiva e distru^^geasi tutta,
neve ohe sa gli alti monti
vento d"* Occitlentc sparge,
*si iV Euro all' improvviso fiato,
gonfiiti al mar corrono i fiumi :
stemprava in lagrime , piangendo
suo diletto, che sedeale al fianco,
ionsorte lagrimosa Ulisse
rir alma risentia: ma gli occhi
;li, quisi corno o ferro fosse,
•alpc>hrc immoti , e gli stagnava
Ito ad arte il ritenuto pianto,
poiché di lagrime fu sazia,
pigliò i detti : Ospite, io voglio
ova uta di te, se, qual racconti,
e i bUoi, tu ricettasti in Creta.
: qiiai panni rivestianlo ? e qual^
de^ suoi compagni era T aspetto ?
3^6 onitiE*
KiipoM il rirco Ai coniigll Dliise;
Vigni m'alino è ornai cVegli da Creta
tii Amtll a Tr"j.i, e il faTellire , a donni ,
Di ti antica >taEÌi]ii riuro tui wiubra.
lo lutti volta ubbidirò, ppr quanto
Potrà toTM dì lE tornar la mptite.
Un f'Jto Ulii» ave! mintu vH1«90
Di poqiora , nui doppio uoU »ul pplto
Mirubile ricimo': tio can da uccia
Tcnea ou'' pÌPdi antei-iori strello
Vajo cerbiatto, e con aporia bocca
Snvra lui, cbe trcmavaop, penilea{
E rtupfa il mondo a rimirarli in oro
Efilgìati ambo cosi itie l'uni
SufToca l'altro e già Taddeuta, t Taltro
Fuggir li tlurza a palpita np' piedi
In dolio ancora io gli osaprrai ti molle
Tunica r fina si, quii di cii.oUs
Vidi talora inalidita ìpi>Gli.i,
E splrudra come il aul j tal die d) molte
Donne, che radocrUiàr, fu maraviglia.
Ma io non ao le in Itaca gli tteisi
Veititi uiaue, o alcun dì qneì cLe ■eco
Partirò lu la nave, o io Inr magioni
Vmggiinte l'accolsero, -donati
Gli uietm a lui: elle bÈn voluta egli era,
E un bel manto purpureo, e unj talare
Vetta iu dono io gli porsi, e all'Ìmp:iUJti
Nave il guidai di riverenza io Ergno.
Armido, cbe d'età poco il vincea,
L'ai:cumpagnava: alto di ipallr e groiio,
Dov'io ra pp rese u tarlo a te doveiii,
Nera la cute, ed ì capelli crespo,
£ clùunnw ^\i.i\b&t«. F.a tutti
i':^
Vito x!x 3^9
pagni V apprezzava Ulisse ,
di pensieri a aè conforme.
Toci Biaggior voglia iu lei
antOi eonosdoti I segni,
H« distinti esporsi ndiva.
kgrimare. Ospite, disse,
i sembrait), ed^ora imiania
li parrai dtegDO e d^ onore,
li reeai dalla secreta
^te le da te descrìtte
idre, io nel parpareo manto
Ite d' ^r fibbia gli affisu.
•rio più né aecorlo in qnerta
terra sperar posso. Abi ccndo
fa che alla malvagia Trpja^ f
rrito, su per inonda il. lirasscit
, egli riprese, inclita donna, '
•o, cbe struggi» ornai perdonai .
rti macerar nelPalma,
•iangendo. Non già ch^ io ten biaimtt .
i spento queir uom piange a coi
^onginnse e diede infanti ,
;rso nel valor da Ulisse,
n somigliar canta la fama.
Ile lagrime, e V orecchio
o dir, che sarà vero e integro.
»roti tra la ricca gente ,
intasi, e già ritoma, e molti
qua e là raccolse, adduce.
)erdè il legno e i suoi compagni^
icria abbandonando i lidi,
.a di Giove ira e del Sole,
lo que folli avean V armento*
! tutti gP inghiottì, sospinse
vanzi della nave infranta
;li Dei popol Feace. ,
uore il riveriai^i qual Nane,
t
C
e «ire
arcorgimeii
n rfin.
Casi a Die dr'' T«sproti il le Fìdoi
Dine, e ginraia, ia ila magion libaailo,
Che varala U barca era a parati
Color che cleon ripiitrìarto. Quindi
Mi congf-dò 1 che per Duliclija a ><
Le yf\e aliava una teiprazta nave.
colta CI
andò. (
Uliw
■nstcDcr ballava.
Poi loggjungeami che ■ Dodona ir volle j
Giove per consultnre, e udir dall' alta' i
Quercia indovina le ridurli ai dolci
Campi d'' Itaca glia deposi lur
Stagion dovesse aHn scoperta a ignoto.
Salvo è dunque e vicin ; uè dagli : * '
Disgiunto e schiusa dntle avite idi
Gran tempo rimarrà. Vuoi lu eh'' io giclì? J
Prima il Saturnio in lestimonio io t-hiami^l
Sommo tra i Niimr ed ottimo, e d'Uliue
Faccia il lacrato, locolar, cui ver
Tutto, qual diro seguir dee. Qu, .
' 'c^meiii, entrandoraltroi^f
e palerne Boglie.
Varcherit Ull>9<
Oh j'avveri
Tai dell' affett
P.'nBl<
loper
3 pegni tu a
Impetrerai ; che
LIBRO KTX 35 1
Ulisse non v^ha che i venerandi
liti accor nel suo real palagio
pia ed accommiatarli. Or toì, mie dounCi
ate ì piedi allo straniero, e un denso
coltri e vesti e splendidi mantelli
to gli apparecchiate, ov^ ei corcato
tta notte si scaldi in sino alP Alba.
Liba comparsa in Oriente appena,
tergetelo e ungetelo; ed ei mangi
uto in casa col mio figlio, e guai
servi a quel che ingiuriarlo ardisse!
ciò più non g.1ì sarà commesso,
cruccio ch^ei mostrassenc. Deh come
resti, forestier, eh** io V altre donne
co, se vinco, di bontale e senno,
itre di cenci e di squullor coverto
teggiar ti lasciassi entro V albergo?
e brevi son gli uomini. Chi nacque
i alma dura e duri sensi nutre,
sventure a lui vivo il mondo prega,
maledice morto. Ma se alcuno
, che v'^ha di più bello ama, ed in alto
;gia con V intelletto, in ogni dove
ospiti portan la sua gloria, e vola
rno il nome suo di bocca in bocca,
aggia del figlio di Laerte donna,'
igliò Ulisse, le vellose vesti
leanmi in odio ed i superbi manti
quel dì che su nave a lunghi remi
rciai di Creta i nevicosi monti,
giacerò, qual pur solca, passando-
intero notti insonne. Oh quante notti
icqui in sordido letto, e deli' Aurora
l corcato affrettai la sacra luce !
a me de"* piedi la lavanda piace:
delle donne che ne' tuoi servigi
Bndonsi alcuna toccherà il mio piede^
S5l OWJ!B«
Se Don è qualche onnnsa e oneil* tmcM
Che li por Ili me lolfcrlo abbi* a' aiioi ^
A quella il pie non dijdiiei taccBrnii "
E r egregia Penelope di duoto ■ j
OapiU "ro, peliegrin di senno
KoD c*pitò qua inai, rbe dì te al core >
Mi i'' accDitakie (■iù, di le, cbe in rooda
Leggiadro esprimi tigni prudente kdso.
Una vecchia lio molto avvisati e. teoria).^
Che nelle liraccia sne quflP iurelice i
HdccuIm uscito del materna grembo, |
E buoa latte gli dava ed il ereicei.
Ella, b«Dché di vita un «orBo in Ut
Rimanga (ol, ti laverà le piaale.
Via, fedele Euriclea, loigi, e a .-hi d'anni
Pareggia il tuo ■igiioc, le piante lava.
Tal uè' piedi vederlo e nelle mani
Farmi in qnalcbe ila noi lantaaa parte:
Che raliu r aam Ira le iriagure invecchia
EurirlL-j cciQ le iiinn «uperse il toUd,
E veriù calde lagrime, e dDlenti
Parole «rticalù : Me iventiirata,
Figlio, per amor tuoi Più, che altri al molli
Te, che noi merli, odia il ailurnio padre.
Tanti qoii gli arse alcun floridi lombi,
Tante ecatuiube non gli ofieru, conie
Tu, di giunger pregandolo a tranquilla
Vecchiciia e un prode allevar iìglio ; ed «
Che del ritorno il di Gioie ti c|ien>e.
O buon vegliardo, allor che a un alto albei
D'alcun aiguor lontano ei pellegrino
S' appressei'à. l' iniulleraii le donne,
Qual te iniultaro tutte queste lerpi,
Da cui, l'onte schivandone e gli oltraggi)
Venir tocco ricusi ; ed a me quindi
La figlia saggia del possente Icario
Tal mioiAero iiopoa c^ ma ni gnviu
'•• ^ovqoe il --. '■'""' '
&»™"ii.Ì^'r EST
J» 'u ricevi nn jj, V ''alma ;„ -,,
" 'i'p™','T'''"«i°."'™ "■"'
'•■■i i .';>«•;>. ro. ° •""«.
fE.-SA'i-.s,.'" '■'"•■
'"p" «-«;," 3°, .""'•'■IO
"""co B. S"° ■"t<'mp.,„;n V; .
Ilo in Ir ' '«"ne 1(1' iV ■' Kmne.
""•«lo pS. /','"'•'" Vi-
si;: ■'*^"»^.';'.-'«:
JH
Dì imporre in frunte al gvailoia p
Ver CUI sUnciati co'' tuoi voli i Nuim. >
£ pronUmmle Autalico io riipasta:
Genero e Hslia laii, qnel gP imporre! F
Home ch'io vi diri. D'uomini e donne
Su r altiica ili molti inunpni* terra '
Spavrqlo io fui ; dunque &i chiami Uliiie.
10 poi, le, di bsmhio fjtto girione,
Hei »uperbo verià malei-no albergo
Sqvr»^il farnaso, ove lio le mie ricchKze,
Do[(i gli porgerò, per cui più lieto
DiscendfÙ <1> mo, che a me noa («lie.
A ricercre Uliiie sodò lai doni,
£ AuloUoo l'aecolie, ed i ><>ui B;li,
Con amicliG parole, e aperta brincia}
E 1' avola AoGléa, itreUoio al petto,
11 rapo, ed ambi gli baciò ■ beéti ocohì.
Ai Ggli il padre comanda, né iiidaroo,
La mensa: un bue di cinque anni mcnira,
Lu icujàr, V 3CCoaciàr, lutto il partirà}
E i braui, che ne Tur od arte fatti, . '.
Negli schidonì inGssevo, e u^ualmenta '*(
Li diipeoiàr, domi che gli ebbe il fai» "fi
Così tulto qoeJ di d' ugual per tutti
Prandio godean aioo all' Oecaio. Il Sole
Caduto, e appena della notte l' ombra,
La dolcezza provar, cui reca il sonno-
Ma coni« Gglia del mattin T Aurora à
Si mostrò in del ditirosata e bella ,
I figliuoli d'Autolico ed UlisK
Con molti cani a una grac caccia nicito.
La vestita di baschi alta montagna
Salgiino, e in breve tra i ventosi gioghi
Veggonii di Parnaso. Il Sol recente,
Dalle placide aorta anqite profonde
DeirX)ci-in >u i rugiadosi campi
Saetìavt \ wii »»KS * * titeiatori
Litio zix 355
endeano in nna Talle : innansi i eani
ari, fiutando le salvatici orme^.
co^ figli d^ Autolico^ paìiando
la lancia, che lunga 'ombra «giUava ^ i
ra ì cani e ì cacciatori andava UUssa. ' '
misurato cinghiale in cosi folta
acchia giwa) che ne di venti acquosi
orza, né idggio mai d^ acuto Soie
a percoteva^ né le piogge afTatto
^ entravano: copria di secche foglie
ran dovizia la terra. Il cinghiai fiero,
he al calpestio, che gli sonava intorno,'
ppressare ognor più sentia la cAccia,
>ucò del suo ricetto e orrìbilmente
izzando i peli della sua cervice
con pregni di foco occhi guatando ,
tette di centra. Ulisse il primo, V asta
enendo sopra mano^ impeto fece
1 lui^ ch^ ei d^ impiagare ardea di vogh'a ;
!a la fera prevennelo, ed il 'colse
3yra il ginocchio con un colpo obliquo ^
ella gran sanna, e ne rapì assai carne ;
è però della coscia alP okso aggiunse*
erilla Ulisse allor nell' omer destro ,
ove il colpo assestò : scese profonda ■
^ aguzza punta della fulgitP asta ;
il mostro su la polvere cadÀ,
[ettendo un grido, e ne volò via P alma.
[a d"* Autolieo i fìgti a Ulisse tutti
ravagliavansi intorno : acconciamente
asciar la~ piaga, e con possente incanto
sangue ne arrestaro, e delP amato
adre alP albergo il trasportaro in fretta,
«nato appieno e di bei doni carco,
ontenti alla cara Itaca contento
o rimandaro. Il pndrc suo Laerte
la madre Auticle'a gioj'un pur tro|^![^Q
i
S18 DDiaain
DbI ino ritorno , e il rioLipdean Ai follii
E pia (Iella ferita ; eii eì narrava ,
Conte, ìnTÌtsta ■ ana.sìlvf'Blre guerra
Da'Ggliiioli deiravo, it bianco Hf ale
fiafiollo d' DD oÌn!>hial lovra il ParolM-'ì
Tal clcstrice 1' amoroBa vc(
Conobbe, brancinaDdoIi, ti
Liaciò andar giù : la gamba nella coni'-i
Cadde , an rirahambò il roncivo ramr ,
K pifgò lutto da uaa binda , e in Itm
L'acqua li aparie. Gaudio a un'* nra r iwia
La prete , e gli occhi le a' empier di piinlD)
E in uacii le tornb la Toce Jodielro.
Proruppe al 6n , prendendolo pel mento:
Caro fiflio , tu aei per certo Uliiie ,
Né io, né io ti ravvisai, che tulio
hr\* non aveiti il mìo algnar tailato.
Tacqae; e j^ardò PeBclope , volendo
Moitrar che 1' a'!:or suo lungi non era.
Ma la Reina né veder di cinlra
Foteo né niente por: che Palla 11 core
le Ione altrove. lIliEse inlau'u ilrtnie
Con la man deitr» ad Eurieléa la gola,
E ■ Bè tìralia con 1* manca, e dine i
Nutrire, vuoi tu perdermi ? Tu iteiu,
SI, mi teneati alla tua poppa un giorno,
E nell' anno veuleiimo , ■□fTerte
Pene in6nite , alla mia patria io venni.
Ma , poiché mi icopristi , « un Dio ai voD^
Taci, e di me qui dentro altri non lai'^i
TtTÒ di' io giuro, e non invan , obe i' »
Con rajuto de' Numi i Proci ipegDo,
Né da te pur , benché mia balia , il braceic
Che l' altre donne ucciderà , ritengo.
Figlio, qual mai dal core oao parola
RaUrtt in tu te labbra? ella ripreae.
Non I»i««iOMi\V\it«\^«!m>Mtfa.lra«
uno ziz SS7
Ita ed ioetpngnabile ? Il segreto
rberò, qaal dura selce o bronco,
tenti ancora , e tei rammenta : doTO
igao gli Dei per la tua mano i Proci,
e donne in palagio ad una ad una
I ^ingiuria, io dirotti, e qnal t'onera,
atrice, del tuo indizio uopo non bafri ,
gliò Ulisse. Io per me stesso tutte
laaerrerò , coooscerolle : solo
a tacer penita , e laacia il resto ai II uni.
I secchia tosto per nuoY^ acqua uscio ^
rsa tutta la prima. Asterso clrebbe
se ed unto, ei nnovaniente al foco,
le aure a trame , s^ accostò col seggio ^
\}* panni la margine 4X>Tcr8e.
'enelope allor ; Brevi parole ^
ite f ancora. Già de' dolci sonni
•mpo è giunto per color, cui lieve
iia consente il ricettarli in petto s
doglia a me non lieve i Numi diero.
che riluce il di, solo ne^ pianti
cere io trovo e ne^ sospiri, mentre
ifdo ài lavori delP ancelle e a** miei,
notte poi , quando ciascun s' addorme ,
i vai corcarmi , se le molle cure
idele intorno al cor muovonmi guerra?
ne allor che di Pandaro la 6glia
giorni primi del rosato aprile ^
Boriscente Filomela , assisa
$li arbor suoi tra le più dense fronde,
ita soavemente , e in cento spezza
>ni diversi la instancabil voce ,
che a Zeto partorì, piangendo,
caro, che poi barbara uccise
r insania, onde più sé non conobbe t
n altrimenti io piango , e V alma incerta
questa or piega ed ora in queUa ^i\« >
}56 oDii-<i
5'' :u (tii'Col liglio. e iMÓgra lerbi II littlo ,
Le soitmee , U terve e gli t\li tellj,
DA mio ccniorte liipHlsndD il letlo,
E d^l sepol le voci; a qu^lo io «ifjuii
DerIì Àtuci tra i migUor , che ille mie noa
Dodi ialiniti prcìpnlando, aanìrit.
Sinat Unto clic il figlio eri Ji senno,
Comr il' dì. (anriullo socor, laieigU
QiKito io mai non avrei per altra c.iu:
H* vr nb'ei crebbe t della pulierliile
Già U inglla toocù, men priega ei itcna
Non nMtrndci mirar la itraxìo indcgiiB
Che di hii fa» «1< Achivi. Or tu . <ii tii ,
^-pirgaiBÌ un sagoo ch'io norratti iateiKla-
velili nella mia coite oche io milriiea.
E di qualche diletto cmmi il vederle
Coglier da limpid'ac<[U4 il bionda grino.
