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OPERE
DI
TORQUATO
TASSO
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COLLE CONTROVERSIE
SULLA
GERUSALEMME
rOSTE IN MIGLIORE ORDINE , RICORRETTE
SCLl' EDIZIONE FIORENTINA , ED ILLU-
STRATE DAL PROFESSORE GIO. R08INI .
VOLUME IX
PISA
PRESSO NICCOLÒ CAPURRO
MDCCCXXIV.
519513
/fc. s. s\
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DIALOGHI
DI
TORQUATO
^ TASSO
CON GLI ARGOMENTI
DAL CAVALIERE
ALESSANDRO MORTARA
TOMO III.
PISA
PRESSO NICCOLÒ CAPURRO
MDCCCXXIV.
AI LETTORI
L' EDITORE
Al solo scopo di rendere questa edizione , per
quanto SI può, accurata e pregevole, debbesi
attribuire il ritardo del presente volume in-
nanzi di pubblicare l'ultima parte dei Dialo-
ghi si è voluto usare ogni diligenza, onde as-
sicurarsi che in nessuna delle Biblioteche di
Roma esistevano MSS. inediti delle Prose del
Tasso . Il chiarissimo Sig. Professor Rezzi Biblio-
tecario della Barberiniana ha voluto gentil-
mente incaricarsene : ha visitato la Vaticana, la
Chigiana, la Borghesiana; frutto delle sue ri-
cerche sono varie Poesie, e varie Lettere inedi-
te. Dalla Borghesiana, per somma sventura,
uegli avvenimenti dei passati governi, è stato
involalo il Codice citato dal Serassi. Tutte que-
ste ricerche han costato, oltre la fatica, non
lieve spazio di tempo; e quindi son certo che
niuno vorrà addebitarne dell' indugio, consi-
deratane la cagione.
Col presente Volume llf. si compiono i Dia-
loghi, che nel Prospetto erano stati annunziati
in IV. sicché nel seguente, già sotto il torchio,
verranno poste le Prose diverse del Tasso , che
si riferiscono alla Gerusalemme Liberata, onde
non confonderle con quelle degli altri , come
pur fece il Botlari nella edizione Fiorentina.
Seguiranno poi nel Volume XIII. le Lettere
Poetiche, indi le Familiari, indi le Varie ne'se-
guenti Volumi, e quindi le moltissime Inedite,
tra le quali tengono il primo luogo quelle del
MS. famoso del Serassi, tante volte citato nella
Vita del Tasso da lui scritta, che fu da me a-
cquistato dal Sig. Bernardoni di Milano, che lo
ebbe dagli eredi di quel dotto Biografo.
AL
MOLTO IVIAGNIFICO
SIG. ALESSANDRO POCATERRA
^/uesto piccolo Dialogo, nel quale si d' scorre del Giuo-
co, operazione che tanto pi ìi artificiosamente si fa (pian-
to meno all'arbitrio della Fortuna soggiace, io dono
assai volentieri a voi Sig. Alessandro , acciocché con la
vostra prudenza mi consigliate i/t modo ch'io niuna
azione di rpiesta vita, eh' è quasi un giuoco, alla Fortu-
na sottoponga. Koi gradite il dono, e siatemi cortese
de' vostri amorevoli consigli .
Di r. S. L
Amorevoli ss. come figlio ^
Torquato Tjsìo .
Dialoghi T. III.
IL
GONZAGA SECOiNDO
OVVERO
DEL GIUOCO
DIJLOGO
J\'
ARGOMENTO
on contento P Autore del modo, rari cui avei'a trattolo nel Romeo
la materia flelgiuoio, prende nel presente dialogo a riformarla ,
aggiungendo un terzo interlocutore ni due in quello introdotti, e fn.'
cendo che in luogo di narrar cose udite , rinscnno di e^si entri a di-
scorrere intorno al proposto come co suoi proprj seniimenii . hingc
egli pertanto che Margherita licntivogli , la quale averta inteso do-
ver un giorno il conte Annibale Romei ragionar del giuoco colle
Principesse di Ferrara, non potendo a quel discorso esser presente,
ecciti Giulio Cesare Gonzaga ed /Innibaie Poi aterrn, i Uè presso lei
si trovavano , ad esporre su tal siieeetio i loro pensamenti. Notisi
the la detta dama è la stessa che interviene ajavellar nel Romeo
sotto il nome di Margherita ' , erroneamente cognominata Stella
dal Manso per aver egli creduto che con indicasse quelC asterisco in
forma di stella, che portavano le pritne edizioni in cambio del ca-
sato ;i). Eisa, come ricavasi dalie varie rime scritte dal Tasso in
sua lode, fu non meno per natali che per virtìi ragguardevolissima ,
ed ebbe per marito il fratello maggiore di quel conte Annibale
Turco, che sposò la bella iMura Peperara . Anche il Gonzaga qui
introdotto , e da cui il dialogo prende il nome , fu cavaliere di sotn-
mo merito- Ri non é però da confondersi coli' altro Cesare Gonzaga,
dui quale s^ intitola il dialogo del Piacer Onesto. .Ippartenevnno
bensì amendue alla stessa nobilissima famìglia; ma quegli, siccome
notammo, era figliuolo di Ferrante Principe di Molfetta , e questi
invece nasceva di Carlo conte di S. Martino di Bozzolo , che fu pur
padre del Cardinale Scipione tanto amico del nostro Autore . Quanto
poi al Pocaterra , gentiluomo ierrarcse di belle e scelle lettere , nul-
la abbiamo da aggiungere al cenno datone nelt argomento del pre-
cedente , se non forse che nel i 5i)2 e' pubblicò in Ferrara due din-
loghi intorno alla vergogna . freniamo dunque senza più al snruo
(i) Nel medesimo errore son pur incorsi gli Editori Fiorentini s
Veneziani tii tutte la opere dui Tasso .
4 n, GONZAGA SECONDO
d(l presente. Cernasi in eiso /.ìrimamenle come possa cìiJJnirsi il
giuoco in genere , e si stuhitisce esser egli una contesa eli Joiiiina e
d^ ingegno Jrn cine o fra pili, nella quale per trattenimento s' imita
una vera contesa . Fatto indi motto dell'origine di quello degli
scaccili e di altri gì nochi illustri, si viene a dire che sebbene ridii'
cansi tutti ad una sola cagione , cioè al trattrniniento per cui furo-
no ritrovati , siccome però questo trattenimento può essere o pubbli-
co , o privalo, così aneli essi in due specie possono distinguersi,
cioè in giunriti di pubblico ed in giuochi di privato tratteniminlo .
.Aerenunsi poscia in che consista sì fatto trattenimento : come il
diletto che in esso provasi, proceda non meno dalla vittoria , che
dall' operazione del giiiocatore : rome eziandio a chi rimira , questa
operazione sia piacevole ; e in quali giuochi finalmente sia maggio-
re il diletto . Ragionasi appresso delle vincite che vanno accompa-
gnate dal danaro o da altro prerzo , e mostrasi che queste sono le
pili piacevoli . Dicesi poi che nel giuoco , quantunque i uno sia co-
me nemico dell' altro , tultavolta il desiderio del guadagno d, e essere
moderalo , e particolarmente !•> que' giuochi che colle donne si fan-
no . 7'occatc per ultimo alcune cose circa il modo di discernere i
giuocatori avari da quelli, che giuocano per mero trattenimento , cir-
ca il perdere colle donne , ed anche circa il costoro ingegno , si pas-
sa a discorrere della fortuna. . Si dimostra in primo luogo eh' ella è
una delle cagioni accidentali, la quale si dice propriamrtite esser
cagione di quegli effetti che fatti con alcun umano proponimento,
avvengono altramente da quello che l' uomo si aveva prciiipposto:
definizione che la dittingue dal caso , il quale sididiiara, esser
quello , sotto cui si riducono tutti gli effetti che possono venir ca-
gionati dulia natura per se stessa. Parlasi sussegurnteniente delle
varie significazioni in che si prende il nome di fortuna ; si esamina
quindi qnol parte abbiano nel giuoco il caso , la fortuna e 1' arte; ed
ha fine il colloquio con alcune considerazioni intorno agli accordi ,
allo scopo di essi, ed alla ragione con cui debhon essere stabiliti .
Questa correzione [che tale può chiamarsi) del Hcmeoju fatta dal
Tasso nello Spedale di S. Anna in Ferrara i anno i 58 i, cioè a dire
uri anno e mezzo circa dopo ch'egli aveva se ritto quel Dialogo. Fu da
lui poi indirti ta sotto il titolo di (ìoiiznga btcoiiilo ad Alessandro Po-
coterra, padre di Annibali-, e venne finalmente data alla luce per la
prima voltaiii Venezia da Bernardo Giunti e fratellinel i58cs in /',.''
INTEULOCUTOiU
SIGNORA AJAnGHKKITA BENTIVOGI-l , SIG. <ÌIU1-10 CESARE
GONZAGA , SIG. ANNIBALE POCATERRA .
\ /nel cariK'valo, cl)e la Serenissitna ]*rii\cii)cssa di Man-
lova ili cuiulotta a marito dal Priiici]>e suo fratello, ì;ìo-
vinetto da cui per mollo cli't'i;li ])roiiiolta del suo va-
lore, s' aspctla che più debba osservare; il Conte An-
0 DEL GIUOCO 5
nibal Romeo doveva nigionare un giorno del <:;iuoco
con esso lei, e colle Serenissime Principesse di F< mira ,
quando la novella ne fu portata alia Signora Marglit rita
B'nfivoglia , che rimirava il signor Conte suo marito con
altri Cavalieri giuncare a primiera, ed intanto cortesemen-
te coi Sig. Giuli > Cesare Gonzaga suo parente ragionava ;
ed era con lui il Sig. Annibale Pocaterra, figliuolo del Sig'
Alessandro, antico servitore della Casa d'Este,al quale al-
lora volgendosi la Signora Margherita, disse: oh come vo-
lentieri vorrei che fossimo presenti a quel ragionamento ,
per udir quello, che Cavaliere cosi dotto, e particolarmen-
teco sì intendente del giuoco, com'è il Conte Annibale , ne
ragionasse , e quello, die da così giudiciose Signore come
le Serenissime Principesse sono , ne fosse giudicato ; e vi
pregherei che sin là n' andaste, e le cose udite ne raccon-
taste , se non fosse che da' servigj di questo Signore non
voglio allontanarvi.
Gonzaga . Assai mi terrò io , Signora , sempre servito ,
ed accompagnato dal Sig. Annibale , quando egli si adopri
in vostro servigio; onde non solo non d 'sidero che la mia
presenza ritenga lui dal servirvi, ma piuttosto vorrei clie
la sua ne' vostri servigj mi frammettesse. Se dunque a vtti
piace, colà potrà andarcene, e udir quel, che del giunco si
ragionerà, che per quel che io conosca della libertà Fer-
rai-ese, a lui, eh' è figliuolo di cortegiano, assai agevole sa-
rà il farsi innanzi, e l'ascoltare.
Margherita. Non istimo io sì poco 11 Sig. Annibale ,
che voglia privare or voi della sua servitù , e me della sua
conversazione; udirò dunque (quando che sia ) quel, che
del giuoco avrà detto il Conte Annibale da aleun'altro,
che vi si sarà ritrovato presente , benché io non credo
che voi siate meno atto a ragionarne , perciocché e giuo-
oare vi ho veduto alcuna fiata , e ragionarne in modo che
ben si pare , che voi siate fratello del signore Scipione ,
da cui molto più ne' famigliari ragionamenti potete avei'C
appreso che i filosofi non sogliono dai li])ri apparare.
Gonzaga. Io per me non negherò giammai di non aver
molte cose dal Signor Scipione imparate, pur di questa io
non r udii giammai favellare (che io mi ricui-di ] : ma da lui,
6 IL GONZAGA SrxONDO
se non altro, dovrei aver appreso il modo almrno d'addo-
niandare al signor Annibale alcune cose, colle quali al vo-
stro ed insieirie al mia desiderio soddisfacessi ; perchè s' è
vero ch'egli molto negli studj di Filosofìa si sia avanza-
to , come da molti m'è stato detto, e come a me ancora è
paruto di conoscere, ninna cosa è, di cui non possa un fi-
losofo convenevolmente ragionare.
Annibale. ]Vè io negherò di studiar Filosofìa , sehhf^n
tanto non mi sono in quello studio avanzato , quanto ( vo-
stra mercè ) tnostrate di riconoscere: nondimeno se di cos;\
ragionassi , della quale non ho mai fatta professione, ed
in presenza della signora Margherita ne ragionassi , a
quel fdosofo o sofista, che si fosse, sarei simile , che del-
l'arte della guerra , così arditamente in presenza d' Anni-
Lale ragionò .
MAnGHERlTA. Barattiera par che mi faccia il signor
Annibale .
Annibale. E come? io barattiera fo la signora Mar-
gherita? tolga Iddio.
Margherita. Se voi tale riputate eh" io sia nell'arte
del giuoco , quale egli era in quella della guerra , barat-
tiera a un certo modo pare che mi fìicciate ; perciocché
s' egli fu maestro delle frodi utilitari , degl' inganni del
giuoco io dorrei esser maestra parimente.
Annibale. Io non tanto alla professione, o all'eserci-
zio , c[uanto al giudizio vostro aveva risguardo avuto, per
lo quale siete atta di tutte le cose a giudicare.
Margherita. Ma se tanto giudizio può essere in per-
sona che d'un' arte faccia professione, ed in essa non sia
esercitata , non veggio io come il giudizio d Annibale non
sia da voi riprovato, al (piale non ])arve che al filosofo
dell' altrui prolession fosse lecito di ragionare: volentieri
nondimeno vi>rrei che da voi riprovato fosse , actiocchè
ninna scusa aveste di tae(>re; purcliè rifiutandolo, solo a'fi-
losofi concedeste di poter dell'arti altrui ragionare, i quali
indarno tanto l'arte loro loderel)bono , s' ella non fosso
un'arte dell'arti , la qual di tutte ])otesse ragionare; e 'l
giudizio loro in niun modo (credo io) che voi ardirete di
riprovare .
O DEI. GIUOCO 7
Annibale. Io non tanto il giudizio d'alcun filosofo ri-
provo , quanto accuso la mia inesperienza , la quale non
suol esser tale in quei filosofi, che dell'arte altrui sono usi
di ragionare, quale è in me: né già credo io che se Anni-
bale avesse udito o Senofonte , o Polibio o Panezio, egli
così l'avesse disprezzato, come colui, ch'egli udì, mostrò
disprezzare.
Gonzaga . Forse colui , ch'egli udì, non fu da alcuno
di loro molto dissomigliante: ma qual tanta esperienza si
ricerca nel giuoco, che non se ne possa per noi discorrere ?
Ed io perme,sebbcn sono più avvezzo a volger queste carte
chele Socratiche, le quali voi di continuo avete per le
mani, nondimeno volentieri nel ragionarne, per piacere al-
la signora Margherita , vi terrei compagnia .
Annibale. Voi convenevolmente mi siete in ogni cosa
signore ; ma se compagno, e non avversario, mi volete es-
sere nel ragionare , io non ricuso di ragionarne .
Margherita . Se vi sarà avversario nel ragionar del
giuoco , vi sarà peravventura avversario da giuoco : ne voi
più per compi^gno da giuoco , che per avversario da giuo-r
co dovete desiderarlo .
Annibale . Né io , signora Margherita , son degno della
compagnia di questo Cavaliero , né '1 vorrei per avversa-
rio, perchè nel ragionare del giuoco ancora potrebbe esse-
re vero avversario: io ho ben voi per nemica , che mi
chiamaste in questo campo , ove con sì poco onor mio del-
la mia ignoranza v'accorgerete.
Margherita. Voi o artificiosamente rispondete, o mo-
destamente. Se vi mostrate inesperto delle cose , delle
quali s' ha a ragionare , per trovarci sprovveduti, e perchè
la vivacità del vostro ingegno appaia maggiore, la vostra
è arte: se per non farne mostra superba , e per n(»n aspet-
tar quelle lodi, che sarchbon convenevoli , modestia ; la
quale è tanto più bella della presunzione di molti filosofi ,
quant' è più lodevole l'esser dubbio del suo sapere, che
mostrarsi sicuro di cosa , della quale , se il vero n' ho udi-
to , non può esser certezza .
Annibale. Volesse Iddio che, siccome io dubbioso so-
no del mio sapere, cosi voi sempre dubbi ; ne lasciassi ;
8 IL GON'ZAGA SECOXnO
pprcioccliè molto me ne terrei nella vostra opini nnr' ono-
rato , parentlotui clie color siano in opinione di ciotti, ai
quali ninna ij^noranza può esser riinjìrovtrafa: ma leiuo
che nel mio ragionare non vi renda accorta del vostro per
me dolce inganno. Pur ragionisi di quel, che a voi piace;
elle se voi sarete vaga di contendere per prendervi giuo-
co di me, a me sarà sempre lecito di ritirarmi dalla
contesa .
Margherita. Meco non avete voi da contendere, nò
per avversario mi avrete , sebhen nemica dianzi mi chia-
maste, ma lui avrete per qucd ch'egli vorrà; che queste
condizioni, se io posso alcuna cosa, cosi volentieri v' i n-
pongo, come volentieri vedrò che da voi non siano ri-
fintate.
Gonzaga Né me voglio che abbia per nemico, né cbe
sospetti di alcuna ditticil contesa: ma che si contenti di dir-
ci del giuoco quel . che saprà , o di rispondere almeno a
quel , che io ne gli chiederò.
Annibale. Mi piace che voi mi richiedi;'te, percbè non
udireste quello appunto che aspettate di udire.- ahneno di
quello, intorno a che desiderate che si ragioni, m' udirete
ragionare .
G0N7,AG\. Per questa ragione la signora Margherita
dovrebbe richiederlo, al cui desiderio delibiamo lutti sod-
disfare.
Margherita. Maggior di'Tìcoltà avrei io neir addi-
mandare, che il signor Annibale nel rispondere; onde vi
prego che prendiate questa fatica sovra di voi.
Gonzaga, lo la prenderò asseti volentieri, tuttoché non
creda che debba a me esser più leggiera , che al signor
Annibale quella del rispondere. Ma che desiderate di udi-
re, signora Margherita ? forse se il giuoco è degno di bia-
simo , o se sia lecito l'ingannare, o pur se ben creato Ca-
valiero si debba recare a favore 1' essere dalla sua donna
ingannato, e forse anco quando ebbe origine il giuoco, e
cpial sia più piacevole, <• qual meno?
Mar(;iii",1', ITA . Non vi voglio lasciar più lungamenti" in
dubbio; ma vi dico che di tutte queste cose vorrei che si
ragionasse, che voi alcuna non avete proposta, che io non
O DET. GIUOCO t)
avpssi in mentP: una sola ne avete lasciata ai.lili.^tro ; come
dehba i;iuocare , olii desidera eli vincere.
Gonzaga. Ma siate contenta ancor voi <li dirci di qiial
prima di tutte queste cose volete che si raijioni.
^Margherita . Vorrei priaia sapere , se il i^iuoco fosse
lodevole o no , percliè indarno ricercherei se mi fosse le-
cito talvolta l'ingannare , se prima non sapessi se con lo-
de ,o senza biasimo almeno potessi giuocare.
Gonzaga. Ed in qual maniera di giuochi dubitate, si-
gnora , se vi è lecito d'ingannare; nella primiera, o ne' ta-
rocchi, o pure in quella, che si fa talora fra voi donne,
quando una ponendo nel grembo della compagna la testa ,
si volge la mano dopo le spalle, e aspetta la percossa?
Margherita. In questa non già, yjerchè quando io
percuoto, vorrei sempre ingannare , ed esser tenuta un'al-
tra : ma credo che in questo giuoco sia biasimevole non
ingannare , s'egli è pur giuoco.
Gonzaga . Udite, signor Annibale? che dubita la signo-
ra INfargherita, s'egli sia giuoco, o non sia: dunque prima
debbiam cercare quel che sia giuoco,
A^^NlBALE. Mi pare che senza alcun dubbio prima cer-
cercare ne dobbiatno .
Margherita. Ed anco a me , sebben questo non era
di quei pensieri , che io prima aveva in mente.
Gonzaga. Ditemi dunque, signor Aiuiibale, che cosa
è giuoco?
Annibale. Una contesa di fortuna, e d'ingegno fra
due , o fra più .
Gonzaga. Mirabil definizione, che in poche parole lia
data il signor Annibale: ma che ne dicela signora Mar-
gherita ?
Margherita . A me piacerà , allorché vedrò die da voi
sarà approvata; ma ora non mi dispiace.
Gonzaga. Ma crediamo noi , o signor Annibale, che
nella Corte., di fortuna e d'ingegno si contenda fra' cor-
tigiani?
Annibale . Credo veramente .
Gonzaga. E nelle scuole tra' filosofanti?
Annibale. E nelle scuole tra' filosofanti.
10 IT, GONZAGA SECONDO
Gonzaga. E nella guerra fra' soldati?
AnnibAT.e . E nella guerra ancora.
GoNZAG\. E così in tutte l'arti, ed in tutte le azioni di
fortuna e d ingegno si contende ?
Annibale . in tutte.
Gonzaga. Dunque la vita è un giuoco, o signor Anni-
Lale; onde ben io dissi clie mii'abile era la definizione ,
nella quale la vita avevate definita: e se ciò è vero, piii
noi» mi pare che si possa dubitare se lodevole sia il giuo-
co, di quel, cìie si dubiti se lodevole sia il vivere .
Margherita. Di troppo alto giuoco avete cominciato
a ragionare; che voglio ora rispondere pel signor Anniba-
le , il quale uii pare che non tanto dubiti che questo an-
cor? sia un giuoco, quanto, che non sia quello , del quale
abbiamo cominciato a ragionare .
Annibale. A me è avvenuto , o signora , come a c.^lo-
ro che assaliti all' improvviso , piuttosto della novità del
pericolo, che della grandezza sono spaventati, perchè non
tanto la ragion sua mi spaventa, quanto il nuovo modo
col quale l'hanno adJ »tta ; e ringrazio voi che m'abbiate
dato tempo di raccogliermi : ma io risponderei che nella
vita non si contende; perciocché noi ci nasciamo non per
contendere , ma per vivere in pace.
Gonzaga . Paga dee rimanere a questa risposta la si-
gnora Margherita, ed io ancora ne rimarrei, se non fossi
d'ingegno assai tardo; ma ditemi di grazia, o signor An-
nibale, quando sotto le mura di Troia, Alessandro con
Menelao per EliMia combattè , o pur sotto quelle di Lavi-
nio Turno ed Enea per Lavinia, quel combattimento era
contesa ?
Annibale. Era senza dubbio.
Gonzaga. Nondimeno av(!va per fine la pace.
Annibale. Aveva .
Gonzaga. Alcuna contesa dunque ha per fine la pace ^
e perchè la vita a1)bia per fine la pace, non rimarrà d'es-
ser contesa, penile abbia ])er line la pare.
AnnibAlc. io direi che il line della guerra non è la pa-
ce , ma la vittoria: e che la pace è line non della guerra,
ma dellii vita civile; ed inlenib) ora per fine non quello.
O DEL GlUOrO II
olle ulliiiio è (letto altramente, ma quello al quale l'altre
cose son drizzate .
Gonzaga. Piacemi che abbiate addotta opinione, cbe
io possa piuttosto approvarla che riprovare ; perciocché se
il Hiie del capitano , in quanto egli è tale, n )n è la pace ,
ina la vittoria, assai ragionevole è che la gurrra , oh' è
cooperazion sua, non abbia altro fine della vittoria: e fine,
che (non je pure è fine della guerra , sicché la pace si pro-
pone il capitano, ama il politico) così mi ricordo, che una
mattina il signore Scipione mio fratallo, discorrendo col
signor Sigismondo nostro zio , Cavaliero assai esperto nel-
la guerra , afferruava ; ed ora il dico assai volentieri , per
dimostrare al Sigtior Annibale, che io non niego di venir
seco all'accordo; purché egli conceda a me ancora, o che
il giuoco non sia contesa , o che la guerra sia giuoco.
Margherita. Io mi voglio qui tVaporre, acciocché
peggio non ne segua ; e prego voi, o signor Annibale,
elle crediate que>to, che il giuoco non sia contesa ; perchè
se questo sostener voleste , e conceder l'altro , che l'atto
della guerra fosse giuoco, io non sol d'altro udirei ragio-
nare che di quello di che desiderava, che si favellasse;
ma temerei anco , che il signor Conte mio marito , la-
sciandosi persuadere che la guerra fosse un giuoco, e un
trattenimento, molto più spesso di «juel , ch'egli suole, mi
ubbandonassse .
Annibale. Signora, se io non potessi sostenere che il
giuoco fosse contesa , e distinto dalla guerra, a ragion po-
treste desiderare che io alcuna d'elle parti cedessi : ma se
aggiungendo alla definizione quest'altre diflVrenze , ch'e-
gli sia contesa fatta per trattenimento della pace , dalla
guerra il distifigucrò, non so percliè delibiate costringer-
mi a ceder le mie ragini .
Gonzaga , Il signor Anni])ale ritorna più gagliardo e
direi die risorge a guisa d'Anteo, il qual nacque nella
patria di colui, di che egli tiene il nome, se a me paresse
di averlo giammai abbattuto; ma vegga che se egli vuole
clic il giuoco sia fatto per trattenimento di pace, a'soldati,
i (piali nella guerra soglion giuocare , noi tolga con tanto
sdegno loro, che non gli bastino peravvenlura quell'arme,
che da' suoi loici gli potrebbono esser fabbricate .
12 IL GONZAGA SECONDO
Annibale. T soldati giucano nell' ozio, che moUe fiate
si concede nelle guerre: onde se non vi piace che si dica
per tratteniriento della pace, potremo dire per trattsMii-
mento dell'ozio .
Gonzaga. Io non sono sì vagì» di contesa, che tra rimo
e l'altro modo faccia molta diilcrenza; ma le harriere , »■•! i
corsi della cìtiiitana, e i torneamenti non son contese fatte
per trattenimento della pace?
Annibale. Sono.
Gonzaga. Dunque questi ancora potrehhono giuochi
essere addimandali .
Annibale. Io non conosco cagione per la ([ualc non
possano, perchè quelli, de' quali On.pro e Virgilio nel-
l'esequie d'Anelnse e di Patroclo, fanno menzi tue, sono
assai ^ì nili a questi, de'quali avete fatta menzioni-; e Si^
quelli furon giuochi, questi possono esser detti giuochi
convi'nevolmente .
Gonzaga. Ma questi })are a voi che sian veri contra-
sti, o finti ?
Annibale. Non si può negare che in essi non sia vera
contesa , perchè d arte , o di leggiadria , o di pompa , o di
altra si fatta cosa si contende; nondimeno perchè l'appa-
renza è mollo maggiore dell' elfetto, ci rappresentano un
non so che di più: e m>lte volte vera guerra, ovvero
dufdlo ci rappresentano; onde si può dire eh essi sian
finti contrasti .
Gonzaga . Finti dunque sono questi contrasti; percioc-
ché essi sono imitazione de' veri?
AnnIBAT-E. Così pare.
Gonzaga Dunque sin ora o signore Anuihale, ah-
biam ritrovato ohe una sorte di giuochi si ritrova , la qua-
le è i nitazionc delle contese , non vera contesa .
Annibale. Ahhiam questo senza duhhio ritrovato.
Gonzaga . Ma nel giuoco del corso, e della lolla vede-
te voi alcuna sorte d' iriiilazione ?
Annibale. Mi pare che nell'uno, e nell'altro si veda
assai convenevole , se nell'uno il corso d' Enea ,o di Tur-
nr) , o di Ettore saranno imitati, nell'altro la lotta d'Er-
cole, o d'Anteo, e quella di Ruggiero e di Rodomonlc .
O DEI. Gì [loco j3
Gonzaga. E nel giuoco delle carte si Tede alcuna con-
tesa , o signor Annibale ?
Annibale. La veggio veramente dipinta di Cavalieri, e
di Re in diversi modi imitata . |
Gonzaga . 31a che diremo del giuoco degli scacchi ? l
Annibale. Mi pare che anch'esso sia imitazione , per- i
ciocche l'ordine dell'esercito in alcun modo ci rappresen-
ta; e si dice clte PaLunede, ritrovatore dell'ordinanze, il
ritrovò nell;i guerra di Troia.
Gonzaga. Dunque sin'ora pare che il giuoco sia imi-
tazione , poiché tutti i già detti giuochi in questo conven-
gono che sono imitazione; e se negli altri giuochi pari-
mente la ritroveremo, non vi rimarrà quasi dubbio clie-
gli non sia imitazione ; or dii'emo noi che la Poesia sia un
giuoco ? (
Annibale . La Poesia giuoco non mi pare che si possa
chiamare, ma studio piuttosto, che ricerca la vita di un
uomo occupato .
Gonzaga. Pur alcun lodando il suo signore , che gli a-
veva concesso ozio di poetare , disse eh' egli aveva permes-
so di scherzare di quel che voleva: ne egli solo cosi piiriò,
ma molti altri : e giuochi furono detti particolurmenle
molti poemi.
Annibale. Furono, ma piacevoli.
Gonzaga . Ma tra' gravi qual'è gravissimo?
Annibale. La Tragedia.
Gonzaga . Nondimeno le contese de' tragici , non meno
di quelle de' comici eran celebrate, alle quali un becco
per premio si proponeva .
Annibale. Cotesto è vero; ma insieme è vero quel , che
io ho detto .
Gonzaga. Se l'uua e l'altra cosa è vera, non sono dun-
que contrarie .
Annibale . Non sono .
Gonzaga . Può dunque esser la Poesia insieme studio,
e giuoco per diversi rispetti ; ma consideriamo se di alcu-
n' altra parte possa il simile avvenire: or ditemi, l'iale
della scherma, credete che tosse studio , o giuoco de' gla-
diatori?
l4 II- GONZAGA SECONDO
Annibale. Studio.
GONZAGA. Nondiiueno le lor contese eran giuoclii dei
popoli; tuttoccliè assai gravi giuoclii.
Annibale. Erano.
Gonzaga . E 1' isti;sso diremo de' corsi de' carri, e dei
cavalli, e degli altri, de' quali abbiamo già fatta menzione.
Annibale. Diremo.
Gonzaga. Ninna meraviglia è dunque die la Poesia sia
studio de' poeti , e giuocbi degli spettatori .
Annibale . Niuna .
Gonzaga . Ma la Poesia è ella imitazione?
Annibale. Di questo non mi pare die in alcun modo
si possa dubitare .
Gonzaga. In tante maniere dunque de' giuocbi abbia-
mo sin qui r imitazione ritrovata , o signcjr Annibale , cbe
possiam dire cbe il giuoco sia imitazione , o cbe il giuoco
ad una definizione sola non si possa ridurre : ma vogliam
contentarci di quel, cbe sin ora s'è detto , o pure piìi sot-
tilmente ancora la verità di queste cose andar ricmt andò ?
Annibale . A me pare cbe assai contentar ce ne dob-
biamo, percbè quando il giuoco pur non fosse imitazione,
come a voi pare, sarebbe almen contesa , come io giudi-
cava, e forse quei giuoclii tutti, cbe alT imitazione non si
riducono , si riducono alla contesa come a suo genere.
MargheiUTA . Già ini pare cbe senza cbe io molto af-
faticala mi sia, voi medesimi vi siate accordati, del cbe
non so se mi rallegri, o mi doglia, die non abbiate avuto
bisogno deir opera inia , se io credessi di essere stala atta
a porvi d'accorilo: mi rallegro dunque, percbè la vostra
concordia è arg<;iuento della verità , la quale piuttosto da
due, cbe da una suol esser ritrovata .
Annibai,e. Il uifiggiormente mi rallegrerei , se così nel-
r ojiinione, co;iie nd dubbio, fossimo conccirdi.
IVlARGHERIl'A . Ma ditemi , vi prego, signor Annibale,
vi piace più l'ojiinion vostra, cbe quella del signor Giu-
lio Cesare?
Annibale, lo di niuna mia opinione mi compiaccio, se
ver dico , e meno cbe d' alcunaltra di t|uesla , la quale
per vostro piacere lio manifcdata.
O DEL GIUOCO !5
MARGHERITA. Ma quando a voi pure più la vostra opi-
nione piacesse, siate contento clie io vi giudiclii uomo
vago di contesa: poiché il giuoco non nella contesa, vna
nella imitazione volete riporre.
Gonzaga. Assai favorisce la signora Margherita la mia
opinione con queste sue argute parole .
Annibale. A me sin da principio parvo che la signora
Margherita mi fosse anxi contraria , che favorevole: non
rimarrò nondimeno di dire che io veggio molti giuociii,
ne' quali alcuna imitazione , non si ritrova ; ma non veg-
gio già alcuno , in cui non si ritrovi alcun contrasto ; e
chiederei a voi, signor Giulio Cesare, che imita colui che
giucca alla mozza, o colui che giuoca al pallamaglio? e se
non imita , come sia vero che il giuoco sia imitazione ? e
potrei così armarmi centra la vostra definizione , come voi^
contra la mia vi siete armato.
Gonzaga. Già non vi si toglie che la mia definizione
non possiate impugnare; ma io non tanto vi negherei che
alcuni giuochi fossero privi d imitazione , quanto che
quelli che ne son privi , non ahhiano tutte quelle condi-
zioni , che nel giuoco si richieggono : ma o vi piaccia, si-
gnor Annihale, di addimandare,o di rispondere a quel che
io in questo proposito vi chiederò .
Annibale. Chiedete quel che vi piace .
Gonzaga . Non avete voi detto che i giuochi sou fatti
per trattenimento della pace?
Annibale. Ho detto.
Gonzaga. E que' giuochi, ne'quali non è alcuna imi-
tazione, se pur son giuochi, sono di maggior , o di minor
trattenimento che gli altri , ne'quali alcuna cosa è imitata?
Annibale . Di minor senza dubhio.
Gonzaga. Quelli dunque, che maggiormente imitano,
più trattengono.
Annibale. Così pare.
Gonzaga. Ed il trattenimento loro, onde nasce?
Annibale. Dalla imitazione.
Gonzaga. Dalla natura dunque del giuoco retto ncisctj
il diletto .
Annidale . Cosi ci-edo .
l6 IL GONZAGA SECONDO
Gonzaga. E forse tanto è egli maggioi-e. quanto l'imi-
tazione è più espressa , e ujeglio fatta .
Annibale. Così è senza dubbio, percbè quelle carte an-
. Cora , nelle quali i cavaMeri e i fanti, e i re meglio sono ,
e con più vagbi colori imitati, più volentieri sogliono dai
giuocatori essere usate ; ma in quegli altri giuochi , nei
quali non è alcuna imitazione , onde procede il tratteni-
mento; dalla natura loro, o pur da alcuna esterna cagio-
ne, come sarebbe la vincita del danaro ?
AnnibA1,E. Da questa piuttosto.
Gonzaga. Dunque per se stessi dilettevoli molti non
sono; e se tali non sono, non sono stati ritrovati per quel
fine, per lo quale i giuochi furono ritrovati , sicché appe-
na del nome di giuoco mi paiono meritevoli .
Margherita. Già d'una di q\ielie cose si viene a ra-
gionare, della quale io desiderava che si ragionasse , del-
l origine de' giuochi dico: e già quando il signor Anniba-
le disse che il giuoco degli scaccbi era stato ritrovato da
Palamede inventor delle ordinanze, volli interro; u pere il
ragionamento, ma mi rijiiasi di farlo, peixioccbè in trop-
po sottile investigazione vi vidi occupati; ora clie quel,
che cercavate , se non m'inganno, avete ritrovato , mi vo-
glio anch'io far lecito di cbiedere al signor Annibale, se
il giuoco degli scacchi fu ritrovato da Palamede sotto
Troia , onde avvenga che in esso sian figurate le Amazoni.''
perciocché neir Illiade , che io ho letta alcuna volta tra-
dotta , non ritrovo menzione ne di Palamede, uè dell' A-
mazoni; ma Palamede era morto innanzi il nono aimo del-
la guerra; e le Amazoni vennero dopo.
Annibale. ;Nel giuoco di Palamede non eran peravven-
tura le Amazoni; ma questo fu forse iiccresciiuento di quei
soldati, ch'in Grecia il riportarono , i quali di questa no-
vità il vollero adurnai'C, perchè fosse più grato agli occhi
de' riguarda» li.
Margherita. Ma la distinzion delle schiere bianche
e dei le nere , ond:? fu tolta ?
Annibale. Forse da' Traci, che seguirono Reso, e da-
gli .litri po))oli Seltrnlrionali , e da (pielli dell' Oriente,
die passarono sotto Mennonc.
O r>iKL ciooco 17
Margherita. Ma se queste furon scliiere ti' un esercito
medesimo , non par conveniente clic dovessero due eserci-
ti nemici rappresentare.
Annibale . Non credo che in qiiesta imitazione cìii la
trovò, o l'accrebbe, tanto alla verità o alla favola abbia
avuto risguardo, quanto alla vaghezza della vista, come
in molte altre osservazioni si vede osservato ; ma chi vo-
lesse ch'egli alla verità , ed alla favola ancora avesse avu-
to risguardo , potrebbe dire che le schiere bianche fossero
de' popoli dell' Asia , che erano molti , e delicati , e nudriti,
per cosi dire , all'ombra; e le nere de' Greci, che per la
polvere , e per lo sole tali eran divenuti?
Margherita. Ma l' uso degli elefanti fu ritrovamento
de' Greci , o pur anco dopo fu ritrovato.
AnnibAt,e . Dopo, cred' io , che fosse tutta questa in-
venzione non solo accresciuta, ma adornata di quello, che
in ciascuna età nell'uso del guerreggiare era stato piij mi-
rabile.
IMArgherita. Assai resto io contenta della risposta del
signor Annibale .
Gonzaga . Ed a me pare che, rispondendo d'^Il' origine
de' giuochi , ci abbia maggiormente confermati in questa
opinione , che '1 giuoco sia imitazione : e per confermarlo
anco più, gli richiedo, onde avvenga che i re negli scac-
chi si muovano lentamente .
Annibale. Forse| per imitare la tardità, e la gravità
dei re.
Gonzaga. Ma per questa ragione tardamente si dovreb-
bono muovere i rocchi , che imitano gli elefanti .
Annibale. La necessità e l'ordine del giuoco ha ricer-
cato che essi corrano tutto lo scacchiero; oltreché non
essendo ordinariamente adopratt, se non nel fine del giuo-
co, assai convenevolmente rappresentano la strage , che
fanno gli elefanti nelle schiere rotte e disordinate .
Gonzaga, Ma forse, o signor Annibale , non dee rima-
ner paga la signora Margherita , che l'origine d'un giufi-
co sia ritrovata , se V origme degli altri non si ritrova .
Annibale. Così credo; ma se noi partitamente vorre-
mo ricercare quando ciascuno avesse principio, e conie-^
Dialoghi T. m. ì
iB . IL GONZAGA SECONDO
cosa faremo forse altrettanto malagevole, quanto oscura,
perciocché di molti giuochi ci converrebbe ragionare, il
cui principio è forse così nascoso nelle tenebre, come so-
no molte stirpi degli uomini.
Gonzaga. D'alcuni dunque illustri solamente ricer-
cheremo il principio.
Annibai>e. Di questi non sarà né diffidi molto , né noio-
so il ricercarlo .
Gonzaga. Ma quali son da voi riputati più illustri?
Annibale. Quegli, onde gli antichi onoravano l'ese-
quie de' maggiori, o i sacrifìcj dei Re, e quelli che si ce-
lebravano nelle ragunanze de' popoli della Grecia, ad imi-
tazione de'quali n'instituirono molti i Romani.
Gonzaga . E questi , siccome in diversi tempi, per di-
verse occasioni ebbero origine.
Annibale. Così credo.- e la piìi antica menzione ch'io
abbia di loro ritrovata, è ne' poeti, ne' quali non solo si
legge che la sepoltura di Patroclo fu con varj giuochi
onorata; masi legge ancora eh' Ercole ed A polliiir furo-
no co' giuocìii onorati ne' sacrifìcj ; perciocché quelite ra-
gunanze della Grecia, colle quali fu distinto il tempo , fu-
rono instituite molto dopo il tempo degli Eroi, eh' è quel-
lo, eh' é descritto da' poeti: nondimeno di que'giuochi,
che in quelle ragunanze si celebravano, si ritrova in Pin-
daro, e ne'poeti Greci assai spesso menzione, sicché ad al-
cuni è paruto ch'essi potessero esser suggetto di lirica
poesia .
Gonzaga . Ma se la tragedia e la commedia , o signor
Annibale, sono giuochi, come detto abbiamo , debbiamo
di questi ancora la cagione ricercare , o pur della tragedia
sulaiiiente, eh' è jiiù illustre ?
Annibale. D( ir una e dell'altra ho io letto ch'ebbe
origine fra i Dorici e gli Ateniesi, ma fra i Dorici nella li-
bertà popolare, comecché della commedia non solo fra i
Dorici e gli Ateniesi, ma fra i Dorici della vSicilia e quelli
della Morea vi sia stato conlesa.
Gonzaga. Ma i torneamenti e i corsi della chintana ,
non sono anch'essi giuoclii illustri?
ANNIBALE. Sono.
O DEL GFLOCO 19
Gonzaga . E questi sapreste voi dire , quando avesse-
ro origine?
Annibale. Non saprei veramente, se dM' istorie, o
piuttosto dalie tàvole dell'Inghilterra non la traessi .
Gonzaga, E da Spagna d'alcuni altri giuochi potreste
trarre , qual'è quel delle canne, e delle caroselle, o da A-.
(Vica piuttosto .
Annibale. Potrei.
Gonzaga . Ma perawentura la signora Margherita non
*;ol di questi tutti vurrehhe sapere l' origine , u>a di
quelli ancora, che fra loro donne nelle private camere so-
gliono esser fatti , e di quelli anco di carte, e di dadi e di
molti altri.
Margherita. Di questi anco, che da noi djnne, non
solo da voi altri signori son chiamati giuochi, vorrei sa-
per l' origine : ma se pur il signor Annibale stima che o
sia molto difficile il renderla , o che a lungo andare doves-
se essere noioso il ragionarne, io non lo gravo di maggior
fatica di quella, che a lui piaccia di prendere, o di quella
che creda di poter agevolmente sopportare .
Annibale . Io non so quel che mi possa , o non possa ,
come colui, che per compiacere alla signora Margherita
ed a voi , dispiaccio a me medesimo.
Gonzaga . Ma perawentura ne a me, né a lei, né a voi
dispiacerete, se, siccome di tutti i giuochi una co!uune
definizione s'è data, cosi tutti ad una comune cagione ri-
durrete, per la quale essi siano stati ritrovati.
Annibale. Io non so qual possa esser questa comu-
ne cagione , se forse non è il trattenimento , per lo qua-
le furono tutti i giuochi (se non m' inganno ) ritrovati;
perciocché la severità della vita attiva, e della contempla-
tiva eziandio, aveva bisogno di alcun temperamento, che
la rendesse piacevole ; e le fatiche dell' una e dell'altra ,
con alcun trattenimento dovevan esser mescolate ; e que-
sto non si poteva da alcuna cosa piìi convenevolmente
prendersi che da' giuochi , i quali comecché possano esser
faticosi a chi gli fa, alcuni d' essi particolarmente sono
sempre nondimeno alleggiamento delle fatiche di chi gli
riguarda .
20 IL GONZAGA SECONDO
Gonzaga . E questo trattenimento può esser pubblico
e primato?
AnkibAle. Puote.
Gonzaga . Onde due sorti dei giuochi diremo che si
trovino, 1' una fatta per pubblico, l'altra per privato
trattenimento.
Annibale. Così mi pare che si debba dire.
Gonzaga. Ma forse la signora Margherita desidera di
sapere che sia quel , che il signor Annibale chiama trat-
tenimento.
Annibale. Trattenimento dico io il diletto dell'animo
dal quale i giuocatori. e talora i riguardanti ingannati,
non s'accorgono del fuggir dell'ore; e trattenimento si di-
ce , perchè egli ci trattiene dall'operazioni, e fra loro si
frappone . acciocché piix volentieri ad esse , che faticose ci
paiono, ritorniamo.
GoìnzAGA. Ma onde procede questo diletto?
Annibale. Dalla vittoria, credo Lo, perchè la vittoria,
è dolcissima a ciascuno , per ingegno, o per fortuna che
si vinca .
Gonzaga . Ma quando credete che sia più grata la vit-
toria, quando ella per fortuna, o per ingegno s'acquista?
AnmbAle. Quando per ingegno.
Gonzaga. Più grata dunque è la vittoria del giuoco
degli scacchi , che di quel delle carte o di altro , in cui la
fortuna coli' ingegno si accompagni?
Annibale. Più grata c^rto.
Gonzaga . Mn credete voi che a ciascuno , o sempre
più piacevole sia il giuoco degli scacchi , che quel delle
carie, o pure gli altri giuochi d'ingegno piacciono più che
quei di fortuna ?
Annibale. Alcuna fiata <pielli, nei quali la fortuna col-
r ingegno si accompagna , sogliono esser più piacevoli.
GoiNZAGA. Dunque altra cagione di diletto si può ri-
trovare nei giunclii oltre la vittoria.
Annibale . Così p;uc per questa cagione.
Gonzaga. Dilemi appresso, il diirtto si sente solament(S
nel fine del giuoco, o pur mentre si giuoca ?
Annibale . Mentre ancora si giuoca, ancora si sente .
O T)-F,T, CIUCCO 11
.G0N5?AGA. Ma mentre si giuoca, alcuno non lia conse-
guito la vittoria : non procede dunque il piacere dalla vit-
toria sola .
Annibale . Molte pìcciole vittorie son riportate nel giuo-
co , in ciascuna delle quali si sente diletto , sel)ben l'uomo
è incerto dell' ultima, e, per cosi dire, certa e sicura vit-
toria .
Gonzaga. Pìcciole vittorie cliiama forse il Signore An-
nibale nel giuoco dt'lla priiniera, i molli resti, che si tira. ,
Annibale. Queste chiamo picciole vittorie.
Gonzaga. E nel giuoco degli scacchi chiamerei piccio-
le vittorie i molti pezzi guadagnali .
Annibale. Sì certo.
Gonzaga . Ed in quel della palla , e del pallone , le cac-
ce guadagnate.
Annibale. Queste parimente sono da me picciole vit-
torie nominate .
Gonzaga. Nondimeno il giuocatore è incerto della vit-
toria sin al fine, parlo dell' ultima conseguila vittoria.
Annibale. È veramente.
Gonzaga . Ma questa incertitudine mescola eoi diletto
del giuocatore alcuna molestia ed alcun timore ?
Annibale . v*si mescola senza tallo.
Gonzaga. Onde né sincero, ne puro diletto può essere
quel del giuocatore.
AnnibAI>e . Non pare che esser possa.
Gonzaga. Ma nel!' incertitudine della vittoria fa l'in-
gegno del giuocatore alcuna operazione?
Annibale . Fa ; perciocché egli modera così i prosperi,
come gl'infelici avvenimenti di fortuna, dirizzandogli alla
vittoria .
Gonzaga . E questa moderazione degli accidenti della
fortuna , può ella esser senza diletto ?
Annibale. Non, a creder mio.
Gonzaga . Dunque non tanto dalla vittoria, quanto
dall' operazione del giuocatore , eh' è in lui , può nascere
il diletto ; e s'avviene che il giuocatore sia tale , che mo-
deri non solo gli accidenti di fortuna, ma gli affetti dell'a-
nimo, eziandio sentirà egli puro , e sincero e moderalo
piacere .-•
i:i IL aONZAGA SECONDO
A.\Mn.\i,E. Sentirà, quandi sia tale, pìchi nondiineno
sono sì fatti , ina la maggior parte de' giuocatori , tra la
speranza del guadagno, il dubbio del perdere, e tra il di-
letto e tra il dolore d'alcuni guadagni e di alcune perdite,
che si fanno nel giuoco, passano in guisa quel tempo, eh' è
destinato all'ozio, che quasi non se ne accorgono • ma al-
lora se n'accorgono eh' è già trapassato; e questo è quel ,
che è propriamente detto diletto de' giuocatori , il quale
tion è semplice diletto, comecché il diletto sia con gli
altri affetti mescolato.
Gonzaga. INIa se del liberale giuocatore parlererno, di-
remo ch'egli senta semplice diletto?
ANNlBAr.E. Diremo.
Gonzaga . Ma non abbiamo noi detto, o Signor Anni-
bale, che tra' giuochi , quelli meglio sono stati instituiti
che fanno alcuna imitazione?
ANiMBAle. Abbiamo.
Gonzaga. E l' imitazione non è ella semplice ?
Annibale . Senza dubbio.
Gonzaga. Né solo operazione, ma dilettevole opera-
lione .
Annibale. Dilettevole senza alcun dubbio .
Gonzaga . Dunque perchè il giuocatore fa alcuna ope-
razione, ed alcuna imitazione, giuocando sentirà diletto ?
ANNIBALE. Così pare per questa ragione.
Gonzaga . Ma l' imitazione a coloro, che la fanno sola-
mente ,è piacevole , o pure a chi la rimira?
Annibale. A chi la rimira ancora.
Gonzaga. I giuochi dunque a' giuocatori , ed a'riguar-
danti per questa ragione saranno piacevoli.
Annibale. Saranno; ma comecché io non iiieghi che
l'operazione, e l'imitazione soglia apportare diletto, l'in-
ccrtitudinc nondiuieno della vittoria, e gli affetti , che in
questa incertitudine si sentono, non solo a' giuocatori, ma
a'riguardanti ancora, che con alcune animosità di parte so-
gliono i giuochi rimirare , è di grandissimo trattenimento.
Gonzaga. Ma io questo niego, né muto opinione, che
il diletto del giuocatore altrettanto nell'operazione , che
è in lui, quanto nella vittoria , eh' è fuor di lui ^ sia ri-
O DFX GIUOCO 2 3
posto: ma chiedo ben , se quelle vittorie sempre snn più
piacevoli, che coli' operazione, della quale il giuocatore
sia signore, sono acquistate.
Annibale . Così pare ragionevole che dovesse essere .
Gonzaga . Nondimeno quelle, che con operazione di
maggiore ingegno s'acquistano, sono più faticose, come è
quella del giuoco degli scacchi, e degli altri si fatti?
Annibale . Sono.
Gonzaga. E di minor fatica sono quelle , ove la fortu-
na ha parte, come ha nei giuochi delle carte, ed in molli
altri?
Annibale. Di minore , a parer mio.
Gonzaga. E per questo rispetto forse paiono elle più
piacevoli?
Annibale. Così credo , perchè la fatica sempre scema
del diletto.
Gonzaga. Ma l'ultima, e sicura vittoria è congiunta
coir operazione , o pur seguita l'operazione, come suo
fine ?
Annibale. Segue l'operazione come suo fine, perchè
in quelle, che coli' operazioni sono congiunte , sono le pic-
ciole ed incerte vittorie .
Gonzaga. Ma del fine dell'operazioni più faticose , è
più faticosa , o pure tanto più piacevole , quanto 1" opera-
zione è stata più faticosa , la vittoria?
Annibale. I fini dell' operazioni più faticose, più pia-
cevoli sogliono essere che quelli dell' altre.
Gonzaga. Più piacevole dunque sarà la vittoria del
giuoco degli scacchi , e degli altri che con alcuna fatica si
fanno .
Annibale . Così pare .
Gonzaga. Ma delle vittorie non sono alcune accompa-
gnate dal danaro o da cosa , che dal danaro sia misurata ,
alcune da niun prezzo sono accompagnate ?
Annibale. Così avviene .
Gonzaga. Ma se 1' une all'altre paragonerete , quali
più dilettevoli saranno da voi stimate?
Annibale. Quelle, senza alcun dubbio, le quali dal da-
naro, o da altro prezzo sono accouipjgnate .
^4 ÌL GONZAGA SECONDO
Margherita. Molto avari fa il Signore Annibale i
giuocatori, senza alcuna contesa del Signor Giulio Cesare,
se quella vittoria lor più piace, la qual dal prezzo è ac-
compagnata .
ArsNiBALE. Avarizia sarebbe, Signora , se il danaro fos-
se per sé dal giuocatore desiderato, ma desiderandolo il
giuocatore come pregio della vittoria, piuttosto cupido di
lode dee esser detto , die avaro ; e se i doni piacciono al-
l'ambizioso quanto all'avaro, a questo percbè apportano
utilità , a quello perchè sono argomento d'onore, il dana-
ro , die si vince dee esser grato al vincitore come utile ed
onorevole .
Margherita. Non tanto a me dispiace la ragione, die
VOI dite, quanto mi pare die in quei giiiocbi ancora, nei
quali non si giuocan danari, la vittoria debba esser grata
per se stessa , ne men grata che negli altri.
Gonzaga. Dovrebbe esser certo, e suole esser grata in
ogni giuoco; ma ditemi, o Signora, quando alcuna donna
supera tutti quegli affetti, per gli quali l'altre donne so-
gliono compiacere almeno d' uno sguardo , clii lor rimira,
non sentono piacere d' aver in ciò costantemente ado-
perato ?
Margherita. I-e donne die amate, superan gli affetti
loro , altrettanto diletto debbono sentire nel superarli
quanta vergogna sentirebbono, se si lasciasser vincere.
Gonzaga. Ma se il marito, divenendo loro perciò più
affezionato, o monile, o altra cosa donasse loro, quasi pre-
gio di quella vittoria , die delle cupidità avesser riportato,
non le verrebbe sì fatto pregio grato oltremodo ?
Margherita . Le sarebbe .
Gonzaga . Dunque se le donne nell' operazioni loro vo-
lentieri il prenaio ricevono; e se il dottore e il poeta, e cia-
scun altro brama il premio dell' opere sue . potete ben
credere die il giuocatore desideri il pregio della sua vitto-^
ria, la qual i./iltc fiate è elfelto della sua fortuna , molte
della sua industria ; ma se ciò è vero, o Signor Annibale,
( die a voi ora dalla Signtu-a Margherita rivolgo il ragio-
ijajnento ) come può all'amico esser lecito di giuocar col-
r amico, e di procurar gu;id;jgnr) ''
0 DEL GIUOCO 7.5
AnnieAT.K. Ciascuno nel giuoco è nemico a colui con
chi giuoca; onde da lui procurando guadagno, procura
guadagno dal nemico.
Gonzaga. Ma il nemico, o Signor Annibale, non è
quegli che combatte col nemico?
Annibale . Sì certo .
Gonzaga, Ed il giuocatore, che non combatte, ma imi-
ta il combattere, procura il guadagno dal nemico da
giuoco ?
Annibale. Procura .
Gonzaga . Da colui dunque, che fuor di quel giuoco
suole essergli amico ?
Annibale . Assai è vero che con gli amici , anziché eoi
nemici, soglion giuocare i giuocatori ; nondimeno, se dal
nemico da giuoco procura il guadagno, con quell'animo
medesimo noi procura , col quale dal vero nemico il cer-
cherebbe.
Gonzaga. Ma l'avaro con qual anÌ!no il procura ?
Annibale • Con quello che il nemico dal nemico il pro-
curerebbe .
Gonzaga. Vero è dunque . o Signor Annibale, che al-
cuna volta siano degni di maggior biasimo i giuocatori
che i ladri.
Annibale. Vero potrebbe essere in alcun modo; per-
chè se voi me, che amico, e servitore vi sono, nel giuoco
procuraste di rovinare , ed io ad una donna , clie crudele
mi fosse, anzi che no, involassi un paio di guanti, o una
corona, o altra cosa sì fatta , minor biasiino meriterei nel
furto, che voi nel giuoco
Margherita. Molto buona si fa il Sig. Annibale la sua
ragione e molto si fa lecito il potere involare alle donne,
alle quali essendo inolto lacil cosa 1 involare, poca indu-
stria dimostrerebbe, chi loro alcuna cosa involasse, ed in-
degno di quella lode mi parrebbe, la quale gli Spartani
meritarono .
Gonzaga. Gli Spartani sapevano cosi ben ricoprire,
come involare ; anzi altra scusa , o altra lode non merita-
vano, di quella d' averlo saputo fare senza che altri se ne
accorgesse, onde se fossero slati colti nel furto, come gli
a6 IL GONZAGA SECONDO
altri sarebLono stati liiasimati ; ma ancorcLc io giudici ii
che non sia lecito d involare alle donne , nondimeno avrei
per minor erróre l involar talvolta un paio di guanti, o
un volo , o altra si fatta cosa , che in loro memoria potes-
se esser conservata, che l'avidità del vincere in giuoco
tutti i danari ; la quale ho talvolta conosciuta in alcuni
cortigiani, che mi sono paruti piuttosto buoni giuocatori,
che gentili trattenitori di donne .
Margherita. Già si è cmninciato a ragionare di un'al-
tra di quelle cose , delle quali io desiderava che si ragio-
nasse ; se lodevol fosse il giuocare, e se lecito fosse l'in-
gannare .
Gonzaga. Ma di queste cose peravventura in un modo
ne potrebbe i! Signor Pocaterra co' suoi compagni nelle
scuole ragionare, ed in un altro colla Signora Margherita;
non perchè ella non sia atta ad intendere tutto ciò, che
dal Signor Annibale , o da me potesse esser detto ; ma.
percìiè a noi si conviene di parlare in modo eh' ella volen-
tieri ne ascolti .
Annibale . Io per me direi che la cupidità del guada-
gno d(^e esser moderata in tutti i giuochi, e particolar-
mente in quelli, che eolle donne si fanno,
Gonzaga. E cpiesta moderata cupidità di guadagno
pare a voi lodevole , o Signor Annibale?
Annibale. Sì certo, perchè la moderazione di ciascuno
affetto è lodevole , ed essendo la cupidità di guadagno uii
affetto come gli altri, non veggio, perchè il moderarlo
non debba lode riportare.
Gonzaga . Ma l'invidia è affetto?
Annibale. E.
Gonzaga. Ed affetto è parimente la malignità?
Annibale. Parimente.
Gonzaga. Dunque chi modererà questi affetti , ancora
meriterà lode: o pure alcuni affetti sono in guisa rei,
che dovrebbono anzi essere estirpati , e tale è peravventu-
ra la malignità e 1' invidia ; ma non so già , se la cupidità
e del guadagno tra questi debba esser risposta .
Annibale. Se questo nome di cupidità vi offende, la-
sciandolo da parte con quegli altri, i quali a voi paiono in
O nVA. GIUOCO ìf
guisa rei , che non possano ricevere moderazione , come
a me paia , che se niun affetto è stato in danno dalla natu-
ra prodotto , tutti passano ricever moderazione .
Gonzaga . Ma se da parte lasceremo questo nome di
cupidità, qual' altro prenderemo in quella vece?
Annibale. Quello di desiderio ; perchè senza desiderio
di vincere non mi pare che si possa giuociire.
Gonzaga. E quando il prezzo del giuoco è il danaro,
o cosa dal danaro misurata , pare a voi che senza biasimo
si possa desiderare di vincere il danaro?
Annibale. A me pare che si possa, purché mediocre-
mente si desideri la vincita : e questa mediocrità consiste-
rà non solo in non desiderare di vincere con maggiore af-
fetto di quel che si convenga ; ma anche in non desiderar
di vincere più di quel che porti la natura del giuoco : e
quelli che con altro affetto giuocano , sono gli avari giuo-
catori, i quali come, detto abbiamo, dei ladri non sono mi-
gliori .
Gonzaga E come questi avari giuocatori, dagli altri
conosceremo ?
Annibale . A molti segni , e particolarmente al rispar-
mio , col quale cavano i danari , alla cautela dell' accetta-
re gl'inviti , alla dillticoltà del far partito .
Gonzaga. Il liberale giuocatore dunque molto caverà,
e facilmente inviterà ed accetterà gì' inviti ?
Annibale . Così credo .
Gonzaga . Ma così facendo , sarà cagione che il giuoco
s'ingrossi.
Annibale. Sarà .
Gonzaga . E nel giuoco grosso non è più ragionevole il
guadagnar molto , che nel picciolo ?
Annibale . È senza dubbio.
Gonzaga. Se nel giuocatore dunque sarà alcun deside-
rio di soverchio guadagno , la sua sarà anzi avarizia che li-
beralità, sicché dei tre segni proposti da voi, quel di fare i
partitimi pare il più certo; e comecché la larghezza di
giuocare possa parer liberalità , perché ella da un cotal di-
sprezzo del danaro é accompagnata , nondimeno allora la
reputo io più lodevoli-; che per compiacere alle donne ,
^8 IT, GOiNrzAr.A SECO>'DO
colle quali si giuocìii, sia usata; e comeceliè il HLaiMl
giuocatore sempre debha moderare la cupidità del guada-
gno, nondifneno quando avviene eli' egli giuochi colle
donne , poca volontà d'altroché di servirle, e di tratte-
nerle dee diiiiostrare, e se questo più nelle vostre scuole
non s'impara, o Signor Annibale, nelle qviali di lare i sil-
logismi . e di dimandare , e di rispondere artificiosamente
s'impara , assai si apprende ella nelle Corti, ed io per me
tanto n'ho appreso, che potrei alle volte giuocar con tale,
che porrei la mia vittoria nel perdere , e mi lascerei vin-
cere a bell'arte ; e quando io pur non mi volessi lasciar
vincere, almeno assai più lentauiente procederei nella vit-
toria , e con maggior facilità verrei a tutti i partiti, ed a
tutti gli accordi; e questa facilità, che colle donne è crean-
za, mi parrebbe alcuna yolta sciocchezza con gli uomini.
Margerita. Quella degli uomini, che da voi è stimata
creanza e cortesia , da me è riputato inganno ed artilicio;
pprriocchè gli uomini molte (late si lascian vincere, per
vincer le donne in altri contrasti di tnaggior importanza.
Annibale. Gran severità mostra h Signora Margherita
in non gradire quella , che dal cavaiiero suol esser riputa-
ta creanza nel trattener le dame .
Gonzaga . Forse non ha in tutto il torto la Signora
Margherita; perciocché anzi accortezza che severità è il
ricusare di vincer coloro , che fanno troppo manifesta la
lor volontà di perdere, la quale di ben cnjato cavaiiero
dee essere ricoperta.
Marc.erita . È creanza il perder colle donne , forse
perchè la vittoria è lodevole solo, quando ella ha contra-
sto: ma le donne non poss<mo con gli uomini, né d inde-
gno, né di fortuna contendere.
Gonzaga. Benché ad alcuni vera potesse parere la ra-
gione della signora Margherita , nondimeno non ardirei di
confermare (^he le donne d'ingegno con gli uo nini non
potessero contendere, parendoTui che ninno ingegno d'uo-
mo sia tale, che si debba sdegnare di venire in paragone
♦ ol vostro; onde crederei che Ferrara non di>vesse per voi
invidiare né a Modana la signora Claiulia Rangona; né a
Parma la signora Barbera Sanscvcrina ; né a F'ircnze la si-
O DEL GIUOCO 2f)
gnora Ermellina Canii;iana, uè a Correggio la signora Ful-
via , che ne è nata Signora.- ne ad Urbino la signora Felice
della Rovere; le quali cinque signore ho io conosciute d in-
gegno così pronto e vivace, clie maggior timore avrei avu-
to di coiilendere parlando con alcuna di loro, elio ritrovar-
mi incontra un cavaliero colla lancia in resta ; ma eli è
parato, a voi, signori Ferraresi, della nostra Serenissi.na
Principessa ?
Margherita. Non è stato alcuno di noi. che non sia
riniaso tanto soddisfatto dell' ingegno, e de' costumi laude-
voli , quanto maravigliato della bellezza e della grazia del
corpo: ma non meno credo che a voi alti'i signori debba-
no esser piaciute le nostre .
Gonzaga . Io per me non posso se non ammirare le
Principesse di Ferrara, e particolarmente la Duchessa di
Ui-bino, la quale nell" età più matura con.serva ancor la
maggior parte di quella bellezza, che nella giovanile dico-
no, eh è ilata senza pari, né meno che per bellezza del
corpo , è degna di maraviglia per l'accortezza, per la gra-
vità, per la modestia, la quale la ritiene assai volte , che
di molte cose, che molto intende , non parli più di quel che
a donna ed a Principessa s'appartenga: bieche a ii.e p;;ie
cbe piuttosto di fortuna che d' ingegno, voi debbiate ce-
dere agli uomini; p.jichè dalla vostra non v'è conceduto
molto fiate il vostro ingegno dimostrare.
Margherha. Sfortunata cosa dunque è il nascer don-
na, perchè sebben la fortuna donna, e Dea si dipinge; a
quelle del suo sesso nondimeno suole inen favorevole, che
agli uomini diiiostiarsi.
Gonzaga. Non può essere in alcun modo sfortunato qu.l
sesso , nel quale la signora Margherita è nata , e tante al-
tre valorose donne.
Margherita. Questa è la consolazione, clie da voi altri
Sogliamo ricevere, anzi di parole e di apperenze cortesi
che d'effetti; ma assai son io contenta d ubbidire a chi
debbo, ne tanto mi doglio della mia fortuna , quanto di
quella di molte donne, che s'atteugonoa chi non sa couiaii-,
dare, come loro Dea : questa fortuna nondimeno , che in
alciui quadro io ho veduta dipinta colia fronte criuila , e
.'O IL GONZAGA SECONDO
copiedi alati, Dea non è certo, come gl'idolatri credevano:
elle cosa dunque è ella ( se pur non è un nome vano senza
soggetto)? e questo ora addimando , peri ioccliè da Don
Lelio Padre del Gesù, di belle e scelte lettere, udii io di-
re un giorno che la signora mia suocera addolorata per la
morte del marito consolava, che alcuni teologi avevano
creduto, ch'ella non fosse cosa alcuna.
Gonzaga. Io, lasciando satare quel, che i teologi ne cre-
dono, le opinioni de'quali quantunque stimi vere , non
vorrei che fossero tra' nostri ragionamenti mescolate , non
sono dubbio, s'ella si ritrovi; ma se nel giuoco si ritrovi,
e come, pregherei il signor Annibale che al mio deside-
rio soddisfacesse, se non fosse, che molto prima al vostro
dee soddisfare. Diteci dunque, signor Annibale, quel che
i vostri filosofi dicono della fortuu.i .
Annibale. Delle cagioni alcune sono per se , alcune per
accidente; e la fortuna è una di quelle che sono per acci-
dente.
Margherita. Questi vostri per sé, e per accidente,
son termini assai buoni , creilo io, ma da me non tanto in-
tesi , quanto io vorrei.
Annibale. La signora Margherita s'infinge, perchè buo-
ni non gli stimerebbe , se non gì' intendesse ; onde non tan-
to credo che voglia intendergli, quanto far prova , conie
io gli sapessi dichiarare a chi poco gì' intendesse. Dirò
dunque che se alcuno giuocasse in alcuna bella, e nobil
brigata di donne a primiera, e guiocando fosse preso del
piacere di alrun;i donna, due cagioni si porreibbono, luna
per sé, che sarebbe la bellezza della donna piaciutagli; per
accidente l'alfra , che sarebbe il giuoco; ed è detta cagion
per accidente, perchè non è necessari i cagione dell'amo-
re; ma può avvenire che altri giuocando s innamori; e
potrebbe avvenire che non s'innauiorasse.
Margherita. Assai convenevolmente trova occasione il
signor Annibale di mescolare ragionamenti di amore in
questo proposito, forse come colui, che d'alcun amore dee
esser preso; ed a me pare d'avere inteso assai bene quel ,
che sia cagione per se, e quello clie per accidente: or la-
O DFL ciLOro 3t
scerò clie il signor Giulio Cesare in modo l' eiddomandi
della fortuna, cLe non ci lasci alcun dubbio.
Gonzaga. Diteci dunque, signor Anni buie, se tutte le
Ocigioni accidentali si dicono per fortuna.
ANNIBALE, La fortuna è una delle cagioni accidentali,
la qual si dice propriamente esser cagione di quegli effetti,
i quali fatti con alcuno umano propronimetito , avvengono
altramente di quello else l'uomo s'aveva presupposto.
Go^ZAGA Quegli effetti dunque, i quali non avvengono
oltre 1 umano proponimento, non si recano alla fortuna?
Annibale . Non pare.
GoAZAGA. jNon sarà dunque per fortuna la caduta di
uno spiedo, o di altrarme, vite dal luogo ov è riposta ca-
da, e ferisca un cavaliere?
A>NlBAf.E. Non pare a me, ma per caso piuttosto, sotto
il quale si riducono tutti quegli effetti, de 'qua li può esser
per feè cagione la natura
Gonzaga. Assai intendo io, come il caso dalia fortuna
hia distinto, la qual distinzione a me, die pur alcuna voU
ta soglio udire il signore Scipione mio fratello eo'filosufi
discorrere , non è nuova; ma credo anche che nuova non
sia agli occhi della signora Margherita , o quando pur nui>-
va fofcse , agevolmente credo che da lei sia stata iutesa: ma
credo anco che potrebbe dubitare se colui, che vince ai
tarocchi, o a priuiiera , vince per fortuna.
Annibale. Per fortuna vince il più delle volte , lui tocliè
alcuna volta per ingi gno possa vincere.
Gonzaga. Ed ancoYjer fortuna vince alcuna volta il ca-
valiere il pregio della giostra, o del torneamento'.
Annibale. Vince.
Gonzaga. E per fortuna i Tragici, e i Comici vinsero
alcuna fiata le lor contese.
Annibale. Vinsero.
Gonzaga. Nondimeno ne i poeti, ne i cavalieri , né i
giostratori vinsero oltre il proponi niento, che avevan di
vincere, perchè si avevano proposta per fine la vittoria; co-
me dunque la vittoria loro è per fortuna?
Annibale. De nomi de' filosofi avviene quel , che degli
\
32 IL GONZAGA SECONDO
instrumenti degli altri artefici,! quali alcuna volta in al-
cuni usi proprj , alcuna in altri man propr j sono usati ,
perciocché questo nome di fortuna , il quale propriamente
vuole usarsi, quando dell' azione deg'i uomini si ragio-
na, suole alcuna volta assai distendersi, ed a tutte quelle
cagioni attribuirsi, le quali certe non sono, ne conosciute ;
e tale molte fiate è quella, che dà la vittoria al giuocatore»
ed agli altri die contendono, e quella eziandio, che con un
ispesso vento conduce una nave io porto , col quale un'altra
era perita: sicché se propriamente vorremo parlare, non è
forse la fortuna cagione che altri o perisca, o si salvi; se
hen, propriamente dell'uno e dell'altro eifctto, può es-
ser cagione.
Gonzaga. A me pare che il nome di fortuna non solos'usi
propriamente in quegli effetti, che avvengono oltre l'in-
tenzione dell'operante, ma in quelli ancora , che 1' uomo si
propone di fare, quando non potendo esser fatti con alcuna
certa ragione dipendono da ragione esterna; eperavventura
chi stringe gli effetti di fortuna in quelli solamen!e,cl)e ol-
tre il proponimento dell'operante accadono, jiroprio gli
ristringe; onde perciié nel giuoco non è alcuna certa ragione
di vincere, può la vittoria del giuoco avvenire per fortu-
na, massimamente se colui , die vince, non vince nel mo-
do col quale di guadagnare s'aveva proposto, ma in altro
modo diverso; come vincerebbe alcuno, se mentre va a
primiera, aspettando carte di fiori, sopraggiungesser di
picche, che gli facesser fir trentasette , o trentanove; per-
ciocché quando egli si pone a flusso con quamntanove, o
cinquanta di quadri , o di cuori , o di picche affrontate , se
con flusso A ilice, o senza flusso, non si conosce così aper-
tamente eh' egli vinca per fortuna . anzi può alcuna fiata
parere, ch'ei vinca per alcun'arte, che abbia del giuoco,
per la quale abbia saputo a tempo invitare , o tener del
resto.
Margherita. Ora, se non m' inganno, è forse tempo ^
che m'Insegnate 1' una di quelle cose , che nel princijHo
del ragionamento vi richiesi.
Gonzaga. Forse se si dia arte alcuna del giuoco?
!^1ARGHER1TA Cosi forse dimandereste, come se avetft
O DEL GIOOCO 33
a vincere , che queste dispute dell'arte sono altrettan-
to difficili, quanto sia quella d(»IIa fortuna , della quale se
alcuna cosa vi rimane a dire, non vorrei perciò clic fosse
taciuta .
Gonzaga. A me non rimane clie dire, ma che chieder
piuttosto ; e chiederò al signor Annihale , se così il caso , e
la fortuna possa nel giuoco aver parte.
Annibale. Può , s'io non m' inganno aver parte in quel
giuochi, ne' quali o la gravità, o la leggerezza, o altra
qualità de'corpi naturali è cagione de' varj effetti, come
nel giuoco del pallone, e della palla io recherei al caso
molti halzi, che oltre ogni aspettazione avvengono, e nel
giuoco del pallamaglio parimente , ne'quali dalla gravità,
e dalla leggerezza delle palle , e dall'egualità , o diseguali-
tà della terra , e da' concorsi , per così dire, delle palle con
altri corpi , mirabili effetti veggiamo avvenire; e simili a
questi molti ne possono avvenire nel giuoco de' dadi,
ne'quali gli angoli , e la superficie sono di non piccola im-
portanza: e quando non siano eguali , soglion > fare alcuni
effetti, che al caso possono ridursi, de'quali la malizia de-
gli uomini ha fatto quasi un'arte: nondimeno, perchè que-
sti corpi naturali sono instrumenti, per cosi dire, de'giuo-
chi; e dalle oiani degli uomini sono maneggiati con alcuna
determinata intenzione; molto più ragionevolmente la for-
tuna, che il caso, n' è estimata la cagione.
Gonzaga. Ma se questi incerti avvenimenti si possano
con alcuna ragione moderare, e se del giuoco si possa dare
alcun'arte, o si possa (come ella vuole ) insegnare alla si-
gnora Margherita di vincere, che ne credete, o si^rror An-
nihale?
Annibale. L'arie si può dare in quelje co5e,che o
sempre, o per lo più si fanno nel!' ist» sso modo ; ma se per
lo più succedano questi effetti del giuoco , i quali, o lutti
alla fortuna , o parte al caso , e parte alla fortuna, possan
ridursi, aspetterei di udire , da clii fosse più pratico del
giuoco, che non sono io.
Gonzaga. Io perawentura posso esserne più pratico di
voi: ina non abbiamo già noi detto, che in alcuni giuochi
ha parte la fortuna, in altri non l'ha?
Dialoghi T ììl. %
34 IL GONZAGA SECONDO
Annibale. Ahlùamo.
Gonzaga. Ed in quelli, ove la fortuna non ha pariti,
dubitate voi , se gli eiletti per io più , o se pur rade volte
avvengano ?
ANNlBAr.E. In quegli senz'alcun dubbio gli efletti av-
vengono per lo più.
Gonzaga. Dunque di essi si può dare arte, e si può non
difljcilmente insegnare alla signora Margherita di vincere,
come il signor Conte Annibale Romeo le insegnerebbe di
vincere a scacchi .
Annibale. Si può, a parer mio.
Gonzaga. Ma in quegli altri, ne'quali la fortuna ha
parte , possono gli effetti avvenir sempre, o per lo più?
Annibale . Non possono .
Gonzaga . Dunque di essi arte non si può dare?
Annibale. No, propriamente ragionando; ma se voi mi
concederete che delle cose, che da me in un proposito sono
state addotte , possa in un altro valermi, dirò che sebben
l'arte propriamente si trova in quelle cose, che con alcu-
na certa ragione son fatte ; nondimeno in quelle ancora ,
nelle quali non si dà alcuna certa ragione, si dà alcuna os-
servazione , la quale suole spesso esser fallace , ma forse il
più delle volte non è tale; e questa è 1' arte di que' giuo-
catori tutti, i quali alcuna cosa credono alla fortuna .
Gonzaga. Mi pare che voi abbiate descritte quelle,
che da alcuni son chiamate arti cungietturali, qual' è forse
quella del capitano, e del navigante ; perchè siccome in
quelle ci sono alcune regole, ed alcusie osservazioni, nelle
quali l'uomo esperto suol fondarsi ; cosi il pratico giuoca-
iore ha le sue, per le quali molte fiate giudica degli av-
venimenli . Dal mormorar dell'onde , e de' venti , d.ille nu-
bi, e dal cader de' lampi, dalle macchie del Sole, e della
Luna , dal volar degli uccelli, dall' apparir de'delfini, e
da altri si falli segni argomenta il nocchiero la tempesta,
e la serenità , e se sia tempo di mvigare, o di ritirarsi in
porlo: parimente il giuocatore da molti segni conosce la
delta , e la disdetta ; fallaci alcuna fiata, alcuna assai veri,
sovra i quali è fondata l'arie sua. .Ma che cosa diremo noi
che sia questa detta, o disdelta, signor Annibale?
O DEL GIUOCO 35
Annibale. Un concorso di cagioni accidenJali, per !e
quali crediamo che così un favor di fortuna dietro l'al-
tro debba seguire , come un'onda dietro l'altra suol se-
guitare.
Gonzaga. E questo se non è in guisa sicuro, clic se ne
possa il giuocatore promettere vittoria , il dee assai c-iuta-
rnente accompagnare con quella, cbe da voi arte conget-
turale, o ossei vazione è stala addimandata , per la quale
suole molte fiate esser vittorioso .
Annibale. Dee a mio giudicio.
Gonzaga. Ma da quale arte si può muovere il giuoca-
tore a fidarsi piuttosto delle carte di danari e di spade,
elle di quelle di bastoni?
Annibale . Da ninna, pare a me.
Gonzaga. Dunque solo dall'avere osservato, che cosi
molte fiate facendo, gli è succeduto il vincere.
Annibale. Da questa osservazione forse.
Gonzaga . Ma tutta volta , quel cbe ad alcuni succede ,
non succede ad alcuni altii: ed un giuocatore istesso alcu-
na fiata avviene che vinca più tacilinente colle carte di un
giuoco, che con quelle di un altro, alcun' altra altramente
avviene .
Annibale. Cosi suole avvenire.
Gonzaga. Ma di questi effetti né a voi pare cbe se ne
possa rendere alcuna ragione, ne io so chi n'abbia fatta
osservazione alcuna ; ma l'osservazioni si fanno piuttosto
de'tempi dell'invitare e dell'accettar l'invito, e di quel,
che soglia avvenire ad uno che inviti, o pur dell'animo e
della risoluzione degli avversar]", colla quale si muovono
a fuggire o a far difesa; delle maniere de'giuochi , altre
più ardite; altre più caute, altre più scarse, altre più li-
berali, e di quel, che con ciascuna di esse si faccia più fa-
cilmente o più difficilmente: misura oltre di ciò il giuoca-
tore il suo resto, e quel degli a v versar j; tien memoria del-
le carte, che ha scartate, e di quelle, che sono nel mazzo;
e dall'une e dall'altre argomenta quel , che gli avversari
possono aver nelle mani , e da' sembianti e dal volto ezian-
dio , nei quali il timore, e la speranza, e la cupidità, e
l'allegrezza difficilmente posson ricoprirsi: e da queste
36 li. GONZAGA SECONDO
osservazioni tutte farà quella, che da voi arte de' giuoca-
tori è stata detta . INIa siccome alcune proprie osservazioni
avrà il giuocatore delle carte, così altre ne avrà quel dei
dadi , e parlo ora di quei giuochi , de' quali da principio
intese la signora Margherita , perchè se dell' armeggiare,
o\r alcune maniere di poesie, che giuochi da noi sono
state dette, si dia arie, o non si dia, da altri è stato ricer-
cato, ne l'occasione del nostro presente ragionamento
poi'ta chel se ne ragioni: ben vorrei clic se in alcun mo-
do possibile fosse, insegnassimo alla signora Margherita
di vincere, com' ella desidera ; ma forse non tanto con al-
cuna osservazione di congetture ciò può fare, quanto con
alcuna arte secreta de' numeri, la quale o quella sia, per
cui lo Scottino è tenuto in pregio da molti Principi , o al-
cun'altra, che dalle scuole de' Platonici e dePittagorici
sia derivata, è certo degna di maraviglia: ma da me che
rade volte posi pie nel Liceo e nell' Accademia, e tanto
solo, quanto dal signore Scipione, fratello mio, ci fui ac-
compagnato, e nelle scuole de'Pittagorici non fui giam-
mai, alcun suo secreto non è manifesto. Ben crederei che
se qui fosse il signore Scipione, potrebbe al desiderio del-
la signora Margherita meglio soddisfare, che per quel,
che io ne udii una volta, eh' egli in casa del signor Si-
gismondo nostro zio ne ragionò col padre Francesco Pani-
garola, famoso per l'eloquenza, oltre ad ogni altro assai
mi parve che n'intendesse, tuttoché io non appieno in-
tendesse quel , che da loro fosse detto; ma se noi non pos-
siamo insegnare alla signoi'a Margherita di vincere sicura-
mente , tentiamo almeno d' insegnarle, come ella col fare
alcuni accordi, possa aspirare alla vittoria.
Annibale. Assai insidiose sono le donne per se stesse,
e se alcuno ammaestramento da noi ricevessero , perav-
ventura con troppo nostro danno sarebbe da loro usato.
Gonzaga. N^on è tale, per quel che a me ne paia, la
signora Margherita, né mi riguarderei io giammai d'inse-
gnarle tutto ciò, che io sapessi.
MAnGHEHITA. Quegli accordi, che sono piuttosto diriz-
zali alla vittoria che alla pace, sono forse insidiosi; ed io ho
udito dire che tali furono quegli degli Affricani, da' qua!'
O DEL GIUOCO 37
voi avete tolto il nome, Signor Annibale, ed alcuna fiata
quei de' Romani ancora, signor Giulio Cesare; sebbene io
sono desiderosa di vincere, anziché no, non tanto giuo-
cando vorrei procurar di vincere con gli accordi , quanto
lacendogli con onore, e riputazione mia, schivar soverchia
perdita .
Gonzaga. Non può esser dannosa pace quella , che sia
orrevole, nel giuoco particolarmente, e ini pare di poter
affermare che i partiti de'giuocatori sitm così simili agli
accordi, che si fanno nella guerra, che nulla più : ma a chi
diremo noi , che si convenga dar leggi d:^gli accordi , o si-
gnor Annibale ?
Annibale. Dee darle, a mio giudicio, cbi ha il favore di
fortuna , e riceverle chi non 1' ha .
Gonzaga. Chi diremo noi, che sia favorito didla for-
tuna ?
Annibale. Colui, cb'è in vincita, il quale ha veduti di
nuovo alcuni segni della sua detta.
Gonzaga. Ma se colui, che con maggior resto innanzi,
avesse perduti alcuni piccioli inviti, co' quali l'avversirio
avesse ingrossato il suo, dovrebbe egli dare , o ricever le
leggi deir accordo?
Annibale. Ricever, cred' io, anzi che dare, quando i se-
gni della fortuna inclinata non fossero dubbj .
Gonzaga. Ma se avvenisse eh' e 'li si ritrovasse in ma-
no il vantaggio del punto?
Annibale. Allora non mi pnre, che senza indignità si
potesse ricever le leggi dell'accordo ; e che gli si conve-
nisse di darle piuttosto .
Gonzaga. Ma l'altro forse, che lia il favor della fortu-
na, non vuol riceverle.
Annibale. Così spesse fiate suole avvenire , perchè co-
lui, che conosce il favor della fortuna, tuttoché abbia il
disavvantaggio delle carte, vuol crederle; ed all'incontro
colui, eh' è in disdetta , quantunque sia superiore nel pun-
to, suol richieder partito: e se le cose grandi alle picciole
si possono assomigliare, simili a'giuocatori furono Cesare,
e Pompeo; e prezzo della lor vittoria era la Repubblica
fatta: né fu chi gli potesse accordare; perciocché Pompeo
38 IL GONZAGA SECONDO
giudicava por la riputa/ione cU4!a sua antica forlima , cliR
a lui si convenisse di dar le leggi della pace , e Cesare non
pensava che alla riputazione delie sue nuove vittorie fos-
se convenevole il riceverle . Comuncpie sia, colui clie e di-
sfavorito dalla fortuua, dee rieliieder l'accordo, come ri-
chiese Annibale a Scipione, tuttoché fosse in Affrica sua
patria , e fosse di genti a Scipione superiore . Altrettanto
sarebbe da maravigliarsi, che Annibale chiedesse la pace,
quanto che Scipione la ricusasse, se non fosse, clic la pru-
denza dell'uno, e dell'altro, che all' tino il pericolo di
certa perdita, all'altro la speranza di certa vittoria dimo-
strava , ogni maraviglia può discacciare.
Gonzaga. Rado dunque, o non mai si sarà l'accordo, se
così colui, che ha il vantaggio delle carte , come colui ,
eh' è favorito dalla fortuna , vuol darne le leggi.
Ar«NlBAi.E. Rade certo.
GoKZAGA . Ma quando avvenga, che dall'un lato sia il
vantaggio delle carte, dall'altro il favor di fortuna, ond'è
ragionevole ch'elle si prendano?
Aniviealk. D.itjuello, pare a me, che lia il vantaggio;
perciocché colui, eh' è superiore, dee dar leggi, non colui,
che può sperare di esser superiore: e temerità sarebbe
quella di colui, che é in detta , se più della fortuna, che
della ragione, qualunque ella sia^ volesse fidarsi.
Go:vz AG A. Ma degli accordi , che partiti son detti dai
giuocatori , può alcuna ragione ritrovarsi?
Annibale. Può, credo io,
Gonzaga. E dove la troveremo noi?
Annibale. Nella proporzione, credo io, perciocché ta-
le è il venti in rispetto del dicci , quali sarebbono le due
carte, che possondare la vittoria al Signor Giulio Cesare
in rispetto dell'una , che può a me darla. E poniamo caso,
che la signora Margherita avesse trentanove di bastoni,
senza speranza di nuovo punto, e il signor Giulio Cesare
trentacinque aU'rontato di danari , o di coppe , e potesse
vincere con due carte, ed io andando a primiera con una
sola polria vincere, allora se cinquanta scudi fossero nel
piatto, venti ne dovrebbe prendere la signora Margherita,
Ó DEL ÓIUOCO 3f)
e Vcnll cl.irne al signor Giulio Cesare, e dieci a me: e
questo mi pare in vero partito giusto , e convenevole
molto.
Gonzaga. Ma io ricliiederei al signor Annibale, se egli
fosse fatto coir aritmetica, o colla geometria?
Annibale . Anzi coli' aritmetica , che colla geometria,
Gonzaga . Dunque coli' aritmetica giustizia piuttosto,
che coir geometrica ?
Annibale. Così credo.
Gonzaga . Ma la giustizia aritmetica considera la qua-
lità delle persone 3 o non la considera?
Annibale. Non la considera.
Gonzaga . Non dee dunque il gaocatore in alcun modo
Considerare le persone?
Annibale . Non dee.
Gonzaga. E ristesso partito dee fare ad una donna,
con cui giuochi, che farebbe ad un mercante , s'egli con
un mercante giuocasse ?
Annibale. L'istesso.
Gonzaga . Poco cortese dunque sarà, o signor Anniba-
le , questo vostro giuocatore colle donne gentili; onde io
direi ch'egli piuttosto con geometrica giustizia, che col-
r aritmetica dovesse fare i partiti, e se io ho bene osser-
vata la ragione de'parliti di primiera , non è in alcun mo-
do esatta, come sarebbe , se coli' aritmetica giustizia fosse
fatta; ma molto pende all'equità ed alla clemenza; perchè
se l'esatta ragione si dovesse osservare , chi con tre carte
può perdere, e vincere con una solamente, si dovrebbe
contentare di ricever dieci, quando un altro, c'ha il van-
taggio delle carte, trenta ricevesse: nondimeno l'uso, e
l'equità del giuoco richiede, che gli si dia quindici, con-
ciossiachè se io avrò in mano il punto affrontato, e voi an-
diate a primiera, trenta scudi prenderò per me, e quin-
dici ne darò a voi: ove se l' esatta ragione volessi osserva-
re, ve ne darei dieci solamente ; ma ne l'esatta ragione , né
l'uso con alcuna donna gentile osserverei, ma se ella
giuocasse in terzo, ed aspettasse flusso, altrettanti a lei ,
quanti a voi ne darei. Ma già vediamo che il giuoco di
questi Signori è fornito, e che il Conte Annibale, così li-
4o IL GONZAGA SECONDO
beralmente clona, come cautamente e arditaaiente ha
giuocato, certo presagio della liberalità, e de'costumi ge-
nerosi di questo giovinetto; onde potrà anche aver Une il
nostro ragionamento, se la signora Margherita delle cose
da noi dette è abbastanza soddisfatta, e se più oltre del-
l'esquisita ragione di questi partiti desiderasse d'intende-
re, voi, signore Annibale, che tuttodì negli studj della
mattematica vi affaticate, potrete al suo desiderio soddi-
sfare .
INlARGHERlTA. Assai dalle parole del signor Giulio Ce-
sare, e del signor Annibale ho oggi appallato: e se il signor
Annibale vorrà piìi sottilmente andar ricercando la ragio-
ne di questi partiti, a me sarà sempre piacere eli' egli ci
faccia parte delle cose da lui ritrovate.
IL
BELTRAMO
O V V E Px. O
DELLA CORTESIA
DIALOGO
ARGOMENTO
J. Il lama la coriesìa, colla (gitale V autor nostro ne primi tempi del
sito soggiorno in Ferrara venne accolto ed albergato nella casa del
conte Niccolò Tassane , die volle lasciarne memoria a' posteri, preti'
dendo da sì fatta circostanza il motivo di questo suo dialogo, e in-
troducendo in esso per interlocutori alcuni di t/ue' medesimi perso-
naggi, con cui soletta in t/nella caia più dimesticamente trovarsi,
cioè a dire l'abate Beltramo, dal quale esso Dialogo gli piacque
d'intitolare , Ottavio Tassane dì era il più giovine de' figliuoli del
pre/alo conte, ed il capitano P. M. Finse ei pertanto che mentre sta-
va un giorno per uscire di casa, venisse da questi due ultimi ratte-
nuta per la cappa, e die avendo loro detto C abate esser quella , seb-
ben cortese , una 2'iolenza , egli entrasse secoloro in discorso della
Cortesia . Tale è V occasione del colloquio: di cui poi il sunto è il se-
guente . Aloslrasi in prima che la cortesia non è mai ingiusta, e
die per conseguente non pub mai darsi violenza , o ingiustizia cor-
tese . Si fa quindi conoicfre qiial differenza sia fra la cortesìa e la
liberalità , e come , essendo la prima tutta la virtù intiera delle
Corti , perciocché comprende tutte le vinìi necessarie in quelle , la
seconda , che non e se non una particolare virtii, si contenga in es-
sa come sua parte. Raffrontandosi poscia la detta intiera virtù colla
giustizia universale , si prova die nel soggetto l' una e i altra sono il
medesimo , e che se pur è fra loro alcuna diversità , questa è soltan-
to nella ragione e nel modo, col quale si debbono adoperare. Tocca '
si appresso come la cortesìa, al pari della giustizia, sia virtù non
meno di principe che di cortigiano ; e si passa per ultimo a dimo-
strar con esempi che anche nella giustizia particolare , cioè in tutt»
le specie particolari di essa , trovasi la coriesìa .
Fu scritto dal Tasso questo Dialogo nello Spedale di S. Anna in
Ferrara l' anno i5S4, e venne pubblicato per la prima volta nel
i^SG nella IV. parte delle Rime e Prose di lui, impressa in Vene-
zia dal Vasalini. Nella libreria Ducale di Modena se ne conserva
lina copia a penna, latta di mano dell' autore ,
4^ IL DELTRA-rtO
INTERLOCUTORI
FORESTIERO NAPOLETANO, ABATE BELTRAMO,
CONTE OTTAVIO TASSONE , GAP. P. M.
Jo ritornava di Corte, dove per usanza lungamente era
dimorato, nell'ora men calda e noiosa del giorno, comin-
ciando il Sole a decliinare, ed essendo io già stanco del
lungo spaziare , mettendo appena piede, innanzi piede,
m'appressava alla casa del Conte iXiccolò Tassone, nella
quale per la morte di quel cortesissimo Signore non era
mancato ne'figliuoli l'usato splendore, e la solita cortesia
verso i forestieri ; quando io vidi sull' uscio il Conte Otta-
via, cli'è il più giovane di loi'o, e seco l' Abate Beltrairio
suo parente, e '1 Capitano P. M. loro famigliare. E mentre
il Conte si fermò coli' Abate a ragionare, io montai le sca-
le, e preso nella camera, nella quale io albergava, un li-
bro, voleva andarmene a casa del Signore Alfonso Villa,
Cavalier di gran valore, col quale assai spesso soleva ce-
nare; ma il Conte mi prese per la cappa, e mi ritenne, e
volendo io svilupparmene, il Capitano mi prese: Allora , dis-
se l Abate: questa è violenza, volendo ritener suo mal-
grado questo gentiluomo, il qual forse da qualche bella
brigala di gentildonne dee essere aspettato.
Forestiero. Non fu mai violenza senza ingiustizia.
Beltramo. Questa è amorevole violenza, e cortese in-
giustizia; percliè di sì cortese Cavaliero sete prigione, die
non solo consentirà volentieri cbevoi ritorniate a' vostri
piaceri; ma verrà egli ancora a farvi compagnia.
Forestiero. E alcuna ingiustizia, la quale è cortese?
Beltramo. E senza dubbio.
Tassone. Ma non è tempo di parlarne , se prima non ci
assicuriamo di non commettere discortese ingiustizia ;per-
cbè discortesia mi parr(>bbi; il privarlo d'alcuna j)iacevol
compagnia.
Forestiero. Quella , nella quale io sto di contlnovo, ti
piacevol molto, e niun J)isogno mi stringe di partire.
O DELI-A CORTESIA 43
Tassone. Fermatevi dunque; che i servitori reclier;irino
da sedere, e così potremo più comodiimente rJigionan^ .
FoREs'ilERO. Diteci, Signor Abate, è la cortesia ingiu-
sta, o l'ingiustizia cortese in modo alcuno?
Beltramo, lo stimo sctiya fallo, e l'udii già dire in Vene-
zia dal Signor Luigi Gr.idenico, assai iodato tra filosofanti,
ch'una specie, o parte d'ingiustizia sia la cortesia, assai
diversa da quella di coloro, che sono comunemente chia-
mati ingiusti ; perciocché l'ingiusto prende sempre il più,
ed agli altri dà il meno: ma il cortese prende il meno per
sé, e dà agli altri il più: ed il prendere il più ed il meno
sono specie d'ingiustizia: e fra l'una e l'altra sta la giu-
stizia , la quale non prende il più, ne il meno, ma l'egua-
le ; sicché egli diceva che la cortesia è una ingiustizia ge-
nerosa .
Forestiero. Or diteci ancora , l'ingiusto prende il pii!i
solamente fra' simili, oppur fra'dissimili ?
Beltramo. Fra'dissimili ancora, perch'un violento non
solo prenderà il più fra quelli, che gli sono somiglianti, ma
assai volentieri fra coloro,! quali sono migliori di lui, dove
egli possa.
FoiiESTiERO. Ma il giusto prende egli mai l'eguale fra i
dissimili, o pure il più? E supponghiamo che il giudice sia
giusto: gli è lecito di prender maggiore onore, che non
ha l'avvocato, d'avvocato, che non ha il reo?
Beltramo. Gli è lecito.
Forestiero. Dumpie il giusto prende solamente l'egua-
le fra' simili: ma fra'dissimili prende alcuna volta il più :
ma l'ingiusto prende il più fra' simili e fra'dissimili, ovvero
tra gli eguali e gl'ineguali , che vogliam nominarli?
Beltramo. Così stimo.
Forestiero. Dunque ciasuno, che fra gli eguali prende
l'eguale, e 'I più fra' minori , è giusto .
Beltramo. E per mio parere .
Forestiero. Avete mai veduti i Principi prendere e-
guale onore alla messa, o alla mensa, o andando a diporto
con gli altri Principi loro eguali?
Beltramo. Ho veduto senza fallo .
Forestirro. Ma un Principe, ch'alberghi un altro, fa
egh azion giusta , o piuttosto cortese ?
.J4 IT. BELTRAMO
BEr.TRAMO. Cortese piuttosto.
Forestiero. Tuttavolta, focendo operazione cortese,
prende ecjuale onore fra gli eguali, e se questa è cortesia, non
prende sempre il Dieno, coinè voi poco innanzi diceste, ma
l'eguale alcuna volta: oltrediciò vi sete spesso avvenuto,
dove alcun Principe sol dare audienza a' Cavalieri ed ai
privati gentiluomini, o pur chiamarli seco in cocchio, o
invitarli a mangiare, anzi sete stato assai volte uno di
quelli .
Beltramo. Sono per sua cortesia.
Forestiero. Nondimeno egli prendeva il più, ma il
prendeva fra gl'ineguali.
Beltramo. Così avviene il pii!i delle volte,
Forestiero. E prendendo il più fra gì ineguali, era cor-
tese . Dunque il cortese non è ingiusto , come paco innanzi
diceste, ma giusto; percioccliè fra gli eguali prende l'egua-
le, ed il più fra gli ineguali: e se ciò è vero, una medesi-
ma virtù sarà la giustizia e la cortesia,- il che, se co^i stia ,
o pure in parte altramente, mi pare degno di considera-
zione. Perciocché assai volte il cortese prende il meno,
siccome fa il buono e il dritto: ma ciò nondiincno è uso di
fare più spesso ne' beni utili, o ne' piacevoli , o pur anco
negli orrevoli^ che negli onesti; laonde la cortesia sarà
piuttosto la bontà e l'equità.
TASSONE. 11 giusto dà cosa, che non può torre con ra-
gione, ma il cortese ci concede quello, che ragionevolmen-
te può negare; laonde io direi piuttosto clic la cortesia e
la liberalità , fosse una stessa virtù.
Forestiero. Assai ])iù verisiìuile mi p;»re la vostra opi-
nione: perciocché, ponendo voi la cortesia insieme colla li-
beralità , la pon(!te fra le virtù, fra le quali dee stare senza
dubbio; ma ponendola egli eoli' ingiustizia, la poneva nella
schiera de' vizj , dove non è convenevole che fosse ordina-
ta: tuttavolta mi ])are che ])ossiamo andare investigando,
s'ella sia liberalità, ovvero giustizia: o non essendo alcu-
na dell»; due, a qual dollc due sia più simigliautc . Ma con
chi debbo ricercarne? col Signore Abate, a cui e si nota
la giustizia, coriu^ a colui, il quale alcun tempo ha studia-
to, o dal Signor Conte , dal «[uale è- COSI conosciuta la li-
beralità, che da niun' altro fu meglio giammai.
0 DELLA. CORTESIA /[5
Cap. P. M. Quantunque sia più sicuro tklla cognizione,
che lia il Conte della liberalità , die di quella , la quale
ha l'Abate della giustizia, il quale assai spesso, quaud' io
contendo con Don Bastiano nni dà la sentenza contra, non-
dimeno direi che coli' uno e coli' altro n'andaste ricer-
cando, e meco ancora, a cui se la fortuna non ha conce-
duto 11 modo d'usar liberalità , almeno non ha tolto l'ani-
mo di riceverla, come i-i conviene.
Forestiero. Or credete voi, SignorConte, che la libe-
ralità sia una specie, o parte, che vi piaccia chiamarla,
della virli"! ?
TASSONE. Credo, senza alcun dubbio.
Forestiero. Dunque, se la cortesia è ninna parte della
virtù, potremo forse conchiudere che sia quella stessa, eh 'è
la liberalità: ma se non è sua in parte, non è in modo al-
cuno ragionevole il dir ch'ella sia la medesima.
TASSONE. Non è per mio giudicio.
Forestiero. Or ditemi dunque, Signore, stimate che la
cortesia convenevolmente sia delinita virtù di Corte, co-
me suona il suo nome?
Tassone, Stimo.
Forestiero. Ma la liberalità è virtù di corte?
Tassone. E senza dubbio.
Forestiero. Dunque sinora It» liberalità e la cortesia
ci paiono l'istessa: ma andiamne ricercando più oltre. E
virtù di Corte la mansuetudine?
Tassone. E similmente, perciocché molti, i qiiali spes-
so, e fuor di tempo e fuor di misura s'adirano, poco so-
gliono esser prezzati nelle Corti.
Forestiero. La mansuetudine ancora è cortesia: ma la
temperanza vi pare virtù di Corte?
Tassone. Pare, avvegnaché i bevitori e i ghiotti , non
abbiano in Corte alcuna riputazione.
Foresi lERO. E la modestia e la fortezza , saranno sli-
mate virtù di Corte?
Tassone. E chi di questo può dubitare, poichèalbuon
cortigiano si conviene moderare il soverchio tiesidcrio de-
gli onori, elle non gli si convengono, e non intano espor la
vita per il suo Principe , che al buon cittadino per la sua
Patria .
46 IL BELTRAMO
Forestiero. E COSI discorrendo per tutte l'altre virtù
troveremo clie non ce n'è alcuna, la qual non sia necessaria
nelle Corti : laonde pare che la cortesia non debba essere
stimata una particolar virtù, ma tutta la virtù intiera,
dentro la quale sia contenuta la liberalità , come sua
parte .
'Passone. Quanto la vostra ragione ci fa stimare la cor-
tesia , tanto più volentieri dee essere udita.
Forestiero . Poiché ahbiam ritrovato che la cortesia è
la virtù compita, andiamo considerando, Signor Abate,
se la giustizia sia una parte della virtù, o pur tutta.
Beltramo. Tutta è quella, che a me più s'appartiene
di conoscere, cioè la leggitima : perchè le buone leggi com-
mendano l'operazione d'ogni virtù, non solamente della
mansuetudine, o della temperanza, o della modestia, o del-
la fortezza .
Forestiero. Se la giustizia è tutta la virtù, e la cortesia
parimente la virtù compiuta, ne segue senza fallo alcuno,
che la cortesia e la giustizia siano l'istessa; o almeno la cor-
tesia è molto più simile alla giustizia, che non è la liberali-
tà . Ma cerchiamo se ci fosse ancora altra somiglianza fra
la cortesia e la giustizia. Non avete voi letto che la giu-
stizia riguarda il bene altrui più, che 11 suo proprio?
TASSONE.SI certo, perciocché ella fa quelle cose, le quali
sono utili al Principe ed alla Repubblica, laonde quantun-
que sia tutta la virtù, pare che in questo sia diversa dalla
•virtù particolare, che l'una è a sé stessa, l'altra per al-
trui giovamento, sicché può dirsi convenevolmente che la
giustizia sia bene degli altri.
Forestiero. Ma non vi pare che la cortesia sia bene
altrui piuttosto, che del suo possessore ?
Tassone. SI veramente, perciocché il cortese ha risguar-
do ;;ncora al bene d'altrui.
Forestiero. Or se la giustizia é perfetta virtù,perch'è
l'uso della perfetta, la qual colui che la possiede, non adopra
solamente per suo comodo , ma per bene universale , per
questa ragione ancora è virtù perfetta la cortesia , e con-
siste principalmente nell' uso verso gli altri: lin qui dun-
que niuna divci'sità par che sia fra la giustizia e la corte-
O DELLA CORTESIA 4^
sia , anzi mostra che Tuna e T altra , sia i' istessa nel sog-
getto ; e se v' è alcuna diversità , è nella ragione, o nel mo-
do, col quale si debbono adoperare; perciocché la giusti-
zia è usata dal giusto in quella guisa, che comandano le
nostre leggi, ma la cortesia è latta dal cortese , come l'i-
cercano l'usanza , e la creanza delle Corti.
Gap. P. M. In questa maniera ancora da me , clie non
sono dottor di leggi, la giustizia legittima dalla cortesia
facilmente potrebbe esser conosciuta ; perchè l'ima mi
s'appresenta con sembiante tutto grave, severo ed orrido,
e l'altra con allegro, e ridente, e pieno di piacevolezza.
Forestiero. Ma perchè abbiam conchiuso che la corte-
sia è non una sola , ma tutta la virtù di Corte , e nella Cor-
te albergano i Principi, come i cortigiani, diremo che sia
Tirtù degli uni solamente , o pur degli uni e degli altri?
Tassone . Degli uni e degli altri.
Forestiero. Se virtìi di Principe è la giustizia, e virtii
di Principe è similmente la cortesia, in questo ancora sono
conformi; e volentieri dimanderei al Signore Abate, qual
delle due meritasse d'esser all'altra preferita: ma la cor-
tesia noi consente, la quale benché prenda molte volte
l'eguale fi'a gli eguali, nondimeno il prende sempre dapol-
chè agli altri l'ha conceduto: e cede volentieri alla giusti-
zia il luogo , non dirò superiore, ma il primo: e se la re-
verenda autorità delle sacre leggi non mi spaventasse, di-
rei che la cortesia fosse più illustre e più riguardevole,
che la giustizia; e cosi l'assomiglierei al Sole, come l'al-
tra ad Espero, ed a Lucifero fu rassomigliata , seguendo
in ciò quel nostro maraviglioso poeta, il qual disse:
Al suo partir parli dal mondo Amore ,
E cortesia , e '/ Sol cadde dal Cielo ;
quasi , che l'oscurar del Sole non fosse altro, che il partir
della cortesia; ma s'abbiam ritrovato, o Monsignore, che
la giustizia universale sia l'istesso in suggetto, die la cor-
tesia , dobbiamo ancora investigare, se la giustizia partico-
lare sia una parte della cortesia.
Beltramo. Dobbiamo
Forestiero. Or come vi piacerà di partir la giustìzia?
Beltramo. Suole esser divisa nelle nostre scuole in quel-
4è IL BELTRAMO
la, die distribuisce i premi, e nell'altra, la quale corregge
i torti e i difetti particolari ; e questa in due specie ancora
si divide, perciocché la prima d'intorno a' commerci vo-
lontarj,e la seconda intorno a quelli, che non sono cosi
fatti.
Forestiero . Ma vi piacerebbe eh' in ciascuna di queste
specie si trovasse ancora la cortesia ?
Beltramo. Mi piacerebbe soprammodo.
Forestiero. Nel compartimento de' premi, che fece
Enea, non vi paiono giustamente dispensati quelli, che ri-
cevono Furialo e Dioi-e nel giuoco del corso?
Beltramo. Paionmi.
Forestiero. Ma cortesemente son dati gli altri a Salio
ed a jNiso, ai quali la fortuna era stata contraria, come ap-
pare in que' versi :
Tuin pater jEneas , vestra , ìnquit , mimerà \'obis
Certa nianent ,pneri^et palmain ino\>et ordine nemo:
Me liceat caswii miserari insontis amici ,
Sicfatus, tergimi Getuli immane leonis
Dat Salio
E parimente fu cortesia più che giustizia, quella ch'egli
mostrò ad Aceste, dove si dice:
.... Sed laetus amplexus Accstem,
Muneribus cumulat magni s , ac talia fatar .
Beltramo. Parimente a mio parei-e.
Forestiero. l\Ia nella giustizia correttiva quelle medesi-
me azioni, che i giudici fanno giustamente secondo le leggi,
possono farle cortesemente colle maniere apprese nelle
Corti, dove sogliono usare assai sj^esso?
l')F,r,TRAMO. Possono, laonde per l' un rispetto looliia-
meroi legittime , per 1' altro cortesi , però s' alcuna volta o
Principe o Cavaliere illustre, o alcun uomo famoso per elo-
quenza, o per dottrina sarà dinanzi a'discreti giudici, nin-
na sorte d onore per cortesia gli dee esser negata .
^ Forestiero . Ma che diremo noi, Monsignor Beltramo ,
in quell'altra maniera di commercj ? vorremo credere che
mancasse cortesia in que'genei-osi corsari, che si tennero
Lene avventurosi potendo adorar .Scij)ione AflVicano, o in
Ghino di Tacco, il qual così agevolmente guarì il ricco
O DELLA CORTESIA 4?
Abat(^ (lt;I male dello stomaco , e rncrilò per opera sua
d'esser poi rlcevjito nella grazia di S. Cliiesa. e divenir
Friere dello spedale? o pur in Anna appresso Virgilio, la
quale;
Sola viri molles aditiis, ci tempora norat?
o pure in Calcato Re dell'Isole lontane?
Tassone . Egli fra Lancillottosuo amico, e Ginevra po-
se maggior concordia di quella ^ che ponesse mai alcun
giudice fra' litiganti , e con maggior cortesia e' fu miglior
mezzo da ridurla ad egualità; ma lio prevenuto l'Abate col
mio parlare, temendo ch'egli volesse darei a divedere che
in questa maniera di contratti la cortesia fosse piuttosto
una specie d'ingiustizia , il che senza hiasimo de'Cavalieri
antichi , e moderni difficilmente par che si possa dimo-
strare: pur io stimo che molto meglio l'amore, che la
morte, agguagli tutte le disuciguaglianze ; ne so bene s'e-
gli usi le proporzioni geometriclie, o l'arituieticlie piutto-
sto; ma qualunque siano le sue misure, o le sue dismisu-
re , desidero che mi si conceda potersi , non sol cortese-
mente, ma giustamente servire un amico.
Beltramo. Voi parlate forse di quella giustizia, che
s'usa" innanzi al tribunale amoroso con quella
Dura iegge d' y^nior, cìw ìnnicìi ohliciua y
Servar conviensi , che per tutto aggiunge
Di cielo in tcrra^ universale antiqua.
ISIa io non vi ho studiato giavnmai , e^ne sono de' meno in-
tendenti; ma inn inzi a quelli, ne' quali è castigato l'adul-
tero, assai ingiusta suol parere questa cortesia.
Forestiero. jNè questa ardisco di negare che sia cor-
tesia , poiché placcai signor Conte: né s'ella è cortesia ,
stimo che possa in modo alcuno chiamarsi ingiustizia, ma
forse alcuna segreta operazione, alcun sottile avvedimento
può simigliar cortesia fra' giovani Cavalieri in una Corte
piacevole, che nella più grave e più severa non sarà tale
stimata fra'più i(!aturi,e'l ragionamento dei Conte Gui-
do da Monforte col buon Ile Carlo ce 'l manifesta chiara-
liiente: però nelle Corti perfettissime, comecché non si ne-
ghi a gentil Cavaliero l'esser mezzano fra l'amico e la
donna amata , '^arà a miglior fìae-, ed a più iaudevole, che
Dialoghi T IH. 4
5Ó IL BELTRAMO
di furtivo abbracciamento, e d'adulterio , a fin dico dì
raatriraonio, o di quella modesta conversazione, die nelle
nubilissime Corti non suol esser negata , per la quale mol-
te volte gli animi valorosi si congiungono in una onorata
amicìzia .
A queste parole il Conte pareva acquetarsi , quando
sopraggiunsero i fratelli con altri Gentiluomini , e i servi-
tori portando l'acque alle mani posero tìne alle nostre qui-
stioni .
ALLA SERENISSLMA
GRANDUCHESSA DI TOSCANA
r osti' a Altezza ì- stata dalla providenza d'Iddio collo-
cata in una Casa, la quale è albergo della Religione e
della Pace. Pcrciocchì- le varie e lunghe sedizioni., dalle
quali fu la Repubblica Fiorentina perturbata , con la pos-
sanza e con V autorità di questi Eccellentissimi Principi
sono estinte ed acquetate; e quando non erano ancora in
tutto sopite, non solamente si rinnovarono con la morte di
Lorenzo de' Medici , ma si stesero per tutte le provincie
vicine , di maniera che il fine della sua vita fu principio
della guerra , e della servitù d' Italia . Sono stati poi
gli altri , i quali, governando la Toscana con V arti me-
desime, e con la medesima prudenza, hanno stabilita la
quiete della Città , e la riputazione , e la grandezza del
Principato, ed a' nostri tempi l' ultimo Cosmo fu onora-
to del titolo di Serenissimo Gran Duca , e Francesco suo
figliuolo in questo e negli Stati e nel valore del padre è
succeduto. j4l quale essendo V. A. congiunta in matri-
monio, oltre le virtù, cheseco ha portate , v' ha ritrova-
ta particolarmente o accresciuta quella, che suol favori-
re gli studj delle belle lettere e delle Scienze amiche del-
l'ozio e della tranquillità. Laonde a ninno più che a Lei
ho giudicato convenirsi qiicato mio Dialogo , in cui della
Pace si ragiona , E quantunque egli sia picciolo molto , i
piccioli doni non furono dal Gran Cosmo , e dal Gran
Lorenzo rifiutati . Ma se V. A. avrà ri sguardo alle cose
in lui contenute , le parranno di sorte, che stimerà con-
venevole ardire quel , eh' io mostro nel mandargliele, e
nel pregarla che si degni di raccorlo sotto la sua prote-
zione: e le bacio umilissimamente le mani. Dalle mie
stanze in S. Anna li i3 di Luglio i584-
Di V. Altezza Serenits.
Umilissimo Servo
Il T-jsso .
IL
R A N G O N E
OVVERO
DELLA PACE
DIALOGO
ARGOMENTO
JL n titola V autor nostro il presente dialogo dal suo amicissimo Tor-
€jiiato Rangonn , da quello stesso Rangone , ad istanza del quale
compose il libro del Segretario, ed a cui indirizzò un Discorso so-
pra due quistioni amorose , che leggesi fra le sue prose : e lo vi in-
troduce a ragionare in questo modo . Fingo d' incontrarsi esso me-
desimo in lui mentre tornai>a di luogo, ove da due geniiliiomiiii
si era trattato di metter concordia fra due altri , e fa di' ei dica che
sebbene non ne sian eglino venuti a capo, nientedimeno , quanto a
lui, credeva di non essere stato indarno ad ascoltarli, perciocché
n avea riportato la scienza della pace . Finge appresso dì ei narri,
da lui richiestone , come que' due ragionatori erano bensì concordi
tanto nel definire essa pace , assegnandole per genere l'unione,
quanto nella divisione che ne facevano in naturale , interna , pri-
vata, civile ed universale; ma discordi poi al Culto nel modo di
conchiuderla . Dato così principio al colloquio , entra il Tasso ( na-
scosto qui pure, come in altri suoi dialoghi, sotto il nome di Fore-
stiero Napoletano) a Jar conoscere primamente in che consista la
vera scienza, e come quella della pace non sia tale. Toglie poscia
ad esaminare la divisione sopraccennata , e mostra ali amico suo,
che non è convenevolmente Jatta , o che almeno non abbraccia tal'
te le specie della pace , Di qui passando alla definizione , prova
dì essa è erronea , x,^ perchè vie n posto nel genere ciò che pcrteri-
pa del suo contrario : 2.° perchè in luogo di esser data per le cose
che sono prima , viene data per quelle che sono dopo : 3." final-
mente perchè non posa sopra termine stabile e certo, come richiede
la sua natura . Volgesi quindi a cercar egli stesso la vera definizio-
ne della pace: lo che fa prendendo a risguardare neli esempio di
tutte le cose , cioè in Dio : dove trovando che la pace procede dalla
giustizia , conchiude dì essa è qucll' alto , quel profondo , quel dol-
ce , quel divino silenzio che nasce dalla conservazione di ciò che è
proprio di ciascuno, e che dagli altri il fa differente; e termina dicen-
do che conosciuta ìu tal guisa cosa ella (fa, non posso/io mancar mai
54 IL R ANCONE
parole air eloquente per placare gli sdegni e tutte le passioni dei
cuori superbi .
Ju scritto dal Tasso questo dialogo nel 1 584 per confutare, seconda
che a uni sembra, ciò che intorno alla stessa materia ai-eu detto
Fabio Albergali, gentiluomo Bolognese, nel suo Trattato del modo
di ridurre a pace le iniinici/.ie private, impresso in Roma neW an-
no innanzi , che mandò alla Gran Duchessa di Toscana con
lettera, nella quale, dopo aver o'iebratn la casa de' Medici come
albergo della pietà e della pace, adduce le ragioni che lo muoveva-
no ad invinrgliclo . Non venne però in luce se non che nel iSSf) per
opera del librajo Giulio Vasnlini , che lo inserì nella quarta par.
te , da lui stampata in reneziu , delle Rime e Prose del medesimo
Tasso .
INTERLOCUTORI
TORQUATO RANGONE, FORESTIERO NAPOLETANO.
Rangone. (..iosi facendo ritorno da quella parte, nella
quale si trattava la pace; quantunque non sia concliiusa,
non mi pare di esserci stato indarno, perchè ne ho ripor-
tata la scienza, e la cognizione.
Forestiero. E quale è questa scienza, o questa cogni-
zione, signor Torquato? Sono io degno d'impararla?
Rangone. D'insegnare piuttosto sete meritevole, che
d'imparare; ma volentieri vi dirò quel che io ne ho ap-
preso, e più volentieri udirò la vostra opinione in quel
particolare nel quale d^d gentiluomo Bolognese pareva di-
scorde il signor Cavalier Gualengo; perciocché nell'altra
s'accordavano facilmente .
FoKESTiEno. Distinguete qual fosse la concordia, e
quale la discordia.
Rangone. Nella definizione, e nella divisione della pa-
ce erano concordi, ma discordi nella maniera di farla tra
que'due gentiluomini, che sono venuli incontcsa; perchè
diceva il Bolognese, che la pace era o naturale, o interna,
o privata, o civile, o universale; e naturale egli chiamava
quella degli elementi, i quali si congiungono insieme per
generare o pietra, o alhero, o animale, o altro corpo mi-
sto sotto la signoria d'alcnno, dal quale il movimento sia
determinato; intorna diceva quella, eh' è fra gli umori nel
O DELLA PACE 55
corpo dell' uomo; privata quella eli' è fuor di lui , Tra lui , o
altra privata persona; civile quella, eh' è fra tulli i citta-
dini, i quali vivono in una cittadinanza; univei'sale ultiina-
raente dimandava quella, ch'è fra l'una , e l' altra città , e
l'uno, e l'altro regno , e l'una, e l'altra nazione ; come
leggiamo che fu in quel tempo, che Ottaviano Augusto
già monarca del mondo fece descriver le genti sottoposte al
suo imperio; e per genere a tutte queste paci egli assegna-
va l'unione, e quella particolarmente, la qual è fra priva-
to , e privato, diccA'a esser unione. Ma tutte queste cose
ed altre si leggono , come egli disse, in un libro della pace
di nuovo stampato; le quali dal Gualengo, ch'è modestis-
simo Cavaliero , fui-ono volentieri laudate.
Forestiero. Sin' ora avete narrata la concordia delle
opinioni; or se vi pare raccontateci la discordia.
PiANGONE. La discordia fu nel modo del far la pace tra
due gentiluomini, perchè essendo stato offeso ingiusta-
mente l'uno, il quale è molto superiore di grado , dall' al-
tro , che gli era inferiore, pareva che dalla parte dell'offe-
so alcuno ricercasse che l'offenditore si rimettesse; e di-
ceva il Bolognese che il rimettersi conforme al t;iusto non
è cosa servile; anzi è onorata, perciocché è giusta: a que-
sto rispondeva il Gualengo che '1 rimettersi , se pur' è co-
sa onorata, non merita quell'onore , che si conviene ad
uomo libero, ma piuttosto quello , che si debbe al ser^'o ,
il quale tanto partecipa dell' onore, quanto è pKrtecipe
della virtù ; e perchè egli non è privo affatto di virtù, non
è convenevole , che gli sia negato ogni premi i d'onore , o
pur quello, che si fa agli altri , i quali son legittimamente
sottoposti all'altrui podestà , com'è il figliuolo , che ronde
ubbidenza al padre, e'I soggetto, che la presta al Princi-
pe : a questi dunque il rimettersi è conveniente , ed a cia-
scun'altra sorte di persone è disdicevole molto. Soggiun-
geva ancora che non tutto ciò, ch'è giusto, è onoralo,
perciocché è giusto che il reo sia punito , pur non riceve
onore colla pena , che gli è data , ma vergogna j>iuttosto ,
la quale è una specie di pena imposta dalle severe leggi, e
comunemente suol esser dimandata nota d' infamia ; laonde
conchiudeva ch'essendo giusta la remissione , non è giù-
56 IL UAXGONE
sto, die sia fatta dall'uno neiraìtro privato, ma dal priva-
to nel Principe. N«l Principe dunque doveva farsi libera-
mente, e s'offeriva ancora di trattar questo accordo con
sua Altezza in modo che que'due i;etiLiluoiuini dovessero
rimanerne soddisfatti: la qual soddisfazione, pareva che
l'offeso non ricevesse volentieri, come colui, che troppo
di potenza, e d'autorità è superiore, laonde veduto ch'al-
tro non si conchiudeva, mi son partito senza quella con-
tentezza, la quale avrei, se questi due gentiluomini si fos-
sero insieme paciticati: ma non senza ogni utilità, perchè
molte cose mi pare d'avei'e imparate, e particolarmente la
definizione, e la division della pace, della quale non è più
nobile alcun'altra scienza.
FoiiESTiERO. Ma se questa è scienza, dee esser nel va-
lore simile all'altre , o pur dissimile?
Rangone. Simile, a inio parere.
Forestiero. Ma chi è simile nel valore, non è pari-
mente simile nella possanza, perciocché il valoi'e, e'I po-
tere è quasi il medesimo?
. PiAKGONE . Così è sempre.
Forestiero. Ma la medicina non è ella possente di ri-
sanar gii infermi ?
RA\gone. e molte volte.
Forestiero. E l'arte del navigai'e è possente di ridur
le navi in porto, e quella del carrettiere di guidare i carri
e le carrette colle persone salve all'albergo desiderato? e
la scienza dell'oratore può volgere, e rivolgere gli animi
in quella ])arte dove più gli piace?
Rangone. Così avviene spesse volte.
Forestiero. E quella del capitano può espugnar le
città, e vincer gli eserciti?
Rangone. Questa io stimo che sia più di tutte l' altre
possente, perciocché laddove ella pare sconvenevole che
vinca alcuna altra cosa , nondimeno ii\olte fiate non è in
poter del capitano il riportar la vittoria , ma della for-
tuna.
Forestiero. Ma il geometra può sempre descrivere il
circolo, o immaginarlo, il centro del quale sia egiialmen-
o nrxLA PACE 57
te lontano flalla circonferenza, o il triangolo tla tre lineo
rette esser contenuto?
Rangoine. Sempre.
Forestiero . La geometria dunque avrà maggior pos-
sanza.
R ANCONE . Avrà .
Forestiero. E l'aritmetico in ogni tempo agevolmen-
te può sottrarre , e moltiplicare.
RANGONE. Assai facihnente.
Forestiero. Dunque molto più dell' altre possenti so-
no queste scienze, perchè possono sempre quel, che l'altre
possono alcuna volta, e però sono vere scienze, e la scien-
za della pace è vera scienza, può acquetare, e pacificar
gli animi.
Rangone . Così è ragionevole.
Forestiero . E se questa non è stata possente di placar
l' ire, e gli sdegni di que'duo Cavalieri , non è vera scien-
za : perchè la vera scienza none vinta dalla passione, né
tirata da lei a guisa di schiavo, anzi di lei ninna cosa è
più forte, o più valorosa .
Rangone. Così mi pare che seguiti dalle cose dette.
Forestiero. Ma veggiamo, se la falsità, e l'errore sia
nella divisione, o nella definizione, o pur nell'una e nel-
l'altra : e se fosse in ambedue, ninna maraviglia sarebbe
che questa falsa scienza mostrasse tanta debolezza ; e se vi
piace, cominciamo dalla divisione: e ditemi, avete mai
veduto alcuno infermo temperante?
Rangone. Io ne ho veduti alcuni, e di molti ho udito
ragionare, ma di ninno con lode maggiore, che della Du-
chessa Barbara di gloriosa memoria , della cui reale tem-
peranza il Signor Alessandro Pocaterra suo fedele, e gra-
to servitore, suol raccontar le maraviglie.
Forestiero. Mentre ella era inferma, ed insieme tem-
perante, era pace, o guerra nel suo nobilissimo corpo?
Rangone . Guerra , perciocché guerra è la mala tem-
peranza dpgli umori.
Forestiero. Guerra dunque era nel corpo, e pace nel-
l'animo, se nell'animo I' appetito obbediva alla ragione .
Rangone. Sì veramente .
53 IL RANGONE
Forestiero. Ma nel sano iti temperante par clie av-
venga il contrario, se pur v'è alcuno intemperante, che
sia ben sano, perchè gU umori sono con buona armonia
mescolati nel corpo, ma neli' animo nondimeno lu cupidi-
gia fa resistenza alla ragione; e molte volte prendendo il
freno co' denti, in quella guisa , che sogliono i cavalli fu-
riosi , la trasporta fuor del cammino diritto. Nel sano in-
temperante dunque la pace è nel corpo, e la guerra nel-
l'animo.
R ANCONE. Senza dubbio.
Forestiero. La pace interna dunque non è sola , per-
chè divei-sa è quella, la quale è negli Uinori del corpo, da
quella , che tra loro fanno le potenze irragionevoli dell'a-
nimo , o pur da quella, che suol esser tra le dette virtù, o
la ragione. Oltrediciò, udisti raccontare da alcuno giam-
mai, nel quale l'ira e la cupidità ubbidissero alla ragione
umana, e la ragione umana ricusasse di sottoporsi a quel-
la divina legge , che fu mandata in terra miracolosamente?
Rangqne . Pcravvcntura son cosi fatti molti Cavalieri,
i quali par che abbiano questa opinione, clie ninna poten-
za inferiore suol ripugnare alla superiore , nondiineno la
superiore, cioè il nostro intelletto, nega l'ubbidienza ai
divini comandamenti.
Forestiero. Fd allora, benché paia che l'anima abbia
pace in se medesima , nondimeno è ribella di Dio ottimo
e grandissimo, e combatte contra le sue giustissime e
santissime leggi; laonde questi ancora sono diversi stati
dell'anima in se stessa da quella, eh' è fra l'anima e il
creatore: tuttavolta l'una senza l' altra non è vera pace.
Ma da queste paci interne non ha egli fatto passaggio alla
pace privata, la quale è fra' cittadini?
R.ANG0NE. Ila fatto senza dubbio.
Forestiero. E dove ha lasciata la pace domestica ^
quella dico, la quale il padre ha co' figliuoli , e il marito
colla moglie, e i fratelli e i cugini fra loro, i quali alcuna
volta sotto il medosimo Iclio sogliono albergare? né già
questa doveva rimanere .iddietro, perchè invano nelle
piazze, e nelle pubbliche strade sarebbe concordia fra i
venditori e i compratori , e ne' luoghi assegnati fra le guar-
0 DELLA PACE 5g
ttie a' soldati, e nelle sale , e nelle camere de' Principi fra
Gcntilaomiui e Cavalieri , se dentro le mura privale allog-
giasse l'odio e la nemicizia : anzi dove non è la pace lami-
gliare,non credo che in alcun modo possa ritrovarsi la
civile. Oltrediciò la pace, nella quale vivono le città, e i
popoli co' popoli, gl'Imperj con gì' Iraperj, quantunque ci
fosse la tranquillità degli ordini dell'universo, non sareb-
be la vera e perfettissima pace. Dunque non ben divise
la pace colui , che in tal maniera la divise, o almeno non
annoverò tutte le sue specie, e delle nobilissime e perfet-
tissime pare che si dimenticasse, forse perchè non volle
ragionare così altamente, come avrebbe saputo: ma fu,
contento di starsene fra quei termini, che dalla Filosofia
morale pare che siano prescritti ; tra' quali restandosi , do-
veva nondimeno di alcuna delle già dette specie far men-
zione. Ma passiamo alla definizione ; e ditemi prima, non
vi par egli ragionevole che; quantunque io sin'ora non
abbia parlato colla dottrina de' Peripatetici , se voglio
impugnare questa definizione, che pare uscita dalle scuo-
le Peripatetiche , non solo della Platonica mi sia lecito di
servirmi ma dell' Aristotelica, in quelle cose massimamen-
te nelle quali non e' è discordia ?
RA.NGONE. E.agionevohnente .
Forestiero. Dirò dunque che non è conveniente che
si ponga nel genere quello, che partecipa del contrario:
ma la pace, che si pone nell' unione, come sua specie
partecipa della moltitudine, e ciò andremo partitamente
considerando, e prima negli clementi, la pace de'quali
consiste nella moltitudine delle qualità, che insieme si
accompagnano, e poi ne' misti perfetti ed imperfetti,©
negli animali, la concordia de' quali è riposta nella mol-
titudine degli umori ben temperati; laonde possiamo dire
che queste cose siano, e non siano; perciocché quanto par-
ticipano dell'unione, parlicipano dell'essere, e quanto
caggiono dall' uno, caggiono dall'essere parimente, e se
l'unione non è opposta alla moltitudine, ma piuttosto la
divisione in molte parti, la quale potremo dimandare
con proprio nome discordia , in tutti i composti vedremo
riti'ovarsi la discordia coli' unione; e purlicipare l'una
fio IL R ANCONE
dell' allra: ne solo ne' composti, hìa in quelli ancora, che
san detti corpi semplici, né sono però affatto puri , e se-
parati da ogni discordia ; laonde ragionevolmente fu det-
to che rauiicizia e la lite, son principi delle cose.
Rangoxe. Così stimo, e sempre molto mi piace di co-
noscer la convenienza , la quale è fra le ragioni degli anti-
cIjì filosofi , e de' Platonici , e de' Peripatetici.
FoRESTlEJlO. Questa unione, e questa discordia pari-
mente troverete nel corpo dall'uomo, e nella casa , e nella
città , perciocché se non vi fosse discordia , non vi sarebbe
alcuna diversità, o alcuna distinzione; ma tutte le cose sa-
rebbono confuse, o piuttosto nna sola ; ma la discordia
d'una le fa molte, e le distingue, e le divide, e dà loro
quella forma , che veggiamo: e quasi con funi, o con fib-
bie in tutte si congiunge coli' unione, in modo che la con-
cordia è discorde , e la discordia concorde,- all' uno multi-
plicato è la moltitudine unita: dunque se la concordia, o
l'unione in tutte queste paci è partecipe del contrario, non
istimo che sia convenevolmente assegnata per genere deU
la definizione. I\Ja vogliam ciò piìi minutamente conside-
rare nella pace , clie si fa tra gli uomini ?
Rangone. Consideriamolo.
Forestiero . Or ditemi, volete ch'ella sia giusta, o
ingiusta ?
Rangone. Giusta.
Forestiero. Ma la giustizia non divide ella fi-a molti
quel eh' è conveniente ?
Rangone . Divide .
Forestiero. E di questa divisione partecipa ciascuna
pace, perciocché senza lei si viverebbe in discordia nelle
città .
Rangone . Cosi stimo ; tultavolta la pace non pare che
tanto s'appartenga a questa specie di giustizia, la quale è
chiamata distributiva, e consiste nella divisione de' beni, e
degli onori della città , quanto nell' altra , eh' è detta cor-
rettiva , la quale non so che participi d'alcuna divisione.
Forestiero. Ma qual' è l'uflizio, e l'operazione di
questa giustizia?
O DEIJ.A PACE 6l
RANGONE. Il torre quel, cli'è sovfMcliio all'iogiuriante ..
ed aggiungere quel, die manca all' in-iiiriato.
Forestiero. Dunque il torre, eh' è suo contrario, è
divisione ; or vedete , come in questa giustizia ancora
l'unione, e la divisione si ritrovino insieme.
Ra^GONE. Il veggio assai cliiaramente.
Forestiero. Or seguitiamo oltre in quella guisa, eli 'ab-
biamo cominciato; e ditemi non vi pare ancora conveniente
che la definizione sia data non per le cose, clie sono dapoi,
ma per quelle , che sono prima?
RangONE. Senza dubbio.
Forestiero. Ma se prima sarà la pace dell' unione, non
sarà buona la definizione .
EaNGONE. Non a mio giudi/lo.
Forestiero. Ma qual giudicate voi prima, l'unità, o
l'unione?
RangONE. L'unità ; e peravventura l'unione, come li-
nea da punto, deriva dall' unità .
Forestiero . Dunque se la pace è unità , non è ben ri-
posta nell'unione.
Eangone. Non è.
Forestiero. Ma s'ella sia unità , o non sia, cerchere-
mo appresso; or vorrei sapere se la definizione dee esser
data per le cose inferiori , o per le superiori .
Rangole . Per le superiori .
Forestiero. Dunque se l'unione è superiore alia pace,
ella sarà per questa ragione ben data ; ma s'ella e inferiore,
sarà mal data .
Rangone. Sì certo.
Forestiero. Or consideriamo, se l'unione sia inferiore
o superiore : e non abbiam già detto che 1' unione partici-
pa della discordia ?
RanGONE. Abbiamo.
Forestiero. Ma la discordia non è sempre, dovè mol-
titudine, come si vede discorrendo non solo per le ville , e
per le castella, e per le città, e per li regni, e per le nazio-
ni; ma per gli elementi ancora, e per li composti naturali?
Raxgone. Sempre veramente.
Forestiero. Dunque l'unione sarà seoipre colia molti-
62 IL TxANGOKE
tudine ; e dove non fosse alouoa (noltitudsne, niuna discor-
dia , e niuna contesa ritroveremo.
RangONE. Niuna, a mìo giudizio.
Forestiero. La moltitudine dunque è madre d'ogni
guerra, e d'ogni sedizione.
Rangone. Così giudico .
Forestiero. Ma la pace e senza la moltitudine, o sot-
to ? ed acciocché meglio intendiate, io vi chiedo, se la pace
ha vera essenza , o non T ha ?
RaingONE. L'ha , per mio giudizio .
Forestiero . Dunque ella è una ; perchè se fossero mol-
te non l'avrebbero.
R.ANGONE . Così stimo che si posoa conchiudere dalle
cose dette.
Forestiero. Ma quel cb'è uno è senza la moltitudine,
o sotto?
Rangone. Senza.
Forestiero . Dunque seuza la moltitudine è la pace , e
s' ella è senza la moltitudine, è senza 1' unione: non con-
venevolmente dunque per l'unione poteva esser definita.
RANGONE. Già assai mi pare vero quel, che sin' ora mi
pareva assai diflicile da provare.
Forestiero. Appresso non vi pare che il definire, e
il determinare siano una cosa medesima,© pur diverse?
Rangone . L' istessa .
Forestiero. Dunque definizione è il medesimo ch'il
termine .
Rangone . L' istesso .
Forestiero . Ma vedeste mai alcun termine , che fosse
instabile, ed incerto?
Rangone . Ninno.
Forestiero. Stabili dunque tutti, e certi; e però forse
delle pietre grandissime, o de' grandissimi tronchi d'alberi
sogliono farsi i termini; e quelli che appresso gli antichi
erano chiamati termini , giammai non erano mossi , se non
quando la pace per la discordia de' confini era violata.
Rangole. Così credo che avvenisse.
Forestiero. Se la definizione dunque e lcrmine,dee es-
sere stabile .
O DELLA TACE 63
Rangone. Dee.
FoRESTIEEO . Ma l'unione è sempre cosi fatta?
RA>GonE. Non pare: anzi l' unioni per la maggior parte
sono ii\sta1tili, e facilmente si fli<^solvono.
Forestiero. JSon dovca dunque la pace esser definita
per l' unione , ma per cosa , che fosse più stabile , e certa :
ultimamente ({uando una cosa medesima può definirsi e
al migliore, ed al peggiore , a quale dee piuttosto de-
finirsi?
RAjNGONE. Al miglior senza dubbio.
Forestiero . Ma il migliore sta egli sempre col suo
contrario in guerra , ed in contrasto ; o piuttosto sepa-
rato da ogni contesa , e lontano da ogni perturbazione?
RaivGOìSE. Lontano, a mio parere.
Forestiero. Dunque nondovea esser definita dall'unio-
ne, -^a quale è sempre colla discordia, mii da a'.cuna cosa
die sia remota, e seoura da tutte le noje, ch'ella suole ap-
portare. Dunque, siccome nelle ragunanze suol essere in-
trodotta alcuna legge , e se la nuova è migliore, toglie au-
torità all'antica, cosi l'una dee torla all'altra definizione .
