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Full text of "Opere, colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull' edizione fiorentina, ed illustrate dal professore Gio. Rosini"

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OPERE 


DI 

TORQUATO 

TASSO 

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COLLE    CONTROVERSIE 

SULLA 

GERUSALEMME 

rOSTE  IN  MIGLIORE  ORDINE  ,  RICORRETTE 
SCLl'  EDIZIONE  FIORENTINA  ,  ED  ILLU- 
STRATE   DAL    PROFESSORE     GIO.    R08INI  . 


VOLUME  IX 


PISA 

PRESSO  NICCOLÒ  CAPURRO 
MDCCCXXIV. 


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/fc.    s.  s\ 


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DIALOGHI 

DI 

TORQUATO 

^  TASSO 

CON  GLI  ARGOMENTI 

DAL   CAVALIERE 

ALESSANDRO  MORTARA 


TOMO  III. 


PISA 

PRESSO  NICCOLÒ  CAPURRO 
MDCCCXXIV. 


AI  LETTORI 

L'  EDITORE 


Al  solo  scopo  di  rendere  questa  edizione  ,  per 
quanto  SI  può,  accurata  e   pregevole,   debbesi 
attribuire  il   ritardo  del  presente  volume    in- 
nanzi  di   pubblicare  l'ultima   parte  dei  Dialo- 
ghi si  è  voluto  usare  ogni   diligenza,  onde  as- 
sicurarsi che  in   nessuna  delle   Biblioteche   di 
Roma  esistevano   MSS.  inediti  delle  Prose   del 
Tasso  .  Il  chiarissimo  Sig.  Professor  Rezzi  Biblio- 
tecario della    Barberiniana    ha    voluto   gentil- 
mente incaricarsene  :  ha  visitato  la  Vaticana,  la 
Chigiana,  la   Borghesiana;  frutto  delle  sue  ri- 
cerche sono  varie  Poesie,  e  varie  Lettere  inedi- 
te.  Dalla    Borghesiana,  per  somma  sventura, 
uegli   avvenimenti  dei  passati  governi,  è  stato 
involalo  il  Codice  citato  dal  Serassi.  Tutte  que- 
ste ricerche    han  costato,  oltre  la  fatica,   non 
lieve  spazio  di  tempo;  e  quindi  son  certo  che 
niuno   vorrà    addebitarne  dell' indugio,  consi- 
deratane la  cagione. 

Col  presente  Volume  llf.  si  compiono  i  Dia- 
loghi, che  nel  Prospetto  erano  stati  annunziati 
in  IV.  sicché  nel  seguente,  già  sotto  il  torchio, 
verranno  poste  le  Prose  diverse  del  Tasso  ,  che 
si  riferiscono  alla  Gerusalemme  Liberata,  onde 


non  confonderle  con   quelle  degli  altri ,  come 
pur  fece  il  Botlari  nella  edizione  Fiorentina. 

Seguiranno  poi  nel  Volume  XIII.  le  Lettere 
Poetiche,  indi  le  Familiari,  indi  le  Varie  ne'se- 
guenti  Volumi,  e  quindi  le  moltissime  Inedite, 
tra  le  quali  tengono  il  primo  luogo  quelle  del 
MS.  famoso  del  Serassi,  tante  volte  citato  nella 
Vita  del  Tasso  da  lui  scritta,  che  fu  da  me  a- 
cquistato  dal  Sig.  Bernardoni  di  Milano,  che  lo 
ebbe  dagli  eredi  di  quel  dotto  Biografo. 


AL 

MOLTO  IVIAGNIFICO 
SIG.  ALESSANDRO  POCATERRA 


^/uesto piccolo  Dialogo,  nel  quale  si  d' scorre  del  Giuo- 
co,  operazione  che  tanto  pi  ìi  artificiosamente  si  fa  (pian- 
to meno  all'arbitrio  della  Fortuna  soggiace,  io  dono 
assai  volentieri  a  voi  Sig.  Alessandro ,  acciocché  con  la 
vostra  prudenza  mi  consigliate  i/t  modo  ch'io  niuna 
azione  di  rpiesta  vita,  eh' è  quasi  un  giuoco,  alla  Fortu- 
na sottoponga.  Koi  gradite  il  dono,  e  siatemi  cortese 
de'  vostri  amorevoli  consigli  . 

Di  r.  S.  L 

Amorevoli  ss.  come  figlio  ^ 
Torquato  Tjsìo  . 


Dialoghi  T.  III. 


IL 

GONZAGA  SECOiNDO 

OVVERO 

DEL  GIUOCO 

DIJLOGO 


J\' 


ARGOMENTO 

on  contento  P Autore  del  modo,  rari  cui  avei'a  trattolo  nel  Romeo 
la  materia  flelgiuoio,  prende  nel  presente  dialogo  a  riformarla , 
aggiungendo  un  terzo  interlocutore  ni  due  in  quello  introdotti,  e  fn.' 
cendo  che  in  luogo  di  narrar  cose  udite ,  rinscnno  di  e^si  entri  a  di- 
scorrere intorno  al  proposto  come  co  suoi  proprj  seniimenii  .  hingc 
egli  pertanto  che  Margherita  licntivogli ,  la  quale  averta  inteso  do- 
ver un  giorno  il  conte  Annibale  Romei  ragionar  del  giuoco  colle 
Principesse  di  Ferrara,  non  potendo  a  quel  discorso  esser  presente, 
ecciti  Giulio  Cesare  Gonzaga  ed  /Innibaie  Poi aterrn,  i Uè  presso  lei 
si  trovavano  ,  ad  esporre  su  tal  siieeetio  i  loro  pensamenti.  Notisi 
the  la  detta  dama  è  la  stessa  che  interviene  ajavellar  nel  Romeo 
sotto  il  nome  di  Margherita  ' ,  erroneamente  cognominata  Stella 
dal  Manso  per  aver  egli  creduto  che  con  indicasse  quelC  asterisco  in 
forma  di  stella,  che  portavano  le  pritne  edizioni  in  cambio  del  ca- 
sato ;i).  Eisa,  come  ricavasi  dalie  varie  rime  scritte  dal  Tasso  in 
sua  lode,  fu  non  meno  per  natali  che  per  virtìi  ragguardevolissima  , 
ed  ebbe  per  marito  il  fratello  maggiore  di  quel  conte  Annibale 
Turco,  che  sposò  la  bella  iMura  Peperara  .  Anche  il  Gonzaga  qui 
introdotto  ,  e  da  cui  il  dialogo  prende  il  nome ,  fu  cavaliere  di  sotn- 
mo  merito-  Ri  non  é  però  da  confondersi  coli'  altro  Cesare  Gonzaga, 
dui  quale  s^  intitola  il  dialogo  del  Piacer  Onesto.  .Ippartenevnno 
bensì  amendue  alla  stessa  nobilissima  famìglia;  ma  quegli,  siccome 
notammo,  era  figliuolo  di  Ferrante  Principe  di  Molfetta  ,  e  questi 
invece  nasceva  di  Carlo  conte  di  S.  Martino  di  Bozzolo  ,  che  fu  pur 
padre  del  Cardinale  Scipione  tanto  amico  del  nostro  Autore .  Quanto 
poi  al  Pocaterra  ,  gentiluomo  ierrarcse  di  belle  e  scelle  lettere ,  nul- 
la abbiamo  da  aggiungere  al  cenno  datone  nelt  argomento  del  pre- 
cedente ,  se  non  forse  che  nel  i  5i)2  e'  pubblicò  in  Ferrara  due  din- 
loghi  intorno  alla  vergogna  .  freniamo  dunque  senza  più  al  snruo 

(i)  Nel  medesimo    errore   son   pur  incorsi  gli  Editori    Fiorentini  s 
Veneziani  tii  tutte  la  opere  dui  Tasso  . 


4  n,  GONZAGA  SECONDO 

d(l  presente.  Cernasi  in  eiso  /.ìrimamenle  come  possa  cìiJJnirsi  il 
giuoco  in  genere ,  e  si  stuhitisce  esser  egli  una  contesa  eli  Joiiiina  e 
d^  ingegno Jrn  cine  o  fra  pili,  nella  quale  per  trattenimento  s'  imita 
una  vera  contesa .  Fatto  indi  motto  dell'origine  di  quello  degli 
scaccili  e  di  altri  gì nochi  illustri,  si  viene  a  dire  che  sebbene  ridii' 
cansi  tutti  ad  una  sola  cagione ,  cioè  al  trattrniniento  per  cui  furo- 
no ritrovati ,  siccome  però  questo  trattenimento  può  essere  o  pubbli- 
co ,  o  privalo,  così  aneli  essi  in  due  specie  possono  distinguersi, 
cioè  in  giunriti  di  pubblico  ed  in  giuochi  di  privato  tratteniminlo  . 
.Aerenunsi  poscia  in  che  consista  sì  fatto  trattenimento  :  come  il 
diletto  che  in  esso  provasi,  proceda  non  meno  dalla  vittoria  ,  che 
dall'  operazione  del  giiiocatore  :  rome  eziandio  a  chi  rimira  ,  questa 
operazione  sia  piacevole  ;  e  in  quali  giuochi  finalmente  sia  maggio- 
re il  diletto  .  Ragionasi  appresso  delle  vincite  che  vanno  accompa- 
gnate dal  danaro  o  da  altro  prerzo ,  e  mostrasi  che  queste  sono  le 
pili  piacevoli  .  Dicesi  poi  che  nel  giuoco  ,  quantunque  i  uno  sia  co- 
me nemico  dell'  altro  ,  tultavolta  il  desiderio  del  guadagno  d,  e  essere 
moderalo  ,  e  particolarmente  !•>  que'  giuochi  che  colle  donne  si  fan- 
no .  7'occatc  per  ultimo  alcune  cose  circa  il  modo  di  discernere  i 
giuocatori  avari  da  quelli,  che  giuocano  per  mero  trattenimento ,  cir- 
ca il  perdere  colle  donne  ,  ed  anche  circa  il  costoro  ingegno  ,  si  pas- 
sa a  discorrere  della  fortuna.  .  Si  dimostra  in  primo  luogo  eh'  ella  è 
una  delle  cagioni  accidentali,  la  quale  si  dice  propriamrtite  esser 
cagione  di  quegli  effetti  che  fatti  con  alcun  umano  proponimento, 
avvengono  altramente  da  quello  che  l' uomo  si  aveva  prciiipposto: 
definizione  che  la  dittingue  dal  caso  ,  il  quale  sididiiara,  esser 
quello  ,  sotto  cui  si  riducono  tutti  gli  effetti  che  possono  venir  ca- 
gionati dulia  natura  per  se  stessa.  Parlasi  sussegurnteniente  delle 
varie  significazioni  in  che  si  prende  il  nome  di  fortuna  ;  si  esamina 
quindi  qnol  parte  abbiano  nel  giuoco  il  caso  ,  la  fortuna  e  1'  arte;  ed 
ha  fine  il  colloquio  con  alcune  considerazioni  intorno  agli  accordi  , 
allo  scopo  di  essi,  ed  alla  ragione  con  cui  debhon  essere  stabiliti . 

Questa  correzione  [che  tale  può  chiamarsi)  del  Hcmeoju  fatta  dal 
Tasso  nello  Spedale  di  S.  Anna  in  Ferrara  i  anno  i  58  i,  cioè  a  dire 
uri  anno  e  mezzo  circa  dopo  ch'egli  aveva  se  ritto  quel  Dialogo.  Fu  da 
lui  poi  indirti  ta  sotto  il  titolo  di  (ìoiiznga  btcoiiilo  ad  Alessandro  Po- 
coterra,  padre  di  Annibali-,  e  venne  finalmente  data  alla  luce  per  la 
prima  voltaiii  Venezia  da  Bernardo  Giunti  e fratellinel  i58cs  in  /',.'' 

INTEULOCUTOiU 

SIGNORA   AJAnGHKKITA  BENTIVOGI-l ,   SIG.  <ÌIU1-10    CESARE 
GONZAGA  ,  SIG.  ANNIBALE  POCATERRA  . 

\  /nel  cariK'valo,  cl)e  la  Serenissitna  ]*rii\cii)cssa  di  Man- 
lova  ili  cuiulotta  a  marito  dal  Priiici]>e  suo  fratello,  ì;ìo- 
vinetto  da  cui  per  mollo  cli't'i;li  ])roiiiolta  del  suo  va- 
lore,   s' aspctla  che  più    debba  osservare;  il  Conte   An- 


0  DEL  GIUOCO  5 

nibal  Romeo  doveva  nigionare  un  giorno  del  <:;iuoco 
con  esso  lei,  e  colle  Serenissime  Principesse  di  F< mira  , 
quando  la  novella  ne  fu  portata  alia  Signora  Marglit  rita 
B'nfivoglia  ,  che  rimirava  il  signor  Conte  suo  marito  con 
altri  Cavalieri  giuncare  a  primiera,  ed  intanto  cortesemen- 
te coi  Sig.  Giuli  >  Cesare  Gonzaga  suo  parente  ragionava  ; 
ed  era  con  lui  il  Sig.  Annibale  Pocaterra,  figliuolo  del  Sig' 
Alessandro,  antico  servitore  della  Casa  d'Este,al  quale  al- 
lora volgendosi  la  Signora  Margherita,  disse:  oh  come  vo- 
lentieri vorrei  che  fossimo  presenti  a  quel  ragionamento  , 
per  udir  quello,  che  Cavaliere  cosi  dotto,  e  particolarmen- 
teco  sì  intendente  del  giuoco,  com'è  il  Conte  Annibale  ,  ne 
ragionasse  ,  e  quello,  die  da  così  giudiciose  Signore  come 
le  Serenissime  Principesse  sono  ,  ne  fosse  giudicato  ;  e  vi 
pregherei  che  sin  là  n'  andaste,  e  le  cose  udite  ne  raccon- 
taste ,  se  non  fosse  che  da'  servigj  di  questo  Signore  non 
voglio  allontanarvi. 

Gonzaga  .  Assai  mi  terrò  io  ,  Signora  ,  sempre  servito  , 
ed  accompagnato  dal  Sig.  Annibale  ,  quando  egli  si  adopri 
in  vostro  servigio;  onde  non  solo  non  d 'sidero  che  la  mia 
presenza  ritenga  lui  dal  servirvi,  ma  piuttosto  vorrei  clie 
la  sua  ne'  vostri  servigj  mi  frammettesse.  Se  dunque  a  vtti 
piace,  colà  potrà  andarcene,  e  udir  quel,  che  del  giunco  si 
ragionerà,  che  per  quel  che  io  conosca  della  libertà  Fer- 
rai-ese,  a  lui,  eh' è  figliuolo  di  cortegiano,  assai  agevole  sa- 
rà il  farsi  innanzi,  e  l'ascoltare. 

Margherita.  Non  istimo  io  sì  poco  11  Sig.  Annibale  , 
che  voglia  privare  or  voi  della  sua  servitù  ,  e  me  della  sua 
conversazione;  udirò  dunque  (quando  che  sia  )  quel,  che 
del  giuoco  avrà  detto  il  Conte  Annibale  da  aleun'altro, 
che  vi  si  sarà  ritrovato  presente ,  benché  io  non  credo 
che  voi  siate  meno  atto  a  ragionarne ,  perciocché  e  giuo- 
oare  vi  ho  veduto  alcuna  fiata ,  e  ragionarne  in  modo  che 
ben  si  pare  ,  che  voi  siate  fratello  del  signore  Scipione  , 
da  cui  molto  più  ne' famigliari  ragionamenti  potete  avei'C 
appreso  che  i  filosofi  non  sogliono  dai  li])ri  apparare. 

Gonzaga.  Io  per  me  non  negherò  giammai  di  non  aver 
molte  cose  dal  Signor  Scipione  imparate,  pur  di  questa  io 
non  r  udii  giammai  favellare  (che  io  mi  ricui-di  ]  :  ma  da  lui, 


6  IL  GONZAGA  SrxONDO 

se  non  altro,  dovrei  aver  appreso  il  modo  almrno  d'addo- 
niandare  al  signor  Annibale  alcune  cose,  colle  quali  al  vo- 
stro ed  insieirie  al  mia  desiderio  soddisfacessi  ;  perchè  s'  è 
vero  ch'egli  molto  negli  studj  di  Filosofìa  si  sia  avanza- 
to ,  come  da  molti  m'è  stato  detto,  e  come  a  me  ancora  è 
paruto  di  conoscere,  ninna  cosa  è,  di  cui  non  possa  un  fi- 
losofo convenevolmente  ragionare. 

Annibale.  ]Vè  io  negherò  di  studiar  Filosofìa  ,  sehhf^n 
tanto  non  mi  sono  in  quello  studio  avanzato  ,  quanto  (  vo- 
stra mercè  )  tnostrate  di  riconoscere:  nondimeno  se  di  cos;\ 
ragionassi ,  della  quale  non  ho  mai  fatta  professione,  ed 
in  presenza  della  signora  Margherita  ne  ragionassi  ,  a 
quel  fdosofo  o  sofista,  che  si  fosse,  sarei  simile  ,  che  del- 
l'arte della  guerra  ,  così  arditamente  in  presenza  d'  Anni- 
Lale  ragionò  . 

MAnGHERlTA.  Barattiera  par  che  mi  faccia  il  signor 
Annibale . 

Annibale.  E  come?  io  barattiera  fo  la  signora  Mar- 
gherita? tolga  Iddio. 

Margherita.  Se  voi  tale  riputate  eh"  io  sia  nell'arte 
del  giuoco  ,  quale  egli  era  in  quella  della  guerra  ,  barat- 
tiera a  un  certo  modo  pare  che  mi  fìicciate  ;  perciocché 
s'  egli  fu  maestro  delle  frodi  utilitari  ,  degl'  inganni  del 
giuoco  io  dorrei  esser  maestra  parimente. 

Annibale.  Io  non  tanto  alla  professione,  o  all'eserci- 
zio ,  c[uanto  al  giudizio  vostro  aveva  risguardo  avuto,  per 
lo  quale  siete  atta  di  tutte  le  cose  a  giudicare. 

Margherita.  Ma  se  tanto  giudizio  può  essere  in  per- 
sona che  d'un' arte  faccia  professione,  ed  in  essa  non  sia 
esercitata  ,  non  veggio  io  come  il  giudizio  d  Annibale  non 
sia  da  voi  riprovato,  al  (piale  non  ])arve  che  al  filosofo 
dell'  altrui  prolession  fosse  lecito  di  ragionare:  volentieri 
nondimeno  vi>rrei  che  da  voi  riprovato  fosse  ,  actiocchè 
ninna  scusa  aveste  di  tae(>re;  purcliè  rifiutandolo,  solo  a'fi- 
losofi  concedeste  di  poter  dell'arti  altrui  ragionare,  i  quali 
indarno  tanto  l'arte  loro  loderel)bono ,  s'  ella  non  fosso 
un'arte  dell'arti  ,  la  qual  di  tutte  ])otesse  ragionare;  e  'l 
giudizio  loro  in  niun  modo  (credo  io)  che  voi  ardirete  di 
riprovare . 


O  DEI.  GIUOCO  7 

Annibale.  Io  non  tanto  il  giudizio  d'alcun  filosofo  ri- 
provo ,  quanto  accuso  la  mia  inesperienza  ,  la  quale  non 
suol  esser  tale  in  quei  filosofi,  che  dell'arte  altrui  sono  usi 
di  ragionare,  quale  è  in  me:  né  già  credo  io  che  se  Anni- 
bale avesse  udito  o  Senofonte ,  o  Polibio  o  Panezio,  egli 
così  l'avesse  disprezzato,  come  colui,  ch'egli  udì,  mostrò 
disprezzare. 

Gonzaga  .  Forse  colui  ,  ch'egli  udì,  non  fu  da  alcuno 
di  loro  molto  dissomigliante:  ma  qual  tanta  esperienza  si 
ricerca  nel  giuoco,  che  non  se  ne  possa  per  noi  discorrere  ? 
Ed  io  perme,sebbcn  sono  più  avvezzo  a  volger  queste  carte 
chele  Socratiche,  le  quali  voi  di  continuo  avete  per  le 
mani,  nondimeno  volentieri  nel  ragionarne,  per  piacere  al- 
la signora  Margherita  ,  vi  terrei  compagnia  . 

Annibale.  Voi  convenevolmente  mi  siete  in  ogni  cosa 
signore  ;  ma  se  compagno,  e  non  avversario,  mi  volete  es- 
sere nel  ragionare ,  io  non  ricuso  di  ragionarne  . 

Margherita  .  Se  vi  sarà  avversario  nel  ragionar  del 
giuoco  ,  vi  sarà  peravventura  avversario  da  giuoco  :  ne  voi 
più  per  compi^gno  da  giuoco ,  che  per  avversario  da  giuo-r 
co  dovete  desiderarlo . 

Annibale  .  Né  io  ,  signora  Margherita ,  son  degno  della 
compagnia  di  questo  Cavaliero ,  né  '1  vorrei  per  avversa- 
rio, perchè  nel  ragionare  del  giuoco  ancora  potrebbe  esse- 
re vero  avversario:  io  ho  ben  voi  per  nemica  ,  che  mi 
chiamaste  in  questo  campo  ,  ove  con  sì  poco  onor  mio  del- 
la mia  ignoranza  v'accorgerete. 

Margherita.  Voi  o  artificiosamente  rispondete,  o  mo- 
destamente. Se  vi  mostrate  inesperto  delle  cose  ,  delle 
quali  s'  ha  a  ragionare  ,  per  trovarci  sprovveduti,  e  perchè 
la  vivacità  del  vostro  ingegno  appaia  maggiore,  la  vostra 
è  arte:  se  per  non  farne  mostra  superba  ,  e  per  n(»n  aspet- 
tar quelle  lodi,  che  sarchbon  convenevoli  ,  modestia  ;  la 
quale  è  tanto  più  bella  della  presunzione  di  molti  filosofi  , 
quant'  è  più  lodevole  l'esser  dubbio  del  suo  sapere,  che 
mostrarsi  sicuro  di  cosa  ,  della  quale  ,  se  il  vero  n'  ho  udi- 
to ,  non  può  esser  certezza  . 

Annibale.  Volesse  Iddio  che,  siccome  io  dubbioso  so- 
no del  mio  sapere,  cosi  voi  sempre  dubbi  ;  ne  lasciassi  ; 


8  IL  GON'ZAGA  SECOXnO 

pprcioccliè  molto  me  ne  terrei  nella  vostra  opini nnr'  ono- 
rato ,  parentlotui  clie  color  siano  in  opinione  di  ciotti,  ai 
quali  ninna  ij^noranza  può  esser  riinjìrovtrafa:  ma  leiuo 
che  nel  mio  ragionare  non  vi  renda  accorta  del  vostro  per 
me  dolce  inganno.  Pur  ragionisi  di  quel,  che  a  voi  piace; 
elle  se  voi  sarete  vaga  di  contendere  per  prendervi  giuo- 
co di  me,  a  me  sarà  sempre  lecito  di  ritirarmi  dalla 
contesa . 

Margherita.  Meco  non  avete  voi  da  contendere,  nò 
per  avversario  mi  avrete ,  sebhen  nemica  dianzi  mi  chia- 
maste, ma  lui  avrete  per  qucd  ch'egli  vorrà;  che  queste 
condizioni,  se  io  posso  alcuna  cosa,  cosi  volentieri  v'  i  n- 
pongo,  come  volentieri  vedrò  che  da  voi  non  siano  ri- 
fintate. 

Gonzaga  Né  me  voglio  che  abbia  per  nemico,  né  cbe 
sospetti  di  alcuna  ditticil  contesa:  ma  che  si  contenti  di  dir- 
ci del  giuoco  quel .  che  saprà  ,  o  di  rispondere  almeno  a 
quel ,  che  io  ne  gli  chiederò. 

Annibale.  Mi  piace  che  voi  mi  richiedi;'te,  percbè  non 
udireste  quello  appunto  che  aspettate  di  udire.-  ahneno  di 
quello,  intorno  a  che  desiderate  che  si  ragioni,  m'  udirete 
ragionare . 

G0N7,AG\.  Per  questa  ragione  la  signora  Margherita 
dovrebbe  richiederlo,  al  cui  desiderio  delibiamo  lutti  sod- 
disfare. 

Margherita.  Maggior  di'Tìcoltà  avrei  io  neir  addi- 
mandare,  che  il  signor  Annibale  nel  rispondere;  onde  vi 
prego  che  prendiate  questa  fatica  sovra  di  voi. 

Gonzaga,  lo  la  prenderò  asseti  volentieri,  tuttoché  non 
creda  che  debba  a  me  esser  più  leggiera  ,  che  al  signor 
Annibale  quella  del  rispondere.  Ma  che  desiderate  di  udi- 
re, signora  Margherita  ?  forse  se  il  giuoco  è  degno  di  bia- 
simo ,  o  se  sia  lecito  l'ingannare,  o  pur  se  ben  creato  Ca- 
valiero  si  debba  recare  a  favore  1'  essere  dalla  sua  donna 
ingannato,  e  forse  anco  quando  ebbe  origine  il  giuoco,  e 
cpial  sia  più  piacevole,  <•  qual  meno? 

Mar(;iii",1', ITA  .  Non  vi  voglio  lasciar  più  lungamenti"  in 
dubbio;  ma  vi  dico  che  di  tutte  queste  cose  vorrei  che  si 
ragionasse,  che  voi  alcuna  non  avete  proposta,  che  io  non 


O  DET.  GIUOCO  t) 

avpssi  in  mentP:  una  sola  ne  avete  lasciata  ai.lili.^tro  ;  come 
dehba  i;iuocare  ,  olii  desidera  eli  vincere. 

Gonzaga.  Ma  siate  contenta  ancor  voi  <li  dirci  di  qiial 
prima  di  tutte  queste  cose  volete  che  si  raijioni. 

^Margherita  .  Vorrei  priaia  sapere  ,  se  il  i^iuoco  fosse 
lodevole  o  no  ,  percliè  indarno  ricercherei  se  mi  fosse  le- 
cito talvolta  l'ingannare  ,  se  prima  non  sapessi  se  con  lo- 
de ,o  senza  biasimo  almeno  potessi  giuocare. 

Gonzaga.  Ed  in  qual  maniera  di  giuochi  dubitate,  si- 
gnora ,  se  vi  è  lecito  d'ingannare;  nella  primiera,  o  ne' ta- 
rocchi, o  pure  in  quella,  che  si  fa  talora  fra  voi  donne, 
quando  una  ponendo  nel  grembo  della  compagna  la  testa  , 
si  volge  la  mano  dopo  le  spalle,  e  aspetta  la  percossa? 

Margherita.  In  questa  non  già,  yjerchè  quando  io 
percuoto,  vorrei  sempre  ingannare  ,  ed  esser  tenuta  un'al- 
tra :  ma  credo  che  in  questo  giuoco  sia  biasimevole  non 
ingannare  ,  s'egli  è  pur  giuoco. 

Gonzaga  .  Udite,  signor  Annibale?  che  dubita  la  signo- 
ra INfargherita,  s'egli  sia  giuoco,  o  non  sia:  dunque  prima 
debbiam  cercare  quel  che  sia  giuoco, 

A^^NlBALE.  Mi  pare  che  senza  alcun  dubbio  prima  cer- 
cercare  ne  dobbiatno . 

Margherita.  Ed  anco  a  me  ,  sebben  questo  non  era 
di  quei  pensieri ,  che  io  prima  aveva  in  mente. 

Gonzaga.  Ditemi  dunque,  signor  Aiuiibale,  che  cosa 
è  giuoco? 

Annibale.  Una  contesa  di  fortuna,  e  d'ingegno  fra 
due ,  o  fra  più . 

Gonzaga.  Mirabil  definizione,  che  in  poche  parole  lia 
data  il  signor  Annibale:  ma  che  ne  dicela  signora  Mar- 
gherita ? 

Margherita  .  A  me  piacerà ,  allorché  vedrò  die  da  voi 
sarà  approvata;  ma  ora  non  mi  dispiace. 

Gonzaga.  Ma  crediamo  noi ,  o  signor  Annibale,  che 
nella  Corte.,  di  fortuna  e  d'ingegno  si  contenda  fra' cor- 
tigiani? 

Annibale  .  Credo  veramente . 
Gonzaga.  E  nelle  scuole  tra' filosofanti? 
Annibale.  E  nelle  scuole  tra' filosofanti. 


10  IT,  GONZAGA  SECONDO 

Gonzaga.  E  nella  guerra  fra' soldati? 
AnnibAT.e  .  E  nella  guerra  ancora. 

GoNZAG\.  E  così  in  tutte  l'arti,  ed  in  tutte  le  azioni  di 
fortuna  e  d  ingegno  si  contende  ? 
Annibale  .  in  tutte. 

Gonzaga.  Dunque  la  vita  è  un  giuoco,  o  signor  Anni- 
Lale;  onde  ben  io  dissi  clie  mii'abile  era  la  definizione  , 
nella  quale  la  vita  avevate  definita:  e  se  ciò  è  vero,  piii 
noi»  mi  pare  che  si  possa  dubitare  se  lodevole  sia  il  giuo- 
co, di  quel,  cìie  si  dubiti   se  lodevole  sia  il  vivere  . 

Margherita.  Di  troppo  alto  giuoco  avete  cominciato 
a  ragionare;  che  voglio  ora  rispondere  pel  signor  Anniba- 
le ,  il  quale  uii  pare  che  non  tanto  dubiti  che  questo  an- 
cor? sia  un  giuoco,  quanto,  che  non  sia  quello  ,  del  quale 
abbiamo  cominciato  a  ragionare  . 

Annibale.  A  me  è  avvenuto  ,  o  signora  ,  come  a  c.^lo- 
ro  che  assaliti  all'  improvviso  ,  piuttosto  della  novità  del 
pericolo,  che  della  grandezza  sono  spaventati,  perchè  non 
tanto  la  ragion  sua  mi  spaventa,  quanto  il  nuovo  modo 
col  quale  l'hanno  adJ  »tta  ;  e  ringrazio  voi  che  m'abbiate 
dato  tempo  di  raccogliermi  :  ma  io  risponderei  che  nella 
vita  non  si  contende;  perciocché  noi  ci  nasciamo  non  per 
contendere  ,  ma  per  vivere  in  pace. 

Gonzaga  .  Paga  dee  rimanere  a  questa  risposta  la  si- 
gnora Margherita,  ed  io  ancora  ne  rimarrei,  se  non  fossi 
d'ingegno  assai  tardo;  ma  ditemi  di  grazia,  o  signor  An- 
nibale, quando  sotto  le  mura  di  Troia,  Alessandro  con 
Menelao  per  EliMia  combattè  ,  o  pur  sotto  quelle  di  Lavi- 
nio  Turno  ed  Enea  per  Lavinia,  quel  combattimento  era 
contesa  ? 

Annibale.  Era  senza  dubbio. 
Gonzaga.  Nondimeno  av(!va  per  fine  la  pace. 
Annibale.  Aveva  . 

Gonzaga.  Alcuna  contesa  dunque  ha  per  fine  la  pace  ^ 
e  perchè  la  vita  a1)bia  per  fine  la  pace,  non  rimarrà  d'es- 
ser contesa,  penile  abbia  ])er  line  la  pare. 

AnnibAlc.  io  direi  che  il  line  della  guerra  non  è  la  pa- 
ce ,  ma  la  vittoria:  e  che  la  pace  è  line  non  della  guerra, 
ma    dellii   vita  civile;   ed   inlenib)  ora  per  fine  non  quello. 


O  DEL  GlUOrO  II 

olle  ulliiiio  è  (letto  altramente,  ma  quello  al  quale  l'altre 
cose  son  drizzate . 

Gonzaga.  Piacemi  che  abbiate  addotta  opinione,  cbe 
io  possa  piuttosto  approvarla  che  riprovare  ;  perciocché  se 
il  Hiie  del  capitano  ,  in  quanto  egli  è  tale,  n  )n  è  la  pace  , 
ina  la  vittoria,  assai  ragionevole  è  che  la  gurrra  ,  oh' è 
cooperazion  sua,  non  abbia  altro  fine  della  vittoria:  e  fine, 
che  (non  je  pure  è  fine  della  guerra  ,  sicché  la  pace  si  pro- 
pone il  capitano,  ama  il  politico)  così  mi  ricordo,  che  una 
mattina  il  signore  Scipione  mio  fratallo,  discorrendo  col 
signor  Sigismondo  nostro  zio  ,  Cavaliero  assai  esperto  nel- 
la guerra  ,  afferruava  ;  ed  ora  il  dico  assai  volentieri ,  per 
dimostrare  al  Sigtior  Annibale,  che  io  non  niego  di  venir 
seco  all'accordo;  purché  egli  conceda  a  me  ancora,  o  che 
il  giuoco  non  sia  contesa  ,  o  che  la  guerra  sia  giuoco. 

Margherita.  Io  mi  voglio  qui  tVaporre,  acciocché 
peggio  non  ne  segua  ;  e  prego  voi,  o  signor  Annibale, 
elle  crediate  que>to,  che  il  giuoco  non  sia  contesa  ;  perchè 
se  questo  sostener  voleste  ,  e  conceder  l'altro  ,  che  l'atto 
della  guerra  fosse  giuoco,  io  non  sol  d'altro  udirei  ragio- 
nare che  di  quello  di  che  desiderava,  che  si  favellasse; 
ma  temerei  anco  ,  che  il  signor  Conte  mio  marito  ,  la- 
sciandosi persuadere  che  la  guerra  fosse  un  giuoco,  e  un 
trattenimento,  molto  più  spesso  di  «juel ,  ch'egli  suole,  mi 
ubbandonassse . 

Annibale.  Signora,  se  io  non  potessi  sostenere  che  il 
giuoco  fosse  contesa  ,  e  distinto  dalla  guerra,  a  ragion  po- 
treste desiderare  che  io  alcuna  d'elle  parti  cedessi  :  ma  se 
aggiungendo  alla  definizione  quest'altre  diflVrenze  ,  ch'e- 
gli sia  contesa  fatta  per  trattenimento  della  pace  ,  dalla 
guerra  il  distifigucrò,  non  so  percliè  delibiate  costringer- 
mi a  ceder  le  mie  ragini . 

Gonzaga  ,  Il  signor  Anni])ale  ritorna  più  gagliardo  e 
direi  die  risorge  a  guisa  d'Anteo,  il  qual  nacque  nella 
patria  di  colui,  di  che  egli  tiene  il  nome,  se  a  me  paresse 
di  averlo  giammai  abbattuto;  ma  vegga  che  se  egli  vuole 
clic  il  giuoco  sia  fatto  per  trattenimento  di  pace,  a'soldati, 
i  (piali  nella  guerra  soglion  giuocare  ,  noi  tolga  con  tanto 
sdegno  loro,  che  non  gli  bastino  peravvenlura  quell'arme, 
che  da' suoi  loici  gli  potrebbono  esser  fabbricate  . 


12  IL  GONZAGA  SECONDO 

Annibale.  T  soldati  giucano  nell'  ozio,  che  moUe  fiate 
si  concede  nelle  guerre:  onde  se  non  vi  piace  che  si  dica 
per  tratteniriento  della  pace,  potremo  dire  per  trattsMii- 
mento  dell'ozio . 

Gonzaga.  Io  non  sono  sì  vagì»  di  contesa,  che  tra  rimo 
e  l'altro  modo  faccia  molta  diilcrenza;  ma  le  harriere  ,  »■•!  i 
corsi  della  cìtiiitana,  e  i  torneamenti  non  son  contese  fatte 
per  trattenimento  della  pace? 
Annibale.  Sono. 

Gonzaga.  Dunque  questi  ancora  potrehhono  giuochi 
essere  addimandali  . 

Annibale.  Io  non  conosco  cagione  per  la  ([ualc  non 
possano,  perchè  quelli,  de' quali  On.pro  e  Virgilio  nel- 
l'esequie d'Anelnse  e  di  Patroclo,  fanno  menzi  tue,  sono 
assai  ^ì  nili  a  questi,  de'quali  avete  fatta  menzioni-;  e  Si^ 
quelli  furon  giuochi,  questi  possono  esser  detti  giuochi 
convi'nevolmente . 

Gonzaga.  Ma  questi  })are  a  voi  che  sian  veri  contra- 
sti, o  finti  ? 

Annibale.  Non  si  può  negare  che  in  essi  non  sia  vera 
contesa  ,  perchè  d  arte  ,  o  di  leggiadria  ,  o  di  pompa  ,  o  di 
altra  si  fatta  cosa  si  contende;  nondimeno  perchè  l'appa- 
renza è  mollo  maggiore  dell' elfetto,  ci  rappresentano  un 
non  so  che  di  più:  e  m>lte  volte  vera  guerra,  ovvero 
dufdlo  ci  rappresentano;  onde  si  può  dire  eh  essi  sian 
finti  contrasti . 

Gonzaga  .  Finti  dunque  sono  questi  contrasti;  percioc- 
ché essi  sono  imitazione  de' veri? 
AnnIBAT-E.  Così  pare. 

Gonzaga  Dunque  sin  ora  o  signore  Anuihale,  ah- 
biam  ritrovato  ohe  una  sorte  di  giuochi  si  ritrova  ,  la  qua- 
le è  i  nitazionc  delle  contese  ,  non  vera  contesa  . 

Annibale.  Ahhiam  questo  senza  duhhio  ritrovato. 
Gonzaga  .  Ma  nel  giuoco  del  corso,  e  della  lolla   vede- 
te voi  alcuna  sorte  d'  iriiilazione  ? 

Annibale.  Mi  pare  che  nell'uno,  e  nell'altro  si  veda 
assai  convenevole  ,  se  nell'uno  il  corso  d'  Enea  ,o  di  Tur- 
nr) ,  o  di  Ettore  saranno  imitati,  nell'altro  la  lotta  d'Er- 
cole, o  d'Anteo,  e  quella  di  Ruggiero  e  di  Rodomonlc . 


O  DEI.  Gì  [loco  j3 

Gonzaga.  E  nel  giuoco  delle  carte  si  Tede  alcuna  con- 
tesa ,  o  signor  Annibale  ? 

Annibale.  La  veggio  veramente  dipinta  di  Cavalieri,  e 
di  Re  in  diversi  modi  imitata  .  | 

Gonzaga  .  31a  che  diremo  del  giuoco  degli  scacchi  ?  l 

Annibale.  Mi  pare  che  anch'esso  sia  imitazione  ,  per-  i 

ciocche  l'ordine  dell'esercito  in  alcun  modo  ci  rappresen- 
ta; e  si  dice  clte  PaLunede,  ritrovatore  dell'ordinanze,  il 
ritrovò  nell;i  guerra  di  Troia. 

Gonzaga.  Dunque  sin'ora  pare  che  il  giuoco  sia  imi- 
tazione ,  poiché  tutti  i  già  detti  giuochi  in  questo  conven- 
gono che  sono  imitazione;  e  se  negli  altri  giuochi  pari- 
mente la  ritroveremo,  non  vi  rimarrà  quasi  dubbio  clie- 
gli  non  sia  imitazione  ;  or  dii'emo  noi  che  la  Poesia  sia  un 
giuoco  ?  ( 

Annibale  .  La  Poesia  giuoco  non  mi  pare  che  si  possa 
chiamare,  ma  studio  piuttosto,  che  ricerca  la  vita  di  un 
uomo  occupato . 

Gonzaga.  Pur  alcun  lodando  il  suo  signore  ,  che  gli  a- 
veva  concesso  ozio  di  poetare  ,  disse  eh'  egli  aveva  permes- 
so di  scherzare  di  quel  che  voleva:  ne  egli  solo  cosi  piiriò, 
ma  molti  altri  :  e  giuochi  furono  detti  particolurmenle 
molti  poemi. 

Annibale.  Furono,  ma  piacevoli. 
Gonzaga  .  Ma  tra'  gravi  qual'è  gravissimo? 
Annibale.  La  Tragedia. 

Gonzaga  .  Nondimeno  le  contese  de' tragici ,  non  meno 
di  quelle  de' comici  eran  celebrate,  alle  quali  un  becco 
per  premio  si  proponeva  . 

Annibale.  Cotesto  è  vero;  ma  insieme  è  vero  quel ,  che 
io  ho  detto . 

Gonzaga. Se  l'uua  e  l'altra  cosa  è  vera,  non  sono  dun- 
que contrarie . 

Annibale  .  Non  sono . 

Gonzaga  .  Può  dunque  esser  la  Poesia  insieme  studio, 
e  giuoco  per  diversi  rispetti  ;  ma  consideriamo  se  di  alcu- 
n' altra  parte  possa  il  simile  avvenire:  or  ditemi,  l'iale 
della  scherma,  credete  che  tosse  studio  ,  o  giuoco  de' gla- 
diatori? 


l4  II-  GONZAGA  SECONDO 

Annibale.  Studio. 

GONZAGA.  Nondiiueno  le  lor  contese  eran  giuoclii  dei 
popoli;  tuttoccliè  assai  gravi  giuoclii. 

Annibale.  Erano. 

Gonzaga  .  E  1'  isti;sso  diremo  de'  corsi  de'  carri,  e  dei 
cavalli,  e  degli  altri,  de'  quali  abbiamo  già  fatta  menzione. 

Annibale.  Diremo. 

Gonzaga.  Ninna  meraviglia  è  dunque  die  la  Poesia  sia 
studio  de'  poeti ,  e  giuocbi  degli  spettatori . 

Annibale  .  Niuna . 

Gonzaga  .  Ma  la  Poesia  è  ella  imitazione? 

Annibale.  Di  questo  non  mi  pare  die  in  alcun  modo 
si  possa  dubitare  . 

Gonzaga.  In  tante  maniere  dunque  de' giuocbi  abbia- 
mo sin  qui  r  imitazione  ritrovata  ,  o  signcjr  Annibale  ,  cbe 
possiam  dire  cbe  il  giuoco  sia  imitazione  ,  o  cbe  il  giuoco 
ad  una  definizione  sola  non  si  possa  ridurre  :  ma  vogliam 
contentarci  di  quel,  cbe  sin  ora  s'è  detto  ,  o  pure  piìi  sot- 
tilmente ancora  la  verità  di  queste  cose  andar  ricmt  andò  ? 

Annibale  .  A  me  pare  cbe  assai  contentar  ce  ne  dob- 
biamo, percbè  quando  il  giuoco  pur  non  fosse  imitazione, 
come  a  voi  pare,  sarebbe  almen  contesa  ,  come  io  giudi- 
cava, e  forse  quei  giuoclii  tutti,  cbe  alT  imitazione  non  si 
riducono  ,  si  riducono  alla  contesa  come  a  suo  genere. 

MargheiUTA  .  Già  ini  pare  cbe  senza  cbe  io  molto  af- 
faticala mi  sia,  voi  medesimi  vi  siate  accordati,  del  cbe 
non  so  se  mi  rallegri,  o  mi  doglia,  die  non  abbiate  avuto 
bisogno  deir  opera  inia  ,  se  io  credessi  di  essere  stala  atta 
a  porvi  d'accorilo:  mi  rallegro  dunque,  percbè  la  vostra 
concordia  è  arg<;iuento  della  verità  ,  la  quale  piuttosto  da 
due,  cbe  da  una  suol  esser  ritrovata  . 

Annibai,e.  Il  uifiggiormente  mi  rallegrerei  ,  se  così  nel- 
r  ojiinione,  co;iie  nd  dubbio,  fossimo  conccirdi. 

IVlARGHERIl'A  .  Ma  ditemi ,  vi  prego,  signor  Annibale, 
vi  piace  più  l'ojiinion  vostra,  cbe  quella  del  signor  Giu- 
lio Cesare? 

Annibale,  lo  di  niuna  mia  opinione  mi  compiaccio,  se 
ver  dico  ,  e  meno  cbe  d' alcunaltra  di  t|uesla  ,  la  quale 
per  vostro  piacere  lio  manifcdata. 


O  DEL  GIUOCO  !5 

MARGHERITA.  Ma  quando  a  voi  pure  più  la  vostra  opi- 
nione piacesse,  siate  contento  clie  io  vi  giudiclii  uomo 
vago  di  contesa:  poiché  il  giuoco  non  nella  contesa,  vna 
nella  imitazione  volete  riporre. 

Gonzaga.  Assai  favorisce  la  signora  Margherita  la  mia 
opinione  con  queste  sue  argute  parole . 

Annibale.  A  me  sin  da  principio  parvo  che  la  signora 
Margherita  mi  fosse  anxi  contraria ,  che  favorevole:  non 
rimarrò  nondimeno  di  dire  che  io  veggio  molti  giuociii, 
ne'  quali  alcuna  imitazione  ,  non  si  ritrova  ;  ma  non  veg- 
gio già  alcuno  ,  in  cui  non  si  ritrovi  alcun  contrasto  ;  e 
chiederei  a  voi,  signor  Giulio  Cesare,  che  imita  colui  che 
giucca  alla  mozza,  o  colui  che  giuoca  al  pallamaglio?  e  se 
non  imita ,  come  sia  vero  che  il  giuoco  sia  imitazione  ?  e 
potrei  così  armarmi  centra  la  vostra  definizione  ,  come  voi^ 
contra  la  mia  vi  siete  armato. 

Gonzaga.  Già  non  vi  si  toglie  che  la  mia  definizione 
non  possiate  impugnare;  ma  io  non  tanto  vi  negherei  che 
alcuni  giuochi  fossero  privi  d  imitazione  ,  quanto  che 
quelli  che  ne  son  privi ,  non  ahhiano  tutte  quelle  condi- 
zioni ,  che  nel  giuoco  si  richieggono  :  ma  o  vi  piaccia,  si- 
gnor Annihale,  di  addimandare,o  di  rispondere  a  quel  che 
io  in  questo  proposito  vi  chiederò  . 

Annibale.  Chiedete  quel  che  vi  piace . 

Gonzaga  .  Non  avete  voi  detto  che  i  giuochi  sou  fatti 
per  trattenimento  della  pace? 

Annibale.  Ho  detto. 

Gonzaga.  E  que' giuochi,  ne'quali  non  è  alcuna  imi- 
tazione, se  pur  son  giuochi,  sono  di  maggior  ,  o  di  minor 
trattenimento  che  gli  altri ,  ne'quali  alcuna  cosa  è  imitata? 

Annibale  .  Di  minor  senza  dubhio. 

Gonzaga.  Quelli  dunque,  che  maggiormente  imitano, 
più  trattengono. 

Annibale.  Così  pare. 

Gonzaga.  Ed  il  trattenimento  loro,  onde  nasce? 

Annibale.  Dalla  imitazione. 

Gonzaga.  Dalla  natura  dunque  del  giuoco  retto  ncisctj 
il  diletto  . 

Annidale  .  Cosi  ci-edo . 


l6  IL  GONZAGA  SECONDO 

Gonzaga.  E  forse  tanto  è  egli  maggioi-e.  quanto  l'imi- 
tazione è  più  espressa  ,  e  ujeglio  fatta  . 

Annibale.  Così  è  senza  dubbio,  percbè  quelle  carte  an- 
.  Cora  ,  nelle  quali  i  cavaMeri  e  i  fanti,  e  i  re  meglio  sono  , 
e  con  più  vagbi  colori  imitati,  più  volentieri  sogliono  dai 
giuocatori  essere  usate  ;  ma  in  quegli  altri  giuochi ,  nei 
quali  non  è  alcuna  imitazione  ,  onde  procede  il  tratteni- 
mento; dalla  natura  loro,  o  pur  da  alcuna  esterna  cagio- 
ne, come  sarebbe  la  vincita  del  danaro  ? 

AnnibA1,E.  Da  questa  piuttosto. 

Gonzaga.  Dunque  per  se  stessi  dilettevoli  molti  non 
sono;  e  se  tali  non  sono,  non  sono  stati  ritrovati  per  quel 
fine,  per  lo  quale  i  giuochi  furono  ritrovati  ,  sicché  appe- 
na del  nome  di  giuoco  mi  paiono  meritevoli . 

Margherita.  Già  d'una  di  q\ielie  cose  si  viene  a  ra- 
gionare, della  quale  io  desiderava  che  si  ragionasse  ,  del- 
l  origine  de' giuochi  dico:  e  già  quando  il  signor  Anniba- 
le disse  che  il  giuoco  degli  scaccbi  era  stato  ritrovato  da 
Palamede  inventor  delle  ordinanze,  volli  interro; u pere  il 
ragionamento,  ma  mi  rijiiasi  di  farlo,  peixioccbè  in  trop- 
po sottile  investigazione  vi  vidi  occupati;  ora  clie  quel, 
che  cercavate  ,  se  non  m'inganno,  avete  ritrovato ,  mi  vo- 
glio anch'io  far  lecito  di  cbiedere  al  signor  Annibale,  se 
il  giuoco  degli  scacchi  fu  ritrovato  da  Palamede  sotto 
Troia ,  onde  avvenga  che  in  esso  sian  figurate  le  Amazoni.'' 
perciocché  neir  Illiade  ,  che  io  ho  letta  alcuna  volta  tra- 
dotta ,  non  ritrovo  menzione  ne  di  Palamede,  uè  dell'  A- 
mazoni;  ma  Palamede  era  morto  innanzi  il  nono  aimo  del- 
la guerra;  e  le  Amazoni  vennero  dopo. 

Annibale.  ;Nel  giuoco  di  Palamede  non  eran  peravven- 
tura  le  Amazoni;  ma  questo  fu  forse  iiccresciiuento  di  quei 
soldati,  ch'in  Grecia  il  riportarono  ,  i  quali  di  questa  no- 
vità il  vollero  adurnai'C,  perchè  fosse  più  grato  agli  occhi 
de' riguarda»  li. 

Margherita.  Ma  la  distinzion  delle  schiere  bianche 
e  dei  le  nere  ,  ond:?  fu  tolta  ? 

Annibale.  Forse  da' Traci,  che  seguirono  Reso,  e  da- 
gli .litri  po))oli  Seltrnlrionali ,  e  da  (pielli  dell'  Oriente, 
die  passarono  sotto  Mennonc. 


O  r>iKL  ciooco  17 

Margherita.  Ma  se  queste  furon  scliiere  ti' un  esercito 
medesimo ,  non  par  conveniente  clic  dovessero  due  eserci- 
ti nemici  rappresentare. 

Annibale  .  Non  credo  che  in  qiiesta  imitazione  cìii  la 
trovò,  o  l'accrebbe,  tanto  alla  verità  o  alla  favola  abbia 
avuto  risguardo,  quanto  alla  vaghezza  della  vista,  come 
in  molte  altre  osservazioni  si  vede  osservato  ;  ma  chi  vo- 
lesse ch'egli  alla  verità  ,  ed  alla  favola  ancora  avesse  avu- 
to risguardo ,  potrebbe  dire  che  le  schiere  bianche  fossero 
de' popoli  dell'  Asia  ,  che  erano  molti ,  e  delicati ,  e  nudriti, 
per  cosi  dire ,  all'ombra;  e  le  nere  de' Greci,  che  per  la 
polvere  ,  e  per  lo  sole  tali  eran  divenuti? 

Margherita.  Ma  l'  uso  degli  elefanti  fu  ritrovamento 
de'  Greci ,  o  pur  anco  dopo  fu  ritrovato. 

AnnibAt,e  .  Dopo,  cred'  io  ,  che  fosse  tutta  questa  in- 
venzione non  solo  accresciuta,  ma  adornata  di  quello,  che 
in  ciascuna  età  nell'uso  del  guerreggiare  era  stato  piij  mi- 
rabile. 

IMArgherita.  Assai  resto  io  contenta  della  risposta  del 
signor  Annibale . 

Gonzaga  .  Ed  a  me  pare  che,  rispondendo  d'^Il' origine 
de' giuochi  ,  ci  abbia  maggiormente  confermati  in  questa 
opinione  ,  che  '1  giuoco  sia  imitazione  :  e  per  confermarlo 
anco  più,  gli  richiedo,  onde  avvenga  che  i  re  negli  scac- 
chi si  muovano  lentamente . 

Annibale.  Forse| per  imitare  la  tardità,  e  la  gravità 
dei  re. 

Gonzaga.  Ma  per  questa  ragione  tardamente  si  dovreb- 
bono  muovere  i  rocchi  ,  che  imitano  gli  elefanti . 

Annibale.  La  necessità  e  l'ordine  del  giuoco  ha  ricer- 
cato che  essi  corrano  tutto  lo  scacchiero;  oltreché  non 
essendo  ordinariamente  adopratt,  se  non  nel  fine  del  giuo- 
co, assai  convenevolmente  rappresentano  la  strage  ,  che 
fanno  gli  elefanti  nelle  schiere  rotte  e  disordinate  . 

Gonzaga,  Ma  forse,  o  signor  Annibale  ,  non  dee  rima- 
ner paga  la  signora  Margherita  ,  che  l'origine  d'un  giufi- 
co  sia  ritrovata  ,  se  V  origme  degli  altri  non  si  ritrova . 

Annibale.  Così  credo;  ma  se  noi  partitamente  vorre- 
mo ricercare  quando  ciascuno  avesse  principio,  e  conie-^ 
Dialoghi  T.  m.  ì 


iB  .     IL  GONZAGA  SECONDO 

cosa  faremo  forse  altrettanto  malagevole,  quanto  oscura, 
perciocché  di  molti  giuochi  ci  converrebbe  ragionare,  il 
cui  principio  è  forse  così  nascoso  nelle  tenebre,  come  so- 
no molte  stirpi  degli  uomini. 

Gonzaga.    D'alcuni  dunque   illustri  solamente  ricer- 
cheremo il  principio. 

Annibai>e.  Di  questi  non  sarà  né  diffidi  molto  ,  né  noio- 
so il  ricercarlo . 

Gonzaga.  Ma  quali  son  da  voi  riputati  più  illustri? 
Annibale.  Quegli,  onde  gli  antichi  onoravano  l'ese- 
quie de' maggiori,  o  i  sacrifìcj  dei  Re,  e  quelli  che  si  ce- 
lebravano nelle  ragunanze  de' popoli  della  Grecia,  ad  imi- 
tazione de'quali  n'instituirono  molti  i  Romani. 

Gonzaga  .  E  questi ,  siccome  in  diversi  tempi,  per  di- 
verse occasioni  ebbero  origine. 

Annibale.  Così  credo.-  e  la  piìi  antica  menzione  ch'io 
abbia  di  loro  ritrovata,  è  ne' poeti,  ne' quali  non  solo  si 
legge  che  la  sepoltura  di  Patroclo  fu  con  varj  giuochi 
onorata;  masi  legge  ancora  eh' Ercole  ed  A  polliiir  furo- 
no co' giuocìii  onorati  ne'  sacrifìcj  ;  perciocché  quelite  ra- 
gunanze  della  Grecia,  colle  quali  fu  distinto  il  tempo  ,  fu- 
rono instituite  molto  dopo  il  tempo  degli  Eroi,  eh' è  quel- 
lo, eh' é  descritto  da' poeti:  nondimeno  di  que'giuochi, 
che  in  quelle  ragunanze  si  celebravano,  si  ritrova  in  Pin- 
daro, e  ne'poeti  Greci  assai  spesso  menzione,  sicché  ad  al- 
cuni è  paruto  ch'essi  potessero  esser  suggetto  di  lirica 
poesia . 

Gonzaga  .  Ma  se  la  tragedia  e  la  commedia  ,  o  signor 
Annibale,  sono  giuochi,  come  detto  abbiamo ,  debbiamo 
di  questi  ancora  la  cagione  ricercare  ,  o  pur  della  tragedia 
sulaiiiente,  eh' è  jiiù  illustre  ? 

Annibale.  D(  ir  una  e  dell'altra  ho  io  letto  ch'ebbe 
origine  fra  i  Dorici  e  gli  Ateniesi,  ma  fra  i  Dorici  nella  li- 
bertà popolare,  comecché  della  commedia  non  solo  fra  i 
Dorici  e  gli  Ateniesi,  ma  fra  i  Dorici  della  vSicilia  e  quelli 
della  Morea  vi  sia  stato  conlesa. 

Gonzaga.  Ma  i  torneamenti  e  i  corsi   della  chintana  , 
non  sono  anch'essi  giuoclii  illustri? 
ANNIBALE.  Sono. 


O  DEL  GFLOCO  19 

Gonzaga  .  E  questi  sapreste  voi  dire ,  quando  avesse- 
ro origine? 

Annibale.  Non  saprei  veramente,   se  dM'  istorie,  o 
piuttosto  dalie  tàvole  dell'Inghilterra  non  la  traessi . 

Gonzaga,  E  da  Spagna  d'alcuni  altri  giuochi  potreste 
trarre  ,  qual'è  quel  delle  canne,  e  delle  caroselle,  o  da  A-. 
(Vica  piuttosto . 

Annibale.  Potrei. 

Gonzaga  .  Ma  perawentura  la  signora  Margherita  non 
*;ol  di  questi  tutti  vurrehhe  sapere  l'  origine  ,  u>a  di 
quelli  ancora,  che  fra  loro  donne  nelle  private  camere  so- 
gliono esser  fatti ,  e  di  quelli  anco  di  carte,  e  di  dadi  e  di 
molti  altri. 

Margherita.  Di  questi  anco,  che  da  noi  djnne,  non 
solo  da  voi  altri  signori  son  chiamati  giuochi,  vorrei  sa- 
per l' origine  :  ma  se  pur  il  signor  Annibale  stima  che  o 
sia  molto  difficile  il  renderla  ,  o  che  a  lungo  andare  doves- 
se essere  noioso  il  ragionarne,  io  non  lo  gravo  di  maggior 
fatica  di  quella,  che  a  lui  piaccia  di  prendere,  o  di  quella 
che  creda  di  poter  agevolmente  sopportare  . 

Annibale  .  Io  non  so  quel  che  mi  possa ,  o  non  possa  , 
come  colui,  che  per  compiacere  alla  signora  Margherita 
ed  a  voi  ,  dispiaccio  a  me  medesimo. 

Gonzaga  .  Ma  perawentura  ne  a  me,  né  a  lei,  né  a  voi 
dispiacerete,  se,  siccome  di  tutti  i  giuochi  una  co!uune 
definizione  s'è  data,  cosi  tutti  ad  una  comune  cagione  ri- 
durrete, per  la  quale  essi  siano  stati  ritrovati. 

Annibale.  Io  non  so  qual  possa  esser  questa  comu- 
ne cagione ,  se  forse  non  è  il  trattenimento ,  per  lo  qua- 
le furono  tutti  i  giuochi  (se  non  m' inganno  )  ritrovati; 
perciocché  la  severità  della  vita  attiva,  e  della  contempla- 
tiva eziandio,  aveva  bisogno  di  alcun  temperamento,  che 
la  rendesse  piacevole  ;  e  le  fatiche  dell'  una  e  dell'altra  , 
con  alcun  trattenimento  dovevan  esser  mescolate  ;  e  que- 
sto non  si  poteva  da  alcuna  cosa  piìi  convenevolmente 
prendersi  che  da'  giuochi ,  i  quali  comecché  possano  esser 
faticosi  a  chi  gli  fa,  alcuni  d'  essi  particolarmente  sono 
sempre  nondimeno  alleggiamento  delle  fatiche  di  chi  gli 
riguarda . 


20  IL  GONZAGA  SECONDO 

Gonzaga  .  E  questo  trattenimento  può  esser  pubblico 
e  primato? 

AnkibAle.  Puote. 

Gonzaga  .  Onde  due  sorti  dei  giuochi  diremo  che  si 
trovino,  1' una  fatta  per  pubblico,  l'altra  per  privato 
trattenimento. 

Annibale.  Così  mi  pare  che  si  debba  dire. 

Gonzaga.  Ma  forse  la  signora  Margherita  desidera  di 
sapere  che  sia  quel ,  che  il  signor  Annibale  chiama  trat- 
tenimento. 

Annibale.  Trattenimento  dico  io  il  diletto  dell'animo 
dal  quale  i  giuocatori.  e  talora  i  riguardanti  ingannati, 
non  s'accorgono  del  fuggir  dell'ore;  e  trattenimento  si  di- 
ce ,  perchè  egli  ci  trattiene  dall'operazioni,  e  fra  loro  si 
frappone .  acciocché  piix  volentieri  ad  esse  ,  che  faticose  ci 
paiono,  ritorniamo. 

GoìnzAGA.  Ma  onde  procede  questo  diletto? 

Annibale.  Dalla  vittoria,  credo  Lo,  perchè  la  vittoria, 
è  dolcissima  a  ciascuno  ,  per  ingegno,  o  per  fortuna  che 
si  vinca . 

Gonzaga  .  Ma  quando  credete  che  sia  più  grata  la  vit- 
toria, quando  ella  per  fortuna,  o  per  ingegno  s'acquista? 

AnmbAle.  Quando  per  ingegno. 

Gonzaga.  Più  grata  dunque  è  la  vittoria  del  giuoco 
degli  scacchi ,  che  di  quel  delle  carte  o  di  altro ,  in  cui  la 
fortuna  coli' ingegno  si  accompagni? 

Annibale.  Più  grata  c^rto. 

Gonzaga  .  Mn  credete  voi  che  a  ciascuno  ,  o  sempre 
più  piacevole  sia  il  giuoco  degli  scacchi  ,  che  quel  delle 
carie,  o  pure  gli  altri  giuochi  d'ingegno  piacciono  più  che 
quei  di  fortuna  ? 

Annibale.  Alcuna  fiata  <pielli,  nei  quali  la  fortuna  col- 
r  ingegno  si  accompagna  ,  sogliono  esser  più  piacevoli. 

GoiNZAGA.  Dunque  altra  cagione  di  diletto  si  può  ri- 
trovare nei  giunclii  oltre  la  vittoria. 

Annibale  .  Così  p;uc  per  questa  cagione. 

Gonzaga.  Dilemi  appresso,  il  diirtto  si  sente  solament(S 
nel  fine  del  giuoco,  o  pur  mentre  si  giuoca  ? 

Annibale  .  Mentre  ancora  si  giuoca,  ancora  si  sente  . 


O  T)-F,T,  CIUCCO  11 

.G0N5?AGA.  Ma  mentre  si  giuoca,  alcuno  non  lia  conse- 
guito la  vittoria  :  non  procede  dunque  il  piacere  dalla  vit- 
toria sola  . 

Annibale  .  Molte  pìcciole  vittorie  son  riportate  nel  giuo- 
co ,  in  ciascuna  delle  quali  si  sente  diletto  ,  sel)ben  l'uomo 
è  incerto  dell'  ultima,  e,  per  cosi  dire,  certa  e  sicura  vit- 
toria . 

Gonzaga.  Pìcciole  vittorie  cliiama  forse  il  Signore  An- 
nibale nel  giuoco  dt'lla  priiniera,  i  molli  resti,  che  si  tira.    , 

Annibale.  Queste  chiamo  picciole  vittorie. 

Gonzaga.  E  nel  giuoco  degli  scacchi  chiamerei  piccio- 
le vittorie  i  molti  pezzi  guadagnali . 

Annibale.  Sì  certo. 

Gonzaga  .  Ed  in  quel  della  palla  ,  e  del  pallone ,  le  cac- 
ce guadagnate. 

Annibale.  Queste  parimente  sono  da  me  picciole  vit- 
torie nominate . 

Gonzaga.  Nondimeno  il  giuocatore  è  incerto  della  vit- 
toria sin  al  fine,  parlo  dell'  ultima  conseguila  vittoria. 

Annibale.  È  veramente. 

Gonzaga  .  Ma  questa  incertitudine  mescola  eoi  diletto 
del  giuocatore  alcuna  molestia  ed  alcun  timore  ? 

Annibale  .  v*si  mescola  senza  tallo. 

Gonzaga.  Onde  né  sincero,  ne  puro  diletto  può  essere 
quel  del  giuocatore. 

AnnibAI>e  .  Non  pare  che  esser  possa. 

Gonzaga.  Ma  nel!' incertitudine  della  vittoria  fa  l'in- 
gegno del  giuocatore  alcuna  operazione? 

Annibale  .  Fa  ;  perciocché  egli  modera  così  i  prosperi, 
come  gl'infelici  avvenimenti  di  fortuna,  dirizzandogli  alla 
vittoria  . 

Gonzaga  .  E  questa  moderazione  degli  accidenti  della 
fortuna ,  può  ella  esser  senza  diletto  ? 

Annibale.  Non,  a  creder  mio. 

Gonzaga  .  Dunque  non  tanto  dalla  vittoria,  quanto 
dall'  operazione  del  giuocatore  ,  eh'  è  in  lui ,  può  nascere 
il  diletto  ;  e  s'avviene  che  il  giuocatore  sia  tale  ,  che  mo- 
deri non  solo  gli  accidenti  di  fortuna,  ma  gli  affetti  dell'a- 
nimo, eziandio  sentirà  egli  puro  ,  e  sincero  e  moderalo 
piacere  .-• 


i:i  IL  aONZAGA  SECONDO 

A.\Mn.\i,E.  Sentirà,  quandi  sia  tale,  pìchi  nondiineno 
sono  sì  fatti  ,  ina  la  maggior  parte  de'  giuocatori  ,  tra  la 
speranza  del  guadagno,  il  dubbio  del  perdere,  e  tra  il  di- 
letto e  tra  il  dolore  d'alcuni  guadagni  e  di  alcune  perdite, 
che  si  fanno  nel  giuoco,  passano  in  guisa  quel  tempo,  eh'  è 
destinato  all'ozio,  che  quasi  non  se  ne  accorgono  •  ma  al- 
lora se  n'accorgono  eh' è  già  trapassato;  e  questo  è  quel , 
che  è  propriamente  detto  diletto  de' giuocatori ,  il  quale 
tion  è  semplice  diletto,  comecché  il  diletto  sia  con  gli 
altri  affetti  mescolato. 

Gonzaga.  INIa  se  del  liberale  giuocatore  parlererno,  di- 
remo ch'egli  senta  semplice  diletto? 
ANNlBAr.E.  Diremo. 

Gonzaga  .  Ma  non  abbiamo  noi  detto,   o  Signor  Anni- 
bale, che  tra' giuochi ,  quelli  meglio  sono    stati    instituiti 
che  fanno  alcuna  imitazione? 
ANiMBAle.  Abbiamo. 

Gonzaga.  E  l' imitazione  non  è  ella  semplice  ? 
Annibale  .  Senza  dubbio. 

Gonzaga.  Né  solo  operazione,  ma  dilettevole  opera- 
lione  . 

Annibale.  Dilettevole  senza  alcun  dubbio  . 
Gonzaga  .  Dunque  perchè  il  giuocatore  fa  alcuna  ope- 
razione, ed  alcuna  imitazione,  giuocando  sentirà  diletto  ? 
ANNIBALE.  Così  pare  per  questa  ragione. 
Gonzaga  .  Ma  l' imitazione  a  coloro,  che  la  fanno  sola- 
mente ,è  piacevole  ,  o  pure  a  chi  la  rimira? 
Annibale.  A  chi  la  rimira  ancora. 
Gonzaga.  I  giuochi  dunque  a'  giuocatori ,  ed  a'riguar- 
danti  per  questa  ragione  saranno  piacevoli. 

Annibale.  Saranno;  ma  comecché  io  non  iiieghi  che 
l'operazione,  e  l'imitazione  soglia  apportare  diletto,  l'in- 
ccrtitudinc  nondiuieno  della  vittoria,  e  gli  affetti ,  che  in 
questa  incertitudine  si  sentono,  non  solo  a'  giuocatori,  ma 
a'riguardanti  ancora, che  con  alcune  animosità  di  parte  so- 
gliono i  giuochi  rimirare  ,  è  di  grandissimo  trattenimento. 
Gonzaga.  Ma  io  questo  niego,  né  muto  opinione,  che 
il  diletto  del  giuocatore  altrettanto  nell'operazione  ,  che 
è  in  lui,  quanto  nella  vittoria  ,  eh'  è  fuor  di  lui  ^  sia  ri- 


O  DFX  GIUOCO  2  3 

posto:  ma  chiedo  ben  ,  se  quelle  vittorie  sempre  snn  più 
piacevoli,  che  coli' operazione,  della  quale  il  giuocatore 
sia  signore,  sono  acquistate. 

Annibale  .  Così  pare  ragionevole  che  dovesse  essere  . 

Gonzaga  .  Nondimeno  quelle,  che  con  operazione  di 
maggiore  ingegno  s'acquistano,  sono  più  faticose,  come  è 
quella  del  giuoco  degli  scacchi,  e  degli  altri  si  fatti? 

Annibale  .  Sono. 

Gonzaga.  E  di  minor  fatica  sono  quelle  ,  ove  la  fortu- 
na ha  parte,  come  ha  nei  giuochi  delle  carte,  ed  in  molli 
altri? 

Annibale.  Di  minore ,  a  parer  mio. 

Gonzaga.  E  per  questo  rispetto  forse  paiono  elle  più 
piacevoli? 

Annibale.  Così  credo  ,  perchè  la  fatica  sempre  scema 
del  diletto. 

Gonzaga.  Ma  l'ultima,  e  sicura  vittoria  è  congiunta 
coir  operazione  ,  o  pur  seguita  l'operazione,  come  suo 
fine  ? 

Annibale.  Segue  l'operazione  come  suo  fine,  perchè 
in  quelle,  che  coli' operazioni  sono  congiunte  ,  sono  le  pic- 
ciole  ed  incerte  vittorie  . 

Gonzaga.  Ma  del  fine  dell'operazioni  più  faticose  ,  è 
più  faticosa  ,  o  pure  tanto  più  piacevole  ,  quanto  1"  opera- 
zione è  stata  più  faticosa  ,  la  vittoria? 

Annibale.  I  fini  dell'  operazioni  più  faticose,  più  pia- 
cevoli sogliono  essere  che  quelli  dell'  altre. 

Gonzaga.  Più  piacevole  dunque  sarà  la  vittoria  del 
giuoco  degli  scacchi ,  e  degli  altri  che  con  alcuna  fatica  si 
fanno  . 

Annibale  .  Così  pare  . 

Gonzaga.  Ma  delle  vittorie  non  sono  alcune  accompa- 
gnate dal  danaro  o  da  cosa  ,  che  dal  danaro  sia  misurata  , 
alcune  da  niun  prezzo  sono  accompagnate  ? 

Annibale.  Così  avviene  . 

Gonzaga.  Ma  se  1' une  all'altre  paragonerete ,  quali 
più  dilettevoli  saranno  da  voi  stimate? 

Annibale.  Quelle,  senza  alcun  dubbio,  le  quali  dal  da- 
naro, o  da  altro  prezzo  sono  accouipjgnate  . 


^4  ÌL  GONZAGA  SECONDO 

Margherita.  Molto  avari  fa  il  Signore  Annibale  i 
giuocatori,  senza  alcuna  contesa  del  Signor  Giulio  Cesare, 
se  quella  vittoria  lor  più  piace,  la  qual  dal  prezzo  è  ac- 
compagnata . 

ArsNiBALE.  Avarizia  sarebbe,  Signora  ,  se  il  danaro  fos- 
se per  sé  dal  giuocatore  desiderato,  ma  desiderandolo  il 
giuocatore  come  pregio  della  vittoria,  piuttosto  cupido  di 
lode  dee  esser  detto  ,  die  avaro  ;  e  se  i  doni  piacciono  al- 
l'ambizioso  quanto  all'avaro,  a  questo  percbè  apportano 
utilità ,  a  quello  perchè  sono  argomento  d'onore,  il  dana- 
ro ,  die  si  vince  dee  esser  grato  al  vincitore  come  utile  ed 
onorevole . 

Margherita.  Non  tanto  a  me  dispiace  la  ragione,  die 
VOI  dite,  quanto  mi  pare  die  in  quei  giiiocbi  ancora,  nei 
quali  non  si  giuocan  danari,  la  vittoria  debba  esser  grata 
per  se  stessa  ,  ne  men  grata  che  negli  altri. 

Gonzaga.  Dovrebbe  esser  certo,  e  suole  esser  grata  in 
ogni  giuoco;  ma  ditemi,  o  Signora,  quando  alcuna  donna 
supera  tutti  quegli  affetti,  per  gli  quali  l'altre  donne  so- 
gliono compiacere  almeno  d'  uno  sguardo  ,  clii  lor  rimira, 
non  sentono  piacere  d'  aver  in  ciò  costantemente  ado- 
perato ? 

Margherita.  I-e  donne  die  amate,  superan  gli  affetti 
loro  ,  altrettanto  diletto  debbono  sentire  nel  superarli 
quanta  vergogna  sentirebbono,  se  si  lasciasser  vincere. 

Gonzaga.  Ma  se  il  marito,  divenendo  loro  perciò  più 
affezionato,  o  monile,  o  altra  cosa  donasse  loro,  quasi  pre- 
gio di  quella  vittoria  ,  die  delle  cupidità  avesser  riportato, 
non  le  verrebbe  sì  fatto  pregio  grato  oltremodo  ? 
Margherita  .  Le  sarebbe  . 

Gonzaga  .  Dunque  se  le  donne  nell'  operazioni  loro  vo- 
lentieri il  prenaio  ricevono;  e  se  il  dottore  e  il  poeta, e  cia- 
scun altro  brama  il  premio  dell'  opere  sue  .  potete  ben 
credere  die  il  giuocatore  desideri  il  pregio  della  sua  vitto-^ 
ria,  la  qual  i./iltc  fiate  è  elfelto  della  sua  fortuna  ,  molte 
della  sua  industria  ;  ma  se  ciò  è  vero,  o  Signor  Annibale, 
(  die  a  voi  ora  dalla  Signtu-a  Margherita  rivolgo  il  ragio- 
ijajnento  )  come  può  all'amico  esser  lecito  di  giuocar  col- 
r amico,  e  di  procurar  gu;id;jgnr)  '' 


0  DEL  GIUOCO  7.5 

AnnieAT.K.  Ciascuno  nel  giuoco  è  nemico  a  colui  con 
chi  giuoca;  onde  da  lui  procurando  guadagno,  procura 
guadagno  dal  nemico. 

Gonzaga.  Ma  il  nemico,  o  Signor  Annibale,  non  è 
quegli  che  combatte  col  nemico? 

Annibale  .  Sì  certo  . 

Gonzaga,  Ed  il  giuocatore,  che  non  combatte,  ma  imi- 
ta il  combattere,  procura  il  guadagno  dal  nemico  da 
giuoco  ? 

Annibale.  Procura  . 

Gonzaga  .  Da  colui  dunque,  che  fuor  di  quel  giuoco 
suole  essergli  amico  ? 

Annibale  .  Assai  è  vero  che  con  gli  amici ,  anziché  eoi 
nemici,  soglion  giuocare  i  giuocatori  ;  nondimeno,  se  dal 
nemico  da  giuoco  procura  il  guadagno,  con  quell'animo 
medesimo  noi  procura ,  col  quale  dal  vero  nemico  il  cer- 
cherebbe. 

Gonzaga.  Ma  l'avaro  con  qual  anÌ!no  il  procura  ? 

Annibale  •  Con  quello  che  il  nemico  dal  nemico  il  pro- 
curerebbe . 

Gonzaga.  Vero  è  dunque  .  o  Signor  Annibale,  che  al- 
cuna volta  siano  degni  di  maggior  biasimo  i  giuocatori 
che  i  ladri. 

Annibale.  Vero  potrebbe  essere  in  alcun  modo;  per- 
chè se  voi  me,  che  amico,  e  servitore  vi  sono,  nel  giuoco 
procuraste  di  rovinare ,  ed  io  ad  una  donna  ,  clie  crudele 
mi  fosse,  anzi  che  no,  involassi  un  paio  di  guanti,  o  una 
corona,  o  altra  cosa  sì  fatta  ,  minor  biasiino  meriterei  nel 
furto,  che  voi  nel  giuoco 

Margherita.  Molto  buona  si  fa  il  Sig.  Annibale  la  sua 
ragione  e  molto  si  fa  lecito  il  potere  involare  alle  donne, 
alle  quali  essendo  inolto  lacil  cosa  1  involare,  poca  indu- 
stria dimostrerebbe,  chi  loro  alcuna  cosa  involasse,  ed  in- 
degno di  quella  lode  mi  parrebbe,  la  quale  gli  Spartani 
meritarono . 

Gonzaga.  Gli  Spartani  sapevano  cosi  ben  ricoprire, 
come  involare  ;  anzi  altra  scusa  ,  o  altra  lode  non  merita- 
vano, di  quella  d'  averlo  saputo  fare  senza  che  altri  se  ne 
accorgesse,  onde  se  fossero  slati  colti  nel  furto,  come  gli 


a6  IL  GONZAGA  SECONDO 

altri  sarebLono  stati  liiasimati  ;  ma  ancorcLc  io  giudici ii 
che  non  sia  lecito  d  involare  alle  donne  ,  nondimeno  avrei 
per  minor  erróre  l  involar  talvolta  un  paio  di  guanti,  o 
un  volo  ,  o  altra  si  fatta  cosa  ,  che  in  loro  memoria  potes- 
se esser  conservata,  che  l'avidità  del  vincere  in  giuoco 
tutti  i  danari  ;  la  quale  ho  talvolta  conosciuta  in  alcuni 
cortigiani,  che  mi  sono  paruti  piuttosto  buoni  giuocatori, 
che  gentili  trattenitori  di  donne  . 

Margherita.  Già  si  è  cmninciato  a  ragionare  di  un'al- 
tra di  quelle  cose  ,  delle  quali  io  desiderava  che  si  ragio- 
nasse ;  se  lodevol  fosse  il  giuocare,  e  se  lecito  fosse  l'in- 
gannare . 

Gonzaga.  Ma  di  queste  cose  peravventura  in  un  modo 
ne  potrebbe  i!  Signor  Pocaterra  co' suoi  compagni  nelle 
scuole  ragionare,  ed  in  un  altro  colla  Signora  Margherita; 
non  perchè  ella  non  sia  atta  ad  intendere  tutto  ciò,  che 
dal  Signor  Annibale  ,  o  da  me  potesse  esser  detto  ;  ma. 
percìiè  a  noi  si  conviene  di  parlare  in  modo  eh'  ella  volen- 
tieri ne  ascolti . 

Annibale  .  Io  per  me  direi  che  la  cupidità  del  guada- 
gno d(^e  esser  moderata  in  tutti  i  giuochi,  e  particolar- 
mente in  quelli,  che  eolle  donne  si  fanno, 

Gonzaga.  E  cpiesta  moderata  cupidità  di  guadagno 
pare  a  voi  lodevole  ,  o  Signor  Annibale? 

Annibale.  Sì  certo,  perchè  la  moderazione  di  ciascuno 
affetto  è  lodevole ,  ed  essendo  la  cupidità  di  guadagno  uii 
affetto  come  gli  altri,  non  veggio,  perchè  il  moderarlo 
non  debba  lode  riportare. 

Gonzaga  .  Ma  l'invidia  è  affetto? 

Annibale.  E. 

Gonzaga.  Ed  affetto  è  parimente  la  malignità? 

Annibale.  Parimente. 

Gonzaga.  Dunque  chi  modererà  questi  affetti ,  ancora 
meriterà  lode:  o  pure  alcuni  affetti  sono  in  guisa  rei, 
che  dovrebbono  anzi  essere  estirpati ,  e  tale  è  peravventu- 
ra la  malignità  e  1'  invidia  ;  ma  non  so  già  ,  se  la  cupidità 
e  del  guadagno  tra  questi  debba  esser  risposta . 

Annibale.  Se  questo  nome  di  cupidità  vi  offende,  la- 
sciandolo da  parte  con  quegli  altri,  i  quali  a  voi  paiono  in 


O  nVA.  GIUOCO  ìf 

guisa  rei ,  che  non  possano  ricevere  moderazione ,  come 
a  me  paia ,  che  se  niun  affetto  è  stato  in  danno  dalla  natu- 
ra prodotto  ,  tutti  passano  ricever  moderazione . 

Gonzaga  .  Ma  se  da  parte  lasceremo  questo  nome  di 
cupidità,  qual' altro  prenderemo  in  quella  vece? 

Annibale.  Quello  di  desiderio  ;  perchè  senza  desiderio 
di  vincere  non  mi  pare  che  si  possa  giuociire. 

Gonzaga.  E  quando  il  prezzo  del  giuoco  è  il  danaro, 
o  cosa  dal  danaro  misurata  ,  pare  a  voi  che  senza  biasimo 
si  possa  desiderare  di  vincere  il  danaro? 

Annibale.  A  me  pare  che  si  possa,  purché  mediocre- 
mente si  desideri  la  vincita  :  e  questa  mediocrità  consiste- 
rà non  solo  in  non  desiderare  di  vincere  con  maggiore  af- 
fetto di  quel  che  si  convenga  ;  ma  anche  in  non  desiderar 
di  vincere  più  di  quel  che  porti  la  natura  del  giuoco  :  e 
quelli  che  con  altro  affetto  giuocano  ,  sono  gli  avari  giuo- 
catori,  i  quali  come,  detto  abbiamo,  dei  ladri  non  sono  mi- 
gliori . 

Gonzaga  E  come  questi  avari  giuocatori,  dagli  altri 
conosceremo  ? 

Annibale  .  A  molti  segni ,  e  particolarmente  al  rispar- 
mio ,  col  quale  cavano  i  danari ,  alla  cautela  dell'  accetta- 
re gl'inviti ,  alla  dillticoltà  del  far  partito  . 

Gonzaga.  Il  liberale  giuocatore  dunque  molto  caverà, 
e  facilmente  inviterà  ed  accetterà  gì'  inviti  ? 
Annibale  .  Così  credo . 

Gonzaga  .  Ma  così  facendo ,  sarà  cagione  che  il  giuoco 
s'ingrossi. 

Annibale.  Sarà . 

Gonzaga  .  E  nel  giuoco  grosso  non  è  più  ragionevole  il 
guadagnar  molto ,  che  nel  picciolo  ? 
Annibale  .  È  senza  dubbio. 

Gonzaga.  Se  nel  giuocatore  dunque  sarà  alcun  deside- 
rio di  soverchio  guadagno  ,  la  sua  sarà  anzi  avarizia  che  li- 
beralità, sicché  dei  tre  segni  proposti  da  voi,  quel  di  fare  i 
partitimi  pare  il  più  certo;  e  comecché  la  larghezza  di 
giuocare  possa  parer  liberalità ,  perché  ella  da  un  cotal  di- 
sprezzo del  danaro  é  accompagnata ,  nondimeno  allora  la 
reputo  io  più  lodevoli-;  che  per  compiacere  alle  donne , 


^8  IT,  GOiNrzAr.A  SECO>'DO 

colle  quali  si  giuocìii,  sia  usata;  e  comeceliè  il  HLaiMl 
giuocatore  sempre  debha  moderare  la  cupidità  del  guada- 
gno, nondifneno  quando  avviene  eli'  egli  giuochi  colle 
donne ,  poca  volontà  d'altroché  di  servirle,  e  di  tratte- 
nerle dee  diiiiostrare,  e  se  questo  più  nelle  vostre  scuole 
non  s'impara,  o  Signor  Annibale,  nelle  qviali  di  lare  i  sil- 
logismi .  e  di  dimandare ,  e  di  rispondere  artificiosamente 
s'impara  ,  assai  si  apprende  ella  nelle  Corti,  ed  io  per  me 
tanto  n'ho  appreso,  che  potrei  alle  volte  giuocar  con  tale, 
che  porrei  la  mia  vittoria  nel  perdere  ,  e  mi  lascerei  vin- 
cere a  bell'arte  ;  e  quando  io  pur  non  mi  volessi  lasciar 
vincere,  almeno  assai  più  lentauiente  procederei  nella  vit- 
toria ,  e  con  maggior  facilità  verrei  a  tutti  i  partiti,  ed  a 
tutti  gli  accordi;  e  questa  facilità, che  colle  donne  è  crean- 
za, mi  parrebbe  alcuna  yolta  sciocchezza  con  gli  uomini. 

Margerita.  Quella  degli  uomini,  che  da  voi  è  stimata 
creanza  e  cortesia ,  da  me  è  riputato  inganno  ed  artilicio; 
pprriocchè  gli  uomini  molte  (late  si  lascian  vincere,  per 
vincer  le  donne  in  altri  contrasti  di  tnaggior  importanza. 

Annibale.  Gran  severità  mostra  h  Signora  Margherita 
in  non  gradire  quella  ,  che  dal  cavaiiero  suol  esser  riputa- 
ta  creanza  nel  trattener  le  dame  . 

Gonzaga  .  Forse  non  ha  in  tutto  il  torto  la  Signora 
Margherita;  perciocché  anzi  accortezza  che  severità  è  il 
ricusare  di  vincer  coloro ,  che  fanno  troppo  manifesta  la 
lor  volontà  di  perdere,  la  quale  di  ben  cnjato  cavaiiero 
dee  essere  ricoperta. 

Marc.erita  .  È  creanza  il  perder  colle  donne  ,  forse 
perchè  la  vittoria  è  lodevole  solo,  quando  ella  ha  contra- 
sto: ma  le  donne  non  poss<mo  con  gli  uomini,  né  d  inde- 
gno, né  di  fortuna  contendere. 

Gonzaga.  Benché  ad  alcuni  vera  potesse  parere  la  ra- 
gione della  signora  Margherita  ,  nondimeno  non  ardirei  di 
confermare  (^he  le  donne  d'ingegno  con  gli  uo  nini  non 
potessero  contendere,  parendoTui  che  ninno  ingegno  d'uo- 
mo sia  tale,  che  si  debba  sdegnare  di  venire  in  paragone 
♦  ol  vostro;  onde  crederei  che  Ferrara  non  di>vesse  per  voi 
invidiare  né  a  Modana  la  signora  Claiulia  Rangona;  né  a 
Parma  la  signora  Barbera  Sanscvcrina  ;  né  a  F'ircnze  la  si- 


O  DEL  GIUOCO  2f) 

gnora  Ermellina  Canii;iana,  uè  a  Correggio  la  signora  Ful- 
via ,  che  ne  è  nata  Signora.-  ne  ad  Urbino  la  signora  Felice 
della  Rovere;  le  quali  cinque  signore  ho  io  conosciute  d  in- 
gegno così  pronto  e  vivace,  clie  maggior  timore  avrei  avu- 
to di  coiilendere  parlando  con  alcuna  di  loro,  elio  ritrovar- 
mi incontra  un  cavaliero  colla  lancia  in  resta  ;  ma  eli  è 
parato,  a  voi,  signori  Ferraresi,  della  nostra  Serenissi.na 
Principessa  ? 

Margherita.  Non  è  stato  alcuno  di  noi.  che  non  sia 
riniaso  tanto  soddisfatto  dell'  ingegno,  e  de' costumi  laude- 
voli  ,  quanto  maravigliato  della  bellezza  e  della  grazia  del 
corpo:  ma  non  meno  credo  che  a  voi  alti'i  signori  debba- 
no esser  piaciute  le  nostre  . 

Gonzaga  .  Io  per  me  non  posso  se  non  ammirare  le 
Principesse  di  Ferrara,  e  particolarmente  la  Duchessa  di 
Ui-bino,  la  quale  nell"  età  più  matura  con.serva  ancor  la 
maggior  parte  di  quella  bellezza,  che  nella  giovanile  dico- 
no, eh  è  ilata  senza  pari,  né  meno  che  per  bellezza  del 
corpo  ,  è  degna  di  maraviglia  per  l'accortezza,  per  la  gra- 
vità, per  la  modestia,  la  quale  la  ritiene  assai  volte ,  che 
di  molte  cose,  che  molto  intende  ,  non  parli  più  di  quel  che 
a  donna  ed  a  Principessa  s'appartenga:  bieche  a  ii.e  p;;ie 
cbe  piuttosto  di  fortuna  che  d' ingegno,  voi  debbiate  ce- 
dere agli  uomini;  p.jichè  dalla  vostra  non  v'è  conceduto 
molto  fiate  il  vostro  ingegno  dimostrare. 

Margherha.  Sfortunata  cosa  dunque  è  il  nascer  don- 
na, perchè  sebben  la  fortuna  donna,  e  Dea  si  dipinge;  a 
quelle  del  suo  sesso  nondimeno  suole  inen  favorevole,  che 
agli  uomini  diiiostiarsi. 

Gonzaga.  Non  può  essere  in  alcun  modo  sfortunato  qu.l 
sesso ,  nel  quale  la  signora  Margherita  è  nata  ,  e  tante  al- 
tre valorose  donne. 

Margherita.  Questa  è  la  consolazione,  clie  da  voi  altri 
Sogliamo  ricevere,  anzi  di  parole  e  di  apperenze  cortesi 
che  d'effetti;  ma  assai  son  io  contenta  d  ubbidire  a  chi 
debbo,  ne  tanto  mi  doglio  della  mia  fortuna ,  quanto  di 
quella  di  molte  donne,  che  s'atteugonoa  chi  non  sa  couiaii-, 
dare,  come  loro  Dea  :  questa  fortuna  nondimeno ,  che  in 
alciui  quadro  io  ho  veduta  dipinta  colia  fronte  criuila ,  e 


.'O  IL  GONZAGA  SECONDO 

copiedi  alati,  Dea  non  è  certo,  come  gl'idolatri  credevano: 
elle  cosa  dunque  è  ella  (  se  pur  non  è  un  nome  vano  senza 
soggetto)?  e  questo  ora  addimando  ,  peri  ioccliè  da  Don 
Lelio  Padre  del  Gesù,  di  belle  e  scelte  lettere,  udii  io  di- 
re un  giorno  che  la  signora  mia  suocera  addolorata  per  la 
morte  del  marito  consolava,  che  alcuni  teologi  avevano 
creduto,  ch'ella  non  fosse  cosa  alcuna. 

Gonzaga.  Io,  lasciando  satare  quel,  che  i  teologi  ne  cre- 
dono, le  opinioni  de'quali  quantunque  stimi  vere  ,  non 
vorrei  che  fossero  tra' nostri  ragionamenti  mescolate  ,  non 
sono  dubbio,  s'ella  si  ritrovi;  ma  se  nel  giuoco  si  ritrovi, 
e  come,  pregherei  il  signor  Annibale  che  al  mio  deside- 
rio soddisfacesse,  se  non  fosse,  che  molto  prima  al  vostro 
dee  soddisfare.  Diteci  dunque,  signor  Annibale,  quel  che 
i  vostri  filosofi  dicono  della  fortuu.i . 

Annibale.  Delle  cagioni  alcune  sono  per  se  ,  alcune  per 
accidente;  e  la  fortuna  è  una  di  quelle  che  sono  per  acci- 
dente. 

Margherita.  Questi  vostri  per  sé,  e  per  accidente, 
son  termini  assai  buoni  ,  creilo  io,  ma  da  me  non  tanto  in- 
tesi ,  quanto  io  vorrei. 

Annibale.  La  signora  Margherita  s'infinge, perchè  buo- 
ni non  gli  stimerebbe  ,  se  non  gì' intendesse  ;  onde  non  tan- 
to credo  che  voglia  intendergli,  quanto  far  prova ,  conie 
io  gli  sapessi  dichiarare  a  chi  poco  gì' intendesse.  Dirò 
dunque  che  se  alcuno  giuocasse  in  alcuna  bella,  e  nobil 
brigata  di  donne  a  primiera,  e  guiocando  fosse  preso  del 
piacere  di  alrun;i  donna,  due  cagioni  si  porreibbono,  luna 
per  sé,  che  sarebbe  la  bellezza  della  donna  piaciutagli; per 
accidente  l'alfra  ,  che  sarebbe  il  giuoco;  ed  è  detta  cagion 
per  accidente,  perchè  non  è  necessari  i  cagione  dell'amo- 
re; ma  può  avvenire  che  altri  giuocando  s  innamori;  e 
potrebbe  avvenire  che  non  s'innauiorasse. 

Margherita.  Assai  convenevolmente  trova  occasione  il 
signor  Annibale  di  mescolare  ragionamenti  di  amore  in 
questo  proposito,  forse  come  colui,  che  d'alcun  amore  dee 
esser  preso;  ed  a  me  pare  d'avere  inteso  assai  bene  quel , 
che  sia  cagione  per  se,  e  quello  clie  per  accidente:  or  la- 


O  DFL  ciLOro  3t 

scerò  clie  il  signor  Giulio  Cesare   in    modo  l' eiddomandi 
della  fortuna,  cLe  non  ci  lasci  alcun  dubbio. 

Gonzaga.  Diteci  dunque,  signor  Anni  buie,  se  tutte  le 
Ocigioni  accidentali  si  dicono  per  fortuna. 

ANNIBALE,  La  fortuna  è  una  delle  cagioni  accidentali, 
la  qual  si  dice  propriamente  esser  cagione  di  quegli  effetti, 
i  quali  fatti  con  alcuno  umano  propronimetito ,  avvengono 
altramente  di  quello  else  l'uomo  s'aveva  presupposto. 

Go^ZAGA  Quegli  effetti  dunque,  i  quali  non  avvengono 
oltre  1  umano  proponimento,  non  si  recano  alla  fortuna? 

Annibale  .  Non  pare. 

GoAZAGA.  jNon  sarà  dunque  per  fortuna  la  caduta  di 
uno  spiedo,  o  di  altrarme,  vite  dal  luogo  ov  è  riposta  ca- 
da, e  ferisca  un  cavaliere? 

A>NlBAf.E.  Non  pare  a  me,  ma  per  caso  piuttosto, sotto 
il  quale  si  riducono  tutti  quegli  effetti,  de 'qua  li  può  esser 
per  feè  cagione  la  natura 

Gonzaga.  Assai  intendo  io,  come  il  caso  dalia  fortuna 
hia  distinto,  la  qual  distinzione  a  me,  die  pur  alcuna  voU 
ta  soglio  udire  il  signore  Scipione  mio  fratello  eo'filosufi 
discorrere  ,  non  è  nuova;  ma  credo  anche  che  nuova  non 
sia  agli  occhi  della  signora  Margherita ,  o  quando  pur  nui>- 
va  fofcse  ,  agevolmente  credo  che  da  lei  sia  stata  iutesa:  ma 
credo  anco  che  potrebbe  dubitare  se  colui,  che  vince  ai 
tarocchi,  o  a  priuiiera  ,  vince  per  fortuna. 

Annibale.  Per  fortuna  vince  il  più  delle  volte ,  lui tocliè 
alcuna  volta  per  ingi  gno  possa  vincere. 

Gonzaga.  Ed  ancoYjer  fortuna  vince  alcuna  volta  il  ca- 
valiere il  pregio  della  giostra,  o  del  torneamento'. 

Annibale.  Vince. 

Gonzaga.  E  per  fortuna  i  Tragici,  e  i  Comici  vinsero 
alcuna  fiata  le  lor  contese. 

Annibale.  Vinsero. 

Gonzaga.  Nondimeno  ne  i  poeti,  ne  i  cavalieri  ,  né  i 
giostratori  vinsero  oltre  il  proponi niento,  che  avevan  di 
vincere,  perchè  si  avevano  proposta  per  fine  la  vittoria;  co- 
me dunque  la  vittoria  loro  è  per  fortuna? 

Annibale.  De  nomi  de' filosofi  avviene  quel ,  che  degli 


\ 


32  IL  GONZAGA  SECONDO 

instrumenti  degli  altri  artefici,!  quali  alcuna  volta  in  al- 
cuni usi  proprj ,  alcuna  in  altri  man  propr j  sono  usati , 
perciocché  questo  nome  di  fortuna  ,  il  quale  propriamente 
vuole  usarsi,  quando  dell' azione  deg'i  uomini  si  ragio- 
na, suole  alcuna  volta  assai  distendersi,  ed  a  tutte  quelle 
cagioni  attribuirsi,  le  quali  certe  non  sono,  ne  conosciute  ; 
e  tale  molte  fiate  è  quella,  che  dà  la  vittoria  al  giuocatore» 
ed  agli  altri  die  contendono,  e  quella  eziandio,  che  con  un 
ispesso  vento  conduce  una  nave  io  porto  ,  col  quale  un'altra 
era  perita:  sicché  se  propriamente  vorremo  parlare,  non  è 
forse  la  fortuna  cagione  che  altri  o  perisca,  o  si  salvi;  se 
hen,  propriamente  dell'uno  e  dell'altro  eifctto,  può  es- 
ser cagione. 

Gonzaga.  A  me  pare  che  il  nome  di  fortuna  non  solos'usi 
propriamente  in  quegli  effetti,  che  avvengono  oltre  l'in- 
tenzione dell'operante,  ma  in  quelli  ancora  ,  che  1'  uomo  si 
propone  di  fare,  quando  non  potendo  esser  fatti  con  alcuna 
certa  ragione  dipendono  da  ragione  esterna;  eperavventura 
chi  stringe  gli  effetti  di  fortuna  in  quelli  solamen!e,cl)e  ol- 
tre il  proponimento  dell'operante  accadono,  jiroprio  gli 
ristringe; onde  perciié  nel  giuoco  non  è  alcuna  certa  ragione 
di  vincere,  può  la  vittoria  del  giuoco  avvenire  per  fortu- 
na, massimamente  se  colui ,  die  vince,  non  vince  nel  mo- 
do col  quale  di  guadagnare  s'aveva  proposto,  ma  in  altro 
modo  diverso;  come  vincerebbe  alcuno,  se  mentre  va  a 
primiera,  aspettando  carte  di  fiori,  sopraggiungesser  di 
picche,  che  gli  facesser  fir  trentasette  ,  o  trentanove;  per- 
ciocché quando  egli  si  pone  a  flusso  con  quamntanove,  o 
cinquanta  di  quadri ,  o  di  cuori ,  o  di  picche  affrontate  ,  se 
con  flusso  A  ilice,  o  senza  flusso,  non  si  conosce  così  aper- 
tamente eh'  egli  vinca  per  fortuna  .  anzi  può  alcuna  fiata 
parere,  ch'ei  vinca  per  alcun'arte,  che  abbia  del  giuoco, 
per  la  quale  abbia  saputo  a  tempo  invitare ,  o  tener  del 
resto. 

Margherita.  Ora,  se  non  m' inganno,  è  forse  tempo ^ 
che  m'Insegnate  1' una  di  quelle  cose  ,  che  nel  princijHo 
del  ragionamento  vi  richiesi. 

Gonzaga.  Forse  se  si  dia  arte  alcuna  del  giuoco? 

!^1ARGHER1TA  Cosi  forse  dimandereste,    come   se  avetft 


O  DEL  GIOOCO  33 

a  vincere  ,  che  queste  dispute  dell'arte  sono  altrettan- 
to difficili,  quanto  sia  quella  d(»IIa  fortuna  ,  della  quale  se 
alcuna  cosa  vi  rimane  a  dire,  non  vorrei  perciò  clic  fosse 
taciuta . 

Gonzaga.  A  me  non  rimane  clie  dire,  ma  che  chieder 
piuttosto  ;  e  chiederò  al  signor  Annihale  ,  se  così  il  caso  ,  e 
la  fortuna  possa  nel  giuoco  aver  parte. 

Annibale.  Può ,  s'io  non  m' inganno  aver  parte  in  quel 
giuochi,  ne' quali  o  la  gravità,  o  la  leggerezza,  o  altra 
qualità  de'corpi  naturali  è  cagione  de' varj  effetti,  come 
nel  giuoco  del  pallone,  e  della  palla  io  recherei  al  caso 
molti  halzi,  che  oltre  ogni  aspettazione  avvengono,  e  nel 
giuoco  del  pallamaglio  parimente  ,  ne'quali  dalla  gravità, 
e  dalla  leggerezza  delle  palle  ,  e  dall'egualità  ,  o  diseguali- 
tà della  terra  ,  e  da' concorsi ,  per  così  dire,  delle  palle  con 
altri  corpi ,  mirabili  effetti  veggiamo  avvenire;  e  simili  a 
questi  molti  ne  possono  avvenire  nel  giuoco  de' dadi, 
ne'quali  gli  angoli ,  e  la  superficie  sono  di  non  piccola  im- 
portanza: e  quando  non  siano  eguali ,  soglion  >  fare  alcuni 
effetti, che  al  caso  possono  ridursi,  de'quali  la  malizia  de- 
gli uomini  ha  fatto  quasi  un'arte:  nondimeno,  perchè  que- 
sti corpi  naturali  sono  instrumenti,  per  cosi  dire,  de'giuo- 
chi;  e  dalle  oiani  degli  uomini  sono  maneggiati  con  alcuna 
determinata  intenzione;  molto  più  ragionevolmente  la  for- 
tuna, che  il  caso,  n' è  estimata  la  cagione. 

Gonzaga.  Ma  se  questi  incerti  avvenimenti  si  possano 
con  alcuna  ragione  moderare,  e  se  del  giuoco  si  possa  dare 
alcun'arte,  o  si  possa  (come  ella  vuole  )  insegnare  alla  si- 
gnora Margherita  di  vincere,  che  ne  credete,  o  si^rror  An- 
nihale? 

Annibale.  L'arie  si  può  dare  in  quelje  co5e,che  o 
sempre,  o  per  lo  più  si  fanno  nel!'  ist»  sso  modo  ;  ma  se  per 
lo  più  succedano  questi  effetti  del  giuoco  ,  i  quali,  o  lutti 
alla  fortuna  ,  o  parte  al  caso  ,  e  parte  alla  fortuna,  possan 
ridursi,  aspetterei  di  udire ,  da  clii  fosse  più  pratico  del 
giuoco,  che  non  sono  io. 

Gonzaga.  Io  perawentura  posso  esserne  più  pratico  di 
voi:  ina  non  abbiamo  già  noi  detto,  che  in  alcuni  giuochi 
ha  parte  la  fortuna,  in  altri  non  l'ha? 

Dialoghi  T  ììl.  % 


34  IL  GONZAGA  SECONDO 

Annibale.  Ahlùamo. 

Gonzaga.  Ed  in  quelli,  ove  la  fortuna  non  ha  pariti, 
dubitate  voi ,  se  gli  eiletti  per  io  più ,  o  se  pur  rade  volte 
avvengano  ? 

ANNlBAr.E.  In  quegli  senz'alcun  dubbio  gli  efletti  av- 
vengono per  lo  più. 

Gonzaga.  Dunque  di  essi  si  può  dare  arte, e  si  può  non 
difljcilmente  insegnare  alla  signora  Margherita  di  vincere, 
come  il  signor  Conte  Annibale  Romeo  le  insegnerebbe  di 
vincere  a  scacchi . 

Annibale.  Si  può,  a  parer  mio. 

Gonzaga.  Ma  in  quegli  altri,  ne'quali  la  fortuna  ha 
parte  ,  possono  gli  effetti  avvenir  sempre,  o  per  lo  più? 

Annibale  .  Non  possono  . 

Gonzaga  .  Dunque  di  essi  arte  non  si  può  dare? 

Annibale.  No,  propriamente  ragionando;  ma  se  voi  mi 
concederete  che  delle  cose,  che  da  me  in  un  proposito  sono 
state  addotte  ,  possa  in  un  altro  valermi,  dirò  che  sebben 
l'arte  propriamente  si  trova  in  quelle  cose,  che  con  alcu- 
na certa  ragione  son  fatte  ;  nondimeno  in  quelle  ancora  , 
nelle  quali  non  si  dà  alcuna  certa  ragione,  si  dà  alcuna  os- 
servazione ,  la  quale  suole  spesso  esser  fallace  ,  ma  forse  il 
più  delle  volte  non  è  tale;  e  questa  è  1'  arte  di  que'  giuo- 
catori  tutti,  i  quali  alcuna  cosa  credono  alla  fortuna . 

Gonzaga.  Mi  pare  che  voi  abbiate  descritte  quelle, 
che  da  alcuni  son  chiamate  arti  cungietturali,  qual' è  forse 
quella  del  capitano,  e  del  navigante  ;  perchè  siccome  in 
quelle  ci  sono  alcune  regole,  ed  alcusie  osservazioni,  nelle 
quali  l'uomo  esperto  suol  fondarsi  ;  cosi  il  pratico  giuoca- 
iore  ha  le  sue,  per  le  quali  molte  fiate  giudica  degli  av- 
venimenli .  Dal  mormorar  dell'onde  ,  e  de'  venti ,  d.ille  nu- 
bi,  e  dal  cader  de' lampi,  dalle  macchie  del  Sole,  e  della 
Luna  ,  dal  volar  degli  uccelli,  dall' apparir  de'delfini,  e 
da  altri  si  falli  segni  argomenta  il  nocchiero  la  tempesta, 
e  la  serenità  ,  e  se  sia  tempo  di  mvigare,  o  di  ritirarsi  in 
porlo:  parimente  il  giuocatore  da  molti  segni  conosce  la 
delta  ,  e  la  disdetta  ;  fallaci  alcuna  fiata,  alcuna  assai  veri, 
sovra  i  quali  è  fondata  l'arie  sua.  .Ma  che  cosa  diremo  noi 
che  sia  questa  detta,  o  disdelta,  signor  Annibale? 


O  DEL  GIUOCO  35 

Annibale.  Un  concorso  di  cagioni  accidenJali,  per  !e 
quali  crediamo  che  così  un  favor  di  fortuna  dietro  l'al- 
tro debba  seguire ,  come  un'onda  dietro  l'altra  suol  se- 
guitare. 

Gonzaga.  E  questo  se  non  è  in  guisa  sicuro,  clic  se  ne 
possa  il  giuocatore  promettere  vittoria  ,  il  dee  assai  c-iuta- 
rnente  accompagnare  con  quella,  cbe  da  voi  arte  conget- 
turale, o  ossei  vazione  è  stala  addimandata  ,  per  la  quale 
suole  molte  fiate  esser  vittorioso . 

Annibale.  Dee  a  mio  giudicio. 

Gonzaga.  Ma  da  quale  arte  si  può  muovere  il  giuoca- 
tore a  fidarsi  piuttosto  delle  carte  di  danari  e  di  spade, 
elle  di  quelle  di  bastoni? 

Annibale  .  Da  ninna,  pare  a  me. 

Gonzaga.  Dunque  solo  dall'avere  osservato,  che  cosi 
molte  fiate  facendo,  gli  è  succeduto  il  vincere. 

Annibale.  Da  questa  osservazione  forse. 

Gonzaga  .  Ma  tutta  volta  ,  quel  cbe  ad  alcuni  succede , 
non  succede  ad  alcuni  altii:  ed  un  giuocatore  istesso  alcu- 
na fiata  avviene  che  vinca  più  tacilinente  colle  carte  di  un 
giuoco,  che  con  quelle  di  un  altro,  alcun' altra  altramente 
avviene . 

Annibale.  Cosi  suole  avvenire. 

Gonzaga.  Ma  di  questi  effetti  né  a  voi  pare  cbe  se  ne 
possa  rendere  alcuna  ragione,  ne  io  so  chi  n'abbia  fatta 
osservazione  alcuna  ;  ma  l'osservazioni  si  fanno  piuttosto 
de'tempi  dell'invitare  e  dell'accettar  l'invito,  e  di  quel, 
che  soglia  avvenire  ad  uno  che  inviti,  o  pur  dell'animo  e 
della  risoluzione  degli  avversar]",  colla  quale  si  muovono 
a  fuggire  o  a  far  difesa;  delle  maniere  de'giuochi ,  altre 
più  ardite;  altre  più  caute,  altre  più  scarse,  altre  più  li- 
berali, e  di  quel,  che  con  ciascuna  di  esse  si  faccia  più  fa- 
cilmente o  più  difficilmente:  misura  oltre  di  ciò  il  giuoca- 
tore il  suo  resto,  e  quel  degli  a v  versar j;  tien  memoria  del- 
le carte,  che  ha  scartate,  e  di  quelle,  che  sono  nel  mazzo; 
e  dall'une  e  dall'altre  argomenta  quel ,  che  gli  avversari 
possono  aver  nelle  mani ,  e  da' sembianti  e  dal  volto  ezian- 
dio ,  nei  quali  il  timore,  e  la  speranza,  e  la  cupidità,  e 
l'allegrezza  difficilmente   posson   ricoprirsi:  e  da  queste 


36  li.  GONZAGA  SECONDO 

osservazioni  tutte  farà  quella,  che  da  voi  arte  de' giuoca- 
tori  è  stata  detta  .  INIa  siccome  alcune  proprie  osservazioni 
avrà  il  giuocatore  delle  carte,  così  altre  ne  avrà  quel  dei 
dadi  ,  e  parlo  ora  di  quei  giuochi ,  de' quali  da  principio 
intese  la  signora  Margherita  ,  perchè  se  dell' armeggiare, 
o\r alcune  maniere  di  poesie,  che  giuochi  da  noi  sono 
state  dette,  si  dia  arie,  o  non  si  dia,  da  altri  è  stato  ricer- 
cato, ne  l'occasione  del  nostro  presente  ragionamento 
poi'ta  chel  se  ne  ragioni:  ben  vorrei  clic  se  in  alcun  mo- 
do possibile  fosse,  insegnassimo  alla  signora  Margherita 
di  vincere,  com'  ella  desidera  ;  ma  forse  non  tanto  con  al- 
cuna osservazione  di  congetture  ciò  può  fare,  quanto  con 
alcuna  arte  secreta  de' numeri,  la  quale  o  quella  sia,  per 
cui  lo  Scottino  è  tenuto  in  pregio  da  molti  Principi ,  o  al- 
cun'altra,  che  dalle  scuole  de' Platonici  e  dePittagorici 
sia  derivata,  è  certo  degna  di  maraviglia:  ma  da  me  che 
rade  volte  posi  pie  nel  Liceo  e  nell' Accademia,  e  tanto 
solo,  quanto  dal  signore  Scipione,  fratello  mio,  ci  fui  ac- 
compagnato, e  nelle  scuole  de'Pittagorici  non  fui  giam- 
mai, alcun  suo  secreto  non  è  manifesto.  Ben  crederei  che 
se  qui  fosse  il  signore  Scipione,  potrebbe  al  desiderio  del- 
la signora  Margherita  meglio  soddisfare,  che  per  quel, 
che  io  ne  udii  una  volta,  eh' egli  in  casa  del  signor  Si- 
gismondo nostro  zio  ne  ragionò  col  padre  Francesco  Pani- 
garola,  famoso  per  l'eloquenza,  oltre  ad  ogni  altro  assai 
mi  parve  che  n'intendesse,  tuttoché  io  non  appieno  in- 
tendesse quel ,  che  da  loro  fosse  detto;  ma  se  noi  non  pos- 
siamo insegnare  alla  signoi'a  Margherita  di  vincere  sicura- 
mente ,  tentiamo  almeno  d' insegnarle,  come  ella  col  fare 
alcuni  accordi,  possa  aspirare  alla  vittoria. 

Annibale.  Assai  insidiose  sono  le  donne  per  se  stesse, 
e  se  alcuno  ammaestramento  da  noi  ricevessero ,  perav- 
ventura  con  troppo  nostro  danno  sarebbe  da  loro  usato. 

Gonzaga.  N^on  è  tale,  per  quel  che  a  me  ne  paia,  la 
signora  Margherita,  né  mi  riguarderei  io  giammai  d'inse- 
gnarle tutto  ciò,  che  io  sapessi. 

MAnGHEHITA.  Quegli  accordi,  che  sono  piuttosto  diriz- 
zali alla  vittoria  che  alla  pace, sono  forse  insidiosi;  ed  io  ho 
udito  dire  che  tali  furono  quegli  degli  Affricani,  da' qua!' 


O  DEL  GIUOCO  37 

voi  avete  tolto  il  nome,  Signor  Annibale,  ed  alcuna  fiata 
quei  de' Romani  ancora,  signor  Giulio  Cesare;  sebbene  io 
sono  desiderosa  di  vincere,  anziché  no,  non  tanto  giuo- 
cando  vorrei  procurar  di  vincere  con  gli  accordi ,  quanto 
lacendogli  con  onore,  e  riputazione  mia,  schivar  soverchia 
perdita . 

Gonzaga.  Non  può  esser  dannosa  pace  quella  ,  che  sia 
orrevole,  nel  giuoco  particolarmente,  e  ini  pare  di  poter 
affermare  che  i  partiti  de'giuocatori  sitm  così  simili  agli 
accordi,  che  si  fanno  nella  guerra,  che  nulla  più  :  ma  a  chi 
diremo  noi ,  che  si  convenga  dar  leggi  d:^gli  accordi  ,  o  si- 
gnor Annibale  ? 

Annibale.  Dee  darle,  a  mio  giudicio,  cbi  ha  il  favore  di 
fortuna ,  e  riceverle  chi  non  1'  ha  . 

Gonzaga.  Chi  diremo  noi,  che  sia  favorito  didla  for- 
tuna ? 

Annibale.  Colui,  cb'è  in  vincita,  il  quale  ha  veduti  di 
nuovo  alcuni  segni  della  sua  detta. 

Gonzaga.  Ma  se  colui,  che  con  maggior  resto  innanzi, 
avesse  perduti  alcuni  piccioli  inviti,  co' quali  l'avversirio 
avesse  ingrossato  il  suo,  dovrebbe  egli  dare  ,  o  ricever  le 
leggi  deir accordo? 

Annibale.  Ricever, cred' io,  anzi  che  dare,  quando  i  se- 
gni della  fortuna  inclinata  non  fossero  dubbj . 

Gonzaga.  Ma  se  avvenisse  eh' e 'li  si  ritrovasse  in  ma- 
no  il  vantaggio  del  punto? 

Annibale.  Allora  non  mi  pnre,  che  senza  indignità  si 
potesse  ricever  le  leggi  dell'accordo  ;  e  che  gli  si  conve- 
nisse di  darle  piuttosto  . 

Gonzaga.  Ma  l'altro  forse,  che  lia  il  favor  della  fortu- 
na, non  vuol  riceverle. 

Annibale.  Così  spesse  fiate  suole  avvenire ,  perchè  co- 
lui, che  conosce  il  favor  della  fortuna,  tuttoché  abbia  il 
disavvantaggio  delle  carte,  vuol  crederle;  ed  all'incontro 
colui,  eh' è  in  disdetta  , quantunque  sia  superiore  nel  pun- 
to, suol  richieder  partito:  e  se  le  cose  grandi  alle  picciole 
si  possono  assomigliare,  simili  a'giuocatori  furono  Cesare, 
e  Pompeo;  e  prezzo  della  lor  vittoria  era  la  Repubblica 
fatta:  né  fu  chi  gli  potesse  accordare;  perciocché  Pompeo 


38  IL  GONZAGA  SECONDO 

giudicava  por  la  riputa/ione  cU4!a  sua  antica  forlima  ,  cliR 
a  lui  si  convenisse  di  dar  le  leggi  della  pace ,  e  Cesare  non 
pensava  che  alla  riputazione  delie  sue  nuove  vittorie  fos- 
se convenevole  il  riceverle .  Comuncpie  sia,  colui  clie  e  di- 
sfavorito dalla  fortuua,  dee  rieliieder  l'accordo,  come  ri- 
chiese Annibale  a  Scipione,  tuttoché  fosse  in  Affrica  sua 
patria  ,  e  fosse  di  genti  a  Scipione  superiore  .  Altrettanto 
sarebbe  da  maravigliarsi,  che  Annibale  chiedesse  la  pace, 
quanto  che  Scipione  la  ricusasse,  se  non  fosse,  clic  la  pru- 
denza dell'uno,  e  dell'altro,  che  all' tino  il  pericolo  di 
certa  perdita,  all'altro  la  speranza  di  certa  vittoria  dimo- 
strava ,  ogni  maraviglia  può  discacciare. 

Gonzaga.  Rado  dunque,  o  non  mai  si  sarà  l'accordo,  se 
così  colui,  che  ha  il  vantaggio  delle  carte ,  come  colui , 
eh'  è  favorito  dalla  fortuna  ,  vuol  darne  le  leggi. 
Ar«NlBAi.E.  Rade  certo. 

GoKZAGA  .  Ma  quando  avvenga,  che  dall'un  lato  sia  il 
vantaggio  delle  carte,  dall'altro  il  favor  di  fortuna,  ond'è 
ragionevole  ch'elle  si  prendano? 

Aniviealk.  D.itjuello,  pare  a  me,  che  lia  il  vantaggio; 
perciocché  colui,  eh' è  superiore,  dee  dar  leggi,  non  colui, 
che  può  sperare  di  esser  superiore:  e  temerità  sarebbe 
quella  di  colui,  che  é  in  detta  ,  se  più  della  fortuna,  che 
della  ragione,  qualunque  ella  sia^  volesse  fidarsi. 

Go:vz  AG  A.  Ma  degli  accordi ,  che  partiti  son  detti  dai 
giuocatori ,  può  alcuna  ragione  ritrovarsi? 
Annibale.  Può,  credo  io, 
Gonzaga.  E  dove  la  troveremo  noi? 
Annibale.  Nella  proporzione,  credo  io,  perciocché  ta- 
le è  il  venti  in  rispetto  del  dicci ,  quali  sarebbono   le  due 
carte,  che  possondare  la  vittoria  al  Signor  Giulio  Cesare 
in  rispetto  dell'una  ,  che  può  a  me  darla.  E  poniamo  caso, 
che  la  signora  Margherita  avesse  trentanove  di  bastoni, 
senza  speranza  di  nuovo  punto,  e  il  signor  Giulio  Cesare 
trentacinque  aU'rontato  di  danari ,  o  di  coppe ,  e  potesse 
vincere  con  due  carte,  ed  io  andando  a  primiera  con  una 
sola  polria  vincere,  allora  se  cinquanta  scudi  fossero  nel 
piatto,  venti  ne  dovrebbe  prendere  la  signora  Margherita, 


Ó  DEL  ÓIUOCO  3f) 

e  Vcnll  cl.irne  al  signor  Giulio  Cesare,  e  dieci  a  me:  e 
questo  mi  pare  in  vero  partito  giusto  ,  e  convenevole 
molto. 

Gonzaga.  Ma  io  ricliiederei  al  signor  Annibale,  se  egli 
fosse  fatto  coir  aritmetica,  o  colla  geometria? 
Annibale  .  Anzi  coli'  aritmetica ,  che  colla  geometria, 
Gonzaga  .  Dunque  coli' aritmetica  giustizia  piuttosto, 
che  coir  geometrica  ? 
Annibale.  Così  credo. 

Gonzaga  .  Ma  la  giustizia  aritmetica  considera  la  qua- 
lità delle  persone 3  o  non  la  considera? 
Annibale.  Non  la  considera. 

Gonzaga  .  Non  dee  dunque  il  gaocatore  in  alcun  modo 
Considerare  le  persone? 
Annibale  .  Non  dee. 

Gonzaga.  E  ristesso  partito  dee  fare  ad  una  donna, 
con  cui  giuochi,  che  farebbe  ad  un  mercante  ,  s'egli  con 
un  mercante  giuocasse  ? 
Annibale.  L'istesso. 

Gonzaga  .  Poco  cortese  dunque  sarà,  o  signor  Anniba- 
le ,  questo  vostro  giuocatore  colle  donne  gentili;  onde  io 
direi  ch'egli  piuttosto  con  geometrica  giustizia,  che  col- 
r aritmetica  dovesse  fare  i  partiti,  e  se  io  ho  bene  osser- 
vata la  ragione  de'parliti  di  primiera ,  non  è  in  alcun   mo- 
do esatta,  come  sarebbe  ,  se  coli' aritmetica  giustizia  fosse 
fatta;  ma  molto  pende  all'equità  ed  alla  clemenza;  perchè 
se  l'esatta  ragione  si  dovesse  osservare  ,  chi  con  tre  carte 
può  perdere,  e  vincere  con  una  solamente,  si    dovrebbe 
contentare  di  ricever  dieci,  quando  un  altro,  c'ha   il  van- 
taggio delle  carte,  trenta  ricevesse:  nondimeno   l'uso,  e 
l'equità  del  giuoco  richiede,  che  gli  si  dia  quindici,  con- 
ciossiachè  se  io  avrò  in  mano  il  punto  affrontato,  e  voi  an- 
diate a  primiera,  trenta  scudi  prenderò  per  me,  e  quin- 
dici ne  darò  a  voi:  ove  se  l'  esatta  ragione  volessi  osserva- 
re, ve  ne  darei  dieci  solamente  ;  ma  ne  l'esatta  ragione  ,  né 
l'uso  con   alcuna  donna  gentile   osserverei,   ma   se  ella 
giuocasse  in  terzo,  ed  aspettasse  flusso,  altrettanti  a  lei  , 
quanti  a  voi  ne  darei.  Ma  già  vediamo   che  il  giuoco  di 
questi  Signori  è  fornito,  e  che  il  Conte  Annibale,  così  li- 


4o  IL  GONZAGA  SECONDO 

beralmente  clona,  come  cautamente  e  arditaaiente  ha 
giuocato,  certo  presagio  della  liberalità,  e  de'costumi  ge- 
nerosi di  questo  giovinetto;  onde  potrà  anche  aver  Une  il 
nostro  ragionamento,  se  la  signora  Margherita  delle  cose 
da  noi  dette  è  abbastanza  soddisfatta,  e  se  più  oltre  del- 
l'esquisita  ragione  di  questi  partiti  desiderasse  d'intende- 
re, voi,  signore  Annibale,  che  tuttodì  negli  studj  della 
mattematica  vi  affaticate,  potrete  al  suo  desiderio  soddi- 
sfare . 

INlARGHERlTA.  Assai  dalle  parole  del  signor  Giulio  Ce- 
sare, e  del  signor  Annibale  ho  oggi  appallato:  e  se  il  signor 
Annibale  vorrà  piìi  sottilmente  andar  ricercando  la  ragio- 
ne di  questi  partiti,  a  me  sarà  sempre  piacere  eli' egli  ci 
faccia  parte  delle  cose  da  lui  ritrovate. 


IL 

BELTRAMO 

O  V  V  E  Px.  O 

DELLA  CORTESIA 

DIALOGO 
ARGOMENTO 

J.  Il  lama  la  coriesìa,  colla  (gitale  V  autor  nostro  ne  primi  tempi  del 
sito  soggiorno  in  Ferrara  venne  accolto  ed  albergato  nella  casa  del 
conte  Niccolò  Tassane ,  die  volle  lasciarne  memoria  a' posteri,  preti' 
dendo  da  sì  fatta  circostanza  il  motivo  di  questo  suo  dialogo,  e  in- 
troducendo in  esso  per  interlocutori  alcuni  di  t/ue'  medesimi  perso- 
naggi,  con  cui  soletta  in  t/nella  caia  più  dimesticamente  trovarsi, 
cioè  a  dire  l'abate  Beltramo,  dal  quale  esso  Dialogo  gli  piacque 
d'intitolare ,  Ottavio  Tassane  dì  era  il  più  giovine  de' figliuoli  del 
pre/alo  conte,  ed  il  capitano  P.  M.  Finse  ei  pertanto  che  mentre  sta- 
va un  giorno  per  uscire  di  casa,  venisse  da  questi  due  ultimi  ratte- 
nuta per  la  cappa,  e  die  avendo  loro  detto  C abate  esser  quella  ,  seb- 
ben  cortese ,  una  2'iolenza ,  egli  entrasse  secoloro  in  discorso  della 
Cortesia  .  Tale  è  V  occasione  del  colloquio:  di  cui  poi  il  sunto  è  il  se- 
guente .  Aloslrasi  in  prima  che  la  cortesia  non  è  mai  ingiusta,  e 
die  per  conseguente  non  pub  mai  darsi  violenza  ,  o  ingiustizia  cor- 
tese .  Si  fa  quindi  conoicfre  qiial  differenza  sia  fra  la  cortesìa  e  la 
liberalità ,  e  come  ,  essendo  la  prima  tutta  la  virtù  intiera  delle 
Corti  ,  perciocché  comprende  tutte  le  vinìi  necessarie  in  quelle ,  la 
seconda  ,  che  non  e  se  non  una  particolare  virtii,  si  contenga  in  es- 
sa come  sua  parte.  Raffrontandosi  poscia  la  detta  intiera  virtù  colla 
giustizia  universale  ,  si  prova  die  nel  soggetto  l'  una  e  i  altra  sono  il 
medesimo ,  e  che  se  pur  è  fra  loro  alcuna  diversità  ,  questa  è  soltan- 
to nella  ragione  e  nel  modo,  col  quale  si  debbono  adoperare.  Tocca  ' 
si  appresso  come  la  cortesìa,  al  pari  della  giustizia,  sia  virtù  non 
meno  di  principe  che  di  cortigiano  ;  e  si  passa  per  ultimo  a  dimo- 
strar con  esempi  che  anche  nella  giustizia  particolare ,  cioè  in  tutt» 
le  specie  particolari  di  essa  ,  trovasi  la  coriesìa  . 

Fu  scritto  dal  Tasso  questo  Dialogo  nello  Spedale  di  S.  Anna  in 
Ferrara  l'  anno  i5S4,  e  venne  pubblicato  per  la  prima  volta  nel 
i^SG  nella  IV.  parte  delle  Rime  e  Prose  di  lui,  impressa  in  Vene- 
zia dal  Vasalini.  Nella  libreria  Ducale  di  Modena  se  ne  conserva 
lina  copia  a  penna,  latta  di  mano  dell'  autore , 


4^  IL  DELTRA-rtO 

INTERLOCUTORI 

FORESTIERO  NAPOLETANO,  ABATE  BELTRAMO, 
CONTE  OTTAVIO  TASSONE  ,  GAP.  P.  M. 

Jo  ritornava  di  Corte,  dove  per  usanza  lungamente  era 
dimorato,  nell'ora  men  calda  e  noiosa  del  giorno,  comin- 
ciando il  Sole  a  decliinare,  ed  essendo  io  già  stanco  del 
lungo  spaziare ,  mettendo  appena  piede,  innanzi  piede, 
m'appressava  alla  casa  del  Conte  iXiccolò  Tassone,  nella 
quale  per  la  morte  di  quel  cortesissimo  Signore  non  era 
mancato  ne'figliuoli  l'usato  splendore,  e  la  solita  cortesia 
verso  i  forestieri  ;  quando  io  vidi  sull'  uscio  il  Conte  Otta- 
via, cli'è  il  più  giovane  di  loi'o,  e  seco  l'  Abate  Beltrairio 
suo  parente,  e  '1  Capitano  P.  M.  loro  famigliare.  E  mentre 
il  Conte  si  fermò  coli'  Abate  a  ragionare,  io  montai  le  sca- 
le, e  preso  nella  camera,  nella  quale  io  albergava,  un  li- 
bro, voleva  andarmene  a  casa  del  Signore  Alfonso  Villa, 
Cavalier  di  gran  valore,  col  quale  assai  spesso  soleva  ce- 
nare; ma  il  Conte  mi  prese  per  la  cappa,  e  mi  ritenne,  e 
volendo  io  svilupparmene,  il  Capitano  mi  prese:  Allora  , dis- 
se l  Abate:  questa  è  violenza,  volendo  ritener  suo  mal- 
grado questo  gentiluomo,  il  qual  forse  da  qualche  bella 
brigala  di  gentildonne  dee  essere  aspettato. 

Forestiero.  Non  fu  mai  violenza  senza  ingiustizia. 

Beltramo.  Questa  è  amorevole  violenza,  e  cortese  in- 
giustizia; percliè  di  sì  cortese  Cavaliero  sete  prigione,  die 
non  solo  consentirà  volentieri  cbevoi  ritorniate  a' vostri 
piaceri;  ma  verrà  egli  ancora  a  farvi  compagnia. 

Forestiero.  E  alcuna  ingiustizia,  la  quale  è  cortese? 

Beltramo.  E  senza  dubbio. 

Tassone.  Ma  non  è  tempo  di  parlarne  ,  se  prima  non  ci 
assicuriamo  di  non  commettere  discortese  ingiustizia  ;per- 
cbè  discortesia  mi  parr(>bbi;  il  privarlo  d'alcuna  j)iacevol 
compagnia. 

Forestiero.  Quella  ,  nella  quale  io  sto  di  contlnovo,  ti 
piacevol  molto,  e  niun  J)isogno  mi  stringe  di  partire. 


O  DELI-A  CORTESIA  43 

Tassone.  Fermatevi  dunque;  che  i  servitori  reclier;irino 
da  sedere,  e  così  potremo  più  comodiimente  rJigionan^ . 

FoREs'ilERO.  Diteci,  Signor  Abate,  è  la  cortesia  ingiu- 
sta, o  l'ingiustizia  cortese  in  modo  alcuno? 

Beltramo,  lo  stimo  sctiya  fallo,  e  l'udii  già  dire  in  Vene- 
zia dal  Signor  Luigi  Gr.idenico,  assai  iodato  tra  filosofanti, 
ch'una  specie,  o  parte  d'ingiustizia  sia  la  cortesia,  assai 
diversa  da  quella  di  coloro,  che  sono  comunemente  chia- 
mati ingiusti  ;  perciocché  l'ingiusto  prende  sempre  il  più, 
ed  agli  altri  dà  il  meno:  ma  il  cortese  prende  il  meno  per 
sé,  e  dà  agli  altri  il  più:  ed  il  prendere  il  più  ed  il  meno 
sono  specie  d'ingiustizia:  e  fra  l'una  e  l'altra  sta  la  giu- 
stizia ,  la  quale  non  prende  il  più,  ne  il  meno,  ma  l'egua- 
le ;  sicché  egli  diceva  che  la  cortesia  è  una  ingiustizia  ge- 
nerosa . 

Forestiero.  Or  diteci  ancora ,  l'ingiusto  prende  il  pii!i 
solamente  fra' simili,  oppur  fra'dissimili  ? 

Beltramo.  Fra'dissimili  ancora,  perch'un  violento  non 
solo  prenderà  il  più  fra  quelli, che  gli  sono  somiglianti,  ma 
assai  volentieri  fra  coloro,!  quali  sono  migliori  di  lui, dove 
egli  possa. 

FoiiESTiERO.  Ma  il  giusto  prende  egli  mai  l'eguale  fra  i 
dissimili,  o  pure  il  più?  E  supponghiamo  che  il  giudice  sia 
giusto:   gli  è  lecito  di  prender  maggiore  onore,  che  non 
ha  l'avvocato,  d'avvocato,  che  non  ha  il  reo? 
Beltramo.  Gli  è  lecito. 

Forestiero.  Dumpie  il  giusto  prende  solamente  l'egua- 
le fra' simili:  ma  fra'dissimili  prende  alcuna  volta  il  più  : 
ma  l'ingiusto  prende  il  più  fra'  simili  e  fra'dissimili,  ovvero 
tra  gli  eguali  e  gl'ineguali ,  che  vogliam  nominarli? 
Beltramo.  Così  stimo. 

Forestiero.  Dunque  ciasuno,  che  fra  gli  eguali  prende 
l'eguale,  e  'I  più  fra'  minori ,  è  giusto  . 
Beltramo.  E  per  mio  parere  . 

Forestiero.  Avete  mai  veduti  i  Principi  prendere  e- 
guale  onore  alla  messa,  o  alla  mensa,  o  andando  a  diporto 
con  gli  altri  Principi  loro  eguali? 
Beltramo.  Ho  veduto  senza  fallo  . 

Forestirro.  Ma  un  Principe,  ch'alberghi  un  altro,  fa 
egh  azion  giusta  ,  o  piuttosto  cortese  ? 


.J4  IT.  BELTRAMO 

BEr.TRAMO.  Cortese  piuttosto. 

Forestiero.  Tuttavolta,  focendo  operazione  cortese, 
prende  ecjuale  onore  fra  gli  eguali,  e  se  questa  è  cortesia,  non 
prende  sempre  il  Dieno,  coinè  voi  poco  innanzi  diceste,  ma 
l'eguale  alcuna  volta:  oltrediciò  vi  sete  spesso  avvenuto, 
dove  alcun  Principe  sol  dare  audienza  a' Cavalieri  ed  ai 
privati  gentiluomini,  o  pur  chiamarli  seco  in  cocchio,  o 
invitarli  a  mangiare,  anzi  sete  stato  assai  volte  uno  di 
quelli . 

Beltramo.  Sono  per  sua  cortesia. 
Forestiero.  Nondimeno   egli  prendeva  il  più,  ma  il 
prendeva  fra  gl'ineguali. 

Beltramo.  Così  avviene  il  pii!i  delle  volte, 
Forestiero.  E  prendendo  il  più  fra  gì  ineguali, era  cor- 
tese .  Dunque  il  cortese  non  è  ingiusto  ,  come  paco  innanzi 
diceste,  ma  giusto;  percioccliè  fra  gli  eguali  prende  l'egua- 
le, ed  il  più  fra  gli  ineguali:  e  se  ciò  è  vero,  una  medesi- 
ma virtù  sarà  la  giustizia  e  la  cortesia,-  il  che,  se  co^i  stia  , 
o  pure  in  parte  altramente,  mi  pare  degno  di  considera- 
zione. Perciocché  assai  volte  il  cortese  prende  il  meno, 
siccome  fa  il  buono  e  il  dritto:  ma  ciò  nondiincno  è  uso  di 
fare  più  spesso  ne' beni  utili,  o  ne' piacevoli ,  o  pur  anco 
negli  orrevoli^  che  negli  onesti;  laonde  la  cortesia  sarà 
piuttosto  la  bontà  e  l'equità. 

TASSONE.  11  giusto  dà  cosa,  che  non  può  torre  con  ra- 
gione, ma  il  cortese  ci  concede  quello,  che  ragionevolmen- 
te può  negare;  laonde  io  direi  piuttosto  clic  la  cortesia  e 
la  liberalità ,  fosse  una  stessa  virtù. 

Forestiero.  Assai  ])iù  verisiìuile  mi  p;»re  la  vostra  opi- 
nione: perciocché,  ponendo  voi  la  cortesia  insieme  colla  li- 
beralità ,  la  pon(!te  fra  le  virtù,  fra  le  quali  dee  stare  senza 
dubbio;  ma  ponendola  egli  eoli' ingiustizia,  la  poneva  nella 
schiera  de'  vizj ,  dove  non  è  convenevole  che  fosse  ordina- 
ta: tuttavolta  mi  ])are  che  ])ossiamo  andare  investigando, 
s'ella  sia  liberalità,  ovvero  giustizia:  o  non  essendo  alcu- 
na dell»;  due,  a  qual  dollc  due  sia  più  simigliautc  .  Ma  con 
chi  debbo  ricercarne?  col  Signore  Abate,  a  cui  e  si  nota 
la  giustizia,  coriu^  a  colui,  il  quale  alcun  tempo  ha  studia- 
to, o  dal  Signor  Conte ,  dal  «[uale  è- COSI  conosciuta  la  li- 
beralità, che  da  niun' altro  fu  meglio  giammai. 


0  DELLA.  CORTESIA  /[5 

Cap.  P.  M.  Quantunque  sia  più  sicuro  tklla  cognizione, 
che  lia  il  Conte  della  liberalità  ,  die  di  quella  ,  la  quale 
ha  l'Abate  della  giustizia,  il  quale  assai  spesso,  quaud' io 
contendo  con  Don  Bastiano  nni  dà  la  sentenza  contra,  non- 
dimeno direi  che  coli' uno  e  coli' altro  n'andaste  ricer- 
cando, e  meco  ancora,  a  cui  se  la  fortuna  non  ha  conce- 
duto 11  modo  d'usar  liberalità  ,  almeno  non  ha  tolto  l'ani- 
mo di  riceverla,  come  i-i  conviene. 

Forestiero.  Or  credete  voi,  SignorConte,  che  la  libe- 
ralità sia  una  specie,  o  parte,  che  vi  piaccia  chiamarla, 
della  virli"!  ? 

TASSONE.  Credo,  senza  alcun  dubbio. 

Forestiero.  Dunque, se  la  cortesia  è  ninna  parte  della 
virtù,  potremo  forse  conchiudere  che  sia  quella  stessa,  eh 'è 
la  liberalità:  ma  se  non  è  sua  in  parte,  non  è  in  modo  al- 
cuno ragionevole  il  dir  ch'ella  sia  la  medesima. 

TASSONE.  Non  è  per  mio  giudicio. 

Forestiero.  Or  ditemi  dunque,  Signore,  stimate  che  la 
cortesia  convenevolmente  sia  delinita  virtù  di  Corte,  co- 
me suona  il  suo  nome? 

Tassone,  Stimo. 

Forestiero.  Ma  la  liberalità  è  virtù  di  corte? 

Tassone.  E  senza  dubbio. 

Forestiero.  Dunque  sinora  It»  liberalità  e  la  cortesia 
ci  paiono  l'istessa:  ma  andiamne  ricercando  più  oltre.  E 
virtù  di  Corte  la  mansuetudine? 

Tassone.  E  similmente,  perciocché  molti,  i  qiiali  spes- 
so, e  fuor  di  tempo  e  fuor  di  misura  s'adirano,  poco  so- 
gliono esser  prezzati  nelle  Corti. 

Forestiero.  La  mansuetudine  ancora  è  cortesia:  ma  la 
temperanza  vi  pare  virtù  di  Corte? 

Tassone.  Pare,  avvegnaché  i  bevitori  e  i  ghiotti  ,  non 
abbiano  in  Corte  alcuna  riputazione. 

Foresi  lERO.  E  la  modestia  e  la  fortezza  ,  saranno  sli- 
mate virtù  di  Corte? 

Tassone.  E  chi  di  questo  può  dubitare,  poichèalbuon 
cortigiano  si  conviene  moderare  il  soverchio  tiesidcrio  de- 
gli onori,  elle  non  gli  si  convengono,  e  non  intano  espor  la 
vita  per  il  suo  Principe  ,  che  al  buon  cittadino  per  la  sua 
Patria . 


46  IL  BELTRAMO 

Forestiero.  E  COSI  discorrendo  per  tutte  l'altre  virtù 
troveremo  clie  non  ce  n'è  alcuna,  la  qual  non  sia  necessaria 
nelle  Corti  :  laonde  pare  che  la  cortesia  non  debba  essere 
stimata  una  particolar  virtù,  ma  tutta  la  virtù  intiera, 
dentro  la  quale  sia  contenuta  la  liberalità ,  come  sua 
parte . 

'Passone.  Quanto  la  vostra  ragione  ci  fa  stimare  la  cor- 
tesia ,  tanto  più  volentieri  dee  essere  udita. 

Forestiero  .  Poiché  ahbiam  ritrovato  che  la  cortesia  è 
la  virtù  compita,  andiamo  considerando,  Signor  Abate, 
se  la  giustizia  sia  una  parte  della  virtù,  o  pur  tutta. 

Beltramo.  Tutta  è  quella,  che  a  me  più  s'appartiene 
di  conoscere,  cioè  la  leggitima  :  perchè  le  buone  leggi  com- 
mendano l'operazione  d'ogni  virtù,  non  solamente  della 
mansuetudine,  o  della  temperanza,  o  della  modestia,  o  del- 
la fortezza . 

Forestiero.  Se  la  giustizia  è  tutta  la  virtù,  e  la  cortesia 
parimente  la  virtù  compiuta,  ne  segue  senza  fallo  alcuno, 
che  la  cortesia  e  la  giustizia  siano  l'istessa;  o  almeno  la  cor- 
tesia è  molto  più  simile  alla  giustizia, che  non  è  la  liberali- 
tà .  Ma  cerchiamo  se  ci  fosse  ancora  altra  somiglianza  fra 
la  cortesia  e  la  giustizia.  Non  avete  voi  letto  che  la  giu- 
stizia riguarda  il  bene  altrui  più,  che  11  suo  proprio? 

TASSONE.SI  certo,  perciocché  ella  fa  quelle  cose, le  quali 
sono  utili  al  Principe  ed  alla  Repubblica,  laonde  quantun- 
que sia  tutta  la  virtù,  pare  che  in  questo  sia  diversa  dalla 
•virtù  particolare,  che  l'una  è  a  sé  stessa,  l'altra  per  al- 
trui giovamento,  sicché  può  dirsi  convenevolmente  che  la 
giustizia  sia  bene  degli  altri. 

Forestiero.  Ma  non  vi  pare  che  la  cortesia  sia  bene 
altrui  piuttosto,  che  del  suo  possessore  ? 

Tassone.  SI  veramente,  perciocché  il  cortese  ha  risguar- 
do ;;ncora  al  bene  d'altrui. 

Forestiero.  Or  se  la  giustizia  é  perfetta  virtù,perch'è 
l'uso  della  perfetta,  la  qual  colui  che  la  possiede,  non  adopra 
solamente  per  suo  comodo ,  ma  per  bene  universale  ,  per 
questa  ragione  ancora  è  virtù  perfetta  la  cortesia  ,  e  con- 
siste principalmente  nell' uso  verso  gli  altri:  lin  qui  dun- 
que niuna  divci'sità  par  che  sia  fra  la  giustizia  e  la  corte- 


O  DELLA  CORTESIA  4^ 

sia  ,  anzi  mostra  che  Tuna  e  T  altra  ,  sia  i'  istessa  nel  sog- 
getto ;  e  se  v' è  alcuna  diversità ,  è  nella  ragione,  o  nel  mo- 
do, col  quale  si  debbono  adoperare;  perciocché  la  giusti- 
zia è  usata  dal  giusto  in  quella  guisa,  che  comandano  le 
nostre  leggi,  ma  la  cortesia  è  latta  dal  cortese  ,  come  l'i- 
cercano  l'usanza  ,  e  la  creanza  delle  Corti. 

Gap.  P.  M.  In  questa  maniera  ancora  da  me  ,  clie  non 
sono  dottor  di  leggi,  la  giustizia  legittima  dalla  cortesia 
facilmente  potrebbe  esser  conosciuta  ;  perchè  l'ima  mi 
s'appresenta  con  sembiante  tutto  grave,  severo  ed  orrido, 
e  l'altra  con  allegro,  e  ridente,  e  pieno  di  piacevolezza. 

Forestiero.  Ma  perchè  abbiam  conchiuso  che  la  corte- 
sia è  non  una  sola ,  ma  tutta  la  virtù  di  Corte  ,  e  nella  Cor- 
te albergano  i  Principi,  come  i  cortigiani,  diremo  che  sia 
Tirtù  degli  uni  solamente  ,  o  pur  degli  uni  e  degli  altri? 

Tassone  .  Degli  uni  e  degli  altri. 

Forestiero.  Se  virtìi  di  Principe  è  la  giustizia,  e  virtii 
di  Principe  è  similmente  la  cortesia, in  questo  ancora  sono 
conformi;  e  volentieri  dimanderei  al  Signore  Abate,  qual 
delle  due  meritasse  d'esser  all'altra  preferita:  ma  la  cor- 
tesia noi  consente,  la  quale  benché  prenda  molte  volte 
l'eguale  fi'a  gli  eguali, nondimeno  il  prende  sempre  dapol- 
chè  agli  altri  l'ha  conceduto:  e  cede  volentieri  alla  giusti- 
zia il  luogo  ,  non  dirò  superiore,  ma  il  primo:  e  se  la  re- 
verenda autorità  delle  sacre  leggi  non  mi  spaventasse,  di- 
rei che  la  cortesia  fosse  più  illustre  e  più  riguardevole, 
che  la  giustizia;  e  cosi  l'assomiglierei  al  Sole,  come  l'al- 
tra ad  Espero,  ed  a  Lucifero  fu  rassomigliata  ,  seguendo 
in  ciò  quel  nostro  maraviglioso  poeta,  il  qual  disse: 
Al  suo  partir  parli  dal  mondo  Amore , 
E  cortesia ,  e  '/  Sol  cadde  dal  Cielo  ; 
quasi ,  che  l'oscurar  del  Sole  non  fosse  altro,  che  il  partir 
della  cortesia;  ma  s'abbiam  ritrovato,  o  Monsignore,  che 
la  giustizia  universale  sia  l'istesso  in  suggetto,  die  la  cor- 
tesia ,  dobbiamo  ancora  investigare,  se  la  giustizia  partico- 
lare sia  una  parte  della  cortesia. 

Beltramo.  Dobbiamo 

Forestiero.  Or  come  vi  piacerà  di  partir  la  giustìzia? 

Beltramo. Suole  esser  divisa  nelle  nostre  scuole  in  quel- 


4è  IL  BELTRAMO 

la,  die  distribuisce  i  premi,  e  nell'altra,  la  quale  corregge 
i  torti  e  i  difetti  particolari  ;  e  questa  in  due  specie  ancora 
si  divide,  perciocché  la  prima  d'intorno  a' commerci  vo- 
lontarj,e  la  seconda  intorno  a  quelli,  che  non  sono  cosi 
fatti. 

Forestiero  .  Ma  vi  piacerebbe  eh'  in  ciascuna  di  queste 
specie  si  trovasse  ancora  la  cortesia  ? 

Beltramo.  Mi  piacerebbe  soprammodo. 
Forestiero.  Nel  compartimento  de' premi,  che  fece 
Enea,  non  vi  paiono  giustamente  dispensati  quelli,  che  ri- 
cevono Furialo  e  Dioi-e  nel  giuoco  del  corso? 
Beltramo.  Paionmi. 

Forestiero.  Ma  cortesemente  son  dati  gli  altri  a  Salio 
ed  a  jNiso,  ai  quali  la  fortuna  era  stata  contraria,  come  ap- 
pare in  que' versi  : 

Tuin  pater  jEneas ,  vestra ,  ìnquit ,  mimerà  \'obis 
Certa  nianent ,pneri^et  palmain  ino\>et  ordine  nemo: 
Me  liceat  caswii  miserari  insontis  amici , 
Sicfatus,  tergimi  Getuli  immane  leonis 

Dat  Salio 

E  parimente  fu  cortesia  più  che   giustizia,  quella  ch'egli 
mostrò  ad  Aceste,  dove  si  dice: 

....  Sed  laetus  amplexus  Accstem, 
Muneribus  cumulat  magni s ,  ac  talia fatar . 
Beltramo.  Parimente  a  mio  parei-e. 
Forestiero.  l\Ia  nella  giustizia  correttiva  quelle  medesi- 
me azioni, che  i  giudici  fanno  giustamente  secondo  le  leggi, 
possono  farle  cortesemente   colle    maniere   apprese   nelle 
Corti,  dove  sogliono  usare  assai  sj^esso? 

l')F,r,TRAMO.  Possono,  laonde  per  l' un  rispetto  looliia- 
meroi  legittime  ,  per  1'  altro  cortesi ,  però  s'  alcuna  volta  o 
Principe  o  Cavaliere  illustre,  o  alcun  uomo  famoso  per  elo- 
quenza, o  per  dottrina  sarà  dinanzi  a'discreti  giudici,  nin- 
na sorte  d  onore  per  cortesia  gli  dee  esser  negata  . 

^  Forestiero  .  Ma  che  diremo  noi,  Monsignor  Beltramo  , 
in  quell'altra  maniera  di  commercj  ?  vorremo  credere  che 
mancasse  cortesia  in  que'genei-osi  corsari,  che  si  tennero 
Lene  avventurosi  potendo  adorar  .Scij)ione  AflVicano,  o  in 
Ghino  di  Tacco,  il  qual  così  agevolmente  guarì  il  ricco 


O  DELLA  CORTESIA  4? 

Abat(^  (lt;I  male  dello  stomaco  ,  e  rncrilò  per  opera  sua 
d'esser  poi  rlcevjito  nella  grazia  di  S.  Cliiesa.  e  divenir 
Friere  dello  spedale?  o  pur  in  Anna  appresso  Virgilio,  la 
quale; 

Sola  viri  molles  aditiis,  ci  tempora  norat? 
o  pure  in  Calcato  Re  dell'Isole  lontane? 

Tassone  .  Egli  fra  Lancillottosuo  amico,  e  Ginevra  po- 
se maggior  concordia  di  quella  ^  che  ponesse  mai  alcun 
giudice  fra' litiganti ,  e  con  maggior  cortesia  e' fu  miglior 
mezzo  da  ridurla  ad  egualità;  ma  lio  prevenuto  l'Abate  col 
mio  parlare,  temendo  ch'egli  volesse  darei  a  divedere  che 
in  questa  maniera  di  contratti  la  cortesia  fosse  piuttosto 
una  specie  d'ingiustizia  ,  il  che  senza  hiasimo  de'Cavalieri 
antichi ,  e  moderni  difficilmente  par  che  si  possa  dimo- 
strare: pur  io  stimo  che  molto  meglio  l'amore,  che  la 
morte,  agguagli  tutte  le  disuciguaglianze  ;  ne  so  bene  s'e- 
gli usi  le  proporzioni  geometriclie,  o  l'arituieticlie  piutto- 
sto; ma  qualunque  siano  le  sue  misure,  o  le  sue  dismisu- 
re ,  desidero  che  mi  si  conceda  potersi ,  non  sol  cortese- 
mente, ma  giustamente  servire  un  amico. 

Beltramo.  Voi  parlate  forse  di  quella  giustizia,  che 
s'usa"  innanzi  al  tribunale  amoroso  con  quella 
Dura  iegge  d' y^nior,  cìw  ìnnicìi  ohliciua  y 
Servar  conviensi ,  che  per  tutto  aggiunge 
Di  cielo  in  tcrra^  universale  antiqua. 
ISIa  io  non  vi  ho  studiato  giavnmai  ,  e^ne  sono  de' meno  in- 
tendenti; ma  inn  inzi  a  quelli,  ne' quali  è  castigato  l'adul- 
tero, assai  ingiusta  suol  parere  questa  cortesia. 

Forestiero.  jNè  questa  ardisco  di  negare  che  sia  cor- 
tesia ,  poiché  placcai  signor  Conte:  né  s'ella  è  cortesia , 
stimo  che  possa  in  modo  alcuno  chiamarsi  ingiustizia,  ma 
forse  alcuna  segreta  operazione,  alcun  sottile  avvedimento 
può  simigliar  cortesia  fra' giovani  Cavalieri  in  una  Corte 
piacevole,  che  nella  più  grave  e  più  severa  non  sarà  tale 
stimata  fra'più  i(!aturi,e'l  ragionamento  dei  Conte  Gui- 
do da  Monforte  col  buon  Ile  Carlo  ce  'l  manifesta  chiara- 
liiente:  però  nelle  Corti  perfettissime,  comecché  non  si  ne- 
ghi a  gentil  Cavaliero  l'esser  mezzano  fra  l'amico  e  la 
donna  amata  ,  '^arà  a  miglior  fìae-,  ed  a  più  iaudevole,  che 
Dialoghi  T  IH.  4 


5Ó  IL  BELTRAMO 

di  furtivo  abbracciamento,  e  d'adulterio  ,  a  fin  dico  dì 
raatriraonio,  o  di  quella  modesta  conversazione,  die  nelle 
nubilissime  Corti  non  suol  esser  negata  ,  per  la  quale  mol- 
te volte  gli  animi  valorosi  si  congiungono  in  una  onorata 
amicìzia  . 

A  queste  parole  il  Conte  pareva  acquetarsi  ,  quando 
sopraggiunsero  i  fratelli  con  altri  Gentiluomini ,  e  i  servi- 
tori portando  l'acque  alle  mani  posero  tìne  alle  nostre  qui- 
stioni . 


ALLA  SERENISSLMA 

GRANDUCHESSA  DI  TOSCANA 


r  osti' a  Altezza  ì-  stata  dalla  providenza  d'Iddio  collo- 
cata in  una  Casa,  la  quale  è  albergo  della  Religione  e 
della  Pace.  Pcrciocchì-  le  varie  e  lunghe  sedizioni.,  dalle 
quali  fu  la  Repubblica  Fiorentina  perturbata , con  la  pos- 
sanza e  con  V autorità  di  questi  Eccellentissimi  Principi 
sono  estinte  ed  acquetate;  e  quando  non  erano  ancora  in 
tutto  sopite,  non  solamente  si  rinnovarono  con  la  morte  di 
Lorenzo  de'  Medici ,  ma  si  stesero  per  tutte  le  provincie 
vicine  ,  di  maniera  che  il  fine  della  sua  vita  fu  principio 
della  guerra  ,  e  della  servitù  d' Italia .  Sono  stati  poi 
gli  altri ,  i  quali,  governando  la  Toscana  con  V  arti  me- 
desime, e  con  la  medesima  prudenza,  hanno  stabilita  la 
quiete  della  Città  ,  e  la  riputazione ,  e  la  grandezza  del 
Principato,  ed  a'  nostri  tempi  l' ultimo  Cosmo  fu  onora- 
to del  titolo  di  Serenissimo  Gran  Duca ,  e  Francesco  suo 
figliuolo  in  questo  e  negli  Stati  e  nel  valore  del  padre  è 
succeduto.  j4l  quale  essendo  V.  A.  congiunta  in  matri- 
monio,  oltre  le  virtù,  cheseco  ha  portate  ,  v'  ha  ritrova- 
ta particolarmente  o  accresciuta  quella,  che  suol  favori- 
re gli  studj  delle  belle  lettere  e  delle  Scienze  amiche  del- 
l'ozio  e  della  tranquillità.  Laonde  a  ninno  più  che  a  Lei 
ho  giudicato  convenirsi  qiicato  mio  Dialogo ,  in  cui  della 
Pace  si  ragiona  ,  E  quantunque  egli  sia  picciolo  molto  ,  i 
piccioli  doni  non  furono  dal  Gran  Cosmo ,  e  dal  Gran 
Lorenzo  rifiutati .  Ma  se  V.  A.  avrà  ri  sguardo  alle  cose 
in  lui  contenute  ,  le  parranno  di  sorte,  che  stimerà  con- 
venevole ardire  quel ,  eh' io  mostro  nel  mandargliele,  e 
nel  pregarla  che  si  degni  di  raccorlo  sotto  la  sua  prote- 
zione: e  le  bacio  umilissimamente  le  mani.  Dalle  mie 
stanze  in  S.  Anna  li  i3  di  Luglio  i584- 


Di  V.  Altezza  Serenits. 


Umilissimo  Servo 
Il  T-jsso  . 


IL 

R  A  N  G  O  N  E 

OVVERO 

DELLA  PACE 

DIALOGO 


ARGOMENTO 

JL  n titola  V  autor  nostro  il  presente  dialogo  dal  suo  amicissimo  Tor- 
€jiiato  Rangonn  ,  da  quello   stesso  Rangone ,   ad  istanza    del   quale 
compose  il  libro  del  Segretario,  ed  a  cui  indirizzò  un  Discorso   so- 
pra due  quistioni  amorose  ,  che  leggesi  fra  le  sue  prose  :  e  lo  vi  in- 
troduce a  ragionare  in  questo    modo .  Fingo  d' incontrarsi  esso  me- 
desimo in  lui  mentre   tornai>a   di  luogo,  ove  da   due  geniiliiomiiii 
si  era  trattato  di  metter  concordia  fra  due  altri  ,  e  fa  di'  ei  dica  che 
sebbene  non  ne  sian  eglino  venuti  a  capo,  nientedimeno ,  quanto  a 
lui,  credeva   di  non  essere  stato  indarno  ad  ascoltarli,  perciocché 
n  avea  riportato  la  scienza  della  pace  .  Finge  appresso  dì  ei  narri, 
da  lui  richiestone ,  come  que' due  ragionatori  erano   bensì   concordi 
tanto   nel  definire    essa   pace  ,   assegnandole  per  genere  l'unione, 
quanto  nella  divisione  che  ne  facevano   in  naturale  ,    interna  ,   pri- 
vata,  civile   ed  universale;   ma    discordi  poi  al  Culto  nel  modo  di 
conchiuderla  .  Dato  così  principio  al  colloquio  ,  entra  il  Tasso  (  na- 
scosto qui  pure,  come  in  altri  suoi  dialoghi,  sotto  il  nome  di  Fore- 
stiero Napoletano)  a  Jar  conoscere  primamente  in   che  consista  la 
vera  scienza,  e  come  quella  della  pace  non  sia  tale.  Toglie  poscia 
ad  esaminare  la  divisione  sopraccennata  ,   e  mostra  ali  amico  suo, 
che  non  è  convenevolmente Jatta  ,  o  che  almeno  non  abbraccia  tal' 
te  le  specie  della  pace  ,    Di  qui  passando  alla  definizione ,   prova 
dì  essa  è  erronea ,  x,^  perchè  vie n  posto  nel  genere  ciò  che  pcrteri- 
pa  del  suo  contrario  :  2.°  perchè  in  luogo   di  esser  data  per  le  cose 
che  sono  prima  ,   viene  data  per  quelle  che  sono   dopo  :  3."  final- 
mente perchè  non  posa  sopra  termine  stabile  e  certo,  come   richiede 
la  sua  natura  .  Volgesi  quindi  a  cercar  egli  stesso  la  vera  definizio- 
ne della  pace:  lo  che  fa  prendendo  a    risguardare    neli  esempio   di 
tutte  le  cose  ,  cioè  in  Dio  :  dove  trovando  che  la  pace  procede  dalla 
giustizia  ,  conchiude  dì  essa  è  qucll'  alto  ,  quel  profondo  ,  quel  dol- 
ce ,  quel  divino  silenzio  che   nasce  dalla   conservazione   di  ciò  che  è 
proprio  di  ciascuno,  e  che  dagli  altri  il  fa  differente;  e  termina  dicen- 
do che  conosciuta  ìu  tal  guisa  cosa  ella  (fa,  non  posso/io  mancar  mai 


54  IL  R ANCONE 

parole  air  eloquente  per  placare  gli   sdegni  e    tutte  le   passioni  dei 
cuori  superbi . 

Ju  scritto  dal  Tasso  questo  dialogo  nel  1 584  per  confutare,  seconda 
che  a  uni  sembra,  ciò  che  intorno  alla  stessa  materia  ai-eu  detto 
Fabio  Albergali,  gentiluomo  Bolognese,  nel  suo  Trattato  del  modo 
di  ridurre  a  pace  le  iniinici/.ie  private,  impresso  in  Roma  neW  an- 
no innanzi  ,  che  mandò  alla  Gran  Duchessa  di  Toscana  con 
lettera,  nella  quale,  dopo  aver  o'iebratn  la  casa  de' Medici  come 
albergo  della  pietà  e  della  pace,  adduce  le  ragioni  che  lo  muoveva- 
no ad  invinrgliclo  .  Non  venne  però  in  luce  se  non  che  nel  iSSf)  per 
opera  del  librajo  Giulio  Vasnlini ,  che  lo  inserì  nella  quarta  par. 
te  ,  da  lui  stampata  in  reneziu ,  delle  Rime  e  Prose  del  medesimo 
Tasso  . 

INTERLOCUTORI 

TORQUATO  RANGONE,  FORESTIERO  NAPOLETANO. 

Rangone.  (..iosi  facendo  ritorno  da  quella  parte,  nella 
quale  si  trattava  la  pace;  quantunque  non  sia  concliiusa, 
non  mi  pare  di  esserci  stato  indarno,  perchè  ne  ho  ripor- 
tata la  scienza,  e  la  cognizione. 

Forestiero.  E  quale  è  questa  scienza,  o  questa  cogni- 
zione, signor  Torquato?  Sono  io  degno  d'impararla? 

Rangone.  D'insegnare  piuttosto  sete  meritevole,  che 
d'imparare;  ma  volentieri  vi  dirò  quel  che  io  ne  ho  ap- 
preso, e  più  volentieri  udirò  la  vostra  opinione  in  quel 
particolare  nel  quale  d^d  gentiluomo  Bolognese  pareva  di- 
scorde il  signor  Cavalier  Gualengo;  perciocché  nell'altra 
s'accordavano  facilmente  . 

FoKESTiEno.  Distinguete  qual  fosse  la  concordia,  e 
quale  la  discordia. 

Rangone.  Nella  definizione,  e  nella  divisione  della  pa- 
ce erano  concordi,  ma  discordi  nella  maniera  di  farla  tra 
que'due  gentiluomini,  che  sono  venuli  incontcsa;  perchè 
diceva  il  Bolognese,  che  la  pace  era  o  naturale,  o  interna, 
o  privata,  o  civile,  o  universale;  e  naturale  egli  chiamava 
quella  degli  elementi,  i  quali  si  congiungono  insieme  per 
generare  o  pietra,  o  alhero,  o  animale,  o  altro  corpo  mi- 
sto sotto  la  signoria  d'alcnno,  dal  quale  il  movimento  sia 
determinato;  intorna  diceva  quella,  eh' è  fra  gli  umori  nel 


O  DELLA  PACE  55 

corpo  dell' uomo;  privata  quella  eli' è  fuor  di  lui ,  Tra  lui ,  o 
altra  privata  persona;  civile  quella,  eh' è  fra  tulli  i  citta- 
dini, i  quali  vivono  in  una  cittadinanza;  univei'sale  ultiina- 
raente  dimandava  quella,  ch'è  fra  l'una ,  e  l'  altra  città  ,  e 
l'uno,  e  l'altro  regno  ,  e  l'una,  e  l'altra  nazione  ;  come 
leggiamo  che  fu  in  quel  tempo,  che  Ottaviano  Augusto 
già  monarca  del  mondo  fece  descriver  le  genti  sottoposte  al 
suo  imperio;  e  per  genere  a  tutte  queste  paci  egli  assegna- 
va l'unione,  e  quella  particolarmente,  la  qual  è  fra  priva- 
to ,  e  privato,  diccA'a  esser  unione.  Ma  tutte  queste  cose 
ed  altre  si  leggono  ,  come  egli  disse,  in  un  libro  della  pace 
di  nuovo  stampato;  le  quali  dal  Gualengo,  ch'è  modestis- 
simo Cavaliero  ,  fui-ono  volentieri  laudate. 

Forestiero.  Sin' ora  avete  narrata  la  concordia  delle 
opinioni;  or  se  vi  pare  raccontateci  la  discordia. 

PiANGONE.  La  discordia  fu  nel  modo  del  far  la  pace  tra 
due  gentiluomini,  perchè  essendo  stato  offeso  ingiusta- 
mente l'uno,  il  quale  è  molto  superiore  di  grado  ,  dall'  al- 
tro ,  che  gli  era  inferiore,  pareva  che  dalla  parte  dell'offe- 
so alcuno  ricercasse  che  l'offenditore  si  rimettesse;  e  di- 
ceva il  Bolognese  che  il  rimettersi  conforme  al  t;iusto  non 
è  cosa  servile;  anzi  è  onorata,  perciocché  è  giusta:  a  que- 
sto rispondeva  il  Gualengo  che '1  rimettersi ,  se  pur' è  co- 
sa onorata,  non  merita  quell'onore ,  che  si  conviene  ad 
uomo  libero,  ma  piuttosto  quello  ,  che  si  debbe  al  ser^'o  , 
il  quale  tanto  partecipa  dell'  onore,  quanto  è  pKrtecipe 
della  virtù  ;  e  perchè  egli  non  è  privo  affatto  di  virtù,  non 
è  convenevole  ,  che  gli  sia  negato  ogni  premi  i  d'onore  ,  o 
pur  quello,  che  si  fa  agli  altri  ,  i  quali  son  legittimamente 
sottoposti  all'altrui  podestà  ,  com'è  il  figliuolo  ,  che  ronde 
ubbidenza  al  padre,  e'I  soggetto,  che  la  presta  al  Princi- 
pe :  a  questi  dunque  il  rimettersi  è  conveniente ,  ed  a  cia- 
scun'altra  sorte  di  persone  è  disdicevole  molto.  Soggiun- 
geva ancora  che  non  tutto  ciò,  ch'è  giusto,  è  onoralo, 
perciocché  è  giusto  che  il  reo  sia  punito  ,  pur  non  riceve 
onore  colla  pena  ,  che  gli  è  data  ,  ma  vergogna  j>iuttosto  , 
la  quale  è  una  specie  di  pena  imposta  dalle  severe  leggi,  e 
comunemente  suol  esser  dimandata  nota  d' infamia  ;  laonde 
conchiudeva    ch'essendo   giusta   la  remissione  ,  non  è  giù- 


56  IL  UAXGONE 

sto,  die  sia  fatta  dall'uno  neiraìtro  privato,  ma  dal  priva- 
to nel  Principe.  N«l  Principe  dunque  doveva  farsi  libera- 
mente, e  s'offeriva  ancora  di  trattar  questo  accordo  con 
sua  Altezza  in  modo  che  que'due  i;etiLiluoiuini  dovessero 
rimanerne  soddisfatti:  la  qual  soddisfazione,  pareva  che 
l'offeso  non  ricevesse  volentieri,  come  colui,  che  troppo 
di  potenza,  e  d'autorità  è  superiore,  laonde  veduto  ch'al- 
tro non  si  conchiudeva,  mi  son  partito  senza  quella  con- 
tentezza, la  quale  avrei,  se  questi  due  gentiluomini  si  fos- 
sero insieme  paciticati:  ma  non  senza  ogni  utilità,  perchè 
molte  cose  mi  pare  d'avei'e  imparate,  e  particolarmente  la 
definizione,  e  la  division  della  pace,  della  quale  non  è  più 
nobile  alcun'altra  scienza. 

FoiiESTiERO.  Ma  se  questa  è  scienza,  dee  esser  nel  va- 
lore simile  all'altre  ,  o  pur  dissimile? 

Rangone.  Simile,  a  inio  parere. 

Forestiero.  Ma  chi  è  simile  nel  valore,  non  è  pari- 
mente simile  nella  possanza,  perciocché  il  valoi'e,  e'I  po- 
tere è  quasi  il  medesimo? 
.    PiAKGONE .  Così  è  sempre. 

Forestiero.  Ma  la  medicina  non  è  ella  possente  di  ri- 
sanar gii  infermi  ? 

RA\gone.  e  molte  volte. 

Forestiero.  E  l'arte  del  navigai'e  è  possente  di  ridur 
le  navi  in  porto,  e  quella  del  carrettiere  di  guidare  i  carri 
e  le  carrette  colle  persone  salve  all'albergo  desiderato?  e 
la  scienza  dell'oratore  può  volgere,  e  rivolgere  gli  animi 
in  quella  ])arte  dove  più  gli  piace? 

Rangone.  Così  avviene  spesse  volte. 

Forestiero.  E  quella  del  capitano  può  espugnar  le 
città,  e  vincer  gli  eserciti? 

Rangone.  Questa  io  stimo  che  sia  più  di  tutte  l'  altre 
possente,  perciocché  laddove  ella  pare  sconvenevole  che 
vinca  alcuna  altra  cosa ,  nondimeno  ii\olte  fiate  non  è  in 
poter  del  capitano  il  riportar  la  vittoria  ,  ma  della  for- 
tuna. 

Forestiero.  Ma  il  geometra  può  sempre  descrivere  il 
circolo,  o  immaginarlo,  il  centro  del  quale  sia  egiialmen- 


o  nrxLA  PACE  57 

te  lontano  flalla  circonferenza,  o  il  triangolo  tla  tre  lineo 
rette  esser  contenuto? 

Rangoine.  Sempre. 

Forestiero  .  La  geometria  dunque  avrà  maggior  pos- 
sanza. 

R ANCONE  .  Avrà  . 

Forestiero.  E  l'aritmetico  in  ogni  tempo  agevolmen- 
te può  sottrarre  ,  e  moltiplicare. 

RANGONE.  Assai  facihnente. 

Forestiero.  Dunque  molto  più  dell' altre  possenti  so- 
no queste  scienze,  perchè  possono  sempre  quel,  che  l'altre 
possono  alcuna  volta,  e  però  sono  vere  scienze,  e  la  scien- 
za della  pace  è  vera  scienza,  può  acquetare,  e  pacificar 
gli  animi. 

Rangone  .  Così  è  ragionevole. 

Forestiero  .  E  se  questa  non  è  stata  possente  di  placar 
l' ire,  e  gli  sdegni  di  que'duo  Cavalieri ,  non  è  vera  scien- 
za :  perchè  la  vera  scienza  none  vinta  dalla  passione,  né 
tirata  da  lei  a  guisa  di  schiavo,  anzi  di  lei  ninna  cosa  è 
più  forte,  o  più  valorosa  . 

Rangone.  Così  mi  pare  che  seguiti  dalle  cose  dette. 

Forestiero.  Ma  veggiamo,  se  la  falsità,  e  l'errore  sia 
nella  divisione,  o  nella  definizione,  o  pur  nell'una  e  nel- 
l'altra :  e  se  fosse  in  ambedue,  ninna  maraviglia  sarebbe 
che  questa  falsa  scienza  mostrasse  tanta  debolezza  ;  e  se  vi 
piace,  cominciamo  dalla  divisione:  e  ditemi,  avete  mai 
veduto  alcuno  infermo  temperante? 

Rangone.  Io  ne  ho  veduti  alcuni,  e  di  molti  ho  udito 
ragionare,  ma  di  ninno  con  lode  maggiore,  che  della  Du- 
chessa Barbara  di  gloriosa  memoria  ,  della  cui  reale  tem- 
peranza il  Signor  Alessandro  Pocaterra  suo  fedele,  e  gra- 
to servitore,  suol  raccontar  le  maraviglie. 

Forestiero.  Mentre  ella  era  inferma,  ed  insieme  tem- 
perante, era  pace,  o  guerra  nel  suo  nobilissimo  corpo? 

Rangone  .  Guerra ,  perciocché  guerra  è  la  mala  tem- 
peranza dpgli  umori. 

Forestiero.  Guerra  dunque  era  nel  corpo,  e  pace  nel- 
l'animo, se  nell'animo  I'  appetito  obbediva  alla  ragione  . 

Rangone.  Sì  veramente . 


53  IL  RANGONE 

Forestiero.  Ma  nel  sano  iti  temperante  par  clie  av- 
venga il  contrario,  se  pur  v'è  alcuno  intemperante,  che 
sia  ben  sano,  perchè  gU  umori  sono  con  buona  armonia 
mescolati  nel  corpo,  ma  neli'  animo  nondimeno  lu  cupidi- 
gia fa  resistenza  alla  ragione;  e  molte  volte  prendendo  il 
freno  co' denti,  in  quella  guisa  ,  che  sogliono  i  cavalli  fu- 
riosi ,  la  trasporta  fuor  del  cammino  diritto.  Nel  sano  in- 
temperante dunque  la  pace  è  nel  corpo,  e  la  guerra  nel- 
l'animo. 

R ANCONE.  Senza  dubbio. 

Forestiero.  La  pace  interna  dunque  non  è  sola  ,  per- 
chè divei-sa  è  quella,  la  quale  è  negli  Uinori  del  corpo,  da 
quella  ,  che  tra  loro  fanno  le  potenze  irragionevoli  dell'a- 
nimo ,  o  pur  da  quella,  che  suol  esser  tra  le  dette  virtù,  o 
la  ragione.  Oltrediciò,  udisti  raccontare  da  alcuno  giam- 
mai, nel  quale  l'ira  e  la  cupidità  ubbidissero  alla  ragione 
umana,  e  la  ragione  umana  ricusasse  di  sottoporsi  a  quel- 
la divina  legge  ,  che  fu  mandata  in  terra  miracolosamente? 

Rangqne  .  Pcravvcntura  son  cosi  fatti  molti  Cavalieri, 
i  quali  par  che  abbiano  questa  opinione,  clie  ninna  poten- 
za inferiore  suol  ripugnare  alla  superiore  ,  nondiineno  la 
superiore,  cioè  il  nostro  intelletto,  nega  l'ubbidienza  ai 
divini  comandamenti. 

Forestiero.  Fd  allora,  benché  paia  che  l'anima  abbia 
pace  in  se  medesima ,  nondimeno  è  ribella  di  Dio  ottimo 
e  grandissimo,  e  combatte  contra  le  sue  giustissime  e 
santissime  leggi;  laonde  questi  ancora  sono  diversi  stati 
dell'anima  in  se  stessa  da  quella,  eh'  è  fra  l'anima  e  il 
creatore:  tuttavolta  l'una  senza  l' altra  non  è  vera  pace. 
Ma  da  queste  paci  interne  non  ha  egli  fatto  passaggio  alla 
pace  privata,  la  quale  è  fra' cittadini? 

R.ANG0NE.  Ila  fatto  senza  dubbio. 

Forestiero.  E  dove  ha  lasciata  la  pace  domestica  ^ 
quella  dico,  la  quale  il  padre  ha  co' figliuoli ,  e  il  marito 
colla  moglie,  e  i  fratelli  e  i  cugini  fra  loro,  i  quali  alcuna 
volta  sotto  il  medosimo  Iclio  sogliono  albergare?  né  già 
questa  doveva  rimanere  .iddietro,  perchè  invano  nelle 
piazze,  e  nelle  pubbliche  strade  sarebbe  concordia  fra  i 
venditori  e  i  compratori ,  e  ne'  luoghi  assegnati  fra  le  guar- 


0  DELLA  PACE  5g 

ttie  a' soldati,  e  nelle  sale  ,  e  nelle  camere  de' Principi  fra 
Gcntilaomiui  e  Cavalieri ,  se  dentro  le  mura  privale  allog- 
giasse l'odio  e  la  nemicizia  :  anzi  dove  non  è  la  pace  lami- 
gliare,non  credo  che  in  alcun  modo  possa  ritrovarsi  la 
civile.  Oltrediciò  la  pace,  nella  quale  vivono  le  città,  e  i 
popoli  co' popoli,  gl'Imperj  con  gì' Iraperj,  quantunque  ci 
fosse  la  tranquillità  degli  ordini  dell'universo,  non  sareb- 
be la  vera  e  perfettissima  pace.  Dunque  non  ben  divise 
la  pace  colui ,  che  in  tal  maniera  la  divise,  o  almeno  non 
annoverò  tutte  le  sue  specie,  e  delle  nobilissime  e  perfet- 
tissime pare  che  si  dimenticasse,  forse  perchè  non  volle 
ragionare  così  altamente,  come  avrebbe  saputo:  ma  fu, 
contento  di  starsene  fra  quei  termini,  che  dalla  Filosofia 
morale  pare  che  siano  prescritti  ;  tra' quali  restandosi ,  do- 
veva nondimeno  di  alcuna  delle  già  dette  specie  far  men- 
zione. Ma  passiamo  alla  definizione  ;  e  ditemi  prima,  non 
vi  par  egli  ragionevole  che;  quantunque  io  sin'ora  non 
abbia  parlato  colla  dottrina  de' Peripatetici ,  se  voglio 
impugnare  questa  definizione,  che  pare  uscita  dalle  scuo- 
le Peripatetiche  ,  non  solo  della  Platonica  mi  sia  lecito  di 
servirmi  ma  dell'  Aristotelica,  in  quelle  cose  massimamen- 
te nelle  quali  non  e'  è  discordia  ? 
RA.NGONE.  E.agionevohnente . 

Forestiero.  Dirò  dunque  che  non  è  conveniente  che 
si  ponga  nel  genere  quello,  che  partecipa  del  contrario: 
ma  la  pace,  che  si  pone  nell'  unione,  come  sua  specie 
partecipa  della  moltitudine,  e  ciò  andremo  partitamente 
considerando,  e  prima  negli  clementi,  la  pace  de'quali 
consiste  nella  moltitudine  delle  qualità,  che  insieme  si 
accompagnano,  e  poi  ne' misti  perfetti  ed  imperfetti,© 
negli  animali,  la  concordia  de' quali  è  riposta  nella  mol- 
titudine degli  umori  ben  temperati;  laonde  possiamo  dire 
che  queste  cose  siano,  e  non  siano;  perciocché  quanto  par- 
ticipano  dell'unione,  parlicipano  dell'essere,  e  quanto 
caggiono  dall' uno,  caggiono  dall'essere  parimente,  e  se 
l'unione  non  è  opposta  alla  moltitudine,  ma  piuttosto  la 
divisione  in  molte  parti,  la  quale  potremo  dimandare 
con  proprio  nome  discordia ,  in  tutti  i  composti  vedremo 
riti'ovarsi  la  discordia  coli' unione;   e   purlicipare    l'una 


fio  IL  R ANCONE 

dell' allra:  ne  solo  ne' composti,  hìa  in  quelli  ancora,  che 
san  detti  corpi  semplici,  né  sono  però  affatto  puri ,  e  se- 
parati da  ogni  discordia  ;  laonde  ragionevolmente  fu  det- 
to che  rauiicizia  e  la  lite,  son  principi  delle  cose. 

Rangoxe.  Così  stimo,  e  sempre  molto  mi  piace  di  co- 
noscer la  convenienza  ,  la  quale  è  fra  le  ragioni  degli  anti- 
cIjì  filosofi  ,  e  de'  Platonici ,  e  de' Peripatetici. 

FoRESTlEJlO.  Questa  unione,  e  questa  discordia  pari- 
mente troverete  nel  corpo  dall'uomo,  e  nella  casa  ,  e  nella 
città  ,  perciocché  se  non  vi  fosse  discordia  ,  non  vi  sarebbe 
alcuna  diversità,  o  alcuna  distinzione;  ma  tutte  le  cose  sa- 
rebbono  confuse,  o  piuttosto  nna  sola  ;  ma  la  discordia 
d'una  le  fa  molte,  e  le  distingue,  e  le  divide,  e  dà  loro 
quella  forma  ,  che  veggiamo:  e  quasi  con  funi,  o  con  fib- 
bie in  tutte  si  congiunge  coli' unione,  in  modo  che  la  con- 
cordia è  discorde  ,  e  la  discordia  concorde,-  all'  uno  multi- 
plicato  è  la  moltitudine  unita:  dunque  se  la  concordia,  o 
l'unione  in  tutte  queste  paci  è  partecipe  del  contrario,  non 
istimo  che  sia  convenevolmente  assegnata  per  genere  deU 
la  definizione.  I\Ja  vogliam  ciò  piìi  minutamente  conside- 
rare nella  pace  ,  clie  si  fa  tra  gli  uomini  ? 

Rangone.  Consideriamolo. 

Forestiero .  Or  ditemi,  volete  ch'ella  sia  giusta,  o 
ingiusta  ? 

Rangone.  Giusta. 

Forestiero.  Ma  la  giustizia  non  divide  ella  fi-a  molti 
quel  eh'  è  conveniente  ? 

Rangone  .  Divide . 

Forestiero.  E  di  questa  divisione  partecipa  ciascuna 
pace,  perciocché  senza  lei  si  viverebbe  in  discordia  nelle 
città . 

Rangone  .  Cosi  stimo  ;  tultavolta  la  pace  non  pare  che 
tanto  s'appartenga  a  questa  specie  di  giustizia,  la  quale  è 
chiamata  distributiva,  e  consiste  nella  divisione  de' beni,  e 
degli  onori  della  città  ,  quanto  nell'  altra  ,  eh' è  detta  cor- 
rettiva ,  la  quale  non  so   che  participi  d'alcuna  divisione. 

Forestiero.  Ma  qual' è  l'uflizio,  e  l'operazione  di 
questa  giustizia? 


O  DEIJ.A  PACE  6l 

RANGONE.  Il  torre  quel,  cli'è  sovfMcliio  all'iogiuriante  .. 
ed  aggiungere  quel,  die  manca  all'  in-iiiriato. 

Forestiero.  Dunque  il  torre,  eh' è  suo  contrario,  è 
divisione  ;  or  vedete  ,  come  in  questa  giustizia  ancora 
l'unione,  e  la  divisione  si  ritrovino  insieme. 

Ra^GONE.  Il  veggio  assai  cliiaramente. 

Forestiero.  Or  seguitiamo  oltre  in  quella  guisa,  eli 'ab- 
biamo cominciato;  e  ditemi  non  vi  pare  ancora  conveniente 
che  la  definizione  sia  data  non  per  le  cose,  clie  sono  dapoi, 
ma  per  quelle  ,  che  sono  prima? 

RangONE.  Senza  dubbio. 

Forestiero.  Ma  se  prima  sarà  la  pace  dell' unione,  non 
sarà  buona  la  definizione . 

EaNGONE.  Non  a  mio  giudi/lo. 

Forestiero.  Ma  qual  giudicate  voi  prima,  l'unità,  o 
l'unione? 

RangONE.  L'unità  ;  e  peravventura  l'unione,  come  li- 
nea da  punto,  deriva  dall'  unità  . 

Forestiero  .  Dunque  se  la  pace  è  unità  ,  non  è  ben  ri- 
posta nell'unione. 

Eangone.  Non  è. 

Forestiero.  Ma  s'ella  sia  unità  ,  o  non  sia,  cerchere- 
mo appresso;  or  vorrei  sapere  se  la  definizione  dee  esser 
data  per  le  cose  inferiori ,  o  per  le  superiori . 

Rangole  .  Per  le  superiori . 

Forestiero.  Dunque  se  l'unione  è  superiore  alia  pace, 
ella  sarà  per  questa  ragione  ben  data  ;  ma  s'ella  e  inferiore, 
sarà  mal  data . 

Rangone.  Sì  certo. 

Forestiero.  Or  consideriamo,  se  l'unione  sia  inferiore 
o  superiore  :  e  non  abbiam  già  detto  che  1'  unione  partici- 
pa  della  discordia  ? 

RanGONE.  Abbiamo. 

Forestiero.  Ma  la  discordia  non  è  sempre,  dovè  mol- 
titudine, come  si  vede  discorrendo  non  solo  per  le  ville ,  e 
per  le  castella,  e  per  le  città, e  per  li  regni, e  per  le  nazio- 
ni; ma  per  gli  elementi  ancora,  e  per  li  composti  naturali? 

Raxgone.  Sempre  veramente. 

Forestiero.  Dunque  l'unione  sarà  seoipre  colia  molti- 


62  IL  TxANGOKE 

tudine  ;  e  dove  non  fosse  alouoa  (noltitudsne,  niuna  discor- 
dia ,  e  niuna  contesa  ritroveremo. 

RangONE.  Niuna,  a  mìo  giudizio. 

Forestiero.  La  moltitudine  dunque  è  madre  d'ogni 
guerra,  e  d'ogni  sedizione. 

Rangone.  Così  giudico . 

Forestiero.  Ma  la  pace  e  senza  la  moltitudine,  o  sot- 
to ?  ed  acciocché  meglio  intendiate,  io  vi  chiedo,  se  la  pace 
ha  vera  essenza  ,  o  non  T  ha  ? 

RaingONE.  L'ha  ,  per  mio  giudizio  . 

Forestiero  .  Dunque  ella  è  una  ;  perchè  se  fossero  mol- 
te non  l'avrebbero. 

R.ANGONE .  Così  stimo  che  si  posoa  conchiudere  dalle 
cose  dette. 

Forestiero.  Ma  quel  cb'è  uno  è  senza  la  moltitudine, 
o  sotto? 

Rangone.  Senza. 

Forestiero  .  Dunque  seuza  la  moltitudine  è  la  pace  ,  e 
s'  ella  è  senza  la  moltitudine,  è  senza  1'  unione:  non  con- 
venevolmente dunque  per  l'unione  poteva  esser  definita. 

RANGONE.  Già  assai  mi  pare  vero  quel,  che  sin' ora  mi 
pareva  assai  diflicile  da  provare. 

Forestiero.  Appresso  non  vi  pare  che  il  definire,  e 
il    determinare  siano  una  cosa  medesima,©  pur  diverse? 
Rangone  .  L' istessa . 

Forestiero.  Dunque  definizione  è  il  medesimo  ch'il 
termine . 

Rangone  .  L' istesso . 

Forestiero  .  Ma  vedeste  mai  alcun  termine  ,  che  fosse 
instabile,  ed  incerto? 

Rangone  .  Ninno. 

Forestiero.  Stabili  dunque  tutti,  e  certi; e  però  forse 
delle  pietre  grandissime,  o  de'  grandissimi  tronchi  d'alberi 
sogliono  farsi  i  termini;  e  quelli  che  appresso  gli  antichi 
erano  chiamati  termini ,  giammai  non  erano  mossi ,  se  non 
quando  la  pace  per  la  discordia  de' confini  era  violata. 

Rangole.  Così  credo  che  avvenisse. 
Forestiero.  Se  la  definizione  dunque  e  lcrmine,dee  es- 
sere stabile . 


O  DELLA  TACE  63 

Rangone.  Dee. 

FoRESTIEEO  .  Ma  l'unione  è  sempre  cosi  fatta? 
RA>GonE.  Non  pare:  anzi  l'  unioni  per  la  maggior  parte 
sono  ii\sta1tili,  e  facilmente  si  fli<^solvono. 

Forestiero.  JSon  dovca  dunque  la  pace  esser  definita 
per  l' unione ,  ma  per  cosa ,  che  fosse  più  stabile ,  e  certa  : 
ultimamente  ({uando  una  cosa  medesima  può  definirsi  e 
al  migliore,  ed  al  peggiore  ,  a  quale  dee  piuttosto  de- 
finirsi? 

RAjNGONE.  Al  miglior  senza  dubbio. 
Forestiero  .  Ma  il  migliore  sta  egli  sempre  col  suo 
contrario  in  guerra  ,  ed  in  contrasto  ;  o  piuttosto  sepa- 
rato da  ogni  contesa  ,  e  lontano  da  ogni  perturbazione? 
RaivGOìSE.  Lontano,  a  mio  parere. 