Mcnlr'ia te auervo, ecco dalPalto moalB
Frangere a tulle la o-rTÌre , tirile
L'una (u l'tilra riieriarle apente,
EriialiriérrdecediviDn. ,
Io mettea lai , benclié n«l togno, e atriiltf
E te nobili Aclie« dal »in ricciuta
Veiifaqo ■ me , che mUerabiI menta
L'oche plorava dall' a guglia marie ,
E a me intorno alfollavanii. Itla quelli>
HÌTolando dal ciel, au lo iporgente
Tetlo sedeaii , e con umani voce.
Ti l'acclicta , diceami , e ipera, o 6glii
Dèi gloriola Icario ; un vano «ogno
l>i CIÒ che icguirà. Nell'oche i Proci
Bavviia , e in quelle d' aquila sembianM
il tuo conaorte , che al iìn venne , e tulli
Sltai*^'^ nol\Qt»ai\%u» a, terra i Proci.
timo xix ^.'iQ
Gittando gli oocbi prr la corto, vitlì
Le oche mie , che nel truogolo, qua! prima,
I graditi frumenti iyan beccando.
Donna , rispose di Laerte il figlio ,
Altramente da quel che Ulisse feo
Ifon lice il sonno interpretar: V eccidio
Dì tutti i Proci manifesto appare.
E la saggia Penelope : Non tutti ,
t)spite , i sogni investigar si ponno.
Scuro'parlano e ambiguo, e non risponde
L^ effetto sempre. Degli aerei sogni
Son due le porte , una di corno , e T altra
D^ aTorio, DalPavorìo escono 3 falsi,
E fantasmi con se fallaci e vani
Portano : i veri dal polito corno ,
E questi mai V uom non iscorge indamo.
Ah ! creder non poss"* io che quinci uscisse
L' immagin fiera d^un evento, donde
Tanta verrebbe a me gioja e al mio figlio.
Ma odi attento i detti miei. Già P Alba ,
Che rimuover mi dee da questi alberghi,
Ad apparir non tarderà. Che farmi ?
Un giuoco io propor vo\ Dodici pali ^
Quai puntelli di nave , intorno a mi
Va del fabbro la man, piantava Ulisse
L^un dietro all' altro con anelli in cima ;
Ed ei, lunge tenendosi, spingea
Per ogni anello la pennuta freccia.
Io tal cimento proporrò. Chi meglio
Tender Parco sapra fra tutti i Proci,
E d^ anello in anello andar col dardo ,
Lui seguir non ricuso , abbandonando
Questa sì bella e ben fornita e ricca
Magion dermici verd'^anni, ond^anche in sogno
Dovermi spesso ricordare io penso.
O veneranda , ripigliava Ulisse,
Donna del Laerziade, una tal prova
36c QDunA
Fuiilo DQD dliftrir: pria cfafl nB de' Preci
Me Unila, e pausi pe'' rilODdi ferri,
Ti l'ollrirà daTBnie il tuo cuiiaorte.
E Penelope al fine; Ospite, quando',
VicÌDD a me leilendotì, il diletto
Non mi cadrebbe m le ciglia il totioo.
Cile legge a tiilLii itabilJrD, e meU
Su la tern fmtlifera gli Eterni.
]□, nelle ilanze alte salita, un lello
PrciDerù, che diTenne ■ me logubre
Dal di che Uiiise il canape funpito
Per la nemica ecìplie infamia Trojan
Tu nel palagio ti ripoM, e a terra
Sdrìjati, o, Be li piace, a te le mie
Donne appareccnieran, itoTC corcarti.
La licijjna, riìi dcllu, alle tuperne
M»nlò bue fUaie, e non già lala^ rd iii
Sino a tanto piangea Tamato Utiiae
Cile un dolce tonno sovra lei apirgeuc
La cifeilta negli occhi aoguita Diva.
LIBRO VIGESIHO
AAOOKÉVTO
IM ti tdraja iielP atrio e oMenra la dÌM>>'
delPaocelle. Chiede a GioTe qualche
favorevole, ed è esaudito. Temerità di
izìo, e accoglieiiKa anioreTole di Pilezio.
}po lancia contro ad UIÌ88<* nn pie di
ma Dol coglie. Vaticinio di Teoclimejio»
ici se ne fan beffe e scherniscono Ulisst
a e Telemaco.
agnanimo figlio dì Laerte
« nelPatrio. Una recente pelle
aveasi di bue con altre molte
ngui agnelle dagP ingordi Achei
dcate ; e d^un velloso manto
là corcato Eurinome coverse,
o' pensieri suoi Peroe vegliava,
:ure ai Proci divisando. Intanto
icelle, che solcano ai Proci darsi ^
dì lor camere, in gran riso
empendo tra loro e in turpe gioja,
rte Palma si sentia commossa,
anelava se avventarsi, e tutte
a morte dovesse in un istante,
Daentir che per Pestrema vvlt»
369 QMMBA
Delwqaener U IritU) e.ìa-iè firenea» j
E come allor che ai cagnolini intorno <
Gira la madre, e, «e un ignoto tpanta, .|
Latra e brama-pag^ar s nen-iiUrinieoti
Egli, che mai patta V opre nefande,
Alto fremea nel generoso petto. *
Pur, battendosi V anca e rampognando
Egli strHo il Huo cuor, Soffri, gli disie.
Tu che assai peggior male allor toHriiti •
Che il Ciclope fortissimo gli amici
Hi dÌToraTa. Tollerar sapesti^
Finché me fuor delP antro il senno trance
4^uand^ io già della vita era in su rdrlo.
Ei cosi i moti repHmea del core,
Che ne' recinti suoi cheto ti stette.
Non lasdata però su T an de"^ fianchi
Di voltarsi o su P altro, a quella guisa
Che pien di sangue e d'adipe ventriglio
Uom, che si strugge di veaerlo incotto,
D^ un gran foco alP arder volge e rivolge.
8u questo ei si voltava o su quel fianco,
Meditando fra sé come potesse
Scagliarsi al fin contra i malnati prenci]
Centra molli egli solo ; ed ecco, scesa
Di cielo, a lui manifestarsi in forma
D^ una mortale l'atenéa Minerva,
òtettegli sovra il capo e tai parole
Gli volse: O degli umani il più iofelicf|
Perchè i conforti rifiutar del sonno ?
Sei pur nel tuo palagio, appo la fida
Tua donna e al fianco d^un figliuolo a eoi
Yorriano aver l'uguale i padri tutti.
Il ver parlasti, o Dea, rispose Ulisse s
Se non cne meco io mi consiglio, come
Scagliarmi ai Proci svergognati lncontr0|
Mentre in folla ognor son quelli, ed io sok
In oltre io i^eitto^ « ciò ^iù anoor mi HidM
LlBItO ZT S63 ^
>1 favore anco m^ avrfnga i
I col tuo, cacciarli a Dite,
sttrnrmi a quella turba
orrh. Tu questo Itbra.
ese la negli occhi Àzzurray
>mpagno suo crede, a un mortale ^
alvolta e meno esperto,
; DÌ7J, e a me che ih ogni
sempre ti guardo? Sappi
nta d^ uòmini parlanti
no pugnatrici schiere, ^
campagna i greggi loro
errhno, e i loro armenti."
onno nel tuo sen ricevi :
passar la notte in guardia
!sto. Uscirai fuor tra poco
. dubbio i mali tuoi.
)por dolcissimo gP infuse:
mbra tutte quante sciolte
3mbra d^ ogni affanno Palma,
30 tornò r inclita Diva,
sen fuggi dagli occhi a un tratto
:he già sovra il molle
e ricadea nel pianto.
3 fu, calde a Diana
!) la sconsolata donna 9
io Gglia, augusta Dea,
seno un de^ tuoi dardi scoccai
in libertà quesO alma,
il turbine e trasporti
nelle rapide correnti
etrogrado mi getti,
andaridi sparirò,
: óe* Numi alla lor madre
1 padre, nella mesta casa
laste erano e sole.
Uri di dolce mele^
V« "^ -.beo'' (lil.ci"°.^i COI'*' „
" «''SS '» S' . >• '•Tu* >■;
vie ^^^
* ^ .«50 ' V Ai
cw ••'; . ..li '
Lino XT S65
un lieto augnrio in bocca
Aikéì quei ehe iielP interno
^ e air aria aperta an tuo prodigiòt
^ lo etn uXSyi, orando, dine.
^ il 8c»inaio Giove, e ineonta«cnle
tfMiiiM tonò Incido Olimpo ,
roe giabilanne. Al tempo ÌBtesto
m che il grano naetnara detti
i|(hl gli mandò* donde non lungi
paator delle genti eran le mole*
là donne con aiBidna cura
TO «siaacan di dodici mole,
I luanea polve qae^ frumenti ed orzi
leean cbe delP uom ton fona e vita.
libre dormUn dopo il travaglio grave s
qnellacal reggean manco le braccia,
ipinU» non l' avea. Costei la mola
M di botto, e feo volar tai voci,
» aegnale al Re furo i O padre G^ore,
|li uomini signore e degli Dei,
rte tonasti dalPeterìa volta,
lon v^ ha nube. Tal portento è al certo
r alcun de^ mortali. An ! le preghiere
co di me infelice adempì , o padre,
ssi quest^ oggi nella bella sala
diionesto pasteggiar de^ Proci,
ic ài fatica m^ hanno e di tristezza
CMo un grave macigno ornai consunta,
nltimo sia de' lor banchetti questo*
Della voce allegravasi e del tuono
illustre figlio di Laerte, e l' alta
'^ in pugno si tenea giusta venc^etta.
V altre fantesche raccoglìeansi iiraint0|
Ho foco raccendean vivo e perenne. ■
> il deiforme Telemaco di letto
rse, vesti le giovanili membra,
icuto brando all^ omero sospese,
ìi una «alida tlriiitr ulta DodfiM i ^
Con Gno rime lumincMO in pnota.
Giunto alla •oglls, B''arr>i(b col picd^
E id £uricléa jurlòi Cera nutriccf ' I
Il Irallatle Toi bendi cibo e Irllo ai
].''ii(|>ilei Ione nun curalo Bia-^»*'
Anco la madre. mìa, benrbé ti >aggi«f
Sfalliice in qufaLo : cLi e aita degno,*
E non cura oucr.ir chi più ■••I tafrUi-,
Ed Euiic)éa: Figliud, Doo ìnenlpaB
La innocente tua maàte. A suo piinn
tfvea I' oipilcaisito, e quanto alPeuay
Domandato da Iri, Ante, meilieri i
Non ne over più. Come apprciSaTi Vm
Del ripoio e del innno, appareccbia^
C'impoic uo l^ttoi DM i lapprli aM
Biliuiii, qua) rhi vHire ai mati ineirtadi
Corcocti nel vcatiholo >.> Tre»:»
Trlle di lauro e cuoi dVignelk i noi
D' una velloia clamide il coprimmo.
Telemaco, ciò udito, uacia dell'alle
Suaie, al foro per ir, con l' aaU in mi
E due leguianlo pieveloci cani
Colà gli Achei dagli achinieri egregi >
Elaccolti raltenJean: mentre 1' antica
D'Opi di Pibendr 6gl>i>, le ancelle
Stimolando, Arrirltnlevi, dicea.
Parte a netUf la sala e :id innalììarb,
E le purpuree lu i ben fatti seggi
Coverte a diipiegar ; parte le mense
C>in le umide a lavar forale ipugse,
E ivati a ripolire e i lavorati
Kappi ritondi : ed al profondo fonie
_ r^irte andate per 1' acqua, e iicl.pala|
di ohe festivo ai tatti splende,
ascoltaro, ed titibidiro: Venti
8^ a^vjftr dalk nere acque :
ijli altri cofnpieairo interni nfQciJ'
i servi degli AchiVi^ e becèhe ' '
n arte dividean ; le donne' '
ial fonte { venne Eumé.),'ì^iiidatida
la mandra fiory nitidi verri,
vasto cortil pascer lasciava.
fermate nel suo Re le riglia,
impararo a rispettarti forse, ''
a oltraggiar segiion gli Àdiel-?-
ìf rispose il Re, piacesse ai Efunii
fente punir che nelP altrui
rei fattì| ingiuriando, pensa,
ia di pudor non serba in petto l
*a lor dicean, cfuindo il caprajo
bei della greggia eletti corpi, '
ventre a riempir de** Proci,
Melanzio ; e seco due pastori,
pre legò sotto il sonante
e morte nuovamente Ulisse :
, molesto ci sarai tu ancora,
ndo da ognun ? Fuori una volta
rai ? Difficilmente, io credo,
viderem che V un dell' altro
;e le man non abbia in prima »
tu villanamente accatti,
nsa in città dunque non fuma?
r offeso eroe: ma sol crollava >
inte il capo, e la risposta
con la man tra se volgea.
) in quelli sopraggiunse terzo,
acca menando e pingui capre>
iettò su passeggera barca
li mar ch(? a qiipsta cura intende*
nse sotto il portico) e vicino
Fatto»! K Eoméo, V inlerrogara : Eoi
Chi e qnrlla ilranìcr che ai noslri al
Tmlé arriiò ? Quali rt&er dice e dote
Ld tua terra naliva e t padri luoi ?
Lnssol UD monarca rgli mi aembra io viiLi,
Certo piace agli Dei metter uri haia
Relle «vrDtiiTe i vìandapti, quando
Si detlina da loro ai re tal aorte.
Dliiir, e appreHando il fo resti ero, e r lui
La man porgendo, Ospite padre, lalcf,
SoggiuDae : almen, ae iiHla doglia or vivi,
Sorganti più cercni i giorni estremi l
GioTe, qual mai di le Nume più cruda,
Che alta fatica e all' inferlomo in proli
Laici i mortali, eoi la vita drali?
Freddo sudor bagnai>imi,e mi >'' empietà
Gli occhi di pianto, immaginando Uliue,
Cui veder parmi rou Cai paoni in doua
Tra gli Loniini vagar, s^ qualche trrr.
SoilLcnlo ancora, e gli riaplende il Sole, i
Sveoturato di me! L'indilo UlisM j
A me fanciullo delle eue giovenche ^
La cura die ne' crfali'ni campi; 4
Ed io il le guardai che io inGnilo à
L'armeoto crebSe dalle larghe frontL
Questo sul mare trasportar per esca
. Drggio a una turba di signori etlrani
Che né guarda al Ggliuol né gli Dei trD<
Uenlre de' beni del mio Sir lonlano
La parte, cui Gnor perdonò il dente.
Con gli accbì ella divora e col desio.
Ora io stnmmi fra duci perchè rea cosa
Cerio sarta, vivo il Cgliuolo, a un'altra
Gente cnn I' arraeiilo ir) ma d'altra parie
Pesami Gcranieule appo una mandra
^ UBao XX ^69
III e quel misero rieda e spfrda i Proci^
Q di qualche magnanimo padrone
^ik nelle corle riparato avrei :
^è tai cote durar più non ti ponno.
E V eroe si gli rispondea : Pastor<; ,
r^iichè maWagio non mi sembri e stolto ^
S senno anche dimostri, odi i miei detti|
B il giuramento che su questi siede.
10 pria tra i Numi in testimonio Giove,
E la mensa ospitai chiamo e d' Ulisse
11 venerando focolar, cui venni:
Giungerà il Gglio di Laerte , e alP Orco
Precipitar gli usurpatori Proci
Vedranlo , se tu vuoi , gli occhi tuoi stessi.
Ospite • questo il Sat umide adempia ,
Replicò il guardFan : vedresti , come
Intrepido seguir del mio signore
La giusta ira io saprei. Tacque; ed Eumco
Smania con esso, e agP Immortali tutti
Pel ritorno del Re preghiere fea.
Morte intanto a Telemaco s'*ordia
Dai Proci. E ver che alla sinistra loro
Un** aquila comparve altovolante ,
Che aveva colomba trepida tra Pugne.
Tosto AnGnomo sorse, e, Amici, disse,
Lasciam da un lato la cruenta trama ,
Cai più che invan si pensa; ed il convito
Gì sovvenga più presto. E il detto piacque.
I Proci entraro nel palagio , e i manti
Sovra i seggi deposero*, le pingui
Capre e i montoni s^ immolaro, corse
De^ Tcrri il sangue , e la buessa , onore
DelP armento , cade. Furo spartite
Le abbrustolate viscere, e mesciuto
NelP urne il rosso vino. Eume'o le taxze,
Filezio i pani dispensò 00** vnghi
Capestri : ma dalP urne il buon licore.
Odissòa i\
Ti iclicrinitù i elle non è qi
Pubblico, ma [l'UI»se, e<\ a
Egli acquÌ9tol1o. E Toi freni
Le min, nonché le liague,
Qui non l'iccrnila e subita
Strìii>er le labbra ed inai
Ed Antinoo coii : Li minaci
Coni[>seni,dì Ti^lernaco favi
Per moietta cLie lia, durarl:
Giove il protegge: clié altr;
Bencbé einoro arringator, g
Silentioeternodagran tem
E il ditpregiA Telemaco «
Già I banditori recatomi
Dfgli fìti coodiicean per U
E raccoglie,! nai i rapelluti .
Salto il boico rrondifero d\
])i rui per cotanto aere il i
ià ftddcDlro penctnMe m petto.
tra kuno od oialtagw «od. che «vcà
>teiippOy e diBonTi m Sanie,
ftdanoo ne^ teior pateraiy
lorte del re cokK altri ambivi*
* tal favellò : Proci, awoltate.
ier, qua! conreiiiasì, oiteone
guaio con noi. Chi mai Torria <
maoo un oipite fraudarne,
uè fosse ? Ora io di fargli intendo
il don, ch^egU potrà in mercede
eia o al bagnajuolo o a qual tra i tervl
cera dell^ immortale Ulisse,
dicendo/una boTÌna lampa
a da un canestro, e con gagliarda
ivTentolla. Vincoocusso eroe
la, il capo declinando alquanto,
jueir atto d^un cotal suo riso
ico ridendo ; e il pie dei bue
note re andò nella parete,
d^asìiai per te , cne noi cogìieAtiy
imaco allora il tracotante
)o rabbuffò : meglio che il colpo
schivasse ; però elisio nel mezzo
' senz' alcun dubbio un'*asta acuta
t piantata, e delle nozze in vece
ate Oavria P esequie il padre,
unque agP insulti. Io più fanciullo
n, tutto m^é noto, ed i confini
del retto e del non retto io valgo,
e voi ch'aio soffrirei tal piaga
ostaoze mie, se forte troppo
ise impresa il frenar molti a un solo?