RakgONE. Così par assai ragionevole.
Forestiero. E chi definisce dee risguardare nell'esem-
pio, che altri direbbe esemplare, nel quale ninna cosa
manchi , e niuna soverchi di quelle , che sono nel definito :
ma dove ricercheremo questo, o dove il ritroveremo, si-
gnor Torquato ?
RangONE. Ne' libri forse di coloro, 1 quali pur dianzi
nominaste.
Forestiero. Ma alcuni vogliono che nella mente divi-
na, o pure intorno al P\.e dell'universo sia l'esempio di
tutte le cose: perciocché dovendo egli esser perfetto, nes-
sun perfetto esempio quaggiù si ritrova, e quelli , che ci
paiono esempi , sono piuttosto copie, e ritratti; laonde
ascoltando quello, che voi diceste della pace, e della defi-
nizione , immagmai che Michelangelo, o qualche altro ec-
cellente imitatore il quale volendo altrui dimostrare l'uo-
mo, o il ciivallo , gliele iiioslrasse scolpito in marmi , e di-
pinto nelle tele, o nelle carte in varie forme grandi , e
piccole, e credendosi di aver dimosliato l'uomo, non
64 IL RANGONE
l'uomo ma l'inimagine avesse diinostrato; perchè non
defiiil la pace, ina ii^urò l'iiniuiigiiii della pace , impres-
se in varj sogyeUi , e con diversi modi, siccouie al divino
artefice è piaciuto, il quale prima ne formò l'esempio, die
può dimandarsi propriamente essa pace, io dico l'idea del-
la pace, e della concordia, senza la quale ancora è la divi-
na unità, e la divina pace, die supera ogni essenza, ed
avanza ogni intelletto , e questa è custode della proprietà
di ciascuna cosa. E percliè alla giustizia s'apparlicne di
conservare quel die è proprio di ciascuno, ed ella misura
ogni egualità, e definisce ogni inegualità , per la quale
tutte le cose sono diflerentl tra loro , ne viene che la pace ,
e la giustizia divina siano l'istessa. Or vi pare, signor Tor-
quato , che a questo modo ancorasi debha congiungere nel
mondo la pace, e la giustizia?
Rangone. Sì veramente.
Forestiero. Ma se la divina giustizia è salute di tutti ,
di tutti è salute la pace.
Rakgoke. a questa somiglianza, ancora quaggiù la giu-
stizia, e la pace dovrehbono conservarsi .
Forestiero. Ma dalla conservazione di (|ud che e pro-
prio di ciascuno, e di (juel che dagli altri il fa diiferente ,
nascn di' ella sia principale nel ])lacaro gli animi, e nel
farli benevoli ,• di maniera, che non è vera benevolenza, o
vero amore, o vera amicizia, dov'ella non si ritrovi ; que-
sta è da tutti desiderala, e riduce la moltitudine di tutte
le cose ad una perfetta congiunzione: questa passa per tut-
to, e per tutto penetra ; per questo le cose ancora , le qua-
li si muovono naturalmente, e si rallegrano della divisione,
e della congiurizioiie, sono ])artccipi della pace , e nel moto
istesso ritrovano la propria quiete; per (juesto la discordia
medesima diviene amichevole, e l'unione si congiunse col-
la divisione; ma questa è senza l'unione, e senza l'idea; e
perchè di lei non si può ragionare convenevolinente, si
chiama convenevolmente silenzio. Questo è quell'alto,
quel profondo , quel dolce, quel divino silenzio nel quale
tutte le ingiurie sono taciute , e tutte dimenticate; questo
è quel mirabile silenzio tanto superiore ad ogni armonia, e
ad ogni concerto; clic facciano gli Angioli lodando il Crea-
O DEfXA PACK 65
toro, ([(lauto liì divini) c;\lij;ine è piii In niinsa Jd Solo, e
(ielle stell(!, ed'oi^ni ;>!tni Juce, che sia m^l cielo. Onde a
paragone di c|uesl'j tu quasi oud)ra oscura (|ucllo, clie fu
deliberato dai comune consentimento dotali Ateniesi. Clii
dunque risguarda neirese(npio, che non è unione, ma uni-
tà senza ogni moltitudine, e senza ogni essenza , conoscerà
qual sia la vera pace,- e questa cognizione, o scienza s.irà
così possente, che non mancheranno parole allcloquente
da acquietare tutti gli sdegni, e tutte le passioni de' cuori
superbi, ma io, che balbo sono, come udite, potrei per
grazia d' Iddio scio^'licr questa lingua in così alta , e in cosi
canora voce, che tutta l'Italia mi udisse, e tutta se ne
maravigliasse ; crcdt;r(j nondimeno di ricever grazia, se po-
trò nell'oblivione di questo divino silenzio tullare la me-
moria di tutte l'olTese, conservando qutdia de beneHej ri-
cevuti.
Rangone. Di laudi veramente divine avete ornata que-
sta pace così prit\cipale nel placare gli animi, laonde più
ini saia grato il silenzio , che ne seguita ; e quantunque io
desiderassi di udire alcune cose appartenenti a cpiesta ma-
teria ; nondimeno sono così piccole in comparazione del-
i'udite, che mi gioverà il tacere =.
Dialoghi T III.
ALLA SERENISSIMA SIGNORA
E PADRONA MIA COLENDISSIMA
LA SIGNORA DUCHESSA
DI MANTOVA
\/uantimquc io cerchi con breve. Orazione rinnovar la
memoria di lungo tempo; nondimeno perche le verissime
lodi sogliono operare i grandissimi affetti nell'animo
de' lettori , stimo che a V. altezza Serenissima non
sarà discaro di leggerla , e di concedere all' autorità
della Serenissima Duchesa Barbara già morta molti
anni sono , quel che non hanno impetrato le preghie-
re, e V intercessioni de' vivi; e le bacio umilissimamente le
mani.
Di V. Altezza Sereriss.
Umilissimo Servo
lu Tasso.
IL
GHIRLINZONE
OVVERO
i; EPITAFFIO
DIALOG O
ARGOMENTO
-f ertalo avnnilo un giorno il Tas<:o alla non meno hella che valo''
rosa larquiiiia Moiza uri ora zione funebre, clte aveva scrina in lo-
dò (Iella Duchessa Barbara, moglie eli yJlfonso 11. ci' Este sno Si-
gnor.-, e figliuola cleir linperator Ferdinando I. , moria poco in-
nanzi, non sì tosto cominciò essa a leggerla che si accorse eh' era
senza proemio . J, a qual mancanza non pur da lei, che da altri
dotti nomini, che secolci si trovavano , essendo slata, nonostante ciò
ch'egli ne disse in difesa, altamente riprovata , partito di là , ag-
giunse senza pili alla sua orazione il proemio ; e recatosi quindi di
nuovo a quella Signora, che trovò di nuovo colla medesima compa-
gnia, le fece alfine di detta orazione lettura . Onai/lo alle cose ella
non dispiacque : ma essendosi per alcuno degli ascoltatori giiulicaio
poco dicevole alt altezza della materia eli ei l'avesse, anzi che in
latino , scritta in volgare, lingua non acconcia , diceva cjucgli , alia
trattazione di suggelli gravi e magnifici, comandò la Molza al
Tasso che pili davnnli non le comparisse , se non le portava quella
sua scrittura tradotta in Latino . Desideroso perciò egli di ubbidir-
la , da lei nuovamente si dipartì, e già era presw all' abitazione
sua , quando s incontrò nel suo amico Orazio Ghirlinzone che lo
riiJiiese d'onde venisse . Gli rispose Torquato che tornava dalla
casa della Molza : del che quegli maravigliandosi , poiché era
piuttosto r ora di andarvi che divenirne, gli domandò quale ne
fosse la cagione. E' gli narrò allora distesamente lutto l' accaduto ,
ed in fine , pregatone , l' orazion sua gli recitò.
Tale è il sunto di questo dialogo . Neil' orazione, che vi si legge,
rolla più magnifica eloquenza viene il Tasso esaltando i pregi e le
virili (Iella prefata Principessa, che fu veramente non meno perle
doti del corpi), che per quelle de If animo quanto alcun' altra mai
rnggiiardevole . E sì fatta scrittura fu da lui composta nello Spedale
di S. Anna in Ferrara ranno i585, e dedicata poscia alla Duchi s-
so di Maniovn Eleonora d' ylusiria , sorella della defunta, ivi loda-
tii. Esui vide fiiiulinente la luce neli autio dopo colla quarta Parte
delle Rime e Prosa di lui , stampata in Venezia dal Vasalini .
7© IL GHIKLINZO^E
INTERLOCUTORI
ORAZIO GHIRLINZONE, FORESTIERO NAPOLETANO.
GhirlinZONE. JL/al Castello venite, o di qual altra
parte ?
Forestiero. Dalla casa della Signora Tarquinia Molza.
Ghirliiszoxe. Questa sarebbe piuttosto l'ora d'andar-
vi, che di ritornare. E sì per tempo vi sete andato , o per
tempo vi siete partito? e di ciò prendo gran maraviglia ,
perciocché a niuno, il quale metta il piede in quelle stan-
ze, par che sia in sua lilìertà di fare altro viaggio, cosi
piacevoli sono i sembianti di quella valorosa Signora, cosi
dolci le parole, cobi care l'accoglienze.
Forestiero. Non volontario, ma sforzato, e quasi cac-
ciato da' suoi comandamenti.
Ghirlinzoxe. Qual nuova cagione può esser, che voi
siate escluso, da chi suol raccoglier ogni altro vostro
pari?
Forestiero. Il suo gran sapere, e la mia ignoranza.
GmULlNZONE. Se ciò fosse vero, parrebbe cagione as-
sai conveniente; poi'chè due contiarj non possono insieme
accozzarsi .
Forestiero. Tutfavolta colui che gela, s' avvicina al
fuoco; e l'assetato s'appressa alle chiare fontane d'acqua
viva, ed arivi correnti: e lo stanco peregrino ricerca
l'ombra, e l'infermo il medico.
Ghiklin/one. Così avviene senza fallo.
Forestiero. Dunque par clie ricerchi il suo contrario,
o piuttosto il contrario di quella passione, o di quel male,
eh' in lui si ritrova .
GlilRLlN/,o>E. Senza dubbio.
i^'oRESTiERO. Io dunque, che brtitto sono e ignorante,
ragionevolmente debbo avvicinarmi a lei , eh' è sì bella , e
dotta: ed ella non dovrebbe cacciarmi ; pi^rciocchè ne dai
tepidi bagni si scacci<ìno gli assiderati; nèda'fiumi , e dai
fonti quelli, eh hanno patita soverchia sete : né dall'om-
0 l'epitafiio yt
bre gli affaticati: né da' medici sogliono gl'infermi esser
fuggiti.
Ghirlinzone . Qual dunque è stata la cagione , eli' ella
contra il suo costume, e senza ragione v'abbia data li-
cenza ?
Forestiero. Dii-ollavi. Io aveva una orazione funebre
in lode della Serenissima Ducbessa Barbara, figliuola di
Fernando Imperatore, e gliele aveva portata un giorno,
nel quale io la ritrovai a seder fra M. Francesco Patrizio ,
e M. Cammillo Coccapani , uomini riputati dottissimi nelle
belle lettere; ella prendendola in mano, subitocbè la co-
minciò a leggere, s'accorse cb'era senza proemio; ondo
si rivolse sorridendo a M. Cammillo, e dlssegli: die vi pare
di questa orazione ? Egli rispose : l' orazione senza princi-
pio, die principio si dice in nostra lingua quello, cbe i
Greci dicono TVfoiaicv, è simile agli uomini senza testa. E
COSI parve die desse la sentenza finale: né mi giovò il re-
plicare cbe il proemio non è fra quelle parti, cbe Aristo-
tele stima necessarie nell'orazione: e cbe nelle cose oneste
è lecito di usarlo , e di non usarlo : e cbe molti sono 1 tem-
pi, ne'quali si può lasciar sicuramente ; laonde essendo
questa onestissima, e illustrissima , e forse stancbi gli uo-
mini di avere ascoltate l'altre orazioni, convenevolmen-
te esser lasciato a dietro. Percb'ella volgendosi dall'allra
parte a M. Francesco Patiizio con un viso alquanto più
severo, gliene cbiese il suo parere; ed egli disse cb" i
proemj erano come quelle tirate, cbe sogliono far i so-
natori della cetera , o da istrumento, prima che couiin-
cino a soirare , i quali con grandissimo diletto dispongo-
no gli animi degli ascoltatori ad udire il canto. Al che
replicava pur' io cbe ciascuno è disposto, e apparec-
cbiato per udir le cose altissime, e nobilissime, come sono
le lodi di questa santissima Reina ; talcbè ninna ragione
necessaria par cbe ci astringa a farci il proemio: ed egli
concedendomi quel cb'io diceva , quantunque paresse far-
lo malvolentieri : e quasi costretto , soggiunse cbe 1' auto-
rità d' Aristotele non si dee in modo alcuno porre ali in-
contra a quella di Platone, il quale fu tanto amator dei
proemi, cbe volle che fosser fatti in tutte le sue leggi: e
T'-
IL GlIinUNZO^E
replicando io pure ch'Aristotele, e Marco Tuliio parlano
tkll' orazioni , e Platone delle leggi , eli' è diversa specie di
componimento; soggiunse la signora Tarquitia clte le io-
di di Barbara a tutte le donne illustri deb1v.no esser leggi
di modestia , di cortesia , di liberalità , di magnanimilà , di
clemenza, di castità, ed insomma leggi d'ogni virtù, e di
ogni reale ed eroica operazione; laonde io rimasi ijuasi
uiutolo a questa risposta , stimando che non fosse lecito,
né convenevole il recare alcuna ragione all'incontra. E
volgendo pur nell'animo la fatta orazione, mi partii, per
aver maggior comodità di pensarvi; ma cosi fisse nii ri;na-
iievano nella mente le parole della signora Tarquinia, che
rni pareva di aver maggior obbligo di quello, eh' hanno gli
altri oratori, i quali non lisguardano, se le cose dette , o
Fcritte da loro siano vere, <• l'albe; ma se elle siano grandi,
o piccole , ornate, o non ornate: ed io giudicava che da
me s'appettasse che non solamente le cose glandi si dices-
fero con ornamento, ma senza menzogna. ; perciocché le
leggi sono iiuitaziouc della vt rilà; ed in questa orazione a
me conveniva essere an/i legislatore, che no. Volendomi
dunque vestir di così degvia persona, e sostener così grave
peso, considerava minutainent(! le cose , ch'io prima ave-
va scritte frettolosamente, ma non ritrovando alcuna, che
vera non fosse, tutte le riput iva degne di esser lette: quan-
tunque tutte non fossero egualmente adornate; ])ercioechè
io lio ricercato piuttosto la bellezza, e la dignità, che la
vaghezza , e la leggiadria. Feci dunque il procii.io, e recai
di nuovo l'orazione alla signora Tarquinia ; e di nuovo la
. ritrovai con M. Frunccsco Patrizio , e con IM. Cammillo
Cocca pani, ma c'era ancora M. Lazzaro, i rpia li furono
ascoltatori dell'orazione, e alcuno di loro 1 avr(!bl»e pe-
ravventura lodata, s'io l'avessi scritta in lingua I.alina;
ina non commendavano tpicsla lingua , né gli pareva che
l'altezza di così no])il materia potesse eonven(!volmenle es-
ser trattata nella volgare , la quale gli pare acconcia sohi-
niente a scriver cose d'amore , e alcun'altre si fatte , nelle
quali non si ricerca tantornamento, o tanto splendore, o
tanta gravità, quanto nelle lodi di Bariìara è ricercato. Al
che io replicai molle cose in lode- di questa lingua, per le
0 r,' EPITAFFIO ^3
quali slirnavu convenevole disella potesse orn;ire i più
<ìeyni soggetti : ma partieolannente mi dolsi che si voles-
se negare alla lingua Italiana questo testimonio dell'amici-
zia , e del parentado, il quale è per cagione di Barbara
fra Principi Tedesclìi e gì" Itali, ini; fra'quali ella visse in
guisa, che niiin maggior diletto dimostrò, che di piacere a
colui , che r era stato eletto per suo marito; laonde ingra-
ta sarebbe veramente quella lingua , nella quale ella fi-
gliuola , e sorella , e nipote dell' Imperatore si degnò di (a-
vellare, se consentisse clic nelle lodi di Barbara alcun'al-
tra la superasse. x\. queste ]}arole la signora Tarquinia,
quasi commossa, mi tolse l'orazione di mano; e volendola
leggere, la vide cosi male scritta, come sogliono esser tut-
ti i miei coiriponiincnti ; laonde piena di sdegno me la ren^
de, e comandonimi ch'io non !e tornassi davanti, se non
le recava 1' orazione meglio ricopiata, e tradotta nella lin-
gua Romana : e per ubbidire mi sono partito, ed ora non so
dove io debba, né chi addiaiandare; perciocché quantun-
que sian molti , i quali dureranno volentieri questa fatica
di ricopiarla , pochi vorranno prender l'altra di farla La-
tina ,
Ghirlinzone. La signora Tarquinia la ricerca da voi
stesso, non da alcun altro, per aver occasione di legger le
vostre composizioni nell'una, come nell'altra favella.
Frattanto fate ch'io l'oda in questa, nella quale prima
l'avete scritta .
FoRESTlEPO. Come vi piace: ma dove volete cbe si
legga ? perchè qui il popolo vi concorrerebbe , coine «Ila
predica .
GhirT-INZONE . Entriamo in questa casa, eh' è vostra : e
sedete in questa sede, la quale è così alta , eh' Io sederò in
questa più bassa, come conviene agli ascoltatori.
„ Coloro, i quali sogliono i vivi celebrare, sono, s'io
non m'inganno, siinili a quelli, che lodano gl'istrioni,
mentre ancora nella scena luminosa , dipinta di molti co1(k
ri si rappresentano 1' azioni fivolose; perciocché la vita no-
stra è somigliante alla comniedia, o pur alla tragedia, pie-
na di varj casi, e di varie mutazioni della fortuna, la quale
ora ci solleva di miseria in felicità, ora ci deprime con aio^
74 IT. GIfIRI-TNZONE
vimento contrariu: e mentre lutti gli animi sono sospesi,
e pieni di maravigli.! ; niun' altra cosa par che più si ri-
cerchi, die il silenzio , e l'attenzione, onde le nostre lodi
iti quel ternp'> pajouo sconvenevoli e importune, e delta-
te piuttosto da passione, clu; da giudicio ; perciocché una
Leila tnorte è quella, ch'onora tutta la vita ; e dal fine so-
no approvate tutte le azioni. Assai convenevolmente dun-
que, mentre visse la Serenissima Duchessa Barhara , fi-
gliuola di Fernando Imperatore, e moglie di Alfonso Du-
ca di Ferrara , io tacqui , e rimirai la sua grandezza e le
sue'virtù maravigliosc; né volli colle mie parole, o con gli
scritti rompere il silenzio degli altri , né perturhare la ri-
verenza , o la maraviglia , né mostrarmi in modo alcuno
lusinghiero, o pieno d'affetto. Ma dapoi , ch'ella è morta,
o piuttosto ritornata al Cielo, il gran teatro di questo
mondo risuona di pianti e di querele, e di lamenti; laonde
posso a guisa di trombetta impori'e il silenzio, e rendere
attenti coloro, che non sono ancora dipartiti, quasi alcuna
cosa ci rimanga ad ascoltare .
,, Io rivolgo dunque il ragionamento non solamente a
voi, che sete ahitatori di questa parte d'It.ilia, la quale è
inondata dal Po , dov'ella visse , dove regnò, dove fece la
vita felice, e felice questo nobilissimo stato, ch'è quasi
un regno: dove lasciò sì bello esempio del suo valore, e
della sua innocenza: dove abbandonò la vita, ritornando
alla sua vera patria, e c'insegnò la strada di seguirla ; ma
a tutti coloro, che dimorano fra' due mari, che inondano
l'Italia, e i due monti, l'uno de'quali la divide, e 1" altro
la circonda: né a questi solamente, ma a tutti i Germani,
fra'qualiella nacque, ed a tutti i vassalli dell'Imperio, nel
quale signoreggiò il padre: e finalmente a tutti i ritrovato-
ri de' nuovi popoli, e a tutti i ritrovati e vinti, e a' vitto-
riosi , alle diverse genti , e alle varie nazioni, che hanno
in riverenza il suo nome e quello della sua casa Imperiale,
e degli Augusti, e de' Cesari, da'quali è discesa . E'I ri-
volgo a tutti , perchè , siccome a ciascuno si poteva pro-
])or l'esempio della sua vita per santissima legge di ogni
virtù reale; così a ciascuno par che appartenga il dolor
della sua morte : a ciascuno par convenevole ogni uffizio
0 l'epitaffio 75
di pietà , ogni debito di servitù , ogni dimostrazione di fe-
de, e d' osservatiia , e di religione: ecljiedo a ciascuno non
solamente attenzione, ma devozione, l'una , percliè'i mio
parlare , come si deve , sia considerato ; l' altra , perchè il
soggetto, quanto conviene , sia onorato. E se tutti gli ono-
ri umani sono :. inori del suo merito, non le si debbono
negare le divine l;;ui ., or clic ella, spogliandosi della no-
stra umaniià , agi' immortali secoli è trapassata. Ma co-
minciamo da quelle, clie le si dovevano, mentre ella so-
stenne persona e digni';') di Regina.
„ Tre sono le manille de' beni, cbe gli oratori sono
usati di lodare, quelli della fortuna, del corpo e dell'ani-
mo: e in questo campo, anzi pur in questi tre grandissimi
campi si spazia , e si distende ogni orazione. Ma in ragio-
nando della Duchessa Biirbua ,e della sua stirpe non pa-
re ch'abbiano luogo 'aìcimo quelli, che son chiamati d^
fortuna; e niuna p«»rte al caso è conceduta; ninna alla te-
merità abbandonata ; ;nizi le sue ricchezze , la copia degli
amici, de' servitori e de' parenti, e soprattutto la sua re-
gia e imperiale nobiltà non è bene della fortuna , )iia dono
della provvidenza ; perchè se alcun regno, se alcun Impe-
ro si conservò , e crebbe per volontà d'Iddio, e per sua
grazia particolare , è quel delle Casa d'Austria nobilissima,
e potentissima oltre tutte l'altre, che furono, o elie sono
state per l' addietro: della quale usci la Duchessa Barbara,
e nacque Reina, avvengachè tutte ci nascono con questo
nome, e con questa dignità. E siccome il Sole nel medesi-
mo tempo ;, ch'egli nasce, è coronato di tutti i suoi raggi ;
così elle nel nascimento si fanno quasi coi'ona della gloria
de' loro maggiori , ed hanno il titolo degli antecessori : nò
tanto è naturale il diadema alla fenice , oppur ad alcuna
stirpi de' Gentili la lancia colorata nella pelle, quanto a
ciascuno, della Casa d'Austria la dignità e la virtù de' Re ,
cl)e portano seco dalla natività , la qual è tanto più degna
di riverenza, quanto è maggiore l'Imperio , di cui Uiiseonu
Signori : Imperio veramente, ch'avanza tutti gli altri,
in quella stessa maniera, che il legnaggio loro supera tut-
ti gli altri legnaggi . E se fu lecito ad alcuno d'accrescer
le lodi di Reina lodata con quelle dell'amante; più ragio-
^6 IT. GHIRTJNZONE
hevoiraente si tLe coiicedeic cU' in scriveiidj di que-
sta santissima P\.eina , agi^iiinya a'suoi meriti quelli del
padre, e dell'avo, e ile Tratelli , e de'zii,e de'cugini ,
e deyli altri, cLe nati sono del medesimo sangue; per-
tbè tra quelle molte eose necessariamente si inescoluva-
jio, che potevano recare in alcun modo 'vergogna a colei,
alla quale si procurava onore; come sono amori, rapine,
guerre e sedizioni, incendj , e dcstruzioni di città, e di
regni , e altri m;di, die derivano da cagioni simiglianti.
„ Tra queste ninna parola , niun detto s' interpone,
che non accresca la gloria di Barbara. jViuna onbra v'è
di male , ninna suspizione di bruttezza , ninna parte che
non sia risguardevole, e che non risplenda. Ma se furono
possenti e grandi Imperatori Federico, e 'l vecchio Massi-
niiliano, Carlo e Ferdinando, se n'accresce onore a Bar-
bara d'Austria. S'è tenuto e venerato nell' Imperio di
di Germania il presente Massimiliano, e gli altri suoi fra-
telli, n'acquista gloria Barbara d'Austria. Se tremano i
nuovi popoli Occidentali, e cpielli, ch'abitano sotto l'al-
tro polo separato dal vastissiaio Oceano , del nome di
Filippo, si fa maggiore la riputazione di Barbara d'A.u-
striu. Se fra noi son celebrate con chiarissima lode le vit-
torie del Sig. Don Giovanni, si lodano più volentieri per
Barbara d'Austria. Se dimostrano grandissiiua pruden-
za in Baviera , Leonora in Mantova, e Giovan-
na in Toscana, e ÌMargherila in Parma, sono assomigliate
da Barbara d'Austria; laonde tutto quello, che si dice
della nobiltà degli uomini, o delle donne nate di questo
sangue, o della grandezza e antichità di questo Imperio,
tutto ritorna in onore di ([uesla nobilissima llcina.
„ E certo io mi vergogno di paragonare il regno degli
Assirj , o di^'Medi, o de'Persi , con (piello di questi I.npe-
ratori; perciocché quelli furono barbari, e inesperti nel
guerreggiare e nel comandare, i quali non potevano altra-
mente g<)vernare i paesi soggiogati, se non andando sem-
jire attorno, sent<'ndo sollev.irsi la parte lontana, ([uando
la vicina s'acqiu-tava ; laonde il guverno loro noiì (M-'altro,
che un cerchio di sedi/ionie di ribellioni: l'una delle
<(uali succedeva all'alila continuamente . Ma questi reg-
O l'EPITAFI-IO y'^
gono il monti» col cenno : e se pur si. muovono akuna vol-
ta, tla quella jìarte dove si fermano, estirpano tulle le ra-
dici della discordia^ e tutti i semi della disobbedienza.
]Vé la iMonarcbia de'Macedoni con questa si dee parn-o-
nare; percioccli' ella passò in guisa di torrente, o di lui-
mine; e cominciando in Filippo ebbe fine in Alessan-
dro, colla morte del quale si divise il mondo, che non
rimase alcun' ombra di Monarchia: e questa conlinova
già tante centinaja d aiuii ncyli Imperatori del sangue
medesimo , accrescendo sempre le forze e la riputa-
zione. Ne l'Imperio de' Romani istessi, eh è il più famo-
so di quelli, che siano stati, merita d'essere agguaglia-
to con quelli della Casa d'Austria: né si direbbe molto,
dicendo eh' egli tanto è suj>crato, quanto egli quel dei
Persiani avanzò: e l'avanzò di-Ila metà , e di tutto il maiq
Mediterraneo; ma quasi della metà, e di tutto l'Oceano
supera l'Imperio e i regni de'Principi d'Austria, l'antica
potenza Romana , conciossiacosacliè essi non passarono
giauimai oltre le colonne d'Ercole, né conobbero i nuovi
popoli e le nazioni: laonde non solo è soverchiata l'antica
Signoria della metà del inondo, nella quale già fu maggio-,
re di quel di Ciro, di Dario, di Xerse e d'Artaxerse; mu
d'un mondo intero non prima visto, non conosciuto, non
inteso; in maniera che nessun' altro nell'infinità de'secoli
potrebbe tanto superarlo: e siccome è vincitore di tutti
i regni, di tutti gF Imperi e di tutte le Monarchie passate;
così è invitto, e invincibile in comparazione dì tutte le
future, e di tutte quelle, che si possono aspettare, o teme-!»
re, o descrivere, od immaginare.
,,Nè solamente è maggiore la possanza di questi Prini i-
pi nell'ampiezza de' paesi conosciuti, nella moltltudiue
de' popoli, e delle nazioni; inanella lunghezza del tempo,
e nella successioue della stirpe; perciocché da' primi scrit-
tori dell'Imperio Romano son numerati dodeci Cesari,,
ne'quali egli non potè esser tanto stabile, che non passas->
se assai spesso d'una in altra famiglia o per adozione, o
per violenza; e molte volle vi passò con spargimento di
sangue, e con morte, e con distruzion della schiatta. Ma
neir Imperia Germanico sono stati Augusti di questo ine->
jS IL GHIRLINZONE
desimo sangue, oltre t;inti Principi di grendissima virtù: e
sono succeduti nella corona senza insidia, senza violenza,
non solamente per valore, per merito, e per elezione, ma
per natura . Oltre di ciò nelle famiglie degli antichi Cesari
sono annoverate molte donne celebri per hmà d'impudi-
cizia: ma nella stirpe de'nostri Imperatori tutte sono state
lontane da ogni colpa, e da ogni sospetto, c^;e potesse mac-
cliiar la gloria dell'onestà ; lionde termin r\i questo pa-
ragone, io dico che gli antichi Augusti comandarono a
mezzo il mondo appena con mezza la felicità, macchiata
dalla crudeltà degli uomini, e contamini ta dalla disonestà
delle donne . Ma i moderni Princijù dell i Casa d' Austria
comandano al mondo coll'intera felicità, adornata dalla
clemenza de'Re, illustrata dalla innocenza delle Reine ;
anzi pur con due felicità in due Emisperi sotto due poli: e
dispiegano la Croce, e l'Aquile sotto altre Orse, altre stel-
le , altri segni celesti , che da' nostri antichi non furono mai
riguardati .
j. In questo grandissimo Imperio dunque, e di questa
noliilissima stirpe essendo nata Barbara Pveina , non si può
dubitare clic la fortuna avesse alcuna parte nella sua no-
biltà: né l'ebbe nelle riccliijzze, o negli amici, o nelle
compagne , o ne' servitori, o nelle serve , o negli ornamen-*
ti; perciocché tutte queste cose le furono date dalla pru-
denza di Ferdinando Imperatore suo padre , il quale la fa-
ceva nudrire in Ispruc colle sorelle: e conservate poi dalla
medesima virtù di Massimiliano suo fratello ; laonde furo-
no più lodevoli in loro queste parti , che negli altri perchè
erano meno soggette agli accidenti, calle mutazioni. La
forma ancora del corpo, la leggiadria , e la maestà deriva-
vano dall'animo, e furono quasi raggi della bellezza inte-
riore , la quale illustrava gli ocelli , e la fronte, e 1' aspet-
to; e faceva più dilettevoli le maniere, e più graziosi i mo-
vimenti: e aggiungea dolcezza , e gravità alle parole, e pia-
cevolezza, e autorità a tutte l'operazioni . In questa guisa
i costumi accrebbero la sua beltà, e la beltà fece più ri-
sguardevole la sua virtù, e la virtù maggior la benevolen-
za, e la benevolenza s'acquistò più facilmente la riputa-
zione appressa ciascuno; laonde non solo nella Germania
o l'epitaffio 79
era conosciuto il suo nome; ma nelT altre provincic molti
potentissimi Principi la rlesitleravano per moglie . Ma tu
inerito d' Italia, o felicità, che ventura non ardisco clila-
marla, ch'ella fosse stimata degna di tanto onore, e di tan-
ta grazia fra tutte l'altre provincic sottoposte all'Imperio,
o per antica, o per nuova ragione, quasi con questo pri-
vilegio fatta compagna della Germania, dov'è la nuova
sede dell'Imperio Romano; percioccliè Carlo V. quantun-
que nascesse in Gante , Città della Fiandra , di madre
Spagnuola, e avesse la Spagna assai obbediente al suo no-
me; non congiunse Margharita sua figliuola ad alcuno Si-
gnore Spagnuolo, o Fiammingo, o d'altra nazione stranie-
ra ; ma prima ad Alessandro de' Medici , e poi ad Ottavio
Farnese, Principi per nobiltà, e per valore meritevoli, che
riniperatore facesse di lor questa elezione: il quale esempio
seguendo Ferdinando suo fratello, diede per moglie a Fran-
cesco Duca di Mantova Isabella .... d'Austria sua figliuo-
la , e poi Regma di PoUonia : e a Guglielmo, che successe
in quello stato, e ne' ineriti degli antecessori Leonora, una
dell'altre sorelle, dotata d'ogni nobilissima virtù, e felice
di bella successione: e rimanendo Barbara, e Giovanna
senza marito, quella congiunse in matritnonio con Alfonso
Duca di Ferrara , cavalier di valore inestimabile: questa
con Francesco Principe di Toscana, simile al padre nella
liberalità, nella prudenza , e in ogni altra condizione. Que-
sti matrimoni sono stati senza alcun dubbio cagione della
tranquillità d' Italia, nella quale le Reine di Casa d'Austria
meritano lode maggiore d' Ersilia , e delle altre Sabine , o
pur delle Celte; perch'è meglio esser concedute da'padri,
o da' fratelli , che rapite dagli amanti', è più lodevole il
troncar i principj di tutte le guerre, ch'estinguerle da poi
che sono accese .
„ Venendo adunque Barbara a marito nella nostra Italia,
ed uscendo dalla Germania, nella qual parte era stata qua-
si rinchiusa , spiegò con grandissima pompa tutte le sue
inaravigliose virtù , delle quali s'aveva per fama cognizio-
ne: e le sottopose quasi in una bellissima vista agli occhi
de' Principi , de'cavalicri , e della moltitudine, ch'era adu-
nata per le sue feste : ne l'oro dtdla Germania , del quale i
Signori Tedeschi avevano grandis?:ime catene al collo, e a
^O li' GHIRLINZUrvE
traverso; né la ferocità de' cavalli , r.é la fortezza de' cava-
lieri a se gli rivolse; ma le virlù eli Barbara gli abi)agliaro
con chiarissiijia luce, delle quali ciascuna per se stessa era
riguardevole mollo; ma tutte insieme risplenjevano in gui-
sa , clie ne restavano superati gli occhi delTintelletto . Allo-
ra la prudenza , eli' era quasi duce dell' allre , si dimostrò
ne'ragionamenli , e neliaccoglienze fatte co'Principi, e
co' Legati del Papa , e col Cardinale Madruccio , Signore
di bontà singolare , il quale l'accompagnava : e si manife-
stò la giustizia , egualmente gli eguali onorando, e con de-
bita disagguaglianza gli ineguali accarezzando, e i favori a
proporzione de'merili compartendo: e la sua temperanza
si fece palese ne' conviti; e la sua liberalità nel donare, e
la nsagtiilicenza nel vestire , e la modestia nel comandare ;
e nel tollerare, la mansuetudine: né vi fu insomma virtti ,
eh' ivi non si conoscesse: e di tutte insieaie nacque tanta
maraviglia, ch'a fatica alla lode fu luogo conceduto: li
quale in quelle cose, che superano ogni copia, e ogni arti-
ficio di parlare, molte volte col silenzio suol ricojiri l.i sua
imperfezione.
Tutte le lodi adunque erano imperfette in com]);irazione
della perfettissima virlù di Barbara; ma tutte le furoJìo
date, per concederle vilt(n'ia non meno sovra l'eloquenza
degli scrittori, che sopra la virtù de' Principi. E gli uni e
altri fecero a gara per onorar la sua venuta : quelli eolle
giostre , e co'torneamenti : questi co' versi , e colle prose.
]N'è in aicuna di loro si legge spettacolo così niaraviglioso,
come i giuochi celebrati in quella occasione, nella quale la
magnificenza d'Alfonso agguagliò quella dc'grandissiii'i
Re, e'I valore superò quel de' fortissimi cavalieri. E se
vorremo paragonar le cose nuove coli' antiche, non è stala
così grande la fama delle cose passale, come la verità del-
le presenti: uè l'ardire licenzioso de' poeti ha potuto così
accrescer l'altrui maraviglie, come la splendida liberalità
d'un Principe le sue medesime. INè con eguale convenevo-
lezza furono onorate l'esecpiie della sepoltura, e le pom-
pe delle nozze ; perciocch' a queste convengono tutti i
giuochi, e tutte le cose, che possono accrescer l'allegrez-
za : a quella ninna , che sia disdieevole, dee tempoi-are il
0 I/E1'ITAFH(3 8ì
dolore. Cedano (!ur.(jae le veccliie alle laodcriic inutiizioni
della guerra: e se Patroclo, o Anoliise è \nr quelle lauio-
so, sia Barbara per queste gloriosa: pereliè non dee menò
esser celebrata per l'amor del merito, che l'un per la ])e-
nevoleiiza dell' amico, l'altro per la pietà di'l figliuolo.
Ma dJippoicliè fu consumato il matrimonio , e fornite Itì
feste, e gli spettacoli, e ritornilo ciascuno ju:Ì suo paese,
Barbara riinasa nello Slato del marito, eh è unde'più bel-
li, e de' più noljili d' Italia , e in quella casa medesima , la
quale aveva priuia raccolte le (igliuole de' Re di Napoli; e
di Francia , ebbe nuova occasione da moslrar la sua prov-
videnza; perchè l'altezza del grado, dove nacque; la di-
versità della patria, onda venne; la varictii dft'costumi, nei
quali si nutrì, per la nuova, e insolita mutiìzione avean bi-
sogno di grandissimo avvedimento; ma la natura l'avea do-
tata d'accorgimento, e rartificio l'avea accresciuto; e
tutte le cose erano temperate dall'amor del marito, della
cui volontà ella si fece legge. E quantunque dalla sua ma-
gnillcenza ella potesse aver esempio d'usarla, n sndimeno
volle piuttosto simigliar Sfratonica , o Cornelia n^lla fede,
e nella benevolenza, che Semiramide , o Cleopatra nella
pompa, e nella superbia . E se le Rcine de' Persi con gli
ornaménti del corpo davano nome alle provincie, Rarbara
con qnelK dell'animo accrebbe la rcputazi »ne d<^ Ila Ger-
mania; provincia uiaggiore di ciascun'altr a , e più memo-
rabile per tutte le condizioni: edove quelle erano custodi-
te dal timore, ella solamente dall'amore era guardata. Ma
vero senza dubbio è quel detto: ,, clic il sommo amore è
somma vergogna ,, ; percioccliè ella amando sommamente
volle dimostrarlo solo colla modestia, e colla cistità , la
quale non è meno degna di memoria , che quella di Lucre-
zia, o di Tazia , perchè sia manco alla l'avola somigliahìe ;
anzi più certo testimonio della sua pudicizia è l'auior del
marito, che'! ferro bagnato del sangue , o che '1 cribro ,
che ritenne l'acqua: o la zona, che fermò la nave: o altro
sì fatto celebrato dall'anticliità ; del quale Ci maravigliamo
come dell'altre cose appena credute. IVIa di queste ninno
è , che dubiti ; laonde è tanto più meritevul di considera-
zione , che ciascun altro , quanto è il movimento , e l'oi-
Ùialoghi T. Ili . (i -
^ì FL GHIRLlNZOiXE
dine celeste de' mostri, e de' prodigi ; tultocliè questi em-
piano di stupore il volgo , e di quelli paja cessata ogni ma-
raviglia.
,, Visse dunque Barbara col marito in sommo amore, ed
in somuìa concordia: e da questa, quasi da sue tonti, deri-
vò la pace fra" suoi domestici, e la cj[uieto Ira" suoi famiglia-
ri, e l'unione degli animi, e la tranquillità degli ordini , i
quali furono sempre inviolabilmente osservati: ed insegnò
il mansueto Imperio col comandare, e la pronta esecuzio^
ne coU'ubbi'Jire: e onorò l'umiltà coli' esempio, e vitupe-
rò la superbia col paragone: e quautunque tutte l'altre
paci allora siano stabili, che sono più lontane da ogni con-
tesa ; quella , ch'era fra l'uno, e l'altro si stabili per una
nuova maniera di contrasto; perciocché l'uno contendeva
coll'alli-o di benevolenza , e di cortesia, e Barbara conce-
deva le sue voglie a quelle di Alfonso, come si conveniva al-
l'esser donna ; e Alfonso le sue alcuna volta a quelle di
Barbara , come parca die ricercasse la grandezza del
fratello.
„ Ed in questa pacifica contesa vissero, sinché la grave, e
lunga infermità della Ducbessa le diede maggior occasione
di manifestai'e un'altra sua maravigliosa virtù , io dico, la
fortezza feminile, la quale non e men lodevole, cbe sia
•juella degli eroi, nò si dimostra in pericoli minori. E s' al-
cuna emulazione può nascere tra '1 marito e la moglie ,
nacque fra loro nel dimcK^trarla , perciocché (juella d'Al-
fonso fu conosciuta nelle tempesb; del mare, e nelle ruine
del terremoto, e nell'uccisioni delta guerra, la qual con-
cede luog» proprio da manireslarla; ma Barbara fece espe-
rienza della sua ne'tlolori dell'infermità, negli spaventi
della morte, e nella vicinanza dell'ultiaio passo: e la fece
senz'armi , senza cavalieri , senza schi(ire , e senza eserciti ,
i quali accompagn.uono il Duca, che non fu sempn; vitto-
rioso, quantunque sempre fosse invitto; ma Barbara fu
della inorte medesima vincitrice.
,, 0 dolorosa vittoria , o speranze fellaci , o fuggitive al-
legrezze, o perdita irr^'storabil(! , o danno irreparabile, o
dolor senza consolazione, o sconsolazione senza rimedio, o
rimedio senza giovamento , o fronte già serena più del Cie-
o l'epitaffio 83
lo or divenuta oscura nella morte! O ordii già colmi di
luce , or pieni di tenebre , o niaestù del volto , o leggiadria
delle membra, o gravità de' sembianti, o dolcezza dello
parole , o soavità de' costumi , onde tante , e sì suliite mu-
tazioni ? O Barbara , o nipote , o figliuola , o sorella dei
Cesari,© Reina, nel qual nome respirava l'Italia, dove sei
ita, o dove dimori? e cbe picciola parte ci bai lasciata del-
la tua bellezza? e come tosto sarai in cenen^ convertita! E
questa la successione , cbe da te s'aspettava ? son questi i
doni, cb' io credeva appresentarsi ? Ma mi pare cbe sic-
come nelle tragedie gli Dei favolosi parlano dalle nubi,
così un'angelica voce di lei, cbe tanto s'è avvicinata al
vero Iddio, mi si faccia udire, i lamenti in lode conver-
tendo .
,, Tacete , o Ferra i-esi , e temperate il pianto, percbè
non è misera per la sua morte la vostra Eeina; ne biso-
gnosa delle vostre lagrime, ne d'alcuna misericordia per
lo viaggio incoiuinciato; ma se fu mai quella dalcun'al-
tra felice, è stata la sua morte, nella quale combattendo
ha meritato eterna corona di gloria : e di mortale immorta-
le , di terrena celeste , d' umana è divenuta divina. Né l'ba
raccolta Stige , o Cocito, od Acheronte: né Lete gli ba
tolta la memoria delle cose sue più care ; ma dal suo. e vo-
stro Signore è stata ricevuta nel Cielo, dove trionfa col
Padre, e con gli Avi Imperatori, clic quaggiù guerreggia-
ron perla fede: egli è fatto il medesimo onore, cb'a Judit,
ad Isabella, a Maria , a Matelda, a Beatrice, a Leonora , ed
a tante altre uscite dell'uno , e dell'altro legnaggio , o ma-
ritate nell' una , e nell'altra famiglia di Principi gloriosi.
Laonde con altri onori ornai deve essere onorata , come
colei, cbe divenne superiore a tutte 1' umane grandez-
ze: né senza ajuto divino fece l'ultima partita; pi;rcb' es-
sendo la morte a tuttiapposta egualmente, non è a tutti pa-
rimente conceduto il poter ben morire ; e lasciar desiderio
della sua vita negli uomini , e la memoria della sua bene-
volenza nelle donne ; e l'esempio delle sue virtù in tutte le
nazioni : e salissene al Cielo, raccogliendo da tutte le par-
ti lodi, e lagrime, e lamenti senza fine , e senza misura ;
però non c'è alcuna cagione , per la quale siamo di sovcr-
,«^4 "' GHIRLINZONE
cliio desiderosi di vita: nò si de.e piuttoslo misurar la feli-
cità da! frutto dell» sua lunga vecchiezza, che dall'opera-
zione della perfiMta virtù ; laonde assai bene ha vissuto co-
lui , il quale ha speso nelle nobilissi;ne azioni lo spazio
conceduto : e s'è dipartito a guisa di poeta , ch'abbia Uni-
ta la favola, non avendo ancora saziati gli auditori. Ma
quella veramente e beata, ch'avendosi goduto della vita ,
quanto ella era desiderahile , l'ha poi abbandonata co'ina-
h e co'dolori dell'infermità, piena di tutti gli onori, orna-
ta di tutte le grazie, nutrita fra gli scettri, e fra le corone,
e fra i trionfi, e fra le palme cresciuta, e dalla Signoria
terrena al celeste Imperio s'è inalzata: e s' alcuno v'è, che
stimi non esserle fatto onore a bastanza , supplisca, e ac-
cresca la riverenza con la divozione: perciotcliè molto secu-
ra è questa lode, la qual ci par dettata dalla sua bocca
medesima, tanto a' suoi meriti , quanto alla verità s' av-
vicina i Isè sarà peravventura soverchio celebrarla nelle
istorie, e ne' versi de' poeti, come Placidia, o Serena, <>
Termanzia , o alcuna delle già nominate, dicendo; Non sei
ancora morta, o Barbara; ma vivi fra noi , perchè è vi-
va la protezione , che di noi prendesti , O lieina , che
vivesti, come Santa , e sei morta in modo, che' più t'ono-
rano, o £loria della tua stirpe, ornamento dell'Imperio, so-
stegno di questa Citt-, gradisci quel ch'io posso dnrti, o
dirli : delle altre cose l'Italia lagrimando si prenderà cura
pubblicamente.
IL
FORESTIERO NAPOLETAIN O
OVVERO
DELLA GELOSIA
DI A LOGO
ARGOMENTO
T:
rattnsi in {juf^sto (ìialo^o della gelosia , e due sono i personaggi
in trodoiii a discorre ì\'l U primo è il Tasso nostro, celato sotto il
suo solito nome di Forestiero Napoletano , come Socrate ne' dialoa.hi
di Platone so'to /jiicllo di Ospite /Itenicse ; ed il secondo è Camillo
Coecapani da Carpi, uorno di molle lettere, e pnOùlii.o professore di
lingua greca nello studio di Icrrora a' tempi del uiedesiino Tasso .
Senz altra introduzione comincia il primo , che ò {/uegli nel cui iio-
iìie s' intitola il dialogo , dal chiedere al seroudo cosa sia gelosia.
Ricusa in principio il Coecapani di soddisjare alla domanda , scu-
sandosi col dire di non conoscere colai passio/te ; ma inducesi poi
a compiacere al desiderio 'lell' amuo , e rispotide eli ei cicde esser
ella dolore dell' alimi hf ne CU domanda allora Torquato se dolo,
re di gelosia parimente sia il dolersi dell' ouor del nemico , o della
vittoria del compagno , o della dignità conseguita dalT in/eriore .
Dalla quale interrogazione accorgendosi il Coecapani che in Ila
definizione da lui data veineann insieme a confondersi e l' eniiilii-
zione e la gelosia, entra a distinguere V uno dall'altro questi due
u/Jetli , dicendo che il primo è de beni orrevoli, ed il secondo invc~
ce di (juelli che sono degni di amore : e soggiunge quindi che sicco-
me il dolersi nel difetto de' beni orrevoli è cosa giusta , così giusta
è r emulazione ; ma che all' incontro, siccome U lamentarsi della
mancanza di un bene labile e -vano, quale si è la bellezza , è co-
sa irragionevole e brutta, così la gelosia è passione iugiir^ta , rea
e meritevole di biasimo . Riprova però il Tasso sì fatto rngionamen-<
lo mostrando che tanto i beni orrevoli , quanto gli amabili si cori-
verlftno gli uni cogli altri in guisa die gli amalidi sono orrevoli, e
gli orrevoli amabili , e che perciò i emulazione e la gelosia , luttoc-
chè abbiano nomi differenti, sono lo stesso affetto , e che se l'uno
è ragionevole e ilcgiio di lode, ragionevole egualmente , e degno di
lode si è l'altro Pas-iano appresso i dispulanti a investigare qiial
pane abbia il timore nella gelosia . Il Coecapani in sulle prime è di
purere che quaCa passione sia dolore e lintora insieme ; ma avendo
SG IL lOUESTIEao
il Tasso propalo ilu- rimo non può stare coli altro , propone ili
e<iclitdere do Un gelosia quello che è minor mate ■ Prende periamo
Torquato ad esaminarli amendne , e siccome trova che è maggiore
inquietudine il Umore che il dolore , poiché questo somiglia anzi la
quiete che l inquietudine, così conchiude che essendo la gelosia
inquietudine grandissima , ahlnasi piìi convencvulmcntc a giudi-
care timore che altra co^n . Sostenendo tuttnvnlta il Coccapatii
che , o timore o dolore che ella sia , è sempre una fiera passiona
ptriurhatricc del riposo ilttf animo , si Ja il Tasso a conside-
ra re i vnrj rjjèi ti del timore ; e mostrato com'egli, scemando ciò
che in lui è soverchio, e n'dncendolo a Isella mediocrità, non solo di-
viene nobile e graziosa virtii , ma è inoltre cagione che l' altre anco-
ra siciio acquistate , ne trae la conseguenza che la gelosia , la quale
appunto è timore , lungi dall' essere di fiera e maligna natura , ove
sin moderata , ^ anzi virili di co'itume . Né solamene tale la fa egli
conoscere ; mn coli' autorità di Dante, del Petrarca e di altro poeta
la dichiara virtù purgatoria negli animi che si purgano, viriti di ani-
mo già purgato in quelli che sono in cielo , e virtù finalmente esem-
plare in Dio. f'^ien egli per ultimo a toccare alcuna cosa dell'autorità
dei poeti, e termina conchiudendo intorno ad essa , che ove parlino
quelli in perdona propria e senza passione, come appunto favellan-
do degli animi separali ed immortali fecero Dante e il Petrarca, da
lui di sopra citati , ella è sempre grandissima e degna di fede .
Non pago il Tasso di avere scritto nella sua prima gioventù un
non meno elegante che dotto discorso intorno alta gelosia , prese nel
i5ìiS a stendere sullo stesso soggetto il presente dialogo, che venne
poi pubblicato per la prima 7'olia ncll' anno dopo colla quarta par-
te delle sue Riinc e Prose . // originale di questa scrittura, siccome
abtnnmn da una lettera del 'Muratori ad Apostolo Zeno, conservasi
con altri auiogrcfi. di Torquato nella libreria Ducale di Modena.
INTERLOCUTORI
FORESTIERO NAPOLETANO, CAMMILLO COCCAPANI .
FORT.STIKRO. v^lie cosa è gelosia?
CAMMU.r.o. Voi, che l'avete conosciuta per lunga pro-
va , ne dimandate a ine , che non la conobbi giammai per
esperienza ?
Forestiero. Quasi non sia lecito all'infermo di diman-
dare al medico la natura del male.
CAìliiillo. e più lecito a medi non rispondere; perchè
né voi siete infermo , essendone già risanato, né se voi pur
foste , io sarei buon medico del vostro dolore .
Forestiero. Mentre ncj^atc di rispondermi, voi mi ri-
NAPOLF.TANO Sf
spendete, dicendomi eli' ella è dolore: e quantunque la
non ne sia così infermo , come n' era in altro tempo , non-
dimeno ancora non sono guarito in modo, che non stimi
che mi debba esser giovevole molto l'intenderne 1' opinio-
ne altrui; però ditemi qual dolore ella sia .
Cammillo . Poiché voi così volete, io son costretto di
compiacervi, benché a persona più intendente della natur;i
sua potreste dimandarne . Dico dunque eh' ella è do-
lore dell'altrui bene , come giudicò il vostro Petrarca di-
cendo :
Che d' alt nei ben , quasi suo inai si duole .
Forestiero. Dunque alcuno, il quale si dolesse del-
l'onore del suo nemico, sarebbe geloso, e geloso parimen-
te , chi sentisse dolore perchè alcun suo compagno , o
eguale avesse conseguita qualche gloriosa vittoria, o qual-
che inferiore fosse asceso ad alcuna suhlime dignità.
Cammillo. Non sarebbe dolore di gelosia, ma d'emula-
zione piuttosto ; perciocché l'emulazione è de' beni orre-
voli , ma gelosia di quelli, che sono degni di amore: dire-
mo dunque che la prima sia una melanconia, ovvero un
dolore per la presenza dì sì fatti beni, i quali noi ancora
possiamo conseguire , se gli rimiriamo ne' simili di natura,
non perchè sieno in altrui, ma perchè manchino a noi me-
desimi: la seconda un simile affanno, per la bellezza, che
si ritrovi nella persona amata, della quale temiaìno, che
altri sia possessore; e perciò è irragionevol cosa, e brutta ,
e dirò ancora meritevole di biasimo, il lamentarsi, perchè
ci manchi
Questo nostro caduco efragil bene
Cli è vento ed ombra , ed ha nome beltade .
Ma il dolersi nel difetto de' beni orrevoli è giusta cosa;
laonde è giusta l'emulazione, e passione d'uomini giusti.
Forestiero . Ma ditemi , può essere alcun dolore acer-
bo senza alcuna acerbità ?
Cammillo. Non può in alcuna maniera.
Forestiero. Né aspro senza asprezza?
Cammillo . Né questo .
Forestiero . Né onesto senza onestà , né landevole sen-
^a fede ?
88 IL FORESTIERO
Cammillo, Vi si concede.
Forestiero. Dunque né giusto senza giustizia ?
CammILLO. Né giusto senzd giustizia: ma non intendo,
ancora . perchè questo abbiate voluto concbiudere.
Forestiero, lo il dico, perchè mi pare che dove sia
la giustizia , non sia mancauienlo di alcun bene onorevole ;
perciocché la giustizia contiene in se tutte l'altre virtù;
ina ciò repugna a quello, che poco innanzi diceste che
l'emulazione sia dolore per la presenza de'beni orrevoli ,
de'quali negli altri è abijondanza , ed in noi medesimi dir
fetto,- perciocché , se questo dolore non è senza giustizia ,
è senza mancamento degli altri l)cni .
CAM3I1LLO. Quasi io chiami beni orrevoli le virtù , che
sono contenute dalla giustizia, come voi dite, e non piut-
tosto le dignità, e gli altri premj , che a'giusLi sono con-
ceduti .
Forestiero. E quali chiamate voi beni orrevoli?
Camjiillo. Quelli , che sono degni di onore.
Forestiero . Dunque r on<>n; imn è bene orrevole ,
perchè se ciò diceste , ci-cdcrci che voleste di me prender
giuoco ,
CA.vmiLLO. E perchè prender giuoco?
Forestiero. Percliè la dignità è una specie d'onore;
laonde se la dignità fosse bene orrevole, ne seguirebbe
che l'onore fosse degno di onore, e questo mi pare uno
scherzo .
Caii"\tim.o. Non ciascuna cosa dee considerarsi cosi as-
solul.imciitf , o piuttosto COSI sottilmente, come a ine pa-
ro che voi andiate considerando , anzi sarebbe amabil co-
sa il trattarne in modo, e figura più grossa .
Forestiero. Dunque odioso vi sarà rand^imc più dili-
gentemente investigando ; ed io per non esser tale mi tace-
rò , perchè son tanto vago del vostro amore, quanto del-
l'essere onorato.
Cammillo. Cercate quel che vi piace; ma vi avverlisco
che amabili son quelle cose, le quali son fat^ secondo ,
che alla natura si convitane, laonde non dovete trattar (pie-
sla materia altramonte di quel, cbCllii rucichi.
NAPOLETANO Rg^
J^ORESTIERO. Ed il» così ini sforzerò di fare , e ptMÒ na
parlerò con que'teriuini, co'quali gli altri sono usi di im-
gioniirne: e perchè voi avete di.= tinla l'emulazione dailu
gelosia , dicendo che l'una è de' beni orrevoli, l'altra de-
gli amabili, dico che se i beni orrevoli sono quelli, ohe
son degni di onore, amabili veramente saranno quelli^ che
Kon meritevoli di amore.
Cammilt.O. Cusi è senza dubbio .
Forestiero . Ma che cliiamate voi onore?
Cammillo. Il premio della virtù.
Foresi lERO. E l'amore, a cIjì suol esser conceduto? a
quelli , che della virtù sono privati , o pure a coloro che
ne sono possessori?
Gammili.O. A' possessori.
FoilESTlERo . Dunque l'auìorc anche esso è premio del-
la virlùj e se dritto ìstimo, iiiun'aìlro premio più degno
|ia la virtù, che l'amore.
Ca>i>tili.O. e questo, che monta?
FoRESTlElìO. Che l'onore, e l'amore sieno Tistesso,- e
gli stessi beni sian quelli , che d'onore, e d'amore sono
meritevoli, o almeno gli uni con gli altri si convertono In
guisa, che gli amabili sono orrevoli, e gli orrevoli amabili, e
dagli uni procede la emula^,ione gelosa, e dagli altri l'emu-
la gelosia, o pur'insieme dagli uni, e dagli altri l'una, e
r altra passione: il che rai pare che accennasse ancoi'a
quel vostro poeta, quando egli della bellezza d'Enea cosi
unente ragionò :
Et laetos oculis afflavìt honores ;
perciocché l'onore degli opchi non è altro , che l'amore ;
laonde l'emulazione, che è de' beni degni di onore, e la
gelosia ;, la quale è di quelli , che meritano amore, saranno
ancora l'istesso affetto, tuttoché i nomi siano dilFcrenti : e
chi gli chiamò coU'istesso nome, o pur con quel di zelo,
che tanto gli assomiglia, assai addentro conobbe la sua na-
tura . Dunque, se l'uno affetto é giusto, l'altro non è irrar
gionevole, come diceste; ina l'uno , e l'altro degno di lode
parimente: ma peravvcntnra voi non parlaste così per opi-
nione, che portiate della gelosia , come di rea cosa , e mal-
9& IL FORESTIERO
"vagia , ma percliè io slinKindnla si fatta , mi guardassi
mi' altra volta di min darìiiele in preda così misera-
mente.
Cammu.i.o. E come è ella rea? tmn vi sovviene d' aver
letto:
Qual dolce più. . qual più giocondo stato
Sari a di quel d' uà amoroso core;
Qual vii'cr più felice , e più beato ,
Che ritrovarsi in servitìt d' Amore ?
Se non fosse /' noni sempre stimolato
Da quel sospetto rio ^ da. quel timore,
Da quel furor ^ da quella frenesia,
Da quella rabbia detta Gelosia.
FORESTIEUO. iMolte cose, e tutte ree accompagna insie-
me questo famoso poeta in biasimo, ed in vituperio delia
gelosia: ma debbiamo noi credere quel, cb'egli dice?
Cammillo. Egli fu non solamente gran poeta, ma anco-
ra grande innavnorato, laonde ragionando egli delle amoro-
se passioni se gli dee prestar credenza .
Forestiero . Dunque conceder debbiamo, cbe la gelo-
sia sia un timore; polcliè da lui in tal modo è nominata .
Cammii^i.O. Debbiamo.
Forestiero. E voi poco innanzi diceste cb' era do-
lore .
Gammillo. Dissi.
Forestiero. Dunque egli è dolore, e timore insieme.
Gammillo. Vi par forse questa cosa sconvenevole? non
avete voi letto :
Del presente mi godo, e meglio aspetto?
E s' egli si può godere insieme , ed aspettar meglio , può
dolersi, e temere; percbò così il godere è contrario al do-
lersi, come l'aspettazione del bene a quella del male. E se
i poeti non vi muovono , vi muova filosofo di così grande
autorità, com'è Aristotile, il quale del timor parlando,
sebben mi rammento, disse cb'egli si doleva.
Forestiero . Or ditemi , cbe cbiumate voi aspettazione
di male ?
Gammillo. Il timore.
i
NAPOLETANO 91
Forestiero. Ma l'aspettazione è delle cose future , e
tlelle presenti ?
Cammillo. Delle fiitare.
Forestiero. Dunque il timor sarà aspettizìone tli futu-
ro male ; e se il dolore è del presente , poiché s' oppone al
godercene seguirà che la gelosia, la quale è , come voi
stimate, dolore, e insieme timore, sia di male presente, e
di futuro, il che pare impossibile : e peravventura quando
il Petrarca disse ch'egli godeva del presente , ed aspettava
meglio, non volle intendere che uno affetto solo dell'ani-
mo suo risguardasse a tempi diversi; ma piuttosto, eh egli
fosse sottoposto a diverse passioni; e parimente l' autorità,
che voi mi recate dalle scuole de' Peripatetici, altro non
prova , se non che'I timido possa dolersi: ma non si duole
peravventura in quanto egli è pauroso. Ma voi d'una sola
passione ragionando, volete eh' ella sia del mal presente, e
del futuro: oltrediciò colui, che aspetta alcun male, è so-
lito di fuggirne, e 'I timore istesso è fuga : ma colui , che
si duole, è sopraggiunto dal male, e quasi preso, ed occu-
pato, come suol essere la fera alcuna volta dal cacciatore,
però disse quel poeta ;
Gran duol mi prese il cuor quando V intese .
Ed in questa maniera essendo egli preso, si ferma l'animo
nel dolore ; ma il fuggire , e lo star fermo , o pure il moto,
e la quiete non possono stare insieme ; qaal dunque la-
scieremo indietro di queste due opinioni , la prima che sia
dolore , o pur questa seconda , che sia timore ?
Cammillo. Lasciamo quella, che vuole che sia minore
il male; perchè ci sforzeremo di lasciare insieme la gelosia,
eh' è pessima cosa.
Forestiero. E dove credete voi che il male sia mi-
nore?
Cammillo. Dove è minor l'inquietudine.
Forestiero. Dunque nel dolore, perchè 'l timore fa
l'uomo inquietissimo; ma nel dolore avendo l'uomo per-
duta la speranza s'acquieta nella disperazione; tuttavolta
il timore, come abhiam detto , è aspettazione del male.
Cammillo. È.
Forestiero. E le cose aspettate sono lontane.
tp IL FORESTIERO
. CAM3I1LL0. Sono.
Forestiero- Dunijne la lontananza del malo accresce il
iii.ile; e se ciò è vero, (jiiando non al)biaino la teliljre ella
bara maggiore, e njaygiore il male di stomaco , o di fian-
co , quando non ci molesta .
CAiHMJLLO. Qucsle sono conclusioni impossibili.
P'ORESTIERO. Da False proposizioni dunque debbono es-
ser procedute; non sarà dunque vero che l'inquietudine
sia il inaygior male: anzi, poiché ella è aspettazione di ma-
le , o di bene , non sarà male , o bene in alcuna maniera : e
dovendo noi ritenerci quella opinione, secondo la tjualo
stimiamo la gelosia il male più ijrave, riterremo quella ,
che la pone nel dolore .
Gam,ijillo. Riterremo.
Forestiero. Tutta volta il dolore somiglia anzi la quie-
te, che l'inquietudine, ma quiete violenta, e simile a quel-
la del fuoco, o d'altro corpo che sia ritenuto a forza in
quel luogo, che non gli è naturale ; perciocché quando s'a-
cquieta nel piacere, trova la quiete in cosa assai conforme
alla sua natura: ma quando egli si ferma nel dolore, in
cosa molto contraria é ritardato mal suo grado, quasi di-
sperando di potersene fuggire: laonde essendo la gelosia
inquietudine grandissima, par che più convenevolmente ti-
jDore sia giudicata .
Cajwmiixo. O sia timore, o dolore pocorilieva; basta
che ella sia una fiera passione degli animi nostri , pertur-
batrice de nostri riposi, e contaminatrice de'nostri diletti.
Forestiero. Ma concedendomi voi ch'ella sia una
specie di timore, consideriamo quel che avvenga nell'altre
specie per conoscere quel, che in questa sia conveniente:
e cominciando dal timore della morte, non vi pare eh' egli
possa essere in guisa moderato, che riceva queli abito ^
ch'è detto fortezza ; onde coloro, che nelle tempeste dell
mare fra i turbini, e le procelle si lamentano, non vedcìulo
altro testimonio della morte, che il cielo oseurissimo, e il
)riare grossissimo, e gonfiato, nelle battaglie terrestri , e
nelle marittime, negli assalti , e nelle difese delle città , e
negli assedj , sogliono stimare che la morte sia non il fine
della vilaj ma ]iiutt(jsto e l'onore, e la gloria, che si per-
NAPOLETANO f)3
petua , r si coiiservii nella memoria di tutto 1 età, e di tul
te le nazioni.
Cammili.o. Sì certo.
Forestiero. E parimente il timore dell'infamia riceve
una iaudevol di>^posizione , la quale è detta vergogna.
CkyiMlUA) . Parimente.
.Forestiero. Laonde questo affetto ancora scemando
quello, eli' è in lui sovcrcliio, e riducendosi a bella, e per
così dire, aurea mediocrità, diverrà nobile, e graziosa vir-
tù, per la quale temendo !' amante di perder la grazia del-
la sua donna, temerà in conseguenza di far cosa, per cui la
perda meritamente, laonde d'intemperante diverrà tempe-
rato, d'avaro liberale, di timido forte, di vile magnanimo
ed in questo modo la gelosia sarà cagione che l'animo si
adorni di tvitte le virtù, come ne' lucidi sereni della notte
reggiamo il cielo di tutte le stelle esser risplendente; e
questa forse è la cagione, cbe alcuni il color ceruleo , o
cilestro le abbiano assegnato: se dunque tale è la gelosia,
non è di così fiera, e jualigna natura , come poco innanzi
la figuraste.
Cammillo. Voi avete dipinta così bella la gelosia, che
Amore istesso ne potrebbe divenir geloso in guisa cbe da
lei non si volesse mai discompagnare; ne vi bastando i no-
stri colori , siete ricorso a quelli del cielo, i quali molte fia-
te i pittori indarno procurano d'assomigliare.
Forestiero . Veramente io così stimo cbe siccome
l'ombra accompagna il corpo, e il raggio segue la luce ,
così l'amore umano sempre dalla gelosia vada accompa-
gnato; ma la compagnia di una virtù , cbe non è solamen-
te virtù di costume , ma cagione, cbe l'altre siano acqui-
state , non dee in alcun modo parerle odiosa ; e questo, se
non m'inganno, fa quel freno, il qual rivolse, e strinse il
Petrarca :
Spesso come a ccduilfren, che vaneggia.
Ma udiamo quel, cbe ne dice più chiaramente Dante nel
Purgatorio parlando di IVI. JN'ino, il quale:
Così clicca segnato di la stampa
Nel suo aspetto di quel drittozelo ,
Che misuratamente in core avvampa .
94 IL FORESTIERO
Caiumillo . Mi ricordo aver letto i versi .
Forestiero. Mh s'egli è zelo diritto, che avvampi mo-
deratamente, è virtù; perciocché tale è la moderazione
delle passioni.
CA3IMILL0 . Cosi pare .
Forestiero. Duncpie non solo ella quaggiù fra gli uo-
mini è virtù morale, ma virtù purgatoria ancora, che cosi
si può raccogliere da questo poeta; ed or, se vi piace, ascen-
diamo dal Purgatorio al Cielo, e rig >r^hainlo nell'anima
già purgata di Madonna Laura, della quale dice il Pe-
trarca .
Sì gelosa , e pia
Torna, ov' io san , temendo non fra i'ia
Mi stanchi , o'ndielro , a da man manca giri .
Cammillo. Veramente ninna più laudevol compagnia
potrehbe esser data al geloso, che quella della pietà.
Forestiero. Ma soileviamci ancora più, se pure alcuna
ala può bastare a cosi gi'ande, e co^l maraviglioso volo, e
riguardiamola coli' altre virtù esemplari in Dio, il quale è
detto zelatore, che nella nostra favella sonerebbe geloso;
laonde convenevolmente disse alcun Poeta moderno ma
pur' assai buon poeta:
E con eterno , ed amoroso zelo
E crear y e nutrir lutti i viventi .
Così di grado in grado abbina veduto che la gelosia
negli uomini è virtù morale , negli animi , che si purgano ,
virtù purgatoria, e virtù daniuio già purgato in quelli ,
che sono in cielo, s'è lecito di parlare colle parole depoe-
ti , cotanto gloriosamente accolti; e virtù esemplare in
Dio: delle quali cose, quando io cominciala ragionare,
non mi ricord.iva , ma poi du])itando pt r le cose da voi av-
visate, mi sono ritornate in memoria in quel modo, che
l'uno per altro contrario suole molte volte ritornarci; ma
pur essendo elle dette da' poeti , i quali alcuna fiata par-
lando cose diverse, alcune contrarie , non saranno perav-
ventura credute •
Camimii.lo. L'autorità de' poeti è grandissima , e quan-
do essi dicono alcuna cosa falsa, o pure opposta ad altra
già detta da loro , non sogliono parhue secondo In propria
NAPOLETANO 95
Opinione, ma secondo quella de' volgari , la quale è da lo-
ro seijuitii, porcile stimano di potere assai acconcia tamente
persuaderla.
FoKKSiiEf'.O. Ma se noi da' poeti non vogliamo essere
ingannati , come potremo avvederci, quando essi seguono
il parere altrui, e quando il loro medesimo; perciocché
quando introducono a ragionare, come più degli altri fanno
Omero, e Virgilio, e Dante, agevolmente debbiamo lor
concedere cbe dicono cose convenevoli alle persone , del-
le quali sono quasi vestili, vere, o false, ch'elle siano;
ma parlando in persona propria non pare che debbano di-
re , se non il vero: e perchè il vero al vero non è contra-
rio , ninna contradi/ione dee ritrovarsi ne' detti di buon
poeta, o pure alcuno se ne ritrova, perchè i poeti assomi-
gliano spesso l'amante, o lo sdegno soancora, da se stessi
ragionando, e si può quasi dire che lo sdegno, e l'amore
sia quel , che parli, e non l'intelletto: di maniera, che le
cose da lor dette sono anzi affettuose , che vere ; tuttavolta
essi talora separandosi da queste passioni piuttosto divini,
che umani paiono nelle poesie: e ciò essi fanno più spesso,
che l'altre volte , quando delle cose divin • sogliono favel-
lare , nelle quali ciascuno errore sareb])e più dannoso, e più
biasimevole eziandio ? che tutti quelli , che si possono
prendere nelle umane ; delle quali è proprio l'errare. La-
sciasi dunque ogni fallo, ed ogni inganno , ogni varietà ,
ed ogni mutazione in questa sfera delle cose, che si genera-
no, e si corrompono , la quale è regno della menzogna , al-
bergo della falsità , ed abitazione dell'incostanza, come fe-
cero Dante , e il Petrarca, i quali parlando degli animi se-
parati, ed immortali, non istimo che in alcun modo s' in-
gannassero, né volessero gli altri ingannare quantunque
alcuna fiala gli altissimi niisterj sotto leggiadrissimo velo
eleggessero di ricoprire; laonde tutto quello, che fu detto
da quegli uomini maravigliosi della gelosia, e degli animi,
che si purgano , e di quelli, che sono già purgati, istimo
che sia detto non men veramente, che leggiadramente: ma
quando poetarono de' nostri affetti, di leggieri si può lor
perdonare, che affettuosamente ne poetassero: ed a voi ,
che P^r^' convenevole?
'96 II. FORESTIERO >APOLETÀNO
CamMILLO. QucIÌo, clic ne dice un di questi medesinìi.
^oeti :
Ove sia , chi per prova intenda amore ,
Spero trovar pietà , non che perdono .
Ma queste cose si volgono, e si rivolgono, come all'uoui
piace j laonde ciascuno può stai-sene colla sua opinione.
.:..L
G I A N L U e à
OVVERO
t)ELLE MASCHERE
DIJLOGO
ARGOMENTO
In mezzo alia fi' ra malincoiiia , da cui era del continuo oppres-
so , provava il Ta<!sn grarnfissimo sollievo nel -vedere gli spettato-
li e le maschere- Onde nel carnovale del i584 ( i he è a dire verso
tafinc del tfuinlo anno della sua inL^ionia in S Anna ^ essendo
stato da Alberto Parma , dotto grntiliiomo Modenese , e dal ronltì
ìvpnliiit Gianlnea di l'errara , antico e fedel servitore del Duca
Jil/onso li- d' hsttì .condotto un giorno , con licenza di esso Duca ,
ad essere spettatore delle giostre e dxlle mascherate che con ricche e
nuove fàg^e di nriiamen'i e di abiti si facevano per In citta, ne
prese egli tanto diletto , che vòlte eternarne la memoria nella
presente scrittura , fingendo in essa un diàlogo intorno alle mascnc-
rr , occorso Ira lui e i detti suoi amici nel tempo appunto che si
erano questi a liii recali per condurlo fuori . Del cjual dudogo, erte
poi dal Gianluca gli piace/ uè 'd' intitolare , tale in breve è il conte-
nuto . ^i si tocca priinameiìte come i piaceri e i desidérj variano
secondo le età (letali uomini . Fatte quindi alcune parole del potere
che ha a'ond/ineno l' amore di ringiovanire le voglie, viensi a por-
lare dell'uso della maschera . Si accenna com' ella fu ritrovata da-
gli antichi per assicurare l' ardita licenza del mordere, ed a che
serva oggidì ; ed entrasi poscia a far conoscere come nel mascherar-
si occorra prendere ad imitare i migliori . Si passa fìnalincnte a nt-~
itòrrire di alcuni abiti che , per imitar quelli , potrebbe vestir chi
s immaschcra ; ma, osservando il Tasso che la novità , o /' antichi-
là di essi desterebbe forse le risa-, conrhinde quanto a. se di vestirà
de^ pruprj panni, non mettendo altro di piìj dell' ordinario (he un»
maschera ed un cappello , e di uscir così a godere de' divertimenti ,
a cui i suoi due amici erano per guidarlo .
Fu scritto dal nostro Torquato questo dialogo nel <;opradd:^itf>
anno i5S4. I\on venne però in luce se non che nel i586 colla quar-
ta parte delle Rime e Prose di esso poeta , stampata in t^enezia dal
Dialoghi T III. .7
98 II. GIANLUCA
Vasalini in 12." Nella libreria Durale ili Modena se ne conserva
uno copia a penna fatta da Giulio Mosti, e corretta qua e là di ma-
ria dell' autore medesimo.
INTERLOCUTORI
ÌL SIG. ALBERTO PARMA, IL SIG. IPPOLITO GIANLUCA ,
FORESTIERO NAPOLETANO.
Alberto . 1 ulta Ferrara è piena di maschere , e voi
solo ancora siete rinchiuso.
Forestiero. Questo non è senza n^io dispiacere, per-
chè quantunque io temperi tutti i fustidj della nostra vita
con lezioni assni piacevoli, per le quali alcune volte mi
dimentico del mio stato, e della sorte, e quasi di me stes-
so, nondimeno la solitudine lunga viene finalmente a no-
ja ,• ma non lio desiderio d' immascherarmi .
Alberto. Già solevate essere anzi de' primi, che degli
ultimi, ed ora è tempo, die viviate non meno allegro.
Forestiero. L'allegrezze sono conformi all'età degli
nomini, siccome i frutti alle stagioni ; laonde quel che di-
letta alla giovanezza non suol piacere all'età matura pari-
mente; e gli esercizj della virilità sogliono essere fatiche
intollerahili alla vecchiezza .
Alberto. Siccome al line della Primavera è simigi lau-
te nelle sue qualità il principio della State; e quando ella
concede il luogo all'Autunno è molto simile la temperatu-
ra delTuno e dell'altro: così la vostra età virile è ne' con-
fini ancora della giovinezza , né si conosce la mutazione ;
onde vi dovrehbono piacere quelle cose, che a' giovani
sono care .
Forestiero. L' infermità è quasi vecchiezza , però son
pili simile a' vecchi ne' miei desiderj.
Ippolito. Sarete assai tosto sano ,e potrete riprendere
le voglie giovenili a vostro piacere, e forse germoglieran-
no co' fiori , e coir erba della Primavera.
Forestiero. Siccome i capelli canuti non divengono
mai neri, cosi mai non ringiovaniscono le voglie una volta
invecchiate.
o DE(.i,E :>iaS(;hrrk cfC)
At.p.erto . Rivolgetevi ad Amore, come fece un poeta
da voi lodato , e dite ,
£ questi capei tingi
Nel color primo , acciocché fuor la scorza ,
Coni' è vinto quH dentro, non dichiari .
Forestiero. Io dirò piuttosto col medesimo Poeta:
. . . Concedimi , o Sig/inr, eh' io ^'iva
Mio tempo estremo alinen là d<n'e sia
Cortese^ e mansueta signoria.
Ippolito. Se io non credessi vedervi innamorato di
nuovo ....
Forestiero. Che torreste?
Ippolito. Di seguire il vostro parere in ogni occasione.
Forestiero. Ma se non v'attenete a' consigli de' veri
amanti, non dovete stimarli buoni.
Ippolito. Non in tutte le cose.
Forestiero. Dunque l'essere amante è imperfezione
di giudizio?
Ippolito. Non tutti gli amanti son tali , perchè alcuni
dimostrano giudizio grandissimo nell'azione.
Forestiero. E da questi agevolmente vi lascereste
persuadere?
Ippolito. Senza fallo.
Forestiero. Gli amanti sogliono persuadere l'amare ,
o il disamare ?
Ippolito. L'amare.
Forestiero. Dunque coli' altrui consiglio diventereste
di nuovo amante, e tornereste a' primi sospiri, alle prime
lacrime , all'antiche passioni .
Alrerto. Anzi piuttosto gli amanti sogliono per gelosia
persuadere, die altri non ami, perchè l'arte dell'amare è
una specie di caccia , e gli amanti somigliano que' caccia-
tori , che vivono di preda, né rivelano il luogo, dove s'ap-
piattano le fere.
Ippolito. Questo poco importa più nell'un modo che
nell'altro: ma voi presupponete che io sia stato altre vol-
te amante, e forse v'ingannate.
Forestiero. Se prima non amaste, il consigliero inna-
morato sarà cagione che in questi anni divegnute amante .
lOO it GIANLUCA
Ora non è tempo di far questa deliberazione ; ma piatto-*
sto se debbiamo immascbcrarci.
Alberto. La maschera fu per la scena ritrovata, per-
ch'ella assicurasse l'ardita licenza del favellare, e del
mordere altrui, ricoprendo il viso de' morditori , i quali
da principio l'uni^evao di feccia, che serviva in ([uell'uSo,
nel quale ella dipoi si adoperò, crescendo la pompa deyli
abiti coll'artificio de' poeti ; laonde non ha bisogno di lei.
chi non monta in palco.
IppotJTO . La ragione sarebbe ass.ii buona per gli anti-
rhi ; or son mutate l'usanze, e gli ascoltatori son masche-'
rati, e smascherati gl'istrioni; laonde noti è soA'erchia la
deliberazione.
Forestiero. Questo è di quegli effetti, che segue l'a-
more; però la determinazione dovrebbe cominciare dalle
prime cagioni .
Ippolito. Molti, che non sono amanti, si vestono di
questo abito per usanza , e per comodità .
Forestiero. O puittosto molti, cbe dicono di nona-
mare; che io per me non so conoscere qual co nodità por-
ti una mascbera , la quale impedisce il respirare, ed un
abito di canovaccio , o di romagimolo.
Ippolito. Voi biasimate le maschere Modanesi, non le
nostre, sotto le quali con ninna diltieultà ci difendiamo dai
venti e dal ghiaccio, laonde possono esser dette ragione-
volmente r arme usate centra il verno.
Forestiero . Se l'arme son così fatte, quasi ciascuno
era armato, quando prima vidi Ferrara, e mi parve che
tutta la città fosse una maravigliosa , e non più veduta
sceiia <lipinta e luminosa, e piena di mille forme e di milli;
apparenze ; e le azioni di quel tempo simili a quelle, cbe
sono rappresentate ne' teatri con vario lingue, e con varj
interlocutori: e non bastandomi Tesser divenuto spettato-
re, volli divenire un di quelli , che eran parte della com-
media, e mescolarmi con gli altri:
E ben ^'t'ggio or, siccome al popol tutto
Favola fui gran tempo , onde sovente
Di ine niedesmo meco mi vergogno.
O DELLE MASCHERE lOI
E del mio vaneggiar vergogna , è 'l frutto^
E 7 pentirsi , e 7 conoscer chiuramtnte ,
Che quanto piace al mondo è breve sogno .
Ippolito. Chi si pente , non pensa di far nuovo errore.
Forestiero. Né già penso di farlo: però se il vestire
in questa guisa è fallo, dobbiarn guardarcene.
Alberto • Come può stimarsi errore quel che fanno i
Prìncipi, i Cavalieri, i Dottori, i Prelati, coll'iinitazione
de' quali a ciascuno è lecito di vestirsi questo abito, si ve-
ramente che lo ficcia con modestia.
Forestiero. Dunque si può sicuramente imitare i mi-
gliori , e non solamente senza riprensione , ma con lode .
Alberto. Senza dubbio .
FdRESTiero. E r imitazione de' peggiori è lodevole e-
gualmente?
A lberto . Non è .
Forestiero. Merita nondimeno alcuna lode, o pure
non la merita?
Alberto. Molti son lodati, perch'è bene imitato da
loro quel, che prendono ad imitare .
Forestiero. E quel che bene imita, è buono imi-
tatore ?
Alberto. Quello , e non altro , a mio parere .
Forestiero. Ma si può bene imitare il male?
Alberto. Molti ho uditi, i quali hanno bene imitate
le cose tutte, quantunque fossero vili, basse e cittive .
Forestiero. Ditemi, se vi piace quel, che sia l'i-
mitare .
Alberto. Se io non m'inganno, è l'assomigliare.
Forestiero. Ma colui, che assomiglia, divien simile
all'assomigliato, ed imitando il male, conviene ch'egli
li' abbia simiglianza.
Alberto. Conviene.
Forestiero. Dunque d bene, imitando il male, il bene
s'assomiglia al male.
Alberto. Così avviene .
Forestiero. E il fare che il bene prenda sembiante di
male , può facilmente esser cagione d' ingannare ?
Arberto. Agevolmente.
I02 IL GIAM.UCA
FoRF.STlFRO. Si può dunque il bene prendere in vece
(li male, e il male in vece di bene, in quella ijuisa che nel-
le commedie veijgiamo Tun siuiile esser preso in iscambio
dell' altro .
Alberto. Si può : assai vicina è la similitudine fra le
mapcbere e le commedie , e Terrore è quasi ristesse.
Forestiero . Dunque r imitatore del male, o de' peg-
giori, che vogliamo chiamarlo, è contrario al filosofo, per-
cioccbè l'uno c'insegna a distinguere il bene dal male , e
l'altro confonde la distinzione.
Alberto. Cosi mi pare per questa ragione.
Forestiero. Ma è contrario parimente all'imitar dei
peggiori, 0 se ad uno solamente è contrario, il filosofo , e
l'iinitatore de' migliori sono l'istesso.
Alberto. O sono stati piuttosto, che tali furono Ome-
ro, Sofocle, Euripide, Senofonte e Platone medesimo, il
quale non solo imitò le azioni e i discorsi de'migliori , ma
formò l'idea di ciascuna virtù ne' suoi ragionamenti.
Forestiero. Ma l'imitatore de'uiigUori è buono senza
fallo.
Alberto. Cosi mi pare.
Forestiero. Dunque siMiza dubbio è reo l'imitatore
de' peggiori, ch'è l'opposto almeno in quella azione; e
tanto peggiore quanto sono peggiori gì' imitati; perchè al-
cune commedie rassomigliano in modo all'ordinaria vita
de' cittadini , clie l'imitazione par de' simili , o degli egua-
li. E se Aristotile chiamò la commedia imitazione de'peg-
giori intese della commedia vecchia , alla quale molto si
assomigliano nella nialedicenza (jueste, che vendono il di-
letto a prezzo .
Alberto. A'eramentc la commt;dia, che fu detta nuova
a differenza di (pietla di Aristofane e degli anticbi , è qua-
si maestra della vita civile: ed a'nostri tempi il Bibbiena,
l'Ariosto, il Tasso vostro padre e 1 Piccolomini, hanno
acquistata molta laude.
Forestiero. Mio padre fece la sua non per elezione,
ma per coiiìandamento , e servendo meritò lode, come fe-
ce in tutte l'altre operazioni , perdio, bene ubbidì. E for-
se quel, che si dice ben imitare in alcune commedie, do-
O DELLE MASCHERE Io3
vrethc piultosto dirsi, acconciatamente , o convenevol-
mente . Ma l'usanza , la quale ha fatto lecito l'imitare il
male , ha ritrovati ancora questi nomi sconvenevoli .
Albeu'IO. Mutiamogli dunque, ed usiamoli convenien-
ti, se nel tempo delle maschere non gli vogliamo usare
quasi larve del vero.
Forestiero. Ma chi prenderà questo ardire , se non
ci vien di Modana , la quale è così buona maestra di for-
marli; e nella quale s'insegnano, e s'apprendono tutte le
piij lodate lingue, e si conosce il valore e il pregio di cia-
scuna, e da voi particolarmente, che di tutte siete padro-
ne? Usiamo frattanto gli usati , e se dobbiamo imitare i
migliori , come diceste, non gì' imitiamo nel male, e non
divegniamo imitatori de' peggiori non ce n' accorgendo.
Alberto. Io conosco che vi piace vestirvi in quel mo-
do che fanno questi, che sono rhiainati Zanni, Pantaloni,
o da lacchè: chiedete dunque gli abiti, come usano i mi-
migliori, che io cercherò di trovarli.
Forestiero. Volete forse che io mi vesta di bigio , co-
me faceva il Muzio Justinopolitano; o pur co' piedi scalzi,
e cinto di corda cerchi di rassouiigliare il Panigarola gri-
dando: oh miseri mortali, in che spendete le mal nate ric-
chezze, colle quali si può nutrire il povero virtuoso ?
Alberto. Io non voglio questo in modo alcuno, perchè
ciò sarebbe divenir predicatore.
Forestiero. Ma i predicatori son migliori?
Alberto. Non se ne dubita.
Forestiero. Perchè dunque c'è negato d'imitare i
migliori scherzando? E se pure la maestà della nostra re-
ligione non consente che si scherzi , questi uomini , che
danno consiglio a'Principi, ed a'Cavalieri nelle materie
d' onore , dovrebbono almen contentarsi di essere imitati
in maschera .
Alberto. Così mi piace: vestitevi di lungo, e cammi-
nate pon gravità, e parlate di rado con voci soavi , come
fanno i magnanimi .
Forestiero . Dunque la toga de' Veneziani , che io
non chiamo col suo nome, perchè il suono spiacevole non
Io4 IL GlAM,tfn.\
■vi offenda , o il ciippuccio ;Miticu deb'iorentiiii, ivon sarebs-,
be disdicevole.
Alberto. Non mi pare.
Forestiero. TuttavoUa la novità deH'abito , o l'anti-
cliilà piuttosto rinnovata, tirerebbe a sé mille occhi , etl
alcun direbbe .- Che si è questo? che si è ? e questo perav-,
ventura ci moverebbe .a riso .
Alberto. i\on è piccola operazione muoverci a riso, né
poco graziosa .
Forestiero. E nondimeno fraudolenta , perche il riso
è fraude,e ci dobbiam guardare altrettanto di farla, quan-
to che ci sia fatta .
Ippolito. Vestitevi dunque a vostro modo.
Foresi lERO. Ionie n'andrò colla mia roba medesima
foderata di pelle, ed un de' servitori porterà questi libri
in vece di spada , l'altro la berretta, perchè ne potrei
aver bisogno: voi trovate il cappello e la maschera.
Ippolito . Son trovati.
Forestiero. In questa maniera non imiterò alcuno dei
migliori intieramente.
Ippolito. Imiterete voi stesso; e chi è migliore di voi?
Forestiero. Questa vostra è cortesia , o Signor Ippo-
lito , il quale siete un di coloro , che imitano i migliori
nell'opere valorose , ne celate colla maschera alcuna cosa,
di cui dehbiate vergognarvi ; perchè gli arringhi , le gio-
.stre , i torneamenti, ne'quali il vostro valore è conosciuto,
sono le vostre nobilissime imitazioni ; e le pompe di que-
sta Corti' agguagliarono tutte quelle fatte da' R<;, o d igli
Imperadori; nò sono inlViiuri all'antiche descritte da poe-
ta , o da istorico; perchè vi furono vedute non solamente
l'operazioni di;'Gavalieri,itia le maraviglie ancora degli Dei
favolosi; ed io vidi la Fama picciola da prima , e poi cre-
scendo nascondere il capo fra le nuvole, e udii la sua
\ romba .
Ippolito. Il Signor Duca non lascia alcuna occasione
di manifestare la sua grandezza e il suo valore, e quando
non sono presenti le vere battaglie , ci mostra 1' immagine
di ciascuna .
Alberto'. Due sono le maniero, colle quali si rassomi-
O DELLE MASCHERE joSj
glia la guerra; l'ima questa, della qual parliamo; l'altra
la caccia : e nell'una , e nell'altra si esercita il Signor Du;
fia ed i suoi cortigiani .
Forestiero. E voi particolarmente, Signor Ippolito,
imitando i migliori, imitate voi medesimo meglio, che io
non so rendervi quel, che v'è dovuto, perchè siete stato
seco in quelle imprese, cììf gli hanno grande onore e glo-
ria immortale acquistato. Ma io non so, né posso imitare i
migliori in questa guisa; e l'imniascherarsi, s'è degno di
scusa, non è meritevole di laude . Starò dunque fra colo-
ro, che risguardano con piacere, e mi contenterò di esse-
re scusato .
Ippolito. Non è picciol diletto veder tanti' Cavalieri
coii abiti così varj , e spesse volte così ricchi, armeggiare
con tanto valore, f con tanta leggiadria ; e tante donne
piene di tanta bellezza , con s'i rari, e con sì nuovi orna-
menti .
Forestiero. Fra 1 piaceri della vista non so qual si
trovi maggiore, e riniirandp or l'una , or T altra
Or ili forma eli Ninfa , o ci' altra D<ia ,
mi pare che l' i'iiitazioue trapassi tutte le similitudini , e
tutte le maraviglie Ma qui sarebbe necessario, o Signor
Ippolito , il vostro consigli(To, e torse quello che rassomi-
glia il Panigarola , che in questo caso egli ci sarebbe con-
ceduto per rilrarci da' pericoli, che sono come acuti scogli
ricoperti dall'onde tranquille.
Ippolito . Già s' è deliberato che dobbiamo immasche-
rarci; l'altra deliberazione faremo sulla festa ; non dubita-
te che vi condurrò in parte , dalla quale vi spiacerà il
partire.
IL
MINTURNO
OVVERO
DELLA BELLEZZA
DIALOGO
ARGOMENTO
yj. nioriio ]}lìrìtiiriio Napoletano , vescovo dì Ugento e poscia di
Crotone, il quale fiorì poco dopo la metà del secolo Xl^l.,/ii non
solo Prelato esemplarissimo ed aliremodo pratico delle Corti, ma.
eziandio gran letterato , come appare dai suoi quattro libri dell' Arte
Poetica J'oscana, dagli altri sei del Poeta scritti in latino e dai mol-
ti suoi versi. Onde convcneiolmente è introdotto a ragionare in
questo dialogo nel modo che fa , pieno di varia dottrina e di filoso-
fìa , e con quel costume che è più conforme al suo grado ; e a dar il
nome al dialogo stesso , di cui il soggetto è la bellezza . ('hi inter-
viene a discorrer seco è Girolamo Ruscelli , ttomo piuttosto vano
che di gran lettere , siccome mostrano le sue opere, nelle q ìtali pro-
mette di se pili assai di quello eli egli valeva , o che atteiidca ;
ma che si acquistò alcuna lode per le fatiche impiegate nel mandar
fuori gli altrui scritti , e ne II' agevolare con annotazioni, rimnrii,
ed altre sbnili diligenze la vìa del ben poetare : sicché argutissima-
mente venne poi chiamato nobil sensale di Parnaso . La costui bur-
ianza si esprime al vivo in quella parte dov egli parla di sé medesi-
mo: e come questo dialogo è rappresentativo, e tutto formalo ad imi-
tazione dell' Ippia AJaggiore di Platone , d'onde molte cose sonaci
trasportate; così può quasi dirsi eh' eì rappresenti la persona d' Ip-
pia , e il Mintnrno quella dì Socrate ■ Che che sia nondimeno di
una tal cosa , egli ci è pure in qualche modo onorato. Lo che sti-
miamo essersi fatto dal Tasso per riconoscimento dell' aver egli in
una lunga lettera a Filippo lì. re di Spagna , la quale si legge nel
primo volume di quelle de' Principi, parlalo a favore di Bernardo
suo padre , e detto di lui , raccomandandolo alla maestà di esso re,
cA' era giovine di raia speranza per la vivacità dell' ingegno e af-
l'e/.ione agli studi . Il qunl presagio fu forse il primo, che per iscrit-
tura si facesse di Torquato , poiché allora aveva egli tocco appena
il diciasettesimo anno dell' età sua ; presagio che poi in questo dia-
logo stesso si fa anche dal Min turno, e dal Ruscelli si conferma.
// amicizia che era fra colai due letterati, ed il luogo , essendoché
il ieoondo viise alcun tempo in Napoli, aprono la, strada al ragia.
I08 IL MINTURNO
nauti Ilio . Aniflcioai'i'ilina e vr/iincnw Sncraticn n è ì' iniroduiio-
ne . Per mrzzo delle lodi che il Mintiirno dà al Ruscelli , e di ijiiel-
le che il Ruscelli dà a se medesimo , vien questi alfine , quasi non
ni'i'edendosefie . a dar occasione all' altro d' irUerrogarlo intorno al-
ia bellezza, allo quale elicei a di portare injlniln amore ovunque el-
la si/osse . Con varie acute domande egli è indotto pertanto a recar
in mezzo le sue opinioni circa ad essa . A misura però , che vengon
elleno da lui esposte, il Minturno con nuove richieste va bella-
mente confutandole . Pt'el qual modo fattogli conoscere che non è
la bellezza né una bella vergine , riè decoro, ne inganno , né tiran-
jiide , né violenza , né potenza , né regno solitario , nò quel che gio-
va , siccome egli asserii'a , passa il Prelato a ini>estigare se ella mai
fosse quel che piace specialinenle ai sensi della vista e dell' udito :
ma riprovata anche qui sta definizione , e rifiutata insieme l' altra
che sia proporzione delle, porti , entra a mostrare piuttosto , alla
maniera usata alcuna volta da Platone ne' suoi dialoghi, quel che
ella non sia , che quel che ella sia D( termina nondimeno che la
Vfra bellezza non è nelle cose corporee e materiali , e rifiuta l' opi-
nione de' Peripatetici (he la riposero nella materia. Prende egli
pcsria con dottissimo discorso a dimostrare die tutte le cose terrene
e mortali per la loro instuhilità son false : che /' uomo non è vero
uomo , psrciorciiè fa in se tante mutazioni : che si può dire in un
certo modo che sieno pur falsi i pianeti medesimi : che i femminili
mezzi soprututio sono Jrnndi e bugie ; e che finalmente la vera
bellezza è solo nella natura angelica , o nclT anima umana che si
purga : e siginfuaco qniudi con l esempio eli Giovanna f Aragona ,
a cui il R^'iscelli aveva dedicato un libro cu/i titolo di l'empio , co-
me l'anima umana purgandoci divenga bella; con mi' acconcia
«sortaziotie consiglia a fuggire tutti i piacevoli obbietti, ed a chiu-
der gli occhi per non riguardarli II Ruscelli per altro mostra di
non acquetarsi a'ie addotte ragioni; anzi torna a mettere a campo
quella definizione della bellezza, eli era stata poco avanti dallo stes^
so Minturno riprovata, cioè ch'ella sia proporzione e misura di cose,
che hanno parti dissimili; e loda di nuovo le bellezze della detta
Giovanili , eli era una delle fgtiiude del marchese del f^osto suo pa-
drone. Onde alfine il Minturno gli dice , eli egli creda pure a piacer
suo ; ma che la sua opinione non lo privi di senno per cagione del-
la liberalilà, che seco usava /' accennalo marchese ; riprenden-
dolo così gentilmente che a guisa degli antichi Sofsli abbia maggior
riguardo ^ nell' esporre le proprie opiniotii , all'utile elici ne trac,
che al costume di filosofo , che ami ed insegni il vero .
Il dialogo , come si è detto, è imitato dall' Ippia Maggiore, e tes-
suto in buona parte con le medesime fila fu dove si esaminano le
definizioni apportate della bellezza ; ma dove poi sotto la pers(>!:a
ilei Minturno manij^esta il l'asto i suoi propri pensamenti, libero
nel filosofare , con nuova e sottilissima investigazione s' innalza a
cose da altri non dette , né Jorsc con più vere, a più utili ragioni
spiegate . Onde di tal dialogo , egualmente che degli altri tulli di
esso Tasso , può a ragione dirsi quel che si diceva di quei di Plato-
ne , cioè che la dottrina in lur contenuta è ad un tempo e morale «
O DELLA BEJ.I^EZZA. TO;^
iperulrttii'n , sicché alla comune r.ofnnetnrline degli namiiii può fa-
cilmente, ncrnmcdarsi , ed insieme rivolgerli alla contemplazione
delle cose itivinc ed immortali .
Ciò è, con lievissime variazioni , quanto come nrgomcnio prepo-
se Marc' Antonio i'oppa alla presente scrittura nel pnhhlicarla cli6
Jnce per la prima v(dia in Roma l' mino i6t't6 inueine con altre
ijpere non piìi stampate del nostro aiilore . Opina il Serassi rhc tan-
to essa , quanto l'altra intitolala il V'ìc\no , fossero da Tuiquato
composte nella stia prima giovinezza , e dice di essere a ciò indotto
1° dall' ossenuire che r autore non v introduce persone sue cono-
scenti come nesli altri dialoghi ; 9..° dal -l'edere che in questa si/a
rrienzione di lui come di poeta motto giovine e qitasi fanciullo ; e
"i." finaluience dal ravvisare in ambedue una quasi servile imita-
clone di Piatirne . Noi non siamo però del suo parere: in primo luogo,
perchè non è vero che tutte te persone introdotte in questi due din-
tóe}ii non fossero da lui conosciute . Non potevano essere suoi cono-
scenti uè il ficino , né il Landino che vissero assai prima ; ma non
così e il Minliirno e il Ruscelli, che fiorirono al tempo suo . Anzi il
Poppa nffrma che il secondo fu da lui conosciuto in Venezia , al-
lorché colà tro\:avusi con suo padre , che è a dire nel i -^Sq. Seronda-
rinniente perchè la menzione che si fa di lui nel dialogo presente
conte di poeta giovanissimo, nulla conchiude intorno al tempo, in
cui può essere stato scritto il dialogo stesso: e in ultimo luogo, per-,
rhè sebbene in amendue i delti dialoghi si riconoscano molte ros»
parte imitate e parte trasportate da que' di Platone , nondimeno
f imitazione non è per cerio cosi servile da non lasciar conoscere
ilie la ninne, da cui sono usciti , era quella, anzi che di un giovane
di venlidue anni, di un nomo consumatissimo in ogni genere di
studi. Alieni pertanto dal convenire nella sentenza del Serassi,
slimiamo i/ivere col citato Foppa , che sien eglino stati composti
dair autore negli ultimi anni del viver suo . E siamo condotti t/4
quest' opinione, particolarmente quanto al dialogo della bellezza,
da quel Inolio ove parlando di Torquato come giovine poeta , il
AJiniurno t/ù e; Piaccia a Dio che l'infelicità delia rorliina noti pei «
tii.'bi ili felicità dfir ingegno ! l'erciocchè par piii probabile che ciò
scrivesse il Tasso in tempo che già le sciagure lo affliggevano , di
quello che nella sua età giovanile, in cui sappiamo eh' egli viveva.
una vita tutta piena di belle speranze, e lontana affatto da ogni
timore di guai. E sicccome poi e dalle persone introdotte in es-
so tlialogo, e dal luogo in cui si finge accaduto il ragionamento,
sembra potersi conghietturare che venisse da Ini composto in Napo-
li, tanto pili che. dà ivi a questa cillò. singolarissime lodi ; così se
ciò è, non può essere stato se non che appunto negli ultimi suoi
tempi. Un lesto a penna originale di sì fatta operetta conservasi in
Roma nella libreria Falconieri , ed un altro, autografo esso pure ,
era, non ha tnolii attui, in Napoli presso i t'P Cappuccini del
Convento della SS. Concezione .
no IL MINTUNO
INTERLOCUTORI
ANTONIO MINTURNO, GIROLAMO RUSCELLI .
T>
MlNTURNO. il oche volte abbiarn grazia di rivedervi in
questo nostro lido, gentile e dottissimo Signor Girolamo.
Ruscelli. Non in' è conceduto di venirci se non di
rado, perchè già le occupazioni del .Sig. Marchese del Va-
sto mio Signore, s'usurpavano la maggior parte di me me-
desimo: ora son impiegato assai spesso in cose, che ap-
partengono alla Maestà ed alla gloria dell' Imperadore: né
si tratta di pace , o di guerra, o di lega , né si arma eserci-
to, né si raccoglie armata, né si fortifica città senza il mio
parere; laonde avviene che io soglia meno frequentar que-
sta piaggia, e questi colli, nc'quali solevano essere i miei
diporti.
MlNTURNO. In ciò si conosce ancora la vostra pruden-
za, colla quale vi siete separato dal volgo , e dalle scuole
de'fanciulli, e congiunto con gli uomini di stalo , innalzan-
dovi alla cognizione delle cose del mondo, e de'Principi,
anzi alla famigliarità de'Re e degl'Iinperadori. Però nan
so conoscer la cagione, per la quale l'Aretino, il Dolce, il
Clario, il Franco, il Muzio, il Fortuiiio, il Dauienichi, il
Flavio, r Atanagi , il Corso, e tanti altri nostri amici, i
quali hanno in questa età fama di letterati , non abbiano
voluto imitarvi.
Ruscelli. S'io non m' inganno, la cagione è stata de-
bolezza d'ingegno, per la quale non hanno saputo trattare
insieme le cose pubbliche, e le private, ed in un medesimo
tempo acquistar gloria nell'azione, e nella contemplazio-
ne. Anzi l'Ariosto medesimo, che fu assai adoperato dai
suoi Principi , e potè aver esperienza eguale al sapere,
nelle azioni del mondo riuscì freddo, anzi che no ; e vinto
da pusillanimità, si ritirò da' servigi di quel suo m;igiiani-
ino Cardinale, il quale fu 1' orniincnto e la gloria di <picl-
la età .
Mlxturno. Adunque, s'egli rinascesse, sarebbe perav-
O DELLA BELr,EZZA I I I
ventura da noi scliernito , quasi nuovo Dedalo dai>li scul-
tori, che poi seguirono, i quali si beffavano dell'opere che
a'suoi tempi parvero maravigliose, e gli acquistarono glo-
ria immortale .
Ruscelli. Così avverrebbe senza dubbio, Signor Min-
turno: ma io soglio sempre, ed in tutte ìc occasioni pre-
porre gli uomini anticbi a" moderni , per ischi var l'invidia
dei vivi, e l'indignazione de' morii.
MINTLR^o . Buona è senza flillo la vostra opinione, e
degne di fede e d'autorità le vostre parole ; e se il mio te-
s^tiinonio può confermarle , io posso affermar senza bugia ,
d'aver conosciuto in questa città il Bonfadio ed il Flami-
nio, e molti altri i quali se non partirono arricchiti coi
doni; o almeno onorali colle riccbezze de Signori Napole-
tani : nondimeno il lor sapere e l' intendere, non mi pare-
va che si potesse paragonare all'acume, ed al sottile aA--
vedimento , del quale sono forniti i piìi moderni, e voi
oltre a tutti gli altri, leggiadrissimo Signor R.uscelli, a cui
non si può tanto donare che più non meritiate.
Ruscelli. Io Un'ora son più ricco di favori e di con-
viti . che di facoltà, e oltre a quegli ornamenti, cbe pos-
son far riguardevole la persona e la casa , pocbe sono
quelle cose cbe m'avanzino , o piuttosto die mi bastino .
MlNTURNo • Grande sciagura è veramente di questi se-
coli, o piuttosto di queste bellissime lettere di Poesia e
d'Umanità, alle quali non si concede altro premio, cbe
quel della gloria; laddove i legisti, i medici, gli architetti,
gli scultori e i pittori, sogliono non solamente arriccbire,
ma trasriccbire , come a nostri tempi banno fatto Raffael-
le, Michelangelo ed il Cavalier Pacciotto.
R^USCELLI. I Poeti sono pagati dell' istessa moneta, cioè
della gloria , la quale almeno dovrebbe esser simile all;t
moneta di cuoio , cbe si spende a' tempi della necessità, e<l
in miglior fortuna si ricompensa coll'oro e coli'argento ;
ma io veramente bo ceduto ad alcuno nel fare i poemi, ma
nel darne giudicio a niuno; laonde volentieri fui ascoltato
in Roma, in Toscana , in Venezia , in Napoli ed in Sicilia ,
e da tutte le parli assai d'onore e di gloria ho riportato,
ed alcuna volta congiunta con molla utilità.
Vii II. MINTURXÒ
Mli\TURNO. Ò gentilissi:Tio Signor Ruscelli, ben si pù^
re, che la vostra sapienza è conforme a questa età, là
qtiale è tutta gentilezza e cortesia, ina i letterati de' tem-
pi addietro erano rozzi anzi che no, e sapevano poco ac-
comodarsi all' opinione de' Principi e del mondo: ma pu-
re in qual parte la vostra virtù fu più onorata, in Roma
forse ?
RUSCEM.I. No veramente; perchè in Roma ógni cosa più
volentieri si soleva ascoltare, che quelle, delle quali io fo
professione: ma s'io ragionava d'arnie, o d' imprese, 0 della
bellezza di questa nostra lingua, e de' nostri poeti , o pur
di cortesia , e di quel , che appartiene al corteggiare, ed al
corteseggiare, era alcuna volta udito non malvolentieri: ma
il premio dell' udienza , era una semplice lode di virtuoso:
nell'arti più secreto, com'è l'alcliimia, non era chi mi
prestasse credenza; nelle cose di Stato mólti dfscordavanò
dalla mia opinione, e pochi, per mio giudicio, erano se-
guaci delle parti Cesaree; ma grandissimi onori erano faUi
a chi disputava , se il Papa avesse autorità sovra il Conci-
lio , ò se la residenza de' Vescovi fosse de J(irc D/\'ino;
laonde io mi partii da quella Città poco soddisfatto di me
medesinrio, che non avessi atteso a cose più gravi, e me
ne tornai a Napoli .
MlNTURP^O. In questa città senza dubbio la vostra virtOi
fu raccòlta coti maggior cortesia.
HuSCELLI. E vero; ma nondimeno ei-ano in maggioì*
pregio i musici ed i cantori., o pure i lott:itori, e gli scher-
)nitori ed i maestri di cavalcare; laonde io fui costretto
ad andarmene a Venezia , dóve per alcun breve spazio di
tempo attf'si alla correzione delle stampe, e procurai che
i libri da me stampati fossero i più belli, ed i meglio inte-
si di tutti gii altri: ma fui richiamato dalla cortesia del
Sig. Marchese, al quale io aveva fatte alcune Imprese, che
potrebbono esser scolpite co' trofei di Carlo V. E benché
io ne' suoi servigj , esercitandomi nell'officio di secreta-
rlo, abbia atteso principalmente alle cose di Stato, laonde
ho fatto quasi una ferma scienza de' Regni , e delle Repub-
bliche , e de'costumi , e delle leggi , e delle mutazioni di
ciascuna ,• noudiuicno io non ho potuto dbuenlicar lo stu-
0 bEl.LA BELLEZZA l ,3
dio delle belle lettere, anzi di tutte le cose bolle, e del-
la in or e , cbe io porto alla bellezza. Però, quando si pensa
di tare un esercito, o di mettere in nuive un' armala, io
soi;lio pensare non solamente al numero ed alla t|u;ilità
de'soldati, de'cavalli, de'legni, e dell'armi, e dcgl' in-
strumenti, cbe sono necessari nelle guerre marittiuìe, e
terrestri , ma alle divise, all'insegne, ed alTimprese dei
Principi e de' Cavalieri; e sovratutto al !>en comparire, ed
al far bella mostra ; estimando cbe abbia gran parte del-
la vittoria colui, il quale si mostra nel! djtparenza degno
dell'esercizio dell'armi,
MlNTURNO. Voi dunque vorreste vi.icer piuttosto colla
bellezza, cbe colla virili de' soldati : ma questo peravven-
tura è impossibile, perchè le ricclie st>pravveste, e i ci-
mieri , e i padiglioni, e gli altri impedimenti dell'esercito
sogliono esser piuttosto preda dill' inimico, che spavento.
RlS( ELLl. Non è sempre vero; anzi molte volte la bellez-
za dell' aruji , e dell'imprese è congiunta col terrore; laon-
de io Vorrei , ohe i nostri eserciti fossero simili a quelli dei
Cifid)ri , i quali . come si legge in Plutarco , portavano ne-
gli scudi orsi, lupi, leoni , cinghiali ed altri animali fero-
ci , onde somigliavano un esercito di fiere armate dalla na-
tura medesima a spavento de'nemici: tanto importa per
mio giudicio il terrore dell'armi congiunto colla bel-
lezza.
MliVTLRNO . Io credeva , che voi non ricercasse la bel-
lezza, della quale siete sì vago, negli eserciti, e fra lo
splendore deli' acciaio, ed il fumo, ed il rimbombo del-
l'artiglierie: m.i piuttfisto ne' giardini e ne' palagj , ornati
di marmi e dì pitture , quali si veggiono in questa fertilis-
sima pi;;ggia, ed in questi amenissimi colli , in cui perav-
ventura non si contempla alcuna immagine così bene scol-
pita , o dipinta come son quel!;', che ha formale la natu-
ra medesima .
Ruscelli. La nalum ha voluto dare i suoi Angeli :il
suo Paradiso, perchè non era convenevole che in questo
paese , il quale curviuulosi a guisa di Luna, e (juasi iii.-
magine del cielo , gli abitatori , e le abitatrici fussero d'al-
tra natura, cbe di celeste e di angelica ; anzi, s'è vero
Dialo^lii T 111 8
ìl4 ir, MINTUNO
quel clic dicono alcuni de' nostri Teologi, che Iddio crei
scnjpre nuovi Angeli, mi pare che più in questa parte,
cbe in alcun'allra dimostri questi suoi miracoli : ina io
cercava la bellezza in tutte le cose,o in molli;, pino ho
creduto di trovarla negli alloggiamenti, e fra l'imprese
de' Cavalieri .
MlNTUUNO. Pcravventura quando scriveste il vostro li-
bro delle betlea^e del Furioso, la cercav.ite piuttosto Ira
l'arme , cbe fra gli amori.
Ruscelli. In tutte le cose veramente io la ricercai, ben-
cbè io non la riconoscessi .
MlNTURXO. Ancora nella pazzia d" Orlando la raiTigura-
ste, quando egli così lordo, e pieno di brutture, ed orri-
bile, e spaventoso nell'aspetto apparve a' suoi compagni ,
cbe appena il raffigurarono .
Ruscelli. Bellissima è senza dubbio I invenzione.
MlNTTJUNO. Ma in Rodomonte , cbe tutto sparso di san-
gue si lavò nel fiume della Senna, vi parve egli di vederla
similmente ?
Ruscelli. Mi parve, e forse prima , cbe nel fiume; non-
dimeno alcuna volta dubitai di non averla trovata.
MlNTURNO. Se la bellezza è , o si ritrova fra le cose del
mondo, cbi può meglio di voi averla ritrovata ?
Ruscelli. INiuno pcravventura la ricercò ])iù di me; ma
spesse volte quel cbe io giudicai bello, non fu così stimato
dagli altri, o non da tutti , come avviene del Furioso.
MlNTURNO . Possiamo di ciò assicurarci in alcun modo.
A me pare , cbe siccome tutti coloro , cbe son savj,son
savj per la sapienza , e tutti i giusti son giusti per la giu-
stizia , così tutti i belli, e tutte le cose belle , siau belle
per la bellezza, e cbe la bellezza, o il bello , cbe vogliaui
dirlo, sia (pici cbe le fa, quali esse sono: però con qu(;sta
osservazione, e quasi regola cercbiamo di conoscer la bel-
lezza in modo, cbe ninna altra cosa sia presa in cambio, se
pur altra cosa è quella, cbe fa parer bfdle le figure orribi-
li ,c mostruose, come; sarcMxtno serpenti, o Diavoli dipinti
da Raffaelle, e da I\Iicb(;i.iiigclo , o pure le favole del Ci-
clopo, e dell'Orco.
Ruscelli. E la bellezza tlell'ingegno poetico, per lu
O DEt.r.A BEfJ.EZZA. I i5
quale si conosce senza dubbio, cbe banno di^l lerri1)ile , e
del maravii^lioso : nondinieno io la cerco piullosto in Marfi-
sa , e in Bradauiante , ed in Olimpia , le cui bellezze furono
descritte dall'Ariosto, con tanta felicità di parole , e di
pensieri. Launde, se io fossi costretto a dire quel cbe sia
bellezza, diiei cbe fosse una bella vergine ad Olimpia so-
miglianlo . la quale non coperta d' alcun manto o d'al-
cun velo, ma ignuda si diriiostrasse agli ocelli de' ri-
guardanti .
MiNiiiRKo . Se alla bellezza togliete il velo,peravventu-
raella si troverà solamente nell'anime separate; percbè i
corpi sogliono esser quasi un velo della bellezza dell'ani-
ma : l'Ariosto nondimeno, descrivendo la bellezza d'Ange-
lica ,o d'Olimpia, fu simile a quel Dedalo, cbe dianzi no-
minammo, anzi meno artiHcioso , percbè Dedalo diede il
motoalle statue, e l'Ariosto il tolse alle persone vive ; però
si legge d'Angelica :
Ed in quel suo dolof tanto penetra ,
Che par cangiata in inscnsiliil pietra.
E dell' istessa : -^
Creduto avria che fosse statua finta ,
O d'alabastro, a d' altri marmi illustri,
Ruggiero , e sullo scoglio così ai'^inta ,
Per artificio di scultori industri .
Se non vede a la lacrima distinta
Fra bianche rose , e candidi ligustri,
Far rugiadose le crudette pome ,
E V aura sventolar V aurate chiome .
Ruscelli. E. per mio parere, egual' artificio il dare il
moto alle cose inanimate, ed il toglierlo all'animate; però
r Ariosto nella sua Olimpia non è artefice men rnaraviglio-
so di Dedalo.
MlNTURNO. Nondimeno io non vi dimandava una sta-
tua della bellezza, ma quel cbe sia la bellezza, la qua-
le può far belle l'altre cose non belle , come la balena
e l'orca ,
PilSCELLI. La bellezza è la l)ena vergine, cbe fa belli i
pensieri , e l'invenzioni del poema , belli i sospiri, belle le
lagrime, i dolori e le passioni amorose ; bella ancora la
1 l6 IL MINTURNO
moi'te e le f«>rile, clie per lei si sostengono, bella l'aria .
la terra , i fiumi , i tooli , i giardini, le selve, le valli, i
monti, le spelonclie , e tutto ciò clie le s'appressa, ed a
guisa del Sole illustra colla sua luce tutte le cose vicine.
MlNTURNO. Voi avete quasi descritta la figliuola del
Signor Marchese vostro, ma se due sono le figliuole, fra
le quali è malagevole il lar giudicio , due ancora sono le
bellezze,- ma noi ricerchiamo una bellezza, che faccia bel-
la l'una e l'altra, e tutte le vergini che ne partecipano,
né si perda colla verginità; altrimenti la bellezza sarebbe
fior troppo caduco, e simile a quella rosa descritta dal
medesimo Poeta, la quale perde l'onore colla stagione ;
ma la bellezza, se io non m'inganno, può fare ancora bella
l'età matura ; laonde nell' onorato aspetto della Signora
IMarchesa lor madre tra luce un non so che di maraviglioso,
e di divino , che n'empie d'amore e di piacer incredibile.
Ruscelli. Cosi è, come voi dite: nondimeno nella bel-
lezza di una bella vergine nulla pili si desidera, e nulla si
può aggiungere; e però io direi che la Signora Marchesa
fosse bella come sua madre .
MlNTURNO. La bellezza è quella, di cui parlicipando
l'altre cose, divengono belle e care, m.i i figliuoli parte-
cipano della bellezy-a del padre e fieUa madre, non all'in-
contro ; dunque per questa ragione la bellezza sarà più
nella madre che nella figliuola.
Ruscelli . Io stimo che la bellezza sia propriamente
nell'età giovanile, come l'Amore.
M/N'1L"RN0. Se Amore nacque innanzi al principio del
inondo, come dicono i Poeti, conviene sia antichissimo,
e per questa ragione ancora la bellezza , perchè amore è
desiderio di bellezza: ma lasciamo ciò da parte, e ditemi ,
vi prego; di questa Signora, che voi stimate la bellezza
istessa, non vi paiono belli ancora i vestimenti?
Ruscelli. Anzi bellissimi.
MiMURJNO. Per arte del sartore, o del rieamatore , o
per altro artificio?
Ruscelli. È beilo tutto ciò oh" ella porta, perchè ella
*SS'^^"S^ bellezza alle cose portate.
0 DELLA BELLEZZA. 1 1 rj
MlNTURKO.Ma il cavallo, dal quale ella è portata, e
ìa carrella sodo belli ancora?
Ruscelli. Si possono assomigliare ai carri del Sole, tan-
to son belli .
MiNTUHNO. Ma che diremo dell' istesse cose, snelle fos-
sero d' altrui ?
Ruscelli. Forse sarebbono belle, e non belle .
MlNTUKNo. Perchè potrebbono esser di tale, a cui. non
converrebbono , o per altra cagione ?
Ruscelli. Per questa , che voi dite.
MlNTURNO. Il convenevole dunque, o il decoro è quel-
lo, che la bello ciascun ornamento, perchè gì' istessi abi-
ti in persona di una Gabrina non sar<"bboi)o dicevoli , e
per conseguente non sariano belli ; e il color dell" oro non
è bello negli occhi, però Fidia fece nella statua di Miner-
va gli occhi di avorio, o la pupilla di pietra.
Ruscelli. Così pare.
MlNTURNO. L'abito dunque di Omfale non era bello in
Ercole ,nè la pelle di leone in Omfale; perchè nell' uno , e
nell'altra era sconvenevole l'abito non proprio.
R.USCELLI. Assai vero mi pare quel, che divisate.
MlNTURNO. Dunque il decoro, e il bello è una stessa
cosa, per vostra opinione; perciocché il decoro è quel , che
fa belle tutte le cose.
Ruscelli . Senza fallo .
MlNTURNO. Ma l'abito pastorale non sarebbe bello nel-
la vostra Signora , perchè a lei non converrebbe , ma il
reale piuttosto.
Ruscelli. Anzi tutti gli abiti sono belli in lei; perchè
ella fa belle tutte le cose, e non apparirebbe solamente
bella in forma di regina, ma in quella di pastorella, e di
ninfa ,e di cacciatrice , nella quale Venere apparve al fi-
glinolo .
MlNTURNO. La vostra Signora dunque non solamente è
la bellezza , ma il decoro medesimo ; poiché fa parer belle
e convcnavoli tutte le cose , quantunque non fossero tali
per se stesse .
PiUSCELLl. Così è senza dubbio .
MlNTURNO. Io dubito nondimeno di due cose; l'una, che
di lei avV(Mig.i quel che dell'uomo sapientissimo, il quale
i l8 IT> MINTURNO
paragonato con gli Dei, come stimò Eraclito , è quasi una
sciìiiniia,- siiniiinente la bellissima donna, paragonandosi
alla bellezza degli angeli, apparirà defonne , anzi die no.
Ruscelli . Già ho detto per opinione di alcun Teologo ,
che Dio fa nuovi Angeli , quando crea l'anime umane si-
mili alla natura angelica .
MlNTfJRNO. Lasciamo questa opinione da parte, benché
ella non sia la medesima con quella d' Evagrio, che fu ri-
putata per eretica, e concediamo a' poeti il dire:
Nuova angiolclta sovra l' ali accorta;
o pure :
Questa, Angel nuovo fatta , al del se 'n vola,
Suo proprio albergo ; e impoverita , e scema
Del suo pregio sovraii la terra or lassa .
e, se vi piace, solvetemi qu(^st'altro dubbio : s'egli è pur
vero che il decoro faccia parer belle le cose, che non so-
no, egli non sarà il bello, mu un inganno del bello, per-
cìiè il bello fa le cose belle, ma il decoro le fa parer belle ;
quella dilferenza adunque è tra il decoro e il bello, ch'è
tra 'I vero e il falso, e tra l'essere e il parere. Laonde , se
la vostra Signora fa parer belle tutte le cose, io direi clic
ella fosse una ingannatrice, o una incantatrice piuttosto,
dalla quale dovreste guardarvi, non altrimenti, che dalla
fra u de.
Ruscelli. Non è ing.mno, né fraude nella bellezza di
quella gentilissimaSignora, ma come il lumedel Sole scac-
cia tutti gl'inganni, che fa la notte colle sue tenebre, e
scuopre lo forme varie, e i diversi colori delle cose ; cosi
la Idee della sua bellezza i'a app?irir quella mirabil manie-
ra di costumi e di virtù, che altrim(Miti starebbe nascosta.
Laonde io non concedo, che il decoro sia un inganno dei-
la bellezza, ma una luce , nella quale chiaramente appa-
risce. Fra il decoro duucpie e l'inganno è quella differen-
za, clij è tra la notte e il giorno, e fra le tenebre e lo
splendore.
MliXTUHNO. O dottissimo Signor Ruscelli , mi giova di
aver inteso da voi che il decoro non faccia parere , ma
apparire la bellezza; laonde si può conchiutlei'e che, se
alcuna bellezza è congiunta col d'Coro, non può esser oc-
O DEU.A BELT^EZZA I ìg
cultn , ed all' incontro le orculte non hanno bellezza ; ma
se occnlla è la bellezza della sapienza , ed oeculta la lullà
intelligibile , ne selene che' siano senza decoro; il cbe pa-
re iiialajj;evole mollo, e duro di affermare; se pure il de-
coro non è ristesso clie l'inganno, come parve a Socrate;
perchè l'altra opinione di Plotino, cbe sia quasi uno
splendore per cui appaiono le virtù, è peravvenlura sog-
getta all' opposizione, che abbiamo fatta delle bellezze
non apparenti a'sensi umani.
EuscELlI. Io non consentirei in modo alcuno, che la
bellezza, o il decoro fosso un tacito inganno, come volle
Teofrasto,o il decoro un inganno della bellezza, come pia-
cque ad Ippia: ma y)iuttosto mi pare che la bellezza sia
una violenza della natura , la (piale sforzi gli animi ad ama-
re, in guisa, cbe non si possa far difesa, o resistenza; e
chi chiamò la bellezza una tirannide di piccol tempo, assai
dimostrò della sua natura, né miglior definizione di questa
mi sovviene di aver letta , o intesa giammai ; perchè i bel-
li son simili a'tiranni , ed in quel modo istesso vogliono
esser temuti, e adorati; laonde non fu mai alcun Redi
Mentì , o di Babilonia tanto superbo per l'ampiezza del-
l'Imperio , quanto sono i belli per la forza della bellezza,
la quale astringe, costringe, rapisce, lega, infiamma, e
consuma, ed a guisa di fuoco trasmuta gli animi in un'altra
natura. Direi dunque che la bellezza fosse una potenza,
ed una piacevol violenza, ed una graziosa tirannide della
natura , come volle Socrate , o un Regno solitario, come
estimò Cameade, perchè non vuol compagnia nel regna-
re , ina regna sola , come' Amore. All'incontro io chiame-
rei la bruttezza, impotenza, debolezza, e servitù naturale,
perchè se alcuno è servo per natura , al brutto })iù che a
ciascun altro si conviene il servire: e se gli Etiopi, o gli
Indiani eleggevano i Re bellissimi, ragionevolmt nte i brut-
tissimi dovrebbono esser servi de' servi .
MlNTURNO . Vorreste ancora , che i servi della vostra
vergine fossero brutti , e brutte le donzelle?
Rlisceij.I. Voi mi sforzate a concedervi, e mi cacciate
dalla mia oj)inione quasi vinto , perchè ella meriterebbe
d'esser servita dalle Grazie e dagli Atnori, quasi nuova
120 IL MINTCfKNO
Dea : ma il brutto e il bello è eli me definito in compara-
zione , e quasi in relazione ; però le sue damigelle, che per
rispetto dell'altre son bellissime, in sua comparazione
sono brutte , anzi che no .
MlNTDKivo. Voi riponete il bello nell'ordine della rela-
zione, come il berne, volendo che fra il brutto e il bello ,
sia quella relazione, cb'é tra il padre e il ti/^liuolo; ma tor-
se non tu vera l'opinione d'Ippocrate , che pose il bene nel
predicamento de' relativi: ma se il bello ba quella forza e
quella violenza che voi dite, è necessario che sia una so-
stanza ed una qualità effieacissima : ma come può esser
violento, e naturale, se tutte le cose violente sv)no contro
natura? E se la bellezza fosse violenza , come si trovereb-
Ije alcun amore volontario, e per elezione? tuttavolta noi
sappiamo che molti non solamente vogliono amare, ma
eleggono d'ainare, e questa deliberazione da lungo consi-
glio è confermata. Ne tirannide dunque per questa cagio-
ne, ne violenza, direi cbe fosse la bellezza, ne regno soli-
tario, percbè del bello, come del bene, è proprio il far
parte di se medesimo a inoiti.
Ruscelli, Ma cbi può negare ch'ella sia una potenza?
Percbè bellissima rosa è nel regno, e nella repubblica l'es-
ser possente ; ma nel regno d' A.morc (se iVmore ha regno ,
come si crede; il bellissimo è il potentissi no, e qiial poten-
za si può agguagliare a quella di Cleopatra, che vinse Ce-
sare vincitore dt;l mondo, e di lui quasi trionfò? Onde si
legge :
Q'jel che in sì signorile , e sì superba
F'iata ^ien prima, è Cesar, eh' in EgiCCo
Cleopatra legò tra i fiori , e V erba .
Or di Ini si trionfa , ed è ben dritto ,
Se vinse il mondo , ed altri ha vinto lui.,
Che del suo vi nei t or si glorii il vitto.
MlNTURNO. Questa potenza nondimeno, c^si nel regno,
cbe voi chiamale, d'Amore, come negli altri può far le cose
buone solamente, o pur \e. ree e le scellerate? Per uiio avviso
malvagia potenza fu senza fallo che Cleopatra costringes-
se Cesare prima, e poi Marc' Antonio a cosi indegna <lella
virtù Roin;uia , ed al line alla vergognosa fuga , d(dla qua-
le niuna cosa è più indegna a chi desidera di signoreggia-
O DELLA BELLEZZA. 121
re ; ma la bellezza a me non pare , che possa esser cagione
delle cose non buone,- laonde non è l' istessa colla polcnzi»,
dalla quale , come abbiamo già detto , soglion procedere le
male operazioni e le pessime, come incendj, esilj , rapine ,
omicidj , guerre, e distruzioni di città e d'Imperj.
Ruscelli. Se ciò fosse vero , Elena non sarebbe stala
bella, perch' ella mosse l'Asia e l'Europa a guerreggiare,
e fu la fiamma e la ruina dell'anticbissimo regno Troiano;
e se i ratti non son buoni, non potevano esser cagionati
dalla sua bellezza, la quale costrinse Teseo ed Alessandro,
all'una ed all'altra rapina; ma a me sovviene d'aver letto
tutto il contrario, che EIcna per la sua bellezza fu degna
d'eterna gloria, a giudicio prima di Teseo, e poi d'jAlessa-
dro, che potè giudicar della divina, non solamente del-
l'umana.
MlNTURNO. Potrei p<^r avventura rispondere cbe i ratti
non sempre sono mala cosa ,come non fu quel delle Sabine,
col quale crebbe, e moltiplicò la generazione de' Romani ;
ma risponderei piuttosto, cbe la bellezza perse non sia ca-
gione di rapine, ma d'onore e di riverenza; però si legge :
Quella, eh' amare, e riverire insegna ,
E vuol che 'l gran desio , l' accesa spene ,
Ragion , vergogna , e riverenza affrene^
Di nostro ardir fra se stessa si sdegna.
Ma l'incontinenza degli uomini, e l'impudicizia delle don-
ne può dar occasione alle rapine ed alle guerre ; laonde
forse se Elena fu impudica , non fu bella ; perchè la bel-
lezza è sempre congiunta culi' onestà; e colla voce Greca
TÒ KaXov altrettanto il beilo, quanto l'onesto è significato.
E se ciò è vero , si potrebbe affermare cbe il bello fosse il
giovevole, e quel, cb'è utile, e che il bello avesse quasi
l'idea di padre, per rispetto del bene; perciocché il bello è
quasi cagione, il bene quasi effetto ; laonde sogliamo sti-
mare bella cosa la prudenza e la sapienza, perchè son
cause di grande utilità nella vita degli uomini . Che ne di-
te. Signor Girolamo?
Ruscelli. A. me pare assai buona questa opinione .
MlNTÈJRNO. Ma s'ella è pur vera , non è vera quell'al-
tra, che da tutti è ricevuta, uhe il bello sia il bene , ed il
13?. IL MIXTURNO
bene all'incontro il belld; ]»enl)p il pndre non è fig'iuo-
lo, né il figliuolo è p.Hdre , ne 1 una persona può mutarsi
nell'altra, variandosi fra due il rispetto, o la relazione , co-
me avviene a colui, eli è destro, il quale ])uò divenir sini-
stro, ed il sinislro da 11' al Ira parte può divenir destro: ol-
treciò la bellezza è una di quelle cose, die s'ama per se
medesima, ma le cose uiili e le giovevoli non sono amate
per se stesse. Glie diremo adunque che sia la bellezza, o
Signor Girolamo? poicliè ella non è la bella vergine, non
€ il decoro, come parve ad Ippia, non l'inganno, .come sti-
mò Teofrasto, non tirannide, come disse Socrate, non vio-
lenza , non putenza, come tu opinione del medesimo Sofi-
sta, anzi pur di molti Platonici; non regno solitario, co-
me giudicò Cameade, non quel, che giova , come Socrate
mostrò di creder con Ippia di.'^putando, ma poi non fu co-
stante nella sua opinioni'.
Ruscelli. Diciamo che il bello sia quel , che piace.
MlNTURNO. Dunque il bello sarà piacevole, ed il piace-
vole sarà bello all'inconlro.
Ruscelli . Senza dubbio .
MiN'lTRNO. Ma quel, che piace ali uno, rade volte suol
piacere agli altri, perchè alcuni ladano in una leggiadra
donna
Un pallor di viola , e iV Amor tinto ;
altri il candido insieme col pur[)ureo colore; altri s'inva-
ghiscono degli occhi azurri, ad altri sogliono piacer i ne-
gri maggiormente; a molti la severità diletta, a moUi la
mansuetudine: ne l'umiltà, e l'alterezza piacciono a tulli
esualmente; laonde ad un uomo istesso, in diversi terii-
j)i , sogliono piacer diverse cose; però disse il Poeta :
Ed in donna amorosa ancor m' aggrada ,
Ch' in vista vada altera , e disdegnosa ^
Non superba , e ritrosa :
ed altrove più loda la gentilezza, e la cortesia, come in
que'versi ;
Chinava a terra il bel guardo gentile ,
E tacendo di ce a , come a me parve ,
Chi ni' allontana il mio fedele amico?
e ne' precedenti. Però il bello sarà trasmutabile , ed a gtii-
O DETL/V BELLEZZA Ii3
s« di camaleonte prenderà diversi colori, diverse forme, e
diverse immagini ed apparenze: ma io crederei piuttosto
the il bello paresse bello a tutti, e tacesse belle tutte le
cose ; perchè io non ricerco quel cbe è bello per alcun
uso, il quale suole essere ancora soavissimo; ma quel, che
per se è bello,
KuscELLL Diciamo adunque cbe il bello sia quel , cbe a
tutti piace, siccome il bene è quel, che du tutti è desi-
derato.
MlNTURNO. Ma di qual piacere vogliamo intendere ? Di
quel, cbe piace a tutti i sentimenti, o di quel, cbe piace
alla vista ed all'udito solamente? Perchè se bello è ciò,
cbe piace al gusto, ed al tiitto , ed all' odorato, come mo-
stra di creder ne' suoi Problemi Aristotile, ed il JNifo in
quel libro, ch'egli scrisse della Bellezza, le cose dolci in
quanto dolci, e le morbide in quanto morbide saranno
belle, e belli saranno gli odori dell'ambra , e del muschio,
e del fumo degl' incensi .
Ruscelli. Cosi avrei creduto senza dubbio.
MlNTURNO . JVè vi sarebbe forse dispiaciuto il parer
d'Aristotile, il qual nella medesima parte de'Problemi af-
ferma che quello suol parer bello, che è più soave al
congiungimento, e che le bevande ancora paiono belle al-
l'assetato per la soavità, che se n'aspetta nel bere.
Ruscelli. A me certo non dispiace.
MlNTURNO. E pei-avventura non è falsa opinione, se in'
tende di quelle cose, che sono belle per alcun' uso; ma il
servire all' uso è proprio delle d'ose utili, non delle belle , o
delle piacevoli; e noi ricerchiamo quel, che per se è bello,
senza aver risguardo al modo , col quale si possa usare ,
o alKisare ; e perchè la bellezza è veramente cosa divina,
estimo sconvenevol molto ch'ella sia sottoposta al giudi-
ciò de' sensi natui'ali, come sono il gusto, e '1 tatto; ed
appena può esser giudicata dalla vista, o dall' udito, sensi
assai più spirituali ; riserbandosi nondimeno il pieno giu-
dizio della bellezza all'intelletto , esercitato nella contem-
plazione delle forme separate da questa mescolanza, e
quasi feccia della materia.
Ruscelli. libello adunque sarà come una parte del
ìlf\. IL MINTURXO
piacevole, perdiè essendo quel, cìie ci suol dilettare,
tibietto di tutti i .'it.'iitiinenli , quella particolla, clie da 'sensi
più nobili è giudicata merita il nome di bello: belli adun-
que sono non solamente i colori, e gli splendori, e le varie
iuìmagini delie cose, ma i canti, i suoni e la uìusica suol
parere agli oreccbi ben purgati bellissima armonia: ma
mi pare cbe a questi sensi ancora appartenga tutto ciò ,
che si scrive d(!'costunji, delle leggile delle scienze, le quali
iincbiudono quasi nel seno bellezze maravigliose.
MlN'iUiSNO. Vero è senza fallo quel, cbe voi dite; nondi-
meno i sensi giudicano del colore , e del suono in un mo-
do, ed in un altro delle proporzioni, o delle cose, cbe ap-
partengono alle scienze, perchè di queste non possono i
sensi far giudicio, cbe vero sia , ma quasi ministri e mes-
saggicri dell'intelletto, portano alla mente quel, cbe di
fuori s'apprende; laonde non pare che una sia la bellezza,
che noi andiamo ricercando, perchè gli oggetti de'sensi
naturali deono esser corruttibili, come è il senso medesi-
mo ; ma la mente divina ed inunortale non fa giudicio, se
non di cose a lei somiglianti . Non è dunque uno il genere
della bellezza , o univoco, come dicono i lilosofi , e come
stimò il Nifo ; ma come lo spltmdore delle lucciole, e dei
funghi putridi, che suol di notte apparire, è diverso dal
lume delle stelle, e dalla luce del Sole, così ancora la bel-
lezza delle cose terrene è assai dissomigliante da quella ,
cbe si contempla nelle forme eterne e divine; e se ciò è
vero, quel, che per se è bello, non piacerà a'sensi , per-
chè non potranno essi darne giudicio.