Forestiero.  Dunque  nondovea  esser  definita  dall'unio- 
ne, -^a  quale  è  sempre  colla  discordia,  mii  da  a'.cuna  cosa 
die  sia  remota,  e  seoura  da  tutte  le  noje,  ch'ella  suole  ap- 
portare. Dunque,  siccome  nelle  ragunanze  suol  essere  in- 
trodotta alcuna  legge ,  e  se  la  nuova  è  migliore,  toglie  au- 
torità all'antica,  cosi  l'una  dee  torla  all'altra  definizione  . 
RakgONE.  Così  par  assai  ragionevole. 
Forestiero.  E  chi  definisce  dee  risguardare  nell'esem- 
pio, che  altri  direbbe  esemplare,  nel  quale  ninna  cosa 
manchi ,  e  niuna  soverchi  di  quelle  ,  che  sono  nel  definito  : 
ma  dove  ricercheremo  questo,  o  dove  il  ritroveremo,  si- 
gnor Torquato  ? 

RangONE.  Ne' libri  forse  di  coloro,  1  quali  pur  dianzi 
nominaste. 

Forestiero.  Ma  alcuni  vogliono  che  nella  mente  divi- 
na, o  pure  intorno  al  P\.e  dell'universo  sia  l'esempio  di 
tutte  le  cose:  perciocché  dovendo  egli  esser  perfetto,  nes- 
sun perfetto  esempio  quaggiù  si  ritrova,  e  quelli  ,  che  ci 
paiono  esempi ,  sono  piuttosto  copie,  e  ritratti;  laonde 
ascoltando  quello,  che  voi  diceste  della  pace,  e  della  defi- 
nizione ,  immagmai  che  Michelangelo,  o  qualche  altro  ec- 
cellente imitatore  il  quale  volendo  altrui  dimostrare  l'uo- 
mo, o  il  ciivallo ,  gliele  iiioslrasse  scolpito  in  marmi  ,  e  di- 
pinto nelle  tele,  o  nelle  carte  in  varie  forme  grandi ,  e 
piccole,    e   credendosi   di    aver    dimosliato    l'uomo,  non 


64  IL  RANGONE 

l'uomo  ma  l'inimagine  avesse  diinostrato;  perchè  non 
defiiil  la  pace,  ina  ii^urò  l'iiniuiigiiii  della  pace ,  impres- 
se in  varj  sogyeUi  ,  e  con  diversi  modi,  siccouie  al  divino 
artefice  è  piaciuto,  il  quale  prima  ne  formò  l'esempio,  die 
può  dimandarsi  propriamente  essa  pace,  io  dico  l'idea  del- 
la pace,  e  della  concordia,  senza  la  quale  ancora  è  la  divi- 
na unità,  e  la  divina  pace,  die  supera  ogni  essenza,  ed 
avanza  ogni  intelletto  ,  e  questa  è  custode  della  proprietà 
di  ciascuna  cosa.  E  percliè  alla  giustizia  s'apparlicne  di 
conservare  quel  die  è  proprio  di  ciascuno,  ed  ella  misura 
ogni  egualità,  e  definisce  ogni  inegualità  ,  per  la  quale 
tutte  le  cose  sono  diflerentl  tra  loro  ,  ne  viene  che  la  pace  , 
e  la  giustizia  divina  siano  l'istessa.  Or  vi  pare,  signor  Tor- 
quato ,  che  a  questo  modo  ancorasi  debha  congiungere  nel 
mondo  la  pace,  e  la  giustizia? 

Rangone.  Sì  veramente. 

Forestiero.  Ma  se  la  divina  giustizia  è  salute  di  tutti , 
di  tutti  è  salute  la  pace. 

Rakgoke.  a  questa  somiglianza,  ancora  quaggiù  la  giu- 
stizia, e  la  pace  dovrehbono  conservarsi . 

Forestiero.  Ma  dalla  conservazione  di  (|ud  che  e  pro- 
prio di  ciascuno,  e  di  (juel  che  dagli  altri  il  fa  diiferente , 
nascn  di' ella  sia  principale  nel  ])lacaro  gli  animi,  e  nel 
farli  benevoli  ,•  di  maniera,  che  non  è  vera  benevolenza,  o 
vero  amore,  o  vera  amicizia,  dov'ella  non  si  ritrovi  ;  que- 
sta è  da  tutti  desiderala,  e  riduce  la  moltitudine  di  tutte 
le  cose  ad  una  perfetta  congiunzione:  questa  passa  per  tut- 
to, e  per  tutto  penetra  ;  per  questo  le  cose  ancora  ,  le  qua- 
li si  muovono  naturalmente,  e  si  rallegrano  della  divisione, 
e  della  congiurizioiie,  sono  ])artccipi  della  pace  ,  e  nel  moto 
istesso  ritrovano  la  propria  quiete;  per  (juesto  la  discordia 
medesima  diviene  amichevole,  e  l'unione  si  congiunse  col- 
la  divisione;  ma  questa  è  senza  l'unione,  e  senza  l'idea;  e 
perchè  di  lei  non  si  può  ragionare  convenevolinente,  si 
chiama  convenevolmente  silenzio.  Questo  è  quell'alto, 
quel  profondo  ,  quel  dolce,  quel  divino  silenzio  nel  quale 
tutte  le  ingiurie  sono  taciute  ,  e  tutte  dimenticate;  questo 
è  quel  mirabile  silenzio  tanto  superiore  ad  ogni  armonia,  e 
ad  ogni  concerto;  clic  facciano  gli  Angioli  lodando  il  Crea- 


O  DEfXA  PACK  65 

toro,  ([(lauto  liì  divini)  c;\lij;ine  è  piii  In  niinsa  Jd  Solo,  e 
(ielle  stell(!,  ed'oi^ni  ;>!tni  Juce,  che  sia  m^l  cielo.  Onde  a 
paragone  di  c|uesl'j  tu  quasi  oud)ra  oscura  (|ucllo,  clie  fu 
deliberato  dai  comune  consentimento  dotali  Ateniesi.  Clii 
dunque  risguarda  neirese(npio,  che  non  è  unione,  ma  uni- 
tà senza  ogni  moltitudine,  e  senza  ogni  essenza  ,  conoscerà 
qual  sia  la  vera  pace,-  e  questa  cognizione,  o  scienza  s.irà 
così  possente,  che  non  mancheranno  parole  allcloquente 
da  acquietare  tutti  gli  sdegni,  e  tutte  le  passioni  de' cuori 
superbi,  ma  io,  che  balbo  sono,  come  udite,  potrei  per 
grazia  d' Iddio  scio^'licr  questa  lingua  in  così  alta  ,  e  in  cosi 
canora  voce,  che  tutta  l'Italia  mi  udisse,  e  tutta  se  ne 
maravigliasse  ;  crcdt;r(j  nondimeno  di  ricever  grazia,  se  po- 
trò nell'oblivione  di  questo  divino  silenzio  tullare  la  me- 
moria di  tutte  l'olTese,  conservando  qutdia  de  beneHej  ri- 
cevuti. 

Rangone.  Di  laudi  veramente  divine  avete  ornata  que- 
sta pace  così  prit\cipale  nel  placare  gli  animi,  laonde  più 
ini  saia  grato  il  silenzio ,  che  ne  seguita  ;  e  quantunque  io 
desiderassi  di  udire  alcune  cose  appartenenti  a  cpiesta  ma- 
teria ;  nondimeno  sono  così  piccole  in  comparazione  del- 
i'udite,  che  mi  gioverà  il  tacere  =. 


Dialoghi  T  III. 


ALLA  SERENISSIMA  SIGNORA 

E  PADRONA  MIA  COLENDISSIMA 

LA   SIGNORA   DUCHESSA 
DI  MANTOVA 


\/uantimquc  io  cerchi  con  breve.  Orazione  rinnovar  la 
memoria  di  lungo  tempo;  nondimeno  perche  le  verissime 
lodi  sogliono  operare  i  grandissimi  affetti  nell'animo 
de'  lettori ,  stimo  che  a  V.  altezza  Serenissima  non 
sarà  discaro  di  leggerla ,  e  di  concedere  all'  autorità 
della  Serenissima  Duchesa  Barbara  già  morta  molti 
anni  sono ,  quel  che  non  hanno  impetrato  le  preghie- 
re,  e  V  intercessioni  de'  vivi;  e  le  bacio  umilissimamente  le 
mani. 

Di  V.  Altezza  Sereriss. 

Umilissimo  Servo 
lu  Tasso. 


IL 

GHIRLINZONE 

OVVERO 

i;  EPITAFFIO 

DIALOG O 


ARGOMENTO 


-f  ertalo  avnnilo  un  giorno  il  Tas<:o  alla  non  meno  hella  che  valo'' 
rosa  larquiiiia  Moiza  uri  ora zione  funebre,  clte  aveva  scrina  in  lo- 
dò (Iella  Duchessa  Barbara,  moglie  eli  yJlfonso  11.  ci'  Este  sno  Si- 
gnor.-,  e  figliuola  cleir  linperator  Ferdinando  I.  ,  moria  poco  in- 
nanzi, non  sì  tosto  cominciò  essa  a  leggerla  che  si  accorse  eh'  era 
senza  proemio  .  J, a  qual  mancanza  non  pur  da  lei,  che  da  altri 
dotti  nomini,  che  secolci  si  trovavano ,  essendo  slata,  nonostante  ciò 
ch'egli  ne  disse  in  difesa,  altamente  riprovata  ,  partito  di  là ,  ag- 
giunse senza  pili  alla  sua  orazione  il  proemio  ;  e  recatosi  quindi  di 
nuovo  a  quella  Signora,  che  trovò  di  nuovo  colla  medesima  compa- 
gnia, le  fece  alfine  di  detta  orazione  lettura  .  Onai/lo  alle  cose  ella 
non  dispiacque  :  ma  essendosi  per  alcuno  degli  ascoltatori  giiulicaio 
poco  dicevole  alt  altezza  della  materia  eli  ei  l'avesse,  anzi  che  in 
latino  ,  scritta  in  volgare,  lingua  non  acconcia  ,  diceva  cjucgli ,  alia 
trattazione  di  suggelli  gravi  e  magnifici,  comandò  la  Molza  al 
Tasso  che  pili  davnnli  non  le  comparisse ,  se  non  le  portava  quella 
sua  scrittura  tradotta  in  Latino  .  Desideroso  perciò  egli  di  ubbidir- 
la ,  da  lei  nuovamente  si  dipartì,  e  già  era  presw  all'  abitazione 
sua ,  quando  s  incontrò  nel  suo  amico  Orazio  Ghirlinzone  che  lo 
riiJiiese  d'onde  venisse  .  Gli  rispose  Torquato  che  tornava  dalla 
casa  della  Molza  :  del  che  quegli  maravigliandosi  ,  poiché  era 
piuttosto  r  ora  di  andarvi  che  divenirne,  gli  domandò  quale  ne 
fosse  la  cagione.  E' gli  narrò  allora  distesamente  lutto  l'  accaduto , 
ed  in  fine  ,  pregatone ,  l' orazion  sua  gli  recitò. 

Tale  è  il  sunto  di  questo  dialogo  .  Neil'  orazione,  che  vi  si  legge, 
rolla  più  magnifica  eloquenza  viene  il  Tasso  esaltando  i  pregi  e  le 
virili  (Iella  prefata  Principessa,  che  fu  veramente  non  meno  perle 
doti  del  corpi),  che  per  quelle  de If  animo  quanto  alcun' altra  mai 
rnggiiardevole  .  E  sì  fatta  scrittura  fu  da  lui  composta  nello  Spedale 
di  S.  Anna  in  Ferrara  ranno  i585,  e  dedicata  poscia  alla  Duchi  s- 
so  di  Maniovn  Eleonora  d' ylusiria ,  sorella  della  defunta,  ivi  loda- 
tii.  Esui  vide  fiiiulinente  la  luce  neli  autio  dopo  colla  quarta  Parte 
delle  Rime  e  Prosa  di  lui  ,  stampata  in  Venezia  dal  Vasalini . 


7©  IL  GHIKLINZO^E 

INTERLOCUTORI 

ORAZIO  GHIRLINZONE,   FORESTIERO  NAPOLETANO. 

GhirlinZONE.  JL/al  Castello    venite,  o  di  qual    altra 
parte  ? 

Forestiero.  Dalla  casa  della  Signora  Tarquinia  Molza. 
Ghirliiszoxe.  Questa  sarebbe  piuttosto  l'ora  d'andar- 
vi, che  di  ritornare.  E  sì  per  tempo  vi  sete  andato  ,  o  per 
tempo  vi  siete  partito?  e  di  ciò  prendo  gran  maraviglia  , 
perciocché  a  niuno,  il  quale  metta  il  piede  in  quelle  stan- 
ze, par  che  sia  in  sua  lilìertà  di  fare  altro  viaggio,  cosi 
piacevoli  sono  i  sembianti  di  quella  valorosa  Signora,  cosi 
dolci  le  parole,  cobi  care  l'accoglienze. 

Forestiero.  Non  volontario,  ma  sforzato,  e  quasi  cac- 
ciato da' suoi  comandamenti. 

Ghirlinzoxe.  Qual  nuova  cagione  può  esser,  che  voi 
siate  escluso,  da  chi  suol  raccoglier  ogni  altro  vostro 
pari? 

Forestiero.  Il  suo  gran  sapere,  e  la  mia  ignoranza. 
GmULlNZONE.  Se  ciò  fosse  vero,  parrebbe  cagione  as- 
sai conveniente;  poi'chè  due  contiarj  non  possono  insieme 
accozzarsi . 

Forestiero.  Tutfavolta  colui  che  gela,  s' avvicina  al 
fuoco;  e  l'assetato  s'appressa  alle  chiare  fontane  d'acqua 
viva,  ed  arivi  correnti:  e  lo  stanco  peregrino  ricerca 
l'ombra,  e  l'infermo  il  medico. 

Ghiklin/one.  Così  avviene  senza  fallo. 
Forestiero.  Dunque  par  clie  ricerchi  il  suo  contrario, 
o  piuttosto  il  contrario  di  quella  passione,  o  di  quel  male, 
eh'  in  lui  si  ritrova  . 

GlilRLlN/,o>E.  Senza  dubbio. 

i^'oRESTiERO.  Io  dunque,  che  brtitto  sono  e  ignorante, 
ragionevolmente  debbo  avvicinarmi  a  lei ,  eh' è  sì  bella  ,  e 
dotta:  ed  ella  non  dovrebbe  cacciarmi  ;  pi^rciocchè  ne  dai 
tepidi  bagni  si  scacci<ìno  gli  assiderati;  nèda'fiumi ,  e  dai 
fonti  quelli,  eh  hanno  patita  soverchia   sete  :  né  dall'om- 


0  l'epitafiio  yt 

bre  gli  affaticati:  né  da' medici  sogliono  gl'infermi  esser 
fuggiti. 

Ghirlinzone  .  Qual  dunque  è  stata  la  cagione  ,  eli' ella 
contra  il  suo  costume,  e  senza  ragione  v'abbia  data  li- 
cenza ? 

Forestiero.  Dii-ollavi.  Io  aveva  una  orazione  funebre 
in  lode  della  Serenissima  Ducbessa  Barbara,  figliuola  di 
Fernando  Imperatore,  e  gliele  aveva  portata  un  giorno, 
nel  quale  io  la  ritrovai  a  seder  fra  M.  Francesco  Patrizio  , 
e  M.  Cammillo  Coccapani ,  uomini  riputati  dottissimi  nelle 
belle  lettere;  ella  prendendola  in  mano,  subitocbè  la  co- 
minciò a  leggere,  s'accorse  cb'era  senza  proemio;  ondo 
si  rivolse  sorridendo  a  M.  Cammillo,  e  dlssegli:  die  vi  pare 
di  questa  orazione  ?  Egli  rispose  :  l'  orazione  senza  princi- 
pio, die  principio  si  dice  in  nostra  lingua  quello,  cbe  i 
Greci  dicono  TVfoiaicv,  è  simile  agli  uomini  senza  testa.  E 
COSI  parve  die  desse  la  sentenza  finale:  né  mi  giovò  il  re- 
plicare cbe  il  proemio  non  è  fra  quelle  parti,  cbe  Aristo- 
tele stima  necessarie  nell'orazione:  e  cbe  nelle  cose  oneste 
è  lecito  di  usarlo ,  e  di  non  usarlo  :  e  cbe  molti  sono  1  tem- 
pi, ne'quali  si  può  lasciar  sicuramente  ;  laonde  essendo 
questa  onestissima,  e  illustrissima  ,  e  forse  stancbi  gli  uo- 
mini di  avere  ascoltate  l'altre  orazioni,  convenevolmen- 
te esser  lasciato  a  dietro.  Percb'ella  volgendosi  dall'allra 
parte  a  M.  Francesco  Patiizio  con  un  viso  alquanto  più 
severo,  gliene  cbiese  il  suo  parere;  ed  egli  disse  cb"  i 
proemj  erano  come  quelle  tirate,  cbe  sogliono  far  i  so- 
natori della  cetera ,  o  da  istrumento,  prima  che  couiin- 
cino  a  soirare ,  i  quali  con  grandissimo  diletto  dispongo- 
no gli  animi  degli  ascoltatori  ad  udire  il  canto.  Al  che 
replicava  pur'  io  cbe  ciascuno  è  disposto,  e  apparec- 
cbiato  per  udir  le  cose  altissime,  e  nobilissime,  come  sono 
le  lodi  di  questa  santissima  Reina  ;  talcbè  ninna  ragione 
necessaria  par  cbe  ci  astringa  a  farci  il  proemio:  ed  egli 
concedendomi  quel  cb'io  diceva  ,  quantunque  paresse  far- 
lo malvolentieri  :  e  quasi  costretto  ,  soggiunse  cbe  1'  auto- 
rità d'  Aristotele  non  si  dee  in  modo  alcuno  porre  ali  in- 
contra a  quella  di  Platone,  il  quale  fu  tanto  amator  dei 
proemi,  cbe  volle  che  fosser  fatti  in  tutte  le  sue  leggi:  e 


T'- 


IL  GlIinUNZO^E 
replicando  io  pure  ch'Aristotele,  e  Marco  Tuliio  parlano 
tkll'  orazioni ,  e  Platone  delle  leggi ,  eli' è  diversa  specie  di 
componimento;   soggiunse  la  signora  Tarquitia  clte  le  io- 
di di  Barbara  a  tutte  le  donne  illustri  deb1v.no  esser  leggi 
di  modestia  ,  di  cortesia  ,  di  liberalità  ,  di  magnanimilà  ,  di 
clemenza,  di  castità,  ed  insomma  leggi  d'ogni  virtù,  e  di 
ogni    reale    ed  eroica    operazione;  laonde    io  rimasi  ijuasi 
uiutolo  a  questa  risposta ,  stimando  che  non  fosse  lecito, 
né  convenevole  il  recare  alcuna  ragione  all'incontra.  E 
volgendo  pur  nell'animo  la  fatta  orazione,  mi  partii,  per 
aver  maggior  comodità  di  pensarvi;  ma  cosi  fisse   nii  ri;na- 
iievano  nella  mente  le  parole  della  signora  Tarquinia,  che 
rni  pareva  di  aver  maggior  obbligo  di  quello,  eh'  hanno  gli 
altri  oratori,  i  quali  non  lisguardano,  se  le  cose  dette ,  o 
Fcritte  da  loro  siano  vere,  <•  l'albe;  ma  se  elle  siano  grandi, 
o  piccole ,  ornate,  o  non   ornate:  ed  io  giudicava   che  da 
me  s'appettasse  che  non  solamente  le  cose  glandi  si  dices- 
fero  con    ornamento,  ma    senza  menzogna.  ;   perciocché  le 
leggi  sono  iiuitaziouc  della  vt  rilà;  ed  in  questa  orazione  a 
me  conveniva  essere  an/i  legislatore,  che  no.  Volendomi 
dunque  vestir  di  così  degvia  persona,  e  sostener  così  grave 
peso,  considerava  minutainent(!  le  cose  ,  ch'io  prima  ave- 
va scritte  frettolosamente,  ma  non  ritrovando  alcuna,  che 
vera  non  fosse,  tutte  le  riput  iva  degne  di  esser  lette:  quan- 
tunque tutte  non  fossero  egualmente  adornate;  ])ercioechè 
io  lio  ricercato  piuttosto  la  bellezza,  e    la  dignità,  che  la 
vaghezza  ,  e  la  leggiadria.  Feci  dunque  il  procii.io,  e  recai 
di  nuovo  l'orazione  alla  signora  Tarquinia  ;  e  di  nuovo  la 
.  ritrovai  con   M.  Frunccsco   Patrizio  ,   e  con  IM.  Cammillo 
Cocca  pani,  ma  c'era  ancora  M.  Lazzaro,  i  rpia  li  furono 
ascoltatori   dell'orazione,  e  alcuno  di  loro   1  avr(!bl»e    pe- 
ravventura  lodata,  s'io  l'avessi    scritta  in    lingua  I.alina; 
ina   non  commendavano  tpicsla  lingua ,  né  gli  pareva  che 
l'altezza  di  così  no])il  materia  potesse  eonven(!volmenle  es- 
ser trattata  nella  volgare  ,  la  quale  gli  pare  acconcia  sohi- 
niente  a  scriver  cose  d'amore  ,  e  alcun'altre  si  fatte  ,  nelle 
quali  non  si  ricerca  tantornamento,  o  tanto  splendore,  o 
tanta  gravità,  quanto  nelle  lodi  di  Bariìara  è  ricercato.  Al 
che  io  replicai  molle  cose  in  lode-  di  questa  lingua,  per  le 


0  r,' EPITAFFIO  ^3 

quali  slirnavu  convenevole  disella  potesse  orn;ire  i  più 
<ìeyni  soggetti  :  ma  partieolannente  mi  dolsi  che  si  voles- 
se negare  alla  lingua  Italiana  questo  testimonio  dell'amici- 
zia ,  e  del  parentado,  il  quale  è  per  cagione  di  Barbara 
fra  Principi  Tedesclìi  e  gì" Itali, ini;  fra'quali  ella  visse  in 
guisa,  che  niiin  maggior  diletto  dimostrò,  che  di  piacere  a 
colui ,  che  r  era  stato  eletto  per  suo  marito;  laonde  ingra- 
ta sarebbe  veramente  quella  lingua  ,  nella  quale  ella  fi- 
gliuola ,  e  sorella  ,  e  nipote  dell'  Imperatore  si  degnò  di  (a- 
vellare,  se  consentisse  clic  nelle  lodi  di  Barbara  alcun'al- 
tra  la  superasse.  x\.  queste  ]}arole  la  signora  Tarquinia, 
quasi  commossa,  mi  tolse  l'orazione  di  mano;  e  volendola 
leggere,  la  vide  cosi  male  scritta,  come  sogliono  esser  tut- 
ti i  miei  coiriponiincnti  ;  laonde  piena  di  sdegno  me  la  ren^ 
de,  e  comandonimi  ch'io  non  !e  tornassi  davanti,  se  non 
le  recava  1'  orazione  meglio  ricopiata,  e  tradotta  nella  lin- 
gua Romana  :  e  per  ubbidire  mi  sono  partito,  ed  ora  non  so 
dove  io  debba,  né  chi  addiaiandare;  perciocché  quantun- 
que sian  molti  ,  i  quali  dureranno  volentieri  questa  fatica 
di  ricopiarla  ,  pochi  vorranno  prender  l'altra  di  farla  La- 
tina , 

Ghirlinzone.  La  signora  Tarquinia  la  ricerca  da  voi 
stesso,  non  da  alcun  altro,  per  aver  occasione  di  legger  le 
vostre  composizioni  nell'una,  come  nell'altra  favella. 
Frattanto  fate  ch'io  l'oda  in  questa,  nella  quale  prima 
l'avete  scritta . 

FoRESTlEPO.  Come  vi  piace:  ma  dove  volete  cbe  si 
legga  ?  perchè  qui  il  popolo  vi  concorrerebbe ,  coine  «Ila 
predica  . 

GhirT-INZONE  .  Entriamo  in  questa  casa,  eh' è  vostra  :  e 
sedete  in  questa  sede,  la  quale  è  così  alta  ,  eh'  Io  sederò  in 
questa  più  bassa,  come  conviene  agli  ascoltatori. 

„  Coloro,  i  quali  sogliono  i  vivi  celebrare,  sono,  s'io 
non  m'inganno,  siinili  a  quelli,  che  lodano  gl'istrioni, 
mentre  ancora  nella  scena  luminosa  ,  dipinta  di  molti  co1(k 
ri  si  rappresentano  1' azioni  fivolose;  perciocché  la  vita  no- 
stra è  somigliante  alla  comniedia,  o  pur  alla  tragedia,  pie- 
na di  varj  casi, e  di  varie  mutazioni  della  fortuna,  la  quale 
ora  ci  solleva  di  miseria  in  felicità,  ora  ci  deprime  con  aio^ 


74  IT.  GIfIRI-TNZONE 

vimento  contrariu:  e  mentre  lutti  gli  animi  sono  sospesi, 
e  pieni  di  maravigli.!  ;  niun' altra  cosa  par  che  più  si  ri- 
cerchi,  die  il  silenzio  ,  e  l'attenzione,  onde  le  nostre  lodi 
iti  quel  ternp'>  pajouo  sconvenevoli  e  importune,  e  delta- 
te  piuttosto  da  passione,  clu;  da  giudicio  ;  perciocché  una 
Leila  tnorte  è  quella,  ch'onora  tutta  la  vita  ;  e  dal  fine  so- 
no approvate  tutte  le  azioni.  Assai  convenevolmente  dun- 
que, mentre  visse  la  Serenissima  Duchessa  Barhara  ,  fi- 
gliuola di  Fernando  Imperatore,  e  moglie  di  Alfonso  Du- 
ca di  Ferrara ,  io  tacqui ,  e  rimirai  la  sua  grandezza  e  le 
sue'virtù  maravigliosc;  né  volli  colle  mie  parole,  o  con  gli 
scritti  rompere  il  silenzio  degli  altri ,  né  perturhare  la  ri- 
verenza ,  o  la  maraviglia  ,  né  mostrarmi  in  modo  alcuno 
lusinghiero,  o  pieno  d'affetto.  Ma  dapoi ,  ch'ella  è  morta, 
o  piuttosto  ritornata  al  Cielo,  il  gran  teatro  di  questo 
mondo  risuona  di  pianti  e  di  querele,  e  di  lamenti;  laonde 
posso  a  guisa  di  trombetta  impori'e  il  silenzio,  e  rendere 
attenti  coloro,  che  non  sono  ancora  dipartiti,  quasi  alcuna 
cosa  ci  rimanga  ad  ascoltare  . 

,,  Io  rivolgo  dunque  il  ragionamento  non  solamente  a 
voi,  che  sete  ahitatori  di  questa  parte  d'It.ilia,  la  quale  è 
inondata  dal  Po  ,  dov'ella  visse  ,  dove  regnò,  dove  fece  la 
vita  felice,  e  felice  questo  nobilissimo  stato,  ch'è  quasi 
un  regno:  dove  lasciò  sì  bello  esempio  del  suo  valore,  e 
della  sua  innocenza:  dove  abbandonò  la  vita,  ritornando 
alla  sua  vera  patria,  e  c'insegnò  la  strada  di  seguirla  ;  ma 
a  tutti  coloro,  che  dimorano  fra' due  mari,  che  inondano 
l'Italia,  e  i  due  monti,  l'uno  de'quali  la  divide,  e  1"  altro 
la  circonda:  né  a  questi  solamente,  ma  a  tutti  i  Germani, 
fra'qualiella  nacque,  ed  a  tutti  i  vassalli  dell'Imperio,  nel 
quale  signoreggiò  il  padre:  e  finalmente  a  tutti  i  ritrovato- 
ri de'  nuovi  popoli,  e  a  tutti  i  ritrovati  e  vinti,  e  a' vitto- 
riosi ,  alle  diverse  genti  ,  e  alle  varie  nazioni,  che  hanno 
in  riverenza  il  suo  nome  e  quello  della  sua  casa  Imperiale, 
e  degli  Augusti,  e  de' Cesari,  da'quali  è  discesa  .  E'I  ri- 
volgo a  tutti  ,  perchè  ,  siccome  a  ciascuno  si  poteva  pro- 
])or  l'esempio  della  sua  vita  per  santissima  legge  di  ogni 
virtù  reale;  così  a  ciascuno  par  che  appartenga  il  dolor 
della  sua  morte  :  a  ciascuno    par   convenevole  ogni  uffizio 


0  l'epitaffio  75 

di  pietà ,  ogni  debito  di  servitù  ,  ogni  dimostrazione  di  fe- 
de, e  d' osservatiia  ,  e  di  religione:  ecljiedo  a  ciascuno  non 
solamente  attenzione,  ma  devozione,  l'una  ,  percliè'i  mio 
parlare  ,  come  si  deve ,  sia  considerato  ;  l' altra ,  perchè  il 
soggetto,  quanto  conviene  ,  sia  onorato.  E  se  tutti  gli  ono- 
ri umani  sono  :. inori  del  suo  merito,  non  le  si  debbono 
negare  le  divine  l;;ui  .,  or  clic  ella,  spogliandosi  della  no- 
stra umaniià  ,  agi' immortali  secoli  è  trapassata.  Ma  co- 
minciamo da  quelle,  clie  le  si  dovevano,  mentre  ella  so- 
stenne persona  e  digni';')  di  Regina. 

„  Tre  sono  le  manille  de' beni,  cbe  gli  oratori  sono 
usati  di  lodare,  quelli  della  fortuna,  del  corpo  e  dell'ani- 
mo: e  in  questo  campo,  anzi  pur  in  questi  tre  grandissimi 
campi  si  spazia  ,  e  si  distende  ogni  orazione.  Ma  in  ragio- 
nando della  Duchessa  Biirbua  ,e  della  sua  stirpe  non  pa- 
re ch'abbiano  luogo  'aìcimo  quelli,  che  son  chiamati  d^ 
fortuna;  e  niuna  p«»rte  al  caso  è  conceduta;  ninna  alla  te- 
merità abbandonata  ;  ;nizi  le  sue  ricchezze  ,  la  copia  degli 
amici,  de' servitori  e  de' parenti,  e  soprattutto  la  sua  re- 
gia e  imperiale  nobiltà  non  è  bene  della  fortuna  ,  )iia  dono 
della  provvidenza  ;  perchè  se  alcun  regno,  se  alcun  Impe- 
ro si  conservò  ,  e  crebbe  per  volontà  d'Iddio,  e  per  sua 
grazia  particolare  ,  è  quel  delle  Casa  d'Austria  nobilissima, 
e  potentissima  oltre  tutte  l'altre,  che  furono,  o  elie  sono 
state  per  l' addietro:  della  quale  usci  la  Duchessa  Barbara, 
e  nacque  Reina,  avvengachè  tutte  ci  nascono  con  questo 
nome,  e  con  questa  dignità.  E  siccome  il  Sole  nel  medesi- 
mo tempo ;,  ch'egli  nasce,  è  coronato  di  tutti  i  suoi  raggi  ; 
così  elle  nel  nascimento  si  fanno  quasi  coi'ona  della  gloria 
de'  loro  maggiori ,  ed  hanno  il  titolo  degli  antecessori  :  nò 
tanto  è  naturale  il  diadema  alla  fenice  ,  oppur  ad  alcuna 
stirpi  de' Gentili  la  lancia  colorata  nella  pelle,  quanto  a 
ciascuno,  della  Casa  d'Austria  la  dignità  e  la  virtù  de' Re  , 
cl)e  portano  seco  dalla  natività  ,  la  qual  è  tanto  più  degna 
di  riverenza,  quanto  è  maggiore  l'Imperio  ,  di  cui  Uiiseonu 
Signori  :  Imperio  veramente,  ch'avanza  tutti  gli  altri, 
in  quella  stessa  maniera,  che  il  legnaggio  loro  supera  tut- 
ti gli  altri  legnaggi .  E  se  fu  lecito  ad  alcuno  d'accrescer 
le  lodi  di  Reina  lodata  con  quelle  dell'amante;  più   ragio- 


^6  IT.  GHIRTJNZONE 

hevoiraente  si  tLe  coiicedeic  cU'  in  scriveiidj  di  que- 
sta santissima  P\.eina ,  agi^iiinya  a'suoi  meriti  quelli  del 
padre,  e  dell'avo,  e  ile  Tratelli ,  e  de'zii,e  de'cugini  , 
e  deyli  altri,  cLe  nati  sono  del  medesimo  sangue;  per- 
tbè  tra  quelle  molte  eose  necessariamente  si  inescoluva- 
jio,  che  potevano  recare  in  alcun  modo  'vergogna  a  colei, 
alla  quale  si  procurava  onore;  come  sono  amori,  rapine, 
guerre  e  sedizioni,  incendj ,  e  dcstruzioni  di  città,  e  di 
regni ,  e  altri  m;di,  die  derivano  da  cagioni  simiglianti. 

„  Tra  queste  ninna  parola  ,  niun  detto  s'  interpone, 
che  non  accresca  la  gloria  di  Barbara.  jViuna  onbra  v'è 
di  male  ,  ninna  suspizione  di  bruttezza  ,  ninna  parte  che 
non  sia  risguardevole,  e  che  non  risplenda.  Ma  se  furono 
possenti  e  grandi  Imperatori  Federico,  e  'l  vecchio  Massi- 
niiliano,  Carlo  e  Ferdinando,  se  n'accresce  onore  a  Bar- 
bara d'Austria.  S'è  tenuto  e  venerato  nell' Imperio  di 
di  Germania  il  presente  Massimiliano,  e  gli  altri  suoi  fra- 
telli,  n'acquista  gloria  Barbara  d'Austria.  Se  tremano  i 
nuovi  popoli  Occidentali,  e  cpielli,  ch'abitano  sotto  l'al- 
tro polo  separato  dal  vastissiaio  Oceano ,  del  nome  di 
Filippo,  si  fa  maggiore  la  riputazione  di  Barbara  d'A.u- 
striu.  Se  fra  noi  son  celebrate  con  chiarissima  lode  le  vit- 
torie del  Sig.  Don  Giovanni,  si  lodano  più  volentieri  per 
Barbara  d'Austria.  Se  dimostrano  grandissiiua  pruden- 
za   in  Baviera  ,  Leonora  in  Mantova,  e  Giovan- 
na in  Toscana,  e  ÌMargherila  in  Parma,  sono  assomigliate 
da  Barbara  d'Austria;  laonde  tutto  quello,  che  si  dice 
della  nobiltà  degli  uomini,  o  delle  donne  nate  di  questo 
sangue,  o  della  grandezza  e  antichità  di  questo  Imperio, 
tutto  ritorna  in  onore  di  ([uesla  nobilissima  llcina. 

„  E  certo  io  mi  vergogno  di  paragonare  il  regno  degli 
Assirj ,  o  di^'Medi,  o  de'Persi ,  con  (piello  di  questi  I.npe- 
ratori;  perciocché  quelli  furono  barbari,  e  inesperti  nel 
guerreggiare  e  nel  comandare,  i  quali  non  potevano  altra- 
mente g<)vernare  i  paesi  soggiogati,  se  non  andando  sem- 
jire  attorno,  sent<'ndo  sollev.irsi  la  parte  lontana,  ([uando 
la  vicina  s'acqiu-tava  ;  laonde  il  guverno  loro  noiì  (M-'altro, 
che  un  cerchio  di  sedi/ionie  di  ribellioni:  l'una  delle 
<(uali   succedeva  all'alila   continuamente .  Ma  questi  reg- 


O  l'EPITAFI-IO  y'^ 

gono  il  monti»  col  cenno  :  e  se  pur  si. muovono  akuna  vol- 
ta, tla  quella  jìarte  dove  si  fermano,  estirpano  tulle  le  ra- 
dici della  discordia^  e  tutti  i  semi  della  disobbedienza. 
]Vé  la  iMonarcbia  de'Macedoni  con  questa  si  dee  parn-o- 
nare;  percioccli'  ella  passò  in  guisa  di  torrente,  o  di  lui- 
mine;  e  cominciando  in  Filippo  ebbe  fine  in  Alessan- 
dro, colla  morte  del  quale  si  divise  il  mondo,  che  non 
rimase  alcun'  ombra  di  Monarchia:  e  questa  conlinova 
già  tante  centinaja  d  aiuii  ncyli  Imperatori  del  sangue 
medesimo  ,  accrescendo  sempre  le  forze  e  la  riputa- 
zione. Ne  l'Imperio  de' Romani  istessi,  eh  è  il  più  famo- 
so di  quelli,  che  siano  stati,  merita  d'essere  agguaglia- 
to con  quelli  della  Casa  d'Austria:  né  si  direbbe  molto, 
dicendo  eh' egli  tanto  è  suj>crato,  quanto  egli  quel  dei 
Persiani  avanzò:  e  l'avanzò  di-Ila  metà  ,  e  di  tutto  il  maiq 
Mediterraneo;  ma  quasi  della  metà,  e  di  tutto  l'Oceano 
supera  l'Imperio  e  i  regni  de'Principi  d'Austria,  l'antica 
potenza  Romana  ,  conciossiacosacliè  essi  non  passarono 
giauimai  oltre  le  colonne  d'Ercole,  né  conobbero  i  nuovi 
popoli  e  le  nazioni:  laonde  non  solo  è  soverchiata  l'antica 
Signoria  della  metà  del  inondo,  nella  quale  già  fu  maggio-, 
re  di  quel  di  Ciro,  di  Dario,  di  Xerse  e  d'Artaxerse;  mu 
d'un  mondo  intero  non  prima  visto,  non  conosciuto,  non 
inteso;  in  maniera  che  nessun' altro  nell'infinità  de'secoli 
potrebbe  tanto  superarlo:  e  siccome  è  vincitore  di  tutti 
i  regni,  di  tutti  gF  Imperi  e  di  tutte  le  Monarchie  passate; 
così  è  invitto,  e  invincibile  in  comparazione  dì  tutte  le 
future,  e  di  tutte  quelle,  che  si  possono  aspettare,  o  teme-!» 
re,  o  descrivere,  od  immaginare. 

,,Nè  solamente  è  maggiore  la  possanza  di  questi  Prini  i- 
pi  nell'ampiezza  de' paesi  conosciuti,  nella  moltltudiue 
de' popoli,  e  delle  nazioni;  inanella  lunghezza  del  tempo, 
e  nella  successioue  della  stirpe;  perciocché  da' primi  scrit- 
tori dell'Imperio  Romano  son  numerati  dodeci  Cesari,, 
ne'quali  egli  non  potè  esser  tanto  stabile,  che  non  passas-> 
se  assai  spesso  d'una  in  altra  famiglia  o  per  adozione,  o 
per  violenza;  e  molte  volle  vi  passò  con  spargimento  di 
sangue,  e  con  morte,  e  con  distruzion  della  schiatta.  Ma 
neir  Imperia  Germanico  sono  stati  Augusti  di  questo  ine-> 


jS  IL  GHIRLINZONE 

desimo  sangue,  oltre  t;inti  Principi  di  grendissima  virtù:  e 
sono  succeduti  nella  corona  senza  insidia,  senza  violenza, 
non  solamente  per  valore,  per  merito,  e  per  elezione,  ma 
per  natura  .  Oltre  di  ciò  nelle  famiglie  degli  antichi  Cesari 
sono  annoverate  molte  donne  celebri  per  hmà  d'impudi- 
cizia: ma  nella  stirpe  de'nostri  Imperatori  tutte  sono  state 
lontane  da  ogni  colpa,  e  da  ogni  sospetto,  c^;e  potesse  mac- 
cliiar  la  gloria  dell'onestà  ;  lionde  termin  r\i  questo  pa- 
ragone, io  dico  che  gli  antichi  Augusti  comandarono  a 
mezzo  il  mondo  appena  con  mezza  la  felicità,  macchiata 
dalla  crudeltà  degli  uomini,  e  contamini ta  dalla  disonestà 
delle  donne  .  Ma  i  moderni  Princijù  dell  i  Casa  d' Austria 
comandano  al  mondo  coll'intera  felicità,  adornata  dalla 
clemenza  de'Re,  illustrata  dalla  innocenza  delle  Reine  ; 
anzi  pur  con  due  felicità  in  due  Emisperi  sotto  due  poli:  e 
dispiegano  la  Croce,  e  l'Aquile  sotto  altre  Orse,  altre  stel- 
le ,  altri  segni  celesti ,  che  da'  nostri  antichi  non  furono  mai 
riguardati  . 

j.  In  questo  grandissimo  Imperio  dunque,  e  di  questa 
noliilissima  stirpe  essendo  nata  Barbara  Pveina  ,  non  si  può 
dubitare  clic  la  fortuna  avesse  alcuna  parte  nella  sua  no- 
biltà: né  l'ebbe  nelle  riccliijzze,  o  negli  amici,  o  nelle 
compagne  ,  o  ne' servitori,  o  nelle  serve  ,  o  negli  ornamen-* 
ti;  perciocché  tutte  queste  cose  le  furono  date  dalla  pru- 
denza di  Ferdinando  Imperatore  suo  padre  ,  il  quale  la  fa- 
ceva nudrire  in  Ispruc  colle  sorelle:  e  conservate  poi  dalla 
medesima  virtù  di  Massimiliano  suo  fratello  ;  laonde  furo- 
no più  lodevoli  in  loro  queste  parti  ,  che  negli  altri  perchè 
erano  meno  soggette  agli  accidenti,  calle  mutazioni.  La 
forma  ancora  del  corpo,  la  leggiadria  ,  e  la  maestà  deriva- 
vano dall'animo,  e  furono  quasi  raggi  della  bellezza  inte- 
riore ,  la  quale  illustrava  gli  ocelli ,  e  la  fronte,  e  1'  aspet- 
to; e  faceva  più  dilettevoli  le  maniere,  e  più  graziosi  i  mo- 
vimenti: e  aggiungea  dolcezza  ,  e  gravità  alle  parole,  e  pia- 
cevolezza, e  autorità  a  tutte  l'operazioni .  In  questa  guisa 
i  costumi  accrebbero  la  sua  beltà,  e  la  beltà  fece  più  ri- 
sguardevole  la  sua  virtù,  e  la  virtù  maggior  la  benevolen- 
za, e  la  benevolenza  s'acquistò  più  facilmente  la  riputa- 
zione appressa  ciascuno;  laonde  non  solo  nella  Germania 


o  l'epitaffio  79 

era  conosciuto  il  suo  nome;  ma  nelT altre  provincic  molti 
potentissimi  Principi  la  rlesitleravano  per  moglie .  Ma  tu 
inerito  d' Italia,  o  felicità,  che  ventura  non  ardisco  clila- 
marla,  ch'ella  fosse  stimata  degna  di  tanto  onore,  e  di  tan- 
ta grazia  fra  tutte  l'altre  provincic  sottoposte  all'Imperio, 
o  per  antica,  o  per  nuova  ragione,  quasi  con  questo  pri- 
vilegio fatta  compagna  della  Germania,  dov'è  la  nuova 
sede  dell'Imperio  Romano;  percioccliè  Carlo  V.  quantun- 
que nascesse  in  Gante  ,  Città  della  Fiandra  ,  di  madre 
Spagnuola,  e  avesse  la  Spagna  assai  obbediente  al  suo  no- 
me; non  congiunse  Margharita  sua  figliuola  ad  alcuno  Si- 
gnore Spagnuolo,  o  Fiammingo,  o  d'altra  nazione  stranie- 
ra ;  ma  prima  ad  Alessandro  de' Medici ,  e  poi  ad  Ottavio 
Farnese,  Principi  per  nobiltà,  e  per  valore  meritevoli,  che 
riniperatore  facesse  di  lor  questa  elezione:  il  quale  esempio 
seguendo  Ferdinando  suo  fratello,  diede  per  moglie  a  Fran- 
cesco Duca  di  Mantova  Isabella  ....  d'Austria  sua  figliuo- 
la ,  e  poi  Regma  di  PoUonia  :  e  a  Guglielmo,  che  successe 
in  quello  stato,  e  ne' ineriti  degli  antecessori  Leonora,  una 
dell'altre  sorelle,  dotata  d'ogni  nobilissima  virtù,  e  felice 
di  bella  successione:  e  rimanendo  Barbara,  e  Giovanna 
senza  marito,  quella  congiunse  in  matritnonio  con  Alfonso 
Duca  di  Ferrara ,  cavalier  di  valore  inestimabile:  questa 
con  Francesco  Principe  di  Toscana,  simile  al  padre  nella 
liberalità,  nella  prudenza  ,  e  in  ogni  altra  condizione.  Que- 
sti matrimoni  sono  stati  senza  alcun  dubbio  cagione  della 
tranquillità  d' Italia,  nella  quale  le  Reine  di  Casa  d'Austria 
meritano  lode  maggiore  d'  Ersilia  ,  e  delle  altre  Sabine ,  o 
pur  delle  Celte;  perch'è  meglio  esser  concedute  da'padri, 
o  da' fratelli  ,  che  rapite  dagli  amanti',  è  più  lodevole  il 
troncar  i  principj  di  tutte  le  guerre,  ch'estinguerle  da  poi 
che  sono  accese . 

„  Venendo  adunque  Barbara  a  marito  nella  nostra  Italia, 
ed  uscendo  dalla  Germania,  nella  qual  parte  era  stata  qua- 
si rinchiusa ,  spiegò  con  grandissima  pompa  tutte  le  sue 
inaravigliose  virtù  ,  delle  quali  s'aveva  per  fama  cognizio- 
ne: e  le  sottopose  quasi  in  una  bellissima  vista  agli  occhi 
de'  Principi ,  de'cavalicri ,  e  della  moltitudine,  ch'era  adu- 
nata per  le  sue  feste  :  ne  l'oro  dtdla  Germania  ,  del  quale  i 
Signori  Tedeschi  avevano  grandis?:ime  catene  al  collo,  e  a 


^O  li'  GHIRLINZUrvE 

traverso;  né  la  ferocità  de' cavalli ,  r.é  la  fortezza  de' cava- 
lieri a  se  gli  rivolse;  ma  le  virlù  eli  Barbara  gli  abi)agliaro 
con  chiarissiijia  luce,  delle  quali  ciascuna  per  se  stessa  era 
riguardevole  mollo;  ma  tutte  insieme  risplenjevano  in  gui- 
sa ,  clie  ne  restavano  superati  gli  occhi  delTintelletto  .  Allo- 
ra la  prudenza  ,  eli' era  quasi  duce  dell'  allre  ,  si  dimostrò 
ne'ragionamenli ,  e  neliaccoglienze  fatte  co'Principi,  e 
co' Legati  del  Papa  ,  e  col  Cardinale  Madruccio  ,  Signore 
di  bontà  singolare  ,  il  quale  l'accompagnava  :  e  si  manife- 
stò la  giustizia  ,  egualmente  gli  eguali  onorando,  e  con  de- 
bita disagguaglianza  gli  ineguali  accarezzando,  e  i  favori  a 
proporzione  de'merili  compartendo:  e  la  sua  temperanza 
si  fece  palese  ne' conviti;  e  la  sua  liberalità  nel  donare,  e 
la  nsagtiilicenza  nel  vestire  ,  e  la  modestia  nel  comandare  ; 
e  nel  tollerare,  la  mansuetudine:  né  vi  fu  insomma  virtti , 
eh' ivi  non  si  conoscesse:  e  di  tutte  insieaie  nacque  tanta 
maraviglia,  ch'a  fatica  alla  lode  fu  luogo  conceduto:  li 
quale  in  quelle  cose,  che  superano  ogni  copia,  e  ogni  arti- 
ficio di  parlare,  molte  volte  col  silenzio  suol  ricojiri  l.i  sua 
imperfezione. 

Tutte  le  lodi  adunque  erano  imperfette  in  com]);irazione 
della  perfettissima  virlù  di  Barbara;  ma  tutte  le  furoJìo 
date,  per  concederle  vilt(n'ia  non  meno  sovra  l'eloquenza 
degli  scrittori,  che  sopra  la  virtù  de' Principi.  E  gli  uni  e 
altri  fecero  a  gara  per  onorar  la  sua  venuta  :  quelli  eolle 
giostre  ,  e  co'torneamenti  :  questi  co'  versi ,  e  colle  prose. 
]N'è  in  aicuna  di  loro  si  legge  spettacolo  così  niaraviglioso, 
come  i  giuochi  celebrati  in  quella  occasione,  nella  quale  la 
magnificenza  d'Alfonso  agguagliò  quella  dc'grandissiii'i 
Re,  e'I  valore  superò  quel  de' fortissimi  cavalieri.  E  se 
vorremo  paragonar  le  cose  nuove  coli' antiche,  non  è  stala 
così  grande  la  fama  delle  cose  passale,  come  la  verità  del- 
le presenti:  uè  l'ardire  licenzioso  de' poeti  ha  potuto  così 
accrescer  l'altrui  maraviglie,  come  la  splendida  liberalità 
d'un  Principe  le  sue  medesime.  INè  con  eguale  convenevo- 
lezza furono  onorate  l'esecpiie  della  sepoltura,  e  le  pom- 
pe delle  nozze  ;  perciocch'  a  queste  convengono  tutti  i 
giuochi,  e  tutte  le  cose,  che  possono  accrescer  l'allegrez- 
za :  a  quella  ninna  ,  che  sia  disdieevole,  dee  tempoi-are  il 


0  I/E1'ITAFH(3  8ì 

dolore.  Cedano  (!ur.(jae  le  veccliie  alle  laodcriic  inutiizioni 
della  guerra:  e  se  Patroclo,  o  Anoliise  è  \nr  quelle  lauio- 
so,  sia  Barbara  per  queste  gloriosa:  pereliè  non  dee  menò 
esser  celebrata  per  l'amor  del  merito,  che  l'un  per  la  ])e- 
nevoleiiza  dell' amico,  l'altro  per  la  pietà  di'l  figliuolo. 

Ma  dJippoicliè  fu  consumato  il  matrimonio  ,  e  fornite  Itì 
feste,  e  gli  spettacoli,  e  ritornilo  ciascuno  ju:Ì  suo  paese, 
Barbara  riinasa  nello  Slato  del  marito,  eh  è  unde'più  bel- 
li, e  de' più  noljili  d' Italia  ,  e  in  quella  casa  medesima  ,  la 
quale  aveva  priuia  raccolte  le  (igliuole  de'  Re  di  Napoli;  e 
di  Francia  ,  ebbe  nuova  occasione  da  moslrar  la  sua  prov- 
videnza; perchè  l'altezza  del  grado,  dove  nacque;  la  di- 
versità della  patria,  onda  venne;  la  varictii  dft'costumi,  nei 
quali  si  nutrì,  per  la  nuova,  e  insolita  mutiìzione  avean  bi- 
sogno di  grandissimo  avvedimento;  ma  la  natura  l'avea  do- 
tata d'accorgimento,  e  rartificio  l'avea  accresciuto;  e 
tutte  le  cose  erano  temperate  dall'amor  del  marito,  della 
cui  volontà  ella  si  fece  legge.  E  quantunque  dalla  sua  ma- 
gnillcenza  ella  potesse  aver  esempio  d'usarla,  n  sndimeno 
volle  piuttosto  simigliar  Sfratonica  ,  o  Cornelia  n^lla  fede, 
e  nella  benevolenza,  che  Semiramide ,  o  Cleopatra  nella 
pompa,  e  nella  superbia  .  E  se  le  Rcine  de' Persi  con  gli 
ornaménti  del  corpo  davano  nome  alle  provincie,  Rarbara 
con  qnelK  dell'animo  accrebbe  la  rcputazi  »ne  d<^ Ila  Ger- 
mania; provincia  uiaggiore  di  ciascun'altr a  ,  e  più  memo- 
rabile per  tutte  le  condizioni:  edove  quelle  erano  custodi- 
te dal  timore,  ella  solamente  dall'amore  era  guardata.  Ma 
vero  senza  dubbio  è  quel  detto:  ,,  clic  il  sommo  amore  è 
somma  vergogna  ,,  ;  percioccliè  ella  amando  sommamente 
volle  dimostrarlo  solo  colla  modestia,  e  colla  cistità  ,  la 
quale  non  è  meno  degna  di  memoria  ,  che  quella  di  Lucre- 
zia,  o  di  Tazia  ,  perchè  sia  manco  alla  l'avola  somigliahìe  ; 
anzi  più  certo  testimonio  della  sua  pudicizia  è  l'auior  del 
marito,  che'!  ferro  bagnato  del  sangue  ,  o  che  '1  cribro  , 
che  ritenne  l'acqua:  o  la  zona,  che  fermò  la  nave:  o  altro 
sì  fatto  celebrato  dall'anticliità  ;  del  quale  Ci  maravigliamo 
come  dell'altre  cose  appena  credute.  IVIa  di  queste  ninno 
è  ,  che  dubiti  ;  laonde  è  tanto  più  meritevul  di  considera- 
zione ,  che  ciascun  altro  ,  quanto  è  il  movimento  ,  e  l'oi- 
Ùialoghi  T.  Ili .  (i      - 


^ì  FL  GHIRLlNZOiXE 

dine  celeste  de' mostri,  e  de'  prodigi  ;  tultocliè  questi  em- 
piano di  stupore  il  volgo ,  e  di  quelli  paja  cessata  ogni  ma- 
raviglia. 

,,  Visse  dunque  Barbara  col  marito  in  sommo  amore,  ed 
in  somuìa  concordia:  e  da  questa,  quasi  da  sue  tonti,  deri- 
vò la  pace  fra"  suoi  domestici,  e  la  cj[uieto  Ira"  suoi  famiglia- 
ri, e  l'unione  degli  animi,  e  la  tranquillità  degli  ordini  ,  i 
quali  furono  sempre  inviolabilmente  osservati:  ed  insegnò 
il  mansueto  Imperio  col  comandare,  e  la  pronta  esecuzio^ 
ne  coU'ubbi'Jire:  e  onorò  l'umiltà  coli' esempio,  e  vitupe- 
rò la  superbia  col  paragone:  e  quautunque  tutte  l'altre 
paci  allora  siano  stabili,  che  sono  più  lontane  da  ogni  con- 
tesa ;  quella  ,  ch'era  fra  l'uno,  e  l'altro  si  stabili  per  una 
nuova  maniera  di  contrasto;  perciocché  l'uno  contendeva 
coll'alli-o  di  benevolenza  ,  e  di  cortesia,  e  Barbara  conce- 
deva le  sue  voglie  a  quelle  di  Alfonso,  come  si  conveniva  al- 
l'esser donna  ;  e  Alfonso  le  sue  alcuna  volta  a  quelle  di 
Barbara  ,  come  parca  die  ricercasse  la  grandezza  del 
fratello. 

„  Ed  in  questa  pacifica  contesa  vissero,  sinché  la  grave,  e 
lunga  infermità  della  Ducbessa  le  diede  maggior  occasione 
di  manifestai'e  un'altra  sua  maravigliosa  virtù  ,  io  dico,  la 
fortezza  feminile,  la  quale  non  e  men  lodevole,  cbe  sia 
•juella  degli  eroi,  nò  si  dimostra  in  pericoli  minori.  E  s'  al- 
cuna emulazione  può  nascere  tra  '1  marito  e  la  moglie  , 
nacque  fra  loro  nel  dimcK^trarla  ,  perciocché  (juella  d'Al- 
fonso fu  conosciuta  nelle  tempesb;  del  mare,  e  nelle  ruine 
del  terremoto,  e  nell'uccisioni  delta  guerra,  la  qual  con- 
cede luog»  proprio  da  manireslarla;  ma  Barbara  fece  espe- 
rienza della  sua  ne'tlolori  dell'infermità,  negli  spaventi 
della  morte,  e  nella  vicinanza  dell'ultiaio  passo:  e  la  fece 
senz'armi  ,  senza  cavalieri  ,  senza  schi(ire  ,  e  senza  eserciti  , 
i  quali  accompagn.uono  il  Duca,  che  non  fu  sempn;  vitto- 
rioso, quantunque  sempre  fosse  invitto;  ma  Barbara  fu 
della  inorte  medesima  vincitrice. 

,,  0  dolorosa  vittoria ,  o  speranze  fellaci ,  o  fuggitive  al- 
legrezze, o  perdita  irr^'storabil(! ,  o  danno  irreparabile,  o 
dolor  senza  consolazione,  o  sconsolazione  senza  rimedio,  o 
rimedio  senza  giovamento ,  o  fronte  già  serena  più  del  Cie- 


o  l'epitaffio  83 

lo  or  divenuta  oscura  nella  morte!  O  ordii  già  colmi  di 
luce  ,  or  pieni  di  tenebre  ,  o  niaestù  del  volto  ,  o  leggiadria 
delle  membra,  o  gravità  de' sembianti,  o  dolcezza  dello 
parole  ,  o  soavità  de' costumi ,  onde  tante  ,  e  sì  suliite  mu- 
tazioni ?  O  Barbara  ,  o  nipote  ,  o  figliuola  ,  o  sorella  dei 
Cesari,©  Reina,  nel  qual  nome  respirava  l'Italia,  dove  sei 
ita,  o  dove  dimori?  e  cbe  picciola  parte  ci  bai  lasciata  del- 
la tua  bellezza?  e  come  tosto  sarai  in  cenen^  convertita!  E 
questa  la  successione  ,  cbe  da  te  s'aspettava  ?  son  questi  i 
doni,  cb'  io  credeva  appresentarsi  ?  Ma  mi  pare  cbe  sic- 
come nelle  tragedie  gli  Dei  favolosi  parlano  dalle  nubi, 
così  un'angelica  voce  di  lei,  cbe  tanto  s'è  avvicinata  al 
vero  Iddio,  mi  si  faccia  udire,  i  lamenti  in  lode  conver- 
tendo . 

,,  Tacete  ,  o  Ferra i-esi  ,  e  temperate  il  pianto,  percbè 
non  è  misera  per  la  sua  morte  la  vostra  Eeina;  ne  biso- 
gnosa delle  vostre  lagrime,  ne  d'alcuna  misericordia  per 
lo  viaggio  incoiuinciato;  ma  se  fu  mai  quella  dalcun'al- 
tra  felice,  è  stata  la  sua  morte,  nella  quale  combattendo 
ha  meritato  eterna  corona  di  gloria  :  e  di  mortale  immorta- 
le ,  di  terrena  celeste ,  d' umana  è  divenuta  divina.  Né  l'ba 
raccolta  Stige ,  o  Cocito,  od  Acheronte:  né  Lete  gli  ba 
tolta  la  memoria  delle  cose  sue  più  care  ;  ma  dal  suo.  e  vo- 
stro Signore  è  stata  ricevuta  nel  Cielo,  dove  trionfa  col 
Padre,  e  con  gli  Avi  Imperatori,  clic  quaggiù  guerreggia- 
ron  perla  fede:  egli  è  fatto  il  medesimo  onore,  cb'a  Judit, 
ad  Isabella,  a  Maria  ,  a  Matelda,  a  Beatrice,  a  Leonora  ,  ed 
a  tante  altre  uscite  dell'uno  ,  e  dell'altro  legnaggio  ,  o  ma- 
ritate nell' una  ,  e  nell'altra  famiglia  di  Principi  gloriosi. 
Laonde  con  altri  onori  ornai  deve  essere  onorata  ,  come 
colei,  cbe  divenne  superiore  a  tutte  1'  umane  grandez- 
ze: né  senza  ajuto  divino  fece  l'ultima  partita;  pi;rcb' es- 
sendo la  morte  a  tuttiapposta  egualmente, non  è  a  tutti  pa- 
rimente conceduto  il  poter  ben  morire  ;  e  lasciar  desiderio 
della  sua  vita  negli  uomini  ,  e  la  memoria  della  sua  bene- 
volenza nelle  donne  ;  e  l'esempio  delle  sue  virtù  in  tutte  le 
nazioni  :  e  salissene  al  Cielo,  raccogliendo  da  tutte  le  par- 
ti lodi,  e  lagrime,  e  lamenti  senza  fine  ,  e  senza  misura  ; 
però  non  c'è  alcuna  cagione  ,  per  la  quale  siamo  di  sovcr- 


,«^4  "'  GHIRLINZONE 

cliio  desiderosi  di  vita:  nò  si  de.e  piuttoslo  misurar  la  feli- 
cità da!  frutto  dell»  sua  lunga  vecchiezza,  che  dall'opera- 
zione della  perfiMta  virtù  ;  laonde  assai  bene  ha  vissuto  co- 
lui ,  il  quale  ha   speso  nelle  nobilissi;ne  azioni    lo  spazio 
conceduto  :  e  s'è  dipartito  a  guisa  di  poeta  ,  ch'abbia  Uni- 
ta la  favola,  non   avendo  ancora   saziati  gli   auditori.   Ma 
quella  veramente  e  beata,  ch'avendosi  goduto  della  vita  , 
quanto  ella  era  desiderahile  ,  l'ha  poi  abbandonata  co'ina- 
h  e  co'dolori  dell'infermità,  piena  di  tutti  gli  onori,  orna- 
ta di  tutte  le  grazie,  nutrita  fra  gli  scettri,  e  fra  le  corone, 
e  fra  i  trionfi,  e  fra  le  palme  cresciuta,  e  dalla  Signoria 
terrena  al  celeste  Imperio  s'è  inalzata:  e  s' alcuno  v'è,  che 
stimi  non  esserle  fatto  onore  a  bastanza  ,  supplisca,    e  ac- 
cresca la  riverenza  con  la  divozione:  perciotcliè  molto  secu- 
ra  è  questa  lode,  la  qual  ci  par  dettata   dalla  sua  bocca 
medesima,  tanto  a' suoi  meriti  ,  quanto  alla   verità  s' av- 
vicina i  Isè  sarà  peravventura  soverchio   celebrarla    nelle 
istorie,  e  ne' versi  de'  poeti,  come  Placidia,  o  Serena,   <> 
Termanzia  ,  o  alcuna  delle  già  nominate,  dicendo;  Non  sei 
ancora  morta,  o  Barbara;  ma  vivi  fra  noi  ,  perchè  è    vi- 
va la    protezione ,  che  di  noi  prendesti  ,    O   lieina  ,   che 
vivesti,  come  Santa  ,  e  sei  morta  in  modo,  che'  più  t'ono- 
rano, o  £loria  della  tua  stirpe,  ornamento  dell'Imperio,  so- 
stegno di  questa  Citt-,  gradisci  quel  ch'io  posso  dnrti,  o 
dirli  :  delle  altre  cose  l'Italia  lagrimando  si  prenderà  cura 
pubblicamente. 


IL 

FORESTIERO  NAPOLETAIN O 

OVVERO 

DELLA   GELOSIA 

DI  A  LOGO 


ARGOMENTO 


T: 


rattnsi  in  {juf^sto  (ìialo^o  della  gelosia  ,   e   due  sono  i  personaggi 
in trodoiii  a  discorre ì\'l    U  primo  è  il   Tasso  nostro,   celato  sotto  il 
suo  solito  nome  di  Forestiero  Napoletano  ,  come  Socrate  ne'  dialoa.hi 
di   Platone  so'to  /jiicllo  di  Ospite  /Itenicse  ;  ed  il  secondo  è  Camillo 
Coecapani  da  Carpi,  uorno  di  molle  lettere,  e  pnOùlii.o  professore  di 
lingua  greca  nello  studio  di  Icrrora   a'  tempi  del  uiedesiino  Tasso  . 
Senz  altra  introduzione  comincia  il  primo ,  che  ò  {/uegli  nel  cui  iio- 
iìie  s'  intitola  il  dialogo  ,  dal  chiedere   al  seroudo  cosa    sia   gelosia. 
Ricusa  in  principio  il    Coecapani  di  soddisjare  alla  domanda  ,  scu- 
sandosi col  dire  di  non   conoscere  colai  passio/te  ;  ma  inducesi  poi 
a  compiacere  al  desiderio  'lell'  amuo  ,    e  rispotide  eli  ei  cicde  esser 
ella  dolore  dell'  alimi  hf  ne     CU  domanda  allora   Torquato   se  dolo, 
re  di  gelosia  parimente  sia  il  dolersi  dell'  ouor  del  nemico  ,    o  della 
vittoria  del  compagno ,    o  della  dignità   conseguita    dalT in/eriore  . 
Dalla    quale   interrogazione    accorgendosi  il   Coecapani   che   in  Ila 
definizione   da  lui  data  veineann  insieme  a  confondersi  e   l'  eniiilii- 
zione  e  la  gelosia,  entra  a  distinguere    V  uno   dall'altro   questi  due 
u/Jetli ,  dicendo  che  il  primo  è  de  beni  orrevoli,  ed  il  secondo  invc~ 
ce  di  (juelli  che  sono  degni  di  amore  :  e  soggiunge  quindi  che  sicco- 
me il  dolersi  nel  difetto  de'  beni  orrevoli  è  cosa  giusta  ,    così  giusta 
è  r  emulazione  ;   ma    che  all'  incontro,   siccome  U  lamentarsi  della 
mancanza  di  un  bene  labile  e  -vano,  quale  si  è  la  bellezza  ,  è    co- 
sa   irragionevole    e    brutta,  così   la  gelosia  è  passione  iugiir^ta ,  rea 
e  meritevole  di  biasimo  .  Riprova  però  il  Tasso  sì  fatto  rngionamen-< 
lo  mostrando  che  tanto  i  beni  orrevoli ,  quanto  gli  amabili  si  cori- 
verlftno  gli  uni  cogli  altri  in  guisa  die  gli  amalidi  sono  orrevoli,  e 
gli  orrevoli  amabili  ,  e  che  perciò  i  emulazione  e  la  gelosia  ,    luttoc- 
chè  abbiano  nomi  differenti,   sono  lo  stesso  affetto  ,   e   che  se  l'uno 
è  ragionevole  e  ilcgiio  di  lode,    ragionevole  egualmente ,  e  degno  di 
lode  si  è   l'altro     Pas-iano  appresso  i  dispulanti  a    investigare  qiial 
pane  abbia  il  timore  nella  gelosia .  Il  Coecapani  in  sulle  prime  è  di 
purere  che  quaCa  passione  sia  dolore  e  lintora  insieme  ;  ma  avendo 


SG  IL  lOUESTIEao 

il  Tasso  propalo  ilu-  rimo  non  può  stare  coli  altro ,  propone  ili 
e<iclitdere  do  Un  gelosia  quello  che  è  minor  mate  ■  Prende  periamo 
Torquato  ad  esaminarli  amendne  ,  e  siccome  trova  che  è  maggiore 
inquietudine  il  Umore  che  il  dolore  ,  poiché  questo  somiglia  anzi  la 
quiete  che  l  inquietudine,  così  conchiude  che  essendo  la  gelosia 
inquietudine  grandissima  ,  ahlnasi  piìi  convencvulmcntc  a  giudi- 
care timore  che  altra  co^n  .  Sostenendo  tuttnvnlta  il  Coccapatii 
che ,  o  timore  o  dolore  che  ella  sia  ,  è  sempre  una  fiera  passiona 
ptriurhatricc  del  riposo  ilttf  animo  ,  si  Ja  il  Tasso  a  conside- 
ra re  i  vnrj  rjjèi  ti  del  timore  ;  e  mostrato  com'egli,  scemando  ciò 
che  in  lui  è  soverchio,  e  n'dncendolo  a  Isella  mediocrità,  non  solo  di- 
viene nobile  e  graziosa  virtii  ,  ma  è  inoltre  cagione  che  l'  altre  anco- 
ra siciio  acquistate ,  ne  trae  la  conseguenza  che  la  gelosia  ,  la  quale 
appunto  è  timore  ,  lungi  dall'  essere  di  fiera  e  maligna  natura  ,  ove 
sin  moderata ,  ^  anzi  virili  di  co'itume  .  Né  solamene  tale  la  fa  egli 
conoscere  ;  mn  coli'  autorità  di  Dante,  del  Petrarca  e  di  altro  poeta 
la  dichiara  virtù  purgatoria  negli  animi  che  si  purgano,  viriti  di  ani- 
mo già  purgato  in  quelli  che  sono  in  cielo ,  e  virtù  finalmente  esem- 
plare in  Dio.  f'^ien  egli  per  ultimo  a  toccare  alcuna  cosa  dell'autorità 
dei  poeti,  e  termina  conchiudendo  intorno  ad  essa  ,  che  ove  parlino 
quelli  in  perdona  propria  e  senza  passione,  come  appunto  favellan- 
do degli  animi  separali  ed  immortali  fecero  Dante  e  il  Petrarca,  da 
lui  di  sopra  citati ,  ella  è  sempre  grandissima  e  degna  di  fede  . 

Non  pago  il  Tasso  di  avere  scritto  nella  sua  prima  gioventù  un 
non  meno  elegante  che  dotto  discorso  intorno  alta  gelosia ,  prese  nel 
i5ìiS  a  stendere  sullo  stesso  soggetto  il  presente  dialogo,  che  venne 
poi  pubblicato  per  la  prima  7'olia  ncll'  anno  dopo  colla  quarta  par- 
te delle  sue  Riinc  e  Prose  .  //  originale  di  questa  scrittura,  siccome 
abtnnmn  da  una  lettera  del  'Muratori  ad  Apostolo  Zeno,  conservasi 
con  altri auiogrcfi.  di  Torquato  nella  libreria  Ducale  di  Modena. 

INTERLOCUTORI 

FORESTIERO  NAPOLETANO,  CAMMILLO  COCCAPANI . 

FORT.STIKRO.  v^lie  cosa  è  gelosia? 

CAMMU.r.o.  Voi,  che  l'avete  conosciuta  per  lunga  pro- 
va ,  ne  dimandate  a  ine ,  che  non  la  conobbi  giammai  per 
esperienza  ? 

Forestiero.  Quasi  non  sia  lecito  all'infermo  di  diman- 
dare al  medico  la  natura  del  male. 

CAìliiillo.  e  più  lecito  a  medi  non  rispondere;  perchè 
né  voi  siete  infermo  ,  essendone  già  risanato,  né  se  voi  pur 
foste  ,  io  sarei  buon  medico  del  vostro  dolore  . 

Forestiero.  Mentre  ncj^atc  di  rispondermi,  voi  mi  ri- 


NAPOLF.TANO  Sf 

spendete,  dicendomi  eli' ella  è  dolore:  e  quantunque  la 
non  ne  sia  così  infermo  ,  come  n'  era  in  altro  tempo  ,  non- 
dimeno ancora  non  sono  guarito  in  modo,  che  non  stimi 
che  mi  debba  esser  giovevole  molto  l'intenderne  1'  opinio- 
ne altrui;  però  ditemi  qual  dolore  ella  sia  . 

Cammillo  .  Poiché  voi  così  volete,  io  son  costretto  di 
compiacervi,  benché  a  persona  più  intendente  della  natur;i 
sua  potreste  dimandarne  .  Dico  dunque  eh'  ella  è  do- 
lore dell'altrui  bene  ,  come  giudicò  il  vostro  Petrarca  di- 
cendo : 

Che  d' alt  nei  ben ,  quasi  suo  inai  si  duole . 

Forestiero.  Dunque  alcuno,  il  quale  si  dolesse  del- 
l'onore del  suo  nemico,  sarebbe  geloso,  e  geloso  parimen- 
te ,  chi  sentisse  dolore  perchè  alcun  suo  compagno  ,  o 
eguale  avesse  conseguita  qualche  gloriosa  vittoria,  o  qual- 
che inferiore  fosse  asceso  ad  alcuna  suhlime  dignità. 

Cammillo.  Non  sarebbe  dolore  di  gelosia,  ma  d'emula- 
zione piuttosto  ;  perciocché  l'emulazione  è  de' beni  orre- 
voli ,  ma  gelosia  di  quelli,  che  sono  degni  di  amore:  dire- 
mo dunque  che  la  prima  sia  una  melanconia,  ovvero  un 
dolore  per  la  presenza  dì  sì  fatti  beni,  i  quali  noi  ancora 
possiamo  conseguire  ,  se  gli  rimiriamo  ne' simili  di  natura, 
non  perchè  sieno  in  altrui,  ma  perchè  manchino  a  noi  me- 
desimi: la  seconda  un  simile  affanno,  per  la  bellezza,  che 
si  ritrovi  nella  persona  amata,  della  quale  temiaìno,  che 
altri  sia  possessore;  e  perciò  è  irragionevol  cosa,  e  brutta  , 
e  dirò  ancora  meritevole  di  biasimo,  il  lamentarsi,  perchè 
ci  manchi 

Questo  nostro  caduco  efragil  bene 

Cli  è  vento  ed  ombra ,  ed  ha  nome  beltade . 

Ma  il  dolersi  nel  difetto  de' beni  orrevoli  è  giusta  cosa; 
laonde  è  giusta  l'emulazione,  e  passione  d'uomini  giusti. 

Forestiero  .  Ma  ditemi ,  può  essere  alcun  dolore  acer- 
bo senza  alcuna  acerbità  ? 

Cammillo.  Non  può  in  alcuna  maniera. 

Forestiero.  Né  aspro  senza  asprezza? 

Cammillo  .  Né  questo . 

Forestiero  .  Né  onesto  senza  onestà ,  né  landevole  sen- 
^a  fede  ? 


88  IL  FORESTIERO 

Cammillo,  Vi  si  concede. 
Forestiero.  Dunque  né  giusto  senza  giustizia  ? 
CammILLO.   Né  giusto  senzd  giustizia:   ma  non  intendo, 
ancora  .  perchè  questo  abbiate  voluto  concbiudere. 

Forestiero,  lo  il  dico,  perchè  mi  pare  che  dove  sia 
la  giustizia  ,  non  sia  mancauienlo  di  alcun  bene  onorevole  ; 
perciocché  la  giustizia  contiene  in  se  tutte  l'altre  virtù; 
ina  ciò  repugna  a  quello,  che  poco  innanzi  diceste  che 
l'emulazione  sia  dolore  per  la  presenza  de'beni  orrevoli  , 
de'quali  negli  altri  è  abijondanza ,  ed  in  noi  medesimi  dir 
fetto,-  perciocché  ,  se  questo  dolore  non  è  senza  giustizia  , 
è  senza  mancamento  degli  altri  l)cni . 

CAM3I1LLO.  Quasi  io  chiami  beni  orrevoli  le  virtù  ,  che 
sono  contenute  dalla  giustizia,  come  voi  dite,  e  non  piut- 
tosto le  dignità,  e  gli  altri  premj ,  che  a'giusLi  sono  con- 
ceduti . 

Forestiero.  E  quali  chiamate  voi  beni  orrevoli? 
Camjiillo.  Quelli ,  che  sono  degni  di  onore. 
Forestiero  .  Dunque  r  on<>n;  imn  è  bene  orrevole  , 
perchè  se  ciò  diceste ,  ci-cdcrci  che  voleste  di  me  prender 
giuoco , 

CA.vmiLLO.  E  perchè  prender  giuoco? 
Forestiero.  Percliè  la  dignità  è  una  specie  d'onore; 
laonde  se  la  dignità  fosse  bene  orrevole,  ne  seguirebbe 
che  l'onore  fosse  degno  di  onore,  e  questo  mi  pare  uno 
scherzo . 

Caii"\tim.o.  Non  ciascuna  cosa  dee  considerarsi  cosi  as- 
solul.imciitf ,  o  piuttosto  COSI  sottilmente,  come  a  ine  pa- 
ro che  voi  andiate  considerando ,  anzi  sarebbe  amabil  co- 
sa il  trattarne  in  modo,  e  figura  più  grossa  . 

Forestiero.  Dunque  odioso  vi  sarà  rand^imc  più  dili- 
gentemente investigando  ;  ed  io  per  non  esser  tale  mi  tace- 
rò ,  perchè  son  tanto  vago  del  vostro  amore,  quanto  del- 
l'essere  onorato. 

Cammillo.  Cercate  quel  che  vi  piace;  ma  vi  avverlisco 
che  amabili  son  quelle  cose,  le  quali  son  fat^  secondo  , 
che  alla  natura  si  convitane,  laonde  non  dovete  trattar  (pie- 
sla  materia  altramonte  di  quel,  cbCllii  rucichi. 


NAPOLETANO  Rg^ 

J^ORESTIERO.  Ed  il»  così  ini  sforzerò  di  fare  ,  e  ptMÒ  na 
parlerò  con  que'teriuini,  co'quali  gli  altri  sono  usi  di  im- 
gioniirne:  e  perchè  voi  avete  di.=  tinla  l'emulazione  dailu 
gelosia  ,  dicendo  che  l'una  è  de' beni  orrevoli,  l'altra  de- 
gli amabili,  dico  che  se  i  beni  orrevoli  sono  quelli,  ohe 
son  degni  di  onore,  amabili  veramente  saranno  quelli^  che 
Kon  meritevoli  di  amore. 

Cammilt.O.  Cusi  è  senza  dubbio  . 

Forestiero  .  Ma  che  cliiamate  voi  onore? 

Cammillo.  Il  premio  della  virtù. 

Foresi lERO.  E  l'amore,  a  cIjì  suol  esser  conceduto?  a 
quelli ,  che  della  virtù  sono  privati ,  o  pure  a  coloro  che 
ne  sono  possessori? 

Gammili.O.  A'  possessori. 

FoilESTlERo  .  Dunque  l'auìorc  anche  esso  è  premio  del- 
la virlùj  e  se  dritto  ìstimo,  iiiun'aìlro  premio  più  degno 
|ia  la  virtù,  che  l'amore. 

Ca>i>tili.O.  e  questo,  che  monta? 

FoRESTlElìO.  Che  l'onore,  e  l'amore  sieno  Tistesso,-  e 
gli  stessi  beni  sian  quelli ,  che  d'onore,  e  d'amore  sono 
meritevoli,  o  almeno  gli  uni  con  gli  altri  si  convertono  In 
guisa,  che  gli  amabili  sono  orrevoli,  e  gli  orrevoli  amabili,  e 
dagli  uni  procede  la  emula^,ione  gelosa,  e  dagli  altri  l'emu- 
la gelosia,  o  pur'insieme  dagli  uni,  e  dagli  altri  l'una,  e 
r  altra  passione:  il  che  rai  pare  che  accennasse  ancoi'a 
quel  vostro  poeta,  quando  egli  della  bellezza  d'Enea  cosi 
unente  ragionò  : 

Et  laetos  oculis  afflavìt  honores  ; 
perciocché  l'onore  degli  opchi  non  è  altro  ,  che  l'amore  ; 
laonde  l'emulazione,  che  è  de' beni  degni  di  onore,  e  la 
gelosia  ;,  la  quale  è  di  quelli  ,  che  meritano  amore,  saranno 
ancora  l'istesso  affetto,  tuttoché  i  nomi  siano  dilFcrenti  :  e 
chi  gli  chiamò  coU'istesso  nome,  o  pur  con  quel  di  zelo, 
che  tanto  gli  assomiglia,  assai  addentro  conobbe  la  sua  na- 
tura .  Dunque,  se  l'uno  affetto  é  giusto,  l'altro  non  è  irrar 
gionevole,  come  diceste;  ina  l'uno  ,  e  l'altro  degno  di  lode 
parimente:  ma  peravvcntnra  voi  non  parlaste  così  per  opi- 
nione, che  portiate  della  gelosia  ,  come  di  rea  cosa  ,  e  mal- 


9&  IL  FORESTIERO 

"vagia  ,  ma  percliè  io  slinKindnla  si  fatta  ,  mi  guardassi 
mi'  altra  volta  di  min  darìiiele  in  preda  così  misera- 
mente. 

Cammu.i.o.  E  come  è  ella  rea?  tmn  vi  sovviene  d' aver 
letto: 

Qual  dolce  più. .  qual  più  giocondo  stato 
Sari  a  di  quel  d' uà  amoroso  core; 
Qual  vii'cr  più  felice ,  e  più  beato , 
Che  ritrovarsi  in  servitìt  d' Amore  ? 
Se  non  fosse  /'  noni  sempre  stimolato 
Da  quel  sospetto  rio ^  da.  quel  timore, 
Da  quel  furor  ^  da  quella  frenesia, 
Da  quella  rabbia  detta  Gelosia. 
FORESTIEUO.  iMolte  cose,  e  tutte  ree  accompagna  insie- 
me questo  famoso  poeta  in  biasimo,  ed  in  vituperio  delia 
gelosia:  ma  debbiamo  noi  credere  quel,  cb'egli  dice? 

Cammillo.  Egli  fu  non  solamente  gran  poeta,  ma  anco- 
ra grande  innavnorato,  laonde  ragionando  egli  delle  amoro- 
se passioni  se  gli  dee  prestar  credenza  . 

Forestiero  .  Dunque  conceder  debbiamo,  cbe  la  gelo- 
sia sia  un  timore;  polcliè  da  lui  in  tal  modo  è  nominata  . 
Cammii^i.O.  Debbiamo. 

Forestiero.  E  voi  poco  innanzi  diceste  cb'  era  do- 
lore . 

Gammillo.  Dissi. 

Forestiero.  Dunque  egli  è  dolore, e  timore  insieme. 
Gammillo.  Vi  par  forse  questa  cosa  sconvenevole?  non 
avete  voi  letto  : 

Del  presente  mi  godo,  e  meglio  aspetto? 
E  s'  egli  si  può  godere  insieme  ,  ed  aspettar  meglio  ,  può 
dolersi,  e  temere;  percbò  così  il  godere  è  contrario  al  do- 
lersi, come  l'aspettazione  del  bene  a  quella  del  male.  E  se 
i  poeti  non  vi  muovono  ,  vi  muova  filosofo  di  così  grande 
autorità,  com'è  Aristotile,  il  quale  del  timor  parlando, 
sebben  mi  rammento,  disse  cb'egli  si  doleva. 

Forestiero  .  Or  ditemi ,  cbe  cbiumate  voi  aspettazione 
di  male  ? 

Gammillo.  Il  timore. 


i 


NAPOLETANO  91 

Forestiero.  Ma  l'aspettazione  è  delle  cose  future  ,  e 
tlelle  presenti  ? 

Cammillo.  Delle  fiitare. 

Forestiero.  Dunque  il  timor  sarà  aspettizìone  tli  futu- 
ro male  ;  e  se  il  dolore  è  del  presente  ,  poiché  s'  oppone  al 
godercene  seguirà  che  la  gelosia,  la  quale  è ,  come  voi 
stimate,  dolore,  e  insieme  timore,  sia  di  male  presente,  e 
di  futuro,  il  che  pare  impossibile  :  e  peravventura  quando 
il  Petrarca  disse  ch'egli  godeva  del  presente  ,  ed  aspettava 
meglio,  non  volle  intendere  che  uno  affetto  solo  dell'ani- 
mo suo  risguardasse  a  tempi  diversi;  ma  piuttosto,  eh  egli 
fosse  sottoposto  a  diverse  passioni;  e  parimente  l'  autorità, 
che  voi  mi  recate  dalle  scuole  de' Peripatetici,  altro  non 
prova  ,  se  non  che'I  timido  possa  dolersi:  ma  non  si  duole 
peravventura  in  quanto  egli  è  pauroso.  Ma  voi  d'una  sola 
passione  ragionando,  volete  eh'  ella  sia  del  mal  presente,  e 
del  futuro:  oltrediciò  colui,  che  aspetta  alcun  male,  è  so- 
lito di  fuggirne,  e  'I  timore  istesso  è  fuga  :  ma  colui ,  che 
si  duole,  è  sopraggiunto  dal  male,  e  quasi  preso,  ed  occu- 
pato, come  suol  essere  la  fera  alcuna  volta  dal  cacciatore, 
però  disse  quel  poeta  ; 

Gran  duol  mi  prese  il  cuor  quando  V  intese . 
Ed  in  questa  maniera  essendo  egli  preso,  si  ferma  l'animo 
nel  dolore  ;  ma  il  fuggire  ,  e  lo  star  fermo  ,  o  pure  il  moto, 
e  la  quiete  non  possono  stare  insieme  ;  qaal  dunque  la- 
scieremo  indietro  di  queste  due  opinioni ,  la  prima  che  sia 
dolore  ,  o  pur  questa  seconda  ,  che  sia  timore  ? 

Cammillo.  Lasciamo  quella,  che  vuole  che  sia  minore 
il  male;  perchè  ci  sforzeremo  di  lasciare  insieme  la  gelosia, 
eh' è  pessima  cosa. 

Forestiero.  E  dove  credete  voi  che  il  male  sia  mi- 
nore? 

Cammillo.  Dove  è  minor  l'inquietudine. 
Forestiero.  Dunque  nel  dolore,  perchè  'l  timore  fa 
l'uomo  inquietissimo;  ma  nel  dolore  avendo  l'uomo  per- 
duta la  speranza  s'acquieta  nella  disperazione;  tuttavolta 
il  timore,  come  abhiam  detto  ,  è  aspettazione  del  male. 
Cammillo.  È. 
Forestiero.  E  le  cose  aspettate  sono  lontane. 


tp  IL  FORESTIERO 

.     CAM3I1LL0.  Sono. 

Forestiero-  Dunijne  la  lontananza  del  malo  accresce  il 
iii.ile;  e  se  ciò  è  vero,  (jiiando  non  al)biaino  la  teliljre  ella 
bara  maggiore,  e  njaygiore  il  male  di  stomaco  ,  o  di  fian- 
co ,  quando  non  ci  molesta  . 

CAiHMJLLO.  Qucsle  sono  conclusioni  impossibili. 
P'ORESTIERO.  Da  False  proposizioni  dunque  debbono  es- 
ser procedute;  non  sarà  dunque  vero  che  l'inquietudine 
sia  il  inaygior  male:  anzi,  poiché  ella  è  aspettazione  di  ma- 
le ,  o  di  bene  ,  non  sarà  male ,  o  bene  in  alcuna  maniera  :  e 
dovendo  noi  ritenerci  quella  opinione,  secondo  la  tjualo 
stimiamo  la  gelosia  il  male  più  ijrave,  riterremo  quella  , 
che  la  pone  nel  dolore . 
Gam,ijillo.  Riterremo. 

Forestiero.  Tutta  volta  il  dolore  somiglia  anzi  la  quie- 
te, che  l'inquietudine,  ma  quiete  violenta,  e  simile  a  quel- 
la del  fuoco,  o  d'altro  corpo  che  sia  ritenuto  a  forza  in 
quel  luogo,  che  non  gli  è  naturale  ;  perciocché  quando  s'a- 
cquieta nel  piacere,  trova  la  quiete  in  cosa  assai  conforme 
alla  sua  natura:  ma  quando  egli  si  ferma  nel  dolore,  in 
cosa  molto  contraria  é  ritardato  mal  suo  grado,  quasi  di- 
sperando di  potersene  fuggire:  laonde  essendo  la  gelosia 
inquietudine  grandissima,  par  che  più  convenevolmente  ti- 
jDore  sia  giudicata . 

Cajwmiixo.  O  sia  timore,  o  dolore  pocorilieva;  basta 
che  ella  sia  una  fiera  passione  degli  animi  nostri  ,  pertur- 
batrice de  nostri  riposi,  e  contaminatrice  de'nostri  diletti. 
Forestiero.  Ma  concedendomi  voi  ch'ella  sia  una 
specie  di  timore,  consideriamo  quel  che  avvenga  nell'altre 
specie  per  conoscere  quel,  che  in  questa  sia  conveniente: 
e  cominciando  dal  timore  della  morte,  non  vi  pare  eh'  egli 
possa  essere  in  guisa  moderato,  che  riceva  queli  abito  ^ 
ch'è  detto  fortezza  ;  onde  coloro,  che  nelle  tempeste  dell 
mare  fra  i  turbini,  e  le  procelle  si  lamentano,  non  vedcìulo 
altro  testimonio  della  morte, che  il  cielo  oseurissimo,  e  il 
)riare  grossissimo,  e  gonfiato,  nelle  battaglie  terrestri  ,  e 
nelle  marittime,  negli  assalti ,  e  nelle  difese  delle  città  ,  e 
negli  assedj ,  sogliono  stimare  che  la  morte  sia  non  il  fine 
della  vilaj  ma  ]iiutt(jsto  e  l'onore,  e  la  gloria,  che  si  per- 


NAPOLETANO  f)3 

petua  ,  r  si  coiiservii  nella  memoria  di  tutto  1  età,  e  di  tul 
te  le  nazioni. 

Cammili.o.  Sì  certo. 

Forestiero.  E  parimente  il  timore  dell'infamia  riceve 
una  iaudevol  di>^posizione ,  la  quale  è  detta  vergogna. 
CkyiMlUA)  .  Parimente. 

.Forestiero.  Laonde  questo  affetto  ancora  scemando 
quello,  eli' è  in  lui  sovcrcliio,  e  riducendosi  a  bella,  e  per 
così  dire,  aurea  mediocrità,  diverrà  nobile,  e  graziosa  vir- 
tù, per  la  quale  temendo  !'  amante  di  perder  la  grazia  del- 
la sua  donna,  temerà  in  conseguenza  di  far  cosa,  per  cui  la 
perda  meritamente,  laonde  d'intemperante  diverrà  tempe- 
rato, d'avaro  liberale,  di  timido  forte,  di  vile  magnanimo 
ed  in  questo  modo  la  gelosia  sarà  cagione  che  l'animo  si 
adorni  di  tvitte  le  virtù,  come  ne' lucidi  sereni  della  notte 
reggiamo  il  cielo  di  tutte  le  stelle  esser  risplendente;  e 
questa  forse  è  la  cagione,  cbe  alcuni  il  color  ceruleo  ,  o 
cilestro  le  abbiano  assegnato:  se  dunque  tale  è  la  gelosia, 
non  è  di  così  fiera,  e  jualigna  natura  ,  come  poco  innanzi 
la  figuraste. 

Cammillo.  Voi  avete  dipinta  così  bella  la  gelosia,  che 
Amore  istesso  ne  potrebbe  divenir  geloso  in  guisa  cbe  da 
lei  non  si  volesse  mai  discompagnare;  ne  vi  bastando  i  no- 
stri colori ,  siete  ricorso  a  quelli  del  cielo,  i  quali  molte  fia- 
te i  pittori  indarno  procurano  d'assomigliare. 

Forestiero  .  Veramente  io  così  stimo  cbe  siccome 
l'ombra  accompagna  il  corpo,  e  il  raggio  segue  la  luce  , 
così  l'amore  umano  sempre  dalla  gelosia  vada  accompa- 
gnato; ma  la  compagnia  di  una  virtù ,  cbe  non  è  solamen- 
te virtù  di  costume ,  ma  cagione,  cbe  l'altre  siano  acqui- 
state ,  non  dee  in  alcun  modo  parerle  odiosa  ;  e  questo,  se 
non  m'inganno,  fa  quel  freno,  il  qual  rivolse,  e  strinse  il 
Petrarca  : 

Spesso  come  a  ccduilfren,  che  vaneggia. 
Ma  udiamo  quel,  cbe  ne  dice  più  chiaramente  Dante  nel 
Purgatorio  parlando  di  IVI.  JN'ino,  il  quale: 
Così  clicca  segnato  di  la  stampa 
Nel  suo  aspetto  di  quel  drittozelo  , 
Che  misuratamente  in  core  avvampa . 


94  IL  FORESTIERO 

Caiumillo  .  Mi  ricordo  aver  letto  i  versi . 

Forestiero.  Mh  s'egli  è  zelo  diritto,  che  avvampi  mo- 
deratamente, è  virtù;  perciocché  tale  è  la  moderazione 
delle  passioni. 

CA3IMILL0 .  Cosi  pare  . 

Forestiero.  Duncpie  non  solo  ella  quaggiù  fra  gli  uo- 
mini è  virtù  morale,  ma  virtù  purgatoria  ancora,  che  cosi 
si  può  raccogliere  da  questo  poeta;  ed  or,  se  vi  piace,  ascen- 
diamo dal  Purgatorio  al  Cielo,  e  rig  >r^hainlo  nell'anima 
già  purgata  di  Madonna  Laura,  della  quale  dice  il  Pe- 
trarca . 

Sì  gelosa  ,  e  pia 

Torna,  ov'  io  san  ,  temendo  non  fra  i'ia 

Mi  stanchi  ,  o'ndielro ,  a  da  man  manca  giri . 

Cammillo.  Veramente  ninna  più  laudevol  compagnia 
potrehbe  esser  data  al  geloso,  che  quella  della  pietà. 

Forestiero.  Ma  soileviamci  ancora  più,  se  pure  alcuna 
ala  può  bastare  a  cosi  gi'ande,  e  co^l  maraviglioso  volo,  e 
riguardiamola  coli' altre  virtù  esemplari  in  Dio,  il  quale  è 
detto  zelatore,  che  nella  nostra  favella  sonerebbe  geloso; 
laonde  convenevolmente  disse  alcun  Poeta  moderno  ma 
pur' assai  buon  poeta: 

E  con  eterno  ,  ed  amoroso  zelo 
E  crear  y  e  nutrir  lutti  i  viventi . 

Così  di  grado  in  grado  abbina  veduto  che  la  gelosia 
negli  uomini  è  virtù  morale  ,  negli  animi ,  che  si  purgano  , 
virtù  purgatoria,  e  virtù  daniuio  già  purgato  in  quelli  , 
che  sono  in  cielo,  s'è  lecito  di  parlare  colle  parole  depoe- 
ti ,  cotanto  gloriosamente  accolti;  e  virtù  esemplare  in 
Dio:  delle  quali  cose,  quando  io  cominciala  ragionare, 
non  mi  ricord.iva ,  ma  poi  du])itando  pt  r  le  cose  da  voi  av- 
visate, mi  sono  ritornate  in  memoria  in  quel  modo,  che 
l'uno  per  altro  contrario  suole  molte  volte  ritornarci;  ma 
pur  essendo  elle  dette  da' poeti ,  i  quali  alcuna  fiata  par- 
lando cose  diverse,  alcune  contrarie ,  non  saranno  perav- 
ventura  credute  • 

Camimii.lo.  L'autorità  de' poeti  è  grandissima  ,  e  quan- 
do essi  dicono  alcuna  cosa  falsa,  o  pure  opposta  ad  altra 
già  detta  da  loro  ,  non  sogliono  parhue  secondo  In  propria 


NAPOLETANO  95 

Opinione,  ma  secondo  quella  de' volgari ,  la  quale  è  da  lo- 
ro seijuitii,  porcile  stimano  di  potere  assai  acconcia tamente 
persuaderla. 

FoKKSiiEf'.O.  Ma  se  noi  da' poeti  non  vogliamo  essere 
ingannati  ,  come  potremo  avvederci,  quando  essi  seguono 
il  parere  altrui,  e  quando  il  loro  medesimo;  perciocché 
quando  introducono  a  ragionare,  come  più  degli  altri  fanno 
Omero,  e  Virgilio,  e  Dante,  agevolmente  debbiamo  lor 
concedere  cbe  dicono  cose  convenevoli  alle  persone  ,  del- 
le quali  sono  quasi  vestili,  vere,  o  false,  ch'elle  siano; 
ma  parlando  in  persona  propria  non  pare  che  debbano  di- 
re ,  se  non  il  vero:  e  perchè  il  vero  al  vero  non  è  contra- 
rio ,  ninna  contradi/ione  dee  ritrovarsi  ne' detti  di  buon 
poeta,  o  pure  alcuno  se  ne  ritrova,  perchè  i  poeti  assomi- 
gliano spesso  l'amante,  o  lo  sdegno  soancora,  da  se  stessi 
ragionando,  e  si  può  quasi  dire  che  lo  sdegno,  e  l'amore 
sia  quel  ,  che  parli,  e  non  l'intelletto:  di  maniera,  che  le 
cose  da  lor  dette  sono  anzi  affettuose  ,  che  vere  ;  tuttavolta 
essi  talora  separandosi  da  queste  passioni  piuttosto  divini, 
che  umani  paiono  nelle  poesie:  e  ciò  essi  fanno  più  spesso, 
che  l'altre  volte  ,  quando  delle  cose  divin  •  sogliono  favel- 
lare ,  nelle  quali  ciascuno  errore  sareb])e  più  dannoso,  e  più 
biasimevole  eziandio  ?  che  tutti  quelli  ,  che  si  possono 
prendere  nelle  umane  ;  delle  quali  è  proprio  l'errare.  La- 
sciasi dunque  ogni  fallo,  ed  ogni  inganno  ,  ogni  varietà  , 
ed  ogni  mutazione  in  questa  sfera  delle  cose,  che  si  genera- 
no,  e  si  corrompono  ,  la  quale  è  regno  della  menzogna  ,  al- 
bergo della  falsità  ,  ed  abitazione  dell'incostanza,  come  fe- 
cero Dante  ,  e  il  Petrarca,  i  quali  parlando  degli  animi  se- 
parati, ed  immortali,  non  istimo  che  in  alcun  modo  s'  in- 
gannassero, né  volessero  gli  altri  ingannare  quantunque 
alcuna  fiala  gli  altissimi  niisterj  sotto  leggiadrissimo  velo 
eleggessero  di  ricoprire;  laonde  tutto  quello,  che  fu  detto 
da  quegli  uomini  maravigliosi  della  gelosia,  e  degli  animi, 
che  si  purgano  ,  e  di  quelli,  che  sono  già  purgati,  istimo 
che  sia  detto  non  men  veramente,  che  leggiadramente:  ma 
quando  poetarono  de' nostri  affetti,  di  leggieri  si  può  lor 
perdonare,  che  affettuosamente  ne  poetassero:  ed  a  voi , 
che  P^r^'  convenevole? 


'96  II.  FORESTIERO  >APOLETÀNO 

CamMILLO.  QucIÌo,  clic  ne  dice  un  di  questi  medesinìi. 
^oeti  : 

Ove  sia ,  chi  per  prova  intenda  amore  , 
Spero  trovar  pietà ,  non  che  perdono . 
Ma  queste  cose  si  volgono,  e  si  rivolgono,  come  all'uoui 
piace  j  laonde  ciascuno  può  stai-sene  colla  sua  opinione. 


.:..L 


G  I  A  N  L  U  e  à 

OVVERO 

t)ELLE   MASCHERE 

DIJLOGO 


ARGOMENTO 

In  mezzo  alia  fi' ra  malincoiiia  ,  da   cui  era  del  continuo  oppres- 
so ,  provava  il    Ta<!sn   grarnfissimo  sollievo   nel  -vedere   gli  spettato- 
li e  le    maschere-  Onde  nel  carnovale  del  i584  (  i  he  è  a    dire  verso 
tafinc    del  tfuinlo   anno  della  sua  inL^ionia   in   S    Anna  ^   essendo 
stato  da  Alberto  Parma  ,  dotto  grntiliiomo    Modenese ,   e  dal  ronltì 
ìvpnliiit    Gianlnea  di    l'errara  ,  antico   e  fedel  servitore  del    Duca 
Jil/onso  li-  d'  hsttì  .condotto  un  giorno ,  con  licenza  di  esso  Duca  , 
ad  essere  spettatore  delle  giostre  e  dxlle  mascherate  che  con  ricche  e 
nuove  fàg^e  di  nriiamen'i  e    di   abiti  si  facevano   per   In   citta,    ne 
prese    egli    tanto   diletto ,     che  vòlte   eternarne    la    memoria    nella 
presente  scrittura  ,  fingendo  in  essa  un  diàlogo  intorno  alle  mascnc- 
rr  ,  occorso  Ira  lui  e  i  detti  suoi    amici  nel  tempo  appunto    che  si 
erano  questi  a  liii  recali  per  condurlo  fuori  .  Del  cjual  dudogo,  erte 
poi  dal  Gianluca  gli  piace/ uè  'd'  intitolare  ,  tale  in  breve   è   il  conte- 
nuto .  ^i  si  tocca  priinameiìte  come  i   piaceri  e  i  desidérj  variano 
secondo  le  età  (letali  uomini  .  Fatte  quindi  alcune  parole  del  potere 
che  ha  a'ond/ineno  l'  amore  di  ringiovanire  le  voglie,    viensi  a  por- 
lare  dell'uso  della  maschera  .  Si  accenna  com'  ella   fu  ritrovata  da- 
gli antichi  per  assicurare  l' ardita   licenza   del    mordere,   ed   a   che 
serva  oggidì  ;  ed  entrasi  poscia  a  far  conoscere  come  nel  mascherar- 
si occorra  prendere  ad  imitare  i  migliori .   Si  passa  fìnalincnte  a  nt-~ 
itòrrire  di  alcuni  abiti  che  ,    per  imitar  quelli ,  potrebbe   vestir  chi 
s  immaschcra  ;  ma,  osservando  il  Tasso  che  la  novità  ,  o    /'  antichi- 
là  di  essi  desterebbe  forse  le  risa-,  conrhinde  quanto  a.  se  di  vestirà 
de^ pruprj  panni,  non  mettendo  altro  di  piìj   dell'  ordinario  (he  un» 
maschera  ed  un  cappello ,  e  di  uscir  così  a  godere  de'  divertimenti , 
a  cui  i  suoi  due  amici  erano  per  guidarlo  . 

Fu  scritto  dal   nostro    Torquato  questo    dialogo    nel    <;opradd:^itf> 
anno  i5S4.  I\on  venne  però  in  luce  se  non  che  nel  i586  colla  quar- 
ta parte  delle  Rime  e  Prose  di  esso  poeta ,  stampata  in  t^enezia  dal 
Dialoghi  T  III.  .7 


98  II.  GIANLUCA 

Vasalini  in  12."  Nella  libreria  Durale  ili  Modena  se  ne  conserva 
uno  copia  a  penna  fatta  da  Giulio  Mosti,  e  corretta  qua  e  là  di  ma- 
ria dell'  autore  medesimo. 

INTERLOCUTORI 

ÌL  SIG.  ALBERTO  PARMA,  IL  SIG.  IPPOLITO  GIANLUCA  , 
FORESTIERO  NAPOLETANO. 

Alberto  .  1  ulta  Ferrara  è  piena  di  maschere  ,  e  voi 
solo  ancora  siete  rinchiuso. 

Forestiero.  Questo  non  è  senza  n^io  dispiacere,  per- 
chè quantunque  io  temperi  tutti  i  fustidj  della  nostra  vita 
con  lezioni  assni  piacevoli,  per  le  quali  alcune  volte  mi 
dimentico  del  mio  stato,  e  della  sorte,  e  quasi  di  me  stes- 
so, nondimeno  la  solitudine  lunga  viene  finalmente  a  no- 
ja  ,•  ma  non  lio  desiderio  d' immascherarmi . 

Alberto.  Già  solevate  essere  anzi  de'  primi,  che  degli 
ultimi,  ed  ora  è  tempo,  die  viviate  non  meno  allegro. 

Forestiero.  L'allegrezze  sono  conformi  all'età  degli 
nomini,  siccome  i  frutti  alle  stagioni  ;  laonde  quel  che  di- 
letta alla  giovanezza  non  suol  piacere  all'età  matura  pari- 
mente; e  gli  esercizj  della  virilità  sogliono  essere  fatiche 
intollerahili  alla  vecchiezza  . 

Alberto.  Siccome  al  line  della  Primavera  è  simigi lau- 
te nelle  sue  qualità  il  principio  della  State;  e  quando  ella 
concede  il  luogo  all'Autunno  è  molto  simile  la  temperatu- 
ra delTuno  e  dell'altro:  così  la  vostra  età  virile  è  ne'  con- 
fini ancora  della  giovinezza  ,  né  si  conosce  la  mutazione  ; 
onde  vi  dovrehbono  piacere  quelle  cose,  che  a' giovani 
sono  care . 

Forestiero.  L'  infermità  è  quasi  vecchiezza  ,  però  son 
pili  simile  a' vecchi  ne' miei  desiderj. 

Ippolito.  Sarete  assai  tosto  sano  ,e  potrete  riprendere 
le  voglie  giovenili  a  vostro  piacere,  e  forse  germoglieran- 
no co' fiori ,  e  coir  erba  della  Primavera. 

Forestiero.  Siccome  i  capelli  canuti  non  divengono 
mai  neri,  cosi  mai  non  ringiovaniscono  le  voglie  una  volta 
invecchiate. 


o  DE(.i,E  :>iaS(;hrrk  cfC) 

At.p.erto  .  Rivolgetevi  ad  Amore,  come  fece  un   poeta 
da  voi  lodato  ,  e  dite  , 

£  questi  capei  tingi 

Nel  color  primo ,  acciocché  fuor  la  scorza  , 
Coni'  è  vinto  quH  dentro,  non  dichiari . 
Forestiero.  Io  dirò  piuttosto  col  medesimo  Poeta: 
.  .  .  Concedimi ,  o  Sig/inr,  eh'  io  ^'iva 
Mio  tempo  estremo  alinen  là  d<n'e  sia 
Cortese^  e  mansueta  signoria. 
Ippolito.    Se  io  non  credessi    vedervi    innamorato   di 
nuovo  .... 
Forestiero.  Che  torreste? 

Ippolito.  Di  seguire  il  vostro  parere  in  ogni  occasione. 
Forestiero.  Ma  se  non  v'attenete  a' consigli  de' veri 
amanti,  non  dovete  stimarli  buoni. 
Ippolito.  Non  in  tutte  le  cose. 

Forestiero.  Dunque  l'essere  amante  è  imperfezione 
di  giudizio? 

Ippolito.  Non  tutti  gli  amanti  son  tali ,  perchè  alcuni 
dimostrano  giudizio  grandissimo  nell'azione. 

Forestiero.  E  da  questi  agevolmente  vi  lascereste 
persuadere? 

Ippolito.  Senza  fallo. 

Forestiero.  Gli  amanti  sogliono  persuadere  l'amare  , 
o  il  disamare  ? 

Ippolito.  L'amare. 

Forestiero.  Dunque  coli' altrui  consiglio  diventereste 
di  nuovo  amante,  e  tornereste  a' primi  sospiri,  alle  prime 
lacrime  ,  all'antiche  passioni . 

Alrerto.  Anzi  piuttosto  gli  amanti  sogliono  per  gelosia 
persuadere,  die  altri  non  ami,  perchè  l'arte  dell'amare  è 
una  specie  di  caccia  ,  e  gli  amanti  somigliano  que'  caccia- 
tori ,  che  vivono  di  preda,  né  rivelano  il  luogo,  dove  s'ap- 
piattano le  fere. 

Ippolito.  Questo  poco  importa  più  nell'un  modo  che 
nell'altro:  ma  voi  presupponete  che  io  sia  stato  altre  vol- 
te amante,  e  forse  v'ingannate. 

Forestiero.  Se  prima  non  amaste,  il  consigliero  inna- 
morato sarà  cagione  che  in  questi  anni  divegnute  amante  . 


lOO  it  GIANLUCA 

Ora  non  è  tempo  di  far  questa  deliberazione  ;  ma  piatto-* 
sto  se  debbiamo  immascbcrarci. 

Alberto.  La  maschera  fu  per  la  scena  ritrovata,  per- 
ch'ella  assicurasse  l'ardita  licenza  del  favellare,  e  del 
mordere  altrui,  ricoprendo  il  viso  de' morditori  ,  i  quali 
da  principio  l'uni^evao  di  feccia,  che  serviva  in  ([uell'uSo, 
nel  quale  ella  dipoi  si  adoperò,  crescendo  la  pompa  deyli 
abiti  coll'artificio  de' poeti  ;  laonde  non  ha  bisogno  di  lei. 
chi  non  monta  in  palco. 

IppotJTO  .  La  ragione  sarebbe  ass.ii  buona  per  gli  anti- 
rhi  ;  or  son  mutate  l'usanze,  e  gli  ascoltatori  son  masche-' 
rati,  e  smascherati  gl'istrioni;  laonde  noti  è  soA'erchia  la 
deliberazione. 

Forestiero.  Questo  è  di  quegli  effetti,  che  segue  l'a- 
more; però  la  determinazione  dovrebbe  cominciare  dalle 
prime  cagioni . 

Ippolito.  Molti,  che  non  sono  amanti,  si  vestono  di 
questo  abito  per  usanza  ,  e  per  comodità  . 

Forestiero.  O  puittosto  molti,  cbe  dicono  di  nona- 
mare;  che  io  per  me  non  so  conoscere  qual  co  nodità  por- 
ti una  mascbera  ,  la  quale  impedisce  il  respirare,  ed  un 
abito  di  canovaccio  ,  o  di  romagimolo. 

Ippolito.  Voi  biasimate  le  maschere  Modanesi,  non  le 
nostre,  sotto  le  quali  con  ninna  diltieultà  ci  difendiamo  dai 
venti  e  dal  ghiaccio,  laonde  possono  esser  dette  ragione- 
volmente r  arme  usate  centra  il  verno. 

Forestiero  .  Se  l'arme  son  così  fatte,  quasi  ciascuno 
era  armato,  quando  prima  vidi  Ferrara,  e  mi  parve  che 
tutta  la  città  fosse  una  maravigliosa ,  e  non  più  veduta 
sceiia  <lipinta  e  luminosa,  e  piena  di  mille  forme  e  di  milli; 
apparenze  ;  e  le  azioni  di  quel  tempo  simili  a  quelle,  cbe 
sono  rappresentate  ne' teatri  con  vario  lingue,  e  con  varj 
interlocutori:  e  non  bastandomi  Tesser  divenuto  spettato- 
re, volli  divenire  un  di  quelli  ,  che  eran  parte  della  com- 
media, e  mescolarmi  con  gli  altri: 

E  ben  ^'t'ggio  or,  siccome  al popol  tutto 
Favola  fui  gran  tempo  ,  onde  sovente 
Di  ine  niedesmo  meco  mi  vergogno. 


O  DELLE  MASCHERE  lOI 

E  del  mio  vaneggiar  vergogna  ,  è  'l  frutto^ 
E  7  pentirsi  ,  e  7  conoscer  chiuramtnte  , 
Che  quanto  piace  al  mondo  è  breve  sogno . 

Ippolito.  Chi  si  pente  ,  non  pensa  di  far  nuovo  errore. 

Forestiero.  Né  già  penso  di  farlo:  però  se  il  vestire 
in  questa  guisa  è  fallo,  dobbiarn  guardarcene. 

Alberto  •  Come  può  stimarsi  errore  quel  che  fanno  i 
Prìncipi,  i  Cavalieri,  i  Dottori,  i  Prelati,  coll'iinitazione 
de' quali  a  ciascuno  è  lecito  di  vestirsi  questo  abito,  si  ve- 
ramente che  lo  ficcia  con  modestia. 

Forestiero.  Dunque  si  può  sicuramente  imitare  i  mi- 
gliori ,  e  non  solamente  senza  riprensione  ,  ma  con  lode . 

Alberto.  Senza  dubbio . 

FdRESTiero.  E  r  imitazione  de' peggiori  è  lodevole  e- 
gualmente? 

A  lberto  .  Non  è . 

Forestiero.  Merita  nondimeno  alcuna  lode,  o  pure 
non  la  merita? 

Alberto.  Molti  son  lodati,  perch'è  bene  imitato  da 
loro  quel,  che  prendono  ad  imitare  . 

Forestiero.  E  quel  che  bene  imita,  è  buono  imi- 
tatore ? 

Alberto.  Quello  ,  e  non  altro ,  a  mio  parere  . 

Forestiero.  Ma  si  può  bene  imitare  il  male? 

Alberto.  Molti  ho  uditi,  i  quali  hanno  bene  imitate 
le  cose  tutte,  quantunque  fossero  vili,  basse  e  cittive   . 

Forestiero.  Ditemi,  se  vi  piace  quel,  che  sia  l'i- 
mitare . 

Alberto.  Se  io  non  m'inganno,  è  l'assomigliare. 

Forestiero.  Ma  colui,  che  assomiglia,  divien  simile 
all'assomigliato,  ed  imitando  il  male,  conviene  ch'egli 
li'  abbia  simiglianza. 

Alberto.  Conviene. 

Forestiero.  Dunque  d  bene,  imitando  il  male,  il  bene 
s'assomiglia  al  male. 

Alberto.  Così  avviene . 

Forestiero.  E  il  fare  che  il  bene  prenda  sembiante  di 
male  ,  può  facilmente  esser  cagione  d' ingannare  ? 

Arberto.  Agevolmente. 


I02  IL  GIAM.UCA 

FoRF.STlFRO.  Si  può  dunque  il  bene  prendere  in  vece 
(li  male,  e  il  male  in  vece  di  bene,  in  quella  ijuisa  che  nel- 
le commedie  veijgiamo  Tun  siuiile  esser  preso  in  iscambio 
dell'  altro . 

Alberto.  Si  può  :  assai  vicina  è  la  similitudine  fra  le 
mapcbere  e  le  commedie  ,  e  Terrore  è  quasi  ristesse. 

Forestiero  .  Dunque  r  imitatore  del  male,  o  de' peg- 
giori, che  vogliamo  chiamarlo,  è  contrario  al  filosofo,  per- 
cioccbè  l'uno  c'insegna  a  distinguere  il  bene  dal  male  ,  e 
l'altro  confonde  la  distinzione. 

Alberto.  Cosi  mi  pare  per  questa  ragione. 

Forestiero.  Ma  è  contrario  parimente  all'imitar  dei 
peggiori,  0  se  ad  uno  solamente  è  contrario,  il  filosofo  ,  e 
l'iinitatore  de' migliori  sono  l'istesso. 

Alberto.  O  sono  stati  piuttosto,  che  tali  furono  Ome- 
ro, Sofocle,  Euripide,  Senofonte  e  Platone  medesimo,  il 
quale  non  solo  imitò  le  azioni  e  i  discorsi  de'migliori ,  ma 
formò  l'idea  di  ciascuna  virtù  ne' suoi  ragionamenti. 

Forestiero.  Ma  l'imitatore  de'uiigUori  è  buono  senza 
fallo. 

Alberto.  Cosi  mi  pare. 

Forestiero.  Dunque  siMiza  dubbio  è  reo  l'imitatore 
de' peggiori,  ch'è  l'opposto  almeno  in  quella  azione;  e 
tanto  peggiore  quanto  sono  peggiori  gì' imitati;  perchè  al- 
cune commedie  rassomigliano  in  modo  all'ordinaria  vita 
de' cittadini ,  clie  l'imitazione  par  de' simili ,  o  degli  egua- 
li.  E  se  Aristotile  chiamò  la  commedia  imitazione  de'peg- 
giori  intese  della  commedia  vecchia  ,  alla  quale  molto  si 
assomigliano  nella  nialedicenza  (jueste,  che  vendono  il  di- 
letto a  prezzo . 

Alberto.  A'eramentc  la  commt;dia,  che  fu  detta  nuova 
a  differenza  di  (pietla  di  Aristofane  e  degli  anticbi  ,  è  qua- 
si maestra  della  vita  civile:  ed  a'nostri  tempi  il  Bibbiena, 
l'Ariosto,  il  Tasso  vostro  padre  e  1  Piccolomini,  hanno 
acquistata  molta  laude. 

Forestiero.  Mio  padre  fece  la  sua  non  per  elezione, 
ma  per  coiiìandamento  ,  e  servendo  meritò  lode,  come  fe- 
ce in  tutte  l'altre  operazioni ,  perdio,  bene  ubbidì.  E  for- 
se quel,  che  si  dice  ben  imitare  in   alcune  commedie,  do- 


O  DELLE  MASCHERE  Io3 

vrethc  piultosto  dirsi,  acconciatamente  ,  o  convenevol- 
mente .  Ma  l'usanza  ,  la  quale  ha  fatto  lecito  l'imitare  il 
male  ,  ha  ritrovati  ancora  questi  nomi  sconvenevoli . 

Albeu'IO.  Mutiamogli  dunque,  ed  usiamoli  convenien- 
ti,  se  nel  tempo  delle  maschere  non  gli  vogliamo  usare 
quasi  larve  del  vero. 

Forestiero.  Ma  chi  prenderà  questo  ardire  ,  se  non 
ci  vien  di  Modana  ,  la  quale  è  così  buona  maestra  di  for- 
marli; e  nella  quale  s'insegnano,  e  s'apprendono  tutte  le 
piij  lodate  lingue,  e  si  conosce  il  valore  e  il  pregio  di  cia- 
scuna, e  da  voi  particolarmente,  che  di  tutte  siete  padro- 
ne? Usiamo  frattanto  gli  usati ,  e  se  dobbiamo  imitare  i 
migliori ,  come  diceste,  non  gì' imitiamo  nel  male,  e  non 
divegniamo  imitatori  de' peggiori  non  ce  n'  accorgendo. 

Alberto.  Io  conosco  che  vi  piace  vestirvi  in  quel  mo- 
do che  fanno  questi,  che  sono  rhiainati  Zanni,  Pantaloni, 
o  da  lacchè:  chiedete  dunque  gli  abiti,  come  usano  i  mi- 
migliori,  che  io  cercherò  di  trovarli. 

Forestiero.  Volete  forse  che  io  mi  vesta  di  bigio ,  co- 
me faceva  il  Muzio  Justinopolitano;  o  pur  co' piedi  scalzi, 
e  cinto  di  corda  cerchi  di  rassouiigliare  il  Panigarola  gri- 
dando: oh  miseri  mortali,  in  che  spendete  le  mal  nate  ric- 
chezze, colle  quali  si  può  nutrire  il  povero  virtuoso  ? 

Alberto.  Io  non  voglio  questo  in  modo  alcuno,  perchè 
ciò  sarebbe  divenir  predicatore. 

Forestiero.  Ma  i  predicatori  son  migliori? 

Alberto.  Non  se  ne  dubita. 

Forestiero.  Perchè  dunque  c'è  negato  d'imitare  i 
migliori  scherzando?  E  se  pure  la  maestà  della  nostra  re- 
ligione non  consente  che  si  scherzi ,  questi  uomini ,  che 
danno  consiglio  a'Principi,  ed  a'Cavalieri  nelle  materie 
d'  onore  ,  dovrebbono  almen  contentarsi  di  essere  imitati 
in  maschera  . 

Alberto.  Così  mi  piace:  vestitevi  di  lungo,  e  cammi- 
nate pon  gravità,  e  parlate  di  rado  con  voci  soavi ,  come 
fanno  i  magnanimi  . 

Forestiero  .  Dunque  la  toga  de'  Veneziani  ,  che  io 
non  chiamo  col  suo  nome,  perchè  il  suono  spiacevole  non 


Io4  IL  GlAM,tfn.\ 

■vi  offenda  ,  o  il  ciippuccio  ;Miticu  deb'iorentiiii,  ivon  sarebs-, 
be  disdicevole. 

Alberto.  Non  mi  pare. 

Forestiero.  TuttavoUa  la  novità  deH'abito  ,  o  l'anti- 
cliilà  piuttosto  rinnovata,  tirerebbe  a  sé  mille  occhi ,  etl 
alcun  direbbe  .-  Che  si  è  questo?  che  si  è  ?  e  questo  perav-, 
ventura  ci  moverebbe  .a  riso  . 

Alberto.  i\on  è  piccola  operazione  muoverci  a  riso,  né 
poco  graziosa  . 

Forestiero.  E  nondimeno  fraudolenta  ,  perche  il  riso 
è  fraude,e  ci  dobbiam  guardare  altrettanto  di  farla,  quan- 
to che  ci  sia  fatta  . 

Ippolito.  Vestitevi  dunque  a  vostro  modo. 

Foresi  lERO.  Ionie  n'andrò  colla  mia  roba  medesima 
foderata  di  pelle,  ed  un  de'  servitori  porterà  questi  libri 
in  vece  di  spada  ,  l'altro  la  berretta,  perchè  ne  potrei 
aver  bisogno:  voi  trovate  il  cappello  e  la  maschera. 

Ippolito  .  Son  trovati. 

Forestiero.  In  questa  maniera  non  imiterò  alcuno  dei 
migliori  intieramente. 

Ippolito.  Imiterete  voi  stesso;  e  chi  è  migliore  di  voi? 

Forestiero.  Questa  vostra  è  cortesia  ,  o  Signor  Ippo- 
lito ,  il  quale  siete  un  di  coloro ,  che  imitano  i  migliori 
nell'opere  valorose  ,  ne  celate  colla  maschera  alcuna  cosa, 
di  cui  dehbiate  vergognarvi  ;  perchè  gli  arringhi ,  le  gio- 
.stre  ,  i  torneamenti,  ne'quali  il  vostro  valore  è  conosciuto, 
sono  le  vostre  nobilissime  imitazioni  ;  e  le  pompe  di  que- 
sta Corti'  agguagliarono  tutte  quelle  fatte  da'  R<;,  o  d  igli 
Imperadori;  nò  sono  inlViiuri  all'antiche  descritte  da  poe- 
ta ,  o  da  istorico;  perchè  vi  furono  vedute  non  solamente 
l'operazioni  di;'Gavalieri,itia  le  maraviglie  ancora  degli  Dei 
favolosi;  ed  io  vidi  la  Fama  picciola  da  prima  ,  e  poi  cre- 
scendo nascondere  il  capo  fra  le  nuvole,  e  udii  la  sua 
\  romba . 

Ippolito.  Il  Signor  Duca  non  lascia  alcuna  occasione 
di  manifestare  la  sua  grandezza  e  il  suo  valore,  e  quando 
non  sono  presenti  le  vere  battaglie  ,  ci  mostra  1'  immagine 
di  ciascuna . 

Alberto'.  Due  sono  le  maniero,  colle  quali    si  rassomi- 


O  DELLE  MASCHERE  joSj 

glia  la  guerra;  l'ima  questa,  della  qual  parliamo;  l'altra 
la  caccia  :  e  nell'una  ,  e  nell'altra  si  esercita  il  Signor  Du; 
fia  ed  i  suoi  cortigiani . 

Forestiero.  E  voi  particolarmente,  Signor  Ippolito, 
imitando  i  migliori,  imitate  voi  medesimo  meglio,  che  io 
non  so  rendervi  quel,  che  v'è  dovuto,  perchè  siete  stato 
seco  in  quelle  imprese,  cììf  gli  hanno  grande  onore  e  glo- 
ria immortale  acquistato.  Ma  io  non  so, né  posso  imitare  i 
migliori  in  questa  guisa;  e  l'imniascherarsi,  s'è  degno  di 
scusa,  non  è  meritevole  di  laude  .  Starò  dunque  fra  colo- 
ro, che  risguardano  con  piacere,  e  mi  contenterò  di  esse- 
re scusato . 

Ippolito.  Non  è  picciol  diletto  veder  tanti'  Cavalieri 
coii  abiti  così  varj ,  e  spesse  volte  così  ricchi,  armeggiare 
con  tanto  valore,  f  con  tanta  leggiadria  ;  e  tante  donne 
piene  di  tanta  bellezza  ,  con  s'i  rari,  e  con  sì  nuovi  orna- 
menti . 

Forestiero.  Fra  1  piaceri  della  vista  non  so  qual  si 
trovi  maggiore,  e  riniirandp  or  l'una  ,  or  T  altra 
Or  ili  forma  eli  Ninfa  ,  o  ci'  altra  D<ia  , 
mi  pare  che  l' i'iiitazioue  trapassi  tutte  le  similitudini  ,  e 
tutte  le  maraviglie  Ma  qui  sarebbe  necessario,  o  Signor 
Ippolito ,  il  vostro  consigli(To,  e  torse  quello  che  rassomi- 
glia il  Panigarola  ,  che  in  questo  caso  egli  ci  sarebbe  con- 
ceduto per  rilrarci  da'  pericoli,  che  sono  come  acuti  scogli 
ricoperti  dall'onde  tranquille. 

Ippolito  .  Già  s' è  deliberato  che  dobbiamo  immasche- 
rarci; l'altra  deliberazione  faremo  sulla  festa  ;  non  dubita- 
te che  vi  condurrò  in  parte ,  dalla  quale  vi  spiacerà  il 
partire. 


IL 

MINTURNO 

OVVERO 

DELLA   BELLEZZA 

DIALOGO 
ARGOMENTO 

yj.  nioriio  ]}lìrìtiiriio  Napoletano ,   vescovo   dì   Ugento  e  poscia  di 
Crotone,  il  quale  fiorì  poco  dopo  la  metà  del  secolo   Xl^l.,/ii   non 
solo    Prelato   esemplarissimo  ed  aliremodo  pratico  delle  Corti,   ma. 
eziandio  gran  letterato  ,  come  appare  dai  suoi  quattro  libri  dell'  Arte 
Poetica  J'oscana,  dagli  altri  sei  del  Poeta  scritti  in  latino  e  dai  mol- 
ti suoi   versi.    Onde  convcneiolmente  è  introdotto    a    ragionare   in 
questo  dialogo  nel  modo  che  fa ,  pieno  di  varia  dottrina  e  di  filoso- 
fìa ,  e  con  quel  costume    che  è  più  conforme  al  suo  grado  ;  e  a  dar  il 
nome    al  dialogo  stesso  ,  di  cui  il  soggetto  è  la   bellezza  .  ('hi  inter- 
viene a  discorrer  seco   è  Girolamo    Ruscelli ,   ttomo  piuttosto  vano 
che  di  gran  lettere  ,  siccome  mostrano  le  sue  opere,  nelle  q ìtali  pro- 
mette  di   se  pili   assai   di    quello  eli  egli  valeva ,  o  che  atteiidca  ; 
ma  che  si  acquistò  alcuna  lode  per  le  fatiche  impiegate  nel  mandar 
fuori  gli  altrui  scritti ,  e  ne  II'  agevolare  con  annotazioni,   rimnrii, 
ed  altre  sbnili  diligenze  la  vìa  del  ben  poetare  :  sicché  argutissima- 
mente venne  poi  chiamato  nobil  sensale  di  Parnaso  .  La  costui  bur- 
ianza  si  esprime  al  vivo  in  quella  parte  dov  egli  parla  di  sé  medesi- 
mo: e  come  questo  dialogo  è  rappresentativo,  e  tutto  formalo  ad  imi- 
tazione dell'  Ippia  AJaggiore  di  Platone ,  d'onde   molte  cose  sonaci 
trasportate;  così  può  quasi  dirsi  eh'  eì  rappresenti  la  persona  d' Ip- 
pia ,  e  il  Mintnrno  quella  dì  Socrate  ■   Che   che  sia  nondimeno  di 
una  tal  cosa  ,  egli  ci  è  pure  in  qualche  modo  onorato.   Lo  che  sti- 
miamo essersi  fatto  dal  Tasso  per  riconoscimento   dell'  aver  egli  in 
una  lunga  lettera  a  Filippo  lì.  re  di  Spagna ,  la  quale  si  legge   nel 
primo  volume  di  quelle  de'  Principi,  parlalo  a  favore  di  Bernardo 
suo  padre ,  e  detto  di  lui ,  raccomandandolo  alla  maestà  di  esso  re, 
cA' era  giovine  di  raia  speranza   per   la    vivacità  dell' ingegno  e  af- 
l'e/.ione  agli  studi  .  Il  qunl  presagio  fu  forse  il  primo,  che  per  iscrit- 
tura  si  facesse  di   Torquato  ,  poiché  allora  aveva  egli  tocco  appena 
il  diciasettesimo  anno  dell'  età  sua  ;  presagio  che  poi  in  questo  dia- 
logo stesso  si  fa  anche  dal  Min  turno,   e  dal  Ruscelli  si  conferma. 
//  amicizia  che  era  fra  colai  due  letterati,  ed  il  luogo ,    essendoché 
il  ieoondo  viise  alcun  tempo  in  Napoli,  aprono  la,  strada  al  ragia. 


I08  IL  MINTURNO 

nauti  Ilio .  Aniflcioai'i'ilina  e  vr/iincnw  Sncraticn  n  è  ì' iniroduiio- 
ne  .  Per  mrzzo  delle  lodi  che  il  Mintiirno  dà  al  Ruscelli ,  e  di  ijiiel- 
le  che  il  Ruscelli  dà  a  se  medesimo ,  vien  questi  alfine ,  quasi  non 
ni'i'edendosefie  .  a  dar  occasione  all'  altro  d'  irUerrogarlo  intorno  al- 
ia bellezza,  allo  quale  elicei  a  di  portare  injlniln  amore  ovunque  el- 
la si/osse  .  Con  varie  acute  domande  egli  è  indotto  pertanto  a  recar 
in  mezzo  le  sue  opinioni  circa  ad  essa  .  A  misura  però ,  che  vengon 
elleno  da  lui  esposte,  il  Minturno  con  nuove  richieste  va  bella- 
mente confutandole .  Pt'el  qual  modo  fattogli  conoscere  che  non  è 
la  bellezza  né  una  bella  vergine ,  riè  decoro,  ne  inganno  ,  né  tiran- 
jiide  ,  né  violenza  ,  né  potenza  ,  né  regno  solitario  ,  nò  quel  che  gio- 
va ,  siccome  egli  asserii'a  ,  passa  il  Prelato  a  ini>estigare  se  ella  mai 
fosse  quel  che  piace  specialinenle  ai  sensi  della  vista  e  dell'  udito  : 
ma  riprovata  anche  qui  sta  definizione  ,  e  rifiutata  insieme  l' altra 
che  sia  proporzione  delle,  porti ,  entra  a  mostrare  piuttosto  ,  alla 
maniera  usata  alcuna  volta  da  Platone  ne'  suoi  dialoghi,  quel  che 
ella  non  sia  ,  che  quel  che  ella  sia  D(  termina  nondimeno  che  la 
Vfra  bellezza  non  è  nelle  cose  corporee  e  materiali ,  e  rifiuta  l'  opi- 
nione de'  Peripatetici  (he  la  riposero  nella  materia.  Prende  egli 
pcsria  con  dottissimo  discorso  a  dimostrare  die  tutte  le  cose  terrene 
e  mortali  per  la  loro  instuhilità  son  false  :  che  /'  uomo  non  è  vero 
uomo  ,  psrciorciiè  fa  in  se  tante  mutazioni  :  che  si  può  dire  in  un 
certo  modo  che  sieno  pur  falsi  i  pianeti  medesimi  :  che  i  femminili 
mezzi  soprututio  sono  Jrnndi  e  bugie  ;  e  che  finalmente  la  vera 
bellezza  è  solo  nella  natura  angelica  ,  o  nclT anima  umana  che  si 
purga  :  e  siginfuaco  qniudi  con  l  esempio  eli  Giovanna  f  Aragona  , 
a  cui  il  R^'iscelli  aveva  dedicato  un  libro  cu/i  titolo  di  l'empio  ,  co- 
me l'anima  umana  purgandoci  divenga  bella;  con  mi'  acconcia 
«sortaziotie  consiglia  a  fuggire  tutti  i  piacevoli  obbietti,  ed  a  chiu- 
der gli  occhi  per  non  riguardarli  II  Ruscelli  per  altro  mostra  di 
non  acquetarsi  a'ie  addotte  ragioni;  anzi  torna  a  mettere  a  campo 
quella  definizione  della  bellezza,  eli  era  stata  poco  avanti  dallo  stes^ 
so  Minturno  riprovata,  cioè  ch'ella  sia  proporzione  e  misura  di  cose, 
che  hanno  parti  dissimili;  e  loda  di  nuovo  le  bellezze  della  detta 
Giovanili  ,  eli  era  una  delle  fgtiiude  del  marchese  del  f^osto  suo  pa- 
drone.  Onde  alfine  il  Minturno  gli  dice ,  eli  egli  creda  pure  a  piacer 
suo  ;  ma  che  la  sua  opinione  non  lo  privi  di  senno  per  cagione  del- 
la liberalilà,  che  seco  usava  /'  accennalo  marchese  ;  riprenden- 
dolo così  gentilmente  che  a  guisa  degli  antichi  Sofsli  abbia  maggior 
riguardo  ^  nell'  esporre  le  proprie  opiniotii ,  all'utile  elici  ne  trac, 
che  al  costume  di  filosofo  ,  che  ami  ed  insegni  il  vero  . 

Il  dialogo  ,  come  si  è  detto,  è  imitato  dall'  Ippia  Maggiore,  e  tes- 
suto in  buona  parte  con  le  medesime  fila  fu  dove  si  esaminano  le 
definizioni  apportate  della  bellezza  ;  ma  dove  poi  sotto  la  pers(>!:a 
ilei  Minturno  manij^esta  il  l'asto  i  suoi  propri  pensamenti,  libero 
nel  filosofare ,  con  nuova  e  sottilissima  investigazione  s'  innalza  a 
cose  da  altri  non  dette ,  né  Jorsc  con  più  vere,  a  più  utili  ragioni 
spiegate .  Onde  di  tal  dialogo  ,  egualmente  che  degli  altri  tulli  di 
esso  Tasso  ,  può  a  ragione  dirsi  quel  che  si  diceva  di  quei  di  Plato- 
ne ,  cioè  che  la  dottrina  in  lur  contenuta  è  ad  un   tempo  e  morale  « 


O  DELLA  BEJ.I^EZZA.  TO;^ 

iperulrttii'n  ,  sicché  alla  comune  r.ofnnetnrline  degli  namiiii  può  fa- 
cilmente, ncrnmcdarsi ,  ed  insieme  rivolgerli  alla  contemplazione 
delle  cose  itivinc  ed  immortali  . 

Ciò  è,  con  lievissime  variazioni ,  quanto  come  nrgomcnio  prepo- 
se Marc'  Antonio  i'oppa  alla  presente  scrittura    nel  pnhhlicarla  cli6 
Jnce   per  la  prima  v(dia    in  Roma   l' mino    i6t't6  inueine   con  altre 
ijpere  non  piìi  stampate  del  nostro  aiilore  .  Opina  il  Serassi  rhc  tan- 
to essa  ,    quanto    l'altra   intitolala    il   V'ìc\no  ,  fossero  da  Tuiquato 
composte  nella  stia  prima  giovinezza ,  e  dice   di  essere   a  ciò  indotto 
1°  dall' ossenuire  che  r  autore  non   v  introduce   persone  sue   cono- 
scenti come   nesli  altri  dialoghi  ;   9..°  dal  -l'edere  che  in  questa  si/a 
rrienzione  di  lui  come  di  poeta   motto  giovine   e   qitasi  fanciullo  ;  e 
"i."  finaluience  dal  ravvisare   in   ambedue   una  quasi   servile  imita- 
clone  di  Piatirne  .  Noi  non  siamo  però  del  suo  parere:  in  primo  luogo, 
perchè  non  è  vero  che  tutte  te  persone   introdotte  in    questi   due  din- 
tóe}ii  non  fossero  da  lui  conosciute .  Non  potevano  essere  suoi  cono- 
scenti uè  il  ficino ,  né  il  Landino  che  vissero  assai  prima  ;  ma  non 
così  e  il  Minliirno  e  il  Ruscelli,  che  fiorirono  al  tempo  suo  .  Anzi  il 
Poppa  nffrma  che  il  secondo  fu  da  lui  conosciuto  in  Venezia  ,   al- 
lorché colà  tro\:avusi  con  suo  padre ,  che  è  a  dire  nel  i  -^Sq.  Seronda- 
rinniente   perchè   la   menzione  che  si  fa  di  lui  nel  dialogo  presente 
conte  di  poeta  giovanissimo,  nulla  conchiude  intorno  al  tempo,    in 
cui  può  essere  stato  scritto  il  dialogo  stesso:  e  in  ultimo  luogo,   per-, 
rhè  sebbene  in  amendue  i  delti  dialoghi  si   riconoscano   molte  ros» 
parte  imitate  e  parte  trasportate  da    que'   di    Platone  ,    nondimeno 
f  imitazione  non  è  per  cerio   cosi   servile   da    non   lasciar  conoscere 
ilie  la  ninne,  da  cui  sono  usciti ,  era  quella,  anzi  che  di  un  giovane 
di  venlidue   anni,    di  un    nomo    consumatissimo  in  ogni  genere  di 
studi.    Alieni   pertanto   dal  convenire    nella  sentenza    del  Serassi, 
slimiamo  i/ivere  col  citato  Foppa  ,   che    sien   eglino  stati  composti 
dair  autore  negli  ultimi  anni    del  viver  suo  .    E  siamo    condotti  t/4 
quest'  opinione,  particolarmente  quanto  al  dialogo  della    bellezza, 
da  quel  Inolio    ove  parlando  di    Torquato   come   giovine  poeta ,    il 
AJiniurno  t/ù e;  Piaccia  a  Dio  che  l'infelicità  delia  rorliina  noti  pei  « 
tii.'bi  ili  felicità  dfir  ingegno  !  l'erciocchè  par  piii  probabile  che  ciò 
scrivesse  il  Tasso  in  tempo  che  già  le  sciagure    lo  affliggevano  ,   di 
quello  che  nella  sua    età  giovanile,   in  cui  sappiamo  eh'  egli   viveva. 
una  vita  tutta  piena    di  belle  speranze,  e   lontana  affatto   da  ogni 
timore  di  guai.  E  sicccome  poi  e   dalle  persone   introdotte  in  es- 
so  tlialogo,    e  dal  luogo  in  cui  si  finge  accaduto  il   ragionamento, 
sembra  potersi  conghietturare  che  venisse  da  Ini  composto  in  Napo- 
li,  tanto  pili  che.  dà    ivi   a  questa  cillò.  singolarissime  lodi  ;  così  se 
ciò  è,  non  può  essere  stato   se  non  che  appunto   negli  ultimi  suoi 
tempi.  Un  lesto  a  penna  originale  di  sì  fatta  operetta  conservasi  in 
Roma  nella  libreria   Falconieri  ,    ed  un  altro,  autografo  esso  pure , 
era,    non   ha   tnolii  attui,  in  Napoli  presso  i  t'P    Cappuccini   del 
Convento  della  SS.  Concezione . 


no  IL  MINTUNO 

INTERLOCUTORI 

ANTONIO  MINTURNO,  GIROLAMO  RUSCELLI  . 

T> 

MlNTURNO.   il   oche  volte  abbiarn  grazia  di  rivedervi  in 

questo  nostro  lido,  gentile  e  dottissimo  Signor  Girolamo. 

Ruscelli.  Non  in'  è  conceduto  di  venirci  se  non  di 
rado,  perchè  già  le  occupazioni  del  .Sig.  Marchese  del  Va- 
sto mio  Signore,  s'usurpavano  la  maggior  parte  di  me  me- 
desimo: ora  son  impiegato  assai  spesso  in  cose,  che  ap- 
partengono alla  Maestà  ed  alla  gloria  dell' Imperadore:  né 
si  tratta  di  pace ,  o  di  guerra,  o  di  lega ,  né  si  arma  eserci- 
to, né  si  raccoglie  armata,  né  si  fortifica  città  senza  il  mio 
parere;  laonde  avviene  che  io  soglia  meno  frequentar  que- 
sta piaggia,  e  questi  colli,  nc'quali  solevano  essere  i  miei 
diporti. 

MlNTURNO.  In  ciò  si  conosce  ancora  la  vostra  pruden- 
za, colla  quale  vi  siete  separato  dal  volgo  ,  e  dalle  scuole 
de'fanciulli,  e  congiunto  con  gli  uomini  di  stalo  ,  innalzan- 
dovi alla  cognizione  delle  cose  del  mondo,  e  de'Principi, 
anzi  alla  famigliarità  de'Re  e  degl'Iinperadori.  Però  nan 
so  conoscer  la  cagione,  per  la  quale  l'Aretino,  il  Dolce,  il 
Clario,  il  Franco,  il  Muzio,  il  Fortuiiio,  il  Dauienichi,  il 
Flavio,  r  Atanagi ,  il  Corso,  e  tanti  altri  nostri  amici,  i 
quali  hanno  in  questa  età  fama  di  letterati ,  non  abbiano 
voluto  imitarvi. 

Ruscelli.  S'io  non  m'  inganno,  la  cagione  è  stata  de- 
bolezza d'ingegno,  per  la  quale  non  hanno  saputo  trattare 
insieme  le  cose  pubbliche,  e  le  private,  ed  in  un  medesimo 
tempo  acquistar  gloria  nell'azione,  e  nella  contemplazio- 
ne. Anzi  l'Ariosto  medesimo,  che  fu  assai  adoperato  dai 
suoi  Principi ,  e  potè  aver  esperienza  eguale  al  sapere, 
nelle  azioni  del  mondo  riuscì  freddo,  anzi  che  no  ;  e  vinto 
da  pusillanimità,  si  ritirò  da' servigi  di  quel  suo  m;igiiani- 
ino  Cardinale,  il  quale  fu  1' orniincnto  e  la  gloria  di  <picl- 
la  età . 

Mlxturno.  Adunque,  s'egli  rinascesse,  sarebbe  perav- 


O  DELLA  BELr,EZZA  I  I  I 

ventura  da  noi  scliernito  ,  quasi  nuovo  Dedalo  dai>li  scul- 
tori, che  poi  seguirono,  i  quali  si  beffavano  dell'opere  che 
a'suoi  tempi  parvero  maravigliose,  e  gli  acquistarono  glo- 
ria immortale . 

Ruscelli.  Così  avverrebbe  senza  dubbio,  Signor  Min- 
turno:  ma  io  soglio  sempre,  ed  in  tutte  ìc  occasioni  pre- 
porre gli  uomini  anticbi  a" moderni ,  per  ischi var  l'invidia 
dei  vivi,  e  l'indignazione  de' morii. 

MINTLR^o  .  Buona  è  senza  flillo  la  vostra  opinione,  e 
degne  di  fede  e  d'autorità  le  vostre  parole  ;  e  se  il  mio  te- 
s^tiinonio  può  confermarle  ,  io  posso  affermar  senza  bugia  , 
d'aver  conosciuto  in  questa  città  il  Bonfadio  ed  il  Flami- 
nio,  e  molti  altri  i  quali  se  non  partirono  arricchiti  coi 
doni;  o  almeno  onorali  colle  riccbezze  de  Signori  Napole- 
tani :  nondimeno  il  lor  sapere  e  l' intendere,  non  mi  pare- 
va che  si  potesse  paragonare  all'acume,  ed  al  sottile  aA-- 
vedimento ,  del  quale  sono  forniti  i  piìi  moderni,  e  voi 
oltre  a  tutti  gli  altri,  leggiadrissimo  Signor  R.uscelli,  a  cui 
non  si  può  tanto  donare  che  più  non  meritiate. 

Ruscelli.  Io  Un'ora  son  più  ricco  di  favori  e  di  con- 
viti .  che  di  facoltà,  e  oltre  a  quegli  ornamenti,  cbe  pos- 
son  far  riguardevole  la  persona  e  la  casa ,  pocbe  sono 
quelle  cose  cbe  m'avanzino  ,  o  piuttosto  die  mi  bastino  . 

MlNTURNo  •  Grande  sciagura  è  veramente  di  questi  se- 
coli,  o  piuttosto  di  queste  bellissime  lettere  di  Poesia  e 
d'Umanità,  alle  quali  non  si  concede  altro  premio,  cbe 
quel  della  gloria;  laddove  i  legisti,  i  medici,  gli  architetti, 
gli  scultori  e  i  pittori,  sogliono  non  solamente  arriccbire, 
ma  trasriccbire ,  come  a  nostri  tempi  banno  fatto  Raffael- 
le,  Michelangelo  ed  il  Cavalier  Pacciotto. 

R^USCELLI.  I  Poeti  sono  pagati  dell' istessa  moneta,  cioè 
della  gloria  ,  la  quale  almeno  dovrebbe  esser  simile  all;t 
moneta  di  cuoio  ,  cbe  si  spende  a' tempi  della  necessità,  e<l 
in  miglior  fortuna  si  ricompensa  coll'oro  e  coli'argento  ; 
ma  io  veramente  bo  ceduto  ad  alcuno  nel  fare  i  poemi,  ma 
nel  darne  giudicio  a  niuno;  laonde  volentieri  fui  ascoltato 
in  Roma,  in  Toscana  ,  in  Venezia  ,  in  Napoli  ed  in  Sicilia  , 
e  da  tutte  le  parli  assai  d'onore  e  di  gloria  ho  riportato, 
ed  alcuna  volta  congiunta  con  molla  utilità. 


Vii  II.  MINTURXÒ 

Mli\TURNO.  Ò  gentilissi:Tio  Signor  Ruscelli,  ben  si  pù^ 
re,  che  la  vostra  sapienza  è  conforme  a  questa  età,  là 
qtiale  è  tutta  gentilezza  e  cortesia,  ina  i  letterati  de'  tem- 
pi addietro  erano  rozzi  anzi  che  no,  e  sapevano  poco  ac- 
comodarsi all' opinione  de' Principi  e  del  mondo:  ma  pu- 
re in  qual  parte  la  vostra  virtù  fu  più  onorata,  in  Roma 
forse  ? 

RUSCEM.I.  No  veramente;  perchè  in  Roma  ógni  cosa  più 
volentieri  si  soleva  ascoltare,  che  quelle,  delle  quali  io  fo 
professione:  ma  s'io  ragionava  d'arnie, o  d' imprese, 0  della 
bellezza  di  questa  nostra  lingua,  e  de' nostri  poeti ,  o  pur 
di  cortesia  ,  e  di  quel ,  che  appartiene  al  corteggiare,  ed  al 
corteseggiare,  era  alcuna  volta  udito  non  malvolentieri:  ma 
il  premio  dell'  udienza ,  era  una  semplice  lode  di  virtuoso: 
nell'arti  più  secreto,  com'è  l'alcliimia,  non  era  chi  mi 
prestasse  credenza;  nelle  cose  di  Stato  mólti  dfscordavanò 
dalla  mia  opinione,  e  pochi,  per  mio  giudicio,  erano  se- 
guaci delle  parti  Cesaree;  ma  grandissimi  onori  erano  faUi 
a  chi  disputava  ,  se  il  Papa  avesse  autorità  sovra  il  Conci- 
lio ,  ò  se  la  residenza  de' Vescovi  fosse  de  J(irc  D/\'ino; 
laonde  io  mi  partii  da  quella  Città  poco  soddisfatto  di  me 
medesinrio,  che  non  avessi  atteso  a  cose  più  gravi,  e  me 
ne  tornai  a  Napoli . 

MlNTURP^O.  In  questa  città  senza  dubbio  la  vostra  virtOi 
fu  raccòlta  coti  maggior  cortesia. 

HuSCELLI.  E  vero;  ma  nondimeno  ei-ano  in  maggioì* 
pregio  i  musici  ed  i  cantori.,  o  pure  i  lott:itori,  e  gli  scher- 
)nitori  ed  i  maestri  di  cavalcare;  laonde  io  fui  costretto 
ad  andarmene  a  Venezia ,  dóve  per  alcun  breve  spazio  di 
tempo  attf'si  alla  correzione  delle  stampe,  e  procurai  che 
i  libri  da  me  stampati  fossero  i  più  belli,  ed  i  meglio  inte- 
si di  tutti  gii  altri:  ma  fui  richiamato  dalla  cortesia  del 
Sig.  Marchese,  al  quale  io  aveva  fatte  alcune  Imprese,  che 
potrebbono  esser  scolpite  co' trofei  di  Carlo  V.  E  benché 
io  ne' suoi  servigj  ,  esercitandomi  nell'officio  di  secreta- 
rlo, abbia  atteso  principalmente  alle  cose  di  Stato,  laonde 
ho  fatto  quasi  una  ferma  scienza  de' Regni ,  e  delle  Repub- 
bliche ,  e  de'costumi ,  e  delle  leggi ,  e  delle  mutazioni  di 
ciascuna  ,•  noudiuicno  io  non  ho  potuto  dbuenlicar  lo  stu- 


0  bEl.LA  BELLEZZA  l  ,3 

dio  delle  belle  lettere,  anzi  di  tutte  le  cose  bolle,  e  del- 
la in  or  e  ,  cbe  io  porto  alla  bellezza.  Però,  quando  si  pensa 
di  tare  un  esercito,  o  di  mettere  in  nuive  un' armala,  io 
soi;lio  pensare  non  solamente  al  numero  ed  alla  t|u;ilità 
de'soldati,  de'cavalli,  de'legni,  e  dell'armi,  e  dcgl' in- 
strumenti,  cbe  sono  necessari  nelle  guerre  marittiuìe,  e 
terrestri  ,  ma  alle  divise,  all'insegne,  ed  alTimprese  dei 
Principi  e  de' Cavalieri;  e  sovratutto  al  !>en  comparire,  ed 
al  far  bella  mostra  ;  estimando  cbe  abbia  gran  parte  del- 
la vittoria  colui,  il  quale  si  mostra  nel!  djtparenza  degno 
dell'esercizio  dell'armi, 

MlNTURNO.  Voi  dunque  vorreste  vi.icer  piuttosto  colla 
bellezza,  cbe  colla  virili  de' soldati  :  ma  questo  peravven- 
tura  è  impossibile,  perchè  le  ricclie  st>pravveste,  e  i  ci- 
mieri ,  e  i  padiglioni,  e  gli  altri  impedimenti  dell'esercito 
sogliono  esser  piuttosto  preda  dill' inimico,  che  spavento. 

RlS(  ELLl.  Non  è  sempre  vero;  anzi  molte  volte  la  bellez- 
za dell' aruji  ,  e  dell'imprese  è  congiunta  col  terrore;  laon- 
de io  Vorrei ,  ohe  i  nostri  eserciti  fossero  simili  a  quelli  dei 
Cifid)ri ,  i  quali  .  come  si  legge  in  Plutarco ,  portavano  ne- 
gli scudi  orsi,  lupi,  leoni  ,  cinghiali  ed  altri  animali  fero- 
ci ,  onde  somigliavano  un  esercito  di  fiere  armate  dalla  na- 
tura medesima  a  spavento  de'nemici:  tanto  importa  per 
mio  giudicio  il  terrore  dell'armi  congiunto  colla  bel- 
lezza. 

MliVTLRNO  .  Io  credeva ,  che  voi  non  ricercasse  la  bel- 
lezza, della  quale  siete  sì  vago,  negli  eserciti,  e  fra  lo 
splendore  deli' acciaio,  ed  il  fumo,  ed  il  rimbombo  del- 
l'artiglierie: m.i  piuttfisto  ne' giardini  e  ne'  palagj  ,  ornati 
di  marmi  e  dì  pitture  ,  quali  si  veggiono  in  questa  fertilis- 
sima pi;;ggia,  ed  in  questi  amenissimi  colli ,  in  cui  perav- 
ventura  non  si  contempla  alcuna  immagine  così  bene  scol- 
pita ,  o  dipinta  come  son  quel!;',  che  ha  formale  la  natu- 
ra medesima . 

Ruscelli.  La  nalum  ha  voluto  dare  i  suoi  Angeli  :il 
suo  Paradiso,  perchè  non  era  convenevole  che  in  questo 
paese  ,  il  quale  curviuulosi  a  guisa  di  Luna,  e  (juasi  iii.- 
magine  del  cielo  ,  gli  abitatori ,  e  le  abitatrici  fussero  d'al- 
tra natura,  cbe  di  celeste  e  di  angelica  ;  anzi,  s'è  vero 
Dialo^lii  T  111  8 


ìl4  ir,  MINTUNO 

quel  clic  dicono  alcuni  de' nostri  Teologi,  che  Iddio  crei 
scnjpre  nuovi  Angeli,  mi  pare  che  più  in  questa  parte, 
cbe  in  alcun'allra  dimostri  questi  suoi  miracoli  :  ina  io 
cercava  la  bellezza  in  tutte  le  cose,o  in  molli;,  pino  ho 
creduto  di  trovarla  negli  alloggiamenti,  e  fra  l'imprese 
de'  Cavalieri . 

MlNTUUNO.  Pcravventura  quando  scriveste  il  vostro  li- 
bro delle  betlea^e  del  Furioso,  la  cercav.ite  piuttosto  Ira 
l'arme  ,  cbe  fra  gli  amori. 

Ruscelli. In  tutte  le  cose  veramente  io  la  ricercai,  ben- 
cbè  io  non  la  riconoscessi . 

MlNTURXO.  Ancora  nella  pazzia  d"  Orlando  la  raiTigura- 
ste,  quando  egli  così  lordo,  e  pieno  di  brutture,  ed  orri- 
bile, e  spaventoso  nell'aspetto  apparve  a'  suoi  compagni , 
cbe  appena  il  raffigurarono  . 

Ruscelli.  Bellissima  è  senza  dubbio  I  invenzione. 
MlNTTJUNO.  Ma  in  Rodomonte  ,  cbe  tutto  sparso  di  san- 
gue si  lavò  nel  fiume  della  Senna,  vi  parve  egli  di  vederla 
similmente  ? 

Ruscelli.  Mi  parve,  e  forse  prima  ,  cbe  nel  fiume;  non- 
dimeno alcuna  volta  dubitai  di  non  averla  trovata. 

MlNTURNO.  Se  la  bellezza  è  ,  o  si  ritrova  fra  le  cose  del 
mondo,  cbi  può  meglio  di  voi  averla  ritrovata  ? 

Ruscelli.  INiuno  pcravventura  la  ricercò  ])iù  di  me;  ma 
spesse  volte  quel  cbe  io  giudicai  bello,  non  fu  così  stimato 
dagli  altri,  o  non  da  tutti  ,  come  avviene  del  Furioso. 

MlNTURNO  .  Possiamo  di  ciò  assicurarci  in  alcun  modo. 
A  me  pare ,  cbe  siccome  tutti  coloro  ,  cbe  son  savj,son 
savj  per  la  sapienza  ,  e  tutti  i  giusti  son  giusti  per  la  giu- 
stizia ,  così  tutti  i  belli,  e  tutte  le  cose  belle  ,  siau  belle 
per  la  bellezza,  e  cbe  la  bellezza,  o  il  bello  ,  cbe  vogliaui 
dirlo,  sia  (pici  cbe  le  fa,  quali  esse  sono:  però  con  qu(;sta 
osservazione,  e  quasi  regola  cercbiamo  di  conoscer  la  bel- 
lezza in  modo,  cbe  ninna  altra  cosa  sia  presa  in  cambio,  se 
pur  altra  cosa  è  quella,  cbe  fa  parer  bfdle  le  figure  orribi- 
li ,c  mostruose,  come;  sarcMxtno  serpenti,  o  Diavoli  dipinti 
da  Raffaelle,  e  da  I\Iicb(;i.iiigclo  ,  o  pure  le  favole  del  Ci- 
clopo,  e  dell'Orco. 

Ruscelli.   E  la  bellezza   tlell'ingegno   poetico,  per  lu 


O  DEt.r.A  BEfJ.EZZA.  I  i5 

quale  si  conosce  senza  dubbio,  cbe  banno  di^l  lerri1)ile  ,  e 
del  maravii^lioso  :  nondinieno  io  la  cerco  piullosto  in  Marfi- 
sa  ,  e  in  Bradauiante  ,  ed  in  Olimpia  ,  le  cui  bellezze  furono 
descritte  dall'Ariosto,  con  tanta  felicità  di  parole ,  e  di 
pensieri.  Launde,  se  io  fossi  costretto  a  dire  quel  cbe  sia 
bellezza,  diiei  cbe  fosse  una  bella  vergine  ad  Olimpia  so- 
miglianlo  .  la  quale  non  coperta  d'  alcun  manto  o  d'al- 
cun velo,  ma  ignuda  si  diriiostrasse  agli  ocelli  de' ri- 
guardanti . 

MiNiiiRKo  .  Se  alla  bellezza  togliete  il  velo,peravventu- 
raella  si  troverà  solamente  nell'anime  separate;  percbè  i 
corpi  sogliono  esser  quasi  un  velo  della  bellezza  dell'ani- 
ma :  l'Ariosto  nondimeno,  descrivendo  la  bellezza  d'Ange- 
lica ,o  d'Olimpia,  fu  simile  a  quel  Dedalo,  cbe  dianzi  no- 
minammo, anzi  meno  artiHcioso  ,  percbè  Dedalo  diede  il 
motoalle  statue,  e  l'Ariosto  il  tolse  alle  persone  vive  ;  però 
si  legge  d'Angelica  : 

Ed  in  quel  suo  dolof  tanto  penetra  , 
Che  par  cangiata  in  inscnsiliil pietra. 
E  dell' istessa  :  -^ 

Creduto  avria  che  fosse  statua  finta , 

O  d'alabastro,  a  d' altri  marmi  illustri, 
Ruggiero  ,  e  sullo  scoglio  così  ai'^inta  , 
Per  artificio  di  scultori  industri . 
Se  non  vede  a  la  lacrima  distinta 
Fra  bianche  rose ,  e  candidi  ligustri, 
Far  rugiadose  le  crudette  pome , 
E  V  aura  sventolar  V  aurate  chiome . 
Ruscelli.  E.  per  mio  parere,  egual' artificio  il   dare  il 
moto  alle  cose  inanimate,  ed  il  toglierlo  all'animate;  però 
r  Ariosto  nella  sua  Olimpia  non  è  artefice  men  rnaraviglio- 
so  di  Dedalo. 

MlNTURNO.  Nondimeno  io  non  vi  dimandava  una  sta- 
tua della  bellezza,  ma  quel  cbe  sia  la  bellezza,  la  qua- 
le può  far  belle  l'altre  cose  non  belle  ,  come  la  balena 
e  l'orca  , 

PilSCELLI.  La  bellezza  è  la  l)ena  vergine,  cbe  fa  belli  i 
pensieri  ,  e  l'invenzioni  del  poema  ,  belli  i  sospiri,  belle  le 
lagrime,  i  dolori  e  le  passioni  amorose  ;  bella  ancora  la 


1  l6  IL  MINTURNO 

moi'te  e  le  f«>rile,  clie  per  lei  si  sostengono,  bella  l'aria  . 
la  terra  ,  i  fiumi ,  i  tooli  ,  i  giardini,  le  selve,  le  valli,  i 
monti,  le  spelonclie ,  e  tutto  ciò  clie  le  s'appressa,  ed  a 
guisa  del  Sole  illustra  colla  sua  luce  tutte  le  cose  vicine. 

MlNTURNO.  Voi  avete  quasi  descritta  la  figliuola  del 
Signor  Marchese  vostro,  ma  se  due  sono  le  figliuole,  fra 
le  quali  è  malagevole  il  lar  giudicio  ,  due  ancora  sono  le 
bellezze,-  ma  noi  ricerchiamo  una  bellezza,  che  faccia  bel- 
la l'una  e  l'altra,  e  tutte  le  vergini  che  ne  partecipano, 
né  si  perda  colla  verginità;  altrimenti  la  bellezza  sarebbe 
fior  troppo  caduco,  e  simile  a  quella  rosa  descritta  dal 
medesimo  Poeta,  la  quale  perde  l'onore  colla  stagione  ; 
ma  la  bellezza,  se  io  non  m'inganno,  può  fare  ancora  bella 
l'età  matura  ;  laonde  nell' onorato  aspetto  della  Signora 
IMarchesa  lor  madre  tra  luce  un  non  so  che  di  maraviglioso, 
e  di  divino  ,  che  n'empie  d'amore  e  di  piacer  incredibile. 

Ruscelli.  Cosi  è,  come  voi  dite:  nondimeno  nella  bel- 
lezza di  una  bella  vergine  nulla  pili  si  desidera,  e  nulla  si 
può  aggiungere;  e  però  io  direi  che  la  Signora  Marchesa 
fosse  bella  come  sua  madre  . 

MlNTURNO.  La  bellezza  è  quella,  di  cui  parlicipando 
l'altre  cose,  divengono  belle  e  care,  m.i  i  figliuoli  parte- 
cipano della  bellezy-a  del  padre  e  fieUa  madre,  non  all'in- 
contro ;  dunque  per  questa  ragione  la  bellezza  sarà  più 
nella  madre  che  nella  figliuola. 

Ruscelli  .  Io  stimo  che  la  bellezza  sia  propriamente 
nell'età  giovanile,  come  l'Amore. 

M/N'1L"RN0.  Se  Amore  nacque  innanzi  al  principio  del 
inondo,  come  dicono  i  Poeti,  conviene  sia  antichissimo, 
e  per  questa  ragione  ancora  la  bellezza  ,  perchè  amore  è 
desiderio  di  bellezza:  ma  lasciamo  ciò  da  parte,  e  ditemi  , 
vi  prego;  di  questa  Signora,  che  voi  stimate  la  bellezza 
istessa,  non  vi  paiono  belli  ancora  i  vestimenti? 

Ruscelli.  Anzi  bellissimi. 

MiMURJNO.  Per  arte  del  sartore,  o  del  rieamatore  ,  o 
per  altro  artificio? 

Ruscelli.  È  beilo  tutto  ciò  oh" ella  porta,  perchè  ella 
*SS'^^"S^  bellezza  alle  cose  portate. 


0  DELLA  BELLEZZA.  1 1  rj 

MlNTURKO.Ma  il  cavallo,  dal  quale  ella  è  portata,  e 
ìa  carrella  sodo  belli  ancora? 

Ruscelli.  Si  possono  assomigliare  ai  carri  del  Sole,  tan- 
to son  belli . 

MiNTUHNO.  Ma  che  diremo  dell' istesse  cose,  snelle  fos- 
sero d' altrui  ? 

Ruscelli.  Forse  sarebbono  belle,  e  non  belle  . 

MlNTUKNo.  Perchè  potrebbono  esser  di  tale,  a  cui. non 
converrebbono  ,  o  per  altra  cagione  ? 

Ruscelli.  Per  questa  ,  che  voi  dite. 

MlNTURNO.  Il  convenevole  dunque,  o  il  decoro  è  quel- 
lo, che  la  bello  ciascun  ornamento,  perchè  gì' istessi  abi- 
ti in  persona  di  una  Gabrina  non  sar<"bboi)o  dicevoli ,  e 
per  conseguente  non  sariano  belli  ;  e  il  color  dell"  oro  non 
è  bello  negli  occhi,  però  Fidia  fece  nella  statua  di  Miner- 
va gli  occhi  di  avorio,  o  la  pupilla  di  pietra. 

Ruscelli.  Così  pare. 

MlNTURNO.  L'abito  dunque  di  Omfale  non  era  bello  in 
Ercole  ,nè  la  pelle  di  leone  in  Omfale;  perchè  nell'  uno  ,  e 
nell'altra  era  sconvenevole  l'abito  non  proprio. 

R.USCELLI.  Assai  vero  mi  pare  quel,  che  divisate. 

MlNTURNO.  Dunque  il  decoro,  e  il  bello  è  una  stessa 
cosa,  per  vostra  opinione;  perciocché  il  decoro  è  quel ,  che 
fa  belle  tutte  le  cose. 

Ruscelli  .  Senza  fallo  . 

MlNTURNO.  Ma  l'abito  pastorale  non  sarebbe  bello  nel- 
la vostra  Signora ,  perchè  a  lei  non  converrebbe  ,  ma  il 
reale  piuttosto. 

Ruscelli.  Anzi  tutti  gli  abiti  sono  belli  in  lei;  perchè 
ella  fa  belle  tutte  le  cose,  e  non  apparirebbe  solamente 
bella  in  forma  di  regina,  ma  in  quella  di  pastorella,  e  di 
ninfa  ,e  di  cacciatrice  ,  nella  quale  Venere  apparve  al  fi- 
glinolo . 

MlNTURNO.  La  vostra  Signora  dunque  non  solamente  è 
la  bellezza  ,  ma  il  decoro  medesimo  ;  poiché  fa  parer  belle 
e  convcnavoli  tutte  le  cose  ,  quantunque  non  fossero  tali 
per  se  stesse . 

PiUSCELLl.  Così  è  senza  dubbio  . 

MlNTURNO.  Io  dubito  nondimeno  di  due  cose;  l'una,  che 
di  lei  avV(Mig.i  quel  che  dell'uomo  sapientissimo,  il  quale 


i  l8  IT>  MINTURNO 

paragonato  con  gli  Dei,  come  stimò  Eraclito  ,  è  quasi  una 
sciìiiniia,-  siiniiinente  la  bellissima  donna,  paragonandosi 
alla  bellezza  degli  angeli,  apparirà  defonne  ,  anzi  die  no. 

Ruscelli  .  Già  ho  detto  per  opinione  di  alcun  Teologo  , 
che  Dio  fa  nuovi  Angeli  ,  quando  crea  l'anime  umane  si- 
mili alla  natura  angelica  . 

MlNTfJRNO.  Lasciamo  questa  opinione  da  parte,  benché 
ella  non  sia  la  medesima  con  quella  d'  Evagrio,  che  fu  ri- 
putata per  eretica,  e  concediamo  a'  poeti  il  dire: 

Nuova  angiolclta  sovra  l'  ali  accorta; 
o  pure  : 

Questa,  Angel  nuovo  fatta  ,  al  del  se  'n  vola, 
Suo  proprio  albergo  ;  e  impoverita ,  e  scema 
Del  suo  pregio  sovraii  la  terra  or  lassa . 
e,  se  vi  piace,  solvetemi  qu(^st'altro  dubbio  :  s'egli  è   pur 
vero  che  il  decoro  faccia  parer  belle  le  cose,  che  non  so- 
no, egli  non  sarà  il  bello,  mu  un  inganno  del  bello,   per- 
cìiè  il  bello  fa  le  cose  belle,  ma  il  decoro  le  fa  parer  belle  ; 
quella  dilferenza  adunque  è  tra   il  decoro  e  il  bello,  ch'è 
tra  'I  vero  e  il  falso,  e  tra  l'essere  e  il  parere.  Laonde ,  se 
la  vostra  Signora  fa  parer  belle  tutte  le  cose,  io  direi  clic 
ella  fosse  una  ingannatrice,  o  una   incantatrice  piuttosto, 
dalla  quale  dovreste  guardarvi,  non  altrimenti,  che  dalla 
fra  u  de. 

Ruscelli.  Non  è  ing.mno,  né  fraude  nella  bellezza  di 
quella  gentilissimaSignora,  ma  come  il  lumedel  Sole  scac- 
cia tutti  gl'inganni,  che  fa  la  notte  colle  sue  tenebre,  e 
scuopre  lo  forme  varie,  e  i  diversi  colori  delle  cose  ;  cosi 
la  Idee  della  sua  bellezza  i'a  app?irir  quella  mirabil  manie- 
ra di  costumi  e  di  virtù,  che  altrim(Miti  starebbe  nascosta. 
Laonde  io  non  concedo,  che  il  decoro  sia  un  inganno  dei- 
la  bellezza,  ma  una  luce  ,  nella  quale  chiaramente  appa- 
risce. Fra  il  decoro  duucpie  e  l'inganno  è  quella  differen- 
za, clij  è  tra  la  notte  e  il  giorno,  e  fra  le  tenebre  e  lo 
splendore. 

MliXTUHNO.  O  dottissimo  Signor  Ruscelli  ,  mi  giova  di 
aver  inteso  da  voi  che  il  decoro  non  faccia  parere ,  ma 
apparire  la  bellezza;  laonde  si  può  conchiutlei'e  che,  se 
alcuna  bellezza  è  congiunta  col  d'Coro,  non  può  esser  oc- 


O  DEU.A  BELT^EZZA  I  ìg 

cultn  ,  ed  all' incontro  le  orculte  non  hanno  bellezza  ;  ma 
se  occnlla  è  la  bellezza  della  sapienza  ,  ed  oeculta  la  lullà 
intelligibile  ,  ne  selene  che'  siano  senza  decoro;  il  cbe  pa- 
re iiialajj;evole  mollo,  e  duro  di  affermare;  se  pure  il  de- 
coro non  è  ristesso  clie  l'inganno,  come  parve  a  Socrate; 
perchè  l'altra  opinione  di  Plotino,  cbe  sia  quasi  uno 
splendore  per  cui  appaiono  le  virtù,  è  peravvenlura  sog- 
getta all'  opposizione,  che  abbiamo  fatta  delle  bellezze 
non  apparenti  a'sensi  umani. 

EuscELlI.  Io  non  consentirei  in  modo  alcuno,  che  la 
bellezza,  o  il  decoro  fosso  un  tacito  inganno,  come  volle 
Teofrasto,o  il  decoro  un  inganno  della  bellezza,  come  pia- 
cque ad  Ippia:  ma  y)iuttosto  mi  pare  che  la  bellezza  sia 
una  violenza  della  natura ,  la  (piale  sforzi  gli  animi  ad  ama- 
re, in  guisa,  cbe  non  si  possa  far  difesa,  o  resistenza;  e 
chi  chiamò  la  bellezza  una  tirannide  di  piccol  tempo,  assai 
dimostrò  della  sua  natura,  né  miglior  definizione  di  questa 
mi  sovviene  di  aver  letta  ,  o  intesa  giammai  ;  perchè  i  bel- 
li son  simili  a'tiranni  ,  ed  in  quel  modo  istesso  vogliono 
esser  temuti,  e  adorati;  laonde  non  fu  mai  alcun  Redi 
Mentì ,  o  di  Babilonia  tanto  superbo  per  l'ampiezza  del- 
l'Imperio ,  quanto  sono  i  belli  per  la  forza  della  bellezza, 
la  quale  astringe,  costringe,  rapisce,  lega,  infiamma,  e 
consuma, ed  a  guisa  di  fuoco  trasmuta  gli  animi  in  un'altra 
natura.  Direi  dunque  che  la  bellezza  fosse  una  potenza, 
ed  una  piacevol  violenza,  ed  una  graziosa  tirannide  della 
natura ,  come  volle  Socrate  ,  o  un  Regno  solitario,  come 
estimò  Cameade,  perchè  non  vuol  compagnia  nel  regna- 
re ,  ina  regna  sola  ,  come'  Amore.  All'incontro  io  chiame- 
rei la  bruttezza,  impotenza,  debolezza,  e  servitù  naturale, 
perchè  se  alcuno  è  servo  per  natura  ,  al  brutto  })iù  che  a 
ciascun  altro  si  conviene  il  servire:  e  se  gli  Etiopi,  o  gli 
Indiani  eleggevano  i  Re  bellissimi, ragionevolmt  nte  i  brut- 
tissimi dovrebbono  esser  servi  de' servi . 

MlNTURNO  .  Vorreste  ancora ,  che  i  servi  della  vostra 
vergine  fossero  brutti  ,  e  brutte  le  donzelle? 

Rlisceij.I.  Voi  mi  sforzate  a  concedervi,  e  mi  cacciate 
dalla  mia  oj)inione  quasi  vinto  ,  perchè  ella  meriterebbe 
d'esser    servita  dalle  Grazie  e  dagli  Atnori,  quasi  nuova 


120  IL  MINTCfKNO 

Dea  :  ma  il  brutto  e  il  bello  è  eli  me  definito  in  compara- 
zione ,  e  quasi  in  relazione  ;  però  le  sue  damigelle,  che  per 
rispetto  dell'altre  son  bellissime,  in  sua  comparazione 
sono  brutte  ,  anzi  che  no  . 

MlNTDKivo.  Voi  riponete  il  bello  nell'ordine  della  rela- 
zione, come  il  berne,  volendo  che  fra  il  brutto  e  il  bello  , 
sia  quella  relazione,  cb'é  tra  il  padre  e  il  ti/^liuolo;  ma  tor- 
se non  tu  vera  l'opinione  d'Ippocrate  ,  che  pose  il  bene  nel 
predicamento  de' relativi:  ma  se  il  bello  ba  quella  forza  e 
quella  violenza  che  voi  dite,  è  necessario  che  sia  una  so- 
stanza ed  una  qualità  effieacissima  :  ma  come  può  esser 
violento,  e  naturale,  se  tutte  le  cose  violente  sv)no  contro 
natura?  E  se  la  bellezza  fosse  violenza ,  come  si  trovereb- 
Ije  alcun  amore  volontario,  e  per  elezione?  tuttavolta  noi 
sappiamo  che  molti  non  solamente  vogliono  amare,  ma 
eleggono  d'ainare,  e  questa  deliberazione  da  lungo  consi- 
glio è  confermata.  Ne  tirannide  dunque  per  questa  cagio- 
ne, ne  violenza,  direi  cbe  fosse  la  bellezza,  ne  regno  soli- 
tario, percbè  del  bello,  come  del  bene,  è  proprio  il  far 
parte  di  se  medesimo  a  inoiti. 

Ruscelli,  Ma  cbi  può  negare  ch'ella  sia  una  potenza? 
Percbè  bellissima  rosa  è  nel  regno,  e  nella  repubblica  l'es- 
ser possente  ;  ma  nel  regno  d'  A.morc  (se  iVmore  ha  regno  , 
come  si  crede;  il  bellissimo  è  il  potentissi  no,  e  qiial  poten- 
za si  può  agguagliare  a  quella  di  Cleopatra,  che  vinse  Ce- 
sare vincitore  dt;l  mondo,  e  di  lui  quasi  trionfò?  Onde  si 
legge  : 

Q'jel  che  in  sì  signorile  ,  e  sì  superba 

F'iata  ^ien  prima,  è  Cesar,  eh'  in  EgiCCo 
Cleopatra  legò  tra  i  fiori ,  e  V  erba . 
Or  di  Ini  si  trionfa  ,  ed  è  ben  dritto  , 

Se  vinse  il  mondo ,  ed  altri  ha  vinto  lui., 
Che  del  suo  vi  nei  t  or  si  glorii  il  vitto. 
MlNTURNO.  Questa  potenza  nondimeno,  c^si  nel  regno, 
cbe  voi  chiamale,  d'Amore, come  negli  altri  può  far  le  cose 
buone  solamente, o  pur  \e.  ree  e  le  scellerate?  Per  uiio  avviso 
malvagia  potenza  fu  senza  fallo  che  Cleopatra  costringes- 
se Cesare  prima,  e  poi  Marc' Antonio  a  cosi  indegna  <lella 
virtù  Roin;uia  ,  ed  al  line  alla  vergognosa  fuga  ,  d(dla  qua- 
le niuna  cosa  è  più  indegna  a  chi  desidera  di  signoreggia- 


O  DELLA  BELLEZZA.  121 

re  ;  ma  la  bellezza  a  me  non  pare ,  che  possa  esser  cagione 
delle  cose  non  buone,-  laonde  non  è  l' istessa  colla  polcnzi», 
dalla  quale  ,  come  abbiamo  già  detto  ,  soglion  procedere  le 
male  operazioni  e  le  pessime,  come  incendj,  esilj ,  rapine  , 
omicidj ,  guerre,  e  distruzioni  di  città  e  d'Imperj. 

Ruscelli.  Se  ciò  fosse  vero  ,  Elena  non  sarebbe  stala 
bella,  perch' ella  mosse  l'Asia  e  l'Europa  a  guerreggiare, 
e  fu  la  fiamma  e  la  ruina  dell'anticbissimo  regno  Troiano; 
e  se  i  ratti  non  son  buoni,  non  potevano  esser  cagionati 
dalla  sua  bellezza,  la  quale  costrinse  Teseo  ed  Alessandro, 
all'una  ed  all'altra  rapina;  ma  a  me  sovviene  d'aver  letto 
tutto  il  contrario,  che  EIcna  per  la  sua  bellezza  fu  degna 
d'eterna  gloria,  a  giudicio  prima  di  Teseo,  e  poi  d'jAlessa- 
dro,  che  potè  giudicar  della  divina,  non  solamente  del- 
l'umana. 

MlNTURNO.  Potrei  p<^r  avventura  rispondere  cbe  i  ratti 
non  sempre  sono  mala  cosa  ,come  non  fu  quel  delle  Sabine, 
col  quale  crebbe,  e  moltiplicò  la  generazione  de' Romani  ; 
ma  risponderei  piuttosto, cbe  la  bellezza  perse  non  sia  ca- 
gione di  rapine,  ma  d'onore  e  di  riverenza; però  si  legge  : 
Quella,  eh'  amare,  e  riverire  insegna  , 
E  vuol  che  'l  gran  desio  ,  l' accesa  spene , 
Ragion  ,  vergogna  ,  e  riverenza  affrene^ 
Di  nostro  ardir  fra  se  stessa  si  sdegna. 
Ma   l'incontinenza  degli  uomini,  e  l'impudicizia  delle  don- 
ne può  dar  occasione  alle  rapine  ed  alle  guerre  ;  laonde 
forse  se  Elena  fu  impudica  ,  non  fu  bella  ;  perchè   la   bel- 
lezza è  sempre  congiunta  culi' onestà;  e  colla  voce  Greca 
TÒ  KaXov  altrettanto  il  beilo,  quanto  l'onesto  è  significato. 
E  se  ciò  è  vero  ,  si  potrebbe  affermare  cbe  il  bello  fosse  il 
giovevole,  e  quel,  cb'è  utile,  e  che  il  bello  avesse   quasi 
l'idea  di  padre,  per  rispetto  del  bene;  perciocché  il  bello  è 
quasi  cagione,  il  bene  quasi  effetto  ;  laonde  sogliamo  sti- 
mare bella  cosa    la    prudenza  e  la  sapienza,  perchè  son 
cause  di  grande  utilità  nella  vita  degli  uomini .  Che  ne  di- 
te. Signor  Girolamo? 

Ruscelli.  A.  me  pare  assai  buona  questa  opinione  . 
MlNTÈJRNO.  Ma  s'ella  è  pur  vera  ,  non  è  vera  quell'al- 
tra, che  da  tutti  è  ricevuta,  uhe  il  bello  sia  il   bene  ,  ed   il 


13?.  IL  MIXTURNO 

bene  all'incontro  il  belld;  ]»enl)p  il  pndre  non  è  fig'iuo- 
lo,  né  il  figliuolo  è  p.Hdre  ,  ne  1  una  persona  può  mutarsi 
nell'altra,  variandosi  fra  due  il  rispetto,  o  la  relazione  ,  co- 
me avviene  a  colui,  eli  è  destro,  il  quale  ])uò  divenir  sini- 
stro, ed  il  sinislro  da  11' al  Ira  parte  può  divenir  destro:  ol- 
treciò  la  bellezza  è  una  di  quelle  cose,  die  s'ama  per  se 
medesima,  ma  le  cose  uiili  e  le  giovevoli  non  sono  amate 
per  se  stesse.  Glie  diremo  adunque  che  sia  la  bellezza,  o 
Signor  Girolamo?  poicliè  ella  non  è  la  bella  vergine,  non 
€  il  decoro,  come  parve  ad  Ippia,  non  l'inganno, .come  sti- 
mò Teofrasto,  non  tirannide,  come  disse  Socrate,  non  vio- 
lenza ,  non  putenza,  come  tu  opinione  del  medesimo  Sofi- 
sta, anzi  pur  di  molti  Platonici;  non  regno  solitario,  co- 
me giudicò  Cameade,  non  quel,  che  giova  ,  come  Socrate 
mostrò  di  creder  con  Ippia  di.'^putando,  ma  poi  non  fu  co- 
stante nella  sua  opinioni'. 

Ruscelli.  Diciamo  che  il  bello  sia  quel ,  che  piace. 

MlNTURNO.  Dunque  il  bello  sarà  piacevole,  ed  il  piace- 
vole sarà  bello  all'inconlro. 

Ruscelli  .  Senza  dubbio . 

MiN'lTRNO.  Ma  quel,  che  piace  ali  uno,  rade  volte  suol 
piacere  agli  altri,  perchè  alcuni  ladano  in  una  leggiadra 
donna 

Un  pallor  di  viola  ,  e  iV Amor  tinto  ; 
altri  il  candido  insieme  col  pur[)ureo  colore;   altri  s'inva- 
ghiscono degli  occhi  azurri,  ad  altri  sogliono  piacer  i   ne- 
gri maggiormente;  a  molti  la  severità  diletta,  a   moUi   la 
mansuetudine:  ne  l'umiltà, e  l'alterezza  piacciono  a   tulli 
esualmente;  laonde  ad  un    uomo  istesso,    in  diversi  terii- 
j)i ,  sogliono  piacer  diverse  cose;  però  disse  il  Poeta  : 
Ed  in  donna  amorosa  ancor  m' aggrada  , 
Ch'  in  vista  vada  altera  ,  e  disdegnosa  ^ 
Non  superba  ,  e  ritrosa  : 
ed  altrove  più  loda  la  gentilezza,  e  la  cortesia,  come  in 
que'versi  ; 

Chinava  a  terra  il  bel  guardo  gentile  , 
E  tacendo  di  ce  a  ,  come  a  me  parve , 
Chi  ni'  allontana  il  mio  fedele  amico? 
e  ne' precedenti.  Però  il  bello  sarà  trasmutabile  ,  ed  a  gtii- 


O  DETL/V  BELLEZZA  Ii3 

s«  di  camaleonte  prenderà  diversi  colori,  diverse  forme,  e 
diverse  immagini  ed  apparenze:  ma  io  crederei  piuttosto 
the  il  bello  paresse  bello  a  tutti,  e  tacesse  belle  tutte  le 
cose  ;  perchè  io  non  ricerco  quel  cbe  è  bello  per  alcun 
uso,  il  quale  suole  essere  ancora  soavissimo;  ma  quel,  che 
per  se  è  bello, 

KuscELLL  Diciamo  adunque  cbe  il  bello  sia  quel ,  cbe  a 
tutti  piace,  siccome  il  bene  è  quel,  che  du  tutti  è  desi- 
derato. 

MlNTURNO.  Ma  di  qual  piacere  vogliamo  intendere  ?  Di 
quel,  cbe  piace  a  tutti  i  sentimenti,  o  di  quel,  cbe  piace 
alla  vista  ed  all'udito  solamente?  Perchè  se  bello  è  ciò, 
cbe  piace  al  gusto,  ed  al  tiitto  ,  ed  all'  odorato,  come  mo- 
stra di  creder  ne' suoi  Problemi  Aristotile,  ed  il  JNifo  in 
quel  libro,  ch'egli  scrisse  della  Bellezza,  le  cose  dolci  in 
quanto  dolci,  e  le  morbide  in  quanto  morbide  saranno 
belle,  e  belli  saranno  gli  odori  dell'ambra  ,  e  del  muschio, 
e  del  fumo  degl'  incensi . 

Ruscelli.  Cosi  avrei  creduto  senza  dubbio. 

MlNTURNO  .  JVè  vi  sarebbe  forse  dispiaciuto  il  parer 
d'Aristotile,  il  qual  nella  medesima  parte  de'Problemi  af- 
ferma che  quello  suol  parer  bello,  che  è  più  soave  al 
congiungimento,  e  che  le  bevande  ancora  paiono  belle  al- 
l'assetato per  la  soavità,  che  se  n'aspetta  nel  bere. 

Ruscelli.  A  me  certo  non  dispiace. 

MlNTURNO.  E  pei-avventura  non  è  falsa  opinione,  se  in' 
tende  di  quelle  cose,  che  sono  belle  per  alcun' uso;  ma  il 
servire  all'  uso  è  proprio  delle  d'ose  utili,  non  delle  belle  ,  o 
delle  piacevoli;  e  noi  ricerchiamo  quel,  che  per  se  è  bello, 
senza  aver  risguardo  al  modo  ,  col  quale  si  possa  usare  , 
o  alKisare  ;  e  perchè  la  bellezza  è  veramente  cosa  divina, 
estimo  sconvenevol  molto  ch'ella  sia  sottoposta  al  giudi- 
ciò  de' sensi  natui'ali,  come  sono  il  gusto,  e '1  tatto;  ed 
appena  può  esser  giudicata  dalla  vista,  o  dall'  udito,  sensi 
assai  più  spirituali  ;  riserbandosi  nondimeno  il  pieno  giu- 
dizio della  bellezza  all'intelletto ,  esercitato  nella  contem- 
plazione delle  forme  separate  da  questa  mescolanza,  e 
quasi  feccia  della  materia. 

Ruscelli.  libello  adunque  sarà  come  una  parte  del 


ìlf\.  IL  MINTURXO 

piacevole,  perdiè  essendo  quel,  cìie  ci  suol  dilettare, 
tibietto  di  tutti  i  .'it.'iitiinenli ,  quella  particolla,  clie  da 'sensi 
più  nobili  è  giudicata  merita  il  nome  di  bello:  belli  adun- 
que sono  non  solamente  i  colori,  e  gli  splendori,  e  le  varie 
iuìmagini  delie  cose,  ma  i  canti,  i  suoni  e  la  uìusica  suol 
parere  agli  oreccbi  ben  purgati  bellissima  armonia:  ma 
mi  pare  cbe  a  questi  sensi  ancora  appartenga  tutto  ciò , 
che  si  scrive  d(!'costunji,  delle  leggile  delle  scienze,  le  quali 
iincbiudono  quasi  nel  seno  bellezze  maravigliose. 

MlN'iUiSNO.  Vero  è  senza  fallo  quel,  cbe  voi  dite;  nondi- 
meno i  sensi  giudicano  del  colore  ,  e  del  suono  in  un  mo- 
do, ed  in  un  altro  delle  proporzioni,  o  delle  cose, cbe  ap- 
partengono alle  scienze,  perchè  di  queste  non  possono  i 
sensi  far  giudicio,  cbe  vero  sia  ,  ma  quasi  ministri  e  mes- 
saggicri  dell'intelletto,  portano  alla  mente  quel,  cbe  di 
fuori  s'apprende;  laonde  non  pare  che  una  sia  la  bellezza, 
che  noi  andiamo  ricercando,  perchè  gli  oggetti  de'sensi 
naturali  deono  esser  corruttibili,  come  è  il  senso  medesi- 
mo ;  ma  la  mente  divina  ed  inunortale  non  fa  giudicio,  se 
non  di  cose  a  lei  somiglianti .  Non  è  dunque  uno  il  genere 
della  bellezza  ,  o  univoco,  come  dicono  i  lilosofi  ,  e  come 
stimò  il  Nifo  ;  ma  come  lo  spltmdore  delle  lucciole,  e  dei 
funghi  putridi,  che  suol  di  notte  apparire,  è  diverso  dal 
lume  delle  stelle,  e  dalla  luce  del  Sole,  così  ancora  la  bel- 
lezza delle  cose  terrene  è  assai  dissomigliante  da  quella  , 
cbe  si  contempla  nelle  forme  eterne  e  divine;  e  se  ciò  è 
vero,  quel,  che  per  se  è  bello,  non  piacerà  a'sensi  ,  per- 
chè non  potranno  essi  darne  giudicio. 