, cessate dall^ offese, o, dorè
el sangoe mio V alme vi punga,
*tevi-ilmio sangue. Io ciò pria 70glio
tder ciascun .giorno opre li \nde^«e^
Io poi
3^1 oDiaiB*
1 fori-slitri JilPBgiall t ippsso
Battuti , e nello splpiiciido palagio
Cnnliminate, oh reità! le ancelle.
Tutti amiDDlira, e sul, ma tardi mol
FiTcllo il Oam ustori de Agflao :
nobili amici, a clii parlò fon if ano
Rcisun risponila ìoEiurioia e avverso j
He /orettier più ti percuota o aile^uoni'
a del dirina UlisM.
;>oi darò a Telemaco e alla madre
n parolp blanile,
se in cor loro entrerà. Fmrbè ipcraDt
Tel ritorno d'Uliuc a voi Bariti,
Gl'indugi perdonare ed i pretesti
Vi si poirano e il trarrà in lungo i P
Che, quando apparii la lui faccia fon
Di pnidenza loitati «tiIatì i) mondo.
Ha chiaro parmi che più in mao d'Ulii
Il ritorno non e. Trova la m.idre
Dunque e U jireasa lu che a cjiiel de' 1
Che b» più virlude e più doni offre Vi
Onde lu iTentrir ne' beni tutti
Del padre posii, e alla tua menai in §
Non che in pace, leder, mentre la mi
Del nuoTO tpoao allegrerà le mura.
E il prudente Telemaco, Per Giove,
"' r li guai del padre
ci/,™
. peri.
dalla SOI
. patria
lunge.
Ti protetto Agelao, ch'i
o della
madre
Non in.
duULo le 1
nii la e
Quello
4uir ci
,e più le
aggradi
, rdoir
Doni ir
1 copia ni
laKftior: i
ma > Dii
i beati
Tolgin
che involontaria
io la .
bandii
Da quc
■ile soglie
D.9>e
:, e Aliuei
rva inest
inguibii
! riso
De.lò ne' Proci,
T»r>e il
lUilr
HO U&&V
tmw w
a<^)«.Uft
VUnc
Ulto UE 3^*
itfgne ingbiolUan delle sgozzate
B ^roi, e poi dagli occhi a un tratto
I loro no improvTiio pianto,
erita ditvéntorm il duolo
petli rtpiwB. E qui léiroMi
ifoo, il gran proftsta e dltse t
ri, die veggio ? E qoal v^ ificonlrft
ietto? Al eorpo intorno,- intórno
lotte ti f ira al eapo qn nembo»,
ro aeoppi(^) bagnanti I yblti
mtarie lagrime | di sangue
i le pareu ed I bei palchi j
*émpie e il cortil dX)mbre eoe in fritta
sencjòa neir Èrebo { dlaparre
» il Sole, e dqtli aerei campi
•a eali|iQe indoonoMii. ^
iMlAm dal profeta, e «jncite
rimaco adolie i lì ferestiero
Tenne testé, non soda dove»
a, io penso. Giovanii su yìà, ' t
fuori, acciocché in ^piazza ei vada,
he qui per notte il giorno prende.
idoTioo, Eurimaco, rispose,
guide, che vuoi d^rmi, tienti.
3 in testa ed orecchi e due pie sotto
mpra non vile un^ alma io petto,
soccorsi io sgombrerò, scorgendo
he sopra voi pende, e a cui torsi
tra un sol di voi , che gli stranieri
ale, e studiale ioiquitadi
igion del pari ai Numi Ulisse.
o, usci da loro ed a Pireo,
buon gr<ido il ricevè, s^ addusse.
Proci, riguardandosi a vicenda^
d^ ambo i forestier facendo ^ |i
vau Telemaco. Non havvi , U
iceai chi ad ospiti stiii pc||io »
Sema prodeiia, tFn»a indii»lria, prio
Diiutil della Una; e V altra un paxco,
Che, per far del profeti, in pie ti le>a.
Vuoi tu (Questa senriir, eli' io ti proppligo,
(lano parlilo? Ambo giUlamti in nave
E li nandiarD della Sicilia ai lidi.
Telemaco .li hii milla curaVa.
Ha levati Icnea tirilo gli occbi
Nel geuitor, sempre lapetlaiidu il punto
Ch' ei •fatto cantra i Proci impeto avcclib*.
Id facrii della aala e io in U porli
Del gineceo, da un luo lucRntr Kggia
Tulli i lor delti U Aegini udia.
E quei, ridendo, il più loave e lauto,
Prri che molle avein vitlime ureite,
Crna di quella non fu in.il tW- ai Picei, ,
Degna mercè drlU nequizia litro, <
Stivali per ìmbmidir Pilla ed UIìmc- I
UBW> TIGESIMOPRIHO -
cMlófw. per Inipiniton di Itittrm, |ira-
e il cinrnlo dell'arco , pml* Ai qatìh '
«e tra ì Proci che laprb If odcrln e
igerieeondo li impoita l^gge lo iCralR.
tattf-o appirrcchia il giuoco, eJ^gli ileaw
rati il primo , petiiando di rilen^re in
1, le il (iu'-.oo gli rieice, li madm ma In
più l>ello il ptdrr gli comanda di alarli.
'rafano alcuni Proci , ed inutilmentf,
ano intanlo Filezia ed Eoméoi e Ullue lì
ne , li aropTC e dà laro gli ordini pi&
orlnnì. Ni invi ed itiulili len lati vii dopo i
liAntìnoo luggrrix-edi dilTerireal giamo
mio il cimenlo. Uliiie «ncfa'egli tuo! cì-
ilar»i,eÌProcì a'uppongono indarno. Egli
niua l'aico, illpnile con molla fjcilìl^'a
ig# la freccia lecoiido il rito felicidima-
i Palla, ocefaio atiurrino, illaprudeoU
ia iPlcario entrn lo apirto niiie
■ropor l'arco ai Proci, t i lenci anelli
K 4) ilragt principio e di ViiiitrtU.
La donna salte alla magiDD più alta,
K Hrll'abil tua man Ih bella e ad aite
Cr>rvala diiave di meUlIo presp
PpI manubrio di «andiJc eiclaiilc.
Cilì fal^o, andò ron le redeli ancelle
Nella starna più interna, ove i toiori
SerbaTanii del Re : rame, oro e ferra
BfD traTagliata. E qui gìacei pur l'are
Ilitorto, e il lat-ittifero turraisa.
Che molte detitro a té frecce cliiudea
Dnlorlfcre: doni, cbe ad Uliiie,
Cui a'dbbatEè nella Lucami un eìoTOO,
Feo l'Eui-itide Ifìto ai Numi eguale.
a Meuenia. Di Ueaseiu
pecore I redento
li .» i< l.nBli. n«l
Uandaro Uliiie. D'iitra parte IRlo
Li traccia aen venia delle perdule
Su dodici cavalle, e delle forti
Alla lor mamma pnxTcnti mule,
Donde mina drrivògli e morte:
Però' che Alcide, il gran Bgliuol di Gion
D'opere grandi Fxbbro, a lu., rlie accoll
Nel aua palagi» avea,- non paventando
Hi la giustizia degli Dei ne quella
M'nsa o-pital che gli avea poila innanii,
Tiilae iniquo la vita, e le giumente
Dalla furi' iinijbia in aua balia ritenne.
Vncsle ccKando. l'abbatté ad Uliice,
f*: l'are» gli (loiiA, che Ìl chiara Euritfr
l'uvUva, e ia man del tuo ditello figlio
-.■>
m Imééàaàé ùfìMéìk ifMMto '
Me e vaa Uudn nodbroMi a Ifitoi
^ «o' jaiMlk nou long» aoloo p^fBO s
Ile di MieaM oonòtccni a Ti^nda
ibr'non fii dato, ed il Mta^ldi Giove
^Eorìtide dÌTÌno iniiaiffi decite.
Niett^aroo VWutff allordiè io negra liavo
Be dorè traea belliche prove, ''' '
hi togliet iDM$ ma per memona etemìi.
M òaro amico alla parete appeao
lifiar solcalo, e sol graTame il dotto .
MP iaolf natia, gli era diletto,
^me pervenne alla tecrfeti ttama
Pfgregia donna, e il limitar di (juérida |
un conttrutto a squadra e ripolito
^ fibbro industre, che addattovvi ancora
m Imposte ferme e le lacenti porte,
%ato la fune delP anello sciolse, ^
i iatrodasse la chiave^^ed i serrami
letpinte s un rimu^ghiar, come di tauro,
Iw di rauco . boato empie la valle^
rodi quando le porte a lei s** aprirò.
Ib montò su V elevato palco,
bve giacseano alle beli' arche in grembo
profumate vesti, e, distendendo
lindi la man, dalla cavicchia Tarco
tutta distaccò la luminosa
ioa entro cui stava. Indi s^ assise
quel posato su le sue ginocchia,
I* pianti dava e ne'' lamenti : al fine
sita custodia sua l' arco fuor trasse,
poìcbè fu di lei sazia e di pianti,
p, e de^ Proci nel cospetto venne»
Ik» in man «nstenendo, e la faretra
I di mortifere saette:
le ancelle la si*guian con cesta
Oi fori" '"'pi aedea" , > j^ ^
0.»> •"'• tv .11" ■," ii ••*^" J
Con l» '*^ „.,, lieo»"' '"" . cdIoMV^
VUCH "\f"Vo M»"°,bta.l."»
uno xu 3^9
unii mM piA 'teneri, ed lib]freMa
•U in mente da q^iei di 1^ imago;
' Bupite U figlio I e non perUnio
eooOdavaai piegarne,
léllo io anel mandar lo atr^Ie.
rea prima 1^ infallibii freccia
e in vece dall^ eroe aooccaU,
o^ ami ollra|;giaTa , e incontro ft cai
i i compagni a nenia aMÌao'.«
tra i. Proci parlò la sacra fona
emaco: Oh Dei! fife Giove al certo
i senno. La dilette madre
n altro consorte , abbandonando
mura, seguir^ benché si saggia ,
io rido e a sollazzarmi attendo.
poiché a voi donna in premio s^ oflfri^
n r acaica terra e non la sacra
d Argo, Micene, Itaca stehsa *
V eguale o la feconda Epiro ;
pete vui ben , né eh** io vi lodi
itrice oggi è mestiere su vìa,
ne scuse non tirate in lungo
certame, e non rifugga indietro
.^sa delP arco il vostro braccio,
eroiumi anch'* io. S^ io tenderollo,
?rri entrerò con la mia freccia,
lasciar per nuove nozze in duolo
itrice non vorrà, fuggire
>rrsi da un figliuol che ne** paterni
la palma riportar già vale,
ciò detto, ed il purpureo manto
meri deposto, e il brando acuto,
la prima cosa, un lungo fosso,
lunette con gli anelli in cima
'vi, a squadra dirizzolle e intorno
a vi calcò. Stiipiano i Proci^
Iole pianure a lui si bene.
l
380 OMtllA
Btneh^ egli a iifsiuii |jria »i>Ie le iv
Ciò f-illo; delle pnrlp and.'i aria logli
E. frrmatOTÌ il pie, 1' arco leiitava.
Tre lille trar volle ilDcno al pctlo
Tre dalla inaD gli icappt il nervo. 1
Non ditperara che la (juarla prova
Più felice DOD foue. E gii , la corda
Traendo al petto per la quarta lolta
Teao syria l'arco: ma il vietava Ulis
D' un ceuDD, e lui , cbe tullo.ardea,
E Telemaco allor, Numi 1 aogglunse
debile io vitrÙ dunque e dappoi
Tutto il mio tempo , almen la poc
Fona da ributtar chi ad ollraggiarn
Ri acagliaue primier , oun dammi ai
Ha Toi , che liete più gagliardi , T i
Taitati! aduoque , e li complica il g
Detto coti, Parco ci dcpoaea terr
E airiucollale tavole polite
L'appogRiù dell' pni>*, e posò il d
Sul cercliìo, che delP arco il eommi
Poi a' attiie di nuovo. E Antinoo, il
D'Eupite , Favellò : Tulli , o cumpag
Dalla dettra per ordine 1' aliate ,
Cominciando ciaicun , donde il vern
Licor li vena. Il detto piacque , e j
L'Enopide Leode ' ''
Sedea p
Portava , e gli altri riprtndea. Cuitu
L^rco lunato ed il pennuto strale
Si recò in mano , e alla .oglia ita, .
Su i piedi , tentò il grave arco, e ni
Clic tenti intorno alla ribelle corda
Prima itancani la man liscia e moli
Aliti , disie , lei prenda ; io certo ,
Bui lendei'w mi «c^o^mix iJnn a n
lo core il bramì,
1 impalmar : ma, come v
"'\, e maciPRgiato, us'Allra
. . B peploadilobbate ,
ì preaenli a lei porgendo ,
Vnelops il ftto nom ofae di «loid
Bcrall» condnrrk d* altrónde,
il partalo , el miie T aroo a Um ,
> {doaHata tavole polita
po^ft della porta . e j>ii»i il dardo
ercbio, che dellSrco il lonino omlrt.
di tornò al iiio •«ggio. E Aotinoo io tali
proruppe : Qnal malettò , acerbo,
chìaitra de^ denti a te , Leode,
> afoggì , che di furor m'inSamma?
I dunque lark morte qu»t''arco?
curvar noi puoi , la madre incolpa ,
d^ archi aom non ti feàe e di laettei
li altri Proci il currtranno, io peiuo.
uè , e areoitode del caprino greggi:
b> precetta diri Helaniioj accendi
ente foco nella ula , e appreiao
ani Mggiò , che una pelle cuoprl.
L* bianco e Indarato adipe reca
da , titonda maua , acciocché i^ nnga
vii raroo, e li •caldi, ed in Ul gniia
l« certame il cooduoa a fine.
llÉHki aeceie an utancabii foco , '
• odk di lopra on «eegio poae,
S niUM e iùliirata adipe maiaa
'* • landa rrcb. L'arco onta • addo
' -«Ili. Cb« Tiba,
B le brucU infltfiC&t
< 1 gloraiii. <
mbSob le I
^
38i
onisa-i
H> Jalla proTi
.'asteneaneno
ra ■'
Kurimaeo ed Aa
tinoo, cbede'
Pro»
Eran di gra.lo e
di valore i pri
Uiciro intanto
del palsK'O
uutenq
Il pattar de' miii
E Uliiae dopo. I
Fuor li trovare,
l«U e V<> d"'
buoi,
Belle norie appi
cna '
l.'eiid*l
Parole ud ambi
rivolgendo, Eumeo, 'i
Dis.e. e Filonio,
l'Hrellar degg' i<
».
i detti ritenpi
r? Oi ritenerli
•1
li dà. Quali •are.te
D' Utiise a prò,
Inalvei
Coipelto innani
,i il preicntaaae
UD Nui
Ai Proci, o a lu
voi?
Ciò che net cor
vi 8ta, venga a
ul labbi
GioT« padr
e, selamò allor
Filezio,
Adempì il volo
mio! L'eroe q
»■ giuue
E un Name il guidi. Tu vedrei
Quale in mei';
irdir fora e q..
. men» agli l.
ale il b!
?i lutri
Fel ritorao del Re prcgbìc^re alzavo.
Ei, come cerio a picn fu della me
Sincera e fida d'ambtduo, (oggiunie :
la caM eccomi io iteuo, io, che, toSer
Sventure ae: z» numeru, alla terr»
Nativa giunti nel vigeiim' anno.
So che a voi aoli desiato io ipunto
Tra i servi miei: poiché degli altri tut
Non udii che un bramasse il mio rito
Quel eh' io farò per voi, dunque aacol
Voi .da me donna e robe, ove dai Ku
D' eilerminar mi ai conceda i Proei,
Ricevcretej ed io lerrovvi in conto
Di compagni a Telemaco e fratelli.
Ma. perchè \n toTw mm tettiate punto
B jEIflI^alp^ttra Itaca signori ,
''ìsole proM^me alla verde
cbiavà tSi cavalli altrice. i
\ào Itrtie ancor dono io volessi
stier^ clii ^nvidiarmel pupte?
riejitra ^ cA al telajo e ai fuso ,
pur suoli y con le ancelle attendi,
larà degli nomini queir arma,
y die "d^altri, mia; cbè del palagio
irno in ' me sol ., madre , risiede,
nita rimase e del figliuolo
parola, clic nelP alma entrolle ,
in alto tra le fide ancelle,
aprendo alle lagrime le porte^
Ulisse a nome iva chiamando:
; un dolce di tanti e tanti affauni
r sonno le mando Minerva,
co Eumeo tolse intanto; e già il portava,
'oci Sutli nel garrfano, e alcuuo
cea de"* giovani orgogliosi:
il grand'^arco porli, o diseonato
o sozzo? Appo le trnjn in breve
ingeran fuor d^ognì umano ajuto
issi cani di tua man nutriti,
olio è a noi propizio e gli altri Numi
anrito delle lor rampogne ,
> ei depose. Ma dalP altra parte .
linacce Telemaco grida\a^
va innanzi con quclParco. Credi
'obbedire a tutti in prò ti torni?,
jra ch'io con iscagliati sassi
ciltade non ti cacci al rampo,
lor d^annif ma ni t«* più forte.