Ruscelli. Se non è bello quel, che piace a'sensi del-
l'udito e della vista, qual altra definizione troveremo del-
la bellezza, che tanto ci piaccia
MlNTURNO. Non ci sia grave ancora di ricercarne.
Ruscelli. Io ho letto assai spesso che la bellezna è
proporzione di parti ben composte, e questa opinione, co-
me approvata comunemente da molti , malagevolmente
può esser ripresa .
MlNTUnNO. La proporzione si considera nelle parti dis-
simili; ma se la bellezza fdsse proporzione dcli(; parli dis-
somiglianti, non sarebbe alcuna bellezza nelle cose scmpli-
O DELLA BELLEZZA 7 25
ci; ma hello è l'oro e l'argento al giudicio de' mi.-jpri mor-
tali; belli i diamanti , i rubini e l'altre pietre preziose;
belli i colori, bellissima la luce, nella quale non è alcuna
proporzione; oltrcclò alcune volte rimane la proporzione
delle parti, come ne' corpi già veccbi e languidi, ma non
rimane la bellezza, eli' è perduta col fior della gioven-
tù; però di questa di:finizione ancora non rimango soddi-
sfatto ,
Ruscelli . Io non so qual altra addurne piìi cbe vi piac-
cia; ma vi deono pur sovvenire quelle di Plutarco e di
Plotino; r una che la bellezza sia un ornamento, ovvero
un onore dell animo, che risplenda nel corpo ; l'altra che
sia una vittoria, che la forma vittoriosa riporta della ma-
teria: a questa si potrebbe aggiungere che la bellezza sia
un sembiante, ovvero una immagine del bene , siccome la
bruttezza è una oscura faccia del male.
MlNTURNO . Già mi sovviene d' averne udito ragionare ,
e letto ulcunn cosa, ma io m'avv:)lgo nc'medesimi dubbj ,
perchè se la bellezza è ornamento dell'animo compartito
al corpo, o vittoria della miteria sovra la forma , ella pure
è nelle cose corporee e materiali, nelle quali peravventu-
ra non è alcuna bellezza , o non quella, che nc)i ricerchia-
mo; laonde io mi maraviglio del Nifo , e degli altri Peripa-
tetici, cbe riposero la bellezza nella materia , perch' ella è
per sua natura brutta e deforme oltremodo, anzi è la brut-
tezza istessa ; laonde il bello si troverebbe nel brutto,
quasi in proprio soggetto: il che pare molto sconvenevole
perchè il bello dee germogliar nel bello, quasi fiore in
fiore . Oltreciò se vera fosse l'opinione di coloro, che in
questo modo r hanno definita , gli Angeli non sarebbotio
belli, perchè nella natura angelica la materia non è supe-
rata dalla forma , e non si trova corpo, a cui sia partecipa-
to l'onore dell'animo. Lasciamo nlMoque nelle cose basse,
e terrene questa vittoria , e quasi trofeo della forma, nelle
cose, dico, nelle quali la materia quasi ribella , fa mille
mutazioni d' una in altra sembianza , e disp.- .;iÌHndosi del-
l'antiche forme, delle nuove si riveste, rimans ndo sempre
in lei un perpetuo di .' iderio di tnismutarsi in tutte, a gui-
sa di città, o di repubblica male ordinata, che faccia mil-
126 IL MINTURNO
le mutazioni \ariancIo leggi, governi e costumi: ina nelle
cose celesti , nelle quali la materia è obbediente alia l'or-
ma , e non fa mai ribellione o contrasto , o in quelle dove
non è alcuna materia, qual vittoria può esser quella della
forma, o dell'arte divina ? JViuna, se non m'inganno. Dun-
que se a voi ancora così pare, diremo clie la beltà sia in
quei soggetti , fra' quali non essendo guerra o discordia,
non fa d'uopo di vittoria ; e per l'avvenire non cercbere-
niQ la beltà fra Tarmi discordi de'Regi e degl' Impcradori .
ma piuttosto fra pacifici studj delle scienze, s' ella può
ritrovarsi in alcun modo: ed a voi clie ne pare , Signor
Kuscelii?
RuscELT-l . Io non so ricercarne con altra guida, cbe con
questa de' sentiiiicnti , co'quali posso ancora innalzarmi
alla contemplazione del Sole , e delle stelle e dell'ordine
loro, cbe oltre a tutti gli altri è bellissimo.
MlNTURNO. Ditemi, vi prego, credete voi cbe la bellez-
za, s' ella pur si ritrova, sia fra le cose false^ o fra le vere
piuttosto?
Ruscelli . Fra le vere .
MlNTURNO. Ma quali vi paiono vere, quelle, cbe si mu-
tano e si rimutano, o quelle, cbe duriino sempre in uno
stato medesimo? Io stimo, senza fallo cbe l'instabile, e
incostante sìa simile al bugiardo; però l'uomo, die fa mil-
le mutazioni di aspetto , di (>ostumi e d'età, non è vero
uomo, né il fanciullo è vero fanciullo, né il giovane è ve-
ro giovane, ne il veccbio è vero veccbio; ma l'uomo è
piuttosto un'immagine, ed una fantasia dell'umana essen-
za, come afferma Mercurio Trimegisto, ed una grandissi-
ma bugia ; solo è vero, (juel ebe mai non si muta , ne si
varia; ne patisce aumento, né diminuzione, ma sempre
rimane in se slesso , e somigliante a se medesimo; però
tutte le cose generabili e curruttibili sono false ; e il Sole ,
del quale disse il nostro Poeta:
. . • . Soleiìi (juis dicvre fahuin
Audeat ? . . . .
por le mutazioni cbe egli fa , contiene in se stesso un non
so cbe di bugiardo, e gli altri corpi celesti similmente .
O DELLA BEr-LEZ7,A ì^j
Ruscelli . L' uomo adunqup è immagine , e l)ugia ; e ì
cieli, e i pianeti sono bugiardi, nnzi che no.
MlNTURNO. Cosi mi pare diesi possa concliiuder p^r
questa ragione: laonde non sohunente si può conoscere
quanto sian vani e t'aliaci i gimlicj degli astrologi; ma
quanto inganni rapj)nreiì/a di quelle cose, le quali dai
miseri mortali son giudicate belle; e quelle particolar-
mente , che cliiamiamo l'emminili bellezze, sono fraudi,
ed inganni delle cose della natura, ombre di luce, larve e
simulacri di bellezza, ed insomma è manifesta bugia, ap-
pena da' ciechi non conosciuta.
RusrETJ.L IVon è dunque la bellezza nel Sole, e nelle stel-
le, e nelle sfere celesti. perchè elle contengono qualche par-
te di falsità , e molto meno nelle cose caduche, e mortali.
MlNTUllNO. Non è; ma dove sarà ella? forse nella na-
tura angelica, o pure nell'anima umana, Signor Giro-
lamo ?
RUSCELLI. Ncir una e nell'ailra , per mio parere.
MlNTURNO. Ma se l'anima , come sì scrive . è composta
di quel , eh' è indivisibile, e di quel, che si può dividere ,
la parte divisibile è soggetta alle mutazioni, ed all'altera-
zioni, e per conseguente assai meno capace di bellezza:
l'altra che non si può partire, è , se io non m' inganno,
assai bella : ma la bellezza in lei non è tirannide, non re-
gno, non inganno, non violenza, non proporzione, non
misura, non vittoria della materia, non onore partecepato
al corpo; e quantunque io non nieghi ch'ella sia un non
so che di eterno e divino , non so però quel che sia , per-
che se potesse definirsi, potrebbe aver termine, ma la
bellezza dell'anima peravventura non patisce d'esser de-
scritta ,o circoscritta dal luogo , dal tempo , dalla materia ^
o dalle parole; e il ricercarne più oltre è peravventura ar-
dire, e presunzione , o fede troppi animosa, e situile a
quella di coloro, che passando dentro al velo del tempio,
entrano in Sancla Sanctorwn ; ivi si conosce , ivi si con-
templa , ivi solamente si può sapere quel, ch'ella sia: ma
noi altri fuor del velo andiamo rimirando le tolonne, e le
travi di cedro e di cipresso odorifero, gli archi, la testi-
tudine, il vaso e l'immagini , dalle quali è sostenuto, chia-
12$ IL MINTURNO
mando hello quel, che appare, o che pare piuttosto, e lu-
singa i nostri sentimenti i però non v'ingannaste, Signor
Girolamo, quando consacraste alla gloria immortale drlla
Signora Donna Giovanna d'Aragona il tempio , perchè
ninna cosa è più simile alla hellezza, che il tempio.
Ruscelli. Io veramente fui l'architetto di quel maravi-
glioso magistero; ma tante furono l'immagini, tanti i pit-
tori, tanti gli scultori di tutte le nazioni , i quali ivi di-
mostrarono quanta avevano d ingegno e d'artificio, che
a me toccò la ujinor parte della fatica, e dell' onore simil-
jnente .
MiiNTURNO. O voi glorioso, e gloriosi i poeti, a' quali fu
conceduto il celebrarla; perchè nelle sue laudi furono si-
mili a coloro, i quali cantano le laudi divine: ma ella ol-
tre a tutte l'altre è gloriosissima, che a voi fece parte del-
la sua gloria , e direi bellissima , come è descritta dal Nifo,
se io dovessi a guisa di Peripatetico in questa materia seri-
vere e ragionare.
Ruscelli . Bellissima almeno è l'anima sua , quantun-
que la lunga età non abbia tolta al corpo la grazia e la
maestà .
MlNTURNO. Questo è così creduto da tutti, benché il
velo dell'umanità sia impedimento alla contemplazione."
ma in qual modo crediamo , Sign<ir Girolamo, che l'ani-
Vna divenga bella?
Ruscelli. Ciò meglio si può apprendere dall'imitazio-
ne di quella Signora , che da niun' altra ragione , o arti-
ficio.
MlNTURNO. Assomigliamo dunque il suo intelletto me-
desimo allo scultore, il quale volendo fare una bella sta-
tua , parte ne taglia , parte ancora ne dirizza, e ne rade
per nettarla , parte ne liscia , e ne polisce, infino a tanto
che appaia nella statua una ])ella faccia, espressa col suo
artificio ; così potranno l'altre , col suo esempio, toglien-
dole il soverchio, dirizzando quel che appare distorto ed
obliquo, illustrando le cose oscure, esercitarsi nella pro-
pria statua, e non cessar prima , che risplenda una divina
luce della virtù, colla <|ual<' ^i veda la temperanza sedere
in maestà.
O DELLA BELLEZZA I-jg
Ruscelli. Maravìgliose scultrici sono quelle, clie sovra
le colonne della propria nobiltà lianno pulite le statue di
eterna bellezza .
MlNTURNO. Dicono ancora che l'anima non si fa bel-
la per acquisto d' alcuaa cosa esteriore ; ma purgan-
dosi a guisa di fuoco nella fiamma , perchè le umane
virtù, che paiono cosi belle, altro non, sono che purga-
zione dell' impurità , appresa in loro per la compagnia
del corpo. Sono adunque le virtù naturali nell' anima , e
natia è la bellezza; ma la bruttezza è straniera , e deri-
vata dalla contagione del corpo; e sciocco è senza fallo
il giudicio di coloro , i quali cercano la bellezza in que-
ste membra terrene, e mi paiono simili a quelli, che ri-
mirano l'immagini, e ombre nell'acque, come si fa-
voleggia di Narciso; e mentre abbracciano l'onde , e i fug-
gitivi simulacri, restano sommersi senza avvedersene.
Però alcun potrebbe sgridarci : Fuggiamo , amici , da
questi fonti, e da queste acqye ingannatrici, e nella dol-
ce patria fticciamo ritorno. Ma qual ragione è nel fug-
gire? o per quale strada fuggiremo gl'incanti e le ma-
lìe di Circe? benché la favola d' Ulisse , oscura anzi che
no, ci dimostri la via della lor fuga , schivando quc' pia-
cevoli oggetti, i quali ci si fanno quasi all'incontro, ed
allettano i sentimenti: ma dove è la nostra patria , don-
de venimmo, là dobbiamo ritornare. Qual sarà dunque
la fuga ? quale l'armata , che ci condurrà ? Già non si può
{uggire a piedi , perchè i piedi portano in un' altra terra
assai lontana, né per questa cagione dobbiamo appre-
starci cavalli da cavalcare, o navi da navigare; ma tut-
te queste cose addietro si debbono tralasciare , anzi non
si dee par riguardarle, ma fuggir con gli occhi del cor-
po, usando in quella vece gli occhi della mente, i qua-
li hanno tutti, ma da pochi sono usati; però accorta-
mente disse quel molto giovane poeta, anzi ancora (an-
ciuUo , di cui molti fanno alto , e maraviglioso pre-
sagio : piaccia a Dio che l' infelicità della fortuna non
perturbi la felicità dell' ingegno . Udiste mai questi
versi ?
Dialoghi T. ni. 9
l3o IL MINTURNO
lo, che forma celeste in terra scorsi,
Rinchiusi i lumi y e d-ssi : Àhi\ come è stolto
Sguardo, eli in lei sia d' affissarsi ardito!
Ma dell' altro periglio non m' accorsi y
Che mi fu per gli orecchi il cor ferito ,
E ì detti andare y oi'e non giunse il volto.
Ruscelli. Sono versi, se non n'inganno, A\ Torquato,
iigliuolo dfl Signor Bernardo Tasso, che in anni giovanili
Ila mossa di se molta e<pettazione.
MlNTUBNo. Sottile senza dubbio è l'avvedimento del
giovane, col quale ci ammonisce a fuggire non solamen-
te con gli occhi rinchiusi, ma con gli orecchi: ma egli
incappato nelle reti d'Amore, e punto da' suoi strali,
non è presto alla fuga .
BuscELLl. Io sono ornai attempato, anzi che no, ma
non ho ancora molto sospetto delle cose belle e piacevoli;
anzi alcuna volta vorrei mille occhi per mirare, e per udi-
re appieno la bellezza e l'armonia della mia Signora, la
quale a guisa di Sole dimostra una obliqua via di salire al
Cielo, e di tornare a noi medesimi; ma voi, Signor Min-
turno, siete troppo severo nelle opinioni e ne' pensieri, e
quasi dimenticato de' vostri amori, e del vostro Amore
innamorato. Io nondimeno soglio prestar credenza a colo-
ro, i quali vogliono che la bellezza sia pi'oporzione , e mi-
sura delle cose, che hanno parti dissimili: laonde ne la
terra , né l'acqua , ne l'aria, ne il fuoco, ne il cielo mede-
simo e bello, perchè egli non ha parti dissomiglianti di fi-
gura e di natura, benché egli sia scolpito ed adorno; e
però , se crediamo a Plinio, è detto Coelum. Non parlo
degli Angeli, e di Dio, il quale, per opinione d'alcuno,
non è bello, né perfetto, percbè non è fatto: ma se gli
Angeli son belli in Cielo, ninna cosa in terra è più bella
di quella Signora, eh' è di costumi, e di natura veramen-
te angelica .
MiNTURNO. Io non voglio con voi di ciò pii'i lunga con-
tesa : credete dunque a vostro senno, sol che non ve ne
privi questa vostra cortese opinione, la quale v'è ficcata
nella testa;
O DELLA BELLEZZA I 3 1
Con maggior chiodi , clic d' altrui sermone,
per la liberalità , dico del Signor Marchese suo padre ,
in cui la prudenza, e il valore, e tutte l'arti civili e
militari , sono bellissime virtù , e degne di lode im-
mortale.
AL SERENISSIMO
GRAN DUCA DI TOSCANA
FEKDmAISDO DE'MEDICI
J-je virtù. Serenissimo Principe ^ sono coltegate fra sé
tiìedi' siine . cerne le scienze , in guisa che non è alcun al-
tro nodo più saldo, od altra catena più forte, quantità-
que fosse di ferro o d' acciajo, o d' altra più, dura ma-^
teria ; nondimeno, per imperfezione, e per ignoranza de-
gli uomini , si veggono le più volte divise e separate: la-
onde chi d'una, e chi d'un' altra virtù è lodalo, e di
rado avviene die alcuno di tutte possa essere commen-
dato; ma tra que' pochi fu il Gran Cosimo, padre di
Vostra Altezza y anzi i Due Gran Cosimi, e gli altri
suoi antecessori , per opera de' quali le virtù disgiunte sì
ricongiunsero ne' medesimi soggetti , e si ristrinse quella
catena , chr per la malvagità, o per la perversa cogni-
zione era dìscio/ia , o piuttosto spezzata ; però di ninna
amistà, di ninna lega , di ninna unione meritarono mag-
gior gloria , che di questa , per la quale non solamente
acquistarono, ma conservarono, e accrebbero il Princi-
pato di Toscana. Nell'altre unioni ebbero parte gli
amici, i Ministri, i Principi Italiani e stranieri , gli
eserciti, le congregazioni de' cittadini, il favor della
fortuna medesima; ma in questa, o niun altro fu par-
tecipe della gloria, o non n' ebbero parte maggiore.
Gloriosissima adunque oltre a tutte le operazioid , ed
oltre a tutte r imprese della Casa de' Medici, è l'aver
imposto fine alla discordia delle virtù , e congiunta in
amicizia la fortezza e la mansuetudine , la magnani-
mità e la modestia, la liberalità e la magnificenza, la
severità e la piacevolezia , la giustizia e la clemenza ,
e tutte l'altre nell'islesso modo. Onde ciascun' opera
fatta da loro par compiuta con tutte insieme ; e così è
malagevole il distinguer di qual virtù sia propria , co-
i34
me è il discerner le voci nell' armonia di molti cantori ^
e di vari istninienti , o gli odori nella mistione de' fiori e
d' altre cose odorate, o i raggi nella moltitudine d' infi-
niti lumi , e delle stelle medesime ; perchè da tutte insie-
me esce quello splendore, che fa la virtit della Casa dei
Medici, lucente, e luminosa in Italia , ed in ciascuna
parte d' Europa , e del mondo. Ma del Gran Duca,
padre di Vostra Altezza, si può affermar particolar-
meì\te , che dopo sì lungo corso d' anni e di secoli , e do-'
pò tante mutazioni di regni e di provincic , ninno na-
scesse piìt somigliante ad Augusto, o nell'altezza del-
l' animo, o nella sapienza civile , anzi regia , o nelV ar-
te d' acquistare , e di conservar l' Imperio , o nella pro-
sperità della fortuna , o nel favore del Cielo maraviglio-
samente dimostrato, e nella disposizione delle stelle e dei
pianeti ; né tanto ha ceduto il Gran Duca ad Ottavia-
no, nella grandezza dell' Imperio , quanto i ha supera-
to nella felicità de' successori , avendo lasciato il Gran
Duca Francesco , e Vostra Altezza eredi non solo degli
stati , ma della gloria e della virtit , che sono i veri
fondamenti de' regni e degV imperj. Però da niun' altro
più volentieri deono esser lette le cose scritte , lodando
il padre , che da' figliuoli , e' hanno saputo imitarlo , e
potuto agguagliarlo. Fu similissimo , come scrivono, il
Gran Cosimo ad Augusto nella clemenza , dimostrata
in molte occasioni , e specialmente in un bando , col qua-
le restituì tutti i suoi cittadini alla patria , dalla quale
con la severità degli altri bandi sogliono essere discac-
ciati ; e se i Fioreiitini sono simili all' api , che si spar-
gono per varie parti nel raccogliere il mele, come è sta-'
to scritto; parimente il Gran Duca poteva esser chiama-
to quasi il re dell' api , ch'essendo armato dalla natu-
ra , non adopera V aculeo . Fu dunque in ciò eguale a
Ciro, ad Alessandro, ad Ottaviano^ ed agli altri ottimi
Imperatori; laonde tutto ciò, ch'io scrissi della cle-
menza, o della clemenza d' Augusto, si conviene al
Gran Duca Cosimo , come sua propria lode , e par-
ticolare perfezione ; e Vostra Altezza, come erede e
imitatore della i'irtà , e della grandezza del pa~
i35
(Ire , non dee disprezzare questo dono , qualunque
egli sia , ma senza dubbio è di quella sorte , eh' a' Prin-
cipi può essere appresentato senza riprensione di chi
dona , e con laude di chi riceve .• nia Vostra Altezza ,
che in tutte le vite , ed in tutte l' altre virtìi è ledati ssi-
ma , in questa della clemenza , non ha peravventura
avuta altra occasione di manifestarla, per la tran-
quillità de' suoi tempi , e per la benevolenza di Toscana
e cV Italia tutta , da lei meritata . Onde la sua felicità
può aver quest' obbligo alla mia infelicità , di mostrar
( dico ) questa, oltre a molte sue nobilissime virtù prima
conosciute , e d' accomunar con gli altri Principi questo
dono, eh' è iuo proprio ; persuadendoli col suo esempio
ad usar meco quegli atti di clemenza . che sono quasi
dovuti alle lunghe fatiche , durate da me negli studj ,
air intenzione , che ho avuta di celebrargli ne' miei com-
ponimenti , e alle mie tante , e sì gravi , e sì continue
avversità ; ed a Vostra Altezza Serenissima fo umilis-
sima riverenza .
Di V. Altezza Serenissima
Umilissimo Servo
Il Tasso.
i -
IL COSTANTINO
OVVERO
DELLA CLEMEJNZA
DIALOGO
ARGOMENTO
F.
u Antonio Costantini di palrin Marchigiano, ma visse il più
della sna età in Lombardia, segretario prima di Cammillo degli
Alliizzi , axnbasciadore del Granduca di Toscana alla Corte di
Ferrara, e perciò neW una s nelV altra di quelle Corti conosciuto e
stimato ; poscia di Fabio Gonzaga parente e maggiordomo del Dw
ca di Mantova ; indi del cardinale Scipione della medesima Casa,
negli ultimi mesi della vita di (juel prelato ; appresso di Leonora dei
Medici Duchessa di Mantova ; e finalmente del Duca Ferdinando
suo Jìgliaolo, cui fu mollo caio, e da i ni l'anno i f> i 7 venne inviato a
Praga all' Impcrador Ferdinando, che gli fu poi cognato, per tratta-
re affari di somma importanza , coi titolo di Consigliera. Scriveva
egli elegantemente nella lingua latina e nella toscana , e sapeva la
£reca . Era uno defrimi e piìi ctleiri Accademici Olimpici di Vi-
cenza , e si veggono (die stampe sue orazioni e poesie ed epistole.
Anco nel detiare le lettere a nome defadroni non poco si segnalò.
Gloriavasi di esser allievo e discepolo del nostro Tasso, da' cui ra-
gionamenti affermava di aver imparato piìi che da tutti i maestri
nelle scuole. Airinconlro il Tasso diceva di riconoscere nelle srrit^
ture di lui non che sìmiglianza collo stile suo, ma uniformità col
suo proprio modo di comporre : lode per certo grandissima , e della
tjuale ne questi poteva dargli, ne quegli desiderare altra maggiore.
Conversò il Costantino familiarmente con Torquato in Ferrara,
mentre era ancora prigione in Sani' Anna, ove andava spessissimo
a visitarlo , e visse poi seco alcun tempo e in Mantova ed in Roma;
e gliju pur compagno in alcuni viaggi. Della singolare affezione,
che il Tasso gli portò , della confidenza ch'ebbe in lui ne' suoi
maggiori bisogni, de' rilevanti serviej, che ne ricevette , specialmente,
per ricuperare la sua libertà , e della slima in che lo tenne pel suo
sapere , fanno ampia f de le tante lettere che gli scrisse, ed oltre alle
lettere, la seconda parte del trattolo del Segretario , la quale a lui
indirizzò ; ma soprattutto il presente dialogo della Clemenza, che
dal cognome suo a perpetuarne la fama gli piacque d' intitolare .
Del qual dialogo tate è il sunto . P'a il Costantino a visitar in Fio-
rila Torquato , e trovandolo con un libro chiuso dava/ili in atto
l58 IL COSTANTINO
cP uomo che medila , gli domanda sé la^ sua visita reca alcun di'
sturbo a' suoi studi . Risponde il Tasw che non iscat>a già studian-
do, né medicando , come poteva conoscere dal libro serrato; e eh esso
libro, il quale ai'Ci'a già scorso, era un'opera intorno alle virtù dei
Costumi di Francesco Piccolomini stato un tempo suo maestro in
Padova di naturale Filosofia . aggiunge cjuindi che sehbeiie dagli
scritti di quel dottissimo infinite cose avesse apprese , non aveva pe-
rò potuto imparare , coinè neppur dai molti di Aristotile , ciò che
fosse la Clemenza . Alla qual generica proposizione opponendo il
Costantino che forse Aristotile aveva inteso di parlarne sotto il no-
me di equità , viensi fra loro a discorrere della materia di queste
virtù . Dicesi primamente che la clemenza non è piìi antica della
legge scritta, e che la giustizia è pili antica di essa . Si cerca poscia
se la clemenza sia virtii divina od umana , e si determina eli ella è
umana e inorale virtii, imparata per iuiiiazione delle divine , essen-
do in Dio le virtù esemplari ; e che a lei è opposta la crudeltà . Di
qui si passa ad esaminare la definizione datane da Marco Tallio,
e riprovatala , se ne prendono a discuter-', quattro di Seneca, mo-
strando la conformità che è fra questo filosofo ed Aristotile. Si fct
appresso conoscere in che differiscono la clemenza e la mansuetudi-
ne fra loro; e conte la clemenza e l' equità sieno le medesime per
analogia e proporzione . Dichiarasi poi che la giustizia è virtii
propria del legislatore ; /' equità del re, e del giwlice ; e la clemenza
tutta propria d''l re , o principe . Entrasi finalmente a dare di que-
sta virtii r intiera e perfetta diffinizione , dicendo eli ella è un al-
tezza di animo dimostrata nel perdono , colla quale i principi, ac-
crescendo i premj ed i doni , si acquistano la benevolenza . La
qual definizione confermasi poi e coli' autorità e cogli esempi di
molti antichi e moderni principi , cioè a dire di Filippo padre di
Alessandro ., di Filippo Maria Visconti, di Carlo V., di varj Ro-
mani , e specialmente di Augusto , di cui si narra colle parole di
Seneca trasportate con bella emulazione nella nostra lingua da
'J'orquato , la clemenza usata con duna. Viensi quindi a conside-
rare come la clemenza sia un accrescimento della mercede e del
premio, ed un artificio de' principi , onde farsi benevoli i popoli , e
soggiogarli col perdono , co' beneflcj e colle grazie . Mostrasi dopo
come net clemente si trovi la misericordia , contro la opinione di Se-
neca ; e prendesi per ultimo a dichiarare i modi , i tempi e /,' perso-
ne con che ed in cui da principe giudizioso sì dee usare i artificio
del perdono .
Questo è r argomento , che al presente dialogo prepose già il dot-
to Marc' Antonio Poppa allora che per la prima volta lo diede alla
luce in Roma con altre opere non piti stampata dall' autor nostro:
dialogo degnissimo, com'egli sogf;iunge, d'esser letto, massimamente
dai principi, a' quali si appartiene iti usar la virtii della clemenza,
dandovisi di lei ù necessarj e sì utili ammaestramenti. Fu esso scritto
dal Tasso in Roma l' awio i >Sf) , come apparisce da una sua lette-
ra a Monsignor Angelo Papio , nella quale parlando di cotal suo
componimento, consapevole della fatica duratavi, non meno che
del merito del lavoro , lo chiama non solamente ingegnosissimo , ma
O DELLA CLEMEINZA loQ
ottimo ; e iienrie poscia da lui dedicato al Gran Duca di Toscana
Ferdinando Primo colC altra sua lettera, che qui inunnzi abbiamo
posta .
INTERLOCUTORi
ANTONIO COSTANTINI , TORQUATO TASSO .
Jo era per molte occupazioni sollecito, e per varie sol--
lecìtudini occupato , quando sopraggiungendomi, qua-
si air improvviso , il Signor Antonio Costantini genti-
luomo di belle lettere, mi vide con un libro cbiuso da-
vanti, non in guisa d'uomo, 11 quale sia intento alla
contemplazione , ma quasi entrato in fiera, e spiacevole
maninconia , e mi disse : Non so , se questa mia visita sarà
importuna , portando alcun' impedimento al vostro
studio .
Tasso. Non è studio il mio, ma altro pensiero, come
potrete comprender dal libro serrato.
Costantini. Voi studiate più contemplando, che leg-
gendo .
Tasso. Io soleva contemplar molto, e legger poco,
mentre la mia giovanezza fu tutta sottoposta all'amorose
leggi; ma nell'età matura, sperimentata negli affanni,
molto lessi > e poco io contemplai: ora ne di leggere Lo
talento, né di contemplare , ma delle cose lette, e delle
contemplate conservo quella medesima immaginazione,
eh' il vecchio muro, già cadendo, i colori suol ritenere
delle pitture scolorite, ed affummicate ,• e se talora leggo
alcuna cosa, il fo per debito , o, come dicono, per crean-
za ; rè per altra cagione ho trascorso questo libro,, Delle
Virtù de' costumi ,, il quale è opera dei wSignor Francesco
Piccolomini, che fu già in Padova mio Dottore, ma non
della moral filosofìa. Della n;ituralc molte cose appresi da
lui nelle pubbliche scuole, le quali non ritengo più fer-
mamente nella memoria; e s'è lecito il dir la verità, nella
gi'andissima copia di questo dottissimo filosofo ho rico-
nosciute alcune considerazioni della mia fanciullezza ,
eh' a lui non ebbi ardimento di palesare; non altrimenti
t4o il COSTANTINO
che l'acque del fiume si conoscano al colore , ed al sapo-
re , in mezzo a quelle del mare ; perchè mare veramente,
ed oceano d'ogni scienza sono i suoi scritti, i miei somi-
gliano un t)icciol rivo , o un ruscello chiuso intorno di
verdissi:ui aranci , e di cedri, o simili a quelli, che coper-
ti dall' ombre degli alberi frondosi, dividono i campi del-
la vostra Lombardia .
Costantini. Nostra dovevate dir piuttosto.
Tasso. Io son'ora tutto di questo paese, ov'io vivo,
intanto che non lascio parte alcuna di me a quella, che fu
stimata mia patria , non eh' al paese , o alle nazioni stra-
niere ; laonde a queste acque debbo trarrai la sete , la
quale non ho potuto estinguere ne' fonti dell' oceano.
Costantini. Diqual sete, e di quai fonti volete ch'io
intenda ?
Tasso. Chiamo sete l'amor del sapere,
che ni ha sì accso,
Che V opra è ritardata dal desio.
E siami lecito usar insieme le parole di due eccellentissi-
mi poeti; ma fonti dell'oceano io chiauiava i libri del
Piccolomini , e gli altri , ne' quali non ho mai imparato
quel che sia la Clemenza, come non l'imparai in quei
d'Aristotile; intendo de' morali, perchè negli altri, dove
s'insegna a disputare, io non appresi di vivere , ma di
queslionare: ora assai mi doglio che nel vivere, e nel
litigare ho la medesima difficoltà , e mi lamento die da
questi libri sia sbandita la clemenza, come da quelli di
Stobeo l'amicizia ; però altro Ciro io stimava necessario
eh' in quella medesima giusa introducesse la Clemenza er-
rante a rammariearsi del suo esilio .
Costantini. Se l'equità, e la clemenza sono l'istcssa,
non è la clemenza sbandita da' libri d'Aristotile.
Tasso- Ne' latini , almeno letti da me , non si legge il
suo nome , o non in tutte le traduzioni ; ma io ora non
considero, se vagliono l' istesso appresso i Greci il nome ,
7rpaor>5?, e l'altro, ÌTrirtnny., o pur óuxXort^S, o s' al-
tri sono , che significhino il medesi no, e sieno, come si
dice, sinomini; ma ))iutlosto vo considerando, se Ari-
stotile abbia attribuito Tislcssu, o diversa materia a que-
O DELLA CLEMENZA. i^i
«te virtù. Io dico all.i mansuetudine, all' equità, ed alla
Clemenza ; perchè la prima pare occupata nel moderar
l'ira , la quale è passione interna degli animi nostri; la
seconda è intenta a diminuire il rigor d<lla legge scritta,
e delle pene , che sono cosa esteriore ; laonde paiono piut-
tosto confor(rii nel modo, che nella materia; ma la cle-
menza par quasi composta di queste due , siccome quella ,
che dentro, e di fuori fa le sue operazioni , e non par
contenta d' uno di questi officj solamente. Oltreciò, s'io
brn considero , all'equità s'appartiene aver riguardo al-
Tintenzione del legislatore nelle cose, delle quali è scritta
alcuna legge, non alle parole di quella ; ma la Clemenza ,
come alcuno estima , ammollisce gli animi di coloro , che
hanno podestà di punire con qualche tenerezza d'affetto,
e s' io non m'inganno, in quelle cose ancora , delle quali
non è scritta legge alcuna , perchè si volge intorno al me-
desimo subietto colla severità , almendi lontano, conside-
rando ambedue le pene; questa l'intere, quella le meno-
mate; ma la severità , senza fallo , apparisce negli avveni-
menti, de'quali non furono scritte leggi, come nel coman-
damento di Torquato, che ninno combattesse contro i
nemici , ed in quello di Doinizio, il quale, avendo in Si-
cilia proibiti gli spiedi, perdi' erano arme da ladroni ,
crucifisse un pastore, che coli' istesso ferro aveva ucciso un
grandissimo cinghiale, e presentatogliele; e nella morte di
Manlio precipitato dal Campidoglio, dal quale avea cac-
ciato i Sennoni, dando occasione alla legge, la quale dapoi
fu scritta , eh' a niun patricio fosse lecito d'abitare in Cam-
pidoglio. Nel medesimo accidente nondimeno , prima che
si scrivesse alcuna legge , poteva manil'estarsi la Clemen-
za, e pili agevolmente nell' infelice dono di quel misero
pastore , o nel giovanile ardimento di Torquato.
Costantini. Di tutte le cose oggi son fatte le leggi , e
delle caccie ancora sono, in vece di leggi, i pubblici ban-
di, e benché i particolari sieno infiniti, tutte le materie
si riducono , o si possono ridurre a capi .
Tasso . Se ciò è fatto , o se fosse possibile a farsi , delle
nostre leggi si farebbe un'arte , o una scienza, come par
fche disegnasse Crasso nelle dispute dell' Oratore. Ma non
ìj^T. 11^ COSIANTISO
eoncedericlomi voi che la Clemenza sia ancora delle cose
uon iscritte ,• mi concederete almeno clie questa virtù
non sia più antica della legge scritta.
Costantini. Di leggieri ciò vi fia coticedato.
Tasso. Fu dunque prima la legge scritta, dapoi entrò
nel mondo la disobbedienza, e '1 peccato, ultimamente la
Clemenza, per temperar il soverchio rigore della legge,
almeno in que' particolari , che non potevano esser preve-
duti , perchè sono infiniti.
Costantini. Cosi pare assai ragionevole.
Tasso. Non è dunque la Clemenza un'antica virtù,
come la giustizia è nelle potenze dell'animo assai prima
che si scrivesse la legge, come stimò Platone.
Costantini. Per questa ragione assai più giovane è la
Clemenza, e per conseguente raen rigorosa, laonde l'una
si potrebbe dipingere con aspetto di vecchia severa e
terribile, l'altra con piacevoli sembianti, come si dipinge
la giovanezza.
Tasso. Se cotesto fosse vero, la Clemenza sarebbe
umana virtù, non Divina, perchè tutte le cose degli uo-
mini hanno avuto principio di tempo, qual prima, qual
poi .
Costantini. Umana, anzi umanissima virtù è la Cle-
menza, come stimò Seneca, il qual disse che niuna virtù
ei^a più umana di lei .
Tasso. Fox-sc l'affermò , avendo riguardo alla nostra in-
fermità , e debolezza, dalle quali procede la misericordia
similmente .
Costantini. Questa ragione non molto mi spiace.
Tasso. Ma se ciò tosse vero, i più deboli sarebbono i
più clementi, come i vecchi , e le donne, ed i fanciulli.
Seneca nondimeno vuole che la clemenza convenga a' Re,
oltre a tutti gli altri, a' quali parimente conviene la for-
tezza .
Costantini . Questa fu senza fallo la sua opinione.
Tasso. INIa i grandissimi Re s'assomigliano al Re de' Re-
gi; e nelle virtù cercano di somigliarlo, perchè in terra
sono quasi simulacri della Divinità: laonde io avi-ei cre-
duto piuttosto che questa virtù Ibsse divina, e senza al-
O DELLA CLEMENZA l43
puna passione dell' animo ; e ini conformava in questa
credeiìza un mirabile silenzio d' Aristotile, il qual di lei
non volle ragionare in que' libri, dove egli c'insegnò le
virtù morali, e civili, e dove fa tante distinzioni della
giustizia universale , particolare , propria , e per similitu-
dine, naturale e legittima, distributiva e correttiva; ma
non par che tra queste conceda il suo luogo alla Clemen-
fsa, quasi ella non sia virtù degli uomini , ma degl'Iddìi
piuttosto; ma nella Topica afferma cbe il forte e il cle^
mesite non lianno passione . In questo errore similmente
m' indusse Plutarco, grandissimo filosofo fra' Peripatetici ,
percioccbè in quell'operetta, ch'egli scrisse,, Della tarda
vendetta di Dio ,, si legge che la mansuetudine, o la tolle-
ranza dell' irgiui ie . è una parte della Divina virtù, colla
quale Iddio ci dimostra , come colla pena di pochi , molti
s'emendino, e dal tardo castigo molti siano corretti, e
molti n' abbiano giovamento. Un'altra parte ancora, se
non l'istessa, io credeva cbe fosse la Clemenza, la quale
s' umana fosse, s'annovererebbe pera vventura fra' costu-
mi, cbe i Greci cliia.iiano, TrpOTrojS , per la mutazione
come si legge di Cecrope , cbe dagli anticln fu detto bi-
forme, non perchè di buon re divenisse tiranno crudele,
imitando la natura del dragone, ma per essere prima stato
terribile, e di perversa natura , e poi dimostratosi umano
nel regno; all'incontro Nerone, di clemente Principe,
negli ultimi anni dell'Imperio diventò, o almeno si manife-
stò inclementissimo tiranno.
Costantini. E senza dubbio mutazione ne' costumi
de' Principi , ed alcuna volta in joeglio, cioè dalla ferità
nella clemenza.
Tasso . Dovrebbe farsi avanti gli abiti confermati ; e se
ciò avvenisse , si potrebbe concbiuder ch'ella fosse uma-
na virtù ; ma io sono assai dubbio di questa conclusione,
e il dubbio nasce ancora per le cose ulti-niamente dette da
noi ; cioè che la mutazione si faccia dalla ferita neila cle-
menza; perchè , s"io non sono errato , le mutazioni tutte
si fanno ne' contrai j .
Costantini . Così insegna Aristotile.
Tasso. Dovendosi dunque far la mutazione dalla ferità
l44 JI- COSTANTINO
nella Clemenza, ne segue che l' una sia all' altra con-
traria .
Costantini . Non mi pare inconveniente .
Tasso. Dunque la Clemenza è anzi Divina virtù, per-
chè alle cose ferine non s'oppongono 1' umane, ma le di-
vine piuttosto, e l'umane paiono poste in mezzo fra l'une,
t; r altre, e quasi partecipar degli estremi ; però l'uomo
da' Greci Teologi fu assomigliato al Centauro, siccome
colui , che avendo insieme la ragione, e 'I sentimento . par
che congiunga la natura divina con quella delle fiere:
Aristotile ancora oppose alla ferità la virtù eroica, la
quale egli chiama divina'. Siamo adunque fin' ora duhhj
per molte ragioni, se la Clemenza sia divina , o umana
virtù; e s' ella è divina solamente, è scusato Aristotile,
perchè di lei non facesse menzione, lasciandola fra 1' altre
forme, che sono nella mente divina , e poco giovano al-
l'umane operazioni, com'egli quistionaudo volle provare;
ina se per participazione , o per imitazione delle virtìi di-
vine l'uomo può divenir virtuoso, può divenir clemente
senza fallo.
Costantini. Così dobbiamo creder piuttosto .
Tasso. Alcuno , per mio avviso, divenne giusto , imi-
tando la divina giustizia, o di lei participando, altri forte
altri tollerante , altri temperante, altri come dicemmo,
mansueto, altri coU'istesso modo de'suoi doni, e de' suoi
guiderdoni abbondantissimo donatore .
Costantini. Così avvenne senza fallo .
Tasso. Dunque nell'istessa guisa altri è divenuto , o
potrebbe divenir clemente: ma se la Clemenza è sì fatta,
dobbiamo porre in Dio le virtù esemplari , come posero
fra i Platonici Plotino, e Macrobio, e fra i nostri Teologi
il lume, e lo splendore della gloria latina, e gli altri , che
da' raggi della sua dottrina furono illustrati : perchè se
le civili virtù sono immagini delle divine , questa ancora
sarà una dell'altro ; e tanto l'immagine sarà più bella,
quanto fic più simile all'Idea , o all'esempio, che vogUam
chiamarlo. Presupponiamo dunque che sia civile e mo-
ral virtù , imparata per imitazione delle divine , com e vuol
Plutarco, e prima Giuseppe Ebreo.
Costantini . Come vi pare .
Tasso. Ma facendola civile ed umana virtù, fa me-
stieri che se le opponga un viz.io , che sia parimente
umano, come la crudeltà, si veramente^ che 1' uomo per
vizio non paia aver mutata natura, e convertito in fiera,
come si legye di Ezzelino , e d'altri tiranni .
CuSlAN'J IM . Intendo .
Tasso. Abbiamo dunque fin' ora trovato eh' ella sia
umana virtù; cerchiamo l'altre quasi forme di questo ge-
nere; e voi, che sapete tutte le cose a mente, dite quel
che vi sovviene.
Costantini. La definì, sebbene mi rammento, Marco
Tullio prima , e Seneca dapoi.
Tasso. Cominciamo dalla prima definizione.
Costantini . La Clemenza e virtù, per la quale
l' animo concitato nelV odio , dalV altrui benignila è ri-
tenuto.
Tasso. Se l'animo è concitalo, la virtù non ha mode-
rate le sue passioni.
Costantini. Il concedo.
Tasso. Dunque non è virtù confermata , ma continen-
za piuttosto.
Costantini . Ne questo niego .
Tasso. Concedetemi adunque che s'ingannasse Ari-
stotile , a cui non piacque che la continenza fosse genere
della Clemenza , o Marco Tullio.
Costantini. E verisimile che Marco Tullio piuttosto
j)rendesse errore .
Tasso. Ma consideriamo, dico, se l'odio conviene a
ciascuno, che sia Clemente: se non può essere Clemenza
senza odio, né senza concitazione, per così dire ,non fu cle-
mente Pisistrato, il quale non solo non odiò, ma non fece
segno d'adirarsi; non Licurgo, il quale accecato dal ba-
stone, non si mosse ad alcuno sdegno ; ne clementi sono i
padri, o mariti, se prima non sono commossi ad odio .
Costantini. Questa è definizione, clte diede Cicerone
come retore; forse più vi piaceranno le altre di Seneca,
che ne ragiona come filosofo, e questa fra le sue è la pri-
ma : La Clemenza è una temperanza dell' anima nella
Dialogìd T. HI. -nj
l46 IL COSTANTINO
podestà del vendicarsi^ ovsevo , Una piacevolezza del
superiore verso U inferiore nel costituir le pene .
Tasso. Meglio disse cbi la chiamò temperanza: ma
Seneca nondimeno parve dubbio del quid est, poiché una
volta assegnò per genere la temperanza , l'altr.i la piace-
volezza, quantunque la prima abbia per soggetto il piace-
re, la seconda i piacevoli r.igionamenli.
Costantini. Non volle forse intendere della particolar
temperanza, la quale ha particolar soggetto; ma dell'uni-
versale, di cui parla Platone.
Tasso. Di leggieri il vi concedo; ma non vi concederei
egualmente che due generi dovessero addursi d'una sola
definizione.
Costantini. Udite quel ch'egli soggiunge: E più, si-
cura cosa mettervi davanti molte de finizioni, perchè una
sola definizione non la comprenderebbe interamente ;
laonde può esser detta: una inclinazione delV animo al-
la piacevolezza nel riscuoter le pene.
Tasso. Di cosa certa e stabile, com'è la clemenza , in-
certa e mutabile è l'ultima definizione: laonde Seneca mi
par quasi pentito di chiamarla virtù, e d'averle tatti» tan-
to onore, però dubita s'ella sia tale, come dubitò S.
Tommaso; ma le inclinazioni precedono gli abiti, e l'in-
clinazioni sono niìtiirali, e gli abiti sono morali: e fra que-
sti io riporrci piuttosto la Clemenza; perchè nell'uomo si
ricerca il costume confermato; nelle fiere sogliamo cercar
le inclinazioni o gì' instinti , come ne' leoni e negli elefmti,
della cui clemenza Plinio scrive molte cose, e particolar-
mente che nelle solitudini insegnano la strada agli uomi-
ni, che loro si fanno all'incontro. Laonde non altriiuenti
questi medesimi animali , per timore dell'insidie, si fer-
mano a considerare il vestigio umano impresso nell'arena,
e rivolgono indietro tutta la schiera , che io mi fermi a
considerare il vestigio umano impresso nel sentimento, né
vorrei ingannarmi: ma per quel che me ne paia, questa
impressione è così ferma , che non può esser detta incli-
nazione .
CoSTANJTNI. Seneca pone molti; di-finizioni , perchè da
tutte apprendiamo quel che sia la Clemenza .
O DELLA CLEMENZA ì^-J
Tasso. Quasi non basti una sola.
Costantini. Ha forse diversi rispi tti, ora al fine, ora,
uUa materia , ora alla forma .
Tasso. Poteva nondimeno raccoc;lier tutte le cause in
una sola definizione , conìe fanno coloro , che non si con-
tentano di quella , la quale constai ex genere, et differen-
tìis : ma al Logico peravventura basta . cli'ella sia tale; il
Fisico vi cerca la materia appresso; il Morale, se io non
.'n'inganno, ba prìncipal riguardo alla forma ed al fine,
del quale io sono più sollecito, che di niiin' altra cagione;
perchè mi sovviene di aver Ietto In Aristotile, che la de-
finizione dee esser dirizzata all'ottimo. Consideriamo dun-
que qual sia in questa definizione la causa finale, per ra-
gionare in quel modo , che i nostri filosofi sono usi di fa-
vellare.
Costantini. In queste ullime tre io veggio il medesimo
fine, cioè di costituire la pena , o di riscuoter la pena.
Tasso . Ma questo fine pare a voi ottimo, Signor Co-
stantino ?
Costantini . Ottima cosa è che gli scelerati abbiano
supplicio , e gì' infelici per uien gl'ave orrore men grave-
mente sieno puniti.
Tasso. Non ottima è per mio parere, ma necessaria;
l'ottima cercheremo poi, come abbiamo considerate tutte
l'altre definizioni. Eccene alcun' altra?
Costantini. Questa. La Clemenza è moderazione, che
rilascia alcuna cosa della debita pena, hi quale par con-
dannata da lui medesimo, perchè fa meno del debito.
Tasso. Se la pena era debita , la virti'i dee riscuoter
questo debito interamente.
Costantini. Così pare che voglia conchiudere: ma
tutti intendono quel clie soggiunge il medesimo autore;
La clemenza è quella, che si piega intorno a ciò, che
meritamente puì) costituirsi .
Tasso. Io credeva che questa Clemenza degli Stoici
fosse più rigida, e simile al collo de' leoni, ed a quel delle
statue, il quale non può in modo alcuno piegarsi; ma poi-
ché ella si torce in qualche modo, è somigliante a quella
regola di Lesbo , della quale parla Aristotile nella sua
l48 IL COSTA IVTIXO
Etica ; ina rioercliiaino se nell'altre cose Aristotile a Se-
neca sia conforine.
Costantini. Già avete detto che Aristotile non fa
menzione della Clemenza nelle Morali.
Tasso . Non sotto questo nome, ma sotto l'altro d'e-
quità.
Costantini. Sono adunque listessa.
Tasso. A ciò penseremo poi; ora udite quel ch'egli
scrive dell' equità . V equità , e l' nonio , in cui sia questa,
i'irtii, (} colui , il quale dimiìudsce le cose giuste , descrit^
te dalle leggi , ma noti tutte le cose giuste ; perchè non
diminuisce quelle., che sono giuste veramente per naturo y
via le tralasciate dal legislatore , che non può esamina-
re interamente tutti i particolari . Dalle quali parole io
comprendo che l'equità diminuisce le pene, die pene so-
no le cose giuste imposte dal legislatore , che non ha pota-
to antivedere tutti i casi, che fanno degno di perdono ii
trasgressore delle sue leggi: a questo fine dunque riguar-
da questa virtù , al quale non ha potuto giunger l'acuta
vista del legislatore; ed in ciò non sono Aristotile e Sene-
ca molto differenti.
Costantini. Se due gran maestri sono concordi , non
possiamo errare.
Tasso. Ma concorda seco Aristotile nella Topica, di-
cendo ch'ella è diminuzione delle cose giuste e delle lUtili,
cioè delle pene imposte dal legislatore, come interpretò
S. Tommaso^ dicendo che la Clemenza è moderatrice delle
pene, la mansuetudine è moderatrice dell'ira.
Costantini. Da' suoi detti si può ritrarre non solo
quel clie sia la Clemenza, ma in quel che sia diversa dalla
numsut tiuhne.
Tasso. J\on è questa sola la differenza, se vogliamo con
gli scolastici fdosofare ; ma vi si aggiunge che la Clemen-
za e del superiore all'inferiore, la mansuetudine di cia-
scuno verso ciascuno; ina non è cosi agevole il distingue-
re tra la Clemenza e l'equità, anzi alcuni degl'interpreti
l'hanno usate come voci sinonime; ed io porto la medesi-
ma Opinione, fondata quasi in saUissitna pietra , in quella
O DELLA CLEMENZA i^g
notissima proposizione, la quale non ha bisogno di prova ,
ma serve a provar l'altre.
Costantini. Aspetto di udirla.
Tasso . E questa . Le cose , le quali son le medesime ad
iin terzo, sono le medesime fra loro ; il terzo è la diminu-
zione delle pene; le cose , le quali sono l'istesse col terzo ,
sono l'equità, e la Clemenza j laonde in questa guisa si po-
trebbe fare la dimostrazione. La Clemenza è diminuzione
delle pene : la .diminuzione delle pene è equità: adun-
que la Clemenza è equità . Volete contradire?
Costantini. Io contradirei coli' autorità de' teologi,
se ella fosse contraria alla vostra ragione.
Tasso. Alle macchine dell' autorità sacrai non possono
star saldi i fondamenti dell' umana ragione : ma non ci
mettiamo a questo pericolo, potendo trattar di pace : e la
pace fie questa; che sieno il medesimo non di numero, ne
di specie ( parlo delle specialissime) ; ma di genere e di
proporzione .
Costantini. Mi par d' intendere i capitoli dell' ac-
èordo .
Tasso. Ma s'ella fie l'istessa di genere , fa mestieri che
hoi troviamo la differenza , o le differenze , per le quali
sian diverse l'equità e la Clemenza.
Costantini. Senza tallo.
Tasso. Ma temo che i Peripatetici non se ne richia-
mino ad Aristotile, se io dirò che la Clemenza sia con
dolcezza d'affetto, e l'equità senza questa tenerezza; pe-
rocché non vuole Aristotile clie nel clemente sia alcuna
passione, come abbiamo detto, e se ella pur vi fosse, con-
verrebbe la dolcezza dell'affetto al clemente, piuttosto
per accidente , che in altra guisa; diremo dunque, come
dicemmo, o piuttosto che siano l'istessa virtti per analo-
gia o proporzione, come è definito, perchè tale è la Cle-
menza verSo la severità , quale verso la giustizia legittima
si dimostra l'equità. Ma torniamo a' Peripatetici, ed agli
Stoici, co' quali nelle contese letterate possiamo adoperare
il nostro ingegno, provando, e riprovando, e conseutetido
d' essere approvati;, e riprovati.
Costantini. Torniàm senza iudusio.
l5o IT. COSTA NTIiVO
Tasso . Ln giustizia è virtù conveniente al Legislato-
re neir impone lo pene , e i premj .
Costantini. Cosi mi pare.
Tasso . Ma l'equiliì non tanto gli appartiene, né la
Clemenza, s'ella è la medesima.
Costantini . E questo aurora vi concedo.
Tasso. A chi dunque s'appirtient??
Costantini. Al Re, coaie dice Seneca ; e ciò volle
insegnare la natuiM, fingendo il Re dell'api senza l'aculeo r
Tasso. Ma se l'equità è una virtù, che sta sopra la
giustizia , come suona il nome greco éVfttxfia, il Re an-
cora dovrebbe esser soprapposto al Legislatore j nondi-
meno i Re, ed i Legislatori furono i medesimi.
Costantini. Alcuna volta sono stali i medesimi come
negli antichissimi secoli Minos, Licurgo, Numa , e da tem-
pi men remoti Giustiniano, ed i Re Longobardi: alcuna
volta i Legislatori non sono stati Re, come non lurono
Mosè , Solone , Caronda , Paolo , Servio , Muzio , e gli al-
tri anticlii Giurisconsulti , li quali a guisa d'oracoli, da-
vano le risposte.
Tasso. Possono duixjue esser distinti questi officj , e
queste persone di Re, e di Legislatore.
CoSTANTIM. Possono senza fallo.
Tasso. Sarebbe aduncjuc ragionevole che le virtù an™-
cora fussino distinte, e che l' una non fosse come parte
dell'altra , ma come una regola superiore , che dirizzasse
le nostre umane azioni , e quelle de' Re principalmente.
Costantini. Distinguetele, se vi pare ; ed assegnatele
coinè giudicate il meglio.
Tasso. Dirò dunque che la giustizia è virtù propria
del Legislatore, e l'equità è virtù propria di;! Re, e del
giudice, quasi 'vma miglior giustizia; o piuttosto che la
giustizia è virtù conlune , pei-chc ciascuno di lei partici-
pa , come della vergogna; ma la Clemenza e virtù propria
del Re , e del Principe •
Costantini. Così mi pare più ragionevole.
Tasso. Ma s'ella è virtù del Principe, non dovrebbe
esser meno alta , o inferiore all' altra; la cpiale abbiamo
già detto esser virtù comune .
O DELLA CLEMENZA l5l
Costantini. Non per questa ragione.
Tasso. Ma sarebbe la clemenza virtù inferiore , e nieii
nobile e generosa , se a lei si convenisse diminuir solamen-
te 1^ rigidezza delle pene, e la giustizia sola dovesse con-
cedere i premj.
Costantini. Così mi pare.
Tasso. Ed oltreciò sarebbe men libera nelle operazio-
ni: perchè l'operazione del premiare è volontaria, ma
quella del punire non procede assolutamente dalla volon-
tà, ma è quasi necessaria, e deverebbe esser piuttosto il
contrario ; perchè la clemenza , come dice Seneca , lia il
libero arbitrio, quale dee piuttosto usare nel guiderdone,
che nel castigo.
Costantini. Tutto quel che voi dite, stimo assai
vero, ed assai ragionevole, e basta che voi l'abbiate
detto .
Tasso. Coloro adunque, che lianno attribuita a' Prìn-
cipi l'operazione solamente del punire, ed a' Legislatori ,
ed a'r.^Mdici quella del premiare, non hanno avuto riguar-
do molto al decoro de' Principi, ed alla natura delle cose.
Che ne dite Signor Antonio?
Costantini . L' istesso .
Tasso. Consideriamo dunque di nuovo la cosa medesi-
ma. La Clemenza è virtù propria di Principe.
Costantini . È senza dubbio .
Tasso. Ed a' Principi più conviene dare i premj , che
le pene , come insegnò Aristotile medesimo nella Politica ;
e come disse il Consigliero in quei versi del mio Toni-
ismondo :
Dura condizione , e dura legge
Di tutti noi , die siain ministri, e servi .
A noi quanto di grave è quaggiù,, e d' aspro,
Tuttofar si conviene , e diani sovente
Noi severe sentenze , e pene acerbe .
Il diletto , e il piacer serbano i Regi
A se niedesnii , e il far le grazie , e i doni .
Costantini. Furono parole di savio consigliero .
Tasso. Alla Clemenza dunque più s'appartiene l'accre-
scere i premj, che il diminuire lo pene.
1 5a IL COSTANTINO
Costantini. Così stimo .
Tasso . E se io non avrò ardimento di ai'fermare eh' ei-
la sia una miglior giustizia, come l'equità, o superiore
alla giustizia, almeno non dubiterò di esser riprovato, di-
cendo eh' ella sia virtù secondo alcuna considerazione
principalissima , o come dicono, secundum cjuid; perchè
niun'altra tu l'operazioni de' Principi più grate, e più ac-
cettevoli a quel sovrano Principe , al quale obbediscono
tutte le podestà; e ninna gli fa a lui più somiglianti , e
niuna più stabilisce V altissima sedia reale .
Costantini. Credo.
Tasso. Sarà dunque la Clemenza definita in un altro
modo , non col genere peggiore, ma col più nobile, come
insegna Aristotile nella Topica : La Clemenza è un accre-
scimento della cose utili , e giuste, come de' doni y e del
guiderdone , e della mercede meritata ; perciocché , po-
tendo ella far l'uno, e l'altro effetto, da questo princi-
palmente dovrebbe essere determinata. £ ciò non mi con-
cedete ?
Costantini. Similmente^
Tasso. Ma temo cLe la Clemenza non vi paia virtù;
perciocché la virtù è nella mediocrità, ma l'accrescimen-
to, e la diminuzione è coU'eccesso, e col difetto.
Costantini. L' uno , e lalti-o congiunto col vizio.
Tasso. Tutta volta la cosa sta altrimenti ; perchè que-
sta virtù accrescendo il poco, e scemando il soverchio , la
riduce a mediocrità .
CosiAlNTlNl. Bella in vero, e nuova e la definizione ; e
se non sono errato, molto vera, e non meno ingegnosa.
Tasso. Ma se fosse lecito di addii re molte definizioni ,
o di raccogliere in questa tutte le c.igioni , si potrebbe
dire: Che la Clemenza fosse una magnanimità del per-
donar l' nigi urte , o\\ aro: un altezza d'animo dimo-
strata nel jH-.r dono , colla quale i Principi , accrescendo
i prenij e i doid , s acquistano la bene\^olenza. E questo
è r ottimo fine.
Costantini. Nulla conosco che manchi a questa defi-
nizione , so non l'autorità de' Principi , che abbiano col-
l'csempio dimostrala esser questa la vera Clemenza. j
O DELLA CLEMENZA l53
Tasso. Non è mamviglici che gli esempi sian rari,
poiclic rara è la virtù; ma di quell'altra, clie si può di-
re ordinaria, e quasi da giudice, molti se ne troveri !>-
bone .
Costantini. Or ragioniamo della real Clemenza, e di
coloro che regiamente sono clementi; de'quali si potreb-
be dire :
Pochi eran , perchè rara è vera gloria :
Ma ciascuno per sé parca ben degno
Di poema dignissinio , e d' istoria.
Tasso. Non furono a Patroclo tanto convenevoli Tarmi,
e gli ornamenti d'Acliille, ed i cavalli, e il carro, quanto
a' clementi la gloria di questi leggiadrissimi versi; ma ri-
cerchiamo quai sono , e fra i primi ci si fa incontro Fi-
lippo.
Costantini. Bello , e reale incontro veramente.
Tasso. Scrivesi di Filippo, che veggendo nel suo regno
di Macedonia Arcadio, il quale aspramente lo malediceva,
benché gli altri i! consigliassero a castigarlo , egli volle
che riportasse, in vece del supplicio, i doni del forestiere,
o come dicono, ospitali. Facendo poi ricercare, qual faina
spargesse fra Greci , tutti fecero testimonianza che di lui
era divenuto mirabil laudatore; laonde disse ugli amici: Io
sono miglior medico di questa infermità . Potrei riporre
fra' doni della Clemenza quelli mandati da Maga a Plemt--
«e il comico, se il dono d'una palla , e d'alcuni dadi n< a
convenissero a' fanciulli piuttosto che a' poeti; e dogliomi
che dopo Filippo io non rincontri Alessando suo figliuolo,
il quale a Culistene, ed a dito crudele si dimostrò, vjepià
che a magnanimo Re non era conveniente: ma l'umanità
usata a Poro Re degl'Indiani, trattandolo regiamente, si
può annoverare fra le azioni di clemenza, perchè tutte le
cose ne' trattamenti reali sono contenute. La medesima al-
tezza d'animo recò a simil benignità Filippo Maria Vi-
sconte, nella prigionia d'Alfonso d'Aragona; e Carlo
Quinto Imperadore, in quella di Francesco Re di Francia.
Il contrario esempio della barbara ferità, usata ne' Re
prigionieri, dimostrò il Tamerlano vittorioso, nella perso-
na del gran Turco, la cui crudeltà fu dallo giustizia del
l54 IL COSTANTINO
éselo rigidamente vendicata. Ma tori)iamo ad Alessandro ,
di cui l'ira diminuì la gloria:
E IJe minore in parte che Filippo,
cj nasi trasportandolo fuor di sua natura benigna; però fu
clemenza degli scrittori il diminuir quella infamia^clie per
la morte d'un filosofo , quasi debita pena , gli era dovuta.
Costantini. Al magnanimo Re fu perawentura lun-
ghissima pena d'un breve furore il dolor della penitenza .
TAsSO . Or passiamo a' Romani, e consideriamo insieme
la liberalità, la quale dovrebbe esser compagna della Cle-
menza, come dice Valerio Massimo. Paolo Enilio sollevò
Persa , e l'onorò ad un'istessa mensa; Pompeo ripose il
diadema a Tigrane ; Cesare donò molti regni, ma alcuni
con diminuzione, come quello che restituì a Deiotaro, e
bencb'egli titolo di clemeutissimrt meritasse, e verso mol-
ti si mostrasse di pietosa liberalità pieno, in questa sua
azione nondimeno la sua clemenza non fu perawentura
perfetta. Perfetta in ciascuna parte fu quella d'Augusto
verso Erode, Re de' Giudei, il quale aveva seguito Anto-
nio nella battaglia navale, perche l'altezza dell' animo ^
dimostrata dal Re, nella sua orazione , fu quasi eguale a
quella d'Augusto nella restituzione del Regno, con accre-
scimento di podestà e d'onore , come racconta Giuseppe
Ebreo; ma non fu allora solamente maravigliosa la clejnen-
/a d' Augusto.
Costantini . Basta forse questo esempio a dimostrar la
sua cle'menza.
Tasso. Memorabilissimo nondimeno, oltre a tutti gli
altri, è quello, che narra vSeneca , benché egli fosse mosso
diill'onesto consiglio di Livia sua moglie.
Costantini. Le donne adunque ebbero gran parte nel-
la suprema laude di Cesare.
Tasso. Così avvenne; laonde possiamo conoscer quan-
to sia falsa 1' opinione di coloro, che biasimano i consigli
delle donne; ma le circostanze dc^ll'azione voi le sapete,
però è soverchio il narrarle; nondimeno la grandezza del
fatto m'invaghisce, in un certo modo, e mi trasporta a
ragionarne . Era L. Ciuna sospetto d' aver congiurato
contra Cesare, già maturo d'età, già solo nell'lmpc-
o DEU-A cle;menza i55
rio , già Imperadore del inondo placato , e da lui con-
servato, perciocché tutto il sangue civile fu sparso, men-^
tre la potenza era divisa fra tre Principi; ma poiché Hi
congiunta in Ottaviano, non contaminò stilla di sangue
r aitissima fama, e la clemenza del glorioso Imperadore^
laonde, quanto parca maggiore la pazzia del giovane in-
considerato, e quasi convinto, tanto più fu lodevole l'a-
xione d'Augusto. Data dunque a ciascuno licenza della sua
camera , fece chiamar Cinna solamente, e comandò che gli
fosse data un'altra sedia: Questo (disse) io prima diman-
do a tGy che tu noti interrompa le mie parole , e che non
gridi in mezzo al mio ragionamento , percfiè avrai altro
tempo Ubero da ragionare . Io , Cinna, avendoti trovato
nelV esercito, e negli alloggiamenti degli avversarj , non,
sol fatto mio nemico, ma nato, ti salvai concedendoti
tutto il patrimonio ; oggi sei tanto ricco e tanto felice^
che i vincitori portano invidia al vinto: ti diedi il sacer-
dozio che mi dimandavi , preponendoti a molti , i padri
de' quali avevano già sotto me militato ; essendo io così di
te benemerito, deliberasti di uccidermi . Gridando Cinna a
a questa voce , che egli non era così pazzo: Non mi osser-
vi (d\s$e) la fede, o Cinna , perchè siamo rimasi d'ac-
cordo che tu non mi disturberai nel ragionare: ti vai
apparecchiando per darmi la morte ; aggiunse il luogo ,
i compagni, il dì, l'ordine dell'insidie, e la persona, a cui
aveva confidate le armi: e vedendolo trafitto, ed omai ta-
cito, non per patto solamente , ma per coscienza , soggiun-
se : Con qual animo ciò fai? per esser tu Principe? Male
sta la Repubblica , se io solo ti sono d' impedimento al
signoreggiare ; non puoi difender la propria casa ■ fosti
dianzi superato in giudizio dal favor di un uomo igno-
bile , e nato di un servo : in guisa stimi facil cosa V esse-
re avvocato contra Cesare , che non puoi farne alcun al-
tra pili agevolmente ? Cedo , se io solo impedisco le tue
speranze . Paolo forse , e Fabio Massimo , ed i Cossi , ed
i Servii] ti sopporteranno? e tanta schiera di nobili , che
non si mettono avanti titoli e nomi vani; ma sono orna-
mento ed onore alle immagini de' lor maggiori? In que-r
sto modo, com è scritto, ragionò seco più di due ore,
l56 ÌL COSTANTlXa
prolungando, col r.igionire, qupstEi pena , rlella quale sola
crii contento: Ti do Ci /ina la i'ita, e la ti <5^o( disse)
uìi altra volta , prima al nemico, ora all' insidiatore, ed
al parricida . Cominci da questo giorno fra noi V amici-
zia; contendiamo di fede, iontl darti la \'ita, e tu nell'es-
sere di lei debitore. T)à\iOÌ spontaneamente gli diede il Con-
solato, lamentandosi che non avesse ardimento di chieder-
lo ; e l'ebbe sempre amicissi.no e fedelissimo ; egli fu solo
suo erede; né più da alcun'altro fu insidiato: ecco il fine
della Cleiiienza.
CoSTANTlNr, Maraviglioso avvenimento avete narrato;
e con maravigliose pai'ole postomi quasi avanti agli oc-
chi Cesare e Cinna ,- e vi lamentate di non aver memoria ?
Tasso. È maraviglia ancora che io di queste poche pa-
role di Seneca , alle quali spesso vo ripensando , mi sia ri-
cordato; e quanto più vi ripenso, tanto trovo maggior oc-
casione di dubitare .
Costantini. Io credeva che la Clemenza d'Augusto'
potesse scacciare ogni dubi>io, e confermare la vostra opi-
nione, perchè dalle cose già dette si può conchiudere che
Cesare scemò la pima debita a Cinna , almeno di timore ,
potendolo teuiir dubbii.) della vita un anno, o un mese , o
uii giorno , e si contentò di due ore solamente , con tanto
favore di colui, che in questa guisa era punito, colla ver-
gigna di ascoltare la sua colpa dalla bocca dell' Imperado-
re: accrebbe ancora la clemenza , dandogli il Consolato, e
molto pii'i ricevendolo in amicizia .
Tasso. Cotesto è vero senza fallo, e per vostra cortesia,
detto in confermazione del mio parere; ma' sebben mi sov-
viene, noi dicemmo che pi;r autorità di Aristotile , la Cle-
menza era diuiinuimento delle cose giuste ed utili: per la
nostra doveva essere piuttosto accrescimento delle cose
giuste, che nelle utili sono comprese.
Costantini. Cosi fu couchiuso.
Tasso . Egli per la diuiinuzione delle cose giuste inten-
deva le pene pecuniarie imposte dalla legge ; io intesi del-
l'accrescimento della tnercede , ovvero del dono; ma ora
non so ritrovare quai prenij dalle leggi siano proposti alla
nobiltà, perchè in Ginna, oltre alla gentilezza del sanij;ue,
O DELLA CLEMENZA iSj
non so quel che si potesse lodare : in Erode, senza dubbio,
si poteva eoininendare il valore e la costanza di aver se-
guito Antonio fino alla morte, e l'altezza dell'animo si-
milmente, nel manifestare al vincitore l'affezione portata
al vinto suo nemico; laonde giudiciosa Clemenza parve
quella d' Augusto nell'accrescer l'onore di Erode; ma
quella che usò con Cinna per consiglio della moglie, fu
piuttosto fortunata, p;>icliè pose fine alle discordie civili,
ed alle insidie de' suoi nemici.
Costantini. Discreto fu, per mio avviso, il consiglio
della moglie, e giudiciosa, non solo magnaniina, la deli-
berazione d'Augusto; perchè gli animi de'nobili con
niun' altro artificio sono presi più agevolmente, che con
questo d'accrescer l'onore e la dignità .
Tasso. Dunque la Clemenza è un artificio usato dal
Principe per farsi benevolo il popolo e la nobiltà.
Costantini. E quale sconvenevolezza sarebbe?
Tasso . Ninna peravventura , se l'un genere dall'altro
fosse contenuto, perchè la Clemenza è virtù , e la virtù è,
come dicono alcuni filosofi , un'arte della vita, e l'arte in
un certo modo è scienza: ma bello , e mirabile, e leggia-
dro, e magnanimo, e glorioso artificio è questo di perdo-
nare a' nemici, e di vincer gii animi loro , e di soggiogar-
gli co'beneficj, e colle grazie; e miglior Principe è colui, il
quale è migliore artefice : però più lodiamo l' imperio
d'Augusto che quel di Cesare suo padre; o almeno più fe-
lice fu la clemenza del figliuolo: e se Cesare nel restituire
il regno al buon Re Deiotaro, gliel' avesse restituito non
con diminuzione , ma con aumento, come il restituì Au-
gusto ad Erode , avrebbe avuto peravventura miglior con-
sigliero, e più fedele amico; ma non si legge in Svetonio
che Giulio Cesare nel rendere i regni de' vinti, ampliasse
i confini d' alcuno, benché gli ristringesse di molti.
Costantini. Questa fu sapienza del figliuolo.
Tasso . Ma sua fortuna fu che fosse più felice nell'a-
raicizia di Cmna, che Giulio in quella di Bruto.
Costantini. Furono adunque congiuulc nel figliuolo
la sapienza e la fortuna .
Tasso. Cosi esti ao, ma u qual'arle assouiiglieremo noi
l58 IL COSTANTINO
Quella della Clemenza? all'arte forse del medicare? Ri-
Cordiamci della parole e del consiglio di Livia , che scbhen
mi rammento, i"u questo: /vz' (disse al marito) quel che so-
gliono i Medici, i quali ydo^'c non giovino i rimedj usati ^
tentano i contrarj : nulla t ha sin ora gioitalo la severi-
tà ; Salvi dicno da Lepido fu seguito , Lepido da Mure-
na, Murena da Cepione, Cepione da Egnazio, per' ta-
cere degli altri , i quali è gran vergogna, che avessero
tanto ardimento; or tenta , conte ti riesca la clemenza ,
perdona a Cinna, il quale è colto in fallo veramente , né
può ormai pili nuocere alla tua vita^ percK è scoperto ;
ma giovane alla tua fama .
COSTANTINI . Savio e clemente consiglio fu questo , ma
di moglie al marito non sospetta, o almeno in ciò non so-
spetta.
TASSO. Non aveva forse Ottavi;uio ancora cagione di
suspicare. Filippo, conj'abbiam detto, appresso Plutar-
co, assomiglia il clemente al medico , poiché il maldicente
Arcadie co'suoi doni era divenuto lodatore della sua virtù:
Io (disse agli amici) sono assai miglior Medico di voi ,
avendo guarito costui dell' infermità: ed intendeva della
maledicenza, o della pazzia dell'ingiuriare i Principi, per-
chè in altra guisa non poteva peravventura risanare.
Costantini. Il donare è laediciua certissima a tanto
male; ma clementi e miscricordii)si furono i Medici , e for-
tunato chi dalle mani di grandissi ai Principi potè esser
medicato .
Tasso. Ciò dobbiamo peravventura considerare ; dico ,
se la Clemen/a sia misericordia, e l'arte dell'usar clemenza
simile a quell.i del medico misericordioso; perchè si legge
nel medesiiiu) Autore che la medicina degli animi è la giu-
stizia, arte, oltre a tutte 1' altre, grandissima ,per testimo-
nio di Pindaro , e di mille Cimosi Scrittori ; clu; ci risana
dal vizio colle pene; non altrimenti che il medico severo
soglia adoperare il ferro e il fuoco per salute dell'infermo:
ma il clemente co'doni e colla tnercede è simile al me-
dico, che usa i lentivi e l'odorifere unzioni , e di ciò , per
mio parere, non è dubbio: dubit.ir si potrebbe se il cle-
nienlc sia miserevole, se già Seneca non avesse detcrmi-
O DELLA CLEMENZA iSp
nato il contrario, diiuostrando che la misericordia è una
inferuiilà dell'animo, e vicina alla miseria , e che '1 savio
non ha misericordia; ma se noi vogliamo starcene alle de-
cisioni di Seneca , acqueteremo l' animo nelle opinioni
d'uno Stoico.
Costantini. Severa fu la dottrina degli Stoici, e però
alcuna volta par nemica della misericordia.
Tasso. Non solo severa, ma falsa: perchè la indigna-
zione è piuttosto contraria alla misericordia, come voilo
Aristotile: ma degno è di maggior considerazione ch'egli
biasimi quegli affetti , o quelle passioni, che nell'animo
sono degni di laude , fra' quali è lo sdegno, e la misericor-
dia, con durezza veramente da Stoico; laonde fra loro, e
le statue appena ch'io conoscessi differenza, perocché il
non lagriinare nella morte degli amici, il non commoversi
nel pericolo degl'innocenti, il non risentirsi per la teme-
rità degli scelerati , il non intenerirsi a'prieghi de' suppli-
chevoli, il non piegarsi all'infelicità di coloro, che imme-
ritamente sono infelici , è durezza siiiiile a quella delle
colonne del marmo; e si dee biasimare questa durezza
Ira' giudici, o ne' tribunali , benché sia laudevole nelle
morbide piume degli amplissimi letti, dove la diaiostrò
uno di questi filosofi a Frine cortigiana, e di lui disse il
Petrarca :
Senocrate viepiù saldo cJtc un sasso.
Ma non sarebbe peravventura stato così immobile nella
causa di Socrate , o in quella di Aristide , o di Temistocle,
o di Focione; ma sebbene ho considerate tutte le parole di
Seneca, egli non è costante nella sua costantissima, o piut-,
tosto rigidissima filosofia.
Costantini. Alcuna volta peravventura si dimenticò
d'esser filosofo, ricordandosi d'essere oratore: ma quai
sono le parole, dov'egli dimostrò l'instabilità dell'opi-
nione?
Tasso . Quelle che adduceste dianzi nella definizione,
dicendo : Che la Clemenza è quella , che si piega intorno
a ciò , che meritamente può costituirsi; perocché non si
può piegare che non si muova : laonde chi biasiuia il mo-
vimento, biasima il piegarsi, e chi condanna il piegarsi,
ì6o IL COSTANTINO
condanna la Clemenza , la quale , come a lui parve, è pie-
glievole virtù .
Costantini . Parawentura egli non vitupera ogni mo-
vimento dell'animo, ma solamente i torbidi ed i veementi.
Tasso. In ciò non sarebbe molto diffeiente da'Peripa...
tetici , i quali insegnano come le virtù morali, collocate
nella parte sensitva, e affettuosa possano raffrenare l'im-
peto delle passioni, le quali altro non sono, cbe moviuien-
to dell'anima sensibile, con opinione d'alcun bene, o d'al-
cun male.
Costantini. La differenza adunque è piuttosto de' no-
mi che delle cose.
Tasso. Cosi stimo; come quella fra ignoscere, e puree-
re: percbè Seneca non concede che il savio debeat igno^
scere ; vuol nondimeno , che possi t parcere ; ma noi , come
disse quel Poeta della sua medesima, in rispetto della
Greca, propter egestateni linguae, et rerum noi'/'f aleni y
non abbiamo tante parole, e siamo vinti da'Latini nella co-
pia e nelle ricchezze della favella : p(>rò diremo che al sa-
vio si convengi il perdonare ed il rimettere egualmente ,
benché del rimettersi potesse farsi altra considerazione.
Costantini . Si concederà dunque al saggio il ri-
mettere .
Tasso . O si concederà al saggio il perdonare , o si ne-
gherà all'uomo l'umanità: ma noi cerchiamo, qual sia
questo saggio modo, o qiiesto artificio, o questa pruden-
za di perdonare, perchè non è dubbio alcuno, ch'ella vi
sia; e forse da Plutarco fu meglio conosciuto che da al-
cun'altro, perocché egli disse: Che la dottrina di punir
bene, ed a tempo, e con ulilità, non impedisce la pena.
Ma qual foss(^ questo utile, o qu>\sto decoro, Plutarco
medesimo I avrebbe meglio dichiarato ; siccome colui
che nelle virtù politiche fu maestro di Traiano , ottimo
Imperadore , o più dotto, o più fortunato almeno di Se-
neca, di cui fu discepolo jNerone,- però ben disse il Pe-
trarca :
Ed in suoi magisteri assai dispari
Quintiliano , e Seneca e Plutarco ;
0 DELT.A CLK^EN/A l(5f
E se non m'inganno, avrebbe distinti i mocli,i tempie
l'occasioni del perdonare, e le persone , alle quali si con-
viene concedere il perdono, o negarlo ; perchè gloriosa
azione è il perdonare ad un filosofo, ad un poeta, ed a cia-
scun altro, cbe per eccellenza d'ingegno, e di lettere, o dì
valore, e d'esperienza è degno di stima, e può giovare al
mondo, al Principe, alla patria; ma non inerita lode il
perdonare a' ladroni, a'micidiali, a' venefici ed agli altri
uomini di male affare , o non sempre; perchè, la cortesia
usata da Ghino di Tacco all'Abate di Cligni meritò per-
dono: e se già vSeneca lodò Nerone , cbe nel sottoscriver la
sentenza contro un ladrone disse, velleni ìicscire litteras ,
il lodò, qu.isi lusingandolo, o quasi pungendolo, percbè
egli s'avvedesse dell'errore.
CoSTANTliNl. Non era necessario men sottile avvedimen-
to con queir linperadore.
Tasso . Il medesimo artifìcio , usò dicendo: Ejc cleinen-
tia omnes idem sperane. Tutti sperano il medesimo dalla
Clemenza; imperoccbè ella dee distinguer tra le persone,
e tra i meriti e le colpe, non meno che tra i premj e le
pene ; altrimenti ella sarebbe indiscreta , o men discreta
della giustizia , cbe non approva la pena del taglione, o
del contrapasso. Non doveva adunque lo scberano, e 'l fi-
losofo sperare il medesimo dalla clemenza di Principe
giudicioso: ne le colpe della volontà e della fortuna do-
vevano esser pesate colla medesima bilancia popolare;
perocché alcuna volta la fortuna è in vece di colpa ; laon-
de negl' innocenti ancora può aver luogo la clemenza .
Conchiudiamo adunque il ragionamento coli' opinione dei
teologi , che la Clemenza nel moderar le pene adoperi una
diritta ragione.- percbè non ogni apparenza di questa virtù
è vera clemenza, ne quella di Saul o di Acab, piacque
a Dio .
Costantini. Nel fine del ragionamento tutti sono stati
concordi stoici, e peripatetici , e teologi, e filosofi, e le
ragioni umane colle divine si sono collegate.
Tasso. Questa concordia è sempre nelle cose vere ; ma
piaccia a Dio cbe nell' ottimo Principe si manifesti la
Diaholn T III. II
iGa IL COSTANTINO
scienza e la prudenza del perdonare, e quella del premia-
re similmente e d'onorare la virtù co" suoi doni. Frattanto
vorrei che le mie parolea guisa di trombe, facessero riso-
nare negli orecchi e negli animi di ciascuno quella senten-
za : Ninna cosa è, che ineriti maggior gloria, del Princi-
pe senza pena ingiuriato .
IL PORZIO
OVVERO
DELLE VIRTÙ
DIALOGO
ARGOMENTO
Jj u Simon Porzio ?iapoletano e filosofo a suoi giorni di molta
stima , come appare da varie sue opere, che si vrggono alle stampe .
Lesse molti anni in Napoli nelle ptiòl/liclie scuole , esponendo l' ope-
re di Aristotile, della cui dottrina e delle cui opinioni fu seguace e
difensore, onde ebbe nome di gran Peripatetico ; e nr^li ultimi anni
dilla sita vita fu chiamato a legger nello Studio di Pisa , doi-c si
mori . P.ra gottoso , e perciò visitato in casa da molti nomini dotti,
e specialmente da Pietro Vittorio, che volentieri /' ndi\>o discorrere ,
e con ragione prende il nome da lui questo dialogo , in cai egli così
dottamente ragiona . Del Dottor Calabrese , eli è l'altra persona
introdotta, si dice nel proemio citerà il primo scolare dello Stu-
dio ; ma si sa oltre a ciò eh' egli si chiamò Giopanni Calabro , e
comunemente il Dottor Calabro , e che in Padova fìt eletto in con-
correnza d' altri, l' anno i55c), alla cattedra straordinaria di I" ilo-
sofia , onde è verisimile che Torquato Tasso quivi il conoscesse , e
forse l' udisse leggere, perchè ne' tempi medesimi potè trovarsi in Pado-
va, d'onde il Calabro fu richiesto l' anno 1 56o da Don Francesco
Gonzaga, poi Cardinale , e concedutogli, acciò che privatamente
r ìnstituisse nella l'iìosofia . Ma di Muzio Pignuttello , che è f altra,
persona che parla , si legge cosi bello e nobile elogio nelC Istorie di
di Aapoli stampate, da Tommaso Costo, e spicgato\con sì at^ioncie
ed espressive parole , che si è giudicato bene di rapportarlo qui tutto
senza lasciarne addietro alcuna parte, acciò che altri ne vegga il
suo sembiante pili vivamente dipinto . Dice dunque cosi . « Il giorno
primo di Marzo dell'anno i 5"; g, facendosi in JSapoli una festa da
molti Cavalieri mascherali , avvenne die Muzio Pignatlello , imo
de' figliuoli del Marchese vecchio di Lauro , eh' era della loro scine-
ra , correndo a prima giunta, precifiitò egli e il cavallo in tal modo,
che essendo allora intorno alle 21 ore, non visse pili eh' il fino a
notte , se viversi può dir che fosse lo spazio di quelle poche ore , nel
tjuale privo de' sentimenti , giacque come morto. Urano il misero
padre e la sventurata moglie con altri parenti a' balconi, e si vide-
ro perir dinanzi agli occhi senza potergli dare ajiito, quegli il figliuo-
lo , e questa il marito ; e chi vid.e quel vecchio , che s'appressava
l64 IL PORZIO
all' età cf ottant' anni, non morire a sì fiero spettacolo , s'accertò
che uri estremo dolore non può dnr subita morte ad itn uomo . ]Son
Jii persona diqualunqiie grado si f>%se, a cui la morte di quello sfor-
tunato Ca^ialiere non dispiacesse infìno all' anima , iirjperocchè egli
era notissimo a ciasrunn per intelletto raro ed ammirabile ^ in cui
pareva che la, natura si fiisse compiaciuta di fare una raccolta di
unte quelle doti, che ella suol compartir solamente a' preclari uomi-
ni. Era Muzio Pignattello di trent' anni , di giusta e ben propor-
zionata statura, di pelo biondo, di color chiaro, di sanissima
complessione , di corpo agile, nerboruto e gagliardo , onde si eser-
citava continuamente in giaocar r/' arme , ed in saltare , ed in
volteggiare , ed in cavalcare , ed in ballare, ed in ogni altra attitu-
dine conveniente a cavaliere; torneava , giostrava, ed il lutto faceva
con tanta felicità die pochi in alcune cose lo pareggiavano , ma in
tutte ninno; benché pochissimo sarebbe lutto ciò, s" egli non fosse
stato maravigliosamente t^ersnlo in molte sorti di scienze , perciò
che egli fu ejllosofo , e teologo , mattcìnatico , e cosmografo , ed
aritmetico, ed oratore e poeta . Diede opera alla musica, non fu
senza cognizione d'astrologia, intese d'architettura, ardì di far
macchine di legno non tentate da altri ingegneri ; soleva spesso det-
tare a diversi can< elUcri a un tratto , ad imitazione di Cesare ; e fra
r altre , maraviglio'sa fu quella volta , che scrivendo egli medesimo ,
dettò a' ventidnque , in diversi linguaggi, e sopra var/' soggetti in
presenza di molti signori, ed' altre persone di qualità , che tutti ne
stupirono , s'i come aveva fatto poco dianzi il Cardinal Granvela ,
vedutolo dettare neW istesso modo a diciotto. In somma non fu cosa
difficile , e bella , dov egli con suo sommo onore non ponesse le ma-
ni. Arroge , che nel colmo di tante viriìi egli era affabile , piacevo-
le, cortcsissimo e liberale » . Fin qui l'elogio, a cui altro non si dee
aggiunger , se non forse , eh' egli fu fratello di Ascunio Pignattello
per le sue liriche Poesie cos'i chiaro . Fu scritto questo dialogo dal
l'asso negli ultimi anni della sua vita , e i originale tutto scritto
di sua mano si conserva con gli altri . Ìj introduzione al ragiona-
mento, che è di forma rappresentativa , si prende dall' aver trovato
J/uzio in uno de' giardini vicini a Napoli , il Porzio col Calabrese ;
e dal vedergli in ozio , ed in solitudine , prende occasione d'interro-
gare il /•'orziate di trarne le risposte, che si leggono , per esur
ne' primi anni della sua gioventù nmiuaestralo nelle Virtù, ed in
quelle specialmente , che sono, parte con la cognizione , e parte con
l uso , ornamento e perfezione d' un cavaliere ; e quindi hall suo
soggetto il dialogo. iSi dice dunque prima che le srienze non debbou
servire all' uso della vita ; che il fine di ciascuna virtù è la propria
azione , in cui è riposta la felicità, e dopo aver parlato delle Matte-
maliche , si dubita se prima si debba dar opera alla f'ilosofia nati:-
rale , oa quella de' costumi , conchiudendosi che dobbiamo esser
prima ammaestrati nella morale ; quindi si passa a mostrare quel,
che ella sia , e s' ella sia scienza , e se si possa imparare . Si dice
che la virtù civile non è scienza , e si prova con gli argomenti , e
con le ragioni di Platone ; dal non poter , t ioè , esser lasciata da' pa-
dri per eredità a' figliuoli , che po'^son resi'ir eredi delle lor virtù no
O DELLE virtù' i65
tìirnlì snlameiìlfe . Ciò si covferma con argomenli , e con esempi , di-
cendosi (he alcune -virtù sono concedale da Dio, e che gli abiti
dell' intelletto si possono imparare , ed esser insegnati, e che le t>ir-
tù de' costumi , che sono aùili dell' anima affettuosa , s acquistano
per lunga, e non interrotta usanza di bene operare . Si afferma,
che alcuni hanno chiamata la virtù, scienza , e la scienza alf incon-
tro virtù , ma che proprissimamente parlando , questo nome si con-
viene alla virtù de' costumi . Si apportano varie diffinizioni di essa ,
e dopo averne esaminate alcune , e rifiutatele , e ragionato del suo
mezzo, e divise le parti dell' anima e gli obietti , che le distinguono,
e le sue potenze , eie lor diffinizioni , ed in qiial parte dell' anima
siano, e le varie opinioni sopra ciò, si parla della Jelicità attiva , e
della contemplativa, e de' loro fini , e del vicendevole aiuto, che si
danno. Si porta al fine la di/finizione della Virtù, il soggetto, il
fine , e t offizio di essa , e la diffinizione della f licitò attiva , e del-
la contemplativa; ed a ciascuna si assegnano le sue /jarti Si ragiona
delle virili dell' intelletto . Si dà appresso la di/finizione della Pruden'
za, e di lei a lungo si discorre. Si dubita se la Virtìi si divida e come;
e si concliiucle eli elle si dividono secondo le potenze principali del-
l' anima . Si parla ili quelle, che sono nella mente speculativa, e nel-
l'oltiva, e dell'appetito concupiscibile e dell'irascibile, e del loro obiet-
to, e sassegnan loro le proprie Virtù : e si favella specialmente della
Prudenza , e della Giustizia , e della Temperanza, e della Fortezza .
Si dichiara quale sia, e come si debba intendere il mezzo delle morali
Virtù, ed ultimamente si diffinisce la Virtù essere un abito fatto con
elezione, consistente nella mediocrità per nostro rispetto, secondo la
diritta ragione . Si fa piii chiaro qual sia questa mediocrità, e quan-
to difficile da toccarsi il mezzo . Si dice della magnificenza , e della
magnanimità, e della lor grandezza , e si mostra con gli esempi, co-
me in esse si possa meritar lode , e come errare negli estremi : che le
virtù tutte hanno l' esfere negli a/ti a negli affetti . Si vien poi più
particolarmente a considerare le virtù dell' appetito irascibile^ e del
concupiscibile , e di ciascuna di esse a parte a parte piii lungamente
e più distintamente si ragiona , e de' loro obietti, e degli eccessi e dei
difetti , con apportarne gli esempi , e si stabilisce come ed in che
consista la loro mediocrità fa due estremi, dimostrandolo pari-
mente con vnrj esempi . Quindi si parla della Temperanza ,
e della Continenza, e delle loro opposizioni, e della differenza fra
r Incontinenza e l' Intemperanza , e delle varie specie dell' Jnconti-
nenza , e dcgi Incontinenti in esse, con accuratissima investigazione
e distinzione ; e con esempj a lungo si discorre ed insieme della
Giustizia , e delle sue parli , e della congiunzione, e della separa-
zione delle virtù fra loro, distinguendo fra le naturali, e le altre, che
si uniscono nella Prudenza e nella Snpienza; e come non sia neces-
sario il particolare esercizio di ciascuna virtìi , e conte altri possa
esercitarsi in tutte . Si termina il dialogo con l' encomio della Virtù,
e coir introdurre lei medesima a ragionare, ed esortare tutti a se-
guirla , per viver vita felice ed eterna . Molte cose sono dal Prota-
gora di Platone imitate e trasporate in questo dialogo , che si dee ri-
porre fra' morali e civili , e di maniera espositiva per tutto il corpo
l66 IL PORZIO
di esso , tenendo conforme al suo decoro , la persona dì maestro il
Porzio, e ^li altri due (/nella di uditori ; benché il Calabrese come
dotto scolare dia occasione ad alciinee/iiestioni , e mostri d impu-
gnare alcune delle cose proposte , acqnetnndosi alla fine alle deter-
minazioni del Porzio , come fa il Pignattelln , in cui s'esprime il
costume d'un nobilissimo giovane, desideroùssimo di perfezionar
r animo con l' acquisto di tutte le virtù Dorrebbe esser letto ed at-
tentamente considerato il presente dialogo da ciascuno, che desideri
di non tralignare dalla virifi e dallo splendore de' suoi antecessori ,
formandoiisi quasi l' idea d' un perfètto cavaliere .
Sin qui il Poppa , che prepose questo argomento al Dialogo pre-
sente, quando lo stampò in Roma nel iGfi'i per la urina volta . Di
esso Dialngo non si fa nicrizìotre nella Vita del Man so ; ma il dot-
to Monsignor Hotinri , ci dice nella Prefazione a tutte le Opere, che
fu composto dal Tasso negli ultimi anni della sua vita , e prende
nome del 'orzio. Filosofo Peripatetico d' alto grido a suoi tempi ,
come il mostra l' essere state molte delle Opere sue , in Toscano tra-
slata te da Gio Batista Celli, uomo famoso per l' eleganza dello
scriver Toscano .
INTERLOCUTORI
MUZIO PIGNATTELLO, SIMON PORZIO ,
DOTTOR CALABRESE .
PignATTELLO. lo non poteva avvenirmi o meglio in altro
luogo, o in persone die più desiderassi; perchè io ho ritro-
vato insieme fra l'ombre e i fonti di questa amica solitu-
dine, il più dotto scolare dello Studio, ed il migliore e più
famoso filosofo, non solo di Napoli, ma d'Italia tutta ; col-
r uno di tutte le cose certe soglio divenir dubbioso , co-
noscendo chiaramente di non saper quelle, delle quali io
credeva di aver feruia scienza ; coli' altro l' incerto rai si fa
certo, ed ogni oscurità dell animo mio offuscato dalle
passioni, prende mirabil luce dal suo sapere: laonde io
non perderò oggi quest'occasione di parlare de' miei stu-
dj , e di pigliar qualche deliberazione nella diversità delle
opinioni, e quasi delle vie per ogni parte inrinitc.
Porzio . Nostra è la ventura ; se ventura, e non provvi-
denza è quella, che suol onorare le scuole de' filosofi colla
presenza di così nobil cavaliere, alla cui gloria non è tea-
tro alcuno sì grande che non fosse angusto; e gli eserciti
medesimi, e i larghissimi cauipi sarebbono appena capaci
O DELLE virtù' 167
della sua virtù, e di quella grandezza di animo, che dalla
nobilissima sua stirpe è derivata.
PlGNATTELLO. lo non posso, né voglio negare clie
fra' var] sentieri del tìlosofare , io non riguardi a quello, il
quale suol condurre fra le schiere armate alle sanguinose
battaglie, all'espugnazioni delle città , alle vittorie ed ai
trionfi , per lo qu;ili;, se non m'inganno, io veggio segnate
le vestigia de' miei antecessori, e di molti altri valorosi
Principi e Cavalieri , che riportarono a qui^sta città ed a
questo regno ornamento di gloria immortale : ma io mi
vergognava nelle scuole trattare dell'istessa materia; esti-
mando le mie dimande ambiziose, anzi che no, e non con-
venienti all'umiltà de' filosofanti: ora in questo amenissi-
mo giardino mi assicura un lieto silenzio, appena interrot-
to dal mormorar dell'acque, e delle fronde, e dal cantar
degli uccelli. Pregovi dunque che mi mostriate il cammi-
no, per lo quale io possa indirizzare i miei studj all'arte
del guerreggiare, «d alla virtù cavalleresca .
Porzio. Alto pensiero certo, e d'animo generoso, il
quale non si sbigottisca per la difficoltà dell'impresa.
Laonde a voi si può ragionare co' versi del nostro Poeta:
Pochi compagni ai'rai per V alta via ;
Tanto ti prego più , gentile spirto ,
Non lasciar la magnanima tua impresa.
Ma quest'antichissima strada che già condusse dall'Acca-
demia e dal Liceo, o da altro luogo si fatto , e dalla com-
pagnia de'filosofi a' pericoli della battaglia, ed alla gloria
de' regni e degl'imperi, Pericle, Alcibiade , Epaminonda,
Agesilao , Alessandro , Scipione, Pompeo e Cesare mede-
simo , ora è deserta come cosa vieta ; tuttavolta , come
voi medesimo avete detto, alcuni de' nostri possono farvi
la scorta ; ed io di lontano vi mostrerei il cammino , quasi
a dito ; ma peravventura niuna mia ragione, o autorilù
tanto potrà movervi, quanto l'esempio de più moderni,
perciocché per questa senza fallo s'innalzarono alla gloria
dell'eternità; prima il buon Re Roberto, poi Alfonso Re -
d'Aragona e Federigo suo nipote, insegnando a' Cavalieri
suoi soggetti , il seguitare: fra' quali non furono lenti i
vostri antecessori, né contenti d«' secondi onori .
ìfjS IL PORZIO
PiGNATTELLO . Le vostre ragioni aseiunte a' loro esem-
pj , mi faranno più certo del catnanno , o meo dubbio del-
l'elezione. Piacciavi dunque di mostrarmi qual giova-
mento io possa trarre da questi studj d' aritmetica , di
geometria e di musica, ne' quali ho tenuti occup.iti mol-
ti anni della mia gioventù; perciocché quando io ho con
molta fatica apparato tuttociò, che sene insegna, o che
se ne ragiona, non conosco in che possa giovarmi que-
sta mia faticosa cognizione, e spesse volte priva dì pia-
cere, non solo di utilità .
Porzio. Signor mio, la dignità delle scienze è grandis-
sima, laonde elle non sono dirizzate ad altro fine, come
l'arti meccaniche , colle quali sogliono gli uomini ricerca-
re qualche utilità nelle bisogne, e nelle opportunità della
vita : ma il fine loro è altissimo , e collocato nella contem-
plazione, o nella cognizione della verità ; la quale cono-
sciuta acquieta lo intelletto nella sua propria felicità; an-
zi congiunge a Dio medesimo, e, come dicono i Platonici,
il fa collega degl'intelletti divini. Non dobbiamo dunque
cercare se la Geometria, o se l'altre scienze, possano ser-
vire all'uso della vita; perciocché colui, il quale costrin-
ge a servire le scienze, è simih; al tiranno, dove egli fac-
cia violenza agli uomini liberi e nati per comandare. Li-
bere deono essere le scienze , come insegna Aristotile
nella Filosofia; e se libero è colui, il quale è in grazia dì
sé stesso , le scienze deono adoperarsi in grazia di se me-
desime, né altra grazia, o altro giovamento, o altro pia-
cere , o altra gloria è necessario che si ricerchi .
PlGNATTKLLQ. Dunque io debbo studiare per ìstudia-
re , ed affaticarmi per all'alicarmi senz'altro fine .
Porzio. 11 fine dello studio è il sapere; della fatica, il
piacere del ritrovar la verità e di ciascuna virtù, la pro-
pria azione, in cui è riposta la felicità.
PlGNATTi'.r.T.o . Già non sono io sì privo di avvedimen-
to, che non conosca esser vero quel che voi dite: ma il
fine è così lontano, e posto in parte cosi alta e così mala-
gevole, che mi par quasi impossibile di conseguirlo; laon-
de a me avviene quel che dice Pindaro:
O DELLE VlRTO' 169
E^gi'/XCt 9'JÙJV "iKCLTl
ù MiXicci.
che in nostra lingua suona :
A me per ogni parte immenso calle
L'alto voler de' sommi Dei prescrisse,
O 3Jelisso;
perchè dovunque mi volga , veggio quasi infinita la stra-
da, ed infinite le difficoltà. Laonde mi pare che dalie fati-
che nascano le fatiche, e che mai non si arrivi a questo
fine delle scienze, il quale non è peravventura in questa
vita mortale, ma nell'altra immortale ed eterna ; e da
molti invano fu ricercato, non solo fra gli eserciti e fra le
Repubbliche, ma nella quiete ancora, e nell'ozio della fi-
losofia. Laonde furono costretti di cercare qualche sen-
tiero, che accorci il cammino, e gli conduca nelle vie fre-
quentate da'Signori e da 'Cavalieri. Di questo io vi richie-
deva, e non d'altro; parendomi di non vedere fin' ora al-
cun fine certo, e determinato in questi miei studj delle
Matematiche, i quali dicono essere, oltre a tutti gli altri,
certissimi.
Dottore. Il dubbio del Signor Muzio è dubbio de'niag-
giori filosofi; perciocché Alessandro Afrodiseo, il quale
fu chiarissimo lume della filosofia Peripatetica , affermò
che nelle Matematiche non vi era alcun fine ; prima di lui
Aristotile nella sua divina filosofia fu della stessa opinione,
e, come egli dice nel terzo libro, le cose che sono immobi-
li non hanno causa efficiente, perchè essendo eterne, non
possono aver principio di movimento: oltre a ciò non pos-
sono avere natura di bene , perchè il bene è il fine , in gra-
zia del quale suol farsi ciò che si fa ; ma questo è fine di
qualche azione, e tutte le azioni sono col movimento; ma
le Matematiche sono immobili; le Matematiche adunque
essendo immobili, non hanno causa efficiente, ne alcun be-
ne, il quale sia fine, perciocché non si può dimostrare esser
meglio o peggio, che un triangolo abbia tre angoli eguali
a due retti. Laonde Aristippo Sofista, vitupeiMndo queste
scienze, e facendone comparazione coli' arti liberali, di-
T-'O IL PORZIO
ceva che l'arti illiberali liaiiiiu il bene ed il fine, e queste
ne Sun prive.
Porzio. Il dubbio veramente non è picciolo, né mosso
con piccola autorità; ma il medesimo filosofo nel terzode-
eiino libro della filosofia divina riprova l'opinione del So-
fista , il quale scherniva le scienze inateinaticbe , siccome
quelle , in cui non sia né bontà; ne bellezza . Aristotile al-
l'incontro afferma che il matematico considerando le co-
se ordinate e determinate, considera senza fallo il bello,
il quale si ritrova nell'ordine e nella figura ,• perchè se
non vi fosse ordine, né figura, le cose sarebbono bruttissi-
me, com'erano peravventura nell'antica lor confusione.
Hanno similmente le Matematiche il lor fine, perchè elle
furono ritl'ovate, come dice il Comentatore Simplicio nel
secondo della naturai filosofia, acciocché l'animo trapas-
sasse dalle cose sensibili alle intelligibili ; e fu (juesta pri-
ma opinione di Platone nel sesto Dialogo del Giusto, nel
quale egli c'insegna che dalle supposizioni de' matematici
dobbiamo innalzarci, quasi per gradi , a quel principio non
presupposto , eh' è principio dell'universo, non chinando
gli occhi all'ombre , ed alle figun^ , che sono somiglianti
all'iuunagini, che si veggiono nell'acque.
PlGNATTELLO . Le JMatematiche adunque sono scala al
Fattore, chi ben l'cslima . Io avrei creduto piuttosto che
fossero una scala militare agli artifiej , edagli onori della
milizia ; e già mi sovviene di aver letto nella vita di JMar-
cello che Archimede per compiacere ad Jerone Re di Si-
racusa, aveva tatti nuovi, e non più veduti ordigni di guer-
ra , e macchine maravigliose, convertendola ragione degli
ammaestramenti alla necessità dell'uso, e facendola più
illnstre col manifestarla a'sensi.
Porzio . Se Jerone costrinse Archimede, che rivolgesse
il suo artificio dalle cose iiuinaginate alle corporee, e ma-
teriali, fu somigliante agli altri tiranni ; i quali sforzano
gli uomini liberi a servire indegnamente ; ma peravventu-
ra il persuase, e fu cortesia d'Archimede l'adoperar le
scienze nobilissime in servigio delle meno nobili. Ma quel-
le macchine ujaravigliose , colle quali era difesa Siracus.t
d.illa forza, e dall'impeto de' Romani, erano quasi un tra-
O DELLE virtù' 171
stuUo, e un giuoco del suo divino artificio, col quale egli
avrebbe potuto muovere la terra, se avesse avutn un'al-
tra terra , dove appoggiarle , e poteva misurare il Ciclo, e
r arene ; operazione assai maggiore , cbe il difendere una
città da' nemici.
PlGNATTELLO . Non la difese nondimeno , e la sua mira-
bile sapienza fu superata dal valore de' Romani.
Porzio . Niuna cosa è più forte della sapienza ; però ella
è invitta , e non può esser soggiogata in modo alcuno; e
non è soggetta , come abbiamo detto , a' regni , ed agl'im-
perj ; ma libera nella servitù, e vittoriosa nella perdita
comune, e gloriosa nella pubblica vergogna: ma l'arti
meccaniche posson esser soggette alla violenza della fortu-
na. A ragione dunque erano stati prima ripresi da Platone
coloro , elle aveano diminuita la nobiltà e l'eccellenza del-
la Geometria, e quasi avvilitala coli' adoperarla in quelle
cose, che hanno mole e grandezza corporea , facendola di
libera , serva e mercenaria ,• tuttoché fra i primi ritrovato-
ri di questo militare artificio fossero Eudosso ed Archita
suoi amici, i quali aveano adornata la Geometria di nuova
varietà di macchine. Si rimase adunque l'arte del fare
gì' instrumenti da guerra fra 1' altre militari, e vi continuò
gran tempo , quasi divisa dall'altra , la quale doveva esse-
re intenta alla cognizione delle cose celesti, come parve a
Platone ed a Tolomeo similmente.
PlGNATTELLO. lo veggio due strade, l'una di ascendere
quasi per gradi di supposizioni fino al Cielo, l'altra di
scendere a quella parte, che agli occhi de' mortali pare al-
tissima , e mi vergogno di pregarvi che mi ajutiate alla di-
scesa, richiamandovi dal vostro alto e celeste proponi-
mento.
PORZIO. Nello scendere ancora può essere la sua propria
laude e la prò pria perfezione, però noti mi può esser grave
il compiacervi ; benché l'animo vostro non potrà mai tanto
fermarsi nelle parti inferiori e terrene , che non ritorni
per li medesimi gradi alle superiori e celesti, e so bene io
che siete assai spesso usato a contemplare il movimento
de' cieli e de' pianeti, e l'ordine e la certa varietà di cia-
scuno, e l'opposizioni, e le congiunzioni, e l'illustrazioni,
17:2 - ir. PORZIO
e i difetti ; contemplazione in vero bellissima , alla quale è
necessario Taiuto della Geometria. Nondimeno la contem-
plazione ancora de' corpi celesti è di cose corporee e sot-
toposte a'sensi: ma perchè le stelle e la Luna e '1 Sole, e i
globi loro sono in quel g:^neredi cose , clie dura perpetua-
mente, e non patisce alterazione , ci fiuino quasi una strada,
come dice l'olomeo, alla cognizione di Dio altissimo , non
bisogna dunque dimorare nelle cose celesti, quanto meno
nelle terrene, alle quali nondi.neno il discendere alcuna
volta è laudevole, non che necessario ed opportuno.
PiGiN'A'j TELILO. Discendiamo adunque, se vi piace, di
cielo in terra, come fé Teti , e dimostratemi per quale
strada io debba incamminarmi ; per quella secreta ed inco-
gnita, nella quale sono investigati i secreti della natura, o
piuttosto, come io desiderio, per quella diflici le ed aspra
della virivi di cui si legge in Esiodo:
T^i y otpérvj? CSpÙÓTX 9'cO; TrpoTrapotS'fv e S^'/jKay
A ^DiVXTOl. fJiXìipQg hi KXÌ Op^iOi ÒlLLOi ì Tf d'JT'UJ ^
Kxt rpyjyvi tò Trpùjrov. st uj 3' tii UKpov i>ii^tcìC
che suonano in nostra favella:
Innanzi alla i'irtà posto i sudori
Hanno gli eterni eri ininiortali Dei .
A lei per lungo , ed erto calle l'assi ,
Che duro in prima appar , ma cpiando al sommo
Si giunge , age\>ol' è quel , eh' aspro apparve.
Porzio . Non è piceol dubbio il risolvere se prima si
debba attendere alla lìlosofia de'costumi, o alla naturale; e
voi peravventura d'altro non dubitate.
PlGNATTELLO . Di questo sano senza dubbio assai dub-
bioso , perchè dall'astrologia sento invilar.nl alla contem-
plazione della natura e delle cose da lei prodotte, quasi
dalluno allallro vicino; tanta mi pare la congiunzione e
la famigliarità fra queste due scienze! Ma ripensando fra
me stesso , soglio cosi talvolta ragionare co' miei pensieri :
Che giova il sapere comesi muovano i pianeti, or col
molo proprio , ora quasi sforzati da violenza, ed alcuna
volta procedendo avanti, alcun'altra ritornando indietro, e
facendo, come si dice, ritroso calle, se io non sono atto
O DELLE VIRI U' lyS
per mio sapere , a svolgerne alcuno dal suo corso , nò a ri-
tardare l'incominciato viaggio? E se io non posso illustrare
ed oscurare la Luna a mio senno, o privare il Sole della sua
luce, perchè sono così sollecito ad investigarne la cagione?
E che importa, se egli prima si ecclissi agli Occidentali , o
agli Eoi , o se egli possa ecclissarsi piiì volte in un luogo
medesimo, nello spazio di un piccol mese? o se pure ciò
sia impossibile affatto? E se io prestassi credenza a coloro,
che affermano che nelTimperio di Tito e Vespasiano, in
tredici giorni il Sole e la Luna furono in vano ricercati nel
Cielo, dal quale erano quasi spariti, meriterei di esser ri-
putato ignorante, o mi affaticherei indarno di renderne
alcuna ragione. Dall'altra parte, se io potrò sapere quel
che sia la virtù e la fortezza , potrò divenir forte, e valo-
roso; e colla cognizione della giustizia, giusto nel regno, e
nella città j e liberale, col sapere quando , ed a chi si con-
venga il donare. Dunque, o liberatemi da questi pensieri
delle cose divine, i quali ci sovrastano, e ci spaventano, a
guisa di spada , o di sasso pendente, o di altra cosa, che
minaccino morte e ruina; o insegnatemi almeno com'io
possa vincere il timore della morte, dalla qu;)le per la
gioventù peravventura sono assai lontano ; o il desiderio
dell'onore e della gloria, al quale soglion correre con ab-
bandonate redine tutti gli animi più generosi .
Porzio . Voi non distinguete le vostre dimande ; par
nondimeno che dimandiate non poche cose in non molte
parole. E prima da quale scienza si debba dar principio
allo studio della filosofia; e poi se la cognizione delle cose
naturali, e divine giovi all'operar virtuosamente; e mi
pare insomma, che vogliate piuttosto imparare la virtù che
la scienza : ma la virtù, o non si può apprendere , o ella è
scienza .
PlGNATTELLO . To vorrei apprendere non solamente la
virtù, ma la fortuna ancora perchè già lessi-.
Disce , puer , virtutcìn ex me, vcrumque lahorem ,
Fortunani ex aliis.
Porzio. Da me si può forse apprendere colla vera fati-
ca la virtù, s'ella pur si può insegnare ; ma se del fabbri-
car la fortuna è alcuna arte, somigliante a quella de'fabri.
174 ^^ PORZIO
o degli architetti, questa fu maravigliosa veramente ne'vo-
stri antecessori, i quali si fabbricarono non solamente la
riputazione, e l'onore nelle cose civili e militari, ma la
grandezza e gli stati , che posseggono in questo regno ;
cominciando da quel buon' Arcivescovo, che mosse Carlo
Primo contra Manfredi all'impresa di Napoli; o molto pri-
ma da quelli, che si ritrovarono nelle guerre di Grecia e
di Costantinopoli, fino al Signor Marchese vostro padre.
PlGNATTErxo. Lasciamo da parte, se così vi pare,
r ammaestramento della fortuna , della quale dee senza
fallo essere alcun' arte; altrimenti non si dipingerebbe col
tiìnone, a guisa di nocchiero, che soglia governare la nnve
nelle tempeste, e fate che io sappia quel che sii la virtù ;
e quale, e quando si debba apprendere, o prima delle altre
scienze, o dopo le naturali e le divine.
Porzio. Io comincerò da questa parte a rispondervi ;
dico dall'ordine, che hanno fra loro la civile e la contem-
plativa filosofia: e benché intorno a ciò siano diversele
opinioni de' Greci, de' Latini, e de' Barbari; io tuttavolta
ho seguitata, e seguito quella de' Greci, ch'è la piii anti-
ca per origine, e la più salda per fondamento di ragione, e
1.1 più reverenda per autorità; ma non ho avuti seinpre se-
guaci i miei scolari mcdoeimi . Voi udite l'una e l'altra
parte, e poi appigliatevi a quella, che stimerete migliore ,
perchè sarà libera la vostr;» volontà , come è libero il giu-
dizio dell' intelletto . E ragionevole che prima s'abbia cu-
ra di quella parte, che prima è nata ; ma prima nasce in
noi il corpo, poi l'anima sensitiva, al fine quella ch'è for-
nita di ragione; dunque prima di queste membra terrene
sogliono gli uomini prendersi pensiero , poi di formare
l'appetito, e di tenerlo a freno, e sotto alcune leggi, e ciò
si può fare colla filosofia de'costumi: ultimamente soglia-
mo illustrarerintellctto col lumedella filosofia contempla-
tiva. Così parve ad Aristotile nel settimo della sua Politi-
ca, a Socrate, a Platone, a Senofonte ed a Pittagora
ne'suoi versi aurei; ed a Jeroclc suo espositore, il quale
assomiglia l'intelletto non purgato dalle passioni , all'oc-
chio infermo ed offuscato, che non può rimirare il lume
del Sole. Oltrcciò l'azione è quasi fondauieuto della con-
O DTirr.E riRTii' 17^
lemplazione , come fu opinione cV Enstazio , e di Niccta , e
(l'altri: prima dunque dobbiamo esser ammaestrati nel-
l'azione, poi nella contemplazione, altrimenti l'edificio
delle scienze sarebbe ruiiioso , e sempre perturbato d.il-
l'ira, dall'odio, dail invidia, dalla paura, dalla speranza e
dall'amore, e dall'altre passioni che sono:
Vtiiiti contrari alla vita serena.
Ultimamente , se nelle scienze si dee cominciare dalle cose
più facili, senza dubbio il principio dee prendersi dagli
ammaestramenti morali, perchè le contemplazioni delle co-
se naturali, e celesti portano seco maggiore oscurità e ma-
lagevolezza . Ma udite, se vi pare, le ragioni degli avver-
sar], le quali questo nostro amico non sarà grave di ri-
ferire.
DoTTOllE. Io dirò quello, che ho raccolto dell'opinione
di molti filosofi di grandissima autorità; di Zen.»ne , dico,
di Crisippo, di Eudemo, di Cicerone medesimo, il quale
poi in questa parte fu seguitato da una lunghissima schiera
de' nostri Latini. Dice egli nelle questioni Tusculane che
ninna cosa può far la consuetudine, la quale assai più age-
volmente non possa far la ragione; laonde se i Bftrbari per
visanza sono avvezzi a tollerar le ferite, e la morte senza
dolore, molto più facilmente dovrebbe sopportarla il filo-
sofo. Prima dunque si dovrebbe ammaestrare la parte, che
in noi è fornita d' intelletto, e di avvedimento, e poi l'af-
fettuosa; oltre a ciò, prima s'impara la Teorica, poi la pra-
tica: ma la filosofia contemplativa è quasi Teorica in com-
})arazione della civile : è convenevole ancora che prima si
lòrmi la potenza dell'animo, la quale è atta a conoscere,
ed a giudicare, dapoi l'altra eh' è giudicata, e scorta del
suo lume; altrimenti sarebbe somigliante a colui, che cam-
mina nelle tebebrre: dicono ancor che la fortezza è quasi
guerriero, la prudenza somigliante al capitano; ma non è
ragionevole che prima sia aminaestrato il soldato, poi quel
che dee comandargli : si dice appresso, che il giovane non
è atto ad ascoltare la filosofia dc'costumi, siccome colui
eh' è più atto a divenir geometra che prudente ; e perchè
una parte della prudenza civile si alìalica nel far le leggi,
non è alcun dubbio che al giovane non sia più agevole il
176 IL PORZIO
divenir fisico, che legislatore. Aggiungono a tutte queste
ragioni Alessandro, Simplicio ed Avverroe, che dalle con-
templazioni delle cose naturali e celesti nascono le virtiì
morali.
Porzio. Perawentura è vero quel che voi dite , ma
con qualche distinzione; perchè se voi intendete di una
esquisita dottrina, prima si dee cercare la scienza con-
templativa, poi la civile; ma con ragioni non esquisite,
ed esatte prima dobbiamo essere ammaestrati nelle mo-
rali, anzi fin dalle cune , e dalle fasce sogliamo ascolta-
re, e quasi bere col latte delle nutrici alcune di quel-
le cose , che appartengono alla gentilezza , ed all' one-
stà de'costumi. Quinci furono instituite dagli antichi le-
gislatori le canzoni in lode della virtù e degli eroi, colle
quali , come piacque a Platone , le nutrici debbono lu-
singare l'animo ancora tenero de' fanciulli . Da questa ca-
gione ebbero parimente origine i poemi di Teognide e di
Focillide, e quelli, che sono attribuiti a Pittagora , ed a
Catone . Non è vero dunque che il giovane non sia buono
ascoltatore della moral Filosofia; non è vero , dico, assolu-
tamente, ma con quella condizione, ch'egli aggiunge, per-
chè nel giovane ascoltatore i filosofi sogliono ricercar
quelle qualità, che sono parimente desiderate da' poeti,
Sotto biondi capei , canuta mente ;
Frutto senile , in sul giovenil fiore ,
delle quali sono maravigliosamente adornati il Signor Mu-
zio e gli altri Signori suoi fratelli. Potrà dunque senza
dubbio il giovane mansueto e temperato, che sa tenere i
suoi desidiTJ sotto il freno di modesta fortuna , ascoltare i
precetti della inorai filosofia; e non dico che a lui si con-
venga di far leggi, ma di riceverle volontariamente dal
maestro , eh' e cpiasi legislatore della sua vita : e che sono
altro che leggi volontarie , ed infisse nell'animo , le ragio-
ni e gì' insegnainenli della filosofia? Ma perchè voi avete
collocata la prudenza nella parte intellettuale , quasi divi-
sa e separata dall' afTeltuosa , il vi concedo di leggieri , sì
veramente che voi distinguiate l'intelletto nel pratico e
nello speculativo , percliè la prudenza è virtù di quell' in-
U'iletlo, che riguarda l'azione; però ha compagnia, e con-
,
O DKLLE VII! tu' I77
giunzione insepar;ibile colle virtù morali , che sono forme
del concupiscibile e dell' irascibile appetito.
PlGNATTEl.I-0. Se in questa guisa si dee prima appren-
dere la filosofia de' costumi che la contemplativa, tutti
dalle cose medesime sogliono venire quasi ammaestrati al-
le scuole deTilosofanti: ma io chiedo se la dottrina di Ari-
stotile nella filosofia morale sia csquisila, e se ella si dee
prima apprendere della filosofia morale, o dapoi .
PoJiZlO . Aristotile medesimo risponde a questo dubbio
nel decimo dell'Elica, dov'eglidice di far la divisione
delle potenze dell'anima , »na in modo più rozzo e mate-
riale, che non è fatta poi da lui medf-simo ne' libri dell' a-
niuia , dove egli c'insegna esquisita niente questa scienza .
Divide adunque l'anima, ne' libri de'oostumi . in due par-
ti, l'una ragionevole , e l'altra priva di ragione; e l'ir-
ragionevole in due altre, l'una delle quali non è in mo-
do alcuno capace di ragione; l'altra partecipa del suo lu-
me e della sua cognizione: ma lascia da parte quella co-
sì sottile e co^ì diligente divisione delle potenze dell'a-
nima , delle quali tratta poi ne" suoi libri particolari.
JNon è dunque esattamente amiìiaestrato nella scienza del-
l' anima cbi solamente ha letta la sua filosofia de' co-
stumi ; né sa quel che sia l'intelletto in potenza, in
abito fd in atto, o materiale o agente; né qual parte di
noi sia acconcia a patire, qual nata per fare, qual nata
insieme col nostra corpo, qual peregrina , e venuta dal
Cielo, qual mortale e corruttibile, quale eterna e divina ;
se ella sia una in tutti, o pur diversa in ciascuno ; né se il
nostro intelletto abbia propria operazione , o solamente
congiunta col corpo; e se egli possa separarsene , e come
ed in quante guise si faccia questa separazione dell'anima .
DOTTORI'.. Altissima è verameule questa scienza, e piut-
tosto divina che naturale, o posta nel confine dell' una e
dell'altra , «piasi partecipe della divinità e della natura; ed
in lei senza deibbio do])biamo essere ammaestrati, dopo la
cognizione della naturai filosofia.
Ponzio. Quei filosofi adunque , i quali ci diedero quel-
l'ammaestrauiento , Nasce te ipsuni , invitandoci alla co-
gni/.ione di noi stessi, ci persuasero non solamente alla
Diaìo^liL T IH. la
1-8 li' POR XI o
morale, ma alla naturale e divina filosofia: anzi mi sovviene
di aver letto presso Stobeo, che Porfirio voleva che dalla
cognizione di noi medesimi e' iniialzassinio alla cognizione
del mondo. i^Ioglio nondimeno disse alcun altro fdosofo,
scrivendo all' Imperadore che dalla cognizione di noi dol)-
hiamo salire a quella di Dio , pin-occhc Taniinc nostre sono
quasi raggi di quel Sole intelligibile, il quale c'illuslra
colla sua luce ,
PiGNATTELLO . Ben veggio come per questa scala sem-
pre si va ascendendo ; ma se i priuii gradi sono quelli del-
ìii filosofia de'costiuni, cominciamo, vi prego, dall.i sua
virtù, e fate che io Scqjpia quel ch'ella sia, e quale, perchè
mi giova di farvi di nuovo l'istessa dimanda , ma coU'istes-
se parole.
POKZIO. Qual sia, e s'ella si può imparare, è peravven-
ture il medesimo; ma prima si dee cercare quel che sia.
Dottore, llieercando quel che sia , per mio avviso , si
ricerca se ella si possa imparare, perchè molti hanno voluto
ch'ella fosse prudenza , o scienza, fra' quali fu Platone nel
Protagora; ma le scienze s'insegnano senza (allo. Liionde
p/;nivventiira da «pieslo capo si j)uò cominciare 1' invesli-
gazione .
Ponzio, Pfitone nel Mennone fu di contraria opinione ,
ch'ella apprendere non si potesse, e che ciò si dovesse
considerare dapoi clic si f)sse addotta la sua definizione ,
alla quale opiiJi(me io mi appiglierei più volentieri, come a
quella, ch'è men diversa dalla sentenza data da Aristotile
e dagli altri Peripatcfui , i quali posero senza dubbio la
virili civile, di cui ora si ricerca, nella parte affettuosa.
L'altra opinione, ch'ella sia nella parte ragionevole, fu non
solo dePlalonici , ma di Zenone, e di Crisij)po, e (h tutti
gli Stoici, a'quaii parve che l'esser forte, o lil)erale,o
temperato , fosse operazione piuttosto della ragione, che
della consuetudine.
DoTTOr.K. Nobilissimo è veramente il nascimonlo della
virtù, se ella nasce dalla ragione; ma nascendo dall'uso, e
dall' essere avve/zo più all' una che all'altra cosa, ella non
si può gloriare di cosi nobil origine .
Ponzio. A' filosofi si conviene il dire non quel che sia
O DELIE virtù' 179
più bello, o più dilettevole di ascoltare , ma quel clie sia
più vero; ed estimo assiii più vere , anzi iriJ^pugiiabili
quelle ragioni, le quali dimostrano clie la virtù civile non
sia scienza .
PlGNATTELLO. E quali son queste ?
Porzio. Molte; ma accoiìcie a persuadere son quelle
elio si leggono nel Mennone , ed in alcun'altro Dialogo
de' Platiiiìici , nel (ju.de sono introdotte a ragionare perso-
ne innominate. ìl primo degli argomenti è questo : Che se
la virtù si potesse apprendere, i figliuoli l'avrebbono ap-
presa da' padri, come gli altri artilicj ; ma Temistocle,
quantunque insegnasse a Cleofante suo figliuolo il cavalca-
re, ed il lanciare a cavallo, ed il tare con questo artificio
cose inaravigliose , non potè nondimeno ammaestrarlo in
quella eccellentissima virtù , per la quale egli a tutti i cit-
ti'dini de! suo tempo fu supcriore. zVristide parimente , co-
gnominato il Giusto, non potè insegnare al suo figliuolo
Lisimaco la giustizia, in guisa eh' egli fosse più giusto degli
altri, benché paia che la giustizia colle leggi possa inse-
gnarsi più agevolmente dell'altre virtù . Pericle ancora, il
quale allevò Pardalo, e Santippe suoi figliuoli in miniera,
che non furono secondi ad alcun altro nell'artificio del ca-
valcare, e del saettare, e nella Musica e nella Geometria,
avrebbe loro insegnato la virtù civile, s'ella si potesse ap-
prendere, come gli altri artificj; né i figliuoli di Tucidide
la poterono apparare dal padre, tuttoché sotto la discipli-
na di Eudoro divenissero eccellentissimi nell'artificio del
lottare. Vedete adunque cbe la virtù non s'insegna, come
l'altre arti, o come l'altre scienze : non é dunque né arte,
né scienza, propriamente ragionando.
PlGNATTELLO. Contra leragionl addotte da voi, o contro
gli esempi piuttosto, si potrebbono addurre gli esempi no-
stri, ma io ne sceglierò uno fra molti altri, e lo sceglierò
tale die non si possa rifiutare. II Marchese di Pescara, cbe
oggi è celebrato con tutte le lodidibuoncavaliero,di buon
Principe e di buon capitano, apprese coU'imltazione del
Marchese del Vasto suo padre , non solo l'arte di coman-
dare agli eserciti ed alle provincie, ma la prudenza, la for-
tezza, la liberalità e la cortesia, e l'altre virtù dell'animo,
l8l II. Pt^RZIO
perle quali è forniichibile a'iieinici, e da' suoi iiui.ito cA
onorato sopra ciascun altro . JNell istesso modo , se io non
sono errato, i'a]!prese il Marchese del Vasto da quel di Pe-
scara, e quel da un altro RIarcliese , e tutti per imitazione
del primo, cLe lu Gran Contestabile . e portò di Spagna in
questa nobilissima uiUà il seme di ogni rara e peregrina
virtù.
PuKZiO. Non si può negare che non sia, come voi divi'
sale; nondimeno potrebbe avvenire die i figliuoli fossero
eredi delle virtù del padre, per natura piuttosto: ma le vir-'
tu morali non si acqiustano per natura , come la grandeiiza
e la gagliardia e la belle/za del corpo, di cui fu detto:
L' infinita bellezza , eh altrui abbattila ,
Nun \>i s' impara , die auei dolci huni
S' acquislan per natura , e iwu per arte ;
perchè s'ella fossero naturali, san-bbono di lei molti e
(erti segni, come sono nelle razze de' cani e de' cavalli, ma
(|uesti segni sono assai fallaci negli uo-nini, e fallacissimo
oltra tutti gli altri è
Questo nostro caduco , e fragil bene ,
C/tè vento ^ ed ombra, ed tm nome beltade ,
Il (he si potrebbe dimostrare con infiniti esempi; ma basti
<|uel dell' Imperador Domiziano, il quale essendo somi-
gliante a Tito suo fratello nella belK-zxa del corpo, non gli
somigliò nel valor dell'animo, però di loro si legge:
Il buono , e 7 bello , non già il bello , e 7 rio .
Oltre ciò, se i costumi negli uomini fossero pt-r natura, sa-
rebbono immutabili , come è nella terra Tappetilo di ca-
dere al centro , e mi fuoco quello di salire al cielo: non
s^'ipprendono dunque le virtù de'costumi per discijtlina,
né sono per natura ; ma o s'acquistano per consuetudine ,
o sono concedute per divina sorte, quasi dono di Dio; il
che potrebbe esser avvenuto nella progenie di questi Si-
gnori, de'quali abbiamo ragionato, ed in alcune altre, e
nella vostra parieolarmente . Ma io parlerò de' tempi anti-
chi più volentieri, perchè gli esempj delle cose moderne
sono sospetti o d invidia , o d' aduliizione; e l'una e l'al-
tra siispizione conviene che sia remotissima dal ragiona-
mento del filosofo . Dico adun(pie che Socrate non prese
O DELLE VIRTÙ i9i
tiiil padre l'afte del farlestitue, quasi paterna eredità,
jierchè egli sarebbe divenuto scultore, e non tìlosoto: 'iia,
coaie si credeva, ebbe la sua virtù per divina sorte: neU
r istesso modo Esiodo di pastore divenne poeta , quasi in
un subito: e Minos legislatore, non fra le scuole de'Juris-
sconsulti , nm in una spelonca di Greti: Nuina , e Melas.t-
gora inspirati dalle nintc; , divennero sapienti: Epimenide
liberò la città degli Ateniesi, percossa dalla pt^sti^ e dalla
sedizione, co'sacnfìcj , non con altro ammaestra mento ciie
d'un lungliissivno sogno : Aristea non essendo in opinione
di savio, o di dotto fra i Proconesj, siccome colui che non
avea avuti maestri, persuase loro, perchè deponessero l'in-
credulità, che l'animo suo, abbandonando il corpo, era
stato in un subito portato a volo per l'aria, ed aveva ri-
cercato tutta la Orecia e le Provincie de' Barbari, l'isole
olheeiò,i fiumi , i monti e te selve, né prima si rimase
della sua lunga peregrinazione ch'egli aggiunse a gì' Iper-
borei: frattanto in ogni parte diligentemente riguardò le
leggi, ed i civili costuvni, e le nature di tutte le regioni^
le mutazioni dell'aria, l'inondazioni de' fiumi e i diluvi
del mare; riguardò ancora nel Cielo, al quale , per l'altez-
za del volo, s'era molto avvicinato; laonde poteva ri^nirar-
lo senza impedimento , e piìi chiaramente che non si fa da
terra. In tal guisa Aristea , ragionando cose degne di ma-
raviglia , fu creduto più di Zenagora , o di Zenofane, o
d'altro che narrasse la sostanza delle cose ; e benché nm
fosse intesa la ragione de' circuiti, ode'giri dell'animo,
per così dire , persuase nondimeno esser conveniente che
l'animo peregrinasse.
PlGNATTELLO . Se colla peregrinazione dell' animo si
possono acquistar le virtù , o non fu necessaria, o non fu
più laudevole quella d'Ulisse e di Enea fra i Ciclopi e i
Lestrigoni, e fra' Lotofagi , e nell'Inferno, e ne' campi Eli-
si, o pur quella di Pittagora , e di Platone a' Sacerdoti
Egizj, e d' Apollonio Tianeo a'Gimnosofisti.
Por/io. Quelle furono quasi immagini della peregrina-
zione della mente , colla quale sogliamo peregrinare non
solo nelle concavità della terra, e nella profondità del ma-
re, ma sovra il Sole e sovra le stelle, rimirando le cose
l8-2 IL POI'./. li.)
invit.ibili , e i regni intellettuali ascosi alla vista de' morta-
li, e di luce divina risplendenti. Ma noi abbiamo di ciò
])arIato a guisa di poeta, favolosamente, o niisticamenle
piuttosto: al filosofo inorale peravventura si conviene il
trattarne in altra guisa . Direi adunque clie delle virtù,
alcune sono abiti dell'intelletto, come la scienza e l'arte,
le quali si possono imparare per insegnaiaento del maestro;
altre sono virtù de'costuini ed abili dell'anima atlV'ttuosa,
e perturbata dalle passioni , e si acquistano piuttosto per
lunga, e non interrotta usanza di bene operare ; e queste ,
per mio avviso , non si possono dimandare arti , o scienze
propriamente.
Dottore. IMolti hanno avuta contraria opinione; e
Massimo Tirio fra gli altri , del quale nel vostro ragiona-
mento ho riconosciuto alcune cose, dice quasi dubitando:
Kcquis Philosnpliuin aadiat dicPìiteni virtutem ah arte
differre? e dopo molte distinzioni fatte da lui in questa ma-
teria , concede die la virtù sia scienza , ma non, è cantra^
la scienza virtù; altrimenti non avrebbe origine la virtù,
uè dalla scienza sarebbe prodotta .
Porzio. E senza dubbio la scienza, o l'intelletto, quasi
padre della inorai virtù , ed illustrando co' suoi raggi la
parte affettuosa, è cagione della virtù de' costumi; non al-
trimenti che 'I Sole, coli' illuminar la terra, suol esser
causa della generazione delle cose naturali : e possiamo af-
fermare clie la virtù originariamente sia nell'intelletto,
come in sua cagione; è forma nondimeno dell'anima, che
si muove per ira e per cuj>idigia , e questa sola propria-
mente è delta virtù; tutta volta, coloro, che men propria-
mente hanno voluto favellare, non solamente bamu) cliia-
mato la virtù , o prudenza, o scienza; ma la scienza virtù .
Fra gli altri di grandissima autorità è Strabone, in cui mi
sovviene aver letto che la Geogralia ba bisogno dell Astro-
logia , e l'Astrologia della Fisica , alla quale non è neces-
sario l'aiuto di alcun'altra , perch'olla è virtù, e perav-
ventura non saprei appormi, né dichiarare intieramente
f[uel ch'egli volesse intendere; se pur non chiama virtù le
dignità , o quelle scienze provale colle dignità, le quali
non possono ricevere altra prova. Ma la ttlosofui natura-
O DELLE VlRTII* l83
le hon è sii fatta , siccome quella , clic licorre alla tlivina, e
éonrannaluralc filnsoria per provarne i suoi prin(;ipj ; sola
dunque le Mctalisica per questa ragione tlovnblje esser
tlctla virtù. Ma se tutte le scienze sono perfezioni cieli' in-
telletto speculativo , e le perfezioni son virtù, le scien/e
tutte sono senza dubbio virtù; ma noi parliamo della virtù
de'costumi , alla quale proprissimamente conviene questo
nome , e dobbiamo definire quel cb'ella sia; percbè oltre
al proponimento , e forse oltre all' ordine , abbiamo ricer-
cato s'ella si possa itnparare.
PlGNATTELLO. In tutti i modi estimo cbe si possa ap-
prendere ; e cbe voi possiate insegnarla , percbè se la virtù
si insegna da'buoni , voi siete ottimo, se da'dotti e da'savj,
voi siete dottissimo e sapientissir)\o.