Ruscelli.  Se  non  è  bello  quel,  che  piace  a'sensi  del- 
l'udito e  della  vista,  qual  altra  definizione  troveremo  del- 
la bellezza,  che  tanto  ci  piaccia 

MlNTURNO.  Non  ci  sia  grave  ancora  di  ricercarne. 

Ruscelli.  Io  ho  letto  assai  spesso  che  la  bellezna  è 
proporzione  di  parti  ben  composte,  e  questa  opinione,  co- 
me approvata  comunemente  da  molti ,  malagevolmente 
può  esser  ripresa . 

MlNTUnNO.  La  proporzione  si  considera  nelle  parti  dis- 
simili; ma  se  la  bellezza  fdsse  proporzione  dcli(;  parli  dis- 
somiglianti,  non  sarebbe  alcuna  bellezza  nelle  cose  scmpli- 


O  DELLA  BELLEZZA  7  25 

ci;  ma  hello  è  l'oro  e  l'argento  al  giudicio  de' mi.-jpri  mor- 
tali; belli  i  diamanti ,  i  rubini  e  l'altre  pietre  preziose; 
belli  i  colori,  bellissima  la  luce,  nella  quale  non  è  alcuna 
proporzione;  oltrcclò  alcune  volte  rimane  la  proporzione 
delle  parti,  come  ne' corpi  già  veccbi  e  languidi,  ma  non 
rimane  la  bellezza,  eli' è  perduta  col  fior  della  gioven- 
tù; però  di  questa  di:finizione  ancora  non  rimango  soddi- 
sfatto , 

Ruscelli  .  Io  non  so  qual  altra  addurne  piìi  cbe  vi  piac- 
cia; ma  vi  deono  pur  sovvenire  quelle  di  Plutarco  e  di 
Plotino;  r  una  che  la  bellezza  sia  un  ornamento,  ovvero 
un  onore  dell  animo,  che  risplenda  nel  corpo  ;  l'altra  che 
sia  una  vittoria,  che  la  forma  vittoriosa  riporta  della  ma- 
teria: a  questa  si  potrebbe  aggiungere  che  la  bellezza  sia 
un  sembiante,  ovvero  una  immagine  del  bene  ,  siccome  la 
bruttezza  è  una  oscura  faccia  del  male. 

MlNTURNO  .  Già  mi  sovviene  d'  averne  udito  ragionare  , 
e  letto  ulcunn  cosa,  ma  io  m'avv:)lgo  nc'medesimi  dubbj  , 
perchè  se  la  bellezza  è  ornamento  dell'animo  compartito 
al  corpo,  o  vittoria  della  miteria  sovra  la  forma  ,  ella  pure 
è  nelle  cose  corporee  e  materiali,  nelle  quali  peravventu- 
ra  non  è  alcuna  bellezza  ,  o  non  quella,  che  nc)i  ricerchia- 
mo; laonde  io  mi  maraviglio  del  Nifo ,  e  degli  altri  Peripa- 
tetici, cbe  riposero  la  bellezza  nella  materia  ,  perch'  ella  è 
per  sua  natura  brutta  e  deforme  oltremodo, anzi  è  la  brut- 
tezza istessa  ;  laonde  il  bello  si  troverebbe  nel  brutto, 
quasi  in  proprio  soggetto:  il  che  pare  molto  sconvenevole 
perchè  il  bello  dee  germogliar  nel  bello,  quasi  fiore  in 
fiore .  Oltreciò  se  vera  fosse  l'opinione  di  coloro,  che  in 
questo  modo  r  hanno  definita ,  gli  Angeli  non  sarebbotio 
belli,  perchè  nella  natura  angelica  la  materia  non  è  supe- 
rata dalla  forma ,  e  non  si  trova  corpo,  a  cui  sia  partecipa- 
to l'onore  dell'animo.  Lasciamo  nlMoque  nelle  cose  basse, 
e  terrene  questa  vittoria  ,  e  quasi  trofeo  della  forma,  nelle 
cose,  dico,  nelle  quali  la  materia  quasi  ribella  ,  fa  mille 
mutazioni  d'  una  in  altra  sembianza  ,  e  disp.- .;iÌHndosi  del- 
l'antiche  forme,  delle  nuove  si  riveste,  rimans  ndo  sempre 
in  lei  un  perpetuo  di .' iderio  di  tnismutarsi  in  tutte,  a  gui- 
sa di  città,  o  di  repubblica  male  ordinata,  che  faccia  mil- 


126  IL  MINTURNO 

le  mutazioni  \ariancIo  leggi,  governi  e  costumi:  ina  nelle 
cose  celesti  ,  nelle  quali  la  materia  è  obbediente  alia  l'or- 
ma ,  e  non  fa  mai  ribellione  o  contrasto  ,  o  in  quelle  dove 
non  è  alcuna  materia,  qual  vittoria  può  esser  quella  della 
forma,  o  dell'arte  divina  ?  JViuna,  se  non  m'inganno.  Dun- 
que se  a  voi  ancora  così  pare,  diremo  clie  la  beltà  sia  in 
quei  soggetti ,  fra' quali  non  essendo  guerra  o  discordia, 
non  fa  d'uopo  di  vittoria  ;  e  per  l'avvenire  non  cercbere- 
niQ  la  beltà  fra  Tarmi  discordi  de'Regi  e  degl' Impcradori  . 
ma  piuttosto  fra  pacifici  studj  delle  scienze,  s' ella  può 
ritrovarsi  in  alcun  modo:  ed  a  voi  clie  ne  pare ,  Signor 
Kuscelii? 

RuscELT-l .  Io  non  so  ricercarne  con  altra  guida, cbe  con 
questa  de' sentiiiicnti ,  co'quali  posso  ancora  innalzarmi 
alla  contemplazione  del  Sole  ,  e  delle  stelle  e  dell'ordine 
loro,  cbe  oltre  a  tutti  gli  altri  è  bellissimo. 

MlNTURNO.  Ditemi,  vi  prego,  credete  voi  cbe  la  bellez- 
za, s'  ella  pur  si  ritrova,  sia  fra  le  cose  false^  o  fra  le  vere 
piuttosto? 

Ruscelli  .  Fra  le  vere . 

MlNTURNO.  Ma  quali  vi  paiono  vere,  quelle, cbe  si  mu- 
tano e  si  rimutano,  o  quelle,  cbe  duriino  sempre  in  uno 
stato  medesimo?  Io  stimo,  senza  fallo  cbe  l'instabile,  e 
incostante  sìa  simile  al  bugiardo;  però  l'uomo,  die  fa  mil- 
le mutazioni  di  aspetto ,  di  (>ostumi  e  d'età,  non  è  vero 
uomo,  né  il  fanciullo  è  vero  fanciullo,  né  il  giovane  è  ve- 
ro giovane,  ne  il  veccbio  è  vero  veccbio;  ma  l'uomo  è 
piuttosto  un'immagine,  ed  una  fantasia  dell'umana  essen- 
za, come  afferma  Mercurio  Trimegisto,  ed  una  grandissi- 
ma bugia  ;  solo  è  vero,  (juel  ebe  mai  non  si  muta  ,  ne  si 
varia;  ne  patisce  aumento,  né  diminuzione,  ma  sempre 
rimane  in  se  slesso  ,  e  somigliante  a  se  medesimo;  però 
tutte  le  cose  generabili  e  curruttibili  sono  false  ;  e  il  Sole , 
del  quale  disse  il  nostro  Poeta: 

.  .    •  .   Soleiìi  (juis  dicvre  fahuin 
Audeat  ?  .  .  .  . 
por  le  mutazioni  cbe  egli  fa  ,  contiene  in  se  stesso  un  non 
so  cbe  di  bugiardo,  e  gli  altri  corpi  celesti  similmente  . 


O  DELLA  BEr-LEZ7,A  ì^j 

Ruscelli  .  L'  uomo  adunqup  è  immagine  ,  e  l)ugia  ;  e  ì 
cieli,  e  i  pianeti  sono  bugiardi,  nnzi  che  no. 

MlNTURNO.  Cosi  mi  pare  diesi  possa  concliiuder  p^r 
questa  ragione:  laonde  non  sohunente  si  può  conoscere 
quanto  sian  vani  e  t'aliaci  i  gimlicj  degli  astrologi;  ma 
quanto  inganni  rapj)nreiì/a  di  quelle  cose,  le  quali  dai 
miseri  mortali  son  giudicate  belle;  e  quelle  particolar- 
mente ,  che  cliiamiamo  l'emminili  bellezze,  sono  fraudi, 
ed  inganni  delle  cose  della  natura,  ombre  di  luce,  larve  e 
simulacri  di  bellezza,  ed  insomma  è  manifesta  bugia,  ap- 
pena da' ciechi  non  conosciuta. 

RusrETJ.L  IVon  è  dunque  la  bellezza  nel  Sole, e  nelle  stel- 
le, e  nelle  sfere  celesti. perchè  elle  contengono  qualche  par- 
te di  falsità  ,  e  molto  meno  nelle  cose  caduche,  e  mortali. 

MlNTUllNO.  Non  è;  ma  dove  sarà  ella?  forse  nella  na- 
tura angelica,  o  pure  nell'anima  umana,  Signor  Giro- 
lamo ? 

RUSCELLI.  Ncir  una  e  nell'ailra  ,  per  mio  parere. 

MlNTURNO.  Ma  se  l'anima  ,  come  sì  scrive .  è  composta 
di  quel ,  eh' è  indivisibile,  e  di  quel,  che  si  può  dividere  , 
la  parte  divisibile  è  soggetta  alle  mutazioni,  ed  all'altera- 
zioni,  e  per  conseguente  assai  meno  capace  di  bellezza: 
l'altra  che  non  si  può  partire,  è  ,  se  io  non  m'  inganno, 
assai  bella  :  ma  la  bellezza  in  lei  non  è  tirannide,  non  re- 
gno, non  inganno,  non  violenza,  non  proporzione,  non 
misura,  non  vittoria  della  materia,  non  onore  partecepato 
al  corpo;  e  quantunque  io  non  nieghi  ch'ella  sia  un  non 
so  che  di  eterno  e  divino  ,  non  so  però  quel  che  sia  ,  per- 
che se  potesse  definirsi,  potrebbe  aver  termine,  ma  la 
bellezza  dell'anima  peravventura  non  patisce  d'esser  de- 
scritta ,o  circoscritta  dal  luogo  ,  dal  tempo  ,  dalla  materia  ^ 
o  dalle  parole;  e  il  ricercarne  più  oltre  è  peravventura  ar- 
dire, e  presunzione ,  o  fede  troppi  animosa,  e  situile  a 
quella  di  coloro,  che  passando  dentro  al  velo  del  tempio, 
entrano  in  Sancla  Sanctorwn  ;  ivi  si  conosce  ,  ivi  si  con- 
templa ,  ivi  solamente  si  può  sapere  quel,  ch'ella  sia:  ma 
noi  altri  fuor  del  velo  andiamo  rimirando  le  tolonne,  e  le 
travi  di  cedro  e  di  cipresso  odorifero,  gli  archi,  la  testi- 
tudine,  il  vaso  e  l'immagini  ,  dalle  quali  è  sostenuto,  chia- 


12$  IL  MINTURNO 

mando  hello  quel,  che  appare,  o  che  pare  piuttosto,  e  lu- 
singa i  nostri  sentimenti  i  però  non  v'ingannaste,  Signor 
Girolamo,  quando  consacraste  alla  gloria  immortale  drlla 
Signora  Donna  Giovanna  d'Aragona  il  tempio ,  perchè 
ninna  cosa  è  più  simile  alla  hellezza,  che  il  tempio. 

Ruscelli.  Io  veramente  fui  l'architetto  di  quel  maravi- 
glioso  magistero;  ma  tante  furono  l'immagini,  tanti  i  pit- 
tori, tanti  gli  scultori  di  tutte  le  nazioni ,  i  quali  ivi  di- 
mostrarono quanta  avevano  d  ingegno  e  d'artificio,  che 
a  me  toccò  la  ujinor  parte  della  fatica,  e  dell'  onore  simil- 
jnente  . 

MiiNTURNO.  O  voi  glorioso,  e  gloriosi  i  poeti,  a' quali  fu 
conceduto  il  celebrarla;  perchè  nelle  sue  laudi  furono  si- 
mili a  coloro,  i  quali  cantano  le  laudi  divine:  ma  ella  ol- 
tre a  tutte  l'altre  è  gloriosissima,  che  a  voi  fece  parte  del- 
la sua  gloria  ,  e  direi  bellissima ,  come  è  descritta  dal  Nifo, 
se  io  dovessi  a  guisa  di  Peripatetico  in  questa  materia  seri- 
vere  e  ragionare. 

Ruscelli  .  Bellissima  almeno  è  l'anima  sua  ,  quantun- 
que la  lunga  età  non  abbia  tolta  al  corpo  la  grazia  e  la 
maestà . 

MlNTURNO.  Questo  è  così  creduto  da  tutti,  benché  il 
velo  dell'umanità  sia  impedimento  alla  contemplazione." 
ma  in  qual  modo  crediamo  ,  Sign<ir  Girolamo,  che  l'ani- 
Vna  divenga  bella? 

Ruscelli.  Ciò  meglio  si  può  apprendere  dall'imitazio- 
ne di  quella  Signora  ,  che  da  niun'  altra  ragione  ,  o  arti- 
ficio. 

MlNTURNO.  Assomigliamo  dunque  il  suo  intelletto  me- 
desimo allo  scultore,  il  quale  volendo  fare  una  bella  sta- 
tua ,  parte  ne  taglia  ,  parte  ancora  ne  dirizza,  e  ne  rade 
per  nettarla  ,  parte  ne  liscia  ,  e  ne  polisce,  infino  a  tanto 
che  appaia  nella  statua  una  ])ella  faccia,  espressa  col  suo 
artificio  ;  così  potranno  l'altre  ,  col  suo  esempio,  toglien- 
dole il  soverchio,  dirizzando  quel  che  appare  distorto  ed 
obliquo,  illustrando  le  cose  oscure,  esercitarsi  nella  pro- 
pria statua,  e  non  cessar  prima  ,  che  risplenda  una  divina 
luce  della  virtù,  colla  <|ual<'  ^i  veda  la  temperanza  sedere 
in  maestà. 


O  DELLA  BELLEZZA  I-jg 

Ruscelli.  Maravìgliose  scultrici  sono  quelle,  clie  sovra 
le  colonne  della  propria  nobiltà  lianno  pulite  le  statue  di 
eterna  bellezza  . 

MlNTURNO.  Dicono  ancora  che  l'anima  non  si  fa  bel- 
la per  acquisto  d'  alcuaa  cosa  esteriore  ;  ma  purgan- 
dosi a  guisa  di  fuoco  nella  fiamma ,  perchè  le  umane 
virtù,  che  paiono  cosi  belle,  altro  non, sono  che  purga- 
zione dell'  impurità  ,  appresa  in  loro  per  la  compagnia 
del  corpo.  Sono  adunque  le  virtù  naturali  nell' anima  ,  e 
natia  è  la  bellezza;  ma  la  bruttezza  è  straniera ,  e  deri- 
vata dalla  contagione  del  corpo;  e  sciocco  è  senza  fallo 
il  giudicio  di  coloro  ,  i  quali  cercano  la  bellezza  in  que- 
ste membra  terrene,  e  mi  paiono  simili  a  quelli,  che  ri- 
mirano l'immagini,  e  ombre  nell'acque,  come  si  fa- 
voleggia di  Narciso;  e  mentre  abbracciano  l'onde ,  e  i  fug- 
gitivi simulacri,  restano  sommersi  senza  avvedersene. 
Però  alcun  potrebbe  sgridarci  :  Fuggiamo ,  amici  ,  da 
questi  fonti,  e  da  queste  acqye  ingannatrici,  e  nella  dol- 
ce patria  fticciamo  ritorno.  Ma  qual  ragione  è  nel  fug- 
gire? o  per  quale  strada  fuggiremo  gl'incanti  e  le  ma- 
lìe di  Circe?  benché  la  favola  d' Ulisse ,  oscura  anzi  che 
no,  ci  dimostri  la  via  della  lor  fuga  ,  schivando  quc' pia- 
cevoli oggetti,  i  quali  ci  si  fanno  quasi  all'incontro,  ed 
allettano  i  sentimenti:  ma  dove  è  la  nostra  patria  ,  don- 
de venimmo,  là  dobbiamo  ritornare.  Qual  sarà  dunque 
la  fuga  ?  quale  l'armata ,  che  ci  condurrà  ?  Già  non  si  può 
{uggire  a  piedi ,  perchè  i  piedi  portano  in  un'  altra  terra 
assai  lontana,  né  per  questa  cagione  dobbiamo  appre- 
starci cavalli  da  cavalcare,  o  navi  da  navigare;  ma  tut- 
te queste  cose  addietro  si  debbono  tralasciare ,  anzi  non 
si  dee  par  riguardarle,  ma  fuggir  con  gli  occhi  del  cor- 
po, usando  in  quella  vece  gli  occhi  della  mente,  i  qua- 
li hanno  tutti,  ma  da  pochi  sono  usati;  però  accorta- 
mente disse  quel  molto  giovane  poeta,  anzi  ancora  (an- 
ciuUo  ,  di  cui  molti  fanno  alto  ,  e  maraviglioso  pre- 
sagio :  piaccia  a  Dio  che  l'  infelicità  della  fortuna  non 
perturbi  la  felicità  dell'  ingegno .  Udiste  mai  questi 
versi  ? 

Dialoghi  T.  ni.  9 


l3o  IL  MINTURNO 

lo,  che  forma  celeste  in  terra  scorsi, 

Rinchiusi  i  lumi  y  e  d-ssi  :  Àhi\  come  è  stolto 
Sguardo,  eli  in  lei  sia  d' affissarsi  ardito! 
Ma  dell'  altro  periglio  non  m' accorsi  y 
Che  mi  fu  per  gli  orecchi  il  cor  ferito  , 
E  ì  detti  andare y  oi'e  non  giunse  il  volto. 
Ruscelli.  Sono  versi,  se  non  n'inganno,  A\  Torquato, 
iigliuolo  dfl  Signor  Bernardo  Tasso,  che  in  anni  giovanili 
Ila  mossa  di  se  molta  e<pettazione. 

MlNTUBNo.  Sottile  senza  dubbio  è  l'avvedimento  del 
giovane,  col  quale  ci  ammonisce  a  fuggire  non  solamen- 
te con  gli  occhi  rinchiusi,  ma  con  gli  orecchi:  ma  egli 
incappato  nelle  reti  d'Amore,  e  punto  da'  suoi  strali, 
non  è  presto  alla  fuga . 

BuscELLl.  Io  sono  ornai  attempato,  anzi  che  no,  ma 
non  ho  ancora  molto  sospetto  delle  cose  belle  e  piacevoli; 
anzi  alcuna  volta  vorrei  mille  occhi  per  mirare,  e  per  udi- 
re appieno  la  bellezza  e  l'armonia  della  mia  Signora,  la 
quale  a  guisa  di  Sole  dimostra  una  obliqua  via  di  salire  al 
Cielo,  e  di  tornare  a  noi  medesimi;  ma  voi,  Signor  Min- 
turno,  siete  troppo  severo  nelle  opinioni  e  ne' pensieri,  e 
quasi  dimenticato  de' vostri  amori,  e  del  vostro  Amore 
innamorato.  Io  nondimeno  soglio  prestar  credenza  a  colo- 
ro, i  quali  vogliono  che  la  bellezza  sia  pi'oporzione  ,  e  mi- 
sura delle  cose,  che  hanno  parti  dissimili:  laonde  ne  la 
terra  ,  né  l'acqua ,  ne  l'aria,  ne  il  fuoco,  ne  il  cielo  mede- 
simo e  bello,  perchè  egli  non  ha  parti  dissomiglianti  di  fi- 
gura e  di  natura,  benché  egli  sia  scolpito  ed  adorno;  e 
però ,  se  crediamo  a  Plinio,  è  detto  Coelum.  Non  parlo 
degli  Angeli,  e  di  Dio,  il  quale,  per  opinione  d'alcuno, 
non  è  bello,  né  perfetto,  percbè  non  è  fatto:  ma  se  gli 
Angeli  son  belli  in  Cielo,  ninna  cosa  in  terra  è  più  bella 
di  quella  Signora,  eh' è  di  costumi,  e  di  natura  veramen- 
te angelica . 

MiNTURNO.  Io  non  voglio  con  voi  di  ciò  pii'i  lunga  con- 
tesa :  credete  dunque  a  vostro  senno,  sol  che  non  ve  ne 
privi  questa  vostra  cortese  opinione,  la  quale  v'è  ficcata 
nella  testa; 


O  DELLA  BELLEZZA  I  3 1 

Con  maggior  chiodi ,  clic  d' altrui  sermone, 
per  la    liberalità ,  dico  del  Signor  Marchese  suo   padre , 
in  cui    la  prudenza,   e  il  valore,  e   tutte  l'arti   civili    e 
militari  ,    sono   bellissime   virtù  ,    e    degne    di    lode   im- 
mortale. 


AL  SERENISSIMO 
GRAN  DUCA  DI   TOSCANA 

FEKDmAISDO  DE'MEDICI 


J-je  virtù.  Serenissimo  Principe ^  sono  coltegate  fra  sé 
tiìedi' siine  .  cerne  le  scienze ,  in  guisa  che  non  è  alcun  al- 
tro nodo  più  saldo,  od  altra  catena  più  forte,  quantità- 
que  fosse  di  ferro  o  d' acciajo,  o  d' altra  più,  dura  ma-^ 
teria  ;  nondimeno,  per  imperfezione,  e  per  ignoranza  de- 
gli uomini ,  si  veggono  le  più  volte  divise  e  separate:  la- 
onde chi  d'una,  e  chi  d'un' altra  virtù  è  lodalo,  e  di 
rado  avviene  die  alcuno  di  tutte  possa  essere  commen- 
dato; ma  tra  que' pochi  fu  il  Gran  Cosimo,  padre  di 
Vostra  Altezza y  anzi  i  Due  Gran  Cosimi,  e  gli  altri 
suoi  antecessori ,  per  opera  de' quali  le  virtù  disgiunte  sì 
ricongiunsero  ne'  medesimi  soggetti ,  e  si  ristrinse  quella 
catena ,  chr  per  la  malvagità,  o  per  la  perversa  cogni- 
zione era  dìscio/ia ,  o  piuttosto  spezzata  ;  però  di  ninna 
amistà,  di  ninna  lega ,  di  ninna  unione  meritarono  mag- 
gior gloria ,  che  di  questa ,  per  la  quale  non  solamente 
acquistarono,  ma  conservarono,  e  accrebbero  il  Princi- 
pato di  Toscana.  Nell'altre  unioni  ebbero  parte  gli 
amici,  i  Ministri,  i  Principi  Italiani  e  stranieri ,  gli 
eserciti,  le  congregazioni  de'  cittadini,  il  favor  della 
fortuna  medesima;  ma  in  questa,  o  niun  altro  fu  par- 
tecipe della  gloria,  o  non  n'  ebbero  parte  maggiore. 
Gloriosissima  adunque  oltre  a  tutte  le  operazioid ,  ed 
oltre  a  tutte  r  imprese  della  Casa  de' Medici,  è  l'aver 
imposto  fine  alla  discordia  delle  virtù ,  e  congiunta  in 
amicizia  la  fortezza  e  la  mansuetudine ,  la  magnani- 
mità e  la  modestia,  la  liberalità  e  la  magnificenza,  la 
severità  e  la  piacevolezia ,  la  giustizia  e  la  clemenza , 
e  tutte  l'altre  nell'islesso  modo.  Onde  ciascun'  opera 
fatta  da  loro  par  compiuta  con  tutte  insieme  ;  e  così  è 
malagevole  il  distinguer  di  qual  virtù  sia  propria ,  co- 


i34 
me  è  il  discerner  le  voci  nell' armonia  di  molti  cantori  ^ 
e  di  vari  istninienti ,  o  gli  odori  nella  mistione  de' fiori  e 
d' altre  cose  odorate,  o  i  raggi  nella  moltitudine  d' infi- 
niti lumi ,  e  delle  stelle  medesime  ;  perchè  da  tutte  insie- 
me esce  quello  splendore,  che  fa  la  virtit  della  Casa  dei 
Medici,  lucente,  e  luminosa  in  Italia  ,  ed  in  ciascuna 
parte  d' Europa ,  e  del  mondo.  Ma  del  Gran  Duca, 
padre  di  Vostra  Altezza,  si  può  affermar  particolar- 
meì\te  ,  che  dopo  sì  lungo  corso  d' anni  e  di  secoli ,  e  do-' 
pò  tante  mutazioni  di  regni  e  di  provincic  ,  ninno  na- 
scesse piìt  somigliante  ad  Augusto,  o  nell'altezza  del- 
l' animo,  o  nella  sapienza  civile ,  anzi  regia  ,  o  nelV ar- 
te d' acquistare ,  e  di  conservar  l' Imperio  ,  o  nella  pro- 
sperità della  fortuna ,  o  nel  favore  del  Cielo  maraviglio- 
samente dimostrato, e  nella  disposizione  delle  stelle  e  dei 
pianeti  ;  né  tanto  ha  ceduto  il  Gran  Duca  ad  Ottavia- 
no, nella  grandezza  dell'  Imperio  ,  quanto  i  ha  supera- 
to nella  felicità  de'  successori  ,  avendo  lasciato  il  Gran 
Duca  Francesco  ,  e  Vostra  Altezza  eredi  non  solo  degli 
stati ,  ma  della  gloria  e  della  virtit  ,  che  sono  i  veri 
fondamenti  de'  regni  e  degV imperj.  Però  da  niun' altro 
più  volentieri  deono  esser  lette  le  cose  scritte  ,  lodando 
il  padre ,  che  da' figliuoli ,  e' hanno  saputo  imitarlo  ,  e 
potuto  agguagliarlo.  Fu  similissimo ,  come  scrivono,  il 
Gran  Cosimo  ad  Augusto  nella  clemenza  ,  dimostrata 
in  molte  occasioni ,  e  specialmente  in  un  bando ,  col  qua- 
le restituì  tutti  i  suoi  cittadini  alla  patria ,  dalla  quale 
con  la  severità  degli  altri  bandi  sogliono  essere  discac- 
ciati ;  e  se  i  Fioreiitini  sono  simili  all' api ,  che  si  spar- 
gono per  varie  parti  nel  raccogliere  il  mele,  come  è  sta-' 
to  scritto;  parimente  il  Gran  Duca  poteva  esser  chiama- 
to quasi  il  re  dell' api ,  ch'essendo  armato  dalla  natu- 
ra ,  non  adopera  V  aculeo .  Fu  dunque  in  ciò  eguale  a 
Ciro,  ad  Alessandro, ad  Ottaviano^  ed  agli  altri  ottimi 
Imperatori;  laonde  tutto  ciò,  ch'io  scrissi  della  cle- 
menza, o  della  clemenza  d'  Augusto,  si  conviene  al 
Gran  Duca  Cosimo ,  come  sua  propria  lode ,  e  par- 
ticolare perfezione  ;  e  Vostra  Altezza,  come  erede  e 
imitatore   della    i'irtà ,     e   della     grandezza   del   pa~ 


i35 
(Ire  ,  non  dee  disprezzare  questo  dono  ,  qualunque 
egli  sia  ,  ma  senza  dubbio  è  di  quella  sorte ,  eh' a'  Prin- 
cipi può  essere  appresentato  senza  riprensione  di  chi 
dona  ,  e  con  laude  di  chi  riceve  .•  nia  Vostra  Altezza , 
che  in  tutte  le  vite ,  ed  in  tutte  l' altre  virtìi  è  ledati ssi- 
ma  ,  in  questa  della  clemenza ,  non  ha  peravventura 
avuta  altra  occasione  di  manifestarla,  per  la  tran- 
quillità de'  suoi  tempi ,  e  per  la  benevolenza  di  Toscana 
e  cV  Italia  tutta  ,  da  lei  meritata .  Onde  la  sua  felicità 
può  aver  quest'  obbligo  alla  mia  infelicità ,  di  mostrar 
(  dico  )  questa,  oltre  a  molte  sue  nobilissime  virtù  prima 
conosciute  ,  e  d' accomunar  con  gli  altri  Principi  questo 
dono,  eh'  è  iuo  proprio  ;  persuadendoli  col  suo  esempio 
ad  usar  meco  quegli  atti  di  clemenza  .  che  sono  quasi 
dovuti  alle  lunghe  fatiche ,  durate  da  me  negli  studj , 
air  intenzione ,  che  ho  avuta  di  celebrargli  ne'  miei  com- 
ponimenti ,  e  alle  mie  tante ,  e  sì  gravi ,  e  sì  continue 
avversità  ;  ed  a  Vostra  Altezza  Serenissima  fo  umilis- 
sima riverenza . 


Di  V.  Altezza  Serenissima 


Umilissimo  Servo 
Il  Tasso. 


i    - 


IL  COSTANTINO 

OVVERO 

DELLA  CLEMEJNZA 

DIALOGO 


ARGOMENTO 


F. 


u  Antonio  Costantini  di  palrin  Marchigiano,  ma  visse  il  più 
della  sna  età  in  Lombardia,  segretario  prima  di  Cammillo  degli 
Alliizzi ,  axnbasciadore  del  Granduca  di  Toscana  alla  Corte  di 
Ferrara,  e  perciò  neW  una  s  nelV altra  di  quelle  Corti  conosciuto  e 
stimato  ;  poscia  di  Fabio  Gonzaga  parente  e  maggiordomo  del  Dw 
ca  di  Mantova  ;  indi  del  cardinale  Scipione  della  medesima  Casa, 
negli  ultimi  mesi  della  vita  di  (juel  prelato  ;  appresso  di  Leonora  dei 
Medici  Duchessa  di  Mantova  ;  e  finalmente  del  Duca  Ferdinando 
suo  Jìgliaolo,  cui  fu  mollo  caio,  e  da  i  ni  l'anno  i  f>  i  7  venne  inviato  a 
Praga  all'  Impcrador  Ferdinando,  che  gli  fu  poi  cognato,  per  tratta- 
re affari  di  somma  importanza ,  coi  titolo  di  Consigliera.  Scriveva 
egli  elegantemente  nella  lingua  latina  e  nella  toscana  ,  e  sapeva  la 
£reca  .  Era  uno  defrimi  e  piìi  ctleiri  Accademici  Olimpici  di  Vi- 
cenza ,  e  si  veggono  (die  stampe  sue  orazioni  e  poesie  ed  epistole. 
Anco  nel  detiare  le  lettere  a  nome  defadroni  non  poco  si  segnalò. 
Gloriavasi  di  esser  allievo  e  discepolo  del  nostro  Tasso,  da' cui  ra- 
gionamenti affermava  di  aver  imparato  piìi  che  da  tutti  i  maestri 
nelle  scuole.  Airinconlro  il  Tasso  diceva  di  riconoscere  nelle  srrit^ 
ture  di  lui  non  che  sìmiglianza  collo  stile  suo,  ma  uniformità  col 
suo  proprio  modo  di  comporre  :  lode  per  certo  grandissima  ,  e  della 
tjuale  ne  questi  poteva  dargli,  ne  quegli  desiderare  altra  maggiore. 
Conversò  il  Costantino  familiarmente  con  Torquato  in  Ferrara, 
mentre  era  ancora  prigione  in  Sani'  Anna,  ove  andava  spessissimo 
a  visitarlo  ,  e  visse  poi  seco  alcun  tempo  e  in  Mantova  ed  in  Roma; 
e  gliju  pur  compagno  in  alcuni  viaggi.  Della  singolare  affezione, 
che  il  Tasso  gli  portò ,  della  confidenza  ch'ebbe  in  lui  ne' suoi 
maggiori  bisogni,  de'  rilevanti  serviej,  che  ne  ricevette ,  specialmente, 
per  ricuperare  la  sua  libertà  ,  e  della  slima  in  che  lo  tenne  pel  suo 
sapere  ,  fanno  ampia  f  de  le  tante  lettere  che  gli  scrisse,  ed  oltre  alle 
lettere,  la  seconda  parte  del  trattolo  del  Segretario  ,  la  quale  a  lui 
indirizzò  ;  ma  soprattutto  il  presente  dialogo  della  Clemenza,  che 
dal  cognome  suo  a  perpetuarne  la  fama  gli  piacque  d'  intitolare  . 
Del  qual  dialogo  tate  è  il  sunto  .  P'a  il  Costantino  a  visitar  in  Fio- 
rila Torquato  ,  e  trovandolo  con   un  libro   chiuso   dava/ili  in  atto 


l58  IL  COSTANTINO 

cP  uomo  che  medila ,  gli  domanda  sé  la^  sua  visita  reca  alcun  di' 
sturbo  a' suoi  studi  .  Risponde  il  Tasw  che  non  iscat>a  già  studian- 
do, né  medicando  ,  come  poteva  conoscere  dal  libro  serrato;  e  eh  esso 
libro,  il  quale  ai'Ci'a  già  scorso,  era  un'opera  intorno  alle  virtù  dei 
Costumi  di  Francesco  Piccolomini  stato  un  tempo  suo  maestro  in 
Padova  di  naturale  Filosofia  .  aggiunge  cjuindi  che  sehbeiie  dagli 
scritti  di  quel  dottissimo  infinite  cose  avesse  apprese  ,  non  aveva  pe- 
rò  potuto  imparare  ,  coinè  neppur  dai  molti  di  Aristotile  ,  ciò  che 
fosse  la  Clemenza  .  Alla  qual  generica  proposizione  opponendo  il 
Costantino  che  forse  Aristotile  aveva  inteso  di  parlarne  sotto  il  no- 
me di  equità ,  viensi  fra  loro  a  discorrere  della  materia  di  queste 
virtù  .  Dicesi  primamente  che  la  clemenza  non  è  piìi  antica  della 
legge  scritta,  e  che  la  giustizia  è  pili  antica  di  essa  .  Si  cerca  poscia 
se  la  clemenza  sia  virtii  divina  od  umana  ,  e  si  determina  eli  ella  è 
umana  e  inorale  virtii,  imparata  per  iuiiiazione  delle  divine ,  essen- 
do in  Dio  le  virtù  esemplari  ;  e  che  a  lei  è  opposta  la  crudeltà .  Di 
qui  si  passa  ad  esaminare  la  definizione  datane  da  Marco  Tallio, 
e  riprovatala ,  se  ne  prendono  a  discuter-',  quattro  di  Seneca,  mo- 
strando la  conformità  che  è  fra  questo  filosofo  ed  Aristotile.  Si  fct 
appresso  conoscere  in  che  differiscono  la  clemenza  e  la  mansuetudi- 
ne fra  loro;  e  conte  la  clemenza  e  l' equità  sieno  le  medesime  per 
analogia  e  proporzione .  Dichiarasi  poi  che  la  giustizia  è  virtii 
propria  del  legislatore  ;  /'  equità  del  re,  e  del  giwlice  ;  e  la  clemenza 
tutta  propria  d''l  re  ,  o  principe  .  Entrasi  finalmente  a  dare  di  que- 
sta virtii  r  intiera  e  perfetta  diffinizione  ,  dicendo  eli  ella  è  un  al- 
tezza di  animo  dimostrata  nel  perdono ,  colla  quale  i  principi,  ac- 
crescendo i  premj  ed  i  doni ,  si  acquistano  la  benevolenza .  La 
qual  definizione  confermasi  poi  e  coli'  autorità  e  cogli  esempi  di 
molti  antichi  e  moderni  principi ,  cioè  a  dire  di  Filippo  padre  di 
Alessandro .,  di  Filippo  Maria  Visconti,  di  Carlo  V.,  di  varj  Ro- 
mani ,  e  specialmente  di  Augusto ,  di  cui  si  narra  colle  parole  di 
Seneca  trasportate  con  bella  emulazione  nella  nostra  lingua  da 
'J'orquato  ,  la  clemenza  usata  con  duna.  Viensi  quindi  a  conside- 
rare come  la  clemenza  sia  un  accrescimento  della  mercede  e  del 
premio,  ed  un  artificio  de'  principi ,  onde  farsi  benevoli  i  popoli ,  e 
soggiogarli  col  perdono ,  co'  beneflcj  e  colle  grazie .  Mostrasi  dopo 
come  net  clemente  si  trovi  la  misericordia  ,  contro  la  opinione  di  Se- 
neca ;  e  prendesi  per  ultimo  a  dichiarare  i  modi  ,  i  tempi  e  /,'  perso- 
ne con  che  ed  in  cui  da  principe  giudizioso  sì  dee  usare  i  artificio 
del  perdono . 

Questo  è  r  argomento ,  che  al  presente  dialogo  prepose  già  il  dot- 
to Marc'  Antonio  Poppa  allora  che  per  la  prima  volta  lo  diede  alla 
luce  in  Roma  con  altre  opere  non  piti  stampata  dall'  autor  nostro: 
dialogo  degnissimo,  com'egli  sogf;iunge,  d'esser  letto,  massimamente 
dai  principi,  a' quali  si  appartiene  iti  usar  la  virtii  della  clemenza, 
dandovisi  di  lei  ù  necessarj  e  sì  utili  ammaestramenti.  Fu  esso  scritto 
dal  Tasso  in  Roma  l'  awio  i  >Sf) ,  come  apparisce  da  una  sua  lette- 
ra a  Monsignor  Angelo  Papio ,  nella  quale  parlando  di  cotal  suo 
componimento,  consapevole  della  fatica  duratavi,  non  meno  che 
del  merito  del  lavoro  ,  lo  chiama  non  solamente  ingegnosissimo ,  ma 


O  DELLA  CLEMEINZA  loQ 

ottimo  ;  e  iienrie  poscia  da  lui  dedicato  al  Gran  Duca  di  Toscana 
Ferdinando  Primo  colC  altra  sua  lettera,  che  qui  inunnzi  abbiamo 
posta  . 

INTERLOCUTORi 

ANTONIO  COSTANTINI  ,  TORQUATO  TASSO . 

Jo  era  per  molte  occupazioni  sollecito,  e  per  varie  sol-- 
lecìtudini  occupato  ,  quando  sopraggiungendomi,  qua- 
si air  improvviso ,  il  Signor  Antonio  Costantini  genti- 
luomo di  belle  lettere,  mi  vide  con  un  libro  cbiuso  da- 
vanti, non  in  guisa  d'uomo,  11  quale  sia  intento  alla 
contemplazione  ,  ma  quasi  entrato  in  fiera,  e  spiacevole 
maninconia ,  e  mi  disse  :  Non  so  ,  se  questa  mia  visita  sarà 
importuna  ,  portando  alcun'  impedimento  al  vostro 
studio . 

Tasso.  Non    è  studio  il  mio,   ma  altro  pensiero,  come 
potrete  comprender  dal  libro  serrato. 

Costantini.  Voi  studiate  più  contemplando,  che  leg- 
gendo . 

Tasso.  Io  soleva  contemplar  molto,  e  legger  poco, 
mentre  la  mia  giovanezza  fu  tutta  sottoposta  all'amorose 
leggi;  ma  nell'età  matura,  sperimentata  negli  affanni, 
molto  lessi >  e  poco  io  contemplai:  ora  ne  di  leggere  Lo 
talento,  né  di  contemplare  ,  ma  delle  cose  lette,  e  delle 
contemplate  conservo  quella  medesima  immaginazione, 
eh'  il  vecchio  muro,  già  cadendo,  i  colori  suol  ritenere 
delle  pitture  scolorite,  ed  affummicate  ,•  e  se  talora  leggo 
alcuna  cosa,  il  fo  per  debito  ,  o,  come  dicono,  per  crean- 
za ;  rè  per  altra  cagione  ho  trascorso  questo  libro,,  Delle 
Virtù  de' costumi  ,,  il  quale  è  opera  dei  wSignor  Francesco 
Piccolomini,  che  fu  già  in  Padova  mio  Dottore,  ma  non 
della  moral  filosofìa.  Della  n;ituralc  molte  cose  appresi  da 
lui  nelle  pubbliche  scuole,  le  quali  non  ritengo  più  fer- 
mamente nella  memoria;  e  s'è  lecito  il  dir  la  verità,  nella 
gi'andissima  copia  di  questo  dottissimo  filosofo  ho  rico- 
nosciute alcune  considerazioni  della  mia  fanciullezza  , 
eh'  a  lui  non  ebbi  ardimento  di    palesare;  non  altrimenti 


t4o  il  COSTANTINO 

che  l'acque  del  fiume  si  conoscano  al  colore  ,  ed  al  sapo- 
re ,  in  mezzo  a  quelle  del  mare  ;  perchè  mare  veramente, 
ed  oceano  d'ogni  scienza  sono  i  suoi  scritti,  i  miei  somi- 
gliano un  t)icciol  rivo  ,  o  un  ruscello  chiuso  intorno  di 
verdissi:ui  aranci ,  e  di  cedri,  o  simili  a  quelli,  che  coper- 
ti dall'  ombre  degli  alberi  frondosi,  dividono  i  campi  del- 
la vostra  Lombardia  . 

Costantini.  Nostra  dovevate  dir  piuttosto. 
Tasso.  Io  son'ora  tutto  di  questo  paese,  ov'io  vivo, 
intanto  che  non  lascio  parte  alcuna  di  me  a  quella,  che  fu 
stimata  mia  patria ,  non  eh'  al  paese  ,  o  alle  nazioni  stra- 
niere ;  laonde  a  queste  acque  debbo  trarrai  la  sete ,  la 
quale  non  ho  potuto  estinguere  ne' fonti  dell'  oceano. 

Costantini.  Diqual  sete,  e  di  quai  fonti  volete  ch'io 
intenda  ? 

Tasso.  Chiamo  sete    l'amor  del  sapere, 

che  ni  ha  sì  accso, 

Che  V  opra  è  ritardata  dal  desio. 
E  siami  lecito  usar  insieme  le  parole  di  due  eccellentissi- 
mi poeti;  ma  fonti  dell'oceano  io  chiauiava  i  libri  del 
Piccolomini ,  e  gli  altri  ,  ne' quali  non  ho  mai  imparato 
quel  che  sia  la  Clemenza,  come  non  l'imparai  in  quei 
d'Aristotile;  intendo  de' morali,  perchè  negli  altri,  dove 
s'insegna  a  disputare,  io  non  appresi  di  vivere ,  ma  di 
queslionare:  ora  assai  mi  doglio  che  nel  vivere,  e  nel 
litigare  ho  la  medesima  difficoltà  ,  e  mi  lamento  die  da 
questi  libri  sia  sbandita  la  clemenza,  come  da  quelli  di 
Stobeo  l'amicizia  ;  però  altro  Ciro  io  stimava  necessario 
eh'  in  quella  medesima  giusa  introducesse  la  Clemenza  er- 
rante a  rammariearsi  del  suo  esilio . 

Costantini.  Se  l'equità,  e  la  clemenza  sono  l'istcssa, 
non  è  la  clemenza  sbandita  da'  libri  d'Aristotile. 

Tasso-  Ne' latini  ,  almeno  letti  da  me  ,  non  si  legge  il 
suo  nome ,  o  non  in  tutte  le  traduzioni  ;  ma  io  ora  non 
considero,  se  vagliono  l' istesso  appresso  i  Greci  il  nome  , 
7rpaor>5?,  e  l'altro,  ÌTrirtnny.,  o  pur  óuxXort^S,  o  s'  al- 
tri sono  ,  che  significhino  il  medesi  no,  e  sieno,  come  si 
dice,  sinomini;  ma  ))iutlosto  vo  considerando,  se  Ari- 
stotile abbia  attribuito  Tislcssu,  o  diversa  materia  a  que- 


O  DELLA  CLEMENZA.  i^i 

«te  virtù.  Io  dico  all.i  mansuetudine,   all'  equità,  ed  alla 
Clemenza  ;  perchè  la  prima  pare   occupata    nel    moderar 
l'ira ,  la  quale  è  passione   interna    degli  animi  nostri;  la 
seconda  è  intenta  a  diminuire  il  rigor  d<lla  legge  scritta, 
e  delle  pene  ,  che  sono  cosa  esteriore  ;  laonde  paiono  piut- 
tosto confor(rii  nel  modo,  che  nella  materia;    ma  la  cle- 
menza par  quasi  composta  di  queste  due  ,  siccome  quella  , 
che   dentro,  e  di   fuori  fa  le  sue    operazioni  ,  e  non   par 
contenta  d'  uno  di  questi  officj  solamente.  Oltreciò,  s'io 
brn  considero  ,  all'equità    s'appartiene   aver  riguardo  al- 
Tintenzione  del  legislatore  nelle  cose,  delle  quali  è  scritta 
alcuna  legge,  non  alle   parole  di  quella  ;  ma  la  Clemenza  , 
come  alcuno  estima  ,  ammollisce  gli  animi  di  coloro  ,  che 
hanno  podestà  di  punire  con  qualche  tenerezza  d'affetto, 
e  s' io  non  m'inganno,  in  quelle   cose  ancora  ,  delle  quali 
non  è  scritta  legge  alcuna  ,  perchè  si  volge  intorno  al  me- 
desimo subietto  colla  severità  ,  almendi  lontano,  conside- 
rando ambedue  le  pene;  questa  l'intere,  quella  le  meno- 
mate; ma  la  severità  ,  senza  fallo  ,  apparisce  negli  avveni- 
menti, de'quali  non  furono  scritte  leggi,  come  nel    coman- 
damento di  Torquato,  che  ninno   combattesse   contro  i 
nemici ,  ed  in  quello  di  Doinizio,   il  quale,  avendo  in  Si- 
cilia proibiti  gli  spiedi,  perdi'  erano  arme  da  ladroni  , 
crucifisse  un  pastore, che  coli' istesso  ferro  aveva  ucciso  un 
grandissimo  cinghiale,  e  presentatogliele;  e  nella  morte  di 
Manlio  precipitato  dal  Campidoglio,  dal  quale    avea  cac- 
ciato i  Sennoni,  dando  occasione  alla  legge,  la  quale  dapoi 
fu  scritta  ,  eh' a  niun  patricio  fosse  lecito  d'abitare  in  Cam- 
pidoglio. Nel  medesimo  accidente  nondimeno  ,  prima  che 
si  scrivesse  alcuna  legge ,  poteva  manil'estarsi  la  Clemen- 
za, e  pili  agevolmente  nell' infelice  dono  di  quel  misero 
pastore  ,  o  nel  giovanile  ardimento  di  Torquato. 

Costantini.  Di  tutte  le  cose  oggi  son  fatte  le  leggi ,  e 
delle  caccie  ancora  sono,  in  vece  di  leggi,  i  pubblici  ban- 
di,  e  benché  i  particolari  sieno  infiniti,  tutte  le  materie 
si  riducono  ,  o  si  possono  ridurre  a  capi . 

Tasso  .  Se  ciò  è  fatto  ,  o  se  fosse  possibile  a  farsi  ,  delle 
nostre  leggi  si  farebbe  un'arte  ,  o  una  scienza,  come  par 
fche  disegnasse  Crasso  nelle  dispute  dell' Oratore.  Ma  non 


ìj^T.  11^  COSIANTISO 

eoncedericlomi  voi  che  la  Clemenza  sia  ancora  delle  cose 
uon  iscritte  ,•  mi  concederete  almeno  clie  questa  virtù 
non  sia  più  antica  della  legge  scritta. 

Costantini.  Di  leggieri  ciò  vi  fia  coticedato. 
Tasso.  Fu  dunque  prima  la  legge  scritta,  dapoi  entrò 
nel  mondo  la  disobbedienza,  e  '1  peccato,  ultimamente  la 
Clemenza,  per  temperar  il  soverchio  rigore  della  legge, 
almeno  in  que' particolari ,  che  non  potevano  esser  preve- 
duti ,  perchè  sono  infiniti. 

Costantini.  Cosi  pare  assai  ragionevole. 
Tasso.   Non  è  dunque  la  Clemenza  un'antica  virtù, 
come  la  giustizia  è  nelle  potenze  dell'animo   assai  prima 
che  si  scrivesse  la  legge,  come  stimò  Platone. 

Costantini.  Per  questa  ragione  assai  più  giovane  è  la 
Clemenza,  e  per  conseguente  raen  rigorosa,  laonde  l'una 
si  potrebbe  dipingere  con  aspetto  di  vecchia  severa  e 
terribile,  l'altra  con  piacevoli  sembianti,  come  si  dipinge 
la  giovanezza. 

Tasso.  Se  cotesto  fosse  vero,  la  Clemenza  sarebbe 
umana  virtù,  non  Divina,  perchè  tutte  le  cose  degli  uo- 
mini hanno  avuto  principio  di  tempo,  qual  prima,  qual 
poi . 

Costantini.  Umana,  anzi  umanissima  virtù  è  la  Cle- 
menza, come  stimò  Seneca,  il  qual  disse  che  niuna  virtù 
ei^a  più  umana  di  lei . 

Tasso.  Fox-sc  l'affermò  ,  avendo  riguardo  alla  nostra  in- 
fermità ,  e  debolezza,  dalle  quali  procede  la  misericordia 
similmente . 
Costantini.  Questa  ragione  non  molto  mi  spiace. 
Tasso.  Ma  se  ciò  tosse  vero,  i  più  deboli  sarebbono  i 
più  clementi,  come  i  vecchi ,  e  le  donne,  ed  i  fanciulli. 
Seneca  nondimeno  vuole  che  la  clemenza  convenga  a'  Re, 
oltre  a  tutti  gli  altri,  a' quali  parimente  conviene  la  for- 
tezza . 

Costantini  .  Questa  fu  senza  fallo  la  sua  opinione. 
Tasso.  INIa  i  grandissimi  Re  s'assomigliano  al  Re  de' Re- 
gi; e  nelle  virtù  cercano  di   somigliarlo,    perchè  in  terra 
sono  quasi  simulacri   della  Divinità:  laonde    io  avi-ei  cre- 
duto piuttosto  che  questa  virtù  Ibsse  divina,  e  senza  al- 


O  DELLA  CLEMENZA  l43 

puna  passione  dell'  animo  ;  e  ini  conformava  in  questa 
credeiìza  un  mirabile  silenzio  d' Aristotile,  il  qual  di  lei 
non  volle  ragionare  in  que' libri,  dove  egli  c'insegnò  le 
virtù  morali,  e  civili,  e  dove  fa  tante  distinzioni  della 
giustizia  universale ,  particolare ,  propria  ,  e  per  similitu- 
dine, naturale  e  legittima,  distributiva  e  correttiva;  ma 
non  par  che  tra  queste  conceda  il  suo  luogo  alla  Clemen- 
fsa,  quasi  ella  non  sia  virtù  degli  uomini ,  ma  degl'Iddìi 
piuttosto;  ma  nella  Topica  afferma  cbe  il  forte  e  il  cle^ 
mesite  non  lianno  passione  .  In  questo  errore  similmente 
m' indusse  Plutarco,  grandissimo  filosofo  fra' Peripatetici , 
percioccbè  in  quell'operetta,  ch'egli  scrisse,,  Della  tarda 
vendetta  di  Dio  ,,  si  legge  che  la  mansuetudine, o  la  tolle- 
ranza dell' irgiui  ie  .  è  una  parte  della  Divina  virtù,  colla 
quale  Iddio  ci  dimostra  ,  come  colla  pena  di  pochi ,  molti 
s'emendino,  e  dal  tardo  castigo  molti  siano  corretti,  e 
molti  n' abbiano  giovamento.  Un'altra  parte  ancora,  se 
non  l'istessa,  io  credeva  cbe  fosse  la  Clemenza,  la  quale 
s' umana  fosse,  s'annovererebbe  pera vventura  fra' costu- 
mi, cbe  i  Greci  cliia.iiano,  TrpOTrojS ,  per  la  mutazione 
come  si  legge  di  Cecrope  ,  cbe  dagli  anticln  fu  detto  bi- 
forme, non  perchè  di  buon  re  divenisse  tiranno  crudele, 
imitando  la  natura  del  dragone,  ma  per  essere  prima  stato 
terribile,  e  di  perversa  natura  ,  e  poi  dimostratosi  umano 
nel  regno;  all'incontro  Nerone,  di  clemente  Principe, 
negli  ultimi  anni  dell'Imperio  diventò,  o  almeno  si  manife- 
stò inclementissimo  tiranno. 

Costantini.  E  senza  dubbio  mutazione  ne' costumi 
de' Principi ,  ed  alcuna  volta  in  joeglio,  cioè  dalla  ferità 
nella  clemenza. 

Tasso  .  Dovrebbe  farsi  avanti  gli  abiti  confermati  ;  e  se 
ciò  avvenisse  ,  si  potrebbe  concbiuder  ch'ella  fosse  uma- 
na virtù  ;  ma  io  sono  assai  dubbio  di  questa  conclusione, 
e  il  dubbio  nasce  ancora  per  le  cose  ulti-niamente  dette  da 
noi  ;  cioè  che  la  mutazione  si  faccia  dalla  ferita  neila  cle- 
menza; perchè  ,  s"io  non  sono  errato  ,  le  mutazioni  tutte 
si  fanno  ne' contrai  j . 

Costantini .  Così  insegna  Aristotile. 

Tasso.  Dovendosi  dunque  far  la  mutazione  dalla  ferità 


l44  JI-  COSTANTINO 

nella  Clemenza,  ne  segue  che  l'  una  sia  all'  altra  con- 
traria . 

Costantini  .  Non  mi  pare  inconveniente . 

Tasso.  Dunque  la  Clemenza  è  anzi  Divina  virtù,  per- 
chè alle  cose  ferine  non  s'oppongono  1'  umane,  ma  le  di- 
vine piuttosto,  e  l'umane  paiono  poste  in  mezzo  fra  l'une, 
t;  r altre,  e  quasi  partecipar  degli  estremi  ;  però  l'uomo 
da' Greci  Teologi  fu  assomigliato  al  Centauro,  siccome 
colui ,  che  avendo  insieme  la  ragione,  e  'I  sentimento  .  par 
che  congiunga  la  natura  divina  con  quella  delle  fiere: 
Aristotile  ancora  oppose  alla  ferità  la  virtù  eroica,  la 
quale  egli  chiama  divina'.  Siamo  adunque  fin'  ora  duhhj 
per  molte  ragioni,  se  la  Clemenza  sia  divina ,  o  umana 
virtù;  e  s' ella  è  divina  solamente,  è  scusato  Aristotile, 
perchè  di  lei  non  facesse  menzione,  lasciandola  fra  1'  altre 
forme,  che  sono  nella  mente  divina  ,  e  poco  giovano  al- 
l'umane operazioni,  com'egli  quistionaudo  volle  provare; 
ina  se  per  participazione ,  o  per  imitazione  delle  virtìi  di- 
vine l'uomo  può  divenir  virtuoso,  può  divenir  clemente 
senza  fallo. 

Costantini.  Così  dobbiamo  creder  piuttosto  . 

Tasso.  Alcuno  ,  per  mio  avviso,  divenne  giusto  ,  imi- 
tando la  divina  giustizia,  o  di  lei  participando,  altri  forte 
altri  tollerante ,  altri  temperante,  altri  come  dicemmo, 
mansueto,  altri  coU'istesso  modo  de'suoi  doni,  e  de'  suoi 
guiderdoni  abbondantissimo  donatore  . 

Costantini.  Così  avvenne  senza  fallo  . 

Tasso.  Dunque  nell'istessa  guisa  altri  è  divenuto  ,  o 
potrebbe  divenir  clemente:  ma  se  la  Clemenza  è  sì  fatta, 
dobbiamo  porre  in  Dio  le  virtù  esemplari ,  come  posero 
fra  i  Platonici  Plotino,  e  Macrobio,  e  fra  i  nostri  Teologi 
il  lume,  e  lo  splendore  della  gloria  latina,  e  gli  altri  ,  che 
da' raggi  della  sua  dottrina  furono  illustrati  :  perchè  se 
le  civili  virtù  sono  immagini  delle  divine  ,  questa  ancora 
sarà  una  dell'altro  ;  e  tanto  l'immagine  sarà  più  bella, 
quanto  fic  più  simile  all'Idea  ,  o  all'esempio,  che  vogUam 
chiamarlo.  Presupponiamo  dunque  che  sia  civile  e  mo- 
ral  virtù ,  imparata  per  imitazione  delle  divine ,  com  e  vuol 
Plutarco,  e  prima  Giuseppe  Ebreo. 


Costantini  .  Come  vi  pare  . 

Tasso.  Ma  facendola  civile  ed  umana  virtù,  fa  me- 
stieri che  se  le  opponga  un  viz.io ,  che  sia  parimente 
umano,  come  la  crudeltà,  si  veramente^  che  1'  uomo  per 
vizio  non  paia  aver  mutata  natura,  e  convertito  in  fiera, 
come  si  legye  di  Ezzelino  ,  e  d'altri  tiranni  . 

CuSlAN'J  IM  .  Intendo . 

Tasso.  Abbiamo  dunque  fin'  ora  trovato  eh'  ella  sia 
umana  virtù;  cerchiamo  l'altre  quasi  forme  di  questo  ge- 
nere; e  voi,  che  sapete  tutte  le  cose  a  mente,  dite  quel 
che  vi  sovviene. 

Costantini.  La  definì,  sebbene  mi  rammento,  Marco 
Tullio  prima  ,  e  Seneca  dapoi. 

Tasso.  Cominciamo  dalla  prima  definizione. 

Costantini  .  La  Clemenza  e  virtù,  per  la  quale 
l' animo  concitato  nelV  odio ,  dalV  altrui  benignila  è  ri- 
tenuto. 

Tasso.  Se  l'animo  è  concitalo,  la  virtù  non  ha  mode- 
rate le  sue  passioni. 

Costantini.  Il  concedo. 

Tasso.  Dunque  non  è  virtù  confermata  ,  ma  continen- 
za piuttosto. 

Costantini  .  Ne  questo  niego . 

Tasso.  Concedetemi  adunque  che  s'ingannasse  Ari- 
stotile ,  a  cui  non  piacque  che  la  continenza  fosse  genere 
della  Clemenza  ,  o  Marco  Tullio. 

Costantini.  E  verisimile  che  Marco  Tullio  piuttosto 
j)rendesse  errore . 

Tasso.  Ma  consideriamo,  dico,  se  l'odio  conviene  a 
ciascuno,  che  sia  Clemente:  se  non  può  essere  Clemenza 
senza  odio,  né  senza  concitazione, per  così  dire  ,non  fu  cle- 
mente Pisistrato,  il  quale  non  solo  non  odiò,  ma  non  fece 
segno  d'adirarsi;  non  Licurgo,  il  quale  accecato  dal  ba- 
stone, non  si  mosse  ad  alcuno  sdegno  ;  ne  clementi  sono  i 
padri,  o  mariti,  se  prima  non  sono  commossi  ad  odio  . 

Costantini.  Questa  è  definizione,  clte  diede  Cicerone 
come  retore;  forse  più  vi  piaceranno  le  altre  di  Seneca, 
che  ne  ragiona  come  filosofo,  e  questa  fra  le  sue  è  la  pri- 
ma :  La  Clemenza  è  una  temperanza  dell'  anima  nella 
Dialogìd  T.  HI.  -nj 


l46  IL  COSTANTINO 

podestà  del  vendicarsi^  ovsevo ,    Una  piacevolezza  del 
superiore  verso  U  inferiore  nel  costituir  le  pene  . 

Tasso.  Meglio  disse  cbi  la  chiamò  temperanza:  ma 
Seneca  nondimeno  parve  dubbio  del  quid  est,  poiché  una 
volta  assegnò  per  genere  la  temperanza  ,  l'altr.i  la  piace- 
volezza, quantunque  la  prima  abbia  per  soggetto  il  piace- 
re, la  seconda  i  piacevoli  r.igionamenli. 

Costantini.  Non  volle  forse  intendere  della  particolar 
temperanza,  la  quale  ha  particolar  soggetto;  ma  dell'uni- 
versale, di  cui  parla  Platone. 

Tasso.  Di  leggieri  il  vi  concedo;  ma  non  vi  concederei 
egualmente  che  due  generi  dovessero  addursi  d'una  sola 
definizione. 

Costantini.  Udite  quel  ch'egli  soggiunge:  E  più,  si- 
cura cosa  mettervi  davanti  molte  de  finizioni, perchè  una 
sola  definizione  non  la  comprenderebbe  interamente  ; 
laonde  può  esser  detta:  una  inclinazione  delV animo  al- 
la piacevolezza  nel  riscuoter  le  pene. 

Tasso.  Di  cosa  certa  e  stabile,  com'è  la  clemenza  ,  in- 
certa e  mutabile  è  l'ultima  definizione:  laonde  Seneca  mi 
par  quasi  pentito  di  chiamarla  virtù,  e  d'averle  tatti»  tan- 
to onore,  però  dubita  s'ella  sia  tale,  come  dubitò  S. 
Tommaso;  ma  le  inclinazioni  precedono  gli  abiti,  e  l'in- 
clinazioni sono  niìtiirali,  e  gli  abiti  sono  morali:  e  fra  que- 
sti io  riporrci  piuttosto  la  Clemenza;  perchè  nell'uomo  si 
ricerca  il  costume  confermato;  nelle  fiere  sogliamo  cercar 
le  inclinazioni  o  gì' instinti ,  come  ne' leoni  e  negli  elefmti, 
della  cui  clemenza  Plinio  scrive  molte  cose,  e  particolar- 
mente che  nelle  solitudini  insegnano  la  strada  agli  uomi- 
ni, che  loro  si  fanno  all'incontro.  Laonde  non  altriiuenti 
questi  medesimi  animali ,  per  timore  dell'insidie,  si  fer- 
mano a  considerare  il  vestigio  umano  impresso  nell'arena, 
e  rivolgono  indietro  tutta  la  schiera  ,  che  io  mi  fermi  a 
considerare  il  vestigio  umano  impresso  nel  sentimento,  né 
vorrei  ingannarmi:  ma  per  quel  che  me  ne  paia,  questa 
impressione  è  così  ferma ,  che  non  può  esser  detta  incli- 
nazione . 

CoSTANJTNI.   Seneca  pone  molti;  di-finizioni ,  perchè  da 
tutte  apprendiamo  quel  che  sia  la  Clemenza . 


O  DELLA  CLEMENZA  ì^-J 

Tasso.  Quasi  non  basti  una  sola. 

Costantini.  Ha  forse  diversi  rispi  tti,  ora  al  fine,  ora, 
uUa  materia  ,  ora  alla  forma  . 

Tasso.  Poteva  nondimeno  raccoc;lier  tutte  le  cause  in 
una  sola  definizione  ,  conìe  fanno  coloro  ,  che  non  si  con- 
tentano di  quella  ,  la  quale  constai  ex  genere,  et  differen- 
tìis  :  ma  al  Logico  peravventura  basta  .  cli'ella  sia  tale;  il 
Fisico  vi  cerca  la  materia  appresso;  il  Morale,  se  io  non 
.'n'inganno,  ba  prìncipal  riguardo  alla  forma  ed  al  fine, 
del  quale  io  sono  più  sollecito,  che  di  niiin' altra  cagione; 
perchè  mi  sovviene  di  aver  Ietto  In  Aristotile,  che  la  de- 
finizione dee  esser  dirizzata  all'ottimo.  Consideriamo  dun- 
que qual  sia  in  questa  definizione  la  causa  finale,  per  ra- 
gionare in  quel  modo ,  che  i  nostri  filosofi  sono  usi  di  fa- 
vellare. 

Costantini.  In  queste  ullime  tre  io  veggio  il  medesimo 
fine,  cioè  di  costituire  la  pena  ,  o  di  riscuoter  la  pena. 

Tasso  .  Ma  questo  fine  pare  a  voi  ottimo,  Signor  Co- 
stantino ? 

Costantini  .  Ottima  cosa  è  che  gli  scelerati  abbiano 
supplicio ,  e  gì' infelici  per  uien  gl'ave  orrore  men  grave- 
mente sieno  puniti. 

Tasso.  Non  ottima  è  per  mio  parere,  ma  necessaria; 
l'ottima  cercheremo  poi,  come  abbiamo  considerate  tutte 
l'altre  definizioni.  Eccene  alcun' altra? 

Costantini. Questa.  La  Clemenza  è  moderazione,  che 
rilascia  alcuna  cosa  della  debita  pena,  hi  quale  par  con- 
dannata da  lui  medesimo,  perchè  fa  meno  del  debito. 

Tasso.  Se  la  pena  era  debita  ,  la  virti'i  dee  riscuoter 
questo  debito  interamente. 

Costantini.  Così  pare  che  voglia  conchiudere:  ma 
tutti  intendono  quel  clie  soggiunge  il  medesimo  autore; 
La  clemenza  è  quella,  che  si  piega  intorno  a  ciò,  che 
meritamente  puì)  costituirsi . 

Tasso.  Io  credeva  che  questa  Clemenza  degli  Stoici 
fosse  più  rigida,  e  simile  al  collo  de' leoni,  ed  a  quel  delle 
statue,  il  quale  non  può  in  modo  alcuno  piegarsi;  ma  poi- 
ché ella  si  torce  in  qualche  modo,  è  somigliante  a  quella 
regola  di   Lesbo ,  della    quale  parla    Aristotile    nella   sua 


l48  IL  COSTA  IVTIXO 

Etica  ;  ina  rioercliiaino  se  nell'altre   cose  Aristotile  a  Se- 
neca sia  conforine. 

Costantini.  Già   avete  detto    che   Aristotile  non    fa 
menzione  della  Clemenza  nelle  Morali. 

Tasso .  Non  sotto   questo  nome,  ma  sotto    l'altro    d'e- 
quità. 

Costantini.  Sono  adunque  listessa. 
Tasso.  A  ciò  penseremo  poi;  ora  udite  quel  ch'egli 
scrive  dell'  equità .  V  equità  ,  e  l' nonio  ,  in  cui  sia  questa, 
i'irtii,  (}  colui ,  il  quale  dimiìudsce  le  cose  giuste ,  descrit^ 
te  dalle  leggi ,  ma  noti  tutte  le  cose  giuste  ;  perchè  non 
diminuisce  quelle.,  che  sono  giuste  veramente  per  naturo y 
via  le  tralasciate  dal  legislatore ,  che  non  può  esamina- 
re interamente  tutti  i  particolari .  Dalle  quali  parole  io 
comprendo  che  l'equità  diminuisce  le  pene,  die  pene  so- 
no le  cose  giuste  imposte  dal  legislatore ,  che  non  ha  pota- 
to antivedere  tutti  i  casi,  che  fanno  degno  di  perdono  ii 
trasgressore  delle  sue  leggi:  a  questo  fine  dunque  riguar- 
da questa  virtù  ,  al  quale  non  ha  potuto  giunger  l'acuta 
vista  del  legislatore;  ed  in  ciò  non  sono  Aristotile  e  Sene- 
ca molto  differenti. 

Costantini.  Se  due  gran  maestri  sono  concordi ,  non 
possiamo  errare. 

Tasso.  Ma  concorda  seco  Aristotile  nella  Topica,  di- 
cendo ch'ella  è  diminuzione  delle  cose  giuste  e  delle  lUtili, 
cioè  delle  pene  imposte  dal  legislatore,  come  interpretò 
S.  Tommaso^  dicendo  che  la  Clemenza  è  moderatrice  delle 
pene,  la  mansuetudine  è  moderatrice  dell'ira. 

Costantini.  Da' suoi  detti  si  può  ritrarre  non  solo 
quel  clie  sia  la  Clemenza,  ma  in  quel  che  sia  diversa  dalla 
numsut  tiuhne. 

Tasso.  J\on  è  questa  sola  la  differenza,  se  vogliamo  con 
gli  scolastici  fdosofare  ;  ma  vi  si  aggiunge  che  la  Clemen- 
za e  del  superiore  all'inferiore,  la  mansuetudine  di  cia- 
scuno verso  ciascuno;  ina  non  è  cosi  agevole  il  distingue- 
re tra  la  Clemenza  e  l'equità,  anzi  alcuni  degl'interpreti 
l'hanno  usate  come  voci  sinonime;  ed  io  porto  la  medesi- 
ma Opinione,  fondata  quasi  in  saUissitna  pietra  ,  in  quella 


O  DELLA  CLEMENZA  i^g 

notissima  proposizione,  la  quale  non  ha  bisogno  di  prova , 
ma  serve  a  provar  l'altre. 

Costantini.  Aspetto  di  udirla. 

Tasso  .  E  questa .  Le  cose ,  le  quali  son  le  medesime  ad 
iin  terzo,  sono  le  medesime  fra  loro  ;  il  terzo  è  la  diminu- 
zione delle  pene;  le  cose  ,  le  quali  sono  l'istesse  col  terzo  , 
sono  l'equità, e  la  Clemenza  j  laonde  in  questa  guisa  si  po- 
trebbe fare  la  dimostrazione.  La  Clemenza  è  diminuzione 
delle  pene  :  la  .diminuzione  delle  pene  è  equità:  adun- 
que la  Clemenza  è  equità  .  Volete  contradire? 

Costantini.  Io  contradirei  coli' autorità  de'  teologi, 
se  ella  fosse  contraria  alla  vostra  ragione. 

Tasso.  Alle  macchine  dell'  autorità  sacrai  non  possono 
star  saldi  i  fondamenti  dell'  umana  ragione  :  ma  non  ci 
mettiamo  a  questo  pericolo,  potendo  trattar  di  pace  :  e  la 
pace  fie  questa;  che  sieno  il  medesimo  non  di  numero,  ne 
di  specie  (  parlo  delle  specialissime)  ;  ma  di  genere  e  di 
proporzione . 

Costantini.  Mi  par  d'  intendere  i  capitoli  dell'  ac- 
èordo . 

Tasso.  Ma  s'ella  fie  l'istessa  di  genere  ,  fa  mestieri  che 
hoi  troviamo  la  differenza ,  o  le  differenze ,  per  le  quali 
sian  diverse  l'equità  e  la  Clemenza. 

Costantini.  Senza  tallo. 

Tasso.  Ma  temo  che  i  Peripatetici  non  se  ne  richia- 
mino ad  Aristotile,  se  io  dirò  che  la  Clemenza  sia  con 
dolcezza  d'affetto,  e  l'equità  senza  questa  tenerezza;  pe- 
rocché non  vuole  Aristotile  clie  nel  clemente  sia  alcuna 
passione,  come  abbiamo  detto,  e  se  ella  pur  vi  fosse,  con- 
verrebbe la  dolcezza  dell'affetto  al  clemente,  piuttosto 
per  accidente ,  che  in  altra  guisa;  diremo  dunque,  come 
dicemmo,  o  piuttosto  che  siano  l'istessa  virtti  per  analo- 
gia o  proporzione,  come  è  definito,  perchè  tale  è  la  Cle- 
menza verSo  la  severità  ,  quale  verso  la  giustizia  legittima 
si  dimostra  l'equità.  Ma  torniamo  a' Peripatetici,  ed  agli 
Stoici,  co' quali  nelle  contese  letterate  possiamo  adoperare 
il  nostro  ingegno,  provando,  e  riprovando,  e  conseutetido 
d'  essere  approvati;,  e  riprovati. 

Costantini.  Torniàm  senza  iudusio. 


l5o  IT.  COSTA NTIiVO 

Tasso  .  Ln  giustizia  è  virtù  conveniente  al  Legislato- 
re neir  impone  lo  pene  ,  e  i  premj . 

Costantini.  Cosi  mi  pare. 

Tasso  .  Ma  l'equiliì  non  tanto  gli  appartiene,  né  la 
Clemenza,  s'ella  è  la  medesima. 

Costantini  .  E  questo  aurora  vi  concedo. 

Tasso.  A  chi  dunque  s'appirtient?? 

Costantini.  Al  Re,  coaie  dice  Seneca  ;  e  ciò  volle 
insegnare  la  natuiM,  fingendo  il  Re  dell'api  senza  l'aculeo  r 

Tasso.  Ma  se  l'equità  è  una  virtù,  che  sta  sopra  la 
giustizia  ,  come  suona  il  nome  greco  éVfttxfia,  il  Re  an- 
cora dovrebbe  esser  soprapposto  al  Legislatore  j  nondi- 
meno i  Re,  ed  i  Legislatori  furono  i  medesimi. 

Costantini.  Alcuna  volta  sono  stali  i  medesimi  come 
negli  antichissimi  secoli  Minos,  Licurgo,  Numa  ,  e  da  tem- 
pi men  remoti  Giustiniano,  ed  i  Re  Longobardi:  alcuna 
volta  i  Legislatori  non  sono  stati  Re,  come  non  lurono 
Mosè  ,  Solone  ,  Caronda  ,  Paolo  ,  Servio  ,  Muzio  ,  e  gli  al- 
tri anticlii  Giurisconsulti ,  li  quali  a  guisa  d'oracoli,  da- 
vano le  risposte. 

Tasso.  Possono  duixjue  esser  distinti  questi  officj ,  e 
queste  persone  di  Re,  e  di  Legislatore. 

CoSTANTIM.  Possono  senza  fallo. 

Tasso.  Sarebbe  aduncjuc  ragionevole  che  le  virtù  an™- 
cora  fussino  distinte,  e  che  l' una  non  fosse  come  parte 
dell'altra  ,  ma  come  una  regola  superiore  ,  che  dirizzasse 
le  nostre  umane  azioni ,  e  quelle  de' Re  principalmente. 

Costantini.  Distinguetele,  se  vi  pare  ;  ed  assegnatele 
coinè  giudicate  il  meglio. 

Tasso.  Dirò  dunque  che  la  giustizia  è  virtù  propria 
del  Legislatore,  e  l'equità  è  virtù  propria  di;!  Re,  e  del 
giudice,  quasi 'vma  miglior  giustizia;  o  piuttosto  che  la 
giustizia  è  virtù  conlune  ,  pei-chc  ciascuno  di  lei  partici- 
pa  ,  come  della  vergogna;  ma  la  Clemenza  e  virtù  propria 
del  Re  ,  e  del  Principe  • 

Costantini.  Così  mi  pare  più  ragionevole. 

Tasso.  Ma  s'ella  è  virtù  del  Principe,  non  dovrebbe 
esser  meno  alta  ,  o  inferiore  all'  altra;  la  cpiale  abbiamo 
già  detto  esser  virtù  comune  . 


O  DELLA  CLEMENZA  l5l 

Costantini.  Non  per  questa  ragione. 

Tasso.  Ma  sarebbe  la  clemenza  virtù  inferiore  ,  e  nieii 
nobile  e  generosa  ,  se  a  lei  si  convenisse  diminuir  solamen- 
te 1^  rigidezza  delle  pene,  e  la  giustizia  sola  dovesse  con- 
cedere i  premj. 

Costantini.  Così  mi  pare. 

Tasso.  Ed  oltreciò  sarebbe  men  libera  nelle  operazio- 
ni: perchè  l'operazione  del  premiare  è  volontaria,  ma 
quella  del  punire  non  procede  assolutamente  dalla  volon- 
tà, ma  è  quasi  necessaria,  e  deverebbe  esser  piuttosto  il 
contrario  ;  perchè  la  clemenza  ,  come  dice  Seneca  ,  lia  il 
libero  arbitrio,  quale  dee  piuttosto  usare  nel  guiderdone, 
che  nel  castigo. 

Costantini.  Tutto  quel  che  voi  dite,  stimo  assai 
vero,  ed  assai  ragionevole,  e  basta  che  voi  l'abbiate 
detto . 

Tasso.  Coloro  adunque,  che  lianno  attribuita  a' Prìn- 
cipi l'operazione  solamente  del  punire,  ed  a' Legislatori  , 
ed  a'r.^Mdici  quella  del  premiare,  non  hanno  avuto  riguar- 
do molto  al  decoro  de' Principi,  ed  alla  natura  delle  cose. 
Che  ne  dite  Signor  Antonio? 

Costantini  .  L' istesso . 

Tasso.  Consideriamo  dunque  di  nuovo  la  cosa  medesi- 
ma. La  Clemenza  è  virtù  propria  di  Principe. 

Costantini  .  È  senza  dubbio . 

Tasso.  Ed  a' Principi  più  conviene  dare  i  premj ,  che 
le  pene  ,  come  insegnò  Aristotile  medesimo  nella  Politica  ; 
e  come  disse  il  Consigliero  in  quei  versi  del  mio  Toni- 
ismondo  : 

Dura  condizione ,  e  dura  legge 

Di  tutti  noi ,  die  siain  ministri,  e  servi . 

A  noi  quanto  di  grave  è  quaggiù,,  e  d' aspro, 

Tuttofar  si  conviene ,  e  diani  sovente 

Noi  severe  sentenze ,  e  pene  acerbe  . 

Il  diletto  ,  e  il  piacer  serbano  i  Regi 

A  se  niedesnii ,  e  il  far  le  grazie ,  e  i  doni . 

Costantini.  Furono  parole  di  savio  consigliero  . 

Tasso.  Alla  Clemenza  dunque  più  s'appartiene  l'accre- 
scere i  premj,  che  il  diminuire  lo  pene. 


1 5a  IL  COSTANTINO 

Costantini.  Così  stimo . 

Tasso  .  E  se  io  non  avrò  ardimento  di  ai'fermare  eh'  ei- 
la  sia  una  miglior  giustizia,  come  l'equità,  o  superiore 
alla  giustizia,  almeno  non  dubiterò  di  esser  riprovato,  di- 
cendo eh'  ella  sia  virtù  secondo  alcuna  considerazione 
principalissima ,  o  come  dicono,  secundum  cjuid;  perchè 
niun'altra  tu  l'operazioni  de' Principi  più  grate,  e  più  ac- 
cettevoli  a  quel  sovrano  Principe  ,  al  quale  obbediscono 
tutte  le  podestà;  e  ninna  gli  fa  a  lui  più  somiglianti ,  e 
niuna  più  stabilisce  V  altissima  sedia  reale  . 

Costantini.  Credo. 

Tasso.  Sarà  dunque  la  Clemenza  definita  in  un  altro 
modo  ,  non  col  genere  peggiore,  ma  col  più  nobile,  come 
insegna  Aristotile  nella  Topica  :  La  Clemenza  è  un  accre- 
scimento della  cose  utili ,  e  giuste,  come  de' doni  y  e  del 
guiderdone  ,  e  della  mercede  meritata  ;  perciocché  ,  po- 
tendo ella  far  l'uno,  e  l'altro  effetto,  da  questo  princi- 
palmente dovrebbe  essere  determinata.  £  ciò  non  mi  con- 
cedete ? 

Costantini.  Similmente^ 

Tasso.  Ma  temo  cLe  la  Clemenza  non  vi  paia  virtù; 
perciocché  la  virtù  è  nella  mediocrità,  ma  l'accrescimen- 
to, e  la  diminuzione  è  coU'eccesso,  e  col  difetto. 

Costantini.  L'  uno ,  e  lalti-o  congiunto  col  vizio. 

Tasso.  Tutta  volta  la  cosa  sta  altrimenti  ;  perchè  que- 
sta virtù  accrescendo  il  poco,  e  scemando  il  soverchio  ,  la 
riduce  a  mediocrità  . 

CosiAlNTlNl.  Bella  in  vero,  e  nuova  e  la  definizione  ;  e 
se  non  sono  errato,  molto  vera,  e  non  meno  ingegnosa. 

Tasso.  Ma  se  fosse  lecito  di  addii  re  molte  definizioni , 
o  di  raccogliere  in  questa  tutte  le  c.igioni  ,  si  potrebbe 
dire:  Che  la  Clemenza  fosse  una  magnanimità  del  per- 
donar l' nigi  urte  ,  o\\  aro:  un  altezza  d'animo  dimo- 
strata nel  jH-.r dono ,  colla  quale  i  Principi ,  accrescendo 
i  prenij  e  i  doid ,  s  acquistano  la  bene\^olenza.  E  questo 
è    r ottimo  fine. 

Costantini.  Nulla  conosco  che  manchi  a  questa  defi- 
nizione ,  so  non  l'autorità  de' Principi ,  che  abbiano  col- 
l'csempio  dimostrala  esser  questa  la  vera  Clemenza. j 


O  DELLA  CLEMENZA  l53 

Tasso.  Non  è  mamviglici  che  gli  esempi  sian  rari, 
poiclic  rara  è  la  virtù;  ma  di  quell'altra,  clie  si  può  di- 
re ordinaria,  e  quasi  da  giudice,  molti  se  ne  troveri  !>- 
bone . 

Costantini.  Or  ragioniamo  della  real  Clemenza,  e  di 
coloro  che  regiamente  sono  clementi;  de'quali  si  potreb- 
be dire  : 

Pochi  eran ,  perchè  rara  è  vera  gloria  : 
Ma  ciascuno  per  sé  parca  ben  degno 
Di  poema  dignissinio  ,  e  d'  istoria. 
Tasso.  Non  furono  a  Patroclo  tanto  convenevoli  Tarmi, 
e  gli  ornamenti  d'Acliille,  ed  i  cavalli,  e   il  carro,  quanto 
a' clementi  la  gloria  di  questi  leggiadrissimi   versi;  ma  ri- 
cerchiamo quai  sono ,  e   fra  i  primi  ci  si  fa  incontro   Fi- 
lippo. 

Costantini.  Bello  ,  e  reale  incontro  veramente. 
Tasso.  Scrivesi  di  Filippo,  che  veggendo  nel  suo  regno 
di  Macedonia  Arcadio,  il  quale  aspramente  lo  malediceva, 
benché  gli  altri   i!  consigliassero  a    castigarlo  ,  egli  volle 
che  riportasse,  in  vece  del  supplicio,  i  doni  del  forestiere, 
o  come  dicono,  ospitali.  Facendo  poi  ricercare,  qual  faina 
spargesse  fra  Greci ,  tutti  fecero  testimonianza  che  di  lui 
era  divenuto  mirabil  laudatore;  laonde  disse  ugli  amici:  Io 
sono  miglior  medico  di  questa  infermità .  Potrei  riporre 
fra' doni  della  Clemenza  quelli  mandati  da  Maga  a  Plemt-- 
«e  il  comico,  se  il  dono  d'una  palla  ,  e  d'alcuni  dadi  n<  a 
convenissero  a' fanciulli  piuttosto  che  a' poeti;  e  dogliomi 
che  dopo  Filippo  io  non  rincontri  Alessando  suo  figliuolo, 
il  quale  a  Culistene,  ed  a  dito  crudele  si  dimostrò,  vjepià 
che  a  magnanimo  Re  non  era  conveniente:  ma  l'umanità 
usata  a  Poro  Re  degl'Indiani,  trattandolo  regiamente,  si 
può  annoverare  fra  le  azioni  di  clemenza,  perchè  tutte  le 
cose  ne' trattamenti  reali  sono  contenute.  La  medesima  al- 
tezza d'animo   recò   a   simil  benignità  Filippo  Maria  Vi- 
sconte,  nella  prigionia    d'Alfonso   d'Aragona;   e    Carlo 
Quinto  Imperadore,  in  quella  di  Francesco  Re  di  Francia. 
Il  contrario  esempio  della    barbara   ferità,   usata    ne' Re 
prigionieri,  dimostrò  il  Tamerlano  vittorioso,  nella  perso- 
na del  gran  Turco,  la  cui  crudeltà  fu  dallo  giustizia  del 


l54  IL  COSTANTINO 

éselo  rigidamente  vendicata.  Ma  tori)iamo  ad  Alessandro  , 
di  cui  l'ira  diminuì  la  gloria: 

E  IJe  minore  in  parte  che  Filippo, 
cj nasi  trasportandolo  fuor  di  sua  natura  benigna;  però  fu 
clemenza  degli  scrittori  il  diminuir  quella  infamia^clie  per 
la  morte  d'un  filosofo ,  quasi  debita  pena  ,  gli  era  dovuta. 

Costantini.  Al  magnanimo  Re  fu  perawentura  lun- 
ghissima pena  d'un  breve  furore  il  dolor  della  penitenza  . 

TAsSO  .  Or  passiamo  a' Romani,  e  consideriamo  insieme 
la  liberalità,  la  quale  dovrebbe  esser  compagna  della  Cle- 
menza, come  dice  Valerio  Massimo.  Paolo  Enilio  sollevò 
Persa  ,  e  l'onorò  ad  un'istessa  mensa;  Pompeo  ripose  il 
diadema  a  Tigrane  ;  Cesare  donò  molti  regni,  ma  alcuni 
con  diminuzione,  come  quello  che  restituì  a  Deiotaro,  e 
bencb'egli  titolo  di  clemeutissimrt  meritasse,  e  verso  mol- 
ti si  mostrasse  di  pietosa  liberalità  pieno,  in  questa  sua 
azione  nondimeno  la  sua  clemenza  non  fu  perawentura 
perfetta.  Perfetta  in  ciascuna  parte  fu  quella  d'Augusto 
verso  Erode,  Re  de' Giudei,  il  quale  aveva  seguito  Anto- 
nio nella  battaglia  navale,  perche  l'altezza  dell' animo  ^ 
dimostrata  dal  Re,  nella  sua  orazione ,  fu  quasi  eguale  a 
quella  d'Augusto  nella  restituzione  del  Regno,  con  accre- 
scimento di  podestà  e  d'onore ,  come  racconta  Giuseppe 
Ebreo;  ma  non  fu  allora  solamente  maravigliosa  la  clejnen- 
/a  d'  Augusto. 

Costantini  .  Basta  forse  questo  esempio  a  dimostrar  la 
sua  cle'menza. 

Tasso.  Memorabilissimo  nondimeno,  oltre  a  tutti  gli 
altri,  è  quello,  che  narra  vSeneca ,  benché  egli  fosse  mosso 
diill'onesto  consiglio  di  Livia  sua  moglie. 

Costantini.  Le  donne  adunque  ebbero  gran  parte  nel- 
la suprema  laude  di  Cesare. 

Tasso.  Così  avvenne;  laonde  possiamo  conoscer  quan- 
to sia  falsa  1'  opinione  di  coloro,  che  biasimano  i  consigli 
delle  donne;  ma  le  circostanze  dc^ll'azione  voi  le  sapete, 
però  è  soverchio  il  narrarle;  nondimeno  la  grandezza  del 
fatto  m'invaghisce,  in  un  certo  modo,  e  mi  trasporta  a 
ragionarne  .  Era  L.  Ciuna  sospetto  d'  aver  congiurato 
contra   Cesare,  già    maturo   d'età,   già   solo  nell'lmpc- 


o  DEU-A  cle;menza  i55 

rio  ,   già   Imperadore   del   inondo  placato ,  e  da  lui  con- 
servato, perciocché  tutto  il  sangue  civile  fu  sparso,  men-^ 
tre  la  potenza  era   divisa  fra  tre   Principi;  ma  poiché  Hi 
congiunta  in   Ottaviano,  non  contaminò  stilla  di  sangue 
r  aitissima  fama,  e  la  clemenza  del  glorioso  Imperadore^ 
laonde,  quanto  parca  maggiore   la  pazzia  del  giovane  in- 
considerato, e  quasi  convinto,  tanto  più  fu  lodevole  l'a- 
xione  d'Augusto.  Data  dunque  a  ciascuno  licenza  della  sua 
camera  ,  fece  chiamar  Cinna  solamente, e  comandò  che  gli 
fosse  data  un'altra  sedia:  Questo  (disse)  io  prima  diman- 
do a  tGy  che  tu  noti  interrompa  le  mie  parole ,  e  che  non 
gridi  in  mezzo  al  mio  ragionamento ,  percfiè  avrai  altro 
tempo  Ubero  da  ragionare .  Io ,  Cinna,  avendoti  trovato 
nelV  esercito,  e  negli  alloggiamenti  degli  avversarj ,  non, 
sol  fatto  mio  nemico,  ma  nato,  ti  salvai  concedendoti 
tutto  il  patrimonio  ;  oggi  sei  tanto  ricco  e  tanto  felice^ 
che  i  vincitori  portano  invidia  al  vinto:  ti  diedi  il  sacer- 
dozio che  mi  dimandavi ,  preponendoti  a  molti  ,  i  padri 
de' quali  avevano  già  sotto  me  militato  ;  essendo  io  così  di 
te  benemerito,  deliberasti  di  uccidermi .  Gridando  Cinna  a 
a  questa  voce ,  che  egli  non  era  così  pazzo:  Non  mi  osser- 
vi (d\s$e)  la  fede,  o  Cinna ,  perchè  siamo  rimasi  d'ac- 
cordo che  tu   non  mi  disturberai  nel  ragionare:  ti  vai 
apparecchiando  per  darmi  la  morte  ;  aggiunse  il  luogo  , 
i  compagni,  il  dì,  l'ordine  dell'insidie,  e  la  persona,  a   cui 
aveva  confidate  le  armi:  e  vedendolo   trafitto,  ed  omai  ta- 
cito, non  per  patto  solamente  ,  ma  per  coscienza  ,  soggiun- 
se :  Con  qual  animo  ciò  fai?  per  esser  tu  Principe?  Male 
sta  la  Repubblica ,  se  io  solo  ti  sono  d' impedimento  al 
signoreggiare  ;  non  puoi  difender  la  propria  casa  ■  fosti 
dianzi  superato  in  giudizio  dal  favor  di  un  uomo  igno- 
bile ,  e  nato  di  un  servo  :  in  guisa  stimi  facil  cosa  V  esse- 
re avvocato  contra  Cesare ,  che  non  puoi  farne  alcun  al- 
tra pili  agevolmente  ?  Cedo ,  se  io   solo  impedisco  le  tue 
speranze  .  Paolo  forse ,  e  Fabio  Massimo  ,  ed  i  Cossi ,  ed 
i  Servii]  ti  sopporteranno?  e  tanta  schiera  di  nobili ,  che 
non  si  mettono  avanti  titoli  e  nomi  vani;  ma  sono  orna- 
mento ed   onore  alle  immagini  de'  lor  maggiori?  In  que-r 
sto   modo,  com  è  scritto,  ragionò  seco    più  di  due  ore, 


l56  ÌL  COSTANTlXa 

prolungando,  col  r.igionire,  qupstEi  pena  ,  rlella  quale  sola 
crii  contento:  Ti  do  Ci /ina  la  i'ita,  e  la  ti  <5^o(  disse) 
uìi  altra  volta ,  prima  al  nemico,  ora  all'  insidiatore,  ed 
al  parricida .  Cominci  da  questo  giorno  fra  noi  V  amici- 
zia; contendiamo  di  fede,  iontl  darti  la  \'ita,  e  tu  nell'es- 
sere di  lei  debitore.  T)à\iOÌ  spontaneamente  gli  diede  il  Con- 
solato, lamentandosi  che  non  avesse  ardimento  di  chieder- 
lo ;  e  l'ebbe  sempre  amicissi.no  e  fedelissimo  ;  egli  fu  solo 
suo  erede;  né  più  da  alcun'altro  fu  insidiato:  ecco  il  fine 
della  Cleiiienza. 

CoSTANTlNr,  Maraviglioso  avvenimento  avete  narrato; 
e  con  maravigliose  pai'ole  postomi  quasi  avanti  agli  oc- 
chi Cesare  e  Cinna  ,-  e  vi  lamentate  di  non  aver  memoria  ? 
Tasso.  È  maraviglia  ancora  che  io  di  queste  poche  pa- 
role di  Seneca  ,  alle  quali  spesso  vo  ripensando  ,  mi  sia  ri- 
cordato; e  quanto  più  vi  ripenso,  tanto  trovo  maggior  oc- 
casione di  dubitare . 

Costantini.  Io  credeva  che  la  Clemenza  d'Augusto' 
potesse  scacciare  ogni  dubi>io,  e  confermare  la  vostra  opi- 
nione, perchè  dalle  cose  già  dette  si  può  conchiudere  che 
Cesare  scemò  la  pima  debita  a  Cinna ,  almeno  di  timore  , 
potendolo  teuiir  dubbii.)  della  vita  un  anno,  o  un  mese  ,  o 
uii  giorno  ,  e  si  contentò  di  due  ore  solamente ,  con  tanto 
favore  di  colui,  che  in  questa  guisa  era  punito,  colla  ver- 
gigna  di  ascoltare  la  sua  colpa  dalla  bocca  dell' Imperado- 
re:  accrebbe  ancora  la  clemenza  ,  dandogli  il  Consolato,  e 
molto  pii'i  ricevendolo  in  amicizia  . 

Tasso.  Cotesto  è  vero  senza  fallo,  e  per  vostra  cortesia, 
detto  in  confermazione  del  mio  parere;  ma' sebben  mi  sov- 
viene, noi  dicemmo  che  pi;r  autorità  di  Aristotile  ,  la  Cle- 
menza era  diuiinuimento  delle  cose  giuste  ed  utili:  per  la 
nostra  doveva  essere  piuttosto  accrescimento  delle  cose 
giuste,  che  nelle  utili  sono  comprese. 
Costantini.  Cosi  fu  couchiuso. 

Tasso  .  Egli  per  la  diuiinuzione  delle  cose  giuste  inten- 
deva le  pene  pecuniarie  imposte  dalla  legge  ;  io  intesi  del- 
l'accrescimento  della  tnercede ,  ovvero  del  dono;  ma  ora 
non  so  ritrovare  quai  prenij  dalle  leggi  siano  proposti  alla 
nobiltà,  perchè  in  Ginna,  oltre  alla  gentilezza  del  sanij;ue, 


O  DELLA  CLEMENZA  iSj 

non  so  quel  che  si  potesse  lodare  :  in  Erode,  senza  dubbio, 
si  poteva  eoininendare  il  valore  e  la  costanza  di  aver  se- 
guito Antonio  fino  alla  morte,  e  l'altezza  dell'animo  si- 
milmente, nel  manifestare  al  vincitore  l'affezione  portata 
al  vinto  suo  nemico;  laonde  giudiciosa  Clemenza  parve 
quella  d'  Augusto  nell'accrescer  l'onore  di  Erode;  ma 
quella  che  usò  con  Cinna  per  consiglio  della  moglie,  fu 
piuttosto  fortunata,  p;>icliè  pose  fine  alle  discordie  civili, 
ed  alle  insidie  de' suoi  nemici. 

Costantini.  Discreto  fu,  per  mio  avviso,  il  consiglio 
della  moglie,  e  giudiciosa,  non  solo  magnaniina,  la  deli- 
berazione d'Augusto;  perchè  gli  animi  de'nobili  con 
niun' altro  artificio  sono  presi  più  agevolmente,  che  con 
questo  d'accrescer  l'onore  e  la  dignità  . 

Tasso.    Dunque  la  Clemenza  è   un  artificio  usato  dal 
Principe  per  farsi  benevolo  il  popolo  e  la  nobiltà. 
Costantini.  E  quale  sconvenevolezza  sarebbe? 
Tasso  .  Ninna  peravventura  ,  se   l'un  genere  dall'altro 
fosse  contenuto,  perchè  la  Clemenza  è  virtù ,  e  la  virtù  è, 
come  dicono  alcuni  filosofi  ,  un'arte  della  vita,  e  l'arte  in 
un  certo  modo  è  scienza:  ma  bello  ,  e  mirabile,   e  leggia- 
dro, e  magnanimo,  e  glorioso  artificio  è  questo  di  perdo- 
nare a' nemici,  e  di  vincer  gii  animi  loro  ,  e  di  soggiogar- 
gli co'beneficj,  e  colle  grazie;  e  miglior  Principe  è  colui,  il 
quale   è    migliore  artefice  :    però  più   lodiamo   l' imperio 
d'Augusto  che  quel  di  Cesare  suo  padre;  o  almeno  più  fe- 
lice fu  la  clemenza  del  figliuolo:  e  se  Cesare  nel  restituire 
il  regno  al  buon  Re  Deiotaro,  gliel' avesse  restituito  non 
con  diminuzione ,  ma  con  aumento,  come  il  restituì  Au- 
gusto ad  Erode  ,  avrebbe  avuto  peravventura  miglior  con- 
sigliero,  e  più  fedele  amico;  ma  non  si  legge  in  Svetonio 
che  Giulio  Cesare  nel  rendere  i  regni  de' vinti,  ampliasse 
i  confini  d'  alcuno,  benché  gli  ristringesse  di  molti. 
Costantini.  Questa  fu  sapienza  del  figliuolo. 
Tasso  .  Ma  sua  fortuna  fu  che  fosse  più  felice  nell'a- 
raicizia  di  Cmna,  che  Giulio  in  quella  di  Bruto. 

Costantini.  Furono  adunque  congiuulc  nel  figliuolo 
la  sapienza  e  la  fortuna  . 

Tasso.  Cosi  esti  ao,  ma  u  qual'arle  assouiiglieremo  noi 


l58  IL  COSTANTINO 

Quella  della  Clemenza?  all'arte  forse  del  medicare?  Ri- 
Cordiamci  della  parole  e  del  consiglio  di  Livia ,  che  scbhen 
mi  rammento,  i"u  questo:  /vz' (disse  al  marito)  quel  che  so- 
gliono i  Medici,  i  quali ydo^'c  non  giovino  i  rimedj  usati ^ 
tentano  i  contrarj  :  nulla  t  ha  sin  ora  gioitalo  la  severi- 
tà ;  Salvi dicno  da  Lepido  fu  seguito ,  Lepido  da  Mure- 
na,  Murena  da  Cepione,  Cepione  da  Egnazio,  per' ta- 
cere degli  altri ,  i  quali  è  gran  vergogna,  che  avessero 
tanto  ardimento;  or  tenta  ,  conte  ti  riesca  la  clemenza  , 
perdona  a  Cinna,  il  quale  è  colto  in  fallo  veramente ,  né 
può  ormai  pili  nuocere  alla  tua  vita^  percK  è  scoperto  ; 
ma  giovane  alla  tua  fama  . 

COSTANTINI .  Savio  e  clemente  consiglio  fu  questo  ,  ma 
di  moglie  al  marito  non  sospetta,  o  almeno  in  ciò  non  so- 
spetta. 

TASSO.  Non  aveva  forse  Ottavi;uio  ancora  cagione  di 
suspicare.  Filippo,  conj'abbiam  detto,  appresso  Plutar- 
co, assomiglia  il  clemente  al  medico  ,  poiché  il  maldicente 
Arcadie  co'suoi  doni  era  divenuto  lodatore  della  sua  virtù: 
Io  (disse  agli  amici)  sono  assai  miglior  Medico  di  voi  , 
avendo  guarito  costui  dell'  infermità:  ed  intendeva  della 
maledicenza,  o  della  pazzia  dell'ingiuriare  i  Principi,  per- 
chè in  altra  guisa  non  poteva  peravventura  risanare. 

Costantini.  Il  donare  è  laediciua  certissima  a  tanto 
male;  ma  clementi  e  miscricordii)si  furono  i  Medici ,  e  for- 
tunato chi  dalle  mani  di  grandissi  ai  Principi  potè  esser 
medicato  . 

Tasso.  Ciò  dobbiamo  peravventura  considerare  ;  dico  , 
se  la  Clemen/a  sia  misericordia,  e  l'arte  dell'usar  clemenza 
simile  a  quell.i  del  medico  misericordioso;  perchè  si  legge 
nel  medesiiiu)  Autore  che  la  medicina  degli  animi  è  la  giu- 
stizia, arte,  oltre  a  tutte  1'  altre,  grandissima  ,per  testimo- 
nio di  Pindaro  ,  e  di  mille  Cimosi  Scrittori  ;  clu;  ci  risana 
dal  vizio  colle  pene;  non  altrimenti  che  il  medico  severo 
soglia  adoperare  il  ferro  e  il  fuoco  per  salute  dell'infermo: 
ma  il  clemente  co'doni  e  colla  tnercede  è  simile  al  me- 
dico, che  usa  i  lentivi  e  l'odorifere  unzioni ,  e  di  ciò  ,  per 
mio  parere,  non  è  dubbio:  dubit.ir  si  potrebbe  se  il  cle- 
nienlc  sia  miserevole,  se  già  Seneca  non    avesse  detcrmi- 


O  DELLA  CLEMENZA  iSp 

nato  il  contrario,  diiuostrando  che  la  misericordia  è  una 
inferuiilà  dell'animo,  e  vicina  alla  miseria ,  e  che '1  savio 
non  ha  misericordia;  ma  se  noi  vogliamo  starcene  alle  de- 
cisioni di  Seneca  ,  acqueteremo  l' animo  nelle  opinioni 
d'uno  Stoico. 

Costantini.  Severa  fu  la  dottrina  degli  Stoici,  e  però 
alcuna  volta  par  nemica  della  misericordia. 

Tasso.  Non  solo  severa,  ma  falsa:  perchè  la  indigna- 
zione è  piuttosto  contraria  alla  misericordia,  come  voilo 
Aristotile:  ma  degno  è  di  maggior  considerazione  ch'egli 
biasimi  quegli  affetti ,  o  quelle  passioni,  che  nell'animo 
sono  degni  di  laude  ,  fra' quali  è  lo  sdegno,  e  la  misericor- 
dia, con  durezza  veramente  da  Stoico;  laonde  fra  loro,  e 
le  statue  appena  ch'io  conoscessi  differenza,  perocché  il 
non  lagriinare  nella  morte  degli  amici,  il  non  commoversi 
nel  pericolo  degl'innocenti,  il  non  risentirsi  per  la  teme- 
rità degli  scelerati ,  il  non  intenerirsi  a'prieghi  de' suppli- 
chevoli, il  non  piegarsi  all'infelicità  di  coloro,  che  imme- 
ritamente  sono  infelici ,  è  durezza  siiiiile  a  quella  delle 
colonne  del  marmo;  e  si  dee  biasimare  questa  durezza 
Ira' giudici,  o  ne' tribunali  ,  benché  sia  laudevole  nelle 
morbide  piume  degli  amplissimi  letti,  dove  la  diaiostrò 
uno  di  questi  filosofi  a  Frine  cortigiana,  e  di  lui  disse  il 
Petrarca  : 

Senocrate  viepiù  saldo  cJtc  un  sasso. 
Ma  non  sarebbe  peravventura  stato  così  immobile  nella 
causa  di  Socrate ,  o  in  quella  di  Aristide ,  o  di  Temistocle, 
o  di  Focione;  ma  sebbene  ho  considerate  tutte  le  parole  di 
Seneca,  egli  non  è  costante  nella  sua  costantissima,  o  piut-, 
tosto  rigidissima  filosofia. 

Costantini.  Alcuna  volta  peravventura  si  dimenticò 
d'esser  filosofo,  ricordandosi  d'essere  oratore:  ma  quai 
sono  le  parole,  dov'egli  dimostrò  l'instabilità  dell'opi- 
nione? 

Tasso  .  Quelle  che  adduceste  dianzi  nella  definizione, 
dicendo  :  Che  la  Clemenza  è  quella  ,  che  si  piega  intorno 
a  ciò  ,  che  meritamente  può  costituirsi;  perocché  non  si 
può  piegare  che  non  si  muova  :  laonde  chi  biasiuia  il  mo- 
vimento, biasima  il  piegarsi,  e  chi  condanna  il   piegarsi, 


ì6o  IL  COSTANTINO 

condanna  la  Clemenza  ,  la  quale ,  come  a  lui  parve,  è  pie- 
glievole  virtù . 

Costantini .  Parawentura  egli  non  vitupera  ogni  mo- 
vimento dell'animo,  ma  solamente  i  torbidi  ed  i  veementi. 
Tasso.  In  ciò  non  sarebbe  molto  diffeiente  da'Peripa... 
tetici ,  i  quali  insegnano  come  le  virtù  morali,  collocate 
nella  parte  sensitva,  e  affettuosa  possano  raffrenare  l'im- 
peto delle  passioni,  le  quali  altro  non  sono,  cbe  moviuien- 
to  dell'anima  sensibile,  con  opinione  d'alcun  bene,  o  d'al- 
cun male. 

Costantini.  La  differenza  adunque  è  piuttosto  de' no- 
mi che  delle  cose. 

Tasso.  Cosi  stimo;  come  quella  fra  ignoscere,  e  puree- 
re:  percbè  Seneca  non  concede  che  il  savio  debeat  igno^ 
scere  ;  vuol  nondimeno ,  che  possi t  parcere ;  ma  noi ,  come 
disse  quel  Poeta  della  sua  medesima,  in  rispetto  della 
Greca,  propter  egestateni  linguae,  et  rerum  noi'/'f aleni y 
non  abbiamo  tante  parole,  e  siamo  vinti  da'Latini  nella  co- 
pia e  nelle  ricchezze  della  favella  :  p(>rò  diremo  che  al  sa- 
vio si  convengi  il  perdonare  ed  il  rimettere  egualmente , 
benché  del  rimettersi  potesse  farsi  altra  considerazione. 

Costantini  .  Si  concederà  dunque  al  saggio  il  ri- 
mettere . 

Tasso  .  O  si  concederà  al  saggio  il  perdonare  ,  o  si  ne- 
gherà all'uomo  l'umanità:  ma  noi  cerchiamo,  qual  sia 
questo  saggio  modo,  o  qiiesto  artificio,  o  questa  pruden- 
za di  perdonare,  perchè  non  è  dubbio  alcuno,  ch'ella  vi 
sia;  e  forse  da  Plutarco  fu  meglio  conosciuto  che  da  al- 
cun'altro,  perocché  egli  disse:  Che  la  dottrina  di  punir 
bene,  ed  a  tempo,  e  con  ulilità,  non  impedisce  la  pena. 
Ma  qual  foss(^  questo  utile,  o  qu>\sto  decoro,  Plutarco 
medesimo  I  avrebbe  meglio  dichiarato  ;  siccome  colui 
che  nelle  virtù  politiche  fu  maestro  di  Traiano  ,  ottimo 
Imperadore ,  o  più  dotto,  o  più  fortunato  almeno  di  Se- 
neca, di  cui  fu  discepolo  jNerone,-  però  ben  disse  il  Pe- 
trarca : 

Ed  in  suoi  magisteri  assai  dispari 
Quintiliano ,  e  Seneca  e  Plutarco  ; 


0  DELT.A  CLK^EN/A  l(5f 

E  se  non  m'inganno,  avrebbe  distinti  i  mocli,i  tempie 
l'occasioni  del  perdonare,  e  le  persone  ,  alle  quali  si  con- 
viene concedere  il  perdono,  o  negarlo  ;  perchè  gloriosa 
azione  è  il  perdonare  ad  un  filosofo,  ad  un  poeta,  ed  a  cia- 
scun altro,  cbe  per  eccellenza  d'ingegno,  e  di  lettere,  o  dì 
valore,  e  d'esperienza  è  degno  di  stima,  e  può  giovare  al 
mondo,  al  Principe,  alla  patria;  ma  non  inerita  lode  il 
perdonare  a'  ladroni,  a'micidiali,  a'  venefici  ed  agli  altri 
uomini  di  male  affare  ,  o  non  sempre;  perchè,  la  cortesia 
usata  da  Ghino  di  Tacco  all'Abate  di  Cligni  meritò  per- 
dono: e  se  già  vSeneca  lodò  Nerone  ,  cbe  nel  sottoscriver  la 
sentenza  contro  un  ladrone  disse,  velleni  ìicscire  litteras , 
il  lodò,  qu.isi  lusingandolo,  o  quasi  pungendolo,  percbè 
egli  s'avvedesse  dell'errore. 

CoSTANTliNl.  Non  era  necessario  men  sottile  avvedimen- 
to con  queir  linperadore. 

Tasso  .  Il  medesimo  artifìcio  ,  usò  dicendo:  Ejc  cleinen- 
tia  omnes  idem  sperane.  Tutti  sperano  il  medesimo  dalla 
Clemenza;  imperoccbè  ella  dee  distinguer  tra  le  persone, 
e  tra  i  meriti  e  le  colpe,  non  meno  che  tra  i  premj  e  le 
pene  ;  altrimenti  ella  sarebbe  indiscreta ,  o  men  discreta 
della  giustizia  ,  cbe  non  approva  la  pena  del  taglione,  o 
del  contrapasso.  Non  doveva  adunque  lo  scberano,  e  'l  fi- 
losofo sperare  il  medesimo  dalla  clemenza  di  Principe 
giudicioso:  ne  le  colpe  della  volontà  e  della  fortuna  do- 
vevano esser  pesate  colla  medesima  bilancia  popolare; 
perocché  alcuna  volta  la  fortuna  è  in  vece  di  colpa  ;  laon- 
de negl'  innocenti  ancora  può  aver  luogo  la  clemenza  . 
Conchiudiamo  adunque  il  ragionamento  coli' opinione  dei 
teologi ,  che  la  Clemenza  nel  moderar  le  pene  adoperi  una 
diritta  ragione.-  percbè  non  ogni  apparenza  di  questa  virtù 
è  vera  clemenza,  ne  quella  di  Saul  o  di  Acab,  piacque 
a  Dio  . 

Costantini.  Nel  fine  del  ragionamento  tutti  sono  stati 
concordi  stoici,  e  peripatetici ,  e  teologi,  e  filosofi,  e  le 
ragioni  umane  colle  divine  si  sono  collegate. 

Tasso.  Questa  concordia  è  sempre  nelle  cose  vere  ;  ma 
piaccia   a    Dio   cbe    nell'  ottimo  Principe  si  manifesti  la 
Diaholn  T  III.  II 


iGa  IL  COSTANTINO 

scienza  e  la  prudenza  del  perdonare,  e  quella  del  premia- 
re similmente  e  d'onorare  la  virtù  co" suoi  doni.  Frattanto 
vorrei  che  le  mie  parolea  guisa  di  trombe,  facessero  riso- 
nare negli  orecchi  e  negli  animi  di  ciascuno  quella  senten- 
za :  Ninna  cosa  è,  che  ineriti  maggior  gloria,  del  Princi- 
pe senza  pena  ingiuriato . 


IL  PORZIO 

OVVERO 

DELLE    VIRTÙ 

DIALOGO 


ARGOMENTO 

Jj  u  Simon  Porzio  ?iapoletano  e  filosofo  a  suoi  giorni  di  molta 
stima ,  come  appare  da  varie  sue  opere,  che  si  vrggono  alle  stampe . 
Lesse  molti  anni  in  Napoli  nelle  ptiòl/liclie  scuole  ,  esponendo  l'  ope- 
re di  Aristotile,  della  cui  dottrina  e  delle  cui  opinioni  fu  seguace  e 
difensore,  onde  ebbe  nome  di  gran  Peripatetico  ;  e  nr^li  ultimi  anni 
dilla  sita  vita  fu  chiamato  a  legger  nello  Studio  di   Pisa  ,  doi-c   si 
mori .  P.ra  gottoso  ,  e  perciò  visitato  in  casa  da   molti  nomini  dotti, 
e  specialmente  da  Pietro  Vittorio,  che  volentieri  /'  ndi\>o  discorrere , 
e  con  ragione  prende  il  nome  da  lui  questo  dialogo  ,  in  cai  egli  così 
dottamente  ragiona .   Del  Dottor  Calabrese ,   eli  è  l'altra   persona 
introdotta,  si  dice  nel  proemio  citerà   il  primo  scolare  dello  Stu- 
dio ;  ma  si  sa  oltre  a  ciò  eh' egli  si  chiamò  Giopanni  Calabro ,  e 
comunemente  il  Dottor  Calabro  ,  e  che  in  Padova  fìt  eletto   in  con- 
correnza d' altri,  l'  anno  i55c),  alla   cattedra  straordinaria  di  I" ilo- 
sofia  ,  onde  è  verisimile  che  Torquato    Tasso  quivi  il  conoscesse ,  e 
forse  l' udisse  leggere,  perchè  ne' tempi  medesimi  potè  trovarsi  in  Pado- 
va, d'onde  il  Calabro  fu   richiesto  l'  anno  1 56o  da  Don  Francesco 
Gonzaga,  poi  Cardinale ,   e   concedutogli,   acciò  che  privatamente 
r  ìnstituisse  nella  l'iìosofia .  Ma  di  Muzio  Pignuttello ,  che  è  f  altra, 
persona  che  parla  ,  si  legge  cosi  bello  e  nobile  elogio  nelC  Istorie  di 
di  Aapoli  stampate,  da  Tommaso  Costo,  e  spicgato\con  sì  at^ioncie 
ed  espressive  parole ,  che  si  è  giudicato  bene  di  rapportarlo  qui  tutto 
senza  lasciarne  addietro   alcuna   parte,  acciò  che  altri   ne  vegga  il 
suo  sembiante  pili  vivamente  dipinto  .  Dice  dunque  cosi .  «  Il  giorno 
primo  di  Marzo  dell'anno  i  5";  g,  facendosi  in  JSapoli  una  festa  da 
molti  Cavalieri   mascherali ,  avvenne    die    Muzio  Pignatlello  ,    imo 
de' figliuoli  del  Marchese  vecchio  di  Lauro  ,  eh'  era  della  loro  scine- 
ra  ,  correndo  a  prima  giunta,  precifiitò  egli  e  il  cavallo  in  tal  modo, 
che  essendo  allora  intorno  alle  21  ore,    non    visse  pili   eh' il  fino  a 
notte  ,  se  viversi  può  dir  che  fosse  lo  spazio  di  quelle  poche  ore  ,  nel 
tjuale  privo  de'  sentimenti ,  giacque  come   morto.   Urano   il    misero 
padre  e  la  sventurata  moglie   con  altri  parenti  a'  balconi,  e  si  vide- 
ro perir  dinanzi  agli  occhi  senza  potergli  dare  ajiito,  quegli  il  figliuo- 
lo ,  e  questa  il  marito  ;  e  chi   vid.e   quel  vecchio  ,    che  s'appressava 


l64  IL  PORZIO 

all'  età  cf  ottant' anni,  non  morire  a    sì   fiero    spettacolo ,    s'accertò 
che  uri  estremo  dolore  non  può  dnr  subita  morte  ad  itn    uomo  .  ]Son 
Jii  persona  diqualunqiie  grado  si  f>%se,  a  cui  la  morte  di  quello  sfor- 
tunato Ca^ialiere  non  dispiacesse  infìno  all'  anima  ,   iirjperocchè   egli 
era  notissimo  a  ciasrunn  per  intelletto    raro   ed   ammirabile  ^  in   cui 
pareva  che  la,  natura  si  fiisse  compiaciuta  di  fare  una   raccolta   di 
unte  quelle  doti,  che  ella  suol  compartir  solamente  a' preclari  uomi- 
ni. Era  Muzio  Pignattello  di  trent'  anni  ,  di  giusta  e    ben  propor- 
zionata  statura,  di  pelo    biondo,   di   color  chiaro,    di    sanissima 
complessione  ,   di  corpo   agile,  nerboruto  e  gagliardo ,  onde  si  eser- 
citava   continuamente    in   giaocar    r/'  arme ,    ed  in  saltare  ,    ed  in 
volteggiare  ,  ed  in  cavalcare  ,  ed  in  ballare,   ed  in   ogni  altra  attitu- 
dine conveniente  a  cavaliere;  torneava ,  giostrava,  ed  il  lutto  faceva 
con  tanta  felicità  die  pochi  in  alcune   cose  lo  pareggiavano ,    ma  in 
tutte  ninno;  benché  pochissimo  sarebbe  lutto  ciò,   s"  egli  non  fosse 
stato  maravigliosamente   t^ersnlo   in    molte  sorti   di  scienze  ,  perciò 
che  egli  fu  ejllosofo  ,  e  teologo  ,    mattcìnatico  ,   e   cosmografo  ,   ed 
aritmetico,   ed  oratore  e  poeta  .  Diede   opera    alla   musica,    non  fu 
senza    cognizione   d'astrologia,    intese   d'architettura,    ardì  di  far 
macchine  di  legno  non  tentate  da  altri  ingegneri  ;  soleva  spesso  det- 
tare a  diversi  can<  elUcri  a  un  tratto  ,  ad  imitazione  di  Cesare  ;  e  fra 
r  altre  ,  maraviglio'sa  fu  quella  volta  ,  che  scrivendo  egli  medesimo  , 
dettò  a'  ventidnque  ,  in  diversi  linguaggi,   e  sopra   var/' soggetti  in 
presenza  di  molti  signori,  ed'  altre  persone  di  qualità  ,  che  tutti  ne 
stupirono  ,  s'i  come  aveva  fatto  poco  dianzi  il  Cardinal  Granvela  , 
vedutolo  dettare  neW  istesso  modo  a  diciotto.  In  somma  non  fu  cosa 
difficile  ,  e  bella  ,  dov  egli  con  suo  sommo  onore  non  ponesse  le  ma- 
ni.  Arroge ,  che  nel  colmo  di  tante  viriìi  egli  era  affabile  ,  piacevo- 
le, cortcsissimo  e  liberale  »  .  Fin  qui  l'elogio,  a  cui  altro  non  si  dee 
aggiunger  ,  se  non  forse  ,  eh'  egli  fu  fratello  di  Ascunio   Pignattello 
per  le  sue   liriche  Poesie  cos'i  chiaro  .   Fu   scritto  questo    dialogo  dal 
l'asso   negli  ultimi  anni   della  sua  vita  ,  e    i  originale  tutto  scritto 
di  sua  mano    si  conserva  con  gli  altri .    Ìj  introduzione  al  ragiona- 
mento, che  è  di  forma   rappresentativa  ,    si  prende   dall'  aver  trovato 
J/uzio  in  uno  de' giardini  vicini  a  Napoli  ,  il  Porzio  col  Calabrese  ; 
e  dal  vedergli  in  ozio  ,  ed  in  solitudine  ,  prende  occasione  d'interro- 
gare  il    /•'orziate   di  trarne  le   risposte,   che  si  leggono  ,  per  esur 
ne'  primi  anni  della  sua   gioventù  nmiuaestralo  nelle    Virtù,  ed  in 
quelle  specialmente  ,  che  sono,   parte  con  la  cognizione  ,  e  parte  con 
l  uso ,   ornamento  e  perfezione  d' un    cavaliere  ;  e   quindi  hall  suo 
soggetto  il  dialogo.  iSi  dice  dunque  prima    che   le  srienze  non  debbou 
servire  all'  uso  della  vita  ;  che  il  fine  di  ciascuna   virtù   è  la  propria 
azione  ,  in  cui  è  riposta  la  felicità,  e  dopo  aver  parlato  delle  Matte- 
maliche ,  si  dubita  se  prima  si  debba   dar  opera  alla  f'ilosofia  nati:- 
rale  ,   oa  quella  de' costumi ,  conchiudendosi  che  dobbiamo  esser 
prima  ammaestrati  nella  morale  ;  quindi  si  passa  a  mostrare  quel, 
che  ella  sia  ,  e  s'  ella  sia  scienza  ,  e  se  si  possa  imparare  .  Si  dice 
che  la  virtù  civile  non  è  scienza  ,  e  si  prova  con  gli  argomenti ,  e 
con  le  ragioni  di  Platone  ;  dal  non  poter ,  t  ioè  ,  esser  lasciata  da'  pa- 
dri per  eredità  a' figliuoli ,  che  po'^son  resi'ir  eredi  delle  lor  virtù  no 


O  DELLE  virtù'  i65 

tìirnlì  snlameiìlfe  .  Ciò  si  covferma  con  argomenli  ,  e  con  esempi  ,  di- 
cendosi (he  alcune  -virtù  sono  concedale  da   Dio,  e  che  gli  abiti 
dell'  intelletto  si  possono  imparare ,  ed  esser  insegnati,  e  che  le  t>ir- 
tù   de' costumi ,  che  sono  aùili  dell' anima  affettuosa  ,   s  acquistano 
per  lunga,   e  non   interrotta   usanza    di    bene  operare .  Si  afferma, 
che  alcuni  hanno  chiamata  la  virtù,  scienza ,  e  la  scienza  alf  incon- 
tro virtù  ,  ma  che  proprissimamente  parlando  ,  questo  nome  si  con- 
viene alla  virtù  de'  costumi  .  Si  apportano  varie  diffinizioni  di  essa  , 
e  dopo   averne  esaminate  alcune ,  e  rifiutatele ,  e  ragionato  del  suo 
mezzo,  e  divise  le  parti  dell'  anima  e  gli  obietti ,  che  le  distinguono, 
e  le  sue  potenze  ,  eie  lor  diffinizioni ,    ed  in  qiial  parte   dell'  anima 
siano,  e  le  varie  opinioni  sopra  ciò,  si  parla   della  Jelicità  attiva  ,  e 
della  contemplativa,  e  de'  loro  fini ,  e  del  vicendevole  aiuto,  che  si 
danno.  Si  porta  al  fine  la  di/finizione  della   Virtù,   il  soggetto,  il 
fine  ,  e  t  offizio  di  essa  ,  e  la  diffinizione  della  f  licitò  attiva  ,  e  del- 
la  contemplativa;  ed  a  ciascuna  si  assegnano  le  sue  /jarti   Si  ragiona 
delle  virili  dell'  intelletto  .  Si  dà  appresso  la  di/finizione  della  Pruden' 
za,  e  di  lei  a  lungo  si  discorre.  Si  dubita  se  la  Virtìi  si  divida  e  come; 
e  si  concliiucle  eli  elle  si  dividono  secondo  le  potenze  principali  del- 
l' anima  .  Si  parla  ili  quelle,  che  sono  nella  mente  speculativa,  e  nel- 
l'oltiva,  e  dell'appetito  concupiscibile  e  dell'irascibile,  e  del  loro  obiet- 
to, e  sassegnan  loro  le  proprie  Virtù  :  e  si  favella  specialmente  della 
Prudenza  ,  e  della  Giustizia  ,  e  della  Temperanza,  e  della  Fortezza  . 
Si  dichiara  quale  sia,  e  come  si  debba  intendere  il  mezzo  delle  morali 
Virtù,  ed  ultimamente  si  diffinisce  la  Virtù  essere  un  abito  fatto  con 
elezione,  consistente  nella  mediocrità  per  nostro  rispetto,  secondo  la 
diritta  ragione  .  Si  fa  piii  chiaro  qual  sia  questa  mediocrità,  e  quan- 
to difficile  da  toccarsi  il  mezzo  .  Si  dice  della  magnificenza ,  e  della 
magnanimità,  e  della  lor  grandezza ,  e  si  mostra  con  gli  esempi,  co- 
me in  esse  si  possa  meritar  lode ,  e  come  errare  negli  estremi  :  che  le 
virtù  tutte  hanno  l' esfere  negli  a/ti   a  negli  affetti  .  Si  vien  poi  più 
particolarmente  a  considerare  le  virtù  dell'  appetito  irascibile^  e  del 
concupiscibile ,  e  di  ciascuna  di  esse  a  parte  a  parte  piii  lungamente 
e  più  distintamente  si  ragiona ,  e  de'  loro  obietti,  e  degli  eccessi  e  dei 
difetti ,  con  apportarne  gli  esempi ,  e  si  stabilisce  come  ed  in  che 
consista   la  loro    mediocrità  fa  due  estremi,  dimostrandolo  pari- 
mente   con    vnrj   esempi  .    Quindi  si    parla    della    Temperanza  , 
e  della  Continenza,  e  delle  loro  opposizioni,  e  della  differenza  fra 
r  Incontinenza  e  l' Intemperanza  ,  e  delle  varie  specie  dell'  Jnconti- 
nenza  ,  e  dcgi Incontinenti  in  esse,  con  accuratissima  investigazione 
e  distinzione  ;  e   con  esempj  a   lungo   si   discorre   ed  insieme  della 
Giustizia  ,  e  delle  sue  parli  ,  e  della   congiunzione,    e   della  separa- 
zione delle  virtù  fra  loro,  distinguendo  fra  le  naturali,  e  le  altre,  che 
si  uniscono  nella  Prudenza  e  nella  Snpienza;  e  come  non  sia  neces- 
sario il  particolare  esercizio  di   ciascuna    virtìi ,  e  conte  altri  possa 
esercitarsi  in  tutte  .  Si  termina  il  dialogo  con  l' encomio  della  Virtù, 
e  coir  introdurre  lei  medesima   a  ragionare,    ed  esortare  tutti  a  se- 
guirla ,  per  viver  vita  felice  ed  eterna  .  Molte  cose  sono    dal  Prota- 
gora di  Platone  imitate  e  trasporate  in  questo  dialogo  ,  che  si  dee  ri- 
porre fra' morali  e  civili ,  e  di  maniera  espositiva  per  tutto  il  corpo 


l66  IL  PORZIO 

di  esso  ,  tenendo  conforme  al  suo  decoro  ,  la  persona  dì  maestro  il 
Porzio,  e  ^li  altri  due  (/nella  di  uditori  ;  benché  il  Calabrese  come 
dotto  scolare  dia  occasione  ad  alciinee/iiestioni ,  e  mostri  d  impu- 
gnare alcune  delle  cose  proposte  ,  acqnetnndosi  alla  fine  alle  deter- 
minazioni del  Porzio ,  come  fa  il  Pignattelln  ,  in  cui  s'esprime  il 
costume  d'un  nobilissimo  giovane,  desideroùssimo  di  perfezionar 
r  animo  con  l' acquisto  di  tutte  le  virtù  Dorrebbe  esser  letto  ed  at- 
tentamente considerato  il  presente  dialogo  da  ciascuno,  che  desideri 
di  non  tralignare  dalla  virifi  e  dallo  splendore  de' suoi  antecessori , 
formandoiisi  quasi  l' idea  d'  un  perfètto  cavaliere  . 

Sin  qui  il  Poppa  ,  che  prepose  questo  argomento  al  Dialogo  pre- 
sente,  quando  lo  stampò  in  Roma  nel  iGfi'i  per  la  urina  volta  .  Di 
esso  Dialngo  non  si  fa  nicrizìotre  nella  Vita  del  Man  so  ;  ma  il  dot- 
to Monsignor  Hotinri ,  ci  dice  nella  Prefazione  a  tutte  le  Opere,  che 
fu  composto  dal  Tasso  negli  ultimi  anni  della  sua  vita  ,  e  prende 
nome  del  'orzio.  Filosofo  Peripatetico  d'  alto  grido  a  suoi  tempi , 
come  il  mostra  l'  essere  state  molte  delle  Opere  sue ,  in  Toscano  tra- 
slata te  da  Gio  Batista  Celli,  uomo  famoso  per  l'  eleganza  dello 
scriver  Toscano . 


INTERLOCUTORI 

MUZIO  PIGNATTELLO,  SIMON  PORZIO  , 
DOTTOR  CALABRESE  . 

PignATTELLO.  lo  non  poteva  avvenirmi  o  meglio  in  altro 
luogo,  o  in  persone  die  più  desiderassi;  perchè  io  ho  ritro- 
vato insieme  fra  l'ombre  e  i  fonti  di  questa  amica  solitu- 
dine, il  più  dotto  scolare  dello  Studio,  ed  il  migliore  e  più 
famoso  filosofo,  non  solo  di  Napoli,  ma  d'Italia  tutta  ;  col- 
r  uno  di  tutte  le  cose  certe  soglio  divenir  dubbioso ,  co- 
noscendo chiaramente  di  non  saper  quelle,  delle  quali  io 
credeva  di  aver  feruia  scienza  ;  coli' altro  l' incerto  rai  si  fa 
certo,  ed  ogni  oscurità  dell  animo  mio  offuscato  dalle 
passioni,  prende  mirabil  luce  dal  suo  sapere:  laonde  io 
non  perderò  oggi  quest'occasione  di  parlare  de'  miei  stu- 
dj ,  e  di  pigliar  qualche  deliberazione  nella  diversità  delle 
opinioni,  e  quasi  delle  vie  per  ogni  parte  inrinitc. 

Porzio  .  Nostra  è  la  ventura  ;  se  ventura,  e  non  provvi- 
denza è  quella,  che  suol  onorare  le  scuole  de' filosofi  colla 
presenza  di  così  nobil  cavaliere,  alla  cui  gloria  non  è  tea- 
tro alcuno  sì  grande  che  non  fosse  angusto;  e  gli  eserciti 
medesimi,  e  i  larghissimi  cauipi  sarebbono  appena  capaci 


O  DELLE  virtù'  167 

della  sua  virtù,  e  di  quella  grandezza  di  animo,  che  dalla 
nobilissima  sua  stirpe  è  derivata. 

PlGNATTELLO.  lo  non  posso,  né  voglio  negare  clie 
fra'  var]  sentieri  del  tìlosofare ,  io  non  riguardi  a  quello,  il 
quale  suol  condurre  fra  le  schiere  armate  alle  sanguinose 
battaglie,  all'espugnazioni  delle  città  ,  alle  vittorie  ed  ai 
trionfi ,  per  lo  qu;ili;,  se  non  m'inganno,  io  veggio  segnate 
le  vestigia  de' miei  antecessori,  e  di  molti  altri  valorosi 
Principi  e  Cavalieri ,  che  riportarono  a  qui^sta  città  ed  a 
questo  regno  ornamento  di  gloria  immortale  :  ma  io  mi 
vergognava  nelle  scuole  trattare  dell'istessa  materia;  esti- 
mando le  mie  dimande  ambiziose,  anzi  che  no,  e  non  con- 
venienti all'umiltà  de' filosofanti:  ora  in  questo  amenissi- 
mo  giardino  mi  assicura  un  lieto  silenzio, appena  interrot- 
to dal  mormorar  dell'acque,  e  delle  fronde,  e  dal  cantar 
degli  uccelli.  Pregovi  dunque  che  mi  mostriate  il  cammi- 
no, per  lo  quale  io  possa  indirizzare  i  miei  studj  all'arte 
del   guerreggiare,  «d  alla  virtù  cavalleresca  . 

Porzio.  Alto  pensiero  certo,  e  d'animo  generoso,  il 
quale  non  si   sbigottisca    per  la  difficoltà  dell'impresa. 
Laonde  a  voi  si  può  ragionare  co'  versi  del  nostro  Poeta: 
Pochi  compagni  ai'rai  per  V  alta  via  ; 
Tanto  ti  prego  più  ,  gentile  spirto  , 
Non  lasciar  la  magnanima  tua  impresa. 
Ma  quest'antichissima  strada  che  già  condusse  dall'Acca- 
demia e  dal  Liceo,  o  da  altro  luogo  si  fatto  ,  e  dalla  com- 
pagnia de'filosofi  a' pericoli  della  battaglia,  ed  alla  gloria 
de'  regni  e  degl'imperi,  Pericle,  Alcibiade  ,  Epaminonda, 
Agesilao  ,  Alessandro  ,  Scipione,  Pompeo  e  Cesare  mede- 
simo ,   ora  è  deserta  come  cosa   vieta  ;  tuttavolta  ,  come 
voi  medesimo  avete  detto,  alcuni  de' nostri  possono  farvi 
la  scorta  ;  ed  io  di  lontano  vi  mostrerei  il  cammino ,  quasi 
a  dito  ;  ma    peravventura    niuna  mia  ragione,  o    autorilù 
tanto  potrà  movervi,  quanto  l'esempio  de  più  moderni, 
perciocché  per  questa  senza  fallo  s'innalzarono  alla  gloria 
dell'eternità;  prima  il  buon  Re  Roberto,  poi  Alfonso  Re - 
d'Aragona  e  Federigo  suo  nipote,   insegnando  a' Cavalieri 
suoi  soggetti ,  il  seguitare:  fra' quali    non   furono    lenti  i 
vostri  antecessori,  né  contenti  d«' secondi  onori . 


ìfjS  IL  PORZIO 

PiGNATTELLO  .  Le  vostre  ragioni  aseiunte  a' loro  esem- 
pj ,  mi  faranno  più  certo  del  catnanno  ,  o  meo  dubbio  del- 
l'elezione. Piacciavi  dunque  di  mostrarmi  qual  giova- 
mento io  possa  trarre  da  questi  studj  d'  aritmetica  ,  di 
geometria  e  di  musica,  ne'  quali  ho  tenuti  occup.iti  mol- 
ti anni  della  mia  gioventù;  perciocché  quando  io  ho  con 
molta  fatica  apparato  tuttociò,  che  sene  insegna,  o  che 
se  ne  ragiona,  non  conosco  in  che  possa  giovarmi  que- 
sta mia  faticosa  cognizione,  e  spesse  volte  priva  dì  pia- 
cere, non  solo  di  utilità  . 

Porzio.  Signor  mio,  la  dignità  delle  scienze  è  grandis- 
sima, laonde  elle  non  sono  dirizzate  ad  altro  fine,  come 
l'arti  meccaniche  ,  colle  quali  sogliono  gli  uomini  ricerca- 
re qualche  utilità  nelle  bisogne,  e  nelle  opportunità  della 
vita  :  ma  il  fine  loro  è  altissimo ,  e  collocato  nella  contem- 
plazione, o  nella  cognizione  della  verità  ;  la  quale  cono- 
sciuta acquieta  lo  intelletto  nella  sua  propria  felicità;  an- 
zi congiunge  a  Dio  medesimo,  e,  come  dicono  i  Platonici, 
il  fa  collega  degl'intelletti  divini.  Non  dobbiamo  dunque 
cercare  se  la  Geometria,  o  se  l'altre  scienze, possano  ser- 
vire all'uso  della  vita;  perciocché  colui,  il  quale  costrin- 
ge a  servire  le  scienze,  è  simih;  al  tiranno,  dove  egli  fac- 
cia violenza  agli  uomini  liberi  e  nati  per  comandare.  Li- 
bere deono  essere  le  scienze ,  come  insegna  Aristotile 
nella  Filosofia;  e  se  libero  è  colui,  il  quale  è  in  grazia  dì 
sé  stesso ,  le  scienze  deono  adoperarsi  in  grazia  di  se  me- 
desime,  né  altra  grazia,  o  altro  giovamento,  o  altro  pia- 
cere ,  o  altra  gloria  è  necessario  che  si  ricerchi . 

PlGNATTKLLQ.  Dunque  io  debbo  studiare  per  ìstudia- 
re ,  ed  affaticarmi  per  all'alicarmi  senz'altro  fine  . 

Porzio.  11  fine  dello  studio  è  il  sapere;  della  fatica,  il 
piacere  del  ritrovar  la  verità  e  di  ciascuna  virtù,  la  pro- 
pria azione,  in  cui  è  riposta  la  felicità. 

PlGNATTi'.r.T.o .  Già  non  sono  io  sì  privo  di  avvedimen- 
to, che  non  conosca  esser  vero  quel  che  voi  dite:  ma  il 
fine  è  così  lontano,  e  posto  in  parte  cosi  alta  e  così  mala- 
gevole, che  mi  par  quasi  impossibile  di  conseguirlo;  laon- 
de a  me  avviene  quel  che  dice  Pindaro: 


O  DELLE  VlRTO'  169 

E^gi'/XCt  9'JÙJV  "iKCLTl 

ù  MiXicci. 
che  in  nostra  lingua  suona  : 

A  me  per  ogni  parte  immenso  calle 
L'alto  voler  de'  sommi  Dei  prescrisse, 
O  3Jelisso; 
perchè  dovunque  mi  volga  ,  veggio  quasi  infinita  la  stra- 
da, ed  infinite  le  difficoltà.  Laonde  mi  pare  che  dalie  fati- 
che nascano  le  fatiche,  e  che  mai  non  si  arrivi  a  questo 
fine  delle  scienze,  il  quale  non  è  peravventura  in  questa 
vita  mortale,  ma  nell'altra  immortale  ed  eterna  ;  e  da 
molti  invano  fu  ricercato,  non  solo  fra  gli  eserciti  e  fra  le 
Repubbliche,  ma  nella  quiete  ancora,  e  nell'ozio  della  fi- 
losofia. Laonde  furono  costretti  di  cercare  qualche  sen- 
tiero, che  accorci  il  cammino,  e  gli  conduca  nelle  vie  fre- 
quentate da'Signori  e  da 'Cavalieri.  Di  questo  io  vi  richie- 
deva, e  non  d'altro;  parendomi  di  non  vedere  fin'  ora  al- 
cun fine  certo,  e  determinato  in  questi  miei  studj  delle 
Matematiche,  i  quali  dicono  essere,  oltre  a  tutti  gli  altri, 
certissimi. 

Dottore.  Il  dubbio  del  Signor  Muzio  è  dubbio  de'niag- 
giori  filosofi;  perciocché  Alessandro  Afrodiseo,  il  quale 
fu  chiarissimo  lume  della  filosofia  Peripatetica ,  affermò 
che  nelle  Matematiche  non  vi  era  alcun  fine  ;  prima  di  lui 
Aristotile  nella  sua  divina  filosofia  fu  della  stessa  opinione, 
e,  come  egli  dice  nel  terzo  libro,  le  cose  che  sono  immobi- 
li non  hanno  causa  efficiente,  perchè  essendo  eterne,  non 
possono  aver  principio  di  movimento:  oltre  a  ciò  non  pos- 
sono avere  natura  di  bene  ,  perchè  il  bene  è  il  fine  ,  in  gra- 
zia del  quale  suol  farsi  ciò  che  si  fa  ;  ma  questo  è  fine  di 
qualche  azione,  e  tutte  le  azioni  sono  col  movimento;  ma 
le  Matematiche  sono  immobili;  le  Matematiche  adunque 
essendo  immobili,  non  hanno  causa  efficiente, ne  alcun  be- 
ne, il  quale  sia  fine,  perciocché  non  si  può  dimostrare  esser 
meglio  o  peggio,  che  un  triangolo  abbia  tre  angoli  eguali 
a  due  retti.  Laonde  Aristippo  Sofista,  vitupeiMndo  queste 
scienze,  e  facendone  comparazione  coli' arti  liberali,  di- 


T-'O  IL  PORZIO 

ceva  che  l'arti  illiberali  liaiiiiu  il  bene  ed  il  fine,  e  queste 
ne  Sun  prive. 

Porzio.  Il  dubbio  veramente  non  è  picciolo,  né  mosso 
con  piccola  autorità;  ma  il  medesimo  filosofo  nel  terzode- 
eiino  libro  della  filosofia  divina  riprova  l'opinione  del  So- 
fista ,  il  quale  scherniva  le  scienze  inateinaticbe  ,  siccome 
quelle  ,  in  cui  non  sia  né  bontà;  ne  bellezza  .  Aristotile  al- 
l'incontro afferma  che  il  matematico  considerando  le  co- 
se ordinate  e  determinate,  considera  senza  fallo  il  bello, 
il  quale  si  ritrova  nell'ordine  e  nella  figura  ,•  perchè  se 
non  vi  fosse  ordine,  né  figura,  le  cose  sarebbono  bruttissi- 
me, com'erano  peravventura  nell'antica  lor  confusione. 
Hanno  similmente  le  Matematiche  il  lor  fine,  perchè  elle 
furono  ritl'ovate,  come  dice  il  Comentatore  Simplicio  nel 
secondo  della  naturai  filosofia,  acciocché  l'animo  trapas- 
sasse dalle  cose  sensibili  alle  intelligibili  ;  e  fu  (juesta  pri- 
ma opinione  di  Platone  nel  sesto  Dialogo  del  Giusto,  nel 
quale  egli  c'insegna  che  dalle  supposizioni  de' matematici 
dobbiamo  innalzarci,  quasi  per  gradi  ,  a  quel  principio  non 
presupposto ,  eh' è  principio  dell'universo,  non  chinando 
gli  occhi  all'ombre  ,  ed  alle  figun^ ,  che  sono  somiglianti 
all'iuunagini,  che  si  veggiono  nell'acque. 

PlGNATTELLO  .  Le  JMatematiche  adunque  sono  scala  al 
Fattore,  chi  ben  l'cslima  .  Io  avrei  creduto  piuttosto  che 
fossero  una  scala  militare  agli  artifiej ,  edagli  onori  della 
milizia  ;  e  già  mi  sovviene  di  aver  letto  nella  vita  di  JMar- 
cello  che  Archimede  per  compiacere  ad  Jerone  Re  di  Si- 
racusa, aveva  tatti  nuovi,  e  non  più  veduti  ordigni  di  guer- 
ra ,  e  macchine  maravigliose,  convertendola  ragione  degli 
ammaestramenti  alla  necessità  dell'uso,  e  facendola  più 
illnstre  col  manifestarla  a'sensi. 

Porzio  .  Se  Jerone  costrinse  Archimede,  che  rivolgesse 
il  suo  artificio  dalle  cose  iiuinaginate  alle  corporee,  e  ma- 
teriali,  fu  somigliante  agli  altri  tiranni  ;  i  quali  sforzano 
gli  uomini  liberi  a  servire  indegnamente  ;  ma  peravventu- 
ra il  persuase,  e  fu  cortesia  d'Archimede  l'adoperar  le 
scienze  nobilissime  in  servigio  delle  meno  nobili.  Ma  quel- 
le macchine  ujaravigliose  ,  colle  quali  era  difesa  Siracus.t 
d.illa  forza,  e  dall'impeto  de' Romani,  erano  quasi  un  tra- 


O  DELLE  virtù'  171 

stuUo,  e  un  giuoco  del  suo  divino  artificio,  col  quale  egli 
avrebbe  potuto  muovere  la  terra,  se  avesse  avutn  un'al- 
tra terra  ,  dove  appoggiarle  ,  e  poteva  misurare  il  Ciclo,  e 
r  arene  ;  operazione  assai  maggiore  ,  cbe  il  difendere  una 
città  da' nemici. 

PlGNATTELLO  .  Non  la  difese  nondimeno  ,  e  la  sua  mira- 
bile sapienza  fu  superata  dal  valore  de' Romani. 

Porzio  .  Niuna  cosa  è  più  forte  della  sapienza  ;  però  ella 
è  invitta  ,  e  non  può  esser  soggiogata  in  modo  alcuno;  e 
non  è  soggetta  ,  come  abbiamo  detto  ,  a' regni ,  ed  agl'im- 
perj  ;  ma  libera  nella  servitù,  e  vittoriosa  nella  perdita 
comune,  e  gloriosa  nella  pubblica  vergogna:  ma  l'arti 
meccaniche  posson  esser  soggette  alla  violenza  della  fortu- 
na. A  ragione  dunque  erano  stati  prima  ripresi  da  Platone 
coloro  ,  elle  aveano  diminuita  la  nobiltà  e  l'eccellenza  del- 
la Geometria,  e  quasi  avvilitala  coli' adoperarla  in  quelle 
cose,  che  hanno  mole  e  grandezza  corporea  ,  facendola  di 
libera  ,  serva  e  mercenaria  ,•  tuttoché  fra  i  primi  ritrovato- 
ri di  questo  militare  artificio  fossero  Eudosso  ed  Archita 
suoi  amici,  i  quali  aveano  adornata  la  Geometria  di  nuova 
varietà  di  macchine.  Si  rimase  adunque  l'arte  del  fare 
gì' instrumenti  da  guerra  fra  1'  altre  militari,  e  vi  continuò 
gran  tempo  ,  quasi  divisa  dall'altra  ,  la  quale  doveva  esse- 
re intenta  alla  cognizione  delle  cose  celesti,  come  parve  a 
Platone  ed  a  Tolomeo  similmente. 

PlGNATTELLO.  lo  veggio  due  strade,  l'una  di  ascendere 
quasi  per  gradi  di  supposizioni  fino  al  Cielo,  l'altra  di 
scendere  a  quella  parte,  che  agli  occhi  de'  mortali  pare  al- 
tissima ,  e  mi  vergogno  di  pregarvi  che  mi  ajutiate  alla  di- 
scesa,  richiamandovi  dal  vostro  alto  e  celeste  proponi- 
mento. 

PORZIO.  Nello  scendere  ancora  può  essere  la  sua  propria 
laude  e  la  prò  pria  perfezione,  però  noti  mi  può  esser  grave 
il  compiacervi  ;  benché  l'animo  vostro  non  potrà  mai  tanto 
fermarsi  nelle  parti  inferiori  e  terrene  ,  che  non  ritorni 
per  li  medesimi  gradi  alle  superiori  e  celesti,  e  so  bene  io 
che  siete  assai  spesso  usato  a  contemplare  il  movimento 
de' cieli  e  de' pianeti,  e  l'ordine  e  la  certa  varietà  di  cia- 
scuno, e  l'opposizioni,  e  le  congiunzioni,  e  l'illustrazioni, 


17:2  -  ir.  PORZIO 

e  i  difetti  ;  contemplazione  in  vero  bellissima  ,  alla  quale  è 
necessario  Taiuto  della  Geometria.  Nondimeno  la  contem- 
plazione ancora  de' corpi  celesti  è  di  cose  corporee  e  sot- 
toposte a'sensi:  ma  perchè  le  stelle  e  la  Luna  e '1  Sole,  e  i 
globi  loro  sono  in  quel  g:^neredi  cose  ,  clie  dura  perpetua- 
mente, e  non  patisce  alterazione  ,  ci  fiuino  quasi  una  strada, 
come  dice  l'olomeo,  alla  cognizione  di  Dio  altissimo  ,  non 
bisogna  dunque  dimorare  nelle  cose  celesti,  quanto  meno 
nelle  terrene,  alle  quali  nondi.neno  il  discendere  alcuna 
volta  è  laudevole,  non  che  necessario  ed  opportuno. 

PiGiN'A'j TELILO.  Discendiamo  adunque,  se  vi  piace,  di 
cielo  in  terra,  come  fé  Teti  ,  e  dimostratemi  per  quale 
strada  io  debba  incamminarmi  ;  per  quella  secreta  ed  inco- 
gnita, nella  quale  sono  investigati  i  secreti  della  natura,  o 
piuttosto,  come  io  desiderio,  per  quella  diflici le  ed  aspra 
della  virivi  di  cui  si  legge  in  Esiodo: 

T^i  y  otpérvj?  CSpÙÓTX  9'cO;  TrpoTrapotS'fv  e  S^'/jKay 

A  ^DiVXTOl.   fJiXìipQg   hi    KXÌ  Op^iOi   ÒlLLOi  ì  Tf    d'JT'UJ  ^ 

Kxt  rpyjyvi  tò  Trpùjrov.  st  uj  3'  tii  UKpov  i>ii^tcìC 

che  suonano  in  nostra  favella: 

Innanzi  alla  i'irtà  posto  i  sudori 
Hanno  gli  eterni  eri  ininiortali  Dei  . 
A  lei  per  lungo ,  ed  erto  calle  l'assi  , 
Che  duro  in  prima  appar  ,  ma  cpiando  al  sommo 
Si  giunge  ,  age\>ol'  è  quel ,  eh' aspro  apparve. 
Porzio  .  Non  è  piceol  dubbio  il  risolvere    se    prima  si 
debba  attendere  alla  lìlosofia  de'costumi,  o  alla  naturale;  e 
voi  peravventura  d'altro  non  dubitate. 

PlGNATTELLO  .  Di  questo  sano  senza  dubbio  assai  dub- 
bioso ,  perchè  dall'astrologia  sento  invilar.nl  alla  contem- 
plazione della  natura  e  delle  cose  da  lei  prodotte,  quasi 
dalluno  allallro  vicino;  tanta  mi  pare  la  congiunzione  e 
la  famigliarità  fra  queste  due  scienze!  Ma  ripensando  fra 
me  stesso  ,  soglio  cosi  talvolta  ragionare  co'  miei  pensieri  : 
Che  giova  il  sapere  comesi  muovano  i  pianeti,  or  col 
molo  proprio  ,  ora  quasi  sforzati  da  violenza,  ed  alcuna 
volta  procedendo  avanti,  alcun'altra  ritornando  indietro,  e 
facendo,  come  si  dice,  ritroso  calle,  se  io  non  sono  atto 


O  DELLE  VIRI  U'  lyS 

per  mio  sapere  ,  a  svolgerne  alcuno  dal  suo  corso  ,  nò  a  ri- 
tardare l'incominciato  viaggio? E  se  io  non  posso  illustrare 
ed  oscurare  la  Luna  a  mio  senno,  o  privare  il  Sole  della  sua 
luce,  perchè  sono  così  sollecito  ad  investigarne  la  cagione? 
E  che  importa,  se  egli  prima  si  ecclissi  agli  Occidentali ,  o 
agli  Eoi ,  o  se  egli  possa  ecclissarsi  piiì  volte  in  un  luogo 
medesimo,  nello  spazio  di  un  piccol  mese?  o  se  pure  ciò 
sia  impossibile  affatto?  E  se  io  prestassi  credenza  a  coloro, 
che  affermano  che  nelTimperio  di  Tito  e  Vespasiano,  in 
tredici  giorni  il  Sole  e  la  Luna  furono  in  vano  ricercati  nel 
Cielo,  dal  quale  erano  quasi  spariti,  meriterei  di  esser  ri- 
putato ignorante,   o  mi  affaticherei  indarno  di  renderne 
alcuna  ragione.  Dall'altra  parte,  se  io  potrò  sapere  quel 
che  sia  la  virtù  e  la  fortezza  ,  potrò  divenir   forte,  e  valo- 
roso; e  colla  cognizione  della  giustizia,  giusto  nel  regno,  e 
nella  città  j  e  liberale,  col  sapere  quando  ,  ed  a  chi  si  con- 
venga il  donare.  Dunque,  o  liberatemi  da  questi   pensieri 
delle  cose  divine,  i  quali  ci  sovrastano,  e  ci  spaventano,  a 
guisa  di  spada  ,  o  di  sasso  pendente,  o  di  altra  cosa,  che 
minaccino  morte  e  ruina;  o  insegnatemi  almeno  com'io 
possa  vincere    il  timore    della  morte,    dalla   qu;)le  per  la 
gioventù  peravventura  sono  assai  lontano  ;    o  il  desiderio 
dell'onore  e  della  gloria,  al  quale  soglion  correre  con  ab- 
bandonate redine  tutti  gli  animi  più  generosi . 

Porzio  .  Voi  non  distinguete  le  vostre  dimande  ;  par 
nondimeno  che  dimandiate  non  poche  cose  in  non  molte 
parole.  E  prima  da  quale  scienza  si  debba  dar  principio 
allo  studio  della  filosofia;  e  poi  se  la  cognizione  delle  cose 
naturali,  e  divine  giovi  all'operar  virtuosamente;  e  mi 
pare  insomma,  che  vogliate  piuttosto  imparare  la  virtù  che 
la  scienza  :  ma  la  virtù,  o  non  si  può  apprendere  ,  o  ella  è 
scienza . 

PlGNATTELLO .  To  vorrei  apprendere  non  solamente  la 
virtù,  ma  la  fortuna  ancora  perchè  già  lessi-. 

Disce ,  puer ,  virtutcìn  ex  me,  vcrumque  lahorem  , 
Fortunani  ex  aliis. 
Porzio.  Da  me  si  può  forse  apprendere  colla  vera  fati- 
ca la  virtù,  s'ella  pur  si  può  insegnare  ;  ma  se  del   fabbri- 
car la  fortuna  è  alcuna  arte, somigliante  a  quella  de'fabri. 


174  ^^  PORZIO 

o  degli  architetti, questa  fu  maravigliosa  veramente  ne'vo- 
stri  antecessori,  i  quali  si  fabbricarono  non  solamente  la 
riputazione,  e  l'onore  nelle  cose  civili  e  militari,  ma  la 
grandezza  e  gli  stati ,  che  posseggono  in  questo  regno  ; 
cominciando  da  quel  buon' Arcivescovo,  che  mosse  Carlo 
Primo  contra  Manfredi  all'impresa  di  Napoli;  o  molto  pri- 
ma da  quelli,  che  si  ritrovarono  nelle  guerre  di  Grecia  e 
di  Costantinopoli,  fino  al  Signor  Marchese  vostro  padre. 

PlGNATTErxo.  Lasciamo  da  parte,  se  così  vi  pare, 
r  ammaestramento  della  fortuna  ,  della  quale  dee  senza 
fallo  essere  alcun' arte;  altrimenti  non  si  dipingerebbe  col 
tiìnone,  a  guisa  di  nocchiero,  che  soglia  governare  la  nnve 
nelle  tempeste,  e  fate  che  io  sappia  quel  che  sii  la  virtù  ; 
e  quale,  e  quando  si  debba  apprendere,  o  prima  delle  altre 
scienze,  o  dopo  le  naturali  e  le  divine. 

Porzio.  Io  comincerò  da  questa  parte  a  rispondervi  ; 
dico  dall'ordine,  che  hanno  fra  loro  la  civile  e  la  contem- 
plativa filosofia:  e  benché  intorno  a  ciò  siano  diversele 
opinioni  de' Greci,  de' Latini,  e  de' Barbari;  io  tuttavolta 
ho  seguitata,  e  seguito  quella  de'  Greci,  ch'è  la  piii  anti- 
ca per  origine,  e  la  più  salda  per  fondamento  di  ragione,  e 
1.1  più  reverenda  per  autorità;  ma  non  ho  avuti  seinpre  se- 
guaci i  miei  scolari  mcdoeimi .  Voi  udite  l'una  e  l'altra 
parte,  e  poi  appigliatevi  a  quella,  che  stimerete  migliore  , 
perchè  sarà  libera  la  vostr;»  volontà  ,  come  è  libero  il  giu- 
dizio dell' intelletto .  E  ragionevole  che  prima  s'abbia  cu- 
ra di  quella  parte,  che  prima  è  nata  ;  ma  prima  nasce  in 
noi  il  corpo,  poi  l'anima  sensitiva,  al  fine  quella  ch'è  for- 
nita di  ragione;  dunque  prima  di  queste  membra  terrene 
sogliono  gli  uomini  prendersi  pensiero  ,  poi  di  formare 
l'appetito,  e  di  tenerlo  a  freno,  e  sotto  alcune  leggi,  e  ciò 
si  può  fare  colla  filosofia  de'costumi:  ultimamente  soglia- 
mo illustrarerintellctto  col  lumedella  filosofia  contempla- 
tiva. Così  parve  ad  Aristotile  nel  settimo  della  sua  Politi- 
ca, a  Socrate,  a  Platone,  a  Senofonte  ed  a  Pittagora 
ne'suoi  versi  aurei;  ed  a  Jeroclc  suo  espositore,  il  quale 
assomiglia  l'intelletto  non  purgato  dalle  passioni ,  all'oc- 
chio infermo  ed  offuscato,  che  non  può  rimirare  il  lume 
del  Sole.  Oltrcciò  l'azione  è  quasi  fondauieuto  della  con- 


O  DTirr.E  riRTii'  17^ 

lemplazione  ,  come  fu  opinione  cV  Enstazio  ,  e  di  Niccta  ,  e 
(l'altri:  prima  dunque  dobbiamo  esser  ammaestrati  nel- 
l'azione, poi  nella  contemplazione,  altrimenti  l'edificio 
delle  scienze  sarebbe  ruiiioso  ,  e  sempre  perturbato  d.il- 
l'ira,  dall'odio,  dail  invidia,  dalla  paura,  dalla  speranza  e 
dall'amore,  e  dall'altre  passioni  che  sono: 

Vtiiiti  contrari  alla  vita  serena. 
Ultimamente  ,  se  nelle  scienze  si  dee  cominciare  dalle  cose 
più  facili,  senza  dubbio  il  principio  dee  prendersi  dagli 
ammaestramenti  morali,  perchè  le  contemplazioni  delle  co- 
se naturali,  e  celesti  portano  seco  maggiore  oscurità  e  ma- 
lagevolezza .  Ma  udite,  se  vi  pare,  le  ragioni  degli  avver- 
sar], le  quali  questo  nostro  amico  non  sarà  grave  di  ri- 
ferire. 

DoTTOllE.  Io  dirò  quello,  che  ho  raccolto  dell'opinione 
di  molti  filosofi  di  grandissima  autorità;  di  Zen.»ne  ,  dico, 
di  Crisippo,  di  Eudemo,  di  Cicerone  medesimo,  il  quale 
poi  in  questa  parte  fu  seguitato  da  una  lunghissima  schiera 
de'  nostri  Latini.  Dice  egli  nelle  questioni  Tusculane  che 
ninna  cosa  può  far  la  consuetudine,  la  quale  assai  più  age- 
volmente non  possa  far  la  ragione;  laonde  se  i  Bftrbari  per 
visanza  sono  avvezzi  a  tollerar  le  ferite,  e  la  morte  senza 
dolore,  molto  più  facilmente  dovrebbe  sopportarla  il  filo- 
sofo. Prima  dunque  si  dovrebbe  ammaestrare  la  parte,  che 
in  noi  è  fornita  d' intelletto,  e  di  avvedimento,  e  poi  l'af- 
fettuosa; oltre  a  ciò,  prima  s'impara  la  Teorica, poi  la  pra- 
tica: ma  la  filosofia  contemplativa  è  quasi  Teorica  in  com- 
})arazione  della  civile  :  è  convenevole  ancora  che  prima  si 
lòrmi  la  potenza  dell'animo,  la  quale  è  atta  a  conoscere, 
ed  a  giudicare,  dapoi  l'altra  eh' è   giudicata,  e  scorta  del 
suo  lume;  altrimenti  sarebbe  somigliante  a  colui, che  cam- 
mina nelle  tebebrre:  dicono  ancor  che  la  fortezza  è  quasi 
guerriero,  la  prudenza  somigliante  al  capitano;  ma  non  è 
ragionevole  che  prima  sia  aminaestrato  il  soldato,  poi  quel 
che  dee  comandargli  :  si  dice  appresso,  che  il  giovane  non 
è  atto  ad  ascoltare  la  filosofia  dc'costumi,   siccome   colui 
eh' è  più  atto  a  divenir  geometra   che  prudente  ;  e  perchè 
una  parte  della  prudenza  civile  si  alìalica  nel  far  le  leggi, 
non  è  alcun  dubbio  che  al  giovane  non    sia  più  agevole  il 


176  IL  PORZIO 

divenir  fisico,  che  legislatore.  Aggiungono  a  tutte  queste 
ragioni  Alessandro,  Simplicio  ed  Avverroe,  che  dalle  con- 
templazioni delle  cose  naturali  e  celesti  nascono  le  virtiì 
morali. 

Porzio.  Perawentura  è   vero  quel  che   voi  dite  ,  ma 
con  qualche    distinzione;    perchè  se  voi    intendete  di  una 
esquisita  dottrina,  prima    si  dee  cercare  la  scienza  con- 
templativa, poi  la  civile;  ma  con    ragioni  non  esquisite, 
ed  esatte  prima  dobbiamo    essere  ammaestrati  nelle  mo- 
rali, anzi  fin  dalle  cune  ,  e  dalle  fasce   sogliamo   ascolta- 
re, e  quasi  bere    col  latte  delle   nutrici    alcune  di   quel- 
le cose  ,  che   appartengono  alla    gentilezza  ,   ed  all'  one- 
stà de'costumi.  Quinci  furono  instituite  dagli  antichi   le- 
gislatori   le   canzoni  in   lode  della  virtù  e  degli  eroi,  colle 
quali ,  come  piacque   a  Platone  ,  le  nutrici  debbono  lu- 
singare l'animo  ancora  tenero  de' fanciulli .  Da  questa  ca- 
gione ebbero  parimente  origine   i  poemi  di  Teognide  e  di 
Focillide,  e  quelli,  che  sono  attribuiti  a   Pittagora ,  ed  a 
Catone  .  Non  è  vero  dunque  che  il  giovane  non  sia  buono 
ascoltatore  della  moral  Filosofia;  non  è  vero  ,  dico,  assolu- 
tamente, ma  con  quella  condizione, ch'egli  aggiunge,  per- 
chè nel   giovane   ascoltatore    i   filosofi   sogliono   ricercar 
quelle  qualità,  che  sono  parimente  desiderate  da'  poeti, 
Sotto  biondi  capei ,  canuta  mente  ; 
Frutto  senile ,  in  sul  giovenil  fiore  , 
delle  quali  sono  maravigliosamente  adornati  il  Signor  Mu- 
zio e  gli   altri    Signori   suoi  fratelli.    Potrà  dunque  senza 
dubbio  il  giovane  mansueto  e  temperato,  che  sa  tenere  i 
suoi  desidiTJ  sotto  il  freno  di  modesta  fortuna  ,  ascoltare  i 
precetti  della  inorai  filosofia;  e  non  dico  che  a  lui  si  con- 
venga di  far  leggi,    ma  di  riceverle    volontariamente  dal 
maestro  ,  eh' e  cpiasi  legislatore  della  sua  vita  :  e  che  sono 
altro  che  leggi  volontarie  ,  ed  infisse  nell'animo  ,  le  ragio- 
ni e   gì' insegnainenli  della  filosofia?  Ma  perchè  voi  avete 
collocata  la  prudenza  nella  parte  intellettuale  ,  quasi  divi- 
sa e  separata  dall' afTeltuosa  ,  il    vi  concedo   di  leggieri ,  sì 
veramente  che  voi  distinguiate    l'intelletto   nel    pratico  e 
nello  speculativo  ,  percliè  la  prudenza  è  virtù  di  quell' in- 
U'iletlo,  che  riguarda  l'azione;  però  ha  compagnia,  e  con- 


, 


O  DKLLE  VII!  tu'  I77 

giunzione  insepar;ibile  colle  virtù   morali ,  che  sono  forme 
del  concupiscibile  e  dell'  irascibile  appetito. 

PlGNATTEl.I-0.  Se  in  questa  guisa  si  dee  prima  appren- 
dere la  filosofia  de' costumi  che  la  contemplativa,  tutti 
dalle  cose  medesime  sogliono  venire  quasi  ammaestrati  al- 
le scuole  deTilosofanti:  ma  io  chiedo  se  la  dottrina  di  Ari- 
stotile nella  filosofia  morale  sia  csquisila,  e  se  ella  si  dee 
prima  apprendere  della  filosofia  morale,  o  dapoi . 

PoJiZlO  .  Aristotile  medesimo  risponde  a  questo  dubbio 
nel  decimo  dell'Elica,   dov'eglidice    di    far  la    divisione 
delle  potenze  dell'anima ,  »na  in  modo   più  rozzo  e  mate- 
riale, che  non  è  fatta  poi  da  lui  medf-simo  ne' libri  dell' a- 
niuia  ,  dove  egli  c'insegna  esquisita  niente  questa  scienza  . 
Divide  adunque  l'anima,  ne' libri  de'oostumi  .  in  due  par- 
ti,  l'una    ragionevole  ,  e   l'altra  priva  di  ragione;  e  l'ir- 
ragionevole in  due  altre,  l'una  delle  quali   non   è  in  mo- 
do alcuno  capace  di  ragione;  l'altra  partecipa  del  suo  lu- 
me e  della   sua  cognizione:  ma    lascia  da  parte  quella   co- 
sì sottile   e  co^ì   diligente  divisione   delle    potenze  dell'a- 
nima ,    delle    quali    tratta    poi    ne"  suoi    libri    particolari. 
JNon  è  dunque  esattamente  amiìiaestrato  nella  scienza  del- 
l' anima   cbi    solamente    ha    letta   la    sua  filosofia    de'  co- 
stumi ;    né    sa    quel    che    sia    l'intelletto   in   potenza,    in 
abito   fd  in  atto,  o  materiale  o  agente;   né  qual    parte  di 
noi  sia  acconcia  a  patire,  qual    nata    per    fare,  qual   nata 
insieme  col    nostra  corpo,  qual    peregrina ,  e  venuta   dal 
Cielo,  qual  mortale  e  corruttibile,  quale  eterna  e  divina  ; 
se  ella  sia  una  in  tutti,  o  pur  diversa  in  ciascuno  ;  né  se  il 
nostro  intelletto  abbia    propria  operazione  ,   o  solamente 
congiunta    col  corpo;  e  se  egli    possa  separarsene ,  e  come 
ed  in  quante  guise  si  faccia  questa  separazione  dell'anima  . 
DOTTORI'..  Altissima  è  verameule  questa  scienza,  e  piut- 
tosto divina  che  naturale,  o  posta  nel   confine  dell'  una  e 
dell'altra  ,  «piasi  partecipe  della  divinità  e  della  natura;  ed 
in  lei  senza  deibbio  do])biamo  essere  ammaestrati,  dopo  la 
cognizione  della  naturai  filosofia. 

Ponzio.  Quei  filosofi  adunque  ,  i  quali  ci  diedero  quel- 
l'ammaestrauiento  ,  Nasce  te  ipsuni  ,  invitandoci  alla   co- 
gni/.ione  di    noi    stessi,  ci    persuasero  non  solamente  alla 
Diaìo^liL  T  IH.  la 


1-8  li'  POR XI o 

morale, ma  alla  naturale  e  divina  filosofia:  anzi  mi  sovviene 
di  aver  letto  presso  Stobeo,  che  Porfirio  voleva  che  dalla 
cognizione  di  noi  medesimi  e' iniialzassinio  alla  cognizione 
del  mondo.  i^Ioglio  nondimeno  disse  alcun  altro  fdosofo, 
scrivendo  all'  Imperadore  che  dalla  cognizione  di  noi  dol)- 
hiamo  salire  a  quella  di  Dio  ,  pin-occhc  Taniinc nostre  sono 
quasi  raggi  di  quel  Sole  intelligibile,  il  quale  c'illuslra 
colla  sua  luce , 

PiGNATTELLO  .  Ben  veggio  come  per  questa  scala  sem- 
pre si  va  ascendendo  ;  ma  se  i  priuii  gradi  sono  quelli  del- 
ìii  filosofia  de'costiuni,  cominciamo,  vi  prego,  dall.i  sua 
virtù,  e  fate  che  io  Scqjpia  quel  ch'ella  sia,  e  quale,  perchè 
mi  giova  di  farvi  di  nuovo  l'istessa  dimanda  ,  ma  coU'istes- 
se  parole. 

POKZIO.  Qual  sia,  e  s'ella  si  può  imparare,  è  peravven- 
ture  il  medesimo;  ma  prima  si  dee  cercare  quel  che  sia. 

Dottore,  llieercando  quel  che  sia  ,  per  mio  avviso  ,  si 
ricerca  se  ella  si  possa  imparare, perchè  molti  hanno  voluto 
ch'ella  fosse  prudenza  ,  o  scienza,  fra' quali  fu  Platone  nel 
Protagora;  ma  le  scienze  s'insegnano  senza  (allo.  Liionde 
p/;nivventiira  da  «pieslo  capo  si  j)uò  cominciare  1'  invesli- 
gazione . 

Ponzio,  Pfitone  nel  Mennone  fu  di  contraria  opinione  , 
ch'ella  apprendere  non  si  potesse,  e  che  ciò  si  dovesse 
considerare  dapoi  clic  si  f)sse  addotta  la  sua  definizione , 
alla  quale  opiiJi(me  io  mi  appiglierei  più  volentieri,  come  a 
quella,  ch'è  men  diversa  dalla  sentenza  data  da  Aristotile 
e  dagli  altri  Peripatcfui ,  i  quali  posero  senza  dubbio  la 
virili  civile,  di  cui  ora  si  ricerca,  nella  parte  affettuosa. 
L'altra  opinione, ch'ella  sia  nella  parte  ragionevole,  fu  non 
solo  dePlalonici ,  ma  di  Zenone,  e  di  Crisij)po,  e  (h  tutti 
gli  Stoici,  a'quaii  parve  che  l'esser  forte,  o  lil)erale,o 
temperato  ,  fosse  operazione  piuttosto  della  ragione,  che 
della  consuetudine. 

DoTTOr.K.  Nobilissimo  è  veramente  il  nascimonlo  della 
virtù,  se  ella  nasce  dalla  ragione;  ma  nascendo  dall'uso,  e 
dall'  essere  avve/zo  più  all'  una  che  all'altra  cosa,  ella  non 
si  può  gloriare  di  cosi  nobil  origine  . 

Ponzio.  A' filosofi  si  conviene  il  dire  non  quel  che  sia 


O  DELIE  virtù'  179 

più  bello,  o  più  dilettevole  di  ascoltare  ,  ma  quel  clie  sia 
più  vero;  ed  estimo  assiii  più  vere  ,  anzi  iriJ^pugiiabili 
quelle  ragioni,  le  quali  dimostrano  clie  la  virtù  civile  non 
sia  scienza . 

PlGNATTELLO.  E  quali  son  queste  ? 

Porzio.  Molte;  ma  accoiìcie  a  persuadere  son  quelle 
elio  si  leggono  nel  Mennone  ,  ed  in  alcun'altro  Dialogo 
de' Platiiiìici  ,  nel  (ju.de  sono  introdotte  a  ragionare  perso- 
ne innominate.  ìl  primo  degli  argomenti  è  questo  :  Che  se 
la  virtù  si  potesse  apprendere,  i  figliuoli  l'avrebbono  ap- 
presa da' padri,  come  gli  altri  artilicj  ;  ma  Temistocle, 
quantunque  insegnasse  a  Cleofante  suo  figliuolo  il  cavalca- 
re, ed  il  lanciare  a  cavallo,  ed  il  tare  con  questo  artificio 
cose  inaravigliose  ,  non  potè  nondimeno  ammaestrarlo  in 
quella  eccellentissima  virtù  ,  per  la  quale  egli  a  tutti  i  cit- 
ti'dini  de!  suo  tempo  fu  supcriore.  zVristide  parimente  , co- 
gnominato il  Giusto,  non  potè  insegnare  al  suo  figliuolo 
Lisimaco  la  giustizia,  in  guisa  eh' egli  fosse  più  giusto  degli 
altri,  benché  paia  che  la  giustizia  colle  leggi  possa  inse- 
gnarsi più  agevolmente  dell'altre  virtù  .  Pericle  ancora,  il 
quale  allevò  Pardalo,  e  Santippe  suoi  figliuoli  in  miniera, 
che  non  furono  secondi  ad  alcun  altro  nell'artificio  del  ca- 
valcare, e  del  saettare,  e  nella  Musica  e  nella  Geometria, 
avrebbe  loro  insegnato  la  virtù  civile,  s'ella  si  potesse  ap- 
prendere, come  gli  altri  artificj;  né  i  figliuoli  di  Tucidide 
la  poterono  apparare  dal  padre,  tuttoché  sotto  la  discipli- 
na di  Eudoro  divenissero  eccellentissimi  nell'artificio  del 
lottare.  Vedete  adunque  cbe  la  virtù  non  s'insegna,  come 
l'altre  arti,  o  come  l'altre  scienze  :  non  é  dunque  né  arte, 
né  scienza,  propriamente  ragionando. 

PlGNATTELLO. Contra  leragionl  addotte  da  voi, o  contro 
gli  esempi  piuttosto,  si  potrebbono  addurre  gli  esempi  no- 
stri, ma  io  ne  sceglierò  uno  fra  molti  altri,  e  lo  sceglierò 
tale  die  non  si  possa  rifiutare.  II  Marchese  di  Pescara, cbe 
oggi  è  celebrato  con  tutte  le  lodidibuoncavaliero,di  buon 
Principe  e  di  buon  capitano,  apprese  coU'imltazione  del 
Marchese  del  Vasto  suo  padre  ,  non  solo  l'arte  di  coman- 
dare agli  eserciti  ed  alle  provincie,  ma  la  prudenza, la  for- 
tezza, la  liberalità  e  la  cortesia, e  l'altre  virtù  dell'animo, 


l8l  II.  Pt^RZIO 

perle  quali  è  forniichibile  a'iieinici,  e  da' suoi  iiui.ito  cA 
onorato  sopra  ciascun  altro  .  JNell  istesso  modo  ,  se  io  non 
sono  errato,  i'a]!prese  il  Marchese  del  Vasto  da  quel  di  Pe- 
scara, e  quel  da  un  altro  RIarcliese ,  e  tutti  per  imitazione 
del  primo,  cLe  lu  Gran  Contestabile  .  e  portò  di  Spagna  in 
questa  nobilissima  uiUà  il  seme  di  ogni  rara  e  peregrina 
virtù. 

PuKZiO.  Non  si  può  negare  che  non  sia,  come  voi  divi' 
sale;  nondimeno  potrebbe  avvenire  die  i  figliuoli  fossero 
eredi  delle  virtù  del  padre,  per  natura  piuttosto:  ma  le  vir-' 
tu  morali  non  si  acqiustano  per  natura  ,  come  la  grandeiiza 
e  la  gagliardia  e  la  belle/za  del  corpo,  di  cui  fu  detto: 
L' infinita  bellezza  ,  eh  altrui  abbattila  , 
Nun  \>i  s' impara  ,  die  auei  dolci  huni 
S' acquislan  per  natura  ,  e  iwu  per  arte  ; 
perchè  s'ella   fossero    naturali,  san-bbono  di  lei  molti  e 
(erti  segni,  come  sono  nelle  razze  de' cani  e  de' cavalli,  ma 
(|uesti  segni  sono  assai  fallaci   negli  uo-nini,  e    fallacissimo 
oltra  tutti  gli  altri  è 

Questo  nostro  caduco  ,  e  fragil  bene , 
C/tè  vento  ^  ed  ombra,  ed  tm  nome  beltade , 
Il  (he  si  potrebbe  dimostrare  con  infiniti  esempi;  ma  basti 
<|uel  dell' Imperador  Domiziano,  il    quale    essendo   somi- 
gliante a  Tito  suo  fratello  nella  belK-zxa  del   corpo,  non  gli 
somigliò  nel  valor  dell'animo,  però  di  loro  si  legge: 

Il  buono ,  e  7  bello  ,  non  già  il  bello  ,  e  7  rio  . 
Oltre  ciò,  se  i  costumi  negli  uomini  fossero  pt-r  natura,  sa- 
rebbono  immutabili  ,  come  è  nella  terra  Tappetilo  di  ca- 
dere al  centro ,  e  mi  fuoco  quello  di  salire  al  cielo:  non 
s^'ipprendono  dunque  le  virtù  de'costumi  per  discijtlina, 
né  sono  per  natura  ;  ma  o  s'acquistano  per  consuetudine  , 
o  sono  concedute  per  divina  sorte,  quasi  dono  di  Dio;  il 
che  potrebbe  esser  avvenuto  nella  progenie  di  questi  Si- 
gnori,  de'quali  abbiamo  ragionato,  ed  in  alcune  altre,  e 
nella  vostra  parieolarmente .  Ma  io  parlerò  de'  tempi  anti- 
chi più  volentieri,  perchè  gli  esempj  delle  cose  moderne 
sono  sospetti  o  d  invidia  ,  o  d' aduliizione;  e  l'una  e  l'al- 
tra siispizione  conviene  che  sia  remotissima  dal  ragiona- 
mento del  filosofo .  Dico  adun(pie  che  Socrate  non  prese 


O  DELLE  VIRTÙ  i9i 

tiiil  padre  l'afte  del  farlestitue,  quasi  paterna  eredità, 
jierchè  egli  sarebbe  divenuto  scultore,  e  non  tìlosoto:  'iia, 
coaie  si  credeva,  ebbe  la  sua  virtù  per  divina  sorte:  neU 
r  istesso  modo  Esiodo  di  pastore  divenne  poeta  ,  quasi  in 
un  subito:  e  Minos  legislatore,  non  fra  le  scuole  de'Juris- 
sconsulti  ,  nm  in  una  spelonca  di  Greti:  Nuina  ,  e  Melas.t- 
gora  inspirati  dalle  nintc; ,  divennero  sapienti:  Epimenide 
liberò  la  città  degli  Ateniesi,  percossa  dalla  pt^sti^  e  dalla 
sedizione,  co'sacnfìcj  ,  non  con  altro  ammaestra  mento  ciie 
d'un  lungliissivno  sogno  :  Aristea  non  essendo  in  opinione 
di  savio,  o  di  dotto  fra  i  Proconesj,  siccome  colui  che  non 
avea  avuti  maestri,  persuase  loro,  perchè  deponessero  l'in- 
credulità, che  l'animo  suo,  abbandonando  il  corpo,  era 
stato  in  un  subito  portato  a  volo  per  l'aria,  ed  aveva  ri- 
cercato tutta  la  Orecia  e  le  Provincie  de' Barbari,  l'isole 
olheeiò,i  fiumi ,  i  monti  e  te  selve,  né  prima  si  rimase 
della  sua  lunga  peregrinazione  ch'egli  aggiunse  a  gì'  Iper- 
borei: frattanto  in  ogni  parte  diligentemente  riguardò  le 
leggi,  ed  i  civili  costuvni,  e  le  nature  di  tutte  le  regioni^ 
le  mutazioni  dell'aria,  l'inondazioni  de' fiumi  e  i  diluvi 
del  mare;  riguardò  ancora  nel  Cielo,  al  quale  ,  per  l'altez- 
za del  volo,  s'era  molto  avvicinato;  laonde  poteva  ri^nirar- 
lo  senza  impedimento ,  e  piìi  chiaramente  che  non  si  fa  da 
terra.  In  tal  guisa  Aristea  ,  ragionando  cose  degne  di  ma- 
raviglia ,  fu  creduto  più  di  Zenagora  ,  o  di  Zenofane,  o 
d'altro  che  narrasse  la  sostanza  delle  cose  ;  e  benché  nm 
fosse  intesa  la  ragione  de' circuiti,  ode'giri  dell'animo, 
per  così  dire ,  persuase  nondimeno  esser  conveniente  che 
l'animo  peregrinasse. 

PlGNATTELLO  .  Se  colla  peregrinazione  dell'  animo  si 
possono  acquistar  le  virtù  ,  o  non  fu  necessaria,  o  non  fu 
più  laudevole  quella  d'Ulisse  e  di  Enea  fra  i  Ciclopi  e  i 
Lestrigoni,  e  fra' Lotofagi ,  e  nell'Inferno,  e  ne' campi  Eli- 
si, o  pur  quella  di  Pittagora ,  e  di  Platone  a' Sacerdoti 
Egizj,  e  d'  Apollonio  Tianeo  a'Gimnosofisti. 

Por/io.  Quelle  furono  quasi  immagini  della  peregrina- 
zione della  mente ,  colla  quale  sogliamo  peregrinare  non 
solo  nelle  concavità  della  terra,  e  nella  profondità  del  ma- 
re, ma  sovra   il  Sole  e  sovra    le  stelle,  rimirando  le  cose 


l8-2  IL  POI'./. li.) 

invit.ibili ,  e  i  regni  intellettuali  ascosi  alla  vista  de' morta- 
li, e  di  luce  divina  risplendenti.  Ma  noi  abbiamo  di  ciò 
])arIato  a  guisa  di  poeta,  favolosamente,  o  niisticamenle 
piuttosto:  al  filosofo  inorale  peravventura  si  conviene  il 
trattarne  in  altra  guisa .  Direi  adunque  clie  delle  virtù, 
alcune  sono  abiti  dell'intelletto,  come  la  scienza  e  l'arte, 
le  quali  si  possono  imparare  per  insegnaiaento  del  maestro; 
altre  sono  virtù  de'costuini  ed  abili  dell'anima  atlV'ttuosa, 
e  perturbata  dalle  passioni  ,  e  si  acquistano  piuttosto  per 
lunga,  e  non  interrotta  usanza  di  bene  operare  ;  e  queste  , 
per  mio  avviso  ,  non  si  possono  dimandare  arti ,  o  scienze 
propriamente. 

Dottore.  IMolti  hanno  avuta  contraria  opinione;  e 
Massimo  Tirio  fra  gli  altri  ,  del  quale  nel  vostro  ragiona- 
mento ho  riconosciuto  alcune  cose,  dice  quasi  dubitando: 
Kcquis  Philosnpliuin  aadiat  dicPìiteni  virtutem  ah  arte 
differre?  e  dopo  molte  distinzioni  fatte  da  lui  in  questa  ma- 
teria ,  concede  die  la  virtù  sia  scienza  ,  ma  non,  è  cantra^ 
la  scienza  virtù;  altrimenti  non  avrebbe  origine  la  virtù, 
uè  dalla  scienza  sarebbe  prodotta  . 

Porzio.  E  senza  dubbio  la  scienza,  o  l'intelletto,  quasi 
padre  della  inorai  virtù  ,  ed  illustrando  co' suoi  raggi  la 
parte  affettuosa,  è  cagione  della  virtù  de' costumi;  non  al- 
trimenti che  'I  Sole,  coli' illuminar  la  terra,  suol  esser 
causa  della  generazione  delle  cose  naturali  :  e  possiamo  af- 
fermare clie  la  virtù  originariamente  sia  nell'intelletto, 
come  in  sua  cagione;  è  forma  nondimeno  dell'anima,  che 
si  muove  per  ira  e  per  cuj>idigia  ,  e  questa  sola  propria- 
mente è  delta  virtù;  tutta  volta,  coloro,  che  men  propria- 
mente hanno  voluto  favellare,  non  solamente  bamu)  cliia- 
mato  la  virtù  ,  o  prudenza,  o  scienza;  ma  la  scienza  virtù  . 
Fra  gli  altri  di  grandissima  autorità  è  Strabone,  in  cui  mi 
sovviene  aver  letto  che  la  Geogralia  ba  bisogno  dell  Astro- 
logia ,  e  l'Astrologia  della  Fisica  ,  alla  quale  non  è  neces- 
sario l'aiuto  di  alcun'altra  ,  perch'olla  è  virtù,  e  perav- 
ventura non  saprei  appormi,  né  dichiarare  intieramente 
f[uel  ch'egli  volesse  intendere;  se  pur  non  chiama  virtù  le 
dignità  ,  o  quelle  scienze  provale  colle  dignità,  le  quali 
non  possono  ricevere  altra  prova.  Ma  la  ttlosofui  natura- 


O  DELLE  VlRTII*  l83 

le  hon  è  sii  fatta  ,  siccome  quella  ,  clic  licorre  alla  tlivina,  e 
éonrannaluralc  filnsoria  per  provarne  i  suoi  prin(;ipj  ;  sola 
dunque  le  Mctalisica  per  questa  ragione  tlovnblje  esser 
tlctla  virtù.  Ma  se  tutte  le  scienze  sono  perfezioni  cieli' in- 
telletto speculativo  ,  e  le  perfezioni  son  virtù,  le  scien/e 
tutte  sono  senza  dubbio  virtù;  ma  noi  parliamo  della  virtù 
de'costumi  ,  alla  quale  proprissimamente  conviene  questo 
nome  ,  e  dobbiamo  definire  quel  cb'ella  sia;  percbè  oltre 
al  proponimento  ,  e  forse  oltre  all'  ordine  ,  abbiamo  ricer- 
cato s'ella  si  possa  itnparare. 

PlGNATTELLO.  In  tutti  i  modi  estimo  cbe  si  possa  ap- 
prendere ;  e  cbe  voi  possiate  insegnarla  ,  percbè  se  la  virtù 
si  insegna  da'buoni  ,  voi  siete  ottimo,  se  da'dotti  e  da'savj, 
voi  siete  dottissimo  e  sapientissir)\o. 