•sì| qoal (li te più forte in fossi
:oci tutti che qui sono ! Alcuno
io ne sluilzfrf i fuor de! palu|;io,
il tesser ntuhumi e lor b(>lPartt;.
Sul npo i mulli AAktt s" rimrripa il j
r.aniltì rb^, .e .li fnrie >l sr.i.Jc^OBl
Si'"idf"ii\li noi ì''*là°ful»re. ""
No: l'Eupitidc Antinoo a lui tii|uql
CIA , EuriDiiro , HDD Gì : Iti tirata il «i
Sarro ad Apollo > qiipslo di. Chi Tu
TrndcT poirebhe? OrpoDiamlo, e Inlli
Lnuriai o dar gli anplli, e non trniiM
Clic alcun Ha dove son, rapiiU ardìu^.
Su via, I' abii coppicr Tidi co'' nappi'
R:rolmi in giro, e, poirhé atirm lilwt
Mrlliom rarro ila parip. Al lìì novclb
Mplaniìo a noi Ip più Gorpnli cipie
Guidi da lutti i biaorhi.Dnde, OrtuM
I pinfoi lombi al glorùuo Arciera, 2
Si riprrnila il cimenio e a iin a^tdduct
PiacqiiP il »uo l'etlo. I banditori loti
Cpn le iDTir , augurando . a lutti in gir
Come libalo e a piena voglia talli
BpvuIo cbber gli amanti , i) saggio Ulii
Che slralagemmi in cor t«mpie agiUvi
Coti lor farpllò : Comprtilori
DpII' incliU Kc)!Ìiia , udit v' aggradi
Ciò cbe il cor dirvi ini ci nsiglia e <ron
Eurìmaco fra tulli , t il pari a un Ku
Anlinoo, che parlici a f conci a mente ,
L' orrcrhìo aprire alle mie veri io prie
Perdonale o|gi all'erro, e degli Eteri
A CUI lor piacerà daranno i NumL
Ha iTÌIanlo a me, Proci, queir arma : ii
Voglio far .lei mio braccw , a veder i'
Nelle uniAitk v^t^«:^ii\^i^ÒKA
Lisno XXI 389
[a il Laerziade, cornei tatto IVhb^ |-
iderato, e osservato a parte a parte,
il perito cantor che, le ben torte . . .
lOf^ avvìnte dHina «na novella
era ad ambo i lati, agevolm<*nte
Bf volgendo il bischero, la corda :
e il grande arco senza sforzo tese*.
saggio far volle del nervo : aperse
mano, e il servo mandò un suono acuto,
al di garrnla irondine è la voce.
ui d*Jolo i Proci ne sentirò, e in volto
iscoloraro; e con aperti segni
rtemente tonò Giov« dalPalto.
A Teroe, che di Saturno il figlio,
Satarno che obliqui ha pensamenti,
i dimofttrasie il suo favor dal cielo j
an aligero strai che su la mensa
ipl^ndea tolse: tutte P altre frecce
e ^li Achivi assaggiar dovenn tra poco
gè chiudrale il concavo turcasso.
sto su Parco, ed incoccato il dardo,
•aea seduto, siccom'era, al p^tto
n la man destra il nervo *. indi la mira
•a i ferrei cerchj prese, e spinse il telo^
le, senza quinci deviare o quindi ;
ssò tutti gli anelli alto ronzando,
biiamente si rivolse al figlio,
Telemaco, disse, il forestiero
in ti svergogna, parmi. Io punto longe
il segno non andai, né a tender Parco
.ticai molto: le mie forze int< re
rbo, e non merto villanie dai Proci.
I tempo è ornai che alla radente l^ce
•r s^ap presti la cena; e polsi to({chi
k cetra molticorde, e sbalzi il canto,
che più di piacer la mensa arqiij^ta.
Dine e accennò cu^ sopraccigli. Allora
Perni lu forte die, uve lo itfaniero,
Fiilindoii dì ti, t'arco tendeiie, I
Ne quiDM. mndiirrìa moelìe al loo tettai 4
nt lo «pera rgli , ne turbato a nuaM i
Dee ptr fuetto sedere alcun (ti voi. 9
Co» 10 veder non sa che nen a' idditt '
Ed Eoriinico » lei: D'Icario figlia,
Itan v' ha Ira noi , cui nella meoLe c»l)
Che te pigli ■ cninurte aam di': ti pooa
Degno è ili te. Ma degli Achei le lingue
Trilliamo, e delle Aokee. I>a piii ril bocci
Te*, g[ider(a, ([mi il' un eroe la doima
Chiedono i gara gicTÌantti -ìmhrtli
Che ne FiIgoN piegare il (uo beirareo,
Mentre im laplou , un »s,ibDoJa, un iriio'"
Tntè, currollo agcvoioMate, e il djrda
Per gli anelli miudà. Tal griderebbe;
E Rosi a Ini Penelope rispam -,
Entimneo , non lice un nnine illoitre
Tra i popoli agngnire a chi d' egre^o
Signor la caia d.>l suo fondo schianta.
Perchè tiii;''r <ai gteiii il nome voitra
D'infamia? k lo ttranier di gran ii-mbianll
La stirpe >ant,i e non Tuigare il padre.
Dategli il risplendente arco , e veggiamo.
Se il tende, e glori, gli concede ApollJ,
Prometti, e non invan , tunica bella
V«iifgli e bella clirniJi-, ed in oltre
Vn brinilo a doppio taglio e un dacda acuì
Metrcrgli in mina, e lotto ai pie clliin ,
£ là inviitlo, dove il loo cor mira.
MiJre, dine Telemaco, a me solo
Sta in mano II dare, ono, <jiiell' arco, ìoerWl
Tiè U» in \u"v n^iDt><L ie^Jv &chivì aJatM, J
LIBRO VIGESIMOSECOr«DO
▲KGOMBHTO
UJitse comincia la g»*an vendetta , e il pri-
vilo che uccichei saettandolo, è Antìuoo. Euri-
KHaco tenta di placarlo, ma indarno^ e, dopo
^ver confortalo i compagni a combattere^ è
Mccìso anchVgli da UlUse. Teli^maro .nmniazza
•AnBnomo. Poi , mentre il padre segue a ma-
neggiar Parco, va a prender le altre armi cobì
r>er lui, come per sé e per li due pastori. M e-
anxio fa il medesimo per li Proci. Puni/.ione
iSi lui. Minerva comparisce ad Ulisse in forma
^i Mentore e F incoraggia. -Appresso scuopre
1** egida, e mette i Proci in grande scompiglio.
Tutti rimangono uccisi ,> e solamente son ri*
Jlparmiati il poeta Femio e P araldo Medonte.
Slogio della poesia. Le donne colpevoli oò-
l>ligate sono a trasportar fuori i cadaveri: indi
punite. Ulisse purifica con fuoco e zolfo la
caca, t chiama a sé le altre donne , che gli
fanno gr<in festa, e chVgli subito riconosce.
Anurie e spogliossi de^ suoi cenci Ulisse
£ sul gran limitare andò d^un salto,
3gi ooiitu
U" area tcnpcdo e la farcirà. I nlli
Sitali, oniU giaviJa rn, ingiiioui
Djtanle «■ pinli, e ai Proci diiw : A fin 1
QiiciU diHiot prova i gii eoodolbi
Un io Tpilrùi se litro benaglio, in cai
KMSiin illude >in i]<ii, toccar m' avtìeuF, '
E if ne Unto privilegia Apollo.
Coti dicenito, ci dirigea P amara
Strale in AiHiaoo. Anllnoo una hgptAn
Stava per innaUnr roppa di tÌdd
Colma, a due oreecbie e d^oro; ed allr bbbN
Giii r appre»»»» : né ppntier di Bmrte
Nel ror gli ai rolgri. CJii «vria credili»
Che fra cotanti a lieta d
Fabbricar g
Nella gol* il IroTÒ eoi dardo Uliui
E >l colpillo, che dall'altra bandi
Tri colla ilrlicnto aitci la punta.
¥.1 piegò ria una parie, e hi "
l.a coppa gii calici tnilo ii
Vena 'Il lingue rn.iniJù tanr pei ciiaì
l'emute culle piante, * ila tè il drico
lletpinie ; iparle le vivande a lem;
Kd ì pani imbriiL'avanii e le carni.
Vitto Aniinoo raJer, tumulto j Proci
Fér nella tala, e dai lor leRgr alznro,
Turbali rapjr.n.losi, e guardiinjo
Alle pareti qua e i.i: ma lincia
Dalle pareli non pendea uè scudo.
DckV LlBccnie ùoventude il Bore ?
* LIBIO XXII. , 3^
!|;1i ftTolloi sarai qui pMto.
, pensando in volontario, il colpo,
: né s^ avvedean folli , che posto •
fini di Morte avean già. il piede. ,
'O riguardolli e in questa guisa
Ulisse: Credevate I o cani, '
dio io più non ritornassi , e intanto
disertar y stuprar le ancelle ^
isorte mia, me, vivoy ambire
tvate, non temendo punto
i Dei U grave ira né il biasmo
ente degli uomini. Ma Tenne
I per voi tnlti ultima sera.
inverdirò del timore, e gli occhi ,
impo a cercar, volsero intomo,
in tal forma Èurimaco rispose:
il vero tu sii d^ Itaca Ulisse
rinato, di moU^opre ingiuste
lel tuo palagio e sì ne' campi
(se furo ti quereli a dritto,
ui, che di tutto eravdagione , .
in terra, Antinoo. Ei deW ingiuste *
V autor primo; e non già ticinto
iderio delle altere noaze,
per quel del regno, a cui tendea^
do il tuo figliuolo: occulte
le che il Saturnio in man gli ruppe,
norto egli giace, alla tua agente
i tu. Pubblica emenda farti
raettia*so: proroettiam con venti '
iascuno , e con oro e con bronzo,
to riempir che ne"* tuoi beni
aliando aprimmo ; in sin che il core
Eia ti si schiuda, e sgombri
»nde a gran ragione arse da prima.'
mirollo e replicagli Ulisse :
iurimaco, tutte ancor mi deate
L^ arco una toIU cil il
Disrrfnerìi dil lltniUre i
Finché tulli ci atlerri.
Dunque *Ì p«nsii distrir
E, delle mfnse alle lelil
Scudo facendo a noi, pie
Tutti in un groppo. Se i
Scit;ci>Tlo ne riesce, e 1
Kcotrere, nliando il cie1
Dal laellir ti rimarrà pi
Disse , e V aculo di t<
Brando a due Ugli ttrii
Con terribili grida. In qi
VAtato l'arco, «1 petto i
Nel frgalo gì' infisse ace
Laacib Eui'imico il bran
Girl curvato lu la menu
K i cibi I
rreniM Tdénaco^ e im tergo
e sfMiHe il fM eon la- pangeiile
ia, cbe ftior gli rimcl dd "pcUow
Pinfelioe rimboabò cadoto ,
1 tutu 'la fronte il taol péredaie.
l gaimn sottraeati, abbaDdonattdo ' *
iDcfa entro d^Anfiiiomo: temea
aletta degli Achei, mentt'egli-ehiiia -
an p aita a aeoofiecare ibteatp ,
artio il marteHatae, b con la spada
«' mano il lerìaie alla scoperta*
idi rìooTTÒ ratto , e in un baleno
aro padre fa Ticino , e a lui ,
"e , aisse , ano sondo , e lance dae ^
1 adatto alle toni pie elmo lucente
eeherò m^ armerò io stesso , ed armi
ilezio darò, darò ad Euméo.
consigli il miglior sembrami questo»
, corri ^ Ulisse gli rispose, e riedi
:hè restano a me dardi a difesa:
riedi prestamente^ onde gli Achei
clie son solo^ non ismuovan quinci,
bbidl il figlio e alla saperna stanza.^
e V armi giaceano, andò di passo
liato, e targhe quattro ed otto lance
e e quattro lucenti elmi di chioma
ina folti, e in brevi istanti al caro
itor si rendè. Qui del metallo
ì egli primo la persona, e i servi
mente le belle armi Testiro,
kl T'accorto eroe stettero intorno.
ftti, 6nchè le frecce a lui bastare,
jiea la mira ed imbroccava ognora,
dean P nn su P altro i suoi nemici,
poiehè le infjllibili saette
far venute men , V arco ci depose |
appoggiò del bea ibndato albergo' • ^ '
il
Che in pubblica m«ltea
Di queita, per cai tot >'
llliue volle il Gdo Eum<
Agelao l'ebbe Tocchia,
HoD ci airà cbì quelli )
E spargi voce, e il pnpi
Levi, perchè coatui cetii
Ciù, riipoie MeiiDiio,
HoD poniamo, Agelan d
I^ porte del cortil trap
Sono, ed angiiata i quel
Cui iiBii naiichi valor, i
Pur DDD temete, lo por
Dalla itaDza luperna, in
Da Uliue e dal Bgliuol
Detto, apdar la e f\i
Entrar, pigliar dodici ta
Taole, e tanti criniti el
Mettere in niHD de' palf
Fu di pochi momenti o|
uno nii S^7
scende contri noi antsV aspra gaerra.
l Telemaco a lui, Padre, rispose,
sol peceai, non altri, io, che la salde
*ia lasciai mezzo tra chiosa e aperta}
no esplorator di me pia astato
gioT& intanto del mìo fallo. Or Tanne
, prode Euméo, chiudi la porta^ e sappi,
ciò Tien da un^ ancella, o dalla triéta,
ne parmi più ver, di Dolio prole,
fentre tali correan voci tra loro,
laazio per le belle armi di nuovo
se. Adocchiollo Eoméo, ne a dir tardava
li ad Ulisse , che lontan non gli era:
trziade àivin, quella rea peste,
cui noi sospettiam, sale di nuovo,
'lami chiaro : degg^io porlo a morte,
rimangogli sopra, o qua condurlo,
*chè a te innanzi d^ ogni suo delitto
ritamente il fio paghi una volta ?
S il saggio Ulisse : A sostenere i Proci,
ne che ardenti, io col mio figlio basto,
ezio dunque, e tu, poiché V avrete
Lro la stanza rovesciato a terra,
bo i piedi stringetegli, e le mani
tergo, chiusa dietro a voi la porta;
ui d* una insolubile catena
to tirale sino alP alte travi
ago una gran colonna, acciocché il ivtìiù
•nti con morte dolorosa e lunga,
^ronti i servi ubbidirò. Alla sublime
nera s^ affrettar, da lui, che dentro
i e cercava nel più interno V arme,
a visti e non sentiti ; e si piantaro
inci e quindi alla porta. Ei per la soglia
isava ratto, in una man portando
ninosa celata, ed un vetusto
V altra e largo e arrugginito scudo^
Ole gli onteti gfaTà del buon Lutt^^H
Sul primo Bor dtLl' eia sui : df poslo ■^^J
Fascia K dipi eoli calo, e da fui ralle
Le coregge pmilevano. Veloci
V aesallAr, I' abbrancar, lo alrasrìtiaro
Dcptro pel riuffo r rallenàr dolente !
Indi amilo i riiedi gli leparo «d ambo
Sovra il tergo le man, quol di Laerte
ComoTidb il figlio; e lui d'una catena
Insolubile clnlo ir (ino all' alle
Tdtì litìr lungo una gran colono*.
E coi! >Uor In il derideiti, Eiinnéo :
Melansio, or cerio vegghicrii la notte
Sii letto molle, come n te a' addire,
Corralo^ né uscirà dalle correnti
Dell'* Oc'àn, l'he tu non la vagheggi,
L'Aurora in troua d' 6r, quando le pitigvi
Capre alla menta condurrai de' t>roci.
Tal fu MeUuzin fra legami acerbi
Sfc«r,'l. porla risnlcnrlenlp rliìuM ;
E presHi al ricco di contigli Vìiis,,
Forza spiratili e arilìre, il pie Tcrnisro.
Cosi cjiiallro Buenieri io. su la soglia
Erano ; e nella sala un Dumeroao
Drappello, t non ignobile. Ma Palla,
L' arroipolenlc del Sainrnio figlia.
Con' la faccia di Mentore e la voce, .
Tra le due parli d' iroprcTviso appaire
Gioì a vederla ìl Laerziade e disae:
Mentore, tnì secnnda, e ti rammenta
Del tuo dolce compagno, onde a luds
Cosi t' eroe i ma non eli tace il coi r.
Che la lua Diva in Mentore a' aacoii
Dall'altra portela f;arrÌBno i Proc
B primo ft Cauiav\.(«\4e i.'j.vl"'
•UiacaMU At t Meiilorty badi
ita ^acoAre in sao pn» eoa tri gli àtthifi '
a ti Mdaea £t?elUaA0 UUtie.
rò ehe quando per min noitra iMOiai
■ttran , oome ho feda, il pidre e ÌL figliOf
irrat iit «neon e il-taogae^tuo dem
r cib che oprar nelle magione or ptntL
* pia 7 Te tetto cenere» ee^ beni
UDliaieni aaonte andrà quaot'or potiiedi
A tuo peltgio e fuor { né e figli» o e figlie
Isere i dì Mttò il natio lor tetto
baentiren né elle tue catte donna
f linee aoggiomar nella cittade.
;Vie pia* ti* aeoende' a coal fatte toci
fira di Palla ed in rimbrotti scoppia
intra .Ulisse lanciati: Io unita, Ulisse,
f quel fermo vigor, nulla pia yegj^io
I queir ardire in te, che allor m'>strasti ,
t innanzi a Troja per le biapcUe braccia
Ma nata di Giove incliti Eleni
Mibatt<;»ti un Uecennio. Enlro iijor sangue
ulti stendesti dc^ nemici, e primi
Fsicrive a te, se la dalP ampie strade
Sklà di Priamo in cenere fu vòlta.
dor che giunto alle paterne case
t tua donna difendi e i beni tuoi,
follemente t"* adopri ? Orsù, vicino
Unmi ed osserva quale il figlio iV Alcinry»
eetore, fra una gente a te ocmica
' benefici tuoi merto ti rende.