Porzio. Troppo son Iodato dalla vostra cortesia, e ri-
conosco cbe la cagione di lode cosi smoderata, piuttosto
<è nella vostra aflVzione, cbe nel mio merito. Or facciamo
prova di terminar la virtù , percbè termini sono le defiiù-
zioni, oltre a' quali non è lecito di trapassare né col più ,
né col meno; bencbc alla virtù si convenga non solo l'es-
ser terminata dalla dellnizione , ma il terminargli airclfi,
ed il misurargli; laonde non errerebbe cbi definisse le vir-
tù morali , termini , o misure delle azioni e delle passioni
umane, le quali jjer lor natura sono quasi infinite e siimsu-
rate: ma forse dobbiamo cominciare questa investigazione
da più alto principio , »ion tralasciando le più anticbe o|)i-
nìoni degli altri, cbe l'bonno definita. Dico adun(jue che
nel Mennone di Piattine, la virtù dell'uomo civile è defini-
ta: ,, sufficienza nell' amministrazione delle cose, colla qua-
le , nel trattarle, si giovi agli amici, e si noccia a' nemici ,, :
fu questa definizione dell' antico Sofista Gorgia , biasimata
da Socrate colla solila ironia , ])ercbè in luogo di una vir-
tù , tìe introduce molte, quasi altra sia la virtìi dell'uomo,
altra quella della donna , altra quella del fanciullo, altra
quella del vec(;bio. Aristotile nondimeno nel primo de' li-
bri politici , lodò più l'opinione di Gorgia cbe quella di
Socrate; e peravventura non si può rifiutare il genere del-
la virtù, cb'è la sufficienza nelle cose civili, percbè è opi-
nione di molli cbe la virtù basti a se medesima ; opinione
l84 IL PORZIO
nondimeno, che ripugna alla dottrina de' Peripatetici, e
forse alla verità; avvengacìiè la virtù nf^H' operazioni ab-
bia bisogno delle cose esterne ; e l'esser bastevole a se
stesso, o la suHìcienza , die vogliani dirla . nelle cose civi-
li, è piuttosto ricercata nella felicità che nella virtù: definì
adunque la felicità , volendo definire la virtù, e le prese
( come si dice in cambio, come prima , e poi fecero mol-
ti altri, i quali più severamente filosofarono: tanta è la
somiglianza fra l'una e l'altra ! Un'altra definizione fu re-
cata in mezzo da Gorgia . il quale presupponendo che la
virtù fosse una di tutti, disse che virtù era il p »ter coMian-
dare agli uomini, e sovrastar loro; ma in questa definiti i-
ne la virtù è 1' istesso che la potenza, la quale può esser
giusta ed ingiusta, come fu quella di Gige e di Spartaco ,
e di altri servi, cbe occuparono la Signoria, e comandaro-
no a' liberi; ma la virtù non può essere ingiusta in modo
alcuno, anzi non è più virtù la copia de' beni colla giu-
stizia, elle l'inopia; ma l'una e l'altra insieme è lo-
data colla virtù: o questa definizione adunque non è buo-
na, o non è della virtù universale, siccome quella die
non contiene la virtii de' fanciulli e de' servi , e ciò parve a
Socrate. Ma A.ristotile giudicò altrimenti, che i servi non
avessero virtù, o non altra di quella, die si mostra ndl'ub-
bidire. La terza definizione della virtù è, cb'ella sia un
g idimento, ovvero un desiderio delle cose oneste, insieme
colla potenza di poterle conseguire : ma questa definizione
è parimente rifiutata da Socrate, perchè le cose oneste so-
no le cose buone: ma il desiderare le cose buone è appeti-
to universale di ciascuno; non essendo possibile che alcuno
desideri il male conosciuto, o voglia esser infelice; oltreciò
la podestà di ccmseguir le cose buone, o quelle, che paiono,
può essere ado])errtta senza giustizia, o con giustizia: senza
giustizia adoperandosi, non può esser virtù ; ma adoperata
con giustizia, è adoperata con parte della virtù: ma tutta
la virtù non dee adoperarsi con una sola parte; dunque le
definizione è rifiutata per l'istessa cagione, perchè divide la
virtù in molle parti, della quale tutta si cerca una sola de-
finizione: ma se la giustizia è tutta la virtù, com' estimò
Aristotile, la definizione per questa ragione non dovrebbe
O DELLE virtù' i85
«•sser ripresa. Socrate si appigliò piuttosto a quella opinio-.
ne, che la virtù fosse prudenza o scienza ,- nella quale non
perseverò con molta costanza, perciocché le scienze, p' r
suo avviso, sono quelle, delle quali si trovano i maestri e gli
scolari; ma della virtù, come a lui parve, non v' è discepolo
conveniente, ne si ritrovò chi potesse insegnarla; laonde
al fine concliiuse che gli uomini civili non giovassero alla
Repuhhiica virtuosamente operando , per alcuna cerln , e
ferma scienza : ma piuttosto per huona opinione , o per in-
spirazione divina nella quale i Principi, e i Magistrati
nelle Repubbliche sono somiglianti a' poeti, ed agli altri
da divino spirito illuminati. Questa in quel luogo fu l'opi-
nione di Socrate.
Dottore. Io stimo che questa, come l'altre opinioni
degli uomini civili, si possa assomigliare alle statue di De-
dalo, le quali si movevano e fuggivano via , e solamente
legate potevano fermarsi; laonde perch'ella non fuggisse
dall'animo avea bisogno di qualche ragione derivata dalle
cause, la quale ivi la legesse, e la tenesse stretta a guisa di
canapo, odi ritorta, che non può esser disciolta di leggieri-
Porzio. Le ragioni, per opinione di Socrate, legano
nell'animo 1' opinioni in guisa che non possono fuggire,
ma d'opinioni divengono scienze; e se ciò è vero, l'intel-
letto di colui , che sa, è legato dalle ragioni: ma io avrei
creduto piuttosto che la nostra mente , quando ella è più
adorna dell'abito delie scienze, sia più libera nel giudica-
re, e più vera estimo la sentenza di Aristotile, nel settimo
della filosofia de' costumi , che la mente sia legata dagli
argomenti de' Sofisti.
Dottore. È come voi dite senza fallo; tuttavolta la
necessità, che portano seco le dimostrazioni di ciascuna
scienza, sono così forti che potrebbono essere assomiglia-
te a' nodi, ed alle catene del diamante: e gli antichi poe-
ti , per quel Proteo, che si trasformava in tante sembian-
ze, altro peravventura non vollero significare, che il Sofi.c
sta trasmutabile in tante guise, il quale al fine è legato
da' lacci della ragione.
Porzio, dunque la menzogna è legata dalla verità, o il
menzognero : ma la verità dee rimanere disciolta , e colle
tS6 IL PORZtO
feue dimostrazioni adamantine legar piuttosto gli altri,
che se medesima.
Dottore. Queste sono questioni di metafore a p parler
nenti piuttosto al gramatico che al fiiosofo, il quale dee
rade Tolto usarle, e radissime volte questionarne: pur io
dirò che l'opinioni sono legate come le cose; ma essendo
l'ordine, e la catena delle cose quasi indissolubile, quella
dell'opinioni parimente dovrebbe esser congiunta insieme
in quella guisa clie non sono gli anelli del monile. Conce-
damisi dunque, che si possano disciogliere i nodi del-
le vere opinioni , se non si disciolgano quelli delle ca-
gioni, co' quali la natura e la necessità ha legato il inon-
do. Mi maraviglio nondimeno come la provvidenza delle
cose superiori , che dagli antichi fu figurata coli' immagi-
ne di Prometeo , sia legata dalla forza , e dalla violenza ai
durissimi sassi del monte Caucaso : ma mi sovvengono an-
cora quei versi di Eschilo, de'quali fanciullo io soleva ol-
tre modo maravigliarmi :
X9^0VÒ5 fxìv fi? Ty]\>ipOV VJKOLiSV TTt 5oV ,
SXU^'AX) £5 0ÌU.QV^ Oi/3xTOV é li ìpvjaloiv
H <^XlqS • coi U XP^ jJiiXstV ÌTTiqoXài
A s aoi TTXTvip ì<pHTo^ Tov 5È TTpòs Trs'rpxf?
A'ÌXfJiOiTlvxii 7rt'5>jcr<y iv a ppi| x.ro.'c Tcs'rpxii
To cov 7ap OLVDCQ vravrc^^^v» 7rupo« a Mi
GvyiTOici K\i^l/Xi (jùTTxcsv. Tota.; 3e toi
A'juapTi'ot; c(p/ hìc ?!iot(; 35va( 5(i/Ujj
Q'? at' òi^x/j^i^ r'juj Si'o? rupxvvi^x
ETipyUl', (^'.Xxv^p-jÓTTH 5ì TToivii'^Xl TpOTTH
che suonano in nostra lingua ;
Già stani, giniui , o P^ulcan , nc\'asti campi i
E nelle solitudini deserte ,
Per doli e a Scizia Oassi; a te s^ aspetta
J decreti adempir del genitore ,
E cfuesto audace all' alte eccelse rupi
Con lacci indissolul/il di diamante
Legar fra i duri sussi . Ei lo splendore
Del fuoco onnipotente , onde tu altero
-N' andavi già,J'uralti , ed a' mortali
O DELLE VmXU' l8j
Dono nefco: dritto è , che d' un tal fallo
Pai^hi agli Della meritata pena ;
Ond' egli a venerar f alto potere
Di Gioi'c, e l'uomo a meno amare apprenda ;
ed alcuni tle'seguenti, ne' quali attribuisce a ProinetoQ
l'invenzione di tutte l'arti, come quelli:
che Così posson tradursi:
Di macchine un gran numero , e d' ordigni
A lor prò ritro^'ai , come pur' anco
Delle lettere i varj accoppiamenti .
Laonde io raccolgo clie Prometeo, per opinione di co-
storo, non fosse la provvidenza delle cose superiori , inf^
delle inicriori ; quella clie da Platone , nel Protagora , è
attribuita ad Epimeteo : ma la provvidenza delle cose in-
feriori è peravventura l' istesso che il fato, a cui si con-
viene il legamento e l'ordine indissolubile delle cause:
tuttavolta Prometeo ancora , come Sofista, è legato da
Giove , come si legge in quei versi:
Kai rv,v hìs vùv TTCpnacov a.:(I)xXu;, 7vx
che vagliono in nostra lingua:
Questo ancor bene stringi , ond' egli intenda ^
C li' egli ha di Giove assai minor ing>^gno ,
percioccbè avendo egli, quasi consigliero di Giove, io-
sienie con Temide, condennato nell'esilio eterno il vec-?
chio Saturno , e persuaso il figliuolo alla distribuzione dei
premj ineguali , secondo la proporzione geometrica, si la-
sciò ingannare dallo studio dell'umanità, e dall' affezione,
che portava alla generazione: ma queste sono favole, col-
le quali gli antichi altro non vollero significare, che la
necessità del fato,edelle cose fatali. I nostri Teologi hanno,
insieme colla prudenza voluto concedere il libero arbitrio,-
libera dunque dee essere la volontà neireleggere,e l'Intel-
letto nel giudicare . Dunque non astretti dalle mie ra-
gioni, ma ])ersuasi piuttosto in questa materia de' co-
slumi potrete approvare quella opinione, che slimeretg
l88 IL PORZIO
tiùgliore ; e già abbinino detto cbe la virtù non è suffi-»
iienza, perchè la sufUcieuza coiivifue piuttosto alla felici-
t;i che alla virtù , se pur la felicità e la virtù non sono
ristesso: non è similmente potenza, perchè la potenza
può esser ingiusta , ed essendo congiuntn c(»i) quella giu-
stizia, eh" è parte della virtù, coui'è la correzi >ne, o quel-
la, che distribuisce i premi, non eserciterebbe la virtù in-
tera: non è ancora scienza, perchè delle scienze sono i
maestri e gli scolari; ma delle virtù non soi^liono ritro-
varsi: oltreciò le scienze sono delle cose opposte; ma la
virtù perav ventura non è delle cose contrarie, ma è fra le
contrarie, le quali da lei sono egualmente fuggite.
Dottore. La fortezza nondimeno consiste nel temere
e nel non temere. Laonde da' Platonici fu definita scienza
delle cose, che si deono temere, o sprezzare; la liberalità
nel dare e nel ricevere, che sono atti quasi contrarj; la
giustizia nel premiare e nel punire; la mansuetudine ncl-
l'adirarsi e nel placarsi ; e così dell'altre dee parimente
avvenire, se non m' inganno.
Porzio. La congiunzione, che la virtù ha eolla scienza,
dalla quale deriva, non altrimenti che lume da luce, è
peravventura cagione che la virtù si ;td;)peri nelle cose
opposte; tuttavolta non in tutte, ma in alcuni;, perchè il
magnanimo e 'I miignifico non s'impiegano nelle cose
grandi e nelle picc(de , ma nelle grandi sol. unente; né di
ricever il beneficio, o di averlo ricevuto si allegra il m.i-
cnanimo , anzi suol contristarsene e solamente è lieto di
averlo fatto: anzi né il liberale accetterebbe i doni giani-
mai, né '1 forte fuggirebbe i pericoli, ne '1 temperato se-
guirebbe i piaceri, se loro non fosse dimostrato dalla pru-
denza, o dalla scienza, cbe sia convenevole il così fare . E
dunque la virtù morale fra i contrarj : nia si guarda dal-
l'uno, e dajr altro e si ritira nel mezzo, quasi fuggendoli;
uè mai farebbe l'operazioni, che hanno sembianza di
contrarie, s'ella non fosse dalla prudenza ammonita. Non-
dimeno né l'accettare i doni è contrario al donare, perchè
i contrarj si distruggono: ma queste due azioni della libe-
ralità si conservano vicendi^volmente ; né il premiare p^r
O DE1>LE VlUTU' iHc)
la medesima cagione, è contrario al piu)ire, ed il medesi-
mo si potreliht; affermare negli altri diil)bj .
PlGNATTKl.I.O. Difficile O|)or;izione è quella della vir!n,
poiché dimorando sempre fra' eontrarj , dee ritirarsi diìl-
l'uno e dall'altro nel me//o; e pericolosa mediocrità è
quella, cbe può esser offesa dagli estremi.
Porzio. Altri disse per questa cagione , fra i quali iu
Platone e Plotino suo seguace , che la virtù sia il fuggi-
re il vizio , nella qual fuga , come a lui parve , l'uomo si
assomiglia a Dio. La fuga nondimeno non è diU'estremi-
tà alla mediocrità ,coiiie dianzi da voi fu detto ; ma dalle
cose inferiori alle superiori: laonde colui (lie fugge il vi-
zio, fugge tutte le cose sensibili, e si ricovera ne' regni
intellettuali, dove dalle passioni non può esser ])erturbato.
PlGNATTEi.T.o. A me parf> che la virtù non abbia mol-
t' obbligo a questi filosofi , che non le baimi data troppa
bella , o troppo splendida apparenza ; perchè io credeva
che la virtù dovesse esser contenta di se medesima, ed in
guisa possente che da niuna cosa potesse esser superata ;
i»ra da voi intendo ch'ella non è sufficienza, non potenza,
non sapienza, ma fuga; col qua! nome a me pare piutto-
sto somigliante al vizio ; né so immaginarmi come nella
fuga l'uomo possa a Dio assomigliarsi, né qual similitudi-
ne sia questa . Io piuttosto avrei lodata quella virtù, la
qual resiste e conbatte co' nemici, e gli doma, e lor pone
il giogo ed il fi'eno di un fermo e costante imp<MÌo; né mi
può cadere in alcun modo nell'animo , che la virtù sia de-
gna di lode e di onore, se io non la veggio, a guisa di
Ercole , coiubnttere coli' Idra delle nostre cupidità , e col
Leone dell'animosità, e vestita delle sue spoglie e del suo
vello, allegrarsi della sua vittoria.
Porzio. La virtù coiubatte senza fallo, o piuttosto è
virtù dapoi , cli'ella ha combittule, e soggiogate le passi )-
ni , e preso lo scettro , e la signoria dell'animo , ed a guisa
di regina collocatasi nel seggio altissimo dell'intelletfo :
allora comanda senza contesa ed a cheto, e •-enza alcuna
ribellione è ubbidita. Prima nel contrasto, e nella batta-
glia degli affetti, è disposizione piuttosto, la quale si con-
ferma , e confermandosi diviene virtù ; fugge nondimeno la
190 IL PORZIO
virlù il vizio, ma lu sua fngi iioii |uiò;jss!i!nigli;)rsi a quel-
la del leone, o a quella de'Parli,rlie fugi^ivaiio vii ceiHlo,o
ad altra quaggiù, perchè non rifugile Ira le coso inferiori,
ina ira le superiori , non tra le caduche, ma fra l' iiiinior-
lali, non fra le terrene, ma fra 1;^ celesti; e nella fuga si as-
somiglia a Dio; ma,couie dice Plotino, con altra similitudi-
iie, che non è (juesta che noi riconosciamo (juaggiìi fra le
cose somiglianti di specie: ma il trattare della virtù in
questa guisa, non conviene al nostro proponimento, né
peravventura al vostro desideri). Taccio adunque ciò , che
da Plotino è detto delle virtù purgative o di (pielle d ani-
mo già purgato , o dell' esernphui, perchè noi d')l)hiamo
trattar delle virtù civili soli iiente, in quel modo, che
elle possono giovare nelle azioni alle Repuhhliclie , ed
a' Regni, ed agli Imperj , ed in cjuesla guisa di lc>ro ra-
gionando, elle non solamente son diiHnite, ma , come di-
ce Plotino , dellniscono, e sogliono collocare l' animo ol-
tre alle passioni infinite smoderate, perccrhè s iiisu>Mt«
sono le passioni, e smoderata è la materia, e la virtù è tjua-
si moderazione, e quasi misura di ciascuna. IMi-nre dun-
<jue assai convenevolmente furono deliiiito da Aristotile,
da Plotino, da Plutarco e da Alessandro: ma se questa de-
finizione ancora non ci contenta, cominciamo, come ho det-
to, da più alto principio, cioè, dalia divi>;ione dell' aniiia ,
e d(;lermiiuamo quel, che, per opinione di Aristotile, la
ijuale io a tutte l'altre soglio preporre, sia la virtù; e s'el-
la sia una , o molte, o come ciascuna dall'ultra diiferente.
Dottore. Tutte le opinioni degli antichi si ascoltano on
attenzione, e con silenzio di voi, che sapete meglio di ogni
altro dichiararle , ma quelle di Aristotile particolarmente.
PlGNATTELLO. Piaccia a Dio che io ne sia così huouo
ascoltatore, come sono desideroso di udire.
Poii/IO. Non vi sia grave di ascoltare quel , che potete
avere udito altre volte; perchè all'uomo civile, o di stato,
ed al cavaliere, se così vi piace che ragioniamo, si con-
viene il sapere alcutia cosa dell'anima, non altrimenti che
si convenga a colui , che dee medicare gli occhi, o tutto il
corpo, averne ipudche cognizione!; e tanto maggiore si
conviene alluoiiK) di stato, che al medico, <|uanlo la pru-
O DELLE virtù' IQl
tIenzH del cavaliere è pivi orrevole , e più eccellente della
medicina. A lui dunque si conviene la contemplazione del-
l'aniiiia qu.mto basti ; perchè il considerarne più oltre, e
Taverne più esatta scienza è opera maggiore, è più inala-
Ljovole ; laonde se ne può ragionare in quel modo, che si
usa fuori delle scuole , ne'nostri ragionamenti quasi este-
riori, a quali c'invita l'amenità di questo luogo, e la no-
Liltà dell'auditore, che nella solitudine è in vece di molti.
Dico adunque che delle parti dell' anima , alcuna e priva
di ragione , alcun' al tra è ragionevole ; e non rileva al no-
stro proposito se elle sian corno le parti del corpo , e come
pgn' altra cosa , che si possa dividere, o pure s' elle sian
due per ragione , e nel modo di considerarle ; ma in effetto
non possono esser separate in quella guisa, che nel cerchio
il concavo non può separarsi dal convesso: ma della parte
irragionevole alcuna virtù è comune agli animali irragio-
nevoli, com' è la vegetativa, la quale è in tutte le cose,
die si nutriscono, e ne' parti , e negli animali perfetti, più
che in alcun'allro ; e suol ne' sogni particolarmente dimo-
strar la sua virtù: ma questa potenza , non essendo capace
di alcuna nioral virtù , si dee lasciare addietro ; ina nel-
l'istessa anima irragionevole è un'altra natura, la quale
])artecipa di ragione,- perocché suole ubbidirle, siccome av-
viene nel temperato, nel quale il desiderio de'piaceri presta
iil)hidienza alla ragione, o pur nel forte, in cui l'animosità
si lascia dalla ragione soggiogare, ed obbedisce alla pru-
denza ; non altrimenti, che il figliuolo soglia al padre; ma
questa parte ancora è doppia; e l'una è detta concupiscibi-
le, l'altra irascibile; edora non considero se queste poten-:
ze sian di stinte di luogo, siccome parve a Platone, il quale
pose la ragione nel capo, l'ira nel cuore, e la cupidigia nel
fegato, e dapoi a Galeno, come si legge in quel libro, die
egli scrisse: De Placitis Hippocralis , et Platonis ; o non
distinte, come giudicò Aristotile, il quale assegnò all'ani-
ma il cuore, quasi reggia, in cui potesse aver albergo, con
tutte le sue potenze, e con tutte le virtù; e taccio ancorf^
quel, che si questiona fra i Peripatetici, e i Medici, se il
])rincipato dell'anima sia nel cuore, o nel cervelli: basti i(
sapere che l'uomo, è di natura duppia, e composto di
ig'i IL PORZIO
partibile, e d'iinpartibile essenza , o duiruno, e dell'al-
tro, come dissero i Platonici .e Plutarco, che fra' Peripa-
tetici oltremodo a' Platonici è somiglianfe ; pei'cliè 1 anima
nostra , per opinione loro , è una particella quasi divisa , e
tagliata dall'anima dell'universo , la quale nel medesimo
)iìodo, e co' numeri , e colle ragioni medesime è congiunta
e composta; e la natura impartihile è quella, che con un
movimento solo si volge dall' Oriente all'Occidente; la
partihile è quella , la quale si distende, e si divide intorno
a corpi , e si volge con moto contrarlo, e nella medesima
guisa la nostra mente, nella sua operazione del conteuipla-
re, si volge in se medesima con moto quasi circolare; ma
l'appetito ha moto quasi opposto , e per sua natura vario,
e pieno di errori, e disordinato ; del che senza fallo si av-
vide Pittagora , il quale C(»Ilo studio della musica cercò di
placare, e di acquietar la parte perturbata dell'aniino, e
quasi rubella.e sediziosa, affinchè ella non negasse di pre-
stare obbedienza alla ragione. Essendo in questo modo di-
visa, e disposta l'anima nostra, in lei tre cose si ritrovano,
nna delle quali conviene che sia la virtù ; io dico gli allet-
ti . le potenze, e gli abiti. Chiama affetti Aristotile la cu-
pidità, l'ira, la paura; la confidenza, l'invidia , l'allegrez-
za, il desiderio , l'emulazione, e la misericordia, e tutti
quei movimenti delT animo, i quali sogliono essere seguiti
dal piacere, o dal dolore; potenze son ([uelle, per le qua-
li siamo idonei a ricever così fatte perturbazioni; abiti
quelli , per cui siamo bene , o male abituati negli affetti .
]Nè vi mancò chi riponesse le virtù, e i vizj negli affetti ;
perchè da Cicerone , nel quinto delle Tusculane , la virtù
è (h'finita, afl'ezrone costante, e convenevole dell'animo, la
quale (a degni di lode coloro, in cui si ritrova; ed ella per
se stessa è lodevole , separata da ogni utilità ; ma per opi-
nione di Aristotile , per gli affetti non sogliamo meritar
laude, o biasimo alcuno, né siamo detti virtuosi , o vizio-
ri; oltrcciò ripugna all'affezione l'esser costante; perchè
essendo l'affezioiu; un movimento disordinato dell' animo,
non può avere alcuna costanza , la (piale non è senza ele-
zione, ma sogliamo nondimeno adirarci, e temere senza
elezione; lo virtù tutte sono elezioni, o non senza elezione:
O DET.Li; virtù' igS
vna non tliiei clie le virtù sinn potonzn, porrlip non slam
iletli buoni , o cattivi , né lodati , o vif^upenili per poterci
adirare, o teu)ere semplicemente: oltreciò siamo possenti
per natura, ma non huoni, o malvagi, come dianzi fu det-
to : non essendo la virti!i potenza, o affetto, rimane cLclla
sia abito.
PlGNATTELLO. Asshì ìirne infonderci quel cb'clla fosse,
se io sapessi esquisitamente quel che sia ciiìscuna delie tre
cose, che avete detto ritrovarsi nell'animo.
Porzio. Sono definite da Plutarco, il qual vuole che
la potenza sia il principio dell' all'etto, e la sua materia; e
r all'etto un luovimento della potenza; e l'abito la sua for-
ma, impressa nella parte irragionevole dalla consuetudine:
però volendo significare il Petrarca che la sua donna, per
lunga usanza, l'aveva fatto buono , e virtuoso, e somi-
gliante a se medesima , disse;
Di lei , c/i' alto vestigio
Jli' impresse al core , e 'IJece suo simile.
PlGNATTELl.O. Dunque nella parte irragionevole sola-
mente sono gli affetti, e la ragionevole è priva di ogni pas-
sione , e d'ogni animosità.
Ponzio . Varie sono state intorno a ciò le opinioni , per-
chè altri non distinsero la parte ragionevole dall'irragione-
vole , né si avvidero di questa nostra doppia natura ; frai
quali fu Crisip])0 di chiarissima fama tra gli Stoici filoso-
finti. Egli stimava che la parte principale dell'anima,
r intelletto dico , fosse sottoposta a varj e continui movi-
menti, da'c[uar! agitata di continuo, e raggirata , prendes-
se diverse sembianze, e quasi forme di vizio, e di virtù;
laonde l'affetto, come a lui parve , altro non è, che la ra-
gione istessa malvagia , e sfrenata, e proterva, nata dal
corrotto giudizio, dov'ella abbia acquistata fòrza, e vee-
menza . Altri distinsero la parte fornita di ragione dall'ir-
Vi'.gionevole , in ciò non cnntrarj all'opinione de'Peripate-
lici. ed uno di costoro fu Galeno , e Scoto fra' Teologi Sco-
lastici ; portarono opinione nondimeno che la parte ragio-
nevole fosse commossa da alcuni suoi ytroprj movimenti ,
come l'amore, il gaudio, e quelli, de'quali ragionando il
•vostro Poeta, gli numera frji le virtù:
DialccJn 7 ///. i3
194 "^ PORZIO
Timor d' in faniia, e bel desio di onore.
Anzi Aristotile n.cclesimo nel quarto della Topica, disse
che la vergogna apparteneva alla parte ragionevole, e
i istesso , nel decimo dell' Etica , ripone il gaudio nella
mente, come prima avea fatto Platone nel Filebo. Né solo
air inlehetto umano è attribuito l'amore, ma all'Angelico
ed al DÌmiio similmente. Nondimeno gli aiìi-lti propria-
mente son forme , o movimento dell' a])petito sensitivo; e
ciò da S. Tommaso fu determinato ; e il desiderio di gloria
medesimo, e lo sdegno sono in quella parte dell'appetito
sensitivo, ch'ò dello irascibile, il quale aspira agli onori,
edalia vittoria , coiue parve a Pi;itone; ma nella mente
umana nott sono come in soggetto, benché possano esser
obietto d'ella nostra volontà; pcrcioccliè la volontà vuole il
lene, il clic è noto a ciascuno; ma l'onore é grar.dissmao
fra' boni esterni.
PiGiNAT'JELLU. Io avrei creduto che siccome le cine
degli altissimi monti sono più percosse da' venti, e dalle
procelle, così gli animi più nobili, e gl'intelletti più ele-
vati h/ssero niaggioruKnte agitali dall'ambizione, e dalla
cupidigia del signoreggiare, e dall'allrc passioni, che sono
quasi venti contrarj alia vita serena.
P(»IiZlo.Non si può negare che gli affetti non sinnal/i-
no dalla parte affettuosa, a guisa di venti , con moviaiento
distorto, a conturbare il sereno della mente ; nondimeno
nell'intelletto non sono generati , ma nella parte sensitiva.
Ed alcuna volta la trancjuiili'à della mente é simile a cjuel-
la del motite Olimpo , nella sommità del quale, come si
dice, le nevi, eh' pioggie non sogliono cadere per alcuna
stagione. Ma ora che abbiamo determinato (;he la virtù è
abito, dobbiamo ricercare di qual potenza , o di qual par-
te ella sia abito, e quale; e se la virfù sia uni, o ])u\ , lìni-
te , o inlinite ; e se finile , a qual fine debbono esser diriz-
zate; e la propria operazione di ciascuna . E perchè già si
è detto che delle parti dell'anima alcuna è ragionevole ,
altra irragionevole ; e che l'irragiotu^vole si dislingue in
qiudia , che partecipa di' ragione, ed in quella , che non
n'è capace , ricercheremo le virtù della ])arte, che per sé
è ragionevole , e dell altra , che ne partecipa ; perchè del-
O DEFJ.E VIRTD' 19J»
]'anima, clie affatto n'è priva, non convitine al filosofo
inorale il ricercar le virtù, percioccliè ella non può obbe-
dire all'imperio della ragione; ma de' Filosofi naturali, e
de' Medici è proprio il ragionare della virtù nutritiva, e
della generativa. Or cominciando dalla parte per se ragio-
nevole, questa ancora si divide , perchè una sua parte si
volge alle cose,, clic non possono essere altrimenti , e però
sono necessarie, ed eterne ; l'altra considera quelle, die
possono variamente avvenire, e per questa cagione sono
mortali, e corruttibili.
PlGNATTEFJ.o . Dall'obietto adunque sono distinte ?
Porzio. Senza fallo, non dal subietto, percliè l'una, e
l'altra parte è peravventura nel snbieltX) l' istessa , ma
l'obietto è cagione di separarla; l'eterna considera le cose
eterne , 1' altra le cose umane , cbe non banno fermezza , e
costanza alcuna, ma ora succedono in un modo, ora in un
altro: a quella si conviene la considerazione degli univer-
sali solamente, a questa quella de'particolari ancora. Sono
ancora diverse nel nome ; l'una è detta mente contemplati-
va, l'altra intelletto pratico; e ciascuna di loro è adornata
di molti abiti, co'quali affermando, o negando, sogliono
dire il vero; e sono in tutto cinque, l'intelletto , la scien-
za, la sapienza, la prudenza .e l'arte- coli' intelletto inten-
diamo i principj, cbe non possono esser provati , ma son
noti per se stessi. Ogni tutto è maggiore delle sue })arti;
e quest'altro: se togli l'eguali dalle cose eguali , quelle ,
cbe rimangono, sono eguali ; i quali tutti si riducono ad
un certissimo, e primo principio, col quale ciascun altro
può esser provato ; e questo è, cbe l'affermazione , o la
negazione sia vera in tutte le cose. Ma la scienza , cb'è
l'altro abito dell'intelletto speculativo, intende le conclu-
sioni propriamente; laonde ella è cagionata in noi da qual-
clie cognizione , cbe preceda. Dell'uno e dell'altra, cioè,
dell'intelletto e della scienza, è quasi composta la sipienza;
percioccbè ella è un abito, col quale intendiamo non sola-
mente i principi , ma le conclusioni : l'ioiifl»-' è quasi capo
dell'altre, e si può definire un abito dell'intelletto, col quale
intendiamo i prinripj, e le conclusioni delle cose onoratis-
sime ; ovvero una scienza delle altre scienze. INcll' altra
196 li. PORZIO
parte della mente, la quale si chiama pratica, son.j due abi-
ti, la prudeuza, e l'arte,- ed ambedue si volgono alle cose ,
die possono variamente avvenire: ma la prudenza considera
le azioni degli uomini; l'altra piuttosto le cose, che si fan-
no: ma nelle necessarie, o nelle naturali non è solita d'im-
piegarsi. Quello nondimeno, clie da' Latini è detto agere ,
e da noi operare, non .significa appresso i fiìosofi Peripate-
tici quello sttsso, che il lare : perchè tare si dicono quelle
cose , che sono fatte con qualche artificio ; azioni , ovvero
operazioni si chiamano piuttosto le civili, e del fare rima-
ne sempre opera esterioie , come il teatro, la nave, o la
macchina militare ; ma dell'operare non suol seuiprc rima-
nere alcuna opera ; nondiine'ao il fare, o quel che di lui ri-
mane, quantunque fossero le piramidi di Egitto, o gli obe-
lischi, o alcun" altra delle sette Maraviglie del mondo, non
è propriamente fine , ma dirizzato sempre ad altro fine;
l'azione è fine, nel quale si acqueta, e si contenta la virtù,
come il liberale si appaga nel donare, tuttoché non ni>
aspetti alcun premio; ed il forte , nel difendere la patria ;
ed il magnanimo nel cercare i regni e gl'imperi, ^'' <dcu-
na volta nel rifiutargli.
DuTTOllE. Taccia adunque il volgo ignorante , il quale
pone il fine dell'umana virtù nell'acquisto de'regni e delle
provincia.
Poir/IO. Grande autorità sarebbe necessaria a quietar
questo non solo bisbiglio, ma voce universale, e per poco
questo grido degli eli;iornti , e della natura. Ma quantun-
que iosse opinione che delle a>:ioni di Cesare e di A^ugusto,
l(L»sse il fine la fabbrica, per cosi dire, e la mole dell'Im-
perio Romano, e la forma assai dilferente da quella, che
el)be sotto Romolo e sotto IVuma, fino a Tarq liiiio, o pure
da quella , che poi gli diedero i Consoli, i L'ribuni, ed i
Dittatori, io nondimeno ardirei di affermare che più con-
venevolmente il fine di t mie vittorie di C(!sare poteva es-
sere il rifiuto della corona uiTertaglida Marco Antonio, che
nudo in quella, quasi tresca de' Luj>ercali , taceva di se
stesso s])(ltacolo al pojxilo Romano. Conchiudiamo adun-
que elle l'azione^ può essere il fine inteso dalla mente: ma
l'artificio , o l'ordigno , o la fattura , che vogliam dirla ,
O DELLE VIRTÙ 197
iKUi muoA'e l'intelletto; laonde tutti gli artific] , co'quali
ijiaiiiinai Eudosso, o A.rchita, o Archimede fecero maravi-
ylioso l'esercito della guerra, o quello , col qtiale Fidia ed
Alleile adornarono le città nella pace , non possono esser
(ine del nostro umano intelletto > uè di quella virtù, clie si
volge alle cose inferiori .
PlGNATTKLr.o. E quale sarà dunque il fine? dimostra-
telo a me, acciocché io possa proporlo per ohietto dei
miei pensieri .
Porzio. L'azione, dico, è il fine della mente attiva, e
della virtù civile , per cui si (anno , e quasi in sua grazia ,
le pitture , le statue, gli archi, le terme , i colossi e gli al-
tri maggiori edificj, o opere più memorabili: ma oltre qu(!-
sto è un altro fine superiore della mente contemplativa ,
il quale consiste nella cognizione delle cose eterne e divi-
ne, e di Dio medesimo; e perchè sono due i fini , due sono
parimente le felicità , l'una attiva, l'altra contemplativa;
l'una ha per obietto il bene, l'altra il vero.
Dottore. Era necessario conoscere i fini, o il fine, per-
cliè vane quasi ed oziose sarehbono le virtù , s'elle a que-
sti fini non operassero.
PlGNATTELLO . Io m'avvolgo nondimeno net medesimo
dubbio , perchè veggio due strade diverse; T una , i cui
vestigi sono tutti rivolti al cielo, 1' altra, benché mi paia
altissima , non so dove vada a terminare.
Dottore.' Non è questa la strada divisa in due, la qua-
le, come scrissero Prodico Sofista e Senofonte , fu dimo-
stra ad Ercole fanciullo, perchè di quella un sentiero £;ui-
dava alla virtù, l'altro al piacere; 1' uno alla gloria, l'altro
alla vergogna; l'uno in cima d.-l nioole, l'altro negli oscuri
e tenebrosi precipizj : ma di queste due strade ogni sen-
tiero pare che ci conduca alla virtù , alla gloria , all'effr-
nità, perchè quello dell'azione umana termina in quell'al-
tro della divina contemplazione; laonde, s'è lecito d'inter-
porre la mia opinione fra" detti del Signor Porzio, vorrei
che vi apparecchiasse un aiuto quasi comniune all'uno ed
all' altro, per lo quale vi agevolasse nella vostra via.
Porzio. Già quel che voi dite, fu considerato da Ari-
stotile prima , e poi da Alessandro: 1' uno disse che la vir-
xgH IT, Ponzio
tu era perfezione del subietto, l'altro voile assegnar pari-
mente un genere quasi comune delle virtù intellettive e
delle morali . e ntll' assegnarlo non ebbe altra considera-
zione cbe quella del fine. Disse adunque cbe la virtù non
era altro cbe Principiitni opis assumpti\'uin ad felicita-
teni; cioè quel principi >, cbe prende aiuto per acquistar la
felicità; e con questi d 'finizione volle dimostrarci cbe l'u-
mana virtù none bastevole alla felicità, né a se medesima.
PlGNATTKLLO. Tutti gli ajuti dunque per la contem-
plativa , o per l'attiva felicità sono virtù .
Porzio. Non sono gli aiuti virtù; ma la virtù prendo
gli aiuti, per giungere alla felicità; prende dico, le ric-
cliezze , gli onori , i magistrati, gli eserciti , gl'imperj, coi
(juali può liberalmente, e giuslamentp,e magnanimamente
operare; prende l'arme, i cavalli e gli altri ricebi arnesi,
prende le statue, le pitture e gli altri ornajnenti della se-
conda fortuna, ])rende gli aniici, ricerca i compagni, cbia-
nia dalle parti più lontane i famosi filosofanti, raguna i
libri , e fa raccolta di ogni cosa , in cui si conservino lan-
ticbe memorie; e l'erbe , \c. piante, e gli animali stessi fa
portar dall' A.rabia , e dall' India, e dalle più remote parti
dell'Oriente: aggiunge a queste cose le sfere, i globi, e
V immagini del cielo, e della teri'a ; e tutto ciò per iimaì-
zarsl alla felicità del contempliu-e. Cbe vi pare di questa
virtù? Vi pare ella prudente, ed avveduta in far provvisio-
ne di tutte le cose , cbe sono necessarie alla felicità?
Dottore. Senza dubbio ella in questa guisa non solo
n'è fornita abbastanza , ma, siccome io slimo, anzi carica,
cbe no .
PoR/lO. Alla vita eonlemplaliva peravventura è sover-
cbio peso qiu'l delle ricchezze, e degli onori, e degli altri
ornamenti della felicità; ma la civile, ed impiegala nelle
azioni è gravosa per sua natura, ne può di leggieri lasciare
gì' impedim'iiti .
PlGNATTEfJ.O. Dunque 1' uomo civile camminerà a
guisa di capitano, il quale conduca l'esercito, e non ab-
l)andoni per pieciola battaglia, o per Icggicr pericolo i
suoi impedimenti; ed in questa guisa, e non in altra dee
muoversi colle sue virtù scbierate e ristrette, per far
O DET.LE \'1RTU' t()f)
1)atta|:;1ia , come si legge eh.- quelli» bclh donna celelnala
da' nostri Poeti andiisse incontro ad Amore:
Armate cran con lei tulle le sue
Chiare virtuti , o gloriosa schiera !
E teneansì per inailo a due, a dite.
Onestate , e T'^er^of^iia alla frontiera,
Mobile par delle virili divine,
Che fan rostei sopra- le donne altera .
Senno, e Modestia all' altre due confine ,
Abito con diletto in mezzo al core ,
Perseveranza, e Gloria in sulla fine.
Bella Accoglienza , Accorgimento fore ,
Cortesia intorno intorno, e Puntate ,
Dmor d' infamia , e sol Desio d' onore .
Pensier canuti in giovcnile etate ,
E la Concordia , di è si rara al mondo,
ì'^' era con Castità , somma Beliate .
Tal venia contra Amore , e 'n sì secondo
Favor del cielo .
Porzio . In questa guisa senza fallo, dee ordinare la
schiera delle sue virili l'uomo di stato , il quale dee com-
battere coll'ambizione , e colla cupidità ,• o il buon ca valle-
rò , a cui sarà più glorioso il trionfar d'Amore, d'ogni al-
tro, che si celebrasse mai nel Campidoglio; e fi;)rse si con-
verrebbe dire dell'uno e dell'altro :
Perle , rubini , ed oro ,
Oliasi vii soma , egualmente dispregia .
Tultavolta noi parliamo dell'uomo savio e del prudente ,
che non possa esser costretto per ogni piccolo accidente a
lasciare i beni di fortuna , e non ricusa di farlo, per con-
servare le sue virtù da ogni viziose da ogni indegnità.
Questi adunque dee colla maggior parte degli aiuti diriz-
zarsi per la strada della civil felicità , perchè alla contem-
plativa non sono necessari né tanti aiuti, ne sì fatti: ma la
virtù dee sapere non solamente come si prendano, mn co--
me si usino . Concludiamo dunque che la virtù sia Prin-
cipiuni quoddam assuntens opis ad felici tateni: ex se vero
hahens in actionibus secundum utramque rationalem ani^
niae facultateni , ipsius bene, quod in ipsis est inventrix j
20^ II- PORZUj
el demo list rat IV a existcìis. D illa (|ual definizione si mani-
festa il sOjjgetto, in cui si fondi la virtù, che sono le azioni
dell'una ,e dell'altra parte ragionevole dell'anima, e'I fine
clj'è la felicità , e Tuilìcio della virtù, ch'è di trovare il
bene, cli'è in ciascuna di loro, e di no^itrarlo paritnente.
Ma perchè , com'egli dice , il principio dell' invenzione è
il conoscer l'intenzione , e l'intenzioiìe è nel doppio fine,
ch'è l'una e l'altra felicità, dobbiamo e noscer 1' una e l'al-
tra parimente. Dicasi adunque che la felicità attiva sia un'a-
zione della virtù dell'aniua ragionevole nel!a vita perte'ta ;
ma nella vita perfetta non può esser alcuna inperfeziono ,
o negli strumenti della [elicità , o nelle cose , clie principal-
mente appartengono alla vita civile, le quali dai Peripate-
tici sono dette beni di fortuna. La medesima definizione si
potrebbe attribuire alla felicità contempi itiva ; perchè la
contemplazione è un'azione dell'intcUett:» contemplativo:
nondimeno si può definire in quest'altra guisa ; che la felici-
tà conte;nplativa sia un'azione de! nostro intelletto, secondo
la sua eccellentissima virtù, per la quale egli si congiunge a
Dio. Eccovi i due fini, vedete la differenza e la similitudine,
considerata i due obietti, l'uno eterno e necessario, l'altro
posto nelle azioni de' mortali, che pos'^nno variarsi; e da
questo prendete la distinzione delle virtù , assegnando alla
parte contemplativa l'intelletto, la scienza e la sapienza ;
all'attiva , o fattiva , la prudenza e l'arte , l'una e l'altra
delle quali è retta ragione, o abito di operare con vera ra-
gione ; ma alla prudenza si conviene l'azione, all'arte il
fare con vera ragi )ne, pcM'ciocch'' se ella alcuna cosa faces-
se con falsa ragione, n >» sari'bi)e arte, ma inerzia , e le
cose, nelle quali si adopera , per giudizio di Aristotile , o
piuttosto di Agatone, sogliono esser quelle medesime, nel-
le quali si manifesta la fortuna, perchè come egli dissi^ , la
fortuna ama l'arte , e l'arte ancora suole amar la fortuna .
PlGNATTELLO. Io non SO perchè sia fatta questa amici-
zia, o questa lega piuttosto fra l'arte, e la fortuna , esclu-
dendone la prudenza, la (pale, se non m'inganno, suole
aver luogo nell'arti, ed accompagnarsi colla fortuna, come
si conosce nelle azioni di .Alessandro il Magno, di Tino-
O DELLE VlRTU' 301
Iconte Corintio, di Augusto, e di rnr)lti altri fortunati Ca-
jiilani .
Porzio. Gliesempj, che adducete , o cJie si possono
addurre , sono assai rari , per rispetto di quelli , ne' quali
la fortuna si manifesta nemica della prudenza ; però si suol
dire clie dove è molto d'ingegno, è poco di fortuna; non-
<limcno io non nìego, né averebbe negato Aristotile mede-
simo, che fra la virtù, e la fortuna non possa essere alcu-
na volta amicizia: ma la fortuna è causa per accidente di
quelle cose, le quali la prudenza opera a determinato fine;
perchè a lei si conviene non solamente di mostrare il mez-
zo, ma di condurre al suo (ine ciascuna dell'altre virtù
morali, le quali senza la prudenza errerebbono, quasi sol-
dati senza il capitano.
PlGNATTEi.LO. Ordinate vi prego , ordinate la schiera
di queste virtù morali.
Porzio. Fermianci prima alquanto in quelle dell'inteU
letto, le quali abbiam divise piuttosto coli' obietto che col
subietto , dicendo che l'obietto dell'uno è eterno, e del-
1 altro variabile ; ma il subietto è il medesimo intelletto; il
quale è degli estremi, come dice Aristotile; perchè con
una sua parte, la quale in lui è la somma e l'altissima ,
conosce i priticipj delle cose, che sono eterni universali,
ed invariabili ; coli altra conosce i particolari, che sono
soggetti alla morte, ed alla mutazione; laonde egli confer-
mandosi alla natura dell'oggetto, dall' un lato è semplice,
divino, ed eterno; dall'altro mortale, corruttibile, varia-
bile , e quasi in molti diviso .
PiGNATTELT.o . Infelice è la condizione dell'intelletto,
se una parte di lui è mortale , l'altra immortale; perchè
la parte immortale si dorrà almeno per la separazione , e
per la perdita di quella parte, alla quale lungo tempo vis-
se congiunta; e dura è snnza follo la sentenza de' Filosofi,
i quali condannano a morte perpetua T intelletto attivo ;
quella parte di noi, la quale è stata sempre intenta alle
operazioni della virtù morale, ed al governo delle città , e
degli eserciti, ed alla conservazione de' regni e degl'im-
perj ; e se ciò è vero, niun premio è nell'altra vita della
prudenza , della giustizia , della fortezza, e della temperan-»
7.Ù-Ì i), Ponzio
aa , e dell'altre virtù , clic seguono la sna scorta; nluiia
|>tMia uir incontro delT iinprudcnzu , della violenza, della
viltà, e dell intemperanza ; ma sola la contempla/ione è
quella , che ci può aprire il passo all' immortalità. In vano
dunque già lessi :
.... Fauci quos ne.qaus aniavit
Jupiter ^ aut ardcns evexit ad aethera virtus .
Porzio. L'intelletto in ciascuna sua parte è immortale, -
è s'allra opinione si potesse difender nelle questioni , que-
sta nondi iieno si d'^e fermamente sostfnerr nella mora-
le filosofia: ma noi diciamo clie l'intelletto pratico sia
uiortale , non perchè egli muoia , ma perchè egli cessa di
operare intorno alle cose variabili , non potendo egli in
jnodo alcuno far le sue operazioni senza fantasmi ; come
pcravventura può lo speculativo , perchè l'azione forse
avrà iìne, la contemplazione sarà senza duhhio eterna. Di-
ciamo dunque che l'uno è immortale, l'altro mortale,
avendo risguardo all'operazione; ma considerando l'es-
senza , r uno e l'altro è immortale.
PlGNATTELLO . Dunque nell'altra vifa l'intelletto dei
mortali separato dalle sue membra, non conoscerà i parti-
colari, né potrà giudicare dell'umane operazioni, o soc-
correre a'nostri pei icoli, o sovvenirci nelle avversità. Fine
avranno la prudenza , la giustizia, la temperanza, e la
fortezza, ed a guisa di mortali, cesseranno dalle opera-
zioni .
Porzio. Così avverrà, per opinione de' maggiori filosofi .
Ma quale operazione debba aver lassù l'anima nostra, o
come possa intendere senza fantasmi, non è determinato ;
si stima nondimeno che la memoria , e l'immaginazione,
la quale da loro è detta passibile intelletto, sia affatto
mortale , come sono l'altre potenze dell'anima sensitiva;
laonde cesserà la nostra scienza ancora, o sarà di un'altra
maniera . Ma queste soiio (juestioni oltra il nostro propo-
nimento; a noi h;isli di sapere che l'intelletto è degl' c-
stremi dall'utia e dall'altra parte; colla somma, ed ele-
vata conosce gli universali , de'quali non è scienza ; coll'in-
fima , e rivolta alla considerazione degl'umani avvenimen-
ti , de' quali pariiiientc non è scienza, ma senso, conosce i
0 DELLE virtù' 2o3
parlicolari ; laonJe è cl;i iei considerato quello , che in ulti-
mo cade sotto l'azione. Per questa cagione si dice che
l'intelletto sia principio, e fine, parlandosi del!' intelletto
come di potenza; ma di lui ragionandosi, come d'abito, di-
cono che l'intelletto , e la prudenza sono abiti opposti.
Non superbisca adunque la nostra umana prudenza, ne si
stimi tanto, ch'ella possa paragonarsi colla dignità della
sapienza, perchè le cose, ch'ella considera, sono umane ;
ma dell'uomo sono molte cose più divine, e più maravi-
gliose, le quali sono oggetto della sapienza. Diremo adun-
que che la prudenza sia una diritta ragione intorno a
quelle cose, che son buone agli uomini solamente ; 1' altre
non considera ; laonde è tutta intenta al giovamento della
vita umana , e civile; ed in quella guisa , che 1' architetto
comanda agli artefici superiori, ella suol comandare all'ar-
ti, che sono necessarie, per ornamento della vita civile:
non comanda nondimeno alla sapienza , ma perla sapienza,
cioè per grazia, e per servigio di lei suol comandare , colla
quale ha tanta similitudine, che non suole mai affermare il
falso; però non è alcuna operazione della prudenza, la qua-
le.sia separata dalla verità , né di lei è oblivione, come pe-
ravventura è delle cose appartenenti alla contemplazione .
Ma ciò peravventura avviene in quegli uomini, che son volti
alle operazioni civili, i quali sogliono scordai-si delle scien-
ze, ma della prudenza non si dimenticano giammai; laonde
ella ci accompagna nella seconda , e nell'avversa fortuna ;
nella quiete de'hlosofanti, e fra lo strepito dell'armi ; nella
povertà, e fra le pompe delle ricchezze, e sempre risplende
più chiara, illustrando col suo lume l'altre virtù : e di lei
avviene quel, che suole avvenire a'confini,ed agli estremi
di tutte le cose, perchè è detta virtù intellettiva , per ri-
spetto della potenza, della quale è abito; e virtù morale si-
milmente per l'obietto: e vogliono che sia l'istessa colla vir-
tù civile, diversa solamente per ragione; e di lei son molte
parti, o specie, che vogliam dirle ; mentre ella pi'ovvede
al proprio bene di ciascuno , è virtù propria , e privata ; e
nella cura delle cosefamigliari, virtù quasi famigliare e do-
mestica: nel far le leggi , considera la pubblica utilità ; ed
al prudente, senza fallo s'appartiene l'esser legislatore. In
ìo4 IL PORZIO
un uitro modo è detta prudanzM civile, , di cui son dup par-
ti, luna nel deliberare, l'altra nel giudicare.
Dottore. Sono ancora dubbioso se queste siano parti ,
o specie della prudenza, ma quoto dubbio si poteva prima
mover nella virtù, di cui si dubita nel Protagora di Plato-
ne s' ella si divida come tutto nelle parti, o come genere
nelle specie; e questo dubbio fu accresciuto da Alessandro,
il quale volle , nel quarto libro delle sue questioni, cb'ella
non fosse ne l'uno, uè l'altro; non genere , percbè il ge-
nere non è tolto via con una delle specie; ma mancando
una delle virtù, mancano tutte l'altre, perchè, o le virtù
si seguono vicendevolmente, o non si seguono: seguendosi,
colla distruzione dell'una procede la distruzione di tutto
laltre, per la congiunzione, cli'è fra loro; non seguendosi,
dove sia rimossa la prudenza, tutte l'altre sogliono cessa-
re, non è tutto, perchè nel tutto le pjrti dissomiglianti
non ricevono la ragione, o la definizione, ma le virtù sono
ira se diverse ; a ciascuna di esse nondimeno si conviene la
definizione del suo tutto: il che non addiviene nelle parti
della statua, in cui al capo, o al braccio non è data la de-
finizione della statua; non in quella della nave, nella quale
il timone, o l'antenna è definita diversamente dal suo tut-
to : non in alcun' altro lutto, che abbia le parti dissouìi-
glianti.
Porzio. Voi avete mosso il dubbio colle parole di
Alessandro, voi potete disciorlo colle sue soluzioni mede-
sime , se altro non avete, che recare contra le sue ri-
Sposte.
Dottore . Da voi si desidera almeno il giudizio sovra
le varie soluzioni, eh' (gli adduce , quasi dubitando.
Porzio. Cominciamo adunque dall'ultima.
Dottore. Egli tiene che la virtù sia piuttosto un tut-
to, non di parti (iissotniglianti, ma di somiglianti ; laonde
non conchiude 1' argomento, che la parie non possa avere
la ragione del suo lutto; imperocché alle parti dilla terra,
e del fuoco , ed a quelle del latte, e del vino e della carne
senza dubbio conviene la definizione del tutto.
PoKZlo . li'" parli adim<pie della virtù ricevono la defi-
nizione del tatto, perchè sono simili.
O DET t.E VIUTU' 2o5
Dottore. Cosi disse Alessandro, e volle elio nella me-
scolanza delle virtù le parti divenissero simili, corno avvie-
ne nella mistione delle cose naturali , e particola nnente
ne' iTiedìcamenti , o ne' profumi, ne'quali non si può sepa-
rare l'ambra dal muschio, o l'aceto dal mele .
Porzio- Peravventura i'"" questa opinione Alessandro
seguì Plutarco, il qualf estimò che alcune operazioni fosse-
ro fatte con tutta la virtù , in guisa, che la libei'alità fosse
giusta , e liberale la giustizia, e clemente e magnanima pa-
rimente : ma fu per min avviso prima opinione di Platone;
e s'ella fosse vera, ne seguirebbe che totum unìvoce de
partibus praedicarctur . l\ìa questo perav ventura è un
(onfunder le virtù , che furono distinte da Aristotile, non
assegnando loro proprj termini, e proprio soggetto ; oltre-
ciòjsele virtù son forme , non si possono confondere iu
questa guisa, o confondendosi, non sono ristesse, ma per-
dono l'essenza loro: diciamo dunque piuttosto che la vir-
tù sia di quelle cose, delle quali una si dice prima. TaltrH
seconda; e, come dice Alessandro, eoruni q;iae dicwitur
multìpliciter, eorum scilicet,quae ab uno adunuìii dicun-
ticr. Imperciocché se la virtù è virtù dell'anima, e l'anima
è un genere analogo, per cosi dire, nel quale alcune specie
Sono immortali, altre mortali ; parimente delle virtù alcu-
ne sono divine, altre umane piuttosto; laonde lor non si
conviene in modo alcuno la definizione univoca ; e se pure
si dà alcuna definizione univoca, è assai co;nune , e non è
propria di ciascuna parte della virtù, come stima Ales-
sandro.
Dottore. Questa risposta presuppone che la virtù sia
il genere, non il tutto, contra l'opinione di Aristotile, il
quale estimò che la virtù fosse il tutto.
Porzio. Pare che Aristotile volesse dire che la virtù
perfetta fosse il tutto: ma se Alessandro argomentando pro-
vò eh' ella non fosse né genere, né tutto; io, rispondendo
sostengo ch'ella sia genere , e tutto ncUistesso modo , che
da Aristotile è detto: Aliud genus aniniae , ed altrove. De
illa vero animae particula .
Dottore. Se genere, e lutto è la virtù, parti e specie
saranno le virtù ; e la prudenza particolarmente , la quale
■2o6 IL PORZIO
pur dianzi fu da voi divisa in molte parti. Ma io non so
qual giudizio farmi dell opinione di coloro , che biasimano
la divisione della virtù; fra' quali Menedemo d'Eritrea ,
come racconta Plutarco, tolse via la moltitudine, ed ogni
differenza , che fosse tra loro , pensando che fosse il mede-
simo la temperanza e la fortezza e la giustizia , come il
brando e la spada. Aristoiie da Scio faceva similmente una
la sostanza della virtù, e la chiamava sanità : ma le faceva
numerose e dilFerenti per la diversità delle cose considera-
te: così potrebbe ancora dividersi il senso della vista in
più sentimenti in modo , che coli' uno si vedesse il bianco,
coli' altro il nero, e si chiamassero, come egli diceva: ^/Z»/-
visiun , et Alrivisum ; imperocché quando la virtù consi-
dera quel , che sia da fiii^gire, e da schivare, la nomava
prudenza; e temperanza dove raffrena le cupidità e la licen-
za de' piaceri; ma giustizia quella , die si adopera ne' con-
tratti, non altrimenti che la sp;idi, essendo una medesima,
taglia varie cose diversamente, e diversamente il fuoco suo-
le apprendersi in diverse materie. Zenone ancora conformò
questa sentenza, chiamando la giustizia una prudenza, che
attribuisce a ciascuno il suo, e temperanza nelle cose, che
si fanno por diletto, e pazienza in (pielle, che si patiscono:
)t)a Crisi ppo all'incontro, assegnando a ciascuna qualità lu
propria virtù , ritrovò una schiera di virtù non usata e non
conosciuta, perdio dal forte è detta la fortezza, e dal man-
sueto la mansuetudine; così dal grazioso la grazia, e dal
buono la bontà, e dal grande le grandezze, e dal bello le
}ji;llezzc, era solilo di nominare; ed altre sì fatte destrezze,
])iacevolezze, urbanità ripose nel numero, riempiendo la
Filosofia, a cui non (diceva mestieri, di molti nomi nuovi,
ed inconvenienti .
Ponzio. Voi avete recate in mezzo l'opinioni della vir-
tù quasi contrarie , o ch'ella sia una, o che siano infini-
te ; ma Aristotile camina per la via di mezzo, per que-
sti due estremi, come è suo costume . introducendo non
una virtù, non infinite, ma distinguendo dall'operazio-
ni, e dagli obietti quelle , che sono abili delle potenze
principali . In questa guisa ancora la potenza sensitiva si
dislingue in cinque sentiincnli, l.i (piale è una sola nel
O DKLF.E VIR'JU' 107
cuore, uiA variandosi nelle opertizioni per la diversità de-
gli obietti e deglinstrunienti, divenijono molte; e si può
atYermare senza contrarietà che siano molte, ed una ,- in
quella guisa che le linee, le quali si dividono nella circon-
l'erenza , si congiungono nel centro , nell'istesso modo ar-
direi d'affermare eh una, e molte fossero le virtxi: ma non
conviene moltiplicare i g^^neri delle cose, per distinguer
le virtù ed i sentimenti ; perchè siccome il colore è il pro-
prio obietto del senso della vista , così ciascuna ha per
obietto un genere di cose determinato; ma non tutte le
qualità possono ricever la forma delle virtù, come piace-
va a Crisippo; anzi ve ne sono alcune, in cui per opinio-
ne di Aristotile, non si può introdurre alcuna forina di
virtù, come è l'invidia e la malignità .
PlGNATTELLO. Io temo che la virtù per la divisione
perda molto del suo valore , come fanno tutte le cose divi-
se ; laonde più mi piace il considerarla unita e raccolta in
se stessa, che partita , e separata: ma dovendosi pur par-
tire, tate che io sappia in qual modo ciò sia conveniente .
Porzio. Delle virtù è avvenuto quel, che avviene delle
forze delle città e de' regni, i quali, quando sono assaliti
di nemici, sogliono dividere l'esercito in varj lati, oppo- j
nendo a ciascuno assalitore un proprio defensore: cosi era
necessario che le virtù si dividessero per discacciare i vi-
z], che assalivano le parti principali dell'animo ; ciascuna
nondimeno si raccoglie e s'unisce nel cuore , eh' è la reggia
delle forze e delle potenze dell'animo, la quale altri pose
nel cervello, fra' quali fu Ippoerale, e Platone e Galeno do-
po lui; tultavolta non si può al cuore negare il principato,
siccome a colui , ch'è principio del movitnento e del calo-
re; laddove il cervello è freddissimo, e quasi gelato nelle
sue operazioni. Dividiamo adunque le virtù, secondo le
potenze principali dell'animo, o siano divise di luogo, o
non siano separate: e già si è detto che alcune sono nella
mente speculativa , altre nell'tittiva, o fattiva, fra le quali
è l'arte, e la prudenza : ma la prudenza ha molte quasi
compagne, e seguaci. Una è la buona consultazione, che
possiamo chiamare il buon consiglio, e definirla una retti-
tudine, o dirittura di consiglio, colla quale conseguiamo
5o9 IL roRzio
quel , che si dee , quando si dee, e come si dee ; e la saq.i*
cita, a cui si conviene il giudicar di quelle cose, nelle qua-
li si adopera la prudenza, laonde se la prudenza prescrive
il fine, a cui le virtù debbano dirizzarsi , e quasi il coman-
da , la sagacità ne giudica ; la sentenza è un diritto giudizio
dell'uomo dabbene , e non rigoroso.
PlGNATTELLO. Già , se non m'inganno, avete fornita la
mente delle sue virtù: ora discendiamo a quelle parti, le
quali per esser combattute dagli afletli, n'hanno perav-
venturu maggior Iiisogno .
Porzio. JNella parte irragionevole, eh' è partecipe di ra-
gione , sono due ajipetiti, l'uno detto concupiscibile, l'altro
irascibile; e ciascuno, come piace a'Latini Filosofi, ha il pro-
prie obietto; tuttoché io questionando abbia difeso alcuna
volta che la cupidità non si muove per obietto, perch'elle
medesima è moto, ed essendo moto, non può moversi: ma
altri ha distinto la potenza dall'operazione forse più sottil-
mente , che non si conviene in questa materia: a questi due
appetiti sono assegnati due obietti ; all' uno il bene , sotto
questa semplice considerazione; all'altro il bene arduo ,
cine diftjcile , e inalagevole da conseguire; e da questi
«;l»i('Hi sono mossi diversi afletli, ciascuno dc'quali pe-
lavvcntura può avere la propria virtù . Ma coloro che non
liuino voluto dividerla, e quasi smembrarla in tante parti,
V(>g!iono che la tiirqieranza sia virtù della concupiscibile,
e la fortezza della parte irascibile ; ed animosa è la giu-
stizia di tutta r anima ; perciocché ella consiste nella pro-
])orzione, e quasi nei!' armonia dell'animo nostro , mentre
Je parti superiori provi ggono alle inferiori, e lo inferiori non
DCgano di prestaci" <.b!)cdicnza alle superiori. Quattro sono
adunque le virtù i)iin(Mpali dell animo, coiìk; jiarve a Pla-
tone, ed a' Platonici, e dopo lui a San Tomuiaso, ed agli
altri Stolaslici; la prudenza, la quale abbianu) detto esser
virtù dell' intelletto, la giustizia , che da' moderni è collo-
cata quasi in projiria sed<!, nella volontà , appetito del no-
stro intelletto, ma dagli antichi, come iu> detto, fu ripo-
sta nella concordia di tutta l'anima ; negli altri due appe-
titi dell'animo sonsu.do , sono l'altre due virtù , tp.iasi ca-
pitani ne'iiuighi muniti; la tei^pcr.m/a nella cupidigia e la
fortezza noll'anirnosilà ; m.i di rjui ste alcune ohhpdiscono j
e comandano, come la foltezza ; altre comanjano solamen-
te ; come la prudenza , la quale è duce dì ciascun'altr.i ,
prescrive, come bo detto, il fine, e comanda all'altre che
vi pervengano; e ritrova il mezzo, nel quale sono ripo^.te
le virtù de'costu'ni: awenqael)^ fra le virtù morali e quel-
le dell'intelletto sia questa diff.'renza , che le morali siano
mediocrità riposte fra gli estremi, l'altre non .viino. La
prudenza dunque ritrova il mezzo, il quale è di due ma-
niere, come parve ad Aristotile, l'uno per rispetto della
cosa medesima , che domandano , niediuin rei ; l'altro per
rispetto nostro: il mezzo della cosa medesima è aritoietico
come sarebbe il sei fra il due e il dieci, perei. è tanto ec- ;
cede il due, quanto è ecceduto dal dicci. Ma la virtù mora- '■
le è poi collocata nel mezzo, die si considera per nostro
rispetto , percliè se ad alcuno paresse fatica soverchia il
camminar dieci miglia , il camminarne due parrebbe poco,
ma la mediocrità sarebbe ia altro numero conforme alle
sue forze. La mediocrità dunque della virtù morale consiste
nel mezzo, cbe si considera per nostro rispetto, nel quale
ella si fa con elezione , perchè tutte le virtù sono elezioni,
o si fanno almeno con elezione ; e l'elezione dicono, ch'el-
la sia , o un intelletto appetitivo, onn appetito intelletivo,
differente nondi:neno dalla volontà, intanto cbe la volontà
è del fine , l'elezione ]iiutto?to de' mezzi, percìiè reiezio-
ne si fa di quelle cose, le quali sono proposte in consiglio,
ria del fine nonsi consulta, né delle cose necessarie , ne
delle naturali , ma di quelle solamente, che sono riposte
nella nostra volontà ; di quelle adunque facciamo elezione,
delle quali possiamo consigliarci ; laonde si puòdiie, che
l'elezione sia un consiglio del nostro appetito, o defla vo-
lontà, col qviale si fanno tutti gli abiti della virtù. Diremo
aduntjue, che la virtù sia un abito fatto con elezione, il
quale consiste nella mediocrità considerata per nostro ri-
spetto, in quel modo , che determina la dritta ragione, la
quale è quella, che suol essere adoperata da! prud' lite; ma
le parole di Aristotile medesiino, come si usano nelle no-
stre scuole, son queste; Est igitur virtiis , habitus electi-
VHS in mcdiocritate consisiens , ea quae ad nos definita
Dialoi:lti 1. III. i4
2 IO IL PORZIO
ratione , et ut definicrit ìpse priidens , ma questa medio-
crità si dee intendere fra due vizj, l'uno de'quali sia ecces-
so, l'altro difetto, o negli alTetti, o pure negli atti; ma la
virtù si colloca nel mezzo, laonde: Subslantìa , et ratione
quid est dicenti . mediocrilas est ; at optimi respectu , et
bene se habentis extrcniitas . E dunque la virtù mediocri-
tà , è sommità per diversi rispetti ; soauna dico, nell' ec-
cellenza, mediocre nell' affetto: ma non ogni affetto ne ogni
atto può ricevere la mediocrità, perchè ve n'ha alcuni ,
che subito per lor propria natura sono, congiunti colla ma-
lignila, come la malevolenza, l'invidia, l'aduUerio, il fur-
to, l'omicidio; queste cose tutte sono perse stesse malva-
gie , non solamente l'eccesso, o il difetto di ciascuna:
adunque ninna occasione si trova , o niun tempo , col (jua-
le queste cose siano ben fatte, uia assolutamente sono cat-
tive con tutti i modi e con tutte le circostanze . Il simile
avverrebbe a chi ricercasse la inediocrilà nell'ingiustizia,
nella timidità e nella lussuria, perchè questo è un cprfNsre
la mediocrità del difetto, o dell'abbondanza, o pure il so-
verchio (lei soverchio, ed il mancamento del mancamente ;
ina siccome le virtù non possono consistere in alcuno de-
gli estremi, ma nel mezza solamente, il quale è un'altra
maniera di estremità , o di sommità piuttosto ; così i vizj
non possono aver luogo nella mediocrità, ed in qualunque
modo si pecchi , sono degni d odio, e di riprensione.
PlGNATTELI,0. Il contravio adunque avviene nelle virtù
e nell'arti, perchè nell'arti la mediocrità è peravventura
degna di riprensione: però si Ipggc de' Poeti.-
.... Mediocrilnis esse Poctis ,
IVun Dii , non homi ne s , non concessene coluninae.
E la mediocrità ancora nelle statue e negli edificj non suol
portar lode, o meraviglia, ma nella virtù la mcdioirità è
sempre laudevole .
Porzio. Questo avviene per la difficoltà , eh' è di tocca-
re il mezzo, quasi il bersaglio proposto all'arciero, in cui
difficili'ienle si può accertare , per esercitazione di buon
sagittario; ?na di leggieri può avvenire , che altri colpisca
lontano dal mezzo; laonde da'Pittagorlci fu detto, che si
poteva far bene in un modo solo, ma errare in molte, ed
o Dti.r.E V livrrj' ìi i
infinite maniere: tuttavolla la virtù ancora ha la sua cran-
(lazza e quasi la maraviglia ; laonilc la mai^nificenza nelle
sue operazioni cerca il grande, eu il l'iaraviylioso, co.ne
ricercarono gli scultori nelle statue; di Gi )vc e di Minerva ;
e la magnanimità ancora sì prepone yli onori grantlissiiiii
por oggetto, de'quali il magnanimo si stima degno; però
lìeile pictioìc cose è non curante e trascurato, an>i clic no;
laonde fu conveniente pensiero quel did maravigli ;so archi-
tdto, il quale non potendo dimostrare l'immagine di Ales-
sarulro in alcuna iminngine conveniente alla sua grandezza
pensò di scolpirlo nel monte Atl)o :ma in queste virtù me-
desime si può errare o per soverchia vanità, o per piccio-
lezza d'animo. Dlaioslrarono sovercl'.ia vanità gli Egizj ,
coll'inuiile, ed ambiziosa fabbrica delle piramidi e degii
obelischi e del ialierinlo. Porsenna parimente nel suo mn-
raviglioso laberinto , ch'edificò in Toscana , fu soverchia-
ìnenle ambizioso e rozzo nel decoro; e i teatri di 1\I> Scauro
e di Cujione i quali girandosi facevano l'anfiteatro, meri-
tarono riprensione, quasi egli In un medesino tempo er-
rasse contra due virtù , non avendo alti'o di rendita , cbe
la discordia de' Principi; ma volendo in questa guisa com-
piacere al furore del pipolo, che fu ardilo di sed-re in se-
de così instabile e mal sicura. E Caio e Nerone furono bia-
simali co lor palazzi , eo'quali 1' antica età vide Roma due
volte quasi circondata . Ma Sesnstri all'incontro, il qual
pensava di tagliare l' ist no , che è fra i! ip.ar P\.osso , ed il
Mediterraneo; e Pirro Re degli Epiroti e Marco Vnrrone
dopo lui, che volle, giltando i ponti , fare un passo da
Otranto ad Appollonia , dove oggi è peravventura la Val-
Iona , nella divisione del mare J onieo e dell' Adriatico , si
rimasero dall'opere cominciate per pusillanimità , <> come
altri dice per impoiizia, o per altre occupazioni ; perchè
se l'opere si potevan f n-e , non divean Iralasci.ìvìe ; se far
non si potevano , peravventura non era c<)ìì veniente il co-
minciarle. Ma Xerse,come peraltro noti fosse degno di
lode, fornì con grand' aniuio, quel che aveva cominciato,
di congiunger r Asia e l'Europa, con un ponte e di tagliar
per mezzo il monte Ato, aprendo la str.tda alla navigazio-
ne- Caio parimente, nel lilodel nostro mare ; fece
212 II. POR 7.10
Di nno'i'i ponti oltraggio alla marina.
Ma degni sniza OìIIo furono di grandissima lode, guardan-
dosi (lugli csfreini viziosi, Augusto nell'edificazione del
Tempio della Pace ; A grippa, che l'edificò a tutti gl'Iddìi;
e nel condurre a Rouia sette fiumi sotto terra, a guisa di
torrenti. INè solo Cesare, ed Agrippa meritarono laude ne-
gli acqiiedoUi, ma j)rima Q. Marzio Re, ed altri Romani
e Cocceio nella sua spelonca , che n apre al lito di Pozzuo-
lo così breve e così piacevole strada ; e nelle fosse Mariane
daccpia morta, ed in quelle del Po, ed altri fiumi, dai
quali sono derivati i canali : e ne'porti, ne'pnnti, nelle ter-
me si potè meritar laude di magnificenza, avendosi riguar-
do alla pubblica utilità: ne'tcatri parimente e negli anfitea-
tri, tultocliè siano fatti piuttosto per diletto, o per maravi-
glia. Ma se 1 opere moderne deono paragonarsi eoU'anti-
che, degno d'eterno onore sarà il buon Re Carlo, ed il buon
Re Roberto suo nipote, 1 quali edificarono il maggior Tem-
pio di questa nobilissima città, e l'altro così maraviglioso di
Santa Chiara , ed il Castri nuovo e l'altre castella, cil il
ni'ìlo così copioso di navi e di galee ; e tanti alti i Principi
e Cavalieri, che hanno (atta questa la più bella e la pili
riguardevole città del inond') , co' palagi grandissimi ,
co' giardini ainenissjmi , colle sepolture e colle statue, che
laiuK) testimonianza dell' antiche ricchezze, e dell' antico
valore, con tante coltre di seta e d'oro, e con tanti e sì va-
rj e sì inusitati ornamenti delle Chiese drizzate al culto
Divino; laonde si può affermare, che questa sia veramen-
te una città abitata da Principi, se la dignità consiste nel-
la nobiltà dtllaniinr) , e dell'origine, come io eslìmo.
PlGiNATTELLO. Napoli nella magnificenza non cede ad
alcun' altra ; ma nella magnanimità vorrei , che fosse pari
a se medesiiiia.
Porzio. A voi si conviene , ed agli altri pifi giovani Ca-
valieri, il fare emulazione alla gloria degli antichi ; perchè
la fortezza della città non cojisistevn nelle mura, dalle qua-
li , come scrive; Livio, fu spaventato Annibale, ma nella
fede e nell'animo de'cavalieri ; laonde bcinchè da Corrado
fosser gittate per tcrrra , non jiotc esser nondimeno abbat-
tuti-i la ^ irtù IVipoIitana , la qu.ile risorse colle mura assai
O DELLE ViUTU' ai 3
pia bollii e più gloriosa; couie pirlicolarinoate si e cono-
sciuto questi anni addietro nel passaggio degli eserciti
Francesi e tielTassedio della città conbattut) dall' aruii
barbariche, e nulla peste in un medesimo tempo: ma par-
liamo delle virtù.
PlGNATTELLO. Qufste due sono cosi belle e così gran-
di, io dico la uiagniBceriza e la magnanimità, cbe dell'al-
tre non posso l'are eguale stima ; avrò caro noruli.aeuo di
sapere, quali elle siano e quante .
Porzio. Del numero non v'è peravvenlura certa e de-
terminata scienza ; però Arislotile in questa parte fu diver-
so a se medesimo, percìiè in molti libri ne trattò diversa-
mente, ed alcune ne tralasciò in quelli , che scrisse a Nico-
niaco , delle quali fa altrove menzione : ma tutte , p-^r sua
opinione, hanno Tessere 0 negli atti , o negli aiTelti: non
solamente negli alletti, come scrive Alessandro : ma io le
distinguerò in quel modo, che stimo più conveniente. Dico
adunque, che le virtù hanno per lor materia o gli affetti,
o gli atti; e gli affetti sono i movimenti d dl'appotito coii-
cupiscibile, o dell'irascibile: nelle passioni dell'appetito
lusinghiero , il quale ha per obietto il bene , o vero , o ap-
parente è la temperanza fra due estremi d' iutenperauza e
di stupidità; nelle passioni dell'irascibile è la fortezza fra
l'audacia e '1 timore , e nelT istesso si può riporre la m i-
gnuniinità , fra la pusillani nità e l'altro estremo; e la virtù
innominata , che altri chia.iia modestia , fra l'ambizione e
il disprezzo degli onori; e la mansuetudine fra l'ira sover-
chia e la vacuità dell" ira j negli atti, è la libi ralilà , fra
l'avarizia e la prodigalità; e la magnificenza, tra la piccio-
lezza, per così dire, ed il trapassa, nento del decoro. Nella
conversazione sono parimente tre virtù, le quali pare, che
abbiano per proprio soggetto le parole, piuttosto che gli
atti , o gli affetti ; tuttavolta perchè il conversare è quasi
un'azione, anzi principalissima azione della vita, si pos-
sono annoverare fra l'altre , che hanno l'essere negli alti;
di queste la veracità è posta in mezzo fra l'arroganza e la
dissimulazione; i'alìabilità , fra l'adulazione e la contesa;
la piacevolezza, fra la bulfoueria e la rusticità: oltre a tut-
te queste è la giustizia , la quale non è situata, come 1' al-
?.l4 IL PORZIO
tre , fra due esfromi , ina tVci il più e il meno: percliè eli;»
aggiungendo a quella parte, ch'è ditcttuosu , scema da
quella, clic hn di soverchio, ed il sovereliio suole usurpar-
si coli' ingiuria ; perchè sempre liugiuriatore ha di [ùù e
l'ingiuriato di meno : ma il giusto dee ogguiigliar queste
disuguaglicinzi" , pareggiando l'ingiuriato all'ingiuratore .
Tuttavolta quella, che è da' Pittagorici detta rcLuliato, e
da Dante contrapasso; cioè il render pari per pni, non è
sempre giusta; ma come estiaiò Aristotile nel quarto delle
Morali a Nicoujaco, questa ragione non conviene all'uomo
costumato, né a quel di stato: ma nel secondo de libri civili
pare che ahhia diversa opinione, dicendo, che di questa ra-.
gione del rendere pari per pari sono conservate le città; e
ne' gran JVloridi similmente s'iqìpigliò a questo parere. Non
è nondimeno discorde a se medesimo Aristotile come parve
ad alcuni; pereliè due sono i modi del f.ir questa ragiooe ;
l'uno geometrico, il quale conserva le città, l'altro aritme^
tico, che può distruggerle; siccouie due sono le specie della
giustizia, l'una dispensiitrice de'premj, !aqu;de avendo ri-
guardo alla dignità delle persone, procede colla proporzio-
ne geometrica; l'altra commutativa , o correttiva, che si
dimostra ne' contratti e ne' commerci , che si fanno fra gli
uomini volontarj, o involootarj ; e questa, considerando le
persone come eguali, si serve della proporzione aritmeti-
ca; ma la giustizia sola ricerca un trattato, anzi molti
trattati e molti libri da se medesima ; e da Platone in que-
sta materia furono scritti dieci dialoghi, intitolati del Giu-
sto e della Repubblica. Laonde se vi pare, di lei parleremo
separatamente in più lungo ragionamento : or bastivi di
sapere, ch'ella è fra quelle, che hanno l'essere negli atti ,
comeccliè Platone la riponesse nell'animo, ed altri de'mo-
derni filosofi l'abbia colloeata nella volontà, quasi in pro-
pria sedi!. Questa alcune volte è chiamata da Aristotile
tutta la virtù, perchè le leggi soglion comandare tutte le
virtù, al forte, che serva l'ordinanza; al temperato, che si
astenga da' piaceri , che fugga l'adulterio; al mansueto,
che non si lasci trasportare dall'ira smoderata; al liberale
elle non sia scarso de'preuij e di'Ile mercedi: e se alcune
leggi si trovano , nelle quali tutte lo virtù non siano co-
O UKI.I.E VIRTÙ' 2l5
mandife, sono imperfette; imperocché il fine del Legisla-
tore dee essere di far buoni e virtuosi gli uomini, che vi-
vono in un regno , o in una città . Eccovi le virtù , quasi
da me nel mio ragionamento disegnate, senza varietà di
esempi e senza soverchio urnaraento di parole, perchè il
colorirle sarebbe opera peravventura di stile più diligente,
e di migliore e più dotto maestro.
PlGNATTELLO. Veggio, o mi par di vedere alcune l)el-
le , ma picciole schiere di virtù , fra le quali ricerco indar-
no, la costanza, la sofferenza , la fiducia , la pietà e la rive-
renza, e l'altre, delle quali alcuna volta ho sentito ragio-
nare .
Porzio. Voi avete noininate alcune compagne e segua-
ci delle virtù, delle quali non si dimenticò setnpre Aristo-
tile: ma in alcun suo libro particolare l'ordinò insieme
coir altre aggiungendo alla fortezza , la sofferenza e la co-
stanza e la fiducia; alla giustizia, la pietà con alcune altre;
alla teiiiperanza , la riverenza , ed altre compagne : ma
ne' libri , ch'egli scrisse a Nicomaco e negli altri ad Eude-
mo e ne'gran Morali , trattò di quelle solamente, che da
noi sono state raccontate; alle quali aggiunse la vergogna
e l'indignazione; piuttosto come lodevoli disposizioni; per-
chè elle non sono virtù perfette e compiute. Bastivi adun-
que di aver raccolto il numero delle va-tù in breve
sjjazio.
PlGNATTELl-O. Io nel raccontarle imiterò coloro , che
vogliono numerar le stelle , i quali riconoscono nel cielo
alcune principali , quasi duci e principi dell'ordine loro;
altrimenti sarei costretto di cadere nell'opinione di Crisip-
po , che introdusse virtù quasi infinite.
Ponzio. Ma peravventura non dovete esser tanto solle-
cito del numero , quanto dell'essenza e della proprietà di
ciascuna ; però io vi conforto che ricerchiate ne' medesimi
le definizioni , che dà A.ristolile. Io a guisa di pittore, che
ritocchi le iunnagini medesime, dimostrerò più particolar-
mente la materia di ciascuna virtù e quel eli' ella sia , per
opinione di Aristotile, con quell'ordine medesimo, che da
lui è usato. Dico adunque , che la fortezza è /nediocrità
tra i timori e gli urdiiuenti: ma di quei, che eccedono co-
"2 16 IL PORZIO
lui, che soverchia, non temenJo , non ha proprio nome;
1 altrO;che abbondi di confidenza è audace: mu cului^ che
troppo teine e manca nell'ardimento , è timido . Intorno
a' piaceri e a'dolori è mediocrità ia temperanza, e particor
Inrmente intorno a quelli, che suno oijyetti del gusto e del
tatto , il si^verchio è l'intemperanza; il difetto non ha pro-
prio nome, perchè rade volte avviene, che si ttnvi alcuno
che non senta i piaceri, pure è detto insensato; la liberalità
è mediocrità, la quale è ripasta nel dare e nel ricevere i
danari; l'eccesso è la pradigdità , e il tlitetto è l'avarizia ,
colle quali gli uo'iiiiii in modo contrario sogliono essere ab-
bondanti, <» dil'eltuosi ; il prodigo eccede Ui.'l dire e prende
meno che non dee, l'aviiro all'inconUj [jreiide troppo edà
poco. Sono altre disposiz^i 'ni intorna a danari; e inediocrità
^ la magnificen/.a : mi diverso è il magnifieu dal liberale ,
perchè l'uno ^i adopera nelle cose grandi, l'altro nellepic-
cinle, il soverchio è l'esser sordido e rozzo nel decoro , il
difetto la picciolezza nel decoro . Negli onori e nelle cose
opposte, inediocrità è la magnanimità; l'eccesso è una
certa tardità e quasi trascuraggine ; il difc-lto è pusillani-
mità: e quale è la magnificenza verso la liberalità, tale è la
magnanimità per rispetto di una disposizione , la qu;ile è
intorno agli onori; perciocché suole avvenire, che l'onore
si desideri, quanto conviene e, più e, meno; e colui che
eccede nel desiderio degli onori, è detto ambizioso; l'altro
che manca , è nel mezzo e senza proprio ni)me; laonde av-
viene, che gli estremi combattino del luogo di mezzo.
Noi ancora sogliamo chiamare il mezzo ora ambizioso, ora
non privo del desiderio di onore; ed ora laudiamo l'auibi-
zioso, ora l' altro : è mediocrità nell' ira la mansuetudine;
degli estremi, colui clic recede, iracondo; e il vizio è det-
to iracondia : colui che n'è difettuoso , si dice , che non ha
collera, e il difetto si dice privazione dell ira. Pone oltrea-
ciò le tre mediocrità, le quali abbiamo detto, cbe sono
intorno alla comune usanza delle parole e degli atti: ma
l'una è intorno al vero, l'altra è nel piacevole, del quale
parte è ne'giuochi e negli scherzi.- parte nell'altra conver-
sazione intorno al vero: il mediocre è verace, e mediocrità
la veracità, la finzione nelle cose maggiori è arroganza,
O DELLE TiUTU' 2 17
nelle minori tlissimulazionc ; nella piacevolezza de' motti e
degli bclicrzi il niecliocre è faceto e piacevole; e la virtù è
piacevolezza, ed urbanità, gli estremi soiu> il rozzo, ed il
giocolare; nel piacere dell' altra conversazione e domesti-
chezza , colui clie è piacevole e grato nel conversare quan-
to conviene è detto amico, e la mediocrità amicizia: ma
(juel che eccede , non avendo risguardo al proprio interes-
se, si chiama placido: ma facendolo alfine di utilità , è
detto adulatore; colui che manca in tutte le cose, spiace-
vole , riottoso, 0 contenzioso e difficile. Kella vei gogna an-
cora e nell' indignazione, tuttoché non sian propriamente
virili, sono i mezzi tra i difetti e gli eccessi. Eccede colui,
che di tutte le cose ha vergogJia,come il timido; colui che
di ninna cosa si vergogna, e detto impudente; nel mezzo è
il vergognoso , degno di lode; V indignazione è i;iediocritù
tra r invidia e la malevolenza , ed intorno a' piaceri e a' do-
lori, che sentiamo degli accidenti del prossimo; perchè lo
sdegnoso si duole , che altri indegna-mente sia esaltato dal-
la prosperità della fortuna; l'invidioso, che l'avanza, si
duole di tutte le cose godute dagli altri o degnamente, o
indegnaiiiente ; il malevolo non sente dolore , uia gode del-
l'altrui male; ma questa ancora è rozza figura, intorno
alla quale Aristotile più diligenteoiente si aifaticò, come
voi imxlesimo potrete considerare. Si può nondimeno ag»
giungere alle cose dette, che tutte le virtù morali sono in-
torno al piacere e al dolore; perchè il rallegrarsi delle cose
oneste, e il dolersi delle contrarie, è certo segno dell'abito
lodevolmente acquistato. E perchè le virtù sogliono esser
corrotte dall'uno e dall'altro estremo; dobbiamo guardarci
da ambedue , non altrimenti, che soglia far colui, che navi-
ga tra Scilla e Cariddi,e da queU'esti'emo dubbiaiuo allon-
tanarci maggiormente, al quale siamo più inchinati, torcen-
do l'animo pieghevole alla contraria parte a guisa di pian-
ta novella , la quale è dirizzata per artificio dell'agricolto-
re ; però colui , che è inclinato all'avarizia, dee alcuna
volta aprir la mano soverchiamente allo sp. ndere; e il
troppo largo per natura, dee ristringerla; e chi è trasporta-
to dal trabocchevole appetito ne' piaceri sinoderati , con
più c^ro freno dee ritenére la cu^)idigia; e rallentarlo alcu-
•?.i8 ir. PORZIO
na volta si converrebbe all'insensato, se in questa età ,
troppo tieiicata nelle delizie e nelle morbidezze, alouno si
ritrovasse privo dei gusto de' piaceri; e il timido dee avan-
zarsi ne'pericoli, e l'animoso alcuna V(dta tirarsene addie-
tro: e il somiijiiante dee farsi in ogni disposizione di virtù.
Ma perchè i vizj sono contrarj e fra loro, ed alia virtù , la
quale è risposta nel mezzo, vagliaci questo a nmaestra-
mento, clic più ci guardiamo da quel vizio clic è più con-
trario alla virtù, come è più contraria alla fortezza la ti-
midità , dell'audacia: laonde ninno può biasimare il so-
vercliio ardire d'Alessandro il INIagno nell'espugnazione di
Tiro , o dell'altre città, o nelle sanguinose battaglie nelle
quali essendo ferito, conobbe la sua umanità: ma tutti con
maravigliose lodi deono levare la sua virtù fine al cielo, e
quella di Filippo suo padre similmente; e il passaggio di
Scipione A-ffricano al Regno di Siface , con due galee sola-
mente : e l'ardire di commetter la sua salute medesima e
quella della sua patria alla fede Aifricana sempre incerta,
ed incostante , è degn) di grandissima maraviglia ; e non
meno quel di Cesare, che impaziente per la tardanza delle
legioni , che passavano da Brindisi ad Antiochia, finse di
essere ammalato, e lascictndo il convito , occultò la sua
maestà con abito servile e si espose in una picciola bar-
chetta alla tempesta del mare Adriatico. Ma li temerità
di coloro, i quali sono stati al fine vinti dal timore , suole
spesse volte senza biasimo e quasi con pietà esser rimirata-
pero volentieri leggiamo ne Poeti;
Parie aliaj'ugiens, arnissis Troilus arinis ,
Inftlix pucr f atque impar congressus Achilli ,
Fertur equis , curruque haerct resupinus iiuini ,
Lara lencns lanien: huic cer\'ixqut coniacqut trahuntur
Per terram , et versa puWis inscribitur liasta .
Ma dove ne pericoli la virtù giovanile dell aniino non sia
stata superata dal timore, èdegna di meraviglia, quantun-
que per le forze del corpo si sia mostrata inferiore: ed ap-
pena si può determinare, s'ella sia fortezza, o temerità,
come è quella di F^allante, di cui si legge:
Ire prior P alias , si qua fors adjuvet aiisuni ,
T^iribus iniparibus: niagiiuinque ita ad aetUera fa/tur :
O DELLE MRTU' :^19
E quella di Lauso, tlell.i cui morte si legger
y^ncas , nuban belli , cium detiiiet oniiies
S listine t : et Lausuni increpitat , Lausoque niiiLilnr
Quo moriture rais ? majoraquc viribus aiides ?
Vallit te incaiitum pietas tua . Ncc miniis illc
Exulta t demeiis .
All'incontro la fuga tli Turno non pare a molti , die poss^
essere scusata; perchè la temerità non si scusa nelTetcì.
matura, e molto meno quella di Ettore; tuttavolta Turno
fugge con minor vergogna, essendogli rotta la spada ,come
si^ legge :
Einicat liic . impune putans , et corpore loto
Alle sublatum consiirgit Turnus in ensem :
Etferit. Exclamant Troes ^ trepidique Latini,
Arrectaeque aniborum acies. At perfidus ensis
Frangitur , in niedioque ardcnteni dcserit ictu ,
Ni fuga subsidio subeat :Jugit ocyor Euro ,
Ut capulunt ignotuni , dextramque aspexit incrtnein ,
La fuga nondimeno è simile a quella del cervo, come si de^
scrive in que' versi :
Jnclusum velati si quando in Jlumine nactus
Cervuni , autpuniceae septuniformidinepaennae,
f^enator cursu canis et latratibus instat ;
llle auteni , insidiis et ripa terrilus alta ,
Mille fugit , refugitque vias: at vividus Lmber
Haeret hìans , jamjamque lenet, siniilisque tenenti .
Altrove Turno fugge, o si ritira piuttosto , come leone cir^
condato dall'armi e da' cacciatori:
Ceu saevuni turba, leoneni
Cuni telis premit infensis : at territus ille
Asper, acerba tuens, retro redit : et ncque terga
Ira dare , aut virlus patitur ; nec tendere contra
Ille quidem hoc cupiens polis est per tela , virosque.
Haud alile.r retro dubius vestigia Turnus
Improperata refert .
Ma in tutti i modi è piuttosto audace; o temerario, clje
forte , come dice il Poeta medesimo :
Irini de Coclo rnisit Saturnia Juno
Audacem ad Rutuluni.
l'io IL PORZIO
Laonde il Poeta non raeribi biitsiino nel costuao descrit-
to, quantunque potesse meritarlo la persona descritta , lu
quale con somme Indi è talora levata fino al cielo; e
molto meno merita di esser ripreso Enea per la vendetta ;
all'incontro sempre è biasi nato il costume del timido o la
li))udità, come estremo più lontano dalla fortezza alla quit-
te ni)n può in modo alcuno assomigliarsi. E non solamente
è vituperata ne'Pocli, ma negl'lstorici , come la fuga di
Serse, il quale , dopo la perdita d'intlnite centinaia di sol-
dati, elesse di fuggire con una sola barchetta, e non volle
morir piuttosto; o la ritirata di Artaserse- il quale dapoi die
vide morto Ciro suo fratello , si ritirò di un picciolo eser-
cito di ventiquattromila Greci, col suo, che era di ottn-
centoinila e più persone'; o come fu la morte di Sardana-
palo e di altri Principi d' inl'ame , e vergognosa me-
moria ,
PignAttello . Verissima a me parve sempre la senten-
za di quel Poeta :
Un bel morir tutta la vita onora ,
Laonde estimo che Virgilio volesse far troppo d'onore a
Mezenzio nella sua morte, eperavventura ci volle dimostra-
re, come la fortezza dell'animo si trovi scompagnata dal-
l'altre virtù.
Porzio. Questa è una questione assai antica e spesse
volte rinnovata; ma di lei se il prenderete in grado parle-
remo a suo luog». Or continuando il ragionamento degli
estie roi , dico che l' istesso avviene nell'estremo della pro-
digalità, il quale assai spesso è simigliante alla virtù: laon-
de i prodighi sono amati come giovevoli, ed all' incontro
gli avari odiati; e lasciando da parte Calilina, Curione,
Marco Antonio e gli altri, i quali co' doni e e )n gli spetta-
coli presero gli animi d.'l popolo; nell'istorie d'Inghilter-
ra leggiamo, che il Ile Giovanni , cognominato il Cortese,
tuttoché avesse guerra con Enrico suo padre, fu nondime-
no oltre a tutti gli altri Re amatissioio, per questa sola
apparenza di virtù, o estremità di larghezza, che vogliain
chiaioarla; per la quale MmiVedi fu amato, come furono
molti di que'tiranni, i (piali nel governo e nelle operazio-
ni sono stati somiglianti a' buoni Re; all'incontra Carlo
O DF.i.I.E MHTU' 22 r
giuslisslino Re eli questo Regno, fu riputato avaro anziché
no , ed odiato per l'avarizia .
PlGNATTEfJ.O. Cupido fu egli pJultosto die avaro, sic-
come colui, che spendeva molto nelle sue magnanime im-
prese : ma la divisione da lui fatta in tre parti del tesoro
reale ch'egli acquistò, quando vinse Manfredi, la terza
parte donata a'cavalieri suoi seguaci , il può liberare da
questa falsa opinione, indegpa della sua virtù , anzi per
mio parere, se la divisione fosse slata fatta colle bilancie,
e non co'piedi , come parve a Beltramo dei Balzo, ne sa-
rebbe tocca la maggior parte a'cavalieri, e la minore alla
moglie.
Porzio. Neiristesso Culo altri danna la sovercbia se-
verità , che non fu biasiucita in Fabio ed in Torquato,
quantunque fosse meno amata dalla clemenza; rr^i la se-
verità perse medesima , se non è congiunta coli' estremo
dell'ira , non suol'esser ripresa, e talvolta è avvenuto che
ne' Capitani sia stato più lodato, e più giovevole l'ostrc'
mo dell'ira, cbe l'altro op|>osto; il quale è vacuità del-
l'ira. Però, come si legge in Senofonte, a Clearco Lacedc-
uionio, il quale seguì Ciro minoi^e in Asia contro il fratel-
lo Artaserse, sapendo meglio di tutti gli altri obbedire,
meritò di comandare, e comandò in guisa , che fu temuto
non solamente per la severità, nja per l'ira sovercbia,
laonde egli solca dire, die il buon Capitano dee esser più
spaventoso a' soldati del nemico medesiiuo. Mn Prosceni
Boezio peccò coll'istesso esercito nell'altro estrouo, quan-
tunque fosse am'uaestrato dal famos-j 'j >rgia Leontino,
perciocché agli portava a's,)ldati maggi ir rispetto , die da
lor medesimi a lui non era portalo ; dilfitiie nondi ueno
è il giudicare qual più s'allontanasse dalla vera mediocri-
tà , nella quale, senza fallo , meritò estrema laude Seno-
tonte. Ma nondimeno perdiè l'ira è ineno avversa alla ra-
gione, come parve ad Eraclito; o piult-isto, perchè l'ira
prende l'arme per ragione, coinè volse PI, itone , il sover-
chio dell' ira è men vizioso che il difetto, d;l quale C(jn
agre riprensioni fu ripigliato il Re di Cipri, e con acuto
morso punto dalla donna di Guascogna: né si potea lodare
ragionevolmente in Piiistrato, perchè egli non doveva
5ìi IL PORZIO
Sopportare così di leggieri l'ingiuria Tiittagli nella figliuo-
la; dall'altra parte il soverchio dell'ira fu attribuito ad
Ercole, ad Achille , ad Aiace ed agli altri Eroi , anziché
ho-, ed Alessandro , per ammaestramento filosofico, non
potè tenerla a freno? quantunque alcuna volta vincesse il
piacere , e come dimostrò dopo la morte di Dario , nel ri-
spetto portato alla moglie edalla madre; però fu scritto
dal Petrarca;
r'incitore Alessandro V ira vinse ,
Efel minore in parie di Filippo:
Che gli vai , se Pirgotelc , o Lisippo
L^ intagliar solo , ed A pelle il dipinse?
Ma negli estremi dell'intemperanza quel che eccede nei
piaceri, è lontano assai dalla virtù ; però Marc' Antonio e
Demetrio Espugnatore delle città, che si diedero in preda
a ' piaceri > furono hiaisimati in tutti i secoli e da tutte le
nazioni; e Cesare istesso, il quale
Cleopatra legò tra' fiorì e l' erba ;
ed AnnihaUe al terren vostro amaro ,
ne meritarono riprensione: e do' nostri Princi[(i , Federigo
Secondo e Manfredi suo figliuolo furono riputati per que-
sto carnali e per poco Epicui-ei.E se io non suno errato per
questo eccesso medesimo molti Regni e molte tirannidi fu-
rono gettate a terra eco! fcìTO micidiale estirpate; il regno
di Roma particolarmente cbhe fine ])er radullerio latto
dal figliuolo di Tarquinio superbo in Lucrezia moglie di
Collatino; e Roma dapoi mutò stato un'altra volta, essen-
do governata da Decemviri, per la violenza fatta da Appio
il Bello a Virginia , figliuola di Virginio; e per l'istessa
cagione Manfredi perde il Regno di Najxjll abbandonato
dal Conte di (^as* i t.i suo cognato, il quali* inlianzi alla Itat-
taglia di Ceperan», lasciò il passo da lui guardato, e passò
alle parti di Carlo; e non molti anni dopo Passerino Bona-
cossi fu privato della Signoria, ed insieme della vita da
Luigi Gonzaga e da' figliuoli. Dall'altra parte il difetto
ne' piaceri è celebrato alcuna volta con grandissime lodi, e
quasi con maraviglia, come fu in Senocrate, il quale a gui-
sa d'immobile statua si giacque con Frine meretrice ; ed
in Senocrate, che ncH'istcssa maniera lece vergognare Al-
O DET.I.K virtù' 2^3
cibiadc di se medesimo; ina (juesta fu slupidità filosofica;
e fra queste estremila lodatissiino e il mezzo; laonde Sc\-
pione il Maggiore in Ispagna non meritò minor laude por
la virtù della temperanza , clie per la fortezza e per tante
sue miiravigliose vittorie . Ne' poeti ancora sono stali de-r
scritti il mezzo e gli estremi con molta leggiadria, e con
gran giovamento di chi legge- per farsi esempio dell'altrui
virtù: e particolarmente il Tasso, nostro atMico, ed al no^
Siro secolo Poeta di molta stima e diu-.olta erudizione, n;4
suo Amadigi ha voluto far vergonar questa età della so-
verchia intemperanza; perchè, oltre all'altre sue belle in-
venzijni della selva delle maraviglie, finge che Galaoro per
una incontinenza simile a quella, dimostrata da Ruggiero
con Angelica, perdesse la spada vermiglia, da lui per valo-
re acquistata , senza la qual ; non si poteva dar fine al}' in-?
canto d-'lle selve; ma Floridante, dispreizando la Fatsj che
ignuda lo invitava all'amorosa lotta, usò virtù maraviglio-:
sa , somigliante a quella di AnHSsagora; laonde al fine non
solo si conservò la spadi veriniglia , ma superò gl'incanti
della selva, e condusse a fine molte altre maravigliose avr
venture .
PlGiXATTEr-LO. I Poeli Spagnuoli sono inaravigliosi in
descrivere la lealtà deCavidieri; perchè questa virtù che
voi chiamate temperanza, è lealtà piuttosto e fede in-
violahilmente osservata alla sua donna ; essendo per altro
i cavalieri da loro descritti simili piuttosto agl'intedipc-
ranli , o agl'incontinenti; i quali sono vinti dalle passioni
amorose; come avvenne ad Amadigi, che per un picciolo
ed ingiusto sdegnò di Oriana, si lasciò in preda alla dispera
razione. Ma perchè io lessi alcuna volta, che tutti gii a-
manti sono incontinenti, pregovi che mi dichiariate la dit-
ferenza , la quale fanno i filosofi fra 1" incontinenza e 1' in-
temperanza.
Porzio. Aristotile ed i filosofi Peripatetici, pongono
nell'animo tre disposizioni luudevoli, e tre airincontro
degne di hiasimo. Laudevoli sono la virtù, la continenza, e
la virtù eroica; ma degne di biasimo sono il vizio, l'ior
continetiZa e la ferità; or lasciando da parte l'opposizione,
che è fra la virtù e il vizio, e fra la ferità e la virtù eroi-
0.1^ Il PORZIO
ra, dico , cbe rineoiitinentc è opposto al continente, come
il vinto al vittorioso ; perchè l'incontinente è vinto dagli
nffetti; ma il continente supera le passioni . Vinto è dico
l'inconflnente da quelle passioni, le quali gli altri sogliono
di leggieri superare: ma il continente vince quelle , che
malagevolmente possono esser superate , e nni opera mai
senza perturbazione: ma il temperante ha pacato l'animo,
nel quale la ragione signoreggia a cheto, e senza contra-
sto: si nile è dunque il continente al vincitore di regno
perturbato, o di città ribellata , nella quale i tumulti e le
sedizioni non sono affatto cessate: ma il temperante somi-
glia il Re, che abbia domate le nazioni e soggiogate le
provincia, ed a'popoli pacificamente cotnandi; laonde as-
somiglierei l'animo dell'uomo, o del Princip<; continente,
alla dittatura di Fabio Massimo, o d'altro dicitore, il
quale ponesse freno agl'impeti popolari : ina l'animo del
temperante è simile alla monarcliia di Ottavio, o d'altro
potentissimo Principe, a cui non si faccia ripugnanza, o
contesa alcuna .
PlGNATTELLO. Grandissitjia virtù è dunque la tenpe-
r.'iiza .
Porzio. Grandissima e bellissima certo : ma la conlinen-
za non è virtù, quantunque le s'assomigli, ma disposizione
liuiMCvole, ed alla virtù somigliante; l' int(MTiperanza all'in-
«ontru è grandissi no vizio, e l'incontinenza non è vizio, ma
iticlinazione a'piaceri degna di bi^ìsimo; dalla quale l'animo
nmnnr» oltramisura è perturbato: però dice Aristotile, die
r intemperante elegge, quasi persuaso dal piacere e vinto
dallesue lusinghe, di «(^giirele cose che piacciono, ed eleg-
ge sempre le piacevoli, anziché le oneste e le faticose: ma
l'incontinente non elegge, e non è persuaso, vinto dalla per-
tur])a7-ione, è però inerì reo dell'intemperante, siccome co-
lui, cbe non ha corrotto il principio, il quale nell'intempe-
rante è guasto dal vizio; l'uno e l'altro ha il medesimo og-
getto e la medesima materia, clic sono i piaceri del corpo;
laonde propriaincnle incontinenti son detti gli amanti, i
bevitori, i golosi, e tutti coloro, che dall' uno e dall'altro
senso, del tatto , dico, e del gusto si lasciano sovercliia-
rnente lusingare; gli altri , cbe nell'ira e nel desiderio di
o DELrji: virtù' 2-25
onore edi vittoria sono incoiitiiient.i, non son detti seaipU-
cemente incontinenti , ma con questa giunta incontinenti
nell'ira, nell'onore, o in altro, checcliè egli sia ; però al-
cuna volta meritarono biasimo ; alcuiia lode nell'inconti-
nenza .
PlGNATTELl.O. Io non so, se Achille, o Alessandro fos-
sero giammai lodali giuslanieute nell'ira: ma l'uno ucci-
dendo Calistene , l'altro non sapendo perdonare a'corpi
morti, mi paiono giustamente ripresi.
Porzio. Più biasimevole, senza fallo, estimo l'inconti-
nenza del danaio , della quale a' tempi anticlii furono ri-
presi molti uomini gratuli , per altro lodat issimi e fra gli
altri Pompeo, che seguendo T esempio diSesostri, spogliò
il tempio di Salomone del suo tesoro : ma fra' nostri Re
Carlo Primo e Ferdinando, ed Alfonso Secondo d'Arago-
na , non hanno potuto schivare il biasimo di (juesta incon-
tinenza .
PlGNATIELLO. Se alcuna maniera d'inconlinenza è lau-
devole , sarà peravvenlura quella dell'onore e della vitto-
ria la quale, conte scrivono, fu smisurala in Alessandro ,
smisurata in Cosare; l'uno e l'altro nondimeno trovò
molti , e chiarissimi laudatori della grandezza dell' a-
nimo.
Porzio. E molti riprensori all'incontro, e quasi giudici
severi nell'azioni famose trovarono questi e gli altri nell'o-
nore e nella vittoria incontinenti, fra' quali è chiarissimo M.
Marcello, che cadde negli aguati di Annibale, e dal nemico
medesimo fu seppellito ; e fra'nostri Principi , Carlo Prin-
cipe di Salerno , che sotto simulazione di fuga fu preso da
Ruggiero dell'Oria , presso il lito di Napoli . Ma tacendo
degli altri nostri , l'azioni di Achille furono con amaritu-
dine riprese da Platone; e quelle di Milziade, di Temisto-
cle, di Cimone e di Pericle furono dal medesimo filosofo
acerbamente ripigliate: Filippo fu accusato da Demostene,
Cesare da Catone,- Marc' Antonio da Cicerone; Scipione
medesimo , la cui virtiì superò la fortuna e l'invidia e la
gloria degli antecessori, e la speranza do' posteri, e l' opi-
nione di tutte le genti, a l'espettazione da lui slesso con-
citata , non potè fuggire o le riprensioni di Fabio Massima
Dialoghi T. IH. lì
22,6 IL PORZIO
o il giudizio delTingrata palria, la quale fu indegna della
sua sepoltura .• ma In Scipione il Consolalo, ed il trionfo
innanzi all'età, ed il passaggio di Nicoiuedia, e la guerra
trasportata in Affrica non possono esser riprese come in-
continenze di onore e di vittoria ; perchè da lui tutte le
cose furono adoperate con elezione e con grandissimo con-
siglio, quasi eguale alla grandezza dell'aniino. Ma se noi
ricerchiamo alcuna continenza degna di lode piuttosto che
di biasimo, è senza fallo quella dj Neottolenio , nella tra-
gedia di Sofocle chiamata Filottete, come giudica Aristo-
tile medesimo; perciocché, essendo egli stato persuaso da
Ulisse a mentire, non perseverò nel proponimento, o nella
menzogna, ma vinto dalla sua buona natura, che faceva
ritratto da quello, onde era nato , amò meglio di scoprire
la verità, che di compiacere all'amico bugiardo. Simile
incontinenza fu peravventura quella di Coriolano , il (juale
non continuò nel suo altiero proponimento , ma si lasciò
piegare alle ])reghiere della madre; e se alcuna falsa opi-
nione è degna di biasi.no, degna di lode è l' incontinenza,
per la quale non siamo perseveranti nel primo non laude-
vole proponimento.
PlGNATTEf.T.o . Dunque la leggerezza dell'animo, e
l'inecrtitudine dell'opinioni sono laude voli nell' inconti-
nente?
Porzio. Non assolutamente , rna in comparazione forse
della pertinacia e del pertinace, il quale continua nella fal-
sa opinione, e nella elezione non buona ; perchè pertinaci
sono quelli, che non j)ossono , se non malagevolmente, es-
ser rimossi dalla U'ro sciocca opinione; ma ostinati in sul-
la propria credenza , non sono pieghevoli alle vere ragioni
non arrendevoli a' jtrieghi , né possono per altrui persua-
hione deporre l'ostinata gravezza . Uomini indotti, e rozzi,
e di lor testa , i quali per diletto son pertinaci , perchè si
rallegrano vincendo malvagiamente le questioni, e le riot-
te, spesse fiate con dure parole incominciate; all'incontro
si dolgono di esser vinti, e di cedere alla j-agione , ed al-
l' autorità ; e non altrimenti si perturbano per la vani-
tà delle proprie parole , che se vedessero dispr(;zzata l'au-
torità delle pubbliche leggi, e de' pubblici decreti.
O DELLE VlRTtl' 227
PlGNATTELLO . Se COSÌ spiacevole , e zotico è i! pertina-
ce, mi maraviglio oltremodo, coine Ja Elio Impcraclore
non fusse rifiutato qiK^sto cognome.
Porzio. Propriamenlc noi cbiamiamo pertinacia quella
non lodevole disposizione dell'animo, per la quale altri
nelle non vere opinioni è perseverante, e pertinaci gli uo-
mini spiacevoli , e riottosi ; ma ])ertlnaci alcuna volta son
detti quegli ancora, clic non sono agevolmente rimossi
dalle Inione, e vere opinioni^ la quale è proprietà degli
uomini giusti , come fu Catone , o altro sì l'atto, di cui si
possa afTermare:
Jnstuin , et tenaccin propositi vii-um
con quel che segue .
PlGNATTELLO. Questa sarebbe grandissima virtù, o co-
stanza , degna di Catone, e d'altri, che disprezzassc la
morte per la dignità.
Porzio. Nondimeno pertinacia si domandi propriamen-
te la tenacità , per così dire , di non buon proponimento ,
simile in qualche cosa all'incontinenza , ma in molte dissi-
mile; jiercbè gl'incunlinenti non hanno l'erma opinione,
ma di leggieri la sogliono mutare, e rifiutare , come fanno
coloro, i quali sono dubbiosi, ed incerti ; laonde meritano
scusa, e perdono, se agevolmente cedono a' piaceri ed alia
cupidità: ma alla malvagità non si può conceder per-
dono.
PlGNATTELLO. Io avrei piuttosto creduto che l'incon-
tinente ancora avesse ferma opinione .
Porzio. La ferma opinione, quantunque falsa, come fu
quella di Eraclito , malagevolmente si può rimuovere, e
nella stabilità è quasi somigliante alla scienza ; Socrate
nondimeno, il quale stimò, che tutti gli uomini facessero
le loro operazioni per alcuna scienza, diede bando e cacciò
dagli animi nostri l'incontinenza ; perciocché egli giudica-
va impossibile , che l'uomo, che sappia , ed abbia buona ,
e diritta opinione, operi incontinentemente; avvengachè
ninna cosa sia piìi forte della scienza ; laonde non è ragio-
nevole che la scienza sìa vinta dalle perturbazioni , dalle
quali è superato l'animo dell' incontinente . Ma Aristotile
in parte giudicò diversamente; perchè gli uomini possono
2^5 IL POh/iO
avere in due modi la scienza , o usandola, o noa usandola »
e non ad tperandola , s'iia in i\hho solamente , non in atto;
ed in qiesta guisa è possibile, che 1' incontiaenle sappia ^
ma è impossibile , che eyli abbia la scienza in alto ; oltre-
ciò l'incontinente sa l'universale, ma non l'applica al par-
ticolare: ma chi sta sull'universale, non suole operare,
benché egli potesse sapere la particolar proposizione, la
quale signoreggia quasi nell'azioni, perché è quella , che
ci muove ad operare ; nondimeno non se ne serve , né la
pone in opera, allorché egli è combattuto e vinto dalle per-
turbazioni, le quali sogliono mutare il corpo, non solamen-
te l'animo; laonde l'uomo soverchiato dall'ira é simile al-
l'ubriaco, il quale reciti i versi del Petrarca , o d'altro
Poeta o Sono ancora gl'incontinenti si.mili agli istrioni, i
quali spesso ornati d'abiti reali e superbi , sogliono nella
scena dir sentenze maravigliose e piene di gravità, come
quelle del Tieste di Seneca :
Regtni non fuciunt opes .
Non vcslis T)riae colai' ,
Nonfrontis nota Regiae,
Non auro nilìdac trabes .
Rex est , qui poauit nie.tus ,
Et (Uri mala pcctoris .
E quell'altre, che appresso seguono;
Mens Renani bona possi dct ,
Nil ullis opus est cfjuis ,
Nil arinisf et inerii bus
Telis , rpiac procul ingcrit
Parthus , cuni siinrtlatjìigam.
Adniotis nihil est opus
Urbcs sterne re niachinis ,
Longe sarà rotantibus ,
Rex est , qui nietuit nihil ,
Hoc Regnuin sibi quisque dat .
Nondimeno può avvenire, ch'egli sia uomo timidissimo,
ed in quel punto medesimo perturbnto dalla paura di of-
fendere r aninw de' Principi ; e dalla bocca di un vi-
lissimo istrione, vinto dalla concupiscenza, possono ancora
uscir queste ,
0 DELLE VIRT17' iig
Qu''s(}u!S in primo ubstitit ,
PcpuUtqiic amorem , tiUus , ac victor fuiC ;
Qui hlandiendo dulct nutrivit inaluvi ,
Scro recusat forre , quod subiit , j'ugum .
JN'el riflesso modo ancora l'amante, mentre segue le vesligiA
tlella SUH donna , potrà cantare:
Fuggite amor ; quegli è ver lui più forte ,
Che men s' arrischia , ov' egli a guerra sfida ,
Colà Ve dolce parli , e dolce rida
Bella donna , ivi presso è pianto , e morte .
PlGNATTELLO. Inutile scienza è quella dell'incontinen-
te , ed inutile abito, s'ella non giov'i in modo alcuno al-
l'operazione, e se può avvenire, che egli operi cose con-
trarie a quelle , ch'egli opera colla lingua; laonde, per
inia opinione, a' fanciulli non si dovrebhono insegnar, i
versi di Teognide, o di Focillide ,o d'altro Poeta, che
insieme non s'insegnasse la continenza ; ma niìi maravi-
glioso estimo, che l'incontinente non possa operare incon-
tinentemente-eoll'abito della virtù ; ma con quello della
scienza soglia operare incontinentemente.
Porzio. Le scienze, come ho detto, sono degli univer-
sali, ma nelle azioni è necessaria la cognizione de' partico-
lari , perchè ogni operazione si fa secondo l'ultiina propo-
sizione , la qual comanda nell'azione ; ma perchè non è al-
cuna certezza delle cose particolari , appartenenti a' sensi ,
la qual sia propriamente scienza, non è inconveniente, che
sia gran perturbazione, dove non è oropria scienza ; ma
peravventura dove è la scienza propriamente detta . non è
alcuna soverchia agitazione, ne alcuna incontinenza , come
parve a Socrate; perchè veramente sa colui, il quale sa ap-
plicare gli universali a' particolari, e sillogizzare in tutte le
figure; e gli altri, che argomentano solamente colle pro-
posizioni universali, sono somiglianti a' logici imperfetti ,
che non sanno ridurre tutte le forme de'sillogismi alla pri-
ma . Ma suole alcuna volta avvenire nell'incontinenza , che
Amore, a guisa di Sofista, inganni coli' equivocazione, ed
in altri modi non considerati da Aristotile, de' quali non è
tempo ora di favellare . Or basti dimostrare, come il savio '•
Cav.iliero dt^e congiungere la particolare all' iiniversale
S>.3o IL PORZIO
proposizione, in questa guisa: La mortesi dee elegger
nelle belle, ed onorate occasioni, ma questa di ditender la
Patria è onora tissiiuaj adunque dee eleggersi. Ovvero; I
soz^i diletti deono essere fuggiti; questo è bruttissimo;
adunque dee fuggirsi. E particolaruiente nelle cose iippar-
teneiiti a' piaceri si dee in questa guisa sillogizzare con-
giungendo gli uìiiversaii co' particolari, perchè il continen-
te e r incontinente si dimostra ne' piaceri , come il costan-
te , e l'effeaitninato ne'dolori; laonde propriamente con-
tinente è colui, the supera i piaceri; propriamente costan-
te, chi resiste a'dolori: ma il molle e l'effemminato cede
a! dolore, siccome l'incontinente al piacere , ed a quello
particolarmente , che è obietto de' due sentimenti del cor-
po più materiali, de'quali si trovano in somma due manie-
re, siccoine due specie d' incontinenza , l'una delle quali
è temerità , l'altra infermità; perchè alcuni , avendo fatta
deliberazione, non si fermano nelle cose deliberate, vinti
dalla perturbazione, come avvenne di Didone, la quale pri-
ma avea detto :
Sed tnihi , vel tellus optem , prius ima delti scat ,
Vcl pater oinnipoLens adigat me fulmine ad umbras ,
Pallentes umbras Èrebi y noctsmq uè prof arida m;
Ante, pudor, quam teK'iolem,aut tua j ara rcsolvam.
Jilc meos primus , qui me sibi juiixit , amores
Abstulil , ille habeat sccwn , servetque sepidcro .
Nondimeno poco stante:
Uritur ìnfelix Dido ^ totaque vagatur
Urbe fureiis , qualis conjecta cerva sagilta eie.
Altri non eleggono con deliberato consiglio , ma sono quasi
colti all' improvviso , e vinti dalla perturbazione ; e fra
questi fu Canace, come si legge nell' Epistole di Ovidio:
Cur unquam plus me frater , quam fratcr amasti y
Et tibi non , debet quod soror esse , fui ?
Jpsa quoque incalui , qualemque audire solebam ,
Ncscio queni sensi corde repente Deum .
Fugerat ore color , niacies adduXerat artus .
Sumebant minimos ora coacta cibos,
Nec sonini faciles , et nox erat annua nobis ,
Et gemituni nullo laesa dolore dabani :
O DELLE virtù' 23 I
Nec dir hoc facevein , potcram mihi recidere causam ,
JVec noraiii (juid ainans csset , af illud erani .
Vj fra'rjioclesiiiii si può ripori'e il nostro Poeta Toscanojclie
disse di se medesimo :
Tempo non mi parca da far riparo
Cantra i colpi di Amor , però n'andai
Sccur senza sospetto .
K tanto basti aver detto intorno a queste disposizioni del-
l'animo, ed all.i diilVrenza , che è fra loro , perchè l'incon-
tinenza ferina , la (|a;t!e è o per natura , o per consuetudi-
ne, o per morbo, sarà prravveiitura materia d'altro ragio-
namento: or si rimanga , non dirò fra le donne gravide, né
con gli uomini niaravvezzi negli agi, e nello morbidezze
d'Italia, ma fra' Scili e fra' Tartari, o fra' Cannibali e fra le
altre barbare nazioni di nuovo ritrovate , fra le quali è pe-
ra v.ven tura , non altrimenti , che già tosse fra quelle fiere
nazioni, che abitavano intorno al Ponto, come dice Aristo-
tile , o fra gli Essedani , e gì' Ircani , e i Caspj , e i Battria-
ni, e i Massaggeti. Or dell'umana incontinenza ragionan-
do, posso afTermare senza dubbio, ch'ella non può in mo-
do alcuno accopj>iarsl colla prudenza , perchè il prudente
è di buoni e laudevoli costumi , e idoneo all'operazioni,
ma r incontinente non lia alcuna altitudine alle operazioni;
benché egli abbia abilità , e quantunque non sia maligno,
siccoune colui , clic non la mala elezione, participa dellct
malignità, e per così dire , è rnezzo maligno: laonde l'ani-
mo dell'incontinente è assomigliato ad una città , la quale
abbia buone leggi , ma non adoperi, ne giudiclii se!.fmdo
quelle. Il maligno rassomiglia una città governata con ma-
le leggi; e questi, come abbiamo detto dell' intemperante ,
è incurabile: ma l'incontinente si può curare non malage-
volmente, e fra gl'incontinenti, quelli si curatm di leggie-
ri,! quali sono sì fatti per consuetudine; gli altri per ivi-
tura incontinenti , malagevolmente possono esser medicati
dalla filosofia, curatrice degli animi, perchè è più malage-
vole il mutar la natura, clic la consuetudine: anzi la con-
suetudine dinicilmente si muta, perchè è quasi un'altra
natura , come disse Evenio Poeta ;
UsLis loiigu9 mas est , et nieditatio crebra.
232 IL PORZIO
Hunc tandem ussero naturani mortulibiis esse .
Fra tutti grincoritiiieati adunque possono agevolmente es-
ser guariti quelli , che sono sì fatti per usanza, ne'quali
come spesso abbiam detto, non è corrotto il principio nel-
l'aniaio, e ( s'io non sono errato) la buona disposizione
naturale, la quale è conservata dalla virlìi, guasta dal vi-
zio, ma negli atti, e nelle operazioni è principio il fine ;
quello dico, por cui sono fatte tutte le altre cose, il quale
non si può dimostrare con argomento: ma è come le sup-
posizioni de' matematici, non s'insegnau') con alcuna ra-
gione ; ma la virtù o naturale , o per consuetudine acqui-
stata, è cagione , che abbiamo buona opinione del princi-
])io. Il vizio corrompe il giudizio del principio, non altri-
menti, clie faccia il Morbo Regio la vista in guisa, che
riufermo stima di vedere le cose di quel medesimo colore
del quale egli è infetto ,• e come che questi si vanamente
opinanti, siano fra loro contrarj, nondimeno tutte le muta-
zioni si fanno tra contrarj ,• può il tempeiante divenir in-
temperante , ed all'incontra : non altri'uenti, che si legga
in Plutone, che de' vivi si facciano i morti, e de' morti i
vivi.
Dottore . Veramente i viziosi sono morti nel vizio ;
laonde l'anima del vizioso è simile al cadavero, e racqui-
stando la virtù, risuscita quasi aduna nuova vita. Ma que-
sta è materia Teologica , anzicbè no .
Porzio. Morale, non solamente Teologica , e la filoso-
fia de' costumi non contradice alla Teologia r ma ora non
abbiafjio tempo di quistionare , che io sono stanco del ra-
gionare, e voi, per poco, dell'ascoltare.
PlGlvATTELLO. l vostri ragionan)enti non possono esser
rincrescevoli. ne sazievoli in modo alcuno, ma voi per gio-
vatucnto, e piacer di noi siete forse il sovcrcliio gravato;
dite dunque quanto vi pare ,e come vi pare, che tutto ciò
che a voi non sia faticoso d'insegnarne, a noi sarà oltra-
modo caro d apprendere, ed a me particolarmente, per-
chè il Signor Dottore non lia gran fatto bisogno d' impara-
re, o non da altri, che da voi solo che sete il maestro di
color, che sanno, laonde io per essere in questo numero,
volentieri sarei annoverato fra gli altri della filosofica fa-
miglia .
O DELLE virtù' 233
JPOT\ZlO-Già abbiamo concbiuso, cbe l' incontinente
non possa esser prudente; e ciò per opinione di ;Vii^tulilc;
dunque il prudente sarà continente.
PlGNATTELLO. Questo mi pare assai ragionevole .
Porzio . Ed all' incontro il continente sarà prudente .
PlGNATTELLO. E questo ancor mi pare, cbe sia detlo
con molta ragione.
Porzio. Ma se il prudente sarà continente, non sarà tem-
perante) percbè la continenza è disposizione, e quasi strada
alla temperanza: ma alcuno nel medesimo tempo non può
esser nella disposizione, cbe precede l'abitOjC nell'abito, già
confermato , siccome è impossibile , cbe sia nel cammino >
e nell'albergo, e nel corso, e nelle mete; laonde ne segue,
cbe non potendo esser la prudenza congiunta colla conti-
nenza , e colla temperanza , sia con una di loro solamente;
e con qual piuttosto?
PlGNATTELLO . Colla temperanza , se io non sono er-
rato.
Porzio. Senza fallo, percbè la prudenza è congiunta
con ogni virtù, ma la temperanza è virtù, e questo modo
è un modo di congiungere le virtù , quasi anella insepara-
bili in una catena assai più cara , e di maggior pregio, cbe
se fosse d' oro, o di diamanti .
PlGNATTELLO . Dunque cbi ba una virtù, 1' ba tutte?
Porzio. Per opinione d'Aristotile si prova in questa
guisa: niuna virtù può esser senza prudenza, percbè la
prudenza, o la diritta ragione è quella , cbe dimostra il
mezzo: ma cbi ba la prudenza , l'ba tutte; e peravventura
le virtù sono congiunte come gli elementi in quest' ordine
delle cose , e quasi catena dell'universo, percbè la terra
rincbiude in se medesima l'aria, e l'acqua ; e 1' aria parte-
cipa dell'acqua , e 1' acqua dell'aere , il quale è quasi me-
scolato col fuoco : però soleva ricbieder Socrate a Prota-
gora appresso Platone , se la santità fosse giusta , o ingiu-
sta; non ingiusta, dunque giusta la santità, e la giustizia
santa; ed in questa guisa si può ancora , per mio avviso
affermare, cbe la giustizia sia forte, e la fortezza giusta , e
magnanima, e forte la magnanimità . Questi sono i modi ,
cp' quali si può dimostrare , cbe le virtù siano inseparabili?
^34 ir. •ponzio
e corii^iante insieme a g lisa ili anella nella catena ; e V una
opinione fu di A.ri.stotile , l'altra di Piatone, anzi pur Tuna
e l'altra deriva da Piatone, e da Socrate; il quale soìeva
quasi confonder le virtù, clic erano distinte da Protagora,
e ridurle in una solamente, differente piuttosto di itiateria,
che di forma; e ciò soleva provare con questa proposizio-
ne. Unum uni contrariwii ; perchè essendo a tutte le vir-
tù contraria l'insania, ne segue, che tutte le virtù siano
una . A questi nodi , e quasi legami della virtù , 1' uno ri-
stretto dalla prudenza, l'altro dalla conformità , eh' è fra
ciascuna , il terzo dall'unità de'contrarj , si possono ag-
giungere gli altri dell'obietto, e del fine: ma come piace a
Sant'Agostino, l'amore è saldissimo nodo , il quale con-
giunge insieme tutte le virtù , le quali a me paiono non so-
lo diverse di materia , ma di firma; altrimenti non avreh-
bono varie definizioni , soinig'ianti nondimeno, in quella
guisa, che le Ninfe sono descritte da Ovidio:
Facies non omnibus una,
Non diversa tanica , qualeni dccct esse sorores .
Dottore. Questa fu senza lìillo opinione degli antichi;
nondimeno altri scrittori di gran fama hanno riputato al-
trimenti, come Tito Livio, il quale parlando di Annibale
disse, Cuius ingentes virliUes ingcatia vitia aequ-ibant .
E Carlo Secondo Re di Napoli , per la sua regia liberalità,
chiamato Alessandro Secondo, nella sua vecchiezza, per
testimonio degl' istorici , fu troppo stemperato nell' amore
delle fanciulle; taccio di Federigo, e di Manfredi, e degli
altri somiglianti. E fra più moderni Teologi , Soto con
molte ragioni si sforza di sciogliere i nodi, ed i legami del-
la virtù , e le ragioni sono queste: e prima , se gli abiti
della virtù si acquistano con molte azioni, può avvenire
di leggieri, che alcuno più esercitandosi nelluna, che nel-
l'altra, non r acquisti tutte insieme . Oltrcciò , se la con-
nessione, ed il legaincnto della virtù fosse necessario, sa-
rebbe nella sua deiiuizioiio: ma non è n -Ila definizione ;
dunque non è necessario. Appresso usa quest'argomento;
se per la costituzione della virtù, fosse necessario il nodo,
ed il legamento, ne seguirebbe, che ciascuna virtii fosse
forma dell'altra, e ch'ella forse virtù , priuia che fosse vir-
O DELLE VIRTÙ' 235
tù. Anzi niuna sarebbe la prima virtù, o piuttosto non sa-
rebbe la virtù, e questa sua con seguonza si dicbiara agevol-
mente ; perchè se l'ima virtù non può esser senza l'altra ,
la temperanza avrà dalla fortezza l'esser di virtù, ed all'in-
contro la tortezza dalla temperanza ; però la fortezza sarà
virtù , prima che sia virtù , anzi non sarà virtù, e non sarà
alcuna virtù , percbè 1' una suppone l'altra, e dall'altra* è
presupposta ; però sarà prima di se stessa, e da poi , il cbe
è injpossibile. Per queste, e per altre ragioni egli conebiu-
deva , cbe ciascuna virtù non era necessariamente legata
coll'altra, ma colla prudenza solamente, e con quella par-
te della prudenza, che a lei appai*tiene ; come la tempe-
ranza è legata con quella parte della prudenza , la quale
considera le azioni pertinenti alla temperanza j e l'istesso
concludeva nelle parti della prudenza cbe l'una possa es-
sere disgiunta dall'altra; putendo avvenire che alcuno sia
esperto nelle cose civili, ma non nelle cose famigliari; o
pratico nelle private , ed inesperto nelle pubbliche.
Porzio. Il discioglierla lega della virtù è dannosa ope-
razione, come sarebbe quella di separare la concordia dei
buoni Principi, i quali sono armati per la salute universale;
però dobbiamo cercare di ristringer questi nodi , e questi
legami. Dico dunque, cbe le virtù imperfette , o non com-
piute , cbe sono le natie , e le naturali proprie di ciascuna
parte dell'animo , non hanno fra loro alcuna necessaria
congiunzione, ne con quella parte naturale dell'animo , la
quale è detta abilità , e per rispetto della prudenza è tale ,
quali sono le virtù natie verso le morali ; laonde il separa-
re la congiunzione di queste virtù non è malagevole , e fu-
rono peravventura separate in Annibale , e negli altri , e
possono ricevere la compagnia di alcun vizio, anzi di mol-
ti vizj, come particolarmente si legge di Annibale in Vale-
rio Massimo: 7Vb/i/je bellwn adversus populum Ronianuni
et Italiani professiis , a elicer siis ipsamjideni acrius gessi t?
mendacia , et fallaciis , quasi praeclaris artibus gau-
dens? quo evenit ut , alioquin insignem iioniinis sui me-
moriam relìcturus in dubio, inaiar ne, an peior vir haberi
deberet , poneret .
PlGNATTELLO. In questa guisa Annibale non si curò
■236 IT. PORZIO
d'esser huono: ma d'esser grande, e per acqnisinrsi gnui-
dezza , e fama , coliegò tiiUi i vi/j conlro la (bdo la qua!
suo! collegare tutte le viiiìi
Porzio. Perawentura b congiunzione de'vizj non è
così agevole, come è quclia delle virtù , perclic le virtù si
conservano l'una l'altra , ina i vizj si distruggono; laonde
non fi può trovare alcun uomo affatto vizioso, senza alcu-
ni virtù, o apparenza almeno di virtù: ma de'vizj avviene
quel , cìie suole avvenire della compagnia de' ladroni, e dei
corsari; la quale non potrebbe durar lungamente, se alcuna
giustizia, alineno apparente, non la conservasse. Difficilis-
si.no è dunque il ritrovar tutte le virtù nell'animo; ma im-
possibile il ritrovarvi tutti i vizj.-ma perawentura tutte \e
virtù si possono ritrovar congiunte nella prudenza e nella
sapienza, come effetti nella sua caus;», e come raggi nel So-
le, laonde nel savio e ne! prudente sono tutte le virtù; ed
acquistandosi la sapienza, e la prudenza, si acquistano l'al-
tre agevolmente; perciocché dalla contemplazione di Dio,
e delie cose divine, tutte sogliono derivare, come fiumi dal
proprio fonte ; ed in questa guisa all'acquisto di tutte le
virtù, non è necessario il particolare esercizio di ciascuna,
né impossibile l'esercitarsi in tutte. E quantunque l'una
virtù aggiunga perfezione all'altra, e sia quasi bisognosa
1 una dell'aiuto dell'altra, non avviene però che l'una sia
forma dell'altra , o prima di se stessa o dapoi; o ch'ella
non sia virtù : ma come nelle scienze è lìecessario l'aiuto
vic'^ndcvole, e la cognizione, così avviene nei le virtù, nelle
quali alcune son prima , alcune poi per diversi rispetti: ma
a-solutamente é prima la prudenza; e la sapienza è quasi
forma di ciascuna . Siano adunque stabili i nodi della virtù
ed indissolubili, come catena di diamante; ne sodi qual
monile più bello possano ornarsi gli animi generosi né qual
Torciuato riporlasse mai più onorate spoglie, né qual sia
più nobi! vittoria , o y)iù glorioso trionfo di quel , che si a-
cquista debellando i vizj. e ponendo il giogo alle passioni
dcll'anitno indomito, e smoderato. E se altra contesa ci ri-
mane co'nemici esteriori, nelle sanguinose battaglie, con
questi esercizj, e con questi ornamenti potrete sperarne si-
curissima vittoriane con quest'ordine delle virtù congiunte
O 1)EM,E VlKTU' iS-J
e quasi sclìierate appicndere più agevolmente le varie for-
me dell' ordinanza ruilitare , e meglio conservarle con ani-
mo intrepido ne' pericoli , e nella morte, ricordandovi ab-
sai spesso di quella sentenza;
Breve , et irreparabile tempits , etc.
IVon si sdegna, non si sdegna la virtù di scender dal Ciclo,
e da'regni intellettuali in questi, che sono sottoposti alla
fortuna .- e di coiJibiitter quasi in servizio di noi mortali,
per sottrarci alla morte, ed acquistarci l'immortalità; non
si sdegna di prender l'arme, e di circondar l'esercito di
vitllo e di fusse, e di maneggiar talvolta i più rozzi istru-
nienti, e di fabbricar le fortezze, i porti, le navi, gli arse-
nali e le macchine militari, difendendo le citià dall'impe-
to de' nemici, siccome colei, che ha per fine 1' operazione,
e non si contenta dell'ozio: anzi s'ella potesse a voi dimo-
strarsi, quasi per macchina, come suole nelle scene e nei
teatri, non vi somiglierebbe quella Religione formidabile:
Quae caput a Codi regionibus ostenclebat
Hor ribili super aspcctu mortalibus instans ,
ma con aspetto insieme placido e severo, che assicura
tenza spavento, direbbe con alta voce; Io, che sono di-
vina con Dio, ed eroica con gli Eroi, immortale con
gl'immortali, soglio congiungermi a voi mortali, e di-
venire umana colla vostra umanità ; e discendo a voi dal-
la luce alle tenebre, 'perchè non vi sia grave d'ascen-
der meco, quando che sia. Discendo, perchè ascendia-
te, e mi fo umana, perchè divegniate divini, e celando la
mia divinità , mi vi dimostro in varie forme ed in varie
maniere, e mi adopero nelle opportunità e ne'pericoli dei
miseri mortali, per trarli di errore e di periglio, e condur-
gli alla pace, ed alla gloria di una vita felice, ed eterna.
PlGNATlELLO. Il Signor Porzio non m' ha voluto la-
sciar ingannato del fine, al quale tutti dobbia.'no aspirare.
Ponzio. E voi |)articolarmente, desto non solaìuentii
dalle voci della virtù, ma dall' esempio de' vostri maggio-
ri, de'quali sono molte gloriose nìemorie in Italia ed in
Grecia , dove acquistaronsi il cognome. Ma io ho con essa
voi ragionato della virtù assiii famigliarmente, e quasi pi)-
polai'mente, tacendo non solo delli Religione; e della Fc-
a38 IL PORZIO O DELLE VIRTU'
de, e della Pietà, e delle virtù Teologiche; ma della vir-
tù eroica, della quale sì possono lodare i vostri antecesso-
ri, e quelli di alcuni altri Signori di questo Regno. Il Re-
gno ebbe veramente il nome, e quasi la dignità, e la co-
rona dalla virtù eroica de Norniandi , che ne scacciarono i
Saracini ed i Greci , che prima l' avevano occupato , e ri-
tornando vittoriosi dalla guerra dell'Asia, dal conquisto di
Terra Santa, dirizzarono nuovi ti'ofei sovra il lido di questi
mari ; laonde sarà sempre gloriosa la memoria di Boemon-
do, di Tancredi, di Riccardo, d'Aristolfo e di Giordano ,
a' cui successori manca piuttosto la fortuna , che la gran-
dezza dell'animo a E.e conveniente .
ALMOf/rO ILLUSTRE
SIGNOR PAOLO GRILLO
MIO SIGNORE OSSERVANDISSIMO
IVI otto illustre Signore mio: né speranza di premio dt^
siderato, ni: gratitudine di ricevuto dono possono più
movermi della vostra nobiltà , e della virili , per la qua-
le io vi ho stimato meritevole di onore e di laude : laon-
de ora vi dedico questo mio Dialogo degli Idoli , quasi
un certissimo segno dell' opinione che io porto ; acciochi^
leggendolo veggiate in qual guisa piìi convenevole si pos-
tano lodare i padri e gli avoli de' Principi e degli uo-
mini illustri nella Repubblica , nella quale il valor dei
vostri maggiori è stato risguardevole molti centinaia
d' anni risplendendo come oro finissimo , che non patisce
alcuna ruggine per l'antichità. Piacciavi dunque, Si gnor
mio, d' accettarlo in vece di statua, perdi egli sia tanto
pili durevole cV ogni opera, che facciano gli scultori ^
quanto meglio si conserva la memoria nelle scritture ,
che ne' marmi, o nénietalli, e vivete felice .
Di V. S. M. Illustre
JJfezionatissimo Servitore,
Tonar Aro Tasso.