Porzio.  Troppo  son  Iodato  dalla    vostra  cortesia,  e  ri- 
conosco cbe   la  cagione  di  lode  cosi  smoderata,  piuttosto 
<è  nella  vostra  aflVzione,  cbe  nel  mio  merito.  Or  facciamo 
prova  di  terminar  la  virtù  ,  percbè  termini    sono   le  defiiù- 
zioni,  oltre  a' quali  non  è  lecito  di  trapassare  né  col    più  , 
né  col  meno;  bencbc  alla  virtù  si  convenga   non  solo   l'es- 
ser terminata  dalla  dellnizione  ,  ma  il  terminargli  airclfi, 
ed  il  misurargli;  laonde  non  errerebbe  cbi  definisse  le  vir- 
tù morali ,  termini ,  o  misure  delle  azioni  e   delle  passioni 
umane,  le  quali  jjer  lor  natura  sono  quasi  infinite  e    siimsu- 
rate:  ma  forse  dobbiamo  cominciare    questa  investigazione 
da  più  alto  principio  ,  »ion  tralasciando  le  più  anticbe  o|)i- 
nìoni  degli  altri,  cbe  l'bonno  definita.  Dico  adun(jue  che 
nel  Mennone  di  Piattine,  la  virtù  dell'uomo  civile  è  defini- 
ta: ,,  sufficienza  nell'  amministrazione  delle  cose,  colla  qua- 
le ,  nel  trattarle,  si  giovi  agli  amici,  e  si  noccia  a'  nemici ,,  : 
fu  questa  definizione  dell'  antico  Sofista  Gorgia  ,  biasimata 
da  Socrate  colla  solila  ironia  ,  ])ercbè  in  luogo  di  una  vir- 
tù ,  tìe  introduce  molte,  quasi  altra  sia  la  virtìi  dell'uomo, 
altra  quella  della  donna  ,  altra  quella  del    fanciullo,  altra 
quella  del  vec(;bio.  Aristotile  nondimeno  nel    primo  de' li- 
bri politici ,  lodò  più    l'opinione    di  Gorgia    cbe  quella  di 
Socrate;  e  peravventura  non  si  può  rifiutare  il  genere  del- 
la virtù,  cb'è  la  sufficienza  nelle  cose  civili,  percbè  è  opi- 
nione di  molli  cbe   la   virtù  basti  a  se  medesima  ;  opinione 


l84  IL  PORZIO 

nondimeno,  che  ripugna  alla  dottrina  de' Peripatetici,  e 
forse  alla  verità;  avvengacìiè  la  virtù  nf^H' operazioni  ab- 
bia bisogno  delle  cose  esterne  ;  e  l'esser  bastevole  a  se 
stesso,  o  la  suHìcienza  ,  die  vogliani  dirla  .  nelle  cose  civi- 
li, è  piuttosto  ricercata  nella  felicità  che  nella  virtù:  definì 
adunque  la  felicità  ,  volendo  definire  la  virtù,  e  le  prese 
(  come  si  dice  in  cambio,  come  prima  ,  e  poi  fecero  mol- 
ti altri,  i  quali  più  severamente  filosofarono:  tanta  è  la 
somiglianza  fra  l'una  e  l'altra  !  Un'altra  definizione  fu  re- 
cata in  mezzo  da  Gorgia  .  il  quale  presupponendo  che  la 
virtù  fosse  una  di  tutti,  disse  che  virtù  era  il  p  »ter  coMian- 
dare  agli  uomini,  e  sovrastar  loro;  ma  in  questa  definiti  i- 
ne  la  virtù  è  1'  istesso  che  la  potenza,  la  quale  può  esser 
giusta  ed  ingiusta,  come  fu  quella  di  Gige  e  di  Spartaco  , 
e  di  altri  servi,  cbe  occuparono  la  Signoria,  e  comandaro- 
no a' liberi;  ma  la  virtù  non  può  essere  ingiusta  in  modo 
alcuno,  anzi  non  è  più  virtù  la  copia  de'  beni  colla  giu- 
stizia, elle  l'inopia;  ma  l'una  e  l'altra  insieme  è  lo- 
data colla  virtù:  o  questa  definizione  adunque  non  è  buo- 
na, o  non  è  della  virtù  universale,  siccome  quella  die 
non  contiene  la  virtii  de' fanciulli  e  de' servi  ,  e  ciò  parve  a 
Socrate.  Ma  A.ristotile  giudicò  altrimenti,  che  i  servi  non 
avessero  virtù, o  non  altra  di  quella,  die  si  mostra  ndl'ub- 
bidire.  La  terza  definizione  della  virtù  è,  cb'ella  sia  un 
g  idimento,  ovvero  un  desiderio  delle  cose  oneste,  insieme 
colla  potenza  di  poterle  conseguire  :  ma  questa  definizione 
è  parimente  rifiutata  da  Socrate,  perchè  le  cose  oneste  so- 
no le  cose  buone:  ma  il  desiderare  le  cose  buone  è  appeti- 
to universale  di  ciascuno;  non  essendo  possibile  che  alcuno 
desideri  il  male  conosciuto,  o  voglia  esser  infelice;  oltreciò 
la  podestà  di  ccmseguir  le  cose  buone,  o  quelle,  che  paiono, 
può  essere  ado])errtta  senza  giustizia,  o  con  giustizia:  senza 
giustizia  adoperandosi,  non  può  esser  virtù  ;  ma  adoperata 
con  giustizia,  è  adoperata  con  parte  della  virtù:  ma  tutta 
la  virtù  non  dee  adoperarsi  con  una  sola  parte;  dunque  le 
definizione  è  rifiutata  per  l'istessa  cagione,  perchè  divide  la 
virtù  in  molle  parti,  della  quale  tutta  si  cerca  una  sola  de- 
finizione: ma  se  la  giustizia  è  tutta  la  virtù,  com' estimò 
Aristotile,  la  definizione  per  questa  ragione  non  dovrebbe 


O  DELLE  virtù'  i85 

«•sser  ripresa.  Socrate  si  appigliò  piuttosto  a  quella  opinio-. 
ne,  che  la  virtù  fosse  prudenza  o  scienza  ,-  nella  quale  non 
perseverò  con  molta  costanza,  perciocché  le  scienze,  p' r 
suo  avviso,  sono  quelle,  delle  quali  si  trovano  i  maestri  e  gli 
scolari;  ma  della  virtù,  come  a  lui  parve,  non  v'  è  discepolo 
conveniente,  ne  si  ritrovò  chi  potesse  insegnarla;  laonde 
al  fine  concliiuse  che  gli  uomini  civili  non  giovassero  alla 
Repuhhiica  virtuosamente  operando  ,  per  alcuna  cerln  ,  e 
ferma  scienza  :  ma  piuttosto  per  huona  opinione  ,  o  per  in- 
spirazione divina  nella  quale  i  Principi,  e  i  Magistrati 
nelle  Repubbliche  sono  somiglianti  a'  poeti,  ed  agli  altri 
da  divino  spirito  illuminati.  Questa  in  quel  luogo  fu  l'opi- 
nione di  Socrate. 

Dottore.  Io  stimo  che  questa,  come  l'altre  opinioni 
degli  uomini  civili,  si  possa  assomigliare  alle  statue  di  De- 
dalo, le  quali  si  movevano  e  fuggivano  via  ,  e  solamente 
legate  potevano  fermarsi;  laonde  perch'ella  non  fuggisse 
dall'animo  avea  bisogno  di  qualche  ragione  derivata  dalle 
cause,  la  quale  ivi  la  legesse,  e  la  tenesse  stretta  a  guisa  di 
canapo,  odi  ritorta,  che  non  può  esser  disciolta  di  leggieri- 

Porzio.  Le  ragioni,  per  opinione  di  Socrate,  legano 
nell'animo  1'  opinioni  in  guisa  che  non  possono  fuggire, 
ma  d'opinioni  divengono  scienze;  e  se  ciò  è  vero,  l'intel- 
letto di  colui  ,  che  sa,  è  legato  dalle  ragioni:  ma  io  avrei 
creduto  piuttosto  che  la  nostra  mente  ,  quando  ella  è  più 
adorna  dell'abito  delie  scienze,  sia  più  libera  nel  giudica- 
re, e  più  vera  estimo  la  sentenza  di  Aristotile,  nel  settimo 
della  filosofia  de' costumi ,  che  la  mente  sia  legata  dagli 
argomenti  de' Sofisti. 

Dottore.  È  come  voi  dite  senza  fallo;  tuttavolta  la 
necessità,  che  portano  seco  le  dimostrazioni  di  ciascuna 
scienza,  sono  così  forti  che  potrebbono  essere  assomiglia- 
te a' nodi,  ed  alle  catene  del  diamante:  e  gli  antichi  poe- 
ti ,  per  quel  Proteo,  che  si  trasformava  in  tante  sembian- 
ze, altro  peravventura  non  vollero  significare,  che  il  Sofi.c 
sta  trasmutabile  in  tante  guise,  il  quale  al  fine  è  legato 
da' lacci  della  ragione. 

Porzio,  dunque  la  menzogna  è  legata  dalla  verità,  o  il 
menzognero  :  ma  la    verità  dee  rimanere  disciolta  ,  e  colle 


tS6  IL  PORZtO 

feue  dimostrazioni   adamantine    legar  piuttosto  gli   altri, 
che  se  medesima. 

Dottore.  Queste  sono  questioni  di  metafore  a p parler 
nenti  piuttosto  al  gramatico  che  al  fiiosofo,  il  quale  dee 
rade  Tolto  usarle,  e  radissime  volte  questionarne:  pur  io 
dirò  che  l'opinioni  sono  legate  come  le  cose;  ma  essendo 
l'ordine,  e  la  catena  delle  cose  quasi  indissolubile,  quella 
dell'opinioni  parimente  dovrebbe  esser  congiunta  insieme 
in  quella  guisa  clie  non  sono  gli  anelli  del  monile.  Conce- 
damisi  dunque,  che  si  possano  disciogliere  i  nodi  del- 
le vere  opinioni ,  se  non  si  disciolgano  quelli  delle  ca- 
gioni,  co'  quali  la  natura  e  la  necessità  ha  legato  il  inon- 
do. Mi  maraviglio  nondimeno  come  la  provvidenza  delle 
cose  superiori ,  che  dagli  antichi  fu  figurata  coli' immagi- 
ne di  Prometeo ,  sia  legata  dalla  forza ,  e  dalla  violenza  ai 
durissimi  sassi  del  monte  Caucaso  :  ma  mi  sovvengono  an- 
cora quei  versi  di  Eschilo,  de'quali  fanciullo  io  soleva  ol- 
tre modo  maravigliarmi  : 

X9^0VÒ5  fxìv  fi?  Ty]\>ipOV  VJKOLiSV  TTt  5oV  , 
SXU^'AX)  £5  0ÌU.QV^  Oi/3xTOV  é  li  ìpvjaloiv 
H  <^XlqS  •   coi  U   XP^   jJiiXstV   ÌTTiqoXài 

A  s  aoi  TTXTvip  ì<pHTo^  Tov  5È  TTpòs  Trs'rpxf? 

A'ÌXfJiOiTlvxii  7rt'5>jcr<y  iv  a ppi| x.ro.'c  Tcs'rpxii 
To  cov  7ap  OLVDCQ  vravrc^^^v»  7rupo«  a  Mi 
GvyiTOici  K\i^l/Xi  (jùTTxcsv.  Tota.;  3e  toi 
A'juapTi'ot;  c(p/  hìc  ?!iot(;  35va(  5(i/Ujj 
Q'?  at'  òi^x/j^i^  r'juj  Si'o?  rupxvvi^x 

ETipyUl',  (^'.Xxv^p-jÓTTH   5ì    TToivii'^Xl   TpOTTH 

che  suonano  in  nostra  lingua  ; 

Già  stani,  giniui  ,  o  P^ulcan ,  nc\'asti  campi  i 
E  nelle  solitudini  deserte  , 
Per  doli  e  a  Scizia  Oassi;  a  te  s^  aspetta 
J  decreti  adempir  del  genitore , 
E  cfuesto  audace  all'  alte  eccelse  rupi 
Con  lacci  indissolul/il  di  diamante 
Legar  fra  i  duri  sussi .  Ei  lo  splendore 
Del  fuoco  onnipotente ,  onde  tu  altero 
-N' andavi  già,J'uralti ,  ed  a'  mortali 


O  DELLE  VmXU'  l8j 

Dono  nefco:  dritto  è  ,  che  d' un  tal  fallo 
Pai^hi  agli  Della  meritata  pena  ; 
Ond'  egli  a  venerar  f  alto  potere 
Di  Gioi'c,  e  l'uomo  a  meno  amare  apprenda  ; 

ed  alcuni   tle'seguenti,  ne'  quali   attribuisce  a  ProinetoQ 

l'invenzione  di  tutte  l'arti,  come  quelli: 

che  Così  posson  tradursi: 

Di  macchine  un  gran  numero  ,  e  d'  ordigni 

A  lor  prò  ritro^'ai ,  come  pur'  anco 

Delle  lettere  i  varj  accoppiamenti . 
Laonde  io  raccolgo  clie  Prometeo,  per  opinione  di  co- 
storo,  non  fosse  la  provvidenza  delle  cose  superiori ,  inf^ 
delle  inicriori  ;  quella  clie  da  Platone  ,  nel  Protagora  ,  è 
attribuita  ad  Epimeteo  :  ma  la  provvidenza  delle  cose  in- 
feriori è  peravventura  l' istesso  che  il  fato,  a  cui  si  con- 
viene il  legamento  e  l'ordine  indissolubile  delle  cause: 
tuttavolta  Prometeo  ancora ,  come  Sofista,  è  legato  da 
Giove  ,  come  si  legge  in  quei  versi: 

Kai  rv,v  hìs  vùv  TTCpnacov  a.:(I)xXu;,  7vx 

che  vagliono  in  nostra  lingua: 

Questo  ancor  bene  stringi  ,  ond'  egli  intenda  ^ 
C li' egli  ha  di  Giove  assai  minor  ing>^gno  , 
percioccbè  avendo  egli,  quasi  consigliero  di  Giove,  io- 
sienie  con  Temide,  condennato  nell'esilio  eterno  il  vec-? 
chio  Saturno  ,  e  persuaso  il  figliuolo  alla  distribuzione  dei 
premj  ineguali  ,  secondo  la  proporzione  geometrica,  si  la- 
sciò ingannare  dallo  studio  dell'umanità,  e  dall'  affezione, 
che  portava  alla  generazione:  ma  queste  sono  favole,  col- 
le quali  gli  antichi  altro  non  vollero  significare,  che  la 
necessità  del  fato,edelle  cose  fatali.  I  nostri  Teologi  hanno, 
insieme  colla  prudenza  voluto  concedere  il  libero  arbitrio,- 
libera  dunque  dee  essere  la  volontà  neireleggere,e  l'Intel- 
letto nel  giudicare .  Dunque  non  astretti  dalle  mie  ra- 
gioni, ma  ])ersuasi  piuttosto  in  questa  materia  de' co- 
slumi  potrete  approvare  quella  opinione,  che    slimeretg 


l88  IL  PORZIO 

tiùgliore  ;  e  già  abbinino  detto  cbe  la  virtù  non  è  suffi-» 
iienza,  perchè  la  sufUcieuza  coiivifue  piuttosto  alla  felici- 
t;i  che  alla  virtù  ,  se  pur  la  felicità  e  la  virtù  non  sono 
ristesso:  non  è  similmente  potenza,  perchè  la  potenza 
può  esser  ingiusta  ,  ed  essendo  congiuntn  c(»i)  quella  giu- 
stizia, eh"  è  parte  della  virtù,  coui'è  la  correzi  >ne,  o  quel- 
la, che  distribuisce  i  premi,  non  eserciterebbe  la  virtù  in- 
tera: non  è  ancora  scienza,  perchè  delle  scienze  sono  i 
maestri  e  gli  scolari;  ma  delle  virtù  non  soi^liono  ritro- 
varsi: oltreciò  le  scienze  sono  delle  cose  opposte;  ma  la 
virtù  perav ventura  non  è  delle  cose  contrarie,  ma  è  fra  le 
contrarie,  le  quali  da  lei  sono  egualmente  fuggite. 

Dottore.  La  fortezza  nondimeno  consiste  nel  temere 
e  nel  non  temere.  Laonde  da' Platonici  fu  definita  scienza 
delle  cose,  che  si  deono  temere,  o  sprezzare;  la  liberalità 
nel  dare  e  nel  ricevere,  che  sono  atti  quasi  contrarj;  la 
giustizia  nel  premiare  e  nel  punire;  la  mansuetudine  ncl- 
l'adirarsi  e  nel  placarsi  ;  e  così  dell'altre  dee  parimente 
avvenire,  se  non  m'  inganno. 

Porzio.  La  congiunzione,  che  la  virtù  ha  eolla  scienza, 
dalla  quale  deriva,  non  altrimenti  che  lume  da  luce,  è 
peravventura  cagione  che  la  virtù  si  ;td;)peri  nelle  cose 
opposte;  tuttavolta  non  in  tutte,  ma  in  alcuni;,  perchè  il 
magnanimo  e  'I  miignifico  non  s'impiegano  nelle  cose 
grandi  e  nelle  picc(de ,  ma  nelle  grandi  sol. unente;  né  di 
ricever  il  beneficio,  o  di  averlo  ricevuto  si  allegra  il  m.i- 
cnanimo  ,  anzi  suol  contristarsene  e  solamente  è  lieto  di 
averlo  fatto:  anzi  né  il  liberale  accetterebbe  i  doni  giani- 
mai,  né  '1  forte  fuggirebbe  i  pericoli,  ne  '1  temperato  se- 
guirebbe i  piaceri,  se  loro  non  fosse  dimostrato  dalla  pru- 
denza, o  dalla  scienza,  cbe  sia  convenevole  il  così  fare  .  E 
dunque  la  virtù  morale  fra  i  contrarj  :  nia  si  guarda  dal- 
l'uno,  e  dajr  altro  e  si  ritira  nel  mezzo,  quasi  fuggendoli; 
uè  mai  farebbe  l'operazioni,  che  hanno  sembianza  di 
contrarie,  s'ella  non  fosse  dalla  prudenza  ammonita.  Non- 
dimeno né  l'accettare  i  doni  è  contrario  al  donare,  perchè 
i  contrarj  si  distruggono:  ma  queste  due  azioni  della  libe- 
ralità si  conservano  vicendi^volmente  ;  né  il   premiare  p^r 


O  DE1>LE  VlUTU'  iHc) 

la  medesima  cagione,  è  contrario  al  piu)ire,  ed  il    medesi- 
mo si  potreliht;  affermare  negli  altri  diil)bj  . 

PlGNATTKl.I.O.  Difficile  O|)or;izione  è  quella  della  vir!n, 
poiché  dimorando  sempre  fra' eontrarj ,  dee  ritirarsi  diìl- 
l'uno  e  dall'altro  nel  me//o;  e  pericolosa  mediocrità  è 
quella,  cbe  può  esser  offesa  dagli  estremi. 

Porzio.  Altri  disse  per  questa  cagione  ,  fra  i  quali  iu 
Platone  e  Plotino  suo  seguace  ,  che  la  virtù  sia  il  fuggi- 
re il  vizio  ,  nella  qual  fuga  ,  come  a  lui  parve  ,  l'uomo  si 
assomiglia  a  Dio.  La  fuga  nondimeno  non  è  diU'estremi- 
tà  alla  mediocrità  ,coiiie  dianzi  da  voi  fu  detto  ;  ma  dalle 
cose  inferiori  alle  superiori:  laonde  colui  (lie  fugge  il  vi- 
zio, fugge  tutte  le  cose  sensibili,  e  si  ricovera  ne'  regni 
intellettuali,  dove  dalle  passioni  non  può  esser  ])erturbato. 

PlGNATTEi.T.o.  A  me  parf>  che  la  virtù  non  abbia  mol- 
t' obbligo  a  questi  filosofi  ,  che  non  le  baimi  data  troppa 
bella  ,  o  troppo  splendida  apparenza  ;  perchè  io  credeva 
che  la  virtù  dovesse  esser  contenta  di  se  medesima,  ed  in 
guisa  possente  che  da  niuna  cosa  potesse  esser  superata  ; 
i»ra  da  voi  intendo  ch'ella  non  è  sufficienza,  non  potenza, 
non  sapienza,  ma  fuga;  col  qua!  nome  a  me  pare  piutto- 
sto somigliante  al  vizio  ;  né  so  immaginarmi  come  nella 
fuga  l'uomo  possa  a  Dio  assomigliarsi,  né  qual  similitudi- 
ne sia  questa  .  Io  piuttosto  avrei  lodata  quella  virtù,  la 
qual  resiste  e  conbatte  co' nemici,  e  gli  doma,  e  lor  pone 
il  giogo  ed  il  fi'eno  di  un  fermo  e  costante  imp<MÌo;  né  mi 
può  cadere  in  alcun  modo  nell'animo  ,  che  la  virtù  sia  de- 
gna di  lode  e  di  onore,  se  io  non  la  veggio,  a  guisa  di 
Ercole  ,  coiubnttere  coli'  Idra  delle  nostre  cupidità  ,  e  col 
Leone  dell'animosità,  e  vestita  delle  sue  spoglie  e  del  suo 
vello,  allegrarsi  della  sua  vittoria. 

Porzio.  La  virtù  coiubatte  senza  fallo,  o  piuttosto  è 
virtù  dapoi ,  cli'ella  ha  combittule,  e  soggiogate  le  passi  )- 
ni  ,  e  preso  lo  scettro  ,  e  la  signoria  dell'animo ,  ed  a  guisa 
di  regina  collocatasi  nel  seggio  altissimo  dell'intelletfo  : 
allora  comanda  senza  contesa  ed  a  cheto,  e  •-enza  alcuna 
ribellione  è  ubbidita.  Prima  nel  contrasto,  e  nella  batta- 
glia degli  affetti,  è  disposizione  piuttosto,  la  quale  si  con- 
ferma ,  e  confermandosi  diviene  virtù  ;  fugge  nondimeno  la 


190  IL  PORZIO 

virlù  il  vizio,  ma  lu  sua  fngi  iioii  |uiò;jss!i!nigli;)rsi  a  quel- 
la del  leone,  o  a  quella  de'Parli,rlie  fugi^ivaiio  vii  ceiHlo,o 
ad  altra  quaggiù,  perchè  non  rifugile  Ira  le  coso  inferiori, 
ina  ira  le  superiori ,  non  tra  le  caduche,  ma  fra  l' iiiinior- 
lali,  non  fra  le  terrene,  ma  fra  1;^  celesti;  e  nella  fuga  si  as- 
somiglia a  Dio;  ma,couie  dice  Plotino,  con  altra  similitudi- 
iie,  che  non  è  (juesta  che  noi  riconosciamo  (juaggiìi  fra  le 
cose  somiglianti  di  specie:  ma  il  trattare  della  virtù  in 
questa  guisa,  non  conviene  al  nostro  proponimento,  né 
peravventura  al  vostro  desideri).  Taccio  adunque  ciò  ,  che 
da  Plotino  è  detto  delle  virtù  purgative  o  di  (pielle  d  ani- 
mo già  purgato  ,  o  dell' esernphui,  perchè  noi  d')l)hiamo 
trattar  delle  virtù  civili  soli  iiente,  in  quel  modo,  che 
elle  possono  giovare  nelle  azioni  alle  Repuhhliclie ,  ed 
a' Regni,  ed  agli  Imperj  ,  ed  in  cjuesla  guisa  di  lc>ro  ra- 
gionando, elle  non  solamente  son  diiHnite,  ma  ,  come  di- 
ce Plotino  ,  dellniscono,  e  sogliono  collocare  l' animo  ol- 
tre alle  passioni  infinite  smoderate,  perccrhè  s  iiisu>Mt« 
sono  le  passioni,  e  smoderata  è  la  materia,  e  la  virtù  è  tjua- 
si  moderazione,  e  quasi  misura  di  ciascuna.  IMi-nre  dun- 
<jue  assai  convenevolmente  furono  deliiiito  da  Aristotile, 
da  Plotino,  da  Plutarco  e  da  Alessandro:  ma  se  questa  de- 
finizione ancora  non  ci  contenta, cominciamo, come  ho  det- 
to, da  più  alto  principio,  cioè,  dalia  divi>;ione  dell' aniiia  , 
e  d(;lermiiuamo  quel,  che,  per  opinione  di  Aristotile,  la 
ijuale  io  a  tutte  l'altre  soglio  preporre,  sia  la  virtù;  e  s'el- 
la sia  una  ,  o  molte,  o  come  ciascuna  dall'ultra  diiferente. 
Dottore.  Tutte  le  opinioni  degli  antichi  si  ascoltano  on 
attenzione,  e  con  silenzio  di  voi,  che  sapete  meglio  di  ogni 
altro  dichiararle  ,  ma  quelle  di  Aristotile  particolarmente. 
PlGNATTELLO.  Piaccia  a  Dio  che  io  ne  sia  così  huouo 
ascoltatore,  come  sono  desideroso  di  udire. 

Poii/IO.  Non  vi  sia  grave  di  ascoltare  quel ,  che  potete 
avere  udito  altre  volte;  perchè  all'uomo  civile,  o  di  stato, 
ed  al  cavaliere,  se  così  vi  piace  che  ragioniamo,  si  con- 
viene il  sapere  alcutia  cosa  dell'anima,  non  altrimenti  che 
si  convenga  a  colui  ,  che  dee  medicare  gli  occhi,  o  tutto  il 
corpo,  averne  ipudche  cognizione!;  e  tanto  maggiore  si 
conviene  alluoiiK)  di  stato,  che  al  medico,  <|uanlo  la  pru- 


O  DELLE  virtù'  IQl 

tIenzH  del  cavaliere  è  pivi  orrevole ,  e  più  eccellente  della 
medicina.  A  lui  dunque  si  conviene  la  contemplazione  del- 
l'aniiiia  qu.mto  basti  ;  perchè  il  considerarne  più  oltre,  e 
Taverne  più  esatta  scienza  è  opera  maggiore,  è  più  inala- 
Ljovole  ;  laonde  se  ne  può  ragionare  in  quel  modo,  che  si 
usa  fuori  delle  scuole ,  ne'nostri  ragionamenti  quasi  este- 
riori, a  quali  c'invita  l'amenità  di  questo  luogo,  e  la  no- 
Liltà  dell'auditore,  che  nella  solitudine  è  in  vece  di  molti. 
Dico  adunque  che  delle  parti  dell'  anima  ,  alcuna  e  priva 
di  ragione ,  alcun' al  tra  è  ragionevole  ;  e  non  rileva  al  no- 
stro proposito  se  elle  sian  corno  le  parti  del  corpo  ,  e  come 
pgn' altra  cosa  ,  che  si  possa  dividere,  o  pure  s' elle  sian 
due  per  ragione ,  e  nel  modo  di  considerarle  ;  ma  in  effetto 
non  possono  esser  separate  in  quella  guisa,  che  nel  cerchio 
il  concavo  non  può  separarsi  dal  convesso:  ma  della  parte 
irragionevole  alcuna  virtù  è  comune  agli  animali  irragio- 
nevoli, com'  è  la  vegetativa,  la  quale  è  in  tutte  le  cose, 
die  si  nutriscono,  e  ne' parti  ,  e  negli  animali  perfetti,  più 
che  in  alcun'allro  ;  e  suol  ne' sogni  particolarmente  dimo- 
strar la  sua  virtù:  ma  questa  potenza  ,  non  essendo  capace 
di  alcuna  nioral  virtù  ,  si  dee  lasciare  addietro  ;  ina  nel- 
l'istessa  anima  irragionevole  è  un'altra  natura,  la  quale 
])artecipa  di  ragione,- perocché  suole  ubbidirle,  siccome  av- 
viene nel  temperato, nel  quale  il  desiderio  de'piaceri  presta 
iil)hidienza  alla  ragione,  o  pur  nel  forte,  in  cui  l'animosità 
si  lascia  dalla  ragione  soggiogare,  ed  obbedisce  alla  pru- 
denza ;  non  altrimenti,  che  il  figliuolo  soglia  al  padre;  ma 
questa  parte  ancora  è  doppia;  e  l'una  è  detta  concupiscibi- 
le, l'altra  irascibile;  edora  non  considero  se  queste  poten-: 
ze  sian  di  stinte  di  luogo,  siccome  parve  a  Platone,  il  quale 
pose  la  ragione  nel  capo,  l'ira  nel  cuore,  e  la  cupidigia  nel 
fegato,  e  dapoi  a  Galeno,  come  si  legge  in  quel  libro,  die 
egli  scrisse:  De  Placitis  Hippocralis ,  et  Platonis ;  o  non 
distinte,  come  giudicò  Aristotile,  il  quale  assegnò  all'ani- 
ma il  cuore,  quasi  reggia,  in  cui  potesse  aver  albergo,  con 
tutte  le  sue  potenze,  e  con  tutte  le  virtù;  e  taccio  ancorf^ 
quel,  che  si  questiona  fra  i  Peripatetici,  e  i  Medici,  se  il 
])rincipato  dell'anima  sia  nel  cuore,  o  nel  cervelli:  basti  i( 
sapere  che    l'uomo,  è  di   natura   duppia,    e  composto  di 


ig'i  IL  PORZIO 

partibile,  e  d'iinpartibile  essenza  ,  o  duiruno,  e  dell'al- 
tro, come  dissero  i  Platonici  .e  Plutarco,  che  fra' Peripa- 
tetici oltremodo  a'  Platonici  è  somiglianfe  ;  pei'cliè  1  anima 
nostra  ,  per  opinione  loro ,  è  una  particella  quasi  divisa  ,  e 
tagliata  dall'anima  dell'universo  ,  la  quale  nel  medesimo 
)iìodo,  e  co' numeri ,  e  colle  ragioni  medesime  è  congiunta 
e  composta;  e  la  natura  impartihile  è  quella,  che  con  un 
movimento  solo  si  volge  dall'  Oriente  all'Occidente;  la 
partihile  è  quella  ,  la  quale  si  distende,  e  si  divide  intorno 
a  corpi ,  e  si  volge  con  moto  contrarlo,  e  nella  medesima 
guisa  la  nostra  mente,  nella  sua  operazione  del  conteuipla- 
re,  si  volge  in  se  medesima  con  moto  quasi  circolare;  ma 
l'appetito  ha  moto  quasi  opposto  ,  e  per  sua  natura  vario, 
e  pieno  di  errori,  e  disordinato  ;  del  che  senza  fallo  si  av- 
vide Pittagora  ,  il  quale  C(»Ilo  studio  della  musica  cercò  di 
placare,  e  di  acquietar  la  parte  perturbata  dell'aniino,  e 
quasi  rubella.e  sediziosa,  affinchè  ella  non  negasse  di  pre- 
stare obbedienza  alla  ragione.  Essendo  in  questo  modo  di- 
visa, e  disposta  l'anima  nostra,  in  lei  tre  cose  si  ritrovano, 
nna  delle  quali  conviene  che  sia  la  virtù  ;  io  dico  gli  allet- 
ti .  le  potenze,  e  gli  abiti.  Chiama  affetti  Aristotile  la  cu- 
pidità, l'ira,  la  paura;  la  confidenza,  l'invidia  ,  l'allegrez- 
za, il  desiderio  ,  l'emulazione,  e  la  misericordia,  e  tutti 
quei  movimenti  delT  animo,  i  quali  sogliono  essere  seguiti 
dal  piacere,  o  dal  dolore;  potenze  son  ([uelle,  per  le  qua- 
li siamo  idonei  a  ricever  così  fatte  perturbazioni;  abiti 
quelli  ,  per  cui  siamo  bene  ,  o  male  abituati  negli  affetti  . 
]Nè  vi  mancò  chi  riponesse  le  virtù,  e  i  vizj  negli  affetti  ; 
perchè  da  Cicerone  ,  nel  quinto  delle  Tusculane ,  la  virtù 
è  (h'finita,  afl'ezrone  costante,  e  convenevole  dell'animo,  la 
quale  (a  degni  di  lode  coloro,  in  cui  si  ritrova;  ed  ella  per 
se  stessa  è  lodevole  ,  separata  da  ogni  utilità  ;  ma  per  opi- 
nione di  Aristotile  ,  per  gli  affetti  non  sogliamo  meritar 
laude,  o  biasimo  alcuno,  né  siamo  detti  virtuosi ,  o  vizio- 
ri;  oltrcciò  ripugna  all'affezione  l'esser  costante;  perchè 
essendo  l'affezioiu;  un  movimento  disordinato  dell' animo, 
non  può  avere  alcuna  costanza  ,  la  (piale  non  è  senza  ele- 
zione, ma  sogliamo  nondimeno  adirarci,  e  temere  senza 
elezione;  lo  virtù  tutte  sono  elezioni,  o  non  senza  elezione: 


O  DET.Li;  virtù'  igS 

vna  non  tliiei  clie  le  virtù  sinn  potonzn,  porrlip  non  slam 
iletli  buoni  ,  o  cattivi  ,  né  lodati ,  o  vif^upenili  per  poterci 
adirare,  o  teu)ere  semplicemente:  oltreciò  siamo  possenti 
per  natura,  ma  non  huoni,  o  malvagi,  come  dianzi  fu  det- 
to :  non  essendo  la  virti!i  potenza,  o  affetto,  rimane  cLclla 
sia  abito. 

PlGNATTELLO.  Asshì  ìirne  infonderci  quel  cb'clla  fosse, 
se  io  sapessi  esquisitamente  quel  che  sia  ciiìscuna  delie  tre 
cose,  che  avete  detto  ritrovarsi  nell'animo. 

Porzio.  Sono  definite  da  Plutarco,  il  qual  vuole  che 
la  potenza  sia  il  principio  dell' all'etto,  e  la  sua  materia;  e 
r  all'etto  un  luovimento  della  potenza;  e  l'abito  la  sua  for- 
ma, impressa  nella  parte  irragionevole  dalla  consuetudine: 
però  volendo  significare  il  Petrarca  che  la  sua  donna,  per 
lunga  usanza,  l'aveva  fatto  buono  ,  e  virtuoso,  e  somi- 
gliante a  se  medesima  , disse; 

Di  lei  ,  c/i'  alto  vestigio 

Jli' impresse  al  core  ,  e  'IJece  suo  simile. 

PlGNATTELl.O.  Dunque  nella  parte  irragionevole  sola- 
mente sono  gli  affetti,  e  la  ragionevole  è  priva  di  ogni  pas- 
sione ,  e  d'ogni  animosità. 

Ponzio  .  Varie  sono  state  intorno  a  ciò  le  opinioni ,  per- 
chè altri  non  distinsero  la  parte  ragionevole  dall'irragione- 
vole ,  né  si  avvidero  di  questa  nostra  doppia  natura  ;  frai 
quali  fu  Crisip])0  di  chiarissima  fama  tra  gli  Stoici  filoso- 
finti.  Egli  stimava  che  la  parte  principale  dell'anima, 
r  intelletto  dico  ,  fosse  sottoposta  a  varj  e  continui  movi- 
menti, da'c[uar!  agitata  di  continuo,  e  raggirata  ,  prendes- 
se diverse  sembianze,  e  quasi  forme  di  vizio,  e  di  virtù; 
laonde  l'affetto,  come  a  lui  parve  ,  altro  non  è,  che  la  ra- 
gione istessa  malvagia ,  e  sfrenata,  e  proterva,  nata  dal 
corrotto  giudizio,  dov'ella  abbia  acquistata  fòrza,  e  vee- 
menza .  Altri  distinsero  la  parte  fornita  di  ragione  dall'ir- 
Vi'.gionevole  ,  in  ciò  non  cnntrarj  all'opinione  de'Peripate- 
lici.  ed  uno  di  costoro  fu  Galeno  ,  e  Scoto  fra' Teologi  Sco- 
lastici ;  portarono  opinione  nondimeno  che  la  parte  ragio- 
nevole fosse  commossa  da  alcuni  suoi  ytroprj  movimenti  , 
come  l'amore,  il  gaudio,  e  quelli,  de'quali  ragionando  il 
•vostro  Poeta,  gli   numera  frji  le  virtù: 

DialccJn  7    ///.  i3 


194  "^  PORZIO 

Timor  d' in faniia,  e  bel  desio  di  onore. 
Anzi  Aristotile  n.cclesimo  nel  quarto  della  Topica,  disse 
che  la  vergogna  apparteneva  alla  parte  ragionevole,  e 
i  istesso  ,  nel  decimo  dell' Etica  ,  ripone  il  gaudio  nella 
mente,  come  prima  avea  fatto  Platone  nel  Filebo.  Né  solo 
air  inlehetto  umano  è  attribuito  l'amore,  ma  all'Angelico 
ed  al  DÌmiio  similmente.  Nondimeno  gli  aiìi-lti  propria- 
mente son  forme  ,  o  movimento  dell' a])petito  sensitivo;  e 
ciò  da  S.  Tommaso  fu  determinato  ;  e  il  desiderio  di  gloria 
medesimo,  e  lo  sdegno  sono  in  quella  parte  dell'appetito 
sensitivo,  ch'ò  dello  irascibile,  il  quale  aspira  agli  onori, 
edalia  vittoria  ,  coiue  parve  a  Pi;itone;  ma  nella  mente 
umana  nott  sono  come  in  soggetto,  benché  possano  esser 
obietto  d'ella  nostra  volontà;  pcrcioccliè  la  volontà  vuole  il 
lene,  il  clic  è  noto  a  ciascuno;  ma  l'onore  é  grar.dissmao 
fra' boni  esterni. 

PiGiNAT'JELLU.  Io  avrei  creduto  che  siccome  le  cine 
degli  altissimi  monti  sono  più  percosse  da' venti,  e  dalle 
procelle,  così  gli  animi  più  nobili,  e  gl'intelletti  più  ele- 
vati h/ssero  niaggioruKnte  agitali  dall'ambizione,  e  dalla 
cupidigia  del  signoreggiare,  e  dall'allrc  passioni,  che  sono 
quasi  venti  contrarj  alia  vita  serena. 

P(»IiZlo.Non  si  può  negare  che  gli  affetti  non  sinnal/i- 
no  dalla  parte  affettuosa,  a  guisa  di  venti  ,  con  moviaiento 
distorto,  a  conturbare  il  sereno  della  mente  ;  nondimeno 
nell'intelletto  non  sono  generati  ,  ma  nella  parte  sensitiva. 
Ed  alcuna  volta  la  trancjuiili'à  della  mente  é  simile  a  cjuel- 
la  del  motite  Olimpo  ,  nella  sommità  del  quale,  come  si 
dice,  le  nevi,  eh'  pioggie  non  sogliono  cadere  per  alcuna 
stagione.  Ma  ora  che  abbiamo  determinato  (;he  la  virtù  è 
abito,  dobbiamo  ricercare  di  qual  potenza  ,  o  di  qual  par- 
te ella  sia  abito,  e  quale;  e  se  la  virfù  sia  uni,  o  ])u\  ,  lìni- 
te ,  o  inlinite  ;  e  se  finile  ,  a  qual  fine  debbono  esser  diriz- 
zate; e  la  propria  operazione  di  ciascuna  .  E  perchè  già  si 
è  detto  che  delle  parti  dell'anima  alcuna  è  ragionevole , 
altra  irragionevole  ;  e  che  l'irragiotu^vole  si  dislingue  in 
qiudia  ,  che  partecipa  di' ragione,  ed  in  quella  ,  che  non 
n'è  capace  ,  ricercheremo  le  virtù  della  ])arte,  che  per  sé 
è  ragionevole  ,  e  dell  altra  ,  che  ne  partecipa  ;  perchè  del- 


O  DEFJ.E  VIRTD'  19J» 

]'anima,  clie  affatto  n'è  priva,  non  convitine  al  filosofo 
inorale  il  ricercar  le  virtù,  percioccliè  ella  non  può  obbe- 
dire all'imperio  della  ragione;  ma  de' Filosofi  naturali,  e 
de' Medici  è  proprio  il  ragionare  della  virtù  nutritiva,  e 
della  generativa.  Or  cominciando  dalla  parte  per  se  ragio- 
nevole, questa  ancora  si  divide  ,  perchè  una  sua  parte  si 
volge  alle  cose,,  clic  non  possono  essere  altrimenti ,  e  però 
sono  necessarie,  ed  eterne  ;  l'altra  considera  quelle,  die 
possono  variamente  avvenire,  e  per  questa  cagione  sono 
mortali,  e  corruttibili. 

PlGNATTEFJ.o  .  Dall'obietto  adunque  sono  distinte  ? 
Porzio.  Senza  fallo,  non  dal  subietto,  percliè  l'una,  e 
l'altra    parte  è   peravventura    nel   snbieltX)    l' istessa ,  ma 
l'obietto  è  cagione  di  separarla;  l'eterna  considera   le  cose 
eterne  ,  1'  altra  le  cose  umane  ,  cbe  non  banno  fermezza ,  e 
costanza  alcuna,  ma  ora  succedono  in  un  modo,  ora  in  un 
altro:  a  quella  si  conviene  la  considerazione  degli    univer- 
sali solamente,  a  questa  quella  de'particolari  ancora.  Sono 
ancora  diverse  nel  nome  ;  l'una  è  detta  mente  contemplati- 
va, l'altra  intelletto  pratico;  e  ciascuna  di  loro  è  adornata 
di  molti    abiti,  co'quali    affermando,  o  negando,  sogliono 
dire  il  vero;  e  sono  in  tutto  cinque,  l'intelletto  ,  la    scien- 
za, la  sapienza,  la  prudenza  .e  l'arte-  coli'  intelletto  inten- 
diamo i  principj,  cbe   non   possono  esser  provati ,  ma  son 
noti  per    se  stessi.  Ogni  tutto  è  maggiore  delle  sue  })arti; 
e  quest'altro:  se   togli  l'eguali   dalle  cose  eguali ,  quelle  , 
cbe  rimangono,  sono  eguali  ;  i  quali  tutti    si  riducono  ad 
un  certissimo,  e  primo  principio,  col  quale  ciascun  altro 
può  esser  provato  ;  e  questo   è,    cbe    l'affermazione  ,  o  la 
negazione  sia  vera  in  tutte  le  cose.   Ma  la  scienza  ,  cb'è 
l'altro  abito  dell'intelletto  speculativo,  intende  le  conclu- 
sioni propriamente;  laonde  ella  è  cagionata  in  noi  da  qual- 
clie  cognizione  ,  cbe  preceda.  Dell'uno  e  dell'altra,  cioè, 
dell'intelletto  e  della  scienza, è  quasi  composta  la  sipienza; 
percioccbè  ella  è  un  abito,  col  quale  intendiamo  non  sola- 
mente i  principi ,  ma  le  conclusioni  :   l'ioiifl»-'  è  quasi  capo 
dell'altre, e  si  può  definire  un  abito  dell'intelletto,  col  quale 
intendiamo  i  prinripj,  e  le  conclusioni  delle  cose  onoratis- 
sime  ;    ovvero   una  scienza  delle  altre  scienze.  INcll' altra 


196  li.  PORZIO 

parte  della  mente,  la  quale  si  chiama  pratica, son.j  due  abi- 
ti, la  prudeuza,  e  l'arte,-  ed  ambedue  si  volgono  alle  cose  , 
die  possono  variamente  avvenire:  ma  la  prudenza  considera 
le  azioni  degli  uomini;  l'altra  piuttosto  le  cose,  che  si  fan- 
no: ma  nelle  necessarie,  o  nelle  naturali  non  è  solita  d'im- 
piegarsi. Quello  nondimeno,  clie  da'  Latini  è  detto  agere , 
e  da  noi  operare,  non  .significa  appresso  i  fiìosofi  Peripate- 
tici quello  sttsso,  che  il  lare  :  perchè  tare  si  dicono  quelle 
cose  ,  che  sono  fatte  con  qualche  artificio  ;  azioni ,  ovvero 
operazioni  si  chiamano  piuttosto  le  civili,  e  del  fare  rima- 
ne sempre  opera  esterioie ,  come  il  teatro,  la  nave,  o  la 
macchina  militare  ;  ma  dell'operare  non  suol  seuiprc  rima- 
nere alcuna  opera  ;  nondiine'ao  il  fare,  o  quel  che  di  lui  ri- 
mane, quantunque  fossero  le  piramidi  di  Egitto,  o  gli  obe- 
lischi, o  alcun"  altra  delle  sette  Maraviglie  del  mondo,  non 
è  propriamente  fine  ,  ma  dirizzato  sempre  ad  altro  fine; 
l'azione  è  fine,  nel  quale  si  acqueta,  e  si  contenta  la  virtù, 
come  il  liberale  si  appaga  nel  donare,  tuttoché  non  ni> 
aspetti  alcun  premio;  ed  il  forte  ,  nel  difendere  la  patria  ; 
ed  il  magnanimo  nel  cercare  i  regni  e  gl'imperi,  ^''  <dcu- 
na  volta  nel  rifiutargli. 

DuTTOllE.  Taccia  adunque  il  volgo  ignorante  ,  il  quale 
pone  il  fine  dell'umana  virtù  nell'acquisto  de'regni  e  delle 
provincia. 

Poir/IO.  Grande  autorità  sarebbe  necessaria  a  quietar 
questo  non  solo  bisbiglio,  ma  voce  universale,  e  per  poco 
questo  grido  degli  eli;iornti ,  e  della  natura.  Ma  quantun- 
que iosse  opinione  che  delle  a>:ioni  di  Cesare  e  di  A^ugusto, 
l(L»sse  il  fine  la  fabbrica,  per  cosi  dire,  e  la  mole  dell'Im- 
perio Romano,  e  la  forma  assai  dilferente  da  quella,  che 
el)be  sotto  Romolo  e  sotto  IVuma,  fino  a  Tarq  liiiio,  o  pure 
da  quella  ,  che  poi  gli  diedero  i  Consoli,  i  L'ribuni,  ed  i 
Dittatori,  io  nondimeno  ardirei  di  affermare  che  più  con- 
venevolmente il  fine  di  t mie  vittorie  di  C(!sare  poteva  es- 
sere il  rifiuto  della  corona  uiTertaglida  Marco  Antonio,  che 
nudo  in  quella,  quasi  tresca  de' Luj>ercali  ,  taceva  di  se 
stesso  s])(ltacolo  al  pojxilo  Romano.  Conchiudiamo  adun- 
que elle  l'azione^  può  essere  il  fine  inteso  dalla  mente:  ma 
l'artificio  ,  o  l'ordigno  ,    o    la  fattura  ,  che    vogliam  dirla  , 


O  DELLE  VIRTÙ  197 

iKUi  muoA'e  l'intelletto;  laonde  tutti  gli  artific] ,  co'quali 
ijiaiiiinai  Eudosso,  o  A.rchita,  o  Archimede  fecero  maravi- 
ylioso  l'esercito  della  guerra,  o  quello  ,  col  qtiale  Fidia  ed 
Alleile  adornarono  le  città  nella  pace  ,  non  possono  esser 
(ine  del  nostro  umano  intelletto  >  uè  di  quella  virtù,  clie  si 
volge  alle  cose  inferiori . 

PlGNATTKLr.o.  E  quale  sarà  dunque  il  fine?  dimostra- 
telo a  me,  acciocché  io  possa  proporlo  per  ohietto  dei 
miei  pensieri . 

Porzio.  L'azione,  dico,  è  il  fine  della  mente  attiva,  e 
della  virtù  civile  ,  per  cui  si  (anno  ,  e  quasi  in  sua  grazia  , 
le  pitture  ,  le  statue,  gli  archi,  le  terme  ,  i  colossi  e  gli  al- 
tri maggiori  edificj,  o  opere  più  memorabili:  ma  oltre  qu(!- 
sto  è  un  altro  fine  superiore  della  mente  contemplativa  , 
il  quale  consiste  nella  cognizione  delle  cose  eterne  e  divi- 
ne, e  di  Dio  medesimo;  e  perchè  sono  due  i  fini ,  due  sono 
parimente  le  felicità  ,  l'una  attiva,  l'altra  contemplativa; 
l'una  ha  per  obietto  il  bene,  l'altra  il  vero. 

Dottore.  Era  necessario  conoscere  i  fini,  o  il  fine,  per- 
cliè  vane  quasi  ed  oziose  sarehbono  le  virtù  ,  s'elle  a  que- 
sti fini  non  operassero. 

PlGNATTELLO  .  Io  m'avvolgo  nondimeno  net  medesimo 
dubbio ,  perchè  veggio  due  strade  diverse;  T  una ,  i  cui 
vestigi  sono  tutti  rivolti  al  cielo,  1'  altra,  benché  mi  paia 
altissima  ,  non  so  dove  vada  a  terminare. 

Dottore.'  Non  è  questa  la  strada  divisa  in  due,  la  qua- 
le, come  scrissero  Prodico  Sofista  e  Senofonte ,  fu  dimo- 
stra ad  Ercole  fanciullo,  perchè  di  quella  un  sentiero  £;ui- 
dava  alla  virtù,  l'altro  al  piacere;  1'  uno  alla  gloria,  l'altro 
alla  vergogna;  l'uno  in  cima  d.-l  nioole,  l'altro  negli  oscuri 
e  tenebrosi  precipizj  :  ma  di  queste  due  strade  ogni  sen- 
tiero pare  che  ci  conduca  alla  virtù  ,  alla  gloria  ,  all'effr- 
nità,  perchè  quello  dell'azione  umana  termina  in  quell'al- 
tro della  divina  contemplazione;  laonde,  s'è  lecito  d'inter- 
porre la  mia  opinione  fra" detti  del  Signor  Porzio,  vorrei 
che  vi  apparecchiasse  un  aiuto  quasi  comniune  all'uno  ed 
all'  altro,  per  lo  quale  vi  agevolasse  nella  vostra  via. 

Porzio.  Già  quel  che  voi  dite,  fu  considerato  da  Ari- 
stotile prima  ,  e  poi  da  Alessandro:  1'  uno  disse  che  la  vir- 


xgH  IT,  Ponzio 

tu  era  perfezione  del  subietto,  l'altro  voile  assegnar  pari- 
mente un  genere  quasi  comune  delle  virtù  intellettive  e 
delle  morali  .  e  ntll' assegnarlo  non  ebbe  altra  considera- 
zione cbe  quella  del  fine.  Disse  adunque  cbe  la  virtù  non 
era  altro  cbe  Principiitni  opis  assumpti\'uin  ad  felicita- 
teni;  cioè  quel  principi  >,  cbe  prende  aiuto  per  acquistar  la 
felicità;  e  con  questi  d 'finizione  volle  dimostrarci  cbe  l'u- 
mana virtù  none  bastevole  alla  felicità,  né  a  se  medesima. 

PlGNATTKLLO.  Tutti  gli  ajuti  dunque  per  la  contem- 
plativa ,  o  per  l'attiva  felicità  sono  virtù . 

Porzio.  Non  sono  gli  aiuti  virtù;  ma  la  virtù  prendo 
gli  aiuti,  per  giungere  alla  felicità;  prende  dico,  le  ric- 
cliezze  ,  gli  onori  ,  i  magistrati,  gli  eserciti  ,  gl'imperj,  coi 
(juali  può  liberalmente,  e  giuslamentp,e  magnanimamente 
operare;  prende  l'arme,  i  cavalli  e  gli  altri  ricebi  arnesi, 
prende  le  statue,  le  pitture  e  gli  altri  ornajnenti  della  se- 
conda fortuna,  ])rende  gli  aniici,  ricerca  i  compagni,  cbia- 
nia  dalle  parti  più  lontane  i  famosi  filosofanti,  raguna  i 
libri ,  e  fa  raccolta  di  ogni  cosa ,  in  cui  si  conservino  lan- 
ticbe  memorie;  e  l'erbe  ,  \c.  piante,  e  gli  animali  stessi  fa 
portar  dall' A.rabia  ,  e  dall'  India,  e  dalle  più  remote  parti 
dell'Oriente:  aggiunge  a  queste  cose  le  sfere,  i  globi,  e 
V  immagini  del  cielo,  e  della  teri'a  ;  e  tutto  ciò  per  iimaì- 
zarsl  alla  felicità  del  contempliu-e.  Cbe  vi  pare  di  questa 
virtù?  Vi  pare  ella  prudente,  ed  avveduta  in  far  provvisio- 
ne di  tutte  le  cose  ,  cbe  sono  necessarie  alla  felicità? 

Dottore.  Senza  dubbio  ella  in  questa  guisa  non  solo 
n'è  fornita  abbastanza  ,  ma,  siccome  io  slimo,  anzi  carica, 
cbe  no  . 

PoR/lO.  Alla  vita  eonlemplaliva  peravventura  è  sover- 
cbio  peso  qiu'l  delle  ricchezze,  e  degli  onori,  e  degli  altri 
ornamenti  della  felicità;  ma  la  civile,  ed  impiegala  nelle 
azioni  è  gravosa  per  sua  natura, ne  può  di  leggieri  lasciare 
gì'  impedim'iiti . 

PlGNATTEfJ.O.  Dunque  1'  uomo  civile  camminerà  a 
guisa  di  capitano,  il  quale  conduca  l'esercito,  e  non  ab- 
l)andoni  per  pieciola  battaglia,  o  per  Icggicr  pericolo  i 
suoi  impedimenti;  ed  in  questa  guisa,  e  non  in  altra  dee 
muoversi  colle  sue    virtù    scbierate   e  ristrette,   per    far 


O  DET.LE  \'1RTU'  t()f) 

1)atta|:;1ia  ,  come  si  legge  eh.-  quelli»  bclh  donna  celelnala 
da' nostri  Poeti  andiisse  incontro  ad  Amore: 
Armate  cran  con  lei  tulle  le  sue 
Chiare  virtuti ,  o  gloriosa  schiera  ! 
E  teneansì  per  inailo  a  due,  a  dite. 
Onestate  ,  e  T'^er^of^iia  alla  frontiera, 
Mobile  par  delle  virili  divine, 
Che  fan  rostei  sopra-  le  donne  altera . 
Senno,  e  Modestia  all'  altre  due  confine  , 
Abito  con  diletto  in  mezzo  al  core , 
Perseveranza,  e  Gloria  in  sulla  fine. 
Bella  Accoglienza ,  Accorgimento  fore  , 
Cortesia  intorno  intorno,  e  Puntate , 
Dmor  d' infamia ,  e  sol  Desio  d'  onore . 
Pensier  canuti  in  giovcnile  etate  , 

E  la  Concordia  ,  di  è  si  rara  al  mondo, 
ì'^'  era  con  Castità ,  somma  Beliate . 
Tal  venia  contra  Amore ,  e  'n  sì  secondo 
Favor  del  cielo . 
Porzio  .  In  questa   guisa    senza    fallo,  dee    ordinare  la 
schiera  delle  sue  virili  l'uomo  di  stato  ,  il  quale  dee  com- 
battere coll'ambizione  ,  e  colla  cupidità  ,•  o  il  buon  ca valle- 
rò ,  a  cui  sarà  più  glorioso  il  trionfar  d'Amore,  d'ogni  al- 
tro, che  si  celebrasse  mai  nel  Campidoglio;  e  fi;)rse  si  con- 
verrebbe dire  dell'uno  e  dell'altro  : 
Perle ,  rubini ,  ed  oro , 
Oliasi  vii  soma  ,  egualmente  dispregia . 
Tultavolta  noi  parliamo  dell'uomo  savio    e  del  prudente  , 
che  non  possa  esser  costretto  per  ogni  piccolo  accidente  a 
lasciare  i  beni  di  fortuna  ,  e  non  ricusa  di  farlo,  per  con- 
servare le  sue  virtù  da  ogni    viziose  da  ogni  indegnità. 
Questi  adunque  dee  colla  maggior  parte  degli   aiuti  diriz- 
zarsi per  la  strada   della  civil  felicità  ,  perchè  alla  contem- 
plativa non  sono  necessari  né  tanti  aiuti,  ne  sì  fatti:  ma  la 
virtù  dee  sapere  non  solamente  come  si  prendano,  mn    co-- 
me  si  usino .  Concludiamo  dunque  che   la  virtù  sia  Prin- 
cipiuni  quoddam  assuntens  opis  ad  felici  tateni:  ex  se  vero 
hahens  in  actionibus  secundum  utramque  rationalem  ani^ 
niae  facultateni ,  ipsius  bene,  quod  in  ipsis  est  inventrix  j 


20^  II-  PORZUj 

el  demo  list  rat  IV  a  existcìis.  D  illa  (|ual  definizione  si  mani- 
festa il  sOjjgetto,  in  cui  si  fondi  la  virtù,  che  sono  le  azioni 
dell'una  ,e  dell'altra  parte  ragionevole  dell'anima,  e'I  fine 
clj'è  la  felicità  ,  e  Tuilìcio  della  virtù,  ch'è  di  trovare  il 
bene,  cli'è  in  ciascuna  di  loro,  e  di  no^itrarlo  paritnente. 
Ma  perchè  ,  com'egli  dice  ,  il  principio  dell' invenzione  è 
il  conoscer  l'intenzione  ,  e  l'intenzioiìe  è  nel  doppio  fine, 
ch'è  l'una  e  l'altra  felicità,  dobbiamo  e  noscer  1' una  e  l'al- 
tra parimente.  Dicasi  adunque  che  la  felicità  attiva  sia  un'a- 
zione della  virtù  dell'aniua  ragionevole  nel!a  vita  perte'ta  ; 
ma  nella  vita  perfetta  non  può  esser  alcuna  inperfeziono  , 
o  negli  strumenti  della  [elicità  ,  o  nelle  cose  ,  clie  principal- 
mente appartengono  alla  vita  civile,  le  quali  dai  Peripate- 
tici sono  dette  beni  di  fortuna.  La  medesima  definizione  si 
potrebbe  attribuire  alla  felicità  contempi  itiva  ;  perchè  la 
contemplazione  è  un'azione  dell'intcUett:»  contemplativo: 
nondimeno  si  può  definire  in  quest'altra  guisa  ;  che  la  felici- 
tà conte;nplativa  sia  un'azione  de!  nostro  intelletto, secondo 
la  sua  eccellentissima  virtù,  per  la  quale  egli  si  congiunge  a 
Dio.  Eccovi  i  due  fini,  vedete  la  differenza  e  la  similitudine, 
considerata  i  due  obietti,  l'uno  eterno  e  necessario,  l'altro 
posto  nelle  azioni  de' mortali,  che  pos'^nno  variarsi;  e  da 
questo  prendete  la  distinzione  delle  virtù  ,  assegnando  alla 
parte  contemplativa  l'intelletto,  la  scienza  e  la  sapienza  ; 
all'attiva  ,  o  fattiva  ,  la  prudenza  e  l'arte  ,  l'una  e  l'altra 
delle  quali  è  retta  ragione,  o  abito  di  operare  con  vera  ra- 
gione ;  ma  alla  prudenza  si  conviene  l'azione,  all'arte  il 
fare  con  vera  ragi  )ne,  pcM'ciocch''  se  ella  alcuna  cosa  faces- 
se con  falsa  ragione,  n  >»  sari'bi)e  arte,  ma  inerzia ,  e  le 
cose,  nelle  quali  si  adopera  ,  per  giudizio  di  Aristotile  ,  o 
piuttosto  di  Agatone,  sogliono  esser  quelle  medesime,  nel- 
le quali  si  manifesta  la  fortuna,  perchè  come  egli  dissi^  ,  la 
fortuna  ama  l'arte  ,  e  l'arte  ancora  suole  amar  la  fortuna  . 

PlGNATTELLO.  Io  non  SO  perchè  sia  fatta  questa  amici- 
zia, o  questa  lega  piuttosto  fra  l'arte,  e  la  fortuna  ,  esclu- 
dendone la  prudenza,  la  (pale,  se  non  m'inganno,  suole 
aver  luogo  nell'arti,  ed  accompagnarsi  colla  fortuna,  come 
si  conosce  nelle  azioni  di   .Alessandro  il   Magno,  di   Tino- 


O  DELLE  VlRTU'  301 

Iconte  Corintio,  di  Augusto,  e  di  rnr)lti  altri  fortunati  Ca- 
jiilani  . 

Porzio.  Gliesempj,  che  adducete  ,  o  cJie  si  possono 
addurre  ,  sono  assai  rari  ,  per  rispetto  di  quelli ,  ne' quali 
la  fortuna  si  manifesta  nemica  della  prudenza  ;  però  si  suol 
dire  clie  dove  è  molto  d'ingegno,  è  poco  di  fortuna;  non- 
<limcno  io  non  nìego,  né  averebbe  negato  Aristotile  mede- 
simo,  che  fra  la  virtù,  e  la  fortuna  non  possa  essere  alcu- 
na volta  amicizia:  ma  la  fortuna  è  causa  per  accidente  di 
quelle  cose,  le  quali  la  prudenza  opera  a  determinato  fine; 
perchè  a  lei  si  conviene  non  solamente  di  mostrare  il  mez- 
zo, ma  di  condurre  al  suo  (ine  ciascuna  dell'altre  virtù 
morali,  le  quali  senza  la  prudenza  errerebbono,  quasi  sol- 
dati senza  il  capitano. 

PlGNATTEi.LO.  Ordinate  vi  prego  ,  ordinate  la  schiera 
di  queste  virtù  morali. 

Porzio.  Fermianci  prima  alquanto  in  quelle  dell'inteU 
letto,  le  quali  abbiam  divise  piuttosto  coli' obietto  che  col 
subietto  ,  dicendo  che  l'obietto  dell'uno  è  eterno,  e  del- 
1  altro  variabile  ;  ma  il  subietto  è  il  medesimo  intelletto;  il 
quale  è  degli  estremi,  come  dice  Aristotile;  perchè  con 
una  sua  parte,  la  quale  in  lui  è  la  somma  e  l'altissima  , 
conosce  i  priticipj  delle  cose,  che  sono  eterni  universali, 
ed  invariabili  ;  coli  altra  conosce  i  particolari,  che  sono 
soggetti  alla  morte,  ed  alla  mutazione;  laonde  egli  confer- 
mandosi alla  natura  dell'oggetto,  dall' un  lato  è  semplice, 
divino,  ed  eterno;  dall'altro  mortale,  corruttibile,  varia- 
bile ,  e  quasi  in  molti  diviso  . 

PiGNATTELT.o  .  Infelice  è  la  condizione  dell'intelletto, 
se  una  parte  di  lui  è  mortale  ,  l'altra  immortale;  perchè 
la  parte  immortale  si  dorrà  almeno  per  la  separazione  ,  e 
per  la  perdita  di  quella  parte,  alla  quale  lungo  tempo  vis- 
se congiunta;  e  dura  è  snnza  follo  la  sentenza  de'  Filosofi, 
i  quali  condannano  a  morte  perpetua  T intelletto  attivo  ; 
quella  parte  di  noi,  la  quale  è  stata  sempre  intenta  alle 
operazioni  della  virtù  morale,  ed  al  governo  delle  città  ,  e 
degli  eserciti,  ed  alla  conservazione  de' regni  e  degl'im- 
perj  ;  e  se  ciò  è  vero,  niun  premio  è  nell'altra  vita  della 
prudenza  ,  della  giustizia  ,  della  fortezza,  e  della  temperan-» 


7.Ù-Ì  i),  Ponzio 

aa  ,  e  dell'altre  virtù  ,  clic  seguono  la  sna  scorta;  nluiia 
|>tMia  uir  incontro  delT  iinprudcnzu  ,  della  violenza,  della 
viltà,  e  dell  intemperanza  ;  ma  sola  la  contempla/ione  è 
quella  ,  che  ci  può  aprire  il  passo  all'  immortalità.  In  vano 
dunque  già  lessi  : 

....  Fauci  quos  ne.qaus  aniavit 

Jupiter  ^  aut  ardcns  evexit  ad  aethera  virtus  . 

Porzio.  L'intelletto  in  ciascuna  sua  parte  è  immortale, - 
è  s'allra  opinione  si  potesse  difender  nelle  questioni  ,  que- 
sta nondi  iieno  si  d'^e  fermamente  sostfnerr  nella  mora- 
le filosofia:  ma  noi  diciamo  clie  l'intelletto  pratico  sia 
uiortale ,  non  perchè  egli  muoia  ,  ma  perchè  egli  cessa  di 
operare  intorno  alle  cose  variabili  ,  non  potendo  egli  in 
jnodo  alcuno  far  le  sue  operazioni  senza  fantasmi  ;  come 
pcravventura  può  lo  speculativo  ,  perchè  l'azione  forse 
avrà  iìne,  la  contemplazione  sarà  senza  duhhio  eterna.  Di- 
ciamo dunque  che  l'uno  è  immortale,  l'altro  mortale, 
avendo  risguardo  all'operazione;  ma  considerando  l'es- 
senza ,  r  uno  e  l'altro  è  immortale. 

PlGNATTELLO  .  Dunque  nell'altra  vifa  l'intelletto  dei 
mortali  separato  dalle  sue  membra,  non  conoscerà  i  parti- 
colari, né  potrà  giudicare  dell'umane  operazioni,  o  soc- 
correre a'nostri  pei  icoli,  o  sovvenirci  nelle  avversità.  Fine 
avranno  la  prudenza  ,  la  giustizia,  la  temperanza,  e  la 
fortezza,  ed  a  guisa  di  mortali,  cesseranno  dalle  opera- 
zioni . 

Porzio.  Così  avverrà,  per  opinione  de' maggiori  filosofi  . 
Ma  quale  operazione  debba  aver  lassù  l'anima  nostra,  o 
come  possa  intendere  senza  fantasmi,  non  è  determinato  ; 
si  stima  nondimeno  che  la  memoria  ,  e  l'immaginazione, 
la  quale  da  loro  è  detta  passibile  intelletto,  sia  affatto 
mortale  ,  come  sono  l'altre  potenze  dell'anima  sensitiva; 
laonde  cesserà  la  nostra  scienza  ancora,  o  sarà  di  un'altra 
maniera  .  Ma  queste  soiio  (juestioni  oltra  il  nostro  propo- 
nimento; a  noi  h;isli  di  sapere  che  l'intelletto  è  degl' c- 
stremi  dall'utia  e  dall'altra  parte;  colla  somma,  ed  ele- 
vata conosce  gli  universali ,  de'quali  non  è  scienza  ;  coll'in- 
fima  ,  e  rivolta  alla  considerazione  degl'umani  avvenimen- 
ti ,  de'  quali  pariiiientc  non  è  scienza,  ma  senso,  conosce  i 


0  DELLE  virtù'  2o3 

parlicolari  ;  laonJe  è  cl;i  iei  considerato  quello  ,  che  in  ulti- 
mo cade  sotto  l'azione.  Per  questa  cagione  si  dice  che 
l'intelletto  sia  principio,  e  fine,  parlandosi  del!' intelletto 
come  di  potenza;  ma  di  lui  ragionandosi,  come  d'abito,  di- 
cono che  l'intelletto ,  e  la  prudenza  sono  abiti  opposti. 
Non  superbisca  adunque  la  nostra  umana  prudenza,  ne  si 
stimi  tanto,  ch'ella  possa  paragonarsi  colla  dignità  della 
sapienza,  perchè  le  cose,  ch'ella  considera,  sono  umane  ; 
ma  dell'uomo  sono  molte  cose  più  divine,  e  più  maravi- 
gliose,  le  quali  sono  oggetto  della  sapienza.  Diremo  adun- 
que che  la  prudenza  sia  una  diritta  ragione  intorno  a 
quelle  cose,  che  son  buone  agli  uomini  solamente  ;  1'  altre 
non  considera  ;  laonde  è  tutta  intenta  al  giovamento  della 
vita  umana  ,  e  civile;  ed  in  quella  guisa  ,  che  1'  architetto 
comanda  agli  artefici  superiori,  ella  suol  comandare  all'ar- 
ti, che  sono  necessarie,  per  ornamento  della  vita  civile: 
non  comanda  nondimeno  alla  sapienza  ,  ma  perla  sapienza, 
cioè  per  grazia,  e  per  servigio  di  lei  suol  comandare  ,  colla 
quale  ha  tanta  similitudine,  che  non  suole  mai  affermare  il 
falso;  però  non  è  alcuna  operazione  della  prudenza,  la  qua- 
le.sia  separata  dalla  verità  ,  né  di  lei  è  oblivione,  come  pe- 
ravventura  è  delle  cose  appartenenti  alla  contemplazione  . 
Ma  ciò  peravventura  avviene  in  quegli  uomini, che  son  volti 
alle  operazioni  civili,  i  quali  sogliono  scordai-si  delle  scien- 
ze, ma  della  prudenza  non  si  dimenticano  giammai;  laonde 
ella  ci  accompagna  nella  seconda  ,  e  nell'avversa  fortuna  ; 
nella  quiete  de'hlosofanti,  e  fra  lo  strepito  dell'armi  ;  nella 
povertà,  e  fra  le  pompe  delle  ricchezze,  e  sempre  risplende 
più  chiara,  illustrando  col  suo  lume  l'altre  virtù  :  e  di  lei 
avviene  quel,  che  suole  avvenire  a'confini,ed  agli  estremi 
di  tutte  le  cose,  perchè  è  detta  virtù  intellettiva  ,  per  ri- 
spetto della  potenza, della  quale  è  abito; e  virtù  morale  si- 
milmente per  l'obietto:  e  vogliono  che  sia  l'istessa  colla  vir- 
tù civile,  diversa  solamente  per  ragione;  e  di  lei  son  molte 
parti,  o  specie,  che  vogliam  dirle  ;  mentre  ella  pi'ovvede 
al  proprio  bene  di  ciascuno  ,  è  virtù  propria  ,  e  privata  ;  e 
nella  cura  delle  cosefamigliari,  virtù  quasi  famigliare  e  do- 
mestica: nel  far  le  leggi ,  considera  la  pubblica  utilità  ;  ed 
al  prudente,  senza  fallo  s'appartiene  l'esser  legislatore.  In 


ìo4  IL  PORZIO 

un  uitro  modo  è  detta  prudanzM  civile, ,  di  cui  son  dup  par- 
ti, luna  nel  deliberare,  l'altra  nel  giudicare. 

Dottore.  Sono  ancora  dubbioso  se  queste  siano  parti  , 
o  specie  della  prudenza,  ma  quoto  dubbio  si  poteva  prima 
mover  nella  virtù,  di  cui  si  dubita  nel  Protagora  di  Plato- 
ne s'  ella  si  divida  come  tutto  nelle  parti,  o  come  genere 
nelle  specie;  e  questo  dubbio  fu  accresciuto  da  Alessandro, 
il  quale  volle  ,  nel  quarto  libro  delle  sue  questioni,  cb'ella 
non  fosse  ne  l'uno,  uè  l'altro;  non  genere  ,  percbè  il  ge- 
nere non  è  tolto  via  con  una  delle  specie;  ma  mancando 
una  delle  virtù,  mancano  tutte  l'altre,  perchè,  o  le  virtù 
si  seguono  vicendevolmente,  o  non  si  seguono:  seguendosi, 
colla  distruzione  dell'una  procede  la  distruzione  di  tutto 
laltre,  per  la  congiunzione,  cli'è  fra  loro;  non  seguendosi, 
dove  sia  rimossa  la  prudenza,  tutte  l'altre  sogliono  cessa- 
re, non  è  tutto,  perchè  nel  tutto  le  pjrti  dissomiglianti 
non  ricevono  la  ragione,  o  la  definizione,  ma  le  virtù  sono 
ira  se  diverse  ;  a  ciascuna  di  esse  nondimeno  si  conviene  la 
definizione  del  suo  tutto:  il  che  non  addiviene  nelle  parti 
della  statua,  in  cui  al  capo,  o  al  braccio  non  è  data  la  de- 
finizione della  statua;  non  in  quella  della  nave,  nella  quale 
il  timone,  o  l'antenna  è  definita  diversamente  dal  suo  tut- 
to :  non  in  alcun' altro  lutto,  che  abbia  le  parti  dissouìi- 
glianti. 

Porzio.  Voi  avete  mosso  il  dubbio  colle  parole  di 
Alessandro,  voi  potete  disciorlo  colle  sue  soluzioni  mede- 
sime ,  se  altro  non  avete,  che  recare  contra  le  sue  ri- 
Sposte. 

Dottore  .  Da  voi  si  desidera  almeno  il  giudizio  sovra 
le  varie  soluzioni,  eh' (gli  adduce  ,  quasi  dubitando. 

Porzio.  Cominciamo  adunque  dall'ultima. 

Dottore.  Egli  tiene  che  la  virtù  sia  piuttosto  un  tut- 
to, non  di  parti  (iissotniglianti,  ma  di  somiglianti  ;  laonde 
non  conchiude  1'  argomento,  che  la  parie  non  possa  avere 
la  ragione  del  suo  lutto;  imperocché  alle  parti  dilla  terra, 
e  del  fuoco  ,  ed  a  quelle  del  latte,  e  del  vino  e  della  carne 
senza  dubbio  conviene  la  definizione  del  tutto. 

PoKZlo  .  li'"  parli  adim<pie  della  virtù  ricevono  la  defi- 
nizione del  tatto,  perchè  sono  simili. 


O  DET  t.E  VIUTU'  2o5 

Dottore.  Cosi  disse  Alessandro,  e  volle  elio  nella  me- 
scolanza delle  virtù  le  parti  divenissero  simili,  corno  avvie- 
ne nella  mistione  delle  cose  naturali ,  e  particola nnente 
ne' iTiedìcamenti ,  o  ne'  profumi,  ne'quali  non  si  può  sepa- 
rare l'ambra  dal  muschio,  o  l'aceto  dal  mele  . 

Porzio- Peravventura   i'""   questa  opinione    Alessandro 
seguì  Plutarco,  il  qualf  estimò  che  alcune  operazioni  fosse- 
ro fatte  con  tutta  la  virtù  ,  in  guisa,  che  la  libei'alità  fosse 
giusta  ,  e  liberale  la  giustizia,  e  clemente  e  magnanima  pa- 
rimente :  ma  fu  per  min  avviso  prima  opinione  di  Platone; 
e  s'ella  fosse  vera,  ne  seguirebbe  che  totum  unìvoce  de 
partibus  praedicarctur  .   l\ìa  questo   perav ventura    è  un 
(onfunder  le  virtù ,  che  furono  distinte  da   Aristotile,  non 
assegnando  loro  proprj  termini,  e  proprio  soggetto  ;  oltre- 
ciòjsele  virtù  son  forme ,  non    si  possono   confondere  iu 
questa  guisa,  o  confondendosi,  non  sono  ristesse,  ma  per- 
dono l'essenza  loro:  diciamo  dunque  piuttosto  che  la  vir- 
tù sia  di  quelle  cose,  delle  quali  una  si  dice  prima.  TaltrH 
seconda;  e,  come  dice  Alessandro,  eoruni  q;iae  dicwitur 
multìpliciter,  eorum  scilicet,quae  ab  uno  adunuìii  dicun- 
ticr.  Imperciocché  se  la  virtù  è  virtù  dell'anima,  e  l'anima 
è  un  genere  analogo,  per  cosi  dire,  nel  quale  alcune  specie 
Sono  immortali,  altre  mortali  ;  parimente  delle  virtù  alcu- 
ne sono  divine,  altre  umane    piuttosto;  laonde   lor  non  si 
conviene  in  modo  alcuno  la  definizione  univoca  ;  e  se  pure 
si  dà  alcuna  definizione  univoca,  è  assai  co;nune  ,  e  non  è 
propria  di  ciascuna  parte  della  virtù,   come  stima   Ales- 
sandro. 

Dottore.  Questa  risposta  presuppone  che  la  virtù  sia 
il  genere,  non  il  tutto,  contra  l'opinione  di  Aristotile,  il 
quale  estimò  che  la  virtù  fosse  il  tutto. 

Porzio.  Pare  che  Aristotile  volesse  dire  che  la  virtù 
perfetta  fosse  il  tutto:  ma  se  Alessandro  argomentando  pro- 
vò eh'  ella  non  fosse  né  genere,  né  tutto;  io,  rispondendo 
sostengo  ch'ella  sia  genere  ,  e  tutto  ncUistesso  modo  ,  che 
da  Aristotile  è  detto:  Aliud  genus  aniniae ,  ed  altrove.  De 
illa  vero  animae  particula  . 

Dottore.  Se  genere,  e  lutto  è  la  virtù,  parti  e  specie 
saranno  le  virtù  ;  e  la  prudenza  particolarmente ,  la  quale 


■2o6  IL  PORZIO 

pur  dianzi  fu  da  voi  divisa  in  molte  parti.  Ma  io  non  so 
qual  giudizio  farmi  dell  opinione  di  coloro  ,  che  biasimano 
la  divisione  della  virtù;  fra' quali  Menedemo  d'Eritrea  , 
come  racconta  Plutarco,  tolse  via  la  moltitudine,  ed  ogni 
differenza  ,  che  fosse  tra  loro ,  pensando  che  fosse  il  mede- 
simo la  temperanza  e  la  fortezza  e  la  giustizia  ,  come  il 
brando  e  la  spada.  Aristoiie  da  Scio  faceva  similmente  una 
la  sostanza  della  virtù,  e  la  chiamava  sanità  :  ma  le  faceva 
numerose  e  dilFerenti  per  la  diversità  delle  cose  considera- 
te: così  potrebbe  ancora  dividersi  il  senso  della  vista  in 
più  sentimenti  in  modo  ,  che  coli' uno  si  vedesse  il  bianco, 
coli' altro  il  nero,  e  si  chiamassero,  come  egli  diceva:  ^/Z»/- 
visiun  ,  et  Alrivisum  ;  imperocché  quando  la  virtù  consi- 
dera quel  ,  che  sia  da  fiii^gire,  e  da  schivare,  la  nomava 
prudenza;  e  temperanza  dove  raffrena  le  cupidità  e  la  licen- 
za de' piaceri;  ma  giustizia  quella  ,  die  si  adopera  ne' con- 
tratti, non  altrimenti  che  la  sp;idi,  essendo  una  medesima, 
taglia  varie  cose  diversamente,  e  diversamente  il  fuoco  suo- 
le apprendersi  in  diverse  materie.  Zenone  ancora  conformò 
questa  sentenza,  chiamando  la  giustizia  una  prudenza,  che 
attribuisce  a  ciascuno  il  suo,  e  temperanza  nelle  cose,  che 
si  fanno  por  diletto,  e  pazienza  in  (pielle,  che  si  patiscono: 
)t)a  Crisi ppo  all'incontro,  assegnando  a  ciascuna  qualità  lu 
propria  virtù  ,  ritrovò  una  schiera  di  virtù  non  usata  e  non 
conosciuta,  perdio  dal  forte  è  detta  la  fortezza,  e  dal  man- 
sueto la  mansuetudine;  così  dal  grazioso  la  grazia,  e  dal 
buono  la  bontà,  e  dal  grande  le  grandezze,  e  dal  bello  le 
}ji;llezzc,  era  solilo  di  nominare;  ed  altre  sì  fatte  destrezze, 
])iacevolezze,  urbanità  ripose  nel  numero,  riempiendo  la 
Filosofia,  a  cui  non  (diceva  mestieri,  di  molti  nomi  nuovi, 
ed  inconvenienti . 

Ponzio.  Voi  avete  recate  in  mezzo  l'opinioni  della  vir- 
tù quasi  contrarie  ,  o  ch'ella  sia  una,  o  che  siano  infini- 
te ;  ma  Aristotile  camina  per  la  via  di  mezzo,  per  que- 
sti due  estremi,  come  è  suo  costume .  introducendo  non 
una  virtù,  non  infinite,  ma  distinguendo  dall'operazio- 
ni, e  dagli  obietti  quelle  ,  che  sono  abili  delle  potenze 
principali .  In  questa  guisa  ancora  la  potenza  sensitiva  si 
dislingue  in  cinque  sentiincnli,    l.i   (piale   è    una  sola    nel 


O  DKLF.E  VIR'JU'  107 

cuore,  uiA  variandosi  nelle  opertizioni  per  la  diversità  de- 
gli obietti  e  deglinstrunienti,  divenijono  molte;  e  si  può 
atYermare  senza  contrarietà  che  siano  molte,  ed  una  ,-  in 
quella  guisa  che  le  linee,  le  quali  si  dividono  nella  circon- 
l'erenza  ,  si  congiungono  nel  centro  ,  nell'istesso  modo  ar- 
direi d'affermare  eh  una,  e  molte  fossero  le  virtxi:  ma  non 
conviene  moltiplicare  i  g^^neri  delle  cose,  per  distinguer 
le  virtù  ed  i  sentimenti  ;  perchè  siccome  il  colore  è  il  pro- 
prio obietto  del  senso  della  vista  ,  così  ciascuna  ha  per 
obietto  un  genere  di  cose  determinato;  ma  non  tutte  le 
qualità  possono  ricever  la  forma  delle  virtù,  come  piace- 
va a  Crisippo;  anzi  ve  ne  sono  alcune,  in  cui  per  opinio- 
ne di  Aristotile,  non  si  può  introdurre  alcuna  forina  di 
virtù,  come  è  l'invidia  e  la  malignità  . 

PlGNATTELLO.  Io  temo  che  la  virtù  per  la  divisione 
perda  molto  del  suo  valore  ,  come  fanno  tutte  le  cose  divi- 
se ;  laonde  più  mi  piace  il  considerarla  unita  e  raccolta  in 
se  stessa,  che  partita  ,  e  separata:  ma  dovendosi  pur  par- 
tire, tate  che   io  sappia  in  qual  modo  ciò  sia  conveniente  . 

Porzio.  Delle  virtù  è  avvenuto  quel,  che  avviene  delle 
forze  delle  città  e  de' regni,  i  quali,  quando  sono  assaliti 
di  nemici,  sogliono  dividere  l'esercito  in  varj  lati,  oppo-  j 
nendo  a  ciascuno  assalitore  un  proprio  defensore:  cosi  era 
necessario  che  le  virtù  si  dividessero  per  discacciare  i  vi- 
z],  che  assalivano  le  parti  principali  dell'animo  ;  ciascuna 
nondimeno  si  raccoglie  e  s'unisce  nel  cuore  ,  eh' è  la  reggia 
delle  forze  e  delle  potenze  dell'animo,  la  quale  altri  pose 
nel  cervello,  fra' quali  fu  Ippoerale,  e  Platone  e  Galeno  do- 
po lui;  tultavolta  non  si  può  al  cuore  negare  il  principato, 
siccome  a  colui ,  ch'è  principio  del  movitnento  e  del  calo- 
re; laddove  il  cervello  è  freddissimo,  e  quasi  gelato  nelle 
sue  operazioni.  Dividiamo  adunque  le  virtù,  secondo  le 
potenze  principali  dell'animo,  o  siano  divise  di  luogo,  o 
non  siano  separate:  e  già  si  è  detto  che  alcune  sono  nella 
mente  speculativa  ,  altre  nell'tittiva,  o  fattiva,  fra  le  quali 
è  l'arte,  e  la  prudenza  :  ma  la  prudenza  ha  molte  quasi 
compagne,  e  seguaci.  Una  è  la  buona  consultazione,  che 
possiamo  chiamare  il  buon  consiglio,  e  definirla  una  retti- 
tudine, o  dirittura  di  consiglio,  colla  quale  conseguiamo 


5o9  IL  roRzio 

quel  ,  che  si  dee ,  quando  si  dee,  e  come  si  dee  ;  e  la  saq.i* 
cita,  a  cui  si  conviene  il  giudicar  di  quelle  cose,  nelle  qua- 
li si  adopera  la  prudenza,  laonde  se  la  prudenza  prescrive 
il  fine,  a  cui  le  virtù  debbano  dirizzarsi  ,  e  quasi  il  coman- 
da ,  la  sagacità  ne  giudica  ;  la  sentenza  è  un  diritto  giudizio 
dell'uomo  dabbene  ,  e  non  rigoroso. 

PlGNATTELLO.  Già  ,  se  non  m'inganno,  avete  fornita  la 
mente  delle  sue  virtù:  ora  discendiamo  a  quelle  parti,  le 
quali  per  esser  combattute  dagli  afletli,  n'hanno  perav- 
venturu  maggior  Iiisogno . 

Porzio.  JNella  parte  irragionevole, eh' è  partecipe  di  ra- 
gione ,  sono  due  ajipetiti,  l'uno  detto  concupiscibile,  l'altro 
irascibile;  e  ciascuno,  come  piace  a'Latini  Filosofi, ha  il  pro- 
prie obietto;  tuttoché  io  questionando  abbia  difeso  alcuna 
volta  che  la  cupidità  non  si  muove  per  obietto,  perch'elle 
medesima  è  moto,  ed  essendo  moto, non  può  moversi:  ma 
altri  ha  distinto  la  potenza  dall'operazione  forse  più  sottil- 
mente ,  che  non  si  conviene  in  questa  materia:  a  questi  due 
appetiti  sono  assegnati  due  obietti  ;  all'  uno  il  bene  ,  sotto 
questa  semplice  considerazione;  all'altro  il  bene  arduo , 
cine  diftjcile ,  e  inalagevole  da  conseguire;  e  da  questi 
«;l»i('Hi  sono  mossi  diversi  afletli,  ciascuno  dc'quali  pe- 
lavvcntura  può  avere  la  propria  virtù  .  Ma  coloro  che  non 
liuino  voluto  dividerla,  e  quasi  smembrarla  in  tante  parti, 
V(>g!iono  che  la  tiirqieranza  sia  virtù  della  concupiscibile, 
e  la  fortezza  della  parte  irascibile  ;  ed  animosa  è  la  giu- 
stizia di  tutta  r  anima  ;  perciocché  ella  consiste  nella  pro- 
])orzione,  e  quasi  nei!'  armonia  dell'animo  nostro  ,  mentre 
Je  parti  superiori  provi  ggono  alle  inferiori,  e  lo  inferiori  non 
DCgano  di  prestaci" <.b!)cdicnza  alle  superiori.  Quattro  sono 
adunque  le  virtù  i)iin(Mpali  dell  animo,  coiìk;  jiarve  a  Pla- 
tone, ed  a' Platonici,  e  dopo  lui  a  San  Tomuiaso,  ed  agli 
altri  Stolaslici;  la  prudenza,  la  quale  abbianu)  detto  esser 
virtù  dell'  intelletto,  la  giustizia  ,  che  da' moderni  è  collo- 
cata quasi  in  projiria  sed<!,  nella  volontà  ,  appetito  del  no- 
stro intelletto,  ma  dagli  antichi,  come  iu>  detto,  fu  ripo- 
sta nella  concordia  di  tutta  l'anima  ;  negli  altri  due  appe- 
titi dell'animo  sonsu.do  ,  sono  l'altre  due  virtù  ,  tp.iasi  ca- 
pitani ne'iiuighi  muniti;  la  tei^pcr.m/a  nella  cupidigia  e  la 


fortezza  noll'anirnosilà  ;  m.i  di  rjui  ste  alcune  ohhpdiscono  j 
e  comandano,  come  la  foltezza  ;  altre  comanjano  solamen- 
te ;  come  la  prudenza  ,  la  quale  è  duce  dì  ciascun'altr.i  , 
prescrive,  come  bo  detto,  il  fine,  e  comanda  all'altre  che 
vi  pervengano;  e  ritrova  il  mezzo,  nel  quale  sono  ripo^.te 
le  virtù  de'costu'ni:  awenqael)^  fra  le  virtù  morali  e  quel- 
le dell'intelletto  sia  questa  diff.'renza  ,  che  le  morali  siano 
mediocrità  riposte  fra  gli  estremi,  l'altre  non  .viino.  La 
prudenza  dunque  ritrova  il  mezzo,  il  quale  è  di  due  ma- 
niere,  come  parve  ad  Aristotile,  l'uno  per  rispetto  della 
cosa  medesima  ,  che  domandano  ,  niediuin  rei  ;  l'altro  per 
rispetto  nostro:  il  mezzo  della  cosa  medesima  è  aritoietico 
come  sarebbe  il  sei  fra  il  due  e  il  dieci,  perei. è  tanto  ec-  ; 
cede  il  due,  quanto  è  ecceduto  dal  dicci.  Ma  la  virtù  mora-  '■ 
le  è  poi  collocata  nel  mezzo,  die  si  considera  per  nostro 
rispetto  ,  percliè  se  ad  alcuno  paresse  fatica  soverchia  il 
camminar  dieci  miglia  ,  il  camminarne  due  parrebbe  poco, 
ma  la  mediocrità  sarebbe  ia  altro  numero  conforme  alle 
sue  forze.  La  mediocrità  dunque  della  virtù  morale  consiste 
nel  mezzo,  cbe  si  considera  per  nostro  rispetto,  nel  quale 
ella  si  fa  con  elezione  ,  perchè  tutte  le  virtù  sono  elezioni, 
o  si  fanno  almeno  con  elezione  ;  e  l'elezione  dicono,  ch'el- 
la sia ,  o  un  intelletto  appetitivo,  onn  appetito  intelletivo, 
differente  nondi:neno  dalla  volontà,  intanto  cbe  la  volontà 
è  del  fine  ,  l'elezione  ]iiutto?to  de'  mezzi,  percìiè  reiezio- 
ne si  fa  di  quelle  cose,  le  quali  sono  proposte  in  consiglio, 
ria  del  fine  nonsi  consulta,  né  delle  cose  necessarie  ,  ne 
delle  naturali ,  ma  di  quelle  solamente,  che  sono  riposte 
nella  nostra  volontà  ;  di  quelle  adunque  facciamo  elezione, 
delle  quali  possiamo  consigliarci  ;  laonde  si  puòdiie,  che 
l'elezione  sia  un  consiglio  del  nostro  appetito,  o  defla  vo- 
lontà, col  qviale  si  fanno  tutti  gli  abiti  della  virtù.  Diremo 
aduntjue,  che  la  virtù  sia  un  abito  fatto  con  elezione,  il 
quale  consiste  nella  mediocrità  considerata  per  nostro  ri- 
spetto,  in  quel  modo  ,  che  determina  la  dritta  ragione,  la 
quale  è  quella,  che  suol  essere  adoperata  da!  prud'  lite;  ma 
le  parole  di  Aristotile  medesiino,  come  si  usano  nelle  no- 
stre scuole,  son  queste;  Est  igitur  virtiis  ,  habitus  electi- 
VHS  in  mcdiocritate  consisiens ,  ea  quae  ad  nos  definita 
Dialoi:lti  1.  III.  i4 


2  IO  IL  PORZIO 

ratione ,  et  ut  definicrit  ìpse  priidens ,  ma  questa  medio- 
crità si  dee  intendere  fra  due  vizj,  l'uno  de'quali  sia  ecces- 
so, l'altro  difetto,  o  negli  alTetti,  o  pure  negli  atti;  ma  la 
virtù  si  colloca  nel  mezzo,  laonde:  Subslantìa  ,  et  ratione 
quid  est  dicenti .  mediocrilas  est  ;  at  optimi  respectu  ,  et 
bene  se  habentis  extrcniitas  .  E  dunque  la  virtù  mediocri- 
tà ,  è  sommità  per  diversi  rispetti  ;  soauna  dico,  nell' ec- 
cellenza, mediocre  nell' affetto:  ma  non  ogni  affetto  ne  ogni 
atto  può  ricevere  la  mediocrità,  perchè  ve  n'ha  alcuni  , 
che  subito  per  lor  propria  natura  sono,  congiunti  colla  ma- 
lignila, come  la  malevolenza,  l'invidia,  l'aduUerio,  il  fur- 
to, l'omicidio;  queste  cose  tutte  sono  perse  stesse  malva- 
gie ,  non  solamente  l'eccesso,  o  il  difetto  di  ciascuna: 
adunque  ninna  occasione  si  trova  ,  o  niun  tempo  ,  col  (jua- 
le  queste  cose  siano  ben  fatte,  uia  assolutamente  sono  cat- 
tive con  tutti  i  modi  e  con  tutte  le  circostanze  .  Il  simile 
avverrebbe  a  chi  ricercasse  la  inediocrilà  nell'ingiustizia, 
nella  timidità  e  nella  lussuria,  perchè  questo  è  un  cprfNsre 
la  mediocrità  del  difetto,  o  dell'abbondanza,  o  pure  il  so- 
verchio (lei  soverchio,  ed  il  mancamento  del  mancamente  ; 
ina  siccome  le  virtù  non  possono  consistere  in  alcuno  de- 
gli estremi,  ma  nel  mezza  solamente,  il  quale  è  un'altra 
maniera  di  estremità  ,  o  di  sommità  piuttosto  ;  così  i  vizj 
non  possono  aver  luogo  nella  mediocrità,  ed  in  qualunque 
modo  si  pecchi ,  sono  degni  d  odio,  e  di  riprensione. 

PlGNATTELI,0.  Il  contravio  adunque  avviene  nelle  virtù 
e  nell'arti,  perchè  nell'arti   la  mediocrità  è  peravventura 
degna  di  riprensione:  però  si  Ipggc  de' Poeti.- 
....  Mediocrilnis  esse  Poctis , 
IVun  Dii ,  non  homi  ne  s ,  non  concessene  coluninae. 
E  la  mediocrità  ancora  nelle  statue  e  negli  edificj  non  suol 
portar  lode,  o  meraviglia,  ma  nella  virtù   la  mcdioirità  è 
sempre  laudevole . 

Porzio.  Questo  avviene  per  la  difficoltà  ,  eh' è  di  tocca- 
re il  mezzo,  quasi  il  bersaglio  proposto  all'arciero,  in  cui 
difficili'ienle  si  può  accertare  ,  per  esercitazione  di  buon 
sagittario;  ?na  di  leggieri  può  avvenire  ,  che  altri  colpisca 
lontano  dal  mezzo;  laonde  da'Pittagorlci  fu  detto,  che  si 
poteva  far  bene  in  un  modo  solo,  ma  errare  in  molte,  ed 


o  Dti.r.E  V  livrrj'  ìi  i 

infinite  maniere:  tuttavolla  la  virtù  ancora  ha  la  sua  cran- 
(lazza  e  quasi  la  maraviglia  ;  laonilc  la  mai^nificenza  nelle 
sue  operazioni  cerca  il  grande,  eu  il  l'iaraviylioso,  co.ne 
ricercarono  gli  scultori  nelle  statue;  di  Gi  )vc  e  di  Minerva  ; 
e  la  magnanimità  ancora  sì  prepone  yli  onori  grantlissiiiii 
por  oggetto,  de'quali  il  magnanimo  si  stima  degno;  però 
lìeile  pictioìc  cose  è  non  curante  e  trascurato,  an>i  clic  no; 
laonde  fu  conveniente  pensiero  quel  did  maravigli  ;so  archi- 
tdto,  il  quale  non  potendo  dimostrare  l'immagine  di  Ales- 
sarulro  in  alcuna  iminngine  conveniente  alla  sua  grandezza 
pensò  di  scolpirlo  nel  monte  Atl)o  :ma  in  queste  virtù  me- 
desime si  può  errare  o  per  soverchia  vanità,  o  per  piccio- 
lezza  d'animo.  Dlaioslrarono  sovercl'.ia  vanità  gli  Egizj  , 
coll'inuiile,  ed  ambiziosa  fabbrica  delle  piramidi  e  degii 
obelischi  e  del  ialierinlo.  Porsenna  parimente  nel  suo  mn- 
raviglioso  laberinto  ,  ch'edificò  in  Toscana  ,  fu  soverchia- 
ìnenle  ambizioso  e  rozzo  nel  decoro;  e  i  teatri  di  1\I>  Scauro 
e  di  Cujione  i  quali  girandosi  facevano  l'anfiteatro,  meri- 
tarono riprensione,  quasi  egli  In  un  medesino  tempo  er- 
rasse contra  due  virtù  ,  non  avendo  alti'o  di  rendita  ,  cbe 
la  discordia  de' Principi;  ma  volendo  in  questa  guisa  com- 
piacere al  furore  del  pipolo,  che  fu  ardilo  di  sed-re  in  se- 
de così  instabile  e  mal  sicura.  E  Caio  e  Nerone  furono  bia- 
simali co  lor  palazzi  ,  eo'quali  1'  antica  età  vide  Roma  due 
volte  quasi  circondata  .  Ma  Sesnstri  all'incontro,  il  qual 
pensava  di  tagliare  l' ist  no  ,  che  è  fra  i!  ip.ar  P\.osso ,  ed  il 
Mediterraneo;  e  Pirro  Re  degli  Epiroti  e  Marco  Vnrrone 
dopo  lui,  che  volle,  giltando  i  ponti  ,  fare  un  passo  da 
Otranto  ad  Appollonia  ,  dove  oggi  è  peravventura  la  Val- 
Iona  ,  nella  divisione  del  mare  J onieo  e  dell' Adriatico  ,  si 
rimasero  dall'opere  cominciate  per  pusillanimità  ,  <>  come 
altri  dice  per  impoiizia,  o  per  altre  occupazioni  ;  perchè 
se  l'opere  si  potevan  f  n-e ,  non  divean  Iralasci.ìvìe  ;  se  far 
non  si  potevano  ,  peravventura  non  era  c<)ìì veniente  il  co- 
minciarle. Ma  Xerse,come  peraltro  noti  fosse  degno  di 
lode,  fornì  con  grand' aniuio,  quel  che  aveva  cominciato, 
di  congiunger  r  Asia  e  l'Europa,  con  un  ponte  e  di  tagliar 
per  mezzo  il  monte  Ato,  aprendo  la  str.tda  alla  navigazio- 
ne- Caio  parimente,  nel  lilodel  nostro  mare  ;  fece 


212  II.  POR  7.10 

Di  nno'i'i ponti  oltraggio  alla  marina. 
Ma  degni  sniza  OìIIo  furono  di  grandissima  lode,  guardan- 
dosi (lugli  csfreini  viziosi,  Augusto  nell'edificazione  del 
Tempio  della  Pace  ;  A  grippa,  che  l'edificò  a  tutti  gl'Iddìi; 
e  nel  condurre  a  Rouia  sette  fiumi  sotto  terra,  a  guisa  di 
torrenti.  INè  solo  Cesare,  ed  Agrippa  meritarono  laude  ne- 
gli acqiiedoUi,  ma  j)rima  Q.  Marzio  Re,  ed  altri  Romani 
e  Cocceio  nella  sua  spelonca  ,  che  n  apre  al  lito  di  Pozzuo- 
lo  così  breve  e  così  piacevole  strada  ;  e  nelle  fosse  Mariane 
daccpia  morta,  ed  in  quelle  del  Po,  ed  altri  fiumi,  dai 
quali  sono  derivati  i  canali  :  e  ne'porti,  ne'pnnti,  nelle  ter- 
me si  potè  meritar  laude  di  magnificenza,  avendosi  riguar- 
do alla  pubblica  utilità:  ne'tcatri  parimente  e  negli  anfitea- 
tri, tultocliè  siano  fatti  piuttosto  per  diletto,  o  per  maravi- 
glia. Ma  se  1  opere  moderne  deono  paragonarsi  eoU'anti- 
che,  degno  d'eterno  onore  sarà  il  buon  Re  Carlo,  ed  il  buon 
Re  Roberto  suo  nipote,  1  quali  edificarono  il  maggior  Tem- 
pio di  questa  nobilissima  città, e  l'altro  così  maraviglioso  di 
Santa  Chiara  ,  ed  il  Castri  nuovo  e  l'altre  castella,  cil  il 
ni'ìlo  così  copioso  di  navi  e  di  galee  ;  e  tanti  alti  i  Principi 
e  Cavalieri,  che  hanno  (atta  questa  la  più  bella  e  la  pili 
riguardevole  città  del  inond')  ,  co'  palagi  grandissimi  , 
co' giardini  ainenissjmi  ,  colle  sepolture  e  colle  statue,  che 
laiuK)  testimonianza  dell' antiche  ricchezze,  e  dell' antico 
valore, con  tante  coltre  di  seta  e  d'oro,  e  con  tanti  e  sì  va- 
rj  e  sì  inusitati  ornamenti  delle  Chiese  drizzate  al  culto 
Divino;  laonde  si  può  affermare,  che  questa  sia  veramen- 
te una  città  abitata  da  Principi,  se  la  dignità  consiste  nel- 
la nobiltà  dtllaniinr)  ,  e  dell'origine,  come  io  eslìmo. 

PlGiNATTELLO.  Napoli  nella  magnificenza  non  cede  ad 
alcun' altra  ;  ma  nella  magnanimità  vorrei  ,  che  fosse  pari 
a  se  medesiiiia. 

Porzio.  A  voi  si  conviene  ,  ed  agli  altri  pifi  giovani  Ca- 
valieri, il  fare  emulazione  alla  gloria  degli  antichi  ;  perchè 
la  fortezza  della  città  non  cojisistevn  nelle  mura,  dalle  qua- 
li ,  come  scrive;  Livio,  fu  spaventato  Annibale,  ma  nella 
fede  e  nell'animo  de'cavalieri  ;  laonde  bcinchè  da  Corrado 
fosser  gittate  per  tcrrra  ,  non  jiotc  esser  nondimeno  abbat- 
tuti-i la  ^  irtù  IVipoIitana  ,  la  qu.ile  risorse  colle   mura  assai 


O  DELLE  ViUTU'  ai  3 

pia  bollii  e  più  gloriosa;  couie  pirlicolarinoate  si  e  cono- 
sciuto questi  anni  addietro  nel  passaggio  degli  eserciti 
Francesi  e  tielTassedio  della  città  conbattut)  dall' aruii 
barbariche,  e  nulla  peste  in  un  medesimo  tempo:  ma  par- 
liamo delle  virtù. 

PlGNATTELLO.  Qufste  due  sono  cosi  belle  e  così  gran- 
di, io  dico  la  uiagniBceriza  e  la  magnanimità,  cbe  dell'al- 
tre non  posso  l'are  eguale  stima  ;  avrò  caro  noruli.aeuo  di 
sapere,  quali  elle  siano  e  quante . 

Porzio.  Del  numero  non  v'è  peravvenlura  certa  e  de- 
terminata scienza  ;  però  Arislotile  in  questa  parte  fu  diver- 
so a  se  medesimo,  percìiè  in  molti  libri  ne  trattò  diversa- 
mente, ed  alcune  ne  tralasciò  in  quelli ,  che  scrisse  a  Nico- 
niaco ,  delle  quali  fa  altrove  menzione  :  ma  tutte  ,  p-^r  sua 
opinione,  hanno  Tessere  0  negli  atti  ,  o  negli  aiTelti:  non 
solamente  negli  alletti,  come  scrive  Alessandro  :  ma  io  le 
distinguerò  in  quel  modo,  che  stimo  più  conveniente.  Dico 
adunque,  che  le  virtù  hanno  per  lor  materia  o  gli  affetti, 
o  gli  atti;  e  gli  affetti  sono  i  movimenti  d  dl'appotito  coii- 
cupiscibile,  o  dell'irascibile:  nelle  passioni  dell'appetito 
lusinghiero  ,  il  quale  ha  per  obietto  il  bene  ,  o  vero  ,  o  ap- 
parente è  la  temperanza  fra  due  estremi  d' iutenperauza  e 
di  stupidità;  nelle  passioni  dell'irascibile  è  la  fortezza  fra 
l'audacia  e  '1  timore  ,  e  nelT  istesso  si  può  riporre  la  m  i- 
gnuniinità  ,  fra  la  pusillani  nità  e  l'altro  estremo;  e  la  virtù 
innominata  ,  che  altri  chia.iia  modestia  ,  fra  l'ambizione  e 
il  disprezzo  degli  onori;  e  la  mansuetudine  fra  l'ira  sover- 
chia e  la  vacuità  dell"  ira  j  negli  atti,  è  la  libi  ralilà  ,  fra 
l'avarizia  e  la  prodigalità;  e  la  magnificenza,  tra  la  piccio- 
lezza,  per  così  dire,  ed  il  trapassa, nento  del  decoro.  Nella 
conversazione  sono  parimente  tre  virtù,  le  quali  pare,  che 
abbiano  per  proprio  soggetto  le  parole,  piuttosto  che  gli 
atti ,  o  gli  affetti  ;  tuttavolta  perchè  il  conversare  è  quasi 
un'azione,  anzi  principalissima  azione  della  vita,  si  pos- 
sono annoverare  fra  l'altre ,  che  hanno  l'essere  negli  alti; 
di  queste  la  veracità  è  posta  in  mezzo  fra  l'arroganza  e  la 
dissimulazione;  i'alìabilità ,  fra  l'adulazione  e  la  contesa; 
la  piacevolezza,  fra  la  bulfoueria  e  la  rusticità:  oltre  a  tut- 
te queste  è  la  giustizia  ,  la  quale  non  è  situata,  come  1'  al- 


?.l4  IL  PORZIO 

tre  ,  fra  due  esfromi ,  ina  tVci  il  più  e  il  meno:  percliè  eli;» 
aggiungendo  a  quella  parte,  ch'è  ditcttuosu  ,  scema  da 
quella,  clic  hn  di  soverchio,  ed  il  sovereliio  suole  usurpar- 
si coli' ingiuria  ;  perchè  sempre  liugiuriatore  ha  di  [ùù  e 
l'ingiuriato  di  meno  :  ma  il  giusto  dee  ogguiigliar  queste 
disuguaglicinzi" ,  pareggiando  l'ingiuriato  all'ingiuratore  . 
Tuttavolta  quella,  che  è  da'  Pittagorici  detta  rcLuliato,  e 
da  Dante  contrapasso;  cioè  il  render  pari  per  pni,  non  è 
sempre  giusta;  ma  come  estiaiò  Aristotile  nel  quarto  delle 
Morali  a  Nicoujaco,  questa  ragione  non  conviene  all'uomo 
costumato,  né  a  quel  di  stato:  ma  nel  secondo  de  libri  civili 
pare  che  ahhia  diversa  opinione, dicendo, che  di  questa  ra-. 
gione  del  rendere  pari  per  pari  sono  conservate  le  città;  e 
ne' gran  JVloridi  similmente  s'iqìpigliò  a  questo  parere.  Non 
è  nondimeno  discorde  a  se  medesimo  Aristotile  come  parve 
ad  alcuni;  pereliè  due  sono  i  modi  del  f.ir  questa  ragiooe  ; 
l'uno  geometrico,  il  quale  conserva  le  città,  l'altro  aritme^ 
tico,  che  può  distruggerle;  siccouie  due  sono  le  specie  della 
giustizia,  l'una  dispensiitrice  de'premj,  !aqu;de  avendo  ri- 
guardo alla  dignità  delle  persone,  procede  colla  proporzio- 
ne geometrica;  l'altra  commutativa  ,  o  correttiva,  che  si 
dimostra  ne' contratti  e  ne' commerci ,  che  si  fanno  fra  gli 
uomini  volontarj,  o  involootarj  ;  e  questa,  considerando  le 
persone  come  eguali,  si  serve  della  proporzione  aritmeti- 
ca; ma  la  giustizia  sola  ricerca  un  trattato,  anzi  molti 
trattati  e  molti  libri  da  se  medesima  ;  e  da  Platone  in  que- 
sta materia  furono  scritti  dieci  dialoghi,  intitolati  del  Giu- 
sto e  della  Repubblica.  Laonde  se  vi  pare,  di  lei  parleremo 
separatamente  in  più  lungo  ragionamento  :  or  bastivi  di 
sapere,  ch'ella  è  fra  quelle,  che  hanno  l'essere  negli  atti  , 
comeccliè  Platone  la  riponesse  nell'animo,  ed  altri  de'mo- 
derni  filosofi  l'abbia  colloeata  nella  volontà,  quasi  in  pro- 
pria sedi!.  Questa  alcune  volte  è  chiamata  da  Aristotile 
tutta  la  virtù,  perchè  le  leggi  soglion  comandare  tutte  le 
virtù,  al  forte,  che  serva  l'ordinanza;  al  temperato,  che  si 
astenga  da' piaceri ,  che  fugga  l'adulterio;  al  mansueto, 
che  non  si  lasci  trasportare  dall'ira  smoderata;  al  liberale 
elle  non  sia  scarso  de'preuij  e  di'Ile  mercedi:  e  se  alcune 
leggi  si  trovano  ,  nelle  quali   tutte  lo    virtù    non  siano  co- 


O  UKI.I.E  VIRTÙ'  2l5 

mandife,  sono  imperfette;  imperocché  il  fine  del  Legisla- 
tore dee  essere  di  far  buoni  e  virtuosi  gli  uomini,  che  vi- 
vono in  un  regno ,  o  in  una  città  .  Eccovi  le  virtù  ,  quasi 
da  me  nel  mio  ragionamento  disegnate,  senza  varietà  di 
esempi  e  senza  soverchio  urnaraento  di  parole,  perchè  il 
colorirle  sarebbe  opera  peravventura  di  stile  più  diligente, 
e  di  migliore  e  più  dotto  maestro. 

PlGNATTELLO.  Veggio,  o  mi  par  di  vedere  alcune  l)el- 
le  ,  ma  picciole  schiere  di  virtù  ,  fra  le  quali  ricerco  indar- 
no, la  costanza,  la  sofferenza  ,  la  fiducia  ,  la  pietà  e  la  rive- 
renza, e  l'altre,  delle  quali  alcuna  volta  ho  sentito  ragio- 
nare . 

Porzio.  Voi  avete  noininate  alcune  compagne  e  segua- 
ci delle  virtù,  delle  quali  non  si  dimenticò  setnpre  Aristo- 
tile: ma  in  alcun  suo  libro  particolare  l'ordinò  insieme 
coir  altre  aggiungendo  alla  fortezza  ,  la  sofferenza  e  la  co- 
stanza e  la  fiducia;  alla  giustizia,  la  pietà  con  alcune  altre; 
alla  teiiiperanza ,  la  riverenza  ,  ed  altre  compagne  :  ma 
ne' libri ,  ch'egli  scrisse  a  Nicomaco  e  negli  altri  ad  Eude- 
mo  e  ne'gran  Morali ,  trattò  di  quelle  solamente,  che  da 
noi  sono  state  raccontate;  alle  quali  aggiunse  la  vergogna 
e  l'indignazione;  piuttosto  come  lodevoli  disposizioni;  per- 
chè elle  non  sono  virtù  perfette  e  compiute.  Bastivi  adun- 
que di  aver  raccolto  il  numero  delle  va-tù  in  breve 
sjjazio. 

PlGNATTELl-O.  Io  nel  raccontarle  imiterò  coloro ,  che 
vogliono  numerar  le  stelle ,  i  quali  riconoscono  nel  cielo 
alcune  principali ,  quasi  duci  e  principi  dell'ordine  loro; 
altrimenti  sarei  costretto  di  cadere  nell'opinione  di  Crisip- 
po ,  che  introdusse  virtù  quasi  infinite. 

Ponzio.  Ma  peravventura  non  dovete  esser  tanto  solle- 
cito del  numero  ,  quanto  dell'essenza  e  della  proprietà  di 
ciascuna  ;  però  io  vi  conforto  che  ricerchiate  ne' medesimi 
le  definizioni ,  che  dà  A.ristolile.  Io  a  guisa  di  pittore,  che 
ritocchi  le  iunnagini  medesime,  dimostrerò  più  particolar- 
mente la  materia  di  ciascuna  virtù  e  quel  eli'  ella  sia  ,  per 
opinione  di  Aristotile,  con  quell'ordine  medesimo,  che  da 
lui  è  usato.  Dico  adunque ,  che  la  fortezza  è  /nediocrità 
tra  i  timori  e  gli  urdiiuenti:  ma  di  quei,  che  eccedono  co- 


"2  16  IL  PORZIO 

lui,  che  soverchia,  non  temenJo ,  non  ha  proprio  nome; 
1  altrO;che  abbondi  di  confidenza  è  audace:  mu  cului^  che 
troppo  teine  e  manca  nell'ardimento  ,  è  timido  .  Intorno 
a'  piaceri  e  a'dolori  è  mediocrità  ia  temperanza,  e  particor 
Inrmente  intorno  a  quelli,  che  suno  oijyetti  del  gusto  e  del 
tatto  ,  il  si^verchio  è  l'intemperanza;  il  difetto  non  ha  pro- 
prio nome,  perchè  rade  volte  avviene,  che  si  ttnvi  alcuno 
che  non  senta  i  piaceri,  pure  è  detto  insensato;  la  liberalità 
è  mediocrità,  la  quale  è  ripasta  nel  dare  e  nel  ricevere  i 
danari;  l'eccesso  è  la  pradigdità ,  e  il  tlitetto  è  l'avarizia  , 
colle  quali  gli  uo'iiiiii  in  modo  contrario  sogliono  essere  ab- 
bondanti, <»  dil'eltuosi  ;  il  prodigo  eccede  Ui.'l  dire  e  prende 
meno  che  non  dee,  l'aviiro  all'inconUj  [jreiide  troppo  edà 
poco. Sono  altre  disposiz^i  'ni  intorna  a  danari;  e  inediocrità 
^  la  magnificen/.a  :  mi  diverso  è  il  magnifieu  dal  liberale  , 
perchè  l'uno  ^i  adopera  nelle  cose  grandi,  l'altro  nellepic- 
cinle,  il  soverchio  è  l'esser  sordido  e  rozzo  nel  decoro ,  il 
difetto  la  picciolezza  nel  decoro .  Negli  onori  e  nelle  cose 
opposte,  inediocrità  è  la  magnanimità;  l'eccesso  è  una 
certa  tardità  e  quasi  trascuraggine  ;  il  difc-lto  è  pusillani- 
mità: e  quale  è  la  magnificenza  verso  la  liberalità,  tale  è  la 
magnanimità  per  rispetto  di  una  disposizione  ,  la  qu;ile  è 
intorno  agli  onori;  perciocché  suole  avvenire,  che  l'onore 
si  desideri,  quanto  conviene  e,  più  e,  meno;  e  colui  che 
eccede  nel  desiderio  degli  onori,  è  detto  ambizioso;  l'altro 
che  manca ,  è  nel  mezzo  e  senza  proprio  ni)me;  laonde  av- 
viene, che  gli  estremi  combattino  del  luogo  di  mezzo. 
Noi  ancora  sogliamo  chiamare  il  mezzo  ora  ambizioso,  ora 
non  privo  del  desiderio  di  onore;  ed  ora  laudiamo  l'auibi- 
zioso,  ora  l'  altro  :  è  mediocrità  nell'  ira  la  mansuetudine; 
degli  estremi,  colui  clic  recede,  iracondo;  e  il  vizio  è  det- 
to iracondia  :  colui  che  n'è  difettuoso  ,  si  dice ,  che  non  ha 
collera,  e  il  difetto  si  dice  privazione  dell  ira.  Pone  oltrea- 
ciò  le  tre  mediocrità,  le  quali  abbiamo  detto,  cbe  sono 
intorno  alla  comune  usanza  delle  parole  e  degli  atti:  ma 
l'una  è  intorno  al  vero,  l'altra  è  nel  piacevole,  del  quale 
parte  è  ne'giuochi  e  negli  scherzi.-  parte  nell'altra  conver- 
sazione intorno  al  vero:  il  mediocre  è  verace,  e  mediocrità 
la  veracità,  la  finzione  nelle  cose    maggiori   è  arroganza, 


O  DELLE  TiUTU'  2  17 

nelle  minori  tlissimulazionc  ;  nella  piacevolezza  de' motti  e 
degli  bclicrzi  il  niecliocre  è  faceto  e  piacevole;  e  la  virtù  è 
piacevolezza,  ed  urbanità,  gli  estremi  soiu>  il  rozzo,  ed  il 
giocolare;  nel  piacere  dell' altra  conversazione  e  domesti- 
chezza ,  colui  clie  è  piacevole  e  grato  nel  conversare  quan- 
to conviene  è  detto  amico,  e  la  mediocrità  amicizia:  ma 
(juel  che  eccede  ,  non  avendo  risguardo  al  proprio  interes- 
se, si  chiama  placido:  ma  facendolo  alfine  di  utilità  ,  è 
detto  adulatore;  colui  che  manca  in  tutte  le  cose,  spiace- 
vole ,  riottoso,  0  contenzioso  e  difficile.  Kella  vei gogna  an- 
cora e  nell'  indignazione,  tuttoché  non  sian  propriamente 
virili,  sono  i  mezzi  tra  i  difetti  e  gli  eccessi.  Eccede  colui, 
che  di  tutte  le  cose  ha  vergogJia,come  il  timido;  colui  che 
di  ninna  cosa  si  vergogna,  e  detto  impudente;  nel  mezzo  è 
il  vergognoso  ,  degno  di  lode;  V  indignazione  è  i;iediocritù 
tra  r  invidia  e  la  malevolenza  ,  ed  intorno  a'  piaceri  e  a' do- 
lori, che  sentiamo  degli  accidenti  del  prossimo;  perchè  lo 
sdegnoso  si  duole  ,  che  altri  indegna-mente  sia  esaltato  dal- 
la prosperità  della  fortuna;  l'invidioso,  che  l'avanza,  si 
duole  di  tutte  le  cose  godute  dagli  altri  o  degnamente,  o 
indegnaiiiente  ;  il  malevolo  non  sente  dolore  ,  uia  gode  del- 
l'altrui male;  ma  questa  ancora  è  rozza  figura,  intorno 
alla  quale  Aristotile  più  diligenteoiente  si  aifaticò,  come 
voi  imxlesimo  potrete  considerare.  Si  può  nondimeno  ag» 
giungere  alle  cose  dette,  che  tutte  le  virtù  morali  sono  in- 
torno al  piacere  e  al  dolore;  perchè  il  rallegrarsi  delle  cose 
oneste,  e  il  dolersi  delle  contrarie,  è  certo  segno  dell'abito 
lodevolmente  acquistato.  E  perchè  le  virtù  sogliono  esser 
corrotte  dall'uno  e  dall'altro  estremo;  dobbiamo  guardarci 
da  ambedue  ,  non  altrimenti,  che  soglia  far  colui,  che  navi- 
ga tra  Scilla  e  Cariddi,e  da  queU'esti'emo  dubbiaiuo  allon- 
tanarci maggiormente,  al  quale  siamo  più  inchinati,  torcen- 
do l'animo  pieghevole  alla  contraria  parte  a  guisa  di  pian- 
ta novella  ,  la  quale  è  dirizzata  per  artificio  dell'agricolto- 
re ;  però  colui ,  che  è  inclinato  all'avarizia,  dee  alcuna 
volta  aprir  la  mano  soverchiamente  allo  sp.  ndere;  e  il 
troppo  largo  per  natura,  dee  ristringerla;  e  chi  è  trasporta- 
to dal  trabocchevole  appetito  ne' piaceri  sinoderati  ,  con 
più  c^ro  freno  dee  ritenére  la  cu^)idigia;  e  rallentarlo  alcu- 


•?.i8  ir.  PORZIO 

na  volta    si  converrebbe    all'insensato,   se    in    questa  età  , 
troppo  tieiicata  nelle  delizie  e  nelle   morbidezze,  alouno  si 
ritrovasse  privo  dei  gusto  de' piaceri;  e  il  timido  dee  avan- 
zarsi ne'pericoli,  e  l'animoso  alcuna  V(dta  tirarsene  addie- 
tro: e  il  somiijiiante  dee  farsi  in  ogni  disposizione  di  virtù. 
Ma  perchè  i  vizj  sono  contrarj  e  fra  loro,  ed  alia  virtù  ,  la 
quale  è  risposta   nel   mezzo,    vagliaci    questo  a  nmaestra- 
mento,  clic  più  ci  guardiamo  da  quel  vizio  clic  è  più  con- 
trario alla  virtù,  come  è  più  contraria  alla    fortezza  la  ti- 
midità ,  dell'audacia:   laonde  ninno    può  biasimare  il  so- 
vercliio  ardire  d'Alessandro  il  INIagno  nell'espugnazione  di 
Tiro  ,  o  dell'altre  città,  o  nelle  sanguinose  battaglie  nelle 
quali  essendo  ferito,  conobbe  la  sua  umanità:  ma  tutti  con 
maravigliose  lodi  deono  levare  la  sua  virtù  fine  al    cielo,  e 
quella  di  Filippo  suo  padre  similmente;  e  il    passaggio  di 
Scipione  A-ffricano  al  Regno  di  Siface  ,  con  due  galee  sola- 
mente :  e  l'ardire  di  commetter  la  sua  salute    medesima  e 
quella  della  sua  patria  alla  fede  Aifricana    sempre  incerta, 
ed  incostante  ,  è  degn)  di   grandissima    maraviglia  ;    e  non 
meno  quel  di  Cesare,  che  impaziente  per  la  tardanza  delle 
legioni ,  che  passavano  da  Brindisi  ad  Antiochia,    finse  di 
essere    ammalato,  e   lascictndo    il  convito ,  occultò    la  sua 
maestà  con  abito  servile  e  si  espose  in  una  picciola  bar- 
chetta alla  tempesta  del  mare   Adriatico.    Ma  li  temerità 
di  coloro,  i  quali  sono  stati  al  fine  vinti  dal  timore  ,  suole 
spesse  volte  senza  biasimo  e  quasi  con  pietà  esser  rimirata- 
pero  volentieri  leggiamo  ne  Poeti; 
Parie  aliaj'ugiens,  arnissis  Troilus  arinis , 
Inftlix  pucr  f  atque  impar  congressus  Achilli , 
Fertur  equis ,  curruque  haerct  resupinus  iiuini , 
Lara  lencns  lanien:  huic  cer\'ixqut  coniacqut  trahuntur 
Per  terram  ,  et  versa  puWis  inscribitur  liasta  . 
Ma  dove  ne  pericoli  la  virtù  giovanile  dell  aniino   non  sia 
stata  superata  dal  timore,  èdegna  di  meraviglia,  quantun- 
que per  le  forze  del  corpo  si  sia  mostrata  inferiore:    ed  ap- 
pena si  può  determinare,   s'ella  sia    fortezza,  o  temerità, 
come  è  quella  di  F^allante,  di  cui  si  legge: 

Ire  prior  P alias  ,  si  qua  fors  adjuvet  aiisuni  , 
T^iribus  iniparibus:  niagiiuinque  ita  ad  aetUera  fa/tur  : 


O  DELLE  MRTU'  :^19 

E  quella  di  Lauso,  tlell.i  cui  morte  si  legger 
y^ncas  ,  nuban  belli ,  cium  detiiiet  oniiies 

S listine t  :  et  Lausuni  increpitat ,  Lausoque  niiiLilnr 
Quo  moriture  rais  ?  majoraquc  viribus  aiides  ? 
Vallit  te  incaiitum  pietas  tua .  Ncc  miniis  illc 
Exulta t  demeiis . 
All'incontro  la  fuga  tli  Turno  non  pare  a  molti ,  die  poss^ 
essere  scusata;  perchè   la   temerità   non    si  scusa  nelTetcì. 
matura,  e  molto  meno  quella  di  Ettore;  tuttavolta  Turno 
fugge  con  minor  vergogna,  essendogli  rotta  la  spada  ,come 
si^  legge  : 

Einicat  liic  .  impune  putans  ,  et  corpore  loto 
Alle  sublatum  consiirgit  Turnus  in  ensem  : 
Etferit.  Exclamant  Troes ^  trepidique  Latini, 
Arrectaeque  aniborum  acies.  At  perfidus  ensis 
Frangitur ,  in  niedioque  ardcnteni  dcserit  ictu  , 
Ni  fuga  subsidio  subeat  :Jugit  ocyor  Euro  , 
Ut  capulunt  ignotuni ,  dextramque  aspexit  incrtnein  , 
La  fuga  nondimeno  è  simile  a  quella  del  cervo,  come  si  de^ 
scrive  in  que'  versi  : 

Jnclusum  velati  si  quando  in  Jlumine  nactus 
Cervuni ,  autpuniceae  septuniformidinepaennae, 
f^enator  cursu  canis  et  latratibus  instat  ; 
llle  auteni ,  insidiis  et  ripa  terrilus  alta  , 
Mille  fugit ,  refugitque  vias:  at  vividus  Lmber 
Haeret  hìans  ,  jamjamque  lenet,  siniilisque  tenenti . 
Altrove  Turno  fugge,  o  si  ritira  piuttosto  ,  come  leone  cir^ 
condato  dall'armi  e  da' cacciatori: 

Ceu  saevuni  turba,  leoneni 

Cuni  telis  premit  infensis  :  at  territus  ille 
Asper,  acerba  tuens,  retro  redit  :  et  ncque  terga 
Ira  dare  ,  aut  virlus  patitur  ;  nec  tendere  contra 
Ille  quidem  hoc  cupiens  polis  est  per  tela  ,  virosque. 
Haud  alile.r  retro  dubius  vestigia  Turnus 
Improperata  refert . 
Ma  in  tutti  i  modi  è  piuttosto  audace;  o   temerario,  clje 
forte  ,  come  dice  il  Poeta  medesimo  : 
Irini  de  Coclo  rnisit  Saturnia  Juno 
Audacem  ad  Rutuluni. 


l'io  IL  PORZIO 

Laonde  il  Poeta  non  raeribi  biitsiino  nel  costuao  descrit- 
to,  quantunque  potesse  meritarlo  la  persona  descritta  ,  lu 
quale  con  somme  Indi  è  talora  levata  fino  al  cielo;  e 
molto  meno  merita  di  esser  ripreso  Enea  per  la  vendetta  ; 
all'incontro  sempre  è  biasi  nato  il  costume  del  timido  o  la 
li))udità,  come  estremo  più  lontano  dalla  fortezza  alla  quit- 
te ni)n  può  in  modo  alcuno  assomigliarsi.  E  non  solamente 
è  vituperata  ne'Pocli,  ma  negl'lstorici  ,  come  la  fuga  di 
Serse,  il  quale  ,  dopo  la  perdita  d'intlnite  centinaia  di  sol- 
dati, elesse  di  fuggire  con  una  sola  barchetta,  e  non  volle 
morir  piuttosto;  o  la  ritirata  di  Artaserse-  il  quale  dapoi  die 
vide  morto  Ciro  suo  fratello  ,  si  ritirò  di  un  picciolo  eser- 
cito di  ventiquattromila  Greci,  col  suo,  che  era  di  ottn- 
centoinila  e  più  persone';  o  come  fu  la  morte  di  Sardana- 
palo  e  di  altri  Principi  d'  inl'ame  ,  e  vergognosa  me- 
moria , 

PignAttello  .  Verissima  a  me  parve  sempre  la  senten- 
za di  quel  Poeta  : 

Un  bel  morir  tutta  la  vita  onora , 
Laonde   estimo  che  Virgilio  volesse  far  troppo  d'onore  a 
Mezenzio  nella  sua  morte,  eperavventura  ci  volle  dimostra- 
re, come  la  fortezza  dell'animo  si  trovi  scompagnata  dal- 
l'altre virtù. 

Porzio.  Questa  è  una  questione  assai  antica  e  spesse 
volte  rinnovata;  ma  di  lei  se  il  prenderete  in  grado  parle- 
remo a  suo  luog».  Or  continuando  il  ragionamento  degli 
estie roi  ,  dico  che  l' istesso  avviene  nell'estremo  della  pro- 
digalità, il  quale  assai  spesso  è  simigliante  alla  virtù:  laon- 
de i  prodighi  sono  amati  come  giovevoli,  ed  all'  incontro 
gli  avari  odiati;  e  lasciando  da  parte  Calilina,  Curione, 
Marco  Antonio  e  gli  altri,  i  quali  co' doni  e  e  )n  gli  spetta- 
coli presero  gli  animi  d.'l  popolo;  nell'istorie  d'Inghilter- 
ra leggiamo,  che  il  Ile  Giovanni ,  cognominato  il  Cortese, 
tuttoché  avesse  guerra  con  Enrico  suo  padre,  fu  nondime- 
no oltre  a  tutti  gli  altri  Re  amatissioio,  per  questa  sola 
apparenza  di  virtù,  o  estremità  di  larghezza,  che  vogliain 
chiaioarla;  per  la  quale  MmiVedi  fu  amato,  come  furono 
molti  di  que'tiranni,  i  (piali  nel  governo  e  nelle  operazio- 
ni sono  stati   somiglianti   a' buoni   Re;    all'incontra  Carlo 


O  DF.i.I.E  MHTU'  22  r 

giuslisslino  Re  eli  questo  Regno,  fu  riputato  avaro  anziché 
no  ,  ed  odiato  per  l'avarizia  . 

PlGNATTEfJ.O.  Cupido  fu  egli  pJultosto  die  avaro,  sic- 
come colui,  che  spendeva  molto  nelle  sue  magnanime  im- 
prese :  ma  la  divisione  da  lui  fatta  in  tre  parti  del  tesoro 
reale  ch'egli  acquistò,  quando  vinse  Manfredi,  la  terza 
parte  donata  a'cavalieri  suoi  seguaci ,  il  può  liberare  da 
questa  falsa  opinione,  indegpa  della  sua  virtù ,  anzi  per 
mio  parere,  se  la  divisione  fosse  slata  fatta  colle  bilancie, 
e  non  co'piedi ,  come  parve  a  Beltramo  dei  Balzo,  ne  sa- 
rebbe tocca  la  maggior  parte  a'cavalieri,  e  la  minore  alla 
moglie. 

Porzio.  Neiristesso  Culo  altri  danna  la  sovercbia  se- 
verità ,  che  non  fu  biasiucita  in  Fabio  ed  in  Torquato, 
quantunque  fosse  meno  amata  dalla  clemenza;  rr^i  la  se- 
verità perse  medesima  ,  se  non  è  congiunta  coli' estremo 
dell'ira  ,  non  suol'esser  ripresa,  e  talvolta  è  avvenuto  che 
ne' Capitani  sia  stato  più  lodato,  e  più  giovevole  l'ostrc' 
mo  dell'ira,  cbe  l'altro  op|>osto;  il  quale  è  vacuità  del- 
l'ira. Però,  come  si  legge  in  Senofonte,  a  Clearco  Lacedc- 
uionio,  il  quale  seguì  Ciro  minoi^e  in  Asia  contro  il  fratel- 
lo Artaserse,  sapendo  meglio  di  tutti  gli  altri  obbedire, 
meritò  di  comandare,  e  comandò  in  guisa  ,  che  fu  temuto 
non  solamente  per  la  severità,  nja  per  l'ira  sovercbia, 
laonde  egli  solca  dire,  die  il  buon  Capitano  dee  esser  più 
spaventoso  a' soldati  del  nemico  medesiiuo.  Mn  Prosceni 
Boezio  peccò  coll'istesso  esercito  nell'altro  estrouo,  quan- 
tunque fosse  am'uaestrato  dal  famos-j  'j  >rgia  Leontino, 
perciocché  agli  portava  a's,)ldati  maggi  ir  rispetto  ,  die  da 
lor  medesimi  a  lui  non  era  portalo  ;  dilfitiie  nondi  ueno 
è  il  giudicare  qual  più  s'allontanasse  dalla  vera  mediocri- 
tà ,  nella  quale,  senza  fallo  ,  meritò  estrema  laude  Seno- 
tonte.  Ma  nondimeno  perdiè  l'ira  è  ineno  avversa  alla  ra- 
gione, come  parve  ad  Eraclito;  o  piult-isto,  perchè  l'ira 
prende  l'arme  per  ragione,  coinè  volse  PI, itone  ,  il  sover- 
chio dell' ira  è  men  vizioso  che  il  difetto,  d;l  quale  C(jn 
agre  riprensioni  fu  ripigliato  il  Re  di  Cipri,  e  con  acuto 
morso  punto  dalla  donna  di  Guascogna:  né  si  potea  lodare 
ragionevolmente   in    Piiistrato,  perchè  egli  non    doveva 


5ìi  IL  PORZIO 

Sopportare  così  di  leggieri  l'ingiuria  Tiittagli  nella  figliuo- 
la; dall'altra  parte  il  soverchio  dell'ira  fu  attribuito  ad 
Ercole,  ad  Achille  ,  ad  Aiace  ed  agli  altri  Eroi ,  anziché 
ho-,  ed  Alessandro ,  per  ammaestramento  filosofico,  non 
potè  tenerla  a  freno?  quantunque  alcuna  volta  vincesse  il 
piacere  ,  e  come  dimostrò  dopo  la  morte  di  Dario  ,  nel  ri- 
spetto portato  alla  moglie  edalla  madre;  però  fu  scritto 
dal  Petrarca; 

r'incitore  Alessandro  V  ira  vinse  , 
Efel  minore  in  parie  di  Filippo: 
Che  gli  vai ,  se  Pirgotelc  ,  o  Lisippo 
L^  intagliar  solo  ,  ed  A  pelle  il  dipinse? 
Ma  negli  estremi   dell'intemperanza    quel    che  eccede  nei 
piaceri,  è  lontano  assai  dalla  virtù  ;  però   Marc' Antonio  e 
Demetrio  Espugnatore  delle  città,  che  si  diedero  in  preda 
a ' piaceri  >  furono   hiaisimati   in  tutti    i  secoli  e  da    tutte  le 
nazioni;  e  Cesare  istesso,  il  quale 

Cleopatra  legò  tra' fiorì  e  l'  erba  ; 
ed  AnnihaUe  al  terren  vostro  amaro  , 

ne  meritarono  riprensione:  e  do' nostri  Princi[(i ,  Federigo 
Secondo  e  Manfredi  suo  figliuolo  furono  riputati  per  que- 
sto carnali  e  per  poco  Epicui-ei.E  se  io  non  suno  errato  per 
questo  eccesso  medesimo  molti  Regni  e  molte  tirannidi  fu- 
rono gettate  a  terra  eco!  fcìTO  micidiale  estirpate;  il  regno 
di  Roma  particolarmente  cbhe  fine  ])er  radullerio  latto 
dal  figliuolo  di  Tarquinio  superbo  in  Lucrezia  moglie  di 
Collatino;  e  Roma  dapoi  mutò  stato  un'altra  volta,  essen- 
do governata  da  Decemviri,  per  la  violenza  fatta  da  Appio 
il  Bello  a  Virginia  ,  figliuola  di  Virginio;  e  per  l'istessa 
cagione  Manfredi  perde  il  Regno  di  Najxjll  abbandonato 
dal  Conte  di  (^as*  i  t.i  suo  cognato,  il  quali*  inlianzi  alla  Itat- 
taglia  di  Ceperan»,  lasciò  il  passo  da  lui  guardato,  e  passò 
alle  parti  di  Carlo;  e  non  molti  anni  dopo  Passerino  Bona- 
cossi  fu  privato  della  Signoria,  ed  insieme  della  vita  da 
Luigi  Gonzaga  e  da' figliuoli.  Dall'altra  parte  il  difetto 
ne' piaceri  è  celebrato  alcuna  volta  con  grandissime  lodi,  e 
quasi  con  maraviglia,  come  fu  in  Senocrate,  il  quale  a  gui- 
sa d'immobile  statua  si  giacque  con  Frine  meretrice  ;  ed 
in  Senocrate,  che  ncH'istcssa  maniera  lece  vergognare  Al- 


O  DET.I.K  virtù'  2^3 

cibiadc  di  se  medesimo;  ina  (juesta  fu  slupidità  filosofica; 
e  fra  queste  estremila  lodatissiino  e  il  mezzo;  laonde  Sc\- 
pione  il  Maggiore  in  Ispagna  non  meritò  minor  laude  por 
la  virtù  della  temperanza  ,  clie  per  la  fortezza  e  per  tante 
sue  miiravigliose  vittorie  .  Ne' poeti  ancora  sono  stali  de-r 
scritti  il  mezzo  e  gli  estremi  con  molta  leggiadria,  e  con 
gran  giovamento  di  chi  legge-  per  farsi  esempio  dell'altrui 
virtù:  e  particolarmente  il  Tasso,  nostro  atMico,  ed  al  no^ 
Siro  secolo  Poeta  di  molta  stima  e  diu-.olta  erudizione, n;4 
suo  Amadigi  ha  voluto  far  vergonar  questa  età  della  so- 
verchia intemperanza;  perchè,  oltre  all'altre  sue  belle  in- 
venzijni  della  selva  delle  maraviglie,  finge  che  Galaoro  per 
una  incontinenza  simile  a  quella,  dimostrata  da  Ruggiero 
con  Angelica,  perdesse  la  spada  vermiglia,  da  lui  per  valo- 
re acquistata  ,  senza  la  qual  ;  non  si  poteva  dar  fine  al}'  in-? 
canto  d-'lle  selve;  ma  Floridante,  dispreizando  la  Fatsj  che 
ignuda  lo  invitava  all'amorosa  lotta,  usò  virtù  maraviglio-: 
sa  ,  somigliante  a  quella  di  AnHSsagora;  laonde  al  fine  non 
solo  si  conservò  la  spadi  veriniglia  ,  ma  superò  gl'incanti 
della  selva,  e  condusse  a  fine  molte  altre  maravigliose  avr 
venture . 

PlGiXATTEr-LO.  I  Poeli  Spagnuoli  sono  inaravigliosi  in 
descrivere  la  lealtà  deCavidieri;  perchè  questa  virtù  che 
voi  chiamate  temperanza,  è  lealtà  piuttosto  e  fede  in- 
violahilmente  osservata  alla  sua  donna  ;  essendo  per  altro 
i  cavalieri  da  loro  descritti  simili  piuttosto  agl'intedipc- 
ranli  ,  o  agl'incontinenti;  i  quali  sono  vinti  dalle  passioni 
amorose;  come  avvenne  ad  Amadigi,  che  per  un  picciolo 
ed  ingiusto  sdegnò  di  Oriana,  si  lasciò  in  preda  alla  dispera 
razione.  Ma  perchè  io  lessi  alcuna  volta,  che  tutti  gii  a- 
manti  sono  incontinenti,  pregovi  che  mi  dichiariate  la  dit- 
ferenza ,  la  quale  fanno  i  filosofi  fra  1"  incontinenza  e  1'  in- 
temperanza. 

Porzio.  Aristotile  ed  i  filosofi  Peripatetici,  pongono 
nell'animo  tre  disposizioni  luudevoli,  e  tre  airincontro 
degne  di  hiasimo.  Laudevoli  sono  la  virtù,  la  continenza,  e 
la  virtù  eroica;  ma  degne  di  biasimo  sono  il  vizio,  l'ior 
continetiZa  e  la  ferità;  or  lasciando  da  parte  l'opposizione, 
che  è  fra  la  virtù  e  il  vizio,  e  fra  la  ferità  e  la  virtù   eroi- 


0.1^  Il  PORZIO 

ra,  dico  ,  cbe  rineoiitinentc  è  opposto  al  continente,  come 
il  vinto  al  vittorioso  ;  perchè  l'incontinente  è  vinto  dagli 
nffetti;  ma  il  continente  supera  le  passioni  .  Vinto  è  dico 
l'inconflnente  da  quelle  passioni,  le  quali  gli  altri  sogliono 
di  leggieri  superare:  ma  il  continente  vince  quelle  ,  che 
malagevolmente  possono  esser  superate ,  e  nni  opera  mai 
senza  perturbazione:  ma  il  temperante  ha  pacato  l'animo, 
nel  quale  la  ragione  signoreggia  a  cheto,  e  senza  contra- 
sto: si  nile  è  dunque  il  continente  al  vincitore  di  regno 
perturbato,  o  di  città  ribellata  ,  nella  quale  i  tumulti  e  le 
sedizioni  non  sono  affatto  cessate:  ma  il  temperante  somi- 
glia il  Re,  che  abbia  domate  le  nazioni  e  soggiogate  le 
provincia,  ed  a'popoli  pacificamente  cotnandi;  laonde  as- 
somiglierei  l'animo  dell'uomo,  o  del  Princip<;  continente, 
alla  dittatura  di  Fabio  Massimo,  o  d'altro  dicitore,  il 
quale  ponesse  freno  agl'impeti  popolari  :  ina  l'animo  del 
temperante  è  simile  alla  monarcliia  di  Ottavio,  o  d'altro 
potentissimo  Principe,  a  cui  non  si  faccia  ripugnanza,  o 
contesa  alcuna  . 

PlGNATTELLO.  Grandissitjia  virtù  è  dunque  la  tenpe- 
r.'iiza  . 

Porzio.  Grandissima  e  bellissima  certo  :  ma  la  conlinen- 
za  non  è  virtù,  quantunque  le  s'assomigli,  ma  disposizione 
liuiMCvole,  ed  alla  virtù  somigliante;  l' int(MTiperanza  all'in- 
«ontru  è  grandissi  no  vizio,  e  l'incontinenza  non  è  vizio,  ma 
iticlinazione  a'piaceri  degna  di  bi^ìsimo;  dalla  quale  l'animo 
nmnnr»  oltramisura  è  perturbato:  però  dice  Aristotile,  die 
r  intemperante  elegge,  quasi  persuaso  dal  piacere  e  vinto 
dallesue  lusinghe, di  «(^giirele  cose  che  piacciono, ed  eleg- 
ge sempre  le  piacevoli,  anziché  le  oneste  e  le  faticose:  ma 
l'incontinente  non  elegge, e  non  è  persuaso,  vinto  dalla  per- 
tur])a7-ione,  è  però  inerì  reo  dell'intemperante,  siccome  co- 
lui, cbe  non  ha  corrotto  il  principio,  il  quale  nell'intempe- 
rante è  guasto  dal  vizio;  l'uno  e  l'altro  ha  il  medesimo  og- 
getto e  la  medesima  materia,  clic  sono  i  piaceri  del  corpo; 
laonde  propriaincnle  incontinenti  son  detti  gli  amanti,  i 
bevitori,  i  golosi,  e  tutti  coloro,  che  dall'  uno  e  dall'altro 
senso,  del  tatto  ,  dico,  e  del  gusto  si  lasciano  sovercliia- 
rnente  lusingare;  gli  altri ,  cbe  nell'ira  e    nel  desiderio  di 


o  DELrji:  virtù'  2-25 

onore  edi  vittoria  sono  incoiitiiient.i,  non  son  detti  seaipU- 
cemente  incontinenti ,  ma  con  questa  giunta  incontinenti 
nell'ira,  nell'onore,  o  in  altro,  checcliè  egli  sia  ;  però  al- 
cuna volta  meritarono  biasimo  ;  alcuiia  lode  nell'inconti- 
nenza . 

PlGNATTELl.O.  Io  non  so,  se  Achille,  o  Alessandro  fos- 
sero giammai  lodali  giuslanieute  nell'ira:  ma  l'uno  ucci- 
dendo Calistene  ,  l'altro  non  sapendo  perdonare  a'corpi 
morti,  mi  paiono  giustamente  ripresi. 

Porzio.  Più  biasimevole,  senza  fallo,  estimo  l'inconti- 
nenza del  danaio ,  della  quale  a' tempi  anticlii  furono  ri- 
presi molti  uomini  gratuli  ,  per  altro  lodat issimi  e  fra  gli 
altri  Pompeo,  che  seguendo  T esempio  diSesostri,  spogliò 
il  tempio  di  Salomone  del  suo  tesoro  :  ma  fra' nostri  Re 
Carlo  Primo  e  Ferdinando,  ed  Alfonso  Secondo  d'Arago- 
na ,  non  hanno  potuto  schivare  il  biasimo  di  (juesta  incon- 
tinenza . 

PlGNATIELLO.  Se  alcuna  maniera  d'inconlinenza  è  lau- 
devole  ,  sarà  peravvenlura  quella  dell'onore  e  della  vitto- 
ria la  quale,  conte  scrivono,  fu  smisurala  in  Alessandro  , 
smisurata  in  Cosare;  l'uno  e  l'altro  nondimeno  trovò 
molti  ,  e  chiarissimi  laudatori  della  grandezza  dell'  a- 
nimo. 

Porzio.  E  molti  riprensori  all'incontro,  e  quasi  giudici 
severi  nell'azioni  famose  trovarono  questi  e  gli  altri  nell'o- 
nore e  nella  vittoria  incontinenti,  fra'  quali  è  chiarissimo  M. 
Marcello,  che  cadde  negli  aguati  di  Annibale,  e  dal  nemico 
medesimo  fu  seppellito  ;  e  fra'nostri  Principi ,  Carlo  Prin- 
cipe di  Salerno  ,  che  sotto  simulazione  di  fuga  fu  preso  da 
Ruggiero  dell'Oria  ,  presso  il  lito  di  Napoli  .  Ma  tacendo 
degli  altri  nostri  ,  l'azioni  di  Achille  furono  con  amaritu- 
dine riprese  da  Platone;  e  quelle  di  Milziade,  di  Temisto- 
cle, di  Cimone  e  di  Pericle  furono  dal  medesimo  filosofo 
acerbamente  ripigliate:  Filippo  fu  accusato  da  Demostene, 
Cesare  da  Catone,-  Marc' Antonio  da  Cicerone;  Scipione 
medesimo  ,  la  cui  virtiì  superò  la  fortuna  e  l'invidia  e  la 
gloria  degli  antecessori,  e  la  speranza  do' posteri,  e  l'  opi- 
nione di  tutte  le  genti,  a  l'espettazione  da  lui  slesso  con- 
citata ,  non  potè  fuggire  o  le  riprensioni  di  Fabio  Massima 
Dialoghi  T.  IH.  lì 


22,6  IL  PORZIO 

o  il  giudizio  delTingrata  palria,  la  quale  fu  indegna  della 
sua  sepoltura  .•  ma  In  Scipione  il  Consolalo,  ed  il  trionfo 
innanzi  all'età,  ed  il  passaggio  di  Nicoiuedia,  e  la  guerra 
trasportata  in  Affrica  non  possono  esser  riprese  come  in- 
continenze di  onore  e  di  vittoria  ;  perchè  da  lui  tutte  le 
cose  furono  adoperate  con  elezione  e  con  grandissimo  con- 
siglio, quasi  eguale  alla  grandezza  dell'aniino.  Ma  se  noi 
ricerchiamo  alcuna  continenza  degna  di  lode  piuttosto  che 
di  biasimo,  è  senza  fallo  quella  dj  Neottolenio  ,  nella  tra- 
gedia di  Sofocle  chiamata  Filottete,  come  giudica  Aristo- 
tile medesimo;  perciocché,  essendo  egli  stato  persuaso  da 
Ulisse  a  mentire,  non  perseverò  nel  proponimento,  o  nella 
menzogna,  ma  vinto  dalla  sua  buona  natura,  che  faceva 
ritratto  da  quello,  onde  era  nato  ,  amò  meglio  di  scoprire 
la  verità,  che  di  compiacere  all'amico  bugiardo.  Simile 
incontinenza  fu  peravventura  quella  di  Coriolano ,  il  (juale 
non  continuò  nel  suo  altiero  proponimento ,  ma  si  lasciò 
piegare  alle  ])reghiere  della  madre;  e  se  alcuna  falsa  opi- 
nione è  degna  di  biasi.no,  degna  di  lode  è  l' incontinenza, 
per  la  quale  non  siamo  perseveranti  nel  primo  non  laude- 
vole  proponimento. 

PlGNATTEf.T.o  .  Dunque  la  leggerezza  dell'animo,  e 
l'inecrtitudine  dell'opinioni  sono  laude  voli  nell'  inconti- 
nente? 

Porzio.  Non  assolutamente  ,  rna  in  comparazione  forse 
della  pertinacia  e  del  pertinace,  il  quale  continua  nella  fal- 
sa opinione,  e  nella  elezione  non  buona  ;  perchè  pertinaci 
sono  quelli,  che  non  j)ossono ,  se  non  malagevolmente,  es- 
ser rimossi  dalla  U'ro  sciocca  opinione;  ma  ostinati  in  sul- 
la propria  credenza  ,  non  sono  pieghevoli  alle  vere  ragioni 
non  arrendevoli  a'  jtrieghi  ,  né  possono  per  altrui  persua- 
hione  deporre  l'ostinata  gravezza  .  Uomini  indotti,  e  rozzi, 
e  di  lor  testa  ,  i  quali  per  diletto  son  pertinaci  ,  perchè  si 
rallegrano  vincendo  malvagiamente  le  questioni,  e  le  riot- 
te, spesse  fiate  con  dure  parole  incominciate;  all'incontro 
si  dolgono  di  esser  vinti,  e  di  cedere  alla  j-agione  ,  ed  al- 
l' autorità  ;  e  non  altrimenti  si  perturbano  per  la  vani- 
tà delle  proprie  parole  ,  che  se  vedessero  dispr(;zzata  l'au- 
torità delle  pubbliche  leggi,  e  de' pubblici  decreti. 


O  DELLE  VlRTtl'  227 

PlGNATTELLO  .  Se  COSÌ  spiacevole  ,  e  zotico  è  i!  pertina- 
ce, mi  maraviglio  oltremodo,  coine  Ja  Elio  Impcraclore 
non  fusse  rifiutato  qiK^sto  cognome. 

Porzio.  Propriamenlc  noi  cbiamiamo  pertinacia  quella 
non  lodevole  disposizione  dell'animo,  per  la  quale  altri 
nelle  non  vere  opinioni  è  perseverante,  e  pertinaci  gli  uo- 
mini spiacevoli ,  e  riottosi  ;  ma  ])ertlnaci  alcuna  volta  son 
detti  quegli  ancora,  clic  non  sono  agevolmente  rimossi 
dalle  Inione,  e  vere  opinioni^  la  quale  è  proprietà  degli 
uomini  giusti  ,  come  fu  Catone ,  o  altro  sì  l'atto,  di  cui  si 
possa  afTermare: 

Jnstuin  ,  et  tenaccin  propositi  vii-um 
con  quel  che  segue . 

PlGNATTELLO.  Questa  sarebbe  grandissima  virtù, o  co- 
stanza ,  degna  di  Catone,  e  d'altri,  che  disprezzassc  la 
morte  per  la  dignità. 

Porzio.  Nondimeno  pertinacia  si  domandi  propriamen- 
te la  tenacità  ,  per  così  dire ,  di  non  buon  proponimento  , 
simile  in  qualche  cosa  all'incontinenza  ,  ma  in  molte  dissi- 
mile; jiercbè  gl'incunlinenti  non  hanno  l'erma  opinione, 
ma  di  leggieri  la  sogliono  mutare,  e  rifiutare  ,  come  fanno 
coloro,  i  quali  sono  dubbiosi,  ed  incerti  ;  laonde  meritano 
scusa,  e  perdono,  se  agevolmente  cedono  a' piaceri  ed  alia 
cupidità:  ma  alla  malvagità  non  si  può  conceder  per- 
dono. 

PlGNATTELLO.  Io  avrei  piuttosto  creduto  che  l'incon- 
tinente ancora  avesse  ferma  opinione  . 

Porzio.  La  ferma  opinione,  quantunque  falsa,  come  fu 
quella  di  Eraclito  ,  malagevolmente  si  può  rimuovere,  e 
nella  stabilità  è  quasi  somigliante  alla  scienza  ;  Socrate 
nondimeno,  il  quale  stimò,  che  tutti  gli  uomini  facessero 
le  loro  operazioni  per  alcuna  scienza,  diede  bando  e  cacciò 
dagli  animi  nostri  l'incontinenza  ;  perciocché  egli  giudica- 
va impossibile  ,  che  l'uomo,  che  sappia  ,  ed  abbia  buona  , 
e  diritta  opinione,  operi  incontinentemente;  avvengachè 
ninna  cosa  sia  piìi  forte  della  scienza  ;  laonde  non  è  ragio- 
nevole che  la  scienza  sìa  vinta  dalle  perturbazioni ,  dalle 
quali  è  superato  l'animo  dell' incontinente  .  Ma  Aristotile 
in  parte  giudicò  diversamente;  perchè  gli  uomini  possono 


2^5  IL  POh/iO 

avere  in  due  modi  la  scienza ,  o  usandola,  o  noa  usandola  » 
e  non  ad  tperandola  ,  s'iia  in  i\hho  solamente  ,  non  in  atto; 
ed  in  qiesta  guisa  è  possibile,  che  1'  incontiaenle  sappia  ^ 
ma  è  impossibile  ,  che  eyli  abbia  la  scienza  in  alto  ;  oltre- 
ciò  l'incontinente  sa  l'universale,  ma  non  l'applica  al  par- 
ticolare: ma  chi  sta  sull'universale,  non  suole  operare, 
benché  egli  potesse  sapere  la  particolar  proposizione,  la 
quale  signoreggia  quasi  nell'azioni,  perché  è  quella  ,  che 
ci  muove  ad  operare  ;  nondimeno  non  se  ne  serve ,  né  la 
pone  in  opera,  allorché  egli  è  combattuto  e  vinto  dalle  per- 
turbazioni, le  quali  sogliono  mutare  il  corpo,  non  solamen- 
te l'animo;  laonde  l'uomo  soverchiato  dall'ira  é  simile  al- 
l'ubriaco, il  quale  reciti  i  versi  del  Petrarca  ,  o  d'altro 
Poeta  o  Sono  ancora  gl'incontinenti  si.mili  agli  istrioni,  i 
quali  spesso  ornati  d'abiti  reali  e  superbi  ,  sogliono  nella 
scena  dir  sentenze  maravigliose  e  piene  di  gravità,  come 
quelle  del  Tieste  di  Seneca  : 

Regtni  non  fuciunt  opes  . 

Non  vcslis  T)riae  colai' , 

Nonfrontis  nota  Regiae, 

Non  auro  nilìdac  trabes . 

Rex  est ,  qui  poauit  nie.tus , 

Et  (Uri  mala  pcctoris  . 
E  quell'altre,  che  appresso  seguono; 

Mens  Renani  bona  possi dct , 

Nil  ullis  opus  est  cfjuis  , 

Nil  arinisf  et  inerii  bus 

Telis ,  rpiac  procul  ingcrit 

Parthus ,  cuni  siinrtlatjìigam. 

Adniotis  nihil  est  opus 

Urbcs  sterne  re  niachinis  , 

Longe  sarà  rotantibus , 

Rex  est ,  qui  nietuit  nihil , 

Hoc  Regnuin  sibi  quisque  dat . 
Nondimeno  può  avvenire,  ch'egli  sia  uomo  timidissimo, 
ed  in  quel  punto  medesimo  perturbnto  dalla  paura  di  of- 
fendere r  aninw  de'  Principi  ;  e  dalla  bocca  di  un  vi- 
lissimo  istrione,  vinto  dalla  concupiscenza,  possono  ancora 
uscir  queste  , 


0  DELLE  VIRT17'  iig 

Qu''s(}u!S  in  primo  ubstitit , 

PcpuUtqiic  amorem  ,  tiUus ,  ac  victor fuiC ; 
Qui  hlandiendo  dulct  nutrivit  inaluvi , 
Scro  recusat  forre  ,  quod  subiit ,  j'ugum . 
JN'el riflesso  modo  ancora  l'amante,  mentre  segue  le  vesligiA 
tlella  SUH  donna  ,  potrà  cantare: 

Fuggite  amor  ;  quegli  è  ver  lui  più  forte , 

Che  men  s' arrischia ,  ov'  egli  a  guerra  sfida  , 

Colà  Ve  dolce  parli ,  e  dolce  rida 

Bella  donna  ,  ivi  presso  è  pianto  ,  e  morte . 

PlGNATTELLO.  Inutile  scienza  è  quella  dell'incontinen- 
te ,  ed  inutile  abito,  s'ella  non  giov'i  in  modo  alcuno  al- 
l'operazione, e  se  può  avvenire,  che  egli  operi  cose  con- 
trarie a  quelle ,  ch'egli  opera  colla  lingua;  laonde,  per 
inia  opinione,  a'  fanciulli  non  si  dovrebhono  insegnar,  i 
versi  di  Teognide,  o  di  Focillide  ,o  d'altro  Poeta,  che 
insieme  non  s'insegnasse  la  continenza  ;  ma  niìi  maravi- 
glioso  estimo,  che  l'incontinente  non  possa  operare  incon- 
tinentemente-eoll'abito  della  virtù  ;  ma  con  quello  della 
scienza  soglia  operare  incontinentemente. 

Porzio.  Le  scienze,  come  ho  detto,  sono  degli  univer- 
sali, ma  nelle  azioni  è  necessaria  la  cognizione  de' partico- 
lari ,  perchè  ogni  operazione  si  fa  secondo  l'ultiina  propo- 
sizione ,  la  qual  comanda  nell'azione  ;  ma  perchè  non  è  al- 
cuna certezza  delle  cose  particolari  ,  appartenenti  a'  sensi , 
la  qual  sia  propriamente  scienza,  non  è  inconveniente,  che 
sia  gran  perturbazione,  dove  non  è  oropria  scienza  ;  ma 
peravventura  dove  è  la  scienza  propriamente  detta  .  non  è 
alcuna  soverchia  agitazione,  ne  alcuna  incontinenza  ,  come 
parve  a  Socrate;  perchè  veramente  sa  colui,  il  quale  sa  ap- 
plicare gli  universali  a' particolari,  e  sillogizzare  in  tutte  le 
figure;  e  gli  altri,  che  argomentano  solamente  colle  pro- 
posizioni universali,  sono  somiglianti  a'  logici  imperfetti  , 
che  non  sanno  ridurre  tutte  le  forme  de'sillogismi  alla  pri- 
ma .  Ma  suole  alcuna  volta  avvenire  nell'incontinenza  ,  che 
Amore,  a  guisa  di  Sofista,  inganni  coli' equivocazione,  ed 
in  altri  modi  non  considerati  da  Aristotile,  de' quali  non  è 
tempo  ora  di  favellare .  Or  basti  dimostrare,  come  il  savio  '• 
Cav.iliero  dt^e    congiungere   la    particolare    all'  iiniversale 


S>.3o  IL  PORZIO 

proposizione,  in  questa  guisa:  La  mortesi  dee  elegger 
nelle  belle,  ed  onorate  occasioni,  ma  questa  di  ditender  la 
Patria  è  onora tissiiuaj  adunque  dee  eleggersi.  Ovvero;  I 
soz^i  diletti  deono  essere  fuggiti;  questo  è  bruttissimo; 
adunque  dee  fuggirsi.  E  particolaruiente  nelle  cose  iippar- 
teneiiti  a' piaceri  si  dee  in  questa  guisa  sillogizzare  con- 
giungendo gli  uìiiversaii  co' particolari,  perchè  il  continen- 
te e  r  incontinente  si  dimostra  ne'  piaceri ,  come  il  costan- 
te ,  e  l'effeaitninato  ne'dolori;  laonde  propriamente  con- 
tinente è  colui,  the  supera  i  piaceri;  propriamente  costan- 
te, chi  resiste  a'dolori:  ma  il  molle  e  l'effemminato  cede 
a!  dolore,  siccome  l'incontinente  al  piacere  ,  ed  a  quello 
particolarmente  ,  che  è  obietto  de' due  sentimenti  del  cor- 
po più  materiali,  de'quali  si  trovano  in  somma  due  manie- 
re, siccoine  due  specie  d' incontinenza  ,  l'una  delle  quali 
è  temerità  ,  l'altra  infermità;  perchè  alcuni ,  avendo  fatta 
deliberazione,  non  si  fermano  nelle  cose  deliberate,  vinti 
dalla  perturbazione,  come  avvenne  di  Didone,  la  quale  pri- 
ma avea  detto  : 

Sed  tnihi ,  vel  tellus  optem ,  prius  ima  delti scat , 
Vcl  pater  oinnipoLens  adigat  me  fulmine  ad  umbras  , 
Pallentes  umbras  Èrebi  y  noctsmq  uè  prof  arida  m; 
Ante, pudor,  quam  teK'iolem,aut  tua  j ara  rcsolvam. 
Jilc  meos  primus  ,  qui  me  sibi  juiixit ,  amores 
Abstulil ,  ille  habeat  sccwn  ,  servetque  sepidcro . 
Nondimeno  poco  stante: 

Uritur  ìnfelix  Dido  ^  totaque  vagatur 
Urbe  fureiis  ,  qualis  conjecta  cerva  sagilta  eie. 
Altri  non  eleggono  con  deliberato  consiglio  ,  ma  sono  quasi 
colti    all'  improvviso  ,  e  vinti  dalla  perturbazione  ;  e  fra 
questi  fu  Canace,  come  si  legge  nell'  Epistole  di  Ovidio: 
Cur  unquam  plus  me  frater ,  quam  fratcr  amasti  y 

Et  tibi  non  ,  debet  quod  soror  esse ,  fui  ? 
Jpsa  quoque  incalui ,  qualemque  audire  solebam , 

Ncscio  queni  sensi  corde  repente  Deum  . 
Fugerat  ore  color ,  niacies  adduXerat  artus . 

Sumebant  minimos  ora  coacta  cibos, 
Nec  sonini  faciles ,  et  nox  erat  annua  nobis  , 
Et  gemituni  nullo  laesa  dolore  dabani  : 


O  DELLE  virtù'  23  I 

Nec  dir  hoc  facevein  ,  potcram  mihi  recidere  causam  , 
JVec  noraiii  (juid  ainans  csset ,  af  illud  erani . 
Vj  fra'rjioclesiiiii  si  può  ripori'e  il  nostro  Poeta  Toscanojclie 
disse  di  se  medesimo  : 

Tempo  non  mi  parca  da  far  riparo 
Cantra  i  colpi  di  Amor  ,  però  n'andai 
Sccur  senza  sospetto  . 
K  tanto  basti  aver  detto  intorno  a  queste  disposizioni  del- 
l'animo,  ed  all.i  diilVrenza  ,  che  è  fra  loro  ,  perchè  l'incon- 
tinenza ferina  ,  la  (|a;t!e  è  o  per  natura ,  o  per  consuetudi- 
ne, o  per  morbo,  sarà  prravveiitura  materia  d'altro  ragio- 
namento: or  si  rimanga  ,  non  dirò  fra  le  donne  gravide,  né 
con  gli  uomini  niaravvezzi  negli  agi,  e  nello    morbidezze 
d'Italia,  ma  fra' Scili  e  fra' Tartari,  o  fra' Cannibali  e  fra  le 
altre  barbare  nazioni  di  nuovo  ritrovate  ,  fra  le  quali  è  pe- 
ra v.ven  tura  ,  non  altrimenti  ,  che  già  tosse    fra    quelle  fiere 
nazioni,  che  abitavano  intorno  al  Ponto, come  dice  Aristo- 
tile ,  o  fra  gli  Essedani ,  e  gì'  Ircani ,  e  i  Caspj  ,  e  i  Battria- 
ni,  e  i  Massaggeti.  Or  dell'umana  incontinenza  ragionan- 
do, posso  afTermare  senza  dubbio,  ch'ella  non  può  in  mo- 
do alcuno  accopj>iarsl  colla  prudenza  ,  perchè   il  prudente 
è  di  buoni  e  laudevoli  costumi  ,  e   idoneo  all'operazioni, 
ma  r incontinente  non  lia  alcuna  altitudine  alle  operazioni; 
benché  egli  abbia  abilità  ,  e  quantunque  non   sia  maligno, 
siccoune  colui ,  clic  non   la  mala   elezione,    participa  dellct 
malignità,  e  per  così  dire  ,  è  rnezzo  maligno:  laonde  l'ani- 
mo dell'incontinente  è  assomigliato  ad  una  città  ,  la  quale 
abbia  buone  leggi  ,  ma  non  adoperi,   ne    giudiclii  se!.fmdo 
quelle.  Il  maligno  rassomiglia  una  città  governata  con  ma- 
le leggi;  e  questi,  come  abbiamo  detto  dell'  intemperante  , 
è  incurabile:  ma  l'incontinente  si  può  curare  non  malage- 
volmente, e  fra  gl'incontinenti,  quelli  si  curatm  di  leggie- 
ri,! quali  sono  sì  fatti  per  consuetudine;  gli  altri  per  ivi- 
tura  incontinenti ,  malagevolmente  possono  esser  medicati 
dalla  filosofia,  curatrice  degli  animi,  perchè  è  più  malage- 
vole il  mutar  la  natura,  clic  la  consuetudine:  anzi   la  con- 
suetudine dinicilmente  si  muta,  perchè  è   quasi  un'altra 
natura  ,  come  disse  Evenio  Poeta  ; 

UsLis  loiigu9  mas  est ,  et  nieditatio  crebra. 


232  IL  PORZIO 

Hunc  tandem  ussero  naturani  mortulibiis  esse . 
Fra  tutti  grincoritiiieati  adunque  possono  agevolmente  es- 
ser guariti  quelli ,  che  sono  sì  fatti  per  usanza,  ne'quali 
come  spesso  abbiam  detto,  non  è  corrotto  il  principio  nel- 
l'aniaio,  e  (  s'io  non  sono  errato)  la  buona  disposizione 
naturale,  la  quale  è  conservata  dalla  virlìi,  guasta  dal  vi- 
zio, ma  negli  atti,  e  nelle  operazioni  è  principio  il  fine  ; 
quello  dico,  por  cui  sono  fatte  tutte  le  altre  cose,  il  quale 
non  si  può  dimostrare  con  argomento:  ma  è  come  le  sup- 
posizioni de' matematici,  non  s'insegnau')  con  alcuna  ra- 
gione ;  ma  la  virtù  o  naturale  ,  o  per  consuetudine  acqui- 
stata, è  cagione  ,  che  abbiamo  buona  opinione  del  princi- 
])io.  Il  vizio  corrompe  il  giudizio  del  principio,  non  altri- 
menti,  clie  faccia  il  Morbo  Regio  la  vista  in  guisa,  che 
riufermo  stima  di  vedere  le  cose  di  quel  medesimo  colore 
del  quale  egli  è  infetto  ,•  e  come  che  questi  si  vanamente 
opinanti, siano  fra  loro  contrarj,  nondimeno  tutte  le  muta- 
zioni si  fanno  tra  contrarj  ,•  può  il  tempeiante  divenir  in- 
temperante ,  ed  all'incontra  :  non  altri'uenti,  che  si  legga 
in  Plutone,  che  de' vivi  si  facciano  i  morti,  e  de'  morti  i 
vivi. 

Dottore  .  Veramente  i  viziosi  sono  morti  nel  vizio  ; 
laonde  l'anima  del  vizioso  è  simile  al  cadavero,  e  racqui- 
stando  la  virtù,  risuscita  quasi  aduna  nuova  vita.  Ma  que- 
sta è  materia  Teologica  ,  anzicbè  no  . 

Porzio.  Morale,  non  solamente  Teologica  ,  e  la  filoso- 
fia de' costumi  non  contradice  alla  Teologia  r  ma  ora  non 
abbiafjio  tempo  di  quistionare  ,  che  io  sono  stanco  del  ra- 
gionare, e  voi,  per  poco,  dell'ascoltare. 

PlGlvATTELLO.  l  vostri  ragionan)enti  non  possono  esser 
rincrescevoli.  ne  sazievoli  in  modo  alcuno,  ma  voi  per  gio- 
vatucnto,  e  piacer  di  noi  siete  forse  il  sovcrcliio  gravato; 
dite  dunque  quanto  vi  pare  ,e  come  vi  pare,  che  tutto  ciò 
che  a  voi  non  sia  faticoso  d'insegnarne,  a  noi  sarà  oltra- 
modo  caro  d  apprendere,  ed  a  me  particolarmente,  per- 
chè il  Signor  Dottore  non  lia  gran  fatto  bisogno  d' impara- 
re, o  non  da  altri,  che  da  voi  solo  che  sete  il  maestro  di 
color,  che  sanno,  laonde  io  per  essere  in  questo  numero, 
volentieri  sarei  annoverato  fra  gli  altri  della  filosofica  fa- 
miglia . 


O  DELLE  virtù'  233 

JPOT\ZlO-Già  abbiamo  concbiuso,  cbe  l' incontinente 
non  possa  esser  prudente;  e  ciò  per  opinione  di  ;Vii^tulilc; 
dunque  il  prudente  sarà  continente. 

PlGNATTELLO.  Questo  mi  pare  assai  ragionevole  . 

Porzio  .  Ed  all'  incontro  il  continente  sarà  prudente  . 

PlGNATTELLO.  E  questo  ancor  mi  pare,  cbe  sia  detlo 
con  molta  ragione. 

Porzio.  Ma  se  il  prudente  sarà  continente, non  sarà  tem- 
perante) percbè  la  continenza  è  disposizione,  e  quasi  strada 
alla  temperanza:  ma  alcuno  nel  medesimo  tempo  non  può 
esser  nella  disposizione,  cbe  precede  l'abitOjC  nell'abito,  già 
confermato  ,  siccome  è  impossibile  ,  cbe  sia  nel  cammino  > 
e  nell'albergo,  e  nel  corso,  e  nelle  mete;  laonde  ne  segue, 
cbe  non  potendo  esser  la  prudenza  congiunta  colla  conti- 
nenza ,  e  colla  temperanza  ,  sia  con  una  di  loro  solamente; 
e  con  qual  piuttosto? 

PlGNATTELLO  .  Colla  temperanza ,  se  io  non  sono  er- 
rato. 

Porzio.  Senza  fallo,  percbè  la  prudenza  è  congiunta 
con  ogni  virtù,  ma  la  temperanza  è  virtù,  e  questo  modo 
è  un  modo  di  congiungere  le  virtù  ,  quasi  anella  insepara- 
bili in  una  catena  assai  più  cara  ,  e  di  maggior  pregio,  cbe 
se  fosse  d'  oro,  o  di  diamanti . 

PlGNATTELLO .  Dunque  cbi  ba  una  virtù,  1'  ba  tutte? 

Porzio.  Per  opinione  d'Aristotile  si  prova  in  questa 
guisa:  niuna  virtù  può  esser  senza  prudenza,  percbè  la 
prudenza,  o  la  diritta  ragione  è  quella  ,  cbe  dimostra  il 
mezzo:  ma  cbi  ba  la  prudenza  ,  l'ba  tutte;  e  peravventura 
le  virtù  sono  congiunte  come  gli  elementi  in  quest'  ordine 
delle  cose  ,  e  quasi  catena  dell'universo,  percbè  la  terra 
rincbiude  in  se  medesima  l'aria,  e  l'acqua  ;  e  1'  aria  parte- 
cipa dell'acqua  ,  e  1'  acqua  dell'aere  ,  il  quale  è  quasi  me- 
scolato col  fuoco  :  però  soleva  ricbieder  Socrate  a  Prota- 
gora appresso  Platone ,  se  la  santità  fosse  giusta  ,  o  ingiu- 
sta; non  ingiusta,  dunque  giusta  la  santità,  e  la  giustizia 
santa;  ed  in  questa  guisa  si  può  ancora ,  per  mio  avviso 
affermare,  cbe  la  giustizia  sia  forte,  e  la  fortezza  giusta  ,  e 
magnanima,  e  forte  la  magnanimità  .  Questi  sono  i  modi  , 
cp' quali  si  può  dimostrare ,  cbe  le  virtù  siano  inseparabili? 


^34  ir.  •ponzio 

e  corii^iante  insieme  a  g  lisa  ili  anella  nella  catena  ;  e  V  una 
opinione  fu  di  A.ri.stotile ,  l'altra  di  Piatone,  anzi  pur  Tuna 
e  l'altra  deriva  da  Piatone,  e  da  Socrate;  il  quale  soìeva 
quasi  confonder  le  virtù,  clic  erano  distinte  da  Protagora, 
e  ridurle  in  una  solamente,  differente  piuttosto  di  itiateria, 
che  di  forma;  e  ciò  soleva  provare  con  questa  proposizio- 
ne. Unum  uni  contrariwii  ;  perchè  essendo  a  tutte  le  vir- 
tù contraria  l'insania,  ne  segue,  che  tutte  le  virtù  siano 
una  .  A  questi  nodi ,  e  quasi  legami  della  virtù  ,  1'  uno  ri- 
stretto dalla  prudenza,  l'altro  dalla  conformità  ,  eh' è  fra 
ciascuna ,  il  terzo  dall'unità  de'contrarj  ,  si  possono  ag- 
giungere gli  altri  dell'obietto,  e  del  fine:  ma  come  piace  a 
Sant'Agostino,  l'amore  è  saldissimo  nodo  ,  il  quale  con- 
giunge insieme  tutte  le  virtù  ,  le  quali  a  me  paiono  non  so- 
lo diverse  di  materia  ,  ma  di  firma;  altrimenti  non  avreh- 
bono  varie  definizioni ,  soinig'ianti  nondimeno,  in  quella 
guisa,  che  le  Ninfe  sono  descritte  da  Ovidio: 
Facies  non  omnibus  una, 
Non  diversa  tanica ,  qualeni  dccct  esse  sorores . 

Dottore.  Questa  fu  senza  lìillo  opinione  degli  antichi; 
nondimeno  altri  scrittori  di  gran  fama  hanno  riputato  al- 
trimenti,  come  Tito  Livio,  il  quale  parlando  di  Annibale 
disse,  Cuius  ingentes  virliUes  ingcatia  vitia  aequ-ibant . 
E  Carlo  Secondo  Re  di  Napoli  ,  per  la  sua  regia  liberalità, 
chiamato  Alessandro  Secondo,  nella  sua  vecchiezza,  per 
testimonio  degl' istorici ,  fu  troppo  stemperato  nell'  amore 
delle  fanciulle;  taccio  di  Federigo,  e  di  Manfredi,  e  degli 
altri  somiglianti.  E  fra  più  moderni  Teologi ,  Soto  con 
molte  ragioni  si  sforza  di  sciogliere  i  nodi,  ed  i  legami  del- 
la virtù  ,  e  le  ragioni  sono  queste:  e  prima  ,  se  gli  abiti 
della  virtù  si  acquistano  con  molte  azioni,  può  avvenire 
di  leggieri,  che  alcuno  più  esercitandosi  nelluna,  che  nel- 
l'altra, non  r  acquisti  tutte  insieme  .  Oltrcciò  ,  se  la  con- 
nessione, ed  il  legaincnto  della  virtù  fosse  necessario,  sa- 
rebbe nella  sua  deiiuizioiio:  ma  non  è  n -Ila  definizione  ; 
dunque  non  è  necessario.  Appresso  usa  quest'argomento; 
se  per  la  costituzione  della  virtù,  fosse  necessario  il  nodo, 
ed  il  legamento,  ne  seguirebbe,  che  ciascuna  virtii  fosse 
forma  dell'altra,  e  ch'ella  forse  virtù  ,  priuia  che  fosse  vir- 


O  DELLE  VIRTÙ'  235 

tù.  Anzi  niuna  sarebbe  la  prima  virtù,  o  piuttosto  non  sa- 
rebbe la  virtù,  e  questa  sua  con  seguonza  si  dicbiara  agevol- 
mente ;  perchè  se  l'ima  virtù  non  può  esser  senza  l'altra  , 
la  temperanza  avrà  dalla  fortezza  l'esser  di  virtù,  ed  all'in- 
contro la  tortezza  dalla  temperanza  ;  però  la  fortezza  sarà 
virtù ,  prima  che  sia  virtù  ,  anzi  non  sarà  virtù,  e  non  sarà 
alcuna  virtù  ,  percbè  1' una  suppone  l'altra,  e  dall'altra*  è 
presupposta  ;  però  sarà  prima  di  se  stessa,  e  da  poi ,  il  cbe 
è  injpossibile.  Per  queste,  e  per  altre  ragioni  egli  conebiu- 
deva  ,  cbe  ciascuna  virtù  non  era  necessariamente  legata 
coll'altra,  ma  colla  prudenza  solamente,  e  con  quella  par- 
te della  prudenza,  che  a  lei  appai*tiene  ;  come  la  tempe- 
ranza è  legata  con  quella  parte  della  prudenza  ,  la  quale 
considera  le  azioni  pertinenti  alla  temperanza  j  e  l'istesso 
concludeva  nelle  parti  della  prudenza  cbe  l'una  possa  es- 
sere disgiunta  dall'altra;  putendo  avvenire  che  alcuno  sia 
esperto  nelle  cose  civili,  ma  non  nelle  cose  famigliari;  o 
pratico  nelle  private  ,  ed  inesperto  nelle  pubbliche. 

Porzio.  Il  discioglierla  lega  della  virtù  è  dannosa  ope- 
razione, come  sarebbe  quella  di  separare  la  concordia  dei 
buoni  Principi,  i  quali  sono  armati  per  la  salute  universale; 
però  dobbiamo  cercare  di  ristringer  questi  nodi  ,  e  questi 
legami.  Dico  dunque,  cbe  le  virtù  imperfette ,  o  non  com- 
piute ,  cbe  sono  le  natie  ,  e  le  naturali  proprie  di  ciascuna 
parte  dell'animo ,  non  hanno  fra  loro  alcuna  necessaria 
congiunzione,  ne  con  quella  parte  naturale  dell'animo ,  la 
quale  è  detta  abilità  ,  e  per  rispetto  della  prudenza  è  tale  , 
quali  sono  le  virtù  natie  verso  le  morali  ;  laonde  il  separa- 
re la  congiunzione  di  queste  virtù  non  è  malagevole  ,  e  fu- 
rono peravventura  separate  in  Annibale  ,  e  negli  altri ,  e 
possono  ricevere  la  compagnia  di  alcun  vizio,  anzi  di  mol- 
ti vizj,  come  particolarmente  si  legge  di  Annibale  in  Vale- 
rio Massimo:  7Vb/i/je  bellwn  adversus populum  Ronianuni 
et  Italiani  professiis ,  a  elicer siis  ipsamjideni  acrius  gessi t? 
mendacia  ,  et  fallaciis  ,  quasi  praeclaris  artibus  gau- 
dens?  quo  evenit  ut ,  alioquin  insignem  iioniinis  sui  me- 
moriam  relìcturus  in  dubio,  inaiar  ne,  an  peior  vir  haberi 
deberet ,  poneret . 

PlGNATTELLO.   In  questa    guisa  Annibale   non  si  curò 


■236  IT.  PORZIO 

d'esser  huono:  ma  d'esser  grande,  e  per  acqnisinrsi  gnui- 
dezza ,  e  fama  ,  coliegò  tiiUi  i  vi/j  conlro  la  (bdo  la  qua! 
suo!  collegare  tutte  le  viiiìi 

Porzio.  Perawentura  b  congiunzione  de'vizj  non  è 
così  agevole,  come  è  quclia  delle  virtù  ,  perclic  le  virtù  si 
conservano  l'una  l'altra  ,  ina  i  vizj  si  distruggono;  laonde 
non  fi  può  trovare  alcun  uomo  affatto  vizioso,  senza  alcu- 
ni virtù,  o  apparenza  almeno  di  virtù:  ma  de'vizj  avviene 
quel ,  cìie  suole  avvenire  della  compagnia  de'  ladroni,  e  dei 
corsari; la  quale  non  potrebbe  durar  lungamente, se  alcuna 
giustizia,  alineno  apparente,  non  la  conservasse.  Difficilis- 
si.no  è  dunque  il  ritrovar  tutte  le  virtù  nell'animo;  ma  im- 
possibile il  ritrovarvi  tutti  i  vizj.-ma  perawentura  tutte  \e 
virtù  si  possono  ritrovar  congiunte  nella  prudenza  e  nella 
sapienza,  come  effetti  nella  sua  caus;»,  e  come  raggi  nel  So- 
le, laonde  nel  savio  e  ne!  prudente  sono  tutte  le  virtù;  ed 
acquistandosi  la  sapienza,  e  la  prudenza,  si  acquistano  l'al- 
tre agevolmente;  perciocché  dalla  contemplazione  di  Dio, 
e  delie  cose  divine,  tutte  sogliono  derivare,  come  fiumi  dal 
proprio  fonte  ;  ed  in  questa  guisa  all'acquisto  di  tutte  le 
virtù,  non  è  necessario  il  particolare  esercizio  di  ciascuna, 
né  impossibile  l'esercitarsi  in  tutte.  E  quantunque  l'una 
virtù  aggiunga  perfezione  all'altra,  e  sia  quasi  bisognosa 
1  una  dell'aiuto  dell'altra,  non  avviene  però  che  l'una  sia 
forma  dell'altra ,  o  prima  di  se  stessa  o  dapoi;  o  ch'ella 
non  sia  virtù  :  ma  come  nelle  scienze  è  lìecessario  l'aiuto 
vic'^ndcvole,  e  la  cognizione,  così  avviene  nei  le  virtù,  nelle 
quali  alcune  son  prima  ,  alcune  poi  per  diversi  rispetti:  ma 
a-solutamente  é  prima  la  prudenza;  e  la  sapienza  è  quasi 
forma  di  ciascuna .  Siano  adunque  stabili  i  nodi  della  virtù 
ed  indissolubili,  come  catena  di  diamante;  ne  sodi  qual 
monile  più  bello  possano  ornarsi  gli  animi  generosi  né  qual 
Torciuato  riporlasse  mai  più  onorate  spoglie,  né  qual  sia 
più  nobi!  vittoria  ,  o  y)iù  glorioso  trionfo  di  quel ,  che  si  a- 
cquista  debellando  i  vizj.  e  ponendo  il  giogo  alle  passioni 
dcll'anitno  indomito,  e  smoderato.  E  se  altra  contesa  ci  ri- 
mane co'nemici  esteriori,  nelle  sanguinose  battaglie,  con 
questi  esercizj,  e  con  questi  ornamenti  potrete  sperarne  si- 
curissima vittoriane  con  quest'ordine  delle  virtù  congiunte 


O  1)EM,E  VlKTU'  iS-J 

e  quasi  sclìierate  appicndere  più  agevolmente  le  varie  for- 
me dell' ordinanza  ruilitare  ,  e  meglio  conservarle  con  ani- 
mo intrepido  ne' pericoli ,  e  nella  morte,  ricordandovi  ab- 
sai  spesso  di  quella  sentenza; 

Breve  ,  et  irreparabile  tempits  ,  etc. 
IVon  si  sdegna,  non  si  sdegna  la  virtù  di  scender  dal  Ciclo, 
e  da'regni  intellettuali  in  questi,  che   sono  sottoposti  alla 
fortuna .- e  di  coiJibiitter  quasi  in   servizio  di   noi  mortali, 
per  sottrarci  alla  morte,  ed  acquistarci  l'immortalità;  non 
si  sdegna  di  prender  l'arme,  e  di  circondar  l'esercito  di 
vitllo  e  di  fusse,  e  di  maneggiar  talvolta  i  più  rozzi  istru- 
nienti,  e  di  fabbricar  le  fortezze,  i  porti,  le  navi,  gli  arse- 
nali e  le  macchine  militari,  difendendo  le  citià  dall'impe- 
to de' nemici,  siccome  colei,  che  ha  per  fine  1'  operazione, 
e  non  si  contenta  dell'ozio:  anzi  s'ella  potesse  a  voi  dimo- 
strarsi, quasi  per  macchina,  come  suole   nelle  scene  e  nei 
teatri,  non  vi  somiglierebbe  quella  Religione  formidabile: 
Quae  caput  a  Codi  regionibus  ostenclebat 
Hor ribili  super  aspcctu  mortalibus  instans , 
ma  con    aspetto  insieme   placido  e   severo,  che  assicura 
tenza  spavento,    direbbe  con  alta  voce;  Io,  che  sono  di- 
vina   con   Dio,  ed  eroica   con    gli  Eroi,   immortale  con 
gl'immortali,    soglio  congiungermi  a  voi  mortali,  e  di- 
venire umana  colla  vostra  umanità  ;  e  discendo  a  voi  dal- 
la  luce  alle   tenebre, 'perchè    non  vi   sia  grave    d'ascen- 
der meco,  quando    che   sia.  Discendo,  perchè  ascendia- 
te, e  mi  fo  umana,  perchè  divegniate  divini,  e  celando  la 
mia  divinità ,  mi  vi  dimostro  in  varie  forme  ed    in   varie 
maniere,  e  mi  adopero  nelle  opportunità  e  ne'pericoli  dei 
miseri  mortali,  per  trarli  di  errore  e  di  periglio,  e  condur- 
gli  alla  pace,  ed  alla  gloria  di  una  vita  felice,  ed  eterna. 

PlGNATlELLO.  Il  Signor  Porzio  non  m' ha  voluto  la- 
sciar ingannato  del  fine,  al  quale  tutti  dobbia.'no  aspirare. 
Ponzio.  E  voi  |)articolarmente,  desto  non  solaìuentii 
dalle  voci  della  virtù,  ma  dall' esempio  de' vostri  maggio- 
ri, de'quali  sono  molte  gloriose  nìemorie  in  Italia  ed  in 
Grecia ,  dove  acquistaronsi  il  cognome.  Ma  io  ho  con  essa 
voi  ragionato  della  virtù  assiii  famigliarmente,  e  quasi  pi)- 
polai'mente,  tacendo  non  solo  delli  Religione;  e  della  Fc- 


a38  IL  PORZIO  O  DELLE  VIRTU' 

de,  e  della  Pietà,  e  delle  virtù  Teologiche;  ma  della  vir- 
tù eroica,  della  quale  sì  possono  lodare  i  vostri  antecesso- 
ri, e  quelli  di  alcuni  altri  Signori  di  questo  Regno.  Il  Re- 
gno ebbe  veramente  il  nome,  e  quasi  la  dignità,  e  la  co- 
rona dalla  virtù  eroica  de  Norniandi ,  che  ne  scacciarono  i 
Saracini  ed  i  Greci ,  che  prima  l'  avevano  occupato  ,  e  ri- 
tornando vittoriosi  dalla  guerra  dell'Asia,  dal  conquisto  di 
Terra  Santa,  dirizzarono  nuovi  ti'ofei  sovra  il  lido  di  questi 
mari  ;  laonde  sarà  sempre  gloriosa  la  memoria  di  Boemon- 
do,  di  Tancredi,  di  Riccardo,  d'Aristolfo  e  di  Giordano  , 
a' cui  successori  manca  piuttosto  la  fortuna  ,  che  la  gran- 
dezza dell'animo  a  E.e  conveniente  . 


ALMOf/rO  ILLUSTRE 
SIGNOR  PAOLO  GRILLO 

MIO  SIGNORE  OSSERVANDISSIMO 


IVI  otto  illustre  Signore  mio:  né  speranza  di  premio  dt^ 
siderato,  ni:  gratitudine  di  ricevuto  dono  possono  più 
movermi  della  vostra  nobiltà ,  e  della  virili ,  per  la  qua- 
le io  vi  ho  stimato  meritevole  di  onore  e  di  laude  :  laon- 
de ora  vi  dedico  questo  mio  Dialogo  degli  Idoli ,  quasi 
un  certissimo  segno  dell'  opinione  che  io  porto  ;  acciochi^ 
leggendolo  veggiate  in  qual  guisa  piìi  convenevole  si  pos- 
tano lodare  i  padri  e  gli  avoli  de'  Principi  e  degli  uo- 
mini illustri  nella  Repubblica ,  nella  quale  il  valor  dei 
vostri  maggiori  è  stato  risguardevole  molti  centinaia 
d' anni  risplendendo  come  oro  finissimo  ,  che  non  patisce 
alcuna  ruggine  per  l'antichità.  Piacciavi  dunque,  Si  gnor 
mio,  d' accettarlo  in  vece  di  statua,  perdi  egli  sia  tanto 
pili  durevole  cV ogni  opera,  che  facciano  gli  scultori ^ 
quanto  meglio  si  conserva  la  memoria  nelle  scritture  , 
che  ne' marmi,  o  nénietalli,  e  vivete  felice . 

Di  V.  S.  M.  Illustre 


JJfezionatissimo  Servitore, 
Tonar  Aro  Tasso. 


