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Full text of "Odissea di Omero, tr. da Ippolito Pindemonte ..."

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LIBRO PRIMO 



PropoiiiioDc del poema. Concilio deKli Dei, 
'C ti àflecmiaa il rilorno d' Uliiie. UinL-rva 
disrcndp in Itara e, lotta la fìgOM dì MFnta 
re dc'Tif], conforta Telemaco eli coNiluriì 
■ Pilo ed a Sparla per capere del padre e 
per Dirti ancb^ egli nel tempo aleiso canosce- 
rc. Banrhetto <W Proci, cioè di colora elio 
richirdoii Penelope in moglie. Feoiio vi ranta 
il funesto rilorno de' Greci da Trojiii e Pene- 
lope, che ode il caiilo dalle fue alarne, ne 
cola giù cou due ancelle e prega femio di 
preodcre un altro tema. Telemaco parla con 
fermezia alta madre, ed dì Proci intima un 
parlamento pel giorno tegueote, e nella «uà 
BljDza ritirali a ripagare. 



M... 



quell' uom di mollirorme in|;egno 
uTruiDi die molto errò, poicli'' ebbe a terra 
Gittate d' lEion le lacre turri) 
Che cilià vide molte , e delle genti ,,| 

L' indolconohhei che iDvr' esso il mare i .q 
Mnlti dentro del cor sofferse affanni, . ,.) 
Mentre t guardar la cara vita intende i 

£ i tuoi cumpagai a ricoudur '■ ma iniiaritii i., 



6 om«BA 

Bicondnr dettava i »uoi compagni , 
Che delle colpe lor tulli perirò. 
Slolti t che osaro violare i sacri 
Al Sole Iperìon candidi buoi 
Con empio dente ed irri'taro il Nume, 
Che del ritorno il di lor non adduste. 
Beh parte alnien di si ammirande cose 
Narra anco a noi, di Giove figlia e Diva. 

Già tulli i Greci, che la nera Parca 
Rapili non avea, ne' loro alberghi 
Fuor deiP arme dedeano e fuor deir onde. 
Sol dal suo regno e dalla casta donna 
Bimanea lungi Ulisse : il rilenea 
Nel cavo sen di solitarie grotte 
La bella venerabile Calipso^ 
Che unirsi a lui di maritali nodi 
Bramava pur, Ninfa quantunque e Diva. 
£ poiché giunse al fin, votvendp gli anni^ 
La destinata dagli Dei stagione 
Del suo ritorno in Itaca, novelle 
Tra i fidi amici ancor pene durava. 
Tulli pietk ne risentfan gli Eterni, 
Salvo Nettuno, in cui P antico sdegno 
Prima non si stancò che alla sua terra 
Venuto fosse il pellegrino ilfustre. 
Ma del Mondo ai confini e alla remota 
Gente degli Eliòpi in duo divisa, 
Vèr cui quinci il sorgente ed il cadente 
Sole gli obliqui raj quindi saetta, 
Nettun condotto a un^ ecatombe s^era 
Di= pingui tori e di montoni; ed ivi 
Rallegrava i pensieri a mensa assiso. 
In questo ihezzo gli altri Dei raccolti 
Nella gran reggia óeìV Olimpio Giove 
Stavausi ; e primo a favellar tr^ loro 
Fu degli uomini il padre e de^ Celestf, 
Che il-btiio Efiato nmembraTai n cui 



Titta iTea di laa min la vita Ocvtl», 
L'indilo figlio dcL pia veonbia Atride. 
Pgb ; disse Giove, incolperà V uom duutjua 
mpre gli Dei ? Quando a' sé fieno H nati 
hiibrica, de'iaoi mnli a noi dù carto» 
itoliezxa lua e li ia ma desti do. ' 
non Iratto dal destiao, Egial» -t .!■ .. 
Inpoiò d'Agamennone la donna, < ,-|< i : 
£lui d» Troja ritorDato tponaei »*»'l "■ ■' 
Binché conscio dell'ultima TUina'"'<'> ,-' '' 
CLe 1' Argicida eiploralor Mercurip^-M^ 'l 
idalo, predicagli. AittcailU > 



111 isrguF dell' Atride, «J U:ai 
Guinltti di lalir, che dita voadctt^ n 
Ko fin Orette, come il Volto adontili •-•> ' 
Dell] prima lanugine, e Io ifaariiJ iiifi' ■ 
Vcno il TEtagl^ de' tuoi padri 'tolÌM«'i>'l ■■ 
Hi ipieiti di HeroarÌD;utìli ivviai i[""liii '' 
Colui nrll'alma non accolte ; <|uindi.' " 
Pigò il ba d'oEoi colpa in un lot jiBBla. 
Di Salaino UgliuDl, padre de'HiiBi, ' 
le de' regnanti, coni a lui rùpoèa 
L' DccbiaUDrra Minerra, egli era dritto 
Che colui non vivesie: in limil foggi» i '•'• 
^biunque in simil foggia Tn«. 
> di doglia per l'egregio Ulna». 
Dggo. Laisol cbè da' tuoi IodU«4 •' • 
Giorni couduce di ramraarca'in qiiella ' 
liola che del mar giace nel -cuoiM' ; ' - * 
E di ieUe nereggia: isola dnve - I ' :i i ' 
ioggioma entro alle, sue celle itcìct^' I. 
L' immortai figlia di quel aaggio Atlurt*' 
Cbedel ntai> tutto i più riposti' £mhIì 
Conosce, e resele oolenw* irameMa 
Cbe la Totta «ofwortjuio del cieloi < 
PeniOMi inconsolabitr, TacCOft» 1 1, 

Amia a ài6mfy*'*«a t»m,t-aBm - 



8 OOIMII- 

P^roìeiìe ttirénkXof $e mai 

Potess«.Ìlac& »um, trargli del pelto s 

Ma'.ei-non brama che veder dai tetti . 

Sbalzar dtUa tua doloe Itaca jl fump, ■ 

£ poi chiuder per aempre al giorno i tuimi- 

Itè commuovere, OlimpiOy il. cuor ti aeotttS ; 

Grati d** l}]ÌMe i aagriiìci al greco 

Nari le appreiao ne^ Trojani campi 

Non t^ eran forae 7 Onde rancar ai: fiero, 

Giove, contra Ini dunque in te a^ alletta? j 

Figlia, qual tilasciaatiuacic parola . 
Dalla cliioatra de^ denti ? allor* npreae- i 
h* rtema dèlie nnbi addentAtórel ' 

Io V uom preclaro diagradii che in seaiiio 
Vince tultt i mortali^ e glMiumortiili . . 
Sempre onorò di «agrifici> opimi? 
Nettuno.- il Nume che la terra cinge i 
D"* infuriar non Vesta pel divino : 
Suo Poliremo, a cui lo scaltro Ulisae 
DeìV uhic'* oGclito vedovò la. fronte, .. 
Benché possente più d' ogni Ciclope: 
Pel divin Poliamo, ohe JTodsa 
Partorì al Nome, che pria lei soletta.. 
Di Forco ,. re degP infecondi mari, 
Nelle cave trovò paterne grotte. 
Lo scuotitor della terrenai mole . 
Dalla patria il desvla da quelP istante 
E, lasciandolo in vita, a errar su i neri 
Flutti lu sftkTxa. Or viaj pensiam del modo 
Che P infelice riedk e che- Nettuno ■ ■ 
1*^ ire depongo; Piignerii' con tutti . 
Gli fittomi éi aelo'?'! Il tbnteaehbe indarook. '. 

Di Satnmo figlinbl, pa/clse de^iNumi,. ■■ 
De' regi fte\, replicò a* hii- la Diva 
Cui tinge gli' occhi ^n'auurrina Incci^ : 
Se il ritorno- d^ Ulisse « tutti aggrada^ 
Cbè non aì^invlADcli^ isola 'd? Ogige :> 



ODISSEA 

TRADOTTA 

n»POLIT0 PINDEMOWTE 




MILANO- 

PER GASPARE TBDFPI 



i^tf 



IO omsaià ' 

Altri le mente' con forata e hi^onln ' 
Spugna iergeano e le meftéand ìnnan:iii 
E le molte parlian fmnaóti ' camr. 
Simile a un Dio nella ^beìlSiy ma lieto 
Non già dentro del teny-tedoaitniti: Pfoot 
Telemaco! mirava entro H 'laò spirto ■ 
LMnqlito genitor, qual t^.ei^ d? «Icona • 

Parte spuntando,' a sberafliorlil desse ■ - < 
Per 1' ampia sala gli abborriti prenci, 
£ l' onor prisco a-ricovraroie-il-regno.^ ! '' ' 
Fra cotali pensier Pàllade acftrse', 
f^è soffrendogli il cor ohe lo straniero' -' 
A cielo aperto lungamente stesse | * 

Dritto nsci fuor, s^ accostò ad essai prest 
Con una man la sna^ con P«Urft Patta, '- 
£i*queste le drizzò parole -alata 

Forestier, salve. Accogli mefoto aniòo 

Tu avrai , sporrai le brame tues mftprìmA ' 
Vieni i tuoi spirti a rinfrancar eòi oibow^ '^ ' 

Ciò detto, innanzK andavi^ ed il: seguis * 
Minerva* Entrati nelP eccelso albergOi* ■- ■ 
Telemaco portò P asta, eappoggìòlUi 
A sublime colonna, ove in astieni < ' 

Nitida molte delP invitto Ulisse ^< 

DormJfano arme simili. Indi a posanti : ' 
Su nobil seggio con sg.abello ài piedi ' 

La Dea menò, stesovi sopra- ud vagò 
Tappeto ad arte intesto.; e un variato - ' 
Scanno vicin di lei pose a aèstesso, ' '' ■ - 
Cosi , scevri ambo dagli arditi' Proci , ' i 
QuelP impronto fraatuonj^ ospite a menila ' 
Non disagiava; e delP assente padre - ' 
Telemaco potea cercarlo a un tempo. •' 
Ha scorta ancella da bel vaso'd* oro - < ' 
Purissima onda nel baeSId^orgi^to - < • • 
Versava, e stendea loro uoliaciodeie#|-< >^ 
Bo cui la i«ggi« diiipciiMei'a' traili: • 



I U»BO I II 

mm • ioipor cMilidiMÌMÌ tf prania 
Im «cb«ie geBeroM copia } 
■brai d* ogBÌ «orto in larghi piatii , 
mk Pabile aealoa, ed auree taue, 
li del aneco de^ grappoli rieolaie 

■ preaentava il Dandilor aolerfta. 
Ittavo i Proci ed I aedili e i ttòoi 
pr wdiae occaparos aciiiia gli araldi 
mn atis àMQi, e dì recente paoe - - 
Inloiidi eaocatri eaipiér le ancelle.- ■ 

■ in 4|nel «ke 1 Proci dl^ imbandito pasto 
padcanljn man anperba,' incoronaro 
Rieaiaùgtto lioor rnme-i' donzelli. 
Brtaiif^ MI lor del pasteggiar fii pagO| 
ko dd.bere il naturai talento, 

r>lgein9 ad altro il core : al canto e al ballo, - 

Ebe gli ornamenti ton d^ ogni convito. 

h un'* argentea cetera P araldo 

wwe al buon Vcmio, che per fona il canto 

pn gli amanti aciogiiea. Blantr^ ei le corde 

vU riceroaTa aon maestre dita, 

Pciemaco,. piegando in Ter la Dea 

P che altri udirlo non potesse, il capo,' 

Re parlava in lai goisa : Ospite caro, 

pi sdegnerai se V alma io C apro ? in mente 

Boa ban eostor che suoni: e canti. Il credo. 

pedono impune agli altrui deschi^ ai tlescUi 

UH tal, le cui biancbe o»sa in qualche terra 

Riacciono a imputridir sotto la pioggia, 

Vie tvItc nel mare il.nrgro flutto. 

Ri I* egli mai lor a^ affacciasse un giorno. 

In più, cbe in doayo i ricchi panni e i^oroi 

thn V ali Torrebb<>ru alle piànte. 

n^i des'.ri l Una -funesta- morte 

Hmo ei irovò, apeaie non resta, e inTano 

VavellcTiami alcun del suo ritorno» 

kl MiQ riioriia.U dà piò ooo a^aoceado. 



la ODI88I4 

Su Tia« ciò dimmi, e non m^ asconder nulla: 
Chi? di che loco ? e di che sangue sci ? 
Con quai nocchier venistu e per qaal mod»^ 
£ su qual nave, in Itaca? Pedone 
Giunto per alcun patto io non ti credo. 
Di questo ancor tu mi contenta : nuovo 
Giungi, o al mio genitor t^ unisce il nodo - 
Deir ospitalità? Molti stranieri '; 

A^ suoi tetti accostavansi ; che Ulisse 
Voltava in tè d^ ogni mortale il core. 

Tutto da me, gli rispondea la Diva ^ 

Che ceruleo splendor porta negli occbi| i< 
T^ udrai narrare. Io Bfente esser mi vanto,]: 
Figliuol il' Anchialo bellicoso, e ai vaghi ^ 
Del trascorrere il mar Tafj comando. 
Con nave io giunsi e remiganti miei. 
Fendendo le salate onde ver ^ente 
D** altro linguaggio, e a Temesa recando 
Ferro brunito per temprato rame ^ 

Ch'aio ne trarrò. Dalla città lontano 
Fermossi e sotto il Neo froodichiomosO| 
Nella baja di Retro il mio naviglio. 
Si, d** ospitalità vincol m^ unisce 
Col padre tuo. Chieder ne puoi rautioO| 
Bistnngeodoti seco, eroe Laerte, 
Che a città, com'*è fama, or più non viene | ^ 
Ma vita vive solitaria e trista 
Ne' campi suoi con vecchierella fante. 
Che, quandunque tornar dalla feconda 
Vigna, per dove si trae a stento, il vede^ 
Di cibo il riconforta e di bevanda. 
Me qua condusse una bugiarda voce 
Fosse il tuo. padre in Itaca, da cui i 

Stornanlo i Numi ancor j che ira gli estinti' ] 
L"* illustre pellegrin, no> non comparve. 
Ma vivo e a fona in barbara contrada, -^ 
Cui cerchia un vMto uiari gelilo ctfiidelo •^' 



L »... u 

nnlo: la ràtlien gente crndele 
Av rd a forza in barbara contrada. ' '^ 
W.bmche il vuoto di pnttìt o qurllo 
tiai-are insipiic io non lD^arrDglll, ascolti' 
llHigio non fallace che ^n i labbri ■ 

(Uono a me gli Elcrtii. Ulisje troppa 
■ rimarrà della aua patria in bamlo, 
' itringpsj^ro ancor fermi legaai. ' 

qnai legnili uoid di cotanti ingegni - ' 
rriluppani non upria ? Ha ichiclto 
rtai HI tu vera aua prole? Certo ', 

t capo e ne' lefitiadri orchi ait Iliratc 
Ila ■rileggi tu. Pria che per Troja, 
E tntin a ti chiataù di Grecia it 6orc, ' * 
oslieue anch' ei io le cavate navi, 
**■">>■■ ■PI* )' t"*N *o^ ''■'<'™ 
Mae vkito'al Wo-IUimo, ed cfli ài mW 
■non lo Mm «là lai, né mv *t(Pe|U. 
B il *T«4e«lé Telemaco : SinCeio 
nanacr&. He di Ini nato aflteraiM 
' -L E chi fn ff ' 



e per ti atetto conoicMic il padre T 
I foai'to fiiiHa d' nn cbe usa truoquilta 
«chiena cAlto ne'anoi Irlli aveaii*! 
I, poicU tn mei cbìedi, al più inrdice 
(li nomini la vita, utpite, io deggio, 
Se ad UllMe Penelope, ripreae 
IMe allor d>1k cilnire iaci, 
eenerò, vollero i Dei «he gìia« 
lira il tao Dome ai alcoli pili tardi. 
non, dai ver tioa ti paKir: che fetta, 
« tvrbv' V>' ? Q"!>' " aovrasta cura 7 
avito t Woité 7 Otaial non parmi 
carco di cìaaaiD menta imbandila. 
rati banchetto *i ollraggioao e torpe, 
e mirarlo «jmo irne la fòco d'ira 
I pad ehianqué^m'tlma ia petto chiu<l«. 



l6 ODIttCA 

E qui gli ergi -un lepolcro, e i pia aoleti'ni' 
Aeoriigli^ qual ti* MÓaitit, oaor funebri, 
£ alla madre presenta * an ftkro ìpo8o. 
Dopo ciò , itudia per qual morìò t Proci 
Cou inganno in Bp^gm o alla .teiiperta ; ^ 
Che de** iraatoUi il iiunpo e del Mòtébii 
Passò^ ed uscito di papillo: aei. 
Non odi in levare Oreste «1 = cielo ^ 
Dappoi che uccise il fraudolento Egtato^ 
Che il genitor famoso! amagli morto? 
He la mia nave aspetta- e i <roieleoinpagQÌ, 
Cui forse incresce questo indiigio« tinnirò, 
Di te stesso a te caglia , e'i inies senHOni 
Converti. in opre:: d^ tin «roeiP<aspelto 
Ti veggio, abbine il core, -acciò >rìsuoiu 
Forte ne^ di futuri anco il tuo nome. 

Voci paterne son, non che benigne, 
D' Ulisse il figlio ripigliava ; ed io 
Ouarderolle neLsen tutti i miei giorni. 
Ma tu , per fretta, ohe ti punga ,- tanto 
Fermati almen che in t^pidetto bagno 
Entri, e conforti la dolce alma, e lieto 
Con un mio donò in man torni alla nave : 
Don preziosa per materia ed arte , 
Che sempre in mente mi ti serbi f dotto 
Non indegno d^ un ospite die piacque. 

No, di partir mi tar.dai a lai rispose 
L"* occhicenilea Diva. Il bel presente 
Allor r accetterò che , questo mare 
Binavigando, per ripormi in Tafo , 
T^oflfrirò nn dono anrh^ io -che al tuo nonceda. 
Cosi la Dea dagli occhi glauelis j e, fòrza 
Infondenklogll e ardire, 'e a -lue «ri petto 
La per sé viva del suo padre imago 
Bavvivatado' più ancora, aUp levossi 
£ veloce, com^ aquila, disparre. 

I?ji mars viglia f poiché seco in neute 



«no i i5 

KMtUmerò al igUvd, fietea «oriti», 
Aids le freeee imger viilet, ?«leiio 
Gh0 non dal UehaiMn^in coi do^Noai 
In gniNfe tt twMir, «» pi»MÌa ottenne 
llil padre BÌO| elio fieffamonto mollo ) 
lol «ii^oi eoH ài «R^enUite otaMte^ 
De^ Proci non. tariOf ioni (Il tn tomatie 
Ireve U tH» e il maritaggio ankro. 
U TBttfir cfebba dlal.tfbta gante 
i Tendicarai o no , sn. le ginoecbia 
ItadHgUOei. Ben di* 8gi&m|bfmrla quinei 
ÌQùìà Tarla paniaire. Alle mie toaì 
dorrai In mente 2 Come, il oia s^ inalbi, 
VGiaci icapi a. parlamento. inrita, 
lagiona franco ad casi e al popol tutto, 
Ihiamando i Naaoi.in testimooio, e ai Proci 
Felle lor case rientrare ingiungi. 
a madre, ore desio di nuove none 
futra, ripari alla magion d^ Icario , 
he ordinerà le spontaliiie , e riera 
ote apparecehierà, quale a diletta 
igliuola è degno che largisca un padre. 
*u poi , se non ricusi un saggio avviso , 
h^ io ti porgo, aeguir, la meglio nave 
>i venti e forti remator guemisci , 
, del tuo genitor moli^ anni assente ■ . 
ovelle a procacciarti , alza le vele, 
roverai forse chi ten parli chiaro, 
quella udrai voce fortuita, .in cui 
pesso il cercato ver Giove nasconde, 
ria vanne a Pilo e interroga V antico 
estere : Sparta indi t' accolga e il prode 
enelao biondo, che dall'' arsa Trojat- 
ra i loricati Àchiri ultimo giunse. 
ive ed é Ulisse in sul ritorno ? Un anno| 
mchè dolente, sosterrai. Ma dove 
» sapessi in P Ombre, in patria riedi 



iS 0DI8SBA 

Giore li manda, e<l a cui vuole e quando. 
Perchè Femio racconti i tristi casi 
De"* Greci, biasmo meritar non parmi ; | 
Gilè quanto agli uditor giunge più nuova| ' 
Tanlo più loro aggrada ogni cantone. 
Udirlo adunque non ti gravi, e pensa » 

Ghe del ritorno il di Troja non tolse f 

Solo ad Ulisse : d^ altri eroi non pochi i, 
Fu sepolcro comune. Or tu risali .% 

Nelle tue stanze, ed ai lavori tuoi » | 

Spola e conocchia, intendi| e alle fantesche -jj 
Commetti, o madre, travagliar di fonuu 
Il favellar tra gli uomini assembrati .t| 

Cura è delP uomo, e in que>ti alberghi mia 
Più che d'ingoi altra; però ch^ io qui reggaci 

Stupefatta rimase e , del figliuolo 
Portando in mezzo V alma il saggio delto^ 
Nelle superne vedovili stanze 
Kitornò con le ancelle. Ulisse a nome n 
Lassù chiamava, il fren tentando al pitotol [ 
Finché invìolle 1' occhiglauca Palla 'f 

Sopitor (Vgli affanni un sonno amico. •<! 

I drudi, accesi via più ancor che prìnt n 
Del desio delle nozze a quella vista, j 

Tumulto fean per V oscurata sala. 
E Telemaco ad essi : O della viadre 
Vagheggiatori indocili e oltraggiosi. 
Diletto dalla mensa or si riceva , 
Né si schiamazzi, mentre canta un Tate 
Che uguale ai Numi stessi e nella Toce. 
Ma , riapparsa la belP Alba , tutti 
Nel Foro aduneremci, ov** io dirovvi 
Senza paura che di qua sgombriate { 
Che gavazziate altrove ; che V un V àììrfk 
Inviti alla sua volta, e il suo divori. 
Ghe se disfare impunemente un solo 
Vi par meglio, seguite. Io delP Olimpo 



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90 cmutk 

Ah 9 ripigliò il ganon, del genitore C, 
S?id1, figlio di'Polibo, il ritorno ! .^, 

Giungano ancor novelle , altri indoTini .^, 
L^ avida madre nel palagio accolga, L 

Nèindovin più né più novelle io caro. . 
Ospite mio paterno e il forestiere, 
Di Tafoy ftlente, che figliuol si vanta 
Bel bellicoso Ancbialo e ai Taf] impera. 
Tal rispoudea : ma del ino cor nel fondo 
La calata dì ciel Dea riconobbe. 

1 Proci al ballo ed al soave canto 
Bivolti trastullavansi, aspettando 
Il bajo della notte. Della notte 
Lor sopravvenne il bujo, e ai tetti loro 
Negli occhi il sonno ad accettar n^ andaro. ■ 
Telemaco a corcarsi ove secreta 
Stanza da un lato del cortil superbo 
Per lui constratta si spiccava alP aura 
Salse ^ agitando molte cose in mente. 
£ con accese in man lucide faci 
Il seguiva Euricle'a, V onesta figlia 
D^ Opi di Pisenòr, che già Laerte 
Col prezzo comperò di venti tori, , 

Quando fioriale giovinezza in volto : 
Né cara men della consorte V ebbe. 
Benché, temendo i conjugali sdegni, ^ 
Del toccarla giammai non s^ attentasse. 
Con accese il 9eguia lucide faci : 
Più gli portava amor che ogni altra terrSi 
Ed ella fu che il rallevò bambino. 
Costei gli apri della leggiadra stanza 
La porta: sovra il Ietto egli »' assise ,* 
Levò la sottil veste a se di- dosso , 
£ all' amorosa vecchia in man la pose | 
Che piegolla con arte e alla caviglia 
L^ appese accanto il traforato letto. 
Poi d' uscire «ffrelU^asv i U \^otU 



uno 1 
■• dietro per Pud iP argento, 
• lane, e A chitTiatello corte, 
un ^r molle di tenuta lana 
geà del tao eor per auelP intera 
U OUBIBÌJ;! die gli ladilò Miner? a. 



91 



^«•w 



ì 



LIBRO SECONDO 



ARGOMBHTO 



III 



Convocazione del parlamenio. Teleini 
richiama de^ Proci al popolo £ agli ottii 
Anlinoo, capo di quelli e il più temeri 
ritorce V accusa contro la madre e vuole 
et la costringa di scegliersi un nuovo mai 
tra essi, mercechè il ritorno d^ Ulisse n( 
più da sperarsi. Ma il tìglio gli risponde 
dover f^r ciò né potere. Giove manda 
aquile ; donde il vecchio Aliterse pronosti 
vicino il ritorno d^ Ulisse ; e n^ é iugiurii 
da Eurimaco, P altro capo de^ Proci, ma 
ribaldo. Dimanda che Telemaco fa d^una na! 
per andare a Pilo ed a Sparta. Mentore 
studia di eccitare il popolo contra 1 Pi 
e Leocrito il minaccia e scioglie il parlanusi 
Telemaco, ritiratosi in riva del mare, prie 
Minerva , che gli appare sotto la 6gura 
Mentore e P assistenza sua gli promette, 
rientra nel palagio e richiede la nuti 
Buricléa del viatico. Dolore di questa per 
partenza. Giunta la notte, il giovinetto imhèi 
casi con Minerva, che, pur sotto la figura « 
Henture, Paccoiupagua. 



It 



la figik del mattìa, la beffa' 
dita di rofe Aarora^ tuive, 
di letto aDehe ti Bgljool cP Vììme, * 
panni vetU, «oipe«e il braodó 
k pendaglio alP onero, i leggiadri 
Ili strinse sotto i molli piedi , 
a stanaa usci rapidaiaenre 
ad un degP immortali in Tolto. 
agli araldi dall'* arguta Toce 
tre impose i capelluti AcIiìtì ; 
J, al gridar loro sceoni in fretta^ 
^ragonaro, s* aflbllarow £i pure 
irlamento s^ avviò : tra mano 
li andaste di polito rame, 
inchi il seguian cani fedeli. 
eiaseuBf meotr^ ei mutava il pa9S0| 
itemo sédii, che dai veccbioni 
K In ecdut^ ad occupar sen già: 
Mata in quei punto é sì divina grazia 
fKse d^ìniornoa lui Pallade amica. 
Cbi ragionò primiero ? Egizio illustre, 
\t il dorso avea per P dà grande in arco 
Ni vario saver ricca la mente, 
li le navi d** Ulisse alla feconda 
K Bobili destrier ventosa Troja 
Udo il più caro de^ figliuoli, Àntifo \ 
Islni die morte nel cavato speco * 

I Ciclopc crudel, che la cruenta 
riebandì del suo corpo ultima cena. 
bl figli al vecr.hio rimuncan : P un, detto 
brinomo, co** Proci erasi unito, 
»aU« coltura de^ paterni campi 
iKiedean gli altri due. Ma in quello, in quello 
he più non ha, sempre s"* affisa il padre, 
bt nei piaU» i di passa e che sì fatte 



^4 0DI8SBA. 

Parole lUor, pur lagrimando, sciolte s 
O Itacesi, uditemi. Nessuua, 
Dachè Ulisse levò nel mar le vele. 
Qui si tenne assemblea. Chi adunò questa? 
Giovane, o veglio ? E a die? Primo udì fofie 
Di estrania gente che s** appressi armata ? ^ 
O d^ altro, da cui penda il ben comune. 
Ci viene* a favellar ? Giusto ed umano 
Costui, penso, esser dee. Che che s"* aggiri 
Per la sua mente, il favorisca Giove ! , 

Telemaco gioia di tali accenti^ 
Quasi d^ ottimo augurio, e sorto in piedi» 
Che il pungea d"* arringar giovane brama. 
Trasse nel mezzo, dalla man del saggio 
Tra gli araldi Pisenorc lo scettro 
Prese e, ad Egizio indi rivolto, O, disse. 
Buon vecchio, non è assai quiuci lontane 
L^ uum che il popol raccolse : a te dinaiiii. 
Ma qual, cui punge acuta doglia, il vedi. 
iJon di gente che a noi s'' appressi armat«| 
riè d^ altro, da cui penda il beiF comunei 

10 vegno a favellarvi. A far parole 
Vegno di me, d^ un male, anzi di duo. 
Che aspramente m' investono ad un^ ora. 

11 mio padre io perdei? Che dico il mio? * 
Popol d^ Itaca, il nostro : a tut(i padre. 
Più assai che re, si dimostrava Ulisse. 

£ a questa piaga ohimè! P altra s'' arroge^ 
Che i)gni sostauza mi si sperde, e tutta 
Spiantasi dal suo fondo a me la casa. 
Mojoso assedio alla ritrosa madre 
Puser de' primi tra gli Achivi i figli- 
Perche di farsi a Icario e di proporgli 
Trepidan tanto che la figlia ei doti 
£ a consorte la dia cui più vuol bene 7 
L^ intero di nel mio palagio in vece 
Banchettau laatameute, e, il fior del gregge 



*i a5 

Itoigfndo e dell^ tmenìoi « la rieohiM 
JkBm BiigUor Tendemmui oroe TÒUniloy 
Tifim di tm94 né t^ ha no leooodo DJìm^, 
'^it ftgombnr à* infra noi Taglia tal peste, 
da tanto non son, né aguale all^ opn 
la ae ai trova etperienia e fona. 
Oh coaà le a?«M^ io, com* io le bramo t 
! kieia che il lor peoear Tarca ogni tegno, 
= % ohe pia B^ iBge^ con infamia io pero. 
'Deh sfaccenda in toì pur nobil diipettoj 
Temete il biaimo delle genti intomO| 
DegT immortali Dei, non forte cada 
DeUe colpe de^ Proci in toì la peBa, 
L^ ira temete. Per l'Olimpio Gìotc, 
Per Temi, che i consigli assembra e aclogliei 
Costoro, amici, d' aizzarmi contro 
destate, e me lasciate a quello in preda 
ConlogUo sol, che il genitor mi reca. 
Se non che forse Ulisse alcuni offese 
Be'* prodi Achivi, ed or s"* intende i torli 
Veodicame sul figlio. E ben, yoì stessi 
Stendete ai beni la rapace destra : 
Meglio fora per me, quando consunti 
Suppellettil da toì fossemì e censo, 
Da Toi, dondMo sperar potrei restauro. 
Vi assalirei per la città con biande 
Psrole ad uno ad un, ne cesserei 
Cbe tutto in poter mio prìa^ non tornasse, 
E di nuovo r ergesse in pie il mio stato. 
Ma or dolori entro del petto, a cui 
Non so rimedio alcun, toì mi versate. 
Detto cosi, gittò lo scettro a terra, 
Ruppe in lagrime d** ira, e viva corse 
Di core in cor nel popolo pietade. 
Ma taciturni, immoti e non osando 
Telemaco ferir d^ una risposta, 
lutti starano i Proci. Antiuoo solo 



a6 OOIMBA. 

Sorte e arringa : Telemaco, a cui bolle 
Nel petto rabbia cbe il tuo dir sublimai 
Quai parole pari as li ad outa nostra ? 
Improntar acvra noi macchia si nera? 
Non i migliori degli Acheit la cara 
Tua madre, e r arti ond^è maestra inco1| 
Già il terso anoo si volse, e or gira il quar 
Che^ degli amanti suoi preudesi gioco. 
Tutti di speme e d"* imprumeiise allatta, 
Manda messaggi a tutti, ed altro ha in co: 

§ue8to ancor non pensò novello inganno ? 
eia sottile, tela grande., immensa, 
A oprar si mise, e a sé chiamonnlMje .disse ; 
Giovani, amanti miei, tanto vi piaccia. 
Poiché già Ulisse tra i defunti scese. 
Le mie nozze indugiar, ch^ io questo possa 
Lugubre ammanto per Tcroe Laerte, 
Acciò le fila inutili io non perda, 
prima fornir che V inclemente Parca 
Di lunghi sonni apportatrice il colga. 
Non vo^che alcuna delle Achce mi morda, 
Se ad uom che tanto avea d"* arredi vivo 
Fallisse un drappo in cui giacersi estinto. 
Con simil fola leggiermente vinse 
Gli animi nostri generosi. Intanto, 
Finché il giorno splenilea, tessea la tela 
Superba, e poi la distesitea la notte 
Al complice chiaror di mute faci. 
Così un triennio la sua frode ascose, 
£ deluse gli Achei. Ma come il quarto 
Con le volubili ore anno sorvenne. 
Noi da uu^ ancella non ignara instrutti. 
Penelope trovammo cbe la bella 
Disciogliea tela ingannatrice : quindi 
Compierla dovè al fin, benché a dispetto. 
Or, perché a te sia noto e ai Greci il tu ti 
Ecco i'isposta che ti fauno i Proci. 



1 thfoÉ ^ | ii>ii i> e a. tono • à fa utate 
I À iipMir eotfriagìla. 'Mft4in«» 
K.Uw|lBM«di9 oMè la Qfsè Mhwrrai . 

■ Oiata'fiiniPtte e^ii^otla «iomgiio 

l^lArio ngaiiB^ « fteoorgineoti dìttUe 
it^l wH mm •* udir mai né àmìP aoti«lie • 

■ K Greeia donne dallo balle liofoa, 
11^ Akubepoi Miaana, a cai le nienti 

mBH à latoantiàr m^ non Borirò | 
? I J|>n creoesM lo^go . tempo a>l»ada 

■ Taieràanoar^:Ultiia^priidensa usata 
;lQn PalibaMoncrìa. noi tanto il figlio 

■ faméercm, qnanto la madre in core 

■ lerbeii .quatto tuO) cbe un Dio le inifise^ 
i-m StnÉb-propOitOi Eterna gloria fono ' 

■ i lè procaccerà, omi |[ran difetto 
W Bi fettovaglia a te) mentre noi cerio ' 
V Bt te penaìjm non istaccarci, 8^ ella 
r (^wì che le aggrada pia pria non impalma. - 
l lo, rispo;^ Telemaco, ai casa 
' Colei sbandir donde la vita io tengo ? 
Dal cui lattante sen pendei bambino ? 
Grave in oltre mi fora, ov'' io la madre 
Dipartissi da me, sì ricca dote 
Tornare a Icario. Cruccieriasi un giorno 
L^ amato genitor, che forse vive, 
Beocbè lontano, e puqirianmi i Numi) 
Perch^ ella, sluntanandosi, le odiate 
ImploreVia. vendicatrici Erinni. 
Cbe le genti diriln ? No , tal congedo 
Non sarà mai cb^ io liberi dal labbro. 
L'avete voi per mal? Da me sgombrate; 
Gozzovigliale altrove} alterMamente 
L^ua V altro invitile il suo retaggio scemi. 
Che se disfare impunemente un solo 
Vi par meglioi seguite, lo deii'Oliippo 



Gli abitatori inyoeberò, né «enza 
Speme che il Satornide • tai misfatti 
La debita mercè renda, e cbe inulto . 
Scorra nel mio palagio il vostro sangue. 

Si favellò Telemaco, e dalP alto 
Del monte dne volanti aquile a lui 
Mandò P etemo onniveggente Giove. 
Tra lor vicine^ distendendo i vanni, 
FendeaQ la vana regifon de"* venti. 
Uè pcima far delP assemblea sul metto, 
Che si volsero in giro e , ì* ali folte 
Starnazzando^ e mirando a tutti in faccia, 
Bforte augiararo t al fin, poiché a vicenda 
Con r unghie il capo insanguinato e il collo 
S^ebberi volaro a destra e dileguarsi 
Della città su per gli eccelsi tetti. 
Maravigliò ciascuno ; e ruminava 
Fra sé quai mali promettesse il fato. 

Quivi era un uom di molto tempo e sennOi 
Di Mastore figliuol, detto Àliterse, 
Che nelP arte di trar dagli osservati 
Volanti augelli le future cose, , 

Tutti vinceva i più canuti crini. 
Itacesi, ascollatemi, e più ancora 
M^ascoltin, disse, i Proci, a cui ilavante' 
S^ apre un gran precipizio. Ulisse lungi 
Da^ cari suoi non rimarrà molt^ anni. 
Che parlo ? £i spunta, e non ai soli Proci ^ 
Strage prepara e morte t altri, e non pochi | 
Che abitiam la serena Itaca, troppo 
Ci accorgerem di lui. Consuftiam dùnque 
'Come gli amanti, che pel meglio loro 
Cessar dovrian per se, noi raffreniamo. 
Uom vi ragiona de** presagi esperto 
Per lunghissima prova. Ecco maturo 
Ciò elisio faticinai, quando per Troja 
Scioj[lieano i Greci, e Ulisse ancb^i sarpata* 



Auti 



rt-arccetijf' p ""fila figj,- i 



3(> OSISSBJl 

Ne ad altre donne and rem, quali ha V Acaja 

Degae di noi, perchè cagion primiera 

DelP illustre contesa è la TÌrtude. ì 

Eurimaco e voi tatti, il giovinetto -' j 

Soggiunse allor, competitori alteri, ^ "^ 

Non più : già il tutto sanno uomini e Dei.; 1 
Or non vi chiedo che veloce nave | 

Con dieci e dieci poderosi remi , * i 

Che sul mar mi trasporti. AlParenOaa \ .' ì 
Pilo ed a Sparta valicare io bramo, ! 

Del padre assente per ritrar s^ io mai 
Trovar potessi chi men parli chiaro , ' 
O quella udir voce fortuita in cut 
Spesso il cercato ver Giove nasconde. 
Vivrà? ritornerà? Benché dolente, ' 

Sosterrò un anno. Ma se morto e éktto 
Cenere il risapessi, al patrio nido ' 

tliederò senza indugio; e qui nn sepolera . 
Gli alzerò, renderogli i più solenni j 
Qual si convien, fùnebri onori , e un altro , 
Sposo da me riceverà la madre. 

Tacque e s"* assise ; e Mentore levoasi , 
Bel padre il buon compagno, a cui su tutto 
Vegghiar, guardare il tutto, ed i comandi 
Seguitar di Laerte, Ulisse ingiunse 
Quando per Talto sai mise la nave. 
O Itacesi, tal parlava il saggio 
Vecchio, alle voci mìe V orecchio date. 
Né giusto più , né liberal, né mite, 
Ma iniquo, ma inflessibile, ma crudo 
D^ ora innanzi un Re sia, poiché tra gente 
Su cui stendea scetho paterno Ulisse 
Più non s^ incontra un sol cui vìva in core. 
Che arroganti rivali ad opre ingiuste' 
Trascorran ciechi della mente, io taeoio. 
Svelgono^ è ver, sin dalle sue radici 
La casa di quel Grande, a cui disdetto 



vno il lìtonir, nu In rftddò aléMo ' * 
■m Ja vita. 0en mé^ W'-Édiro ^ 
t VOI, ohe nati ed infinyMii « tHI>. :.' 
ilite llf ne d^vn'tel ttioth^ Il ^toalii» : ' 
im inclito aitate, ^hinèl ètd pi^, ' ^ 
tno i nM>lti fovorehialt • Tinti. . 
lentor,noq to^al Mite imdiieeyfll'itMtd^ 
«rito d* Bvcoorir rttpote, ' 
t Bui dicetto ? Gontara- nói tal ardlid ' 
wpolo «eeilar ì Hon lieve lnip#eàt '' V ' 
a cente aMalIr Ae^%k mcMa ' -^ 
ndiiea V •'■il e i pneer.titoi.-difbrida^ V 
In •tetto Re iP-ltaea tornato ; "i 
«eUr tantaiM i banchettanti; PrML' •' 
ino del SfM ritoimo ante' dilètto ^' '!' ' 
està Mia donnei ehe il sospira taitfo,- ' 
■orìre' il vedrla àiorte eradele, 
tohè tra moki ei combattette s qnlndl' 
l tuo parlar la Tanità si scorge. 
, sa Tia, dÌTÌdete?i e alle vostre 
scende osate vi rendete tutti, 
ntòre ed Aliterse , che fedeli 
Felemaco son paterni amici , 
i mctteran qoesto viaggio in ponto: 
3ch^ ei del padre le novelle , in vece 
cercarle lol mar , senza fatica 
aspetterà nel suo palagio, io credo, 
ise e ruppe il concilio. I cittadini 
ogiieansi \' un dalP altro e alle lor caie 
a e là s^ avviavano : d^ Ulisse 
ritiraro alla magione i Procii. 
Ma dalla turba solitario e scevro 
Umaco rìvolite al mare i passi , 
mani asterse nel canuto mare 
supplicò a Minerva : O Diva amica, 
e degnasti a me ier scender dal cielO| 
iender V ondo ariaponeétì^ un padre 



Ss ODIt)» 

Per rintracciar che non riloroa mai, 
Il tuo jolo favor puommi d*»aiite - . * 

GV inciampi tor che ni opporcinoo i Gh4;, 
E più, che altr' uomo in Itaca, i in«l?«p .^ 
Proci, la cui juperbia ogHOf più inonU. 

Coti pregava ; « se gli pose 4ilata 
Con U faccia di Mentore 6 lj voce 
Palla e a nome chiamollo e feo Ui detti; 
Telemaco, né ardir giammai ne aeniro 
Ti verrà nen, le li virtù col laogu» 
Traifuae in te Tcracemenlc UJ>«e, 
Che quanto impreso ivttt, quanto avea detl^ 
Compiea mai-sempre. Il tuo riaggio a v4ta' 
Non andrà, qual temer, dove tu figlio 
Non gli folli, io dovrei. Vero <è che ip«NS i 
Dal padre il figlio non ritrae : rimane 
Speisoda lui lut^O iotercallo indietro, 
E raro è aiaai che aggiungalo od il paiti , 
Ma lenna a le non verrà men , né ardire, 
Ed io vivere Ulitie in le già veggo. 
Lieto dunque degli alti il fine aperai 
He l^ anga il vano macchinar de' Proei , 
Cile non sentono, incauti e ingiuiti al pire,' 
La nera Parca cbe gli aiial da tergo 
Ed in un giorno sol tutti gli abbranca. 
Io , d' Uliue il compagno, un tale aJQta 
Ti poT|;erò che partirai di corto 
Su parata di' me celere nave 
E con me itCBio al Banco in ni la poppa. 
Oriù, ricnlrn ne] palagio, ai Proci 
Nuovamente ti mostra, ed apparecchia 
Quanto al viaggia <i richiede, «il tutto 
Biponi 1 il bianco celle denie pHl 
Gran macinato , oh' è dell' uom la vita , 
E nell' urne il licor che la rallegra. 
Compagni ■ radunarli io fretta io movo, 
Che li tqiouo allogri. Ha in r areu 



Il , n 

ftiìfpM^^^ir«^li■^■ Itfiw vaivi r •• ^ >.» 
wMior Mt|i»irii Tdaulptyiaji/ . 
A GI«Téla Mlcit0:jQia. ;> ,, , 
, 1^ «Miiti 4|dU Dir» wiW> 
la|pav* TdiMMOÙ. JJ Mki(i*t / 
MtoJdlaaeBtey iro-awclloiii i . 
•ve i Praoi, dbe a teojar ci^|ireUjy . 

iqrtiUi inUndattia. Il ^9 appena «, . 
iPl fc fneontro aonbuiaiido , «.{1 pMii 
vanaAatiiioQ • gunurlò i» tal.jpKaftj 
idibiB arringar 9 na fotta pOMw. ^ 
hmkU^ lealaMo, oBni.rannani . 
ob dd patto ) e, qnal tolaH» «4ipra ir .. 
indai il dento, a <i aoloii nmi.aaalaia» 
a ip AcM t' dlcf|in& di iNiCto t 
I e raniigi delti,^ «ecìo lo poaaa ^ 
» laccando alla 'divina PilOy. 
tr del padre tuo dietro alla lanMU 
Tdemaco ellor: Sedermi a menta 
voì| tuperbi, e una tranquilla gioja 
'arvi , a me non lice. Ah non vi baaia 
jhe de^ miei più preù'osi beni 
I prima eU mia voi mi rapiste? 
>r eh' k> posso delPaltmi saggetsa 
vrmi y e sento con le membra in petto 
ciutami anco Palma, io disertarvi 
jerò pure , o eh"* io qui restì , o parta. 
parto 9 e non iovan , spero , e su nave 
9 non mia , quando al figliuol d^Ulisse • 
io sónbravi sconcio, un legno maneal 
rispose cmeeiato , e destrameule 
I man d* Antinòo la sua disvelse.. 
k il eonvilo apprettavano, rà acerbi 
i Èfnùearjm dalie Ubbn i Proci. ^ 



34 ODISiBA 

Certo, dicea di que' protervi alcuno, 
Telemaco un gran danno a noi disegni 
Da Pilo ajuti validi^ o da Sparta 
Menerà seco, però clipei non>i#e 
Che dì 8Ì fatta speme : o al suol feooi 
D^ Efira condurrassi, e rftrarrantie 
Fiero velen, che getterà nelP urne 
Con man furtiva; e noi berem la moi 
£ un altro ancor de"* pretendenti audi 
Chi sa eh' egli non men, sul mar Tig) 
Dagli amici lontano un di non ttiooji 
Come il suo genitor ? Carco piò grav^ 
-Su 1« spalle ne aTremroo ; il suo reta 
Partirci tutto, ma la casta madre, 
E quel di noi^ ch^ ella sceglieste a ape 
Nel palagio lasriar sola con solo. 

Telemaco frattanto in quella soete 
Di largo giro e di sublime volta 
Patema sala, ove rai biondi e rotti 
L^ oro mandava e V ammassato raoN 
Ove nitide vesti e di fragrante 
Olio gran copia chindean Parche in g 
E presso al mirro ivano mtorno molte 
Di vino antico, saporoso, degno 
Di presentarsi a un Dio, gravide botti 
Che del ramingo travagliato Ulisse 
Il ritorno aspettavano. Munite 
D^ opportuni serrami eranvi, e doppii 
Con lungo studio accomodate imposte 
Ed Euricléa, la vigilante figlia 
D' Opi dì Pisenorre, il di e la notte 
Questi tesori custodia col senno. 
Chiamolla nella sala, e a lei tai Toci 
Telemaco drizzò: Nutrice, viuo, 
Sa via, m^ attigni delicato, e solo 
Minor di quel che a un iufeliee terbi , 
^e mai, «campato dal de&V'm di moflc 



usAo 11 35 

GoapiriMe tM aoL Dodici n^eiiipt 
XwKf e tutte le sosgcIU- Venti 
Di Biciiuito gran gioite aìiur» 
Vouflu ancor ue^ fedeli otri, e il lutto 
Colloca in nn : ma tappilo tu sola. 
Coaw la. notte alle Mprme ttanie 
U BMdre inviti, « al solitario letto, 
VnÌMÌ eoM io verrò I che Paranoia 
Pilo viflUr voglio e la ferace 
Spirta, e ad entrambe domandar del pa<lre. 

Die lya grido, icoppiò in lagrime e 4al patto 
Earidéa volar feo iquette parole: 
Donde a te, caro fisiio, in mente cadde 
Pentiero tal ? Tn, V unico rampollo 
Di Penelope, tu, la nostra gioja, 
Per tanto mondo raggirarti ? Lnnge 
Dal suo nido peri T inclito Ulisse 
Fra estranie genti : e perirai tu ancora. 
Sciolta la fune non avrai, cbe i Proci 
Ti tenderanno agguati, uccideranti, 
E tatte partiraonosi tra loro 
Le spoglie tue. Deh qui con noi rimani, 
Con noi qui siedi, e su i marini campi. 
Che fecondi non son c^he di sventure. 
Lascia che altri a sua posta errando vada* 

Fa cor, nntrice, ci le risponde tosto : 
Senza un Nume non è questo consiglio. 
Ma giura che alla madre, ov' aura altronde 
Non le ne giunga prima, e ten richiegga. 
Nulla dirai, che non appaja in cielo 
La dodicetm' aurora ; onde col pianto 
Al sno bei 4X>rpo ella non rechi oltraggio. 

h* ottima vecchia il giuramento graodo 
Giurò de^Numi; e a lui versò ne^cavi 
Otri, versò neU^ anfore capaci, 
Le candide farine e il rosso vino. 
Ei, nella sala un^ altra volta entrato, 



56 ODISSBA. 

Tra i Proci s^arTolgea: ne in crueito mezM 
Stavasi indarno la Tritonia Palla. 
Vestite di Teleriiaco le forme. 
Per tutto si mostrnva, ed appressava 
Tutti, e loro ingiiingea che al mare in rin 
Si raccogliesser nottetempo, e il ratto 
Legno cbiedea di Fronio al figlio illastre, 
A Noeroòn, cui non chiedealo indarno. 
S^ ascose il Sole, e io Itaca omai tutte 
S^ inombravan le vie. Minerva il ratto 
Legno nel mar tirò, V armò di quanto 
Soffre d^ arnesi un^ impalcata nave, 
E al porto in bocca V arrestò. Frequenti 
Si raccoglieano i reroator forzuti 
Sul lido, e inanimavali la Dea 
Dallo sguardo azzurrin, che altro disegno 
Concepì in mente. La magion d^ Ulisse 
Kitrova, e sparge su i beenti Proci 
Tal di sonno un vapor, che lor si turba 
L"^ intelletto e confondesi, e di mano 
Casca sul desco la sonante coppa. 
Sorse, e mosse ciascuno al proprio albergo, 
Né fu più nulla del sedere a mensa : 
Tal pondo stava su le lor palpebre. 
Ma rorchigrauca Dea, ripreso il volto 
Di Mentore e la voce, e richiamato 
Fuor del palagio il giovinetto, disse: 
Telemaco, ciascun de' tuoi compagni, 
Che d^ egregi schinier veston le gambe. 
Già siede al remo, e, se tu arrivi, guarda. 

Ciò detto, la via prese, ed il garzont 
Seguitavanc V orme. Al mar calati, 
Trovar sul lido i capelluti Achivi , 
Cui di tal guisa favellò la sacra 
Di Telemaco possa : Amici, in casa 
Quanto al cammin bisogna, unito giace : 
Trssparlarìò k mestieri. Né U madre 





lUKo n S, 


M.ftu,r«h«a 


na, il mio peniier le incetle. 


Kcqueekr. 


nttùiiinamii e quelli dietro 


Daneli- ]o<lì e 


L>ii l'anfote e con gli olri, 


«d-Ul»seil 


MTO lìglia ingiuiue. 



nella lalda 
Il garion sopra n lalse 
dd Palude, clic tu poppa 
, leciiito ei le ledeai la fune 
migaitti icìoImi'o, e montaro 

pm nave anpVetti, e i baoabi empierà. 
U Dea dalie cerulite loci 
ifr^i verso 1* Otcidente un Tenia - 
tttro, gagtiardo, rbe liattendo Tenn* 

I pel tremulo mar 1' ale lonanti. 
ino agli atlrexii, allot gridava 
j ot' è 1' aibcro 7 I compogui 

. .. e il groaso e loÉfo abfte in atta 

Ìllriiara, e V impiantai ilWilro la -cava 
lue, e di carda Tannudiro aì piede: 
Poi liraTaDO in lu le biancbe Tele . 
CoD bene attorti cuoi. GanSò ntl meno 
U lele il vento; e forte alla carena 
L'iiiurro mar romoreggiava intorno, 
ìlealrF la nave sino al Gn del corso 

1' Surelemeolo liquido volava. 
l'gili i remi del naviglio ai Ganchl, 
Wronaro di vili maschio l'urne, 
1 1 ciascua degli Dei sempre viveoli 
Lituro, ma più a le, Gglia di Giove, 
' C^ le pupille di cilestro tingi. 

II miglio correa la notte intera, 

liei sao cono al Gn giuogea eoa l'alba. 



LIBRO TEHZO 




AfTiTo di Teleniaeo a Pilo, waentre 
sagrìficaTa solentienietite a ffettuno* Il Bé 
accoglie cortcti*iDente. Telemaco te gif '^ 
conoscere e dimandagli ^novella m 
Urttore racconta ciò che nel ri tomo da 
è avvenuto a tè e a^^ altri eroi della G 
fermandosi più a lM%o sopra Agameni 
Ma d'Ulisse nulla sa dirgli: bensì 16 censii 
di andare a Sparta e richiederoe Menehtf p 
che gianse di fresco dopo un lungo viagdlC 
Sparisione di Minerva, ohe sotto la figuraoV 
Mentore avea accompagnato Telemacb. Unì 
atore, chela riconobbe, le fa il dì appressofMl 
sagrifizio solenne; e commette a Pisisfratsùi ntfl 
de^suoi figli, di condurre a Sparta Telemicè 
•ovi-a un cocchio. Partenza ae^ d\ie gutùm 
au falba del giorno seguente. 

Uscito delle salse acque vermiglie 
Montava il Sole per Teterea voha 
Dì bronzo tutta, e in cielo ai Dei recava ^ 
Kd agli uomini il di sulPalma terra: 

Siuando alla forte Pilo, alla cittade 
ondata da Ncléo, giunse la nave. 
SUyàDO allor sagrificando i Pilj 






f • 



i «owi Iwnl,*» od» f ÉÉ I ili .. ■> 

vcsk dirittiwieBte a pr^^d», 
b MMMikiàr, pigliaiw. il pdflpy 
)• é gHtaro. £ì par gittoé4. 
ìm^ « MWTM il pMÌM4e%. 
• aiiK ooqlbi 4i. cendeo ;tu»|i>. 
K mff i H .^ giopa primiem * 
^dqpor, liilU oMpU di »^. 
M^mmw^ Il Bwr.pauMti» 
réitov.d|ìnjinaMdii»«a,qiMili| ; 
rÌ Miiji Bit — L ilMefOi», padn^ 
|M|iig,iri|jto aldQOMtor. I?«im 
Mi Bw rt i pr rey onde n rn9fi ' 
■U celftCo nella menta porU. 
daini, te tu nel chiedi, av»aie 
à ipentir non pa6 cotanto senno* 
inipente Teleoiaco rispose: 
mi per qnal modo al B<*ge amico 
Btterò? Cfon qua] saluto? Esperto, 
ano ancor del favellar de^saggi: 
Mente pndor, che a far, parole 
»ei col più Tecchio il nven dVtada. 
di tal gaisa ripigliò la Dea 
ilfttrino lume i rai colora t 
laco, di ciò che dir dovrai 
da $k ti nascerà nel corei 
nel cor la ti porranno i Nami: 
dispetto di questi in Juce, io crfdO|. 
^ mandò la madre e non ti^cfebbe. 
ti, parlando, frettolosa innansi 
a ampcàti le i|nfi#T.a ìqj^ . ... 



4o ODISSEA 

Fur tosto in mezzo alPassemblea de^Ptljf 
Ove . Ne.stor sedea co'^fìgM suoi, 
Mrntre i compagni, apparecchiando il pa49 
Altre avvampavan delle carni , ed altre 
fi egli spiedi infiliavanle. Adocchiati 
Ebbero appena i forestier, che incontro 
Lor si fero in un groppo, e gli abbracciarsi' ' 
E a seder gl'invitaro. Ad appressarli 
Pisistrato iu il primo, un de'figliaoli 
Del Re. Li prese ambi per mano' e in molli 
Pelli , onde attappezzata era la aabbia, 
Appo la mensa gli adagiò tra il caro 
Suo padre ed il germano Trasimede: 
Delie viscere calde ad ambi porse; ' 
E, rosso yin mescendo in tazza d\)ro 
E alla gran 6glia delPGg/oco Giove ' 

Propinando^ Stranier, dissele, or prega 
DelPacque il Sir, nella cui festa, i nostri 
Lidi cercando, t'abbatteteti appanto. 
Ma , i libamenti , come più s^ addice^ 
Compiuti e i prieghi, del licor soaw 
Presenta il nappo al tuo compagno, in coi 
pur 8^ annida , cred'^io, timor de^ Nomi , 
Quando- ha mestier de^ Numi ogni vivente» 
Meno ei- corse di vita, e d^anni eguale 
Par^i con me: quiudi a te pria la coppi*' 
E il soave licor le pose in mano. 

Godea Minerva che Tuom giusto pria 
Offerto il nappo d'acro avesse a lei, 
E subito a Neltun così pregava : 
Odi, o Nettuno, che la terra cingi, 
E questi voti appagar degna. Etema 
Gloria a Nestorre, ed a^ suoi figli in primi 
E noi grata mercede tt tutti i Pilj 
Deirinclita ecatombe. Al mio compagno 
Concedi in oltre e a me, che, ciò fornito | 
Perche teaimmoy lu le patrie 'arene 



tgrmtarniain rapida nan. 
^licava e «dempiere tnteadn 
iti ella ttrasa. Indi al ^arzDDS ' 
>fìFri geinina coppa e tamia , 
guai preghiera il caro Bglìa 
alzò. S'abbroaloUro in Unte 
I cosce, degli spiedi acoti 
^ro e ai spartirò: at Bne 
cembro prandio sol enne. 

al suo tÌD, coti principio ■ 
Screnio cavalier N«torre : 
i ricercare nilora 6 bello, 
bi e di Tini hanno abbastanza ' 
il pello, e rallegrata il core. <■ 
i, chi giete7 e da quai lidi 
! a frequentar l'ainide strade? 
t voi forieF O v'aggirate, 
«ali, che la dolce vita, 
ere ad attrai, rischiaD sul mare? 
ICO, a cui Palla un niioro ardire 

•eoo, acciò del padre aliente 
oterrogaue, e cbiaro a un tempa 
rgMse per le genti il grido, 
Icliei, rispose , illustre Tanta, 
K ai deiir tuoi aou pmtv. 
I daUa aeduta a pia del Nea 
*»tre , ed è caji»D privata 
k> ci menò. Del padre io- nttm» 
la rama, cbe rrempie il taaàào, ' ' 
laoimo Uli«a>, onde vactsnhi' ' ' ' ' 
Toce che i Troiani mini,- - '' 

*do con teca, al niol di*lM& ' 
i tatti che co' Trw pipaio, 
rìam doTC Spiro igiomi. 
i Giove abco la morte toIIA 
ni) DÒ alcun (la qoi poleó 



4S ODItOà 

Brando incontrollato a^inteoM^o hi pninto 
Ecoomi or dim^vc allo f^nocchk tao, 
Perchè tu- 1«. mi narri,, o tUU Kabbt 
Con gli occhi proprj, o dallo lobhrft v4Sta 
D^un qualche ji^Uegcìof però cho moUo 
Diiventocpio il partori la-, madre, 
^é timore, o pietà, del palesami j 

Quanto sai, U ritenga. Ahi se Tegrogi* i 

Mio padre in. opra o in detto un<jua ti fiW' *- 
Beqc comodo alcun, là mi* Trojan! - j 

Campi che tinte il. vostro sangue, o Grraci^ • 
Tel rimembrai ora, e non tacermi nulla, \ 

Ed il Gereoio oavalier Nestorre: 
Tu mi ricordi , amico, i guai che molti ' 
Noi prole inyitta degli Achei patimmo- 
O quando erranti, per le. torbia'londe 
Ce ne andavam sovra le navi .in traccia 
Di preda, ovunque ci guidasse «Achille^' 
O allor che pugnava» satto ÌCt mura- 
Delia QÌltado.aha di Priamo^ davo 
Grecia quasi d'ieroi- spenta rimase^ 
Là cadde Achille e il- marziale Ajaoe^ 
Là Patroclo ne) senno ai Dei v<cinO| 

SueirAntilo<y> là forte e gentile, 
io diletto figliuol , che abil del pari 
La mano ebhe ai condiui, e al corso.il pMck* 
Se tu, queste sciagure ed altre assai 
Per ascoltar, sino aJ quint'anno e al>aeato 
Qui t^indogiassi, dalla noja oppresso 
Leveresti di nuovo in mar le vele, 
Ch^io non sarei del mio racconto a riva. 
Nove anni-, offese macchinando, aTroìa 
Ci travagliammo intorno; e, benché ogni wM 
Vi s''adoprasse, d?espugoarla Giove 
Ci consenti- nel decirno a fatica. 
Duce col' pad re tuo non s''ardia quiw 
Di aoeorg^meAtp ^areggiaE; cotanta •• 



Ulto tir 21 

■HfWIMN* «*' pif IBg0gU|' 

i hit. t«BtTO'M«l'dM*dMllltfi» ' { 

iato è dl-kiiyvMvaòM jfMinaU ' 

• 0liM»«d i»^ Bt iiiptrlàiMlrttl 

\m. mmiM'm, parlà^am* mvenii; 

m ncoltt» ooiii maturi !«fTh|t 

16 Mi^te ia pfo^loniir donbi^i^ 

vaoM^ Ba fawjfa fa I) «Itt^ 

I PmHM»9 6 • iiOrefli 'in ai» le. nUH' 

Utiy ti divteil» €ii«po^ 

■ciperi touniim e'bwi ri*ytte' 

iralMrte eh» aa» rìlMiio inftiifet^ 

oavttil GbmCtor dèi mondò. 

M» era» nià gtortiiift hr tutti; 

il Bnlmmo aImv tn* molti etdd^/ 

idegao latildellX^cbi|flàiioà 

5 gcnitor nata, che cieca* 

tne figli d^Atréo dncordla ni$e. 

meato in sol cader del Sole 

irò incanti^ O' centra Fuso, i* Oreci| 

lorbidati dal yapor del Tino 

idi ad atcoltar trassero in- fbllft. 

prescrÌTea che Toste tiilta 

s a|irìi«8e del ritomo ai ventii 
enerla invece À-gamennòne 
rsk e offrir sacre ecatombe, il fiero 
» a placar dell^oltraggiata Diva. 
' che non sapea- ch'erano indarnot 
io per fimo d^immolati tori' 
i Numi non cangiano in un ponto, 
prrendo di- parole acerbe, 

1 movean dal lor proposto. Intanto 
ataao clamor sorser gli Achivi 
uibienti$ e Tiia- oomifiù agH luti; 



\ 



44 0D188B4 

i/BÌÌfO agli altri pia<«a Faneite ootQ 
La notte in meno al tonno agiUvauM» 
Dentro di noi: che del diiaitro il danno 
GioTe ci apparecchiava. Il dì comparto. 
Tirammo i legni nel divino mare^ 
E tu i legni yeliYDli le molte 
Robe imponemmo, e le altociiite tchiaTC. 
Se non che mezza roste appo TAtride 
lAgamennòn rimanea ferma: Tallra 
Daya neVemi, e per lo mar petcotO| 
Che Nettuno spianò, correa yeloce. 
Tenedo preto^ sagri Gei offri mmo, * 

Anelando alla patria: ma nemico 
Dagli occhi nostri rimoveala Giove^ 
Che di nuovo parti tra loro i Greci* 
Alcuni che d'^intorno erano al ricco 
Di scaltrimenti Ulisse, e al Ke de^Regi 
Gratificar volean, torsero a un tratto 
Le quinci e quindi remiganti navi: 
Ma IO de' mali che Tavverso Nume 
DÌTÌsava m"* accorsi, e con le prore, 
Che fide mi seguian, fuggii per Paltò. 
Fuggi di Tideo il bellicoso figlio. 
Tutti animando i tuoi. L'^acque salate 
Solcò più lento, e in Lesbo al fine il biood 
Menelao ci trovò, che della via 
Consigi iavam: se alPaspra Chic di aopra^ 
Psiria lasciando dal sinistro lato, 
O in vece sotto Ohio, lungo il ventoto 
Mimanta, veleggiassimo, D^un segno 
ffettuo pregammo: ei mostrò un segno, e il ma 
Koi fendemmo nel mezzo, e deirEubéa- 
Navigammo alla volta, onde con quanta 
Fretta sì potea più, condurci in salvo. 
Sorte allora e soffiò stridulo vento, 
Che volar per le nere onde, e notturni 
Sorger ci feo toyra GerettO| dovo 



a . 



U:^; .\«.-ÌÌ' Cali Ilio kU \ /.i , 
ta it.iti'.'.óvr'iiVAi •* '.■ • 



l»««f 



i6 0BINI4 

jfon infoier %\i Dei tmlo dileiMt 
Che deironte de^Preci.e dalle trame 
Potessi a pieno rìstoniMii aneiiW 
Itta non a me, non ad Ulisse '6 «1 figllb 
Tanta felicità dagTImaiorUU 
Fu destinata; e tollerar ni''é Iona. 

Poiché lai mali, ripigliò Nestorrei 
Ili riduci alla neate, odola4iasa 
Molti occuparti a forsa, e ioaidiàrtiy 
Vagheggiatori della madre. Dimnis 
Volontario piegasti al gio^o il goUm? 
O in odio, colpa d^un oracol-^rse, 
J cittadini Ohanno? Ad ogni modo. 
Chi sa che il padre ne* aooi tetti un li 
Non si ricatti, o solo, o con gli Achivi 
Tutti al suo fianco, di cotanti oltragp 
Se te cosi Pallide amasse, come 
A Troja, duol de'^Greci, amara Ulisie 
<Sl palese favor d'un Nume, quale 
Di Pallade per lui, mai non si yide), 
Se ugual di te cura prendesse, ai Prof 
Della mente uscirian le hello none. 

E d'Ulisse il figliuol: Tanto io non ft 
Che s'^adempia giammai. Troppo -diccM 
Buon vecchio, ed io ne maraviglio feH 
Che ciò bramar, non conseguir, mi lic 
Non, se agli stessi Dei ciò fosse in gf 

Qual ti sentii volir fuori de'^denti| 
Telemaco, parola? allor soggionae 
La .Dea che lumi cilestrini gira. 
Facile a un Dio, sempre che ilyof^ÌA|>ao 
Bipatriiar dai più remoti lidi* 
lo per me del ritorno ansi- tocret 
Scorgere il di dopo infiniti ^nai. 
Che rieder prima, e nel «uo prpprie i 
Cader, eoroe d'Cgisto, e dell'infida 
Moglie per frode il iaiMit«iid<^ Airìde. 



NI 47 

vte 0o]«9 coaao leggse anaiVy 
jetai Dei né da mi amata capo 
varia potrian, ovaatanque sopra 
!a|;a in sua stagion rapporta trioe 
nghi aonni disamabil Parca, 
emo io l>eB| Telemaco riipOBe, 
ma morte «uvdély non il' ritomo, 
M gli abbia^ o Ifentore, il 'destino, 

questo non più: benché a]g[li afflitti 
re a un tempo e lagrimar sia gioja. 
(lio d^altro dimandar Nertorre^ 
'ede assai più là d^ogni mortale, 
a tersa, qual ai dice, or regoa, 
he mirare in luì sembrami un Numes. 
I di Neleo, il ver mi narra. Come 
egli occhi 'Agamennone, il cui regno 
leati tanto? Menelao do vVra? 
morte al sommo Agamenn^e orala 
{no -Egisto, che di TÌta nom tolse 
miglior di aè? Non er.i dunque 
argo Acaica ftlenelao? Ma forse 
ino errava tra straniere genti, 
ci la spada, ìmbaldanzitn, strinse. 

il Gerenio cavelier Nestorre: 
>, quanfio dirò, per certo il tieni, 
cristi nel segno. Ah! se Pii lustre 
lao biondo, poiché apparve in Argo, 
Palagio trovava Egisto in vita, 
>i spargea sul costui morto corpo 
ugno scarso di cavata terra: 

delle mura sovra il nudo campo 
e augelli voravanlo, né un solo 

donne d^Acaja occhio il piangea. 
lotto Troja, travagliando in armi, 
tvam le giornate; ed ei nel fondo 
i ricca di paschi Arii^o franquilla 
óelli Mspcivi di dolce veleno 



50 ODiSSB/k 

Cocchio io cI;irotti e corridori, e i miei 
Figli, che g4ii<leraiiti aPa divina •< 

Spanta, ove il bifOQ<io Menelao an^giorai^ 
Pr^fAlfì»''^ ^^9 Aemer che le parole' . \ 
Re 8Ì prjAdeote di menzogna iavolv».- 
Disse; e tramontò il Sole, m tniiija vsbm. ■• 
Qui 4a gran Qiva dai ceruleo ignardo!* ^ 
Si Trappola «OS* : Buon veochio,. t«iit» •;• rfl 
Dicesti THtamcnte. Or via, J# liiigva ■ -^^ 
Taglinsì, .e di Ucor s^ empitto le Aocoab ■ 'i. 



Pctoia, fa^ti a Nettuno e agli altri Ifanfr i 
I libameoti, ai procuri ai eorpi . • >] 

Bipo«Q/e spnnoi come il tempo cbieikk • i^ 
Già il Sol s^ ascose, e non- ^ tddioe aloMi 
Troppo a luogo seder prandio ^leaafc 'v'i 

Cosi Palla, né indarno. Àequt gii MnM^ 
Dier subijto alle man, di viso Vuam. '■ i 
Goronaro i donau'Ui, ed il reeoro y ■ ■- i"' 
Con le tazze augurando, a Atitii io giné.' ' 
I convitati s"* alzano, e le lingae •{• . • 
Gittan sul Cuoco, e libano. Libato'.! / 
Ch^ ebbero e a voglia lor tutti bevalo^ ' 
Palla e d^ Ulisse il deiforme figlio 
Ritirarsi voleaoo al cavo legno» 
Ma Nestore fé rm olii e con gentil* • ■ «i- 
Corruccio^ Ahi Giove tolga, e gli aItjri|-4W 
Non p»orijturi Pei, ch^ ire io vi ìaeèiy ' ■ -'f 
Quaf Impipo -mortale a cui la edsa i : • • l 
Di vestimenti non abbonda e edkxif.'-^^v 
Ov/e gli ospiti suoi, non di^ egli, ai^ftolli - 
MuHemeoLe a^aJdormino. Credete • . 
Cbe a me vesti non sieno e coAtri bcttftl - 
No, su palco di pavé il figlio 'C^fo '. • 

Dì co^ont^ uom non giacerà, nae, vìt*| : ( 
E viyo Ufi 40I de^ figli miei, cIm ^uafiti 
Verranno alle mie case ospiti aocolgt* - 

ve<xl«io amico, replicjb la Diva 



in 

•uvra il 
^ eoB6ii solfe anft ru|>e, 
~ f mùtri, e BOB da FmCo 
^oU, Anatro i gnra tfotti 
^fiB pteoolelto aaHOu 

m fiarcaro ì IcgBi | 

.ft^alBBe a ipvo fiiti^ e aolB 
olArB'Mwi' dolPanBcra prém ' ■ 
r %Mtiy il Tooto oPoBdt, 



fe 



»>« 



MB OTBoa te M rB«lM tra fOBlt 
-imwM a* agghraTa, o tona 
GB di iPcCtcMrarila € d^ oro, 
i «Boi detir Plai<iao EgialOt * 
B B tradÌHCBto 9peoé9p ^ ' ■ 
gK-Argift. ed anni aette 
MieeBe 11 Irea rìtnme. 

e BBBB rttoro^ d* Atene 

BM aeiagBra 11 pari ai Nami Oreilei 
ttfWffftdB aatetMB del padre illtiitre 
|lift di vita, e la fntiébre eena 
Allori iBibandi per V odiosa 

a BieB che per V irobeHe dmdo» 
giorno Menelao comparve, 
chezxa riportando seco 
del pOBdo gemean le stanche naTi. 
~ BOB V iBiitar, non vagar troppo, 
do in preda le sostanze ai Proci, 
06 tra lor die non avran consunto, 
li, e fl viaggiar ti tomi danno, 
ek** io bramo, anzi tVsorto e strìngo 
fl Be di Sparta trovi. Ei teste giunse 
^ akri, che in quel mar furia di crudo 
cacciasse, perderla la speme 
er più : Bur cosi immenso e orrendo 
Bai prò d^ un anno ' aogel noi varea. 
■ave ed hai coropagfni. E se mai ibsae 
di too 0g»da Et itrretire ria, 
OauMà 4 



59 - 0DIUB4 I 

Di lacid^ oro gioTÌnette . coma. -J 

Tal lupplicaya | e V uJi Palla. Quindi W 
Generi e tìgli al suo reale ostello T 

Nestore precedea. Giooti , posaro W 

Su gli scanni per ordine e su i tM|^ 'V' 
11 Re canuto un presioso tìbO| ■' 

Che dalla scoverchiata urna la fida 1; 

Custode attinge nelP andeeim^ anno p 1- 
Lor meseea nella coppa , e alU poatettl»-. V 
Figlia libava deirEgìoco Giove, W 

Supplichevole orando. E gli altri anoon v 
Lìbaro e a voglia lor bebbero. Al fioe V 
Trasser, per chiuder gli occhi , ai tetti IlV 
Ma nella sua magione il venerato 1 

Nestore vuol che del divino Ulisse 1 

La cara prole in traforato letto • •■ 

Sotto il sonante portico s^ addormaf % 

£ accanto a lui Pisistrato , di gente g 

Capo e il sol de^ figli uoi che sin qui fifa ^ ^ 
Celibe vita. £i del palagio eccelso .j4| 

Si corcò nel più interno ; e la reale 
Consorte il letto preparògU e il sonno* 

Tosto che del mattin la bella figlia 
Con le dita rosate in cielo apparve , <' 

Surse il buon vecchio, usci del tetto, e inuMl 
S"^ assise alP alte porte in «u i politi , .1 

Bianchi e d^ unguento luccicinti marni y t 
Su cui sedea par nel consiglio ai Numi | 
Nele'o , che , vinto dal destin di morte^ ' 
Nelle case di Pluto era già sceso. j 

Nestore allora, guardian de^ Greci, 1 

Lo scettro in man , sedea vi. I figli , uaoiti I 
Di loro stanca maritale anch^ essi , 1 

Frequenti al vecchio si stringeano inlorao d 
Eohefròne, Perseo, Stfazio ed Areto, ' ^ 
E il nobii Trasimede, a cui ti* aggionie. j] 
Sesto V eroe Pisistrato. Menerò . '? 




I.IBIO III SS 

le il figlio deifórme, e al fianca 
rio del padre , che le labbra 
(le voci aprii Figli diletti , 
limoni il Toler mio fomite. 
tra i Numi V Atenea Minerva 
gg^ io ' Tenerar , che nel solenne 
;to a acro manifesta io vidi ? 
oi diinaae ai verdi paschi vada | 
tirata aal bifolco giunga 

va<M;herella. Un altro mova 
pile alla nave e , salvo due , 

compagni mi conduca. E un teno 
chiami , V ingegnoso mastro , 
ioTenca ad inaurar le corna. 
i tre qui rimangano , e alP ancelle 

le meoae apparecchiar, sedili 
ir nel palagio , e tronca selva , 
;>ar« dal fonte acqua d^ argento. 
ÌDdamo ei parlò. Venne dal campo 
ineila fera, e dalla nave 
pite i compagni; il fabbro venne, 
•cando gli strumenti e V armi , 
le f il buon martello e le tanaglie 
ìbricate , con che V òr domava : 
acrifìci suoi mancò la Diva. 

die il noetalio ; e il fabbro , come 
► V ebbe , ne vestì le corna 
iovenca , acciocché Palla , visto 
jtgor biondo, ne gioisse in core. 
corna la vittima Echefróne 
a, e Strazio: dalle stanze Àreto 
m'' ond.i in un bacile a vaghi 
origliato d^ una mau portava , 
ieir altra in bel cjnestro e saie ; 
icoifo Trasimede in |)u;;i)o 
pa r acuta scure , die sul <:ap(i 
era della vittima; ed iJ vaso 



54 ODISSIA 

Che il sangne raccorrà , Perseo tenéa. 
Ma de^ cavalli il domator , P antico 
Nestore, il rito cominciò s !• roani 
S^ asterse , sparse il sal«t^ orzo , e « PaBt 
Prrgava molto y vteW ardente fiónina 
Le primizie gittando y f peli svelti 
Dalla vergine fronte. Alla giovenca 
S^accostò il forte Trosimede aHora^ 
E con la scure acuta, onde colpillóy 
Del collo i nervi La recise, e tutto 
Svigori il corpo : supplicanti grido 
Figliuole alaaro e nuore e la pudico 
Di Nestor donna, EHridi'ce, che primo 
Di Cliraén tra le figlie al moodo noeqoei 
Poi la buetisa, che giacea, di terra 
Sollevar nella tpsta , e in quel che là 
Beggean cosi, Pibistraio scannoUa. 
Sgorgato il sangue nereggiante e acorsai 
£ abbandonate dnllo spirto V osso ^ 
La divisero in fretta : ne tagliaro 
Le intere cosce , qual comanda il rito ^ 
Di doppio le covrirò adipe ^ e i erudr 
Brani vi adatiàr sopra. Ardeale il veglio- 
Su gli scheggiati rami , e le spruzsavo ' 
Di ross&y'ìtif mentre abili donielti 
Spiedi tenean di cinque punte in mono- 
Arse le cosce , e i visceri gustati , 
Minuti pezzi fcr delP altro corpo ^ 
Che rivolgeano ed abbrottiano ìb& 
Negli acuti schidoni. Policasta , 
La minor figlia di Nestorre. intadUr. 
Telemaco lavò , di bionda V uuso 
Liquida oliva , e gli vesti una fina 
Tunica o un ricco manto ^ ed egli 
Fuor del tepido bagno agP Immortali 
Simile in volto , e a Nestore avvioati 
Pastor di genti e ^li s^ amìso al fianco» 



MWO HI Sf 

Ic.wni ci) imbanJila , 
Iwlirtlar: drjnn'th tifietiì 
Mi'li di vennìglio tìbo 
'dntoli* delV oro, 
ati inatunK fiira 
tiri F delU nclc , 
uin i) ravatier Npstorre : 
XelriiMco, III »ia, 






'iustrata , di gente 

ta BBieltoiiigli e , le briglie 

1, non la iknn al corjiu 

, cbe lUa campagna 
Me^ gsnnni agli ocubi 
luaiaDO le turri. 

deitrier tulto qutt giorno 

fo eh' era lor >ul collo. 

ole , .ed imbriiofan le tLrade) 

lì a Fera , e alla magione 

'àr , del prode tiglio 

Alfeo, dorè ripoii 

lied oa|iitaJI.Foni. 

I mattin la brlla lìgli« 

lei con le rosate dita, 

>alli , e la fregiata 

del vealibol fuori 

dKl porticn Moante. 
I il Neilorfde, ei]udli 
>. I pingui Cam jii 



biondeggianti iiidielro 



Faggio Tali A>po feltro f e il vslbfll 
Gli «lltuUi destrier morpcn le gunbe» 
Che ritaeente e il Pilìete al ine 
Del tSagffio perrenoero che d?onibnj 
Il Sol ctdvto, ti oopria la tcm. 



L IB SO QUARTO 



e FiiiitrJto giungono a Sparli net- 
ilie Menelaa celebrava le nozie del 
leg^prnte e della Bgliuola Ermìane. 

rit El-'na il riconoacono o^fTolmen- 
figlio d' UIii»e. Encomi di queitu , 
iDEione in TrlemacD e n^gli altri 
, lina alle lagrime ;« arti6zia d^ E- 
r ralTr^Darle. Tutti vanoo a dormire. 
rsa I' aurora , Menelao ode da Tele- 
con isdegno la inioleoza àe' Proci 
li narra il suo viaggio in Egitlo e 
ìtÌ inlesfi da Proteo intorno ad Aga- 
□e, ad Ajace d'Oilea ed anche ad 

1 Prori intanto risolioos d''inBÌdÌare 
ICO al tua ritorno P d' nccidei'lo. 
ia di Penelope , che n^ è informata, 
'allade poi con un sogno piacevole 
rU. 



all'ampi*, che tra ì dui 
'- , e le regali «MS. 



e| figlio e della figlia iouenc 
rta quel dì le doppie uoiu , 



58 OD188I1 

E ttflU tmid faoubcftMKr LT orni '1 

Spedia d^ Achille al bellicoBO figlio , 
Cui promessa Pavea soli'* Ilio ud glorilo , 
Ed or compioano il maritaggio i Numi.: 
Quindi cavMl} e tfoorfiiif aA« famosa 
Cittade de^Mirmidoni condurla 
Doveano, e a Pii ro cfare su lor regnava. 
E alla figlia d^ Alettore Spartano 
L^ altro , il gagliardo Megapente , unis , 
Che d^ una schiava sua tardi gli nacque : 
Poiché ad Eléoa griflmeitifli Dei 
Prole non concedeau dopo la sola 
D^*amor-4fgm Enàì&tte, À ^tfi delTanret 
¥cnerr la beltk splendea nef volto. 

Cosi p^r V alto spazìoero albergo 
Kall^gravansi assisi a lauta mensa 
Di'HeMlao gli amfei ed i vicini ; 
Mexitre vate divin tra- )(A* edntava, 
L'^'aiigeifte» cf^rff percolemfo, e dire 
Damaten sgiliiisìixii> nel meno 
GcPKtenypra*fatto a) eanio I dotti salH. 

Mett^ atrio infanto s'arrestare i figli 
Di Nestore e d^ Ulisse. Efeonéo , 
Un vigil servo d^l secondo Atride, 
l'ritoiO' adocchioHi, e con Pannunzio corse 
De* popoli al pastore , ed alP ofeccLào 
Gli susurrò cosi : Due forestieri 
NeA^ atrio ^ o Mettelao di Giove alunno | 
CoMÌa' d^ ero$ ^ ehe del Satarnio prole 
Semorauo in vista. Or di'*: sciorre i cavalli 
Dobbiamo , o i forestieri a un altro forse 
Mandar de^ Greci che gli accolga e onori? 

D'^'ir I infiammessi, e in colai guisa il bioAi 
Menelao gli rispose : O di Boéte 
Figli uohi , Eteonéo, tu non sentivi 
Già dello sceim> negli andati tempi , 
E or sembri a me barabotr^giar co^ déììL 



p^'^ì 



IO di mfllilevMiiiidki mm> >■*» -( 

«ltMMi«làr:So»glfi«itidK^ ; ><L 
MSTilO i foMlMonidM. )^. 

«r ddlk itnMifit«MÌDt: > »• 'f 

e Ipm « ii jB alM AlnMè» ^"^ 

rrL-fiteonfoilMl^ !:.!' ' nn 

fÌM». «Nntfjioff Mdnii*^ . ' ì »'l* 

e 4ÌBuliie>oi«ii nifUy > -. . l 

sto land» Il tcfgatd ' 'T 

(Ip o g gtt i». loéè mer y anf itf Umil 
mnnellf osfiiU , tiie m gìw ' ' 

» naraTÌglia carchi 
nMV€an t però* «ke gla nd e - 
i«c , qaal di Sale a Lana p 
• IMcnalaa ki règgia, 
sazjr che per gh occhi tirtrAf«| 

> <{aJÌàr tepide coacha ; 
r Halle pudiche- aaceUa 

feiond'olio anti, e dì aaalM * 

ìmkì e di vellasi manti, 

> appo i^ Atride. Quirt 
Demi da biel^ aoreo Taao 
keo- bacila: oa^ooda pora 

I liemieK k>0o< un liscia draao f 

laggia dlsf^ensiera i paDt 

ÌBBpoff biaoabitiiaii , a: di ffoBte 

to gen^ota copi» ; 

oda caro» i« largft» pintM 

le ioaleo^ e taaza d'^ofa*. 

agenda ad- ambidaa la muÈa^ 

;, loF distc, ed alla gMqa- 

il cor: poàaia, chi siate , odremv. 

Nidri non s^ esUaie ìk boIm 



Qo ODIttlA ' 

E da sceltrtU Re voi diacendete. 

Piante ooUli di radice vile , 

Sia loco al vero, germogliar non pouMi. 

Detto cotl| r abbnittolato tergo 
Di pingue bue, che ad enor grande iman] 
Messo gli avean , d^ in sn U menaa lolae^ ' 
E innanzi il mise agli ospiti , che proots ' J 
Steser le mani all^ imbandita fera. J 

Ma de** cibi il desir psgo e de^ vini , ^ 

Telemaco 9 piegando in rér Pamieo, ' 

81 cbe altri ndirlo non potesse , il capo « j 
Tale a lui favellò: Mira , o diletto ^ 

Dell^alma mia, 6gUo di Nestor^ come ' 

Di rame, argento, avorio , elettro ed oro 
L^ echeggiante magion riaplende intorno I 
Si fatta , io credo, è delPOlimpio Giove 
L^aula di dentro. Oh gP infiniti oggetti! 
Io maraviglio più, quanto più guardo. 

L^ infere il Ae di Sparta, e ad ambo dinas 
FgUuoli miei , chi gareggiar mai poote 
De^ mortali con Giove? Il suo palagio , 
Ciò ch^ei dentro vi serba • eterno è tutto. 

guanto air umana stirpe , altri mi vinca 
i beni , o ceda, io so che, molti affanni 
Durati , e molto navigato mare , 
Queste ricchezze Tettavo anno addussL 
Cipri, vagando , e la Fenicia io vidi, 
E ai Sidonj , agli Egizj e agli Etiopi 
Giunsi, e agli Erembi, e in Libia, ove le agndls 
Figlian tre volte nel girar d^ un anno , 
E spuntan ratto gli agnellin le corna } 
Né signore o pastor giammai difetto 
Di carne paté , o di rappreso latte ^ 
Ridondando di latte ognora i vasi. 
Mentr^ io vagava, qua e là , tesori 
Raorogliendo ^ il fratello altri m^ uccise 
Di furto, aii^improT vista, e per inganno 



UMO it Ol 

BtìadelU: «nindi 
PO • qneiti'Miii in gw h ow • 
•d ovQB^iML' i padri 'imM^ 
boom udir aoféttt. ' -t 
i ?JMBai dal Andò 
mdi • d^a|ÌMlBMt - ' 

ddlv m parti 'l^ttii% 
iv« ameqoe' prodi • 
veide Argo feraae- 
fOf eH toipiro'tiitt^ ' * '"'i 
»^ ne^ aliai tatti auUoi • ; » • ^ 
li ooKy or naonuBoulé'' ' V 

die' non paotrahmié '" 
tfirtezsa, a al fin MiUnt» ^ 
sto alle fo hrpriaiisdolaa.^' 
iir an cosi non m^nanm > ^ 
, come d^ un lol -ohe 'ìn^nt^ 
lui penao, il cil>o e il tonodK 
essuno in tutta V oste 
ido, o sostenetido il malOi 

Ma dispose il fato 
9se d^ ogni tempo, e ch^ io 
igion traessi i giorni, y 
[io da tanti anni, e ignoro 
o giaccia. Il piange intanto 
3no, e la prudente 
*maco, che il padre 
ne'*, suoi dolci alberghi, 
ianto «ubitana voglia 
'elemaco, che a terira 
giù dalle palpebre, 
do, ed il purpureo manto 
ilzò dinanzi al volto, 
imprese) e se a lui stetto * 
il padre, interrogarlo' 



63 0DM6fA 

Dovesse pria, ne serbar nallm in petto^ 
Si e Bo ieatzoaafvingli nel capo. 

HeatM c<]»l Cpa d«e alava y 4tride| 
Elena daU^ fiooctsa te proftiaiatm • 
Sut^ttamst fitaiie con. It Ade ancelle^ ' 
Che Di«pa pare» dall^ amo d^ oro. '< 

Bel teggw AdrasU avvioinallCy Aloippe ^ 
Tappeto in man di notte lana, e Filo 
Panier retami di forbito.argmte. 
Don già d' Akaadra^ deiU «oglio ìlUnlit ' 
Del fortunato PoKboy ehe i gionrf ■[ 

nella rifioa aie«MM £gÌBa Tobo. ''■ 1' 

A MeneU» due eoBc£t argentee^ étm ' '^ 
Trìpodi e dicci aurei telenli «i dieèifc >'• ^ 
Ma io oaasorte ornar d^ cìetii doM- • > > '-' 
Elaia volle o Darle : una leggiadro'"- '■/ 
CoBoediìo d^ 6r le- ponc^ed il paoàn» 
Ritondo aottoy e di forbito arganto^ • ;" * 
ÌS« non 4{«anto le labbra otq guenik ■■ 
Qociio rioolno di audato rftaine 
L^ anceUa Filo le nccava, e sopra -'^ 

Vi.riposafA la oonoochia, a cm 
Fini si ravrolg^ao piarpuni velli. 

Ella raccolta nel suo seggio, e pMli 
8nl polito «gabello i molli piedi| 
Con ^[«ciii aecenii a Menelao si tolsos - ' 
Sa^am ooi^ Menelao di Giovo altuMM^' 
Chi sieno i dóe che ai nostri tetti efetMwf^ 
Parlar m' « iw%t^ il vero, o il iilao ip diiafl 
Però (9b^ io mai non TÌdi, e grande UoMii^ 
Nel veder euHavigUa, uomo ne doMm 
Cosi alimi «omigliar, tome d* Ulisse 
Somigliar dee qoesto garaone ai figie^- ■ ■ ^ 
Ch^era bambino ancor» quando, per ceipt " j 
Ahi ! di me svergogoaUi e Greci, a TrB|ft ^ : 
Giste, ecoendendo «na si orrenda gaerm. • 

Tofia r Airide dalia bipnda diiomas 




te m^,àfìàymm «ta^ttl^.f i./ » 

rhrai fri ■■ Alirtwii i ( T 
HJwtwj .tipiwgiiirtlhi;^ liti 'i ^'A 

iBijMii» mai, «il «mM iMfaivia 

IP il»|qidi iWttiap U igitak /'. 
yctliMfnlllMÀsdàglÉoi'rM.iO id 

1 lfMÌ:ÌHHI«rlwL«(«lk% '^MilU 'fi 



,'4A« MNiwrl» «rìhNUìI'J» 91(1 
^iien M Avo 0MiMgtt».iiTflAli;A 

a> ieiuniibo Xi provai- • • !>< ' 
folla, e iio«gJi ff«tfa.< . .. /!'f 
ianc9 4t sciagura tfeacct ■ 
reM li Af idai biondi 'CrinI, .^/^ 
04^6 ipurai tt éf lio aduoqae 
pggÌ4i aisìiùsaifDo, cbà fttia|iref i'-' 
o8^ a<i pgni jrbohio? Dinas 
tenaava ««fcroi .omm *egnly > 
aov^tilUi f^Grfci, : 
*itornia^isii i cavi legni 
vaonoWeggeiite Oiovc ' 
r a iqi óeUù Ttcioe . 
i «icgifia^ «v^ b «pBiénÌ«» 
r» dict 4iii,iìiiii?A.aa«t . 
tielk ipìiia <^^ io prifli9 *Tm! . 



■•• ' 



3 0D1II11 

Oli e palagi» ad abiUr Teniue 
Col figlio, le sosUDie e il popol tattob ' 
Cosi, TÌTendo sotto un cirlo^ e speiao ^ 
L^ un V altro TÌsitando. avi«mo i doki • 
Frutti raccolti d^ anìstà >i fida s 
Né P un dair altro li tarìa dia ^ionto. 
Che steso non si fosse il negro velo 
Di morte sovra noi. Ma un tanto b^na 
Giove c^ invidiò, cui del ritorno 
piacque fraudar queir infelice sola. 
Sorse in ciascuno a tat parole *Vi Tirv 




figlio ed il seconde Àtrìdef 
Ifè asciutte avea Pisistrato le guance^ 
Che il fratello incolpabile, cui morte j 

Die dell^ Auròra la famosa prole, 1 

Tra sé membrava, e che tai detti aeiolitf -J 
Atrìde, il vecchio Nestore mio padre 
Te di prudenza singolar lodava. 
Sempre che in mezzo al ragionare alterM ', 
lituo nome venia. Fa, se di tanto 
Pregarti io posso, oggi a mio senno. Poet 
Me dilettan le lagrime tra i nappi. 
Ma del mattin la figlia il duovo giorno 
Birondurrà ; ne mi fia grave allora 
Piauger chiunque al suo destin soggiaeqttf : 
Che solo un tale onore agP infelici 
Defungi avanza, che altri il crin si tronehii | 
E alle lagrime giuste allarghi il freno. 
Anco a me tolse la rea Parca un frate. 
Che r ultimo non fu delPoste greca. 
Tu il sai, che il conosoestL Io ne vederlo - 
Potei, ne a lui parlar ; ma udii che Antilocj 
Su tutti si mostrò gli emuli suoi. 
Veloce al corso e di sua man gagliardo. ' 
E Menelao dai capei biondi ; Amioo, '' 



LÌIHO IT 65 

^«om pio assennato e in più m stara etadc, 
^ non è questa tua, né pensamenti 
ini ayria né detti; e ben ai pare 
mi e agli altri da chi tu nascesti. 
D la prole d^ un eroe si scorge, 
del fiatale al giorno e delle noize 
tino Gioyajun fortunato corso, 
le al Nelide , che invecchiare ottenne 
100 palagio nio!lemente e saggi 
B mirar, non che delP asta dotti. 
iqne, sbandito dalle ciglia il piantO| 
ripensi alla cena, e nn^ altra volta 
^ pura so le mani onda si sparga. 
pmoni alterni anche al novello Sole 
■a Telemaco e me correr potranno. 
Disse; ed Asfalìone, un servo attento, 

trgea sa le man Tonda, e i convitati 
tvamente cibavansi. Ma in altro 
^sicro allora E lena entrò. Nel dolce 
'ino, di cui bevean, farmaco infuse 
4>ntrario al pianto e alP ira, e che Toblio 
'eco inducea d^ ogni travaglio e cura. 
Skì'onque misto col vermiglio umore 
lei seno il ricevè, tutto quel giorno 
•agrime non gli scorrono dal volto, 
'od, se la madr«; o il genitor perduto , 
^on, se visto con gli occhi a sé jlavante 
Hglio avesse o fratel di spada ucriso. 
-atai la Gglia delP Olimpio Gio\e 
farmachi insigni possedè», rlie in dono 
^be da Polidamna, dalla moglie 
Di Tone neir Egitto, ove possenti 
^cchi diversi la feconda terra 
nodacei quai salubri e quai mortali; 
Ed ove più, che i medicanti altrove , 
Totti san del guarir V arie divina , 
liccome gente da Peón discesa. 



66 ODISSEA 

Il ncpente già infuso, e a serri imposto 
Versar dalP urne nelle tazze il vino | 
£ Ha co8> parlò : Figlio d^ Atréo , 
E voi, d^ eroi progenie, i beni e i mali 
Manda dalP alto alternamente a ognuno 
L** onnipossente Giove. Or pasteggiate 
Nella magione assisi, e dc^ sermoni 
Piacer prendete in pasteggiando , mentre 
Cose io racconto, che saranno a tempo. 
Non già eh** io tutte le fatiche illuttrì 
Aicordar sol del paziente Ulisse 
Possa, non che narrarle : una io ne acelfOy i 
Che a Troja^ onde gran duolvenneagli/ "* 
L'^uom forte imprese e a Gn condusse. Il 
Di sconee piaghe afflisse, in rozzi panni 
S^ avvolse, e penetrò nella nemica 
Gittade occulto, e di mendico e achiavo 
L,e sembianze portando, ei che de^ Gfeoi 
Si diverso apparta lungo le navi. 
Tal si gittò nella trojana terra , 
Ne conoscealo alcuno. Io fui la sola 
Che il ravvisai sotto T estranie forme, 
£ tentando 11 andava ; ed ei pur semprt 
Da me schermiasi con V usato ingegno. 
Ma come asperso d^ onda, unto decliva 
L^ ebbi e di veste cinto, ed affidato 
Con giuramento che ai Trojani piima 
Noi manifesterei che alle veloci 
Navi non fosse ed alle tende giunto^ 
Tutta ei m^ aperse degli Achei la mente. 
Quindi, passati con acuta spuda 
Molti petti nemici, alP oste argiva 
Col vanto si rendè d'Yalta scaltrezza. 
Stridi mettean le donne iliache ed urli: 
Ma io gioia tra me; che gli occhi a Sparta 
Già rivolgeansi e il core, e da me il fallo 
Si piagneva in cui Venere mi spinse, 



w 


JHJ 


IflWDmi dalU m 


«ontrads , tHH 


figlinoU, e da! 


pudico ^E; 


a un consorte, 


a cui, sflggciw 


o beltà, nulla mancava, " 


Atride dalla crt 




onria, giustamente. Io terra 




col guardo ^^h 


"oVne'l S^u^'ma 


puri a quella ^^^| 


e Uliueatmal 


roa vidi. :^r 


>rò, baili, e che E 


.oitenne in grembCn^lj 


intaglialo, ove 




.andò adlUu, il Gor de'' Grrici. 


o crrdo.da uo 


flsverao Nume, 


ia de'Tcucr. = 


core alava , 


gcsU, e ugu.U 


a un Dio nel volto 


tue Dc'iTobo ve 


nia. 


Le al cavo Bggui 


ito intorno 


i e il palpavi, i 


= a Doiiie i primi 


legli Achei, coni 


LraffnenJo 


loune le diverge voci. 


aHÌri io, Diomi 


^de e Uli5« 


, adìunnu ; e il 


buon TLdfdo ed io 


D, e di gsoppiar 


fuor del cavallo 


Otta dal profon 


do ventre , > 


ti eravam ; m» 


noi permise 


ardenti, ci con 


tenne Uliw- 


□i altro, fuorché il lolo Antjal», 


ider voleatij e 


Uliue.toito , : 


gli calc6 con le 


robusta 


iodate, né ce»»ò 


, che allroye : 



e Palla, 
t la Grecia ei fu ulule. 
. doglia, □ Uiiuelao, ni? accrMce, ' 
il garzone. A ohe gli valas 

l"D!rn''cb'e altro, un cor di ferro? 
piaccia FJ ornai che ritravivau 



68 ODISSEA . 

I^ove posarci, Acciò su noi dd tónno 

I^a dolccEza ineffabile discenda. 

Si disse s e V argiva Elena alP ancelle 

I letti apparecchiar sotto la loggia , 
Belle gittaryi porporine coltri , 

£ tappeti disteoderri e ai tappeti 
Manti Tcllosi sovrapporre ingiunse. 
Quelle^ tenendo in man lucide £scl , 
Uscirò e i letti apparecchiaro : innanzi 
Movea V araldo e gli ospiti guidava. 
Così nelP atrìo s** adagiaro entrambi: 
I^el più interno corcavasi PAtride^ 
£ la divina tra le donne Eléoa 

II sinuoso peplo, ond^ era cinta, 
Depose e giacque del consorte a lato. 

Ma come del maUin la bella figlia 
Babbelli il ciel con le rosate dita, 
Menelao sorse^ rivestissi, appese 
Per lo pendaglio alP omero la spada , 
£ i bei calzar sotto i pie molli avvinse: 
Poi, somigliante nelP aspetto a un Numei 
Lasciò la stanza rapido, e s* assise 
Di Telemaco al fianco ; e, Qua), gli disse, 
Cagione a Sparta su V immenso tergo 
De) negro mar, Telemaro, V addusse? 
Pubblico affare, o tuo ? Schietto faTella. 

E in risposta il garzon: Nato d** Atréo, 
Per risaper del genitore io venni. 
Jn dileguo ne van tutti i miei beni, 
Colpa una gente nequitosa e audace , 
Che gli armenti divorami e le gregge, 
£ ingombra sempre il mio palagio, e anels 
Della madre alle nozie. Io quindi abbracc 
L^ tue ginocchia, e da te udir m' aspetto , 
O visto, su le labbra inteso V abbi 
D^nn qualche viandante, il tristo fine 
^el padre miOf che lycaluialo aisoi 



he mai dii "? '' "maiwa f^T ■ 

F ''■ » "s w "' o'™* ;,,""» 
t "•! I" "? of, f '"' ""»;, 2a. 

lSjX'£arp:£' : 

V"" » 1» ,if. .""• ^ 



ODISSEA 



per un intero di concavo legno, 

Cui stridulo da poppa il vento spiri. 

Porto acconcio ti s* apre , onde ii_ nocchière 

Poscia <^e V acqua non salata attintéf' 

Facilmente nel mar vara la nare. 

Là venti di mi ritenean gli Dei: 

me delle navi i condottieri amici 

Comparver naS su per P azzurro piano, 

Le immobili acque ad increspar col fiikk 

£ gik con le vivande anco gli spirti 

per fermo ci fallian^ se una Dea, latti 

l^me pietosa, non m^ aprfa Io scampoì ^i 

Idotéa, del marin vecchio la figlia , L 

Cui fieramente in sen V alma io comiilMA i-^ 

Occorse a me, che solitario emviTy. ,s 

Mentre i compagni dalla fame stretti . ,^ìi 

Giravan l' isoletta, ed i ricurvi 

Ami gettavan qua e là nelPonde. 

Fprestier, disse , come fu vicina , , 

Sei tu del senno e del giudicio in bandai 

O degli affanni tuoi prendi dilettOi 

Che cosi, a un ozio volontari^ in predt| . f 

Neir isola t^ indugi, e via non trovi . ■ 

D' uscirne mai? Langue frattanto il cort .|- 

De** tuoi compagni, e si consuma indalte y 

O qual tu sii delle immortali Dtvea « 

Credi, io le rispondea, che da me ven^ y* 

Cosi lungo indugiar? Vien dai heaiti n 

Del vasto cielo abitatori etemi , 

Ch^ io temo aver non leggiermente o£M » 

Deh, poiché nulla si nasconde ai Nami# .| 

Dimmi, qual è di lor che qui m^ arrcìtlM 

£ il mar pescoso mi rinserra intorno? j 

£ repente la Dea : Foresi ier , nulla . i 

Celarti io ti prometto. Il non bugiardo ] 

Soggiorna in queste parti egizio veglÌ0| j| 

L^ immortai Proteo, mio credato padi«| 



' i tosili tutti àci gran mar cnnosce 
obbedisce a Nettuno. Eì del vt^iggio 

à le (traric t del ritorno, 
tn, (Undo in if^ualo, imìgnorirli 
H hi tn po)i>. E qurtlo anear, te il bran^ 
"ni da lui, che iH frlicp o ar-vena 
—. — bacata l'enlrb Gni^hé lontano 
l'nr Tic ne aiidaTi perlglioae e lunghe. 
' Ila In gli agguati, io replicai, m' insegna 
Old' io cosi improTTiao » Proteo arrivi, 
■ Cii'et DOD mi ifD^a delle mani. Un duoic 
f Biffidlmente da un mortai si doma. 

Qn»to avrai por da me, la Dea riprtie, 
_,&ne ulito ■ meno cielo è il Sole, 
FlPaliail vecchio iIìtìd dal cupo fondo, 
I E (tacito della bruna oiida, ehe il ytnto 
f Occidentale inrreipagli ani capo , 
I S'adagia «l'ro i tuoi cavi antri, e aliddurniti 
Eipetie a Ini dormon le foche intorno, 
Wonne raiia dì Alosidna bella , 
Già pria dell' onda uacite, e il grave odore 
Lunge apiranli del profondo mare, 
la le là guiderò , te acconciamente 
CollDcbetò, ratto che il di s'inalbi : 
Ha di quanti coutphgni appo la nave 
Ti «ano, eleggi i tre che tu più lodi. 
Ecco le u»Die del vegliardo e V arti i 
Pria noverar le foche a i^inqne a cinqne, 
Tbitindole tntte j indi nel meno 
Corcirii anch' eì, quasi pastor tra il greg^t. 
Tiitoeli appena nelle ciglia il lonno, 
lirordit«vi allor lol della forca , 
E Itti, che molto bì dibatte e tenta 
Gsiuarvi delle man, fermo tenete. 
Ei <!' <^QÌ belva che la terra paice 
Tettiri le «embianie, e in nci|iia e in foco 
i pailonUiao arilDrej 



2 a ODIMIA 

; voi gli fate delle braccia nodi: 
Sempre più ìadÌMol abili e tenacL 
Bla quando interrogarti al fin V udnif 
Tal mostrandosi a te, cpiale idrajosai, 

Tu cetsa, o prode, ddklla fona, e il ve ^ 

Sciogli; e sappi da lui obi è in. i Niud^ ^ 
Che ti contende la natia oonlrada. .'••*^ 
Disse e nelle fiottanti onde s^iommim. >iV 
io, combattuto da pensier diversi, '■ .'^ 
Colà n' andai, dove giacean dei mare > *-J^ 
Su la sabbia le navi, a cai dapreaio . ^^^ 
La cena in fretta s** apprestò.. Sorvenne ^ 
La preziosa notte, e noi sul lido 
Ci addormentammo al mormorio delPae^ÌMll^ 
Ma noichè del raattin la bella figlia ■ 

Coosperse il ciel d"* orientali rose. 
Lungo il lido io movea, molto ai Celesti ' 
Pregando, e i tre, nel cui valor per tolte ' 
Le meli facili imprese io più fidava, 
Conducea meco. La Deessa intanto 
Dal seno ampio del mare, in chWa entfalik 
Quattro pelli recò del corpo tratte 
Novellamente di altrettante foche; 
E ^ramava con esse inganno al padre. 
Scavò quattro covili entro V arena : 
Quindi s** assise, e ci attendea. Noi presse 
Ci femmo a lei, che subito levossi 
£ noi dispose ne'' scavali letti 
£ i cuoi recenti ne addossò. Moleste 
Le insidie ivi tornavano { che troppo 
Nojava delle foche in mar nutrite 
L** orrendo puzzo. R chi a marina belve 
Può giacersi vicin ? Se non che al nostro 
Stato provvide la cortese Diva, 
Che ambrosia, onde spirava alma fragraMi| 
Venneci a por sotto le afflitte nari. 
Cui del mar più non giunse il grave odorei 




"^ MlMc« Le dtlbmlIbdM 

lO iuif O in frottv e ft MaBo -a mio 

Mi MHogioiÉo fl fciirii ngliaH«9 

9i6. CSomU aoi ]irÌMy 
ànCrir totpetto. 
teMa twi grotto gfiiefiiiw 
grid«|« 1« nmite * 

^ imo gktamno illlo^M^ 

r«iì ftM MM obUò in linei {MaMou 
iwe epperw di*grtn giablia, e in drm» ■' 
nitoiil «I te futtn e in ^vem enoiaw^ 
BeenÉjy<eBde liquida, e In enbiiiM 
Pianto dnemato Tcrdeggiò. Ma noi 
U tonerant femo pia sempre. iUlora 
L* aatoto^vef Uo, che nel petto stanco 
Troppo sentian ornai stringer lo spirtO| 
Con questo voci inferrogommi : Atride, 
QmI la de^ Nomi che d^ insidiarmi . 
Ti die il coniglio e di pigliarmi a forza f 
Di che mestieri hai tu? Proteo, io risposi, 
Tu il sai. Perché il dimandi « ancor t^nfingi t 
Sai ehe gran tempo V isoletta tiemrai, 
Qie acampo i^ninci io non ritroTO e sento 
Distniggermisi il core. Ah dimmi, quando 
Nalla .oelaai ai Dei, chi degli Eterni 
M* ineetipa, • mi rinchiude il mare intorno. 

Non dovevi salpar, riprese il Dio, 
Gho onorato pria Giove e gli altri Nomi 
IKaagrifici non avessi opimij 
Se in Drcve al natio suol giungere ardevL 
Or la tot patria, degli amici il volto, 
I la augloB beo fobbricato il fato 
livedcr non ti dii,Jove tu prima 
M fino» ^ltO| che dn Giove acende. 



^4 ODlfcSBA 

KoD risaluli la corrente, e porgi 

Ecatombe perfette ai Dii. beati. 

Che il bramato da te mar V aprirannoi» 

A tai parole mi a** infranse il core^ 
Udendo che d^ Egitto in sn le rive .< 

Ricondurmi io doTea per gli atri Autdf ■ < 
Lunga e difBcil via. Pur disti: Vecchio^ ' ' 
Ciò tutto io compierò. Ma or. rispondi, i 
Ti priego.y a questo, e schiettamente pidll 
Salvi tornaro co^ veloci legni 
Tutti gli Achivi che lasciammo addictrO| * 
Partendo d^iliòny Nestore ed io? 
. O neri alcun d' inopinata morte 
Nella sua nave, o ai cari amici in gnìwlw|| , 
Posate V armi, per cui Troja cadde ? ■ 

Atrìde, ei replicò, perchè tal eota 
Hi cerchi tu? Quel. chMo nelP alma MwJh 
Saper non fa per te, cui sensa piantò» - ^ 
Tosto che a te palese il tutto fia, 
Non rimarrà lunga stagione il ciglio. 
Molti colpi V inesorabil Parca, 
E molti non toccò. Due soli xlnci 
De^ vestiti di rame Achei guerrieri 
Morirò nel ritorno { e ritenuto 
Del vasto mar nel seno un terzo vive. ■ 
Ajace ai legni suoi dai lunghi remi 
P/pri vicino. Dilivrato in prima 
DalP onde grosse e su gli enomù assiso - 
Girci macigni, a cui Mettun lo spinaoi 
Potea scampar^ benché a Minerva in ivi. 
Se non gli uscia di bocca un orgoglioso 
Motto che assai gli nocque. Osò vantarsi '' 
Che in dispetto agli Dei vincer del maro 
Le tempeste varria. Nettuno ndiUo 
Boriante in tal guisa, e cai tridente. 
Che in man di botto Si piantò^ percoMe ' '' 
La Giréa pietrai e ia dae apenolU i V om 



1" 

. fratello coj/f °',u »»'«• „ 
.fuggi ?«"» "^It^atdoo «P» 

ln"«*a ""Ti ?pU .«•?«"• 

Con promes-«» " j^g >P'* ;„tero, 

B»IV eccelsa '«'*. ^o e forse a g 

non traras,as,e .Sno^^^„„, Te u^empia frode 

'^^ '«f^twa i»-»' » *°Tr Viride. 
Men., fcsuja • ^„„<,ti aodb J ^^„„dns.e, 

^ ^' *'""2„de pensando, e «> ^« , loro, 
CoK orrende v j scanno q» . „ 
, l .ceolto a «»«? 'Uta innanzi ^ P«» 



^9 ODISSEA 

Non visse d'Agamennone o d'Eglsto 
Solo un compagno , ma di tutti corA 
Confuso e misto nel palagio il sangue. 

E a me schiantossi il core a quelle T 
Pianto io versava su V arena *ateM , 
Né più mirar del So) volea la luce. 
Ma come di plorar , di voltolarmi 
Sovra il nudo terren sazio gli parv^ 
Tal seguitava il non mendace vecckiòt 
ResU, o figlio d'Atréo, dair infinite 
Lagrime per un mal che ornai compemc 
Non paté alcuno, e tVgomenta in vec^ 
Più veloce che puoi, riedere in Argo. 
Troverai vivo ne' suoi tetti Egisto, 
O Pavrà poco dianzi Oreste ucciso, 
£ tu al funebre assisterai bancbettOt 

Disse; e di gioja nn improvviso ragfii 
Nel mio cor balenava. Io già d'Ajaee, 
Risposi, e del fratello assai compresi. 
Chi è quel terzo che il suo reo destino 
Vivo nel scn del mare, o"«stinto forae» 
Ritiene? Io d'udir temo e bramo a nn U 

£ nuovamente il non bugiardo Veglio 
D^Itaca il Re, che di Laerte nacque. 
Costui dirotto dalle ciglia il pianto 
Spargere io vidi in solitario scoglio. 
Soggiorno di Galipso, inclita Ninfa, 
Che rimandarlo niega: ondaci, cui solo 
Non avanza un naviglio e non compa 
Che il trasportin del mar su Tampio è 
Star gli convìen della sua patria In bai 
Ma tu, tu^ Menelao, di Giove alunno. 
Chiuder gli occhi non dei nella nutrici 
Di cavalti Argo ; che noi vuole il fato. 
Te neir elisio campo rd ai confini 
Manderan della terra i Numi etemi| 
Lk 'tc riiiede Radamanto^ e icom 



'w>«^« 



» *•**" "fy«itto, «**• " •;• foce 



7$ omMià J 

il prudente Teleinaeo rìtpote s ' ^1 

Gran tempo qui non ritenemi , Airìde. - ^n 
Non ct^e a me non gloTitse un anno intani i 
La patria e i miei quasi obliando, teoo hÌ 
Oueste case abitar; che alla tua voce r-À 
Il alma di gioja ricercarmi io sento. ,.J 
Ma già muojon di tedio i miei compagni ^ 
Nell^ alta Pilo ; e tu m^ arresti troppo. -^-A 
Guai siasi il don di che mi tuoi far lieto^j 
Un picciol sia tuo prezioso arnese. -1 

Ad Itaca i destrieri addur non penaO| i 
Penso lasciarli a te, bello deHuoi . i 

Hegni ornamento: perocché signor^ *! 

Tu sei d^ ampie campagne, ove fiorisce -i 
Loto e cipero, ove frumenti e spelde, * ^ 
Ove il bianc'orzo d^ ogni parte alligna.- < 
Ma non larghe carriere, e non aperti ( 

Prati in Itaca vedi : è di caprette '1 

Buona nutrice, e a me di ver più gratti 
Che se cavalli nobili allevasse. 
Nulla del nostro mare isola in verdi 
Piani si stende, onde allevar destrieri| 
E men dell'* altre ancora Itaca mia. 

Sorrise il forte ne"* conflitti Atride, 
£ , la mano a Telemaco stringendo , 
Sei, disse, o figlia', di buon sangue, e aqoail 
Tua favella il dimostri. E bene,i doni 
Ti cambi ero : farlo poss^ io. Di quanto 
La mia reggia contien, ciò darti io vogliO| 
Che più mi sembra prezioso e raro : 
Grande urna ef6giata, argento tutta , 
Dai labbri in fuor , sovra cui V oro splende^ 
Di Vulcano fattura. Io dalP egregio * 

Fedimo, re di Sidone, un di Tebbi» "^ 

Quando il palagio suo me, che di Troj« 
yen(a, raccolse) e tu n^ andrai con quitti- ' 

Cosi tra lor si ragionava. Intanto >^ 



««*• 



T^ <tìi., i"*** fS 

• •?* ^ Ul ctoe'»«* \ -.Afa <»■» 6«*»°>^ 



So OMSBEA 

Con si nobil girsone e si infeUee 
Stare in sol niego ? Giorentà tegnillo 
Della miglior tra il popolo itaeese , 
£ condottier salfa la negra nave 
Mentore, o un Dio che ne yettU VMp«lto.i 
£ maraTÌglio io ben ch^ ieri tu Palba 
Mentore io scórsi. Or come allor la negTt 
Nave sali f che veleggiava a Pilo ? 
Disse I e del padre alla magion si rese. 

Atterriti rimasero. Cessaro 
Gli altri da^ giuochi e s"* adagiaro anch^efli^^ 
£ a tutti favellò d^Eupite il figlio: i 

Se gli gonfiava della furia il core *' 

Di caligine cinto, e le pupille ^ 

Nella fronte gli ardean come duo fiamme. 
Grande per fermo e audace impresa è questa^ 
Cui già nessun di noi fede prestava , "* 

Viaggio di Telemaco ! Un garzone , 
Un fanciullo gittar nave nel mare , 
Di tanti uomini ad onta, e aprire al Tento 
Con la pili scelta gioventù le vele ? i 

Ne il male qui s^ arresterà : ma Giove 
A Telemaco pria fri^nga ogni possa 
Che una tal piaga dilatarsi io veggia. 
Su via , rapida nave e Venti remi 
A me, si eh** io Io apposti, e al f>uo ritomo 
Nfl^olfo che divide Itaca e Same 
Colgalo s e il folle con suo danno impari 
h* onde a stancar del genitore in traccia. 
Codi Antinoo parlò. Lodi e conforti 
Gli davan tutti : indi sorgeano e il piede 
NelP alte stanze riponean d^ Ulisse. 

Ma de' consigli che nutriano in mente 
Penelope non fu gran tempo ignara. 
Ne la feo dotta il banditor MeJonte, 
Che udìa di fuori la consulta iniqoai 
£ àgli orecchi di lei pronto recolla. 



UBM nii 8r 

dboltrnaMur la aoglia* 

dKètet Anldo, onde tal fretUf 

Pivoi ti aunémot Fprte 
UBne fe solerti anoeUo 
•i IflviBo, « rotato 
pvestiiiloffo? Oh Ibfio ((iMito 

r ettremo • e a ne trttaaUo 
Maer. né àltroii Tfìftil ehe| tmVté 
Die TeteoMoo fl' retaggio 
iir, vi ladnnate in folla. 
•la Toi da^Toilri padri , 
iTale picdolfstti e imberbi, 
hte tmea eon loro UIìmo. 
I opre aoleftando , o in detti , 
mr . de|^ nomini •cettrati » 
portano agli «ni, e agli altri amore? 

alcon mai : ^indi T indegno 
»prar aMegUo 8i pavé > e il morto 
Dti favor voi gli rendete, 
ggio Medonle : li Dei piacetse 
o ilpeggior maly reina, foMe!. 
Proci se ne cova in petto 
assai 9 che Giove sperda : il caro 
e a Pilo sacra e alla divina 
volse , per ritrar del padre | 
di spada al suo ritorno, 
e infelice a tali accenti 
entissi le ginocchia e il core. 

spazio la voce m ancelle , 
ii pianto le s** empier, distinta 
e oai labbri uscir parola. 
fine : Araldo, e perchè il figlio 
:cossi ? Quai cagioo, qual forza 
o a salir 1« ratte navi , 
eri del mar sono e V immensa 
imiditli ? Brama esli dunque 
sii di Ite Bei mooao il nome ? 
A 6 



$2 ODISSEA 

Qiial de' due spinto, il banditor riprese |j 
L'abbia sul mare| a domandar del padre, 
Se la propria sua voglia, o un qualche Ni 
Beina, ignoro. E sovra Torme sue 
Bitornò, cosi detto, il fido araldo. 

Fiera del petto roditrice doglia .1 

Penelope iugombrò ; né , perchè molti 4 
Fossero i seggi , le bastava il core 
t)ì posare in alcun; sedea sul nudo ^ 

Limitar della stanza, acuti lai ^ 

Mettendo; e quante la serviano ancelle | .^ 
Si di canuta età, come di biondai j 

Ululavano a lei d'intorno tutte. , 

Ed ella, forte lagrìmando, Amiche, , 

Uditemi, dicea. Tra quante donne , 

Inacquerò e crebbcr meco, ambasce tali ] 
Chi giammai tollerò ? Prima un egregio 
Sposo io perdei, d'invitto cor, fregiato : , 
B' ogni virtù tra i Greci, ed il cui nome 1 
Per l'Ellada risuona, e tutta l'Argo. 
Poi le tempeste m' involaro il dolce 
Mio parto, in fama non ancor salito , 
£ dei viaggio suo nulla io conobbi. 
Sciauratel cravi puri' istante noto, 
Ch'ei nella cava entrò rapida nave ; 
Né di voi fu cui suggerisse il core 
Di scuotermi dal sonno? Ov' io la fuga 
Potuto avessi presentirne, certo 
Da me, benché a fatica, ei non partia, 
O me lasciava nel palagio estinta. 
Ma de^ serventi alcun tosto mi chiami 
L'antico Dolio, schiavo mio, che dato 
Fummi dal genitor quand'io qua vennii 
Ed or le piante del giardin m'ha in cnc«t 1 
Vo' che a Laerte corra e il tutto narri| 
Sedendosi appo luì, se mai Laerte 
Di pianto aspersa la senii sua guancia 



f li 



al fwpalo • bgoini 
hs whluiUr runiè» nuBO ■ 
lUiiPifl dM dhlao Ulitte; 
etU qui b«lia &jripiéi| 

iptt Um nr* ài terbi .= 
p«rta- 11 tolto io Mp|U| 9à figlio, 
a Curiae o il ro«o vino 
t qpui giortr eoi gionuoonto 
Mk gli dbicì, «Im ore agli onooiii i 
q^iMMO daUo aoft parima 
l|fioiide^ e ta «an mbiadaiti f 
y fiiHKbo ftpontaaMt-.in cielo 
aoi^amni, 'Onde eoi pianto 
•^ aUivggiaiia il tao bel eoroow 
bagoa^-e bianca Tetto pvoaéig ' 
aBOfUe tao nell^alto aseeto.^ - 
ioofra che il figliool'ti i|oanH t 
er più con imbaaciatè il Teglia 
e afflitto assai. Ho, Unto ai Noni 
Arcctio la progenie in ira, 
erme TÌver non ne debba, a cui 
uraglìe sorgano, e i remoti 
ran di messe allegri campi, 
leste Toci ie sopì nel petto 
, e il pianto le arrestò sai ciglio. 
ossi, bianca yeste prese, 
ancelle sue neir alto ascesa , 
;r'*orzo nel canestro, e il sale, 
I supplicò. M^ascolta, disse, 
(loco Giove inclita figlia, 
contorto ne^paterni tetti 
agna o di bue cosce mai t^ arse, 
me ton risorvenga: il figlio 
i, e sgombra dal palagio i Proci, 
à ciascuD di monta P orgoglio. 
in no ^rìdo dopo. Ui paroh j 



84 ODlSUBi 

E PAlcnéa Minerva il priego accolse. 
Tumulto fcan sotto le oscure volte 
Coloro intanto, e alcun dicea: La mollo 
Vagheggiata Reina ornai le nozze 
Ci appresta, e ignora che al tao Bglio 
S^apparecchia da noi. Tanto dal vero *" 
Quelle superbe menti ivan lontane. i 

Ed Antinoo: Sciaurati, il dire incanto^ 
Che potria dentro penetrar, frenate. 
Ma cne più badiam noi? Tacitamente ' 
Quel che tutti approvar mettiamo in opili^ 

Ciò detto, Tenti scelse uomini egregi | ^ 
Ed al mare aTTÌossi. Il negro legno 
Vararo^ alzaro Palbero, asiettaro 
Gli abili remi in Tolgitoi di cao]0| 
E le candide vele ai venti aprirò. 
Poi, recate arme dagli arditi aerTÌ| 
NelPalta onda fermar la negra nave. 
Quivi cenare; e stavansi aspettando 
Che più crescesse della notte il bujo. 

Ma la grama Penelope nell'alto 
Giacca digiuna, non gustando cibo, 
Bevanda non gustando; e a lei nel petto 
Sul destin dubbio di si cara prole 
Fra la speme e il timor Palma ondeggiaTii 
Qual debuttanti leoncin la madre. 
Cui fan corona insidiosa intorno 
I cacciatori, che a temere impara 
E in diversi pensier Palma divide: 
Tal fra se rivolvea cose diverse, 
Fincbè la invase un dolce sonno. StCM 
Sul ieUo, e tutte le giunture sciolta, 
La dcMUia inconsolabile dormia. 

▲lk>r la Dea dalPazzurrino aguardo 
Nuova cosa pensò. Compose un lieve 
Fantasma, che sembrava in tutto Iftima, 
D'Uario «n^altra ù^Via^ a cuv legato 



di TeMaflia vft^ Mgglonio. 

la ÌBfi& <PmiiM al tctté^ ' - 

lA tnaqvUlaiM ù-coit^ > ' 

a ki «bttdiMe € il pianto; 

iftttto Mlbdd temine 

ìmmMf e, standola tul eepOf 

enelopa, dieea, 

io^o? GTiaiaMirtali Dei 

OH Teglioiiti né trista. ; 

fliool toOf perehè de^nlni \ 

> lallir mai boq ineone. 
■y okedoraiia de^iogoi 
tenie in ao le portrs 

de Tenitto? Io mal da jMrim ' ; 
m, ceil da longe iilb«rclii { ^ ^ 
7io Tinca qoel martfr ^eln eentof , 
ringe Phlaa, io, die nn coniorlif 
lon, di al gran core, ornato 
1 tra i Greci, ed \\ cai nome 
t risuona e PArgo tutta! 
questo che il diletto 6glio 
tta nave^ ao giovipetto 
le e deirusanze ignaro. 
er lui, che per Ulisse, io piango y 
i sorprenda o tra le genti 

> in mare, alcun sinistro: tanti 
che rinsidiano, e di vita 
fsian leyar, ch^egli a me torn*. 
>rese il simulacro oscuro: 

te questi ribrezzi, e spera. 
il siegue di cotanta possa , 

per sé la brameria: Mìnerya , 
iì te punse, e di cui 6da 
infbrto ambasciatrice io venni. 
già Penelope a rincontro: 
. Dea aei dungue^ o almeno oditli 



86 ODISSEA 

La voce d^una Dea, parlarmi ancora 
Di queiraltro infelice or non potrai? 
Vivr? rimira in qualche parte il Sole? 
O ne^ baui calò regni di Piato? 

Ratto riprese il simulacro oscuro: 
svi viva, o no, non t'aspettar elisio narri. 
Spender non piace a me gli accenti indai 
Disse; e pel varco, ond'*era entrata, uscei 
Si mescolò cocenti, e dileguossi. 
Ma la Reina si desiò in quel pantO| 
Ed il cor si senti d'ua^improWisa ' 

Brillar letizia, che lasciolle il sogno, 
Che si chiaro le apparve innanzi Talba: 

I Proci Ponde già fendeano^, estrema 
Macchinando a Telemaco mKia; 
Siede tra la pietrosa Itaca e Sataae 
Ua^isola in quei mar, che Asteri e dettai 
Pur dirupata, né già troppo grande. 
Ma con sicuri porti, in cui le navi 
D'*ambo i lati entrar nonno. Ivi in afgUI 
Telemaco attendean griniqui 4chei. 



I 



I 






T*^ 



LIBBO QUINTO 



ooBoilio degli DeL. Pallide si lagne 
e riteDDto lie nelP isole di GeKpeo, 
tepU d^emmanareTeleffleco. Giove 
(escorio ^a Calipto, che mal Toleft» 
eda UlÌMe. Partenza dì quftto tovni 
e di latta da -lui conitrutta. Netta- 
Ite contro usa orribil tempeste , per 
E^ata la barca, ei gettasi a nuoto; 
t)uto d' una fascia , che Jno, Dea del 
diede, approda, dopo infiniti patì- 
J^ isola de^ Feaci. 



.arora, levandosi a Titone 
, abbandonava il croceo Iettò, 
portava ed ai mortali il giorno} 
i a concilio i Dei beati 
>n Giove altitonante in meztOy 
isanza cede ogni altro Nume. 
» Palla de ir egregio Ulisse^ 
>uo grado appo la Ninfa scorge 
lesse ane acerbi casi, 
disse , e voi tutti d^ Olimpo 
lui } che in eterno siete , 



8S oBitnA 

Spoglili di ginstiua e di petade , -k,^ 

E iniquiUte e crodelià u Testa 

D^ ora innanzi ogni Re^ qoando V imigOi ' 

jy Ulisae più non tìto in un aol core 

Di qaella gente ch^ ei reggea da padra. 

Ei nell'* isola intanto , ove Galipso 

In csTe grotte ripugnante il tiene | 

Giorni osi'osi e travagliosi mena ; 

E del tornare alla sua patria è nulla, * 

Poiché navi non ha , non ha compagni , 

Che il carreggio del mar su V ampio terp^ 

Che più? Il ègliuol, che alP arenosa Pib 

MoMC ed a Sparta onde sayer di laì| 

Tor di vita si brama al suo ritorno. ' 

Figlia , qua! ti sentii fuggir parola 
Del recinto de** denti ? a lei rispose 
L"* adunator di nubi Olimpio Giove. 
Tu stessa in te non divisavi . come 
Rieda Ulisse alla patria , e di qui*'' tristi 
Vendetta faccia? In Itaca il Ggliuolo 
Per opra tua, chi tei contende? salvo 
Rientri , e V onde navigate indarno 
Rinavighi de^ Proci il reo naviglio. 

Disse, e a Mercurio, sua diletta prole. 
Così si rivolgea : Mercurio, antico 
De"* miei comandi apportator fedele. 
Vanne, e alla Ninfa dalle crespe chiome 
Il fermo annunzia mio voler che Ulisse 
Le native contrade omai rivegga. 
Ma noi guidi uom, né Dio. Parta su traTi 
Con multiplici nodi in un congiunte | 
E il ventesimo di della feconda 
Scheria le rive, sospirando, attinga | 
E i Feaci V accolgano, che quasi 
DegP immortali al par vivon felici. 
Ks^i qual Nume onoreranlo, e al dolce 
Nativo loro il manderan per nave , 



• 1 1 



.1 



imo ▼• 

l« AirtnM|U ed oro « vaili, 
n leoo qmXIm tìdU Troia 

avrk , ao 0911 Ut prada p 
b| no ritoroATft ìUmos 

a coti , ^i anki o Palto ■..-.> 
palagio a lui daUtìma* . •* 
prodo meiMggero. Al piedlo ' -. f 
talar belli, ai^rei» «mmorUliy : 1 V 
» il portavaDO « o« i oaa^ / ; 
infiniti a par eoi ▼eoto» ' . ■ ■ 
vergt nelle maA rtcoMi « 
tali doloemepfce aMooiWy : . ;.y 
•iaoe» e li dÌMOnoa aiiQoni|i ki/ 

1 tra man V aovo fendeo. 
ebbe di Piteria i 9Ìo|iiip 
Lo e 81 gittò aol oMuroc ' > 
i radea vdocémento p .1 
•o che pe^ vasti golfi 
traccia de* minuti peiei| 

gran sale i Tanni bagna* 
iti sen venia radendo 
e molte V Argioida Ermeto. 
ì fu alP isola remota , 
r dagli azzurrini flutti , 
3 ei sen già , finché vicina 
lui la spaziosa grotta, 
ella Ninfa il crin ricciuta, 
Nume alla sua grotta in seno. 

splendea foco, e la fragranza 
dente e deir ardente tio 
spargea Pisola intorno, 
ido con leggiadra voce , 
i deir ordita tela 
I d^ ór lanciando andava, 
verde V incavato speco / 
loppi vi cresceano e gli alni > 
À odor bruni cipressi ì 



90 oDisseA 

E tra i lor rami fabbricato il nido 
S'aveano augelli dalle lunghe penne ^ 
Il gufo, lo sparviere e la loquace 
Delle rive del mar cornacchia amica. 
Giovane Vite di purpurei grappi 
S^ ornava e tutto rivestìa lo speco. 
VÌ>lvean quattro bei fonti acque d^argen 
Tra sé vicini prima, e poi divisi 
L^un dall' altro e fuggenti; e di viole 
Ricca si dispiegava in ogni dove 
Be'* molli prati PMmmortal verzura. 

Suesta scena era tal che sino a un Non 
on pvOtea farsi ad essa e non sentirsi 
Di maraviglia cotmo e di dolcezza. 
Mercurio, immoto , s^ ammirava; e , mei 
Lodatola in suo core, alP antro cavo , 
Non indugiando più , dentro si mise. 

Galipso , inclita Dea , non ebbe in lui 
Gli occhi affissati che il conobbe : quai 
Per distante che Pun dalP altro albergh 
Celarsi l' uno alP altro i Dei non poonc 
Ma nella grotta il generoso Ulisse 
Non era: mesto sui deserto lido, 
Cui spesso si rendea , sedeasi ; ed ivi 
Con dolori , con gemiti , con pianti 
Strnggeasi V alma , e P infecondo mare 
Sempre agguardava, lagrime stillando. 

La Diva il Nume interrogò , cui posto 
Su mirabile avea seggio lucente : 
Mercurio , Nume venerato e caro , 
Che della verga d^ òr la man guerniscì , 
Qual mai cagione a me, che per V add 
Non VISI lavi , oggi t^ addusse? Parla. 
Cosa ch^ìo valga oprar, ne si sconvegn< 
Disdirti ie non saprei , se il pur volessi. 
Su via , ricevi P ospitai convito : 
Pasci» /avellerai. Detto , la mensa , 



reo nettare ▼ertègii. - • ^ 

lefte AeMMgertf eq^elli^ 
i prìaa velWibne oéeVe «• " * * ' 
iMa le labtoi in tali aeeeiiti'9' •}, 
Dio dnoqoe rieiùedi 1^ ll'Vfróy ' ^ 

tu tnov, -acliietto* lo li luQM»*' 
io^Salnnioii Églto ' ' ■ -••^> 
lo mi dik Giri vortla itoal ' « * •' 

onde ariae ^ < ininitei "ondt y ' ' ' '• 
»B iorgre^ • éagrifici -f '■■- •«• 3 
i ci eÉm ed ecatombe iHnAb^ 
to di Gioiw a un alito RMW ^ >^ 

obliar libe. -Te eo, ' 'j* •• 

irmato, i fiomi lieiia •' 

ramo tra quanti alla' oiUade • 

nanxi combatteao nove antd.'^^': 

amo al fin , Troja eombuftv f * ' 

Bar le ritornanti Tele. 

lino ingiari'àr Minerra, |^ 

bufere, e immensi fluiti 

Hevò. Tutti perirò 

io i compagni, ed ei dal Tento 

1 fiotto ai lidi tuoi portato, 
congederai di botto; 

ir dalla sua terra lunge | 
bensì , gli amici e Tallo 
»alagio é a lui destino, 
lipso e, con alate 
dendo, Àh^ Numi ingiusti, 
invidia non più intesa è qaesta| 
lea con maritale amplesso 
a un mortai, voi noi soffrite? 
ta di rosato Aurora 
oi, Dei, cui vita 
acre livor mordea^ 
igia il rintriicciò ia casta 



Q9 ODIMKA 

Dal peggio aureo Diana, e dMoiproTTiM 
Morte il colpi cttn ioTÌsibil dardo. 
E allor (^e venne inanellata il crino * 

Cerere a Giation tutta amorosa, 
E 1^1 naggeie che il pesante aratro 
Ti-e ?oUe aperto avea se gli concesse^ 
Giove» CUI V opra non fu ignota, uxicise 
Giasion con la folgore affocata. ^ 

Cosi voi, Dei, con invid^ occhio al fianco 
Mi vedete un eroe da me serbato. 
Che solo stava in su i ^]e8chini avami 
Della nave, che il telo igneo di Giove 
Nel mare oscuro gli percosse e sciolse. 
lo raccogliealo amica, io lo nutria 
Gelosamente, io promelteagli eterni 
Giorni e dal gel della vecchiezza immuni. 
Ma quando troppo é ver che alcun di Giovi 
Precetto violare a un altro Nume 
Non lice od obliar, parta egli e soIchi| 
Se il comandò V Egidarmato , i campi 
Non seminati. Io noi rimando certo ; 
Che navi a me non sono e non compagni, 
Qie del mare il carreggino sul tergo. 
Ben so^vcrrogli di consiglio e il modo 
Gli additerò che alla sua dolce terra 
Su i perigliosi flutti ci giunga illeso. 

Ogni modo il rimanda, PArgicida 
Soggiunse, e pensa che infiammarsi d^ ira 
Potrebbe centra te V Olimpio un giorno. 
£ sul fin di tai detti a lei si tolse. 

■L* augusta Ninfa, del Saturnio udita 
La severa imbasciata, il prode Ulisse 
Per icercar b^ avviò. Tro volto assiso 
Del mare in su la sponda, ove le guance 
Di lagrime rigava, e consumava 
Col pensier dìel ritorno i suoi dolci anni. 
Che della Ninfa non pungcalo amoro; 



ib Miti nella OTajjtml 

'^" Mi» e ^ i Mnitt «O0«IK 'V 

P ilboi» e F iaOflotido uiVf 

i p et ie hfriawndo , ■gWMtdter • • <- 

»» gli dlM, ìb queiU tlmm ' 

;M ai liar, bA ooaioiBMa 1 doM 

ri kc|^ «ni ooMi la diputifft, 
kilw vietarti, Mfokftl io pMMò. ' • '^ 

^ fk, !• tniTi aaUa atlfa tronelMr, 

h|i • 0M aiti palchi a te aòMM 

wa che Mi aiar IbMo ti pitirtt 

LA cttdido paa, die r im^oftcuia 

IM ifaiBsly lo di parìatim* mèòM 

Hnmò lieor, gio|a dell* alòtti 

ft «rdMTÒ s ti irettirò aon tìII 

■li. e ti maoderò da tergo an Tento 

he elle cootrtde tae ti spioga illeso , 

d ehe d* Olimpo agli abiianti piaccia , 

ioa coi di senno in prora io già non regtio. 

laccapricciossi a q lesto il no» mai vinto 
^ sTentare Ulisse , e , O Dea , rispose 
!oa alate parole ^ altro di fermo j 
^•a fl congedo mio , tu Tolgi in mente , 
Wtioì ch^ io-Tarchi su tal barca i groMÌ 
id difficile mar flutti tremendi , 
^ le navi pia ratte e d^ ugnai fianchi 
'■aite e liete di quel Tento amico 
^ da GioTO parti Tarcano appena. 
^ sa barca si fatta , e a tuo culrpettOt 
[la lilirò , doTO tu pria non degni 
*Bare a me con giuramento grande 
^ aessoBO il tuo cor danno m* ordisce. 

Wnìsa PAtiMutide ep deìlm mano 



94 OSlSSBà 

Divina careggiandolo , la lingua 
Sciolse in tai voci : Un cattivello ici^ 
Né ciò che per le fa scordi giammai. 
Quali parole mi parlasti ? Or sappia . 
Dunque la Terra e il Ciel superno e Tatrai 
Che sotterra si votive , acqua di Stige , 
Di cui né più solenne han né pia «acro 
CrV Iddii beati giuramento ; sappia 
Che nessuno il mio cor danno t^ ordisce. 
Quello ansi io penso e ti propongo ch^io 
dorrei per me, se in cotanO uopo io fossi. 
Giustizia regge la mia mente , e un' alou 
pietosa , lion di ferro , iu me b^ annida. 

Ciò detto, abbandonava il lido in frettai 
E Ulisse la seguia. Giunti alla grotta. 
Colà, dond^ era V Àrgicida sorto ^ 
S^ adagiò il Laerziade ; e la Dea molti 
Davante gli mettea cibi e licori , 
Quali ricever può petto mortale, 
poi gli s^ assise a fronte ; e a lei le ancellt 
L^ ambrosia e il roseo ne'ttare imbandirò. 

Come ambo paghi della mensa furo, 
Con tali accenti cominciava Talta 
Di Calipso beltade : .0 di Laerte 
Figlio divin, molto ingegnoso Ulisse | 
Cosi tu parti adunque, e alla nativa 
Terra e alle case de^ tuoi padri vai ? 
Va A poiché, si t' aggrada , e va felice. 
IVIa se tu scorger del pensier potessi • 
per quanti a£fanni ti comanda il fato 
prima passar che al patrio suolo arrìfl^ 
Questa casa con me sempre vorresti 
Custodir, ne son certa , e im mortai vitjA 
Da Calipso accettar : benché si viva 
Btama t^ accenda della tua consorte , 
A cui giorno non é che non sospiri. 
Pur non cedere a lei «é di statura 



K^S'Kni Ulisse .! * "P""^" i' riWn 

Br'" «aasia D_ f.r-':'' cono.™ : 

I^-Mcjue morls/e e ,■' J''^ <?' Mntra 
£*'«'' desio ci,e mi /' Pensiero Tm,. . 

ÌZi'T-'''''':'","'' 
'M e tnaato air. *PP»ne. 

*""« "«. li,, j. "Pepili. 



^ 0DIS8IÀ 

Cretcean^ piopp't ^^^ ® ^^^^ ^ ^^^^ ftbrtì, 
Ciascan risecco di gran tempo e anicciO| ' 
Che gli Mlruccioli ageTole sulPonHa. ' 

Le altere piante gli additò col dito, 
£ alla saa grotta il pie torse la DiTa. | 

Egli a troncar cominciò il bosco; Popra 
Nelle man delPeroe correa veloce. 
Venti distese af suolo arbori interi^ 
Gli adeguò, li poli, l'un destramente 
Con Taltro pareggiò. Calipso intanto 
Kecayft seco gli appuntati succbj. 
Ed ei forò le travi e insieme unillei 
E con incastri assicurolle e chiovì. 
Larghezza il tutto avea, quanta ne danno 
Di lata nave trafficante al fondo 
Periti fabbri. Su le spesse travi 
Combacianti tra sé lunghe stendea 
Noderose as«i, e il tavolato alzava. 
L^albero con Tanteuna ersevì ancora, 
E constrasse il timon, che in ambo i lati 
Armar gli piacque d^in trecciati salci 
Gontra il marino assalto e molta selva 
Gìttò nel fondo per zavorra o stiva. 
Le tue tele, o Calipso, in man gli andaro, 
E buona gli usci pur di man la vela. 
Cui le funi legò, legò le sarte. 
La poggia e Torza: al fin, possenti leve 
Supposte, spinse il suo naviglio in mare, 
Che il di quarto splendea. La Dea nel quinta 
Congedollo dalPisola: odorate 
Vesti gli cinse dopo on caldo bagno; 
Due otri, Pan di rosseggiante vino, 
Di limpid^acqua P altro, e un zaino in cai 
Molte chiudeansi dilettose dapi 
Collocò nella barca^ e fu suo dono 
Un lenissimo ancor ?ento innocente. 
Che fDandò innanzi ad mcct&i^ar^U il mare: 



dell'* innoeflnlè tento , 

^aiodiy al tjanoBe •■ 

3 ptno. dirige* ooo arte, . 
fadaa. am le palpebre H tomiOi 
at|— to le Plefadi mirava 
atiwaoBtar Bodle e POna 
[letta-i para il Curo e là d fira^ . 
' ado «aaspra in Orloae» e sola 
lido Oeelm «dcgM^ lavarti % 
I A»^ IBtMe, navigando^ a nanea 

dovea^ «DBM la 'Diva iogiante. 

Mllecrióava a tette gianii 
«aspi d^ ArtlUritii. Il di novelle , . 
WeonWo eo^eiMÌ monti omWaij 
ée^ Fcaei» a eoi la jitrada * • 
ilo pie oarta e ^e appaèla 
nói» ecuda alle laeche onde iofinu 
liai'inflAli'di Selma lo Kène- 
per le talte onde tranqaiUa 
ite NeitDri, che rìtoroava 
'Etièpia, e nel profondo core 
crocciato che mai, sqoasfando il eapO| 
k! ditte dentro a se, nuovo decreto, 

*io fai tra gli EUopi, intorno a Ulisse 
lunque i Numi ? £i già la terra vede 
'fcaeiy che il fato a lui per meta 
tae lunghe dìsventure assegna. . 
BoltOy io- credo, a tollerar gli resta* 
le i Cf ciato di piglio al gran tridcnte| 
ii radunò, sconvoke V acque, 
incitò di lutti i venti i^ ire, 
itenra di nuvoli coverse, 

il mar : notte di elei giù tcese. 
itero sul mar quasi in un groppo 
y Baro e Nolo e il celere Poiieole 
[^«ilon die 'pruine aspre su rali 
■ eil immenai Éuill ianaha e volve. 
CWftu ^ 



fa?' 



q8 odissea 

Disrior sentissi le ginoccbia e il core 
Di Laerte il figlinol, che tal si dolse ' 

Mei secreto dell'* alma: Ahi me infelice! ■ 
Che di ose sarà ornai ? Temo non torni ^ 
Verace troppo della Ninfa il detto , -1 

Che al patrio nido io giungerei per nietx» 
Belle fatiche solo e delP angosce. 
Di quai nuvole il cielo ampio inghirlanda 
Giove, ed il mar conturba ? E come tutti' 
Fremono i venti ? A cerla morte io corvob 
Oh tre fiate fortunati e quattro , 
Cui perir fu concesso innanxl a Troja, '^ 
Per gli Atridi pugnando ! E perchè allonj 
Non caddi anch ''io che al morto Achille intera 
Tanto i Trojani in me lance scagliaro? 1 
Srpolto i Greci co' funebri onori \ 

ISr avriano e alzato ne^ lor rantr al cielo. ^ 
Or per via così infausta ir deggio a Dite. 

Mentre così doleasi, un^ onda grande ' 
Venne d^ alto con furia e urtò la baret ' 
E rigiroUa; e lui, che andar lasciossi 
Dalle mani il timon, fuori ne spinse. 
Turbine orrendo d' agfrruppati venti 
Ij"* albrro a mezzo gli (iacco : lontane 
Vela ed antenna caddero. £i gran temno ' 
Stette di sotto, mal potendo il capo 
Levar dalP onde impetuose e grosse ; . 

CItc le vesti gravavanlo rhe in dono 
Da Calipso ebbe. Spuntò tardi, e molla 
Dalla bocca gli uscia, gli piovea multa 
Dalla testa e dal crino onda salata. 
Non però della zatta il prese oblio: 
Ma, da sé i flutti respingendo, ratto 'i 

L"* apprese, e glàdi sopra, il Gn di morte ^ 
Schivando^ vi scdea. Rapfala il flotto 
Qua e là per lo golfo. A quella guis^i 
Che sovra i campi il Tramontan d"* aulni 



i 



imo ▼ 9g 

Isa d^ annodate spine*, 
alsavanla ani mare. 

portare a Borea V offre , , 

bè davan^ a sé la cacci, 

e d^ Occidente al vento. 

1 vide dal tallon di perla 

dmoy Ino chiamata al tempo ^ 

ra i mortali : or nel mar gode 

ì e Leocot^a si noma. 

1 cor per lui d'^ alta pietade, 

onda fuor, qual mergo, a toIo^ 

▼i oene avvinte assisa } 

silo : Perchè, meschine, 

li con te d^ ira si acerba * 

r della terrena mole , 

na i mali F Ah I non fia certo 

aantoildefcii, spenga i tuoi giornL 

rista m^ hai d** uomo non folle, 

insegno. I panni tuoi svestiti , 
viglio da portarsi ai venti , 
cerca il feacese lido , 
ita de** guai V assegna il fato. 
»rendi , e la avvolgi al petto, 
)rtal, ne temer morte o danno. 

Fcacia il lido appena , 
in mar dal continente lungi 
;orci u<^l gitlarla il volto. 
i a lui V immortai fuscia data , 
• qual mergo, in seno al fosco 
pante, che su lei si chiuse, 
està e in forse il paziente 
ivi no, e con se stesso, 
lo i sospir, tal si consiglia: 

nuovo non mi tessa inganno 
rni alcun, che dal mio legno 
^iiiugc. Io così tosto penso 
gli ) che la terra dove 



f OO ODISSEA 

Di scampo el m^affìdò troppo é lontana» 
Ma ecco quel che ottimo parmii quanto 
l^IoDgiunte rimarran tra lor le travi , 
Non abbandonerolle, e co'' disastri 
Fermo io combatterò. Soiorralle il Motto? 
Porrommi a nuoto, né veder so meglioii 

Tai cose in sé volgea, quando Nettano 
Sollevò un^ onda immensa, orrenda, gni 
Di monte in guisa e la sospinse. Come 
Disperse qua e U vanno le secche 
Paglie, di cui sorgea gran mucchio in pi 
Se mai le investe un furioso turbo. 
Le tavole pel mar disperse andaro. 
Sovra un sol trave a cavalcioni Ulisaa 
Montava : i panni che la Dea Galipao 
Dati gli avea svestì, s^ avvolse al petto i 
L^ immortai benda e si ^ittò De^ gorghi i 
Bocron , le braccia per notare aprendo» ^-^ 
Né già «^ ascose dal ceruleo IddiO| i 

Che, la testa crollando^ A. questo modo 
Erra, dicea tra se, di flutto in flutto 
Dopo tante sciagure e a genti arriva. 
Da Giove amate : benché speme io porli ' * 
Che né tra quelle brillerai di gioja. 
Così Nettuno; e della verde sferza { 

Toorò i cavalli alle leggiadre chiome » i\ 
Cbe il condussero ad Ega, ove gli splende J 
Nobile altezza di rcal palagio. \ 

Pallade intanto, la prudente Gglia 
Di Giove, altro penso. Fermò gli alati 'i 
Venti , e silenzio impose loro e tutti ~ 
Gli avvinse di sopor, fuorché il veloce 4 
Borea , che, da lei spinto, i vasti flutti ^ 
Dinanzi a Ulisse infranse, ondaci le ri? e 
Del vago di remar popol Feace 
Pigliar potesse, ed ingannar la Parca. 
Dm giorni in cotal foggia e tante notti '^ 



Ifollb erraTB, e 0pìeMO il cort 
«•affla. Bla quando: 1' Alba 
ate dt purpurea roae 
•eco, tacqueti il reuto, 
lillo aereo regnava intomo. 
coi levò io alto un grotao 
rra flon lontana scòrte, 
fendo le branoie ciglia. * 

' dolee a no figliuol pio la Tittii 
che so dolente letto 
nnto^ distrutto e dk uo niali|;no 
^i|ue lunghi di percottOy 
cidial morbo corteii 
gli Dei f tale ad Ulisse . ^ i 

I 5rerde della selva jppanre, 
MaiulOy ambi morea di tutta 
piedi a quella volta. Come 
il , quanto d^ noni corre un gridO| 
>i romor : poiché i ruttati 
lo del mar flotti tremendi, 
m si rorapean Jidi ronchiosi, 
\ naugghiayano e di biauca 
*ian tutta la sponda, mentre 
e di navigli o seno 
irla, ma liltorati punte 
in fuori e scogli e sassi, 
a tanto ed il coraggio Ulisse 
ite, e dice a sè^ gemendo: 
he Giove il disperato suolo 
) m^ abbia la via per Ponde apertai . 
me fuor non veggio il come? 
Tonde acuti sassi ^ a cui 
I flotto intorno freme , 
: ya su liscia e lucente: 
IO è il luar che nelP arena 
pie securàmenle io valga. 
Irar meo vogho, un gran maroso 






Sovra di lé pnù lormi, e in dura j; 
Cncciarnii | o »' io lungo le rupi cei 
JJAtando un porto n una <lrclÌTe i 
Temo non procellosa onda m' ■**< 
E loipirando gravementtf in grani 
Hi l'isoipiogi del pescoso mare. 
Forse un de' moitri ancor, ebe mo 
Ve' gorglii (uni la nobile Anfitrile, 
M'aualirà: che Todio io ben eotto 
Che m' La quel Dio per cui la teri 
Stando egli in lai prniien,una «e 
TraportoUo con >è vèr Tineguala 
Spiaggia , cbe lacerata in un lol f 
Le pelle nvrfagli , e sgretolale foi 
Sema un coniiglio, clie nel cor gli 
Lacchi cerulea Dìts. AfTerrb ad ai 
Mani la rupe, in ch'ei già da**, e 
Gnmendo l'attenpa. Deluso intani 
Gli pnBsò su la lesta il violento 
Fluito : le non che por, toniando 
Con nuova furia il ripercosse, e li 
Lo sballò della spiaggia al mare in 
Polpo così dalla pietrosa tana 
Strappato virn, salvo che a lui HO 
KrtUn lapilli nelle brancfae inBtIi 
E Ulisie in vece la squarciata pel 
Delle nervose man laiciò alla rupe 
L'onde allora II coprirò, e l'infelie 
Conira il Tato p'rfa ; ma infuse ■ 
Nuoio pensier l'Occhiaziurrina. ! 
Dall'onde, il lido costeggiava, ai l 
Che vcl poiiavan, coutV'asLando) 4 
Mirando sempre se da qualche pt 
Scendesse una pendice, o un seno 
Jìi dall'opra cestb che d^un bel 
Giunto ai vide all'argentina foce. 
Uttimo qui gli seaibrb il loco al I 



quel che né di sassi aspro era 
perto ai yeuìu Avtìsò ratto 
inor elio derolTeasi al maire, 
itro di se preghiera feos 
[Qf tu aii ne di qnest^ acqae , 

te 9 coi sospirai cotanto, 
li di Nettano e ie minacee 
ì, io m^appresento. È saera eoaa 
lOMurtali ancor l^uom, che d'altcon^ 
*rando « com^ io « che dopò molti ■ 
f&noi ecco alla tua corrente . 
e ai ginooohi toot Pietà d^ Ulisse 9 
supplioe Tedi , o Re , ti prenda, 
ed il Nume acdietò il corso, e i^Doda 

sparse una perfetta ealma ^ 
ce il salvò del suo bel fiume, 
tocca la terra , ambo i ginocehi - 
legò- le nerborute braccia: 
gran sale V affliggea. Gonfiara 
laoto il suo corpo , e per la bocca 
ir gli sgorgava e per le nari; 
oza respiro e senza voce 

e spento di vigore affatto^ 
pa nel suo corpo enlrò stanchezza. 

il fiato ed il pensier riebbe , 
1 petto la divina benda 
e gittolla ove amareggia il Qume« 
nte rapivala j né tarda 
derla fu con man la Dea. 

onda ritrattosi, chinossi 
li giunchi , e baciò V alma Terra» 
lecreto della sua grand^alma 
lava e sospirava insieme: 
*ei, che mi rimane ancora 
lioso a tollerar? Dov^ io 
gravosa notte al fiume in riva 
isi, Paer freddo e il molle guazia 
me dJpenaag § d'tilauL iaferuia 



If>4 QBISSM 

Struggere ti tatto) che su t primi albori 
Nemica brezza spirerà dal fiume. 
Salirò al colle in Tcce ed alP ombrosa 
Selya , e m"* addormirò tra i folti arbusti , 
Sol che ncQ vieti la fiacchezza o il ghiado, 
Che ilsoono in me passi furtivo? Preda 
Diventar delle fere e pasto io temo. 

Dopo molto dubbiar^ questo gli parve 
Hen reo partito. Si rivolse al bosco , 
Che non lunge dalP acque a un poggio in eii 
Fea di.M mostra, e s"* in temo tra due 
Si vicini arboscei ^he dalla stessa 
Radice uscir pareano, ambi d' ulivo , 
Ma domestico V un , V altro selvaggio. 
La forza non crollavali de^ venti ^ 
ISè V igoeo Sole co^ suoi raggi addentro 
Li saettava , né le dense piogge 
Penetrayan tra lor: si uniti insieme 
Crebbero e tanto s** intrecciaro i rami. 
Ulisse sottentrovvi, e ammouticossi 
Di propria man comodo letto, quando 
Tal ricchezza era qui di foglie sparse 
Che ripararvi uomini tre , non che uno t 
Potuto avriano ai più crudeli verni. 
Gioì alla vista delle molte foglie 
L' uom divino e corcossì entro alla foglie 
£ a sé di foglie sovrappose un monte. 
Come se alcun che solitaria suole 
Condur la vita in sul confin d^ un campo | 
Tizzo nasconde fumeggìante ancora 
Sotto la bruna cenere, e del foco, 
Perchè cercar da sé lungi noi debba ^ 
Serba in tal modo il prezioso seme : 
Cosi celossi tra le foglie Ulisse. 
Pallade allor , che di si rea fatica 
Bramava torgli P importuno senso , 
Un sonno gli versò dolce negli occhi , 
l«e dUeiU palpebre a VA n«\w\4^ 



. t . • . * ■• 



LIBEO SESTO 



I 



4IQ0lglST0 

ide .va aelF Itole de* Felci ed ap|Mn« 
IO a Neatiee. fif iia del re AMdoo | è 
ta eeodorai al fivme a larar le Testi | 
landosi il fiomo delle tue neae. N «»- 
itteoota dal padre il eoochtò, efoe della 
Levate le Tetti , nietteii a giaoeare alla 
Don le tae ancelle. Lo strepito risT^Na 
che anoor dormia^ e che , presentatoti 
principessa ^ pregala di sovTenimento* 
I soccorre di cibo e yestito e guidalo 

ta 



atre sepolto in nn profondo sonno 
MMava il travagliato Ulisse , 
fa al popol de^Feaci e alPalta 
Ita t''awiò. Ouesti da prima 
Iti d** Iperéa fecondi piani 
limora lolean , presso i Ciclopi , 
'■ di cor superbo e a^snoi ricini 
> molesta più, quanto più fòrte. 
A Nausitoo f somigliante a un Dio f 
l sede IcTolli , e in una terra 
W|^ aomim iDdiittrì iì mar divido 



-T- i:i^ 



106 -ODISSEA 

Gli allogò, nella Scheria; e qui condasse 
Alla ciilade una muraglia intorno , 
Le case fabbricò , divise i campi , 
E agP Immortali i ^aacri templi eresse. 
Colpito dalla Parca , ai foschi regni 
Era già sceso , e Alcinoo , che i beati 
Numi assennato avean, reggea lo scettro. 

L^pcchioilentra Dea, che sempre fissi 
Nel ritorno d"* Ulisse ayea la mente > 
Tenne verso la reggia , e alla secreta 
Dedalea stanza si rivolse , dove 
Giovinetta dormfa che le Immortali 
1>^ indole somigliava e di fattezze , 
Jlaasica i ^el He figlisr; ed alitf porta | 
Che rinchiusa era . e risplendea 'Dèi h^j 
Giacean due , P una quinci e V altra qnìMB 
Pudiche ancelle, cui le Grazie istesse 
Di non vulgar beltà la £sicoia ornerò. 

La Dea che gli occhi in azzurrino tinge 
Quasi fiato leggier di pìcciol vento, 
S^ avvicinò della fanciulla al letto, 
E sul capo le stette, e, preso il volto 
Della figlia del prode in mar Dimacte 
Molto a lei cara , e ugual d''elade'a lei| 
Cotali le drizzò voci nel sonno : 
Deh , Nausica , perchè te cosi lenta 
La genitrice piirtori ? Neglette 
Lasci giacerti le leggiadre vesti , 
Benché delle tue nozze il di a"* appressi. 
Quando le membra tue cinger dovrai 
Delle vesti leggiadre, e a quelli offrirne 
Che scQrgeranti dello sposo ai tetti. 
Cosi fama s^ acquista, e ne gioisce 
Col genitor la veneranda madre. 
Dunque i bei panni , come il cielo imbiané 
Vadasi a por nelP onda:, io- nelP impresa} 
OudeL trarla più ratto a fio lu possi | 



ì 

UBtO ^ 107 

D BWg wgM ti Mrò. Yer^ùt, io credei y 
Non rimarral^grao pezza } e già di quatta. 
Fra e«i nascesti e tu, popol Feace 
[ migliori ti ambiscono. So vìa, 
Spantato appena in Oriente in Sole* 
FroTa V inclito padre , e de^ gagliardi 
Moli il richiedi e del polito carro. 
Che i pepli , gli scheggiali e i preiloti 
Manti Gondaca : poiché sa distanno 
Dalla città i laTacri che del còcchio 
Calerti, e non del piede., a te i^addieet 

Finiti ch'^ebbe tali aceenti e- messo 
Consiglio tal della fanciulla in petto » 
La Dea, che gaarda con azzurre luci 
Air Olimpo toro&, tornò alla ferma 
Be'* sempiterni Dei sede tranquilla , 
Che né i venti commuovono , né bagna 
l^a pioggia mai , né mai la neve ingombra j 
Ma un seren puro vi si spande sopra 
Da nube alcuna non offeso, e un vivo 
Candido lume la circonda in cui 
Si giocondau mai sempre i Dii beati. 

L^Àurora intanto dio su Paureo trono 
Comparve in Osìente, e alla sopita 
Vergine dal bel peplo i lumi aperse. 
La giovinetta s'^ammirò del sogno, 
E al padre per narrarlo ed alla madre 
Corse, e trovolli nel palagio entrambi. 
La madre assisa al focolare e cinta 
Dalle sue fanti e cdh la destra al fuso 
Lane di fina porpora torcea. 
Ma nel caro suo padre, in quel che al grande 
Concilio andava, ove attendeanlo i capi 
De"* Feacesi , s"* abbatté Nausica , 
E, stringendosi a lui, Babbo mio dolce. 
Non vuoi tu farmi apparecchiar, gli disse^ 
L^ eccelso carro dàUe lieyi ruote, 



I06 0D19SE4 

Àccioccbé le neglette io reclii al fiume 

Vesti OAcurate, e nitide le torni? 

Troppo a te si convien che tra i soprtni 

Nelle coninlte ragionando aiedi , 

Seder con nonde Teatimenta |n doiM. 

jCinque in ctaa ti redi amati figli , 

Due jgià nel maritaggio, e tre cui rìde 

Celibe fior di giovinezza in volto. 

Ottetti al ballo ir vorrian con panni tempra 

òinnti dalle lavande allora allora. 

E tai eote a me ton per tutte in cara. 

Tacque^ a tanto; che toccar le nono 
Sue gioTanili non t^ardia col padre. 
Ma ei oomprete il tutto e ti ritpoaet 
Me dì quetto io potrei, né d^altro, » fif^ia. 
Non todditiiurtL Va: Talto, impalcato 
Carro veloce appresteranti i tervi. 
Diate s e gli onlini diede, e pronti i tervi 
La mular biga dalle lievi ruote 
Trasser fuori, e allestirò, e i forti muli 
Vi miter sotto e gli accoppiaro. Intanto 
Venia Nautica eoe le belle vesti. 
Che tn la biga lucida depose. 
Cibi graditi e di sa por diversi 
La madre collocava io gran paniere, 
E'-nel capace ten d^otre .caprigno 
Vino infbndea soave : indi alla figlia , 
ChWa tul cocchio, perchè dopo il bagno 
Se con le ancelle, che segufanla, ungeste^ 
Porse in ampolla d"* òr liquida oliva. 
Nautica in man le rilucenti briglie 
Prete, prete la sferza, e die di questa 
«Sovra il tergo ai quadrupedi robusti , 
Che si moveano strepitando^ e i patti 
Senza pota alinngavano, portando 
Le Tetti, e la fanciulla, e non lei tela, 
Quando ai fianchi di lei tedean le ancelle. 



U fur dcU'argirntino (lume 

ondanti acqua perenne, 
ecliia non e che non si ter», 
muli, E al TorlicosD Gume, 
morseccbiar cibo, loave 
I pari, li nianiJBro in riva. 
cocchio in le braccia i drappi 
> gìttavanli neironda, 
;iiTa tutta; e in largbe foMe 

preato pie peilandu a prova. 
ietti d^ogni W brnttura , 
. l'altro gli slendean tul lido, 

pietraie il mar poliva. 

ìume paiteggiàr mi margo : 
■Ito co' raggi Bureolncenti 
Irjppi rasciugava ìl Sole. 
della incnia ogni dfSi'o, 



e, d'Erimtnto, 
tra agli omeri, prendendo 
rvi e de' cinghiai diletto i 
•role di Giove, a lei d'intorno 
:ccc Ninfe, onde a Latona 
:or tacita giaja ; ed ella 
sovrana e della fronte' 
;e a tutte l'altre, e vaga 
più qual da lei meno é vinta: 
va tra le ancelle* questa 
II rito I vergine intatta. 
gìon che al suo paterno tetto, 
utili, e ripiegati i manti , 



110 Ofii&SIA 

Bitornar dispone*, nacque an noTello* 
Consiglio io niente alPocchiglauca Difa« 
perchè Ulisse dissonnisi^ e gli appaja 
La gioTinelta dalle nere ciglia, 
Che de^ Feaci alla cittade il guidi. 
Nausica in man tolse la palla, e ad una 
Delle compagne la scagliò : la palla 
DesTiossi oal segno a cui volava, 
E nel profondo vortice cade. 
Tutte misero allora un alto grido. 
Per cui si ruppe incontanente il sonno 
Nel capo a Uli^tse, che a seder drizzossii 
Tai cose in sé volgendo: Ahi fra qual gente ^ 
Mi ritrovo io? Cruda, villana, ingiusla, 
O amica degli estrani, e ai Dii sommessa? 
Quel che Porccchio mi percosse un grido 
Femmiuil parmi di faociulle Ninfe. 
Che de^ monti su i gioghi orti e de'^fianii * 
Nelle sorgenti e per V erbose valli 
Albergano. O son forse umane voci, 
Che teste mi ferirò? Io senza indugio 
Dagli stessi occhi mìei sapronne il vero. 

Ciò detto, uscia Teroe fuor degli arbusti , 
E con la man gagliarda, in quel che usds, 
Scemò la selva d\in foglioso ramo, 
Che velame gli valse ai fìnnchi intomo. 
Quale dal natio monte, ove la pioggia 
Sostenne e i venti impetuosi, cala 
Leon, che nelle sue forze confida: 
Foco son gli occhi suoi ; greggia ed armento, 
O le cerve salvatiche, al diciuno 
Ventre ubbidendo, parimente assalta, 
Né, perchè senta ogni pastore in guardisi 
Tutto teme investir Povile ancora : 
Tal, benché nudo, sen veniva Ulisse, 
Necessità stringendolo, alla volta 
Delle fanciulle dal ricciuto crine, 



loaMi'Ti ut 

[o di MÌliaggiiiei eom^en^ 

iota raisembrò , cbe tat^ 

qua e là per V alte me. 

IdDOO la diletta figlia ^ 

ide nelPalma infaie ardire ^ 

drogai tredkito le membra , . 

gli di enntra, « immota stette. 

pensieri ei dividea la mente:. 

»echia ttrignere a Naasica, 

icante in atto^ o di lontano- .-...: 

molto eon biande jMirole 

ittà mostrargli e d^nna Tetta 

Dy ▼oletae.À elò- trattenne} • ;" - -^ 

atrìngèr de^ginocaht sdegnò '• « ' 
be in lei ti^ rifveg^iaiiM. Actenti 

le inviò blandi' e aeoorti a dar tempo^ 
j odi t miei T0ti, Ab degg^ io Dea i < 
à , o umana donna ? ^ tu alcuna • 
) Dive ch«% in Olimpo' han seggio > 
ade, agli atti, ai maestoso 
spetto y io Pìmmortal Diana, 

1 Giove la figlia, in te ravvilo. . 
quelli che la terra nutre 

iprisli al dì, tre volte il padre 

tre la madre veneranda, 
tre volte i tuoi germani, 
anforto almo 8* allarga e brilla 
Ita gioja il cor, sempre che in danza 
3 entrar si grazioso germe. 
: su tutti olirà ogni detto 
*à un di nelle sue case addarti 
'ì carca nuziali doni. 

tal è^ offerse unqua nel volto 
imina o d^ uomo alle mie eiglia: 

mirando, e riverenza tìcmnii. 
Ilo era bensì che «n giorno in Dclo 
."•ara d^ Apollo ; rrgersi io vidi 



119 0BI8MU 

If UOVO nnipollo di mirabil fMlma t 
Che a Delo ancora io mi condoiti , e 
Mi segufa gente annata in quel Tiaggio 
Che in danno riuscir doveami al fine. 
E com^ io , fissi nella palma gli occhi | 
Colmo restai di maraviglia, quando 
Di terra mai non surse arbor ti bello , 
Cosi te , donna, stupefatto ammiro ^ 
E le ginocchia tue, benché m^ opprima 
Dolore immenso , io pur toccar non OMi 
Me uscito deir Ogigia isola dieci - 
Portava giorni e dieci il vento e il-fiotld 
Scampai dalP onda ieri soltanto , e nn Noi 
Su queste piagge , a trovar forte nuovi 
Disastri, mi gittò: poscia che stanchi 
Di travagliarmi non credMo gli KtemL 
Pietà di me. Regina, a cui la prima 
Dopo tante sventure innansi io vegBO| 
Io , che degli abitanti , o la campagnA 
Tengali o la città, nessun conobbL 
La citiade m^ addita , e un panno émaimi 
Che mi ricopra ; dammi un sol , se pamù 
Qua recasti con te, di panni invoglioi» 
E a te gli Dei, quanto il tuo cor desiai 
Si compiaccian largir : consorte e figli, 
E un sol volere in due { però eh'' io vita 
Non so più invidiabile che dove 
La propria casa con un^alma sola 
Veggonsi governar marito e donna. 
Duol grande i tristi n^ hanno, e gioja i 
Ma quei ch^ esultan più , sono i due sposi. 

O forestier , tu non mi sembri ponto 
Dissennato e dappoco , allor rispose 
La verginetta dalle bianche braccia. 
L'Olimpio Giove, che sovente al tristo '| 
Non men che al buon felicità dispensa,' •! 
Mandò a te la sciagura , e tu da forte ^ 



tltMIft tlS 

f polishè ai nostri^ li^i 
ane mnpnàmr'^ diirettC| o d^ altro 
r^oliei ti éMm ed ai meaeliliil 
ti dUa^io^ lo la eittade 

lìoki riemo, e il noiae dirti 
tanti, t d^Fead albergo 
sitamla itola^ fd io nacqui 
lanioiaf Aleinoo | in cai li eosaui 
r ai jpntringe, e delP impero. 
r«B^ 1lai«lca$ e alle conpagnei 
e» iwmaten. In qoal parte 
rcd f perdiè ir^ apparse nn novo t 
BàaU d*vn nenfoo il volto? 
ìmmi & e non fia che a noi / attenti 
Mvtars tanto agii Dei tias eari«' 
f in een ddPonde||iantè Mara 
rivina f Tivlatn dirui 

Taltro ddla rtirpe naana. 
•o é -«ostai, die a qaeste piagge 
nando, e a coi piriMare oriraolti. 
ieri , vedete , ed i mendidii 
da Giove tutti, e non v^ lia dono 

si , che lor non torni caro. 
di cibo e di bevanda il nuovo * 
iccorrete j e pria d^ un bagno 

fiume, ove non puote il vento, 
npagne ristéro ed a vicenda 
:«ro ; e y come avea d^ Alcinoo 

ingiunto , sotto nn bel frascato 
Ulisse 9 e accanto a lui le vesti 
nnica e manto e la rinchiusa 
(Mila- delP òr liauida oliva : 
d entrar col pie nella corrente 
miro. Ila Teroet Fanciulle , 
Ti da me non vi sia grave , 
o questa salsoggine marina 



If4 ' />DtSSIA 

beir oliva licor,roiiforto ignoto - 

Da lungo tempo alle mie membra. Io eed 

Hou la?erommì nel cospetto TOitro 

Che tra voi itarmi non ardisco ignudou ■ 

Trasf-er le anrelle indietro, ed a Nanna 
Ciò rifortaro. Ei dalle membra il sono , 
IVettunio sai, che gP incrostò' le larghe 
Spalle ed il tergo, sì togliea col fiume , 
£ la bruttura del feroce mare 
Dal capo s"* astergea; Ma come tolto 
Si fa lavato ed unto e di que^ panni 
Vestito ch^ebbe da Nansica in dono. 
Lui Minerva , la prole alma di Giove, 
Idaggior d^ aspetto, e più ricolmo in 
Bese, e più fresco e ae^ capei lucenti , 
Che di giacinto a fior parean sembianti | 
Su gli omeri cader gli feo le anella. 
E qual se ciotto mastro , a cui delParte 
KuUa celaro Pallade e Vulcano , 
Sparge alP argento il liquid** oro intomOi 
Si che air ultimo suo giunge con Poprtij 
Tale ad Ulisse V Atenéa Minerva 
Gli omeri e il capo di decoro asperse , 
Ad Ulisse, che poscia, ito in disparte, 
Su la riva sedea del mar canuto, [ 

Di grazia irradiato e di beltade. 

La donzella stordiva ; ed alP ancelle 
Dal crin ricciuto disse : Un mio pensiero I 
Nascondervi io non posso. Avversi, il gisfl| 
Che le nostre afferrò sponde beate, 
Kon erano a costui tutti del cielo j 

Gli abitatori : egli d^ uom vile e abbietto < 
Vista m** avea da prima , ed or simile i 
Sembrami a un Dìo che su V Olimpo sic^ 
Oh colui fosse tal che i Numi a sposo 
Mi destinaro ! Ed oh piacesse a lui ^ 

Fermar qui la sua stanza ! Orsù , di cibo 



Italp^ wmJ At, e di iMfUifa. 
Hi^ ftoqUaieo oon oroecbb Ceto^ 
■UDida aegotr,: «1k> e. bevanda 
Mtejbabuidiro ). e il parimte 

e raura preadeat 4»*1 ^ fnn tenpo 
i riitorì della oMOia indarno. 
V^nd^luvm forgine novello 
» iamagiaà. Sol vago carro' 
icfato. veatiflienta pose. 
Ite i a^oli di forte oQghiay e talae. 
«à UUiM eonfortava : Sorgi, 
Wf ao alla dttade ir ti talenta 
do padre veder, nel coi palagio 
iglioran della Feacia i capi, 
■andò folle non mi sembri panto, 
modo terrai. Finche moviamo 
loi tra le fatiche e de** coloni, 
>n Je ancelle dopo il carro vittni 
entameiite : io. ti sarò per guida. 
da presso la cittade avremo, 
iremci. È la città da un alto 
cerchiata, « due bei porti vanta 
{osta foce, on qoinci, e V altro quindi, 
cui rive tatti in longa fila 
dal mare i navigaoti legnL 
n porto e V altro si distende il £»ro 
i^fo quadre e da vicina cava 
Àte lastricato $ e al foro io mtzio 
fico tempio di Nettun si. leva. 
^i arnesi delle negre navi, 
(ne e vele, a racconciar s** intende 
mdì a ripolir: che de^Feaci 
lusingano il core archi e faretre, 
eleggianti e remiganti navi, 
ni passano allegri il mar spumaiile. 
ileitoro a mio potete io . sfuggo 



Le Toci a mire, non alcun da terfo 
Hi morda, e tal, che i* abbattcM > m 
Della feccia più vii. Chi è, Don diU) 
QqcI foreatiero che Nautica liegne, 
Bello d^apPtlD e grande? Ore trai 
Certa è lo «poio. Forse alcun dì quelli 
Che da noi parie il mar, ramingo gigari 
Ed dia il ricevè, che uscla di nave) 
O da lunghi ohìaiaato ardenti voti 
Sc»e di Cirio e le comparve aa Hame 
Che aecu riterrà lutti i suoi giorul. 
Più bello ancor, ne aadii ella straia in M 
D^ UDITI d'altronde Tenuto e a lui doM 
Dappoi elle i molti, che 1' ambiano, iDM 
Feaci tanto avanti ebbe in diapetlo. 
Cosi dirlana; e crudelmente ofTesa 
tic saria la mia fama. Io «tewa sdegna 
Concepirei cantra chiunque osaste, 
De' genitori non contenti in faccia. 
Pria meachiarai con gli nomini che aortf 
Foste delle sue nczze il di 
Dunque a' miei detti btda ; 
Rilorqo e scorta impetrerai dal padK 
Follo di pioppi ed a Minerva sacro 
Ci a' offrirù per via bosco fronzuto, 
Cui vìva fante bagna, e molti prati 
Cingono 1 ivi non più dalla cittade 
Lonlan, che un gridar d'uomo, il bel m4 
Giace del padre, e I' orto suo verde^^ ' 
Ivi tanto che a quella ed al paterno 
Tello io giunga, sostieni j e allor che gM 
Mi crederai, tu pur t' inurba e cero» 
Il palagio del Re. Del Re il palagio 
Gli ocohi tonto a sé chiama, e nn bnM 
Vi ti patria condur ; che de' Feaci 
Non sorge ostello che il paterno adcgvL 
Eulnlo nel corti!, lapidaiiiente 



M»0 TI 






"^ 


re mia per Ir bd 
, Ella .^ynnti gI 


p^rbe 




■ 


r.co. 






ime le colora li 


volto, 




fl 


laU a una colon 


na, torce 




■ 


stupor, purpuri 


■e Ime. 




■ 


go Te fantesche, 


e prciio 






Ire ìì trono, i.i . 


.hVi, .JU. 


,1 Di 


'"• fl 


:lla TiU il nettar 


We. ' 




■ 



stendi alle gi 
• braccìni onJe Ira pgco 
o alle natie contrade, 
le lieo, ti spunti il giorno. 

ler le patrie tpoiiile, 
Lviti, e degli amici il volta, 
tnente ogni >ospEtto. 
della lacen te (Terza 
ipe 4Ì vigoroti muli, 
laiciaro il fiume ad<ji>>trD. 
ido ed alternilido a gara, 

pprcbé Ulitse a piede 



.se iris'asiise. Quindi 
eeav, in tali accenti ! 
deirggfoco figlia, 

Dde mi ibaliò Nettuno. 
E gradito e non indegno 
Feact iu m' ■ppreiciitì. 
» l'udì: tot aou aacura 



1 18 ODimi 

Viiibilnieiite gli astUtea, per tema 
Del zio poitfnte, al cui tremendo eniecÌ9 
"Era, pria che i natii lidi toccaise. 
Benaglio eterno il pari ai Nomi Uliiie; 



• 



LIBRO SETTIMO 



▲BGOYBVtO 

'M giunge alla cittSi ed alla reggia 9 6 
ICO dopo, a cui Minerva sotto umanA 
eventasi, e cai di pia cose informa 
r gli conviene. Stapor di lui alla vi" 
palagio d^ Alcinoo e descrizione cosi 
>, come del famoso giardino. Entrato 
io supplica la regina Arete, dalla qua* 

pur dal Re e dagli altri capi, è con 
i ricevuto. Interrogato dalla R**gina | 
lobbe le vesti e IP egli avea indosso , 

qual modo capitò, lasciata CalipsOi 
dfe^ Feaci. 



cosi pregava il paziente 
lisse , dal vigor de'*muU 
sra Nausira alla cittade. 
"* Alcinoo alla magion sublime | 
» nel vestibolo , e i germani , 
>ar degli Eterni, intorno a lei 
>arte venian: sciolsero i muli, 
ti recaro entro la reggia: 
DciuUa il piede alla secreta 
la stanza, e raccendeale il foco 






li» ' 

fiofteaANi, vw «n.vi 
WaU lo Epiro « n le Mm«4 

. GMidetta^tt«l prods AImboo oAM k 
Perehi il Fewi ei.0«MDaiids«&, • Ui|^ 
Qaal le un Dio ftiTellame, adjm ìt 
Coite> Nantica dal hncfrio di nete 
Ballcfò nel paUgìof tè ora il Ibea 

* Baceeodevle e mettaa la cena in 
Olitw ili tanto torte e il eai 
Della ritta. Ma V Atenea Btiperva , 
Che da lui non torcea rocchio 
Di molta il cinse inipenetrabil 

. Onde neitun Feace o di. parole, 
8<Mmtrandolo» il mordeite, o il d 
Del nome e della patria. Éi fìà già ca 
NrlP amena città, quando la OÌTa 
Gli occhi cerulea se gli fece incontro ^ 
Non dissimile a vergine che piena 
Sul giovinetto capo urna sottentL 
Stettegli a fronte in tal semhiansay 
Cosi la interrogava: O figlia, al tetlo 

' jy Alcinoo, che tra ouesti uomini iinparftyj 
Vuoi tu condurmi? Io forestier di longei 
£ dopo molti guai venni , ne alcuno 
Della ritrà conobbi o del contomo. 

Ospite padre, rispondea la Diva 
Dai glauchi lumi, il tetto desiato 
Mostrar ti posso di leggier; che quello 
Del mio buon genitor per poco il toeea. 
Ma in silenzio tu seguimi, e lo tguardo 
Non drizzare ad alcun, non che la voce».. 
Bender costoro agli stranieri onoro x>: 

Non sanno punto, né accoglienio amlclion 
Trova o carezse qui chi altrendo 
Etti, fidando neNe ratte navi. 
Per favor di Nettuno il vasto 
lo QD istante varcano: veloci 



\m9 Vtkf^ Mi -ptaéBt 9ÙBO Ite fogni; 
Dette tu note, fitttoloM Palk 
I «rtnra innaaiL e IWna ai ùe mlonn» 
\ ì Tmà ippifwU «dar tn| lofó t 
^ vwleailo la poaieote Diftì 
fUe» elM «1 «M» Imi MWDre tntendea^ 
di aacn V vntokù oéam nalM. 
I«» i porti • i bei eoDttnitti legni 
^■Nglwva • le raperbe fttsxe 
^ i prenci b^ «Menbraao, e le lunghei 
HtMilo emaiimido. eeceUe »ura • 
•teceeti aiMiite é di jrip«rL 
f aon prima dlAldnoo alle regali- 
Ée appffCMaro che Mtnenra disse : - 
Leti^otpite padre, ìa faccia il telto 
^ BU richiedi t là vedni gli alanni 
[ Giove. I iHvnciy a làuta mema aitiiL 
Mati dentroy e non temer : Puom franco 
efai difBooltate, a eul s^ incontri, 
fno ai trae» benché di lunge armi, 
a la regina, che ti noma Arete 
MMBon con Alcinoo il sangue yanta^ 
l'qffirirk alla vista. 11 Dio che scuote 
suo tridente la terrena molci 
^ambin ricerè dalla più bella 
!ia di queir età, da Peribéa, 
t minor d^ Eurimedonte, a cui 
iganti obbodia ToUracotata 
nie rea, che per le lunghe guerra 
col suo Re stesso al fin s^ estinse. 
1 di lei s'^accese, e n^ebbe un figlio, 
oc generoso , il qual fu padre 
;nore e Alcinoo ; e sul Feace 
Tonava. 11 primo, a cui fslKa 
el miglior sesso ^ avca di pòco 
la reggia la consorte addotta, 
>llo dair argenteo arco il trafisse \ 



Ké rimaM éi lui che una figlinola^ 

Arele, e qiieila in moglie Alrinno tolie,''< 

E veii«n>!la &cniniei<1p : donna 

Non ine in nodi marflali itretta, _ 

Che (lalto al buu spato in mente ùeiu 

E io gran pregio, non meo P hanno, ed u" 

Portante ! Dgli e i cittadini ancora, 

Che a lei, quandunque va per le cittade, I 

Gli occbi alzan , come a Diva, e r — — ■"" 

Peitivi la ricevoRo; che «enno 

He a lei pur manca vèr chi più tiea caro, 

E le liti non rado ella compone. 

Se un loco prender nel suo cor ta lai,) 

La terra dove i lumi apriiti at giorno, 

Le magion de'' Inai padri, e degli amìd 

I noti volti riveder couQda. 

Detto, la Dea ch'é nelle Ind aizarra 
Su pel mare infruttìrero lancio»!. 
Lasciò la bella Stheria, n Maratona 
Trovò ed Atene dalle laiche vie, 
E nel suo tempio entrò , che d' Eretteo 
Fu r6rca inespugnabile. Ma Uliiie 
AU' otUllo reale il pie movea , 
B Molte cote rivolge! per V •lata, 
Pria eli' ci toccane della aORJia il bnWI 
CU d' Alcinoo magnanimo l'aueuito 
Palagio chiara, qnal di Sole o Luna, 
Mandava luce. Dalla prima foglia 
Sino al fondo correan due di manedci 
Bame pareti riaplendentì, e un fregio 
Di ceruleo metal girava intomo. 
Porte d' t-T tutte la inconcuaaa caN 
Chiudp:>iT: a'ergean dal limitar di bcons 
Saldi rtipiti argeutei, ed un argenteo 
Soateneano architrave, e anello d' oro 
Le porte ornava; d'ambo i lati a cui 
Sfaru d'argento e d'or vi^li cani i . 



I di Tokaii dit in lor ti pose 
t dolte, 6 db TMcliiem iaaanl 
rolli 6 da morte, oade guardato 
PAleiBoo a gbriòM albergo. ' 
lo ai iModeaB le doe iiarea , 
tedia ^oinei e foiDdl affiaw 
li pepli •oYrappoali^ lunga 

leone di Sehena opra solerte. ' 

*Feaci t^aitideanoi prinii', ■ -. . f 

IO ai cibi ed ai lieor porgendo, 
r foetteanti eiaaean giomo alante) 
>tte ganoniin ero sealti 
littalU a ^nde arte eettrotti 
an tome con héi in tn le menae.' 
iota il Be terfono ancelle i Pone 
ràetra rìtonda il biondo grano ' 
«0} e r altre o teaion paniii| o fbii 
rapida man rotano aiaise, 
don ad ognor, qoali abitate 
nto foglie di sublime pioppo* 
Ione i drHppi a maraviglia intesti^ 
se un olio a' òr su yi scorresse. 
; quanto' i Feaci a regger navi 
non han che li pareggi, tanto 
1 tele in oprar le Feacesi/ 
ano iudustre più che alPaUre donne 
Minerva e più sottile ingegno, 
ii 6anco alla reggia un orto grande,^ 

ponno in di quattro arar due torì| 
si, e viva siepe il cinge tutto. 

i crescon verdeggianti piante, 

> e il melagrano e di vermigli 

carico il melo e col soave 

ettareo la canuta oliva. 

Frutto qui, regni la state o il verno , 

1 non esce fuor : quando «i dolce 
slagione ao zefBreUo spira, 



i 



194 ODimà 

Che nentve aÌNiiiU P an, TalUe inaliini ^ 
Sovra la para giovane e sa PavK 
L^ uva e là pera invecchia, e 1 pomi e Ì fidi 
Presto ai fieni ed ai pomi. AbiianMcata 
Vi laMureggia una feconda vigna, 
De^ cui grappoli il Sol parte aiaaeeea 
Nel più aereo ed apriooi e parte altrove 
La man dispicca dai fogliosi tralci, 
O calca il pie ne* larghi timi t acerbe 
Qua buttau V uve i ridolentì fiorii 
E di.porpora là tingonsi e d"* oro. 
Ma del giardino in sul confin tu vedi 
D^ogni erba e d^ ogni fior sempre vestirti 
Ben eulte ajuole, e scaturir due fonti 
Che non taccion giammai: V una per tutto 
Si dirama il giardino, e V altra corre. 
Passando dei cortil sotto alla soglia, 
Sin davanti al palagio ; e ar questa vanno 
Gli abitanti ad attignere. Si i>ella 
Sede ad Alcinoo destinaro i Numi. 

Di maraviglia tacito e sospeso 
Ulisse cola stava \ e visto ch^ ebbe 
Tutto, e rivisto con secreta lode, 
Neil' eccels.i magion ratto si mise, 
Trovò i Fcaci coiidottirri e prenci, 
Cbe libavan co^ nappi alP Argicida 
Mercurio, a cui librar solean da sezzo. 
Come dei letto eli assalia la brama j 
E innanzi trapassò deutro alla folta 
Nube che Palla gli avea sparsa intorno. 
Finché ad Arete e a) suo marito giunse. 
Circondò con le braccia alla Reina 
Le ginocchia ( ed in quel da lui ataccotsi 
La nube sacra e in vento si disciolse. 
Tutti repente ammutolirò e forte 
Stupìan, guardando V uora clic alla Reina 
SuppUcàSi in tal forma: (J del divino 



MBVtJWtooh, UhNtn Anto, 

• UtoMdiU ta« dot» biOaìIi 

utn la regno, ngno al tu* orawit^ 
1 futÈd GraiMi utMir, «ai M Mid 
flw d Dei ooundiao, « m^ IpH 
riiAiwn doHMtidM • gU mmÌ 

• ■*aMuMuo.lfMHBrfan. Or ni 
irt»w^myrewMM»,MieiooAtÌBlww 

• patifi i« Mi MBda od «gli «Mid , 

. cai Tiro loBtu tea 1 fuai ||taB taBao. - 
NfM e aodb al bMdare e tunainl d 1ÌM» 
m P iMBMada aaam tadetkai 
alon fra tanti «pria la labbra. AI «m 
rI6 r eroe veoohio Eton^ , «ha fak pM«to 
lite Bvea com trapatute, a tutti 
fjieoojia ,TÌDoea, nan meo che d' asm. 
linoo, dideoon amico petto , 
coti toma oDor che (u T immonda 
aere il forettier lieda j e le nnllo 
oreti, egli è perchè od tao oenno aapaUa. 
*ia, levai di terra e io aedia il poni 
rehicttita d'argento ; e ai banditori 
■cer (Mmanda, onde al gran Giora anocn^ 
I del falmine gode, e ** aeconpagiM 
' Tonerandi lupplici, libiamo. 
dìipeniiera poi di qael ohe in actba 
ne preMnti al (brettier per «ena. 
UeÌBoa, udito dò, lo icaltro 1Ili«M 
»e per Ban, dal focolare alaolla^ 
l'adagiò forra an lac^te «emio , 
Ho aorgenia prima il piò diletto 
' Moi ^liaoli che aedeagli acoanto, 
inueo di virtù Laodamanta. 
Ito TaDMlla da bel nw d'oro 
tìmìb)^ acqna nal badi d* ai^ienlo 
i — ._ _ ..._.i_ j — ^ polito f 
aUaMbi 



IlG ODISSEA 

Pani venne ad imporre e di serbate 
Dapi gran copia. Ma la sacra ponm 
Di Alcinoo al banditor : PontonoO| il roiio 
Licore infondi nelle Uzze e in giro 
Becalo a tutti, onde al gran Giove ancort| 
Che del fulmine gode, e s** accompagna 
Go^ venerandi supplici, libiamo. 

Disse ; e Pontonoo il buon licore infoie 
E il recò, propinando, a tutti in giro. 
Ma il Re, come libato ebbero e a piena 
Voglia bevuto, in tai parole uscio: 
O condottieri de^ Feaci e capi, 
Ciò che il cor dirvi mi consiglia, udite. 
Già banchettati foste : i vostri alberghi 
Cercate adunaue e riposate. Al primo 
Baggio del Sole in numero più spessi 
Ci adunerem, perchè da noi s^ onori 
L^ ospite nel palagio, e più superbe 
Vittime immoleransi : indi con quale 
Scorta al suol patrio, per lontan che giacda, 
Possa, non pur senza fatica o noja, ^ 
Ma lieto e rapidissimo condursi , 
Diviseremo. Esser dee nostra cura 
Che danno non V incolga in sin ch^ ei tocco 
Non abbia il suol natio. Colà poi giunto | 
Quel «offrirà che le severe Parche 
Nel di del suo natale a lui filaro. 
E se un Dio fosse dalP Olimpo sceso? 
Altro 8* avvolgerla disegno in mente ■ 
De^Numi allora. Spesso a noi mostrarti 
NelP ecatombe più solenni, e nosco 
Starsi degnaro ad una mensa. Dove 
Un qualche viandante in lor s' awegna ^ 
Non V occultano a noi, che per vetusta 
Orìgine lor siam molto vicini. 
Non altrimenti che i Ciclopi antichi, 
E de^ Giganti la selvaggia stirpe. 



WM^^liHvltpoMiltinioUKiM^ . '*? 
I ifoito ftàntuto. lo dell?imineiMo 
I ai feiki JdiiUiftori eterni 
Piiiole MrifHo: nk d^aspetto. 
%lio ai flfB éà^ mortali a a qiiànt( * 
cofMioala ia pia aagaaeioso ilatò. 
id aldina -di lor etdo ne* mali s -^ 

li a^ if>v>- »^ crearo i Noni* 
Binar uà ;1aasi#tay anoor ebe afiitiò •: 
it.aha DnUa ioiodi|>ià mokató' ' 

fl diginn «ontray^diaoi l^aom mal |moW 



•nticatfÉ par araiwaM o doglia^ 
fcnda io.aen de^inait por <|oeiCo interno 
wb'flàa sai di donandar non rette > ' 
il afelio pia non raynawnti i danai- fldei| 
i dU atendà ed ai liòor la inano« • > - ^ 
voi, aoBi|iariò in Oitente il gìorttOf ' 
aadamrì vi piacoia. lo non rieoio , 
li i Baiai iarvi^' 1^ alto eaae e i oampi , 
oeelii al Inme del «Sol chìoder per tempre. 
Kne i a tatti aiacoiiano e fóan gran ressa 
ì lo ttraoiery che ragionò si bene , 
ma scorta impetrasse. Al fin , libato 
'dibero e a pien bevuto, il proprio albergo 
icun cercava 9 per eotrar nel sonno. 
. nella reggia rimaneasi Ulisse, 
presso gli sedeano Alcinoo e Arete ^ 
otre le ancelle del convito i vasi 
Ila mensa toglieano. Arete prima 
i livellò, come colei che il manto 
enobbe-e la tunica , leggiadre 
Iti che di sua man tessute avea 
i le toa fanti, e che orvedeagli in domo. 
aaier* gli disse con alate voci , 
questo io le cercar voglio la prima s 
i sei tu ? Donde sei? I#a chi tai panni? ■ 
a ci fili creder tu che ai nostri lidi 



Uisero errante n naufraga approitaslì ì 
E il laegio UlUie replichigli: Forte, 
Beginu, i mali raccontar cbo molti 
MNniiarD gli Dei. Quel che più brami 

Sapere, io toccherò. Lontana giare 
Va' Isola nel mar che 0»igia è delta. 
" e la fallare Gglia 



Quivi d'Allanle la fallare Gglia 

Dal ben IwU Mpai, CtUDM, «ItaBte, ■. 
Teniba Dm. mh (Mi nMita USmà' 
C«i*an, o i»' airxUSL'Vm O amm iàfi 
fina kti«e mIo ■ Umani nw i »|hi Mt : 
Dappoi dM Giòra a Ma par.Poada «laHl 
I« itfU Bava fbUonnda .a ai alifc", ' 
Tutu JBorli M ttrs i aiat nowiia^ i'--'. 
Ha ie, eoa ainbe maiu da careoa ' 
Della nafe d>bracciatoioi , per ii**e 
Giorni fili trapoTtato , e sella Ibaca 
Decima notte alf iioletta *pinto 
Della, Dea, che m' accobe, a amieatMnti 
Hi trattava e nodrive, e pra^ettaa 
Da morte iMicurarmi e daTOcefaiena) 
He perb il cor ni piegJ> aiai nel petto. 
Sette anni ioleri io mi Tedea con le^ 
E di pereihii lagrime ì dinn! 
Panni bagoBTa ohe mi pone in dona 
Ha tolto che l' ottaro anno ti yoIso , 
La Diva , a foue imperiai meuag|ìo 
Del figliuol di Saturno, o di lei Hewi 
Hatamento iinproTTÌM , alle mie caie 
^tornar confortavami. Su travi 
Da multiplici nodi in un coogionto 
Con molti doni accommiatommi i pma 
Candido é doloe Tin diemmi e odorate 
Vaiti feitimmi, e, ad increap^rati H mut 
Un plaoido mandi) Tento innooeBte. 
b (beai Tiaggiara e «ette cionil 
Al le Ufoida linde. iU amon mU^OM 



Irò comuni monti ombrosi 
e a aie infelice il core 
altri guai Bi''BppBrec('bìaB>r 
icilò i TrnM, il mar commossa 

*, rhe il naviglio frale 
Htlitsf aironde •opro. 
e il turbo. A nuoto aUon 
iiair, (ìnrbè alla Toatri 
bla mi Bospintr, a il Hutto. 
n, nelfuscir itell'acfiue, 



ì 



I di foglie e Ira gli arbusti 
infuse luogo &onno un Dio. 
a nulle intino all'alba, 
ilmerigsioie pik ralava 
ile il sole, aJlor che il dolce 
mdonò. Vidi le ancella 
a trastullar au l'erba, 
Ite, che una Dea mi parve, 
lierp io porsi; eri ella arniM 
(juol non s'attende mai 
a elii ìi fresca, in cui sVblwtta, 
sca età sempre folleggia. 
pan, Tino posse ni e, 
bagno a me nel GuiQeì ~ 
. He infelice il falò 

t repente: Ospite, in (jiteato 



La mia Ggll« Braliì, rhu non eonc!ui 
Te con le ancelle alla inagÌon,qu*i 
Tu a lei primiera topplicato aveaii 

Eccelw eroe, non mi biaamir, ri 
Lo arattro Uliigr, per cagioa li lie 
La incolpabil fancinlU. Ella nt^Dgi 
Di aegoilarU con le ancelle; ni io 
Men gaardai per timor che il Ino 
T'inBam malie di sdegno. U roana, i 
jRazu noi liamo al voipetUre incli 

Ed Alcinoo Ai quoto: Oipìte, no' 
Già noD a^inniila In me, ebe Tdo 
Si pronta mente. Alla ragione io cei 
E quel che oneilo è più, tempre ic 
Ed oh piacMte ■ Giove, a Palla e 
Che, qual ti icorgo, e d' un parer 
Spola Tolesii a le far la mia Bglia, 
Genero mio chiamarti, e la tua lU 
Fernur tra noi'. Case otterrelti e b 
Da me, dove il restar ma ti s^ad 
Che ritenerti a forza, e l'cpitale 
Giove oltraggiar, nullo qui Ga che 
PeiA rosi su Talba il tuo viaggio 
Noi disporrtm, che abbandonarti 
Nella nave potrai, mentre i Feaci 
L'azzurra calna romperan co'reiui: 
Né ceiaeran, cbe nella patria meaw 
T'abbiano e ovunque ti verrà deifa 
Foia' anco oltrF Pbubéa, cui pii! lo 
D'ogni altra regloa che alzi dal m 
Dicon 4'ie'noitri che la tider, quar 
A Tizio, figlio della terra, il binnd 
Kadamanto conduiiero. &ll'Eub<Sa 
S'indrizi&r, l'afTerr&r, ne ritornaro 
Tatto in un giornn; e non fu grav 
OoDoaeeraJ quanto lien bene intesi 
La noitre navi, e i giovaiii gigliard 



siiM VII. l3l' 

|fslltf^«iAtoM|irÀ 11 mar «oVmi» 
Plol a tu detb il pasrente Ulitte, 
k ImccaU kfandc^ O Giare p^dre, 
mAf, tskte adempir le tue proaefte 
" ai àlcnoool £i gloria eterna aTiaiini^ 
penò selle ÌBit«"èiue il piede, 
ila aorrean tra lor parole alterne. 
Beioa candida le braocia, 
iMtanto alle futteache impote 
coUoear aoflò la lotgiìi> 
irVi porporine eoltri, 
diatenderri, e ai tappeti , 
irelloei aorrapporTe. Uscirò 
j,1lrMbdò lo man laetde fad^ 
' leilo sprimàcciaro in fretta, 
jìb% Soifi, ' oipite» ' or piioif > 
a Ullisey cliinder'^li ori^hi al loimm 
Eo al foreatier Tinvito tptacqde. ■ • 
._ ei aotto il portioò aliante 
Éa*addormia neHra forati letti. 
Mnoo ai corcò del tetto eccelso 
iP penetrali; e a lui da presso Arete^ 
I consorte real, che a sé ed a lui 
ttfèrò di saa mano il letto e i sonni. 



i 

LIBRO OTTAVO i 

'•i 

à R GOM EH T | 

Congresso de^ Feaci, in cui si delibert f 
Ulisse debba essere alla patria'sua ricpndotT 
Alcinoo dà un solenne convito^ nel qqakC 
modoco canta d'^una conlesa che Uliau 
desimo e Achille ebbero un giorno tra 
Il primo non può ritenere le lagrime. Si 
ai giuochi, ovVgli dà prova di sé al discb|.i 
ove Demodoco canta la rete di. Vulcano, 
che si fanno ad Ulisse. Questi ad un i( 
convito seute ricordare dallo stesso cani 
il gran cavallo di legno e la caduta di Ti 
e si lascia di nuovo cadere il pianto dagli 
chi. Alcinoo allora il sollecita a manifestai 
a dire il suo nome e a raccontare le suo 
venture. 

lfl.n tosto che rosata ambo le palme 
Couiparve in ciel Paggiornatrice Aororii 
Surse di letto la sacrata possa 
Del magnanimo Alcinoo^ e il divin 
Bovesciator delle ciltadi Ulisse. 
ha possanza d^Alcinoo al parlam«itO| 
Che i Feaci teneao presso le navi, 
Prima d^ognì altro mosse. A mano tffll 
Venìano i Fcacesi e su polita 



LIMO Ttn. ttt 

tMi. L*<Micliigla«ca Dfva, 
» il ritorno ui mttMé «Ura^ 
«gìo btnditor lo' forile, 
*a?T0lgea por lo oìitailoy ' -^ 

VO CÌlMOtlOi «I Slly dioofty 

I o coodotUeriy al forO| al ferop >< 
col dolio •tniiiier oho |iuiMo 

» testé per molto moroi • - « 

, che deiraom^ del NimìoIio la tlto. 
tutti eccitò. Delia raccolta ■ 

in brey'oiii i t^gl pieni, 
lardava con le ^elia in arco 
il figtiaol: ohe a lui Minerya ' 
ipo diffuse e la le spalle 
izia, ed in grandena e iii fioro 
e in gagliardia, perch^^ ne^ petti 
Gisse riyerensa e affetto^ 
i giuochi , ove chiamato . 
r di sé prova, uscir con vanto. 
i tutti, e in una massa uniti, 
irrìngò Alcinoo in questa guisa: 
ieri de'^Feaci, e prenci, 
cor dirvi mi comanda, udite, 
ne ignoto foreslier, che venne 
3 ignoro ancor, se donde il Sole 
(onde tramonta, ai tetti miei) 
landa pel viaggio, e prega 
tto concessa. Or noi rosane 
rem con lui^ Uomo, il sapele, 
iei non capitò che mesto 
lovesse sovra queste piagge 
> di scorta i giorni e i mesi* 
dunque nel profondo mare 
Tonde non battuto ancora, 

II cinquanta e due garzoni, 
>ol tutto gli ottimi. Costoro , 

IcgnO} e avvinti ai banchi i lemi^ 



Mm qnèi che di' hulòiifl orMH 

TcDcmo ad «mi. e il iHindiM oil p 
L^inaorfal^ 'DeiMdMo^«'««i Gita» *, c^ 
8pifmienpre..deVàiiy.;UxfiA Mivoi. .-i 
]M?nD<|ae Teilro, ohe VimSbipm^ il poHb i 
. Detto» 41 miie iil via» T«tti ivioÉttrUi^ 
fiegnfanlo ari nnai a «It^ìmnartal evrtoie^ 
L^araldo iudicinafeii. I ^iiufiuiita . ' : . 
-^ GanoiiL edae^emell re inipAtto :AÌ«t»> 
Faro dei nar non seminato al lìde^ . 
La iiliye- negra nel nrofoodo jnaee • = 
Trassero, alzaro Taloeiro e la vela. 
I luoghi remi assicurar con forti - • 

Lacci di pelle, a niara?ìg1ia il tutto, i 

E, le candide vele al Tento aperte, J 

Arrestaro nelPalta onda ^)a nave: | 

Poscia d^Àtcinoo ritrovar Palbergo. ' 

Già i portici s^empiean, sVnipieano I dkioM 
Kon clie ogni stanza^ della varia gentei | 
Che s'^accogliea, bionde e canute teste, ] 
Una turba in6iiita. 11 Ae quel giorno { 
Diede al sacro coliel dodici agnelle, 
Otto corpi di verri ai bianchi denti| 
£ due di tori dalle torte corna. 
Gli scojàr, gli acroDciàr, ne appareechitvih 
Convito invidiabile. L^araldo * 

Bitorno fco, per man guidando il TAte, 
Cui la Musa portava iramenso amore. 
Benché il ben gli temprasse e il male imim 
Degli occhi il vedovò, ma del più doke 
Canto arricchillo. Il banditor nel mtae 
Sedia d^argento borcb iettata a lui 
Pose, e r affisse ad nna ^an eolomiaf i 
Poi la cetra Tocale a un aureo diiodo -^ 



(|ifiit Mvrft tt èipo, ed iBff^ogli I 
s ft ftMioar con nuino Indi Ptvetie. / 

blltt^ MI d<MO gti distcM ayaiiU ; / 

panitr fopra, tona eapaee <U<tu || 
«I, <{iHil volU nel pongea' dedo^ 
femtgMò'lieoÉ' icaldaaie il p^tUL 
ime U lana riìitiitiata I e tpenU. < 
I tela la aiafcnoi V egrefiò Tate ,' 
fià tatù antlati in oor la Màsa» 
mti'il -pragio- a rìtonar ti volte , 
llieado ott eaotoy di cui fino al eielo 
t fn qoe* di la faina. Era V antica 
HiB <P Uliaae o del Peliade Achille, 
ado di acerbi detti ad un «olenne 
rito aacro ti ferirò entrambt 
I de^ prodi à^amfnnÒQ gioia '' 

tanente in te, vinti a codteta 
ire i prima degli Achei ; chò qaatto 
la caduta 'd^ Ilio era il segnale, 
to da FelK) nella sacra Pilo, 
sito appena della soglia il marmo, 
lini allurar udi, che di que^ mali , 
sovra i Teucri, per voler di Giove, 
BKHarsi doveano, e su gli Aohivi, 
ominciava a dispiegar la tela, 
tai memorie il Laeraiade, preso 
■apio ad ambe le man purpureo manto, 
Inuse in t(*sta, e il nobil volto ascosCi 
sognando che lagrime i Feaci 
tesserlo stillar sotto le ciglia. 
qne il cantor divino ; ed ci, rascintte 
jiaaoce in fretta, dalla testa il manto 
olse, €, dato a una ritonda coppa 
M^io, libò ai Numi. 1 Feacesi , 
gioja erano i carmi, a ripigliarli 
leta ecscitavano, che aprfa 

le labbra; eoaoramentQ 



l3(S 0DIS9CA 

Coprirsi il toUo e lagrimare Uliase. 
Così, gocciando lagrime, da tutti 
Celossi. Alcinoo sol di lui s^ avvide 
E V adocchiò, sedendogli da presso. 
Oltre cbe forte sospirare udillo ; 
Ey più neh aspettando. Udite, disse , 
Della Fpacia condottieri e prenci. 
Già del.comuQ convito e dell^ amica 
De^ conviti solenni arguta cetra . 
Godemmo. Usciamo, e ne^ diversi giaochi 
Proviamciy perchè V ospite , com'' aggia 
Rimessa il pie nelle paterne case , 
Narri agli amici, che V udranno attenti, i 
Quanto al cesto e alla lotta, e al salto « al oon^ 
Cede a noi, vaglia il vero, ogni altra geolA» 
Disse, ed entrò incammino; e i prenciiosioi 
Seguianlo. Ma V araldo, alla caviglia 
K'iappiccata la sonante cetra, 
Prese il cantor per mano, e fuor dei tetto 
Menollo : indi guidavalo per quella 
Strada in cui posto crasi Alcinoo e i capi. 
Movean questi veloce al Foro il piede | 
£ gente innumerabilc ad un corpo 
Lor tenea dietro. Ed ecco sorger molta , 
Per cimentarsi gioventù forzuta. 
Sorse Acronco ed Oc/alo, Eleatréo sorse, 
E Nauteo e Primneo e Anchialo: levossi 
Eretmeo ancor, Fonico, Proto, Toóne, 
Non che Anabesinco, non che Amfiàlo i 
Di Politico Tcctonide la prole. 
E non ch^ Curialo alP omicida Marte 
Somigliante, e Naubolide, che tutti| 
Ma dopo il senza neo Laodaraante, 
Vincea di corpo e di beltà. Né assisi 
] tre rcslàr figli d^ Alcinoo: desso 
Laodamaute, Alio, ohe al Rege nacque 
Òecoudo, e Clitoaoc pori ad un Nume. 



" ' 



fM ooffwjìi k primi ma. Uà ìau§9 
U mia&à mwL MÌmeitti # tolti 
■MM TobTCno in un nopp^ 
{lobè'dl jpolferft^ lerudo. 
gli altri? Glitooéo^ die 9 gimto 
tjn ' i a ia ai *flii| laidallì mdiatro 
'iiil0rvallo,olia I pi^lardi nriL 
il latolaB corputaati tmol, ~ ^ 

Flf-ÉbBiao BOfal feiHfeoo a aa^ ofi. ■ 

al oMwriMtiMta lotla 9 
^Eariali» fvaraba. Il maggior salto 
lila i|iMooltc»y e il dìf^ lanta 
;fbÉa^. miméan, mm^ Elatreo. 
•« ile ve|al figlio egregio, 
Mrerotiebbe la palma. 
al- diletto .4e^ oenami poatO| 
tra lor 'LaodapMmte : ▲miei , 
vìa, P estraneo domandiani di qoesle 
vve, se aloana in gìo?eiit4 oe apprese, 
ibaón taglio e^mt sembra ; e, dorè ai fianchi, 
re alle gambe, e delie mani ai dossi 
irdisi, e al fermo collo, una robusta 
ira io veggio, e non mi par che ancora 
, li anni verdi l^ abbandoni il nerbo. 
ps U fransero t disagi all^ onde in erembo: 
Aè aon e, qnauto il mar, siccome 10 credo, 
nriseònfigger Poom, benché assai fòrte. 
. Laodamante, il tuo parlar fu bello, 
panalo rispondea. Però P abborda 
To ftesso e il tenta \ e a fuori uscir V invita. 
Come iV Alcinoo V iocolpabil figlio 

tsto ebbe udito, si fé"* innanzi e , stando 
nwaxo, Orsù, gli disse , ospite padre, 
Fa ancor ne^ giochi le tue forze assaggia, 
It aloon mai ne apparasti a' giorni tuoi, 
Sdegno è l>en che non ten mostri ignaro: 
(■Mulo io bmx to f^ V nom gloria mag^iote^ 



T' 


ìirì.-^,. 


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, e i remi 



Il gli risposi 
itiU, a che 



Che 



quelle -pneiie che la 
>uo diletto ca^rrilat 
m'hai viila di tal, 

inoUì bani'hi i' aliac 

' il Iranica 



lulU e 



erba il e 

giindagni rt 

rto di'irslii 

Hirollo biecn e rrpli 

Male aasai rarellasli. e i 

Somigli in tulio. Casi é 

Le più care non du^ <U 

iiigi-gno 



L'' un bHlnxa ii 

Gl'i 



ì hi, : 



r delle 



P<fr la città, gliocdii . 
L'altro ncUiao e >iHI 
Pe^r iiiimorUli Dei : 



rm ii| 

fi» il» d 49tti moi t^AirTiip Intomo. ' 
t0 iregU la beltày aèf 'neglio 
•ar npfflan gli stem Eterni oa toIIo t . 
OQ die poco delU mentt ▼ali, 
TaBggetU r anina nel petto 9 
me TìDiBt articoUBilo : 10 nuovo 
•on àm^ eioohiy f aal ta eianei, e creato 
eh^ io degli alieti andai tra i priMi, 
Ile potei de* verdi anni e di qaetto 
eia fidarmi. Or ne, che aapre laticlM 
li i tm rami penetrando e l'onde» 
iCvrtobj domerò. K non pertanto 
«nterommi: che mordace troppo 
I tuo aermon , uè pid tenermi io valgo. 
MC) e co^ panni ttetfti, in chWa involto^ 
iìoBti, ed afferrò masaictiio disco, 
quelli onde giocar solean tra loro 
.0 di mole soverchiava, e pondo. 
Ilo in aria e con la man robusta 
pi ose : sonò il sasso, ed i Feaci | 
naviganti celebri , que^ forti 
igaton , 8^ abbatterò in terra ^ 
la ^iga del sasso, il qual, partito 
»i valida destra, i segni tutti 
damente sorvolò. Minerva, 
ite ornane forme, il segno pose, 
l'ospite conversa, Un cieco, diste, 
7ar, palpando, tei potria : che primo ^ 
{ià di poco, e solitario sor^e. 
questa -prova dunque alcun timore 
Oanga : lunge dal passarti, alcuno 
i Feaci non fia che ti raggiunga, 
illegrossi a tai voci e si compiacque 
aeniade che nel circo nom fosse 
tanto il favoria. Quindi ai Feaci 
mollemente le parole volse : 
Uo arriva te, o damigelli^ e on altra 



l^O ODISSEA 

Pari, o più grande^ fulminarne fU breve 
Voi mi vedrete, io penso. £d anco in altri 
Gertamiy o cesto o lotta o corso ancora | 
Chi far periglio di sé stesso agogut. 
Venga in campo con me : poiché di vero 
Mi provocaste oltre misura. Uom tìvo 
Tra i Feacesi io non ricuso, salvo 
Laodamante, che ricetto dammi. 
Chi entrar vorrebbe con Tamico in giostra 
Stolto e da nulla è senza dubbio, e tutte 
Storpia le imprese sue, chiunque in mei» 
D'^un popolo stranier ton chi V alber«[a 
Si presenta a contendere. Degli altri 
Nessun temo o dispregio, e son con bitti 
Nel di più chiaro a misurarmi pronto. 
Come colui che non mi credo imbelle | 

?uale il cimento sia. L'^arco lucente 
rattare appresi : imbroccherei primajO| 
Saettando un guerrier delPoste avversa, 
Benché turba d''amici a me d^ intorno 
Centra queir oste disfrenasse i dardi. 
Sol Filottete mi vincea delParco, 
Mentre a gara il tendean sotto Ilio i Gre 
Ma quanti su la terra or v^ ha mortali, 
Cui la forza dei pane il cor sostentai 
Io di gran lunga superar mi vanto: 
Che non vo^ pormi io già co^ prischi eroi. 
Con Eurito d^ Ecalia o con Alcide, 
Che agli Dei stessi di scoccar nelParte 
Si pareggiare. Che ne avvenne? Giorni 
Sorser pochi ad Eurito, e le sue case 
Noi videro invecchiar, poscia che Apollo 
Forte si corruccio che di&Qdato 
L^avesse alParco, e di sua man rnccise. 
DelPasta poi, quanto nessun di freccia 
Saprebbe, io. traggo. Sol nel corso io. te: 
Non mi vantaggi alcun : che tra che mo 



uno vili - f(t 

I mire^cf eht non fó 11 mìo legnò 
toTogliato, a me, qiid prìoM, 
ice Tinledel ginoooliio. - 
i ciascuno, e Alcinoo telo 
•restier, la tua favella 
i ci potea. Sdegnato- a dritto 
udaci onde icolui ti morse, 
iBtrar vuoi che t^accompagna, 
ir da chi tanto o quanto scorga 
ta non fia. Ha tn m^aseolta, 
in dly quando nel tuo palagio 

la sposa e i figli à mensa, 
dì gentile in nof s^annida, 
li, possi a un illustre amico 
narrar, quali redammo 
a?i per voler di Giove. 
lè al cesto ne alla lotta egregi ; 
Boviam, correndo, i passi 
|[Iia naTÌghiarao. In oltre 
empre il banchettar ci toma, 
anza ed il cangiar di veste, 
acri e i letti molli, 
voi, che tra i Feaci il sommo 
arte della danza avete, 

straniero a"* suoi più cari, 
e paterne mura, 
ccontar, quanto anche al ballo, 

nautico studio ed alla corsa, ' 
e le genti abbiam vantaggio. 
)noo, per Targuta cetra , 
lagio alla colonna pende, 
1 divin Deraodoco la reca, 
parti V araldo ; e al tempo stesso 
love a presedere ai gioocni 
Iti dai comuni voti, 
K> agguagliaro, e dilatare, 
quanto le persone, il circo^ . 



t 



iTub V iraldo con la cetra, e i: 
La pou) di Demodoco , che al ci 
S''adBgiò in mezzo. Dsoiatori alle 
IVilU éccetlanu e in mi fiorir 
Fcano al ««lo Mnoa, ed il bri i 
Ca'pT«>ti piedi pereoUano. Ulia» 
De'lrcUolaai pie gli ifolgorii 
Molta lodava { a Bon ti riavea 
Dalla atnpor djft.BringDiDbraTa 
' Ha il porta di'via, citaiTggiiDil 
Del bellicoia Marie s della «tati 
Di vago «erto il aia Vrner C)prì| 
Preae a cantai gli amori ed il bki 
Lor con*enar sella •■perba oaa* 
Del Re del fooco. di eoi Marta i 
Letto nacflbib nefandamente, ma 
Doni offerti alia Dea, oou ouÌ la. 
Repente il Sole, che la colpa vii 
A Vulcan nuniioUaj e tjacati-, ud 
L' annamio doloroao, alla ana m 
Fucina none, ati' immartal vrnd 
Macchinando celi' anima. Sai ce 
Piantb Ulta magna incude( e «ri 
Nodt, per ambo imprigionarli, o 
A frangerai jmpaiaibili o a diido 
Fabbricate le intidie, ci, cootra 
D' ira bollendo, alla acereta aUr 
Ore iteio giiceagU il caro letto, 
S'aVTib ia fretta, e alla lettiera 
Spirae per tatto i Sni lacci intc 
E molti loapendeane all'alta trai 
Ouai Bla lottiliulme d'aragna. 
Con tanta orditi e >1 ingegoou 
Cbe né d^un Dio li potea l^occhii 
Poacia che tutta degi' ioduatri ii 
Circondato ebbe il ietto, ir 6a» 
Terr» bea fabbricata e, piil che 



UNO un* i4S 

tbMÌi^ hi dilette. In qaetto mészo 
\titf db» 4V»ro i 'corridori imbrigliai . 
é Tedétto non IstiTa indarno. V 

Ac partir rMrnìo fabbro, e, samprt 
I aor portanoo la di varo serio 
Ila il eap» Cipriprna, «Ha marione 
1 gna auatro de^ Inocbl in t^e^a ttOiMw 
■mala di fioeo em la Dira ,' 
I Sitemide oanipoMente padre 
i eaaìogale albéi^ I e Marte, entrando^ 
( tfovo cbe poiira, e lei ner mano 
m e a nome chiamò t Venere^ dìtaei 
ito ci oapetta il solitario letto. 
^CB« «aet Vnlcano t altroTC, a Lenno ~ 
• ai Sintii di selvaggia Tpee. 



haeqoa P inrittf a Venere, e sa qaelto 

i eoa IfartOy e si corcò t ma i laoei 

Ir if avToigean per cotal gatsa intorno» 

le stendere nna man, levare oa piade, 

■Ito era indamo; e s' accorgeano al ùae, 

>i aprirsi di scampo aloana via. 

STTÌcinaTa intanto il fabbro illustre , 

^ Tolta die dal suo viaggio a Lenno i 

iroecliè il Sole spìa ter la trista 

Oria gli raccontò. Tutto dolente 

■■■Bfe al suo ricco tetto ed arrestossi 

ElPatrio : immenta ira P invase, e tale^^ 

d petto un grido gli scoppiò che tutti 

dP Olimpo Tudir gli abitatori. 

Giove padre, e voi disse, beati 

>Bi, che d** immortai vita godete, 

>w^ venite a rimirat* da riso, 

t Mie insopportabili : Ciprigna, 

i Giove iglia, me, pcr4:hè impedito 

>* piedi aon, cunpre d^infamia ognora , 

I ■ tao cor nelP omicida Marte 

Mti come in colui èbe bello e sano 



l44 ODISSEA 

Nacque di gambe ^ dove io mal mi regge 
Chi scD Tuole incolpar? Non forse i soli, 
Che tal non mi dovean mettere in loce, 
Parenti miei? Testimon siate, o Numi, 
Del lor giacersi uniti e deir ingrato 
Spettacol che oggi sostener m^ è forza. 
Ma infredderan nelle lor voglie , io aedo 
Benché si accesi ^ e a cotai sonni in pred 
Più non vorranno abbandonarsi. Certo 
Non' si svilupperan d^ est^ catene , 
Se tutti prima non mi toma il padre 
Quei ch'io pesi in sua man doni dotai 
Per la fanciulla svergognata : quando • 
Bella, sia loco al ver, églia ei possiedei 
Ma del proprio suo cuor non donna pus 

Disse ; e i Dei s** adunare alla fondata . 
Sul rame casa di Vulcano. Venne 
Nettuno , il Dio per cui la terra trena. 
Mercurio venne de'' mortali amico , 
Venne Apollo dal grande arco d'' argenti 
Le Dee non già; che nelle stanze loro 
Biteneale vergogna; Ma i datori 
D"* ogni bramato ben Dei sempitemi 
Neil' atrio s"* adunar: sorse tra loro 
Un riso inestinguibile, mirando 
Di Vulcan gli arti6ci; e alcun , volgendo 
Gli occhi al vicino , in tai parole uacia : 
Fortunati non sono i- nequitosi 
Fatti, e il tardo talor T agile arriva. 
£oco Vulcan , benché si tardo , Blartei 
Che di velocità tutti d^ Olimpo 
Vince gli abitator, cogliere : il colse« 
Zoppo essendo , con V arte ; onde la bdI 
Dell' adulterio gli può tórre a dritto. 

Àllor cosi a Mercurio il gajo Apollot 
Figlio di Giove, messaggero accorto. 
Di grate cose dispensier cortese, 



iwiiilo iD si tenaci nodi 

tlPanrcft Venere da presto? 

Ito fotse I gli rispose il Rama 

» e ad opre turpi «Trensoi 

»ir dtlP argenteo arco ^ e in l^ai 

tanti io ibi trovasti ayrinto , < 

•«ero i Nnmi in me lo sgaattlo 

tntte le DeeI Non mi dorria 

ùP aurea Venere da presso. 

I e in gran riso i Sempitemi diera» 

idea^etlnnOy an« Vulcano, 

mastro , senza fin pregava , ;^ 

Gradivo , e con alate 

dicea : Scioglilo. Io t^ entro 
e che agl^ Immortali in faccia 
BOBipensera » com^ è ragione. 
, rispose il Dio dai pie distòrti 
itier dalle remlee chiome , 
car da me. Triste son qaelle ' 
e rfae dannosi pe^ tristi, 
arti agi** Immortali in faccia 
e Marte , de"* suoi lacci sciolto , 
9 , fuggendo , anco s^ affranca 7 
Liftfarò , riprese il Nume 
rra circonda e fa tremarla, 
ein d"* arabo i pie zoppo ingegnoso : 

fAra il ricusar né lice. 
i''un sol suo tocco i lacci infrante, 
iheri fur , sattaro in piede , 
in Tracia corse: ma la Diva 
iroica , riparando a Cipri ^ 
i fermò , dove a lei sacro 
ia un bosco , ed un aitar vapora, 
razie lavare e del fragrante 
s la beltà cresce de^ Numi , 
lei le delicate membra : 
a vestii* che meraviglii, 

IO 



i/j6 omssBAs 

Non mcn elio la Dra stessa, era il sno n 

Tal cantava Oemodoco ; ed Ulisse 
E que' remigator forti, que"* chiari 
Navigatori y di piacere, udendo , 
Le vene ricercar sentiansi e Possa. 

Ma di Laodamante e d"* Alio soli, 
Che gareggiar con loro altri non ^osà , 
Ad Alcinoo mirar la danza pfacqae. 
Nelle man tosto la leggiadra palU 
Si recaro , che ad essi avea P industre 
Polibo fatta e colorata in rosso. 
L** un la palla gittava in ver le fosche 
Nubi , curvato indietro; e P altro, un si 
Spiccando , riceveala ed al compagno 
La rispingea senza fatica o sforzo , 
Pria che di nuovo il suol col pie tocca 
Gittata in alto la vermiglia palla , 
La nutrice di molti amica terra 
Co^ dotti piedi cominciaro a battere f 
A far volte e rivolte alterne e rapide , 
Mentre lor »"* applaudia dagli altri giov 
Nel circo , e acute al ciel grida s^ alzava 

Così ad Alcinoo V Itacese allora : 
O de** mortali il più famoso e grande. 
Mi promettesti danzatori egregi , 
E ingannato non m"* hai. Chi può mirai 
Senza inarcar dello stupor le ciglia ? 

Gioì d'^ Alcinoo la «aerata possa , 
£ ai Feaci rivolto , Udite, disse , 
Voi che per sangue e merto i primi si 
Saggio assai pjirmi il forestiero , e deg' 
Che di ricchi Porniam doni ospitalL 
Dodici reggon questa gente illustri 
Capi , e tra loro io tredicesmo siedo. 
Tunica e manto ed un talento d^oro 
Presentiamgli ciascuno, e tosto e a aa t 
Ond^ ei , cosi donato, alla mia cena 



ftiato rm 147 

yltà glofa nel eor vegoa e t^ atsidt. 
iato , che il feri d^ acerbi motti 9 
doni e in an con le parole il plaohL ^ 
uenao die ciaacuno , e un banditore ^ 
mI^ pendoni ; e coai Earialo : Alcinoo , 
ià umoao de^ mortali • grande , , 
•pite io placherò , come tu imponL 
offrirò questa di temprato rame 
eie spada , che d^ argento ha Telsa , 
raginm d^ aTorio $ e f u P avorio 
Uato dalP artefice di fresco. 
P' avrai io penso , il forestiere a sdegnar 
i& détto I a Ulisse in man la spada poi6 
^]i accenti: Ospite padre , salve, 
lora fu profferta e incauta voce, 
adala e seco il turlùne la. porli, 
te della tua donna e degli amici , 
ide lungi e tra i guai gran tempo vivi , 
ve conceda i d<*sTati (^sp«!tti. 
iWe , gli replicò subito Ulisse, 
ICO, e tu. Gli abitator (T Olimpo 
oli felici dì : né mai nel petto 
volger d^ anni uopo o desir ti nasca 
questa spada ch^ io da te ricevo , 
ifihè placato già sol da'* tuoi detti. 
!qae ; e il buon brando agli omeri sospese. 
ria dechinava il sole , e innanzi a Ulisse 
rsno i doni. Gli onorati araldi 
b reggia portaro i doni eletti , 
dai figli del Re tolti e alP augusta 
Ire davante collocati furo. 
Doo entrò alla reggia , e seco i prenci , 
altamente sederò $ e del Re il sacro 
He in forma tal parlò ad A rete : 
na, sa via , la più sald''arca e bella 
rtraggi , ed una tunica vi stendi 
I nuoto di coi aitila oùèadi il lustro. 



1 48 ODISSEA 

Scaldisi in oltre allo stranier nel caro 
Rame sul foco una purissima onda, 
Perch'ei, le membra asterse e TÌsti ia h 
Ordin -riposti de'^Feaci i doni , 
Meglio il cibo gli sappia, e più gradito 
Scendagli al core per P orecchio il canto 
Io questa gli darò di pregio eccelso 
Mia coppa d' oro , acciò non sorga giorno 
ChVi d^ Alcinoo non pensi, al Satum/de 
Libando nel suo tetto, e agli altri Numi. 
Disse; ed \rete alle sue fanti ingiunge 
Porre il treppiede in su le brac; ardenti. 
Quelle il treppiede in »u le ardenti brae 
Posero , e versar V onda e le raccolte 
Legne accendeanvi sotto : il cavo rame 
Cingean le fiamme, e si scaldava il fonte. 
Arete fuor della secreta stanza 
Trasse delP arche la più salda e bella , 
E tutti con la tunica e col manto 
Vi allogò i doni in vestimenta e in oro. 
Indi assennava l'ospite: Il coverchio 
Mrtti tu stesso e bene avvolgi il nodo, 
Non forse alcun ti n.ioccia , ove te il dolc 
Sonno cogliesse nella negra nave. ' 

L^ accorto eroe, che non udilla indarno < 
Mise il coverchio , e V intricato nodo 
Prestamente formò, di cui mostrato 
Gli ebbe il secreto la Dedalea Circe. 
E qui ad entrar la dispensiera onesta 
LMnvitava nel bagno. Ulisse vide 
I lavacri fumar tanto più lieto 
Che tai conforti s** accostar di rado 
Al suo corpo dal di che della Ninfa 
Le grotte più noi ritc-nean, dov^era 
D"* ogni cosa adagiato al par d'' un Nume. 

Lavato ed unto per le scorte ancelle 
E di tnoDlo leggiadro e di leggiadra 



Tmrfei dnto , «Ila gipeooiU mensa 
Da* tepidi laTacri Uliite giva. 
Namira^ eaì iplendca latta iiel toUo 
Li beltk degli Dei , deUa aaperba 
Itli fermoeii alle liieenti porte, 
taudava Ulìaae e 1* aomiirara e questa 
badaragli dal aen parole alate t 
Mee , oipite , tìtì , e ti rieorda » 
Cmm aaru. i|ella natia tq[a terra , 
K «aelU Alide pria Teoue a te salute. 

Kaaaioii del pro^ Alcinoo inclita figliai 
Ulisse rispoodeale « oh ! cosi GìotCi 
LHHiiionantè di Ginoon marito 
Tsglia che il di del mio ritorno spanili 
GoB* io nel dolce ancor nido nati?o 
SipIMre, aaal Dea, t^ onorerò : cbè fosti 
Is mia aalTena to , fancialla illustre. 

Già le carni parUansi e nelle coppe 
Gli amidi vini si mesceano. Ed ecco 
n bapditor venir , gaidar per mano 
V onorato da tutti amabil vate » 
E adagiarlo, facendogli d'^un^ alta 
Colonna appoggio, ai convitati in mezzo* 
Ulisse allor dall'* abbrostìta e ghiotta 
Schiena di pingue, dentibianco verro 
Tagliò un florido brano , ed alP araldo, 
Te\ disse , questo , e al vate il porta • ondalo 
bendagli , benché afflitto, un qualche onore. 
Cui è cbe in pregio e in riverenza ì vati 

^•ìu tenga? i vati, che ama tanto e a cui 

Si dolci melodie laMusa impara. 
Poiiù V araldo il dono , e il vate il prese^ 

£ per V alma gli andò tacita gioja. 
alle vivande intanto e alle bevande 

rorgeao la mano{ e furo spenti a|>peaa 

WU tàiue i deliri e d^Ua sete 

^il la^ia UiiSM tali aoocali icioUe ; 



iSo ODISSEA 

Deniodoco , lo te sopra ogni vivente' 
Sollevo, te ; che la canota figlia 
Del sommo Giove ' o Apollo stesso inspira. 
Tu i casi degli Àchtvi e ciò che opraro , 
Ciò che s.offriro , con estrenfia cura, 
Quasi visto r avessi o da'' que^ prodi 
Guerrieri udito , su la cetra poni. 
Via, dunque , siegui e T edifìzio canta 
Bel gran cavallo che dMnteste travi , 
Con Pallade al suo fianco , Epco constrasse; 
E Ulisse penetrar feo nella rócca 
Dardania pregno (stratagemma insigne!) 
pegli eroi per cui Troja andò in faville. 
Ciò fedelmente mi racconta, e tutti 
Sclamar m** udranno, ed attestar che il petto 
Di tutta la sua fiamma il Dio faccende. 
■Demodoco , che pieno era del Nume , 
D''alto a narrar premi oa come gli Achiyi| 
Gittato il foco nelle tende, i legni 
Parte salirò e aprir le vele ai venti ^ 
Parte sedean col valoroso Ulisse 
Ne^ fianchi del cavallo entro la ròcca. 
I Troi , standogli sotto in cerchio assisi, 
Molte cose diccan , ma incerte tutte , 
£ in tre sentenze divideansi: o il cavo 
Legno intagliato lacerar con l' armi , 
O addurlo in cima d^una rupe, e quindi 
Precipitarlo o il simulacro enorme 
Agli adirati Numi offrire in voto. 
Questo prevalse alfin : poiché destino 
Kra che allor perisse Ilio superbo 
, Ch^ ricettata nel suo grembo avesse 
L' immensa mole intesta ove de' Greci , 
Morte ai Troi per recar, sedeano i capi. 
Narrava pur come de"* Greci i figli, 
Fuor di quella versatisi e lasciate 
Le cave insidie, la ciltade a terra 



IT' 'iP'"" ' '" '" ' ■ 

K ' LiBiofm , i5i 

Giltm} • «Miei mentre i lor eompagni 
GjastiviB- qua e>là palagi e templi, 
Vnm di Deifobo «Ila casa 
ASità dmn li eneléo ' corte , qaal Marte , 
I uo doro V ebbe a toatener ooniiltOy 
'Hoodensd tìdoìU^, aatpire Palla. 

A tali voci, a tifi licotifi Ulisse 
Vlraggeatì dentro e per le smorte giance 
fievea lagrioM già dalle palpebre. 
Ikal donna piange il molto amato «poso 
ube alla ana terra innanzi e ai cittadini . 
Guide e ai pargoli suoi , da cui lontano 
Talea tener T ultimo giorno $ ^d ella. 
Che moribondo il vede e palpitante, - 
Sovra- Ini a** abbandona ed urla e' strìdei 
Kmtre ba^ di dietro chi delP asta il tergo 
Le fa battendo e gli omeri ^ è le intima 
IchiaTitù dura, e gran fatica e straaio« 
tt che già del dolor la miserella 
Smunto ne porta e disfiorato il yolto: 
Coli Ulisse di sotto alle palpebre 
Consumatrici lagrime piovea. 
Par del suo pianto non s'accorse alcuno | 
Salvo Re Alcinoo , che sedeavli appresso 
E gemere il sentìa: però ai Feaci , 
Vdite , disse, o condottieri e prenci. 
DfpoDga il vate la sonante cetra ; 
Cbè a tutti il canto suo grato non giunge. 
l)al primo istante ch'^ei toccolla, in pianto 
Cominciò a romper T ospite , a cui siede 
Certo un'' antica in srn cura mordace, 
limano adunque dalle corde astenga } 
■^lieto allo stranier del par che a noi | 
^ il ricettammo , questo giorno cada, 
^^lìo altro non v^ lia. Per chi tal festa? 
*^ chi la scorta preparata e i doni | 
"^ ^iità pegni •, e le accoglienze oneste ? 



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LIBRO NONO 



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dopo [a Eua 


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come Lenio 


oco , di 


cui 



a quel 



■ la 



Ne ipettacol più grato havvi che e 
Tutta uQa gente 9Ì diuoWe ìd gioji 

Suaado' alla menta, die il canloi 
ohi ■■Mimo in ordine, e le lai 
Colme di cìho aon, di vino Purn 
Donde compier nelP auree taiie it 
E ai convitati assiti il porga in g 
Ma lu la ilorla de' miei guai dom 



Ifio HbbotI ed iaacerbi II duolo. 
I prùi dirò qiial poi, qaalndlP estremo 
onto serberò delle «rentore , 
graW e molte m^iorìaro iNami? 
la il mio nome, acciò, se TÌta un giorno 
« coDcede riposaci e ferma , 
^Mpitalità ci nnitca il nodo,, 
akè qaioci lontan sorga il mio tetto. 
H, il 6glio di Laerte, io sono, 
tatti accorgimenti al mondo in pregio 
à Boto per fama in sino agli astri. 
IP la aerena Itaca, dove 
fronde Nérìto si lera 
in vista, ed a. cui giaccion molte 

tra loro isole intorno, 
, Same e la di selve brana 
AlPorto e al mezzogiorno qaeste, 
ri pofo ai riTolge, e meno 
tinente fugge: aspra di Fcogli, 
gagliarda gioventù nutrice. 
I giammai Puom può della natia 
flootrada veder cosa più dolce? 
y inclita Diva, in cave grotte 
ea, mi ritenea con arte 
ne case la dedalea Circe, 
do d^avermi entrambe a sposo. 
t Calipso a me, né Circe il core 
1 mai; chù di dolcezza tutto 
ia avanza, e nulla giova un ricco 
^ido albergo a chi da^suoi disgiunto 
ti eairania terra. Or tu mi chiedi 
1^ da Troja prescriveami Giove 
labil ritorno ; ed io tei narro. 
Iwaro, de'^Ciconi alla sede, 
le laaciaTA Troja, il vento spinse. 
ggiai la città, strage menai 
ibi la filli ^ '^ '^ molte robe 



1» ^ .o»i 

Dividemmo • WaMae.^ ohe MmfM» 
Cutoqao ebbe oj|mI parta. !• gli Mórtn 
Partir rabito • in firiiU| « i fcrteuMti | 
Dispregiando il mie dir , peeore piqgiii|> 
PìDgoi a scannar tortocornati tori, 
E largbi nappi ad ateingar sul lido. 
8^ alloDtanaro in questo meato , « tdoì 
Diero i Giconi ai Gcoui Ticini , ' 
Cbe pia addentro abitavano. Costoro y 
Cho in numero vincean gli altri| ed in foli 
£ battagliare a pie , eone dal carro j 
Sapean del pari, mattutini , e tuitij 
Quante son fronde a primavera e fiori | 
Vennero; e attor di cielo a noi mesebini 
Biversò addosso un gran sinistro Giove. 
Stabile accanto alle veloci navi 
Pugna si comraetlea: d"* ambo le partì 
Vplavao'le pungenti aste omicide. 
Finché il mattin durava, e il sacro Sole 
Acquistava del elei, benfìhè più scarsi, 
Sosteoevam della battaglia il nembo. 
Ma come il Sol , calandosi alP Occas#| 
L'ora menò che dal pesante giogo * 
Si disciolgono i buoi, rachiva forza 
Fu dalPa&te de^ Ciconi respinta. t 

Sei d foconi page i agli schinieri egregi j 
Perde ogni nave: io mi salvai col resto^ j 
Lieti nel cor delia schivata morte, n 
£ de^compagui nella pugna uccisi 4 

Dolenti in un , ci allargavam dal lidos i 
Ma le ondivaghe navi il lor cammino j 
Non prose^^uian, che tre fiate in priarf 
Non si fosse da noi chiamalo a nome j 
Ciascun di quei che giacean freddi adiHm 
L^adunator de^ nembi olimpio Giovi m 
Contro ci svegliò intanto uua feroee J 
Ti;iu|*cstJL Burcui^ che d'atro nubi 1 



uno n. * tS^ 

in tempo rieoTene e il marOi 
li cielo a piombo tcéae. 
egai , ohe moTeaosi obliqui ^ 
tre e quattro parti il forte larbou 
tre ammainamnio, e ratto 
Erettammo io Ter la •piaggiai . 
>rni intéri | e tante notti , 
isiy e addolorati e moti. 

V Alba dai capei li d^orò 
recò , gli alben alxaU) 
e le candide Tele» 
igli lederam, la cura 
• lasciandone ed al Tento. 

quello da toccar le ornate 
tie: se non cbe Borea e qn^atpn 
le, cbe la Maléa giraTa, 
dietro e da Citerà sTolse. 
ifaasti di sul mar pescoso 

mi traportaro. Ài fine 

sbarcammo in su le rive 
i, un popolo a cui cibo 
anta ii florido germoglio. 

nella terra, acqua attignemmo 
.mmo appo le navi. Estinti ' 

! i desiri e della sete , 
:go de** nostri , a cui per terzo 
i araldo, e a investigar li mando 
ali il paese alberghi e nutra. 

s"* affrontaro a quella gente ^ 

dal voler la vita loro , 
to a savorar lor porse. 
1' esca dilettosa e nuova 
ea, con le novelle indietro 
iva tornar: colà bramava 
iDgiando del soave loto, 
a natia sbandir dal petto, 

lagrimosi al mar per forza 



I 



f 



«S8 ' ODI 

fi rieoadolil, eirtro i eavail leplì' ^ » ' j 

Li eacdat, gli •bmmìm dì sotto i lurtwi ' 

E ag^i altri risalir eoo gran pceateia 

Le negre, navi oom andai, ttoo forse 

Ponesse aleon nel dolce -loto il dente, 

E la niitrìa ctdessegU dal eore. 

Quei le navi saliano, e sovra i bamdii . 

SedeanPun dopo Pallro, e gfan battendo 

Co^ pareggiati remi il mar canuto. 

Ci portammo oltre, e de^Cidopi ahieri| 
Cile TiYon seoxa leggi, a rista fummo. 

Saestii lasciando ai Numi ogni pensiero « 
è rimo o seme por ne soglion gleba 
Col vernerò spezzar ; ma il tutto, viene ' 
Ifon seminato, non piantato o arato, 
L^orzo, il frumento e la gioconda vite, 
Che si carca di grosse uve, e cui Giove 
Con pioggia tempestiva educa e cresce. 
Leggi non han, non radunanze, in cui 
Si consulti tra lor: de'^monti eccelsi - 
Dimorati per le cime, o in antri cavi; 
Su la moglie ciascun regna e su i figli, 
Né l'uno alPaltro tanto o qunnto guarda. 
Ai Ciclopi di contra, e né vicino 
Troppo né lunge un"* isoletta siede 
Di foreste ombreggiata, ed abitata 
Da un'infinita nazi'on di capre 
Silvestri, onde la pare alcun non turbai 
Che il cacciatòr, che per burroni e bo8(^ 
8i consuma la vita, ivi non entra, | 

Non aratore o mandrian v^ alberga. J 

Manca d^umani totalmente, e solo i 

Le belanti caprette, inculta, pasce. < 

Però che navi dalle rosse guance >i 

Tu cerchi indarno tra ì Ciclopi, indarno < 
Cerchi fabbro di nave a saldi banchi , 
Su cui paMare i gol6, e le straniere 



dito n \i^ 

ff ifft9Ì delle genti t ut anta 
Tan r una delP altra ai lidi , 
deserta addar coloni, 
on è certo, e in sua tlagione 
bbe. Molli e irrìgui prati 
n riva del canuto mare. 
I di grappi ogtior le riti, 
pingue snolo il voiner cnHro 
cbe altissima troncanrl 
tempo la'' bramata mense, 
•rto dirò? Non T^faa di fune 
ra mestieri; e chi già entrorri 
uò indugiar che de^ nocchieri 
li raccendano, e secondi 
enti. Ma del porto in cima - 
grotta, sotto cai zampilla 
a onda d^una fonte e a. cui 
simi pioppi ombra e corona, 
ramo, e p(^r V oscura notte ^ 
1 ogni veduta, un Dio scorgea: 
snsa caligine alle navi 
)rno« né splendea di cielo 
he d"* un nembo era coverta, 
sun V isola vide, e i vasti 
do volventisi, che prima 
non fossimo. Approdati, 
;le ra«*cogliemmo, uscimmo 
PÀlba dalle rosee dita, 
disciogliendoci , aspettammo. 
6glia del mattino appena , 
che in noi gran maraviglia 
leggiavamo. Àllor le Ninfe, 
*se deir Egioco Giove , 
di convito i miei compagni , 
re levaro. E noi repente, 
tì archi e le asticctuole acute , 
ire di noi (atte , in tal guisa 



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OBI SUE 








3 il boirr. Il 


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.avi mi «es"'^"' 






K Opre 01 




: io dieci n 


•ebW. 



BÌmpivIa «reran, quuda la a 

DbpcfUapno de' Cicnì aituda.- 
E da' CialopL nel 'ricin pacM 
Idrata intanto lenCTiB lo ciglia, 

E Mlir vedeviDto il lumo, • miila 
Col belo deiragnrlte e drllc capre 
B*ccogli«Tiin le voci. Il Sole atroio. 
Ed apptne le teocbre, le membra 
Sul tDirin lido > rìpoiar gellammo. 

Ha come del maltin U Gjlit ione, 
Tolti chitmati > parlameoto , Amici , 
Diui, ti piaccia rimaner, mcnlr^io 
Uolli g(Dle a spiar Wcol mio IrfDO, 
Se ingiuila, lopetcbierole, k1 raggi a, 
O di core oipìtal liui ed ■ coi 
Timor de''Buiiii <ì r*cchlud;i in petto. 
Detto, io montai la nave, e ai remiganti 
HoDtarla ingiuDai e liberar la fune. 
E quei ratto ubbidirò, e gii *o i bancbi 
Sedean Tun dopo r«ltro, e gian battcB^ 
Cd' pareggiali remi il mar canuto. 

GioDti ali* terra, cbe lorgeaci a froBb 
SpelODca cccela* celi'' eitremo fiaoco 
Di lauri opaca e al mar vicina io vidi. 
Entro giaceavi innnmcrabil gre^a, 
Pceore e capre, e di reciae pietre 
Conpoate, di gran pini e querce onbnH 
Albi minto n correa d'iotoroo. 



''»» hpvanrf, „„ /. '' petto. 



Lai ikm trovamiMii d» pcvP effe ei 
Le fiecore lanìgere adermLYe^ 
Entrati, gli occhi ttnpe&tti in giro 
Mol portaTam t le aggratleciele ooiElie 
Gedeano ài peao 4e^ formaggii e piene ' 
D* agnelli e di capretti erma to ataUes' 
JS 1 più grandi, i menanir i Beli epye«iy 
Tetti, come T etede, evean del peri 
Lev ptvrprie-. «taiiia | e i petterek veai, <j 
Sèechie, conche} catini, evi* ei le popp^ > 
Prtier tolea delle feeoéde madn^ 
Entro il aieee nòtayano. Qnl finrto 
I compagni pregavanmi che, tolle 
Pria ai quel cacio, si tornasse addietro^ 
Capretti s"* adducessero ed agnelli 
Alla nave di fretta, e in miir a"* entrasse. 
Ma io non toUì, benché il meglio fosse s , 
Quando io bramava pur vederlo, in faoci^i 
£ trar doni da lui. che riuscirci 
Ospite si inamabile dovea. 
Racceso il foco, un sagri Ozio ei Numi 
Femmo, e assaggiammo del rappreso latte 
Indi r attendevam uelP antro assisi. 

Venne^ pascendo la sua greggia, e in 
Pondo non lieve di risecca sehra^ 
Che la cena cocessegli, portando. 
Davanti alP antro gittò il carce, e tale 
Levossene un romor, che sbigottiti 
Nei più interno di quel ci ritraemmo» 
£ì dentro mise le feconde madri, 
Ei gP irchi a cielo aperto, ed i monUml 
Nella corte lasciò. Poscia una vasta 
Sollevò in alto ponderosa pietra. 
Che ventici uo da quattro ruote e forti 
Carri di loco non avriano smossa, 
£ V ingresso acciecò della spelonca. 



: 



uno ix i63 

ì agnelle U8Ìao, e le belanti 
vfnea, tatto serbando i! rltOf 
ita i parti mettea aotto^ e a qaélku 
candido latte inaieme atrinie, 
inestri d^ intrecciato "Hnco 
ammontato { ci P altro menOp 
« della cena esser beranda, 
ro i pastoreed vasi, 
ste sciolto cotidiane cnrCi 
: foco accendea, ci scòrse e disiet 
i, cbi siete ? E da quai lidi 
e a frf ({uentkr V umide strade? 
trafficanti ? O errando andate^ 
rsali, che la vita in forse^ 
IO altrui recaV, metton so i flutti ? 
« al rimbombo, ed alP orrenda 
el mostroi ci s** infranse il core, . 
:osi gli rispondea : Siam Greci, 
Voja partiti e trabalzati 
!ruleo mar da molti venti^ 
> il suol natfo^ per altre vie» 
aggi non pensati, a queste, 
que agli Dei, sponde afferrammo, 
o, e cen yantiam, per nostro rapo « 
iride Agamennone che il mondo 
iella sua fama, ei che distrusse 
grande, e tante genti ancisel 
rostesi alle ginocchia tue, 
preghiam d^ ospiti in grado, 
uo dono rimandarci Vioìì, 
i^ o potentissimo, gli Dei : 
supplici siam, pensa, e che Giove 
cante vendica, e TestranOi 
pital , che !'' arronipagna, e il rende 
le altrui. Ciò detto, io tacqui. 
;on atror<» alma: li fal'isce, 
>, il scHDo^ tu iìi lunge ^ieni, 



l64 OD188I& 

Che vuol che i nnmi io rWeritet e temi. 
L^ Egidarmato di Saturno figlio 
Non temono i Ciclopi, o gli altri Iddìi : 
Cile di loro Siam noi molto più fbrti. 
fiè perchè Giove inimicarmi io debba j \ 
A te concederò perdono, e a questi j 

Compagni luoi^ se a me il mio «or noi detti 
Va aimmi : ove approdasti ? All^orlo estrm 
Di questa terra, o a più propinquo lido? ^ 

dosi egli tastommi \ ed io, che molto 
D^ esperienza ricettai nel petto, 
Bavvistomi del tratto, incontanente 
Arte in tal modo gli rendei per arte: 
^'etfuno là, Ve termina, e s^ avanza 
La vostra terra con gran punta in marsi 
Spinse la nnvc mia centra uno 8C0glÌ0| 
E le spezzate tavole per Tonda 
Seti portò il vento. DalPestremo danno 
Con qtie&ti pochi io mi sottrassi appena* 
Nulla il barbaro a ciò : ma , dando un laiKM 
La man ponea sovra i compagni, e due 
Brancavane ad un tempo, e, quai cagnuolì) 
Percoteali alla t'erra, e ne spargea 
Le cervella ed il sangue. A brano a brano 
Dilacerolli, e s'imbandì la cena. 
Qual digiuno leon , che in monte albergai 
Carni ed interiora, ossa e midolle, 
Tutto vorò , consumò tutto. E noi 
A Giove ambo le man tra il pianto alzinil 
Spettacol miserabile scorgendo 
Con gli occhi nostri^ e disperando teampo.^ 
Poiché la gran venlraja empiuto s^eboe^' 
Pasteggiando delP uomo, e puio latte 
Tracannandovi sopra, in fra le agnelle ^_ 
Tutto quant'^era ci si distese, e giacque 
lo, di me ricordandomi, pensai 
Farmigli presso, e la pungente spada 



UBio is i65 

Inr mnim M, ttakuo^ e al petto» do?e 
* eonta dal fiegtto fi cingt, 
feruìoi Sa poa eh^ vidi m. e«rta 

nói pan inioBtnnr«niiBp,.e MMrbas 
non «n da noi tot ÓMÌVìmmm^M^ 
àéiy antro la iforaata piatn 
Q^po fii^iitiiBO i^ÌDpote. ,. 
fmendo, attendèf am l^iarora, 
te f aanm, a lioto in ìroaeo il cido | 
Jbeo ai j ra fp en dea, mugnai le graiia # 
feaia beUcj aeconeiamente il tatto, 
il parti A onatta mettea tottOi e a quatta* 
appena ni delle tne cure uséitOi * . 
i altri dna ni ghermì de^ cari amiei^ 
lunana, deunò, Satollo, 
lil greu[« Ator deiraotro, tolto 
itipa il duoDeato tasso, , 
i.Mr «ntro alla bocca indi ripoaej 
IjÙà a faretra il ino coveremo assetta* 
io. pel monte si mandava il pingue 
' ^ davanti, alto per via fischiando. 
IO tutti a raccolta i miei pensieri 
laiy per iscoprir, come di lui 
licermi io potessi, e un^ immortale 

comprarmi col favor di Palla. 
al fin mi parve il meglio. Un verde, enorme 
■co decliva, che il Ciclopo svelse 
terra, onde fermar con quello i pas8Ì| 
la stalla a inaridir giacca. 
» «corger credeva m di nave 
j meacanteggiante, e P onde brune 
venti remi a valicare usata ; 
igo era e sì grosso, io ne recisi 
kta e fei piedi , e la recisa parte 
ai compagni da polirla. Come 
fu, da un lato io PafGlai, 

itolai. nel foco^ e sotto U fim0| 



|66 ODIUBA. ' 

Ch^vi in ^n copia s'aecoglieA, I\ueoìL 
Quindi a sorte lirar coloro io feci, 
Che alzar meco dovessero, e al Ciclope 
L^adasto palo conficcar nelP occhio. 
Tosto che ì sensi gli togliesse il tonno. 
Fortuna i quattro, eh** io hramaTa, appanto 
Donommi , e il quinto io fui. Gadea la sert^ 
E dai campi toroava il fier pastore , 
Che la sua greggia di lucenti lane 
Tutta introdusse nel capace speco t 
O di noi sospettasse^ o prescrivesse 
Cosi il Saturnio. Nuovamente imposto 
Quel, che rimosso avea, disconcio masiO, 
Pecore e capre alla tremola voce 
Mungea sedendo , a maraviglia il tntio^ 
E a questa mettea sotto, e a quella i partL 
Fornita ogni opra, m^abbrancò di naovo 
Due de** compagni, e cenò d^ essi il mostro. 
Allora io trassi avanti, e, in man tenendo 
D'*«!dra una coppa, Te**, Ciclope, io dilli i 
Poiché cibasti umana carne, vino 
Bevi ora, e impara, qual su Fonde salse 
Bevanda carreggiava il nostro legno. 
Questa , con cui librar, recarti io yolli| 
Se mai, compunto di nuova pietade. 
Mi rimandassi alle paterne case* 
Ma il tuo turor passa ogni segno. Iniqao ! 
Chi più tra gP infiniti uomini in terra 
Fia che s''accosti a te ? Male adoprasli. 

La coppa ci tolse , e bebbe , ed uii soprenc 
Del 8oa\elicor prrse diletto, " 
K un'' altra volta meu chiedea : Straniero | 




ospi 

Vino ai Ciclopi la feconda terra 
Produce col favor di tempestiva 



, mB9 Gww U BOiiffB oTe infRitM i 
to è «Bibrotia e BÀUre celeste. 
tìre'iFùlUio i^ll atendee la eoppa. 
e 16' la gli tteti | ed ei ne Tide 
»ltena taa tre'Yolto il fondo, 
m^ accorti che saliti al capo 
ente lìcor gli erano I fami , 
ode io dritUTUgli : Il mio liome^ 
, TUOI ? L* avrai t ma non frodarmi ' '' 
prometM a me dono ospitale. 
é il nóme s me la madre è il pAdrt 
I nessuno , e tutti gli altri amia. 
»D fiero oor t L' ultimo cb^ lo 
»V sarà Nessuno. Questo 
i da me dono ospitale, 
e die indietro e royescion cascò*' 
leir antro con la gran ceryice 
& su 1' omero; e dal sonno, 
J doma , Tinto , e dalla- molta 
oppresso , per la gola fuori 
vino , e della carne i pezzi , 
anti mandava orrendi rutti. * 

inente delP ulivo il palo 
cenere io spinsi ; e in questo gli altri ' 
r& , non forse alcun per tema 
ndònasse nel miglior delP opra, 
7erde quantunque,. a prender fiamma 
li parve ^ rosseggiante il trassi 
foeri ardenti , e al mostro andai 
orno i compagni: un Dio per* fermo 
ito ardimento il cor ci armava. 
ifferrÀr V acuto palo , e* in meno' 
chic il cdnBccaro , ed io di sopra , 
imi ) su i pièy movealo in giro, 
allor che tavola di nave 
30 appuntata investe e fora, 
ri il regge con manOj altri tiranda 



l(i6 ODISSEA I 

Va d' amba 1 tali le coregge , o attann ^ 
L'' inaUiacabilf trapano si valve- il 

Si nell'' ampia lucerna il tr*vc aoceM ^ 
Ifui giravamo. Scaturiva il sang-ie , .>i 
la pupilli bruciava , ed un focaia ^ 

Vapor , che tutta la palpebra e il ciglio j 
Struggeva , usciii della pupilla , e 1' imt^ 
Cre^iiLarne io seoifa rotte radici. ? 

Qiial M fabbro talor nell' onda fredda , ^ 
AttiiflZ» un'' ascia o una itridente «cure ,-%! 
E temprò il ferro, e gli die fona ; Uta^ 
L'occbiointorao al (roacon cigola e fr^ 
Urlo il Ciclope bÌ tremenda mige , ■ 

E tanto l'antro rimbombi), cbe ooi 4 

Qua e lì ci apargemmo impaucili 
Ei fuor cavoui dell^ occhiaja il. tnTB , 
E da tè lo «cagliò di langue lordo, ■ 
Furiando per doglia 1 indi i Ciclopi , 
Che non lontani le veatose citile 
Abitavan de^ monti in cave grotte , 
Con voce alta chiamava. Ed i Ciclopi 

guioui e quindi iccorrean , la voce iidiUi 
sofTermando alla spelonca il paiso, 
Della cagione il richiedean del duolo. 
Per quale aStta, o Pulifemo, tanto 
Gridaltu mai 1 Pecche coii ci turbi 

Sa baliamìca notte e i dolci sonni F 
irati alcun la greggia ? o uccider fòrte . 
Con inganno ti vuole, o a forxa aperta I 
£ PollieBio dal profonda ipeca; 
Jtessuno , amici, iiccìdemi, e ad ioganBO, 
Ron già con la^virtude. Or se netiuao 
Ti nuoce, rispondeano, e solo alberghi, , 
DaGioveéilmorbo.enun v'ha scampo. AlM 
I^mì bene, a &c Nettun, diiuare i prM|| 
Dopo ciò, rìtornir su i lor vestigi i 
£d * ne U eoE ridei , cbe iol d* ut now 



1 li foHS la mia Itodt ordrla. 
Poiiferao ila duuli aspi oniccialoj 
■piraoda alUmenle, e braocDUado 
, il pietron di loco Lnlae. 

■ Ctnngesse ad aggrappar: 
1 Semplici lads inme. Ma io gli amici 
|£ me RtiidtaTa rìicattar , correndo 
I9tr moltR strade eoo la mente aslnta t 
, e già pendea 
a le teste il diiaslro. Al fine in queaU, 
) mollo girar , frauda io m'arresto, 
toni di graa mole , e pingui e lielU 
H (ulta carchi porporina lana , 




1^0 ' 0Dini4 

Che dalle pance dd velluto grpgfB 
Pendean gli uomini avvinti. Ultimo, aicia 
De''8uoi velli bellissimi gravato 
L''ariete> e dì me, cui molte cose 
S^aggiravan per Palma. Poiiferao 
Tai detti, brancicaodolo , gli volse: 
Ariete dappoco , e perchè iiiori 
Coti da sexzo per la grotta mVsd? 
Già Don solevi delPagnelle addietro 
Bestarti: primo, e di gran lunga, i molli 
Fiori del prato a lacerar correvi 
Con lunghi passi; degli argentei fiumi 
Primo giungevi alle correnti; primo 
Bitornavi da sera al tuo presepe: 
Ed oggi ultimo sei. Sospiri forte 
L^ocfhio del tuo signor? P occhio che un trìito 
Mortai mi svelse co^suoi rei compagni, 
poiché doma col vin m^ebbe la mente, 
Nessuno, clPio non credo in salvo ancora. 
Oh! se a parte venir de** miei pensieri 
Potessi, e, voci articolando, dirmi. 
Bove della mia forza ei si ricovra^ 
Ti giuro che il cervel dalla percossa 
Testa schizzato scorreria per rantro. 
Ed io qualche riposo avrei da'mali 
Che Nessuno recommi, un uom da nulla. 
Disse; e da se lo spingea fuori al pasco. 
Tosto che dietro a noi P infame speco 
Lasciato avemmo, ed il cortile ingiusto, 
Tardo a scìormi io non fui dalPari'ete, 
£ poi gli altri a slegar, che, ragunate 
Molte in gran fretta piedilimghe agnellOi 
Cacciavanscle avanti in sino al mare. 
Desiati apparimmo, e come usciti 
Dalle fauci di Morte, a quei che in gaardU 
Bimaser della nave, e che i compagni. 
Che non fedeano, a lagrimar ai diero. 



la io DOD eonfenùalo, e con le ciglia 

ienno lor fea di ritenere il pianto, 

S comaudava lor che, messe in naye 

«e molte in pria yelloiplendenti agDeIl6| 

iì fendessero 1 flutti. E già il naviglio 

iaUan, sedean su i banchi, e percotendo 

ìian Go^ remi concordi il bianco mare. 

fa come fummo no gridar d^uom lontani j 

}osi il Gidopp io motteggiai: Ciclope, 

}olDr che nel tuo cavo antro, le grandi 

Pone abusando, divorasti, amici 

!loo eran dunque d^un mortai da nnlla, 

S il mal te pur coglier dovea. Malyagio! 

Ihe la carne cenar nelle tue case 

fon temevi degli ospiti. Vendetta 

?erò Giove ne prese, e gli altri Ifumi. 

A queste voci Polifemo in rabbia 
fontò più alta, e con istrana possa 
icaliò d^un monte la divelta cima, 
]he davanti alla prua caddemi: al tonfo 
j^acqua Ipvossì, ed innondò la nave, 
Ihe alla terra crudel, dai rifluenti 
flutti pt^rtata, quasi a romper venne. 
Aa io, dato di piglio a un lungo pal0| 
fc la staccai, pontaudo; ed i compagni 
)^incuryar8Ì sul remo, e in salvo addarsi^ 
^iù deVenpi pregai, che della voce: 
i quelli tutte ad inarcar le terga, 
korso di mar due volte tanto, i detti 
i Polifemo io rivolgea di nuovo, 
lenché gli amici con parole blande 
)'*ambo ì lati tenessermi: Infelice! 
E^erchè la fern irritar vuoi più ancora? 
uosi poc^anzi a saettar si mise, 
Che tre dita mancò, che risospinto 
Non percotessc al continente il legno. 
Fa che gridare favellar ci senta. 



Ctm la noif^ eemUti • m fmM^mm 
Sfiraoslleiès tento jOoIiii ' JUideffia* 
Ip^dta mio cor noD il jpiagtvaL .Qaittdi, 
CwUp^ tondini eoo fi» 'adegao in peào^ 
S» delM. notte, in ebe or Ipi giadi ^dcAn» 
Ti d&ifderà, gli nanerai clw UliaM^ 
D^ttica abitetor» %Uii a Laerte» , 
etAi^iCor idi eitte£, U <& ti tolae. 

Bgli allora^.; ulnlandoi Oliimà !. riapoie | 
Dà* priidii ▼alicinj eccomi eòlto. 
IndoTÌno era qni, prode nono e illailrei 
Teleoio^ fialiiiol d^Earìnoy die avea 

J'ellVrte ilpregìo, ed ai <*icljDpi in meno 
rofetando invecchiava. Ei queste cose 
Mi presagi : mi presagi che il caro 
Lume deiroccbio spegneriami Ulisse. 
Se non ch^ io sempre uom gigantescp e be! 
E di forze invincioili dotato. 
Rimirar m^aspettava^ ed ecco in vece 
La pupilla smorzarmi un piccoletto 
Greco ed imbelle, che col vin mi vinse. 
Ma qua, su vìa, vientene, Ulisse, cb''io 
Ti porga rospital dono, e Nettuno 
Di fortunare il tuo ritorno prieghi. 
Io di lui nacqui , ed ei sen vanta, e soIO] 
Voglia], mi sanerà, non altri, io credo» 
Tra i mortali nel mondo, o in ciel tra i Mai 

Oh ! così potess** io, ratto ripresi , 
Te spogliar della vita, e negli oscuri 
Precipitar regni Ji Pluto, come 
Ne da Nettuno ti verrà salute. 

Ed eiy le palme alla stellata volta 
Levando , il supplicava : O cbiomazsnrrOi 
Che la terra circondi, odi un mio voto. 
Se tuo pur son , se padre mio ti chiami | . 
Dì tento mi contenU ; in patria UUaie | 



. uno ix 17' 

Miao» abitKtor, figlio a-Laertè; 
Stro^itor di eìtUdi| unaaa non rìeda* 
E dove il n^Uo -aiiolo, e w patema 
Caie fl dettili non gli nligaite, alaMmo . ' 
Ti ginoifA tardi e a ateiito, e in ni^ve altni£| 
Piidalì in pria tolti I compagni ^ e.noofe 
llelPaTita magion trori teiagore; *' 

Fatte le pred, e da Nettuno aòcoltei 
ftdieTÒ mi maMo di più vasta mole, 
1^ rotandol nell^aria, e una pia grande* 
iWia Immenta imprimendoTi , laneiollo. 
Odde dopo la popoa^ e -del timone 
Iia ponla rasento: lerossi al tonfo 
£^r.da, e il legno eoprl, che alPitolettaf 
" Info dal mar, sabitameote giunte, 
liri eran P altre navi in ra P arena, 
i compagni , che assisi ad e^se intorno^ 
atlendean sempre con gli occhi il pianto* 
i tosto in secco la yeloce naye 
Tirammo, e fuor n^usciromo^ e, dpi Ciclope 
Tnttone il gregge, il dividemmo in guisa , 
Che parte ugual nVbbe ciascuno. È vero 
Che voller che a me sol, partite l' agne, 
il soperho ariete anco toccasse. 
Io di mia roano al Saturnide, al cinto 
D'oscure nubi Correttor del Mondo, 
. Il'^Mcisi, e ubarsi le fiorite cosce. 
Ms non curava i sagrifìzi Giove, 
Che anzi tra se volgea, com'* io le navi 
^ Tette, e tutti i compagni al fin perdessi., 
L^ intero di sino al calar del Sole 
Sedevam banchettando: il Sole ascoso , 
Ed apparse le tenebre, le membra 
Sai marin lido a riposar gettammo. 

Ma come del mattin la fìgliay V Alba 
Dilirosata in Oriente sorse, 
I compagni esortai, comandii loro 



174 . ODÌSSKiL 

Di rimbarcarsi , e liberar ìe funi. 
£ quei si rimbarcavano , e su i banchi 
Sedean Tun dopo PalttOi e percotendo 
Citali eo^ remi concordi il bianco mare. 
Godi noi lieti per lo scampo nostro, ^ 
S per raltroi srentara in un dolenti. 
Del mar di iiaofo solcayam le spame. 



É 



LIBRO DECIMO 



» giange airisoU Eolia. Eolo gli fii 11 
'an otre, in coi tatti i Tentif Don oom- 

zefiro, Bon rinehiotL I compagiii tdol^ 
otre; e i Tenti ne scappano , e rìpor- 
lisse ad Eolo , che ti ditcaccìa da tè. 
Ila città de\ Lestrigoni , popolo anche 
antropofago, e perde la pia parte dei 
ni e le navi, eccetto nna, con la quale 
ill'isola di Circe. Costei gli traiforma 
i la metà de^ compagni: aaWo uno, che 

darne la naova. Ulisse con Perba 
he Mercurio gli diede , scioglie Tin- 
itatoun anno con Circe, questa il cos- 
'ire alla casa di Plutone; ed ei •^addi- 

perduip uno de^ compagni | a muHm 



emmo neirEolia^ ove il diletto 
tortali Dei d'Ippota figlio, 
>itaya in isola natante, 
ta un muro d^infraogibil ramci 
iscia circonda eccelsa rupe, 
sei d^in sesso e sei del r altro, 
iquer figli in rasa; ed ei congiunse 
lo maritai suure e fratelli^. 



176 oiiisnà 

.Che ifeàn tfegli aimi il pia bèi fior sol toM 
Costoro ciascun di tieiton tra il padre l| 
Caro, e Taugusla madre, ed una menta j 
Di Tarìe carca delicate dapi. ] 

Tutto il palagio, finche il giorno spltede, i 
Spira fragranze, e d'^armonie rii uona, i 

Poi, caduta su Pisola la notte, ; 

Chiudono aì sonno le bramose ciglia 
In traforati e attappezzatì letti 
Con le donne pudicne i fidi aporL | 

Questo il paese fu, questo il superbo 
Tetto, in cnì me per un intero mese. 
Co'^UMdì più gentil Eolo trattava. 
Di molte cose mi chiedea: di Troja, 
Del navi le de'Gwrì, e del ritorno; 
E il tutto io gli narrai di punto in punto. 
Ma come, giunta del partir mio Pera, 
parole io mossi ad impetrar licenza, 
Ei. non che dissentir, del mio viaggio 
Pensiersi tolse e cura, e della pelle 
Di bue novenne appresentommi un otrCj 
Che imprigionava i tempestosi venti: 
)*oichè decenti dispensier supremo 
Fu da Giove nomato; ed a sua voglia 
Stringer lor puote, o rallentare il freno. 
L^otre nel fondo del naviglio avvinse 
Con funicella lucida d^argento, 
Che non ne uscisse la più picriol aura; 
E sol tenne di fuori un opportuno 
ZeBro, cui le navi e i naviganti 
Diede a spinger su Tonda. Eccelso donO| 
(ilie la nostra follia volse in disastro! 

Nove di senza posa, e tante notti 
Veleggiavano; e già ventaci incontro 
Nel decimo la patria, e omai vicini 
Quei vedevam che raccendeano i focili} | 
Quando me slawco, Y»erdO io regger volli 



a naTe il timon, nò in mano altrui, 
e il corso affrettar, lasciarlo mai, 
>rese il sonoo. I miei compagni inlanto 
cllaYan tra loro, e fean pensiero 

argento ed oro alle mie case, doni 
generoso Ippotade, io recassi, 
li! rome di sé, dicea taluno 
Ito al tuo Yicin, tutti innamora 
ai, dovunque navigando arriva! 
ù da Troja dispogliata arredi 
>rta belli e preziosi; e noi, 

le vie stesse niisarammo, a casa 
niam con le man vote. In oltre questi 
•potade gli die pegni d'^amore. 
ì, veggiam quanto in suo grembo asconda 
"o e d argento la bovina pelle. 
MI prevalse il mal consiglio. L^otre 
preso e sciolta; e immantinente tutti 

furia ne scoppiar gli agili venti, 
ubitana orribile procella 
ap{a dalla patria, e li portava 
nrosi Dciralto. Io, cui Pinfausto 
no si ruppe, rivolgea neiralma, 
li poppa dovessi in mar lanciarmi| 
)fTrir muto, e rimaner tra i vivi, 
ni, rimasi: ma, coverto il capo, 

nel fondo io giacca, mentre le navi, 

i compagni di lutto enipieano indame, 
cciava in Eolia il 6ero turbo, 
idemmo a terra,acqua attignemmo,ea mensa 
»o le navi ci adagiamtao. Estinta 
cibarsi e del ber Pinnata voglia, 
on un deVompagni e con Paraldo 
ivìsi d'^Eolo alla magion superba; 
a la dolce sposa e i 6gli cari 
:iiettante il trovai. Sul limitare 
•vam deìhi porta. Alio slapott 
Odismma 19 



M„,lraro ( figli, e co 


D parole alate, 


«liise, mi dicHii, e 


me vrnUto ? 


Oliai I'ibmU demon 
e-s. non fu da noi 


aTverso? Cerio 


lasciata indietro, 


P<.rchè»llapMm b 


al tùo palagio, e ovu 


Ti ta|[^n1j(«e più, a 


.0 eÌ..ng=sH. 


Ed io cor petto d'» 


marezza colmo; 


Triiti compagni, e 


un lonna invailo a 1 


Condono m'hMHv 


SOtBÉEKT 


Che ilrolrte,^ 





Le a 

Quelli aBioutira, Hk U<hlli(yi paJi^ 
Via, riipoie, d4 qaoita bri^v kMU,; 
■.O degli uonrini tutti il più nalngioi 

Cbè ■ me uè aerar, né rìmliidar J»u dff 
lice un mortai che degli Eterni è in ìn> 
Ti», poichi l'odio tor ona ti coodoMB. 
Coti Eolo ibandia ine dal suo tetto. 
Che de' gemiti miei tutto •oniTs. 

Metti di QUOTO prendeTara dell'altoi 
Ha ai slincavan di lottar eoa Tonda, 
Brmtgando, i eompagni, e del ritorno 
Uona \» (peme neMoglioii petti. 
Slei d) navigavomo, e notti tei; 
E col aeltima Sol della aoblime 
Citt^ di Lamo dalle larghe porte, 
Di Leilrigooia, pervenimmo a Ytsta. 
Qnivi pastor, che a sera entra col gregg 
Chiana un altro, ohe fuor con rarmenlD 
Quivi mima i monne arrla doppia mereri 
L' una pascendo i buoi , V altra !• agodl 
Dalla candida lana : si vicini 
Sono il diurno ed il nottnrno fteo. 
Sello ed amoio ii''è 11 portsf eea«UÌ'Mi 
Cercbianlo d' ogni pirte , e tra due pva 
Che iporgon fuori e ad lacontrar ai *■ 
S'apre uQ?-uigttiuWic;L.\«&A «a«(w 



.'79 
^^.«.o a entrar tur pronti, 

i TÌ tenean le ondÌTagantt 

mnte tra lor; quando né grande 

mai, né picciola onda, e sempre 

& yì appar tacita ^ bianca. 

asi col naviglio fuori ) 

«o estremo con intorta fune 

dai : pòi , tu la rupe asceso , 

i discoprja , mirava intorno. 

bne non si scorgea, ne d"* uomo : 

ra salir vedeasi an fumo. 

lor due compagni , e con V araldo 

i investigar , quali V ignota 

sduce abitatori e nutre. - 

iritta seguitar I per dove 

loHuceano alla cittade 

i monti la troncata selva ; 

Itero a una real fanciaUj , 

*igone Antifate alla figlia, 

*Dute d'^Artacia, onde costuma 

10 attignere , in quel punto 

scendea linfe d^ argento. 

da presso , e chi del loco 

e su qual gente avesse impero , 

laro; ed ella pronta V alto 

6 con man tetto del padre. 

veano il limitare appena, 

na trovar di si gran mole y 

brava una montagna ; e un gelo 

"' orror correr pel sangue. 

tto Àntifate chiamava 

ica piai:za , il rinomato 

che disegnò lor tosto 

ra e orrenda. Uno afferronne , 

?na ; gli altri due con fuga 

iunsero alle navi. 

cittade intanto eropiea 



i8o ocitsd 

Aniifate- I IpslrÌEoni Tudiro, 
E uxortt»n e rlii da uD lalo ci 
Forti di biacrio, in numero 
E gigiDtt alla Titta- Immente 
Coti dai monti > fulminar lì-d 
Che d'' uomini apìranti e infra 
Sane n«1 porlo un luon tetro 
Ed alEuni infiliali eran con V 

Suali peici guiziBnt<,e alle fi 
PDU future riieibati. Iltnb 
Tal aeguia atrage , io , i^uiial 
E la fune recita , a' miei comi 
Dar di forza nel mar co' remi 
Se il fuggir morte premea lor 
Di tal modo arrancavano , eh 
Msaai, rhe pi(<vean d'alto, il 
Lietamente ichiiò : ma gli altj 
Coli reataro trrarellati e aper 
Contenti dello icampo, e iti 
Per li troppi compagni in ti ci 
Guisa pelili, iiavigammo avan 
E au risola Eéa torgemmo , : 
Circe, Diva terribile, dal en 

Kuora germana del prudente 
Dal Sole aggiornator nacque, 
Dell' antico Ocràn' Egli naia ili 
Taciti a trrra ci accostammo, 
Non senza un Dio clie ci guid 
Porlo, e lul lido u 









Bepidamente and 
Ferinato il pie » 



LIBIO Z 181 

Tsi an famo salir d** infra una seira 
querce annose, che in un vasto piano 
Circe alla magion torgeano intorno. 
rar disposi senza indugio in via | 
1 paese cercar: poi , ripensando, 
egao in vece rivoltare i passi , 
o dare ai compagni , e alcuni prima 
Bplorare inviar, mi parve il meglio. 

tra la nave e me poco restava : 

lodo ad un de** Celesti , in cui pietaile 

quella solitudine io destai , 
taaoed armato di ramose corna 
oare alla mia volta un cervo piacque. 
alo dal Sole, che il cuocea co^ raggi, 

paschi uscia della foresta, e al Biime 
ndea con labbra sitibonde ; ed io 

k spina lo colsi a mezzo tergo 

che tutto il passò V asta di rame. 
la polve cade , mandando un grido, 
'ia ne volò Talma. Accorsi , e, il piede 
itando in esso, dalla fonda piaga 
issi il corro sanguigno , ed il sanguigno 
TO deposi a terra : indi virgulti 
•elsi e giunchi , attorcigliaili , fune 

spaune lunga ne composi , e i morii 
di ne strinsi delP euorme fera. 
fin sul collo io la mi tulsi , e mossi , 

la lancia puggiandomi, al naviglio, 
è mal potuto avrei sovra una sola 
alla poi'tar così sformata belva. 
fssola nave scaricaila; e ratto 
D soavi parole i mici compagni , 
piesto rivolgendomi ed a quello, 
lì tentai rianimare : Amici , 
ima del nostro di d"* Aide alle porte 
D calerem , benché ci uppriiiia il duolo. 
, lincile cibo aY<;ui^i avcui iicuic , 



I 



189 oDisnià 

Non iDettiamll ta oblio $ né àìVìm 
Fame lasciataci consumar di dent 
Quelli, ubbidendo alle mie voci , 
iJelle latebre loro, e, in riva al 1 
Che frumento non genera ^ venut 
Stupian del cervo : si gran corpo < 
E come sazj del mirarlo furo , 
Ne apparecchiaro non yiilgar con' 
Sparse prima di chiara onda le p 
Così tutto quel di sino alP Occast 
Di carne opima e di fumoso vino 
L'^alma riqonfortamm* : il Sol ca 
1& comparse le tenebre, nel sonni 
Ci.seppelliromo al mormorio dell 

Ma sorta del mattin la rosea G^ 
Tutti io raccolsi a parlamento , e 
Compagni^ ad onta di guai tanti. 
Qui, d^ onde T Àustro spira o Pi 
£ in qual parte il Sole alza, in q 
Noto non e. Pur consultare or v 
Qual consiglio da noi prender si 
be v''ha un consiglio: di che fori 
Io d^ in su alpestre poggio isola 1 
Ginta da molto mar, che bassa g 
£ nel cui mezzo un nereggiante 
P^ infra un bosco di querce al e 

Kompere a questo si sentirò il 
D^ Àntifate membrando^ e del C 
La ferocia, i misfatti , e le nefan 
Della carne delP uom mense im 
Strida metteano, e discioglieansi 
Ma del pianto che prò ? che dell 
Tutti in due schiere uguali io li 
E diedi ad ambo un duce: alP i 
Eipriloco , e me alP altra. Indi n 
Bame delinei mo agitavam le sorti 
Ed Earìloco usci , che i n via si p* 



Sema dimora. Ventici ne compagni, 
lagrìouuidoy il seguian ; ne aiTatto asciulle 
Di noi, cJbe rimanemmo, eran le guance. 

Edificata con lucenti pietre 
Di Circe ad escila magion a^oflersei 
Che Tagheggiava una feconda valle. 
Montani lupi e leon falbi, di'* ella 
Mansuefatti avea con sue bevande. 
Stavano a guardia del palagio eccel80| 
Kè lor già s"* avventavano ; ma in vece 
loiiogando icotean le lunghe code, 
£ <u V anche 8^ ergeano. E quale i cani 
Blandiscono il signor, che dalla mensa 
Si leva, e ghiotti bocconcelli ha in mano: 
tal quelle di forte unghia orride belve 
jIì ospiti nuovi, che smarriti al primo 
l^ederle s* arrctraro, ivan blandendo, 
'innti alle porte, la Deessa udirò 
)ai ben torti capei, Circe, che dentro 
^nterellava con leggiadra voce, 
ùi un"* ampia tessea, lucida, fina, 
laravigliosa, immortai tela, e quale 
)ella man delle Dive uscir può solo, 
^olite allor, denomini capo, e molto 
'iù caro e in pregio a me, che gii altri lutti, 
iciogliea tal detti : Amici, in queste mura 
rggiorna, io non so ben, se donna o Diva, 
'he, tele oprando, del suo dolce canto 
utta fa risentir la casa intorno, 
oce mandiamo a lei. Disse, e a lei voce 
^ndaro ; e Circe di là tosto, ov** era, 
evossi, e apri le luminose porte, 
ad entrare invitavaii. In un groppo 
I seguian tutti incautamente, salvo 
nriloco, che fuor , di qualche inganno 
)spettando, rcbtò. La Dea li pose 
ivra aplcrididi seggi ; e lor mescca 



^^^~ 


^^^M 


^■^H 


Bi 


IH! 


in.,.. 

Bianca 


mnio Tino con rappreso Utt^^^TJ 
i farina e mei recente : e un succo 


DclU patria 1' obWÌo ciaicun l«.vtMe. 
FrMO e TÓIato dai meichini il nappo. 


Ci'rre 


baltelli d' 


una v»rK5, e io «ile 


Stalla 


cbiiideali : 
, letole, vo< 


avEao di porco teita, 
re; rna 'o spirto 

H|tf corni» ì fratti 



Ifnniio Tcrace dell' lattatlo caio 
.Tenne rapito Euritoco alla nave. 
Ma Dcn potea per iterati iforiì 
La lingua diinodai-. gonfi portara 
Di pianto i lumi, e □□ tÌoIgdIo daota 
L' alma gli percotea. Hoi, &giirandB 
Srenture nel penaier, con maraviglift 
I.' interhigammo ) ed ci l'eccìdio al Qui 
De' compagni narrò '■ Nobile Uliaw, 
Attrareraato delle querce il boaco, 
Come Lu comandavi, eccoci a fronte' 
Hagion conitrutla di politi marmi, 
Che di mezzo ■ uoa valle alto a' ergea. 
Teaaea di dentro una gran tela, e canto, 
Donna o Diva, chi 'I la 7 «tridolo aliava. 
Voce mandare a lei. Leroa^, e apene 
Le porte, e ne icvitò. Tutti ad un corpa 
Hella magico di lavveduta mente 
Segnianla: io no, che ioapettat di frod» 
Svanirò iniieme tutti; e per ialarmi 
Lmga eh' io feci ad eaplorare aaaiao, 
Tnccl* d' alcdn di lor più non m' appari) 

Oiue: ed io grand* alle mia «palla, « •«■ 
!ipach d'argento bullettala appeal. 



tlMO z iSS 

Appetì un Talid^ arco, e ingianii a lui ^ 
Che innanzi per la via stessa mi gisse. 
^» Euriloco, i ginocchi ad ambe mani 
Strìngendomi, e piangendo, Ah! mal mio gradO| 
Con supplici gridò parole alate, 
li non guidarmi, o del gran Giove alunno^ 
Donde, non che altri ricondur, tu stesso 
Bitornar non potrai. Fuggiamj fuggiamo 
Senza indugio con questi e la TÌcina 
Pirca schiviam, fincuè schivarla è dato. 

Eariloco, io risposi, e tu rimanti , 
Di carne e vino a riempirti il ventre y 
Lungo la nave. Io, cui severa strìnge 
necessitate, andrò. Ciò detto, a tergo 
La nave negra io mi lasciava e il mare. 

Già per le sacre solitarie valli 
Delia Maga possente alPalta casa 
Presso io mi fea, quando Mercurio, il Nume 
Che arma dell^ aureo caduceo la destra. 
In forma di garzone, a cui 6orisce 
Di lanuggine molle il mento appena, 
Mi Tenne incontro, e per la man mi prese ^ 
E , Misero ! diss^ ei con voce amica , 
Perché ignaro de^ lochi, e tutto solo , 
Muovi cosi per queste balze a caso? 
Sono io poter di Circe i tuoi compagni , 
Eh chiudon, quai verri, anguste stalle. 
Venistu forse a riscattarli ? Uscito 
Dell^ immagine tua penso che a terra 
Ta ancor cadrai. Se non che trarti io voglio 
Paor d^ ogni storpio, e in salvo porti. Prendi 
Questo mirahil farmaco, che il tristo 
Giorno dal capo tuo storni, e con esso 
Trova il tetto di Circe , i cui perversi 
Consigli tutti io V aprirò. Bevanda 
Milla, e di succo esiziale infusa , 
Colei V appie&tcrà : ma le iue tazze 



Tta mnM brando cIm U pende al Imi 
E, d! ferirla in «tto, a l«i t* «TVOBlk 
Ghwii noaqireM da Uaiorw «m attne 
T* oflnrà proaU t «od Toler tal il.letto ' 
toelti Dea rìcutare, acciò ti tetoka 
CU amioì, e amiea li ti renda. Sole 
Bt-rinrarti cotlringila col grande' 
Dcf r iamprlali Dei giorO| cIm lialla 
Pia non sarà per macohiparti a danno | 
Onde, poiché V arra l^armi fpofliate^ 
Del cor k fona non ti ipogli ancofa. 

Finito il ragionar, V erba salubre 
Porsemi già dal suol per lui divelta p 
E la natura divìsoiine: bruna 
11^ è la radice; il fior bianco di latte} 
MoU'i Numi la chiamauo : resiste 
Alla mano mortai, che vuol dal suolo 
Staccarla; ai Dei, che tutto ponno, cede* 
Detto, dalla boscosa isola il fiume 
Alle pendici delP Olimpo ascese; 
Ed io ver Circe andai ; ma di pensieri 
Io gran tempesta m^ ondeggiava il core. 

Giunto alla Diva dalle belle trecce, 
La voce alzai dall' atrio. Udimmi e ratti 
Levotfsi e aprì le luminose porte, 
E m^ Invitava : io la seguia non lieto. 
Sovra un distinto d^ argentini cbiovi 
Seggio a grand^ arte fatto e vago assai 
Mi pose: lo sgabello i pie reggea. 
Quindi con alma, che pensava nali, 
La mista preparommi in aureo nappo 
Bevanda incanta trice, ed io la presi 
Dalla sua mano, e bebhì ; e non mi nonpi 
Però in quel che la Dea me della lunga 



IIBBO X 187 

Verga p^rcoise, e^ Vanne, disse, e a terra 
CoHaot compagni nella stalla giaci | 
Tirai dal fianco il brando, e coutra lei. 
Di trafiggerla in atto, io mi scagliai. 
Circe, mandando una gran Tooe, corse 
Bapida sotto il colpo, e le ginocchia 
Con le braccia af^rrommi, e queste alate 
Parole mi drizzò, non senza pianto : 
Chi sci tu ? donde sei? la patria dove? 
Bove i parenti a te ? Stupor m^ ingombrai 
Cbe r incanto bevuto in te non possa , 
Quando io non vidi, cui passasse indarno 
Per la chiostra de"* denti il mio veleno. 
Certo un"* anima invitta in petto chiudL 
Sarestu forse quel sagace Ulisse, 
Che Mercurio a me sempre iva dicendo 
Dover dMlio venir su negra nave? 
Per fermo sei. Nella vagina il brando 
Biponi, e sali il letto mio: dal core 
B^ entrambi ogni sospetto amor bandisca. 

Circe, risposi, che da me richiedi? 
In cortese ver te , che in sozze belve 
Mi trasformasti gli uomini ? Kivolgi 
Tacite frodi entro te stessa j ed io 
la tua penetrerò stanza secreta , 
Onde, poiché m'^avrai Tarmi spogliate, 
Bel cor la forza tu mi spogli ancora ? 
No, se non giuri prima, e con quel grande 
Degl'immortali Dei giuro, che nulla 
Più non sarai per macchiuarmi a danno. 
Dissi ; e la Dea giurò. Di Circe allora 
1^ belle io salsi maritali piume. 

Quattro serviano a lei nel suo palagio 
Di cpielle Ninfe che dai boschi nate 
Sodo, o dai fonti liqtiidi, o dai sacri, 
Che dcvolvonsi al mar, rapidi fìumi. 
L^uua gìttava su i politi seggi 



0$ mm0 

Bel ti^pMi Afàpéi^inA mO» y * 
Bei ikpp«tt MMtea di lifaneo |bof , 
L^tn BMtete d>fffaito iuuul et mbI 
Spiegsvcy e d*oro v^ ioipoiiea eaaaitrf • 
HaMee hiUnik nelTargeiitee bioeehe- 
8««TÌtnBli Tini, e d'auree Une 
CofMrfe I» meate : ma le «(oarte 11 fieioe 
Fonte reeerei e raeceiidee gran fnoeo 
Sotto il fMtO treppiè, cbe V onde eepOt 
Già ferM qveite nel ciTeto bromo, 
E mO ^ 'llinfk guidò pi bagno, e Pondi 
Pd eepò' nollemente e per le apalle 
Spargerai non cesto, ch^o ni sentii 
Di ?igor nuovo rifiorir le membra. 
Lavato ed uuto di licor d^olÌTa, 
E di tanica e clamide coverto, 
Sovra un distinto d'^argentini chiovi 
Seggio a grand'arte fatto, e vago assai. 
Hi pose : lo sgabello i pie regg«;a. 
E un^ altra Ninfa da bel vaso d"* oro 
Purissima acqua nel bacil d^ argento 
Mi versava ) e stendtami un liscio desGO| 
Che di candido pane e di serbate 
Dapi a fornir la dispensiera venne. 
Cibati) mi dicea la veneranda 
Dispensiera, ed instava; ed io, d"* ogni eica 
Schivo, in altri pensieri, e tutti foschi, 
Tenea la mente, pur sedendo, infissa. 
Circe, ratto che avvidesi ch^io mesto 
Mon mi curava della mensa punto , 
Con queste m^appressò voci sul labbro : 
Perché cosi, qua! chi non ha favella , 
Siedi| Ulisse, struggendoti, e vivanda 
Non tocchi né bevanda ? In te «oapetto 
S^ annida forse di novello inganno? 
Dopo il mio giuramento a torto temi. 
Ed io : Ciccei qaal mai retto uomo e laggi 



L1BB0 Z 189 

ViraDda toccberia prima , o bevandai 
Cbe i 8001 Vedesse riscattati e salvi ? 
Fa che liberi io scorga i mici compagni ,' 
Se vaoi che della mensa io mi sovvegna. 
Circe usci tosto con in man la Terga ^ 
E della stalla %V infelici trasse, 
Cbe di porci noTenni avean Pasprtto. 
Tolti le stavan di rincontro; e Circe, 
D^ ano air altro passando , un prezioso 
Sovra lor distendea begnino unguento. 
C)i odiati peli, cbe la tazza infesta 
Produsse , a terra dalle membra loro 
Cidtyano ; e ciascun più, die non era | 
Grande apparve di corpo , e assai più fresco 
D^etade in faccia, e di beltà più adomo. 
Mi ravvisò ciascuno , ed afferrommi 
^i destra; e un cosi tenero e si forte 
Compianto si levò , cbe Ja magione 
Ne risonava orrendamente , e punta 
Sentfasi di pieti la stessa Maga. 

Ella, standomi al Oanco, sovrumano 
Di Laerte figliuol , provvido Ulisse , 
Corri, diceami, alla tua nave, e in secco 
La tira , e cela nelle cave grotte 
U ricchezze e gli arnesi : indi a me torna | 
£ i diletti compagni adduci teco. 

BPentrò il suo dir nelPalma. Al lido io cor8Ì| 
Ei compagni trovai, che appo la cave 
I)i lagrime nutriansi e di sospiri. 
Come, se riedon le satolle vacche 
iJai verdi prati al rusticale albergo , 
I citelli saltellano e alle madri , 
Che più serraglio non ritienli, o chiostra | 
^n frequente muggir corrono intorno : 
Coti con pianto a me, vistomi appena. 
Intorno s** aggiravano ì compagni , 
£ quei mostravan su ìa faccia segni | 



\rjO OIDSGSJt 

Cbevl at «cor^rfan, te il dolce nMa , 
Dove nacqncro e creliliero , te l*aapra 
luca aTe.ser tBCM. O, Ugrimaiulo 
Dicein, di Giove alunno, una tal gioji 
Sarebbe ■ tleiita in noi , se ci accoglìefsi 
D'Itaca il porlo. Ma, su vU, l'acerbo, 
Falò degli allri raccontar ti piaccia. 
Ed io eon dolce favellar : La nave 
Si tiri in secco , e nelle cave irrotte 
Le ritclieMe si celino e gli arneii. 
Poi aeguitemi in Trelta ; ed ì compagni 
Nel tetto sacro dell' illuilre Circe 
T<!drcle aaaiai ad una meriBa , in cui 
DI là «Tof^i desio la eopia regni. 

Pronti obbedirò. Ripugnava Euriloeo 
Solo, ed or questo m arrestava, or quel 
Gridando, Sventurati , ove ne «DdiamoI 
QaRl mai vi ponge del disattro tele , 
Che diaeendiate alla Maliarda , e vólti 
Atte iti leoni, io lupi o in soui verri. 
Il no palagio a ruatodir danniti ? 

Il'' ospizio avrete del Ciclope , quando 

Cataro i nostri nella gratta , e que«l<> 

Prode liliale guidavali , di cui 

Horte ai miseri fu la atollo ardire. 
Cosi Euriloeo ; ed io la lunga spada 

Ctvar pensai della vagina, e " 

Dal basto ai pie sbalzargli ii 

Bencbè vincol di sangue a e 

Ha tatti quinci TÌteneanmi, 

Con favella gentil : Di Giove 

Coatoi ani lido , ae ti piace , 

Ddk nave rìmangasi , e alla 

Hagion noi gnida. Detto ciò, dal bian 

Heco venUn , uè reatb qoegU iddictm 

T*ntO della minaccia .ebbe ipavento. 
Con p — -"— = ™ — =-' - — ■ 



tiBaq X igt 

Degli altri , che lavati , unti e di buone 
l'uniche cìnti e di bei manti furo.' 
Siedati a mensa li trovammo. Come 
Si Bguardaro P un V altro , e sul passato 
Con la mente tomaro , in pianti e in grida 
Davano; e ne gemean pareti e volte. 
U^appreasò allora , e mi parlò in tal guisa 
L^ inclita tra le Dive: O di Laerte 
Gran prole, o ricco di consigli Ulisse, 
Modo al dirotto lagrimar si ponga. 
Noto è a me pur, quanti nel mar pescoso 
Baraste affanni , e so le crude offese 
Che vi recaro in terra uomini ostili* 
So via, gioite ornai finché nel petto 
Vi rinasca P ardir, ch^ era in voi, quando 
Itaca alpestre abbandonaste in prima. 
Baiti or gli spirti avete , e freddo il sangue p 
Per la memoria de** viaggi amari 
Nelle menti ancor viva , e P allegrezza 
Disimparaste tra cot&nti guai. 

Agevolmente ci arrendemmo. Quindi 
Pel continuo rotar d** un anno intero 
Giorno non ispunlò che a lauta mensa 
Me non vedesse e i miei compagni in festa. 
Ma rivolto già Panno, e le stagioui 
Tornate in se col variar de** mesi, 
Ed il cerchio dei dì molti compiuto , 
I compagni , trae ndomi in disparte , 
Infelice! mi dissero, del caro 
Cielo nativo e delle avite mura 
Non ti rammenterai , se vuole il fato 
Che in vita tu rimanga e le rivegga? 

{!Ìano avviso mi parve. Il Sol caduto | 
E coverta di tenebre la terra , 
Qnei si corcaro per le stanze ; ed Ì0| 
Salito il letto a maraviglia bello 
Di C^ife, supplichevoli drizzai 



IQI ODISSEA 

Alla Dea 9 che m^udì, queste parole : 
Àttiemmi, o Circe^ le iiopro messe, e a] cara 
Kendimi natio ciel, cui sempre fola^ 
Non pore il mio , ma de' compagni il eorrn 
Dé^ compagni, che stanno a me d^ intorno^ - : 
Sempre che tu da me t^ apparti, e tutta, 
Con le lagi'ime lor mi struggon V àìauu 

O di Laerte sovrumana prole « 
La Dea rispose , ritenervi a Iona 
Io più oltre non vo\ Ma un' altra via 
Correre in prima è d^uopo: è d^uopo i §a»Alk 
Di Plato e di Proserpina aoggionu 
Vedere in prima , e interrogar lo spirto 
Del Teban vate» che^ degli occhi cicgo, 
Paro conserva della mente il lume} 
Di Tireaia, coi sol die Proserpina 
Tutto portar tra i morti il senno anliem . 
Gli altri non son che vani spettri ed OalM» 

Rompere il core io mi sentii. Piangea $ 
Su le piume giacendomi, ne i raggi 
Volea del So) più rimirare. Al fine. 
Poiché del pianger mio , del mio voltarmi 
Su le piume io fui sazio , Or qual, ripresi. 
Di tal viaggio sarà il duce? AlV Orco 
Nessun giunse finor su negra nave. 

Per difetto di guida, ella rispose, 
Non t'anDOJar. L^ albero alzato, e aperte 
Le tue (Candide vele, in su la poppa 
T^ assidi , e spingerà Borea la nave. 
Come varcato V Oceano avrai , 
Ti appariranno i bassi lidi , e il folto 
Di pioppi eccelsi e d^ infecondi salci 
Bosco di Proserpina : a quella piaggia, 
Che rOcean gorghiprofondo batte, 
Ferma il naviglio, e i regni entra di Pluto. 
Jtupe ivi sbalza, presso cui due fiumi 
S^ urtan tra lot iomote^^\U)À.Q) ^ uniti 



Heir AdMAmte cadono s Gocito « 
liamo éi StiM, e Piriflegetonte. ' 
^ppràuU alla rape , ed nna fossa , 
Clw va eabito ai afenda in lango e in largo i 
Scava, o prode ^ ta itesso} e mei con tioo^ 
Indi TÌn paro e lim odiati m^ onda 
Vénarly a cuor de^ trapassati , intonto , 
S di bianche farine il tutto aspergi. 
Poi degli estinti prega i frali e TÒtt 
Gspi, e prometti lor che nel tuo tetto ^ 
Eatrato con la nare in porto appena , 
Vaeea infeconda, delP armento 6ore, 
Lor sagrificherai, di doni il rogo 
BìfBBpiendo § e che al sol Tiresia , e a pirtè, 
Iiamolerai neriasimo ariete , 
Che della greggia tua pasca il più hello* 
Ganpiata ai Mani le preghiere, nceidi 
Pscora bmna, ed un monton, che alPOreo 
Volgan la fronte; ma eonrerso tieni 
Del 6ume alla corrente in quella il viso. 
Molte ombre accorreranno. A^ tuoi compagni 
le gik sgozzate vittime e srojate 
Mettere allor sovra la fiamma , e ai Numi , 
^ prepotente Pluto e alla tremenda 
Proserpina drizzar voti comanda. 
-Età col brando sguainato siedi, 
Rè consentir che ^ anzi che parli al vate-, 

I Mani al sangue arcoslinsi. Repente 

II profeta verrà, duce di genti, 

Che sul viJf^gio tuo , sul tuo ritorni) 
Pel mar pescoso alle natie contrade 
Ti darà, quanto basta, indizio e lume. 

Cosi Ja Diva; e d'^in su P aureo trono 
l'Aurora comparì. Tunica e manto 
Circe fctessa vestimmi ; e a se ravvolse 
Sella, rnndiila, 6na ed ampia gonna \ 
ODìmtA \% 



)f)4 OBISStA 

SÌ Strinse al .6aiioo un*, aureak £|Mrf% * ì^ 
Sa i ben torti capei velo s* jmpoae. 
Ma io, patsa^ido ^i^iiyia i^.fltin stpn» 
G«il|iMi¥|i i' ofl^pagni I tt, 9/i «m «i \ 
fifk.winM 'àM gli abbordava;! T^mpa 
Kob' « piarci afiorare i di^lei- ¥»m- 
Par^aoM» M i toato. Il mi opnaìgUa Circ 

St loTaro e obbedirò. AAfi, ohe nò 
Mi al ooneetM rìconduiii tatti t . 
Un ^|if«|io|ro T^era, V qqal .potate 
Dopo . gli. ilUtì Tenia « poco aelT tarmi 
Porto ni . troppo deliii men|o. a^ecorto. 
Caldo "dei buon licpra i ondf |rri§qaai j 
fiiillWlao dailt : altrt,ed al pfla^o 
jfi ai corcò , per Hnfircacarai j iìjk elma. 
VdìJt^ il topf ddU.partCìpia e il mot 
Bitooaacal «d' im tcatjto « ;«;9er lai tingi 
CJAlVi'.di Jtictro afoendére,ojbliando> .. 
Mosse di punta sovra il tetto o cadd 
Precipite dall'* |^lto : il collo ^ai nodi 
di V infranse , e volò P anima a Dite 

Raganatisi i miei , Forse.., io lor dia 
AUe patrie contrade andar, credete. 
Ma un altro pria la venerabìl Diva 
Ci destinò canirain , che ai foschi regi 
Di Pluto e di Proserpioa conduce , 
Per quivi inLerrognr del rinomato 
Trhan Tire sia V indo'^ino spirto. 

Duci mortale gli assalse a questi dei 
Piahgeano e feruii rinianean li lì 
E la chioma stracciavansi : ma indarn( 
Lo strazio della chioma era ed il pian 

Mentre al mar tristi tendevamo, e s| 
Lagrime spargevam, Circe, che in via 
Pur s^ era posta , alla yeloce nave 
Legò la bruna pecora e il montone. 



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LIBRO UNDfiaMO 



▲BGOMIVTO 

Ulisse continuando U sua narrazione, giange 
ai Cimroerj e va nelP inferno. Gompiule le 
debite c«frin)o«iic , gli appariscono le Ombre 
de"* morii; e quella d^ Elprnore é la prima eoe 
mi farella. Poi Tiresia P informa ae' venturi 
suoi casi e Tinsegna come superarli. Appariiioo 
della madre, dalla quale intende lo stato della 
propria famiglia. Vengon poi le antiche eroine 
e appresso gli eroi , tra i quali Agamennonf| 
Achille ed Ajace. Finalmente vede Minosse i 
l'izio, Tantalo, Sisifo ed Ercole: finche, preso 
da timore I ritorna in fretta alla nave. 



Gì 



iuntì al divino mare | il negro l'agno 
Prima varammo, albero ergemmo e velei 
£ prendemmo le vittime , e nel cavo 
Legno le introducemmo : indi con molto 
Terrore e pianto vVntravam noi stessi. 
La dal crin crespo e dal canoro labbro 
Dea veneranda un gonfiator di Vela 
Vento in poppa mandò, che fedélmente 
Ci accompagnava per P ondosa vii : 
Tal che oziosi nella ratta nave 
Dalla rrrulea prua giacean gli arnesi , 
E noi tranquilli iede^aLm,U cutt^ 



UIRO ZI 

tlmonier Sueiandtfne, ed al Tento 
laudo il di riiplendè| con relè ipnaé- 
vigsTano. Spento il giórno, è adombra 
sopcrte le vie deli-Oceano 
eco la nave i gelidi confini. 
Ve la gente de^ Cimmerj alberga, 
i nebbia e bujo aempitérao inTolye. 
nti pel ciclo stelleggiato, o scenda , 

sfavillante d^Ar Sole non guarda 
egl'infelici popoli, che trista 
conda ognor pernizFosA notte. 
Lddotto in m Parena il boon naviglio 
1 montoine e la pecora sbarcati, 
i corrente delPOceano in riva 
nminavam, finché venimmo ai lochi 
i la Dea c'^insegnò. Quivi per mano 
*iloco teneano e Peri mede 
due vittime; ed io, fuor tratto il brandO| 
vai la fossa cubitale, e mele 
1 vino, indi yin puro e lucid^onda 
'sàivi, a Gnor de^ trapassati, intorno 
!i oiancbe farine il tutto aspersi. 

degli estinti le debili teste 
gai, promisi lor che nel mio tetto, 
rato con la nave in porto appena, 
;ca infeconda, delParmento fiore, 

•agrificherei, di doni il rogo ' 
npiendo} e che al sol Tiresia, e a parte, 
aolerei nerissìmo ariete, 
: della greggia mia pasca il più bello, 
te ai Mani le preci, ambo afferrai 
Fittime, e sgozzàile in su la fossa, 

tutto riceveane il sangue oscuro, 
ecco sorger della gente morta 

più cupo nelPErebo, e assembrarsi 
>allid'*Ombre: giovanetto spose, 
Koni ignari delle nozze, vecchi 



Da DiMnifa fnrtiiaa aisui vertuti, 
E «erginelle ient^rr, c1i« impTcci 
Parlano i cuori di recente lutto; , 
E molli dalle acute 8>te goerrìeri 
np| rampa un, di feriti, a cui rossi^fgia 
Sul prllo anwr rintangiiiDito uubtrrgo. 
Arcorresn quinci e giiinili , E Lanti s tonilo 
Aggiravan la fossa, e con Ui griJa, 
Cti'io ne gelai per >ubitaDa tema. 
Pure a EurilacD ìq^hdiì e a Perimedc 
Le già icanoate vittime e aeojatc 
Por III la e>mma, e motH ai Dei far voti, 
Al prepotente Fiuto e allo Iremcnili 
Fmserpina: ma io col brando ignudo 
Sedei né conientia che al vivo iingne, 
Pria ob^io Tirella ioteiragato ■*«•»; 
S'aocoatanerdelPOmbrei tAIì capi. 

Primo ad oflrirai • me fu il itmuUeit 
D^EIpenore) di cui non rìncKiudea ' 
La tèrra il corpo nel grembo ancora. 
L*MÌato in caaa Paietam di Circe 
Non lepollo cadavere e non piantai 
Ciii incaluvaci illor direna cura. 
Piami a vederlo e ne lentii pleiade, 
E, con alate tqcì a luieonTCrn, 
Elpenore, diai''io, come icendeitt 
Nell'oacura caligine? Veniiti 
Pili ratto a pie, ch''ia aii ti negra nave. 

Ed ei, piiDRfodo: di Laerte egr^if 
Prole, sagace Uliaae, un nequitoio 
Demone avverao, e il molto vin m*l>flfc*& 
Stretto dal aouno alla magione in dma, 
Hea diaciolai ad un tratto, e, per la Ia4fl 
Di cal^ non membracdo interna koala, . 
Halli di punta lovra il tetto, e iPalta ' 
Precipitai) della cervice ■ nodi 
Boppeni, ed io toUì qUa con io tplrtoi - 



uno SI IQ9 

Ora io per quelli da oni lana* tÌtì. 
Per la contate tna, pel vecchio padre, 
Che a tanta coirà V ailev/» bambino, 
Pel giocane Telenacti, che dolce 
nella casa laiciatti unico germe, 
Ti prego, qoando ì& so, che alia Gircea 
Isola il légno arriverai di nuovo, 
Ti pregò cbe di me, signor mio, 'togli 
Là rieordarti, onde io non resti , eòme 
Della partcmfà spiegherai le vele^ ' ' 
Sema lagrime addietrè e senza tómba , 
E tu Tenghi per qoesfo ai Numi in tra. 
Ma con queir armi, ich^ io yestfa, sul foco 
Mi poni^ e in ritìi' del canuto mare 
A un misero guerrier tumulo innalza , 
Di cui faTelli la ventura etade. 
Queste cose m^ adempì ; ed il bnon remo, 
Ch'^ io tra i compagni miei, mentre vivea ; 
Solca trattar, sul mìo sepolcro infìggi. 

Sventurato, io risposi, a pìen fornita 
Sarà, non dubitarne, ogni tua voglia. 

Così noi sedevam, meste parole 
Parlando alternamente, io con la spada 
8ul vivo sangue ognora, e a me di conlra 
La forma lieve del compagno, a cui 
Suggeria molti accenti il suo disastro. 
Comparve in questo delP antica madre 
L^ Ombra sottile, d^ Anticlca, cbe nacque 
Dal magnanimo Autolieo, e a quel tempo ' 
Era tra i vivi eh'' io per Troja sciolsi. 
La vidi appena, che pietà mi strinse , 
E il lagrimar non tenni t ma né a lei, 
Quantunque men dolesse, io permettea 
Al sangue atro appressar, se il vate prima 
Favellar non s^ udia. Levossi al fine 
Con l'aureo scettro nella man fiimosa 
h* alma tebana di Tiresla, e ratio 



aOO ODISMU I 

Mi riconoblje^ € disse s Uomo infelloei jr 

Perr.hé| del dole abbandonati i. raggi, 

Le dimore inamabili de^ oorU . 

Scendesti' a visitar ? D^ queiU fMS« 

Ti scoaia, e torci in altra pmrte il brando^ 

Si cb? -io ^ beya del aangpe»; e il ytr ti nam. : 

11 pie ritrasai,. e invaginai r.aaito ; . 
B^ argf nt^e torcbie tempestato brando. 
Ma ei|,D0Ìcbe bevqto ebbe^ io. talfuiia. 
Movea le labbra : Rinomato Uliuey ■ 
Tu al!» dqlcesxa del riUnW> aneli y '-,. -^ 
E un Name invidioso il ti coniende» 
Cc^me celarli da Nettu9,.olM gnivtt 
Cantra te concepì adegnp nd petlp 
Pel figjipy a cui spegnesti in Ironia Voeclutf 
pur, sebbene a gran pena, Itaea avrai j ^ 
Sol obe.t^ steaao e i tuoi compagni affnpii 
QuaùdOi tutti del mar vinti i perìgli| 
Approderai col ben formato legno 
Alla y.erde Trinacria isola, in cui 
Pascon del Sol, che tutto vede ed odci 
I nitidi montoni e i buoi lucentL 
Se pfisceranno illesij e a voi non caglia^ 
Gh^ ^ella patria, il rivederla dato. 
Benché a stento, vi 6a. Ma dove osiate 
Lana o corno toccargli, eccidio a^ tuoi 
E alla nave io predico ed a te stesso. 
£ ancor che morte tu «cbivasai^ tardo 
Fora, ed infausto, e senaa un aol compigmoi 
E su nave strauiera, il tuo ritorno. . 
Mali oltra ciò f* aspetteranno a caia i 
protervo stuol di giovani orf^ogliusi, • 

Che ti spolpa, ti mangia e alla divina 
Mog^e con doni aspira. É ver che a lunfo., 
Non rimarrai senza vendetta. Uccisi 
Punc[ue o per frode, o alla più chiara iucc^ 
Mei tuo palagio i temertrj amauMi 



uno ZI 101 

fidi ira ben fatto remo, e la tÌa ti meitis 
rat tenere il pie, che ad aoa Boofa 
ite non sii che non coaoice il mare| 
coflperae di tal vi?aade gusta, 
dulie navi dalle rosse guaDcej 
Jtt* politi remi, ale di na?e, 
iiia Tanta. Un manifesto segno i 
Iter nella contrada io ti prometto, 
ti di che ad^ltro pellegrino, a cai 
ibatterai per via, te qaelPamese, 
che al vanto sa Wj^ il gran si sparge, 
tar dirà su la gagliarda spalla, 
repente nel suol conficca fi remo. 
,yiUimtt perfette a Re Nettuno 
nate, un toro, un ariète e un Terrò, 
li, e del cielo gli abitanti tutti 

Pordine dovuto offri ecatombe 
la tua reggia, ove a te fuor del mare^ 
poco a poco da muta vecchiezza, 
temente consunto, una cortese 
ravTerrk morte tranquilla, mentre 
ce intorno i popoli vivranno, 
racol mio, che non t'inganna, è questo, 
^iresia, io rispoodea, così prescritto 
i dubbiar ne pitrebbe?) nanno i GelestL 
ciò narrarmi ancora: io della madre 
Il ima scorgo, che tacente siede 
)o la cava fossa, e d^uno sguardo, 
1 che d''un molto, il suo Ggliuol non degna. 
* far dcgg^io, perchè mi riconosca? 
eglii Troppo bene io nella mente 
ti porrò. Quii degli spirti al sangue 
1 difeso da te giunger potranno, 
orran parole non bugiarde: gli altri 
te si ritrarran taciti indietro. 
-late a me tai cose, in seno a Dite 
profetante Re raloia i^immerM, 



Bifl 


■■^ 


i03 


Mi io di \k no 


mi'tóglSca. la m3Ón'\ 


S'accosti intanto, 


né del negro sanane "J 


Prima beve, che 


avviiommi, e queste "J 


iti dmiò kerima 


ndo alate voci? ',! 


- Deh rome, figliun 


mio, scenilestu \ìn ,.1 


Sntto Tallra calig ne? Chi vive. ' 'T] 


Difficilmente qoeati alhergfii mira, "5 


Però che .a.ti Cu 




Correnti n divìd, 


no, e il temuto ,' 


Ocean, cui Tarca 


e ad non. non lìce, '' 


Se noi trasporta 
Forse da Troja, e 


na dedalea nave. ^ 


dopo molti errori. 


Con la tia^e e i e 


orapagni a queato bùio' ' 


Tu vieni? Né tre 


ar sapesti ancora 


Itaca tua? uè dei 


a tua consorte 


Riveder nel pilag 


il cafo volto? 



u madre .mia, neceiillì, riijtbil , 
L'atmi" ihdaVinà • int^rrb^r 'mH^dàn* 
Del (ebano Tireais. II kuolo Acheo ' 
Hon vidi ancor, né t liti nostri attinti] 
Ma vo ramingo, e dalle core òpprtMO, 
Dappoi che a Troja ne''pDl(dn bella 
Seguii',' per diierlarla, 11 primo Atride, 
8(1 via, mi narra, e ichiett* mente, ctuns 
Te la di lunghi sonni apporiatritie 
Parca domò. Ti vinse un lun^o'moibo, 
O te Di'inii faretrata asiatae 
Con improvrisa non ani>r» fretti*}.' 
Ti*e l'antico padre, il O^lio vive, . 
Che in Itaca io lasciai? Nelle man lont 
BeiU, paiaò ad altrqi làmiarìéebnii^ 
E ch'io non rìeda pili, ai (k Agioatf ' 
E la eantorte mia qual cor, qual iiiAxt ' 
Serba? Dimora col NDciuIla''e'tiit^" ' " 
GeloaameDte' ''■■■toditee^, d élctmó 
Tra i primt degli achei fbAC'Imi' 
%nH ■HnViKMtfeiuU" 



i;flik itttn UwÌ4 miì' ìà Mglia- ' 
nlngioj e Iciitaint^ale a lai 
yt piatìto i di, bcorron la natU.' 
iti tuo retaggio in sin ch'io vììli^ 
U il Gglio su i paterni campi /' 
Mce, e alle più illustri Rirnie, '' 
ba eiiacuno, e che non dee 

E al regno ilispregiat-, s'aMÌdo.:'' 
ì dì pasta Laerte, e mai " ', 
tao Tien: «olii non letti, 
t,'o strati aontaosi, o manti. ' 
iuta ignobili coverta 
■ ì servi a) fecolare il verna * ' 
idi cenerFj^ te toroa 
itatp, o il verdcgniante autunii(4f< 
mi li di raccolte foglie 
li qna e là per la feconda 
preme iravagliata, e il duolo 
ttgendo la tua sorte: arrogi 
ezia increicevole che il colse. 
□enti de''niici itanefai giMniì 
termine a roe, cui kon' Diana, 
infainbile, di no wrdo 
Bualt», o ili qne'raorbi invaM, 
in tnr delle contante membra 
tior con odiosa tabei 
lo di vederti, ma raHànno 
lontananta, ma i gentili 
)ilnmi tuoi, nobile Uliua, 
1 di >1 dolce hinnomi tolta, 
landò tra me, Peitint* madra 
ingenni al seti: (re volte coni, 
aio cor mi lospingea, vèr lei, 
te m''nid foor delle braooiti, 
ibia sottile, lieve sogno, 
acerba ni trtBsKi e ntto, 
e, k diuHa, pen&è ni «fiiuL 



irubbraerbrli br»mo=o, onde «tico • Dltó, 
Le ixBi. giiii.i.lo r>in anriltro al collo, 
Si (tuoi ci «ilolUrno iinbi, e di pianto? 
Fsntssm» fano, Brci6 più icmpre io m'augi, 
Fone l'alia Proaerpioa maniloTDmi? 

defili uomini tuUi il più infelice, 
la vfiierandci genilrìce aggiunic, 
Ko , IVgregia Proserpina, di Giove 
I.B Qgli*, r.on t'iDganca. £ de'morttJi 
Tale il deilio, daccbc non boo più in fili) 
Che i muicoli tra tè, l'otis ed i nertì 
Nue li corgiuDgan più: tolto romama 
La,,^aD pominza dell'ardente frinì, 
Camf prima le blancbaacsta abbandona, 
E tavola per l'aere il nudo apìrto. 
Ma tu d''uM:ir^ alla i>i|ien)a luce, . 
Tia quettq tiujo affiettn) e. cjb iiben^illii 
E porte»! uflP apliaa acolpito , . 
Penelope da le riuppia «■ giorno,. : . <; - 

Mentre ceni /ayellavam, foipiote ' 
nell'inclita Proterpina le figlia .■ 
D^li eroi compariaiii), e le conioTt!, 
B tràean della foiw al inargo in.ioljh 
Io, rome ìnterrogaTle ad una adiuna 
RJToIgfa meco) e ciò mi parve il qieglio* 
Stretta la ipada, non pitia cbe tutte 
Beeitero acC un tempo. ^Ua ma volta 
Co)) aecorreidiaacuDB, e J'uooratp , 
IiigDaggiti ed i auoi caai a me Darrara. 
Prima i^apprsaenlà riltnitre Tiii»,. . 
Che del gran Sa^monea figlia, « Goiiwria , 
Di Creteo, un de'Eglinoi d'B<»lo,^iA tìUtt-'' 
. Coatti dhin fiume nell'amore atcìitai . . 'J 
Dtll'Eaipéo divin, cbe U {UÀ b^a ' ^ 

Sovra i pi& ameni camiti onda TÌ*dkai - '- 
Enetao a hag»*ni in qucgll<ar^Mli ^l^«l>>- 
IwMHQ Àmie die u (erra uwai:! m i ah^ 



Limo li 9o5 

slhinoy in forma di quel Dio, rorcossi 
ilio foe Yorticose acque alla fere; 
la porporfggìante onda dintorno 
ii ite^te, in arco si piegò , qnal monte , 
li celando , e la giovine, coi tosto 
itoli'* ei la zona virginale, e un casto 
ipore infuse. Indi per man la prese ^ 
chiamolla per nome e tai parole 
ì (eoi Di questo amor, donna, t** allegra. 
>mpiiito non avrà Tanno il suo giro, 
le diverrai di bei fanciulli madre, 
uaudo vanne giammai degP Immortali 
>n ri'escoii le nozze. I bei fancinlli 
-endìin cura, e nutrisci. Or vanne, esftppr, 
a il sappi soia , che tu in me vedesti 
rttuno, il Nume che la terra sruote. 
isse, e ne^ gorghi suoi T accolse il mare. 
Eila^i Neleo e Pelia, ond^ era grave, 
alleviò. Forti del sommo Giove 
inistri, r un nelP arenosa Pilo, 
;1P ampia l^'altro j e di feconde gregge 
cca laolco, ebbe soggiorno e scettro 
uindi altra prole, Esòn , Perete, e il chiaro 
3mator di cavalli Amitnòne , 
lede a Creteo costei , che delle donne 
■ina parve alla sembianza e agli atti. 
Poi d^Asópo la figlia, Antiopa, v^nne, 
le dell'amor di Giove andò superba, 
due figli creò , Zelo e Anfìone. 
;be costoro dalle sette porte 
'imi fondaro , e la munir di torri: 
le mal potean la spaziosa Tebe 
nza torri guardar, benché gagliardi. 
Venne d'^Àmfitriòa la moglie, AlcmenSi 
le la Saturnide P animoso Alcide, 
)r di leone , partorì. Megara , 
i Creonte wagnaDÌmo figliuola , 



306 ODISSEA 

]p moglie deir invitto £rcoIe, venne. 

D^ Edipo ancor la genitrice io vidi. 
La leggiadra Epicasta, che nefanda 
Per cecìlk di mente opra commise ^ 
L^ uom disposando da lei :nato. Edipo 
La man, con che avea prima il padre uccisOi 
Porse alU madre: né celaro i Dei 
Tal mis&tto alle genti. Ei per crudele 
Voler de'^Numi neir amena Tebe 
Addolorato au i Gadmei regnava. 
Ma la donna, cai vinse il proprio affiinno. 
L'infame nodo ad un"* eccelsa trave 
Legato 9 scese alla roagion di Plato 
Dalle porte infrangibili, e tormenti 
Lasciò indietro al Ggliuol, quanti ne dasno 
Le ulirici Furie, die una piadre invoca. 

Vidi colei non mcn, cbe ultima na^ae 
Àll'^lasid-i Anfvón, cui P arenosa 
pilo negli anni andati , e il Miniéo 
Orcomeno ubbidia ; l'egregia Glori, 
Ghe Neleo, di lei preso, a se congiunse, 
Poscia eh'' egli ebbe di dotali doni 
La vergine ricolma. Ed ella il feo 
Bieco di vaga e di lui degna prole. 
Di Nestore , di Gromio , e delreroc 
Pereclimeno; e poi di quella Pero 
Ghe maraviglia fu d^ogni mortale. 
Tulli i vicini la cbiedean.* ma il padre 
Sol concedeala a chi le belle vacche 
Dalla lunata spaziosa fronte, 
Ghe appo fiè riteneasi il forte I6cle, 
Gli rimenasse , non leggiera impresa , 
Dai pascoli di Filaca. L** impresa 
Melampo assunse , un indovino illustre^ 
Se non che a lui s"* attraversaro i fati , 
£ pastori salvatici, da cui 
«Soffrir dovè cV as^tc caVcvvc. \\ ^kciwvV^. 



ime li 107 

noD prima, già in sé rivolto V anno» 
esi auccedetlersi ed i giorni, 
ompiér le itagioui il corso usato, 
i Jficle , a flui gli oracoli de? Numi 
hti ayea V irreprensibii vat6« 
loi f inceli ruppe, e cosi al tempo 
Ilo di Giove i^adempiea consiglio, 
eda comparve, da cui Tindaro ebbe 
! figli alteri , Castore e Polluce» 
n di cavalli domatore, e P altro 
ile invitto. Benché l' alma terra 
Dgagll nel sen , di vita un germe 
si Giove tra V Ombre anco gli onora ) 
nno: ciascun giorno, e alternamente, 
irono gli occhi, e chiudonli alla lucei 
orloai al par van degli Eterni. 
*opo costei mi si parò davanti 
loeo la consorte , Ifimidéa : 
di dol<% d"* amor nodo si strinse 
Scootiterra. Ingenerò due figli , 
a un Dio pari , e V inclito Iftaltc, 
la luce del Sol poro fruirò 
di statura ugual, ne di beltadc , 
i noHri la comun madre aulica, 
che fra tutti d^ Oiiun si taccia. 
I avcan tocco il decim^dnno arvcora ,. 
•■ in largo nove cubiti , e tre volte 
Ito cresciuti erano in lungo i corpi. 
:sti volendo ai sommi Dei su V eira 
)va portar sediziosa guerra , 
Dssa sovra V Olimpo , e sovra TOssa 
irborifero Palio impor tentare, 
de il ciclo scalar di monte in monte; 
il fcan, se i volti pubertà infiorava ; 
i di Giove il figliuolo, e di Latona 
'nninolli ambo die <Icl primo pelo 
' gonncé* noa omhravnno ed ;l mculo- 



Frdr» Fomparve Bfiror, Proeri e Arlur 
Chr l'amarle Tfit'o rapi (U CrHa , 
E al tuoi rccoixlo dalla lacra Alme 
ConJur \olcai Vanf eper»nw I In Nisio, 
Cui cinge un vBito mar, fu Ha D'Ora, 
Pfr P indizio di Bacco, aggiunta f moria. 

Ne reatb Mera ÌDDOiserrata indìelro, 
Sé Climpiie reni, né 1' abfoorrita 
Eiirilc, che il MIO diletto iposc 
¥n iin «urto monil veudrr polpo. 
Ma doTfl io tutte degli ero! le apparse 
Fi|lie.,omarvoWi,eIccon.orir, 
Pru raancherlimi la ditin* Nolte. 

EB me par Irnpo da potar la tal* 
in DBTc o qui , tutta dal mio ritoni» 
Ai Celeili lasciando, e a voi, b cnra. 
Taeque. I Feaci per V oicura mU 
BUTanai muti e nel piacere auorti.. 

Buppe II ailentio l' immortai BcflMi 
La braceiobìanca Aretei FcacMi, 
Cbe Ti par di coititi J del tuo araifiianlef 
Della maicbii persona f e di qael aeooo 
Che in lui riiiede? Oipile è mio, ma tal 
Dell'onor, ch'io riccio, a parte liete. 
Non congedate in fretta, e lenia doni 
Chi nulla tìen, voi, che di bnono in tua. 
Per fiTCìr degli Dei tanto lerbate. 

Qui fafcllb Echenéo , che gli allri taU 
Viticea d'etade: Fuor del legno, anici, 
Arcte non colpi con la ina tocc. 
Obbedfacaaì a lei : io non che prima 
Del He rriempio altenderenra , e llrdrtH 

Ciò «ari ch'ella vuole , AIbìdod diaM, 
t vita e Kctlro a me laacian gli IM 



Cnn esser dee comun die lieto ci pirta, 
E piò ebe d' altri, mia, >' io qui ion primo. 

Uàaoo re, cbe ili grandeiu e fuma, 
HJpKM Ulisse, ogni mortale siinEJ, 
&(i n«ri ancor mi rilenpstc e sei , 
E Edi teurlR intanto, e ricchi doni 
Vi|ipiTecchiatt« , io non dovrei sgradirlo ; 
tic quinto io tornerò eoa mio più piene 
A'niei salii natii, tanto la gente 
Cbipiù onore aocorrantni e con pinnTfétto. 

Ed Alcinoo in ricpoiu: Allora, (11ì*b«, 
(V ti adocchiamo, un impostor fallace, ' 
D'ilte menzogne inaipettato fabbro, 
horger non sospetliain, quali benigna 
u terra qaa e la molti ne paioe. 
''^giadrfa di parole i labbri t'orna, l 

"i prudenza minor t' alberga in petto, 
l'opre de' Greci e le tue doglie, quasi 
^ ipirto della Musa in le piovesae, 
^ narraiti Cosi ch'era un vederle. 
"A tìegui, e dimmi, se l'apparve alcuna 
I*i tanti eroi «he veleBRÌsro a Troja 
tfco, e ipenli rimanervi. La Nolte 

Con (eoli palli or per lo ciel e. 

tL, finché ci esporrai stupende e 
Nim 6a chi del dormir qui si raiomcn». 
Oiundo parlar di te sino all'aurora 
*i cODientiste il duol, «ina alPaurora 
'v penderei dalle tue labbra imniota. 

Vha an tempo, Alinnoo, il i racconti, ed havri, 
bliue ripigliò, di sonni un tempo. 
Cbe M udir vuoi più avanti io non rìcnso 
Li sorte di color molto più dura 
R*ppi«senlarti, cbe scampar dai risrhi 
b' una terribil guerra, e nel ritorno. 
Colpa d'una rea donni, ohimè 1 perirò. 
foirJié le (ÌEaiiBiiuli Ombre fawoae 
Oamm t4 



910 ODUnA 

La cut* PrMcrpfn» «bb» diipg w i f» > - 
Metto, e cinto aa qnei che fato ofuale 
Trovar d^Gguto negP ÌD6di all^riiii. 
Si levò d^jLgameoDone il AnlMaa. 
Assaggiò app«na detPotearo saii|ne| 
Che ravvisomnil ; e dali^ triiti aglia • 
Vertaya in copia lagriae,- e le mani 
Mi iteodea «li toocanni iavaa- breinoae i 
Che quel yigor , qaella poisaiiia|ich^eni 
Nelle tue membra abbta<enti ed alle | 
Derelitto r aTea. Lagrime anob^ io- 
Sparti a Tederio, e intenenii nelPalaa^- 
E tai yoci| nomandolo, gU ▼olai i - - 
O inclito. d^ Atr^o figliO| ode^ prodi 
Re, Agamennone, «rual destin ti ▼iaie| 
E i tanghi t^arredll tonni di morte ? 
Nettuno in mar ti domò forte, i fieri 
Spirti eccitando de' crudeli venti? 
O t"* offesero in terra uomini oatilì', - 
Che armenti depredavi e pingui -gregge | 
O delle patrie mura, e delle catte ' - 
Donne- a difesa, roteavi il brabdo? 

Laerztaile preclaro, accorto Uliiiei > 
Katto riapote delPAtride F Ombrai -• ■ 
Me non domò Nettuno alPonde èopie^ 
Né m** offetero in terra nomini •ostili. ' 
Egitto, ordita con la mia pervema < 
Donna luia frode, a tè 4nTÌtomnri, e: a 
Come alle greppie incontapevòl 'bae| 
L^ empio mi trucidò. Coti morii -' 
Di morte infelicitsimai e noti kiége - 
Gli amici -mi- cadeau, quai perillntlri 
Nosze, o banchetto aontootOy-o^UntA 
A ditpendio comun menta imbànidita , 
Cadono i verri dalle jMa;&ehe aaanew : ' 
Benché molti, a^ tool giorni o in- folle 
Vedetti <alint^ o in «ingoiar. eertamé^ 



«mo XI 911 

UIÉ pietà iooool?*Trebbe, . ■ f. ■ ...^ 
randb, ebt stati «IP ospitali n* :!...•! 
intorno erftTtftii mentre totétà > : • '>' » 
:«OffMM(gne'iI.|Mivinietito tatto.. . • ..? .M 
pnte io MiitCi TèCB pietóse. w .!.'. 

igiMtiì Prienoi^ di Ceuendiity . ■ / («i/i 
iftèiiDestra .B,^ occidee de. preiee, i f>M' ) 
glie -ÌDiqae ) ed io gieeendo hiteci^ -t 
iorii>onds imin oeroA?e il breedeti y*< 
ifroBteta sì rivolto sltroiire:, < \^••^.^ * > 
occhi e mc^ che già seend'ee tv^rOtaileNS 
Me nèr eompoc degne le lahbniéi i ■ o' t 
à rea P^^ pià'Orodel.nondMttiM in 
Dnm cne sj «troei 4»prtf coemelti^T f;'( 
qaeeta tatedel^ ebe.il dajintt eatGCOMii'l 
», cui s'^em vergioe éongiuBtej - ini 
l dove io credeacbe'riidBoaildoy l- 
oli e servi iD^ecoorriancon iieste^ . .i/. 
I c]ie:tnlta;del: peccar ss 1^ srte^ < 
oprldSnfsniia, e quante al mondo: 
uno « le ■ più oneste erico ne asperse, 
quanta, io ri pigliai,, serra gli Atridi ' 
ornine attiraro ira ,di Giove V 

molti de^ Greci £Iena strage I 
>, cogliendo detl^estenva' il. iempo^ '^ 
ta rete Glitftrtnnstra .tese. ; 
odi troppa tu steiso^ .ei rispondra , 
i tua donna fto» usar dolcezza , 
tutto a lei svelar,! ma parte. narra . 
oi secreti a lei^, parte ne taòi. 
é a te dalla tua venir disastro 
!ebba ).che Penelope, la saggia 
d^ Icario, altri consigli ha in core* 
I ancor giovinetta, e con uo' bimbo |- • 
alla mamma le pendea «ontenlO| 

lasciavi navigando a Tro^a : 
gi il 'tao Teleu^ai^ £sljce ^ 



Cià •'ualile Don tra gli noinliri, e il «lil 
faAre Ini vedrà un KÌamo, ed egli at p 
Giutti bacì porrà sOTi'i la fronte. 
Ha la conaorte mia uè questo alineiio 
' Hi ronirnlì ch^io satoDauì gli occU 
Hel vdIIq del mio figlio, e pria mi apra» 
Credi al fino a'taiei detlt, eiò nel (bado 
Barba del p^Lto : le native spisf gè 
SRcretamenle afferra, « a tatti ignoto, 

&andD lìdar piiì non ai puote in donai. 
tìh mi eoDta, e afihiettatnenle i udiri 
Dove (junlD niio figlio i giorni tra^F 
lu Oreoneno forae ì O forse tienlD 
Pilo M4» Ma , » U eaNce. Sputa 
Pmmw Ha Hnwlaar Certo Bo* *MM - 
FiDor MUem fi mfo sentita Onri». ' 

Ed io < PcMOit 41 qiò doaaudi^ tMI», 
Ut, «oinè eontc» i por «e Onatt (pte'' 
Le dolci «urB 41 irànv o^-wHiahM t 
Lodo BOB DiMt it nnUan «1 vénl^ ■■■ 
'Coti Mi4ind»*hanui»eBt4 • Il vallB 
DI lagnm* figaodo, « tiMl di Olli^ 



ti) od I 

Sonerlo'n>ìrt«4etMùi4« AeUUf- ' 
Di RatMcU, d'AotOoNO d>^Mit 
Che gli Aehel tBttl, a* Il Pidlde tOfH, 
Di corpo tnperaVa a di aesbij^i^i' < 
Hi riconobbe 4ri Mtac*- ri oatN' /: 
Etcide I*i«iag0| », Imentaa^^ ■■!' " 
O, diue, di 'Laerte laflila pmla,^ ■ . i • 

Suil nuava in mente, aaiagant», ad|i 
acchina' eiae ad ogsi alln il fri g ihio 
Come ouali ealar .ne'ibaBU'N|id): ''/ < 
DegHertinll maglon, cboaltfs Ben mm' 

Ole ««(«e Ama'* almi ~" 

Di P«leo,i«, ■ 
Taaio kpatoti 



uno SI ai3 

Tirarfi lo leeti a interrogar, dio P arie . 
Di pccndor m* integnawe Itaca alpeatre, 
S eM pre inrollo ne^ f ual» l^aeaiea terra 
iXom Wdi ancor, oè il patrio lido attinsi. 
Ila A le, fifrte Aell^lc, uom più beato 
Han Ai né giannai fta. Vivo d' do Numo 
T* odoravamo al pari, ed or tu regni 
Som I defanti^ Pooi triitarti morto? 

Iloo conaoUrmi della mortela Ulinte 
Xe|riionva il Pelido. lo priatonrei; • 
Servir bifDlco per mercede a coi ■ 
Seano e il cibo difendesse* i giorni, 
Che dèi Mondo defunto aver V impero. 
So Tia dò lasda, e del mio figlio iUastro 
Parlami In vece. Nelle ardenti pugne 
Corre tra i primi avanti? E di Peléo, 
Del mio gran genitor, nulla sapesti ? 
Siegnon fedeli a riverirlo i molti 
~ Minnidoni, o nelP Ellada ed in Ftia 
Spregiato vive per la troppa etade, 
Cne le membra gli agghiaccia? AhiUshe guardarlo 
Sotto i raggi del Sol più non mi lice: 
Che passò il tempo che la troica sabbia 
D^ esanimi io covWa corpi famosi, 
Proteggendo gli Achei. S^, io con la forza^ 
Che a qne* giorni era in me, toccar potessi 
Per un istante la patema soglia, 
A chiunque oltraggiarlo e degli onori 
Fraudarlo ardisse, questa invitta mano 
Metterebbe nel core alto spavento. 

Ilulla, io risposi, di Peléo, ma tutto 
Del figliuol posso, e fedelmente, dirti, 
Di Neottolemo tuo, che alP oste achiva 
lo stesso sopra cava e d^ uguai fianchi 
Munita nave ri menai da Sciro. 
Sempre che ad ilio tenevam consulte^ 
Prrmj egli a favellar s^ aUiva in piedi, 

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tompirfiino ; e cinicun luol ^nsi nnrrJVìi. 

Sul dello «proto Telamanio Ajacf^ 

Sbri in diipsrte il diidegnoio apirln, ' 

fmhi tìrIo Ha me nelli conte» 

Mi'irnii del Pelide appo le navi. 

Teli, U madre f enerauda, in mrzio 

Itfnr, e giudicaro i Teacri e Palla. 

Oh iMli mai non !*«>■' io tal palma, 

Gl'alma terra nel auo vasto grembo l 

^kr dorea sì glorì'oBa teda, 
^ice, a cui d' D»pcltu e d^opre illuatri, 
iìho P il re premi bile Pelidc, ' 

l'oli fu Ira i Greci rrhi a|;guag1Iariì oiaite I 

» con blande parole, Ajace, dissi, 
'iglìo del sommo Telamun, gli idpi-ni V: 

'<r quelle maladetle arme cdurfUÌ 
dunque né morto apoglieTai ? Fatali i < 

'ftia ttttr f-li Dei quHl'' arme ai Greci, ' 
■te in te perderò aria >i ferniB torre, 
lai per te nulla meo, che prr Aclillle, 
■olenti andiaiii( né alcnn iiV in colpaj il crcdh 
la Gioire, che ioGnilo ai belticpii ' 

laoai odio porta, la tua morte volle, 
lu via, l'' accosta, o He, porgi corleie 
''orecchio alle mie voci, e la eocerciiii 
fina 4«l nòereta animo doms. 

Unii* C(1i • Òb E wa, ritraendo II picd't 
fn Paltr* degli eatioti Ombre li miao. 
^, Myteadnto lo ifuiti, una riapoaU 
ttrm Ì3*^ in m* avn* | ac non che Togli* 
UIkk a timinr n' ardea nei petto. 

Mìmma io vidi, del Baturalb il chì«r« 
RfliBol, dieaaaiio in trono,* uà aDreoieftlra 
Nlb|iniht in nD'iteon ra|ianr alI'Onbr*, 
Sbt IhUb, qiul leduta e quale in piedi) 
•Mia di tè randeanfli entro l'oMiim 
V fìaio ww dilli'' uribc foru,- ■ 



9)6 oimin 

Vidi II granile OtVon, ehe delle 6er% 
Che acche un di tetra i boeaoi moDlì, 
Or gli «prtlrì argiiln de' prati inferni 
Per l'isfitdFlo io camn ; e maneggiala 
Ferpetoi mazza d'' lofraiigibil ramei 

Eeoo poi Tizio, della Terra figlio, 
Che iforzar non temè V alma di Giove 
SpoM, Lalona, clic valgeati a Pilo 
Perle rldenli plnopée campagne. 
f<ul trrren distendcTisi e ingooibi'aTa 

£ due avolloj, Tuo [jninri, e Taltro qDind 
Ch'' ei con mano icacciar tentava indarno, 
ItodeiLgli il cor, sempre lìccaDdo addeulR 
Nelle fibre rinate il corro roatroL 
8taf a U preaao e 



vSitibondo woalnTuì, e una atillm , -[i 

flan ne potea gutlan efaè (}aa>te Toto: >* 
CbitiiTa li trgVia le. branow labbra, . ■•<• 
Tante l' onda fuggii dal fondo uaort*, ' "i 
81 cbe tpparÌBgli ai pie siilo ODa bnuM . ,t 
!)■ un Genio aiverto inaridita terra. - * 
Piante luperbr, il Dclagrniia, ^ perO) 
E di luride poma il melo adamo, 
£ il dolce fico, e la canata ali*«, 
Gli pìegavan aul capo ì carchi rami) 
E in quel eh' egli itendca dritto 1* 4Mtf%-'' 
Vèr le nubi lanciava i raini il vanlai - - ■ 
Sififo altrore amiiurato uaao •• i '■' 

TrarDDaeraltrt»««poEU«t«dl|Bar(. 
PanfMlo iaeaairabitb Cwlai. ' . < r.'ì^ 
L»:gm pietra alla cima alta J* MI maUtff 
Urtando eon le man, coi pie penUnlaii A 
SpinRMj'Dia giuntolo ufaigMoa BOfrOi»' 
Cnc rìtoipiuti ila bs potn anprcMO 



SI Sl^ 

fcrtio h ¥i< mMa pel chioo 

Sìmi alU wle la pcMote maita. 

Ei MPffWMBte di tatù soft fona 

%m la «acBJiy^ dalle nembim a fronde 

Il wideffe ce|a?afli« e pcranne 

Dtl ei|»o gli talU di polve un nembo. 
ITSniole ni t^oifene al 6n la poMa, 
Ani 11 fiintaMBai però di^ei ie^Nuiiii 
GìMoodati alla^jnensa, e ean ipota 
€i liede aeeanlo la dal pie leggiadro 
BIM| di CAofe figlia e di Ginnonei 
Che nota il patte cotamata d'ora 
MoanaiaaTaB gli tpirti a lui d^ intorno .^ 
Gnw volanti aogei da tahitana 

^Tcna oonpretif ed ei fotco^ qaal notte^ 
Ot^ Pareo in mano, e con lo strai tal nenro^ 
U io atto ad ognor di chi taetta , 
QrnodanMiBte qna e U guatava. 
Ht il petto attravenagU uoh larga ^ 

ITòr Cintura terribile | tu cui 
Stofbte vedeausi opre ammiraude, 
Onàj ciogbjai feroci e leon torvi 
X pegno e ttragi e sanguinose morti : 

I GaUira , a cui Ineguale o prima o dopo 

; HtB labbricò| qual die si fosse, il mastro. 
Mi «guardò , riconobbemi , e con voce 
lagubre, O, disse di Laerte Bglio y 
Uuse accorto , ed infelice a un^ ora , 
Cerio un crudo t^ opprime avverso fato | , 
QmI sotto i rai del Soie anch^ io sostenni. 
. riflbuol quantunque deir Egioco Giove, 
^ f soggetto vivendo ad uom che tanto 
Vilea manco di me ^ molto io soffersi. 
■iUche gravi ei nP addossava , e un tratto 
Vdinnii a quinci trarre il Can trifaucCi 

I ^Upruva di tutte a me più dura 
1 sciubrdivj|jli j ed io vcuoiy e quiuci il Cane 



Taeijae e ad piA yraCMMlo EMm 



Di Io«d lo aotf motmbI, aitai «ipellasdì 
De^ 'prodi , c]ie«pariro, è oani gna taapa 
E OBO** 4ao fona mi tacieè ou aq Miii 
Ch^io.piA Todbr brMDo?a-| «woi-piWtrif 
Tetèo • Piritoo, gflértoM )>role 
Degl^imaiorttli Dd. Ma aa IniBlto 
Popol di tfiird^oov IhifUràBo à oi iaa» 
Si ragOBavai e lo qaella ai^iau p t ù ff lao 
Timor m^aaiatae tooo Porriliil loatal r 
DéU« tNÉModK Gorgòae la Diva ' ^ 
Proterpina iaiflMio a aio doll^Oreai; 
Ditnofoè senza dimora al àavo logoo 
Mossi , e ai compagni comandai salirlo 
E liberar le funi ; ed i compagni 
Batto il salìano e s'^assìdean sa i baocbL 
Aria r aleggiar de^ remi il cavo legno 
Mandava innanzi d'^Ocejn su Pondet 
Poscia cjuel, che IctobsÌi ottimo yentOt 



LIBRO DUODECIMO 



b«ir>«}la di Ciice, esequie d'EIpe- 
Lrtcnza d'Ulisie. Queiti, ammaestrtlD 
JnDce il pericolo delle Sirene, schiTB 
|«rTanti e paua tra Scilla e Cariddr, 
I icDia perdita di due de' eompi^nt, 
IPiiola Trinacria, cioè alla SiciJia, 
mpagni uccidono i buoi del Sole, « 
Ielle lor carni. Giove fulmina la na- 
ti periscono, eccetto Ulisie, che an 
li drlla aave si pone. In tate stata 
a Scilla e Ciriddi, lalvandoti da que- 
1 con uoWte maravigli osa ) e dopo 
arni giunge air ia ola di Calipso. E 



lè la n»Te mCl dalle oOlmU 
finme Oceano, ed all'E^ 

nio Dell' immi-.e IO mare, ' 

li alberghi dell'Aaron e i baUl 

del Sole I lucidi Levanti , 
uave, che fn in '.ecco tratte, 

corcati >a la mota «piaggiai 

■no dell'allM il ucro Imne, 
del ■natiin la bella B|tM 

. del con le route diu, 



DI Circe andaro «llk magloiM alftutai , 
Che delP esento Elpenore la frtdda 
Spoglia ne npoiiaeiero. TroncamiiM' 
Frastini e abeti , e alP infelice amico. 
Dolenti ir core e lagrìmosi il cigli», 
L^eaeaaie femmo ove tporg^sa pia il lido. 
Uè pnma il corpo e le armi ebbe arte il h 
Che noi | eompotto un tumulo , ed eretta 
Soprani una colonna, il ben formato 
Remo inBggcmmo della tomba in cima. 

If entr^ era?amo al tristo nfBdo intenti | 
OrcCi che à* Aide d tapea tornati ^ 
S^ adomò, e venne in fretta, e con |a Dei 
Venner d^un passo le terrenti IVinle, 
Fona di carni e pan seco Recando « 
)S ros9o Tino che le venne infiamma. 
L^ inclita tra le Dee itaTa nel meno 
£ cosi fa?ella?a : O sventurati , 
Che in carne viva nel soggiorno entnate 
D^ Aide , e di cui la sorte è due fiate 
Morir, quando d'^ogni altro uomo é una K 
Su via , tra i cibi scorra ed i licori 
Tutto a voi questo di su le mie rive. 
Come nel ciel rosseggerà V Aurora , 
Ifavighereie $ ma il cammino , e quanto 
Di aaper v^ è mestieri , udrete in prima | 
Si che nou abbia per un mal consiglio 
Grave in terra od in mare a incorvi dani 

Chi persuaso non sariasi? Quindi 
Tra lanci piene e coronate taxie,^ 
Finché il Sol si mostrò , sedemmo a mei 
11 Sol celato , ed imbrunito il mondOf 
Si Golcaro i compagni appo la nave. 
M.I Circe me prese per mano e trasse 
Da parte e a seder pose { indi , seduta 
Di contra , interrogommi , ed io tu tutto 
' La satisfeci pienamente! Allora 



»*ciogliea rUluBtfe DfnI ' 

ieatì o^ni ooia. Or quello Murila j . : 
■wanifeataTti , e cbe al Mm | M . 
inno nrlla mente i NuinL ': ''. 

M giuDgerii da prìmai •■ f 

Ófiaa chiunque i lidi loi* '> ' .' 

■ prora *eleggiai>da tocM> ' ''-^ 
I i lidi incautemeote aflem ■• ''! 
BM , e d' ode il canto , a U / '^ . 
MB fedet , né i cari Bgli '• 

t ioconlro ta te loglie io ÌMl>>, ' 
t, KdcDdo in un bel prila > '' 

no canto dallo argute U fc fci»'» ' ^-^ 
hi il piiifgger : roa non IHIMV '"'.' 
'ama dì putrefatti corpi, f - '■ l, 

K maraile , un monte i' ata>> - ' ' 
» lil w pa w I ■ 'tam iwMlli- ••-■■ -'' 

tI pMH ^ ea rtii w b *««& ' '- -J 
, M tvA I mI Aa diritto 

na*« air albvra t oomp^al - ^ 

, • t piedi itriD^ntl e la «nt| 
; diklto di lentir la-voee 
«BB tu non psrd*. B dova 
, o comandaul a'' iDoi. di tdoM | 
e raddoppino ed i laeeL 
raamno tu laral , due tia 
irapao innanzi ^ ed io non dloo' 

fioTi pigliar , ma, ma oobm d\wbe 
3 l' avrò , la 



Mule pendenti , « cui rinbonba ' 

nrra AnfitriU H aalitf Aotlo. 

: beati nella lor hTella 

la Erranti. Rdd A» o|BÌ altro wg a B o > 

rie Boa iBBtia impnaaMenta 

loBiba por efas al paiiè Oion - ' 



■! 



j i' 







Kecan V ambroiia t li poliU pielr 
Sempre alcuna, ne farà* 6 della i 
Surroga in ▼ece altra colonba il | 
Nave non itcaibpò dal periglioto 
Varco sin aui } che de? navigli tut 
Le tavole <iel pari e i naviganti 
Sen porta il vincitor fluito » e la ] 
Di mortifero foco atra procella. 
Sola^quelP Argo che solcava il n 
Degli uomini pensiero e degli Di 
Trapassar valse, navigando a Gol 
E se non ohe Giuoon , cui molte 
Giasone atava « di sua man la spi 
Quella non meno avrfan centra I 
Bupi cacciata i tempestosi flutti. 
. Dairaltra parte hawi due scogl 
Va sino agli astri , e fotca nube j 
Ne su V acuto vertice , V estate 
Gorra , o V autunno, un puro cii 
Montarvi non potrebbe allr^y o i 
Venti maui movesse e venti pie4 
Si liscio è il sasso e la costa aup< 
Nel mezzo volta alP Occidente e 
S^ apre oscura ca\erna , a oui da 
Dovrai ratto passar \ giovane arci 
Ghe dalla nave disfrenasse il dare 
Non toccherebbe 1 '.incavato speci 
Scilla ivi alberga , che moleste g 
DI mandar non ristli. La coatei v 
Altro non par che un gnajolar p 
Di lattante .oagnuol : ma Scilla è 
Mostra jf e sino ad un Dio , che a 
Non mirerebbe in lei senza ribrc 
Dodici ha piedi : « anterfori lutti , 
Sin luBghiatimi. colli , e au ciascui 
Spaventosa. una tetta , « nelle ho 
Di ipeui 4eoti un triplicato giro 






ftino xii fsi 

I la morte, |rià imarìi in ogni dente. 

00 ]a metà di lè nelP Jnoavato 

paco pffoibndo elkr a^attaffia^ e faoii 
poife le teate , rigiuirdanda Ihtomo ^ . 
sddfimpeacftr, Iqpi o akton paote 
i que** nòatfii lAantor che a mille a miUe 
UaJe Anfitiite flo* ano! gorghi e nutMu 
tmai B^eiihiert'oltrepabalu'o ìlled |: 
ijehè quante apfè ditoocate bo<»he^ 
nti dal :ea?o legno nomini inrola; 
m l^altro *'*alaa coptrappoito aooglte', 
3 dardo tuo pe tolpiHa la eima. 
«ttde verdeggia in qUcato^ e d' ampie foglie 
trailo ficp^e AlKa sue falde aaaorbo' - 

1 temuta Catiddi il negro mare*i 

I fiale il riatta yiO tre nel giorno . ■ 
aaaoihe orribilmente. Or ta a 'Gariddi { '> 
m Oaccoatary mentre il mar negro, inghicìtét 
li mal aépria dalla mièa estrema 
ittano atesso dili^rarti. À Scilla - • < ■ i 

icflti Ticino 9 e rapido trascorri, 
irder oet de** compagni entro la na^ie 
ama pia aasai 'cme perir tutti a un tempo. 
Tal ragionava ^ ed lo: -Quando ra^ avregnà 
shirarC} o Circe , la fatai Gariddi , 
spinger , dimdii il ver, Scilla non deggio / 
kegli amioi adistrugi^rnoi'S^ avventa ? ; 
svenrtnrato , rispoudea la Di<fa\, 
'oaqaeie pirgne \n 'mente 'ed i travagli - 
irolgi aneorv ne ceder pensi ai Numi? - 
OH mortai credi tu Scilla? Eterno^ 
Mila . e doro e faticoso e immettali' ■ 
Uè -ed inespngnahile , da eui >.-'.•■. 
chermo non havti, e «ui fu^ir fia il ttieRllò. 
e indugi ^ e 'vesti appè la i^coglio T aron =| ' 
(locherà , temo , ad ■ u n i secondo assaltò , | 
tanti de^ eompagni» nn^ altra rokà > 



»4 

Ti npMi.qriiiite tMÌtiM» bondiff. i 

Vob dunque sul palago, e U auih 
Cnìéìf che al mondo fenerò tal poto , ^ 
B ritenerla f che a novella preda 
Non ti danei , potrà , nel eomo inveok 

Allora ineontro ti verran In bdln 
Spiagge della Trinacria iaola , dofie 
PMce il gregge del Sol • paaée ì* a r»ent o» 
Sette branchi di buoi ^ dP agnelle tanti , 
B di tette cinquanta i branisfai tnttL 
Non eretoe o scema , per natale o aoilff 
Branco $ e le Dive tono i lor naitorl , 
Faetoia e Lanpezie il crin rteeinte | 
Che partorì d^ Ipertone al. figlio , 
Ninfe leggiadre , la immortu Neera. 
Come r augusta madre ambo le fRnh 
Dopo 11 felice parto ebbe nodrìte, 
A. soggiornar lungi da sé mandolle 
Nella Trinacria \ e le paterne vaoche 
Dalla fronte lunata ed i patemi 
Monton lucenti a custodir lor diedeu 
Pascoleranno intatti ^ e a voi soltanto 
Calerà del ritomo? il suol nativo | 
Non però senia gtiai , fiavi coneemo. 
Ma se ^ovenca molestate od agna. 
Sterminio a te predico , e al l^[no> ì^ImL 
E pognam che tu salvo ancor ne andwri 4 
Riederai tardi e a gran fatica e «olii 
Disse; e sul trono d^òr V Aurora a pnaifi. 

Circe , non molto poi | da me rìvosse 
Per P isola i suoi |>assi } ed lo , trovatA 
La nave , a entrarvi » e a disnodar la ftMt 
Confortava i compagni { ed i compagni 
V^ entrmro , s^ assidean su i bmiflhi , e 1 
Fean eo^ remi nel mar spume à* irfarto 
La Dea possente ci spedijnn amine 
Vento di vela nonfiatorf dm fido 



LIBKO zìi 325 

OSO eannio ne accompagnaTa : 
lepfl*U nella negra nave 
MW -cernita i lunghi cerni , 
I, di apiBgerei e gnidarei 
I él tìinoi>ier la-cura) e al Tento. 
irbato del oore, Amioi, io dÌMé, 
i par che a totti voi «a conto 
picdìaae m me T indita Circe, 
■dau^nei aiceioechè, tristo oiietOy 
n'preoda ignari il nostro fato. 
io pria delle Sirene il verde 
la Toce dilettosa ioginn^. 
i^io Teda io sol) ma toi' diritto 
na?e alP albero legate 
a ai, ch'aio dar non possa un crollo { 
di alegarmi io tì pregassi 
le ciglia, o- comandassi yToi 
e doppiatrmi, ed i lacci, 
e -dò loro io discoprla, la nave, 
I da poppa ìV Tcntp, in picciol tempo 
rene alP isola pervenne. 
Dto cadde y ed agguagliòsti il mare , 
assonnò un demoneii 1 compagni 
pronti, e ripiegar le vele, 
nave collocarle : quindi 
lu i l)anchi, ed imbianca^an Tonde 
remi di polito abete. 
Itile cera, onde una tonda 
ran massa,^ sminuzzai con destro 
ìlato; ed i frammenti n'^iva 
do e premendo in fra le dita. 
Idarsi tardò la molle pasta ) 
B lucidissimi dalP alto, 
t i rai dMperìone il figlio. 
)agni incerai senza dimora 
:hie fli mia mano ;• e quei diritto 
nave alP albero log.iro 



^^^^^^^^B 


_ Con r.i 


np, i fi 


. .,r"nB"od.m 


i, e le nani 


■ Poi .n 


i bilichi 






■ ttUnt. 


IO il mii 


-, the ne torPiT» biinra 


■ Gii.,v. 


igando il 


i forza, rrtvi 


m, quinto 


■ Conci 


i.n firido 


. dell'uomo, t 


lite Sir»e 


■ Ti«ml. 


Udito il 


flciEcllar de' 




■ Kron 


lanlot.. 






^ Un dolce «ntn 




, iciorre: 


^ D molto illuatre UlistP, o di 


>gU Achei 


Sommi 


. «Iorio i 




vii, qua vi. 


-Ferm» 


U„^ye, 


e il nostro < 


rantolicolti 


N^BSun 




li qoa B.. negra legno. 


_ ChP n. 


m odi». 


E pria q-jestii. 


che noi 



Dalle labbra n 
Tote, che innonda, di dil<!tto il eore, 
E di molto savPT U mente abbellì. 
Che non pur rio, ehe loppnrtaro a Tra 
Per releate voler Teucri ed Argivi , 
Hoì conoaciam, ma non avvila au tutta 
La delle vite ccrbatriceleira 
Ni)1la, che ignoto o acuro a noi rimangi 

Coli- cantaro. Ed io, porger volendo 
Più da vicino il dilettato orecchio. 
Cenno ai compagni fea. che ogni legan 
Fonemi rotto; e quei più ancor mi rem 
Incurvavano it dono, e Perìmede 
Soritea ratto, ed Kuriloco , e di nuovi 
Nodi cmgeanmi, e mi premean più ani 
Come traicorta fu (anlo la nave. 
Che non potea la periglio»» voce 
Delle Sirene agEiiingcrei, coloro 
A «è la cera dall'orecchie toato, 
E dalle membra a me tollero i laccL 

Giii rimanea l' iaola indietro ; ed ee 
Draao apparirmi un fumo e vatli floU 
E gli orecchi intronarmi atto fragore. 
Ne abigottito i miei'Fo ^pagni, e i Inng 



tiiao xn M7 

neiÉi di man lor caddero, e la naye, 
Che ée* fidi suoi remi era tarpa la. 
Là ìamantiiiente t^arreslò» Iffa io 
Di w di giù per la ceraia movendo, 
K 0OB blanda favella or «piesto, or quello 
De^eomiMigni abbordando^ O, dissi, meco 
Sin qua passati per cotanti affanni, 
X« ci iOTrasta nn maj^gior mal, che quando 
Infittito Tifor di Polifemo 
MT antro ci cbiudea. Par quioci ancora 
Gal valor mio vi trassi, e col mio senno, 
S vi fla dolce 11 rimembrarlo un giorno. 
Tisi donqoe, via, ciò ch^io comando, tutti 
Facdam s voi, standp sovra I banchi, Tonde 
Pncotete co* remi, e Giove, io spero, 
Ganccderii dalle correnti scampo. 
Ma to, che 'il timon reggi, abbiti in mente 
QlKSto , nò Poblfar: guida il naviglio 
Fttor del fumo e del fiotto , ed air opposta 
lape ognor mira, e ad essa tienti, o noi 
Gftterai neir orribile vorago^ 

Tatti alla voce mia ratto ubbidirò. 
Se non ch^io Scilla, immeJicabil pisga, 
Tacqui, non forse, abbandonati i banchi, 
I^on sovra l'altro per soverchi.! tema 
Bella nave cacciasse rsi nel fondo. 
K qni, di Circe, che vietommi Tarme, 
Hegletto il disamabile coroanHo, 
Is delParme vestiami, e con due lunghe 
Rell' impavida mano aste lucenti 
Salfa sul palco della nave in prua, 
Attendendo colà, che T efferata 
Abitatrice delP infame scoglio 
Indi, gli amici a m'*invo1ar. sbalzasse: 
Uè, perché del ficcarli in tutto il bruno 
M-icigno stanchi io mi sentissi gli occhi, 
Dd parte alcuna rimir.iria io valsi. 



I 



_ _ „ lato, ' 

iir altro fra t' orribile Cariddi , 
Che del mare inghiollla Tonde spcmoic. 
Sempre cbe rtgetlaisle, liccome 
Caldtiji in mollo rilucente foco, 
MoimoraTa bollendo ; e i larghi gprsiti . 
Che indaTan sino si cielo, in vetta d'imbc 
Gli scogli ricadevano- Ma quando 

Commoveasi di dentro, ed alla m|ic 
Ter rihilm ente rimbombava intorno, 
E, l'opda il seno aprendo, un'anurrign» 
Sabbia parea nell'imo fondo: verdi 
Le guance di paura a tutti io acArsi. 
Mentre in Cariddi teneram le cigli*. 

Sei de* compagoi, i pia di man gagliardi , 
Scilla rapinimi dal naviglio. Io gli occhi 
Toni, e li vidi che levati in allo 
Braccia e piedi agitavano, ed Ulisse 
Ct^iamavan, laaii '. per l'estrema volta. 
Qual pescatur che tu pendrnle rupe 
TulTa di bue silvestre in mare il coma 
Con lunghiiaima canoa, uu' infedele 
Esca ai minuti abitatori orrendo, 
E fuor li trae dell' onda, e palpiUnti 
Scagliali sul terren : non altrimenti 
Scilla i compagni dal naviglio aliaTa, 
E innanzi divoravali allo speco, 
Che doleoti meltean grida, e lo mani 
Hel gran diiaitro mi «teodeano ibdanm 
Fra i molti acerbi casi, ond' io latteont^ . 
Solcando il mar, la visli, oggetto mai 
Di c<ilanta pielìi non mi l'oftenc "^ 
Scilla e C:iriddi oltrepassate, in faceta' 
La feconda ci appone iiola amena, 



li gFegge del Sol paser, e l'annerito i 

giuDgeon dall'ampie' lUlle a uoi, 
lati su l'aure ed i mugBia 
ivriit itlor mi si ivegliaro in ments 
TcbatiTate e della o^SKa Circe, 
D l'isola brliivar del Sol doVeiii, 
li rallegra ogni Tivffnle il raggio, 
io, ConTpagei, lar dicea, per quanto 

angoiLÌali, la tealemi udite 
Tehan Tate e della injga Circe, 
Q l'isola icliirar debba del Sole, 
li rallegra ogni vivente il raggili. 

affermala che il maggior de' guai 
i c^i e coglierla- Laiciarla indietro 
nvien dunque con. la negra nave. 
Ipo tal delti fu qiiatì mortale. 

molettarmi Eutiloco io tal giiiti 
ava: Uliise, un barbaro io li cLìarno. 
lè di forze abbondi, e mai non cedi. 
bea è io te cbe non sìa ferri), u' tuoi 
podi il toccar terra, e di non parca 

sul lido ristorarli. Etigi 

\o a caio errtam, bencbé la notte 

1 produca dlaaitroii Tenti. 

li fuggir.potrà r ultimo danni), 

repente uà prgceiloso Gatp 
ezii'di ci a.»^a, o di I-oocnle, 
de' Numi anco ad onta, il legno iperdaf 
wdiiea oggi alla divioa notte, 
cena oelP ìsola t'appretti. 

il dì (punti, aalirem di nuOTO 
Te, e Dell' immenia onda entreremo- 
Mtl favella con apptauio accolta 
i compagni ad una; e io ben m'avvidi 
tali un Genio prepotente ordfa. 
>CO, Ì0rÌ)pMÌ, oggimai troppa, 



I 



Juili «nh. .J un lol, r..ra4 mi hit. 
Gi>trale ■Imi'rx) , e col pii'i uldo gìuiii , 
Che, tt grrgS' l'UTÌ.tni, iroriRioo sroPiil 
iioìi fia uhi, ipinlo da tlolteUB iniqua,^ 
Ciuvenri iiccirla, o pecorella ofrendxi 
Hi ttnijuilii di ciò pBiIeggprcle, 
Cbe itt don TI porte li benigna Circe. 
Quelli giniaro, e non « tutto a 6dc 
L''ÌnTlo1ahil giuro ebber CQiidutta, 
Clic U nave nel porlo appo va> ronla 
Ferntsro, e ne «monUra, e lauta cena 
SoUitr mente appitccchiàr mi lido. 
Paga iJplle vÌTaude e de^ licori 
La naturale afidilà pungente, 
KiwTfenianBi di color che Sciita 
Dalla niièra nsTe alto rapiti 
Toroiti, e lì piangean, Bncbè di]ee*e 
Su gli occhi lagrimou) il dolce ioddo. 

Già coni avea del auo camniin due l< 
h* notte, e dechiuavano le iteltr, 
Quando il cinto di uembi Olimpio Gioì 
Deiló un gagliardo, turbinoio vento. 
Che la terra cOTCrae, e il mar di nubi, 
E la notte di cielo a piombo cadde. 
Ma come fioi roncriaiu Aurora 
Cfilorò il ciel con le roiate dita, . 
Tirammo a terra il legno, e in CITO ip« 
De' leggi ornalo delle Ninfe, eh' Iti 
1 lor balli te^^ean, l' introducemmo. 
Subito io tutti mi raccolsi intomo, 
E, Compagni, digi'ii', cibo e beranda 
Kri lanci ai^cor nella veloce nave. 
Se non vogliala perir, lungi, vedete. 
La man dal gregge e dall'* armento i •) 
Terribil Dio, che tulio vede ed ode. 
Falcono i montou pingui e t biasim te 
Diui j * aecbetlni i lentrMl pcUi. 



m Intero toem Anatro giammai 
ar Doa leiìsta, e poicia dato 
^es mai, cbe di Levante o d' Auitro. 

U Jan n<jii Talli loro, rd il tìdo, 
•nti, e della vita avari, 
%tau V arnteuta. Ef già la nave 
lODleDea più. Givano iduuquc, 
I bisogno li pupgra, dispersi 
■ola, d' augelli e pelei in traccia, 
chi ed ami, o di quale altra preda 
aisie alle man) però die forte 
i dentro F importuna fame. 

compagni iccvra, Dna re mot* 

del piede lolilaria piaggia, 
erni a tupplicar, le alcun la vìi 
loittasae del ritorno ; e in parte 
I, elle d' anra non it^ntiasi colpo, 
di limpid' onda, e' a Ioni aliai 
itatili del cielo ambo le palme, 
■ri andò ,'che d'' un Iranquilla eonno 
ili ed il pellD riempiermi i Numi. 
lieo ftatlanlD od mal consiglio 
nnanzi ai compagni ; da ai scertM 
re oppreui, la mìa loce udite, 
odrose cerio ad uom le morti i 
Ila tanto, rhe il perir di fame. 
ù ti tarda ? Merrìam via le belle 
icbe, e aagriSci ai fiumi olTiiaoio. 
: afferrar oi larà dato ì lidi 
, al Sole {perione un ricco 

rllutlr« aliererooj'appeodcrema 
ille mura prtiioii doui. 

el, per li buoi dalla luperba 
crucciato, iperder voglia il legno, 
un Dio gii contratti, io tolgo V alioa 

1 i flutti «alar, che, au. deirrtf 
4uidci^ iotiuchw più • tuuga. 



a3a oDiMB» 

Diite; s liiUl lesciiEiatKi. Ineortanntl) 
Del Sol cacciale le più (itile taccile 
Di fronti' larga, e eoa le corna in arco, 
Che dalla nave non pascean luntane, 
StavatiD ad eue inlorno , f, eAIIs primi) 
l'er dilfilo che avpao di candìil'' orzo, 
Tenete foglie di sublime quercia. 
Voti frano agli Dei. Compiuti j totì, 
Le vJllinic tgoizaro, e le ico).iro , 
E, le coice taglialone, ili xiWia 
Le coprirò doppiate, e i crudi brani 
Sopra vi collocaro. Acqua, che il roiM 
Vino iciiiaue, onde jjati'iD disagio , 
Vfiriavan poi tu i sogriGcì ardeoLi, 
E abbroitlan lutti grinteitioi. Quindi, 

Le interiora, tutto l' altro in prazi 
Fu meno, e inulto negli acuti ipiedi. 
E ■ me iiiL'l delle ciglia il dolce leDDO. 
Sor»!, e alla nt.ve in fretta io mi condiiu 
Ha vicina del lutto aDcor non m' era , 
Cb' io mi lenlii doli' «VTampate carni 
Nuovere incuntro un odoroso vento, 
£ gridai, lamentando, ai Numi eterni: 
O Giove padre, « voi. Dei aempre itanli, 
Certo in un crudo e fatai lonno toì 
Hi irppelliitp, le doveaii intanto 
Compier da colesloro un tal miafatto. 

Nunzia non tarda dell' ucoiio armento, 
Lampczie al Sole anài> di lungo peplo 
' Coperta. Il Sole, in gracde ira montato. 
Si volse ai Numi, e. Giove,; dius, e voi 
Tutti, immortali Dei, paghino il tu 
Del Laei'zude Ulisse i rei compagni. 
Che le giovenche trucidarmi oairo. 
Della cui villa, o ch^ io per la atclUt* 
Volli »liw,o ditcendeaai, nuovo 



tÌBBO sii aSS 

Diletta ciaieon di prendea il mio enre. 
Cojpac pena io lor bU d'una uiiura : 
cilerò nella msgioD di Fiuto , 
E il popal morto porterò mii luce. 

E il nimbirero Giure a luì rìkpsse : 
Tngl' Immartali, □ Sole, ei ì roorlali 
Vll^M tu I' almi t^rri, e in cielo , i nggì. 

W fulmine BfTocato il lor naviglio 
SfricellErò del negro mar nel aeno. 

Queste coee Cilip-to un giorno udia 
Dal rneiiaggier Mercurio, e a me narrolla 
i> ricciuta il bel crìa Ninfa Calipso. 

Giunto alla nave, io rampognava or questo 
D(' compagni, ed or quel : ma ViolalD 
V armento fu , né avea compenso il male. 
Strani prodigj intanto agi' infelici 
Uoitravano gì' Udii; le fresche pelli 
BlrÌ«iaT»Q sul terren, muRgian le inclite 

E de' buni lor sembrava udir la voce. 
Pur rlcl fior d«ir armento ancor .d giorni 
Si cibjro i colpevoli. Comparsa 
La scttim'allia, il lurbiooio vento 

L'albero prontamente, e dispiegate 
Le bianche vele, ci mettemmo in mare. 

Di vista già della Trinacria usciti, 
Altro non ci appacia ohe il cielo e l'onda, 
QDsndii il Saturnio sul veloce legno 
Soipfie in atto una cerulea nube-, 
liollo cui tulle intenebrar» Tacque. 
L) nave non correa clie un tempo breve ; 
Whc rjtlo uno stridulo Ponente , 
Iifurundui, imperveriindo, venne 
Ifconlra, e ruppe con tremenda buifi 

le due tuoi dell aliterò, oba a pap^ 



9ì4 QSIUU 

CaJdet ed antenne in uno, e vde a Mrtt 

RelU .enlba ..resero. Percome 
f alber, cadendo, al timoniere in capo, 
E r oB» IVacaii^gli j ed ei da popp^ 
Stilb nel mar, di palombaro in guiu, 
E eacciaia volò dal corpo I' alma. 
Ma Giove, che tonato avea più volle, 
ScaE'i^ ■' fulmine suo eoDtra la aaTe, 
Cbe li girò, dal fiilaiine colpita 
Del Saliimio, t ('empieo di zolfo lutti. 
TuUi fuor ne causarono i compagni, 
E ad caia intorno l' ondeggiali te tale, 
Qnai corrigli portava; e coti Giove 
11 ritoino togliea loro, e la vita. 
Jo pel naviglio su e giù movea, 
Finché gli sciolte la tempesta i fianchi 
Dalla careni, che rìmaie inerme. 
Poi la base dell' albero l' Irata 
Onda icLiantA: ma di taurino cuo}o 
Rivesllalo una (trrscìa, ed io con quesl* 
L' albero e la carena in un legai, 
E sopra mi v' aiiitt) e tale i venti 
Esiziali mi apingean su ]''onde. 
2e6ro a un trailo rallenti la rabbia ■ 
Senonché sopraggiunse un Austro in Tretti 
Cbe, nojandomi forte, in vèr Cariddi 
' fiicondur mi volea. L' intera notte 
Scorsi su i Aulti ; e col nove Ilo Sole 
Tra la grotta di Scilla, e la corrente 
Hi ritrovai della fatai vorago, 
Cbe in quel pnnto ingbioUia le salse spu 
Jo , llanciaDdomi in alto, ■ quel «elvaggio 
H' aggrappai Geo eccello, e mi v' atlenni 

Suil vipistrello ; che ni dove i piedi 
irmar, né come aiceniieTe, io aapea. 
Tanto eran lungi le radici, e tanto 
Semoti dalla nuuo i lun^^, i 



li, eh* d'omljrj ricoprìjn CarirtJL 
Jiiu<|ue io iD'ilIcnea, b ri iDiude tempre, 
' niellati dall' orrendo sLiiso 
ur gli aiaaii d<?lU nave. Al line 
HI un liìugo desia vennero a galla- 
la itagion che il giudicante, Bciglte 
le di calili gìoTaai conteie, 
[e dal faro, e per cennr s' avvia, 
'onde uiciro i iiupirati avanii. 
inccìa apersi »ìlora, e mi labciaì 

piombai- con gran tonfo all'onde in menoi 

lunge da q uè'' legni, r. cui m' sa sili 
opra, e delle man remi io mi feci. 
irgli nomioi il padre e de' Celesti 
iiEdermi non permiie a Scilla j 

taccata sa ria mi orrida morte. 

D^ve di mi traballava it fiotto, 

decima notte i Dei sul lido 
ettàr dell' Ogigia iiola , dove 
no alberga, la divìoa Ninfa, 
raccoglieami smica, e in molte gutlQ 
onfortava. Perchè ciò ti narro? 
>»e, Alcinoo illuitre, ieri le udivi, 
dia con teco la tua casta donna. 

ridir, «h'io diasi, a me non torna. 



LIBRO DECIMOTfiBZO 



AftOOMivTO 

% 

1 - • ' 

Nno^i regftli ad iJlisse. TqUo è collo 
nella naye, che ad Itaca dee condurlo, 
•^accommiata dal re, e s'^ìmbarca. i Feaci i 
pongono in 8U la spiaggia | mentre dorrai 
al lor ritomo Nettuno converte in pieti 
naTe loro. Destatosi, .Ulisse non riconoM 
patria per Cagion d^ina nebbia, che Pai 
gli levò intorno. Questa gli appare in fc 
di pastorello: gP insegna, qual modo d 
tenere per uccidere i 'Proci ; e gli sugge 
di nascondere in un antro vicino i doni 
i Feaci, in partendo, ayeaif lasciati sul 
Finalmente il trasforma in vecchio meni 
acciocché iaiuno in Itaca il riconosca. 



dtavansi tutti per P oscura sala 
Taciti, immoti, e nel diletto assorti. 
Cosi al fine il silenzio Alcinoo ruppe ; 
Poiché alla mia venisti alta , e di rame 
Solido e liscio edificata casa , 




yoi tutti } che yòtar nel mio palagio 



uh s39 

^ tf fiè'dfgrt aidtnie Tiaó ' - 
pp^f- fld «feolUre il ¥ftte , 

Poro d^arlìfieio miro,' 

don, die de^Feaot- i capi 
bretUer, Parca polita 

grembo aecolie. Ord^on treppiede 
an^ama il preseatiam per tetta, 
che tntta in questi dooi, 
e potremmo al gra^e peto 
soli I la città concorra, 
tacquero i detti, eal^proprio alberga* 
e piume a ritrovar \ al volte, 
lei mattin la bella Bglia 
iel con le rosate dita, ■ 
e affrettavansi , portando 

1 onora V uom , Oronzo foggiato. 
iC, ch'adirò per questo in naye, 
ite sotto i banchi il mise, 

itre daran de^ remi in acqua , 
issa alcun de^Feacest 

P offendesse urna o treppiedew 
ursi al real tetto , dove 
rii attendea, tardaro i prenci. 
P Alcinoo la sacrata possa 
il gioi'Do uccise al guirlandatòj 
i- Signor dell'Universo, 
[ui cosce, un prandio lauto 
etamente j. e il venerato 

Demodoco , il divino 
rcuote la sonante cetra. . 
[ capo alla diurna lampa 
ea , se tramontasse al fine ; 
DO ael cor tempre gli stava, 
lan , che dalla prima luce 
ri e col pesante aratro • 
franse riposato e durO|' 



Caie gradilo il Sole in accidente 
Pel d»ia della cena , a cui ■' airti 
Con le ginoecbia, cbe gli tveman tolto: 
Til cadde a Uliise in occidente il Sole. 
Tolto agli sniantì del remar Feaci , 
E al Re, più che ad alimi, cosi Arni. 
F^rcianii , Alcinoo, i llbamenti, e ili» 
Handatem!; e fl'lddii vi giiardir» «einpr 
Tutti ho già i miei deair : pronU è la i 
E detU naie in ma giarcioro i doni. 
Da cui vogliano i Pei cbe prò mi vegn. 
Togliano ancor, cbe in Itaca l'egregia 
CanBortc io trovi , e i cari amici in vìi 
Voi, reitondovi qui , jerbale in gioji 
Quellp, che uniste a voi , vergini >pDic, 
E i dolci fì;U cbe ne avntr : i Numi 
T" ortiia d' ogoi vii-iil , i\i poua mai 

I di voitri turbar pubblico danno. 
Tacqucifapplaiidiaciikiruno,.! mollo il 

Si compÌBcesie allo slranicr, da cui 
Uicita era il nobile favrlla. 
Ed Alcinoo atl' arild? allor tai detti : 
PantonoOgil vino roeaci, e ■ tiitli in 
Pattila , acciò da noi , pregata Giove , 
S' accommiati oggimai P capile amico. 
Mescè r araldo il vino, o il porse in 
E tulli dai lor apggi agi' immortali 
Numi libato. Ma il divino Ulisse 
Sorse, e d' Arele in man gemina pose 
Taiza rotonda, è tai parole sciolse ! 
Viri felici di , Regina illustre , 

CoiDun retaggio degli umani, lo parto 
Te del popol, demagli e del marito 

II rispetto feliciti e ramare. 

Dille, e varcò la soulia. Alcinoo innai 
Unii TfT gli fece il bandilor , che al rat 



r 

I.IMO Klli 33g 

I gniduK e al mare; e Arele dietro 
e gli 'pedi , 1< una con ler» 
io mann, ed un lucente minta. 
con la Tedile »re,i, e con bianchi 
lena, e roiseggi.intl tini, 
alor,cnme ani lido furo, 
inli tolseru, e nel fondo 
ive allogàri poi su la poppa 
andidilinifl b«Ua oallre , 
inquilto il formier dormiate. ' 
iÒ^Bli. e tacilo Borcosii. 
-dean lu ì bancbi, e, polche ic lolla 
orato 91990 ebber Ufune, 

julce sonno al Laerzlide , on lonno 
0, inenoitabile, e alla morte 
:n e^nal, sn le palpebre sceae. 



eteri Ita via compier toUd<1o : 
Te correa con alta poppa , 
la cui precipitava il groiio 
nante mar flutto cileitro. 
licura, né t' avrla aparviere , 
Igei telociiiimo , raggianta, 
^lere prora i lalii flutti 
, un uom leco recaddo ai Diì 
tenno , chi inGnitì alTannì 
i*ea tn V armi , avea tra l'onde , 

d'obbiio apana ogai cnra^ in brtcdff 
>nno placìdiitimo fiiacei. 

cODiparre qnel •( fulgid^ astro , 
» rojea Aurora è raeuaggiero , 
I nate ad Itaca approdava, 
rln è qui del marin Tecchio Fotm, 



It 



àat iporgnit) in mar lidi teoictiìi 
ino all'altro ripieganti incontrtì 

il veolo lipaTano e dal fiotto. 



JSpjnde 90VI 


1 U cima i largb 


i rami 


Vivace oli« 


1, e presao a que. 


sU UD anli 


S'apre amabile, opaco, ed' ali 


e Kinfe 


Wajadi aa«( 


j. Anfore ed uro 


e, in cui 


Toma.. U ; 






Vi toD di m 


armo tulle, e poi 


r di DiariDi 


lunghi telai 


i, dote purpurei 


drappi. 


Waiaviglis J 


1 veder, trssoa li 


! Hiufe. 


Perenni oui 




^duepoit, 


Mettono ad 


esso: ad Aquiloo 


>i volge 



.i allVom; Ta lira, the 

(iuarda, ha più del divino, ed un mor 
Per lei non varca: ella è la via ^e'Nuc 

In questo porto ai Feacetì conio 
DiritlfliDenle entrò l'agile nave, 
Che sul lido andò mena: di sì folli 
Kemigalori la spingean le brjcria! 
Si KiUaro nel Mo; e Ulis.r in prima 
Co^bianchi lini e con la bella.colire 
Sollevar dalla nave, e (espellilo 
Bel tonno, aiccom'era, in su l'arena 
Poterlo giù. Poi ne levare ì doni, 
Ch'ei riporlo dalla Fracia genie 
Per favor di Minerva, ed al piede udÌI 
li collocaro della terde oliva,. 

Viandanle, e la man bu lor mt^tteue , 
Mentre l'ei-oe dormia. Quindi rllomo 
Fean con la nave alla ualia contrada. 

Nelluco intanto, the serbava in met 
Le minacce che un di centra il divino 
Laeriiade icagliù, cosili penaiem 
He spia?! di Gitile-. Ginre f adrp. 





it 






t 1 Dei n 






FcncFii, 


, che mui'Uli 


i 


ne ileon 


l'urlgine? lo 


1 creJe» 




a i»o1a ai «»>ì 


>T»3e In 


, sii .ff.nui 


UVtise, 



promellfstì r del tuo capo 
/col «nnn. Ma i Feaci 
il IrasporlftrBU ratta naie, 
il (teposero e i[ Foliaaro 
brnnio e in oro e in bd iM.uti 
immenia, e qai\ dairar<n Tiujit 

™6 iiè"itornBva"illLo." * 
lerra seunLilor possente, 

3 parlasti? Alcun Je'Numi 
■egio non hx , né iiere ftra 
Dio si poderoso e antico, 
ora troppo ifi sue fòrze alUro 
giuiiar, tu ne puoi sempre, 
.■■ aggradirà, prender vendetta. 
i forse, o nubip»dre Giove, 
rete, a'io dal tuo 



ricondur gli oipili il veno 

ive ritornante; e in oltre 

1 lor città montagna imporre. 

teva il Nubipaiire, il meglio, 

ne, anco a me sembrai quaDiIo 

corgersn dal lido 

mt a lutto curio, e poco 

iglio abbia lembiinu, • ogcrtto 
Ofnun di meraviglia) e in olire 
1 lor eillk moiitigna imporrci 






L'acque (M ■> weinlo »' "" 

^* ^ rhe 41"""° » "^,,1 còlto '" ""IT 



lunge gran tempo, e Palla ciato 
> dì nul-bii, per celarlo altrui, 
ijuanto è raestìcr dargli cootei», 
'. la moglie, i Gittadin, gli amici 
mìsip, cb« pria de' trilli Proci 

ti non abbia univrnal macEllo. 
li ogni ciua gli parea muUlo, 
iglie itradr, i beo difeai porti, 
imbcoic fcreitf, e Talte rupi. 
ah fermo su i pie la patria igaot*. 
lon Irnne le lagrime, e la mimo 

a\ tra qua! Duovi, Citronia genta 

\oì Chi aa, ae nequitOBa e cruda, 

■ti in vece ed ospitale e pia ! 

[ueita recar ntoila ricchezza, 

re io ileiso? (jli nella Selleria fona 

>tR, ed io giunta sircccelui casa 

ro signor magnanimo, che accolta 

in«Dte m^ avesse, e riinaDilatQ 

atnentc! lo dove porla ignora, 

leiarla To'qui, che altri la involi. 

rhe aaggi eran dunque e Dira che probi 

eacesi i condotlieri e i capi, 

n, ma in questa iconoiciuta piaggia 
ur mi réni. Li punisca Giove 
pplici custode, a cui nesiuao 
, e cbe noD lascia inulto un fallo. 
:e nccbeize Doveriam, veggiamo, 
■ nop ne portb nulla la nave. 
Xt tal rose, ì tripodi luperbi 
ra e l'urne a l'ora e le titiiuta 

leggiadre^ e Don fdlliagli nulla. 
\ sua patria sospirava, e molli 
» il lido dfl mar romoreggiaula 

• |aD.«Dli fea. PaUade ■Hors, ^ 



9^4 oniani 

Ili piiloTelTo iI*?liriilo in tm 
Quale Nti Gglin di Re moltnri al gnardo, 
S'oKene a luì: danpin e ben fatta veste 
Avea d^intorno agli cmcri, ralzari 
Sotto i pie malli, e nella deitra nn dardo. 
Gio) UliiBC a mirarla, e ìncontaitenlG 
Le muBse incontro con toi detti: Amico, 
Che qui primiero mi t'arFicci, salve. 
Dell non mi TafT^icdar con alma oilile: 
Ma qae>ti beni e me «erba, cbc abbracril 
Le lue ginocchia, e te, quii nuiue, invoo 
Cbe terra è qiieita? elle città? che gentci 
Una di-irondicinle iriole forse? 
O di rccondo continente ipiaggia , 
Cbe sceode in lino al mar? SchieUo fave 

Stolta Bei bene, o di lontaa venitti, 
La Dea ritpoie datraniirro ignardor 
Sn di quota contrada , ospite, chiedi- 
Cui non è nota? La conosce appieiiu 
Qoal vrr T aurora e. il Sol, ^ual ver l'oiti 
Piottc soggiorna. Alpcslra sorge, e male 

Slerile non perù torna: di grano 
niiponde, e d' uva, e la rugiada sempre 
Bagnala, e il nembo: ottimo pasco i Dani 
E le capre vi trovano , verdeggia 
D'ogni pianla, e perenne acqua l'irriga. 
Sin d'Ilio Hi campì, che dal suol ache« 
Come sentii narrar, motto dii' 
D' Itaca giunge , o foresliero , 

Al nome della patria, che lu i labbri 
Dell' immortai sonò fìglia di Giovt, 
S'empiè di gioja il Laenfade, e tarilo 
A risponder non fu, benché, volgendo 
Nel suo cor sempre gli artìRcj usali. 
Contraria al vero una novi^lla ordisse; 
io già d' luca udia nell'ampia Creta, 



iiino uit »45 

langf ael nnr giaòe, • 4oiide )6 Tenni j 
i recando degnici beni , e ai figli 
iandoiM metà. Di Crefa. io fuggo, 
àkè tì ocGÌti Qrtilooo, il diletto 
éomeoéo figliuol. da cui nel corao 
I non eira colà che non perdesse, 
toi di tolta la IrojaDa preda, 
tMli in meno alPonde, in mezzo airarme/ 
ngli mi costò, volea fraudarmi, 
piato f ch^ io d^ altri guerrieri duce 

il padre di lui servir negassi. 

{■el di' ci nella strada liscia dal campo, 
tesi iosidie con un mio compagno, 
i laucùa il ferii. Notte assai fo6ca. ■ 
ife ingombravate, non òhe agli altri, a lui, 
! di yita io spogliai , rimasi occulto, 
irai sul lido una fenicia nave , 
qiiegP illustri naviganti ricca 
xede offersi, e li pregai che in Pilo 
ponessero 9 o in Elide divina, 
ainio degli Epei. Se lion clic il vento ' 
i gii svolse j e forte a Iof nai cuore; 
i inganni non pensavano. Venimmo, 
ioroi errando , a questa piaggia , e a forza 
remi e con gran stento, il porlo entrammo, 
della cena favcllossi punto, 
thè ciascuno in grande uopo ne fosse; 
de] naviglio alla rinfusa usciti, 
(vana su P arena. Ivi un tranquillo 
IO me stanco invase; e quei levate 
. nave 9 e deposte , ov' io giacca , 
«e ricchezze, in ver la popolosa 
le andare, e me lasciar nel duolo. 
nife a <|uesto la degli occhi azzurra, 

1 Bian ieareggiollo; e uguale a donna- 
, di gr^n sembiante, e di famosi 

ci c:4|»ci:U| la uà uoiusiitu-'app^jrYei 



,4fi OBIoii ^ 

E a coti fatti accrnti il volo icioIk l *• 
Cerio tagace anca Ira i Numi, e iota 
Cnlui tarla clic d'ingannar ncirarte 
Te inpcrBiie I Sciagurato , acaltro, 
Di frodi insizìabiìe, non cesii 
Dunque né in patria dai fallaci delti, 
Che ti piarcion co>i aia dalla colla? 
Va di questo non più: che d'' aiLuiie ar 
IHarilri siami ta di gran lunga tiAti 
D^inventivr i mbrlali, e di pamU 
Enrpaiii , tutti io dr uran langa i Ifumi 
Dnnqiie h 6^1)1 raniiar di Giove 
Tu nna tnptnli, chp a t« auisto ieinprc 

Ti fri truvnre appo ì Fcaci? E or vfnii 
Frr ammonirti, e prt celare i falli 
Col mio aoGcnrio a la iplendidi doni, 
Non rlir narrarti ciò che per dettino 
Hel Ino palagio a sopportarti resta. 
TiiaofTri, beiiclie atlrettoi eatl uomo d a i 
l.'urriyo luo non palnar: ma tieni 
Cliiiiai nel petto i tuoi dolori , e sola 
11 lilcniio rispondi adii t'oltraggia. ■ 

R lotto il Tirco di «ornigli Ulissec 
D i Ilici I mei) te , o Dea , può ravvitarti 
Moria! , cuì.f appreient) , ancor clje *i| 
Tante forine rivesti, lu ben rammento 
Che viiilar ti " 

lire noi , 
Co ni bai Ir vam i 



Per cavarmi d' affanno. Abbandonato ' 
Molo ■ me itesio , e alllilta io già npi 
Pincbè frii eh* il tua labbro ìd tn ì I 




UDortill finirò. Ora io ti prìrgo 
b E^Bii padre, quando ia lem n 
Idia patria min , rreAami, e Icmo 
) di me prender ti voglia E'ocii, 
!ga dirmi, o Op>, le veramente 
«ehi II» 



{ Des 



ivolgB 



li te ateiia uan nbli'i, Quind^io 

Htri ingeEno- 1"' ftcondia e leniio. 
•he dopo errur molli giimgeaae, 
e (ìrU mirar rorrfa repente; 
nulla M^ere , o rliiriìpr piare, 
I gran t - 



.che 



pan t' i 



ipell. 



D nel piiTitoi di, se 

1 io non ebbi mai del tuo rìlorno, 

! ritorno solitario e triatoi 

I che al zio Netliin con te cniccinta 

:ehio che spegneiti al Gglio in fronte, 

lar non volea. Ha or li moilro 

a il lito, e a credermi io ti sforzo. 

1 porto di Forcine, e la verde 

»*a oliva che gli lorgc in cima. 

on lunge l' opaco antro ameno, 

ibi legiltime alle Ninfe 

:cr aolevi. Ecco il sublime ' 

monte che di selve ondeggia. 

•f e ruppe la nebbia, e il «ilo appans. 

li.UliMe alla diletta TÌitA 

■S* iiatrla, e baciò l'alma terra. 

IvMMo le maA , mbitamente . 

NLtapppHrtii flajadi Ninfe, 



aiS OL...S.A 

^l^n creitri rivedervi, a caa devole 

Ulibra in vece io sjiluLuvi , a di Giove 

ISale, a cui doni porgtreiu novelli. 

Se me in vita camerva , e di felici 

A Telemaco mio concede aulica 

La bcliicQia del SaUmio (tgli*. 

La Uea dagli occhi di cileitro Unii , 
Che d' Jjuto iu ti manchi. Or lenia indii 
liei CHTD urti della divina grotta, 
Su via, poaiam queate riccbeue io salvo 
E di ciò consultiira che più li torna. 

Taccjue , ed entraTi nrlla grotta oicur 
Le a&coEaglie cercandoce; ed Uliue, 
L''ora ed il bromo, e le iuperbe veali 
Porlando , la leguia. Tutto depoae 
Acconciamente dell' EgfooD GlOTB 
La figlia , e T antro d un toacign» chlut' 
GIÙ fiilto, al pie della «aerata oliva 
A>nbi >F.lendo,c inveitignndn l'arte 
Di tor di mezio i temerari Proci , 
Coi a pirlar la piima era Minerva: 
Sludiar cunvienti, o Laerzfade , come 
nii-tter la man su gli arroganti drudi 
Ciie regnano in tua casa, oggi è ten'ual 
E .Iella moglie tua con ricchi doni 
Chiedono a gara le bramate nozie. 
Ella, ogiiar sospirando il tuo ritorno, 
Ciascun di speme e d' impromeise allilU, 
Manda messaggi a tutti , ed altro ha in co 

Ali! dunque, le rispose il saggio Ulitu, 
Me dell' Atride Agimennòn V acerbo 
Fato altendea nelle paterne case, 
Se il lutto , inclita Dea , tu non m' aprivi 
Ma tu la via , che a vendicarmi io prendi, 
M' addita , e a me soccorri , e quell' «udì 
Spirto Di' infondi, che acteudeaiui quaudi 



i Troja le farooic a 
III del pari al Tianci 
eoa Ireoeatn allor 



L un sol mnnietita in ijiieiti impreia. 

9iipi!rbi , che Ie lue loatanze 
a male, imbratteran di Baneue 



està liscia ed Durar freaca pell« , 
: le membra flcsiibili ti e uo [ire, 
leccherò, raggrinzerò j di bionda 

cui lo agiianlo di cìaicua rifugga; 

ocrbi pui, si beiti ors e li vivaci. 
30 li oicuri, e avtan tai pieghe iatamo, 
■ turpe ai Proci e alla tua donna e at Eglio 
lascijati bambin, cosa parrai. 

prima cerca de'' tuoi pingui verri 

(In guardrail cbe V ama, Cil ama * .1 

roTcrai, che guarderà la nera 

ggia che beve d'Ar.clusa aj iònie. 

Ila pietra del Corvo addenta e rampe 

lolce ghianda, per k cui virlude 

oiiilo lul daiao adipe creice. 

ri ti ferma, ed al suo Banco aitilo 

gni coaa il ricbiedìt ed io frattanto 

ró alla bella nelle donne Sparta, 

rascia del Ggliuol, che vi a' addiiue, 

eiaper di te dal bellicoso 

elao biondo, e udir, te vivi, e dove. 

rrclié non dirgliel In , cni noto è il tutto? 

u.e il liceo di couìlglì Ulta^e. 



db non t' ami^gn , ripigliò la Dpi 
Che dtntrr in «Itrui Ir: luci intenda. 
]o item, rome ad acquialarsi i^ gridOj 
Gìii l'JDvriivB là, 've nulla il turbi: 
Là' ve tranquillo, e d'ogni caia a);iata, 

■ Tifi rrgal aiede delf Alride albergo. 

So ben che agguati io nave negra i Pron 
Teudongli, deViaDdo a lui dar morti 
Pria eh' ei torni; ma invan: oliè anii,lul yi« 
Coprirà i suoi nemici e toni la terra. 

Disse Minerva , e della los polente 
Verga 1' eroe loccù. S' inaridisce 
La molle cule, e ei rinrreipa; rarì 
Spuntano, e bianchì au U testa ■ crini; 
Tutta d'un vecchio li persomi ei prende 
Botto dnglì anni, e bianco; i- roachi,f-!lintÌ 

■ Tunica trista, e mala cappa in dosso 

L' amica Dea cacciògli, ambo squarciale, 
Discolorate, affumicate esoize; 
Sopra gli Testi anCor di ralto cervo 
Un gran cuoja spelato, e nella destra 
Pose bastone; ed una vii bisaccia. 
Che in più luoghi *' apria, per una torta 
Coreggia antica agli omeri sospese. 

V un dall' altro st°acc&rs'i|e alla divina 
Sparta, del figlio in trucia', andò HinctTt- 



LIBRO DECIMOQUAETO 



iw gii]nf;calla caia d' Euméo. CondraroM 
li traraii qii»lo btion serro, accaglienia 
A il Ilio padrone tenzn conoscerlo) e 
pio Hip hnnno tra loro. UIbif finfe dì 
di Creta e racconta le sue fj1>« aneQ- 
Sioi iliiio d'Euméo e cena. SopraTienola 
Wtle fredda e lempesto», liliale con al- 
iala coricarsi sotto una jpelonca in guar* 
elle lue mandrf. 



, la riva laicista, enirb in un* aipra 
1, e per gioghi e per ailTMlrì lochi, 
rivolse, dove Palla m Ostro 
'ea I' inclito Euméo, di coi fra tulli 
Me i mielior ferri alcun non era 

heni del padron meitlio f^ardaue. 
ilio aisÌBo nella prima entrala 

ampio e bello ed altamente citrulla 

bricava Euméo con pietre tolte 
M cava propinqua, e mentre lungi' 
li Ulisie , e seni' alcun dal veglio 
e o da Penelope Mccorso: 
' irta ti«pe riclngeab, e tolti 



aSi onisii.. 

Di bruna , che ipeijb , r|i>cr^ia «oriaU 

Dodici «'eran dentro una appo Talti'a 
CoDodc alalie , cìie cinquanta a icra 
Madri feconde ricerean ciascuna. 
I maschi dormfan fuor, mollo più icarsi , 
Perchè scemati d al f ingordo dente 
De^ Proci , a cui mandar lempre dovea 
L' ottiiDa della greggia il buon custode. 
Trecento ne contala egli , e sessanta ^ 
E preiio lor, quando Tolgca la noUe , 
OuaUro cani giacean pari a leoni , 
CKe il paslor di ma mano avea nodrìti. 
Calzari allor a' accoioudava ai piedi , 
Di bue tagliando una ben tinta pelle, 
* Mentre chi qua chi lÀ giano i ganonì. 
Tre condncean la nera Diandra, e il quarU 
Alla cittade col tributo nsato, 
to stesso Euméo spedialo, e a que' superi 
Cui ciascun di gli aridi ventri empiea 
DelU sgozzata vittima la carne. 

Videro UhBte i latratori cani , 
B a lui con grida corsero t nia egli 
S' aisise accorto, e il basloa pose a Ieri 
Pur Gero slraiio alle sue stalle avanti 
SolTrla , a" Euméo non era , il qual , veidci 
Scagliandosi dair atrio e la bovina 
Pelle di man lasciandosi cadere. 
Sgridava i suol mastini, e or questo, or qui 
Con spesse pietre qua o là cacciava. 
Poi, livello .il suo Re, Veccliio, gli disM 
Poco falli non le u' andassi in pezzi , 
E il biasmo in me ne ricadesse , quasi 
Sciagure altre io uon pala , io , -me dolc 
Siedo, e piJDgo un signore ai Numi egui 
E I pingui verri all'alimi gola allevo ; 
Meuli' ci s' .aggira pei cstiuuii: Uii'c. 






Fimelieo e digiuno j ove ancor Tìia , 
E gli splenda d«l Sole il dolce lume. 
M< tu lieguimi, o veochio , ed il mio albergo 
VLcatene , -acciò, come di cibo e vino 
' Sentirai sazio il nalurat talento , 
[ Li tua patTÌl io coooica e i mali tuoi. 

Gb ^tt» , gli entrò iananzi , e V iotrodui» 
L nel padiglione >ui>. Qui di faglioii 
I Virgulti densi , sovra cui velloso 
■ CtiDJo diatele di selvaggia capra, 

Ui feoj Don IO miai pid , le letto , o seggio. 
L'eroe gioia dell aecoglieuza amica, 
EcDti favellava: Ospite, Giove 
Con tatti gli altri Dei compia t tuoi roti 
[d'accoglienza lai largo ti paghi. 

E ta COBI gli rispondesti , Enmeo! 
Buon vecebio , a me non lice uno straniero i 
ìtue di te men degno , avere a scherno ; 
elicgli stranieri tutti ed i mendichi 
VcDgan da Giovp. Poco fare io posso , 
foco potendo far servì che atanno 
^pre in timor sotto nn novello impero: 
Pure anco un piccio] don grafia ritrova- 
Colui fraudaro del ritorno i Numi, 
Chi; amor sincero mi portava, e dato 
t'oderò avrfami e casa e donna motta 
bramata; e quanto al ùa dolce signore 
A lervo dà , che io ano prò sudi , e il cui 
Travaglio prosperar degnino ì Dei , 
Come arridono ni mio. Certo er giovalo, 
Sf incanutiva qui , molto m^ avrebbe. 
Ma peri 1^ iufelice. Ah perchè tutta 
0' Elena in vece non peri la stirpe 
Che di cotanti eroi sciolse le membra f 
Quel prode ancli'ei volger le prore armato ] 
Per Ponor degli Alridi , a Troja volle. 
Delta cosi , la tunica si elrbv; 



aSi ODisxA 

Col cinto, ed alle itjlle in Tretu moiir, 

E, tolti duE dalla rincluusa maniira 

Giovioflli porcelli, ambo gli upcL»e, 

Gli Bbbroniù, gli ipurlì, iirgli appuntati 

Spiedi glMoBsse: indi, arrostilo il tutto. 

Caldo e fumante Dpglì staisi spiedi 

Becollo, E il poie «1 Laerniade iuDanii , 

E di farina, candir, I' asperse. 

Ciò fatto, e in tana d^ ellria meacioto 

l'umor dolce dell' uva, a lui di frnnte 

S'aatiise, e rincorollo in questa forma.' 

Su via, qoet mangia, o fareitier, che a str 

Lice imiiandir, di porcellcttl carni: 

Quando i più Brandi corpi ed i più pingui 

PieUde iu petto né timor de'Komì. 
Ha non amaa gli Dei l'opere tnalfage, 
E il giusto ricompensano ed il retto- 
Quelli che armati su le alimi HTÌere 
ScftiJcino, e a cui tornar Giove eonteotl 
CoMcpni carchi alla naiia contrada, 
Spavento ad essi aueor delle dicioe 



Vend 


ette passa nel rapace 


eVdlvin. 


Certo 


per voce umana o 




Han 


della mo.le dei mio 


le conten», 


PoicEi 


è né gareggiar, come 


il addice, 


fv 


a sua dunna, nÈ ai d 




Vogl 




altrui beni 


Senz 


pudore alcun slrug 


ono in pace 


Giùv 


di jioHe non prò 


uce, in cui 


Una 


vilUma o doc paghi 


lì renda. 


E il 


più scelto licor bevo 


no a oltraggio 


Dovi 


la molta ei possndea 


qual venti 


Sul r 




mortali 


Kon 


elicita insieme. Udiiù vuoi! 


Dodi 


i armenti ueir Epir 


, e tanto 


Di pcGoicUe grcQgi e di 


majal'i 



• LiBno-xtv 955 

li di capre comodi serragli , 
loroettiei tutta, e di stranieri 
ori a.gaardia* Jn Itaca serragli 
•apre aodici, e^ larghi, e oelr eatremo 
ti della oampagoai e'coa robusti 
;odi| che ogai di recano ai drudi 
I nel vasto eaprii reggion più gratta 
ia e più bella, lo so' i porci Teglìo 
dia mandra il fior s^pipre lor maoikK 
liue intanto, tenta dir parola, 
o ita cacciar la fame er», e la tele | ' 
ali ai Proci niacchioa?a in petto, 
rancati ch^ egli ebbe i fiacchi spirti| 
éo la tazza, entro coi ber solca , 
la gli porse, ed ei la prese, e 'qoetti 
i, brillando in core, ad Eum^ò volta : 
30, ìebi V nom . fu si ricco e fotte 
del tuo ti comprò, come racconti ? 
o tu il dici per V Atriqe. lo forte 
bbilo. Il Saturnio e gli altri Numi 
o, 8^ io di lui visto alcuna posso 
ezza darri, io, che vagai cotanto. 
;cchio, rispose Eurpéo d^ uomini capo^ 
>gria che venisse oggi il ritorno 
\ege a nunziar, nò la sua donna 
cederebbe, né il diletto fìglio : 
pò usati a mentir son questi erranti | 
mestieri' han d* asilo. Un non ne giunge, 
la Reina mia non si presenta^ 
false cose non favelli, o vane, 
i ella accoglie con benigno aspetto , 
o cose domanda, e dalle ciglia 
idono le lagrime: costume 
onna, cui mori lo sposo altrove, 
i m? accerta che tu ancor, buon vecchio, 
favola a ordir non foisi pronto | • 
e tunica e manto altri ti. desK? 



a 55 obissBà 

Ma i cani, io temo , ed i Tcloci angelU 
Tutta dair ossa gli staccar la cale , 
O i pesci il divoraro , e V ossa igmlde 
GiadcioD sul lido nelP arena involte'. 
Così perìo., lungo agli amici aflfknno 
Lasciando, ed a me più, che, ovunque io radij 
Non ispero trovar bontà si grande ^ 
Non, se del padre e della madre al dolbe 
Nativo albergo io riparassi. È \ero 
Che rivederli ardentemente io bramo, . 
Nella terra nalUi par men li piango' 
D^ Ulisse , ond*^ io r assenza ognor sospiro. 
Ospite , cosi appena io nomar V oso , 
Benché lontan da. me: tanto ei m^ amava* 
Tal pigliava di me cura e pensiero. 
Maggior fratello , dopo ancor la cruda 
Sua dipartita, io più sovente il chiamo. 

Dunque^ Teroe riprese, al suo ritomo 
Non credi , e stai sul uiego ? Ed io ti giarp 
Che Ulisse rìede; né già parlo a caso. 
Ma tu la strenna del felice annunzio 
M** appresta , beUa tunica e bel manto , 
Di cui mi coprirai , com^ egli appaja. 
Prima , sebben d^ ogni sostanza scusso , 
Nulla io riceverei : che delle infcme 
Porte al par sempre io detestai chi vinto 
Dalla sua povertade, il falso vende. 
Chiamo il Saturnio in testimonio , chiamo 
L^ ospitai mensa, e delP egregio Ulisse 
II venerando focolar, coi venni: 
Ciò ■eh'* io dico, avverrà. Q u est** anno istesso 
L^un mese uscendo, o entrando l'altro, il piedi 
Ei metterà nella sua reggia, e grande 
Di chiunque il Bgliuolo e la pudica 
Donna gli oltraggia , prenderà vendetta. 

B tu in ri(ipost<i gli dicesti , Euméo: 
Né strenna, o vecchio, io ti darò, né Ulisit 



. LtUO ZIT 957 

■à pfd adlm «uà reggia il pi^de. 
, tnmqnillo b«vf » • ad altra ooaa 
n la liogaar die mi ernccia troppo 
Dobii aignor la rìnembraoia. 
■ da parte ì giaranenli, e Uliue 
, qoal bramiam tutti , io, la Regina , 
tico Laerte, e il pari a un Nume 
leo y per eoi tremando io yìtq. 

fanciullo y efae d^ Ulisse oacque , 
poscia, qual pianta In florid^oi*tOy 
r gli Dei» si eh^io eredea che il padre 
DO 4f guaglieria I come d^ aspetto , 
la mente or degli Eterni alcuno 
^flj*, io penso, o de* mortali. Ei mosse» 
paterne investigando , a Pilo, 
iti i Proci tendongli al ritorno , 
tutto d"* Arcesio il sangue manchi» 
li questo più: trarranlo a morie 

nemici , o forse a vóto ancora 
die andranno , e la sua destra Giove 
o gli terrà. Ma tu gli affanni 
•ft8Ì,OTecchio, e il tuo destin mi narra. 
ta ? Donde sei ? Dove i Parenti ? 

tua città ?.Quai li menaro 
*ri, e di qua) gui&a, e con qual nave? 
n Itaca il pie non ti condusse. 
ìy rispose lo scaltrito Ulisse, 
aniente io dirò. Ma un anno intero, 
ieri uscito a sue faccende ogni altro | 
.ai consumasse ad una lauta 
liglione tuo mensa tranquilla^ 
:coxitar non basteria le pene 
tessermi a Dei piacque la vita. 
m^ è r ampia Creta , e mi fu padre 
om , cui di legittima consorte 
tacquero in casa e cre1)ber figli. 
ipra donna generò , nò m* ebbe 

MA yfj 



MVn ppr ciò d'i'' fialelli il pidpe in Ci 
V IlMiHe CwWr, di cai a,i »»aUi 
Sfntftiui il Bugnut! nclk vciie. e « ci 
Pfr TiMuna, daiìsia e illuiLrc piule 
ilÌTÌn rcndr^iii d«i Crr'^ii onore 
Sorpreaa ditta l'arca, e id Aide ipi 
Tri) aè pnrlito ìf loiUmc i figli , 
GilUli! in pria k sarti , a me dì JCi 

Ma dotin» io miai di grjn beai in i 
E ■ me soia il dovei; però eli' io vi 
Ron fili d' «spello, né fugace in f uè 
V. henclie nulla o^i mi reati , e gU 
M^ opprimsno , ed i sujii , Ja inrMC , 
P,,b dalli pagtii r>vvi»ni anro». 
Forza tra v armi e aidir HarU e M 
Srmpre inruiero a me, quaitdo t iBÌ| 
Prr gli agguati io acFglìea cuntra ■ e 
n allor elle primo, e si-aia mai la i 
Dinqmi a n<e veder, orile batlaglie 
Mi araijUava, e color che dal mio bt 
Si anrtraeino, ì) raggiungea eoa Ta 
Tal nrlti guerra io fui. Un della pat 
Non (tilett^van l'arti, d della caia 
Le molli cure, e della prole. Navi 
Dilettavano e puine e rilucenti 
Dardi o quadrelti amlii amare, orr 
rn>e piT molli , a me loavi e lirUe, 
Come VRri dell' uom aono i desìrì. 
Prinia die la greca oile Itin cercai 
fiore fiale io comandai sul niaTc 
Contra g^nte almniera; e la furt^D» 
Coli m' urite che tra dò ch>> in ai 
TocQommi della preda , e quel ch'il 
A mio lenno eleggea, rapidimeote 
Crebbe il mio alato, e non paaaò gn 
Che in wnim ftcfin te» t Crateti 



Uf»6 jtT 


«I* 


lo Giove quel fati! 


Viaggio . 




che mandb tinte 


Ime a Pinta, 




legni ondivaghi ed 


i\ nota 




IdlmenéD d<era il 


govpriio, 




t^ «rbbe a ricioar, 


grave 




e" li ardita >rgei 






«DtiipUgnavamno 
mo al Un, Troja m 


Greci, 




n busta, 




noi e ti diìperse .. 


Nume. 




le Giove una più r 


a lenlfir» 




diirgnò- Panato i 


n mpie 




cari appena « la 


ilelU 




vergi<i8>ri a mn 


fOnlimjU, 




a»» adi' tgitto M 


lidi 




ic,n,pag,,i eM-T. 


V.ftli 




lati ■ navigar m'in 


lune. 




i adornai; ri a n 








on poebe 




n «.'di '',Utirae*''IÒ 








dav». 




,lb.i in OrìcrUe appar.B, 




«mmo -, ron un B 


urea m popp 




fido, a gp voi 01 fu le 






Bollir a sri-onda, il 


mar fendemmfc 



Tu ne leffiemnjtr ntftUi 
ri MdrvaiD, fifilà^flo 
ri al noifro ujpc,.r<) il vento.' 
Il quinto la t>r4nii^« frire 

it brironil» E(i11p|ìuine, . 
me arreilai le vctruianti 
i compagni c^naniui che in ffUtd 
rinaaFHtera, e U Irrra 
bmai té eiflorir'iMt^ 'Uo. 
i, da DD vdir folle a da no d*C9 
rtatì, « Mecbe|^r le belle 
••d^i Egi^, a ria menarne 



iSo oTirMU 

Coltintorì ■ Decìdere. Ne {rìanie 
Torto ti rumore illi cittk, né prina 
L^iurorR compir) cbe i cUUdini 
Vennero, e pieno di gstiIIÌ e finti 
Fu tutto il campo e del fulgor dell' 
Colale allora il Fulminante poi« 
Z)«>ir di fuga tle^ compagni in petto 
Che un aol far fronte non oiaTa; ucci 
Fiir parte, e parte presi, e ad opre d 
Efortatii e, OTUoqne riiolgeanti gli oci 
Va diiaitro apparii. Ma il Satuniide 
Kuovo coDiiglio m' iolpirò nel core. 
Deh percLi neìV Egitto anch^io non i 
Se nuovi guaì m'apparecchiava it fai 
Io I' elmo della legta al luol depoii. 
Dagli omeri Io icudo, e giltai lunga 
Ila me Is lancU: indi ai cavalli incon 
Coni e al cocchio del He, strinsi e bai 
Le sue ginoccliia; ed ei lerbomml in v 
Compunto di pietà me, che pitgnea. 
Levò nel cocrbio e «1 suopaligto adi 
£ ier che gli altri a^UHllan c«a Pai 
Di rabbia Mcail, e mi Voleano estinti 
Va il IleIoata«Lfl con cenni e eoa i 
Teneali per timor deiroapitala 
Giove, che i supplicanti, ■ cui menad 
Dall'nom non s' usi, vendicar rooljc) 
STtl^amii io colà viisi, e uni teMrL' 
Baccolsi: doni mi porge« chinatile. 
Foi, volgendo l'ottave anno, no Fedi 
Comparve, uom fraudolenta e di nei 
Gran labbro, ohe già molti avea tradì 
Nella Fenicia e aeguiCarle, dove 
Caia «'poderi avea, coi tu i piegommi) 
E Meo lo dimorai di Sole un giro. 



I Tolle per la Libia, e anse 
èr fODia me carear la naye. 
« f in Libia Tendermi a gran prezzo 
il tristo. Io ohe potea? Costretto » 

il legaitais benché del vero 
nrmee per la mente un lampo. 

1 aoroe il rapido naTi^lic. 

ragliar do Aqailon'ffiriTa in poppa^ . 
fu ordià r ultimo eccidio Giove. 
«A Greta ai redea, né altra 
ma eido in ogni parte , o marei 
il Fnlminator aul noftro capo 
d^ allo una eemlea nnbe , 
BOI tutto intenebrànii Paocfiie. • 
ik t^oltOj e al fin lanciò il #ao telo 
n nave, che del fiero colpo 
«e p B^ empieo di lolfo^ e tatti 
ttero giù. Quai corvi, intorno 
irwran an per V onde , e Giove 
iea oon la patria anco la vita. 
B aolo nel mortai perìglio: 

nani venir mi fece il luogo 
Iella nave , a cai m^ attenni ^ 
Il laaciai su i tempestosi 
arlar per nove giorni ai venti s 
■ notte decima mi spinse 
iroti alla terra il negro fiotto* 
reeproti il Sir , V eroe Fidone , 
» na* accolse. A sorte il figlio 
mi trovò tutto tremante 
4> e ornai dalla fatica vinto j 
Bun tollevatomi , del padre 
etto mi condusse , e pormi 
! manto ai compiacque in dossow' 

d"* Uliaae udii. Diceami il Rego 
■Gcolse^i e il trattò cortctomantt 



K quanta al fin di pr< 



t)lis> 



colto e 



Uf^OElo: farli, clie p 
Padri t fìglijioli a lail 
E agghifige» cìle" "i C 
Per Giuve coAbalÙ^é ' 
Quftria in^ovrna, i^' 
Colli d'Ilaca tua rinpi 
StBginn dDvp» nalptet 
Poi,'l>t»ndd, giurò ^ 
Traili! lanbTC, ti rei 
Per rimrnarrò Ib'flac 
M.' >(p»i)'Ìlcconitnìalfi 
Al r^a» Dulìrlilo Du 
Di n^crhi^ri T^proli 
' Coilordoveaii raccont 
li,. ronsielmlrBMn, 
Sunvam^nlereVai. 
Da lem fu 1' nndÌTae 
11 nPBro m^appari eìo' 
Tunica t manto m! i| 
In doaiD mi grttir ìtr 
E,T*niilÌ (ll'àmetisì 
He Dfìì» iiaTF con be 
Fune Irgaro. Indi >i>ui 
Fmtolura del mar |ii' 
Ha un 'Nume r^ippe i 
Giù sdrucciolai pel lìn 
Mi conipgnaì col petti 
AAtando- remigai il i 
Fuor di lor villa io fui 
Surget di querce uni I 
Quei, iK me con dolci 
Vi credendo cerciroe 
Si rùAntoito ; e ne f 



■fit«iii^a¥eaD, d^nn nòm saputo 
benigni at pattoreccio albrrgO|' 
in vita il deflUn mi Tirole ancora 
la a lui la tua risposta, Enniéo; 

ospiti misffro , tu V alma 
imovesti addentro , i tuoi Ttag»! 
lo e i malr tuoi. Sol ciò non lodo i 
Ulisse dicesti , e non tei credo. 
, degno uom, qiial sei, mentire indarno? 
)^ io pur troppo , qual del suo ritor'np 
nodrir si possa , e V infinito , 
i portano i Nnroì , odio io òòhosco. 

eì non cadde^ combditendo, a Trojft « 
i amici in sen dopo la guerra. 
) avrfànlo nobilmente i Greci, 
tomba sua verrfa un ritampo 
■ta al suo 6gliuol: ma inonorato 
)ie crudeli sei rapirò in vece. 

ne provo diiul , che appo la mandri 
i occulto , ed a città non vado, 

quando Penelope , ro»npar80 
.lene banda con novelle alcuno , 
imi a sé per caso. Allora stanno 
r intorno allo straniero, e mille 

domande , così quei die doglia 
isenza del Re sentono in petto, 
;ulor , che gioja j e le sostanze 
truggon frattanto in tutta pace, 
domande far dal di non amo , 
i deluse un vagabondo Etólo , 
omicidio , che al mio tetto giunse, 
io P acrarezznva; ed ei mi disse, 
nesso Jdomene'o nelP ampia Creta 
) avealo risarcir le navi 
irpcella sconquassate , e aggiunse 
fStHte o r autunno al suo paesQ' 
rXi ben compagna to e ricco; 



JS4 0.,..,. 

Union volrrnil e tu, levchio Inltllri^, 
Con tatti dflti, puicliè un Dio t' aclJutH , 
MulcfrE lusingar I che non per quello 
Ben Iratlalo larai, ro3 perchè lemo 
L'' ospitai Giove, e cbe bo di te pìetade. 

Un incredulo cor, riipoM Ulii«e, 
Tu chiudi in le, quando a preilaimi («de 
Hi co' miei giuramenti ìndur ti pouo. 
Su via, fermili ud pntto, e teatimouì 
rie kien detraila gì' immortali Dei. 
Kiederk il tua signor, com^ io predilli ? 
Tunica e manto Tettimi, e a Uulichio 
Mi manda, ov' io da motti giorni ir brunir. 
Ma t" ei non torna, eccìU i serTÌ , e gelU 
He capovolto da UD>ccelM rupe. 
Si che più non ti beffi alcnn mepdìcoi 

Gran merlo in vero, e memorabil dooc, 
Il piitor ripigliò, m' aci]uisterei 
Appo la DOBlra e la ventura elade, 
Sl-, ricevuto acendoti, e [rollata 
Oapitalmcnte, io f ti<:ddeui, t faq^ 
Ti ineui del >ea 1^ anima citai . 



I miei compngiù 

S^ appretterà nel padiglioo la meDU. 

Coii tra lor dic«aeoj ed ecco il nero 
Gregge, e i garaoni che ne^ tuoi leiTtgli 
Metteanlo : immeoM delle pingui troje^ 
Che aDdaranii a corcar, torte il grugortl* 
Ratto ai compagni ùvellava Euméo i 
L'ottimo a me de'' porci, afiBiichè miM)l 
Pel Tfa|itq di lungi oipite, e od tratto 
Hoì pur fetta bcciam, noi, che toffriiMO 
Perquetto armento dalle, bianche laWi 
Hrnitc in tipoto e io giojt altri le.onM 
Fatiche A Hwtnit « ^ *^U^ . • 



Kino xrr itt 

Detto eoilf eoo «fBUU acarQ 
Qv^rcia te€c4 reci«e 9 e quelli OQ griMO 
D^anni dnqae d^età poroo meoarOf 
E al . focolare il coUocftr daranti. 
Né de^ Gcletii Euméo, ehe molto lenno 
NatrÌTa in tè , dimentieotti. I peli 
Dal capo trelti del gmgnante, in meno 
GittoUt al foco, e iHoalzò roti ai Numi 
Pel ritorno d^ Ulisse. Indi un troncone 
Della quercia, ch^ei fèsse, alto levando | 
Percosse, e senza Tita a terra stese 
La vittima. I garzoni ad ammazsarUi 
Ad abbronzarla e a farla in pezzi | ed egli 
I erodi brani da ogni membro tolti 
Parte metteali su Tomento , e parte 
Di farina bianchissima cospersi 
Consegnavali al foco. Il rcbto tutto 
Poi sminnzcaro e V abbrostiro ioGsso 
Con modo acconcio negli spiedi, e al fine 
Dagli spiedi cavato in aa la mensa 
Poserlo. E(ime'0| ohe sapea il giusto e il rettO| 
Surse, e il tutto divise in sette parti: 
Offrì runa alle Ninfe, ed al figliuolo 
Di Maja, e Taltre a ciascun porse in giro. 
Ma delP intera del sannuto achiena 
Solo Ulisse onorava, e gaudio in petto 
Spandea del Sire, che diceasli : Euméo , 
Cosi tu possi caro al padre Giove 
Viver, qual vivi a me, poiché si grande 
Nello stato, in ch^ io son, mi rendi onore. 

E tu dicesti, riipondeudo, Euméo t 
O preclaro degli ospiti, ti ciba^ 
E di quel godi, che imbandirti io valgo. 
Concede o niega il Correttor del mondo, 
Come gli aggrada più : che tutto ei pnote. 

Ciò detto , ai Numi le primizie offerse^ 
E, libato àfì^egU pbbe^ in man d^\}U«itt) 



Clll^ a\ lue lacir itdta, pai* U tan*. ' 

- Mr>*<lt>o> oli' ei del rmprio, e do) laptnd» 
Tièla Rrgini né Lncrlt, avci, 
Mentre lungi «M il Sw, eoinp™ d.i Tifj, 
]1 piiiieirflipentbi blmilcina aì obi 
ha iDiRu ; r, |li>ga det mnngiar U voglia , 
P.igcqln'Ma ili-l l>pr, Mriaiilie il pnne 
iL.icrular, é r)( altri a dar le nienibra il MBl 
Kxloi^ll sffrfKaTinti e ulalli. 
V'uic* anrvrrinr ft ditatUoia iiall«> 
&OTP piove* •■•ns.iultrrallu, e licTo 
Di Pi>nenlé iptrini aii vanto aoi^oio. 
lIlftM AtoF, pnitlié vedMti Unta 
Caifizalo ila F.Minéo, Icntirc i< 'vo1l«, 
Sf^fli prNtiue H pntptia iriaDlo^ li iIbkhii 
Quii d^ alcun da' qsnpafiH aver gli kttf. 
Euméo, diar eg\t, ■imitami,' • i oonpafoi 
M^ aicottin tulti. la millantH-Aii felqauit* 
VagH*,rq»ai pii ofinant^ it folle «ina, 

ClieialioltiipiAisggiBi caiitwmoue 
PUft'Ihld'BgDi imeiira, > ravltmiriite - 
Killer, ipioor aallv i>npro*rài ed ineha 

S urlio ■ parlali A"" fta-lalete'i) inrglio. 
a daaciie'im tratto a oicalar* io prati, 
Nulla io trrrò nel pelM. Oh di qnel Sora 
Foui,«>tirrajaii ià quetlo tnnn ch^ìo 
Srnltoài- al Irmpa- clw aolL'Ilio ^ip'alt ' 
Tenilenimo, Uliaie -rct 4 trmaàn Alrida ' 
E, r(«) ai-aia piaVqnt, ì» m-m duce! ' 
Tojio «ha alla eituile-e airàhe mur* 
Virini fuiBiKi, tra i fitigiilli denai 
K ncItrrannr.pilacUaPa terra 
Oitceniiabaoitai-mi, ìmpròntt'ltOttM • 
Ci aiMae t in «rullo TraiMnIan KifBan^ 
S f edi t ala neib, t}iMl>gelaU tiriìia, ' "' 
E gli jtMdl inuMU*» U ' shiaceio. OH- dW| 
cut BvMi-u«u»«tai4àM^^ 



«rteudo dai compagni , il uiinto 
Itnia mi* Imcìsì tra loro; , 

rando uii li purtgenU Terno i 

nica , un ciugula e uii;0 scudo 
tulli. DelU nutU il Iftio .. 

;U ailri <x><.ie\^ttO,,.e sii tJl.isse , ' ,'„j 

S'acea da oifmo , io fai parofe..'. .-. 
o d.i e^-nii», Wm>i: ■■■; 

I jialtro di Laeile Gslio, 
Ionia il eeì iW Lo più tra i vivi i 
.rrò. Mi Fal(a ,hi iii.i.lo. Dn Dj(.; 
Jelusc.dlvdlipiùT iuir; .j 

l iiiapiromini. Or^'{ii:i!a scainpbT , 
ijaruin uiflle, u^ iu^i parlilo ■;. -l 

{li non Al, e!ic all' afini, proÀÓ. '; 

D Greco non l'oda. E p^i, iéì bntàf 
e della man soslfpnu al menti^ '.; 
Mae , un sugnu , un diviii aogpl'y . ., 
fo m'avvertì cbs dilungati , ' ' . ' 
ci lìain dalle velocf riavi^ 
.) pattur di genti Agamennótle 
I di noi, perctié , te. bttt gfi MlUbn • 
li altri guerrieri e né nSfarM. ' 

. e Toanli!, d' Aodremdn'e il fi^ò, . 
corse al uavil , deposto prima 
reo tuo manto; ed lo con gioji 
li e vi atcUi entro in lìn cbe appirva 

lior, quelle forie io non pianicMi , 
; alcun de'' inai compagni ,'Euinea) ' 
rema e amore ad Un buon leccbio, 
fornirla i ma or , veggendo 
niei cenci , ciaicun tiemmi a vile. 
)ù , EumÓD j gli litfoadutt allora t 



gOS ovtnu 

Belli Tu , imtTo , U tua ttoHi 
Non l' uicl delle ULbra o t« 
Perù di veste o d' altro che 
Merta tupplicaote uomo , in l 
Difello non avrai. Ma , nato j 
T' adallerai gli ujati pina! i 
Poche lOD qui le cippe , e a 
Di tdoica Bfin puote alcun mi 
Star dee contento ad una >o1 
CoBie giuDiQ »r^ è-' Ull»e il E 
Ei di vestirti e di maodartl , 
Ti COniislia il tuo cor, peDiier 
S> alzS , coit dieenda , e pr 
Pooeagli il letto, e di montoi 
Felli itendeavi , la che V eroe 
B d^ un largo il copri suo de 
Ch' egli a lé itoBo circondar 
Quando turliava il ciel fiera I 
Così là giacque Uliate; e acca 
SI corcnro i gariooi: ma core 
DitgiuDto da' suoi verri Euote 
Fuori uscito ei n' armava ; e I 
Gioia, mirando lui del suo Re 
Curare i beni, benché lungi i! 
Prima ei aoipese agli omeri gì 
L' acuta spada: indi a t£ intoi 
Manto gittò, che il difeodca i 
TtAse una pelle di corputa e f 
Capra; e un pungeote dardo ii 
Degli uomini spavento e de' in 



ÌX 



a> andò a 



•\«*» 



uttù HflOic»9Dnfo 



Hinem «ppire di notts a Tdemico, e t|' 
iroHii di tornara iu Itaca. Ei ti congedB 
HcDelao, e parte col figliqala di Neilore. 
iDta a Pilo, lì rimbarcB , tenia rirnlrars 
t> ciltà, e accoglie nella ma nivB un inda- 
D d'Argo , chiamata Teocliméno , eh» fu < 
(relto laaciar la palrii per omicidiD. Prat- ' 
ta Bolloqnj tra Uliue ed EumÉo ; il qumi 
con ricuDascendolo ancora , gli narra 
N di'carMTJ . Feaitj rapito fu, mim-i 
n EédcìdUo, dalPiMla Siria « Tendili» é' 
tta. Tei emani, arrìfato uIto ali» ipbffa 
ui^ Manda alia citlà la naTe, e va tatto 
I alla oaaa éC Eo^^ , d) cai enaevoB b 



tl^ampia LaecdemoBe Uìnerta 
i**a intanto ad ■minoDir d^UIÌMtf 
iclìta prole che di far ritorno 
) patrie coDtndf «ra gik tempo, 
ntoHo ebe giac«a di Henelaa 
l'atiio con Piiiitrato. lofombrava 
molle loono di Nettorre il -figliai 
rUIiuide, eoi J'inceru Mtta 



PenUTUe id Ofìmn, e lD*an {SrlSi 
D'alto i balHai moi ip«rgè« la notte. 
La Dm cbe anntr* |li oeAÌ ^ pra ■non 



AraKwWl 
Km & per l4 




Doni, « agni >dd rivai d'òoiliilo vui-^r. 
GuiHa Don àe\ palagÌD ■ Ine tliiprtlo i 
Pirle ar'bpni con h madre IV>ca: 
Però rliP >ù qual ror s^jliMa ogni doniti. 

Ingratutb hrtff* 4rl tt^tiiiio ipoio 

La «voya pati] r fìrì Ufoi prffni figli 
S- di <tol«i che ifKÌ'ie impaimnlU 
Ifw li n«ni^Dla più, più ncifi rjctm, 

«iiaiwla ^ì.Cm) biijn itrlla tonba giarp. 
t, Mrtil* h Viaorr, a qu]>|e aivrclU 
Più dabbrnp ti araibri p più imlitl 
Commclii ir lullo, rìnrhè illuilrr ipnia 
Ti prriEnlino al guardo i Dpi rlpmenti- 
. Altro dirolti, e il riporrai uri rarr. 
Defili imatiti i più rei, che ter dal a^aai» 
Prima vorriaoti, «Iir ^Ifi p)ilria arrjvij 
Hel mar Ira la picfe» IUc« e SadW 
Sttnoo in agguata. Io crederò che indarw 
E che la terra pria l'oiia ipolpite 
DcHdoì neniei chiaderì nel ttno. 
Hdd perlanlo W nait in^ lontana 



I Tioii, e pOUvroo. naviga i un ■miao r-rriIiT 
I Trnta tMuTÌerà qael Im gli Cl^i-aì, .-lit .1 
Cbiwiqile ai«, Ibi», ti (]ire«|lc« giiardcif a 71 
tmit d'IUci giunto all^ pia C4(iV!nk, i i . )' 
Biri >ar'^ bacia ir la di.tb, »■ luUi ^> •: 
Jlli ciltii i componi ) ( l^ il ritaloiie 
C,eti:i ile'' v<Tri, che HDSnm tten ti TUOla. ■' 
Srro pisB» U (u>ttr,.Piit in .au, l'alba ' 
MinJjt .iRBilÌFanda alla Kfginn, 
Cbr a lei ijji Pilo ritcruMti iHi'tn. 
Ciò liptto, in un htUa )*J«c all' Olinp»' 

Egli r «miao «Ul:iuD dulce soiiiia, 
UrUp^Bln dal pie,. Mbilo unno. i . t 

E ^li Hriitò qiirs4e paiola: Sori^i, t 

PitittraLn, ed al OKuiliio i con-ujorì 
Solili amigli il ti inttupnni. e iitci>ppit ,. , I 
St anclie ij itaggio qaMra aver U(e enik • t' 
T«ln(ia«i>, il Sfitoridi rispoie, ,■ . , i« i /■ 
tcnrlié « tarili ili parlir, non lice. • . ■• t 
Drir ilfA nulle ciiTRggiiu- pc 1' on^T*. , I 
Poco TAurora tariipcà. Sostieni 
Tanto almen, clie il di Uncla faprrto AtriJtf 
Ponga nel CDOchio gli Qipitali di>ni, i 

e grntilnii^nle ti licenii. EiRi'na t 

. L'ospite rimeaibranTa in pelto derbft 
Di chi un he\ prgno d' amistii gii porM. ^ 
DiuC; e nel ttona d'or IMurora appair?. 1 

Il prode M^'oclao, <ti li^ttn ;>l1or* 
SailD e d' nUal» della bflU llliiai). 
Venne alla »olu Ieri né prin» il cara 
Pigliuol .H' Ulisse l< avvisò cb« in fratU 
Drlla lucfate tunica le membra ' 

Cime, e gitiò il gran manto a lé dMnterB«t 
Ed uact fuori, e l'.ilibordii e gli diiMi 
Pi|tlia d' iilre>, di Giove 'Iminu, duce 
J)i genti, me rimandi oggi al diletto 
; SitJTO ei<l, eui gii) oon T ilmiL \a i«^> > 



»3» DDMMl 

Telemaco, rliposp il forte Alridt, 
Io litcDFrti qui lungi itugioDE 
Voa TOglio a tuo mal cuorf. Oilio chi imi 
Gli espili suoi rcstcggiar troppo, o troppo 
Sprrgiirli 1 il mrglìo lempre è star nel mta 
Certo peccao M par chi dUrorleie 
L''aipÌle caccia di restar bramoso, 
E cbi bramoto di partir 1' arrctla, 
Comialo indu[iianlP| e quando scorp 
Che ierirsi dciia, dagli commiato. 
Tanto dinora loi eh' io non vulgarì 
Doni nel cocchio, te {>r»rnte, ponga 
E comandi alle femmme che un pronto 
Conforto largo di ai-rbete dapi 
T' apprrstin nrlta lala. È glorìoio 
Del par, che utile, a te dell' inEnils 
Terra tu 1 campi non pixir digiuno. 
Tuoi tu ìggiratti per la Grecia e l'Argo! 
Giungrvb i miei drttrieri, e alle diverte 
Cilt^ li condurrò : treppiede, o conca 
Di bconzo, o di:R bene appaJBti muli, 
O Tifa d' oro effigiata tiiu , 
Ci donerà '«alcuno, e lenia doni 
Cittade non aari che ci arconmlati. 

Telemaco a rincontro i Menelao, 
Di GioTc alunno, ccndottier di geati , 
Rel'inio palagio, ove nciiun che ÌI guariK, 
Partendone, io laariai, rieder mi giova , 
Acciocché, mentre il padre indamo io ccit 
Tulli io non perda i tuoi ttiorì e miei. 

Ddito quello, ad Eleiu e alle fanti 
L' Alridc comanda a' apparfcrhiaMe 
SubiU e lauta menta. Eteon^o , 
Che poco lungi dal cuo He dormi'*. 
Sorto appena di letto, a lui sen Tenne ) 
E il foco (uicitar, cuocer le carni, 
GÌ' impòlt UrDc\»0'. ne «A ikbbidir^i 



LIBRO X? 9'}^ 

OD iiUiite di Boete il 6glio. 
>doraU tolitaria lUnza 
ao acrte, e non già sol ; cLè seco 

El^iia e Hegapentr. Giunti 
e U rieca tappèìleltil giace-. 
V Atrìdc biondo una ritonda 
i« coppa, e di levare 'un^ urna 
ento al figlio Mega peti te ingiunse, 
donna fèrmossi air arche innanii, 
prplì gfacean) che da lei stessa 

gliatì già fàroi e variati 
Igni aorta d* artificio. El^na 

ampio traeane ed il più bclTo 
lolUplici fregi: era nel fondo 
irca, e si rilusté, ih quél che aliollo, 
tella parve che dai flutti emerga. 
ài doni le stanse »ttniversafo, 
è furo a Telemacc davante, 
ae«ti accenti Menelao converse : 
nato cosi, come tu il brami , 
nsenta, o Telemaco, il ritorno 
tonante di Giunon marito, 
quei, che possiedo, a te dar voglio 
he mi sembra più leggiadro e raro: 
ma effigiata, argento tutta , 
Q quanto su i labbri oro gialleggia , 
jlcano fattura. Il generoso 

Sidone, Fediroo, donolla 
, che d' Ilio ritornava, e cui 
ò ne^ suoi tetti ; e a te io la dono. 
Uride in mano gli mettea la tonda 
Da coppa : Megapente ai piedi 
icò V urna sfolgorante ; e poi 
, bella guancia, a lui di contra 

col peplo su le braccia e disse : 

1 anco da me, fìgìio dilf^tto, 

? altro doDO; e per memon^ WcixX» 



,,4 om...» 1 

Utile mani d' Eléaa. AOa Ina «pMB. 
nd lospiralodì dille sue none 
LFnitfmbra coprirà. Rima i>ga intanlD 
Della prudente genitrice in guardia 
E t'iatla poltrii terra e alle anperb 
Caie de'' padri tuoi giungi felice. 
Ei con gioja ael prete; e i doni Ini 
poiché ammiraU la materia e l'arie 
N'ebbe, allogò Piiiiirato nel carro. 
Quindi TAttide dalla bionda leda 
Arabi condusse nella reggia , dove 
SoTra i troni ledettero, [.''aacella 
Subitamente da bel yaio d'oro 
nell'argenteo bacile acqua lucente 
Spandea, alendea deiro polito, io cu 
La veneranda diipenaiera i bianchì 
Pani venne ad imporre, e non git 
Delle dapi serbate, onJ'é custode. 
Kleanéo parlia le carni, e il vino 
Megappntc verasTa; e i due slranier 
La mano all'uno e oiralLro ivan poi 
Ha come aaij della tnenia furo, 
Aggiogato i cavalli, t la vergatii 
Biga pronti taliro, e t'agitaro 
Fuor dell'atrio e del pgrlico aonante 
Uicl con eiai Menelao, ipumoia, 
Perchè libaaaer pria, ciotola d'oro 
Nella dettra tenendo, e de' cavalli 
Permoaai a fronte e , propinando, di 
Salute, prodi giovanelti, ■ voi 
Ed al paitor de' popoli aalute 
Per vostra bocca, a Nestore, che fuiv 
Dolce, qual padre, aottn i Teneri mi 
Ed il aaggio Telemacft a rincontro 
Tatto, non dubitar, di Giove aluDiia, 
Sapri il buon vecchia. Oh poteta'io noi 
ToiU eh.'' io ik!> vdWm^uI UUua 



M .fluiti •Mdriccki doni 


.,5 


a te rioevetli, e racconlargli. 




ccoglìeou IO n'ebbi equilcomm 




ivellava) a a lui ili «opra n a deii 


lr« 


Ila volò, chebiiD» e granile 




cu oca con rIÌ BiIuDcfai artigli 




irte rapia. Dietro gridando 




e donoE leeorrcan: roaquelE» 




ò, puril» dctni, :ii àar. ganoni, 




it,..id<i.lri«rÌTolDÌnnllo. 




strato a dir: Nubile Atride, 


'S 


n le sWsBo, «■ a le fot.f , o e noi: 


s 


ijigio ioTioro i Sempiterni. 


.fi 


*iaMt«mtnt-<ta.)i» oMiavfc - 





rfCRk* «kè «* r M#ÌM a. H^ 
mota «oU«te aquila mcm 

10 monlB, che ìidoI sparti gtiwda, . 
rw« nel Rortil Dodriu , 

ximoitì UKite, alk. patirne 

■unto 'da lonUnì lidi, 

oci pìomberk; (e pur non nono 

«r.àpparecrhia orrida (Dorte. ' 

Jenaott allor : Coi4 oiò Togtia 

mante di Giunoa marito, 

oli da me to avrai) qnal Diva! 

1 1 dcatrieri flagellò, die ratti 
per la cittade e «i campi uaniro. 
I r intero di, iqnuiando il gi<^, 

ambi (tSTa lul rubu*to collo. 
ilJi il, Sole, edimbrunlati le itra^f 

(ioTani a Fera e alla magiotio 
■le arrivlr, del prode figlio 
locio d' Alleo,' aure ripoii 
baa^utUi «dotpiiAU.deki. , . 



9^6 ODISSIJk 

Ma come al Sole con le man rotate 
L'Aurora aperse le celesti porte^ 
I cavalli aggiogaro, e risalirò 
La Yergolata biga, e V agitare 
Fuor delPatrioe del portico sonante. 
Sferzò t destrier Pisistrato • e i destrieri 
Di buon grado Tolarano { né molto 
Stetter di Pilo ad apparir le torri. 

Allor cosà Telemaco si yobe 
Al.figliuol di Nestorre: O di Neatone -, 
Figliuol, non desti a me fede, che senpft ' 
Ciò tu faresti, che mi fosse gio)a? 
}'atemi ospiti siam, siam d^ nn^ etadej 
E più ancor ci unirà questo Tiaggio. 
Non mi guidare oltra il naviglio mio. 
Colà mi lascia: ritenermi il Tecchio ■ 4 
Mal mio grado appo se, di carenarmi 1 
DESIOSO, potrebbe ; e a me bisogna 1 

Toccare in breve la natia contrada. j 

Mentre cosi Tun favellava, alP altrOi | 
Clie d^attener la sua promessa i modi j 
Discorrea con la mente, in questo pane 3 
Dover fermarsi. Ripiegò i destrieri I 

Verso il mare e il naviglio ; e i bei pi**^ 
Onde ornato il compagno avea PAlnde, 
Scaricò su la poppa. Indi, Su via, 
Monta, disse, di fretta, e a' tuoi comandi 
Pria la nave salir, che me il mio tetto 
Riceva I e il tutto al genitore io tfarri. 
So, qoal chiuda nel petto alma sdegnotf 
Ti negherà il congedo, in su la riva 
Verrà egli stesso, e benché sensa dooi 
Da lui, credalo, tu non partissi, un forte 
Della collera sua scoppio io preveggOi 

Dette tai cose, alla città de^Pil} 
Spinse i destrieri dal leggiadro crine, 
E àìV eceelM mt^on ta^vdo giunse. 






. _ : Pronti Ull»«, 

npagoi, arniale,c IH montiBinvi e andilmo. 
•coUaio r ubLiidìra. Irumintinente 
iitava , e «''iiiidsa ciatcun in ì baiicbi. 
\a partenin sccelcraDiln, a pali» 
Ughi ailj poppa e iigriSci ofTili; 
Dado «sul dalla vcrdeArgo fcraca 
( non voluta uEciiVone i^Doto 
klulaDte appretaollo : era indoTÌno, 
di Helainpo dalla gtirpi! boped. 
(JIa madre di greggi ipciita Pilo 
|lBai|>p prima «ogeiomaya, e, eorat 
«CD nota, superba vi abiUva mleltot 
>i, fi'gS""''' '' patria rd il più illudr* 

B anno intero ritencagU a {ina, 

■Bìlò ad altre genti, e duri Ucci 

p' albergo d. Filaro e dolori 

•aTi loitenoe per la vaga Piglia 

lINelco, e per l'audace opra, cui metia 

Ili arca nel capo la Iremendj Erinni. 

U teampò dalla morie, e a Pilo adduiic 

e CDDtrasIate allomugglilanti vaccbe, 

I vendicò dell' infedel UMo , 

konaorte al frate! U vaca Pera 

I Filace menò. Quindi IIP altrica 

R nobili deitrien Argo len venne, 

laleodo il lato cke >u i molti Argivi 

■CDiate ; Bpuso quivi srvtic: al cielo 

ferole pirtredrlla .ui dimora; 

L forti geuetò Mantio e AnLIfàle. 

Rq>ie>ta il grande Oieléa nacque, « d''Oialé» 

l>>ITalDr di genti Anfiarao , 

kunto autor Febo portava e Giove. 

Nt di vecchieiza noa toccò la logtiai 

Diti generati AuSlucu e Akiueiìiie , 

flk Tebi perì djili fiiii «Tua 



Uuiini trillilo. Ma lU Hmtio >1 gìorn* 
Clllo u.cirQ e l'olilì.le. L" Aurora , 
r la beltà cbe in Clito alU tpUndel, 



I 



lUpUiOi e il calluci tri gf JDitDDi'talLi ' 
H Frbn, ipcDlo Anfiano, cooccim i 
più, chead «llr'uuro, de'valicÌDJ il dami 
A PolìBde, il quii , crucciato al (laUrc,: 
Trapittò in Ipereaia, ove « ciaicuoo 
Ufi fiiluTO iquirciiir loira Ìl vrlauie. -i 

Fi|tUo * quedu era il ptllrgriD che II 
Di Telriuiicu al nioco , e >i chiamaTl i 
Tpocliméno : appo la negra n»»ci , 

Henlr'ei libava e aupplicava, il cotit, i 
E a lui con voci ulate , Amica, diiw, , 
pDirh'io II truvu a queiU uIGci inleiilo, 
Ve' (agrilitj (noi , prl Dìo cui gli offrii 
per la luo capo, sieuo e per cotcEti 
Compagni tuoi, non mi naiconder nuli 
Di quanta io chieilcrò. Clii, e donde M 
Dove i pjrenli a le ? I» p.itiia dove? 

Slrahier, co^i Telemaco ritpoie , - 
Su i labbri miei no<i donerà che il len 
Itaca è la mia patria, il padre è Uliiie 
l>e un padre bo ancor: quel.di cui fortei* 
Pcrb con negra nave e gente fida 
Partii, cercai^do per^iierti lochi 
Novelle di quel iniiero, cui lunga 
Tipii dalla. patria ma jran tempo il fai 

B il pari ai Dei Teocliméno : Auch^i 
Lungi erro dalla n>i>, diccbé Vucdai 
Uom drUa mia tribù, che laicib multi 
Parenti e «mici prt'pouenti in Argo. 
Delle lor man vendicatrici uicitOi 
Fuggo, e «ieguo il deilin che l'ampia ìa 
Con pie ramiogo a calp<-»tar mi tncge, 
Deh lu la nave tua me lopplicaBla 
Hieovrt , • d* cglor dw, T«^a Amt 



r. 



s 



8q i miei Tftligi, tu, che il piiof, ttif saWa. 
Jl prudute Telemaco di dhoto: 
"1 mia naT^y ia tui nlir to bramii 
r aod poM mai eVio ti retfpinpa. 
imi^ur: Don mancberanli in nave* 
dbe di darli è in me, doni ospitali» 
detto y Fasta dalla mau gli prese, 
delia naye stesela sol palco, 
na flsoiitoTTi, e sedè in poppa, è al fianco 
ir il feo Teòcltméno. Sciolto 
compagni le foni, ei loro imposo 
eofrere agli allrmi . ed t compari 
"*' iibhlidiro s il groiso abete .in allo 
aròf e rhopiantaro enUb la ca? a 
y dì tùféà Paiinìòdaro al piede, 
le cftntftdV Tele in so tiraro 
m bene^ attorti cuoi. La Dea cb^ in giro 
i^llé ^hle d* aiznrriito muovei 
'''^le mandò dal cielo uh vento 
S gagliardo, perché in brevi istanti 
fisarassé del mar ronde il naviglio. 

passò il b«)on Ifgno e la di belle 
le irrigata Calci(]e,che il Sole 
t^inontava, ed imbrunìan le strade; 
Si spinto sempre d^ quel vento amico , 
*iii governava un Dio, sopra Fea sorse, 
d^ Ik costet^giò V Elide , dove 
pgnan gli Epei. Quinci il 6g1iuol d^Ulissa 
fra le scoscese Echinadi si mise, 
^■r rivolgendo nel suo cor^ «e i lacci 
liverebbe de^Prori, o vi cadrebbe. 
Ma in altra parte Ulisse e il buon custode 
ficdean $oiV esso il padiglione a cena, 
[B non longe ^edean gli altri pastori* 
[FfO de^cibi il naturai talento ^ 
Ulisse fiiTellò , tentando Eumeo , 

Wf POH ceMaodo dalle cure amichf 1 



>.uméo , disse , in^ accolla j e Tiù pur tutti, 
l'uilo clie il cìr] c'inalbi , alla citudc, 
On<riote nou ci)n>Dmi,ed i romponi, 
Condurmi io Togliu ■ mendicar U vita. 

Fidata mi provvrdì. Andrò Ta|iondo 
Di porla io porla , e ricercando , come 
Sfonami rea nece.iilì, dii un pone 
Mi porg», ed una ciotola. D' Iliiste 
Mi fiiró diletti, e alla tua donna laggia 
Novelle recheronne , e avvolgerODimi 
Tra i Pi-opÌ alteri, cl]c lasciarmi fats« 
HeUj lor copia non vorran digiuno. 
Io, cìie che piaccia lor, lubilo e benfl) ■ 
Eseguìrb; poicLè laper t'è d'*uop« J 

Cbe, per favor del messaggero Ennete, | 
Da cui grazia ed onore acquista ogni opi>»'', I 
Tal lon elle ne'' servigi, u il foco «par» 
Raccor convenga , o le riieccbe legna 
Fendere, o cuocer le tagliale carni, 
O il vio d'alto versore, uffici tutti 
Ch-. i minori preitar togliono ai e"ndi, 
ìlr nessun vince su 1' immi'nia terra- 
Sdegnato assai gli rispoDdcsli, Ennico : 
Ahil qual pensier ti cadde, oipite, in capo? 
Brani perir , te raggirarti penai 
Tra i Proci, la cui folte oltracotanta 
Sale del ciel sino alla ferrea volta. 
Credi a te aomigliare i lor duDielli? 
Giovani in belle vestimenti, ed unti 
La ebioma sempre e la leggiadra (accM| 
Minìatrann ai iiiperbii e sempre carche 
Delle carni , de' pani e de' licori 
Splendono agli occbi le polite menae. 
Buuni: clu né ■ ne I né de' c<Miipi|DÌ 



tino zv dSi 

ad alcon la tua prefenia ìanatj 
ne giooto sia d^UIisM il 6g1io , 

tunica e manto e da lai acorta 
ai , dove che andar t^ aggradi. 
iOf rispose il paziente Ulisse , 
rioye amar te, siccome io t^ amo | 
i al Tagar mio lungo ed alP inopia 

fine l lo non so peggio vita : 
I melico stomai^o latrante 
pi a errar , per acchetarlo | sforza ^ 

mali a soffrir che ad una vita 

s** accompagnano e raminga, 
iando Tuoi eh** io teco resti e aspetti 
.co , su via ) della canata 
d** Ulisse parlami e del padre , 
tempo che il figlinol sciolse perTroja^ 
ecchiezza il limitar toccava. 

del Sole in qualche parte i rai? 
ide la magion freddi gli accolse ? 
jc , ripigliò V inclito Euméo , 
a me tu non udrai che il vero* 
vive ancora e Giove prega 

stanca dal corpo alma gli tragga: 
Jel 6glio per T assenza, tanto 
morte si duol della prudente 
, che intatta disposollo , e in triiU 
o il collocò vecchiezza cruda, 
ananza del suo 6glio illustre 

a poco , ed infelicemente , 
i la condusse. Ah tolga Gioye , 
al m'^è amico e con amor mi tratti^ 
u simil via discenda a Dite I 
slla visse , m^ era dolce cosa , 

dolente bì mostrasse in faccia , 
rof^arla e il ricercarla spesse : 
?11a mi nutrì con la de"* pepli 
Uimene , sua figliuola egregia ^ 



E ite^tnot parli riiltuno. Con qupsla 

Mii romr filmina della noitra elide 
Arubi lul primo iiividlnbil fiore , 
SpoK lei fera in Sol 



e ricf:lii doni 
H^dibi-rtie 
Lp^^iidre in doiao e bei calzari ai piedi, 
MaadD i catnyii nliilar In mti lignorn, 
Cile «Il cor ciBECun di vie più m'imuti. 
Quanto geco io perdetlì! t ver !:lie (|un(e 
Fmirfae dure, in che U vìla io spendo , 
Mi furtuilano i Numi, e cb'ia :;Ii estrani 
Fìnar ne ulimenlai , non cbe me limo. 
Ma di falli confortò o' di parole 
Sperare or da Penelopetion lire : 
Che tutta Jn predn di >u[terba g^cnle 
£ Il ina(;ion ; né alTa' R'rglna -|>onna 
liapprtteMlarii e hr ddiUanile i tertì , 
Piglia. 



E poi di nuell 
Sfitipre- rillegr: 

Te (lilla patria Inngi e ds' pai 



l'ayTèdiilD Uli« 



O incanì A meni e abbandonalo roili 
Prccio le agnelli □ ì turi, e gente oilile 
Ti rapi in le n>TÌ e ai tetti addane 
Oì nukitd Re, che li Compib a gran pretu 
Ea a rìncontro Euméo , d''uoiiiÌiii capai 

?uaDdo ■ te rUaperlo , oipite , cale , 
acita a^rolta fl goditi e alle labbra 
HetU, aitilo i 1> laua. Or coit lungha 
Xàt DOlli Tao che trapaiaar li poDDQ 

Fitte dornendo , e novcUando parie. 



LIMO wr aSS 

i 1^0 d^ uopo iimàfiii al tempo: 
n tonno nuooe. Ove degli altri 
le ad alcuno, esca e •' addonaa» ' 
lianco V Oriente, siegaa, 

però, gì** ispidi Terri. 
am nel padiglione a meniay 
cenda delle nostre doglie 
nembrandole^ prendendo 9 
mali ancora uom che soi&rse 
olto vagò prende diletto. 

la, se mai parlar ne udisti, 
•Io di fopra e Siria è detta. 
Iti del corrente Sole 
veggono. Già grande 
ipo, ma buona ; armenti e greggi 

1 copia, e ogni speranza vince 
ito e col vino. Ivi la fame 
mai, né alcun funesto morbo 
?Dto i roisfri mortali: 

1 crine agli abitanti imbianca, 
ndo in man P arco d"* argentO} 

Artemide, e gli uccide 
lon vista un dolce colpo. 
i ivi 6011 di nerbo eguale} 
lide Ciazio, il mio divino 
Ulna e T altra il ireu reggea. 
giorno di Fenicj, scaltra 
.el mar misuratrice iliiistrei 
e negra, ciie in6nite 

se stessa bagattelle induslrL 
ucsti una Fenicia donna, 
re scliiava nel palagio aveaj 
'au persona, e di leggiadri 
erta. 1 maculati panni 
fonte presso il cavo legno, 
] di que^ ribaldi a ciò la trassoi 
'inmine incaute, ancor cbe Tòte 



1 



» 



Mun tien d' ogni virtuile, il lenno iOfolt. 

Poscia chi Ime, ri eh indeal e, e donrie ^o 

VeouU ) ed «Ila lenxa indugio V alte . < 

Del padi'c low caie iddilbgli t dioe : • i 

lo CLttadipa della chiara al mondo -i 

Sidone iDflallifcra, e del ricca . n 

Aribanle Bgliuola eiaer mi vaoto. lì 

Tafj Ldroni mi rapirò od glo™, 1 

Che ben degno di me preizo lor diede, -t 
Non ti uria, colui rispose allora, 4{ 

Caro duoquu il iF|oitci, ed il loperbo «i 
Be'* Cuoi parenti rivedere albergo? J 

SiTeder lur, che por lon vivi e io fami 1 
Si doviiiB tra noi ; Cerio mi libra, i 

' Lft donna Hpigliii, lol che *oi totti >r 
Di ticqndumi il oalio luol giuriate • ' 
Salva >ul mar navigero, e sicura. 
Disse; e lutti giuravano, E in lai g^m 
Tra lor di nuoio (avello la donna i 
StitcTi or cheti, e o per trovarmi al font* 
E incontrarmi tra via, nemna mi pulL 
Biiaprebbdo il vecchio, e di cateoe 
He graverebbe, •ospettindo, e a voi 
Morte, cred' io, macchinerà*. La cou- 
Tcnete duoaue in leno, e a provvederti 
Di quanto > è meitier, peniate intanto.. 
La nave appien vettovagliata e carca. 
Giungane a me l'unnnniio in tu*ta fretta 
Ed io, non che altro, recherò con meco 
guanto sotto alle man verrammi d^oro. 
Altra mercè vi darà ancora : un GgUo 
Di queit^ ottimo Re nel luo palagio 
Ballevo, un vifpo tal che ad Ofa^ ìatiDl* 
Fuor mi icappa di caia. Io ri ptomeUs 
AUt UTC BuiltuloTi i nà Toi 



tieuol taot ne ritrarr , _ 

{m venderlo il rapniate b eitr^nic gpnti. 

Oiiu, e alla reggia l'ilortin. Coloro, 
K paeae resUnda un anno intero, 

%nho il carco, e di *ilpare in paoto, '' 
ht messaggio alla femmina tpediro, i 

^0 apeiHr d'' accorgi meni i miittro, 
ÌK con UD bello, aureo monile, e «r ambra ' 
'■ptnenle ìnticcciato, ■ noi aen Tenne, 
tirire ed ancelle il rivolgean tra mano, 
Inio non lieve promettendo , e a gara. 
il occbi vi [enean »u. Tacilamente 1 

begli amroiocò alla donna: indi alla naf» 
alzava i pasti. Ella per mano allora 
resemi e fuori osci : tro*ò le mense 
tU'airio, e i nappi, in cbe beveao del padn 
'eommensalì al parlamento andati 
«"un esso il padre caro ; e di que' nappi 
tre, cbe in grembo tielb, via ne portava ) 
Edio 4e^<iÌGla n-lla mia stollezza. 
Gii trtMVntivK iLS^Iste di'tenijbn 
hnpriaai ogni strada ) a noi Teloni . . . . 
CiuDgeniniti al porto a alla Fenici» turai' . 
Tenj taltti, le campagne acquose . 
FmderMi 'lieti con un Tento in poppa, : 
Qifia Giore spiocSTan. tisi giorni . - ' 
k fi^nderano, e notti sei : ma Oiora i .' '- 
Osefltnb non ebbe agli altri agpuntVti 
Ole dalla Dea d''aTTeDlar dardi amante '■' 
Upita fa la nequitosa donna.' 
Mia WriDtiK con rimbomba cadde, ■ < 
Ì^Mii trrttU folaga. Tra V acquo : 
jUKagliarai Psaid, etei fntara 
I M «À^ì Tlldli I e nella naT« ... . .,i 
'>le io rimiri, abbandonato e mertoi t 
*« Foste • il Tento li MMpinM «Ib^ '- 



a85 oDiMià 

D^ Itaca, òcre me comprò Laerte* 

E codi questa terra ospite, io vidi. 

Eaméo, rispose il. paiieote Ulisse, 
Molto a me r alma commoTCSti in pcltO| ' 
Narraodo t casi tuoL Ma Gioye almeno 
Vicin tosto ti pose al male il tene. 
Poiché vemsti ad un aignor cortese. 
Che quanto a rallegrar, noo rhe a seri>in^> 
La Tita é d^ uopo non ti niega. Ed io 
Sol dopo luoghi e incomodi viaggi 
Di terra in terra, a queste rive approdo. 

Tali fra lor correan parole alterne. 
Dormirò al fin « ma non un lungo sonno t 
Che in seggio a comparir d^ oro la bella 
Già non tardò ditirosata Aurora. 

Frattanto di Telemaco i compagni 
Pjresso alla riva raccogliean le vele. 
U albero dechinàr, lancisro a remi 
La nave in porto, T ancore gittarO| 
Ed i canapi avvinsero. Ciò faito^ 
Sul lido uscfano, ed allestian la cena. 
Bintuzzata la fame, e spenta in loro 
La sete, Voi, cosi d** Ulisse il figlio, 
Alla città guidatemi la nave, 
Mentre a^ miei ca*npi ed ai pastori io nOfO 
Del cielo alP imbrunir, visti i lavori, 
lo pure inurberommi, e in premio a voi 
Lauto domane imbandirò convito. 

Ed io dove ne andrò, figlio diletto ? 
Teocliméno disse. A chi tra quelli 
Che nella diseoscesa Itaca sono 
più potenti olfrirommi ? Alla tua madre 
Dritto ir dovronne e alla magion tua beHi 

Il prudente Telemaco riprese : 
Io stesso in miglior tempo al mio pabgio 
T^iuvierei, dove cortese ospizio 
Ta- non avresti a desìLare. Or maU 



LtUOZT -987 

lìterfsltt la non sarei con tecM^i >•■ 
te Tedrfa penelope, che «oeTra 
Prociy a. cui raro.u raoftrai tele 
le più alle stanze a oprarp intende*, 
uoin. bensì jt^ additerò, cui franco 
i pres^'ntarti ; Eurìniaro, del saggio I 
ho il BgUo, chfi di Nume in guisa, . 
iran gPItacesi. Egli è il più predai 
: regno, più che gli altri, e la coàsocka- 
Jlisse aftetta. Ha se, pria che fuetto , . 
^Uggiosi compiaci Proci .tutti > ; 
i aoenderaooo a^ abitan con Plu^», 
Himpio il sa, benché. si ^Ito alberghi» 
al favellava 4 ed ;iii^.augello a destra 
volò sovra il capo, uno sparviere, , 
[o nunzio d^ Apollo : avea nelP ugna;. 
ica colomba, e la spennava, e a terra 
lo stesso Telemaco e la nave 
piume ne spargea. Teoclimcno 
vide appena, che il garzon per mano 
le e il trasse in disparte e sì gli disse : 
za un Nume, o Telemaco, V augello 
I volò a destra. Io, che di contra il vidi^ 
augurale il riconobbi. Stirpe 
regia della tua qui non si trova, 
possente ad ognor fia la tua casa, 
osi questo , Telemaco rispose, 
vveri, o fofpstier, concio lai pegni 
darei d** amistà, che te, chiunque 
risconlr».«se, cliiameria beato, 
ndì si volse in c>tal guisa al Odo 
compagno Pireo : Figlio di Clito, 
che le voglie mie fesli mii sempre 
quanti a Pilo mi seguirete a Sparta, 
idurnii il f >rrstiero in tua magione 
celati, e usargli, Hncliè io vengo, onore. 
*er tardi, gli rispose il buon Piré0| 



< 



Cb« ta Tenitiì, io ne «vrb cara, i nuli* 
I)'' otpitik Bir^ che nel mìo Ietto, 
Dove il condurrà toslo, ei non rìcFTa. 

Dttto, lalse il naviglio, e dopo lui 
Gli altri iHllanloi e a' atsidcaa nu i banrbL 
TelioMico l'avviiisei bei caliari 
Sotto i pie molli, e la >ua Talid'aata 
BameuppimUta, ctie giacca sul palco 
D«1U nsTe, io man tolae ; e quei le funi 
SciAlaero. SI tpingean m ron li riTe 
Vèr II cilln, rome il garaone ingiunie ; 
Ed ei atndiaTa il pitao, m tio die inntnii 
Gli a'epcrfie il cortile, OTe le molle 
S' BCCDVacciavan setoloce Icrafe, 
Tra cui vived 1' inclito Euiuéj, che, o FmiE 
Nella veglia, D nel boduo, i tuoi padroni 
Donoenda ancor, non ebe vegliando, acmi 



UBM) DECDfOSBSTO 



ABOOMSHTO 

Leliiia d* EamiSo all' arrÌTor di Telemaco « 
tandalo «Uà ciltk |>cr avvertir del ino 
la madre. Minerva appare ad Ulitie, 
itttilaiace le aae aembianu e gli ooman- 
d& scoprirti al figliuolo. Intanto qae'^Proci, 
Inrano m agguato, accortisi del ritorno di 
'deoaco , escono di qaello , e si rendono in 
lltiea. Eoméoy eseguito V ordine, si riconduce 
f4i villa , ne riconosce però Ulisse , cui Pal- 
. Uè nuovamente trasforma. 

h inclito Eoméo nel padiglione, e Ulissei 
kceso il foco in su la prima luce, 
jwcgier pasto allestiano ; e fuori al campo 
Wnerì porci uscfan gli altri custodi. 
jU ì cani latrator , non che a Telemaco 
Ifon abbajar , festa gli feano intorno. 
•^avvide Ulisse del blandir de^ cani, 
^ d^ aomo un calpestio raccolse , e queste 
^oci drizzò al pastor: Certo qua, Eumco, 
^ tuo compagno o cunoscontc , giunge ; 
^oiché^ lontani dal gridare, i cani 
i«alratori careMzanìo , ed il basso 

Odissea \ ^ 



990 ODISSEA 

Ue'Àuoi ricini pie strepito io sento. 

fVoii era Ulisse al fia di questi detti , 
Che nelPatrio Telemaco gK apparve. 
Balzò Euméo stupefatto , e a fui di mano 
I Tasi , ove mescea [''ardente Tino, 
Caddero: andògli incontro, e if capo, ed ambi 
Gli baciò i rilucenti occhi e le mani , 
E un largo pianto di dolcezza sparse. 
Come tenero padre un 6glio abbraccia , 
Che il decini''aùno da remota piaggia 
Bitoma , unico 6glio , e tardi nato , 
Per cui soffri cento dolori e cento : 
Non altrimenti Eum^o, gittate al collo 
Del leggiadro Telemaco le braccia} 
Tutto baciollo , quasi allora nscito 
Dalle branche di Morte, e lagrimando^ 
Telemaco, gli disse , amato lume , 
Venisti adunque l Io non avea più speme * 
Dì te veder , poiché volasti a Pilo. 
Su via, diletto Oglio, entrar ti piaccia, 
Sì ch'aio goda mirarti or che dVtronde 
Nel mio soggiorno capitasti appena. 
Baro i campi tu visiti , e i pastori : 
Ma la città ritienti , e la funesta 
Turba de' Proci che osservar ti cale. 

Entrerò, babbo mio, quegli rispose: 
'Che per te, per vederti e le lue voci 
Per ascoltare, al padiglione io vegno. 
Bestami nel palagio ancor la madre ? 
O alcun de' Proci disposolla , e nu'lo 
Di coltri e strati , e ai sozzi aragni in ^Ttài 
Giace del figlio di Laerte il letto? 

Nel tuo palagio , ripigliava Euméo , 
Bìman con alma intrepida la madre , 
Benché nel pianto a lei passino i giorni ^ 
Passin lo notti \ ed ella viva indarno. 

Ciò dello , V asla A^Wa. ttv^xi ^\ ^\t.\^ ^ 



ui» ni ui 

ÒMco 9 ^«'Bcttea mi mima 
•ogiia I M cBtnn. 'Uliiw « lui 

» ino aan coBMBtlib, p, Slatti, [ ' , 
cr, dlM«,auÌM'i DB dirà Mggi*^ ..~ 
tvHMfMla et|nniM noitra, 
tlPaoiao i loDtan.'tèe dir mA jòiMlé. - 
«, indietM firtM. dt Buon 

Hi ti M|g)a gMnhjit diiteM . . j 

li Tsrdi , e bb> tcIIoh jpclle , - 

inon T^adagiÀ. Poi le nntaiie' ,. 

Broa addlelro abbnutolile canii 
cb tu i taglieri t e, sc'eancatri ' . 

'nn aoTra l' altn in fretta ipaùi, , 
MO tìdo Delle tane inhiwfi ' . 

••« di Miitn egli i^aiiiie. . ''' 

Ila della meitM ebbero appena 
lerio naturar, che baeite 
■caad Eaniéo drizio parole : 
, d'onde quegO ospite ? In che ruÌW 

nocchieri ad Itaca il menaro ? 
a piedi lu l'onda ei qua non nane. 

coli gli ritpondtiti Euméa:. 

6(;liu.>l, ti ceierb. Natia ' 
mpia Creta rgU «i vanta, e dice 

lonlii d'un Niime arverio. Al Gne 

giù da on> Teiprnzia naTc, 
io lognrio traile.' In tri ronieono. 
be tu *>i<.i , ne h: >ol li rammrnla 
di tuo luppticanEr ambiice il nome. 
e al mio cor , TelomacD ripresi , 

Euméo , lu proferisli. CoDie^ 
je ricettar nella paterna 

pollaio? Troppo io sim verde ancora, 



iZ'Smr 



Viva Gol tiglio 

preienl3 
Benil si tu(i 
E una spaila a Hue tagli, e bei eaUBri 
Dar voglio , e Ih inviarlo , ot' ei desia, j 
Che ic a te piace ritenerla, e cun j 
Prenderne, io vesti, e d''agni sorta e>tui 
Perché te non consumi, e i tuoi campai 
Qna manderò. Ma ch'eì t'accosti ai Fm 
Cbe d'ingiurie il TeriscaDa, e d' oUraf;e 
Con dolor mia, non larì mai cb'io mO 
Che potrla nontro a tanti e ù valenti 
nemici un lai, bruche pniraoso e lottai 
Nobili! amica, casi allora UUise, .^ 
Se anco a me favellare or si concede, 
)1 cor nel petto mi si rode, udendo 
Li indegnitade in tua magion de'' Proe 
Mentre di Ul sembiante io pur ti veggo 
Cedi tu volontario? O in odio forse 
Per I>oracol d'un Dio l' tia la ciltadi: 
O i fratelli abbandcinanli cui tanto 
S'affula r uom nelle più dure imprese 

Non bof Perché dod sod d'Ulisse il Gg 
Perchè Ulisie non lou 7 Vorrei che troi 
Per mano «trina mi cadesse il cjpoi 
S' io , nella reggia penetrando, tutti 
Non tnandjiii in rovina. E quando ine 
Me ioverebiasac l'inanità turba. 
Perir lorrei nella mia reggia uccìdo 
Pria che mirar tuttora opre lì turpi, 
Gii ospiti mal menati , violale 
Aliì colpirle t»iAcvi\ie, «4 TOihiotlito 
A caso , inùaitio , t «.™ W». « V.-ìW 



liw» , eecoti Q ver , ritto riipoie ì 

enta Telemaco i Don tutti 

DO ì cittadia ne ite^fratellt, 

ito rnom nelle piò dubbie- iiiipre«« . 

iHpog|iani, rìduam^nui io pouo. . 

1 Sàtnniio che di no*tra itirpa 

In età ipanuue «i mI rwDpolkh 

< Msarfc Lterte colo, 

il •do UliNe , « pMcia UIìm* . . 

sift Dcl paligift,^ vdìm Bglio, 
p»eo gódii fmndi |MtnloMi 

1 (ente al notlro «Ibeifo bi him. ! '.' ^ 

i Ck Dntidifo'e S«bm, e U teiraif ' 

), e b {lietroM Itaca ptebd, 

a U itttn della inadiv agofwu 

t ri|ettar può, aé hmm 

Balnli nom. Inl^nto i Prooi 

mo i deichl con le pingai nembra . 

■gofiate vittime, e gli aTcrì 

Dffifon tutti) né andrk noQ» GmCt, ; 

in grata aarò vittima io iteaio. 

1 de' auinì au ì giootichi pota. 

, tu vanoe rapido e alla madre 

che lalvo io le tornai da Filo. 

larralo a lei che alcun non Cait , 

Achivi, I! ^ua rifdi, ov'io m^arreato. 

li che molli del mio «angue han *ct«. 

a ia riapoita gli diceili, Euméo: 

cOj veggo, ad uom die intende parli. 

in vorrai che meno all'iDrelirn 

la via ilriia io vada f 
e un tempo e triito^ 

lei campi ai lavar guardava iotenlo j 

-ggìava co' s«rvi. Ed oggi é fama 
da qud di che naviguli a Pito, 



d'Ulii 



-IjH ■ «iWkw-»"^^^ 

^é i'aslfggLÙ ro'tervi, ui dc^campi 

PtA ni lavori guardò ; mi laspiMiido 

SiiMlr, e piatiKi-nilQ, e alle scarna olia 

S^arngge, ohimp' T inarrJiU cute. 

GriD pi eli ile ! Telemaco riprcie. 

■ flt litcianinlu inror per bre*! ùlintl 

• KelU taa d'iella. Se in man aottn lui 

~ H!, il ritorno a procurar del pjdrt 

li TÌvolgercl>bG agni mhi cura? 

, , )ni adunque l' ambaariala, e riedi^ 

l 'Ri a lui pe'cjoipi dWerlir; maialo 
I Vriega la madre , cbe in lui vece al i 
StcreCa imbaacialrice e frettoluM 
La ffnerauda ecDiioma destioi. 

belLo roil, eocìlullot ed ei voa m» 
Prtfi i caliarj ■ e ■vvìutiaeti aj pi&lii 
Eubilan-rureitta citià tendca. 
Vfm parti dalla italta il blion EUslodei 
Gh« r armigera Dea non le nr addette 
SceEf! dal del», e lomigliante ld vista 
A bella e 6"i"le , « 'le'piil I'l^I lavori 
Femmina esperla , il ttrmò alla porta 
Del padiglion di coolra, e a Ulisse ap 
Teleuiaco non lidelai che a lutti 
Hon li moilran el* Iddìi. Tidela il p*. 
E i ma'lini la videro, che a lei 
Non ahbajìr, ma del oorlll nel foodo 
Trepidi li relaro e guaiolanti. 
Ella accennò co' lopraccigli , e il pidr 

Nrlla corte alla Dea, che li gli diue: 
(> La>rz(ade generoto e accorto. 
Tempo ì' die al tuo Bgliuol tt. ti pale 
linde, sleitninio mcdilarido ai Proci, 
Moviate uniti alla città. Vicina, 
£d acciiila a pugnar , lotto m' avrete. 



•9S 

VM. ta reco circondargli a un tratta 

VNti le membra, b il corpo farai 
^ande e più rabaato, ecco k guance 
itai, e già ricolorani in bruno 
'■Exurro tirar sa per lo mento 
i «he parein d'argento ìu prima. 

Dea apari, lìeutrù Ulisse! e il Bslio, 
taraviglìa preso e da terrore, 
«|1i igirardi, e poscia, Ospite, diair, 
1 da quel di prima or mi li niottri, 

panni tu vcsri, ed a te stesso 
■ini tornigli. Alcun per tèrmo sei 

•bitanti deir Olimpo. Amico 
dine, acciò per noi vittime grate, 
i »' offrano a le doni rcll' oro 



n loop alcun degl' Immortali, CItMa 
rifpondea. Perchè agli Dai n' *ggaa|II F 
padre ie ipn ■ quel per oui tanta (offiri 

toa freaoa ctk aciagure ed onte, 
li dicendo, baciò il figlio, e «I piàsto, 
ianlro gli occhi avea collantemente 
sto ain qui, I'' uidta aperte, 
aaco d' aver an gli occhi il padre 
ere uKur non sa. Ho, replicaTa, 
t tu. In il genilor bod aei, 
per Maggior mia pena, un Diamlngnaa. 
SOM oprar noD Tale nom da ti atcaaO| 

meatier che a auo talento il voglia 
ovaDÌre od inreochiarlo un Rnoe- 
io i capei teatè, turpe le Tealì 
ed ora un Cellcola pareggi. 
lemaod, ripreac il aaggioeroe» 

per TBritade a te a* addice. 



repoaiiedii 
vifii* dalai 



ifiU dalai tnmaapnratot 



Si, quello io lon, clie dopo tanti afT-mni 
Durati' e Unii, nei vigesini'' anno 
La mia palna rividi. Opra fu i]uesU 
Della Tnlonia bellieoaa Diva, 
Glie qual più aggrada a lei, Ule mi rormi 
Ora un canuto meadicaolA, e qnando 
Cionne con bei pauoi al corpo iulorno: 
Perù che aliare un de' morlali a) ciclo, 
Q Degli abiiii porlo, è lieve ai HumL 

Coti detto, E^a»i«e. Il figlio allora 
Del genitoc a' abbandonò sul colia. 
In Ijgrìme icopplando ed in sii^bioai. 
Ambi un vivo desir aentfan del pianto : 
IfK di voci >ì Dubili e itridenti 
JtisQnai a'' ode il Baccheggiata nido 
D'aquila o d'avolt(()o, a cui paitore 
Bubù i GgUuoli non aueof penaati, 
Come de'pianti loro e delle gridd 
Miseramente il padigllon aaoava. 
E già pliignciili e siispirosi ancora 
Lasciati avi'iall, tramontando, il Sole, 
Se il figlio al padre non dicea: Qual rive, 
Padre, qua Li candiiue, e quai nocchieri? 
Certo in Itaca il pie non ti portava. 

Celerò iJ vero a te? l'eroe rispose. 
I Feaci sul mar dotti, e di quanti 
GiuDgouo errando alle lor piagge, induitti 
fiiconduttari, me su ratta nave 
Dormendo per le satge onde guidaro, 
£ in Itaca deposero. Ui fero 
Di bronzo in oltre «d'oro e inteiti pamùf 
Bei doni, e molti, che in profonde j^rotU 
Per consiglio divio giaecionmi aacosu 
Ed io qua venoì al Bo, teco de* Proci 
Nostri nemici a,divisar la itrage. 
Con l'avviso di Pallade. Su via, 
Contali R a», ai eh' io eoaoic», qanBti 



tino STI 497 

mhIbI fonOf e quali, e nella mente 
bri, le contra lor combatter aoli^ ^ 
in aiuto chiamare altri convegna. 

padre mio, Telemaco ripreie, 

» tempre ndla te celebrar la fama 

sUicoso di man, di mente accorto: 

!a ìA cosà dicesti or gigantesca 

otanto, che alta maraTiglia UemmL 

ne soli battagliar con molti e forti ? 

on pensar che a una decade, o a due folf| 

iontin: sono assai più. Ginqaantadne 

ioTanl eletti da Dalichio uscirò, 

sei donzelli li seguiano. Venti 
e mandò Same, e quattro ; e abbandoaaro 
enti Zacinto. Itaca stessa danne 
odici, e tutti prodi; e Vha con essi 
[edonte araldo, ed il canlor dÌ¥ÌnO| 

due nelParte loro incliti scalchi, 
i affronterem con questa turba intera, 
he la nostra magiou possiede a forza? 
emo che allegra non ne avrem vendetta* 
e rinvenir si può chi a noi soccorra 
lon pronto braccio e cor dunque tu pensa*' 

Chi a noi soccorra ? rispondeagU Ulisse, 
riudicar lascio a te, Gglio diletto, 
e Pallade a noi basti, e baiti Giove, 
ì cercar d^ altri, che ci ajuti, io deggia. 

E il prudente Telemaco : Quantunque 
liedan lungi da noi su l'alte nubi, 
lessun ci può meglio ajutar di loroì 
]he su i mortali imperano e su i Divi. 

Non sedrran da noi lungi gran tempo, 

1 saggio Ulisse ripigliava, quando 
>ara della gran lite arbitro Marte, 
tfa tu il palagio su P aprìr delP alba 
Frova e t aggira tra i superbi Proci. 
Ile poi simile in vista ad un mendica' 



Hi verrà ~^D tM re atH^M 
Soffrjldi E dove ancor lu mi v« 
Tnr per li più furor della togl 
D' acerbi colpi far, lo xlegno al 
Sul di reasar dalle follie gli eiorl 
Parole mando di mele coDapers< 
A cui Don badcran: ptrb i^he p 
L' ultimo lorra lor giorno fatali 
Altro dirotti, e tu fedel cODierv 
Kel tuo petto ne fu. i>ci tu mio 
Scorre pei le tue tene il sangui 
Noji odi «IcuQ ili'è in BUA magi 
E né a Laerte pur, nò g| fido f 
Né alla steoa Penelope, ne Teo 
Noi eoli apìercm, tu ed io, Ping 
Bell'ancelle e dc'iecvi ; e Tedre 

Sua) ci lilpetti, e nel bdd cor < 
quale a ne non guardi, e te 
Benché fiior dell' infaniia, e no 
Padre, ripreie il giovinctlo il 
Spero che me conoscerai tra pò 
E eh' io né ignavo ti parrù, né 
a troppo ulitc a 



Cicdo, 



a fura ; 






Vagar dorresti luDgaii 
Visitando i lavori, e ciaicuD sei 
Tentando ; e intanto i Proci en 

Beo tastar puoi delle fanteiche 
guai colpevole sia, quale ianot 
' '' ' ìnvcatigar pe'' ( 



Ma de' fan 



, aatar. ._ , _ _ 

Segno ti die l' Egida rm sto Giove 

Mentre ai fean da lor ifuésle 
Li iia?e, che Telemaco e i comj 



uno jcn 
idotll «fM àk PUo , alla citUde 
nise. e nel |>orto entrò. Tiraro in secco, 
tbili terri e dÌMmaro il iegnO| 
di Clito alla casa i preiloti 
ni* recaro delì^ Airide. In oltre 
«e no amido alla mlBigion d' UIìsm 
ntundo a Penelope che il «figlio 
* campi tuoi ai trattenea, perch^ella, 
rto entrar aenxa lui nel porto il legoO| 
BDOTo pianto non bagoasse il volto, 
nido ed il paator dier Tno nelP altro 
1 la atfssa imbasciata entro ì lor petti, 
pria varcar della magion la soglia 
I il lianditor gridò tra le fantesche : 
ila, è giunto il tuo diletto figlio. 
I il pastore a lei sola, ed alP orecchio^ 
^ tutto espose che yersato in core 
lemaco gli avea : quindi aJle mandre 
Ornare affrettavasi , V eccelse 
le lasciando e gli steccati a tergo. 
la tristezza e dolor P animo invase 
'Proci. Uscirò del palagio, il vasto 
lile attraversaro, ed alle porte 
!ean davanti. Amici, in cotal guisa 
imaco a parlar tra lor fu il primoy 
«3, che dite voi di questo, a cui 
e ai poca ciasphedun prestava, 
^io di Telemaco? Gran cosa 
o, e condotti audacemente a fincv 
rien nave mandar delle migliori 
buoni remiganti, acciocché torni 
Ila di botto che agli agguati stava. 
offerte non avca P ultime voci, 
Anfinomo, rivolti al lido gli occhi| 
egno scorse nel profondo porto, 
litri inteai a ripiegar le vele, 
. i remi a deporre, e, dolcemente 



A licenda tcdean gli esplorator 
Poi, dato volta il Sol, la Dotte a 
Hai non paisammo, ma au ratt 
Stancavam V onde bìdo ai primi 
Tendeado iosidie ni giovaae, e I 
Preparandogli eccidio. E non i 
Nella sua patria il riconduce u 
Canaulltam dunque, come certa 
Dare al giovane qui. Speriamo 
La noatra impresa maturar, a' e 
Ch« non gli falla il senno, e a I 
La gente, come un dì, più non 
Hon Jiapettiam che a parlamenti 
Gli Achìvi tatti, rè crediam cbe 
Si mottri e molle troppo. Ardi 
Ve^olo , *, «orto ir -■" -■— -' 



Il gli ordivai 
Frereuìrlo è mestieri, l 
Della cittade spegnerlo, 
Non piace forte a Toi I 






M 



Ai doni, U Regina impalr 

rimmutiro a calai voci. Al Si 

n lor écV? Areziade NI 

i prole, AnGnoioo, che, dace 

■ compctUor cbe dal ferace 

ìa uscirò, e di più aans mente 

ÌTali dotato, alla Regina 

le ogni altro agiadia co' detti buoi* 

diue, troppo forte impreta 

if« a£btt« BB rad pme. I Nni^ ,. 

dÙHMia la pria. Sul dì Gmwa 

fl mkr r fibrati il oolpo io tUMO| 
• gU allfi animar j doT*cì dep^ 
kBcnta, fo vi eoluiglia tUrri ' 

Amio il Qglio, e non iudirno* 
Iti, e rìeotrlr Dell'* ampia «ah, 
a i Mggi nitidi poiaro. 
la catta Penelope, cbe adito 
ler bocca del fedel HedoDte 
Ul rischio del Bglìuol, coniigUo 
di oomparire ai tracotaoti 
liTaiite. La ditina doona 
eli' erma itanza; e con le ancelle 
aitar delta dedalea lala 
I, e adombrando co^ lottili veli, 

pendeii) dal capo, ambe le guance 
>o lampogniva io qneiti accenti: 
IO, alma oltraggiala, e di iciagure 
inator, nella cittì y' ha dunque 
t gii eguali tuoi primo lanUrti 
ggena oii e per facandia ì Tale 
«ai non foili. Inaano I e al par elle ilUW 
>, cbe di Telemaco alla *itt 
e DOD curi i (upplici, per cut , 

dair allo >i dichiara- l|noto 
.ti fj aio qoi, che faggltiTOi 
iptnv», e abigottito un ^iiuk 



3o9 

Il ps^re tuo, rhe ile'Tetproti a danno 

Co' Tal] pri-dalor gVra congiunto? 

Koatri amici rrao quelli, e. parlo a morl^ 

Volgano, il cor voleao trargli de) pptlo, T^ 

Non che i suoi campi disrrtar: ini UlifM ] 

Si Ictn) M frammiici e, henrhìi ardrnlì, 

Li rtlenca. Tu di quest'uom ti 

Kuini (■ diionori; la coniorle 

Ne ambìici, uccidi il lielio^ e me nr\ fon. 

Sommergi ileltc cure; Atil t-eua, e agli oltril 






È da te, r 



Figlia illuitre cricàrio, a lei rispose 
Knrìmaco di Polibo, fi corr 
E sì triiti peiisier da le di» 
Non è, non fu, non sirn tosi diì ardila 
Contra il tiglio d'Ulisi ' ' 
He TITO, e CD» quFEli occbi in froule ajjeil 
T)i coteitui, rosa uon duLbia, il agra 

Meli disttuttor deìle citta.ti Ulisse 

Tolte non rado suvr^ i suoi finocchi . 

Le incolte carni ìirVn man mi pnsr, 

L'almo licor m''->{{n. Quindi uum più 

In non ho di Telemaco, e non voglio 

Cbe la morie dai Proci rgli paventi- 

Se la mandan gli Dei, chi può ■cgniparct'B 

Cosi dicea, lei - ■ ' * 



L'ec<^idia del GrUuoI gli 


slava in core. 


Ha ella .aUe alle .uè sia 


i.ze, dove 


A lagrimar <i dava il >u. 
Pinrhè, pfr tregua a tao 




ti affanni, ui 


Sonno inilutle l'ocrbigla.. 


e» Palla. 


Con lanoMe rompavve 


il lido Eumi 


Ad Ulis.ee a Tclemaro, 


che. pingue 


SagnBcalo ai Numi adiil: 


In porro. 


Lauta se f\c aWrsMao ccv 


,s \« o,v«\ ^\w 


Se nun .Aie VaWt. a\ V.0.1 


eiiM^e »^\;\s 



into XTI 3o3 

lai della <aa v^gt tocco , 
hiezxa il ritornò di prima , 
ì auoi cenci ; onde il pastore 
lase in faccia; e, mal potendo 
I cor la sabitaua gioja ^ 
anzio a Penelope non gisse. 
;a il buon pastor ! così primiero 
parlò. Qaal corre grido 
rk? Vi rientraro i Proci? 
iou sol mare insidie ancora ? 
li gli rispondesti , Euméo : 
a questo io non avea , passando 
dini : che portar V avviso | 

redir , fu sol mia cura, 
reenni al banditor, che primo 
indo alla Regina. Un'* altra 
quando la vidi io stesso. 

il monte che a Mercurio sorge , 
e signoreggia , vidi , 
te scendere nel porto 
mini piena, e d^aste acute 
i scudi. Sospettai che il legno 
Proci ^ ne più avanti io seppi. 
ci Telemaco sorrise , 
rdando il padre e gli occhi a un tempo, 
e sch vando. A. questo modo 
ni opra , e già parati i cibi , 
lal parte in questi ognun godea» 
1 lor desio più non richiese » 

al 6n tutti, ed il salubre 
>oono ricettar nel petto. 



LIBRO DECIHOSETTIHO 



AtTiTo prima di Telrmaco ali» cttli 
d'' Dli'ise accompagnato da Gumco. I 
tnaiiltalo dai caprajo M^lauzio, e ricor 
alle porle del palazzo dal vccdiio cani 
che ne moorc dì gioja. Entrato nella 
forma di vecchio mendico, va intorni 
tandojC Antinon lo scaccia superbami 
■è, e uiio egabello gli lancia coolro. 
pe gli fa saper per Erime'o ehe derii 
{lartargli. Riapostit d' Uliase. 



i. osto che aperte del maltin la 6gti* 
Con rosea man 1* eteree porte il Sole. 
Telemaco , d'Uliue il caro geriìie. 
Che inarharsi Tolea , sotto le piante 
S" awiDac i bei calzari , e la nodosa 
Laocìa , che in man ben gli V attiva, I 
E queste al suo paslor drizza parole: 
Babbo, a citlade io vo, perrfae la ms( 
Veggami e ce>BÌ il doloroso pianto, 
Che altramente cessar, credo, non p 
Tu riofelice foreitier la vita 
Guidavi a mendicat; d'un pan, d'un e 
Nappo a«iv msiwìiM» Ai \ti «<»mU 



5o5 \ 



W'^ 



UB»o xtii ^^ ^,0^ Vice 

^^"*' • A\e^ i^^^ ^^ \ - «nomini* 
cam*»»^ Wetc , offe n<Vr r»^"»"' 
♦ft non nretc, ^ poso, 

'*"* .om' *H«'° '*' V e mali 
ioaco 8cnt presella ^^^^Tv 

^a t»f '"^^ 'f ^en fondato a^*"*^^" -a 

r asta e arp;gf i^:^^^^^^ 
« in ca«a, »« / ;\ vide 

'"'ao peortrb. P","!'*; polite 
atido , l"' . , '^ clic «e v^ . 

" ";« n«t» 'l^"'' »'*=f véne r pari , 

,tt»l>t» "*;' e «IV »»«» ^*i caro 

vi » »»"• b!ne\ope . «^* !,„ ,\ cotto, 



3o8 

Vfniitl adunque I ia aoa atdeu piàri 
Fissare in t^ daeebè udb ralU tiXTR, y 
Contra ogni mia detir, dietro alla faia* 
Del efnilor fiirtL*amente^a Pilo -: 

T' addusse. Parla : qnslc innontra STté 
Uadrc, di*! grate [isdiìo ond'io oamf 
Replicava Trleiiinfo, il doinrc i 

Non cinnorarrni in patto, t lo apaieatn 
Ma in allo HJi fan \b anrelle : quivi 
Lavala e cinta d'una [lura veitr 
Le mrmlica delicate, a tutti ■ Numi . 
Ecatombe Ipgiliini» prometti. 
Se mi cans'nte il . end i ranni Giore. , 
lo per un d'guo forestìer elie Tenne ( 
Mpo da Pile, andrò »1U pì:iii.. Un^té 
Co'' mici Gdi compagni io la ape^ii, , 
E comniiik a Pireo, che in atta nia|;)(Hi4 
L' introdiiwae e tino al mio rilorna J 
Cnn nnore il tralUase, e con aifeUo. 



Penelope d' intègre a tutti i Maini ' 


Ecalo 


uibe TotaTui 


U, OTB al figlio 


Il .<■! 


ndicarii con. 


lentia se Giove. 


NET. 




<cir fuor del palagio 


Molto 


Urdi')! Vi! 


Ita gli empiea la man», 


EH». 


'. bianchi il 


-.eBuian oa..i fed-li. 


Stupii ciascun, m 


entr'eiointATa il pane 


T^lB 




lui Palk diffiue. 


Gli 


Iteri Proci 


ataTangli da questo 


Lato. 


e da qu«l, 


TOfi parlando amictot. 
cor fraudi 00Ti|«dB> 


Man. 


;l profondo 


Seno 


n eh' ei tDsl 


Ioli »cìogliea (!a,DHÌ,f 


Eia, 


doie.Kdea 


Mentore, dora 


àntif. 


) od Aliterai 




Gliei 


■an oompaso 


i' dalla 7nra»'«t«l«>i 


Ape 


axtÌKii^y 


>¥W\Ìl' qvù om* ... 



vmo xfìì lo^ 

i^dimandira. Sopn^ginnie intanto 
k>,*]ancia Aidiom, il qual nel foto 

h cittAdr il foreitìer «lenava, 
ni %* «ko Telemaco f i^ oKene. 
osi primo favellò Pireo; 
emtcoy farai che al mio soggiorno 
igtD le donne tue per que* aoperhi 
li onde Menelao U fu corifse. 
I il prudente Telemaco : Pireo, 
Ito e ancor di quesl^ cote il 6ne. 
i Proci, me accretamente anciso, 
io diTtderausii il mio retaggio, 
sa, che alcnn Hi loro, io di qae^ doni 

che tu goda. E dove io lor dia morte, 
ie lieto recar li potrai lieto, 
^isse^ e guirlò nella sua bella casa 
»spite sventurato. Ivi, deposte 
ra i troni le clamidi yellute, 
ser nel bagno; e conn* astersi ed nnti 

le servili man furo, e di manto 
;o e di Taga tunica vestiti, 
i ricchi seii^gi a collocarsi andaro. 
[uì r ancella da belP aureo vaso 
issim^ acqna nel bacil d^ argento 
raava, e stcnilea loro un liscio desco, 
cui la saggia dispensiera i bianchi 
li venne ad imporre, e non già poche 
Ile 'dapi non fresche, ond** è custode, 
lelope sedca di fronte al caro 
;lio, e non lungi dalle porte; e Qoi 
Ili purpurei, a una polita sede 
ggiandosi, torcea. Que"* due la destra 
Mideano ai cibi, ne fu pria repressa 

&me loro, e la lor sete spenta 
le in tai voci la madre i labbri apriva: 
, figlio, premerò, salita in alto^ 
tei che divenne a me iii|ubre XcUo^ 



l 



i 






\ 



Dappoi che « ^^^, ,„gubfe ^, 

a,i lo da 1'" " « tu DViW» * „ 

Con buon <'»?'='"° J, cui Teucc. e 
. L'arsiva ^'^^U^'.' U""» »"'»'" 

Cl„e.Veam.,q>'^ »^,,j^l,o. lo «-.o. 
<;,>arta m' *^"^" . yUim- • "^ "" 
«•■"»' •= 'trrtl IHlo uonùm .^ 
VoleJiig'»f".';i,e uialaccoila ce 

1 ce.b.ulli .u" l^;, ^^„„ feroce, 



T.IBI<Ì XYl 309 

*Ttl coitoro tffrontasift ! Amare none 
borali le loro, 'e It lor vita un pnnto. 
guatilo alla laa domanda, il Re toggiuniei 
Ciò raccontarti- lenza filande intendo, 
Cbe un oracol veraf*e'>il mnrin v<*crIiio 
Troteo sTclomii*!. AiseviraTa il Nump 
Cbe nudUe e molle lagrime dagli occhi 
Spargere il vide in loìifario scoglio, 
Soggiorno di Galipso^ inclita Ninfa, 
Che rimandarlo iiiega ; ond^ ei, cui solo 
Noo avanza un naviglio -e non compagni 
Che il carrcggìn del mar sn P ampio dorso. 
Star gli cunvien dellii sua patria in bando. 
Ciò in Isparta raccolto, io n^ partii; 
E un vento in poppa m^ invVaro i Numi| 
Che rattÌMÌmo ad Itaca mi spinse. 

Con tai VOCI THemacj alla madre 
L^ anima in prlto 8t:ompi<;liava. Insorte 
Tcooliniéuo allora ; veneranda 
Della gran prole di Laerte donna, 
Tutto ei già non conobbe. Odi i miei delti ; 
Vero e intcgio sarà P orarci mio. 
Primo tra i Numi in te.<>limonio Giove 
£ la mensa ospitai cliiaino ed il sacro 
Del grande Ulisse limitar, cui venni : 
Lo sposo tuo nella sua patria terra 
Siede, o cammina, le male opre ascolta, 
E morte a tutti gli orgogliosi Proci 
Nella sua mente ftemina. Mei <! s^e 
Chiaro dal eit lo un volutnr, rli^ io scòrti 
E al tuo 6glio uio.strai, sedendo in nave. 

E la SJggia Penelopr : Doli cpiento, 
Oppile, accada ! Tali e tanti avresti 
Del mio sincero amor pegni cbe ognuno 
Ti cbiameria, scontrandoti, bejto. 
Mentre cosi parlando e rispondendo 

Di Jeatro ìtau la madrf| il é^lio e il ral^i 



Ih, viUm V ■ « 

Gli alteri Proci *Ua ma^^ion d*Tint« 
Uisclki lanciavan per ililcllo e lUcdì . 
Sul paviiDeatn lavoralo e terio, 
D«lla baldaiua lur salito arrlugo. 
Ma giunU IVa della menu, e «ddotlA 
Le vitlìine da tulli intoruo 1 cunpi, 
M«>lonL>, che nel genia li Proci dava 
Più rheHllroin ù-a gli^iraliti, e ai lor b«nrheU 
Sempre luiUtea. Gioiani, dìiie, quauJu 
Goàttlr ornai de'giothi, enlrar v'aggtadi, 
Sì che il conviviu i} tinbandiica. Ingrati 
Coti DSD panni il condiva» al tpinpn. 
Surtero iinmanlinenlp, ed alle voci 
Del baoditor uoii rcpugo.iro. Entiitì, 
DppaMTr ni le tf die ■ mirili laro. 
Pingui cipre ncannaTinai e i più grandi 
Montoni e groui potei e una bueua 
Di branco; e il prandio t'appreatava. E uilaoU 
Dai campi alla cittide ■aaard''ua nauo 
Preparavano Ulisse ed il pastore. 

Pi'jii favellava EuiuL-a d* uomini C^po : 



Però che gravi aan l'ire jde' grandi, 
MaTÌaiu:)ttà vedi che gcemata é il eiaroo, 
E iiifredderì pid l'aere in yèc la >era. 

T»i cose ad uoiii che non le ignora insegni, 
flipigliò il Laei-zlide. £bben, moviamo : 
Ma vamiDÌ ÌMiianiii e <lk, le da una pianU 
Il recìdesti, un farle legno, a cui 
Per la via, che malvagia odo, io mi regga. 
Dime e agli omeri suoi per una torta 
Corda il luo rotto e vii Mino aoipeae, 
K il bramato ballon poriegU Euniéa. 
(^uiadi le alalie abbaudooir, di coi 



• l'ftÉiUli agwrdU • i anrf. ' 
Ift-dMà Mita K» CoriM > 



. ! 



ni ]iwlsiM«<eoBÌè-meiÉbra ' ■ ^- 



.1 



ti p\à tnvpi • il;^iW9 Re «trito - ■ 
D pattore «llor guidaVa. ' 
Dia il'tentiero aspro,'- «lift 'èitttdo - ' 
icìai> ed apparfa'la bella^ 
ignea claae«ii, IbslewartefiiUai 
para tra Perbe onda ToWea. • ; 
erta tra Règit Haco prinn^- ■ 
oe FoTittore. Rotondo > • 
■nidosi la corcfaiaya an- boMio^ • • 
idea Ponda^da un taaso^ie toprm '. 
vi topgea tafro'aUe Nidl^, 
fa preci il viandante e donL 
olio il 6gliuol, Melanxio^ -in toro 
&: rooducta- le- capre, il fiore 
e^ ai Proci $ e il seguian due pattoff. 
Pfwna, che bravolli e indcgae 
loro e temerarie voci , 
t commovean d^ (Jliaae il core. 
ea cbe un tristo a un tristo è guida, 
orma, indi gli accoppia. Doto • 
:|uel ghiottone, o buon porcajo, 
dico importuno e delle mense 
e a molte signorili porte 
si gli omeri, di pane 
ledendo, non treppiedi o conche? 
Italie a custodir mei dessi 
irmi la corte e armici capretti 
molle sd arrecar, di solo 
ere ingrosseria ne' fianchi. 
D solo alle tristi opre intese, 
r non varrà, vorrà piò presto, 
in porta domandando^ un'tentro 
laaalabile. Ma senti 



3fl ODItSBA 

Cosa dia certo «y venir dee. 80 ali* «Ha 
Magion i^accosterk del grande Ulisse, 
Mulli igabelli di maa d^uum lanoiati 
Alla ava tc»U voleranno intomo 
E le cotte trarrannogit di loco. 

Ciò disse ed appr^ssollo e nellf cotd 
Gli die d^un calcio, come stolto ch^era, 
fké dalla via punto lo smosse! fermo 
Bestaya Ulissp, ? in sé Tolgea se V alma 
Col nodoso boston torgli d^ytisse, 
O in alto sollevarlo^ e su la nuda 
Terra gettarlo capovolto. £t V ira 
Contenne e sopporta. Se non ch'.Eam9fl 
Al caprar si converse e improverollo| 
£i levate le man, molto pregava : 
O beile figlie delP Egioco, Ninfe 
Nàjadi, «e il mio Ae v^ arse giammai 
D^ agnelli e di capretti i pingui lomblt 
Empiete il voto mio. Rieda, ed nn MuoM 
La via gli mostri. Ti cadr la, caprajo. 
Quella superbia dalle ardite cielia, 
Con cui vieni oltraggioso, e si frequente^ 
Dai campi alla città. Quindi per colpa 
De^ cattivi pastori a mal va il gregge. 

Oh oh, Melanzio ripigliò di botto. 
Che mi latra oggi quello scaltro cane, 
Che un giorno io spedirò sovra uoa bruì 
Nave dalla serena Itaca luuge. 
Perchè a me in copia vettovaglia trovi : 
Cosi il Dio dal sonante arco d^argento 
Telemaco uccidesse oggi, o dai Proci 
Domo fosse il garzon, come ad Ulisse 
Non sorgerà della tornata il giorno ! 

Ciò detto^ ivi iasciolli ambo, che leaU 
Moveano il piede, e, suo camnin segneni 
D^Uliss^ alla magion ratto pervenne» 
Subito éotran t i^aMÌdea ir* i Proci 



M rinpelto ad EnrioiAoo ^ che tatto i* 
Sra il tuo. amore ) ne i donteJU «ocorti- 
B la solerte- dupeosiera , ìnnaDiì 
Un lolo utante «^ indugitro a porgli 
Qu^i parte delle carni , e i pani queita. 

UlÌMo ed il pastore al regio albergo 
Biangeano intanto. S^ arresterò, udita 
li' armonia duloe della cava cetra : 
iChè V usata canaon Femio intonaTa* 
Tale ad Kuméo , che per man prete, allora 
Vavellò il 'Laeraiade i Euméo , d^ Uliaie 

È bella casa ecco per certo. Fora , 
oebé tr^ molte , il ravrisarla liere. 
Ii^ un pian su l' altro monta , è di muriglia 
Cinto il cortile e di steccati, doppie 
Sodo e salde le porte. Or chi espugnarla 
Potrfa ? Gran prandio tì si tiene , io credos 
Poiché Todor delle TÌTan(l«; sale , 
X risuooa la eetera , cui fida 
Toljer compagna de^- conviti i N'unii. 
E tu cosi gli rispondesti , Euméo i 
Facile a te , che lunge mai dal segno 
Ifitn yai , fu il riconoscerla. Su yia , 
Ciò peuiiasi che dee farsi. O tu primiero 
Entra e ai proci ti mesci , ed io qui resto ] 
tu rimani , e metterommi io dentro. 
Ka troppo a bada non i:itar : che forse y 
Te yeggendo di fuor , potrebbe alcuno 
Percu'tterti , o scacciarti. Il tutto pesa. 
Quel veggio anch^io che alla tua niente splendej 
di replicava il paziente Ulisse. 
Dentro mettiti adunque t io rimarrommi. 
Muovo ai colpi non sono , e alle ferite , 
IFAa costanza m^ insegnare i molti 
^''^ r armi e in mar danni sofferti , a cui 
*^esto s^ ag!(i ungerà. Tanto comanda 
^ hnn iuvitta dellMu^ordo ventre |j 



I 



per cui ralant? P uoin <jura etiche, 

Dell' infrronilo mar purlan sn i campt. 

Casi rlicmn Ira lor , quaiiito ATgo, ìli 
Ch'alvi giaqfa , (lei piiVente 11 line , , 
La testa , ed anibn solleva gli orecchi. 
Mulrillii un gicrrtio di ma watt V prix!,' 
Ha FÒrae, spiata dal suo falò a Troja, 
Poco fruito potè. Bensì condurlo 
Centra i lepri ed i ceni e le silvcilii 
Capre »ole> U gìoTentù robusla. 
HegUtlo aliar giacca Del tnollu Gmo < 
Di muli e buoi sparso alle porte innaia 
Finobà, i poderi a fecondar d' UlisH-, 
Hel togllciBcro i servi. Iri il buon cane, 
I]j tii>pi secche pien ,' corcato alala. 
QoBt'iCgli vide il tuo lignee più pretw , 
> E , benché tra qat" cruci , Il riroDoblie 
Squaabb la coda leilrggiaiiiti} , ed ainhe 
le orecchie , che driiiate avea da prim 
Cader lageib > ma iocuntro al auo .isi.o 
Muover, ■icccne un di, gli In dlsdelLn 
Vlìiie, ri|tu>cdalolo, •''ailetae 
Con man furtiva dalla gnaocia il piante 
Celandoli da Euméa , cui disse tostò : 
Euméo , quale sliipoj ? Sei fìnto fìace 
Cotetto , che a me par cane lì bello. 
Ha non so , se del pati ei fu veloce , 
O bulla valìe, coinè quei da mensa 
Cui nutron per bellézia i lor padrooL 

E tu coiii gli riipondeiti , Euniéo : 
Del mio Ite lungi murto è questo il can 
Se tal fosse di corpo e d' aiti , quale 
^asciotl,, , a Troja veleggiando , Ulisse , 
Sì Febee a vederlo e si gagliardo , 
Gran marariglia ne trarresti : fiera 
Kofl adocchian che UeHullo boico 



B nel fondo , e la cu) tracou 
t^av Or riafortuiiio ei aente. 
:aGa ìuage il tuo padrone , 
'i lai le pigre àacelìe: 

il padrone lor più luin impera. 

|(i«<ad nm yop.l* ta>. vlrtnda^ 

>r« ^ gÌBD|4 il di Mnile. 

I ,-tl -pie nal MatuoM ■Iberfo 

tnlowi drìtbuqut^ *i Proci | 

,' il fido un I potei* ella *i*t« . , 

jo dica anni a dicci Uliue, 

■ Del «anno dfl)« uqrtecliiiite. 

egregia Tclenwa fu tlprinit 

jeue il ptitor oelU, ntpcrba. 

.alo j e a iG il cbiainò d' uo cénDO. 

ToUo d' ogni intorDo. il giucdo , 

> acatiDo ivi giacente^ dova 

Ica lo ifiilco e le infinite 

rtìre ai banchetUoti frocj. 

ed a Telemaco di cDotra 

I presto il de«co , e vi i' usliet 

>, e paai dal caneitro tolti. 
ivi a non molto anch^egli eatran 
'cenci e nel batton nodoio , 
ienva il tergo , a un iafelice 
r d' anni oarro. Entiatu appena , 
fraitineo limitar leJea , 
palle appoggiandoBÌ ad un aaldo 
ipreuin , cui gik perito 
%izl> a piombo , e ripoll con arte. 
il piitor cbiama, e, togliendo 
avea pana il bel caoeitro, e quudlL 
■Jleiiia man capir potea, 
gli dica, all'-Mpite tqnu, 



Ii<l onuttA 

£ gU conativla islie a oiaaenii de\ Proci 
8' «crosti nl^ndil;Mldo. A cui i&el fendo 
DelPiMopi«'case6 nuoce il pudore. 

Aiidò^il pMtOr repcnle ^i allò ttranie 
SoffcmaiMloii- io faccia, Ospite, diste, 
Ci& i¥ manda Teléiaace , e t* raginvge 
Che mendicattdio li preaenti a ognuno 
De* Proci in giro. A cui nel fondo, ei dk 
DelP innpia cascò nuoce il pudore. 

E il Laerziade rìspondci : Re -Giore ^ 
Telemaco dal riel con ordiio guarda 
Benigno si cMei nulla brami ind»rndj||' 

Detto ciò solo, pirfse. ad ambe mant ' 
Ulisse il tutto, e colà -innanzi ai piedi 
Su la bisaccia ignobile sei pose. 
Fiucbè il divin' Demodoco cantava , 
Cibavasi V nom- saggio t al tempo sttsfo 
L^un dal cibo cessò, P altro dal canto. 
Strepitavano i Proci entro la sala i 
Ma Palla, al figlio di Laerte apoiirsa, 
V esortò i pani ad accattar dai rroci, 
Tastando chi più asconda , o men tristi 
Benché a tutti la Dea scempio destini. 
£i volse a destra , e ad accattar da tolti 
Gio , stendendo la man , come se mai 
Eserritito non avesse altr^ arte. 
Mossi a pietade il succorrcano , e forte 
Slupjano, e domandavansi a vicenda, 
Chi fosse e d^ onde il forestier veniste 

E qui Melanzio, Udite, o dell' illuslr 
Penelope, dicea . vagheggiatori. 
L'^ospite io vidi, a cui la via mostrava 
De^ porci il guardìan : ma da qual chil 
Stirpe disceso egli si vanti, ignoro. 

Guardian famosissimo , Antinoo 
Cosi Euméo rimbrottò, perche eosUii 
Cuidaali. alla alla? Ci'jaanoaa f«irN 



uno xvt 3i7 

^«gabondanti paltonieri infetU f ' . 
^«Ile mente flagrilo ? O, ch« d^UlÌHa. . 
^i ti nu|ra ciaicnti , poco li otlc , 
»%i qucflto ancor, donde io non »q, chiamaiU? 

£ tal rispoata ta gli fe^M, EafDé>: 
^MP) .AnlinoOyaei ta , ma bea non parli, 
ni nn forestiero a invitar mai d* altronde 
^a, dove tal non sia che al mondq giovi, 
&IRMS prof<*ta .o sanator di morbi 
^ fiifllifo ìndustre in legno o nobil rata 
Slfr.'le.noatr^ alme di dolci'zz.'i innondi? 
JS^iic**-! invitansi 'ognor , non un mendico 
^M ci coniiimi , e non dilplti o arrva. 
Ma tu, 4 ministri del mio Re lontano 
^ù, che ogni altro <le^ Proci e de^ miniitri 
Me più| che ogni altro, tormentar non ceasi. 
^on men curo io però , finché la «aggia 
Penelope e Telemaco deiforme 
tTivono a me nella magion d^ Ulisse. 

Ha Telemaco a lui; Taci, parole 

OD cangiar molte con Antiooo. C usansa 
t)i coatui V assalir con aspri detti 
Chi non Poffeiide, e incitar gli altri ancorai 
t^oi, converso a quel tristo, In ver, sogj;iun8e| 
Cura di me, qual padre, Antinoo, prendi | 
Tu che P ospite vuoi si duramente 
Quinci sbandire. Ah noi consenta Giove ! 
vagline; io, non che oppormi, anzi Pesigo. 
La ma<lre d^annojare , o alcun de^ servi 
Del^wdre mìo , tu non temer per questo- 
Ma cosa tal non è da te , cui »<uIo 
La propria goU soddisfar talenta. 

O alto di favella e d^ alma indomo, 
D' Eupite disse incontanente il figlio , 
Che parlasti , Telemaco ? Se i Proci 

Slnel don cV io a^rbo a lui gli fesser tutti^ 
tarai aìjmeao ei dorrU tie lune iu ca^ai 



l 



SlB ODIHU 

Dt noi lontano; p, lo sgabella prno. 
Su cui tenea beando i molli piedi, 
AUa in aria il rnoslrò. Gli atrrì cartel! 
6li eran pur d'alcun che, ai cli''ei tron 
3)1 carni e pani la bisaccia colma. 
Ventre alla loglia, degli Achivi i doni 
Ver fusUr, ritoroiia, ad Anlinoo 
Si iecmà ionanci e diiie : Amico, nulli 
Dunque mi porgi ? Drgli Achivì il prima 
Hi tetnbrl, tome qoei ebr a Re lomigliii 
Quindi, pii^ ancor, cbe ngli altrt, b te l'aJ 
Largo mostrarti .- io le tue ludi, il giura. 
Per tutu Bpargerb P immenia trrra. 
Tempo già fa eh' io, di te al par felice, 
Be41e caie abitava, e ad un raminga, 

guai foEifl e in gitale alalo a me veniiie, 
el mio largia; molti avea serri, f nnll* 
Si ci& fiIUami onde gioiscon quelli 
Che ricchi e fortonsli il mondn chiama. 
Giove, il perche ei ne si, fitrui-^pr mi »o 
Ei, che in Egitto per mia mal mi spioie 
Con ladroni raoltivaghi : viaggio 
Lungo e funeste, ^el^ EgllLo Gume 
Permai le ratte navi, ed ai nompa^ 
Beitame a ^ardia ingianii, e quelPigm 
Terra ire alcnni ad esplorar daU' alto. 
Uà queiti da un ardir falle e da «n ciec 
Desio portati, a saccheggiar h belle 
Campagne degli Egizj, a via menarne 
Le donne e i figli non parlanti, i grami 
Coltivatori a uccidere. Volonne 
Tolto il rumore alta città; né prima 
L' alba ■''imporpora, the i cittadini ' 
Vennero e pieiio di caTilli e fanti 
Fu tutto il campo e del fulgor dHPan 
C«tale allor» tì fulminante pose 
Dnir a fai» 4e' «m'(n«« Va -V**» 



.)M»lr> 

lìili fiol nf un 
FW »ltra Egitl, 




tUSO ItTll 

sol fjr testo nnii osava: orcir 

■ Ir p«rle,- e parte pmi, e ad opre di 
"- OTuoqoB riiolgeami gii oe 
-»■—.»»■ ìlj appalta. Ke consegnArO 
'Ucnrrtnre JasìiIf, cbn in qaelle 

■muto , fl dominava in Cipr 
_ __, itrao ifi rriali, al fin qua v» 
..di Biinio cosi d^ Eupitc il Bgiìa 



sì falla I 



in dosoo lui 
e un^ altri 

conobbi più impuderte e aq 

riiW ■ ciMcun Tun dopo l'altro, < 
Mcan per te la man atnin roniiglìo 
À (rotta cndn- ogiit ritegno, doTc 
M U.eopii e dell'* aUriii li Hnni. 
rtAìrepBcavs il LliTiiailf 
' ' ' slqunnta^^lla.sen 

■uimn adunque in te .-, 

creder patria ebe pur di uR 



idietli 
mode 



IMWM creder pairu eoe pur a 
h Mtpptìi»Hile tu daresti un Erani 



. _ . . menia, tu cbe li 
'«dirai »on sapeati e i 






ttthrrit la SR.ibeUu, «<{ aiientallo , 
■U II punta detta delira >palla 
se il tareillero^ Uliiw ferina < 
,, ((oal rupe, né d^ Antinoo il oo 

leln : henai tacila la testa 

>I1Ò, agitinila la VPiuielta in core. ' 

Hiw mito fieoD, e a\ (i 



Sit DDiìral 

Fa>rUaV( rosi: Coniprtilori 
Drll^ lUosIre heina, udir vi pitcnia 
alt che il Qor dirvi mi comandi^. Dorè 
Ve' campi, ppr la gffggifl a pct 1' urmcnta 
riigonilo è r uoM feritu, il porla io ptcc. ' 
Me por la Iriita ed imporliiDS fame, 
Gran fonte dì Hisailrì, Antinoo oflcsc. 
Mi KB hi propÌ7J i Dei', m lii Parìe Dllriel, 
Clii non 111 nulla, ridia sioiie il ^ariio ■ 
Pria, che quel delle none, AnlioDO ealgL j 

t: d^fiunitc il Ogliuot: Tranquillo e anii 
Cibali, o foreMiere, o qnlrii:! agomlira, 
Acciò gli achiavi, poiahe lì rai-plli. 
Per li piedi a le man te del palagio 
Ncn Iraggan fuori, e tu pc vada in pr?il, 

Tulli d' ira a' aecnero, ed alcuno , 
Mal, diise, fetli, Eupiliile, un tapino 
Viandante a ferir. Sriaurato 1 S' egli 
Dcb'ì abitanti deir Olimpo fotte? 
Spejso li' fstrano pcUpgiino io forma 
Per le citladi ai raggira un Nume , 
Veilendo ogni iimibiaoia e alle maWage 
De' mortali opre ed alle giuste guarda. 

Tai voci Atilinoo diipregiava. Inisnto 
Della percDua rea gran duol nel petto 
Telemaco oodria. Non però a tsrra 
Dalle ciglia una lagrima gli cadde. 
Sul crollò anch'' ei lacitamente il capo, 
numinando nel cor Vaila vendetta. 
Ma la laggia Penelope, rui giunse 
L' aimuBiio in allo dell'' indegno colpo. 
Tra le ancelle proruppe in questi aceeoll: 
Deh cosi lui d' un de' suoi dardi il Kume 
Dal famoso d' argento arco feriaea I 
Ed Eurìnomc a lei : Se gf tminorlali 
Fesaer pieni i miei votr, a un »ol de' Prari 
flon puwtnttm \a. nuoV i\W ia ciela. 



■irti . .■; aijl^ 

• rìpitwv ■■ ■■"' ■ •' 

utvtu astiai ' ,. 

r katàatfo abBoiìb. " . 
ti- infHirp ' ■,: 

In^hrtil uSno èolAoi. 

*OHO.glV"<» . ,- 

il j~ercuotP. _, 

in qopll» lltiiie 
. Ha la Regina, 
V., gli dW« , 
io, ed a me Indi 
1 c<i1lai]uio io >CCP 

; mai i^oli gli occllr, 
uom ni nssenlrit. 

Rr tu, Rrgìna, 
Si tal fiTflIa 

l' ebbi e tre notti, 
odiata nave: 
i suoi B0.1Ì. 
illailre vate 



ti Gfììt a UlÌMe 

I, dpl grande 
i lì, cadendo 
altro, a' taoi giooccU 



313 


ODISIU 


'^ 


Ali'aviUma 


iot. tesori add 




La prudeuLe Penelope a 


rincontro : 


V*nae, eì a 


me V invia, s 


M io r as 


Gli altri f 


jor delle pirt 


o nel pal^i 


Trsilullin p 


r, poseii elle 


i>a lieto il. 


Credono i n>ji.ii ddk lor 


aoitanae, 


Di cui .olo 


UDÌ parte i le 


-vi loro 


Toce^no ; ed 


eiii qui r ini 


ro.giorm. 


BanchetUn 


aiilamenle, e 


Gar del gr 


Struggendo 


dell' armea lo 


e le ri co In 


DelU raiglio 




■ Faono una 


trsES! né t' Uà un altro 


■ . Glie .tto a &r.>.;.rU lia. Mt V eroe giù 


■ E pi«Di con 


Telemaco di tanti 


■ Barbari oltr 




endettL 


■ Finito m 


avea, che il 


Elio ruppe 


■ ]d un alto < 


^rnuto, opde 


a cua 


■ niumù tutta 


La Hegin. ri. 




W E, Va, disi 


ad Eumco, e 


rri. e il m 



Mandami. Starnutare alle mia voci 
Rnn udisti Telemaco ? Maturo 
De' Proci k il fato, né alcun Sa cbe " 
db Kntt ancora, e in mente il serbi. (, 
Verace in tutto ei mi riesca, i cenci 
Gli cangerà di botto in vesti belle. 

Cone il lido pastore e allo ttraniera 
Standogli presso, Ospite padre, dine, 
- Te U aaggia Penelope, U madre 
Di Telemaco, vuole: il cor 1> af^uga 
D' Ulisse a ricercar, benché sol dato 
Le nbbian «in qui le sue ricerche duo 
Quando verace li conosca, i cenci 
Ti cangerà di botto in Te>li_ belle. 
Cibo non mancherà chi ti largiaca, 
Se tu r andrai per la tiltà chiedendi 
Eumco, rispose il paziente Ulime, 





^F LlB|io xvn 1»3 




nb>, da me Dulia d<1 l'aro 




rrUrà. So Io TÌ«nde appieno 




Uli»e, con cui lorle i^i m'ebbi rgiiBle: 


■ 


la lurbo dimoile de' Proci, 


■ 


SDÌ del citi Sina alla IcTm valla 


1 


nU l'audace incotania, io temo. 




«■ tMte, Dicnlr' ia gU lungo la sai» , 




n* oprando di mal, percotso io fui} 




non pteveDoe il doloroso insuKo 




Ummco, non clie altri. Il Sol cadente 




i upettar nelle lue tUnze adunque 




\ la conforla. Mi domandi allora 
Il rìlorno a< Ulisse innanzi al foco : 






(lehè il -seslild mio mal mi difende. 


J 


t il «ai, cui prima aupplicsnie io venni. 


Die ToIU, udito queito, il buon poitorei 


Penelope a lui, che già la soglia 




a pie Tarcavft : Non mei Ruidi, Eiimeo ? 




he pPDja il foresLipr? Tema dn' Proci, 




Tergogna di si forse ocr.upollo? 




Ui quel mendica coi riUen vergogna ! 




la tri coti U riipondeiti, Eumea : 
, tome altri farebbe in pori stato, 




'■np^rbi Khivar l'onte desia. 




Bché it di oda. Cosi'mrglio voi 




Irete rugionor lola con solo. 




Brao senno in lui, cliiunqiie tU, dimora. 




!i riprese: rbè sì nudaci e ingiuisli 




uba l'intero mondo nomini allrove. 




Euméo ritornò ai l'roci, e di Telemaco 




riandò, onde altri noi) poleeie udiilo. 




P orecchia vicin, Caro, gli disse, 




mandre, tua riccheiia e mio soalegno, 




eoslodire io .0. Tu su le coie 




li veglia , « più sovra le «tesso, e penta 


• 


\t i giorni pasii tra nna genie ostile, 


t, 


iii^ 


. 



=i»4 ■">'"■* .« 

Cui prima, ch'ella nr<i, Giove diiperdf. 

Si, babbo mio, Telemaco rispose. 
Pirti, ma dopo il cibo, e al dì noTcllo 
Torna, e vUtimc pingui adduci teco. 

Tacque ; ed Edméa lovrK il polito s 
HuoTami!ntR sedea. Cibato, ai campi 
Ire afTrctlOMi, gli steccati addietro 
LaacianJo e la magion d'' uomini pteoa 
GozzoTÌgliaDli, cui piacere ÌI balio 
Era, e il canto piacer, mentre »pÌegaTa 
L^ ali sue nere eoTri lor la Nolte. 



iJ 






IRÒ DEaHOtTAVO 



AMOOMBVTO 

tento tra Irò ed Ulisse , che rim»- 
ra. Penelope si presenta ai Proci 
) insuUino gli ospiti , e che, aspi* 
ozze di lei , in vece di offerirla 
do il costume , divorino le sue 
DÌ de^ Proci a Penelope. Sopray- 
otte , Ulisse è insultato nuova- 
la con parole dalP ancella Mel'an- 
a Eurimaco , che uno sgabello | 
:e Àntinoo , lanciagli contro. 



nte pubblico sorvenne » 
per la cittade usato, 
tor , che mai non disse 
ibo e per vin molto , Basta | 
vederlo , ancor che poco 
uore in si gran corpo fosse, 
me Àrnéo : così chiamollo | 
tacque, la diletta madre, 
ini tutti Irò nomato 
:olui che le imbasciate 
, qual gliene desse il carco. 
)pena , che sracciava Ulisse 
sa ed il mordea co^ detti : 
1' dal vestibolo , se vaoi 



Gli'' io non li Irajgi fuor per un de' piedi. 
Kon rc-rfi I' aininirear , perch'io ti traggi, 
L>i lullL » DicF Pur Di'' arroiii«eo e Btiiuig 
ila letati , o cIIe preie io con te >F°ns. 

Bieco VWenf gUatollo, r, Scijgaralo, 
Hiipose, in npri io non t' ufrenilo d in m 

T' insidia io punto. Qiicìt* inglii eutnnl 
Ci eapirìi. Tu nqn dovreati Doja 
D«t mio brne lentir, tu, riie un mfndicg 
Hi Muibci at par di me- Di«pen»tori 
Delle rirchczie all' jom lano r Cdnli. 
InritiirDii a pugnar koq li consìglio, 
Onde ìmBaniiniito, bencUè VECchia , il' in 
Le labbra io non t' insanguini ed il peltQ. 
Più guai tranquillo io ne aarei domano: 
Cbè sili migion del Gglio di Laerte 
Bilornò lar tu non potresti, io credo. 

Pub, sdegnrita il pezieote Irò riprese, 
Più volubili i detti a questa ghiotto 
Corrono , e ratti più , che non a Tecchia 
Che tempre al focolar s'aggira intorno. 
S' io i(uc»le man poagogli addosso , tutti 
Dalle mascelle, come a ingordo porco 
Entralo fra te biade , i denti io schianta. 
Or bene, un cinto senza più licuoprt, 
E qnrsti ci cnnoscano alla cuena 
Che tosto 

C.>sì sui liscio limitar delj^ alte 
Porte gartian d'ingiuriati molti. *, 

ATTÌinssene Antinoo e , dolcemente 
Ridendo, sciolte tal parole: Amici, 
Nulla di sì gioconda a questi alberghi 
Gli abitata:* dell' etra uuq<i> mandato» : 
Si biiticcian tra lor 1' ospite ed Irò , 
E Bi'a l* '"*'* faimniwiaMtfi. Su ri». 



tlB»0 XTlll 3lj 

Wtotta laceeDiìiinìi anrora. 
tk*TO, mite risa dando , 
tnccionl l'afrallaro intorno. 
ft coùi Nobili proci , 

Gnsier mio. Di que' wnlrrgU ^ 
di langue e graiso enipiu 
kn per la fuliirn cena , 
fpiu vorrà chi vince , e quii 
Hro convito i parte siaj 
^noi a' aERiri altro cencioso, 
«me a tutti. Ha l'accorto erocfi 
atìan le asluile, Amici, dìsie,'} 
Ifli anni e dai dliastri roUo 
tt pugnar non panni bdlo. 

■pisge imperlota fame. ■ '^ ■■ ■'• 
■rate almrn che nciiano. Irò ' 
r, ne della nao ^ijliarda 
L, male adopTando: troppo 
^bbe aliar duro il cimenta. 
. E di Telemaco in tal gulia 
ioaia favellò: Straniero, 
er coitni ti detta il core? 

: uè alcun temer de' Proci. 
k percaotere , con molti 
ere avri. Gli ospiti io euro, 
la non cpn danna» certo 
ed AntinoD, ambo prudenti. 

eiaicuno approvò il detto. UlìatS 

tolto , e de'sDoi panni nn cìnto 

e nudi ì lati omeri, nudo 
gran petto e te robuite braccia , 

Sanciti HiicDpri! Minerva, ' 
ai icpie dall'Olimpo, lotto 

al pntor le membra crebbal' 
Proci firmmrate, e aleoao 

, Tclgeiidoti al Ticino < - 



E, ili >tr.ccUr9! crudi, < 

Bulli gli ivclli genitali il 

Un Ircmorgli entri ja e 



ì : dubilava 
coti dar gli 



br«v ^riiw gay 

Fri Teilibola fuor tlnn >lta rorlp 
E ■ll'eDtrala itcl pnrticn. Ciò Ihtlo, 
Col doHn al muro l'apnofiRiù gli poi6 
Baatnne in mkiin e. Qui, gli disic, or liedl ' 
£ loccia dal paìayia i raol e i ciacchi j ; 
Vi pia arrogarti, così vii, qiial aei. 
Sii gli Dtpili doiainio e lu i mendichi ; 
Che un' altra Tulti noa t* iiicoalri paggio, i 

Goal dicendo, si BÌttava inlornn i 

Alle spalle il tuo Eaino, « al limitare ; 

BylDrn»M e s«<le»TÌ. KIcntrarQ 
C[>n dolce riso in in le labbia i Proci, . 
Ed a lui blande riVolgean parolet . ^ 

OipiU, GioTB a te coti gli altri Numi , 

Quanto pili brami e t' è più curo inviii 
A te, che U città smorbasti a un tr«U« '< 
Di qucitn ìiumlabile accalione, ' /, 

Che ad Ecbelo. degli uomini flagello, : 

Tri poco andrà su gli Epìroti Hill. . 

Cnij parUri>; e deir augurio Ulia«e 
Gtiea Dpiralma;G Antiiioo uu gr^ia Tentrigli* 



e Anniioma 



:a taxxa, Sai 



Ueti Bcorrauti aloenu i di futuri. 

inUiionia, Teroe scaltro rispose, 
D'inletiilinicnla e di ragion dotato 
li ti-mbri , e ni qupato tu ritrai da) padra. 
!>:< Nilo O.ilirhii-nae. ond'io la fama 
''"Ilare udia, buono del par, che ricco, 
■'< cui diconli nate j e fede ancora 
■ Kc fa il [uo aconn. e le pnrole e gli atti. , 
, '^ te d»D<fue io favello, e tu ì mipi detti 
"iccti e Mtba in le. Sai lu di luanla 



SBO 0D1UIA 

Spira e passeggia <a la terra o serpe , | 

Ciò cheaimondo havvidipiù infermoFÉ PaOBW» 
Finché stato felice i Dei gli danno , 
E il suo ginocchio di Vigor, fiorisce, 
Non crede che venir debbagli sopra 
LMnfortanio giammai. Sopra gli viene? 
Con ripugnante alma indegnata il soffre : 
Che quali i giorni son , che foschi o chiari 
De^ mortali il gran padre e de"* Celesti 
D^alto gli manda, tal dell'* nomo è il core^ 
Vissi anch^io vita fortunata e illustre, 
E, secondando la mia forza , e troppo 
Nel genitor fidando e ne^ germani, 
Non giuste, vaglia il vero', opre io comn^isL 
Ma ciascuno a ben far dee por T ingegno, 
E quel che dai Numi ha fruir tranquillo: 
Ne costoro imitar, che iniquamente 
Struggono i beni , e la pudica donna 
Oltraggian d^ un eroe , che lungo tempo 
Dalla sua patria e dagli amici, io credo, 
Lontano ancor non rimarrà; che a questi 
Luoghi anzi è assai vicino. Al tuo ricetto 
Quindi possa guidarti un Dio pietoso , 
E torti agli occhi suoi, com^ egli appajat 
Poiché decisa seniEa molto sangue. 
Messo eh ''egli abbia in sua magione il piede. 
Non 6a tra i Proci e lui P alta contesa. 
Libò , ciò detto, e accostò ai labbri il nappt 
£ tornollo ad ArGnomo. Costui 
Per la sala iva, conturbato il core, 
£ squassando la testa ed il suo male 
Divinando , ma invan : fuggir non puote , 
Legato anch^ ei da Palla , onde cadesse 
Per P asta di Telemaco, Nel seggio^ 
Donde sorto era, si ripose intanto. 

Ma d^ Icario alla 6glia , alla prudente 
Pe nelope , U Dea dai glauchi lami 



unoznii ^c 

Spirò il diteno di moftranS ai Procij 
Pcrehè lor r allargaise il core io petto 
Di naoTa ipeme, ed ìa opor pid grande 
Frewo II consorte e il Aglio ella saUsie. 
Diede, né ben fa come, in un gran riito, 
E Ui detti formò : Sento un desire 
NoD pria fentito di mostrarmi ai Procij^ 
Eurìaome, bencli^io tatti gli abberra. 
Utile aTTÌso in lor presenza io bramo 
A Telemaco dare, il qual troppo usa 
Goo que** superbi giovani, che accenti 
Ti drizzan Mandi, e instdianti da tergo. 

Saggio è il consiglio, Eurinome rispose. 
Va, figlia , dunque ed il tuo nato assenni. 
Ka pria ti lava, e su le guance poni 
L^ usato unguento. Apparir vuoi con faccia 
Dalle lagrime tue solcata e guasta ? 
Quel pianger sempre e dalPun giorno alPaltro 
Nullo divario far, poco s** addice. 
Olà venne il figlio nelP età fiorita ^ 
Iq cai vederlo con V cuor del mento 
Si ardentemente supplicavi ai Numi. 

Per zelo che di me P alma ti scaldi, 
Replicava Penelope, di bagni, 
Eurinome , o di liscj, or non parlarmL 
Il dì che Ulisse s^ imbarcò per Troja 
ToUermi rgni beltà dal volto i Numi, 
^onsi Autonoe mi chiama, e (ppodamfa| 
Che da lato mi stieno. Ai Proci sola 
^on ofTrirommi ; che pudor mei vieta. 
1*acque$ e la vecchia Eurinome le donne 
A chiamar tosto e ad affrettarle, uscio. 

ila V occhiazzurra Dea, nuovo pensiero 
Pormando nella mente, alla pudica 
biglia dM cario un molle sonno infuse, 
^ntre giacca sovra il suo seggio, e tutte 
^ molle sonno le sciogliea le membra^ 



iZt omsEU 

Palla Mlneira di ce\csli iIddÌ 
La rifornii!, prichè di lei più erinprp 
lnvighi*»er fili Achei. Pria >u le guance 
Qiteltk, cbe tieu dalla bellcua il carne, 
Spine ditina oieniD, onde si lualra 
La ipgbirlanilata il' Ar Vcoer, se niai 
b Va delle Grafie al diletlosa ballo : 
Foi di corpo 1.1 crebbe, e ricalmolla 
Rei rollo, e tal tu lei caa.lor ditlete 
ChersTorio tagliala allora allora 
Ceder daveal« ai poragoii. La Dita 
nimll dell' Olimpo in .u le cime. 

Venner le ancelle «trepitando, e ratta 
Si riscoiie Penelope dal sonno 
E con man gli occhi itropicclotai e din 

Sual dolce tanna tirila lua fate' ombra 
e infelice copri 1 Deh così dolce 
Uorte subitamente in me la casta 
Artemide scoccaiae ; ed io T elade 

D°'u'n Troe ' cu"! non°To"s°é 'in Grecia il 

Così ^Gtto, acendea dalle luperne 
Lucide stanze al basso, e non fiì soli, 
Hi con Autonoe e Ippodamfa da tergo. 
Sul limitar della Dedalea sala ; 
0»e i Proci aedeaii, trovasi appena. 
Che arresta il pie tra 1' una e V altra a 
L' ottimi! delle donne, e co'' sottili 
Veli del capo ambe le gnance adotnbri 
■fienia fona restaro e senza moto; 
L'alma più inteneria, si raddoppiava 
Delle no2ie il deiire in ogni petto. 
Ella queste a Telemaco parole i 
Figlio, io te più non riconosco. Sensi 
Hutriit ITI mente più maturi e scorti 
KcUa tiu fanàullciu^ed or, cjie grvd 



LIBRO svili 333 

Ti TPggio, e in un' «tà più ferma entrato, 
Or, che stranici', che a rigaarJar sì fésse 
La tua statura e la beltà, te prole 
D^nom beato dirla, più non dimostri 
Giustizia, o senno. Tollerar si indegno 
Trattamento d^ un ospite in tua reggia? 
Oltraggio si crude1,che vendicato 
Non siagli, puote a un forestier qui usarsii 
Che su te non ne cada eterno scorno? 

Il prudente Telemaco rispose: 
Madre y perchè ti crocci, io non mi sdegno, 
lleglio , che pria ch'aio di fanciullo uscissi ^ 
I*e umane cose, il pur mi credi, intendo, 
E tra lor non confondo il torto e il dritto. 
Ma tutto oprare, o antiveder, non valgo. 
Circondato qual sono , e insidVato 
Da fiera gente, e d^assistenti solo. 
Quanto alla lotta tra V estranio ed Irò , 
Parte i Proci non v^ ebbero, e del primo 
Fu la vittoria. Ed oh ! piacesse al padre 
Gloye , e alla Diva Pallade, e ad Apollo , 
Che tentennasse a cotestor già domi 
ha. testa , e si sfasciassero le membra , 
Nel vestibolo agli uni , a agli altri in sala, 
Come a qaelP Irò che alle porle or siede 
DelPatrìo, il capo qua e là piegando. 
D^uti ebbro in gui&a , e che su i pìecii starsi 
^on può, ne a casa ricondursi : tanto 
Le membra riportonne afflitte e peste. 

Cosi la madre e il figlio. Indi tai yoci 
Barimaco a Penelope drizzava: 
Piglia d^Icario, se te vista tutti 
^Tesser per Plasio Argo gli Achivi ^ 
Turba qui dì rivali assai più folta 
Banchetteria dallo spuntar delPAlba; 
Che non v^ha donna che per gran serobiant(*| 
Per bellezza e per senno a te s' ag^nn^^U. 
E hi nobile a ini (V icario fx^jjWok \ 



334 . . 


r>I>l>9BIV 


Eurimace, Tirtn, • 


pmlnanza, lullo 


Mi rapirò gU Dei. 


quanJo gli Arfivi 


S ri oli e r per Troje 


1, e iQn gli Algidi UTi»ie. 


S'egli, ripoittì il. 


.uà magione il piede. 


A TFggere il mio s 


loto ancor prendeue, 


Ciò mia glori, mi 


rehba e bella mh. 


Ora io m' angoipi» 


,: unti . me sul capo 




. dMmbinrrurBi ir alto, 


Prese la mia con 


1. alia delira, e, Donna, 




> già che i fori! Achui 



Da Tioj. Idi 

Poické senio pugnaci essere i Teucri, 

GVan .agiltarj e cavalieri egregi 

Che pel campo «gilar sanno i detlHeri 

Bapidameole : quei die Tn brete il falò 

Delle guerre terribili derìde. . 

guindi, se ine rfcondurraB gli EUmi, 'j 
Troja riterrà morto, o cattWo, ] 

Bupetta il padre mio, U niFidre onora, 
Come (igS'i ^^ ancur più. fincb'io sou Jung 
E Blfor che del suo pel -cedrai vesHto 
Del figlio il mento, a qual ti Ra più in grad 



Tal favellava; eJ ecco giunto il tempo. 
L'' infausta notte apparita, che dee 
' Port&re a in? queste oilioie nozze, 
. A- me, cui GioTC ogni leliiia spense. 

Ma tiù U mia tristezza oggi più aggraT! 

Che gj^ mi antiebì non si fuardan pur 

Coror, che douna illustre, e d''uoni posai 

M Figlia UD di ambiano, e contendean Ira 

' Belle conducean vittime, gli amiei 

per convitar dello bramala dunna, 

E doni a questa offriaii : non già l'alimi 

Struggcano impunemente a mensa ansìai. 

Disae, e V une %tQVcU'elU in tal inod 



Litio XYIU 33Q 

Pel Teslibolo fuor imo »Ua eorte 
E alt' entrato óé\ portico. Ciò fatto, 
Col doMo al muro Pappog^iò, gli pose 
Bastone in mano e. Qui, gli disse, or siedi 
£ iisaccia dal palagio i cani e i ciacchi} 
Ne più arrogarti, cosi vii, qual sei. 
Su : gli ospiti dominio e su ì mendichi : 
Che un^ altra volta non V incontri peggio» 

Cosi dicendo, si gitUva intorno 
Alle spalle il suo caino, e al limitare 
RitornaTa e scdea?i. Ri'entraro 
Con dolce riso in su le labbra i Proci ^ 
Ed a lui blande riyolgean parole: 
Ospite , Giove a te con gli altri Numi 
Quanto più brami e è più caro invìi , 
A te, che la città smorbasti a un tratto 
Di questo insaziabile accattone, 
Che ad Echeto, degli uomini fI<igcU0| 
Tra poco andrà su gli Epiroti lidi. 

Così parlaro; e delP augurio Ulisse 
Godea nelPalma^e Antiiioo un gran ventriglio 
Di sangue e di pingiiedine ripieno 
Gli recò innanzi. Ma il valente Anflnomo 
Due prrsentògli dal canestro tolti 
Candidissimi pani, e, propinando 
^n aurea tazzn, Salv<', disse, o padre, 
Forpstier, salve: se infelice or vivi, 
Lieti ficorranti almeno i di futuri. 

Antìnorao, Teroe scaltro rispose, 
D^ intendimento e di ragion dotato 
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre | 
Da Niso Dulichicnsc, oodMo la fima 
Sdnarc udia, buono del par, che ricco^ 
Da cai diconti nato ; e fede ancora 
Ne fa il tuo senno, e le parole e gli atti. 
A te <lnnquc io favello, e tu i miei detti 
Ricevi e berba in te. Sai tu di quanto 



336 DDtiin 

Scblavp d''U]iisp, (lei Ke voilro a*wnle 

Ver 9Ì lunga traginn, la venpranda 

Kegin.! yoilra » rìlrovar Siilile. 

Fusi rotiDdo o pettinando lane, 

Sedetele vicinii e ne'' ^uai mali 

La cauFortalp. MÌO penaìpr fraftaiifo 

Sark che li Praci non fillicra il lume. 

Suando attendere ancor Tole*9er l'Alba, 
e UDII iitancheran : che molto io anno 
Da molto tempo a tollerare aireiio. 

Quegli detti lor feo. ttiier le ancelle 
E a vicenda guardatami, e icbernirìa 
Con villane parole una Melaoto, 
Bella guancia, ■''ardia. Dolio coaleì 
Generò, ma Penelope nutrilla, 
Siccome Bglia, nulla mai di qnanto t 

Lusinga le fanriDlle, ■ lei negando : * J 
ire l'afaìHt per ciò con la Regina 1 

Melania mai, rhe anzi trartiala, e a^cra * 



Tu, cbfe, ìa vece d' andar nel l* officina 
C* UD fal'bro a cDricorìi o in lil tavtenia, 
Qui tra lina (rhirra te ne itai di nreucì, 
LiAiKO cianciando e intfepidn. Alla mente 
Ti salì tenzs forse il molto vino, 
O d' aom briaco hai tu la mente, e qnindi 
Senza eonllrutto parli. O esalti tanto, 
Percbè il ramingo Ito vincrtti ? Bada 
Non aleuti qui lenza indugiare iniorg;a. 
Che, d' Irò aitai miglior, le nella tetta 
Con le robuite man pedi, e t'intoni 
Tutto di tangur, e dd palagio acacci. 
Bieco g»alrA\a » I» riipone Uliaie t 

Cignn, io tiUo » TAtTOMtj \ Vo-à «.«m^ 



Litio XTiit 3ac^ 

Pel Tetlibolo fuor sioo »Ua eorte 
E alf entrata àéX portico. Ciò fatto, 
Col dotta al muro Tappoggiò, gli pose 
Battone io mano e, Qih, gli dune, or siedi 
£ teaccia dal palagio i cani e i ciacchi } 
Ne più arrogarti, cosi vii, qual sei. 
Su : gii ospiti dominio e su i mendichi : 
Gbè un^ altra volta non V incontri peggio» 

Cosi .dicendo , sì gitUva intorno 
AII0 tpalle il suo caino, e al limitare 
lUtomaTa e sedea?i. Ri'entraro 
Con dolce riso in su le labbra i Proci, 
Ed a lui blande riyolgean parole: 
Ospite, Gio?e a te con gli altri Numi 
Quanto più brami e t^ è più caro invii , 
A te, che la città smorbasti a un tratto 
Di questo insaziabile accaltone, 
Che ad Echeto, degli uomini fl<igell0| 
Tra poco andrà su gli Epiroti lidi. 

Cosi parlaro; e deir augurio Ulisse 
Oodea nelPalma;e Antinoo un gran ventriglio 
Dì sangue e di pingiiedioe ripieno 
Gli recò innanzi. Ma il valente AnOnomo 
Duf presenlògU dal canestro tolti 
Candidissimi pani, e, propinando 
^on aurea tazza, Salve, disse^ o padre, 
Forestier, salve: se infelice or vivi, 
Lieti scorranti almeno i di futuri. 

Anfìnorao, Peroe scaltro rispose, 
D^ intendimento e di ragion dotato 
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre | 
Da Niso Diilichiensc, ood^o la f^ma 
S«nare udia, buono del par, che ricco. 
Da cui diconti nato ; e fede ancora 
Me fa il tuo senno, e le parole e gli atti. 
A te dunque io fivelio, e tu 1 miei detti 
liicevi e berba in te. Sai tu di quanto 



E date quattro ila ipniar ai 

Sode buliDlne col ppsanle aratrai' 

Vedretli il mio *Ìgor, Tfi!re*ti come 

Aprir «oprei ilrìlto e profondo il «otre! 

Poni ancor cbp il Salurnio un' oipro gtI^ 

lU qualclie parte ci Tolgeise a.ldmiu. 

Ed ioiRudo e due lance ed alle tempie 

Salda celata di metallo aipisi, 

HiitD si primi gu«rrier mi acorgeretti 

Nella baltagli.'i, e TimpiirtuDa fame 

Gitlarc a me non oseresti in fac-ia- 

Or protervo è il tuo labbro, e duro il (e 

E forte incerta gnìta a grande lembri, 

Perrbè con poca gente ati e non braii: 

Ma Uliiie giunga, o apprcsri alntena, e qii« 

PortP, bencbé a».ii largbe, a le già vhiLu 

ftcfili amari, cred' io, pjui di fu^i 

Deh come a uu tratto sembrerfana an^u 

Eurimaco in maggior collera talte, 
E, guardandolo bieco, Ahi doloroio. 
Diale, vuoi tu eh' io ti diserti ? Ardiici 
Coli gracchiar fra lanti.e nulla temi ? 
O il vin i" ingombra, o tu naacrati pana, 
U qui^t vinto Irò ti cnò di senno. 

Ciò detto, prese lo agabel : ma Uliiìe 
S'' abbassava d' AnQnomo ai ginocchi. 
Per cansarsì da l£urin>!>co, che lo vece 
Nella man destra del coppier percosse. 
Cascata rimbomliò la coppa interra, 
E il piocerna ululando andò riverso. 
Strepitavano i Proci entro la sala 
Dall'ombre cinta delta notte, e alcuno, 
Mirindu ti tuo vlcin, Unrto, dicea, 

PtioM cte (juttVj <v«t'^ o*\Asi tdiie ! 



i.iBiK> xvni 32<) 

PpI vestibolo fuor sino alla corte 
E all' entrata del portico. Ciò fatto, 
Gol dosso al muro Pappog^iò, gli pose 
Bastone in mano e. Qui, ^i disse, or siedi 
£ scaccia dal palagio i cani e i ciacchi j 
Né più arrogarti, cosi vii, qual set. 
Su. gli ospiti dominio e su i mendicbi : 
Cbè un^ altra ?olta non V incontri peggio» 

Cosi dicendo, si gittava intorno 
Alle spalle il suo caino, e al limitare 
RitornaTa e 8cdea?ì. Ri'entraro 
Con dolce riso in su le labbra i Proci ^ 
Ed a luì blande rìvolgean parole: 
Ospite , GioTe a te con gli altri Numi 
Quanto più brami e t^ è più caro invìi , 
A te» ohe la città smorbasti a un tratto 
Di questo insaiiabile accattone, 
Che ad Ecbeto. degli uomini flagello , 
Tra «poco andrà su gli Epiroti lidi. 

Cosi parlaro; e deir augurio Ulisse 
Oodea nelPalma;e Antiiioo un gran ventriglio 
Di sangue e di pinguedine ripieno 
Gli recò innanzi. Ma il valente Anflnomo 
Due presenlògU dal canestro tolti 
Candidissimi pani, e, propinando 
4^on aurea tazza, Salv^', disse^ o padre, 
Forestier, salve: se infelice or vivi, 
liieti scorranti almeno i di futuri. 

Àntìnorao, Peroe scaltro rispose, 
D^ intendimento e di ragion dotato 
Mi sembri, e in questo tu ritrai dal padre | 
Da Niso Oulirhionsc, ondalo la f^ma 
S«nare udia, buono del par, che ricco^ 
Da rui diconti nato ; e fede ancora 
Me fa il tuo senno, e le parole e gli atti. 
A te duoffue io favello, e tu i miei detti 
Kicevi e «erba in te. Sai tu di quanto 



LIBRO DÈCIMONON 



'] 



Parliti 


Proci, Irai partano 


UliHc eT 




e Bup>r 


iori. Tclen 


Vi U CDtic 

con DUue 


ani; E Prati 
che eolu è 


pe ic CD de per f" 
ri matto. Queiti 


una iloria 


che U Hegin 


■ ode e 






animo. La nutrice 


Euriclé. 


ooice, laMndnlo, Cline 


Ptnc 


epe gli n 


un (ogno, 


e gli p.lf.3 




to cbe inle 


propoire 


i Proci, rome 


condiz 


OH delle no 


•Ile qiuti 


uon può .ra 


^ai più 


sottrarli. 



N,ii 



^eir ampiii tali rimanea l' eroe , 
^tcage con Palla macchinaudo ai ProM. 
Subito al fi|;Iio si converte e dlue: 
Telemaco, 1<;Tar di quoti luoghi 
L' armi contiene, e trasportarle in allo. 
Se le bell'armi chiederanno i Proci , 
Con parolette • lusingarli t6lto, 
Io, lor dirai, dal fumo atro le tolai, 
Perché non cran più qiiali Uacjolle 
Ulitie il giorno che per Troja sciolte j 
H* deturpate, scolorale, oiunque 
Il bruuQ \e Uiccli la^ot iti loco. 



Ibitoiit in me qupito limar, nnn tane 
Dopa tirolto vAlar dì dolri tane 
Tm voi Si.rgcss"' un' improvriia Hi*, 
e l'un r>llio feriur, etl i1 romilo 
Conlaminaste, e gli ipomali. Granrto 
lllpltamrntu è iir uam lo iIpsio ferra. 

Tekmaco leeul del ina ditello 
padre il coraando. e alla nulrire . cui 
Testa B » dìmindb: Msinnii 



Sa T 



:e l<ir 



Le femmine rinchiuie, in sin rW io Tinni, 

Che qui nella mia infanzia, e n ri P a neon 
Uri padre, mi guatlb neglette il fumo, 
Tniporti in alto. Cullocarle io voglio, 
Dive del furo iinn le attinga il Tninpo. 
' Ed Euridàa, Figlio, lispose, in petto 
Beh ti " ^ 



Che regger p 



193, e intatti 
chi la itrada 



Titcbiirtrà? Qua 

Coa le Eiarrole in min v^iiliu ic mibciic. 

^11 forralifr, Telemaco riprerf. 

i non pritirollo Inerte, 
dei, perché ogni parta 



:ffi Innge, io 

iTimo baiti 

[Bri ben conitrutta gineceo fcm 

I Dliiie inrontaneote e il caro figlio 

|*^iTEaDO ad allogar gli elmi chinmati, 

'Cli umbilicalj <.'>iai e l'aste acul<- { 

^ riaoti ad ainliy l'atene'i Minerva, 

J'neiido io maub una lucerna d' orOf 

•hiariasìnia npargea lume d' intarla. 

t Trlemaco al padre-. O padre, ijiials 

urtento! Le par«tì ed ì bei palchi, 

I le tratfi d* abete e k labliini 

ittaane a me rifolgui'ire iu veggio. 

cete, io credoj ijna dentro alcun dc^ IfumL 



i 



3j, .....1^ -^ 

Tjrl, mpoic Uliiir; i tuoi pensieri M 
ltinir.rra in K, m'^ crrmre allre. U.iaia J 
Degli abitanti dell' Utimpo è ijuesta. ] 
Ot lu v»oot! a corn.Tli: io (jiu riaango ,1 
Lfi oncelle a ipìar meglio, e della la^jl* J 
Madre le iDcliirilc ■ provocur, che idìiIHI 
Certi, ed ni pianla tnitlflt u<JÌre ìvffia. ' 
Oiiie; e il figliuolo ìndi spiccasii, e al ti' 
Delle faci tplemlor nella remota 
Celli « ritirò da' anni ripoti, 
L'* 'aurora >d appettar: ina nella sila, 
Strage cou Palla agli orgoglioii Proci J 
Archi tettando, riinmea Perae. fl 

La prudenti: Hr.iiia intanto uiclj. J 
Pari a Diana, e all' aurea Tener pari, J 
Della itaoKi acereta. Al fiico appreuo im 
L'uiato leggio di gran pelle ateia, .J 
E cui d' Icmalio V ingegno» mano !■ 
Tutto d' avorj e nr^eiili Jvea cainmeisa, | 
Le CDllo(aro: kMsmh lo piante , 

Uà patito sg.ibells. In questa i>ede ^ 

La madre di Telein:ico pniavs. i, 

Veiiner le ancelle dalle bianche bracql 
A tor TÌ« dalle mense il pan rimasta, 
E i vAti nappi, Qnite be«ean gli amanti, 
poi dai bracieri il raciioipenlo foco 

Sopi-a vi accalasiìr, perrliè schiarata 
La aala fune e riscaldata a un tempo. 
M«lanto aliar per la seconda volta 
Ulisse rampognava : Uipite, aduniue 
La notte ancur t' avvolgerai moleilo 
Per questa caia e ad oc chic fai le doDae? ' 
Fuori, «cijgurato, esci, e del COUfitO, . 
Che iagajasti, t' appaga i o ver , peicotH 
Da questo tizzo, sajlerai la soglia. 
Con t^cvo iguat4« )p ria^Aie tH^^* •• 



LIBRO XIX. 343 

Malvagia , pprrhr ;. nir ;;urrra sì atroro? 
Perchè la faccia iniu ioiòr n()ii lustra? 
Perch'aio mal vesto e, dal bisogno astretto, 
Qual tapino nonio e viandante, accatto? 
reIJce un giorno anclPio splendidi ostelli 
Tra le genti abitava , e ad un ramingo , 
^ual fo%fe , o in quale stato a me s"* offrisse , 
Del mio largia ; molti ave» servi , e nulla 
Di ciò mi venia meno , ond' è chiamato 
Bieco , e beata Tuom vita conduce. 
Ala Giove, il figlio di Saturno, e nota 
La cagione n' è a lui , disfar mi volle. 
Guarda però non tutta un giorno cada , 
l)oDna , dal viso tuo quella beltade , 
Di cui fra V altre ancelle or vai superba : 
Guarda, non monti in ira, e ti punisca 
X^u tua padrona ; o non ritorni Ulisso,< 
Come speme ne' petti ancor ne vive. 
£ a^ ei perì , tal per favor d"* Apollo 
I^uor venne il fìglio delPacerba etade, 
' Che femmina di cui sicn turpi i fatti 
)lul potila nel palagio a lui celarsi. 

Udì tutto Penelope , e V ancella 
Sgridò repente : O temerario petto, 
Cagna sfacciata , io pur nelle tue colpe , 
Che in testa riradraiinoti , ti colgo. 
Sapevi b?n, poiché da me V udisti, 
Ch^ io lo straniero interrogar volea , 
Un conforto cercando in tanta doglia. 
Dopo questo , ad Eurinomc si volse 
Con tali accenti : Eurinome , uno scanno 
Reca' e una pelle, ove, sedendo, m^oda 
L^ ospite favellargli , e mi r: sponda. 

Disse; e la dispensiera un liscio scanno 
Beco in fretta e uiù pose e d' una densa 
Pelle il copri.' Vi s' adagiava il molto 
Dai casi alHitto e non mai domo Ulisse, 



B44 ODftSVA 

Cui Penflnpa a dir coki prendea t 
Oiipile , io questo chi^dcrotti in prima. 
Ciii? di che loco? e di rfae atirpe tei? 

E Ulìaie, che più là d' ogni uomo teppe: 
Donna , esser poo (rianimai pel mondo tottt > 
Chi la lingua snodare osi in tuo biasmof 
La gloria tua sino alle stelle aal« , 
Qual di Ke sommo, che^ sembiante a un (fm 
É su molti imperando uomini e forti | 
Sostiene il dritto : la ferace terra 
Dì folti gli biondeggia orzi e frumenti f 
Gli arbor di frutti aggravansi ; roboite 
Figlian le pecorelle, il mar da pesci 
Sotto il prudente reggimento { e giorni 
L^ intera naxìon mena felici. 
Ma pria che della patria e del Hgnaggie| 
Di tutt^ altro mi 'chiedi, acciò non creici 
Di tai memorie il dolor mio più ancora. 
Un infelice io son , né mi conviene 
Seder . piagnendo , nella tua magione; 
Ckèisuoi confìni ha il pianto,eai luoghi vaolà 
Mirare e ai tempi. Se non tu, sdegnarsi 
Ben potrfa contro a me delle serventi 
Tue aoune alcuna , e dire ancor che quella 
Che fuor mVsce drgli ocohi, è il molto TÌIM< 

£ la 8a|!f!ia Penelope a rincontro : 
Ospite, a u)e vii tu, sembianza, tutto 
Kapito fu dagP Immortali, quando 
Ci) Greci ad Ilio navigava Ulisse. 
S* ei rientrando negli alberghi ariti , 
A reggere il mio stato ancor togliesse. 
Ciò mia gloria sarebbe e beltà mia. 
Or le cure ni'' opprimono che molta 
Mandare a me gli abitator d^ Olimpo. 
Quanti ha Dulichio e Same e la aelvott 
Zacinto e la serena Itaca prenci 
Mi ambUcou riyufoaotQ \ e sottoaopn 



l'ibbo zix 345 

Volgoli coli la reggia mìa , che poco 
Agli ospiti ornai fommi , e ai «upplicanti 
Vedrr, oè troppo degli araldi io caro. 
Io mi consumo, sospirando Ulisse. 
Quei m^ Affrettano intanto ali^ abborritjp 
ratso , ed io cootra lor dMnganni m'armo. 
Pria grande a oprar tela sottile , immensa , 
Nelle mie stanze , come un Dio spirommi, 
Hi diedi, e ai Proci incontanente io dissi : 
Giovani, amanti miei, tanto ▼) piaccia , 
Quando già Ulisse tra I defunti ècese, 
Le mie nozze indugiar cli^ io questo pona 
Lugubre ammanto per P eroe Laerte, 
Acciocché a me non pera il vano stame ^ 
Prima fornir che V inclementr* Parca 
Di lunghi sonni apportatrice il colga. 
Non vo'^clie alcuna delie Achee mi morda, 
Se ad uom , che tanto avea d^ arredi vivo , 
Fallisse un drappo , in cui giacersi estinto. 
A questi detti s^ acclietaro. Intanto 
Io, finché il di splendea, V insigne tela 
Tesseva , e poi la distessea la notte 
Di mute faci alla propizia fiamma. 
Un triennio cosi 1! accorgimento 
Sfuggii degli Achei tutti , e fede ottenni. 
Ma, giuntomi il quarto anno, e le stagioni 
Tornate in se con lo scach^r de^ mesi , 
E de^ celeri di compiuto il giro , 
Còlta da Proci , per viltà di donne 
Nulla di me curanti , alla sprovvista , 
£ gravemente improverata , il drappo 
Condurre al termin suo dovei per forza. 
Ora ione declinarle odiale nozze 
S^u né trovare altro compenso. A quelle 
M^ esortano i parenti , e non comporta 
Che la sua casa ^li si strugga , il figlio , 
CliC'ii/mai tiitlo ccnodce e al suo retarlo 



' 3» 

Intender può > 


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Io te l'i: 


iiipinio. E Tfi 



Cile BUgumeiito ne avran gii afiim, 
Kalural sÈnio di diiiinqua TJise 
Utt>rro pellfgrin Tnnlt'anDi e molli 
Dalli palrii lanlna: ma tu uva c»ii 
D' inlermgarnii ) e latiEfrirli io voglio, i 
Bcijj t feconda (otra il ne|!ro mare j 
Giace una trrra, rlir s'appella Crrla, 1 
Dalle ibIk onde <r<>|ni parie altinla. J^ 
Gli abilanti t^ abbondano , e noTsnla fl 
Conli(!i] citudi , e la favrlla è diala i II 
Poicbè vi non gli .Ai-bri , ooiivi > naiii 
Maghaiiimi Cretesi ed i Cid<,nj , 
£i Oorj in tre diViai, e i buon PeUtgi. 
Gnoaio vi gorge , città vaila , in cui 
Quel Minore regnò che del Tonante 
Ogni nono anno era agli arcani ammcuo. 
Ei |en»ó Deiicalione, »nd'io. 
Cui naicendo d^ Etón fu posto il nome . 
Kaccpii , e nacque il mio frate Idomeitiio 
Di popoli paitor, diedi Tirtule 
Primo , non cbe d' eia , co' degni Alridi 

Lk vidi Uli»e ed ospitali doni 
Gli feci. A Creta spinto atea lo un forte 
Vento, che, menlr' ei pur vèr la aupciba 
Truja 111 'Ita , dalle Malce lo tvolae , 
E il fermn nell'Antniso , ove Io «pcco 
D' Il iti a t'apre in disastrosa piaggia , 
ili che Bcaoipù dalle burratclu aj^peiia. 



alU città^ d^domenéo, 
leraDdo.e caro egli chiamava 
sao7 cercò : se non che il giorno 
decimo o undecimo che a Troja 
il mio fratello era sul mare, 
addussi nel palagio, a cui 
'agi mincava, e dorè io stesso 
»nor gli rendei ch'aio seppi meglio» 
ir opra mia che la cittade 
pan, dolce vino, e buoi da mazza, 
compagni a rallegrar, gli diede, 
di nell' isola restaro, 
levato da un avverso Nume 
t^rsava un Àqnijon si fiero, 
tento si reggea l' uomo su i piedi, 
il di terzodecimo al fin cadde ) 
vnn gli Achei Tonile trancruiile. 
fìngra, menzogne molte al vero 
>ruferendo : ella, in udirle, 
vrer^iiva e distru^^geasi tutta, 
neve ohe sa gli alti monti 
vento d"* Occitlentc sparge, 
*si iV Euro all' improvviso fiato, 
gonfiiti al mar corrono i fiumi : 
stemprava in lagrime , piangendo 
suo diletto, che sedeale al fianco, 
ionsorte lagrimosa Ulisse 
rir alma risentia: ma gli occhi 
;li, quisi corno o ferro fosse, 
•alpc>hrc immoti , e gli stagnava 
Ito ad arte il ritenuto pianto, 
poiché di lagrime fu sazia, 
pigliò i detti : Ospite, io voglio 
ova uta di te, se, qual racconti, 
e i bUoi, tu ricettasti in Creta. 
: qiiai panni rivestianlo ? e qual^ 
de^ suoi compagni era T aspetto ? 



3^6 onitiE* 

KiipoM il rirco Ai coniigll Dliise; 
Vigni m'alino è ornai cVegli da Creta 

tii Amtll a Tr"j.i, e il faTellire , a donni , 
Di ti antica >taEÌi]ii riuro tui wiubra. 
lo lutti volta ubbidirò, ppr quanto 
Potrà toTM dì lE tornar la mptite. 
Un f'Jto Ulii» ave! mintu vH1«90 
Di poqiora , nui doppio uoU »ul pplto 

Mirubile ricimo': tio can da uccia 

Tcnea ou'' pÌPdi antei-iori strello 

Vajo cerbiatto, e con aporia bocca 

Snvra lui, cbe trcmavaop, penilea{ 

E rtupfa il mondo a rimirarli in oro 

Efilgìati ambo cosi itie l'uni 

SufToca l'altro e già Taddeuta, t Taltro 

Fuggir li tlurza a palpita np' piedi 

In dolio ancora io gli osaprrai ti molle 

Tunica r fina si, quii di cii.oUs 

Vidi talora inalidita ìpi>Gli.i, 

E splrudra come il aul j tal die d) molte 

Donne, che radocrUiàr, fu maraviglia. 

Ma io non ao le in Itaca gli tteisi 

Veititi uiaue, o alcun dì qneì cLe ■eco 

Partirò lu la nave, o io Inr magioni 

Vmggiinte l'accolsero, -donati 

Gli uietm a lui: elle bÈn voluta egli era, 

E un bel manto purpureo, e unj talare 
Vetta iu dono io gli porsi, e all'Ìmp:iUJti 
Nave il guidai di riverenza io Ergno. 
Armido, cbe d'età poco il vincea, 
L'ai:cumpagnava: alto di ipallr e groiio, 
Dov'io ra pp rese u tarlo a te doveiii, 
Nera la cute, ed ì capelli crespo, 

£ clùunnw ^\i.i\b&t«. F.a tutti 



i':^ 



Vito x!x 3^9 

pagni V apprezzava Ulisse , 
di pensieri a aè conforme. 

Toci Biaggior voglia iu lei 
antOi eonosdoti I segni, 
H« distinti esporsi ndiva. 
kgrimare. Ospite, disse, 
i sembrait), ed^ora imiania 
li parrai dtegDO e d^ onore, 
li reeai dalla secreta 
^te le da te descrìtte 
idre, io nel parpareo manto 
Ite d' ^r fibbia gli affisu. 
•rio più né aecorlo in qnerta 
terra sperar posso. Abi ccndo 

fa che alla malvagia Trpja^ f 
rrito, su per inonda il. lirasscit 
, egli riprese, inclita donna, ' 
•o, cbe struggi» ornai perdonai . 
rti macerar nelPalma, 
•iangendo. Non già ch^ io ten biaimtt . 
i spento queir uom piange a coi 
^onginnse e diede infanti , 
;rso nel valor da Ulisse, 
n somigliar canta la fama. 
Ile lagrime, e V orecchio 
o dir, che sarà vero e integro. 
»roti tra la ricca gente , 

intasi, e già ritoma, e molti 
qua e là raccolse, adduce. 
)erdè il legno e i suoi compagni^ 
icria abbandonando i lidi, 
.a di Giove ira e del Sole, 
lo que folli avean V armento* 
! tutti gP inghiottì, sospinse 
vanzi della nave infranta 
;li Dei popol Feace. , 
uore il riveriai^i qual Nane, 



t 



C 



e «ire 



arcorgimeii 



n rfin. 



Casi a Die dr'' T«sproti il le Fìdoi 
Dine, e ginraia, ia ila magion libaailo, 
Che varala U barca era a parati 
Color che cleon ripiitrìarto. Quindi 
Mi congf-dò 1 che per Duliclija a >< 
Le yf\e aliava una teiprazta nave. 



colta CI 



andò. ( 



Uliw 



■nstcDcr ballava. 
Poi loggjungeami che ■ Dodona ir volle j 
Giove per consultnre, e udir dall' alta' i 
Quercia indovina le ridurli ai dolci 
Campi d'' Itaca glia deposi lur 
Stagion dovesse aHn scoperta a ignoto. 
Salvo è dunque e vicin ; uè dagli : * ' 
Disgiunto e schiusa dntle avite idi 
Gran tempo rimarrà. Vuoi lu eh'' io giclì? J 
Prima il Saturnio in lestimonio io t-hiami^l 
Sommo tra i Niimr ed ottimo, e d'Uliue 
Faccia il lacrato, locolar, cui ver 
Tutto, qual diro seguir dee. Qu, . 

' 'c^meiii, entrandoraltroi^f 

e palerne Boglie. 



Varcherit Ull>9< 

Oh j'avveri 

Tai dell' affett 



P.'nBl< 



loper 
3 pegni tu a 



Impetrerai ; che 



LIBRO KTX 35 1 

Ulisse non v^ha che i venerandi 

liti accor nel suo real palagio 

pia ed accommiatarli. Or toì, mie dounCi 

ate ì piedi allo straniero, e un denso 

coltri e vesti e splendidi mantelli 

to gli apparecchiate, ov^ ei corcato 

tta notte si scaldi in sino alP Alba. 

Liba comparsa in Oriente appena, 

tergetelo e ungetelo; ed ei mangi 
uto in casa col mio figlio, e guai 
servi a quel che ingiuriarlo ardisse! 
ciò più non g.1ì sarà commesso, 

cruccio ch^ei mostrassenc. Deh come 
resti, forestier, eh** io V altre donne 
co, se vinco, di bontale e senno, 
itre di cenci e di squullor coverto 
teggiar ti lasciassi entro V albergo? 
e brevi son gli uomini. Chi nacque 
i alma dura e duri sensi nutre, 
sventure a lui vivo il mondo prega, 

maledice morto. Ma se alcuno 
, che v'^ha di più bello ama, ed in alto 
;gia con V intelletto, in ogni dove 

ospiti portan la sua gloria, e vola 
rno il nome suo di bocca in bocca, 
aggia del figlio di Laerte donna,' 
igliò Ulisse, le vellose vesti 
leanmi in odio ed i superbi manti 

quel dì che su nave a lunghi remi 
rciai di Creta i nevicosi monti, 
giacerò, qual pur solca, passando- 
intero notti insonne. Oh quante notti 
icqui in sordido letto, e deli' Aurora 
l corcato affrettai la sacra luce ! 

a me de"* piedi la lavanda piace: 

delle donne che ne' tuoi servigi 
Bndonsi alcuna toccherà il mio piede^ 



S5l OWJ!B« 

Se Don è qualche onnnsa e oneil* tmcM 
Che li por Ili me lolfcrlo abbi* a' aiioi ^ 
A quella il pie non dijdiiei taccBrnii " 
E r egregia Penelope di duoto ■ j 

OapiU "ro, peliegrin di senno 
KoD c*pitò qua inai, rbe dì te al core > 
Mi i'' accDitakie (■iù, di le, cbe in rooda 
Leggiadro esprimi tigni prudente kdso. 
Una vecchia lio molto avvisati e. teoria).^ 
Che nelle liraccia sne quflP iurelice i 

HdccuIm uscito del materna grembo, | 

E buoa latte gli dava ed il ereicei. 
Ella, b«Dché di vita un «orBo in Ut 
Rimanga (ol, ti laverà le piaale. 
Via, fedele Euriclea, loigi, e a .-hi d'anni 
Pareggia il tuo ■igiioc, le piante lava. 
Tal uè' piedi vederlo e nelle mani 
Farmi in qnalcbe ila noi lantaaa parte: 
Che raliu r aam Ira le iriagure invecchia 

EurirlL-j cciQ le iiinn «uperse il toUd, 
E veriù calde lagrime, e dDlenti 
Parole «rticalù : Me iventiirata, 
Figlio, per amor tuoi Più, che altri al molli 
Te, che noi merli, odia il ailurnio padre. 
Tanti qoii gli arse alcun floridi lombi, 
Tante ecatuiube non gli ofieru, conie 
Tu, di giunger pregandolo a tranquilla 
Vecchiciia e un prode allevar iìglio ; ed « 
Che del ritorno il di Gioie ti c|ien>e. 
O buon vegliardo, allor che a un alto albei 
D'alcun aiguor lontano ei pellegrino 
S' appressei'à. l' iniulleraii le donne, 
Qual te iniultaro tutte queste lerpi, 
Da cui, l'onte schivandone e gli oltraggi) 
Venir tocco ricusi ; ed a me quindi 
La figlia saggia del possente Icario 
Tal mioiAero iiopoa c^ ma ni gnviu 



'•• ^ovqoe il --. '■'""' ' 

&»™"ii.Ì^'r EST 

J» 'u ricevi nn jj, V ''alma ;„ -,, 

" 'i'p™','T'''"«i°."'™ "■"' 
'•■■i i .';>«•;>. ro. ° •""«. 

fE.-SA'i-.s,.'" '■'"•■ 
'"p" «-«;," 3°, .""'•'■IO 
"""co B. S"° ■"t<'mp.,„;n V; . 

Ilo in Ir ' '«"ne 1(1' iV ■' Kmne. 

""•«lo pS. /','"'•'" Vi- 
si;: ■'*^"»^.';'.-'«: 



JH 

Dì imporre in frunte al gvailoia p 
Ver CUI sUnciati co'' tuoi voli i Nuim. > 
£ pronUmmle Autalico io riipasta: 
Genero e Hslia laii, qnel gP imporre! F 
Home ch'io vi diri. D'uomini e donne 
Su r altiica ili molti inunpni* terra ' 
Spavrqlo io fui ; dunque &i chiami Uliiie. 

10 poi, le, di bsmhio fjtto girione, 
Hei »uperbo verià malei-no albergo 
Sqvr»^il farnaso, ove lio le mie ricchKze, 
Do[(i gli porgerò, per cui più lieto 
DiscendfÙ <1> mo, che a me noa («lie. 

A ricercre Uliiie sodò lai doni, 
£ AuloUoo l'aecolie, ed i ><>ui B;li, 
Con amicliG parole, e aperta brincia} 
E 1' avola AoGléa, itreUoio al petto, 

11 rapo, ed ambi gli baciò ■ beéti ocohì. 
Ai Ggli il padre comanda, né iiidaroo, 

La mensa: un bue di cinque anni mcnira, 
Lu icujàr, V 3CCoaciàr, lutto il partirà} 
E i braui, che ne Tur od arte fatti, . '. 
Negli schidonì inGssevo, e u^ualmenta '*( 
Li diipeoiàr, domi che gli ebbe il fai» "fi 
Così tulto qoeJ di d' ugual per tutti 
Prandio godean aioo all' Oecaio. Il Sole 
Caduto, e appena della notte l' ombra, 
La dolcezza provar, cui reca il sonno- 
Ma coni« Gglia del mattin T Aurora à 
Si mostrò in del ditirosata e bella , 
I figliuoli d'Autolico ed UlisK 
Con molti cani a una grac caccia nicito. 
La vestita di baschi alta montagna 
Salgiino, e in breve tra i ventosi gioghi 
Veggonii di Parnaso. Il Sol recente, 
Dalle placide aorta anqite profonde 
DeirX)ci-in >u i rugiadosi campi 
Saetìavt \ wii »»KS * * titeiatori 



Litio zix 355 

endeano in nna Talle : innansi i eani 
ari, fiutando le salvatici orme^. 

co^ figli d^ Autolico^ paìiando 
la lancia, che lunga 'ombra «giUava ^ i 

ra ì cani e ì cacciatori andava UUssa. ' ' 
misurato cinghiale in cosi folta 
acchia giwa) che ne di venti acquosi 
orza, né idggio mai d^ acuto Soie 
a percoteva^ né le piogge afTatto 
^ entravano: copria di secche foglie 
ran dovizia la terra. Il cinghiai fiero, 
he al calpestio, che gli sonava intorno,' 
ppressare ognor più sentia la cAccia, 
>ucò del suo ricetto e orrìbilmente 
izzando i peli della sua cervice 

con pregni di foco occhi guatando , 
tette di centra. Ulisse il primo, V asta 
enendo sopra mano^ impeto fece 
1 lui^ ch^ ei d^ impiagare ardea di vogh'a ; 
!a la fera prevennelo, ed il 'colse 
3yra il ginocchio con un colpo obliquo ^ 
ella gran sanna, e ne rapì assai carne ; 
è però della coscia alP okso aggiunse* 
erilla Ulisse allor nell' omer destro , 
ove il colpo assestò : scese profonda ■ 
^ aguzza punta della fulgitP asta ; 

il mostro su la polvere cadÀ, 
[ettendo un grido, e ne volò via P alma. 
[a d"* Autolieo i fìgti a Ulisse tutti 
ravagliavansi intorno : acconciamente 
asciar la~ piaga, e con possente incanto 

sangue ne arrestaro, e delP amato 
adre alP albergo il trasportaro in fretta, 
«nato appieno e di bei doni carco, 
ontenti alla cara Itaca contento 
o rimandaro. Il pndrc suo Laerte 

la madre Auticle'a gioj'un pur tro|^![^Q 



i 



S18 DDiaain 

DbI ino ritorno , e il rioLipdean Ai follii 
E pia (Iella ferita ; eii eì narrava , 
Conte, ìnTÌtsta ■ ana.sìlvf'Blre guerra 
Da'Ggliiioli deiravo, it bianco Hf ale 
fiafiollo d' DD oÌn!>hial lovra il ParolM-'ì 

Tal clcstrice 1' amoroBa vc( 
Conobbe, brancinaDdoIi, ti 
Liaciò andar giù : la gamba nella coni'-i 
Cadde , an rirahambò il roncivo ramr , 
K pifgò lutto da uaa binda , e in Itm 
L'acqua li aparie. Gaudio a un'* nra r iwia 
La prete , e gli occhi le a' empier di piinlD) 
E in uacii le tornb la Toce Jodielro. 
Proruppe al 6n , prendendolo pel mento: 
Caro fiflio , tu aei per certo Uliiie , 
Né io, né io ti ravvisai, che tulio 
hr\* non aveiti il mìo algnar tailato. 

Tacqae; e j^ardò PeBclope , volendo 
Moitrar che 1' a'!:or suo lungi non era. 
Ma la Reina né veder di cinlra 
Foteo né niente por: che Palla 11 core 
le Ione altrove. lIliEse inlau'u ilrtnie 
Con la man deitr» ad Eurieléa la gola, 
E ■ Bè tìralia con 1* manca, e dine i 
Nutrire, vuoi tu perdermi ? Tu iteiu, 
SI, mi teneati alla tua poppa un giorno, 
E nell' anno veuleiimo , ■□fTerte 
Pene in6nite , alla mia patria io venni. 
Ma , poiché mi icopristi , « un Dio ai voD^ 
Taci, e di me qui dentro altri non lai'^i 
TtTÒ di' io giuro, e non invan , obe i' » 
Con rajuto de' Numi i Proci ipegDo, 
Né da te pur , benché mia balia , il braceic 
Che l' altre donne ucciderà , ritengo. 

Figlio, qual mai dal core oao parola 
RaUrtt in tu te labbra? ella ripreae. 
Non I»i««iOMi\V\it«\^«!m>Mtfa.lra« 



uno ziz SS7 

Ita ed ioetpngnabile ? Il segreto 
rberò, qaal dura selce o bronco, 
tenti ancora , e tei rammenta : doTO 
igao gli Dei per la tua mano i Proci, 
e donne in palagio ad una ad una 
I ^ingiuria, io dirotti, e qnal t'onera, 
atrice, del tuo indizio uopo non bafri , 
gliò Ulisse. Io per me stesso tutte 
laaerrerò , coooscerolle : solo 
a tacer penita , e laacia il resto ai II uni. 
I secchia tosto per nuoY^ acqua uscio ^ 
rsa tutta la prima. Asterso clrebbe 
se ed unto, ei nnovaniente al foco, 
le aure a trame , s^ accostò col seggio ^ 
\}* panni la margine 4X>Tcr8e. 
'enelope allor ; Brevi parole ^ 
ite f ancora. Già de' dolci sonni 
•mpo è giunto per color, cui lieve 
iia consente il ricettarli in petto s 
doglia a me non lieve i Numi diero. 
che riluce il di, solo ne^ pianti 
cere io trovo e ne^ sospiri, mentre 
ifdo ài lavori delP ancelle e a** miei, 
notte poi , quando ciascun s' addorme , 
i vai corcarmi , se le molle cure 
idele intorno al cor muovonmi guerra? 
ne allor che di Pandaro la 6glia 
giorni primi del rosato aprile ^ 
Boriscente Filomela , assisa 
$li arbor suoi tra le più dense fronde, 
ita soavemente , e in cento spezza 
>ni diversi la instancabil voce , 
che a Zeto partorì, piangendo, 
caro, che poi barbara uccise 
r insania, onde più sé non conobbe t 
n altrimenti io piango , e V alma incerta 
questa or piega ed ora in queUa ^i\« > 



}56 oDii-<i 

5'' :u (tii'Col liglio. e iMÓgra lerbi II littlo , 
Le soitmee , U terve e gli t\li tellj, 
DA mio ccniorte liipHlsndD il letlo, 
E d^l sepol le voci; a qu^lo io «ifjuii 
DerIì Àtuci tra i migUor , che ille mie noa 
Dodi ialiniti prcìpnlando, aanìrit. 
Sinat Unto clic il figlio eri Ji senno, 
Comr il' dì. (anriullo socor, laieigU 
QiKito io mai non avrei per altra c.iu: 
H* vr nb'ei crebbe t della pulierliile 
Già U inglla toocù, men priega ei itcna 
Non nMtrndci mirar la itraxìo indcgiiB 
Che di hii fa» «1< Achivi. Or tu . <ii tii , 
^-pirgaiBÌ un sagoo ch'io norratti iateiKla- 
velili nella mia coite oche io milriiea. 
E di qualche diletto cmmi il vederle 
Coglier da limpid'ac<[U4 il bionda grino. 
Mcnlr'ia te auervo, ecco dalPalto moalB 

Frangere a tulle la o-rTÌre , tirile 
L'una (u l'tilra riieriarle apente, 
EriialiriérrdecediviDn. , 

Io mettea lai , benclié n«l togno, e atriiltf 
E te nobili Aclie« dal »in ricciuta 
Veiifaqo ■ me , che mUerabiI menta 
L'oche plorava dall' a guglia marie , 
E a me intorno alfollavanii. Itla quelli> 
HÌTolando dal ciel, au lo iporgente 
Tetlo sedeaii , e con umani voce. 
Ti l'acclicta , diceami , e ipera, o 6glii 
Dèi gloriola Icario ; un vano «ogno 

l>i CIÒ che icguirà. Nell'oche i Proci 
Bavviia , e in quelle d' aquila sembianM 
il tuo conaorte , che al iìn venne , e tulli 
Sltai*^'^ nol\Qt»ai\%u» a, terra i Proci. 



timo xix ^.'iQ 

Gittando gli oocbi prr la corto, vitlì 
Le oche mie , che nel truogolo, qua! prima, 
I graditi frumenti iyan beccando. 

Donna , rispose di Laerte il figlio , 
Altramente da quel che Ulisse feo 
Ifon lice il sonno interpretar: V eccidio 
Dì tutti i Proci manifesto appare. 

E la saggia Penelope : Non tutti , 
t)spite , i sogni investigar si ponno. 
Scuro'parlano e ambiguo, e non risponde 
L^ effetto sempre. Degli aerei sogni 
Son due le porte , una di corno , e T altra 
D^ aTorio, DalPavorìo escono 3 falsi, 
E fantasmi con se fallaci e vani 
Portano : i veri dal polito corno , 
E questi mai V uom non iscorge indamo. 
Ah ! creder non poss"* io che quinci uscisse 
L' immagin fiera d^un evento, donde 
Tanta verrebbe a me gioja e al mio figlio. 
Ma odi attento i detti miei. Già P Alba , 
Che rimuover mi dee da questi alberghi, 
Ad apparir non tarderà. Che farmi ? 
Un giuoco io propor vo\ Dodici pali ^ 
Quai puntelli di nave , intorno a mi 
Va del fabbro la man, piantava Ulisse 
L^un dietro all' altro con anelli in cima ; 
Ed ei, lunge tenendosi, spingea 
Per ogni anello la pennuta freccia. 
Io tal cimento proporrò. Chi meglio 
Tender Parco sapra fra tutti i Proci, 
E d^ anello in anello andar col dardo , 
Lui seguir non ricuso , abbandonando 
Questa sì bella e ben fornita e ricca 
Magion dermici verd'^anni, ond^anche in sogno 
Dovermi spesso ricordare io penso. 

O veneranda , ripigliava Ulisse, 
Donna del Laerziade, una tal prova 



36c QDunA 

Fuiilo DQD dliftrir: pria cfafl nB de' Preci 

Me Unila, e pausi pe'' rilODdi ferri, 
Ti l'ollrirà daTBnie il tuo cuiiaorte. 

E Penelope al fine; Ospite, quando', 
VicÌDD a me leilendotì, il diletto 

Non mi cadrebbe m le ciglia il totioo. 

Cile legge a tiilLii itabilJrD, e meU 
Su la tern fmtlifera gli Eterni. 
]□, nelle ilanze alte salita, un lello 
PrciDerù, che diTenne ■ me logubre 
Dal di che Uiiise il canape funpito 
Per la nemica ecìplie infamia Trojan 
Tu nel palagio ti ripoM, e a terra 
Sdrìjati, o, Be li piace, a te le mie 
Donne appareccnieran, itoTC corcarti. 

La licijjna, riìi dcllu, alle tuperne 
M»nlò bue fUaie, e non già lala^ rd iii 
Sino a tanto piangea Tamato Utiiae 
Cile un dolce tonno sovra lei apirgeuc 
La cifeilta negli occhi aoguita Diva. 



LIBRO VIGESIHO 



AAOOKÉVTO 

IM ti tdraja iielP atrio e oMenra la dÌM>>' 
delPaocelle. Chiede a GioTe qualche 
favorevole, ed è esaudito. Temerità di 
izìo, e accoglieiiKa anioreTole di Pilezio. 
}po lancia contro ad UIÌ88<* nn pie di 
ma Dol coglie. Vaticinio di Teoclimejio» 
ici se ne fan beffe e scherniscono Ulisst 
a e Telemaco. 



agnanimo figlio dì Laerte 

« nelPatrio. Una recente pelle 

aveasi di bue con altre molte 
ngui agnelle dagP ingordi Achei 
dcate ; e d^un velloso manto 
là corcato Eurinome coverse, 
o' pensieri suoi Peroe vegliava, 
:ure ai Proci divisando. Intanto 
icelle, che solcano ai Proci darsi ^ 
dì lor camere, in gran riso 
empendo tra loro e in turpe gioja, 
rte Palma si sentia commossa, 
anelava se avventarsi, e tutte 

a morte dovesse in un istante, 
Daentir che per Pestrema vvlt» 



369 QMMBA 

Delwqaener U IritU) e.ìa-iè firenea» j 
E come allor che ai cagnolini intorno < 
Gira la madre, e, «e un ignoto tpanta, .| 
Latra e brama-pag^ar s nen-iiUrinieoti 
Egli, che mai patta V opre nefande, 
Alto fremea nel generoso petto. * 

Pur, battendosi V anca e rampognando 
Egli strHo il Huo cuor, Soffri, gli disie. 
Tu che assai peggior male allor toHriiti • 
Che il Ciclope fortissimo gli amici 
Hi dÌToraTa. Tollerar sapesti^ 
Finché me fuor delP antro il senno trance 
4^uand^ io già della vita era in su rdrlo. 

Ei cosi i moti repHmea del core, 
Che ne' recinti suoi cheto ti stette. 
Non lasdata però su T an de"^ fianchi 
Di voltarsi o su P altro, a quella guisa 
Che pien di sangue e d'adipe ventriglio 
Uom, che si strugge di veaerlo incotto, 
D^ un gran foco alP arder volge e rivolge. 
8u questo ei si voltava o su quel fianco, 
Meditando fra sé come potesse 
Scagliarsi al fin contra i malnati prenci] 
Centra molli egli solo ; ed ecco, scesa 
Di cielo, a lui manifestarsi in forma 
D^ una mortale l'atenéa Minerva, 
òtettegli sovra il capo e tai parole 
Gli volse: O degli umani il più iofelicf| 
Perchè i conforti rifiutar del sonno ? 
Sei pur nel tuo palagio, appo la fida 
Tua donna e al fianco d^un figliuolo a eoi 
Yorriano aver l'uguale i padri tutti. 

Il ver parlasti, o Dea, rispose Ulisse s 
Se non cne meco io mi consiglio, come 
Scagliarmi ai Proci svergognati lncontr0| 
Mentre in folla ognor son quelli, ed io sok 
In oltre io i^eitto^ « ciò ^iù anoor mi HidM 



LlBItO ZT S63 ^ 

>1 favore anco m^ avrfnga i 

I col tuo, cacciarli a Dite, 
sttrnrmi a quella turba 
orrh. Tu questo Itbra. 
ese la negli occhi Àzzurray 
>mpagno suo crede, a un mortale ^ 

alvolta e meno esperto, 
; DÌ7J, e a me che ih ogni 
sempre ti guardo? Sappi 
nta d^ uòmini parlanti 
no pugnatrici schiere, ^ 

campagna i greggi loro 
errhno, e i loro armenti." 
onno nel tuo sen ricevi : 
passar la notte in guardia 
!sto. Uscirai fuor tra poco 
. dubbio i mali tuoi. 
)por dolcissimo gP infuse: 
mbra tutte quante sciolte 
3mbra d^ ogni affanno Palma, 
30 tornò r inclita Diva, 
sen fuggi dagli occhi a un tratto 
:he già sovra il molle 
e ricadea nel pianto. 
3 fu, calde a Diana 
!) la sconsolata donna 9 
io Gglia, augusta Dea, 

seno un de^ tuoi dardi scoccai 
in libertà quesO alma, 
il turbine e trasporti 
nelle rapide correnti 
etrogrado mi getti, 
andaridi sparirò, 
: óe* Numi alla lor madre 

1 padre, nella mesta casa 
laste erano e sole. 
Uri di dolce mele^ 






V« "^ -.beo'' (lil.ci"°.^i COI'*' „ 

" «''SS '» S' . >• '•Tu* >■; 

vie ^^^ 



* ^ .«50 ' V Ai 

cw ••'; . ..li ' 



Lino XT S65 

un lieto augnrio in bocca 
Aikéì quei ehe iielP interno 
^ e air aria aperta an tuo prodigiòt 
^ lo etn uXSyi, orando, dine. 
^ il 8c»inaio Giove, e ineonta«cnle 
tfMiiiM tonò Incido Olimpo , 
roe giabilanne. Al tempo ÌBtesto 
m che il grano naetnara detti 
i|(hl gli mandò* donde non lungi 
paator delle genti eran le mole* 
là donne con aiBidna cura 
TO «siaacan di dodici mole, 
I luanea polve qae^ frumenti ed orzi 
leean cbe delP uom ton fona e vita. 
libre dormUn dopo il travaglio grave s 
qnellacal reggean manco le braccia, 
ipinU» non l' avea. Costei la mola 
M di botto, e feo volar tai voci, 
» aegnale al Re furo i O padre G^ore, 
|li uomini signore e degli Dei, 
rte tonasti dalPeterìa volta, 
lon v^ ha nube. Tal portento è al certo 
r alcun de^ mortali. An ! le preghiere 
co di me infelice adempì , o padre, 
ssi quest^ oggi nella bella sala 
diionesto pasteggiar de^ Proci, 
ic ài fatica m^ hanno e di tristezza 
CMo un grave macigno ornai consunta, 
nltimo sia de' lor banchetti questo* 
Della voce allegravasi e del tuono 
illustre figlio di Laerte, e l' alta 
'^ in pugno si tenea giusta venc^etta. 
V altre fantesche raccoglìeansi iiraint0| 
Ho foco raccendean vivo e perenne. ■ 
> il deiforme Telemaco di letto 
rse, vesti le giovanili membra, 
icuto brando all^ omero sospese, 



ìi una «alida tlriiitr ulta DodfiM i ^ 
Con Gno rime lumincMO in pnota. 
Giunto alla •oglls, B''arr>i(b col picd^ 
E id £uricléa jurlòi Cera nutriccf ' I 
Il Irallatle Toi bendi cibo e Irllo ai 
].''ii(|>ilei Ione nun curalo Bia-^»*' 
Anco la madre. mìa, benrbé ti >aggi«f 
Sfalliice in qufaLo : cLi e aita degno,* 
E non cura oucr.ir chi più ■••I tafrUi-, 
Ed Euiic)éa: Figliud, Doo ìnenlpaB 
La innocente tua maàte. A suo piinn 
tfvea I' oipilcaisito, e quanto alPeuay 
Domandato da Iri, Ante, meilieri i 

Non ne over più. Come apprciSaTi Vm 
Del ripoio e del innno, appareccbia^ 
C'impoic uo l^ttoi DM i lapprli aM 
Biliuiii, qua) rhi vHire ai mati ineirtadi 
Corcocti nel vcatiholo >.> Tre»:» 
Trlle di lauro e cuoi dVignelk i noi 
D' una velloia clamide il coprimmo. 

Telemaco, ciò udito, uacia dell'alle 
Suaie, al foro per ir, con l' aaU in mi 
E due leguianlo pieveloci cani 
Colà gli Achei dagli achinieri egregi > 
Elaccolti raltenJean: mentre 1' antica 
D'Opi di Pibendr 6gl>i>, le ancelle 
Stimolando, Arrirltnlevi, dicea. 
Parte a netUf la sala e :id innalììarb, 
E le purpuree lu i ben fatti seggi 
Coverte a diipiegar ; parte le mense 
C>in le umide a lavar forale ipugse, 
E ivati a ripolire e i lavorati 
Kappi ritondi : ed al profondo fonie 
_ r^irte andate per 1' acqua, e iicl.pala| 



di ohe festivo ai tatti splende, 
ascoltaro, ed titibidiro: Venti 

8^ a^vjftr dalk nere acque : 
ijli altri cofnpieairo interni nfQciJ' 

i servi degli AchiVi^ e becèhe ' ' 

n arte dividean ; le donne' ' 

ial fonte { venne Eumé.),'ì^iiidatida 

la mandra fiory nitidi verri, 

vasto cortil pascer lasciava. 

fermate nel suo Re le riglia, 

impararo a rispettarti forse, '' 

a oltraggiar segiion gli Àdiel-?- 
ìf rispose il Re, piacesse ai Efunii 
fente punir che nelP altrui 
rei fattì| ingiuriando, pensa, 
ia di pudor non serba in petto l 
*a lor dicean, cfuindo il caprajo 
bei della greggia eletti corpi, ' 
ventre a riempir de** Proci, 
Melanzio ; e seco due pastori, 
pre legò sotto il sonante 
e morte nuovamente Ulisse : 
, molesto ci sarai tu ancora, 
ndo da ognun ? Fuori una volta 
rai ? Difficilmente, io credo, 
viderem che V un dell' altro 
;e le man non abbia in prima » 

tu villanamente accatti, 
nsa in città dunque non fuma? 
r offeso eroe: ma sol crollava > 

inte il capo, e la risposta 

con la man tra se volgea. 
) in quelli sopraggiunse terzo, 
acca menando e pingui capre> 
iettò su passeggera barca 
li mar ch(? a qiipsta cura intende* 
nse sotto il portico) e vicino 






Fatto»! K Eoméo, V inlerrogara : Eoi 
Chi e qnrlla ilranìcr che ai noslri al 
Tmlé arriiò ? Quali rt&er dice e dote 
Ld tua terra naliva e t padri luoi ? 
Lnssol UD monarca rgli mi aembra io viiLi, 
Certo piace agli Dei metter uri haia 
Relle «vrDtiiTe i vìandapti, quando 
Si detlina da loro ai re tal aorte. 
Dliiir, e appreHando il fo resti ero, e r lui 
La man porgendo, Ospite padre, lalcf, 
SoggiuDae : almen, ae iiHla doglia or vivi, 
Sorganti più cercni i giorni estremi l 
GioTe, qual mai di le Nume più cruda, 
Che alta fatica e all' inferlomo in proli 
Laici i mortali, eoi la vita drali? 
Freddo sudor bagnai>imi,e mi >'' empietà 
Gli occhi di pianto, immaginando Uliue, 
Cui veder parmi rou Cai paoni in doua 
Tra gli Loniini vagar, s^ qualche trrr. 
SoilLcnlo ancora, e gli riaplende il Sole, i 
Sveoturato di me! L'indilo UlisM j 

A me fanciullo delle eue giovenche ^ 

La cura die ne' crfali'ni campi; 4 

Ed io il le guardai che io inGnilo à 

L'armeoto crebSe dalle larghe frontL 
Questo sul mare trasportar per esca 
. Drggio a una turba di signori etlrani 
Che né guarda al Ggliuol né gli Dei trD< 
Uenlre de' beni del mio Sir lonlano 
La parte, cui Gnor perdonò il dente. 
Con gli accbì ella divora e col desio. 
Ora io stnmmi fra duci perchè rea cosa 
Cerio sarta, vivo il Cgliuolo, a un'altra 
Gente cnn I' arraeiilo ir) ma d'altra parie 
Pesami Gcranieule appo una mandra 



^ UBao XX ^69 

III e quel misero rieda e spfrda i Proci^ 
Q di qualche magnanimo padrone 
^ik nelle corle riparato avrei : 
^è tai cote durar più non ti ponno. 

E V eroe si gli rispondea : Pastor<; , 
r^iichè maWagio non mi sembri e stolto ^ 
S senno anche dimostri, odi i miei detti| 
B il giuramento che su questi siede. 

10 pria tra i Numi in testimonio Giove, 
E la mensa ospitai chiamo e d' Ulisse 

11 venerando focolar, cui venni: 
Giungerà il Gglio di Laerte , e alP Orco 
Precipitar gli usurpatori Proci 
Vedranlo , se tu vuoi , gli occhi tuoi stessi. 

Ospite • questo il Sat umide adempia , 
Replicò il guardFan : vedresti , come 
Intrepido seguir del mio signore 
La giusta ira io saprei. Tacque; ed Eumco 
Smania con esso, e agP Immortali tutti 
Pel ritorno del Re preghiere fea. 

Morte intanto a Telemaco s'*ordia 
Dai Proci. E ver che alla sinistra loro 
Un** aquila comparve altovolante , 
Che aveva colomba trepida tra Pugne. 
Tosto AnGnomo sorse, e, Amici, disse, 
Lasciam da un lato la cruenta trama , 
Cai più che invan si pensa; ed il convito 
Gì sovvenga più presto. E il detto piacque. 

I Proci entraro nel palagio , e i manti 
Sovra i seggi deposero*, le pingui 
Capre e i montoni s^ immolaro, corse 
De^ Tcrri il sangue , e la buessa , onore 
DelP armento , cade. Furo spartite 
Le abbrustolate viscere, e mesciuto 
NelP urne il rosso vino. Eume'o le taxze, 
Filezio i pani dispensò 00** vnghi 
Capestri : ma dalP urne il buon licore. 
Odissòa i\ 



Ti iclicrinitù i elle non è qi 
Pubblico, ma [l'UI»se, e<\ a 
Egli acquÌ9tol1o. E Toi freni 
Le min, nonché le liague, 
Qui non l'iccrnila e subita 

Strìii>er le labbra ed inai 
Ed Antinoo coii : Li minaci 
Coni[>seni,dì Ti^lernaco favi 
Per moietta cLie lia, durarl: 
Giove il protegge: clié altr; 
Bencbé einoro arringator, g 
Silentioeternodagran tem 
E il ditpregiA Telemaco « 

Già I banditori recatomi 
Dfgli fìti coodiicean per U 
E raccoglie,! nai i rapelluti . 
Salto il boico rrondifero d\ 
])i rui per cotanto aere il i 



ià ftddcDlro penctnMe m petto. 
tra kuno od oialtagw «od. che «vcà 
>teiippOy e diBonTi m Sanie, 
ftdanoo ne^ teior pateraiy 
lorte del re cokK altri ambivi* 
* tal favellò : Proci, awoltate. 
ier, qua! conreiiiasì, oiteone 
guaio con noi. Chi mai Torria < 
maoo un oipite fraudarne, 
uè fosse ? Ora io di fargli intendo 
il don, ch^egU potrà in mercede 
eia o al bagnajuolo o a qual tra i tervl 
cera dell^ immortale Ulisse, 
dicendo/una boTÌna lampa 
a da un canestro, e con gagliarda 
ivTentolla. Vincoocusso eroe 
la, il capo declinando alquanto, 
jueir atto d^un cotal suo riso 
ico ridendo ; e il pie dei bue 
note re andò nella parete, 
d^asìiai per te , cne noi cogìieAtiy 
imaco allora il tracotante 
)o rabbuffò : meglio che il colpo 
schivasse ; però elisio nel mezzo 
' senz' alcun dubbio un'*asta acuta 
t piantata, e delle nozze in vece 
ate Oavria P esequie il padre, 
unque agP insulti. Io più fanciullo 
n, tutto m^é noto, ed i confini 
del retto e del non retto io valgo, 
e voi ch'aio soffrirei tal piaga 
ostaoze mie, se forte troppo 
ise impresa il frenar molti a un solo? 
, cessate dall^ offese, o, dorè 
el sangoe mio V alme vi punga, 
*tevi-ilmio sangue. Io ciò pria 70glio 
tder ciascun .giorno opre li \nde^«e^ 



Io poi 



3^1 oDiaiB* 

1 fori-slitri JilPBgiall t ippsso 
Battuti , e nello splpiiciido palagio 
Cnnliminate, oh reità! le ancelle. 

Tutti amiDDlira, e sul, ma tardi mol 
FiTcllo il Oam ustori de Agflao : 
nobili amici, a clii parlò fon if ano 
Rcisun risponila ìoEiurioia e avverso j 
He /orettier più ti percuota o aile^uoni' 
a del dirina UlisM. 
;>oi darò a Telemaco e alla madre 
n parolp blanile, 
se in cor loro entrerà. Fmrbè ipcraDt 
Tel ritorno d'Uliuc a voi Bariti, 
Gl'indugi perdonare ed i pretesti 
Vi si poirano e il trarrà in lungo i P 
Che, quando apparii la lui faccia fon 
Di pnidenza loitati «tiIatì i) mondo. 
Ha chiaro parmi che più in mao d'Ulii 
Il ritorno non e. Trova la m.idre 
Dunque e U jireasa lu che a cjiiel de' 1 
Che b» più virlude e più doni offre Vi 
Onde lu iTentrir ne' beni tutti 
Del padre posii, e alla tua menai in § 
Non che in pace, leder, mentre la mi 
Del nuoTO tpoao allegrerà le mura. 

E il prudente Telemaco, Per Giove, 
"' r li guai del padre 



ci/,™ 


. peri. 


dalla SOI 


. patria 


lunge. 


Ti protetto Agelao, ch'i 


o della 


madre 


Non in. 


duULo le 1 




nii la e 




Quello 


4uir ci 


,e più le 


aggradi 


, rdoir 


Doni ir 


1 copia ni 


laKftior: i 


ma > Dii 


i beati 


Tolgin 


che involontaria 


io la . 


bandii 


Da quc 


■ile soglie 




D.9>e 


:, e Aliuei 


rva inest 


inguibii 


! riso 


De.lò ne' Proci, 




T»r>e il 




lUilr 


HO U&&V 


tmw w 


a<^)«.Uft 


VUnc 



Ulto UE 3^* 

itfgne ingbiolUan delle sgozzate 
B ^roi, e poi dagli occhi a un tratto 
I loro no improvTiio pianto, 
erita ditvéntorm il duolo 
petli rtpiwB. E qui léiroMi 
ifoo, il gran proftsta e dltse t 
ri, die veggio ? E qoal v^ ificonlrft 
ietto? Al eorpo intorno,- intórno 
lotte ti f ira al eapo qn nembo», 
ro aeoppi(^) bagnanti I yblti 
mtarie lagrime | di sangue 
i le pareu ed I bei palchi j 
*émpie e il cortil dX)mbre eoe in fritta 
sencjòa neir Èrebo { dlaparre 
» il Sole, e dqtli aerei campi 
•a eali|iQe indoonoMii. ^ 
iMlAm dal profeta, e «jncite 
rimaco adolie i lì ferestiero 

Tenne testé, non soda dove» 
a, io penso. Giovanii su yìà, ' t 

fuori, acciocché in ^piazza ei vada, 
he qui per notte il giorno prende. 
idoTioo, Eurimaco, rispose, 
guide, che vuoi d^rmi, tienti. 
3 in testa ed orecchi e due pie sotto 
mpra non vile un^ alma io petto, 
soccorsi io sgombrerò, scorgendo 
he sopra voi pende, e a cui torsi 
tra un sol di voi , che gli stranieri 
ale, e studiale ioiquitadi 
igion del pari ai Numi Ulisse. 
o, usci da loro ed a Pireo, 
buon gr<ido il ricevè, s^ addusse. 
Proci, riguardandosi a vicenda^ 
d^ ambo i forestier facendo ^ |i 

vau Telemaco. Non havvi , U 

iceai chi ad ospiti stiii pc||io » 



Sema prodeiia, tFn»a indii»lria, prio 
Diiutil della Una; e V altra un paxco, 
Che, per far del profeti, in pie ti le>a. 
Vuoi tu (Questa senriir, eli' io ti proppligo, 
(lano parlilo? Ambo giUlamti in nave 
E li nandiarD della Sicilia ai lidi. 

Telemaco .li hii milla curaVa. 
Ha levati Icnea tirilo gli occbi 
Nel geuitor, sempre lapetlaiidu il punto 
Ch' ei •fatto cantra i Proci impeto avcclib*. 

Id facrii della aala e io in U porli 
Del gineceo, da un luo lucRntr Kggia 
Tulli i lor delti U Aegini udia. 
E quei, ridendo, il più loave e lauto, 
Prri che molle avein vitlime ureite, 

Crna di quella non fu in.il tW- ai Picei, , 
Degna mercè drlU nequizia litro, < 

Stivali per ìmbmidir Pilla ed UIìmc- I 



UBW> TIGESIMOPRIHO - 



cMlófw. per Inipiniton di Itittrm, |ira- 
e il cinrnlo dell'arco , pml* Ai qatìh ' 
«e tra ì Proci che laprb If odcrln e 
igerieeondo li impoita l^gge lo iCralR. 
tattf-o appirrcchia il giuoco, eJ^gli ileaw 
rati il primo , petiiando di rilen^re in 
1, le il (iu'-.oo gli rieice, li madm ma In 
più l>ello il ptdrr gli comanda di alarli. 
'rafano alcuni Proci , ed inutilmentf, 
ano intanlo Filezia ed Eoméoi e Ullue lì 
ne , li aropTC e dà laro gli ordini pi& 
orlnnì. Ni invi ed itiulili len lati vii dopo i 
liAntìnoo luggrrix-edi dilTerireal giamo 
mio il cimenlo. Uliiie «ncfa'egli tuo! cì- 
ilar»i,eÌProcì a'uppongono indarno. Egli 
niua l'aico, illpnile con molla fjcilìl^'a 
ig# la freccia lecoiido il rito felicidima- 



i Palla, ocefaio atiurrino, illaprudeoU 
ia iPlcario entrn lo apirto niiie 
■ropor l'arco ai Proci, t i lenci anelli 



K 4) ilragt principio e di ViiiitrtU. 
La donna salte alla magiDD più alta, 
K Hrll'abil tua man Ih bella e ad aite 
Cr>rvala diiave di meUlIo presp 
PpI manubrio di «andiJc eiclaiilc. 
Cilì fal^o, andò ron le redeli ancelle 
Nella starna più interna, ove i toiori 
SerbaTanii del Re : rame, oro e ferra 
BfD traTagliata. E qui gìacei pur l'are 
Ilitorto, e il lat-ittifero turraisa. 
Che molte detitro a té frecce cliiudea 
Dnlorlfcre: doni, cbe ad Uliiie, 
Cui a'dbbatEè nella Lucami un eìoTOO, 
Feo l'Eui-itide Ifìto ai Numi eguale. 



a Meuenia. Di Ueaseiu 

pecore I redento 
li .» i< l.nBli. n«l 






Uandaro Uliiie. D'iitra parte IRlo 
Li traccia aen venia delle perdule 
Su dodici cavalle, e delle forti 
Alla lor mamma pnxTcnti mule, 
Donde mina drrivògli e morte: 
Però' che Alcide, il gran Bgliuol di Gion 
D'opere grandi Fxbbro, a lu., rlie accoll 
Nel aua palagi» avea,- non paventando 
Hi la giustizia degli Dei ne quella 
M'nsa o-pital che gli avea poila innanii, 
Tiilae iniquo la vita, e le giumente 
Dalla furi' iinijbia in aua balia ritenne. 
Vncsle ccKando. l'abbatté ad Uliice, 
f*: l'are» gli (loiiA, che Ìl chiara Euritfr 
l'uvUva, e ia man del tuo ditello figlio 



-.■> 



m Imééàaàé ùfìMéìk ifMMto ' 

Me e vaa Uudn nodbroMi a Ifitoi 
^ «o' jaiMlk nou long» aoloo p^fBO s 
Ile di MieaM oonòtccni a Ti^nda 
ibr'non fii dato, ed il Mta^ldi Giove 
^Eorìtide dÌTÌno iniiaiffi decite. 
Niett^aroo VWutff allordiè io negra liavo 
Be dorè traea belliche prove, ''' ' 
hi togliet iDM$ ma per memona etemìi. 
M òaro amico alla parete appeao 
lifiar solcalo, e sol graTame il dotto . 
MP iaolf natia, gli era diletto, 
^me pervenne alla tecrfeti ttama 
Pfgregia donna, e il limitar di (juérida | 
un conttrutto a squadra e ripolito 
^ fibbro industre, che addattovvi ancora 
m Imposte ferme e le lacenti porte, 
%ato la fune delP anello sciolse, ^ 
i iatrodasse la chiave^^ed i serrami 
letpinte s un rimu^ghiar, come di tauro, 
Iw di rauco . boato empie la valle^ 
rodi quando le porte a lei s** aprirò. 
Ib montò su V elevato palco, 
bve giacseano alle beli' arche in grembo 
profumate vesti, e, distendendo 
lindi la man, dalla cavicchia Tarco 
tutta distaccò la luminosa 
ioa entro cui stava. Indi s^ assise 
quel posato su le sue ginocchia, 
I* pianti dava e ne'' lamenti : al fine 
sita custodia sua l' arco fuor trasse, 
poìcbè fu di lei sazia e di pianti, 
p, e de^ Proci nel cospetto venne» 
Ik» in man «nstenendo, e la faretra 
I di mortifere saette: 
le ancelle la si*guian con cesta 



Oi fori" '"'pi aedea" , > j^ ^ 

0.»> •"'• tv .11" ■," ii ••*^" J 

Con l» '*^ „.,, lieo»"' '"" . cdIoMV^ 

VUCH "\f"Vo M»"°,bta.l."» 



uno xu 3^9 

unii mM piA 'teneri, ed lib]freMa 
•U in mente da q^iei di 1^ imago; 
' Bupite U figlio I e non perUnio 
eooOdavaai piegarne, 
léllo io anel mandar lo atr^Ie. 
rea prima 1^ infallibii freccia 
e in vece dall^ eroe aooccaU, 
o^ ami ollra|;giaTa , e incontro ft cai 
i i compagni a nenia aMÌao'.« 
tra i. Proci parlò la sacra fona 
emaco: Oh Dei! fife Giove al certo 
i senno. La dilette madre 
n altro consorte , abbandonando 

mura, seguir^ benché si saggia , 
io rido e a sollazzarmi attendo. 

poiché a voi donna in premio s^ oflfri^ 
n r acaica terra e non la sacra 
d Argo, Micene, Itaca stehsa * 
V eguale o la feconda Epiro ; 
pete vui ben , né eh** io vi lodi 
itrice oggi è mestiere su vìa, 
ne scuse non tirate in lungo 

certame, e non rifugga indietro 
.^sa delP arco il vostro braccio, 
eroiumi anch'* io. S^ io tenderollo, 
?rri entrerò con la mia freccia, 

lasciar per nuove nozze in duolo 
itrice non vorrà, fuggire 
>rrsi da un figliuol che ne** paterni 
la palma riportar già vale, 
ciò detto, ed il purpureo manto 
meri deposto, e il brando acuto, 
la prima cosa, un lungo fosso, 
lunette con gli anelli in cima 
'vi, a squadra dirizzolle e intorno 
a vi calcò. Stiipiano i Proci^ 
Iole pianure a lui si bene. 



l 



380 OMtllA 

Btneh^ egli a iifsiuii |jria »i>Ie le iv 
Ciò f-illo; delle pnrlp and.'i aria logli 
E. frrmatOTÌ il pie, 1' arco leiitava. 
Tre lille trar volle ilDcno al pctlo 
Tre dalla inaD gli icappt il nervo. 1 
Non ditperara che la (juarla prova 
Più felice DOD foue. E gii , la corda 
Traendo al petto per la quarta lolta 
Teao syria l'arco: ma il vietava Ulis 
D' un ceuDD, e lui , cbe tullo.ardea, 
E Telemaco allor, Numi 1 aogglunse 
debile io vitrÙ dunque e dappoi 
Tutto il mio tempo , almen la poc 
Fona da ributtar chi ad ollraggiarn 
Ri acagliaue primier , oun dammi ai 
Ha Toi , che liete più gagliardi , T i 
Taitati! aduoque , e li complica il g 
Detto coti, Parco ci dcpoaea terr 
E airiucollale tavole polite 
L'appogRiù dell' pni>*, e posò il d 
Sul cercliìo, che delP arco il eommi 
Poi a' attiie di nuovo. E Antinoo, il 
D'Eupite , Favellò : Tulli , o cumpag 
Dalla dettra per ordine 1' aliate , 
Cominciando ciaicun , donde il vern 
Licor li vena. Il detto piacque , e j 
L'Enopide Leode ' '' 

Sedea p 

Portava , e gli altri riprtndea. Cuitu 
L^rco lunato ed il pennuto strale 
Si recò in mano , e alla .oglia ita, . 
Su i piedi , tentò il grave arco, e ni 
Clic tenti intorno alla ribelle corda 
Prima itancani la man liscia e moli 
Aliti , disie , lei prenda ; io certo , 
Bui lendei'w mi «c^o^mix iJnn a n 




lo core il bramì, 
1 impalmar : ma, come v 

"'\, e maciPRgiato, us'Allra 
. . B peploadilobbate , 

ì preaenli a lei porgendo , 
Vnelops il ftto nom ofae di «loid 
Bcrall» condnrrk d* altrónde, 
il partalo , el miie T aroo a Um , 

> {doaHata tavole polita 

po^ft della porta . e j>ii»i il dardo 
ercbio, che dellSrco il lonino omlrt. 
di tornò al iiio •«ggio. E Aotinoo io tali 
proruppe : Qnal malettò , acerbo, 
chìaitra de^ denti a te , Leode, 

> afoggì , che di furor m'inSamma? 
I dunque lark morte qu»t''arco? 

curvar noi puoi , la madre incolpa , 
d^ archi aom non ti feàe e di laettei 
li altri Proci il currtranno, io peiuo. 
uè , e areoitode del caprino greggi: 
b> precetta diri Helaniioj accendi 
ente foco nella ula , e appreiao 
ani Mggiò , che una pelle cuoprl. 
L* bianco e Indarato adipe reca 
da , titonda maua , acciocché i^ nnga 
vii raroo, e li •caldi, ed in Ul gniia 
l« certame il cooduoa a fine. 
llÉHki aeceie an utancabii foco , ' 
• odk di lopra on «eegio poae, 
S niUM e iùliirata adipe maiaa 
'* • landa rrcb. L'arco onta • addo 
' -«Ili. Cb« Tiba, 
B le brucU infltfiC&t 



< 1 gloraiii. < 
mbSob le I 







^ 


38i 


onisa-i 




H> Jalla proTi 


.'asteneaneno 


ra ■' 


Kurimaeo ed Aa 


tinoo, cbede' 


Pro» 


Eran di gra.lo e 


di valore i pri 




Uiciro intanto 


del palsK'O 


uutenq 


Il pattar de' miii 
E Uliiae dopo. I 
Fuor li trovare, 


l«U e V<> d"' 


buoi, 


Belle norie appi 


cna ' 
l.'eiid*l 


Parole ud ambi 


rivolgendo, Eumeo, 'i 


Dis.e. e Filonio, 


l'Hrellar degg' i< 


». 


i detti ritenpi 


r? Oi ritenerli 


•1 




li dà. Quali •are.te 


D' Utiise a prò, 




Inalvei 


Coipelto innani 


,i il preicntaaae 


UD Nui 


Ai Proci, o a lu 




voi? 


Ciò che net cor 


vi 8ta, venga a 


ul labbi 


GioT« padr 


e, selamò allor 


Filezio, 


Adempì il volo 


mio! L'eroe q 


»■ giuue 


E un Name il guidi. Tu vedrei 




Quale in mei'; 


irdir fora e q.. 
. men» agli l. 


ale il b! 

?i lutri 



Fel ritorao del Re prcgbìc^re alzavo. 

Ei, come cerio a picn fu della me 
Sincera e fida d'ambtduo, (oggiunie : 
la caM eccomi io iteuo, io, che, toSer 
Sventure ae: z» numeru, alla terr» 
Nativa giunti nel vigeiim' anno. 
So che a voi aoli desiato io ipunto 
Tra i servi miei: poiché degli altri tut 
Non udii che un bramasse il mio rito 
Quel eh' io farò per voi, dunque aacol 
Voi .da me donna e robe, ove dai Ku 
D' eilerminar mi ai conceda i Proei, 

Ricevcretej ed io lerrovvi in conto 
Di compagni a Telemaco e fratelli. 
Ma. perchè \n toTw mm tettiate punto 



B jEIflI^alp^ttra Itaca signori , 
''ìsole proM^me alla verde 
cbiavà tSi cavalli altrice. i 

\ào Itrtie ancor dono io volessi 
stier^ clii ^nvidiarmel pupte? 
riejitra ^ cA al telajo e ai fuso , 
pur suoli y con le ancelle attendi, 
larà degli nomini queir arma, 
y die "d^altri, mia; cbè del palagio 
irno in ' me sol ., madre , risiede, 
nita rimase e del figliuolo 

parola, clic nelP alma entrolle , 
in alto tra le fide ancelle, 
aprendo alle lagrime le porte^ 
Ulisse a nome iva chiamando: 
; un dolce di tanti e tanti affauni 
r sonno le mando Minerva, 
co Eumeo tolse intanto; e già il portava, 
'oci Sutli nel garrfano, e alcuuo 
cea de"* giovani orgogliosi: 
il grand'^arco porli, o diseonato 
o sozzo? Appo le trnjn in breve 
ingeran fuor d^ognì umano ajuto 
issi cani di tua man nutriti, 
olio è a noi propizio e gli altri Numi 
anrito delle lor rampogne , 
> ei depose. Ma dalP altra parte . 
linacce Telemaco grida\a^ 

va innanzi con quclParco. Credi 
'obbedire a tutti in prò ti torni?, 
jra ch'io con iscagliati sassi 
ciltade non ti cacci al rampo, 
lor d^annif ma ni t«* più forte. 
•sì| qoal (li te più forte in fossi 
:oci tutti che qui sono ! Alcuno 
io ne sluilzfrf i fuor de! palu|;io, 
il tesser ntuhumi e lor b(>lPartt;. 



Sul npo i mulli AAktt s" rimrripa il j 
r.aniltì rb^, .e .li fnrie >l sr.i.Jc^OBl 

Si'"idf"ii\li noi ì''*là°ful»re. "" 

No: l'Eupitidc Antinoo a lui tii|uql 
CIA , EuriDiiro , HDD Gì : Iti tirata il «i 
Sarro ad Apollo > qiipslo di. Chi Tu 
TrndcT poirebhe? OrpoDiamlo, e Inlli 
Lnuriai o dar gli anplli, e non trniiM 
Clic alcun Ha dove son, rapiiU ardìu^. 
Su via, I' abii coppicr Tidi co'' nappi' 
R:rolmi in giro, e, poirhé atirm lilwt 
Mrlliom rarro ila parip. Al lìì novclb 
Mplaniìo a noi Ip più Gorpnli cipie 
Guidi da lutti i biaorhi.Dnde, OrtuM 
I pinfoi lombi al glorùuo Arciera, 2 
Si riprrnila il cimenio e a iin a^tdduct 
PiacqiiP il »uo l'etlo. I banditori loti 

Cpn le iDTir , augurando . a lutti in gir 
Come libalo e a piena voglia talli 
BpvuIo cbber gli amanti , i) saggio Ulii 
Che slralagemmi in cor t«mpie agiUvi 
Coti lor farpllò : Comprtilori 
DpII' incliU Kc)!Ìiia , udit v' aggradi 
Ciò cbe il cor dirvi ini ci nsiglia e <ron 
Eurìmaco fra tulli , t il pari a un Ku 
Anlinoo, che parlici a f conci a mente , 
L' orrcrhìo aprire alle mie veri io prie 
Perdonale o|gi all'erro, e degli Eteri 

A CUI lor piacerà daranno i NumL 
Ha iTÌIanlo a me, Proci, queir arma : ii 
Voglio far .lei mio braccw , a veder i' 
Nelle uniAitk v^t^«:^ii\^i^ÒKA 



Lisno XXI 389 

[a il Laerziade, cornei tatto IVhb^ |- 

iderato, e osservato a parte a parte, 
il perito cantor che, le ben torte . . . 
lOf^ avvìnte dHina «na novella 
era ad ambo i lati, agevolm<*nte 
Bf volgendo il bischero, la corda : 
e il grande arco senza sforzo tese*. 

saggio far volle del nervo : aperse 
mano, e il servo mandò un suono acuto, 
al di garrnla irondine è la voce. 
ui d*Jolo i Proci ne sentirò, e in volto 
iscoloraro; e con aperti segni 
rtemente tonò Giov« dalPalto. 
A Teroe, che di Saturno il figlio, 

Satarno che obliqui ha pensamenti, 
i dimofttrasie il suo favor dal cielo j 
an aligero strai che su la mensa 
ipl^ndea tolse: tutte P altre frecce 
e ^li Achivi assaggiar dovenn tra poco 

gè chiudrale il concavo turcasso. 
sto su Parco, ed incoccato il dardo, 
•aea seduto, siccom'era, al p^tto 
n la man destra il nervo *. indi la mira 
•a i ferrei cerchj prese, e spinse il telo^ 
le, senza quinci deviare o quindi ; 
ssò tutti gli anelli alto ronzando, 
biiamente si rivolse al figlio, 

Telemaco, disse, il forestiero 
in ti svergogna, parmi. Io punto longe 
il segno non andai, né a tender Parco 
.ticai molto: le mie forze int< re 
rbo, e non merto villanie dai Proci. 
I tempo è ornai che alla radente l^ce 
•r s^ap presti la cena; e polsi to({chi 
k cetra molticorde, e sbalzi il canto, 

che più di piacer la mensa arqiij^ta. 
Dine e accennò cu^ sopraccigli. Allora 



Perni lu forte die, uve lo itfaniero, 
Fiilindoii dì ti, t'arco tendeiie, I 

Ne quiDM. mndiirrìa moelìe al loo tettai 4 
nt lo «pera rgli , ne turbato a nuaM i 
Dee ptr fuetto sedere alcun (ti voi. 9 

Co» 10 veder non sa che nen a' idditt ' 

Ed Eoriinico » lei: D'Icario figlia, 
Itan v' ha Ira noi , cui nella meoLe c»l) 
Che te pigli ■ cninurte aam di': ti pooa 
Degno è ili te. Ma degli Achei le lingue 
Trilliamo, e delle Aokee. I>a piii ril bocci 
Te*, g[ider(a, ([mi il' un eroe la doima 
Chiedono i gara gicTÌantti -ìmhrtli 
Che ne FiIgoN piegare il (uo beirareo, 
Mentre im laplou , un »s,ibDoJa, un iriio'" 
Tntè, currollo agcvoioMate, e il djrda 
Per gli anelli miudà. Tal griderebbe; 

E Rosi a Ini Penelope rispam -, 
Entimneo , non lice un nnine illoitre 
Tra i popoli agngnire a chi d' egre^o 
Signor la caia d.>l suo fondo schianta. 
Perchè tiii;''r <ai gteiii il nome voitra 
D'infamia? k lo ttranier di gran ii-mbianll 

La stirpe >ant,i e non Tuigare il padre. 
Dategli il risplendente arco , e veggiamo. 
Se il tende, e glori, gli concede ApollJ, 
Prometti, e non invan , tunica bella 
V«iifgli e bella clirniJi-, ed in oltre 
Vn brinilo a doppio taglio e un dacda acuì 
Metrcrgli in mina, e lotto ai pie clliin , 
£ là inviitlo, dove il loo cor mira. 

MiJre, dine Telemaco, a me solo 
Sta in mano II dare, ono, <jiiell' arco, ìoerWl 
Tiè U» in \u"v n^iDt><L ie^Jv &chivì aJatM, J 



LIBRO VIGESIMOSECOr«DO 



▲KGOMBHTO 

UJitse comincia la g»*an vendetta , e il pri- 
vilo che uccichei saettandolo, è Antìuoo. Euri- 
KHaco tenta di placarlo, ma indarno^ e, dopo 
^ver confortalo i compagni a combattere^ è 
Mccìso anchVgli da UlUse. Teli^maro .nmniazza 
•AnBnomo. Poi , mentre il padre segue a ma- 
neggiar Parco, va a prender le altre armi cobì 
r>er lui, come per sé e per li due pastori. M e- 
anxio fa il medesimo per li Proci. Puni/.ione 
iSi lui. Minerva comparisce ad Ulisse in forma 
^i Mentore e F incoraggia. -Appresso scuopre 
1** egida, e mette i Proci in grande scompiglio. 
Tutti rimangono uccisi ,> e solamente son ri* 
Jlparmiati il poeta Femio e P araldo Medonte. 
Slogio della poesia. Le donne colpevoli oò- 
l>ligate sono a trasportar fuori i cadaveri: indi 
punite. Ulisse purifica con fuoco e zolfo la 
caca, t chiama a sé le altre donne , che gli 
fanno gr<in festa, e chVgli subito riconosce. 

Anurie e spogliossi de^ suoi cenci Ulisse 
£ sul gran limitare andò d^un salto, 



3gi ooiitu 

U" area tcnpcdo e la farcirà. I nlli 
Sitali, oniU giaviJa rn, ingiiioui 
Djtanle «■ pinli, e ai Proci diiw : A fin 1 
QiiciU diHiot prova i gii eoodolbi 
Un io Tpilrùi se litro benaglio, in cai 
KMSiin illude >in i]<ii, toccar m' avtìeuF, ' 
E if ne Unto privilegia Apollo. 

Coti dicenito, ci dirigea P amara 
Strale in AiHiaoo. Anllnoo una hgptAn 
Stava per innaUnr roppa di tÌdd 
Colma, a due oreecbie e d^oro; ed allr bbbN 
Giii r appre»»»» : né ppntier di Bmrte 
Nel ror gli ai rolgri. CJii «vria credili» 
Che fra cotanti a lieta d 

Fabbricar g 

Nella gol* il IroTÒ eoi dardo Uliui 

E >l colpillo, che dall'altra bandi 

Tri colla ilrlicnto aitci la punta. 

¥.1 piegò ria una parie, e hi " 

l.a coppa gii calici tnilo ii 

Vena 'Il lingue rn.iniJù tanr pei ciiaì 

l'emute culle piante, * ila tè il drico 

lletpinie ; iparle le vivande a lem; 

Kd ì pani imbriiL'avanii e le carni. 

Vitto Aniinoo raJer, tumulto j Proci 

Fér nella tala, e dai lor leRgr alznro, 

Turbali rapjr.n.losi, e guardiinjo 

Alle pareti qua e i.i: ma lincia 

Dalle pareli non pendea uè scudo. 



DckV LlBccnie ùoventude il Bore ? 



* LIBIO XXII. , 3^ 

!|;1i ftTolloi sarai qui pMto. 
, pensando in volontario, il colpo, 
: né s^ avvedean folli , che posto • 
fini di Morte avean già. il piede. , 
'O riguardolli e in questa guisa 
Ulisse: Credevate I o cani, ' 

dio io più non ritornassi , e intanto 

disertar y stuprar le ancelle ^ 
isorte mia, me, vivoy ambire 
tvate, non temendo punto 
i Dei U grave ira né il biasmo 
ente degli uomini. Ma Tenne 
I per voi tnlti ultima sera. 

inverdirò del timore, e gli occhi , 
impo a cercar, volsero intomo, 
in tal forma Èurimaco rispose: 

il vero tu sii d^ Itaca Ulisse 

rinato, di moU^opre ingiuste 
lel tuo palagio e sì ne' campi 
(se furo ti quereli a dritto, 
ui, che di tutto eravdagione , . 
in terra, Antinoo. Ei deW ingiuste * 

V autor primo; e non già ticinto 
iderio delle altere noaze, 
per quel del regno, a cui tendea^ 
do il tuo figliuolo: occulte 
le che il Saturnio in man gli ruppe, 
norto egli giace, alla tua agente 
i tu. Pubblica emenda farti 
raettia*so: proroettiam con venti ' 
iascuno , e con oro e con bronzo, 
to riempir che ne"* tuoi beni 
aliando aprimmo ; in sin che il core 
Eia ti si schiuda, e sgombri 
»nde a gran ragione arse da prima.' 
mirollo e replicagli Ulisse : 
iurimaco, tutte ancor mi deate 



L^ arco una toIU cil il 
Disrrfnerìi dil lltniUre i 
Finché tulli ci atlerri. 
Dunque *Ì p«nsii distrir 
E, delle mfnse alle lelil 
Scudo facendo a noi, pie 
Tutti in un groppo. Se i 
Scit;ci>Tlo ne riesce, e 1 
Kcotrere, nliando il cie1 
Dal laellir ti rimarrà pi 
Disse , e V aculo di t< 
Brando a due Ugli ttrii 
Con terribili grida. In qi 
VAtato l'arco, «1 petto i 
Nel frgalo gì' infisse ace 
Laacib Eui'imico il bran 
Girl curvato lu la menu 
K i cibi I 



rreniM Tdénaco^ e im tergo 
e sfMiHe il fM eon la- pangeiile 
ia, cbe ftior gli rimcl dd "pcUow 
Pinfelioe rimboabò cadoto , 
1 tutu 'la fronte il taol péredaie. 
l gaimn sottraeati, abbaDdonattdo ' * 
iDcfa entro d^Anfiiiomo: temea 
aletta degli Achei, mentt'egli-ehiiia - 
an p aita a aeoofiecare ibteatp , 
artio il marteHatae, b con la spada 
«' mano il lerìaie alla scoperta* 
idi rìooTTÒ ratto , e in un baleno 
aro padre fa Ticino , e a lui , 
"e , aisse , ano sondo , e lance dae ^ 
1 adatto alle toni pie elmo lucente 
eeherò m^ armerò io stesso , ed armi 
ilezio darò, darò ad Euméo. 
consigli il miglior sembrami questo» 
, corri ^ Ulisse gli rispose, e riedi 
:hè restano a me dardi a difesa: 
riedi prestamente^ onde gli Achei 
clie son solo^ non ismuovan quinci, 
bbidl il figlio e alla saperna stanza.^ 
e V armi giaceano, andò di passo 
liato, e targhe quattro ed otto lance 
e e quattro lucenti elmi di chioma 
ina folti, e in brevi istanti al caro 
itor si rendè. Qui del metallo 
ì egli primo la persona, e i servi 
mente le belle armi Testiro, 
kl T'accorto eroe stettero intorno. 
ftti, 6nchè le frecce a lui bastare, 
jiea la mira ed imbroccava ognora, 
dean P nn su P altro i suoi nemici, 
poiehè le infjllibili saette 
far venute men , V arco ci depose | 
appoggiò del bea ibndato albergo' • ^ ' 



il 



Che in pubblica m«ltea 
Di queita, per cai tot >' 
llliue volle il Gdo Eum< 
Agelao l'ebbe Tocchia, 
HoD ci airà cbì quelli ) 
E spargi voce, e il pnpi 
Levi, perchè coatui cetii 

Ciù, riipoie MeiiDiio, 
HoD poniamo, Agelan d 
I^ porte del cortil trap 
Sono, ed angiiata i quel 
Cui iiBii naiichi valor, i 
Pur DDD temete, lo por 
Dalla itaDza luperna, in 
Da Uliue e dal Bgliuol 

Detto, apdar la e f\i 
Entrar, pigliar dodici ta 
Taole, e tanti criniti el 
Mettere in niHD de' palf 
Fu di pochi momenti o| 



uno nii S^7 

scende contri noi antsV aspra gaerra. 
l Telemaco a lui, Padre, rispose, 
sol peceai, non altri, io, che la salde 
*ia lasciai mezzo tra chiosa e aperta} 
no esplorator di me pia astato 
gioT& intanto del mìo fallo. Or Tanne 
, prode Euméo, chiudi la porta^ e sappi, 
ciò Tien da un^ ancella, o dalla triéta, 
ne parmi più ver, di Dolio prole, 
fentre tali correan voci tra loro, 
laazio per le belle armi di nuovo 
se. Adocchiollo Eoméo, ne a dir tardava 
li ad Ulisse , che lontan non gli era: 
trziade àivin, quella rea peste, 
cui noi sospettiam, sale di nuovo, 
'lami chiaro : degg^io porlo a morte, 
rimangogli sopra, o qua condurlo, 
*chè a te innanzi d^ ogni suo delitto 
ritamente il fio paghi una volta ? 
S il saggio Ulisse : A sostenere i Proci, 
ne che ardenti, io col mio figlio basto, 
ezio dunque, e tu, poiché V avrete 
Lro la stanza rovesciato a terra, 
bo i piedi stringetegli, e le mani 
tergo, chiusa dietro a voi la porta; 
ui d* una insolubile catena 
to tirale sino alP alte travi 
ago una gran colonna, acciocché il ivtìiù 
•nti con morte dolorosa e lunga, 
^ronti i servi ubbidirò. Alla sublime 
nera s^ affrettar, da lui, che dentro 
i e cercava nel più interno V arme, 
a visti e non sentiti ; e si piantaro 
inci e quindi alla porta. Ei per la soglia 
isava ratto, in una man portando 
ninosa celata, ed un vetusto 
V altra e largo e arrugginito scudo^ 



Ole gli onteti gfaTà del buon Lutt^^H 
Sul primo Bor dtLl' eia sui : df poslo ■^^J 
Fascia K dipi eoli calo, e da fui ralle 
Le coregge pmilevano. Veloci 
V aesallAr, I' abbrancar, lo alrasrìtiaro 
Dcptro pel riuffo r rallenàr dolente ! 
Indi amilo i riiedi gli leparo «d ambo 
Sovra il tergo le man, quol di Laerte 
ComoTidb il figlio; e lui d'una catena 
Insolubile clnlo ir (ino all' alle 
Tdtì litìr lungo una gran colono*. 
E coi! >Uor In il derideiti, Eiinnéo : 
Melansio, or cerio vegghicrii la notte 
Sii letto molle, come n te a' addire, 
Corralo^ né uscirà dalle correnti 
Dell'* Oc'àn, l'he tu non la vagheggi, 
L'Aurora in troua d' 6r, quando le pitigvi 
Capre alla menta condurrai de' t>roci. 
Tal fu MeUuzin fra legami acerbi 

Sfc«r,'l. porla risnlcnrlenlp rliìuM ; 
E presHi al ricco di contigli Vìiis,, 
Forza spiratili e arilìre, il pie Tcrnisro. 
Cosi cjiiallro Buenieri io. su la soglia 
Erano ; e nella sala un Dumeroao 
Drappello, t non ignobile. Ma Palla, 
L' arroipolenlc del Sainrnio figlia. 
Con' la faccia di Mentore e la voce, . 
Tra le due parli d' iroprcTviso appaire 
Gioì a vederla ìl Laerziade e disae: 
Mentore, tnì secnnda, e ti rammenta 
Del tuo dolce compagno, onde a luds 

Cosi t' eroe i ma non eli tace il coi r. 
Che la lua Diva in Mentore a' aacoii 
Dall'altra portela f;arrÌBno i Proc 
B primo ft Cauiav\.(«\4e i.'j.vl"' 



•UiacaMU At t Meiilorty badi 
ita ^acoAre in sao pn» eoa tri gli àtthifi ' 
a ti Mdaea £t?elUaA0 UUtie. 
rò ehe quando per min noitra iMOiai 
■ttran , oome ho feda, il pidre e ÌL figliOf 
irrat iit «neon e il-taogae^tuo dem 
r cib che oprar nelle magione or ptntL 
* pia 7 Te tetto cenere» ee^ beni 
UDliaieni aaonte andrà quaot'or potiiedi 
A tuo peltgio e fuor { né e figli» o e figlie 
Isere i dì Mttò il natio lor tetto 
baentiren né elle tue catte donna 
f linee aoggiomar nella cittade. 
;Vie pia* ti* aeoende' a coal fatte toci 
fira di Palla ed in rimbrotti scoppia 
intra .Ulisse lanciati: Io unita, Ulisse, 
f quel fermo vigor, nulla pia yegj^io 

I queir ardire in te, che allor m'>strasti , 
t innanzi a Troja per le biapcUe braccia 
Ma nata di Giove incliti Eleni 
Mibatt<;»ti un Uecennio. Enlro iijor sangue 
ulti stendesti dc^ nemici, e primi 
Fsicrive a te, se la dalP ampie strade 
Sklà di Priamo in cenere fu vòlta. 
dor che giunto alle paterne case 
t tua donna difendi e i beni tuoi, 
follemente t"* adopri ? Orsù, vicino 
Unmi ed osserva quale il figlio iV Alcinry» 
eetore, fra una gente a te ocmica 
' benefici tuoi merto ti rende. 
Tal favellava: mi perchè V innata 
tà del padre e del fi^liuol volea 
Mrere ancor, per alcun tempo incerta » 
Tittoria lasciò tra loro e i Proci, 
indiy montando rapida, su trave 
icido ed alto, a rimirar la pugna, 
I rondiite in sembinuzi, ella t^"* a^tnìte. 



FrallanlD il Damaitonde Agelxe , 
iriitmetlunte, Eurinonia, e il piuiirnle 
. folibo, F DcmaptolciDD, e Piuadro, 
Di Poliltore il faglia stia coorte 
Spirli sggìungran, comr color clir i pr 
Enn ài forza Ira i riuindi in piede, 
E 1' aliria ditendran; gli sUti avei dom 
1.^ arco fitnoio e ìt l'reqii«'i)ti frecea 
fnìi a tulli Agptao: Compagni, io | 
' Che le indomite man rmlarr un Irolto 
.{^itui riavrà Gii Menlore dispaTre 
* Dopo il brBTsr >ua i-ano, e tu 1* foglii 

?uallro toDO e non più. Voi non land: 
uHi. io ven prieeoi unil^ineple : >« 
Alte roltnu in primi , e i) laulo Giara 

U J)ì colpire in tllii» a coi uncrdi. 

^'Caduto lui, nulla drl reilo io cnro. 
Sei, CDDi'efli bramila, ttfe Toiaro, 
E tulle andjr le fi o P.illiiil/ a v6id. 
L' un de' jiunsPnli frajaini la porla 
Prrcotie, od iillro tu la soglia cadde, 
KJ un leno ioveslì nella parete. 
Scantati i colpi, di Laerte Ìl figliu, 
Amici, diiM, nello duol de> Proni , 
Che, non contenti alle paliate offete. 
Della TÌtJ spogliar Toglionci aurora, 
lo crederei ctie saettar si debba. 

CiaacuD la mira di rincontro lolle 
E traile d'una lancia. Il diro Ulisw 
Demoplolema nccise, e arigtiò mnrie 
Telemaco ad Euriadc, a Klato Euinéo, 
Ed a Pisandro il buou Fileiio : tmU 
Del paTÌmento morsero li polve. 
Gli olili Del fondo della sala il piede 
Tiraro indietro: Ulisae e i Ire compagni 
Cancro e nvelser dagli ratinli l'aste. 
fiUot \aa<:'iua nuQ-sjmttAei Proci 



Ulbrki»e1ftl!tljffìiasfi eoljpi f 
ante «m Pallacle udca. 



19 togli*, là putta e 'U pardi 
Btétto o li rrt|Miif6 : solo 
idrate Unte d «|oabte lete 
itra di Telemaèoi nel pofiO| 
eaa ne graffia h' tonliBa aite t 
Wùif atte di CtetTpbò, a BniMNi 
>do ratentendoi e lieTcniente. 
idogii la tpalla, il too tenore'. 

e itoddcf tovra n |wlco morto. 
BOB coti dall' altra |>arte tpinte 
ftDtra I Proei leimogeDU irati. 
l 'dèi ofttmUor ie' mari Ulitté • 
DÒ Boridamaikle« Anfiflàedonle 
iella giacque delttio figlio :'Eamdo 
'ò con la sua PoKbo, e Filetio 
pò colte con la tua nel petto , 
tii alette alteramente e ditte : 
rsfdei degli oHragg: amantCì 
dal tecondar It f uà stoltezza, 
ana pompa favellando, e ai Numi 
ohe di te ton molto pm forti. 

è il dono otfpital di quello in metto 

1 noatro Re, cne mendicava, fetti. 
impa del bue Patta rispose. 

!'* (Ilitte r armentàrio illastre, 
(oeitto mezzo di Laerte il figlio 
lise il Damastoride da presso 
sfonda ferita ; e a Leocrìto 
aco piantò nel ventre il telo, 
elle reni fuor gli ricomparve. 
Doride stramazzò boccone , 
erra battè con tutto il fronte, 
e alter, che ri veti i la Diva , 
;vò dalla toffitta eccelta 
està ai mortali Egida e infuie 
itta4 aS 



Mailri tilTiilU del cornuto 
Se allo Kililnrti , et) nltungi 
Le pMDge il lìtra iwilta e 
M> in quella guiia che ito 
Riciirri e V uagliia piomhi 
Ditli nODUiini, lui mino 
Che trepidi TOrriaiio ir \éi 
K qari tu lor ripiombaDO, 
. Quindi) difeu non rimana 
Struio e rapina del TÌIIant 
Che di tale apettacolo >i p 
Non altriraenti Uliite e ì li 
Si (cagliavan la i Proci, e 
He ipEnaiin che fiorite on 
Che non t' aprisw! lolto i g 
B un gemer tetro aliava» 
Sangue oiiUrggiaTa il patii 
Leode le ginocclita a pn 
Del riRlìool di Laerte e io 
Gli drizza tali accenti : Ecc 



Ite mgmmt e pro^revMé'ligli •• . \ 

mia «ooforte a t« t qiijindì e.;tii «1 fr9l^ r 
ino perpetao- chiuderai le «rgQt. . > , «^ 
\\ ÀìottiÀo^eon la omd figluHPfla ■ ; 

I suol Kaccolse:la laflifntespacU, • ;' 
e Agelao ^u'U. Morte aviHi^pjprilatO} .- , \ 
I i 4>ercoisa .tal . dir de al profeta . , ^ ■ ■. ,o 
: collo ^be di, lui, obe auebr pariMrPi;;. j / 
Iole neàa polvere la te«|a, . .,• .«5 

ila di Terpio il figliuo). T Htditit.Ffii^;» 
e tra i Proci scioglier per ionaMfiània^vt 
irte achivò. Della se^ooda ptrta ~ ^. p.Se'J 
n la tonante. in man -f^tra dT^rgnitov-,.k t - 
eino erasi faltpy e,if Aua fiensien. .r s 
videa la sua mente : o fuori uaeito r 
dersi alP ara del gran GiéTe Erc^i . , 
»Te Laerte e il suo dileUo figlio .i 

)lte solean brooiar cosce taurine ; -^ 

ad Ulisse prostrarsi, e le ginocchia 
rìogerglì e supplicfrrlo $ e delle' due ■ / 

aesta gli parve la miglior sentenza* , i 

ima tra una capace urna e un distinto ' 
'argentei chiovi (ravagliato seggio 
Spose a terra V incavata cetra : 
>i ver r eroe sì mosse, e le ginoccbia 
riogeagli e gli dicea con voci alate s 
'isse, ascolta queste mie preghierei .■ i 

di Femio pietà Talma ti punga. » 

DgUa tu stesso indi ne avrai, se uccidi 
^m cKe agli uomini canta ed agli Dei. i 
otto io |on da me solo, e non già l?artc« . 
a un Dio. mi seminò canti infiniti 
ell^ intelletto. Gioirai» qual Marne, 
ella mia voce al anono» E tu la nsaso, | 
«angoìnar ti vuoi nel corpo mio ? , , k 

t domanda Telemaco, il tao dolee .«j 

igfio, ed ei ti dirà, ebe né fagbcaa .. 



4o4 0D.«* 

Di pUaio mii né sciriitk di tìIId 
Tra i Proci iltFri a inuiicar m'jpduiie. 
Ma co' molli, co'gloTaiii, co^forli, 
Vota rhe polo debilr, Tecchio e solo 7 

TarfitFlUTa) e la aacrsEa pusu 
Di Telemaco udillci, e ratio al padrr. 
Che non gli Prn laiiUn, T' arreili, àiut, 
K di qiirtlo ìnpoFcnte i ili i'iip«lta. 
MedoDle ancor, chp de^ mìei giorni primi 
Cura pmiéra, roi ictberetno in tìIb ; 
So) eh' fi non lia per man d' un J«' piiUri 
Caduto, □ iu te dato non abbia, mcoire 
Ter 1j lais mcusTi in furia i colpi. 

L' uill HHonte, il bandilor tolrrle, 
Che idniilo giacca sotto uii ledile, 
£, r atro fato dedinando, l'tra 
D'una fresca di bue pelle luTcrIo. 
SniK da lotto ti icgRio e il bovio cnoja 
STesllssì e andò a Talemsco e, gittate 
A' «uoi ginocchi ambe le bracci», Caro, 

Gli erauD i beni e vilipKio il figlio, 

SanìsE Ulisse, e n lui: Sta di buon caie- 
G\a ài I ischio TcKmaco li trasie, 
K iu salvo )iose. sccìocclié sappi e il narri 
<^uaDlD più del lar male il beu fai- torna. 
Tu, araldo, iiilatito, e tu, vate imrniirute, 
Fuor del palagio e della strage u>cili. 
Sedete iid rorlil, Bo.'li'io di dentro 
Tulio 1' itnprcta mia conduco a riva. 

Tacque; ed uscirò, e appo l'ali nr del sommi 
Giove ledcan, gu^rdanduei all'intorno, 
Qual se ad ogni momento e in ojni loca 
Doievse lor suprav\cnir la Parca. 

Lu tguu&Q sUqib, ^\ \\ tua io gir» 



prof mv»éi^9§mtAÌÉ? ftodt^i^r 



-V 



ggltomf«M« 4eUa mori* U-fiilo. 
SI rìauM^dk t$nù 4in che nel «mjfaf . n^ 
M. non loMA .rB«Qa poiya. Come., 
abitatóri del 'O^wM» - aure, . /. , . r 

i iljiftmtor ^B rtett » loolli vanì . ! 
daìToiicU tirò nel- eunro lido»' , 

' )!«|reiui odiata» e loro il Soie 
I gfin^ammati rai Ìe;apiqie fui^i e .,.. . 
i giaeean l^un pfciso Taltr') t^Prooi,... ;, 
iabitamente UliaM in qif e9U -fonip4. . 
eqmrorae a TeleoN^oo: Telemaeoi^ . ,..r 
nutriee Euricléa, ia tU, nati chiama, ~ 

per udhr ebe a me di^lirle è ìq. grado* : 
fobidi egli e ineammiaoflsi e, dato 
irto alla porta, O d'aoni carfBa, diste» 
gì, Euricléa, che n^lla nostra casa 
;li so?ra le ancelle. Il padre mio, 
; desia favellarti, a se ti voole. 
fon sen portava le parole il vento. . 
i Eurìcléa le porte e in via con luì, 
> precedeala, entrò veloce, e brutto 
polve tra i cadaveri e di sangue 
ise ritrovò. Qual par leone, . ..... 

tvien da divorar nel campo iin toro, . 

vasto petto^ eV una guancia e V altra 
riporta cruenta e dalle ciglia 
ra terror : tale -insozzali Ulisse , ;• 

itrava i piedi e delle mani i dossì^ 
)uella, come i cadaveri ed il molto 
gue mirò, volle gridar di gioja r 

pettacolo tal i ma ei frenoTla, fi 

ichè -anelante, e con parole aUlOf ; , .. £ 
li dentro di te, disse, ma in jroci, ■ ,' .i f 
scbiai non dar di giubbilo: eh^vj^o. mm : 
lar B^n ìiu fovr« gente uqqMa, :. . ^. , 



I » • 



(Junli itaai il d»tii>o, t morte aloro 
L« licite lor maliagilddì fi.ro : 
Quaoila noa riapcttirò alcun giammai, 
Biiou luue.-o reu, che in lUr.1 gìnngei» 
Dunque a ^rilto {leiiro- Or tu, nairieè. 
Di' Jrlle donne a me qua! nel palagio 
S<3n miC'.-hiali: ili rolpa, e quali intalle. 

E la aitetta a lui vecchia Euricle i : 
Figliuol, Ja se lu non avrai che il terd 
Cinquauu chiade il tao pilagìo , a cui 
Le lane pettinur, teiirr le iele, 
E mitener con aniioo tranquillo 
La lenitutc, io »tc«»a aa giorno »ppMi 
Dodici Ira costo r tutta 9po(;IÌaro 
La verecunilia e, non che ne, 1a ile>u 
Dìipregiaru Penelope. Kon era 
Troppa innanii venuto artrof itegli anni 
Il Bglio Ino, D^iU le dorine alcuao 
Gli coiiienlia in i-i^gia iiiattrc impfro. 
Un che f<i IO, the Me lucrnli alante 
Non salga ili PenJupc, clie giace 
Da un Ola lepolta in uu prorundo s 



Beali alle dar 
Cltea 



e Ulma 



rappreientii 



I dira 



Le peccatrici e ad eaoilorle tutte 
Che ai ruppreien la itero all'eroe. 
E intinta egli , TElemaco a lé avuta, 
E il cUBlode Ue^ verri e quel de' lori. 
Tal parole lor feOT Le marte salme 
Più non :ii tardi a trasportare altrove, 
E'dett' infide aocelle opra aia queala. 



Poi e 






B le t 



1 bei «edili tergeiant 
Tatù riiiMBia ta mac 
le ancelle ne Ua«t\ 



iigoe a 
i deaclii. 



¥■ LIBRO XXII 4(t^ 

f Tra la pìccìola lorre, ed il siipprbo 
accinto del corlil , tanto co** lunghi 
^t cercherete feritori brandi, 
de si disciolga dai lor corpi Palina , 
£ dalle menti lor fugga P immonda 
Vènere y on4e s* unLn di furto ai Proci. 

Ciò detto appena, ecco venire a un corpo 
lie grame, sollevando alti lamen(^, 
K uom pioggia di lagrime versando. 
•I^ria trasportar gP inanimati coi-pi , 
Cbe del cortile, aitandosi a vicenda,' 
^tto «lU loggia collocare. Instava 
Co^suoi comandi Ulisse ; e quelle il tristo 
Mioistero compieaa, benché a mal cuore, 
I^oi con Pacqua, e le spugne a motte bocche^ 
'- ' bei sedili si tergeano e i deschi, 
^a Telemaco e seco i due pastori 
Con rigide scorrean pnngenti scope 
^ul pavimento del ben fatto albergo; 
^ C la bruttura raccogliean le afflitte 
^onée e fbori recavaula. Né prima 

(dimessa- fu la magion tutta in punto , 
^lie ira la torre ed il recinto poste 
I^C'obalvage si videro^ e in tal guisa 
^errate là, che del fuggir nulla era. 
E Telemaco : Io , no , con morte onesta 
t «fon torrò P alma da co teste donne , 
I ^^' A me sol capo ed alla madre scherui 
* Versare; e che s^ uuian d"* amor co^ Proci. 
Disse ì e di nave alla cerulea prora 
^aìnape , che partia da un gran pilastro, 
i' I^iUò alla torre a tale altexza intorno, 
^ ^he le ancelle, per coi gittarlo piacque, 
£ ^on 'polesser del pie toccar la terra, 
ft:^ come incontra che o colombe o torde ' 
FT3ie il verde chioso d^ una selva entraro* 
I \an con sii spiegate a dar di \icV\q 



«.8 omit 

PJt-llp prniuU irli, ove riiiouna 

Troia un lelta lenì: Uli ■ inirirla 

Kran le danne con te \titt in Hla, 

K ran tT>ln*o ad o^i callo un laccio, 

Di morte inrclicissimii ilrumento. 

Gniizan ro' pirili alqiianlo, e più non iddi 

Telemaco miti, e i dar patUirì aecn, 
nella eorle per l'alrio il mal osprajo 
Conducran: tecidesngli oreerbÌB e nari, 
E i ^Ditali, Ha butlarsi trudi 
Ai ean voraci, gli ivclleano, e i nieili 
U ozia vati gli, e le manj tant.i Tu l'iia. 
Punito al fine ogcii miafalto, e nani 
Con pura onda di fonte, e pìè lavali. 
Ritorno fèr nella magione a Ulisse. 

Quelli allertai parole alla diletta 
Itnlrire ri Tolge» ! Portami, o ybccIiìs, 
Il lotfu galulilèrti ed il fnocOj 
Prrrliè l'albergo Tnporore io possa. 
E PeiiFinp.' a me con le fediOi 
Sue donne venga ; e tu T altre per cau 
Femmine tutte a qua venir conforta. 

EA eltat Figlio mio, quanto dicesti , 
Io ludo aliai. Ma non vuoi ta, die prima 
Manto a coprirti e tunica io ti rechi? 
Indegno fora ron lai crnci indnsso 
Nel tuo pibgio rimaner più a lungo. 

Prima il zolfo ed il funco, ad ICi.ricléi 
BÌ9|>nie il pien d'accorgimenti eroe. 

La nutrice, ubbidendo, il sacro zolfo 
l'orlògli e il fuoco preitamentc ( e Uliue 
ha sala ed il vestibolo e il cortile 
l'iù volle vapori). Sali frattanto 
Colei l« ancelle a confortar, che franebe 
Vedere ornai si feuero. Le ancelle 
Delle umeie n&ctco, in man tenendo 

Lucide UcV. ^Owi», VciV^WJ -iViV 



t,iB»o wtt. .^ a capo 



LIBRO VlCeSl MOTEfiZOi 



Enridéii corre a d«(*r Penelope e a Firii 
(Spere cbe Uliue è giunto eli ha uccìiiiProci 
Penelope trstla la vecchi* ila folle, e aUri 
buiwe la ucciiione Uè' Proci a uo Dio, pana 
dole che uii nomo non palette giungcn 
tanto. Tuttavia scendp, mi tipilti lontana .1 
Uliise, cui iicn ravvisa. Sdegno Ji T.'lcman 
coDtra la madre, che hi giuslilìca. Uliix a- 
maoda una festa da ballo, perchè ì 'vicioicit' 
dano che la Regina aia passata a noretle aaat, 
e reitt occulta frattanto la morte de' Ptixi 
Poi, entrato nel baguo, e restituitogli da Hi- 
nerva l' antica sembiania, ai preteiit^di nuon 
u Penelope, cbe non vuol rieorviicerlo aocon 
Finalmente , uditalo ella parlare del conja 
8*Ie lor letto , di cui altri Don pulea aicn 
cuiiteaza , depone tutti i suoi diibbj , e aU 
gioja abbandonati ed aM'' amore, Mineiia prò 
lunga la Dotte. Ragionamenti di Penelope 
UliiH!, ^dila l'Aurora, egli leraai e va c> 
figlio e co' due pastori a trovar Laerte, pi 
ùndo per U citta in una nube, di cui gli l 

\Olte, ptt DM.VIi\\.*lVj\l^t4. 



lìbro xitii ^ìl 

buoda Técchia gongolando asccM 
lanz^ supèrne, alla padrona 
oziar ch^ èra il marito fn ciM. ' ' * 

t'remaTan' pii^ grinTÌgoriti 
in aotto ; ed élla a salti giva. 
. le stette sovra il capo, e, Soiff| 
Penelope,' figlia diletta, 
lesio rimirar dt* giorni tutti 
o' própr] occhL' Uli^ Tenne, UligM ' 

palagio entrò dopo* anni ^tanti^i 

Od temerari, onde turbata ' ' ■ '1 

1 i* era, eonsantati i beni,' -'- ■ -* ' t 
Ito il flgliuòl, ruppe e dispene*' ' '. '^ 
pnèlope a lei: Cafa-AjoUitie^ -' ' ^ 
iti^ cbe fanno, come lor talenta, * ' ' 
k ai< -saggio, e dèi più saggio aw ^Be^ 
ioa ti travòlsero. Guistaro ^ 

. mente, che di sempre integri, 
dubbio gì' Iddìi. Perche ts prendi 
di me, cui ti gran doglia preme,' 

raccontandomi, e mi scuoti 
sónno dolce che abbracciate e strette 
ì tenea care palpebre? lo mai| 
s Ulisse levò nel mar le vele 

malvagia inuominanda Troja, 
to'; non dormii. So via, discendi ^ 
e ritorna ohdc movesti, e tappi 

tali novelle altra mi fosse 
mie donne ad arrecar venntai 
dal sonno scossa, io rimandata 
Dente r avrei con modi acerbi: 
ivi a te che quél tuo crin sia bianco*' 
tta figlia, ripigliò la veochTa, 
Le gioco non mi prendo. Ulisse" 

veramente, ed il suo tetto 



4ii ocnuti 

Bi*ide il 60 ! <iuel fore»tirr da tutti 
STillancggitta nelln lala è Ulisie. 
Tdemacii it opes: ma icorlaiDeat» 
I pitcmi coniigli in so celava, 
Delle Teniletle a preparar lo «coppie 
Giabbilò allot Penelope e, di leti 
Sballala , ni Mno i^ accogli la veccli 
Laieiando ir giù le tseritne dagli 00 
E con parale aliU, Ah ! dod Toletn 
Balia cara, deludere, ritpoae. 

Di (Jial guiu potè aolo agli audaci 
Drudi , che in (olla rìmaneaDvi lemi 
Le nllriti far teolir mani omicide ì 
Io noi vidi , né il u> , colei riprex 
Solo il gemer di quei cli^ crac traHtt 
L' orecchio mi feria. Noi delU belle 
Stane , onde (prir non potevam le 
Hel fondo ledetam turbale il corei 
Ed ecco a me Telemaco mandata 
Dal genltor, cbe mi Tolea. Trovai 
Ulibic in pie tra i debelIaU Proci , 
Clic gincean I' un su 1' altra , il pari 
Tulio iogombraiido. Oh come ratio 
La tua lungi triateiza artesli tbitn , 
Se di polve e dì HDgite aipeno e br 
Quii (croce leon , TÌtto 1' Bveatì \ 
Ur del palagio fuor lutti in un mon 
Stanno)! ; ed ci con Bal£>ratì fuurlù 
Ei , die a te m' iniiò nunaia fedele , 
La nobile magion porga e riiana. 
Seguimi iduntjue, e dopo tanti mali 
Ambo achiudeto alla letiiiail core. 
f^Vi quetto lungo deciderla antico. 
Che (fiilruggeati , CeUli Uli<ue tÌto 
" ' o fo.;olarc, e nel palagio 



ui»» attui ili 

Wttllo Tcmiiooiil • tÌè|Mk 
on «nlUf^ iiop trtdmM^ ., 

h nota qvranto «tftf e falli * ; 
lUl a iM Ciro e'at evMhil»' • 

• alio;, capKeMibé'Ol^iié^ 
tfr Mn pariailf. Vii HaoM^'vifr llii^t. 
élP.opre inglntte e de*Mp«M 
idcfimUi, niÉiidò alP Oiw» 1 PMc^' 
cgUtan ftnpre ogtai Boti^, 
baon fon» o reot i^iiintt'palfli;» '« 

lauri dall^ «eaiev tenm . ' 
* ptrdè, perdi la tHil 
lale^ e Q|lia, ti sAicgl «umIé 
Mtrà de^ denti t a lei m yeedlii* 

perdei perde la TÌtai 
, sua cata e al focoìanr tuo saero 
Il veggio ! chiuderai nel petto. 
lulo cor finché Tivrai. 
le un segno manifesto in proTft 
hi la cicatrice onesta 
a che in lui di guerreggiato 
feroce il bianco dente impresse* 
piedi layandogliy io conobbl| 
alesartela: ma egli, 
mi afTerrandomi alla boe<;a f 
zza maestro, il mi Tietaya. 
o dico* Ecco me stessa io metto 
forze : s^ io t^ ayrò delosai 
più crudel fammi morire. 
oTo Penelope: Nutriee, 

degli Dei conoscer puotet 
guardo a penetraiie nastié 
>, a Telemaco ti Tàdti 
) de^Proel, e il aoitrd io t^Ù* 
, un nomo ei siasi o ad Ntune» •" 
)sli dalla aupema ttoiiia 



4.4 
Bette e< 

Se di lonUno a inlerrogar Pamato 
CoDiortr avelie a ail ippreisirla Ir 
E ndle m«n baciatlo e iieila tetti. 
TarcaU, eniriodo, la mafniorea i 
Da quella parte C cuntrx lui t^as 
Dìouili al taca, he >u tei raggia' 
Ed ei, poggiala a una caloDDa laasii, ì 
SeileB eoa gli occhi a terra, e ir pirtif 
Sempre attendea della pre'^lai ' ~ 
Poiché giunti la lui n' eran g „ _, 
Tacita atetle e atroniU gran tempo: 
Il riguardava con i mino te ciglia, 
E ÌD quel che ravvi&irlo elt« credei, 
TnteanU fuor delL noliiia aulici \ 

Gli abiti *iti onde tcorgealo avvolto. 
Bon ai tenne Telemsco, cbe lei ' 

Fort« BOI) ranipoenHK.i O madre nl^ 
Hidre infelice e barbara consorte , 
Perchè cosi d.l 
Cbe non siedi ;,. 

Huir altra fora cosi fredda e schiva 
Con narito alla patria, ed a lei ({iuDla 
Dopo goai moli' nel venteaini^ anno. 
Ma una pietra per «ucrc a te sta in ptl 

E a rincontro Penelope: Soipeta, 
Figlio, di itupor lono, ed un lol dello 
Foraiar non valgo, una dimanda ioli, 



Ma s'egli è Uliue e la sua casa il tiene 
Nulla dìù resta che il mio stalo infoni. 
Però che segni v' lian dal nuiiale 



Eicetto nostro impcnetrabil tratti 
Ch'eiltr noti tappiamo a noi due wla- 

Sorriae il sai!gia e paziente Uliste, 
E converto a Telemaco, La madre 
Laicia, diceagli, a auo piacer UnUrmi 



juG^ìio, ogni tU" JiiMiio in brcvr, 
in vesti mi vede umili e abbinile, 
mi, e penetrar non mn per queste 
I Ulisse i timidi BUOI sguardi. 
pi partito cantulliamu iiiUnlo, 
hr^c^iar sni'à meglio. Voto, che di fib 
I un uom tolO( e otcìiro, e ili mi pooLi 
Tcnjicator, pur fugge, e il dolce 

Sb^Flclo'" ed i coiiBiUnli cari. 
Ifjja cittk tolto a enilegna 
«r deir ;iat?N5 sfovenlude 
o^bbiamn, Q""' « ■' 1"° coralglio ? 

prudente Teleinsco, A le epeda, 
j padre, il con»lgliar, rispose! 
con cui non v'ha clii d'accarteiia 
Dilire osi. Io spguiriitli pronto 
ni tuo diiOgno, e mrn, crpd'io. 
n/e, fai,jertan pria che il coraggio, 
èsto a. ni* leigliri, ripigliiTi Uliue. 
tevi) abbigli'teTi, e nonlle 
I» èni donna e. più leggiadre TCiti. 
9Q.I firguti cete ra il divino 
irr inviti a naa gioconda danza, 

cl^.di foori ode d paaia o alberga 
i^le noue celebrarli creda. 
|>rÌ3 .n*)" andrà per la cittade 

•lr»J<f de' Proci il •«oiuinoio 
3, db» noi non sism nelr ombreggiala 
Mgaai, neutra gionti, in .•.ai Tedremo 
II* iiupirarci degnerà l'Olimpio, 
olialo ed ubbidita «^i fu ad un' ora. 
gnlr, l'abbigliar, vetti novelle 
: ogni lioan.i e più fregiata apparie . , 

la oetn nelle man recoui, 

1 oiDto Mave e dell' .(fregia 
f^M dc^ irrgliò. Tutu (onaTt 

h TUU. iftagiDit del «alpqftf» ' j 



4. fi OOÉMB* 

Degli tiamini treicioti e delle donni 
Coi bella fucia circondava i Gaaclii. 
E tjl che udii di fuor, tra té dicea: 
Alcun per femio U colinlo ambiU 
Itegln* attenne. Trìtta ! cbe gli eccelli 
Telli di quel cui lergioB congiuola 
S'' era non cuitodì Gnch* ei veniue. 
Coli parUra ; e (ti profonda ddIIc 
Lo itrano caio rimanea tra 1'' ombre. 



In ijueito meiKO Eunnome cotpeiM 
Di lucid' onda il generoaa UIìsk, 
E del bioodo licer 1' ddw, «d il ciart 
Di tunica e di clamide: ma il eapo 
D' alla bellade gP illuitrò Minerva. 
Ei da' lavacri uscì pati ad un IfuDW, 
E di nuovo »' atiiif, ond' era lotto, 
Alla aua moglie di riaconlro e diiie: 
Mirabile, i te più, che all'allie donne, 
Gli abitatori deirolimpie caie 

Quale altra arcoglieria con tanto gelo 
L' iiom tuo, cLe dopo verni anni di duab 
Ali* lua patria itteroaiae e a 1eÌT 
Sa via, nutrice, per me atendi un lelte, 
Dov* io mi corchi, e mi ripoai aocb^ ift. 
Quando di coaCeJ 1' alma e tulta ferro. 
Mirabili riapondtm la laggia donna , 
lo né orgoglio di me né di le nutro 
Hel cor dispreizo, ni alupor «OTercIiio 
M' ingombra: ma guardinga i Dei mi (èro, 
Sen mi ricorda, quale allor ti vidi 
Che dalle spiagge d'Itaca naviglio 
Ti allontana di remi lunghi armalo. 
Or che badi, Euricle'a, cbe non gli attodi 
Fuor della itania maritale il droao 
Letto eh' ei di iua mano un di coutruNe, 
£ («Ui t muti e wi^iioie coltri 



I^^ao rfi Ini r ultin,., pmv.. 
lei^ta ci crplicil r Oonnn , paiola 
. ^"^ lahbci Bi-ramenls im.m, 
(■Bvc il letta cnllncnmiui? Dura 
<,»iipnt»i tfirnrn'n T imprei». 
,Ù fannie potrebbe ngevnlmcnle 
parUi : ma vivo uomo neisimo, 
i degli unni in mi Birir. Hi loco 

noM ingFgnoKi, ond' io già fui , 
«npa^ni rbbi air opn, i| dolio {abhto, 
^^olivo rrgoglinfi pianU 
<^nrl mio corlilf i rimi lar^a , 



OH bai trita Ucnvrrii,e tilde 
I v^ ini)>Ml « fcTinanirnle atlate. 

«edi*r>U ilei ann CTin l' oliva , 
■falò .ma daU> radicB il ITonco 
idiaa nella , e con le pialle anpra 
ìaai l«MÌaJranenle , e Vadofirai 
ifkilibiloéqiiadra , e il uncrhio acuta. 

Il aottegno mi fee'ìodel letto; 
ietto a molla rnra io rìpolJi, 
taraiai'd' oro, d' avorio e iriceBlo 
art« varia, e éi laarine pelli, 
« IO liidda porpora , il ncin>t> 
me riinan,qual rnbbTicain», intatto, 
lena , -Buériw dell' oliva il Ton'lo, 
olla In altra parie, io, donna, ifcniro. 
■<ato bi il colpa che i looi dubbj tal 
ritora abbalté. Pallida, fredda, 
ci, perd^ rIì giriti , e diavenua, 
iIb corte v^r lui dirJUamcnle, 
fogllandoM' in laBrihie ) ed al eolla 



ir 



,tr 



^l8 ODIUBA 

Ambe le braccia gli gitUfa intorno^ 

E baciavagli il capo, ft gli dicea : 

Ab! tu con me non adirare, Ulisse, 

Che in ogni evento li mostrasti sempre ^! 

Degli uomini il più saggio. Alla 8?eatara 

Condannavanci i Ninni, a cui non piacque, |[ 

Che de^ verdi godesse anni fiorili 

L^ uno appo Taltro, e quindi a poco a poei 

L''un vedesse imbiancar delP altro il crine. 

Ma, se il mirarti, e l' abbracciarti, un punto 

Per me hqu fu, tu non montarne in ira. 

S<*mpre nel.caro petto il cor triemavaroi, 

Non venisse a ingannarmi altri con fole : 

Gilè astuzie ree covansi a molti in seno. 

Tic la nata di Giove Klena argiva 

D^amor sariati e sonno a uno straniero 

Congiunta mai, dove previsto aveisse 

Cbe degli Achei la bellicosa prole 

Nuovamente Tavrebbe alla diletta 

Sua casa in Argo ricondotta un giorno. 

Un Dio la spinse anni indegna opra; ed dU 

Pria, che di dentro ne sentisse il danno, 

Non conobbe il velen, velen, da cui 

Tanto cordoglio a tutti noi discorse^ 

Ma tu mi desti della tua venuta 

Cprtìssimo segnale : il nostro letto, 

Cbe nessun vide mai, salvo noi due, 

£ Attoridc la fante a me già data 

Dal padre mio, quand^ io qua venni, e acuì 

Dell inconcussa nuziale stanza 

Le porte ili guardia son, tu quello affatto 

Mi descrivesti; e al fìn pieghi il mio core, 

Cb** esser potria, noi vo^ negar, più molle. 

A questi detti s^ eccitò in Ulisse 
Desio maggior di lagrime. Fiagnea, 
Sì valorosa donna, e sì diletta 
Slrinj^cndo alletto. G il cor di lei qiial era: 



-ome ai naiifraglii appar grata la terra, 

>e Nettiin fracassò nobile nave, 

!hc i Tasti flutti combatteano , e i vrnti , 

!*aiito che pochi dal canuto mare 

campar notando a terra, e con le membra 

H acniuma e sai tutte incrostate , e lieti 

'Q la terra montar, vinto il periglio: 

Soai gioia Penelope , il consorte 

tirando attenta , ni', staccar sapea 

•e' braccia d^ alabastro a lui dal collo. 

' già risorta lagrimosi il ciglio 

^jsU gli avria la dilirosea Aurora , 

MS V occhio azzurro di Minerva un pronto 

fon trovava compenso* Egli la Nntte 

Tri 6n ritenne della sua carriera , 

té entro air Oceàn fermò 1' Aurora , 

funger non consentendole i veloci 

^elP alma luce portator destrieri , 

Lampo e Fetonte, ond^ è guidata in cielo • 

La 6gUa del mattin su trono d^ oro. 

Ulisse allor queste parole volse 
P9on liete alla sua donna: O donna, giunto 
Non creder già de^ miei travagli il ti ne. 
Opra grande rimane, immensa, e cui 
fornir, benché a fatica, io tutta deggìo. 
"Tanto mi disse di Tiresia V Ombra 
31 di ch^ io , per saver del mìo ritorno, 
lE Ji quel de'' compagni , al fosco albergo 
Scesi di Dite. Or basta. Il nostro letto 

Ci chiama, e il sonno , di cui tutta in noi 

Xotrerk 1' ineffabile dolcezza. 
E Penelope a lui coi>ì rispose: 

Quello a te sempre apparecchiato giace > 

Poiché di ritornar ti diero i Ninni. 

Ha tu quest^opra, di cui qualclie Dio 

Svéglio in te la rimembranza , diimwi. 

^Q non vorrai da me , penso ^ celarla 



i il toftn «apcila ■ me par n^|j| 
nrali, pernhi-. '' altro rTpr«»| 
Ilio peltu p FI fcntnlt brama"! 
I t'j>róinlrrÓ! beccljé godernr 
turche il mio cot, U tuo non dr 
1 ir nrimpoM ■ cillà tnolU, ud i 



, . ii\ vivanAe gusla, 

Kè rirlle nSTÌ dalle roase guanc» 
O de'' re IDI, elle lono ale alle navi, 
n»liiia Tania. E mi die un legno il n'e. 
Quel dì, rh« DD altro [>eIIegrÌDO, a (vi 
M'ai.baUer& ptr via, me un Tenlilibfo 
Parlar (iirk >u la gaGliarda agalla, 
Allora, inSltu nella terra il remo, 
E villine perfette a re Nettuno 
Svenate, un loro, un avide, un TCrro, 
Riiilfrc ir. drliboalle palerne cise , 
E per ordine offrir larre ccaloinbl 
ArIÌ Dei tutti che in OMoipo lian iFfcio. 
Quindi i me fuor del mare, e niolleniraK 
Coniunio al fin da una leula veccbiem, 
Morte iopra*veriì placida e dolce, '-, 

r. beale virriu le genti intorno. 
Eccoti deilin rlie il luo coniorle ajpiitbj 

Ed ella ripiglih : Se una veerbieiia ~ 
Migliore i Dei proiueltiTuli, ihe (alla 
L'altra rtade iiuii Tii, tMIegra duBqo^ 
O d'ogni nngoiria vinritor felice, , 

Eurinome fraltanlo, ed £uriclea 
Di nioMiculIri, e di tappeti il caito 
Lello adornavan delle faci al lume. 







v\ 


«iIpti a Penelope, tr 


■i-enJ- 




!co!a in min : pai riti 


rotai annli' 


i^?. 


M pm v«eLe*z. i doe 






p^^_Mta n^novjr. 


■ patii. 





M P«Mbp*> OJSTqn ■oTm 
laatoi k*. nffoMn^nti t«rf , 
!■ noIU ^pH*» prriidMn ditrUo. • 
narnn ({ninti» ■ tri di 4!Uli* 
1« vlita de' (>rool ed il Itimbiuto 
V era la a*riop, mpDtre, veland* 
Idnr aodania dciramor col maatà,. 
pr« a terra itrndeiD ptcbn a boa. 
■i capaci dogli 11 deliuta 
•> ttiigneano. D'altra parte VUut 
■^ nali. cbe in lè itetio,^ a gente armi 
'■^ti iTM pellegrininda o inSittl, 
raccontavi! "a aen io ehe di dolo» 
ninia riccruaTale, ed a lei, 
cli'ei per tutte andù le me vicenda 
I tbbaMiva le palpebre il lonao. 
'oIm a dir come i Cieoni da pria^ . 
K, e poi de' Lotofagi alla pingue 
ra «CD Tenne, e rammenta gli eccCMt 
barbaro Ciclope, e la lagie» 
idelU fitta di ealor tra i mai, 
ei inetteaii a vorar ten» pietade. 
ne ad Eolo appradò, da cui gentil* - 
aglieaiae liceo» ebbe del. perii 
DQD ancor gli coucedeano i fati 
WDtrwia natia, donde rapillo 
itana procella, giioipirante 
t* e ge(B«iil«t) rieaccià nell'alt*. 
adi lUnvo dncfiTnli «rriia 



se»»""" E „.i ™» t'^'Sì , 
Sei lenn ". ^ ,,1 Eiiinse a' *'''" ' ^ :„ 

?S . t>' ^ "° i° or. e •« '""" 



ciiM «311 4^ 

! abibaìUinuii incontaneDle mone | 
tarsi eeeitò ddP. Oceano 
0BO 'é^ òf la dìtirotea iarora, 
1^ la terra illumìnasie e il cielo, 
allora V eroe dal molle letto, 
Ili accenti alla coosorte volte: 
rte, sino al fondò ambi la coppa 
me dei dolora tu, che piagnevi 

ritorno ditattrnto, ed io^ 
iote e gli altri Dei (Calla bramata 

Tolean tra mille afTanni in bando, 
le agli Eterni rTonirci piacque, 
tv prenderai di quanto in caia 
mi} ed 10 di ciò che gli orgòglfoti 
uiurparo .a me , parte co^ doni 
opal mio, parte co' miei conquisti, 
erommi a pieno, in sin che tutte 
«pian di nuovo a me le stalle. 
Ha folta di diverse piante 
agita sua corro a veder P antico 
Dr, che per me tanto dolora, 
enchè saggia, il mio precetto ascolta. 

il novello Sol, per la cittade 

morte de** Proci andrà la fama. 
lelP alto con le ancelle, e siedi , 

guisa ivi sta che non t"^ accada 
ire ad alcun volgere, uè sguardo, 
lo, vestissi le belP armi, e il prode 
> animavi, e i due pastori, e a tutti 
ere ingiunse i marziali arnesi. 
, obbedendo armavansi, e, dischiuse 
rie, usciano: prccedeali Ulisse. 
i apargea so per la terra il lumes 
or della città tosto li trasse 
be cinti P Atenéa fiTinerya. 



LIBRO VIGESIMOQUAr 



AACOMSHTO 



Mercurio conduce alP Inferno le 

Proci. Colloquio tra T anima cfA; 

e quella d^ Achille; e racconto cb< 

fa (le^ funerali magnifici dl;l secoi 

colloquio tra lo stesso Agamennone 

donte , che fu ds^ Proci. Ulisse § 

Telemaco e i due pastori al so 

Laerte suo padre. Riconoscimento 

gioja di Laerte. Dolio y vecrhio s 

qnest^ ultimo , ritorna dal lav-ro < 

giiuoli: altro riconoscimento. Frati 

la fama della morte de^ Proci, Gup 

dre d^ Antinoo , eccita il popolo a ' 

'Se gli oppongono Medonte e Alil 

nondimeno esce co^ suoi seguaci e 

Ulisse armasi co"* suoi pochi ^ ^ 

contro , combattendo lo stesso Lai 

incoraggiato dsi Minerva , lancia e 

pite il primo colpo e P uccide. Ul 

lemaco mena.no strige. Finalmente 

cui Gio^e fa cadere un fulmine i 

piedi, termine impone al conflitto, 

tolto la fì\*uTa dv Mentore ^ riitabii 



IMIO XllT .^2$ 



M< 



.ercurìo intiinto , di Cillene il Dio , 
L^ alme dt* Proci estinti a sé chiamava. . . 
Tenea la bella in man verga delPoro, 
[>nde i mortali dolcemente assonna, 
Sempre che il ipuole, e li dissonna ancora. 
Con questa cond^cea l' alme chiamate, - 
Che stridendo il seguiano. E come appunto ■ 
Vipistrelli nottivaghi nel cupo 
Fondo talor d^ una solenne grotta, 
Se avvien che aleun dal sasso, ove oongianti 
L** uno appo r altro s** atteneano, caschi, 
Tutti stridendo ailor volano in folla : 
Cosi movean gli spirti, e per la fosca 
Via precedeali il mansueto Ermete. 
L** Oceàn trapissavano e la bianca ' 

pietra, e del Sole le lucenti pò r^te, 
Ed il popol dfi^ sogni: indi ai vestiti 
D^ asfodelo immortale inferni prati 
&itìnser, do^e soggiorno han degli estinti 
Le aèree furme e i simulacri ignudi. 
L** alma trova ro dei Pelide Achilie^ 
Di Patroclo, d^'Àntiloco e d^Ajace, 
Che i Danai tutti, salvo il gran Pelide, 
Di corpo luperava e di sembiante. 
Corona fetiii di Peleo al 6glio ; ed ecco 
Dolente presentarsegli lo spirto 
Dell' Atridfr Agamennone , cui tutti 
S(*gulan.coloro che d"* Cgisto uà giorno 
Nella caja infedel con lui perirò. 
Primo gli volse le parole Achille t 
Noi credevamti sovra tutti, Atride, 
Della Grecia gli eroi diletto al vago . 
Del fulmin Giove , poiché a molta e forte 
Gènte imperavi sotto V alte mura 
Di Troja , luogo degli Achiyi afiEanQO. 



/(oO * ODUSBA 

pur te asiaììr doTea primo tra queUij '^1 
Che ri tornar© la severa Parca, }\ 

Da cai acampar non lice ad uom che narant ' 
Che non moriatì almeno in qaelP eccelso 
Grado, di cui godevi, ad Ilio innanzi ? 
Qual tomba i Gì eri, che »1 tuo figlio aneofi 
Somma gloria sai ia ne^ di futuri , 
Iiion V avriano innalzata ? Oh miseranda 
Fine che in ve<e ti prescrisse il fato! 

Felice te , gli rispondea PAtride, « 

Figlio di Peleo, Achille ai Numi eguale, 
Te , che a Troja cadesti e lungo d^ Argo, 
£ a cui de' Greci e de** Troiani i primis 
Che pugnavan per te, cadeano intorno ! 
Tu de^ cavalli immemore e de** cocchi, 
Cadaver grande sovra un grande spazio, 
Giacevi in mezzo a un vortice di polve ; 
E noi corobattevam da mane t sera, 
Me cessava col di, ciedo, P atroce 
Pugna ostinata , se da Giove mosso 
Gli uni non dividea dagli altri an turbo.' 
Tosto che fuor della battaglia tratto, 
£ alle navi per noi condotto foiti, 
Asterso prima il tuo formoso corpo 
Con tepid^ acque e con fragranti essenze. 
Ti deponemmo in su funebre letto j 
E molte sovra te lagrime calde 
Spargeano i Danai e recideansi il crine. 
Ma la tua madre, il grave annunzio udito. 
Del mare uscì con le Nereidi eteme, 
£ un immenso clamor corse per V onde. 
Tal che tremarsi le ginocchia sotto 
Gli Achei tutti sentirò. E già salite 
Precipitosi avrìan le ralle navi, 
S^ uom non li ritenea, la lingua e il petto 
Pien d' antico saver, Nestor, di cui 
Ottimo icmptQ iV covi%\^UaT tonuiTii* 



uBao xxir /|i^ 

tatevi, alzivi, non fuggite, 
il profondo del Nelide senno , 
U degli Achei t questa è la madre, ' 
me delPo^a eon Pequoree Dive ^ 
figUaol oMrto yiene. A iai parol* > 
ao ^stè. Ti circondaro -allora - - 

reoehio Nereo le cerulee figlie y 
bffi lai BietteDdo, e a tedivine > 

i vestirò. A coro anche -plonaTa "i ■ ^ ''• 
t no?é torellè, allernamente 
(litndo il oaiito or Pnna, or Paitrai e tal» 
ter fu delle canore Mute/ 
«nsol Greco le lagrìiàe non tenne. ■ 
ì di • tette ed altrettante notlif . .- 
ini e Dei ti piangefam del part-f^ 
I glomò che tegui, t» demmo at. iMp'ì 
nelle di pingoedine fiorite ' ./. 

EtmmO) e buoi dalla lunata fronte, 
ielle vesti degK Dei , nel dolce ; .. . 
: fosti arso e nel soave unguento} • 
lentre ardevi , degli acaici eroi : 
i corser con Tarme intorno al rogO| . . 
tul cocchio, chi a piedi; ed nn rimUimbo 
ossi , che sali fino alle stelle. 
e consunto la valcania fiamma, u - 

Ile, tVbbè , noi le candide ossai 
più poro tra i tìoL e del più .moli* 
gli unguenti irrigaiflole , sa Palba. 
oglievama; e la tua madre intanto 
o lucida d'auro urna, che dono : 
a di Bacco e di Vulcan fattura, 
o quest^urna le tue candide otta 
quelle di Patroclo, illustre AofaiUe«: 
ciuuo; ed in pur, benché diagìunttf 
la posan d"^ Antiloco, coi tanta 
a tutti i compagni onor rendevi» . . 
ito di TÌta il fiknezlade. Quindi • .-. i.' 



JfA AOlltB4 

llauiroa ergemmo e «ontuota tonbA 
Noi , de^ pugnaci Aobivi osle temuta , 
Su l^£lle»pont09 ove più sporge il lidio:. 
Perchè ehi ▼!▼« , e chi non nacque ancoTtf 
Solcando il mar, la dimo8trats#a dito. 
La madre tua, che interrogunne ì Numi, 
Splendidi, in mezzo il campo al. 6or d^Pmti ! 
Giuochi propose, lo molte esequie illustri | 
Dorè alPurna d'un re la gioveulude 
Si cinge ai fiaucbi , e a lotteggiar t'appretta. 
Vidi al mio tempo : ma più assai che gli litri 
Certami tutti , con le ciglia in arco 
Quella giostre io mirai che per te diedi 
Sì belle allor \x ptediargentea Teti. 
Cokì caro ytrevi agP Immortali ! 
Però il tuo nome non si apeuse leco: 
Anzi la gloria tua pel mondo tutto 
Rifiorirà , Fetide , ognor più bella. 
Ha io qual prò di così lunga guerra 
Da me tiiiita , se cotal ruina 
Per man d^ Egisto e d'Iona moglie infamai 
Pronta mi tenea Giove al mio ritorno? 
- Cotesti avean ragionamenti , quando 
Lor sVcrostò Tinterprete Argicida 
Che de^ Proci testé da Ulisse vinti 
L^alme guidava. Agamennone e Achille 
Non prima 'gli sguardÀr , che ad incontrarli 
Maravigliando mosSeso. L^Atride 
Batto conobbe Anfimedonte , il caro 
Figlio di quel Mclanio, onde ospizio ebbe 
In Itaca, e cosi primo gU disse: 
Anfimedonte^ per qual caso indegno 
Scendeste voi sotterra , eletta gente , 
£ tutti d'una età? Scerre i migliori 
Meglio non ai potria nella cittade. 
Nettuno forse vi annojò sul mare, 
Fieri Tenti «cciUado « immani flutti ? 



trtto ttir . . '4^ 

Voffesefò in terra uomini ostili , 
elitre buoi predavate e pingui agnelle F 
p^r la patria e per le ckte dofnne 
kinbattcridò' cadeste? A on tfao paterno 
ipite ebe/tel chiède /il maAifiNlta. . 
bn |i ricòrda di 'dael teibpO| ch^ lo ' 
kl JMn Menelao Heniii ài tao lètto , ' 

!tue a toiérénadér, che tu le aiinàtef ' - 
l' «aldi panelli' e ben V^ate nirfi '' 
^'SiccotDpliiitkiaBse a Troja? Un mése iàt^ro' 
Ék^^'il'pàMagcio peir Vimménsd nórarey 
pt\Èè #roUo da noi fu. a stento II pioda * 
jrewjiafoV delférlcitladf Uli^feV' *; '" = 
R di rincpntro Ànfiibedò^té'; O Mio 
lorioho d'Atr?ò , re dcflif ' geriti*. ' \ ^' • 
nrbo In riifinte ci& tutto; e ipnA jflìà ÌÈ»éQ ' 
rtoecasfe di 'mòrte,' òri ii^'ti nafrròr. 
^Uliise, oblerà di molt^afitiifa^iedlè/ ' 
a contorte ' kn^iriinio. Ella tìéVééré ^'•■ 
iHflè a no^ ma(ichfnaTfl ,- e ^ i)òn ToféridO 
é rifiutar ne trarlrea fin lé nozze;, 
n compenso inventò. Mefitica la tirama 
I sottile 9 ' ampia , immensa téla ordita 
a lei nel suo palagio ; ^ , noi chiamati , 
iovanetti, dieea, miei Proci ^ Ulisse 
enea dubbia morì'. Tanto a voi dunqtte 
lliiccia indugiar le '.nozze, mie ch'aio questo 
ogubre ammanto per Teroe Laerte, 
^de a mài nota ini vada il vano staièe, 
tia fornir possa che. la negra il eol^' 
eterno sonno apportatrice Parca. 
Wte voi che mordanmi le Achee ., ' 
e ad uom , che tanto avea d^arredi yvtVf 
sllisse un drappo in coi giacersi estinto? 
pn si £itte parole il core in petto 
ì tranquillò. Tessea dì giorno intanto 
'insigne tela e la slessea di notte , 



iSo OOISIIA 

Di mute faci al consaperol nggio. 
Ud trienoio coti nella sua frode 
Celavaii, e tenea gli ÀchiTi a bada. 
Ma sorgiunto il quarOMnoo^ e le stagioni , 
Uscendo i mesi, nuovamente apparse, 
£ compiuta de"* giorni ogni ricolta , 
Noi, da un^ ancella non ignara inatrutti, 
Penelope troTammo al auo notturno 
Retrogrado lavoro, e ripugnante 
Pur di condurlo la aforeammo a riva. 
Quando ci mostrò al 6d Tinclito ammanto, 
Che risplendea, come fu asterso tutto, 
Del Solf al pari o di Selene, allora 
Ulisse, non so donde, un genio avverso 
Menò al confin del campo, ove abitava 
Il custode de*^ verri, ed ove giunse 
D^ Ulisse il 6g1io, che ritorno fea 
DalParenosa Pilo in negra nave. 
Morte a noi divisando, alla cittade 
Vennero ; innanzi il Bglio e il padre dopo. 
Questi in lacero arnese e somigliante 
A un infelice paltoniere annoso 
Che sul bastóne incurvasi , condotto 
Fu dal pastor de^ verri : i più meschini 
Vestiti appena il ricoprian, ne alcuno, 
Tra i più attempati ancor, seppe di noi, 
Com^ ej s' ofTerie, ravvisarlo. Quindi 
Motteggi e colpi le accoglienze furo. 
Colpi egli paziente in sta magione 
Per un tempo soffria, non che motteggi. 
Ma, come spinto dall' Egioco Giove 
Sentissi, V armi dalla sala tolse , 
E con Paita del figliuol nell' alto 
Le serrò del palagio. Indi con molto 
Prevedimento alla Keina ingiunse 
Che r arco. proponesse e il ferro ai Proci^ 
Funesto ^loco j cVv^ \Àviv VlVjI sangue. 



Ulta zxìt 4^' 

ssan di noi del valid^arco il nervo 
Dder. pelea: cbè opra da noi non era* 
. delPeroe va in man Tarma. Il patterò 
i tutti sgridavamo perchè alPeroe 
n la recaase. Indarno fa. Telemaco 
mand&gli recarla , e UH tee Pebbe. - 
, preso in man l\irco famoso^ il tese 
•i e il iirÒ che ambo le corna ettreae 
vennero ad notrt poi la taetta 
r fra tatt^ gii anei aotpinae a ^oKk - ' 

h £aIo, alette tn a» It aoglin e-i taUi '■ 
rali veraoMÌ ai piedi, orrendamente ' ■.> 
lardando intorno. Anlinoo- oolae Q -prifliOi, 
doÈpo Ini, a^mpre di contra or Pano ■ 
ftlto, e or Tallro di mtra^ i/aoipifott 
irdi éeoccavay e oadea Pun an J\altv#» > • 
irto un Nume Pattava. I anoi eomptgUi 
gnendo qaa é là Pi m peto mo , 
garjLtmcidaraneis Ingabrt 
rgOMi lamenti, rimbombar «^ odia, 
slle teste percosse ogni parete, - 
correa sangue il pavimento tutto. 
Ili, Atride, perimmo, e i nostri corpi 
laccion negletti nel cortil d'^Ulissc: 
»ichj nulla ne san gli amici ancora, 
le'dalla tabe a tergerci e daljsangne 
m tarderiano e a piangerci deposti , 
:^ morti onor, sovra un funebre letto^ 

fortunato, gridò allor P A tri de, 
Laerte figUuol, con qaaU valore 

1 donna tu;»- -riconquistasti! E quanto 
ggia e memore ognordelP uomo, a cui 
4 pudico ano fiore unita s"*- era , 

He d** Icario la figliuola illuitre ! 
1 rirnemhranz% della sua virtude 
irern sempre, e amabile ne^ canti 
;sjn-;rà psr Punivcrso il nome. 



fr 

I 

Ql 



431 emssu 

ìion così la TintariHe, che, oiando , 

Scellerata opra , con U man , rlip daf a 

Vergine aveagli , il suo narito uccise. 

Cnstfi fia fin le genti un odioso 

Canto perenne t cliè di macchia tale |^J 

Le donne tolte col suo fallo impresse, 

Che Ir più oneste ancor tinte n^ andranno. j| 

Tal nelPoscorc, dove alberga Pioto, 
Bella terra caverne , ivan tjueiP alme 
Di lor vicende ragionando insirnie. A 

Ulisse e il figlio intanto e i due pastori 
Giniì^r , dalla città calando , in hrrve 
Del buon Laerte al pnder culto e hello , 
De** suoi molti pensier fruito e .de^jnolti j^"^j 
Studi e traVagli suoi. Comoda casa . ^i^ 

Gli soi-gea quivi di capanne cinta, ".^\^ 

Ove CI ho e riposo ai corpi e sonno 
Davan famigli, che, richiesti alP uopo 
Delle sue terre , per amor più anrora , 



a 



ìftì 
ili 



hi 



•Iti 

Che per dover ^soryunlo : ed una buona if^j^ 
Pur v^ abitava siciliana fante , ]>,. 

Che in quella muta solitudin verde. s, 

De canuti anni suoi cura prendea. Ii^p 

LMisse ai due pas*ori e al caro pegno, ^^ 

Kntrate, disse, nella ben construtta 
Ca&a e per cena un de^ più grassi porci i^.^. 
Subito apparecchiate, lo voglio il padre 
Tentar s** ci dopo una si lunga assenza 
Mi ravvisa con gli occhi , o estinta iìi infoili 
Gli ahbia di me la conoscenza il tempo. \^. 



■^1 



•^ 

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•-'ì 



'J>\ 



Detto , consegnò lor V armi ; « Telemaco 

E i due pastor rapidi entraro. Ulisse ,; 

Del grande orto pomi fero alla volta > 

Mosse , né Dulio , discendenflo in quello , '^ 

Trovò né alcun de** Hgli o de^li schiavi . (^ 

Che tutti a raccor pruni , onde il belPorto \ 

D'ispido c\vcotvA;kT vuwt^ c^xw^csti e, j^ 



LIMkO UlT 4^^ 

fttf tWolti i • pKcedeali Dolio. 
troTÒ il genilori die ad qna pianU 
vo sappava intorno. Il rieopria 
iic:a aoBa , rìGacita e turpe : 
!• punture degli acati rort 
gambe diièndeirangll schinieri 
rattoppato cuojo e le man guanti : 

berretton di capra in tu la tetta 
•taTa il Teechio; e coti ei la doglia 
bnvft ed aecretcea nel caro petto; 
itQ che Ulitie TaTTÌtò dagli anni 
M molti , Mccoi#èra , e da^ suoi molti 
li pi& ancor, che dslPetJi, contuntO| 
rrime, stanno sótto un alto pero , 
Ile ciglia tpandea. Poi nella mente 
Ise e nel cor, qaal de\{ue fosse il roegUo, 

con amplessi a lui farsi e con b^ici, 
narrar del ritorno il quando e il come, 
interrogarlo prima e punzecchiarlo 
n detti forti, risvegliando il duolo, 
T raddoppiar la giojaj e a ciò sVtlenne. 

drizzò dunque a lui, che basso il capo 
mea, zappando ad una pianta intornO| 
» Vecchio, disse, della cura ignaro, 
li domanda il yerzier, certo non sei. 
rbor non Vha, non fico, vite , oliva, 
le l'ahil mano del culto r non mostri ^ 
è sfuggi alPocchio tuo di terra un palmo. 
Itro, e non adirartene, io dirotti: 
«Uà è negletto qui, fuorché tu stesso, 
iaverto di squallor veggioti, e avvolto 
I panni rei, non che dagli anni infranto. 
mal ti tratta il tuo signor,, per colpa 

Is pigrizia tua non è ci^^ penso: 

li tu nulla di senril nel coi-po 
li o nel volto, chi ti guarda 6s^. 
ligli ad un ce nato ; ad uoni «om\^\ 



Chir dopo il bagno e l<< gioconda i 
MoUruieKte dormir drbba lu i Idi 
Coti' è rutìiaa de' vegli ardì. Or d 
Precito e netto chi tu lel-TÌ e ■ i 
L''Drto goTerm, e fi cb'io lappU il 
Se quella è veramente Itaca, doti 
Son giunto, qual teils colui narro 
Ch(^ in me. icontroui , doid di non n 

He udir, che il [ichiedei, te in qu 
D' Itaca UH certo vive uapite mio, 
O morto il chiude la m^|ion di 1 

Non r<ru>«r di darmi'. Oipile un 
Nrlla mi] palrii io rìce«eì, di cui 
non TCnae di lantauo al tetto ini< 



llrha d'argento latta, e 
Dodici Teili, tulle aceni) 
Di tappeti, di tuniche e 
E quattro bellr, oneite. 



Sm nella lErra di cui chiedi, ed o 
Una pesaim) gente ed ollraggioia 
K^gna oggiHi. Qua' molli doni, a 
Ki cuu miEurn eguaU avria rispoil 
i^iime degno era bene , oc chp qii 
Noi trnT. pili, tu gli ipprgejti al 
Ma ttlmUaiDCnte mi favella : qji 
taiiaco «uat à.a\ £1 doti ùntnuti 



««•♦•••'JTS, few». „ 1 

%, rVpre« »^.^^,. I„ 6gUo «»«• 

y, ,,r«oi«»» • „-» nube «»'«"*, 



Correre alle narici, it caro padre 
Miranda atteuto : al tìn lu lui gittoni , 
E itrelto il >i rfoaio in fra le braccia , 
E il baci»! più volle . e gli dice*: 
Queir io, padre, quell'io che tu so«piri| 
Ecco nel vi^utcìmo anco in pilrta jtaai- 
Cesta dai pianti, dai laincDli ceasa , ' 

E «appi in breve , perelié il tempo llrinpi: 
Ch'io tutti i Proci ucciìi e Tcuitiral 
Tanti e il gravi [orli in un dì talo. 

Uliue la? coti Laerte tosto, 
Ta il Dglio mio? Dammene un tfgiii> e Iti' 
Che in forse io non rimanga un mia iitaoU 

B Ulisie 1 Pria la eiratrice mira 
Della ferita che cingisi aanonto 
M'aperse un di sovra il PjrDim, qaanilo 
Ad Autolìca io fui per quei che in Itiea 

Col moto (Iflla trsta i di-lti suoi. 
Gli arbori inoUre io ti dirb, di cui 
Nell'ameno vertier dono mi frati. 
Faneiullo io ti segui» con ineguali 
Piui per l'orto, e or questo arboie , or quel 
Cbiedratì; e tu , come aodavam tra loto, 
Mi dicevi di lor l' indole e il nome. 
Trediet peri a me donasti , e dieci 
Meli, e Celli quaranta, e promrttetti 
Ben cinquanta Siati anco di viti. 
Che di bella vendemmia eran gii rarcbei 
Poiché vi fan d'ogni sorta uve , e l'Ore, 
Del gran Giove ministre , i lor leiori 
Veridno in copia sn i feeondi tralci. 

Quali dar gli jiotea segni più cbiitìF i 
t.acrle, a cui ai diitempravu il core, J 
£ lactWavan Ve ^.inocchia , avvolse \ 

Subite MBbe .\« Avsv À t^ij&n wtara* j 



figlio ; e il figlio lui , ehWa di spirti 
itOf«iXAUo^ a «è prese ed il toftenne. 
some il flato io seno e. nella mente 
iperii penaieriebbe incooHì , 
rioTO padre, adajcnò egli, e toi, . 
li, Toicerto ao FOlinpo ancora 
i e regnate ancor 4 ac la dovuta 
a' portlrde' lor nitfiitti i Pròci, 
un timore or . m'^aiaal non . gP lUoeti 
gan Uà poco a qoeite parti in. falle , 
lewl qua e là mandino a un iamp9 
Ccfrleni alle citte Ticine. ^. 

ta di )>oon core, gli riapoae VliaM, 
li prenda di ci& cara o.j^eoaiero. 
, jnagio||^i che ncn lontana tiedt^ 
riamo: 10 là Telemaco inviai 

Filesio ed Enmeo, perchit aJleiUtA .... 
lUmente da lor fotte la cena. 
i-Tia» ciò detto, entrarci e, ooeie giunti 
o al ruralnon diiagiato albergo» 
emaco trovàc co^ due pastori , 

incidea molte carni , ed un possente . 
mescea. La siciliana fante 
ò Laerte e di biond^olio Punse, 
^un bel manto il riyesti: ma Palla ^ 
la per lui di ciel, le membra crebbe 
popoli al pastore , e .di persona 

alto il rese e pio ritofido io faccia* • 
ravigliaTa Ulisse allor che il ride 
lile io tutto agP Immortali, e,* Padre i 
le , apra fu, cred^ io, d^un qualche nnne 
està Mia. statura, e la novella 
là che in te dopo i laracri 40 scorgo, 
^b, ri prete Laerte , al padre Gioye 
Lo fdtse, e a Minerva e a Febo in gi^l^Of 
! quale allora io fui, che so la terra 
itiojeotal, da'* Cefalcni duce | 



• • ^ 



4SS oBimA ' ' 

La ben «ottrutU Nerico efpagiiM, 
Tal potuto aTeis^io con raroie* ia àoèm 
Starmi al tuo fiaoeo nella nostra caia^ 
E i Proci ributtar, quando per loro 
Splendea rultimo sol! Di loro a molti 
Sciolte avrei le ginocchia, e a te sarebbe 
Infinito piacer corso per Palma. 

Co&ì Laerte e il figlio. £ già , cessata 
Dell'apparecchio la fatica, a mensa 
Tutti sedeansi. Non aveano ai cibi 
Stese Pavide man, che Dolio apparve^ 
E seco i figli dal lavoro stanchi ; 
Poiché uscita a chiapiarli era la buona 
Sìcula madre, che nodrfali sempre, 
E il vecchio Dolio dalPelade oppresso 
Con amor grande governava. Ulisse 
Veduto e ravvisatolo, restaro 
Tutti in un pie di maraviglia colmi : 
Ma ei con blande voci , O vecchio , disMi 
Siedi alla mensa e lo slupor deponi. 
Buon teropo è già che, desiando ai cibi 
Stender le nostre mani, e non volendo 
Cominciar senza voi , cen rimanemmo. 

Dolio a tai detti con aperte braccia 
Mosse dirittamente incontro a Ulisse, 
£ la man , che aff(prrò, baciògli al polso. 
Poi codt gli dicea : Signor mio dolce, 
S^é ver che a noi, che di vederti brama 
Più assai die speme chiudevam nel pettOj 
Te riinenaro al fin gli stessi numi , 
Vivi, gioisci* d^ogni dulce cosa 
Ti consolino i dei. Ma dirami il vero: 
Sa la Regina per indiato certo 
Che ritornasti , o vuoi che a rallegrarla 
Di si prospero evento un nunzio corra ? • 

Dolio, ripigliò Ulisse, la Regina 
Già il tutto sa. Perché tWfanni tanto ? 



LiBio ixiy ^3j^ 

fk Te<fchio allor sovra un polito scanno 
PronUmente sedè. Me men di lui^ 
Festa feano ad Ulisse i suoi figliuoli , 
E or r un le mani gli afferrava, or V altro : 
Indi sedean di sotto al raro padre 
Conforme alP età loro. Ed in tal guisa 
Della mensa era quivi ogni pensiero. 

La fama incanto il reo deslin de^ Proci 
Per tutta la città portava intorno. 
Tutti , mentite le fune«te morti, 
Chi di qua, chi di là^ con urli e pianti 
Ten/an d^ Ulisse al tetto, e i corpi vani 
Fuor oe traeano e li ponean sotterra. 
Ma quei, cui diede altra isola il natale, 
Mettean ku ratte pescherecre barche, 
E ai lor tetti mandavano. Ciò fatto, 
Nel Foro s^ adunar dolenti e in folla. 
Come adunati fur , surse tra gli altri 
Eupite, a cui per Àntinòo sua prole^ 
Che primo cadde della man d^UIissr, 
Stava nelP alma un indelebil duolo. 
Questi arringò, piangendo amaramente : 
Amici , qual costui strana fortuna 
Agli Achei fabbricò! Molti ed egregi 
Ne addusse prima su le navi a Troja, 
E le navi perdette, ed i compagni 
Seppellì in mar: poi nella propria casa, 
Tornato, altri ne spense, e d^ Aide ai regni 
Iffaodò di Cefalenìa i primi lumi. 
Su via, pria ch^ egli a Pilo, e alla regnata 
I)ag1i Èpci divina Elide ricovrì. 
Vadasi ; o infamia patiremo eterna. 
Si , V onta nostra ne"* futuri tempi 
ìtimbombar s^ udrà ognor , se gli uccisori 
De"* figli non puniamo e de' fratelli. 
Io certo più viver non curo, e, dove 
Subito non si vada, e la lor fuga 



fion 







E U pMUde im-HP^f^^ «ntnm. , . 

Medontfl anUo » ed il «urtQr iliviff^ • 
Dal toaiM aviluppalMi, • ané Buno 
Si e^lloeara. allo atapoc» ia«|wi 
Tatti, a il aaffgia lMo«li i labbri «pantf 
O Itaoetìy uditcflii. -OaMt . , ■. . . j 
Voi obt UlisM abbia toUo iviNw^ lak 

ìfVm 



Contro il-Tolerde^SooBpiComil 

Vidi io •tawoaltuo.ftaaaoyttaDioyfhejidW 
Ment<^ aomigtiara. Or,fUappailiL 
DaTanti^ in atto4l\aaÌDWfl«, .«4«o«a^ 
Per r atterrita iaU .impoto foOf 
Sgominando §U iycbety ebor.^- nn:tR< P4b* 
Traboccavano. Dìmc | e di Ul dotti - 
Inverdì a tatti per timor la gaanoia. 

Favellò ancor nel .Foro na veediioonei 
Aliterse Sfattoride^ che solo 
Vedea gli andati ed i ventorì tempii, * 
E che, tentando rettamente^ dine: 
Or me adite^ Itacesi. Egli: è per colpa • 
Vostra che ciò» segni : però che sorai 
Agli avvisi di Bleotore, ed a? mieiy 
Lasciai: lo briglie sovra il collo alt vostri 
Figli vi piacque, che al mal for dirotti 
La divano pel mazzo in ogoi> tempo, 
Le sostanze rodendo, e iiigturìratido , 
La casta moglie d^ un fignor predane 
Di. cui sogno parca loro il ritorno. 
Obbeditemi a\ fin, mosaa non fate : 
Onde pure troppo alcun quella sventanti 
Che sarà ito a. f iceroar, non trovi* 

Tacque ; e sfalsare i più con grida e ptoi* 
Gli altri uniti rinuicro t cbo loco 



I, chi qua, chi là, comaao-alrtnlii*. . 
e splendenti del guerrier metatUo 
colser davanti alla cittade 

in un globo $ ed era incauto 4iie# > 
8to|tesxa loro Eupite 4teM0k 
I la morte mendicar del ifiglinp ' • ., 

che redi taro ìndi non era» 
r doTca la innanaiieta PArct. : 
ade^ il tatto ?iato^ al!-Satiinid«i > • 
?erae in tal. guisa » .O inpilr«!{ p^dfif i i ( 
urno 6gfiaol, re de^ regaanU». r «> iT 
inai ciò che óel tu^.-coK^aìato^ndl...! ì' 
igar vuoi la gaerra ^a i .ftetfi fdegMÌ.f , i 
>rda>tra le parti A>Ai|iiillir porre rj . - ) 
;hè di questo mi noÙedifO. figiMifii i 
ibifero Giove a.- lei rìspoaew: • • : .!> 
1 conaiglio. tao <^e cilornat» . ,: ,'•' ■\ 
e i Proci ók Laerte i il figlio? 
ne pi ut t*^ aggradai ioi quel aW il 
, dirò. Poiché PiUiuIre UIìsm :i . 
'oci iniqui Tendicotti» ei /ermi 
eterno con gli altri, e sempra MgaL - 

memoria delle morti acerbe - . 
li petto cancelliam : nsorga 
uo amor nella «ittk- turbata^ 
bbondin, qual pria, ricoheiza 6 ptce. 
iiesti detti stimolo la Diva, 
t per sé già pronta} e che dall^ «Ite 
tipo cime rapida discese, 
se iotantóyche eoo- gli- altri .«vet . 
il campestre di. Laertertetto 
acati del cibo ornai gli tapirti » 
disse, alcun fuori e attento guardi 
I volta di noi Tengoo.gli<Aehei: . 
tìtaroente uscì di Dolio un figlie 
la soglia stette, e non lootani 



tu "If&IStBA T 

còne I neniH. kWarmì ! Ali Virar 1 ei toctt 
Gridò, vioÌDi tono. Ulisse allora,. 
Ed il 6g1io lorgeano e i due pastori, 
E r armi rivesifano : i sei figliuoli 
Eivesdanle di Dolio, e poi gli stessi 
Dolio e Laerte. In cosi picciola oste 
Anco i bianchi capei' premer dee l'elmo. ' 
Eatto che armati far, le porte aperte, 
Tutti sboccaro : precedeali Ulisse. 
Me di maover con lor lasciò la figlia 
Di GioTe, Palla, a Mentore nel corpo 
Tutta sembiante, e nella voce. Ulisse 
Hirolla, e n^ esultava, e vòlto al figlie, 
Telemaco, dicea, nella battaglia, 
Ove V imbelle si conosce e il prode^ 
Deh non disonestar la stirpe nostra. 
Che per forza e valor fu sempre chiara. 

E Telemaco a lui : Padre diletto, 
Tedrai, spero, se vuoi, ch^ io non traligno* 

Gioì Laerte ed esclamò : Qual Sole 
Oggi ri&plende in cielo, amati Numi 1 
Gareggian di virtù figlio e nipote. 
Giorno pia bello non mi sorse mai. 

Qui r appressò ron tali accenti in bocca 
La Diva che ne^ begli occhi azzurreggiai 
O d^Arcesio figliuol, che a me più caro 
Sei d'^ogni altro compagno, a Giove aliati 
Prima e alla figlia dal ceruleo sguardo, 
Devotamente i prìeghi tuoi, palleggia 
Cotesta di lunga ombra asta e T avventa. 
Così dicendo, una gran forza infuse 
In Laerte Minerva. 11 vecchio, a Giove 
Prima, e alla figlia dal ceruleo sguardo, 
Alzati I frirghi, palleggiò la lunga 
Sua lancia ed awentolla, e in fronte a Eupitei 
Il forte trapassando elmo di rame, 
L» piantò e immerse : con gran suono Eupite 



&ICAO ixtr 
$11 rimbombar 1^ «rmi di topni. 
ro io quel punto Uliitee il figlio 
primieri, e eoa le spa.die •eeoaplo 
e con le lance a doppio filo, 
mno alla tua doW casa 
fora degli Achei, se Palla» 
ICO la figlia, un grido mettO| 
va i lor cuori : Cittadini 
fine all' aspra guerra. Il campo 
o&to, e non più sangue. Disse | 
'de pallor tinse ogni fronte, 
sappavan dalle man tremanti, 
verto il suolo era e di braacU, 
e Minerva ebbe la yocq 
ari della cara vita 
si rivolgeano. UlisscL 
'lo, che andò sino alle stelle, 
atto i fuggitivi, a guitta 
tra le nubi altovoiante. 
le Giove il fulmine contorse; 
lardoazzurrina innanzi ai piedi 
erea fiamma. O generoso} 
va, di Laerte figlio, 
e frena il desiderio ardente 
-ra, che a tutti è sempre grave^ 
o a te di troppa ira sfaccenda 
'ggente di Saturno prole. 
Ulisse e «^allegrò neir alma, 
poi tra le due parti accordo 
trinse delP Egioco Giove, 
ntore nel corpo e nella voco 
ava, la gran |)ea d* Atene* 



FINE 



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INDICE 

DEL PRESENTE VOLUME 



S.IUII PkiNO . . , i , . . . p^ 5 

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