IL CATANEO
OVVERO
DEGL' IDOLI
DI A LOGO
ARGOMENTO
iVL (ììirizio CfìtaiuO , che dà il nome al presente dialogo , e che vi
9 pel primo imi aduno a discorrere , fu un gemiliiomo Bergamasco
viriuosissimo ■ JSclia sua prima gioventù , for%e con animo di darsi
al mestiere dell' armi, si acconciò in Roma con un capitano . Non
passò tuttaiolla guari tempo che , essendo costui uscito di vita ,
alle rose del Joro ei si volse, ed a sollecitare le cau^e. In sì /atta
professione poi continuò Juiché nel i53fi ricliianialo in patria dal
iOialiere Giovai! Girolamo yl lOani , che deillu Rrpnbbliia di J'c-
nczia era stalo eletto Cottnteral Generale , entrò al suo scnizin in
qualità di segretario . Con quanta lode odempi'ise egli al proprio
ufficio in ogni grado, che cjucl magnanimo Signore sostenne , e pur-
ticolarmcnlc nel Cardinalato , a cui fu pnniosso dal Santo Pontefi-
ce Pio V . r anno i '170 , non e a dirsi : basti il sapere che io esercitò
per trentacincjue nnrù. Non è dunque vero [^siccome nota il Sera S'
si) ciò che asseriscono^ il Manso, il Casoni, il Rarùato ed il Rotta-
ci , di egli sia stato precettore e custode del nostro Tasso nella sua
giovinezza , sebbene come concittadino ed amico del padre lo abbia
costantemente amalo ed in ogni maniera favorito . li Cardinale san
padrone, venato a morte , lo lanciò assai comodo e ben provcedìi lo-
di entrate ecclesiastiche : delle qaali nondimeno ei fece molto buon
uso, poiché per la maggior parte spendtvale in elemosine. Vis-
se fin oltre all' ottdniacinqiiesirno anno, e morì in Roma a' 2
di Febbraio del ifin . Gli altri due interlocutori sono il Ta^so
medesimo sotto il suo solilo nome di Forestiero , ed /Jlcssan-
dro f^iielli, nobile e dolio giovine Romano, clic di esso Tasso
era amicissimo . NeW introduzione al colloquio, udendo Torquato
come gli altri due si maravigliavano eh' ei non si fosse mos<:o a cele-
brar co^ suoi versi le vittorie ottenute in quel torno da' Cristiani so-
pra i T'archi , adduce in isciisa del suo silenzio e la soverchia gran-
dezza del siiggetto, ed il dubbio dir le sue scritture non e versero al-
cuna stabilità /4l che opponendo il Cn tanca che i fori della poesia
sogliono essere perpetui , e che perciò bene fn chiamalo Omero sem-
pre fiorito , e che pur bene e convenevolmente senza molto dilungar-
si da tale iiTmiagine , disse il Caro di tesserne corona a' F^alesi ed
T III Dialogìii 16
242 IL CATANEO
n farnesi ; il fitelii prende occasione di c-ntrnr neììr lodi della,
canzone di questo poeta, ove appunto è ciò detto, e di mentovar
anche il paragone, cìie per alcuni se ne faceva, con itn inno di Pier
lìon sardo celebre poeta Franzese , ijuusi per provocar il Tasso n
dare sopra di essa il parer suo. Questi allora di fatto, dopo aver
notato come amendue que' componimenti altro in fondo non con-
tengano clic una comparazione Jra le famiglie de' f'^alesi e de' Far^
Tiesi,e gli Idoli o Dei de' Gentili , volgesi ad esaminare se essa
comparazione sia o no riprovevole , e quale dei due paeti nel farla
abbia meno sconvenevolmenle adoperato . Quanto al primo capo ei
conchiude che l' aver ricorso a quegli Idoli o Dei per onorare i prin-
cipi Cristiani ìion è artificio conveniente a poeta de' nostri tempi e
della nostra religione; e quanto al secondo , che il porta Franzese
nella elezione de' concetti è stalo pi ìi giudizioso dell' Italiano . Nel
restante poi del dialogo le cose che tutti e tre insieme gli interlocu-
tori ragionando , si vengano a dimostrare, sono : che non è dicevole
ti nostri poeti non solamente ciò elicsi è detto, ma nemmeno il com-
parare alcun principe Cristiano con alcun semidco,o eroe, o principe
Gentile : che se pur vuoisi l'are il paragone, debbono sempre a que-
sti essere anteposti i Principi fedeli : die anche questo paragone per
altro non si dee dare se non nelle virtù de' costumi : che ove in esse
Josse stalo maggiore il Principe Gentile del Cristiano , baita che il
poeta mostri la virtìi del lodato simile al vero : che le virtù de' tra-
passati possono essere senza biasimo accresciute : che le varie specie
delle poesie debbonsi distinguere e compartire secondo le varie ma-
niere de' governi : che le sole paesi' amorose non convengono ad al-
cuna forma di pubblico reggimento : ch'elle sono particolarmente
pericolose ai giovani: che f anima affettuosa è quasi un tempio
d' idolatria : che perciò decsi cercar di purgarla: che il principio di
questa purgazione è i assomigliarsi a Dio : clic questo assomigliarsi
si fa colla fuga del vizio : die oltre alle virtìi civili ed alle purgato-
rie sono necessarie quelle dell', animo già purgato, e soprattutto le
esemplari : e finalmente che la coiileinplazioue /« l' ultima purga-
zione dell' anima , togliendo da essa l' ultimo simulacro che le resti
nel mondo , cioè quello dell' umana azione , e la guida all'eterna
felicità .
Fu composto dal Tasso questo dialogo nello Spedale di Sani zin-
na in Ferrara l' anno i SS.» , e vanne poi alla luce nell' anno dopo
in f'cnezia, insieme colla quarta parte delle sue Rime e Prose , par
le stampe del Vasalini, dedicato dal Tasso medesimo a Paolo
Grillo , Cavalier Genovese splendidissimo, e fratello di quel celebre
Padre Don Angelo, che tanto si adoperò per la sua liberazione. Nel-
la libreria Ducale di Modena se ne conseri>a l' autografo .
o degl'idoli 243
INTERLOCUTORI
MAURIZIO CATANEO, FORESTIERO NAPOLETANO,
ALESSANDRO VITELLI.
CatANEO . Vupsta fonte, quantunque non sia quella
Tnn rovi gì iosa di Tivoli , ne alcun'altra, la quale o per ar-
tificio della natura, o per natura dell'arte divenga pivi
famosa a' tempi nostri , amici di novità , può nondimeno
col mormorio dell'acque invitar le vostre Muse a cantar
sotto l'ombre degli alberi, cbe son già rivestiti .
Forestiero. Anzi piuttosto addormentarle colla dol-
cezza del suono; se ptire con altro più dolce elle non fu-
rono prima addormentate .
Vitelli. Profondo fu veramente il sonno, poiché noi
ruppe il romore di tamburi e di trombe , e lo strepito
dell' armi , e l'annitrir confuso colla voce de'soldati , e il
mormorar de' venti , e dell' «inde percosse da'remi, rd
aperte colle prore delle navi già vittoriose; ed il rinibom-
bo dell'arfiglieria , cbe turbava 1' aspetto del mare , e il
facea parere più fiero e più spaventoso.
Forestiero. Io son Tasso, e però non è maraviglia
cbe, oppresso dal mio sonno naturale, non oda i piccoli
strepiti ; ma quel fu così grande, cbe l'udirono quelli an-
cora , i quali abitano oltre le colonne d'Ercole , ed oltre
gli altari d'Alessandro; né pesce è tra' più secreti scogli o
dell'Adriatico, o del Tirreno, né augello fra i rami degli
alberi , né fiera nelle speloncbe , e quasi non è corpo mor-
to nella sepoltura, cli'egli non l'abbia risvegliato: e se
mi fosse lecito di accrescere , quanto pare cbe si ricercbi,
la grandezza di quella azione, direi cbe l'anime de' Gre-
ci Imperadori,e degli altri gloriosi, i quali esposero la vita
per liberar la Grecia , siano state commosse quasi da an-
gelica tromba , ed aspettino col fine di così ingiusta e cosi
miserabil servitù, cbe l'Aquile ritornando a que'nidi ?n-
licbi, da'quali prima spiegarono' il volo, ricoprano col-
l'ombra dell'ale non solo Costantinopoli ,ina 1' uno e Tal-
244- II- CATATvEO
tro Imperio , e l'uno e l'altro Einisfero . Riinnngo nondi»
meno slordito dai soverchio suono, coir.e i^li abitaloi i del-
l'Egitto, laddove cade il Nilo d'alto piecipizio: e se pure
è piccola questa coiupara/^ione, econviene che io Uii levi
di terra per trovar similitudine ch^- le si conv(^nga . L'ar-
tnoiiia che tanno i corpi celesti movend )si non riempie ì
sensi aiiiameole di quel che ahhi.i titto quella di tanti
Versi , e di la ite prose in tante lin^u>' , con tanti stili, e
con t;-nta t',;licità de' 1 -dati, e del )daturi; con tanta yloria
de't Iphrati e de'ceh bratori .
\ UFI. LI. Voi dunque solo pareste muto nell' armonia
del oioiulo .
FORESTlKno. IVIuto no, percliè fui tra i prìaii, che ] re-
grassero Iddio per la vittoria de' Cristiani . \-è poi ri 'asi
fra gli ultimi die il ringrr.^iasseio; nta dubitai di sciiver
le sue laudi , e le sue grazie .
Vitelli, La vostra voce dunque si disperse ne' venti.
Forestiero. Non si disperde co>a , - In, non SI petda ,
né si peid «no eju die voci, che port.no n Dio !e nostre yre^
ghi' re: ma suspicai che le carte non t'ossero , come . ..re-
re del mare, le quali picciol te -ipo ritengono i vestigj im-
pres'^i ; o di non iscrivere in to^li soiniglianli a ffiglie dì
^•"ibilia, perchè ninna stabilità hanno le scritture che non
siano fondate sulla scienza di coloro, che scrivono: e l'al-
tre se ne v;mno come ])iuine all'aure del favor popoLre ,
ed alia grazia de'Priiici[)i , che passa , come fiore di Pri-
ma vera.
CatA\E0. I fiori delia Porsia sogliono essere perpetui ,
però qualunque si fosse quel ])OPta de' vostri, il quale ehia-
iiìò O ocro seìupre fiorito , usò l)ella e convenevole trasla-
xione . E bene, e co'ivenevolmente senza dilungarsi molto
d.i questa itiiita^ione disse il Caro , di tesserne corona
a'Valesi ed a'Farm^si: e fo di lui volentieri menzione,
perchè se egli fosse vivo, a' gran fatti de" Principi grandi
non mancherebbe grande, e inaraviglioso commendatore.
VllELLl . Co>ì dicono molli, i quali non vogliono, che
alcuna canzona latta nelle nuove imprese, e nelle moderne
vittorie si possa agguagliare a quella , nella quale è cele-
brato Enrico Re di Francia .
O T>E(U,' laOLt 'i45
Fol^ls^TIF.RO . Se 'a vostra opinione è simile al parere di
fcostoro , non ardisco di ripr ^Vdi la , q"aiiturique giiiditasse
nltraii.cnte il Casfelvetro: ]fercliè a' nubili 8Ì dee credere
nelle laudi do' tiobi'i .
VlTEiJ.l. N )i il nio niudizii) , ma qnftl di molli Piinci-
pi , dii' quali fu nilto on rito, il potevn far sicuro d;i tri-
li i biiisimi , e da tutte le opposi/ioni . tra cui uuu si , i la
tanto alcuna, quanto il parai^one del buon poota Franz se,
che-lod' similmente i ReaU di Francia .
Foresi lEttO- Grande incontro gli diede il Castel vetro, e
sentenza finale.
Vitelli. Tuftavolta mn è andata iiinanzi: i li'igirìti di
lingue diversi, e nati s' Ito v;ir) Pruicipi non sono si ili an-
cor;' giudicati al trìljiìn.do mediasi. no; o piultisi ^ colla di-
Vcrsilà de' favori non fu riconosciuf.» ])ià I" ■■ceni!» i.'za del
priuiO. cbe del secondo: né sa qua'^ii • aia fatto questo
giudicio
FoR'.si i;:no. Ce ne starc'uo dunque frattanto al parere
del C -lei Vetro , o pure il richiameremo in dubbio, mara-
vij^liai'doci cbe l'uomo acuto, il quale avea tanto hi isj-
matu il Caro, pt;rcbp avca cbia nati Idoli i Valesi e i Far-
nesi , l'i'O s accorgesse cbe tutta la canzona, o piuttosto
auiendii • Id c-.in/oiii dell'una e dell'altro poeta , altro qua-
«i non eontenesiero, che il paragone fra le fauiigliedi que-
sti Signori , e g'.'M ili antichi, se pur Idoli vorremo chia-
mare gli Dei de'ticntiii; p robe Idoli son propriamente
l' iri.inagini , n^llp q\i>!i erauo adorati d:i! volgo sciocco ,
cbe non s accorgeva d'Hin^aun-^ , ed attribuiva alla crea-
tura ^ quel cbe è proprio del Creditore: ma co nunque gì
cbiamin(», le co ';p •sizi'^ni sì fatte non accrescono grandez-
za alle cose laudate; ma piuttosto pare cbe loro tolgmo
autorità e riputazione: e se pure fanno qualche onore, il
fanno di quella sorti-, cbe è meno conveniente.
Cataneo. Niuna cos.i peravventura ha fatto il Caro, cbe
non l'abbiano fatta altri poeti fauosi , ed aUri più vene-
randi scrittori cbe sono i poeti; percbè a' tempi antichi
Gregorio cognominato il Teologo, in una Orazione sovra la
morte di B isilio .Magno suo compagno, la coioparazione
fra la sua stirpe, e tjuella de" figliuoli di Pelo^^e, di Cecro-
246 IL CATA.NEO
pe , d Alcmena , e d'Eaco, e d'Ercole, le qu;»li si credeva
che discendessero da Giove ^ laonde non è molto dissimile
in questa parte al poeta Franzese, ed al Toscano, che ag-
guaglia i figliuoli di Francesco a'discendenli di vSaliirno.
FoPiESIlERO. A me non dispiace che si faccia la simi-
litudine, ma ch'ella sia fatta nel modo usato da' due poeti,
ed approvata dal giudice loro: perchè la grandissima laude
nelle famiglie reali è congiunta con quella degl' Idoli, o non
discompagnata almeno dal loro vituperio, come si può co-
noscere in molti luoghi, ed in quello particolarmente;
Di questa madre generosa e chiara ,
Madre ancor essa di celesti Eroi ,
Regnano ogg'fra noi
D altri Gioiti altri figli , ed cdtrc suore;
E viepiù degni ancor d' incenso e d' ara ,
Che non far già ( vecchio Saturno ) i tuoi ;
Ma ciascun gli onor suoi
Ripon neir uniiltade , e nel timore
Del maggior Dio .
Perchè, se non m'inganno, ci sono due sconvenevolezze,
l'unajche stimò l'onore d'incenso e d'altare, che son
proprj del vero Iddio, conveniente agli uomini non santifi-
cati : l'altra, che, chiamandoli più degni de' figliuoli di
Saturno, presuppiìne che quelli ne fossero degni: né pos-
sono le parole seguenti toglier lo sconvenevole , perchè di-
cendo il maggiore Dio, è necessario che stimi gli altri D.:i
minori .
CatAneo. Questo è nome non di natura, ma di potestà,
e perciò fu detto che Mosè era dato per Dio a quelli
d'Egitto; laonde essendo conceduta a' grandissimi , e Cri-
stianissimi Re di Francia podestà quasi divina , e coiifer-
nuita co' miracoli , non parve al Caro disdicevole, che in
questa guisa fìssero onorati.
FuRESriERO. S'egli pur non accrebbe, non diminuì l'er-
rore, e doveva diminuirlo, o in altra maniera dimostrar la
vanittà , e la malvagità degli Dei Gentili, come dimostrò
Gregorio, nel quale si legge che Giove fosse Mago; ma
non è degno di minor considerazione quell'altro luogo-
Vera Minerva , e veramente nata
o deci/ idoli 247
Di Giove stesso , e del suo senno è quella ,
Cli ora è figlia, e sorella
Di Regi illustri , e nejia madre , e sposa.
Perchè non gli basta che il Re Francesco a Giove sia si-
in rglian te , ma vuole che sia l'istesso , e che sia vero Gio-
ve, e vera Minerva, Madonna Margherita, la quale dovendo
prender marito , e generar tìgliuoli, ed aver grande , e for-
tunata successione, non poteva convenevolmente esser as-
somigliata a Minerva, che secondo le favole de' Gentili vis-
se casta , e vergine sempre.
Vitelli . Era cosi povero il Regno degli Dei , che quel
di Francia , il quale è ricchissimo non trovò più convene-
vol paragone di questo a Madonna Margherita, e ciò dimo-
stra il Ronsardo ancoi'a, che vi pone i Marti a centinaia, e
doveva mettervi a migliaia le Veneri , come parve che ac-
cennasse il Caro .
FoilESTlERO. Forse in ciò fu l'uno più vei'ace , che
l'altro discreto: ma vogliam considerare quel , che dica il
poeta Francese ?
Vitelli . Consideriamlo.
Forestiero. Mais quoi? ouje me t rompe, ou pour le
seur je croj
Que lupiter àfait partale avec mon Roi.
Il n' a pour lui sans plus retenu que de nues
Des comttes , de i>ents , et des gresses tnenues ,
Des neiges , desfunialz , et des pluyes de V air ,
E je ne scai quel bruii , entourc d' un esclair ,
E d' un boulet defeu, qu on appclle t onere :
]Ne' quai versi pare, che non scemi solamente, ma quasi
rivolga in giuoco la possanza di Giove , e specialmente in
quelli :
Egli non ha più ritenuto per se , che un romore intor-
niato d' un baleno ,
E d' una ballotta di fuoco , che si chiama tuono .
Laddove il Caro accresce la somiglianza mirabilmente in
quegli altri:
Udite come tuona
Sovra de' Licaoni , e de' Giganti.
Guardate quanti n ha già domi, e quanti
248 IT. CAIANEO
iYe percuote , e n accenna , e con che passa
Scote d Olimpo , e d'Ossa
Gli svelti monti , e incontr' al Cielo imposti .
Oh qualjia poi spento Ti/co V audace ,
E i folgori deposti !
Quanta il mondo n' avrà letizia , e pace!
Ma forse il poeta Fraiu ese non toccò questa parte , giudi-
cando che al tempo di Enrico la Francia non fosse piena
d' enipj ,e di rubelli , i cjuali si possono assomigliare a' gi-
ganti, o se piu-e ve n'era alcuno, non essendosi armato
contra il suo Re, fosse più convenevole passarlo sotto si-
lenzio; e veramente questa ultima parte della canzona con-
verrebbe al figliuolo, non al padre, il quale non ebbe al-
cuna guerra con i nemici del nome Cristiano . Or passiamo
agli altri , e ditìamli colle parole Toscane, percliè molti
non amano le Francesi :
E non hai tu appunto altresì una Minerva saggia
Tua propria unica suora, ammaestrata da giovinetta
In tutte V arti virtuose , la quale porta in suo scudo ,
10 dico dentro al suo cuore da' vizj invitto,
Come altra Pallade la testa di Medusa ,
Che trasforma in sasso /' ignorante persona ,
Ch' osa d' appressarlcsi , e vuol lodare il suo nome?
E non hai tu appunto in luogo d' una Giunone
La Reina tua sposa , di bei ji gli feconda ?
11 che non ha punto l' altra , perch' ella disutile
Al letto di Giove , e senza piìi non ha conceputo .
Che un Marte , e che. un f ulcano , e l uno , che ù tutto
gobbo ,
Zoppo, e sciancato , e l' altro tutto collera ,
Il (piai vuol per lo pi ìi far guerra a suo padre ;
Ma quelli , che tua sposa ha conceputi in abbondanza,
Son belli, e diritti , ben nati , i quali sin da sua giova-
ne fanciullezza
Sono ammaestrati di renderti un' umile ubbidienza .
Vitelli. Belli sono i concetti senza dubbio, ma le pa-
role non m'empiono gli orecclii di quel suono , che io sen-
to nelle rime del Caro, per lo quale è piacevolissimo al
giudizio del senso quel, che per altro potesse dispiacere al-
l' intelletto .
0 DEGLIDOl^l 249
Forestiero. De' vervi avviene quello , clic suole avve-
nire del llore d.'Ua j^iovenlù , nella quwle non è Ijelle/za •
che tr.ipa&sa, e sfi .visce con gli anni simili alla pi iuaYt'ra ;
perchè se uon son» belli , mulaudosi le parole , e discio-
i^lienjosi il ti ro , j^erdono ogni grazia colla mutozione;
ma in quc;l., tultochè siano triis|)<)rlaU di una In altra
lingua , riuaane la bellezza delle sentenze , e f|n(;l convene-
vole , the «ii pare molto osservato nelle debile lodi , che si
danno a tante persone Reali , e p;irtic<jlarnìente a Marghe-
aila , la quale poteva «^sser detta Minerva da ehi non sape-
va che dovesse iiver 'oarito , e figliuoli.
Vitelli. Vince dunque il Fruneese nel giudizio : ma
l'altro nella divinità , o nella divinazione, se cosi vogliaixi
chiamare il pronostico, che egli fa dell avvenire .
FORESTlKliU. È certo grande ardire quel de'})oeti> che
voglian predire le cose future, che possono succedere , se
noi fanno con quella prudenza, che supera quasi l'umano
avvedimento, e rimira di lontano, quasi d'alta parte, i
fortunosi avvenimenti; laonde sarebbe più sicuro consiglio
«on dire alcuna cosa ,€he il successo possa riprovare, co-
me falsa: però si dee lodare la felicità dell' un poeta, e
l'accorgimento dell'altro, che disse quel, che poteva esser
detto ,€ tacque sinùlmente quel, che doveva esser taciu-
to . Ma che diremo del paragone tra i figliuoli di Giove , ,e
di Giunone, e quelli di Enrico , e di Caterina ?]\on vi par«^
ch'egli sia fatto eoa quell' artifieio o poetico , o Cristiano ,
che egli sia, col quale onorandosi le cose de' Principi fe-
deli , debbono esser disprezzate quelle de'Gentiii?
Vitelli. Senza fallo.
Forestiero. Nondimeno , quando egli dice :
Questo Giove si tenga duìujue ad alto
Con tutti i suoi Deiy perciocché certo ei nanfa /ncstiero
Che si paragoni a te , il quale ne mostri a v-ìsta
Di qual possanza è la tua maestà provveduta .
Pare che rimanga in alcune parole l'odore della Gentilità;
laonde il fine è conveniente a poeta de'secoli passati, ma
non forse a'noslri tempi, alla nostra religione, ed a quei
regno di nobilissimo R.e difensore della Fed^, e della pie^
tà Cristiana .
1 )0 IL CA.TANEO
Vitelli . Altra nianicra dunque dobbiauio usare jier
onorarle .
Forestiero. Dobbiamo, se io non m'inganno.
Vitelli. A me non dispiace quello, cbe avete detto,
percbè l'opinione che si aveva degli Dei Gentili , già fece
traviare dalla via della verilà tutti i popoli, e tutte le na-
zioni: e bencbè or non ci sia questo pericolo, nondimeno i
componimenti riempiendosi dell' anticbe tavole possono
perdere colla gravità, e colla riputazione la lede ancora :
ma de' Principi Gentili non mi pare cbe si possa afferma-
re il medesimo, perchè molti ne furono giusti , valorosi, o
prudenti , e col lume naturale indirizzarono tutte le loro
operazioni j onde chi gli rifiuta per argomento di poesia ,
par cbe ricusi i doni della natura .
Forestiero. Non vi piacerebbe dunque cbe l'istoria
de' Gentili fosse riprovata per questo uso com.e le favole?
VlTELl-I. Non mi potrebbe in modo alcuno piacere, se
io non volessi insieme lodare chi dicesse il medesimo di
questo fiume , e di questi colli pieni di 'tanti gloriosi vesti-
4;j , e di tante anticbe memorie, e di questo cielo, che spi-
va ancora un non so che di magnammo, e di vencr.mdo,
non solo negli animi de' cittadini, ma degli abitatori .
Forestiero . Non giù chiamate voi istorie de'Gentili,
quelle de' Romani solamente , ma quelle dei Greci e degli
Assirj, e de' Medi , e de'Persi , e degli Affricani .
Vitelli. Tutte le dico istorie de'Gentili.
Forestiero . E se nelle istorie si trattano le cose vere,
vero stimerete non solo ciò, che scrive Dionigi Alicarnas-
seo , narrandoci l'anticbità di Roma, ma quel che ci rac-
conta Diodoro Siciliano d' Anubi , d' Osiri , e d'Iside , Dei
dell'Egitto, o di Giove , e di Giunone, e d'Ercole , e di
Bacco adorati da' Greci.
Vitelli. L'estreme parti dell' istorie anticbe sono asco-
se nelle favole, come l'estremità de' corpi umani nel velo,
o in altro che ci soglia ricoprire .
Forestiero. Ma non essendo vere, sono almeno veri-
simili .
Vitelli. Io slimo che (piesti fossero nomini amici
della patria, liberatori della Grecia, guastata dalle fierC; e
o degl'idoli 9.5 1
e da* mostri , ed oppressa da' tiranni , i quali soggiogarono
i paesi estrani , e trionfarono delle barbare nnzioni con
pompa rnaravigliosa ; ma dissimile a quella, che fu veduta
in Campidoglio intorno agli Scipioni ed agli Augusti : e
dell' uno e dell'altro bo veduta la statua in Roma, la quale
appoco appoco se ne spoglia con dolore di tutti noi, che ci
abitiamo, e mai non sento ragionare di questa materia,
che io non mi commova; laonde ora mi si appresenta l'im-
magine di ciascuno, e mi pare cbe in questa maniera di-
fendano la sua causa: ,, Noi fummo uomini valorosi, cre-
duti Dei per lo nostro valore, e per lo giovamento fatto
a' jniseri mortali, cbe da varie calamità erano circondati ;
e mentre jfiorirono le città della Grecia , ed ebbero quasi
r imperio del mare, e passarono con gli eserciti nell' Asia
ponendo il freno a potentissimi Re , ed a popoli numero-
si, fiorì parimente la nostra gloria , e ci furono dirizzati i
tempi ,e consccrati gli altari in tutti i regni dell'Oriente
e del Mezzo-giorno, e nell'Occidente ancora , dove l'uno
di noi vinse Gerione; e nel Settentrione si adorava il no-
stro nome : e prima cbe Roma cominciasse a sorgere furo-
no all'uno di noi nell'Aventino instituiti i sacrificj, e all'al-
tro dapoicbè fu accresciuta la città , la qual diventò Regi-
na del mondo: però nulla scemò della nostra fama, ben-
ché ella soggiogasse la Grecia , e tutte l'altre provincle , e
facesse tributar] tutti i R.e , e tutti i Tetrarcbl della terra :
ma crebbe, e si distinse co' lungbissimi confini del poten-
tissimo Imperio, e fummo adorati in questa nobilissima
città con Marte , e con Quirino, dal quale erano derivati i
Romani vincitori di tutte le genti . E quantunque colla
mutazione de' tempi gli Dei bugiardi abbiano ceduto al
■vero Dio la fede altissima delia religione, le nostre anti-
che statue sono conservate, e siamo onorati ne' versi dei
poeti , e nell'orazioni degli uomini illustri ; e nelle rime
ancora di questa nuova lingua, ci pare che la nostra fa-
nìa ringiovenisca ; nella quale ci piace di essere rassomi-
gliati a' nuovi Cesavi, ed a' nuovi Ottavj, ed a' nuovi Ales-
sandri, come già fummo con gli antichi in quelle altre
lingue , che son lette ne' libri di Vaticano: e in Vaticano
siamo onorati e gloriosi, non solo iu Campidoglio; così è
2*2 ILCATANED
piaciuto all'ìnfinìla provvidenza di colai, clic non lasci»
alcuna buona opera sen^a giusto preiiiio, creatore di tut-
te le cose, e donatore di tutti i beni, del quale non avein-'
nio vera cognizione : ma indirizzati dal lume della natura
vivemmo come forti, e coòtanlije magnani oamente ope-
rammo j laonde in questa reggia del mondo, che seo»pre
raccolse il valore de' peregrini , è conveniente che risuo-
ni la nostra gloria, la quale non ci contenta , perchè non è.
la vera, ma pur ci consola, perchè le nostre umane virtù
non hanno altro guiderdjne> che quel dell'onorata faina .
Chi sarà dunque il severo giudice de' poeti , e de' pittori e
df'gli scultori , che di nuovo ci condanni ad eterna ol)livio-
ne? o chi prenderà la difesa de'Valerj, de'Cainmilli, dei
Fa hj , de' Cincinnati, de'Serrani, de'Fahhrizj, de'Curj,
de Lei] e degli Scipioni, che non la ])renda per noi simiU
mente? Non ci possiamo raccomandare a'Greci, che soti
divenuti servi de' Barbari , ed hanno cjÌI' i npi-rio perduta
ogni autorità ; ma ci raccomandiamo a' Romani pieni an-
cora degli antichi spiriti, e del primo valore, e della ge-
nerosa prudenza, i quali prenderanno di noj quella deli-
berazione, che degli altri nati in questo paese. E se le
statue d bbono esser conservate, non debb >no esser con-
dannate l'istorie e le poesie: né questa nuova calamità dee
accrescere il dolore, che abbiamo, per la ruina di tante
città , e per la servitù di tanti popoli, che vissero in liber-
tà, alla quale sarebbe più convenevole il pensare, che al-
la nostra distruzione: acciocché sotto R.oMia trionfante ri-
sorgesse Argo, Tebe, Corinto , Alene , e il Liceo, e l'Ac-
cademia , e di nuovo i lauri di Parnaso verdeggiassero, e
il ])latano facesse ombra a filosofanti : e l'IIisso con onde
più quiete, e più tras|>ar('nti udtsse un altra volta un al-
tro Socrate più casto e più religioso , rivelare altri più
maravigliusi , e più santi mister) della divina hlosoha „.
Questo è quello, che io parlo fra me stesso alcune vt)ltc,
cjuando penso a' poeti, ed alle poesie; e quello, che mi
pare che tra' Romani cavalieri se ne potesse ragionare: e
stimo che s'aspetti la sentenza non delle composizioni,
ma si convenga negare i premj del valore umano.
FoKESTlEno, Veramente nella causa de'nobili, e vaio-
o degl'idoli 253
rosi antichi, un nobile e valoroso giovine, che trae i'ori-
gme di quel sangue, ha parlato con t^nta rloquenza, che
può muovere , non che dilettare i più severi : né fra noi si
contende se gli uomini somiglianti fian meritevoli di glo-
ria , ma se vogliaoìo inorarli, come divini; e m\ pare die
la dcificaziDne, della quale si parla nel comento, si asso-
migli a quella podestà maravigliosa degl'Idolatri di Egit-»
to, colla quale gli uomini fai ean gli Dei , e che i miracoli
della poesia non sian minori di quelli dtU'arte magica .
CatAneo. Quanto son maggi. .ri, tanto meno se ne dee
contendere , hencliè Varrone stimasse utile alle città, che
gli uomini mentissero fingendosi figliuoli degli Dei ; per-
chè l'animo umano con questa fede, ohe ha nella divina
stirpe, più facilménte ardisce di fare le cose grandi, e por-
ge ancora maggiore ardire agli altri: perequando Ales-
sandro visitò il tempio di Giove Ammone volle nudnro
questa credenza nell'esercito; e poi Scipione, parimente
iidorandolo con tanto silenzio , e gon tanta divozione in
Campidoglio: ma questo artificio se fu qiai lodevole , o
lodato , fu tra' Gentili solamente, i quali non conobbero
la vera lode, perchè non ebbero contezza del vero bene ;
ma tra' Cristiani è degno di biasimo, né solo Rilso ed uti-
le , come giudicò Varrone , ma iìilso e dannoso, come par*
ve forse a Sant' Agostino, quantunque egli non determi-
nasse la questione .
FouESTiKKo . Puossi fingere alcuna cosa non inutilmen-
te, la quale sia falsa insieme , e giovevole ?
Cataneo. Se ella sarà di quelle, che significano, non sa-
rà lalsa, perchè falso non è quello , che significa .
Forestiero . Come la chiameremo dunque finta , o
touìposta, o fatta di nuovo, e formata dall' ingegno dot
]«oeta ?
Cataneo. Piuttosto con alcuni di questi nomi; e più
volentieri co' ini no sospetti , perchè il finto , se non è il
medesimo col falso , è moltp simile .
Forestiero . Ma la menzogna è una finzione , ed una
liilfità?
Cataneo. È senza dubbiti.
Forestiero . Tuttavolta alcune men^o^ne sono utili , <>
^54 ir. CATANEO
si possono dire con giovamento altrui; e furono assomiglia-
te alle medicine.
GatANEO. I filosofi già fecero questa similitudine; e pari
landò con filosofiche ragioni, peravventura non ce n'è dub-
bio: ma in questa parte è diversa l'opinione de' Teologi
santi ; e sicuramente ci possiamo attenere a quella , che
scaccia ogni falsità , ed ogni bugia .
Forestiero. La scaccia questionando , o pure operan-
do per edificazione della Chiesa di Cristo: ma noi parlia-
mo del poeta, il quale è simile a colui, che forma le para-
bole , e dee meritar lode a' nostri tempi, e nella nastra re-
ligione : e se a lui non sarà lecito il fingere , non sarà leci-
to il poetare: ma se è conceduto il parlare di cose non fat-
te , quasi fatte, o che possono esser fatte, è senza dubbio
conceduto il poetare.
CatANEO. Se gli conceda; ma finga significando, che
altro non saprei dire di quello, che ho già detto.
Forestiero. Ma se pure chi significa non è folso, chi
signifi^ca non finge; non potrà dunque significare fingendo,
ma significare assomigliando piuttosto, e se a voi ]);ir lite
de'nomi, a me pare l' un nome poco men sospetto del-
l'altro.
CatAneo. Non segue però dal parlare in questo modo
cosa , che sia disconvenevole nel ragionare .
Forestiero. Ma forse nasce alcuna difficoltà nell' ope-
rare .
CatANEO. Se non ci fossero molte difficoltà, l'ingegno
del poeta non avrebbe dove mostrarsi, né che superare.
Forestiero . Dunque coU' ingegno dee superare la dif-
ficultà?
CATANEO . Coir ingegno, e col giudizio, e coli' arte.
FoRESTiEl^O. ì'^ udì parliauio ora particolarmente del-
l'artificio del lodare?
CATANEO. Di quello, e non d'altro.
Forestiero. Nel quale abbiamo già conchiuso che non
è convenevole che si prenda alcuna similitudine degli Dei
Gentili, né se ne faccia alcuna menzione, se non come fece
Gregorio in morte del gran Basilio, manifestando la yanilà
e la falsila loro.
o degl'idoli 20 J
CatANEO . Ninno esempio miglioi-c poteva ammae-
strarci .
Forestiero. IMa possiamo fare i paragoni con gli uo-
mini valorosi, quantunque fossero gentili.
Cataneo. Non pervienealla vera laude , chiunque schi-
fa il biasimo ; laonde parve a S. Agostino che Platone non
potesse compai-arsi a niun Angelo del sommo Iddio, a niun
Profeta , a niun Apostolo, ed in somma a «iun Cristiano;
Lenchè debba essere anteposto, se non a Romolo, e ad
Ercole, almeno a Priapo, ed a Linocefalo, ovvero alla Dea
Febre, i quali Dei peregrini furono da' R-omani , come
suoi, consecrati. E noi mossi dalla sua reverenda autorità
possiamo affermare che niun Semideo , niun Eroe , niun
Re de' Gentili debba essere agguagliato con alcun altro
Principe Cristiano.
Forestiero. Dunque si dee lasciare le composizioni si
fattele se pur elle si fanno in modo alcuno, i Principi deb-
bono essere anteposti ai Gentili?
Cataneo. Senza fallo.
Forestiero. Ma facendosi il paragone si farà nelle vir-
tù de' costumi, come sono la fortezza, o la magnanimità , o
la temperanza, perchè nelle-Teologiehe non c'è compara-
zione.
Cataneo. No veramente.
Forestiero. E se in quelle fosse stato maggiore il
Principe Gentile del Cristiano , qual dovrebbe esser l'arti-
ficio del nostro poeta , d'aggrandire la virtù del lodato, in
guisa ch'ella paresse eguale, o maggiore dell' antica; o pu-
re dimostrarla simile al vero ?
Cataneo. Questo artificio è più conveniente; e non ci
jnancano Principi , i quali in molte azioni lianno superati
gli antichi; cjsi volessero superarli in tutte! perchè niuna
virtù mai dovrebbe esser discompagnata dall'altre. Né so-
lamente la fortezza , o la magniuiiinità porge materia di
vera laude, ma la clemenza , e la mansuetudine, e la libe-
ralità, e l'affabilità , e la modestia, che tacendo invita i
lodatori, e gli costringe col silenzio a favellare.
Forestiero. Se egli dunque è più convenevole, i poe-
ti moderni debbono assomigliarsi a' pittori , che ritraggo-
no gli uomini, come sono appunto.
i56 IL CATANEO
CatANÈO. a quelli, e non agli altri .
FORESi ll-.KO. E ;ioet.tndo senza lusingare la superbia dt
coloro, che ci vivono, si dee parlare della ìiohiltà , come
del valore?
C'. . ANEO. Si dee, pt-fcliè la nubil'ù è il più bello arna-
meiito , the abbia la virtù.
FoKESTiEKo. Ma la nobi'tà iiurì si può lod re , Jie non
si lodi parimcute l'aiùica virtù .
Cai ANEo. Ella non è altro, che questo, e ; • ( di lei non
ragionasse , ma <!ella ricchezia , o delia ;iossanza , non
loderebbe p ravventura la nobiltà, ma quelle cose, che
l'adornino, e l'accompagnano: e se pur sono parti, sono
parti ." cidentali .
Forestiero. Dunque lodan lo la nobiltà circondata da
così lungi) pompa, come è (pK^lla condotta dalle due com-
pagne, ogni lode sarà pariuentp maravigliosa.
Catane© . Sarà, perchè la ricchezza del parlare, e la
copia deireloq\«enza non è inferiore ad alcunaltra.
Forestiero. Ma gli uomini antichi condotti dalla vir-
tù, ed acco. ripugnati da così nobii co>n'..agnia , saranno
dij)inti, com'essi furono, o maggiori, come sogliono ri-
irarsi quelle cose , che debbono esser risguardate di lon-
tano .
CatAneo. Gli antichi sono lontani da' nostri tempi , e
per quer>ta ragione altramente dovrebbo!io esser i ritratti
di quelli , che ci sono vicini , e presenti .
Forestiero. Dunque se le virtù 'li alcuni possono con-
venevolmente essere con molte lodi accresciute , son quel-
le de' morti, perdi-' cilc giovano più dell'altre a' figliuoli,
a'nipoti , a'sucressviri , ed a tutti quelli , the prrndono
esempio da' Ir.ipassati ; e tanto più s' inlìaminaiio all'opo-
razioii virtuose, (piaiito più l'azioni lodate sono grandi, e
maravigliosc: e se questi sono di que' ritratti , i quali tion
convengono alla Chiesa, dove a'piè de' Santi anzi piccioli,
che no , sogliono esser dipinti per umiltà , converranno al-
meno alle morbide caaicre, ed a' palagi realij, e saranno
rimirati con diletto, e con maraviglia de'risgaardanti .
CatANEO. Così dovrebbe avvenire senza dubbio .
Forestiero. E siccouie altri pittori accrescono gli or-
0 degl'idou 207
Tiainpnti (Ifgll aUari , e de' tempj : altri quelli de'teatri,
e de'Iuogbi pubblici, ne' quali per diporto si raccoglie la
moltitudine, e la nobiltà : così altri poeti saranno riserba-
ti per le sacre narrazioni , altri per le civili , e per le mili-
tari : e saranno tollpr.ite negli uni alcune cose, cbe lugll
altri non sarebbono peravventura convenienti .
CatAnf.o . Così tni p;ire assai ragionevole.
Forestiero. Ma forse i poeti non sono in ciò più simi-
li a' pittori, cbe agli ornati parlatori ; percbè, siccome non
sono approvati i medesimi oratori dal governo popolare e
da quello de'pocbi buoni , e da quel dell'ottimo Principe,
ina tra il popolo signorej;gia chi muove, e diletta gli ani-
mi ; ed appresso gli altri sono in pregio maggiore quei, cbe
provano colie ragioni : così dovrebbe similmente avvenire
de' Poeti ; percbè a' maggiori dovrebbono esser pii^i grati
quei, cbe danno migliori amnìaestramenti.
CatAneo . Dovrebbono senza dubbio .
Forestiero. Distingueremo dunque le sjiecie della
Poesia , e compartiremo i poeti secondo le varie maniere
de' governi .
CatANEO . In questa guisa parrà la distinzione assai
buona .
Forestiero. Ma distinguendo, cbi seguiremo? Platone
(cbe ne descrive cinque forme , l'una perfeltissima , l'altra
ambiziosa ; la terza avara ; licenziosa , e popolare la quar-
ta , e l'ultima tirannica) o pure Aristotile, cbe le tre buo-
ne dall'una parte ; e dall'altra pone le tre malvagie ?
Catane© . In qual più vi piace , percbè v'è maggior di-
versità nelle parole, cbe nell'opinione .
Forestiero. Ma in qualunque di essi distinguiamo, la-
sceremo da parte la tirannide, e la possanza de'pocbi, e la
sfrenata licenza popolare , cbe nell'ingiustizia molto asso-
miglia al tiranno, percbè tutte, se non buone, dovrebbo-
no essero sterpate ; e se alcuna ce ne è rimasa , non fa me-
stiero che di lei si ragioni.
CATANEO. Parliamo dell'altre.
Forestiero . Dunque volgendo il ragionamento alle
migliori forme del governo; a quel di molti assegnarono la
3t58 IL CATANEO
comn.eJla . come sun propria ; a quella de'pocìù valorosi
e ile'pnuleiifi, la tragedia; ed al Principato di un solo, i
poemi eroici , e l'altre composizioni, nelle quali si cele-
brano l'operazioni de' Principi e de' Cavalieri.
CATA^'EO. In questo modo sono assai convenevolmente
disposte.
FoRF.STiEP.O, Ma torse a' Principi alcune volte non spia-
cerà ridersi delle sciocchezze del volgo, eci a' plebei sarà
buono ammaestramento j e vista maravigliosa il visguarda-
re l'azioni de" grandi; comunque sia a'Principi saranno
convenienti più di tutti gli altri i poemi eroici , e quelli
ne' quali si canta degli Eroi,
Cataneo, Cosi stimo, eie canzoni, come quelle del
Caro, e del Ronsardo, mi paiono eroiche oltre tutte l'al-
tre; onde più volentieri le chiamerei con questo nome che
tragiche, come usò di chiamarle Dante,
Forestiero. Dante le chiamò con quel nome, che gli
parve assai proprio de' componimenti affettuosi , come so-»
no le canzoni , nelle quali descrive la morte della sua don-,
na ; perchè queste hanno quella simiglianza colla tragedia
che le altre, nelle quali son lodate le azioni de' valorosi,
col poema eroico,
Cataneo. Dunque tragiche ed eroiche possono esser
dette le canzoni
Forestiero. Sotto l'un genere l'altro peravventura si
contiene come specie. Ma quali chiamate eroiche; quelle
in cui son descritte le sovrane lodi degli Eroi ?
Cataneo. Quelle.
Forestiero. E diremo ohe siano Eroi ì figliuoli degli
Dei, o pure l'anime separate dal corpo, che divengono
Demoni , come da' Platonici si afferma?
Gataneo, Né di qu'^slj soglio intendere, né di quelli,
quando fra noi cortigiani se ne ragiona : ma fra'letterati
n'>n so quello , che se ne questioni, fra' quali crederei che
la falsa scienza in questa parte fosse disprezzata , e se pure
si prezzasse, mi parrehhf' che il poeta, il quale compo-
nesse canzoni, sart'hhe soggetto a quelle medesime opposi-
zioni, che abbiamo fatte al Caro.
O DEGL IDOM 2)9
Forestiero. Né men cliiamate Eroi 1 retori, e gli eÌo-»
itucnti , checliè se ne dica Platone in quel dialogo , in cui si
ricerca la ragione di questo home, e di molti altri ; se for-
se alcuno nella sua nstrema veccliie/za non volesse jìcr'^ua-
dere ; icun' oféia eroica, o pur contendere con gli Eroi
coll'operazioni medesime.
CatAnEo. Bel contrasto sarebbe veramente, percbè
hiuno è più bel trofeo di quel non sanguinoso, che drizza
l'eloquenza .
Forestiero. Pur le canzoni eroicbe in lodando i reto-
ri non sono ancora state l'alte j e il farle in questo soggetto
sarebbe gran difiìcollà.
CatANEO. Ma senza dubbio , quando ragioniamo degli
Eroi, non intendiamo di loro.
Forestiero. Di cbi dunque intendete; di quelli, che
somigliano Codro , il quale volle morire jier la patria , e sì
acquistò fama immortale; e Brasida, e Milziade, e Cimone,
e Temistocle, ed Alessandro, e Muzio, ed Orazio, ed
Epaminonda, ed Agesilao, e Pirro , e Cammillo, e Scipio-
ne, e Cesare, la virtù de' quali parve cbe di gran lunga
trapassasse l'umana condizione?
CatANEO. Di anesli intenderei: pur non di questi soli ,
ma de'Martiri di Cristo ancora, a'quftli si attribuì questo
nome; e certo s'egli deriva da Amore, come si dice, a
ninno è tanto convenevole, perobè ninno amore fu cosi ar-
dente, come quello, cbe gli spinse alla morte; laonde il
vostro Poeta congiunse queste cose dicendo:
Che fece Muzio alla sua man feroce,
O die tenne Lorenzo in sulla grata .
Forestiero. La Carità dunque per questa ragione sa-
rà virtù degli Eroi.
CatAnEO. Senza dubbio.
Forestiero. E se la virtù degli Eroi è l'eroica; la ca^
rità è l'eroica.
CatAneo.. Eroica senza fallo; ma d'altri Eroi, ed in
altro modo più maraviglioso e divino, cbe non conobbero
le nazioni Gentili.
Forestiero . Pur questi Eroi non son parte d' alcur.a
repubblica , o d' altra uianiera di governo .
■26o IL CÀTAìNEO
CatAneo. Né questi, né quelli, de' quali abbiam ragio-
nato ; perchè la virtù loro supera quella degli altri senza
proporzione .
Forestiero. E noijdistingueudo le maniere della Poe-
sia secondo le forme del governo , non c'accorgeuiino che
essi non capivano in alcuna?
Cataneo. Quantunque non vi- capissero gli Eroi, vi
capiva la Poesia eroica, la qual' è non solamente letta da
loro, ma dagli altri; e più volentieri da coloro, che son più
simili nella nobiltà e nel valore .
Forestiero. Dunque per questa ragione non dob-
Liano far nuova distinzione , ma essendosi ritrovata una
maniera propria di Poesia a ciascuna forma di gover-
no , a questa nuova Repubblica de' Sacerdoti , ed a
questo sacro Regno, che diciam Pontificato, non cono-
sciuto da Aristotile, né da Platone , si dee concedere una
specie di Poe^iia cosi differente da tutte l'altre , coia' e-
gli è diverso da tutti gli altri Principati , e dagli aliri
Imprri .
Cataneo. Assai mi pare convenevole.
Forestiero. E peravventur.- è già ritrovata; e sono i
Salmi e gl'Inni, i quali canta li Chiesa Romana : ma del-
l'azioni di Costantino si p itreoh >n > ancora fare i pop iii
per questa Corte, i quelli njndi'neno sarchi) )no eroici ,
quantunque fosse preso l'argomento dall'istoria Ecclesia-
stica: ma gli Eroi sono d'altra maniera?
Cataneo. Sono a mio parere.
Forestiero. Dunque farem questa conclusione, die
dell'istorie Ecclesiastiche si possono formar que'poeini
eroici , che saranno più convenienti in questa Corte Eccle-
siastica.
Cataneo. Mi par che si possa far senza dulibio , e che
non vi id)bia luogo ingegno di Sofista per contradire.
Forestiero. Ma l'altre Corti e gli altri Regni , a' quali
scriviamo poemi, sor. parimente de'Cristiani .
Cataneo. Sono.
Forestiero. E ninno scrive a'Turchi ed a'Giudei per
acquistar benevolenza.- ma siccome gli Ebrei scrissero agli
Ebrei , i Greci a' Greci, e i Piomani a' Romani , cosi i no-
slii debbono scrivere a quelli della nostra lingua , e dellii
nostra religione .
Cataneo. Debbono.
Forestiero. E se Omero fu letto più volentieri d^i
Greci , perchè ceU brò le vittorie de' loro antecessori cen-
tra i Barbari, fra noi doreranno essere in maggior pre-
gio cjue'poemi, ne' quali saran cantate le imprese de'Prin-
cipi Cattolici contra gì' Infedeli,
Cataneo. Così mi pare.
Forestiero. Virgilio ancora dimostrò quanto ciò im-
porti, nella battaglia fra Cesare, e Marcantonio, nella qua-
le pone gli Dei Romani incontra quelli di Egitto: né sa-
rebbe convenevole cbc i Gentili avessero maggior ri-
sguardo alla religione de' Cristiani.
Cataneo . Non sarebbe.
Forestiero. Dall'istorie de' Cristiani dunque, e non
da altre, d-^bbono esser presi gli argomenti de'poemi, non
lasciando gli altri rispetti della favella , e della azione, o
de' Regni , o de' Re , cbe '1 poeta vuol celebrare: e chi le
tolse da'Pagani, o segui la lama dell' azioni favolose, o fe-
ce errore nell'aite, e cosa men giovevole e men grata ai
Principi ed alle Repubbliche ; perchè se al fine del politi-
■co si debbono dirizzar i fini di tutte l'arti, chi non ri-
sguarda in questo segno comune, non è buono artefice , e
non vedendolo per imperfezione di giudizio, non dee man-
car chi glielo dimostri .
Cataneo. Questo sarà il legislatore, o riformator dì
leggi, o interprete, che avrà risguardo alle regole ancora
di Poesia.
FoRES'i lERO . Ma le istorie Cristiane per la maggior
parte non sono Ecclesiastiche : dall' Ecclesiastiche dun-
que prenderanno i soggetti convenevoli per le Corti Ec-
clesiastiche ; e dall'altre, quelle che all'altre conver-
ranno .
Cataneo. Così stimo .
Forestiero. Dunque non si può lodare il Caro, che
de' Principi Cristiani, anzi Cristianissimi, poetasse non al-
262 IL CATANEO
tra mente di quel , clie sarebbe stato lodevole a' tenip^
d' Alessandro , e d' Augusto .
CatAneo. Niuna lode io gli negherei volentieri; ma non
mi par che si debi)a contr.idiie alla ragione.
Forestiero. Direino dunf]iie amico il Caro, ami('o il
Castelyetro, ma più amica la verità, della quale ci faremo
scudo contra gli oppositori, perchè noi r.igioniaino per
ver dire ,
Non per odio d' altrui , ne per disprezzo,
CatAneo. Il ragionare in questa guisa può recar giova-
mento piuttostOj che mala sodisfazione .
Vitelli. Se a me si dee giovare, il quale sono il
più giovane , e quello , che ho niintire esperienza de-
gli altri j vorrei che mi fosse detto in qual forma di go-
verno, o in qual Corte si concederà luogo alle poesie a-
morose .
Forestiero. Non certo nelT Ecclesiasliclie: dell'altre
non ardisco di palesarvi il mio parere , perche da ciascun
lato mi par di conoscere molto pericolo.
Vitelli, Tutti i ragionamenti, e tutte le cose può f;ir
sicura l'amicizia; però dovete parlar sicuramente.
Forestiero. Perchè qui si discorre , non per riforma-
re il mondo, ma pnr altra cagione, farò quanto coman-
date: e dico che se il poeta simile all'Idolatra non si dee
lodar nelle Corti de'Sacerdoti , per la medesima cagione
non par che meriti lode nell'altre Cristiane.
Vitelli. Spesse volte si loda l'ingegno, e l'artificio
del poeta, quantunque la cosa descritta njn convenga in-
tieramente ; laonde mi par che debba avvenire delle poe-
sie de' Gentili quello, ch'avviene delle statue degli Eroi, o
pur delle jiitture degli Dei, le quali si conservano per or-
namento delle camere de' Principi .
Forestiero. Non sarei così crudele che avessi condan-
dannata al fuoco la Venere d'Apelle, se in questo secolo
si fosse ritrovata, o altra simigliante per artificio : ma se
Tiziano, o il Salviati avesse voluto dipingere alcuna don-
na antica, l'avrei consigliato che dipingesse Artemisia , o
Clelia ,
O Porzia , o la Vestal f^crginc pia ,
O DtGÌ/IDOLi J,6S
Che riportò dal fiume acqua cot cìhro ,
b l'avrei sti'nato più convenevole ornamento de'' palagi
J-eali.
ViTFLLi. £ forse questa fiien volenliel"!, percìiè nel
miracolo el)])e alcuna parte la falsa Deità cleyli antichi.
FoHKoTlERO» l'iù volentieri: così mi piacerebbe cLe
gl'Icl)!i e gl'Idolatri fossero schivati. Ed a Voi che Ile
Jjare ?
Vil'ET.I.l. t'istesso.
Forestiero. Ma se dohblam schivar gl'idolatri, fug-
^irènio gli amanti, perchè ciascutio amore lascivo è specie
d'id(jlatria.
Vitelli. Cf^rto Pamante nell'adorai* la sua donna è sl-
mile all'idolatra .
Forestiero i E in tutti i versi degli amorosi poeti le
donne son chiamate idoli ,
VtTELi-l. Ili fatti.
Forestiero. Ed in tutti si descrivono i miracoli d' A*
more , e le maraviglie dell'amata bellezza .
Vitelli . Cosi avviene senza diibDio.
Forestiero. Dunque siccome i cibi, che si toglievano
dal sacnlicio degl'ld'vli, non dovevano esser mangiati in
quel tempo, che agi' Idoli si sacrificava ; così in questo ì
Versi e le rime essendo consécfati ad un nome Vano, del
quale il poeta si faccia l'Idolo, non dovrebbono esser let-^
ti da' giovani particolarmente, i quali soglion gustarli,
come dehcatissiino cibo dell'intelletto.
Vitelli. La Poesia dunque lasciva non sarà conceduta
a ciascuno.
Forestiero. Non, a mio pare; ma si userà, come i ve-
leni , de' quali è composta la teriaca , o pure altro rime-
dio: e i'adoprarla in questa guisa non si appartiene a cia-
scuno, ma solamente a' medici degli animi, i quali cono-
scono quanto facilmente si bea il dolce veleno amoroso; e
senza licenza non dovrebbono leggi r quelli, che sono in-
fermi o possono agevolmente infermare.
Vitelli. Intendete forse de' fanciulli, e delle giovani
donne , a cui non dovrebbe esser conceduta così piacevol
lezione così tosto; non di quelli della mia elà^ i quali tut«
.i64 IL CATANEO
to il giorno vanno alle com.nedie ; né so che possa lor
nuocere il Petrarca, e gli altri poeti somiglianti, piuttosto
amorosi che lascivi.
Forestiero. Questa ap])unto è quella età , nella quale
più facilmente si apprende l'amore; laonde a niun altro il
leggerlo é cosi pericoloso: del che egli avvedendosi, volle
dal principio avvertire il lettore in que' versi:
E ben v'es;s*io or siccome al popol tatto
Fa\'olaJui gran tempo , onde soi^ente
Di me medesnio meco mi vergogno .
E del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
E 7 oentirsi , e 7 conoscer chiaramente
Che cpianto piace al mondo, è breve sogno .
Laonde se alcuno il leggerà con questo avvedimento, e
con quegli altri, che insegna Plutarco in quell'operetta,
ch'egli compose, del modo, col quale dehbono esser letti i
poeti , ]totrà schivare il danno , e trarne il giovamento:
ma pochi leggono con questo fine, e con queste considera-
zioni: e se io volessi ragionarne, sarei peravventura scher-
nito dagli amanti e da'" poeti: perchè gli uni egli altri
hanno bisogno di freno ; e si dovrebhono dar non solamen-
te regole alla Poesia, ma leggi alle Corti: ma volete,
ch'io parli di questa materia, nella quale son troppo o-
dioso ?
Vitelli. Seguite quanto vi piace, che a me piace l'a-
scoltare .
Forestiero. Ahbiam conchiuso , che gli amanti e i
poeti, i quali cantano d'Amore, sono quasi idolatri, e for-
matori degl' idoli, come già confessò il Petrarca medesi-
mo dicendo:
L' Idolo mio scolpito in vivo lauro .
Vitelli, Dura conclusione: ma perchè è vostra, con-
riene che piaccia .
Forestiero. E gli amanti son parimente idolatri, i
quali fanno suo Dio , il suo tesoro.
Vitelli. Parimente.
Forestiero. E idolatra è similmente l'ambizioso , che
si fa idolo dell' onore .
o degl'idoli 265
Vitelli. L'ambizioso ancora.
Forestiero. E ciascuno di questi appetiti ( io dico l'a-
more, la cupidità d'avere, e l'ambizione) si divide in mol-
ti altri; e tutti si volgono ad un obietto particolare , il
quale s'imprime nella fantasia: dunque l'anima affettuosa
è quasi un tempio d' idolatria,- e la nostra immaginazione
è la pittura, nella quale sono impressi gl'idoli, e adorati
non altramente, die se fossero Dei terreni.
Vitelli . Nuovi simulacri son questi , e nuovo tempio.
Forestiero. Anzi pur antichissimo; né ve ne fu mai
nell'Egitto alcuno, in cui si adorasse tanta varietà di mo-
stri, e con SI diverse forme, come son quelle dell'animo no-
stro: ma niun' altro vano e falso Iddio vi si riverisce, più
dell'Amore , al quale non so che in Menfi fosse dirizzato
alcun altare .
Vitelli. Ben mi sovviene di aver letto quel cuore con-
secrato sull'altare di Amore; onde conosco cbe voi anco-
ra foste un tempo idolatra.
Forestiero . Noi niego , e la vittima fu quella, che voi
diceste ; Amore il sacerdote : la fiamma, quella de' miei
desiderj : e l'immagine della mia dorma, simile a quella
di Minerva , solo mi pareva che mi potesse salvare di pe-
ricolo e di morte.
Vitelli . Però pivi spesso dovevate invocarla nelle vo-
stre rime.
Forestiero. Ella non fu così bene espressa , e colorita
ne'raiei versi , come nella memoria; né so quel che negli
altri possa avvenire.
Vitelli . Ciascuno accresce le sue passioni .
Forestiero. Ma chi purgasse l'animo colla filosofia,
quello che a me non fu conceduto di fare , la purgazione
s' assomiglierebbe alla consecrazione , che s'è fatta d'al-
cuni templi in questa città , nella quale è 1' albergo del-
la religione; perchè quantunque in loro siano cessati quei
profani sacrificj , che si usavano tra' Gentili , e si ado-
ri il vero Iddio con vera pietà e divozione , uno ha rice-
vuto il nome di Minerva , un altro quel della Pace, nomi,
che le furono imposti da' primi fondatori ; né così bene ci
266 IL CATANEO
Suol purgai* la filosofia, che non si lasci il iionie della sa-^
Jjienza de' Gentili e di quella concordia , che fu da lur co-
nosciuta é E se altro c'è migliore, e più santo modo , col
qual si purghino gli ani ni nostri, ci Siir;ì mostrato d;il Si-
gnor Mauri/.io ed egli sarà il medico, o pur l'udremo
alle prediche del Padre Toledo.
VitElT>I. Frattanto non vi sia grave che io sappia
quel, che filosoficamente Se ne può ragion. ne .
Forestiero. Il principio del purgare gli animi è l' as-
somigliarsi a Dio .
Vitelli . Tutti gli altri priaclpj sarehbon cattivi in sua
comparazione.
Forestiero. È l' assomigliarsi si fa colla fuga del vizio,
il quale è com^una bestia di molti capi, e tutti possono av-
velenarci l'animo; però bisogncrchhe conoscerli tuUi; e
conoscendosi la natura del male, saranno più facili i medi-
camenti .
Vitelli. Fate dunque clie li conosciamo.
Forestiero. Il primo, che ci s'apprei^enta nell'età gio-
venile , è il desiderio del piacevole , il quale è detto
amore ,
Fatto Signore, e Dìo da s;ente vana ;
clic non è solo , ma accompagnato d.i tanti Amoretti quall.^
ti son quelli , che vide la notte un de' famosi poeti .
\lTEtXl . Gli A,niori soli descritti molto belli, e non
paiono \6 teste d( 11' Idra, come furono da voi cliiamati.
Forestiero. Voi sapete cbe Amore è Mago , o l'udiste
almeno ricordare : laonde non dovete maravigliarvi di que-
ste trasformazioni: e se vogliam purgarcene, noi risquar-
diamo in quello aspetto, die suole allettare, ma nell'altro,
eh' è solito di spaventarci; e se con questa considerazione
risguarderemo gli altri Amoretti, ci parranno tutti serpen-
telli dell'anima si-lvngyia.
VlTELfJ. A coM Wvì-A vista ciascuno dovrà ritrarsi.
Forestiero. Ma lasciauio l'amore, e rimiriamo il de-
siderio dell'avere , che si divide similmente in molti desi-
derj , quasi in molti capi ; perchè altri desidera i cani da
sciiuire le damine, i cervi, e i caprioli; e quelli, che ardi-
O DEGL' [DOLI ySj
gcono d'assalire i ciiigliiali nelle cacce; altri i cavalli, suj
quali possa correr Dell'arringo, e combatter ne' torneainen-
ti; altri gli uccelli da rapina,- altri i giardini, e i palagi so-
yra fiumi correnti, e sovra fioriti colli; altri i cari ve-
stimenti, e i maravigliosi odori, clie nascono in Arabia,
,c le preziose pietre? che son portate dall'Oriente, e
l'argento e l'oro irnpresso di varie immagini, ciascu-
na delle quali somiglia quasi jin Dio dell' animja non sa-
zievole; e questi raccoglie con ogni studio, e in questi
pensa il giorno, di questi sogna le notti, e per questi si
consuma accrescendo il desiderio , quanto multiplica la
facoltà. Or lasciamo questo, e rivolgiamci all'altro, che
,ci rimane.
Vitelli . S'io ben me ne ricordo, è quel dell'onore.
FORESEIERO. Quel dell' onore smoderato , intorno al
quale germogliano molti altri ; perchè in varie guise l'uo-
mo vorrebbe esser onorato: né ci basta che altri porti
opinione della nostra bontà, se non vi s'aggiunge quella
del valore , e della prudenza : dunque altri vuole essere te-
nuto buon Cavaliero , ed odia morta brente colui , che non
mostra di stimarlo: altri buon medico, e buon Teologo; al-
tri gran dottor di leggi: molti nella Scultura, e nella Pittu-^
ra , e negli altri mcn nobili artificj sono ambiziosi ; ma la
.vanità d'alcuni poeti supera tutte l'altre.
Vitelli. L'ambizione de' poeti può forse essere smisu-
rata: ma perchè non è dannosa , ma reca diletto , e giova-
mento, par che piuttosto debba esser nutrita con favo-
ri, e con quelli altri modi, che sogliono accrescer le buo-
ne arti.
Forestiero . Comunque sia , ogni desiderio dell' anima
nostra dee moderarsi, ma più di tutti, quello ch'entra ne-
gli animi de' cortigiani, e de' Principi stessi, i quali per-
turbano il mondo coU'ambizione ; come fece Lodovico il
Moro , che volle turbare il buono e pacifico stato d'Ita-
lia, e diede principio a' que' movimenti , the volsero tanti
Regni sossopra, e disfecero tanti eserciti, e privarono tan-
te nobih stirpi di naturai successione .
Vitelli. Ci rimane altro da conoscere nelle nostre in-=
fermità ?
26S irlcATAXEO
Forestiero . Oltre l'Idra, la qunle alcun pittore non
ritrasse giammai in guisa , che al vero l'assomigliasse, nel-
l'animo nostro è il leone; è questa la parte, che s'adira ,
fiera e superba, e qn^'si indomita por sua natura, nondi-
meno assai men rea d<'ll'altra; laonde , se avviene ch'ella
sia doiìiata , è molto utile alla ragione e non avendo al-
cun veleno in se stessa , si purga più facilmente .
VITELLI. Dee almeno aver la febbre, come hanno i
leoni .
Forestiero. Superba febbre è quella dell'animo, cbe
facilmente si sdegna ; onde gentili e delicati conviene cbe
siano i medicainenti , altramente ella ricuserebbe di pren-
derli: vna sì fatti non possono esser dati, se non dalla pru-
denza , cL' è (jiiasi protomedico , e tutte Taltre virtù son
quasi purgazioni dell'anima , la quale facilmente può risa-
narsi nella giovanezza, pcrcbè non ba fatti gli abiti nel vi-
zio, uè disposizioni così stabili, come son quelle dell' età
matura .
Vitelli . Noi altri giovani dunque abbiamo questo van-
taggio.
Forestiero. A.vete senza dubbio.- ma perchè la virtù,
cbe si affatica nel purgare, è imperfetta , io dirci cbe ne
cercassimo altre di maggior pcrfzione , se io non temessi
cbe il mio ragionare venisse a noia .
Vitelli . Anzi temete del conh-ario , die il troncar del
lagionauiento debba p.rerc rim rcscevole.
Forestiero . Io «lieo adunque che, oltre le virtù civili,
le quali defuiiscono l'animo, e lo ripongono oltre riiidefì-
lìito, e troncano i secondi movimenti, vi sono le purgato-
rie , cbe non sol troncano , ma estirpano i secondi moti : e
sovra queste son quelb; dell'animo già purgato , le quali
hanno già domati i secondi, e sogliono dibarbieare i primi,
o almeno moderarli. E sovra tutte sono l'esemplari , ad
itnitazione delle (juali ha l'anima ragionevole alcune for-
me : ed in questo modo, se non m'inganno, l'animo cb'cra
tempio d'idolatria, sarà purgalo, quanto si può conoscere
per filosofica ragione. E se innanzi la purgazione furono
gettati per terra, e sparsi gì' idoli fallaci , che v'erano ado-
o degl'idoli 269
rati: clapoi si debbono drizzare nuove , e più sanie iiniria-
gini ; che già non vogliamo seguire l'errore di coloro?
i quali sogliono loro negare ogni onore, ed ogni rive-
renza .
Vitelli. Niun tempio senza immagine pare cbe pos-
sa muovere devozione, ed innalzare 1' aniuio alle cose ce-
lesti .
Forestiero. Olire quelle dunque, die sono nella par-
te superiore, porremo nell' irriigionevule alcune iuimagini
della virtù , la quale non è Dea , ma dono d'Iddio , né dee
essere adorata , ma onorata ; e lor si volgerà l'animo pri-
mieramente , e da queste si innalzerà colla contemy»kizione
alle forme più semplici , le quali avrà Jipinto riutellello
agente, cb'è quasi il pittore , ed il poeta dell'anima , illu-
strandole tutti i fantasmi col suo lune immortale ; né fi>r-
mandosi in queste si leverà alla conteuiplazione d'Iddio
colla fede, e colla religione , cbe st;mno nella sommità del-
la mente; ed allora l'umana virtù sarà nel supremo grado,
e più vicina alla Divinità, della quale è ricevitrice.
Vitelli. Maravigliosa purgazione è questa senza dub-
bio, e tale, die pare ci sia bisogno di celeste medico.
Forestiero. Ma con quegl' idoli, i quali nel comincia-
re della purga furono ruinati, e disfatti, non cadde perav-
ventui'a l'idolo dell'anima.
Vitelli. Di lui sentii ragionare alcuna cosa, e lessi die
il simulacro d'Ercole era nell'Inferno, e l'ani'na in Cielo :
ma non so qual misterio ci sia nascoso.
Forestiero . Se Ercole fosse stato uomo contemplati-
vo, sarebbe riposto fra gli Dei tutto intiero ; percbè la
coateriiplazione fa loro simili: ma si dice die l'idolo suo
è nell'Inferno per l'azione, la quale è cagione, che l'in-
telletto si converta alle cose inferiori; e voi sapete clic la
fantasia è (juasi uno specchio; però , quando l'anima con-
templando si volge tutta al Cielo, non lascia alcun siuuil.'.-
cro nella immagine, la quale è di sotto; ma piegandosi alle
cose terrene è forza, che vi rimanga. Questo dunque del-
l' umana azione è T ultimo simulacro; che resti nel mondo
fra l'altre immagini dell' anima valorosa, !a quale sei por-
270 IL CATANEO
ta in jparte migliore, ove si fa l' ultima purgazione, e di là
si passa all'eterna felicità: ma tanto sia di ciò quanto pia-
ce a' Teologi .
Vitelli. Dunque quanto piace al Signoi" I\rauri/io; che
dee essere uno di quelli, e non si manifesta .
Forestiero. Questo vostro lungo studiare non bi può
tener celato: ma niun Teologo potremo ritrovare più aìni-
co dell'azione, per la quale è così caro al suo padrone, è
così stimato dalla Corte, e da me così riverito .
CatANEO. Vorrei che l'azione mia vi potesse tantd
giovare, quanto la vostra contemplazione potrà onorarvi;
ma non tronchiamo il ragionaménto .
Forestiero. Già, se non m'ingaiino, abbiamo purga-
to il teiripio^ come per noi si poteva ; e il poeta intei'iorc
ha scritto nel libro della mente i suoi versi , a simiglianzà
de'quali dee scrivere l'esteriore nelle Corti che son varie >
è però diversamente dee poetare .
Vitelli. Quantunque siamo in Rom-a, cei'chiamo quel
che si convenga nelle lodi de' Principi, e de'Cavalieri; per-
chè la canzona del Caro mi risiiona nella mente , e pensitii-
do all'armonia delle sue parole , mi pare quasi impossibile
che m altro modo si possa lodevolmente poetare in questa
jjialeria .
Forestiero. Io, come gli altri, ho poetato, però non
potrei dirvi per esperienza, quanta dilllcoltà ci sia di farr
altramente: ma la ragione pare che me l'insegni.
Vitelli . Peravventura ciò si farebbe con minor va-
ghezza dì concetti, e di parole, e forse con aggrandire le
cose assai meno; laonde si torrebbe molto di quello, che
fa così cara, e così dilettevole poesia .* e se alcuno volesse
innalzare a' Principi m()derni, ed a'grandissiui Re, quasi
una colonna conseciala a memoria immortale, come fu
quella di Traiano, vi potrebbe scolpire nelli parti inferio-
ri Bacco, ed Erc(de, e Teseo, ed Alessandro , e quegli al-
tri che furono prima chiamati Eroi.
Cataneo. Sarebbe lecita l'imitazione de' Gentili , al-
meno di Salomone , il quale nel mirabile artificio del tem-
^)io, e del Tabernacolo, volle che si figurassero alcune
o degl'idoli 9,71
jramagini, tuttoché elle fossero proibite dalle sue leggi, e^
alla sapienza di quel Re pare che ogni cosa debba con-
cedersi ; siccome non si potè negare al valore d'Erode che
non v'innalzasse l'Aquile de'Hofnani, co'quali era stato
partecipe delle perdite, e delle vittorie, Ma quantunque
non si dcbban trattar queste materie, sicuraniente si dee
scrivere n-n quel, che sia convenevole a difendere, ma quel
ohe sia necessario di lodare.
IL
M ANSO
OVVERO
DELL' AMICIZIA
DIALOGO
ARGOMENTO
T.
u Giambatista Manso, Marchese della Trilla, amiriasìmo del Poe-
ta nostro, fino dal tempo in cui lo conobbe quand'i egli recotn in
Napoli nel i .1^8/ anzifn detto che la stima per esso giungesse quasi
air adorazione . Scrisse egli una vita del Tasso, la cfuale per :nolti
titoli non merita il dispregia , in cui la tiene il Serassi j più intento
a^ suoi fini, che alla ricerca scrupolosa del vero. Grato il Tasso a
tante accoglienze , e dimostrazioni di amicizia usategli , tornalo in
Roma nel iSga scrisse il dialogo seguente, che intitolò il Manso dal
nome dell' amico , introducendola a parlare col Sig. Scipione Bclpra-
to , cognato di lui, Cmuiliere di alto e nobile ingegno, e con se me'
desiino nascosto sotto il solito nome di Forestiero Napoletano . Co-
minciando in esso a stabilire la differenza fra V amico e V adulato-
re, e quindi tra l' adulatore e il poeta , tocca il fine dell' adulatore ,
che è di compiacere, e quello dell'amico, eh' è di giovare : e con-
chiiide con Alassimo Tirio che il vizio, e la virtù distinguono l' adu-
latore, e l' amico . Trattasi delle molte qualità , che li separano , di-
stinte con molta copia di cose da Plutarco- Si dimanda se tra gli
amici debba essere uguaglianza ; se, data la disuguaglianza tra essi,
al maggiore sia lecita la libertà d'i parlare ; ragionasi della vera a
della falsa eguaglianza , e ricercasi dove si trovi . Non si riconosce
nelle repubbliche popolari, non in quelle, dove reggono gli Ottimiti ;
e venendo a trattare in che essa consista , conchiude che consista
ne' premj dati agi' ineguali disegualmente ■ Si passa quindi a consi-
derare se l'amicizia e la giustizia sieno la cosa medesima; se l'amici-
zia sia una similitudine, o una contrarietà; se sin quantità, o quali-
tà; e ponendola sotto la qualità, nella quale è l'amore, si dice rh'eS'
so o di concupiscenza, o di benevolenza, e si stabilisce che nella bene'
valenza è l' amicizia , notando però che debba essere bencvolenT,a
Dialoghi T III. i8
274 IL MANSO
reciproca . Esietulosi , qìiiiifìi , co'niiicirito a par'iarr. tìgli' amore , n
ilisciiigiiono tre specie principali di esso , Vainore cioè clelC onesto,
r amor del piacere , e l' amore dell' utile , riportando lungamente su
ciò te opinioni di Aristotele . Si discende quindi a recare le opinioni
degli altri , cominciando da Dante , e ponendo che ogni amore è o
di natura, o d'animo , si conclude che si ama o per natura , o per
•volontà ; giacché , secondo /' opinione d' Isocrate , le cose belle f^anno
così tosto la loro operazione , che tolgono lo spazio al consiglio. Do-
po d"ai>er poi dimostralo che molto ramare assomigliasi ali amicizia,
si dubita della costanza nella medesima , e non si vede altro rifugio
a questa difficoltà se non la distinzione . Si distinguono dunque, e su
diviidono le diverse specie delle amicizie , come tutte le specie degli
amori , riportandosi le opinioni di diversi filosofi, e quelle partico-
larmente di Platone, di Aristotele , e di Tullio . Passando infine agli
tiffl'f dell' amicizia , e ritornando a parlare della differenza tra l'a-
micizia e la giustizia, si recano in proposilo gli esempj d' Agesilao,
di Torquato e di Bruto, che preferirono questa a quella. E dalla giu-
stizia in particolare, venendo alla virtù in generale, si tiene per vero
che /' amicizia non sia amore scambievole , ma reciproca virtù ; e
dopo aver narrate alcune opinioni di Plutarco, e di Aristotele si con-
clude che come il principio dell' amicizia è Iddio, il quale è la copia
e l'abbondanza di tutti i beni, ugualmente egli a' è il fine ■
Scrisse, come si è detto , il Tasso questo Dialogo in Roma nel
I 592 ; ma non la mandò che nell'anno prossimo all' amico Man-
so , colla lettera seguente , che trovasi nel MS. del Serassi non an-
cor pubblicato : « alando a V. S. il Dialogo dell'Amicizia, eia
o prego che non voglia ricusar l' obbligo di favorirmi , come amico
a e servidor SUO . Del suo favore potrò aver bisogno in ogni parte,
« tna in Napoli più che nelle altre, perchè io non posso aver rispo-
« sta né dal Sig. Fulvio Costanzo , né dal Sig. Orazio Feltro, al
« quale ho scritto più volte. Il desiderarla dal Sig. Principe di Conca
« sarebbe forse soverchio . Qui non so come trattenermi con le spe-
« ranze solamenlte del Papa , le. quali hanno bisogno d' appoggio ,
a ed io non ho potuto avere ancora udienza. A f^. S. bacio la ma-
« no, e delle altre cose mi rimetto alla cortesia del Sig. Scipione
« lielprato . Di Roma , il 9 di marzo del iSq^ » . Fu poi il Dialogo
pubblicato dopo la morte dell'Autore , in Napoli presso Gin. Jaro-
mo Carlino e Antonio Pace nel iSyG in 4.° (1) .
(i) Questo Argomento è dell'Editore .
0 DELL AMICIZIA o.jS
INTERLOCUTORI
?L SIG. GIO. BATTISTA MANSO, FORESTIERO NAPOLETA.NO ,
D. SCIPIONE BELPRATO .
Il Signor Gio. Battista Manso colla nobiltà del sangue, e
colia gloria de'suoi antecessori^ collo splendore della fortu-
na , ha congiunta per lunga consuetudine tanta cortesia, e
affal)ilità nella conversazione, die a ciascuno è più agevole
interrompere i suoi studj, che a lui medesimo quelli de'suoi
famigliari; e quantunque egli sia desideroso d'imj^arare ed
intendere sempre cose nuove, è nondimeno nelle belle, e
buone lettere ammaestrato, ed avvezzo nella lezione degli
ottimi libri, e di sì alto intendimento, cbe ne' luoghi più
oscuri, e ne' passi più difficili della filosofia, e dell'istorie è
simile a coloro, i quali camminano per vìa conosciuta; laonde
non banno bisogno di guida, ma possono fare la scorta agli
altri. Piuttosto adunque a guisa di signore, cbe di pere-
grino si spazia nelle scienze, e s'avvolge quasi nel cer-
chio dell'arti, e delle discipline. E benché l'occupazio-
ni della Corte sieno impedimento allo studio, tultavoU
ta coli' acume dell' ingegno , e coli' altezza dell' animo
supplisce al difetto del tempo, e dell'occasioni; però non
dubitando io cbe le mie visite gli fossero moleste so-
verchiamente, una tra l'altre volte il ritrovai coli' ope-
rette di Plutarco davanti , e con Don Scipione Belpra-
to , suo cognato, Cavaliere di sì alto, e nobile ingegno,
e sì intendente , cbe niente più se gli scuopre congiunto in
parentado, cbe imitatore nelle virtù, ed emulo nelle disci-
pline; e volendo io ritirarmi, acciocché egli seguisse di
leggere, egli mi disse: ,, non vi partite, chele cose lette
non si possono meglio ritenere a memoria, che di loro ra-
gionando , ed a me il vostro ragionamento sarà quasi una
nuova lettura ,, .
Forestiero . E di che leggevate?
GlovAìNNl'. Della differenza tra l'amico, e l'adulatore, e
come l'uno dall'altro sia conosciuto.
Forestiero. Teme l'adulatore d' esser conosciuto ; mw
2 7^) IL MANSO
per opinione di Aristotile l'amico desidera più d'esser co-
nosciuto, che di conoscere ; però più mi giova di aver co-
gnizione del vostro merito , che di scoprirvi la mia affe-
lione, e non mi doglio nondiuieno che insiine colla since-
rità dell'animo possiate conoscere l'ignoranza, e l'altre
mie imperfezioni . ^
Giovanni. E chi non conosce il vostro merito, eia
fama ?
FoJlESTIERO. La fama è bugiarda, anzi che no; laonde
coloro, che sono conosciuti per fama, mi paiono simili a
quelle immagini, che non son ritratte dal naturale, ma da
un'altra pittura. Sin ora aduitque non mi conosce clii pi r
fama mi conosce; ma io direi di voler essere conosciuto per
vostro ainico, se non dubitassi di parere troppo superbo:
ma se io non aspii'assi alla vostra amicizia, come a segno
troppo sublime, peravventura porrci lunsinghiero, e pu-
sillanimo piuttosto, benché tutti gli adulatori sieno pusil-
lanimi. Laonde dall'an lato, e dall'altro veggio il perico-
lo, e volendo tenere una via di mezzo, somiglierei coloro,
che in Sicilia navigano tra Scilla , e Cariddi , senza avvici-
narsi più alla destra, che alla manca parte.
Glov^ANNl. Strano paragone è questo; e malagevole na-
vigazione adducete per esempio dell'amicizia.
F(_)RESTIERO. L'amicizia è quasi il porto, o sia quel
della Filosofia, o della vostra grazia , o altro si iiigliante; la
Corte è simile al mare, in cui fa uopo di esperto nocchie-
ro; i cortigiani simili agli scogli coperti didl'onde, che so-
gliono occultamente; sommergere l'altrui fortune, i venti
contrarj sono l'avversila di questo mondo; i mostri; i viz]
degli infelici cortigiani, la cui virtù consiste nello schivar-
gli: il vostro favore quasi celeste e divina luce può esser
paragonato all'Orse, a cui come disse un vostro Poeta:
Stanco nnccliier di nnlle alza la testa.
Giovanni . Dolcissima cosa è per se medesima la pro-
pria lode; tuttavolht non è senza sospetto di adulazione.
FoP.ESTIEP.o . Non è segno di adulazione il lodare le co-
se degne di loda ; ma di nemislà, o malignità il tacerle:
però io non temo tanto il nome di adulatore lodandovi,
quanto quello di malevolo, e d'invidioso tacendo dei
o dell'amicizia. 277
vostri meriti , e di quelli de' vostri nobilissimi progeni-
tori .
GiOVANNL Dogli antichi nostri niuna nuova loda potreb-
be parer sovercbia ; ma misurandosi colla misura de' miei
proprj meriti, tutte parrebbono smisurate: non vogliate a-
dunque oltremisura lodarmi.
FoUESTiERO . Le mie iddi adunque, quelle dico, che
da me sono date, saranno simili alle vostre virtù, tutte mo-
derate, anzi tutte misura , e tutte mediocrità , come è la
vostra modestia; ma io credeva cbe al poeta, ed all'ora-
tore si convenisse il lodare oltremodo.
Giovanni. I poeti, egli oratori non sono amici, ma
adulatori.
Forestiero. Il falso adunque leggiamo dell'amicizia di
Ennio con Scipione, e di Orazio con Mecenate, e di tanti
altri, di cui non è necessario il far menzione. > i
Giovanni. Se non furono falsi amici, non scrissero il
falso .
Forestiero. Tanta differenza è adunque tra lo scrivere
e il parlare, che prirlando sia lecito dire per l'amico una
menzogna, che di verità abbia sembianza, ma scrivendo
non sia egualmente convenevole? Io avrei piuttosto credu-
to che fosse minor male spargere una fauia onorata degli
amici, che ingannare i giudici nel giudizio, come fecero
molti oratori : ma se in qualche modo si conviene il dir
le bugie, è lecito all'a nico.
Giovanni All'adulatore piuttosto, il quale essendo ne-
mico della verità ( couie dice Plutarco ) è nemico di Dio,
perciocché la verità è divina cosa, dalla quale quasi da fon-
te, derivano tutti i beni,- e quantunque l'adulatore fosse
(come dicevano gli antichi Filosofi ) nemico della Deità,
ripugnava particolarmente a quella di A.polline; percioc-
ché Apolline ci conforta a conoscere noi stessi .- ma l'adu-
latore ci priva di questa cognizione, e quasi c'inserisce
nell'animo una filsu opinione, per la quale ingannando
noi medesimi , non conosciamo ne i nostri beni , né i nostri
mali, ma i beni quasi tronchiamo, e facciamo scemi, ed
imperfetti; i mali divengono incorreggibili, e senza emenda.
Forestiero. La menzogna dell' adulatore adunque è
278 IL MANSO
contraria a quella del poeta, perchè l'ima è cagione d' igno-
ranza , l'altra di scienza piuttosto, perciocché nella sua
imitazione è una falsità^ che insegna a conoscere la natu-
ra delle cose imitate.
Giovanni. La imitazione è simile allo specchio; il poeta
similmente mostra l" immagine delle cose.
Forestiero. Cotesto è vero , ma lo specchio rappre-
senta l'immagine delle cose esteriori, il poeta mostra al-
l' amico quelle delle interiori .
Giovanni. Se il poeta è imitatore, è peravventura simi-
le ali Alchimista, come per giudicio di Piutjrco è l'adu-
latore, perchè gli Alchimisti non Cmno le cose di oro , ma
imitano solamente lo splendore dell'oro; così l'adulatore
imita solamente la piacevolezza dell'amico, non facendo
inai resistenza, né contendendo in alcuna cosa; ma tacen-
do la verità, o dicendo la bugia per compi icere. E dice il
medesimo Aristotile che ( siccome la pittura è una tacita
poesia, COSI tacendo alcuna volta suole lodire ) l'adulatore
è quasi un tragico Istrione dell'amicizia, perchè siccouie è
un' estrema ingiustizia l'essere riputato giusto, cosi l'adu-
lazione nascosa nel silenzio è oltre ad ogni altra pericolo-
sissima .
Forestiero. Adunque tacendo, e parlando è pestifero
l'adulatore; il poeta all' incontro dovrebbe essere giovevole
ancora colla bugia, e se alcune bugie sono ufficiose, cioè che
possono giovare, tali istimoche sieno le bugie de'poeti^ av-
vengachè lodando l'azioni , che meritarono loda , accresca-
no la virtù del lodilo , se è vero quel chcì si dice : Firtm;
laudata crcscit : ma negli onori non meritati , le lodi sono
quasi consigli, ed avvertimenti del meritarle, e fanno ver-
gognare della propria imperfezione colui, che non se ne co-
nosce degno, perchè da' medesimi fonti sogliono derivar le
lodi, e l'ammonizioni, ma il consigliare, e l'ammonire si
conviene a persona più grave , come è quella di hlosofo , e
di maestro; il lodare è più convf-nienlc a qiuMla virtù del-
l'amicizia, la quale consiste nella conversazione.
Giovanni. Questa è un'altra virtù diversa da quella ,
che noi propriamente chiamiamo amicizia.
Forestiero. E come voi dite: nondiaieno Aristotile
o dell'amicizia 979
quella del conversare cbiama virtù senza fallo, l'altra la-
scia in dubbio se ella sia virtù, ma vuol nondimeno cb 'el-
la non sia senza virtù .
GlOVAìN'NI. O sia virtù, o congiunta colla virtù, è diver-
sissima dall'adulazione nell'operazioni, quantunque nella
similitudine possa essere simigliante.
Forestiero- Distinguiamo adunque fra l'una, e l'altra,
o distinguete piuttosto, percbè distinguendo farete due ot-
time cose in un tempo , l'una di schifìr l' inganno, l'altra
di ridurvi in memoria le cose dette , o di ridurmi piut-
tosto .
GlOVANNL La distinzione ( come piace a Plutarco ) è dal
fine, e dall'uso, percioccbc il fine dell' amico è il giovare,
dell' adulatore il compiacere ; diletta nondimeno ancora
l'amico , ma siccome ne' profumi, ed in alcuni unguenti
sentiamo l'odore, ma quello appareccbiato per compiace-
re al senso solamente, questo purga , e riscalda , e copre la
ferita di carne, ed oltreciò è odorifero molto: così la vi-
cendevole benevolenza degli amici nelle cose oneste suol
dilettare; ne'giuocbi, e negli scherzi, e nella beffa è quasi
condimento delle cose oneste, e delle gravi ; ma l'adulato-
re ba questo sol fine, ed a questo solo è intento, al ritro-
var, dico, qualcbe giuoco, o qualche ragionamento, o qual-
che artificio da piacere; e per ristringere in poche parole
questa materia , non è cosa , che l'adulatore non stimi
conveniente, solo che diletti: ma l'amico, facendo sempre
quel che conviene , spesso è pi tcevole , spesso è molesto;
né soverchiamente studia di piacere, ne troppo schifa la
molestia, si veramente, ch'egli apporti giovamento ed
utilità.
Forestiero . Da Massimo Tirio più brevemente si ha
questa conclusione, che l'amico sia distinto dall'adulatore
non dal piacere, o dalla noia , né dal danno , o dall'utile ;
ma dal vizio e dalla virtù: avete udito l' opinione dell'uno,
e dall'altro .
Giovanni. Ma Plutarco con molte altre dilTercnze sepa-
ra l'uno dall'altro distinguendolo dalla causa , e dal prin-
cipio, perché la similitudine de' costumi è principio d'ami-
cizia; e la necessità, dell'adulazione, o altra cosa, che
x8u IL MANSO
faccia gli uomini diseguali , Ha cia'?cuno ollivciò la sua
proporietà , e quasi l'ulEcio per opini )ne di Plutarco, il
quale non ci volle solanente insegnare la differenza , che
è Ira J oro , aia la proprietà dell'uno e dell'altro. È pro-
prio dell' aulico la libertà del parlare, dell'adulatore il
parlare a voj^lia altrui, per acquistarsi grazia , e benevo-
lenza; ma, essendo l'adulatore astutissi;no , cerca d'i;ni-
tarla a guisa di cuoco, il quale condisce le vivande con di-
versi sapori; ed acciocché la soverchia dolcezza non ven-
ga a noia, la tempera coll'agro e coll'aceto: ma ci è inse-
gnato ancora il modo di conoscere questo inganno, per-
ciocché l'adulatore non è costante neirÌTnitazione,ma mu-
tabile in ciascuna forma, e vario, e sempre diverso da se
stesso; co' cacciatori e cacciatore, e giuocatore co'giuo-
catori, e musico fra' musici , lieto co' lieti; mesto co' me-
sti , ed in som;na si.nile al camaleonte, il quale piglia tut-
ti i colori delle cose, che gli sono vicine, o piuttosto come
le linee de' mattemalici , e le superficie non si piegano, né
si distendono, né si muovono da se stesse, ma si piegano,
e si distendono, e si muovono di luogo co'corpi, decpiali
sono estremità; così l'adulatore, sempre consente con gli
altri, e dice il parere, e discorre, ed intende a modo al-
trui , e suole ancora a voglia degli aliri adirarsi . Sono dif-
ferenti oltreciò l'amico, e l'adulatore, che l'amico trala-
scia ne'nego/j alcune cose minute, e non mostra soverchia
diligenza, o curiosità ; l'adulatore nelle cose sì fatte è as-
siduo, ed infaticabile , e non concede ad alcun altro luo-
go, o tempo di servire. L'amico concedo l'utilità all'ami-
co , ma l'onestà riserbi a se stesso. L'adulatore concede
di leggieri la vittoria Jellii cose oneste . ed in ciascuna ope-
razione si ront.nta delle seconde parti, se non ne'vizj, ma
in quelli vuole il principato: alcuno dice di amare, egli af-
ferma d' impazzire ; scaltri si mostra irato, vuol parer fu-
rioso: ma in ninna cosa meglio si conosce, che negli u(Bcj,
e nel modo di servire, perciocché gli ulTiC], fatti dall'amico
non sono esposti ag'i occhi di ciascuno a guisa di merci,
né ricercano il plauso nel volgo, né la vanagloria, o l'am-
bizione; ma il più delle volte sono occulti, come il dono
di Archesilao fatto ad Apelle infermo, ilquale ritrovando
O Di:i.L'AMir,T/,TA 28 f
solto il cuscino le dieci dramme iasciitléyli dall'amico, qitn-
si volesse accomodare il capezzale, disse sorridendo alla
fante, che l'aveva ritrovate: questo è uno de'furti di Ar-
cltesilao . Non altrirnenli per inio avviso i;li ottimi medici
sogliono sanare gì' internii , quantunque i^V infermi jion
sappiano di risanare; o piuttosto in questa maniera «tessa
Iddio fa beneficio agli uomini , die non si avveggono di ri-
ceverlo: ma all'incontro l'urticio dell'adulalore non l.H
parte alcuna di giusto, e di vero , o di semplice , o di li-
berale, ma si appaga del grido, e del corso, e dell'appa-
renza, e dell'opinione, come di cosa fatta con molta lati-
ca , e con molto studio; oltreeiò l'adulatore rion solo rim-
provera il fatto benefìcio, ma ne! farlo è uso di gloriarsene.
L'amico, se così fosse r.ecessario, delia cosa medesima
parlerebbe modestamente; di se stesso nulla dir'*bbe: ma
non si conosco principalmente l'amico dall'adulatori',
percbè questo sia avvezzo di servire mal volentieri , e di
proii'ettere agevolmente, ma piuttosto percbè l'amico ser-
ve l'amico nelle cose oneste, l'adulatore nelle brutte;
l'uno per far giovamento , l'altro per acquistar grazia.
Fra l'altre diflerenze aggiungerò cpjcsta , cl.e l'anaco è
partecipe piiittosto d' ll'infelit ita e degl'infortuni, che
dell'ingiustizia: l'adulatore all'incontro fugge colla ma-
la , e ritorna colla bm na fortuna; ma fuggendo , e ritor-
nando, è sempre congiunto col vizio : ma l'amico ne' peri-
coli ci sovviene, nelle fatiche, e nelle spese, e nelle cose
rualagevoìi ; e solamente in quelle, che sono congiunte con
qualche vergogna ricusa di adoperarsi; l'adulatore, tutto
al contravin . si scusa nelle fatiche, e nell'operazioni, che
lianno difficoltà , e malagevolezza : non si trova coli' amico
a difender la causa , non a consigliare, non l'accompagna
nelle contese , ò nelle battaglie'; ma a'cmvili, alle comme-
die, alle feste, a'giuochi corre non chiamato, fedel mini-
stro, e messaggiero di amore, e diligentissimo investiga-
tore de' piti fini , e preziosi vini ,e delle più dilicate vivan-
de , e della femminile onestà nemico, ed insidiatore. Ne-
cessario ancora è l'amico, inutile l'adulatore ; laonde è si-
i))igliante alla simia . la quale sa imitar solamente, ma non
può guardare la casa , come il cane ; non portare la sor. «a
T III. Dialo^ln . y
-ìf^y. IT. MANSO
come il cavallo, non arare la terra come il bue , però so«
stiene l'ingiurie, e i disprezzi , e non si reca ad onta di es-
ser beffato , e scbernito , e di farsi quasi giuoco e trastullo
degli adulati . Ecco alcune delle molte cose dette da Plu-
tarco per insegnarci a conoscere Tuno dall' altro , per le
similitudini , e per le dissimilitudini, per le proprietà , e
per le dillerenze di ciascuno. Proprietà è dell'amico il
parlar liberamente, dell'adulatore il favellare in grado :
ma nell operazioni è proprio dell'amico l'essere ufficioso;
dell'adulatore il ricusare i pericoli, e le fatiche. Sono dif-
ferenti nel principio, perchè l'amicizia nasce da similitu-
dine , r adulazione da dissimiglianza . Nell'elezione, perchè
1 amico elegge di esser partecipe della sciagura, non della
colpa; l'adulatore fugge la mala ventura, ma del vizio non
è nemico. Dal fine , perchè l'uno ha per fine il giovare ;
l'altro il piacere. Dall'uso , perchè l'amico è necessario ,
l'altro inutile. Dal modo, perchè l'amico , pur che non
manclii nelle più vili cose, nelle grandi non ha difetto, ma
l'adulatore in queste è difettoso, in quelle soverchio . Da-
gli effetti ancora , avvengachè giovi l'amico nell'operazio-
ni, nuoca l'adulatore: ed in soruma dallo studio , e dalla
contesa, perchè l'adulatore cede la vittoria delle cose
oneste, ma in questa sola non si contenta l'amicizia di es-
ser superata . Quinci avvenne che risuonarono di grida, e
d'applauso gli antichi teatri nel contrasto di Pilade, e di
Oreste , quando ciascuno voleva morire per l' amico , e
vincer di magnanimità: e i nuovi parimente colle medesi-
me voci si maravigliarono, se io ne intesi il vero, per l'emu-
lazione di Ruggiero , e di Leone , e di quella lor magnani-
ina contesa .
FORKSIIERO. Di molte cose mi maraviglio, e di molte
son dubbio; e prima noi abbiamo conchiiiso che l'amici-
zia ami la verità, ed abborrisca la falsità .
Giovanni, Senza fallo.
Forestiero. Ma se ciò è vero , più laudevole sarà nel-
r amicizia la verità detta da Oresle di essere Oreste , che
la bugia detta da Pilade di essere Oreste per morire in ve-
ce dell'amico.
Giovanni . L' una e V altra è parimente laudevole .
O deli/ AMICirJA oS3
Forestiero. Adunque l'amicizia non ama più il vero
del falso, ma l'uno e l'altro egualmente, anzi piuttosto
concede la somma laude alla falsità , perchè la verità det-
ta da Oreste non meritava gran fatto di esser lodnta , non
potendo egli consentire alla morte , ed alla buijia dell' a-
niico senza colpa; tna la menzogna di Pilade è quella , che
mosse la maraviglia, e fece risuonare i teatri con applauso
della sua incredibile costanza : e se quello è vero, che «i
condiiude per questo argomento , in ninna occasione la
verità confermò tanto l'amicizici, quanto in questa la mrn-
zogna detta non all'amico, ma per l'amico. Ecco uno dei
miei duhbj. ne' quali io sono avviluppato,^ e il Signor Gio-
vanni, che può , non si «di^gricrà discioglier questo nodo»
L'altro mio dubbio è nella proprietà , che voi colle paro-
le di Plutarco jitlribuiste all' amicizia , perchè io avrei
detto che l'amicizia non avesse cosa alcuna di proprio.
ma tutte fossero comuni.
Giovanni . Tutte sono comuni Ir tose utili, ma uello-
iiesh» ha l'amico qualclrt" proprietà.
Forestiero . In questa guisa l'amicizia non «ara avara
cosa , ma ambiziosa molto , poiché riserba per sé la viUo-
ria delle cose oneste, dailf quali nasce l'onore.
Giovanni . Diciamo adunque che fra gli amici ogni
cosa è comune ; ma alcune nondimeno sono proprie di tut-
ti gli amici , e non comuni agli adulatori , come è la liber-
tà del parlare , la quale Plutarco assomiglia all'asta di
Achille; perchè, siccome Patroclo vestendosi 1' arme del
compagno condusse i cavalli in haltagUa, e solamente la
lancia non fu ardito di toccare, cosi conviene che l'adula-
tore, mentre va quasi ombreggiando il culto e gli orna-
menti dell'amico, ed imita le insegne e le imprese , lasci
solo la libertà del parlare, come peso troppo grave.
Forestiero. Da un dubbio nascono molti; ne so la ca-
gione, perchè Pilade sia sotnigliato all'adulatore, se forse
non ci vuol significare che se fti amante , fu adulatore;
perciocché tutti gli amanti sono in qtialcbe modo lusin-
ghieri. Ma se fu amico, non doveva lasciare la lancia, cioè
la libertà del parlare . la quale si conviene a' maggiori di
età : ma Pilade f come (eauiamo in Omero, rd in Platone ,
284 "- MAlsrso
nera me giovane di A^cbille ; poteva adunque ammonirlo, e
doveva farlo, ma forse ebbe riguardo alla disuguabtà del
valore e della fortuna .
GIOVANM. A questa senza tallo.
Foresi lEJlo. Ma l'amicizia dovrebbe essere fra gli^-
guali, come dice Aristotile, il quale oltre quell'amicizia,
cbe è propriamente detta amicizia, ragiona di un'altra, cbe
egli ne' libri a JNicomaco cbiama in super-eccellenza , la
quale è fra' superiori, e gl'inferiori di virtù, o di fortuna:
!na gli amici diseguali essendo nella disegualità simili agli
adulatori, deono esser somiglianti nel rispetto del ragio-
nare, e concedere tutte le cose a' maggiori.
GiOVANKI. Senza f.dlo.
FOKESTIER.0. Ma questa maggioranza in qual cosa prin-
cipalmente dee esser considerata, nella fortuna, nell'età,
o nella virtù?
Giovanni. Nella virtù piuttosto, e nel valore.
Forestiero. Adunque fu lecito ad Acbille, div era
valoroso cavaliere, ragionare con tanta libertà contro Aga-
mennone più veccbio di lui, e di maggiore autorità.
Giovanni. Non parve a molti conveniente.
P^ORF.STIERO . Forse fu lecito a Calistene, come a vec-
cbio ed a filosofo, il ripigliare Alessandro così acerba-
mente, e con sì rigitlo parlare.
Giovanni. Né Calisttne meritò lode dell'acerba ripren-
sione.
FORESTlEl\0 . In qual maggioranza adunque di amicizia
è lecita la libertà del parlare, se non conviene in quella
della virtù , o dell'età ? In quella della fortuna? adunque
gli amici maggiori non sono i più nobili, i più valorosi ,
rna i più ricebi , come piace -i Monsignor della Casa , cbe
de' beni della fortuna fu oltremodo abbondevole.
Giovanni, lo direi cbe ivi si convenga njaggior liber-
tà del parlare, ove sia maggior dignità .
Forestiero. Cotesto potrebbe esser vero, se la dignità
fosse congiunta colla potenza r ma essendo disgiun^a, ai
più degni sarebbe molto pericoloso il parlare rigidamente.
Giovanni. Senza dubbio.
Fokestikro. Dunque se la dignità sola ritiene la liber-
O DF.L!>"A!VIICIZ(\ • it85
tà, Ifl ritiene con pericolo: ma se la riserva congiunta colla
potenza , la mag;^ioran/a è pure della fortuna ; laonde per
non concedere alla fortuna alcuna superiorità , non per-
metterei clie fosse alcuna superiorità nell'amicizia, ma dirci
cìie la vera amicizia fosse tra gli e^^uali solamente, se-
guendo in ciò il giudizio dc'Pittagorici, il quale , come ri-
ferisce Alessandro Afrodiseo commentatore di Aristotile
sopra i libri scritti da lui delhi Filosofia divina, delinirono
r atniiàzia parimente pari: quasi non bastasse quello die
è eguale inegualmente, ma alla vera amicizia si richiedes-
se la vera egualità; ed agevolmente credo che dal Signor
Giovanni mi sarà conceduto che si ritrovi la vera egualità,
quantunque quel ch'ella sia, o quale, per sentenza di
Platone nel dialogo decimo delle leggi, è occulto ad ogni
altro giudizio se non a quello dcgl' Iddii.
Giovanni. E come si può negai-e quel che approva
Platone?
Forestiero. Ma concedendosi che si trovi una vera e-
gualità per nascosa, ch'ella sia, è necessario ancora che ci
sia una falsa egualità, nella quale di leggieri ci avvegnamo,
e quasi altra egualità non conosciamo; laonde non possia-
mo conoscere agevolmente ch'ella sia falsa. Dico che è
necessario che ella ci sia , perchè non può eésere l'un con-
trario che non sia l'altro, ma la vera e falsa egualità sono
a mio parer*» contrarie, se forse alla vera egualità non vo-
gliamo piuttosto dar per contrario la fdsa inegualità .
Giovanni. Come vi pare.
Forestiero. Ma pcravventura la fdsa inegualità, e
l'egualità vera potrebhono essere l'istesso, o un istcsso
subietto; ma la falsa egualità, e la vera egualità non pos-
sono in alcun modo essere insieme: ma ricercando la vera
egualità , non so se anderemo cercando quello che è egua-
le per sé: il quale si ricerca nel Mennone di Platone; ma o
sia l'istesso l'eguale per sé da quello che è veramente e-
guale, o pur diverso, bastici ora di trovare quello , che è
veramente eguale,
Giovanni . Non fie mica picciolo acquisto il ritrovarlo.
Forestiero. Ma dove l' anderemo noi cercando? nelle
Repubbliche popolari, dove coloro che sono eguali nella
2.% IL MANSO
libertà, vogliono essere eguali in ciascun allrn cosa, e lut-
le lo governano colla proporzione aritmetica? Diremo dun-
que che eguali fossero Iperl)<>lo, ed (Aristide, e che tra lo-
ro fosse cgualilà, perchè erano pari nella libertà.
Giovanni. Ciò a niun modo può tollerarsi.
FoRESllKKO. Dunque la vera egualità non sarà nelli
Repubbliche , dove ciascuno si stima degno de* medesimi
onori, ne i buoni, e i rei , come dice Isocrate , debbono es-
sere egualmente onorati .
Giovanni. Non, per opinione de' più savj .
Forestiero. Non vi essendo la vera egualità, non vi
fie peravventura la vera amicizia: la cercheremo adunque
piuttosto nelle Repubbliche degli Ottimati; nelle quali gli
onori , e i premj sono compartiti con proporzione geo-
metrica .
Giovanni. Cosi mi pare più convenevole.
Forestiero. Ma se ciò è vero, la vera egualità fi(ì
quella, che premia egualmente; perciocché, siccome inse-
gna Aristotile nel quinto delle sue Morali, deono pigliarsi
quattro termini, cioè due cose, e due persane : sia Achil-
le di dignità , e merito quasi dodeci , Patroclo come sei;
siano due cose l'una di prezzo di otto , 1' altra di quattro :
siccome Achille^ il quale è il dodici, si considera in rispet-
to di Patroclo, che è il sei, così la cosa , che è otto data
per mercede ad Acliille nel compartimento delle prede, ha
il medesimo riguardo a quella di quattro , che si diede a
Patroclo ; dunque l'egualità consiste nei premj dati agi' i-
neguali diseguahnente.
Giovanni . Così pare convenevole.
Forestiero. Questa è dunque vera egualità.
Giovanni. Vera,
Forestiero. E fra costoro potrà esser vera amicizia .
Giovanni , Tale fu l'opinione di quei tempi..
Forestiero. Dunque, al contrario, abbiamo conchiuso
di quel clie prima credevamo, cioè che Ift vera egualità sia
disugualmente eguale: e questa è quella egualità , se non
m'inganno, la quale è nel Cielo, dove non tutti partecipa-
no egualmente della gloria , benché fra l'anime beale sia
somma amicizia e somuia concordia.
O dell' A>ÌICIZIA 287
Giovanni . Assai è certa questa cliinoslraaiune ; s' iii-
i^aDiiiiroiio iuluni|ue i Pittagoiici , ed io con essi stiuiaiulo
clie la vera amicizia sia quella, che è parimente pari, per-
chè ella non è nelle Repubbliche degli Ottimali, ne pur
nel Cielo. S'ingannarono ancora dicendo che la ^iustiiia è
quella, che è parimente pari, co<ne riferisce Aristotile nei
libri ad Eudemo , perchè l.i giustizia sarebbe il uicde'^iinu;
ed oltreciò la vera giustizici non si troverebbe nella propor-
zione geometrica, ma nell aritmetica , non tra gì' iddii , o
Ira gli ottimi Principi i ma nelle Repubbliche popolari: il
die è falso*
Giovanni. Così mi pare senza dubbio.
FoJxESTlEllO. Ma torse non è inconveniente clie la giu-
stizia , e l'amicizia sia T istessa cosa, o molto congiunta ,
come parve ad Aristotile; e quando i Pittagorici delìuiro-
no che l'amicizia fosse quella, che parimente è pari, vol-
,lero ch'ella fòsse tVa due pel'sone , eguali noti solamente di
libertà, ma di età, di merito, di valore, e di dignità,
a' quali tutti gli ortori e tutti i premj egualmente eguali si
dovessero concedere. i\Ia tali peravvtìntura non furono
Teseo , o Piritoo, né Achille, o Patroclo , né Piiad ■ , ed
Oreste i né Lelio, e Scipione; laonde è piuttosto l'idea
dall'amicizia , dalla quale potevano peravventura preade-
J-e esempio Torquato, e Valerio Corvino, o Cesare, e Pom-
peo, se fosj.el'o stali contenti di essere amici , o Bruto, o
Cassio se giusta fosse stata la loro azione: ed io in questa
idea riguardai, quando descrissi l'amicizia del Re di Golia,
e di quel di Svezia: ma l'amt^re non consenti che io po-
tessi descriverla perfetta . Molto adunque sono dubbioso
se la veta amicizia, lu quale dee consistere nella vera egua-
lità, sia quella , che egualmente è eguale; o pur l'altra pa-
ri imparimente, perciocché è malagevol molto l'affermare
che fra Lelio e Scipione, e fra gli altri già detti non fosse
vera amicizia , quantunque fosse in eccellenza; non essen-
do egualmente eguale , e non potendo la virtù di Lelio ag-
guagliarsi col valore di Scipione ^ né quella di Patroclo
colla fortezza di Achille, e così negli altri . Dall'altro lato
non dovrebbe parerci maraviglia se l'amicizie ( per cosi
dire ) degli uomini non siano così perfette, come è quella
2t8t) 'IT. MAASO
considerala ila PiLlagoricujunsi in idea, dico ijuasi 1.11 idea
perchè altro sono i numeri, altro l' idee, tuttavolla non vi
mancarono di quelli , che dissero che erano il medesiiiio .
Giovanni. Questa mi pare as,sai sottil r.iyione.
FORKSTlEflO. Forse con maggiore applauso si potrcldje
affermare che l' amore non è men possente della morte;
laonde se la morte agguaglia tutte le nostre disuguaglianze
(come dice il Petrarca ) può l'amore parimente far pari
'ìe cose dispari , e, come disse Aristotile, (juando si ama.
comesi conviene alla dignità di ciascuno, si fa alcuna
egualità ; laonde se la sapienza di Lelio era eguale alKi
inagnaniu\ilà di Scipione, o la prudenza di Ulisse alla for-
tezza di Diouiede, h.istava la benevolenza, e la concordia
a fare l'egualità: potremo adunque riporre la vera aiuiti-
zia piuttosto fra gli eguali, che fra gl'ineguali , e diremo
con Aristotile che avvenga il contrario nella giustizia , e
nell'amicizia; perchè nella giustizia primi(U"araente siri-
cerca quella egualità , la quale e per dignità , poscia quella
che è per convenienza; nell'amicizia prima quello, che e
eguale per quantità, l'altro dopo.
Giovanni. Così stimo convenevole.
Forestiero. Ma qual vorremo che sia il suo genere ?
Giovanni. La egualità per le ragioni, die sin' ora si so-
no addulte.
Forestiero. Il pari piuttosto, cli'è uno de'dieci ordi-
ni de'Pittagorici , o delle dieci opposizioni ordinate all' in-
contro , che escono quasi sommi generi delle cose : ma po-
nendo l'amicizia sotto il pari, convenevolmente la inimi-
cizia, e la discordia sarà riposta sotto limpari ,
GlovANNliCosl pare assai conveniente, perchè assai vol-
te la discgualità è cagione di niuiistà , come suole avvenire
nelle Repubbliche, e ne' Regni, ne'quali gli onori, e i
prcmj disugualmente dispensati sogliono generare di-
scordia .
Forestiero . Neil' istesso modo potremo dire che l'a-
micizia debba riporsi sotto il genere della similitudine,
e la neu)icizia sotto quello della dissimilitudine ; perchè la
somiglianza de'costumi è cagione di benevolenza; la dissi
miìitudiue , di odio .
o oell'aimigizfa. 289
Giovanni. NcU'islosso modo senza fallo.
Forestiero. Tuttavolta Aristotile ne" suoi libri monili
adclucendo l'opinione degli antichi Filosofi, disse die alcu-
ni vollero che l'ainicizia fosse una similitudine, come Em-
pedocle ; altri piuttosto una dissimilitudiiie , ed una con-
trarietà , come Eraclito, il quale disse:
Quando è secca la terra, ama la pioggia ,
Ma quando più di pioggia è gonfio il Cielo ,
Alla terra desia cader nel grembo.
Ma queste ragioni sono naturali, piuttosto, clie morali.
Laonde ci atterremo alla primiera opinione, perchè vera-
mente la similitudine è amata per se, ma per accidente la
contrarietà .
Giovanni. Sotto la similitudine dunque, e sotto l'egua-
lilà sarà l'amicizia .
Forestiero. Perawentura non può essere sotto Tuno
e sotto r altro genere: ma sotto qual più convenevolmente
si riponga , si potrà in questa guisa considerare, I Pittago-
rici non supponevano altra natura al numero, laonde quan-
do elli dissero che l'amicizia fosse quello, che parimente
è pari, vollero che fosse numero senza fallo .
Giovanni . Numero , e non altro.
Forestiero . Ma il numero, o è sostanza, come essi
«Credevano, o quantità come i Peripatetici, e gli altri han-
no voluto .
Giovanni. Questa opinione più mi piace.
Forestiero. Adunque essendo l'amicizia numero, o
sarà sostanza , o quantità .
Giovanni . Per fermo.
Forestiero. Ma nell'altro modo nascono grandissime
sconvenevolezz.e, perchè la sostanza è quella , che non è m
altro soggetto, ma l'amicizia è nell'amico, come in suo
soggetto: oltreciò la sostanza non riceve né più, né meno ;
ma dell'amicizia diciamo che ella sia più o meno , o mag-
giore o minore aoiicizia: ultimamente alla sostanza ninna
cosa è contraria , ma all'amicizia è contraria l' ininiicizia ;
però Empedocle, che fu uno degli altri Filosofi , che po-
sero i principj delle cose contrarj , oltre i quattro elemen-
ti, che sono principj materiali, aggiunse l'amicizia, e la di-.^
scordìa : non è dunque l'amicizia sostanza.
590 IL MANSO
Giovanni. Non è possibile che ella sia .
FoRESTlElio. Or consideriamo se ella sia cjuiinlila ; ^é
ella è quantità, è quantità non conliuova , ma discreta , o
disgiunta , che vogliain dirla *
Giovanni. È necessario.
Forestiero. Sarà dunque non solamente l'interrotta,
e reintegrata , ma la continova amicizia quantità discreta ,
e disgiunta j e ciò non pare convenevole, perchè all' amici-
zia si conviene di unire, e di corigiuhgere tutte le cose,
laonde pii!i convenevolmetìle si può riporre sotto il genere
della relazione, o della qualità, come la ripose Aristotile
chiamandola mutua benevolenza.
Giovanni. E fuigliore opinione senza dubbio.
Forestiero . Ma la relazione ( come dice Aristotile ) è
un non so che nato dapoi a guisa di germoglio, laonde na-
sce sovra la qualità, quasi sovi*a suo fondamento. Porremo
adunque l'auiicizia sotto la qualità , nella quale è l'amo-
re, e diremo che ella sia amore , come disse E npedocle^ iì
quale confuse assai volte questi nomi d amore, e d'amici-
zia: ma, chiamandola amore , la chiameremo con un nome
più sommo, che non è quello della benevolenza.
Giovanni . Non disdegnerà questo nome l'atjucizia, il
fiuiile è più divino di quello della carità stessa.
Forestiero. Ma l'amore, o è amore di concupiscenza,
ò di benevolenza ; e lasciando da parte quel prium amore
di cupidigia , porremo l'amicizia sotto quest'altro di bene-
voh'uza .
GloNANM. Cosi più conviene.
Foresi lERO. Diremo adunque che l'amicizia è bene-
volenza ; ma la benevolenza alcuna volta è vincendevole ,
altra ncm è; qual diremo, che sia l'amicizia '
Giovanni. La vicciulevcile senza dubbio, perchè l'amo-
re può esser sen/.a corrispondenza ; ma l'amicizia non può
trovarsi se non dall'uno e dall'altro lato •
Forestiero. È dunque l'amiciziii benevolenza recipro-
ca; ma delle benevolenze sì fatte alcune possono esser oc-
culte, e fra persone non conosciute se non per fama, altre
sono manifeste ; e fra questt; v<)lle Aristotile che sia l'ami-
cizia , che per suo parere è brtncn'oleiiza iriutua , e non oc-
culta, e noi a niiin' altra oj>inioiic più volentieri dobbiamo
o dell'amicizia 291
appigliarci; ina non seguiremo l'opinione di coloro, i quali
istimavano che una solamente fosse l'amicizia, percioccliè
il pili , e il meno ( come l'operare ) non fanno diversità di
specie , avvengaclìè nelle cose ancora ditìerenti di specie
sia il più , e il meno: il che peravventura sarà manifesto,
se si è conosciuto quello , che si ama , o l'amabile, che vo-
gliamo dirlo , il quale suol essere , o buono , o piacevole , o
utile; e quello si stimerà utile, col quale s" acquisterà qual-
che bene, o qualche piacere , laonde avviene che il pia-
cevole, e l'onesto si amino come fine; l'utile piuttosto per
mezzo di qualche fine; e pare che ciascuno ami non tanto
quel che è bene semplicemente , quanto quel che stitna
bene a se stesso; laonde i beni apparenti sono il più delle
Tolle i più desiderati , quasi non sia gran differenza tra
l'amare quel che è bene per sé, e quel che solamente con-
siste nell'apparenza. Essendo adunque tre cose, per le qua^
li gli uomini si muovono ad amare ; non si chiama amici-
zia quella delle cose innamorate, perchè l'amore non è
vincendevole ; ma nell'amicizia conviene che la bonevo^^
lenza sia reciproca : tante adunque sono le spgcie dell'alni-,
cizie , quante degli amori .
GiovANNL Degli amori introducono i vostri poeti un nu-
niL'ro quasi infinito , ne'quali ( sebben mi sovviene ) il vo-»
litro Tibullo avvenendosi di notte tempo, non uscì seni?
molto pericolo delle loro mani .
Forestiero. Tre nondimeno sono le specie principali,
eguali di numero alle cose amate, perchè altri amano l'o-
nesto^ altri il piacere, altri vanno dietro all'utilità: ma co^
loro che sono amati per utile o per piacere, non sono ama-
ti per se, ma per accidente; laonde queste amicizie di leg-
gieri si dissolvono, perchè le medesinie cose non sono
sempre utili, né sempre piacevoli egualmente; però, ces-
sando r utilità, o il piacere, cessano l'amicizie; I' una non-
dimeno, quella dico, che si restringe per cupidità di ave-
re, è propria de' vecchi; perchè queiretà non suole segui-
re il piacere, ma l'utilità . Fra queste amicizie Aristotile
ne'libri a jNicomaco pone quella degli ospiti , e degli al-
bergatori: ma negli altri ad Eudemo vuole che sia, oltre
ad ogni altra , principalissima : ma l amicizia de' giovani
1()Z IL MA^•SO
si coiigiiinge per lo piacere, perocché quella età è tutta
ìtichìnatii al diletto, però tosto si fanno le amicizie fra' gio-
vani , tosto finiscono, e sono simiglianti agii amori: ma
l'amicizia (li coloro , che sono simili per virtìi, è perfetti)
amicizia, perciocché l'amicizia sì fatta è por >è , non per
accidente, a vvengachè l'ano vuol bene all'altro non per
altra cagione , se non perchè è buono ,- ma sono buoni ])er
se stessi, perchè la virlù è ìina perfeziime, che fa gli uomi-
ni buoni , e buone le loro operazioni; laonde è grandissinja
amicizia, perciocché quello, che è per sé buono, è mag-
giore di quel che é buono per accidente. Essendo adunque
per ss stessa questa amicizia , e l'altre per accidente , ne
segue necessariamente che i virtuosi, i quali vogliono be-
ne agli amici per se stessi, e non per altra cosa , siano
grandemente amici ; e perché si amano per la virtù, essen-
do la virtìi abito stabile, e pcnnanente , il quale non tra-
passa di leggieri, questa sola amicizia dura quanto la vir-
tù, e quasi s invecchia . Questa ancora è quella sola ami-
cizia, alla quale non manca aicuna cosa ; laonde questa sola
è perfetta, siccome quella, la quale comprende in se stessa
tutto quello, che è di buono. e di laudevole nell'altre ami-
cizie; perchè ogni amicizia è per qualche bene , o per
qualche piacere , o semplicemente considerato , o per ri-
spetto dell'amico: ma questa amicizia ha tutte queste co-
se insieme; io dico non solamenh:' quel che per sé é bcìie ,
ma il piacere e l'utilità è in lei. Adunque si congiungono
tulte le cagioni, che muovono l'uomo ad amare, ed in
ninna più si ama che in questa; non negli auiori medesinii,
quantunque negli amori più si pianga e più si sospiri per-
ché non è sempre maggiore la benevolenza, dove è mag-
giore la privazione: rare adunque sono tali amicizie; im-
perocché pochi sono gli uomini così fatti per la malage-
volezza , che è nel toccare il mezzo , quasi quel punto, in
cui saetta l'arciero, o quella strada angusta , che suol es-
sere fra i dirupi , e fra i precipizj: oltreciò fa nu^stieri in
sì fatta amicizia, di lungo tempo, o di lunga consuetudi-
ne, perciocché l'uno non è ricercato dall'altro per amico,
se non dopo la perfetta cognizione , la quale non può farsi
in pochi giorni , né senza molta esperienza della virtù; nia
O dell' A.VllClZL\. 2C)i
coUiio, che latino tosto quelle operazioni, che appartengo-.
no all'amicizia, voijhono essere amici, ma non sono, ove
non siano (It'i^ni di essere auiati, e conoscano il inerito,
avvengacliè si f^jccia quasi iucontinenle non l'amicii^ia, ma
la volontà di essere amico. Questa adunque amicizia non è
perfetta e per tempo , e per ciascun' altra cosa, e per tut-
te insieme si fa e si conferma ; perchè in questa l'uno ami»
co all'altro è simile nella virtù, e in ogni altra cosa divien
simigliante, come si ricorca nei! amicizi.ì : ma l'amicizie ,
che si fanno per l'utile, e per lo |)iacere, hanno similitudine
con questa : perchè gli amici sono buoni ed utili , e piace-
voli vicendevolmente, e per niuna altra cagione sogliono
dui'are l'anùcizie cosi fatte, se non perchè si rende quasi
diletto per diletto, deir istessa maniera come suole avve-
nire fra i faceti nella piacevole conversazione, ma non in
quella guisa che suole incontrare fra gli amanti, p'^rehè
gli amanti non godono delle cose mcdesiuie , ma l' uno del-
l'aspetto e della bellezza dell' auiato, l'altro della servitù
e dell'ubbidienza dell amante: laonde spesse volte suol
manciire l'amicizia col fior dell'età e della bellezza, per-
ciocché all'uno di loro non piace più l'aspetto, come so-
leva, all'altra non si fa più la medesiiua servitù . Sono al-
cuni, i quali non cambiano nell'amore il diletto, ma l'uti-
lità, e questi sono iiieno amici, e meno continovano nel-
1 amistà, avvengachè coloro ;, che sono amici per T utilità,
sono amici piuttosto dell'utile che dell'amico; laonde
tanto dura i'amicizfa, quanto l'utilità ; però avviene che
i malvagi a'malvagj, e i buoiu a'malvag], ed agli uni, ed
cigli altri coloro , che non sono né hiioni, ne rei siano ami-
ci per utilità e per diletto : ma i buoni solamente per se
islessi, e la sola amicizia tle'buoni è quella, nella quale non
ha luogo alcuno la calunrua, perchè non è agevole il pre-
star credenza ad alcun, t cosa contro l'amico, di cui si è tutta
esperienza per lungo tempo , onde è proprio di quest'ami-
cizia che l'uno creda all'altro , e che siano tanto lontane
da lei l'ingiuria, quanto la calunnia; ma nell'altre specie
d'amicizie suole avvenire il contrario, però solamente la
prima è propria amicizia , Taltre sono dette amistà, per
qualche similitudine , che hanno colla prima , alle quali
'294 "- MANSO
4ono simili nel piacere, e nelT utilità, laonde non sono
amicizie assolutamente , ma perchè così avviene , e cosi
ìn,contra, sono dette amistà, e per la somiglianza principal-
mente. Ma siccome nelle virtù altri sono buoni in abito,
altì*ì in atto: così avviene nell'amicizia , perciocché degli
amici alcuni vivono insieme , e godono della conversazione
e della scambievole utilità; altri ( come dice Aristotile )
dormono, e separati di luogo non fanno alcuna operazione,
ma sono disposti ad operare amichevolmente , perchè i
luoghi non dissolvono l'amicizia, ma l'oper.izioni piuttosto,
quantunque la lunga assenza pare che geiieri quasi oblivio-
ne dell' amicizia , come dell'amore; ma estinguendo l'amo-
re, fa quasi operazione di giovevole medicina dissolvendo^
l'amicizia è simile ad un lento veleno, è dunque necessa-
ria la presenza , senza la quale 1' amicizia è quasi priva del
suo diletto, però ne i vecchi, né i severi paiono atti all' a-
micizia. perchè sogliono apportare pocodiletto nella conver-
sazione: ma ffa coloro , fra'quali non è domestiche/za , può
essere piuttosto benevolenza , che amicizia, perchè ninna
cosa è più propria dell'amico, <.he il vivere insieme, av-
vengachè i poveri, e i mendici desiderano l'utilità ; ma il
vivere insieme è desiderato ancora dai ièlici, i quali non
è convenevole che vivano nella solitudine, essendo gran-
ilissimo male, e sarebbe molesta nel Cielo, come disse al-
cuno: ma non è possibile che usino insieme, se non coloro,
che si compiacciono della domestichezza, e tale suol esse-
re l' amicizia de'compagni, che insieme sogliono godere.
Principalissima iiandiiiicno oltre tutte 1' altre è l'amici/ia
de' buoni , perciocché quel che è bene assolutamente, è
amabile, e desiderabile per sé: ma a questo, o a quelli»
suol essere piacevole , quel che a lui particolarmente è
bene, o gli paro, come suol parere agli amanti; ma fra
l'amore, e l'amistà è questa differenza , ohe l'amore è si-
mile all'affetto , l'amicizia all'abito , e l'amore si stende
ancóra alle cose inanimate , le quali non possono riamare:
ma delli amici l'utio ama l'altro per elezione: ma l'ele-
zione procede dall'abito .
GiovANM. Io credeva che non solamente l'amicizia,
ina l'amore nascesse per elezione .
Forestiero. Oh! quimto bene avelo fatto, vSjgnor, mio
a rompere il corso del mio ragionamento , nel quale io non
era tanto veloce , olie potessi schivare la noia degli ascol-
tatori! Ma avendo cominciato a riferire le cose di Aristoli^
le, (\^ì un lato rni vergogno di non dire cosa , che a voi po-
tesse parere nuova , né di saperle in guisa , che a voi pia-
cesse almeno per l'ornamento: dall'altro non aveva ardito
di mescolare le mie, o le altrui opinioni colle sue, perchè
siccome l'argento giunto all'oro non può farlo più prezio-
so, così la dottrina degli altri congiunta con quella di
Aristotile, non la fa di maggior pregio ; e se ci è alcuna
loda nel sapere accoppiarle, è piuttosto nell'artificio , che
nella materia : ma dell'opere si fatte avviene nondiment)
quello , che suole avvenire de' vasi d'argento mdorati, i
quali son(» ricercati per minore spesa, e se la spesa dimi-
nuisce il diletto delle cose comprate, costando meno, piac-
ciono più .
Giovanni. Chiamate forse li tempo, e la fatica quasi
un prezzo delle cose imparate?
Forestiero. Senza fallo, opere carissime oltre tutte so-
no quelle, elle ne insegna Aristotile; l'altre si apprendono
più di leggieri: ma al vostro duhbio si potrebbe risponde-
re e con Aristotile , e con gli altri insieme .
Giovanni. E piuttosto opinione che dubbio, perchè io
non dubito se un amante debba eleggere di amare : ma,
credo che debba eleggere .
Forestiero. E quai cose dovrebbe eleggere di amare ;
le belle, o le brutte? o quelle, che partecipano dell'uno
e dell'altro estremo?
Giovanni, te belle senza dubbio.
Forestiero. Ma quelle cose' che non hanno dubbio, so.^
no certe, o incerte?
Giov.\NìVi. Certe.
Forestiero. 1^ delle certe non »i fa consultazione, ma
delle incerte solamente.
Giovanni. Cosi dice Aristotile.
Forestiero. Dice similmente Aristotile che la con»
sultazione, o il consiglio va avanti alla elezione ; laonde
non possono essere elette quelle cose , che non possono (?§•
2qQ 11 maxso
ser consigliate, e sé non possiamo rivoc.ire in dubbio, e
quasi sottoporre ai consiglio l'amore delle cose belle, non
possiamo anco eleggere di amarle : oltreciò ditemi , Signor
mio, stimate vera questa opinione di Aristotile, die l'a-
more sia somlofliante all'affezione, l'amicizia all'abito?
Giovanni. Concedasi cbe Aristotile abbia detto il
vero.
FoilESTlERO . Io avrei piuttosto desiderato rbe da voi
mi fosse negato; ma concedendosi, ne segue cbe se l'amo-
re è simile all'affetto, non è affetto; se l'amicizia è somi-
gliante all'abito, non è abito.
Giovanni. Aristotile ba detto cbe l'amore è simile
agli affetti, percbè è simile all'altre passioni, siccome
l'amistà è somigliante agli altri abiti.
Foi^ESTlERO. Il dottissimo Signor Mtnso Via dicbiarato
Aristotile con S. Tommaso , e con questa parola agli altri
abiti datomi la vita: l'amicizia è adunque abito.
Giovanni . E se non fosse, siasi per me.
Forestiero . E l' amore è passione, o affetto?
Giovanni. Nell'istesso modo.
Forestiero. INIa Aristotile ne' libri ad Eudenm divide
gli affetti col volontario, e coll'iiivoionlario , non coM'ele-
zione, o col destino.
Giovanni. E questo cbe importa?
Forestiero. Che noi ragionando di Amore non dobbia-
mo chiedere se egli sia per elezione, o per destino : ma se
egli è volontario, o non volontario, percbè può essere vo-
lontario, e non essere per elezione, né per destino; e se il
destino è il fato, le cose cbe sono per fato , son per natu-
ra : ma quel cbe si fa per natura è in qualche modo oppo-
sto a quel , cbe si fa per volontà .
Giovanni. Non è alcuno amore naturale?
Forestiero . Non dico questo, ma piuttosto che due
siano le specie degli amori , come dice Dante :
Ogni amore
E naturale, o d' animo , e tu 7 sai ,
le quali si distinguono per opposte differenze . Ora io co-
mincio a mescolare le cose doyli altri con quelle di Aristo-
lile, e se non vi spiace la mescolanza, siami lecito anche
O DEM/ AMIC!7,rA 2p7
(li mescolare questa opinione d' Isocrat»> , le cose belle fiin-
no così tosto la sua operazione, cl'e tolj^ono lo spazio al
consiglio, e per conseguente alla eleziìn;', laonde io sti ue-
rei , che gli amanti" siiino simili ai percossi dal fulmine, i
quali non hanno tempo di schifare il pericolo; però disfe
il Petrarca :
Come col halenar tuona in un punto,
Così fui io da' begli occhi lucenti ,
E da un dolce saluto in-ieme aggiunto .
Si ama adunque, Signor mio, o p'^r natura, o per voi 'ntà ,
non per consiglio , né per elezione.
Giovanni. Del consif^li) sia quel che a voi ne pare, per-
chè Alessiindro non propose al consiglio de' Macedoni
s'egli dovesse amar Rossane, né Massinissa si consig'iò
To'^Iumidi, se a lui si convenisse di consentire all'amore
di Sofoni'sba ; e se prima si fosse consigliato, sarehbe p^^-
ravvrntura avvenuto quello, cVje dapoi avvenne, come dis-
se il Petrarca :
Però d' un tale amico un tal consiglio
Fu quasi un scoglio all' amorosa impresa :
avvengacliè le operazioni degli amanti ( come diceste )
sian veloci ; mn il ccnsiijlio ritarda tutte le cofc: ma io
nell'amore ricereo un'elpzione serza consiglio, unn delibe-
razione senza contesa di varip opinioni, una costanza sen-
za opposizione: e come potrebbe esser costanza neiramo-
re, se non vi fosse elezione? Se sono adunque alcuni aman-
ti costanti, sono per elezione ; anzi se non e amore quello,
che non è costante, non è alcuno amore , che non sia col-
l'elezione . Gli altri, nt'qnali Tamante non elegge di ama-
re, di servire, e di jnerit-tre amando, non sono amorì,
ma umori, appetiti, cupidigia , sensualità. L'amore con-
viene che sia stabile , fermo, e fondalo nell'elezione, e nel
proponimento di amar continuamente.
Forestiero Ne io ricercava nell'elezione il consiglia
d'altrui, che di se stesso, come necessario: ma mi pareva
assai convenevole quel modo di consigliarsi , come suol
fare l'amante fra se medesimo, come si legge ne' poeti :
Che fai, alma ? che pensi ? avrein mai pace?
A^'reni mai tregua ? od avrem guerra eterna ?
r III. Dinlo^M 20
298 IL MANSO
Chejìa di noi non so, ma a quel di io scerna
A' suoi begli occhi il mal nostro non piace;
o in quegli altri :
Che debbo far, che ini consigli Amore. ^
Tempo è ben di morire ,
Ed ho tardalo più, ch'io non vorrei .
3Jadaunaè morta , ed ha seco il mio cuore:
E i'olendol seguire ,
Interromper convien questi <xnni rei -
quantunque tardi fossero questi consigli. INIa il principio
dall'amore fu senza consiglio , e senza elezione , e simile al
terrore , ed alla cattività di uu uomo assalito all'improvvi-
)jo, come si legge in questi altri versi:
Però turbata nel primiero assalto
Non ebbe tanto né i'igor , né spazio ,
Che potesse al bisogno prender l'arme;
OiH'ero al poggio faticoso ed alto
Ritrarnii accortamente dallo strazio,
Dal quale oggi vorrebbe , e non può, aitarme.
Non è maraviglia dunque clie nell'amore, nel quale non
è elezione, non sia costanza: ma sarebbe peravventura
maraviglia, se bistasse l'elezione a far costante l'amore,
non altri Jienli che se l'elezione del navigare potesse far
costante la fortuna del maro .
Giovanni. L'elezione può far costante il nocchiero,
quantunque sia instabile la fortuna .
FuRESriEr.O. Ma io assomiglierei il noccbiero piuttosto
alla ragione, la quale dee sedere al governo, e sedare gli
affetti concitati di Amore nell'onde agitate dalla fortuna.
Giovanni . Tuttavolta il Petrarca pose Amore al timone
dicendo :
ed al governo
Siede il signore., anzi'l nemico mio.
Forestiero. Quivi parla il poeta di una disperazione
umorosa, nrlla quale ninna cosa si elegge , ma tutìe sono
violente , e fortunose ; laonde per mio avviso la costanza
non è propria dell'amore, porcile l'amore è non abito, ma
passione, cinp niovimo.nto : oltrociò , Arist{>tile scrivendo
ad EudemOjclutiHja costanti quelle cose solamoijto, le qua-
O DELL AMICIZ(A
-'^99
li non si fanno tosto, né tosto si dissolvono; ma l'amore
nasce incontanente a guisa di fuoco, die subito si appiglia ;
l'amicizia allo incontro tardi si ristringe , e tardi, o non
mai si rallenta : dunque dell'amicizia è propria la costanza.
Giovanni. Già mi son pentito di aver creduto the
l'amicizia sia abito, e peravventura Aristotile volle inten-
dere che ella fosse passione , o disposizione nella stabilità^
simile agli abiti .
Forestiero . Cotesto potrebbe esser vero , perchè nel-
la Topica non volle cbe il subielto dell'amicizia fosse la
volontà, come parve dapoi a S. Tommaso, ma la parte
sensuale; ma peravventtir.i non intese d'altra amicìzia, cbe
di quella, che ba per fine il piacere, percbè l'allra, il cui
obietto è l'onesto, ragionevolmente dovrebbe avere la sede,
e quasi la reggia nella volontà: comunque sia, se l'amistà
fosse passione sivnile agli abiti, T amore sarebbe abito so-
migliante alle passioni.
Giovanni. Non so quale sconvenev(»lezza sarebbequesta.
Forestiero. L'amore adunque, tutto che fosse abito ,
sarebbe instabile , come le passioni ; e 1' amicizia quantun-
que fosse passione sarebbe costante , come gli abiti .
Giovanni. Io crederei piuttosto cbe l'atnicizia fosse so-
migliante agli abiti nella facilità drll'operare, o in altia
cosa sì fatta , e l'amore fosse simile alla passione nella ma-
lagevolezza, e nel fervore , percbè ninno amico opera con
tanto ardore , e con tanta sollecitudine, con quanta so-
gliono adoperare gli amanti quelle cose, clic sono in ser-
vigio della persona amala. Ma voi, cbe ne dite , Signor fra-
ti'llo, cbe sì lungamente avete taciuto, non a guisa d'ar-
bitro, ma quasi ascoltatore delle nostre , o piuttosto del-
l'altrui differenze?