IL   CATANEO 

OVVERO 

DEGL'  IDOLI 

DI  A  LOGO 


ARGOMENTO 

iVL  (ììirizio   CfìtaiuO  ,  che  dà  il  nome  al  presente  dialogo  ,  e  che  vi 
9  pel  primo  imi  aduno  a  discorrere ,  fu   un  gemiliiomo  Bergamasco 
viriuosissimo  ■  JSclia  sua  prima  gioventù  ,  for%e  con  animo  di  darsi 
al  mestiere  dell'  armi,  si  acconciò  in  Roma  con   un  capitano  .   Non 
passò  tuttaiolla   guari  tempo  che  ,  essendo   costui   uscito    di    vita  , 
alle  rose  del  Joro  ei  si  volse,  ed  a   sollecitare   le  cau^e.   In   sì /atta 
professione  poi  continuò  Juiché  nel  i53fi   ricliianialo  in  patria   dal 
iOialiere   Giovai!  Girolamo  yl lOani  ,  che  deillu  Rrpnbbliia    di  J'c- 
nczia  era  stalo  eletto  Cottnteral  Generale  ,   entrò  al  suo  scnizin  in 
qualità  di  segretario  .  Con  quanta   lode   odempi'ise   egli  al   proprio 
ufficio  in  ogni  grado,  che  cjucl  magnanimo  Signore  sostenne  ,  e  pur- 
ticolarmcnlc  nel  Cardinalato ,  a  cui  fu  pnniosso  dal  Santo  Pontefi- 
ce Pio  V .  r  anno  i  '170 ,  non  e  a  dirsi  :  basti  il  sapere  che  io  esercitò 
per  trentacincjue  nnrù.  Non   è  dunque  vero  [^siccome  nota  il  Sera  S' 
si)  ciò   che  asseriscono^  il  Manso,  il  Casoni,  il  Rarùato  ed  il  Rotta- 
ci ,  di  egli  sia  stato  precettore  e  custode  del  nostro  Tasso  nella  sua 
giovinezza  ,  sebbene  come  concittadino  ed  amico  del  padre  lo  abbia 
costantemente  amalo  ed  in  ogni  maniera  favorito  .  li  Cardinale  san 
padrone,  venato  a  morte  ,  lo  lanciò  assai  comodo  e  ben    provcedìi lo- 
di entrate  ecclesiastiche  :  delle  qaali  nondimeno  ei  fece  molto   buon 
uso,  poiché   per  la    maggior  parte    spendtvale  in   elemosine.   Vis- 
se   fin    oltre   all'  ottdniacinqiiesirno   anno,   e    morì    in   Roma   a'  2 
di    Febbraio   del  ifin  .  Gli    altri  due  interlocutori  sono    il    Ta^so 
medesimo   sotto   il  suo   solilo    nome   di  Forestiero  ,     ed    /Jlcssan- 
dro    f^iielli,  nobile   e   dolio  giovine  Romano,   clic  di  esso   Tasso 
era  amicissimo  .  NeW  introduzione   al  colloquio,  udendo   Torquato 
come  gli  altri  due  si  maravigliavano  eh'  ei  non  si  fosse  mos<:o  a  cele- 
brar co^ suoi  versi  le  vittorie  ottenute  in   quel  torno  da'  Cristiani  so- 
pra i  T'archi ,  adduce  in  isciisa  del  suo  silenzio  e  la  soverchia  gran- 
dezza del  siiggetto,  ed  il  dubbio  dir  le  sue  scritture  non  e  versero  al- 
cuna stabilità    /4l  che  opponendo  il  Cn tanca  che  i  fori  della  poesia 
sogliono  essere  perpetui ,  e  che  perciò  bene  fn  chiamalo  Omero  sem- 
pre fiorito ,  e  che  pur  bene  e  convenevolmente  senza  molto  dilungar- 
si da  tale  iiTmiagine ,  disse  il  Caro   di  tesserne  corona  a'  F^alesi  ed 

T  III  Dialogìii  16 


242  IL  CATANEO 

n  farnesi  ;  il  fitelii  prende  occasione  di  c-ntrnr  neììr  lodi  della, 
canzone  di  questo  poeta,  ove  appunto  è  ciò  detto,  e  di  mentovar 
anche  il  paragone,  cìie  per  alcuni  se  ne  faceva,  con  itn  inno  di  Pier 
lìon sardo  celebre  poeta  Franzese ,  ijuusi  per  provocar  il  Tasso  n 
dare  sopra  di  essa  il  parer  suo.  Questi  allora  di  fatto,  dopo  aver 
notato  come  amendue  que'  componimenti  altro  in  fondo  non  con- 
tengano clic  una  comparazione  Jra  le  famiglie  de'  f'^alesi  e  de'  Far^ 
Tiesi,e  gli  Idoli  o  Dei  de' Gentili ,  volgesi  ad  esaminare  se  essa 
comparazione  sia  o  no  riprovevole ,  e  quale  dei  due  paeti  nel  farla 
abbia  meno  sconvenevolmenle  adoperato  .  Quanto  al  primo  capo  ei 
conchiude  che  l'  aver  ricorso  a  quegli  Idoli  o  Dei  per  onorare  i  prin- 
cipi Cristiani  ìion  è  artificio  conveniente  a  poeta  de'  nostri  tempi  e 
della  nostra  religione;  e  quanto  al  secondo  ,  che  il  porta  Franzese 
nella  elezione  de'  concetti  è  stalo  pi ìi  giudizioso  dell'  Italiano  .  Nel 
restante  poi  del  dialogo  le  cose  che  tutti  e  tre  insieme  gli  interlocu- 
tori ragionando ,  si  vengano  a  dimostrare,  sono  :  che  non  è  dicevole 
ti  nostri  poeti  non  solamente  ciò  elicsi  è  detto,  ma  nemmeno  il  com- 
parare alcun  principe  Cristiano  con  alcun  semidco,o  eroe,  o  principe 
Gentile  :  che  se  pur  vuoisi  l'are  il  paragone,  debbono  sempre  a  que- 
sti essere  anteposti  i  Principi  fedeli  :  die  anche  questo  paragone  per 
altro  non  si  dee  dare  se  non  nelle  virtù  de' costumi  :  che  ove  in  esse 
Josse  stalo  maggiore  il  Principe  Gentile  del  Cristiano  ,  baita  che  il 
poeta  mostri  la  virtìi  del  lodato  simile  al  vero  :  che  le  virtù  de'  tra- 
passati  possono  essere  senza  biasimo  accresciute  :  che  le  varie  specie 
delle  poesie  debbonsi  distinguere  e  compartire  secondo  le  varie  ma- 
niere de'  governi  :  che  le  sole  paesi'  amorose  non  convengono  ad  al- 
cuna forma  di  pubblico  reggimento  :  ch'elle  sono  particolarmente 
pericolose  ai  giovani:  che  f  anima  affettuosa  è  quasi  un  tempio 
d'  idolatria  :  che  perciò  decsi  cercar  di  purgarla:  che  il  principio  di 
questa  purgazione  è  i  assomigliarsi  a  Dio  :  clic  questo  assomigliarsi 
si  fa  colla  fuga  del  vizio  :  die  oltre  alle  virtìi  civili  ed  alle  purgato- 
rie sono  necessarie  quelle  dell',  animo  già  purgato,  e  soprattutto  le 
esemplari  :  e  finalmente  che  la  coiileinplazioue  /«  l' ultima  purga- 
zione dell'  anima  ,  togliendo  da  essa  l' ultimo  simulacro  che  le  resti 
nel  mondo  ,  cioè  quello  dell'  umana  azione  ,  e  la  guida  all'eterna 
felicità . 

Fu  composto  dal  Tasso  questo  dialogo  nello  Spedale  di  Sani  zin- 
na in  Ferrara  l'  anno  i  SS.» ,  e  vanne  poi  alla  luce  nell'  anno  dopo 
in  f'cnezia,  insieme  colla  quarta  parte  delle  sue  Rime  e  Prose ,  par 
le  stampe  del  Vasalini,  dedicato  dal  Tasso  medesimo  a  Paolo 
Grillo  ,  Cavalier  Genovese  splendidissimo,  e  fratello  di  quel  celebre 
Padre  Don  Angelo,  che  tanto  si  adoperò  per  la  sua  liberazione.  Nel- 
la libreria  Ducale  di  Modena  se  ne  conseri>a  l' autografo  . 


o  degl'idoli  243 

INTERLOCUTORI 

MAURIZIO  CATANEO,  FORESTIERO  NAPOLETANO, 
ALESSANDRO  VITELLI. 

CatANEO  .  Vupsta  fonte,  quantunque  non  sia  quella 
Tnn  rovi  gì  iosa  di  Tivoli  ,  ne  alcun'altra,  la  quale  o  per  ar- 
tificio della  natura,  o  per  natura  dell'arte  divenga  pivi 
famosa  a'  tempi  nostri  ,  amici  di  novità  ,  può  nondimeno 
col  mormorio  dell'acque  invitar  le  vostre  Muse  a  cantar 
sotto  l'ombre  degli  alberi,  cbe  son  già  rivestiti . 

Forestiero.  Anzi  piuttosto  addormentarle  colla  dol- 
cezza del  suono;  se  ptire  con  altro  più  dolce  elle  non  fu- 
rono prima  addormentate  . 

Vitelli.  Profondo  fu  veramente  il  sonno,  poiché  noi 
ruppe  il  romore  di  tamburi  e  di  trombe  ,  e  lo  strepito 
dell'  armi  ,  e  l'annitrir  confuso  colla  voce  de'soldati ,  e  il 
mormorar  de' venti  ,  e  dell' «inde  percosse  da'remi,  rd 
aperte  colle  prore  delle  navi  già  vittoriose;  ed  il  rinibom- 
bo  dell'arfiglieria  ,  cbe  turbava  1' aspetto  del  mare  ,  e  il 
facea  parere  più  fiero  e  più  spaventoso. 

Forestiero.  Io  son  Tasso,  e  però  non  è  maraviglia 
cbe,  oppresso  dal  mio  sonno  naturale,  non  oda  i  piccoli 
strepiti  ;  ma  quel  fu  così  grande,  cbe  l'udirono  quelli  an- 
cora ,  i  quali  abitano  oltre  le  colonne  d'Ercole  ,  ed  oltre 
gli  altari  d'Alessandro;  né  pesce  è  tra'  più  secreti  scogli  o 
dell'Adriatico,  o  del  Tirreno,  né  augello  fra  i  rami  degli 
alberi ,  né  fiera  nelle  speloncbe  ,  e  quasi  non  è  corpo  mor- 
to nella  sepoltura,  cli'egli  non  l'abbia  risvegliato:  e  se 
mi  fosse  lecito  di  accrescere  , quanto  pare  cbe  si  ricercbi, 
la  grandezza  di  quella  azione,  direi  cbe  l'anime  de'  Gre- 
ci Imperadori,e  degli  altri  gloriosi,  i  quali  esposero  la  vita 
per  liberar  la  Grecia  ,  siano  state  commosse  quasi  da  an- 
gelica tromba  ,  ed  aspettino  col  fine  di  così  ingiusta  e  cosi 
miserabil  servitù,  cbe  l'Aquile  ritornando  a  que'nidi  ?n- 
licbi,  da'quali  prima  spiegarono'  il  volo,  ricoprano  col- 
l'ombra  dell'ale  non  solo  Costantinopoli  ,ina  1'  uno  e  Tal- 


244-  II-  CATATvEO 

tro  Imperio  ,  e  l'uno  e  l'altro  Einisfero  .  Riinnngo  nondi» 
meno  slordito  dai  soverchio  suono,  coir.e  i^li  abitaloi  i  del- 
l'Egitto, laddove  cade  il  Nilo  d'alto  piecipizio:  e  se  pure 
è  piccola  questa  coiupara/^ione,  econviene  che  io  Uii  levi 
di  terra  per  trovar  similitudine  ch^-  le  si  conv(^nga  .  L'ar- 
tnoiiia  che  tanno  i  corpi  celesti  movend  )si  non  riempie  ì 
sensi  aiiiameole  di  quel  che  ahhi.i  titto  quella  di  tanti 
Versi ,  e  di  la  ite  prose  in  tante  lin^u>' ,  con  tanti  stili,  e 
con  t;-nta  t',;licità  de' 1  -dati,  e  del  )daturi;  con  tanta  yloria 
de't    Iphrati  e  de'ceh  bratori . 

\  UFI. LI.  Voi  dunque  solo  pareste  muto  nell' armonia 
del  oioiulo . 

FORESTlKno.  IVIuto  no,  percliè  fui  tra  i  prìaii,  che  ]  re- 
grassero  Iddio  per  la  vittoria  de' Cristiani  .  \-è  poi  ri  'asi 
fra  gli  ultimi  die  il  ringrr.^iasseio;  nta  dubitai  di  sciiver 
le  sue  laudi ,  e  le  sue  grazie . 

Vitelli,  La  vostra  voce  dunque  si  disperse  ne' venti. 

Forestiero.  Non  si  disperde  co>a  ,  -  In,  non  SI  petda  , 
né  si  peid  «no  eju  die  voci,  che  port.no  n  Dio  !e  nostre  yre^ 
ghi'  re:  ma  suspicai  che  le  carte  non  t'ossero ,  come  .  ..re- 
re  del  mare,  le  quali  picciol  te  -ipo  ritengono  i  vestigj  im- 
pres'^i  ;  o  di  non  iscrivere  in  to^li  soiniglianli  a  ffiglie  dì 
^•"ibilia,  perchè  ninna  stabilità  hanno  le  scritture  che  non 
siano  fondate  sulla  scienza  di  coloro,  che  scrivono:  e  l'al- 
tre se  ne  v;mno  come  ])iuine  all'aure  del  favor  popoLre  , 
ed  alia  grazia  de'Priiici[)i  ,  che  passa  ,  come  fiore  di  Pri- 
ma vera. 

CatA\E0.  I  fiori  delia  Porsia  sogliono  essere  perpetui  , 
però  qualunque  si  fosse  quel  ])OPta  de' vostri,  il  quale  ehia- 
iiìò  O  ocro  seìupre  fiorito  ,  usò  l)ella  e  convenevole  trasla- 
xione  .  E  bene,  e  co'ivenevolmente  senza  dilungarsi  molto 
d.i  questa  itiiita^ione  disse  il  Caro  ,  di  tesserne  corona 
a'Valesi  ed  a'Farm^si:  e  fo  di  lui  volentieri  menzione, 
perchè  se  egli  fosse  vivo,  a' gran  fatti  de"  Principi  grandi 
non  mancherebbe  grande,  e  inaraviglioso  commendatore. 

VllELLl  .  Co>ì  dicono  molli,  i  quali  non  vogliono,  che 
alcuna  canzona  latta  nelle  nuove  imprese,  e  nelle  moderne 
vittorie  si  possa  agguagliare  a  quella ,  nella  quale  è  cele- 
brato Enrico  Re  di  Francia  . 


O  T>E(U,' laOLt  'i45 

Fol^ls^TIF.RO .  Se  'a  vostra  opinione  è  simile  al  parere  di 
fcostoro  ,  non  ardisco  di  ripr  ^Vdi  la  ,  q"aiiturique  giiiditasse 
nltraii.cnte  il  Casfelvetro:  ]fercliè  a' nubili  8Ì  dee  credere 
nelle  laudi  do' tiobi'i . 

VlTEiJ.l.  N  )i  il  nio  niudizii) ,  ma  qnftl  di  molli  Piinci- 
pi ,  dii' quali  fu  nilto  on  rito,  il  potevn  far  sicuro  d;i  tri- 
li  i  biiisimi  ,  e  da  tutte  le  opposi/ioni  .  tra  cui  uuu  si  ,  i  la 
tanto  alcuna,  quanto  il  parai^one  del  buon  poota  Franz  se, 
che-lod'  similmente  i  ReaU  di  Francia  . 

Foresi  lEttO-  Grande  incontro  gli  diede  il  Castel  vetro,  e 
sentenza  finale. 

Vitelli.  Tuftavolta  mn  è  andata  iiinanzi:  i  li'igirìti  di 
lingue  diversi,  e  nati  s'  Ito  v;ir)  Pruicipi  non  sono  si  ili  an- 
cor;' giudicati  al  trìljiìn.do  mediasi. no;  o  piultisi  ^  colla  di- 
Vcrsilà  de' favori  non  fu  riconosciuf.»  ])ià  I"  ■■ceni!»  i.'za  del 
priuiO.  cbe  del  secondo:  né  sa  qua'^ii  •  aia  fatto  questo 
giudicio 

FoR'.si  i;:no.  Ce  ne  starc'uo  dunque  frattanto  al  parere 
del  C  -lei Vetro  ,  o  pure  il  richiameremo  in  dubbio,  mara- 
vij^liai'doci  cbe  l'uomo  acuto,  il  quale  avea  tanto  hi  isj- 
matu  il  Caro,  pt;rcbp  avca  cbia  nati  Idoli  i  Valesi  e  i  Far- 
nesi ,  l'i'O  s  accorgesse  cbe  tutta  la  canzona,  o  piuttosto 
auiendii  •  Id  c-.in/oiii  dell'una  e  dell'altro  poeta  ,  altro  qua- 
«i  non  eontenesiero,  che  il  paragone  fra  le  fauiigliedi  que- 
sti Signori ,  e  g'.'M  ili  antichi,  se  pur  Idoli  vorremo  chia- 
mare gli  Dei  de'ticntiii;  p  robe  Idoli  son  propriamente 
l' iri.inagini ,  n^llp  q\i>!i  erauo  adorati  d:i!  volgo  sciocco  , 
cbe  non  s  accorgeva  d'Hin^aun-^ ,  ed  attribuiva  alla  crea- 
tura ^  quel  cbe  è  proprio  del  Creditore:  ma  co  nunque  gì 
cbiamin(»,  le  co  ';p  •sizi'^ni  sì  fatte  non  accrescono  grandez- 
za alle  cose  laudate;  ma  piuttosto  pare  cbe  loro  tolgmo 
autorità  e  riputazione:  e  se  pure  fanno  qualche  onore,  il 
fanno  di  quella  sorti-, cbe  è  meno  conveniente. 

Cataneo.  Niuna  cos.i  peravventura  ha  fatto  il  Caro,  cbe 
non  l'abbiano  fatta  altri  poeti  fauosi  ,  ed  aUri  più  vene- 
randi scrittori  cbe  sono  i  poeti;  percbè  a' tempi  antichi 
Gregorio  cognominato  il  Teologo,  in  una  Orazione  sovra  la 
morte  di  B  isilio  .Magno  suo  compagno,  la  coioparazione 
fra  la  sua  stirpe,  e  tjuella  de" figliuoli  di  Pelo^^e,  di  Cecro- 


246  IL  CATA.NEO 

pe ,  d  Alcmena ,  e  d'Eaco,  e  d'Ercole,  le  qu;»li  si  credeva 
che  discendessero  da  Giove ^  laonde  non  è  molto  dissimile 
in  questa  parte  al  poeta  Franzese,  ed  al  Toscano,  che  ag- 
guaglia i  figliuoli  di  Francesco  a'discendenli  di  vSaliirno. 

FoPiESIlERO.  A  me  non  dispiace  che  si   faccia  la   simi- 
litudine, ma  ch'ella  sia  fatta  nel  modo  usato  da' due  poeti, 
ed  approvata  dal  giudice  loro:  perchè  la  grandissima  laude 
nelle  famiglie  reali  è  congiunta  con  quella  degl'  Idoli,  o  non 
discompagnata  almeno  dal  loro  vituperio,  come  si  può  co- 
noscere in  molti  luoghi,  ed  in  quello  particolarmente; 
Di  questa  madre  generosa  e  chiara  , 
Madre  ancor  essa  di  celesti  Eroi , 
Regnano  ogg'fra  noi 
D  altri  Gioiti  altri  figli  ,  ed  cdtrc  suore; 
E  viepiù  degni  ancor  d' incenso  e  d' ara  , 
Che  non  far  già  (  vecchio  Saturno  )  i  tuoi  ; 
Ma  ciascun  gli  onor  suoi 
Ripon  neir  uniiltade ,  e  nel  timore 
Del  maggior  Dio . 
Perchè,  se  non  m'inganno,  ci  sono  due  sconvenevolezze, 
l'unajche   stimò  l'onore   d'incenso  e  d'altare,   che  son 
proprj  del  vero  Iddio,  conveniente  agli  uomini  non  santifi- 
cati :    l'altra,  che,  chiamandoli  più  degni   de' figliuoli  di 
Saturno,  presuppiìne  che  quelli  ne  fossero  degni:  né  pos- 
sono le  parole  seguenti  toglier  lo  sconvenevole  ,  perchè  di- 
cendo il  maggiore  Dio,  è  necessario  che  stimi  gli  altri  D.:i 
minori . 

CatAneo.  Questo  è  nome  non  di  natura,  ma  di  potestà, 
e  perciò  fu  detto  che  Mosè  era  dato  per  Dio  a  quelli 
d'Egitto;  laonde  essendo  conceduta  a' grandissimi ,  e  Cri- 
stianissimi Re  di  Francia  podestà  quasi  divina  ,  e  coiifer- 
nuita  co' miracoli ,  non  parve  al  Caro  disdicevole,  che  in 
questa  guisa  fìssero  onorati. 

FuRESriERO.  S'egli  pur  non  accrebbe,  non  diminuì  l'er- 
rore, e  doveva  diminuirlo,  o  in  altra  maniera  dimostrar  la 
vanittà  ,  e  la  malvagità  degli  Dei  Gentili,  come  dimostrò 
Gregorio,  nel  quale  si  legge  che  Giove  fosse  Mago;  ma 
non  è  degno  di  minor  considerazione  quell'altro  luogo- 
Vera  Minerva  ,  e  veramente  nata 


o  deci/  idoli  247 

Di  Giove  stesso ,  e  del  suo  senno  è  quella , 
Cli  ora  è  figlia,  e  sorella 
Di  Regi  illustri  ,  e  nejia  madre  ,  e  sposa. 
Perchè  non  gli   basta  che  il  Re  Francesco  a  Giove  sia  si- 
in  rglian  te  ,  ma  vuole  che  sia  l'istesso  ,  e  che  sia  vero  Gio- 
ve, e  vera  Minerva, Madonna  Margherita,  la  quale  dovendo 
prender  marito  ,  e  generar  tìgliuoli,  ed  aver  grande  ,  e  for- 
tunata successione,  non  poteva  convenevolmente  esser  as- 
somigliata a  Minerva,  che  secondo  le  favole  de' Gentili  vis- 
se casta  ,  e  vergine  sempre. 

Vitelli  .  Era  cosi  povero  il  Regno  degli  Dei ,  che  quel 
di  Francia  ,  il  quale  è  ricchissimo  non  trovò  più  convene- 
vol  paragone  di  questo  a  Madonna  Margherita,  e  ciò  dimo- 
stra il  Ronsardo  ancoi'a,  che  vi  pone  i  Marti  a  centinaia,  e 
doveva  mettervi  a  migliaia  le  Veneri ,  come  parve  che  ac- 
cennasse il  Caro . 

FoilESTlERO.  Forse  in  ciò  fu  l'uno  più  vei'ace  ,  che 
l'altro  discreto:  ma  vogliam  considerare  quel  ,  che  dica  il 
poeta  Francese  ? 

Vitelli  .  Consideriamlo. 

Forestiero.  Mais  quoi?  ouje  me  t rompe,  ou  pour  le 
seur  je  croj 
Que  lupiter  àfait  partale  avec  mon  Roi. 
Il  n'  a  pour  lui  sans  plus  retenu  que  de  nues 
Des  comttes ,  de  i>ents  ,  et  des  gresses  tnenues , 
Des  neiges ,  desfunialz  ,  et  des  pluyes  de  V  air , 
E  je  ne  scai  quel  bruii ,  entourc  d' un  esclair , 
E  d' un  boulet  defeu,  qu  on  appclle  t onere  : 
]Ne' quai  versi  pare,  che  non  scemi  solamente,  ma  quasi 
rivolga  in  giuoco  la  possanza  di  Giove  ,  e  specialmente  in 
quelli  : 

Egli  non  ha  più  ritenuto  per  se ,  che  un  romore  intor- 
niato d' un  baleno , 
E  d' una  ballotta  di  fuoco ,  che  si  chiama  tuono  . 
Laddove  il  Caro  accresce  la  somiglianza  mirabilmente  in 
quegli  altri: 

Udite  come  tuona 

Sovra  de' Licaoni ,  e  de' Giganti. 
Guardate  quanti  n  ha  già  domi,  e  quanti 


248  IT.  CAIANEO 

iYe  percuote ,  e  n  accenna ,  e  con  che  passa 

Scote  d  Olimpo ,  e  d'Ossa 

Gli  svelti  monti ,  e  incontr'  al  Cielo  imposti  . 

Oh  qualjia  poi  spento  Ti/co  V  audace , 

E  i  folgori  deposti  ! 

Quanta  il  mondo  n'  avrà  letizia  ,  e  pace! 
Ma  forse  il  poeta  Fraiu  ese  non  toccò  questa  parte ,  giudi- 
cando che  al  tempo  di  Enrico  la  Francia  non  fosse  piena 
d'  enipj  ,e  di  rubelli ,  i  cjuali  si  possono  assomigliare  a'  gi- 
ganti, o  se  piu-e  ve  n'era  alcuno,  non  essendosi  armato 
contra  il  suo  Re,  fosse  più  convenevole  passarlo  sotto  si- 
lenzio; e  veramente  questa  ultima  parte  della  canzona  con- 
verrebbe al  figliuolo,  non  al  padre,  il  quale  non  ebbe  al- 
cuna guerra  con  i  nemici  del  nome  Cristiano  .  Or  passiamo 
agli  altri ,  e  ditìamli  colle  parole  Toscane,  percliè  molti 
non  amano  le  Francesi  : 
E  non  hai  tu  appunto  altresì  una  Minerva  saggia 

Tua  propria  unica  suora,  ammaestrata  da  giovinetta 
In  tutte  V  arti  virtuose  ,  la  quale  porta  in  suo  scudo  , 

10  dico  dentro  al  suo  cuore  da'  vizj  invitto, 
Come  altra  Pallade  la  testa  di  Medusa  , 
Che  trasforma  in  sasso  /'  ignorante  persona , 

Ch' osa  d' appressarlcsi  ,  e  vuol  lodare  il  suo  nome? 
E  non  hai  tu  appunto  in  luogo  d' una  Giunone 
La  Reina  tua  sposa  ,  di  bei  ji  gli  feconda  ? 

11  che  non  ha  punto  l' altra  ,  perch'  ella  disutile 
Al  letto  di  Giove ,  e  senza  piìi  non  ha  conceputo  . 

Che  un  Marte  ,  e  che.  un  f  ulcano ,  e  l  uno ,  che  ù  tutto 
gobbo  , 

Zoppo,  e  sciancato  ,  e  l'  altro  tutto  collera  , 

Il  (piai  vuol  per  lo  pi ìi  far  guerra  a  suo  padre  ; 

Ma  quelli ,  che  tua  sposa  ha  conceputi  in   abbondanza, 

Son  belli,  e  diritti ,  ben  nati ,  i  quali  sin  da  sua  giova- 
ne fanciullezza 

Sono  ammaestrati  di  renderti  un'  umile  ubbidienza  . 

Vitelli.  Belli  sono  i  concetti  senza  dubbio,  ma  le  pa- 
role non  m'empiono  gli  orecclii  di  quel  suono  ,  che  io  sen- 
to nelle  rime  del  Caro,  per  lo  quale  è  piacevolissimo  al 
giudizio  del  senso  quel,  che  per  altro  potesse  dispiacere  al- 
l' intelletto . 


0  DEGLIDOl^l  249 

Forestiero.  De'  vervi  avviene  quello  ,  clic  suole  avve- 
nire del  llore  d.'Ua  j^iovenlù  ,  nella  quwle  non  è  Ijelle/za  • 
che  tr.ipa&sa,  e  sfi  .visce  con  gli  anni  simili  alla  pi  iuaYt'ra  ; 
perchè  se  uon  son»  belli  ,  mulaudosi  le  parole  ,  e  discio- 
i^lienjosi  il  ti  ro  ,  j^erdono  ogni  grazia  colla  mutozione; 
ma  in  quc;l.,  tultochè  siano  triis|)<)rlaU  di  una  In  altra 
lingua  ,  riuaane  la  bellezza  delle  sentenze  ,  e  f|n(;l  convene- 
vole ,  the  «ii  pare  molto  osservato  nelle  debile  lodi ,  che  si 
danno  a  tante  persone  Reali ,  e  p;irtic<jlarnìente  a  Marghe- 
aila  ,  la  quale  poteva  «^sser  detta  Minerva  da  ehi  non  sape- 
va che  dovesse  iiver  'oarito  ,  e  figliuoli. 

Vitelli.  Vince  dunque  il  Fruneese  nel  giudizio  :  ma 
l'altro  nella  divinità  ,  o  nella  divinazione,  se  cosi  vogliaixi 
chiamare  il  pronostico,  che  egli  fa  dell  avvenire  . 

FORESTlKliU.  È  certo  grande  ardire  quel  de'})oeti>  che 
voglian  predire  le  cose  future,  che  possono  succedere  ,  se 
noi  fanno  con  quella  prudenza,  che  supera  quasi  l'umano 
avvedimento,  e  rimira  di  lontano,  quasi  d'alta  parte,  i 
fortunosi  avvenimenti;  laonde  sarebbe  più  sicuro  consiglio 
«on  dire  alcuna  cosa  ,€he  il  successo  possa  riprovare,  co- 
me falsa:  però  si  dee  lodare  la  felicità  dell' un  poeta,  e 
l'accorgimento  dell'altro,  che  disse  quel,  che  poteva  esser 
detto  ,€  tacque  sinùlmente  quel,  che  doveva  esser  taciu- 
to .  Ma  che  diremo  del  paragone  tra  i  figliuoli  di  Giove  ,  ,e 
di  Giunone,  e  quelli  di  Enrico  ,  e  di  Caterina  ?]\on  vi  par«^ 
ch'egli  sia  fatto  eoa  quell'  artifieio  o  poetico  ,  o  Cristiano  , 
che  egli  sia,  col  quale  onorandosi  le  cose  de' Principi  fe- 
deli ,  debbono  esser  disprezzate  quelle  de'Gentiii? 
Vitelli.  Senza  fallo. 

Forestiero.  Nondimeno  ,  quando  egli  dice  : 
Questo  Giove  si  tenga  duìujue  ad  alto 
Con  tutti  i  suoi  Deiy  perciocché  certo  ei  nanfa  /ncstiero 
Che  si  paragoni  a  te ,  il  quale  ne  mostri  a  v-ìsta 
Di  qual  possanza  è  la  tua  maestà  provveduta . 
Pare  che  rimanga  in  alcune  parole  l'odore  della  Gentilità; 
laonde  il  fine  è  conveniente  a  poeta  de'secoli  passati,  ma 
non  forse  a'noslri  tempi,  alla  nostra  religione,  ed  a  quei 
regno  di  nobilissimo  R.e  difensore  della  Fed^,  e  della  pie^ 
tà  Cristiana . 


1  )0  IL  CA.TANEO 

Vitelli  .  Altra  nianicra  dunque  dobbiauio  usare  jier 
onorarle . 

Forestiero.  Dobbiamo,  se  io  non  m'inganno. 

Vitelli.  A  me  non  dispiace  quello,  cbe  avete  detto, 
percbè  l'opinione  che  si  aveva  degli  Dei  Gentili ,  già  fece 
traviare  dalla  via  della  verilà  tutti  i  popoli,  e  tutte  le  na- 
zioni: e  bencbè  or  non  ci  sia  questo  pericolo,  nondimeno  i 
componimenti  riempiendosi  dell'  anticbe  tavole  possono 
perdere  colla  gravità,  e  colla  riputazione  la  lede  ancora  : 
ma  de' Principi  Gentili  non  mi  pare  cbe  si  possa  afferma- 
re il  medesimo,  perchè  molti  ne  furono  giusti ,  valorosi,  o 
prudenti  ,  e  col  lume  naturale  indirizzarono  tutte  le  loro 
operazioni  j  onde  chi  gli  rifiuta  per  argomento  di  poesia  , 
par  cbe  ricusi  i  doni  della  natura  . 

Forestiero.  Non  vi  piacerebbe  dunque  cbe  l'istoria 
de' Gentili   fosse  riprovata   per  questo  uso  com.e  le  favole? 

VlTELl-I.  Non  mi  potrebbe  in  modo  alcuno  piacere,  se 
io  non  volessi  insieme  lodare  chi  dicesse  il  medesimo  di 
questo  fiume  ,  e  di  questi  colli  pieni  di  'tanti  gloriosi  vesti- 
4;j ,  e  di  tante  anticbe  memorie,  e  di  questo  cielo,  che  spi- 
va ancora  un  non  so  che  di  magnammo,  e  di  vencr.mdo, 
non  solo  negli  animi  de' cittadini,  ma  degli  abitatori  . 

Forestiero  .  Non  giù  chiamate  voi  istorie  de'Gentili, 
quelle  de' Romani  solamente  ,  ma  quelle  dei  Greci  e  degli 
Assirj,  e  de' Medi ,  e  de'Persi ,  e  degli  Affricani . 

Vitelli.  Tutte  le  dico  istorie  de'Gentili. 

Forestiero  .  E  se  nelle  istorie  si  trattano  le  cose  vere, 
vero  stimerete  non  solo  ciò,  che  scrive  Dionigi  Alicarnas- 
seo ,  narrandoci  l'anticbità  di  Roma,  ma  quel  che  ci  rac- 
conta Diodoro  Siciliano  d' Anubi ,  d'  Osiri ,  e  d'Iside  ,  Dei 
dell'Egitto,  o  di  Giove  ,  e  di  Giunone,  e  d'Ercole  ,  e  di 
Bacco  adorati  da' Greci. 

Vitelli.  L'estreme  parti  dell' istorie  anticbe  sono  asco- 
se nelle  favole,  come  l'estremità  de' corpi  umani  nel  velo, 
o  in  altro  che  ci  soglia  ricoprire  . 

Forestiero.  Ma  non  essendo  vere,  sono  almeno  veri- 
simili  . 

Vitelli.  Io  slimo  che  (piesti  fossero  nomini  amici 
della  patria,  liberatori  della  Grecia,  guastata  dalle  fierC;  e 


o  degl'idoli  9.5 1 

e  da*  mostri ,  ed  oppressa  da'  tiranni ,  i  quali  soggiogarono 
i  paesi  estrani ,  e  trionfarono  delle  barbare  nnzioni  con 
pompa  rnaravigliosa  ;  ma  dissimile  a  quella,  che  fu  veduta 
in  Campidoglio  intorno  agli  Scipioni  ed  agli  Augusti  :  e 
dell'  uno  e  dell'altro  bo  veduta  la  statua  in  Roma,  la  quale 
appoco  appoco  se  ne  spoglia  con  dolore  di  tutti  noi, che  ci 
abitiamo,  e  mai  non  sento  ragionare  di  questa  materia, 
che  io  non  mi  commova;  laonde  ora  mi  si  appresenta  l'im- 
magine di  ciascuno,  e  mi  pare  cbe  in  questa  maniera  di- 
fendano la  sua  causa:  ,,  Noi  fummo  uomini  valorosi,  cre- 
duti Dei  per  lo  nostro  valore,  e  per  lo  giovamento  fatto 
a' jniseri  mortali,  cbe  da  varie  calamità  erano  circondati  ; 
e  mentre  jfiorirono  le  città  della  Grecia ,  ed  ebbero  quasi 
r  imperio  del  mare,  e  passarono  con  gli  eserciti  nell'  Asia 
ponendo  il  freno  a  potentissimi  Re  ,  ed  a  popoli  numero- 
si, fiorì  parimente  la  nostra  gloria  ,  e  ci  furono  dirizzati  i 
tempi  ,e  consccrati  gli  altari  in  tutti  i  regni  dell'Oriente 
e  del  Mezzo-giorno,  e  nell'Occidente  ancora  ,  dove  l'uno 
di  noi  vinse  Gerione;  e  nel  Settentrione  si  adorava  il  no- 
stro nome  :  e  prima  cbe  Roma  cominciasse  a  sorgere  furo- 
no all'uno  di  noi  nell'Aventino  instituiti  i  sacrificj,  e  all'al- 
tro dapoicbè  fu  accresciuta  la  città  ,  la  qual  diventò  Regi- 
na del  mondo:  però  nulla  scemò  della  nostra  fama,  ben- 
ché ella  soggiogasse  la  Grecia  ,  e  tutte  l'altre  provincle ,  e 
facesse  tributar]  tutti  i  R.e ,  e  tutti  i  Tetrarcbl  della  terra  : 
ma  crebbe,  e  si  distinse  co'  lungbissimi  confini  del  poten- 
tissimo Imperio,  e  fummo  adorati  in  questa  nobilissima 
città  con  Marte  ,  e  con  Quirino,  dal  quale  erano  derivati  i 
Romani  vincitori  di  tutte  le  genti .  E  quantunque  colla 
mutazione  de' tempi  gli  Dei  bugiardi  abbiano  ceduto  al 
■vero  Dio  la  fede  altissima  delia  religione,  le  nostre  anti- 
che statue  sono  conservate,  e  siamo  onorati  ne' versi  dei 
poeti ,  e  nell'orazioni  degli  uomini  illustri  ;  e  nelle  rime 
ancora  di  questa  nuova  lingua,  ci  pare  che  la  nostra  fa- 
nìa  ringiovenisca  ;  nella  quale  ci  piace  di  essere  rassomi- 
gliati a' nuovi  Cesavi,  ed  a' nuovi  Ottavj,  ed  a' nuovi  Ales- 
sandri, come  già  fummo  con  gli  antichi  in  quelle  altre 
lingue  ,  che  son  lette  ne' libri  di  Vaticano:  e  in  Vaticano 
siamo  onorati  e  gloriosi,  non  solo  iu  Campidoglio;  così  è 


2*2  ILCATANED 

piaciuto  all'ìnfinìla  provvidenza  di  colai,  clic  non  lasci» 
alcuna  buona  opera  sen^a  giusto  preiiiio,  creatore  di  tut- 
te le  cose,  e  donatore  di  tutti  i  beni,  del  quale  non  avein-' 
nio  vera  cognizione  :  ma  indirizzati  dal  lume  della  natura 
vivemmo  come  forti,  e  coòtanlije  magnani  oamente  ope- 
rammo j  laonde  in  questa  reggia  del  mondo,  che  seo»pre 
raccolse  il  valore  de' peregrini ,  è  conveniente  che  risuo- 
ni la  nostra  gloria,  la  quale  non  ci  contenta  ,  perchè  non  è. 
la  vera,  ma  pur  ci  consola,  perchè  le  nostre  umane  virtù 
non  hanno  altro  guiderdjne>  che  quel  dell'onorata  faina  . 
Chi  sarà  dunque  il  severo  giudice  de'  poeti ,  e  de'  pittori  e 
df'gli  scultori ,  che  di  nuovo  ci  condanni  ad  eterna  ol)livio- 
ne?  o  chi  prenderà  la  difesa  de'Valerj,  de'Cainmilli,  dei 
Fa hj  ,  de' Cincinnati,  de'Serrani,  de'Fahhrizj,  de'Curj, 
de  Lei]  e  degli  Scipioni,  che  non  la  ])renda  per  noi  simiU 
mente?  Non  ci  possiamo  raccomandare  a'Greci,  che  soti 
divenuti  servi  de' Barbari ,  ed  hanno  cjÌI' i  npi-rio  perduta 
ogni  autorità  ;  ma  ci  raccomandiamo  a' Romani  pieni  an- 
cora degli  antichi  spiriti,  e  del  primo  valore,  e  della  ge- 
nerosa prudenza,  i  quali  prenderanno  di  noj  quella  deli- 
berazione, che  degli  altri  nati  in  questo  paese.  E  se  le 
statue  d  bbono  esser  conservate,  non  debb  >no  esser  con- 
dannate l'istorie  e  le  poesie:  né  questa  nuova  calamità  dee 
accrescere  il  dolore,  che  abbiamo,  per  la  ruina  di  tante 
città  ,  e  per  la  servitù  di  tanti  popoli,  che  vissero  in  liber- 
tà, alla  quale  sarebbe  più  convenevole  il  pensare,  che  al- 
la nostra  distruzione:  acciocché  sotto  R.oMia  trionfante  ri- 
sorgesse Argo,  Tebe,  Corinto  ,  Alene  ,  e  il  Liceo,  e  l'Ac- 
cademia ,  e  di  nuovo  i  lauri  di  Parnaso  verdeggiassero,  e 
il  ])latano  facesse  ombra  a  filosofanti  :  e  l'IIisso  con  onde 
più  quiete,  e  più  tras|>ar('nti  udtsse  un  altra  volta  un  al- 
tro Socrate  più  casto  e  più  religioso  ,  rivelare  altri  più 
maravigliusi ,  e  più  santi  mister)  della  divina  hlosoha  „. 
Questo  è  quello,  che  io  parlo  fra  me  stesso  alcune  vt)ltc, 
cjuando  penso  a'  poeti,  ed  alle  poesie;  e  quello,  che  mi 
pare  che  tra' Romani  cavalieri  se  ne  potesse  ragionare:  e 
stimo  che  s'aspetti  la  sentenza  non  delle  composizioni, 
ma  si  convenga  negare  i  premj  del  valore  umano. 

FoKESTlEno,  Veramente  nella  causa  de'nobili,  e  vaio- 


o  degl'idoli  253 

rosi  antichi,  un  nobile  e  valoroso  giovine,  che  trae  i'ori- 
gme  di  quel  sangue,  ha  parlato  con  t^nta  rloquenza,  che 
può  muovere ,  non  che  dilettare  i  più  severi  :  né  fra  noi  si 
contende  se  gli  uomini  somiglianti  fian  meritevoli  di  glo- 
ria ,  ma  se  vogliaoìo  inorarli,  come  divini;  e  m\  pare  die 
la  dcificaziDne,  della  quale  si  parla  nel  comento,  si  asso- 
migli a  quella  podestà  maravigliosa  degl'Idolatri  di  Egit-» 
to,  colla  quale  gli  uomini  fai  ean  gli  Dei  ,  e  che  i  miracoli 
della  poesia  non  sian  minori  di  quelli  dtU'arte  magica  . 

CatAneo.  Quanto  son  maggi. .ri,  tanto  meno  se  ne  dee 
contendere  ,  hencliè  Varrone  stimasse  utile  alle  città,  che 
gli  uomini  mentissero  fingendosi  figliuoli  degli  Dei  ;  per- 
chè l'animo  umano  con  questa  fede,  ohe  ha  nella  divina 
stirpe,  più  facilménte  ardisce  di  fare  le  cose  grandi,  e  por- 
ge ancora  maggiore  ardire  agli  altri:  perequando  Ales- 
sandro visitò  il  tempio  di  Giove  Ammone  volle  nudnro 
questa  credenza  nell'esercito;  e  poi  Scipione,  parimente 
iidorandolo  con  tanto  silenzio ,  e  gon  tanta  divozione  in 
Campidoglio:  ma  questo  artificio  se  fu  qiai  lodevole  ,  o 
lodato  ,  fu  tra' Gentili  solamente,  i  quali  non  conobbero 
la  vera  lode,  perchè  non  ebbero  contezza  del  vero  bene  ; 
ma  tra' Cristiani  è  degno  di  biasimo,  né  solo  Rilso  ed  uti- 
le ,  come  giudicò  Varrone ,  ma  iìilso  e  dannoso,  come  par* 
ve  forse  a  Sant' Agostino,  quantunque  egli  non  determi- 
nasse la  questione  . 

FouESTiKKo  .  Puossi  fingere  alcuna  cosa  non  inutilmen- 
te, la  quale  sia  falsa  insieme  ,  e  giovevole  ? 

Cataneo.  Se  ella  sarà  di  quelle,  che  significano,  non  sa- 
rà lalsa,  perchè  falso  non  è  quello ,  che  significa  . 

Forestiero  .  Come  la  chiameremo  dunque  finta  ,  o 
touìposta,  o  fatta  di  nuovo,  e  formata  dall'  ingegno  dot 
]«oeta  ? 

Cataneo.  Piuttosto  con  alcuni  di  questi  nomi;  e  più 
volentieri  co'  ini  no  sospetti ,  perchè  il  finto  ,  se  non  è  il 
medesimo  col  falso  ,  è  moltp  simile . 

Forestiero  .  Ma  la  menzogna  è  una  finzione ,  ed  una 
liilfità? 

Cataneo.  È  senza  dubbiti. 

Forestiero  .  Tuttavolta  alcune  men^o^ne  sono  utili ,  <> 


^54  ir.  CATANEO 

si  possono  dire  con  giovamento  altrui;  e  furono  assomiglia- 
te alle  medicine. 

GatANEO.  I  filosofi  già  fecero  questa  similitudine;  e  pari 
landò  con  filosofiche  ragioni,  peravventura  non  ce  n'è  dub- 
bio: ma  in  questa  parte  è  diversa  l'opinione  de' Teologi 
santi  ;  e  sicuramente  ci  possiamo  attenere  a  quella  ,  che 
scaccia  ogni  falsità ,  ed  ogni  bugia  . 

Forestiero.  La  scaccia  questionando  ,  o  pure  operan- 
do per  edificazione  della  Chiesa  di  Cristo:  ma  noi  parlia- 
mo del  poeta,  il  quale  è  simile  a  colui,  che  forma  le  para- 
bole ,  e  dee  meritar  lode  a' nostri  tempi,  e  nella  nastra  re- 
ligione :  e  se  a  lui  non  sarà  lecito  il  fingere  ,  non  sarà  leci- 
to il  poetare:  ma  se  è  conceduto  il  parlare  di  cose  non  fat- 
te ,  quasi  fatte,  o  che  possono  esser  fatte,  è  senza  dubbio 
conceduto  il  poetare. 

CatANEO.  Se  gli  conceda;  ma  finga  significando,  che 
altro  non  saprei  dire  di  quello,  che  ho  già  detto. 

Forestiero.  Ma  se  pure  chi  significa  non  è  folso,  chi 
signifi^ca  non  finge;  non  potrà  dunque  significare  fingendo, 
ma  significare  assomigliando  piuttosto,  e  se  a  voi  ]);ir  lite 
de'nomi,  a  me  pare  l' un  nome  poco  men  sospetto  del- 
l'altro. 

CatAneo.  Non  segue  però  dal  parlare  in  questo  modo 
cosa  ,  che  sia  disconvenevole  nel  ragionare  . 

Forestiero.  Ma  forse  nasce  alcuna  difficoltà  nell'  ope- 
rare . 

CatANEO.  Se  non  ci  fossero  molte  difficoltà,  l'ingegno 
del  poeta  non  avrebbe  dove  mostrarsi,  né  che  superare. 

Forestiero  .  Dunque  coU' ingegno  dee  superare  la  dif- 
ficultà? 

CATANEO  .  Coir  ingegno,  e  col  giudizio,  e  coli' arte. 

FoRESTiEl^O.  ì'^  udì  parliauio  ora  particolarmente  del- 
l'artificio del  lodare? 

CATANEO.  Di  quello,  e  non  d'altro. 

Forestiero.  Nel  quale  abbiamo  già  conchiuso  che  non 
è  convenevole  che  si  prenda  alcuna  similitudine  degli  Dei 
Gentili,  né  se  ne  faccia  alcuna  menzione,  se  non  come  fece 
Gregorio  in  morte  del  gran  Basilio,  manifestando  la  yanilà 
e  la  falsila  loro. 


o  degl'idoli  20 J 

CatANEO  .  Ninno  esempio  miglioi-c  poteva  ammae- 
strarci . 

Forestiero.  IMa  possiamo  fare  i  paragoni  con  gli  uo- 
mini valorosi,  quantunque  fossero  gentili. 

Cataneo.  Non  pervienealla  vera  laude  ,  chiunque  schi- 
fa il  biasimo  ;  laonde  parve  a  S.  Agostino  che  Platone  non 
potesse  compai-arsi  a  niun  Angelo  del  sommo  Iddio,  a  niun 
Profeta ,  a  niun  Apostolo,  ed  in  somma  a  «iun  Cristiano; 
Lenchè  debba  essere  anteposto,  se  non  a  Romolo,  e  ad 
Ercole,  almeno  a  Priapo,  ed  a  Linocefalo,  ovvero  alla  Dea 
Febre,  i  quali  Dei  peregrini  furono  da'  R-omani  ,  come 
suoi,  consecrati.  E  noi  mossi  dalla  sua  reverenda  autorità 
possiamo  affermare  che  niun  Semideo ,  niun  Eroe  ,  niun 
Re  de'  Gentili  debba  essere  agguagliato  con  alcun  altro 
Principe  Cristiano. 

Forestiero.  Dunque  si  dee  lasciare  le  composizioni  si 
fattele  se  pur  elle  si  fanno  in  modo  alcuno,  i  Principi  deb- 
bono essere  anteposti  ai  Gentili? 

Cataneo.  Senza  fallo. 

Forestiero.  Ma  facendosi  il  paragone  si  farà  nelle  vir- 
tù de'  costumi,  come  sono  la  fortezza,  o  la  magnanimità ,  o 
la  temperanza,  perchè  nelle-Teologiehe  non  c'è  compara- 
zione. 

Cataneo.  No  veramente. 

Forestiero.  E  se  in  quelle  fosse  stato  maggiore  il 
Principe  Gentile  del  Cristiano  ,  qual  dovrebbe  esser  l'arti- 
ficio del  nostro  poeta ,  d'aggrandire  la  virtù  del  lodato,  in 
guisa  ch'ella  paresse  eguale,  o  maggiore  dell'  antica;  o  pu- 
re dimostrarla  simile  al  vero  ? 

Cataneo.  Questo  artificio  è  più  conveniente;  e  non  ci 
jnancano  Principi ,  i  quali  in  molte  azioni  lianno  superati 
gli  antichi;  cjsi  volessero  superarli  in  tutte!  perchè  niuna 
virtù  mai  dovrebbe  esser  discompagnata  dall'altre.  Né  so- 
lamente la  fortezza  ,  o  la  magniuiiinità  porge  materia  di 
vera  laude,  ma  la  clemenza  ,  e  la  mansuetudine,  e  la  libe- 
ralità,  e  l'affabilità ,  e  la  modestia,  che  tacendo  invita  i 
lodatori,  e  gli  costringe  col  silenzio  a  favellare. 

Forestiero.  Se  egli  dunque  è  più  convenevole,  i  poe- 
ti moderni  debbono  assomigliarsi  a'  pittori ,  che  ritraggo- 
no gli  uomini,  come  sono  appunto. 


i56  IL  CATANEO 

CatANÈO.  a  quelli,  e  non  agli  altri . 

FORESi  ll-.KO.  E  ;ioet.tndo  senza  lusingare  la  superbia  dt 
coloro,  che  ci  vivono,  si  dee  parlare  della  ìiohiltà  ,  come 
del  valore? 

C'. .  ANEO.  Si  dee,  pt-fcliè  la  nubil'ù  è  il  più  bello  arna- 
meiito  ,  the  abbia  la  virtù. 

FoKESTiEKo.  Ma  la  nobi'tà  iiurì  si  può  lod  re  ,  Jie  non 
si  lodi  parimcute  l'aiùica  virtù  . 

Cai  ANEo.  Ella  non  è  altro,  che  questo,  e  ;  •  (  di  lei  non 
ragionasse  ,  ma  <!ella  ricchezia  ,  o  delia  ;iossanza  ,  non 
loderebbe  p  ravventura  la  nobiltà,  ma  quelle  cose,  che 
l'adornino,  e  l'accompagnano:  e  se  pur  sono  parti,  sono 
parti  ."  cidentali . 

Forestiero.  Dunque  lodan  lo  la  nobiltà  circondata  da 
così  lungi)  pompa,  come  è  (pK^lla  condotta  dalle  due  com- 
pagne, ogni  lode  sarà  pariuentp  maravigliosa. 

Catane©  .  Sarà,  perchè  la  ricchezza  del  parlare,  e  la 
copia  deireloq\«enza  non  è  inferiore  ad  alcunaltra. 

Forestiero.  Ma  gli  uomini  antichi  condotti  dalla  vir- 
tù,  ed  acco. ripugnati  da  così  nobii  co>n'..agnia  ,  saranno 
dij)inti,  com'essi  furono,  o  maggiori,  come  sogliono  ri- 
irarsi  quelle  cose ,  che  debbono  esser  risguardate  di  lon- 
tano . 

CatAneo.  Gli  antichi  sono  lontani  da' nostri  tempi  ,  e 
per  quer>ta  ragione  altramente  dovrebbo!io  esser  i  ritratti 
di  quelli  ,  che  ci  sono  vicini  ,  e  presenti  . 

Forestiero.  Dunque  se  le  virtù  'li  alcuni  possono  con- 
venevolmente essere  con  molte  lodi  accresciute  ,  son  quel- 
le de' morti,  perdi-'  cilc  giovano  più  dell'altre  a' figliuoli, 
a'nipoti  ,  a'sucressviri  ,  ed  a  tutti  quelli  ,  the  prrndono 
esempio  da' Ir.ipassati  ;  e  tanto  più  s' inlìaminaiio  all'opo- 
razioii  virtuose,  (piaiito  più  l'azioni  lodate  sono  grandi,  e 
maravigliosc:  e  se  questi  sono  di  que' ritratti ,  i  quali  tion 
convengono  alla  Chiesa,  dove  a'piè  de' Santi  anzi  piccioli, 
che  no  ,  sogliono  esser  dipinti  per  umiltà  ,  converranno  al- 
meno alle  morbide  caaicre,  ed  a' palagi  realij,  e  saranno 
rimirati  con  diletto,  e  con  maraviglia  de'risgaardanti  . 
CatANEO.  Così  dovrebbe  avvenire  senza  dubbio  . 
Forestiero.  E  siccouie  altri  pittori  accrescono  gli  or- 


0  degl'idou  207 

Tiainpnti  (Ifgll  aUari ,  e  de' tempj  :  altri  quelli  de'teatri, 
e  de'Iuogbi  pubblici,  ne' quali  per  diporto  si  raccoglie  la 
moltitudine,  e  la  nobiltà  :  così  altri  poeti  saranno  riserba- 
ti per  le  sacre  narrazioni ,  altri  per  le  civili ,  e  per  le  mili- 
tari :  e  saranno  tollpr.ite  negli  uni  alcune  cose,  cbe  lugll 
altri  non  sarebbono  peravventura  convenienti  . 

CatAnf.o  .  Così  tni  p;ire  assai  ragionevole. 

Forestiero.  Ma  forse  i  poeti  non  sono  in  ciò  più  simi- 
li a' pittori,  cbe  agli  ornati  parlatori  ;  percbè,  siccome  non 
sono  approvati  i  medesimi  oratori  dal  governo  popolare  e 
da  quello  de'pocbi  buoni ,  e  da  quel  dell'ottimo  Principe, 
ina  tra  il  popolo  signorej;gia  chi  muove,  e  diletta  gli  ani- 
mi ;  ed  appresso  gli  altri  sono  in  pregio  maggiore  quei,  cbe 
provano  colie  ragioni  :  così  dovrebbe  similmente  avvenire 
de' Poeti  ;  percbè  a' maggiori  dovrebbono  esser  pii^i  grati 
quei,  cbe  danno  migliori  amnìaestramenti. 

CatAneo  .  Dovrebbono  senza  dubbio  . 

Forestiero.  Distingueremo  dunque  le  sjiecie  della 
Poesia ,  e  compartiremo  i  poeti  secondo  le  varie  maniere 
de' governi  . 

CatANEO  .  In  questa  guisa  parrà  la  distinzione  assai 
buona . 

Forestiero.  Ma  distinguendo,  cbi  seguiremo?  Platone 
(cbe  ne  descrive  cinque  forme  ,  l'una  perfeltissima  ,  l'altra 
ambiziosa  ;  la  terza  avara  ;  licenziosa  ,  e  popolare  la  quar- 
ta ,  e  l'ultima  tirannica)  o  pure  Aristotile,  cbe  le  tre  buo- 
ne dall'una  parte  ;  e  dall'altra  pone  le  tre  malvagie  ? 

Catane©  .  In  qual  più  vi  piace ,  percbè  v'è  maggior  di- 
versità nelle  parole,  cbe  nell'opinione  . 

Forestiero.  Ma  in  qualunque  di  essi  distinguiamo,  la- 
sceremo da  parte  la  tirannide,  e  la  possanza  de'pocbi,  e  la 
sfrenata  licenza  popolare ,  cbe  nell'ingiustizia  molto  asso- 
miglia al  tiranno,  percbè  tutte,  se  non  buone,  dovrebbo- 
no essero  sterpate  ;  e  se  alcuna  ce  ne  è  rimasa ,  non  fa  me- 
stiero  che  di  lei  si  ragioni. 

CATANEO.  Parliamo  dell'altre. 

Forestiero  .  Dunque  volgendo  il  ragionamento  alle 
migliori  forme  del  governo;  a  quel  di  molti  assegnarono  la 


3t58  IL  CATANEO 

comn.eJla  .  come  sun  propria  ;  a  quella  de'pocìù  valorosi 
e  ile'pnuleiifi,  la  tragedia;  ed  al  Principato  di  un  solo,  i 
poemi  eroici ,  e  l'altre  composizioni,  nelle  quali  si  cele- 
brano l'operazioni  de' Principi  e  de' Cavalieri. 

CATA^'EO.  In  questo  modo  sono  assai  convenevolmente 
disposte. 

FoRF.STiEP.O,  Ma  torse  a' Principi  alcune  volte  non  spia- 
cerà ridersi  delle  sciocchezze  del  volgo,  eci  a' plebei  sarà 
buono  ammaestramento  j  e  vista  maravigliosa  il  visguarda- 
re  l'azioni  de" grandi;  comunque  sia  a'Principi  saranno 
convenienti  più  di  tutti  gli  altri  i  poemi  eroici ,  e  quelli 
ne' quali  si  canta  degli  Eroi, 

Cataneo,  Cosi  stimo,  eie  canzoni,  come  quelle  del 
Caro,  e  del  Ronsardo,  mi  paiono  eroiche  oltre  tutte  l'al- 
tre; onde  più  volentieri  le  chiamerei  con  questo  nome  che 
tragiche,  come  usò  di  chiamarle  Dante, 

Forestiero.  Dante  le  chiamò  con  quel  nome,  che  gli 
parve  assai  proprio  de' componimenti  affettuosi ,  come  so-» 
no  le  canzoni ,  nelle  quali  descrive  la  morte  della  sua  don-, 
na  ;  perchè  queste  hanno  quella  simiglianza  colla  tragedia 
che  le  altre,  nelle  quali  son  lodate  le  azioni  de'  valorosi, 
col  poema  eroico, 

Cataneo.  Dunque  tragiche  ed  eroiche  possono  esser 
dette  le  canzoni 

Forestiero.  Sotto  l'un  genere  l'altro  peravventura  si 
contiene  come  specie.  Ma  quali  chiamate  eroiche;  quelle 
in  cui  son  descritte  le  sovrane  lodi  degli  Eroi  ? 
Cataneo.  Quelle. 

Forestiero.  E  diremo  ohe  siano  Eroi  ì  figliuoli  degli 
Dei,  o  pure  l'anime  separate  dal  corpo,  che  divengono 
Demoni  ,  come  da' Platonici  si  afferma? 

Gataneo,  Né  di  qu'^slj  soglio  intendere,  né  di  quelli, 
quando  fra  noi  cortigiani  se  ne  ragiona  :  ma  fra'letterati 
n'>n  so  quello ,  che  se  ne  questioni,  fra'  quali  crederei  che 
la  falsa  scienza  in  questa  parte  fosse  disprezzata  ,  e  se  pure 
si  prezzasse,  mi  parrehhf'  che  il  poeta,  il  quale  compo- 
nesse canzoni,  sart'hhe  soggetto  a  quelle  medesime  opposi- 
zioni, che  abbiamo  fatte  al  Caro. 


O  DEGL  IDOM  2)9 

Forestiero.  Né  men  cliiamate  Eroi  1  retori,  e  gli  eÌo-» 
itucnti ,  checliè  se  ne  dica  Platone  in  quel  dialogo  ,  in  cui  si 
ricerca  la  ragione  di  questo  home,  e  di  molti  altri  ;  se  for- 
se alcuno  nella  sua  nstrema  veccliie/za  non  volesse  jìcr'^ua- 
dere  ;  icun'  oféia  eroica,  o  pur  contendere  con  gli  Eroi 
coll'operazioni  medesime. 

CatAnEo.  Bel  contrasto  sarebbe  veramente,  percbè 
hiuno  è  più  bel  trofeo  di  quel  non  sanguinoso,  che  drizza 
l'eloquenza . 

Forestiero.  Pur  le  canzoni  eroicbe  in  lodando  i  reto- 
ri non  sono  ancora  state  l'alte  j  e  il  farle  in  questo  soggetto 
sarebbe  gran  difiìcollà. 

CatANEO.  Ma  senza  dubbio  ,  quando  ragioniamo  degli 
Eroi,  non  intendiamo  di  loro. 

Forestiero.  Di  cbi  dunque  intendete;  di  quelli,  che 
somigliano  Codro  ,  il  quale  volle  morire  jier  la  patria  ,  e  sì 
acquistò  fama  immortale;  e  Brasida,  e  Milziade,  e  Cimone, 
e  Temistocle,  ed  Alessandro,  e  Muzio,  ed  Orazio,  ed 
Epaminonda,  ed  Agesilao,  e  Pirro  ,  e  Cammillo,  e  Scipio- 
ne, e  Cesare,  la  virtù  de' quali  parve  cbe  di  gran  lunga 
trapassasse  l'umana  condizione? 

CatANEO.  Di  anesli  intenderei:  pur  non  di  questi  soli , 
ma  de'Martiri  di  Cristo  ancora,  a'quftli  si  attribuì  questo 
nome;  e   certo  s'egli  deriva   da  Amore,  come  si  dice,  a 
ninno  è  tanto  convenevole,  perobè  ninno  amore  fu  cosi  ar- 
dente, come  quello,  cbe  gli  spinse  alla  morte;  laonde  il 
vostro  Poeta  congiunse  queste  cose  dicendo: 
Che  fece  Muzio  alla  sua  man  feroce, 
O  die  tenne  Lorenzo  in  sulla  grata . 
Forestiero.  La  Carità  dunque  per  questa  ragione  sa- 
rà virtù  degli  Eroi. 

CatAnEO.  Senza  dubbio. 

Forestiero.  E  se  la  virtù  degli  Eroi  è  l'eroica;  la  ca^ 
rità  è  l'eroica. 

CatAneo..  Eroica  senza  fallo;  ma  d'altri  Eroi,  ed  in 
altro  modo  più  maraviglioso  e  divino,  cbe  non  conobbero 
le  nazioni  Gentili. 

Forestiero  .  Pur  questi  Eroi  non  son  parte  d' alcur.a 
repubblica  ,  o  d' altra  uianiera  di  governo  . 


■26o  IL  CÀTAìNEO 

CatAneo.  Né  questi,  né  quelli,  de'  quali  abbiam  ragio- 
nato ;  perchè  la  virtù  loro  supera  quella  degli  altri  senza 
proporzione . 

Forestiero.  E  noijdistingueudo  le  maniere  della  Poe- 
sia secondo  le  forme  del  governo  ,  non  c'accorgeuiino  che 
essi  non  capivano  in  alcuna? 

Cataneo.  Quantunque  non  vi-  capissero  gli  Eroi,  vi 
capiva  la  Poesia  eroica,  la  qual'  è  non  solamente  letta  da 
loro,  ma  dagli  altri;  e  più  volentieri  da  coloro,  che  son  più 
simili  nella  nobiltà  e  nel  valore . 

Forestiero.  Dunque  per  questa  ragione  non  dob- 
Liano  far  nuova  distinzione ,  ma  essendosi  ritrovata  una 
maniera  propria  di  Poesia  a  ciascuna  forma  di  gover- 
no ,  a  questa  nuova  Repubblica  de'  Sacerdoti  ,  ed  a 
questo  sacro  Regno,  che  diciam  Pontificato,  non  cono- 
sciuto da  Aristotile,  né  da  Platone  ,  si  dee  concedere  una 
specie  di  Poe^iia  cosi  differente  da  tutte  l'altre  ,  coia' e- 
gli  è  diverso  da  tutti  gli  altri  Principati ,  e  dagli  aliri 
Imprri  . 

Cataneo.  Assai  mi  pare  convenevole. 

Forestiero.  E  peravventur.-  è  già  ritrovata;  e  sono  i 
Salmi  e  gl'Inni,  i  quali  canta  li  Chiesa  Romana  :  ma  del- 
l'azioni di  Costantino  si  p  itreoh  >n  >  ancora  fare  i  pop  iii 
per  questa  Corte,  i  quelli  njndi'neno  sarchi)  )no  eroici  , 
quantunque  fosse  preso  l'argomento  dall'istoria  Ecclesia- 
stica: ma  gli  Eroi  sono  d'altra  maniera? 

Cataneo.  Sono  a  mio  parere. 

Forestiero.  Dunque  farem  questa  conclusione,  die 
dell'istorie  Ecclesiastiche  si  possono  formar  que'poeini 
eroici ,  che  saranno  più  convenienti  in  questa  Corte  Eccle- 
siastica. 

Cataneo.  Mi  par  che  si  possa  far  senza  dulibio  ,  e  che 
non  vi  id)bia  luogo  ingegno  di  Sofista  per  contradire. 

Forestiero.  Ma  l'altre  Corti  e  gli  altri  Regni ,  a'  quali 
scriviamo  poemi,  sor.  parimente  de'Cristiani . 

Cataneo.  Sono. 

Forestiero.  E  ninno  scrive  a'Turchi  ed  a'Giudei  per 
acquistar  benevolenza.-  ma  siccome  gli  Ebrei  scrissero  agli 


Ebrei ,  i  Greci  a' Greci,  e  i  Piomani  a' Romani ,  cosi  i  no- 
slii  debbono  scrivere  a  quelli  della  nostra  lingua  ,  e  dellii 
nostra  religione . 

Cataneo.  Debbono. 

Forestiero.  E  se  Omero  fu  letto  più  volentieri  d^i 
Greci ,  perchè  ceU  brò  le  vittorie  de'  loro  antecessori  cen- 
tra i  Barbari,  fra  noi  doreranno  essere  in  maggior  pre- 
gio cjue'poemi,  ne' quali  saran  cantate  le  imprese  de'Prin- 
cipi  Cattolici  contra  gì'  Infedeli, 
Cataneo.  Così  mi  pare. 

Forestiero.  Virgilio  ancora  dimostrò  quanto  ciò  im- 
porti, nella  battaglia  fra  Cesare,  e  Marcantonio,  nella  qua- 
le pone  gli  Dei  Romani  incontra  quelli  di  Egitto:  né  sa- 
rebbe convenevole  cbc  i  Gentili  avessero  maggior  ri- 
sguardo alla  religione  de' Cristiani. 
Cataneo  .  Non  sarebbe. 

Forestiero.  Dall'istorie  de' Cristiani  dunque,  e  non 
da  altre,  d-^bbono  esser  presi  gli  argomenti  de'poemi,  non 
lasciando  gli  altri  rispetti  della  favella  ,  e  della  azione,  o 
de' Regni ,  o  de' Re  ,  cbe  '1  poeta  vuol  celebrare:  e  chi  le 
tolse  da'Pagani,  o  segui  la  lama  dell' azioni  favolose,  o  fe- 
ce errore  nell'aite,  e  cosa  men  giovevole  e  men  grata  ai 
Principi  ed  alle  Repubbliche  ;  perchè  se  al  fine  del  politi- 
■co  si  debbono  dirizzar  i  fini  di  tutte  l'arti,  chi  non  ri- 
sguarda  in  questo  segno  comune,  non  è  buono  artefice  ,  e 
non  vedendolo  per  imperfezione  di  giudizio,  non  dee  man- 
car chi  glielo  dimostri . 

Cataneo.  Questo  sarà  il  legislatore,  o  riformator  dì 
leggi,  o  interprete,  che  avrà  risguardo  alle  regole  ancora 
di  Poesia. 

FoRES'i  lERO .  Ma  le  istorie  Cristiane  per  la  maggior 
parte  non  sono  Ecclesiastiche  :  dall'  Ecclesiastiche  dun- 
que prenderanno  i  soggetti  convenevoli  per  le  Corti  Ec- 
clesiastiche ;  e  dall'altre,  quelle  che  all'altre  conver- 
ranno . 
Cataneo.  Così  stimo . 

Forestiero.  Dunque  non  si  può  lodare  il  Caro,  che 
de' Principi  Cristiani,  anzi  Cristianissimi,  poetasse  non  al- 


262  IL  CATANEO 

tra  mente  di  quel  ,  clie  sarebbe  stato    lodevole    a'  tenip^ 
d'  Alessandro  ,  e  d' Augusto  . 

CatAneo.  Niuna  lode  io  gli  negherei  volentieri;  ma  non 
mi  par  che  si  debi)a  contr.idiie  alla  ragione. 

Forestiero.  Direino  dunf]iie  amico  il  Caro,  ami('o  il 
Castelyetro,  ma  più  amica  la  verità,  della  quale  ci  faremo 
scudo  contra  gli  oppositori,  perchè  noi  r.igioniaino  per 
ver  dire  , 

Non  per  odio  d' altrui ,  ne  per  disprezzo, 

CatAneo.  Il  ragionare  in  questa  guisa  può  recar  giova- 
mento piuttostOj  che  mala  sodisfazione . 

Vitelli.  Se  a  me  si  dee  giovare,  il  quale  sono  il 
più  giovane ,  e  quello  ,  che  ho  niintire  esperienza  de- 
gli altri  j  vorrei  che  mi  fosse  detto  in  qual  forma  di  go- 
verno,  o  in  qual  Corte  si  concederà  luogo  alle  poesie  a- 
morose  . 

Forestiero.  Non  certo  nelT  Ecclesiasliclie:  dell'altre 
non  ardisco  di  palesarvi  il  mio  parere  ,  perche  da  ciascun 
lato  mi  par  di  conoscere  molto  pericolo. 

Vitelli,  Tutti  i  ragionamenti,  e  tutte  le  cose  può  f;ir 
sicura  l'amicizia;  però  dovete  parlar  sicuramente. 

Forestiero.  Perchè  qui  si  discorre  ,  non  per  riforma- 
re il  mondo,  ma  pnr  altra  cagione,  farò  quanto  coman- 
date: e  dico  che  se  il  poeta  simile  all'Idolatra  non  si  dee 
lodar  nelle  Corti  de'Sacerdoti ,  per  la  medesima  cagione 
non  par  che  meriti  lode  nell'altre  Cristiane. 

Vitelli.  Spesse  volte  si  loda  l'ingegno,  e  l'artificio 
del  poeta,  quantunque  la  cosa  descritta  njn  convenga  in- 
tieramente ;  laonde  mi  par  che  debba  avvenire  delle  poe- 
sie de' Gentili  quello,  ch'avviene  delle  statue  degli  Eroi,  o 
pur  delle  jiitture  degli  Dei,  le  quali  si  conservano  per  or- 
namento delle  camere  de'  Principi . 

Forestiero.  Non  sarei  così  crudele  che  avessi  condan- 
dannata  al  fuoco  la  Venere  d'Apelle,  se  in  questo  secolo 
si  fosse  ritrovata,  o  altra  simigliante  per  artificio  :  ma  se 
Tiziano,  o  il  Salviati  avesse  voluto  dipingere  alcuna  don- 
na antica,  l'avrei  consigliato  che  dipingesse  Artemisia  ,  o 
Clelia  , 

O  Porzia  ,  o  la  Vestal  f^crginc  pia  , 


O  DtGÌ/IDOLi  J,6S 

Che  riportò  dal  fiume  acqua  cot  cìhro  , 
b  l'avrei  sti'nato  più    convenevole  ornamento  de''  palagi 
J-eali. 

ViTFLLi.  £  forse  questa  fiien  volenliel"!,  percìiè  nel 
miracolo  el)])e  alcuna  parte  la  falsa  Deità  cleyli  antichi. 

FoHKoTlERO»  l'iù  volentieri:  così  mi  piacerebbe  cLe 
gl'Icl)!i  e  gl'Idolatri  fossero  schivati.  Ed  a  Voi  che  Ile 
Jjare  ? 

Vil'ET.I.l.  t'istesso. 

Forestiero.  Ma  se  dohblam  schivar  gl'idolatri,  fug- 
^irènio  gli  amanti,  perchè  ciascutio  amore  lascivo  è  specie 
d'id(jlatria. 

Vitelli.  Cf^rto  Pamante  nell'adorai*  la  sua  donna  è  sl- 
mile all'idolatra . 

Forestiero i  E  in  tutti  i  versi  degli  amorosi  poeti  le 
donne  son  chiamate  idoli , 
VtTELi-l.  Ili  fatti. 

Forestiero.  Ed  in  tutti  si  descrivono  i  miracoli  d'  A* 
more ,  e  le  maraviglie  dell'amata  bellezza  . 
Vitelli  .  Cosi  avviene  senza  diibDio. 
Forestiero.  Dunque  siccome  i  cibi,  che  si  toglievano 
dal  sacnlicio  degl'ld'vli,  non  dovevano  esser  mangiati  in 
quel  tempo,  che  agi' Idoli  si  sacrificava  ;  così  in  questo  ì 
Versi  e  le  rime  essendo  consécfati  ad  un  nome  Vano,  del 
quale  il  poeta  si  faccia  l'Idolo,  non  dovrebbono  esser  let-^ 
ti  da' giovani  particolarmente,  i  quali  soglion  gustarli, 
come  dehcatissiino  cibo  dell'intelletto. 

Vitelli.  La  Poesia  dunque  lasciva  non  sarà  conceduta 
a  ciascuno. 

Forestiero.  Non,  a  mio  pare;  ma  si  userà,  come  i  ve- 
leni ,  de' quali  è  composta  la  teriaca  ,  o  pure  altro  rime- 
dio: e  i'adoprarla  in  questa  guisa  non  si  appartiene  a  cia- 
scuno, ma  solamente  a' medici  degli  animi,  i  quali  cono- 
scono quanto  facilmente  si  bea  il  dolce  veleno  amoroso;  e 
senza  licenza  non  dovrebbono  leggi  r  quelli,  che  sono  in- 
fermi   o  possono  agevolmente  infermare. 

Vitelli.  Intendete  forse  de' fanciulli,  e  delle  giovani 
donne ,  a  cui  non  dovrebbe  esser  conceduta  così  piacevol 
lezione  così  tosto;  non  di  quelli  della  mia  elà^  i  quali  tut« 


.i64  IL  CATANEO 

to  il  giorno  vanno  alle  com.nedie  ;  né  so  che  possa  lor 
nuocere  il  Petrarca,  e  gli  altri  poeti  somiglianti,  piuttosto 
amorosi  che  lascivi. 

Forestiero.  Questa  ap])unto  è  quella  età  ,  nella  quale 
più  facilmente  si  apprende   l'amore;  laonde  a  niun  altro  il 
leggerlo  é  cosi   pericoloso:  del  che  egli  avvedendosi,  volle 
dal  principio  avvertire  il  lettore  in  que' versi: 
E  ben  v'es;s*io  or  siccome  al  popol  tatto 
Fa\'olaJui  gran  tempo  ,  onde  soi^ente 
Di  me  medesnio  meco  mi  vergogno  . 
E  del  mio  vaneggiar  vergogna  è  'l frutto, 
E  7  oentirsi ,  e  7  conoscer  chiaramente 
Che  cpianto  piace  al  mondo,  è  breve  sogno . 
Laonde  se  alcuno  il   leggerà   con  questo  avvedimento,    e 
con  quegli  altri,  che  insegna   Plutarco   in  quell'operetta, 
ch'egli  compose,  del  modo,  col  quale  dehbono  esser  letti  i 
poeti ,  ]totrà  schivare   il  danno  ,    e  trarne  il   giovamento: 
ma  pochi  leggono  con  questo  fine,  e  con  queste  considera- 
zioni: e  se  io  volessi  ragionarne,  sarei  peravventura  scher- 
nito dagli  amanti   e    da'"  poeti:   perchè  gli  uni  egli  altri 
hanno  bisogno  di  freno  ;  e  si  dovrebhono  dar  non  solamen- 
te regole    alla    Poesia,   ma  leggi  alle  Corti:   ma  volete, 
ch'io  parli  di  questa  materia,  nella  quale  son    troppo  o- 
dioso  ? 

Vitelli.  Seguite  quanto  vi  piace,  che  a  me  piace  l'a- 
scoltare . 

Forestiero.  Ahbiam  conchiuso ,  che  gli  amanti  e  i 
poeti,  i  quali  cantano  d'Amore,  sono  quasi  idolatri,  e  for- 
matori degl'  idoli,  come  già  confessò  il  Petrarca  medesi- 
mo dicendo: 

L' Idolo  mio  scolpito  in  vivo  lauro . 

Vitelli,  Dura  conclusione:  ma  perchè  è  vostra,  con- 
riene  che  piaccia . 

Forestiero.  E  gli  amanti  son  parimente  idolatri,  i 
quali  fanno  suo  Dio ,  il  suo  tesoro. 

Vitelli.  Parimente. 

Forestiero.  E  idolatra  è  similmente  l'ambizioso  ,  che 
si  fa  idolo  dell'  onore  . 


o  degl'idoli  265 

Vitelli.  L'ambizioso  ancora. 

Forestiero.  E  ciascuno  di  questi  appetiti  (  io  dico  l'a- 
more, la  cupidità  d'avere,  e  l'ambizione)  si  divide  in  mol- 
ti altri;  e  tutti  si  volgono  ad  un  obietto  particolare ,  il 
quale  s'imprime  nella  fantasia:  dunque  l'anima  affettuosa 
è  quasi  un  tempio  d' idolatria,-  e  la  nostra  immaginazione 
è  la  pittura,  nella  quale  sono  impressi  gl'idoli,  e  adorati 
non  altramente,  die  se  fossero  Dei  terreni. 

Vitelli  .  Nuovi  simulacri  son  questi ,  e  nuovo  tempio. 

Forestiero.  Anzi  pur  antichissimo;  né  ve  ne  fu  mai 
nell'Egitto  alcuno,  in  cui  si  adorasse  tanta  varietà  di  mo- 
stri, e  con  SI  diverse  forme,  come  son  quelle  dell'animo  no- 
stro: ma  niun' altro  vano  e  falso  Iddio  vi  si  riverisce,  più 
dell'Amore  ,  al  quale  non  so  che  in  Menfi  fosse  dirizzato 
alcun  altare . 

Vitelli.  Ben  mi  sovviene  di  aver  letto  quel  cuore  con- 
secrato  sull'altare  di  Amore;  onde  conosco  cbe  voi  anco- 
ra foste  un  tempo  idolatra. 

Forestiero  .  Noi  niego  ,  e  la  vittima  fu  quella,  che  voi 
diceste  ;  Amore  il  sacerdote  :  la  fiamma,  quella  de' miei 
desiderj  :  e  l'immagine  della  mia  dorma,  simile  a  quella 
di  Minerva  ,  solo  mi  pareva  che  mi  potesse  salvare  di  pe- 
ricolo e  di  morte. 

Vitelli  .  Però  pivi  spesso  dovevate  invocarla  nelle  vo- 
stre rime. 

Forestiero.  Ella  non  fu  così  bene  espressa  ,  e  colorita 
ne'raiei  versi  ,  come  nella  memoria;  né  so  quel  che  negli 
altri  possa  avvenire. 

Vitelli  .  Ciascuno  accresce  le  sue  passioni . 

Forestiero.  Ma  chi  purgasse  l'animo  colla  filosofia, 
quello  che  a  me  non  fu  conceduto  di  fare ,  la  purgazione 
s' assomiglierebbe  alla  consecrazione ,  che  s'è  fatta  d'al- 
cuni templi  in  questa  città  ,  nella  quale  è  1'  albergo  del- 
la religione;  perchè  quantunque  in  loro  siano  cessati  quei 
profani  sacrificj ,  che  si  usavano  tra' Gentili ,  e  si  ado- 
ri il  vero  Iddio  con  vera  pietà  e  divozione  ,  uno  ha  rice- 
vuto il  nome  di  Minerva  ,  un  altro  quel  della  Pace,  nomi, 
che  le  furono  imposti  da'  primi  fondatori  ;  né  così  bene  ci 


266  IL  CATANEO 

Suol  purgai*  la  filosofia,  che  non  si  lasci  il  iionie  della  sa-^ 
Jjienza  de'  Gentili  e  di  quella  concordia  ,  che  fu  da  lur  co- 
nosciuta é  E  se  altro  c'è  migliore,  e  più  santo  modo ,  col 
qual  si  purghino  gli  ani  ni  nostri,  ci  Siir;ì  mostrato  d;il  Si- 
gnor Mauri/.io  ed  egli  sarà  il  medico,  o  pur  l'udremo 
alle  prediche  del  Padre  Toledo. 

VitElT>I.  Frattanto  non  vi  sia  grave  che  io  sappia 
quel,  che  filosoficamente  Se  ne  può  ragion. ne . 

Forestiero.  Il  principio  del  purgare  gli  animi  è  l' as- 
somigliarsi a  Dio . 

Vitelli  .  Tutti  gli  altri  priaclpj  sarehbon  cattivi  in  sua 
comparazione. 

Forestiero.  È  l'  assomigliarsi  si  fa  colla  fuga  del  vizio, 
il  quale  è  com^una  bestia  di  molti  capi,  e  tutti  possono  av- 
velenarci l'animo;  però  bisogncrchhe  conoscerli  tuUi;  e 
conoscendosi  la  natura  del  male,  saranno  più  facili  i  medi- 
camenti . 

Vitelli.  Fate  dunque  clie  li  conosciamo. 

Forestiero.  Il  primo,  che  ci s'apprei^enta  nell'età  gio- 
venile  ,  è  il  desiderio  del  piacevole  ,  il  quale  è  detto 
amore , 

Fatto  Signore,  e  Dìo  da  s;ente  vana  ; 
clic  non  è  solo  ,  ma  accompagnato  d.i  tanti  Amoretti  quall.^ 
ti  son  quelli ,  che  vide  la  notte  un  de' famosi  poeti  . 

\lTEtXl .  Gli  A,niori  soli  descritti  molto  belli,  e  non 
paiono  \6  teste  d(  11'  Idra,  come  furono  da  voi  cliiamati. 

Forestiero.  Voi  sapete  cbe  Amore  è  Mago  ,  o  l'udiste 
almeno  ricordare  :  laonde  non  dovete  maravigliarvi  di  que- 
ste trasformazioni:  e  se  vogliam  purgarcene,  noi  risquar- 
diamo  in  quello  aspetto,  die  suole  allettare,  ma  nell'altro, 
eh'  è  solito  di  spaventarci;  e  se  con  questa  considerazione 
risguarderemo  gli  altri  Amoretti,  ci  parranno  tutti  serpen- 
telli dell'anima  si-lvngyia. 

VlTELfJ.  A  coM  Wvì-A  vista  ciascuno  dovrà  ritrarsi. 

Forestiero.  Ma  lasciauio  l'amore,  e  rimiriamo  il  de- 
siderio dell'avere  ,  che  si  divide  similmente  in  molti  desi- 
derj ,  quasi  in  molti  capi  ;  perchè  altri  desidera  i  cani  da 
sciiuire  le  damine,  i  cervi,  e  i  caprioli;  e  quelli,  che  ardi- 


O  DEGL'  [DOLI  ySj 

gcono  d'assalire  i  ciiigliiali  nelle  cacce;  altri  i  cavalli,  suj 
quali  possa  correr  Dell'arringo,  e  combatter  ne'  torneainen- 
ti;  altri  gli  uccelli  da  rapina,-  altri  i  giardini,  e  i  palagi  so- 
yra  fiumi  correnti,  e  sovra  fioriti  colli;  altri  i  cari  ve- 
stimenti, e  i  maravigliosi  odori,  clie  nascono  in  Arabia, 
,c  le  preziose  pietre?  che  son  portate  dall'Oriente,  e 
l'argento  e  l'oro  irnpresso  di  varie  immagini,  ciascu- 
na delle  quali  somiglia  quasi  jin  Dio  dell' animja  non  sa- 
zievole; e  questi  raccoglie  con  ogni  studio,  e  in  questi 
pensa  il  giorno,  di  questi  sogna  le  notti,  e  per  questi  si 
consuma  accrescendo  il  desiderio  ,  quanto  multiplica  la 
facoltà.  Or  lasciamo  questo,  e  rivolgiamci  all'altro,  che 
,ci  rimane. 

Vitelli  .  S'io  ben  me  ne  ricordo,  è  quel  dell'onore. 

FORESEIERO.  Quel  dell' onore  smoderato  ,  intorno  al 
quale  germogliano  molti  altri  ;  perchè  in  varie  guise  l'uo- 
mo vorrebbe  esser  onorato:  né  ci  basta  che  altri  porti 
opinione  della  nostra  bontà,  se  non  vi  s'aggiunge  quella 
del  valore ,  e  della  prudenza  :  dunque  altri  vuole  essere  te- 
nuto buon  Cavaliero  ,  ed  odia  morta  brente  colui ,  che  non 
mostra  di  stimarlo:  altri  buon  medico,  e  buon  Teologo;  al- 
tri gran  dottor  di  leggi:  molti  nella  Scultura,  e  nella  Pittu-^ 
ra  ,  e  negli  altri  mcn  nobili  artificj  sono  ambiziosi  ;  ma  la 
.vanità  d'alcuni  poeti  supera  tutte  l'altre. 

Vitelli.  L'ambizione  de'  poeti  può  forse  essere  smisu- 
rata: ma  perchè  non  è  dannosa  ,  ma  reca  diletto  ,  e  giova- 
mento, par  che  piuttosto  debba  esser  nutrita  con  favo- 
ri, e  con  quelli  altri  modi,  che  sogliono  accrescer  le  buo- 
ne  arti. 

Forestiero  .  Comunque  sia  ,  ogni  desiderio  dell' anima 
nostra  dee  moderarsi,  ma  più  di  tutti,  quello  ch'entra  ne- 
gli animi  de' cortigiani,  e  de' Principi  stessi,  i  quali  per- 
turbano il  mondo  coU'ambizione  ;  come  fece  Lodovico  il 
Moro  ,  che  volle  turbare  il  buono  e  pacifico  stato  d'Ita- 
lia, e  diede  principio  a' que' movimenti  ,  the  volsero  tanti 
Regni  sossopra,  e  disfecero  tanti  eserciti,  e  privarono  tan- 
te nobih  stirpi  di  naturai  successione . 

Vitelli.  Ci  rimane  altro  da  conoscere  nelle  nostre  in-= 
fermità  ? 


26S  irlcATAXEO 

Forestiero  .  Oltre  l'Idra,  la  qunle  alcun  pittore  non 
ritrasse  giammai  in  guisa  ,  che  al  vero  l'assomigliasse,  nel- 
l'animo nostro  è  il  leone;  è  questa  la  parte,  che  s'adira  , 
fiera  e  superba,  e  qn^'si  indomita  por  sua  natura,  nondi- 
meno assai  men  rea  d<'ll'altra;  laonde  ,  se  avviene  ch'ella 
sia  doiìiata  ,  è  molto  utile  alla  ragione  e  non  avendo  al- 
cun veleno  in  se  stessa  ,  si  purga  più  facilmente  . 

VITELLI.  Dee  almeno  aver  la  febbre,  come  hanno  i 
leoni . 

Forestiero.  Superba  febbre  è  quella  dell'animo,  cbe 
facilmente  si  sdegna  ;  onde  gentili  e  delicati  conviene  cbe 
siano  i  medicainenti  ,  altramente  ella  ricuserebbe  di  pren- 
derli: vna  sì  fatti  non  possono  esser  dati,  se  non  dalla  pru- 
denza ,  cL' è  (jiiasi  protomedico ,  e  tutte  Taltre  virtù  son 
quasi  purgazioni  dell'anima  ,  la  quale  facilmente  può  risa- 
narsi nella  giovanezza,  pcrcbè  non  ba  fatti  gli  abiti  nel  vi- 
zio, uè  disposizioni  così  stabili,  come  son  quelle  dell' età 
matura  . 

Vitelli  .  Noi  altri  giovani  dunque  abbiamo  questo  van- 
taggio. 

Forestiero.  A.vete  senza  dubbio.-  ma  perchè  la  virtù, 
cbe  si  affatica  nel  purgare,  è  imperfetta  ,  io  dirci  cbe  ne 
cercassimo  altre  di  maggior  pcrfzione ,  se  io  non  temessi 
cbe  il  mio  ragionare  venisse  a  noia  . 

Vitelli  .  Anzi  temete  del  conh-ario  ,  die  il  troncar  del 
lagionauiento  debba  p.rerc  rim  rcscevole. 

Forestiero  .  Io  «lieo  adunque  che,  oltre  le  virtù  civili, 
le  quali  defuiiscono  l'animo,  e  lo  ripongono  oltre  riiidefì- 
lìito,  e  troncano  i  secondi  movimenti,  vi  sono  le  purgato- 
rie ,  cbe  non  sol  troncano  ,  ma  estirpano  i  secondi  moti  :  e 
sovra  queste  son  quelb;  dell'animo  già  purgato ,  le  quali 
hanno  già  domati  i  secondi,  e  sogliono  dibarbieare  i  primi, 
o  almeno  moderarli.  E  sovra  tutte  sono  l'esemplari ,  ad 
itnitazione  delle  (juali  ha  l'anima  ragionevole  alcune  for- 
me :  ed  in  questo  modo,  se  non  m'inganno,  l'animo  cb'cra 
tempio  d'idolatria,  sarà  purgalo,  quanto  si  può  conoscere 
per  filosofica  ragione.  E  se  innanzi  la  purgazione  furono 
gettati  per  terra,  e  sparsi  gì' idoli  fallaci  ,  che  v'erano  ado- 


o  degl'idoli  269 

rati:  clapoi  si  debbono  drizzare  nuove  ,  e  più  sanie  iiniria- 
gini  ;  che  già  non  vogliamo  seguire  l'errore  di  coloro? 
i  quali  sogliono  loro  negare  ogni  onore,  ed  ogni  rive- 
renza . 

Vitelli.  Niun  tempio  senza  immagine  pare  cbe  pos- 
sa muovere  devozione,  ed  innalzare  1'  aniuio  alle  cose  ce- 
lesti . 

Forestiero.  Olire  quelle  dunque,  die  sono  nella  par- 
te superiore,  porremo  nell' irriigionevule  alcune  iuimagini 
della  virtù  ,  la  quale  non  è  Dea  ,  ma  dono  d'Iddio  ,  né  dee 
essere  adorata  ,  ma  onorata  ;  e  lor  si  volgerà  l'animo  pri- 
mieramente ,  e  da  queste  si  innalzerà  colla  contemy»kizione 
alle  forme  più  semplici ,  le  quali  avrà  Jipinto  riutellello 
agente,  cb'è  quasi  il  pittore  ,  ed  il  poeta  dell'anima  ,  illu- 
strandole tutti  i  fantasmi  col  suo  lune  immortale  ;  né  fi>r- 
mandosi  in  queste  si  leverà  alla  conteuiplazione  d'Iddio 
colla  fede,  e  colla  religione  ,  cbe  st;mno  nella  sommità  del- 
la mente;  ed  allora  l'umana  virtù  sarà  nel  supremo  grado, 
e  più  vicina  alla  Divinità,  della  quale  è  ricevitrice. 

Vitelli.  Maravigliosa  purgazione  è  questa  senza  dub- 
bio, e  tale,  die  pare  ci  sia  bisogno  di  celeste  medico. 

Forestiero.  Ma  con  quegl' idoli,  i  quali  nel  comincia- 
re della  purga  furono  ruinati,  e  disfatti,  non  cadde  perav- 
ventui'a  l'idolo  dell'anima. 

Vitelli.  Di  lui  sentii  ragionare  alcuna  cosa,  e  lessi  die 
il  simulacro  d'Ercole  era  nell'Inferno,  e  l'ani'na  in  Cielo  : 
ma  non  so  qual  misterio  ci  sia  nascoso. 

Forestiero  .  Se  Ercole  fosse  stato  uomo  contemplati- 
vo, sarebbe  riposto  fra  gli  Dei  tutto  intiero  ;  percbè  la 
coateriiplazione  fa  loro  simili:  ma  si  dice  die  l'idolo  suo 
è  nell'Inferno  per  l'azione,  la  quale  è  cagione,  che  l'in- 
telletto si  converta  alle  cose  inferiori;  e  voi  sapete  clic  la 
fantasia  è  (juasi  uno  specchio;  però  ,  quando  l'anima  con- 
templando si  volge  tutta  al  Cielo,  non  lascia  alcun  siuuil.'.- 
cro  nella  immagine,  la  quale  è  di  sotto;  ma  piegandosi  alle 
cose  terrene  è  forza,  che  vi  rimanga.  Questo  dunque  del- 
l' umana  azione  è  T  ultimo  simulacro;  che  resti  nel  mondo 
fra  l'altre  immagini  dell' anima  valorosa,  !a  quale  sei  por- 


270  IL  CATANEO 

ta  in  jparte  migliore,  ove  si  fa  l' ultima  purgazione,  e  di  là 
si  passa  all'eterna  felicità:  ma  tanto  sia  di  ciò  quanto  pia- 
ce a'  Teologi  . 

Vitelli.  Dunque  quanto  piace  al  Signoi"  I\rauri/io;  che 
dee  essere  uno  di  quelli,  e  non  si  manifesta  . 

Forestiero.  Questo  vostro  lungo  studiare  non  bi  può 
tener  celato:  ma  niun  Teologo  potremo  ritrovare  più  aìni- 
co  dell'azione,  per  la  quale  è  così  caro  al  suo  padrone,  è 
così  stimato  dalla  Corte,  e  da  me  così  riverito  . 

CatANEO.  Vorrei  che  l'azione  mia  vi  potesse  tantd 
giovare,  quanto  la  vostra  contemplazione  potrà  onorarvi; 
ma  non  tronchiamo  il  ragionaménto  . 

Forestiero.  Già,  se  non  m'ingaiino,  abbiamo  purga- 
to il  teiripio^  come  per  noi  si  poteva  ;  e  il  poeta  intei'iorc 
ha  scritto  nel  libro  della  mente  i  suoi  versi ,  a  simiglianzà 
de'quali  dee  scrivere  l'esteriore  nelle  Corti  che  son  varie  > 
è  però  diversamente  dee  poetare  . 

Vitelli.  Quantunque  siamo  in  Rom-a,  cei'chiamo  quel 
che  si  convenga  nelle  lodi  de' Principi,  e  de'Cavalieri;  per- 
chè la  canzona  del  Caro  mi  risiiona  nella  mente  ,  e  pensitii- 
do  all'armonia  delle  sue  parole  ,  mi  pare  quasi  impossibile 
che  m  altro  modo  si  possa  lodevolmente  poetare  in  questa 
jjialeria  . 

Forestiero.  Io,  come  gli  altri,  ho  poetato,  però  non 
potrei  dirvi  per  esperienza,  quanta  dilllcoltà  ci  sia  di  farr 
altramente:  ma  la  ragione  pare  che  me  l'insegni. 

Vitelli  .  Peravventura  ciò  si  farebbe  con  minor  va- 
ghezza dì  concetti,  e  di  parole,  e  forse  con  aggrandire  le 
cose  assai  meno;  laonde  si  torrebbe  molto  di  quello,  che 
fa  così  cara,  e  così  dilettevole  poesia  .*  e  se  alcuno  volesse 
innalzare  a' Principi  m()derni,  ed  a'grandissiui  Re,  quasi 
una  colonna  conseciala  a  memoria  immortale,  come  fu 
quella  di  Traiano,  vi  potrebbe  scolpire  nelli  parti  inferio- 
ri Bacco,  ed  Erc(de,  e  Teseo,  ed  Alessandro  ,  e  quegli  al- 
tri che  furono  prima  chiamati  Eroi. 

Cataneo.  Sarebbe  lecita  l'imitazione  de' Gentili ,  al- 
meno di  Salomone  ,  il  quale  nel  mirabile  artificio  del  tem- 
^)io,  e  del  Tabernacolo,  volle  che  si  figurassero  alcune 


o  degl'idoli  9,71 

jramagini,  tuttoché  elle  fossero  proibite  dalle  sue  leggi,  e^ 
alla  sapienza  di  quel  Re  pare  che  ogni  cosa  debba  con- 
cedersi ;  siccome  non  si  potè  negare  al  valore  d'Erode  che 
non  v'innalzasse  l'Aquile  de'Hofnani,  co'quali  era  stato 
partecipe  delle  perdite,  e  delle  vittorie,  Ma  quantunque 
non  si  dcbban  trattar  queste  materie,  sicuraniente  si  dee 
scrivere  n-n  quel,  che  sia  convenevole  a  difendere,  ma  quel 
ohe  sia  necessario  di  lodare. 


IL 

M  ANSO 

OVVERO 

DELL'  AMICIZIA 

DIALOGO 


ARGOMENTO 


T. 


u  Giambatista  Manso,  Marchese  della  Trilla,  amiriasìmo  del  Poe- 
ta nostro,  fino  dal  tempo  in  cui  lo  conobbe  quand'i  egli  recotn  in 
Napoli  nel  i  .1^8/  anzifn  detto  che  la  stima  per  esso  giungesse  quasi 
air  adorazione  .  Scrisse  egli  una  vita  del  Tasso,  la  cfuale  per  :nolti 
titoli  non  merita  il  dispregia  ,  in  cui  la  tiene  il  Serassi  j  più  intento 
a^ suoi  fini,  che  alla  ricerca  scrupolosa  del  vero.  Grato  il  Tasso  a 
tante  accoglienze ,  e  dimostrazioni  di  amicizia  usategli ,  tornalo  in 
Roma  nel  iSga  scrisse  il  dialogo  seguente,  che  intitolò  il  Manso  dal 
nome  dell'  amico ,  introducendola  a  parlare  col  Sig.  Scipione  Bclpra- 
to  ,  cognato  di  lui,  Cmuiliere  di  alto  e  nobile  ingegno,  e  con  se  me' 
desiino  nascosto  sotto  il  solito  nome  di  Forestiero  Napoletano  .  Co- 
minciando in  esso  a  stabilire  la  differenza  fra  V  amico  e  V  adulato- 
re, e  quindi  tra  l'  adulatore  e  il  poeta  ,  tocca  il  fine  dell'  adulatore  , 
che  è  di  compiacere,  e  quello  dell'amico,  eh' è  di  giovare  :  e  con- 
chiiide  con  Alassimo  Tirio  che  il  vizio,  e  la  virtù  distinguono  l' adu- 
latore, e  l' amico  .  Trattasi  delle  molte  qualità  ,  che  li  separano  ,  di- 
stinte con  molta  copia  di  cose  da  Plutarco-  Si  dimanda  se  tra  gli 
amici  debba  essere  uguaglianza  ;  se,  data  la  disuguaglianza  tra  essi, 
al  maggiore  sia  lecita  la  libertà  d'i  parlare  ;  ragionasi  della  vera  a 
della  falsa  eguaglianza  ,  e  ricercasi  dove  si  trovi  .  Non  si  riconosce 
nelle  repubbliche  popolari,  non  in  quelle,  dove  reggono  gli  Ottimiti ; 
e  venendo  a  trattare  in  che  essa  consista ,  conchiude  che  consista 
ne'  premj  dati  agi'  ineguali  disegualmente  ■  Si  passa  quindi  a  consi- 
derare se  l'amicizia  e  la  giustizia  sieno  la  cosa  medesima;  se  l'amici- 
zia sia  una  similitudine,  o  una  contrarietà;  se  sin  quantità,  o  quali- 
tà; e  ponendola  sotto  la  qualità,  nella  quale  è  l'amore,  si  dice  rh'eS' 
so  o  di  concupiscenza,  o  di  benevolenza,  e  si  stabilisce  che  nella  bene' 
valenza  è  l' amicizia ,  notando  però  che  debba  essere  bencvolenT,a 
Dialoghi  T  III.  i8 


274  IL  MANSO 

reciproca  .  Esietulosi ,  qìiiiifìi ,  co'niiicirito  a  par'iarr.  tìgli'  amore ,  n 
ilisciiigiiono  tre  specie  principali  di  esso  ,  Vainore  cioè  clelC onesto, 
r  amor  del  piacere ,  e  l'  amore  dell'  utile  ,  riportando  lungamente  su 
ciò  te  opinioni  di  Aristotele .  Si  discende  quindi  a  recare  le  opinioni 
degli  altri ,  cominciando  da  Dante  ,  e  ponendo  che  ogni  amore  è  o 
di  natura,  o  d'animo  ,  si  conclude  che  si  ama  o  per  natura  ,  o  per 
•volontà  ;  giacché  ,  secondo  /'  opinione  d' Isocrate  ,  le  cose  belle  f^anno 
così  tosto  la  loro  operazione ,  che  tolgono  lo  spazio  al  consiglio.  Do- 
po d"ai>er  poi  dimostralo  che  molto  ramare  assomigliasi  ali  amicizia, 
si  dubita  della  costanza  nella  medesima  ,  e  non  si  vede  altro  rifugio 
a  questa  difficoltà  se  non  la  distinzione  .  Si  distinguono  dunque,  e  su 
diviidono  le  diverse  specie  delle  amicizie ,  come  tutte  le  specie  degli 
amori  ,  riportandosi  le  opinioni  di  diversi  filosofi,  e  quelle  partico- 
larmente di  Platone,  di  Aristotele ,  e  di  Tullio .  Passando  infine  agli 
tiffl'f  dell'  amicizia  ,  e  ritornando  a  parlare  della  differenza  tra  l'a- 
micizia e  la  giustizia,  si  recano  in  proposilo  gli  esempj  d'  Agesilao, 
di  Torquato  e  di  Bruto,  che  preferirono  questa  a  quella.  E  dalla  giu- 
stizia in  particolare,  venendo  alla  virtù  in  generale,  si  tiene  per  vero 
che  /'  amicizia  non  sia  amore  scambievole  ,  ma  reciproca  virtù  ;  e 
dopo  aver  narrate  alcune  opinioni  di  Plutarco,  e  di  Aristotele  si  con- 
clude che  come  il  principio  dell'  amicizia  è  Iddio,  il  quale  è  la  copia 
e  l'abbondanza  di  tutti  i  beni,  ugualmente  egli  a'  è  il  fine  ■ 

Scrisse,  come  si  è  detto ,  il  Tasso  questo  Dialogo  in  Roma  nel 
I  592  ;  ma  non  la  mandò  che  nell'anno  prossimo  all'  amico  Man- 
so  ,  colla  lettera  seguente  ,  che  trovasi  nel  MS.  del  Serassi  non  an- 
cor pubblicato  :  «  alando  a  V.  S.  il  Dialogo  dell'Amicizia,  eia 
o  prego  che  non  voglia  ricusar  l' obbligo  di  favorirmi  ,  come  amico 
a  e  servidor  SUO  .  Del  suo  favore  potrò  aver  bisogno  in  ogni  parte, 
«  tna  in  Napoli  più  che  nelle  altre,  perchè  io  non  posso  aver  rispo- 
«  sta  né  dal  Sig.  Fulvio  Costanzo  ,  né  dal  Sig.  Orazio  Feltro,  al 
«  quale  ho  scritto  più  volte.  Il  desiderarla  dal  Sig.  Principe  di  Conca 
«  sarebbe  forse  soverchio  .  Qui  non  so  come  trattenermi  con  le  spe- 
«  ranze  solamenlte  del  Papa  ,  le.  quali  hanno  bisogno  d'  appoggio , 
a  ed  io  non  ho  potuto  avere  ancora  udienza.  A  f^.  S.  bacio  la  ma- 
«  no,  e  delle  altre  cose  mi  rimetto  alla  cortesia  del  Sig.  Scipione 
«  lielprato  .  Di  Roma  ,  il  9  di  marzo  del  iSq^  »  .  Fu  poi  il  Dialogo 
pubblicato  dopo  la  morte  dell'Autore ,  in  Napoli  presso  Gin.  Jaro- 
mo  Carlino  e  Antonio  Pace  nel  iSyG  in  4.°  (1) . 


(i)  Questo  Argomento  è  dell'Editore  . 


0  DELL  AMICIZIA  o.jS 

INTERLOCUTORI 

?L  SIG.  GIO.  BATTISTA  MANSO,  FORESTIERO  NAPOLETA.NO  , 
D.  SCIPIONE  BELPRATO  . 

Il  Signor  Gio.  Battista  Manso  colla  nobiltà  del  sangue,  e 
colia  gloria  de'suoi  antecessori^  collo  splendore  della  fortu- 
na ,  ha  congiunta  per  lunga  consuetudine  tanta  cortesia,  e 
affal)ilità  nella  conversazione, die  a  ciascuno  è  più  agevole 
interrompere  i  suoi  studj,  che  a  lui  medesimo  quelli  de'suoi 
famigliari;  e  quantunque  egli  sia  desideroso  d'imj^arare  ed 
intendere  sempre  cose  nuove,  è  nondimeno  nelle  belle,  e 
buone  lettere  ammaestrato,  ed  avvezzo  nella  lezione  degli 
ottimi  libri,  e  di  sì  alto  intendimento,  cbe  ne' luoghi  più 
oscuri, e  ne' passi  più  difficili  della  filosofia,  e  dell'istorie  è 
simile  a  coloro,  i  quali  camminano  per  vìa  conosciuta;  laonde 
non  banno  bisogno  di  guida,  ma  possono  fare  la  scorta  agli 
altri.  Piuttosto  adunque  a  guisa  di  signore,  cbe  di  pere- 
grino si  spazia  nelle  scienze,  e  s'avvolge  quasi  nel  cer- 
chio dell'arti,  e  delle  discipline.  E  benché  l'occupazio- 
ni della  Corte  sieno  impedimento  allo  studio,  tultavoU 
ta  coli'  acume  dell'  ingegno  ,  e  coli'  altezza  dell'  animo 
supplisce  al  difetto  del  tempo,  e  dell'occasioni;  però  non 
dubitando  io  cbe  le  mie  visite  gli  fossero  moleste  so- 
verchiamente, una  tra  l'altre  volte  il  ritrovai  coli' ope- 
rette di  Plutarco  davanti  ,  e  con  Don  Scipione  Belpra- 
to  ,  suo  cognato,  Cavaliere  di  sì  alto,  e  nobile  ingegno, 
e  sì  intendente  ,  cbe  niente  più  se  gli  scuopre  congiunto  in 
parentado,  cbe  imitatore  nelle  virtù,  ed  emulo  nelle  disci- 
pline; e  volendo  io  ritirarmi,  acciocché  egli  seguisse  di 
leggere,  egli  mi  disse:  ,,  non  vi  partite,  chele  cose  lette 
non  si  possono  meglio  ritenere  a  memoria,  che  di  loro  ra- 
gionando ,  ed  a  me  il  vostro  ragionamento  sarà  quasi  una 
nuova  lettura ,, . 

Forestiero  .  E  di  che  leggevate? 

GlovAìNNl'.  Della  differenza  tra  l'amico,  e  l'adulatore,  e 
come  l'uno  dall'altro  sia  conosciuto. 

Forestiero.  Teme  l'adulatore  d' esser  conosciuto  ;  mw 


2  7^)  IL  MANSO 

per  opinione  di  Aristotile  l'amico  desidera  più  d'esser  co- 
nosciuto, che  di  conoscere  ;  però  più  mi  giova  di  aver  co- 
gnizione del  vostro  merito ,  che  di  scoprirvi  la  mia  affe- 
lione,  e  non  mi  doglio  nondiuieno  che  insiine  colla  since- 
rità dell'animo  possiate  conoscere  l'ignoranza,  e  l'altre 
mie  imperfezioni .  ^ 

Giovanni.  E  chi  non  conosce  il  vostro  merito,  eia 
fama  ? 

FoJlESTIERO.  La  fama  è  bugiarda,  anzi  che  no;  laonde 
coloro,  che  sono  conosciuti  per  fama,  mi  paiono  simili  a 
quelle  immagini,  che  non  son  ritratte  dal  naturale,  ma  da 
un'altra  pittura.  Sin  ora  aduitque  non  mi  conosce  clii  pi  r 
fama  mi  conosce;  ma  io  direi  di  voler  essere  conosciuto  per 
vostro  ainico,  se  non  dubitassi  di  parere  troppo  superbo: 
ma  se  io  non  aspii'assi  alla  vostra  amicizia,  come  a  segno 
troppo  sublime,  peravventura  porrci  lunsinghiero,  e  pu- 
sillanimo  piuttosto,  benché  tutti  gli  adulatori  sieno  pusil- 
lanimi. Laonde  dall'an  lato,  e  dall'altro  veggio  il  perico- 
lo, e  volendo  tenere  una  via  di  mezzo,  somiglierei  coloro, 
che  in  Sicilia  navigano  tra  Scilla  ,  e  Cariddi ,  senza  avvici- 
narsi più  alla  destra,  che  alla  manca  parte. 

Glov^ANNl.  Strano  paragone  è  questo;  e  malagevole  na- 
vigazione adducete  per  esempio  dell'amicizia. 

F(_)RESTIERO.  L'amicizia  è  quasi  il  porto,  o  sia  quel 
della  Filosofia,  o  della  vostra  grazia  ,  o  altro  si  iiigliante;  la 
Corte  è  simile  al  mare,  in  cui  fa  uopo  di  esperto  nocchie- 
ro; i  cortigiani  simili  agli  scogli  coperti  didl'onde,  che  so- 
gliono occultamente;  sommergere  l'altrui  fortune,  i  venti 
contrarj  sono  l'avversila  di  questo  mondo;  i  mostri;  i  viz] 
degli  infelici  cortigiani,  la  cui  virtù  consiste  nello  schivar- 
gli: il  vostro  favore  quasi  celeste  e  divina  luce  può  esser 
paragonato  all'Orse,  a  cui  come  disse  un  vostro  Poeta: 
Stanco  nnccliier  di  nnlle  alza  la  testa. 

Giovanni  .  Dolcissima  cosa  è  per  se  medesima  la  pro- 
pria lode;  tuttavolht  non  è  senza  sospetto  di  adulazione. 

FoP.ESTIEP.o  .  Non  è  segno  di  adulazione  il  lodare  le  co- 
se degne  di  loda  ;  ma  di  nemislà,  o  malignità  il  tacerle: 
però  io  non  temo  tanto  il  nome  di  adulatore  lodandovi, 
quanto  quello    di   malevolo,    e    d'invidioso    tacendo  dei 


o  dell'amicizia.  277 

vostri  meriti ,  e  di  quelli   de' vostri   nobilissimi   progeni- 
tori . 

GiOVANNL Dogli  antichi  nostri  niuna  nuova  loda  potreb- 
be parer  sovercbia  ;  ma  misurandosi  colla  misura  de' miei 
proprj  meriti,  tutte  parrebbono  smisurate:  non  vogliate  a- 
dunque  oltremisura  lodarmi. 

FoUESTiERO  .  Le  mie  iddi  adunque,  quelle  dico,  che 
da  me  sono  date,  saranno  simili  alle  vostre  virtù,  tutte  mo- 
derate, anzi  tutte  misura  ,  e  tutte  mediocrità  ,  come  è  la 
vostra  modestia;  ma  io  credeva  cbe  al  poeta,  ed  all'ora- 
tore si  convenisse  il  lodare  oltremodo. 

Giovanni.  I  poeti,  egli  oratori  non  sono  amici,  ma 
adulatori. 

Forestiero.  Il  falso  adunque  leggiamo  dell'amicizia  di 
Ennio  con  Scipione,  e  di  Orazio  con  Mecenate,  e  di  tanti 
altri,  di  cui  non  è  necessario  il  far  menzione.      >   i 

Giovanni.  Se  non  furono  falsi  amici,  non  scrissero  il 
falso . 

Forestiero.  Tanta  differenza  è  adunque  tra  lo  scrivere 
e  il  parlare,  che  prirlando  sia  lecito  dire  per  l'amico  una 
menzogna,  che  di  verità  abbia  sembianza,  ma  scrivendo 
non  sia  egualmente  convenevole?  Io  avrei  piuttosto  credu- 
to che  fosse  minor  male  spargere  una  fauia  onorata  degli 
amici,  che  ingannare  i  giudici  nel  giudizio,  come  fecero 
molti  oratori  :  ma  se  in  qualche  modo  si  conviene  il  dir 
le  bugie,  è  lecito  all'a  nico. 

Giovanni  All'adulatore  piuttosto,  il  quale  essendo  ne- 
mico della  verità  (  couie  dice  Plutarco  )  è  nemico  di  Dio, 
perciocché  la  verità  è  divina  cosa,  dalla  quale  quasi  da  fon- 
te, derivano  tutti  i  beni,-  e  quantunque  l'adulatore  fosse 
(come  dicevano  gli  antichi  Filosofi  )  nemico  della  Deità, 
ripugnava  particolarmente  a  quella  di  A.polline;  percioc- 
ché Apolline  ci  conforta  a  conoscere  noi  stessi .-  ma  l'adu- 
latore ci  priva  di  questa  cognizione,  e  quasi  c'inserisce 
nell'animo  una  filsu  opinione,  per  la  quale  ingannando 
noi  medesimi ,  non  conosciamo  ne  i  nostri  beni ,  né  i  nostri 
mali,  ma  i  beni  quasi  tronchiamo,  e  facciamo  scemi,  ed 
imperfetti;  i  mali  divengono  incorreggibili,  e  senza  emenda. 

Forestiero.  La  menzogna  dell'  adulatore  adunque  è 


278  IL  MANSO 

contraria  a  quella  del  poeta,  perchè  l'ima  è  cagione  d' igno- 
ranza ,  l'altra  di  scienza  piuttosto,  perciocché  nella  sua 
imitazione  è  una  falsità^  che  insegna  a  conoscere  la  natu- 
ra delle  cose  imitate. 

Giovanni.  La  imitazione  è  simile  allo  specchio;  il  poeta 
similmente  mostra  l" immagine  delle  cose. 

Forestiero.  Cotesto  è  vero ,  ma  lo  specchio  rappre- 
senta l'immagine  delle  cose  esteriori,  il  poeta  mostra  al- 
l' amico  quelle  delle  interiori . 

Giovanni.  Se  il  poeta  è  imitatore,  è  peravventura  simi- 
le ali  Alchimista,  come  per  giudicio  di  Piutjrco  è  l'adu- 
latore, perchè  gli  Alchimisti  non  Cmno  le  cose  di  oro  ,  ma 
imitano  solamente  lo  splendore  dell'oro;  così  l'adulatore 
imita  solamente  la  piacevolezza  dell'amico,  non  facendo 
inai  resistenza,  né  contendendo  in  alcuna  cosa;  ma  tacen- 
do la  verità,  o  dicendo  la  bugia  per  compi  icere.  E  dice  il 
medesimo  Aristotile  che  (  siccome  la  pittura  è  una  tacita 
poesia,  COSI  tacendo  alcuna  volta  suole  lodire  )  l'adulatore 
è  quasi  un  tragico  Istrione  dell'amicizia,  perchè  siccouie  è 
un'  estrema  ingiustizia  l'essere  riputato  giusto,  cosi  l'adu- 
lazione nascosa  nel  silenzio  è  oltre  ad  ogni  altra  pericolo- 
sissima . 

Forestiero.  Adunque  tacendo,  e  parlando  è  pestifero 
l'adulatore;  il  poeta  all'  incontro  dovrebbe  essere  giovevole 
ancora  colla  bugia,  e  se  alcune  bugie  sono  ufficiose,  cioè  che 
possono  giovare,  tali  istimoche  sieno  le  bugie  de'poeti^  av- 
vengachè  lodando  l'azioni ,  che  meritarono  loda  ,  accresca- 
no la  virtù  del  lodilo  ,  se  è  vero  quel  chcì  si  dice  :  Firtm; 
laudata  crcscit  :  ma  negli  onori  non  meritati  ,  le  lodi  sono 
quasi  consigli,  ed  avvertimenti  del  meritarle,  e  fanno  ver- 
gognare della  propria  imperfezione  colui,  che  non  se  ne  co- 
nosce degno,  perchè  da' medesimi  fonti  sogliono  derivar  le 
lodi,  e  l'ammonizioni,  ma  il  consigliare,  e  l'ammonire  si 
conviene  a  persona  più  grave  ,  come  è  quella  di  hlosofo  ,  e 
di  maestro;  il  lodare  è  più  convf-nienlc  a  qiuMla  virtù  del- 
l'amicizia, la  quale  consiste  nella  conversazione. 

Giovanni.  Questa  è  un'altra  virtù  diversa  da  quella  , 
che  noi  propriamente  chiamiamo  amicizia. 

Forestiero.  E   come    voi  dite:  nondiaieno  Aristotile 


o  dell'amicizia  979 

quella  del  conversare  cbiama  virtù  senza  fallo,  l'altra  la- 
scia in  dubbio  se  ella  sia  virtù,  ma  vuol  nondimeno  cb 'el- 
la non  sia  senza  virtù  . 

GlOVAìN'NI.  O  sia  virtù,  o  congiunta  colla  virtù,  è  diver- 
sissima dall'adulazione  nell'operazioni,  quantunque  nella 
similitudine  possa  essere  simigliante. 

Forestiero-  Distinguiamo  adunque  fra  l'una,  e  l'altra, 
o  distinguete  piuttosto,  percbè  distinguendo  farete  due  ot- 
time cose  in  un  tempo  ,  l'una  di  schifìr  l' inganno,  l'altra 
di  ridurvi  in  memoria  le  cose  dette  ,  o  di  ridurmi  piut- 
tosto . 

GlOVANNL  La  distinzione  (  come  piace  a  Plutarco  )  è  dal 
fine,  e  dall'uso,  percioccbc  il  fine  dell'  amico  è  il  giovare, 
dell'  adulatore  il  compiacere  ;  diletta  nondimeno  ancora 
l'amico  ,  ma  siccome  ne' profumi,  ed  in  alcuni  unguenti 
sentiamo  l'odore,  ma  quello  appareccbiato  per  compiace- 
re al  senso  solamente,  questo  purga  ,  e  riscalda  ,  e  copre  la 
ferita  di  carne,  ed  oltreciò  è  odorifero  molto:  così  la  vi- 
cendevole benevolenza  degli  amici  nelle  cose  oneste  suol 
dilettare;  ne'giuocbi,  e  negli  scherzi,  e  nella  beffa  è  quasi 
condimento  delle  cose  oneste,  e  delle  gravi  ;  ma  l'adulato- 
re ba  questo  sol  fine,  ed  a  questo  solo  è  intento,  al  ritro- 
var, dico,  qualcbe  giuoco,  o  qualche  ragionamento,  o  qual- 
che artificio  da  piacere;  e  per  ristringere  in  poche  parole 
questa  materia  ,  non  è  cosa  ,  che  l'adulatore  non  stimi 
conveniente,  solo  che  diletti:  ma  l'amico,  facendo  sempre 
quel  che  conviene  ,  spesso  è  pi  tcevole  ,  spesso  è  molesto; 
né  soverchiamente  studia  di  piacere,  ne  troppo  schifa  la 
molestia,  si  veramente,  ch'egli  apporti  giovamento  ed 
utilità. 

Forestiero  .  Da  Massimo  Tirio  più  brevemente  si  ha 
questa  conclusione,  che  l'amico  sia  distinto  dall'adulatore 
non  dal  piacere,  o  dalla  noia  ,  né  dal  danno  ,  o  dall'utile  ; 
ma  dal  vizio  e  dalla  virtù:  avete  udito  l'  opinione  dell'uno, 
e  dall'altro . 

Giovanni.  Ma  Plutarco  con  molte  altre  dilTercnze  sepa- 
ra l'uno  dall'altro  distinguendolo  dalla  causa  ,  e  dal  prin- 
cipio, perché  la  similitudine  de' costumi  è  principio  d'ami- 
cizia; e  la  necessità,  dell'adulazione,  o  altra  cosa,   che 


x8u  IL  MANSO 

faccia  gli  uomini  diseguali  ,  Ha  cia'?cuno  ollivciò  la  sua 
proporietà ,  e  quasi  l'ulEcio  per  opini  )ne  di  Plutarco,  il 
quale  non  ci  volle  solanente  insegnare  la  differenza  ,  che 
è  Ira  J oro ,  aia  la  proprietà  dell'uno  e  dell'altro.  È  pro- 
prio dell' aulico  la  libertà  del  parlare,  dell'adulatore  il 
parlare  a  voj^lia  altrui,  per  acquistarsi  grazia  ,  e  benevo- 
lenza; ma,  essendo  l'adulatore  astutissi;no  ,  cerca  d'i;ni- 
tarla  a  guisa  di  cuoco,  il  quale  condisce  le  vivande  con  di- 
versi sapori;  ed  acciocché  la  soverchia  dolcezza  non  ven- 
ga a  noia,  la  tempera  coll'agro  e  coll'aceto:  ma  ci  è  inse- 
gnato ancora  il  modo  di  conoscere  questo  inganno,  per- 
ciocché l'adulatore  non  è  costante  neirÌTnitazione,ma  mu- 
tabile in  ciascuna  forma,  e  vario,  e  sempre  diverso  da  se 
stesso;  co' cacciatori  e  cacciatore,  e  giuocatore  co'giuo- 
catori,  e  musico  fra' musici ,  lieto  co'  lieti;  mesto  co'  me- 
sti ,  ed  in  som;na  si.nile  al  camaleonte,  il  quale  piglia  tut- 
ti i  colori  delle  cose,  che  gli  sono  vicine,  o  piuttosto  come 
le  linee  de' mattemalici  ,  e  le  superficie  non  si  piegano,  né 
si  distendono,  né  si  muovono  da  se  stesse,  ma  si  piegano, 
e  si  distendono,  e  si  muovono  di  luogo  co'corpi,  decpiali 
sono  estremità;  così  l'adulatore,  sempre  consente  con  gli 
altri,  e  dice  il  parere,  e  discorre,  ed  intende  a  modo  al- 
trui ,  e  suole  ancora  a  voglia  degli  aliri  adirarsi .  Sono  dif- 
ferenti oltreciò  l'amico,  e  l'adulatore,  che  l'amico  trala- 
scia ne'nego/j  alcune  cose  minute,  e  non  mostra  soverchia 
diligenza,  o  curiosità  ;  l'adulatore  nelle  cose  sì  fatte  è  as- 
siduo, ed  infaticabile  ,  e  non  concede  ad  alcun  altro  luo- 
go, o  tempo  di  servire.  L'amico  concedo  l'utilità  all'ami- 
co ,  ma  l'onestà  riserbi  a  se  stesso.  L'adulatore  concede 
di  leggieri  la  vittoria  Jellii  cose  oneste  .  ed  in  ciascuna  ope- 
razione si  ront.nta  delle  seconde  parti,  se  non  ne'vizj,  ma 
in  quelli  vuole  il  principato:  alcuno  dice  di  amare,  egli  af- 
ferma d' impazzire  ;  scaltri  si  mostra  irato,  vuol  parer  fu- 
rioso: ma  in  ninna  cosa  meglio  si  conosce,  che  negli  u(Bcj, 
e  nel  modo  di  servire,  perciocché  gli  ulTiC],  fatti  dall'amico 
non  sono  esposti  ag'i  occhi  di  ciascuno  a  guisa  di  merci, 
né  ricercano  il  plauso  nel  volgo,  né  la  vanagloria,  o  l'am- 
bizione; ma  il  più  delle  volte  sono  occulti,  come  il  dono 
di  Archesilao  fatto  ad  Apelle  infermo,  ilquale  ritrovando 


O  Di:i.L'AMir,T/,TA  28  f 

solto  il  cuscino  le  dieci  dramme  iasciitléyli  dall'amico,  qitn- 
si  volesse  accomodare  il  capezzale,  disse  sorridendo  alla 
fante,  che  l'aveva  ritrovate:  questo  è  uno  de'furti  di  Ar- 
cltesilao  .  Non  altrirnenli  per  inio  avviso  i;li  ottimi  medici 
sogliono  sanare  gì'  internii  ,  quantunque  i^V  infermi  jion 
sappiano  di  risanare;  o  piuttosto  in  questa  maniera  «tessa 
Iddio  fa  beneficio  agli  uomini ,  die  non  si  avveggono  di  ri- 
ceverlo: ma  all'incontro  l'urticio  dell'adulalore  non  l.H 
parte  alcuna  di  giusto,  e  di  vero  ,  o  di  semplice  ,  o  di  li- 
berale, ma  si  appaga  del  grido,  e  del  corso,  e  dell'appa- 
renza, e  dell'opinione,  come  di  cosa  fatta  con  molta  lati- 
ca ,  e  con  molto  studio;  oltreeiò  l'adulatore  rion  solo  rim- 
provera il  fatto  benefìcio,  ma  ne!  farlo  è  uso  di  gloriarsene. 
L'amico,  se  così  fosse  r.ecessario,  delia  cosa  medesima 
parlerebbe  modestamente;  di  se  stesso  nulla  dir'*bbe:  ma 
non  si  conosco  principalmente  l'amico  dall'adulatori', 
percbè  questo  sia  avvezzo  di  servire  mal  volentieri  ,  e  di 
proii'ettere  agevolmente,  ma  piuttosto  percbè  l'amico  ser- 
ve l'amico  nelle  cose  oneste,  l'adulatore  nelle  brutte; 
l'uno  per  far  giovamento  ,  l'altro  per  acquistar  grazia. 
Fra  l'altre  diflerenze  aggiungerò  cpjcsta  ,  cl.e  l'anaco  è 
partecipe  piiittosto  d' ll'infelit  ita  e  degl'infortuni,  che 
dell'ingiustizia:  l'adulatore  all'incontro  fugge  colla  ma- 
la ,  e  ritorna  colla  bm  na  fortuna;  ma  fuggendo  ,  e  ritor- 
nando, è  sempre  congiunto  col  vizio  :  ma  l'amico  ne'  peri- 
coli ci  sovviene,  nelle  fatiche,  e  nelle  spese,  e  nelle  cose 
rualagevoìi  ;  e  solamente  in  quelle,  che  sono  congiunte  con 
qualche  vergogna  ricusa  di  adoperarsi;  l'adulatore,  tutto 
al  contravin  .  si  scusa  nelle  fatiche,  e  nell'operazioni,  che 
lianno  difficoltà  ,  e  malagevolezza  :  non  si  trova  coli' amico 
a  difender  la  causa  ,  non  a  consigliare,  non  l'accompagna 
nelle  contese  ,  ò  nelle  battaglie';  ma  a'cmvili,  alle  comme- 
die, alle  feste,  a'giuochi  corre  non  chiamato,  fedel  mini- 
stro,  e  messaggiero  di  amore,  e  diligentissimo  investiga- 
tore de' piti  fini ,  e  preziosi  vini  ,e  delle  più  dilicate  vivan- 
de ,  e  della  femminile  onestà  nemico,  ed  insidiatore.  Ne- 
cessario ancora  è  l'amico,  inutile  l'adulatore  ;  laonde  è  si- 
i))igliante  alla  simia  .  la  quale  sa  imitar  solamente,  ma  non 
può  guardare  la  casa  ,  come  il  cane  ;  non  portare  la  sor. «a 
T  III.  Dialo^ln  .  y 


-ìf^y.  IT.  MANSO 

come  il  cavallo,  non  arare  la  terra  come  il  bue  ,  però  so« 
stiene  l'ingiurie,  e  i  disprezzi ,  e  non  si  reca  ad  onta  di  es- 
ser beffato  ,  e  scbernito ,  e  di  farsi  quasi  giuoco  e  trastullo 
degli  adulati .  Ecco  alcune  delle  molte  cose  dette  da  Plu- 
tarco per  insegnarci  a  conoscere  Tuno  dall' altro  ,  per  le 
similitudini  ,  e  per  le  dissimilitudini,  per  le  proprietà ,  e 
per  le  dillerenze  di  ciascuno.  Proprietà  è  dell'amico  il 
parlar  liberamente,  dell'adulatore  il  favellare  in  grado  : 
ma  nell  operazioni  è  proprio  dell'amico  l'essere  ufficioso; 
dell'adulatore  il  ricusare  i  pericoli,  e  le  fatiche.  Sono  dif- 
ferenti nel  principio,  perchè  l'amicizia  nasce  da  similitu- 
dine ,  r  adulazione  da  dissimiglianza  .  Nell'elezione,  perchè 
1  amico  elegge  di  esser  partecipe  della  sciagura,  non  della 
colpa;  l'adulatore  fugge  la  mala  ventura,  ma  del  vizio  non 
è  nemico.  Dal  fine  ,  perchè  l'uno  ha  per  fine  il  giovare  ; 
l'altro  il  piacere.  Dall'uso  ,  perchè  l'amico  è  necessario  , 
l'altro  inutile.  Dal  modo,  perchè  l'amico  ,  pur  che  non 
manclii  nelle  più  vili  cose,  nelle  grandi  non  ha  difetto,  ma 
l'adulatore  in  queste  è  difettoso,  in  quelle  soverchio  .  Da- 
gli effetti  ancora  ,  avvengachè  giovi  l'amico  nell'operazio- 
ni, nuoca  l'adulatore:  ed  in  soruma  dallo  studio  ,  e  dalla 
contesa,  perchè  l'adulatore  cede  la  vittoria  delle  cose 
oneste,  ma  in  questa  sola  non  si  contenta  l'amicizia  di  es- 
ser superata  .  Quinci  avvenne  che  risuonarono  di  grida,  e 
d'applauso  gli  antichi  teatri  nel  contrasto  di  Pilade,  e  di 
Oreste ,  quando  ciascuno  voleva  morire  per  l'  amico  ,  e 
vincer  di  magnanimità:  e  i  nuovi  parimente  colle  medesi- 
me voci  si  maravigliarono,  se  io  ne  intesi  il  vero,  per  l'emu- 
lazione di  Ruggiero  ,  e  di  Leone ,  e  di  quella  lor  magnani- 
ina  contesa  . 

FORKSIIERO.  Di  molte  cose  mi  maraviglio,  e  di  molte 
son  dubbio;  e  prima  noi  abbiamo  conchiiiso  che  l'amici- 
zia ami  la  verità,  ed  abborrisca  la  falsità  . 

Giovanni,  Senza  fallo. 

Forestiero.  Ma  se  ciò  è  vero ,  più  laudevole  sarà  nel- 
r  amicizia  la  verità  detta  da  Oresle  di  essere  Oreste  ,  che 
la  bugia  detta  da  Pilade  di  essere  Oreste  per  morire  in  ve- 
ce dell'amico. 

Giovanni  .  L'  una  e  V  altra  è  parimente  laudevole  . 


O  deli/ AMICirJA  oS3 

Forestiero.  Adunque  l'amicizia  non  ama  più  il  vero 
del  falso,  ma  l'uno  e  l'altro  egualmente,  anzi  piuttosto 
concede  la  somma  laude  alla  falsità  ,  perchè  la  verità  det- 
ta da  Oreste  non  meritava  gran  fatto  di  esser  lodnta  ,  non 
potendo  egli  consentire  alla  morte  ,  ed  alla  buijia  dell'  a- 
niico  senza  colpa;  tna  la  menzogna  di  Pilade  è  quella  ,  che 
mosse  la  maraviglia,  e  fece  risuonare  i  teatri  con  applauso 
della  sua  incredibile  costanza  :  e  se  quello  è  vero,  che  «i 
condiiude  per  questo  argomento  ,  in  ninna  occasione  la 
verità  confermò  tanto  l'amicizici,  quanto  in  questa  la  mrn- 
zogna  detta  non  all'amico,  ma  per  l'amico.  Ecco  uno  dei 
miei  duhbj.  ne' quali  io  sono  avviluppato,^ e  il  Signor  Gio- 
vanni, che  può ,  non  si  «di^gricrà  discioglier  questo  nodo» 
L'altro  mio  dubbio  è  nella  proprietà  ,  che  voi  colle  paro- 
le di  Plutarco  jitlribuiste  all'  amicizia  ,  perchè  io  avrei 
detto  che  l'amicizia  non  avesse  cosa  alcuna  di  proprio. 
ma  tutte  fossero  comuni. 

Giovanni  .  Tutte  sono  comuni  Ir  tose  utili,  ma  uello- 
iiesh»  ha  l'amico  qualclrt"  proprietà. 

Forestiero  .  In  questa  guisa  l'amicizia  non  «ara  avara 
cosa  ,  ma  ambiziosa  molto  ,  poiché  riserba  per  sé  la  viUo- 
ria  delle  cose  oneste,  dailf  quali  nasce  l'onore. 

Giovanni  .  Diciamo  adunque  che  fra  gli  amici  ogni 
cosa  è  comune  ;  ma  alcune  nondimeno  sono  proprie  di  tut- 
ti gli  amici ,  e  non  comuni  agli  adulatori ,  come  è  la  liber- 
tà del  parlare  ,  la  quale  Plutarco  assomiglia  all'asta  di 
Achille;  perchè,  siccome  Patroclo  vestendosi  1' arme  del 
compagno  condusse  i  cavalli  in  haltagUa,  e  solamente  la 
lancia  non  fu  ardito  di  toccare,  cosi  conviene  che  l'adula- 
tore, mentre  va  quasi  ombreggiando  il  culto  e  gli  orna- 
menti dell'amico,  ed  imita  le  insegne  e  le  imprese  ,  lasci 
solo   la  libertà  del  parlare,  come  peso  troppo  grave. 

Forestiero.  Da  un  dubbio  nascono  molti;  ne  so  la  ca- 
gione, perchè  Pilade  sia  sotnigliato  all'adulatore,  se  forse 
non  ci  vuol  significare  che  se  fti  amante  ,  fu  adulatore; 
perciocché  tutti  gli  amanti  sono  in  qtialcbe  modo  lusin- 
ghieri. Ma  se  fu  amico,  non  doveva  lasciare  la  lancia,  cioè 
la  libertà  del  parlare  .  la  quale  si  conviene  a' maggiori  di 
età  :  ma  Pilade  f  come  (eauiamo  in  Omero,  rd  in  Platone  , 


284  "-  MAlsrso 

nera  me  giovane  di  A^cbille  ;  poteva  adunque  ammonirlo,  e 
doveva  farlo,  ma  forse  ebbe  riguardo  alla  disuguabtà  del 
valore  e  della  fortuna  . 

GIOVANM.  A  questa  senza  tallo. 

Foresi lEJlo.  Ma  l'amicizia  dovrebbe  essere  fra  gli^- 
guali,  come  dice  Aristotile,  il  quale  oltre  quell'amicizia, 
cbe  è  propriamente  detta  amicizia, ragiona  di  un'altra, cbe 
egli  ne' libri  a  JNicomaco  cbiama  in  super-eccellenza ,  la 
quale  è  fra'  superiori,  e  gl'inferiori  di  virtù,  o  di  fortuna: 
!na  gli  amici  diseguali  essendo  nella  disegualità  simili  agli 
adulatori,  deono  esser  somiglianti  nel  rispetto  del  ragio- 
nare, e  concedere  tutte  le  cose  a' maggiori. 

GiOVANKI.  Senza  f.dlo. 

FOKESTIER.0.  Ma  questa  maggioranza  in  qual  cosa  prin- 
cipalmente dee  esser  considerata,  nella  fortuna,  nell'età, 
o  nella  virtù? 

Giovanni.  Nella  virtù  piuttosto,  e  nel  valore. 

Forestiero.  Adunque  fu  lecito  ad  Acbille,  div  era 
valoroso  cavaliere,  ragionare  con  tanta  libertà  contro  Aga- 
mennone più  veccbio  di  lui,  e  di  maggiore  autorità. 

Giovanni.  Non  parve  a  molti  conveniente. 

P^ORF.STIERO .  Forse  fu  lecito  a  Calistene,  come  a  vec- 
cbio ed  a  filosofo,  il  ripigliare  Alessandro  così  acerba- 
mente, e  con  sì  rigitlo  parlare. 

Giovanni.  Né  Calisttne  meritò  lode  dell'acerba  ripren- 
sione. 

FORESTlEl\0  .  In  qual  maggioranza  adunque  di  amicizia 
è  lecita  la  libertà  del  parlare,  se  non  conviene  in  quella 
della  virtù ,  o  dell'età  ?  In  quella  della  fortuna?  adunque 
gli  amici  maggiori  non  sono  i  più  nobili,  i  più  valorosi  , 
rna  i  più  ricebi ,  come  piace  -i  Monsignor  della  Casa  ,  cbe 
de' beni  della  fortuna  fu  oltremodo  abbondevole. 

Giovanni,  lo  direi  cbe  ivi  si  convenga  njaggior  liber- 
tà del  parlare,  ove  sia  maggior  dignità  . 

Forestiero.  Cotesto  potrebbe  esser  vero,  se  la  dignità 
fosse  congiunta  colla  potenza  r  ma  essendo  disgiun^a,  ai 
più  degni  sarebbe  molto  pericoloso  il  parlare  rigidamente. 

Giovanni.  Senza  dubbio. 

Fokestikro.  Dunque  se  la  dignità  sola  ritiene  la  liber- 


O  DF.L!>"A!VIICIZ(\  •  it85 

tà,  Ifl  ritiene  con  pericolo:  ma  se  la  riserva  congiunta  colla 
potenza  ,  la  mag;^ioran/a  è  pure  della  fortuna  ;  laonde  per 
non  concedere  alla  fortuna  alcuna  superiorità  ,  non  per- 
metterei clie  fosse  alcuna  superiorità  nell'amicizia, ma  dirci 
cìie  la  vera  amicizia  fosse  tra  gli  e^^uali  solamente,  se- 
guendo in  ciò  il  giudizio  dc'Pittagorici,  il  quale  ,  come  ri- 
ferisce Alessandro  Afrodiseo  commentatore  di  Aristotile 
sopra  i  libri  scritti  da  lui  delhi  Filosofia  divina,  delinirono 
r  atniiàzia  parimente  pari:  quasi  non  bastasse  quello  die 
è  eguale  inegualmente,  ma  alla  vera  amicizia  si  richiedes- 
se la  vera  egualità;  ed  agevolmente  credo  che  dal  Signor 
Giovanni  mi  sarà  conceduto  che  si  ritrovi  la  vera  egualità, 
quantunque  quel  ch'ella  sia,  o  quale,  per  sentenza  di 
Platone  nel  dialogo  decimo  delle  leggi,  è  occulto  ad  ogni 
altro  giudizio  se  non  a  quello  dcgl'  Iddii. 

Giovanni.  E   come  si  può  negai-e  quel  che  approva 
Platone? 

Forestiero.  Ma  concedendosi  che  si  trovi  una  vera  e- 
gualità  per  nascosa,  ch'ella  sia,  è  necessario  ancora  che  ci 
sia  una  falsa  egualità, nella  quale  di  leggieri  ci  avvegnamo, 
e  quasi  altra  egualità  non  conosciamo;  laonde  non  possia- 
mo conoscere  agevolmente  ch'ella  sia  falsa.  Dico  che  è 
necessario  che  ella  ci  sia  ,  perchè  non  può  eésere  l'un  con- 
trario che  non  sia  l'altro,  ma  la  vera  e  falsa  egualità  sono 
a  mio  parer*»  contrarie,  se  forse  alla  vera  egualità  non  vo- 
gliamo piuttosto  dar  per  contrario  la  fdsa  inegualità  . 
Giovanni.  Come  vi  pare. 

Forestiero.  Ma  pcravventura  la  fdsa  inegualità,  e 
l'egualità  vera  potrebhono  essere  l'istesso,  o  un  istcsso 
subietto;  ma  la  falsa  egualità,  e  la  vera  egualità  non  pos- 
sono in  alcun  modo  essere  insieme:  ma  ricercando  la  vera 
egualità  ,  non  so  se  anderemo  cercando  quello  che  è  egua- 
le per  sé:  il  quale  si  ricerca  nel  Mennone  di  Platone;  ma  o 
sia  l'istesso  l'eguale  per  sé  da  quello  che  è  veramente  e- 
guale,  o  pur  diverso,  bastici  ora  di  trovare  quello  ,  che  è 
veramente  eguale, 

Giovanni  .  Non  fie   mica  picciolo  acquisto  il  ritrovarlo. 

Forestiero.  Ma  dove  l' anderemo  noi  cercando?  nelle 

Repubbliche  popolari,  dove  coloro  che  sono  eguali  nella 


2.%  IL  MANSO 

libertà,  vogliono  essere  eguali  in  ciascun  allrn  cosa,  e  lut- 
le  lo  governano  colla  proporzione  aritmetica?  Diremo  dun- 
que che  eguali  fossero  Iperl)<>lo,  ed  (Aristide,  e  che  tra  lo- 
ro fosse  cgualilà,  perchè  erano  pari  nella  libertà. 

Giovanni.  Ciò  a  niun  modo  può  tollerarsi. 

FoRESllKKO.  Dunque  la  vera  egualità  non  sarà  nelli 
Repubbliche ,  dove  ciascuno  si  stima  degno  de*  medesimi 
onori,  ne  i  buoni,  e  i  rei ,  come  dice  Isocrate  ,  debbono  es- 
sere egualmente  onorati  . 

Giovanni.  Non,  per  opinione  de' più  savj . 

Forestiero.  Non  vi  essendo  la  vera  egualità,  non  vi 
fie  peravventura  la  vera  amicizia:  la  cercheremo  adunque 
piuttosto  nelle  Repubbliche  degli  Ottimati;  nelle  quali  gli 
onori ,  e  i  premj  sono  compartiti  con  proporzione  geo- 
metrica . 

Giovanni.  Cosi  mi  pare  più  convenevole. 

Forestiero.  Ma  se  ciò  è  vero,  la  vera  egualità  fi(ì 
quella,  che  premia  egualmente;  perciocché,  siccome  inse- 
gna Aristotile  nel  quinto  delle  sue  Morali,  deono  pigliarsi 
quattro  termini,  cioè  due  cose,  e  due  persane  :  sia  Achil- 
le di  dignità ,  e  merito  quasi  dodeci ,  Patroclo  come  sei; 
siano  due  cose  l'una  di  prezzo  di  otto  ,  1'  altra  di  quattro  : 
siccome  Achille^  il  quale  è  il  dodici,  si  considera  in  rispet- 
to di  Patroclo,  che  è  il  sei,  così  la  cosa  ,  che  è  otto  data 
per  mercede  ad  Acliille  nel  compartimento  delle  prede,  ha 
il  medesimo  riguardo  a  quella  di  quattro  ,  che  si  diede  a 
Patroclo  ;  dunque  l'egualità  consiste  nei  premj  dati  agi'  i- 
neguali  diseguahnente. 

Giovanni  .  Così  pare  convenevole. 

Forestiero.  Questa  è  dunque  vera  egualità. 

Giovanni.  Vera, 

Forestiero.  E  fra  costoro  potrà  esser  vera  amicizia . 
Giovanni  ,  Tale  fu  l'opinione  di  quei  tempi.. 

Forestiero.  Dunque,  al  contrario,  abbiamo  conchiuso 
di  quel  clie  prima  credevamo,  cioè  che  Ift  vera  egualità  sia 
disugualmente  eguale:  e  questa  è  quella  egualità  ,  se  non 
m'inganno,  la  quale  è  nel  Cielo,  dove  non  tutti  partecipa- 
no egualmente  della  gloria ,  benché  fra  l'anime  beale  sia 
somma  amicizia  e  somuia  concordia. 


O  dell' A>ÌICIZIA  287 

Giovanni  .  Assai  è  certa  questa  cliinoslraaiune  ;  s' iii- 
i^aDiiiiroiio  iuluni|ue  i  Pittagoiici  ,  ed  io  con  essi  stiuiaiulo 
clie  la  vera  amicizia  sia  quella,  che  è  parimente  pari,  per- 
chè ella  non  è  nelle  Repubbliche  degli  Ottimali,  ne  pur 
nel  Cielo.  S'ingannarono  ancora  dicendo  che  la  ^iustiiia  è 
quella,  che  è  parimente  pari,  co<ne  riferisce  Aristotile  nei 
libri  ad  Eudemo  ,  perchè  l.i  giustizia  sarebbe  il  uicde'^iinu; 
ed  oltreciò  la  vera  giustizici  non  si  troverebbe  nella  propor- 
zione geometrica,  ma  nell  aritmetica  ,  non  tra  gì' iddii  ,  o 
Ira  gli  ottimi  Principi  i  ma  nelle  Repubbliche  popolari:  il 
die  è  falso* 

Giovanni.  Così  mi  pare  senza  dubbio. 
FoJxESTlEllO.  Ma  torse  non  è  inconveniente  clie  la  giu- 
stizia ,  e  l'amicizia  sia   T  istessa  cosa,  o  molto  congiunta  , 
come  parve  ad  Aristotile;  e  quando  i  Pittagorici  delìuiro- 
no  che  l'amicizia  fosse  quella,  che  parimente  è   pari,  vol- 
,lero  ch'ella  fòsse  tVa  due  pel'sone ,  eguali  noti  solamente  di 
libertà,   ma    di  età,  di  merito,  di  valore,  e  di  dignità, 
a'  quali  tutti  gli  ortori  e  tutti  i  premj  egualmente  eguali  si 
dovessero    concedere.    i\Ia    tali  peravvtìntura   non  furono 
Teseo  ,  o  Piritoo,  né  Achille,   o  Patroclo  ,  né    Piiad  ■  ,  ed 
Oreste  i  né  Lelio,  e  Scipione;  laonde  è   piuttosto  l'idea 
dall'amicizia  ,  dalla  quale  potevano  peravventura  preade- 
J-e  esempio  Torquato,  e  Valerio  Corvino,  o  Cesare,  e  Pom- 
peo, se  fosj.el'o  stali  contenti  di  essere  amici ,  o  Bruto,  o 
Cassio  se  giusta  fosse  stata   la  loro  azione:  ed  io  in  questa 
idea  riguardai,  quando  descrissi  l'amicizia  del  Re  di  Golia, 
e  di  quel  di  Svezia:  ma  l'amt^re  non    consenti    che  io  po- 
tessi descriverla  perfetta .  Molto  adunque  sono  dubbioso 
se  la  veta  amicizia,  lu  quale  dee  consistere  nella  vera  egua- 
lità, sia  quella  ,  che  egualmente  è  eguale;  o  pur  l'altra  pa- 
ri imparimente,  perciocché  è  malagevol  molto  l'affermare 
che  fra   Lelio  e  Scipione,  e  fra  gli  altri  già  detti  non  fosse 
vera  amicizia  ,  quantunque  fosse  in  eccellenza;  non  essen- 
do egualmente  eguale  ,  e  non  potendo  la  virtù  di  Lelio  ag- 
guagliarsi col  valore  di  Scipione  ^  né  quella  di  Patroclo 
colla  fortezza  di  Achille,  e  così  negli  altri .   Dall'altro  lato 
non  dovrebbe  parerci  maraviglia  se   l'amicizie  (  per  cosi 
dire  )  degli  uomini  non  siano  così  perfette,  come  è  quella 


2t8t)  'IT.  MAASO 

considerala  ila  PiLlagoricujunsi  in  idea,  dico  ijuasi  1.11  idea 
perchè  altro  sono  i  numeri,  altro  l' idee,  tuttavolla  non  vi 
mancarono  di  quelli ,  che  dissero  che  erano  il  medesiiiio  . 

Giovanni.  Questa  mi  pare  as,sai  sottil  r.iyione. 

FORKSTlEflO.  Forse  con  maggiore  applauso  si  potrcldje 
affermare  che  l' amore  non  è  men  possente  della  morte; 
laonde  se  la  morte  agguaglia  tutte  le  nostre  disuguaglianze 
(come  dice  il  Petrarca  )  può  l'amore  parimente  far  pari 
'ìe  cose  dispari ,  e,  come  disse  Aristotile,  (juando  si  ama. 
comesi  conviene  alla  dignità  di  ciascuno,  si  fa  alcuna 
egualità  ;  laonde  se  la  sapienza  di  Lelio  era  eguale  alKi 
inagnaniu\ilà  di  Scipione,  o  la  prudenza  di  Ulisse  alla  for- 
tezza di  Diouiede,  h.istava  la  benevolenza,  e  la  concordia 
a  fare  l'egualità:  potremo  adunque  riporre  la  vera  aiuiti- 
zia  piuttosto  fra  gli  eguali,  che  fra  gl'ineguali  ,  e  diremo 
con  Aristotile  che  avvenga  il  contrario  nella  giustizia  ,  e 
nell'amicizia;  perchè  nella  giustizia  primi(U"araente  siri- 
cerca  quella  egualità  ,  la  quale  e  per  dignità  ,  poscia  quella 
che  è  per  convenienza;  nell'amicizia  prima  quello,  che  e 
eguale  per  quantità,  l'altro  dopo. 

Giovanni.  Così  stimo  convenevole. 

Forestiero.  Ma  qual  vorremo  che  sia  il  suo  genere  ? 

Giovanni.  La  egualità  per  le  ragioni,  die  sin' ora  si  so- 
no addulte. 

Forestiero.  Il  pari  piuttosto,  cli'è  uno  de'dieci  ordi- 
ni de'Pittagorici  ,  o  delle  dieci  opposizioni  ordinate  all'  in- 
contro ,  che  escono  quasi  sommi  generi  delle  cose  :  ma  po- 
nendo l'amicizia  sotto  il  pari,  convenevolmente  la  inimi- 
cizia, e  la  discordia  sarà  riposta  sotto  limpari , 

GlovANNliCosl  pare  assai  conveniente,  perchè  assai  vol- 
te la  discgualità  è  cagione  di  niuiistà ,  come  suole  avvenire 
nelle  Repubbliche,  e  ne'  Regni,  ne'quali  gli  onori,  e  i 
prcmj  disugualmente  dispensati  sogliono  generare  di- 
scordia . 

Forestiero  .  Neil'  istesso  modo  potremo  dire  che  l'a- 
micizia  debba  riporsi  sotto  il  genere  della  similitudine, 
e  la  neu)icizia  sotto  quello  della  dissimilitudine  ;  perchè  la 
somiglianza  de'costumi  è  cagione  di  benevolenza;  la  dissi 
miìitudiue  ,  di  odio  . 


o  oell'aimigizfa.  289 

Giovanni.  NcU'islosso  modo  senza  fallo. 

Forestiero.  Tuttavolta  Aristotile  ne" suoi  libri  monili 
adclucendo  l'opinione  degli  antichi  Filosofi,  disse  die  alcu- 
ni vollero  che  l'ainicizia  fosse  una  similitudine,  come  Em- 
pedocle ;  altri  piuttosto  una  dissimilitudiiie  ,  ed  una  con- 
trarietà ,  come  Eraclito,  il  quale  disse: 

Quando  è  secca  la  terra,  ama  la  pioggia  , 
Ma  quando  più  di  pioggia  è  gonfio  il  Cielo , 
Alla  terra  desia  cader  nel  grembo. 
Ma  queste  ragioni  sono  naturali,  piuttosto,  clie  morali. 
Laonde  ci  atterremo  alla  primiera  opinione,  perchè  vera- 
mente la  similitudine  è  amata  per  se,  ma  per  accidente  la 
contrarietà . 

Giovanni.  Sotto  la  similitudine  dunque,  e  sotto  l'egua- 
lilà  sarà  l'amicizia  . 

Forestiero.  Perawentura  non  può  essere  sotto  Tuno 
e  sotto  r  altro  genere:  ma  sotto  qual  più  convenevolmente 
si  riponga  ,  si  potrà  in  questa  guisa  considerare,  I  Pittago- 
rici  non  supponevano  altra  natura  al  numero,  laonde  quan- 
do elli  dissero  che  l'amicizia  fosse  quello,  che  parimente 
è  pari,  vollero  che  fosse  numero  senza  fallo . 

Giovanni  .  Numero  ,  e  non  altro. 

Forestiero .  Ma  il  numero,  o  è  sostanza,  come  essi 
«Credevano,  o  quantità  come  i  Peripatetici,  e  gli  altri  han- 
no voluto . 

Giovanni.  Questa  opinione  più  mi  piace. 

Forestiero.  Adunque  essendo  l'amicizia  numero,  o 
sarà  sostanza  ,  o  quantità  . 

Giovanni  .  Per  fermo. 

Forestiero.  Ma  nell'altro  modo  nascono  grandissime 
sconvenevolezz.e,  perchè  la  sostanza  è  quella  ,  che  non  è  m 
altro  soggetto,  ma  l'amicizia  è  nell'amico,  come  in  suo 
soggetto:  oltreciò  la  sostanza  non  riceve  né  più,  né  meno  ; 
ma  dell'amicizia  diciamo  che  ella  sia  più  o  meno  ,  o  mag- 
giore o  minore  aoiicizia:  ultimamente  alla  sostanza  ninna 
cosa  è  contraria  ,  ma  all'amicizia  è  contraria  l' ininiicizia  ; 
però  Empedocle,  che  fu  uno  degli  altri  Filosofi  ,  che  po- 
sero i  principj  delle  cose  contrarj  ,  oltre  i  quattro  elemen- 
ti, che  sono  principj  materiali,  aggiunse  l'amicizia,  e  la  di-.^ 
scordìa :  non  è  dunque  l'amicizia  sostanza. 


590  IL  MANSO 

Giovanni.  Non  è  possibile  che  ella  sia  . 

FoRESTlElio.  Or  consideriamo  se  ella  sia  cjuiinlila  ;  ^é 
ella  è  quantità,  è  quantità  non  conliuova  ,  ma  discreta  ,  o 
disgiunta  ,  che  vogliain  dirla  * 

Giovanni.  È  necessario. 

Forestiero.  Sarà  dunque  non  solamente  l'interrotta, 
e  reintegrata  ,  ma  la  continova  amicizia  quantità  discreta  , 
e  disgiunta  j  e  ciò  non  pare  convenevole,  perchè  all'  amici- 
zia si  conviene  di  unire,  e  di  corigiuhgere  tutte  le  cose, 
laonde  pii!i  convenevolmetìle  si  può  riporre  sotto  il  genere 
della  relazione,  o  della  qualità,  come  la  ripose  Aristotile 
chiamandola  mutua  benevolenza. 

Giovanni.  E  fuigliore  opinione  senza  dubbio. 

Forestiero  .  Ma  la  relazione  (  come  dice  Aristotile  )  è 
un  non  so  che  nato  dapoi  a  guisa  di  germoglio,  laonde  na- 
sce sovra  la  qualità,  quasi  sovi*a  suo  fondamento.  Porremo 
adunque  l'auiicizia  sotto  la  qualità  ,  nella  quale  è  l'amo- 
re, e  diremo  che  ella  sia  amore  ,  come  disse  E  npedocle^  iì 
quale  confuse  assai  volte  questi  nomi  d  amore,  e  d'amici- 
zia: ma,  chiamandola  amore  ,  la  chiameremo  con  un  nome 
più  sommo,  che  non  è  quello  della  benevolenza. 

Giovanni  .  Non  disdegnerà  questo  nome  l'atjucizia,  il 
fiuiile  è  più  divino  di  quello  della  carità  stessa. 

Forestiero.  Ma  l'amore,  o  è  amore  di  concupiscenza, 
ò  di  benevolenza  ;  e  lasciando  da  parte  quel  prium  amore 
di  cupidigia  ,  porremo  l'amicizia  sotto  quest'altro  di  bene- 
voh'uza  . 

GloNANM.  Cosi  più  conviene. 

Foresi  lERO.  Diremo  adunque  che  l'amicizia  è  bene- 
volenza ;  ma  la  benevolenza  alcuna  volta  è  vincendevole  , 
altra  ncm  è;  qual  diremo,  che  sia  l'amicizia  ' 

Giovanni.  La  vicciulevcile  senza  dubbio,  perchè  l'amo- 
re può  esser  sen/.a  corrispondenza  ;  ma  l'amicizia  non  può 
trovarsi  se  non  dall'uno  e  dall'altro  lato  • 

Forestiero.  È  dunque  l'amiciziii  benevolenza  recipro- 
ca; ma  delle  benevolenze  sì  fatte  alcune  possono  esser  oc- 
culte, e  fra  persone  non  conosciute  se  non  per  fama,  altre 
sono  manifeste  ;  e  fra  questt;  v<)lle  Aristotile  che  sia  l'ami- 
cizia ,  che  per  suo  parere  è  brtncn'oleiiza  iriutua  ,  e  non  oc- 
culta, e  noi  a  niiin' altra  oj>inioiic  più  volentieri  dobbiamo 


o  dell'amicizia  291 

appigliarci;  ina  non  seguiremo  l'opinione  di  coloro,  i  quali 
istimavano  che  una  solamente  fosse  l'amicizia,  percioccliè 
il  pili ,  e  il  meno  (  come  l'operare  )  non  fanno  diversità  di 
specie  ,  avvengaclìè  nelle  cose  ancora  ditìerenti  di  specie 
sia  il  più  ,  e  il  meno:  il  che  peravventura  sarà  manifesto, 
se  si  è  conosciuto  quello  ,  che  si  ama  ,  o  l'amabile,  che  vo- 
gliamo dirlo ,  il  quale  suol  essere  ,  o  buono  ,  o  piacevole  ,  o 
utile;  e  quello  si  stimerà  utile,  col  quale  s"  acquisterà  qual- 
che bene,  o  qualche  piacere  ,  laonde  avviene  che  il  pia- 
cevole, e  l'onesto  si  amino  come  fine;  l'utile  piuttosto  per 
mezzo  di  qualche  fine;  e  pare  che  ciascuno  ami  non  tanto 
quel  che  è  bene  semplicemente ,  quanto  quel  che  stitna 
bene  a  se  stesso;  laonde  i  beni  apparenti  sono  il  più  delle 
Tolle  i  più  desiderati ,  quasi  non  sia  gran  differenza  tra 
l'amare  quel  che  è  bene  per  sé,  e  quel  che  solamente  con- 
siste nell'apparenza.  Essendo  adunque  tre  cose,  per  le  qua^ 
li  gli  uomini  si  muovono  ad  amare  ;  non  si  chiama  amici- 
zia quella  delle  cose  innamorate,  perchè  l'amore  non  è 
vincendevole  ;  ma  nell'amicizia  conviene  che  la  bonevo^^ 
lenza  sia  reciproca  :  tante  adunque  sono  le  spgcie  dell'alni-, 
cizie  ,  quante  degli  amori . 

GiovANNL  Degli  amori  introducono  i  vostri  poeti  un  nu- 
niL'ro  quasi  infinito  ,  ne'quali  (  sebben  mi  sovviene  )  il  vo-» 
litro  Tibullo  avvenendosi  di  notte  tempo,  non  uscì  seni? 
molto  pericolo  delle  loro  mani . 

Forestiero.  Tre  nondimeno  sono  le  specie  principali, 
eguali  di  numero  alle  cose  amate,  perchè  altri  amano  l'o- 
nesto^ altri  il  piacere,  altri  vanno  dietro  all'utilità:  ma  co^ 
loro  che  sono  amati  per  utile  o  per  piacere, non  sono  ama- 
ti per  se,  ma  per  accidente;  laonde  queste  amicizie  di  leg- 
gieri si  dissolvono,  perchè  le  medesinie  cose  non  sono 
sempre  utili,  né  sempre  piacevoli  egualmente;  però,  ces- 
sando r  utilità,  o  il  piacere,  cessano  l'amicizie;  I'  una  non- 
dimeno, quella  dico,  che  si  restringe  per  cupidità  di  ave- 
re, è  propria  de' vecchi;  perchè  queiretà  non  suole  segui- 
re il  piacere,  ma  l'utilità  .  Fra  queste  amicizie  Aristotile 
ne'libri  a  jNicomaco  pone  quella  degli  ospiti ,  e  degli  al- 
bergatori: ma  negli  altri  ad  Eudemo  vuole  che  sia,  oltre 
ad  ogni  altra  ,  principalissima  :   ma    l  amicizia  de' giovani 


1()Z  IL  MA^•SO 

si  coiigiiinge  per  lo  piacere,  perocché  quella  età  è  tutta 
ìtichìnatii  al  diletto,  però  tosto  si  fanno  le  amicizie  fra' gio- 
vani ,  tosto  finiscono,  e  sono  simiglianti  agii  amori:  ma 
l'amicizia  (li  coloro  ,  che  sono  simili  per  virtìi,  è  perfetti) 
amicizia,  perciocché  l'amicizia  sì  fatta  è  por  >è  ,  non  per 
accidente,  a vvengachè  l'ano  vuol  bene  all'altro  non  per 
altra  cagione  ,  se  non  perchè  è  buono  ,-  ma  sono  buoni  ])er 
se  stessi,  perchè  la  virlù  è  ìina  perfeziime,  che  fa  gli  uomi- 
ni buoni ,  e  buone  le  loro  operazioni;  laonde  è  grandissinja 
amicizia,  perciocché  quello,  che  è  per  sé  buono,  è  mag- 
giore di  quel  che  é  buono  per  accidente.  Essendo  adunque 
per  ss  stessa  questa  amicizia  ,  e  l'altre  per  accidente  ,  ne 
segue  necessariamente  che  i  virtuosi,  i  quali  vogliono  be- 
ne agli  amici  per  se  stessi,  e  non  per  altra  cosa ,  siano 
grandemente  amici  ;  e  perché  si  amano  per  la  virtù,  essen- 
do la  virtìi  abito  stabile,  e  pcnnanente  ,  il  quale  non  tra- 
passa di  leggieri,  questa  sola  amicizia  dura  quanto  la  vir- 
tù, e  quasi  s  invecchia  .  Questa  ancora  è  quella  sola  ami- 
cizia, alla  quale  non  manca  aicuna  cosa  ;  laonde  questa  sola 
è  perfetta,  siccome  quella,  la  quale  comprende  in  se  stessa 
tutto  quello,  che  è  di  buono. e  di  laudevole  nell'altre  ami- 
cizie; perchè  ogni  amicizia  è  per  qualche  bene  ,  o  per 
qualche  piacere ,  o  semplicemente  considerato  ,  o  per  ri- 
spetto dell'amico:  ma  questa  amicizia  ha  tutte  queste  co- 
se insieme;  io  dico  non  solamenh:'  quel  che  per  sé  é  bcìie , 
ma  il  piacere  e  l'utilità  è  in  lei.  Adunque  si  congiungono 
tulte  le  cagioni,  che  muovono  l'uomo  ad  amare,  ed  in 
ninna  più  si  ama  che  in  questa;  non  negli  auiori  medesinii, 
quantunque  negli  amori  più  si  pianga  e  più  si  sospiri  per- 
ché non  è  sempre  maggiore  la  benevolenza,  dove  è  mag- 
giore la  privazione:  rare  adunque  sono  tali  amicizie;  im- 
perocché pochi  sono  gli  uomini  così  fatti  per  la  malage- 
volezza ,  che  è  nel  toccare  il  mezzo  ,  quasi  quel  punto,  in 
cui  saetta  l'arciero,  o  quella  strada  angusta  ,  che  suol  es- 
sere fra  i  dirupi  ,  e  fra  i  precipizj:  oltreciò  fa  nu^stieri  in 
sì  fatta  amicizia,  di  lungo  tempo,  o  di  lunga  consuetudi- 
ne, perciocché  l'uno  non  è  ricercato  dall'altro  per  amico, 
se  non  dopo  la  perfetta  cognizione  ,  la  quale  non  può  farsi 
in  pochi  giorni  ,  né  senza  molta  esperienza  della  virtù;  nia 


O  dell' A.VllClZL\.  2C)i 

coUiio,  che  latino  tosto  quelle  operazioni,  che  appartengo-. 
no  all'amicizia,  voijhono  essere  amici,  ma  non  sono,  ove 
non  siano  (It'i^ni  di  essere  auiati,  e  conoscano  il  inerito, 
avvengacliè  si  f^jccia  quasi  iucontinenle  non  l'amicii^ia,  ma 
la  volontà  di  essere  amico.  Questa  adunque  amicizia  non  è 
perfetta  e  per  tempo  ,  e  per  ciascun'  altra  cosa,  e  per  tut- 
te insieme  si  fa  e  si  conferma  ;  perchè  in  questa  l'uno  ami» 
co  all'altro  è  simile  nella  virtù,  e  in  ogni  altra  cosa  divien 
simigliante,  come  si  ricorca  nei!  amicizi.ì  :  ma  l'amicizie  , 
che  si  fanno  per  l'utile,  e  per  lo  |)iacere,  hanno  similitudine 
con  questa  :  perchè  gli  amici  sono  buoni  ed  utili ,  e  piace- 
voli vicendevolmente,  e  per  niuna  altra  cagione  sogliono 
dui'are  l'anùcizie  cosi  fatte,  se  non  perchè  si  rende  quasi 
diletto  per  diletto,  deir  istessa  maniera  come  suole  avve- 
nire fra  i  faceti  nella  piacevole  conversazione,  ma  non  in 
quella  guisa  che  suole  incontrare  fra  gli  amanti,  p'^rehè 
gli  amanti  non  godono  delle  cose  mcdesiuie  ,  ma  l'  uno  del- 
l'aspetto  e  della  bellezza  dell' auiato,  l'altro  della  servitù 
e  dell'ubbidienza  dell  amante:  laonde  spesse  volte  suol 
manciire  l'amicizia  col  fior  dell'età  e  della  bellezza,  per- 
ciocché all'uno  di  loro  non  piace  più  l'aspetto,  come  so- 
leva, all'altra  non  si  fa  più  la  medesiiua  servitù  .  Sono  al- 
cuni, i  quali  non  cambiano  nell'amore  il  diletto,  ma  l'uti- 
lità, e  questi  sono  iiieno  amici,  e  meno  continovano  nel- 
1  amistà,  avvengachè  coloro  ;,  che  sono  amici  per  T utilità, 
sono  amici  piuttosto  dell'utile  che  dell'amico;  laonde 
tanto  dura  i'amicizfa,  quanto  l'utilità  ;  però  avviene  che 
i  malvagi  a'malvagj,  e  i  buoiu  a'malvag],  ed  agli  uni,  ed 
cigli  altri  coloro ,  che  non  sono  né  hiioni,  ne  rei  siano  ami- 
ci per  utilità  e  per  diletto  :  ma  i  buoni  solamente  per  se 
islessi,  e  la  sola  amicizia  tle'buoni  è  quella,  nella  quale  non 
ha  luogo  alcuno  la  calunrua,  perchè  non  è  agevole  il  pre- 
star credenza  ad  alcun, t  cosa  contro  l'amico, di  cui  si  è  tutta 
esperienza  per  lungo  tempo  ,  onde  è  proprio  di  quest'ami- 
cizia che  l'uno  creda  all'altro  ,  e  che  siano  tanto  lontane 
da  lei  l'ingiuria,  quanto  la  calunnia;  ma  nell'altre  specie 
d'amicizie  suole  avvenire  il  contrario,  però  solamente  la 
prima  è  propria  amicizia  ,  Taltre  sono  dette  amistà,  per 
qualche  similitudine  ,    che  hanno    colla    prima  ,  alle  quali 


'294  "-  MANSO 

4ono  simili  nel  piacere,  e  nelT utilità,  laonde  non  sono 
amicizie  assolutamente ,  ma  perchè  così  avviene  ,  e  cosi 
ìn,contra,  sono  dette  amistà,  e  per  la  somiglianza  principal- 
mente. Ma  siccome  nelle  virtù  altri  sono  buoni  in  abito, 
altì*ì  in  atto:  così  avviene  nell'amicizia  ,  perciocché  degli 
amici  alcuni  vivono  insieme  ,  e  godono  della  conversazione 
e  della  scambievole  utilità;  altri  (  come  dice  Aristotile  ) 
dormono,  e  separati  di  luogo  non  fanno  alcuna  operazione, 
ma  sono  disposti  ad  operare  amichevolmente  ,  perchè  i 
luoghi  non  dissolvono  l'amicizia,  ma  l'oper.izioni  piuttosto, 
quantunque  la  lunga  assenza  pare  che  geiieri  quasi  oblivio- 
ne dell' amicizia  ,  come  dell'amore;  ma  estinguendo  l'amo- 
re, fa  quasi  operazione  di  giovevole  medicina  dissolvendo^ 
l'amicizia  è  simile  ad  un  lento  veleno,  è  dunque  necessa- 
ria la  presenza  ,  senza  la  quale  1'  amicizia  è  quasi  priva  del 
suo  diletto,  però  ne  i  vecchi,  né  i  severi  paiono  atti  all'  a- 
micizia.  perchè  sogliono  apportare  pocodiletto  nella  conver- 
sazione: ma  ffa  coloro  ,  fra'quali  non  è  domestiche/za ,  può 
essere  piuttosto  benevolenza  ,  che  amicizia,  perchè  ninna 
cosa  è  più  propria  dell'amico,  <.he  il  vivere  insieme,  av- 
vengachè  i  poveri,  e  i  mendici  desiderano  l'utilità  ;  ma  il 
vivere  insieme  è  desiderato  ancora  dai  ièlici,  i  quali  non 
è  convenevole  che  vivano  nella  solitudine,  essendo  gran- 
ilissimo  male,  e  sarebbe  molesta  nel  Cielo,  come  disse  al- 
cuno: ma  non  è  possibile  che  usino  insieme,  se  non  coloro, 
che  si  compiacciono  della  domestichezza,  e  tale  suol  esse- 
re l' amicizia  de'compagni,  che  insieme  sogliono  godere. 
Principalissima  iiandiiiicno  oltre  tutte  1' altre  è  l'amici/ia 
de' buoni ,  perciocché  quel  che  è  bene  assolutamente,  è 
amabile,  e  desiderabile  per  sé:  ma  a  questo,  o  a  quelli» 
suol  essere  piacevole  ,  quel  che  a  lui  particolarmente  è 
bene,  o  gli  paro,  come  suol  parere  agli  amanti;  ma  fra 
l'amore,  e  l'amistà  è  questa  differenza  ,  ohe  l'amore  è  si- 
mile all'affetto  ,  l'amicizia  all'abito  ,  e  l'amore  si  stende 
ancóra  alle  cose  inanimate  ,  le  quali  non  possono  riamare: 
ma  delli  amici  l'utio  ama  l'altro  per  elezione:  ma  l'ele- 
zione procede  dall'abito  . 

GiovANM.  Io  credeva   che  non  solamente  l'amicizia, 
ina  l'amore  nascesse  per  elezione  . 


Forestiero.  Oh!  quimto  bene  avelo  fatto,  vSjgnor,  mio 
a  rompere  il  corso  del  mio  ragionamento  ,  nel  quale  io  non 
era  tanto  veloce  ,  olie  potessi  schivare  la  noia  degli  ascol- 
tatori! Ma  avendo  cominciato  a  riferire  le  cose  di  Aristoli^ 
le,  (\^ì  un  lato  rni  vergogno  di  non  dire  cosa  ,  che  a  voi  po- 
tesse parere  nuova  ,  né  di  saperle  in  guisa  ,  che  a  voi  pia- 
cesse almeno  per  l'ornamento:  dall'altro  non  aveva  ardito 
di  mescolare  le  mie,  o  le  altrui  opinioni  colle  sue,  perchè 
siccome  l'argento  giunto  all'oro  non  può  farlo  più  prezio- 
so, così  la  dottrina  degli  altri  congiunta  con  quella  di 
Aristotile,  non  la  fa  di  maggior  pregio  ;  e  se  ci  è  alcuna 
loda  nel  sapere  accoppiarle,  è  piuttosto  nell'artificio  ,  che 
nella  materia  :  ma  dell'opere  si  fatte  avviene  nondiment) 
quello  ,  che  suole  avvenire  de' vasi  d'argento  mdorati,  i 
quali  son(»  ricercati  per  minore  spesa,  e  se  la  spesa  dimi- 
nuisce il  diletto  delle  cose  comprate,  costando  meno,  piac- 
ciono più  . 

Giovanni.  Chiamate  forse  li  tempo,  e  la  fatica  quasi 
un  prezzo  delle  cose  imparate? 

Forestiero.  Senza  fallo,  opere  carissime  oltre  tutte  so- 
no quelle, elle  ne  insegna  Aristotile;  l'altre  si  apprendono 
più  di  leggieri:  ma  al  vostro  duhbio  si  potrebbe  risponde- 
re e  con  Aristotile  ,  e  con  gli  altri  insieme  . 

Giovanni.  E  piuttosto  opinione  che  dubbio,  perchè  io 
non  dubito  se  un  amante  debba  eleggere  di  amare  :  ma, 
credo  che  debba  eleggere  . 

Forestiero.  E  quai  cose  dovrebbe  eleggere  di  amare  ; 
le  belle,  o  le  brutte?  o  quelle,  che  partecipano  dell'uno 
e  dell'altro  estremo? 

Giovanni,  te  belle  senza  dubbio. 

Forestiero.  Ma  quelle  cose' che  non  hanno  dubbio,  so.^ 
no  certe,  o  incerte? 

Giov.\NìVi.  Certe. 

Forestiero.  1^  delle  certe  non  »i  fa  consultazione,  ma 
delle  incerte  solamente. 

Giovanni.  Cosi  dice  Aristotile. 

Forestiero.  Dice  similmente  Aristotile  che  la  con» 
sultazione,  o  il  consiglio  va  avanti  alla  elezione  ;  laonde 
non  possono  essere  elette  quelle  cose ,  che  non  possono  (?§• 


2qQ  11  maxso 

ser  consigliate,  e  sé  non  possiamo  rivoc.ire  in  dubbio,  e 
quasi  sottoporre  ai  consiglio  l'amore  delle  cose  belle,  non 
possiamo  anco  eleggere  di  amarle  :  oltreciò  ditemi ,  Signor 
mio,  stimate  vera  questa  opinione  di  Aristotile,  die  l'a- 
more sia  somlofliante  all'affezione,  l'amicizia  all'abito? 
Giovanni.    Concedasi    cbe    Aristotile  abbia   detto    il 

vero. 

FoilESTlERO .  Io  avrei  piuttosto  desiderato  rbe  da  voi 
mi  fosse  negato;  ma  concedendosi,  ne  segue  cbe  se  l'amo- 
re è  simile  all'affetto,  non  è  affetto;  se  l'amicizia  è  somi- 
gliante all'abito,  non  è  abito. 

Giovanni.  Aristotile  ba  detto  cbe  l'amore  è  simile 
agli  affetti,  percbè  è  simile  all'altre  passioni,  siccome 
l'amistà  è  somigliante  agli  altri  abiti. 

Foi^ESTlERO.  Il  dottissimo  Signor  Mtnso  Via  dicbiarato 
Aristotile  con  S.  Tommaso  ,  e  con  questa  parola  agli  altri 
abiti  datomi  la  vita:  l'amicizia  è  adunque  abito. 

Giovanni  .  E  se  non  fosse,  siasi  per  me. 

Forestiero  .  E  l' amore  è  passione,  o  affetto? 

Giovanni.  Nell'istesso  modo. 

Forestiero.  INIa  Aristotile  ne' libri  ad  Eudenm  divide 
gli  affetti  col  volontario,  e  coll'iiivoionlario ,  non  coM'ele- 
zione,  o  col  destino. 

Giovanni.  E  questo  cbe  importa? 

Forestiero.  Che  noi  ragionando  di  Amore  non  dobbia- 
mo chiedere  se  egli  sia  per  elezione,  o  per  destino  :  ma  se 
egli  è  volontario,  o  non  volontario,  percbè  può  essere  vo- 
lontario, e  non  essere  per  elezione,  né  per  destino;  e  se  il 
destino  è  il  fato,  le  cose  cbe  sono  per  fato  ,  son  per  natu- 
ra :  ma  quel  cbe  si  fa  per  natura  è  in  qualche  modo  oppo- 
sto a  quel ,  cbe  si  fa  per  volontà  . 

Giovanni.  Non  è  alcuno  amore  naturale? 
Forestiero  .  Non  dico  questo,  ma  piuttosto  che  due 
siano  le  specie  degli  amori ,  come  dice  Dante  : 

Ogni  amore 

E  naturale,  o  d' animo  ,  e  tu  7  sai  , 
le  quali  si  distinguono  per  opposte    differenze  .  Ora  io  co- 
mincio a  mescolare  le  cose  doyli  altri  con  quelle  di  Aristo- 
lile,  e  se  non  vi  spiace  la   mescolanza,  siami  lecito  anche 


O  DEM/  AMIC!7,rA  2p7 

(li  mescolare  questa  opinione  d'  Isocrat»> ,  le  cose  belle  fiin- 
no  così  tosto  la  sua  operazione,  cl'e  tolj^ono  lo  spazio  al 
consiglio,  e  per  conseguente  alla  eleziìn;',  laonde  io  sti  ue- 
rei ,  che  gli  amanti" siiino  simili  ai  percossi  dal  fulmine,  i 
quali  non  hanno  tempo  di  schifare  il  pericolo;  però  disfe 
il  Petrarca  : 

Come  col  halenar  tuona  in  un  punto, 
Così  fui  io  da'  begli  occhi  lucenti , 
E  da  un  dolce  saluto  in-ieme  aggiunto . 
Si  ama  adunque,  Signor  mio,  o  p'^r  natura,  o  per  voi 'ntà  , 
non  per  consiglio  ,  né  per  elezione. 

Giovanni.  Del  consif^li)  sia  quel  che  a  voi  ne  pare,  per- 
chè Alessiindro  non  propose  al  consiglio  de'  Macedoni 
s'egli  dovesse  amar  Rossane,  né  Massinissa  si  consig'iò 
To'^Iumidi,  se  a  lui  si  convenisse  di  consentire  all'amore 
di  Sofoni'sba  ;  e  se  prima  si  fosse  consigliato,  sarehbe  p^^- 
ravvrntura  avvenuto  quello,  cVje  dapoi  avvenne,  come  dis- 
se il  Petrarca  : 

Però  d'  un  tale  amico  un  tal  consiglio 
Fu  quasi  un  scoglio  all'  amorosa  impresa  : 
avvengacliè  le  operazioni  degli  amanti  (  come  diceste  ) 
sian  veloci  ;  mn  il  ccnsiijlio  ritarda  tutte  le  cofc:  ma  io 
nell'amore  ricereo  un'elpzione  serza  consiglio,  unn  delibe- 
razione senza  contesa  di  varip  opinioni,  una  costanza  sen- 
za opposizione:  e  come  potrebbe  esser  costanza  neiramo- 
re,  se  non  vi  fosse  elezione?  Se  sono  adunque  alcuni  aman- 
ti costanti,  sono  per  elezione  ;  anzi  se  non  e  amore  quello, 
che  non  è  costante,  non  è  alcuno  amore  ,  che  non  sia  col- 
l'elezione  .  Gli  altri,  nt'qnali  Tamante  non  elegge  di  ama- 
re,  di  servire,  e  di  jnerit-tre  amando,  non  sono  amorì, 
ma  umori,  appetiti,  cupidigia  ,  sensualità.  L'amore  con- 
viene che  sia  stabile  ,  fermo,  e  fondalo  nell'elezione,  e  nel 
proponimento  di  amar  continuamente. 

Forestiero    Ne  io  ricercava  nell'elezione  il  consiglia 
d'altrui,  che  di  se  stesso,  come  necessario:  ma  mi  pareva 
assai  convenevole    quel   modo  di  consigliarsi  ,  come  suol 
fare  l'amante  fra  se  medesimo,  come  si  legge  ne' poeti  : 
Che  fai,  alma  ?  che  pensi  ?  avrein  mai  pace? 
A^'reni  mai  tregua  ?  od  avrem  guerra  eterna  ? 
r  III.  Dinlo^M  20 


298  IL  MANSO 

Chejìa  di  noi  non  so,  ma  a  quel  di  io  scerna 
A'  suoi  begli  occhi  il  mal  nostro  non  piace; 
o  in  quegli  altri  : 

Che  debbo  far,  che  ini  consigli  Amore. ^ 
Tempo  è  ben  di  morire  , 
Ed  ho  tardalo  più,  ch'io  non  vorrei . 
3Jadaunaè  morta ,  ed  ha  seco  il  mio  cuore: 
E  i'olendol  seguire , 
Interromper  convien  questi  <xnni  rei  - 
quantunque  tardi  fossero  questi   consigli.   INIa  il  principio 
dall'amore  fu  senza  consiglio  ,  e  senza  elezione  ,  e  simile  al 
terrore  ,  ed  alla  cattività  di  uu  uomo  assalito  all'improvvi- 
)jo,  come  si  legge  in  questi  altri  versi: 
Però  turbata  nel  primiero  assalto 
Non  ebbe  tanto  né  i'igor ,  né  spazio  , 
Che  potesse  al  bisogno  prender  l'arme; 
OiH'ero  al  poggio  faticoso  ed  alto 

Ritrarnii  accortamente  dallo  strazio, 
Dal  quale  oggi  vorrebbe ,  e  non  può,  aitarme. 
Non  è  maraviglia  dunque  clie  nell'amore,  nel  quale  non 
è  elezione,  non  sia  costanza:  ma  sarebbe  peravventura 
maraviglia,  se  bistasse  l'elezione  a  far  costante  l'amore, 
non  altri  Jienli  che  se  l'elezione  del  navigare  potesse  far 
costante  la  fortuna  del  maro  . 

Giovanni.  L'elezione  può  far  costante  il  nocchiero, 
quantunque  sia  instabile  la  fortuna  . 

FuRESriEr.O.  Ma  io  assomiglierei  il  noccbiero  piuttosto 
alla  ragione,  la  quale  dee  sedere  al  governo,  e  sedare  gli 
affetti  concitati  di  Amore  nell'onde  agitate  dalla  fortuna. 

Giovanni  .  Tuttavolta  il  Petrarca  pose  Amore  al  timone 
dicendo  : 

ed  al  governo 

Siede  il  signore.,  anzi'l  nemico  mio. 
Forestiero.  Quivi  parla  il  poeta  di  una  disperazione 
umorosa,  nrlla  quale  ninna  cosa  si  elegge  ,  ma  tutìe  sono 
violente  ,  e  fortunose  ;  laonde  per  mio  avviso  la  costanza 
non  è  propria  dell'amore,  porcile  l'amore  è  non  abito,  ma 
passione,  cinp  niovimo.nto  :  oltrociò  ,  Arist{>tile  scrivendo 
ad  EudemOjclutiHja  costanti  quelle  cose  solamoijto,  le  qua- 


O  DELL  AMICIZ(A 


-'^99 


li  non  si  fanno  tosto,  né  tosto  si  dissolvono;  ma  l'amore 
nasce  incontanente  a  guisa  di  fuoco,  die  subito  si  appiglia  ; 
l'amicizia  allo  incontro  tardi  si  ristringe  ,  e  tardi,  o  non 
mai  si  rallenta  :  dunque  dell'amicizia  è  propria  la  costanza. 

Giovanni.  Già  mi  son  pentito  di  aver  creduto  the 
l'amicizia  sia  abito,  e  peravventura  Aristotile  volle  inten- 
dere che  ella  fosse  passione  ,  o  disposizione  nella  stabilità^ 
simile  agli  abiti . 

Forestiero  .  Cotesto  potrebbe  esser  vero ,  perchè  nel- 
la Topica  non  volle  cbe  il  subielto  dell'amicizia  fosse  la 
volontà,  come  parve  dapoi  a  S.  Tommaso,  ma  la  parte 
sensuale;  ma  peravventtir.i  non  intese  d'altra  amicìzia,  cbe 
di  quella,  che  ba  per  fine  il  piacere,  percbè  l'allra,  il  cui 
obietto  è  l'onesto,  ragionevolmente  dovrebbe  avere  la  sede, 
e  quasi  la  reggia  nella  volontà:  comunque  sia,  se  l'amistà 
fosse  passione  sivnile  agli  abiti,  T amore  sarebbe  abito  so- 
migliante alle  passioni. 

Giovanni.  Non  so  quale  sconvenev(»lezza  sarebbequesta. 

Forestiero.  L'amore  adunque,  tutto  che  fosse  abito  , 
sarebbe  instabile  ,  come  le  passioni  ;  e  1'  amicizia  quantun- 
que fosse  passione  sarebbe  costante ,  come  gli  abiti  . 

Giovanni.  Io  crederei  piuttosto  cbe  l'atnicizia  fosse  so- 
migliante agli  abiti  nella  facilità  drll'operare,  o  in  altia 
cosa  sì  fatta  ,  e  l'amore  fosse  simile  alla  passione  nella  ma- 
lagevolezza, e  nel  fervore  ,  percbè  ninno  amico  opera  con 
tanto  ardore  ,  e  con  tanta  sollecitudine,  con  quanta  so- 
gliono adoperare  gli  amanti  quelle  cose,  clic  sono  in  ser- 
vigio della  persona  amala.  Ma  voi,  cbe  ne  dite  ,  Signor  fra- 
ti'llo,  cbe  sì  lungamente  avete  taciuto,  non  a  guisa  d'ar- 
bitro, ma  quasi  ascoltatore  delle  nostre  ,  o  piuttosto  del- 
l'altrui differenze? 

Scipione.  Io  per  me  reputo  l'amore  cosa  divina  :  però  non 
mi  può  capire  nell'animo  in  modo  alcuno  cbe  le  cose  divine 
siano  più  instabili  dell'umane,avvengacbèse  vi  èalcuna  certa 
costanza,  è  nelle  cose  celesti,  e  nell'intelligibili:  rna  nell'al- 
tre, che  son  fatte  a  quella  similitudine,  si  trova  solamente 
una  quasi  immagine  della  costanza  ,  però  se  è  vera  quella 
opinione  ,  cbe  il  nome  di  amore  sia  più  divino  di  ciascun 
altro  ,  non  dobbiamo  dubitare  cbe  l'amore  sia   costantissi- 


3oo  IL  MANSO 

mo,  ma  se  l'amicizia  ancora  è  si  fatta ,  l'amicìzia  simil- 
mente è  cosa  divina  ,  e  non  pare  che  sia  umana  virtti;  anzi 
^er  opinione  di  Luciano  merita  divino  onore  ,  e  fa  divine 
operazioni  ;  laonde  non  è  maraviglia  che  ella  fosse  adora- 
ta fra  gli  Sciti ,  o  die  Dei  ,  ed  Er-'i  fossero  reputati  quei 
Gn?ci ,  che  meritarono  di  essere  celebrati  nelle  lodi  d'ami- 
cizia ,  e  adorati  da'Birbari,  e  da' nemici  medesimi:  ed  al- 
cuna volta  ho  creduto  che  la  virtix  eroica  ,  e  divina  altro 
non  sia,  che  l'amicizia,  perchè  non  è  operai^ione  di  U(na- 
na  virtù  anteporre  l'altrui  vita  alla  propria,  ma  le  cose 
divine  dalle  divine  non  sono  dislinte  di  gmere;  laonde  io 
non  porrei  r  attore,  e  l'amicizia  cosi  disej»uali  ,  e  quasi 
contrarj,  cioè  l'amici/ia  sotto  il  i^enere  degli  aifetti,  l'a  no- 
re  sotto  quelle  degli  abiti;  ma  direi  che  l'amicizia,  e 
l'amore  fossero  sotto  un  genere  sl-csso  ,  o  che  l'a  nore  fosse 
genere  dell'amicizia  ,  e  principio  (  come  si  dice  )  della  be- 
nevolenza :  e  più  mi  piace  l'opinione  di  coloro,  che  vo- 
gliono che  l'amore  sia  amicizia  quasi  nascente,  e  l'amici/ia 
sia  un  amore  invecchiato  ,  né  concederei  che  ranico  ni^- 
cessariamente  ami  l'altro,  ma  l'a  nato  possa  non  a  naie 
l'amante;  ma  piuttosto  approvo  l'antichissima  sentenza 
di  Solone,  clie  l'amato  sia  l'amico:  né  per  mio  avviso  ne 
siegue  alcuno  di  quegi' inconvenienti  ,  che  molti  siano  ini- 
mici degli  amici  ,  ed  allo  incontro  amici  dei  nemici,  perchè 

Amore  a  nullo  amato  amar  pc^rdona  ; 
e  siccome  nell'amicizia,  cos'i  nell'amore  noti  finto  è  neces- 
sario che   l'amato  riami;   non  si  estingue  dunque  l'amore 
prima  dell'amicizia   per  difetto  di  chi  riami,  ma  l'uno  e 
l'altro  è  cost.mtf",  e  divino,  e  maraviglioso  egualmente. 

Forestiero.  Se  tanto  è  simile  l'amore  all'amicizia,  che 
siano  per  poco  ristesso,  dubito  della  costanza  dell'amici- 
zia medesima  ,  e  non  veggio  altra  fuga  ,  o  altro  refugio, 
die  la  distinzione;  perchè  distinguendo  le  specie  dell'aoi- 
<  izia  secondo  le  specie  degli  amori,  potrei  concedere  che 
alcuna  fosse  divina  amicizia,  come  è  la  carità;  altra  uma- 
na amicizia,  ma  ferina  amicizia,  come  ferino  amore,  se 
pur  si  trova ,  appena  che  io  ardissi  di  usare  questo  nome  . 
Ho  letto  nondimeno  degli  amori  e  degli  odj,  non  solamen- 
te tra  le  fiere,  come  è  quello  ,  fli  cui  fa  menzione  Aristoti- 


o  dell'amicizia  3oi 

le  e  Plinio,  ma  tra  le  piante,  e  tra  gli  elementi,  tiittavol- 
ta  n.iii  lulii  dire  giammai  che  tra  fiera  e  fiera  fosse  aini- 
cizii  ferina,  ma  ferini  nemistà,  o  nemistà  naturale,  cioè 
p;tssir)ni ,  ed  aftetto  senza  consiglio  e  senza  elezione.  Laon- 
de il  nome  di  amore  ddl'  uno  estremo  è  più  divino,  il  che 
vi  si  concede  ,•  dall'altro  è  più  ferino:  ma  l'amicizia,  che 
non  i^iiò  tanto  aspirare  alla  divinità,  malto  più  è  sicura 
dalla  lerità.  Non  lodo  adunque  ne  Empedocle,  né  Eracli- 
to, che  non  distinsero  1  amicizia  dall'amore,  ne  tanto  mi 
piace  il  distinguere  le  specie  dell' amicizia  secondo  quelle 
di  amore,  quanto  second)  le  specie  della  giustizia,  cooie 
le  distingue  Aristotile,  ne' libri  ad  Eude  uo;  ne  porta  opi- 
nione molto  diversa  da  questa  scrivendo  a  Nicotiiaco,  av- 
venga che  egli  c'insegni  che  l'amistà  sia  nelle  medesime 
cose ,  o  intorno  alle  slesse;  perchè  in  ogni  compagnia  pa- 
re che  si  trovi  qualche  giustizia,  o  qualche  amistà. 

Giovanni.  Io  mi  maraviglio  della  diversità  delle  opi- 
nioni, perchè  alcuna  volta  avete  detto  che  l'amicizia  e 
l'amore  sia  l'isiesso,  altre  volte  che  1'  amistà  e  la  giusti- 
zia sia  il  medesimo;  laonde  se  quelle  due  opinioni  fossero 
insieme  vere,  seguirebbe  che  la  giustizia,  e  l'amore  fosse 
il  medesimo:  ma  questa  mi  pare  falsa  opinione,  perchè  ho 
letto  : 

Gran  giustizia  agli  amanti  è  grande  offesa  , 
ed  altrove. 

Amor  regge  su&imperio  senza  spada. 
Ma  la  giustizia  adopera  la  spada  ne' regni  da  lei  governati. 
Forestiero.  Io  ho  letto  chi  cinge  la  spada  al  fianco 
d'Amore ,  ma  non  so  chi  gli  ponga  le  bilancie  in  mano:  ma 
se  egli  ha  usurpato  il  fulmine  di  Giove,  gh  poteva  anco  un 
giorno  involar  le  bilancie,  colle  quali  pesasse  le  colpe,  ed  i 
jjieriti  degli  amanti. 

Giovanni.  Gentile  impresa  sarebbe  far  figurare  un  A- 
more  colle  bilance,  ma  se  io  chiedessi  il  motto,  agevol- 
mente trapasserei  di  materia  in  materia . 

Forestiero.  Seguiamo  adunque  il  nostro  ragionamen- 
to, e  vediamo  quanto  si  acquisti,  o  si  guad.igni ,  presup- 
ponendo che  l'amore  e  l'amicizia  sia  l'istesso,  o  non  mol- 
to dissimigliante;  e  prima  diremo,   vi  prego  Signor  Don 


3o2  IL  MANSO 

J^eipione ,  non  è  egli  vero  clic  1  aìnore  è  un  desiderio  del- 
le cose  buone  e  delle  belle? 

Scipione.  Questa  è  opinione  da  ciascuno  approvata. 
Forestiero  .  Ma  il  desiderio  è  delle  cose,  che  ci  man- 
cano, perchè  non  è  uomo,  il  quale  non  desideri  quelle  di 
cui  sia  prive»  :  se  1' amore  adunque  è  desiderio  del  bello  e 
del  bene,  egli  non  è  né  bello,  né  buono:  non  può  essere 
ancora  di  mala  natura ,  perchè  il  male  non  desidera  il  be- 
ne, ne  il  brutto  desidera  il  bello  . 

Scipione.  Questo  ancora  vi  si  concede,  quantunque 
Eraclito  portasse  opinione  che  un  contrario  fosse  amico 
dell'altro . 

Forestiero.  E  necessario  il  concederlo;  perchè  altri- 
menti l'odio  sarebbe  amico  dell' amore,  e  la  nemistà  della 
concordia  ,  cosa  sconvenevolissima  . 

Giovanni.  Io  non  so,  se  a' Dialettici  sia  lecito  provare 
tutte  le  cose,  couie  a' poeti  fingerle;  ma  se  v'ha  poeti,  che 
hanno  finto  Amore  innamorato,  e  filosofi  anora,  come 
Apuleio,  non  vi  dovrebbe  mancare  chi  descrivesse  l'odio, 
e  la  concordia  innamorata,  e  fu  sottile  avvediuiento  di 
quel  nostro  poeta,  che  accennò  questa  opinione  in  quel 
.  verso: 

Amor  tu  pria  farai  coli'  odio  pace-, 
perchè   se  l'amore    può   far    pace   culi' odio,   può   amar 
l'odio. 

Forestiero.  Fu  addotta  per  cosa  impossibile;  laonde 
se  io  non  sono  errato  con  tre  sillogismi,  come  insegnano  i 
Logici ,  si  potrebbe  provare  che  impossibile  fosse  che 
r un  contrario  fosse  amico  dell'altro:  falsa  adunque,  per 
mio  parere  ,  è  l'opinione  d' Eraclito  ,  e  vera  quella,  che 
Amore  essendo  desiderio  del  bello  e  del  buono,  non  sia  né 
bello,  ne  buono:  ma  se  l'amicizia  ancora  desidera  lo  cose 
belle,  e  le  buone  similmente,  non  sia  né  bella,  ne  buona  , 
né  buoni  siano  gli  amici,  né  rei:  ma  tra'  buoni  e  rei  senza 
r  una  e  l'altra  ({ualità. 

Giovanni.  Saranno  adunque  come  le  persone  delle  tra- 
gedie. 

Forestiero.  Tragiche  persone  sono  Pilade  ed  Oreste, 
non  meno  Eroiche  Achille  e  Patroclo  :  ma  gran  perdita  ha 


o  dell'  amicizia  3o3 

fatto  l'amicizia  con  questa  mutazione  di  sentenza  ,  se  non 
può  essere  amicizia  fra' buoni;  laddove  con  Arist(jlile  ave- 
va provato  che  Ira' buoni  fosse  solamente  la  vera  amici- 
zia ;  ora  con  questa  ragione  si  è  conchiuso  che  i  buoni 
non  possono  essere  amici  de'  buoni . 

GlovAiNNi .  La  ragione  nn  è  fuggita  dell'animo,  come 
fanno  quelle  cose  ,  che  non  hanno  fermezza  . 

Forestiero.  Replichiamola  adunque  colle  parole  usale 
da  Platone  medesimo  nel  Lisia,  e  consideriamo  di  quanto 
valore  ella  sia.  Se  crediamo  al  vecchio  proverbio,  pare  che 
il  bello  ci  sia  amico;  perciocché  il  bello  è  un  non  so  che  di 
molle,  di  liscio,  di  piacevole  e  di  pulito,  perciò  di  leggie- 
ri serpe,  trapassa  e  penetra  per  ciascuna  parte  :  ma  io  di- 
co che  il  buono  è  bello,  ed  agli  altri  dovrebbe  parere  il 
medesimo  . 

Scipione  .  A  ciascuno  . 

Forestiero.  Ma  del  buono  ,  e  del  bello  è  amico  quel 
che  non  è  buono ,  ne  maligno  :  perciocché  sono  tre  generi 
nell'anima,  l'uno  buono,  l'altro  reo,  l'ultimo  ne  buono, 
ne  reo ,  fra' quali  né  il  buono  è  amico  al  buono,  né  il  ma- 
ligno al  maligno,  né  il  buouo  al  malevolo,  come  dimostra 
k  ragione  addotta  di  sopra  . 

Scipione.  Piuttosto  la  profezia  ,  o  il  vaticinio  di  Plato- 
ne ,  perchè  egli  disse  queste  cose  quasi  indovinando. 

Forestiero.  Questa  conclusione  none  senza  prova, 
perchè  già  si  è  detto  che  se  il  tnale  fosse  amico  del  buono  , 
1' un  contrario  sarebbe  airiico  all'altro  ;  ma  se  il  reo  fosse 
amico  al  reo,  o  il  buono  al  buono,  ciascuno  sarebbe  amico 
di  quelle  cose,  le  quali  possiede,  ma  l'amicizia,  come  l'a- 
more, paiono  di  quelle,  che  sono  negli  altri.  Oltreciò  se  il 
buono  fosse  amico  del  buouo  ,  o  il  malevolo  del  malevolo, 
l'amicizia  sarebbe  tra  simili;  ma  per  opinione  d'Esiodo, 
ciò  è  inconveniente,  essendo  la  similitudine  cagione  di  ne- 
micizia ,  come  e'  insegna  quel  vecchio  proverbio  ;  resta 
adunque  che  il.  buono  sia  amico  di  quello,  che  non  è  ne 
buono,  né  reo,  E  questa  amicizia  fra  quello,  che  non  è  buo- 
no ,  e  il  buono,  è  per  la  presenza  del  male  :  perciocché  il 
corpo  sano  per  la  sanità  non  è  amico  al  medico:  ma  come 
egli  inferma,  subito  si  fa  questa  amicizia  tra  il  modico .  e 


3o4  IL  MANSO 

il  corpo  interino,  il  quale  ricerca ,  ed  ama  Li  medicina  per 
la  presenza  del  male:  ma  il  corpo  in  se  slesso  non  è  buono, 
ne  reo:  ma  quello,  che  non  è  buono,  o  reo  , alcuna  volta 
per  la  presenza  del  male  non  è  ancor  maligno;  alcun  altro 
è  divenuto  maligno  ,  quando  ancora  non  è  maligno  .  Lu 
presenza  del  male  ci  forza  a  desiderale  il  bene,  ma  la 
presenza  del  male,  che  l'accia  malevolo  il  suggello,  cor- 
rompe l'appetito  del  bene ,  e  rifiuta  l'amicizia,  percìic 
non  è  più  né  l'uno  ,  né  l'altro  ,  ma  è  divenuto  l'altro,  ciò 
è  il  male:  ma  il  male  non  può  essere  amico  al  bene,  o  il  be- 
ne al  male;  per  questa  cagione  coloro, che  sono  già  sapien- 
ti non  sogliono  più  filosofare ,  né  coloro ,  che  troppo  so- 
no corrotti  dall'  ignoranza  ;  coloro  adunque  solamente,  i 
quali  per  soverchia  ignoranza  non  hanno  perduti  gli  occhi 
della  mente,  ma  conoscono  di  non  sapere  quel  che  non 
sanno  veramente,  sono  filosofi,  ed  amatori  della  sapienza  . 

GlOVAiNNI.  I  Filosofi  adunque  non  sono  buoni  ,  né  rei. 

Forestiero.  Non  per  questa  ragione,  perciocché  né  i 
maligni  possono  filosofare,  né  i  buoni  più  s3  ne  curano, 
avvengaché  il  contrario  non  sia  amico  al  contrario;  né  il 
simile  al  simile,  come  abbiamo  dimostrato  . 

Giovanni.  I  buoni  dunque  dopo  l'acquisto  delle  scien- 
ze ,  sono  simili  a'mercaoti  arricchiti ,  i  quali  non  si  curanii 
di Irarricchire . 

Forestiero.  Queste  cose  mi  paiono  dette  da  Platone, 
piuttosto  per  ri|^rovare  l'altrui  opinione,  clie  per  confer- 
mare la  sua,  la  quale  fu,  che  l'amicizia  fosse  non  sola- 
mente tra'l  buono,  e  colui  che  non  è  buono,  né  reo.-  ma 
Ira  il  buono  ,  e  il  buono ,  perchè  se  il  buono  men  desidera 
il  buono  ,  non  è  men  solito  il  buono  di  godere  il  buono  , 
anzi  di  niuna  cosa  gode  più,  che  della  virtuosa  conversa- 
zione, la  quale  non  basta  per  conservare  l'amicizia:  laonde 
per  giudicio  de' Platonici  due  sono  le  specie  dell'amistà, 
l'una  tra  il  buono  .  e  colui ,  che  non  è  buono ,  o  reo  ,  fon- 
data piuttosto  nel  desiderio  ,  che  nel  piacere  ;  l'altra  fra  il 
buono,  e  il  buono,  nella  quale  è  minor  d(^siderio,  e  mag- 
gior diletto. 

Giovanni  .  Gran  diversità  è  (juesta  fra  Aristotile  e  Pla- 
tone, perché  l'uno  estiiua  che  l'  amicizia  possa  ancor  con- 


o  dell'  amicizia  3o5 

giungersi  fra' malvagi,  alfine  ili  aver  diletto,  o  utilità,  quan- 
tui)(iue  la  vera,  e  perfetta  auiicizia  sia  tra' buoni  j  l'altro 
tra' iualvayi  non  pone  amicizia,  e  tra'buoni  appena  la 
concedi^  . 

Scipione.  Non  è  meno  discorde  M.  Tullio  all'uno, ed  aU 
l'aìtro,  o  non  pare:  ma  senza  fallo  la  sua  opinione  è  piiì  de- 
gna di  maggior  lode,  avvengacliè  poco  generoso  nascimento 
diano  all'amicizia  coloro,  che  vogliono  ch'ella  abbia  prin- 
tjipio  dalla  povertà  e  dal  bisogno, e  dalla  debolezza,  affinchè 
n<'l  dare,  e  nel  ricevere,  ciascuno  prendesse  dal  compagno 
quello,  che  è  mestieri ,  e  vicendevolnente  gliele  rendesse; 
tna  più  antica,  e  più  illustre,  e  più  bella,  e  più  naturale  è 
r  origine  dell'amicizia,  perchè  l'amore,  dal  quale  si  nomi- 
na l'amicizia  ,  è  quasi  principe  nel  congiungere  gli  animi 
colia  benevolenza  ,  perciocché  1'  utile  spesso  si  piglia  da 
coloro,  <;be  per  similitudine  dell'amicizia  sono  onorati  nel- 
le occasioni,  ma  nell'amicizia  niente  è  finto,  niente  è  simu- 
lato: ma  tutto  ciò,  che  è  nell'amicizia,  è  vero  e  volontario. 
Però  (come  piace  al  medesimo  autore)  non  può  essere  ami- 
cizia ,  se  non  tra'  buoni  ; 

Forestiero.  Io  concedo  agevolmente  all'amore  luogo 
nell'amicizia  ,  e  il  principio  non  che  altro  ,  se  vi  pare  :  ma 
distinguendo  le  specie  dell'amicizia  ,  come  è  nostro  propo- 
nimento, non  lodo ,  ch«  ciò  si  faccia  seguendo  la  distinzio- 
ne delle  specie  dell'  amore ,  perchè  si  va  a  grandissimo 
pericolo,  come  sarebbe  quello  della  confusione  della  natu- 
ra, e  delle  cose;  avvengachè  il  distruggere  i  fondamenti 
dell'amicizia  ,  che  sono  le  virtù ,  è  quasi  un  gettare  a  ter- 
ra quelli  del  mondo,  e  richiamare  l'antichissimo  Caos,  nel 
cui  grembo  egli  si  giaceva,  come  accennò  Dante,  quando 
disse  : 

Parve  che  V universo  amor  sentisse. 
Laonde  estimo  più  sicuro  parlilo  seguendo  Aristotile  di- 
stinguere l'amistà  come  la  giustizia  ,  o  come  le  Repubbli- 
che, se  così  facesse  mpstieri  ;  e  già  abbiam  dt'tto  che  del- 
l'amicizie alcune  sono  fra  gli  eguali ,  altre  fra  gì'  iti.^guali  , 
di  cui  poco,  o  nulla  abbiam  ragionato;  e  queste  sono  tra  il 
padre,  e  il  figlino!  >,  tra  il  marito,  e  lu  moglie,  e  tra  il  Prin- 
cipe ,  e  il  soggetto,  e,  come  dice  in  un  altro  luogo,  tra  co- 


3o6  IL  MANSO 

lui,  che  fa  beneficio,  e  quel  che  riceve,  i  quali  tutti  han- 
no diversa  virtù.  ,  e  diverse  openizioni ,  diversa  amicizia,  e 
diverso  amore  ;  laonde  l' istesse  cose  non  sono  fatte ,  ne  ri- 
cercate dall'uno,  e  dall'altro.-  ma  i  padri  danno  afigliuoli 
quel,  che  al  fii^liuolo  è  conveniente ^  i  figliuoli  all'incontro 
concedono  ai  padri  quel  che  è  debito,  e  come  in  ciascuna 
di  queste  amicizie  sia  l'amore,  è  amore  con  dignità  e  con- 
venevolezza ;  perciocché  il  piìi  degno  ,  e  il  più  utile  merita 
più  di  essere  amato;  ed  in  questa  guisa  nella  disuguaglian- 
za si  fa  egualità  ,  in  un  altro  modo  nondimeno,  che  nella 
giustizia;  perchè  nella  giustizia  è  prima  eguale  quello  che 
è^per  dignità,  dapoi  l'altro  per  quantità  ;  ma  nell'amistà 
prima  è  pari  quel  che  è  pari  in  quantità  ,  come  abbiamo 
detto,  dapoi  è  quello  ,che  è  per  dignità  ,  e  per  convenien- 
za: e  quantunque  ciò  paia  esser  vero  piuttosto  nello  specie 
dell'amistà,  che  sono  tra  gli  eguali,  nondimeno  fra'dise- 
guali  ancora  non  è  falso,  che  prima  si  debba  aver  riguar- 
do all'egualità ,  die  è  nel  quanto,  dapoi  a  quel  che  con- 
■viene;  perciocché  nell'amicizia,  come  ne  insegna  Cicerone? 
coloro,  che  sono  superiori  ,  deono  inchinarsi,  e  quasi  sot- 
toporsi,  ed  innalzare  gl'inferiori;  in  questa  guisa  si  fa  la 
parità.  E  grandissima  cosa  è  nell'amicizia,  come  alTerma  il 
niedesitno  ,  cbe  l'inferiore  sia  parlai  superiore  :  però  fra 
tutti  gli  altri  fu  lodatissimo  Scipione ,  che  non  si  prepone- 
va a  Filone  ,  non  a  Lelio,  non  ad  altro  amico ,  quantunque 
tutti  superasse  di  valore,  e  d'eccellenza  .  Dovrebbe  adun- 
que la  conversazione  fra  gli  amici  essere  somigliante  a'  ra- 
gionamenti fra' piccioli ,  e  fra' grandi,  de' quali  disse  l'  An- 
guillara  quasi  per  giuoco: 

Convien  di  egli  i  impicciolì ,  io  m' ingranili . 
Ed  ebbe  forse  risguardo  a  quel  verso  di  Pmdaro  : 

CLtupo;  iv  Cfj.'.Hpoii  xxi  jj.iyj.i  iv  ixi-yctKoi;  tcrco^ia;. 
Ma  oltre  tutli  gli  altri,  io  lodo  il  parere  di  Aristotile  nei 
libri  ad  Eudemo ,  il  quale  vuole  che  si  faccia  quasi  un 
cambio  nella  quantità  •  perciocché  il  più  eccellente,  conce- 
dendo la  maggior  utilità  all'amico  men  degno,  ha  il  mag- 
gior onore  ,  eia  maggior  gloria  . 

Scipione.  Questo  è  quello  di  che  pare,  che  si   ramma- 
richi Lelio  appresso  Cicerone,    dicendo):    dove   ritroverai 


o  dell'  amicizia  3o7 

quest'uomo,  11  quale  l'onore  dell'amico  anteponga  al  suo 
nieiTesirno,  quasi  non  basti  l'anteporre  l'utilità  dell' amico 
alla  propria  ,  se  non  si  antepone  anche  1'  onore?  JNon  estima 
ancora  che  si  d<bba  commendare  nell'  amicizia  la  purità 
degli  oiTic) ,  e  della  volontà  in  guisa,  che  la  ragione  del- 
l'avere, e  del  ricevere  sia  egUode  ;  perchè  questo  è  un  fare 
i  conti  neir  amicizia  ,  troppo  minuta ,  sottilmente  ;  più  viva 
e  più  abbondante  dee  essere  la  vera  amistà  ,  e  non  dovreb- 
be temere  di  non  rendere  più  ch'ella  non  ha  ricevuto. 

Forestiero.  Generosa  è  l'amicizia,  come  poco  dianzi 
diceste,  ma  non  men  generosa  la  giustizia:  intanto  che 
da'suoi  nemici,  o  da' Sofisti  fu  riputata  pazzia;  si  stima 
poco  dagli  amici  l'avere  per  l'amicizia  ,  si  sprezza  simil- 
mente perla  giustizia:  si  va  alla  morte  per  l'amistà,  si 
corre  alla  morte  per  la  giustizia  ,  per  testimonio  ancora  di 
quel  poeta,  che  disse  : 

Coni'  noni ,  che  per  giustizia  a  morte  corra  ; 
ne  solamente  si  ritorna  alla  prigionia,  o  al  morire, come  fe- 
cero alcuni  amici;  ma  a' tormenti  della  crudelissima  morte 
in  quel  modo,  che  di  A.ttilio  Regolo  si  legge:  ma  nelle  for- 
tune dal  mare  ,  delle  quali  niuiia  cosa  è  più  orribile,  e  spa- 
ventosa, si  dispone  l'uno  amico  al  medesimo  pericolo,  nel 
quale  era  caduto  l'altro  ,  in  quella  guisa,  che  Tossari  Sci- 
ta racconta  di  Damóne  ,  e  di  Eutidico ,  e  senza  far  contesa 
o  di  sughero,  o  di  tavola  gittata  nell'onde  per  loro  salute, 
benché  dagli  altri  rimasi  nella  nave  fossero  pianti  per  mor- 
ti, vivi  pervennero  al  lido  della   Grecia  ,  ed  anco  insieme 
fdosofarono  in  Atene.  Il  giusto  similmente  non  usurpereb- 
be la  tavola  ne' naufragj  del  mare,  dove  altri  potesse  salvar- 
si, quantunque  egli  dovesse  perderne  la  vita;  non  è  adunque 
nien  generosa  la  giustizia  dell'amistà  :   ma  intanto  è  meno 
fortunata ,  che  la  giustizia  alcuna  volta  costringe  il  giusto 
a  mandare  in  esilio  i  figliuoli,  a  privargli  degli  occhi,  a  dar 
loro  la  morte  ;  ma  l'amicizia    sempre  si  adopera  per  la  sa- 
lute degli  amici.  Oltreciò  dell'amistà  ,  per  la  sentenza  di 
Cicerone,  è  contraria  ogni  severità  ,  ed  ogni  mestizia  :  ma 
la  giustizia  è  sempre  severa  ,  e  il  più  delle  volte  mesta  nel- 
le sue  operazioni,  e  per  questa  cagione    degna  di  maggior 
loda;  laonde  M.  Tullio,  conchiudendo  il  suo  libro,  diceche 


Jo8  IL  MAlNbO 

l'amicizia  dovrebbe  essere  anteposta  a-tutte  le  cose  eccet- 
tuatane la  virtù;  ma  niuna  virtù  per  giudizio  di  Aristotile 
dovrebbe  più  eccettuarsi  della  giustizia,  percliè  ella  è 
tutta  la  virtù;  ma  in  niuna  sua  azione  è  più  aiagnanirna  la 
giustizia,  cbe  nell'avere  iu  egual  considerazione  i  nemici 
agii  amici . 

Giovanni.  Non  fu  cosi  fatto  Agesilao,  il  quale  per  ri- 
spetto degli  amici  aveva  minor  riguardo  alla  giustizia,  co- 
me si  legge  nel  caso  di  Sfodria  ,  al  quale  dal  Re  fu  perdo- 
nato per  l'amicizia ,  cbe  era  tra'figliuoli  dell'uno,  e  dei- 
l'altro. 

Forestiero.  Non  merita  di  questa  azione,  né  dell'altre 
simiglianti  alcuna  loda  Agesilao,  e  più  dobbiamo  lodare  I 
Sruti,e  i  Torquati,  e  gli  altri ,  cbe  furon  giusti  giudici  de- 
gli amici ,  e  de' parenti  ,  o  pure  accusatori. 

Giovanni.  Troppo  severa  è  la  giustizia  ,  se  non  concede 
all'amistà  cb'ella  possa  difendere  l'amico  u  torto. 

Forestiero.  L'autorità  de'  magnanimi  Principi  ,  di 
Ciro ,  dico  ,  e  di  Agesilao  ,  e  quella  de'  due  ottimi  Filosofi  , 
di  Senofonte,  e  di  Aristotile  ini  fanno  di  ciò  dubitare  alcu- 
na volta:  ma  particolarmente  la  virtù  del  Re  de' Lacede- 
moni, la  quale  per  giudizio  di  Senofonte  fu  si'uile  al  Re- 
golo, ed  alla  Norma,  e  da  tutti  dovrebbe  essere  imitata: 
tua  di  lui  si  scrive  non  meno ,  cbe  di  Ciro,  cb'egli  si  sfor- 
zava di  superare  gli  amici,  ed  i  benemeriti  ne'benefioj  ,  e 
gì' inimici  nel  modo  di  nuocere  ,  sebben  mi  ricordo,  nel- 
l'ingiurie; anzi  se  crediamo  a  Socrate,  ed  a  Senofonte,  in 
que' libri,  cb'egli  compose  de" suoi  detti,  e  fatti  ,  la  prin- 
eipal  virtù  dell'uomo  è  il  vincere  gli  amici  con  bencQcj  , 
e  gl'inimici  con  maleficj  ;  cbè  le  cose,  clic  sono  ingiuste 
negli  amici,  son  giuste  negl' inimici,  come  l'uccisioni,  le 
prede,  e  gl'incendj,  e  le  rovine  ,  e  l'altre  si  fatte  . 

GlDV^ANNl.  Per  mio  ajuto  piuttosto  si  dovertìbbc  difen- 
dere un  inimico  a  torto,  cbe  offendere  il  necuico  senza  ra- 
gione . 

Forestiero.  Ma  per  giudizio  di  Aristotile  le  ragioni  ia 
ciò  son  quasi  pari,  e  da'medesimi  costunù  procede  il  far 
bene  agli  amici,  e  male  a'  nemici;  laonde  convertendo 
queste    proposizioni  ,    nell'  istesso   modo  sarebbe    degno 


o  dell'Amicizia  309 

dì  biasimo  colui,  che  i^iovasse  al  nemico,  e  nocesse  «nll'a- 
mico . 

GlOV^ANNI.  Molto  simile  è  l'opinione  di  Aristotile  a 
<juclla  di  Senofuute,  e  pare  quasi  rivo  derivato  dal  mede- 
simo fonte. 

FoKESTlEUO.  Ma  ditemi,  vi  prego,  Signore,  se  l'uomo 
valoroso  dee  nuocere  al  neniico,  o  col  vizio  dee  nuocere, 
o  colla  virtù,  o  coli' uno  e  coli' altro? 

Gjovanni  .  In  una  di  queste  sesiza  fallo. 

Forestiero.  Ma  nocendo  col  vizio  ,  sarebbe  vizioso. 

OlovANNi.  Sarebbe  ,  se  egli  nocesse  col  proprio  vizio  . 

Forestiero.  Parlo  di  quesl<» ,  perchè  il  nuocere  al  ne- 
mico suo  col  vizio  ,  o  colla  ignoranza  del  nemico  medesi- 
Simo,  è  loda,  e  virtù  de' più  eccellenti  capitani;  ma  non 
dovendo  alcuno  al  nemico  far  danno  col  proprio  vizio,  non 
dee  esserli  dannoso  col  vizio. 

Giovanni.  Per  la  medesima  ragione  non  dee  farlo. 

Forestiero.  Dunque  colla  virtù  dee  nuocere  all'inimi- 
co: ma  colla  virtù  non  si  nuoce,  ma  si  giova  ,  essendo  co- 
sì proprio  della  virtù  il  giovare,  come  del  vizio  il  nuocr- 
re;  dunque  si  può  rivocare  in  dubhiì  l'autorità  de' duo 
magnanimi  Re ,  e  de'due  grandissimi  filosoti.  Aristotile 
seguì  questa  opinione  in  que' libri,  ov'egli  non  insegna  1^ 
verità,  ma  il  trovare  gli  argomenti  per  l'una  e  per  l'altra 
parte:  in  altri  libri  disse  che  tutte  le  cose  male  adopera- 
te potevano  essere  nocive,  eccetto  la  virtù,  la  quale  non 
può  essere  male  adoperata .  Colla  virtù  adunque  non  ?! 
nuoce,  e  il  fine  della  giustizia  non  è  il  nuocere,  ma  il  gio- 
vare; e  se  pare  che  noccia  ad  alcuni,  o  quello  non  è  no- 
cumento, o  è  congiunto  coll'utile,  come  tu  a'popoli  Bar- 
bari l'esser  soggiogali  da  Alessandro,  o  da' Romani,  o  da 
Carlo  Quinto,  o  da  Filippo  non  meno  erede  della  gloria  , 
<;be  de'  regni  e  d*"!ia  potenza,  col  giovamento  e  col  prò  di 
molti:  però  ben  disse  Aristotile  ad  Eudemo,  che  dove  è 
la  giustizia,  non  è  necessaria  la  fortezza,  alla  quale  perav- 
ventura  si  appartiene  solamente  il  fare  danno  a' nemici; 
ma  concedendo  questa  gloria  all'amicizia  scrisse  Democri- 
to che  ivi  non  fa  mestieri  la  giustizia,  ove  ha  luogo  l'a- 
micizia :  per  la  giustizia  .idunque  cessa  ogni  bisogno ,   che 


3lO  H.  MAN  so 

abbiamo  della  fortezza  ;   e  l'amicizia  fa  che  uopo  non  sia 
delia  giustizia . 

Giovanni.  Ma  la  fortezza  è  più  necessaria  ,  ove  è  mag- 
giore amicizia  ,  come  ci  dimostra  Tossari  co! l'esempio  di 
quelli  Sciti,  che  per  l'  amistà  si  esposero  alla  morte,  e  co- 
me prima  ci  dicbiarò  l'esempio  di  Teseo  e  di  Piritoo,  e  di 
Achille  e  di  Patroclo. 

Forestiero.  Potrebbe  forse  la  fortezza  bislare  da  un 
lato  solo,  come  si  conosce  nell'  esempio  di  Ruggiero  e  di 
Leone,  nel  quale  il  valore  di  Ruggiero  supplisce  al  difetto 
dell'amico. 

Giovanni.  Non  si  contentando  l'amicizia  che  la  bene- 
volenza sia  neir  uno  d^gli  amici  solamente  ,  non  sarà  con- 
tenta che  uno  solamente  sia  il  virtuoso;  anzi  io  porto  opi- 
nione che  l'afnicizia  non  sia  amore  scambievole,  ma  reci- 
proca virtù . 

Forestiero.  Cotesto  perawentura  è  vero,  ma  non  è 
.sempre  l' istessa  virtù  eguale  noli'  uno,  e  nell'altro  degli 
amici:  però  in  Ruggiero  si  celebra  il  valore,  in  Leone  la 
cortesia,  e  questa  (se  io  non  m'inganno)  è  la  cagione,  per 
la  quale  i  poeti  antichi  congiunsero  ne'  pericoli  Ulisse  e 
Dio'iiede,  affinchè  la  prudenza  dell'uno  aiutasse  l'altro,  e 
Y-icendevolinente  ricevesse  aiuto  dalla  fortezza  dell'  altro: 
dunque  dove  sia  vera  amistà  ,  poco  è  necessaria  la  giusti- 
zia ,  e  felicissi na  per  questa  cagione  è  l  amistà  :  per  alcu- 
n' altra  cede  alla  giustizia  ,  peroccbè  la  giustizia  provvede 
a  tutti ,  e  non  esclude  alcuno  :  ma  l'amistà,  quasi  ristretta 
fra  brevissimi  termini ,  raccoglie  pocbi ,  e  pochi  conserva  , 
intanto  cbe  gli  Sciti  portarono  opinione  che  l'  amistà 
compartita  fra  molti  fosse  somigliante  agli  amori  divisi  in 
varie  parti,  o  pure  al  matrimonio  violato  da  varj  abbrac- 
ciamenti ;  ma  se  la  moltitudine  degli  amici  può  violare 
ramicizia  ^  molto  si  toglie  di  prosperità ,  e  di  buona  fortu- 
na a  questa  virtù  . 

Giovanni  .  I  felici  poco  lianno  bisogno  di  amici  ;  però 
non  si  deono  curare  di  molti. 

Forestiero.  La  felicità  solitaria  si  rimarrebbe  quasi  di 
esser  felicità;  laonde  in  (juesta  parte  dobbiamo  acquietar- 
ci  air  opinione  di  Aristotile,  e  di  M.  Tullio,   e  de' miglio- 


O  dell' AMICI/IA  3l  I 

ri,  i  quali  vogliono  che  .ili  iimico  si  convenga  piuttosto  <\i 
fare  che  di  ricevere  i  beneficj ,  e  che  .«la  più  onesto  agli 
amici  che  agli  estrani:  però  al  felice  sono  necessorj  gli  a- 
niici,  almeno  perchè  vi  sia  chi  riceva  le  sue  grazie,  i  suoi 
doni  e  i  suoi  favori;  e  si  suol  dubitare  se  gli  amici  siano 
più  necessari  nella  prospera,  o  nell'avversa  fortuna,  pnr- 
ciocchè  nell'una  si  ricerca  chi  faccia  il  heneficio ,  nell'al- 
tra chi  il  ricrva  ;  ma  in  ambedue  senza  fallo  sono  ricerca- 
ti ,  e  senza  essi  non  sarebbe  pi;icrvo]e  la  vita,  come  dee  es- 
ser quella  del  felice,  ne  piacevole,  né  continova  l'opera- 
zione. Oltreciò,  essendo  l'amicizia  graiìdissimo  bene,  oltre 
tutti  i  beni  esterni ,  sconvenevole  sarebbe  privare  il  felice 
del  maggior  bene,  e  quasi  condannarlo  alla  noia  di  una  so- 
litudine perpetua. 

Giovanni.  INon  tanto  stimo  che  sia  diibhioso  se  gli 
amici  siano  necessarj  nella  felicità  ,  quanto,  se  molti  amiri 
siano  necessarj ,  avvengarhè  io  mi  ricordi  di  avere  lette  in 
Plutarco  queste  somiglianli  parole:  ,,  il  vero  amico  niuiia 
cosa  estiiua  di  maggior  piacere  che  l'amare ,  ed  insieme 
l'essere  amato  da  molti;  però  continuamente  usa  con  qual- 
rhe  amico,  come  egli  a  molti  sia  amico  e  caro;  e  per  fer- 
mo avendo  io  opinione  che  le  cose  degli  amici  siano  co- 
muni, niana  cosa  dovrebbe  essere  più  comune  dell'amiei- 
eizia  stessa  „:  nelle  quali  parole  e'  insegna  di  ristringere  la 
conversazione  fra  pochi ,  e  di  comunicare  l'amicizia  fra 
ioollij,  e  di  moltiplicare  in  questa  guisa  gli  amici  e  l'ami- 
cizia . 

Forestiero  .  Cotesta  opinione  è  tanto  contraria  a 
quella ,  che  porta  Aristotile  ne' magni  morali  ,  che  nulla 
più ,  perchè  Aristotile  non  solo  esclude  dall'amicizie  i 
molti  amici,  ma  i  pochi:  altrimciite,  come  egli  dice,  avver- 
rebhe ,  che  l'amico  avesse  sovente  occasione  di  dolersi  per 
la  varietà  de'fortunosi  accidenti,  e  delle  morti,  alle  quali 
è  soggetta  la  vita  degli  uomini,  e  vuole  che  ella  si  restrin- 
ga fra  due  ,  o  tre  al  più  . 

Giovanni,  Sarà  adunque  l'amicizia  a  guisa  di  un  Gè*, 
rione:  così  concordi  saranno  le  operazioni  di  tre. 

Forestiero  .  Il  Gcrione  di  Luciano  è  assomigliato  al- 
l'amico:  ma  da  Aristotile  ne'suoi  libri  della  Topica  si  as- 


3 1 2  IL  MANSO 

somiglia  all'anima,  perchè  nell'anijna  sono  tro  potenze',  a 
guisa  di  Gerione  ,  fra  le  quali  nondimeno  dovrebbe  essere 
amicizia:  ed  in  questa  guisa  si  potrebbe  solvere  quella,  cbe 
par  contradizione  in  Aristotile;  perchè  in  alcun  luogo  vuo- 
le che  si  trovi  l'amicizia  fra  se  stesso;  nell'altro  non  vuo- 
le che  l'amicizia  possa  essere  tra  meno  ,  che  fra  due  sog- 
getti, il  che  è  vero  senza  fallo;  e  vero  sarebb;^  parimente 
che  l'uomo  non  potrebbe  essere  amico  di'  se  med<'si;uo,  se 
l'amicizia  non  si  considerasse  per  rispetto  delle  molte  par- 
ti dell'anima;  è  dunque  prima  l'amicizia  nf  He  poti'nze  del- 
l'anima, come  estimò  Aristotile,  e  la  giustizia  similmente, 
come  giudicò  Platone. 

Giovanni.  Vero  adunque  è  senza  dubbio  quello  che  di- 
ceste poco  prima  ,  cioè  che  l'amicizia  ,  e  la  giustizia  siano 
nelle  cose  medesime, ed  intorno  all'istesse;  e  ciò  si  dovreb- 
be intendere  non  solo  dell'interiori,  ma  dell'esteriori. 

FoRESTIEllO.  Così  estimo  ;  anzi  giudico  che  l'amistà  in- 
teriore sia  oricine  dell'esteriore,  e  la  "iustizia  similmente: 
non  per  tutto  ciò  mi  turbano  alquanto  alcune  parole  di 
Aristotile  ad  Eudemo  ,  dove  egli  dice  che  nella  casa  è  il 
fonte  di  ogni  giustizia  ,  il  che  io  estimo  vero  in  parte,  cioè" 
avendo  riguardo  alle  cose  esteriori:  la  giustizia  domostica 
è  quasi  fonte  delle  a'tre  ;  ma  ella  deriva  da  fonte  più  oc- 
culto, ed  interno  ,  che  è  nell'  animo,  non  altrimenti  die 
soglia  avveniie  del  Nilo,  o  d'altro  fiume,  o  dell'Oceano 
medesimo  ,  se  l'Oceano  avesse  fonti,  come  scrisse  Esiodo  . 
e  gli  altri  Greci  Teologi . 

Scipione  .  Cosi  dobbiamo  credere  senza  fallo,  e  questo 
misterio  ci  è  quasi  velato  n^lle  sacre  lettiere  :  perciocché  i 
quattro  fiumi,  che  irrigano  il  Paradiso,  disegnano,  come 
dice  Filone  Ebreo,  b*  quattro  virtù  dell'anima,  !<  quali  pi- 
gliano il  principio  da  Eden  ,  cioè  dalla  divina  Sapienza  ;  e 
questo  è  il  vero  principio  dell'  amicizia  ,  e  di  ogni  moral 
virtù,  le  quali  irrigano  l'oneste  azioni,  e  fanno  germogliare 
la  virtù,  e  la  contemplazione  a  guisa  di  pianta:  il  primo  è 
Phison  ,  che  circonda  tutta  la  terra,  dove  è  l'oro,  e  il  car- 
bonchio, ed  altre  pietre  preziose;  questo  significa  la  pru- 
denza: il  secondo  fiume  è  Geon,  che  gira  intorno  all'Etio- 
pia, il  cui  nome  è  interpretato  il  medesiuio,  che  l'umiltà  , 


O  DETJ/ AMin/CA.  3l3 

avvengaclic  l'umiltà  sia  cosa  umile  eA  al)ietta  a  cui  la  for- 
tezza è  contraria  :  il  terzo  fiume  detto  Tigri,  che  corre  con- 
tra  l'Assiria  ,  è  la  terza  -virtù,  cioè  la  temperanza,  la  quale 
correggendo  la  nostra  umana  debolezza,  va  centra  i  piaceri, 
perciocché  gli  Assirj  si  possono  dire  in  questa  lingua  scor- 
retti o  incorreggibili,  ed  ha  comune  questo  nome  colla  ti- 
gre, ferocissimo  animale,  in  cui  la  temperanza  ha  molto 
che  fare;  ma  l'Eufrate  (  come  dice  )  è  segno  della  giusti- 
zia, la  quale  non  oppugna  alcuno,  né  cinge,  e  non  ha  av- 
versario ,  perchè  a  lei  si  appartiene  dare  a  ciascuno  il  suo  , 
e  tiene  luogo  non  di  accusatore,  ma  di  giudice. 

Forestiero.  Feconda  senza  fallo  conviene,  che  sia 
l'anima  da  quattro  fiuirii  irrigata  :  ma  oltre  i  quattro  prin- 
cipali molti  deono  essere  i  rivi ,  e  i  ruscelli,  da'quali  inaf- 
fiata produce  frutti  di  virtù  ,  di  buone  e  lodevoli  opera- 
zioni. 

ScIPIO^E.  Da  queste  quattro,  quasi  da  regj  fiumi,  e  de- 
rivano le  altre  virtù,  e  cjuestp  quattro  sono  nell'anima  de- 
rivate da  Dio,  fonte  d'ogni  virtù  ,  e  di  ogni  bontà,  e  di 
ogni  perfezione.  Abbiamo  dunque  il  principio  dell'  amici- 
zia,  il  quale  non  è  il  bisogno  ,  o  l'indigpnzo,  come  parve 
ad  alcuni,  ma  Iddio,  che  è  la  copia,  e  1  abbondrin?^  tU 
tutti  i  beni ,  i  quali  a  guisa  di  onde  sono  da  lui  compartiti. 

Forestiero.  Fortissimo  veramente,  e  nobilissimo  prin- 
cipio . 

Scipione.  Divino  senza  dubbio,  ed  eterno  principio; 
laonde  Empedocle,  che  fra  i  principi  delle  cose  naturali  , 
numerò  r  amicizia  ,  e  la  discordia,  non  si  dilungò  molto 
dalla  verità  :  quantunque  egli  ponesse  i  principi  contrari 
fra  se  stessi,  come  prima  aveano  fatto  gli  altri  Filosofi,  e 
dapoi  fece  Aristotile  medesimo:  ma  uno  è  veramente  il 
principio  delle  cose  (  come  scrive  Dionigi  )  sovra  ogni  con- 
trarietà ,  e  contradizione  altissimamente  collocato;  e  chi 
dicesse  questo  princi])io  esser  l'amicizia  ,  per  mio  avviso 
non  errerebbe  di  soverchio,  perchè  Iddio  medesimo  è 
l'amicizia,  se  la  carità  per  l'amicizia  (  come  parve  a  Ciro  ) 
prenderemo. 

Forestiero.  Or  che  abbiamo  ritrovato  il  principio  deU 
r amicizia  ,  dobbiamo  ricercare  il  fine. 

T.  HI.  Dinhrhi  21 


3l4  IT.  MANSO 

Scipione.  TI  medesimo  ,  che  è  principio  dell'amicizia  ,  è 
fine  di  lei  medesimamente  . 

Forestiero.  Mi  pare  di  aver  letto  in  Proclo,  o  in  altro 
Platonico,  che  il  fine  della  guerra  è  la  giustizia,  e  il  fine 
della  pace  è  1'  amicizia  :  ma  ora  ,  cbe  io  ascolto  sì  altamen- 
te ragionare  del  suo  principio  ,  e  del  suo  fine  ,  estimo  al- 
trimente  ,  e  giudico  piuttosto  che  la  pace  sia  finedell'arai- 
cizia:  perchè  Iddio  è  pace,  quella  pace,  dico,  la  quale  non 
è  unione,  ma  unità  ;  perchè  dell'altra  ,  ch'è  unione,  Tami- 
cizia  è  quasi  fine  .  Ma  questi  mister]  sono  così  alti,  e  così 
ascosi  nelle  tenebre,  e  quasi  nella  caligine,  che  non  senza 
cagione  fu  assegnata  da  Esiodo  la  notte  per  madre  dell'a- 
micizia . 

Scipione.  Diverse  tenebre,  e  diversa  caligine  senza  fal- 
lo è  quella,  della  quale  egli  ragiona ,  la  quale  si  può  rima- 
nere colaggiiì  nell'oscurissimo  Tartaro,  dove  ella  nacque 
peravventura  :  ma  nella  santissiuia  notte  nacque  appresso 
quella  luce,  ch'è  veramente  pace  ,  e  veramente  amicizia  , 
la  quale  congiunge,  ed  unisce  i  buoni  a  se  stessi;  e  fra 
loro  è  un  santissimo  legame  di  amicizia,  e  di  carità  . 

Forestiero.  Soverchio  è  dunque  ormai  il  dubitare  se 
l'uomo  debba  desiderare  l'esaltazione  degli  amici,  quasi 
nella  grandezza  dell'uno  consista  la  distruzione  dell'  ami- 
cizia medesima;  perchè  se  l'uomo  può  essere  amico  di 
Dio,  come  parve  ad  Aristotile ,  il  quale  al  savio  attribuì 
quest'onore,  non  è  inconveniente  adunque  che  fra  gli  uo- 
mini si  conservi  1  ainicizia  nella  grandissima  varietà  o  di- 
stanza della  fortuna:  però  Platone  fu  amico  del  Siracusano 
Dionigi  ,  Senofonte  di  Agesilao  ,  Euripide  di  Archelao, 
Aristotile  di  Filippo  e  di  Alessandro,  Ennio  del  maggiore 
Scipione  Affricano,  Polibio  e  Paiiezio  del  minore ,  Possi- 
donio  di  Pompeio  ,  Plutarco  di  Traiano,  dapoi  anco  che 
egli  all'altissima  dignità  dell'Imperio  fu  esaltalo  ;  e  per 
ragionare  de' nostri  ,  il  Petrarca  del  Re  Roberto,  e  di  Pro- 
spero Colonna  ,  e  del  Cardinale,  fra'quali  senza  dubbio  fu 
perfetUi  amicizia  ,  perchè  fra  loro  fu  concordia  di  tutte  le 
opinioni,  non  solamente  di  quelle  ,  che  appartengono  allo 
stato  civile ,  che  bastano  alla  civile  amistà,  ma  non  alla 
perfetta  amicizia.  E  vera  senza  dubhio  quella  opinione  di 


l)ante  nel  suo  convito,  che  la  Filosofia  nitro  non  sia  ,  che 
divina  amicizia  ,  e  il  Filosofo  amico  di  Dio  ,  che  è  vera  sa- 
pienza; e  da  questo  princìpio  discende  prima  ne' Principi , 
che  in  alcun  altro,  e  negli  uomini  di  alto  affare.  Se  tale  è 
adunque  l'arjiici/ìa,  la  quale  non  solamente  congiunge  in- 
sieme gli  animi  de'ciltaclini.  ma  le  cose  clvili'colle  stranie- 
re, e  le  terrene  colle  celesti,  e  le  umane  colle  divine  ,  con 
altissime  laudi  senza  dubbio  dovrebbe  essere  celebrata. 

Giovanni.  Qui  si  ricercherebbe  l'inno  vostro,  o  di  al- 
tro poeta,  il  quale  la  chiamasse  ])rincipio,e  fine  delle  cose, 
l'acitrice,  procreatrice  del  cielo  e  delle  stelle,  e  degli  ele- 
menti similmente  conservatrice  ;  armonia  del  mondo  ,  con- 
cordia delle  cose  discordi,  nodo,  e  legame  della  natura;  di- 
letto, e  perfezione  dell'arte;  contento,  e  quasi  musica 
delle  opinioni  ;  fondamento  delle  città,  e  delle  Repubbli- 
che ;  accrescimento  degl'Imperj ,  e  de'  Regni  ;  consolazio- 
ne dell'  avversa  fortuna  ,  e  della  prospera  ornamc»to:.  aU 
le-ggiamento  della  povertà,  ammaestramento  delle  ricchez- 
ze, e  gloria  della  potenza:  sicurezza,  riposo,  tranqillità 
ed  onore  della  vita  umana  ,  e  principio  quasi  della  divina  ; 
perchè  tu,  o  amicizia  ,  fai  le  anime  nostre  con)pagne,  e 
colleghe  delle  Intelligenze  :  Tu  das  epulis  accumhtre  di- 
vuni:  tu  fai  gli  Dii  uomini,  e  gli  uomini  Dii,  costringendo 
le  divine  materie  a  vestirsi  di  umanità  ,  e  1'  umanità  qua^^i 
a  trasufnanarsi;  tu  giusta,  tu  pietosa  ,  tu  santa,  tu  celeste 
insieme  e  terrena  .-  mortale,  ed  immortale;  umana  ,  e  di- 
vina ;  risguarda  questo  mondo  terreno,  e  soggetto  alla  cor- 
ruzione, il  quale,  come  si  dice,  è  generato  dalla  discordia. - 
e  non  potendo  tu  collocare  la  tua  sede  fra  le  ripugnanze 
degli  elementi ,  e  delle  contrarie  nature  ,  siedi  negli  animi 
nostri,  e  nelle  menti  degli  ottiu)i  Principi,  i  quali  gover- 
nino questo  globo  inferiore  ad  imitazione  de' superiori  ,  e 
sieno  in  terra  vive  immagini  della  Divina  Maestà  .  lo  ho 
lodata  l'amicizia,  come  ho  saputo;  voi,  se  vi  pare,  potrete 
aggiungervi  i  numeri,  e  l'armonia  poetica  . 

FOKESliEHO.  In  ninna  guisa  meglio  si  onora  l'amicizia, 
che  colle  buone  operazioni .  Piaccia  a  Dio,  che  da  noi  in 
questo  modo  .stesso  in  ogni  luogo,  ed  in  ognitempo  sia 
onorata  ,  e  commendata  . 


ALL'ILLUSTRISSIMO  E  REVERENDISSIMO 

SIGNOR    CINTIO  ALDOBRANDINI 

CARDINALE  DI  S.  GIORGIO 


J-^a  mia  servitù  può  esser  molto  meglio  confermata  dal~ 
lo,  grazia  di  Vostra  Signoria  Illustrissima,  che  dal- 
l'opere mie,  o  pur  da'  meriti .  Nondimeno  se  V  opere,  o 
le  fatiche,  o  i  meriti  ci  possono  avere  alcuna  parte  ,  io 
non  sarò  mai  pentito  di  onorarla ,  e  di  celebrarla  .  e  di 
raccomandare  ,  e  quasi  di  credere  alla  sua  autorità  la 
mia  fama  ,  e  la  riputazione .  Ora  le  dedico  questo  nuovo 
dialogo  dell  Imprese  ,  nel  quale ,  imitando  Platone ,  che 
sotto  il  nome  d'  Ospite  Ateniese  volle  ricoprir  la  sua  pro- 
pria persona ,  introduco  a  ragionar  assai  nuovamente  di 
questa  da  molti  trattata  materia,  me  col  nome  di  Fore- 
stiere Napoletano  ,  e  collo  stile  ancora  ,  che  parrà  forse 
peregrino  in  questa ,  e  neW altre  città.,  a  quel  di  Platone 
nondimeno  non  è  dissimile  né  lo  stile,  ne  la  dottrina,  col- 
la quale  ho  cominciato  di  scrivere ,  e  di  ragionare . 
Laonde  V.S.  Illustriss.  nel  ricever  questo  picciol  dono,  e 
nel  gradirlo,  accetterà  una piccicla  impresa,  né  minore 
di  quelle,  di  cui  nel  dialogo  si  discorre:  l'  impresa,  dico, 
di  raccogliere  me ,  le  mie  fortune ,  e  l' opere  ,  se  non  ni  è 
lecito  di  dir  le  virlit,  sotto  la  sua  henignissima  protezio- 
ne ,  e  difenderle  dalla  malignità  di  coloro ,  che  hanno  il 
giudici o ,  o  l' appetito  corrotto.  E  benché  ciò  sia  molto 
malagevole;  nondimeno  a  V.  S.  Illustriss.  e  alV  alto  gra- 
do ,  in  cui  è  collocata ,  e  per  li  molti  suoi  meriti ,  e  per  le 
grazie,  che  da  nostro  Signore  ,  come  a  suo  meritevolissi- 
mo nipote  le  son  concedute  ,  tutte  le  cose  saranno  più  fa- 
cili ,  che  a  molti  altri.  Degnisi  dunque  di  rimirar  uma- 
namente questo  assai  breve  volume  ,  che  non  si  vergogna 
di  venirle  avanti ,  quasi  fedel  testimonio  della  mia  devo- 
tissima volontà ,  e  non  instabile  opinione  :  e  le  bacio  umi- 
lissimamente la  mano . 


Di  V.  S.  Illustriss. 


Umilissimo  Servo 
Torquato  Tasso. 


IL   CONTE 

OVVERO 

DELL'  IMPRESE 

DIALOGO 


A RGOMENTO 


J-wpresn  in  linìiano  è  quanto  in  Fninre^r  devise.  [.'Impreca  è  come 
un^ insogna,  per  In  quale  i  personaggi  cospicui  per  natali  ,  ricchezza  , 
potenza  ,  o  per  valore  nrlle  anni  o  nelle  lettere  solcano  rendersi  di' 
stinti  dagli  altri ,  o  esprifnere  i  lor  pensieri,  e  i  lor  voli-  Si  compone 
del  soggetto  e  del  motto  :  il  sogselto  è  In  figura  di  qualche  cosa  natu- 
rale ,  o  artificiale  ,  la  quale  può  porgere  /'  idea  d' un  concetto  :  il  se- 
condo è  come  la  dichiarazione  ,  e  la  con/erma  del  primo  .  Il  Tasso  , 
correndo  l'anno  1394,  ed  essendo  in  Napoli,  scrisse  il  presente  Dia- 
logo delle.  Imprese,  che  intitolò  il  Conte,  dal  personaggio,  (he  intro- 
duce a  porliir  seco  stesso  sotto  il  solito  nome  di  Forestiero  Nnpnleta- 
tio .  Il  luogo  della  scena  è  in  Roma  Là,  prendendo  motioo  dui  favel- 
lare dell'  antico  Obelisco  drizzato  davanti  la  Basilica  di  S.  Gio.  La- 
cerano, e  dai  Geroglifici  che  7>edonsi  in  quello  intagliati,  viene  a 
parlare  delle  Imprese  ;  ne  definisce  il  nome,  ne  fa  rimontar  l'uso 
alla  pili  remota  antichità,  le  paragona  coi  Geroglifici ,  con  gli 
stemmi  gentilizi  ,  coi  simboli  ec.  e  lungamente  favella  delV  uso  ,  dei 
segni,  e  d'ogni  particolare  di  esse,  non  che  degli  Autori ,  che  ne 
scrissero.  Passa  quindi  a  discutere  se  le  parole  sieiio  necessarie  ,  o  no 
alle  Imprese;  e  confermando  chele  Imprese  sono  segni,  o  imngi'n 
ccHìvenienti  ,  fatte  per  desiderio  d' onore  ,  dice  che  queste  imaginì  al- 
tre sono  naturali,  altre  artifiziose ,  altre  civili-  Reca  moltissimi  esenipj 
d' Imprese  differenti ,  e  termina  col  riportare  le  regole  stabilite  già 
dal  Giovio  onde  ottenerne  la.  perfezione  . 

Fu  questo  Dialogo  ,  come  si  è  detto ,  composto  in  Napoli  nel  1  594 
e  Torquato  scrivendone  al  Costantino  gli  dice  :  «  ora  le  mando  un 
«  Dialogo  delle  Imprese  ,  che  feci  queste  settimane  passate,  nel  qua- 
«  le  ho  trattata  questa  materia  molto  diversamente  dagli  altri,  che 
•  vi  hanno  scritto,  e  appunto  mi  ton  governato  conforme  ai  ragiona- 
a  menti,  che  V.  S.  ed  io  ne  abbiamo  avuti  diverse  volle  ».  La  lettera 
è  di  Napoli  del  10  Agosto  i5c)'^.  1^0  stampò  in  Napoli  lo  Stigiiola 
in  4°  se  ti  z'  anno  ,  ma  certo  nel  deccmbre  del  1  5g4  /-'  edizione  non 
è  notata  dal  Serassi  nel  catalogo  dr-ììe  Opere  in  pro'sa,  be-tchè  ne  par- 
li alla  pag.  48()    Mandò  il  Tasso  questo  Dialogo   al  Cardinale  yll~ 


320  IL  CONTE 

dobrandino  colla  lettera  antecedente  ,  e  partendo  per  Roma  ,  ove  lo 
attendeva  loiior  d»l  trionfo  ,  lasciò  all'  Ah.  Polverino  la  cura  di  as- 
sistere all'  edizione  di  esso  .  Le  particolarità  di  ipie^la  stampa  ri  ve- 
dranno nelle  Lettere  Inedite ,  che  pubblicheremo  {già  raccolt'  dal  Se- 
rassi)  aW /ib.  Polverino  del  io  JSoveiubre ,  e  aS  Deccmbre  1594  (1). 

INTERLOCUTORI 

CONTE FORESTIERO  NAPOLETANO . 

Forestiero.  So  aspettava  il  ritorno  del  Cardinale ,  e 
trattante  era  tutto  intento  a  rimirar  la  nuova  maraviglia 
dell'antico  obelisco,  drizzato  davanti  la  venerabii  Cbiesa 
di  S.  Giovanni  Latcrano;  né  per  molta  attenzione  cessava 
la  maraviglia;  ma  cresceva  il  desiderio  di  sapere  molte  co- 
se appartenenti  a  queir  altissima  mole  ,  in  cosi  miracolosa 
maniera  innalzata:  ne  poteva  per  la  distanza  leggere  le 
iscrizioni ,  che  dichiarano  alcuna  parte  di  quello,  che  io 
desiderava  d'intendere;  laonde  l'animo,  sollecito  investi- 
gatore del  vero,  non  si  acquetava  nei  diletto  del  rimirare, 
ma  pensava  più  oltre  alla  grandezza  dell'animo,  dimostra- 
ta dal  nuovo  Pontelice  con  tante  opere  di  non  usata  ma- 
gnificenza ;  in  quella  guisa  forse  che  alcuni  dalla  vista,  e 
dalla  contemplazion  del  Sole,  s'innalzano  a  quella  di  Dio, 
del  quale  si  dice  il  Sole  esser  immagine  e  simulacro.  E 
mentre  io  era  in  questo  modo  sospeso  fra  '1  piacere  della 
vista,  e  la  cupidità  del  sapere,  mi  si  fece  appresso  nella 
medesima  finestra  del  palagio,  alla  quale  tutto  solitario  e 
pensoso  m'era  appoggiato,  un  giovane  d'età  matura  ,  d'a- 
spetto signorile  ,  di  maniera  laudevole,  e  pomposamente 
vestito,  e  di  lingua,  come  a  me  parve,  cortigiana,  il  quale 
faceva  sembiante  d'aver  meco  lunga  domestichezza,  sicco- 
me colui  che  sapea  favellare  acconciamente  e  in  grado;  ed 
io  gli  dissi:  datemi  per  cortesia  qualche  contezza  di  que- 
sto obelisco,  e  fate  che  io  ascolti  dalla  vostra  voce  quel  , 
ch'io  non  posso  leggere. 

Conte.  Questo  è  uno  de' miracoli  di  Roma,  anzi  del 
suo  Pontefice,  al  quale  non  basta  il  fare  ogni  giorno  opere 

li.)  Questo  Aiiiomcnlo  è  dell' Edilore. 


o  dell'  LìIPRESE  32 1 

maravigilose,  mu  rinnova  l'antiche,  e,  s'io  non  m'ingan- 
no, con  maggior  maraviglia. 

Forestiero.  Già  questo  m'era  noto,  percb'è  divulga- 
to con  chiarissima  fama  in  tutte  le  parti  del  mondo,  non 
solo  in  Napoli  ,  d<»lla  quale  pochi  giorni  sono  feci  parten- 
za; ma  avendo  trovata  Roma  nel  mio  ritorno  più  bella,  mi 
vergogno  di  conoscer  me  stesso  più  ignorante  che  non  era; 
perchè  l'animo  occupato  da  infinite  sollecitudini ,  d'ogni 
altra  cosa  è  più  ammaestrato,  che  di  quelle,  che  son  pro- 
prie di  lei  :  e  qui  si  deono  sapere,  meglio  che  in  altra  par- 
te; laonde  s'io  avessi  voluto  altrove  appararle  ,  sarei  simi- 
le a  coloro,  che  beono  a  piccioli  e  torbidi  ruscelli ,  poten- 
dosi colla  fatica  di  una  breve  strada  trarre  la  sete  ad  un 
chiaro  e  amplissimo  fonte. 

Conte.  Io  dirò  quello,  che  mi  sovviene,  e  quel,  die  ho 
inteso,  o  letto,  per  compiacervi.  Questo,  come  sapete  ,  è  un 
obelisco,  anzi  il  maggiore  di  tutti  gli  altri,  e  il  più  mara- 
viglioso  ,  però  niuno  altro  con  maggior  ragione  potea  es- 
sere annoverato  fra' sette  -.niracoli  del  mondo  ;  ma  se  tutti 
insieme  furono  cagione  della  maraviglia  ,  questo  solo  po- 
teva ciò  fare  senza  ajuto  di  alcun  altro. 

Forestiero.  Mirabile  è  certo  per  la  sua  grandezza  ,  e 
per  la  materia,  e  per  la  forma . 

Conte.  La  grandezza  ,  come  dicono,  eccede  quella  d'o- 
gn'  altro;  la  materia  è  per  poco  la  medesima  in  tutti,  cioè 
il  sasso  composto  di  minutissime  particelle  di  varj  colori, 
delle  quali  le  maggiori  rosseggiano,  altre  sono  cristalline  , 
o  trasparenti  a  guisa  di  alabastro  ,  altre  più  minute  di  «e- 
rissimo  colore  ;  è  da  molti  annoverato  fra  le  specie  di  mar- 
mo, e  fu  chiamato  con  nome  Greco  Pyrropecilas ,  che  si- 
gnifica, variato  in  rosso  :  fu  detto  ancora  dalla  mistura  dei 
co\or\  :  P saronio ,  e  Tebaico,  da  Tebaida,  provincia  del- 
l'Egitto ,  dal  quale  l'  obelisco  fu  portato  a  Roma  ;  e  Sce- 
nite,  da  Scete  città  della  Tebaide. 

Forestiero.  Assai  avete  detto  della  materia  ,  ma  della 
forma  ancora  desidero  saper  alcuna  cosa  . 

Conte.  La  forma  è  quadra  come  vedete  ,  la  quale  va 
sempre  alquanto  aguzzandosi  ;  però  i  Greci  gli  nominano 
obeli ,  cioè   spiedi;  e  obelischi,  quei,  eh'  erano   minori, 


3i2  IL  CONI  E 

quasi  spiedetti .  Ma  questa  figura  fu  giudicala  uiisteriosa 
dagli  Egizi,  e  simile  a  quella  de' raggi  del  Sole,  anzi  con 
questo  nome  stesso  ,  cioè  raggi  del  Sole ,  solevano  da  quel- 
la nazione  esser  nominati .-  e  d.i'  Re  dell'  Egitto  al  Sole  fu- 
rono consacrati,  o  al  figliuolo  del  Sole  (  così  tur  cliiainati 
nelTetà  seguente  gli  uomini  illustri  ).  Ora  sono  consacrati 
alla  Croce,  nella  quale  il  Sole  intelligibile  parve  eclissarsi 
per  interposizione  della  sua  Ufnanità,  la  quale  il  teneva  na- 
scoso al  nostro  intelletto . 

Forestiero.  E  chi  fu  l'inventore  di  questi  obelischi ,  o 
di  quella  consacrazione? 

Co^iTE.  il  primo  Re  degli  Egizj ,  che  facesse  gli  obeli- 
schi, fu,  per  testimouio  di  Plinio  ,  Mitres  ,  che  risedeva  in 
Eliopoli.  Eusebio,  che  trascrisse  i  libri  di  Manetone,  Sa- 
cerdote Egizio,  il  chiama  Mefres,  e  nell' istesso  modo 
Giuseppe  Ebreo.  Altri  vogliono,  fra' quali  è  Diodoro  Si- 
ciliano, che  l'invenzione  degli  obelischi  fosse  più  antica, 
cominciata  sino  da  Semiramis,  Reina  degli  Assirj,  la  quale 
drizzò  un  obelisco  in  Babilonia;  ma  l' invenzion  continuò 
negli  Egizj  prima  in  Mefranutesi,  successore  di  Mefres,  poi 
sino  a'tempi  del  Re  Sotis ,  il  quale  fece  obelischi  di  mara- 
vigliosa  grandezza:  e  non  solamente  i  Re,  ma  i  Sacerdoti 
di  Egitto  erano  usi  di  farne  ,  e  peravveatura  opera  furono 
de'Sacerdoli  i  minori,  e  de'R.egi  i  maggiori;  ma  la  felicità 
di  questi  tempi  ha  voluto  che  il  sommo  Sacerdote ,  nel 
quale  è  congiunta  la  potestà  del  sacerdozio  colla  reale, 
abbia  consacrato  al  Figliuolo  del  vero  Iddio,  quasi  a  fi- 
gliuolo di  vero  e  di  grandissimo  Sole,  il  maggiore  ,  e  il 
più  riguardevole  di  tutti  gli  altri .  Questo  (come  si  dice) 
fu  prima  f;itto  dal  Re  Ramises,  e  intagliato  di  lettere  jero- 
glifiche,  le  quali  contengono  la  grandezza,  e  T imperio  di 
Ramises  Sotis,  padre  dell'altro  Pvamises  :  fu  trasportato  a 
Roma  da  Costanzo  figliuolo  del  gran  Costantino,  in  quel 
tempo  ch'egli ,  per  la  morte  di  Costantino,  e  di  Costante 
suoi  fratelli ,  aveva  unito  in  se  medesimo  l'imperio  def 
mondo;  laonde  volendo  contendere  di  grandezza  con  Au- 
gusto, il  quale  peravventura  superava  di  potenza  ,  fece 
drizzar  nel  Cirro  massimo  questo  grandissimo  obelisco, 
benché  Augusto  ne  avesse  drizzato  prima  un  altro  minore, 


o  dell'imprese  323 

©pera  d«l  Re  Samresete,  a  cui  fu  tolto  il  luogo  di  jnezzo, 
eh'  egli  aveva  occupato,  cosi  piacendo  a  Costanzo  ,  che  in 
cima  all'obelisco  fece  porre  una  palla  di  bronzo  indoruta  ; 
ed  essendo  questa  percossa  dal  fulmine,  vi  fece  innalzare 
in  luogo  della  palla  una  fiaccola  fiammeggiante.  Ora  l'  o- 
belisco,  siccome  noi  veggiauio ,  sostiene  il  trofeo  della 
Croce,  il  quale  in  tanti  altri  luoghi  è  inalzato  in  Roma 
con  tanta  gloria  di  Cristo  e  del  suo  Vicario;  laonde  ella 
dee  gloriarsi  senza  comparazione  più  di  questo  solo,  che 
di  quanti  mai  ne  drizzarono  i  Romani  Imperatori  delle 
soggiogate  nazioni.  Si  leggono  ancora  l'antiche  iscrizioni 
ch'erano  in  quattro  parti,  rivolte  alle  quattro  principali 
parti  del  mondo. 

La  prima  da  Levante. 
Patris  opus ,  minusque  suum  tibi,  Roma,  dicavit 
jiugustus  toto  Constantius  Orbe  recepto,  etc. 

L'altra  da  Settentrione: 
Sed  gravior  divinae . 

Da  Ponente  verso  il  monte  Aventino  la  terza  : 
Credidit ,  et  placide . 

Da  Mezzo-giorno  la  quarta  . 
Nunc  velati  rursus  etc. 
Ora  l'obelisco  ha   nuove  iscrizioni ,  ed  in  quella  eh' è  ver- 
so Settentrione ,  si  Ipgge  il  nome  di  Sisto,  nell'altra  si  rin- 
nova la  memoria  di  Costantino  Cristianissimo  Imperatore, 
e  di  Costanzo  suo  figliuolo.  In  questa   guisa   il  Santissimo 
Pontefice  ha  cavato  quasi  dalle  tenebre  e  dalle  ruine  ,  il 
nome  sepolto  di  quegli  invittissimi  Principi  ,  e  data  agli 
scrittori  di  questa  età  nobilissima  occasione  di  celebrarlo. 
Forestiero.  Io  desidero  la  copia  dell'une  e  dell'altre 
inscrizioni ,  delle  quali  peravventura  non  mi  bisognerà  al- 
tro interprete,  perchè  l'operazioni  gloriose  di  Sisto,  e  le 
imprese  di  Costantino  e  di  Costanzo,  sono  famose  e  illustri, 
senza  fatica  ancora  di    nuovo  scrittore  :  ma  qual    notizia 
avremo  de' fatti,  o  delle  imprese  di  Rainises  Sotis  ?  o  forse 
è  curiosità  il  voler  saper  troppo,  perchè  alla  falsa  pietà 
de'Gentili  e  de'  Barbari,  la  cui  impietà  ha  eterno  castigo, 
peravventura  non  si  conviene  il  preuiio  di  più  lunga  ,  o  di 
più  durevol  fama  ;  tuttavolta  noi  non  ricerchiamo  di  sod- 


324  JL  CONTE 

disfare  alla  virtù  de' Barbari,  ma  al  nostro  desifleri'3  di  sa- 
pere le  cose  de' nemici  ,  e  quelle  in  particolare,  che  sono 
lontanissime  di  luogo,  e  remotissime  di  tempo;  però  io 
vorrei  sapere  quai  note ,  o  quai  ligure  son  queste ,  delle 
quali  è  impresso  l'obelisco  ,  e  quai  sia  la  significazione  di 
ciascuna . 

Conte.  Senza  dubbio  son  lettere  sacre,  e  sacre  sculture 
degli  Egizj  ,  che  da'  Greci  furon  dette  Jcroglifìca ,  o  JerO' 
eraininatu;  percioccliè  ,sebbe!j  lut  rammento,  due  erano 
le  maniere  di  lettere  usate  dagli  Egizj ,  l'una  sacra,  e  l'  al- 
tra popolare;   le  lettere  popolari  avean  somiglianza  col- 
l'Ebraiche,  o  colle    Caldee  ,  e  lo  scrittore  ,  come  afferma 
Erodoto,  cominciava  la  scrittura  dalla  man  destra,  e  pro- 
cedeva  verso    la    sinistra  ,  in  quel  modo  ,   che  fanno  gli 
Ebrei,  e  gli  Arabi ,  e  i  Caldei  :  le  sacre  erano  figure  di  co- 
se naturali  ,  o  artificiali  con  occulto  e  misterioso  significa- 
to ;  ma  quai  fossero  prima  ritrovate  ,  quai  dopo,  non  affer- 
ma Erodoto.  Ma  Diodoro    Siculo  estimò    cbe  Mercurio 
fosse  inventore  delle  comuni  al  tempo  di  Osiris  ;  ma  die  l« 
sacre  fossero  date   agli   Egizj   molto    prima    dagli  Etiopi. 
Questa  differenza  nondimeno  era  fra  l'una,  e  l'altra  na- 
zione, che  l'esprimere  i  concetti  colle  figure  di  cose  natu- 
rali ,  o  artificiose  ,  era  comune  a  tutti  gli  Etio[)i ,  a'  popo- 
lari ancora  ;  ma  fra  gli  Egizj  era  proprio  de' Sacerdoti  ;  e, 
come  scrisse  Clemente  A.lessandrii)o  ,  tre  erano   le  specie, 
o  le  maniere,  die  vogliamo  dirle,  delle  lettere  Jeroglifiche; 
l'una  propria  ,  la  quale  era  lu  modo  figurata  ,  che  per  es- 
sa si  dimostrava  la  proprietà  della  cosa  significata,  come  il 
Sole  è  significato  dalla  figura    del    cerchio,  e  la   Luna  da 
quella  del  mezzo  cerchio;   l'altra  tropica,  la   tjuale  tra- 
sporta   il    sentimento   delle    figure  alle  cose  figurate  con 
molla  convenevoU'zza  ,  come  nelle  statue  de' Giudici  senza 
niani    descritte    da   Plutarco,  per   dimostrare   la  giustizia 
non  corrotta  da'doni  :  o  in  quelle   colla  testa   mezza   rasa, 
consacrate  al  Sole,  dalle  quali   è  signilicata  la   successione 
della  notte,  e  del  giorno:  o  nel  simulacro  di  Minerva  ,  che 
calca  il  serpente,  o  in  quel  di  Venere,  il  quale  lia  la  testu- 
dine  sotto  il  piede:  e  cìjsI  vollero  significare  die  delle  Ver- 
dini si  dovesse  far  diligente  guardia:  e  che  le  niarilale  non 


0  dell'imprese  325 

dovessero  abbandonar  la  casa  e  la  cura  delle  cose  famiolia- 
ri.  La  terza  specie  delle  lettere  Jerogliflche  contiene  quel- 
le figure,  che  particolarmente  sono  dette  con  questo  nome, 
già  usate  da'Sacerdoti  Egizj  nelle  pubbliche  iscrizioni ,  e 
nelle  opere  magnifiche  e  misteriose,  di  pietra  o  di  metallo, 
dico  negli  obelischi,  e  nelle  piramidi,  nelle  statue,  ne'cer- 
chi  e  nei  mezzi  cerchi  d'oro,  o  d'  argento,  e  in  tavole  di 
bronzo,  delle  quali  una  antichissima  si  conservava  nello 
Studio  del  Cardinal  Bembo. 

Forestiero.  Egli  nondimeno  nelle  sue  prose,  nelle  qua- 
li c'insegna  le  lettere  e  la  lingua  Toscana  ,  non  mostrò  di 
conoscere  altre  lettere  più  antiche,  che  quelle  de' Greci,  o 
de'Fenicj,  loro  maestri,  a'quali,  com'è  fama,  furono  por- 
tate da  Cadmo  ,  bencbè  altri  ne  attribuiscano  l' invenziune 
a  Palamede,  fra'quali  è  Gorgia,  antico  sofista  de' Greci , 
nell'orazione,  che  egli  fa  in  sua  difesa. 

Conte.  Palamede  accrebbe  il  numero  delle  lettere,  co- 
m'è opinione  di  Plinio,  ma  di  quelle,  che  prima  er:mo 
ritrovate,  le  quali  furono  invenzione  o  de'Fenicj,  o  de  Pe- 
lasgi;  mai  Romani  l'ebbero  dagli  Arcadi ,  e  da  Carmenta 
madre  di  Evandro,  che  prima  fu  detta  Nicoslrata  ,  come 
scrive  Strabene  ;  tuttavolta  le  memorie  di  Carmenta,  di 
Palamede  ,  e  dr  Cadmo  ,  sono  molto  basse  ,  e  più  antiche 
sono  quelle  de'Caldei  o  degli  Egizj. 

Forestiero.  Diremo  adunque  che  ne  fosse  l'inventore 
Teut  ,  Demone  degli  Egizj  ,  come  credeva  Socrate  nel 
F^dro  ? 

Conte.  Sì  buona  invenzione,  come,  quella  delle  lette- 
re,  non  sarebbe  da  me  attribuita  a  così  maligna  causa , 
com'è  il  demonio;  laonde  io  direi  piuttosto  che  Teut  fdsse 
un  uomo,  o  Sacerdote  o  Re  degli  Egizj ,  come  è  creduto 
per  molti  uomini  di  molta  dottrinaci  quali  estimarono 
cb'egli  fosse  Mercurio  Trismegisto:  altri  de'Gentili  porta- 
no opinione,  ch'egli  fosse  Ercole  Egizio:  altri  Memnone. 
Eschilo  l'attribuisce  a  Prometeo,  il  quale  fu  inventore  di 
tutte  l'arti ,  e  particolarmente  delle  lettere  ,  come  si  legge 
in  quei  versi: 

Y^iZpov  ÒvtÓU  ypOLjJifxaTWV  Ti  CVV^tCdi, 


SaG  IL  CONT^ 

1  Cristiani  e  gli  Ebrei,  fra'quali  sono  Eusebio,  Josefo  e 
Filone,  vogliono  piuttosto  clie  l'inventore  sia  stfito  Mese  , 
o  Giob ,  o  Àbramo  ,  o  pure  innanzi  al  Diluvio  ne  recano 
l'origine  ad  Adamo  istesso,  perchè  Adamo  impose  il  nome 
a  tutte  le  cose:  e  a  me  pare  che  appartenga  all' istesso  il 
nominar  le  cose  ,  e  lo  scriverle . 

Forestiero.  Se  non  vi  piace  onoi-are  i  Demoni  di  que- 
sta invenzione,  onoriamone  gli  Angeli  piuttosto,  e  diciamo 
che  un  Angelo  insegnasse  ad  Adamo  di  nominar  le  cose,  e 
un  Angelo  dapoi  portasse  la  legge  scritta  a  Mosè  ,  come  fu 
opinione  dell' Areopagita. 

Conte.  Divina  dunque,  o  umana  fu  l'invenzione  delle 
lettere  ? 

Forestiero.  Divina  senza  fallo,  e  ritrovata  da  Iddio, 
e  per  mezzo  degli  Angeli  mandata  agli  uomini  ,  com'è  opi- 
nione del  medesimo  autore;  anzi  s'io  non  sono  errato  ,  lo 
prime  lettere  non  furono  scritte  n^lle  t  ivole  di  pietra  o  di 
metallo,  o  nelle  colonne  ,  o  nelle  piramidi,  o  nell'Erme,» 
nelle  Sfingi ,  o  in  altra  opera  materiale;  ma  nell'anima  de- 
gh  uomini  ,  la  quale  portò  seco  dal  Cielo  le  note,  e  quasi 
le  lettere  e  le  figure  di  tutte  le  cose:  e  come  parve  a  Basi- 
lio ,  e  a  Gregorio  ,  e  agli  altri  filosofi,  e  teologi ,  l' intellet- 
to fu  il  pittore  e  lo  srrittore,  o  sÌj  l'intelh^tto  Divino  ,  o 
Dio  medesimo;  laonde  le  colonne  de' figliuoli  di  Seth  (1'  u- 
na  delle  quali  fu  fatta  di  smalto  contra  il  Diluvio,  l'altra 
di  pietra  ,  perchè  fosse  sicura  dall'incendio)  e  quelle  dt 
Mercurio,  in  cui  furono  dapoi  scritte  le  scienze  de'Gentili, 
come  scrive  Jamhlìco  nel  principio  de' suoi  mister];  e  gli 
Epitaffi  di  Semiramis  ,  o  di  Giacob  ;  e  le  piramidi ,  e  gli 
obelischi  furono  riscritti  di  lettere  meno  antiche  di  quelle, 
che  sonr»  segnate  nell'anima  nostra  ,  se  pur  è  vero  eh'  ella 
non  somigli  una  tavola  rasa,  e  ]iriva  di  scoltura;  e  avanti 
queste  lettere  ,  che  portiamo  nell'anima,  scrisse  Iddio  nel 
libro  della  Predestinazione  ,  veduto  in  visione  da  S-  Gio- 
vanni ,  i  nomi  ,  die  so^o  certi  dell'eternità  ,  e  sicuri  dalla 
morte ,  e  dalla  oblivione,  fra' (piali  senza  dubbio  si  dee 
leggere  i  nomi  di  Costantino  e  di  Sisto  Pontefice  ,  di  santa 
e  gloriosa  memoria;  e  fu  vera  pietà, ch'egli  volle  rinnovar 
quella  de' due  detti  invittissimi,  e  fimosi  Imperatori.  Tut- 


O  DEU/ IMPRESE  827 

lavolta  è  possibile  che  di  queste  lettpre  Barbariclie  r» 
segni  piuttosto ,  che  noi  riguardiiimo  nell'obelisco,  fosse 
umano  o  diabolico  il  ritrovamento:  ed  io  vorrei  averne 
qualche  notizia,  o  come  di  cosa  umana  ,  per  saperla;  o  per 
guardarmene,  se  ella  t'osse  in  altro  modo  ritrovata. 

Conte.  In  qualunque  modo  ella  avesse  principio,  non 
l'ebbe  senza  Idolatria  ;  laonde  ,  come  è  piaciuto  alla  Divi- 
na Provvidenza  ,  cadde  coli' Imperio  del  mondo  ,  e  risorse 
col  Segno  Spirituale:  fu  gittata  con  gl'Idoli,  e  innalzata 
colla  Croce.  '' 

Forestiero.  Soverchio  sarà  adunque  il  ricercare  quel, 
che  in  questo  obelisco  sia  scritto,  o  effigiato,  e  quel,  che 
signiticbino  le  sue  lettere  . 

Conte.  Né  soverchio  ,  né  malagevol  molto  ,•  perchè  ,  co- 
me si  legge,  fu  fatto  da  Ramises,  e  iscritto  della  grandez- 
za e  della  potenza  di  Raixitses  Sotis  suo  padre.  Ma  degli 
altri  obelischi ,  che  sono  stali  drizzati  da  Sisto  Quinto,  il 
primo,  che  é  davanti  al  uiaraviglioso  tempio  di  San  Pietro, 
e  l'altro  di  Santa  Maria  Maggiore,  non  hanno  alcuna  let- 
tera sacra  de'  Barbari  ,•  ma  ,  come  si  crede  ,  1'  uno  fu  opera 
del  Re  jVoncoreo ,  che  essendo  rotto  alquanto  ,  fu  aguzzalo 
verso  la  cima,  e  portato  a  Roma;  e  come  d'ogn'altro  mag- 
giore, consacrato  da  Cajo  Imperatore  ad  Ottaviano  Augu- 
sto, e  a  Tiberio  suoi  predecessori:  l'altro  fu  fatto  da 
Smunes  e  da  Efres  Re  degli  Egizj ,  e  portato  poi  per  co- 
mandamento di  Claudio  Imperatore:  e  drizzilo  insieme 
con  molti  altri  nel  Mausoleo  di  Augusto:  T  ultimo,  eh' e 
innanzi  a  Santa  Maria  del  Popolo  ,  il  quale  nel  Circo  Mas- 
simo fu  da  Augusto  consacrato  al  Sole  ,  si  vede  parimente 
impresso  di  lettere  Jeroglifiche ,  nelle  quali  peravventura 
è  tignitìcato  il  nome  di  Semreserteo  ,  dello  da  Erodoto 
Psammeralo,  HgliuoK)  di  Amasis;  quale  volendo  nobilitar 
la  sua  ignobile  origine,  drizzò  questo  obelisco  al  Sole  col 
nome  di  Rauiises  ,  che  tinge  suo  progenitore;  ma  per  no- 
stra sciagura  é  guasto  ,  e  non  si  trova  quel  di  Sesostri ,  che 
saggii)£;ò_gii  Etiopi,  gl'Indi  e  i  Battriani ,  e  passando  col- 
r esercito  fino  agli  Sciti,  fece  tutti  i  popoli  soggetti  alla 
sua  monarchia  ;  però  si  legge  di  lui  appresso  Lucafio; 

Venit  ad  occasum,  mundifjue  extrema  Sesontris, 


328  IL  CONTE 

Et  PJiarìos  currus  Reguin  cervicibiis  egit . 

Forestiero.  Di  due  maniere  adunque  sono  questi  obe- 
lischi, gli  uni  senza  lettere,  gli  altri  con  lettere  Jeroglifi- 
cbe,chenon  solamente  deono  significare  i  misterj  delle 
arti  e  delle  scienze,  al  quale  uso  furono  prima  ritrovate  , 
ma  la  grandezza  ,  la  potenza,  e  l'imprese  ,  se  cosi  è  lecito 
dire,  de" Re  dell'Egitto;  onde  possiamo  afTermare]  cbe 
queste  lettere  fossero  imprese,  o  significalrici  dell'im- 
prese . 

Conte.  Questo  è  un  nome  equivoco. 

Forestiero.  Distinguiamolo  dunque,  come  s'usa  nella 
equivocazione  de'  nomi. 

Conte.  Imprese  sogliamo  chiamare  i  fatti  illustri  come 
li  chiamò  il  poeta  in  quel  verso: 

Rade  volte  addivien  che  aW  alte  imprese 
Fortuna  ingiuriosa  non  contrasti . 
E  chiamiamo,  come  ora  ,  Imprese  le  figure  e  le  note ,  colle 
quali  significhiamo  i  nostri  concetti  intorno  alle  cose  fatte  , 
o  che  abbiamo  da  fare  . 

Forestiero.  Non  so  come,  dal  ragionamento  degli  o- 
belischi,  e  delle  lettere  Jeroglifìche,  siamo  passati  a  quel 
dell'  Imprese  ;  ma  peravventura  le  lettere  Jeroglificbe  e 
l'Imprese  si  contengono  sotto  un  genere  comune;  parlo  di 
quell'Imprese    che  non  sono  azioni  ,  ma  figure. 

Conte.  Non  ci  dee  increscere  questo  passaggio,  col 
quale  dalle  cose  antiche  alle  nuove  siamo  trapassati,  perchè 
la  novità  piace  per  se  stessa. 

Forestiero.  Alcuni  credono  che  quel  dell' lui  prese  sia 
antichissimo  ritrovamento:  e  che  il  medesimo  siano  l' Im- 
prese e  gli  Jeroglifici  ;  ma  se  siano  l' istesse ,  o  diverse  non 
è  stato  ancora  interamente  determinato. 

Conte.  Di  un'altra  cosa  mi  sarà  più  caro  il  ragionare, 
o  l'ascoltare,  perchè  il  Sole  non  è  ancora  giunto  al  Mez- 
zo-i^iorno.  Qui  è  hello  e  fresco  stare:  ed  hacci ,  come  voi 
vedete,  letti,  e  sedie,  e  cuscini  ;  laonde  sino  al  ritorno  del 
Signore  potrete  rilevar  l'animo  dalle  sue  noje  co' vostri 
medesimi  ragionamenti. 

Forestiero  •  Dirò  por  compiacervi  quel,  che  mi  sov- 
viene. Imprendere  ,  o  intraprendere  ,  se  non  m' inganno, 


O  dell'  imprese  32f) 

significa  il  pigliar  sopra  di  se  ,  ed  incominciare  con  ffraio 
proponimento  alcuna  cosa  ,  che  malagevolmente  possa 
farsi . 

Conte  .  Così  stimo . 

Forestiero.  Ma  se  a  Iddio  ninna  cosa  è  malagevolp, 
né  agli  Angeli  suoi,  i  quali  agevolmente  sogliono  fiire  le 
maraviglie  ,  non  sarà  Iddio,  e  gli  Angeli  i  primi,  che  ah- 
hiimo  fatte  e  ritrovate  l'Imprese  ,  come  da  alcuni  è  stato 
detto  in  questa  materia:  ma  gli  uomini  piuttosto,  o  fosse- 
ro Inglesi,  o  Greci ,  o  Trojan!,  o  pur  dell'  Asia  innanzi 
alla  guerra  di  Troja  ,  o  di  Tebe.  L'Impresa,  poiché  si- 
gnifica non  l'azione  istessa  ,  ma  il  pensiero  espresso,  o  il 
concetto  di  farla,  o  di  averla  fatta  ,  porta  la  medesima  dii- 
ficoltà  ,  almeno  nel  significato:  e  così  1'  un  nome  è  detto 
dall'altro,  con.e  dalla  scienza  del  medico,  o  dallo  studio, 
l'operazione  del  medicare;  laonde  in  questo  senso  non  di- 
rei die  Dio  e  gli  Angeli  fossero  inventori  dell'Imprese. 
Abbiamo  fin' ora  quel  ,  che  significhi  questo  nome  d  Im- 
presa ,  il  quale  è  analogo ,  o  ab  uno  ,  come  dicono  i  Loici; 
ma  chi  fosse  inventore  dell'  Imprese  in  questo  significato  , 
non  mi  ricordo  aver  letto;  ma  Amisodato  Licio,come  scri- 
ve Pbitarco  nel  libro  delle  donne  illustri,  portò  nella  yvn~ 
da  della  nave  l'insegna  del  leone  ,  nella  poppa  quella  del 
dragone,  e  fu  preso  da  Bellorofonte  con  una  velocissima 
nave,  delta  Pegaso,  peravventura  dall'insegna  di  quel 
mostruoso  animale;  ne  ho  ritrovata  nelle  istorie  invenzio- 
ne più  antica  :  ma  dipoi  nella  guerra  di  Tebe  ,  come  scri- 
ve Eschilo,  i  sette  Duci  portarono  imprese.  Capaneo  ave- 
va nello  scudo  un  uomo  colla  fiaccola:  Eteocle  un  uomo 
colla  scala  ;  ma  Stazio  die  a  Polinice  la  Sfinge,  a  Capaneo 
l'Idra  :  Agamennone  poi  nella  guerra  Trnjana  portò  nello 
scudo  la  testa  d'un  leone:  Turno  in  quella  de' Latini,  nel 
cimiero  la  Chimera,  come  descrive  Virgilio:  Av(>ntino 
l'Idra,  insegna  del  padre  :  nelle  navi  de'  Greci  e  de'Troja- 
ni ,  cotne  leggiamo  in  Virgilio  e  in  Euripide,  erano  pari- 
mente l'insegne,  dalle  quali  fur  denominate  la  Pisfri ,  e  il 
Centauro,  e  l'altre.  Ma,  conie  troviamo  nell'istorie,  Darlo 
Rede'Persi  portava  la  saetta  :  A rta serse  1' arciero  :  Epa- 
uiinonda  il  dragone;  Pericle  la  civetta  nello  scudo:  Alci- 
7'.  ILI   Dialoghi  uà 


33o  IT.  CONTE 

biade.  Amore  col  fulmine  piegato:  Siila,  se  niedesimo  nel 
sigillo  col  Re  Becco  dalai  preso:  Pompeo,se  inedesÌDio  con 
due  teste,  in  quella  guisa  eh' è  figurato  Giano:  Augusto 
l'irninagiue  d'Alessandro:  vSevero  e  Gordiano,  una  Luna 
e  una  Stella  :  i  Trojani  una  scrofa:  i  Romani  l'aquila,  e'I 
dragone  ,  e  lo  scarabeo:  e  i  soldati  Memfici  particolarmen- 
te il  can  rosso  in  campo  bianco;  e  la  legion  Decumana,  il 
can  turchino,  o  ceruleo  nello  scudo  similmente  bianco.  Ma 
se  queste  furono  Imprese  ,  furono  avanti  questo  nome,  il 
quale  non  si  usò  fino  al  tempo  de' Francesi  ,  o  degl'Inglesi 
Cavalieri  erranti:  ed  è  più  antico  dell'Armi,  le  quali,  come 
scrive  il  Giovio,si  cominciarono  ad  usare  nel  tempo  di  Fe- 
derigo Barbarossa . 

Conte.  Non  so  cbe  differenza  sia  tra  queste  e  quelle. 

Forestiero.  Il  Signor  Marco  Velsero  nel  libro  delle 
cose  d'Augusto,  e  de' Reti,  e  de' Vindelici ,  da  lui  scritte 
dottissimamente,  porta  diversa  opinione.  Però  niuna  forse 
è  la  differenza ,  odi  piccola  considerazione;  percbè  dice 
cbe  l'armi  son  comuni  delle  famiglie ,  ma  l'Imprese  pro- 
prie di  ciascuno;  ma  questo  alcuna  volta  si  confonde.  Or, 
se  vi  piace  ,  cercbiamo  se  fra  l'Imprese,  cbe  si  fanno  colle 
figure,  e  le  leltei-e  Jeroglificiie ,  sia  alcuna  cosa  comune, 
nella  quale  l'une  e  l'altre  convengano  insieme:  e  poi  cer- 
cheremo se  ci  sia  qualche  diversità. 

(^  Conte.  Voi  m'invitate  a  cosi  bella,  e  così  dilettevole 
investigazione  ,  che  niun  altro  invito  mi  sarebbe  più 
caro. 

Forestiero  .  È  ,  se  non  m' inganno  ,  il  genere  comune 
dell'Imprese,  e  delle  lettere  leroglifiche,  la  significazione, 
e  l'espressione  de' concetti,  perchè  con  queste,  e  con 
quelle  vogliamo  palesare  i  pensieri,  e  le  passioni  dell'ani- 
mo; laonde  sono  una  cosa  di  genere,  non  solamente  d'ana- 
logia ;  ma  si  può  dubitare ,  se  le  specie  siano  diverse,  e  per 
quai  differenze  siano  diverse. 

Conte.  Io  ho  letto  ,  che  son  molte  dilfcrenze  fra  l' Im- 
])rese,  e  i  simboli,  e  gli  emblemi,  e  i  roveso]  di  meda- 
glie ,  e  i  Jeroglifici  ;  ma  ciucila  mi  pare  assai  principa- 
le, e,  per  così  dire,  specifica,  la  qual  consiste  nel  motte»; 
perchè  nell'impresa  e  ricercato  il  fuolto  a  guisa  d'  anima, 


o  dell'  niPRKSK  33 1 

die  dia  vit.i  al  corpo,  ina  nel  Jeroglifico,  enei  simLolo  non 
è  necessaria  l'iscrizione. 

FoilESTlERO.  Così  dicono;  ed  io,  per  l'ignoranza  delle 
lettere  Jeroc'ifiche  .  non  ardirei  d'alTermare  il  contraria  : 
lessi  nondimeno  clie  le  lettere  sacre  degli  Egiz] ,  le  quali 
corrispondono  quasi  dall'altra  parte  alle  nostre  Imprese, 
erano  mescolate  coll'altre  1  )r  lettere  popolari;  laonde  u 
questo  esempio  possiamo  aver  fatte  l' Imprese  di  note  mi- 
steriose, che  son  le  figure,  e  di  comuni  e  intese  da  cia- 
scuno ,  che  son  quelle,  che  si  dicono  lettere  popolari .  E 
se  questo  è  vero,  non  è  gran  differenza  fra  l' Imprese,  e  i 
simholi,  e  i  rovesci  delle  medaglie  ,  ne'quali,  oltre  alle  fi- 
gure, sono  impresse  lo  lettere, come  nella  medaglia  di  Ger- 
manico una  sfera  mossa  dalla  Vittoria  con  queste  lettere  , 
S.  P.  Q.  R.  ed  in  quella  di  Vespasiano  una  corona  civica 
colle  ghiande  ,  e  con  questa  iscrizione  S.  P.  Q.  R.  pp.  oh. 
Cives  stn'atos:  e  in  quella  di  Tito  una  iuìmagine  della 
Giudea ,  legata  ad  una  palma  ,  con  quest'altra  Jud.  cu/). 
S.  C.  Nel  rovescio  della  medaglia  erano  Impressi  alcuni 
cavalli,  che  givan  pascendo, con  queste  parole:  Velùcula- 
tione  Jtaliae  remissa.  Ed  in  ((uella  d'Antonio  Pio  un  ca- 
duceo, e  un  ramo  d'oliva  co' frutti  e  colle  foglie  insieme, 
e  le  parole  erano:  Fidicilas  jl  adusti  ;  il  qtiale  in  un'altra 
medaglia  fece  scolpire  una  figura,  che  aveva  nella  man 
destra  un  cappello,  e  nella  sinistra  un  asta*,  cen  queste 
parole:  Libertas  consularis.  Scolpì  Severo  Pio  un  leone, 
sopra  cui  sedeva  una  donna,  che  teneva  in  mano  un'asta 
fissa  in  terra  ,  e  coli' altra  pareva  che  volesse  gittare  un 
fulmine,  e  vi  fece  questo  hreve  intorno:  Indulgentia  yhi- 
gtisti  in  ....  ed  in  un'altra  un  simulacro  con  un  ramo 
d'oliva,  e  con  due  parole.*  Fundatorì  pacis.  Gallieno  glo- 
riandosi che  tutti  i  Re  fossero  soggetti  alla  sua  cura,  vi 
pose  una  cerva  coli' iscrizione  :  Dutnae  consulan  Jiigu- 
slac;  la  quale  fu  prima  usata  da  Adriano  in  un  sim  rove- 
scio ,  con  queste  voci  Greche  Aprf/^;  !  (pcTi'a  :  ed  in  un 
altra  scolpì  una  nave  con  ren)i  ad.  imitayione  d'Augu- 
sto scrivendovi:  Felìcitads  yJug-  S.C.  1111.  Dunque  l'i- 
scrizione del  motto  non  fa  differenza  tra  l'Imprese,  e 
ì  rovesci  delle  med.iglie:  ne  la   farebbe  peravventura    tra 


332  IL  CONTE 

l'Imprese  e  le  lettere  Jeroglifiche  ,  se  fossero  da  noi  bene 
inteselo  se  potessimo  avvederci ,  se  le  popohiri  son  me- 
scolate fra  loro,  com'è  costume  delT  Imprese,  siccome 
s'usa  nelle  cifre,  o  in  altro  modo;  ma  forse  la  differenza 
non  è  nel  motto  sefnpiicemente ,  ina  nel  inotto  regolato 
con  molte  osservanze.  Ma  appresso  gli  antichi  la  iscrizio- 
ne non  era  sotto}>osta  a  tante  opposizioni,  ed  a  così  esqui- 
8! te  censure. 

Conte.  Forse  la  differenza  è  nella  figura  umana,  che 
non  è  ricevuta  nelT  imprese  ;  ma  ne'  rovesci  è  usitatissima, 
e  peravventura  non  fu  esclusa  da' simboli  degli  Egizj ,  ap- 
presso i  quali ,  come  si  legge  in  Oro  Egizio  ,  la  figura  di 
un  uomo  col  cuore  attaccato  alla  gola  ,  dimostrava  la  sin- 
cerità: la  mano  destra  aperta,  la  liberalità:  la  sinistra 
chiusa,  l'avarizia:  e  volendoci  i  medesimi  figurare  un  uo- 
mo preso  dal  piacere  dell'adulazione,  figuravano,  come 
scrive  il  Pierio  Valeriano,  un  cervo,  il  quale  ascolta  un 
pastore,  che  suona  la  sampogna:  e  per  dimostrarla  virtù, 
che  domina  gli  affetti ,  dipingevano  un  uomo  ,  il  quale  ca- 
valca il  leone:  e  una  donna  parimente  sovra  il  leone,  di-i 
mostrava  che  le  forze  cedono  all'eloquenza. 

FoRES'j  lERO.  La  figura  umana  nell'imprese  ancora  è  ri- 
cevuta, come  in  quella  dell'uomo  salvaticOjC  nel  servo, 
eh' è  su  'I  carro  trionfale  col  vittorioso  Imperatore,  della 
qual  fu  il  mblto:  Carni  jjortantur  eodein  .  Dunque  ne  la 
figura  umana  nell'iscrizioni,  né  i  motti  possono  distingue- 
re l'Imprese  da' Jeroglifici,  o  da' rovesci ,  quantunque  sì 
possa  dubitare,  s'elle  aggiungano,  o  togliano  perfezione 
all'Impresa . 

Conte.  Così  mi  pare  . 

Forestiero.  Ma  considereremo  poi,  qual  più  fia  per- 
fetta ,  qual  meno;  ora  ricerchiamola  dilferenza,  se  pure 
alcuna  ve  n'ha  ,  la  quale  per  mio  parere  non  è  ne'colori, 
o  negl'intagli,  o  nella  materia  d'oro,  d'  argento  e  di  pie- 
tre preziose . 

Conte.  Molto  meno  che  nell'  altre  cose  già  dette . 
?\)REST1ER0.  Ora  mi  sovviene  quella  differenza,  eh'  io  sti- 
mo esser  cagione  di  tanta  diversilà.  Non  abbiamo  noi  det- 
to che  le  lettere  Jeroglifiche  son  sacre  note? 


o  dell'  imprese  333 

Conte  .  Abbiamo . 

Forestiero.  Ma  le  imprese  son  elleno  sacre  pari- 
jnente? 

Conte.  O  non  sono,  o  non  tutte  ;  ma  la  maggior  parte, 
e  d'arme  e  d'  amore  ,  come  parve  al  Giovio  . 

Forestiero.  Tuttavolta  sacro  potrebbe  esser  l'amore, 
come  quello  di  Cristo  verso  l'uomo,  che  fu  significato  col 
pellicano,  die  risuscita  i  figliuoli  col  sangue:  e  sacra  pari- 
mente la  guerra,  e  tale  fu  quella  di  Gottifredo  Buglione,  e 
de' Principi  suoi  seguaci  centra  gl'Infedeli;  di  amor  dun- 
que e  di  guerra  sacra  si  potrebbono  fare  imprese. 

Conte.  Si  potrebbono  per  mio  avviso,  e  sì  fatto  sareb- 
be non  solo  il  pellicano,  ma  il  vello  di  Gedeone,  se  vi  si 
aggiungesse  il  motto. 

Forestiero  .  Ma  fra  le  cose  sacre,  e  le  non  sacre  suol 
esser  questa  differenza,  che  a  significare  le  cose  sacre, 
come  c'insegna  prima  Dionigi  Areopagita,  e  poi  S.Tom- 
maso ne' suoi  Opuscoli ,  s'usano  piuttosto  le  dissimili  si- 
militudini: e  per  significarle  non  sacre,  si  deono  mettere 
in  uso  pili  convenevolmente  simili  similitudini. Questa  sa- 
rà la  pii!i  essenziale  differenza  ,  clie  si  possa  ritrovare  fra  i 
Jeroglifici ,  e  l'imprese  non  sacre;  che  alle  non  sacre  si 
conviene  il  significare  con  ogni  somiglianza;  alle  sacre  con 
qualche  dissimilitudine  ;  ma  questa  differenza  ,  sarà  sola- 
mente fra  le  lettere  Jeroglificbe  ,  e  l'Imprese  d'arme  e 
d'amore  cavalleresco;  ma  se  alcuna  si  ritrovasse  d'altra 
maniera ,  o  in  altra  guerra,  in  quella  sarebbono  ancora 
convenienti  l'imprese  colle  dissimili  similitudini. 

Conte.  Io  non  so  per  qual  cagione  le  dissimili  simili- 
tudini si  convengano  alle  cose  sacre  . 

Forestiero.  La  ragione  è  addotta  dall'istesso  autore 
nel  primo  libro  della  Celeste  Jerarcbia ,  la  quale  è  questa  , 
che  nelle  cose  divine  le  negazioni  son  vere,  ma  1'  affi^rma- 
zioni  non  convengono,  né  son  degne  della  Maestà  d' Iddio 
occultissimo:  e  piìi  conviene,  nelle  cose  non  soggette  agli 
occhi  de' mortali,  l'esprimerle  con  pittura  d'immagini 
non  somiglianti.  Laonde  non  fanno  vergogna  alle  divine  , 
e  celesti  nature  le  descrizioni  e  le  figure  dissimili.;  ma  eoa 
misterioso  onore,  e  con  riverenza  ci  danno  a  divedere  eliti- 


334  ^T-  CONTE 

sono  più  eccellenti  di  tutte  le  forme  corporee  ,  le  quali 
possono  essere  intese,  o  iinmatjinate  dall' animo  nostro:  e 
non  è  cosa  elle  maggiormente  risvegli  la  nostra  mente  ,  e 
r  innalzi  al  Cielo,  delle  oscure  similitudini.  Però  non  s'ap- 
pressarono tanto  alla  verità  coloro,  che  nel  t'orinare  i  si- 
mulacri celesti  gli  finsero  tutti  di  oro,  e  risplendenli,  e  co- 
ronati di  raggi,  e  vestiti  di  luce;  cpianlo  gli  altri  che  adom- 
brarono quasi  nelle  tenebre  ,  e  nella  caligine  d'una  oscura 
similitudine.  Per  l' istessa  cagione  chi  loda  la  Divinità, 
che  vince  tutte  l'altre  nature,  l'onora  con  questi  nomi  di 
Verbo  ,  di  Alente,  d'Essenza:  chi  la  finge  quasi  un  lume, 
e  quasi  una  fiamma  e  un  vento,  e  la  chiama  vita  ;  le  quali 
forme,  quantunque  siano  più  eccellenti  delle  materiali, 
nondimeno  molto  perdono  ,  e  sono  inferiori  alla  divinità  . 
Oltre  questa  cagione,  alcune  altre  n'adduce  S.Tommaso 
nella  prima  parte  della  Somma,  e  nelle  operette,  le  quali 
possono  intorno  a  ciò  rimuovere  ogni  dul)itazione. 

Conte.  Alti  e  sacri  mister]  son  questi,  che  spiegate,  ra- 
gionando dell'  Imprese 

Forestiero.  Rivolgiamo  dunque  gli  occhi  dalla  luce 
alle  tenebre ,  e  consideriamo  Dio,  e  le  cose  divine  nelle 
oscure  similitudini,  usate,  non  solamente  dagli  Egizj  e  da- 
gli Ebrei,  ma  da' Cristiani  scrittori.  Gli  Egizj  ci  figuraro- 
no Iddio  col  coccodrillo;  perchè  quando  il  coccodrillo  è 
sotto  l'acqua  ,  dicono  che  gli  cala  dalla  fronte  una  mem- 
brana sottile,  per  la  qual  egli  vede  altri ,  e  non  è  veduto  ; 
e  ciò  conviene  ancora  al  sommo  Dio,  io  dico  di  vedere,  e 
di  non  esser  veduto.  Dicono  ancora  che  il  coccodrillo 
femmina  partorisce  l'uova  fuor  del  Nilo  in  quel  luogo  ap- 
punto, il  quale  dee  esser  termine  dell' innondazione  del 
fiume;  per  la  quale  dimostra  le  cose  future,  clic  sono  co- 
nosciute solamente  dal  grandissimo  Iddio.  Era  significato 
Iddio  dall'uomo,  che  siede  sopra  il  loto,e,couie  scrive 
Proclo,  dal  lalcone  ancora;  perche  il  falcone  è  d'  acutissi- 
ma vista,  e  di  grandissima  velocità  nel  volo,  e  solo  fra  gli 
altri  uccelli,  volando  in  alto,  discende  quasi  per  dritta  li- 
nea, e  fa  violenza  agli  inf(!riori .  I  Sileni  ancora,  e  i  cinoce- 
l.ili  dimostravano  che  la  Divinila  è  occulta  nelle  cose  vili  e 
non  apparenti.  Dio  ancora  fu  significato  dallo  scarabeo  ,  la 


o  dell'  imprese  335 

qual  significazione  non  dispiacque  a  S.  Agostino .  Lo  sca- 
rabiìo  significava  similmente  il  Sole  appresso  gU  Egizj , 
percliè  egli  sta  come  il  Sole  sei  mesi  sovra  la  terra,  e  al- 
trettanti sotto.  Il  mondo  fu  significato  dagli  Egizj  col  ser- 
pente, che  si  rivolgea  in  se  stesso, e  mordeva  la  coda:  l'an- 
no, In  simil  maniera:  il  Sole  e  la  Luna  da'cerclii:  la  Luna 
nascente,  dal  cinocefalo;  perchè,  com'essi  dicevano,  il  ci- 
nocefalo si  drizza  ,  e  par  molto  sollecito  nel  nascimento 
della  Luna.  L'orizzonte  si  figurava,  come  scrisse  Plutarco, 
coll'effigie  d' Anubi  :  e  appresso  gli  Egiz]  similmente 
iVeeyo/i^)'^,  significava  l'inferiore  emispero ,  e  /«VZe  il  su- 
periore ;  perchè  questo  è  lucido  e  diurno,  quello  oscuro 
e  notturno  ,  e  Anubi  partecipa  dell'uno  e  dell'altro.  Ap- 
presso gli  Ebrei  si  legge  che  Dio  si  mostrò  a  Mosè  in  for- 
ma di  fuoco:  e  prima  a  guisa  d'uomo  aveva  lottato  con 
Giacob:  e  colle  colonne  di  fumo  e  di  fuoco ,  T  una  delle 
quali  era  guida  la  notte,  l'altra  il  giorno,  condusse  il  po- 
polo d'Israele  alla  Terra  di  promissione.  Nel  deserto  col 
serpente  esaltato  figurò  il  figliuolo,  che  doveva  esser  so- 
speso in  croce:  e  l'agnello  sacrificato  da  Abramo,  aveva 
significato  il  sacrificio  del  figlio  Unigenito.  Nel  nuovo  Te- 
stamento muore  come  agnello,  risorge  come  leone:  non 
disdegna  la  similitudine  di  pastore  ,  di  pietra,  di  porta ,  di 
vite,  di  fiore,  di  via,  di  tempio  distrutto  e  riedificato,  di 
pane,  di  fonte.  Da' santi  Padri  è  chiamato  scarabeo  e  ver- 
me fool  qual  nome  il  sacro  poeta  l'avea  prima  chiamato 
ne'  suoi  versi,  ispiratigli  da  Divino  Spirito.  La  Beata  Ver- 
gine similmente  nelle  sacre  lettere  è  significata  col  nome 
di  Terra ,  di  Cielo,  di  Sole  ,  di  Luna  ,  d'  aura  ,  di  stella  del 
mare  ,  di  luce  di  Paradiso  ,  di  neve,  di  palma  ,  di  cedro,  di 
oliva,  di  cipresso,  di  nardo,  di  mirra,  di  platano,  di  rosa 
piantata  in  Jerico,  di  giglio,  che  sorga  fra  le  spine,  di  vi- 
te d'uva  feconda  ,  di  colomba  ,  di  aquila  ,  di  candelabro  ,  e 
di  trono  della  Divinità;  quantunque  alcuni  di  questi  nomi 
e  di  queste  figure  abbiano  piuttosto  simile  immagine  ,  che 
dissimile  similitudine;  ma  e  con  gli  uni,  e  con  gli  altri  la 
sua  gloria  suol  essere  più  e  meno  chiaramente  dimostrata  . 
Conte.  Io  nondiineno  con  gli  altri,  che  sono  di  meno 
alto  intendimento,  sempre  resterò  più  soddisfatto  dell'im- 
magini somiglianti . 


336  IL  CONTE 

.  Forestiero.  Già  non  sono  elleno  rifiutate  dalla  Teolo- 
gia medesima;  ma  noi  ricercliiamo  quel  ,  che  sia  piìi  con- 
veniente . 

Conte.  Le  cose  simili  sempre  convengono  colle  simili . 

Forestiero.  Ma  qual  cosa  estiuiate  voi  così  si>nilo  Jil- 
l'altra,  che  non  sia  in  alcuna  parte  dissomiglionte?  forse  le 
stelle  del  Cielo?  o  pure  in  queste  ancora  è  qualche  dissi- 
niilitudine  ? 

Conte  .  Grandissima  nella  grandezza  ,  ne' colori ,  nel  si- 
to, ne' movimenti ,  e  negli  effetti . 

Forestiero.  E  dell'immagini  degli  elementi,  e  delle 
figure  ,  che  opinione  portate? 

Conte.  Già  lessi  che  al  fuoco  era  attrihuita  la  figura 
pirainidale,  cioè  di  sei  basi,  all'aria  quella  d'otto,  all'acqua 
quella  di  venti ,  alla  terra  la  cuba  . 

Forestiero.  E  delle  cose  da  loro  generate,  che  cre- 
dete? 

Conte  .  Tutte  sono  dissimili  a  se  medesime,  come  le 
comete,  e  l'altre  impressioni  dell'aria  ,  l'arco  celeste  , 
che  ha  tanti  colori  ,  e  le  corna  della  Luna  ,  e  il  suo 
cinto. 

Forestiero.  Ma  se  nelle  cose  semplici  è  tanta  dissimi- 
lìtadine,  maggiore  senza  dubbio  sarà  la  dissomiglianza  nel- 
le cose  composte . 

Conte.  Senza  fallo,  e  non  solo  di  ciascuna  cosa  per  ri- 
spetto dell'altra  ,  ma  di  tutte  insiciue  ,  e  di  ciascuna  verso 
di  se  , 

Forestiero.  E  dunque  il  simile  sempre  congiunto  col 
dissimile,-  anzi  queste  due  nature  sono  affisse  insieme  qua- 
si con  oncini ,  o  con  ami  ,  come  si  legge  nel  Parmenide  di 
Platone,  che  è  l'Ente  col  non  Ente  ;  laonde  possiamo  con- 
chiudere che  ninna  cosa  sia  simile  in  tutto  all'altre  ,  ne 
pure  a  se  medesima:  anzi ,  in  quanto  ciascuna  partecipa 
di  quel,  che  non  è  ,  io  dico  della  privazione,  partecipa  an- 
cora del  dissimile;  e  solo  quello,  eh' è  vero  Ente,  il  quale 
])arlando  di  se,  disse  :  Ego  sani  ,  qui  sum  ,  è  in  tutto  somi- 
gliante a  se  medesimo.  Non  troveremo  adunque  le  simili 
similitudini  in  modo  alcuno,  ma  tutte  saranno  similitudini 
dissomiglianti. 


6  dell'imprese  .  337 

Conte.  Così  mi  pare  per  questa  ragione. 

Forestiero.  E  di  queste  ,  quelle,  che  saranno  più  dis- 
sìmili, saranno  più  convenienti  alle  cose  diviiu: . 

Conte.  Io,  con  gli  altri,  che  non  sono  di  così  alto  in- 
tendimento, rimarremo  sempre  più  soddisfatti  delle  imma- 
gini ,  che  siano  quanto  si  può  somiglianti. 

Forestiero.  E  quali  son  queste? 

Conte.  Le  belle  per  mio  parere  sono  quelle,  che  più 
convengono  alle  cose  divine;  perchè  io  non  so  né  immagi- 
nare, ne  intendere  cosa  più  bella  delia  divinità. 

Forestiero.  Già  questo  modo  non  è  figurato  dalla 
Teologia  medesima  ,  la  quale,  come  dice  Dionigi  Areopa- 
gita ,  per  figurarci  la  divinità  ,  raccolse  insieme  tutte  le 
maniere  di  varia  bellezza.  Concedasi  adunque  alla  Divinità 
della  quale  sogliamo  affermar  molte  cose  sì  veramente, che 
l'altro  delle  dissimilitudini,  e  delle  negazioni  sia  riputato 
proprissimo  de' sacri  misteri ,  e  1'  uno  serva  a' sensi,  e  1'  al- 
tro all'intelletto  solamente. 

Conte  .  Già  intendo  la  distinzione  . 

Forestiero.  Or,  se  vi  pare  che  le  cose  proprie  debba- 
no essere  separate  dall'improprie,  e  dalle  comuni,  sepa- 
riamo questi  due  modi,  o  queste  due  specie  di  significazio- 
ne :  e  sia  usato  nelle  cose  divine,  o  sacre  il  significare  i 
concetti  con  immagini  dissomiglianti;  ma  nelle  cose  non 
sacre  si  esprimano  i  pensieri,  e  gli  aff^'etti  dell'animo  con 
immagini  somiglianti. 

Conte.  Come  a  voi  pare. 

Forestiero.  Diremo  adunque  che  l'Impresa  è  una 
espressione  ,  ovvero  una  significazione  del  concetto  del- 
l'animo, la  quale  si  taccia  con  immagini  somiglianti  ,  e  ap- 
propriate . 

Conte.  Buona  mi  pare  la  dilTinizione  . 

Forestiero.  Ma  peravventura  non  perfetta  ,  perchè 
non  ogni  pensiero,  ne  di  tutti  gli  aniaii,  dee  esser  signifi- 
cato nelle  Imprese  ;  ma  i  pensieri  solaaiente  degli  animi 
nobili,  o  siano  di  guerra,  o  di  pace  ,  o  d'amore,  bencljè 
più  nelle  azioni,  che  nelle  contemplazioni  ;  e  delle  azioni , 
più  nelle  militari,  che  nelle  civili  pajono  ricercarsi  l'im- 
prese: anzi,  se  ricerchiamo  l'origine  sua  ,  ella  fu  ritrovata 


338  IL  CONTE 

da  Principi,  e  da  Capitani,  e  da  uomini  guerrieri,  e  dipin- 
ta nelle  insegne  militari,  e  negli  elmi,  e  negli  scudi  ;  <>  co- 
minciasse insieme  con  questo  nome  al  tempo  deCavalit-ri 
erranti,  o  molto  prima  fosse  usata  da'  Latini,  e  da'  Greci , 
e  da' Barbari ,  e  chiamata  con  altro  nome.  Ma  lasciamo  ora 
da  parte  quel,  che  appartiene  all'origine,  e  consideriamo  le 
parti  necessarie  alla  diliìnizione.  jNoi  abbiamo  già  detto 
che  l'Impresa  è  significazione  di  pensiero  deliberato  intor- 
no a  cosa  non  minuta  ,  e  non  indegna ,  la  quale  porti  seco 
diiiicoltà  nell'eseguire  . 

CuNTE  .  Così  mi  pare  conveniente. 

Forestiero.  Ma  perchè  l'Impresa  non  riguarda  sola- 
mente il  futui'o,  ma  tutti  i  tempi,  come  la  profezia;  la  dif- 
ficoltà si  può  considerare  così  nelle  cose  fatte  ,  come  in 
quelle,  che  si  fanno,  o  che  deono  farsi,  e  non  in  tutte  le 
cose,  ma  nelle  degne,  e  nelle  nobili  solaraente. 

CoNTE .  Così  mi  pare  . 

Forestiero.  Tutta  volta  l'Impresa  riguarda  più  il  fu- 
turo ,  che  gli  altri  tempi:  e  se  pur  è  del  passato,  com'è 
quella  d'  Antonio  da  Leva  ,  il  quale  finse  uno  sciame  di 
Api  col  motto:  Sic  vos ,  non  vobis;  ha  nondimeno  consi- 
derazione al  futuro,  perchè  ,  se  non  m'inganno,  quel  Si- 
gnore volle  in  quella  significare  all'Imperatore  che  la  sua 
virtù  era  degna  di  luogo  onorato  ,  e  sublime. 

Conte.  Assai  mi  piace  l'opinione,  perchè  TLuprese 
agl'ignobili  sono  come  l'arme,  che  non  sono  lor  conve- 
nienti in  modo  alcuno. 

Forestiero.  Cotesto  è  vero ,- tuttavolta  la  nobiltà  dee 
considerarsi  più  nella  virtù,  e  nell'animo,  che  nella  fortu- 
na, o  nel  nascimento;  laonde  coloro,  che  hanno  avuto  in 
dono  dal  Cielo  l'altezza  dell'animo,  tuttoché  siano  nati 
d'oscuri  progenitori  possono  far  l'arme  della  sua  famiglia, 
alla  quale  essi  danno  l' origine  ,  e  l'insegne,  e  l'Imprese 
parimente  :  ed  io  ho  conosciuto  un  Cavaliere  nato  di  pic- 
ciola  condizione,  ma,  siccome  si  mostrava  magnanimo,  per 
Impresa  lece  il  monte  Oliiiìpo  con  questo  motto;  Tentando, 
via  est  . 

Conte .  Bella  è  l' Impresa . 

Forestiero  .  E  cortesia  vostra  ;   ma   non    lasciamo  la 


o  dell'  imprese  339 

diffinizione  rlell' Impresa,  nella  quale,  come  aLLiamo  det- 
to, si  lite  principalmente  aver  riguardo  al  tempo  avvenire; 
ma  il  fine  è  quello,  che  principalisvsimaraente  si  considera. 
Dee  adunque  dicìiiararsi  il  fine  ,  il  quale  in  tutte  l'azioni 
civili,  e  militarle  l'onore. 

Conte.  Ma  nelle  amorose  ,  per  le  quali  son  fatte  gran 
parte  dell'Imprese,  è  l'amoi'e. 

Forestiero.  Già  sassi  che  l'onore,  e  l'amore  era 
quasi  l'istesso,  o  tanto  differente,  quanto  è  il  segno  este- 
riore dallo  effetto  intrinseco;  perciocché  da  niuna  cosa  sia- 
mo più  onorati ,  che  dalla  benevolenza  degli  uomini  di  giu- 
dizio; e  l'amor  della  donna,  non  che  altro,  suol  dimostrar- 
si con  qualche  favorevole  dimostrazione  d'onore,  per  la 
quale  i  valorosi  Cavalieri  deono  esporsi  all'i  nprese  magna- 
nime, e  degne  d'eterna  gloria,  non  solamente  portarle  di- 
pinte negli  scudi,  e  negli  stendardi,  o  ne' superbi  palagi, 
o  in  altra  parte  riguardevole,  dove  siano  da  ciascuno  rimi- 
rate. Diremo  adunque  che  l'Imprese  siano  segni,  o  im- 
magini convenienti,  e  simili  ai  nobili  pensieri  dell'animo, 
e  fatti  per  desiderio  di  onore:  e  che  di  questi,  alcuni  siano 
immagini  di  cose  naturali,  altre  d'artificiali:  e  delle  natu- 
rali ,  altre  eterne  ,  altre  corruttibili  :  e  delle  artificiose  ,  al- 
tre disusate  ,  altre,  che  sono  in  uso.  Eccovi  la  diffinizione, 
e  la  divisione,  ch'io  addurrei  delle  Imprese;  ma  la  diffini- 
zione non  so  quanto  sia  simile  ,  o  dissimile  alle  diffinizioni 
degli  altri,  le  quali  si  potevano  innanzi  revocare  in  dub- 
bio, e  quasi  chiamare  al  giudizio  ,  considerando  ,  se  in  cia- 
scuna di  esse  è  parte  soverchia  :  o  manchevole ,  o  discorde 
dalla  nostra  opinione.  Ma  noi  siamo  entrati  in  questo  ra- 
gionare quasi  a  caso,  ed  io  'senza  l'ajuto  vostro  non  spero 
di  poterne  fare  splendida  riuscita  . 

Conte.  Quel  che  prima  non  s'è  fatto,  di  considerare 
l'altrui  diffinizioni,  si  potrebbe  far  dapoi  ,  eh'  io  ho  intesa 
la  vostra  ;  peluche  io  per  me  non  so  qual  fra' due  modi  sia 
il  migliore,  ne  la  cagione  . 

Forestiero.  Forse  io  mi  son  dimenticato  di  quelle  de- 
gli altri? 

Conte.  Io  me  ne  ricordo  alcune  ,  e  se  non  vi  spiace  di 
Gonsidei'arle ,  udite  questa  ,  che  mi  si  para  davanti  ;  L' lin- 


o4'-*  If-  CON"TE 

presa  è  una  mutola  comparazione  dello  stato  ,  e  del  pen- 
siero di  colui,  che  la  porta,  colla  cosa  nella  Impresa  con- 
tenuta . 

Forestiero.  La  voce  mutola,  che  prima  mi  ferisce  le 
orecchie  ,  per  sé  non  mi  dispiace  ,  perchè  verainente  l'Im- 
presa è  parte,  o  specie  d'una  muta  poesia;  ma  io  direi  piut- 
tosto muta  si  mi  li  Ludi  ne  ,  che  muta  comparazione:  ne 
porrei  il  nome  dell" Impresa  nella  sua  dilTmizione  ;  ma  se 
buona  è  questa  difiìni/ione ,  il  motto  non  solamente  non  è 
necessario  nell'Impresa  ,  ma  è  soverchio,  e  vizioso:  ne  al- 
tro mi  par  di  poter  raccogliere  dell'intenzione  dell'au- 
tore. 

Conte.  Questo,  se  non  m'inganno,  fu  il  suo  intendi- 
mento ;  ma  udite  l'altra,  che  forse  più  vi  piacerà:  L'  Im- 
presa è  componimento  di  (ìgura  ,  e  di  motto,  rappresen- 
tando virtuoso,  e  magnani;no  disegno. 

Forestiero.  In  questa  diffinizione  nulla  si  può  deside- 
rare peravvenlura  ,  se  il  motto  è  necessario,  come  molti 
estimano,  e  se  TLiipresa  è  quasi  un  composto  di  corpo,  e 
d'aniiTio;  quantunque  il  nome  disegno  s\sl  usato  metafori- 
camente, come  quello  ,che  si  dice  propriamente  della  pit- 
tura ,  e  non  si  trasporta  nei  pensieri  dell'animo.  Ma  nel- 
le diffìnizioni  di  cose  sì  fatte  io  non  sono  severo  soverclna- 
niente  ,  e  non  hiasmo  le  translazioni  ,  tuttoché  da  Aristo- 
tele, e  da  A.verroe  siano  riprese.  Platone  ancora  diftìnt 
r  anima  ;  luogo  delle  forme;  e  il  suo  discepolo  disse  clic 
la  memoria  era  quasi  una  pittura  delT anima.  Ma  passia- 
mo più  oltre  . 

Conte.  Questa  è,  come  dicono, del  Palazzo:  L'Impressi 
è  un  modi)  d'esprimere  qualche  nostro  concetto,  princi- 
palmente Mllettuoso,  coli  immagine  di  cosa  ,  che  althiacon 
questa  convenienza,  necessariamente  accompagnata  da  un 
breve  motto  di  parole,  a  questo  atte. 

Forestiero.  Pone  V  Impresa  fra  i  modi  del  significare, 
benché  ella  sia  piuttosto  tra  le  specie  ;  uja  il  modo  più 
propriamente  è  dell'arte,  che  della  opera  artificiosa,  la 
quale  non  è  modo,  ma  fatta  con  modo.  Ma  queste  sont> 
considerazioni  ,o  troppo  sottili,  o  troppo  severe,  come  sa- 
rebbe, s'io  dicessi  che  l'Impresa  fosse  un  modo  d' espri- 


o  dell'imprese  341 

mere  tulli  i  eoncelti,  non  solamente  qualche  concetto.  Ma 
questa  peravventura  è  di  quelle  diffinizioni  d'Aristotele 
nella  Topica,  ch'esso,  e  Alessandro  suo  comentatore,  cliia- 
mano  diffinizione  delli  cosa  ben  disposta,  la  quale  par  che 
sia  più  ristretta  dell'<'iltre,e  non  contenga  tutti  i  particola- 
ri; solo  mi  fa  dubbio  ch'egli  v'includa  il  motto  come 
necessario. 

Conte.  Questa  diffinizione  ancora  mi  sovviene:  L'Im- 
presa è  un  segno  proprio  ad  alcuno,  e  preso  da  lui  per  a- 
dornamento,  o  per  discoprimento  d'alcuna  cosa  fatta  ,  o  da 
farsi,  o  perdurante,  ovvero  per  parte  delle  sopraddette 
cose . 

Forestiero.  Quasi  tutte  l'Imprese  fossero  proprie,  e 
non  alcune  comuni  ;  ma  ,  s' io  non  sona  errato  ,  ve  ne  sono 
alcune  portate  da  molli ,  come  per  giudizio  del  Giovio  fu 
quella  de' giunchi  portata  da'Signori  Colonnesi  col  motto; 
i*  letti  ni  ur ,  non  frangi  niur . 

Conte.  Un'altra  diffinizione  mi  sovviene  dell' Armigio: 
L'  impresa  è  una  mistura  mistica  dì  pittura  ,  e  di  parole  , 
rappresentante  in  picciol  campo  a  qualunque  uomo  di  non 
ottuso  intelletto,  qualche  recondito  senso  d'una,  o  di  più 
persone . 

Forestiero.  L' Armigio  accomuna  fra  molti  quel  ,  che 
l'altro  appropria;  ma  di  questo  proposito   mi  sovvengono 
le  parole  di  Dante,  parlando  delle  parti: 
L' uno  al  pubblico  segno  i  gigli  gialli 

Oppone  y  e  V  altro  appropria  quello  a  parte  ; 
Sicché  non  so  veder ,  r/ual  più  si  falli . 
Dalle  quali  io  raccolgo  che  l'aquila  fosse  pubblico  segno, 
e  non  privato,  ne  proprio:  e  che  ciascuno  erri  approprian- 
dolo a  qualche  Parte,  come  fanno  i  Ghibellini,  non  meno 
che  opponendosi  all'aquila,  com'è  de  Guelfi;  ma  l'aquila 
]ìer  mio  avviso  fu  insegna  de' Romani ,  avanti  che  fosse 
trovato  questo  nome  d'Impresa,  e  soleva  esser  portata  in 
guerra  con  molte  altre  insegne,  che  furono  quattro  per 
opinione  di  Plinio  ,  il  lupo,  il  minotauro,  il  cavallo,  ei 
cinghiale,  alle  quali  Vegezio  aggiimge  il  dragone;  ma  al- 
cuni anni  avanti  Mario,  l'altre  erano  lasciate  negli  alloggia- 
menti, e  sola  l'aquila  era  portata  in  battaglia.  Mario  alfi- 


342  IL  CONTE 

ne,  il  quale  dall'apparir  dell' ;iquila  nveva  preso  otlimo 
augurio ,  rifiutò  tutte  I  altre  insegne  ,c  di  questa  sola  vol- 
le servirsi  nella  guerra  ,  e  consacrandola  quasi  propria  al- 
le legioni  Romane,  dalle  quali  Tu  portata  con  varj  colori, 
ed  in  varj  campi,  se  pur  dobbiamo  prestar  credenza  a  Gio. 
"Villani,  in  cui  si  legge  che  Mario   contro  i   Cimbri    portò 
l'aquila  d'argento,  e  Ciitilina  ,  quando  fu  sconfitto  da  An- 
tonio nella  parte  di  Pistoja,  ed  il   gran   Pompeo  portò  il 
campo  azzurro,  e   l'aquila   d'argento:    Cesare    la  portò 
d'oro  nel  campo  vermiglio  ,  Augusto  suo  successore  mulo 
l'insegna  :  portando  nel  campo  dorato  l'aquila  naturale, 
cioè  nera  ,  la  quale  fu  similmente  spiegata  dagli    altri  Im- 
peratori Romani  infino  a  tanto  che  da   Costantino,  e  dagli 
altri  Imperatori  Greci  fu  di  nuovo  innalzata  in  campo  ver- 
miglio ad  imitazione  di  Cesare ,  il  quale  la  tinse  del  sangue 
civile  ne'campi  di  Farsaglia.Ed  ora  si  potrebbe  senza  dub- 
Lio  affermare  ch'ella   fosse  stata  Impresa   de' Rotnani ,  e 
prima  de' Persiani,  da' quali  fu  portata  in  guerra  fino  al 
tempo  di    Ciro,   come    si    b'gge  in    Senofonte,   perocché 
l'aquila  ha   tutte  quelle   condizioni ,  che    son  richieste  al- 
l' Impresa  degl'  Imperatori ,  e  de' Regi ,  ne  so  che  le  man- 
chi se  non  il  motto,  per  lo  quale  distinguono  molli  l'arme 
dalle  Imprese.  Dicono  ancora   che   l'arme   sono  insfgua. 
gentis ,  e  proprie    d   una  famiglia,  ma  l'Imprese  vogliono 
che  siano  particolari:    distinzione  in    vero    volontaria,  la 
quale   non  porta  seco  alcuna   necessità .  Altri    son  d'altra 
opinione,  e  vogliono  piuttosto,  che  il  campo  deterfriinato 
da  colori,  o  da  .«barre,  il  quale  non  si  richiede  nell'Impre- 
se, sia  proprio  dcH'arme,  o  sua  diirerenza  specifica,  per  la 
quale  si  distmgue  dall'Impresa,  e  fa  arme,  come  dicono, 
per  sua  natura  .  Ma  dalle   cose   dette  potrebbono  nascere 
molti  dubh)  nella  diffinizione  dell'Impresa  :   e  prima  ,  se  le 
parole  siano  necessarie,  o  soverchie  nell'Impresa  ;  e  selle 
son  necessarie  per  dichiarar   l'intenzione,   o  in  qual  altro 
modo;  e  poi,  se  l'Imprese  siano  projirie,  o  se  comuni:  se 
differenti  dall'armi,  e  se  ristesse,  e  qual  diversità  sia  nel- 
l'antieliità,  e  nell'origine  di  cpieste,  e  di  quelle.  Alle  qua- 
li si  potrebbono  aggiungeri;  molle    altre    questioni,  della 
simplicilà  ,  o  della  moltitudine  de' corpi,    e  delle  ligure,  e 


o  dell'  lmprese  343 

de'colori  :  se  meritano  biaslino  le  umane,  o  le  prodigiose; 
e  molti  precelti  intorno  a  ciò,  e  molte  osservazioni.  Ma  io 
oltre  al  Giovio  ,  e  al  Ruscello,  e  all'Ammirato,  pochi  altri 
Ilo  letti  in  questa  materia^  nella  quale  .come  ho  inteso, 
scrissero  Claudio  Paradino ,  Gabriel  Simeone,  Lodovico 
Domenichi,  Claudio  Pittoni  ,  Alessandro  Farra  ,  Luca 
Contile,  Bartolommeo  Taegio,  oltre  all'Alciato,  che  scrisse 
degli  Emblemi,  e  Pierio  Valeriane,  che  trattò  la  materia 
delle  Jeroglifiche  assai  somigliante  .  Io  già  ,  prima  che  fos- 
sero usciti  questi  ultimi  libri  ,  ne  dissi  alcune  cose  ,  che  ho 
poi  riconosciute  quasi  mie:  altre  ne  udii ,  delle  quali  con- 
servo alcuna  memoria.  Ma  senza  vostro  ajuto,  estimo  più 
difficile  il  fine  del  ragionamento,  che  non  mi  parve  il  prin- 
cipio :  ed  essendo  entrato  senza  molto  pensiero  in  questo 
quasi  campo  dell'Imprese  ,  son  molto  sollecito  del  modo 
d'uscirne;  ajulatemi  adunque  a  dubitare  almeno,  se  non 
a  terminare  le  questioni,  nelle  quali  gli  altri  si  sono  affa- 
ticali. 

Conte.  Questo  è  così  largo,  e  così  fiorito  campo  ,  che 
lo  spaziarvi  a  me  sarà  caro ,  come  però  a  voi  non  paja  so- 
verchiamente faticoso;  ma  io  non  so  che  ajuto  darvi  ,  che 
vi  trattenga . 

Fè)RESTIERO  .  Or  cominciamo  da  quella  parte  ,  che  io 
prima  proposi  ,  dico,  se  le  parole  siano  necessarie  all'Im- 
prese :  e  se  troveremo  eh'  elle  vi  si  ricerchino  necessaria- 
mente, suppliremo  all'imperfezione  di  quella  ,  che  da  noi 
è  stata  data.  E  perchè  meglio  intendiamo  il  vero,  io  vi  do- 
mando il  vostro  parere,  se  voi  riponete  l'artificio  del  far 
l'Imprese  sotto  l'arte  della  poesia ,  o  no. 

Conte .  A  me  pare,  che  il  facitore  dell'Imprese,  sia 
poeta ,  come  parve  ad  alcun  altro ,  il  quale  disse  che  l' Im- 
presa è  non  solo  parte  di  poesia,  ma  di  eccellente,  e  di  so- 
vrana poesia. 

Forestiero.  Ma  s'ella  fosse  poesia  ,  userebbe  gì'  istru- 
nienti  della  poesia  ,  che  sono  il  parlare,  il  ritmo  e  l'armo- 
nia ,  e  non  altri . 

Conte.  Così  pare  ragionevole  ,  se  il  poeta  non  ha  altri 
istruincnti . 

Forestiero  .  Altri  da  Aristotele  non  sono  assegnati  al 


344  IL  MANSO 

poeta  ;  dunque  il  pennello  e  il  colore ,  die  usa  nel  dipin- 
gere il  pittore  dell'Impresa  ,  non  sono  istrumenti  convene- 
voli al  poeta ,  e  molto  meno  lo  scarpello  ,  o  11  martello,  col 
quale  si  scolpiscono  l'Imprese  ne'marmi:  e  se  non  sono 
istrumenti  del  poeta,  chi  gli  usa,  non  è  poeta  . 

Conte.  Cotesto  par  vero  ;  tuttavolta  io  credeva  che  la 
poesia  avesse  alcune  arti  ordinate  al  suo  serviijio  ,  come 
l'arte  degl'istrioni,  e  la  Musica,  e  la  Pittura  ;  laonde  nel 
servirsi  dcgl' istrumenti  delle  arti  sottoposte,  non  perde  la 
sua  dignità. 

Forestiero.  Ma  è  imperfetta  ,  se  non  ha  alcuno  istru- 
mento  proprio,  col  quale  possa  fare  le  sue  operazioni  come 
potrete  conoscere  a  questo  esempio.,  che  l'uomo  ,  di  cui  il 
servo  è  istrumento ,  e  separato  ,  non  ha  questo  solo  istru- 
mento  esteriore  nelle  azioni  civili  e  militari,  ma  i  suoi 
pruprj  ancora,  con  i  quali  non  solamente  governa  la  Re- 
puhblica  e  combatte,  ma  contempla  le  cose  celesti,  ed 
immortali:  le  mani  ,  dico  ,  gli  occhi,  la  lingua,  la  fantasia  , 
e  gli  altri  sentimenti,  esteriori  e  interiori. 

Conte  .  In  questo  modo  ancora  potremo  affermare  che 
il  motto  sia  ristrumento. 

Forestiero  .  Molto  ha  perduto  di  dignità  ,  poiché 
d'anima,  ch'egli  era  ,  come  dicono,  è  diventato  istrumen- 
to; ma  questo  non  rileva  ,  perchè  l'Impresa  senza  l'imma- 
gine figurata  nella  carta,  o  in  altra  cosa  materiale,  non  sa- 
rebbe Impresa  ;  dunque  riporremo  l'Impresa  sotto  l'arte 
della  Pittura  ,  o  del  Disegno. 

Conte.  Questa  opinione  più  mi  piaceva  nel  principio; 
ina  io  mi  attenni  all'altra  per  salvar  la  vita  al  motto,  il 
quale  per  quest'altra  via  corre  molto  pericolo. 

Forestiero.  Peravventura  è  vero  quel  che  voi  dite, 
perchè  se  1'  Impresa  è  fatta  della  pittura  o  del  disegno 
non  ha  bisogno  di  parole. 

Conte.  Sogliono  i  pittori  ,  e  gli  scultori  nondimeno 
far  le  iscrizioni  nelle  statue  ,  e  nelle  pitture  alcuna 
volta . 

Forestiero.  Solevano  gli  antichi  pittori,  come  dice 
Aristotele  nel  sesto  della  Toj)iea  ,  aggiungere  l' iscrizione 
per  dichiarazione  della  cosa  dipinta;  ma    questa,  per  suo 


o  dell'  imprese  34") 

!::;uHÌizio,  è  imperfezione  nella  pitturo,  come  nella  difìlni- 
zione,  clje  non  s'intenda  di  qual  cosa  ella  sia  diffiniiione  , 
perciocché  la  pittura  dee  esser  conosciuta  per  se  stessa 
senza  aiuto  alcuno  estrinseco  .  vSi  conferma  1'  autorità 
d'  Aristotele  col  testimonio  di  Scrino  filosofo,  il  rpinle  scri- 
ve, come  si  legge  appresso  a  Stobeo  ,  clie  nel!' anticliissi- 
ma  città  di  Snis  era  un  gran  simulacro  consacrato  a  Mi- 
nerva ,  delta  Iside,  con  (juesta  iscrizione: 

Ego  siim  onine ,  quod  fuit ,  quodque  est ,  quodque  erit  : 

Et  peplum  meuni  nemo  mortalium  re\'elavìt. 

Conte.  Questa  iscrizione  a  me  pare  molto  misteriosa; 
laonde  estimo  ch'olla  giungesse  autorità  all'immagine  ;  e 
non  meno  ha  hisogno  dì  dichiarazione  di  quel,  che  avesse 
I  '  immagine  medesima . 

Forestiero.  Autorità  senza  dubbio, piuttosto  che  chia- 
rezza ,  o  notizia  aggiunge  questa  descrizione:  e  le  cosi 
fatte  piacciono  nelle  statue,  e  nelle  pitture ,  e  nelle  Im- 
])rese  più,  che  in  tutte  l'altre,  perchè  le  iscrizioni,  e  i 
molti  troppo  chiari  pajon  popolari ,  e  di  ninna  stima,  e  per 
questa  cagione  sogliono  esser  fatti  piuttosto  nella  lingua 
estrana  ,  che  nelle  propria. 

Conte.  Io  vorrei  che  il  motto  si  allontanasse  dn'popn- 
lari,  e  da'voignri  piuttosto  ne' sentimenti  ,  e  ne' pensieri, 
che  nelle  parole:  e  amo  meglio  i  concetti  peregrini  colle 
nostre  voci  naturali  ,che  i  plebei  colle  peregrine. 

Forestiero.  Cotesto  è  vero  ;  nondimeno  le  parole  non 
si  scelgono  nella  propria  lingua  ,  se  non  da  parte  niolto 
nobile,  e  da  scrittore  molto  eccellente;  ma  i  concetti  me- 
desimi, significati  colle  similitudini,  e  l'immagini  ,'<leono 
avere,  non  solo  del  vago,  e  del  leggiadro,  ma  dell'occulto, 
e  del  misterioso:  però  si  legge  in  Porfirio,  riferito  dal  me- 
desimo Autore,  che  siccoine  Apolline  in  Delfo  non  dice  , 
ne  asconde  ,  ma  accenna  ,  secondo  il  costume  di  Eraclito, 
così  ne'simholi  Piltngorici  quel ,  che  par  si  dica  ,  si  ascon- 
de; e  quel  che  par  nascoso,  s'intende. 

Conte.  A  questa  imitazione,  s'io  non  sono  errato  ,  do- 
■vrebbono  esser  fatti  non  solo  i  molli,  ina  i  corpi  delle  Im- 
prese . 

T.  III.  Dialochi  al 


346  IL  CONTE 

Forestiero  .  Clilamiaino  corpo  la  pittura,  dunque  il 
molto  è  r  <inii))a  . 

Conte.  Cosi  disse  il  Glovio  innan/i  a  tutti  i^li  altri. 
Forestiero.  E  se  non  può  esser  corpo  vivo  senz'ani- 
liia  ,  morte  sono  quelle  Imprese  ,  clie  non  hanno  il  motto. 

Conte  ,  Questo  è  assai  vero  per  giudizio  di  molti;  ma 
altri  hanno  giudicato  che  la  forma  essenziale  deJl'  Impresa 
sia  la  comparazione. 

Forestiero.  Se  la  comparazione  è  la  torma  essenziale, 
e  la  forma  essenziale  è  aniuia  delle  cose  animate,  ne  segue 
che  la  comparazione  sia  l'ani  uà  ;  laonde  l'Imprese  non 
hanno  hisogno  di  motto ,  perchè  la  comparazione  sola  ,  e 
la  pittura  può  farle  vive. 

Conte.  O  l'una  ,  o  l'altra  opinione  è  vera. 
Forestiero.  E  se  sono  contrarie,  non  possono  esser 
vere  l'una,  e  l'altra;  ma  se  l'una  è  vera,  1'  altra  è  falsa  di 
necessità  . 

Conte.  Senza  duhhio. 

Forestiero,  Potrchbono  essere  nondimeno  concordi  in 
qualche  modo,  e  in  qualclie  parte  ,  siccome  al  corpi)  no- 
stro già  vivo,  e  animalo  sopraggiunge  di  fuori  la  mente 
imtnortale  a  guisa  di  peregrino;  così  all'Impresa,  già  viva 
per  artificio  del  pittore  ,  è  dato  dal  poeta  ,  quasi  da  c(;le- 
ste  Iddio?  nuovo  intelletto  colle  jvarole  ,  che  fa  immortale 
la  vita  della  pittura,  la  quale  perse  stessa  avrebbe  fine, 
come  l'anima  de' bruti ,  e  delle  piante. 

Conte.  Voi  togliete  la  necessità  al  motto,  ma  non  la 
perfezione . 

Forestiero.  Sarà  dunque  nella  definizione  necessario  , 
almeno  in  questa  maniera,  perchè  in  lei  si  dee  diffinire 
una  cosa  perfetta  ;  ma  nelle  definizioni  ,  se  non  m'inguino, 
i  nomi  analoghi  sono  assai  volte  ricevuti:  e  Aristotele  me- 
desimo avend<j  a  diflìnire  l'anima  mortale,  e  l'immortale, 
non  la  volle,  o  non  la  potè  diffinire  altramente;  laonde 
questi  nomi  di  segno  e  d'  immagine  possono  attribuirsi 
non  solo  alla  forma  dell'Impresa  materiale,  ma  al  molto, 
ch'è  (juasi  divino  intelletto  :  e  Aristotele  ancora  ne  libri 
dell' interpetrazione  chiamò  le  paride  note  di  (|uelle  cose, 
rl»e  abbiamo  nell'animo  ;  che   tanto  rileva,   quanto  s'egli 


O  dell' IMPRESE  34'- 

l'avosse  chiamate  sei^ni  e  immagini  de'nostri  concetti.  Non 
d  il>l)iairio  iiduiique  |i<*r  questa  cagione  aggiungere  cosa  al- 
cuna alla  (lirtlnizione. 

Conte.  C^si  ini  pare  che  ahbiate  provato  chiaramente 
coir  autorità  tlel  Principe  de' filosofi  . 

Forestiero.  Confermeremo  adunque  che  l'Imprese 
siano  segni,  <>  iimnagini  conve-nieiiti,  e  simili  a'nol)ili  |)en- 
sieri  dell'animo  ,  fatte  per  desiderio  d'onore:  e  di  queste 
iriiti;agini  altre  saranno  di  cose  naturali,  altre  d'artificiose; 
e  tra  le  naturali ,  altre  di  eterne  ,  altre  di  corruttibili . 

Conte.  A  questa  divisione  altri  aggiungono  un  terzo 
membro  ,  direndo  cbe  d(  Ile  immagini  alcune  sono  natura- 
li ,  altre  artificiose  ,  altre  civili. 

Forestiero.  Le  civili  si  possono  ridurre  sotto  l'artifi- 
ciose, come  sottf»  a  suo  genere  ;  perciiè  la  civiltà  e  un  ar- 
te ,  anzi  l'arte  oltre  a  tutte  l'altre  nobilissima  ,  alla  quale 
ninna  è  cbe  si  sdegni  d'ubbidire;  però  è  somigliante  al- 
l'architetto ,  il  quale  comanda  a  molti  ministri  .  Ma  l'ites- 
sa  divisione  da'più  antichi  è  fatta  in  altro  modo;  perchè 
dissero  che  delle  figure  scolpite  dagli  Egizj  negli  ohelisclii, 
altre  sono  naturali,  altre  artificiose,  altre  immaginarie; 
ma  l'immaginario  si  possono  riporre  sotto  l'artificiose, 
come  si  crede  (he  siano  i  Satiri,  i  Centauri  ,  le  Sirene,  i 
Tritoni  ,  le  Sfingi,  e  le  Chimere,  e  le  Gorgoni  ,  perchè  è 
liceniia  non  solamente  de' poeti,  ma  de'pittori  congiungere 
insieme  le  nature  diverse ,  e  quasi  contrarie  ,  in  guira  che 

Desinai  in  pisceni  ntnlier  formosa  superna  . 
Altri  le  riporrebbe  sotto  le  naturali,  come  in  tutti   i  mo- 
stri ,  che  nascono  per  difetto  ,  o  per  eccesso  di  materia  ^  ol- 
tre il  proponimento  della  natura  ist<ssa  . 

Conte  .  Io  mi  ricordo  d'aver  letto  in  molti  di  «pirsti, 
che  trattano  de' secreti  della  natura  ,  alcune  rrjaraviglie. 
Plinio  pone  i  Satiri  ne' monti  Subsolani  :  Pomponio  Mela 
nell'Atlante:  il  Sabellico  nell'Aio:  de'  Grifi ,  che  sono 
quasi  Pegasi,  e  custodiscono  l'oro  ne' monti  Rifci,  ragio- 
na, non  die  altri,  Dion  Grisosto:no,  gravissimo  autore:  dei 
Tritoni  e  delle  Sirene,  Plinio,  Olao  Magno,  e  Pietro  Mes- 
sia: delle  Gorgoni,  Ateneo  ,  il  qiial(>  estima  che  sia  quello 
animale,  che  da  Aristotele  e  da  Plinij  è  dijll    Cito})l(pa  , 


348  IL  CONTE 

Gli  àrimaspi  per  opinione  di  molti  abitavano  ne'  monti  Ri- 
fai :  Giorgiana  ha  quattro,  o  cinque  maniere  d'  uomini  mo- 
struosi: 1  Affrica  ,  molte,  per  testimonianza  di  S.  Agostino, 
il  quale  ne  vide  l'immagini  nella  città  di  Cartagine. 

Forestiero.  Il  considerare  la  verità  di  questo  dubbio 
si  appartiene  ad  altra  considerazione  ,•  ma  in  questo  propo- 
sito si  può  concliiudere  senza  fallo  che  i  mostri  favolosi 
ti  possono  annoverare  coli' immagini  artificiose,  gli  altri 
colle  naturali.  E  cominciando  da  queste,  e  da  quelle,  che 
sono  eterne  per  natura  : 

Chiamaci  il  Cielo,  e  intorno  ci  si  gira  , 
Mostrandoci  le  sue  bellezze  eterne  , 
come  dice  Dante  ,  delia  di  cui  immagine  si  può  formare  la 
più  bella  e  la  piìi  riguardevole  di  tutte  l'altre,  che  noi  ri- 
miriamo; e  prima,  del  Cielo  stellato  fu  fatta  quella  nobi- 
lissima Impresa  ,  di  cui  fa  menzione  il  Giovio  col  motto: 
Aspicit  unani.  L'istesso  portò  per  Impresa  il  Cardinal 
d'  Este  mio  Signore  ,  colle  parole  :  Jn  mota  immotuin  ,  per 
dimostrare  la  stabilità,  e  la  costanza  dell'animo  suo  nobi- 
lissimo fra  i  movimenti  della  fortuna,  da  cui  allora  era  agi- 
tata la  Francia  nelle  guerre  civili,  e  quasi  tutta  Europa, 
e  per  timore  dell'armi  Barbariche  ,  colle  quali  il  Turco 
minacciò  mina  a' Regni  de' Cristiani  :  e  fu  invenzione  del 
Signor  Benedetto  Manzuolo  suo  filosofo,  e  secretario,  e 
poi  Vescovo  di  Reggio.  Io  poi  feci  una  impresa  coll'istes- 
sa  immagine  dtl  Cielo  stellato,  nel  quale  son  molte  imma- 
gini del  Sig.  Card.  Montalto,  e  vi  sottoscrissi:  Pulchriora 
latent ;  volendo  accennare  che  questo  Signore  d'  anii)io 
nobilissimo^  il  qu.-ile  assai  spesso  si  ritirava  dalle  puhbli- 
che  occupazioni  della  Chiesa  Apostolica  allo  studio  delle 
scienze,  era  mosso  a  contemplare  dall'  islessa  cagione,  che 
mosse  i  primi  contemplanti,  cioè  dalla  bellezza  e  dalla  ma- 
raviglia delle  cose  celesti:  e  perchè  da  loro  siamo  iimalzati 
alla  cognizione  delle  intelligibili  e  divine,  particolaroiente 
d'Iddio,  l' Impresa  mi  parve  conveniente  all'alti'zza  del- 
l'animo di  quel  Signore,  eh' è  nuovo  Mecenate  del  Pa- 
triarca di  Gerusalemme,  e  di  Monsignor  Papio,  del  Baldi, 
e  d'altri  teologi  e  poeti,  che  vivono  nella  sua  corte:  e  fu 
ja  prima  di  molte  ^  le  quali  potcano  esser  concclte  in  di- 


O  DELT.'  II\IPRESÉ  349 

verse  occasioni  d'animo  grande ,  e  occupato  nelle  azioni. 
Di  Saturno  non  so  chi  abbia  fatta  Impresa;  ma  essendo 
ei^li  il  primo  fra  i  pianeti,  e  nobilissimo  fra  gli  altri  ,e  ve- 
locissimo nel  movimento  ,  come  stima  Platone,  benché  sia 
detto  tardo,  e  significando  la  contemplazione,  cb'è  nobi- 
lissima operazione  dell'intelletto,  mi  parve  che  potesse 
aver  luogo  nell'Imprese;  ma  la  difficoltà  è  nel  far  che  la 
stella  sia  conosciuta  per  quella  di  Saturno;  e  quantunque 
ciò  possa  conoscersi  dal  colore,  perchè  ciascun  pianeta  ha 
il  proprio  colore ,  come  scrive  Olimpioduro  nella  Meteo- 
ra ;  nondimeno  perchè  l'Impresa  non  dovrebbe  aver  biso- 
gno di  colore,  meglio  mi  parve  di  collocarlo  nella  sua  pro- 
pria casa,  la  quale,  come  scrivono  gli  astrologi  ^  e  Macro- 
Lio  particolarmente  nel  Sogno  di  Scipione,  è  r Aquario, 
o  il  Capricorno  :  e  vi  aggiunsi  per  maggior  notizia  il  mot- 
to: Tardissime  velojc  y  o  Velocissima  tardìtas ,  come  do- 
vrebbe esser  quella  non  solamente  degli  studiosi ,  ma  dei 
prudenti  ;  benché  a  questa  impresa  si  potrebbe  applicare 
il  motto  di  Augusto  :  Lente  festina  .  Del  Sole  molti  hanno 
portata  Impresa.  Assai  nota  è  quella  colle  parole:  Objecta 
ìiubila  solvit  :  e  ^ineW  A\\.Ya  del  gentilissimo  poeta  Manto- 
vano, che  affisse  l'aquila  alla  sua  luce  coli' iscrizione: 

Purché  ne  godan  gli  occhi  ,  ardan  le  piume. 
E  quella  attribuita  all'imperatore  Massimiliano  dell'aquila, 
che  volge  i  figli  coronati  al  Sole, col  moilo:  Experiar.  Ma  io, 
dopo  tutte  l'altre, feci  al  Signor  Cardinal  Montalto,  mentre 
governava  lo  stato  della  Chiesa  nel  Pontificalo  di  Sisto,  que- 
sta medesima  immagine  del  Sole  nella  Ecclittica,  la  quale, 
com'è  opinione  degli  astrologi,  è  una  linea  nel  Zodiaco 
trapassata  dagli  altri  Pianeti;  ma  il  Sole  solamente  non 
n'esce:  era  il  motto  :  Non  trasgrediar .  Il  mio  intendi- 
mento fu  mostrare  che  il  Cardinale,  figurato  convent^vo!- 
mente  per  la  sua  illustrissima  azione  col  Sole,  non  trapas- 
sava il  comandamento,  e  l'ordine  del  Papa  .  Il  Sole  in  Leo- 
ne ,  eh'  è  il  suo  proprio  albergo,  e  l'arme  del  Cardinale  , 
poteva  dimostrar  lo  splendore  accresciuto  alla  sua  casa  dal- 
la virtù,  e  dalla  fortuna  di  questo  Signore  -  il  motto  fu 
questo  ....  Ma  perchè  fra  tutti  i  pianeti  Venere  solamen- 
te esce  dal  Zodiaco  per  utile  della  generazione,  come  dice 


3oo  IL  CONTE 

Plinio,  in  quelle  parti  retnotissime  ,  die  sono  extra  aiiiii; 
solibque  vias ,  volli  figurare  una  Venere  us(;ita  del  Zotliiico 
per  significare  un  concetto  amoroso  di  nobilissima  Signoni 
col  motto:  Transgrcssa  jiLvat.  Dell' istesso  pi.meta  lece 
priaia  Don  Francesco  d  A.valos,  di  glor.  inem.  una  Impre- 
sa col  motto  :  Monstrante  viam.  Ma  ella  è  conosciuta  dal- 
la compagania  del  Sole,  il  quale  ora  la  segue,  e  ora  le  va 
innanzi . 

Conte.  Avete  lasciati  Marte,  e  Giove  a  dietro  senza 
parlarne . 

Forestiero.  Gli  ho  lasciati  a  coloro,  che  sono  più  fe- 
lici nella  guerra,  e  nell'azione,  a'quali  non  mancheranno 
soggetti  di  nuova  Impresa ,  s'essi  estimeranno  che  la  va- 
rietà de' colori,  o  la  proprietà  delle  cose  possa  bastare  per 
dichiarazione:  ma  lascerò  ancora  Mercurio  a'  quei  felici 
ingegni,  che  nella  eloquenza  lianno  acquistato  chiarissima 
fama.  Della  Luna  scema,  e  crescente,  portò  Impresa  d 
Re  Enrico  ,  col  motto  :  Donec  totuiii  iniplcat  orhem  :  alla 
piena  fu  aggiunto  quest'altro:  j^niula  Solis ,  per  dimo- 
strare lemulazione  tra  quel  Re  d'animo  grandissimo,  e  il 
Re  Filippo  mio  Signore,  che  senza  dubbio  ha  supi'rato 
tutti  i  Principi  del  mondo  di  grandezza  d'animo  ,  di  stati  , 
e  di  fortuna,  e  nel  principio  del  suo  regno,  nel  qualo  par- 
ve un  Sole  oriente;  onde  a  gran  ragione  alzò  per  Impresa 
il  carro  del  Sole  col  motto  :  Jani  illustrabit  omnia.  Degli 
eclissi  del  Sole,  e  della  Luna  si  fecero  Imprese  similmen- 
te. Ma  discendiamo  dalle  cose  celesti  agli  elementi,  se  non 
volete  eli' io  ritorni  un'altra  volta  nel  Cielo. 

Conte.  Questo  è  cam?nino  usato  dagli  animi  immortali, 
però  non  vi"  spiaccia  il  ritorno  . 

FOKESTIEKO.  Tutte  le  quarantotto  immagini  del  Cielo 
stellato,  possono  dar  soggetto  bellissimo  ,  e  pieno  di  luce  . 
e  di  spletidon;  all'Imprese;  ma  agl'Imperadori ,  e  a' Re  ,  e 
a' grandissimi  Principi  si  converrebbe  la  Libra  col  motto: 
Omnibus  idem,  oh' è  proprio  di  Giove:  a' sacerdoti  l'alta- 
re; a' poeti  la  cetra  ,e'l  cigno:  alle  donne  caste  la  corona 
d  \rianna:  e  i  giusti,  e  fortunati  Principi  potrebbono  an- 
cora portar  lo  Scorpione  col  molto:  JE<jUa  plus  parte  rc- 
liiirptil.  Augusto  figurò  il  Capricorno, che  fu  poi  ascenden- 


0  dell'  imprese  35 1 

te  ài  Carlo  Imperadore  ;  e  l'Impresa  è  di  Cosimo  fortuna- 
tissimo Principe  de' nostri  tempi,  e  oltre  a  tutti  gli  ;illri 
pruderitissia)o  ;  laonde  si  può  affermare  eli'  egli  tosse  I  ui- 
chitctto  della  sua  medesima  fortuna. 

Conte.  Questo  ragionamento  con  grandissimo  piacere 
mi  ha  tocco  l'animo;  laonde  io  vorrei  che  sempre  ci  fos- 
se lecito  di  star  fra  le  cose  celesti. 

Forestiero.  Io  n'ho  ragionato  ad  utilità  di  voi,  al- 
quanto più  largo ,  clie  per  altro  non  avrei  fatto.  Ma  tor- 
niamo a  parlare  delle  immagini  man  sublimi,  almetio  per 
memoria  della  nostra  fragililà  ;  perchè  il  fare  Impresa  del- 
le cose  celesti  è  cosa  d'isnimo  grandissimo,  che  si  promet- 
ta molto  di  se  stf*sso  ,  e  della  sua  fortuna  ,  e  dtell'ajuto  di- 
vino: però  alcuni  presero  il  soggetto  dell'Imprese  da  cose 
più  umili:  altri  non  vollero  far  Impresa  alcuna  ad  imita- 
zione di  Roncoreo,  figliuolo  di  Sesostri ,  e  di  coloro,  i  qua- 
li, non  potendo  paregginr  la  gloria  degli  antecessori,  fecero 
le  Piramidi  senza  iscrizioni.  Fra  questi  fu  Anfiarao,  clie 
solo  fra' sette  Re  non  portò  a  Tebe  Impresa  alcuna ,  per  la 
qual  cagione  fu  lodato  da  Eschilo:  e  quell'altro,  di  cui 
scrisse  Virgilio,  Pannarfue  inglorius  alba. 

Conte.  Discendiamo  alle  cose  inferiori,  quando  vi  pia- 
ce, ma  per  gradi,  acciocché  lo  scendere  non  apporti  pe- 
ricolo, e  ci  paja  faticoso. 

Forestiero.  Delle  nature  corruttibili  alcune  sono  sem- 
plici, altre  composte:  semplici  son  quelle,  che  chiamiamo 
elementi ,  e  principio  d'  esse  cose  generate  ,  fra'quali  pri- 
ma è  il  fuoco,  che  ha  date  molte  occasioni  a' simboli  ,  e 
all'  Imprese  .  Alcuno,  per  dimostrare  il  generoso  animO;  e 
la  chiarezza  dell'origine  sua  ,  portò  la  fiamma  col  motto: 
Summa  petit .  Il  Signor  Duca  d'Urbino  ,  giudiciosissimo, 
libéralissimo  ,  e  valorosissimo  Principesche  fa  ritratto  di 
quelli,  ond'egli  è  nato,  figurò  la  fiamma  col  motto:  Quic^ 
in  sublimi;  accennando  in  questa  guisa  la  nobiltà  dell'ori- 
gine, e  l'altezza  de'  pensieri ,  che  non  possono  acquetarsi 
se  non  in  nobilissime  operazioni,  e  perchè  è  natura  del  fuo- 
co il  separar  le  cose  simili  dalle  dissimili  .  siccome  all'in- 
contro quella  del  freddo  è  di  congregar  le  cose  di  natura 
dissomiglianti  ,  io  ne  feci  un;i  Impresa  ad  un  Piiucipe  mio 


352  IT,  CONTE 

amico,  il  quale  nella  sua  Corto  non  volle  molti  tristi  in 
compagnia  di  pochi  buoiìi ,  col  molto  di  Yeri^ilio  :  Sccre^ 
tosquepios, ocon  c^y\&sioGreco:iri^'jytvyix  Ex/ptv  .  Il  fuo- 
co insie'lie  coll'acqua,  come  scrive  Phitarco  negli  am- 
maestramenti del  matrimonio,  significò  la  congiunzione 
del  marito  colla  moglie  ,  e  fu  spesso  usato  dagli  antichi. 
Dell' ariii  ,  e  dell'acqua,  e  della  terra  non  so  chi  facesse 
Impresa  senz'altro  corpo. 

Conte.  A  me  sovviene   quella    del  fiume,    portato  dal 
Vescovo  di  Feltro  col  motto:  Viresqac  acijuirit  euiido . 

Forestiero.  È  assai  bella,  e  cavata  di  buon  luogo,  del 
quale  prima  il  Vida,  scrittore,  e  dottissimo  poeta,  aveva 
latta  una  comparazione  ;  e  de'  fonti  miracolosi ,  de'quali  il 
Petrarca  fece  similitudini ,  altri  poi  fece  l'Imprese.. Ma 
della  terra  sola  si  potrebbe  fare  una  bellissifua  Impresa 
per  la  monarchia  di  Carlo  Imperadore  ,  o  di  Filippo  Re  di 
tanti  Regni,  o  d'altro  gran  Principe,  col  motto;  Ponderi- 
bus  librata  5^/5.  De' monti ,  cbe  son  parte  della  terra, 
molte  Imprese  abbiamo  vedute,  ma  con  altri  corpi,  com'è 
quella  portata  da' Duchi  di  Mantova  dell'Olimpo,  il  quale, 
come  si  scrive,  è  sempre  sereno  nella  sommità,  e  quieto 
dall'impeto  de'  venti;  laonde  coloro,  che  in  cima  vi  sacri- 
ficavano, lasciandovi  le  ceneri  rimase  nel  sacrificio,  le  tro- 
vavano l'anno  seguente:  il  motto  è:  OJides.  Io  feci  pei* 
Impresa  del  Signor  Cardinal  Montalto,  il  monte  Caucaso, 
nella  cui  più  alta  parte  si  vede  il  Sole  quattro  ore  prima  , 
che  apparisca  agli  altri  ;  e  volli  in  questa  guisa  dimostrare 
la  vigilanza  del  buon  Principe.  Atlante  si  potrebbe  finge- 
re per  figura  del  Monarca;  che,  come  dice  Simplicio  sovra 
Aristotele  ne'libri  del  Cielo,  le  colonne  di  Atlante  signi- 
ficano il  peso  della  Monarchia.  Etna  fu  portato  di  molti: 
risola  di  Delo  ,  la  quale  era  prima  errante,  e  dapoi  si  fer- 
mò, come  si  legge  nelle  favole  ,  fu  Impresa  d'  una  vedova 
gentildonna,  il  cui  nome  era  Delia,  col  molto:  Quievit. 
Oltre  ogni  estimazione  bellissima  fu  quella  Impresa  della 
seni;»  Platonica ,  cioè  de'quattro  elementi,  e  degli  otto 
Chicli ,  col  verso  del  Petrarca  : 

jy una  in  altra  sembianza. 
Ed  assai  bella  la  confusione  degli   Elementi   detta  Chaos ^ 
portata  dagli  Accademici  Confusi,  col  motto:  Ante. 


0  dell'imprese  353 

Conte.  Se  bella  è  la  confusione,  quanto  maggior  bel- 
lezza dee  ritrovarsi  nella  distinzione? 

Forestiero.  Bellissimo  è  l'ordine  senza  fallo;  ma  al 
medesimo  artefice  s'appartiene  l'ordinare,  e  il  confonder  le 
cose;  però  nella  confusione  ancora  è  il  suo  diletto,  e  la  sua 
maraviglia.  Io  feci  per  me  stesso  un  Amore,  che  usciva  dal 
Chaos^  come  dice  Esiodo,  col  motto:  Distinguet .  Ma  io 
sono  uscito  ,  non  me  ne  avveggendo,  dalla  via  prescritta  ,  e 
parlando  della  confusione ,  bo  confuso  l'ordine  ,  die  si  dee 
servare  nella  divisione.  Lasciamo  dunque  Amore  da  parte, 
e  torniamo  ai  corpi  semplici,  fra' quali  peravventura  si 
potrebbono  numerare  le  comete,  e  le  altre  immagini  di 
fuoco,  che  si  veggono  nella  sublime  region  dell'aria  ,  tut- 
toché siano  generate  da  esalazion  terrestre.  Bella  fu  quel- 
la della  cometa,  apparita  nella  morte  di  Cesare,  come  di- 
ce Virgilio: 

Ecce  Di  Oliaci  processit  Caesaris  astrurn  , 
e  detta  da  Orazio:  Juliuni  Sydus:  e  le  sue  parole:  Inter 
ornile s ,  fur  molto  convenienti  all'intenzione  di  quel  Signo- 
re. Dell'arco  celeste,  che  fu  detto  Iride  da'  Latini,  è  sta- 
ta fatta  Impresa  :  e  si  potrebbe  far  di  quello  ,  cbe  i  Greci 
dicono  Alos ,  che  noi  possiamo  dir  corona  della  Luna,  per 
dimostrar  la  varietà  dell'  umane  grandezze,  e  di  queste  co- 
rone de' Principi  del  mondo  ,  le  quali  si  dileguano  ad  ogni 
vento  di  contraria  fortuna  ;  laonde  di  quella  di  Cipro  non 
appar  vestigio;  quella  di  Scozia  ,  e  quella  d'Ungheria  so- 
no quasi  sparite  a' nostri  giorni  ;  quella  di  Francia,  già  lu- 
centissima ,  ci  lascia  dubb)  del  suo  splendore,  e  fra  le  nu- 
vole dell'eresia  appena  si  discerne. 

Conte.  Troppo  gravi  querele  son  queste  in  così  piace- 
vole ragionamento. 

Forestiero.  Perdonate  alla  mia  fiera  malinconia,  che 
mi  trasporta  in  così  dolorosa  materia  ;  ma  per  compiacervi 
seguirò  il  mio  parlare.  De'fulmini  ancora  ,  de' venti ,  della 
neve,  della  pioggia  ,  cbe  son  misti  imperfetti ,  sono  state 
fatte,  e  così  potrebbono  farsi  Imprese;  ma  è  cosa  malage- 
vol  molto  cbe  siano  senza  compagnia  d'altri  corpi;  i  qua- 
li ,  come  abbiamo  detto  ,  o  sono  semplici,  o  misti  ;  e  de'rai- 
sti  alcuni  perfetti ,  altri  imperfetti  ;  degl'  imperfetti  abbia- 


354  ",  CO?JTE 

mo  ragionato  a  bastanza  .  Fra'  perfetti  altri  sono  animati , 
altri  privi  d'atiima  .-fra  gli  animati  aleutii  hanno  il  senso, 
altri  son  privi  di  sentimento:  di  quelli,  che  sono  sens.iti, 
parte  è  fornita  di  sottili  avvedimenti,  e  di  ragione,  parte  è 
senza  ragione,  e  senza  intelletto.  Ma  prima  ci  si  rappresenta 
la  natura  ragionevole  n('lla  figura  umana;  e  questa  ancora  si 
divide  n('g!'Iddii,e  negli  uomini:  fra  gli  Iddìi,  antichissimo 
è  Amore,  come  piace  ad  Esiodo;  e  da  lui  Alcibiade  fece 
quella  bellissima  Impresa  col  fulmine  piegato  ,  volendoci 
dimostrare  che  la  potenza  di  Amore  è  tanta  ,  cbe  può  to- 
gliere a  Giove  l'arme  di  mano  ,  come  dice  il  poeta: 
C  il'  avrebbe  a  G/o^'e  nel  maggior  furore 
Tolte  r  armi  di  mano  ,  e  l' ira  morta  . 

Conte.  A  questa  imitazione  il  Signor  Bernabò  Adorno 
finse  Amore  coll'archibuso  ,  cbe  è  il  fulmine  de'  moderni. 

Forestiero.  L'invenzione  è  assai  gentile,  tuttavoita 
l'antica  è  più  misteriosa  .  Si  potrebbe  ancora  figurare 
Amore  colla  spada,  come  si  legge  ne' problemi  d'  Alessan- 
dro ,  fingendo,  eh'  egli  o  per  cruccio  ,  o  di  scherzo  l'avesse 
tolta  a  Marte  ,  e  colla  cetra,  involata  a  Febo,  colla  quale 
cantando  dettasse  a' poeti  versi  amorosi,  e  col  caduceo  di 
Mercurio,  come  fosse  divenuto  messaggiero,  per  apportar 
pace  a'miseri  amanti:  e  coll'armi  di  Minerva  ancora  si  po- 
trehbe  fingfre  Amore  in  qualche  bellissima  Impresa;  per- 
ciocché Ovidio  nel  libro  del  Rimedio  d  amore  gli  attribui- 
sce l'egida  ,  che  fu  lo  scudo  di  Minerva,  colla  testa  di  Me- 
dusa in  quel  verso  : 

Deci  pi  t  hac  oculos  /Egide  dives  amor. 
Di  Glauco  Iddio  marino,  e  misterioso,  si  potrebbe  simil- 
mente fan>  Impresa,  e  più  agevolmente,  dm  d'altro  Iddio, 
il  quale  si  di])inga  con  fiii;ura  umana;  perchè  1  ali  d'Amore, 
e  la  parte  di  pesce,  cb'è  in  Glauco,  non  pajono  cose  na- 
turali ,  e  umane  ,  ma  prodigiose  piuttosto,  o  immaginarie; 
però  nella  divisione  si  potevan  forse  riporre  più  acconcia- 
mente sotto  il  genere  tifile  immagini  arliRciose:  ma  io  mi 
sono  lasciato  trasportare  dal  rorso  del  ragionamento  a  non 
considerare  queste  cose  cosi  minutamente. 

Conte.  Possono,  per  mio  giudizio,  esser  numerate  an- 
cora fra  le  naturali ,  avendo  riguiu'do  all'opinione  di'gli  an- 
tichi, e  alla  fama. 


o  dell'  imprese  355 

Forestiero  .  Meglio  nondimeno  si  converrehìiono  col- 
Piiltro  iinniiiginnrie .  Ma  io  feci  ancora  un'  impresa  d'Er- 
cole, appropriandola  ad  un  gran  Signore  di  questo  nome  , 
nella  cui  luipresa  potevano  scolpirsi  le  colonne  in  miglior 
età  ,  e  men  soggetta  all'avarizia  de' Principi  stranieri  ;  col 
motto:  Jabat  Lùiristeus  :  e  non  ebbi  risguardo  all'osserva- 
zione di  molti,  che  non  vogliono  che  nell'Imprese  abbia 
luogo  la  figura  umana  ,  e  appena  il  concedono  agli  Dei  fa- 
volosi. Ma  Ercole  nelle  fasce  è  Impresa  del  Signor  Duca 
d'Urbino  ,  il  quale  sin  dalle  fasce  si  concitò  grandissima 
aspettazione  ,  che  ha  sostenuta  col  valore ,  e  colla  pruden- 
za, dimostrata  neir  armi ,  e  nel  governo  de'proprj  Stali. 
Castore,  e  Polluce  fur  degli  Accademici  di  Padova.  Altri 
nondimeno  più  arditi  hanno  figurati  nelle  Imprese  gli  uo- 
mini non  deificati  ,come  fece  colui,  che  nel  carro  trionfale 
portò  dipinto  il  servo  insieme  col  trionfatore;  ma  quanto  sia 
lecito,  altri  se '1  veggia.Or  seguitiamo  l'ordine  del  dividere 
sino  al  fine,  come  abbiamo  cominciato  .Degli  animali  alcuni 
sono  terrestri,  alcuni  aquatili;  fra  i  terrestri  ottiene  il  pri- 
mo luogo  di  dignità  il  leone  ,  re  delle  fiere  ,  come  dice  Ba- 
silio Magno,  e  nelle  lettere  Jeroglifiche  ebbe  molte  significa- 
zioni: ora  significava  la  magnanimità:  ora  le  forze  dell'ani- 
mo, e  del  corpo  congiuntamente:  alcuna  volta  1'  obbedien- 
za de'figliuoli  verso  il  padre:  in  altre  pitture  dimostrava 
la  custodia  ,  la  terribilità  ,  la  signoria  dell'uomo  ,  la  ven- 
detta ,  e  la  clemenza:  la  magnanimità  dimostra  per  se  solo 
l'animo  domato  ,  o  il  domator  dell'anime,  colla  figura  del- 
l'uomo, che  frena  il  leone,  per  la  quale  si  dimostra  che  la 
parte  animosa  ,  e  piena  d'ira  ,  dev'esser  tenuta  a  freno:  la 
clemenza,  e  la  vendetta  verso  l'uomo,  parimente  col  leone 
è  significata  :  la  vigilanza  ,  e  la  custodia  con  una  sua  parte, 
cioè  col  capo,  il  quale  sia  posto  sovra  l'altare;  perchè  il 
leone  o  mai  non  dorme  ,  come  fu  opinione  di  ÌManetone,  e 
degli  altri  Egiz],  o  è  di  pochissimo  sonno  ;  perchè  la  vigi- 
lia continua  negli  ani'naii  è  incredibile,  come  giudicò  Ari- 
stotele: la  testa  dimostra  similmente  la  terribilità,  però 
nello  scudo  d'  Agamennone  fu  scolpito  il  capo  del  leone  ,  e 
lo  scudo  restò  lungamente  sospeso  al  tempio  d'Olimpo  con 
questa  iscrizione: 


355  IL  r.o?cTE 

curo?  iJiìv  (pD0oi  /BpoToT?  ,  ó'^"  A'yxfx^jjLVosv 
che,  traspoi'tandola  nel  felice  idioma  Toscano,  diverrebbe 
questa  : 

Questo  è  il  ferrar  de'  miseri  mortali: 
Colui ,  che  7  porta ,  è  il  valoroso  Atri  de . 
Congiunto  col  cigniale  significa  cbe  ìe  forze  dell'animo 
son  congiunte  con  quelle  dt^i  corpo.  E  segno  d^lla  nobiltà 
e  della  progenie  regale  ;  però  Alessandro  Magno  voli' esse- 
re scolpito  nelle  medaglie  colle  spoglie  del  leone;  e  dall'al- 
tro lato  v'era  impresso  Giove  coU'aquila,  o  perchè  fosse 
disceso  da  Ercole  ,  o  percbè  Filippo  sognasse,  dopo  ch'e- 
gli fu  conce puto,  di  sigillare  il  ventre  d'Olimpia  sua  ma- 
dre col  sigillo  del  leone  ,  e  nominò  Alessandria  da  lui  edi- 
ficata ,  città  Leonina.  I  Re  di  Sparta  ancora  si  gloriavano 
della  medesima  nobiltà  :  e  ÌM.  Antonio  appresso  i  Romani  , 
come  Plutarco  racconta  nella  sua  vita,  s'adornava  colle 
spoglie  del  leone,  ad  i'nitazione  d'Ercole  suo  predecesso- 
re. Ne' tempi  moderni  è  insegna  del  Regno  di  Leone  in 
Lspagnri  .  e  di  quello  di  Boemia:  e  da  Cirio  Quarto  ,  co- 
gnominato il  Boemo,  l'ebbe  la  casa  Gonzaga:  e  1' Acquavi- 
va  ,  e  la  Caracciola,  famiglie  d'antichissima  nobiltà,  porta- 
no il  leone  azzurro:  la  Gesualda  il  nero  con  cinque  gigli 
rossi,  per  dimostrare  la  nobiltà  degli  anticliissimi  Principi 
Normandi ,  e  del  Re  Guglielmo,  progenitore,  o  parente 
almeno  de' progenitori.  E  perchè  il  leone  suole  svegliar  i 
figli  col  ruggito,  com'è  scritto  da' filosofi  naturali ,  a  cia- 
scuno di  questi  Principi  giovanetti  si  potrebbe  dare  per 
Lnpresa  il  leoncino  col  motto:  sonino  graviori  excitus  ,  o 
con  altro  somigliante  ,  che  avesse  insieme  riguardo  alia 
natura  del  leone,  e  al  sonno  di  Temistocle,  il  quale  per  sol- 
lecitudine di  gloria,  e  d'onore  era  rotto  assai  per  tempo 
da' trofei  di  Milziade;  perchè  a  quelli  posso  agguagliar  le 
vittorie  riportate  da' loro  antecessori  nell'Asia,  e  nell'Af- 
frica ,  e  nell'Italia  medesima  .  Significa  ancora  il  leone  la 
religione  ,  laonde  è  segno  della  divinità  adorata  nell'ordine 
superiore,  nel  quale  sono  l'aquila,  e  il  gallo,  animali  sa- 
cri similmente  al  Sole.  Alessandro  congiunse  nella  sua  me- 
daglia l'aquila,  e  il  leone,  i  quali  sono  ancora  congiunti 
nelle  sacre  lettere;  ma  nelle  gentili  si  scrive  che  il   Icone 


O  DEr.l/lMPRKSE  35y 

si  spaventa  all.i  presenza  del  giHo,  percliè  la  virtù  rie!  So- 
le è  più  compartita  al  gallo,  che  al  leone,  e  in  grado  più 
jiUo;  laonde  fu  creduto  che  i  Demoni  apparissero  con 
fronte  di  leone,  e  gli  Angeli  in  forma  di  galli;  ma  npjla 
Cristiana  ,  e  divina  Teologia  gli  Angeli  dall'aquile  son  si- 
gnificati. Dimostra  dunque  il  leone  per  mio  avviso  nella 
sua  forma  naturale,  la  podestà  terrena,  e  regia,  la  nol)iltà, 
la  magnaniiuilà,  la  clemenza  e  la  religione,-  però  è  vera^ 
inente  insegna  ,  e  Liìpresa  degnissima  de' Principi  ,  de' Sa- 
cerdoti .  e  de'magnanimi,  e  valorosi  cavalieri:  e  il  leone  fe- 
rito fu  portato  a' nostri  tempi . 

CoN'J'E.  Voi  passate  con  silenzio  il  leone  alato,  quasi 
mistico,  e  più  conveniente  a' teologi  . 

Forestiero.  Per  questa  causa  veramente  ,•  ma  del  leo- 
ne senz'ali  ancora  si  legge  che  nella  parte  davanti  rappre- 
senta le  cose  celesti ,  in  quella  di  dietro  le  terrene i  laonde 
■vogliono  che  per  lui  si  dimostri  la  natura  divina  congiunta 
alla  umana . 

Conte.  Dunque  ora  è  assomigliato  a  Cristo,  ora  al  De- 
monio: tanta  è  la  varietà  delle  similitudini,  quando  sono 
con  alcuna  dissimilitudine! 

Forestiero.  Or  passiamo  all'elefante  ,  il  quale  di  reli- 
gione ,  come  si  scrive,  supera  tutti  gli  altri. 

Conte.  E  di  prudenza  ancora,  come  parve  a  Marco 
Tullio  ,  e  a  molti  gravissimi  scrittori. 