Tal favellava: mi perchè V innata
tà del padre e del fi^liuol volea
Mrere ancor, per alcun tempo incerta »
Tittoria lasciò tra loro e i Proci,
indiy montando rapida, su trave
icido ed alto, a rimirar la pugna,
I rondiite in sembinuzi, ella t^"* a^tnìte.
FrallanlD il Damaitonde Agelxe ,
iriitmetlunte, Eurinonia, e il piuiirnle
. folibo, F DcmaptolciDD, e Piuadro,
Di Poliltore il faglia stia coorte
Spirli sggìungran, comr color clir i pr
Enn ài forza Ira i riuindi in piede,
E 1' aliria ditendran; gli sUti avei dom
1.^ arco fitnoio e ìt l'reqii«'i)ti frecea
fnìi a tulli Agptao: Compagni, io |
' Che le indomite man rmlarr un Irolto
.{^itui riavrà Gii Menlore dispaTre
* Dopo il brBTsr >ua i-ano, e tu 1* foglii
?uallro toDO e non più. Voi non land:
uHi. io ven prieeoi unil^ineple : >«
Alte roltnu in primi , e i) laulo Giara
U J)ì colpire in tllii» a coi uncrdi.
^'Caduto lui, nulla drl reilo io cnro.
Sei, CDDi'efli bramila, ttfe Toiaro,
E tulle andjr le fi o P.illiiil/ a v6id.
L' un de' jiunsPnli frajaini la porla
Prrcotie, od iillro tu la soglia cadde,
KJ un leno ioveslì nella parete.
Scantati i colpi, di Laerte Ìl figliu,
Amici, diiM, nello duol de> Proni ,
Che, non contenti alle paliate offete.
Della TÌtJ spogliar Toglionci aurora,
lo crederei ctie saettar si debba.
CiaacuD la mira di rincontro lolle
E traile d'una lancia. Il diro Ulisw
Demoplolema nccise, e arigtiò mnrie
Telemaco ad Euriadc, a Klato Euinéo,
Ed a Pisandro il buou Fileiio : tmU
Del paTÌmento morsero li polve.
Gli olili Del fondo della sala il piede
Tiraro indietro: Ulisae e i Ire compagni
Cancro e nvelser dagli ratinli l'aste.
fiUot \aa<:'iua nuQ-sjmttAei Proci
Ulbrki»e1ftl!tljffìiasfi eoljpi f
ante «m Pallacle udca.
19 togli*, là putta e 'U pardi
Btétto o li rrt|Miif6 : solo
idrate Unte d «|oabte lete
itra di Telemaèoi nel pofiO|
eaa ne graffia h' tonliBa aite t
Wùif atte di CtetTpbò, a BniMNi
>do ratentendoi e lieTcniente.
idogii la tpalla, il too tenore'.
e itoddcf tovra n |wlco morto.
BOB coti dall' altra |>arte tpinte
ftDtra I Proei leimogeDU irati.
l 'dèi ofttmUor ie' mari Ulitté •
DÒ Boridamaikle« Anfiflàedonle
iella giacque delttio figlio :'Eamdo
'ò con la sua PoKbo, e Filetio
pò colte con la tua nel petto ,
tii alette alteramente e ditte :
rsfdei degli oHragg: amantCì
dal tecondar It f uà stoltezza,
ana pompa favellando, e ai Numi
ohe di te ton molto pm forti.
è il dono otfpital di quello in metto
1 noatro Re, cne mendicava, fetti.
impa del bue Patta rispose.
!'* (Ilitte r armentàrio illastre,
(oeitto mezzo di Laerte il figlio
lise il Damastoride da presso
sfonda ferita ; e a Leocrìto
aco piantò nel ventre il telo,
elle reni fuor gli ricomparve.
Doride stramazzò boccone ,
erra battè con tutto il fronte,
e alter, che ri veti i la Diva ,
;vò dalla toffitta eccelta
està ai mortali Egida e infuie
itta4 aS
Mailri tilTiilU del cornuto
Se allo Kililnrti , et) nltungi
Le pMDge il lìtra iwilta e
M> in quella guiia che ito
Riciirri e V uagliia piomhi
Ditli nODUiini, lui mino
Che trepidi TOrriaiio ir \éi
K qari tu lor ripiombaDO,
. Quindi) difeu non rimana
Struio e rapina del TÌIIant
Che di tale apettacolo >i p
Non altriraenti Uliite e ì li
Si (cagliavan la i Proci, e
He ipEnaiin che fiorite on
Che non t' aprisw! lolto i g
B un gemer tetro aliava»
Sangue oiiUrggiaTa il patii
Leode le ginocclita a pn
Del riRlìool di Laerte e io
Gli drizza tali accenti : Ecc
Ite mgmmt e pro^revMé'ligli •• . \
mia «ooforte a t« t qiijindì e.;tii «1 fr9l^ r
ino perpetao- chiuderai le «rgQt. . > , «^
\\ ÀìottiÀo^eon la omd figluHPfla ■ ;
I suol Kaccolse:la laflifntespacU, • ;'
e Agelao ^u'U. Morte aviHi^pjprilatO} .- , \
I i 4>ercoisa .tal . dir de al profeta . , ^ ■ ■. ,o
: collo ^be di, lui, obe auebr pariMrPi;;. j /
Iole neàa polvere la te«|a, . .,• .«5
ila di Terpio il figliuo). T Htditit.Ffii^;»
e tra i Proci scioglier per ionaMfiània^vt
irte achivò. Della se^ooda ptrta ~ ^. p.Se'J
n la tonante. in man -f^tra dT^rgnitov-,.k t -
eino erasi faltpy e,if Aua fiensien. .r s
videa la sua mente : o fuori uaeito r
dersi alP ara del gran GiéTe Erc^i . ,
»Te Laerte e il suo dileUo figlio .i
)lte solean brooiar cosce taurine ; -^
ad Ulisse prostrarsi, e le ginocchia
rìogerglì e supplicfrrlo $ e delle' due ■ /
aesta gli parve la miglior sentenza* , i
ima tra una capace urna e un distinto '
'argentei chiovi (ravagliato seggio
Spose a terra V incavata cetra :
>i ver r eroe sì mosse, e le ginoccbia
riogeagli e gli dicea con voci alate s
'isse, ascolta queste mie preghierei .■ i
di Femio pietà Talma ti punga. »
DgUa tu stesso indi ne avrai, se uccidi
^m cKe agli uomini canta ed agli Dei. i
otto io |on da me solo, e non già l?artc« .
a un Dio. mi seminò canti infiniti
ell^ intelletto. Gioirai» qual Marne,
ella mia voce al anono» E tu la nsaso, |
«angoìnar ti vuoi nel corpo mio ? , , k
t domanda Telemaco, il tao dolee .«j
igfio, ed ei ti dirà, ebe né fagbcaa ..
4o4 0D.«*
Di pUaio mii né sciriitk di tìIId
Tra i Proci iltFri a inuiicar m'jpduiie.
Ma co' molli, co'gloTaiii, co^forli,
Vota rhe polo debilr, Tecchio e solo 7
TarfitFlUTa) e la aacrsEa pusu
Di Telemaco udillci, e ratio al padrr.
Che non gli Prn laiiUn, T' arreili, àiut,
K di qiirtlo ìnpoFcnte i ili i'iip«lta.
MedoDle ancor, chp de^ mìei giorni primi
Cura pmiéra, roi ictberetno in tìIb ;
So) eh' fi non lia per man d' un J«' piiUri
Caduto, □ iu te dato non abbia, mcoire
Ter 1j lais mcusTi in furia i colpi.
L' uill HHonte, il bandilor tolrrle,
Che idniilo giacca sotto uii ledile,
£, r atro fato dedinando, l'tra
D'una fresca di bue pelle luTcrIo.
SniK da lotto ti icgRio e il bovio cnoja
STesllssì e andò a Talemsco e, gittate
A' «uoi ginocchi ambe le bracci», Caro,
Gli erauD i beni e vilipKio il figlio,
SanìsE Ulisse, e n lui: Sta di buon caie-
G\a ài I ischio TcKmaco li trasie,
K iu salvo )iose. sccìocclié sappi e il narri
<^uaDlD più del lar male il beu fai- torna.
Tu, araldo, iiilatito, e tu, vate imrniirute,
Fuor del palagio e della strage u>cili.
Sedete iid rorlil, Bo.'li'io di dentro
Tulio 1' itnprcta mia conduco a riva.
Tacque; ed uscirò, e appo l'ali nr del sommi
Giove ledcan, gu^rdanduei all'intorno,
Qual se ad ogni momento e in ojni loca
Doievse lor suprav\cnir la Parca.
Lu tguu&Q sUqib, ^\ \\ tua io gir»
prof mv»éi^9§mtAÌÉ? ftodt^i^r
-V
ggltomf«M« 4eUa mori* U-fiilo.
SI rìauM^dk t$nù 4in che nel «mjfaf . n^
M. non loMA .rB«Qa poiya. Come.,
abitatóri del 'O^wM» - aure, . /. , . r
i iljiftmtor ^B rtett » loolli vanì . !
daìToiicU tirò nel- eunro lido»' ,
' )!«|reiui odiata» e loro il Soie
I gfin^ammati rai Ìe;apiqie fui^i e .,.. .
i giaeean l^un pfciso Taltr') t^Prooi,... ;,
iabitamente UliaM in qif e9U -fonip4. .
eqmrorae a TeleoN^oo: Telemaeoi^ . ,..r
nutriee Euricléa, ia tU, nati chiama, ~
per udhr ebe a me di^lirle è ìq. grado* :
fobidi egli e ineammiaoflsi e, dato
irto alla porta, O d'aoni carfBa, diste»
gì, Euricléa, che n^lla nostra casa
;li so?ra le ancelle. Il padre mio,
; desia favellarti, a se ti voole.
fon sen portava le parole il vento. .
i Eurìcléa le porte e in via con luì,
> precedeala, entrò veloce, e brutto
polve tra i cadaveri e di sangue
ise ritrovò. Qual par leone, . .....
tvien da divorar nel campo iin toro, .
vasto petto^ eV una guancia e V altra
riporta cruenta e dalle ciglia
ra terror : tale -insozzali Ulisse , ;•
itrava i piedi e delle mani i dossì^
)uella, come i cadaveri ed il molto
gue mirò, volle gridar di gioja r
pettacolo tal i ma ei frenoTla, fi
ichè -anelante, e con parole aUlOf ; , .. £
li dentro di te, disse, ma in jroci, ■ ,' .i f
scbiai non dar di giubbilo: eh^vj^o. mm :
lar B^n ìiu fovr« gente uqqMa, :. . ^. ,
I » •
(Junli itaai il d»tii>o, t morte aloro
L« licite lor maliagilddì fi.ro :
Quaoila noa riapcttirò alcun giammai,
Biiou luue.-o reu, che in lUr.1 gìnngei»
Dunque a ^rilto {leiiro- Or tu, nairieè.
Di' Jrlle donne a me qua! nel palagio
S<3n miC'.-hiali: ili rolpa, e quali intalle.
E la aitetta a lui vecchia Euricle i :
Figliuol, Ja se lu non avrai che il terd
Cinquauu chiade il tao pilagìo , a cui
Le lane pettinur, teiirr le iele,
E mitener con aniioo tranquillo
La lenitutc, io »tc«»a aa giorno »ppMi
Dodici Ira costo r tutta 9po(;IÌaro
La verecunilia e, non che ne, 1a ile>u
Dìipregiaru Penelope. Kon era
Troppa innanii venuto artrof itegli anni
Il Bglio Ino, D^iU le dorine alcuao
Gli coiiienlia in i-i^gia iiiattrc impfro.
Un che f<i IO, the Me lucrnli alante
Non salga ili PenJupc, clie giace
Da un Ola lepolta in uu prorundo s
Beali alle dar
Cltea
e Ulma
rappreientii
I dira
Le peccatrici e ad eaoilorle tutte
Che ai ruppreien la itero all'eroe.
E intinta egli , TElemaco a lé avuta,
E il cUBlode Ue^ verri e quel de' lori.
Tal parole lor feOT Le marte salme
Più non :ii tardi a trasportare altrove,
E'dett' infide aocelle opra aia queala.
Poi e
B le t
1 bei «edili tergeiant
Tatù riiiMBia ta mac
le ancelle ne Ua«t\
iigoe a
i deaclii.
¥■ LIBRO XXII 4(t^
f Tra la pìccìola lorre, ed il siipprbo
accinto del corlil , tanto co** lunghi
^t cercherete feritori brandi,
de si disciolga dai lor corpi Palina ,
£ dalle menti lor fugga P immonda
Vènere y on4e s* unLn di furto ai Proci.
Ciò detto appena, ecco venire a un corpo
lie grame, sollevando alti lamen(^,
K uom pioggia di lagrime versando.
•I^ria trasportar gP inanimati coi-pi ,
Cbe del cortile, aitandosi a vicenda,'
^tto «lU loggia collocare. Instava
Co^suoi comandi Ulisse ; e quelle il tristo
Mioistero compieaa, benché a mal cuore,
I^oi con Pacqua, e le spugne a motte bocche^
'- ' bei sedili si tergeano e i deschi,
^a Telemaco e seco i due pastori
Con rigide scorrean pnngenti scope
^ul pavimento del ben fatto albergo;
^ C la bruttura raccogliean le afflitte
^onée e fbori recavaula. Né prima
(dimessa- fu la magion tutta in punto ,
^lie ira la torre ed il recinto poste
I^C'obalvage si videro^ e in tal guisa
^errate là, che del fuggir nulla era.
E Telemaco : Io , no , con morte onesta
t «fon torrò P alma da co teste donne ,
I ^^' A me sol capo ed alla madre scherui
* Versare; e che s^ uuian d"* amor co^ Proci.
Disse ì e di nave alla cerulea prora
^aìnape , che partia da un gran pilastro,
i' I^iUò alla torre a tale altexza intorno,
^ ^he le ancelle, per coi gittarlo piacque,
£ ^on 'polesser del pie toccar la terra,
ft:^ come incontra che o colombe o torde '
FT3ie il verde chioso d^ una selva entraro*
I \an con sii spiegate a dar di \icV\q
«.8 omit
PJt-llp prniuU irli, ove riiiouna
Troia un lelta lenì: Uli ■ inirirla
Kran le danne con te \titt in Hla,
K ran tT>ln*o ad o^i callo un laccio,
Di morte inrclicissimii ilrumento.
Gniizan ro' pirili alqiianlo, e più non iddi
Telemaco miti, e i dar patUirì aecn,
nella eorle per l'alrio il mal osprajo
Conducran: tecidesngli oreerbÌB e nari,
E i ^Ditali, Ha butlarsi trudi
Ai ean voraci, gli ivclleano, e i nieili
U ozia vati gli, e le manj tant.i Tu l'iia.
Punito al fine ogcii miafalto, e nani
Con pura onda di fonte, e pìè lavali.
Ritorno fèr nella magione a Ulisse.
Quelli allertai parole alla diletta
Itnlrire ri Tolge» ! Portami, o ybccIiìs,
Il lotfu galulilèrti ed il fnocOj
Prrrliè l'albergo Tnporore io possa.
E PeiiFinp.' a me con le fediOi
Sue donne venga ; e tu T altre per cau
Femmine tutte a qua venir conforta.
EA eltat Figlio mio, quanto dicesti ,
Io ludo aliai. Ma non vuoi ta, die prima
Manto a coprirti e tunica io ti rechi?
Indegno fora ron lai crnci indnsso
Nel tuo pibgio rimaner più a lungo.
Prima il zolfo ed il funco, ad ICi.ricléi
BÌ9|>nie il pien d'accorgimenti eroe.
La nutrice, ubbidendo, il sacro zolfo
l'orlògli e il fuoco preitamentc ( e Uliue
ha sala ed il vestibolo e il cortile
l'iù volle vapori). Sali frattanto
Colei l« ancelle a confortar, che franebe
Vedere ornai si feuero. Le ancelle
Delle umeie n&ctco, in man tenendo
Lucide UcV. ^Owi», VciV^WJ -iViV
t,iB»o wtt. .^ a capo
LIBRO VlCeSl MOTEfiZOi
Enridéii corre a d«(*r Penelope e a Firii
(Spere cbe Uliue è giunto eli ha uccìiiiProci
Penelope trstla la vecchi* ila folle, e aUri
buiwe la ucciiione Uè' Proci a uo Dio, pana
dole che uii nomo non palette giungcn
tanto. Tuttavia scendp, mi tipilti lontana .1
Uliise, cui iicn ravvisa. Sdegno Ji T.'lcman
coDtra la madre, che hi giuslilìca. Uliix a-
maoda una festa da ballo, perchè ì 'vicioicit'
dano che la Regina aia passata a noretle aaat,
e reitt occulta frattanto la morte de' Ptixi
Poi, entrato nel baguo, e restituitogli da Hi-
nerva l' antica sembiania, ai preteiit^di nuon
u Penelope, cbe non vuol rieorviicerlo aocon
Finalmente , uditalo ella parlare del conja
8*Ie lor letto , di cui altri Don pulea aicn
cuiiteaza , depone tutti i suoi diibbj , e aU
gioja abbandonati ed aM'' amore, Mineiia prò
lunga la Dotte. Ragionamenti di Penelope
UliiH!, ^dila l'Aurora, egli leraai e va c>
figlio e co' due pastori a trovar Laerte, pi
ùndo per U citta in una nube, di cui gli l
\Olte, ptt DM.VIi\\.*lVj\l^t4.
lìbro xitii ^ìl
buoda Técchia gongolando asccM
lanz^ supèrne, alla padrona
oziar ch^ èra il marito fn ciM. ' ' *
t'remaTan' pii^ grinTÌgoriti
in aotto ; ed élla a salti giva.
. le stette sovra il capo, e, Soiff|
Penelope,' figlia diletta,
lesio rimirar dt* giorni tutti
o' própr] occhL' Uli^ Tenne, UligM '
palagio entrò dopo* anni ^tanti^i
Od temerari, onde turbata ' ' ■ '1
1 i* era, eonsantati i beni,' -'- ■ -* ' t
Ito il flgliuòl, ruppe e dispene*' ' '. '^
pnèlope a lei: Cafa-AjoUitie^ -' ' ^
iti^ cbe fanno, come lor talenta, * ' '
k ai< -saggio, e dèi più saggio aw ^Be^
ioa ti travòlsero. Guistaro ^
. mente, che di sempre integri,
dubbio gì' Iddìi. Perche ts prendi
di me, cui ti gran doglia preme,'
raccontandomi, e mi scuoti
sónno dolce che abbracciate e strette
ì tenea care palpebre? lo mai|
s Ulisse levò nel mar le vele
malvagia inuominanda Troja,
to'; non dormii. So via, discendi ^
e ritorna ohdc movesti, e tappi
tali novelle altra mi fosse
mie donne ad arrecar venntai
dal sonno scossa, io rimandata
Dente r avrei con modi acerbi:
ivi a te che quél tuo crin sia bianco*'
tta figlia, ripigliò la veochTa,
Le gioco non mi prendo. Ulisse"
veramente, ed il suo tetto
4ii ocnuti
Bi*ide il 60 ! <iuel fore»tirr da tutti
STillancggitta nelln lala è Ulisie.
Tdemacii it opes: ma icorlaiDeat»
I pitcmi coniigli in so celava,
Delle Teniletle a preparar lo «coppie
Giabbilò allot Penelope e, di leti
Sballala , ni Mno i^ accogli la veccli
Laieiando ir giù le tseritne dagli 00
E con parale aliU, Ah ! dod Toletn
Balia cara, deludere, ritpoae.
Di (Jial guiu potè aolo agli audaci
Drudi , che in (olla rìmaneaDvi lemi
Le nllriti far teolir mani omicide ì
Io noi vidi , né il u> , colei riprex
Solo il gemer di quei cli^ crac traHtt
L' orecchio mi feria. Noi delU belle
Stane , onde (prir non potevam le
Hel fondo ledetam turbale il corei
Ed ecco a me Telemaco mandata
Dal genltor, cbe mi Tolea. Trovai
Ulibic in pie tra i debelIaU Proci ,
Clic gincean I' un su 1' altra , il pari
Tulio iogombraiido. Oh come ratio
La tua lungi triateiza artesli tbitn ,
Se di polve e dì HDgite aipeno e br
Quii (croce leon , TÌtto 1' Bveatì \
Ur del palagio fuor lutti in un mon
Stanno)! ; ed ci con Bal£>ratì fuurlù
Ei , die a te m' iniiò nunaia fedele ,
La nobile magion porga e riiana.
Seguimi iduntjue, e dopo tanti mali
Ambo achiudeto alla letiiiail core.
f^Vi quetto lungo deciderla antico.
Che (fiilruggeati , CeUli Uli<ue tÌto
" ' o fo.;olarc, e nel palagio
ui»» attui ili
Wttllo Tcmiiooiil • tÌè|Mk
on «nlUf^ iiop trtdmM^ .,
h nota qvranto «tftf e falli * ;
lUl a iM Ciro e'at evMhil»' •
• alio;, capKeMibé'Ol^iié^
tfr Mn pariailf. Vii HaoM^'vifr llii^t.
élP.opre inglntte e de*Mp«M
idcfimUi, niÉiidò alP Oiw» 1 PMc^'
cgUtan ftnpre ogtai Boti^,
baon fon» o reot i^iiintt'palfli;» '«
lauri dall^ «eaiev tenm . '
* ptrdè, perdi la tHil
lale^ e Q|lia, ti sAicgl «umIé
Mtrà de^ denti t a lei m yeedlii*
perdei perde la TÌtai
, sua cata e al focoìanr tuo saero
Il veggio ! chiuderai nel petto.
lulo cor finché Tivrai.
le un segno manifesto in proTft
hi la cicatrice onesta
a che in lui di guerreggiato
feroce il bianco dente impresse*
piedi layandogliy io conobbl|
alesartela: ma egli,
mi afTerrandomi alla boe<;a f
zza maestro, il mi Tietaya.
o dico* Ecco me stessa io metto
forze : s^ io t^ ayrò delosai
più crudel fammi morire.
oTo Penelope: Nutriee,
degli Dei conoscer puotet
guardo a penetraiie nastié
>, a Telemaco ti Tàdti
) de^Proel, e il aoitrd io t^Ù*
, un nomo ei siasi o ad Ntune» •"
)sli dalla aupema ttoiiia
4.4
Bette e<
Se di lonUno a inlerrogar Pamato
CoDiortr avelie a ail ippreisirla Ir
E ndle m«n baciatlo e iieila tetti.
TarcaU, eniriodo, la mafniorea i
Da quella parte C cuntrx lui t^as
Dìouili al taca, he >u tei raggia'
Ed ei, poggiala a una caloDDa laasii, ì
SeileB eoa gli occhi a terra, e ir pirtif
Sempre attendea della pre'^lai ' ~
Poiché giunti la lui n' eran g „ _,
Tacita atetle e atroniU gran tempo:
Il riguardava con i mino te ciglia,
E ÌD quel che ravvi&irlo elt« credei,
TnteanU fuor delL noliiia aulici \
Gli abiti *iti onde tcorgealo avvolto.
Bon ai tenne Telemsco, cbe lei '
Fort« BOI) ranipoenHK.i O madre nl^
Hidre infelice e barbara consorte ,
Perchè cosi d.l
Cbe non siedi ;,.
Huir altra fora cosi fredda e schiva
Con narito alla patria, ed a lei ({iuDla
Dopo goai moli' nel venteaini^ anno.
Ma una pietra per «ucrc a te sta in ptl
E a rincontro Penelope: Soipeta,
Figlio, di itupor lono, ed un lol dello
Foraiar non valgo, una dimanda ioli,
Ma s'egli è Uliue e la sua casa il tiene
Nulla dìù resta che il mio stalo infoni.
Però che segni v' lian dal nuiiale
Eicetto nostro impcnetrabil tratti
Ch'eiltr noti tappiamo a noi due wla-
Sorriae il sai!gia e paziente Uliste,
E converto a Telemaco, La madre
Laicia, diceagli, a auo piacer UnUrmi
juG^ìio, ogni tU" JiiMiio in brcvr,
in vesti mi vede umili e abbinile,
mi, e penetrar non mn per queste
I Ulisse i timidi BUOI sguardi.
pi partito cantulliamu iiiUnlo,
hr^c^iar sni'à meglio. Voto, che di fib
I un uom tolO( e otcìiro, e ili mi pooLi
Tcnjicator, pur fugge, e il dolce
Sb^Flclo'" ed i coiiBiUnli cari.
Ifjja cittk tolto a enilegna
«r deir ;iat?N5 sfovenlude
o^bbiamn, Q""' « ■' 1"° coralglio ?
prudente Teleinsco, A le epeda,
j padre, il con»lgliar, rispose!
con cui non v'ha clii d'accarteiia
Dilire osi. Io spguiriitli pronto
ni tuo diiOgno, e mrn, crpd'io.
n/e, fai,jertan pria che il coraggio,
èsto a. ni* leigliri, ripigliiTi Uliue.
tevi) abbigli'teTi, e nonlle
I» èni donna e. più leggiadre TCiti.
9Q.I firguti cete ra il divino
irr inviti a naa gioconda danza,
cl^.di foori ode d paaia o alberga
i^le noue celebrarli creda.
|>rÌ3 .n*)" andrà per la cittade
•lr»J<f de' Proci il •«oiuinoio
3, db» noi non sism nelr ombreggiala
Mgaai, neutra gionti, in .•.ai Tedremo
II* iiupirarci degnerà l'Olimpio,
olialo ed ubbidita «^i fu ad un' ora.
gnlr, l'abbigliar, vetti novelle
: ogni lioan.i e più fregiata apparie . ,
la oetn nelle man recoui,
1 oiDto Mave e dell' .(fregia
f^M dc^ irrgliò. Tutu (onaTt
h TUU. iftagiDit del «alpqftf» ' j
4. fi OOÉMB*
Degli tiamini treicioti e delle donni
Coi bella fucia circondava i Gaaclii.
E tjl che udii di fuor, tra té dicea:
Alcun per femio U colinlo ambiU
Itegln* attenne. Trìtta ! cbe gli eccelli
Telli di quel cui lergioB congiuola
S'' era non cuitodì Gnch* ei veniue.
Coli parUra ; e (ti profonda ddIIc
Lo itrano caio rimanea tra 1'' ombre.
In ijueito meiKO Eunnome cotpeiM
Di lucid' onda il generoaa UIìsk,
E del bioodo licer 1' ddw, «d il ciart
Di tunica e di clamide: ma il eapo
D' alla bellade gP illuitrò Minerva.
Ei da' lavacri uscì pati ad un IfuDW,
E di nuovo »' atiiif, ond' era lotto,
Alla aua moglie di riaconlro e diiie:
Mirabile, i te più, che all'allie donne,
Gli abitatori deirolimpie caie
Quale altra arcoglieria con tanto gelo
L' iiom tuo, cLe dopo verni anni di duab
Ali* lua patria itteroaiae e a 1eÌT
Sa via, nutrice, per me atendi un lelte,
Dov* io mi corchi, e mi ripoai aocb^ ift.
Quando di coaCeJ 1' alma e tulta ferro.
Mirabili riapondtm la laggia donna ,
lo né orgoglio di me né di le nutro
Hel cor dispreizo, ni alupor «OTercIiio
M' ingombra: ma guardinga i Dei mi (èro,
Sen mi ricorda, quale allor ti vidi
Che dalle spiagge d'Itaca naviglio
Ti allontana di remi lunghi armalo.
Or che badi, Euricle'a, cbe non gli attodi
Fuor della itania maritale il droao
Letto eh' ei di iua mano un di coutruNe,
£ («Ui t muti e wi^iioie coltri
I^^ao rfi Ini r ultin,., pmv..
lei^ta ci crplicil r Oonnn , paiola
. ^"^ lahbci Bi-ramenls im.m,
(■Bvc il letta cnllncnmiui? Dura
<,»iipnt»i tfirnrn'n T imprei».
,Ù fannie potrebbe ngevnlmcnle
parUi : ma vivo uomo neisimo,
i degli unni in mi Birir. Hi loco
noM ingFgnoKi, ond' io già fui ,
«npa^ni rbbi air opn, i| dolio {abhto,
^^olivo rrgoglinfi pianU
<^nrl mio corlilf i rimi lar^a ,
OH bai trita Ucnvrrii,e tilde
I v^ ini)>Ml « fcTinanirnle atlate.
«edi*r>U ilei ann CTin l' oliva ,
■falò .ma daU> radicB il ITonco
idiaa nella , e con le pialle anpra
ìaai l«MÌaJranenle , e Vadofirai
ifkilibiloéqiiadra , e il uncrhio acuta.
Il aottegno mi fee'ìodel letto;
ietto a molla rnra io rìpolJi,
taraiai'd' oro, d' avorio e iriceBlo
art« varia, e éi laarine pelli,
« IO liidda porpora , il ncin>t>
me riinan,qual rnbbTicain», intatto,
lena , -Buériw dell' oliva il Ton'lo,
olla In altra parie, io, donna, ifcniro.
■<ato bi il colpa che i looi dubbj tal
ritora abbalté. Pallida, fredda,
ci, perd^ rIì giriti , e diavenua,
iIb corte v^r lui dirJUamcnle,
fogllandoM' in laBrihie ) ed al eolla
ir
,tr
^l8 ODIUBA
Ambe le braccia gli gitUfa intorno^
E baciavagli il capo, ft gli dicea :
Ab! tu con me non adirare, Ulisse,
Che in ogni evento li mostrasti sempre ^!
Degli uomini il più saggio. Alla 8?eatara
Condannavanci i Ninni, a cui non piacque, |[
Che de^ verdi godesse anni fiorili
L^ uno appo Taltro, e quindi a poco a poei
L''un vedesse imbiancar delP altro il crine.
Ma, se il mirarti, e l' abbracciarti, un punto
Per me hqu fu, tu non montarne in ira.
S<*mpre nel.caro petto il cor triemavaroi,
Non venisse a ingannarmi altri con fole :
Gilè astuzie ree covansi a molti in seno.
Tic la nata di Giove Klena argiva
D^amor sariati e sonno a uno straniero
Congiunta mai, dove previsto aveisse
Cbe degli Achei la bellicosa prole
Nuovamente Tavrebbe alla diletta
Sua casa in Argo ricondotta un giorno.
Un Dio la spinse anni indegna opra; ed dU
Pria, che di dentro ne sentisse il danno,
Non conobbe il velen, velen, da cui
Tanto cordoglio a tutti noi discorse^
Ma tu mi desti della tua venuta
Cprtìssimo segnale : il nostro letto,
Cbe nessun vide mai, salvo noi due,
£ Attoridc la fante a me già data
Dal padre mio, quand^ io qua venni, e acuì
Dell inconcussa nuziale stanza
Le porte ili guardia son, tu quello affatto
Mi descrivesti; e al fìn pieghi il mio core,
Cb** esser potria, noi vo^ negar, più molle.
A questi detti s^ eccitò in Ulisse
Desio maggior di lagrime. Fiagnea,
Sì valorosa donna, e sì diletta
Slrinj^cndo alletto. G il cor di lei qiial era:
-ome ai naiifraglii appar grata la terra,
>e Nettiin fracassò nobile nave,
!hc i Tasti flutti combatteano , e i vrnti ,
!*aiito che pochi dal canuto mare
campar notando a terra, e con le membra
H acniuma e sai tutte incrostate , e lieti
'Q la terra montar, vinto il periglio:
Soai gioia Penelope , il consorte
tirando attenta , ni', staccar sapea
•e' braccia d^ alabastro a lui dal collo.
' già risorta lagrimosi il ciglio
^jsU gli avria la dilirosea Aurora ,
MS V occhio azzurro di Minerva un pronto
fon trovava compenso* Egli la Nntte
Tri 6n ritenne della sua carriera ,
té entro air Oceàn fermò 1' Aurora ,
funger non consentendole i veloci
^elP alma luce portator destrieri ,
Lampo e Fetonte, ond^ è guidata in cielo •
La 6gUa del mattin su trono d^ oro.
Ulisse allor queste parole volse
P9on liete alla sua donna: O donna, giunto
Non creder già de^ miei travagli il ti ne.
Opra grande rimane, immensa, e cui
fornir, benché a fatica, io tutta deggìo.
"Tanto mi disse di Tiresia V Ombra
31 di ch^ io , per saver del mìo ritorno,
lE Ji quel de'' compagni , al fosco albergo
Scesi di Dite. Or basta. Il nostro letto
Ci chiama, e il sonno , di cui tutta in noi
Xotrerk 1' ineffabile dolcezza.
E Penelope a lui coi>ì rispose:
Quello a te sempre apparecchiato giace >
Poiché di ritornar ti diero i Ninni.
Ha tu quest^opra, di cui qualclie Dio
Svéglio in te la rimembranza , diimwi.
^Q non vorrai da me , penso ^ celarla
i il toftn «apcila ■ me par n^|j|
nrali, pernhi-. '' altro rTpr«»|
Ilio peltu p FI fcntnlt brama"!
I t'j>róinlrrÓ! beccljé godernr
turche il mio cot, U tuo non dr
1 ir nrimpoM ■ cillà tnolU, ud i
, . ii\ vivanAe gusla,
Kè rirlle nSTÌ dalle roase guanc»
O de'' re IDI, elle lono ale alle navi,
n»liiia Tania. E mi die un legno il n'e.
Quel dì, rh« DD altro [>eIIegrÌDO, a (vi
M'ai.baUer& ptr via, me un Tenlilibfo
Parlar (iirk >u la gaGliarda agalla,
Allora, inSltu nella terra il remo,
E villine perfette a re Nettuno
Svenate, un loro, un avide, un TCrro,
Riiilfrc ir. drliboalle palerne cise ,
E per ordine offrir larre ccaloinbl
ArIÌ Dei tutti che in OMoipo lian iFfcio.
Quindi i me fuor del mare, e niolleniraK
Coniunio al fin da una leula veccbiem,
Morte iopra*veriì placida e dolce, '-,
r. beale virriu le genti intorno.
Eccoti deilin rlie il luo coniorle ajpiitbj
Ed ella ripiglih : Se una veerbieiia ~
Migliore i Dei proiueltiTuli, ihe (alla
L'altra rtade iiuii Tii, tMIegra duBqo^
O d'ogni nngoiria vinritor felice, ,
Eurinome fraltanlo, ed £uriclea
Di nioMiculIri, e di tappeti il caito
Lello adornavan delle faci al lume.
v\
«iIpti a Penelope, tr
■i-enJ-
!co!a in min : pai riti
rotai annli'
i^?.
M pm v«eLe*z. i doe
p^^_Mta n^novjr.
■ patii.
M P«Mbp*> OJSTqn ■oTm
laatoi k*. nffoMn^nti t«rf ,
!■ noIU ^pH*» prriidMn ditrUo. •
narnn ({ninti» ■ tri di 4!Uli*
1« vlita de' (>rool ed il Itimbiuto
V era la a*riop, mpDtre, veland*
Idnr aodania dciramor col maatà,.
pr« a terra itrndeiD ptcbn a boa.
■i capaci dogli 11 deliuta
•> ttiigneano. D'altra parte VUut
■^ nali. cbe in lè itetio,^ a gente armi
'■^ti iTM pellegrininda o inSittl,
raccontavi! "a aen io ehe di dolo»
ninia riccruaTale, ed a lei,
cli'ei per tutte andù le me vicenda
I tbbaMiva le palpebre il lonao.
'oIm a dir come i Cieoni da pria^ .
K, e poi de' Lotofagi alla pingue
ra «CD Tenne, e rammenta gli eccCMt
barbaro Ciclope, e la lagie»
idelU fitta di ealor tra i mai,
ei inetteaii a vorar ten» pietade.
ne ad Eolo appradò, da cui gentil* -
aglieaiae liceo» ebbe del. perii
DQD ancor gli coucedeano i fati
WDtrwia natia, donde rapillo
itana procella, giioipirante
t* e ge(B«iil«t) rieaccià nell'alt*.
adi lUnvo dncfiTnli «rriia
se»»""" E „.i ™» t'^'Sì ,
Sei lenn ". ^ ,,1 Eiiinse a' *'''" ' ^ :„
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ciiM «311 4^
! abibaìUinuii incontaneDle mone |
tarsi eeeitò ddP. Oceano
0BO 'é^ òf la dìtirotea iarora,
1^ la terra illumìnasie e il cielo,
allora V eroe dal molle letto,
Ili accenti alla coosorte volte:
rte, sino al fondò ambi la coppa
me dei dolora tu, che piagnevi
ritorno ditattrnto, ed io^
iote e gli altri Dei (Calla bramata
Tolean tra mille afTanni in bando,
le agli Eterni rTonirci piacque,
tv prenderai di quanto in caia
mi} ed 10 di ciò che gli orgòglfoti
uiurparo .a me , parte co^ doni
opal mio, parte co' miei conquisti,
erommi a pieno, in sin che tutte
«pian di nuovo a me le stalle.
Ha folta di diverse piante
agita sua corro a veder P antico
Dr, che per me tanto dolora,
enchè saggia, il mio precetto ascolta.
il novello Sol, per la cittade
morte de** Proci andrà la fama.
lelP alto con le ancelle, e siedi ,
guisa ivi sta che non t"^ accada
ire ad alcun volgere, uè sguardo,
lo, vestissi le belP armi, e il prode
> animavi, e i due pastori, e a tutti
ere ingiunse i marziali arnesi.
, obbedendo armavansi, e, dischiuse
rie, usciano: prccedeali Ulisse.
i apargea so per la terra il lumes
or della città tosto li trasse
be cinti P Atenéa fiTinerya.
LIBRO VIGESIMOQUAr
AACOMSHTO
Mercurio conduce alP Inferno le
Proci. Colloquio tra T anima cfA;
e quella d^ Achille; e racconto cb<
fa (le^ funerali magnifici dl;l secoi
colloquio tra lo stesso Agamennone
donte , che fu ds^ Proci. Ulisse §
Telemaco e i due pastori al so
Laerte suo padre. Riconoscimento
gioja di Laerte. Dolio y vecrhio s
qnest^ ultimo , ritorna dal lav-ro <
giiuoli: altro riconoscimento. Frati
la fama della morte de^ Proci, Gup
dre d^ Antinoo , eccita il popolo a '
'Se gli oppongono Medonte e Alil
nondimeno esce co^ suoi seguaci e
Ulisse armasi co"* suoi pochi ^ ^
contro , combattendo lo stesso Lai
incoraggiato dsi Minerva , lancia e
pite il primo colpo e P uccide. Ul
lemaco mena.no strige. Finalmente
cui Gio^e fa cadere un fulmine i
piedi, termine impone al conflitto,
tolto la fì\*uTa dv Mentore ^ riitabii
IMIO XllT .^2$
M<
.ercurìo intiinto , di Cillene il Dio ,
L^ alme dt* Proci estinti a sé chiamava. . .
Tenea la bella in man verga delPoro,
[>nde i mortali dolcemente assonna,
Sempre che il ipuole, e li dissonna ancora.
Con questa cond^cea l' alme chiamate, -
Che stridendo il seguiano. E come appunto ■
Vipistrelli nottivaghi nel cupo
Fondo talor d^ una solenne grotta,
Se avvien che aleun dal sasso, ove oongianti
L** uno appo r altro s** atteneano, caschi,
Tutti stridendo ailor volano in folla :
Cosi movean gli spirti, e per la fosca
Via precedeali il mansueto Ermete.
L** Oceàn trapissavano e la bianca '
pietra, e del Sole le lucenti pò r^te,
Ed il popol dfi^ sogni: indi ai vestiti
D^ asfodelo immortale inferni prati
&itìnser, do^e soggiorno han degli estinti
Le aèree furme e i simulacri ignudi.
L** alma trova ro dei Pelide Achilie^
Di Patroclo, d^'Àntiloco e d^Ajace,
Che i Danai tutti, salvo il gran Pelide,
Di corpo luperava e di sembiante.
Corona fetiii di Peleo al 6glio ; ed ecco
Dolente presentarsegli lo spirto
Dell' Atridfr Agamennone , cui tutti
S(*gulan.coloro che d"* Cgisto uà giorno
Nella caja infedel con lui perirò.
Primo gli volse le parole Achille t
Noi credevamti sovra tutti, Atride,
Della Grecia gli eroi diletto al vago .
Del fulmin Giove , poiché a molta e forte
Gènte imperavi sotto V alte mura
Di Troja , luogo degli Achiyi afiEanQO.
/(oO * ODUSBA
pur te asiaììr doTea primo tra queUij '^1
Che ri tornar© la severa Parca, }\
Da cai acampar non lice ad uom che narant '
Che non moriatì almeno in qaelP eccelso
Grado, di cui godevi, ad Ilio innanzi ?
Qual tomba i Gì eri, che »1 tuo figlio aneofi
Somma gloria sai ia ne^ di futuri ,
Iiion V avriano innalzata ? Oh miseranda
Fine che in ve<e ti prescrisse il fato!
Felice te , gli rispondea PAtride, «
Figlio di Peleo, Achille ai Numi eguale,
Te , che a Troja cadesti e lungo d^ Argo,
£ a cui de' Greci e de** Troiani i primis
Che pugnavan per te, cadeano intorno !
Tu de^ cavalli immemore e de** cocchi,
Cadaver grande sovra un grande spazio,
Giacevi in mezzo a un vortice di polve ;
E noi corobattevam da mane t sera,
Me cessava col di, ciedo, P atroce
Pugna ostinata , se da Giove mosso
Gli uni non dividea dagli altri an turbo.'
Tosto che fuor della battaglia tratto,
£ alle navi per noi condotto foiti,
Asterso prima il tuo formoso corpo
Con tepid^ acque e con fragranti essenze.
Ti deponemmo in su funebre letto j
E molte sovra te lagrime calde
Spargeano i Danai e recideansi il crine.
Ma la tua madre, il grave annunzio udito.
Del mare uscì con le Nereidi eteme,
£ un immenso clamor corse per V onde.
Tal che tremarsi le ginocchia sotto
Gli Achei tutti sentirò. E già salite
Precipitosi avrìan le ralle navi,
S^ uom non li ritenea, la lingua e il petto
Pien d' antico saver, Nestor, di cui
Ottimo icmptQ iV covi%\^UaT tonuiTii*
uBao xxir /|i^
tatevi, alzivi, non fuggite,
il profondo del Nelide senno ,
U degli Achei t questa è la madre, '
me delPo^a eon Pequoree Dive ^
figUaol oMrto yiene. A iai parol* >
ao ^stè. Ti circondaro -allora - -
reoehio Nereo le cerulee figlie y
bffi lai BietteDdo, e a tedivine >
i vestirò. A coro anche -plonaTa "i ■ ^ ''•
t no?é torellè, allernamente
(litndo il oaiito or Pnna, or Paitrai e tal»
ter fu delle canore Mute/
«nsol Greco le lagrìiàe non tenne. ■
ì di • tette ed altrettante notlif . .-
ini e Dei ti piangefam del part-f^
I glomò che tegui, t» demmo at. iMp'ì
nelle di pingoedine fiorite ' ./.
EtmmO) e buoi dalla lunata fronte,
ielle vesti degK Dei , nel dolce ; .. .
: fosti arso e nel soave unguento} •
lentre ardevi , degli acaici eroi :
i corser con Tarme intorno al rogO| . .
tul cocchio, chi a piedi; ed nn rimUimbo
ossi , che sali fino alle stelle.
e consunto la valcania fiamma, u -
Ile, tVbbè , noi le candide ossai
più poro tra i tìoL e del più .moli*
gli unguenti irrigaiflole , sa Palba.
oglievama; e la tua madre intanto
o lucida d'auro urna, che dono :
a di Bacco e di Vulcan fattura,
o quest^urna le tue candide otta
quelle di Patroclo, illustre AofaiUe«:
ciuuo; ed in pur, benché diagìunttf
la posan d"^ Antiloco, coi tanta
a tutti i compagni onor rendevi» . .
ito di TÌta il fiknezlade. Quindi • .-. i.'
JfA AOlltB4
llauiroa ergemmo e «ontuota tonbA
Noi , de^ pugnaci Aobivi osle temuta ,
Su l^£lle»pont09 ove più sporge il lidio:.
Perchè ehi ▼!▼« , e chi non nacque ancoTtf
Solcando il mar, la dimo8trats#a dito.
La madre tua, che interrogunne ì Numi,
Splendidi, in mezzo il campo al. 6or d^Pmti !
Giuochi propose, lo molte esequie illustri |
Dorè alPurna d'un re la gioveulude
Si cinge ai fiaucbi , e a lotteggiar t'appretta.
Vidi al mio tempo : ma più assai che gli litri
Certami tutti , con le ciglia in arco
Quella giostre io mirai che per te diedi
Sì belle allor \x ptediargentea Teti.
Cokì caro ytrevi agP Immortali !
Però il tuo nome non si apeuse leco:
Anzi la gloria tua pel mondo tutto
Rifiorirà , Fetide , ognor più bella.
Ha io qual prò di così lunga guerra
Da me tiiiita , se cotal ruina
Per man d^ Egisto e d'Iona moglie infamai
Pronta mi tenea Giove al mio ritorno?
- Cotesti avean ragionamenti , quando
Lor sVcrostò Tinterprete Argicida
Che de^ Proci testé da Ulisse vinti
L^alme guidava. Agamennone e Achille
Non prima 'gli sguardÀr , che ad incontrarli
Maravigliando mosSeso. L^Atride
Batto conobbe Anfimedonte , il caro
Figlio di quel Mclanio, onde ospizio ebbe
In Itaca, e cosi primo gU disse:
Anfimedonte^ per qual caso indegno
Scendeste voi sotterra , eletta gente ,
£ tutti d'una età? Scerre i migliori
Meglio non ai potria nella cittade.
Nettuno forse vi annojò sul mare,
Fieri Tenti «cciUado « immani flutti ?
trtto ttir . . '4^
Voffesefò in terra uomini ostili ,
elitre buoi predavate e pingui agnelle F
p^r la patria e per le ckte dofnne
kinbattcridò' cadeste? A on tfao paterno
ipite ebe/tel chiède /il maAifiNlta. .
bn |i ricòrda di 'dael teibpO| ch^ lo '
kl JMn Menelao Heniii ài tao lètto , '
!tue a toiérénadér, che tu le aiinàtef ' -
l' «aldi panelli' e ben V^ate nirfi ''
^'SiccotDpliiitkiaBse a Troja? Un mése iàt^ro'
Ék^^'il'pàMagcio peir Vimménsd nórarey
pt\Èè #roUo da noi fu. a stento II pioda *
jrewjiafoV delférlcitladf Uli^feV' *; '" =
R di rincpntro Ànfiibedò^té'; O Mio
lorioho d'Atr?ò , re dcflif ' geriti*. ' \ ^' •
nrbo In riifinte ci& tutto; e ipnA jflìà ÌÈ»éQ '
rtoecasfe di 'mòrte,' òri ii^'ti nafrròr.
^Uliise, oblerà di molt^afitiifa^iedlè/ '
a contorte ' kn^iriinio. Ella tìéVééré ^'•■
iHflè a no^ ma(ichfnaTfl ,- e ^ i)òn ToféridO
é rifiutar ne trarlrea fin lé nozze;,
n compenso inventò. Mefitica la tirama
I sottile 9 ' ampia , immensa téla ordita
a lei nel suo palagio ; ^ , noi chiamati ,
iovanetti, dieea, miei Proci ^ Ulisse
enea dubbia morì'. Tanto a voi dunqtte
lliiccia indugiar le '.nozze, mie ch'aio questo
ogubre ammanto per Teroe Laerte,
^de a mài nota ini vada il vano staièe,
tia fornir possa che. la negra il eol^'
eterno sonno apportatrice Parca.
Wte voi che mordanmi le Achee ., '
e ad uom , che tanto avea d^arredi yvtVf
sllisse un drappo in coi giacersi estinto?
pn si £itte parole il core in petto
ì tranquillò. Tessea dì giorno intanto
'insigne tela e la slessea di notte ,
iSo OOISIIA
Di mute faci al consaperol nggio.
Ud trienoio coti nella sua frode
Celavaii, e tenea gli ÀchiTi a bada.
Ma sorgiunto il quarOMnoo^ e le stagioni ,
Uscendo i mesi, nuovamente apparse,
£ compiuta de"* giorni ogni ricolta ,
Noi, da un^ ancella non ignara inatrutti,
Penelope troTammo al auo notturno
Retrogrado lavoro, e ripugnante
Pur di condurlo la aforeammo a riva.
Quando ci mostrò al 6d Tinclito ammanto,
Che risplendea, come fu asterso tutto,
Del Solf al pari o di Selene, allora
Ulisse, non so donde, un genio avverso
Menò al confin del campo, ove abitava
Il custode de*^ verri, ed ove giunse
D^ Ulisse il 6g1io, che ritorno fea
DalParenosa Pilo in negra nave.
Morte a noi divisando, alla cittade
Vennero ; innanzi il Bglio e il padre dopo.
Questi in lacero arnese e somigliante
A un infelice paltoniere annoso
Che sul bastóne incurvasi , condotto
Fu dal pastor de^ verri : i più meschini
Vestiti appena il ricoprian, ne alcuno,
Tra i più attempati ancor, seppe di noi,
Com^ ej s' ofTerie, ravvisarlo. Quindi
Motteggi e colpi le accoglienze furo.
Colpi egli paziente in sta magione
Per un tempo soffria, non che motteggi.
Ma, come spinto dall' Egioco Giove
Sentissi, V armi dalla sala tolse ,
E con Paita del figliuol nell' alto
Le serrò del palagio. Indi con molto
Prevedimento alla Keina ingiunse
Che r arco. proponesse e il ferro ai Proci^
Funesto ^loco j cVv^ \Àviv VlVjI sangue.
Ulta zxìt 4^'
ssan di noi del valid^arco il nervo
Dder. pelea: cbè opra da noi non era*
. delPeroe va in man Tarma. Il patterò
i tutti sgridavamo perchè alPeroe
n la recaase. Indarno fa. Telemaco
mand&gli recarla , e UH tee Pebbe. -
, preso in man l\irco famoso^ il tese
•i e il iirÒ che ambo le corna ettreae
vennero ad notrt poi la taetta
r fra tatt^ gii anei aotpinae a ^oKk - '
h £aIo, alette tn a» It aoglin e-i taUi '■
rali veraoMÌ ai piedi, orrendamente ' ■.>
lardando intorno. Anlinoo- oolae Q -prifliOi,
doÈpo Ini, a^mpre di contra or Pano ■
ftlto, e or Tallro di mtra^ i/aoipifott
irdi éeoccavay e oadea Pun an J\altv#» > •
irto un Nume Pattava. I anoi eomptgUi
gnendo qaa é là Pi m peto mo ,
garjLtmcidaraneis Ingabrt
rgOMi lamenti, rimbombar «^ odia,
slle teste percosse ogni parete, -
correa sangue il pavimento tutto.
Ili, Atride, perimmo, e i nostri corpi
laccion negletti nel cortil d'^Ulissc:
»ichj nulla ne san gli amici ancora,
le'dalla tabe a tergerci e daljsangne
m tarderiano e a piangerci deposti ,
:^ morti onor, sovra un funebre letto^
fortunato, gridò allor P A tri de,
Laerte figUuol, con qaaU valore
1 donna tu;»- -riconquistasti! E quanto
ggia e memore ognordelP uomo, a cui
4 pudico ano fiore unita s"*- era ,
He d** Icario la figliuola illuitre !
1 rirnemhranz% della sua virtude
irern sempre, e amabile ne^ canti
;sjn-;rà psr Punivcrso il nome.
fr
I
Ql
431 emssu
ìion così la TintariHe, che, oiando ,
Scellerata opra , con U man , rlip daf a
Vergine aveagli , il suo narito uccise.
Cnstfi fia fin le genti un odioso
Canto perenne t cliè di macchia tale |^J
Le donne tolte col suo fallo impresse,
Che Ir più oneste ancor tinte n^ andranno. j|
Tal nelPoscorc, dove alberga Pioto,
Bella terra caverne , ivan tjueiP alme
Di lor vicende ragionando insirnie. A
Ulisse e il figlio intanto e i due pastori
Giniì^r , dalla città calando , in hrrve
Del buon Laerte al pnder culto e hello ,
De** suoi molti pensier fruito e .de^jnolti j^"^j
Studi e traVagli suoi. Comoda casa . ^i^
Gli soi-gea quivi di capanne cinta, ".^\^
Ove CI ho e riposo ai corpi e sonno
Davan famigli, che, richiesti alP uopo
Delle sue terre , per amor più anrora ,
a
ìftì
ili
hi
•Iti
Che per dover ^soryunlo : ed una buona if^j^
Pur v^ abitava siciliana fante , ]>,.
Che in quella muta solitudin verde. s,
De canuti anni suoi cura prendea. Ii^p
LMisse ai due pas*ori e al caro pegno, ^^
Kntrate, disse, nella ben construtta
Ca&a e per cena un de^ più grassi porci i^.^.
Subito apparecchiate, lo voglio il padre
Tentar s** ci dopo una si lunga assenza
Mi ravvisa con gli occhi , o estinta iìi infoili
Gli ahbia di me la conoscenza il tempo. \^.
■^1
•^
h
•-'ì
'J>\
Detto , consegnò lor V armi ; « Telemaco
E i due pastor rapidi entraro. Ulisse ,;
Del grande orto pomi fero alla volta >
Mosse , né Dulio , discendenflo in quello , '^
Trovò né alcun de** Hgli o de^li schiavi . (^
Che tutti a raccor pruni , onde il belPorto \
D'ispido c\vcotvA;kT vuwt^ c^xw^csti e, j^
LIMkO UlT 4^^
fttf tWolti i • pKcedeali Dolio.
troTÒ il genilori die ad qna pianU
vo sappava intorno. Il rieopria
iic:a aoBa , rìGacita e turpe :
!• punture degli acati rort
gambe diièndeirangll schinieri
rattoppato cuojo e le man guanti :
berretton di capra in tu la tetta
•taTa il Teechio; e coti ei la doglia
bnvft ed aecretcea nel caro petto;
itQ che Ulitie TaTTÌtò dagli anni
M molti , Mccoi#èra , e da^ suoi molti
li pi& ancor, che dslPetJi, contuntO|
rrime, stanno sótto un alto pero ,
Ile ciglia tpandea. Poi nella mente
Ise e nel cor, qaal de\{ue fosse il roegUo,
con amplessi a lui farsi e con b^ici,
narrar del ritorno il quando e il come,
interrogarlo prima e punzecchiarlo
n detti forti, risvegliando il duolo,
T raddoppiar la giojaj e a ciò sVtlenne.
drizzò dunque a lui, che basso il capo
mea, zappando ad una pianta intornO|
» Vecchio, disse, della cura ignaro,
li domanda il yerzier, certo non sei.
rbor non Vha, non fico, vite , oliva,
le l'ahil mano del culto r non mostri ^
è sfuggi alPocchio tuo di terra un palmo.
Itro, e non adirartene, io dirotti:
«Uà è negletto qui, fuorché tu stesso,
iaverto di squallor veggioti, e avvolto
I panni rei, non che dagli anni infranto.
mal ti tratta il tuo signor,, per colpa
Is pigrizia tua non è ci^^ penso:
li tu nulla di senril nel coi-po
li o nel volto, chi ti guarda 6s^.
ligli ad un ce nato ; ad uoni «om\^\
Chir dopo il bagno e l<< gioconda i
MoUruieKte dormir drbba lu i Idi
Coti' è rutìiaa de' vegli ardì. Or d
Precito e netto chi tu lel-TÌ e ■ i
L''Drto goTerm, e fi cb'io lappU il
Se quella è veramente Itaca, doti
Son giunto, qual teils colui narro
Ch(^ in me. icontroui , doid di non n
He udir, che il [ichiedei, te in qu
D' Itaca UH certo vive uapite mio,
O morto il chiude la m^|ion di 1
Non r<ru>«r di darmi'. Oipile un
Nrlla mi] palrii io rìce«eì, di cui
non TCnae di lantauo al tetto ini<
llrha d'argento latta, e
Dodici Teili, tulle aceni)
Di tappeti, di tuniche e
E quattro bellr, oneite.
Sm nella lErra di cui chiedi, ed o
Una pesaim) gente ed ollraggioia
K^gna oggiHi. Qua' molli doni, a
Ki cuu miEurn eguaU avria rispoil
i^iime degno era bene , oc chp qii
Noi trnT. pili, tu gli ipprgejti al
Ma ttlmUaiDCnte mi favella : qji
taiiaco «uat à.a\ £1 doti ùntnuti
««•♦•••'JTS, few». „ 1
%, rVpre« »^.^^,. I„ 6gUo «»«•
y, ,,r«oi«»» • „-» nube «»'«"*,
Correre alle narici, it caro padre
Miranda atteuto : al tìn lu lui gittoni ,
E itrelto il >i rfoaio in fra le braccia ,
E il baci»! più volle . e gli dice*:
Queir io, padre, quell'io che tu so«piri|
Ecco nel vi^utcìmo anco in pilrta jtaai-
Cesta dai pianti, dai laincDli ceasa , '
E «appi in breve , perelié il tempo llrinpi:
Ch'io tutti i Proci ucciìi e Tcuitiral
Tanti e il gravi [orli in un dì talo.
Uliue la? coti Laerte tosto,
Ta il Dglio mio? Dammene un tfgiii> e Iti'
Che in forse io non rimanga un mia iitaoU
B Ulisie 1 Pria la eiratrice mira
Della ferita che cingisi aanonto
M'aperse un di sovra il PjrDim, qaanilo
Ad Autolìca io fui per quei che in Itiea
Col moto (Iflla trsta i di-lti suoi.
Gli arbori inoUre io ti dirb, di cui
Nell'ameno vertier dono mi frati.
Faneiullo io ti segui» con ineguali
Piui per l'orto, e or questo arboie , or quel
Cbiedratì; e tu , come aodavam tra loto,
Mi dicevi di lor l' indole e il nome.
Trediet peri a me donasti , e dieci
Meli, e Celli quaranta, e promrttetti
Ben cinquanta Siati anco di viti.
Che di bella vendemmia eran gii rarcbei
Poiché vi fan d'ogni sorta uve , e l'Ore,
Del gran Giove ministre , i lor leiori
Veridno in copia sn i feeondi tralci.
Quali dar gli jiotea segni più cbiitìF i
t.acrle, a cui ai diitempravu il core, J
£ lactWavan Ve ^.inocchia , avvolse \
Subite MBbe .\« Avsv À t^ij&n wtara* j
figlio ; e il figlio lui , ehWa di spirti
itOf«iXAUo^ a «è prese ed il toftenne.
some il flato io seno e. nella mente
iperii penaieriebbe incooHì ,
rioTO padre, adajcnò egli, e toi, .
li, Toicerto ao FOlinpo ancora
i e regnate ancor 4 ac la dovuta
a' portlrde' lor nitfiitti i Pròci,
un timore or . m'^aiaal non . gP lUoeti
gan Uà poco a qoeite parti in. falle ,
lewl qua e là mandino a un iamp9
Ccfrleni alle citte Ticine. ^.
ta di )>oon core, gli riapoae VliaM,
li prenda di ci& cara o.j^eoaiero.
, jnagio||^i che ncn lontana tiedt^
riamo: 10 là Telemaco inviai
Filesio ed Enmeo, perchit aJleiUtA ....
lUmente da lor fotte la cena.
i-Tia» ciò detto, entrarci e, ooeie giunti
o al ruralnon diiagiato albergo»
emaco trovàc co^ due pastori ,
incidea molte carni , ed un possente .
mescea. La siciliana fante
ò Laerte e di biond^olio Punse,
^un bel manto il riyesti: ma Palla ^
la per lui di ciel, le membra crebbe
popoli al pastore , e .di persona
alto il rese e pio ritofido io faccia* •
ravigliaTa Ulisse allor che il ride
lile io tutto agP Immortali, e,* Padre i
le , apra fu, cred^ io, d^un qualche nnne
està Mia. statura, e la novella
là che in te dopo i laracri 40 scorgo,
^b, ri prete Laerte , al padre Gioye
Lo fdtse, e a Minerva e a Febo in gi^l^Of
! quale allora io fui, che so la terra
itiojeotal, da'* Cefalcni duce |
• • ^
4SS oBimA ' '
La ben «ottrutU Nerico efpagiiM,
Tal potuto aTeis^io con raroie* ia àoèm
Starmi al tuo fiaoeo nella nostra caia^
E i Proci ributtar, quando per loro
Splendea rultimo sol! Di loro a molti
Sciolte avrei le ginocchia, e a te sarebbe
Infinito piacer corso per Palma.
Co&ì Laerte e il figlio. £ già , cessata
Dell'apparecchio la fatica, a mensa
Tutti sedeansi. Non aveano ai cibi
Stese Pavide man, che Dolio apparve^
E seco i figli dal lavoro stanchi ;
Poiché uscita a chiapiarli era la buona
Sìcula madre, che nodrfali sempre,
E il vecchio Dolio dalPelade oppresso
Con amor grande governava. Ulisse
Veduto e ravvisatolo, restaro
Tutti in un pie di maraviglia colmi :
Ma ei con blande voci , O vecchio , disMi
Siedi alla mensa e lo slupor deponi.
Buon teropo è già che, desiando ai cibi
Stender le nostre mani, e non volendo
Cominciar senza voi , cen rimanemmo.
Dolio a tai detti con aperte braccia
Mosse dirittamente incontro a Ulisse,
£ la man , che aff(prrò, baciògli al polso.
Poi codt gli dicea : Signor mio dolce,
S^é ver che a noi, che di vederti brama
Più assai die speme chiudevam nel pettOj
Te riinenaro al fin gli stessi numi ,
Vivi, gioisci* d^ogni dulce cosa
Ti consolino i dei. Ma dirami il vero:
Sa la Regina per indiato certo
Che ritornasti , o vuoi che a rallegrarla
Di si prospero evento un nunzio corra ? •
Dolio, ripigliò Ulisse, la Regina
Già il tutto sa. Perché tWfanni tanto ?
LiBio ixiy ^3j^
fk Te<fchio allor sovra un polito scanno
PronUmente sedè. Me men di lui^
Festa feano ad Ulisse i suoi figliuoli ,
E or r un le mani gli afferrava, or V altro :
Indi sedean di sotto al raro padre
Conforme alP età loro. Ed in tal guisa
Della mensa era quivi ogni pensiero.
La fama incanto il reo deslin de^ Proci
Per tutta la città portava intorno.
Tutti , mentite le fune«te morti,
Chi di qua, chi di là^ con urli e pianti
Ten/an d^ Ulisse al tetto, e i corpi vani
Fuor oe traeano e li ponean sotterra.
Ma quei, cui diede altra isola il natale,
Mettean ku ratte pescherecre barche,
E ai lor tetti mandavano. Ciò fatto,
Nel Foro s^ adunar dolenti e in folla.
Come adunati fur , surse tra gli altri
Eupite, a cui per Àntinòo sua prole^
Che primo cadde della man d^UIissr,
Stava nelP alma un indelebil duolo.
Questi arringò, piangendo amaramente :
Amici , qual costui strana fortuna
Agli Achei fabbricò! Molti ed egregi
Ne addusse prima su le navi a Troja,
E le navi perdette, ed i compagni
Seppellì in mar: poi nella propria casa,
Tornato, altri ne spense, e d^ Aide ai regni
Iffaodò di Cefalenìa i primi lumi.
Su via, pria ch^ egli a Pilo, e alla regnata
I)ag1i Èpci divina Elide ricovrì.
Vadasi ; o infamia patiremo eterna.
Si , V onta nostra ne"* futuri tempi
ìtimbombar s^ udrà ognor , se gli uccisori
De"* figli non puniamo e de' fratelli.
Io certo più viver non curo, e, dove
Subito non si vada, e la lor fuga
fion
E U pMUde im-HP^f^^ «ntnm. , .
Medontfl anUo » ed il «urtQr iliviff^ •
Dal toaiM aviluppalMi, • ané Buno
Si e^lloeara. allo atapoc» ia«|wi
Tatti, a il aaffgia lMo«li i labbri «pantf
O Itaoetìy uditcflii. -OaMt . , ■. . . j
Voi obt UlisM abbia toUo iviNw^ lak
ìfVm
Contro il-Tolerde^SooBpiComil
Vidi io •tawoaltuo.ftaaaoyttaDioyfhejidW
Ment<^ aomigtiara. Or,fUappailiL
DaTanti^ in atto4l\aaÌDWfl«, .«4«o«a^
Per r atterrita iaU .impoto foOf
Sgominando §U iycbety ebor.^- nn:tR< P4b*
Traboccavano. Dìmc | e di Ul dotti -
Inverdì a tatti per timor la gaanoia.
Favellò ancor nel .Foro na veediioonei
Aliterse Sfattoride^ che solo
Vedea gli andati ed i ventorì tempii, *
E che, tentando rettamente^ dine:
Or me adite^ Itacesi. Egli: è per colpa •
Vostra che ciò» segni : però che sorai
Agli avvisi di Bleotore, ed a? mieiy
Lasciai: lo briglie sovra il collo alt vostri
Figli vi piacque, che al mal for dirotti
La divano pel mazzo in ogoi> tempo,
Le sostanze rodendo, e iiigturìratido ,
La casta moglie d^ un fignor predane
Di. cui sogno parca loro il ritorno.
Obbeditemi a\ fin, mosaa non fate :
Onde pure troppo alcun quella sventanti
Che sarà ito a. f iceroar, non trovi*
Tacque ; e sfalsare i più con grida e ptoi*
Gli altri uniti rinuicro t cbo loco
I, chi qua, chi là, comaao-alrtnlii*. .
e splendenti del guerrier metatUo
colser davanti alla cittade
in un globo $ ed era incauto 4iie# >
8to|tesxa loro Eupite 4teM0k
I la morte mendicar del ifiglinp ' • .,
che redi taro ìndi non era»
r doTca la innanaiieta PArct. :
ade^ il tatto ?iato^ al!-Satiinid«i > •
?erae in tal. guisa » .O inpilr«!{ p^dfif i i (
urno 6gfiaol, re de^ regaanU». r «> iT
inai ciò che óel tu^.-coK^aìato^ndl...! ì'
igar vuoi la gaerra ^a i .ftetfi fdegMÌ.f , i
>rda>tra le parti A>Ai|iiillir porre rj . - )
;hè di questo mi noÙedifO. figiMifii i
ibifero Giove a.- lei rìspoaew: • • : .!>
1 conaiglio. tao <^e cilornat» . ,: ,'•' ■\
e i Proci ók Laerte i il figlio?
ne pi ut t*^ aggradai ioi quel aW il
, dirò. Poiché PiUiuIre UIìsm :i .
'oci iniqui Tendicotti» ei /ermi
eterno con gli altri, e sempra MgaL -
memoria delle morti acerbe - .
li petto cancelliam : nsorga
uo amor nella «ittk- turbata^
bbondin, qual pria, ricoheiza 6 ptce.
iiesti detti stimolo la Diva,
t per sé già pronta} e che dall^ «Ite
tipo cime rapida discese,
se iotantóyche eoo- gli- altri .«vet .
il campestre di. Laertertetto
acati del cibo ornai gli tapirti »
disse, alcun fuori e attento guardi
I volta di noi Tengoo.gli<Aehei: .
tìtaroente uscì di Dolio un figlie
la soglia stette, e non lootani
tu "If&IStBA T
còne I neniH. kWarmì ! Ali Virar 1 ei toctt
Gridò, vioÌDi tono. Ulisse allora,.
Ed il 6g1io lorgeano e i due pastori,
E r armi rivesifano : i sei figliuoli
Eivesdanle di Dolio, e poi gli stessi
Dolio e Laerte. In cosi picciola oste
Anco i bianchi capei' premer dee l'elmo. '
Eatto che armati far, le porte aperte,
Tutti sboccaro : precedeali Ulisse.
Me di maover con lor lasciò la figlia
Di GioTe, Palla, a Mentore nel corpo
Tutta sembiante, e nella voce. Ulisse
Hirolla, e n^ esultava, e vòlto al figlie,
Telemaco, dicea, nella battaglia,
Ove V imbelle si conosce e il prode^
Deh non disonestar la stirpe nostra.
Che per forza e valor fu sempre chiara.
E Telemaco a lui : Padre diletto,
Tedrai, spero, se vuoi, ch^ io non traligno*
Gioì Laerte ed esclamò : Qual Sole
Oggi ri&plende in cielo, amati Numi 1
Gareggian di virtù figlio e nipote.
Giorno pia bello non mi sorse mai.
Qui r appressò ron tali accenti in bocca
La Diva che ne^ begli occhi azzurreggiai
O d^Arcesio figliuol, che a me più caro
Sei d'^ogni altro compagno, a Giove aliati
Prima e alla figlia dal ceruleo sguardo,
Devotamente i prìeghi tuoi, palleggia
Cotesta di lunga ombra asta e T avventa.
Così dicendo, una gran forza infuse
In Laerte Minerva. 11 vecchio, a Giove
Prima, e alla figlia dal ceruleo sguardo,
Alzati I frirghi, palleggiò la lunga
Sua lancia ed awentolla, e in fronte a Eupitei
Il forte trapassando elmo di rame,
L» piantò e immerse : con gran suono Eupite
&ICAO ixtr
$11 rimbombar 1^ «rmi di topni.
ro io quel punto Uliitee il figlio
primieri, e eoa le spa.die •eeoaplo
e con le lance a doppio filo,
mno alla tua doW casa
fora degli Achei, se Palla»
ICO la figlia, un grido mettO|
va i lor cuori : Cittadini
fine all' aspra guerra. Il campo
o&to, e non più sangue. Disse |
'de pallor tinse ogni fronte,
sappavan dalle man tremanti,
verto il suolo era e di braacU,
e Minerva ebbe la yocq
ari della cara vita
si rivolgeano. UlisscL
'lo, che andò sino alle stelle,
atto i fuggitivi, a guitta
tra le nubi altovoiante.
le Giove il fulmine contorse;
lardoazzurrina innanzi ai piedi
erea fiamma. O generoso}
va, di Laerte figlio,
e frena il desiderio ardente
-ra, che a tutti è sempre grave^
o a te di troppa ira sfaccenda
'ggente di Saturno prole.
Ulisse e «^allegrò neir alma,
poi tra le due parti accordo
trinse delP Egioco Giove,
ntore nel corpo e nella voco
ava, la gran |)ea d* Atene*
FINE
#
INDICE
DEL PRESENTE VOLUME
S.IUII PkiNO . . , i , . . . p^ 5
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