Scipione. Io per me reputo l'amore cosa divina : però non
mi può capire nell'animo in modo alcuno cbe le cose divine
siano più instabili dell'umane,avvengacbèse vi èalcuna certa
costanza, è nelle cose celesti, e nell'intelligibili: rna nell'al-
tre, che son fatte a quella similitudine, si trova solamente
una quasi immagine della costanza , però se è vera quella
opinione , cbe il nome di amore sia più divino di ciascun
altro , non dobbiamo dubitare cbe l'amore sia costantissi-
3oo IL MANSO
mo, ma se l'amicizia ancora è si fatta , l'amicìzia simil-
mente è cosa divina , e non pare che sia umana virtti; anzi
^er opinione di Luciano merita divino onore , e fa divine
operazioni ; laonde non è maraviglia che ella fosse adora-
ta fra gli Sciti , o die Dei , ed Er-'i fossero reputati quei
Gn?ci , che meritarono di essere celebrati nelle lodi d'ami-
cizia , e adorati da'Birbari, e da' nemici medesimi: ed al-
cuna volta ho creduto che la virtix eroica , e divina altro
non sia, che l'amicizia, perchè non è operai^ione di U(na-
na virtù anteporre l'altrui vita alla propria, ma le cose
divine dalle divine non sono dislinte di gmere; laonde io
non porrei r attore, e l'amicizia cosi disej»uali , e quasi
contrarj, cioè l'amici/ia sotto il i^enere degli aifetti, l'a no-
re sotto quelle degli abiti; ma direi che l'amicizia, e
l'amore fossero sotto un genere sl-csso , o che l'a nore fosse
genere dell'amicizia , e principio ( come si dice ) della be-
nevolenza : e più mi piace l'opinione di coloro, che vo-
gliono che l'amore sia amicizia quasi nascente, e l'amici/ia
sia un amore invecchiato , né concederei che ranico ni^-
cessariamente ami l'altro, ma l'a nato possa non a naie
l'amante; ma piuttosto approvo l'antichissima sentenza
di Solone, clie l'amato sia l'amico: né per mio avviso ne
siegue alcuno di quegi' inconvenienti , che molti siano ini-
mici degli amici , ed allo incontro amici dei nemici, perchè
Amore a nullo amato amar pc^rdona ;
e siccome nell'amicizia, cos'i nell'amore noti finto è neces-
sario che l'amato riami; non si estingue dunque l'amore
prima dell'amicizia per difetto di chi riami, ma l'uno e
l'altro è cost.mtf", e divino, e maraviglioso egualmente.
Forestiero. Se tanto è simile l'amore all'amicizia, che
siano per poco ristesso, dubito della costanza dell'amici-
zia medesima , e non veggio altra fuga , o altro refugio,
die la distinzione; perchè distinguendo le specie dell'aoi-
< izia secondo le specie degli amori, potrei concedere che
alcuna fosse divina amicizia, come è la carità; altra uma-
na amicizia, ma ferina amicizia, come ferino amore, se
pur si trova , appena che io ardissi di usare questo nome .
Ho letto nondimeno degli amori e degli odj, non solamen-
te tra le fiere, come è quello , fli cui fa menzione Aristoti-
o dell'amicizia 3oi
le e Plinio, ma tra le piante, e tra gli elementi, tiittavol-
ta n.iii lulii dire giammai che tra fiera e fiera fosse aini-
cizii ferina, ma ferini nemistà, o nemistà naturale, cioè
p;tssir)ni , ed aftetto senza consiglio e senza elezione. Laon-
de il nome di amore ddl' uno estremo è più divino, il che
vi si concede ,• dall'altro è più ferino: ma l'amicizia, che
non i^iiò tanto aspirare alla divinità, malto più è sicura
dalla lerità. Non lodo adunque ne Empedocle, né Eracli-
to, che non distinsero 1 amicizia dall'amore, ne tanto mi
piace il distinguere le specie dell' amicizia secondo quelle
di amore, quanto second) le specie della giustizia, cooie
le distingue Aristotile, ne' libri ad Eude uo; ne porta opi-
nione molto diversa da questa scrivendo a Nicotiiaco, av-
venga che egli c'insegni che l'amistà sia nelle medesime
cose , o intorno alle slesse; perchè in ogni compagnia pa-
re che si trovi qualche giustizia, o qualche amistà.
Giovanni. Io mi maraviglio della diversità delle opi-
nioni, perchè alcuna volta avete detto che l'amicizia e
l'amore sia l'isiesso, altre volte che 1' amistà e la giusti-
zia sia il medesimo; laonde se quelle due opinioni fossero
insieme vere, seguirebbe che la giustizia, e l'amore fosse
il medesimo: ma questa mi pare falsa opinione, perchè ho
letto :
Gran giustizia agli amanti è grande offesa ,
ed altrove.
Amor regge su&imperio senza spada.
Ma la giustizia adopera la spada ne' regni da lei governati.
Forestiero. Io ho letto chi cinge la spada al fianco
d'Amore , ma non so chi gli ponga le bilancie in mano: ma
se egli ha usurpato il fulmine di Giove, gh poteva anco un
giorno involar le bilancie, colle quali pesasse le colpe, ed i
jjieriti degli amanti.
Giovanni. Gentile impresa sarebbe far figurare un A-
more colle bilance, ma se io chiedessi il motto, agevol-
mente trapasserei di materia in materia .
Forestiero. Seguiamo adunque il nostro ragionamen-
to, e vediamo quanto si acquisti, o si guad.igni , presup-
ponendo che l'amore e l'amicizia sia l'istesso, o non mol-
to dissimigliante; e prima diremo, vi prego Signor Don
3o2 IL MANSO
J^eipione , non è egli vero clic 1 aìnore è un desiderio del-
le cose buone e delle belle?
Scipione. Questa è opinione da ciascuno approvata.
Forestiero . Ma il desiderio è delle cose, che ci man-
cano, perchè non è uomo, il quale non desideri quelle di
cui sia prive» : se 1' amore adunque è desiderio del bello e
del bene, egli non è né bello, né buono: non può essere
ancora di mala natura , perchè il male non desidera il be-
ne, ne il brutto desidera il bello .
Scipione. Questo ancora vi si concede, quantunque
Eraclito portasse opinione che un contrario fosse amico
dell'altro .
Forestiero. E necessario il concederlo; perchè altri-
menti l'odio sarebbe amico dell' amore, e la nemistà della
concordia , cosa sconvenevolissima .
Giovanni. Io non so, se a' Dialettici sia lecito provare
tutte le cose, couie a' poeti fingerle; ma se v'ha poeti, che
hanno finto Amore innamorato, e filosofi anora, come
Apuleio, non vi dovrebbe mancare chi descrivesse l'odio,
e la concordia innamorata, e fu sottile avvediuiento di
quel nostro poeta, che accennò questa opinione in quel
. verso:
Amor tu pria farai coli' odio pace-,
perchè se l'amore può far pace culi' odio, può amar
l'odio.
Forestiero. Fu addotta per cosa impossibile; laonde
se io non sono errato con tre sillogismi, come insegnano i
Logici , si potrebbe provare che impossibile fosse che
r un contrario fosse amico dell'altro: falsa adunque, per
mio parere , è l'opinione d' Eraclito , e vera quella, che
Amore essendo desiderio del bello e del buono, non sia né
bello, ne buono: ma se l'amicizia ancora desidera lo cose
belle, e le buone similmente, non sia né bella, ne buona ,
né buoni siano gli amici, né rei: ma tra' buoni e rei senza
r una e l'altra ({ualità.
Giovanni. Saranno adunque come le persone delle tra-
gedie.
Forestiero. Tragiche persone sono Pilade ed Oreste,
non meno Eroiche Achille e Patroclo : ma gran perdita ha
o dell' amicizia 3o3
fatto l'amicizia con questa mutazione di sentenza , se non
può essere amicizia fra' buoni; laddove con Arist(jlile ave-
va provato che Ira' buoni fosse solamente la vera amici-
zia ; ora con questa ragione si è conchiuso che i buoni
non possono essere amici de' buoni .
GlovAiNNi . La ragione nn è fuggita dell'animo, come
fanno quelle cose , che non hanno fermezza .
Forestiero. Replichiamola adunque colle parole usale
da Platone medesimo nel Lisia, e consideriamo di quanto
valore ella sia. Se crediamo al vecchio proverbio, pare che
il bello ci sia amico; perciocché il bello è un non so che di
molle, di liscio, di piacevole e di pulito, perciò di leggie-
ri serpe, trapassa e penetra per ciascuna parte : ma io di-
co che il buono è bello, ed agli altri dovrebbe parere il
medesimo .
Scipione . A ciascuno .
Forestiero. Ma del buono , e del bello è amico quel
che non è buono , ne maligno : perciocché sono tre generi
nell'anima, l'uno buono, l'altro reo, l'ultimo ne buono,
ne reo , fra' quali né il buono è amico al buono, né il ma-
ligno al maligno, né il buouo al malevolo, come dimostra
k ragione addotta di sopra .
Scipione. Piuttosto la profezia , o il vaticinio di Plato-
ne , perchè egli disse queste cose quasi indovinando.
Forestiero. Questa conclusione none senza prova,
perchè già si è detto che se il tnale fosse amico del buono ,
1' un contrario sarebbe airiico all'altro ; ma se il reo fosse
amico al reo, o il buono al buono, ciascuno sarebbe amico
di quelle cose, le quali possiede, ma l'amicizia, come l'a-
more, paiono di quelle, che sono negli altri. Oltreciò se il
buono fosse amico del buouo , o il malevolo del malevolo,
l'amicizia sarebbe tra simili; ma per opinione d'Esiodo,
ciò è inconveniente, essendo la similitudine cagione di ne-
micizia , come e' insegna quel vecchio proverbio ; resta
adunque che il. buono sia amico di quello, che non è ne
buono, né reo, E questa amicizia fra quello, che non è buo-
no , e il buono, è per la presenza del male : perciocché il
corpo sano per la sanità non è amico al medico: ma come
egli inferma, subito si fa questa amicizia tra il modico . e
3o4 IL MANSO
il corpo interino, il quale ricerca , ed ama Li medicina per
la presenza del male: ma il corpo in se slesso non è buono,
ne reo: ma quello, che non è buono, o reo , alcuna volta
per la presenza del male non è ancor maligno; alcun altro
è divenuto maligno , quando ancora non è maligno . Lu
presenza del male ci forza a desiderale il bene, ma la
presenza del male, che l'accia malevolo il suggello, cor-
rompe l'appetito del bene , e rifiuta l'amicizia, percìic
non è più né l'uno , né l'altro , ma è divenuto l'altro, ciò
è il male: ma il male non può essere amico al bene, o il be-
ne al male; per questa cagione coloro, che sono già sapien-
ti non sogliono più filosofare , né coloro , che troppo so-
no corrotti dall' ignoranza ; coloro adunque solamente, i
quali per soverchia ignoranza non hanno perduti gli occhi
della mente, ma conoscono di non sapere quel che non
sanno veramente, sono filosofi, ed amatori della sapienza .
GlOVAiNNI. I Filosofi adunque non sono buoni , né rei.
Forestiero. Non per questa ragione, perciocché né i
maligni possono filosofare, né i buoni più s3 ne curano,
avvengaché il contrario non sia amico al contrario; né il
simile al simile, come abbiamo dimostrato .
Giovanni. I buoni dunque dopo l'acquisto delle scien-
ze , sono simili a'mercaoti arricchiti , i quali non si curanii
di Irarricchire .
Forestiero. Queste cose mi paiono dette da Platone,
piuttosto per ri|^rovare l'altrui opinione, clie per confer-
mare la sua, la quale fu, che l'amicizia fosse non sola-
mente tra'l buono, e colui che non è buono, né reo.- ma
Ira il buono , e il buono , perchè se il buono men desidera
il buono , non è men solito il buono di godere il buono ,
anzi di niuna cosa gode più, che della virtuosa conversa-
zione, la quale non basta per conservare l'amicizia: laonde
per giudicio de' Platonici due sono le specie dell'amistà,
l'una tra il buono . e colui , che non è buono , o reo , fon-
data piuttosto nel desiderio , che nel piacere ; l'altra fra il
buono, e il buono, nella quale è minor d(^siderio, e mag-
gior diletto.
Giovanni . Gran diversità è (juesta fra Aristotile e Pla-
tone, perché l'uno estiiua che l' amicizia possa ancor con-
o dell' amicizia 3o5
giungersi fra' malvagi, alfine ili aver diletto, o utilità, quan-
tui)(iue la vera, e perfetta auiicizia sia tra' buoni j l'altro
tra' iualvayi non pone amicizia, e tra'buoni appena la
concedi^ .
Scipione. Non è meno discorde M. Tullio all'uno, ed aU
l'aìtro, o non pare: ma senza fallo la sua opinione è piiì de-
gna di maggior lode, avvengacliè poco generoso nascimento
diano all'amicizia coloro, che vogliono ch'ella abbia prin-
tjipio dalla povertà e dal bisogno, e dalla debolezza, affinchè
n<'l dare, e nel ricevere, ciascuno prendesse dal compagno
quello, che è mestieri , e vicendevolnente gliele rendesse;
tna più antica, e più illustre, e più bella, e più naturale è
r origine dell'amicizia, perchè l'amore, dal quale si nomi-
na l'amicizia , è quasi principe nel congiungere gli animi
colia benevolenza , perciocché 1' utile spesso si piglia da
coloro, <;be per similitudine dell'amicizia sono onorati nel-
le occasioni, ma nell'amicizia niente è finto, niente è simu-
lato: ma tutto ciò, che è nell'amicizia, è vero e volontario.
Però (come piace al medesimo autore) non può essere ami-
cizia , se non tra' buoni ;
Forestiero. Io concedo agevolmente all'amore luogo
nell'amicizia , e il principio non che altro , se vi pare : ma
distinguendo le specie dell'amicizia , come è nostro propo-
nimento, non lodo , ch« ciò si faccia seguendo la distinzio-
ne delle specie dell' amore , perchè si va a grandissimo
pericolo, come sarebbe quello della confusione della natu-
ra, e delle cose; avvengachè il distruggere i fondamenti
dell'amicizia , che sono le virtù , è quasi un gettare a ter-
ra quelli del mondo, e richiamare l'antichissimo Caos, nel
cui grembo egli si giaceva, come accennò Dante, quando
disse :
Parve che V universo amor sentisse.
Laonde estimo più sicuro parlilo seguendo Aristotile di-
stinguere l'amistà come la giustizia , o come le Repubbli-
che, se così facesse mpstieri ; e già abbiam dt'tto che del-
l'amicizie alcune sono fra gli eguali , altre fra gì' iti.^guali ,
di cui poco, o nulla abbiam ragionato; e queste sono tra il
padre, e il figlino! >, tra il marito, e lu moglie, e tra il Prin-
cipe , e il soggetto, e, come dice in un altro luogo, tra co-
3o6 IL MANSO
lui, che fa beneficio, e quel che riceve, i quali tutti han-
no diversa virtù. , e diverse openizioni , diversa amicizia, e
diverso amore ; laonde l' istesse cose non sono fatte , ne ri-
cercate dall'uno, e dall'altro.- ma i padri danno afigliuoli
quel, che al fii^liuolo è conveniente ^ i figliuoli all'incontro
concedono ai padri quel che è debito, e come in ciascuna
di queste amicizie sia l'amore, è amore con dignità e con-
venevolezza ; perciocché il piìi degno , e il più utile merita
più di essere amato; ed in questa guisa nella disuguaglian-
za si fa egualità , in un altro modo nondimeno, che nella
giustizia; perchè nella giustizia è prima eguale quello che
è^per dignità, dapoi l'altro per quantità ; ma nell'amistà
prima è pari quel che è pari in quantità , come abbiamo
detto, dapoi è quello ,che è per dignità , e per convenien-
za: e quantunque ciò paia esser vero piuttosto nello specie
dell'amistà, che sono tra gli eguali, nondimeno fra'dise-
guali ancora non è falso, che prima si debba aver riguar-
do all'egualità , die è nel quanto, dapoi a quel che con-
■viene; perciocché nell'amicizia, come ne insegna Cicerone?
coloro, che sono superiori , deono inchinarsi, e quasi sot-
toporsi, ed innalzare gl'inferiori; in questa guisa si fa la
parità. E grandissima cosa è nell'amicizia, come alTerma il
niedesitno , cbe l'inferiore sia parlai superiore : però fra
tutti gli altri fu lodatissimo Scipione , che non si prepone-
va a Filone , non a Lelio, non ad altro amico , quantunque
tutti superasse di valore, e d'eccellenza . Dovrebbe adun-
que la conversazione fra gli amici essere somigliante a' ra-
gionamenti fra' piccioli , e fra' grandi, de' quali disse l' An-
guillara quasi per giuoco:
Convien di egli i impicciolì , io m' ingranili .
Ed ebbe forse risguardo a quel verso di Pmdaro :
CLtupo; iv Cfj.'.Hpoii xxi jj.iyj.i iv ixi-yctKoi; tcrco^ia;.
Ma oltre tutli gli altri, io lodo il parere di Aristotile nei
libri ad Eudemo , il quale vuole che si faccia quasi un
cambio nella quantità • perciocché il più eccellente, conce-
dendo la maggior utilità all'amico men degno, ha il mag-
gior onore , eia maggior gloria .
Scipione. Questo è quello di che pare, che si ramma-
richi Lelio appresso Cicerone, dicendo): dove ritroverai
o dell' amicizia 3o7
quest'uomo, 11 quale l'onore dell'amico anteponga al suo
nieiTesirno, quasi non basti l'anteporre l'utilità dell' amico
alla propria , se non si antepone anche 1' onore? JNon estima
ancora che si d<bba commendare nell' amicizia la purità
degli oiTic) , e della volontà in guisa, che la ragione del-
l'avere, e del ricevere sia egUode ; perchè questo è un fare
i conti neir amicizia , troppo minuta , sottilmente ; più viva
e più abbondante dee essere la vera amistà , e non dovreb-
be temere di non rendere più ch'ella non ha ricevuto.
Forestiero. Generosa è l'amicizia, come poco dianzi
diceste, ma non men generosa la giustizia: intanto che
da'suoi nemici, o da' Sofisti fu riputata pazzia; si stima
poco dagli amici l'avere per l'amicizia , si sprezza simil-
mente perla giustizia: si va alla morte per l'amistà, si
corre alla morte per la giustizia , per testimonio ancora di
quel poeta, che disse :
Coni' noni , che per giustizia a morte corra ;
ne solamente si ritorna alla prigionia, o al morire, come fe-
cero alcuni amici; ma a' tormenti della crudelissima morte
in quel modo, che di A.ttilio Regolo si legge: ma nelle for-
tune dal mare , delle quali niuiia cosa è più orribile, e spa-
ventosa, si dispone l'uno amico al medesimo pericolo, nel
quale era caduto l'altro , in quella guisa, che Tossari Sci-
ta racconta di Damóne , e di Eutidico , e senza far contesa
o di sughero, o di tavola gittata nell'onde per loro salute,
benché dagli altri rimasi nella nave fossero pianti per mor-
ti, vivi pervennero al lido della Grecia , ed anco insieme
fdosofarono in Atene. Il giusto similmente non usurpereb-
be la tavola ne' naufragj del mare, dove altri potesse salvar-
si, quantunque egli dovesse perderne la vita; non è adunque
nien generosa la giustizia dell'amistà : ma intanto è meno
fortunata , che la giustizia alcuna volta costringe il giusto
a mandare in esilio i figliuoli, a privargli degli occhi, a dar
loro la morte ; ma l'amicizia sempre si adopera per la sa-
lute degli amici. Oltreciò dell'amistà , per la sentenza di
Cicerone, è contraria ogni severità , ed ogni mestizia : ma
la giustizia è sempre severa , e il più delle volte mesta nel-
le sue operazioni, e per questa cagione degna di maggior
loda; laonde M. Tullio, conchiudendo il suo libro, diceche
Jo8 IL MAlNbO
l'amicizia dovrebbe essere anteposta a-tutte le cose eccet-
tuatane la virtù; ma niuna virtù per giudizio di Aristotile
dovrebbe più eccettuarsi della giustizia, percliè ella è
tutta la virtù; ma in niuna sua azione è più aiagnanirna la
giustizia, cbe nell'avere iu egual considerazione i nemici
agii amici .
Giovanni. Non fu cosi fatto Agesilao, il quale per ri-
spetto degli amici aveva minor riguardo alla giustizia, co-
me si legge nel caso di Sfodria , al quale dal Re fu perdo-
nato per l'amicizia , cbe era tra'figliuoli dell'uno, e dei-
l'altro.
Forestiero. Non merita di questa azione, né dell'altre
simiglianti alcuna loda Agesilao, e più dobbiamo lodare I
Sruti,e i Torquati, e gli altri , cbe furon giusti giudici de-
gli amici , e de' parenti , o pure accusatori.
Giovanni. Troppo severa è la giustizia , se non concede
all'amistà cb'ella possa difendere l'amico u torto.
Forestiero. L'autorità de' magnanimi Principi , di
Ciro , dico , e di Agesilao , e quella de' due ottimi Filosofi ,
di Senofonte, e di Aristotile ini fanno di ciò dubitare alcu-
na volta: ma particolarmente la virtù del Re de' Lacede-
moni, la quale per giudizio di Senofonte fu si'uile al Re-
golo, ed alla Norma, e da tutti dovrebbe essere imitata:
tua di lui si scrive non meno , cbe di Ciro, cb'egli si sfor-
zava di superare gli amici, ed i benemeriti ne'benefioj , e
gì' inimici nel modo di nuocere , sebben mi ricordo, nel-
l'ingiurie; anzi se crediamo a Socrate, ed a Senofonte, in
que' libri, cb'egli compose de" suoi detti, e fatti , la prin-
eipal virtù dell'uomo è il vincere gli amici con bencQcj ,
e gl'inimici con maleficj ; cbè le cose, clic sono ingiuste
negli amici, son giuste negl' inimici, come l'uccisioni, le
prede, e gl'incendj, e le rovine , e l'altre si fatte .
GlDV^ANNl. Per mio ajuto piuttosto si dovertìbbc difen-
dere un inimico a torto, cbe offendere il necuico senza ra-
gione .
Forestiero. Ma per giudizio di Aristotile le ragioni ia
ciò son quasi pari, e da'medesimi costunù procede il far
bene agli amici, e male a' nemici; laonde convertendo
queste proposizioni , nell' istesso modo sarebbe degno
o dell'Amicizia 309
dì biasimo colui, che i^iovasse al nemico, e nocesse «nll'a-
mico .
GlOV^ANNI. Molto simile è l'opinione di Aristotile a
<juclla di Senofuute, e pare quasi rivo derivato dal mede-
simo fonte.
FoKESTlEUO. Ma ditemi, vi prego, Signore, se l'uomo
valoroso dee nuocere al neniico, o col vizio dee nuocere,
o colla virtù, o coli' uno e coli' altro?
Gjovanni . In una di queste sesiza fallo.
Forestiero. Ma nocendo col vizio , sarebbe vizioso.
OlovANNi. Sarebbe , se egli nocesse col proprio vizio .
Forestiero. Parlo di quesl<» , perchè il nuocere al ne-
mico suo col vizio , o colla ignoranza del nemico medesi-
Simo, è loda, e virtù de' più eccellenti capitani; ma non
dovendo alcuno al nemico far danno col proprio vizio, non
dee esserli dannoso col vizio.
Giovanni. Per la medesima ragione non dee farlo.
Forestiero. Dunque colla virtù dee nuocere all'inimi-
co: ma colla virtù non si nuoce, ma si giova , essendo co-
sì proprio della virtù il giovare, come del vizio il nuocr-
re; dunque si può rivocare in dubhiì l'autorità de' duo
magnanimi Re , e de'due grandissimi filosoti. Aristotile
seguì questa opinione in que' libri, ov'egli non insegna 1^
verità, ma il trovare gli argomenti per l'una e per l'altra
parte: in altri libri disse che tutte le cose male adopera-
te potevano essere nocive, eccetto la virtù, la quale non
può essere male adoperata . Colla virtù adunque non ?!
nuoce, e il fine della giustizia non è il nuocere, ma il gio-
vare; e se pare che noccia ad alcuni, o quello non è no-
cumento, o è congiunto coll'utile, come tu a'popoli Bar-
bari l'esser soggiogali da Alessandro, o da' Romani, o da
Carlo Quinto, o da Filippo non meno erede della gloria ,
<;be de' regni e d*"!ia potenza, col giovamento e col prò di
molti: però ben disse Aristotile ad Eudemo, che dove è
la giustizia, non è necessaria la fortezza, alla quale perav-
ventura si appartiene solamente il fare danno a' nemici;
ma concedendo questa gloria all'amicizia scrisse Democri-
to che ivi non fa mestieri la giustizia, ove ha luogo l'a-
micizia : per la giustizia .idunque cessa ogni bisogno , che
3lO H. MAN so
abbiamo della fortezza ; e l'amicizia fa che uopo non sia
delia giustizia .
Giovanni. Ma la fortezza è più necessaria , ove è mag-
giore amicizia , come ci dimostra Tossari co! l'esempio di
quelli Sciti, che per l' amistà si esposero alla morte, e co-
me prima ci dicbiarò l'esempio di Teseo e di Piritoo, e di
Achille e di Patroclo.
Forestiero. Potrebbe forse la fortezza bislare da un
lato solo, come si conosce nell' esempio di Ruggiero e di
Leone, nel quale il valore di Ruggiero supplisce al difetto
dell'amico.
Giovanni. Non si contentando l'amicizia che la bene-
volenza sia neir uno d^gli amici solamente , non sarà con-
tenta che uno solamente sia il virtuoso; anzi io porto opi-
nione che l'afnicizia non sia amore scambievole, ma reci-
proca virtù .
Forestiero. Cotesto perawentura è vero, ma non è
.sempre l' istessa virtù eguale noli' uno, e nell'altro degli
amici: però in Ruggiero si celebra il valore, in Leone la
cortesia, e questa (se io non m'inganno) è la cagione, per
la quale i poeti antichi congiunsero ne' pericoli Ulisse e
Dio'iiede, affinchè la prudenza dell'uno aiutasse l'altro, e
Y-icendevolinente ricevesse aiuto dalla fortezza dell' altro:
dunque dove sia vera amistà , poco è necessaria la giusti-
zia , e felicissi na per questa cagione è l amistà : per alcu-
n' altra cede alla giustizia , peroccbè la giustizia provvede
a tutti , e non esclude alcuno : ma l'amistà, quasi ristretta
fra brevissimi termini , raccoglie pocbi , e pochi conserva ,
intanto cbe gli Sciti portarono opinione che l' amistà
compartita fra molti fosse somigliante agli amori divisi in
varie parti, o pure al matrimonio violato da varj abbrac-
ciamenti ; ma se la moltitudine degli amici può violare
ramicizia ^ molto si toglie di prosperità , e di buona fortu-
na a questa virtù .
Giovanni . I felici poco lianno bisogno di amici ; però
non si deono curare di molti.
Forestiero. La felicità solitaria si rimarrebbe quasi di
esser felicità; laonde in (juesta parte dobbiamo acquietar-
ci air opinione di Aristotile, e di M. Tullio, e de' miglio-
O dell' AMICI/IA 3l I
ri, i quali vogliono che .ili iimico si convenga piuttosto <\i
fare che di ricevere i beneficj , e che .«la più onesto agli
amici che agli estrani: però al felice sono necessorj gli a-
niici, almeno perchè vi sia chi riceva le sue grazie, i suoi
doni e i suoi favori; e si suol dubitare se gli amici siano
più necessari nella prospera, o nell'avversa fortuna, pnr-
ciocchè nell'una si ricerca chi faccia il heneficio , nell'al-
tra chi il ricrva ; ma in ambedue senza fallo sono ricerca-
ti , e senza essi non sarebbe pi;icrvo]e la vita, come dee es-
ser quella del felice, ne piacevole, né continova l'opera-
zione. Oltreciò, essendo l'amicizia graiìdissimo bene, oltre
tutti i beni esterni , sconvenevole sarebbe privare il felice
del maggior bene, e quasi condannarlo alla noia di una so-
litudine perpetua.
Giovanni. INon tanto stimo che sia diibhioso se gli
amici siano necessarj nella felicità , quanto, se molti amiri
siano necessarj , avvengarhè io mi ricordi di avere lette in
Plutarco queste somiglianli parole: ,, il vero amico niuiia
cosa estiiua di maggior piacere che l'amare , ed insieme
l'essere amato da molti; però continuamente usa con qual-
rhe amico, come egli a molti sia amico e caro; e per fer-
mo avendo io opinione che le cose degli amici siano co-
muni, niana cosa dovrebbe essere più comune dell'amiei-
eizia stessa „: nelle quali parole e' insegna di ristringere la
conversazione fra pochi , e di comunicare l'amicizia fra
ioollij, e di moltiplicare in questa guisa gli amici e l'ami-
cizia .
Forestiero . Cotesta opinione è tanto contraria a
quella , che porta Aristotile ne' magni morali , che nulla
più , perchè Aristotile non solo esclude dall'amicizie i
molti amici, ma i pochi: altrimciite, come egli dice, avver-
rebhe , che l'amico avesse sovente occasione di dolersi per
la varietà de'fortunosi accidenti, e delle morti, alle quali
è soggetta la vita degli uomini, e vuole che ella si restrin-
ga fra due , o tre al più .
Giovanni, Sarà adunque l'amicizia a guisa di un Gè*,
rione: così concordi saranno le operazioni di tre.
Forestiero . Il Gcrione di Luciano è assomigliato al-
l'amico: ma da Aristotile ne'suoi libri della Topica si as-
3 1 2 IL MANSO
somiglia all'anima, perchè nell'anijna sono tro potenze', a
guisa di Gerione , fra le quali nondimeno dovrebbe essere
amicizia: ed in questa guisa si potrebbe solvere quella, cbe
par contradizione in Aristotile; perchè in alcun luogo vuo-
le che si trovi l'amicizia fra se stesso; nell'altro non vuo-
le che l'amicizia possa essere tra meno , che fra due sog-
getti, il che è vero senza fallo; e vero sarebb;^ parimente
che l'uomo non potrebbe essere amico di' se med<'si;uo, se
l'amicizia non si considerasse per rispetto delle molte par-
ti dell'anima; è dunque prima l'amicizia nf He poti'nze del-
l'anima, come estimò Aristotile, e la giustizia similmente,
come giudicò Platone.
Giovanni. Vero adunque è senza dubbio quello che di-
ceste poco prima , cioè che l'amicizia , e la giustizia siano
nelle cose medesime, ed intorno all'istesse; e ciò si dovreb-
be intendere non solo dell'interiori, ma dell'esteriori.
FoRESTIEllO. Così estimo ; anzi giudico che l'amistà in-
teriore sia oricine dell'esteriore, e la "iustizia similmente:
non per tutto ciò mi turbano alquanto alcune parole di
Aristotile ad Eudemo , dove egli dice che nella casa è il
fonte di ogni giustizia , il che io estimo vero in parte, cioè"
avendo riguardo alle cose esteriori: la giustizia domostica
è quasi fonte delle a'tre ; ma ella deriva da fonte più oc-
culto, ed interno , che è nell' animo, non altrimenti die
soglia avveniie del Nilo, o d'altro fiume, o dell'Oceano
medesimo , se l'Oceano avesse fonti, come scrisse Esiodo .
e gli altri Greci Teologi .
Scipione . Cosi dobbiamo credere senza fallo, e questo
misterio ci è quasi velato n^lle sacre lettiere : perciocché i
quattro fiumi, che irrigano il Paradiso, disegnano, come
dice Filone Ebreo, b* quattro virtù dell'anima, !< quali pi-
gliano il principio da Eden , cioè dalla divina Sapienza ; e
questo è il vero principio dell' amicizia , e di ogni moral
virtù, le quali irrigano l'oneste azioni, e fanno germogliare
la virtù, e la contemplazione a guisa di pianta: il primo è
Phison , che circonda tutta la terra, dove è l'oro, e il car-
bonchio, ed altre pietre preziose; questo significa la pru-
denza: il secondo fiume è Geon, che gira intorno all'Etio-
pia, il cui nome è interpretato il medesiuio, che l'umiltà ,
O DETJ/ AMin/CA. 3l3
avvengaclic l'umiltà sia cosa umile eA al)ietta a cui la for-
tezza è contraria : il terzo fiume detto Tigri, che corre con-
tra l'Assiria , è la terza -virtù, cioè la temperanza, la quale
correggendo la nostra umana debolezza, va centra i piaceri,
perciocché gli Assirj si possono dire in questa lingua scor-
retti o incorreggibili, ed ha comune questo nome colla ti-
gre, ferocissimo animale, in cui la temperanza ha molto
che fare; ma l'Eufrate ( come dice ) è segno della giusti-
zia, la quale non oppugna alcuno, né cinge, e non ha av-
versario , perchè a lei si appartiene dare a ciascuno il suo ,
e tiene luogo non di accusatore, ma di giudice.
Forestiero. Feconda senza fallo conviene, che sia
l'anima da quattro fiuirii irrigata : ma oltre i quattro prin-
cipali molti deono essere i rivi , e i ruscelli, da'quali inaf-
fiata produce frutti di virtù , di buone e lodevoli opera-
zioni.
ScIPIO^E. Da queste quattro, quasi da regj fiumi, e de-
rivano le altre virtù, e cjuestp quattro sono nell'anima de-
rivate da Dio, fonte d'ogni virtù , e di ogni bontà, e di
ogni perfezione. Abbiamo dunque il principio dell' amici-
zia, il quale non è il bisogno , o l'indigpnzo, come parve
ad alcuni, ma Iddio, che è la copia, e 1 abbondrin?^ tU
tutti i beni , i quali a guisa di onde sono da lui compartiti.
Forestiero. Fortissimo veramente, e nobilissimo prin-
cipio .
Scipione. Divino senza dubbio, ed eterno principio;
laonde Empedocle, che fra i principi delle cose naturali ,
numerò r amicizia , e la discordia, non si dilungò molto
dalla verità : quantunque egli ponesse i principi contrari
fra se stessi, come prima aveano fatto gli altri Filosofi, e
dapoi fece Aristotile medesimo: ma uno è veramente il
principio delle cose ( come scrive Dionigi ) sovra ogni con-
trarietà , e contradizione altissimamente collocato; e chi
dicesse questo princi])io esser l'amicizia , per mio avviso
non errerebbe di soverchio, perchè Iddio medesimo è
l'amicizia, se la carità per l'amicizia ( come parve a Ciro )
prenderemo.
Forestiero. Or che abbiamo ritrovato il principio deU
r amicizia , dobbiamo ricercare il fine.
T. HI. Dinhrhi 21
3l4 IT. MANSO
Scipione. TI medesimo , che è principio dell'amicizia , è
fine di lei medesimamente .
Forestiero. Mi pare di aver letto in Proclo, o in altro
Platonico, che il fine della guerra è la giustizia, e il fine
della pace è 1' amicizia : ma ora , cbe io ascolto sì altamen-
te ragionare del suo principio , e del suo fine , estimo al-
trimente , e giudico piuttosto che la pace sia finedell'arai-
cizia: perchè Iddio è pace, quella pace, dico, la quale non
è unione, ma unità ; perchè dell'altra , ch'è unione, Tami-
cizia è quasi fine . Ma questi mister] sono così alti, e così
ascosi nelle tenebre, e quasi nella caligine, che non senza
cagione fu assegnata da Esiodo la notte per madre dell'a-
micizia .
Scipione. Diverse tenebre, e diversa caligine senza fal-
lo è quella, della quale egli ragiona , la quale si può rima-
nere colaggiiì nell'oscurissimo Tartaro, dove ella nacque
peravventura : ma nella santissiuia notte nacque appresso
quella luce, ch'è veramente pace , e veramente amicizia ,
la quale congiunge, ed unisce i buoni a se stessi; e fra
loro è un santissimo legame di amicizia, e di carità .
Forestiero. Soverchio è dunque ormai il dubitare se
l'uomo debba desiderare l'esaltazione degli amici, quasi
nella grandezza dell'uno consista la distruzione dell' ami-
cizia medesima; perchè se l'uomo può essere amico di
Dio, come parve ad Aristotile , il quale al savio attribuì
quest'onore, non è inconveniente adunque che fra gli uo-
mini si conservi 1 ainicizia nella grandissima varietà o di-
stanza della fortuna: però Platone fu amico del Siracusano
Dionigi , Senofonte di Agesilao , Euripide di Archelao,
Aristotile di Filippo e di Alessandro, Ennio del maggiore
Scipione Affricano, Polibio e Paiiezio del minore , Possi-
donio di Pompeio , Plutarco di Traiano, dapoi anco che
egli all'altissima dignità dell'Imperio fu esaltalo ; e per
ragionare de' nostri , il Petrarca del Re Roberto, e di Pro-
spero Colonna , e del Cardinale, fra'quali senza dubbio fu
perfetUi amicizia , perchè fra loro fu concordia di tutte le
opinioni, non solamente di quelle , che appartengono allo
stato civile , che bastano alla civile amistà, ma non alla
perfetta amicizia. E vera senza dubhio quella opinione di
l)ante nel suo convito, che la Filosofia nitro non sia , che
divina amicizia , e il Filosofo amico di Dio , che è vera sa-
pienza; e da questo princìpio discende prima ne' Principi ,
che in alcun altro, e negli uomini di alto affare. Se tale è
adunque l'arjiici/ìa, la quale non solamente congiunge in-
sieme gli animi de'ciltaclini. ma le cose clvili'colle stranie-
re, e le terrene colle celesti, e le umane colle divine , con
altissime laudi senza dubbio dovrebbe essere celebrata.
Giovanni. Qui si ricercherebbe l'inno vostro, o di al-
tro poeta, il quale la chiamasse ])rincipio,e fine delle cose,
l'acitrice, procreatrice del cielo e delle stelle, e degli ele-
menti similmente conservatrice ; armonia del mondo , con-
cordia delle cose discordi, nodo, e legame della natura; di-
letto, e perfezione dell'arte; contento, e quasi musica
delle opinioni ; fondamento delle città, e delle Repubbli-
che ; accrescimento degl'Imperj , e de' Regni ; consolazio-
ne dell' avversa fortuna , e della prospera ornamc»to:. aU
le-ggiamento della povertà, ammaestramento delle ricchez-
ze, e gloria della potenza: sicurezza, riposo, tranqillità
ed onore della vita umana , e principio quasi della divina ;
perchè tu, o amicizia , fai le anime nostre con)pagne, e
colleghe delle Intelligenze : Tu das epulis accumhtre di-
vuni: tu fai gli Dii uomini, e gli uomini Dii, costringendo
le divine materie a vestirsi di umanità , e 1' umanità qua^^i
a trasufnanarsi; tu giusta, tu pietosa , tu santa, tu celeste
insieme e terrena .- mortale, ed immortale; umana , e di-
vina ; risguarda questo mondo terreno, e soggetto alla cor-
ruzione, il quale, come si dice, è generato dalla discordia. -
e non potendo tu collocare la tua sede fra le ripugnanze
degli elementi , e delle contrarie nature , siedi negli animi
nostri, e nelle menti degli ottiu)i Principi, i quali gover-
nino questo globo inferiore ad imitazione de' superiori , e
sieno in terra vive immagini della Divina Maestà . lo ho
lodata l'amicizia, come ho saputo; voi, se vi pare, potrete
aggiungervi i numeri, e l'armonia poetica .
FOKESliEHO. In ninna guisa meglio si onora l'amicizia,
che colle buone operazioni . Piaccia a Dio, che da noi in
questo modo .stesso in ogni luogo, ed in ognitempo sia
onorata , e commendata .
ALL'ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO
SIGNOR CINTIO ALDOBRANDINI
CARDINALE DI S. GIORGIO
J-^a mia servitù può esser molto meglio confermata dal~
lo, grazia di Vostra Signoria Illustrissima, che dal-
l'opere mie, o pur da' meriti . Nondimeno se V opere, o
le fatiche, o i meriti ci possono avere alcuna parte , io
non sarò mai pentito di onorarla , e di celebrarla . e di
raccomandare , e quasi di credere alla sua autorità la
mia fama , e la riputazione . Ora le dedico questo nuovo
dialogo dell Imprese , nel quale , imitando Platone , che
sotto il nome d' Ospite Ateniese volle ricoprir la sua pro-
pria persona , introduco a ragionar assai nuovamente di
questa da molti trattata materia, me col nome di Fore-
stiere Napoletano , e collo stile ancora , che parrà forse
peregrino in questa , e neW altre città., a quel di Platone
nondimeno non è dissimile né lo stile, ne la dottrina, col-
la quale ho cominciato di scrivere , e di ragionare .
Laonde V.S. Illustriss. nel ricever questo picciol dono, e
nel gradirlo, accetterà una piccicla impresa, né minore
di quelle, di cui nel dialogo si discorre: l' impresa, dico,
di raccogliere me , le mie fortune , e l' opere , se non ni è
lecito di dir le virlit, sotto la sua henignissima protezio-
ne , e difenderle dalla malignità di coloro , che hanno il
giudici o , o l' appetito corrotto. E benché ciò sia molto
malagevole; nondimeno a V. S. Illustriss. e alV alto gra-
do , in cui è collocata , e per li molti suoi meriti , e per le
grazie, che da nostro Signore , come a suo meritevolissi-
mo nipote le son concedute , tutte le cose saranno più fa-
cili , che a molti altri. Degnisi dunque di rimirar uma-
namente questo assai breve volume , che non si vergogna
di venirle avanti , quasi fedel testimonio della mia devo-
tissima volontà , e non instabile opinione : e le bacio umi-
lissimamente la mano .
Di V. S. Illustriss.
Umilissimo Servo
Torquato Tasso.
IL CONTE
OVVERO
DELL' IMPRESE
DIALOGO
A RGOMENTO
J-wpresn in linìiano è quanto in Fninre^r devise. [.'Impreca è come
un^ insogna, per In quale i personaggi cospicui per natali , ricchezza ,
potenza , o per valore nrlle anni o nelle lettere solcano rendersi di'
stinti dagli altri , o esprifnere i lor pensieri, e i lor voli- Si compone
del soggetto e del motto : il sogselto è In figura di qualche cosa natu-
rale , o artificiale , la quale può porgere /' idea d' un concetto : il se-
condo è come la dichiarazione , e la con/erma del primo . Il Tasso ,
correndo l'anno 1394, ed essendo in Napoli, scrisse il presente Dia-
logo delle. Imprese, che intitolò il Conte, dal personaggio, (he intro-
duce a porliir seco stesso sotto il solito nome di Forestiero Nnpnleta-
tio . Il luogo della scena è in Roma Là, prendendo motioo dui favel-
lare dell' antico Obelisco drizzato davanti la Basilica di S. Gio. La-
cerano, e dai Geroglifici che 7>edonsi in quello intagliati, viene a
parlare delle Imprese ; ne definisce il nome, ne fa rimontar l'uso
alla pili remota antichità, le paragona coi Geroglifici , con gli
stemmi gentilizi , coi simboli ec. e lungamente favella delV uso , dei
segni, e d'ogni particolare di esse, non che degli Autori , che ne
scrissero. Passa quindi a discutere se le parole sieiio necessarie , o no
alle Imprese; e confermando chele Imprese sono segni, o imngi'n
ccHìvenienti , fatte per desiderio d' onore , dice che queste imaginì al-
tre sono naturali, altre artifiziose , altre civili- Reca moltissimi esenipj
d' Imprese differenti , e termina col riportare le regole stabilite già
dal Giovio onde ottenerne la. perfezione .
Fu questo Dialogo , come si è detto , composto in Napoli nel 1 594
e Torquato scrivendone al Costantino gli dice : « ora le mando un
« Dialogo delle Imprese , che feci queste settimane passate, nel qua-
« le ho trattata questa materia molto diversamente dagli altri, che
• vi hanno scritto, e appunto mi ton governato conforme ai ragiona-
a menti, che V. S. ed io ne abbiamo avuti diverse volle ». La lettera
è di Napoli del 10 Agosto i5c)'^. 1^0 stampò in Napoli lo Stigiiola
in 4° se ti z' anno , ma certo nel deccmbre del 1 5g4 /-' edizione non
è notata dal Serassi nel catalogo dr-ììe Opere in pro'sa, be-tchè ne par-
li alla pag. 48() Mandò il Tasso questo Dialogo al Cardinale yll~
320 IL CONTE
dobrandino colla lettera antecedente , e partendo per Roma , ove lo
attendeva loiior d»l trionfo , lasciò all' Ah. Polverino la cura di as-
sistere all' edizione di esso . Le particolarità di ipie^la stampa ri ve-
dranno nelle Lettere Inedite , che pubblicheremo {già raccolt' dal Se-
rassi) aW /ib. Polverino del io JSoveiubre , e aS Deccmbre 1594 (1).
INTERLOCUTORI
CONTE FORESTIERO NAPOLETANO .
Forestiero. So aspettava il ritorno del Cardinale , e
trattante era tutto intento a rimirar la nuova maraviglia
dell'antico obelisco, drizzato davanti la venerabii Cbiesa
di S. Giovanni Latcrano; né per molta attenzione cessava
la maraviglia; ma cresceva il desiderio di sapere molte co-
se appartenenti a queir altissima mole , in cosi miracolosa
maniera innalzata: ne poteva per la distanza leggere le
iscrizioni , che dichiarano alcuna parte di quello, che io
desiderava d'intendere; laonde l'animo, sollecito investi-
gatore del vero, non si acquetava nei diletto del rimirare,
ma pensava più oltre alla grandezza dell'animo, dimostra-
ta dal nuovo Pontelice con tante opere di non usata ma-
gnificenza ; in quella guisa forse che alcuni dalla vista, e
dalla contemplazion del Sole, s'innalzano a quella di Dio,
del quale si dice il Sole esser immagine e simulacro. E
mentre io era in questo modo sospeso fra '1 piacere della
vista, e la cupidità del sapere, mi si fece appresso nella
medesima finestra del palagio, alla quale tutto solitario e
pensoso m'era appoggiato, un giovane d'età matura , d'a-
spetto signorile , di maniera laudevole, e pomposamente
vestito, e di lingua, come a me parve, cortigiana, il quale
faceva sembiante d'aver meco lunga domestichezza, sicco-
me colui che sapea favellare acconciamente e in grado; ed
io gli dissi: datemi per cortesia qualche contezza di que-
sto obelisco, e fate che io ascolti dalla vostra voce quel ,
ch'io non posso leggere.
Conte. Questo è uno de' miracoli di Roma, anzi del
suo Pontefice, al quale non basta il fare ogni giorno opere
li.) Questo Aiiiomcnlo è dell' Edilore.
o dell' LìIPRESE 32 1
maravigilose, mu rinnova l'antiche, e, s'io non m'ingan-
no, con maggior maraviglia.
Forestiero. Già questo m'era noto, percb'è divulga-
to con chiarissima fama in tutte le parti del mondo, non
solo in Napoli , d<»lla quale pochi giorni sono feci parten-
za; ma avendo trovata Roma nel mio ritorno più bella, mi
vergogno di conoscer me stesso più ignorante che non era;
perchè l'animo occupato da infinite sollecitudini , d'ogni
altra cosa è più ammaestrato, che di quelle, che son pro-
prie di lei : e qui si deono sapere, meglio che in altra par-
te; laonde s'io avessi voluto altrove appararle , sarei simi-
le a coloro, che beono a piccioli e torbidi ruscelli , poten-
dosi colla fatica di una breve strada trarre la sete ad un
chiaro e amplissimo fonte.
Conte. Io dirò quello, che mi sovviene, e quel, die ho
inteso, o letto, per compiacervi. Questo, come sapete , è un
obelisco, anzi il maggiore di tutti gli altri, e il più mara-
viglioso , però niuno altro con maggior ragione potea es-
sere annoverato fra' sette -.niracoli del mondo ; ma se tutti
insieme furono cagione della maraviglia , questo solo po-
teva ciò fare senza ajuto di alcun altro.
Forestiero. Mirabile è certo per la sua grandezza , e
per la materia, e per la forma .
Conte. La grandezza , come dicono, eccede quella d'o-
gn' altro; la materia è per poco la medesima in tutti, cioè
il sasso composto di minutissime particelle di varj colori,
delle quali le maggiori rosseggiano, altre sono cristalline ,
o trasparenti a guisa di alabastro , altre più minute di «e-
rissimo colore ; è da molti annoverato fra le specie di mar-
mo, e fu chiamato con nome Greco Pyrropecilas , che si-
gnifica, variato in rosso : fu detto ancora dalla mistura dei
co\or\ : P saronio , e Tebaico, da Tebaida, provincia del-
l'Egitto , dal quale l' obelisco fu portato a Roma ; e Sce-
nite, da Scete città della Tebaide.
Forestiero. Assai avete detto della materia , ma della
forma ancora desidero saper alcuna cosa .
Conte. La forma è quadra come vedete , la quale va
sempre alquanto aguzzandosi ; però i Greci gli nominano
obeli , cioè spiedi; e obelischi, quei, eh' erano minori,
3i2 IL CONI E
quasi spiedetti . Ma questa figura fu giudicala uiisteriosa
dagli Egizi, e simile a quella de' raggi del Sole, anzi con
questo nome stesso , cioè raggi del Sole , solevano da quel-
la nazione esser nominati .- e d.i' Re dell' Egitto al Sole fu-
rono consacrati, o al figliuolo del Sole ( così tur cliiainati
nelTetà seguente gli uomini illustri ). Ora sono consacrati
alla Croce, nella quale il Sole intelligibile parve eclissarsi
per interposizione della sua Ufnanità, la quale il teneva na-
scoso al nostro intelletto .
Forestiero. E chi fu l'inventore di questi obelischi , o
di quella consacrazione?
Co^iTE. il primo Re degli Egizj , che facesse gli obeli-
schi, fu, per testimouio di Plinio , Mitres , che risedeva in
Eliopoli. Eusebio, che trascrisse i libri di Manetone, Sa-
cerdote Egizio, il chiama Mefres, e nell' istesso modo
Giuseppe Ebreo. Altri vogliono, fra' quali è Diodoro Si-
ciliano, che l'invenzione degli obelischi fosse più antica,
cominciata sino da Semiramis, Reina degli Assirj, la quale
drizzò un obelisco in Babilonia; ma l' invenzion continuò
negli Egizj prima in Mefranutesi, successore di Mefres, poi
sino a'tempi del Re Sotis , il quale fece obelischi di mara-
vigliosa grandezza: e non solamente i Re, ma i Sacerdoti
di Egitto erano usi di farne , e peravveatura opera furono
de'Sacerdoli i minori, e de'R.egi i maggiori; ma la felicità
di questi tempi ha voluto che il sommo Sacerdote , nel
quale è congiunta la potestà del sacerdozio colla reale,
abbia consacrato al Figliuolo del vero Iddio, quasi a fi-
gliuolo di vero e di grandissimo Sole, il maggiore , e il
più riguardevole di tutti gli altri . Questo (come si dice)
fu prima f;itto dal Re Ramises, e intagliato di lettere jero-
glifiche, le quali contengono la grandezza, e T imperio di
Ramises Sotis, padre dell'altro Pvamises : fu trasportato a
Roma da Costanzo figliuolo del gran Costantino, in quel
tempo ch'egli , per la morte di Costantino, e di Costante
suoi fratelli , aveva unito in se medesimo l'imperio def
mondo; laonde volendo contendere di grandezza con Au-
gusto, il quale peravventura superava di potenza , fece
drizzar nel Cirro massimo questo grandissimo obelisco,
benché Augusto ne avesse drizzato prima un altro minore,
o dell'imprese 323
©pera d«l Re Samresete, a cui fu tolto il luogo di jnezzo,
eh' egli aveva occupato, cosi piacendo a Costanzo , che in
cima all'obelisco fece porre una palla di bronzo indoruta ;
ed essendo questa percossa dal fulmine, vi fece innalzare
in luogo della palla una fiaccola fiammeggiante. Ora l' o-
belisco, siccome noi veggiauio , sostiene il trofeo della
Croce, il quale in tanti altri luoghi è inalzato in Roma
con tanta gloria di Cristo e del suo Vicario; laonde ella
dee gloriarsi senza comparazione più di questo solo, che
di quanti mai ne drizzarono i Romani Imperatori delle
soggiogate nazioni. Si leggono ancora l'antiche iscrizioni
ch'erano in quattro parti, rivolte alle quattro principali
parti del mondo.
La prima da Levante.
Patris opus , minusque suum tibi, Roma, dicavit
jiugustus toto Constantius Orbe recepto, etc.
L'altra da Settentrione:
Sed gravior divinae .
Da Ponente verso il monte Aventino la terza :
Credidit , et placide .
Da Mezzo-giorno la quarta .
Nunc velati rursus etc.
Ora l'obelisco ha nuove iscrizioni , ed in quella eh' è ver-
so Settentrione , si Ipgge il nome di Sisto, nell'altra si rin-
nova la memoria di Costantino Cristianissimo Imperatore,
e di Costanzo suo figliuolo. In questa guisa il Santissimo
Pontefice ha cavato quasi dalle tenebre e dalle ruine , il
nome sepolto di quegli invittissimi Principi , e data agli
scrittori di questa età nobilissima occasione di celebrarlo.
Forestiero. Io desidero la copia dell'une e dell'altre
inscrizioni , delle quali peravventura non mi bisognerà al-
tro interprete, perchè l'operazioni gloriose di Sisto, e le
imprese di Costantino e di Costanzo, sono famose e illustri,
senza fatica ancora di nuovo scrittore : ma qual notizia
avremo de' fatti, o delle imprese di Rainises Sotis ? o forse
è curiosità il voler saper troppo, perchè alla falsa pietà
de'Gentili e de' Barbari, la cui impietà ha eterno castigo,
peravventura non si conviene il preuiio di più lunga , o di
più durevol fama ; tuttavolta noi non ricerchiamo di sod-
324 JL CONTE
disfare alla virtù de' Barbari, ma al nostro desifleri'3 di sa-
pere le cose de' nemici , e quelle in particolare, che sono
lontanissime di luogo, e remotissime di tempo; però io
vorrei sapere quai note , o quai ligure son queste , delle
quali è impresso l'obelisco , e quai sia la significazione di
ciascuna .
Conte. Senza dubbio son lettere sacre, e sacre sculture
degli Egizj , che da' Greci furon dette Jcroglifìca , o JerO'
eraininatu; percioccliè ,sebbe!j lut rammento, due erano
le maniere di lettere usate dagli Egizj , l'una sacra, e l' al-
tra popolare; le lettere popolari avean somiglianza col-
l'Ebraiche, o colle Caldee , e lo scrittore , come afferma
Erodoto, cominciava la scrittura dalla man destra, e pro-
cedeva verso la sinistra , in quel modo , che fanno gli
Ebrei, e gli Arabi , e i Caldei : le sacre erano figure di co-
se naturali , o artificiali con occulto e misterioso significa-
to ; ma quai fossero prima ritrovate , quai dopo, non affer-
ma Erodoto. Ma Diodoro Siculo estimò cbe Mercurio
fosse inventore delle comuni al tempo di Osiris ; ma die l«
sacre fossero date agli Egizj molto prima dagli Etiopi.
Questa differenza nondimeno era fra l'una, e l'altra na-
zione, che l'esprimere i concetti colle figure di cose natu-
rali , o artificiose , era comune a tutti gli Etio[)i , a' popo-
lari ancora ; ma fra gli Egizj era proprio de' Sacerdoti ; e,
come scrisse Clemente A.lessandrii)o , tre erano le specie,
o le maniere, die vogliamo dirle, delle lettere Jeroglifiche;
l'una propria , la quale era lu modo figurata , che per es-
sa si dimostrava la proprietà della cosa significata, come il
Sole è significato dalla figura del cerchio, e la Luna da
quella del mezzo cerchio; l'altra tropica, la tjuale tra-
sporta il sentimento delle figure alle cose figurate con
molla convenevoU'zza , come nelle statue de' Giudici senza
niani descritte da Plutarco, per dimostrare la giustizia
non corrotta da'doni : o in quelle colla testa mezza rasa,
consacrate al Sole, dalle quali è signilicata la successione
della notte, e del giorno: o nel simulacro di Minerva , che
calca il serpente, o in quel di Venere, il quale lia la testu-
dine sotto il piede: e cìjsI vollero significare die delle Ver-
dini si dovesse far diligente guardia: e che le niarilale non
0 dell'imprese 325
dovessero abbandonar la casa e la cura delle cose famiolia-
ri. La terza specie delle lettere Jerogliflche contiene quel-
le figure, che particolarmente sono dette con questo nome,
già usate da'Sacerdoti Egizj nelle pubbliche iscrizioni , e
nelle opere magnifiche e misteriose, di pietra o di metallo,
dico negli obelischi, e nelle piramidi, nelle statue, ne'cer-
chi e nei mezzi cerchi d'oro, o d' argento, e in tavole di
bronzo, delle quali una antichissima si conservava nello
Studio del Cardinal Bembo.
Forestiero. Egli nondimeno nelle sue prose, nelle qua-
li c'insegna le lettere e la lingua Toscana , non mostrò di
conoscere altre lettere più antiche, che quelle de' Greci, o
de'Fenicj, loro maestri, a'quali, com'è fama, furono por-
tate da Cadmo , bencbè altri ne attribuiscano l' invenziune
a Palamede, fra'quali è Gorgia, antico sofista de' Greci ,
nell'orazione, che egli fa in sua difesa.
Conte. Palamede accrebbe il numero delle lettere, co-
m'è opinione di Plinio, ma di quelle, che prima er:mo
ritrovate, le quali furono invenzione o de'Fenicj, o de Pe-
lasgi; mai Romani l'ebbero dagli Arcadi , e da Carmenta
madre di Evandro, che prima fu detta Nicoslrata , come
scrive Strabene ; tuttavolta le memorie di Carmenta, di
Palamede , e dr Cadmo , sono molto basse , e più antiche
sono quelle de'Caldei o degli Egizj.
Forestiero. Diremo adunque che ne fosse l'inventore
Teut , Demone degli Egizj , come credeva Socrate nel
F^dro ?
Conte. Sì buona invenzione, come, quella delle lette-
re, non sarebbe da me attribuita a così maligna causa ,
com'è il demonio; laonde io direi piuttosto che Teut fdsse
un uomo, o Sacerdote o Re degli Egizj , come è creduto
per molti uomini di molta dottrinaci quali estimarono
cb'egli fosse Mercurio Trismegisto: altri de'Gentili porta-
no opinione, ch'egli fosse Ercole Egizio: altri Memnone.
Eschilo l'attribuisce a Prometeo, il quale fu inventore di
tutte l'arti , e particolarmente delle lettere , come si legge
in quei versi:
Y^iZpov ÒvtÓU ypOLjJifxaTWV Ti CVV^tCdi,
SaG IL CONT^
1 Cristiani e gli Ebrei, fra'quali sono Eusebio, Josefo e
Filone, vogliono piuttosto clie l'inventore sia stfito Mese ,
o Giob , o Àbramo , o pure innanzi al Diluvio ne recano
l'origine ad Adamo istesso, perchè Adamo impose il nome
a tutte le cose: e a me pare che appartenga all' istesso il
nominar le cose , e lo scriverle .
Forestiero. Se non vi piace onoi-are i Demoni di que-
sta invenzione, onoriamone gli Angeli piuttosto, e diciamo
che un Angelo insegnasse ad Adamo di nominar le cose, e
un Angelo dapoi portasse la legge scritta a Mosè , come fu
opinione dell' Areopagita.
Conte. Divina dunque, o umana fu l'invenzione delle
lettere ?
Forestiero. Divina senza fallo, e ritrovata da Iddio,
e per mezzo degli Angeli mandata agli uomini , com'è opi-
nione del medesimo autore; anzi s'io non sono errato , lo
prime lettere non furono scritte n^lle t ivole di pietra o di
metallo, o nelle colonne , o nelle piramidi, o nell'Erme,»
nelle Sfingi , o in altra opera materiale; ma nell'anima de-
gh uomini , la quale portò seco dal Cielo le note, e quasi
le lettere e le figure di tutte le cose: e come parve a Basi-
lio , e a Gregorio , e agli altri filosofi, e teologi , l' intellet-
to fu il pittore e lo srrittore, o sÌj l'intelh^tto Divino , o
Dio medesimo; laonde le colonne de' figliuoli di Seth (1' u-
na delle quali fu fatta di smalto contra il Diluvio, l'altra
di pietra , perchè fosse sicura dall'incendio) e quelle dt
Mercurio, in cui furono dapoi scritte le scienze de'Gentili,
come scrive Jamhlìco nel principio de' suoi mister]; e gli
Epitaffi di Semiramis , o di Giacob ; e le piramidi , e gli
obelischi furono riscritti di lettere meno antiche di quelle,
che sonr» segnate nell'anima nostra , se pur è vero eh' ella
non somigli una tavola rasa, e ]iriva di scoltura; e avanti
queste lettere , che portiamo nell'anima, scrisse Iddio nel
libro della Predestinazione , veduto in visione da S- Gio-
vanni , i nomi , die so^o certi dell'eternità , e sicuri dalla
morte , e dalla oblivione, fra' (piali senza dubbio si dee
leggere i nomi di Costantino e di Sisto Pontefice , di santa
e gloriosa memoria; e fu vera pietà, ch'egli volle rinnovar
quella de' due detti invittissimi, e fimosi Imperatori. Tut-
O DEU/ IMPRESE 827
lavolta è possibile che di queste lettpre Barbariclie r»
segni piuttosto , che noi riguardiiimo nell'obelisco, fosse
umano o diabolico il ritrovamento: ed io vorrei averne
qualche notizia, o come di cosa umana , per saperla; o per
guardarmene, se ella t'osse in altro modo ritrovata.
Conte. In qualunque modo ella avesse principio, non
l'ebbe senza Idolatria ; laonde , come è piaciuto alla Divi-
na Provvidenza , cadde coli' Imperio del mondo , e risorse
col Segno Spirituale: fu gittata con gl'Idoli, e innalzata
colla Croce. ''
Forestiero. Soverchio sarà adunque il ricercare quel,
che in questo obelisco sia scritto, o effigiato, e quel, che
signiticbino le sue lettere .
Conte. Né soverchio , né malagevol molto ,• perchè , co-
me si legge, fu fatto da Ramises, e iscritto della grandez-
za e della potenza di Raixitses Sotis suo padre. Ma degli
altri obelischi , che sono stali drizzati da Sisto Quinto, il
primo, che é davanti al uiaraviglioso tempio di San Pietro,
e l'altro di Santa Maria Maggiore, non hanno alcuna let-
tera sacra de' Barbari ,• ma , come si crede , 1' uno fu opera
del Re jVoncoreo , che essendo rotto alquanto , fu aguzzalo
verso la cima, e portato a Roma; e come d'ogn'altro mag-
giore, consacrato da Cajo Imperatore ad Ottaviano Augu-
sto, e a Tiberio suoi predecessori: l'altro fu fatto da
Smunes e da Efres Re degli Egizj , e portato poi per co-
mandamento di Claudio Imperatore: e drizzilo insieme
con molti altri nel Mausoleo di Augusto: T ultimo, eh' e
innanzi a Santa Maria del Popolo , il quale nel Circo Mas-
simo fu da Augusto consacrato al Sole , si vede parimente
impresso di lettere Jeroglifiche , nelle quali peravventura
è tignitìcato il nome di Semreserteo , dello da Erodoto
Psammeralo, HgliuoK) di Amasis; quale volendo nobilitar
la sua ignobile origine, drizzò questo obelisco al Sole col
nome di Rauiises , che tinge suo progenitore; ma per no-
stra sciagura é guasto , e non si trova quel di Sesostri , che
saggii)£;ò_gii Etiopi, gl'Indi e i Battriani , e passando col-
r esercito fino agli Sciti, fece tutti i popoli soggetti alla
sua monarchia ; però si legge di lui appresso Lucafio;
Venit ad occasum, mundifjue extrema Sesontris,
328 IL CONTE
Et PJiarìos currus Reguin cervicibiis egit .
Forestiero. Di due maniere adunque sono questi obe-
lischi, gli uni senza lettere, gli altri con lettere Jeroglifi-
cbe,chenon solamente deono significare i misterj delle
arti e delle scienze, al quale uso furono prima ritrovate ,
ma la grandezza , la potenza, e l'imprese , se cosi è lecito
dire, de" Re dell'Egitto; onde possiamo afTermare] cbe
queste lettere fossero imprese, o significalrici dell'im-
prese .
Conte. Questo è un nome equivoco.
Forestiero. Distinguiamolo dunque, come s'usa nella
equivocazione de' nomi.
Conte. Imprese sogliamo chiamare i fatti illustri come
li chiamò il poeta in quel verso:
Rade volte addivien che aW alte imprese
Fortuna ingiuriosa non contrasti .
E chiamiamo, come ora , Imprese le figure e le note , colle
quali significhiamo i nostri concetti intorno alle cose fatte ,
o che abbiamo da fare .
Forestiero. Non so come, dal ragionamento degli o-
belischi, e delle lettere Jeroglifìche, siamo passati a quel
dell' Imprese ; ma peravventura le lettere Jeroglificbe e
l'Imprese si contengono sotto un genere comune; parlo di
quell'Imprese che non sono azioni , ma figure.
Conte. Non ci dee increscere questo passaggio, col
quale dalle cose antiche alle nuove siamo trapassati, perchè
la novità piace per se stessa.
Forestiero. Alcuni credono che quel dell' lui prese sia
antichissimo ritrovamento: e che il medesimo siano l' Im-
prese e gli Jeroglifici ; ma se siano l' istesse , o diverse non
è stato ancora interamente determinato.
Conte. Di un'altra cosa mi sarà più caro il ragionare,
o l'ascoltare, perchè il Sole non è ancora giunto al Mez-
zo-i^iorno. Qui è hello e fresco stare: ed hacci , come voi
vedete, letti, e sedie, e cuscini ; laonde sino al ritorno del
Signore potrete rilevar l'animo dalle sue noje co' vostri
medesimi ragionamenti.
Forestiero • Dirò por compiacervi quel, che mi sov-
viene. Imprendere , o intraprendere , se non m' inganno,
O dell' imprese 32f)
significa il pigliar sopra di se , ed incominciare con ffraio
proponimento alcuna cosa , che malagevolmente possa
farsi .
Conte . Così stimo .
Forestiero. Ma se a Iddio ninna cosa è malagevolp,
né agli Angeli suoi, i quali agevolmente sogliono fiire le
maraviglie , non sarà Iddio, e gli Angeli i primi, che ah-
hiimo fatte e ritrovate l'Imprese , come da alcuni è stato
detto in questa materia: ma gli uomini piuttosto, o fosse-
ro Inglesi, o Greci , o Trojan!, o pur dell' Asia innanzi
alla guerra di Troja , o di Tebe. L'Impresa, poiché si-
gnifica non l'azione istessa , ma il pensiero espresso, o il
concetto di farla, o di averla fatta , porta la medesima dii-
ficoltà , almeno nel significato: e così 1' un nome è detto
dall'altro, con.e dalla scienza del medico, o dallo studio,
l'operazione del medicare; laonde in questo senso non di-
rei die Dio e gli Angeli fossero inventori dell'Imprese.
Abbiamo fin' ora quel , che significhi questo nome d Im-
presa , il quale è analogo , o ab uno , come dicono i Loici;
ma chi fosse inventore dell' Imprese in questo significato ,
non mi ricordo aver letto; ma Amisodato Licio,come scri-
ve Pbitarco nel libro delle donne illustri, portò nella yvn~
da della nave l'insegna del leone , nella poppa quella del
dragone, e fu preso da Bellorofonte con una velocissima
nave, delta Pegaso, peravventura dall'insegna di quel
mostruoso animale; ne ho ritrovata nelle istorie invenzio-
ne più antica : ma dipoi nella guerra di Tebe , come scri-
ve Eschilo, i sette Duci portarono imprese. Capaneo ave-
va nello scudo un uomo colla fiaccola: Eteocle un uomo
colla scala ; ma Stazio die a Polinice la Sfinge, a Capaneo
l'Idra : Agamennone poi nella guerra Trnjana portò nello
scudo la testa d'un leone: Turno in quella de' Latini, nel
cimiero la Chimera, come descrive Virgilio: Av(>ntino
l'Idra, insegna del padre : nelle navi de' Greci e de'Troja-
ni , cotne leggiamo in Virgilio e in Euripide, erano pari-
mente l'insegne, dalle quali fur denominate la Pisfri , e il
Centauro, e l'altre. Ma, conie troviamo nell'istorie, Darlo
Rede'Persi portava la saetta : A rta serse 1' arciero : Epa-
uiinonda il dragone; Pericle la civetta nello scudo: Alci-
7'. ILI Dialoghi uà
33o IT. CONTE
biade. Amore col fulmine piegato: Siila, se niedesimo nel
sigillo col Re Becco dalai preso: Pompeo,se inedesÌDio con
due teste, in quella guisa eh' è figurato Giano: Augusto
l'irninagiue d'Alessandro: vSevero e Gordiano, una Luna
e una Stella : i Trojani una scrofa: i Romani l'aquila, e'I
dragone , e lo scarabeo: e i soldati Memfici particolarmen-
te il can rosso in campo bianco; e la legion Decumana, il
can turchino, o ceruleo nello scudo similmente bianco. Ma
se queste furono Imprese , furono avanti questo nome, il
quale non si usò fino al tempo de' Francesi , o degl'Inglesi
Cavalieri erranti: ed è più antico dell'Armi, le quali, come
scrive il Giovio,si cominciarono ad usare nel tempo di Fe-
derigo Barbarossa .
Conte. Non so cbe differenza sia tra queste e quelle.
Forestiero. Il Signor Marco Velsero nel libro delle
cose d'Augusto, e de' Reti, e de' Vindelici , da lui scritte
dottissimamente, porta diversa opinione. Però niuna forse
è la differenza , odi piccola considerazione; percbè dice
cbe l'armi son comuni delle famiglie , ma l'Imprese pro-
prie di ciascuno; ma questo alcuna volta si confonde. Or,
se vi piace , cercbiamo se fra l'Imprese, cbe si fanno colle
figure, e le leltei-e Jeroglificiie , sia alcuna cosa comune,
nella quale l'une e l'altre convengano insieme: e poi cer-
cheremo se ci sia qualche diversità.
(^ Conte. Voi m'invitate a cosi bella, e così dilettevole
investigazione , che niun altro invito mi sarebbe più
caro.
Forestiero . È , se non m' inganno , il genere comune
dell'Imprese, e delle lettere leroglifiche, la significazione,
e l'espressione de' concetti, perchè con queste, e con
quelle vogliamo palesare i pensieri, e le passioni dell'ani-
mo; laonde sono una cosa di genere, non solamente d'ana-
logia ; ma si può dubitare , se le specie siano diverse, e per
quai differenze siano diverse.
Conte. Io ho letto , che son molte dilfcrenze fra l' Im-
])rese, e i simboli, e gli emblemi, e i roveso] di meda-
glie , e i Jeroglifici ; ma ciucila mi pare assai principa-
le, e, per così dire, specifica, la qual consiste nel motte»;
perchè nell'impresa e ricercato il fuolto a guisa d' anima,
o dell' niPRKSK 33 1
die dia vit.i al corpo, ina nel Jeroglifico, enei simLolo non
è necessaria l'iscrizione.
FoilESTlERO. Così dicono; ed io, per l'ignoranza delle
lettere Jeroc'ifiche . non ardirei d'alTermare il contraria :
lessi nondimeno clie le lettere sacre degli Egiz] , le quali
corrispondono quasi dall'altra parte alle nostre Imprese,
erano mescolate coll'altre 1 )r lettere popolari; laonde u
questo esempio possiamo aver fatte l' Imprese di note mi-
steriose, che son le figure, e di comuni e intese da cia-
scuno , che son quelle, che si dicono lettere popolari . E
se questo è vero, non è gran differenza fra l' Imprese, e i
simholi, e i rovesci delle medaglie , ne'quali, oltre alle fi-
gure, sono impresse lo lettere, come nella medaglia di Ger-
manico una sfera mossa dalla Vittoria con queste lettere ,
S. P. Q. R. ed in quella di Vespasiano una corona civica
colle ghiande , e con questa iscrizione S. P. Q. R. pp. oh.
Cives stn'atos: e in quella di Tito una iuìmagine della
Giudea , legata ad una palma , con quest'altra Jud. cu/).
S. C. Nel rovescio della medaglia erano Impressi alcuni
cavalli, che givan pascendo, con queste parole: Velùcula-
tione Jtaliae remissa. Ed in ((uella d'Antonio Pio un ca-
duceo, e un ramo d'oliva co' frutti e colle foglie insieme,
e le parole erano: Fidicilas jl adusti ; il qtiale in un'altra
medaglia fece scolpire una figura, che aveva nella man
destra un cappello, e nella sinistra un asta*, cen queste
parole: Libertas consularis. Scolpì Severo Pio un leone,
sopra cui sedeva una donna, che teneva in mano un'asta
fissa in terra , e coli' altra pareva che volesse gittare un
fulmine, e vi fece questo hreve intorno: Indulgentia yhi-
gtisti in .... ed in un'altra un simulacro con un ramo
d'oliva, e con due parole.* Fundatorì pacis. Gallieno glo-
riandosi che tutti i Re fossero soggetti alla sua cura, vi
pose una cerva coli' iscrizione : Dutnae consulan Jiigu-
slac; la quale fu prima usata da Adriano in un sim rove-
scio , con queste voci Greche Aprf/^; ! (pcTi'a : ed in un
altra scolpì una nave con ren)i ad. imitayione d'Augu-
sto scrivendovi: Felìcitads yJug- S.C. 1111. Dunque l'i-
scrizione del motto non fa differenza tra l'Imprese, e
ì rovesci delle med.iglie: ne la farebbe peravventura tra
332 IL CONTE
l'Imprese e le lettere Jeroglifiche , se fossero da noi bene
inteselo se potessimo avvederci , se le popohiri son me-
scolate fra loro, com'è costume delT Imprese, siccome
s'usa nelle cifre, o in altro modo; ma forse la differenza
non è nel motto sefnpiicemente , ina nel inotto regolato
con molte osservanze. Ma appresso gli antichi la iscrizio-
ne non era sotto}>osta a tante opposizioni, ed a così esqui-
8! te censure.
Conte. Forse la differenza è nella figura umana, che
non è ricevuta nelT imprese ; ma ne' rovesci è usitatissima,
e peravventura non fu esclusa da' simboli degli Egizj , ap-
presso i quali , come si legge in Oro Egizio , la figura di
un uomo col cuore attaccato alla gola , dimostrava la sin-
cerità: la mano destra aperta, la liberalità: la sinistra
chiusa, l'avarizia: e volendoci i medesimi figurare un uo-
mo preso dal piacere dell'adulazione, figuravano, come
scrive il Pierio Valeriano, un cervo, il quale ascolta un
pastore, che suona la sampogna: e per dimostrarla virtù,
che domina gli affetti , dipingevano un uomo , il quale ca-
valca il leone: e una donna parimente sovra il leone, di-i
mostrava che le forze cedono all'eloquenza.
FoRES'j lERO. La figura umana nell'imprese ancora è ri-
cevuta, come in quella dell'uomo salvaticOjC nel servo,
eh' è su 'I carro trionfale col vittorioso Imperatore, della
qual fu il mblto: Carni jjortantur eodein . Dunque ne la
figura umana nell'iscrizioni, né i motti possono distingue-
re l'Imprese da' Jeroglifici, o da' rovesci , quantunque sì
possa dubitare, s'elle aggiungano, o togliano perfezione
all'Impresa .
Conte. Così mi pare .
Forestiero. Ma considereremo poi, qual più fia per-
fetta , qual meno; ora ricerchiamola dilferenza, se pure
alcuna ve n'ha , la quale per mio parere non è ne'colori,
o negl'intagli, o nella materia d'oro, d' argento e di pie-
tre preziose .
Conte. Molto meno che nell' altre cose già dette .
?\)REST1ER0. Ora mi sovviene quella differenza, eh' io sti-
mo esser cagione di tanta diversilà. Non abbiamo noi det-
to che le lettere Jeroglifiche son sacre note?
o dell' imprese 333
Conte . Abbiamo .
Forestiero. Ma le imprese son elleno sacre pari-
jnente?
Conte. O non sono, o non tutte ; ma la maggior parte,
e d'arme e d' amore , come parve al Giovio .
Forestiero. Tuttavolta sacro potrebbe esser l'amore,
come quello di Cristo verso l'uomo, che fu significato col
pellicano, die risuscita i figliuoli col sangue: e sacra pari-
mente la guerra, e tale fu quella di Gottifredo Buglione, e
de' Principi suoi seguaci centra gl'Infedeli; di amor dun-
que e di guerra sacra si potrebbono fare imprese.
Conte. Si potrebbono per mio avviso, e sì fatto sareb-
be non solo il pellicano, ma il vello di Gedeone, se vi si
aggiungesse il motto.
Forestiero . Ma fra le cose sacre, e le non sacre suol
esser questa differenza, che a significare le cose sacre,
come c'insegna prima Dionigi Areopagita, e poi S.Tom-
maso ne' suoi Opuscoli , s'usano piuttosto le dissimili si-
militudini: e per significarle non sacre, si deono mettere
in uso pili convenevolmente simili similitudini. Questa sa-
rà la pii!i essenziale differenza , clie si possa ritrovare fra i
Jeroglifici , e l'imprese non sacre; che alle non sacre si
conviene il significare con ogni somiglianza; alle sacre con
qualche dissimilitudine ; ma questa differenza , sarà sola-
mente fra le lettere Jeroglificbe , e l'Imprese d'arme e
d'amore cavalleresco; ma se alcuna si ritrovasse d'altra
maniera , o in altra guerra, in quella sarebbono ancora
convenienti l'imprese colle dissimili similitudini.
Conte. Io non so per qual cagione le dissimili simili-
tudini si convengano alle cose sacre .
Forestiero. La ragione è addotta dall'istesso autore
nel primo libro della Celeste Jerarcbia , la quale è questa ,
che nelle cose divine le negazioni son vere, ma 1' affi^rma-
zioni non convengono, né son degne della Maestà d' Iddio
occultissimo: e piìi conviene, nelle cose non soggette agli
occhi de' mortali, l'esprimerle con pittura d'immagini
non somiglianti. Laonde non fanno vergogna alle divine ,
e celesti nature le descrizioni e le figure dissimili.; ma eoa
misterioso onore, e con riverenza ci danno a divedere eliti-
334 ^T- CONTE
sono più eccellenti di tutte le forme corporee , le quali
possono essere intese, o iinmatjinate dall' animo nostro: e
non è cosa elle maggiormente risvegli la nostra mente , e
r innalzi al Cielo, delle oscure similitudini. Però non s'ap-
pressarono tanto alla verità coloro, che nel t'orinare i si-
mulacri celesti gli finsero tutti di oro, e risplendenli, e co-
ronati di raggi, e vestiti di luce; cpianlo gli altri che adom-
brarono quasi nelle tenebre , e nella caligine d'una oscura
similitudine. Per l' istessa cagione chi loda la Divinità,
che vince tutte l'altre nature, l'onora con questi nomi di
Verbo , di Alente, d'Essenza: chi la finge quasi un lume,
e quasi una fiamma e un vento, e la chiama vita ; le quali
forme, quantunque siano più eccellenti delle materiali,
nondimeno molto perdono , e sono inferiori alla divinità .
Oltre questa cagione, alcune altre n'adduce S.Tommaso
nella prima parte della Somma, e nelle operette, le quali
possono intorno a ciò rimuovere ogni dul)itazione.
Conte. Alti e sacri mister] son questi, che spiegate, ra-
gionando dell' Imprese
Forestiero. Rivolgiamo dunque gli occhi dalla luce
alle tenebre , e consideriamo Dio, e le cose divine nelle
oscure similitudini, usate, non solamente dagli Egizj e da-
gli Ebrei, ma da' Cristiani scrittori. Gli Egizj ci figuraro-
no Iddio col coccodrillo; perchè quando il coccodrillo è
sotto l'acqua , dicono che gli cala dalla fronte una mem-
brana sottile, per la qual egli vede altri , e non è veduto ;
e ciò conviene ancora al sommo Dio, io dico di vedere, e
di non esser veduto. Dicono ancora che il coccodrillo
femmina partorisce l'uova fuor del Nilo in quel luogo ap-
punto, il quale dee esser termine dell' innondazione del
fiume; per la quale dimostra le cose future, clic sono co-
nosciute solamente dal grandissimo Iddio. Era significato
Iddio dall'uomo, che siede sopra il loto,e,couie scrive
Proclo, dal lalcone ancora; perche il falcone è d' acutissi-
ma vista, e di grandissima velocità nel volo, e solo fra gli
altri uccelli, volando in alto, discende quasi per dritta li-
nea, e fa violenza agli inf(!riori . I Sileni ancora, e i cinoce-
l.ili dimostravano che la Divinila è occulta nelle cose vili e
non apparenti. Dio ancora fu significato dallo scarabeo , la
o dell' imprese 335
qual significazione non dispiacque a S. Agostino . Lo sca-
rabiìo significava similmente il Sole appresso gU Egizj ,
percliè egli sta come il Sole sei mesi sovra la terra, e al-
trettanti sotto. Il mondo fu significato dagli Egizj col ser-
pente, che si rivolgea in se stesso, e mordeva la coda: l'an-
no, In simil maniera: il Sole e la Luna da'cerclii: la Luna
nascente, dal cinocefalo; perchè, com'essi dicevano, il ci-
nocefalo si drizza , e par molto sollecito nel nascimento
della Luna. L'orizzonte si figurava, come scrisse Plutarco,
coll'effigie d' Anubi : e appresso gli Egiz] similmente
iVeeyo/i^)'^, significava l'inferiore emispero , e /«VZe il su-
periore ; perchè questo è lucido e diurno, quello oscuro
e notturno , e Anubi partecipa dell'uno e dell'altro. Ap-
presso gli Ebrei si legge che Dio si mostrò a Mosè in for-
ma di fuoco: e prima a guisa d'uomo aveva lottato con
Giacob: e colle colonne di fumo e di fuoco , T una delle
quali era guida la notte, l'altra il giorno, condusse il po-
polo d'Israele alla Terra di promissione. Nel deserto col
serpente esaltato figurò il figliuolo, che doveva esser so-
speso in croce: e l'agnello sacrificato da Abramo, aveva
significato il sacrificio del figlio Unigenito. Nel nuovo Te-
stamento muore come agnello, risorge come leone: non
disdegna la similitudine di pastore , di pietra, di porta , di
vite, di fiore, di via, di tempio distrutto e riedificato, di
pane, di fonte. Da' santi Padri è chiamato scarabeo e ver-
me fool qual nome il sacro poeta l'avea prima chiamato
ne' suoi versi, ispiratigli da Divino Spirito. La Beata Ver-
gine similmente nelle sacre lettere è significata col nome
di Terra , di Cielo, di Sole , di Luna , d' aura , di stella del
mare , di luce di Paradiso , di neve, di palma , di cedro, di
oliva, di cipresso, di nardo, di mirra, di platano, di rosa
piantata in Jerico, di giglio, che sorga fra le spine, di vi-
te d'uva feconda , di colomba , di aquila , di candelabro , e
di trono della Divinità; quantunque alcuni di questi nomi
e di queste figure abbiano piuttosto simile immagine , che
dissimile similitudine; ma e con gli uni, e con gli altri la
sua gloria suol essere più e meno chiaramente dimostrata .
Conte. Io nondiineno con gli altri, che sono di meno
alto intendimento, sempre resterò più soddisfatto dell'im-
magini somiglianti .
336 IL CONTE
. Forestiero. Già non sono elleno rifiutate dalla Teolo-
gia medesima; ma noi ricercliiamo quel , che sia piìi con-
veniente .
Conte. Le cose simili sempre convengono colle simili .
Forestiero. Ma qual cosa estiuiate voi così si>nilo Jil-
l'altra, che non sia in alcuna parte dissomiglionte? forse le
stelle del Cielo? o pure in queste ancora è qualche dissi-
niilitudine ?
Conte . Grandissima nella grandezza , ne' colori , nel si-
to, ne' movimenti , e negli effetti .
Forestiero. E dell'immagini degli elementi, e delle
figure , che opinione portate?
Conte. Già lessi che al fuoco era attrihuita la figura
pirainidale, cioè di sei basi, all'aria quella d'otto, all'acqua
quella di venti , alla terra la cuba .
Forestiero. E delle cose da loro generate, che cre-
dete?
Conte . Tutte sono dissimili a se medesime, come le
comete, e l'altre impressioni dell'aria , l'arco celeste ,
che ha tanti colori , e le corna della Luna , e il suo
cinto.
Forestiero. Ma se nelle cose semplici è tanta dissimi-
lìtadine, maggiore senza dubbio sarà la dissomiglianza nel-
le cose composte .
Conte. Senza fallo, e non solo di ciascuna cosa per ri-
spetto dell'altra , ma di tutte insiciue , e di ciascuna verso
di se ,
Forestiero. E dunque il simile sempre congiunto col
dissimile,- anzi queste due nature sono affisse insieme qua-
si con oncini , o con ami , come si legge nel Parmenide di
Platone, che è l'Ente col non Ente ; laonde possiamo con-
chiudere che ninna cosa sia simile in tutto all'altre , ne
pure a se medesima: anzi , in quanto ciascuna partecipa
di quel, che non è , io dico della privazione, partecipa an-
cora del dissimile; e solo quello, eh' è vero Ente, il quale
])arlando di se, disse : Ego sani , qui sum , è in tutto somi-
gliante a se medesimo. Non troveremo adunque le simili
similitudini in modo alcuno, ma tutte saranno similitudini
dissomiglianti.
6 dell'imprese . 337
Conte. Così mi pare per questa ragione.
Forestiero. E di queste , quelle, che saranno più dis-
sìmili, saranno più convenienti alle cose diviiu: .
Conte. Io, con gli altri, che non sono di così alto in-
tendimento, rimarremo sempre più soddisfatti delle imma-
gini , che siano quanto si può somiglianti.
Forestiero. E quali son queste?
Conte. Le belle per mio parere sono quelle, che più
convengono alle cose divine; perchè io non so né immagi-
nare, ne intendere cosa più bella delia divinità.
Forestiero. Già questo modo non è figurato dalla
Teologia medesima , la quale, come dice Dionigi Areopa-
gita , per figurarci la divinità , raccolse insieme tutte le
maniere di varia bellezza. Concedasi adunque alla Divinità
della quale sogliamo affermar molte cose sì veramente, che
l'altro delle dissimilitudini, e delle negazioni sia riputato
proprissimo de' sacri misteri , e 1' uno serva a' sensi, e 1' al-
tro all'intelletto solamente.
Conte . Già intendo la distinzione .
Forestiero. Or, se vi pare che le cose proprie debba-
no essere separate dall'improprie, e dalle comuni, sepa-
riamo questi due modi, o queste due specie di significazio-
ne : e sia usato nelle cose divine, o sacre il significare i
concetti con immagini dissomiglianti; ma nelle cose non
sacre si esprimano i pensieri, e gli aff^'etti dell'animo con
immagini somiglianti.
Conte. Come a voi pare.
Forestiero. Diremo adunque che l'Impresa è una
espressione , ovvero una significazione del concetto del-
l'animo, la quale si taccia con immagini somiglianti , e ap-
propriate .
Conte. Buona mi pare la dilTinizione .
Forestiero. Ma peravventura non perfetta , perchè
non ogni pensiero, ne di tutti gli aniaii, dee esser signifi-
cato nelle Imprese ; ma i pensieri solaaiente degli animi
nobili, o siano di guerra, o di pace , o d'amore, bencljè
più nelle azioni, che nelle contemplazioni ; e delle azioni ,
più nelle militari, che nelle civili pajono ricercarsi l'im-
prese: anzi, se ricerchiamo l'origine sua , ella fu ritrovata
338 IL CONTE
da Principi, e da Capitani, e da uomini guerrieri, e dipin-
ta nelle insegne militari, e negli elmi, e negli scudi ; <> co-
minciasse insieme con questo nome al tempo deCavalit-ri
erranti, o molto prima fosse usata da' Latini, e da' Greci ,
e da' Barbari , e chiamata con altro nome. Ma lasciamo ora
da parte quel, che appartiene all'origine, e consideriamo le
parti necessarie alla diliìnizione. jNoi abbiamo già detto
che l'Impresa è significazione di pensiero deliberato intor-
no a cosa non minuta , e non indegna , la quale porti seco
diiiicoltà nell'eseguire .
CuNTE . Così mi pare conveniente.
Forestiero. Ma perchè l'Impresa non riguarda sola-
mente il futui'o, ma tutti i tempi, come la profezia; la dif-
ficoltà si può considerare così nelle cose fatte , come in
quelle, che si fanno, o che deono farsi, e non in tutte le
cose, ma nelle degne, e nelle nobili solaraente.
CoNTE . Così mi pare .
Forestiero. Tutta volta l'Impresa riguarda più il fu-
turo , che gli altri tempi: e se pur è del passato, com'è
quella d' Antonio da Leva , il quale finse uno sciame di
Api col motto: Sic vos , non vobis; ha nondimeno consi-
derazione al futuro, perchè , se non m'inganno, quel Si-
gnore volle in quella significare all'Imperatore che la sua
virtù era degna di luogo onorato , e sublime.
Conte. Assai mi piace l'opinione, perchè TLuprese
agl'ignobili sono come l'arme, che non sono lor conve-
nienti in modo alcuno.
Forestiero. Cotesto è vero ,- tuttavolta la nobiltà dee
considerarsi più nella virtù, e nell'animo, che nella fortu-
na, o nel nascimento; laonde coloro, che hanno avuto in
dono dal Cielo l'altezza dell'animo, tuttoché siano nati
d'oscuri progenitori possono far l'arme della sua famiglia,
alla quale essi danno l' origine , e l'insegne, e l'Imprese
parimente : ed io ho conosciuto un Cavaliere nato di pic-
ciola condizione, ma, siccome si mostrava magnanimo, per
Impresa lece il monte Oliiiìpo con questo motto; Tentando,
via est .
Conte . Bella è l' Impresa .
Forestiero . E cortesia vostra ; ma non lasciamo la
o dell' imprese 339
diffinizione rlell' Impresa, nella quale, come aLLiamo det-
to, si lite principalmente aver riguardo al tempo avvenire;
ma il fine è quello, che principalisvsimaraente si considera.
Dee adunque dicìiiararsi il fine , il quale in tutte l'azioni
civili, e militarle l'onore.
Conte. Ma nelle amorose , per le quali son fatte gran
parte dell'Imprese, è l'amoi'e.
Forestiero. Già sassi che l'onore, e l'amore era
quasi l'istesso, o tanto differente, quanto è il segno este-
riore dallo effetto intrinseco; perciocché da niuna cosa sia-
mo più onorati , che dalla benevolenza degli uomini di giu-
dizio; e l'amor della donna, non che altro, suol dimostrar-
si con qualche favorevole dimostrazione d'onore, per la
quale i valorosi Cavalieri deono esporsi all'i nprese magna-
nime, e degne d'eterna gloria, non solamente portarle di-
pinte negli scudi, e negli stendardi, o ne' superbi palagi,
o in altra parte riguardevole, dove siano da ciascuno rimi-
rate. Diremo adunque che l'Imprese siano segni, o im-
magini convenienti, e simili ai nobili pensieri dell'animo,
e fatti per desiderio di onore: e che di questi, alcuni siano
immagini di cose naturali, altre d'artificiali: e delle natu-
rali , altre eterne , altre corruttibili : e delle artificiose , al-
tre disusate , altre, che sono in uso. Eccovi la diffinizione,
e la divisione, ch'io addurrei delle Imprese; ma la diffini-
zione non so quanto sia simile , o dissimile alle diffinizioni
degli altri, le quali si potevano innanzi revocare in dub-
bio, e quasi chiamare al giudizio , considerando , se in cia-
scuna di esse è parte soverchia : o manchevole , o discorde
dalla nostra opinione. Ma noi siamo entrati in questo ra-
gionare quasi a caso, ed io 'senza l'ajuto vostro non spero
di poterne fare splendida riuscita .
Conte. Quel che prima non s'è fatto, di considerare
l'altrui diffinizioni, si potrebbe far dapoi , eh' io ho intesa
la vostra ; peluche io per me non so qual fra' due modi sia
il migliore, ne la cagione .
Forestiero. Forse io mi son dimenticato di quelle de-
gli altri?
Conte. Io me ne ricordo alcune , e se non vi spiace di
Gonsidei'arle , udite questa , che mi si para davanti ; L' lin-
o4'-* If- CON"TE
presa è una mutola comparazione dello stato , e del pen-
siero di colui, che la porta, colla cosa nella Impresa con-
tenuta .
Forestiero. La voce mutola, che prima mi ferisce le
orecchie , per sé non mi dispiace , perchè verainente l'Im-
presa è parte, o specie d'una muta poesia; ma io direi piut-
tosto muta si mi li Ludi ne , che muta comparazione: ne
porrei il nome dell" Impresa nella sua dilTmizione ; ma se
buona è questa difiìni/ione , il motto non solamente non è
necessario nell'Impresa , ma è soverchio, e vizioso: ne al-
tro mi par di poter raccogliere dell'intenzione dell'au-
tore.
Conte. Questo, se non m'inganno, fu il suo intendi-
mento ; ma udite l'altra, che forse più vi piacerà: L' Im-
presa è componimento di (ìgura , e di motto, rappresen-
tando virtuoso, e magnani;no disegno.
Forestiero. In questa diffinizione nulla si può deside-
rare peravvenlura , se il motto è necessario, come molti
estimano, e se TLiipresa è quasi un composto di corpo, e
d'aniiTio; quantunque il nome disegno s\sl usato metafori-
camente, come quello ,che si dice propriamente della pit-
tura , e non si trasporta nei pensieri dell'animo. Ma nel-
le diffìnizioni di cose sì fatte io non sono severo soverclna-
niente , e non hiasmo le translazioni , tuttoché da Aristo-
tele, e da A.verroe siano riprese. Platone ancora diftìnt
r anima ; luogo delle forme; e il suo discepolo disse clic
la memoria era quasi una pittura delT anima. Ma passia-
mo più oltre .
Conte. Questa è, come dicono, del Palazzo: L'Impressi
è un modi) d'esprimere qualche nostro concetto, princi-
palmente Mllettuoso, coli immagine di cosa , che althiacon
questa convenienza, necessariamente accompagnata da un
breve motto di parole, a questo atte.
Forestiero. Pone V Impresa fra i modi del significare,
benché ella sia piuttosto tra le specie ; uja il modo più
propriamente è dell'arte, che della opera artificiosa, la
quale non è modo, ma fatta con modo. Ma queste sont>
considerazioni ,o troppo sottili, o troppo severe, come sa-
rebbe, s'io dicessi che l'Impresa fosse un modo d' espri-
o dell'imprese 341
mere tulli i eoncelti, non solamente qualche concetto. Ma
questa peravventura è di quelle diffinizioni d'Aristotele
nella Topica, ch'esso, e Alessandro suo comentatore, cliia-
mano diffinizione delli cosa ben disposta, la quale par che
sia più ristretta dell'<'iltre,e non contenga tutti i particola-
ri; solo mi fa dubbio ch'egli v'includa il motto come
necessario.
Conte. Questa diffinizione ancora mi sovviene: L'Im-
presa è un segno proprio ad alcuno, e preso da lui per a-
dornamento, o per discoprimento d'alcuna cosa fatta , o da
farsi, o perdurante, ovvero per parte delle sopraddette
cose .
Forestiero. Quasi tutte l'Imprese fossero proprie, e
non alcune comuni ; ma , s' io non sona errato , ve ne sono
alcune portate da molli , come per giudizio del Giovio fu
quella de' giunchi portata da'Signori Colonnesi col motto;
i* letti ni ur , non frangi niur .
Conte. Un'altra diffinizione mi sovviene dell' Armigio:
L' impresa è una mistura mistica dì pittura , e di parole ,
rappresentante in picciol campo a qualunque uomo di non
ottuso intelletto, qualche recondito senso d'una, o di più
persone .
Forestiero. L' Armigio accomuna fra molti quel , che
l'altro appropria; ma di questo proposito mi sovvengono
le parole di Dante, parlando delle parti:
L' uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppone y e V altro appropria quello a parte ;
Sicché non so veder , r/ual più si falli .
Dalle quali io raccolgo che l'aquila fosse pubblico segno,
e non privato, ne proprio: e che ciascuno erri approprian-
dolo a qualche Parte, come fanno i Ghibellini, non meno
che opponendosi all'aquila, com'è de Guelfi; ma l'aquila
]ìer mio avviso fu insegna de' Romani , avanti che fosse
trovato questo nome d'Impresa, e soleva esser portata in
guerra con molte altre insegne, che furono quattro per
opinione di Plinio , il lupo, il minotauro, il cavallo, ei
cinghiale, alle quali Vegezio aggiimge il dragone; ma al-
cuni anni avanti Mario, l'altre erano lasciate negli alloggia-
menti, e sola l'aquila era portata in battaglia. Mario alfi-
342 IL CONTE
ne, il quale dall'apparir dell' ;iquila nveva preso otlimo
augurio , rifiutò tutte I altre insegne ,c di questa sola vol-
le servirsi nella guerra , e consacrandola quasi propria al-
le legioni Romane, dalle quali Tu portata con varj colori,
ed in varj campi, se pur dobbiamo prestar credenza a Gio.
"Villani, in cui si legge che Mario contro i Cimbri portò
l'aquila d'argento, e Ciitilina , quando fu sconfitto da An-
tonio nella parte di Pistoja, ed il gran Pompeo portò il
campo azzurro, e l'aquila d'argento: Cesare la portò
d'oro nel campo vermiglio , Augusto suo successore mulo
l'insegna : portando nel campo dorato l'aquila naturale,
cioè nera , la quale fu similmente spiegata dagli altri Im-
peratori Romani infino a tanto che da Costantino, e dagli
altri Imperatori Greci fu di nuovo innalzata in campo ver-
miglio ad imitazione di Cesare , il quale la tinse del sangue
civile ne'campi di Farsaglia.Ed ora si potrebbe senza dub-
Lio affermare ch'ella fosse stata Impresa de' Rotnani , e
prima de' Persiani, da' quali fu portata in guerra fino al
tempo di Ciro, come si b'gge in Senofonte, perocché
l'aquila ha tutte quelle condizioni , che son richieste al-
l' Impresa degl' Imperatori , e de' Regi , ne so che le man-
chi se non il motto, per lo quale distinguono molli l'arme
dalle Imprese. Dicono ancora che l'arme sono insfgua.
gentis , e proprie d una famiglia, ma l'Imprese vogliono
che siano particolari: distinzione in vero volontaria, la
quale non porta seco alcuna necessità . Altri son d'altra
opinione, e vogliono piuttosto, che il campo deterfriinato
da colori, o da .«barre, il quale non si richiede nell'Impre-
se, sia proprio dcH'arme, o sua diirerenza specifica, per la
quale si distmgue dall'Impresa, e fa arme, come dicono,
per sua natura . Ma dalle cose dette potrebbono nascere
molti dubh) nella diffinizione dell'Impresa : e prima , se le
parole siano necessarie, o soverchie nell'Impresa ; e selle
son necessarie per dichiarar l'intenzione, o in qual altro
modo; e poi, se l'Imprese siano projirie, o se comuni: se
differenti dall'armi, e se ristesse, e qual diversità sia nel-
l'antieliità, e nell'origine di cpieste, e di quelle. Alle qua-
li si potrebbono aggiungeri; molle altre questioni, della
simplicilà , o della moltitudine de' corpi, e delle ligure, e
o dell' lmprese 343
de'colori : se meritano biaslino le umane, o le prodigiose;
e molti precelti intorno a ciò, e molte osservazioni. Ma io
oltre al Giovio , e al Ruscello, e all'Ammirato, pochi altri
Ilo letti in questa materia^ nella quale .come ho inteso,
scrissero Claudio Paradino , Gabriel Simeone, Lodovico
Domenichi, Claudio Pittoni , Alessandro Farra , Luca
Contile, Bartolommeo Taegio, oltre all'Alciato, che scrisse
degli Emblemi, e Pierio Valeriane, che trattò la materia
delle Jeroglifiche assai somigliante . Io già , prima che fos-
sero usciti questi ultimi libri , ne dissi alcune cose , che ho
poi riconosciute quasi mie: altre ne udii , delle quali con-
servo alcuna memoria. Ma senza vostro ajuto, estimo più
difficile il fine del ragionamento, che non mi parve il prin-
cipio : ed essendo entrato senza molto pensiero in questo
quasi campo dell'Imprese , son molto sollecito del modo
d'uscirne; ajulatemi adunque a dubitare almeno, se non
a terminare le questioni, nelle quali gli altri si sono affa-
ticali.
Conte. Questo è così largo, e così fiorito campo , che
lo spaziarvi a me sarà caro , come però a voi non paja so-
verchiamente faticoso; ma io non so che ajuto darvi , che
vi trattenga .
Fè)RESTIERO . Or cominciamo da quella parte , che io
prima proposi , dico, se le parole siano necessarie all'Im-
prese : e se troveremo eh' elle vi si ricerchino necessaria-
mente, suppliremo all'imperfezione di quella , che da noi
è stata data. E perchè meglio intendiamo il vero, io vi do-
mando il vostro parere, se voi riponete l'artificio del far
l'Imprese sotto l'arte della poesia , o no.
Conte . A me pare, che il facitore dell'Imprese, sia
poeta , come parve ad alcun altro , il quale disse che l' Im-
presa è non solo parte di poesia, ma di eccellente, e di so-
vrana poesia.
Forestiero. Ma s'ella fosse poesia , userebbe gì' istru-
nienti della poesia , che sono il parlare, il ritmo e l'armo-
nia , e non altri .
Conte. Così pare ragionevole , se il poeta non ha altri
istruincnti .
Forestiero . Altri da Aristotele non sono assegnati al
344 IL MANSO
poeta ; dunque il pennello e il colore , die usa nel dipin-
gere il pittore dell'Impresa , non sono istrumenti convene-
voli al poeta , e molto meno lo scarpello , o 11 martello, col
quale si scolpiscono l'Imprese ne'marmi: e se non sono
istrumenti del poeta, chi gli usa, non è poeta .
Conte. Cotesto par vero ; tuttavolta io credeva che la
poesia avesse alcune arti ordinate al suo serviijio , come
l'arte degl'istrioni, e la Musica, e la Pittura ; laonde nel
servirsi dcgl' istrumenti delle arti sottoposte, non perde la
sua dignità.
Forestiero. Ma è imperfetta , se non ha alcuno istru-
mento proprio, col quale possa fare le sue operazioni come
potrete conoscere a questo esempio., che l'uomo , di cui il
servo è istrumento , e separato , non ha questo solo istru-
mento esteriore nelle azioni civili e militari, ma i suoi
pruprj ancora, con i quali non solamente governa la Re-
puhblica e combatte, ma contempla le cose celesti, ed
immortali: le mani , dico , gli occhi, la lingua, la fantasia ,
e gli altri sentimenti, esteriori e interiori.
Conte . In questo modo ancora potremo affermare che
il motto sia ristrumento.
Forestiero . Molto ha perduto di dignità , poiché
d'anima, ch'egli era , come dicono, è diventato istrumen-
to; ma questo non rileva , perchè l'Impresa senza l'imma-
gine figurata nella carta, o in altra cosa materiale, non sa-
rebbe Impresa ; dunque riporremo l'Impresa sotto l'arte
della Pittura , o del Disegno.
Conte. Questa opinione più mi piaceva nel principio;
ina io mi attenni all'altra per salvar la vita al motto, il
quale per quest'altra via corre molto pericolo.
Forestiero. Peravventura è vero quel che voi dite,
perchè se 1' Impresa è fatta della pittura o del disegno
non ha bisogno di parole.
Conte. Sogliono i pittori , e gli scultori nondimeno
far le iscrizioni nelle statue , e nelle pitture alcuna
volta .
Forestiero. Solevano gli antichi pittori, come dice
Aristotele nel sesto della Toj)iea , aggiungere l' iscrizione
per dichiarazione della cosa dipinta; ma questa, per suo
o dell' imprese 34")
!::;uHÌizio, è imperfezione nella pitturo, come nella difìlni-
zione, clje non s'intenda di qual cosa ella sia diffiniiione ,
perciocché la pittura dee esser conosciuta per se stessa
senza aiuto alcuno estrinseco . vSi conferma 1' autorità
d' Aristotele col testimonio di Scrino filosofo, il rpinle scri-
ve, come si legge appresso a Stobeo , clie nel!' anticliissi-
ma città di Snis era un gran simulacro consacrato a Mi-
nerva , delta Iside, con (juesta iscrizione:
Ego siim onine , quod fuit , quodque est , quodque erit :
Et peplum meuni nemo mortalium re\'elavìt.
Conte. Questa iscrizione a me pare molto misteriosa;
laonde estimo ch'olla giungesse autorità all'immagine ; e
non meno ha hisogno dì dichiarazione di quel, che avesse
I ' immagine medesima .
Forestiero. Autorità senza dubbio, piuttosto che chia-
rezza , o notizia aggiunge questa descrizione: e le cosi
fatte piacciono nelle statue, e nelle pitture , e nelle Im-
])rese più, che in tutte l'altre, perchè le iscrizioni, e i
molti troppo chiari pajon popolari , e di ninna stima, e per
questa cagione sogliono esser fatti piuttosto nella lingua
estrana , che nelle propria.
Conte. Io vorrei che il motto si allontanasse dn'popn-
lari, e da'voignri piuttosto ne' sentimenti , e ne' pensieri,
che nelle parole: e amo meglio i concetti peregrini colle
nostre voci naturali ,che i plebei colle peregrine.
Forestiero. Cotesto è vero ; nondimeno le parole non
si scelgono nella propria lingua , se non da parte niolto
nobile, e da scrittore molto eccellente; ma i concetti me-
desimi, significati colle similitudini, e l'immagini ,'<leono
avere, non solo del vago, e del leggiadro, ma dell'occulto,
e del misterioso: però si legge in Porfirio, riferito dal me-
desimo Autore, che siccoine Apolline in Delfo non dice ,
ne asconde , ma accenna , secondo il costume di Eraclito,
così ne'simholi Piltngorici quel , che par si dica , si ascon-
de; e quel che par nascoso, s'intende.
Conte. A questa imitazione, s'io non sono errato , do-
■vrebbono esser fatti non solo i molli, ina i corpi delle Im-
prese .
T. III. Dialochi al
346 IL CONTE
Forestiero . Clilamiaino corpo la pittura, dunque il
molto è r <inii))a .
Conte. Cosi disse il Glovio innan/i a tutti i^li altri.
Forestiero. E se non può esser corpo vivo senz'ani-
liia , morte sono quelle Imprese , clie non hanno il motto.
Conte , Questo è assai vero per giudizio di molti; ma
altri hanno giudicato che la forma essenziale deJl' Impresa
sia la comparazione.
Forestiero. Se la comparazione è la torma essenziale,
e la forma essenziale è aniuia delle cose animate, ne segue
che la comparazione sia l'ani uà ; laonde l'Imprese non
hanno hisogno di motto , perchè la comparazione sola , e
la pittura può farle vive.
Conte. O l'una , o l'altra opinione è vera.
Forestiero. E se sono contrarie, non possono esser
vere l'una, e l'altra; ma se l'una è vera, 1' altra è falsa di
necessità .
Conte. Senza duhhio.
Forestiero, Potrchbono essere nondimeno concordi in
qualche modo, e in qualclie parte , siccome al corpi) no-
stro già vivo, e animalo sopraggiunge di fuori la mente
imtnortale a guisa di peregrino; così all'Impresa, già viva
per artificio del pittore , è dato dal poeta , quasi da c(;le-
ste Iddio? nuovo intelletto colle jvarole , che fa immortale
la vita della pittura, la quale perse stessa avrebbe fine,
come l'anima de' bruti , e delle piante.
Conte. Voi togliete la necessità al motto, ma non la
perfezione .
Forestiero. Sarà dunque nella definizione necessario ,
almeno in questa maniera, perchè in lei si dee diffinire
una cosa perfetta ; ma nelle definizioni , se non m'inguino,
i nomi analoghi sono assai volte ricevuti: e Aristotele me-
desimo avend<j a diflìnire l'anima mortale, e l'immortale,
non la volle, o non la potè diffinire altramente; laonde
questi nomi di segno e d' immagine possono attribuirsi
non solo alla forma dell'Impresa materiale, ma al molto,
ch'è (juasi divino intelletto : e Aristotele ancora ne libri
dell' interpetrazione chiamò le paride note di (|uelle cose,
rl»e abbiamo nell'animo ; che tanto rileva, quanto s'egli
O dell' IMPRESE 34'-
l'avosse chiamate sei^ni e immagini de'nostri concetti. Non
d il>l)iairio iiduiique |i<*r questa cagione aggiungere cosa al-
cuna alla (lirtlnizione.
Conte. C^si ini pare che ahbiate provato chiaramente
coir autorità tlel Principe de' filosofi .
Forestiero. Confermeremo adunque che l'Imprese
siano segni, <> iimnagini conve-nieiiti, e simili a'nol)ili |)en-
sieri dell'animo , fatte per desiderio d'onore: e di queste
iriiti;agini altre saranno di cose naturali, altre d'artificiose;
e tra le naturali , altre di eterne , altre di corruttibili .
Conte. A questa divisione altri aggiungono un terzo
membro , direndo cbe d( Ile immagini alcune sono natura-
li , altre artificiose , altre civili.
Forestiero. Le civili si possono ridurre sotto l'artifi-
ciose, come sottf» a suo genere ; perciiè la civiltà e un ar-
te , anzi l'arte oltre a tutte l'altre nobilissima , alla quale
ninna è cbe si sdegni d'ubbidire; però è somigliante al-
l'architetto , il quale comanda a molti ministri . Ma l'ites-
sa divisione da'più antichi è fatta in altro modo; perchè
dissero che delle figure scolpite dagli Egizj negli ohelisclii,
altre sono naturali, altre artificiose, altre immaginarie;
ma l'immaginario si possono riporre sotto l'artificiose,
come si crede (he siano i Satiri, i Centauri , le Sirene, i
Tritoni , le Sfingi, e le Chimere, e le Gorgoni , perchè è
liceniia non solamente de' poeti, ma de'pittori congiungere
insieme le nature diverse , e quasi contrarie , in guira che
Desinai in pisceni ntnlier formosa superna .
Altri le riporrebbe sotto le naturali, come in tutti i mo-
stri , che nascono per difetto , o per eccesso di materia ^ ol-
tre il proponimento della natura ist<ssa .
Conte . Io mi ricordo d'aver letto in molti di «pirsti,
che trattano de' secreti della natura , alcune rrjaraviglie.
Plinio pone i Satiri ne' monti Subsolani : Pomponio Mela
nell'Atlante: il Sabellico nell'Aio: de' Grifi , che sono
quasi Pegasi, e custodiscono l'oro ne' monti Rifci, ragio-
na, non die altri, Dion Grisosto:no, gravissimo autore: dei
Tritoni e delle Sirene, Plinio, Olao Magno, e Pietro Mes-
sia: delle Gorgoni, Ateneo , il qiial(> estima che sia quello
animale, che da Aristotele e da Plinij è dijll Cito})l(pa ,
348 IL CONTE
Gli àrimaspi per opinione di molti abitavano ne' monti Ri-
fai : Giorgiana ha quattro, o cinque maniere d' uomini mo-
struosi: 1 Affrica , molte, per testimonianza di S. Agostino,
il quale ne vide l'immagini nella città di Cartagine.
Forestiero. Il considerare la verità di questo dubbio
si appartiene ad altra considerazione ,• ma in questo propo-
sito si può concliiudere senza fallo che i mostri favolosi
ti possono annoverare coli' immagini artificiose, gli altri
colle naturali. E cominciando da queste, e da quelle, che
sono eterne per natura :
Chiamaci il Cielo, e intorno ci si gira ,
Mostrandoci le sue bellezze eterne ,
come dice Dante , delia di cui immagine si può formare la
più bella e la piìi riguardevole di tutte l'altre, che noi ri-
miriamo; e prima, del Cielo stellato fu fatta quella nobi-
lissima Impresa , di cui fa menzione il Giovio col motto:
Aspicit unani. L'istesso portò per Impresa il Cardinal
d' Este mio Signore , colle parole : Jn mota immotuin , per
dimostrare la stabilità, e la costanza dell'animo suo nobi-
lissimo fra i movimenti della fortuna, da cui allora era agi-
tata la Francia nelle guerre civili, e quasi tutta Europa,
e per timore dell'armi Barbariche , colle quali il Turco
minacciò mina a' Regni de' Cristiani : e fu invenzione del
Signor Benedetto Manzuolo suo filosofo, e secretario, e
poi Vescovo di Reggio. Io poi feci una impresa coll'istes-
sa immagine dtl Cielo stellato, nel quale son molte imma-
gini del Sig. Card. Montalto, e vi sottoscrissi: Pulchriora
latent ; volendo accennare che questo Signore d' anii)io
nobilissimo^ il qu.-ile assai spesso si ritirava dalle puhbli-
che occupazioni della Chiesa Apostolica allo studio delle
scienze, era mosso a contemplare dall' islessa cagione, che
mosse i primi contemplanti, cioè dalla bellezza e dalla ma-
raviglia delle cose celesti: e perchè da loro siamo iimalzati
alla cognizione delle intelligibili e divine, particolaroiente
d'Iddio, l' Impresa mi parve conveniente all'alti'zza del-
l'animo di quel Signore, eh' è nuovo Mecenate del Pa-
triarca di Gerusalemme, e di Monsignor Papio, del Baldi,
e d'altri teologi e poeti, che vivono nella sua corte: e fu
ja prima di molte ^ le quali potcano esser concclte in di-
O DELT.' II\IPRESÉ 349
verse occasioni d'animo grande , e occupato nelle azioni.
Di Saturno non so chi abbia fatta Impresa; ma essendo
ei^li il primo fra i pianeti, e nobilissimo fra gli altri ,e ve-
locissimo nel movimento , come stima Platone, benché sia
detto tardo, e significando la contemplazione, cb'è nobi-
lissima operazione dell'intelletto, mi parve che potesse
aver luogo nell'Imprese; ma la difficoltà è nel far che la
stella sia conosciuta per quella di Saturno; e quantunque
ciò possa conoscersi dal colore, perchè ciascun pianeta ha
il proprio colore , come scrive Olimpioduro nella Meteo-
ra ; nondimeno perchè l'Impresa non dovrebbe aver biso-
gno di colore, meglio mi parve di collocarlo nella sua pro-
pria casa, la quale, come scrivono gli astrologi ^ e Macro-
Lio particolarmente nel Sogno di Scipione, è r Aquario,
o il Capricorno : e vi aggiunsi per maggior notizia il mot-
to: Tardissime velojc y o Velocissima tardìtas , come do-
vrebbe esser quella non solamente degli studiosi , ma dei
prudenti ; benché a questa impresa si potrebbe applicare
il motto di Augusto : Lente festina . Del Sole molti hanno
portata Impresa. Assai nota è quella colle parole: Objecta
ìiubila solvit : e ^ineW A\\.Ya del gentilissimo poeta Manto-
vano, che affisse l'aquila alla sua luce coli' iscrizione:
Purché ne godan gli occhi , ardan le piume.
E quella attribuita all'imperatore Massimiliano dell'aquila,
che volge i figli coronati al Sole, col moilo: Experiar. Ma io,
dopo tutte l'altre, feci al Signor Cardinal Montalto, mentre
governava lo stato della Chiesa nel Pontificalo di Sisto, que-
sta medesima immagine del Sole nella Ecclittica, la quale,
com'è opinione degli astrologi, è una linea nel Zodiaco
trapassata dagli altri Pianeti; ma il Sole solamente non
n'esce: era il motto : Non trasgrediar . Il mio intendi-
mento fu mostrare che il Cardinale, figurato convent^vo!-
mente per la sua illustrissima azione col Sole, non trapas-
sava il comandamento, e l'ordine del Papa . Il Sole in Leo-
ne , eh' è il suo proprio albergo, e l'arme del Cardinale ,
poteva dimostrar lo splendore accresciuto alla sua casa dal-
la virtù, e dalla fortuna di questo Signore - il motto fu
questo .... Ma perchè fra tutti i pianeti Venere solamen-
te esce dal Zodiaco per utile della generazione, come dice
3oo IL CONTE
Plinio, in quelle parti retnotissime , die sono extra aiiiii;
solibque vias , volli figurare una Venere us(;ita del Zotliiico
per significare un concetto amoroso di nobilissima Signoni
col motto: Transgrcssa jiLvat. Dell' istesso pi.meta lece
priaia Don Francesco d A.valos, di glor. inem. una Impre-
sa col motto : Monstrante viam. Ma ella è conosciuta dal-
la compagania del Sole, il quale ora la segue, e ora le va
innanzi .
Conte. Avete lasciati Marte, e Giove a dietro senza
parlarne .
Forestiero. Gli ho lasciati a coloro, che sono più fe-
lici nella guerra, e nell'azione, a'quali non mancheranno
soggetti di nuova Impresa , s'essi estimeranno che la va-
rietà de' colori, o la proprietà delle cose possa bastare per
dichiarazione: ma lascerò ancora Mercurio a' quei felici
ingegni, che nella eloquenza lianno acquistato chiarissima
fama. Della Luna scema, e crescente, portò Impresa d
Re Enrico , col motto : Donec totuiii iniplcat orhem : alla
piena fu aggiunto quest'altro: j^niula Solis , per dimo-
strare lemulazione tra quel Re d'animo grandissimo, e il
Re Filippo mio Signore, che senza dubbio ha supi'rato
tutti i Principi del mondo di grandezza d'animo , di stati ,
e di fortuna, e nel principio del suo regno, nel qualo par-
ve un Sole oriente; onde a gran ragione alzò per Impresa
il carro del Sole col motto : Jani illustrabit omnia. Degli
eclissi del Sole, e della Luna si fecero Imprese similmen-
te. Ma discendiamo dalle cose celesti agli elementi, se non
volete eli' io ritorni un'altra volta nel Cielo.
Conte. Questo è cam?nino usato dagli animi immortali,
però non vi" spiaccia il ritorno .
FOKESTIEKO. Tutte le quarantotto immagini del Cielo
stellato, possono dar soggetto bellissimo , e pieno di luce .
e di spletidon; all'Imprese; ma agl'Imperadori , e a' Re , e
a' grandissimi Principi si converrebbe la Libra col motto:
Omnibus idem, oh' è proprio di Giove: a' sacerdoti l'alta-
re; a' poeti la cetra ,e'l cigno: alle donne caste la corona
d \rianna: e i giusti, e fortunati Principi potrebbono an-
cora portar lo Scorpione col molto: JE<jUa plus parte rc-
liiirptil. Augusto figurò il Capricorno, che fu poi ascenden-
0 dell' imprese 35 1
te ài Carlo Imperadore ; e l'Impresa è di Cosimo fortuna-
tissimo Principe de' nostri tempi, e oltre a tutti gli ;illri
pruderitissia)o ; laonde si può affermare eli' egli tosse I ui-
chitctto della sua medesima fortuna.
Conte. Questo ragionamento con grandissimo piacere
mi ha tocco l'animo; laonde io vorrei che sempre ci fos-
se lecito di star fra le cose celesti.
Forestiero. Io n'ho ragionato ad utilità di voi, al-
quanto più largo , clie per altro non avrei fatto. Ma tor-
niamo a parlare delle immagini man sublimi, almetio per
memoria della nostra fragililà ; perchè il fare Impresa del-
le cose celesti è cosa d'isnimo grandissimo, che si promet-
ta molto di se stf*sso , e della sua fortuna , e dtell'ajuto di-
vino: però alcuni presero il soggetto dell'Imprese da cose
più umili: altri non vollero far Impresa alcuna ad imita-
zione di Roncoreo, figliuolo di Sesostri , e di coloro, i qua-
li, non potendo paregginr la gloria degli antecessori, fecero
le Piramidi senza iscrizioni. Fra questi fu Anfiarao, clie
solo fra' sette Re non portò a Tebe Impresa alcuna , per la
qual cagione fu lodato da Eschilo: e quell'altro, di cui
scrisse Virgilio, Pannarfue inglorius alba.
Conte. Discendiamo alle cose inferiori, quando vi pia-
ce, ma per gradi, acciocché lo scendere non apporti pe-
ricolo, e ci paja faticoso.
Forestiero. Delle nature corruttibili alcune sono sem-
plici, altre composte: semplici son quelle, che chiamiamo
elementi , e principio d' esse cose generate , fra'quali pri-
ma è il fuoco, che ha date molte occasioni a' simboli , e
all' Imprese . Alcuno, per dimostrare il generoso animO; e
la chiarezza dell'origine sua , portò la fiamma col motto:
Summa petit . Il Signor Duca d'Urbino , giudiciosissimo,
libéralissimo , e valorosissimo Principesche fa ritratto di
quelli, ond'egli è nato, figurò la fiamma col motto: Quic^
in sublimi; accennando in questa guisa la nobiltà dell'ori-
gine, e l'altezza de' pensieri , che non possono acquetarsi
se non in nobilissime operazioni, e perchè è natura del fuo-
co il separar le cose simili dalle dissimili . siccome all'in-
contro quella del freddo è di congregar le cose di natura
dissomiglianti , io ne feci un;i Impresa ad un Piiucipe mio
352 IT, CONTE
amico, il quale nella sua Corto non volle molti tristi in
compagnia di pochi buoiìi , col molto di Yeri^ilio : Sccre^
tosquepios, ocon c^y\&sioGreco:iri^'jytvyix Ex/ptv . Il fuo-
co insie'lie coll'acqua, come scrive Phitarco negli am-
maestramenti del matrimonio, significò la congiunzione
del marito colla moglie , e fu spesso usato dagli antichi.
Dell' ariii , e dell'acqua, e della terra non so chi facesse
Impresa senz'altro corpo.
Conte. A me sovviene quella del fiume, portato dal
Vescovo di Feltro col motto: Viresqac acijuirit euiido .
Forestiero. È assai bella, e cavata di buon luogo, del
quale prima il Vida, scrittore, e dottissimo poeta, aveva
latta una comparazione ; e de' fonti miracolosi , de'quali il
Petrarca fece similitudini , altri poi fece l'Imprese.. Ma
della terra sola si potrebbe fare una bellissifua Impresa
per la monarchia di Carlo Imperadore , o di Filippo Re di
tanti Regni, o d'altro gran Principe, col motto; Ponderi-
bus librata 5^/5. De' monti , cbe son parte della terra,
molte Imprese abbiamo vedute, ma con altri corpi, com'è
quella portata da' Duchi di Mantova dell'Olimpo, il quale,
come si scrive, è sempre sereno nella sommità, e quieto
dall'impeto de' venti; laonde coloro, che in cima vi sacri-
ficavano, lasciandovi le ceneri rimase nel sacrificio, le tro-
vavano l'anno seguente: il motto è: OJides. Io feci pei*
Impresa del Signor Cardinal Montalto, il monte Caucaso,
nella cui più alta parte si vede il Sole quattro ore prima ,
che apparisca agli altri ; e volli in questa guisa dimostrare
la vigilanza del buon Principe. Atlante si potrebbe finge-
re per figura del Monarca; che, come dice Simplicio sovra
Aristotele ne'libri del Cielo, le colonne di Atlante signi-
ficano il peso della Monarchia. Etna fu portato di molti:
risola di Delo , la quale era prima errante, e dapoi si fer-
mò, come si legge nelle favole , fu Impresa d' una vedova
gentildonna, il cui nome era Delia, col molto: Quievit.
Oltre ogni estimazione bellissima fu quella Impresa della
seni;» Platonica , cioè de'quattro elementi, e degli otto
Chicli , col verso del Petrarca :
jy una in altra sembianza.
Ed assai bella la confusione degli Elementi detta Chaos ^
portata dagli Accademici Confusi, col motto: Ante.
0 dell'imprese 353
Conte. Se bella è la confusione, quanto maggior bel-
lezza dee ritrovarsi nella distinzione?
Forestiero. Bellissimo è l'ordine senza fallo; ma al
medesimo artefice s'appartiene l'ordinare, e il confonder le
cose; però nella confusione ancora è il suo diletto, e la sua
maraviglia. Io feci per me stesso un Amore, che usciva dal
Chaos^ come dice Esiodo, col motto: Distinguet . Ma io
sono uscito , non me ne avveggendo, dalla via prescritta , e
parlando della confusione , bo confuso l'ordine , die si dee
servare nella divisione. Lasciamo dunque Amore da parte,
e torniamo ai corpi semplici, fra' quali peravventura si
potrebbono numerare le comete, e le altre immagini di
fuoco, che si veggono nella sublime region dell'aria , tut-
toché siano generate da esalazion terrestre. Bella fu quel-
la della cometa, apparita nella morte di Cesare, come di-
ce Virgilio:
Ecce Di Oliaci processit Caesaris astrurn ,
e detta da Orazio: Juliuni Sydus: e le sue parole: Inter
ornile s , fur molto convenienti all'intenzione di quel Signo-
re. Dell'arco celeste, che fu detto Iride da' Latini, è sta-
ta fatta Impresa : e si potrebbe far di quello , cbe i Greci
dicono Alos , che noi possiamo dir corona della Luna, per
dimostrar la varietà dell' umane grandezze, e di queste co-
rone de' Principi del mondo , le quali si dileguano ad ogni
vento di contraria fortuna ; laonde di quella di Cipro non
appar vestigio; quella di Scozia , e quella d'Ungheria so-
no quasi sparite a' nostri giorni ; quella di Francia, già lu-
centissima , ci lascia dubb) del suo splendore, e fra le nu-
vole dell'eresia appena si discerne.
Conte. Troppo gravi querele son queste in così piace-
vole ragionamento.
Forestiero. Perdonate alla mia fiera malinconia, che
mi trasporta in così dolorosa materia ; ma per compiacervi
seguirò il mio parlare. De'fulmini ancora , de' venti , della
neve, della pioggia , cbe son misti imperfetti , sono state
fatte, e così potrebbono farsi Imprese; ma è cosa malage-
vol molto cbe siano senza compagnia d'altri corpi; i qua-
li , come abbiamo detto , o sono semplici, o misti ; e de'rai-
sti alcuni perfetti , altri imperfetti ; degl' imperfetti abbia-
354 ", CO?JTE
mo ragionato a bastanza . Fra' perfetti altri sono animati ,
altri privi d'atiima .-fra gli animati aleutii hanno il senso,
altri son privi di sentimento: di quelli, che sono sens.iti,
parte è fornita di sottili avvedimenti, e di ragione, parte è
senza ragione, e senza intelletto. Ma prima ci si rappresenta
la natura ragionevole n('lla figura umana; e questa ancora si
divide n('g!'Iddii,e negli uomini: fra gli Iddìi, antichissimo
è Amore, come piace ad Esiodo; e da lui Alcibiade fece
quella bellissima Impresa col fulmine piegato , volendoci
dimostrare che la potenza di Amore è tanta , cbe può to-
gliere a Giove l'arme di mano , come dice il poeta:
C il' avrebbe a G/o^'e nel maggior furore
Tolte r armi di mano , e l' ira morta .
Conte. A questa imitazione il Signor Bernabò Adorno
finse Amore coll'archibuso , cbe è il fulmine de' moderni.
Forestiero. L'invenzione è assai gentile, tuttavoita
l'antica è più misteriosa . Si potrebbe ancora figurare
Amore colla spada, come si legge ne' problemi d' Alessan-
dro , fingendo, eh' egli o per cruccio , o di scherzo l'avesse
tolta a Marte , e colla cetra, involata a Febo, colla quale
cantando dettasse a' poeti versi amorosi, e col caduceo di
Mercurio, come fosse divenuto messaggiero, per apportar
pace a'miseri amanti: e coll'armi di Minerva ancora si po-
trehbe fingfre Amore in qualche bellissima Impresa; per-
ciocché Ovidio nel libro del Rimedio d amore gli attribui-
sce l'egida , che fu lo scudo di Minerva, colla testa di Me-
dusa in quel verso :
Deci pi t hac oculos /Egide dives amor.
Di Glauco Iddio marino, e misterioso, si potrebbe simil-
mente fan> Impresa, e più agevolmente, dm d'altro Iddio,
il quale si di])inga con fiii;ura umana; perchè 1 ali d'Amore,
e la parte di pesce, cb'è in Glauco, non pajono cose na-
turali , e umane , ma prodigiose piuttosto, o immaginarie;
però nella divisione si potevan forse riporre più acconcia-
mente sotto il genere tifile immagini arliRciose: ma io mi
sono lasciato trasportare dal rorso del ragionamento a non
considerare queste cose cosi minutamente.
Conte. Possono, per mio giudizio, esser numerate an-
cora fra le naturali , avendo riguiu'do all'opinione di'gli an-
tichi, e alla fama.
o dell' imprese 355
Forestiero . Meglio nondimeno si converrehìiono col-
Piiltro iinniiiginnrie . Ma io feci ancora un' impresa d'Er-
cole, appropriandola ad un gran Signore di questo nome ,
nella cui luipresa potevano scolpirsi le colonne in miglior
età , e men soggetta all'avarizia de' Principi stranieri ; col
motto: Jabat Lùiristeus : e non ebbi risguardo all'osserva-
zione di molti, che non vogliono che nell'Imprese abbia
luogo la figura umana , e appena il concedono agli Dei fa-
volosi. Ma Ercole nelle fasce è Impresa del Signor Duca
d'Urbino , il quale sin dalle fasce si concitò grandissima
aspettazione , che ha sostenuta col valore , e colla pruden-
za, dimostrata neir armi , e nel governo de'proprj Stali.
Castore, e Polluce fur degli Accademici di Padova. Altri
nondimeno più arditi hanno figurati nelle Imprese gli uo-
mini non deificati ,come fece colui, che nel carro trionfale
portò dipinto il servo insieme col trionfatore; ma quanto sia
lecito, altri se '1 veggia.Or seguitiamo l'ordine del dividere
sino al fine, come abbiamo cominciato .Degli animali alcuni
sono terrestri, alcuni aquatili; fra i terrestri ottiene il pri-
mo luogo di dignità il leone , re delle fiere , come dice Ba-
silio Magno, e nelle lettere Jeroglifiche ebbe molte significa-
zioni: ora significava la magnanimità: ora le forze dell'ani-
mo, e del corpo congiuntamente: alcuna volta 1' obbedien-
za de'figliuoli verso il padre: in altre pitture dimostrava
la custodia , la terribilità , la signoria dell'uomo , la ven-
detta , e la clemenza: la magnanimità dimostra per se solo
l'animo domato , o il domator dell'anime, colla figura del-
l'uomo, che frena il leone, per la quale si dimostra che la
parte animosa , e piena d'ira , dev'esser tenuta a freno: la
clemenza, e la vendetta verso l'uomo, parimente col leone
è significata : la vigilanza , e la custodia con una sua parte,
cioè col capo, il quale sia posto sovra l'altare; perchè il
leone o mai non dorme , come fu opinione di ÌManetone, e
degli altri Egiz], o è di pochissimo sonno ; perchè la vigi-
lia continua negli ani'naii è incredibile, come giudicò Ari-
stotele: la testa dimostra similmente la terribilità, però
nello scudo d' Agamennone fu scolpito il capo del leone , e
lo scudo restò lungamente sospeso al tempio d'Olimpo con
questa iscrizione:
355 IL r.o?cTE
curo? iJiìv (pD0oi /BpoToT? , ó'^" A'yxfx^jjLVosv
che, traspoi'tandola nel felice idioma Toscano, diverrebbe
questa :
Questo è il ferrar de' miseri mortali:
Colui , che 7 porta , è il valoroso Atri de .
Congiunto col cigniale significa cbe ìe forze dell'animo
son congiunte con quelle dt^i corpo. E segno d^lla nobiltà
e della progenie regale ; però Alessandro Magno voli' esse-
re scolpito nelle medaglie colle spoglie del leone; e dall'al-
tro lato v'era impresso Giove coU'aquila, o perchè fosse
disceso da Ercole , o percbè Filippo sognasse, dopo ch'e-
gli fu conce puto, di sigillare il ventre d'Olimpia sua ma-
dre col sigillo del leone , e nominò Alessandria da lui edi-
ficata , città Leonina. I Re di Sparta ancora si gloriavano
della medesima nobiltà : e ÌM. Antonio appresso i Romani ,
come Plutarco racconta nella sua vita, s'adornava colle
spoglie del leone, ad i'nitazione d'Ercole suo predecesso-
re. Ne' tempi moderni è insegna del Regno di Leone in
Lspagnri . e di quello di Boemia: e da Cirio Quarto , co-
gnominato il Boemo, l'ebbe la casa Gonzaga: e 1' Acquavi-
va , e la Caracciola, famiglie d'antichissima nobiltà, porta-
no il leone azzurro: la Gesualda il nero con cinque gigli
rossi, per dimostrare la nobiltà degli anticliissimi Principi
Normandi , e del Re Guglielmo, progenitore, o parente
almeno de' progenitori. E perchè il leone suole svegliar i
figli col ruggito, com'è scritto da' filosofi naturali , a cia-
scuno di questi Principi giovanetti si potrebbe dare per
Lnpresa il leoncino col motto: sonino graviori excitus , o
con altro somigliante , che avesse insieme riguardo alia
natura del leone, e al sonno di Temistocle, il quale per sol-
lecitudine di gloria, e d'onore era rotto assai per tempo
da' trofei di Milziade; perchè a quelli posso agguagliar le
vittorie riportate da' loro antecessori nell'Asia, e nell'Af-
frica , e nell'Italia medesima . Significa ancora il leone la
religione , laonde è segno della divinità adorata nell'ordine
superiore, nel quale sono l'aquila, e il gallo, animali sa-
cri similmente al Sole. Alessandro congiunse nella sua me-
daglia l'aquila, e il leone, i quali sono ancora congiunti
nelle sacre lettere; ma nelle gentili si scrive che il Icone
O DEr.l/lMPRKSE 35y
si spaventa all.i presenza del giHo, percliè la virtù rie! So-
le è più compartita al gallo, che al leone, e in grado più
jiUo; laonde fu creduto che i Demoni apparissero con
fronte di leone, e gli Angeli in forma di galli; ma npjla
Cristiana , e divina Teologia gli Angeli dall'aquile son si-
gnificati. Dimostra dunque il leone per mio avviso nella
sua forma naturale, la podestà terrena, e regia, la nol)iltà,
la magnaniiuilà, la clemenza e la religione,- però è vera^
inente insegna , e Liìpresa degnissima de' Principi , de' Sa-
cerdoti . e de'magnanimi, e valorosi cavalieri: e il leone fe-
rito fu portato a' nostri tempi .
CoN'J'E. Voi passate con silenzio il leone alato, quasi
mistico, e più conveniente a' teologi .
Forestiero. Per questa causa veramente ,• ma del leo-
ne senz'ali ancora si legge che nella parte davanti rappre-
senta le cose celesti , in quella di dietro le terrene i laonde
■vogliono che per lui si dimostri la natura divina congiunta
alla umana .
Conte. Dunque ora è assomigliato a Cristo, ora al De-
monio: tanta è la varietà delle similitudini, quando sono
con alcuna dissimilitudine!
Forestiero. Or passiamo all'elefante , il quale di reli-
gione , come si scrive, supera tutti gli altri.
Conte. E di prudenza ancora, come parve a Marco
Tullio , e a molti gravissimi scrittori.
Forestiero. Cotesto è vero; tuttavolta Aristotele , fra
gli aniuiali bruti par che stimi prudentissima la cerva, la
quale suole partorire solo nelle strade pubbliche, dove
non vanno le fiere per timor degli uomini , e per altre ca-
gioni: ma dell'elefante si raccontano cose maravisHose: ne
voglion solamente ch'egli intenda il parlar natio, ma che
abbia un proprio parlare , come dicono Aristotele e Op-
piano.