Forestiero.  Cotesto  è  vero;  tuttavolta  Aristotele  ,  fra 
gli  aniuiali  bruti  par  che  stimi  prudentissima  la  cerva,  la 
quale  suole  partorire  solo  nelle  strade  pubbliche,  dove 
non  vanno  le  fiere  per  timor  degli  uomini ,  e  per  altre  ca- 
gioni: ma  dell'elefante  si  raccontano  cose  maravisHose:  ne 
voglion  solamente  ch'egli  intenda  il  parlar  natio,  ma  che 
abbia  un  proprio  parlare ,  come  dicono  Aristotele  e  Op- 
piano. 

Conte.  Questa  m'è  cosa  nuova,  benché  io  avessi  pri- 
ma udito  dire  che  gli  ^uccelli  parlano  nella  propria  favel- 
la, la  quale  fu  intesa  da  Appollonio  Tianeo,  di  cui  si  rac- 
conta che  ritrovandosi  in  una  compagnia  d'amici  ,  e  aven- 
do udita  una  rondinella ,  disse  agli  altri  che  presso  alla 
città  era  caduto  un  asino  carico  di  frumento;  e  che  la  ron" 


358  IL  CONTE 

dinella  né  dava  avviso  alle  compagne  :  e    ytriina   di  lui    Ti- 
resia  e  Melatnpo  intendevano  il  parlar  degli  animali. 

Forestiero.  Cosi  scrive  Porfirio  in  un  trattato,  ch'egli 
fa  di  questa  materia  ,  volendo  provare  che  l'aniine  s^'usua- 
li  siano  immortali  e  ragionevoli  ;  e  Plutarco  nel  Grillo  ha 
trattato  l'istesso  argomento.  Empedocle,  Democrito  e 
Aristotele  medesimo  non  negò  ritrovarsi  nei  bruti  qual- 
che parte  di  ragione,  in  quei  libri,  ch'egli  scris.^e  degli 
animali;  ma  Galeno  nell'orazione,  ch'egli  scriàse  al  figliuo- 
lo, affermò  che  nell'  animale  è  qualche  partecipazione  , 
Tov  XÓyoj ,  ma  di  quello  ch'è  nel  discorso,  non  dell'aitro 
eh' è  nel  parlare.  Crediamo  dunque  che  gli  animali  non 
abbiano  voce  distinta,  come  c'insegna  Aristotele  ne'libri 
dell'interpretazione  ,  benché  ciascuno  colla  voce  inartico- 
lata possa  significare  gli  affetti  deir  anima  :  e  peravventu- 
ra  in  questa  guisa  Annone,  maraviglioso  elefante,  mandato 
dal  Re  di  Portogallo  in  dono  a  Papa  Leone ,  era  inteso  dd 
suo  maestro. 

Conte.  In  altro  modo  nondimeno  egli  intendeva  il  mae- 
.stro,  e  conviene  che  fosse  fornito  di  sottile  avvedimento, 
se  delle  sue  persuasioni  eia  capace. 

Forestiero.  Così  scrivono;  ed  a  ciascuno  sono  note 
l'altre  cose  mirabili  scritte  della  religione  dell' elefante , 
per  la  quale  egli  adora  la  Luna  nuova  ,  e  si  purga  nel  fiu- 
me: o  d;  I  desiderio  d  onore  ,  p.^r  cui,  essendo  n.ttato  d  in- 
famia, antepone  la  morte  alla  vita.o  della  temperanz.i,  che 
egli  usa  in  mangiare,  rifiutando  le  misure  duplicate:  o  del- 
la mansuetudine, ch'egli  mostra  con  gii  animali  più  deboli, 
al  quali  non  fa  alcuna  ingiuria,  anzi  suole  addomesticarsi 
per  la  vista  delle  pecore  e  de'rnontoni,  ma  provocato  da 
qualche  ingiuria  è  ferocissimo,  e  combatte  con  i  serpenti, 
e  col  riiKJceronte,  il  quale  ha  coll'elelaiite  iiiiinicizia  natu- 
rale: nel  parto  è  tardissimo  ,  e  partorisce  dopo  due  anni,  o 
secondo  alcuni,  dopo  dieci.  Vogliono  ancora  ch'egli  sia 
figura  dell' uomo  [)Ossenle,  il  quale  non  ha  bisogno  del- 
l'ajuto  altrui;  i»a  nondimeno  timore  dell'oiibra  ,  e  si  s|)a- 
venla  della  sua  immagine  medesima  ,  la  quale  egli  vede 
lìciracijue,  però  suol  bere  le  torbide;  è  figura  accomoda- 
lissima  a  signilicisrc  il  giusto,  e  inudeialo  imperio  di  l*riu- 


o  dkiaJ  imprese  359 

cipe  poderoso,  iNelle  solitudini  si  fa  guid;»  di  coloro  ,  cliu 
huniio  smarrita  la  strada;  però  è  clemenfissiiao  oltre  a  tut- 
ti gli  altri  animali.  Per  questa  cagione,  se  non  m'inganno, 
prima  Augusto,  e  poi  Tito,  vollero  trionfare  sovra  il  carro 
tirato  dagli  elefantt:  e  Claudio  concedette  il  medesimo  o- 
nore  a  Livia  sua  avola;  e  il  Senato  Romano,  liberato  dal 
timore  di  Massimino,  consacrò  le  statue  ad  Albino,  ed  a 
Gordiano  coil'immagine  dell'elefante.  Ma  peravventura 
io  troppo  mi  son  compiaciuto  in  raccontarvi  molte  di 
quelle  cose,  che  a  voi  possono  esser  tjote  parimente,  per- 
cliè  sono  scritte  da  molti  autori  . 

Conte.  Le  cose  alcuna  volta  pajono  nuove  per  essere 
troppo  antiche,  e  tali  peravventura  sono  alcune  di  queste, 
che  io  non  intesi  giamoiai,  ma  d'alcune  ho  letta  più  lunga 
scrittura. 

Forestiero.  Basta  dunque  l'accennare  l'Imprese  degli 
«elefanti,  l'una  portata  dal  Signor  Astorre  Baglione ,  col 
motto;  Nascelur  ;  l'altra  del  Duca  di  Savoja  colle  parole; 
Injestus  iiifextis  ;  benché  l"  una  ,  e  l'altra  pare  appropriata 
dal  Duca  Emanuele,  padre  di  questo  ,  ch'oggi  vive,  il  qua- 
le è  motto  degno  veramente  dell'  espettazione  ;  e  colla 
grandezza  dcll'aniino  agguaglia  quella  della  fortuna,  e  può 
superare  ,  non  solamente  sostenere  ,  così  grande  avver- 
saria. 

Conte.  Se  l'Lnpresa  col  motto,  nascetur,  fosse  stata 
del  Duca  Filiberto ,  io  spererei  che  fosse  quasi  una  pro- 
fezia di  questi  tein|)i ,  ne'quali  la  Francia  perturbatissima 
aspetta  l'imperio  d'un  gmsto ,  e  mansueto  Re,  e  degno 
per  nobiltà  ,  di  succedere  alla  corona  Reale. 

Forestiero.  Ma  l'altra  dee  assicurare  della  sua  grazia 
gli  uooiini  amici  di  pace,  e  della  sua  gloria,  e  poteva  figu- 
rare l'elefante  col  rinoceronte  in  ballaglia,  ma  volle  piut- 
tosto mostrarci  la  sua  mansuetudine  ,  che  la  ferocità  , 
L'Lnpresa  c<il  rinoceronte  fu  portata  dal  Duca  Alessandro 
co!  motto:  JVoii  bucUa  sin  vencar  ;  e,  come  dicono,  è  figu- 
ra dell'uomo  robusto-. 

Conte.  Dell'unicorno  n'ho  vedute  alcune.  Altri  assai 
leggiadramente  ha  figurato  l'unicorno  fulminato  sotto  il 
lauro,  forse  per  darci  u   divedere   che   yli  amanti   delle 


36o  IL  CONTE 

Tcrg'ini  non  sono  sicuri  sotto  l'ombra  delia  verginità, e  del- 
la castità;  perchè  gli  unicorni,  come  dicono,  rifuggendo  al- 
le vergini ,  e  nel  lor  grembo  addoraientandosi ,  son  presi 
da' cacciatori.  Altri  portò  l'unicorno  ,  che  purga  la  fonte 
dui  veleno  colla  secreta  virtù  del  suo  corno  ,  e  vi  aggiunse 
questo  motto:  Venena pello . 

Forestiero.  L'unicorno  fulminato  sotto  il  lauro,  mi  fa 
sovvenir  d'una  vaghissima  Impresa  della  cerva  ,  descritta 
in  quel  sonetto  del  Petrarca  : 

Una  candida  cerva  sopra  V  erba 

Verde  ni'  apparve,  con  due  corna  d' oro  , 
Fra  due  riviere,  alV ombra  d'un  alloro, 
Levando  il  Sole ,  alla  stagione  acerba: 
colie  parole  del  medesimo  autore: 

Nissan  d' amor  mi  tocchi . 

Conte  .  Il  motto  è  preso  da  un  luogo  medesimo  coli' im- 
magine, il  che  da  alcuni  suol  esser  biasimato,  parendogli 
peravventura  che  sia  piccola  faticti  nel  ricercarlo.  jVell' i- 
stesso  modo  un  timido  gentiluomo  ,  divenuto  per  amore 
quasi  guerriero,  finse  un  cervo,  colle  parole:  J/iibcllcs  daiit 
praelia . 

Forestiero.  La  diliìcollà  suol  accrescere  la  lode  sì  ve- 
ramente ,  che  non  si  faccia  peggio  per  far  meno  agevol- 
mente. Ma  delle  o^servazÌDui ,  e  dell'arte  parleremo  poi, 
se  non  vi  sarà  nojoso  il  ragionarne. 

Conte.  Ora  seguiamo  a  guisa  di  cacciatori  le  fiere  in 
questa  selva  dell'invenzione,  e  prendiamo  ciascuna  al  suo 
luogo,  e  quasi  nella  sua  tana  ,  e  leghiamola  colle  parole  in 
modo  ch'ella  non  si  possa  disciogUere. 

Forestiero.  Il  ricercare  in  tutti  i  luoghi  sarebbe  qua- 
si impossibile;  ma  non  sarà  mica  picciola  preda,  o  di  poca 
stima,  se  ne  avremo  prese  alcune.  11  pardo,  eh' è  sì  ve- 
loce, si  lascerà  giungere  dall'intelletto,  che  è  più  di  lui 
veloce,  come  disse  il  poeta  : 

Jntcllttto  veloce  più  che  pardo , 
Pigro  in  antivedere  i  dolor  miei. 
Conte  .  Bella  Impresa  sarebbe  per  mio  avviso    la  fi- 
gi-ra  del  pardo  per  dimostrare  la  velocità  dell'ingegno. 
FoliESTlERO.  Basterebbe  l'autorità  del  Petrarca  ;  ma 


O  dell'imprese  36 r 

Oaipro,  e  ii}\  aUri  scrittori  dopo  lui ,  hanno  voluto  di'  (^^li 
sii»nifirliì  1,1  piirto  o<Mioupi'>cibile  ;  e  per  questa  cagiono 
Alessandro  ,  preso  dal  piacere  di  Elena,  si  vestiva  delle 
si)Oij;!ie  di  leopardo.  Binte  lo  pone  col  leone,  e  colla  Inpa, 
anzi  davanti  agli  altri  due,  per  di'nostrar<'  le  tre  passi  mi 
proprie  della  giovent^'i  ,  della  virilità  ,  e  della  vecchif^za  ; 
perchè  la  prii)ia  è  vinta  dal  piacere:  la  seconda  è  super  ifa 
dall'ambizione:  la  terza  dall'avarizia.  Plinio  narra  cito 
suole  ase<jnd'^r  la  testa  f  di  setnbianza  assai  spaventosa  ) 
per  allettar  gli  altri  animali  eolla  vaghezza  de'colori  ;  ma 
Aristotele  vuole  che  gli  alletti  non  solo  e(d!a  diversità  dei 
colori,  ma  colla  soavità  degli  odori;  laonde  il  mio  buon 
padre  la  diede  per  liiipresa  ad  uno  de' Cavalieri  del  suo 
Floridante  col  uìoilo:  Per  allcttarmi .  E  s'io  non  m'in- 
ganno, la  testa  ricorperta  significa  ì  pericoli  nascosi  a  co- 
loro ,  che  s'invagliiscono  del  piacere,  il  quale  si  dimostra 
con  ben  mille  varietà  di  lusinghe. 

Conte.  Già  abbiamo  presa  questa  fiera  col  riconoscerla. 

Forestiero  .  Ma  guardiamo  che  non  ci  prenda,  come 
suole  avvenir  in  quella  caccia,  nella  quale  il  cacciatore  al- 
cune volte  è  preda  delle  fiere  medesime .  Simile  nella  va- 
rietà de'colori  èia  lince  ,  detta  lupocerviero  ,  ed  è  d'acu- 
tissima vista,  e  più  d'ogn'altra  sme:uorata  ;  laonde  ,  come 
racconta  Plinio,  si  dimentica  della  preda ,  che  ha  d'avan- 
ti, se  avviene  eh'  ella  rimiri  in  altra  parte  :  può  significa- 
re l'oblivione  amorosa  de'giovani  ai)i<mti,  che  non  rimira- 
no le  cose  amate.  L'istrice  significa  l'uomo,  il  quale  si  ri- 
cuopre  nella  sua  virtù ,  ed  in  questa  guisa  suole  assicurar- 
si dall'insidie,  e  dagli  assalti  della  fortuna,  e  come  dice 
Plinio  ,  può  non  solamente  punger  d'appresso,  ma  adope- 
rar di  lontano  le  spine  a  guisa  di  siette  :  fu  Impresa  del 
Re  Lodovico  XIL  col  motto:  Coniinus  ,  et  cniimis.  II  ca- 
maleonte appresso  Plutarco  significa  l'adulazione  ;  perchè 
prende  i  colori  di  tutte  le  cose  vicine,  se  non  il  bianco;  e 
perciò  si  dinota  che  la  candidezza  de' costumi  non  è  imi- 
tata dagli  adulatori:  e  il  taranto  è  della  med;  sima  natura  ^ 
e  ,  come  si  legge  in  Plinio,  rappresenta  i  colori  degli  arbo- 
ri ,  de' frutti ,  e  de'  fiori  ,  e  de'  luoghi  ,  ne"(|uali  si  nascond<? 
per  timore.  Che  dirò  della  lepre,  che  per  te:nenzn  eonfòn- 
T.  ni.  Dì^Lluì  -^'v 


362  IL  CONTE 

«le  i  proprj  vestigi  ?  che  del  Castore,  elio  si  sterpa  i  genita- 
li ?  clic  lidia  capra  selvaj^gia ,  clic  fuggendo  porta  la  saetta 
avvelenala  dentro  il  fianco?  che  della  maliziosa  volpe, 
eli  è  sì  cauta  in  tutte  le  sue  operazioni ,  e  particolarmente 
nel  trapassare  i  fiumi,  quando  sono  agghiacciati?  laonde  , 
come  racconta  il  medesimo  Plinio,  avvicinando  1' orecchia 
al  ghiaccio,  fa  congettura  della  sua  grossezza. 

Conte.  La  timidità  è  stata  rifiutata  per  Impresa  da'ma- 
gnnniiiii,  e  da'  valorosi,  né  trovò  gran  fallo  chi  ahhia  vo- 
luto figurarla;  tuttavolta  le  proprietà  di  questi  animali 
sono  molte,  e  nelle  dissimili  sinjilitudini  possono  significa- 
re gli  occulti  pensieri  più  acconciamente. 

Forestiero.  Nondisneno  noi  ricerchiamo  figure  rigunr- 
devoli ,  e  forme  nuove,  e  pellegrine;  perchè  le  comuni,  e 
le  domestiche,  e  quelle  ,  che  assai  spesso  ci  si  parano  da- 
vanti,  non  muovono  di  se  maraviglia,  ed  espettazione  di 
saper  più  oltre.  Penetreremo  dunque  nelle  profonde  selve 
di  Gerìnania  a  ricercar  dell'Alce  ,  e  del  Bonaso ,  e  del  Bi- 
sonte; o  pur  nelle  solitudini  d'Affrica,  e  d'Etiopia,  la 
Manticora,  e  la  Catoblepa  ,  e  l'altre  sì  fatte? 

Conte.  Di  queste  non  ho  inteso,  né  letto  giammai  che 
si  lacossc  Impresa  alcuna. 

Forestiero.  Potrchhono  peravventura  farsi ,  ed  a  noi 
hasta  d'aver  ritrovati  i  luoghi.  Il  cammello  ne  aspetta  fuor 
della  selva  nelle  stanchevoli  arene,  o  carico  della  soma  con 
«pud  motto,  del  quale  dovete  ricordarvi;  Più  non  posso  ; 
n  presso  al  fonte  intorbidalo  ,  con  quell'altro:  //  me  piai  t 
la  trouble .  Il  toro  parimente,  animale  nato  coH'agricoItu- 
ra  ,  cai  sacrificio ,  si  lascia  vedere  fra  l'altare,  e  l'aratro, 
col  moilo:  In  ntriinu/ne  paratns  ;  volendoci  dimostrare, 
ch'egli  e  apparecchiato  egualmente  alla  morte  ,  e  alla 
fatica. 

Conte.  Bellissimo  veramente  è  il  motto,  e  l'Impresa  è 
figurata  fra  1'  altre  del  Ruscelli  ,  e  1'  autore  fu  Onofrio 
Panvinio.  Ma  dove  lasciamo  il  cane,  che  potrebbe  darci 
ajuto  nella  caccia  ,  e  svegliar  ,  se  dormissero,  gli  orsi,  e  i 
tassi,  e  i  ghiri,  e  gli  altri,  che  dormono  molti  mesi  del- 
l'anno ? 

Forestiero.   Il  cane  fu   Jeroglifico  degli  Fgizj,  e  fra 


O  D"RTX'  IMPRESE  363 

loro  significava  l'obherlienza  verso  i  ])adronl ,  come  scrive 
Pieiio  Valeriano:  Giulio  Cammillo  il  pone  per  figura  del- 
la fede,  e  dell'amicizia  ,  iu  quel  suo  gentil  sonetto  : 
//  verde  Egitto  per  la  negra  arena  , 

J\Ia  più  per  quei ,  che  V  adornar  d'  ingegno  , 
Finse  già  d' amicizia  dolce  pegno , 
La  f  orina  nostra ,  d' ogni  fede  piena  ■ 
V'  di'lla  fede  di  questi  animali  Piiiilo,  ed  altri  scrittori  nar- 
rano cose  degne  di  maraviglia  ;  fu  portato  per  insegna  da 
Oliviei'o  nella  battaglia  ,  ch'egli  fece  con  Orlando  contro 
Agramante,  e  ne  sono  a' nostri  dì  fatte  alcune  Imprese:  si 
vede  legato,  e'I  motto  è:  Con  maggior  catena.  Colla  boc- 
ca legata,  ed  impedita  did  morso  il  portò  il  Sig.  Vespasia- 
no Gonzaga  Duca  di  vSabionctta ,  e  Signore  di  bello,  e  ricco 
stato,  ma  d'animo,  di  valore,  di  prudenza  ,  dM;itelligenza 
superiore  alla  sua  natura,  e  degno  d'esser  paragonato  coi 
maggiori,  e  più  gloriosi  Principi  de' secoli  passati.  Di- 
sciolto, ba  sottoscritte  queste  parole:  E  in  libertà  non  go~ 
do:  appresso  un  ardcntissirao  rogo,  quest'alti-e:  jtarfe/;* 
fiamma  cremabit  :  nella  quale  Impresa  sì  accenna  l'istoria 
di  quel  cane,  clic,  non  volendo  sopravvivere  al  padrone,  si 
gettò  nella  fiamma  :  davanti  ad  uno  albergo  è  dipinto  non 
queste  parole,  che  girano  attorno  all'orlo  dello  scudo  j 
Blanditur  amicis:  o  con  queste  piuttosto  di  Pindaro 
sy&pbc  iàv,  alle  quali  vengono  appresso  l'altre  dellistesso 
Autore  TTOTf  V  e x9-pòv  cp/Xcv  ar  ì'ivi  (^iK'civ  :  e  tutte  insie- 
me signlficberebbono:  ai'i'^engachè  io  ami  V  amico  ,  e  sia 
nemico  delV inimico  :  e  bendi' egli  usi  la  similitudine  del 
lupo,  nondimeno  ,  come  si  legge  nella  Piepubblica  di 
Platone  ,  la  natura  di  coloro,  che  sono  posti  a  guardia  del- 
la città  ,  dovrebbe  essere  somigliante  a  quella  de'cani  ,  che 
lusingano  gli  amici,  e  si  mostrano  terribili  a'nemici. 

Conte  .    In  questo  proposito  ,  assai  leggiadro    è    quel 
molto  del  poeta  Fiorentino: 

Latrai  a'  ladri  ;  ed  agli  amanti  tacqid  . 

Forestiero.  Ma    non   molto  conforme   alla   gravità  di 

Platone,  o  di  Socrate  piuttosto,  il  quale,  coll'accomunare 

le  cose,  tolse  1' occasione  non  solamente  de' furti,  ma  gli 

amori  furtivi.  IMa  oltre  tutte  cjueste  Imprese,  delle  quali 


364  IT.  CONTE 

abbiamo  rnt^ionato,  se  ne  potiebbono  formar,  e  quasi  lìri- 
geiedi  nuovo  altune  altre.  Dimostrerebbe  gran  fede, 
Cduyiunta  a  grandezza  d'animo,  quella  d'un  molosso, 
cb'avendo  incontra  o  cignale,  o  hijio,  o  pur  orso,  si  stesse 
a  giacere,  e  le  parole  surebbono  forse  (jvieste,  o somiglian- 
ti; Majora  crpeto;  ed  in  questo  moJo  s'avrebbe  riguar- 
do alla  istoria  del  cane  donato  ad  Alessandro,  il  quale 
parve  die  ricusasse  la  zuffa  col  porco  selvaggio,  e  col- 
l'orso,  e  al  (ine  s'azzuffò  col  leone  ,  e  l'uccise.  Alla  natu- 
ra del  cane  è  somigliante  quella  del  cavallo,  almeno  nell'a- 
micizia degli  uomini  ;  percbè  i  cavalli  ancora  sono  morii 
co' padroni  ,  o  non  hanno  voluto  sopra  vi  vvere,  com'è  noto 
per  molte  istorie;  ma  di  questa  materia  non  è  fatta  Im- 
pr  sa . 

Conte  .  Potrebbe  farsi  ? 

FoRKSTlERO.  JVon  j)er  altra  cagione  si  parla  della  pro- 
prietà flegli  animali  se  non  per  dimostrare  i  luogbi,nc'(iua- 
li  possiamo  ricercar  llmprese. 

Conte.  Altri  ba  voluto  cbe  i  luoghi  del  formar  T  Im- 
prese, e  quelli  degli  argomenti  siano  i  medesimi. 

FoRESTIEPiO.  Peravventura  è  vero  d'alcuni;  ]ierchè  dal 
luogo  del  simile  si  possono  fare  le  simili  similitudini  ;  da 
quello  de' contrari  ,  o  de' repugnanti ,  di  leggiero  si  cave- 
ranno le  similitudini  dissomiglianti;  ma  non  so  se  di  tut- 
ti i  luoghi  topici  avvenga  il  medesimo,  e  il  ricercarne 
mi  pare  troppo  curiosa  investigazione:  piacciavi  piuttosto 
che  seguitiamo  quest'ordine  di  non  sottil  divisione. 

Conte.  Come  vi  piace. 

FoRESTir.lìO.  La  natura  del  cavallo,  come  sapete, è  guer- 
riera ,  ed  egli  è  segno  della  guerra  .  Bellum,  tarraliOHpila, 
porfas ,  (V\cc  Ancbise  all'Italia,  nella  quale  gli  erano  ap- 
pariti i  cavalli  ;  })erò  dipinti,  e  scolpiti  in  varj  modi ,  sono 
inunagini  convenientissime  d'animo  guerriero  ,  non  meno 
the  il  bue  sia  di  ferocità  insieme  colla  soggezione:  fu  por- 
lato  per  Impresa  dal  Signor  M-irino  C;ivallo  ,  col  motto: 
Matura,  per  dimostrare  che  il  freno  della  prudenza  fa  tar- 
di gli  animi  generosi  nelle  deliberazioni,  e  nelle  operazio- 
ni similinente .  Il  cavallo  sfrenato  può  significarci  la  fortez- 
isa  irritata  dall'  ira  ,  e  mi  piacerebbe  l'  iscrizione:  Concila-' 


o  dell'imprese  365 

ta  fortitudo:  rivolto  al  Sole,  può  farci  avveiluti  che 
^animosità  rivolta  al  lume  della  ragione,  o  a  quel  sopran- 
naturale della  Fede,  rimane  attonita,  e  in  questa  guisa 
leggiermente  consente  d'esser  domato.  Il  cavallo  coll'oli- 
■va  mi  fa  sovvenire  1' origine  d'Atene,  nella  quale  conte- 
silo, per  darle  il  nome,  Minerva,  e  Nettuno:  e  l'uno, 
percotendo  la  terra  col  tridente,  fece  uscirne  il  cavallo: 
l'altra  la  colpì  coH'asta,  dal  quale  colpo  germogliò  1' o- 
liva  :  a  questa  Impresa  aggiunsi  quel  verso  tronco  del  Pe- 
trarca : 

»  .  .  .  .  Non  lauro ,  o  palma 
Pietà  mi  manda ,  e  'l  tempo  rasserena  ; 
per  dimostrare  che  non  gli  manda  il  cavallo,  nel  quale  si 
possono  acquistare  i  trionfi,  e  le  vittorie;  ma  l'oliva,  segno 
di  pace;  e  piaccia  Dio  die  sia  tranquilla. 

Conte.  Altri  v'aggiunse:  In  utrwncfue  paratus ;  per 
dimostrare  eh'  egualmente  era  pronto  alla  pace  ,  e  alla 
guerra. 

Forestiero.  Non  voglio  che  il  cavallo  mi  trasporti  più 
oltre,  e  mi  dolgo  della  fortuna  ,  la  quale  suol  fare  cavalli  , 
e  navi,  come  dice  il  Petrarca  ,  ma  io  non  posso  congiun- 
gerli in  una  medesima  Impresa  .  Ahhia  dunque  fine  il  ra- 
gionamento degli  animali  terrestri ,  almeno  di  quelli,  che 
si  muovono  di  luogo  in  luogo;  perchè  del  dragone  ,  e  del 
serpente,  che  si  muovono  raccorciandosi,  e  ristendendosi, 
si  potrebhono  raccontar  nuove  maraviglie. 

Conte.  Il  dragone  suole  nelle  favole  significar  la  vigi- 
lanza; però  da' poeti  è  fatto  guardiano  degli  orti  delle 
Esperidi ,  e  un  grandissimo  Cardinale  ne  fece  Impresa  con 
questo  motto:  IVon  custodita  draconi  :  poi  una  donna  si 
vantò  d" avergli  fatta  miglior  guardia,  figurando  i!  giardi- 
no, e  la  pianta  dell'Esperidi,  con  questo:  Io  mejor  las 
guardere  :  fu  interpi'etato  che  ella  guarderebbe  i  frutti 
del  suo  Paradiso  molto  meglio,  e  con  maggior  diligenza; 
per  frutti  intese,  come  dicono,  la  castità  ,  e  l'onore,  i 
quali  essendo  colti,  o  corrotti,  guastano  la  fama  ,  e  la  pu- 
dicìzia ,  ma  se  i  pomi  dell'  Esperidi  furono  i  cedri  ,  come 
stima  il  Pontano,e  i  cedri  guardano  dalla  corruzione,  assai 
conveniente  è  l'allegoria,  o  simbolo,  ma  quel,  che  ne  in- 


366  IL  CONTE 

(luce  maraviglia,  è  il  consider.n-e  come  tViina  (Igiira  me- 
tlesiaia  siano  tiitte  Imprese  di  sentimento  contrario. 

For.FSTlEUO.  Ciò  può  avvenire  non  sol. unente  ,  percliè 
nel  motto  si  alFermi  ,  o  si  nieglii  con  poco  artificio  ;  ma 
pe-rchè  nella  natura  figurata  siano  le  qualità  ,  e  proprietà 
diverse  ,  e  quasi  contrarie  ,  le  quali  possono  esser  tirate  in 
diverso  significato,  come  dicemmo  poco  dinan/.i  del  leone, 
il  quale  rappresenta  la  possanza  terrena,  e  la  celeste.  Il 
dragone  similmente  nelle  sacre  lettere  degli  Egizj,ede'CrI- 
stiani  ,  or  significa  la  malizia  ,  or  la  prudenza  ,  or  la  super- 
hia  ,  ora  l'umiltà  ;  alcune  volte  la  vecchiezza  ,  alcune  altre 
l'età  rinnovata ,  e  quasi  ringiovenita  :  suol  significare  la 
morte,  e  l'eternità:  la  diabolica  natura,  e  la  divina,  alme- 
no l'umanità  alla  divinità  congiunta  .  Suole  ancora  dinota- 
re il  genio,  o  l'anima  immortcde,  come  dimostra  nel  quin- 
to dell'Eneide  il  serpente,  che  apparisce  nell'esequie 
d'Anchise.-  enei  secondo  sono  indizio  di  religione  i  due 
dragoni,  che  si  ricovrano  nella  più  alta  parte  del  tempio 
di  Minerva  ;  i  quali  figurò  per  Inpresa  il  Signor  Filippo 
Sega  ,  aggiungendovi  le  parole  del  medesimo  poeta  :  Ail 
swnma . 

Conte.  Bella  Impresa  veramente,  e  degna  di  tanto 
merito,  al  quale  non  possono  convenirsi  onori,  o  dignità, 
se  non  sublimi. 

Forestiero.  Bella  fu  l'Imprepa,  e  ottimo  l'augurio 
della  sua  esaltazione  al  Cardinalato,  al  quale  fu  chiamato 
da  un  altro  Gregorio.  Ma  la  serpe,  che  mutò  le  spoglie, 
dimostrò  la  mutazione  della  fortuna  in  quella  Impresa  del 
Signor  Michele  Codegnale  ,  col  motto  ;  Altera  meli  or  y 
quando  egli  trapassò  dalla  serviti"!  del  B.e  di  Francia,  a 
quella  del  Re  di  Spagna,  Di  questa  specie,  o  di  rpxesto  ge- 
nere almeno  ,  è  la  dipsade  ,  o'I  ramarro.  Di  essi  si  scrivo- 
no molte  proprietà,  e  particolarmente  quella  di  non  lasciar 
le  cose  ,  che  egli  prende  ;  ma  di  questa  fu  figurata  1'  antica 
Impresa  della  Casa  Gonzaga.  Ora  il  Signor  Duca  l'ha  fat- 
ta diping  re  con  una  pianta  di  camomilla  ,  colla  quale  egli 
si  ristora  della  stanchezza  ,  e  si  riposa  delle  fatiche.  Il  bre- 
ve, da  cui  è  circondata  l'Inijìresa,  e  questo:  /Etcrmiinquc' 
ic«t;«f  ;  al  quale  l'intelletto  supjìlisce  coll'alti'e  parole  di 


o  dell'  imprese  367 

VirglVio,  per  saecula  nomea.  Et!  in  questa  guisa  voHe  far- 
si intendere  che  la  cliiarissima  gloria  de' suoi  predecessori 
si  rinnovava ,  e  riprendeva  vigore  colla  sua  virtù  medesi- 
ma, celebrata  da' versi  altissimi  de' moderni  poeti.  Mi  sia 
qui  fine  al  ragionamento  de' serpenti  j  perchè  nelle  lodi  di 
questo  nobilissimo  Signore  : 

Serpi t  humì  tutus  niniìum  ,  tlmìdusque  procellae: 
laonde  al  poeta  sarebbono  necessarie  l'ali  del  cigno,  o  del- 
l'aquila, a  finche  potesse  spaziarsi  nella  pii!i   alta  parte 
della  sua  gloria . 

Conte.  Passiamo  dunque  dagli  animali,  che  vanno  ser- 
Jjendo  per  terra,  a  quelli,  che  volano. 

Forestiero.  Passiamo ,  perchè  io  non  voglio  far  più 
sottodivisione,  bench'io  sappia  che  le  diiFerenze  degli 
animali  son  fiìtte  o  per  le  vite,  o  per  l'azioni ,  o  per  i  co- 
stumi, o  per  le  parti,  come  scrive  Aristotele  medesimo,  il 
quale  nel  primo  dell'istoria  degli  animali  ne  trattò  prima 
in  una  certa  forma,  dipoi  ne  disputò  più  diligentemente, 
raccogliendo  le  differenze  delle  vite  ,  e  delle  azioni  con  un 
genere  più  comune;  perchè  degli  animali  alcuni  sono 
acquatili,  alcuni  terrestri:  e  de'terrestri,  altri  respirano, 
come  l'uomo,  e  tutti  quelli,  che  hanno  il  polmone:  altri, 
benché  ricevano  1'  aere  ,  la  qual  cosa  è  detto  respirare , 
hanno  la  sede  in  terra  perpetuamente  ,  e  da  lei  prendono  il 
cibo  ,  come  l'api ,  e  ie  vespe,  ed  alcuni  insetti ,  il  corpr»  dei 
quali  quasi  si  cinge  nelPiucisure,  o  nella  parte  prona,  o  nel- 
la supina;  ma  benché  molti  animali  de'terrestri  cerchino 
il  cibo  nell'acqua,  ninno  degli  acquatili,  che  ricevono 
l'acque,  lo  ricercano  dalla  terra  ;  ovvero  diremo  che  dei 
terrestri,  alcuni  sono  volatili,  come  gli  uccelli,  e  Tapi;  al- 
tri pedestri,  i  quali  si  dividono  con  tre  altre  differenze; 
perchè  alcuni  si  muovono  co'piedi ,  altri  serpono,  e  altri 
tirano  quasi  se  medesimi. 

Conte.  Sottil  divisione  è  questa  veramente,  e  a  me  as- 
sai nuova,  perchè  non  aveva  prima  udito  che  gli  uccelli 
si  riponessero  sotto  al  genere  de'terrestri. 

Forestiero  .  Sono  messi  in  questo  genere  ,  perchè  non 
solamente  si  pascono  de' fruiti  della  terra  ,  ma  hanno  in  lei 
similmente  la  quiete,  e  il  riposo;  quantun<]uo  nella  terra 


368  IL  CONTE 

niuiio  animale  abbia  sede  .stal)ile,e  ciascuno  possa  mutare 
albergo  di  Kiogo  m  kiogo,  nut  nell'acqua  solamente,  nella 
quale  le  spugne  sono  atiisse  agli  scogli  ,  e  ben  mille  manie- 
re di  coiicbiglie  jnarittiiue  ;  però  questa  è  considerazione, 
elle  app-irliene  ad  altra  maniera.  JNoi  consideriamo  gli  uc- 
celli in  quanto  sono  figura  cunveniente  all'  Impresa,  o 
prendendogli  da  se  solamente  ,  o  in  compagnia  d  altri  ani- 
mali terrestri,  o  acquatili;  perciocché  nell  uno  e  nell'altro 
modo  si  possono  far  l' Imprese,  come  dagli  altri  è  stato  det- 
to ;  tuttavolta  a  me  pare  che  ella  prenda  il  nome  ,  e  quasi 
la  tV>r/na  dell'animale,  cb' è  principale  nell'operazione, 
come  suol  essere  l'aquila:  da  lei  dunque  cominciamo. 

Conte.  Altissimo  principio  ,  il  quale  è  rivolto  ad  altis- 
simo fine  . 

Forestiero.  Ma  volendo  cominciare  dalla  naturale  im- 
magine, lasceremo  da  parte  l'artificiosa,  nella  quale  son 
congiunte  due  teste,  a  dimostrar  l'unione  dell' Imperio 
orientale  e  occidentale,  già  diviso  coll'aut  jrilà ,  non  sola- 
mente colle  forze,  o  per  larci  conoscere  la  potestà  nelle 
cose  umane,  e  nelle  divine.  Lasceremo  ancora  l'aquila 
bianca  ,  antica  insegna  de'  R.omani ,  e  da  lor  portata  ,  co- 
me dice  Plinio,  percliè  si  vedesse  di  lontano;  e  l'aquila 
(l'oro,  e  la  vermigliii,  e  l'altre  artificiose  immagini:  e 
prenderemo  l'aquila  nel  suo  proprio  colore,  se  pure  ha 
bisogno  d'esser  colorita,  o  come  riguarda  il  Sole  ,  o  come 
fa  esperienza  de'figliuoli  ,  la  quale  è  fatta  da  quella  specie 
d'aquila,  eh' é  detta  Morina;  ma  già  di  queste  Imprese 
abbiamo  l'atto  menzione  quasi  fuor  di  luogo.  Veggiamo 
poi  l'a(juila  sopra  le  nubi  con  un  ramo  di  lauro  negli  arti- 
gli. Impresa  del  Cardinal  Francesco  Gonz;iga  coli' iscrizio- 
ne: Bella  ^crant  alii  ;  per  la  dichiara/ione  della  quale  si 
dee  sapere  che  Eliano  ci  da  contezza  d'una  sorte  d' aqui- 
la ,  la  quale  non  vive  di  rapina,  ma  quasi  ammaestrata 
nelle  scuole  di  Pittagora  s'  astiene  dal  fiero  ,  e  sanguinoso 
pasto  degli  animali,  e  vive  d'erbe  vita  innocente  e  pacifi- 
ca .  onde  per  questa  cagione  fu  sacra  a  Giove. 

Conte.  L'Impresa  olire  ad  ogni  estimazione  è  bellissi- 
ma, e  conveniente  a  (jnel  Signore,  nutrito  negli  stud)  delle 
sacre  lettere,  tutto  che  l'osse  nato   di  stirpe  guerriera ,  e 


0  DT.UJ  IMPRESE  369 

eli  cbiarlssima  fama,  e  di  padre  in  opera  d'arine  ,  e  iti  vir- 
tù Diililan;  prej^ialo  sopra  ogni  Principe  di  Lombardia. 

FoHESTlERO.  Si  vede  poi  l'aquil,!,  non  in  }:;uerra ,  ma 
per  sé  sidamente  apparecchiata  a  larla  ,  col  motto;  l^ortes 
crcaiitur  forti  bus  ;  la  quale  io  diedi  ai  Sig,  F(!rrante  fi- 
gliuolo del  Sig.  Carlo,  valoroso  figliuolo  di  valorosissimo 
padre:  e  si  polrebhono  figurare  l'aquila  ,  e  i  le<ini  coll'i- 
stesse  parole;  perchè  l'una  e  l'altra  è  arme  della  Casa 
Gonzaga:  e  l'aquila  nella  quercia  col  motto:  Tittissima 
(^uii's,(n  portata  d;d  Signor  Duca  d  Urhino  con  molta 
convenevolezza  ;  perchè  cosi  l'arlx-re,  co  ne  rucc(dlo  fu 
sacro  a  Giove:  e  oltre  a  ciò  è  gran  proporzione  fra  la  no-. 
biltà  dell'aquila,  e  la  nobiltà  di  quella  onoratissioia  casa, 
splcndissimo  albergo  d'ogni  virili  reale,  ed  a  Principi  con- 
veniente. 

Conte.  Or  rimiriamo  l'aquila  in  guerra,  poiché  l'ab- 
biam  veduta  in  pace  . 

Forestiero.  L'aquila,  che  porta  il  dragone  ,  è  Impre- 
sa, ritratta  da' versi  d  Onero  e  di  Virgilio.  L'aquila  ,  cbe 
nell'aria  f.i  battaglia  col  cigno,  e  dal  cigno  è  vinta  ,  fu  Im- 
presa del  Cardinal  Ercole  Gonzaga,  colle  parole:  Sic  re- 
pugnat . 

Con  l'È.  Dunque  1'  a([uila  può  esser  vinta  d'  altro  uc- 
cello ? 

Forestiero  .  Può,  come  si  narra  per  Aristotele  ne' li- 
bri degli  animali;  ma  da' cigni  solamente  ,  tanta  è  la  gra- 
zia, cbe  questi  animali  innocenti  hanno  avuta  dal  Cielo  e 
dalla  natura;  co'quali  tutti  gli  altri  vogliono  pace,  e  l'a- 
quila solamente  suole  assalirgli. 

Conte.  In  questa  Impresa  è  principale  il  cigno. 
Forestiero.  Senza  dubbio:  ed  ei  dimostra  quasi  in  fi- 
gura la  divinità  e  l'innocenza  del  Sacerdote,  superi(^re  al- 
la dignità  reale.  Iltrochilo,  picciolo  uccello,  chiainato, 
come  dice  Aristotele  ,  re  e  senatore,  non  ricusa  di  combat- 
ter coll'aquila  ;  laonde  può  sigTiificare  la  virtù  de' minori, 
cbe  fa  resistenza  a  quella  de'  più  possenti,  col  motto:  jVon 
detrccto.  L'aquila  morsa  dalla  dipsada  col  motto:  Sem- 
per  ardenti  US ,  fu  Impresa  del  Marchese  d'Azzia  ,  gentilis- 
simo Cavaliere. 


370  IL  CONTE 

Conte.  Io  non  cerco  allra  interpetrazione,  perdio  flel- 
le  cose  d'  amore  non  si  dovrebbe  mostrar  sovercbia  cu- 
riosità . 

Forestiero.  Il  cigno  col  motto:  S'bì  canit ,  et  Orbi  , 
fu  significato  dal  Vescovo  di  Bltonto  per  dimostrar  la  sua 
divin;i  e  maravigliosa  eloquenza  .  nella  quale  veramente  fu 
un  cigno  de' nostri  tem|>i.  L'ardea,  o  l'airone  sovra  l'aere 
tenebroso,  fra  le  nubi  ed  il  Sole,  a  cui  siano  sottoscritte 
queste  parole:  Natura  dìctanle  feror  ^  è  portata  dalla  ca- 
sa Colonna:  e  dalla  casa  di  Cipua,  con  queste:  Humilia 
de  spici  t  ^  di'gna  veramente  dell'altezza,  didl'origine,  e  del 
sangue,  e  de'pcnsieri,  che  l'uni  e  l'altra  ha  diinoslrato  in 
tutte  l'onorate  occasioni,  e  in  tutti  i  pericoli  maggiori,  nel 
corso  di  crntinaja  d' anni  ,  e  nella  rivoluzione  d'Italia,  e 
nella  mutazione  de' Re  e  de' Regni,  dall'aroii  b  ubare  per- 
turbate. La  fenice  nel  rogo  ,  coli' iscrizione:  Ut  vivut ,  b 
del  Ctirdinal  Madruceio,  Signore  di  grandissimo  merito,  e 
ornato  d'ogni  virtù  Cristiana.  Lo  struzzo,  che  nel  becco 
ha  il  ferro,  con  questo  detto:  Spiritai  durissima  coquit , 
fu  del  Capit.m  Matteo,  nobile  Cavaliere  Romano,  che  fece 
vendetta  d'ingiuria  lungo  tempo  dissimulata.  Il  pavone 
rotato,  spiega  le  sue  penne  con  J)ellissima  poupa  d'arte, 
e  di  natura  nella  Impresa  del  Signore  Alberico  Cibo,  Prin- 
cipe di  antichissima  prosapia,  che  dichiai'ò  la  sua  inten- 
zione con  parole  Francesi:  Le  aulte  passe  toiit .  La  pavo- 
na  ,  la  quale  coll'ale  alzate  ricopre  i  tìgli ,  e  l'iscrizione: 
Cam  pudore  laeta  fecuiiditas  ^  fu  figurala  da  Monsignor 
Giuvio  alla  Duchessa  di  Fiorenza  ,  nobilissima  madre  di 
fioritissima  prole.  Del  porfirione,  uccello  A ffricano, ed  agli 
Aftricani  Dei  consacrato,  e  incognito  alle  nostre  parti,  si 
potrebbe  far  bellissima  Impresa,  per  significazione  della 
castità  custodita;  perchè  della  maravigliosa  natura  di  que- 
sto uccello  scrivono  molte  cose  Aristotele ,  Filemone  , 
Alessandro,  Ateneo,  e  particolarmente  ch'egli  è  nemico 
dell'adulterio,  e  guarda  fedelissimamente  le  donne,  die 
sono  sotto  l'imperio  del  marito  :  e  per  dolore  dell'altrui 
fallo  suole  spesso  esser  micidiale  di  se  medesimo;  ha  i  pie- 
di fessi,  e  partiti  in  cinque  dita,  e  quel  di  mezzo  huigliis- 
simo:  lo  gambe  lunghe,  e  le  penne  di  color  ceruleo:  il  ro- 


o  nr.LT/ niPRKSE  371 

stro  purpureo:  il  coli)  vtiriiito:  si  vedo  spesso  coli' ali  at- 
teggi: te,  e  si  nutrisct:  nelle  tenubre:  il  molto  sarà:  Piidi- 
citiae  custos . 

CijNTE.  Rara  Impresa  certo  è  questa,  e  veramente  pe- 
regrina . 

FoRESTlEno.  Una  bella  e  gentilissima  donna,  cbe  avea 
stancLi  tutti  gli  spccclii  nel  vagl-eggiarsi ,  si  accese  dell'a- 
more di  se  stessa ,  e  fu  presa  dell'altrui  piacere  ;  laonde 
fece  dipingere  per  segno  del  suo  amore  una  pernice  ,  cbe 
aveva  ali"  incontro  un  laccio,  e  unospeecbio,  coi  detto: 
Così  fui  presa  ;  percioccbè  la  pernice,  come  narra  Clearco 
nel  libro,  cbe  scrisse  sopra  la  Repubblici  di  Platone  , 
quando  è  riscaldata  di  amore,  corre  alla  figura  ,  cbe  vede 
nello  speccbio,  e  incappa  nel  laccio,  cbe  le  è  teso  dall'uc- 
cellatore . 

Conte.  Non  so  mai,  se  questa  Impresa  fosse  fatta  per 
desiderio  d'onore;  e  se  tutte  deono  esser  fitte  a  questo  fi- 
ne, come  questa  possa  esser  tra  l'altre  annoverata. 

Forestiero.  La  vergogna  ,  e  il  guastamento  dell'onore 
è  in  cose  palesi:  e  voi  sapete  cbe  bene  l'onor  s'acquista  in 
far  vendetta;  laonde  la  gentildonna  presa  ad  inganno,  pen- 
sò di  vendicarsi  coli'  Imprese  ,  dimostrando  il  sottile  arti- 
ficio dell'amante ,  e  la  sua  incauta  simplicità  negli  amoro- 
si abbracciamenti .  Ma  dove  lasciamo  l'alcioni ,  delle  quali 
fu  fatta  vagbissima  pittura,  e,  se  non  m'inganno  ,  con  no- 
bilissimo sentimento?  Sono,  come  dice  Aristotele,  uccelli 
non  molto  maggiori  delle  passere ,  e  riguardevoli  per  la 
varietà  de' colori,  ceruleo,  purpureo  e  verde,  i  quali  non 
sono  separati ,  ma  ne  risplendono  l'ali  e  il  collo  ,  e  tutto  il 
corpo  ,  con  uno  splendore  (juasi  indistinto  :  il  rostro  è  lun- 
go ,  e  quasi  verde:  il  nido  somigliante  ad  una  palla  marina 
fatto  di  fiori  del  mare:  partoriscono  in  tempi  sereni,  sette 
giorni  avanti  ,  e  sette  dopo  la  bruma,  cbe  da  loro  furono 
detti  Alcìonci ,  come  scrissero  Simonide  e  Aristotele:  sono 
simbolo  della  castità,  e  dell'amore  fra  il  marito  e  la  mo- 
glie ;  ma  furono  usate  dal  Giovio  per  significar  1'  opportu- 
nità della  guerra  ,  con  questo  motto:  Nous  savons  bica  le 
teinps . 


37'3  IL  CONTE 

CuNTE.  A.  me  sovviene  d'averla  vi!clulu  in  niilti  luoghi 
con  altro  motto,  ma  non  mi  torna  a  oiemoria . 

Forestiero.  Perawentura  non  è  necessario  l'esser  più 
lungo  in  questa  materia,  e  possiamo  dire  , 

Che  più  deir  opra,  dia  del  giorno  avanza. 
Però  fia  bello  il  ragionar  d'alcuni,  co  ne  disse  il  poeta  ,  e 
d'altri  fia  laudabile  tacerci  . 

Conte.  Taciamo  adunque  del  pico  Marzio,  insegna  dei 
Romani ,  della  grue  ,  viijilanlissimo  uccello,  del  trochilo, 
che  purga  i  denti  al  coccodrillo  ,  non  perchè  non  fossero 
assai  belle  r  laiprese,  e  accomodate  a'pensieri  di  chi  le 
portava;  ma  perchè  son  già  divulgate,  e  note  a  ciascuno. 
Nota  parimente  è  quella  del  passero  solitario ,  per  cui  si 
figura  la  solitudine  degli  amanti. 

FoRESTiEiio.  Molte  cose  comuni  di  lui  si  scrivono  ,  ma 
i  poeti  Greci  gii  tann)  onore,  che  a  molti  non  è  manife- 
sto; perchè  1'  hann  >  e  )nsacrato  a  Venere  ,  e  vogliono  che 
il  suo  carro  sia  tirato  daile  passere,  non  solo  dalle  colom- 
be, o  da'cigni,  cone  piace  al  Delibo. 

Conte.  Agguagliate  dunque  i  passeri  a' cigni  ;  ma  que- 
sto è  cogno  oe  di  nobile  e  generoso  ^ign;)re  in  questa  cor- 
te, amator  delle  buone  lettere  e  de' letterati,  o  giusto  esti- 
mator  degli  altrui  meriti,  il  quale  si  spera  che  debba  es- 
ser collocato  in  altissimo  grad»  dal  Signor  Cardinale  Aldo- 
brandino suo  /io,  a  cui  tutti  prò  nettono  il  Pontificato; 
però  non  p.irliauio  de'  passeri  in  ([uesta  materia,  né  lascia- 
mo il  vaso  delle  pecchie  portato  dall'Ariosto,  col  detto: 
Pro  bono  nialuni-  perchè  i  poeti  sono  simili  all'api,  cac- 
ciati dall'ingratitudine,  e  dal  fumo  dell'altrui  ambizione. 
FoKESriEKO.  Non  può  aver  fine  il  ragionamento  delle 
api  colla  similitudine  de'  poeti,  tuttoché  Platone,  nel  dia- 
logo intitolato  I'  Ione,  dica,  che  i  poeti  sono  sacri,  e  da 
divino  tiirore  inspirati ,  e  da  lui  commossi  volino  a'guisa 
di  pecchie,  e  spazino  intorno  a'fonti  delle  Muse,  e  a' fiori 
della  poesia  ;  perciocch' ella  rappresenta  cosi  maggiori  le 
leggi ,  le  cittii  ,  i  costuoii,  i  popoli,  i  duci  uiagnanimi,  e, 
quel  eh' è  più  maraviglioso,  la  eternità  dell  origine  non 
contaminata  da  alcuna  lascivia. 
Conte.  Così  lessi  in  Virgilio: 


O  DErx' IMPRESE  SyS 

jìdniirawiu  libi  li'viuni  spcctacida  remm  , 
Magnanimosque  duces  ,  totiusque  ex  ordine  gentis , 
Morcs  ,  et  studia  ,  et  popidos,  et  praelia  dicani . 
E  altrove  : 

r^erum  ipsae  è  folli  s  natos  et  suavibus  herbis , 
Ore  legunt  :  ipsae  Regem ,  parvosque  Quirites 
Suffici Lint  y  aulasque  et  cerca  Regna  refiugunf. 
FoRESiiKRO.  Non  in  <ipinione  di  Virgilio  solamente, 
ma  di'rivata  in  lui  da' più  aiiticlH;  perchè  Xenofonte  nel 
suo  Ciro  assomiglia  il  Monarca  ,  e  il  Re  per  natura,  al  Re 
dell'api,  come  aveva  fatto  ne' medesi  ai  tempi  Platone; 
tuttavolta  quello  che  dice  Virgilio  del  parto  delle  api,  è 
richiamato  in  duhbio  da  Aristotele  :  e  perchè  nel  quinto 
dell'istoria  degli  ani  tiali  è  negato  da  molti  che  elicsi 
congiungano,  o  partoriscano,  nel  nono  afferma  egli  mede- 
si  no  che  altre  nascono  da  padri  domestici,  altre  da  sel- 
vaggi ,  ma  nell'uno  ,  e  nell'altro  luogo  dice  cose  mirabili  : 
che  l'api  faccian)  i  favi  de'fiori,  le  cera  della  lacrima  de- 
gli alberi,  il  mele  della  rugiada  dell'aria  ,  il  più  delle  vol- 
te nel  nascimento  delle  stelle,  e  dell'arco  celeste;  ma 
vuole  che  il  mele  sia  accresciuto  dalla  siccità,  la  moltitu- 
dme  de' figli  dalle  pioggie  ,  la mde  in  un  medesimo  tempo 
è  abbon  lanza  d'olive  e  d'api,  ma  non  di  mele  e  d' olio 
nell'istessa  stagione .  Quinci  fanno  argomento  che  l'api 
nascono  da'fit)ri  dell'oliva,  quasi  raccolte  colla  bocca,  e 
colla  bocca  mandate  fuori;  ma  non  sogliono  volare  dal  li- 
gustro alla  rosa  ,  né  dalla  rosa  al  giacinto,  o  dal  giacinto 
al  narcisso  nell'istesso  viaggio;  ma  volano  di  viola  in  vio- 
la senza  fare  altra  uiutazione  di  fiori  :  sono  presaghe  delle 
pioggie  e  delle  teojpcste,  quasi  abbiano  parto  di  spirito 
divino:  quando  s<  no  agitate  da' venti,  si  confermano  nel 
volo  con  qualche  pieciola  pietra  a  guisa  di  nave,  che 
porta  la  savorra.  Fanno  con  nìirabile  artificio  le  celle, 
e  gli  alberglu  di  sci  angoli;  mandano  fuori  colonie:  han- 
no in  odio  quelli  ,  che  sono  andati  in  esilio:  puniscono 
i  ladri  colla  morte:  uiujono  nelle  percosse.  In  tutti  gli  of- 
fi.j  della  vita  son  soiiìiglianti  ai  Regni,  calle  Repubbliche 
ben  governate.  1  soggetti  espongono  la  vita  per  lo  suo  Re  , 
non  altrimenti  che  facciano  gli  uomini  per  quello  dc'Persi_, 


374  »L  CONTE 

o  degli  Indiani:  il  Pv.e  è  privo  di  aculeo,  per  l'animo,  non 
per  la  podestà  del  ferire.  Contraria  opinione  portò  Plutar- 
co che  i  Re  l'abbiano,  ma  non  l'adoprino:  e  fu  prima 
opinione  d'Aristotele  medesimo;  ma  in  un  altro  luogo,  di- 
co nel  terzo  della  generazione  degli  animali,  nel  quale  af- 
ferma che  le  api  non  hanno  sesso  di  maschio ,  o  di  femmi- 
na ,  né  partoriscono  per  congiungimento,  contra  l'opinio- 
ne di  coloro  ,  che  n'hanno  la  cura  ,  e  vuole  nell' istcsso 
luogo  che  il  Re  sia  nell'aculeo  sonùgliante  allapi,  nella 
grandezza  ai  fuchi  . 

Conte.  Grande  Impresa  si  può  fare  di  sì  picciolo  ani- 
male, se  pur  son  vere  le  maraviglie,  che  di  lui  sono  scritte 
fra  gli  antichi  . 

Forestiero.  Grande  veramente,  e  conveniente  al  Gran 
Duca  ,  Principe  per  natura  ,  per  clemenza  ,  e  per  grandez- 
za d" animo  ,  dignissimo  di  questo  nome,  e  di  maggiore  .  Il 
molto  a  me  sarebbe  piaciuto  con  queste  parole  :  Armata 
clcincntìa ,  per  non  seguir  pivi  l'una  ,  che  l'altra  opiniotìe: 
non  mi  sovviene  di  quelle,  che  sono  impresse  nella  sua 
medaglia;  questo  nondimeno  sarà  più  conveniente  termine 
al  ragionamento  dell'api.  Ora  parliamo  degli  acquatici , 
de' quali  r  ordine  è  doppio  :  altri  vivono  nell'acque,  e  ca- 
vano il  vitto  dall'acque  parimente,  perchè  ricevono  e  ren- 
dono vicendevolmente  l'umore,  ne  viverebbono  neirasciut- 
to ,  come  avviene  alla  maggior  parte  de' pesci:  altri  mena- 
no la  lor  vita  nell'umido  ,  e  ivi  si  mitriscono  ,■  nia  ricevono 
l'aere,  non  l'utuore  ,  e  sogliono  partorire  di  fuori.  Di  que- 
sto genere  sono  pili  maniere  :  parte  cammina  ,  come  il 
coccodrillo,  e  la  lontra  :  p;irle  vola,  come  il  mergo  ,  e  gli 
altri ,  che  si  tuffano  nellacque:  alcune  non  hanno  piedi, 
come  la  nadrice,  o  1'  idra:  ve  ne  sono  d'ima  terza  maniera 
la  quale,  vivendo  ncirac(|ue,  né  potendo  vivere  altrove, 
non  riceve  nulla  d'aria,  o  di  umore,  come  l'ostrica,  e 
l'altre  conchiglie . 

Conte.  Io  raccolgo  dalle  cose  dette  da  voi,  che  d.'gli 
uccelli,  allri  sono  terrestri,  altri  acquiitili  ;  ma  niun  è  det- 
to aereo,  perrbè  dall'aere  ninno  si  nutrisce,  tanto  iiiqior- 
ta  il  vitto,  e  il  nutrimento:  o  molte  altre  cose  raccolgo  che 
possono  bastare  ad  iiitellctlo  curioso. 


o  dell'  niPRF.sE  375 

FOREvSTlERO.  Possiamo  gli  acquatili  diviJorc  in  altra 
maniera,  perchè  altri  sono  del  mare,  altri  del  (In. ne,  altri 
d''llago  ,  e  della  palude  ;  ma  tutte  le  sottili  divisioni  mi 
pajono  soverchie  nella  materia  dell'Imprese. 

Come.  C<imitici;ite  adunque  da  qual  parte  vi  pare  ,  che 
in  tutti  i  modi  lodo  il  vostro  diviso. 

Forestiero.  Da'marittimi,  fra' quali  prudentissimo  è 
il  delfino,  e  amicissiino  all'uomo. 

Conte,  lo  ho  sentito  raccontar  )nolte  cose  degli  amori 
degli  animali  con  i  fiinciulli,  e  colle  donne:  e  non  solamen- 
te narrano  questo  del  delfino,  ma  del  pavone,  del  gallo, 
del  papero,  dell'elefante  ,  il  che  appena  mi  si  lascia 
credere. 

FoRESCIERO.  Sono  miracoli  della  natura,  dc'quali  non 
possiamo  render  ragione,  che  ci  appaghi  ;  tuttavolta  la  fa- 
vola di  A.rione  è  notissima,  e  i-accontata  da  Erodoto. 

Conte,  lo  mi  ricordo  d'aver  veduta  un'antichissiir.a 
moneta  di  Corinto,  nella  quale  era  impressa  l'iiniDagine 
del  delfino  ,  e  in  altri  rovesci  si  vede  parimente,  e  in  mol- 
te case  di  Venezia  nobilissime  è  dipinta,  e  scolpita  ,  e  in 
Roma  ,  e  in  altre  parti.  S'  ha  per  costante  ch'egli  predi- 
ca la  tempesta,  innanzi  alla  quale  apparisce,  o  per  dar 
ajuto  a' naviganti ,  o  per  fargli  avveduti  del  pericolo  vici- 
no. Io  l' ho  veduto  ancora  figurato  in  un  mare  ]iieno  di 
scogli,  con  questo  motto  ,  preso  da  Virgilio:  Incipiuiit 
agitata  twnesccre.  Ma  da  voi  si  desiderano  cose  più  ripo- 
ste,  e  quasi  ascose  alla  cognizione  de'volgari. 

Forestiero.  Io  poche  volte  ho  letta  altra  filosofìa,  che 
quella  di  Platone  ,  e  d  Aristotele  ,  nel,  quale  si  leage  che 
il  delfino  spira,  e  riceve  l'aria  respirandi),  come  la  balena 
e  tutti  i  pesci,  che  hanno  la  fistola,  i  quali  hanno  parimen- 
te il  polmone  ,  laonde  suol  dormire  ,  ed  è  stato  veduto  col 
rostro  fuor  dell'acque  ronfare.  Di  lui  si  legge  parimente 
che  suol  portare  i  figliuoli  inft-nni,  e  cresciuti  accompa- 
gnarli, e  che  dimostra  gran  carità  verso  la  prole;  però  del 
sonno  j  e  della  carità,  non  meno  che  dell' amore  del  delfino 
si  possono  formar  vaghissime  Imprese. 

Conte.  L'Impresa  d(4  delfino,  che  dormisse,  sarebbe 
simile  a  quella  del  vitello  marino ,  animale  d' incerta  natu- 


376  IL  CONTE 

ra,  perchè  abita  nel  mare,  e  partorisce  nel  lido  ,  e  quamlo 
il  mare  è  pertubato,  d-irine  ad  uno  scoi^lio,  siccome  quel- 
lo, che  sicuro  dal  fulmine,  e  fa  quasi  un  muggito  dor- 
mendo :  il  motto  fu  :  Sic  qiiiesco . 

Forestiero.  L'Impresa  è  bellissima  ,  e  degna  del  ca- 
valiere ,  da  cui  fu  portata  ,nè  stimo  ,  che  altra  It'pivsa  di 
animale,  cbe  dorma,  possa  esserle  agguagliala  .  Mi  fra  il 
deiriito,eil  vitello  marino  (  che  foca  p'Mi'.vvpntura  fu 
detto  dagli  antichi  )  è  comune  non  solamente  il  sonno,  il 
muggito,  e  l'aver  latte  e  maìnmelle,  ma  l'ammaestrare  i 
figliuoli,  e  l'aver  quasi  carità  nell'alKivirgli  ;  però  l'uno  e 
l'altro  si  può  /uostrare  in  figura  co' figliuoli ,  e  con  queste 
parole  :  Pietatcm  natura  docet .  Dell' ecliino  ,  detto  remo- 
ra, perde  ritarda  le  navi,  già  vidi  un  l>ello,  e  leggiadro 
sonetto  del  Signor  Bernardino  Rota,  nel  quale  assomigliava 
se  medesimo  allii  nave  ritardata,  una  picciola  parte  del 
merito  della  sua  Signora  alla  remora,  e  le  sue  lodi  al- 
l'Oceano.  Dell' istesso  pensiero  fece  il  poeta  l' Impresa, 
facendo  dipingere  in  un  tranquillissimo  mare  una  grandis- 
sima nave  colle  vele  spiegate,  (hi  un  picciolissimo  pesce 
esser  ritenuta:  il  motto  fu:  Nel  mar  de' vostri  onori  .  La 
remora  siuiihuente,  come  scrive  Aristotele  nell'istoria  de- 
gli animali  ,e  dopo  lui  Apulejo  nella  sua  Apologia,  e  di 
gran  virtù  ne'  giudizj,  e  nelle  malie  amorose;  e  di  questo 
Concetto  ancora  sono  state  faUe  lui  prese,  di  cui  non  mi 
ricordo  .  Ma  dopo  la  remora  mi  sovviene  della  torpedine  , 
pesce  similmente  oiaravlglioso ,  il  qualu,  come  nel  medesi- 
mo luogo  scrive  Aristotele,  fa  stupidi  gli  altri  pesci;  ma 
Teopoinpo,  e  Clearco,  e  Simplicio  ne' libri  del  Cielo,  alFer- 
mano  che  le  corde  ancora  delle  reti  ,  nelle  quali  ella  è 
presa  ,  fanno  slu|),de  le  mani  de'peseatori .  Il  Signor  Ber- 
nardo Tasso  mio  p;idre  se  ne  servì  in  un  concetto  amoroso 
col  motto:  E praeda  stupor.  Bella  fu  parimente  l'altra  del 
polipo,  così  detto  dagli  otto  suoi  piedi ,  co'quali  rappre- 
senta r  otto  potenze  dcdl'anima:  e  di  lei  è  siuibi^lo  ,  come 
rif(!risce  Plutarco  nel  libro  de  Placitis  Pkitosophoruni: 
del  |)olii)0  scrivono  molle  altre  cose  Aristotele,  e  Ateneo, 
ch'egli  giovi  a'piaceri  amorosi:  che  fuggendo,  muli  il  co- 
lore ,  e  si  assomigli  a'  luoghi ,    ne' quali  s'asconde:  che  ri- 


O  DEIX'I>IPRESE  377 

fugga  nelle  caverne  sparse  eli  sale:  clic  non  ab1)ia  l'incliio- 
slro  negro  ,  come  la  seppia  ,  ina  rosso,  in  un  fiore,  C|uasi 
papavero:  clie  si  nutrisca  della  carne  delle  picciole  conchi- 
glie .  cavando  l'ostriclie  dalle  sue  caverne:  die  viva  fra  le 
foglie  de' pini:  e  che  per  soverchia  fame  roda  se  stes>;o  . 
Ma  queste  cose  non  sono  necessarie  alla  dichiarazione 
d'una  Impresa,  che  io  ne  feci  ;  ma  scrive  Oppian»  nel 
quarto  de' pesci ,  ch'egli ,  innamorato  di  g'^nte  shaniera  , 
è  portato  in  terra  dall'Amore.  Se  avviene  che  nelle  rive 
del  mare  frondeggi  qualche  albero  d'oliva,  s'avvolge  al 
tronco, e  a'ranii  della  M\ce  pianta  ,  co' suoi ,  quasi  capelli, 
che  sono  detti  Cerri  da' Latini.  Dipingasi  adunque  il  pol- 
po con  otto  piedi,  fra'quali,  quelli  di  mezzo  sono  grandis- 
simi, e  i  minimi  sono  gl'inferiori;  ne  abbia  due  ne'suoi 
capelli,  co' quali  suole  attraere  il  nutrimento:  e  gli  occhi 
nella  parte  superiore,  la  bocca  nel  mezzo  de' piedi  :  ab- 
bracci col  Cerro  il  tronco  dell'oliva  ,  o  s'avviticchi  a' suoi 
rami  co' capelli:  il  motto  sia:  Peregrinus  amnr. 

Conte.  Bella  Imj)resa  veramente  ,  e  maravigliosa ,  per 
la  figura  quasi  mostruosa  ,  del  pesce  . 

Forestiero.  II  nautilo  non  è  il  polpo,  ma  simile  ,  come 
dice  Aristotele,  nella  firma  de'capelli;  ha  la  testa  nella 
schiena  ,  esce  dalla  profondità  del  mare,  avendo  la  conca 
volta  verso  se  medesimo,  per  non  prender  acqua,  ed  in 
questa  maniera  naviga ,  alzando  a  guisa  di  vela  i  due  crini 
superiori,  fra'quali  è  una  membrana  simile  a  quella  dei 
piedi  dell'anitre,  o  d'altro  uccello  simigliante;  gli  altri 
due  distende  in  mare  in  vece  di  timone  ;  se  vede  cosa  ,  che 
gli  venga  incontro,  raccoglie  i  piedi  ,  e  riempiendo  fa  sua 
conca  d'acqua  si  sommerge  nel  profondo,  dove  suole  anco-» 
ra  fuggir  la  tempesta .  E  Impresa  del  Signor  Girolamo- 
Catena  ,  gentiluomo  in  questa  corte,  di  molte  lettere  e  di 
molta  esperienza,  e  dì  molta  reputazione,  il  quale  ha  volu- 
to assomiglii;re  la  navigazione  del  nautilo  a  quella  del  cor- 
tigiano.- dichiara  la  sua  intenzione  conquesto  motto:  Tem- 
pestatis  e.rpers. 

Conte.  Felice    navigazione  è    la  sua,  il    cui  porto  è   la 
grazia,  e  l'autorità  di  sì  giudizioso  vSign')re  ,  com'è  il  Cir- 
dinale  Alessandrino,  nel  quale  rimane  ancor   la  gloria  ógI-- 
2 .  ni.  Dialoghi  lì 


378  IL  CONTE 

la  più  nf)liile  azione,  che    facesse    mai  l'Italia,    o  la  Santa 
Chiesa  contra  gl'Infedeli. 

FollESTIERo.  Il  Signor  Girolamo  Catena  mi  fa  sovveni- 
re del  Signor  Statilio  Paolini,  Seeretiirio  de!  Signor  Cardi- 
nale Aldobrandino ,  che  già  molti  anni  sono  ha  sparsa  la 
fama  della  sua  virtù  in  tutte  le  parti  del  mondo;  e  vera- 
mente il  Segretario  è  degno  di  cosi  buono,  di  cosi  pruden- 
t*-,  e  di  co^ì  dotto  Cardinale,  e  sarebbt^  degno  di  grandis- 
simo Pontefice  :  la  sua  Impresa  è  la  orata  ,  pesce  ,  che  na- 
sce nella  Sonna  ,  come  si  legge  appresso  Stobeo,  e  di  nero 
si  fa  bianco  al  raggio  della  Luna,  quando  ella  cresce:  il 
motto,  preso  dal  salmo,  è  di  questa  sola  parola:  Deulba- 
bor;  molto  accouìodato  a  significar  l'innocenza  dell'animo, 
e  la  purità  della  coscienza,  e  la  candidezza  de' costumi  ,  e 
delle  belle  e  pulite  lettere,  nelle  quali  è  singolare.  Ma  di 
questa  luipresa  io  vidi  già  scritto  un  libro  intero  nell'Ac- 
cademia di  Perugia,  siccbè  poco  sarebbe,  e  di  niuna  stima 
quel  che  io  potessi  ragionarne. 

Conte  .  Questi  due  gran  cortigiani  finalmente  banno 
oiuiostrato  ne' pesci  la  loro  intenzione;  ma  noi  siaiu)  pas- 
sati dal  mare  nel  funne  senza  ricordarci  delle  conche,  e 
delle  porpore  ,  delle  quali,  per  mio  giudicio,  soqo  appari- 
te bellissime  Luprese  ,  come  quella  del  Principe  di  Bisi- 
gnano ,  Principe  noliilissimo  di  nobilissima  stirpe,  in  nobi- 
lissimo Regno.  Egli  portò  la  cunca  ,  la  qual  s'apre^alla  ru- 
giada mattutina,  e  fatta  quasi  gravida  dalla  virtù  de'rag- 
gi  del  Sole,  genera  la  perla,  com'è  descritto  da  Plinio,  e 
dagli  altri  scrittori .  Teofrasto  ,  s'  io  n'ho  inteso  il  vero,  la 
ripone  fra  le  ])ietre  preziose:  vogliono  che  nasca  nell'  Asia 
fra' Persi,  e  nell"  india  :  e  ebe  nella  medesima  conca  nasco- 
no altre  pietre  siuiili  all'oro,  altre  souiigìianti  all'argento: 
che  allora  se  ne  generi  maggior  copia,  quando  il  Cielo  è 
più  turbalo  dalle  gran  pioggie,  e  da'luoni,  e  da'Iampi: 
iillora  le  conche ,  ritirandosi  nel  fondo  <lel  mare  fanno  la 
j)erla  più  bella,  e  più  lucente:  il  motto  fu  :  His  per/usa  ; 
fjCOMie  io  intendo,  dalla  rugiada  ,  perchè  s'egli  avesse  vo- 
luto figurare  il  cielo  turbatissimo,  la  conca  non  avrebbe 
jiotuto  vedersi . 

FollESTILllu.    Sia  qui  fine  ,  se  vi  p'i-e,  al  ngionamento 


O  DEr>r/  IMPRESE  37() 

(le'pesci;  e  non  rirerdii.nno  ,  s*^  l;t  «larrazioni^  sia  vera  ,  o 
favolosa  ,  <'orr>e  piace  a  molti  de' più  moderni.  Sovereliio  è 
an<>ora  il  ricercare  più  a  dentro  l'intenzione  dell' I:iipresa  , 
o  di  olii  la  fece:  e  lasciarne,  se  vi  piace  ,  non  solamenle  le 
purpure,  e  i  favi  delle  purpure  nel  mare,  somi^li.lnti  a 
quelli  ,  eìie  l'api  hanni  in  terra  ;  ma  le  tante  differenze  di 
concliiglie  e  d'altri  pesci,  e  particolarmente  rippopot.nmo, 
e  la  murena  ,  ornai  diviili;ate  nelle  Imprese,  e  nelle  scrit- 
ture dei^li  autori  moderni. 

Conte.  Usciatno  dall'acque  alle  selve,  e  ai  fioriti  pra- 
ti della  pittura ,  e  della  poesia,  dove  potremo  per  breve 
ora  spaziarci ,  percliè  il  Sole  è  ornai  vicino  all'occaso. 

FonFSTlERO.  Usciamo  (benclic  il  mare  ancora  lia  i  suoi 
fiori,  i  quali  son  portati  dal  Ponto  nell'Ellesponto,  come 
narra  Aristotele  medesimo';  e  ricerchiaìno  nelle  similitu- 
dini degli  alberi  i  luogbi  dell'Imprese.  Il  genere  degli  al- 
beri si  divide  per  opinione  di  Teofrasto  in  queste  prime 
differenze,  cbe  alctini  d'essi  nascono  spontaneamente,  al- 
tri per  umano  artificio:  ovvero  clic  alcuni  siano  selvaggi, 
altri  domestici;  percliè  i  silvestri  sogliono  nascer  per  se. 
gli  altri  per  industria  dell'agricoltore,  il  quale  suol  pian- 
tarli, e  far  gli  innesti:  fra  li  selvaggi  notissima  e  rnbustis- 
sinia  è  la  quercia,  portata  per  insegna  dal  Signor  INIarco 
Antonio  Colonna  ,  col  motto:  semper  ìmniofa:  e  bencbè 
della  costanza  ,  e  del  valore  di  quel  Signore  si  potesse  fare 
lunga  orazione,  verrò  all'altre:  il  pino,  die  nasce  nc'monti, 
ne'quali  agevolmente  è  superato  da'venti,  suol  e  cbe  esser 
trasportato  ne' giardini ,  dove  di  leggieri  è  crollato  dall'i. 
stessa  violenza,  fu  Impresa  del  Signor  Gio.  Francesco  Ma- 
scascivola  col  molto:  Quid  in  Pelago?  nelle  quali  paiole 
ebbe  riguardo  alle  navi  ,  cbe  si  fanno  dell' istessa  materia  , 
e  da' turbini  e  dalle  tempeste  sono  agitate:  il  pino  lulmi- 
nato ,  col  motto. 

//  ìiiio  sperar ,  che  troppo  alto  montai'a 
fu  disegnato  dal  Signor  Cur/io  Gonzaga  .  Il  frassino  ,  del 
quale  si  fanno  le  lance  ,  e  particolarmente,  come  si  legge, 
ne  fu  fatta  quella  d'Acbille  ,  domandata  Pclia ,  era  Impre- 
sa del  Signor  C.  C.  al  quale  era  stato  proibito  il  portar 
l'arme:    le  parole  furiano  di  \'uq\\Ìo  :  Furor  arma  mini- 


38  O  IL  CO\TE 

s^ra/ .  La  palina  ,  della  cui  proprietà  sono  scritte  infinite 
cose,  col  detto:  Tnclinata  resurgit,  fu  portata  per  Impre- 
sa dal  Signor  Francesco  Maria  Duca  d'Urbino,  il  cui  va- 
lore inestimabile  risorse  dall'oppressione  di  contraria  for- 
tuna ,  colla  fama  d'una  gloriosa  vittoria.  La  palrna  rivolta 
al  Sole  con  queste  altre  parole:  Haud  aliter,  fu  pensiero 
del  jMarcbese  del  Pignone  ,  cavaliere  a' suoi  giorni  di  mol- 
to merito  e  di  grande  stima  ;  il  quale  volle  accennare  la 
sua  intenzione  colla  proprietà  della  palma  ,  eh' è  di  nasce- 
re e  di  morire  col  Sole,  come  la  fenice.  Un  ramo  di  palma 
con  un  ramo  di  cipresso  congiunto ,  col  motto  :  Erit  alte- 
ra merces ,  significa  Tonoratissimo  desiderio  o  di  vittoria, 
o  di  morte,  manifestato  del  Signor  Marco  Antonio  Colon- 
na, il  vecchio,  nelle  sue  laudatissime  azioni.  L'innesto, 
col  motto  Tedesco:  Vaii  got  violt ,  che  significa  ,  Quando 
Dio  vorrà,  dichiarò  il  proponimento  del  Vescovo  di  No- 
cera.  Il  pensiero  trasportato  in  più  felice  regione,  colle 
parole,  Translata  projìcit  arbos,  fu  invenzione  del  Do- 
menichi.  Dite  voi  per  grazia ,  se  ve  ne  sovviene,  alcun' al- 
tra delle  già  fatte. 

Conte.  Oltre  a  tutte  1'  «Itre,  è  sceltissima  quella  del- 
l'arbore descritto  da  Virgilio  col  ramo  d'oro,  e  colle  sue 
parole  medesime,  Uno  avulso,  non  deficit  alter ,  e  supera 
tanto  l'altre  Imprese  di  bellezza,  e  d'artificio,  quanto  il 
suo  Principe  gli  altri  di  grandezza,  e  di  fortuna. 

Forestiero.  Dopo  questa ,  bisogna  rimanersi  a  bocca 
jrnuta  ,  o  dirne  almanco  alcuna  nuova,  che  piaccia  almeno 
per  la  novità.  Io  ne  sentii  lodare  una  ,  la  quale  non  so  ,  se 
l'osse  appropriata  a!  Duca  d'Urbino ,  o  a  quello  di  Savoia  , 
o  pure  ad  altro  Principe,  il  quale  caduto  dall'altezza  del- 
lo stato,  ritornasse  nel  suo  regno  per  virtù,  e  per  natura, 
non  solamente  per  fortuna  :  forse  fu  del  Re  Ferrante,  il 
giovane;  ma  qualunque  fosse  il  facitore  dell'  Impresa  ,  ella 
Jiu'  piacque  oltra  modo.  È  un  platano  svelto  dalle  radici 
in  cima  d'un  monte,  che  signoreggia  il  mare,  colle  parole; 
Prolapsa  resurgit ,  e  peravvenlura  la  dichiarazione  non  è 
necessaria:  ma  pure  io  dirò  che  si  legge  nel  libro  delle 
cause  delle  piimte  di  Teofrasto,  che  nel  monte  Antandro 
«n  platiino  dibarbato  dalla  violenza  de' venti,  tornò  ad  ab-. 


0  deli/ [MPRESE  38 1 

barLicarsi  nel  medesimo  luogo,  ed  in  questa  guisa  fu  re- 
Ktiluilo  alla  vita:  e  il  medesimo  avvenne  d'un  pioppo  ,  e 
d'un  salce  ne' campi  Filippici:  la  cagione  la  rende  TeofVa- 
sto ,  la  quale  è,  die  all'albero  gittato  a  terra  fu  tagliato 
solamente  qualclie  parte  de'rami,  e  della  scorza  intorno  al 
centro,  e  la  radice  tirò  seco  molta  terra,  colla  quale,  in- 
nalzata di  nuovo  dall' istessa  forza  de'  venti,  si  ricongiunse 
al  medesimo  luogo. 

Conte.  Maraviglioso  veramente  fu  il  caso  ,  e  l'Impresa 
è  degna  di  maraviglia,  s'è  bene  intesa,  o  pur  se  questo  ca- 
so può  interamente  esser  dimostrato  nella  figura  . 

Forestiero.  Io  pensai,  quando  lo  lessi,  farne  una 
comparazione,  perchè  le  comparazioni,  e  l'Imprese  si  for- 
mano quasi  col  medesimo  artificio.  Ora  udite  questa,  ben- 
ché si  possa  annoverar  piuttosto  fra'siuiboli  antichi,  che 
fra  le  nuove  Imprese  .  Scrive  Proclo  ,  filosofo  Platt)nico  , 
cbe  la  natura  del  loto  è  di  volgere  le  sue  frondi  al  Sole ,  e 
il  medesiiBO  afferma  Teofrasto  nel  terzo  libro  delle  cause 
delle  piante,  dicendo,  che  ciò  suole  avvenire  nel  Solstizio 
dell'estate,  non  solamente  al  loto,  pianta,  che  nasce  nel- 
l'Eufrate, ma  all'olmo,  e  all'oliva,  ed  a  molti  fiori .  i 
quali  si  chiudono  la  notte,  e  s'aprono  il  giorno,  e  si  gira- 
no attorno  col  Sole:  e  rende  una  cagione  comune,  percioc- 
ché il  fiore  suol  rinchiudersi  coli' umore  raccolto,  e  quasi 
condensato,  e  aprirsi  col  caldo,  che  si  diffonde;  ma  questa 
è  una  di  quelle  cagioni,  che  possono  rendere  i  naturali: 
chi  per  lo  Sole  ha  voluto  intendere  misticamente  Dio,  r. 
per  la  notte  la  privazione  della  sua  luce,  o  della  cognizio- 
ne,  ha  data  più  alta  interpretazione  all'  Impresa.  Il  Signor 
Ferrante  Caraffa,  nobilissimo  cavaliere,  e  poeta  di  fecon- 
dissimo ingegno  per  Sole  intese  la  sua  donna,  e  con  que- 
sto motto:  Sic  diva  lux  mihi . 

Conte.  Assai  simile  è  l'Impresa  dell' elitropio,  che  gi- 
rasole si  dice  volgarmente,  col  motto  :  Mens  eadeni  :  e  as- 
sai nota  è  la  favola  di  Clizia,  convertila  da  Apolline  in 
questa  erba ,  e  l'altre  cose,  che  sono  stato  scritte  da'più 
moderni  per  interpretazione  del  senso  mistico . 

Forestiero.  La  malva  ancora  ,  erba  cosi  nota,  patisce 
il  medesimo  effetto;  tuttavolta   fra' moderni  non  se  ne  ra- 


38^  ir,  r.ON'TE 

i-ionii ,  o  poco;  ma  gli  aiiticlii  scriltorl,  fra'qnali  è  Tiujfra- 
sto  .  dicniio  che  questa  fìa  vina  p.issione  cu  nutie  a  molte 
coeie  ,  e  diverse,  hi  qtial  si  vede  non  solamente  no'fiori,  ma 
nella  pianta,  perciocché  il  loto,  non  solamente  ora  apre,  e 
ora  rinchiude  i  tiori,  ma  il  j^imbo  inedesi  no  alcuna  volta 
s'innalza,  alcuna  si  tiilFa  nell'acqua  dell'  Eufrate,  e  n'esce 
tuori  dall'occaso  del  Sole  sino  a  mezza  notte.  Molte  altre 
cose  nuove  da  narrare  ,  e  assai  riguardevoli  da  mirare  mi 
s  )vviene  d'aver  lette  nella  istoria  di  Teofrasto  ,  ma  io  sce- 
glierò delle  molte  alcune  poche,  delle  quali  ho  latte  ,  o 
potrei  tare  Imprese  per  me,  o  per  altri.  L'oliva  ,  e  '1  mir- 
to sono  co-.jyiiinte  d'amore  vicendevole;  però,  siccome 
scrive  Androiione  ,  le  radici  dell'una  ,  e  dell'altro  sogliono 
esser  abbarbicate  insilane:  e  le  verghe  del  mirto  germoglia- 
no per  mezzo  alle  frondose  braccia  dell'oliva:  e  il  frutto  è 
ricoperto  in  guisa  dalle  frondi  ,  che  non  sente  violenza  di 
Sole  ,  ne  di  vento,  e  divien  dolce  ,  e  tenero,  ma  tuttavolta 
minore,  che  ne' luoghi  esposti  al  Sole.  Significherei  dun- 
que col  mirto  l'auaore  ,e  coli'oliva  gli  studj  della  pace,  e 
della  sapienza  ,  e  vi  farei  questo  motto  :  Mutuo  amore  crc- 
scunt.  All'incontro,  volendo  dimostrare  la  repugnanza  del- 
le nature,  figurerei  il  fico,  e  la  vite  ,  le  quali  non  possono 
fare  insieme    frutto,    e  vi  scriverei   intorno  queste   parole 

S'  io  volessi  dimostrar  la  protezione  ,  la   quale  i 

grandissimi  Principi  sogliono  prendere  de' poeti ,  e  della 
poesia  ,  figurerei  il  pino,  eli'  è  arbore  assai  grande,  e,  come 
si  legge  nel  medesimo  luogo  di  Teofrasto ,  di  benigna  na- 
tura, e  di  semplice  radice;  laonde  il  lauro,  e  il  mirto  pian- 
tato sotto  l'amplissima  ombra  dei  pino  possono  crescere  e 
innalzarsi  liberamente.  La  fillica,per  opinione  dell'istesso, 
è  arbore,  oltre  tutti  gli  altri  obbedientissimo  ,  però  vi  leg- 
gerei il  motto:  Obsequiuin  amicos  ,  ovvero  ,  Ohsequiojlc- 
ctitur.  Lessi  nel  medesimo  autore,  die  gli  alberi  fruttiferi 
quanto  più  sono  caricliidl  frutti,  tanto  hanno  minore  spa- 
zio di  vita;  però  ne  feci  una  Impresa  appropriata  a  me 
stesso,  e  agli  studj  miei,  i  frutti  de'quali  non  so  quanto 
siano  dolci  al  gusto  degli  uomini  moderni;  ma  certo  a  me 
sono  di  soverchia  fatica,  in  giiisi  che  dalla  mia  indebolita 
couplessione  non  posso  aspettarne    lunga    vita.  Dipingerò 


O  DEI.I.'  IMPRESE  383 

lìiinque  una  pianta  d'oliva,  o  d'altro,  ol tra  modo  carica 
di  frutti,  col  motto:  Laetus  morte  futura . 

Conte.  Non  voglia  Dio  die  sia  alcuna  forza  nell'augu- 
rio ,  perchè  i  vostri  studj  deono  essere  a  voi  non  solamen- 
te cagione  di  cìiiarissima  fama,  ma  di  lunghissima  vita. 

Forestiero.  Non  so  quanto  sia  dolce  l'ingannarsi  in 
questa  speranza  ;  ma  lasciamo  da  parte  il  pensiero  dvlla 
morte  ,  tuttoché  al  filosofo  molto  convenga.  Un'altra  Im- 
presa feci  a  me  medesimo,  nella  quale  finsi  un  lauro,  che 
sorga  da  un  platano^  come  suole  avvenire  per  qualche 
principio  occulto;  e  per  lo  platano  (  sotto  il  quale  Socrate 
soleva  disputare  )  intesi  ia  filosofia  Socratica;  dal  lauro  è 
significata  la  poesia;  volli  adunque  intendere  che  la  poe- 
sia germoglia  dalla  scienza  ;  e  l'iscrizione  fu  questa:  Ex 
decora  decus.  Parimente  fu  mia  quella  dell'erba  Moli, 
portata  in  dono  da  Mercurio  ad  Ulisse,  per  assicurarlo 
dalle  malie,  e  dagli  incanti  di  Circe;  nel  qual  dono,  come 
dicono,  si  figura  l'eloquenza,  però  ci  aggiunsi:  Deorutn 
munus. 

Conte.  Dalle  piante  siamo  passati  all'erbe  ed  a' fiori  , 
cbe  in  vero  sono  bellissiaio  sogg^^tto  dell' Imprese  ,  come 
quello  delle  traslazioni ,  le  quali  sono  trasportate  da  cose 
grate  ai  sensi  ;  tuttavolla  assai  nuova  mi  parve  l'Impresa, 
in  cui  si  figura  una  pianta,  o  un'erba  odorifera  fra  due  pian- 
te di  cipolla  ,  col  motto  :  Per  apposita. 

Forestiero.  Odora  della  medesima  dottrina  di  Teofra- 
sto,  il  quale  scrisse  cbe  le  cose  odorifere,  piantate  ap- 
presso l'agre,  come  la  cipolla,  odorano  maggiormente. 
Ma,  poicbè  siamo  fra  gli  odori ,  pensate  questa  ,  cbe  a  me 
pare  bellissima  .Io  fingerei  un  ruirto  in  riva  ad  amplissimo 
fiutne  ,  non  lontano  ad  una  fiamma,  o  ad  altra  cosa,  che 
dimostrasse  11  vestigio  almeno  dell'incendio,  sotto  un  cie- 
lo quasi  piovoso  ,  nel  quale  apparisse  il  Sole,  e  disgom- 
brando le  nubi  pivi  folte  ,  si  dipingesse  l'arco  celeste  di 
più  colori.  Per  dichiarazione  dell'Impresa  si  dee  sapere 
cbe  il  mirto  d'Egitto  avanza  tutti  gli  altri  d'odore  ;  però 
vorrei  che  il  fiume  fosse  conosciuto  esser  il  Nilo  ;  il  che 
non  malagevolmente  può  esser  fatto  per  artificio  del  pitto- 
re. L'arco  celeste  rende  odorati  i  luoghi,  ne" quali  f.ppare; 


384  11^  CONTE 

e  allora  più  clie  sia  appresso  qualclie  fiume;  perchè  la  ca<- 
liJiià  ,  e  la  siccità  sogliono  esser  cagione  degli  odori ,  i 
quali  vengono  dall'Arabia,  e  dall'altre  parti  Orientali,  che 
sono  caldissime;  e  la  state  ne' gran  caldi,  s'avviene  eh' e- 
g'i  piova,  la  terra  suole  odorare  ;  perchè  1'  umore,  mesco- 
landosi colla  miiteria  infiammata  ,  genera  un  vapore  odo- 
roso. 

Conte.  Avete  manifestato  il  secreto  della  natura,  ma 
non  aperto  ancora  la  vostra  intenzione. 

Forestiero.  L'Impresa  potrebbe  servire  in  materia 
d'amore,  né  buono  intenditore  deve  ricercar  più  oltre;  ma 
se  desiderale  le  parole,  possiamo  prenderle  da  Anacreonte: 
o-yyjv  KuTpfv  nviovcot  cioè:  spirante  tutt'amore . 

Conte.  Non  ricerco  più  olire,  anzi  alcuna  volta  ho  cre- 
duto che  il  dichiarar  l'Impresa  sia  contra  l' intenzione  di 
colui,  che  non  ha  voluto  esser  inteso  chiaramente. 

Forestiero.  All'altre  già  dette,  aggiungerei  la  corona 
de'  fiori  daurelia  ,  la  (piale  gli  ha  somiglianti  all'oro,  e  hn 
le  foglie  bianche,  come  si  legge  nell'  ultimo  libro  dell'isto- 
ria delle  piante:  e  perchè  era  creduto  ch'ella  avesse  gran 
virtù  ,  e  giovasse  all'acquisto  della  gloria  ,  vi  aggiungerei 
r\ues.to  molto:  Sperato  a^ea  .  Del  pollione  ancora  ricor- 
dato da  Museo,  e  da  Esiodo,  e  dell' antirizzo  s'ebbe  listes- 
sa  opinione  fra  quegli  uomini,  che  vollero  accrescere  au- 
torità >  e  riputazione  al  loro  artificio;  ma  l'aurelia  mi  pia- 
ce per  la  bellezza  della  forma  ,  e  del  nónie. 

Conte.  Noi  siamo  passati  dalle  cose  naturali  alle  artifi- 
ciose, senza  fare  menzione  del  diamante,  o  dell'asbedite  , 
la  quale  fu  Impresa  del  vostro  Tancredi  nel  vostro  poe- 
ma, o  dell'oro,  che  si  ajlìna  nel  fuoco  ,  o  d'altra  cosa  si 
fatta. 

Forestiero.  Nuova  fatica  ci  si  rappresenta,  e  mi  pare 
che  parlando  delle  cose  artificiose,  mi  vengono  incontro  i 
Pegasi,  le  Gorgoni ,  le  Sfingi,  i  Centauri,!  Minotauri,  le 
Arpie,  i  Cerberi,  i  Ciclopi,  i  Gerioni ,  e  tutti  quei  mostri^ 
da'  quali  fu  spaventato  Enea  ,  guidato  dalla  Sibilla. 

Conte  .  Mi  ricordo  de'  virsi  : 

Mdllcique  practcrcd  varitiruiii  inonsira  feraruin  , 
Centauri  inforibus  stalfulant ,  Scyllaeque  biforincs , 


0  dell'  imprese  385 

Et  cent uìiì gemi nus  Bnarcus,  ac  htllua  Lernae 
Horrtnduni  stridens  jlammisque.  armata  chimaera  , 
Gorgones  ,  harpyiaeque  et  forma  tricorporis  umbrac . 
Forestiero.  .\  guisa  d'Enea,  il  quale  strictam  aciem 
i'enicnti'bii.s  nffert,  potete  coll'acume  del  vostro  ingegno  op- 
porvi a  così  spaventosa  schiera  ;  ina  io  sono  assicurato  dal 
Pegaso,  cli'è  animale  amico  a'poeti,e  fu  Impresa  del  gran 
Cardinale   Farnese  ,  nuovo   Mecenate  o    piuttosto  nuovo 
Augusto  de' nostri  tempi ,  il  quale  non  solo   aperse  il  fonte 
di  Parnaso  ai  belli  ingegni,  ma  fece  d'Elicona  nascer  fiu- 
me, anzi  fiumi  di  felicissima  eloquenza.  Seppelo  Rom^ì  , 
e  l'udì  in  quello  fortunatissimo  secolo  il  Bembo  ,  il  Tolo- 
raei,  il  Guidiccione,  il  Molza ,  il  Cappello,  e'I  Caro,  e  altri 
gentilissimi  poeti,  ma  non  più  di  questo.    Il  Gorgone,  o  la 
testa  di  Medusa  ,  o  l' Idra  fu  portata  per    significazione   di 
pensiero  amoroso  ,  con  questo  motto:  E  s'  io  l' uccido,  più 
presto  rinasce.  Il  Slg.  Antonio  Feltro  gentiluomo  Napole- 
tano, conosciuto  per  la  memoria,  e  per  la  fema  del  padre, 
portò  la  testa  di  Medusa  con   questa    motto:  Tela  omnia 
cantra:  e  la  Chimera  similmente  fu  Impresa  d'un  nobilis- 
simo cavaliero  mio  amico,  alla  quale  aggiunse  questa  parola 
d'Orazio:  cedit  •  e  per  intelletto  può  supplire  colle  seguen- 
ti :  Tremcndae  Jlanima  Chimerae  .  Il  Minotauro  nel  labe- 
rinto  coir  iscrizione:  la  silentio  et  spe  ,  fu  del  Sig.  Consal- 
vo Perez.  La  Gorgone,  come  è  noto  a  ciascuno,  fu  scolpita 
da  Fidia  nello  scudo  di  Minerva:   io  per  Impresa  vi   ag- 
giunsi il  motto:  Terrore  y   et   arniis :  e    la   Sfinge  fu  pari- 
mente simbolo  degli  antichi,  e  usata  dal  Giovio,  con  que- 
sto detto  :  Incerta  animi  decreta  resohit .  Ma  passiamo  ai 
templi,  alle  colonne  ,  alle  piramidi,  alle  mete  ,  a'teatri,  o 
all'altre  maraviglie  dell'  umano  artificio;  e,  se  vi  pare  ,  la- 
•sciamo  da  parte  la  iiiinuta  divisione  dell'arti ,  la  quale  al- 
tri potrà  ricercare  nel  Politico  di  Platone;  perchè,  quan- 
tunque l'arte  imiti  la  natura  nell'ordine,  nondimeno  quan- 
do il  tempo  ci  affretta  al  dipartire  ,  potremo  in  parte  tra- 
lasciarlo. 

Conte.  Io  saprò  dove  cercarne. 

Forestiero.  Poiché  mi  concedete  che  io  trapassi  l'or- 
dine,  cornincierò   dal    fine,   cioè   dalle    colonne    di  Carlo 


?>S6  IT.  COXTE 

Quinto  Imperatore  ,  oltre  tulli  yli  altri,  gloriosi<;sim;>  ,  il 
(jiiale  trapassò  tutti  i  termini  della  gloria  mondana;  però 
alle  Colonne  di  Ercole  ag:^iunse  questo:  Plus  ultra. 

Conte  .  Questo  è  un  cominciare  piultoslo  dall' infinito  . 
il  quale  non  ha  principio,  né  tìne. 

FoilFSTlERO  .  E,  come  voi  dite,  avvicinarmi  dunqueallo 
mete  del  gran  Duca  Guidobaldo,  nelle  quali  è  proposto  il 
premio  a  colui,  che  passa  tutti  gli  altri  nell'amar  la  virtù, 
col  motto:  (piX-Kp-rxru),  o  alla  piramide  del  Cardinale  di 
Lorena,  circondata  dall'edera,  col  motto:  Tr.  stante  vire- 
sco,o!i  quell'altra  di  Egitto,  col  molto:  U nhrae  ncscia. 
Conte.  Avete  lasciata  la  piramide  di  Lorenzo  Cibo,  il 
quale  la  figura  col  Sole  in  cima  ,  e  con  due  mani  congiun- 
te su  la  pietra  quadra:  perciricch' ella  ancora  ci  din  'Sira 
l'infinito,  col  mìtto:  Sine  fi^ic ,  e  le  Colonne  di  Carli 
Nono  insieme  congiunte,  col  detto:  Pletate  et  justitla  : 
e  quelle  del  fumo,  e  del  fuoco,  celebrate  nelle  sacre  Lette- 
re,  le  quali  portò  il  Signor  Bartolommeo  Vitellozzo,  colle 
parole:  Estate  Duces. 

Forestiero.  Belle  sono  veramente,  e  degne  di  mi^mo- 
ria  ,  ina  da  altri  a  pieno  descritte:  veniami>  adimq  le  ai 
tempj;  e  priuia  a  quello  famosissi  no  di  Diam  l'efesia  ,  I  it- 
presa  del  fanisissimo  Sig.  Luigi  Gonzaga,  coli' iscrizione  : 
Ulraquc  clarescere  fama,  o  a  quella  del  tempio  di  Giu- 
none Lucinia ,  nel  quale  sotto  il  cielo  aperto  era  l'altare 
colla  cenere  immobile  a  tutte  le  procelle,  co  ne  affermajio 
Plinio,  e  Valerio  IMassi.no. 

Conte.  Alaraviglioso  altare  fu  questo. 
Forestiero  .  Anzi  maravigliosissimo  ,  laonde  in  sua 
comparazione  non  estimo  pu\  miracoloso  f|iifl!o  in  cima  al 
monte  Oli  opo  ,  perchè  i  venti  non  turbano  la  purità  del- 
l'aria, e  del  cielo  sempre  sereno,  come  si  legge  in  quei 
versi  di  Claudiano  : 

Scdut  altus  Olimpi 

T^erlex ,  qui  spatio  vciitos ,  hicmesquc  reliquit  ^ 
Pcrpetuum  nulla  concretum  nube  serenurn  ; 
Cclsior  ersurgit  plm'iìs,  auditque  rucntes 
Sub  pedibus  nimbns  ,  rt  rane  i  tonitrua  calcai  . 
Ala  che  in  questa  p.irle  dell'    aria   perlurl)ala  da' venti  un 


0  deli/  imprese  38/ 

aliare  possa  conservar  le  cetinri  un  anno  intero,  e.  miraco- 
lo forse  miiggiore,  e  di  religione  piuttosto,  die  di  natura. 

Conte.  Altri  nondimeno  volle  che  in  qupH'.tltare  fos- 
se il  fuoco  sempre  acceso,  e  prese  errore  perawentura, 
perchè  attribuì  al  tempio  di  Giunone  Lacinia  il  fuoco  ,  il 
anale  fu  sempre  conservato  in  quello  di  Vesta,  come  scri- 
ve Plutarco .- e  s' egli  perawentura  s' estingueva  j  non  era 
lecito  d'accenderlo  di  cosa  terrena,  ma  con  alcuni  vasi 
triangolari  si  prendeva  dal  Sole. 

Forestiero.  Dopo  questi  tempj ,  fu  dipinto  quello, 
edificato  da  Marcello  alla  Virtù  ,  e  all'Onore  insieme,  in 
modo  che  non  si  poteva  entrare  in  quello  dell'Onore,  se 
non  per  quello  della  Virtù,  con  questa  iscrizione:  Patet 
aditus  .JScWo  è  ancora  il  teatro  col  motto  Spagnuolo  ;  El 
Intcno  asi  mi  smo .  BeWe  sono  le  statue,  come  quella  del 
Palladio,  portata  per  Impresa  da  molti:  e   quella  di  cui 

scrive  Svetonio,  ch'era  nel  teaipio  di nella 

quale  ,  in  quel  tempo,  che  Cesare  vinse  Pompeo,  germo- 
gliò un  ramo  di  palma  :  io  ne  feci  l'Impresa,  con  questo 
motto;  Ejc  Religione  Victoria. 

Conte  .  Mi  maraviglio  che  il  mausoleo  d'  Artemisia  , 
e  quello  d'Augusto,  e  d' Adriano  Imperadore  non  abbiano 
dato  soggetto  all'  Imprese  :  e  potean  darlo  il  Circo  Massi- 
mo ,  e  il  Settizonio  parimente;  e  dapoi  che  l'uomo  aveva 
posto  mano  alle  piramidi,  alle  mete  ,  ai  tempj,  ai  teatri  , 
non  doveva  lasciar  gli  archi ,  e  le  terme  senza  emula- 
zione . 

Forestiero.  L'ardimento  umano  non  ha  voluto  ancora 
promettere  tutte  le  cose  di  se  medesimo  ;  ma  nelle  Impre- 
se riguardevoli  si  conosce  senza  fallo  molto  ardire  del  faci- 
tore :  passiamo  dunque  all'altre.  Il  bersaglio  col  motto 
Greco  fìxKk'  ovtjì^^  pre«o  dall'Iliade  d'Omero  ,  può  di" 
chiarar  l'intenzione  di  quello  illustrissimo  Signore,  la  cui 
autorità  poteva  essere  scudo  al  valore  de'fratelli,  se  pure 
non  voleva  intendere  la  suprema  autorità  del  Zio  .  Dello 
scudo  della  verità,  di  cui  si  legge  nella  Scrittura,  è  stata 
fatta  Impresa  col  motto:  Circumdabit  . 

Conte.  Concediamo  questo  poco  tempo,  che  n'avanza, 
all'Imprese  militari  piuttosto;  ma  io  sin' ora   non  ho  ve- 


38S  IL  CONTE 

data  la  più  bella  dello  scudo  Spartano,  usato  dal  gran 
Marchese  di  Pescara ,  col  molto:  Aut  cani  hoc,  aut  in 
hoc . 

Forestiero.  Bella  verampnte.-  e  perarventura  non  son 
degne  di  questo  paragone  l'aUre  dello  scudo,  da  me  fatte. 
Belle  ancora  sono  le  corsesche  di  lanciare,  che  usò  il  vSi- 
gnore  \ndrea  di  Capua  ,  Duca  di  Termine,  e  capitano  ai 
suoi  dì  di  estremo  valore  militare,  e  d'infinita  provviden- 
za ,  coir  iscrizione  :  Fortibus  non  deeruat . 

Conte.  Ditemi,  vi  prego,  alcune  di  quelle  fatte  da 
voi. 

Forestiero.  A.1  Signor  Duca  di  Parma  donai  una  Im- 
presa, nella  quale  era  figurato  uno  scudo,  e  una  spada, 
colle  paroJe  i^apCpor^px  che  in  volgare  sarebbono ,  in  vece 
(V  ambo:  nelle  quali  ebbi  riguardo  a  quello,  che  Plutarco 
scrive  nella  vita  di  Marco  IMarcello,  che  Fabio  Massimo 
era  lo  scudo  de' Romani,  e  Marcello  la  spada.  Io  volli 
congiungere  lo  scudo  ,  e  la  spada  ,  cioè  l'una  e  l'altra  par- 
te della  fortezza  ,  la  quale  è  senza  dubbio  in  questo  va- 
lorosissimo Signore ,  per  dimostrare  che  in  questi  tempi 
inen  fecondi  d'uomini  valorosi,  egli  solo  può  servire  a  Ro- 
ma,  e  a  tutta  l'Italia,  e  al  suo  Re  medesimo,  non  meno 
nell'offesa  ,  che  nella  difesa  . 

Conte.  Il  dono  veramente  non  poteva  essere  rifiutato 
da  Principe  cosi  magnanimo. 

Forestiero.  Feci  medesimamente  in  queste  guerre 
dell'Europa  per  Impresa  lo  scudo,  caduto  dal  Cielo  come 
narra  Livio,  al  tempo  di  Numa  Pompilio,  a  somiglianza 
del  quale  furono  fatti  gli  altri,  che  da' Latini  sono  detti 
ancilia:  e  furono  instituili  a  Mitrte  i  Sacerdoti  detti  Salj,  i 
quali  colla  tonica  dipinta  ,  e  col  petto  armato  di  usbergo  , 
andavano  per  la  città  ,  cantando  ,  e  ballando  con  maravi- 
gliosa  festa,  descritta  da  Virgilio  in  quei  versi  : 

Hinc  erultantes  Salios  ,  nudosque  Liij)ercos  , 

Lanigerosque  apiccs ,  et  lapsa  ancilia  Cacio, 

Excuderat ,  ec. 
II  motto,  eli' io  aggiunsi  all'Impresa,  fu:  Ab  alto ,  avendo 
riguardo  a  quelle  parole:  Indw  virluteni  ab  alto.  Fu  mia 
Impresa  similmente  in   concetto  amoroso  ,  lo  scudo  lunato 


O  dell'  IMPKESK  38y 

lìoììAriiazone  e  la  bipenne,  e  la  faretra,  e  il  cinto, col  mot- 
to latino: /^w/ce^  eo^uw'ae;  e  il  cinto  solo  con  quest'altro 
Greco  ^^jc -foicrov  Xuovré.  Fu  similuiente  tuia  la  faretra  pie- 
na di  saette,  colle  parole  di  Pindaro  cpcovavrco  TuvtTolctS. 
Feci  ancora  una  targa,  e  una  scimitarra  Turcliesca,  col 
motto:  Virtus,  an  dolus  ?  E  per  uscir  ornai  dalle  spade,  e 
diigli  scudi,  feci  due  carri  falcati,  colle  parole:  Viam  Uwe- 
nient .  Un  tridente  ,  e  un'asta  col  detto  :  TJbi(iue:  una  tor- 
re battuta  dal  vento  ,  e  dalla  teinpesla  coli' iscrizione  Spa- 
gnuola:  No  cresca  su  cuìdado .  Una  nave  in  mar  turbato  , 
col  motto  .•  In  guerra,  ed  in  tenipesla  . 

Conte.  La  nave  è  stata   usata  da  molti  con  varie  iscri- 
zioni . 

FoRF.STIERO.  Così  è  avvenuto  in  varie  immagini,  le 
quali  sono  diverse  per  le  parole  solamente  ,  e  per  l'appli- 
cazione, come  avviene  alcuna  volta  nelle  comparazioni,  e 
nelle  metafore  ,  nelle  quali  la  nuova  applicazione  è  cagione 
di  varietà.  Il  Cardinal  Granvela  usò  la  nave,  col  motto: 
Durate.  Il  Signor  Scipion  Gonzaga,  dignissiuio  molti  anni 
prima  di  questo  grado,  a  cui  l'ha  innalzato  il  suo  proprio 
merito,  e  la  nobiltà  degli  antecessori,  essendo  abbandona- 
to dal  favore  della  fortuna,  o  per  la  morte  del  Cardinale  di 
Mantova  ,  o  per  le  discordie  intrinseche  della  sua  casa , 
prese  per  Impresa  la  galea,  alla  cpiale,  essendo  mancato 
il  vento,  si  calano  le  vele,  e  prendono  i  rami ,  col  motto: 
Propriis  nitar .  Il  Signor  Scipione  Costanzo,  la  galea  col 
motto  Per  tela,  per  Iwstes .  Bella  similmente  è  quella  del- 
le due  ancore,  coli'  iscrizione  .  Suffulta  ;  e  il  timone  ,  già 
usato  dal  Cardinal  S.  Giorgio,  col  motto:  Hoc  opus ,  che- 
chè  ne  paja  agii  altri.  Ma  laudevulissima  fu  l'Impresa  del 
Gran  Cardinale  de  ì\kdici,  primo  ornamento  d'Italia,  e 
de' suoi  tempi ,  la  quale  era  un  giogo  col  motto  ;  Soave. 
La  stadera  fu  usata  dal  Conte  di  Maialone,  col  motto:  Hoc 
facies,  et  vives;  e  peravventura  quel  giudiciosissimo  Signore 
in  questa  guisa  ci  volle  dare  a  divedere  che  tutte  le  azio- 
ni debbono  esser  pesate;  ma  perchè  la  stadera  nelle  Lette- 
re Sacre  significa  il  libero  arbitrio,  come  dice  Basilio;  di- 
mostrò che  l'azioni  debbono  esser  pesate  col  giudizio  vo- 
lontario, non   eolia   necessità,    la  quale   alcuna  volta  pare 


SpO  IL  CONTE 

imposta  dalla  fortuna  ,  ma  fra'  Gentili  le  bilance  significa- 
no piuttosto  la  necessità  del  fato,  come  si  può  raccoglie- 
re da'  versi  di  Virgilio  ,  fatti  tutta  volta  ad  imitazione 
d'Omero: 

luppiter  ipse  duas  acquato  ex  ordine  laiices 
Sustinet  ,  et  futa  imponit  diversa  duorurn  , 
Qtie/ii  dantnet  labor ,  et  quo  vergat  pendere  U-tiini . 
Ma  di  queste  bilance  ancora,  che  sono  nel  Citalo,  fa    inen- 
zione   Dionigi  Areopagita,    le  quali  egli  nomina:  Divinae 
lances.  Una  parte  della  nobilissima    casa  Caraffa  ,  la  quale 
ha  prodotti  Ducbi,  Principi,  e  Cardinali,  e  un  grandissiino 
Pontefice,  e  ora  è  copiosissima  di  Signori,  e  di  ricchezze  , 
e  particolarmente  conservata  in  riputazione  ,  e  in  grandez- 
za dal  Principe  di  Stigliano  ,  porta    la    stadera  col  motto: 
Hoc  faci,  et  vives.  E  perav ventura  Iddio    suol   pesare  con 
queste ,  non  la  fortuna,  o  il  fato,  ma  i  meriti  ,  e  i  demeriti 
de'  mortali. 

Come  .  Delle  nostre  bilance  mi  sovviene  d'aver  vista 
una  Impresa  bellissima,  per  mio  giudizio,  in  cui  si  pesa- 
vano l'armi  coli' oro,  col  motto:  IVon  acqui  ecamine  lan- 
ces :  e  forse  colui,  che  fece  l'Impresa  ,  ebbe  riguardo  alle 
bilance  de' Francesi,  aggravate  dall' altra  parte  col  peso 
del  ferro,  o  del  rauie;  e  all'oro  pagato  da'Pvomani  per  ri- 
scuotere i  prigioni  ,  quando  giunse  Cammillo,  del  quale 
dice  il  Petrarca  : 

Vidi  il  vittorioso^  e  gran  Cammillo 
Sgombrar  /'  oro ,  e  girar  la  spada  a  cerchio , 
E  riportare  il  perduto  vessillo. 
Forestiero.  Le  bilance  mi  fanno  ricordare  della  misu- 
ra ;  io  ne   volli  usar  una    Impresa,   colle    parole  :  £'c7/'/^/;ì 
renietictur ;  la  quale  è  una  di  quelle  della  Scrittura:   Qua 
mcnsura  nicnsi  cstis  ,  eadcm  reiìietictur  vobis.   Due  can- 
delieri ancora  con  due  olive,  già   vedute   da    S.Giovanni 
in  visione,  pensava  di  far  dipingere  in  una  Impresa,   colle 
parole   Greche ,  |>risc  dal   medesimo   luogo   del   mcdcsiiuo 
Autore  ;  dapoi  mi  sovvenne  che    molti   non  lodavano  die 
le  parole  ,  e  la  figura  fossero  ricopiate  dal  medesimo   luo- 
go, e  vi  scrissi  (|ucste  altre:  Divino  liiiniac  fulgcnt  ;  pcr- 
»  Ile  sit;co.ije   leggiamo:   accendi!    Deus  lumen   in   ani/na. 
M-i  lasciamo  l  Imprese  sacre. 


O  DEl.l.'  lAIt-RESE  3()l 

Coni  E.  I  cvnulellori  furono  usati  ancora  dal  Gran  Tur- 
co ,  ma  in  numero  duplicato,  de' quali  tre  avevano  le 
candele  spente,  e  uno  la  candela  accesa.  Era  il  motto  in 
linjjua  Turclicsca  :  Jlalla  vere,  che  sonerebbe  nella  no- 
stra; Iddio  la  darà;  intendendo,  come  dicono,  della  lu- 
ce, clie  può  tutti  illumiiuirci,  d.dla  quale  Solimano  pensò 
forse  d'essere  illustrato,  e  d'illustrarne  l'Oriente,  rima- 
nendo i' Occidi^nte,  e  l'altre  parti  del  mondo  prive  di 
luce  . 

Forestiero.  Io  non  sapeva  che  i  Turchi  ancora  usas- 
sero Imprese. 

Conte.  L' usano ,  quantunque  appo  loro  l'usanza  non 
sia  frequente,  ma  delle  cose  che  si  lanno  di  rado:  tutlavol- 
ta  l'Imprese  non  si  fanno  tra  loro  di  tutte  le  figure;  per- 
chè in  ciò  sono  somiglianti  iigli  Ebrei,  i  quali  rigidauicnle 
interpretavano  quelle  parole  del  Deuteronomio;  Non  fa-- 
cies  tibì  sculptibile  ,  vel  sìmilitudineni  oniniuni  rerum , 
nuae  in  Caelo  sunt ,  et  qiiae  in  Terra  deorsum  ,  et  quae 
versantur  in  aquis  .  Ma  la  dichiarazione  si  deve  cercare 
nelle  seguenti  :  Non  adorahis  eaSy  ncque  coles. 

Forestiero.  Leggiauio  nondimeno  nell'istorie  di  Gio- 
scffo  Ebreo  che  questo  comandamento  non  fu  interamen- 
te osservato  dagli  Ebrei ,  ma  disprezzato  al  tempo  di  Ero- 
de ,  il  quale  innalzò  innanzi  alla  porta  del  Tempio  l'aqui- 
la, Impresa  de  Romani:  e  prima  Salomone  medesimo  nel- 
l'edificazione del  tempio ,  fece  fare  alcune  figure  di  cose 
iinimate,  e  particolarmente  i  leoni  per  sostegno  di  quel 
gran  vaso,  chiamato  mare.  Ma  de' Turchi  leggiamo  che 
anticliissima  Impresa  fa  la  Luna  ,  a'quali  noi>dimeno  si 
converrebbe  il  Sagittario,  usato  d'  Artaserse,  o  pur  l'in- 
segna delle  saette  fter  testimonio  della  loro  antica  origine; 
ma  io  vo  ricordando  alcuna  Impresa  ,  che  sia  termine  di 
questo  discorso  delle  immagini  artificiali. 

Come.  ÌITerniine  njedesimo  fu  da  molti  usato  per  Im- 
presa, e  si  legge  ch'egli  non  volle  cedere  il  Campidoglio 
a  Giove,  a  cui  in  quel  luogo  si  solevano  sospendere  le  spo- 
glie de' vinti- 

Forestiero.  Io  penso  piuttosto  agli  altari.  Voi  sapete 
che  gli  antichi  solevano  porre  i  tcnuini  de' paesi,  da  loro 


392  IL  CONTE 

soggiogali  nelle  lontanissime  regioni  de'  Barbari ,  colle  co- 
lonne e  con  gli  altari.  Ercole  drizzò  le  colonne  nell'Occi- 
dente :  Alessandro  gli  altari  nell' Oriente  ,  come  racconta 
Strabene,  e  Cesare  dapoi,  e  Germanico  gli  consacrò  nel- 
l'ultime parti  del  Settentrione;  laonde  io  formerei  per 
Impresa  di  questo  nuovo ,  e  Romano  Alessandro  quattro 
.'ihari  in  riva  del  mare,  che  fosse  figurato  per  l'Oceano , 
coir  iscrizione:  Iinperium  Oceano,  benché,  se  fosse  possi- 
bile, vorrei  che  ella  significasse  particolarmente  die  la 
terra  fosse  soggiogata  per  la  fede  di  Cristo,  e  non  poten- 
dosi dimostrare  ciò  acconciamente  colle  parole  ,  farei  in  su 
gli  altari  innalzar  la  Croce. 

Conte.  L'Impresa  in  questa  guisa,  cbe  da  voi  è  divi- 
sata, è  Cristianissima,  e  bella  molto  e  degna  del  poeta, 
clic  l'ha  fatta,  e  del  Principe,  che  dovrebbe  usarla,-  però 
non  desidero  che  vi  stanchiate  più  lungamente  nel  rac- 
conto dell'Imprese,  e  nella  dichiarazione.  Ma  percliè  l'ora 
non  è  così  tarda  ,  che  non  ci  conceda  un  breve  spazio  di 
ragionare ,  poiché  molto  abbiamo  detto  della  materia  e 
della  forma,  vorrei  che  si  trattasse  alcuna  cosa  deirartifi- 
cio  del  far  V  laiprese  . 

Forestiero.  Io  già  dissi  che  questo  artificio  era  so- 
)iiigliante  a  quello  del  poeta  nel  far  le  metafore,  e  le  simi- 
litudini ,  e  le  comparazioni  ,  le  quali  non  deono  esser  tra- 
sportate da  luogo  molto  lontano  ,  uiii  da  vicino:  non  da 
basso,  ina  da  alto  e  rilev.ito;  non  da  oscuro  ,  ma  da  chia- 
ro e  illustre:  non  da  brutto,  ma  da  cosa  che  sia  grata  ai 
sensi,- e  aggiunsi  tutti  quegli  altri  ammaestramenti,  die 
son  dati  da'retlorici  nel  far  le  metafore  e  T immagini  ;  ma 
io  intendeva  di  quelle  Imprese  solamente,  che  si  fumo 
colle  simili  similitudini,  perché  l'  altre,  fatte  con  dissimili 
dissimililudini,  deono  peravventura  essere  trasportale  da 
lontana  parte,  e  non  molto  riguardevole.  Avrei  dunque 
ricercate  l'Imprese  ,  come  gli  argomenti,  ne' luoghi  o  pro- 
prj  ,  o  comuni:  |)roprj ,  diciamo  la  })ropriclà  di  ciascuna 
cosa:  comuni,  la  siuiililudine  ,  ch'è  fra  molte,  e  la  con- 
giunzione, che  l'una  ha  coli' altra  ,  o  la  conseguenza  .  Dai 
simili  adunque,  da' congiunti,  dagli  antecedenti,  e  dai 
conseguititi  estiuiava  che  potesse  ritrovarsi;  l'altre  dis- 


O  dell'  imprese  Sq"? 

simili  piuttosto  da'contrarj,  e  da'repugnanti;  ina  nella  dil- 
finizi  ine,  e  nella  numerazione  delle  parti  non  soleva  ricer- 
care loapresa  alcuna,  nelle  quali  peravventura  alcun  altro 
più  sollecito  investigatore  di  questa  preda  ,  che  io  non  so- 
no, avrebbe  potuto  ritrovarle.  Estimava  ancora  clie  non 
fossero  di  molta  importanza  gli  altri  precetti  e  l'osserva- 
zioni, o  non  tutti  ,  ma  alcuni  solamente;  ma  voi,  che  tuiti 
gli  sapete,  fate  di  grazia  die  io  mi  avvegga  della  mia  anti- 
ca ignoranza  colla  dottrina  de' più  moderni,  e  ditemi  in 
quanti  precetti,  e  in  quali  vogliono  clic  sia  ristretto  que- 
sto artificio. 

Conte.  Cinque  sono  le  prime  regole,  e  quasi  le  prime 
leggi  di  quest'arte  ,  le  quali  furono  stabilite  coll'autorità 
di  Monsignor  Giovio,  che  andò  scegliendo  le  più  belle,  e  le 
più  ingegnose  Imprese, che  furono  state  vedute  sino  a  quei 
tempi . 

La  prima  è,  che  l' Impresa  sia  con  giusta  proporzione  di 
corpo  e  d' animo  . 

La  seconda,  che  non  pecchi  per  soverchia  oscurità,  né 
per  troppa  chiarezza  divenga  popolare. 

La  terza,  che  abbia  bella  vista. 

La  quarta,  che  non  abbia  forma  umana  . 

La  quinta,  che  vi  si  richiede,  è  il  motto,  quasi  anima 
d'un  corpo.  Danno  p')i  quasi  per  legge  al  motto  ch'egli 
sia  breve,  di  lingua  peregrina,  e  non  molto  oscuro  :  altri 
vi  aggiunge  che  non  sia  preso  dall'istesso  luogo,  del  qua- 
le si  forma  l'Impresa.  I  più  moderni  poi,  oltra  tutte  que- 
ste leggi ,  hanno  voluto  che  l'  Impresa  debba  essere  ma- 
ravìgliosa,  com'  è  il  poema  . 

Forestiero  .  Io  sono  così  smemorato  ,  che  comincierò 
dall'ultima  cosa, che  avete  detta, perchè  delle  prime  regole 
peravventura  non  conservo  memoria  ordinatamente.  Vo- 
gliono adunque  costoro  che  ogni  Impresa  sia  maravigliosa. 

Conte.  Senza  fallo. 

Forestiero  .  Ma  l' Impresa  ,  per  vostro  avviso,  è  delle 
cose  antiche  ,  o  delle  nuove  piuttosto  ? 

Conte  .  Delle  nuove  anzi  che  no ,  perchè  la  novità  fa 
maravigliare  altrui. 

Diulogui  T  111  a6 


394  IL  CONTE 

FoRESTlEl',0.  Ma  se  le  cose  nuove  fossero  picciole  in 
coni  j  ara/ione  dell'  auliche  ,  saranno  elle  più  maravigliose, 
o  meno? 

Con J E.  Forse  meno  maravigliose;  ma  io  parlo  delle 
nuove  jclie  siano  grandi . 

For.ESTiEiio.  E  nuove  chiamate  l'opere  dell'arte,  o  del- 
la natura? 

Conte.  Dell'  una  e  dell'altra. 

Forestiero.  Negli  artificj  1'  età  nuova  non  pareggia 
l'antica  ,  e  Roma  istessa  se  n'avvede;  perchè  non  ha  di 
che  gloriarsi  in  questi  tempi  :  e  sono  mostrate  in  lei ,  co- 
me sue  maraviglie,  la  mole  d'Adriano,  e  quella  fatta  da 
Agrippa  ,  e  l'anfiteatro,  e  le  tei-me ,  e  le  colonne  e  gli  ar- 
chi :  e  queste  cose  peravventura  son  meno  maravigiiose , 
che  non  erano  le  piramidi  degli  Egizj,  o  il  Laberinto,  o 
pur  quello  fatto  da  Dedalo  ,  o  da  Porsenna.  Dunque  l'an- 
tichissime per  questa  ragione  saranno  più  maravigiiose, 
perchè  sono  maggiori . 
Conte.  Così  pare. 

Forestiero  .  Tuttavolta  mirabile  per  grandezza  ,  e  per 
artificio  è  il  tempio  di  S.  Pietro  ,  del  quale  per  poco  non  è 
chi  facesse  Impresa,  o  chi  pensasse  di  farla,  come  di  quel- 
lo di  Giunone  Lucinia ,  o  di  Vesta,  o  di  Diana  Efesia. 
Conte.  Non  piacerebbe  l'Impresa  per  mio  avviso. 
Forestiero.  Dunque  le  cose  nuove, benché  siano  gran- 
dissime, come  questa  ,  non  sono  maravigiiose.  Or  che  di- 
remo  dell'opere  della  natura  ?  l' istesso,  o  cosa  diversa? 
Conte.  Peravventura  ne  faremo  diverso  giudizio. 
Forestiero.  Se  le  cose  nuove  possono  muovere  mara- 
viglia ,  noi  prenderemo  per  soggetto  i  mostri  dell'  Affrica, 
la  quale  genera  sempre  qualche  cosa  di  nuovo,  o  j)ur  le 
cose  dell'  India,  perchè  l'altre,  o  siano  nostre,  o  peregrine, 
sono  l'istesse  coH'antiche  di  genere,  o  di  specie,  se  non  di 
numero, 

Conte,  Cotesto  è  vero;  ma  l'Affrica  ha  peravventura 
cessato  a  far  novità:  e  degli  animali  dell'India,  e  delle 
piante  io  ho  vedute  poche  Imprese,  e  niuno  sin'ora  l'ha 
fatta  del  legno  Santo,  il  quale  ha  si  maravigliosa  virtù. 


o  dell'imprese  395 

Forestiero  .  Dunque  cercljeremo  pure  le  più  riguar- 
devoli,  e  che  ci  parranno  più  marnvigliose. 

Conte.  Così  estimo. 

Forestiero.  Ma  ditemi,  vi  prego,  fra  T antiche  non 
estimate  antichissime  l'eterne,  o  quelle,  elle  da  principio 
fece  quel  Fabhro  maraviglioso  dell'universo,  detto  da'Sa- 
vj  scrittori  :  Antiqua^;  dieruin  P 

Conte.  L'opere  sue  sono  senza  fallo  maravlglioslssime. 

Forestiero.  E  antichissime  parimente,  com'è  il  mon- 
do, il  Sole,  la  Luna  e  le  stelle:  e  antichissime  ancora  sono 
le  sue  leggi  ,  colle  quali  sono  fatte  i  congiungimenti  ,  e 
l'opposizioni  de' pianeti,  e  i  loro  viaggi  torti,  e  molte 
volte  a  ritroso,  e  quasi  da  violenza  divina  sforzati. 

Conte.  Non  eslimo  che  di  ciò  possa  dubitarsi. 

Forestiero.  Non  ci  muova  dunque  l'opinione  del  vol- 
go, il  quale  non  suol  maravigliiirsi  delle  cose  eterne,  come 
dice  Lucrezio.  Ma  crediamo  che  l'Imprese  delle  cose  ce- 
lesti sieno  le  più  belle  e  le  più  maravigliose  ,  almeno  in 
questa  maniera  d'Impresa,  che  si  facon  similitudine  so- 
migliante ? 

Conte.  Così  sfimo. 

Forestiero.  Nondimeno  in  tutte  l'opere  della  natura, 
come  nel  libro  delle  parti  dice  Aristotele  ,  è  ascoso  qual- 
che segno  maraviglioso;  laonde  non  è  sì  picciolo  animale, 
che  non  possa  muovere  maraviglia;  ma  dell' opei'e  artifi- 
ciose non  avviene  forse  il  medesimo  ;  più  maravigliose  a- 
dunque  saranno  le  naturali. 

Conte.  Saranno. 

Forestiero.  Ora  consideriamo  l'altra  maniera  fatta 
con  immagini  dissomiglianti .  Gi'an  maraviglia  è  che  la  vi- 
ta umana,  si  bella  in  vista,  sia  significata  da  quel  picciolo 
animaletto  ,  detto  efemero  ,  il  quale  nasce  in  riva  alllp- 
pane,  e  suol  morire  il  giorno  medesimo  del  suo  nascimen- 
to: Iddio  grandissimo!  da  un  picciol  verme,  da  un  sca- 
rabeo ! 

Conte.  Questa  è  peravventura  maggior  maraviglia,  ma 
l'altra  si  riguarda  con  maggior  diletto. 

Forestiero.  E  forse  nel  forno  di  Eraclito  erano  pre- 


396  ìl  conte 

senti  gli  Dii  immortali,  però  ivi  diceva  esser  qualche  ma- 
laviglia.  Ma  facciamo  un  salto  dall'ultima  alla  prima  leg- 
ge ,  lasciando  quelle  di  mezzo  inviolate.  Slimate  die  sia 
necessaria  la  proporzione  tra  il  motto  e  la  figura? 

Conte.  Così  dicono. 

FOP.ESTIEKO.  Dunque  fra  il  corpo,  e  l'anima. 

Conte.  Fra  'I  corpo,  e  l'anima,  se  è  vero  che  il  mot- 
to sia  l'anima . 

FoiiESriERO.  L'anima  è  infinita,  e  divina,  il  corpo  ca- 
duco, e  terminato;  fra  lei  dunque  ,  e  il  corpo  non  può  es- 
sere proporzione:  e  se  il  motto  è  quasi  anima  dell'Impre- 
sa ,  e  partecipa  della  divinità,  e  della  iaimortalilà  del  poe- 
ta ,  non  può  avere  al/una  proporzione  colla  figura;  ma  la 
proporzione  si  considera  fra  le  parti  del  corpo. 

Conte  .  Perawentura  le  sue  parole  possono  ricevere 
altra  interpretazione. 

Foresi  lERO.  Quale  dunque?  Volle  forse  significare 
quel,  che  disse  Aristotele  centra  Pittagora,  che  l'aniiua 
ragionevole  non  è  differente  da  quella  de' bruti  per  gli  or- 
gani solamente  ;  laonde  al  corpo  d'un  elefante,  o  d'un 
leone  non  può  in  modo  alcuno  attribuirsi  1'  anima  del- 
l'uomo ? 

Conte.  Forse  questa  fu  la  sua  intenzione. 

FoRESTlEliO.  Ma  se  cioè  vero,  alla  figura  delle  fiere,  o 
degli  uccelli  non  si  convengono  le  parole  in  modo  alcuno  ; 
ma  a  quella  dell'uomo  solamente  ;  tutto  al  rovescio  di 
quel,  che  altri  dice  che  il  motto  non  giunge  perfezione 
alla  figura  umana  . 

Conte.  I  motti,  come  ho  letto  in  un  altro  di  coloro  , 
che  hanno  scritto  di  quest'arte,  si  fanno  o  affermalivi,  o 
negativi,  o  interrogativi ,  o  nella  prima  persona  ,  o  nell'al- 
tre; ma  neir  Imprese,  la  cui  figura  è  ferina  ,  e  bestiale, 
più  si  conviene  nella  terza  persona,  quasi  altri  parli  in  sua 
vece. 

Forestiero.  Questo  vi  concedo,  ma  potrebb' essere, 
elle  le  fiere  fossero  introdotte  a  ragionare  per  prosopopeja, 
come  le  cose  inanimate  ,  o  come  appresso  Plutarco  ragio- 
na il  Grillo,  e  contende  con  Ulisse  dulia  aobiltà  della  spe- 


O  DEIJ,'  IMPRESE  897 

eie:  ma  comunque  sia  ,  o  il  molto  non  è  neces<?ario  ,  o  s'è 
necessario  ,  jiiù  si  conviene  alla  figura  umana,  la  quale  da 
molti  è  biasimata. 

Conte.  E  biasimata  con  ragione,  a  mio  parere  irrepu- 
gnabile, clov'ella  non  sia  con  qualcbe  apparenza  insolita,  o 
vestita  almeno  ci'  abito  peregrino,  e  non  usato  a  rimirarsi; 
pei'cliè  altramente  sarebbe  troppo  comune,  e  l'Imprese 
vogliono  esser  di  cose  rare,  e  riguardate  con  maraviglia. 
FoRESriERo.  Noi  tuttavolta  abbiamo  concluso,  cbe 
l'Imprese  si  facciano  con  similitudini  somiglianti;  ma  la 
similitudine  dissimile  si  cerca  o  nel  genere,  o  nella  specie, 
o  nell'individuo. 
Conte  .  Così  stimo. 

Forestiero.  Or  in  qual  di  queste  tre  cercberemo  la 
somiglianza  ?  nell'  individuo  forse  ?  E  il  Tasso  già  vecchio  , 
e  trasformato  da  quello,  ch'esser  soleva  ,  farà  una  Impre- 
sa ,  ovvero  una  immagine  di  se  stesso  giovinetto,  con  que- 
sto verso  : 

Quando  era  in  parte  allr'  uom  da  quel  c/i  io  sono, 
con  quest'altro: 
Stamane-  era  ufi  fanciullo ,  ed  or  son  vecchio . 
Conte.  Non    mi  pare  cbe  alcuno  debba  portar  l'im- 
magine  sua  medesima  in  luogo  d'  Impresa,   benché  for- 
se Capaneo  la   portasse    sotto  Tebe,  e    dopo    lui  Asdru- 
bale  fratello  di  Annib.de  :  e  Pvoma  ne'  rovesci  delle   sue 
medaglie  figurò  se  medesima ,    e   vi  fece   scrivere    il   suo 
proprio  nome . 

Forestiero.  Dunque  la  comparazione,  o  la  similitudi- 
ne debbe  farsi  o  nel  genere,  o  nella  specie;  perchè  nell'in- 
dividuo è  rifiutata,  o  quasi  l'  istessa,  o  quasi  troppo  simi- 
le, o  troppo  dissimile. 
Conte.  Così  stimo. 

Forestiero.  Ma  di  qual  similitudine  fareste  piuttosto 
Impresa?  di  quella,  eh' è  nel  genere,  o  di  quella,  ch'è 
nella  specie  ,  in  altrui  figurando  quello,  che  di  voi  inten- 
dete dimostrare? 

Conte.  Gli  Accademici  di  Siena  dicono  che  la  conapa- 
razione  non  deve  farsi  nella  specie  ,  ma  nel  genere  . 


SqS  il  conte 

Forestiero.  Aristotele  nondimeno  ebbe  diversa  opinio- 
ne ,  perchè  nei  libri  della  filosofia  naturale  dice  espressa- 
mente che  la  comparazione  deve  liirsi  nella  specie,  e  se 
le  siiiiilitudioi  somiglianti  sono  tanto  migliori,  quanto  sono 
più  simili,  più  lodo  io  quelle,  che  sono  nell'istessa  specie. 

Conte.  Dunque  l'imtnagine  dell'uomo  sarà  convenien- 
te a  questa  maniera  d  Impresa? 

FouESTlEKO.  SI  veramente;  ma  che  ella  sia  vestila 
d'  abito  trionfale  ,  o  con  ornamento  ,  e  con  armi  attribuite 
agli  Dei ,  come  sono  ad  Ercole  le  spoglie  del  leone,  a  Per- 
seo lo  scudo  di  Medusa  . 

Conte.  La  vostra  ragione  conchiude,  ma  non  persuade. 

Forestiero.  Forse  perchè  l'uomo,  come  dice  Aristo- 
tele nel  primo  libro  della  generazione  degli  animali,  è 
animale  notissimo,  e  noi  ricerchiamo  cose  ignote. 

Conte  .  Per  questa  cagione . 

Forestiero.  Ma  le  cose  note  non  sogliono  significar 
r  ignote  piuttosto;  ma  se  peravventura  vi  spiace  la  notizia, 
e  la  soverchia  somiglianza  ,  e  non  volete  meco  gloriarvi , 
eh  essendo  l'uomo  immagine  di  Dio  ,  con  niun'altra  simi- 
litudine può  meglio  esprimere  i  suoi  concetti ,  che  con 
quelle,  le  quali  sono  celesti ,  ed  immortali  ;  ma  se  non  vo- 
lete che  il  Principe  ,  simulacro  di  Dio,  figuri  la  sua  inten- 
zione col  Sole,  ch'è  l'altro  simulacro,  cerchiamo  l'imma- 
gine dal  genere  più  vicino  ,  e  piuttosto  dal  leone  ,  che  dal- 
lo ippopotamo  ,  o  dal  cocodrillo:  e  voi  ne' vostri  amorosi 
desideri  non  vogliate  esser  così  segreto,  e  non  seguite  lo 
similitudini  più  lontane,  e  l'immagini  men  conosciute,  in 
modo  che  altri  non  possa  scoprire  il  vostro  pensiero . 

Conte  .  Questo  non  farò  io  ,  ma  cercherò  d'occultarlo  , 
quanto  sarà  possibile,  e  solo  alla  mia  donna  aprirò  la  mia 
intenzione  con  quelle  chiavi  del  mio  cuore,  ch'ella  sa  vol- 
gere così  soavemente. 

Forestiero.  Concedasi  adunque  l'esser  tanto  misterio- 
so nelle  figure, quanto  arguto  no'  motti:  e  se  amate  meglio 
di  piacere  a  lei  sola,  che  a  mille  severi  giudici,  scegliete 
le  parole  Spagnuole  ,  e  non  rifiutate  le  vostre  Italiane;  so- 
lamente fate  ch'elle  abbiano  del  gentile,  e  del  peregrino; 


O  DEIJ/  IMPRESE  899 

lasciato  le  Latine,  e  le  Greche  ,  e  l' Ebraiche,  e  le  dldce 
a  questi,  die  circano  gloria  di  scienza  singolare  ,  e  di  es- 
quisitx»  dottrina ,  e  di  cognizione  di  molte  favelle  barbare  e 
straniere . 

Come.  Io  mi  atterrò  al  vostro  consiglio,  se  mai  mi  po- 
trà cader  nell'animo  di  far  segno  d'alcun  mio  occulto  pen- 
siero ,  o  d'amorosa  passione .  Ma  ecco  che  giungono  i  coc- 
chi, sarà  tempo  dipartire,  ec. 


Fine  de' Dialoghi. 


INDICE 


Al  molto  Magnifico    Signor  Alessandro   Pocater- 

ra P^g.        I 

//  Gonzaga  Secondo,  ovvero  del  Giuoco    ...       3 

//  Beltramo,  ovvero  della  Cortesia 4' 

Alla  Serenissima  Granduchessa  di  Toscana     .     5i 

//  Rangone,  ovvero  della  Pace 53 

Alla  Serenissima  Signora  Duchessa  di  Mantova.     6  7 

Il  Ghirlinzone ,  ovvero  V Epitaffio 69 

//  Forestiero  Napoletano,  ovvero  della  Gelosia .  85 
//  Gianluca  ,  ovvero  delle  Mascliere  .  .  .  .  .97 
//  Minturno,  ovvero  della  Bellezza  .  .  .  .107 
Al   Serenissimo  Granduca  di  Toscana  Ferdi^ 

nando  de*  Medici i33 

//  Costantino  ,  ovvero  della  Clemenza  .     .     .     .   1 87 

//  Porzio  ,  ovvero  delle  Virtù i63 

Al  Molto  Illustre  Signor  Paolo  Grillo     .     .  <  .  239 

//  Cataneo,  ovvero  de gV Idoli -x^y 

Il  Manso  ,  ovvero  dell'  Amicizia 7.73 

Al  Illustrissimo  e  Reverendissimo  Signor  Cintio 

Aldobrandini  Cardinale  di  S.  Giorgio     .     .317 
//  Conte,  ovvero  dell'  Imprese 319 


AL  SEP.  ENISSIMO 

SIC.  VINCENZO  GONZAGA 

rRINCIPE  DI  MANTOVA   E  DI  MONFERRATO. 


J-  Cinto  Vostra  Altezza  è  ricca  cV  ogni  ornamen- 
to ,  quanto  io  povero  di  ogni  proteziorte  ;  onde 
nel  dedicarle  questo  Dialogo  non  faccio  a  lei 
alcun  onore  ;  ma  da  lei  ricerco  alcun  favore.  Egli 
è  scritto  secondo  la  dottrina  de'  Platonici  ^  la 
quale  in  molte  cose  è  diversa  dalla  Verità  Cii- 
stiana.  Laonde  non  dehbe  alcuno  maravigliarsi 
eh'  io  abbia  posti  v a rj  mezzi  fra  gli  uomini  e  Dio, 
se  ne  posero  non  sol  molti  filosofi ,  ma  S.  Ber- 
nardo medesimo ,  che  chiamò  gli  Angeli  media- 
tori ,  benché  Santo  Agostino  dica  ch'uno  sia  il 
Mediatore;  né  ch'io  in  qualche  patte  non  ri- 
prenda i  giudicj  dell' Astrologia ,  i  quali  sono  da 
lui  riprovati  e  condannati;  o  ch'io  nella  crea- 
zione dell' uo/no  abbia  voluto  seguir  l'opinione 
di  Platone,  ripresa  da  Santo  Ambrosio;  avvegna- 
ché noti  volendo  trattarne  come  teologo,  non 
istimava  sconvenevole  lo  scriverne  platonicamen- 
te; e  tutti  gli  altri  modi  mi  parevano  pili  contra- 
rj  alla  vera  Teologia  .  Ma  perché  tutti  i  filosofi 
debbono  ricercar  la  verità,  quantunque  non  per 
la  medesima  strada ,  io  per  questa  ricercandone, 
da  quella,  eh'  é  somma  verità^  ho  cercato  di  non 
molto  aUontanarmi .  Vostra  Altezza  adunque  il 
legga  come  opera  d'uomo,  che  scrive  come  Fi- 
losofo, e  crede  come  Cristiano;  e  come  tale  ver- 


rei  che  dagli  altri  fosse  veduto  :  ma  se  anco  nin- 
no il  leggesse ,  ella  mi  sarebbe  invece  di  molti: 
né  io  desidero  che  si  divolghi  per  le  mani  degli 
uomini,  se  non  perdi'  egli  a  chiunque  il  leggerà 
sia  un  testimonio  deW  affezione,  ch'io  le  polito,  e 
del  desiderio  ,  che  ho  di  senz'irla  ;  onde  quando  a 
l^.  y^.  non  piacesse  di  farmi  grazia  di  conservarlo, 
amo  meglio  di  vederlo  morto  sotto  il  suo  nome 
che ,  sotto  t altrui,  vivere  lungamente  con  isperan- 
za  d' eternità.  Consideri  nondimeno  Vostra  altez- 
za, s'alia  sua  grandezza  si  conviene  di  lasciar  pe- 
rire ingiustamente,  o  almeno  rigorosamente ,  chi 
sotto  l' ombra  del  suo  favor  s' è  riparato;  e  s' as- 
sicuri che  nella  iuta  della  presente  operetta 
conserverò  viva  perpetuamente  la  mia  devozio- 
ne; e  senza  più  le  bacio  uniilissimamente  la 
mano . 


Di  V.  Altezza  Serenissima 


Devotiss.  Servitore 
Torquato  Tasso. 


IL 

MESSAGGIEPx^O 

DIALOGO 


I ora  già  l'ora,  die  la  vicinanza  del  Sole  cotiiincia  a  ri- 
schiarare l'Onzzonle,  quando  a  ine,  che  nelle  delicate  piu- 
me giaceva  consensi  non  fortemente  legati  da!  sonno,  ma 
così  leggiermente,  che  il  mio  stato  era  mezzo  fra  la  vigilia 
e  la  quiete,  si  fece  all'orecchio  quel  gentile  Spirito,  che 
suole  favellarmi  nelle  mie  imaginazioni,  e  mi  chiamò  per 
quel  nome,  ch'è  comune  a  tutti  quelli,  i  quali  sono  nati 
nella  nùa  stirpe.  Io,  udendo  quella  voce  così  piana,  e  così 
soave,  risposi  incontinenti:  mi  pare  di  conoscere  la  tua  vo- 
ce alla  sua  soavità,  perciocché  non  suona  come  l'altre  mor- 
tali favelle;  ma  in  modo,  ch'io  argomenterei  che  tu  fossi 
spirito  del  Paradiso,  che  pietoso  de' miei  affanni  discen- 
dessi dal  cielo,  se  tu  non  mi  paressi  più  presto  alla  conso- 
lazione, che  aU'ajuto  ;  ove  gli  Angioli  non  soglion  recar 
men  di  soccorso,  che  di  conforto.  Ma  s' Angelo  non  sei,  né 
anima  felice ,  che  puoi  essere?  Demone,  o  anima  infelice 
non  istimo  che  tu  sii  ;  né  so  se  i  notturni  fantasmi  siano 
alcuna  coi^a  oltre  queste;  che  forse  crederei  la  tua  voce  es- 
sere alcun  di  quelli  ,  de' quali  disse  il  nostro  poeta 

Mai  notturno  fantasma 

D'  error  non  fu  sì  pien^  cotn'  ei  ver  noi . 
A  queste  parole  lo  Spirito  l'alzò  in  guisa,  che  non  mi  era 
paruto  mai  di  udirlo  sì  forte  favellare;  ma  benché  egli  ra- 
gionasse come  sdegnoso,  lo  sdegno  nondimeno  era  mesco- 
lato con  la  soavità  della  sua  voce,  e  i  suoi  detti  furon  tali: 
Ingrato  ,  dunque  potesti  mai  credere  ch'io  lussi  fantasma 
pien  d'  errori?  All'  ora  io  ?nezzo  fra  vergogiujso  e  dolente: 
deh  non  t'  offenda  ciascvina  ruia  parola  ,  e  se  non  vuoi  con- 
cedere alla  mia  ignoranza  il  poter  dubitare  .  concedi  alme- 


IV  IL  MESSAGGirPtO 

no  al  mio  affanno  ch'io  possa  lamentarmi  ;  e  siami  lecito 
di  poter  dir  a  te  ciò,  che  alla  madre  Dea,  che  sotto  men- 
tile forme  gli  appariva,  disse  Enea  perseguitato  dall' ira 
di  Giunone: 

Quid  natuni  toties  crndclis  tu  quoque  falsi  s 
Ludi^  iinaginìbiis  ?  cur  de.iHra  jungure  dexlram 
Nili  datur?  ac  ve  ras  audire  ^  et  reddere  voces  ? 
BpocI  è  tanto  sei  tu  più  di  lei  crudele,  quanto  ella  pure  in 
alcun  modo  sotto  alcun  corpo   gli  s' appresenlava  agli  oc- 
cl  i  :  ma  te  n^.n  viddi  io  giammai  ;  e  solo  odo  la  voce   tua  , 
la  cjuale  è  jiur  argomento  che  tu   ahhi  corpo,  perciocché 
la  voce  formar  non  si  può  senza   lingua  e  senza   palato.  E 
fé  l'hai,  percliè  noi  dijuostri?  forse  sei  più  dolce,  che  hello, 
e  f<  rs  ■  questo  è  sogno,  e  tu  altro  non  sci,  che  fattura  del- 
la f.iia  iinmaginayione  ;  e  sogni  sono  slati  tutti   i  ragiona- 
ri:e:iti    che  tcco  ho  fatti  per  l'addietro,  conciosiacosachè, 
mentre  il  corpo  dorme  ,  1  anima  non  suole  star  oziosa  ,  ma 
non  potendo  esercitarsi  intorno  agli  obbietti  esteriori ,  si 
•volge  a  quelle  i.nagini  delle  cose  sensibili,  delle  quali   el- 
la ha  fatta  conserva  nella  mefiioria ,  e  di  loro  compone  va- 
rie forme,  in  modo  che  non  è  cosa  fuor  di  noi,  clic  dentro 
simile  al  vero  non  possa  figurare,  e  molte  volte  accoppia 
quelle,  che  non  si  possono  accoppiar  per  natura.  Laonde  io 
dubito  tuttavia  di  sognare  e  di  sillogizzar  sognando,  e  die 
questa  mia  non  sia  veduta  ,  o  odila  ,  ma  di  udire  e  di  vede- 
re imaginazione .  A  queste  parole  parve    che   sorridesse  Io 
S[>irito,e  sorridendo  rispondesse:  Il  tuo  vaneggiare  nato 
d' ifflimiio ,  rivol^f  in  riso   ogni    mio  disdegnose    aspetto 
oiriai  ci  e    tu   iIk  a   ehe  io   sia   non  quel  fantasma  ,  che   de- 
scrissr  i!  tuo  Poeta,  ma  siuiile  a  quello,  che  incantò  la  buo- 
na   f.'Miina.  dicendoli:    Fantasima ,   Fantasima ,  che    di 
notte  vai ,  a  coda  ritta  te  ne  venisti ,  ed  a  coda  ritta  te 
n'andrai  Al  (piai  però  non  prina  si   parti,  che   le  vivande 
ascose  T»el  giardino  aves-e  mangiate. 

NondÌMieno  perchè  io  in  gnisa  mi  rido  di  te,  che  n'ho 
insieme  compassioime ,  rimoverò  da  te  que'dubbj,  che  mi 
8  rà  conceduto  di  rimovere  ;  e  piTchè  tutta  la  vostra  co- 
gnizione è  o  di  senso,  o  d'iulellelt<ì .  io  e  col  senso,  e  con 
ia  iasione  son  per  manifcslarli  tanto  oltre   di   me,  quanto 


Il  messaggiéro  v 

per  avventura  non  credesti  giammai  di  poter  sapere.  E  co- 
minùando,  dico  che  se  tu  dormissi,  non  potresti  uè  ve- 
dere, né  udire;  perciocché  il  sonno  è  legamento  di  ciiscua 
senso,  ma  tu  vedi,  e  per  chiarirti  meglio  di  ciò,  volgi  gli 
occhi  al  balcone,  e  vedrai  che  per  le  sue  fissure  già  en- 
tra il  nuovo  Scie  sì  puro,  e  si  chiaro ,  ch'è  indizio  di  t'elice 
giornata .  Odi  parimente  la  mia  voce  così  distinta  ,  che  non 
Lai  di  che  dubitare .  Ed  acciò  che  il  tatto,  ch'è  certis- 
simo, oltre  tutti  i  sensi,  maggiormente  nella  credenza  del 
vero  ti  confermi ,  prendi  la  mia  destra,  ch'io  la  li  porgo  a 
baciare,  e  la  ti  do  per  pegno  di  fede.  Qui  tacque  lo  Spiri- 
to ,  e  sentii  che  col  fine  delle  parole  mi  porse  la  mano,  ed 
io  la  presi  in  quel  modo,  ch'è  uso  de'Tedeschi  di  toccar  la 
destra  de' principi,  quando  s'inchinano  per  far  lor  rive- 
renza. Ma  non  cessando  però  in  me  tutti  i  miei  dubbj,  così 
replicai:  Ben  so  io  che  il  sonno  sopisce  tutti  i  sentimenti 
esteriori  ;  ma  so  anche  ch'egli  non  solo  impedisce  la  ima- 
ginazione, ma  forza  ed  ajuto  le  ministra;  laonde  quanto 
ella  sarà  più  forte,  tanto  io  meno  potrò  accorgermi  di 
dormire;  ma  per  avventura  m'avvedrò  poi  d'aver  dorini- 
to.  Oltre  a  ciò,  s'a  quella  visione  solamente  dobbiam  cre-^ 
dere,  la  qual  in  guisa  sia  vera,  che  non  possa  esser  falsa, 
come  posso  prestar  credenza  a  questa  mia  ,  la  quale  può 
esser  fallace?  E  s'ella  è  siffatta,  non  può  esser  compresa  e 
conosciuta,  e  indarno  ricorro  al  testimonio  de' sensi,  nei 
quali,  se  desti  fossero,  non  sarebbe  il  giudicio  della  veri- 
tà ;  quanto  meno  ,  or  che  sono  sopiti .  A  queste  parole  udi'i 
ridere  più  forte  lo  Spirito,  e  ritirar  a  se  la  sua  mano;  poi 
così  cominciò  a  favellare. 

Quello,  ch'è  ohbietto  de' sensi  esteriori  ,  e  quel  che 
s'imagina  sognando,  è  molte  fiate  così  somigliante,  che  d.i 
uomo,  che  sogni,  non  può  esser  distinto  ;  ma  ben  colui, 
ch'è  desto,  può  la  differenza  delle  cose  vere,  e  dell'appa- 
renti agevolmente  conoscere:  perchè  se  i  sensi  sanie  vi- 
gorosi non  potessero  giudicare  della  verità  ,  niun  giudicio 
ne  lasceresti  alla  mente,  nella  quale  tu  non  istiuii  esser 
cosa  alcuna,  che  non  sia  prima  stata  nelle  sentimenta,  se 
non  hai  mutata  opinione:  e  se  tu  ti  recherai  a  mente  alcun 
sogno  passato,  e  col  mio  ragionamento,  e  con  gli  altri, 


"V'I  IL  MESSAGGIERO 

c'iio  teco  avuti  il  paragonerai  ,  di   leggieri    l'avvederai  di 
non  sognare,  perchè  l'assi^nso,  che  presU  colui,  che  dor- 
me,  al  sogno,  è  inolto  debile:   dubita,  vacilla,  ed   alcuna 
volta  s  accorge  di  sognare,  e  sognando  dice  :  io  sogno.  Ol- 
tre a  ciò,  ne' sogni  non  è  ordine,  né  continuazione,  ma  in 
questo  ragionamento  tu  intendi  come  ogni  cosa  sinora  con- 
tinova  ordinariamente  :  e  se  pure  i  sogni  sono    talora  or- 
dinati, non  dico  quelli  degl'infermi,  o  degli  ubriachi,  i 
quali  sono  torbidi  e  confusi,  e  per  la  stemperata  agitazion 
degli  umori,  e  per  la  copia   de' fumi  sovercVii ,   rendono 
r  i.nagini  distorte  ,  e  perturbate;  ma  di  que' parlo,  i  quali 
sogliono  fare  alcuna  volta  gli  uomini  savi,  e  temperali  . 
Niuna  cosa  nondimeno  s'ode  in  loro  simile  al  nostro  ragio- 
namento, il   quale    avrà  le  sue  parti  composte  con  tanta 
proporzione  ,  che  parrà  che'l  vero  col  vero  faccia  armonia. 
Laonde  se  mai  di  lui  ti  sovverrà,  non  istimerai  che  debba 
tra  sogni  essere  annoverato.  Di  sogno  si  parrà  che  meriti  il 
nome   più  convenevolmente  gran  parte  della  tua  vita  pas- 
sata ;  perciocché  in  lei  nulla  rimirasi  di  vero,  nulla  di  sin- 
cero e  di  puro,  nulla  in  somma  di  stabile  e  di  costante;  ma 
quelle  che  si  mostrarono  a"  tuoi  scusi ,  furono,  per  così  di- 
re, larve  del  vero,  e  imagini  di  quelle  che  sono  veramente 
essenze,  le  quali  quag|;iù  non  si  possono  vedere  da  chi  ab- 
bia gli  occhi  appannati  dal  velo  dell'umanità;  ma  quando 
tu  gli  aprirai  nell'altra  vita  ,  che"  sola  è  vita,  si  manifeste- 
ranno in  guisa  che  de  |suoi  passati  affanni  ti  riderai.  Cosi 
disse  lo  Spirito  ;  ed  io:  A  me  pare  che  tu  vogli  intendere 
delle  Idee,  delle  quali  molte  volte  ho  udito  molte  cose 
nelle  scuole  de' Filosofanti  :  ma  possono  elleno  esser  vedu- 
te in  questo  mondo  ?  Possono  ,  rispose  ,  por  grazia  d'  alcun 
cortese  Spirito,  il  quale  altrui  sia  cosi  aulico,  come  io  so- 
no a  te  peravventura.  Per  grazia  di  Venere  le  vidde  Enea: 
riduci  a  memoria  i  versi,  o  il  Poeta  tanto  da  to  onorato; 
Clini  niihi  se ,  non  ante  oculis  lani  darà  videndant 
Obtulit,  et  pura  per  noctem  in  luce  refulsit 
Alma  pareasy  confessa  De.ani  ;  qualisque  videri 
Coelicolis ,  et  quanta  solet . 
Vedi  ch'ora  ella  al  figliuolo,  non  immascherata  nella  uma- 
nità ,  ma  come  Dea  si  dimostra  ,  e  soggiunge  ; 


IL  MESSAGGIERO  VII 

Aspìce:  namque  omneni ,  quac  nunc  obducta  tuenti 
Murlalts  hcbetat  visus  tibi,  et  huinìcla  circuni 
Caligut  ,  nube  ni  eri  pi  ani  :  tu  ne  qua  parentis 
Jussa  tinie ,  neu  praeceptis  parere  recusa . 
Hìc  ubi  disjectas  moles,  avulsaque  saxis 
Saxa  vides ,  mixtoque  undantem  puli'ere  fumuntf 
Ntptunus  inuros,  niagnoque  eniota  tridenti 
Fundanienla  quatit ,  totamque  a  sedibus  urbent 
Eriàt    Hìc  Lino  Scaeas  saevissìnia  portas 
Prima  tenet ,  sociunique  furens  a  navibus  agnien 
Ferro  accinta  vocat. 

lani  suninias  arces  Tritonia  (  respice  )  Pallas 
Insedi t,  nimbo  effulgens  et  gorgone  saeva^ 
Ipse  pater  Danais  animos  viresque  secundas 
Sufficit  :  ipse  Dcos  in  Dardana  suscitat  arnia . 
Voleva  oltre  seguir  lo  Spirilo ,  ma  io  troppo  volenteroso 
interruppi  le  parole,  e  dissi:  A  me  pare  ch'Enea  in  que- 
sto luogo  non  vegga  l'Idee,  ma  l'Intelligenze;  perciocché 
Nettuno,  Palla,  Giove,  e  Giunone  altro  non  sono,  che  l'In- 
telligenze t!i  quelle  sfere  ,  che  loro  sono  attribuite.  Troppo 
frettoloso  sei  stato,  rispose  lo  Spirito,  in  prevenir  le  mie 
parole  ,  ma  se  bene  ti  ricordi  quel,  'ch'io  dissi,  non  affer- 
mai eh'  Enea  vedesse  l'  Intelligenze  ;  ma  dissi  che  per 
avventura  le  vide,  ed  accortamente  cosi  parlai,  perchè 
Giunone,  e  Nettuno  altro  non  sono,  che  l'Intelligenze  del- 
l'acqua ,  e  dell'aria;  e  Venere  altro  non  è  ,  che  la  mente, 
che  del  terzo  Cielo  è  movitrice:  ma  a  Pallade  niun  Cielo,  o 
niun  Orbe  è  attribuito ,  sicché  si  possa  dire  ch'ella  sia  in- 
telligenza al  governo  d'alcuna  sfera  sovrapposta;  ma  ella  , 
cbe  nacque  della  mente  di  Giove  è  l'Idea  universale  del 
mondo,  la  quale  è  parto ,  e  figliuola  d'Iddio  primogenita  , 
Qui  si  tacque  lo  Spirito,  ed  io  ripien  di  meraviglia .  or 
m' accorgo,  dissi,  d'esser  desto,  o  almeno  vicino  al  destar- 
mi, e  d'aver  dormito  tutto  quel  tempo, che  leijjgendo.  e  ri- 
leggendo il  famoso  Poeta, alla  considerazione  di  sì  fatte  co- 
se non  ho  aperti  gli  occhi.  Ma  se  tu  sei  tale  a  me,  quale 
era  Venere  ad  Enea  ,  s'ella  era  Dea  dell'amore,  tu  pari- 
mente Spirito  amoroso  dei  essere;  e  s'ella  per  grazia  gif 
si  mostrò,  e  della  vista  delle  Idee,  e  delle  Intelligenze  il  (è 


YIII  ir    WESSAGGIERO 

dei^no,  tu  a  me  non  ti  dei  nastoinl.-r  ,  nr  la  veduta  di  que- 
ste cose  mirabili  invidiarmi,  P  ù  v  liic-.Ii,  :  impose  lo  «Spirito, 
di  quel  eli  ora  a  le  sia  lecito  di  dcsiderap'  ,  o  cL'a  me  di 
dare  sia  conveniente  ^  ma  in  yrau  parte  nondiuieno  del  tuo 
desiderio  rimarrai  soddislatlo;  perchè  di  due  modi,  co'qua- 
li  gli  spiiili  celesti  si  lasciano  vedere,  quello  eleyi^erò 
eh' è  più  UKato.  E  quali  sono  questi  due  modi?  risposi  io. 
L'uno  è,  rispose,  quando  essi  vi  purgano  in  modo  la  vista, 
che  siale  atti  a  sostener  la  luce  loro  :  l'altro,  quando  si 
circondano  di  c>rpo,  che  possa  essere  obbietti)  dt;'  vostri 
sentimenti.  Se  gli  vedete  nella  prima  maniera,  voi  vi  tran- 
sumanate (  per  così  dire  ),  e  sgombrate  dagli  ocelli  della 
mente  col  lume  loro  tutti  i  fantasmi  p  tulle  le  false  imagi- 
ni ,  le  quali  non  altrimenle  variano  e  perturb.mo  la  cogni- 
zione delle  cose  intelligibi'i ,  di  quel  che  sogliano  i  vapo- 
ri, elle  dalla  terra  si  soilnvano  nell'aria  ,  cangiar  l'aspetto 
d  alcuna  stella  ,  la  qual  molto  dalla  sua  sembianza  si  tra- 
muta ,  ed  or  maggiore,  or  minore  appare ,  or  piìi ,  or  meo 
colorata,  che  non  apparirebbe,  se  non  fosse  così  latta  in- 
terposizione .  Ma  se  l'immortali  forme  nella  seconda  ma- 
niera a  voi  si  dimostrano,  non  vi  transumanate  voi;  ma  esse 
si  vestono  d'umanità  ,  cioè  di  corpo,  e  di  moto  ,  e  di  tutte 
quelle  altre  circostanze,  che  accompagnano  la  natura  visi- 
bile e  corporea.  Questi  due  modi  ben  conobbe  il  tuo  glo- 
rioso Poeta  5  perchè  dove  Enea  vede  Venere,  e  per  sua 
grazia  le  Idee  e  le  Intelligenze  vuob  intendere,  egli  si  solle- 
va con  la  conteirqjlazione  sovra  l'umanità,- ma  quando  Ve- 
nere gli  appare  sotto  corpo  iittizio  ,  o  quando  Mercurio 
gii  è  mand.ito  da  Giove,  luno,  e  l'altro  di  loro  ricopren- 
do la  divinila  si  fan  veder  nel  modo,  col  quale  da'puortali 
possono  esser  veduti.  Quinci  avviene  che  '1  tuo  Poeta  in 
quel  luogo,  nel  (juale  Venere  ad  Enea  si  dimostra  come 
Dra  seco,  non  descrive  l'abilo,  né  il  corpo j  ma  dice  sola- 
mente : 

Et  pura  per  noctcni  in  luce  refulsit 

Alma  purens,  confessa  Deain  ;  qualisque  videri 

Cuelicolis ,  et  quanta  solet . 
Perciocché  la  luce  altro  non    significa  appresso   lui  che  la 
cognizione,  la  quale  s'acquista  con  la  contemplazione.  Ma 
di  Mercurio  è  scritto  : 


IL  MESSAGGIF.P.O  IX 

.....  Ille  patris  magni  parere  parahat 
Imperio:  et  primum  pedi  bus  talaria  nectil 
Aurea ,  (piae  subliniem  alis  ,  iiVe  aequora  supra, 
Seu  terram  ,  rapido  pariter  ciim  flamine  portant. 
Tarn  ^'ir^am  capii  .-  hac  animas  ille  evocai  orco 
Pallente^,  alias  sub  tri  stia  tartara  mitlit, 
Dat  soninos  ,  adimitque  ,  et  lumina  morte  resignat . 
Illa  frelus  agit  s^entos ,  et  turbida  traiiat 
Nubi  la. 
E  poi  quando  Mercurio  sparisce,  più  chiaramente  appare 
ch'egli  s'era  veslito  in  corpo  aereo,  io  que' versi: 

Tuli  Cj  lleiiius  ore  locutus 

Morlales  i>isus  medio  sermone  reliquìt , 
Et  procul  in  tenuent  ex  oculis  ev>anuit  auram. 
Parlo  teco  volentieri  co'versi  di  questo  Poeta,  perchè  l'hai 
in  tanta  venerazione  ,  ch'alia  suii  autorità  non  altri  nent», 
che  a  quella  de' maggior  Filosofi,  presti  fde,  la  quale  al- 
cuna volta  ebbe  non  minor  forza  nell'ani  no  tuo,  clic  la  ra- 
gione stessa.  Laonde  voglio  ditnostrrirti  un'altra  diireren- 
za  ,  ch'egli  pone  fra  gli  Dei,  quando  si  vestono  di  corpo 
aereo,  ed  i  fantasmi.  Or  ramnientati  della  descrizione  del 
fantasma  ; 

Tuni  Dea  nube  cava  tenueni  si  ne  viri  bus  wn  brani , 
Infaciem  Aeneue  (  visu  mirabile  monstrum) 
Dardanijs  ornat  telis:  clypeumque ,  jubasque 
Divino  assimulat  capiti ,  dat  inani  a  verba  , 
Dat  sine  mente  san  i:n ,  gressusque  e/fingit  euntis . 
Ed  appare  da  lui   che'l   fantasma  è  ombra    senza    forze, 
ed  ha  parole  vane,  e  suono  senza  intelletto,-  le  quali  condi- 
zioni a  me  in  alcun  modj    non   si   convengono  ,  perciocché 
le  parole  mie  son  piene  di  sentimento,  e  '1  suono  è  si"nifi- 
catore  de'miei  concetti.  Solo  potresti  dubitare  s'io  avessi 
forze,  o  no;  ma  se  l'intellett)  e  la  volontà  sono  forze  ,  non 
hai  di  che  dubitare.  Qui   si  tacque  lo  Spirito,  ed  io  quan- 
tunque desiderassi  di  saper  più  oltre  ,  non  ardiva  di  rico- 
minciar il  ragionamento,   temendo  pure  ch'egli  fosse  di 
soverchio  gravato    dalla  mie    importune  dimandi*  ,  (junndo 
egli,  che  della  mia  temenza  s'accorse,  così  soggiunse:  Ecco 


X  IL  !-vIESSA.GGIERO 

io  comincio  a  soddisfare  in  parte  al  tuo  desiderio,  e  voglio 
che  tu  mi  veyija  vestito  di  corpo  velocissimo  e  Id'ninoso  , 
al  quale  tu  non  vedesti  mal  alcun  soaiigliante ,  ma  è  di  na- 
tura assai  simile  a  quollo  ,  che  l'anima  tua  portò  seco  dal 
Cielo,  quando  a  cotesto  corpo  si  congiunse;  p'^rcioccliè  hai 
tu  a  sapprp  che  diihcil mente  l'anima  vostra  pura  ,  e  sem- 
plice, ed  immortale  si  potrehbe  accompagnare  con  cotesto 
miste,  e  oadu(;he  membra  terrene,  s'ella  col  iiiezzo  d'un 
corpo  più  puro,  e  più  lieve,  e  sottile  non  s'acco'npagnas- 
se.  Riguardando  dunque  tu  il  mio  aspetto,  potrai  in  purte 
giudicare  qua  I  sia  quel  corpo,  che  quasi  molle  scorza  den- 
tro dura  scorza  ,  dentro  csitesta  tua  esteriore  cortesia  si 
lìnchiude.  Al  fine  di  queste  parole,  quasi  un  turbine  di 
vento  percosse  nelle  finestre,  e  violente  neute  le  ap-rse  ,  e 
mille  raggi  di  Sole  mattutino  illustrarono  tutta  la  camera, 
e  '1  letto,  nel  quale  io  giaceva;  e  nella  b  llissifua  luce  m'ap- 
parve un  giovine  ,  ch'era  ne'  confini  della  fi  nciullezza  e 
della  gioventù,  ii  quale  nun  avea  le  guancie  d'alcun  pelo 
ricoperte.  Egli  era  di  corpo  proporziona tissimo,  bianco  e 
biondx»  sì,  che  l'avorio  e  l'oro  sirebbono  stati  vinti  dal 
color  delle  sue  carni  e  de'capegli  :  aveva  gii  occhi  azzurri 
simili  a  quelli,  che  da'poeti  sono  lod.iti  in  Minerva, ne'qua- 
li  scintilliva  una  luce  si  fitta  nente,  che  benciiè  io  fossi  da 
lei  ahbagliato,  prendea  nondimeno  diletto  di  rimirarlo.  Era 
vestito  d'un  sutlilissimo  velo,  che  nulla  o  poco  ricopriva 
della  sua  bella  persona  in  modi  assai  diverso  da  quello, 
che  oggidì  vediamo  usare .  Io  rimasi  a  quella  vista  tutto 
pieno  di  maraviglia  e  di  stupore;  ma  poiché  io  ebbi  spazio 
di  raccormi  in  me  stesso,  così  cominciai  a  favellare:  la  lu- 
ce della  tua  amorosa  sembianza  mi  pare  anzi  angelica  che 
no;  onde  se  tu  avessi  l'ale,  stimerei  che  tu  fossi  uno  di 
quegli ,  a' quali  fu  detto 

Voi  di  intendendo  il  terzo  ciel  movete. 
Ma  se  tu  sei  un  di  coloro ,  perchè  1'  hai  deposte?  Forse  sei 
di  quelle  anime,  che  vivono  in  loro  compagnia?  Così  io  dis- 
si, ed  egli  rispose:  s'io  fossi  uno  de'cclesti  Amori  (clie 
spirito  che  muova  l'appetito  concupiscibile  certo  non  so- 
no )  potrei  aver  l'ale,  e  agli  occhi  tuoi  manifestarle,  per- 
ciocché l'anima  tua  medesima  ha  due  ale,  le  quali  tu  non 


IL  MESSAGGIEllO  XI 

vedesti  giammai.  IMa  il  princip'"  di  quelli,  che  muovono  il 
trrzo  ciclo  ,  le  ha  così  grandi,  die  (juasi  tutto  il  uioiuli  ne 
può  esser  ricoperto,  Tuna  delle  quali  si  stende  verso  l'orieu- 
le  ,  l'altra  verso  l'occidente  ;  e  quando  è  nel  suo  cielo,  ha 
la  faccia  volta  verso  il  settentrione,  e  le  spalle  rivolte  al 
meizogiorno.  Così  con  parole  magnifiche  diceva  lo  Spirito; 
ed  io  ,  parendomi  ch'egli  a  me  non  si  volesse  manifestare, 
Lenchè  avesse  alcuna  somiglianza  di  persona  già  veduta  da 
me,  gli  dissi  :  non  istimo  che  tu  sii  angelo  o  demone;  ma 
anima  umana,  che  per  mia  satisfazione  appaja  nel  suo  cor- 
po. Perciocché  ora  che  la  tua  luce  più  non  m'abhaglia,  co- 
mincio a  raJTigurare  il  tuo  aspetto,  e  parmi  d'averlo  molte 
volte  veduto  quando  eri  congiunto  con  le  tue  membra. 
Quantunque  questo  fosse  vero, rispose  lo  Spirito,  nondime- 
no io  son  contento  di  soddisfare  alle  tue  curiose  dimande, 
con  patto,  che  fornito  questo  ragionamento,  tu  non  sii  vago 
di  sapere  più  oltre  di  ciò,  ch'a  te  fa  di  mestieri.  Sappi  dun- 
que che  non  repugna  che  '1  mio  corpo  sia  celeste  ,  e  ch'in- 
sieme sia  aereo:  perchè  se  ben  quel  Filosofo,  clie  piìi  dal 
vulgo  è  tenuto  in  pregio,  giudicò,  che  'I  Cielo  fosse  d'es- 
senza affatto  diversa  da  quella  dei  quattro  elementi,  se- 
guendo nella  sua  investigazione  produce  il  movimento,  il 
quale  essendo  nel  Cielo  d'altra  maniera,  che  non  è  ne'cor- 
pi  gravi,  e  leggieri ,  fa  argomento  ch'egli  sia  di  natura  di- 
verso: nondimeno  il  Maestro  suo,  che  maggiore,  e  più  alta 
cognizione  ebbe  di  noi,  e  delle  cose  tutte  di  lassù,  in  par- 
te diversamente  giudicò ,  e  stimò  egli  che  il  Cielo  fosse 
composto  di  quattro  elementi,  non  delle  parti  loro  più  im- 
monde, e  più  corruttibili,  o  (  per  cosi  dire  )  della  feccia, 
ma  delle  più  pure ,  e  semplici,  le  quali  hanno  le  virtù 
degli  elementi,  senza  le  imperfezioni  loro.  Eclie  sia  vero, 
riguarda  il  Cielo,  e  sì  vedrai,  ch'egli  ha  la  trasparenza 
dell'aria ,  e  dell'acqua,  e  la  luce  del  fuoco,  e  la  resisten- 
za della  terra,  quella  qualità  dico,  per  la  quale  è  corpo 
sodo,  e  atto  ad  esser  toccato:  e  tu  dei  aver  udito  alcuna 
fiata  dire  ch'Iddio  divise  l'acque  dall'acque,  e  che  co- 
lassù  ancora  è  acqua,  la  quale  qualora  le  cataratte  del 
Cielo  sono  aperte,  vegliamo  discender  precipitosamente  , 
SÌ  che  non  ti  dei  maravigliare  che  ci  sia  aere.  Non  ripugna 


Xn  IL  MESSAGGIERO 

dunque  eli' io  abbia  recato  il  mio  corpo  da!  Cielo,  e  cb  e- 
gli  sia  aereo;  ina  ciò  non  ti  niego ,  né  ti  afl'ertno,  percbè 
non  vo'  cbe  tu  ancora  sii  certo  s'io  sia  totalmente  aereo, 
cb' insieme  sia  celeste,  o  s'io  sia  semplicemente  aereo.  Co- 
munque sia,  ancora  molti  di  quelli  spirili  ,  cbe  del  Cielo 
sono  abitatori, per  non  abbagliar  gli  occbi  vostri  sovercbia- 
mente,  si  vestono  talora  di  questo  aere,  cbe  così  di  leg- 
giero si  risolve.  Appena  aveva  fornito  di  dire  lo  Spirito 
queste  parole,  cb'io  così  cominciai:  io  raccolgo  da'tuoi  det- 
ti ,  cbe  tu  sii  spirito  aereo  ,  o  celeste  ,  o  elementare ,  cbe 
tu  sii  ,•  e  concordando  quel  cbe  tu  dici  con  quel  ,  cb' altre 
fiate  mi  sovviene  d'aver  letto,  fo  giudicio  cbe  tu  sii  quel 
Genio,  cb'alla  mia  cura  è  posto,  a  cui  si  conviene  di  reg- 
gere,  o  d'indirizzar  l'opinioni;  percbè  quell'altro,  cb'è 
sovra  posto  all'appetito  concupiscibile  ,  e  cbe  l'inclina  al- 
la generazione,  è  della  natura  dell'acqua,  s'io  il  vero  n'bo 
appreso,  o  da  lui  ba  l'acqua  la  virtù  d'esser  piìi  di  cia- 
scuno altro  elemento  feconda  ,  come  dimostra  la  grandez- 
za doglianimali ,  cbe  produce,  de'quali  l'aria  è  molto  me- 
no abbondante  .  Ma  d'altra  parte  a  ine  pare  cbe  tu  sii  pur 
l'amore,  percbè  se  bene  non  muovi  il  mio  appetito  a  ge- 
nerar ne'  corpi ,  sento  nondimeno  scender  dagli  occbi  tuoi 
mescolata  co' tuoi  raggi  una  virtù,  cbe  trapassando  per  gli 
occbi  miei  nel  cuore ,  genera  in  me  desiderio  di  partorire 
alcun  bel  parto  in  alcun  animo  bello,  e  gentile:  e  l'anima 
mia  riscaldata  dalla  pioggia  de' raggi ,  arde  ,  e  sfavilla  di 
rimetter  l'ale,  cbe  ella  nel  suo  violento  precipizio  ingiu- 
stamente perdette:  ed  io  già  sento  quel  prurito  ,  cbe  sen- 
tono i  bambini  nel  mettere  i  denti ,  o  gli  augelletti,  quan- 
do di  novelle  penne  s'impiumano.  Ma  lasciando  di  ragionar 
dell'ali  mie,  alle  tue  ritorno  ,  e  queste  io  a  te  per  mia 
consolazione  vorrei  vedere;  e  se  tu  sei  colui ,  cbe  dagli  uo- 
mini è  cbiamato  Amore,  non  è  maraviglia  cb'a  tua  voglia 
possa  dcpor  l'ale  ;  ma  se  tu  non  sei  il  vulgare  ,  ma  il  cele- 
ste Amore,  quello,  cbe  voi  altri  con  lingua  dalla  nostra 
diversa  cbiamate  alato  ,  molto  mi  maraviglio  cbe  tu  soglia 
spogliartene;  percbè  quello  ,  s'io  il  vero  n'apparai ,  1'  ba 
sempre  seco,  e  vola  di  necessità  :  così  diss'io,  ed  egli  così 
rispose:  Questo   è    il  passo,   il   quale  io  vo  tener  ascosa 


IL  MESSAGGIERO  XIII 

ne' miei  secrfiti;  né  mi  piace  che  tu  iincora  te  ne  eli i pri- 
sca ;  ma  quando  io  pur  fossi  il  celeste  Aioore,  che  spirito 
niahgno  certo  non  sono,  potrei  aver  l'ale  ,  ed  agli  occhi 
tuoi  non  manifestarle  .  Egli  in  cotal  guisa  ragionava,  ed  io 
accorgendomi,  ch'egli  a  me  si  teneva  celato,  ne' miei  so- 
liti sospetti  ritornando  ,  così  cominciai  a  dubitai'e  .  A'^sai 
m'hai  tu  ben  provato  ch'il  mio  non  sia  sogno;  ina  per- 
ciocché fu  non  ogni  mio  dubbio  risolvi,  vo  pensando  se 
sia  possibile  che  questa  sia  ima  imaginazi.me  non  d'uomo  , 
che  dorma  ,  ma  d'uomo,  che  desto,  alla  fiintasia  si  dia  in 
preda  :  le  forze  della  virtù  imaginatrice  sono  incredibili ,  e 
se  ben  pare  ch'allora  ella  sii  più  possente,  quando  l'anima 
non  occupata  in  esercitare  i  sensi  esteriori,  iu  se  stessa  si 
raccoglie,  nondimeno  talora  avviene  ch'ella  con  vinlon- 
lissi;iìa  efficacia  sforzi -i  sensi,  e  gl'inganni  di  miinicra, 
ch'essi,  gli  obbietti  proprj  non  distinguono:  e  ciò  ho  io  ap- 
preso da  que' Poeti,  a'quali  è  ragionevole  che  molta  cre- 
denza si  presti  ;  perchè  il  Petrarca  dice, 
Che  perchè  mille  cose 
Riguardi  intento,  e  fiso, 
Solo  una  Donna  veggio,  e'I  suo  bel  viso. 
e  altrove 

Perocché  spesso  {or  chifia  che  mei  creda?) 
NelV acqua  chiara,  e  sovra  l' erba  verde 
Io  V  ho  veduta  ,  e  nel  Ironcnn  d'un  faggio  , 
£"/«  bianca  nube  sì  fatta,  che  Leda 
Avria  ben  detto  che  sua  figlia  perde , 
Come  stella  ,  che  '/  Sol  copre  col  raggio. 
E  prima  di  lu'  il  Principe  de' Poeti,  ragi(mando  di  Didone, 
innamorata  d'Enea,  dice: 

llluin  abscns  absentein  auditque  ,  videtque. 
E  poco  appresso; 

Eumeniduin  velati  dcmens  videt  agniina  Pentheus, 
Et  S  (tieni  gemi  nani  .  et  duplices  se  estendere  Tliebas; 
Aul  Aganieinuonius  scenis  agitutus  Orestes , 
Armataci  faci  bus  matreni,et  serpenti  bus  atris. 
e  Orazio  dalla  medesima  imaginazione  rapito  grida; 
Quo  me  Bacche  rapis  tui 


XIV  IL  MESSAGGIERO 

Plenum  ?  quae  nemora ,  et  quos  agor  in  speciis 
Velox  mente  no\>a  ? 
ed  iijipresso  : 
Ut  mihi  devio 
Repes  et  vacuum  nemus 
Mirari  libct  ?  O  Naiadum  potens^ 
Baccarwnque  valentiuni , 
Proceras  manibus  vertere  fraxinos. 
Né  Dante  si  mostra   meno  dalla  fantasia  sforzato,  qu^indo 
dopo  aver  visti  i  fantasmi  d'Assuero,  e  del  giusto  Mardo- 
cheo, e  di  Lavinia,  che  lagrimava,  proruppe  in  questa  e- 
sclamaxione  : 

O  ima^inativa,  che  ne  rube, 
Chi  move  te ,  se  'l  senso  non  ti  scorge? 
E  certo  egli  non  si  può  negire  che  non  si  dia  alcuna 
alienazione  di  mente,  la  quale,  o  sia   infirmità  di    pazzia  , 
come  quella  d'Oreste,  e   di  Penteo,  o  sia  divino  furore, 
come  quello  di  coloro,  che  da  Bacco,  o  dall'Amor  son  ra- 
piti, è  tale,  che  può  non  meno   rappresentar  le  cose   lalse 
per  vere  ,  di  quel  che  faccia  il  sogno,  anzi  pare  che  via  più 
possa  farlo,  perchè  nel  sonno  solo  i  sentimenti  sono  legati, 
ma  nel  furore  la  utente  è  impedita.  Onde  io  dubiterei  for- 
te che  se  fosse  vero  quel,  che  comunemente  si  dice  della 
mia  follia  ,   la   mia   visione  fosse  si'ni'^  a  quella  di  P«  nteo  , 
o  d'Oieste.Ma  perchè  di  niun  fatto  simile  a  quelli  d'Ore- 
ste e  di  Penteo  sono  consapevole  a  me  stesso,  come  ch'io 
non  nieghi  d'esser  folle ,  mi  giova  almen  di  credere  che 
questa  nuova  pazzia  abbia  altra  cagione.  Forse  è  soverchia 
maninconia  ,  e  i  maiiinconici ,  come  afferma  Aristotile  ,  so- 
no stati  di  chiaro  ingegno  negli  studj  della  Filosofia,  e  nel 
governo  della  Repubblica,  e  nel  cantar  versi:  ed  Empedo- 
cle e  Socrate  e  IMatone  furono  nianinconioi .   Demarato, 
poeta  Ciciliano,  allora  era  più  eccellenle,  ch'egli  era  fuor 
di  sé,  anzi  quasi  lontano  da  se  stesso:  e   molti  anni  dappoi 
Lucrezio  s' uccise    per  maninconia  .    Dcnocrito  cacci  i   di 
Parnaso  i  poeti,  che  siau  savi.  Né  solo  i  filosofi  e  i  poeti, 
ma  gli  eroi,  come  dice  l'isle^so   Aristotile  sono    infettati 
dal  medesimo  vizio,  e  fra  gli  altri  Ercole ,  dal  quale  il  mal 
caduco  fu  detto  erculeo.  Si  possono  anche  ti'a'maninconici 


IL  MrSSAr.GIERO  XV 

annoverare  A  jace  e  Bellorofonte  ,  l'uno  cle'quali  divenne 
pazzo  atfalto  ,  l'altro  era  solito  d'andare  pe' luoghi  disa- 
bitati ;  laonde  poteva  dire 

Solo  e  pensoso  i  più  deserti  campi 
P^o  misurando  a  passi  tardi  e  lenti , 
E  gli  occhi  porto  per  fuggire  intenti, 
Oi'C  vestigio  unum  l' arena  stampi. 
E  per  tertno  non    fu   più   faticosa  operazione    il   vincer  la 
Chimera,   che  il   superare    la    rnaninconia,  la  qual    piut- 
tosto all'idra,  cbe  alla  Chiuiera  potrebbe   assiinigliai-si  ; 
])ercbè  appena  il    maninconico    lia    tronco    un    pensiero, 
cbe  due  ne  sono  subito  nati  in    quella    vece,  dalli    qua- 
li con    mortiferi    morsi   è  trafitto  e   lacerato.  Comun(|ue 
sia ,  coloro,  cbe  m-n  sono  maninconici  per  infermità ,  ma 
per  natura,  sono  d'ingegno  singolare;   ed  io  snn  per  1' u- 
na  e  per  l'altra  cagione:   laonde  in  parte  vo  consolando 
me    stesso.    E    quantunque    io   non    sia    pieno    di    sover- 
chia speranza,  come  si  legge  d'Archelao,  re  di  Macedonia; 
nondimeno  io  non  sono  cosi  freddo  e  gelato,  ch'io  sia  co- 
stretto ad  uccidermi:  ma  a  guisa  di  cacciatore,  il  quale  ab- 
bia lanciatoli  dardo, mi  par  d'aver  fatta  preda,  prina  cbe 
io  abbia  presa  la  fera  con  le  mani,  e  mi  par  di  antiveder 
da  lontano  le  cose  simili,  e  le  conseguenti;  e  facendo  ima- 
gini  e  sogni  infiniti,  come  credo,  pur  die  sia  questo  a  gui- 
sa, d'arciero  cbe  saetti  tutto  il  giorno,  colpirò  per  avven- 
tura una  volta  il  segno  de' miei  pensieri.  Sorrise  lo  Spirito 
a  queste  parole ,  e  parve   cbe  non   gli  spiacesse  d'averle 
udite;  poi  così  rispose:  Quelle  medesime  ragioni  della  con- 
tinuazione, e  dell' ordine ,  cbe  ti  mostra  ch'il   tuo  none 
sogno  ,  ti  posson  dare  a  diveder  cbe  non  sia  ancbe  d'uomo 
cbe  veggbi;  perocché  come  affernia    il  primo   di   coloro, 
cbe  tu  adducesti,  Terror  della  imaginazione  non  dura  , 

Che  se  r  errar  durasse ,  altro  non  cheggio 
dice  egli.  Dante  simibiiente  paragona  i  fantasmi  a  quelle 
bolle  ,  che  si  forman  dell' acqua  ,  le  quali  agevolmente  si 
risolvono  in  poco  men  ,  cbe  nulla  :  nella  sua  ragione  molto 
concbiude;  perchè  l'alienazione  della  mente ,  cbe  possa 
impedir  l'operazion  de' sensi,  non  l'impedisce  nondi'iieno 
maggioi/nente  di  quello ,  cbe  fticcia  il  sogno .  Allora  repii- 


XVI  IL  MESSAGGLERO 

cai:se  questo  non  è  sogno, nò  i.-nla.'^ia,  tu  dei  esser  senza  fal- 
lo lo  fj^'iiito  di  colui,  del  quale  liais'o  riiyliaiiza.  JNon  è  neces- 
sario, rispose,  perchè  gli  aiigioli  e  i  demoni  prendono  molte 
fiate  l'aspetto  d'alcun  uomo  particolare  ,  comesi  legge  in 
Oiriero  (  che  è  un  altro  di  que'  poeti  più  ammirato  da  te  ) 
che  Minerva  mostrandosi  a  Telemaco  prese  quel  di  Men- 
tore.  Se  gli  angioli,  dissi  io,  o  l'intelligenze,  die  vogliamo 
chiamargli ,  non  sono  dalla  ragione  conosciuti,  se  non  in 
quanto  motori  delle  sfere  celesti,  non  par  ragionevole  che 
siano  più  de'cieli  mossi  da  loro,  e  s'essi  fossero  in  mag;^inr 
lui'iiero,  sarehb  )no  oziosi  nel  mondo.  Ma  nell'universo  ad 
alcuna  cosa  non  è  concesso  di  essere  scioperata  ,  perchè 
ciascuna  lui  la  sua  propria  operazione.  E  se  le  intelligenze 
sono  lassù  occupate  ne'proprj  utfìci,  non  è  possil)iIe  che 
se  ne  dipartano  .  ]Nè  possibile  mi  pare  quel  che  si  dice 
de'Demoni,  perciocché  se  essi  sono,  o  soniì  sostanze  cor- 
poree, o  incorporee,  o  eterne,  o  carruttihiii;  e  a  qualunijuri 
parte  mi  volgo,  veggo  molte  sconvenevolezze  .  Laonde 
presto  credenza  a  coloro,  i  quali  vogliono  che  Aristotile 
parlando  de'  Demoni  intenda  delle  sostanze  divine.  Veg- 
gio,  disse  lo  Spirito,  che  tu  vieni  armato  contra  me  d'  ar- 
tià  non  dissimili  a  quelle,  che  furono  adoperate  dai  giganti 
contra  gl'Iddìi;  ma  se  tu  non  vuoi  il  loro  esetnpio  rinnova- 
re,deponle  per  riverenza, ed  a ji|iarecchiati  a  ricever  le  ra- 
gioni, ch'io  dall'altra  jiartt;  addurrò,  con  quiete  ed  umiltà 
di  mente,  le  quali  prima  ti  mostreranno  che  i  demoni  e 
gli  angioli  siano  oltre  il  numero  delle  sfere  celesti ,  e  poi 
quel  che  essi  siano  ;  e  perciocché  in  due  modi  teco  posso 
priicedere,  l'uno  argomentando  da  quelle  cose,  che  a  voi 
mortali  sono  più  note,  a  quelle  che  a' vostri  sensi  si  na- 
scondono, l'aitru  co  iiinciando  da  quelle,  die  prima  sono 
per  ni'tiira  .  da  noi  piiuia  conosciute,  discendendo  all'al- 
tre, delle  quali  voi  avete  maggior  conoscenza,  mi  giova 
nel  princi])io  usar  la  prima  maniera  di  prove,  ed  argomen- 
tar da' scusi.  Dico  dunque  che  se  gli  angioli  e  demoni  non 
fossero,  non  "^i  potrebbe  rendere  la  cagione  di  molti  effet- 
ti, che  si  vedono,  e  il  progresso  e  lordine  dell'universo, 
in  alcun  modo  sarebbe  manchevole  e  discorde  da  se  stes- 
so, e  il  mondo  intieramente  d Ugni  ornamento  non  sareb- 


IL  MESSAGGfERO  XVII 

be  fornito;  onde  COSÌ  per  dar  alcuna  cagione  di  quel  clie 
appare  ,  come  per  non  concedere  o  difetto  nella  iNatura  ,  o 
iniperfezion  nel  mondo ,  è  necessario  che  i  demoni  sieno 
conceduti;  e  cominciando  a  distender  gli  argomenti  dagli 
efli'tti  n.aravigliosi ,  se  sono  i  maghi,  e  le  streghe,  e  li  spi- 
ritali, sono  i  demoni:  ma  di  quelli  niun  si  può  duhitare 
che  in  ogni  età  non  se  ne  siano  ritrovati  alcuni;  dunque  è 
irragiducvole  il  duhitare  che  si  ritrovino  ,i  demoni,  he 
i  maghi  e  le  streghe  siano  ,  assai  chiaro  il  prova  l'autorità 
delle  vostre  leggi  ,  le  quali  vanamente  avrehhono  imposte 
le  pene  a  colali  artefici  ,  se  non  si  ritrovasse  chi  cotal'arte 
esercitasse;  e  s'alcuno  è,  a  cui  l'autorità  delle  leggi  non 
{'aucia  haslevole  argomento ,  costui  almeno  non  rivocherà 
in  dubbio  l'istorie  della  verità, delle  quali  chi  dubita,  non 
più  dubiterà  se  siano  i  demoni, che  se  siano  stati  1  Romani, 
o  i  Greci.  Tu  hai  letto  i  miracoli  di  Simon  Mago,  e  bai  lotto 
It;  maraviglie, cl.'e  facevano  i  maghi  di  Faraone,  converten- 
do le  verghe  in  serpenti,  ad  emulazione  di  Mosè  ;  e  se  pure 
hai  maggior  vaghezza  dell'istorie  de'Gentili,che  delle  Cri- 
stiane, o  Giudiiiche,  devi  ancor  ricordarti  di  quel,  che  leg- 
gesti d' Ajiollonio  Tianeo,  e  di  quella  cosi  mirabii  mensa 
jIì  Gimnosotisti ,  e  degli  altri  miracoli  loro,  e  de'Bracma- 
ni ,  e  del  niaraviglioso  modo,  col  quale  Apollonio  uscì  del- 
la prigione,  ove  inchiuso  l'avea  l'ira  dell'Imperatore.  Che 
dirò  delle  cose  di  Settentrione?  Non  hai  tu  letto  che  Re- 
gnerò, re  di  Svezia,  a  guisa  d'un  altro  Ercole  p:;rsegu ita- 
lo dalla  matrigna,  combattè  con  un  esercito  di  larve  e  di 
fantasmi  n  )ltLirni?  e  Germone  similmente  re,  guerreggiò 
con  un  gregge  di  ferucissimi  mostri  oltrala  Buarinia.  in 
luoghi  privi  d'ogni  luce,  e  per  oscurissime  tenebre  terrii)i- 
li  e  spaventosi?  E  quale  è  maggior  maraviglia  di  quella 
d' Erito,  tuttocchè  la  nari'azione  ne  reciti  tanto  spavento? 
Aveva  costui  un  cappello  ,  e  dovunque  il  rivolgeva,  subi- 
tamente da  quella  parte  spirava  il  vento  desiderato:  laon- 
de dall'avvenimento  fu  chianiato  il  cappello  ventoso.  I 
Finiij  il  vendono  a' mercanti,  che  sono  impediti  dal  tempo 
contrario.  Laonde  non  ci  debbiam  pili  tanto  maravigliare 
delle  favole  d'O  nero,  nelle  quali  Eolo  il  rinchiude  negli 
otri.  Agberta,  figliuola  del  gigante  Vagtiosto,  [>er  arte  uit- 
Diuloshi  T.  Ili  l.' 


Xvill  IL  IvfESSAGGIERO 

gica  soleva  trasformarsi  in  tutte  le  forme,  e  alcuna  volta 
pareva  che  toccasse  il  cielo  con  la  fronte,  alcuna  altra  ran- 
niccliiantlosi  diveniva  di  picciolissima  statura,  e  si  credeva 
che  potesse  tirar  giù  il  cielo,  sospender  la  terra,  condurre 
i  fonti  ,  intenerire  i  monti,  portar  le  navi  sopra  le  stelle, 
precipitar  gli  rei  nell'abisso,  estinguere  il  sole,  illuminar 
l'inferno.  D.i  un'altra  maga,  Adingo  re  fu  condotto  sotto 
terra,  e  gli  furono  mostrati  i  regni  dell'inferno,  e  i  mostri, 
cl.e  fanno  la  guardia  alla  reggia  di  Plutone .  Taccio  di 
Grultunna,  la  quale  acciecò  i  difensori  d'Almerico,  in 
guisa  che  volsero  l'armi  centra  se  stessi,  non  altrimenti 
che  fìicessero  i  guerrieri  usciti  dai  seminati  denti  del  ser- 
pente. Taccio  le  pentole  riversate,  comune  instrumento 
di  tutte  le  maghe.  Taccio  il  mago  Marino,  che  passava  l'o- 
ceano usando  alcune  ossa  incantate  in  vece  di  nave,  né  su- 
perava più  lardi  gl'impedimenti  dell'acque,  ch'altri  fac- 
cia con  le  vele  e  co'  venti.  Né  ti  riduco  a  mente  Oddone, 
che  fu  mago  e  corsale  similmente  ,  e  più  noceva  a'  neinici 
con  l'arte  magica,  che  con  quella  d'andare  in  corso.  Né  ti 
ricordo  y^///«o,  vecchissimo  oltre  tutti  gli  altri  incantatori, 
il  quale  condusse  e  ricondusse  schernito  il  re  Adingo  per 
l'allissime  onde  del  grossissimo  mare.  Né  ti  vo'ragionare  di 
Gliilherto  ,  che  fu  legato  da  Cullilo  suo  maestro.  iMa  non 
posso  tacere  di  Nerone,  il  quale  desiderò  di  saper  Tarte  ma- 
gica per  poter  agli  Dei  comandare,  com'agli  uo;nini  signo- 
reggiava; nondimeno  non  potè  imparar  l'arte  dal  mago 
Tindute,  quantunque  gli  avesse  assegnato  un  regno.  Ma  tu 
peravvenlura  non  presterai  credenza  a  scrittore,  che  non 
sia  confermalo  dal  comune  parere  delle  genti,  onde  io  non 
ti  conforto  a  credcie  di  lui  se  non  quel ,  che  ti  detta  la  ra- 
gione. Ma  all'istorie  de' Romani,  qual'  è  cosi  barbara  na- 
zione, che  non  dia  fede?  o  qual  religione,  che  non  appro- 
vi le  cose  che  in  esse  si  contengono,  come  vere?  E  se  tu 
credi  all^istorie  de' Romani ,  come  puoi  credere  che  gli 
Spiriti  non  sieno?  Quel  serpente d'Epidauro,  che  dal  tem- 
pio di  Esculapio  seguì  volontariamente  i  Legiiti  de'  Roma- 
ni sino  a  Roma,  ove  giunti  liberò  la  città  dalla  peste  ,  che 
altro  potè  esser  che  uno  Spirito  immortale,  di  cui  sia  uf- 
liciu  il  medicar  l'infcrmilii  de'morlali?  E  qual  cagione  o 


IL  MESSACGIFRO  XiX 

ilol  suo  venire,  o  tìelhi  sìidìIii,  ch'»"i>li  creA  a'Roniani,  p  ilrà 
iTiitlcr  iilcim  filo^ol'o,  i!  quale  non  contcdu  clic  sieno  i  tlc- 
moiii?  La  statua  di  Giunone,  clic,  essendo  presa  Vejo,  dis- 
se al  soldato  Romano,  clic  per  ischerno  ne  'a  dimandò,  di 
voler  essere  tmsportala  a  Roma  ,  come  avrebl)e  potuto  fa- 
\eiiare,  s'alcunfi  Spirito  non  le  avesse  la  dura  lingua  in 
umane  parole  disciolta?  o  rome  quella  della  Fortuna  fem- 
minile conseyrata  in  quel  tempo  ,  che  Coriohino  vincitor 
degl'inarati  Rom.ini  depcise  l'arme  formidalìiliPNè  dal  bo- 
sco, il  (piale  era  d»  dicato  a  Vesta,  poco  avanti  che  Roma 
fosso  occupata  da' Francesi,  si  sarebbe  udita  una  voce,  che 
si  rilucessero  i  muri  e  le  porte,  allrimcnlì  avverrebbe  che  i 
nemici  prenderidjbiìno  la  città  ,  la  quale  essendo  sprezzata  , 
fu  caijione  di  grandissima  mortalità  ,  che  si  poteva  schitàre:. 
laonde  di  rincontro  fu  dappoi  consacrato  un  aitnre  yljo  lo- 
queìiti :  e  colui,  che  ditde  l'avviso  al  Senato  di  Ro;na,cbe 
Persa  Re  di  Macedonia  era  stato  vinto  in  battaglia  ,  e  1 
diede  quel  giorno  medesimo,  eh' egli  era  stato  vinto,  co. 
me  avrebbe  potuto  esser  messaggiero  di  cosa  così  incerta 
e  lontana,  se  da  due  Spiriti,  che  sovra  due  bianchi  cavalli 
gli  apparvero  per  via  sovra  naturale ,  non  fosse  stato  certo 
di  quella  verità,  la  quale  per  via  naturale  non  poteva  sa- 
pere? E  la  voce,  che  dopo  la  battaglia  fra' Romani  e'  Lati- 
ni, s'udì  sì  altamente  ribombare,  e  dire ,  eh' un  più  era 
morto  de'  Latini,  di  chi  altro  poteva  esser  voce,  che 
di  alcuno  Spirito  sopraumano?  Ne  si  può  dubitare  che  in 
quelle  cose  fosse  alcuno  inganno  degli  uomini,  carne  a  ra- 
gion si  dubita  delle  risposte  degli  Oracoli:  perciocché  nel- 
le risposte  loro  poteva  essere  alcuna  frodo  de'  Sacerdoti ,  i 
quali  non  ammettevano  nelle  scerete  parti  del  Tempio,  se 
non  quando  ;,  e  come  lor  pareva;  ma  quelle  cose  avvenne- 
ro non  di  notte,  ma  nella  più  chiara  luce  d'I  giorno  ,  non 
ne' luoghi  riposti  de' bugiardi  Sacerdoti,  ma  su  gli  occhi 
degli  eserciti,  e  de'Senaturi  ,  e  furon  note  non  a  pochi, 
ma  a  tutta  quella  gloriosissima  Città .  Laonde  non  si  può 
dubitare  s' elle  così  succedessero,  o  altramente  :  ne  poten- 
dosi render  di  loro  alcuna  ragione,  né  scioglier  questo  no- 
do, se  non  (come  fumo  i  tragici  nello  scioglimento  delle 
favole  loro)  coU'ajuto  delle  nature  divine  ed  imnn)rta!i  ,  è. 


XX  IL  MESSAGGIERO 

necessario  che  sì  fatte  nature  siano  concedute  ,  oltre  quel 
luimero  delle  sfere,  che  pone  il  maestro  de' Peripatetici , 
e  che  si  dia  loro  altra  operazione  ancora ,  che  il  movimen- 
to de' cieli.    Qui   si  ritenne  lo  Spirito  di  favellare,  quasi 
egli  a  nuovo  ragionamento  s'apparecchiasse;  quand'  io  su 
le  cose  dette  comiiiciai  a  dubitare  dicendo:  Tu  hai  parlato 
de'  maghi,  e  gli  effetti  loro  hai  recato  ai  demoni,  come  a 
a  loro  cagione.  Ma  io  già  intesi  che  l'opere  de'maghi  so- 
no tutte  per  virtù  di  cose  naturali,  onde  vorrei  sapere 
s'  egli  è  vero,  e  come.  Tu  intendesti  il  falso,  rispose  lo 
Spirito:  perciocché  alcuni  sono  incantatori,  i  quali  eserci- 
tano l'arte  con  parole,  e  le  danno  compimento;  altri  già 
detti  arioli,  perchè  agli  altari  degli  idoli  offerivano  abomi- 
nevoli sacrific];  altri  aruspici, perocché  risguardavano  l'orCj 
ed  osservavano  i  giorni  ne'Ior  negozi,  e  consideravano  l'in- 
teriora degli  animali;    altri   auguri,  i  quali  fanno  giudicio 
de!  volo  e  del  canto  degli  uccelli;  altre  pitonesse,  e' han- 
no lo  spirito  di  Titone,  col  qual  predicono  le  cose  future; 
altri  genesiarchi ,  che  descrivono  le  natività  degli  uomini 
per  li  dodici  segni  celesti:  altri  sortieri ,  i  quali  da  qualche 
piriedi  Ile  membra  credono  che  sia  significata  qualche  av- 
versità; altri  sortilegi,  con  nome  comune,  così  nominati  dal- 
la sorte;  altri  idromati,  perchè  rimirano  nelle  acque  l'ima- 
gini  degli  Iddìi,  o  piuttosto  gli   inguini   de'demoni,  e    fra 
questi  furono  Pittagora  e  Nuina  Pompilio  ,  di  cui  si  favo- 
leggiò ch'avesse  dimestichezza  con  la  Ninfa  Egeria  ;  altri 
negromanti,  i  quali  ne'sacrifiej,  in  cui  si  sparge  il  sangue, 
chiamano  l'ombre  dell  inferno,  e  fanno  resuscitare  i  morti, 
com'è  quello  che  si  h'gge  d'Ulisse  in  Omero,  o  pur  di  La- 
tino in  Virgilio;  altri,  altro  non  sono  che  conoscitori  della 
natura,  e  della  proprietà  delle  cose,  onde  può   bene  insie- 
me stare   che   questi    maghi  naturali    si   trovino,  e  che  i 
demoni  non  siano;  e  gran  parte  di  quegli  effetti  (che  di 
tutti  non  ardirei  di  affermarlo  )  che  il  vulgo  reca  ai  demo- 
ni ed  agli  angioli,  possono  alla  natura,  come  a  sua  cagio- 
ne, ridursi:  perchè  la  natura  ha  composti  tutti  i   corpi  di 
qualità  attive  e  passive,  e  nlun  corpo  naturale  è,  il  qual 
operi,  che  non  ripatisca  nell' operare:  laonde  si  vede  che 
la  sega  segando  la  pietra,  ^lla  ne   jiertle  i  denti,  o  almeno 


IL  MESSAGGIERO  XXI 

dalla  pietra  è  rintuzzata;  ma  ben  che  tutti  i  corpi  siano  vi- 
cptklcvolinente  atti  a  fare  ed  a  patire, nondimi^no  fra  alcuni 
è  una  secreta  conformità  di  natura  non  conosciuta  da  molti, 
la  quale  altro  non  è  che  amore;  e  siccome  degli  uomini  al- 
cuni amano  palesemente,  altri  secretamente;  cosi  fann  >  le 
altre  cose  naturali.  Ed  è  manifesto  a  ciascuno  1'  amore  dei 
corpi  ii'proprj  luoghi,  ed  a  ciascuno  è  noto  pariniente  che 
la  terra  arida  ama  l'umidità, e  l'erha  umida  i  ragyi  del  So- 
le :  ma  sono  alcuni  altri  amori  dell'erbe  con  1'  erbe;  delle 
piante  con  le  piante;  e  dell'une  e  dell'altre  cogli  animali, 
e  degli  animali  con  loro  ,  e  con  l'altre  opere  della  natura  , 
i  quali,  simili  agli  amori  secreti  degli  uomini,  non  sono  co- 
nosciuti ,  se  non  da' Filosofi:  e  se  come  tra  gli  uomini  sono 
alcuni  odj    palesi,  alcuni   occulti;  così  fra  l'altre  cose  si 
trova  inimicìzia  di  natura,  ora  palese ,  come   è    quella  del 
fuoco  con  l'acqua,  e  delle  viti  co'luoghi   troppo  umidi  ed 
acquosi,  e  dell'agnello  col  lupo;  ora  occulta,  o  almeno  da 
pochi  considerata  ,quarè  per  avventura  quella,  che  la  na- 
tura ha  col  vacuo,  la  quale,  temendo  di   perire  ,  chiama  il 
più  delle  volte  in  suo  soccorso  l'aria ,  corpo  pronto  e  leg- 
giero,  che  per  tutto  è  atto  a  penetrare  e  a  mescolarsi ,  e 
d'esso  si  riempie  in  modo,  ch'ella  non  teme  di  perire.  Co- 
loro dunque, che  di  questi  amori  e  di   questi  odj  secreti , 
che  proprietà  occulte  sono  dette  da' Filosofi,   hanno  cono- 
scenza intera  e  perfetta,  congiungendo  quello,  che  è  atto  a 
fare,  con  quello,  che  è  acconcio  a  patire,  o  per  soverchio 
d'amore,  o  per  soverchio  d'odio,  operano  quegli  elTetti 
maravigliosi  che  tu  dicevi  che  il  vulgo  ignorante  reca  ai 
demoni.  Dunque,  suggiunsi  io,  tu  ancora   confessi  che  la 
Magia  altro  non  sia ,  che  saper  accoppiare  le  cose  attive 
con  le  passive,  onde  ne  segue   che  possono  esser  i  ma£;hi 
senza  i  demoni.  Potrebbono,  rispose  lo  Spirito,  trovarsi  eli 
maghi  naturali,  quand'anco  i  demoni,  non  si  ritrovassero; 
ma,  come  tu  medesimo  accennasti ,  non  puoi  salvar  tutti 
gli  effetti  con  la  Magia  naturale:  e  per  non  partirmi  dagli 
esempi,  ch'abbiamo  addotti,   concedendo  che  per    virtù 
d'erbe,  o  di  pietre,  o  d'altro  corpo  naturale  ,  si  possa  ti- 
rare a  sé  un  serpe,  e  condurlo  ove  l'uomo  vuole,  non  sì 
potrà  per  virtù   uaturale  far   mille  miglia  in  un  giorno  ; 


XXIl  IL  MESSAGGIERO 

perdio  il  corpo  umano,  il  quale  è  corp'^  grave  e  terrena, 
non  solo  bisogna  che  si  muova  in  tempo,  ma  in  tempo 
proporzionato  alla  sua  natura ,  la  quale  non  può  fare,  o 
patire,  se  non  quelle  cose,  a  cui  ella  lia  attiva  o  passiva 
potenza  ;  onde  è  necessario  che  que'due  candidi  Civalieri , 
che  dieder  l'avviso  della  rotta  di  Persa,  non  fossero  corpi 
semplicemente  mortali  e  terreni.  Può  esser,  lo  re])Iicai , 
ch'essi  per  osservazion  di  stelle  prevedessero  la  sconfitta 
del  re  de' Macedoni,  e  n'avvisassero  il  buon  uomo  Roma- 
no,  ancor  ch'io  dubiti  molto,  se  per  osservazion  di  stelle 
si  possa  far  giudicio  di  quel,  ch'agli  uomini  sia  per  avveni- 
re. Io  parlerò  teco  (rispose  lo  Spirito)  di  cjueste  cose  in  quel 
moda  che  sostiene  la  loro  natura.  Dico  dunque  che  s' un 
astrologo  avesse  preveduta  la  rotta  de'  Macedoni,  così  cer- 
tamente come  ella  avvenne,  non  è  verisimile  ch'egli  medesi- 
mo non  avesse  voluto  rendersi  grazioso  ai  Romani,  e  pro- 
curarsene utile  ed  onore  con  così  lieto  annunzio.-oltreche  il 
jnodo  dell'apparire,  e  le  persone,  alle  quali  apparvero,  so- 
no circonstanze,  che  conchiudano  che  essi  non  furono  uo- 
mini, n)a  angioli;  ma  per  altro  io  non  niego  che  un  uomo 
osservator  delle  stelle,  non  avesse  potuto  prevedere  quella 
■vittoria,  sebben  non  così  agevolmente  come  un  Spirito;  né 
so  vedere ,  perchè  tu  disprezzi  i  giudicj  dell'Astrologia. 
Io  non  disprezzo,  risposi,  cpiella  parte  della  scienza  delle 
stelle,  la  quale  considera  i  corsi  ed  i  movimenti  loro  ;  per- 
chè questa  è  così  certa  ,  che  non  so  ne  può  dubitare:  ma 
non  istimo  quella  parte  di  essa,  che  s'affatica  intorno  ai 
giudicj  delle  cose,  che  possono  avvenire,  e  non  avvenire: 
perch'io  giudico  che  il  cielo  e  le  stelle  non  operino  nelle 
cose  inferiori,  se  non  col  lume  e  col  moto,  i  quali  alte- 
rando gli  elementi  inferiori,  possono  col  lor  mezzo  alte- 
rare i  nostri  corpi ,  ed  anche  in  parte  l' anima  sensitiva, 
che  nelle  sue  operazioni  dipende  dal  corpo,  sì  ch'io  di 
leggieri  consentirei  che  si  potessero  predire  la  fecondità, 
e  la  sterilità  dell'anno,  le  pioggie,  e  i  venti,  e  le  tempeste, 
e  direi  coi  mio  Poeta: 

Soluin  quis  (licere  falsum 
Aiulcat  ? 
Crederei  anco  che  in  conseguenza  si  potesse   far  giudicio 


II.  MESSAGGIERO  XXIII 

delle  pesti  e  delle  infermità  ,  eli'  il  Cielo  minaccia  a'  mor- 
tali,  e  quindi  argomentare  la  mestizia,  o  l' allegrezza  de- 
gli animali;  ma  degli  accidenti  della  fortuna,  com'è  il  vin- 
cere, o  'l  perdere  in  battaglia  ,  l'esser  grazioso,  o  odioso 
a' Principi ,  l'acquistar  le  ricchezze,  o  gli  onori,  o'I  perde- 
re gli  acquistati,  non  veggio  che  per  osservazion  di  stel- 
le possano  antivedersi ,  perchè  questi  sono  eventi  indeter- 
minati al  sì,  e  al  no,  che  dipendono  dalla  Fortuna  e  dal 
Caso,  e  dal  nostro  intelletto,  e  dalla  volontà  nelle  loro 
operazioni  non  punto,  a' Cieli  edalle  stelle  soggetti .  Ben 
crederei  che  di  tali  accidenti  di  fortuna  potessero  gli  Astro- 
logi far  alcun  verisimile  pronostico,  come  fanno  i  medi- 
ci della  vita  ,  e  della  morte  dell'infermo;  quando  si  con- 
cedesse che  il  Ciclo  operasse  non  sol  col  moto ,  o  col 
lume,  ma  con  gl'influssi  eziandio  :  ma  gì'  indussi  pare 
a  me  che  si  pongano  senza  ragione  e  senza  nccessirà.  Sor- 
rise lo  Spirito,  e  disse:  Ben  si  pare,  che  tu  contemplando 
hai  chinati  gli  occhi  su' libri,  e  non  inalzatili  al  Cielo;  per- 
chè se  tu  talora  alle  stelle  gì'  indrizzassi ,  esse  con  la  bel- 
lezza della  luce  loro,  ti  mostrerebbono  clie  non  son  da  me- 
no,  ch'altre  volte  ti  siano  paruti  gli  occhi  della  donna  tua, 
o  ch'ora  ti  paiono  gli  occhi  di  tale,  ch'a  le  può  far  noa 
sol  primavera, e  verno,  e  notte  e  giorno,  come  a  lui  piace, 
ma  anche  piover  in  te  co' moti,  e  co'giri  loro  le  felicità  e 
le  sciagure,  che  tu  maggiormente  temi,  e  desideri.  Cosi 
consente  il  senso  agli  ultimi  detti  tuoi  ,  che  la  ragion  non 
è  ardita  di  contradire:  ma  per  avventura  non  è  alcuna  stel- 
la nel  Cielo,  ch'a  gli  occhi  di  chi  mi  governa,  si  possa  ag- 
guagliare. Tu  parli,  disse  lo  Spirto,  come  innamorato,  ma 
io  voglio  teco  fdosoFicamente  ragionando,  provarti  che  se 
gli  occhi  de' mortali  operano  con  altro,  che  con  luce  e  con 
moto  ,  si  dee  parimente  colncedere  che '1  Cielo  operi  nelle 
cose  di  qua  giù  non  solo  col  lume ,  e  col  movimento,  ma 
con  gì'  influssi  ancora.  Così  disse  egli  ,  ed  io  tutto  pieno 
di  desiderio  ad  udii*  le  sue  parole  m'apparecchiava;  le  qua- 
li in  così  fatta  maniera  mi  si  fecero  udire.  Dagli  occhi  del- 
l'amata  son  cagionati  nel  petto  dell'amante  ,  or  con  la 
grazia  de' movimenti,  or  con  lo  splendore  de'raqgi,  diver- 
si eflctti,  che  corrispondono  a  quelli,  chu'l  Ciclo  col  suo 


^'X[V  IL  3!ESSAGG1ER0 

imne,  e  col  suo  girare  attorno,  cagiona  nelle  cose  ioferio- 
ri  :  i))a  se  inescohita  co  raggi,  passa  dagli  occhi  della  don- 
na amata  nel  petto  dell'ani atore  alcuna  virli^i  diversa  dalla 
luce,  non  depcndcnle  da  essa,  o  dal  mote,  ma  dalla  sostan- 
za, e  dall'altre  qualità  ,  benché  accidentali  dell'occhio,  è 
verisimile  che  col  lume  de' Cieli  s'infonda  ne' corpi  infe- 
riori alcuna  virtù,  che  non  derivi  dal  moto,  o  dal  lume, 
ma  dall'essenza  del  Cielo  ,  e  da  altre  qualità  ,  ch'oltra  la 
luce  e  M  movimento,  sono  in  lui:  or  se  consideriamo  pri- 
ma quel  che  possono  operar  gli  occhi  dell'auiata,  e  come, 
e  poi  gli  effetti ,  e  i  moti  del  loro  operare  con  quelli  del 
Cielo  andiam  paragonando  ;  nell' occhi)  due  cose  si  posso- 
no considerale,  la  virtù  del  vedere,  eh 'è  quasi  l'aninia  sua, 
la  quale  per  se  non  s'invecchia  ,  ne  si  indebolisce,  e  l' in- 
stni mento  ,  col  quale  opera  la  detta  virtù  ,  e  col  quale  di- 
viene debile  e  vecchia  ,  e  questo  altro  non  è  ,  che  '1  corpo  , 
o  la  materia  dell' occliio ,  che  vogliam  chiamarla,  materia 
in  cui  quel,  che  signoreggia,  è  l'acqua,  perchè  dovendo  el- 
la ricevere  l'imagini  delle  cose  visibili,  e  ritenerle,  non  al- 
tramente, che  faccia  lo  specchio,  conveniva  che  fosse  ta- 
le, che  potesse  patire  ,  e  ritenere  .  La  terra  sarebbe  stata 
atta  alla  ritenzione,  ma  non  era  molto  atta  per  la  durezza, 
e  resistenza  sua  al  ricevere.  L'aria,  che  facilmente  riceve, 
difllciloienle  avrebbe  riteimto,  e  più  difficilmente  il  fuoco, 
il  qual  dell'aria  è  inen  sodo  ,  e  più  s'avvicina  alle  nature 
incorporee:  solo  dunque  l'acqua  era  materia  convenevole 
dell'occhio,  se  la  vista  si  la  per  ricevimento  deiriinagini  , 
come  giudicò  quel  Filosofo,  che  nelle  cose  sensibili  più 
degli  altri  fu  sensato.  Ma  perchè  l'occhio  è  quasi  specchio 
dell'anitua,  perchè  in  ninna  parte  esteriore  ella  più  mani- 
festa delle  sue  operazioni,  era  ragionevclc  ch'egli  potesse 
non  solo  patire,  ma  operare;  e  per  questa  cagione  la  natu- 
ra mescolò  col  cristallo  del  suo  corpo  alcuni  raggi  puri ,  e 
sottili,  che  sono  iu  lui  transfusi  o  dalla  più  pui'a  parte  del 
sangue ,  ovvero  dell'-anima  stessa  :  e  questi  raggi  spargen- 
dosi quasi  visibilmente  dagli  occhi ,  hanno  data  altrui  ma- 
teria di  credere  ch'essi  andando  a  ritrovar  l'oggetto  ,  fos- 
sero cagione  della  vostra  veduta.  Comuncjua  sia,  questi 
raggi  operano  ne' corpi  altrui,  non  sol  come    huuinobi,  o 


IL  MESSAGGIERO  XXV 

come  moventi ,  ma  anche  come  i'iipressi  d'altre  qualità; 
fjiiiiui  avviene  clie,  purijandosi  la  donna  del  suo  soverchio 
e  inen  puro  sanyu'-,  suole  avere  i  rjiggi  infetti  e  contami- 
nati ,  e  se  riguarda  nello  specchio  il  lassa  d'alcuna  piccio- 
la  macchia  appannato,  e  può  l'occhio  non  solo  per  questo, 
ma  per  mnlt'«ltre  cagioni  mandar  fuori  co' raggi  alcuna 
quasi  esalazione,  che  lassi  impressione;  onde  il  tuo  Petrar- 
ca essendo  tornato  a  solvere  il  digiuno  ,  ch'avea  della  vista 
di  Madonna  Laura,  trovando  l'occhio  suo  turbato,  e  scuro 
per  alcuna  infirmità,  dice: 

Mosse  i'irtù  ,  che  fé  '/  mio  infermo,  e  bruno 
e  soggiunse  ; 

Che  dal  destr'  occhio,  anzi  dal  destro  sole 
De  la  mia  donna  al  mio  deslr  occhio  venne 
Il  mal,  che  mi  diletta ,  e  non  mi  dole ; 
E  pur  coni'  intelletto  avesse  ,  e  penne  , 
Passò,  quasi  una  stella ,  che  'n  del  vale, 
E  natura ,  e  pietate  il  corso  tenne. 
Ma  se  quegli  accidenti,  che   sono  qualità   dell'  occhio,  in- 
quanto egli  è  corpo,  come  è    per   avventura  il  lagrimoso 
rossore,  ond'era    infermo  quel  di  Laura,  possono    operare 
negli  occhi  altrui,  e    transfondervi  le  sue  qualità  ,  potran- 
no adoperare  il  niedesi'no  effetto  le  qualità,  che  appajono 
ne' lumi,  in  quanto  essi  sono  animati;  l'ira,  dico  ,  lo  sde- 
gno, la  speranza  ,  il   ti'Hore ,    l'allegrezza ,  e    la   noja:   ma 
due  passioni  apparendo  nelle  luci  di  chi  si  sia  ,  operano  ef- 
fetti incredibili,  ne  riguardati;  l'uno  è  l'amore,    l'altro  è 
l'invidia:  e  tacendo  perora  dell'amore,  chiara  cosa  è,  e 
tu  r  hai  mille  fiate  udito  dire,  e  vistane  alcuna'^sperienza, 
che  l'occhio  dell'invidioso   affascina   colui,  a  chi  si  porta 
invidia  ,  perchè  il  veleno  dell'anima  per  lui   trapassando, 
offende  quell'oggetto,  verso  cui  si  rivolge.  Il  fascino  dun- 
que non  è  ,  che  malignità  di  vapori  ricevuti  per  invidia  di 
sguardo,  il  principio  della  quale  è  nell'aniino  come  in  sua 
radice  ;  dico  come  in  sua  radice,  perchè  tutti  gli  effetti  se 
ben   son  moti  dell'anima,  sono  pari^nente  movidiento  del 
corpo;  ed  alcuni  dal  corpo  passano  nell'animo,  altri  all'in- 
contro dal  corpo  all'animo  sono  accomunati,  e  comune  è  la 
passione  d'amendue  ;  però  nell'  ira  il  sangue  s'accende,  ed 


XXVI  IL  MESSA GGIERO 

il  core  si  muove  di  moto  più  veloce;  nel  timore,  quello 
s'jtgghiaccia  ,  e  questo  trema,-  nell'amore  ancora  il  sangue 
bolle  ,  al  cure  alla  presenza  dell'amato  oggetto  velocissi- 
inainente  palpitando,  è  cngione  clie  gli  altri  moti  del  cor- 
po si  allrettino:  onde  il  Fisico  gentile  nell'alterazione  del 
polso,  s'  accorse  dell'amor  d'Antioco  versQt.  la  madrigna. 
Ma  l' invidia,  essendo  all'etto  assai  lento  ,  e  tardo,  non  va- 
ria tanto  il  iiiovjmctito  del  cuore,  ma  contaminandc»  il  san- 
gue, sparge  la  faccia  d'alcuna  lividezza  ,  ed  infetta  gli  spi- 
riti degli  ocelli  più  ,  clic  niuu' altra  passione,  eccettuato- 
ne l'amore.  Or  raccogliendo  quanto  ho  detto ,  l'occliio 
non  sol  col  lume,  e  col  moto  opera  mg!!  oggetti,  ma 
anche  con  l'altre  sue  qualità.  Considerisi  ora  nel  Cie- 
lo quel,  che  negli  occhi  è  considerato,  e  vedrassi  che 
sarebbe  irragi^.nevole  il  credere  che  le  qualità  del  Cielo, 
e  delle  luci  eterne,  ed  i  nmortali,  siano  uieno  efficaci,  che 
quelle  de' lumi  caduchi, e  mortali.  Dunque  non  solo  col  lu- 
me, e  col  moto  opera  il  Cielo, né  solo  dalla  diversità  di  que- 
ste due  cose  procede  la  diversità  degli  effetti  suoi,  ma  dal 
raro,  e  dal  denso  eziandio,  perchè  le  parti  dense  operano 
con  maggior  efficacia,  che  non  fanno  le  rare.  Oltre  a  ciò, 
l'union  dell'intelligenza  co'corpi  celesti  è  cagione  di  molta 
varietà  d'effetti,  e  di  tanto  maggiori,  che  non  è  quella  del- 
l'anima con  l'occhio,  quanto  che  l'anime  di  tutti  gli  uo- 
mini sono  d'una  medesima  specie  ,  e  1'  una  dall'altra  per 
numero  solamente  è  distinta;  ma  l'intelligenza  d'un  Cielo 
da  quella  d'un  altro,  è  per  ispecie  diversa  ;  e  se  ciascuna 
natura  specifica  ha  una  propria  virtù,  secotido  la  quale 
opera  divei'samente  dell'altre,  è  necessario  eh'  ogni  intel- 
ligenza abbia  propria  virtù,  onde  proprj  effetti  sian  cagio- 
nati: e  se  tu  ti  rammenti  d'alcuni  versi  di  Dante,  vedrai 
che  questo,  ch'ora  io  ti  insegno,  non  è  dalla  tua  opinione, 
benché  detta  in  altro  proposito,  molto  diverso.  Ben  me  ne 
rammento,  risposi  io  ,  e  son  questi: 

Dentro  dal  del  della  divina  pace 
Si  gira  un  corpo  j  nella  cui  virtute 
U esser  di  tutto  suo  contento  giace. 
Lo  Ciel  seguente  ,  e'  ha  tante  vedute  , 
Queir  esser  parte  per  diverse  essenze , 
Da  lui  distinte ,  e  da  lui  conosciute 


IL   3IESSAGGlEno  XXVH 

Gli  altri  girali  per  \>arie  differenze 

Le  distinzione  che  dentro  da  se  hanno  , 
Dispongon  a  lorjini ,  e  a  lor  semenze  . 
Questi  organi  del  mondo  così  vanno. 
Come  tu  vedi  ornai  di  grado  in  grado , 
Che  dì  su  prendono,  e  dì  sotto  fanno . 
Riguarda  ben  ornai  siccome  io  vado 
Per  funesto  loco  al  ver  ,  che  tu  desiri , 
Si  che  poi  sappi  sol  tener  lo  guado  . 
Lo  moto,  e  la  virtù  de' santi  giri 
Come  dal  fabbro  V  arte  del  martello  ^ 
Da'  beati  motor  convien  che  spiri. 
Qui  m'  iriterroppe  lo  Spirito  ,  e   disse:  Vedi    com'egli  di- 
stingue il  molo  dalla  virtìi .  Ed  io  seguii ,  accennando; 
E'I  Ciel  cui  tanti  lumi  fanno  bello 
Della  mente  profonda ,  che  lui  volve  , 
Prende  r imago  ,  efassene  suggello. 
E  come  V  alma  dentro  a  vostra  polve  , 
Per  differenti  membra  ,  e  conformate 
A  diverse  potenzie  si  risolve  : 
Così  la  intelligenzia  sua  bontate 
Multiplicata  per  le  stelle  spiega , 
Girando  se  sovra  sua  wiitate . 
flirta  diversa  fa  diversa  lega  , 
Col  prezioso  corpo,  di  ella  avviva, 
Nel  qual  siccome  vita  in  voi  si  lega . 
Qui  io  mi  tacqui;  ed  egli  continuando  il  cominciato  propo- 
sito seguì  :  Ornai  credo  che  tu  chiaramente  conosca  eh' è 
ragionevole  che  le  Stelle  non  operino  solo  col  movimento; 
ma  perchè  ciascuno  di  loro  ha  particolar  virtù ,  vari  sono 
gli  effetti,  che   quaggiù   producono,   perciocché  la  virtù 
dell'una  può  molto  aiutare,  o  impedir  la  virtù   dell'altra, 
ed  il  Petrarca  (  parlo  teco  volentieri  co' versi  de' poeti, 
perciocché  so  che   tu    dai  loro   molta  credenza  )  volendo 
descriver  il  felice  nascimento  della  sua  Laura  ,  disse: 
//  dì ,  che  costei  nacque  eran  le  stelle , 
Che  produconfra  noi  felici  effètti , 
L' una  ver  i altra  con  amor  converse. 
Venere^  e  'l  Padre  con  benigni  aspetti 


5iX\*Ìll  IL  MESSAGGIERO 

Tenean  In  parti  signorili ,  e  belle, 
E  le  luci  empie ,  e  /'e/le 
Quasi  in  tutto  dal  del  tran  disperse . 
Qui  si  taceva  lo  Spirito,  quand'io  cosi  dissi  :  Assai  son  io 
pago  della  prova  ,  con  la  quale    tu    mi    diinostri  la  piogi^ia 
degi   influssi  colesti  ,.  perchè    il  piacere   è  quella  prova  ,  a 
cui  agevolmente  ci  lasciamo  persuadere;  ma  ben  moltodu- 
bito,  se  l'uomo  p(jssa  aver  alcuna  scienza ,  onde   sia  atto  a 
far  giudicio  delle  cose  avvenire.  Ed  egli:  Che  tu  di  cotesto 
dubiti,  non  mi  dispiace;  ed  io  nel  dubbio  confermandoti,  di- 
co che  diflicilmente  può   1'  uomo  per  osservazion  di  stelle 
giudicar  le  cose  futui.'e  ,  perciocché    l'arte  è  lunga,  e  fon- 
data sovra  congietture,  e  sovra  esperienze  ,  e  la  vita  di  voi 
altri  mortali  è  molto  breve,  onde  né  ad  apprender  questa 
scienza  ella  è  interamente  bastevole  ,  né  a  conoscere  1'  oc- 
culte proprietà  delle  cose:  ma  quelle  creature,  a  cui  termi- 
ne   di  vita    non    è  circonscritto ,    contemplando    pertanto 
migliaia  d'anni  le  stelle,  innalzandosi  sovra  l'aere  misto,  e 
caliginoso  sì ,    che  nube,  o    nebbia    nDU  può  loro  i'upedir 
l'aspetto,  di  leggieri  hanno  potuto  apprendere  l'Astrolo- 
gia; e  con  l'istessa  agevolezza  hanno  conosciuta  l'occulta 
natura  delle  cose.  Laonde,  accoppiando    l'una   con  l'altra 
scienza,  possono  naturabnente  far  molte  meravigli.  ,  e  quel- 
li, che  son  detti  maghi,  avendo  con  questi  spiriti  tamiglia- 
rità,  da  essi  imparano  ad  operar  quelle  cose,  ch'empiono 
altrui  di  maraviglia  perché  de'  maghi  naturali   pochi  si  ri- 
trovano,   e  quei  pochi    non    sapendo   perfettamente  né  la 
naturai  scienza,  né  quella  delle   stelle  e   de' corpi  celesti, 
non  possono  congiunger  insieme  tutte  le  cagioni,  onde  pro- 
cedono i  miracoli  dell'arte,  sì  ch'ornai  ben  puoi  tu  vede- 
re eh' assai  buono    é  quell'argomento,    che  se  i   maghi  si 
danno,  si  danno  i  demoni.  Allora  io  così  ripresi  il  ragiona- 
mento :  Quel   giusto  Greco,  ch'ingiustamente  fu  accusato 
di  impietà  all'ingrato  popolo  Ateniese,  purgando  la  calun- 
nia, fa  argomento  simile  a  cotesto  tuo:  chi  crede  al  figliuo- 
li degli  Dei,    crede  agli  Dei  ;    inaio  credo   che  si  trovino 
gli  Eroi,  che  degli  Dei  son  figliuoli;  dunque  é   necessario 
ch'io  non  dubiti  che  gli  Dei  siano.  Così  argomenta  egli; 
ma  a    me  pare  che  molto  maggior    difficoltà   porti    seco 


IL  MESSAGGIERO  XX i X 

quel ,  che  toglie  per  mezzo  della  prova  ,  che  non  porta  !a 
cosa  provata,  percioccliè  molti  concederai!  che  gli  Dei 
siano,  i  quali  negheranno  die  gli  Dei  possano  con  le  don- 
ne mescolarsi.  Qui  sospirò  io  Spirito,  e  rispose.-  Cotesto  ad 
alcuni  è  stato  persuaso,  perchè  avevano  letto  nelle  sacre 
lettere  che  i  giganti  sono  figliuoli  dt^gli  angeli  e  delle  don- 
ilo. Ma  siccome  quegli  angeli  furono  uomini,  così  uomini 
Inrono  gli  Dei  de'GenUili,  la  genealogia  de'quali  fu  descrit- 
ta da  Esiodo,  e  dal  nostro  Boccaccio.  Or  io  passerò  alla  se- 
conda prova,  con  la  quale  io  intendo  di  conchiudere  che 
siano  i  demoni,  e  gli  angeli ,  presa  dall'ordine  dell'univer- 
so ,  che  da  Dio  e  dalla  Natura  sua  ministra  è  stato  osserva- 
to. Non  suole,  se  ben  tu  ti  ricordi,  passar  la  natura  dall'u- 
no estreino  all'altro  senza  alcun  mezzo.  Laonde  tra  le  spe- 
cie inferiori  e  le  superiori  sono  interposte  quelle,  che  par- 
licipano  dell'une  e  dell'altre:  così  la  natura  va  ascenden- 
do dalle  cose  sensibili  alh^  intelligibili  quasi  per  gradi .  La 
primo  specie  di  cose  sensibili,  che  vi  si  appresentano,  per- 
chè li  consideriate ,  sono  i  corpi  semplici  :  ma  da  loro  non 
])assa  la  natura  a'tnisti  perfetti ,  se  non  per  mezzo  degli 
imperfetti  mescolatamente.  Imperfetti  chiamo  io  quelli, 
che  di  due  elementi;  perfetti  quelli, che  di  tutti  sono  com- 
posti, de'quali  alcuni  sono  inanimati ,  altri  animati .  Ed  il 
primo  grado  degli  animati  è  quello,  che  ha  l'anima  vegeta- 
tiva solamente  ,  nel  quale  sono  l'erbe  e  le  piante  ;  ma  tra 
questi  e  gli  animati,  che  hanno  tutte  le  sentimenta  ,  si  tro- 
vano però  alcuni  di  dubbia  natura,  i  quali  par  che  parte- 
cipino delle  piante  e  degli  animali;  perciocché  sono  immo- 
bili come  le  piante,  ed  hanno  il  vivere  e  '1  nutrire  e'i  ge- 
nerare ,  e, .come  gli  animali,  il  senso  del  tatto  ,  e  tale  è  la 
spongia,  ed  alcune  conchiglie, che  stanno  affisse  agli  scogli. 
Da  questi  fa  passaggio  la  natura  agli  animali  che  d'alcun 
senso  son  ])rivi,  com'è  la  talpe,  che  non  vede  Di  quelli 
che  hanno  tutti  i  sensi,  alcuni  si  muovono  raccogliendosi 
e  distendendosi ,  alcuni  oltre  procedendo:  sicché  il  moto 
degli  uni  par  quasi  mezzo  fra  il  moversi  e  il  movimento 
degli  altri .  Ma  nell'uomo  si  congiunge  quasi  in  un  nodo 
deH' universo  la  natura  morhile  e  l'inimortale,  perciocché 
egli  ha  il  corpo  mortale  e  T anima  immollale,  la  quale  se 


XXX  IL  MESSAGGIERO 

V  immortale  non  fosse,  in  ninno  altro  soggetto  si  potrebbe 
congiuiìgere  1' una  e  J'altra  natura.  Ma  se  dail'uomo  sen- 
za alcun  mezzo  si  passasse  a  Dio,  si  salirebbe  senza  gradi, 
e  questa  sarebbe  non  salita,  ma  salto.  Laonde  è  nt-cessario 
cbe  tra  Iddio  e  l'uomo  si  ponga  alcun  mezzo  ,  o  piuttosto 
molti;  percioccliè  se  tra  iddio  e  1  uo  ao  t  isse  un  solo  iii(,-z- 
zo,  una  sola  sarebbe  la  specie  intelligibile  ;  ma  sono  molti, 
percioccbè  non  debbono  essere  in  iiiinor  numero  delle 
sen^iblli,  ma  più  tosto  in  maggiore;  conciosiacos.icliè  le 
intelligibili  non  sono  in  tempo  come  le  sensibili ,  ma  iu 
eternità,  e  l'eccellenza  dell'eternità  ricerca  cbe  in  lei  sia- 
no più  specie,  e  più  perfette  che  nel  tempo.  Oltre  a  ciò  se 
le  specie  naturali,  le  quali  sono  quasi  rinchiuse  e  ristrette 
dentro  all'angusto  seno  della  materia  ,  in  guisa  che  per  lo 
subbietto  non  possono  esser  distinte  ,  nondimeno  per  se 
medesime  si  distinguono,  e  s'allargano  in  grinulissimo  nu- 
mero. Questo  maggiormente  è  ragionevole  che  quelle 
sostanze  cbe  vivono  in  se  stesse  senza  la  materia  ,  si  distin- 
guano e  multiplicbino  per  se  stesse.  Finalmente  il  mondo 
non  sarebbe  perfetto,  se  delle  migliori  nature  fusse  priva- 
to, o  se  meno  fusse  abbondante  delle  migliori,  cbe  delle 
peggiori.  JNè  quello  cbe  tu  dicesti,  che  le  menti  non  deb- 
bono essere  più  de' cieli  mossi  da  loro,  è  vero,  perchè  elle 
non  debbono  essere  numerate  secondo  la  men  nobile  ope- 
razione, la  quale  è  il  muovere  i  corpi  ,  ma  secondo  la  più 
eccellente,  che  è  l'intendere  Iddio,  il  quale  percliè  è  tan- 
to più  manifesto ,  quanto  più  sono  gì' intenditori ,  è  con- 
venevole cbe  colassù  ci  siano  gli  angioli  quasi  iidiiii- 
ti  ,  come  speccbi  ne"  quali  il  Sole  intelligibile  risplen- 
da.  E  quantunque  ricevano  quasi  tutta  hi  luce,  e  se  ne 
facciano  belli  e  ielici  ,  non  la  ricevono  però  in  quel  mo- 
do che  fanno  gli  specchi  quaggiù  la  luce  de!  Sole,  da' qua- 
li ella  in  altrui  non  suole  trapassare,  ma  la  trasfondono 
nella  mente,  dalla  quale  discende  nell'anima  ragione- 
vole, SI  cbe  ella  con  molli  mezzi  si  congivmge  a  Dio. 
Qui  fermò  alquanto,  quasi  dubitando,  lo  Sj)irito.  Ed  io;  Se 
l'anima  è  immortale ,  Soverchio  mi  p.ire  che  sia  il  porla 
.specie  de'  demoni,  ptrcioechè  1'  uomo  solo  senza  allro,  ini 
par  convencyol  mezzo  a  congiunger  nell  universo  la  natu- 


II.  MESSAGGIEllO  XXXI 

ra  dei^ii  animali,  con  quella  degli  angioli,  avendo  egli  lo 
intelletto  come  gli  angioli,  ed  il  corpo  ,  e  li  sentimenti  co- 
me gli  uiii'nali  bruti.  S'io  lio  bene  osservato  il  procedere 
della  natura,  quel,  che  fra  due  specie  di  cose  discordie 
posto,  deve  con  l'una  in  una  qualità,  e  con  l'altra  in  un'al- 
tra esser  concorde:  onde  l'actfu»  ,  che  è  fra  la  terra  e  l'a- 
ria, è  fredda  come  la  terra  ,  ed  umida  come  l'aria;  e  l'aria 
che  divide  l'acqua  dal  fuoco,  assomigliandosi  all'acqua 
neli'esser  umida,  al  fuoco  nell' esser  calda  è  soaugliante. 
A  questa  ragione  lo  Spirito  così  rispose:  Bene  argomenti; 
nondimeno  siccome  l'anima  dell'uomo  è  mezzo  fra  l'ani- 
ma de' bruti ,  e  gli  intelletti  angelici  ;  così  anco  se  1'  nomo 
dovesse  esser  il  perfetto  mezzo  tra  l'una  o  l'altra  natura, 
dovrebbe  il  suo  corpo  in  parte  al  corpo  degli  animali,  e  in 
parte  a'  corpi  celesti  assomigliarsi:  ma  essendo  il  corpo 
umano  non  men  sottoposto  a  tutte  le  passioni,  ed  a  tutti 
gli  accidenti  ,  né  men  corruttibile,  che  sia  quel  de'bruti, 
ne  seguita  che  si  debba  dare  un  corpo  ,  che  fra  il  celeste  e 
quel  de'bruti  sia  con  deì)ita  partieipazione  interposto:  e 
questo  è  quel  de' demoni,  il  quale  è  acconcio  a  patire, 
jterchè  njai  non  muojano  i  demoni ,  quantunque  alcuni 
abbiano  creduto  che  muoiano  dopo  lunghissimi  tempi,  co- 
in'  è  il  corpo  dell'animale  e  dell'  uomo  ,  ed  incorruttibile 
come  il  corpo  celeste:  voglio  anco  di  più  aggiungere  ,  che 
l'umana  ragione  non  è  (piai  tu  credi,  cioè  quale  è  l'in- 
telletto degli  angioli ,  perciocliè  la  vostra  ragione  non  in- 
tende se  non  con  discorso,  e  con  sillogismo  ,  ove  l'intel- 
letto angelico  conosce  senza  alcun  argouiento  in  quella 
guisa  forse,  che  voi  mortali  conoscete  alcune  poche  cose  , 
che  da  voi  son  dette  prime  notizie:  mi  anche  in  un  modo 
più  perfetto;  perciocch'egli  riguardando  in  Dio  può  in- 
tendere in  lui  le  cose  tutte  con  maniera  più  sovrana,  e  più 
eccellente:  ma  rinlel'elto  de' demoni  ,  come  ch'egli  pos- 
sa a  vostro  uiodo  sillogizzare,  nondimeno  nel  suo  discorso 
tanto  più  del  vostro  è  veloce,  che'l  suo  modo  di  conoscere 
è  molto  alla  cognizione  angelica  somigliante  .  Conchiudo 
dunque,  che  l'uomo  non  è  il  perfetto  legamento  delle  co- 
se inferiori,  con  le  superiori ,  come  molti  lumuo  creduto  ; 
ma  che  fra  l'un^ana  e  la  divina  natui»!,  quelli  de'demoui 


XXXII  IL  MESSAGGIEUO 

sia  interposta  ,•  e  questo  stesso  con  un'altra  ragione  inten- 
do di  provarti,  la  quale  s;ià  l'ultima  di  quelle,  ch'ai  no- 
stro sentimento  non  ripugnano.  Tu  sai  eh' due  nomi  s'at- 
tribuiscono al  mondo,  uno  di  Universo,  l'altro  di  Orna- 
mento, elle  questa  parola  corrisponde  a  quella,  con  la 
quale  il  cliiainavano  i  Greci  :  né  per  altra  cagione  con  tali 
nomi  gli  furono  attribuiti ,  se  non  perch'egli  deve  in  se 
contener  tutte  le  cose,  ed  esser  d'ogni  ornamento  abbon- 
dante :  ma  s'egli  fosse  privo  flella  specie  dc'deinoni  non 
sarebbe  perfetto,  ne  intieramente  adorno;  perfetto  egli 
non  sarebbe,  perlocbè  cesserebbe  il  commercio,  e  la  co- 
munanza de' beni ,  che  è  fra  la  divina  natura  ,  e  l'umana  , 
essendo  gli  Angioli  quelli  ,  die  di  qua  e  di  là  portano,  e 
riportano  quello  ,  ch'a' mortali  è  necessario,  o  giovevole,- 
a  Dio  grato,  e  dovuto;  uè  adorno  egli  sarebbe,  perciocché 
l'aria  ,  della  quale  i  demoni  sono  abitatori,  sarebbe  affatto 
priva  d'animali,  non  polendo  gli  augelli,  propriamente 
animali  dell'aria  esser  addimandali  ;  e  se  ciò  estrano  ti  pa- 
re ,  intendine  la  ragione.  Animali  propriamente  cittadini 
d'un  elemento  son  quegli,  i  quali  non  solo  si  movono  ;  ma 
riposano  ancora  in  lui,  ove  sian  tali,  che  la  loro  natura 
non  richieda  il  continovo  movimento,  come  il  richiedono  i 
corpi  celesti:  ma  gli  uccelli  essendo  animali,  che  hanno  biso- 
gno d'alternar  il  moto  con  la  quiete  ,  non  possono  riposar 
nell'aria;  ma  si  ftirmano  nella  terra,  o  in  alcun  corpo 
composto,  in  cui  quel ,  che  signoreggia  ,  sia  la  terra;  ne 
segue  dunque  che  d'altri  animali  abbia  la  JNatura  fornito 
l'aere,  e  questi  sono  i  demoni,  a' quali  l'aria  per  la  leg- 
gierezza  de'corpi  loro,  potrebbe  far  letto  non  altramente 
di  quel,  che  faccia  la  terra  a'suoi  più  gravosi,  se  pur  i  cor- 
pi si  stancassero  per  !a  fatica.  E  questa  coiicliiiisioMe  da  una 
ragione  assai  naturaU;  può  esser  confirmata  ,  perchè  non  è 
verisimile  che  qucill'elemento  ,  che  è  più  vitale  degli  al- 
tri, quello  sia  fatto  privo  de'proprj  animali:  e  chiara  cosa 
e  che  l'aria  è  j)iù  vilal  di  ciascun  altro,  pereh'cgli  è  com- 
posta di  caldo,  e  di  umido,  qualità  sovra  le  quali  si  fonda 
la  vita,  e  qualità  più  atte  alla  generazione,  e  al  nutrimen- 
lo,  che  tutte  l'altre  ;  |)ercif)cehc  il  freddo,  ed  il  secco  son 
nemici  della  natura  ,  e  della  vita,  ed  il  fuoco  per  la  sua  so- 


IL  MESSAGGIER(3  XX.XIH 

^/ercliia  seccliezza  è  sterile,-  e  di  qui  avviene  che  presso   i 
Roinaai  Vesta  ,  eh' era  la  Dea  del  fuoco,  era  ])reposta  alle 
vergini,  e  verjj;irii  enìno  le  sue  sacerdotesse  :  lii  ttrra  nondi- 
meno, se  ben  e  fredda,  e  secca ,  è  atta  alla   generazione,  e 
al  nutrimento;  in  tanto,  ch'ella  fu  creduta    esser  non  solo 
madre  de' giganti  ,  ma  dogli  Dei  ;  e  ciò  avviene  per  la  sua 
natura  soda  ,  e  stabili',  la  qual  è  atta  a  ritener  tutte  le  vir- 
tiì,  che  piovono  in  lei  dal    Cielo,  onde  ingravidata  de' semi 
celesti,  e  riscaldata   da' raggi  del   Sole  ,  e  bagnata  dalle 
pioggie  ,  e  dulie  rugiade  ,  è  fecondissima  di  tanta  varietà  di 
cose  ,  e  di  tante  ricchezze,  che  gli  altri  elementi ,  poveri  e 
sterili  in  suo  paragone  son  giudicati  .  ne' quali  gì'  influssi  , 
e  le  semenze,  per  cosi  dir,  del  cielo  non  si  posson  fermare, 
non  essendo  essi  alti  a  ritenerli ,  ma  da  loro  nella   terra  so- 
no transfusi:  e  quinci  forse  avvenne  che  i  Pittagorici  stima- 
rono che  l'abilazione  degli  Idùti  è  quasi  la  terra,  e  la  reg- 
gia fosse  nella  terra:  ma  la  particolar  cagione,  per  la  quale 
ella  fu  detta  esser  madre  degli  Dei ,  è  perchè  non  sol  tutte 
le  cose  inferiori,  ma  i  corpi  celesti,  e  gli  angioli  eziandio, 
sono  in  alcun  modo  composti  di  potenza  ,  e  d'  atto  ;  e  sotto 
il  nome  della  terra  allegoricamente  vien  la  potenza  signifi- 
cata,  siccome  il  nome  di  Celo,  padre  di  Saturno,  al  quale 
tutti  gli  Dei ,  come  figli,  e  nipoti  si  riducono,  ci  è  signifi- 
catore  dell'atto .  Un'altra   cagione  forse  oltre  la  prima  si 
può  rendere  ,  perchè  la  terra  sia  detta  madre  degli  Dei  ;  e 
aiiesta  è,  perchè  voi    mortali  tutti  traete    il   corpo    dalla 
terra ,  alcun  de'quali  ,    dopo  che    l'anima    sua    esalila  in 
cielo  per  valore,  e  per  grazia    impetrando    d' esser  riposto 
nel  numero  degli  Dei,   non  si  dirricnlica  però  del   materno 
amore,  uè  si  disdegna  d'esser  figliuolo  della  terra  nomina- 
to. Qui  io  l'interruppi,  e  dissi:  Per  qual  cagione  vuoi  tu 
che'l  nostro  corpo  sia  tratto  dalla  terra?  non  è  egli  com- 
posto di  quattro  elementi  ?  SI,  rispose ,  ma  chi  in  lui  signo- 
reggia, e  che  determina   il  suo  tnovimento,  è  la  terra,  per- 
ciocché tu  hai  a  sapere  che  se    nel  corpo  non  fosse  un'eld- 
jnento,  che  signoreggiasse  ,  egli  a  ninna  parte  si  movereb- 
be: onde  è  famosa  proposizione  che  non  si  dà  corpo  egua- 
le al  peso  ;  la  quale  si  dee  stendere  non  solo  alla  gravità, 
ed  alla  leggerezza,  che  inchinano  al  uiovinienlo:  ma  all'al- 
iai^/o^/jì  7.  iii.  -^ 


XXXIV  ILMESSAGGIERO 

tre  ancora,  dalle  quali  nasce  la  complessione:  né  ti  maravi- 
gliare ,  se  i  corpi  degli  animali  sono  necessariamente  com- 
posti ,  poiché  né  anche  alcun  elemento  si  ritrova  non  me- 
scolato, avvegnaché  ahbia  la  terra  sempre  rinchiuso  in  sé 
alquanto  d'aere,  e  d'acqua:   e  l'acqua  sempre  mescolato 
in  sé  alquanto  del  terrestre  :  e  ove  ella  per  se  non  sarebbe 
di   alcun  sapore,   dal    mescolamento   della  terra  acquista 
d'esser  saporita  ,  e  spira  oltre  di  ciò  molte  fiate  alcuni  fu- 
mi, che  sono  di  natura  d'aere;  e  l'aere,  de'vapori ,  e  del- 
l'esalazioni, ch'a  lui  mandano  l'acqua ,  e  la  terra,  è  tutto 
ripieno  ;  e'I  fuoco  eziandio,  in  quella  parte,  che  con  l'aria 
confina,  molto  della  natui'a  dell'aria  partecipa:  e'I  cielo, 
non  ch'altro  corpo,  il  quale  fra  tutti  gli  altri  è  semplicis- 
simo ,  siccome  mostra  il  moto  circolare,  non  solo  delle  vir- 
tù degli  elementi ,  ma  delle  parti  loro  più  pure  è  compo- 
sto: e ,  come  gli  Àsti'ologi  per  isporienza  osservata  inse- 
gnano ne'  loro  ammaestramenti ,  i  pianeti  tutti  delle  (}u;ili- 
tà  degli  elementi  son  dotati;  e  perciò  possono  più  agevol- 
mente nelle  cose  inferiori  operare.  Qui  si  taceva  lo  Spirito, 
ponendo  sosta  al  sno  lungo  ragionamento;  ed  io  fra  me  an- 
dava alle  ragionate  cose  ripensando,  quando  sovvenendo- 
mi dun  dubbio,  il  quale  mal  da  me  poteva  esser  soluto, 
così  rincominciai    a  favellare:  Tu  hai  detto   che '1  corpo 
de' demoni  è  interposto,  c[uapl  mezzo,  Ira  "1  celeste  ,  e  quel 
degli  uomini,  onde  rome  quello  è  immortale,  e  come  que- 
sto atto  a  patire,  passit)ile:  ora  vorrei  sapere,  se  i  corpi  ce- 
lesti si  pesson  cosi  dir  corpi  dell'intelligenze,  come  queste 
mie  membra  son  corpo  dell'anima  mia,  e  come  le  tue  del 
tuo  spirto  son  corpo.  Non  rispose  egli,  perchè  l'anima  tua 
informa  il  tuo  corpo,  ma  l'iritelligenze  non  informano,  ma 
governano  i  cieli  in  quella  guisa  ,  che'l  nocchiero  siede  al 
governo  della  nave  ;  che  s' elle    informassero  il  cielo,  non 
si  potrebbono  da  lui  separare,  né  apparire  a  voi  mortali. 
Dunque,  soggiunsi  io,  per  questa  ragione  l'anima  mia  non 
dal  corpo  è  separabile?  Non,  replicò  egli,  quell'anima  tua, 
che  informa  il  tuo  corpo,  ed  in  ciascuna  parte  d'esso  si  ri- 
trova,  ma  l'intelletto  tuo  si  può  dal  tuo  corpo  separare, 
e  dividere,  il  cpiale  anch' egli  al  reggimento  delle  membra 
tome  il  nocchiero  alla  nave  è  proposto  .   Qui  di    nuovo 


IL  MESSAGGIERO  XXXV 

avoa  fi'tto  silenzio,  quand'io  dissi  :  Ma  se  l' anima  ragione- 
vole fosse  moilalii  ,  potrebbe  ella  con  Dio  congiungersi  ? 
Sovercbia  è  ora  questa  dimanda  ,  disse  egli,  jjoicbè  già  s'è 
provato  cb'ella  sia  immortale.  Sì  forse,  dissi  io,  la  mento 
che  tu  distingui  dall'anima  ragionevole;  perciocché  s'ella 
non  fosse  immortale,  come  dicesti,  non  si  congiungerebbe 
in  un  soggetto  la  natura  mortale  e  l'immortale.  La  men- 
te ,  rispose,  è  parte  di  quell'anima,  cbe  anch'  ella  è  detta 
mente,  e  quasi  suo  capo  .  Ma  chi  vede  mai  il  capo  immor- 
tale ,  quando  i'  al7re  parti  sono  mortali  ?  Que'filosoli  dun- 
que, clie  l'una  b/in  fatta  immortale,  e  l'altra  mortrile,  quan- 
tunque all'una  non  abbian  dato  seggio  diverso  da  quello 
dell'altra,  sono  stati  quasi  manigoldi  della  mente  ,  e  falsa- 
iiiente  hanno  filosofato.  E  bencLè  l'anima  ragionevole  sia 
forma  del  corpo,  nondimeno  non  è  tratta  dal  seno  delia 
materia,  né  si  divide,  o  si  distende  col  corpo;  ma  siccome 
il  signore  si  sta  nella  casa  ,  così  ella  si  sta  nelle  membra  , 
laonde  ella  se  ne  può  sferrare .  E  se  avviene  ch'ella  non  si 
Inutli  nelle  brutture  del  corpo,  se  ne  sale  al  cielo  pura  e 
incontaiuiiiata  ,  ma  s'ella  si  contaminasse  nelle  sue  lordu- 
re ,  se  ne  va  colà  ove  si  pvirga ,  come  leggesti  nel  tuo 
Poeta  : 

Ergo  exercentiir poenis,  veterumque  maloruin 
Supplicia  expendanl .  Aliae  panduntur  l'nanes 
Suspensae  ad  ventos:  aliìs  sub  gurgite  <^'asto 
Infectuni  eluìtur  scelus,  aut  exuritur  igni . 
Cosi  parlava  lo  Spirito,  ed  io  pendeva  dalla  sua  bocca, quan- 
do egli  così  soggiunse  :  Veggo  ohe  intentamente  m'ascolti, 
ed  assai  mi  piace  cbe  non  ti  dimostri  ritroso  alle  mie  ra- 
gioni molto  diverse  da  quelle,  cbe  usano  alcuni  filosofi  fa- 
mosi, i  quali  o  sono  costretti  di  confessare  che  l'una  veri- 
tà all'altra  sia  contraria ,  o  almeno   d'essere  anzi  amatori 
del  falso;  che  del  vero:  laonde  oltre  seguirò.  Or  lascia  ogni 
miscredenza,  e  innalzati  meco  più  su  che  non  arriva  il  sen- 
so o  la  ragion  naturale,  ed  abbia  ferma  credenza  ohe  quel, 
ch'io  ti  dirò  sarà    verissimo  ,  benché  in  alcuna  parte  sarà 
ricoperto  d'alcun  gentil  velo  ,  e  questo  anclie,  quando  cbe 
sia,  o  quando  tu  il  meriterai,  dalle  tue  membra  rimovcrò . 
Iddio,  che  sommamente,  e  iniinitanaente  è  buono,  ab  eter- 


XXXVI  IL  ]\IESSAGGIF.RO 

no  intese  la  sua  bontà,  e  intendendola  ab  eterno  l'amò,  e 
perciocché  Iddio  conoscitore  ,  e   amatore  della,  sua  bontà 
era  in  guisa  perfetto,  che  di  niuna  cosa  fuor  di  sé  poteva 
esser  bisognoso;  non  era  necessario  ch'egli  ab  eterno  l'al- 
tre cose  producesse:  volle  nondimeno  produrle  ,  perchè  è 
buono,  e  perchè  in  fjne!  che  è  buono,  non  è  invidia,  niuna 
invidia  potè  ritenerlo  ch'egli  non  compartisse  l'essere  al- 
l'altre cose,  e  in  loro  non  dispiegasse  la  sua  bontà  ;  e  volle 
che  tutte  le  cose  gli  si  assomigliassero,  quanto  la  natura  di 
ciascuna  comportava.   Fece  dunque   Iddio  il  mondo,  ma 
prima  (  cosi  conviene  che  teco  parli  )  ad  esempio  di  quelle 
idee,  che  ab  eterno  erano  nel  suo  intelletto,  fece  le  foj'me 
intelligibili,  le  quali    furono  quasi  infinite,  perciocché  il 
Lene  è  fecondo  per  natura,  e  spargendosi  da  Dio  nelle  co- 
se fuite  da  lui,  si  tiiultiplica  ,  quasi  unità  ne'numeri:  e  que- 
ste furono  l'idee  de' due  sovrani  Cieli ,  quella  di  Saturno, 
quella  di  Giove,  quella  di  Marte,  quella  del  Sole,  di  Vene- 
re ,  di  Mercurio,  e  della  Luna:  e  oltra  queste,  1'  idee  del 
fuoco,  delTaria  ,  dell'acqua,  e  della   terra,  che  V'uioano, 
Giunone,  Nettuno  e  Plutone  doveano  esser  nominate.  E 
sebben  Iddio  conosceva  che  oltre  queste  nature  intellet- 
tuali, niun'  altra  intellettuale  era  necessaria  a  fornir  per- 
fettamente la  natura  dell  universo,  e  a  mover  le  sfere,  che 
lor  dovevano  essere  sottoposte,  nondimeno,  oltre  la  neces- 
sità, egli  per  sovrabbondanza  di  bontà  disegnò  di  moltipli- 
care in  parti  quasi  innumerabili,  aggiungendo  a  ciascuna 
di  queste  nature  intellettuali  ,  eli' egli  nella  mente  avea 
conceputo,  nuincro  infinito  d'angioli ,  e  di  demoni ,  i  quali 
a  quelle  principali  nature,  quasi  soldati  al  suo  Capitano, 
fossero  soggetti.  Creò  poi  l'idee  de'corpi  celesti,  del  Sole  , 
della  Luna,  e  delle  stelle,  degli  elementi,  dell'uomo,  degli 
animali  bruti,  delle  piante,  dell'erbe  ,  e  de' metalli ,   e 
delle  pietre;  solo  delle  cose  artificiali  non  creò  imagini,  ma 
conobbe  nondimeno,  che  d'esse   la  mente  dell'uomo  do- 
veva COSI  adornarsi,  e  figurarsi,  come   la  sua  era  ripiena 
delle  forme  delle  cose  celesti,  e  naturali.  Questo  fu  il  pri- 
mo producimento,  che  fece  Iddio  fuor  di  se  stesso,  il  quale 
non  fu  fatto  in  tempo;  perciocché  non  era  ancora  ,   ma   in 
eternità;  nondiuicno  non  in  tutta Tcteniità,  la  (piale  non  ha 


IL  MES3AGGIER.O  XXXVit 

«è  prima,  ne  poi,  né  parti  di  successione  ,  ma  è  tatto  uni- 
ta e  riiccolta  in  se  stessa,  quasi  tranquillissimo  stiigiio  ,  clie 
non  ab1)ia  né  flusso  ,  né  riflusso,  né  discorrimento,  né  ac- 
crescimento, o  diminuzion  d'acque;  ove  il  Tempo,  che 
poiché  a  quella  somiglianza  fu  fatto,  quasi  rapido  torrente 
discorre,  e  consumando  egli  medesimo  le  sue  priuie  p;irti, 
ne  rifa  di  nuove,  e  per  continova  successione  si  fa  perpe- 
tuo. Dopo  il  primo  parto,  il  quale  sebben  fu  d'idee  qua- 
si infinite,  fu  nondimeno  un  soio ,  produsse  Iddio  le  natu- 
re corporee,  e  le  intellettuali  congiunse  con  le  corporee,  e 
a  ciascuna  delle  intellettuali  diede  cura  di  movere  la  sua 
sfera,  e  impose  a  Saturno  che  governasse  la  sua,-  e  volle 
che  Giove  della  sua  fosse  motore:  e  ufficj  a  questi  corri- 
spondenti diede  a  Marte,  al  Sole,  a  Venere,  a  Mercurio,  a 
Vulcano,  a  Diana  ,  a  Giunone  ,  a  Nettuno,  e  a  Plutone,  e 
agli  angioli  ;  e  i  demoni  diede  loro  per  compagnia  e  per  or- 
namento, perché  non  giudicò  convenevole  che,  dovendo 
poco  stante  essere  la  terra, e  l'acqua,  e  l'aria,  piene  di  tan- 
te varietà  d'animali, il  Cielo,  quasi  deserta  solitudine,  fosse 
privo  d'abitatori .  In  questo  parto  nacquero  quasi  gemelli 
il  movimento  e  il  tempo  ,  perciocché  il  primo  cielo  comin- 
ciò a  moversi  da  destra  a  sinistra,  e  gli  altri  con  movimen- 
to opposti  da  sinistra  a  destra  cominciarono  a  raggirarsi: 
perché  il  movimento  del  soprano  che  è  velocissimo,  tirò 
seco  tutti  gli  altri ,  ìv  modo  che  tutti  sono  agitati  da  due 
contrari  movimenti.  Allora  il  tempo,che  è  mobile  imagine 
dall'eternità ,  misurò  i  varj  moti  del  cielo  e  delle  stelle, 
che  alla  luce  del  Sole  chiarissima  facevano  quasi  una  danza: 
e  come  che  egli  misuri  certissimamente  tutti  i  movimenti , 
nondimeno  perché  quelli  del  Sole  sono  cagione  d'efTetfi 
maggiori,  e  da' mortali  più  conosciuti,  la  distinzione  delle 
stagioni  doveva  ess(;r  presa  da  lui;  edanno  esser  detto,  non 
la  misura, con  la  quale  sono  misurati  i  corsi  delle  stelle,  ma 
quella  del  giro  obliquo,  eli' egli  fa  per  lo  Zodiaco,  avvi- 
cinandosi agli  uomini,  ed  allontanandosi  da  loro,  il  quale 
non  fa  perfettamente  ritondo,  ma  al  quanto  distorto  ,  ac- 
ciocché con  la  sua  lontananza,  e  con  la  vicinanza  potesse 
esser  cagione  della  generazione, e  deUa  corruzione  delle  co- 
se. Ma  non  fece  mai  Iddio  alcuna  cosa  senza  amore;  e  per- 


XXXvlIl  IL  MESSAGGIERO 

clir  auiore  produce  amore  ,  tutte  coinimiaroiio  n  riamare 
Idilio  ,  qual  più,  e  qual  meno,  secondo,  che  da  Lui  più  ,  o 
meno  erano  amate;  ne  solo  il  cominciorno  a  riamare  per 
una  certa  corrispondenza  di  gratitudine,  ma  anche  per 
conseguir  la  lor  propria  Pehcità,  perchè  ciascuna  creatura 
fu  prodotta  bisognosa  di  perfezione,  la  qual  sola  amando 
Iddio,  ed  a  lui  volgendosi,  potevano  intieramente  acqui- 
stare. In  quella  guisa  adunque  (per  condiscender  alla  tua 
intelligenza  )  che '1  padre  mosso  dall'amore  di  sé  stesso, 
desidera  i  figliuoli,  ed  avuti ,  gli  ama  non  solo  per  suoi ,  ma 
per  lor  bene,  ed  i  figliuoli  per  gratitudine  o  per  bisogno 
riamano  il  padre;  Iddio  amando  se  stesso  produsse  le  cose 
fuor  di  sé,  le  quali  amò  come  fattura  sua,  e  fu  da  loro 
riamato  come  fattore  e  conservatore:  ma  fra  questi  amorì 
è  grandissitna  differenza,  perciocché  il  primo  amore  d'Id- 
dio non  è  distinto  dall'essenza  di  Dio,  ma  è  Iddio;  gli  aU 
tri  amori  d' Iddio  alle  cose  create ,  altro  non  sono,  che  vo- 
lontà di  compartir  la  sua  bontà,  ove  gli  amori  delle  cose 
create  sono  desiderio  di  parteciparla.  Con  Tanior  dunque 
tutte  le  cose  a  Dio  si  congiunsero ,  e  più  si  congiunsero 
quelle,  che  più  l'amarono,  e  più  l'amarono  quelle,  che  più 
Io  conobbero,  le  quali  furono  distinte  d'intorno  a  Lui  col 
ternario  e  col  novenario  numero,  che  piace  a  Dio,  e  gli  al- 
tri con  gli  altri  diversamente .  Ma  poiché  Iddio  vide  che 
gl'intelletti  creati  da  lui,  clie  Iddii  furono  poi  detti,  pimi 
di  nova  maraviglia  verso  là  rivolgevano  ogni  loro  affetto,  e 
ogni  loro  operazione  ,  in  così  fatta  maniera  loro  coininciò 
a  favellare:  O  Iddii,  de'quali  io  son  padre,  molto  m'è  ca- 
vo che  voi  m'amiate  ,  perciocché  nell'amor  vostro  cono- 
sco la  perfezione  dell'opere  mie,  ed  in  voi  mi  compiaccio  : 
laonde  non  avrete  mai  fine,  quantunque  possiate  averlo, 
perchè  sebbene  voi  siete  di  natura  in  parte  mortale,  non- 
dimeno per  volontà  giammai  non  morrete:  ma  siccome 
l'amor  eh'  io  portava  a  me  medesimo,  non  m'ha  in  modo 
invaghito  di  me  stesso,  ch'io  mi  sia  dimenticato  di  crear 
voi;  così  vorrei  che  voi  altri  per  vaghezza,  che  di  me 
avete,  non  vi  dimenticaste  d'oprar  nelle  cose  inferiori  ;  e 
se  per  altro  non  vi  piacesse ,  vi  dee  almeno  piacere  per 
compiacere  a  me  ,  che  son  vostro  padre  e  signore,  il  quale 


IL  MESSAGGIEKO  XXX IX 

tion  debbo,  né  il  consente  la  mia  dignità,  adopi-ar  la  mia 
possanza  senza  alcun  mezzo  nelle  cose  mortali  e  caduche  . 
l'ale  dunque  studiosamente  i  vostri  corsi:  transfondete 
negli  elementi  quella  virtù,  clie  dame  avete  ricevuta,  e 
comparlitela  a' vostri  cieli  sì,  ch'io  veggia  l'aria,  l'acqua  e 
la  terra  piena  di  quegli  animali ,  de'quali  ho  adorno  il  pri- 
mo esempio,  ch'io  ne  l"eci,alla  cui  similitudine  gii  altri 
mondi  deono  esser  fatti  ,  come  voi  in  me  riguardando  co- 
noscerete.  Così  disse  Iddio  facitore,  quando  gli  Dei  creali 
volgendosi  dalla  contemplazione  all'azione,  mossero  i  cie- 
li ,  e  fecero  germogliar  1'  erbe,  e  i  fiori ,  e  le  piante ,  e  ve- 
stirono le  piagge,  e  le  valli,  e  i  monti  di  mille  vaghezze,  e 
di  mille  varietà  di  colori:  e  l'acque,  che  pur  dianzi  rico- 
privano la  terra,  si  ritirarono  dentro  a  certi  confini ,  la- 
sciando grande  spazio  della  terra  discoperta ,  per  la  vita 
degli  animali.  All'ora  ella  piena  ancora  dell'umidità  del- 
l'acque, ricevendo  i  l'aggi  del  Sole  e  della  Luna,  s'ingra- 
vidò, e  cominciò  a  partorire  gli  animali,  i  quali  si  vede- 
vano uscir  del  suo  grembo  non  altramente,  ch'ora  veggia- 
mo  spuntar  1'  api  dalle  spalle  d'un  bue  putrefatto  ,  o  come 
nell'Egitto,  quando  il  Nilo  si  ritira  dentro  il  suo  letto,  si 
veggono  dalle  fertili  campagne  nascer  varie  maniere  d'ani- 
mali: e  già  le  selve  si  empievano  di  fiere  solitarie,-  e  gli  ar- 
menti e  le  gregge  ne'fecondi  prati  si  ragunavano  a  pascola- 
re; e  i  pesci  guizzavano  per  lo  mare  e  per  li  fiumi,  e  gli  au- 
gelli dispiegavano  le  penne  per  l'aria,  sì,  che  ornai  nulla  pa- 
rca che  mancasse  di  perfezione  a  questo  mondo  inferiore. 
Ma  Iddio  vedendo  ch'egli  aveva  dati  i  suoi  cittadini  al  Cie- 
lo, ed  i  suoi  a  ciascun'altro  elemento, volle  a  tutti  compar- 
tire le  dovute  dignità  :  ordinò  dunque  che  tutti  gli  animali 
guidati  dalla  natura  ,  seguissero  necessariamente  gli  appe- 
titi del  senso,  ma  non  consentì  che  potessero  inalzar  gli 
occhi  verso  le  stelle  ,  acciocché  non  s'invaghissero  delle 
bellezze  del  cielo,  le  quali  non  doveano  possedere.  Poi 
chiamò  tutti  gli  Dei  a  consiglio,  ed  egli  poscia  così  comin- 
ciò a  ragionare  :  Tutte  le  cose,  o  figliuoli,  ch'avete  fatte  , 
son  buone ,  perchè  in  tutte  rispleiide  alcun  raggio  della 
mia  bontà  ,  ma  in  alcune  pii!i  chiaramente,  e  meno  in  alcct- 
u  altra  ;  e  tutte  sono  state  da  voi  ornate  di  quel,  che  lo- 


Xr,  IL  MESSA.GG1ER0 

ro  si  conviene.  Solo  riintine  die  si  dia  alia  teri'a  un" ani- 
malo, che  non  sia  a  v>ù  soggetto,  e  non  operi  ,  come  gli 
altri,  per  necessità  di  natura  ,  ma  ch'abbia  la  volontà  li- 
bora,  o  potendo  inalzar  gli  occbi  a  queste  nostre  eter- 
ne abitazioni  possa  d  esse  invaghirsi  ,  il  quale  sebbene 
userà  la  libertà  della  volontà,  ch'io  gli  avrò  data,  voglio 
che  costà  su  possa  salire,  e  farsi  di  questa  nostra  città  cit- 
tadino ;  ma  pfrcbè  egli  sarà  di  tanta  eccellenza,  eh' a  voi 
in  alcun  modo  si  potrà  agguagliare,  non  voglio,  ch'alcun 
di  voi  nella  sua  creazione  s'impacci.  Ma  da  me  avrà  il 
principio ,  e  con  la  parte  sua  immortale  la  mortale  sarà 
tessuta  qu.isi  in  un  nodo  dell'universo  ,  e  tutti  coloro,  che 
nasceranno  di  lui ,  sempre  da  me  avranno  l'anima;  e'I  cor- 
po dagli  elciuenti.  Così  disse  ;  ed  egli  medesimo  disceso  in 
una  piacevolissima  parte  della  terra,  formò  l'uomo,  e  gli 
spirò  col  divin  fiato  nel  corpo  lo  spirito  della  vita  ,  impri- 
niendo  nell'intelletto  suo  ,  nella  volontà,  e  nella  memoria 
'imagioe  della  sua  essenza.  Quindi  si  ritirò  nel  cielo  ,  e 
tutti  gli  Dei ,  quasi  spettatori  rivolsero  gli  occhi  al  nuovo 
abitator  dell'universo,  che  portando  il  simulacro  della  di- 
vina bellezza  nel  teatro  del  mondo  cominciava  l'az^ione 
del  suo  quasi  poema:  ma  perchè  Iddio  vide  ch'egli  aveva 
da  Far  contrasto  con  l'appetito  del  senso  ,  il  quale  armato 
dellartiii  del  piacere  ,  gli  tenterebbe  d'  impedir  la  salita 
del  cielo,  volle  dargli  un  padrino,  che  la  volontà  amoiae- 
strassc  alla  futura  battaglia;  e  come  giusto  Signore ,  un'al- 
tro ancora  ne  consenti  che  avesse  la  parte  sensuale. Questi 
sono  i  due  genj  demoni ,  il  buono  ,  e  'I  rio  ,  da' quali  gì'  in- 
stinti vostri  sono  drizzali  ;  ed  il  reo  è  detto  reo,  non  per- 
ch'egli  r,ia  dì  natura  malvagio,  perchè  tutte  le  cose  create 
sono  buone,  ed  il  male  non  si  trova  nell'  universo  ,  e  altro 
peravventura  non  è,  cbe  privazion  dell'  essere  ;  ma  reo  si 
chiama  d.igli  effetti  ,  e  dall' ulhcio  suo  ,  avend'egli  preso 
cura  ,  come  invidioso  dell'eccellenza  dell'uomo,  di  volgere 
a'dilelti  l'appetito  concupiscibile,  che  per  se  stesso  inchi- 
navi, e  di  trasportarlo  talora  con  ira  smoderata  oltre 
que  termini ,  che  sono  dalla  ragione  prescritti.  E  questi 
furono  di  quelle  nature  intellettuali,  le  quali ,  dis^i ,  son 
di  numero  quasi  inlinito,   sì    che   agevolmente   poiché  gli 


IL  1\TESSAGGIER0  XM 

uomini  furono  niuìti  plica  li ,  a  ciascuno  due  ne  furono  assi- 
gnati:  e  se  lu  ben  ti  rammenti  dell'istorie,  malvagio  de- 
mone fu  quello  ,  il  quale  con  spaventosa  faccia  due  fiate 
apparve  a  Bruto  ,  e  la  prima  gli  disse:  „  un'altra  volta 
ne'Campi  Filippici  mi  vedrai  ,,.Qui  fermò  lo  Spirito  il  cor- 
so del  suo  divino  ragionamento  ,  ed  i)  tacqui  per  buono 
spazio,  soprapreso  da  altissioia  maraviglia;  poi  cosi  comin- 
ciai ;  Assai  m'Iiai  tu  persuaso  che  siano  queste  nature  in- 
tellettuali, oltre  quel  numero  ancora,  ch'io  stimava  ragio- 
nevole, e  in  questa  parte  come  ricco  e  liberale  prometti- 
tore, che  inolio  più  dà,  che  non  promette,  e  molte  cose 
m'hai  detto  degne,  ch'io  faccia  di  loro  prezioso  tesoro  nel- 
la memoria.  Ma  la  seconda  parte  della  promessa  non  hai 
tu  ancora  adempiuta.  Aspetto  dunque  d'udire,  quel  che  es- 
se sieno,  e  poi,  che  sian  quelle,  delle  quali  priina  ragiona- 
sti. Demoni ,  risj)Ose  ,  sono  sostanze  corporee,  ragionevoli, 
atte  a  patire,  ed  immortali.  Allora  io  replicai  :  già  io  udii 
dire  nelle  scuole  de'Peripatetici  che  ciò, che  è  atto  a  pati- 
rete mortale:  laonde  se  essi  sono  acconci  a  patire, è  neces- 
sario che  siano  mortali .  Ed  egli  :  cotesto  sarebbe  \<  ro ,  se 
le  passioniate' demoni  fossero  passioni  del  corpo,  o  S'^guis- 
sero  la  sua  temperatura  ;  ma  elle  son  passioni  dell'animo  , 
e  non  dipendono  dalla  temperatura  del  corpo  .  Pur  se  al- 
cun dubbio  ti  rimanesse  ,  ricorri  alla  volontà  di  Dio,  per  la 
quale  molte  cose,  che  si  possono  dissolvere  ,  non  si  dissol- 
veranno, né  moriranno  uìolle,  che  possono  morire.  Non 
hanno  dunque  corpo  i  demoni ,  se  le  passioni  loro  da'  cor- 
pi non  dipendono,  dissi  io  allora.  Hanno,  rispose,  ma  non 
invidiano,  ne  si  adirano,  perchè  abbiano  corpo  ,  come  fan- 
no gli  uomini,  ma  perchè  s'adirano  e  invidiano,  hanno 
corpo;  e  perchè  ciascun  che  s'adira,  e  invidia  ,  può  amare, 
possono  amare,  e  il  loro  amore  molte  fiate  a  quel  degli  uo- 
mini concupiscibile  è  assai  somigliante  .  Qui  egli  tacque, 
ed  io  così  dissi:  già  avendo  io  altre  fiate  udito  dire  ch'i 
demoni  delle  femmine  s'innamoravano,  e  godevano  de'Ioro 
amorosi  abbracciamenti,  non  dava  maggior  credenza  a  co- 
tali  porole  che  io  soglia  a  quel,  che  favoleggiano  le  vec- 
chiarelle  co' fanciulli  quando  alla  lor  conocchia  traggono 
la  chioma  ;  ma  ora  intendendo  da  te  come  provi  che  essi 


■XLII  il  3IESSAC.GIER0 

siano  soggetti  alle  amorose  passioni,  non  mi  par  sconvene- 
Tole:  e  ricordandomi  quel,  che  de" giganti  lessi  nelle  s.icre 
lettere,  e  quel,  c!ie  degli  Eroi  nelle  Gentili  ho  leUo,  mag- 
giormente in  questa  opinione  mi  confermo.  Mi  pare  non- 
dimeno cosa  assai  maravigliosa  che  di  due  specie  di  natu- 
ra diverse,  quali  sono  la  umana  ,  e  quella  de' demoni ,  pos- 
sa nascere  un  misto  ,  che  sia  gigante,  o  eroe  .  Parrà,  ri- 
spose lo  Spirito,  se  tu  ti  ridurrai  a  merRoria  che  dal  caval- 
lo e  dall'asina  nasce  il  mulo,  e  nel  paese  di  Cirene  i  cani 
nascono  da'lnpi  e  dalle  cagne,  e  i  cani  Laconici  da 'cani  e 
dalle  volpi,  e  gì' Indiani  dalle  tigri  e  da'cani,  ma  nel  terzo 
congiungimento  :  e  che  nella  riva  d'un  fiume  d'Affrica  dal 
rimescolamento  di  varj  animali,  son  prodotti  ogni  giorno 
molli  mostri.  Nondiiueno  puoi  di  ciò  credere  a  tuo  modo. 
Ma  sappi  che  il  corpo  de'  demoni  non  è  grosso  e  terreno  , 
come  quello  degli  uomini,  ma  etereo  e  sottile  in  modo  che 
essi  agevolmente  possono  penetrare  in  ciascuna  parte  . 
Laonde  a  coloro  se  ne  vanno,  che  essi  conoscono  disonesti 
amatori,  i  quali  persuadono  con  nuovi  e  maravigliosi  mo- 
di ,  mescolandosi  fra'  loro  pensieri ,  o  dormano  ,  o  siano  de- 
sti,  con  alcune  imaginarie  invenzioni;  e  da  sì  faHp  imagina- 
zioni sono  molte  fiate  ingannate  le  maglie,  e  l'altre  donne, 
che  a'demoni  credono  di  congiungersi  negli  amorosi ahhrac- 
ciamenti.  Qui  si  tacque  lo  Spirito,  e  poi  così  ricominciò: 
Se  si  danno  le  specie  artificiali  mescolate,  è  necessario  che 
si  concedano  le  naturali  parimente  miste,  perchè  sempre 
l'artificiali  delle  naturali  sono  imitazioni;  né  si  può  ritro- 
var l'iinitazione,  se  prima  non  si  trova  la  cosa  'imitata  : 
chiamo  io  specie  artificiali  non  quelle,  ch'assolutamente 
sono  fattura  dell'arte,  benché  di  queste  ancora  molte,  che 
sono  mescolate,  potrei  annoverare;  ma  quelle,  che  di  due 
semplici  specie  naturali  per  alcun  artificio  insieme  si  sono 
congiunte,  quali  sono  gli  innesti  delle  piante,  di  cui  così 
leggiadramente  cantò  il  tuo  Poeta  in  quei  versi  ; 

Jnseritur  vero  ex fcetu  nitds  arbutus  horrida, 
Et  slerìles  platani  malus  gessere  valentes  : 
Castaneac  fagus  ,  ornusque  incanuit  albo 
Flore  pyri  :  gUiiKlcmqiw  siies  fregare  sub  ultnìs. 
Taceva  lo  Spirito  co' versi  di   Virgilio,  quand'io   in  cotal 


IL  MESSAGGIERO  XLIII 

guisa  incominciai  :   Io  veggio  clie  l'ispericnza  ci  dijnoslra, 
e  la  lapidile  c'iiisegiia,  clic  di  due  specie  naturali  seaiplici 
si  può  coniporne  una  mista,  ma  questo  credo  eli'  avvenga 
fra  quelle  specie  solamente,  fra  le  quali  è  alcuna  somiglian- 
za, com'è    fra '1  lupo  e  '!  cane ,   e   l'asino   e'I    cavallo,  i 
quali  son  tutti  nel  genere  degli  animali  privi  di  ragione,  e 
di  forma  di  corpo  non  molto  dissomiglianti  j  ma  fra  l'uo- 
mo, e  l'animale  bruto  è  per  avventura  tanta    lontananza, 
che  di  loro  un  animai  misto  non  si  può  accoppiare;  onde 
ciò  che  Sii  dice  del  Minotauro,  del  Centauro,  e  delle  Siice- 
ne,  estimo  io  invenzione  de' Poeti;  né  presto  maggior  cre- 
denza a  quello,  che  scrisse  Aristotile  d'Onosceli,  la  qual  es- 
sendo bellissima  fanciulla  era  nata  d' un'asina,  e  ad  Agesi- 
lao d'Epona,  che  nacque  d'una  cavalla, oppure  a  quel  che 
si   legge  nell'istorie  delle  cose  di  Settentrione,  che  UUone, 
padre  di  Nugillo,da  cui  son  derivati  i  re  di  Dania,  fosse  ge- 
nerato d'  un  orso.  Ragionevolmente  estimi ,  rispose  lo  Spi- 
rito; nondimeno  fra  il  demone  ,  e  l'uomo  è  maggior  somi- 
glianza di  natura  ,  che   non   è  fra  l' uomo  ,  e  '1  bruto  ,  per- 
che l'uomo  è  simile  al  bruto  nella  mortalità  del  corpo  ,  e 
al  demone  nella  immortalità  dell'anima;  e  quel,  che  deter- 
mina la  natura  nell'uomo,  è  l'esser  ragionevole  ,  e  in  que- 
sto egli  conviene  col  demone:  onde  essendo  fra  loro  più  vi- 
cinità ,  pare  che  più  convenevolmente  possano  insieme  me- 
scolarsi: e  ciò  sia  detto,  acciocché  l'ingegno  tuo  usato  alle 
profonde  questioni  non  cessi  dalla  sua  propia  operazione. 
Ma  nuovo  dubbio  sopraggiungendomi,  replicai:  Se  ben'  io 
credo  alle  tue  ragioni,  le  quali  mi  provano  che'l  demone 
sia  animale  affettuoso ,  onde  in  conseguenza  sono  eonstret- 
to  a  credere   che  egli  possa  accendersi  d'amore;  nondi- 
meno ,  perché  l'amore  presuppone  sempre  maggior  impe- 
dimento nell'amante,  che  nell'amato,  non  mi  par  ragio- 
nevole che  egli  possa  amar  l'uomo,  essendo  l'uomo  men 
eccellente,  e  men  bello  di  lui;  ma  più  convenevol  sarebbe 
che  egli  degli  Dei  s'innamorasse  .  A  questo  così  rispose  lo 
Spirito:  che  due  sono  le  nature  dell'amore  ,  l' una  è  desi- 
derio di  participar  dell'altrui  perfezione;  l'altra  è  volontà 
di  compartir  altrui  la  sua  propria   eccellenza  :  questi  due 
amori  non  si  trovano  semplici,  se  non  ne' due  estremi ,  in 


X\Ay  IL  MESSAGGIEIIO 

Dio  crealoiv  ,  e  nella  ma leri;i  prima  ;  e  in  tutti  gli  altri 
so|^getti  si  ritiuvan  mescolali,  perchè  la  nìaleria  prima 
ama  la  forma  per  adempir  col  suo  congiunyimetito  i  pro- 
prj  difetti,  non  potendo  ella,  uè  desiderando  di  giungere 
alla  forma  alcuna  perfezione.  Ma  Iddio  ama  le  creature  per 
compartir  a  tutti,  a  chi  più,  e  a  chi  meno,  la  sua  perfezio- 
ne; non  aspettando  da  loro  alcuno  accrescimento  de'la  sua 
felicità  :  or  rammentati  di  quel,  c'hai  lett  >  leggendo  Ome- 
ro, quando  Giove  dice  che  s'egli  mandasse  giij  una  cate- 
na dal  cielo  sin'alla  terra,  e  tutti  gli  Dei  cercassero, appren- 
dendosi a  quella  catena,  di  tirar  Giove  a  sé  ,  non  potreb- 
bono  ,  ma  egli  di  leggieri  a  sé  tutti  gli  trarrebbe.  Questa 
catena  altro  non  significa  ,  che  la  catena  amoro>^a  ,  con  la 
quale  Iddio  potentissimo  non  mosso^  dagli  Dei  minori ,  o 
dall'altre  creature;  ma  egli  tutte  le  muove  ,  come  amato  , 
e  desiderato;  perchè  se  Iddio  aniasse  p  u'  ricever  perfezio- 
ne ,  l'oggetto  amato  sarebbe  l'agente,  ed  egli  sarebbe  il 
paziente  :  onde  ne  seguirebbe  eh' egli  sarebbe  qui  tirato: 
ma  questo,  come  ho  detto,  è  impossibile, o  solo  possibile 
ad  amore:  ma  egli  mandando  gii^i  i  suoi  doni  ,  e  le  sue  gra- 
zie, luna  con  l'altra  innanellata  a  guisa  d'aurea  catena, 
fa  che  questo  ordine  di  grazie  discenda  dal  cielo  alla 
terra  ,  e  con  esse  rapisce  a  sé  gli  angioli,  e  tutte  le  creatu- 
re,  cbe  ad  esso  per  farsi  perfette,  s'apprendono.  Tanto 
voglio  aver  detto  de'due  amori  semplici  ;  or  passiamo  agli 
amori  degli  angioli ,  e  delle  creature  .  L'angelo  sovrano, 
quando  a  Dio  si  rivolge,  l'ama  di  quell'amore,  che  pre- 
suppone imperfezione;  perciocché  egli  l'ama  per  farsi 
perfetto;  ma  quando  si  china  verso  gli  angioli  inferiori , 
ama  loro  per  infond(;re  in  essi  quella  perfezione,  che  da 
Iddio  lia  ricevuta;  e  gli  angioli  inferiori  amano  i  superiori 
per  farsi  piìi  belli;  perciocché  gli  spiriti  angelici,  che  sono 
descritti  nell'ordine  sotnmo,  contengono  in  sé  le  proprietà 
degl'inferiori;  ma  gli  ultimi  non  hanno  in  tutto  le  proprie- 
tà de' superiori ,  ma  essendo  illustrati,  tanto  ricevono  di 
lume,  quanta  è  la  capacità  di  ciascuno.  Qual  meraviglia  è 
dunque  se  amano  gli  uomini,  tutto  che  d'ossisian  più 
eccellenti,  poiché  gli  amano  per  illustri  modi?  Vedi  ornai 
che  il  tuo  dubbio  è  soluto.  Disciolto,  io  risposi ,  ma  pur 


IL  iVIESSAGGlERO  XI.V 

sarebbe  più  ragionevole  ch'essi  gli  ;ingioli  inaggiormeute 
amassero ,  poiché  il  desiderio  di  compartir  la  perfezione 
deve  esser  minor,  che  quel  di  riceverla  .  Vero  è  quel,  che 
dici ,  rispose  lo  Spirito,  ed  è  vero  che  le  creature  tutte 
amano  più  ferventemente  le  cose  più  nobili  ,  e  men  le  me- 
no; Iddio  nondimeno,  tutto  ch'ami  per  l'altrui  perfezione, 
ama  con  maggior  fervore  d'  ogni  creatura;  e  quello  avvie- 
ne per  l'eccesso  della  bontà  ,  la  qual  supera  senza  alcuni» 
proporzione  la  bontà  di  tutte  le  cose  infinite  . 

Qui  taceva  lo  Spirilo^  quand'io  nuova  occasione  di  ragio- 
nare porgendogli,  ricominciai.  Se  i  demoni  possono  amar 
gli  uomini,  non  pare  a  me  irragionevole,  che  con  essi  ne- 
gli amorosi  abbracciamenti  possano  mescolarsi,  e  questa 
mia  opinione  è  confermata  dui  mio  poeta,  quando  dice  : 

Quem  Rhea  Sacc.rdos 

Furtivum  parili  sub  liuniiiis  ediclit  auras 
Mixta  Deo  niulier . 
Troppo  dice  il  tuo  Poeta  ,  rispose  lo  Spirito,-  ed  in  que- 
sto troppo  offende  la  dignità,  e  Tiiutorità  dell'Intelligenze 
celesti  :  ne  si  doveva  egli  per  avventura  ricord.ire  di  quel- 
lo, che  pur  doveva  aver  letto  nel  Convito  di  Platone,  che 
gli  Dei  con  gli  uomini  in  alcun  modo  non  si  mescolano,  ma 
per  lo  mezzo  de'  demoni  con  gli  uomini  hanno  commercio; 
benché  non  egli  in  ciò  s'ingiuina,  ma  Platone,  e  tu  anco- 
ra, che  i  suoi  versi  non  hai  bene  interpretati ,  perchè  egli 
in  quel  luogo  parla  di  Ercole,  quando,  tornando  di  Spa- 
gna non  era  ancor  deificato;  e  sebbene  il  chiama  Dio,  per- 
ciiè  poi  doveva  tra  gì'  Iddìi  essere  annoverato,  non  era  di- 
sconvenevole ch'egli  vestito  d'umane  membra  potesse  cun 
una  donna  congiungersi.  Ma  Platone  quando  dice  che  gli 
Iddii  non  si  mescolano  agli  uomini  ,  non  intende  del  me- 
scolamento carnale  (che  se  ciò  intendesse,  bene  intende- 
rebbe, perchè  lappefito  concupiscibile  non  conviene  agii 
angioli,    i  quali  da    lui    sono  Iddii  nominati  ì  ma    intende 
della  fanìigliarilà  e  della    domestichezza,  e    in  ciò  manife- 
stamente s'inganna;  perch'essi  molle  fiate  prendendo  cor- 
po umano,  agli  uomini  soglion  dimostrarsi  :  ma    forse  Pla- 
tone considera  allora  negli  angioli  quel,  che  è  naturale,  non 
quel,  cli'è  volontario,  perciocch'cssi  per  natura  non  si  ds- 


XLyl  IL  MESSAGGIERO 

mesticavebbono  con  gli  uomini  per  la  distanza  ,  eli' è  fra 
loro  di  natura  ,  e  di  luogo  ;  ma  avendo  la  volontà  libera  ,  e 
non  obbligata  ad  alcun  determinato  loovimento,  tutta  incli- 
nata alla  carila  ed  alla  grazia,  possono  agli  uomini  appari- 
re, ed  alcuna  volta  il  fanno.  Questo,  dissi  io,  mi  par  mol- 
to ragionevole  ,  né  mi  potrà  pili  capir  nel  pensiero  cb'  in 
animo  celeste  possa  accendersi  desiderio  carnale;  ma  bea 
dubito  ancora  se  i  demoni  possano  per  concupiscenza  del- 
le donne  invi<gnirsi,  e  con  esso  loro  amorosamente  con- 
giungersi, e  se  vero  sia  quel,  cbe,  non  sola  da'Poeti  si  dice 
de' Satiri,  e  de'  Silvani,  ma  da' Teologi  ancora,  degl'  Incu- 
bi e  degli  Succubi.  Già  abbiamo  concbiiiso,  rispose  lo  Spi- 
rito nostro,  cbe  i  demoni  non  ban  corpo  simile  a  questo; 
laonde  quantunque  essi  potessero  innamorarsi,  non  potreb- 
bono  nondimeno  congiungersi  amorosamente  in  quella 
guisa,  cbe  fanno  gli  animali  sottoposti  alla  generazione,  e 
alla  corruzione  .  Ma  tu  bai  letto  degl' Incubi ,  e  de'  Succu- 
bi, e  de' Silvani ,  ed  bai  letto  similmente  nelle  favule  di 
Marte  quando  Rea  abbracciò;  e  di  Giove,  cbe,  per  godersi 
d' Alcmena,  allungò  la  notte,  laonde  egli,  qui  tempia  Coe- 
li  concutit ,  discese  nel  grembo  di  Danae  in  preziosa  piog- 
gia d'  oro  ;  ed  Ercole  ,  e  Perseo  ne  furono  generati  :  e  leg- 
gesti ancora  nell'istorie  cbe  Alessandro  ,  e  Scipione  furo- 
no creduti  figliuoli  di  Giove.  E  ciò  suole  avvenire,  percbè 
gli  spiriti  in  sogno  s'appresentano  agli  uomini  in  forma 
bellissima,  e  augusta,  e  superiore  all'umana,  quale  è 
quella  ,  cbe  in  me  vedi ,  sì  cbe  la  lor  fantasia  ,  quasi  tena- 
cissima cera  ,  s' imprime  d'una  imagine  di  bellezza,  più 
cbe  mortale^  e  percbè  la  virlìi  della  fantasia  è  grandissima, 
quando  gli  uomini  vengono  agli  abbracciarnenti  d'amore  , 
venendoci  pieni  di  sì  alta  imaginazione,  i  (ii^liuoli,  cbe  poi 
son  prodotti,  sogliou  nascer  simili  a  quell'eccellente  idea 
di  valore  ,  o  di  bellezza,  cb'  i  padri  nella  mente  avean  con- 
ceputa .  Oltre  ciò,  percb'i  demoni,  come  già  abbiamo  con- 
cbiusio ,  sono  astrologi,  essi  procurano  die  il  destinato 
parto  sia  conceputo ,  ed  esca  in  luce  sotto  grandissimo  fi- 
voi"  di  stelle,  e  cbe  riceva  dagl' inibissi  celesti  ogni  ecccl- 
Icr.tissima  dote  di  natura  ;  il  (piale  poiebè  cresce  in  età,  e 
può  bc*qìrire  il  suo  valore,  è  detto  eroe  ,  ed  e  tenuto  su- 


IL   MLSSAGGIERO  Xr,-,ll 

perion;  ayli  altri;  onde  si  crede  clie  non  sia  fiylitiolo  d'uo- 
mo, ma  d'alcuno  Iddio.  E  perchè  la  particolar  provvidenza, 
die  quell'Iddio  ha  avuto,  di  farlo  nascere ,  merita  ch'a  lui 
il  noirie  di  padre  s'attrdjuisca,  o  almendi  protettore;  laon- 
de appresso  Omero  a' principi  degli  Eroi,  Achille,  Aga- 
mennone, Ulisse,  sono  aggiunti  certi  Dei ,  clic  ne' pericoli 
son  compagni;  e  il  nome  d'eroe  è  nome,  eh'  in  Greca  fa- 
vella deriva  da  amore:  pei'chè  il  vicendevole  atnore  fra 
l'Iddio  e  l'uomo  è  stato  cagione  ch'egli  sia  nato.  jMa 
que' demoni,  che  malvagj  sono  detti  dall'ufficio  loro  ,  con 
le  donne  in  quella  guisa  si  congiungono,  che  voi  uomini 
solete  ;  e  perchè  essi  non  potrehbono  per  se  generare,  git- 
lano  il  seme  d'alcun  uomo  nel  ventre  della  donna,  ch'è 
di  quelle  ,  che  streghe  sono  da  voi  domandate  ,  e  da  sì  fat- 
ti congiungimenti  nascono  i  maghi,  quale  fu  Merlino,  che 
fu  giudicato  figliuolo  del  Demonio.  Taceva  lo  Spirito;  ed  io 
quasi  soddisfatto  d' ogni  mio  dubbio  .  non  aveva  che  di- 
mandare ,  quando  egli  di  novo  ricominciò.  Già  tu  hai  in- 
teso quel  che  siano  i  demoni  ;  ma  le  intelligenze  cliiamate 
angioli  sono  sostanze  incorporee,  intellettuali  ed  immorta- 
li, e  non  acconcie  a  patire.  E  se  int(:llig<Mize  furono  quelle, 
che  gli  antichi  chiamarono  Iddii  ,  non  convenevolmente 
fu  loro  attribuito  il  riso  e  il  pianto  ,  che  sono  seguaci  delle 
passioni,  e  con  maggiore  sconvenevolezza  fu  detto  eh'  essi 
con  gli  uomini  carnali  si  mescolassero.  Ma  perchè  amano 
ir»  modo  assai  diverso  dall'uomo,  con  l'amore  cnngiungono 
la  natura  umana  alla  divina;  e  quasi  messaggeri  di  qua  e  di 
là  portano  e  riportano  quel,  che  agli  uomini  è  giovevole  e 
necessario,  o  a  Dio  caro  e  dovuto.  E  cari  a  Dio  sono  i  de- 
voti prieghi  de'mortali,e  i  voti  e  le  lodi  ;  ma  agli  uomini  so- 
no necessar]  e  giovevoli  i  doni  di  Dio,  i  quali  son  tanti, che 
non  psssono  qua  essere  raccolti  sotto  numero  determinato. 
Ma  pur  se  tu  vuoi  intendere  de'  doni  naturali ,  puoi  pien- 
dere  il  numero  delle  intelligenze  de'pianeti;  e  sono  l'acu- 
tezza del  contemplare  ,che  deriva  da  Saturno,  la  potestà 
del  governare  e  dei  comandare,  che  da  Giove  dipende^  la 
grandezza  dell'animo,  ch'è  virtù  infusa  da  iMaitc,  la  chia- 
rezza dei  sensi,  e  dell'opinione,  die  è  dono  dato  per  mezzo 
del  Sole;  l'auiore  ,  eh  è  inspirato  da  Venere  ,  la  prontezza 


XLVm  IL  MESSAGGiERO 

al  parlare  ,  e  all'interpretar,  chf   viene  da  Mercurio;  !a 
fecondila  del  generare,  che  procede  d.illd  Luna  . 

Qui  tacque  egli,  ed  io  dis!^i.•  A  qual  di  questi  doni  ridur- 
rai le  leggi,  le  quali  pur  ami  dicevi  che  erano  agli  uomi- 
ni state  donate  dagli  Dei?  Le  leggi,  rispose  lo  Spirito,  so- 
no di  tanta  importanza,  che  solo  da  Iddio  grandissitno,  per 
njezz.o  degli  Iddii  minori,  o  degli  angioli,  possono  esser 
donate  huone  intieramente  ,  ed  egli  mandandole  agli  uo- 
mini ,  le  manda  accompagnate  da  sette  messaggiei  i  ;  ma 
perchè  uno  nondimeno  in  quel,  che  appartien  a  quest;i 
ambasceria,  tiene  il  luogo  principale,  da  uno  pare  ch'elle 
siano  ricevute.  A  quel ,  eh' io  raccolgo,  dissi  io,  l'ufficio 
loro  altro  non  è  che  congiungere  per  via  di  messaggio  la 
natura  umana  colla  divina.  Questo  è  appunto  d'esso,  ri- 
epose  lo  Spirito.  Allora  io  così  cominciai  a  favellare:  As- 
sai ho  io  da  te  ,  cortese  Spirito,  apparato  ,•  ma  se  noi  con- 
templiamo volentieri  per  esser  poi  piìi  atti  all'  operare  , 
qiìel,  che  hai  detto  del  celeste  messaggero,  vo!  rei  che  s'ac- 
compagnasse con  alcuna  cosa  appartenente  all'umano  atn- 
basciadore.  Convenevole  dimanda  è  la  tua  ,  rispose  lo 
Spirito,  e  simile  a  quella  del  saggio  Pie,  il  quale  doven- 
Ho  chiedere  alcuna  grazia  a  Dio  ,  non  chiese  scienza 
di  cose  naturali ,  o  soprannaturali,  ma  senno  per  go- 
vernare. Allora  io  soggiunsi;  Ma  forse  gli  accidenti  nei 
quali  r.iiubasciatore  può  mostrare  sua  prudenza,  sono  in- 
finiti. Laonde  io  stiino  che  sia  quasi  impossibile  il  darne 
alcuna  arte;  tuttavolta  così  del  perfetto  messaggero  mi 
pare  che  si  possa  ragionare  ,  come  altri  del  perfetto  orato- 
re ragionò.  Così  ci  sono  de' celesti  oratori,  come  de' mes- 
saggeri,  a'quali  favellando  si  può  aver  riguardo  (  rispose 
lo  Spirito  );  ma  se  in  altro  modo  di  questa  materia  dovessi 
ragionare,  clie  ne  direi?  Che  l'arte  oratoria  all'arte  della 
cucina  fu  assomigliata.  Ed  io  risposi:  io  mi  terrei  da  te 
appieno  sodisfatto,  se  tu  m'insegnassi  quel  ,clie  fosse  l'am- 
])asciatore,  e  qual  è  l'ufficio,  e '1  fine,  in  quella  guisa  che 
queste  cose  medesiine  sono  dagli  altri  nell'oratore  dimo- 
strate, il  quale  conven'Mid:)  nel  nome  coll'ambasciadore,  è 
verisimile  che  in  altro  ancora  siano  somiglianti,  e'forse 
Megli  antichi  secoli  fu  il  medesimo  esercizio.  Molto  volon- 


IL  MESSAGGIERO  Xl.lX 

tieri  mi  appareccliio  a  compiacerti  ,  rispose  lo  Spirilo,  e 
toccando  solamente  gli  universali ,  studierò  di  esser  breve, 
in  modo  ptrò,  che  tu  non  avrai  cagione  né  di  accusar 
l'oscurità  ,  né  di  desiderar  la  notizia  del  vero.  Cotesto, 
di^'si  io,  sarà  molto  a  me  caro  ,  ed  in  tal  modo  ho  inteso 
che  di  tal  arte  trattò  Ermolao  Barbaro,  fiimosissiiiio  Ce- 
natole, in  un  suo  libretto  ^  il  quale  nelle  niie  mani  n^.n  è 
pervenuto j  ma  credo  che  sia  molto  degno  della  sua  dot- 
trina, e  dell'esperienza,  che  egli  ebbe,  delle  cose  del  mon- 
do, e  in  j)articol<»re  d'Il'ambascieria,  nel  qual  ufticio  egli 
spese  gran  parte  della  sua  vita,  esercitandolo  gl(jri(jsaiiiei\- 
te  appresso  i  maggiori  Principi  de' Cristiani .  Degno  è  ve- 
ramente di  lui  il  libretto  ,  ch'egli  scrisse,  soggiunse  lo 
Spirito;  più  viva  Imagine  nondimeno  dell' eccellenza  ch'e- 
gli ebbe  in  quest'arte,  è  il  Signore  Francesco  Barbaro, 
suo  pronepote,  da  cui  tu  più  potrai  apprender  della  pru- 
denza, e  della  gravità  convenevole  agli  ambasciatori  ,  che 
da  quanti  libri  potessi  rivolgere  giammai .  Fortunato  fra 
tante  sciagure  son  io  veramente  ,  soggiunsi  allora,  per  la 
stretta  conversazione,  che  ho  con  questo  gentiluomo  così 
valoroso,  e  di  così  raro  giudicio;  né  men  fortunato  per  la 
conoscenza,  che  ho  del  signor  Ottavio  S.  Croce,  Nunzio  di 
Sua  S.,  prudentissimo,  e  libera lissiiuo  Prelato  ,  e  che  so- 
stiene Si  alta  professione  con  somma  autorità,  e  splendore, 
e  con  esempio  di  virtù  ,  e  di  religion  singolare  .  Ma  ove 
lascio  il  S.  Vincenzio  Lauro,  non  men  eccellente  nella 
contemplazione,  che  nell'azione,  e  nell'una  e  helT  altra  di 
sì  grandissiiua  eccellenza,  come  hanno  conosciuto  con  ma' 
ravigtia  grandissima  della  sua  virlù,  e  del  sapere,  non  solo 
le  barbare  nazioni,  ma  i  gloriosissimi  regi,  e  i  potentissimi 
Augusti?  Ove  il  Signore  Ipj)olito  Capilupi,  ch'essendo  fra 
i  primi  e  più  lodati  poeti  di  questo  secolo,  non  ha  voluto 
esser  men  dotto,  p  meno  prudente  oratore  ,  o  men  accorto 
cortigiano,  o  men  liberal  signore,  o  men  sincero  amico 
degli  amici?  Ove  il  Signore  zinnibale  di  Capova ,  in  cui  la 
nobiltà  del  sangue  illustre;,  e  la  grandezza  del  fratello  è  il 
pregio  minore  ,  tant'è  egli  adorilo  di  lettere  ,  e  di  costu- 
mi,  ed  in  particolare  di  quella  prudenza  ,  e  di  quella  ac- 
eortezza  ,  e  destrezza  d' ingegno  ,  eh' a  quest'oHlcio  è  ne- 
UialoghiT.  III.  d 


L  IL  MESSAGGIERO 

cessarla  ?  Ove  il  Signor  Conte  di  Porzia  ,  di  cui  né'  1  più 
eloquente  ,  ne  '1  più  dotto  uscì  mai  delle  scuole  di  Padova, 
o  di  Bologna,  né  1  più  prudente  partì  mai  dal  Vaticano  , 
per  muover  gli  animi  de'  Principi ,  o  per  coinpor  le  discor- 
die de' Re  ,  e  de'  popoli  ;  al  cui  valore  Roma,  eh' è  cosi 
grande ,  fu  già  picciolo  teatro  ,  ed  ora  Germania  ,  che  è  la 
maggiore  e  la  più  nohile  delle  provincie  ,  a  fatica  pare 
che  possa  dare  spettatori ,  e  ammiratori  a  bastanza?  Ove  il 
Si^^nor  Conte  Fulvio  Rangone,che  ha  pochi  paragoni  nelle 
lettere  ,  nell'acutezza  ,  e  nella  maniera  del  negoziare,  e 
pochi  nella  nobiltà,  e  nello  splendore  della  vita?  Né  debbo 
tacere  i  due  nobilissimi  Cavalieri  Ferraresi  ,  il  Gualengo, 
ed  il  Fiasco,  eh'  in  questa  nobilissmia  professione  in  ser- 
vizio del  lor  Serenissimo  Principe  tanto  si  sono  avanzati  , 
che  possono  a' più  saggi  ,  e  più  famosi  d'Europa  esser  ag- 
guagliati .  Né  tacerò  del  Signor  Renato  Cato  ,  che  siccorne 
nella  prudenza  ,  e  nella  intelligenza  delle  lettere  agguaglia 
il  padre,  così  con  l'aifabilità  de'costumi,  e  con  la  coltura 
dell'  uuiane  lettere  a  ciascun'  altro  si  può  pareg^^iire; 
né  tacerò  il  Signor  Batista  Guarino,  che  la  prudenza 
cortigiana  ha  accoppiata  con  tanto  ornamento  di  scelte  e 
polite  lettere  ,  e  di  felicissima  eloquenza,  quanto  basta  a 
farsi  conoscere  per  singolare .  Io  non  ardisco  di  passare 
dalla  Corte  di  F(?rrara  ,  in  quella  di  Toscana  ,  perciocché 
la  mia  fortuna  non  ha  voluto  che  di  lei  abbia  molta  noti- 
zia: ma  se  dal  Principe  si  può  far  argomento ,  qual  sia  il 
ministro  ,  possiamo  credere  ch'ottimi  ,  e  perfettissimi  am- 
basciatori ne  siano  usciti  ;  e  tali  estimo  il  Signor  Bernardo 
Canigiani,  il  Sigiun-e  Ranaldo  Urbano,  e  il  Signore  Cam- 
millo  degli  Albizzi .  E  se  la  virtù  dell' auìbasciatore  non 
contenesse  molte  virtù, basterebbono  la  liberalità  e  la  ma- 
gnificenza sola  per  larli  illustri.  Laonde  s'io  togliessi  da 
ciascun  di  loro  alcuna  perfezione  crederei  di  così  poter 
formar  l'imagine  del  perfetto  ambasciatore,  come  il  Pit- 
tor  di  Crotone  rimirando  in  cinque  bellissime  donne ,  elll-. 
giò  Elena  in  sovrana  perfezione  di  bellezza  :  ina  prima  io 
vorrei  clie  tu  l'arte  m'insegnassi;  e  poi  forse,  s'a  te  non 
sarà  grave  ,  1'  idea  del  perfetto  ambasciatore  andremo 
considerando,  in  quella  guisa ,   che   del   perfetto    oratore 


II.  MESSAGGIERO  f.f 

Marco  Tullio  In  consi(l>-r.'i  ,  dipo  ch'egli  l'arie  dell'orare 
ebbe  insegnatii.  Qui  io  mi  taceva  ,  aspettando  ;  ed  egli  il.? 
questo  principio  il  suo  rnyionanicnfo  incominciò:  Tu  ti 
dei  rammentare  che  Platone,  dell'arte  oratoria  rai^ionando, 
alla  arte  della  cucina  l'assomigliò;  paragone,  cb'a  prima 
vista  pare  molto  sconvenevole  ,  percioccl.è  arte  nobiìissi- 
uia  ad  arte  vilissima  è  assomigliata:  nondimeno  chi  a  den- 
tro la  natura  dell'una,  e  dell'altra  considera  ,  trova  fra 
loro  alcuna  sirjiiglianza  ;  perciocché  siccome  il  cuoco  con 
la  varietà  de'  sapori,  e  de' condimenti  ,  fa  piacer  le  vivan- 
do ,  che  non  piacerebbono  per  se  stesse,  così  l'oratore 
ne'condimentl  della  sua  eloquenza  condisce  molte  materie, 
che  parrebbono  spiacevoli  per  sé:  p;iragone  certo  assai 
strano ,  ma  nondiuìeno  tale  ,  che  può  dimostrare  cl*e  le  ar- 
ti umane  quantunque  nobili,  sono  assai  somig!iai<ti  all'igno- 
bili, onde  gran  diligenza  è  necessaria  d'usare  per  allonta- 
narle da  ogni  indignila:  paragone  non  men  convenevole  di 
quello  mi  par  diesi  possa  fare  tra  l'arte  dell'ambasciato- 
re, e  quella  del  ruCtìano,  perciocché  Tuna  e  l'altra  muove 
gli  animi.  Laonde  non  può  esser  bene  esercitata,  se  non 
da  uomini  conoscitori  degli  animi,  i  quali  se  dal  Cielo  di- 
scendono ,  come  già  s'è  detto  ,  molto  meglio  possono  esser 
conosciuti  dngli  angioli,  che  lassù  gli  rimirano  alla  luce 
del  Sole  intelligibile,  o  da  quelle  anime  bea  te, che  volate  al 
Cielo  veggono  se  medesime  con  le  altre  sue  compagne,  che 
da  quelli,  che  ricoperti  da  questo  manto  dell'  umanità,  con 
lungo  studio  appena  riconoscono  se  stessi .  Ma  se  gli  animi 
nostri  ,  dissi  io,  in  queste  ineii>bra  sono  ripieni  di  mille 
passioni,  possono  esser  conosciuti  da  quelli,  che  alle  passio- 
ni non  sono  sottoposti?  Possono,  rispose,  perchè  ninna 
cosa  è  nota  a  voi  mortali,  che  agi' ifnuiortali  non  sia  nota 
in  un  modo  più  eccellente.  Tuttavolta  il  trattare  degli  af- 
fetti appartiene  piuttosto  al  ruffiano,  che  all'ambasciatore, 
perchè  l'uno  è  congiungitore  degli  amanti  nell' amore  af- 
fettuoso, l'altro  de'Piincipi  nell'amicizia,  la  quale  non  è 
nella  parte  aflettuosa,  ma  nella  volontà;  .^e  intendiamo  del- 
l'onesta amicizia  ,  non  di  quella  e' ha  portine  il  diletto. 
L' unione  dunque  del!" amore  sarà  il  suo  genere  ;  il  con- 
giunger gli  amanti ,  lii specie  ;  ma  lasciando    che  dell"  arl«j 


^ 


Lll  il.  MESSAGGIERO 

del  ruffiano  altri  discorra,  io  di  quella  dell' ambasciatore 
dico,  ch'ella  altro  non  è,  eli'  un'arte  d'unire,  e  di  con- 
servare i  Principi  in  amistà  ,  la  qual  non  può  esser  eserci- 
tata se  non  da  uomo  conoscitor  degli  animi ,  ed  in  partico- 
Jar  de'Principi  .  Qui  s'era  alquanto  fermo  lo  Spirito,  quan- 
d'io  cotal  dubbio  movendo,  quel,  ch'egli  di  dire  s'appa- 
reccliiava,  ritardai  .  Tu  dici  che  l'Aadjasciatore  è  congiun- 
gitor  di  Principi  ,  ed  a  irie  pare  che  non  ogni  ambasciato- 
re sia  tale,  perchè  lasciando  star  alcuni  vili  messaggieri  da 
parte,  e  parlando  dei  nobili,  di  questi  alcuni  portano  le 
disfide,  e  se  tu  risponderai  che  loro  si  convenga  anzi  il 
nome  d'  araldo,  che  d'ambasciatore,  io  replicherò  che 
questa  distinzione  è  più  tosto  distinzione  d'usanza  che  di 
ragione;  la  quale  usanza  non  è  stata  sempre  sì  fatta  :  anzi 
1  tlomani  non  giudicavano  che  si  potesse  altrui  ragione- 
volmente mover  guerra  ,  se  prima  non  s'annunciava,  per- 
ch'essi co'  nemici  osservavano  alcune  ragioni  ,  le  quali 
slimavano  empia  cosa  il  violare  ;  ed  intorno  a  ciò  si  osser- 
vava tutto  quello,  ch'essi  chiamavano,  lus  Facciale.  E 
questi  ambasciatori,  animnciatori  di  guerra,  erano  di  di- 
t,nità  eguali  agli  altri,  che  trattavano  la  pace;  e  tali  furo- 
no que'due,  ch'andarono  a  Cartagine  nel  tempo,  che  i 
Cartaginesi  espugnarono  Sagunto,  l'uno  de'quali  dicendo 
di  portar  la  guerra  ,  e  la  pace  r\A  seno,  poiché  s'accorse 
che  i  Cartaginesi  non  accettavano  le  condizioni  proposte 
da'Piomani,  gli  sfidò  a  guerra:  e  forse  a' tempi  nostri  quei 
Chiaussi ,  che  manda  il  Turco  a  dimandar  gli  altrui  regni, 
altro  non  sono,  ch'ambasciatori  di  guerra  ,  come  fu  quel- 
lo, che  venne  a  richieder  Cipri  a' Veneziani .  Laonde  io 
stimo  che  <|uest  arte  non  sia  congiungitrice  d'amicizia,  ma 
che  possa  unire  egualmente  ,  e  disunire  gli  anirni .  Non  pa- 
re ,  rispose  lo  Spirilo,  che  si  possa  negare  che  l'  arte  del- 
l'ttubasciatore  sia  così  acconcia  a  far  guerra,  come  pace  ,• 
ma  tu  sai  che  la  pace  è  il  fine  della  guerra,  perchè  ciascun 
guerreggia  a  fine  di  riposar  nella  pace.  Laonde  l'uomo 
civile,  benché  gli  si  convenga  egualmente  il  trattar  della 
guerra  ,  e  della  pace,  non  dee  procacciar  la  guerra  per  sé, 
ma  solo  perdio,  quando  che  sia  ,  può  esser  dirizzata  alla 
jiace;  e  60  1'  ambasciatore  è  uoaio  civile,  non  può  aver  al- 


IL  MESSAGGIERO  I  HI 

lj"o  fine  che  la  pace;  e  s'  uno  guerreggiasse  per  guerreggia- 
re, non  si  proponendo  il  fine  della  pace,  s.irehhe  simile  ad 
tiirarciero  ,  il  qual  saettasse  senza  aver  mira  ad  ilciino 
bersaglio,  solamente  per  mostra  ch'egli  sa  saettare  con 
leggiadria  ,  il  qual  sarebbe  vano  ;  e  simil  vanità  di  fine  non 
si  de' conceder  noli' uomo  di  Stato.  Orse  l'arte  dell'amba- 
sciatore è  una  dell'arti  sottoposte  alla  civile,  non  può  ella 
nel  proporsi  il  fine,  discordar  da  U-i,  ch'è  quasi  rarchitctto: 
dunque  se'l  fine  della  civile  è  la  pace  ,  il  fine  dell' amba- 
scieria  è  la  pace  ;  e  come ,  che  si  trovino  alcuni  ambascia- 
tori, ch'annunzian  guerra,  nondimeno  l'ambasciator,  con- 
siderato in  universale,  altro  non  è ,  che  congiungitoro 
d'amicizia  .  Laonde  dalla  ragione  delle  genti  gli  è  vietato 
adoprar  l'armi,  e adoprandole  commette  errore  gravissimo, 
e  dannosissimo,  e  di  pessimo  esempio;  e  se  ben  ti  rammen- 
ti ,  que'  tre  ambasciatori,  che  i  Romani  mandarono  aFran- 
cesi  perchè  cessassero  dalla  guerra, che  m(»vevano  al  popo- 
lo amico  del  popolo  Romano,  entrando  nella  battaglia  vio- 
laron  la  ragion  delle  genti  con  grandissimo  sdegno  dei 
Francesi,  i  quali  lasciando  la  prima  impresa  se  n'andaro- 
no diritto  a  Roma,  e  rotto  l'esercito ,  che  lor  venne  all'in- 
contra, assediarono  il  Campidoglio  ,  e  furono  vicini  a  mi- 
nar la  Repubblica  de'Romani.Qui  egli  si  ritenne  di  ragio- 
nare; ed  io  dissi:  A.  me  non  pare  che  quegli  ambasciatori 
oileiìdcssero  la  ragione  delle  genti,  perch'essi  non  presero 
l'arme  contra  i  Francesi,  se  non  quando  conobbero  ch'in- 
darno s'afìaticavano  che  si  rimanesse  d'offender  gli  ami- 
ci. La  violaron  senza  alcun  dubbio,  rispose  lo  Spiri- 
to, perchè  l'ufficio  dell'ambasciatore  dura  mentre  egli 
va ,  mentre  sta  e  mentre  ritorna ,-  e  sempre  deve  esser  si- 
curo da  tutte  l'ofiFese:  e  perchè  la  giustizia  deve  esser  vi- 
cendevole, non  potendo  esser  offesi,  non  deono  offendere: 
e  s'egli  è  atto  barbaro,  e  inumano  il  far  oltraggio  agli 
ambasciatori,  ciò  avviene  perch'essi  in  occasione  alcuna, 
mentre  sostengono  quella  persona,  non  debbono  contr'aU 
trui  prender  l'armi  ,  onde  come  uomini  innocenti,  e  paci- 
fici sogliono  esser  riguardati  ;  che  se  potessero  guerreggia- 
re, non  si  concederebbe  loro  il  poter  per  tutto  p.issare  con 
sicurezza,  e  niun  aprirebbe  la  blrada  a  coloro,  ch'in  su  '1 


I.IV  IL  MESSAGGIERO 

fiitto,  d'ainbnsciatori,  inimici  potessero  divenire.  E  quinai 
avviene  che  il  tuo  Poeta  parlantlo  degli  ambasciatori,  che 
I^nea  manda  a  Latino,  dice  : 

Tuni  satus  Jnchisa  ddectos  ordine  ab  ornili 
Ct'ìituni  oratorcs  augusta  ad  inoenia  Regis 
Ire  j'uùet,  raniis  i^elaios  Palladis  omnes; 
porcliè  r  oliva  ,  eli'  è  arbore  di  Pallade  ,  è  segno  di  pace. 
Ed  Enea  .  quantunque  avesse  scelti  quegli  ambasciatori 
da  tutti  gli  ordini,  non  avea  ad  alcuno  data  commissione 
d'annunziar  guerra  ;  ma  da  tutti  gli  ordini  gli  avea  eletti 
per  dinotare  ch'egli  chiedeva  pace  universale,  e  per  assi- 
curar Latino  che  i  suoi  paesi  non  sarebbono  infestati  dai 
ladronecci ,  i  quali  dagli  uomini  di  minor  condizione  so- 
gliono esser  commessi.  Cos\  diceva  egli;  ed  io  dalle  sue 
parole  essendo  mosso  a  dubitare,  così  soggiunsi:  Ma  se 
l'ambasciatore  fosse  di  Principe  amico,  a  Principe  amico, 
il  quale  guerreggiasse  con  un'altro,  potrebbe  egli  in  que- 
sto caso  vestir  l'arme?  Potrebbe,  rispose  lo  Spirito,  con 
minor  offesa  della  ragione  delle  genti;  nondimeno  non  de- 
ve farlo,  perchè  si  chiude  la  strada  all'accordo.  Diremo 
adunque  che  l'ambasciatore  sia  uomo,  che  appresso  un 
Principe  rappresenta  la  persona  d'  un  altro,  a  line  di  pace 
pubhiica,  e  d'amicizia,  perchè  quelli,  che  da' privali  ai 
Principi,  e  da' Principi  a' privati,  o  da'"  privati  a' priv.tti 
sono  mandali,  non  meritano  nome  di  ambasciatori:  ma 
de' veri,  e  nobili  ambasciatori  due  sono  le  specie,  perchè 
di  due  maniere  è  la  materia,  ch'ai  loro  ufficio  è  sottopo- 
sta. Alcuni  sono  mandati  per  trattazione  di  negozio,  o  sia 
di  pace  ,  o  di  guerra ,  o  di  tregua  ,  o  di  lega  ,  o  di  che  altro 
si  sia;  altri  per  una  semplice  dimostrazione  di  benevolen- 
za e  di  stin)a  ,  a  rallegrarsi  di  tiozze  o  di  nascimento  di 
figliuoli,  adi  acquisto  di  vittoria,  o  a  condolersi  di  morte, 
o  d'altra  sciagura  ,  o  far  altro  simil  complimento:  e  l'uno 
avrà  dal  Principe  autorità  di  trattar  ciò  ,  che  all'onore  ed 
all'utile  comune  appartiene  a  fin  d' auùcizia  ;  l'altro  sarà 
mandato  per  dimostrazione  di  benevolenza  e  di  stiina;  pu- 
re a  fine  d'amistà.  Ma  alcuni  altri  dell'una,  e  dell'altra 
specie  sono  composti  ,  e  questi  sono  gli  amb.isciatori ,  che 
risiedono  appresso  i  Prmcipi  stranieri,  de'quali  è  ufficio 


IL  MESSAGGIEIIO  LV 

non  meno  il  fare  complimenti,  che  il  trattare  i  negozj,  ed 
ove  (gli  si  dice  ambasciatore  solo ,  s'intende  per  eccellen- 
za .  Allora  diss'io:  Raccolgo  dalle  tue  parole  che  degli  am- 
Lasciatori  alcuni  risiedono,  e  con  piena  autorità  di  trattar 
ogni  negozio, e  di  Tar  ogni  ufficio;  altri  non  riseggono,  ma 
vengono  per  particolare  occasione;  e  di  questi  alcuni  per 
negozio,  alcuni  per  compiijnento  ;  l'ufficio  de'  quali  è  d'a- 
doprarsi  acconciamente  per  unire  gli  animi;  e  il  fine  ,  essa 
unione  degli  animi:  ufliìcio  e  fine  nobilissimo,  oltre  tutti 
quelli  dell'uomo  civile.  Alloi'a  io  dissi:  Se  ciascuno,  che 
unisce  gli  animi,  è  mezzano  fra  coloro,  gli  animi  de'  quali 
unisce  ,  non  pare  che  più  debba  esser  d'un  Principe,  che 
dell'altro ,  perchè  sempre  il  mediatore  egualmente  parti- 
cipa  degli  estremi:  ma  da  altra  parte,  ciò  pare  molto  in- 
conveniente, perchè  l'ambasciatore  è  tutto  di  quel  Prin- 
cipe ,  la  cui  persofja  rappresenta ,  non  di  quello  appresso 
cui  risiede  ;  laonde  dovrebbe  esser  piuttosto  il  suo  fine  di 
trattare  i  negozj  a  prò  ed  a  soddisfazione  del  Principe  suo 
Signore,  senza  aver  alcun  riguardo  all'utile,  ed  all' onor 
dell'altro.  Quel  che  tu  dici ,  rispose,  è  vero  de'  mezzi  na- 
turali, non  de'volontarj;  perciocché  colui,  eh' è  mezzo  vo- 
lontario, può  piegarsi  più  all'una  parte  che  all'altra,  quan- 
tunque debba  sempre  a  quella,  ov'è  maggior  onestà  ;  ma 
è  forse  onesto  ch'egli  ubbidisca  al  proprio  signore.  .'Via 
s'egli  non  avesse  anche  qualche  riguardo  alla  soddisfiizio- 
nc  di  colui,  appresso  il  quale  risiede,  troppo  si  discoste- 
rebbe dall'umanità  e  dalla  cortesia,  perciocché  se  la  pace 
e  l'amicizia  son  buone  per  sé,  ne  ritrovar  si  possono,  se 
non  fra  due  Principi,  ciascun  de' quali  desideri  il  bene,  e 
la  soddisfazione  dell'altro,  come  potrà  l'ambasciatore 
procurar  pace,  ed  amicizia  al  suo  Signore, eh' è  il  maggior 
bene,  che  insieme  non  procuri  quella  dell'altro?  Ma  per- 
chè assolutamente  al  Principe  suoSignore  è  obbligato,  ov'e- 
g!i  avvenga  che  siano  due  Principi  di  volontà  discordi, 
non  dee  lasciar  cosa  alcuna  a  dietro,  per  la  quale  non  cer- 
chi condurre  il  Principe  amico  nell'opiiiione,  e  nella  vo- 
lontà del  suo  Signore  ,  usando  in  questo  quelle  persuasio- 
ni ,  ch'egli  giudica  più  acconcie  e  più  gr.ite  a  coiai,  (;he 
ascolla  ;  e  perciocché  ogni  persuasione  si  i'u.  o  con  gli  argo- 


# 


I.^'J  IL  MESSAGGIEPtO 

lucuti,  o  movendo  gli  affetti,  o  mostrando  i  costumi,  d.o.c 
cyii  tra  le  raijioni  e  gli  esempi,  sceglier  non  solo  i  più  pos- 
senti ed  opportuni  ,  ma  anco  i  più  dolci  e  soavi,  e  mover 
le  passioni  beni_;ne  ,  piuttosto,  che  la  malevolenza,  o  altro 
movimento  seguace  dell' odit)  e  dell'iniiniciiia,  ed  in  guisa 
ragionare,  che  il  Principe,  che  ascolta  sia  indotto  a  crede- 
re che  egli  sm  uomo  da  bene  e  prudente  ,  ed  ainator  non 
meno  del  giusto,  che  della  sua  propria  utilità:  ma  colui, 
il  quale  in  tai  modi  è  atto  a  persuadere,  è  buono  oratore: 
non  può  (lun(}U(^  alcuno  esser  perfetto  ambasciatore ,  che 
%  insieme  ni>n  sia  buon  oratore:  e  quinci  avviene  che  alcu- 

na  volta    cos\  allargano   il  fretio  all'eloquenza,  come    gli 
oratori  delle  cause  sono  usati  di  fare,  perciocché  1'  elocu- 
zioni ancora,  e  i  modi  del  parlare  concorrono  alla  persua- 
sione. Odi  con  quanta  felicità  d'eloquenza,   e  con  quanta 
grandezza  di  numeri,  e  d'elocuzioni  Ilioneo  prega  Latino  > 
che  si  conlenti  di  dare  abitazione  a'Trojani  : 
Quanta  per  Idacos  saevis  effusa  Jìlfccnis 
Ttiìipestas  ierit  campos  ;  qui  bus  actus  uicrque 
Europae  alque  Asine  fatis  coiicurrcrit  orbis  ; 
Audiit ,  et  si  quc.m  tellus  extrema  refuso 
Subinovet  Oceano ,  et  si  quem  extenta  plagarutii 
Quuluor  in  medio  diriniit  plaga  solis  iniqui. 
Diiiii'io  ex  ilio  tot  vasta  per  aequora  vedi 
Diis  scdeni  exiguum  j)atriis  litlusque  rogamxis 
lanocuuni^etcunctis  uadanique  auramque  pate.nlein. 
Non  erimus  regno  indecores  :  nec  vestraferetur 
Faina  le\'is  ,  tantique  abolescet  gratiafacti  : 
Nec  Trojani  Ausonios  greiiìio  excepisse  pigebit. 
Fata  per  JEneae  juro  ,  dextramque  potenteni , 
Sivefde,  seu  quis  bello  est  expertus,  et  arniis: 
e  quel  che  segue.  È  cerio  che  se  io  volessi  questa  orazio- 
ne, e  quella  di  Drance  ad  Enea,  esaminaF  con  le  regole  dei 
Ketori  5  ed  insieme    l'ambasciata  di  Mercurio,  e  l'amba- 
sciata, e  la  risposta  degli  ambasciatori,  che  vanno  a  Dio- 
mede ,  si  troverebbe  raccolta  ,  e  quasi  rinchiusa   ne' versi 
del  poeta  tutta    l'arte   degli    oratori;  ma  lasciando  questa 
considerazione  agli  inti'rpreti  de' Poeti ,  dico  che  s'avvie- 
ne die  l'ambasciatore  n')n  possa  all'uno  e  all'altro  Prln- 


TL  'lESS  VGGIERO  LVII 

cipc  soddisfare,  alloru  e  obbligato  di  proporsi  per  oggetto 
il  piacer  del  Principe,  al  quale  egli  serve  ,  e  la  cui  perso- 
na rappresenta.  A  questo  io  così  risposi:  S'egli  avvenisse 
che  il  Principe  suo  Signore  volesse  cose  ingiuste,  e  l'altro 
delle  oneste  fosse  desideroso,  deve  piuttosto  compiacere 
all'  iniqua  volontà  dell'uno,  ch'alia  ragionevol  voglia  del- 
l'altro? Ed  egli  replicò:  Non  è  ragionevole  che  meno  com- 
piac^'ia  alla  ragionevole  volontà  dell'uno,  che  all'iniqua 
cupidigia  dell'altro;  ma  non  può  anco  onestamente  so- 
disfare altrui  con  mala  salisfazione  del  suo  Signore ,  al 
quale,  se  può  ,  dee  dimostrare  l' ingiustizia  del  suo  volere, 
ne  potendo  ciò  fare,  piuttosto  chieder  licenza ,  che  esser 
esecutore  di  non  onesti  comandan»enti .  Ma  con  quali  mo- 
di,  dissi  io  j  dee  l'ambasciatore  dimostrare  al  Principe 
l',iniquilà  de'suoi  voleri?  Con  quelli  forse,  i  quali  dolce- 
mente allettando,  non  tirano,  ma  conducono  l'animo  altrui 
nella  sua  opinione?  Qui  parve  che  sorridesse  lo  Spirito,  e 
disse:  Non  è  il  Principe  quella  parte  dell'animo,  eh  "è  cupi- 
da de' diletti,  né  quella,  che  perturbata  dall'ira,  percioc- 
ché elle  son  nate  per  ubbidire;  ma  al  Principe  conviene  di 
comandare.  È  dunque  il  Principe  l'intelletto,  il  quale  né 
per  ira  si  muove,  ne  per  piacere,  né  per  alcun  di  quegli 
affetti,  che  sono  quasi  venti  contrarj  alla  vita  serena:  laon- 
de colui  persuade  al  Principe,  che  dimostra  all'intelletto 
suo  quel,  ch'è  onesto  e  giusto  per  sé  :  gli  altri,  che  in  varj 
modi  o  raggirano  l'opinione,  o  lusingano  l'appetito,  al 
Principe  non  persuadono  .  Ma  se  l'intelletto  del  Principe  , 
ripigliai  io,  o  perchè  egli  sia  male  avvezzo  ,  o  per  altra  ca- 
gione non  potesse  discernere  quel,  ch'è  giusto  per  sé,  e  as- 
solutamente giusto,  che  dee  allora  fare  l'ambasciatore? 
Dura  è  veramente,  rispose  egli  allora,  la  condizione  di  co- 
loro, che  s'avvengono  a  siffatto  Principe,  o  siano  amba- 
sciadori ,  o  giudici  ,  o  capitani,  o  consiglieri,  in^juali  a'suoi 
comandamenti  tibbidendo  ,  buoni  esecutori  possono  essere 
per  avventura,  ma  uomini  allatto  dabbene  non  mai.  Ed 
all'incontro,  s'alcuno  non  volesse  aver  alcun  riguardo  al 
Principe,  o  alla  Città,  ma  l'onestà  rigida  e  severa ,  spoglia- 
ta d'ogni  utilità,  si  proponesse  per  ti  ne,  costui  uomo  da  be- 
ne sarebbe  senza  alcun dubbio;nè  buon  esecutore,  né  buon 


L\  ìli  IL  MESSAGGIERO 

cittadino  potrebbe  esser  detto  ;  e  tale  fu  per  avventura 
Catone,  il  quale  nella  cittadiiicinza  di  Rouiolo  vivendo, 
come  se  nella  Repubblica  di  Piatone  fo'Jse  nato ,  di  inoiti 
tumulti  fu  alcuna  volta  cagione.  Dura  è  la  condizione,  dis- 
s'io  allora,  deirambasciatorc  ;  poiebè  potendo  egli  esser 
assolutamente  uomo  da  bene,  d'esser  sì  fatto,  per  vaghez- 
za d  essere  buono  ambasciatore,  non  deve  curarsi  .  Non  è 
pili  dura,  rispose  egli  allora,  di  quel,  che  sia  la  contlizione 
di  ciascun  altro,  che  nell'azioni  voglia  affaticarsi;  percioc- 
ché ne  l'oratore  può  esser  uomo  da  bene,  se  non  nella 
pertetta  città,  né  il  giudice  ,  ne  il  consigliero  di  Stato,  nò 
il  Capitano  eziandio,  il  quale  se  sempre  volesse  esser  uo- 
mo da  bene,  non  avi'ebbe  per  fine  la  vittoria,  ma  1  onesta 
vittoria;  e  onesta  non  può  essere,  se  ragionevole  non  è  la 
guerra .  Ma  s' alcuno  è  nel  mondo,  che  desideri  d'essere 
perfetto,  si  ritiri  nelle  selve,  e  nelle  solitudini  e  viva  con- 
templando come  le  intelligenze,  che  eleggerà  l'ottima  par- 
te, o  pur  ccrcìii  (se  ritrovar  si  può)  Principe,  o  città  per- 
fetta; che  In  lei  veramente  potrà  essere  uomo  da  bene,  ed 
esercitar  V  ufficio  dello  ambasciatore  ,  e  ciascuno  altro 
perfettamente.  Che  se  in  questa  corruzione  de'Principi,  e 
di  cittadinanze,  egli  ad  Aristide  vorrà  agguagliarsi,  non  gli 
dovrà  esser  grave  che  se  come  in  lui  per  esser  troppo 
giusto,  fu  usata  la  severità  dell'ostracismo  ,  così  egli  rice- 
va per  premio  della  sua  giustizia  ,  l'essere  dalle  corti ,  e  dai 
tribunali  sbandito.  Questo  Principe,  cbe  tu  dici,  allora  si 
troverà,  dissi  io,  quando  i  Fdosofi  regneranno,  o  i  Princi  ù 
filosoferanno:  e  come  cbe  io  non  speri  giammai  che  1  Fdo- 
sofi debbano  regnare,  bo  assai  certa  speranza  cbe  i  Prin- 
cipi debbano  filosofare.  INon  è  punto  irragionevole  la  tua 
speranza,  rispose  lo  Spirito  ,  perchè  quel  giovinetto  Prin- 
cipe, del  cj|i  valore,  e  della  cui  cortesia  tu  conservi  così 
graziosa  memoria,  in  questa  acerba  età,  tale  si  suol  mostra- 
re ,  quale  i  Filosofi  nelle  lor  contemplazioni  l'hanno  for- 
mato; e  se  uso  corrotto  del  mondo ,  con  false  apparenze  di 
bene,  non  isvierà  l'animo  suo  dall'amor  della  Filosofia, 
vera  sarà  la  tua  divinazione.  Felice  Mantova  ,  dissi  io,  cbe 
1'  hai  prodotto,  e  felicissimi  i  parenti,  che  n'banno  speran- 
za, e  felici  coloro,  a'quali  sarà  conceduto  d'esser  suoi  ser- 


IL  MESSAGCIERO  XLIX 

vitorl.  Mn  ritorniamo  a  parlar  clell'ainììnsciatore.  L'am- 
Ijasciatore,  ripigliò  egli  allora, ha  dipendenza  dal  Principe; 
onde  se  il  Principe  non  e  perfetto,  non  può  esser  perfetto 
r  amhasciatore  :  ma  se  il  Princpc  è  perfetto,  l'ambascia- 
tore ancora  può  esser  perfetto  ;  e  l'  ainbasciator  perfetto 
fa  quanto  è  onesto;  e  l'ynestà  in  ogni  occ:isione  antepone 
all'utilità .  Ma  l'imperfetto  molte  cose  fa  per  usanza,  e 
molte  per  compiacere  al  suo  Signore:  allora  nondimeno 
più  s'assomiglia  al  perfetto;  che  cerca  di  volgerlo,  e  d'in- 
dirizzarlo verso  l'onesto.  Questo  a  me  pare,  dissi  io,  uffi- 
cio piuttosto  di  consigliere  che  d'ambasciatore.  Non  è 
sconvenevele,  disse  egli ,  che  l'ambasciatore,  scrivendo  al 
Principe,  dia  consiglio;  ma  colui  che  dà  consiglio  è  consi- 
gliere. Allora  io  il  dimandai:  è  mai  lecito  a  chi  dà  consi- 
glio, con  alcuna  menzogna  schifare  alcun  male,  o  esser  ca- 
gione d'alcun  bene,  oppur  coi  tacere  il  vero,  cagionare  il 
bene,  e  schifare  il  u^ale?  Sebbene  la  verità,  rispose,  per  se 
stessa  è  buona,  e  la  mensogna  rea  per  sé,  nondimeno  nelle 
cittadinanze  è  tollerato  che  i  Principi  e  i  Magistrali  le  di- 
cano per  utilità  de' soggetti ,  come  a'  medici  è  lecito  di  dir 
Ja  bugia  per  salute  degl'infermi.  Ma  se  gl'infermi  fanno 
grande  errore  dicendola  a' medici,  non  minore  la  fanno  i 
soggetti,  dicendola  ai  Principi.  Laonde  se  l'ambasciatore  è 
soggetto,  non  pare  che  a  lui  sia  convenevole  il  dirla  al  suo 
Principe.  E  per  questa  cagione  assai  da  alcuni  è  lodato 
Omero  5  appresso  il  quale  le  ambasciate  sono  riferite  con 
ristesse  parole,  con  le  quali  prima  furono  dette.  Ma  non 
suole  anco  esser  biasimato  chi,  portando  le  proposte  d'un 
Principe,  se  riportando  le  risposte  d' un  altro,  le  dice 
con  altre  pai'ole  senza  variare  l'essenza  dt^lle  commissioni, 
quantunque  rade  volte  avvenga  che  per  la  diversità  del- 
le parole,  l'essenza  delle  cose  non  varii  in  qualche  parte  ; 
perciocché,  siccome  le  piume,  che  sono  nel  collo  della 
colomba,  benché  sian  sempre  l'istesse,  ora  pajono  del  co- 
lore degli  smeraldi,  ora  s'asfiomigli;mo  a  quel  de'ruhini,  ora 
a  quel  de'zaffiri.ora  questi  agli  altri  colori  sogliono  mesco- 
lare,  secondo  che  variamente  sono  volti  alla  luce  del  Sole, 
così  le  azioni  degli  uomini,  tutto  che  si;mo  l'istesse,  pos- 
son  prender  diverse  faccie,  secondo  che  diversamente  so- 


T.:^  IL  MESSAGGIERO 

no  rappresentate  all'altrui  consitlprazione  ;  ed   una  azione 
istessa,divei"sainente  posta  al  lume  della  ragion^,  or  buona 
pare,  or  rea  ,  or  mista ,  or  de^ni»  di  laude  ,  or  di  scusi  ,  or 
di  vituperazione;  e  questo  artificio  di  far  canijiar  faccia  al- 
le cose  con  la  disposizione  d'esse  ,  e  delle  circost  urie,  dee 
prender  in  presto  l'ambasciatore  dall'oratore,  da  cui  an- 
co   il    nome  lia   tolto.  Siccome  l'oratore  non  dee  variar 
l'aspetto    della    verilii  per  oppri'iiere  1'  innocenza;    così 
l'ambasciatore,  e  ogn'altr' u  »  n  >  di  Stato,  rappresnnlando 
le  cose  a'Principi  con  allro  aspetto,  cbe  col  proprio  loro, 
doono   farlo    non  a  danno  d'alcuno,  ma  a  binieflcio ,  o  del 
Principe  istcsso ,    o  de' soggetti    suoi,  ove  col  bene    dei 
soggetti,    il    mal  de' Principi   non    sia  congiunto,  e   quasi 
implicato  ,   il    che  però    pare    iuipossibile ,   se    il  Princi- 
pe è  buono,  o  almeno  legittimo,  perchè  il   bene  del  Prin- 
cipe, è  bene    parimente  di  coloro  ,  ch'alia    sua  cura  som 
quasi  agnelli  sottoposti,    onde  ragionevoliuento  da  One- 
ro Agamennone  fu  chiamato  pastore    de'  popoli.    L'  am- 
basciiilore    dunque    portando,    e    riportando  le   proposte 
d'un  Principe,  e  risposte  d'un' altro,  non  userà  sempre  le 
parole  istesse,  percliè  agevolmente  offenderebbe  l'animo 
d'alcuno  in  modo  ,  che  ov'  è  suo  fine  di  generare  amicizia, 
genererebbe  odio  ,   e  mala    sodisfazione  :  ma,  conservando 
pura,  nella  sua  verità,  l'essenza  delle  commissioni, può  con 
le  parole,  e  con  le  ragioni  mutar  loro  aspetto,  e  simigHan- 
za.E  s'alcuna  cosa  avviene  fra'  Principi  dura  e  acerba,  egli 
con  le  dolci  e  piacevoli  parole,  e  col  destro,  e  cortese  modo 
di  negoziare  può  ammonirla,  e  raddolcirla, cercando  l'op- 
portunità del  tacere  e  del  ragionare,  perchè  egli,  come  tu 
leggesti  in  uno  de' tuoi  perfetti  oratori,  è  signore  de'  tem- 
pi e  delle  occasioni:   e  se  l'audiasciatore  altro  non  fosse  , 
che  semplice  riportatore  delle  cose  dette  ,  non  avrebbe  bi- 
sogno né  di  prud(Miza  ,  nò  d'  eloquenza  ;  ed  ogni  uomo  or- 
dinario a  quest'ufficio  sarebbe  atto:  ma  noi  veggiamo  cbe 
i  Principi   con  diligente  investigazione  fanno  scelta  degli 
ambasciatori  ;  debbiamo  dunque  concbiuder  ch'altro  lor 
si  convenga,  che  portare,  e  riportare  seinpliceinente  paro- 
le, e  ambasciate.  Qui  poso  lo  Spirito  fine  alle  sue  parole, 
quando  io  desideroso  d'intender  piìi  oltre,  gli  addimandti: 


IL  -UF.SSAGGIKRO  ì  XI 

Ma  (li  <|ci.i!  bone  iatendi  tu  che  possa  esser  cagione  1'  arti* 
ficio  d("gli  ambascia t(jri  ?  Della  unione  de' Principi ,  rispo- 
se ,  delia  quale  niuna  cosa  può  esser  più  giovevole  alle 
città  ,  pcrcioccliè  inoUe  cose  dette  in  un  modo  sono  più  ac- 
conce  a  congiunger  gli  animi  nell'amicizia,  che  dette  in 
un  altro  ,  e  molte  in  una  maniera  possono  disunirli  che  in 
uti'altru  non  possono.  Né  intendo  solo  di  quelle  cose,  che 
si  (licurio  i  Principi  stessi,  ma  di  quelle  ancora,  che  molte 
fiate  dice  l'ambasciatore  a'ministri  di  quel  Principe  ,  ap- 
presso cui  risiede.  Egli  nondimeno,  che  unisce  gli  animi 
de'Principi,non  può  coogiunger  con  quel  del  Principe  quel 
del  tiranno,  perchè  fra  1  buono  e'I  reo  non  può  esser  unione, 
ma  ben  può  egli  essere  mezzano  fra'l  Principe  e  la  Repub- 
blica ,  perciocché  l'una  e  l'altra  è  specie  di  giusta  signo- 
ria ;  tutta  volta  può  più  agevolmente  congiungere  in  ami- 
cizia i  Principi  coPriiìcipi ,  conciosiachè  l'unione  meglio 
può  farsi  tra  uno  e  uno  ,  che  tra  uno  e  molti.  E  perchè 
quaggiù  non  è  alcuna  semplice  unità  ,  tna  ciascuna  cosa 
che  è  ,  è  moltitudine,  non  si  può  quaggiù  fare  alcuna  per- 
»ctta  unione  ;  ma  si  può  ella  fare  in  quei,  che  è  seuiplice- 
mente  uno,  per  participazione  del  quale  s'unisce  tutto 
quel,  che  è  uno.  In  Dio  solo  adunque  gli  ani^ni  de' Princi- 
pi possono  perfettamente  unirsi.  Questa  è  la  soinma  di  quel, 
ch'io  stimo  che  possa  dirsi  dell'ufficio  e  del  fine  dell'am- 
basciatore^ e  dell'artificio,  cli'egli  dee  usare,  del  quale  per 
tua  satisfazione  ho  ragionato.  Non  parlava  più  lo  Spirito,  e 
a  me  pareva  che  nulla  più  avesse  proposto  di  dire,  onde 
ricominciai:  Tu  non  hai  favellato  del  decoro  ,  per  lo  quale 
egli  suole  essere  onorato,  e  tenuto  in  pregio;  e  per  avven- 
tura nessuna  parte  del  suo  ufficio  può  esser  bene  esercita- 
ta senza  decoro.  Il  decoro  ,  rispose  ,  si  considera  nelle  due 
persone  uelT  ambasciatore  ;  l'una  impostagli  dalla  nitura  , 
l'altra  dal  Principe,  e  dal  suo  giudicio  medesimo  a  se  stes- 
so accomodata.  E  perchè  siccome  colui,  che  rappresenta 
Agamennone,  o  Ercole,  o  Teseo,  mentre  ragiona  in  iscena, 
camminando  con  portamento  reale,  e  magnificamente  fa- 
vellando, a'  veri  Principi  cerca  d'assimigliarsi  ;  ma  poiché 
si  ritira  dentro  la  scena,  quantuntjue  sia  vestito  ancora 
d'abiti  reali;  iiuiidiiiicno  ripi^^iia  la  propria  e  naturai  per- 


LXU  IL  MESSA GGIERO 

sona;  COSI  l'ambasciatore  npi^li  afrari  del  Principe,  e  nelle 
pubbliche  soienuilà  dee  alla  grandezza  del  suo  signore  ave- 
re riguardo;  ma  ne'conviti  domestici  e  ne'ragionauienti 
familiari  ,  luttucliè  ancor  sia  ambasciatore,  della  sua  pro- 
pria condizione  dee  ricordarsi,  e  la  convenevolezza  della 
pubblica  persona  in  guisa  accompagnare  con  quella  della 
privala,  ch'egli  si  mostri  con  piacevole  gravità  .  Questo 
tefnperamento  ancora  dee  usare  nel  modo  del  vivere, e  del 
vestire, e  del  raccogliergli  ospiti,  e  del  nadrire,edel  man- 
tener la  famiglia  ;  perciocché  siccome  dee  ecceder  la  ma- 
gniticenza  de' privati,  così  non  dee  agguagliare ,  benché 
fare  jl  potesse,  lo  splendore  della  vita  reale  .  E  perchè 
se;ripre  si  dee  fare  alcuna  dilFerenza  tra  la  persona  rappre- 
sentante e  la  rappresentata  ,  istimo  che  non  sia  in  tutto 
Jjuono  queir  uso  ,  secondo  il  quale  l'ambasciatore  tiene 
qu'l  luogo  appunto  che  terrebbe  il  suo  Principe,  se  fosse 
pri  sente  ,  usu,  che,  se  non  m'inganno,  glimpone  maggior 
obbligo  di  spendere;  e  più  ragionevole  istimo  quel  di  quel- 
le ciltà,  n>ll  •  quali  si  dà  agli  ambasciatori  luogo  se|)arato, 
distinguendo  le  persone  rappresentanti  dalle  rappresenta- 
te .  Come  si  sia  ,  perchè  la  persona,  e  le  persone  dalla  na- 
tura imposte-,  son  tali,  che  non  si  possono  più  spogliare  per 
altra  persona  sovrapposta,  dee  l' amjjasciatore  in  tutte  lo 
azioni, così  private  come  pubbliche,  ricordarsi  della  perso- 
na naturale, e  della  sovrapposta:  nelle  private  più  della  na- 
turale,e  nelle  pubbliche  più  della  sovrapposta, così  in  quel 
che  appartiene  alla  bellezza,  come  nell'ordine  e  nell'orna- 
mento, nelle  quali  cose  principalmente  consiste  il  decoro  . 
Ora, conchiudendo,  de'i  sapere  che  perfetto  ambasciatore  è 
colui,  che  sa  a  b  Mieficio  dei  suo  Principe  trattar  i  negozj 
con  prudenza ,  e  far  i  complimenti  con  eloquenza;  e  che 
può  sostenere  con  la  gravità  de'costumi  ,  con  la  dignità 
dell'aspetto,  e  con  lo  splendore  didla  vita,  la  maestà  del 
Principe;  e  nelle  pubbliche  azioni,  e  nelle  domestiche  me- 
scolare in  guisa  il  decoro  della  persona  propria  con  quel 
dell'accidentale  ,  ch'egli  ne  sia  amalo  senza  disprezzo,  e 
ris[)ellato  senza  altrui  mala  soddisfazione.  Eccoti  l'effigie, 
e  l'imaginc  del  perfett  )  ambasciatore  ,  alla  quale  formare 
è  necessario  che  concorrano  nobiltà  di  sangue,  dignità,  e 


^i:-^ér'..'rr' 


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IL  >1ESS.U;G!ER0\  lxiii 

bellezza  d'aspetto  ,  modo  da  spender  largamente  ,  e  sctiz;» 
risparmio,  e  animo,  e  deliberazione  di  ^irlo  lietamente; 
esperienza  delle  Corti,  e  del  inondo,  coi^niztjue  delle  cose 
di  Stalo,  e  dell'istorie,  e  di  (juclla  parte  delU'  Filosofia  al- 
meno ,  ch'appartiene  a'costurni,  e  al  movimento  degli  ani- 
mi ;  fede,  e  amor  \erso  il  suo  Principe;  destrezza  d'inge- 
gno ,  e  accortezza  ,  e  facondia,  e  grazia  nello  spiegar  i  con- 
cetti, gravità  ,  e  piacevolezza  nel  conversare;  afral)ilità  ,  e 
cortesia  nel  favorire  gli  amici,  e  conoscenti  :  le  quali  con- 
dizioni tutte  perchè  forse  in  alcuno  non  si  troveranno  giam- 
mai,  resta  clie  colui  più  al  perfetto  s'avvicini,  il  quale 
d'esse  avrà  maggior  parte.  E  certo,  che  coloro,  che  poco 
dianzi  furono  nominati,  tante  hanno  delle  sopradette  con- 
dizioni ,  che  manca  poco  a  ciascuno  d'essi  ad  esser  perfet- 
to. Ma  tu  pure  rivolgi  gli  occhi  alle  cose  terrene  ,  nelle 
quali  teco  ragionando  ho  rimiralo  buona  pezza,  ne  riguar- 
di nell  idea  ,  dov'è  l'esempio  d'ogni  virtù  ,  dalla  quale  me- 
glio, che  da  alcun' altra  parte,  si  può  pi-endere.  Ma  tempo 
è  ch'io  ti  lasci,  che  troppo  lungamente  sono  stalo  teco. 
Allora  io  per  l'avviso  della  sua  partita  cominciai;  a  so- 
spirare, e  dissi  :  O  felice  Spirito,  nelle  tue  felicità  delle 
mie  miserie  ti  sovvenga  :  e  non  m'esser  scarso  talora  d'al- 
cun cortese  aiuto  .  Voleva  oltre  seguire,  quando  mi  parve 
ch'egli  accennando  mi  si  togliesse  dagli  occhi,  e  dispa- 
risse spirando  nello  sparire  soavissimi  odori  d'ambrosia,  e 
lasciando  la  camera  della  sua  celeste  luce  mirabilmente  lu- 
minosa; ma  io,  riscotendomi  m'  accorsi  che  nellalta  mia 
Imaginazione  aveva  filosofato  ,  non  altramente  che  gli  uo- 
mini contemplativi  sogliano  nella  loro  contemplazione  , 


r'^ 


.  _.     L. 


GIUNTE  AL  UIAr.OOO 

IL  GONZAGA  SECONDO 

OVVERO 

DEL  GIUOCO 

Tomo  III.  Pag.  4. 


t/uel  Carnevale  ,  cbe  la  Sprenissima  Signora  Duchessa  di 
Ferrara  venne  a  marito  ,  il  Conte  Annibale  Romeo  doveva 
ragionare  un  giorno  del  giuoeo  in  presenza  sua  ,  e  delle 
Principesse  di  Ferrara:  e  s'aspettava  che  vi  fosse  il  Sere- 
nissimo 8ig.  Principe  di  Mantova,  il  quale,  benché  abbia 
molto  promesso  di  se,  supera  nondimeno  l'espettazione  ; 
quando  la  novella  ec.pag.  5.  v.  3. 

Pag.  8.  V.  19.  Annibale.  Io  lessi  che  grande  era  ap- 
presso gli  anticbi  Greci  il  numero  de'giuochi,  od  antichis- 
sima l'origine.  Ma  quattro  nondimeno  erano  i  più  cele- 
bri ,  i  quali  tutti  si  facevano  nell'esequie. 

Margherita  .  Melanconici  giuochi  dovevano  esser 
questi,  e  più  lieti  sono  i  nostri  senza  fallo. 

Annibale  .   In  questa  guisa    volle    forse  quella    antica^ 
gente  temperare  il  dolor  col  piacere. 

Margherita.  Ma  quali  eran  questi? 

Annibale. Gli  Olimpici,  i  Nemei,  gli  Istmii  e  1  Pitii.  Gli 
Olimpici  erano  fatti  in  onor  di  Giove  per  la  morte  di  Pelo- 
pe;  i  Nemei  fur  sacri  a  .Nettuno  per  Archenuro;  al  medesimo 
fur  consecrati  gli  Istmii  per  ragion  di  Melicerta,  e  i  Pitii 
ad  Apolline  per  la  gloria  dell'ucciso  Dragone  .  E  benché 
gli  Olimpici  fossero  anteposti ,  perchè  erano  attribuiti  al 
supremo  degli  Iddìi,  i  Pilii  nondimeno  andavano  iiman/i 
per  antichità  ,  perchè  gli  Olimpici  furono  instituiti  da  Er- 
cole e  da  Pelope;,  ed  essendo  poi  tralasciati  furono  da  Er- 
cole rinnovali.  Ma  perchè  Apolline  è  più  antico  d'Ercole  e 

Dinloshi.  T.  Ili. 


LXVI  GIUNTE  -'^^  DIAf,OGO 

eli  Pelope  ,è  ragionevole   che   i  Pitii  siano  i   più  tuiticìii , 
avvegnaché  gli  Istniii  e  i  Neaiei  fiiron  ritrovati  dopo  lungo 
corso  d'anni.  Cominciani  dunque  dall'origine  de'primi. 
Raccontano  clie  tornando  Latona  da  Calcide  d'Euhea  ri- 
portava Apolline    e  Diana  a  D^-lfi,  e  fermandosi  alla    spe- 
Jonca   di  Pitone    sarebbero  stati  quasi  oppressi ,  se  la  ma- 
dre, fìon  avesse  dato  ordine  al  t'anciullo,  il  qual  con  le  saet- 
te, ch'egli  aveva  ,  tolse  dal  mondo  quella  postilenza.  Stra- 
Lone  con  l'autorità  di  El'oro,  scrittor  d'istorie,  afferma  che 
questo  fiume  fu  un  crudelissimo  ladrone,  il  quale  infestava 
tutta  quella  provincia.  I  Di'ifi  liberati  da  quella  peste  in- 
sliìuir:tno  i  giuochi,  i   quali   furono    poi  accresciuti   dagli 
AiKfizioni,e  vi  fu  aggiunto  il  certame  equestre,  e  ginnico, e 
posto  al  vincitor  la  corona  per  premio,  ed  introdotti  i  ban- 
cì  eUi,  e  i  sonatori  di  cetera  senza  canto.  Ma  io  non  m'ac- 
corgeva d'andarvi  narrando  non  pirte  di  quel ,  che  me  ne 
sovviene,  ma  tutti,  se  non  me  n'avessero  fatto  ricordevole  i 
nomi,  i  quali  mi  conviene  usare,  né  ohe  s'io  (ossi  più  lun- 
go in  questa  narrazione,   non  lascierei  per  avventura  che 
dire  a  Messer  Pirro. 

MARCllEniTA.  L'udrà  alcun  altro  da  Messer  Pirro:  voi 
narrate  a  me  quell'altre  cose,  che  vi  sovvengono. 

AnnibAt^E  .  L'  origine  degli  Olimpici ,  come  ho  detto  , 
s'attribuisce  a  Pelope,  il  quale  acceso  dell'amor  d'Ippo- 
damia,  figliuola  d'Enomao,  la  chiese  al  padre,  die  ammo- 
nito dall'Oracolo  che  da  quelle  nozze  gli  era  minacciata  la 
rnorte,  propose  la  vergine  per  premio  al  vincitore  nel  cor- 
so de' carri  tirati  da  due  cavalli,  e  a' vinti  la  morte;  e  que-. 
sta  fu  la  legge  della  contesa. 

MAnOllKKlTA.  Fiera  legge  veramente. 
Al^MUALE.  i\Ia  Pelope,  comperati  i  cavalli  da  Nettuno  , 
precipitò  nel  mare  il  vinto  Euomao ,  e  prese  per  moglie 
Ippodairiia  .  E  perchè  restasse  fama  eterna  di  questa  vitto- 
ria, ordinò  che  in  Pisa  d'Elide  si  facesse  questo  giuoco,  o 
questa  conlesa,  nella  quale  il  vincitore  era  coronato  d'oli- 
va silvestre.  Ercole, avendo  vinto  Augea,  principe  d'Elide, 
rinnovò  il  giuoco  con  la  preda,  ch'egli  aveva  fatta,  in  onor 
di  Giove  suo  padre.  Nemea  è  una  regione  degli  Argivi  , 
!)e|!a  quale  ricercando  essi  l'accpie,  mentre  andavono  a 
Tebe  ,  le  ritrovarono  con  la  scorta  di  Isifilc  ,  alla  quale  fu 


13LE  GIUOCO  LXVll 

uccìso  àa  un  serpente  un  bambino,  cb'avcva  lasciato  ne'pra- 
ti.  Ma  ritornando  gli  Argivi  uccisono  il  Dragone,  e  insti" 
tuirono  questa  contesa  funebre,  nella  quale  si  diva  pur  la. 
corona    d'oliva,    e    si  diede    sino    al  tempo  della  guerra 
de' Medi ,  in  cui  fu    cangiata   con  1' appio,  stimandosi  clie 
queir  infelice  corona  più  convenisse  alle  morti  .  L'origine 
degli  Istmici  si  nicconUi  in  (piesto  modo.  Ino  e  Atarnante 
ebbero  due  figli    Learco  e  Melicerta;  ma  Atarnante  essen- 
do per  opera  di  Giunone  divenuto  furioso, uccisf'  Learco;  e 
Melicerta  fuggendo  per  lo    spavento  di    tanta    crudeltà  si 
precipitò  da  un'alta  rupe  nel   mare,  e  fu  seguito    dalla 
madre,  cb'ebbe  simii  destino.  Le  Nereidi, avendogli  raccol- 
ti, iecro  la  madre  Dpa,cbe  i  Greci  cliiamano  Leucotea,e  i 
latini  Matuta,  e  'I  figliuolo  quel  Dio,  cb'essi  nomarono  Pa- 
lemone,  noi  Portunno .  Ma  il  corpo  di  Melicerta  fu  porta- 
to dall'onde  del  mare  all'istmo  di  Corinto  :  laonde  la  città 
fu  assalita  dalla  peste,  e  per  avvertimento  avuto  dall'Ora- 
colo institul  qua' giuocbi   in   onor  di   Melicerta ,  e  i  vitto- 
riosi erano  coronati  di  pino.    Altri   giuochi    illustri   oltre 
questi  si  celebrarono  in  Grecia  ,  ne' quali  erano  prenij  del- 
la vittoria  i  lavezzi  ;  in  altri,  pelli  d'Agnello.  E  oltre  a  ciò 
v'erano  le  feste  d'alcuni  popoli ,  come  furono  Panistmia  e 
Panatenaica,  in  cui  il  fiore  dell'uno  e  dell'altro  prenden- 
dosi per  le  mani,  faceva  quasi  un  ballo  ;  ed  altri,  ch'erano 
sacri  .  Avevano  i  Romani,  oltre  questi,  i  suoi  giuochi  ,  co- 
me i  Megalensi ,  cbe  si  facevano  alla  madre  degli  Iddii  :  gli 
Apollinari  e  iLiberali,  i  quali  furon  detti  Scenici  dalla  fa- 
vole^che  si  rappresentavano  nelle  frascate;  e  i  Circensi,  che 
nel  Circo  erano  dedicati  a  Nettuno:  e  i  Cereali  a  Cerere;  e 
i  Taurii  consecrati  agli  Iddii  dell'inferno;  e   i  Capitolini  a 
Giove  Capitolino,  e  i  Funebri,  de'quali  fu  l'origine  antichis- 
sima, perocché  Enea  alla  sepoltura  di  Pallante  ,  Achille  a 
quella  di  Patroclo  uccise  quasi  vittime  i  prigioni;  e  i  Voti- 
vi, i  quali  furono  o  Innomi  ,  alla  guena  introdotti,  o  dopo 
le  vittorie  riportate  da' nemici  co' versi  Sibillini,  e  con  gli 
ammaestramenti  degli  auguri,  e  con  le  promesse  degl'Ira- 
peradori  :  e  i  Secolari,  che   si  facevano  ogni  cento  anni,  il 
quale  spazio  di  tempo  fu  detto  secolo,  e  da' fanciulli  e  dal- 
le fanciulle  co' versi  e  con  gli  inni  er.ino  celebrati  in  laude 
d' Apolline  e  di  Diana:  Javenali,  che  furono  così  chiamati 


TX  VI  li  GIUNTE  AL  DIALOGO 

dall'  tlà  ;  perciocché  i  giovani  ricreavano  1'  aniiuo  col 
yiuoco.  Ma  antichissimi,  oltre  tutti  gli  altri  de' R^omani , 
erano  iConsuali,  consecrati  a  Nettuno, che  fu  detto  Conso, 
(jiiasi  Iddio  de'consigli.E  varie  erano  le  dilferenze  degiuo- 
chi  dai  fine  ,  al  quale  furono  ordinati;  perchè  altri  erano 
per  l'onor  degli  Iddii,  altri  per  esercizio,  ne' quali  si  rap- 
presentava quasi  liinagine  della  guerra,  altri  per  gloria 
de' morti,  altri  per  la  sanità  e  per  la  vittoria.  Ma  le  som- 
me differenze  si  riducevano  a  due,  statorum,  e  non  stato- 
/•«/«.  Deh  chiedete  ,  vi  prego  ,  e  chiedendo  riducetemi  a 
memoria,  s'altro  io  debha  dire,  perchè  se  non  udiste  quel- 
lo appunto,  che  aspettate  ec.  Pag.  8.  v.  20. 

V.  Sì.  forse  qual  origine,  o  qual  cagione    sia  co- 

nmne  a  tutti  i  giuochi,  e  se  il  giuoco  ib. 

Pag.  IO.  V.  28.  per  Elena  comh  ittè,  e  quello  ancora,  nel 
quale  Enea  e  Turno  combatterono  per  Lavinia  ? 

y\NNllìALE.  E  quello. 

Gonzaga.  Contrasto  similmente  fu  quello  tra'  Romani, 
e' Sabini ,  per  le  donne  rapite  ? 

Annibale .  Similmente . 

Gonzaga.  O  con  l'istesso  nome  chiamaremo  quello,  che 
iu  fra  tre  fratelli  tegeati,  e  Ive /cacati  {i) ,  oppiiv  tra  gli 
Orazj  e  i  Curiazj  ? 

Annibale.  Non  con  altro  nome  ardirei  di  chiamarlo. 

Gonzaga.  Nondimeno  avevano  per  tine  la  pace. 

Annibale  .  Avevano. 

Gonzaga.  Alcuna  contesa  ec.  Pag.  io.  v.  34- 

Pag.  12.  v.  ì5.  e  se  quelli  fur  detti  giuochi,  e  gli  altri, 
i  quali  io  nominai  pur  dianzi ,  questi  ancora  possono  cosi 
chiamarsi  convenevolmente  giuochi. 

Pag.  16.  V.  4-  degli  uomini  ,  e  degl'illustri  n'abbiamo 
pochi  tralasciati  addietro.  Indi  e  cassata  nel  JJS.  la  ina- 
leria  dal  i'.  5.  al  21. 

Pag,  2(5.  V.  38.  E  cancellato  sino  al  i'.  io  della  p.  27. 
e  v' e  sostituito  in  vece  come  appresso. 

Annibale.  E  s'alcuni  non  la  ricevono,  non  è  tra  (jucsti 
la  cupidità  del  guadagno. 

Gonzaga.  Io  avrei  creduto  che  la   cupidità  de!  guad.i- 

(i)  J\'eir  autografò  ÌMSS   manca  . 


DEL  GIUOCO  LXIX 

gno  non  fosse  loclevol  cosa,  e  che  i  cupidi  del  guadaijno 
fosser  c|uelli ,  i  quali  cercano  di  guadagnare  da  tutte  le  co- 
se, e  da  quelle  ancora,  che  sono  degne  di  tiiuna  stima. 

AnniiìALE.  Se  l  danno  è  male ,  il  guad  igno  che  al  dan- 
no è  contrario  ,  dee  esser  bene  ;  onde  i  cupidi  del  guadagno 
sono  cupidi  del  bene:  e  perchè  la  cupidità  del  bene  è  ai- 
letto  lodevole  ,  deono  esser  lodati. 

Gonzaga  .  Questa  è  una  di  quelle  ragioni  che  per  av- 
ventura potrebbe  sforzare  alcuno  :  me  nondimeno  mai 
non  persuase  ,  avvegnaché  non  sia  lodevole  il  desiderio  di 
tutti  i  genj  ,  o  di  tutti  i  guadagni,  ma  degli  orrevoli  sola- 
mente :  e  all'iniontro  il  disprezzo  de'beni  utili  suole  ap- 
portar molto  onore ,  onde  quando  il  prezzo  del  giuoco  è  il 
danaro",  o  cosa  misurata  dal  danaro,  non  estimo  che  si  pos- 
sa desiderar  di  vincer  con  molta  lode.  pag.  27.  v.  10. 

Pag.  l'j.  y.  36.  Dopo  più  certo,  è  canctllalo  sino  a  usa- 
ta ;  V.  I.  pag,  28  ,  e  prosegue  ,  e  il  liberal  giuocatore  ec. 

Pag.  —  V.  5.  Dopo  dimostrare  prosegue  : 

Annibale  .  Allora  egli  sarà  cupidissimo  di  guadagno, 
perchè  desidererà  di  guadagnare  la  grazia  di  quella  donna, 
con  la  qual  gioca  ,  la  quale  suole  alcune  volte  esser  de- 
gnissima e  preziosissima,  e  di  grandissima  stima:  laonde  con- 
terrà il  maggior  guadagno  che  si  possa  fare . 

Gonzaga.  Se  la  degnila  e  la  stima  contiene  i  guadagni , 
è  vero  senza  alcun  dubbio  quel,  che  voi  dite  ;  ma  non  so 
quel,  che  di  ciò  si  conchiuderebbe .  Io  per  me  tanto  vi  ho 
appreso  ib.  v.  9. 

Pag.  —  v.  07.  Dopo  col  vostro  ,  è  cancellato  sino  a 
soddisfatto  v.  io. pag.  29:  e  in  sua  vece  leggesi: 

Margherita  .  Questa  lode  non  conviene  a  me  .  Signor 
Giulio  Cesare  ,  ma  converrebbe  ella  senza  fallo  alla  Signo- 
ra Claudia  Rangona  ,  alla  Signora  Barbara  Sanseverina  , 
alla  Signora  Fulvia  da  Coreggio,  alla  Signora  Felice  della 
Rovere,  e,  s'è  lecito,  come  si  dice,  di  por  la  bocca  in  cielo, 
alla  Serenissima  Signora  Duchessa  di  Ferrara  ,  che  fa  ma- 
ravigliar ciascuno  tanto  dell'  ingegno  ec.  ib.  v.  io. 

Pag.  il.  v.  10.  Dopo  perita,  è  cancellato  il  rimanente, 
sino  al  V.  \!\. 


SUPPLEMENTO 

AL  TOMO  IX. 


Il  seguente  Dialogo  del  Messaggiero  pressoché 
interamente  rifatto  ,  e  le  Varianti  di  quello  del 
Giuoco ,  si  trovano  in  un  Codice  della  Biblioteca 
Barberini  di  Roma  ,  di  cui  si  terrà  proposito  nel- 
la Prefazione  ad  un  Volume  di  Rime  Inedite  ^ 
che  sarà  pubblicato  in  appresso . 


PQ 

Tasso,  Torquato 

4636 

Opere 

Al 

1821 

V.9 


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