Conte. Questa m'è cosa nuova, benché io avessi pri-
ma udito dire che gli ^uccelli parlano nella propria favel-
la, la quale fu intesa da Appollonio Tianeo, di cui si rac-
conta che ritrovandosi in una compagnia d'amici , e aven-
do udita una rondinella , disse agli altri che presso alla
città era caduto un asino carico di frumento; e che la ron"
358 IL CONTE
dinella né dava avviso alle compagne : e ytriina di lui Ti-
resia e Melatnpo intendevano il parlar degli animali.
Forestiero. Cosi scrive Porfirio in un trattato, ch'egli
fa di questa materia , volendo provare che l'aniine s^'usua-
li siano immortali e ragionevoli ; e Plutarco nel Grillo ha
trattato l'istesso argomento. Empedocle, Democrito e
Aristotele medesimo non negò ritrovarsi nei bruti qual-
che parte di ragione, in quei libri, ch'egli scris.^e degli
animali; ma Galeno nell'orazione, ch'egli scriàse al figliuo-
lo, affermò che nell' animale è qualche partecipazione ,
Tov XÓyoj , ma di quello ch'è nel discorso, non dell'aitro
eh' è nel parlare. Crediamo dunque che gli animali non
abbiano voce distinta, come c'insegna Aristotele ne'libri
dell'interpretazione , benché ciascuno colla voce inartico-
lata possa significare gli affetti deir anima : e peravventu-
ra in questa guisa Annone, maraviglioso elefante, mandato
dal Re di Portogallo in dono a Papa Leone , era inteso dd
suo maestro.
Conte. In altro modo nondimeno egli intendeva il mae-
.stro, e conviene che fosse fornito di sottile avvedimento,
se delle sue persuasioni eia capace.
Forestiero. Così scrivono; ed a ciascuno sono note
l'altre cose mirabili scritte della religione dell' elefante ,
per la quale egli adora la Luna nuova , e si purga nel fiu-
me: o d; I desiderio d onore , p.^r cui, essendo n.ttato d in-
famia, antepone la morte alla vita.o della temperanz.i, che
egli usa in mangiare, rifiutando le misure duplicate: o del-
la mansuetudine, ch'egli mostra con gii animali più deboli,
al quali non fa alcuna ingiuria, anzi suole addomesticarsi
per la vista delle pecore e de'rnontoni, ma provocato da
qualche ingiuria è ferocissimo, e combatte con i serpenti,
e col riiKJceronte, il quale ha coll'elelaiite iiiiinicizia natu-
rale: nel parto è tardissimo , e partorisce dopo due anni, o
secondo alcuni, dopo dieci. Vogliono ancora ch'egli sia
figura dell' uomo [)Ossenle, il quale non ha bisogno del-
l'ajuto altrui; i»a nondimeno timore dell'oiibra , e si s|)a-
venla della sua immagine medesima , la quale egli vede
lìciracijue, però suol bere le torbide; è figura accomoda-
lissima a signilicisrc il giusto, e inudeialo imperio di l*riu-
o dkiaJ imprese 359
cipe poderoso, iNelle solitudini si fa guid;» di coloro , cliu
huniio smarrita la strada; però è clemenfissiiao oltre a tut-
ti gli altri animali. Per questa cagione, se non m'inganno,
prima Augusto, e poi Tito, vollero trionfare sovra il carro
tirato dagli elefantt: e Claudio concedette il medesimo o-
nore a Livia sua avola; e il Senato Romano, liberato dal
timore di Massimino, consacrò le statue ad Albino, ed a
Gordiano coil'immagine dell'elefante. Ma peravventura
io troppo mi son compiaciuto in raccontarvi molte di
quelle cose, che a voi possono esser tjote parimente, per-
cliè sono scritte da molti autori .
Conte. Le cose alcuna volta pajono nuove per essere
troppo antiche, e tali peravventura sono alcune di queste,
che io non intesi giamoiai, ma d'alcune ho letta più lunga
scrittura.
Forestiero. Basta dunque l'accennare l'Imprese degli
«elefanti, l'una portata dal Signor Astorre Baglione , col
motto; Nascelur ; l'altra del Duca di Savoja colle parole;
Injestus iiifextis ; benché l" una , e l'altra pare appropriata
dal Duca Emanuele, padre di questo , ch'oggi vive, il qua-
le è motto degno veramente dell' espettazione ; e colla
grandezza dcll'aniino agguaglia quella della fortuna, e può
superare , non solamente sostenere , così grande avver-
saria.
Conte. Se l'Lnpresa col motto, nascetur, fosse stata
del Duca Filiberto , io spererei che fosse quasi una pro-
fezia di questi tein|)i , ne'quali la Francia perturbatissima
aspetta l'imperio d'un gmsto , e mansueto Re, e degno
per nobiltà , di succedere alla corona Reale.
Forestiero. Ma l'altra dee assicurare della sua grazia
gli uooiini amici di pace, e della sua gloria, e poteva figu-
rare l'elefante col rinoceronte in ballaglia, ma volle piut-
tosto mostrarci la sua mansuetudine , che la ferocità ,
L'Lnpresa c<il rinoceronte fu portata dal Duca Alessandro
co! motto: JVoii bucUa sin vencar ; e, come dicono, è figu-
ra dell'uomo robusto-.
Conte. Dell'unicorno n'ho vedute alcune. Altri assai
leggiadramente ha figurato l'unicorno fulminato sotto il
lauro, forse per darci u divedere che yli amanti delle
36o IL CONTE
Tcrg'ini non sono sicuri sotto l'ombra delia verginità, e del-
la castità; perchè gli unicorni, come dicono, rifuggendo al-
le vergini , e nel lor grembo addoraientandosi , son presi
da' cacciatori. Altri portò l'unicorno , che purga la fonte
dui veleno colla secreta virtù del suo corno , e vi aggiunse
questo motto: Venena pello .
Forestiero. L'unicorno fulminato sotto il lauro, mi fa
sovvenir d'una vaghissima Impresa della cerva , descritta
in quel sonetto del Petrarca :
Una candida cerva sopra V erba
Verde ni' apparve, con due corna d' oro ,
Fra due riviere, alV ombra d'un alloro,
Levando il Sole , alla stagione acerba:
colie parole del medesimo autore:
Nissan d' amor mi tocchi .
Conte . Il motto è preso da un luogo medesimo coli' im-
magine, il che da alcuni suol esser biasimato, parendogli
peravventura che sia piccola faticti nel ricercarlo. jVell' i-
stesso modo un timido gentiluomo , divenuto per amore
quasi guerriero, finse un cervo, colle parole: J/iibcllcs daiit
praelia .
Forestiero. La diliìcollà suol accrescere la lode sì ve-
ramente , che non si faccia peggio per far meno agevol-
mente. Ma delle o^servazÌDui , e dell'arte parleremo poi,
se non vi sarà nojoso il ragionarne.
Conte. Ora seguiamo a guisa di cacciatori le fiere in
questa selva dell'invenzione, e prendiamo ciascuna al suo
luogo, e quasi nella sua tana , e leghiamola colle parole in
modo ch'ella non si possa disciogUere.
Forestiero. Il ricercare in tutti i luoghi sarebbe qua-
si impossibile; ma non sarà mica picciola preda, o di poca
stima, se ne avremo prese alcune. 11 pardo, eh' è sì ve-
loce, si lascerà giungere dall'intelletto, che è più di lui
veloce, come disse il poeta :
Jntcllttto veloce più che pardo ,
Pigro in antivedere i dolor miei.
Conte . Bella Impresa sarebbe per mio avviso la fi-
gi-ra del pardo per dimostrare la velocità dell'ingegno.
FoliESTlERO. Basterebbe l'autorità del Petrarca ; ma
O dell'imprese 36 r
Oaipro, e ii}\ aUri scrittori dopo lui , hanno voluto di' (^^li
sii»nifirliì 1,1 piirto o<Mioupi'>cibile ; e per questa cagiono
Alessandro , preso dal piacere di Elena, si vestiva delle
si)Oij;!ie di leopardo. Binte lo pone col leone, e colla Inpa,
anzi davanti agli altri due, per di'nostrar<' le tre passi mi
proprie della giovent^'i , della virilità , e della vecchif^za ;
perchè la prii)ia è vinta dal piacere: la seconda è super ifa
dall'ambizione: la terza dall'avarizia. Plinio narra cito
suole ase<jnd'^r la testa f di setnbianza assai spaventosa )
per allettar gli altri animali eolla vaghezza de'colori ; ma
Aristotele vuole che gli alletti non solo e(d!a diversità dei
colori, ma colla soavità degli odori; laonde il mio buon
padre la diede per liiipresa ad uno de' Cavalieri del suo
Floridante col uìoilo: Per allcttarmi . E s'io non m'in-
ganno, la testa ricorperta significa ì pericoli nascosi a co-
loro , che s'invagliiscono del piacere, il quale si dimostra
con ben mille varietà di lusinghe.
Conte. Già abbiamo presa questa fiera col riconoscerla.
Forestiero . Ma guardiamo che non ci prenda, come
suole avvenir in quella caccia, nella quale il cacciatore al-
cune volte è preda delle fiere medesime . Simile nella va-
rietà de'colori èia lince , detta lupocerviero , ed è d'acu-
tissima vista, e più d'ogn'altra sme:uorata ; laonde , come
racconta Plinio, si dimentica della preda , che ha d'avan-
ti, se avviene eh' ella rimiri in altra parte : può significa-
re l'oblivione amorosa de'giovani ai)i<mti, che non rimira-
no le cose amate. L'istrice significa l'uomo, il quale si ri-
cuopre nella sua virtù , ed in questa guisa suole assicurar-
si dall'insidie, e dagli assalti della fortuna, e come dice
Plinio , può non solamente punger d'appresso, ma adope-
rar di lontano le spine a guisa di siette : fu Impresa del
Re Lodovico XIL col motto: Coniinus , et cniimis. II ca-
maleonte appresso Plutarco significa l'adulazione ; perchè
prende i colori di tutte le cose vicine, se non il bianco; e
perciò si dinota che la candidezza de' costumi non è imi-
tata dagli adulatori: e il taranto è della med; sima natura ^
e , come si legge in Plinio, rappresenta i colori degli arbo-
ri , de' frutti , e de' fiori , e de' luoghi , ne"(|uali si nascond<?
per timore. Che dirò della lepre, che per te:nenzn eonfòn-
T. ni. Dì^Lluì -^'v
362 IL CONTE
«le i proprj vestigi ? che del Castore, elio si sterpa i genita-
li ? clic lidia capra selvaj^gia , clic fuggendo porta la saetta
avvelenala dentro il fianco? che della maliziosa volpe,
eli è sì cauta in tutte le sue operazioni , e particolarmente
nel trapassare i fiumi, quando sono agghiacciati? laonde ,
come racconta il medesimo Plinio, avvicinando 1' orecchia
al ghiaccio, fa congettura della sua grossezza.
Conte. La timidità è stata rifiutata per Impresa da'ma-
gnnniiiii, e da' valorosi, né trovò gran fallo chi ahhia vo-
luto figurarla; tuttavolta le proprietà di questi animali
sono molte, e nelle dissimili sinjilitudini possono significa-
re gli occulti pensieri più acconciamente.
Forestiero. Nondisneno noi ricerchiamo figure rigunr-
devoli , e forme nuove, e pellegrine; perchè le comuni, e
le domestiche, e quelle , che assai spesso ci si parano da-
vanti, non muovono di se maraviglia, ed espettazione di
saper più oltre. Penetreremo dunque nelle profonde selve
di Gerìnania a ricercar dell'Alce , e del Bonaso , e del Bi-
sonte; o pur nelle solitudini d'Affrica, e d'Etiopia, la
Manticora, e la Catoblepa , e l'altre sì fatte?
Conte. Di queste non ho inteso, né letto giammai che
si lacossc Impresa alcuna.
Forestiero. Potrchhono peravventura farsi , ed a noi
hasta d'aver ritrovati i luoghi. Il cammello ne aspetta fuor
della selva nelle stanchevoli arene, o carico della soma con
«pud motto, del quale dovete ricordarvi; Più non posso ;
n presso al fonte intorbidalo , con quell'altro: // me piai t
la trouble . Il toro parimente, animale nato coH'agricoItu-
ra , cai sacrificio , si lascia vedere fra l'altare, e l'aratro,
col moilo: In ntriinu/ne paratns ; volendoci dimostrare,
ch'egli e apparecchiato egualmente alla morte , e alla
fatica.
Conte. Bellissimo veramente è il motto, e l'Impresa è
figurata fra 1' altre del Ruscelli , e 1' autore fu Onofrio
Panvinio. Ma dove lasciamo il cane, che potrebbe darci
ajuto nella caccia , e svegliar , se dormissero, gli orsi, e i
tassi, e i ghiri, e gli altri, che dormono molti mesi del-
l'anno ?
Forestiero. Il cane fu Jeroglifico degli Fgizj, e fra
O D"RTX' IMPRESE 363
loro significava l'obherlienza verso i ])adronl , come scrive
Pieiio Valeriano: Giulio Cammillo il pone per figura del-
la fede, e dell'amicizia , iu quel suo gentil sonetto :
// verde Egitto per la negra arena ,
J\Ia più per quei , che V adornar d' ingegno ,
Finse già d' amicizia dolce pegno ,
La f orina nostra , d' ogni fede piena ■
V' di'lla fede di questi animali Piiiilo, ed altri scrittori nar-
rano cose degne di maraviglia ; fu portato per insegna da
Oliviei'o nella battaglia , ch'egli fece con Orlando contro
Agramante, e ne sono a' nostri dì fatte alcune Imprese: si
vede legato, e'I motto è: Con maggior catena. Colla boc-
ca legata, ed impedita did morso il portò il Sig. Vespasia-
no Gonzaga Duca di vSabionctta , e Signore di bello, e ricco
stato, ma d'animo, di valore, di prudenza , dM;itelligenza
superiore alla sua natura, e degno d'esser paragonato coi
maggiori, e più gloriosi Principi de' secoli passati. Di-
sciolto, ba sottoscritte queste parole: E in libertà non go~
do: appresso un ardcntissirao rogo, quest'alti-e: jtarfe/;*
fiamma cremabit : nella quale Impresa sì accenna l'istoria
di quel cane, clic, non volendo sopravvivere al padrone, si
gettò nella fiamma : davanti ad uno albergo è dipinto non
queste parole, che girano attorno all'orlo dello scudo j
Blanditur amicis: o con queste piuttosto di Pindaro
sy&pbc iàv, alle quali vengono appresso l'altre dellistesso
Autore TTOTf V e x9-pòv cp/Xcv ar ì'ivi (^iK'civ : e tutte insie-
me signlficberebbono: ai'i'^engachè io ami V amico , e sia
nemico delV inimico : e bendi' egli usi la similitudine del
lupo, nondimeno , come si legge nella Piepubblica di
Platone , la natura di coloro, che sono posti a guardia del-
la città , dovrebbe essere somigliante a quella de'cani , che
lusingano gli amici, e si mostrano terribili a'nemici.
Conte . In questo proposito , assai leggiadro è quel
molto del poeta Fiorentino:
Latrai a' ladri ; ed agli amanti tacqid .
Forestiero. Ma non molto conforme alla gravità di
Platone, o di Socrate piuttosto, il quale, coll'accomunare
le cose, tolse 1' occasione non solamente de' furti, ma gli
amori furtivi. IMa oltre tutte cjueste Imprese, delle quali
364 IT. CONTE
abbiamo rnt^ionato, se ne potiebbono formar, e quasi lìri-
geiedi nuovo altune altre. Dimostrerebbe gran fede,
Cduyiunta a grandezza d'animo, quella d'un molosso,
cb'avendo incontra o cignale, o hijio, o pur orso, si stesse
a giacere, e le parole surebbono forse (jvieste, o somiglian-
ti; Majora crpeto; ed in questo moJo s'avrebbe riguar-
do alla istoria del cane donato ad Alessandro, il quale
parve die ricusasse la zuffa col porco selvaggio, e col-
l'orso, e al (ine s'azzuffò col leone , e l'uccise. Alla natu-
ra del cane è somigliante quella del cavallo, almeno nell'a-
micizia degli uomini ; percbè i cavalli ancora sono morii
co' padroni , o non hanno voluto sopra vi vvere, com'è noto
per molte istorie; ma di questa materia non è fatta Im-
pr sa .
Conte . Potrebbe farsi ?
FoRKSTlERO. JVon j)er altra cagione si parla della pro-
prietà flegli animali se non per dimostrare i luogbi,nc'(iua-
li possiamo ricercar llmprese.
Conte. Altri ba voluto cbe i luoghi del formar T Im-
prese, e quelli degli argomenti siano i medesimi.
FoRESTIEPiO. Peravventura è vero d'alcuni; ]ierchè dal
luogo del simile si possono fare le simili similitudini ; da
quello de' contrari , o de' repugnanti , di leggiero si cave-
ranno le similitudini dissomiglianti; ma non so se di tut-
ti i luoghi topici avvenga il medesimo, e il ricercarne
mi pare troppo curiosa investigazione: piacciavi piuttosto
che seguitiamo quest'ordine di non sottil divisione.
Conte. Come vi piace.
FoRESTir.lìO. La natura del cavallo, come sapete, è guer-
riera , ed egli è segno della guerra . Bellum, tarraliOHpila,
porfas , (V\cc Ancbise all'Italia, nella quale gli erano ap-
pariti i cavalli ; })erò dipinti, e scolpiti in varj modi , sono
inunagini convenientissime d'animo guerriero , non meno
the il bue sia di ferocità insieme colla soggezione: fu por-
lato per Impresa dal Signor M-irino C;ivallo , col motto:
Matura, per dimostrare che il freno della prudenza fa tar-
di gli animi generosi nelle deliberazioni, e nelle operazio-
ni similinente . Il cavallo sfrenato può significarci la fortez-
isa irritata dall' ira , e mi piacerebbe l' iscrizione: Concila-'
o dell'imprese 365
ta fortitudo: rivolto al Sole, può farci avveiluti che
^animosità rivolta al lume della ragione, o a quel sopran-
naturale della Fede, rimane attonita, e in questa guisa
leggiermente consente d'esser domato. Il cavallo coll'oli-
■va mi fa sovvenire 1' origine d'Atene, nella quale conte-
silo, per darle il nome, Minerva, e Nettuno: e l'uno,
percotendo la terra col tridente, fece uscirne il cavallo:
l'altra la colpì coH'asta, dal quale colpo germogliò 1' o-
liva : a questa Impresa aggiunsi quel verso tronco del Pe-
trarca :
» . . . . Non lauro , o palma
Pietà mi manda , e 'l tempo rasserena ;
per dimostrare che non gli manda il cavallo, nel quale si
possono acquistare i trionfi, e le vittorie; ma l'oliva, segno
di pace; e piaccia Dio die sia tranquilla.
Conte. Altri v'aggiunse: In utrwncfue paratus ; per
dimostrare eh' egualmente era pronto alla pace , e alla
guerra.
Forestiero. Non voglio che il cavallo mi trasporti più
oltre, e mi dolgo della fortuna , la quale suol fare cavalli ,
e navi, come dice il Petrarca , ma io non posso congiun-
gerli in una medesima Impresa . Ahhia dunque fine il ra-
gionamento degli animali terrestri , almeno di quelli, che
si muovono di luogo in luogo; perchè del dragone , e del
serpente, che si muovono raccorciandosi, e ristendendosi,
si potrebhono raccontar nuove maraviglie.
Conte. Il dragone suole nelle favole significar la vigi-
lanza; però da' poeti è fatto guardiano degli orti delle
Esperidi , e un grandissimo Cardinale ne fece Impresa con
questo motto: IVon custodita draconi : poi una donna si
vantò d" avergli fatta miglior guardia, figurando i! giardi-
no, e la pianta dell'Esperidi, con questo: Io mejor las
guardere : fu interpi'etato che ella guarderebbe i frutti
del suo Paradiso molto meglio, e con maggior diligenza;
per frutti intese, come dicono, la castità , e l'onore, i
quali essendo colti, o corrotti, guastano la fama , e la pu-
dicìzia , ma se i pomi dell' Esperidi furono i cedri , come
stima il Pontano,e i cedri guardano dalla corruzione, assai
conveniente è l'allegoria, o simbolo, ma quel, che ne in-
366 IL CONTE
(luce maraviglia, è il consider.n-e come tViina (Igiira me-
tlesiaia siano tiitte Imprese di sentimento contrario.
For.FSTlEUO. Ciò può avvenire non sol. unente , percliè
nel motto si alFermi , o si nieglii con poco artificio ; ma
pe-rchè nella natura figurata siano le qualità , e proprietà
diverse , e quasi contrarie , le quali possono esser tirate in
diverso significato, come dicemmo poco dinan/.i del leone,
il quale rappresenta la possanza terrena, e la celeste. Il
dragone similmente nelle sacre lettere degli Egizj,ede'CrI-
stiani , or significa la malizia , or la prudenza , or la super-
hia , ora l'umiltà ; alcune volte la vecchiezza , alcune altre
l'età rinnovata , e quasi ringiovenita : suol significare la
morte, e l'eternità: la diabolica natura, e la divina, alme-
no l'umanità alla divinità congiunta . Suole ancora dinota-
re il genio, o l'anima immortcde, come dimostra nel quin-
to dell'Eneide il serpente, che apparisce nell'esequie
d'Anchise.- enei secondo sono indizio di religione i due
dragoni, che si ricovrano nella più alta parte del tempio
di Minerva ; i quali figurò per Inpresa il Signor Filippo
Sega , aggiungendovi le parole del medesimo poeta : Ail
swnma .
Conte. Bella Impresa veramente, e degna di tanto
merito, al quale non possono convenirsi onori, o dignità,
se non sublimi.
Forestiero. Bella fu l'Imprepa, e ottimo l'augurio
della sua esaltazione al Cardinalato, al quale fu chiamato
da un altro Gregorio. Ma la serpe, che mutò le spoglie,
dimostrò la mutazione della fortuna in quella Impresa del
Signor Michele Codegnale , col motto ; Altera meli or y
quando egli trapassò dalla serviti"! del B.e di Francia, a
quella del Re di Spagna, Di questa specie, o di rpxesto ge-
nere almeno , è la dipsade , o'I ramarro. Di essi si scrivo-
no molte proprietà, e particolarmente quella di non lasciar
le cose , che egli prende ; ma di questa fu figurata 1' antica
Impresa della Casa Gonzaga. Ora il Signor Duca l'ha fat-
ta diping re con una pianta di camomilla , colla quale egli
si ristora della stanchezza , e si riposa delle fatiche. Il bre-
ve, da cui è circondata l'Inijìresa, e questo: /Etcrmiinquc'
ic«t;«f ; al quale l'intelletto supjìlisce coll'alti'e parole di
o dell' imprese 367
VirglVio, per saecula nomea. Et! in questa guisa voHe far-
si intendere che la cliiarissima gloria de' suoi predecessori
si rinnovava , e riprendeva vigore colla sua virtù medesi-
ma, celebrata da' versi altissimi de' moderni poeti. Mi sia
qui fine al ragionamento de' serpenti j perchè nelle lodi di
questo nobilissimo Signore :
Serpi t humì tutus niniìum , tlmìdusque procellae:
laonde al poeta sarebbono necessarie l'ali del cigno, o del-
l'aquila, a finche potesse spaziarsi nella pii!i alta parte
della sua gloria .
Conte. Passiamo dunque dagli animali, che vanno ser-
Jjendo per terra, a quelli, che volano.
Forestiero. Passiamo , perchè io non voglio far più
sottodivisione, bench'io sappia che le diiFerenze degli
animali son fiìtte o per le vite, o per l'azioni , o per i co-
stumi, o per le parti, come scrive Aristotele medesimo, il
quale nel primo dell'istoria degli animali ne trattò prima
in una certa forma, dipoi ne disputò più diligentemente,
raccogliendo le differenze delle vite , e delle azioni con un
genere più comune; perchè degli animali alcuni sono
acquatili, alcuni terrestri: e de'terrestri, altri respirano,
come l'uomo, e tutti quelli, che hanno il polmone: altri,
benché ricevano 1' aere , la qual cosa è detto respirare ,
hanno la sede in terra perpetuamente , e da lei prendono il
cibo , come l'api , e ie vespe, ed alcuni insetti , il corpr» dei
quali quasi si cinge nelPiucisure, o nella parte prona, o nel-
la supina; ma benché molti animali de'terrestri cerchino
il cibo nell'acqua, ninno degli acquatili, che ricevono
l'acque, lo ricercano dalla terra ; ovvero diremo che dei
terrestri, alcuni sono volatili, come gli uccelli, e Tapi; al-
tri pedestri, i quali si dividono con tre altre differenze;
perchè alcuni si muovono co'piedi , altri serpono, e altri
tirano quasi se medesimi.
Conte. Sottil divisione è questa veramente, e a me as-
sai nuova, perchè non aveva prima udito che gli uccelli
si riponessero sotto al genere de'terrestri.
Forestiero . Sono messi in questo genere , perchè non
solamente si pascono de' fruiti della terra , ma hanno in lei
similmente la quiete, e il riposo; quantun<]uo nella terra
368 IL CONTE
niuiio animale abbia sede .stal)ile,e ciascuno possa mutare
albergo di Kiogo m kiogo, nut nell'acqua solamente, nella
quale le spugne sono atiisse agli scogli , e ben mille manie-
re di coiicbiglie jnarittiiue ; però questa è considerazione,
elle app-irliene ad altra maniera. JNoi consideriamo gli uc-
celli in quanto sono figura cunveniente all' Impresa, o
prendendogli da se solamente , o in compagnia d altri ani-
mali terrestri, o acquatili; perciocché nell uno e nell'altro
modo si possono far l' Imprese, come dagli altri è stato det-
to ; tuttavolta a me pare che ella prenda il nome , e quasi
la tV>r/na dell'animale, cb' è principale nell'operazione,
come suol essere l'aquila: da lei dunque cominciamo.
Conte. Altissimo principio , il quale è rivolto ad altis-
simo fine .
Forestiero. Ma volendo cominciare dalla naturale im-
magine, lasceremo da parte l'artificiosa, nella quale son
congiunte due teste, a dimostrar l'unione dell' Imperio
orientale e occidentale, già diviso coll'aut jrilà , non sola-
mente colle forze, o per larci conoscere la potestà nelle
cose umane, e nelle divine. Lasceremo ancora l'aquila
bianca , antica insegna de' R.omani , e da lor portata , co-
me dice Plinio, percliè si vedesse di lontano; e l'aquila
(l'oro, e la vermigliii, e l'altre artificiose immagini: e
prenderemo l'aquila nel suo proprio colore, se pure ha
bisogno d'esser colorita, o come riguarda il Sole , o come
fa esperienza de'figliuoli , la quale è fatta da quella specie
d'aquila, eh' é detta Morina; ma già di queste Imprese
abbiamo l'atto menzione quasi fuor di luogo. Veggiamo
poi l'a(juila sopra le nubi con un ramo di lauro negli arti-
gli. Impresa del Cardinal Francesco Gonz;iga coli' iscrizio-
ne: Bella ^crant alii ; per la dichiara/ione della quale si
dee sapere che Eliano ci da contezza d'una sorte d' aqui-
la , la quale non vive di rapina, ma quasi ammaestrata
nelle scuole di Pittagora s' astiene dal fiero , e sanguinoso
pasto degli animali, e vive d'erbe vita innocente e pacifi-
ca . onde per questa cagione fu sacra a Giove.
Conte. L'Impresa olire ad ogni estimazione è bellissi-
ma, e conveniente a (jnel Signore, nutrito negli stud) delle
sacre lettere, tutto che l'osse nato di stirpe guerriera , e
0 DT.UJ IMPRESE 369
eli cbiarlssima fama, e di padre in opera d'arine , e iti vir-
tù Diililan; prej^ialo sopra ogni Principe di Lombardia.
FoHESTlERO. Si vede poi l'aquil,!, non in }:;uerra , ma
per sé sidamente apparecchiata a larla , col motto; l^ortes
crcaiitur forti bus ; la quale io diedi ai Sig, F(!rrante fi-
gliuolo del Sig. Carlo, valoroso figliuolo di valorosissimo
padre: e si polrebhono figurare l'aquila , e i le<ini coll'i-
stesse parole; perchè l'una e l'altra è arme della Casa
Gonzaga: e l'aquila nella quercia col motto: Tittissima
(^uii's,(n portata d;d Signor Duca d Urhino con molta
convenevolezza ; perchè cosi l'arlx-re, co ne rucc(dlo fu
sacro a Giove: e oltre a ciò è gran proporzione fra la no-.
biltà dell'aquila, e la nobiltà di quella onoratissioia casa,
splcndissimo albergo d'ogni virili reale, ed a Principi con-
veniente.
Conte. Or rimiriamo l'aquila in guerra, poiché l'ab-
biam veduta in pace .
Forestiero. L'aquila, che porta il dragone , è Impre-
sa, ritratta da' versi d Onero e di Virgilio. L'aquila , cbe
nell'aria f.i battaglia col cigno, e dal cigno è vinta , fu Im-
presa del Cardinal Ercole Gonzaga, colle parole: Sic re-
pugnat .
Con l'È. Dunque 1' a([uila può esser vinta d' altro uc-
cello ?
Forestiero . Può, come si narra per Aristotele ne' li-
bri degli animali; ma da' cigni solamente , tanta è la gra-
zia, cbe questi animali innocenti hanno avuta dal Cielo e
dalla natura; co'quali tutti gli altri vogliono pace, e l'a-
quila solamente suole assalirgli.
Conte. In questa Impresa è principale il cigno.
Forestiero. Senza dubbio: ed ei dimostra quasi in fi-
gura la divinità e l'innocenza del Sacerdote, superi(^re al-
la dignità reale. Iltrochilo, picciolo uccello, chiainato,
come dice Aristotele , re e senatore, non ricusa di combat-
ter coll'aquila ; laonde può sigTiificare la virtù de' minori,
cbe fa resistenza a quella de' più possenti, col motto: jVon
detrccto. L'aquila morsa dalla dipsada col motto: Sem-
per ardenti US , fu Impresa del Marchese d'Azzia , gentilis-
simo Cavaliere.
370 IL CONTE
Conte. Io non cerco allra interpetrazione, perdio flel-
le cose d' amore non si dovrebbe mostrar sovercbia cu-
riosità .
Forestiero. Il cigno col motto: S'bì canit , et Orbi ,
fu significato dal Vescovo di Bltonto per dimostrar la sua
divin;i e maravigliosa eloquenza . nella quale veramente fu
un cigno de' nostri tem|>i. L'ardea, o l'airone sovra l'aere
tenebroso, fra le nubi ed il Sole, a cui siano sottoscritte
queste parole: Natura dìctanle feror ^ è portata dalla ca-
sa Colonna: e dalla casa di Cipua, con queste: Humilia
de spici t ^ di'gna veramente dell'altezza, didl'origine, e del
sangue, e de'pcnsieri, che l'uni e l'altra ha diinoslrato in
tutte l'onorate occasioni, e in tutti i pericoli maggiori, nel
corso di crntinaja d' anni , e nella rivoluzione d'Italia, e
nella mutazione de' Re e de' Regni, dall'aroii b ubare per-
turbate. La fenice nel rogo , coli' iscrizione: Ut vivut , b
del Ctirdinal Madruceio, Signore di grandissimo merito, e
ornato d'ogni virtù Cristiana. Lo struzzo, che nel becco
ha il ferro, con questo detto: Spiritai durissima coquit ,
fu del Capit.m Matteo, nobile Cavaliere Romano, che fece
vendetta d'ingiuria lungo tempo dissimulata. Il pavone
rotato, spiega le sue penne con J)ellissima poupa d'arte,
e di natura nella Impresa del Signore Alberico Cibo, Prin-
cipe di antichissima prosapia, che dichiai'ò la sua inten-
zione con parole Francesi: Le aulte passe toiit . La pavo-
na , la quale coll'ale alzate ricopre i tìgli , e l'iscrizione:
Cam pudore laeta fecuiiditas ^ fu figurala da Monsignor
Giuvio alla Duchessa di Fiorenza , nobilissima madre di
fioritissima prole. Del porfirione, uccello A ffricano, ed agli
Aftricani Dei consacrato, e incognito alle nostre parti, si
potrebbe far bellissima Impresa, per significazione della
castità custodita; perchè della maravigliosa natura di que-
sto uccello scrivono molte cose Aristotele , Filemone ,
Alessandro, Ateneo, e particolarmente ch'egli è nemico
dell'adulterio, e guarda fedelissimamente le donne, die
sono sotto l'imperio del marito : e per dolore dell'altrui
fallo suole spesso esser micidiale di se medesimo; ha i pie-
di fessi, e partiti in cinque dita, e quel di mezzo huigliis-
simo: lo gambe lunghe, e le penne di color ceruleo: il ro-
o nr.LT/ niPRKSE 371
stro purpureo: il coli) vtiriiito: si vedo spesso coli' ali at-
teggi: te, e si nutrisct: nelle tenubre: il molto sarà: Piidi-
citiae custos .
CijNTE. Rara Impresa certo è questa, e veramente pe-
regrina .
FoRESTlEno. Una bella e gentilissima donna, cbe avea
stancLi tutti gli spccclii nel vagl-eggiarsi , si accese dell'a-
more di se stessa , e fu presa dell'altrui piacere ; laonde
fece dipingere per segno del suo amore una pernice , cbe
aveva ali" incontro un laccio, e unospeecbio, coi detto:
Così fui presa ; percioccbè la pernice, come narra Clearco
nel libro, cbe scrisse sopra la Repubblici di Platone ,
quando è riscaldata di amore, corre alla figura , cbe vede
nello speccbio, e incappa nel laccio, cbe le è teso dall'uc-
cellatore .
Conte. Non so mai, se questa Impresa fosse fatta per
desiderio d'onore; e se tutte deono esser fitte a questo fi-
ne, come questa possa esser tra l'altre annoverata.
Forestiero. La vergogna , e il guastamento dell'onore
è in cose palesi: e voi sapete cbe bene l'onor s'acquista in
far vendetta; laonde la gentildonna presa ad inganno, pen-
sò di vendicarsi coli' Imprese , dimostrando il sottile arti-
ficio dell'amante , e la sua incauta simplicità negli amoro-
si abbracciamenti . Ma dove lasciamo l'alcioni , delle quali
fu fatta vagbissima pittura, e, se non m'inganno , con no-
bilissimo sentimento? Sono, come dice Aristotele, uccelli
non molto maggiori delle passere , e riguardevoli per la
varietà de' colori, ceruleo, purpureo e verde, i quali non
sono separati , ma ne risplendono l'ali e il collo , e tutto il
corpo , con uno splendore (juasi indistinto : il rostro è lun-
go , e quasi verde: il nido somigliante ad una palla marina
fatto di fiori del mare: partoriscono in tempi sereni, sette
giorni avanti , e sette dopo la bruma, cbe da loro furono
detti Alcìonci , come scrissero Simonide e Aristotele: sono
simbolo della castità, e dell'amore fra il marito e la mo-
glie ; ma furono usate dal Giovio per significar 1' opportu-
nità della guerra , con questo motto: Nous savons bica le
teinps .
37'3 IL CONTE
CuNTE. A. me sovviene d'averla vi!clulu in niilti luoghi
con altro motto, ma non mi torna a oiemoria .
Forestiero. Perawentura non è necessario l'esser più
lungo in questa materia, e possiamo dire ,
Che più deir opra, dia del giorno avanza.
Però fia bello il ragionar d'alcuni, co ne disse il poeta , e
d'altri fia laudabile tacerci .
Conte. Taciamo adunque del pico Marzio, insegna dei
Romani , della grue , viijilanlissimo uccello, del trochilo,
che purga i denti al coccodrillo , non perchè non fossero
assai belle r laiprese, e accomodate a'pensieri di chi le
portava; ma perchè son già divulgate, e note a ciascuno.
Nota parimente è quella del passero solitario , per cui si
figura la solitudine degli amanti.
FoRESTiEiio. Molte cose comuni di lui si scrivono , ma
i poeti Greci gii tann) onore, che a molti non è manife-
sto; perchè 1' hann > e )nsacrato a Venere , e vogliono che
il suo carro sia tirato daile passere, non solo dalle colom-
be, o da'cigni, cone piace al Delibo.
Conte. Agguagliate dunque i passeri a' cigni ; ma que-
sto è cogno oe di nobile e generoso ^ign;)re in questa cor-
te, amator delle buone lettere e de' letterati, o giusto esti-
mator degli altrui meriti, il quale si spera che debba es-
ser collocato in altissimo grad» dal Signor Cardinale Aldo-
brandino suo /io, a cui tutti prò nettono il Pontificato;
però non p.irliauio de' passeri in ([uesta materia, né lascia-
mo il vaso delle pecchie portato dall'Ariosto, col detto:
Pro bono nialuni- perchè i poeti sono simili all'api, cac-
ciati dall'ingratitudine, e dal fumo dell'altrui ambizione.
FoKESriEKO. Non può aver fine il ragionamento delle
api colla similitudine de' poeti, tuttoché Platone, nel dia-
logo intitolato I' Ione, dica, che i poeti sono sacri, e da
divino tiirore inspirati , e da lui commossi volino a'guisa
di pecchie, e spazino intorno a'fonti delle Muse, e a' fiori
della poesia ; perciocch' ella rappresenta cosi maggiori le
leggi , le cittii , i costuoii, i popoli, i duci uiagnanimi, e,
quel eh' è più maraviglioso, la eternità dell origine non
contaminata da alcuna lascivia.
Conte. Così lessi in Virgilio:
O DErx' IMPRESE SyS
jìdniirawiu libi li'viuni spcctacida remm ,
Magnanimosque duces , totiusque ex ordine gentis ,
Morcs , et studia , et popidos, et praelia dicani .
E altrove :
r^erum ipsae è folli s natos et suavibus herbis ,
Ore legunt : ipsae Regem , parvosque Quirites
Suffici Lint y aulasque et cerca Regna refiugunf.
FoRESiiKRO. Non in <ipinione di Virgilio solamente,
ma di'rivata in lui da' più aiiticlH; perchè Xenofonte nel
suo Ciro assomiglia il Monarca , e il Re per natura, al Re
dell'api, come aveva fatto ne' medesi ai tempi Platone;
tuttavolta quello che dice Virgilio del parto delle api, è
richiamato in duhbio da Aristotele : e perchè nel quinto
dell'istoria degli ani tiali è negato da molti che elicsi
congiungano, o partoriscano, nel nono afferma egli mede-
si no che altre nascono da padri domestici, altre da sel-
vaggi , ma nell'uno , e nell'altro luogo dice cose mirabili :
che l'api faccian) i favi de'fiori, le cera della lacrima de-
gli alberi, il mele della rugiada dell'aria , il più delle vol-
te nel nascimento delle stelle, e dell'arco celeste; ma
vuole che il mele sia accresciuto dalla siccità, la moltitu-
dme de' figli dalle pioggie , la mde in un medesimo tempo
è abbon lanza d'olive e d'api, ma non di mele e d' olio
nell'istessa stagione . Quinci fanno argomento che l'api
nascono da'fit)ri dell'oliva, quasi raccolte colla bocca, e
colla bocca mandate fuori; ma non sogliono volare dal li-
gustro alla rosa , né dalla rosa al giacinto, o dal giacinto
al narcisso nell'istesso viaggio; ma volano di viola in vio-
la senza fare altra uiutazione di fiori : sono presaghe delle
pioggie e delle teojpcste, quasi abbiano parto di spirito
divino: quando s< no agitate da' venti, si confermano nel
volo con qualche pieciola pietra a guisa di nave, che
porta la savorra. Fanno con nìirabile artificio le celle,
e gli alberglu di sci angoli; mandano fuori colonie: han-
no in odio quelli , che sono andati in esilio: puniscono
i ladri colla morte: uiujono nelle percosse. In tutti gli of-
fi.j della vita son soiiìiglianti ai Regni, calle Repubbliche
ben governate. 1 soggetti espongono la vita per lo suo Re ,
non altrimenti che facciano gli uomini per quello dc'Persi_,
374 »L CONTE
o degli Indiani: il Pv.e è privo di aculeo, per l'animo, non
per la podestà del ferire. Contraria opinione portò Plutar-
co che i Re l'abbiano, ma non l'adoprino: e fu prima
opinione d'Aristotele medesimo; ma in un altro luogo, di-
co nel terzo della generazione degli animali, nel quale af-
ferma che le api non hanno sesso di maschio , o di femmi-
na , né partoriscono per congiungimento, contra l'opinio-
ne di coloro , che n'hanno la cura , e vuole nell' istcsso
luogo che il Re sia nell'aculeo sonùgliante allapi, nella
grandezza ai fuchi .
Conte. Grande Impresa si può fare di sì picciolo ani-
male, se pur son vere le maraviglie, che di lui sono scritte
fra gli antichi .
Forestiero. Grande veramente, e conveniente al Gran
Duca , Principe per natura , per clemenza , e per grandez-
za d" animo , dignissimo di questo nome, e di maggiore . Il
molto a me sarebbe piaciuto con queste parole : Armata
clcincntìa , per non seguir pivi l'una , che l'altra opiniotìe:
non mi sovviene di quelle, che sono impresse nella sua
medaglia; questo nondimeno sarà più conveniente termine
al ragionamento dell'api. Ora parliamo degli acquatici ,
de' quali r ordine è doppio : altri vivono nell'acque, e ca-
vano il vitto dall'acque parimente, perchè ricevono e ren-
dono vicendevolmente l'umore, ne viverebbono neirasciut-
to , come avviene alla maggior parte de' pesci: altri mena-
no la lor vita nell'umido , e ivi si mitriscono ,■ nia ricevono
l'aere, non l'utuore , e sogliono partorire di fuori. Di que-
sto genere sono pili maniere : parte cammina , come il
coccodrillo, e la lontra : p;irle vola, come il mergo , e gli
altri , che si tuffano nellacque: alcune non hanno piedi,
come la nadrice, o 1' idra: ve ne sono d'ima terza maniera
la quale, vivendo ncirac(|ue, né potendo vivere altrove,
non riceve nulla d'aria, o di umore, come l'ostrica, e
l'altre conchiglie .
Conte. Io raccolgo dalle cose dette da voi, che d.'gli
uccelli, allri sono terrestri, altri acquiitili ; ma niun è det-
to aereo, perrbè dall'aere ninno si nutrisce, tanto iiiqior-
ta il vitto, e il nutrimento: o molte altre cose raccolgo che
possono bastare ad iiitellctlo curioso.
o dell' niPRF.sE 375
FOREvSTlERO. Possiamo gli acquatili diviJorc in altra
maniera, perchè altri sono del mare, altri del (In. ne, altri
d''llago , e della palude ; ma tutte le sottili divisioni mi
pajono soverchie nella materia dell'Imprese.
Come. C<imitici;ite adunque da qual parte vi pare , che
in tutti i modi lodo il vostro diviso.
Forestiero. Da'marittimi, fra' quali prudentissimo è
il delfino, e amicissiino all'uomo.
Conte, lo ho sentito raccontar )nolte cose degli amori
degli animali con i fiinciulli, e colle donne: e non solamen-
te narrano questo del delfino, ma del pavone, del gallo,
del papero, dell'elefante , il che appena mi si lascia
credere.
FoRESCIERO. Sono miracoli della natura, dc'quali non
possiamo render ragione, che ci appaghi ; tuttavolta la fa-
vola di A.rione è notissima, e i-accontata da Erodoto.
Conte, lo mi ricordo d'aver veduta un'antichissiir.a
moneta di Corinto, nella quale era impressa l'iiniDagine
del delfino , e in altri rovesci si vede parimente, e in mol-
te case di Venezia nobilissime è dipinta, e scolpita , e in
Roma , e in altre parti. S' ha per costante ch'egli predi-
ca la tempesta, innanzi alla quale apparisce, o per dar
ajuto a' naviganti , o per fargli avveduti del pericolo vici-
no. Io l' ho veduto ancora figurato in un mare ]iieno di
scogli, con questo motto , preso da Virgilio: Incipiuiit
agitata twnesccre. Ma da voi si desiderano cose più ripo-
ste, e quasi ascose alla cognizione de'volgari.
Forestiero. Io poche volte ho letta altra filosofìa, che
quella di Platone , e d Aristotele , nel, quale si leage che
il delfino spira, e riceve l'aria respirandi), come la balena
e tutti i pesci, che hanno la fistola, i quali hanno parimen-
te il polmone , laonde suol dormire , ed è stato veduto col
rostro fuor dell'acque ronfare. Di lui si legge parimente
che suol portare i figliuoli inft-nni, e cresciuti accompa-
gnarli, e che dimostra gran carità verso la prole; però del
sonno j e della carità, non meno che dell' amore del delfino
si possono formar vaghissime Imprese.
Conte. L'Impresa d(4 delfino, che dormisse, sarebbe
simile a quella del vitello marino , animale d' incerta natu-
376 IL CONTE
ra, perchè abita nel mare, e partorisce nel lido , e quamlo
il mare è pertubato, d-irine ad uno scoi^lio, siccome quel-
lo, che sicuro dal fulmine, e fa quasi un muggito dor-
mendo : il motto fu : Sic qiiiesco .
Forestiero. L'Impresa è bellissima , e degna del ca-
valiere , da cui fu portata ,nè stimo , che altra It'pivsa di
animale, cbe dorma, possa esserle agguagliala . Mi fra il
deiriito,eil vitello marino ( che foca p'Mi'.vvpntura fu
detto dagli antichi ) è comune non solamente il sonno, il
muggito, e l'aver latte e maìnmelle, ma l'ammaestrare i
figliuoli, e l'aver quasi carità nell'alKivirgli ; però l'uno e
l'altro si può /uostrare in figura co' figliuoli , e con queste
parole : Pietatcm natura docet . Dell' ecliino , detto remo-
ra, perde ritarda le navi, già vidi un l>ello, e leggiadro
sonetto del Signor Bernardino Rota, nel quale assomigliava
se medesimo allii nave ritardata, una picciola parte del
merito della sua Signora alla remora, e le sue lodi al-
l'Oceano. Dell' istesso pensiero fece il poeta l' Impresa,
facendo dipingere in un tranquillissimo mare una grandis-
sima nave colle vele spiegate, (hi un picciolissimo pesce
esser ritenuta: il motto fu: Nel mar de' vostri onori . La
remora siuiihuente, come scrive Aristotele nell'istoria de-
gli animali ,e dopo lui Apulejo nella sua Apologia, e di
gran virtù ne' giudizj, e nelle malie amorose; e di questo
Concetto ancora sono state faUe lui prese, di cui non mi
ricordo . Ma dopo la remora mi sovviene della torpedine ,
pesce similmente oiaravlglioso , il qualu, come nel medesi-
mo luogo scrive Aristotele, fa stupidi gli altri pesci; ma
Teopoinpo, e Clearco, e Simplicio ne' libri del Cielo, alFer-
mano che le corde ancora delle reti , nelle quali ella è
presa , fanno slu|),de le mani de'peseatori . Il Signor Ber-
nardo Tasso mio p;idre se ne servì in un concetto amoroso
col motto: E praeda stupor. Bella fu parimente l'altra del
polipo, così detto dagli otto suoi piedi , co'quali rappre-
senta r otto potenze dcdl'anima: e di lei è siuibi^lo , come
rif(!risce Plutarco nel libro de Placitis Pkitosophoruni:
del |)olii)0 scrivono molle altre cose Aristotele, e Ateneo,
ch'egli giovi a'piaceri amorosi: che fuggendo, muli il co-
lore , e si assomigli a' luoghi , ne' quali s'asconde: che ri-
O DEIX'I>IPRESE 377
fugga nelle caverne sparse eli sale: clic non ab1)ia l'incliio-
slro negro , come la seppia , ina rosso, in un fiore, C|uasi
papavero: clie si nutrisca della carne delle picciole conchi-
glie . cavando l'ostriclie dalle sue caverne: die viva fra le
foglie de' pini: e che per soverchia fame roda se stes>;o .
Ma queste cose non sono necessarie alla dichiarazione
d'una Impresa, che io ne feci ; ma scrive Oppian» nel
quarto de' pesci , ch'egli , innamorato di g'^nte shaniera ,
è portato in terra dall'Amore. Se avviene che nelle rive
del mare frondeggi qualche albero d'oliva, s'avvolge al
tronco, e a'ranii della M\ce pianta , co' suoi , quasi capelli,
che sono detti Cerri da' Latini. Dipingasi adunque il pol-
po con otto piedi, fra'quali, quelli di mezzo sono grandis-
simi, e i minimi sono gl'inferiori; ne abbia due ne'suoi
capelli, co' quali suole attraere il nutrimento: e gli occhi
nella parte superiore, la bocca nel mezzo de' piedi : ab-
bracci col Cerro il tronco dell'oliva , o s'avviticchi a' suoi
rami co' capelli: il motto sia: Peregrinus amnr.
Conte. Bella Imj)resa veramente , e maravigliosa , per
la figura quasi mostruosa , del pesce .
Forestiero. II nautilo non è il polpo, ma simile , come
dice Aristotele, nella firma de'capelli; ha la testa nella
schiena , esce dalla profondità del mare, avendo la conca
volta verso se medesimo, per non prender acqua, ed in
questa maniera naviga , alzando a guisa di vela i due crini
superiori, fra'quali è una membrana simile a quella dei
piedi dell'anitre, o d'altro uccello simigliante; gli altri
due distende in mare in vece di timone ; se vede cosa , che
gli venga incontro, raccoglie i piedi , e riempiendo fa sua
conca d'acqua si sommerge nel profondo, dove suole anco-»
ra fuggir la tempesta . E Impresa del Signor Girolamo-
Catena , gentiluomo in questa corte, di molte lettere e di
molta esperienza, e dì molta reputazione, il quale ha volu-
to assomiglii;re la navigazione del nautilo a quella del cor-
tigiano.- dichiara la sua intenzione conquesto motto: Tem-
pestatis e.rpers.
Conte. Felice navigazione è la sua, il cui porto è la
grazia, e l'autorità di sì giudizioso vSign')re , com'è il Cir-
dinale Alessandrino, nel quale rimane ancor la gloria ógI--
2 . ni. Dialoghi lì
378 IL CONTE
la più nf)liile azione, che facesse mai l'Italia, o la Santa
Chiesa contra gl'Infedeli.
FollESTIERo. Il Signor Girolamo Catena mi fa sovveni-
re del Signor Statilio Paolini, Seeretiirio de! Signor Cardi-
nale Aldobrandino , che già molti anni sono ha sparsa la
fama della sua virtù in tutte le parti del mondo; e vera-
mente il Segretario è degno di cosi buono, di cosi pruden-
t*-, e di co^ì dotto Cardinale, e sarebbt^ degno di grandis-
simo Pontefice : la sua Impresa è la orata , pesce , che na-
sce nella Sonna , come si legge appresso Stobeo, e di nero
si fa bianco al raggio della Luna, quando ella cresce: il
motto, preso dal salmo, è di questa sola parola: Deulba-
bor; molto accouìodato a significar l'innocenza dell'animo,
e la purità della coscienza, e la candidezza de' costumi , e
delle belle e pulite lettere, nelle quali è singolare. Ma di
questa luipresa io vidi già scritto un libro intero nell'Ac-
cademia di Perugia, siccbè poco sarebbe, e di niuna stima
quel che io potessi ragionarne.
Conte . Questi due gran cortigiani finalmente banno
oiuiostrato ne' pesci la loro intenzione; ma noi siaiu) pas-
sati dal mare nel funne senza ricordarci delle conche, e
delle porpore , delle quali, per mio giudicio, soqo appari-
te bellissime Luprese , come quella del Principe di Bisi-
gnano , Principe noliilissimo di nobilissima stirpe, in nobi-
lissimo Regno. Egli portò la cunca , la qual s'apre^alla ru-
giada mattutina, e fatta quasi gravida dalla virtù de'rag-
gi del Sole, genera la perla, com'è descritto da Plinio, e
dagli altri scrittori . Teofrasto , s' io n'ho inteso il vero, la
ripone fra le ])ietre preziose: vogliono che nasca nell' Asia
fra' Persi, e nell" india : e ebe nella medesima conca nasco-
no altre pietre siuiili all'oro, altre souiigìianti all'argento:
che allora se ne generi maggior copia, quando il Cielo è
più turbalo dalle gran pioggie, e da'luoni, e da'Iampi:
iillora le conche , ritirandosi nel fondo <lel mare fanno la
j)erla più bella, e più lucente: il motto fu : His per/usa ;
fjCOMie io intendo, dalla rugiada , perchè s'egli avesse vo-
luto figurare il cielo turbatissimo, la conca non avrebbe
jiotuto vedersi .
FollESTILllu. Sia qui fine , se vi p'i-e, al ngionamento
O DEr>r/ IMPRESE 37()
(le'pesci; e non rirerdii.nno , s*^ l;t «larrazioni^ sia vera , o
favolosa , <'orr>e piace a molti de' più moderni. Sovereliio è
an<>ora il ricercare più a dentro l'intenzione dell' I:iipresa ,
o di olii la fece: e lasciarne, se vi piace , non solamenle le
purpure, e i favi delle purpure nel mare, somi^li.lnti a
quelli , eìie l'api hanni in terra ; ma le tante differenze di
concliiglie e d'altri pesci, e particolarmente rippopot.nmo,
e la murena , ornai diviili;ate nelle Imprese, e nelle scrit-
ture dei^li autori moderni.
Conte. Usciatno dall'acque alle selve, e ai fioriti pra-
ti della pittura , e della poesia, dove potremo per breve
ora spaziarci , percliè il Sole è ornai vicino all'occaso.
FonFSTlERO. Usciamo (benclic il mare ancora lia i suoi
fiori, i quali son portati dal Ponto nell'Ellesponto, come
narra Aristotele medesimo'; e ricerchiaìno nelle similitu-
dini degli alberi i luogbi dell'Imprese. Il genere degli al-
beri si divide per opinione di Teofrasto in queste prime
differenze, cbe alctini d'essi nascono spontaneamente, al-
tri per umano artificio: ovvero clic alcuni siano selvaggi,
altri domestici; percliè i silvestri sogliono nascer per se.
gli altri per industria dell'agricoltore, il quale suol pian-
tarli, e far gli innesti: fra li selvaggi notissima e rnbustis-
sinia è la quercia, portata per insegna dal Signor INIarco
Antonio Colonna , col motto: semper ìmniofa: e bencbè
della costanza , e del valore di quel Signore si potesse fare
lunga orazione, verrò all'altre: il pino, die nasce nc'monti,
ne'quali agevolmente è superato da'venti, suol e cbe esser
trasportato ne' giardini , dove di leggieri è crollato dall'i.
stessa violenza, fu Impresa del Signor Gio. Francesco Ma-
scascivola col molto: Quid in Pelago? nelle quali paiole
ebbe riguardo alle navi , cbe si fanno dell' istessa materia ,
e da' turbini e dalle tempeste sono agitate: il pino lulmi-
nato , col motto.
// ìiiio sperar , che troppo alto montai'a
fu disegnato dal Signor Cur/io Gonzaga . Il frassino , del
quale si fanno le lance , e particolarmente, come si legge,
ne fu fatta quella d'Acbille , domandata Pclia , era Impre-
sa del Signor C. C. al quale era stato proibito il portar
l'arme: le parole furiano di \'uq\\Ìo : Furor arma mini-
38 O IL CO\TE
s^ra/ . La palina , della cui proprietà sono scritte infinite
cose, col detto: Tnclinata resurgit, fu portata per Impre-
sa dal Signor Francesco Maria Duca d'Urbino, il cui va-
lore inestimabile risorse dall'oppressione di contraria for-
tuna , colla fama d'una gloriosa vittoria. La palrna rivolta
al Sole con queste altre parole: Haud aliter, fu pensiero
del jMarcbese del Pignone , cavaliere a' suoi giorni di mol-
to merito e di grande stima ; il quale volle accennare la
sua intenzione colla proprietà della palma , eh' è di nasce-
re e di morire col Sole, come la fenice. Un ramo di palma
con un ramo di cipresso congiunto , col motto : Erit alte-
ra merces , significa Tonoratissimo desiderio o di vittoria,
o di morte, manifestato del Signor Marco Antonio Colon-
na, il vecchio, nelle sue laudatissime azioni. L'innesto,
col motto Tedesco: Vaii got violt , che significa , Quando
Dio vorrà, dichiarò il proponimento del Vescovo di No-
cera. Il pensiero trasportato in più felice regione, colle
parole, Translata projìcit arbos, fu invenzione del Do-
menichi. Dite voi per grazia , se ve ne sovviene, alcun' al-
tra delle già fatte.
Conte. Oltre a tutte 1' «Itre, è sceltissima quella del-
l'arbore descritto da Virgilio col ramo d'oro, e colle sue
parole medesime, Uno avulso, non deficit alter , e supera
tanto l'altre Imprese di bellezza, e d'artificio, quanto il
suo Principe gli altri di grandezza, e di fortuna.
Forestiero. Dopo questa , bisogna rimanersi a bocca
jrnuta , o dirne almanco alcuna nuova, che piaccia almeno
per la novità. Io ne sentii lodare una , la quale non so , se
l'osse appropriata a! Duca d'Urbino , o a quello di Savoia ,
o pure ad altro Principe, il quale caduto dall'altezza del-
lo stato, ritornasse nel suo regno per virtù, e per natura,
non solamente per fortuna : forse fu del Re Ferrante, il
giovane; ma qualunque fosse il facitore dell' Impresa , ella
Jiu' piacque oltra modo. È un platano svelto dalle radici
in cima d'un monte, che signoreggia il mare, colle parole;
Prolapsa resurgit , e peravvenlura la dichiarazione non è
necessaria: ma pure io dirò che si legge nel libro delle
cause delle piimte di Teofrasto, che nel monte Antandro
«n platiino dibarbato dalla violenza de' venti, tornò ad ab-.
0 deli/ [MPRESE 38 1
barLicarsi nel medesimo luogo, ed in questa guisa fu re-
Ktiluilo alla vita: e il medesimo avvenne d'un pioppo , e
d'un salce ne' campi Filippici: la cagione la rende TeofVa-
sto , la quale è, die all'albero gittato a terra fu tagliato
solamente qualclie parte de'rami, e della scorza intorno al
centro, e la radice tirò seco molta terra, colla quale, in-
nalzata di nuovo dall' istessa forza de' venti, si ricongiunse
al medesimo luogo.
Conte. Maraviglioso veramente fu il caso , e l'Impresa
è degna di maraviglia, s'è bene intesa, o pur se questo ca-
so può interamente esser dimostrato nella figura .
Forestiero. Io pensai, quando lo lessi, farne una
comparazione, perchè le comparazioni, e l'Imprese si for-
mano quasi col medesimo artificio. Ora udite questa, ben-
ché si possa annoverar piuttosto fra'siuiboli antichi, che
fra le nuove Imprese . Scrive Proclo , filosofo Platt)nico ,
cbe la natura del loto è di volgere le sue frondi al Sole , e
il medesiiBO afferma Teofrasto nel terzo libro delle cause
delle piante, dicendo, che ciò suole avvenire nel Solstizio
dell'estate, non solamente al loto, pianta, che nasce nel-
l'Eufrate, ma all'olmo, e all'oliva, ed a molti fiori . i
quali si chiudono la notte, e s'aprono il giorno, e si gira-
no attorno col Sole: e rende una cagione comune, percioc-
ché il fiore suol rinchiudersi coli' umore raccolto, e quasi
condensato, e aprirsi col caldo, che si diffonde; ma questa
è una di quelle cagioni, che possono rendere i naturali:
chi per lo Sole ha voluto intendere misticamente Dio, r.
per la notte la privazione della sua luce, o della cognizio-
ne, ha data più alta interpretazione all' Impresa. Il Signor
Ferrante Caraffa, nobilissimo cavaliere, e poeta di fecon-
dissimo ingegno per Sole intese la sua donna, e con que-
sto motto: Sic diva lux mihi .
Conte. Assai simile è l'Impresa dell' elitropio, che gi-
rasole si dice volgarmente, col motto : Mens eadeni : e as-
sai nota è la favola di Clizia, convertila da Apolline in
questa erba , e l'altre cose, che sono stato scritte da'più
moderni per interpretazione del senso mistico .
Forestiero. La malva ancora , erba cosi nota, patisce
il medesimo effetto; tuttavolta fra' moderni non se ne ra-
38^ ir, r.ON'TE
i-ionii , o poco; ma gli aiiticlii scriltorl, fra'qnali è Tiujfra-
sto . dicniio che questa fìa vina p.issione cu nutie a molte
coeie , e diverse, hi qtial si vede non solamente no'fiori, ma
nella pianta, perciocché il loto, non solamente ora apre, e
ora rinchiude i tiori, ma il j^imbo inedesi no alcuna volta
s'innalza, alcuna si tiilFa nell'acqua dell' Eufrate, e n'esce
tuori dall'occaso del Sole sino a mezza notte. Molte altre
cose nuove da narrare , e assai riguardevoli da mirare mi
s )vviene d'aver lette nella istoria di Teofrasto , ma io sce-
glierò delle molte alcune poche, delle quali ho latte , o
potrei tare Imprese per me, o per altri. L'oliva , e '1 mir-
to sono co-.jyiiinte d'amore vicendevole; però, siccome
scrive Androiione , le radici dell'una , e dell'altro sogliono
esser abbarbicate insilane: e le verghe del mirto germoglia-
no per mezzo alle frondose braccia dell'oliva: e il frutto è
ricoperto in guisa dalle frondi , che non sente violenza di
Sole , ne di vento, e divien dolce , e tenero, ma tuttavolta
minore, che ne' luoghi esposti al Sole. Significherei dun-
que col mirto l'auaore ,e coli'oliva gli studj della pace, e
della sapienza , e vi farei questo motto : Mutuo amore crc-
scunt. All'incontro, volendo dimostrare la repugnanza del-
le nature, figurerei il fico, e la vite , le quali non possono
fare insieme frutto, e vi scriverei intorno queste parole
S' io volessi dimostrar la protezione , la quale i
grandissimi Principi sogliono prendere de' poeti , e della
poesia , figurerei il pino, eli' è arbore assai grande, e, come
si legge nel medesimo luogo di Teofrasto , di benigna na-
tura, e di semplice radice; laonde il lauro, e il mirto pian-
tato sotto l'amplissima ombra dei pino possono crescere e
innalzarsi liberamente. La fillica,per opinione dell'istesso,
è arbore, oltre tutti gli altri obbedientissimo , però vi leg-
gerei il motto: Obsequiuin amicos , ovvero , Ohsequiojlc-
ctitur. Lessi nel medesimo autore, die gli alberi fruttiferi
quanto più sono caricliidl frutti, tanto hanno minore spa-
zio di vita; però ne feci una Impresa appropriata a me
stesso, e agli studj miei, i frutti de'quali non so quanto
siano dolci al gusto degli uomini moderni; ma certo a me
sono di soverchia fatica, in giiisi che dalla mia indebolita
couplessione non posso aspettarne lunga vita. Dipingerò
O DEI.I.' IMPRESE 383
lìiinque una pianta d'oliva, o d'altro, ol tra modo carica
di frutti, col motto: Laetus morte futura .
Conte. Non voglia Dio die sia alcuna forza nell'augu-
rio , perchè i vostri studj deono essere a voi non solamen-
te cagione di cìiiarissima fama, ma di lunghissima vita.
Forestiero. Non so quanto sia dolce l'ingannarsi in
questa speranza ; ma lasciamo da parte il pensiero dvlla
morte , tuttoché al filosofo molto convenga. Un'altra Im-
presa feci a me medesimo, nella quale finsi un lauro, che
sorga da un platano^ come suole avvenire per qualche
principio occulto; e per lo platano ( sotto il quale Socrate
soleva disputare ) intesi ia filosofia Socratica; dal lauro è
significata la poesia; volli adunque intendere che la poe-
sia germoglia dalla scienza ; e l'iscrizione fu questa: Ex
decora decus. Parimente fu mia quella dell'erba Moli,
portata in dono da Mercurio ad Ulisse, per assicurarlo
dalle malie, e dagli incanti di Circe; nel qual dono, come
dicono, si figura l'eloquenza, però ci aggiunsi: Deorutn
munus.
Conte. Dalle piante siamo passati all'erbe ed a' fiori ,
cbe in vero sono bellissiaio sogg^^tto dell' Imprese , come
quello delle traslazioni , le quali sono trasportate da cose
grate ai sensi ; tuttavolla assai nuova mi parve l'Impresa,
in cui si figura una pianta, o un'erba odorifera fra due pian-
te di cipolla , col motto : Per apposita.
Forestiero. Odora della medesima dottrina di Teofra-
sto, il quale scrisse cbe le cose odorifere, piantate ap-
presso l'agre, come la cipolla, odorano maggiormente.
Ma, poicbè siamo fra gli odori , pensate questa , cbe a me
pare bellissima .Io fingerei un ruirto in riva ad amplissimo
fiutne , non lontano ad una fiamma, o ad altra cosa, che
dimostrasse 11 vestigio almeno dell'incendio, sotto un cie-
lo quasi piovoso , nel quale apparisse il Sole, e disgom-
brando le nubi pivi folte , si dipingesse l'arco celeste di
più colori. Per dichiarazione dell'Impresa si dee sapere
cbe il mirto d'Egitto avanza tutti gli altri d'odore ; però
vorrei che il fiume fosse conosciuto esser il Nilo ; il che
non malagevolmente può esser fatto per artificio del pitto-
re. L'arco celeste rende odorati i luoghi, ne" quali f.ppare;
384 11^ CONTE
e allora più clie sia appresso qualclie fiume; perchè la ca<-
liJiià , e la siccità sogliono esser cagione degli odori , i
quali vengono dall'Arabia, e dall'altre parti Orientali, che
sono caldissime; e la state ne' gran caldi, s'avviene eh' e-
g'i piova, la terra suole odorare ; perchè 1' umore, mesco-
landosi colla miiteria infiammata , genera un vapore odo-
roso.
Conte. Avete manifestato il secreto della natura, ma
non aperto ancora la vostra intenzione.
Forestiero. L'Impresa potrebbe servire in materia
d'amore, né buono intenditore deve ricercar più oltre; ma
se desiderale le parole, possiamo prenderle da Anacreonte:
o-yyjv KuTpfv nviovcot cioè: spirante tutt'amore .
Conte. Non ricerco più olire, anzi alcuna volta ho cre-
duto che il dichiarar l'Impresa sia contra l' intenzione di
colui, che non ha voluto esser inteso chiaramente.
Forestiero. All'altre già dette, aggiungerei la corona
de' fiori daurelia , la (piale gli ha somiglianti all'oro, e hn
le foglie bianche, come si legge nell' ultimo libro dell'isto-
ria delle piante: e perchè era creduto ch'ella avesse gran
virtù , e giovasse all'acquisto della gloria , vi aggiungerei
r\ues.to molto: Sperato a^ea . Del pollione ancora ricor-
dato da Museo, e da Esiodo, e dell' antirizzo s'ebbe listes-
sa opinione fra quegli uomini, che vollero accrescere au-
torità > e riputazione al loro artificio; ma l'aurelia mi pia-
ce per la bellezza della forma , e del nónie.
Conte. Noi siamo passati dalle cose naturali alle artifi-
ciose, senza fare menzione del diamante, o dell'asbedite ,
la quale fu Impresa del vostro Tancredi nel vostro poe-
ma, o dell'oro, che si ajlìna nel fuoco , o d'altra cosa si
fatta.
Forestiero. Nuova fatica ci si rappresenta, e mi pare
che parlando delle cose artificiose, mi vengono incontro i
Pegasi, le Gorgoni , le Sfingi, i Centauri,! Minotauri, le
Arpie, i Cerberi, i Ciclopi, i Gerioni , e tutti quei mostri^
da' quali fu spaventato Enea , guidato dalla Sibilla.
Conte . Mi ricordo de' virsi :
Mdllcique practcrcd varitiruiii inonsira feraruin ,
Centauri inforibus stalfulant , Scyllaeque biforincs ,
0 dell' imprese 385
Et cent uìiì gemi nus Bnarcus, ac htllua Lernae
Horrtnduni stridens jlammisque. armata chimaera ,
Gorgones , harpyiaeque et forma tricorporis umbrac .
Forestiero. .\ guisa d'Enea, il quale strictam aciem
i'enicnti'bii.s nffert, potete coll'acume del vostro ingegno op-
porvi a così spaventosa schiera ; ina io sono assicurato dal
Pegaso, cli'è animale amico a'poeti,e fu Impresa del gran
Cardinale Farnese , nuovo Mecenate o piuttosto nuovo
Augusto de' nostri tempi , il quale non solo aperse il fonte
di Parnaso ai belli ingegni, ma fece d'Elicona nascer fiu-
me, anzi fiumi di felicissima eloquenza. Seppelo Rom^ì ,
e l'udì in quello fortunatissimo secolo il Bembo , il Tolo-
raei, il Guidiccione, il Molza , il Cappello, e'I Caro, e altri
gentilissimi poeti, ma non più di questo. Il Gorgone, o la
testa di Medusa , o l' Idra fu portata per significazione di
pensiero amoroso , con questo motto: E s' io l' uccido, più
presto rinasce. Il Slg. Antonio Feltro gentiluomo Napole-
tano, conosciuto per la memoria, e per la fema del padre,
portò la testa di Medusa con questa motto: Tela omnia
cantra: e la Chimera similmente fu Impresa d'un nobilis-
simo cavaliero mio amico, alla quale aggiunse questa parola
d'Orazio: cedit • e per intelletto può supplire colle seguen-
ti : Tremcndae Jlanima Chimerae . Il Minotauro nel labe-
rinto coir iscrizione: la silentio et spe , fu del Sig. Consal-
vo Perez. La Gorgone, come è noto a ciascuno, fu scolpita
da Fidia nello scudo di Minerva: io per Impresa vi ag-
giunsi il motto: Terrore y et arniis : e la Sfinge fu pari-
mente simbolo degli antichi, e usata dal Giovio, con que-
sto detto : Incerta animi decreta resohit . Ma passiamo ai
templi, alle colonne , alle piramidi, alle mete , a'teatri, o
all'altre maraviglie dell' umano artificio; e, se vi pare , la-
•sciamo da parte la iiiinuta divisione dell'arti , la quale al-
tri potrà ricercare nel Politico di Platone; perchè, quan-
tunque l'arte imiti la natura nell'ordine, nondimeno quan-
do il tempo ci affretta al dipartire , potremo in parte tra-
lasciarlo.
Conte. Io saprò dove cercarne.
Forestiero. Poiché mi concedete che io trapassi l'or-
dine, cornincierò dal fine, cioè dalle colonne di Carlo
?>S6 IT. COXTE
Quinto Imperatore , oltre tulli yli altri, gloriosi<;sim;> , il
(jiiale trapassò tutti i termini della gloria mondana; però
alle Colonne di Ercole ag:^iunse questo: Plus ultra.
Conte . Questo è un cominciare piultoslo dall' infinito .
il quale non ha principio, né tìne.
FoilFSTlERO . E, come voi dite, avvicinarmi dunqueallo
mete del gran Duca Guidobaldo, nelle quali è proposto il
premio a colui, che passa tutti gli altri nell'amar la virtù,
col motto: (piX-Kp-rxru), o alla piramide del Cardinale di
Lorena, circondata dall'edera, col motto: Tr. stante vire-
sco,o!i quell'altra di Egitto, col molto: U nhrae ncscia.
Conte. Avete lasciata la piramide di Lorenzo Cibo, il
quale la figura col Sole in cima , e con due mani congiun-
te su la pietra quadra: perciricch' ella ancora ci din 'Sira
l'infinito, col mìtto: Sine fi^ic , e le Colonne di Carli
Nono insieme congiunte, col detto: Pletate et justitla :
e quelle del fumo, e del fuoco, celebrate nelle sacre Lette-
re, le quali portò il Signor Bartolommeo Vitellozzo, colle
parole: Estate Duces.
Forestiero. Belle sono veramente, e degne di mi^mo-
ria , ina da altri a pieno descritte: veniami> adimq le ai
tempj; e priuia a quello famosissi no di Diam l'efesia , I it-
presa del fanisissimo Sig. Luigi Gonzaga, coli' iscrizione :
Ulraquc clarescere fama, o a quella del tempio di Giu-
none Lucinia , nel quale sotto il cielo aperto era l'altare
colla cenere immobile a tutte le procelle, co ne affermajio
Plinio, e Valerio IMassi.no.
Conte. Alaraviglioso altare fu questo.
Forestiero . Anzi maravigliosissimo , laonde in sua
comparazione non estimo pu\ miracoloso f|iifl!o in cima al
monte Oli opo , perchè i venti non turbano la purità del-
l'aria, e del cielo sempre sereno, come si legge in quei
versi di Claudiano :
Scdut altus Olimpi
T^erlex , qui spatio vciitos , hicmesquc reliquit ^
Pcrpetuum nulla concretum nube serenurn ;
Cclsior ersurgit plm'iìs, auditque rucntes
Sub pedibus nimbns , rt rane i tonitrua calcai .
Ala che in questa p.irle dell' aria perlurl)ala da' venti un
0 deli/ imprese 38/
aliare possa conservar le cetinri un anno intero, e. miraco-
lo forse miiggiore, e di religione piuttosto, die di natura.
Conte. Altri nondimeno volle che in qupH'.tltare fos-
se il fuoco sempre acceso, e prese errore perawentura,
perchè attribuì al tempio di Giunone Lacinia il fuoco , il
anale fu sempre conservato in quello di Vesta, come scri-
ve Plutarco .- e s' egli perawentura s' estingueva j non era
lecito d'accenderlo di cosa terrena, ma con alcuni vasi
triangolari si prendeva dal Sole.
Forestiero. Dopo questi tempj , fu dipinto quello,
edificato da Marcello alla Virtù , e all'Onore insieme, in
modo che non si poteva entrare in quello dell'Onore, se
non per quello della Virtù, con questa iscrizione: Patet
aditus .JScWo è ancora il teatro col motto Spagnuolo ; El
Intcno asi mi smo . BeWe sono le statue, come quella del
Palladio, portata per Impresa da molti: e quella di cui
scrive Svetonio, ch'era nel teaipio di nella
quale , in quel tempo, che Cesare vinse Pompeo, germo-
gliò un ramo di palma : io ne feci l'Impresa, con questo
motto; Ejc Religione Victoria.
Conte . Mi maraviglio che il mausoleo d' Artemisia ,
e quello d'Augusto, e d' Adriano Imperadore non abbiano
dato soggetto all' Imprese : e potean darlo il Circo Massi-
mo , e il Settizonio parimente; e dapoi che l'uomo aveva
posto mano alle piramidi, alle mete , ai tempj, ai teatri ,
non doveva lasciar gli archi , e le terme senza emula-
zione .
Forestiero. L'ardimento umano non ha voluto ancora
promettere tutte le cose di se medesimo ; ma nelle Impre-
se riguardevoli si conosce senza fallo molto ardire del faci-
tore : passiamo dunque all'altre. Il bersaglio col motto
Greco fìxKk' ovtjì^^ pre«o dall'Iliade d'Omero , può di"
chiarar l'intenzione di quello illustrissimo Signore, la cui
autorità poteva essere scudo al valore de'fratelli, se pure
non voleva intendere la suprema autorità del Zio . Dello
scudo della verità, di cui si legge nella Scrittura, è stata
fatta Impresa col motto: Circumdabit .
Conte. Concediamo questo poco tempo, che n'avanza,
all'Imprese militari piuttosto; ma io sin' ora non ho ve-
38S IL CONTE
data la più bella dello scudo Spartano, usato dal gran
Marchese di Pescara , col molto: Aut cani hoc, aut in
hoc .
Forestiero. Bella verampnte.- e perarventura non son
degne di questo paragone l'aUre dello scudo, da me fatte.
Belle ancora sono le corsesche di lanciare, che usò il vSi-
gnore \ndrea di Capua , Duca di Termine, e capitano ai
suoi dì di estremo valore militare, e d'infinita provviden-
za , coir iscrizione : Fortibus non deeruat .
Conte. Ditemi, vi prego, alcune di quelle fatte da
voi.
Forestiero. A.1 Signor Duca di Parma donai una Im-
presa, nella quale era figurato uno scudo, e una spada,
colle paroJe i^apCpor^px che in volgare sarebbono , in vece
(V ambo: nelle quali ebbi riguardo a quello, che Plutarco
scrive nella vita di Marco IMarcello, che Fabio Massimo
era lo scudo de' Romani, e Marcello la spada. Io volli
congiungere lo scudo , e la spada , cioè l'una e l'altra par-
te della fortezza , la quale è senza dubbio in questo va-
lorosissimo Signore , per dimostrare che in questi tempi
inen fecondi d'uomini valorosi, egli solo può servire a Ro-
ma, e a tutta l'Italia, e al suo Re medesimo, non meno
nell'offesa , che nella difesa .
Conte. Il dono veramente non poteva essere rifiutato
da Principe cosi magnanimo.
Forestiero. Feci medesimamente in queste guerre
dell'Europa per Impresa lo scudo, caduto dal Cielo come
narra Livio, al tempo di Numa Pompilio, a somiglianza
del quale furono fatti gli altri, che da' Latini sono detti
ancilia: e furono instituili a Mitrte i Sacerdoti detti Salj, i
quali colla tonica dipinta , e col petto armato di usbergo ,
andavano per la città , cantando , e ballando con maravi-
gliosa festa, descritta da Virgilio in quei versi :
Hinc erultantes Salios , nudosque Liij)ercos ,
Lanigerosque apiccs , et lapsa ancilia Cacio,
Excuderat , ec.
II motto, eli' io aggiunsi all'Impresa, fu: Ab alto , avendo
riguardo a quelle parole: Indw virluteni ab alto. Fu mia
Impresa similmente in concetto amoroso , lo scudo lunato
O dell' IMPKESK 38y
lìoììAriiazone e la bipenne, e la faretra, e il cinto, col mot-
to latino: /^w/ce^ eo^uw'ae; e il cinto solo con quest'altro
Greco ^^jc -foicrov Xuovré. Fu similuiente tuia la faretra pie-
na di saette, colle parole di Pindaro cpcovavrco TuvtTolctS.
Feci ancora una targa, e una scimitarra Turcliesca, col
motto: Virtus, an dolus ? E per uscir ornai dalle spade, e
diigli scudi, feci due carri falcati, colle parole: Viam Uwe-
nient . Un tridente , e un'asta col detto : TJbi(iue: una tor-
re battuta dal vento , e dalla teinpesla coli' iscrizione Spa-
gnuola: No cresca su cuìdado . Una nave in mar turbato ,
col motto .• In guerra, ed in tenipesla .
Conte. La nave è stata usata da molti con varie iscri-
zioni .
FoRF.STIERO. Così è avvenuto in varie immagini, le
quali sono diverse per le parole solamente , e per l'appli-
cazione, come avviene alcuna volta nelle comparazioni, e
nelle metafore , nelle quali la nuova applicazione è cagione
di varietà. Il Cardinal Granvela usò la nave, col motto:
Durate. Il Signor Scipion Gonzaga, dignissiuio molti anni
prima di questo grado, a cui l'ha innalzato il suo proprio
merito, e la nobiltà degli antecessori, essendo abbandona-
to dal favore della fortuna, o per la morte del Cardinale di
Mantova , o per le discordie intrinseche della sua casa ,
prese per Impresa la galea, alla cpiale, essendo mancato
il vento, si calano le vele, e prendono i rami , col motto:
Propriis nitar . Il Signor Scipione Costanzo, la galea col
motto Per tela, per Iwstes . Bella similmente è quella del-
le due ancore, coli' iscrizione . Suffulta ; e il timone , già
usato dal Cardinal S. Giorgio, col motto: Hoc opus , che-
chè ne paja agii altri. Ma laudevulissima fu l'Impresa del
Gran Cardinale de ì\kdici, primo ornamento d'Italia, e
de' suoi tempi , la quale era un giogo col motto ; Soave.
La stadera fu usata dal Conte di Maialone, col motto: Hoc
facies, et vives; e peravventura quel giudiciosissimo Signore
in questa guisa ci volle dare a divedere che tutte le azio-
ni debbono esser pesate; ma perchè la stadera nelle Lette-
re Sacre significa il libero arbitrio, come dice Basilio; di-
mostrò che l'azioni debbono esser pesate col giudizio vo-
lontario, non eolia necessità, la quale alcuna volta pare
SpO IL CONTE
imposta dalla fortuna , ma fra' Gentili le bilance significa-
no piuttosto la necessità del fato, come si può raccoglie-
re da' versi di Virgilio , fatti tutta volta ad imitazione
d'Omero:
luppiter ipse duas acquato ex ordine laiices
Sustinet , et futa imponit diversa duorurn ,
Qtie/ii dantnet labor , et quo vergat pendere U-tiini .
Ma di queste bilance ancora, che sono nel Citalo, fa inen-
zione Dionigi Areopagita, le quali egli nomina: Divinae
lances. Una parte della nobilissima casa Caraffa , la quale
ha prodotti Ducbi, Principi, e Cardinali, e un grandissiino
Pontefice, e ora è copiosissima di Signori, e di ricchezze ,
e particolarmente conservata in riputazione , e in grandez-
za dal Principe di Stigliano , porta la stadera col motto:
Hoc faci, et vives. E perav ventura Iddio suol pesare con
queste , non la fortuna, o il fato, ma i meriti , e i demeriti
de' mortali.
Come . Delle nostre bilance mi sovviene d'aver vista
una Impresa bellissima, per mio giudizio, in cui si pesa-
vano l'armi coli' oro, col motto: IVon acqui ecamine lan-
ces : e forse colui, che fece l'Impresa , ebbe riguardo alle
bilance de' Francesi, aggravate dall' altra parte col peso
del ferro, o del rauie; e all'oro pagato da'Pvomani per ri-
scuotere i prigioni , quando giunse Cammillo, del quale
dice il Petrarca :
Vidi il vittorioso^ e gran Cammillo
Sgombrar /' oro , e girar la spada a cerchio ,
E riportare il perduto vessillo.
Forestiero. Le bilance mi fanno ricordare della misu-
ra ; io ne volli usar una Impresa, colle parole : £'c7/'/^/;ì
renietictur ; la quale è una di quelle della Scrittura: Qua
mcnsura nicnsi cstis , eadcm reiìietictur vobis. Due can-
delieri ancora con due olive, già vedute da S.Giovanni
in visione, pensava di far dipingere in una Impresa, colle
parole Greche , |>risc dal medesimo luogo del mcdcsiiuo
Autore ; dapoi mi sovvenne che molti non lodavano die
le parole , e la figura fossero ricopiate dal medesimo luo-
go, e vi scrissi (|ucste altre: Divino liiiniac fulgcnt ; pcr-
» Ile sit;co.ije leggiamo: accendi! Deus lumen in ani/na.
M-i lasciamo l Imprese sacre.
O DEl.l.' lAIt-RESE 3()l
Coni E. I cvnulellori furono usati ancora dal Gran Tur-
co , ma in numero duplicato, de' quali tre avevano le
candele spente, e uno la candela accesa. Era il motto in
linjjua Turclicsca : Jlalla vere, che sonerebbe nella no-
stra; Iddio la darà; intendendo, come dicono, della lu-
ce, clie può tutti illumiiuirci, d.dla quale Solimano pensò
forse d'essere illustrato, e d'illustrarne l'Oriente, rima-
nendo i' Occidi^nte, e l'altre parti del mondo prive di
luce .
Forestiero. Io non sapeva che i Turchi ancora usas-
sero Imprese.
Conte. L' usano , quantunque appo loro l'usanza non
sia frequente, ma delle cose che si lanno di rado: tutlavol-
ta l'Imprese non si fanno tra loro di tutte le figure; per-
chè in ciò sono somiglianti iigli Ebrei, i quali rigidauicnle
interpretavano quelle parole del Deuteronomio; Non fa--
cies tibì sculptibile , vel sìmilitudineni oniniuni rerum ,
nuae in Caelo sunt , et qiiae in Terra deorsum , et quae
versantur in aquis . Ma la dichiarazione si deve cercare
nelle seguenti : Non adorahis eaSy ncque coles.
Forestiero. Leggiauio nondimeno nell'istorie di Gio-
scffo Ebreo che questo comandamento non fu interamen-
te osservato dagli Ebrei , ma disprezzato al tempo di Ero-
de , il quale innalzò innanzi alla porta del Tempio l'aqui-
la, Impresa de Romani: e prima Salomone medesimo nel-
l'edificazione del tempio , fece fare alcune figure di cose
iinimate, e particolarmente i leoni per sostegno di quel
gran vaso, chiamato mare. Ma de' Turchi leggiamo che
anticliissima Impresa fa la Luna , a'quali noi>dimeno si
converrebbe il Sagittario, usato d' Artaserse, o pur l'in-
segna delle saette fter testimonio della loro antica origine;
ma io vo ricordando alcuna Impresa , che sia termine di
questo discorso delle immagini artificiali.
Come. ÌITerniine njedesimo fu da molti usato per Im-
presa, e si legge ch'egli non volle cedere il Campidoglio
a Giove, a cui in quel luogo si solevano sospendere le spo-
glie de' vinti-
Forestiero. Io penso piuttosto agli altari. Voi sapete
che gli antichi solevano porre i tcnuini de' paesi, da loro
392 IL CONTE
soggiogali nelle lontanissime regioni de' Barbari , colle co-
lonne e con gli altari. Ercole drizzò le colonne nell'Occi-
dente : Alessandro gli altari nell' Oriente , come racconta
Strabene, e Cesare dapoi, e Germanico gli consacrò nel-
l'ultime parti del Settentrione; laonde io formerei per
Impresa di questo nuovo , e Romano Alessandro quattro
.'ihari in riva del mare, che fosse figurato per l'Oceano ,
coir iscrizione: Iinperium Oceano, benché, se fosse possi-
bile, vorrei che ella significasse particolarmente die la
terra fosse soggiogata per la fede di Cristo, e non poten-
dosi dimostrare ciò acconciamente colle parole , farei in su
gli altari innalzar la Croce.
Conte. L'Impresa in questa guisa, cbe da voi è divi-
sata, è Cristianissima, e bella molto e degna del poeta,
clic l'ha fatta, e del Principe, che dovrebbe usarla,- però
non desidero che vi stanchiate più lungamente nel rac-
conto dell'Imprese, e nella dichiarazione. Ma percliè l'ora
non è così tarda , che non ci conceda un breve spazio di
ragionare , poiché molto abbiamo detto della materia e
della forma, vorrei che si trattasse alcuna cosa deirartifi-
cio del far V laiprese .
Forestiero. Io già dissi che questo artificio era so-
)iiigliante a quello del poeta nel far le metafore, e le simi-
litudini , e le comparazioni , le quali non deono esser tra-
sportate da luogo molto lontano , uiii da vicino: non da
basso, ina da alto e rilev.ito; non da oscuro , ma da chia-
ro e illustre: non da brutto, ma da cosa che sia grata ai
sensi,- e aggiunsi tutti quegli altri ammaestramenti, die
son dati da'retlorici nel far le metafore e T immagini ; ma
io intendeva di quelle Imprese solamente, che si fumo
colle simili similitudini, perché l' altre, fatte con dissimili
dissimililudini, deono peravventura essere trasportale da
lontana parte, e non molto riguardevole. Avrei dunque
ricercate l'Imprese , come gli argomenti, ne' luoghi o pro-
prj , o comuni: |)roprj , diciamo la })ropriclà di ciascuna
cosa: comuni, la siuiililudine , ch'è fra molte, e la con-
giunzione, che l'una ha coli' altra , o la conseguenza . Dai
simili adunque, da' congiunti, dagli antecedenti, e dai
conseguititi estiuiava che potesse ritrovarsi; l'altre dis-
O dell' imprese Sq"?
simili piuttosto da'contrarj, e da'repugnanti; ina nella dil-
finizi ine, e nella numerazione delle parti non soleva ricer-
care loapresa alcuna, nelle quali peravventura alcun altro
più sollecito investigatore di questa preda , che io non so-
no, avrebbe potuto ritrovarle. Estimava ancora clie non
fossero di molta importanza gli altri precetti e l'osserva-
zioni, o non tutti , ma alcuni solamente; ma voi, che tuiti
gli sapete, fate di grazia die io mi avvegga della mia anti-
ca ignoranza colla dottrina de' più moderni, e ditemi in
quanti precetti, e in quali vogliono clic sia ristretto que-
sto artificio.
Conte. Cinque sono le prime regole, e quasi le prime
leggi di quest'arte , le quali furono stabilite coll'autorità
di Monsignor Giovio, che andò scegliendo le più belle, e le
più ingegnose Imprese, che furono state vedute sino a quei
tempi .
La prima è, che l' Impresa sia con giusta proporzione di
corpo e d' animo .
La seconda, che non pecchi per soverchia oscurità, né
per troppa chiarezza divenga popolare.
La terza, che abbia bella vista.
La quarta, che non abbia forma umana .
La quinta, che vi si richiede, è il motto, quasi anima
d'un corpo. Danno p')i quasi per legge al motto ch'egli
sia breve, di lingua peregrina, e non molto oscuro : altri
vi aggiunge che non sia preso dall'istesso luogo, del qua-
le si forma l'Impresa. I più moderni poi, oltra tutte que-
ste leggi , hanno voluto che l' Impresa debba essere ma-
ravìgliosa, com' è il poema .
Forestiero . Io sono così smemorato , che comincierò
dall'ultima cosa, che avete detta, perchè delle prime regole
peravventura non conservo memoria ordinatamente. Vo-
gliono adunque costoro che ogni Impresa sia maravigliosa.
Conte. Senza fallo.
Forestiero . Ma l' Impresa , per vostro avviso, è delle
cose antiche , o delle nuove piuttosto ?
Conte . Delle nuove anzi che no , perchè la novità fa
maravigliare altrui.
Diulogui T 111 a6
394 IL CONTE
FoRESTlEl',0. Ma se le cose nuove fossero picciole in
coni j ara/ione dell' auliche , saranno elle più maravigliose,
o meno?
Con J E. Forse meno maravigliose; ma io parlo delle
nuove jclie siano grandi .
For.ESTiEiio. E nuove chiamate l'opere dell'arte, o del-
la natura?
Conte. Dell' una e dell'altra.
Forestiero. Negli artificj 1' età nuova non pareggia
l'antica , e Roma istessa se n'avvede; perchè non ha di
che gloriarsi in questi tempi : e sono mostrate in lei , co-
me sue maraviglie, la mole d'Adriano, e quella fatta da
Agrippa , e l'anfiteatro, e le tei-me , e le colonne e gli ar-
chi : e queste cose peravventura son meno maravigiiose ,
che non erano le piramidi degli Egizj, o il Laberinto, o
pur quello fatto da Dedalo , o da Porsenna. Dunque l'an-
tichissime per questa ragione saranno più maravigiiose,
perchè sono maggiori .
Conte. Così pare.
Forestiero . Tuttavolta mirabile per grandezza , e per
artificio è il tempio di S. Pietro , del quale per poco non è
chi facesse Impresa, o chi pensasse di farla, come di quel-
lo di Giunone Lucinia , o di Vesta, o di Diana Efesia.
Conte. Non piacerebbe l'Impresa per mio avviso.
Forestiero. Dunque le cose nuove, benché siano gran-
dissime, come questa , non sono maravigiiose. Or che di-
remo dell'opere della natura ? l' istesso, o cosa diversa?
Conte. Peravventura ne faremo diverso giudizio.
Forestiero. Se le cose nuove possono muovere mara-
viglia , noi prenderemo per soggetto i mostri dell' Affrica,
la quale genera sempre qualche cosa di nuovo, o j)ur le
cose dell' India, perchè l'altre, o siano nostre, o peregrine,
sono l'istesse coH'antiche di genere, o di specie, se non di
numero,
Conte, Cotesto è vero; ma l'Affrica ha peravventura
cessato a far novità: e degli animali dell'India, e delle
piante io ho vedute poche Imprese, e niuno sin'ora l'ha
fatta del legno Santo, il quale ha si maravigliosa virtù.
o dell'imprese 395
Forestiero . Dunque cercljeremo pure le più riguar-
devoli, e che ci parranno più marnvigliose.
Conte. Così estimo.
Forestiero. Ma ditemi, vi prego, fra T antiche non
estimate antichissime l'eterne, o quelle, elle da principio
fece quel Fabhro maraviglioso dell'universo, detto da'Sa-
vj scrittori : Antiqua^; dieruin P
Conte. L'opere sue sono senza fallo maravlglioslssime.
Forestiero. E antichissime parimente, com'è il mon-
do, il Sole, la Luna e le stelle: e antichissime ancora sono
le sue leggi , colle quali sono fatte i congiungimenti , e
l'opposizioni de' pianeti, e i loro viaggi torti, e molte
volte a ritroso, e quasi da violenza divina sforzati.
Conte. Non eslimo che di ciò possa dubitarsi.
Forestiero. Non ci muova dunque l'opinione del vol-
go, il quale non suol maravigliiirsi delle cose eterne, come
dice Lucrezio. Ma crediamo che l'Imprese delle cose ce-
lesti sieno le più belle e le più maravigliose , almeno in
questa maniera d'Impresa, che si facon similitudine so-
migliante ?
Conte. Così sfimo.
Forestiero. Nondimeno in tutte l'opere della natura,
come nel libro delle parti dice Aristotele , è ascoso qual-
che segno maraviglioso; laonde non è sì picciolo animale,
che non possa muovere maraviglia; ma dell' opei'e artifi-
ciose non avviene forse il medesimo ; più maravigliose a-
dunque saranno le naturali.
Conte. Saranno.
Forestiero. Ora consideriamo l'altra maniera fatta
con immagini dissomiglianti . Gi'an maraviglia è che la vi-
ta umana, si bella in vista, sia significata da quel picciolo
animaletto , detto efemero , il quale nasce in riva alllp-
pane, e suol morire il giorno medesimo del suo nascimen-
to: Iddio grandissimo! da un picciol verme, da un sca-
rabeo !
Conte. Questa è peravventura maggior maraviglia, ma
l'altra si riguarda con maggior diletto.
Forestiero. E forse nel forno di Eraclito erano pre-
396 ìl conte
senti gli Dii immortali, però ivi diceva esser qualche ma-
laviglia. Ma facciamo un salto dall'ultima alla prima leg-
ge , lasciando quelle di mezzo inviolate. Slimate die sia
necessaria la proporzione tra il motto e la figura?
Conte. Così dicono.
FOP.ESTIEKO. Dunque fra il corpo, e l'anima.
Conte. Fra 'I corpo, e l'anima, se è vero che il mot-
to sia l'anima .
FoiiESriERO. L'anima è infinita, e divina, il corpo ca-
duco, e terminato; fra lei dunque , e il corpo non può es-
sere proporzione: e se il motto è quasi anima dell'Impre-
sa , e partecipa della divinità, e della iaimortalilà del poe-
ta , non può avere al/una proporzione colla figura; ma la
proporzione si considera fra le parti del corpo.
Conte . Perawentura le sue parole possono ricevere
altra interpretazione.
Foresi lERO. Quale dunque? Volle forse significare
quel, che disse Aristotele centra Pittagora, che l'aniiua
ragionevole non è differente da quella de' bruti per gli or-
gani solamente ; laonde al corpo d'un elefante, o d'un
leone non può in modo alcuno attribuirsi 1' anima del-
l'uomo ?
Conte. Forse questa fu la sua intenzione.
FoRESTlEliO. Ma se cioè vero, alla figura delle fiere, o
degli uccelli non si convengono le parole in modo alcuno ;
ma a quella dell'uomo solamente ; tutto al rovescio di
quel, che altri dice che il motto non giunge perfezione
alla figura umana .
Conte. I motti, come ho letto in un altro di coloro ,
che hanno scritto di quest'arte, si fanno o affermalivi, o
negativi, o interrogativi , o nella prima persona , o nell'al-
tre; ma neir Imprese, la cui figura è ferina , e bestiale,
più si conviene nella terza persona, quasi altri parli in sua
vece.
Forestiero. Questo vi concedo, ma potrebb' essere,
elle le fiere fossero introdotte a ragionare per prosopopeja,
come le cose inanimate , o come appresso Plutarco ragio-
na il Grillo, e contende con Ulisse dulia aobiltà della spe-
O DEIJ,' IMPRESE 897
eie: ma comunque sia , o il molto non è neces<?ario , o s'è
necessario , jiiù si conviene alla figura umana, la quale da
molti è biasimata.
Conte. E biasimata con ragione, a mio parere irrepu-
gnabile, clov'ella non sia con qualcbe apparenza insolita, o
vestita almeno ci' abito peregrino, e non usato a rimirarsi;
pei'cliè altramente sarebbe troppo comune, e l'Imprese
vogliono esser di cose rare, e riguardate con maraviglia.
FoRESriERo. Noi tuttavolta abbiamo concluso, cbe
l'Imprese si facciano con similitudini somiglianti; ma la
similitudine dissimile si cerca o nel genere, o nella specie,
o nell'individuo.
Conte . Così stimo.
Forestiero. Or in qual di queste tre cercberemo la
somiglianza ? nell' individuo forse ? E il Tasso già vecchio ,
e trasformato da quello, ch'esser soleva , farà una Impre-
sa , ovvero una immagine di se stesso giovinetto, con que-
sto verso :
Quando era in parte allr' uom da quel c/i io sono,
con quest'altro:
Stamane- era ufi fanciullo , ed or son vecchio .
Conte. Non mi pare cbe alcuno debba portar l'im-
magine sua medesima in luogo d' Impresa, benché for-
se Capaneo la portasse sotto Tebe, e dopo lui Asdru-
bale fratello di Annib.de : e Pvoma ne' rovesci delle sue
medaglie figurò se medesima , e vi fece scrivere il suo
proprio nome .
Forestiero. Dunque la comparazione, o la similitudi-
ne debbe farsi o nel genere, o nella specie; perchè nell'in-
dividuo è rifiutata, o quasi l' istessa, o quasi troppo simi-
le, o troppo dissimile.
Conte. Così stimo.
Forestiero. Ma di qual similitudine fareste piuttosto
Impresa? di quella, eh' è nel genere, o di quella, ch'è
nella specie , in altrui figurando quello, che di voi inten-
dete dimostrare?
Conte. Gli Accademici di Siena dicono che la conapa-
razione non deve farsi nella specie , ma nel genere .
SqS il conte
Forestiero. Aristotele nondimeno ebbe diversa opinio-
ne , perchè nei libri della filosofia naturale dice espressa-
mente che la comparazione deve liirsi nella specie, e se
le siiiiilitudioi somiglianti sono tanto migliori, quanto sono
più simili, più lodo io quelle, che sono nell'istessa specie.
Conte. Dunque l'imtnagine dell'uomo sarà convenien-
te a questa maniera d Impresa?
FouESTlEKO. SI veramente; ma che ella sia vestila
d' abito trionfale , o con ornamento , e con armi attribuite
agli Dei , come sono ad Ercole le spoglie del leone, a Per-
seo lo scudo di Medusa .
Conte. La vostra ragione conchiude, ma non persuade.
Forestiero. Forse perchè l'uomo, come dice Aristo-
tele nel primo libro della generazione degli animali, è
animale notissimo, e noi ricerchiamo cose ignote.
Conte . Per questa cagione .
Forestiero. Ma le cose note non sogliono significar
r ignote piuttosto; ma se peravventura vi spiace la notizia,
e la soverchia somiglianza , e non volete meco gloriarvi ,
eh essendo l'uomo immagine di Dio , con niun'altra simi-
litudine può meglio esprimere i suoi concetti , che con
quelle, le quali sono celesti , ed immortali ; ma se non vo-
lete che il Principe , simulacro di Dio, figuri la sua inten-
zione col Sole, ch'è l'altro simulacro, cerchiamo l'imma-
gine dal genere più vicino , e piuttosto dal leone , che dal-
lo ippopotamo , o dal cocodrillo: e voi ne' vostri amorosi
desideri non vogliate esser così segreto, e non seguite lo
similitudini più lontane, e l'immagini men conosciute, in
modo che altri non possa scoprire il vostro pensiero .
Conte . Questo non farò io , ma cercherò d'occultarlo ,
quanto sarà possibile, e solo alla mia donna aprirò la mia
intenzione con quelle chiavi del mio cuore, ch'ella sa vol-
gere così soavemente.
Forestiero. Concedasi adunque l'esser tanto misterio-
so nelle figure, quanto arguto no' motti: e se amate meglio
di piacere a lei sola, che a mille severi giudici, scegliete
le parole Spagnuole , e non rifiutate le vostre Italiane; so-
lamente fate ch'elle abbiano del gentile, e del peregrino;
O DEIJ/ IMPRESE 899
lasciato le Latine, e le Greche , e l' Ebraiche, e le dldce
a questi, die circano gloria di scienza singolare , e di es-
quisitx» dottrina , e di cognizione di molte favelle barbare e
straniere .
Come. Io mi atterrò al vostro consiglio, se mai mi po-
trà cader nell'animo di far segno d'alcun mio occulto pen-
siero , o d'amorosa passione . Ma ecco che giungono i coc-
chi, sarà tempo dipartire, ec.
Fine de' Dialoghi.
INDICE
Al molto Magnifico Signor Alessandro Pocater-
ra P^g. I
// Gonzaga Secondo, ovvero del Giuoco ... 3
// Beltramo, ovvero della Cortesia 4'
Alla Serenissima Granduchessa di Toscana . 5i
// Rangone, ovvero della Pace 53
Alla Serenissima Signora Duchessa di Mantova. 6 7
Il Ghirlinzone , ovvero V Epitaffio 69
// Forestiero Napoletano, ovvero della Gelosia . 85
// Gianluca , ovvero delle Mascliere . . . . .97
// Minturno, ovvero della Bellezza . . . .107
Al Serenissimo Granduca di Toscana Ferdi^
nando de* Medici i33
// Costantino , ovvero della Clemenza . . . . 1 87
// Porzio , ovvero delle Virtù i63
Al Molto Illustre Signor Paolo Grillo . . < . 239
// Cataneo, ovvero de gV Idoli -x^y
Il Manso , ovvero dell' Amicizia 7.73
Al Illustrissimo e Reverendissimo Signor Cintio
Aldobrandini Cardinale di S. Giorgio . .317
// Conte, ovvero dell' Imprese 319
AL SEP. ENISSIMO
SIC. VINCENZO GONZAGA
rRINCIPE DI MANTOVA E DI MONFERRATO.
J- Cinto Vostra Altezza è ricca cV ogni ornamen-
to , quanto io povero di ogni proteziorte ; onde
nel dedicarle questo Dialogo non faccio a lei
alcun onore ; ma da lei ricerco alcun favore. Egli
è scritto secondo la dottrina de' Platonici ^ la
quale in molte cose è diversa dalla Verità Cii-
stiana. Laonde non dehbe alcuno maravigliarsi
eh' io abbia posti v a rj mezzi fra gli uomini e Dio,
se ne posero non sol molti filosofi , ma S. Ber-
nardo medesimo , che chiamò gli Angeli media-
tori , benché Santo Agostino dica ch'uno sia il
Mediatore; né ch'io in qualche patte non ri-
prenda i giudicj dell' Astrologia , i quali sono da
lui riprovati e condannati; o ch'io nella crea-
zione dell' uo/no abbia voluto seguir l'opinione
di Platone, ripresa da Santo Ambrosio; avvegna-
ché noti volendo trattarne come teologo, non
istimava sconvenevole lo scriverne platonicamen-
te; e tutti gli altri modi mi parevano pili contra-
rj alla vera Teologia . Ma perché tutti i filosofi
debbono ricercar la verità, quantunque non per
la medesima strada , io per questa ricercandone,
da quella, eh' é somma verità^ ho cercato di non
molto aUontanarmi . Vostra Altezza adunque il
legga come opera d'uomo, che scrive come Fi-
losofo, e crede come Cristiano; e come tale ver-
rei che dagli altri fosse veduto : ma se anco nin-
no il leggesse , ella mi sarebbe invece di molti:
né io desidero che si divolghi per le mani degli
uomini, se non perdi' egli a chiunque il leggerà
sia un testimonio deW affezione, ch'io le polito, e
del desiderio , che ho di senz'irla ; onde quando a
l^. y^. non piacesse di farmi grazia di conservarlo,
amo meglio di vederlo morto sotto il suo nome
che , sotto t altrui, vivere lungamente con isperan-
za d' eternità. Consideri nondimeno Vostra altez-
za, s'alia sua grandezza si conviene di lasciar pe-
rire ingiustamente, o almeno rigorosamente , chi
sotto l' ombra del suo favor s' è riparato; e s' as-
sicuri che nella iuta della presente operetta
conserverò viva perpetuamente la mia devozio-
ne; e senza più le bacio uniilissimamente la
mano .
Di V. Altezza Serenissima
Devotiss. Servitore
Torquato Tasso.
IL
MESSAGGIEPx^O
DIALOGO
I ora già l'ora, die la vicinanza del Sole cotiiincia a ri-
schiarare l'Onzzonle, quando a ine, che nelle delicate piu-
me giaceva consensi non fortemente legati da! sonno, ma
così leggiermente, che il mio stato era mezzo fra la vigilia
e la quiete, si fece all'orecchio quel gentile Spirito, che
suole favellarmi nelle mie imaginazioni, e mi chiamò per
quel nome, ch'è comune a tutti quelli, i quali sono nati
nella nùa stirpe. Io, udendo quella voce così piana, e così
soave, risposi incontinenti: mi pare di conoscere la tua vo-
ce alla sua soavità, perciocché non suona come l'altre mor-
tali favelle; ma in modo, ch'io argomenterei che tu fossi
spirito del Paradiso, che pietoso de' miei affanni discen-
dessi dal cielo, se tu non mi paressi più presto alla conso-
lazione, che aU'ajuto ; ove gli Angioli non soglion recar
men di soccorso, che di conforto. Ma s' Angelo non sei, né
anima felice , che puoi essere? Demone, o anima infelice
non istimo che tu sii ; né so se i notturni fantasmi siano
alcuna coi^a oltre queste; che forse crederei la tua voce es-
sere alcun di quelli , de' quali disse il nostro poeta
Mai notturno fantasma
D' error non fu sì pien^ cotn' ei ver noi .
A queste parole lo Spirito l'alzò in guisa, che non mi era
paruto mai di udirlo sì forte favellare; ma benché egli ra-
gionasse come sdegnoso, lo sdegno nondimeno era mesco-
lato con la soavità della sua voce, e i suoi detti furon tali:
Ingrato , dunque potesti mai credere ch'io lussi fantasma
pien d' errori? All' ora io ?nezzo fra vergogiujso e dolente:
deh non t' offenda ciascvina ruia parola , e se non vuoi con-
cedere alla mia ignoranza il poter dubitare . concedi alme-
IV IL MESSAGGirPtO
no al mio affanno ch'io possa lamentarmi ; e siami lecito
di poter dir a te ciò, che alla madre Dea, che sotto men-
tile forme gli appariva, disse Enea perseguitato dall' ira
di Giunone:
Quid natuni toties crndclis tu quoque falsi s
Ludi^ iinaginìbiis ? cur de.iHra jungure dexlram
Nili datur? ac ve ras audire ^ et reddere voces ?
BpocI è tanto sei tu più di lei crudele, quanto ella pure in
alcun modo sotto alcun corpo gli s' appresenlava agli oc-
cl i : ma te n^.n viddi io giammai ; e solo odo la voce tua ,
la cjuale è jiur argomento che tu ahhi corpo, perciocché
la voce formar non si può senza lingua e senza palato. E
fé l'hai, percliè noi dijuostri? forse sei più dolce, che hello,
e f< rs ■ questo è sogno, e tu altro non sci, che fattura del-
la f.iia iinmaginayione ; e sogni sono slati tutti i ragiona-
ri:e:iti che tcco ho fatti per l'addietro, conciosiacosachè,
mentre il corpo dorme , 1 anima non suole star oziosa , ma
non potendo esercitarsi intorno agli obbietti esteriori , si
•volge a quelle i.nagini delle cose sensibili, delle quali el-
la ha fatta conserva nella mefiioria , e di loro compone va-
rie forme, in modo che non è cosa fuor di noi, clic dentro
simile al vero non possa figurare, e molte volte accoppia
quelle, che non si possono accoppiar per natura. Laonde io
dubito tuttavia di sognare e di sillogizzar sognando, e die
questa mia non sia veduta , o odila , ma di udire e di vede-
re imaginazione . A queste parole parve che sorridesse Io
S[>irito,e sorridendo rispondesse: Il tuo vaneggiare nato
d' ifflimiio , rivol^f in riso ogni mio disdegnose aspetto
oiriai ci e tu iIk a ehe io sia non quel fantasma , che de-
scrissr i! tuo Poeta, ma siuiile a quello, che incantò la buo-
na f.'Miina. dicendoli: Fantasima , Fantasima , che di
notte vai , a coda ritta te ne venisti , ed a coda ritta te
n'andrai Al (piai però non prina si parti, che le vivande
ascose T»el giardino aves-e mangiate.
NondÌMieno perchè io in gnisa mi rido di te, che n'ho
insieme compassioime , rimoverò da te que'dubbj, che mi
8 rà conceduto di rimovere ; e piTchè tutta la vostra co-
gnizione è o di senso, o d'iulellelt<ì . io e col senso, e con
ia iasione son per manifcslarli tanto oltre di me, quanto
Il messaggiéro v
per avventura non credesti giammai di poter sapere. E co-
minùando, dico che se tu dormissi, non potresti uè ve-
dere, né udire; perciocché il sonno è legamento di ciiscua
senso, ma tu vedi, e per chiarirti meglio di ciò, volgi gli
occhi al balcone, e vedrai che per le sue fissure già en-
tra il nuovo Scie sì puro, e si chiaro , ch'è indizio di t'elice
giornata . Odi parimente la mia voce così distinta , che non
Lai di che dubitare . Ed acciò che il tatto, ch'è certis-
simo, oltre tutti i sensi, maggiormente nella credenza del
vero ti confermi , prendi la mia destra, ch'io la li porgo a
baciare, e la ti do per pegno di fede. Qui tacque lo Spiri-
to , e sentii che col fine delle parole mi porse la mano, ed
io la presi in quel modo, ch'è uso de'Tedeschi di toccar la
destra de' principi, quando s'inchinano per far lor rive-
renza. Ma non cessando però in me tutti i miei dubbj, così
replicai: Ben so io che il sonno sopisce tutti i sentimenti
esteriori ; ma so anche ch'egli non solo impedisce la ima-
ginazione, ma forza ed ajuto le ministra; laonde quanto
ella sarà più forte, tanto io meno potrò accorgermi di
dormire; ma per avventura m'avvedrò poi d'aver dorini-
to. Oltre a ciò, s'a quella visione solamente dobbiam cre-^
dere, la qual in guisa sia vera, che non possa esser falsa,
come posso prestar credenza a questa mia , la quale può
esser fallace? E s'ella è siffatta, non può esser compresa e
conosciuta, e indarno ricorro al testimonio de' sensi, nei
quali, se desti fossero, non sarebbe il giudicio della veri-
tà ; quanto meno , or che sono sopiti . A queste parole udi'i
ridere più forte lo Spirito, e ritirar a se la sua mano; poi
così cominciò a favellare.
Quello, ch'è ohbietto de' sensi esteriori , e quel che
s'imagina sognando, è molte fiate così somigliante, che d.i
uomo, che sogni, non può esser distinto ; ma ben colui,
ch'è desto, può la differenza delle cose vere, e dell'appa-
renti agevolmente conoscere: perchè se i sensi sanie vi-
gorosi non potessero giudicare della verità , niun giudicio
ne lasceresti alla mente, nella quale tu non istiuii esser
cosa alcuna, che non sia prima stata nelle sentimenta, se
non hai mutata opinione: e se tu ti recherai a mente alcun
sogno passato, e col mio ragionamento, e con gli altri,
"V'I IL MESSAGGIERO
c'iio teco avuti il paragonerai , di leggieri l'avvederai di
non sognare, perchè l'assi^nso, che presU colui, che dor-
me, al sogno, è inolto debile: dubita, vacilla, ed alcuna
volta s accorge di sognare, e sognando dice : io sogno. Ol-
tre a ciò, ne' sogni non è ordine, né continuazione, ma in
questo ragionamento tu intendi come ogni cosa sinora con-
tinova ordinariamente : e se pure i sogni sono talora or-
dinati, non dico quelli degl'infermi, o degli ubriachi, i
quali sono torbidi e confusi, e per la stemperata agitazion
degli umori, e per la copia de' fumi sovercVii , rendono
r i.nagini distorte , e perturbate; ma di que' parlo, i quali
sogliono fare alcuna volta gli uomini savi, e temperali .
Niuna cosa nondimeno s'ode in loro simile al nostro ragio-
namento, il quale avrà le sue parti composte con tanta
proporzione , che parrà che'l vero col vero faccia armonia.
Laonde se mai di lui ti sovverrà, non istimerai che debba
tra sogni essere annoverato. Di sogno si parrà che meriti il
nome più convenevolmente gran parte della tua vita pas-
sata ; perciocché in lei nulla rimirasi di vero, nulla di sin-
cero e di puro, nulla in somma di stabile e di costante; ma
quelle che si mostrarono a" tuoi scusi , furono, per così di-
re, larve del vero, e imagini di quelle che sono veramente
essenze, le quali quag|;iù non si possono vedere da chi ab-
bia gli occhi appannati dal velo dell'umanità; ma quando
tu gli aprirai nell'altra vita , che" sola è vita, si manifeste-
ranno in guisa che de |suoi passati affanni ti riderai. Cosi
disse lo Spirito ; ed io: A me pare che tu vogli intendere
delle Idee, delle quali molte volte ho udito molte cose
nelle scuole de' Filosofanti : ma possono elleno esser vedu-
te in questo mondo ? Possono , rispose , por grazia d' alcun
cortese Spirito, il quale altrui sia cosi aulico, come io so-
no a te peravventura. Per grazia di Venere le vidde Enea:
riduci a memoria i versi, o il Poeta tanto da to onorato;
Clini niihi se , non ante oculis lani darà videndant
Obtulit, et pura per noctem in luce refulsit
Alma pareasy confessa De.ani ; qualisque videri
Coelicolis , et quanta solet .
Vedi ch'ora ella al figliuolo, non immascherata nella uma-
nità , ma come Dea si dimostra , e soggiunge ;
IL MESSAGGIERO VII
Aspìce: namque omneni , quac nunc obducta tuenti
Murlalts hcbetat visus tibi, et huinìcla circuni
Caligut , nube ni eri pi ani : tu ne qua parentis
Jussa tinie , neu praeceptis parere recusa .
Hìc ubi disjectas moles, avulsaque saxis
Saxa vides , mixtoque undantem puli'ere fumuntf
Ntptunus inuros, niagnoque eniota tridenti
Fundanienla quatit , totamque a sedibus urbent
Eriàt Hìc Lino Scaeas saevissìnia portas
Prima tenet , sociunique furens a navibus agnien
Ferro accinta vocat.
lani suninias arces Tritonia ( respice ) Pallas
Insedi t, nimbo effulgens et gorgone saeva^
Ipse pater Danais animos viresque secundas
Sufficit : ipse Dcos in Dardana suscitat arnia .
Voleva oltre seguir lo Spirilo , ma io troppo volenteroso
interruppi le parole, e dissi: A me pare ch'Enea in que-
sto luogo non vegga l'Idee, ma l'Intelligenze; perciocché
Nettuno, Palla, Giove, e Giunone altro non sono, che l'In-
telligenze t!i quelle sfere , che loro sono attribuite. Troppo
frettoloso sei stato, rispose lo Spirito, in prevenir le mie
parole , ma se bene ti ricordi quel, 'ch'io dissi, non affer-
mai eh' Enea vedesse l' Intelligenze ; ma dissi che per
avventura le vide, ed accortamente cosi parlai, perchè
Giunone, e Nettuno altro non sono, che l'Intelligenze del-
l'acqua , e dell'aria; e Venere altro non è , che la mente,
che del terzo Cielo è movitrice: ma a Pallade niun Cielo, o
niun Orbe è attribuito , sicché si possa dire ch'ella sia in-
telligenza al governo d'alcuna sfera sovrapposta; ma ella ,
cbe nacque della mente di Giove è l'Idea universale del
mondo, la quale è parto , e figliuola d'Iddio primogenita ,
Qui si tacque lo Spirito, ed io ripien di meraviglia . or
m' accorgo, dissi, d'esser desto, o almeno vicino al destar-
mi, e d'aver dormito tutto quel tempo, che leijjgendo. e ri-
leggendo il famoso Poeta, alla considerazione di sì fatte co-
se non ho aperti gli occhi. Ma se tu sei tale a me, quale
era Venere ad Enea , s'ella era Dea dell'amore, tu pari-
mente Spirito amoroso dei essere; e s'ella per grazia gif
si mostrò, e della vista delle Idee, e delle Intelligenze il (è
YIII ir WESSAGGIERO
dei^no, tu a me non ti dei nastoinl.-r , nr la veduta di que-
ste cose mirabili invidiarmi, P ù v liic-.Ii, : impose lo «Spirito,
di quel eli ora a le sia lecito di dcsiderap' , o cL'a me di
dare sia conveniente ^ ma in yrau parte nondiuieno del tuo
desiderio rimarrai soddislatlo; perchè di due modi, co'qua-
li gli spiiili celesti si lasciano vedere, quello eleyi^erò
eh' è più UKato. E quali sono questi due modi? risposi io.
L'uno è, rispose, quando essi vi purgano in modo la vista,
che siale atti a sostener la luce loro : l'altro, quando si
circondano di c>rpo, che possa essere obbietti) dt;' vostri
sentimenti. Se gli vedete nella prima maniera, voi vi tran-
sumanate ( per così dire ), e sgombrate dagli ocelli della
mente col lume loro tutti i fantasmi p tulle le false imagi-
ni , le quali non altrimenle variano e perturb.mo la cogni-
zione delle cose intelligibi'i , di quel che sogliano i vapo-
ri, elle dalla terra si soilnvano nell'aria , cangiar l'aspetto
d alcuna stella , la qual molto dalla sua sembianza si tra-
muta , ed or maggiore, or minore appare , or piìi , or meo
colorata, che non apparirebbe, se non fosse così latta in-
terposizione . Ma se l'immortali forme nella seconda ma-
niera a voi si dimostrano, non vi transumanate voi; ma esse
si vestono d'umanità , cioè di corpo, e di moto , e di tutte
quelle altre circostanze, che accompagnano la natura visi-
bile e corporea. Questi due modi ben conobbe il tuo glo-
rioso Poeta 5 perchè dove Enea vede Venere, e per sua
grazia le Idee e le Intelligenze vuob intendere, egli si solle-
va con la conteirqjlazione sovra l'umanità,- ma quando Ve-
nere gli appare sotto corpo iittizio , o quando Mercurio
gii è mand.ito da Giove, luno, e l'altro di loro ricopren-
do la divinila si fan veder nel modo, col quale da'puortali
possono esser veduti. Quinci avviene che '1 tuo Poeta in
quel luogo, nel (juale Venere ad Enea si dimostra come
Dra seco, non descrive l'abilo, né il corpo j ma dice sola-
mente :
Et pura per noctcni in luce refulsit
Alma purens, confessa Deain ; qualisque videri
Cuelicolis , et quanta solet .
Perciocché la luce altro non significa appresso lui che la
cognizione, la quale s'acquista con la contemplazione. Ma
di Mercurio è scritto :
IL MESSAGGIF.P.O IX
..... Ille patris magni parere parahat
Imperio: et primum pedi bus talaria nectil
Aurea , (piae subliniem alis , iiVe aequora supra,
Seu terram , rapido pariter ciim flamine portant.
Tarn ^'ir^am capii .- hac animas ille evocai orco
Pallente^, alias sub tri stia tartara mitlit,
Dat soninos , adimitque , et lumina morte resignat .
Illa frelus agit s^entos , et turbida traiiat
Nubi la.
E poi quando Mercurio sparisce, più chiaramente appare
ch'egli s'era veslito in corpo aereo, io que' versi:
Tuli Cj lleiiius ore locutus
Morlales i>isus medio sermone reliquìt ,
Et procul in tenuent ex oculis ev>anuit auram.
Parlo teco volentieri co'versi di questo Poeta, perchè l'hai
in tanta venerazione , ch'alia suii autorità non altri nent»,
che a quella de' maggior Filosofi, presti fde, la quale al-
cuna volta ebbe non minor forza nell'ani no tuo, clic la ra-
gione stessa. Laonde voglio ditnostrrirti un'altra diireren-
za , ch'egli pone fra gli Dei, quando si vestono di corpo
aereo, ed i fantasmi. Or ramnientati della descrizione del
fantasma ;
Tuni Dea nube cava tenueni si ne viri bus wn brani ,
Infaciem Aeneue ( visu mirabile monstrum)
Dardanijs ornat telis: clypeumque , jubasque
Divino assimulat capiti , dat inani a verba ,
Dat sine mente san i:n , gressusque e/fingit euntis .
Ed appare da lui che'l fantasma è ombra senza forze,
ed ha parole vane, e suono senza intelletto,- le quali condi-
zioni a me in alcun modj non si convengono , perciocché
le parole mie son piene di sentimento, e '1 suono è si"nifi-
catore de'miei concetti. Solo potresti dubitare s'io avessi
forze, o no; ma se l'intellett) e la volontà sono forze , non
hai di che dubitare. Qui si tacque lo Spirito, ed io quan-
tunque desiderassi di saper più oltre , non ardiva di rico-
minciar il ragionamento, temendo pure ch'egli fosse di
soverchio gravato dalla mie importune dimandi* , (junndo
egli, che della mia temenza s'accorse, così soggiunse: Ecco
X IL !-vIESSA.GGIERO
io comincio a soddisfare in parte al tuo desiderio, e voglio
che tu mi veyija vestito di corpo velocissimo e Id'ninoso ,
al quale tu non vedesti mal alcun soaiigliante , ma è di na-
tura assai simile a quollo , che l'anima tua portò seco dal
Cielo, quando a cotesto corpo si congiunse; p'^rcioccliè hai
tu a sapprp che diihcil mente l'anima vostra pura , e sem-
plice, ed immortale si potrehbe accompagnare con cotesto
miste, e oadu(;he membra terrene, s'ella col iiiezzo d'un
corpo più puro, e più lieve, e sottile non s'acco'npagnas-
se. Riguardando dunque tu il mio aspetto, potrai in purte
giudicare qua I sia quel corpo, che quasi molle scorza den-
tro dura scorza , dentro csitesta tua esteriore cortesia si
lìnchiude. Al fine di queste parole, quasi un turbine di
vento percosse nelle finestre, e violente neute le ap-rse , e
mille raggi di Sole mattutino illustrarono tutta la camera,
e '1 letto, nel quale io giaceva; e nella b llissifua luce m'ap-
parve un giovine , ch'era ne' confini della fi nciullezza e
della gioventù, ii quale nun avea le guancie d'alcun pelo
ricoperte. Egli era di corpo proporziona tissimo, bianco e
biondx» sì, che l'avorio e l'oro sirebbono stati vinti dal
color delle sue carni e de'capegli : aveva gii occhi azzurri
simili a quelli, che da'poeti sono lod.iti in Minerva, ne'qua-
li scintilliva una luce si fitta nente, che benciiè io fossi da
lei ahbagliato, prendea nondimeno diletto di rimirarlo. Era
vestito d'un sutlilissimo velo, che nulla o poco ricopriva
della sua bella persona in modi assai diverso da quello,
che oggidì vediamo usare . Io rimasi a quella vista tutto
pieno di maraviglia e di stupore; ma poiché io ebbi spazio
di raccormi in me stesso, così cominciai a favellare: la lu-
ce della tua amorosa sembianza mi pare anzi angelica che
no; onde se tu avessi l'ale, stimerei che tu fossi uno di
quegli , a' quali fu detto
Voi di intendendo il terzo ciel movete.
Ma se tu sei un di coloro , perchè 1' hai deposte? Forse sei
di quelle anime, che vivono in loro compagnia? Così io dis-
si, ed egli rispose: s'io fossi uno de'cclesti Amori (clie
spirito che muova l'appetito concupiscibile certo non so-
no ) potrei aver l'ale, e agli occhi tuoi manifestarle, per-
ciocché l'anima tua medesima ha due ale, le quali tu non
IL MESSAGGIEllO XI
vedesti giammai. IMa il princip'" di quelli, che muovono il
trrzo ciclo , le ha così grandi, die (juasi tutto il uioiuli ne
può esser ricoperto, Tuna delle quali si stende verso l'orieu-
le , l'altra verso l'occidente ; e quando è nel suo cielo, ha
la faccia volta verso il settentrione, e le spalle rivolte al
meizogiorno. Così con parole magnifiche diceva lo Spirito;
ed io , parendomi ch'egli a me non si volesse manifestare,
Lenchè avesse alcuna somiglianza di persona già veduta da
me, gli dissi : non istimo che tu sii angelo o demone; ma
anima umana, che per mia satisfazione appaja nel suo cor-
po. Perciocché ora che la tua luce più non m'abhaglia, co-
mincio a raJTigurare il tuo aspetto, e parmi d'averlo molte
volte veduto quando eri congiunto con le tue membra.
Quantunque questo fosse vero, rispose lo Spirito, nondime-
no io son contento di soddisfare alle tue curiose dimande,
con patto, che fornito questo ragionamento, tu non sii vago
di sapere più oltre di ciò, ch'a te fa di mestieri. Sappi dun-
que che non repugna che '1 mio corpo sia celeste , e ch'in-
sieme sia aereo: perchè se ben quel Filosofo, clie piìi dal
vulgo è tenuto in pregio, giudicò, che 'I Cielo fosse d'es-
senza affatto diversa da quella dei quattro elementi, se-
guendo nella sua investigazione produce il movimento, il
quale essendo nel Cielo d'altra maniera, che non è ne'cor-
pi gravi, e leggieri , fa argomento ch'egli sia di natura di-
verso: nondimeno il Maestro suo, che maggiore, e più alta
cognizione ebbe di noi, e delle cose tutte di lassù, in par-
te diversamente giudicò , e stimò egli che il Cielo fosse
composto di quattro elementi, non delle parti loro più im-
monde, e più corruttibili, o ( per cosi dire ) della feccia,
ma delle più pure , e semplici, le quali hanno le virtù
degli elementi, senza le imperfezioni loro. Eclie sia vero,
riguarda il Cielo, e sì vedrai, ch'egli ha la trasparenza
dell'aria , e dell'acqua, e la luce del fuoco, e la resisten-
za della terra, quella qualità dico, per la quale è corpo
sodo, e atto ad esser toccato: e tu dei aver udito alcuna
fiata dire ch'Iddio divise l'acque dall'acque, e che co-
lassù ancora è acqua, la quale qualora le cataratte del
Cielo sono aperte, vegliamo discender precipitosamente ,
SÌ che non ti dei maravigliare che ci sia aere. Non ripugna
Xn IL MESSAGGIERO
dunque eli' io abbia recato il mio corpo da! Cielo, e cb e-
gli sia aereo; ina ciò non ti niego , né ti afl'ertno, percbè
non vo' cbe tu ancora sii certo s'io sia totalmente aereo,
cb' insieme sia celeste, o s'io sia semplicemente aereo. Co-
munque sia, ancora molti di quelli spirili , cbe del Cielo
sono abitatori, per non abbagliar gli occbi vostri sovercbia-
mente, si vestono talora di questo aere, cbe così di leg-
giero si risolve. Appena aveva fornito di dire lo Spirito
queste parole, cb'io così cominciai: io raccolgo da'tuoi det-
ti , cbe tu sii spirito aereo , o celeste , o elementare , cbe
tu sii ,• e concordando quel cbe tu dici con quel , cb' altre
fiate mi sovviene d'aver letto, fo giudicio cbe tu sii quel
Genio, cb'alla mia cura è posto, a cui si conviene di reg-
gere, o d'indirizzar l'opinioni; percbè quell'altro, cb'è
sovra posto all'appetito concupiscibile , e cbe l'inclina al-
la generazione, è della natura dell'acqua, s'io il vero n'bo
appreso, o da lui ba l'acqua la virtù d'esser piìi di cia-
scuno altro elemento feconda , come dimostra la grandez-
za doglianimali , cbe produce, de'quali l'aria è molto me-
no abbondante . Ma d'altra parte a ine pare cbe tu sii pur
l'amore, percbè se bene non muovi il mio appetito a ge-
nerar ne' corpi , sento nondimeno scender dagli occbi tuoi
mescolata co' tuoi raggi una virtù, cbe trapassando per gli
occbi miei nel cuore , genera in me desiderio di partorire
alcun bel parto in alcun animo bello, e gentile: e l'anima
mia riscaldata dalla pioggia de' raggi , arde , e sfavilla di
rimetter l'ale, cbe ella nel suo violento precipizio ingiu-
stamente perdette: ed io già sento quel prurito , cbe sen-
tono i bambini nel mettere i denti , o gli augelletti, quan-
do di novelle penne s'impiumano. Ma lasciando di ragionar
dell'ali mie, alle tue ritorno , e queste io a te per mia
consolazione vorrei vedere; e se tu sei colui , cbe dagli uo-
mini è cbiamato Amore, non è maraviglia cb'a tua voglia
possa dcpor l'ale ; ma se tu non sei il vulgare , ma il cele-
ste Amore, quello, cbe voi altri con lingua dalla nostra
diversa cbiamate alato , molto mi maraviglio cbe tu soglia
spogliartene; percbè quello , s'io il vero n'apparai , 1' ba
sempre seco, e vola di necessità : così diss'io, ed egli così
rispose: Questo è il passo, il quale io vo tener ascosa
IL MESSAGGIERO XIII
ne' miei secrfiti; né mi piace che tu iincora te ne eli i pri-
sca ; ma quando io pur fossi il celeste Aioore, che spirito
niahgno certo non sono, potrei aver l'ale , ed agli occhi
tuoi non manifestarle . Egli in cotal guisa ragionava, ed io
accorgendomi, ch'egli a me si teneva celato, ne' miei so-
liti sospetti ritornando , così cominciai a dubitai'e . A'^sai
m'hai tu ben provato ch'il mio non sia sogno; ina per-
ciocché fu non ogni mio dubbio risolvi, vo pensando se
sia possibile che questa sia ima imaginazi.me non d'uomo ,
che dorma , ma d'uomo, che desto, alla fiintasia si dia in
preda : le forze della virtù imaginatrice sono incredibili , e
se ben pare ch'allora ella sii più possente, quando l'anima
non occupata in esercitare i sensi esteriori, iu se stessa si
raccoglie, nondimeno talora avviene ch'ella con vinlon-
lissi;iìa efficacia sforzi -i sensi, e gl'inganni di miinicra,
ch'essi, gli obbietti proprj non distinguono: e ciò ho io ap-
preso da que' Poeti, a'quali è ragionevole che molta cre-
denza si presti ; perchè il Petrarca dice,
Che perchè mille cose
Riguardi intento, e fiso,
Solo una Donna veggio, e'I suo bel viso.
e altrove
Perocché spesso {or chifia che mei creda?)
NelV acqua chiara, e sovra l' erba verde
Io V ho veduta , e nel Ironcnn d'un faggio ,
£"/« bianca nube sì fatta, che Leda
Avria ben detto che sua figlia perde ,
Come stella , che '/ Sol copre col raggio.
E prima di lu' il Principe de' Poeti, ragi(mando di Didone,
innamorata d'Enea, dice:
llluin abscns absentein auditque , videtque.
E poco appresso;
Eumeniduin velati dcmens videt agniina Pentheus,
Et S (tieni gemi nani . et duplices se estendere Tliebas;
Aul Aganieinuonius scenis agitutus Orestes ,
Armataci faci bus matreni,et serpenti bus atris.
e Orazio dalla medesima imaginazione rapito grida;
Quo me Bacche rapis tui
XIV IL MESSAGGIERO
Plenum ? quae nemora , et quos agor in speciis
Velox mente no\>a ?
ed iijipresso :
Ut mihi devio
Repes et vacuum nemus
Mirari libct ? O Naiadum potens^
Baccarwnque valentiuni ,
Proceras manibus vertere fraxinos.
Né Dante si mostra meno dalla fantasia sforzato, qu^indo
dopo aver visti i fantasmi d'Assuero, e del giusto Mardo-
cheo, e di Lavinia, che lagrimava, proruppe in questa e-
sclamaxione :
O ima^inativa, che ne rube,
Chi move te , se 'l senso non ti scorge?
E certo egli non si può negire che non si dia alcuna
alienazione di mente, la quale, o sia infirmità di pazzia ,
come quella d'Oreste, e di Penteo, o sia divino furore,
come quello di coloro, che da Bacco, o dall'Amor son ra-
piti, è tale, che può non meno rappresentar le cose lalse
per vere , di quel che faccia il sogno, anzi pare che via più
possa farlo, perchè nel sonno solo i sentimenti sono legati,
ma nel furore la utente è impedita. Onde io dubiterei for-
te che se fosse vero quel, che comunemente si dice della
mia follia , la mia visione fosse si'ni'^ a quella di P« nteo ,
o d'Oieste.Ma perchè di niun fatto simile a quelli d'Ore-
ste e di Penteo sono consapevole a me stesso, come ch'io
non nieghi d'esser folle , mi giova almen di credere che
questa nuova pazzia abbia altra cagione. Forse è soverchia
maninconia , e i maiiinconici , come afferma Aristotile , so-
no stati di chiaro ingegno negli studj della Filosofia, e nel
governo della Repubblica, e nel cantar versi: ed Empedo-
cle e Socrate e IMatone furono nianinconioi . Demarato,
poeta Ciciliano, allora era più eccellenle, ch'egli era fuor
di sé, anzi quasi lontano da se stesso: e molti anni dappoi
Lucrezio s' uccise per maninconia . Dcnocrito cacci i di
Parnaso i poeti, che siau savi. Né solo i filosofi e i poeti,
ma gli eroi, come dice l'isle^so Aristotile sono infettati
dal medesimo vizio, e fra gli altri Ercole , dal quale il mal
caduco fu detto erculeo. Si possono anche ti'a'maninconici
IL MrSSAr.GIERO XV
annoverare A jace e Bellorofonte , l'uno cle'quali divenne
pazzo atfalto , l'altro era solito d'andare pe' luoghi disa-
bitati ; laonde poteva dire
Solo e pensoso i più deserti campi
P^o misurando a passi tardi e lenti ,
E gli occhi porto per fuggire intenti,
Oi'C vestigio unum l' arena stampi.
E per tertno non fu più faticosa operazione il vincer la
Chimera, che il superare la rnaninconia, la qual piut-
tosto all'idra, cbe alla Chiuiera potrebbe assiinigliai-si ;
])ercbè appena il maninconico lia tronco un pensiero,
cbe due ne sono subito nati in quella vece, dalli qua-
li con mortiferi morsi è trafitto e lacerato. Comun(|ue
sia , coloro, cbe m-n sono maninconici per infermità , ma
per natura, sono d'ingegno singolare; ed io snn per 1' u-
na e per l'altra cagione: laonde in parte vo consolando
me stesso. E quantunque io non sia pieno di sover-
chia speranza, come si legge d'Archelao, re di Macedonia;
nondimeno io non sono cosi freddo e gelato, ch'io sia co-
stretto ad uccidermi: ma a guisa di cacciatore, il quale ab-
bia lanciatoli dardo, mi par d'aver fatta preda, prina cbe
io abbia presa la fera con le mani, e mi par di antiveder
da lontano le cose simili, e le conseguenti; e facendo ima-
gini e sogni infiniti, come credo, pur die sia questo a gui-
sa, d'arciero cbe saetti tutto il giorno, colpirò per avven-
tura una volta il segno de' miei pensieri. Sorrise lo Spirito
a queste parole , e parve cbe non gli spiacesse d'averle
udite; poi così rispose: Quelle medesime ragioni della con-
tinuazione, e dell' ordine , cbe ti mostra ch'il tuo none
sogno , ti posson dare a diveder cbe non sia ancbe d'uomo
cbe veggbi; perocché come affernia il primo di coloro,
cbe tu adducesti, Terror della imaginazione non dura ,
Che se r errar durasse , altro non cheggio
dice egli. Dante simibiiente paragona i fantasmi a quelle
bolle , che si forman dell' acqua , le quali agevolmente si
risolvono in poco men , cbe nulla : nella sua ragione molto
concbiude; perchè l'alienazione della mente , cbe possa
impedir l'operazion de' sensi, non l'impedisce nondi'iieno
maggioi/nente di quello , cbe fticcia il sogno . Allora repii-
XVI IL MESSAGGLERO
cai:se questo non è sogno, nò i.-nla.'^ia, tu dei esser senza fal-
lo lo fj^'iiito di colui, del quale liais'o riiyliaiiza. JNon è neces-
sario, rispose, perchè gli aiigioli e i demoni prendono molte
fiate l'aspetto d'alcun uomo particolare , comesi legge in
Oiriero ( che è un altro di que' poeti più ammirato da te )
che Minerva mostrandosi a Telemaco prese quel di Men-
tore. Se gli angioli, dissi io, o l'intelligenze, die vogliamo
chiamargli , non sono dalla ragione conosciuti, se non in
quanto motori delle sfere celesti, non par ragionevole che
siano più de'cieli mossi da loro, e s'essi fossero in mag;^inr
lui'iiero, sarehb )no oziosi nel mondo. Ma nell'universo ad
alcuna cosa non è concesso di essere scioperata , perchè
ciascuna lui la sua propria operazione. E se le intelligenze
sono lassù occupate ne'proprj utfìci, non è possil)iIe che
se ne dipartano . ]Nè possibile mi pare quel che si dice
de'Demoni, perciocché se essi sono, o soniì sostanze cor-
poree, o incorporee, o eterne, o carruttihiii; e a qualunijuri
parte mi volgo, veggo molte sconvenevolezze . Laonde
presto credenza a coloro, i quali vogliono che Aristotile
parlando de' Demoni intenda delle sostanze divine. Veg-
gio, disse lo Spirito, che tu vieni armato contra me d' ar-
tià non dissimili a quelle, che furono adoperate dai giganti
contra gl'Iddìi; ma se tu non vuoi il loro esetnpio rinnova-
re,deponle per riverenza, ed a ji|iarecchiati a ricever le ra-
gioni, ch'io dall'altra jiartt; addurrò, con quiete ed umiltà
di mente, le quali prima ti mostreranno che i demoni e
gli angioli siano oltre il numero delle sfere celesti , e poi
quel che essi siano ; e perciocché in due modi teco posso
priicedere, l'uno argomentando da quelle cose, che a voi
mortali sono più note, a quelle che a' vostri sensi si na-
scondono, l'aitru co iiinciando da quelle, die prima sono
per ni'tiira . da noi piiuia conosciute, discendendo all'al-
tre, delle quali voi avete maggior conoscenza, mi giova
nel princi])io usar la prima maniera di prove, ed argomen-
tar da' scusi. Dico dunque che se gli angioli e demoni non
fossero, non "^i potrebbe rendere la cagione di molti effet-
ti, che si vedono, e il progresso e lordine dell'universo,
in alcun modo sarebbe manchevole e discorde da se stes-
so, e il mondo intieramente d Ugni ornamento non sareb-
IL MESSAGGfERO XVII
be fornito; onde COSÌ per dar alcuna cagione di quel clie
appare , come per non concedere o difetto nella iNatura , o
iniperfezion nel mondo , è necessario che i demoni sieno
conceduti; e cominciando a distender gli argomenti dagli
efli'tti n.aravigliosi , se sono i maghi, e le streghe, e li spi-
ritali, sono i demoni: ma di quelli niun si può duhitare
che in ogni età non se ne siano ritrovati alcuni; dunque è
irragiducvole il duhitare che si ritrovino ,i demoni, he
i maghi e le streghe siano , assai chiaro il prova l'autorità
delle vostre leggi , le quali vanamente avrehhono imposte
le pene a colali artefici , se non si ritrovasse chi cotal'arte
esercitasse; e s'alcuno è, a cui l'autorità delle leggi non
{'aucia haslevole argomento , costui almeno non rivocherà
in dubbio l'istorie della verità, delle quali chi dubita, non
più dubiterà se siano i demoni, che se siano stati 1 Romani,
o i Greci. Tu hai letto i miracoli di Simon Mago, e bai lotto
It; maraviglie, cl.'e facevano i maghi di Faraone, converten-
do le verghe in serpenti, ad emulazione di Mosè ; e se pure
hai maggior vaghezza dell'istorie de'Gentili,che delle Cri-
stiane, o Giudiiiche, devi ancor ricordarti di quel, che leg-
gesti d' Ajiollonio Tianeo, e di quella cosi mirabii mensa
jIì Gimnosotisti , e degli altri miracoli loro, e de'Bracma-
ni , e del niaraviglioso modo, col quale Apollonio uscì del-
la prigione, ove inchiuso l'avea l'ira dell'Imperatore. Che
dirò delle cose di Settentrione? Non hai tu letto che Re-
gnerò, re di Svezia, a guisa d'un altro Ercole p:;rsegu ita-
lo dalla matrigna, combattè con un esercito di larve e di
fantasmi n )ltLirni? e Germone similmente re, guerreggiò
con un gregge di ferucissimi mostri oltrala Buarinia. in
luoghi privi d'ogni luce, e per oscurissime tenebre terrii)i-
li e spaventosi? E quale è maggior maraviglia di quella
d' Erito, tuttocchè la nari'azione ne reciti tanto spavento?
Aveva costui un cappello , e dovunque il rivolgeva, subi-
tamente da quella parte spirava il vento desiderato: laon-
de dall'avvenimento fu chianiato il cappello ventoso. I
Finiij il vendono a' mercanti, che sono impediti dal tempo
contrario. Laonde non ci debbiam pili tanto maravigliare
delle favole d'O nero, nelle quali Eolo il rinchiude negli
otri. Agberta, figliuola del gigante Vagtiosto, [>er arte uit-
Diuloshi T. Ili l.'
Xvill IL IvfESSAGGIERO
gica soleva trasformarsi in tutte le forme, e alcuna volta
pareva che toccasse il cielo con la fronte, alcuna altra ran-
niccliiantlosi diveniva di picciolissima statura, e si credeva
che potesse tirar giù il cielo, sospender la terra, condurre
i fonti , intenerire i monti, portar le navi sopra le stelle,
precipitar gli rei nell'abisso, estinguere il sole, illuminar
l'inferno. D.i un'altra maga, Adingo re fu condotto sotto
terra, e gli furono mostrati i regni dell'inferno, e i mostri,
cl.e fanno la guardia alla reggia di Plutone . Taccio di
Grultunna, la quale acciecò i difensori d'Almerico, in
guisa che volsero l'armi centra se stessi, non altrimenti
che fìicessero i guerrieri usciti dai seminati denti del ser-
pente. Taccio le pentole riversate, comune instrumento
di tutte le maghe. Taccio il mago Marino, che passava l'o-
ceano usando alcune ossa incantate in vece di nave, né su-
perava più lardi gl'impedimenti dell'acque, ch'altri fac-
cia con le vele e co' venti. Né ti riduco a mente Oddone,
che fu mago e corsale similmente , e più noceva a' neinici
con l'arte magica, che con quella d'andare in corso. Né ti
ricordo y^///«o, vecchissimo oltre tutti gli altri incantatori,
il quale condusse e ricondusse schernito il re Adingo per
l'allissime onde del grossissimo mare. Né ti vo'ragionare di
Gliilherto , che fu legato da Cullilo suo maestro. iMa non
posso tacere di Nerone, il quale desiderò di saper Tarte ma-
gica per poter agli Dei comandare, com'agli uo;nini signo-
reggiava; nondimeno non potè imparar l'arte dal mago
Tindute, quantunque gli avesse assegnato un regno. Ma tu
peravvenlura non presterai credenza a scrittore, che non
sia confermalo dal comune parere delle genti, onde io non
ti conforto a credcie di lui se non quel , che ti detta la ra-
gione. Ma all'istorie de' Romani, qual' è cosi barbara na-
zione, che non dia fede? o qual religione, che non appro-
vi le cose che in esse si contengono, come vere? E se tu
credi all^istorie de' Romani , come puoi credere che gli
Spiriti non sieno? Quel serpente d'Epidauro, che dal tem-
pio di Esculapio seguì volontariamente i Legiiti de' Roma-
ni sino a Roma, ove giunti liberò la città dalla peste , che
altro potè esser che uno Spirito immortale, di cui sia uf-
liciu il medicar l'infcrmilii de'morlali? E qual cagione o
IL MESSACGIFRO XiX
ilol suo venire, o tìelhi sìidìIii, ch'»"i>li creA a'Roniani, p ilrà
iTiitlcr iilcim filo^ol'o, i! quale non contcdu clic sieno i tlc-
moiii? La statua di Giunone, clic, essendo presa Vejo, dis-
se al soldato Romano, clic per ischerno ne 'a dimandò, di
voler essere tmsportala a Roma , come avrebl)e potuto fa-
\eiiare, s'alcunfi Spirito non le avesse la dura lingua in
umane parole disciolta? o rome quella della Fortuna fem-
minile conseyrata in quel tempo , che Coriohino vincitor
degl'inarati Rom.ini depcise l'arme formidalìiliPNè dal bo-
sco, il (piale era d» dicato a Vesta, poco avanti che Roma
fosso occupata da' Francesi, si sarebbe udita una voce, che
si rilucessero i muri e le porte, allrimcnlì avverrebbe che i
nemici prenderidjbiìno la città , la quale essendo sprezzata ,
fu caijione di grandissima mortalità , che si poteva schitàre:.
laonde di rincontro fu dappoi consacrato un aitnre yljo lo-
queìiti : e colui, che ditde l'avviso al Senato di Ro;na,cbe
Persa Re di Macedonia era stato vinto in battaglia , e 1
diede quel giorno medesimo, eh' egli era stato vinto, co.
me avrebbe potuto esser messaggiero di cosa così incerta
e lontana, se da due Spiriti, che sovra due bianchi cavalli
gli apparvero per via sovra naturale , non fosse stato certo
di quella verità, la quale per via naturale non poteva sa-
pere? E la voce, che dopo la battaglia fra' Romani e' Lati-
ni, s'udì sì altamente ribombare, e dire , eh' un più era
morto de' Latini, di chi altro poteva esser voce, che
di alcuno Spirito sopraumano? Ne si può dubitare che in
quelle cose fosse alcuno inganno degli uomini, carne a ra-
gion si dubita delle risposte degli Oracoli: perciocché nel-
le risposte loro poteva essere alcuna frodo de' Sacerdoti , i
quali non ammettevano nelle scerete parti del Tempio, se
non quando ;, e come lor pareva; ma quelle cose avvenne-
ro non di notte, ma nella più chiara luce d'I giorno , non
ne' luoghi riposti de' bugiardi Sacerdoti, ma su gli occhi
degli eserciti, e de'Senaturi , e furon note non a pochi,
ma a tutta quella gloriosissima Città . Laonde non si può
dubitare s' elle così succedessero, o altramente : ne poten-
dosi render di loro alcuna ragione, né scioglier questo no-
do, se non (come fumo i tragici nello scioglimento delle
favole loro) coU'ajuto delle nature divine ed imnn)rta!i , è.
XX IL MESSAGGIERO
necessario che sì fatte nature siano concedute , oltre quel
luimero delle sfere, che pone il maestro de' Peripatetici ,
e che si dia loro altra operazione ancora , che il movimen-
to de' cieli. Qui si ritenne lo Spirito di favellare, quasi
egli a nuovo ragionamento s'apparecchiasse; quand' io su
le cose dette comiiiciai a dubitare dicendo: Tu hai parlato
de' maghi, e gli effetti loro hai recato ai demoni, come a
a loro cagione. Ma io già intesi che l'opere de'maghi so-
no tutte per virtù di cose naturali, onde vorrei sapere
s' egli è vero, e come. Tu intendesti il falso, rispose lo
Spirito: perciocché alcuni sono incantatori, i quali eserci-
tano l'arte con parole, e le danno compimento; altri già
detti arioli, perchè agli altari degli idoli offerivano abomi-
nevoli sacrific]; altri aruspici, perocché risguardavano l'orCj
ed osservavano i giorni ne'Ior negozi, e consideravano l'in-
teriora degli animali; altri auguri, i quali fanno giudicio
de! volo e del canto degli uccelli; altre pitonesse, e' han-
no lo spirito di Titone, col qual predicono le cose future;
altri genesiarchi , che descrivono le natività degli uomini
per li dodici segni celesti: altri sortieri , i quali da qualche
piriedi Ile membra credono che sia significata qualche av-
versità; altri sortilegi, con nome comune, così nominati dal-
la sorte; altri idromati, perchè rimirano nelle acque l'ima-
gini degli Iddìi, o piuttosto gli inguini de'demoni, e fra
questi furono Pittagora e Nuina Pompilio , di cui si favo-
leggiò ch'avesse dimestichezza con la Ninfa Egeria ; altri
negromanti, i quali ne'sacrifiej, in cui si sparge il sangue,
chiamano l'ombre dell inferno, e fanno resuscitare i morti,
com'è quello che si h'gge d'Ulisse in Omero, o pur di La-
tino in Virgilio; altri, altro non sono che conoscitori della
natura, e della proprietà delle cose, onde può bene insie-
me stare che questi maghi naturali si trovino, e che i
demoni non siano; e gran parte di quegli effetti (che di
tutti non ardirei di affermarlo ) che il vulgo reca ai demo-
ni ed agli angioli, possono alla natura, come a sua cagio-
ne, ridursi: perchè la natura ha composti tutti i corpi di
qualità attive e passive, e nlun corpo naturale è, il qual
operi, che non ripatisca nell' operare: laonde si vede che
la sega segando la pietra, ^lla ne jiertle i denti, o almeno
IL MESSAGGIERO XXI
dalla pietra è rintuzzata; ma ben che tutti i corpi siano vi-
cptklcvolinente atti a fare ed a patire, nondimi^no fra alcuni
è una secreta conformità di natura non conosciuta da molti,
la quale altro non è che amore; e siccome degli uomini al-
cuni amano palesemente, altri secretamente; cosi fann > le
altre cose naturali. Ed è manifesto a ciascuno 1' amore dei
corpi ii'proprj luoghi, ed a ciascuno è noto pariniente che
la terra arida ama l'umidità, e l'erha umida i ragyi del So-
le : ma sono alcuni altri amori dell'erbe con 1' erbe; delle
piante con le piante; e dell'une e dell'altre cogli animali,
e degli animali con loro , e con l'altre opere della natura ,
i quali, simili agli amori secreti degli uomini, non sono co-
nosciuti , se non da' Filosofi: e se come tra gli uomini sono
alcuni odj palesi, alcuni occulti; così fra l'altre cose si
trova inimicìzia di natura, ora palese , come è quella del
fuoco con l'acqua, e delle viti co'luoghi troppo umidi ed
acquosi, e dell'agnello col lupo; ora occulta, o almeno da
pochi considerata ,quarè per avventura quella, che la na-
tura ha col vacuo, la quale, temendo di perire , chiama il
più delle volte in suo soccorso l'aria , corpo pronto e leg-
giero, che per tutto è atto a penetrare e a mescolarsi , e
d'esso si riempie in modo, ch'ella non teme di perire. Co-
loro dunque, che di questi amori e di questi odj secreti ,
che proprietà occulte sono dette da' Filosofi, hanno cono-
scenza intera e perfetta, congiungendo quello, che è atto a
fare, con quello, che è acconcio a patire, o per soverchio
d'amore, o per soverchio d'odio, operano quegli elTetti
maravigliosi che tu dicevi che il vulgo ignorante reca ai
demoni. Dunque, suggiunsi io, tu ancora confessi che la
Magia altro non sia , che saper accoppiare le cose attive
con le passive, onde ne segue che possono esser i ma£;hi
senza i demoni. Potrebbono, rispose lo Spirito, trovarsi eli
maghi naturali, quand'anco i demoni, non si ritrovassero;
ma, come tu medesimo accennasti , non puoi salvar tutti
gli effetti con la Magia naturale: e per non partirmi dagli
esempi, ch'abbiamo addotti, concedendo che per virtù
d'erbe, o di pietre, o d'altro corpo naturale , si possa ti-
rare a sé un serpe, e condurlo ove l'uomo vuole, non sì
potrà per virtù uaturale far mille miglia in un giorno ;
XXIl IL MESSAGGIERO
perdio il corpo umano, il quale è corp'^ grave e terrena,
non solo bisogna che si muova in tempo, ma in tempo
proporzionato alla sua natura , la quale non può fare, o
patire, se non quelle cose, a cui ella lia attiva o passiva
potenza ; onde è necessario che que'due candidi Civalieri ,
che dieder l'avviso della rotta di Persa, non fossero corpi
semplicemente mortali e terreni. Può esser, lo re])Iicai ,
ch'essi per osservazion di stelle prevedessero la sconfitta
del re de' Macedoni, e n'avvisassero il buon uomo Roma-
no, ancor ch'io dubiti molto, se per osservazion di stelle
si possa far giudicio di quel, ch'agli uomini sia per avveni-
re. Io parlerò teco (rispose lo Spirito) di cjueste cose in quel
moda che sostiene la loro natura. Dico dunque che s' un
astrologo avesse preveduta la rotta de' Macedoni, così cer-
tamente come ella avvenne, non è verisimile ch'egli medesi-
mo non avesse voluto rendersi grazioso ai Romani, e pro-
curarsene utile ed onore con così lieto annunzio.-oltreche il
jnodo dell'apparire, e le persone, alle quali apparvero, so-
no circonstanze, che conchiudano che essi non furono uo-
mini, n)a angioli; ma per altro io non niego che un uomo
osservator delle stelle, non avesse potuto prevedere quella
■vittoria, sebben non così agevolmente come un Spirito; né
so vedere , perchè tu disprezzi i giudicj dell'Astrologia.
Io non disprezzo, risposi, cpiella parte della scienza delle
stelle, la quale considera i corsi ed i movimenti loro ; per-
chè questa è così certa , che non so ne può dubitare: ma
non istimo quella parte di essa, che s'affatica intorno ai
giudicj delle cose, che possono avvenire, e non avvenire:
perch'io giudico che il cielo e le stelle non operino nelle
cose inferiori, se non col lume e col moto, i quali alte-
rando gli elementi inferiori, possono col lor mezzo alte-
rare i nostri corpi , ed anche in parte l' anima sensitiva,
che nelle sue operazioni dipende dal corpo, sì ch'io di
leggieri consentirei che si potessero predire la fecondità,
e la sterilità dell'anno, le pioggie, e i venti, e le tempeste,
e direi coi mio Poeta:
Soluin quis (licere falsum
Aiulcat ?
Crederei anco che in conseguenza si potesse far giudicio
II. MESSAGGIERO XXIII
delle pesti e delle infermità , eli' il Cielo minaccia a' mor-
tali, e quindi argomentare la mestizia, o l' allegrezza de-
gli animali; ma degli accidenti della fortuna, com'è il vin-
cere, o 'l perdere in battaglia , l'esser grazioso, o odioso
a' Principi , l'acquistar le ricchezze, o gli onori, o'I perde-
re gli acquistati, non veggio che per osservazion di stel-
le possano antivedersi , perchè questi sono eventi indeter-
minati al sì, e al no, che dipendono dalla Fortuna e dal
Caso, e dal nostro intelletto, e dalla volontà nelle loro
operazioni non punto, a' Cieli edalle stelle soggetti . Ben
crederei che di tali accidenti di fortuna potessero gli Astro-
logi far alcun verisimile pronostico, come fanno i medi-
ci della vita , e della morte dell'infermo; quando si con-
cedesse che il Ciclo operasse non sol col moto , o col
lume, ma con gl'influssi eziandio : ma gì' indussi pare
a me che si pongano senza ragione e senza nccessirà. Sor-
rise lo Spirito, e disse: Ben si pare, che tu contemplando
hai chinati gli occhi su' libri, e non inalzatili al Cielo; per-
chè se tu talora alle stelle gì' indrizzassi , esse con la bel-
lezza della luce loro, ti mostrerebbono clie non son da me-
no, ch'altre volte ti siano paruti gli occhi della donna tua,
o ch'ora ti paiono gli occhi di tale, ch'a le può far noa
sol primavera, e verno, e notte e giorno, come a lui piace,
ma anche piover in te co' moti, e co'giri loro le felicità e
le sciagure, che tu maggiormente temi, e desideri. Cosi
consente il senso agli ultimi detti tuoi , che la ragion non
è ardita di contradire: ma per avventura non è alcuna stel-
la nel Cielo, ch'a gli occhi di chi mi governa, si possa ag-
guagliare. Tu parli, disse lo Spirto, come innamorato, ma
io voglio teco fdosoFicamente ragionando, provarti che se
gli occhi de' mortali operano con altro, che con luce e con
moto , si dee parimente colncedere che '1 Cielo operi nelle
cose di qua giù non solo col lume , e col movimento, ma
con gì' influssi ancora. Così disse egli , ed io tutto pieno
di desiderio ad udii* le sue parole m'apparecchiava; le qua-
li in così fatta maniera mi si fecero udire. Dagli occhi del-
l'amata son cagionati nel petto dell'amante , or con la
grazia de' movimenti, or con lo splendore de'raqgi, diver-
si eflctti, che corrispondono a quelli, chu'l Ciclo col suo
^'X[V IL 3!ESSAGG1ER0
imne, e col suo girare attorno, cagiona nelle cose ioferio-
ri : i))a se inescohita co raggi, passa dagli occhi della don-
na amata nel petto dell'ani atore alcuna virli^i diversa dalla
luce, non depcndcnle da essa, o dal mote, ma dalla sostan-
za, e dall'altre qualità , benché accidentali dell'occhio, è
verisimile che col lume de' Cieli s'infonda ne' corpi infe-
riori alcuna virtù, che non derivi dal moto, o dal lume,
ma dall'essenza del Cielo , e da altre qualità , ch'oltra la
luce e M movimento, sono in lui: or se consideriamo pri-
ma quel che possono operar gli occhi dell'auiata, e come,
e poi gli effetti , e i moti del loro operare con quelli del
Cielo andiam paragonando ; nell' occhi) due cose si posso-
no considerale, la virtù del vedere, eh 'è quasi l'aninia sua,
la quale per se non s'invecchia , ne si indebolisce, e l' in-
stni mento , col quale opera la detta virtù , e col quale di-
viene debile e vecchia , e questo altro non è , che '1 corpo ,
o la materia dell' occliio , che vogliam chiamarla, materia
in cui quel, che signoreggia, è l'acqua, perchè dovendo el-
la ricevere l'imagini delle cose visibili, e ritenerle, non al-
tramente, che faccia lo specchio, conveniva che fosse ta-
le, che potesse patire , e ritenere . La terra sarebbe stata
atta alla ritenzione, ma non era molto atta per la durezza,
e resistenza sua al ricevere. L'aria, che facilmente riceve,
difllciloienle avrebbe riteimto, e più difficilmente il fuoco,
il qual dell'aria è inen sodo , e più s'avvicina alle nature
incorporee: solo dunque l'acqua era materia convenevole
dell'occhio, se la vista si la per ricevimento deiriinagini ,
come giudicò quel Filosofo, che nelle cose sensibili più
degli altri fu sensato. Ma perchè l'occhio è quasi specchio
dell'anitua, perchè in ninna parte esteriore ella più mani-
festa delle sue operazioni, era ragionevclc ch'egli potesse
non solo patire, ma operare; e per questa cagione la natu-
ra mescolò col cristallo del suo corpo alcuni raggi puri , e
sottili, che sono iu lui transfusi o dalla più pui'a parte del
sangue , ovvero dell'-anima stessa : e questi raggi spargen-
dosi quasi visibilmente dagli occhi , hanno data altrui ma-
teria di credere ch'essi andando a ritrovar l'oggetto , fos-
sero cagione della vostra veduta. Comuncjua sia, questi
raggi operano ne' corpi altrui, non sol come huuinobi, o
IL MESSAGGIERO XXV
come moventi , ma anche come i'iipressi d'altre qualità;
fjiiiiui avviene clie, purijandosi la donna del suo soverchio
e inen puro sanyu'-, suole avere i rjiggi infetti e contami-
nati , e se riguarda nello specchio il lassa d'alcuna piccio-
la macchia appannato, e può l'occhio non solo per questo,
ma per mnlt'«ltre cagioni mandar fuori co' raggi alcuna
quasi esalazione, che lassi impressione; onde il tuo Petrar-
ca essendo tornato a solvere il digiuno , ch'avea della vista
di Madonna Laura, trovando l'occhio suo turbato, e scuro
per alcuna infirmità, dice:
Mosse i'irtù , che fé '/ mio infermo, e bruno
e soggiunse ;
Che dal destr' occhio, anzi dal destro sole
De la mia donna al mio deslr occhio venne
Il mal, che mi diletta , e non mi dole ;
E pur coni' intelletto avesse , e penne ,
Passò, quasi una stella , che 'n del vale,
E natura , e pietate il corso tenne.
Ma se quegli accidenti, che sono qualità dell' occhio, in-
quanto egli è corpo, come è per avventura il lagrimoso
rossore, ond'era infermo quel di Laura, possono operare
negli occhi altrui, e transfondervi le sue qualità , potran-
no adoperare il niedesi'no effetto le qualità, che appajono
ne' lumi, in quanto essi sono animati; l'ira, dico , lo sde-
gno, la speranza , il ti'Hore , l'allegrezza , e la noja: ma
due passioni apparendo nelle luci di chi si sia , operano ef-
fetti incredibili, ne riguardati; l'uno è l'amore, l'altro è
l'invidia: e tacendo perora dell'amore, chiara cosa è, e
tu r hai mille fiate udito dire, e vistane alcuna'^sperienza,
che l'occhio dell'invidioso affascina colui, a chi si porta
invidia , perchè il veleno dell'anima per lui trapassando,
offende quell'oggetto, verso cui si rivolge. Il fascino dun-
que non è , che malignità di vapori ricevuti per invidia di
sguardo, il principio della quale è nell'aniino come in sua
radice ; dico come in sua radice, perchè tutti gli effetti se
ben son moti dell'anima, sono pari^nente movidiento del
corpo; ed alcuni dal corpo passano nell'animo, altri all'in-
contro dal corpo all'animo sono accomunati, e comune è la
passione d'amendue ; però nell' ira il sangue s'accende, ed
XXVI IL MESSA GGIERO
il core si muove di moto più veloce; nel timore, quello
s'jtgghiaccia , e questo trema,- nell'amore ancora il sangue
bolle , al cure alla presenza dell'amato oggetto velocissi-
inainente palpitando, è cngione clie gli altri moti del cor-
po si allrettino: onde il Fisico gentile nell'alterazione del
polso, s' accorse dell'amor d'Antioco versQt. la madrigna.
Ma l' invidia, essendo all'etto assai lento , e tardo, non va-
ria tanto il iiiovjmctito del cuore, ma contaminandc» il san-
gue, sparge la faccia d'alcuna lividezza , ed infetta gli spi-
riti degli ocelli più , clic niuu' altra passione, eccettuato-
ne l'amore. Or raccogliendo quanto ho detto , l'occliio
non sol col lume, e col moto opera mg!! oggetti, ma
anche con l'altre sue qualità. Considerisi ora nel Cie-
lo quel, che negli occhi è considerato, e vedrassi che
sarebbe irragi^.nevole il credere che le qualità del Cielo,
e delle luci eterne, ed i nmortali, siano uieno efficaci, che
quelle de' lumi caduchi, e mortali. Dunque non solo col lu-
me, e col moto opera il Cielo, né solo dalla diversità di que-
ste due cose procede la diversità degli effetti suoi, ma dal
raro, e dal denso eziandio, perchè le parti dense operano
con maggior efficacia, che non fanno le rare. Oltre a ciò,
l'union dell'intelligenza co'corpi celesti è cagione di molta
varietà d'effetti, e di tanto maggiori, che non è quella del-
l'anima con l'occhio, quanto che l'anime di tutti gli uo-
mini sono d'una medesima specie , e 1' una dall'altra per
numero solamente è distinta; ma l'intelligenza d'un Cielo
da quella d'un altro, è per ispecie diversa ; e se ciascuna
natura specifica ha una propria virtù, secotido la quale
opera divei'samente dell'altre, è necessario eh' ogni intel-
ligenza abbia propria virtù, onde proprj effetti sian cagio-
nati: e se tu ti rammenti d'alcuni versi di Dante, vedrai
che questo, ch'ora io ti insegno, non è dalla tua opinione,
benché detta in altro proposito, molto diverso. Ben me ne
rammento, risposi io , e son questi:
Dentro dal del della divina pace
Si gira un corpo j nella cui virtute
U esser di tutto suo contento giace.
Lo Ciel seguente , e' ha tante vedute ,
Queir esser parte per diverse essenze ,
Da lui distinte , e da lui conosciute
IL 3IESSAGGlEno XXVH
Gli altri girali per \>arie differenze
Le distinzione che dentro da se hanno ,
Dispongon a lorjini , e a lor semenze .
Questi organi del mondo così vanno.
Come tu vedi ornai di grado in grado ,
Che dì su prendono, e dì sotto fanno .
Riguarda ben ornai siccome io vado
Per funesto loco al ver , che tu desiri ,
Si che poi sappi sol tener lo guado .
Lo moto, e la virtù de' santi giri
Come dal fabbro V arte del martello ^
Da' beati motor convien che spiri.
Qui m' iriterroppe lo Spirito , e disse: Vedi com'egli di-
stingue il molo dalla virtìi . Ed io seguii , accennando;
E'I Ciel cui tanti lumi fanno bello
Della mente profonda , che lui volve ,
Prende r imago , efassene suggello.
E come V alma dentro a vostra polve ,
Per differenti membra , e conformate
A diverse potenzie si risolve :
Così la intelligenzia sua bontate
Multiplicata per le stelle spiega ,
Girando se sovra sua wiitate .
flirta diversa fa diversa lega ,
Col prezioso corpo, di ella avviva,
Nel qual siccome vita in voi si lega .
Qui io mi tacqui; ed egli continuando il cominciato propo-
sito seguì : Ornai credo che tu chiaramente conosca eh' è
ragionevole che le Stelle non operino solo col movimento;
ma perchè ciascuno di loro ha particolar virtù , vari sono
gli effetti, che quaggiù producono, perciocché la virtù
dell'una può molto aiutare, o impedir la virtù dell'altra,
ed il Petrarca ( parlo teco volentieri co' versi de' poeti,
perciocché so che tu dai loro molta credenza ) volendo
descriver il felice nascimento della sua Laura , disse:
// dì , che costei nacque eran le stelle ,
Che produconfra noi felici effètti ,
L' una ver i altra con amor converse.
Venere^ e 'l Padre con benigni aspetti
5iX\*Ìll IL MESSAGGIERO
Tenean In parti signorili , e belle,
E le luci empie , e /'e/le
Quasi in tutto dal del tran disperse .
Qui si taceva lo Spirito, quand'io cosi dissi : Assai son io
pago della prova , con la quale tu mi diinostri la piogi^ia
degi influssi colesti ,. perchè il piacere è quella prova , a
cui agevolmente ci lasciamo persuadere; ma ben moltodu-
bito, se l'uomo p(jssa aver alcuna scienza , onde sia atto a
far giudicio delle cose avvenire. Ed egli: Che tu di cotesto
dubiti, non mi dispiace; ed io nel dubbio confermandoti, di-
co che diflicilmente può 1' uomo per osservazion di stelle
giudicar le cose futui.'e , perciocché l'arte è lunga, e fon-
data sovra congietture, e sovra esperienze , e la vita di voi
altri mortali è molto breve, onde né ad apprender questa
scienza ella è interamente bastevole , né a conoscere 1' oc-
culte proprietà delle cose: ma quelle creature, a cui termi-
ne di vita non è circonscritto , contemplando pertanto
migliaia d'anni le stelle, innalzandosi sovra l'aere misto, e
caliginoso sì , che nube, o nebbia nDU può loro i'upedir
l'aspetto, di leggieri hanno potuto apprendere l'Astrolo-
gia; e con l'istessa agevolezza hanno conosciuta l'occulta
natura delle cose. Laonde, accoppiando l'una con l'altra
scienza, possono naturabnente far molte meravigli. , e quel-
li, che son detti maghi, avendo con questi spiriti tamiglia-
rità, da essi imparano ad operar quelle cose, ch'empiono
altrui di maraviglia perché de' maghi naturali pochi si ri-
trovano, e quei pochi non sapendo perfettamente né la
naturai scienza, né quella delle stelle e de' corpi celesti,
non possono congiunger insieme tutte le cagioni, onde pro-
cedono i miracoli dell'arte, sì ch'ornai ben puoi tu vede-
re eh' assai buono é quell'argomento, che se i maghi si
danno, si danno i demoni. Allora io così ripresi il ragiona-
mento : Quel giusto Greco, ch'ingiustamente fu accusato
di impietà all'ingrato popolo Ateniese, purgando la calun-
nia, fa argomento simile a cotesto tuo: chi crede al figliuo-
li degli Dei, crede agli Dei ; inaio credo che si trovino
gli Eroi, che degli Dei son figliuoli; dunque é necessario
ch'io non dubiti che gli Dei siano. Così argomenta egli;
ma a me pare che molto maggior difficoltà porti seco
IL MESSAGGIERO XX i X
quel , che toglie per mezzo della prova , che non porta !a
cosa provata, percioccliè molti concederai! che gli Dei
siano, i quali negheranno die gli Dei possano con le don-
ne mescolarsi. Qui sospirò io Spirito, e rispose.- Cotesto ad
alcuni è stato persuaso, perchè avevano letto nelle sacre
lettere che i giganti sono figliuoli dt^gli angeli e delle don-
ilo. Ma siccome quegli angeli furono uomini, così uomini
Inrono gli Dei de'GenUili, la genealogia de'quali fu descrit-
ta da Esiodo, e dal nostro Boccaccio. Or io passerò alla se-
conda prova, con la quale io intendo di conchiudere che
siano i demoni, e gli angeli , presa dall'ordine dell'univer-
so , che da Dio e dalla Natura sua ministra è stato osserva-
to. Non suole, se ben tu ti ricordi, passar la natura dall'u-
no estreino all'altro senza alcun mezzo. Laonde tra le spe-
cie inferiori e le superiori sono interposte quelle, che par-
licipano dell'une e dell'altre: così la natura va ascenden-
do dalle cose sensibili alh^ intelligibili quasi per gradi . La
primo specie di cose sensibili, che vi si appresentano, per-
chè li consideriate , sono i corpi semplici : ma da loro non
])assa la natura a'tnisti perfetti , se non per mezzo degli
imperfetti mescolatamente. Imperfetti chiamo io quelli,
che di due elementi; perfetti quelli, che di tutti sono com-
posti, de'quali alcuni sono inanimati , altri animati . Ed il
primo grado degli animati è quello, che ha l'anima vegeta-
tiva solamente , nel quale sono l'erbe e le piante ; ma tra
questi e gli animati, che hanno tutte le sentimenta , si tro-
vano però alcuni di dubbia natura, i quali par che parte-
cipino delle piante e degli animali; perciocché sono immo-
bili come le piante, ed hanno il vivere e '1 nutrire e'i ge-
nerare , e, .come gli animali, il senso del tatto , e tale è la
spongia, ed alcune conchiglie, che stanno affisse agli scogli.
Da questi fa passaggio la natura agli animali che d'alcun
senso son ])rivi, com'è la talpe, che non vede Di quelli
che hanno tutti i sensi, alcuni si muovono raccogliendosi
e distendendosi , alcuni oltre procedendo: sicché il moto
degli uni par quasi mezzo fra il moversi e il movimento
degli altri . Ma nell'uomo si congiunge quasi in un nodo
deH' universo la natura morhile e l'inimortale, perciocché
egli ha il corpo mortale e T anima immollale, la quale se
XXX IL MESSAGGIERO
V immortale non fosse, in ninno altro soggetto si potrebbe
congiuiìgere 1' una e J'altra natura. Ma se dail'uomo sen-
za alcun mezzo si passasse a Dio, si salirebbe senza gradi,
e questa sarebbe non salita, ma salto. Laonde è nt-cessario
cbe tra Iddio e l'uomo si ponga alcun mezzo , o piuttosto
molti; percioccliè se tra iddio e 1 uo ao t isse un solo iii(,-z-
zo, una sola sarebbe la specie intelligibile ; ma sono molti,
percioccbè non debbono essere in iiiinor numero delle
sen^iblli, ma più tosto in maggiore; conciosiacos.icliè le
intelligibili non sono in tempo come le sensibili , ma iu
eternità, e l'eccellenza dell'eternità ricerca cbe in lei sia-
no più specie, e più perfette che nel tempo. Oltre a ciò se
le specie naturali, le quali sono quasi rinchiuse e ristrette
dentro all'angusto seno della materia , in guisa che per lo
subbietto non possono esser distinte , nondimeno per se
medesime si distinguono, e s'allargano in grinulissimo nu-
mero. Questo maggiormente è ragionevole che quelle
sostanze cbe vivono in se stesse senza la materia , si distin-
guano e multiplicbino per se stesse. Finalmente il mondo
non sarebbe perfetto, se delle migliori nature fusse priva-
to, o se meno fusse abbondante delle migliori, cbe delle
peggiori. JNè quello cbe tu dicesti, che le menti non deb-
bono essere più de' cieli mossi da loro, è vero, perchè elle
non debbono essere numerate secondo la men nobile ope-
razione, la quale è il muovere i corpi , ma secondo la più
eccellente, che è l'intendere Iddio, il quale percliè è tan-
to più manifesto , quanto più sono gì' intenditori , è con-
venevole cbe colassù ci siano gli angioli quasi iidiiii-
ti , come speccbi ne" quali il Sole intelligibile risplen-
da. E quantunque ricevano quasi tutta hi luce, e se ne
facciano belli e ielici , non la ricevono però in quel mo-
do che fanno gli specchi quaggiù la luce de! Sole, da' qua-
li ella in altrui non suole trapassare, ma la trasfondono
nella mente, dalla quale discende nell'anima ragione-
vole, SI cbe ella con molli mezzi si congivmge a Dio.
Qui fermò alquanto, quasi dubitando, lo Sj)irito. Ed io; Se
l'anima è immortale , Soverchio mi p.ire che sia il porla
.specie de' demoni, ptrcioechè 1' uomo solo senza allro, ini
par convencyol mezzo a congiunger nell universo la natu-
II. MESSAGGIEllO XXXI
ra dei^ii animali, con quella degli angioli, avendo egli lo
intelletto come gli angioli, ed il corpo , e li sentimenti co-
me gli uiii'nali bruti. S'io lio bene osservato il procedere
della natura, quel, che fra due specie di cose discordie
posto, deve con l'una in una qualità, e con l'altra in un'al-
tra esser concorde: onde l'actfu» , che è fra la terra e l'a-
ria, è fredda come la terra , ed umida come l'aria; e l'aria
che divide l'acqua dal fuoco, assomigliandosi all'acqua
neli'esser umida, al fuoco nell' esser calda è soaugliante.
A questa ragione lo Spirito così rispose: Bene argomenti;
nondimeno siccome l'anima dell'uomo è mezzo fra l'ani-
ma de' bruti , e gli intelletti angelici ; così anco se 1' nomo
dovesse esser il perfetto mezzo tra l'una o l'altra natura,
dovrebbe il suo corpo in parte al corpo degli animali, e in
parte a' corpi celesti assomigliarsi: ma essendo il corpo
umano non men sottoposto a tutte le passioni, ed a tutti
gli accidenti , né men corruttibile, che sia quel de'bruti,
ne seguita che si debba dare un corpo , che fra il celeste e
quel de'bruti sia con deì)ita partieipazione interposto: e
questo è quel de' demoni, il quale è acconcio a patire,
jterchè njai non muojano i demoni , quantunque alcuni
abbiano creduto che muoiano dopo lunghissimi tempi, co-
in' è il corpo dell'animale e dell' uomo , ed incorruttibile
come il corpo celeste: voglio anco di più aggiungere , che
l'umana ragione non è (piai tu credi, cioè quale è l'in-
telletto degli angioli , perciocliè la vostra ragione non in-
tende se non con discorso, e con sillogismo , ove l'intel-
letto angelico conosce senza alcun argouiento in quella
guisa forse, che voi mortali conoscete alcune poche cose ,
che da voi son dette prime notizie: mi anche in un modo
più perfetto; perciocch'egli riguardando in Dio può in-
tendere in lui le cose tutte con maniera più sovrana, e più
eccellente: ma rinlel'elto de' demoni , come ch'egli pos-
sa a vostro uiodo sillogizzare, nondimeno nel suo discorso
tanto più del vostro è veloce, che'l suo modo di conoscere
è molto alla cognizione angelica somigliante . Conchiudo
dunque, che l'uomo non è il perfetto legamento delle co-
se inferiori, con le superiori , come molti lumuo creduto ;
ma che fra l'un^ana e la divina natui»!, quelli de'demoui
XXXII IL MESSAGGIEUO
sia interposta ,• e questo stesso con un'altra ragione inten-
do di provarti, la quale s;ià l'ultima di quelle, ch'ai no-
stro sentimento non ripugnano. Tu sai eh' due nomi s'at-
tribuiscono al mondo, uno di Universo, l'altro di Orna-
mento, elle questa parola corrisponde a quella, con la
quale il cliiainavano i Greci : né per altra cagione con tali
nomi gli furono attribuiti , se non perch'egli deve in se
contener tutte le cose, ed esser d'ogni ornamento abbon-
dante : ma s'egli fosse privo flella specie dc'deinoni non
sarebbe perfetto, ne intieramente adorno; perfetto egli
non sarebbe, perlocbè cesserebbe il commercio, e la co-
munanza de' beni , che è fra la divina natura , e l'umana ,
essendo gli Angioli quelli , die di qua e di là portano, e
riportano quello , ch'a' mortali è necessario, o giovevole,-
a Dio grato, e dovuto; uè adorno egli sarebbe, perciocché
l'aria , della quale i demoni sono abitatori, sarebbe affatto
priva d'animali, non polendo gli augelli, propriamente
animali dell'aria esser addimandali ; e se ciò estrano ti pa-
re , intendine la ragione. Animali propriamente cittadini
d'un elemento son quegli, i quali non solo si movono ; ma
riposano ancora in lui, ove sian tali, che la loro natura
non richieda il continovo movimento, come il richiedono i
corpi celesti: ma gli uccelli essendo animali, che hanno biso-
gno d'alternar il moto con la quiete , non possono riposar
nell'aria; ma si ftirmano nella terra, o in alcun corpo
composto, in cui quel , che signoreggia , sia la terra; ne
segue dunque che d'altri animali abbia la JNatura fornito
l'aere, e questi sono i demoni, a' quali l'aria per la leg-
gierezza de'corpi loro, potrebbe far letto non altramente
di quel, che faccia la terra a'suoi più gravosi, se pur i cor-
pi si stancassero per !a fatica. E questa coiicliiiisioMe da una
ragione assai naturaU; può esser confirmata , perchè non è
verisimile che qucill'elemento , che è più vitale degli al-
tri, quello sia fatto privo de'proprj animali: e chiara cosa
e che l'aria è j)iù vilal di ciascun altro, pereh'cgli è com-
posta di caldo, e di umido, qualità sovra le quali si fonda
la vita, e qualità più atte alla generazione, e al nutrimen-
lo, che tutte l'altre ; |)ercif)cehc il freddo, ed il secco son
nemici della natura , e della vita, ed il fuoco per la sua so-
IL MESSAGGIER(3 XX.XIH
^/ercliia seccliezza è sterile,- e di qui avviene che presso i
Roinaai Vesta , eh' era la Dea del fuoco, era ])reposta alle
vergini, e verjj;irii enìno le sue sacerdotesse : lii ttrra nondi-
meno, se ben e fredda, e secca , è atta alla generazione, e
al nutrimento; in tanto, ch'ella fu creduta esser non solo
madre de' giganti , ma dogli Dei ; e ciò avviene per la sua
natura soda , e stabili', la qual è atta a ritener tutte le vir-
tiì, che piovono in lei dal Cielo, onde ingravidata de' semi
celesti, e riscaldata da' raggi del Sole , e bagnata dalle
pioggie , e dulie rugiade , è fecondissima di tanta varietà di
cose , e di tante ricchezze, che gli altri elementi , poveri e
sterili in suo paragone son giudicati . ne' quali gì' influssi ,
e le semenze, per cosi dir, del cielo non si posson fermare,
non essendo essi alti a ritenerli , ma da loro nella terra so-
no transfusi: e quinci forse avvenne che i Pittagorici stima-
rono che l'abilazione degli Idùti è quasi la terra, e la reg-
gia fosse nella terra: ma la particolar cagione, per la quale
ella fu detta esser madre degli Dei , è perchè non sol tutte
le cose inferiori, ma i corpi celesti, e gli angioli eziandio,
sono in alcun modo composti di potenza , e d' atto ; e sotto
il nome della terra allegoricamente vien la potenza signifi-
cata, siccome il nome di Celo, padre di Saturno, al quale
tutti gli Dei , come figli, e nipoti si riducono, ci è signifi-
catore dell'atto . Un'altra cagione forse oltre la prima si
può rendere , perchè la terra sia detta madre degli Dei ; e
aiiesta è, perchè voi mortali tutti traete il corpo dalla
terra , alcun de'quali , dopo che l'anima sua esalila in
cielo per valore, e per grazia impetrando d' esser riposto
nel numero degli Dei, non si dirricnlica però del materno
amore, uè si disdegna d'esser figliuolo della terra nomina-
to. Qui io l'interruppi, e dissi: Per qual cagione vuoi tu
che'l nostro corpo sia tratto dalla terra? non è egli com-
posto di quattro elementi ? SI, rispose , ma chi in lui signo-
reggia, e che determina il suo tnovimento, è la terra, per-
ciocché tu hai a sapere che se nel corpo non fosse un'eld-
jnento, che signoreggiasse , egli a ninna parte si movereb-
be: onde è famosa proposizione che non si dà corpo egua-
le al peso ; la quale si dee stendere non solo alla gravità,
ed alla leggerezza, che inchinano al uiovinienlo: ma all'al-
iai^/o^/jì 7. iii. -^
XXXIV ILMESSAGGIERO
tre ancora, dalle quali nasce la complessione: né ti maravi-
gliare , se i corpi degli animali sono necessariamente com-
posti , poiché né anche alcun elemento si ritrova non me-
scolato, avvegnaché ahbia la terra sempre rinchiuso in sé
alquanto d'aere, e d'acqua: e l'acqua sempre mescolato
in sé alquanto del terrestre : e ove ella per se non sarebbe
di alcun sapore, dal mescolamento della terra acquista
d'esser saporita , e spira oltre di ciò molte fiate alcuni fu-
mi, che sono di natura d'aere; e l'aere, de'vapori , e del-
l'esalazioni, ch'a lui mandano l'acqua , e la terra, è tutto
ripieno ; e'I fuoco eziandio, in quella parte, che con l'aria
confina, molto della natui'a dell'aria partecipa: e'I cielo,
non ch'altro corpo, il quale fra tutti gli altri è semplicis-
simo , siccome mostra il moto circolare, non solo delle vir-
tù degli elementi , ma delle parti loro più pure è compo-
sto: e , come gli Àsti'ologi per isporienza osservata inse-
gnano ne' loro ammaestramenti , i pianeti tutti delle (}u;ili-
tà degli elementi son dotati; e perciò possono più agevol-
mente nelle cose inferiori operare. Qui si taceva lo Spirito,
ponendo sosta al sno lungo ragionamento; ed io fra me an-
dava alle ragionate cose ripensando, quando sovvenendo-
mi dun dubbio, il quale mal da me poteva esser soluto,
così rincominciai a favellare: Tu hai detto che '1 corpo
de' demoni è interposto, c[uapl mezzo, Ira "1 celeste , e quel
degli uomini, onde rome quello è immortale, e come que-
sto atto a patire, passit)ile: ora vorrei sapere, se i corpi ce-
lesti si pesson cosi dir corpi dell'intelligenze, come queste
mie membra son corpo dell'anima mia, e come le tue del
tuo spirto son corpo. Non rispose egli, perchè l'anima tua
informa il tuo corpo, ma l'iritelligenze non informano, ma
governano i cieli in quella guisa , che'l nocchiero siede al
governo della nave ; che s' elle informassero il cielo, non
si potrebbono da lui separare, né apparire a voi mortali.
Dunque, soggiunsi io, per questa ragione l'anima mia non
dal corpo è separabile? Non, replicò egli, quell'anima tua,
che informa il tuo corpo, ed in ciascuna parte d'esso si ri-
trova, ma l'intelletto tuo si può dal tuo corpo separare,
e dividere, il cpiale anch' egli al reggimento delle membra
tome il nocchiero alla nave è proposto . Qui di nuovo
IL MESSAGGIERO XXXV
avoa fi'tto silenzio, quand'io dissi : Ma se l' anima ragione-
vole fosse moilalii , potrebbe ella con Dio congiungersi ?
Sovercbia è ora questa dimanda , disse egli, jjoicbè già s'è
provato cb'ella sia immortale. Sì forse, dissi io, la mento
che tu distingui dall'anima ragionevole; perciocché s'ella
non fosse immortale, come dicesti, non si congiungerebbe
in un soggetto la natura mortale e l'immortale. La men-
te , rispose, è parte di quell'anima, cbe anch' ella è detta
mente, e quasi suo capo . Ma chi vede mai il capo immor-
tale , quando i' al7re parti sono mortali ? Que'filosoli dun-
que, clie l'una b/in fatta immortale, e l'altra mortrile, quan-
tunque all'una non abbian dato seggio diverso da quello
dell'altra, sono stati quasi manigoldi della mente , e falsa-
iiiente hanno filosofato. E bencLè l'anima ragionevole sia
forma del corpo, nondimeno non è tratta dal seno delia
materia, né si divide, o si distende col corpo; ma siccome
il signore si sta nella casa , così ella si sta nelle membra ,
laonde ella se ne può sferrare . E se avviene ch'ella non si
Inutli nelle brutture del corpo, se ne sale al cielo pura e
incontaiuiiiata , ma s'ella si contaminasse nelle sue lordu-
re , se ne va colà ove si pvirga , come leggesti nel tuo
Poeta :
Ergo exercentiir poenis, veterumque maloruin
Supplicia expendanl . Aliae panduntur l'nanes
Suspensae ad ventos: aliìs sub gurgite <^'asto
Infectuni eluìtur scelus, aut exuritur igni .
Cosi parlava lo Spirito, ed io pendeva dalla sua bocca, quan-
do egli così soggiunse : Veggo ohe intentamente m'ascolti,
ed assai mi piace cbe non ti dimostri ritroso alle mie ra-
gioni molto diverse da quelle, cbe usano alcuni filosofi fa-
mosi, i quali o sono costretti di confessare che l'una veri-
tà all'altra sia contraria , o almeno d'essere anzi amatori
del falso; che del vero: laonde oltre seguirò. Or lascia ogni
miscredenza, e innalzati meco più su che non arriva il sen-
so o la ragion naturale, ed abbia ferma credenza ohe quel,
ch'io ti dirò sarà verissimo , benché in alcuna parte sarà
ricoperto d'alcun gentil velo , e questo anclie, quando cbe
sia, o quando tu il meriterai, dalle tue membra rimovcrò .
Iddio, che sommamente, e iniinitanaente è buono, ab eter-
XXXVI IL ]\IESSAGGIF.RO
no intese la sua bontà, e intendendola ab eterno l'amò, e
perciocché Iddio conoscitore , e amatore della, sua bontà
era in guisa perfetto, che di niuna cosa fuor di sé poteva
esser bisognoso; non era necessario ch'egli ab eterno l'al-
tre cose producesse: volle nondimeno produrle , perchè è
buono, e perchè in fjne! che è buono, non è invidia, niuna
invidia potè ritenerlo ch'egli non compartisse l'essere al-
l'altre cose, e in loro non dispiegasse la sua bontà ; e volle
che tutte le cose gli si assomigliassero, quanto la natura di
ciascuna comportava. Fece dunque Iddio il mondo, ma
prima ( cosi conviene che teco parli ) ad esempio di quelle
idee, che ab eterno erano nel suo intelletto, fece le foj'me
intelligibili, le quali furono quasi infinite, perciocché il
Lene è fecondo per natura, e spargendosi da Dio nelle co-
se fuite da lui, si tiiultiplica , quasi unità ne'numeri: e que-
ste furono l'idee de' due sovrani Cieli , quella di Saturno,
quella di Giove, quella di Marte, quella del Sole, di Vene-
re , di Mercurio, e della Luna: e oltra queste, 1' idee del
fuoco, delTaria , dell'acqua, e della terra, che V'uioano,
Giunone, Nettuno e Plutone doveano esser nominate. E
sebben Iddio conosceva che oltre queste nature intellet-
tuali, niun' altra intellettuale era necessaria a fornir per-
fettamente la natura dell universo, e a mover le sfere, che
lor dovevano essere sottoposte, nondimeno, oltre la neces-
sità, egli per sovrabbondanza di bontà disegnò di moltipli-
care in parti quasi innumerabili, aggiungendo a ciascuna
di queste nature intellettuali , eli' egli nella mente avea
conceputo, nuincro infinito d'angioli , e di demoni , i quali
a quelle principali nature, quasi soldati al suo Capitano,
fossero soggetti. Creò poi l'idee de'corpi celesti, del Sole ,
della Luna, e delle stelle, degli elementi, dell'uomo, degli
animali bruti, delle piante, dell'erbe , e de' metalli , e
delle pietre; solo delle cose artificiali non creò imagini, ma
conobbe nondimeno, che d'esse la mente dell'uomo do-
veva COSI adornarsi, e figurarsi, come la sua era ripiena
delle forme delle cose celesti, e naturali. Questo fu il pri-
mo producimento, che fece Iddio fuor di se stesso, il quale
non fu fatto in tempo; perciocché non era ancora , ma in
eternità; nondiuicno non in tutta Tcteniità, la (piale non ha
IL MES3AGGIER.O XXXVit
«è prima, ne poi, né parti di successione , ma è tatto uni-
ta e riiccolta in se stessa, quasi tranquillissimo stiigiio , clie
non ab1)ia né flusso , né riflusso, né discorrimento, né ac-
crescimento, o diminuzion d'acque; ove il Tempo, che
poiché a quella somiglianza fu fatto, quasi rapido torrente
discorre, e consumando egli medesimo le sue priuie p;irti,
ne rifa di nuove, e per continova successione si fa perpe-
tuo. Dopo il primo parto, il quale sebben fu d'idee qua-
si infinite, fu nondimeno un soio , produsse Iddio le natu-
re corporee, e le intellettuali congiunse con le corporee, e
a ciascuna delle intellettuali diede cura di movere la sua
sfera, e impose a Saturno che governasse la sua,- e volle
che Giove della sua fosse motore: e ufficj a questi corri-
spondenti diede a Marte, al Sole, a Venere, a Mercurio, a
Vulcano, a Diana , a Giunone , a Nettuno, e a Plutone, e
agli angioli ; e i demoni diede loro per compagnia e per or-
namento, perché non giudicò convenevole che, dovendo
poco stante essere la terra, e l'acqua, e l'aria, piene di tan-
te varietà d'animali, il Cielo, quasi deserta solitudine, fosse
privo d'abitatori . In questo parto nacquero quasi gemelli
il movimento e il tempo , perciocché il primo cielo comin-
ciò a moversi da destra a sinistra, e gli altri con movimen-
to opposti da sinistra a destra cominciarono a raggirarsi:
perché il movimento del soprano che è velocissimo, tirò
seco tutti gli altri , ìv modo che tutti sono agitati da due
contrari movimenti. Allora il tempo,che è mobile imagine
dall'eternità , misurò i varj moti del cielo e delle stelle,
che alla luce del Sole chiarissima facevano quasi una danza:
e come che egli misuri certissimamente tutti i movimenti ,
nondimeno perché quelli del Sole sono cagione d'efTetfi
maggiori, e da' mortali più conosciuti, la distinzione delle
stagioni doveva ess(;r presa da lui; edanno esser detto, non
la misura, con la quale sono misurati i corsi delle stelle, ma
quella del giro obliquo, eli' egli fa per lo Zodiaco, avvi-
cinandosi agli uomini, ed allontanandosi da loro, il quale
non fa perfettamente ritondo, ma al quanto distorto , ac-
ciocché con la sua lontananza, e con la vicinanza potesse
esser cagione della generazione, e deUa corruzione delle co-
se. Ma non fece mai Iddio alcuna cosa senza amore; e per-
XXXvlIl IL MESSAGGIERO
clir auiore produce amore , tutte coinimiaroiio n riamare
Idilio , qual più, e qual meno, secondo, che da Lui più , o
meno erano amate; ne solo il cominciorno a riamare per
una certa corrispondenza di gratitudine, ma anche per
conseguir la lor propria Pehcità, perchè ciascuna creatura
fu prodotta bisognosa di perfezione, la qual sola amando
Iddio, ed a lui volgendosi, potevano intieramente acqui-
stare. In quella guisa adunque (per condiscender alla tua
intelligenza ) che '1 padre mosso dall'amore di sé stesso,
desidera i figliuoli, ed avuti , gli ama non solo per suoi , ma
per lor bene, ed i figliuoli per gratitudine o per bisogno
riamano il padre; Iddio amando se stesso produsse le cose
fuor di sé, le quali amò come fattura sua, e fu da loro
riamato come fattore e conservatore: ma fra questi amorì
è grandissitna differenza, perciocché il primo amore d'Id-
dio non è distinto dall'essenza di Dio, ma è Iddio; gli aU
tri amori d' Iddio alle cose create , altro non sono, che vo-
lontà di compartir la sua bontà, ove gli amori delle cose
create sono desiderio di parteciparla. Con Tanior dunque
tutte le cose a Dio si congiunsero , e più si congiunsero
quelle, che più l'amarono, e più l'amarono quelle, che più
Io conobbero, le quali furono distinte d'intorno a Lui col
ternario e col novenario numero, che piace a Dio, e gli al-
tri con gli altri diversamente . Ma poiché Iddio vide che
gl'intelletti creati da lui, clie Iddii furono poi detti, pimi
di nova maraviglia verso là rivolgevano ogni loro affetto, e
ogni loro operazione , in così fatta maniera loro coininciò
a favellare: O Iddii, de'quali io son padre, molto m'è ca-
vo che voi m'amiate , perciocché nell'amor vostro cono-
sco la perfezione dell'opere mie, ed in voi mi compiaccio :
laonde non avrete mai fine, quantunque possiate averlo,
perchè sebbene voi siete di natura in parte mortale, non-
dimeno per volontà giammai non morrete: ma siccome
l'amor eh' io portava a me medesimo, non m'ha in modo
invaghito di me stesso, ch'io mi sia dimenticato di crear
voi; così vorrei che voi altri per vaghezza, che di me
avete, non vi dimenticaste d'oprar nelle cose inferiori ; e
se per altro non vi piacesse , vi dee almeno piacere per
compiacere a me , che son vostro padre e signore, il quale
IL MESSAGGIEKO XXX IX
tion debbo, né il consente la mia dignità, adopi-ar la mia
possanza senza alcun mezzo nelle cose mortali e caduche .
l'ale dunque studiosamente i vostri corsi: transfondete
negli elementi quella virtù, clie dame avete ricevuta, e
comparlitela a' vostri cieli sì, ch'io veggia l'aria, l'acqua e
la terra piena di quegli animali , de'quali ho adorno il pri-
mo esempio, ch'io ne l"eci,alla cui similitudine gii altri
mondi deono esser fatti , come voi in me riguardando co-
noscerete. Così disse Iddio facitore, quando gli Dei creali
volgendosi dalla contemplazione all'azione, mossero i cie-
li , e fecero germogliar 1' erbe, e i fiori , e le piante , e ve-
stirono le piagge, e le valli, e i monti di mille vaghezze, e
di mille varietà di colori: e l'acque, che pur dianzi rico-
privano la terra, si ritirarono dentro a certi confini , la-
sciando grande spazio della terra discoperta , per la vita
degli animali. All'ora ella piena ancora dell'umidità del-
l'acque, ricevendo i l'aggi del Sole e della Luna, s'ingra-
vidò, e cominciò a partorire gli animali, i quali si vede-
vano uscir del suo grembo non altramente, ch'ora veggia-
mo spuntar 1' api dalle spalle d'un bue putrefatto , o come
nell'Egitto, quando il Nilo si ritira dentro il suo letto, si
veggono dalle fertili campagne nascer varie maniere d'ani-
mali: e già le selve si empievano di fiere solitarie,- e gli ar-
menti e le gregge ne'fecondi prati si ragunavano a pascola-
re; e i pesci guizzavano per lo mare e per li fiumi, e gli au-
gelli dispiegavano le penne per l'aria, sì, che ornai nulla pa-
rca che mancasse di perfezione a questo mondo inferiore.
Ma Iddio vedendo ch'egli aveva dati i suoi cittadini al Cie-
lo, ed i suoi a ciascun'altro elemento, volle a tutti compar-
tire le dovute dignità : ordinò dunque che tutti gli animali
guidati dalla natura , seguissero necessariamente gli appe-
titi del senso, ma non consentì che potessero inalzar gli
occhi verso le stelle , acciocché non s'invaghissero delle
bellezze del cielo, le quali non doveano possedere. Poi
chiamò tutti gli Dei a consiglio, ed egli poscia così comin-
ciò a ragionare : Tutte le cose, o figliuoli, ch'avete fatte ,
son buone , perchè in tutte rispleiide alcun raggio della
mia bontà , ma in alcune pii!i chiaramente, e meno in alcct-
u altra ; e tutte sono state da voi ornate di quel, che lo-
Xr, IL MESSA.GG1ER0
ro si conviene. Solo riintine die si dia alia teri'a un" ani-
malo, che non sia a v>ù soggetto, e non operi , come gli
altri, per necessità di natura , ma ch'abbia la volontà li-
bora, o potendo inalzar gli occbi a queste nostre eter-
ne abitazioni possa d esse invaghirsi , il quale sebbene
userà la libertà della volontà, ch'io gli avrò data, voglio
che costà su possa salire, e farsi di questa nostra città cit-
tadino ; ma pfrcbè egli sarà di tanta eccellenza, eh' a voi
in alcun modo si potrà agguagliare, non voglio, ch'alcun
di voi nella sua creazione s'impacci. Ma da me avrà il
principio , e con la parte sua immortale la mortale sarà
tessuta qu.isi in un nodo dell'universo , e tutti coloro, che
nasceranno di lui , sempre da me avranno l'anima; e'I cor-
po dagli elciuenti. Così disse ; ed egli medesimo disceso in
una piacevolissima parte della terra, formò l'uomo, e gli
spirò col divin fiato nel corpo lo spirito della vita , impri-
niendo nell'intelletto suo , nella volontà, e nella memoria
'imagioe della sua essenza. Quindi si ritirò nel cielo , e
tutti gli Dei , quasi spettatori rivolsero gli occhi al nuovo
abitator dell'universo, che portando il simulacro della di-
vina bellezza nel teatro del mondo cominciava l'az^ione
del suo quasi poema: ma perchè Iddio vide ch'egli aveva
da Far contrasto con l'appetito del senso , il quale armato
dellartiii del piacere , gli tenterebbe d' impedir la salita
del cielo, volle dargli un padrino, che la volontà amoiae-
strassc alla futura battaglia; e come giusto Signore , un'al-
tro ancora ne consenti che avesse la parte sensuale. Questi
sono i due genj demoni , il buono , e 'I rio , da' quali gì' in-
stinti vostri sono drizzali ; ed il reo è detto reo, non per-
ch'egli r,ia dì natura malvagio, perchè tutte le cose create
sono buone, ed il male non si trova nell' universo , e altro
peravventura non è, cbe privazion dell' essere ; ma reo si
chiama d.igli effetti , e dall' ulhcio suo , avend'egli preso
cura , come invidioso dell'eccellenza dell'uomo, di volgere
a'dilelti l'appetito concupiscibile, che per se stesso inchi-
navi, e di trasportarlo talora con ira smoderata oltre
que termini , che sono dalla ragione prescritti. E questi
furono di quelle nature intellettuali, le quali , dis^i , son
di numero quasi inlinito, sì che agevolmente poiché gli
IL 1\TESSAGGIER0 XM
uomini furono niuìti plica li , a ciascuno due ne furono assi-
gnati: e se lu ben ti rammenti dell'istorie, malvagio de-
mone fu quello , il quale con spaventosa faccia due fiate
apparve a Bruto , e la prima gli disse: „ un'altra volta
ne'Campi Filippici mi vedrai ,,.Qui fermò lo Spirito il cor-
so del suo divino ragionamento , ed i) tacqui per buono
spazio, soprapreso da altissioia maraviglia; poi cosi comin-
ciai ; Assai m'Iiai tu persuaso che siano queste nature in-
tellettuali, oltre quel numero ancora, ch'io stimava ragio-
nevole, e in questa parte come ricco e liberale prometti-
tore, che inolio più dà, che non promette, e molte cose
m'hai detto degne, ch'io faccia di loro prezioso tesoro nel-
la memoria. Ma la seconda parte della promessa non hai
tu ancora adempiuta. Aspetto dunque d'udire, quel che es-
se sieno, e poi, che sian quelle, delle quali priina ragiona-
sti. Demoni , risj)Ose , sono sostanze corporee, ragionevoli,
atte a patire, ed immortali. Allora io replicai : già io udii
dire nelle scuole de'Peripatetici che ciò, che è atto a pati-
rete mortale: laonde se essi sono acconci a patire, è neces-
sario che siano mortali . Ed egli : cotesto sarebbe \< ro , se
le passioniate' demoni fossero passioni del corpo, o S'^guis-
sero la sua temperatura ; ma elle son passioni dell'animo ,
e non dipendono dalla temperatura del corpo . Pur se al-
cun dubbio ti rimanesse , ricorri alla volontà di Dio, per la
quale molte cose, che si possono dissolvere , non si dissol-
veranno, né moriranno uìolle, che possono morire. Non
hanno dunque corpo i demoni , se le passioni loro da' cor-
pi non dipendono, dissi io allora. Hanno, rispose, ma non
invidiano, ne si adirano, perchè abbiano corpo , come fan-
no gli uomini, ma perchè s'adirano e invidiano, hanno
corpo; e perchè ciascun che s'adira, e invidia , può amare,
possono amare, e il loro amore molte fiate a quel degli uo-
mini concupiscibile è assai somigliante . Qui egli tacque,
ed io così dissi: già avendo io altre fiate udito dire ch'i
demoni delle femmine s'innamoravano, e godevano de'Ioro
amorosi abbracciamenti, non dava maggior credenza a co-
tali porole che io soglia a quel, che favoleggiano le vec-
chiarelle co' fanciulli quando alla lor conocchia traggono
la chioma ; ma ora intendendo da te come provi che essi
■XLII il 3IESSAC.GIER0
siano soggetti alle amorose passioni, non mi par sconvene-
Tole: e ricordandomi quel, che de" giganti lessi nelle s.icre
lettere, e quel, c!ie degli Eroi nelle Gentili ho leUo, mag-
giormente in questa opinione mi confermo. Mi pare non-
dimeno cosa assai maravigliosa che di due specie di natu-
ra diverse, quali sono la umana , e quella de' demoni , pos-
sa nascere un misto , che sia gigante, o eroe . Parrà, ri-
spose lo Spirito, se tu ti ridurrai a merRoria che dal caval-
lo e dall'asina nasce il mulo, e nel paese di Cirene i cani
nascono da'lnpi e dalle cagne, e i cani Laconici da 'cani e
dalle volpi, e gì' Indiani dalle tigri e da'cani, ma nel terzo
congiungimento : e che nella riva d'un fiume d'Affrica dal
rimescolamento di varj animali, son prodotti ogni giorno
molli mostri. Nondiiueno puoi di ciò credere a tuo modo.
Ma sappi che il corpo de' demoni non è grosso e terreno ,
come quello degli uomini, ma etereo e sottile in modo che
essi agevolmente possono penetrare in ciascuna parte .
Laonde a coloro se ne vanno, che essi conoscono disonesti
amatori, i quali persuadono con nuovi e maravigliosi mo-
di , mescolandosi fra' loro pensieri , o dormano , o siano de-
sti, con alcune imaginarie invenzioni; e da sì faHp imagina-
zioni sono molte fiate ingannate le maglie, e l'altre donne,
che a'demoni credono di congiungersi negli amorosi ahhrac-
ciamenti. Qui si tacque lo Spirito, e poi così ricominciò:
Se si danno le specie artificiali mescolate, è necessario che
si concedano le naturali parimente miste, perchè sempre
l'artificiali delle naturali sono imitazioni; né si può ritro-
var l'iinitazione, se prima non si trova la cosa 'imitata :
chiamo io specie artificiali non quelle, ch'assolutamente
sono fattura dell'arte, benché di queste ancora molte, che
sono mescolate, potrei annoverare; ma quelle, che di due
semplici specie naturali per alcun artificio insieme si sono
congiunte, quali sono gli innesti delle piante, di cui così
leggiadramente cantò il tuo Poeta in quei versi ;
Jnseritur vero ex fcetu nitds arbutus horrida,
Et slerìles platani malus gessere valentes :
Castaneac fagus , ornusque incanuit albo
Flore pyri : gUiiKlcmqiw siies fregare sub ultnìs.
Taceva lo Spirito co' versi di Virgilio, quand'io in cotal
IL MESSAGGIERO XLIII
guisa incominciai : Io veggio clie l'ispericnza ci dijnoslra,
e la lapidile c'iiisegiia, clic di due specie naturali seaiplici
si può coniporne una mista, ma questo credo eli' avvenga
fra quelle specie solamente, fra le quali è alcuna somiglian-
za, com'è fra '1 lupo e '! cane , e l'asino e'I cavallo, i
quali son tutti nel genere degli animali privi di ragione, e
di forma di corpo non molto dissomiglianti j ma fra l'uo-
mo, e l'animale bruto è per avventura tanta lontananza,
che di loro un animai misto non si può accoppiare; onde
ciò che Sii dice del Minotauro, del Centauro, e delle Siice-
ne, estimo io invenzione de' Poeti; né presto maggior cre-
denza a quello, che scrisse Aristotile d'Onosceli, la qual es-
sendo bellissima fanciulla era nata d' un'asina, e ad Agesi-
lao d'Epona, che nacque d'una cavalla, oppure a quel che
si legge nell'istorie delle cose di Settentrione, che UUone,
padre di Nugillo,da cui son derivati i re di Dania, fosse ge-
nerato d' un orso. Ragionevolmente estimi , rispose lo Spi-
rito; nondimeno fra il demone , e l'uomo è maggior somi-
glianza di natura , che non è fra l' uomo , e '1 bruto , per-
che l'uomo è simile al bruto nella mortalità del corpo , e
al demone nella immortalità dell'anima; e quel, che deter-
mina la natura nell'uomo, è l'esser ragionevole , e in que-
sto egli conviene col demone: onde essendo fra loro più vi-
cinità , pare che più convenevolmente possano insieme me-
scolarsi: e ciò sia detto, acciocché l'ingegno tuo usato alle
profonde questioni non cessi dalla sua propia operazione.
Ma nuovo dubbio sopraggiungendomi, replicai: Se ben' io
credo alle tue ragioni, le quali mi provano che'l demone
sia animale affettuoso , onde in conseguenza sono eonstret-
to a credere che egli possa accendersi d'amore; nondi-
meno , perché l'amore presuppone sempre maggior impe-
dimento nell'amante, che nell'amato, non mi par ragio-
nevole che egli possa amar l'uomo, essendo l'uomo men
eccellente, e men bello di lui; ma più convenevol sarebbe
che egli degli Dei s'innamorasse . A questo così rispose lo
Spirito: che due sono le nature dell'amore , l' una è desi-
derio di participar dell'altrui perfezione; l'altra è volontà
di compartir altrui la sua propria eccellenza : questi due
amori non si trovano semplici, se non ne' due estremi , in
X\Ay IL MESSAGGIEIIO
Dio crealoiv , e nella ma leri;i prima ; e in tutti gli altri
so|^getti si ritiuvan mescolali, perchè la nìaleria prima
ama la forma per adempir col suo congiunyimetito i pro-
prj difetti, non potendo ella, uè desiderando di giungere
alla forma alcuna perfezione. Ma Iddio ama le creature per
compartir a tutti, a chi più, e a chi meno, la sua perfezio-
ne; non aspettando da loro alcuno accrescimento de'la sua
felicità : or rammentati di quel, c'hai lett > leggendo Ome-
ro, quando Giove dice che s'egli mandasse giij una cate-
na dal cielo sin'alla terra, e tutti gli Dei cercassero, appren-
dendosi a quella catena, di tirar Giove a sé , non potreb-
bono , ma egli di leggieri a sé tutti gli trarrebbe. Questa
catena altro non significa , che la catena amoro>^a , con la
quale Iddio potentissimo non mosso^ dagli Dei minori , o
dall'altre creature; ma egli tutte le muove , come amato ,
e desiderato; perchè se Iddio aniasse p u' ricever perfezio-
ne , l'oggetto amato sarebbe l'agente, ed egli sarebbe il
paziente : onde ne seguirebbe eh' egli sarebbe qui tirato:
ma questo, come ho detto, è impossibile, o solo possibile
ad amore: ma egli mandando gii^i i suoi doni , e le sue gra-
zie, luna con l'altra innanellata a guisa d'aurea catena,
fa che questo ordine di grazie discenda dal cielo alla
terra , e con esse rapisce a sé gli angioli, e tutte le creatu-
re, cbe ad esso per farsi perfette, s'apprendono. Tanto
voglio aver detto de'due amori semplici ; or passiamo agli
amori degli angioli , e delle creature . L'angelo sovrano,
quando a Dio si rivolge, l'ama di quell'amore, che pre-
suppone imperfezione; perciocché egli l'ama per farsi
perfetto; ma quando si china verso gli angioli inferiori ,
ama loro per infond(;re in essi quella perfezione, che da
Iddio lia ricevuta; e gli angioli inferiori amano i superiori
per farsi piìi belli; perciocché gli spiriti angelici, che sono
descritti nell'ordine sotnmo, contengono in sé le proprietà
degl'inferiori; ma gli ultimi non hanno in tutto le proprie-
tà de' superiori , ma essendo illustrati, tanto ricevono di
lume, quanta è la capacità di ciascuno. Qual meraviglia è
dunque se amano gli uomini, tutto che d'ossisian più
eccellenti, poiché gli amano per illustri modi? Vedi ornai
che il tuo dubbio è soluto. Disciolto, io risposi , ma pur
IL iVIESSAGGlERO XI.V
sarebbe più ragionevole ch'essi gli ;ingioli inaggiormeute
amassero , poiché il desiderio di compartir la perfezione
deve esser minor, che quel di riceverla . Vero è quel, che
dici , rispose lo Spirito, ed è vero che le creature tutte
amano più ferventemente le cose più nobili , e men le me-
no; Iddio nondimeno, tutto ch'ami per l'altrui perfezione,
ama con maggior fervore d' ogni creatura; e quello avvie-
ne per l'eccesso della bontà , la qual supera senza alcuni»
proporzione la bontà di tutte le cose infinite .
Qui taceva lo Spirilo^ quand'io nuova occasione di ragio-
nare porgendogli, ricominciai. Se i demoni possono amar
gli uomini, non pare a me irragionevole, che con essi ne-
gli amorosi abbracciamenti possano mescolarsi, e questa
mia opinione è confermata dui mio poeta, quando dice :
Quem Rhea Sacc.rdos
Furtivum parili sub liuniiiis ediclit auras
Mixta Deo niulier .
Troppo dice il tuo Poeta , rispose lo Spirito,- ed in que-
sto troppo offende la dignità, e Tiiutorità dell'Intelligenze
celesti : ne si doveva egli per avventura ricord.ire di quel-
lo, che pur doveva aver letto nel Convito di Platone, che
gli Dei con gli uomini in alcun modo non si mescolano, ma
per lo mezzo de' demoni con gli uomini hanno commercio;
benché non egli in ciò s'ingiuina, ma Platone, e tu anco-
ra, che i suoi versi non hai bene interpretati , perchè egli
in quel luogo parla di Ercole, quando, tornando di Spa-
gna non era ancor deificato; e sebbene il chiama Dio, per-
ciiè poi doveva tra gì' Iddìi essere annoverato, non era di-
sconvenevole ch'egli vestito d'umane membra potesse cun
una donna congiungersi. Ma Platone quando dice che gli
Iddii non si mescolano agli uomini , non intende del me-
scolamento carnale (che se ciò intendesse, bene intende-
rebbe, perchè lappefito concupiscibile non conviene agii
angioli, i quali da lui sono Iddii nominati ì ma intende
della fanìigliarilà e della domestichezza, e in ciò manife-
stamente s'inganna; perch'essi molle fiate prendendo cor-
po umano, agli uomini soglion dimostrarsi : ma forse Pla-
tone considera allora negli angioli quel, che è naturale, non
quel, cli'è volontario, perciocch'cssi per natura non si ds-
XLyl IL MESSAGGIERO
mesticavebbono con gli uomini per la distanza , eli' è fra
loro di natura , e di luogo ; ma avendo la volontà libera , e
non obbligata ad alcun determinato loovimento, tutta incli-
nata alla carila ed alla grazia, possono agli uomini appari-
re, ed alcuna volta il fanno. Questo, dissi io, mi par mol-
to ragionevole , né mi potrà pili capir nel pensiero cb' in
animo celeste possa accendersi desiderio carnale; ma bea
dubito ancora se i demoni possano per concupiscenza del-
le donne invi<gnirsi, e con esso loro amorosamente con-
giungersi, e se vero sia quel, cbe, non sola da'Poeti si dice
de' Satiri, e de' Silvani, ma da' Teologi ancora, degl' Incu-
bi e degli Succubi. Già abbiamo concbiiiso, rispose lo Spi-
rito nostro, cbe i demoni non ban corpo simile a questo;
laonde quantunque essi potessero innamorarsi, non potreb-
bono nondimeno congiungersi amorosamente in quella
guisa, cbe fanno gli animali sottoposti alla generazione, e
alla corruzione . Ma tu bai letto degl' Incubi , e de' Succu-
bi, e de' Silvani , ed bai letto similmente nelle favule di
Marte quando Rea abbracciò; e di Giove, cbe, per godersi
d' Alcmena, allungò la notte, laonde egli, qui tempia Coe-
li concutit , discese nel grembo di Danae in preziosa piog-
gia d' oro ; ed Ercole , e Perseo ne furono generati : e leg-
gesti ancora nell'istorie cbe Alessandro , e Scipione furo-
no creduti figliuoli di Giove. E ciò suole avvenire, percbè
gli spiriti in sogno s'appresentano agli uomini in forma
bellissima, e augusta, e superiore all'umana, quale è
quella , cbe in me vedi , sì cbe la lor fantasia , quasi tena-
cissima cera , s' imprime d'una imagine di bellezza, più
cbe mortale^ e percbè la virlìi della fantasia è grandissima,
quando gli uomini vengono agli abbracciarnenti d'amore ,
venendoci pieni di sì alta imaginazione, i (ii^liuoli, cbe poi
son prodotti, sogliou nascer simili a quell'eccellente idea
di valore , o di bellezza, cb' i padri nella mente avean con-
ceputa . Oltre ciò, percb'i demoni, come già abbiamo con-
cbiusio , sono astrologi, essi procurano die il destinato
parto sia conceputo , ed esca in luce sotto grandissimo fi-
voi" di stelle, e cbe riceva dagl' inibissi celesti ogni ecccl-
Icr.tissima dote di natura ; il (piale poiebè cresce in età, e
può bc*qìrire il suo valore, è detto eroe , ed e tenuto su-
IL MLSSAGGIERO Xr,-,ll
perion; ayli altri; onde si crede clie non sia fiylitiolo d'uo-
mo, ma d'alcuno Iddio. E perchè la particolar provvidenza,
die quell'Iddio ha avuto, di farlo nascere , merita ch'a lui
il noirie di padre s'attrdjuisca, o almendi protettore; laon-
de appresso Omero a' principi degli Eroi, Achille, Aga-
mennone, Ulisse, sono aggiunti certi Dei , clic ne' pericoli
son compagni; e il nome d'eroe è nome, eh' in Greca fa-
vella deriva da amore: pei'chè il vicendevole atnore fra
l'Iddio e l'uomo è stato cagione ch'egli sia nato. jMa
que' demoni, che malvagj sono detti dall'ufficio loro , con
le donne in quella guisa si congiungono, che voi uomini
solete ; e perchè essi non potrehbono per se generare, git-
lano il seme d'alcun uomo nel ventre della donna, ch'è
di quelle , che streghe sono da voi domandate , e da sì fat-
ti congiungimenti nascono i maghi, quale fu Merlino, che
fu giudicato figliuolo del Demonio. Taceva lo Spirito; ed io
quasi soddisfatto d' ogni mio dubbio . non aveva che di-
mandare , quando egli di novo ricominciò. Già tu hai in-
teso quel che siano i demoni ; ma le intelligenze cliiamate
angioli sono sostanze incorporee, intellettuali ed immorta-
li, e non acconcie a patire. E se int(:llig<Mize furono quelle,
che gli antichi chiamarono Iddii , non convenevolmente
fu loro attribuito il riso e il pianto , che sono seguaci delle
passioni, e con maggiore sconvenevolezza fu detto eh' essi
con gli uomini carnali si mescolassero. Ma perchè amano
ir» modo assai diverso dall'uomo, con l'amore cnngiungono
la natura umana alla divina; e quasi messaggeri di qua e di
là portano e riportano quel, che agli uomini è giovevole e
necessario, o a Dio caro e dovuto. E cari a Dio sono i de-
voti prieghi de'mortali,e i voti e le lodi ; ma agli uomini so-
no necessar] e giovevoli i doni di Dio, i quali son tanti, che
non psssono qua essere raccolti sotto numero determinato.
Ma pur se tu vuoi intendere de' doni naturali , puoi pien-
dere il numero delle intelligenze de'pianeti; e sono l'acu-
tezza del contemplare ,che deriva da Saturno, la potestà
del governare e dei comandare, che da Giove dipende^ la
grandezza dell'animo, ch'è virtù infusa da iMaitc, la chia-
rezza dei sensi, e dell'opinione, die è dono dato per mezzo
del Sole; l'auiore , eh è inspirato da Venere , la prontezza
XLVm IL MESSAGGiERO
al parlare , e all'interpretar, chf viene da Mercurio; !a
fecondila del generare, che procede d.illd Luna .
Qui tacque egli, ed io dis!^i.• A qual di questi doni ridur-
rai le leggi, le quali pur ami dicevi che erano agli uomi-
ni state donate dagli Dei? Le leggi, rispose lo Spirito, so-
no di tanta importanza, che solo da Iddio grandissitno, per
njezz.o degli Iddii minori, o degli angioli, possono esser
donate huone intieramente , ed egli mandandole agli uo-
mini , le manda accompagnate da sette messaggiei i ; ma
perchè uno nondimeno in quel, che appartien a quest;i
ambasceria, tiene il luogo principale, da uno pare ch'elle
siano ricevute. A quel , eh' io raccolgo, dissi io, l'ufficio
loro altro non è che congiungere per via di messaggio la
natura umana colla divina. Questo è appunto d'esso, ri-
epose lo Spirito. Allora io così cominciai a favellare: As-
sai ho io da te , cortese Spirito, apparato ,• ma se noi con-
templiamo volentieri per esser poi piìi atti all' operare ,
qiìel, che hai detto del celeste messaggero, vo! rei che s'ac-
compagnasse con alcuna cosa appartenente all'umano atn-
basciadore. Convenevole dimanda è la tua , rispose lo
Spirito, e simile a quella del saggio Pie, il quale doven-
Ho chiedere alcuna grazia a Dio , non chiese scienza
di cose naturali , o soprannaturali, ma senno per go-
vernare. Allora io soggiunsi; Ma forse gli accidenti nei
quali r.iiubasciatore può mostrare sua prudenza, sono in-
finiti. Laonde io stiino che sia quasi impossibile il darne
alcuna arte; tuttavolta così del perfetto messaggero mi
pare che si possa ragionare , come altri del perfetto orato-
re ragionò. Così ci sono de' celesti oratori, come de' mes-
saggeri, a'quali favellando si può aver riguardo ( rispose
lo Spirito ); ma se in altro modo di questa materia dovessi
ragionare, clie ne direi? Che l'arte oratoria all'arte della
cucina fu assomigliata. Ed io risposi: io mi terrei da te
appieno sodisfatto, se tu m'insegnassi quel ,clie fosse l'am-
])asciatore, e qual è l'ufficio, e '1 fine, in quella guisa che
queste cose medesiine sono dagli altri nell'oratore dimo-
strate, il quale conven'Mid:) nel nome coll'ambasciadore, è
verisimile che in altro ancora siano somiglianti, e'forse
Megli antichi secoli fu il medesimo esercizio. Molto volon-
IL MESSAGGIERO Xl.lX
tieri mi appareccliio a compiacerti , rispose lo Spirilo, e
toccando solamente gli universali , studierò di esser breve,
in modo ptrò, che tu non avrai cagione né di accusar
l'oscurità , né di desiderar la notizia del vero. Cotesto,
di^'si io, sarà molto a me caro , ed in tal modo ho inteso
che di tal arte trattò Ermolao Barbaro, fiimosissiiiio Ce-
natole, in un suo libretto ^ il quale nelle niie mani n^.n è
pervenuto j ma credo che sia molto degno della sua dot-
trina, e dell'esperienza, che egli ebbe, delle cose del mon-
do, e in j)articol<»re d'Il'ambascieria, nel qual ufticio egli
spese gran parte della sua vita, esercitandolo gl(jri(jsaiiiei\-
te appresso i maggiori Principi de' Cristiani . Degno è ve-
ramente di lui il libretto , ch'egli scrisse, soggiunse lo
Spirito; più viva Imagine nondimeno dell' eccellenza ch'e-
gli ebbe in quest'arte, è il Signore Francesco Barbaro,
suo pronepote, da cui tu più potrai apprender della pru-
denza, e della gravità convenevole agli ambasciatori , che
da quanti libri potessi rivolgere giammai . Fortunato fra
tante sciagure son io veramente , soggiunsi allora, per la
stretta conversazione, che ho con questo gentiluomo così
valoroso, e di così raro giudicio; né men fortunato per la
conoscenza, che ho del signor Ottavio S. Croce, Nunzio di
Sua S., prudentissimo, e libera lissiiuo Prelato , e che so-
stiene Si alta professione con somma autorità, e splendore,
e con esempio di virtù , e di religion singolare . Ma ove
lascio il S. Vincenzio Lauro, non men eccellente nella
contemplazione, che nell'azione, e nell'una e helT altra di
sì grandissiiua eccellenza, come hanno conosciuto con ma'
ravigtia grandissima della sua virlù, e del sapere, non solo
le barbare nazioni, ma i gloriosissimi regi, e i potentissimi
Augusti? Ove il Signore Ipj)olito Capilupi, ch'essendo fra
i primi e più lodati poeti di questo secolo, non ha voluto
esser men dotto, p meno prudente oratore , o men accorto
cortigiano, o men liberal signore, o men sincero amico
degli amici? Ove il Signore zinnibale di Capova , in cui la
nobiltà del sangue illustre;, e la grandezza del fratello è il
pregio minore , tant'è egli adorilo di lettere , e di costu-
mi, ed in particolare di quella prudenza , e di quella ac-
eortezza , e destrezza d' ingegno , eh' a quest'oHlcio è ne-
UialoghiT. III. d
L IL MESSAGGIERO
cessarla ? Ove il Signor Conte di Porzia , di cui né' 1 più
eloquente , ne '1 più dotto uscì mai delle scuole di Padova,
o di Bologna, né 1 più prudente partì mai dal Vaticano ,
per muover gli animi de' Principi , o per coinpor le discor-
die de' Re , e de' popoli ; al cui valore Roma, eh' è cosi
grande , fu già picciolo teatro , ed ora Germania , che è la
maggiore e la più nohile delle provincie , a fatica pare
che possa dare spettatori , e ammiratori a bastanza? Ove il
Si^^nor Conte Fulvio Rangone,che ha pochi paragoni nelle
lettere , nell'acutezza , e nella maniera del negoziare, e
pochi nella nobiltà, e nello splendore della vita? Né debbo
tacere i due nobilissimi Cavalieri Ferraresi , il Gualengo,
ed il Fiasco, eh' in questa nobilissmia professione in ser-
vizio del lor Serenissimo Principe tanto si sono avanzati ,
che possono a' più saggi , e più famosi d'Europa esser ag-
guagliati . Né tacerò del Signor Renato Cato , che siccorne
nella prudenza , e nella intelligenza delle lettere agguaglia
il padre, così con l'aifabilità de'costumi, e con la coltura
dell' uuiane lettere a ciascun' altro si può pareg^^iire;
né tacerò il Signor Batista Guarino, che la prudenza
cortigiana ha accoppiata con tanto ornamento di scelte e
polite lettere , e di felicissima eloquenza, quanto basta a
farsi conoscere per singolare . Io non ardisco di passare
dalla Corte di F(?rrara , in quella di Toscana , perciocché
la mia fortuna non ha voluto che di lei abbia molta noti-
zia: ma se dal Principe si può far argomento , qual sia il
ministro , possiamo credere ch'ottimi , e perfettissimi am-
basciatori ne siano usciti ; e tali estimo il Signor Bernardo
Canigiani, il Sigiun-e Ranaldo Urbano, e il Signore Cam-
millo degli Albizzi . E se la virtù dell' auìbasciatore non
contenesse molte virtù, basterebbono la liberalità e la ma-
gnificenza sola per larli illustri. Laonde s'io togliessi da
ciascun di loro alcuna perfezione crederei di così poter
formar l'imagine del perfetto ambasciatore, come il Pit-
tor di Crotone rimirando in cinque bellissime donne , elll-.
giò Elena in sovrana perfezione di bellezza : ina prima io
vorrei clie tu l'arte m'insegnassi; e poi forse, s'a te non
sarà grave , 1' idea del perfetto ambasciatore andremo
considerando, in quella guisa , che del perfetto oratore
II. MESSAGGIERO f.f
Marco Tullio In consi(l>-r.'i , dipo ch'egli l'arie dell'orare
ebbe insegnatii. Qui io mi taceva , aspettando ; ed egli il.?
questo principio il suo rnyionanicnfo incominciò: Tu ti
dei rammentare che Platone, dell'arte oratoria rai^ionando,
alla arte della cucina l'assomigliò; paragone, cb'a prima
vista pare molto sconvenevole , percioccl.è arte nobiìissi-
uia ad arte vilissima è assomigliata: nondimeno chi a den-
tro la natura dell'una, e dell'altra considera , trova fra
loro alcuna sirjiiglianza ; perciocché siccome il cuoco con
la varietà de' sapori, e de' condimenti , fa piacer le vivan-
do , che non piacerebbono per se stesse, così l'oratore
ne'condimentl della sua eloquenza condisce molte materie,
che parrebbono spiacevoli per sé: p;iragone certo assai
strano , ma nondiuìeno tale , che può dimostrare cl*e le ar-
ti umane quantunque nobili, sono assai somig!iai<ti all'igno-
bili, onde gran diligenza è necessaria d'usare per allonta-
narle da ogni indignila: paragone non men convenevole di
quello mi par diesi possa fare tra l'arte dell'ambasciato-
re, e quella del ruCtìano, perciocché Tuna e l'altra muove
gli animi. Laonde non può esser bene esercitata, se non
da uomini conoscitori degli animi, i quali se dal Cielo di-
scendono , come già s'è detto , molto meglio possono esser
conosciuti dngli angioli, che lassù gli rimirano alla luce
del Sole intelligibile, o da quelle anime bea te, che volate al
Cielo veggono se medesime con le altre sue compagne, che
da quelli, che ricoperti da questo manto dell' umanità, con
lungo studio appena riconoscono se stessi . Ma se gli animi
nostri , dissi io, in queste ineii>bra sono ripieni di mille
passioni, possono esser conosciuti da quelli, che alle passio-
ni non sono sottoposti? Possono, rispose, perchè ninna
cosa è nota a voi mortali, che agi' ifnuiortali non sia nota
in un modo più eccellente. Tuttavolta il trattare degli af-
fetti appartiene piuttosto al ruffiano, che all'ambasciatore,
perchè l'uno è congiungitore degli amanti nell' amore af-
fettuoso, l'altro de'Piincipi nell'amicizia, la quale non è
nella parte aflettuosa, ma nella volontà; .^e intendiamo del-
l'onesta amicizia , non di quella e' ha portine il diletto.
L' unione dunque del!" amore sarà il suo genere ; il con-
giunger gli amanti , lii specie ; ma lasciando che dell" arl«j
^
Lll il. MESSAGGIERO
del ruffiano altri discorra, io di quella dell' ambasciatore
dico, ch'ella altro non è, eli' un'arte d'unire, e di con-
servare i Principi in amistà , la qual non può esser eserci-
tata se non da uomo conoscitor degli animi , ed in partico-
Jar de'Principi . Qui s'era alquanto fermo lo Spirito, quan-
d'io cotal dubbio movendo, quel, ch'egli di dire s'appa-
reccliiava, ritardai . Tu dici che l'Aadjasciatore è congiun-
gitor di Principi , ed a irie pare che non ogni ambasciato-
re sia tale, perchè lasciando star alcuni vili messaggieri da
parte, e parlando dei nobili, di questi alcuni portano le
disfide, e se tu risponderai che loro si convenga anzi il
nome d' araldo, che d'ambasciatore, io replicherò che
questa distinzione è più tosto distinzione d'usanza che di
ragione; la quale usanza non è stata sempre sì fatta : anzi
1 tlomani non giudicavano che si potesse altrui ragione-
volmente mover guerra , se prima non s'annunciava, per-
ch'essi co' nemici osservavano alcune ragioni , le quali
slimavano empia cosa il violare ; ed intorno a ciò si osser-
vava tutto quello, ch'essi chiamavano, lus Facciale. E
questi ambasciatori, animnciatori di guerra, erano di di-
t,nità eguali agli altri, che trattavano la pace; e tali furo-
no que'due, ch'andarono a Cartagine nel tempo, che i
Cartaginesi espugnarono Sagunto, l'uno de'quali dicendo
di portar la guerra , e la pace r\A seno, poiché s'accorse
che i Cartaginesi non accettavano le condizioni proposte
da'Piomani, gli sfidò a guerra: e forse a' tempi nostri quei
Chiaussi , che manda il Turco a dimandar gli altrui regni,
altro non sono, ch'ambasciatori di guerra , come fu quel-
lo, che venne a richieder Cipri a' Veneziani . Laonde io
stimo che <|uest arte non sia congiungitrice d'amicizia, ma
che possa unire egualmente , e disunire gli anirni . Non pa-
re , rispose lo Spirilo, che si possa negare che l' arte del-
l'ttubasciatore sia così acconcia a far guerra, come pace ,•
ma tu sai che la pace è il fine della guerra, perchè ciascun
guerreggia a fine di riposar nella pace. Laonde l'uomo
civile, benché gli si convenga egualmente il trattar della
guerra , e della pace, non dee procacciar la guerra per sé,
ma solo perdio, quando che sia , può esser dirizzata alla
jiace; e 60 1' ambasciatore è uoaio civile, non può aver al-
IL MESSAGGIERO I HI
lj"o fine che la pace; e s' uno guerreggiasse per guerreggia-
re, non si proponendo il fine della pace, s.irehhe simile ad
tiirarciero , il qual saettasse senza aver mira ad ilciino
bersaglio, solamente per mostra ch'egli sa saettare con
leggiadria , il qual sarebbe vano ; e simil vanità di fine non
si de' conceder noli' uomo di Stato. Orse l'arte dell'amba-
sciatore è una dell'arti sottoposte alla civile, non può ella
nel proporsi il fine, discordar da U-i, ch'è quasi rarchitctto:
dunque se'l fine della civile è la pace , il fine dell' amba-
scieria è la pace ; e come , che si trovino alcuni ambascia-
tori, ch'annunzian guerra, nondimeno l'ambasciator, con-
siderato in universale, altro non è , che congiungitoro
d'amicizia . Laonde dalla ragione delle genti gli è vietato
adoprar l'armi, e adoprandole commette errore gravissimo,
e dannosissimo, e di pessimo esempio; e se ben ti rammen-
ti , que' tre ambasciatori, che i Romani mandarono aFran-
cesi perchè cessassero dalla guerra, che m(»vevano al popo-
lo amico del popolo Romano, entrando nella battaglia vio-
laron la ragion delle genti con grandissimo sdegno dei
Francesi, i quali lasciando la prima impresa se n'andaro-
no diritto a Roma, e rotto l'esercito , che lor venne all'in-
contra, assediarono il Campidoglio , e furono vicini a mi-
nar la Repubblica de'Romani.Qui egli si ritenne di ragio-
nare; ed io dissi: A. me non pare che quegli ambasciatori
oileiìdcssero la ragione delle genti, perch'essi non presero
l'arme contra i Francesi, se non quando conobbero ch'in-
darno s'afìaticavano che si rimanesse d'offender gli ami-
ci. La violaron senza alcun dubbio, rispose lo Spiri-
to, perchè l'ufficio dell'ambasciatore dura mentre egli
va , mentre sta e mentre ritorna ,- e sempre deve esser si-
curo da tutte l'ofiFese: e perchè la giustizia deve esser vi-
cendevole, non potendo esser offesi, non deono offendere:
e s'egli è atto barbaro, e inumano il far oltraggio agli
ambasciatori, ciò avviene perch'essi in occasione alcuna,
mentre sostengono quella persona, non debbono contr'aU
trui prender l'armi , onde come uomini innocenti, e paci-
fici sogliono esser riguardati ; che se potessero guerreggia-
re, non si concederebbe loro il poter per tutto p.issare con
sicurezza, e niun aprirebbe la blrada a coloro, ch'in su '1
I.IV IL MESSAGGIERO
fiitto, d'ainbnsciatori, inimici potessero divenire. E quinai
avviene che il tuo Poeta parlantlo degli ambasciatori, che
I^nea manda a Latino, dice :
Tuni satus Jnchisa ddectos ordine ab ornili
Ct'ìituni oratorcs augusta ad inoenia Regis
Ire j'uùet, raniis i^elaios Palladis omnes;
porcliè r oliva , eli' è arbore di Pallade , è segno di pace.
Ed Enea . quantunque avesse scelti quegli ambasciatori
da tutti gli ordini, non avea ad alcuno data commissione
d'annunziar guerra ; ma da tutti gli ordini gli avea eletti
per dinotare ch'egli chiedeva pace universale, e per assi-
curar Latino che i suoi paesi non sarebbono infestati dai
ladronecci , i quali dagli uomini di minor condizione so-
gliono esser commessi. Cos\ diceva egli; ed io dalle sue
parole essendo mosso a dubitare, così soggiunsi: Ma se
l'ambasciatore fosse di Principe amico, a Principe amico,
il quale guerreggiasse con un'altro, potrebbe egli in que-
sto caso vestir l'arme? Potrebbe, rispose lo Spirito, con
minor offesa della ragione delle genti; nondimeno non de-
ve farlo, perchè si chiude la strada all'accordo. Diremo
adunque che l'ambasciatore sia uomo, che appresso un
Principe rappresenta la persona d' un altro, a line di pace
pubhiica, e d'amicizia, perchè quelli, che da' privali ai
Principi, e da' Principi a' privati, o da'" privati a' priv.tti
sono mandali, non meritano nome di ambasciatori: ma
de' veri, e nobili ambasciatori due sono le specie, perchè
di due maniere è la materia, ch'ai loro ufficio è sottopo-
sta. Alcuni sono mandati per trattazione di negozio, o sia
di pace , o di guerra , o di tregua , o di lega , o di che altro
si sia; altri per una semplice dimostrazione di benevolen-
za e di stin)a , a rallegrarsi di tiozze o di nascimento di
figliuoli, adi acquisto di vittoria, o a condolersi di morte,
o d'altra sciagura , o far altro simil complimento: e l'uno
avrà dal Principe autorità di trattar ciò , che all'onore ed
all'utile comune appartiene a fin d' auùcizia ; l'altro sarà
mandato per dimostrazione di benevolenza e di stiina; pu-
re a fine d'amistà. Ma alcuni altri dell'una, e dell'altra
specie sono composti , e questi sono gli amb.isciatori , che
risiedono appresso i Prmcipi stranieri, de'quali è ufficio
IL MESSAGGIEIIO LV
non meno il fare complimenti, che il trattare i negozj, ed
ove (gli si dice ambasciatore solo , s'intende per eccellen-
za . Allora diss'io: Raccolgo dalle tue parole che degli am-
Lasciatori alcuni risiedono, e con piena autorità di trattar
ogni negozio, e di Tar ogni ufficio; altri non riseggono, ma
vengono per particolare occasione; e di questi alcuni per
negozio, alcuni per compiijnento ; l'ufficio de' quali è d'a-
doprarsi acconciamente per unire gli animi; e il fine , essa
unione degli animi: ufliìcio e fine nobilissimo, oltre tutti
quelli dell'uomo civile. Alloi'a io dissi: Se ciascuno, che
unisce gli animi, è mezzano fra coloro, gli animi de' quali
unisce , non pare che più debba esser d'un Principe, che
dell'altro , perchè sempre il mediatore egualmente parti-
cipa degli estremi: ma da altra parte, ciò pare molto in-
conveniente, perchè l'ambasciatore è tutto di quel Prin-
cipe , la cui persofja rappresenta , non di quello appresso
cui risiede ; laonde dovrebbe esser piuttosto il suo fine di
trattare i negozj a prò ed a soddisfazione del Principe suo
Signore, senza aver alcun riguardo all'utile, ed all' onor
dell'altro. Quel che tu dici , rispose, è vero de' mezzi na-
turali, non de'volontarj; perciocché colui, eh' è mezzo vo-
lontario, può piegarsi più all'una parte che all'altra, quan-
tunque debba sempre a quella, ov'è maggior onestà ; ma
è forse onesto ch'egli ubbidisca al proprio signore. .'Via
s'egli non avesse anche qualche riguardo alla soddisfiizio-
nc di colui, appresso il quale risiede, troppo si discoste-
rebbe dall'umanità e dalla cortesia, perciocché se la pace
e l'amicizia son buone per sé, ne ritrovar si possono, se
non fra due Principi, ciascun de' quali desideri il bene, e
la soddisfazione dell'altro, come potrà l'ambasciatore
procurar pace, ed amicizia al suo Signore, eh' è il maggior
bene, che insieme non procuri quella dell'altro? Ma per-
chè assolutamente al Principe suoSignore è obbligato, ov'e-
g!i avvenga che siano due Principi di volontà discordi,
non dee lasciar cosa alcuna a dietro, per la quale non cer-
chi condurre il Principe amico nell'opiiiione, e nella vo-
lontà del suo Signore , usando in questo quelle persuasio-
ni , ch'egli giudica più acconcie e più gr.ite a coiai, (;he
ascolla ; e perciocché ogni persuasione si i'u. o con gli argo-
#
I.^'J IL MESSAGGIEPtO
lucuti, o movendo gli affetti, o mostrando i costumi, d.o.c
cyii tra le raijioni e gli esempi, sceglier non solo i più pos-
senti ed opportuni , ma anco i più dolci e soavi, e mover
le passioni beni_;ne , piuttosto, che la malevolenza, o altro
movimento seguace dell' odit) e dell'iniiniciiia, ed in guisa
ragionare, che il Principe, che ascolta sia indotto a crede-
re che egli sm uomo da bene e prudente , ed ainator non
meno del giusto, che della sua propria utilità: ma colui,
il quale in tai modi è atto a persuadere, è buono oratore:
non può (lun(}U(^ alcuno esser perfetto ambasciatore , che
% insieme ni>n sia buon oratore: e quinci avviene che alcu-
na volta cos\ allargano il fretio all'eloquenza, come gli
oratori delle cause sono usati di fare, perciocché 1' elocu-
zioni ancora, e i modi del parlare concorrono alla persua-
sione. Odi con quanta felicità d'eloquenza, e con quanta
grandezza di numeri, e d'elocuzioni Ilioneo prega Latino >
che si conlenti di dare abitazione a'Trojani :
Quanta per Idacos saevis effusa Jìlfccnis
Ttiìipestas ierit campos ; qui bus actus uicrque
Europae alque Asine fatis coiicurrcrit orbis ;
Audiit , et si quc.m tellus extrema refuso
Subinovet Oceano , et si quem extenta plagarutii
Quuluor in medio diriniit plaga solis iniqui.
Diiiii'io ex ilio tot vasta per aequora vedi
Diis scdeni exiguum j)atriis litlusque rogamxis
lanocuuni^etcunctis uadanique auramque pate.nlein.
Non erimus regno indecores : nec vestraferetur
Faina le\'is , tantique abolescet gratiafacti :
Nec Trojani Ausonios greiiìio excepisse pigebit.
Fata per JEneae juro , dextramque potenteni ,
Sivefde, seu quis bello est expertus, et arniis:
e quel che segue. È cerio che se io volessi questa orazio-
ne, e quella di Drance ad Enea, esaminaF con le regole dei
Ketori 5 ed insieme l'ambasciata di Mercurio, e l'amba-
sciata, e la risposta degli ambasciatori, che vanno a Dio-
mede , si troverebbe raccolta , e quasi rinchiusa ne' versi
del poeta tutta l'arte degli oratori; ma lasciando questa
considerazione agli inti'rpreti de' Poeti , dico che s'avvie-
ne die l'ambasciatore n')n possa all'uno e all'altro Prln-
TL 'lESS VGGIERO LVII
cipc soddisfare, alloru e obbligato di proporsi per oggetto
il piacer del Principe, al quale egli serve , e la cui perso-
na rappresenta. A questo io così risposi: S'egli avvenisse
che il Principe suo Signore volesse cose ingiuste, e l'altro
delle oneste fosse desideroso, deve piuttosto compiacere
all' iniqua volontà dell'uno, ch'alia ragionevol voglia del-
l'altro? Ed egli replicò: Non è ragionevole che meno com-
piac^'ia alla ragionevole volontà dell'uno, che all'iniqua
cupidigia dell'altro; ma non può anco onestamente so-
disfare altrui con mala salisfazione del suo Signore , al
quale, se può , dee dimostrare l' ingiustizia del suo volere,
ne potendo ciò fare, piuttosto chieder licenza , che esser
esecutore di non onesti comandan»enti . Ma con quali mo-
di, dissi io j dee l'ambasciatore dimostrare al Principe
l',iniquilà de'suoi voleri? Con quelli forse, i quali dolce-
mente allettando, non tirano, ma conducono l'animo altrui
nella sua opinione? Qui parve che sorridesse lo Spirito, e
disse: Non è il Principe quella parte dell'animo, eh "è cupi-
da de' diletti, né quella, che perturbata dall'ira, percioc-
ché elle son nate per ubbidire; ma al Principe conviene di
comandare. È dunque il Principe l'intelletto, il quale né
per ira si muove, ne per piacere, né per alcun di quegli
affetti, che sono quasi venti contrarj alla vita serena: laon-
de colui persuade al Principe, che dimostra all'intelletto
suo quel, ch'è onesto e giusto per sé : gli altri, che in varj
modi o raggirano l'opinione, o lusingano l'appetito, al
Principe non persuadono . Ma se l'intelletto del Principe ,
ripigliai io, o perchè egli sia male avvezzo , o per altra ca-
gione non potesse discernere quel, ch'è giusto per sé, e as-
solutamente giusto, che dee allora fare l'ambasciatore?
Dura è veramente, rispose egli allora, la condizione di co-
loro, che s'avvengono a siffatto Principe, o siano amba-
sciadori , o giudici , o capitani, o consiglieri, in^juali a'suoi
comandamenti tibbidendo , buoni esecutori possono essere
per avventura, ma uomini allatto dabbene non mai. Ed
all'incontro, s'alcuno non volesse aver alcun riguardo al
Principe, o alla Città, ma l'onestà rigida e severa , spoglia-
ta d'ogni utilità, si proponesse per ti ne, costui uomo da be-
ne sarebbe senza alcun dubbio;nè buon esecutore, né buon
L\ ìli IL MESSAGGIERO
cittadino potrebbe esser detto ; e tale fu per avventura
Catone, il quale nella cittadiiicinza di Rouiolo vivendo,
come se nella Repubblica di Piatone fo'Jse nato , di inoiti
tumulti fu alcuna volta cagione. Dura è la condizione, dis-
s'io allora, deirambasciatorc ; poiebè potendo egli esser
assolutamente uomo da bene, d'esser sì fatto, per vaghez-
za d essere buono ambasciatore, non deve curarsi . Non è
pili dura, rispose egli allora, di quel, che sia la contlizione
di ciascun altro, che nell'azioni voglia affaticarsi; percioc-
ché ne l'oratore può esser uomo da bene, se non nella
pertetta città, né il giudice , ne il consigliero di Stato, nò
il Capitano eziandio, il quale se sempre volesse esser uo-
mo da bene, non avi'ebbe per fine la vittoria, ma 1 onesta
vittoria; e onesta non può essere, se ragionevole non è la
guerra . Ma s' alcuno è nel mondo, che desideri d'essere
perfetto, si ritiri nelle selve, e nelle solitudini e viva con-
templando come le intelligenze, che eleggerà l'ottima par-
te, o pur ccrcìii (se ritrovar si può) Principe, o città per-
fetta; che In lei veramente potrà essere uomo da bene, ed
esercitar V ufficio dello ambasciatore , e ciascuno altro
perfettamente. Che se in questa corruzione de'Principi, e
di cittadinanze, egli ad Aristide vorrà agguagliarsi, non gli
dovrà esser grave che se come in lui per esser troppo
giusto, fu usata la severità dell'ostracismo , così egli rice-
va per premio della sua giustizia , l'essere dalle corti , e dai
tribunali sbandito. Questo Principe, cbe tu dici, allora si
troverà, dissi io, quando i Fdosofi regneranno, o i Princi ù
filosoferanno: e come cbe io non speri giammai che 1 Fdo-
sofi debbano regnare, bo assai certa speranza cbe i Prin-
cipi debbano filosofare. INon è punto irragionevole la tua
speranza, rispose lo Spirito , perchè quel giovinetto Prin-
cipe, del cj|i valore, e della cui cortesia tu conservi così
graziosa memoria, in questa acerba età, tale si suol mostra-
re , quale i Filosofi nelle lor contemplazioni l'hanno for-
mato; e se uso corrotto del mondo , con false apparenze di
bene, non isvierà l'animo suo dall'amor della Filosofia,
vera sarà la tua divinazione. Felice Mantova , dissi io, cbe
1' hai prodotto, e felicissimi i parenti, che n'banno speran-
za, e felici coloro, a'quali sarà conceduto d'esser suoi ser-
IL MESSAGCIERO XLIX
vitorl. Mn ritorniamo a parlar clell'ainììnsciatore. L'am-
Ijasciatore, ripigliò egli allora, ha dipendenza dal Principe;
onde se il Principe non e perfetto, non può esser perfetto
r amhasciatore : ma se il Princpc è perfetto, l'ambascia-
tore ancora può esser perfetto ; e l' ainbasciator perfetto
fa quanto è onesto; e l'ynestà in ogni occ:isione antepone
all'utilità . Ma l'imperfetto molte cose fa per usanza, e
molte per compiacere al suo Signore: allora nondimeno
più s'assomiglia al perfetto; che cerca di volgerlo, e d'in-
dirizzarlo verso l'onesto. Questo a me pare, dissi io, uffi-
cio piuttosto di consigliere che d'ambasciatore. Non è
sconvenevele, disse egli , che l'ambasciatore, scrivendo al
Principe, dia consiglio; ma colui che dà consiglio è consi-
gliere. Allora io il dimandai: è mai lecito a chi dà consi-
glio, con alcuna menzogna schifare alcun male, o esser ca-
gione d'alcun bene, oppur coi tacere il vero, cagionare il
bene, e schifare il u^ale? Sebbene la verità, rispose, per se
stessa è buona, e la mensogna rea per sé, nondimeno nelle
cittadinanze è tollerato che i Principi e i Magistrali le di-
cano per utilità de' soggetti , come a' medici è lecito di dir
Ja bugia per salute degl'infermi. Ma se gl'infermi fanno
grande errore dicendola a' medici, non minore la fanno i
soggetti, dicendola ai Principi. Laonde se l'ambasciatore è
soggetto, non pare che a lui sia convenevole il dirla al suo
Principe. E per questa cagione assai da alcuni è lodato
Omero 5 appresso il quale le ambasciate sono riferite con
ristesse parole, con le quali prima furono dette. Ma non
suole anco esser biasimato chi, portando le proposte d'un
Principe, se riportando le risposte d' un altro, le dice
con altre pai'ole senza variare l'essenza dt^lle commissioni,
quantunque rade volte avvenga che per la diversità del-
le parole, l'essenza delle cose non varii in qualche parte ;
perciocché, siccome le piume, che sono nel collo della
colomba, benché sian sempre l'istesse, ora pajono del co-
lore degli smeraldi, ora s'asfiomigli;mo a quel de'ruhini, ora
a quel de'zaffiri.ora questi agli altri colori sogliono mesco-
lare, secondo che variamente sono volti alla luce del Sole,
così le azioni degli uomini, tutto che si;mo l'istesse, pos-
son prender diverse faccie, secondo che diversamente so-
T.:^ IL MESSAGGIERO
no rappresentate all'altrui consitlprazione ; ed una azione
istessa,divei"sainente posta al lume della ragion^, or buona
pare, or rea , or mista , or de^ni» di laude , or di scusi , or
di vituperazione; e questo artificio di far canijiar faccia al-
le cose con la disposizione d'esse , e delle circost urie, dee
prender in presto l'ambasciatore dall'oratore, da cui an-
co il nome lia tolto. Siccome l'oratore non dee variar
l'aspetto della verilii per oppri'iiere 1' innocenza; così
l'ambasciatore, e ogn'altr' u » n > di Stato, rappresnnlando
le cose a'Principi con allro aspetto, cbe col proprio loro,
doono farlo non a danno d'alcuno, ma a binieflcio , o del
Principe istcsso , o de' soggetti suoi, ove col bene dei
soggetti, il mal de' Principi non sia congiunto, e quasi
implicato , il che però pare iuipossibile , se il Princi-
pe è buono, o almeno legittimo, perchè il bene del Prin-
cipe, è bene parimente di coloro , ch'alia sua cura som
quasi agnelli sottoposti, onde ragionevoliuento da One-
ro Agamennone fu chiamato pastore de' popoli. L' am-
basciiilore dunque portando, e riportando le proposte
d'un Principe, e risposte d'un' altro, non userà sempre le
parole istesse, percliè agevolmente offenderebbe l'animo
d'alcuno in modo , che ov' è suo fine di generare amicizia,
genererebbe odio , e mala sodisfazione : ma, conservando
pura, nella sua verità, l'essenza delle commissioni, può con
le parole, e con le ragioni mutar loro aspetto, e simigHan-
za.E s'alcuna cosa avviene fra' Principi dura e acerba, egli
con le dolci e piacevoli parole, e col destro, e cortese modo
di negoziare può ammonirla, e raddolcirla, cercando l'op-
portunità del tacere e del ragionare, perchè egli, come tu
leggesti in uno de' tuoi perfetti oratori, è signore de' tem-
pi e delle occasioni: e se l'audiasciatore altro non fosse ,
che semplice riportatore delle cose dette , non avrebbe bi-
sogno né di prud(Miza , nò d' eloquenza ; ed ogni uomo or-
dinario a quest'ufficio sarebbe atto: ma noi veggiamo cbe
i Principi con diligente investigazione fanno scelta degli
ambasciatori ; debbiamo dunque concbiuder ch'altro lor
si convenga, che portare, e riportare seinpliceinente paro-
le, e ambasciate. Qui poso lo Spirito fine alle sue parole,
quando io desideroso d'intender piìi oltre, gli addimandti:
IL -UF.SSAGGIKRO ì XI
Ma (li <|ci.i! bone iatendi tu che possa esser cagione 1' arti*
ficio d("gli ambascia t(jri ? Della unione de' Principi , rispo-
se , delia quale niuna cosa può esser più giovevole alle
città , pcrcioccliè inoUe cose dette in un modo sono più ac-
conce a congiunger gli animi nell'amicizia, che dette in
un altro , e molte in una maniera possono disunirli che in
uti'altru non possono. Né intendo solo di quelle cose, che
si (licurio i Principi stessi, ma di quelle ancora, che molte
fiate dice l'ambasciatore a'ministri di quel Principe , ap-
presso cui risiede. Egli nondimeno, che unisce gli animi
de'Principi,non può coogiunger con quel del Principe quel
del tiranno, perchè fra 1 buono e'I reo non può esser unione,
ma ben può egli essere mezzano fra'l Principe e la Repub-
blica , perciocché l'una e l'altra è specie di giusta signo-
ria ; tutta volta può più agevolmente congiungere in ami-
cizia i Principi coPriiìcipi , conciosiachè l'unione meglio
può farsi tra uno e uno , che tra uno e molti. E perchè
quaggiù non è alcuna semplice unità , tna ciascuna cosa
che è , è moltitudine, non si può quaggiù fare alcuna per-
»ctta unione ; ma si può ella fare in quei, che è seuiplice-
mente uno, per participazione del quale s'unisce tutto
quel, che è uno. In Dio solo adunque gli ani^ni de' Princi-
pi possono perfettamente unirsi. Questa è la soinma di quel,
ch'io stimo che possa dirsi dell'ufficio e del fine dell'am-
basciatore^ e dell'artificio, cli'egli dee usare, del quale per
tua satisfazione ho ragionato. Non parlava più lo Spirito, e
a me pareva che nulla più avesse proposto di dire, onde
ricominciai: Tu non hai favellato del decoro , per lo quale
egli suole essere onorato, e tenuto in pregio; e per avven-
tura nessuna parte del suo ufficio può esser bene esercita-
ta senza decoro. Il decoro , rispose , si considera nelle due
persone uelT ambasciatore ; l'una impostagli dalla nitura ,
l'altra dal Principe, e dal suo giudicio medesimo a se stes-
so accomodata. E perchè siccome colui, che rappresenta
Agamennone, o Ercole, o Teseo, mentre ragiona in iscena,
camminando con portamento reale, e magnificamente fa-
vellando, a' veri Principi cerca d'assimigliarsi ; ma poiché
si ritira dentro la scena, quantuntjue sia vestito ancora
d'abiti reali; iiuiidiiiicno ripi^^iia la propria e naturai per-
LXU IL MESSA GGIERO
sona; COSI l'ambasciatore npi^li afrari del Principe, e nelle
pubbliche soienuilà dee alla grandezza del suo signore ave-
re riguardo; ma ne'conviti domestici e ne'ragionauienti
familiari , luttucliè ancor sia ambasciatore, della sua pro-
pria condizione dee ricordarsi, e la convenevolezza della
pubblica persona in guisa accompagnare con quella della
privala, ch'egli si mostri con piacevole gravità . Questo
tefnperamento ancora dee usare nel modo del vivere, e del
vestire, e del raccogliergli ospiti, e del nadrire,edel man-
tener la famiglia ; perciocché siccome dee ecceder la ma-
gniticenza de' privati, così non dee agguagliare , benché
fare jl potesse, lo splendore della vita reale . E perchè
se;ripre si dee fare alcuna dilFerenza tra la persona rappre-
sentante e la rappresentata , istimo che non sia in tutto
Jjuono queir uso , secondo il quale l'ambasciatore tiene
qu'l luogo appunto che terrebbe il suo Principe, se fosse
pri sente , usu, che, se non m'inganno, glimpone maggior
obbligo di spendere; e più ragionevole istimo quel di quel-
le ciltà, n>ll • quali si dà agli ambasciatori luogo se|)arato,
distinguendo le persone rappresentanti dalle rappresenta-
te . Come si sia , perchè la persona, e le persone dalla na-
tura imposte-, son tali, che non si possono più spogliare per
altra persona sovrapposta, dee l' amjjasciatore in tutte lo
azioni, così private come pubbliche, ricordarsi della perso-
na naturale, e della sovrapposta: nelle private più della na-
turale,e nelle pubbliche più della sovrapposta, così in quel
che appartiene alla bellezza, come nell'ordine e nell'orna-
mento, nelle quali cose principalmente consiste il decoro .
Ora, conchiudendo, de'i sapere che perfetto ambasciatore è
colui, che sa a b Mieficio dei suo Principe trattar i negozj
con prudenza , e far i complimenti con eloquenza; e che
può sostenere con la gravità de'costumi , con la dignità
dell'aspetto, e con lo splendore didla vita, la maestà del
Principe; e nelle pubbliche azioni, e nelle domestiche me-
scolare in guisa il decoro della persona propria con quel
dell'accidentale , ch'egli ne sia amalo senza disprezzo, e
ris[)ellato senza altrui mala soddisfazione. Eccoti l'effigie,
e l'imaginc del perfett ) ambasciatore , alla quale formare
è necessario che concorrano nobiltà di sangue, dignità, e
^i:-^ér'..'rr'
H^:'
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IL >1ESS.U;G!ER0\ lxiii
bellezza d'aspetto , modo da spender largamente , e sctiz;»
risparmio, e animo, e deliberazione di ^irlo lietamente;
esperienza delle Corti, e del inondo, coi^niztjue delle cose
di Stalo, e dell'istorie, e di (juclla parte delU' Filosofia al-
meno , ch'appartiene a'costurni, e al movimento degli ani-
mi ; fede, e amor \erso il suo Principe; destrezza d'inge-
gno , e accortezza , e facondia, e grazia nello spiegar i con-
cetti, gravità , e piacevolezza nel conversare; afral)ilità , e
cortesia nel favorire gli amici, e conoscenti : le quali con-
dizioni tutte perchè forse in alcuno non si troveranno giam-
mai, resta clie colui più al perfetto s'avvicini, il quale
d'esse avrà maggior parte. E certo, che coloro, che poco
dianzi furono nominati, tante hanno delle sopradette con-
dizioni , che manca poco a ciascuno d'essi ad esser perfet-
to. Ma tu pure rivolgi gli occhi alle cose terrene , nelle
quali teco ragionando ho rimiralo buona pezza, ne riguar-
di nell idea , dov'è l'esempio d'ogni virtù , dalla quale me-
glio, che da alcun' altra parte, si può pi-endere. Ma tempo
è ch'io ti lasci, che troppo lungamente sono stalo teco.
Allora io per l'avviso della sua partita cominciai; a so-
spirare, e dissi : O felice Spirito, nelle tue felicità delle
mie miserie ti sovvenga : e non m'esser scarso talora d'al-
cun cortese aiuto . Voleva oltre seguire, quando mi parve
ch'egli accennando mi si togliesse dagli occhi, e dispa-
risse spirando nello sparire soavissimi odori d'ambrosia, e
lasciando la camera della sua celeste luce mirabilmente lu-
minosa; ma io, riscotendomi m' accorsi che nellalta mia
Imaginazione aveva filosofato , non altramente che gli uo-
mini contemplativi sogliano nella loro contemplazione ,
r'^
. _. L.
GIUNTE AL UIAr.OOO
IL GONZAGA SECONDO
OVVERO
DEL GIUOCO
Tomo III. Pag. 4.
t/uel Carnevale , cbe la Sprenissima Signora Duchessa di
Ferrara venne a marito , il Conte Annibale Romeo doveva
ragionare un giorno del giuoeo in presenza sua , e delle
Principesse di Ferrara: e s'aspettava che vi fosse il Sere-
nissimo 8ig. Principe di Mantova, il quale, benché abbia
molto promesso di se, supera nondimeno l'espettazione ;
quando la novella ec.pag. 5. v. 3.
Pag. 8. V. 19. Annibale. Io lessi che grande era ap-
presso gli anticbi Greci il numero de'giuochi, od antichis-
sima l'origine. Ma quattro nondimeno erano i più cele-
bri , i quali tutti si facevano nell'esequie.
Margherita . Melanconici giuochi dovevano esser
questi, e più lieti sono i nostri senza fallo.
Annibale . In questa guisa volle forse quella antica^
gente temperare il dolor col piacere.
Margherita. Ma quali eran questi?
Annibale. Gli Olimpici, i Nemei, gli Istmii e 1 Pitii. Gli
Olimpici erano fatti in onor di Giove per la morte di Pelo-
pe; i Nemei fur sacri a .Nettuno per Archenuro; al medesimo
fur consecrati gli Istmii per ragion di Melicerta, e i Pitii
ad Apolline per la gloria dell'ucciso Dragone . E benché
gli Olimpici fossero anteposti , perchè erano attribuiti al
supremo degli Iddìi, i Pilii nondimeno andavano iiman/i
per antichità , perchè gli Olimpici furono instituiti da Er-
cole e da Pelope;, ed essendo poi tralasciati furono da Er-
cole rinnovali. Ma perchè Apolline è più antico d'Ercole e
Dinloshi. T. Ili.
LXVI GIUNTE -'^^ DIAf,OGO
eli Pelope ,è ragionevole che i Pitii siano i più tuiticìii ,
avvegnaché gli Istniii e i Neaiei fiiron ritrovati dopo lungo
corso d'anni. Cominciani dunque dall'origine de'primi.
Raccontano clie tornando Latona da Calcide d'Euhea ri-
portava Apolline e Diana a D^-lfi, e fermandosi alla spe-
Jonca di Pitone sarebbero stati quasi oppressi , se la ma-
dre, fìon avesse dato ordine al t'anciullo, il qual con le saet-
te, ch'egli aveva , tolse dal mondo quella postilenza. Stra-
Lone con l'autorità di El'oro, scrittor d'istorie, afferma che
questo fiume fu un crudelissimo ladrone, il quale infestava
tutta quella provincia. I Di'ifi liberati da quella peste in-
sliìuir:tno i giuochi, i quali furono poi accresciuti dagli
AiKfizioni,e vi fu aggiunto il certame equestre, e ginnico, e
posto al vincitor la corona per premio, ed introdotti i ban-
cì eUi, e i sonatori di cetera senza canto. Ma io non m'ac-
corgeva d'andarvi narrando non pirte di quel , che me ne
sovviene, ma tutti, se non me n'avessero fatto ricordevole i
nomi, i quali mi conviene usare, né ohe s'io (ossi più lun-
go in questa narrazione, non lascierei per avventura che
dire a Messer Pirro.
MARCllEniTA. L'udrà alcun altro da Messer Pirro: voi
narrate a me quell'altre cose, che vi sovvengono.
AnnibAt^E . L' origine degli Olimpici , come ho detto ,
s'attribuisce a Pelope, il quale acceso dell'amor d'Ippo-
damia, figliuola d'Enomao, la chiese al padre, die ammo-
nito dall'Oracolo che da quelle nozze gli era minacciata la
rnorte, propose la vergine per premio al vincitore nel cor-
so de' carri tirati da due cavalli, e a' vinti la morte; e que-.
sta fu la legge della contesa.
MAnOllKKlTA. Fiera legge veramente.
Al^MUALE. i\Ia Pelope, comperati i cavalli da Nettuno ,
precipitò nel mare il vinto Euomao , e prese per moglie
Ippodairiia . E perchè restasse fama eterna di questa vitto-
ria, ordinò che in Pisa d'Elide si facesse questo giuoco, o
questa conlesa, nella quale il vincitore era coronato d'oli-
va silvestre. Ercole, avendo vinto Augea, principe d'Elide,
rinnovò il giuoco con la preda, ch'egli aveva fatta, in onor
di Giove suo padre. Nemea è una regione degli Argivi ,
!)e|!a quale ricercando essi l'accpie, mentre andavono a
Tebe , le ritrovarono con la scorta di Isifilc , alla quale fu
13LE GIUOCO LXVll
uccìso àa un serpente un bambino, cb'avcva lasciato ne'pra-
ti. Ma ritornando gli Argivi uccisono il Dragone, e insti"
tuirono questa contesa funebre, nella quale si diva pur la.
corona d'oliva, e si diede sino al tempo della guerra
de' Medi , in cui fu cangiata con 1' appio, stimandosi clie
queir infelice corona più convenisse alle morti . L'origine
degli Istmici si nicconUi in (piesto modo. Ino e Atarnante
ebbero due figli Learco e Melicerta; ma Atarnante essen-
do per opera di Giunone divenuto furioso, uccisf' Learco; e
Melicerta fuggendo per lo spavento di tanta crudeltà si
precipitò da un'alta rupe nel mare, e fu seguito dalla
madre, cb'ebbe simii destino. Le Nereidi, avendogli raccol-
ti, iecro la madre Dpa,cbe i Greci cliiamano Leucotea,e i
latini Matuta, e 'I figliuolo quel Dio, cb'essi nomarono Pa-
lemone, noi Portunno . Ma il corpo di Melicerta fu porta-
to dall'onde del mare all'istmo di Corinto : laonde la città
fu assalita dalla peste, e per avvertimento avuto dall'Ora-
colo institul qua' giuocbi in onor di Melicerta , e i vitto-
riosi erano coronati di pino. Altri giuochi illustri oltre
questi si celebrarono in Grecia , ne' quali erano prenij del-
la vittoria i lavezzi ; in altri, pelli d'Agnello. E oltre a ciò
v'erano le feste d'alcuni popoli , come furono Panistmia e
Panatenaica, in cui il fiore dell'uno e dell'altro prenden-
dosi per le mani, faceva quasi un ballo ; ed altri, ch'erano
sacri . Avevano i Romani, oltre questi, i suoi giuochi , co-
me i Megalensi , cbe si facevano alla madre degli Iddii : gli
Apollinari e iLiberali, i quali furon detti Scenici dalla fa-
vole^che si rappresentavano nelle frascate; e i Circensi, che
nel Circo erano dedicati a Nettuno: e i Cereali a Cerere; e
i Taurii consecrati agli Iddii dell'inferno; e i Capitolini a
Giove Capitolino, e i Funebri, de'quali fu l'origine antichis-
sima, perocché Enea alla sepoltura di Pallante , Achille a
quella di Patroclo uccise quasi vittime i prigioni; e i Voti-
vi, i quali furono o Innomi , alla guena introdotti, o dopo
le vittorie riportate da' nemici co' versi Sibillini, e con gli
ammaestramenti degli auguri, e con le promesse degl'Ira-
peradori : e i Secolari, che si facevano ogni cento anni, il
quale spazio di tempo fu detto secolo, e da' fanciulli e dal-
le fanciulle co' versi e con gli inni er.ino celebrati in laude
d' Apolline e di Diana: Javenali, che furono così chiamati
TX VI li GIUNTE AL DIALOGO
dall' tlà ; perciocché i giovani ricreavano 1' aniiuo col
yiuoco. Ma antichissimi, oltre tutti gli altri de' R^omani ,
erano iConsuali, consecrati a Nettuno, che fu detto Conso,
(jiiasi Iddio de'consigli.E varie erano le dilferenze degiuo-
chi dai fine , al quale furono ordinati; perchè altri erano
per l'onor degli Iddii, altri per esercizio, ne' quali si rap-
presentava quasi liinagine della guerra, altri per gloria
de' morti, altri per la sanità e per la vittoria. Ma le som-
me differenze si riducevano a due, statorum, e non stato-
/•«/«. Deh chiedete , vi prego , e chiedendo riducetemi a
memoria, s'altro io debha dire, perchè se non udiste quel-
lo appunto, che aspettate ec. Pag. 8. v. 20.
V. Sì. forse qual origine, o qual cagione sia co-
nmne a tutti i giuochi, e se il giuoco ib.
Pag. IO. V. 28. per Elena comh ittè, e quello ancora, nel
quale Enea e Turno combatterono per Lavinia ?
y\NNllìALE. E quello.
Gonzaga. Contrasto similmente fu quello tra' Romani,
e' Sabini , per le donne rapite ?
Annibale . Similmente .
Gonzaga. O con l'istesso nome chiamaremo quello, che
iu fra tre fratelli tegeati, e Ive /cacati {i) , oppiiv tra gli
Orazj e i Curiazj ?
Annibale. Non con altro nome ardirei di chiamarlo.
Gonzaga. Nondimeno avevano per tine la pace.
Annibale . Avevano.
Gonzaga. Alcuna contesa ec. Pag. io. v. 34-
Pag. 12. v. ì5. e se quelli fur detti giuochi, e gli altri,
i quali io nominai pur dianzi , questi ancora possono cosi
chiamarsi convenevolmente giuochi.
Pag. 16. V. 4- degli uomini , e degl'illustri n'abbiamo
pochi tralasciati addietro. Indi e cassata nel JJS. la ina-
leria dal i'. 5. al 21.
Pag, 2(5. V. 38. E cancellato sino al i'. io della p. 27.
e v' e sostituito in vece come appresso.
Annibale. E s'alcuni non la ricevono, non è tra (jucsti
la cupidità del guadagno.
Gonzaga. Io avrei creduto che la cupidità de! guad.i-
(i) J\'eir autografò ÌMSS manca .
DEL GIUOCO LXIX
gno non fosse loclevol cosa, e che i cupidi del guadaijno
fosser c|uelli , i quali cercano di guadagnare da tutte le co-
se, e da quelle ancora, che sono degne di tiiuna stima.
AnniiìALE. Se l danno è male , il guad igno che al dan-
no è contrario , dee esser bene ; onde i cupidi del guadagno
sono cupidi del bene: e perchè la cupidità del bene è ai-
letto lodevole , deono esser lodati.
Gonzaga . Questa è una di quelle ragioni che per av-
ventura potrebbe sforzare alcuno : me nondimeno mai
non persuase , avvegnaché non sia lodevole il desiderio di
tutti i genj , o di tutti i guadagni, ma degli orrevoli sola-
mente : e all'iniontro il disprezzo de'beni utili suole ap-
portar molto onore , onde quando il prezzo del giuoco è il
danaro", o cosa misurata dal danaro, non estimo che si pos-
sa desiderar di vincer con molta lode. pag. 27. v. 10.
Pag. l'j. y. 36. Dopo più certo, è canctllalo sino a usa-
ta ; V. I. pag, 28 , e prosegue , e il liberal giuocatore ec.
Pag. — V. 5. Dopo dimostrare prosegue :
Annibale . Allora egli sarà cupidissimo di guadagno,
perchè desidererà di guadagnare la grazia di quella donna,
con la qual gioca , la quale suole alcune volte esser de-
gnissima e preziosissima, e di grandissima stima: laonde con-
terrà il maggior guadagno che si possa fare .
Gonzaga. Se la degnila e la stima contiene i guadagni ,
è vero senza alcun dubbio quel, che voi dite ; ma non so
quel, che di ciò si conchiuderebbe . Io per me tanto vi ho
appreso ib. v. 9.
Pag. — v. 07. Dopo col vostro , è cancellato sino a
soddisfatto v. io. pag. 29: e in sua vece leggesi:
Margherita . Questa lode non conviene a me . Signor
Giulio Cesare , ma converrebbe ella senza fallo alla Signo-
ra Claudia Rangona , alla Signora Barbara Sanseverina ,
alla Signora Fulvia da Coreggio, alla Signora Felice della
Rovere, e, s'è lecito, come si dice, di por la bocca in cielo,
alla Serenissima Signora Duchessa di Ferrara , che fa ma-
ravigliar ciascuno tanto dell' ingegno ec. ib. v. io.
Pag. il. v. 10. Dopo perita, è cancellato il rimanente,
sino al V. \!\.
SUPPLEMENTO
AL TOMO IX.
Il seguente Dialogo del Messaggiero pressoché
interamente rifatto , e le Varianti di quello del
Giuoco , si trovano in un Codice della Biblioteca
Barberini di Roma , di cui si terrà proposito nel-
la Prefazione ad un Volume di Rime Inedite ^
che sarà pubblicato in appresso .
PQ
Tasso, Torquato
4636
Opere
Al
1821
V.9
PLEASE DO NOT REMOVE
CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY