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Full text of "Opere, colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull' edizione fiorentina, ed illustrate dal professore Gio. Rosini"

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OPERE 


DI 

TORQUATO 

TASSO 

COLLE   CONTROVERSIE 

SULLA 

GERUSALEMME 

POSTE  IN  MIGLIORE  ORDINE  ,  RICORRETTR 
SULl'  edizione  FIORENTINA  ,  ED  ILLU- 
STRATE   DAL    PROFESSORE     GIO.    ROSINI  . 


VOLUME   XXVL 


PISA 

PRESSO  NICCOLÒ  CAPURRO 
MDCCCXXX. 


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LA 

GERUSALEMME 

LIBERATA 

CON 
ILLUSTRAZIONI 


TOMO   IIL 


PISA 

PRESSO  NICCOLÒ  CAPURRO 

MDCCC  XXX. 


LA 

GERUSALEMME 

LIBERATA 


CANTO  DECIMOQVINTO 

ARGOMENTO 

Dal  mago  instrutti,  i  duo  guerrier  sen  vanno 
Dove  il  pino  fatai  gli  attende  in  porto: 
Spiegan  la  vela;  e  pria  dei  gran  Tiranno 
D'Egitto  i  legni  e  P  apparecchio  han  scorto. 
Poi  tale  il  vento,  e  tale  il  nocchier  hanno, 
Che  ben  lungo  viaggio  estiman  corto. 
All'Isola  remota  alfine  spinti, 
Da  lor  le  forze  sono  e  i  vezzi  vinti. 


V7Ìà  richiamava  il  belnascente  raggio 
All'  opre  ogni  animai  che  in  terra  alberga  ; 
Quando  venendo  ai  duo  guerrieri  il  Saggio  ;, 
Portò  il  loglio  j  e  lo  scudo ,  e  1'  aurea  verga  : 
Accingetevi ,  disse ,  al  gran  viaggio 
Prima  che  '1  dì,  che  spunta,  ornai  più  s'  erga 
Eccovi  qui  quanto  ho  promesso,  e  quanto 
Può  della  maga  superar  1'  incanto  . 
II. 

Erano  essi  già  sorti ,  e  1'  arme  intorno 
Alle  robuste  membra  avean  già  messe  ; 
Onde  per  vie  che  non  rischiara  il  giorno , 
Tosto  seguono  il  vecchio  :  e  son  l' istesse 


4  LA  GEKL'SALIìMME 

Vestigia  ricalcate  or  nel  ritorno, 
Che  fnron  prima  nel  venire  impresse. 
Ma  giunti  al  letto  del  suo  fiume:  amici , 
Io  V  accomiato,  ei  disse;  ite  felici, 
m. 
Gli  accoglie  il  rio  nell'  alto  seno  ,•  e  1'  onda 
Soavemente  in  su  gli  spinge  e  porta , 
Come  suole  innalzar  leggiera  fronda  , 
La  qual  da  violenza  in  giù  fu  torta  ; 
E  poi  gli  espou  sovra  la  molle  sponda  : 
Quinci  mirar  la  già  promessa  scorta  : 
Vider  picciola  nave,  e  in  poppa,  quella^ 
Che  guidar  gli  dovea,  fatai  donzella. 


St.  3.      Gli  accoglie  il  rio  rielV  alto  seno ,  e  V  ondii  ee. 

E  qui  cresce  ed  appare  maggiormente  il  miracolo.  GuASt. 

—    Vider  picciola  nave ,  e  in  poppa  ,  quella  ec. 

Fra  i  moltissimi  errori,  ne' quali  sconciamente  inciampò  il  Si- 
gnor di  Voltaire  nel  suo  Saggio  sulla  Poesia  Epica  di  tutte  le  na- 
zioni,  stampalo  in  francese  ed  in  inglese,  non  dee  passarsi  sotto 
silenzio  quello,  con  cui  egli  dice  che  Ubaldo  et  san  Compagnvn. 
iont  transportcs  axix  Islcs  Canaries  dans  un  pelìt  bateaii  par  une 
Vieille ;  per  meglio  confermare  questa  sua  opinione  ,  che  X^futaL 
donzella  ioise  una  l'errliia,  lasciò  correre  anche  nell'inglese  Old 
woman ,  che  appunto  significa  vecchia  donna.  Ecco  come  gli  01- 
tramonlfcni  trasformano  in  bizzarra  e  mostruosa  maniera  quelle 
cose  ch'essi  non  mai  forse  intesero.  E  come  mai  esser  poteva  una 
veccliia  quella  donna  che  dal  Poeta  vicn  detta  simile  agli  angio- 
li nel  sembiante ,  e  che  in  tutto  il  viaggio  presentasi  a'  messaggi 
qnal  giovine  donzella,  amabile  e  leggiadra?  Eppure  il  Signor  di 
Voltaire  pretese  già  d'essere  annoverato  tra  gli  Accademici  della 
Crusca .  Fi-d<tnc  (  così  contro  di  lui  opportunamente  scherza 
Francesco  Baretti  nel  suo  Discorso  su  Shakespear),  Monsieur  l'A- 
cademicien  de  la  Crusca!  Lìsez,  un  bon  Dictionnoire  à  la  main 
les  dis-huit  vers ,  par  Ics  (fuels  le  Tasse  a  dccrit  cette  Femme ,  et 
vous  la  verrcz  tout-à-coup  m('tamorplios<'e  en  une  Dcmoiselle  pour 
le  rnoins  aussi  jolie,  et  aussi  galatnment  liahillée,  que  la  Gabriel" 
le  de  vótre  Henri  ade ,  personage  trbs  peu  poetique,  et  par  consc- 
quent  tròs-peu  intéressant  ,  pour  vous  le  dire  cliemin  Jaisant  . 
Coinment  me  persuaderez-vous,  à  propos  de  cette  pretendue  WeW- 
ìe ,  que  vous  fu'ez  lu  plusieur.t  Jais  la  Jerusalcm  delivrée,  vous- 
qui  ne  vous  étes  point  aperqu  de  vótre  grosse  bd^'ue  dans  le  long 
cours  de  cinqt/ante  anndcs  hien  comptettes ?  Peut-on  a\'oir  l'ej- 
Jronterie  de  louer  ou  de  blamer  le    Tasse,   quand  o»  ne  l' à  pas 


LIBERATA    C.  XY. 

IV. 

Crinita  fronte  ella  dimostra,  e  ciglia 
Cortesi  e  favorevoli  e  tranquille  : 
E  nel  sembiante  agli  angioli  somiglia  ; 
Tanta  luce  ivi  par  eh'  arda  e  sfavillo . 
La  sua  gonna  or  azzurra ,  ed  or  vermiglia 
Diresti  ;  e  si  colora  in  guise  mille  j 
Sì  eh'  uom  sempre  diversa  a  sé  la  vede , 
Quantunque  volte  a  riguardarla  riede 

V, 

Così  piuma  talor ,  che  di  gentile 
Amorosa  colomba  il  collo  cinge, 


méme  assez  lu  pour  pouvoir  distinguer  s'il  est  qitestion  d'une  jeu- 
ne  ou  d'une  vieille  dans  une  longue  descrìption  d'  une  J emme  ? 

Anche  il  Tasso  in  una  delle  Lettere  inedite  dichiara  esser  que- 
sta la  Fortuna.  M- 
St.  4-      Crinita  fronte. 
Di  questo  s'è  ragionato  dì  sopra  . 

— e  ciglia 

Cortesi  e  favorevoli . 
Lieta  e  prospera  fortuna  dipinge  il  Poeta,  e  perciò  segue  anco 
appresso  ; 

—  E  nel  sembiante  agli  angioli  somiglia  . 

Così  bella  essendo,  cotanto  risplendente  e  giovine  di  viso  come 
ancora  sono  figurati  gli  angeli . 

—  La  sua  gonna  ora  azzurra ,  ed  or  vermiglia . 
Dinota  la  varietà  ed  instabilità ,  come  di  sopra ,  e  ciò  tocca  al- 
la fortuna  in  universale. 

St.  5.      Cosi  piuma  talor,  che  di  gentile  ec. 
Imitò  in  questa  stanza  il  Poeta  nostro  Lucrezio  leggiadrissima- 
mente in  que' versi  che  si  trovano  al  2  De  rerum  natura ,  v.  800  : 
«   Piuma  columharum  quo  pacto  in  Sole  vidctur , 
«    Quoe  sita  cervices  circum  collumque  coronai  : 
«   Namque  alias  fit  itti  darò  sit  rubra  pyropu , 
a  Interdum  quodam  sen-su  fit  uti  vidcatur 
<(   Inter  coeruleum  virides  miscere  smaragdos . 
Il  quale  esempio  si  usa  da' filosofi  per  dimostrare  che  non  tutto 
guel  che  appare  agli  occhi,  è  vero:  e  da  altri  per  provare  che  il 
colore  non  è  proprio  dei  corpi  (come  dissi  altrove),  ma  si  genera  e 
si  varia  secondo  che  il  lume  gli  porcote  .  E  di  questo  credo  ragio- 
Dasse  in  suo  poema  Nerone,  uom  degno  piii  del  lauro  de'Poeti  che 
di  quello  degl'Imperatori:  couciosiachè  questo  verso  di  lui: 

«    Colla  Cjieriacce  splendent  agitata  columbo; , 
»ia  recitato  e  laudato  da    Seneca  suo   maestro  nelle  Ouestioni 


6  LA  GERUSALEMME 

Mai  non  si  scorge  a  se  stessa  simile. 
Ma  in  diversi  colori  al  Sol  si  tinge  : 
Or  d'  accesi  rubili  sembra  un  monile  ; 
Or  di  verdi  smeraldi  il  lume  fìnge; 
Or  insieme  gli  mesce;  e  varia  e  vaga, 
In  cento  modi  i  riguardanti  appaga . 

VI. 

Entrate,  dice,  o  fortunati,  in  questa 
Nave,  ond'io  1'  Oceàn  secura  varco, 
Cui  destro  è  ciascun  vento ,  ogni  tempesta 
Tranquilla ,  e  lieve  ogni  gravoso  incarco . 
Per  ministra  e  per  duce  or  mi  v'  appresta 
Il  mio  signor,  del  favor  suo  non  parco. 
Cosi  parlò  la  donna  ;  e  più  vicino 
Fece  poscia  alla  sponda  il  curvo  pino . 

naturali.  E  di  questo  si  deve  intendere  quel  frammento  di  "Vaì"- 
lone:  Ut  nìtet  Pa^'onis  colliis  nihìl  extrinseriis  sumens ,  citato  da 
Nonio  Grammatico,  fuor  dell'opera  di  lui  intitolata  Sexagexis . 

Gent. 
St.  6    Per  ministra,  per  duce  or  mi  v' appresta 
Il  mio  signor. 

Cioè  Iddio.  Questo  dunque  cosi  meraviglioso,  ed  importante 
coi'so,  che  ci  fini;e  il  Poeta,  ben  è  guidalo  dalla  Fortuna,  ma  non 
però  da  essa  semplicemente;  anzi  (  come  di  qui  appare)  da  lei  co- 
me da  ministra  e  serva  d'Iddio,  superiore  alla  fortuna,  al  fato, 
alla  natura,  o  se  qual  si  voglia  altra  cagione  si  trova  nelle  cose. 
Perciò  non  è  meraviglia,  se  governato  da  cos'i  saggio  e  potente 
hocchiero,  fosse  oltre  l'ordinario  così  spedito  e  tranquillo,  e  se 
non  potè  esser  renduta  vana  l'opra  da  qual  si  voglia  impedimen- 
to .  Gdast- 

Se  Omero  avesse  avuto  a  trattare  questo  luogo,  avrebbe  fatto 
l'he  Minerva ,  cioè  la  Prudenza  .  e  non  la  Fortuna  fosse  stata  duce 
di  quella  navicella,  e  di  quei  messaggicri ,  che  dovevano  rivocare 
Rinaldo  da  vita  amorosa  e  lasciva:  siccome  fece  Leucothoe  dare 
una  fascia  ad  Ulisse,  la  quale  si  cingesse  al  petto  per  iscampare 
nuotando  dagli  tempestosi  Hutti  ì\q\  mare:  volendoci  accennare 
che  in  questo  pelago  della  ragione  ci  dovemo  munire  il  petto  con. 
la  Filosofia,  siccome  l'intese  Mass.  Tirio.  Ma  il  Tasso  prendendo 
la  Fortuna  per  l'ajuto  d'Iddio,  è  molto  piìi  da  approvare.  Gent. 
—    Fere  poscia  alla  sponda  il  run'o  pino  . 

Il  pino  per  essere  attissimo  a  formarne  navi ,  Virgilio  alle  vol- 
te il  pose  per  l'istessa  nave  per  la  figura  Ipallage,  come  qui  il 
Sig.  Tasso.  Virgilio  disse: 

« *.  .    .   Diinf  utile  lignum 

a   Ndvigiis  pinos . 


LIBERATA    C.  XV. 

VII. 

Come  la  nobil  coppia  ha  in  lui  raccolta, 
Spinge  la  ripa ,  e  gli  rallenta  il  morso  ; 
Ed  avendo  la  vela  all'  aure  sciolta, 
Ella  siede  al  governo ,  e  regge  il  corso . 
Gonfio  il  torrente  è  sì ,  eh'  a  questa  volta 
I  navigli  portar  ben  può  sul  dorso; 
Ma  questo  è  sì  leggier,  che  '1  sosterrebbe 
Qual  altro  rio  per  novo  umor  men  crebbe . 
vili. 

Veloce  sovra  il  naturai  costume 

Spingon  la  vela  in  verso  il  lido  i  venti  : 
Biancheggian  1'  acque  di  canute  spume , 
E  rotte  dietro  mormorar  le  senti . 
Ecco  giungono  omai  là  dove  il  fiume 
Queta  in  letto  maggior  1'  onde  correnti  : 
E  neir  ampie  voragini  del  mare 
Disperso,  o  divien  nulla,  o  nulla  appare. 

IX. 

Appena  ha  tocco  la  mirabil  nave 

Della  marina ,  allor  turbata ,  il  lembo , 
Che  sparisco!!  le  nubi ,  e  cessa  il  grave 


E  all'Egloga  4  ili<^e  il  medesimo:  e  Valerio  Fiacco, 

«    Volai  iniTTLissis  eai.>a  pinus  hahenis  , 
Cella  medesima  figura  Vir|;ilio  pose  la  trave  per  l'istessa  nave: 
«    Vfistiirnque  Cava  trabe  currlmas  ecjaor . 

E  Orazio:   « Ut  trahe  Cypria 

a   Myrtoum  pavìdiia  nauta  secet  mare  . 
E  Catullo,  descrivendo  le  lodi  del  Faselo  : 
«  Neque  ullius  natantis  impetiim  trahis 
«   J\eqiiisse  proeterire .  Mart. 

St.  8.     Biancheggian  V  acque  di  cnnitte  fpume  , 
E  rotte  dietro  mormorar  le  senti. 
Energia  delle  circostanze . 

St.   9.      /appena  ha  tocco  la  m.irahil  nave  ec. 
Con  pili  copia,  più  vaghezza  e  più  leggiadria,  che  in  Virgilio, 
lib.  5,  V.  819: 

'<■    Coeruleo  ,  per  stimma  levis  volai  cequora  curru  :         » 

<i  Subsidunt  undoe ,  tum-idumque  sub  a.re  tonanti 

«   Siernitiir  (xquor  aquis ,/ugiunt  vasto  cethere  nimbi. 

G.  Lib.  t.  ni.  a 


8  L\  GERUSALEMME 

Noto ,  che  minacciava  oscuro  nembo  . 
Spiana  i  monti  dell'  onde  aura  soave  , 
E  solo  increspa  il  bel  ceruleo  grembo  ; 
E  d'  un  dolce  seren  diffuso  ride 
Il  ciel ,  che  sé  più  chiaro  unque  non  vide , 


—  E  solo  increspa  il  bel  cernito  grembo . 

Bellissima  inelafoia,  e  che  niirabilmcnti!  picscJita  innaozi  agli 
occhi  quell'effetto  dell'onde,  che  in  esse,  a  tempo  sereno,  piccio- 
lo vento  suol  fare,  crespandole  quasi  velo. 

—  E  d' un  dolce  strtn  dijj'uso  ride 

Il  ciel ,  che  sé  più  chiaro  unqua  non  vide. 
Lucrezio,  nel  i  ,  v.  8: 

« tihi  rident  (equora  ponti  ; 

«    Pacatnmque  nifet  diffuso  lamine  C(vlnm . 
II  ridere  è  metafora  proporzionevole  dal  volto  dell'uomo,  ed  è 
detta  d'ogni  cosa  che  apparisca  lieta  e  giojosa.  Orazio: 

«    Ridet  argento  doiius  . 
Dante  nel  3o  del  Paradiso: 

« iljiume,  e  li  topazii 

<c   C li  entrano  ed  escono ,  e  7  rider  dell'erbe. 
Il  Petrarca  : 

«    Jìidono  i  prati ,  e  7  ciel  si  rasserena  . 
E  del  cielo  ristesse  Dante  al  28  del  Paradiso: 

« sì  che  7  ciel  ne  ride 

«    Con  le  bellezze  .  GwAST. 

Eschilo  cosi  descrisse  un  cotale  riso  : 
^iòig  jv{S>jp  ,  Hjc<  Ta)(;^u7rrcpoi  ttvoixi 

rìorXjHWV  Ti  -KViyxi    TTOvTÌ'jJV  T6   km^utÌÌv 
A'vhvi^t-'Oi  vfXaouCK.,  ■n-.-vauS^vtp  Th^'i^  . 
Ove  appella  riso  inanità  quello,  che  il  nostro  Dante  appella 
riso  dell'universo  in  quei  versi  ,  Paradiso  3^; 
«   Ciò,  eli  i'  vedeva ,  mi  pareva  un  riso 
«   Dell'  universo  :  perchè  mia  ebrezza 
a   Entrava  per  l' udire  e  per  Ixy  viso  . 
Il  Tasso  poi  aggiunse  alle  parole  di  Lucrezio,  che  il  cielo  non 
vide  unqua  sé  più   chiaro,  secondo  il  costume  de' poeti ,  i  quali 
fingono  le  stelle  essere  occhi  del  cielo.  Ma  Platone  nel  Timeo  di- 
ce bene  che  il  cielo  è  animale  perfettissimo,  ma  che  non  ha  occhi, 
né  orecchie:   perchè  non  ha  fuori  di  sé  che  vedere,  o  che  udire: 
siccome  gli  altri  animali,  a'quali   perciò  sono  dati  dalla  Natura 
cotali  istrumenti;  i  quali  sono  inilizj ,  e  segni  della  imperfezione 
loro,  non  potendosi  di  quegli  a  verun  patto  mancarsi ,  come  Ari- 
stotile in  un  luogo  scrisse.  Quella  descrizione  poi' della  quiete 
del  mare  fatta  dal  Tasso  ne'  sci  precedenti  versi,  fu  ad  un  simi- 
le proposito  esplicata  con  un  verso  solo  da  Pacuvio  nella  favola 
Chryse  ,  dicendo:   Intcrea  loca  flucti  flaviscunt ,   silescunt   venti  ^ 
mollilur  mare.  Gekt. 


LIBERATA    C.  XV. 

X. 

Trascorse  oltre  Ascalona  ,  ed  a  mancina 
Andò  la  navicella  in  ver  ponente  ; 
E  tosto  a  Gaza  si  trovò  vicina , 
Che  fu  porto  di  Gaza  anticameiite  : 


Traslazione  da  cose  animate,  che  ridendo  dimostrano  allegrez- 
za, in  cose  inanimate,  come  appresso  Catullo  nell  Epitalamio  di 
Peieo  e  di  Tetide: 

«    Queis  permulsa  domus  jucundo  risit  odore,. 

Sovra  il  qual  luogo  reggasi  il  Morcti . 
St.    io.    Trascorse  oltre  Ascalonn ,  ec. 

Ascalona  è  un  castello  di  Palestina  secondo  Plinio  al  capo  i3  ; 
il  qual' è  picciolo,  ma  assai  copioso  di  cipolle,  conie  ben  dice 
Strabone  al  1 6  della  Geografia,  con  queste  parole  fatte  Tolgari  : 
//  contado  d'  Ascalona  è  buono  per  cipolle  ,  ma  il  castello  è  pic- 
ciolo .  Quindi  i  Latini  in  genere  di  cipolle  nominarono  Ascalonia 
(che  volgarmente  viene  detta  Scalogna)  dalla  gran  copia  di  esse 
che  in  detto  castello  ritrovansi:  il  che  viene  confermato  da  Pli- 
nio al  19,  al  capo  6  con  queste  parole  parlando  di  detta  Scalogna: 
Ascalonia  ab  oppido  Jiidece  nominata  .  Appresso  Gardara  è  il 
porto  di  Gaza;  la  città  poi  è  piìi  oltre  7  stadj ,  che  fu  rovinata  da 
Alessandro  Magno.  V.  Strabone  al  16,  Plinio  al  5.  Mart. 

y^.>C".'o«rt,  una  delle  cinque  città  de' Filistei  sulla  sponda  del 
Mediterraneo  .  Essa  fu  conquistata  dalla  tribh  di  Giuda  dopo  la 
morte  di  Giosuè,  ed  è  assai  celebre  nel  vecchio  Testamento.  Bal- 
dovino re  di  Gerusalemme  la  prese  a'Saraceni  nel  1 154  •  Ora  non 
fiche  un  ammasso  di  rovine,  rifugio  di  alcune  povere  famiglie 
turche  .  V.  Guglielmo  Tirio  ,  e  Jacq.  de  Vitri,  Hist.  Orien. 

Gaza,  città  della  Palestina,  della  tribù  di  Giuda,  anticamen- 
te una  delle  cinque  satrapic  de' Filistei.  Fu  distrutta  da  Ales- 
sandro il  Grande.  Presso  le  rovine  dell'antica  fu  poi  fabbricata  la 
nuova  Gaza,  che  chiamasi  anche  Gazara ,  Gazrr  e  Gazeris  .  (  y . 
Baudrured  ).  Un'altra  Gaza  fnvvi  pure  presso  l'Egitto,  che  negli 
atti  degli  Apostoli  è  chiamata  deserta.  M. 

—   die  Ju  porto  di  Gaza  anticamente . 

Passata  Ascalona,  e  correndo  per  diritto  alla  riviera  del  mare, 
si  trovava  il  porto  di  Gaza,  come  che  la  città  fosse  piìi  sopra  fra 
terra  quasi  un  miglio,  secondo  che  recita  Strabone  nel  i5  libro. 
La  qual  città  essendo  poi  stata  distrutta  da  Alessandro,  come  dice 
lo  stesso  autore,  ne  crebbe  i|uest'altra  in  riva  al  mare.      Guast. 

Questa  e  le  2  seguenti  stanze  vengono  dal  Galileo  giudicate 
bellissime ,  specialmente  perchè  rappresentano   in  miralnle  ma- 
niera quello  che  il  Poeta  ha  preso  a  dipingere.  Una  simile  rap- 
presentazione vedesi  nel  Furioso  e.  i5,  stan.  16  e  i^. 
«  Lasciando  il  porto  e  l'onde  piii  tranquille 
«  Con  felice  aura  eh' a  la  poppa  spira, 
«  Sopra  le  ricche  e  popolose  ville 
«  De  l'odorifera  India  il  duca  gira, 


IO  LA  GERUSALEMME 

Ma  poi ,  crescendo  dell'  altrui  mina , 
Città  divenne  assai  grande  e  possente; 
Ed  eranvi  le  piagge  allor  ripiene 
Quasi  d'  uomini  sì  ,  come  d'  arene  . 

XI. 

Volgendo  il  guardo  a  terra  i  naviganti, 
Scorgean  di  tende  numero  infinito  ; 

«  Scoprendo  a  destra  ed  a  sinistra  mille 

a  Isole  sparsip;  e  tanto  va  ,  che  mira 

«  la  terra  di  Toininaso,  onde  il  noccliiero 

«   PJìi  A  Tramoaìtana  poi  volge  il  sentiero, 
n  Quasi  radendo  l'aurea  Chersonesso 

«  La  bella  armata  il  gran  pelago  frange  , 

«  E  costeggiando  i  ricchi  liti  spesso 

«  Vede  come  nel  mar  biancheggi  il  Gange, 

«  E  Taprobane  vede  e  Cori  appresso, 

«  E  vede  il  mar  che  fra  i  duo  liti  s'  ange. 

«   Dopo  gran  via  furo  a  Cochino ,  e  quindi 

«  Uscirò  fuor  dai  termini  de  gì  Indi . 
Non  però  queste  sole  ottave,  ma  tutta  la  navigazione  che  vieii 
qui  dal  Tasso  descritta  ,  è  vaghissima  e  mirabilmente  condotta. 
E  primieramente  ha  il  Tasso  saputo  con  bell'artitìcio  accoppiare 
l'antica  geografìa  con  quella  de'suoi  tempi  ,  aggiungendo  alla  più 
parte  de'  luoghi  quelle  circostanze,  oud'è  ciascuno  particolarmen- 
te descritto  e  caratterizzato  nelle  varie  sue  vicende  e  speciali  si- 
tuazioni .  Leggasi  Strabene,  e  vedrassi  quanto  fosse  il  nostro  Poe- 
ta versato  nell'antica  erudizione  .  Meravigliosa  è  inoltre  la  rapi- 
dità, colla  quale  egli  ci  trasporta,  direni  quasi,  per  questa  mede- 
sima navigazione  con  un'infinita  varietà  d'oggetti,  talché  sem- 
pre più  ci  va  stuzzicando  la  curiosità,  né  mai  soflre  die  ci  si  laf- 
freddi  la  fantasia.  Con  quanta  naturalezza  poi  non  vien  egli  tes- 
sendo il  dialogo  tra  Ubaldo  e  la  fatale  Condottiera?  Quanto  ina- 
spettata, nuova  e  sublime  non  è  mai  la  predizione  della  scoperta 
d'un  nuovo  Mondo,  onde  scossi  siamo  da  quel  sommo  piacere  che 
chiamasi  di  sorpresa?  La  stessa  Vergine,  che  è  posta  al  governo 
del  picciol  naviglio  ,  e  nella  quale  viene  allegoricamente  rapjire- 
sentata  la  Virili  della  Prudenza  ,  è  cosi  bene  dipinta,  che  non  ha 
che  invidiare  ai  Greci ,  e  ci  addita  b<'n  tosto  ,  che  non  poeta  sol- 
tanto, ma  profondo  lìlosofo  ancora  stato  era  il  Tasso.  Noi  perciò 
affine  di  rendere  pili  facile  l'intelligenza  di  questa  n.ivigazione 
abbiamo  aggiunto  c|ui  una  brevissima  topografia  de'  principali 
luoglii  che  sono  in  essa  nominati .  M. 

—    Ma  por  ,  rrcxcerufii  i/r//' n/triii mina  ec. 
E  il  rowscio  di  quel  verso  d'un  Comico  greco 

citato  da   Stralione  lib.  8;  la  cui  Geografia  sopra   tutti  è  da  ve- 
dere, a  chi  vuole  cpiesta  navigazione  del  Tasso  ben  intendere  . 


LIBERATA    C.  XV.  1 1 

Miravan  cavalier ,  miravan  fanti 
Ire  e  tornar  dalla  cittade  al  lito  : 
E  da  cammelli  onusti  e  da  elefanti 
L'  arenoso  sentier  calpesto  e  trito  : 
Poi  del  porto  vedean  ne'  fondi  cavi 
Surte,  e  legate  all'  ancore,  le  navi. 

XII. 

Altre  spiegar  le  vele,  e  ne  vediéno 
Altre  i  remi  trattar  veloci  e  snelle; 
E  da  essi  e  da'  rostri  il  molle  seno 
Spumar  percosso  in  queste  parti  e  in  quelle. 
Disse  la  donna  allor  :  benché  ripieno 
Il  lido  e  '1  mar  sia  delle  genti  felle, 
Non  ha  insieme  però  le  schiere  tutte 
Il  potente  tiranno  anco  ridutte. 

XIII. 

Sol  dal  regno  d'  Egitto  e  dal  contorno 

Raccolte  ha  queste:  or  le  lontane  attende; 
Che  verso  1'  oriente  e  '1  mezzcgioino 
Il  vasto  imperio  suo  molto  si  stende; 
Sicché  sper'  io  che  prima  assai  ritorno 
Fatto  avrem  noi ,  che  mova  egli  le  tende  ; 
EgU,  o  quel  che  n  sua  vece  esser  soprano 
Dell'  esercito  suo  de'  capitano  . 

XIV. 

Mentre  ciò  dice,  come  aquila  suole 
Tra  gli  altri  augelli  trapassar  secura, 
E  sorvolando  ir  tanto  appresso  il  Sole, 
Che  nulla  vista  più  la  raffigura; 

St.   «4.  Mentre  ciò  dice ,  come  aquila  suole ,  ec. 
Questa  comparazione  dell'aquila  alla  nave   fu  usata  eziandio 
da  Teocrito  nell'Hyla,  ragionando  della  nave  Argo.  Perchè  dice: 

aV(«  Kvxvid  voù  ■)(ìì  \|/aTO  (jvvdp0fxa.0u}v  vaus, 
A'XXà  Jfé^ai'^f,  /3a3r'ju  3'  iìciSpXjXi  Yactv , 
fiCnTvi  WS,  iJ.iya\aiT^a. 
Ma  qui  è  pili  tosto  immagine,  che  comparazione  qual  è  questa 
del  Tasso,  e  quella  d' Appoìlonio,  Aigoaaut.  lib.  2.  Grkt. 


12  LA  GERUSALEMME 

Così  la  nave  stia  sembra  che  vole 

Tra  legno  e  legno  ;  e  non  ha  tema^  o  cura 

Che  vi  sia  chi  1'  arresti  o  chi  la  segua; 

E  da  lor  s'  allontana  e  si  dilegua  . 

XV. 

E  in  un  momento  incontra  Raffia  arriva, 
Città  la  qual  in  Siria  appar  primiera 
A  chi  d'  Egitto  move  ;  indi  alla  riva 
Sterilissima  vien  di  Rinocera . 


,St.    i5.  e  in  un  momento  incontra  Raffia  arrii.'a  . 

E  posta  Raffia  dopo  Gaza  la  nuova,  andando  verso  Pelusio,  e 
verso  l'Egitto,  onde  siccome  è  primiera  città  della  Palestina  a 
chi  parte  d'Egitto  per  andare  in  quella  regione,  cosi  è  ultima  a 
chi  di  essa  parte  per  andar  verso  Egitto,  come  facevano  questi 
due  cavalieri.  Guast. 

Raflia  è  città  della  Palestina,  che  viene  ora  detta  Rama  da'Giu- 
dei ,  come  ne  dice  Giovanni  Bellero  ;  tra  la  quale  anco  si  fece  la 
giornata  tra  Tolomeo  il  quarto,  e  Antioco  il  grande ,  come  dice 
Strabone  al  i6  libro,  e  Plinio  al  capo  i3  del  libro  5.  Mart. 

Raffia,  città  sul  Mediterraneo  tra  Gaza  e  Rinocera,  celebre 
per  la  vittoria  che  Filopatore  re  d'Egitto  ottenne  su  di  Antioco 
il  grande,  re  di  Siria,  l'anno  del  mondo  3787.  Polibio,  lib.  5 , 
mette  Raffia  per  la  prima  città  della  Siria  venendo,  appunto  co- 
me dice  il  Tasso  ,  dall'  Egitto  .  M. 

— indi  alili  riva 

Sterilissima  vien  di  Rinocera . 

Dopo  Gaza  e  Raffia  mette  Strabone  RinocoUira;  cosi  la  doman- 
da anco  Tolomeo  :  e  rende  Strabone  la  ragion  di  cosi  fatto  nome; 
dicendo  che  cosi  fu  cotal  luogo  chiamato  da  quelli  che  essendo 
loro  state  tagliate  le  narici  (  pc  VJS  le  dicono  i  Greci  )  furono 
quivi  posti:  avvegnaché  un  certo  uomo  d'Etiopia,  avendo  assal- 
tato l'Egitto,  tutti  i  malfattori  non  con  morte,  ma  col  troncar  lo- 
ro le  narici  era  solito  di  punire,  mettendoli  poi  quivi ,  acciò  per 
la  bruttezza  della  faccia  non  avessero  piìi  ardire  di  tornar  a  ca- 
sa .  Plinio  dimanda  questo  luogo  Rinocolura,  né  è  alcuno  o  geo- 
grafo, o  altro  scrittore  veduto  da  me  che  ponga  quivi  o  riva  o 
tittà  con  nome  di  Rinocera.  So  ben  ch'oggidì  è  (piella  detta  Fara- 
niida  .  Ma  son  altri  per  avventura  da  me  non  veduti,  che  a  (pici 
niodo  l'addimaiulano  ,  onde  1'  ha  tolto  il  Tasso.  Ben  della  sterili- 
tà del  paese,  che  è  dopo  Gaza  dove  pur  è  la  predetta  Rinocolura, 
parla  lo  stesso  Strabone  nel  lib.  iG.  Guast. 

Rinorera,  trovasi  nella  storia  ora  appartenente  alia  Siria  ,  ora 
alla  Palestina  ,  e  qualche  volta  all'Egitto,  e  propriamente  signifi- 
ca narici  tagliate .  Uiodoro  Siculo  racconta  che  Actisavo  re  d'  E- 
tiopia  volendo  purgare  il  suo  regno  dai  ladri  che  lo  desolavano, 
e  uou  volendo  lulUfiit.  farli  lUoiiic,  no  fece  prendere  (j,ucl  maj;- 


LIBERATA   C.  XV.  i3 

Non  lunge  un  monte  poi  le  si  scopriva, 
Che  sporge  sovra  1  mar  la  chioma  aìtefa, 
E  i  pie  si  lava  nell'  instabil'  onde, 
E  r  ossa  eli  Pompeo  nel  grembo  asconde. 


gioì"  numero  che  gli  fu  possibile,  e  fatto  loro  mozzare  il  naso  ,  li 
rilegò  in  una  spiaggia  deserta  e  sterile,  dove  essi  fabbricarono  u- 
na  città  che  fu  chiamata  Rhinocolura  ,  o  IMnorem  a  cagione  dei 
loro  nasi  mozzati .  Al  monte,  di  cui  parla  il  Poeta,  e  che  racchiu- 
de la  tomba  del  busto  di  Pompeo,  par  che  alluda  Lucano,  Fars. 
8  ,  V.  797.  Sitiis  est ,  qua  terra  cxtrema  refuso  jjendet  in  Oceano. 
E  questo  probabilmente  il  monte  Casio ,  che  sorge  vicino  al  la- 
go Sirbunide  ,  e  si  sporge  in  mare  con  una  punta  chiamata  Capo 
del  Kas  .  (V.  M.  d'Anville,  Géog.  Ancienne).  Roberto  Stefano  però 
t-  d'  opinione  ,  sul  testimonio  di  Capitolino,  che  non  ncH'  Egitto, 
ma  nell'Arabia  sia  questo  monte:  Arabia,  mons  est ,  cosi  egli,  ju- 
xta  ,  qtiem  delubrum  est  Casii  Joi'is ,  r/tiod  Romanorum  ambiiio 
illustre  J'ecit ,  et  Pompeiì  tumuhis  multis  post  annis  ab  Hudria- 
no  ìnstanratiis  ,  ut  Capitolinus  ttadit .  M. 

Ho  ferma  credenza,  che  Rinocera  sia  quel  castello  ,  o  città  del- 
ridumea  ,  che  da  Plinio  e  da  Strabene  viene  chiamata  Rinocoln- 
ra,  è  l'etimologia  di  detta  parola  viene  narrata  da  Strabone  al  i6in 
cosi  fatto  modo:  Rinocolura  cosi  nominata  dal  naso  tagliato  dei 
<suoi  abitatori,  perchè  nell'Egitto  essendo  entralo  un  Capitano  de- 
gli Etiopi  in  vece  di  far  morire  i  malj attori ,  tagliando  loro  il 
riaso  gli  mandava  quivi  ad  abitare ,  acciocché  per  vergogna,  di  a- 
vere  a  quel  modo  guasta  la  faccia,  si  guardassero  dal  malfare  per 
l' avvenire .  Sin  qui  Strabone.  Quando  poi  il  Poeta  dice: 

—  Non  lunge  un  monte  ec. 

Intende  del  monte  Casio,  il  quale  come  dice  Strabone,  si  stende 
oltre  in  mare,  ed  in  cui  furono  poste  le  ceneri  del  Gran  Pompeo  uc- 
ciso a  tradimento  dagli  Egiziani  dopo  che  vinto  in  Farsaglia  s'era 
rifuggilo  colà:  la  qual  sepoltura  fattagli  di  nascoso  da  un  povero  ma 
molto  amico  suo,  poeticamente,  cioè  con  molta  grazia  e  leggiadria 
è  descritta  da  Lucano  nell'ultima  parte  dell'ottavo  libro.  Guast. 

Pel  monte  Casio  passa  chi  vuol  andare  a  Dainiata .  Li  esso  è  il 
tempio  di  Giove  Casio,  a  differenza  di  molti  altri  del  medesimo 
nome.  Che  sia  vero,  che  il  Poeta  intenda  del  primo  dove  è  Gio- 
ve Casio,  appare  da  quello  parole: 

«   E  l' ossa  di  Pompeo  nel  grembo  asconde . 

Perchè,  come  dice  Strabone  al  i6,  in  detto  monte  è  il  corpo 
di  Pompeo:  le  parole  sono  queste:  //  Casio  è  un  poggio  arenoso 
Jatto  a  guisa  di  promontorio  senz'  acqua ,  dove  giace  il  corpo  di- 
Pompeo  Magno ,  e  v'  è  il  tempio  di  Giove  Casio  ;  quivi  appresso 
fu  scannato  il  Magno  ,  e  dagli  Egiz]  morto  a  tradimento:  ciò  an- 
che fu  mentovato  da  Plinio  al  capo  12  del  5 .  Marx. 

—  E  i  pie  si  lava  nelle  instabil'  onde  ec. 

Instabili  si  per  lo  flusso,  e  reflusso  di  tutto  il  mare  ,  come  par- 
ticolarmente per  una  cosa  notabile  ,  che  racconta  Straiboite  avve- 


i4  LA  GERUSALEMIME 

XVI. 

Poi  Damiata  scopre,  e  come  porte 
Al  mar  tributo  di  celesti  umori 
Per  sette  il  Nilo  sue  famose  porte, 
E  per  cento  altre  ancor  foci  minori: 


nire  a  quella  parte ,di  esso,  dove  è  posto  il  predetto  monte  Casio, 
con  simili  parole  in  nostra  lingua:  Lo  stesso  ^  stato  scritto  avve- 
rtir neir Egitto  intorno  al  monte  Casio,  dove  la  terra  alle  volte 
con  un  tostano  e  semplice  movimento  ,  o  tremore  si  rivolge,  e 
prega  dall'uri  de' lati  all'altro ,  in  guisa  che  la  parte  di  lei  ele- 
vata spinge  oltre  il  mare ,  e  la  parte  abbassata  il  riceve ,  la  qual 
poi  Cambiata  di  nuovo  all'  altro  modo,  ogni  cosa  viene  a  ricevere 
la  sua  forma  di  prima  ;  ed  alle  volte  vi  rimane  alcuna  mutazio- 
ne, alcune  volte  no  E  ciò  aflerma  anche  il  predetto  Geografo  ac- 
cadere eziandio  fra  Tuo  e  Tolemaide.  Guast. 
St.  i6.  Poi  Dannata  scopre . 
Damiata ,  antica  e  celebre  città  dell'Egitto,  sopra  una  delle 
boccile  orientali  del  Nilo.  1  Crociati  la  presero  nel  l'Jig,  fu  resa 
al  Sultano  nel  1221.  S.  Luigi  Re  di  Francia  la  riprese  nel  1249, 
ma  fu  costretto  a  restituirla  per  redimere  se  stesso.  Fu  poscia  di- 
strutta; ed  una  nuova  ne  venne  fabbricata  alla  distanza  d'  una 
lega  dall'antica.  M. 

— dì  celesti  umori  . 

Per  sette  il  Nilo  sue  famose  porte  . 
Delle  sette  famose  bocche  del  Nilo  ragionano  Strabone  nel   17 
libro,  e  Pomponio  Mela  nel  5  cap.  del  primo. 

Celesti  ,  cioè  vitali  ed  accouiodalissimi  alla  produzione  e  gene- 
razione.  Della  fecondità  dcdl'Egitto  nascente  dalla  virtìi  del  Ni- 
lo ,  oltre  molti  altri,  cosi  ne  dice  Pomponio  Mela:  Non  pererrat 
aiitem  (del  Nilo  ragiona) /rt«i/<7rt  cani,  sed  cestivo  sydere  cxsun- 
dans  etiam  irrii^at ,  adco  efficacibiis  aquis  ad  gcncrandam  ,  alen- 
dumque;  ut  proeter  id  i/uod  scatet  piscibus ,  (juod  hyppopol arnos  , 
crocodilosque ,  vastas  b^lluas  gignit ,  glebis  etiam  infundat  ani- 
mas  ;  ex  ipsaque  hiimo  vitalia  effingat .  Hoc  eo  manijestnm  est, 
quod  ubi  sedavit  diluvia,  ac  se  sibi  reddidit,  per  humentes  cani' 
pos,  qiiùedam  nondum  perfccta  animalia  ,  sed  twii  priinum  acci- 
pientia  spiritum ,  et  ex  parte  jam  /'ormata  ,  ex  parte  adirne  terrea 
visun/ur.  Guast. 

Il  Nilo  per  sboccar  nell'Oceano  con  sette  bocche  fu  detto  da  0- 
vidio  settenfluo  al  1  delle  Trasformazioni: 

«   Sic  ubi  descruit  uiadidos  scptemjiuus  agros 
«    Nitlis,  et  antiquo  sua  /lumina  reddidit  alveo. 
E  al  5  ,  le  sette  suddette  porte  accennando  disse  : 

«    Oui  se  genitum  septtmplice  Nilo  . 
E  al  3  dell'Elegie: 

«    Il  le  flucns  dives  sep/cna  per  liostia  Ailus  . 
E  Claiuliano.  I  nomi  di  dette  bocche  vengono  dette  da  Plinio 
al  capo  10,  lib.  5;  Sunt  in.  honore,  et  intra  dacursus  i\ili  multa 


LIBERATA    C.  XV.  '> 

E  naviga  olire  la  città ^  dal  forte 
Greco  l'ondata  ai  Greci  abitatori, 
Ed  oltra  Faro  ,  isola  già,  che  kinge 
Giacque  dal  lido  ,  ^1  lido  or  si  congiunge . 


oppida,  prcecipue  c/uoe  nomina  dedere  ostiis,  non  omnibus  xiir.  enim 
reperiuntur ,  superqiie  cpiatuor,  qu(V  ipsi  falsa  ora  nppeììant  ,  sed 
celeberrimis  septem,  proximo  Alexandrìoe  Canopico ,  deinde  Boi' 
hitino,  Sebennytico  ,  Phantitico  ,  Alendesico,  Tanitico  ,  ultimoqus- 
Pelusiaco;  eli  che  disse  Lucano  al  6: 

« Qiia  dividui  pars  maxima  Nili 

«  In  nuda  decurrit  Pclusia  . 
Il  Nilo  è  un  fiume,  delle  cui  feconde  acque  inigato  1' Egitto 
frutta  assaissimo  per  portai  detta  acqua  molto  fango.  E  però  Pli- 
nio Juniore  nel  Panegirico  di  Trajano  disse:  M^iyptus  alendis , 
augendisque  seminibus  ita  gloriata  est,  ut  nitiil  imbribus  coeloquc 
deberct :  si  quidcm  proprio  semper  amne  per/usa,  nec  alio  genere 
aquarum  solita  pinguescere  ,  quam.  quas  ipse  devexerat ,  tantis  se- 
getibus  induebatur  ,  ut  cum  feracissiniis  terris ,  quasi  numquam, 
cessura  certaret ,  e  va  seguendo  :  e  Lycofrone  nella  Cassandra  cosi 
parla: 

O     6p>5Kf^(7  'tKTOr'    H^i-K   OlOLTIOlV 
©pJ^TWl-CCT  tx/5oXoLÌ   Glfxq   VI   XOKlCT^flC) 

Xpcrou  TT'pacae . 
Leggi  Solino  e  Plinio  al  capo  9  del  quinto .  Dlodoro  al  2 ,  Ovi- 
dio al  2  .  Mart. 

—  E  naviga  oltre  la  città ,  dal  forte 
Greco  fondata  ai  Greci  abitatori  . 

Alessandria  fondata  da  Alessandro  Magno  a'  Greci ,  che  prima 
in  certi  vicoli  quivi  abitavano.  Strabene  nel  17,  e  Plinio  nel  5 
al  cap.  IO. 

—  Ed  oltra  il  Faro  ,  isola  già,  che  lungc 
Giacque  dal  lido ,  al  lido  or  si  congiunge , 

Isola  era  il  Faro  a'tempi  d'Omero,  o  al  tempo  ch'ei  finge  che 
v'  andasse  Menelao,  cosi  dicendo  nel  4  tlell'  Odissea  354,  i"  P^^" 
sona  dello  stesso  Menelao  : 

N>)o-o«  i'mtTÒi  Tiq  tqc  7roXuKXu<;c4)  ivi  ttovtw  , 
AiyuTTTov  TrpoTrapotSrf  (^lapov  Ss  i  xkxXì^gxovciv) 
Tocraov  a'vfuS^'  oaaov  n  Trcuvvi^ifi'yi  yXoi.(f>L'p>j  v^vi 

H'Vuajv,  i)  Xiyùi  fupoj  ì /rinniyiciv  Óttic^ìv  . 
Cioè  : 

«  E  poi  una  certa  isola  nel  molto  tempestoso  mare 
«  Innanzi  all'  Egitto,  Faro  quella  addimandano, 
«  Tanto  discosta  quanto  in  tutto  un  giorno  una  concava  nave 
«   Fornisce ,  alla  quale  lo  stridente  vento  spira  di  dietro  . 
Strabone  molto  a  lungo  nel  primo  libro.  Plinio  nel   5  al  cap. 
5i ,  e  nel  i3,  cap.  n  .  Lutano  ad  10,  y.  Sog; 


i6  LA  GERUSALEMME 

XVII. 

Rodi  e  Greta  lontane  in\  erso  1  polo 

Non  scerne ,  e  pur  lungo  Affrica  sen  viene , 
Sul  mar  eulta  e  ferace ,  a  dentro  solo 
Fertil  di  mostri  e  d' infeconde  arene . 
La  Marmarica  rade,  e  rade  il  suolo, 


«    Tunc  claustrum  palagi  coepit  Pharon  (insula  quondam) 
n   In  medio  stetit  illa  mari ,  sub  tempore  i>atis 
«   Pniteos ;  at  mine  Pellceis  pro.vima  muris . 
Faro,  anticamente  detta  Canopus ,  fu  già  piccola  isola  dinanzi 
all' imboccatura  del  Nilo.  Tolomeo  Filadoìfo  re  dell'Egitto  vi  le- 
ce innalzare  la  famosa  torre,  che  serviva  di  fanale,  e  di  guida  ai 
naviganti,  e  che  prese  il  nome  dall' istessa  isola.  Era  unita  ad  A- 
lessandria  per  un  ponte  o  argine,  che  i  Latini  chiamavano  mole  : 
ora  è  interamente  congiunta  alla  Terra  ferma.  M. 

St.    l'j.   Rodi  e  Creta  lontane  inverso  'Ipolo. 
Cioè  poste  più  a  Tramontana.  Gdast. 

Rodi  e  Creta  (ora  Candia)  isole  del  Mediterraneo.  I  Messaggi 
navigavano  costeggiando  l'Affrica:  essi  adunque  scernere  non  po- 
tevano queste  due  isole,  perchè  giacciono  amendue  al  di  sopra 
de'gradi  35  di  lat.,  laddove  la  costa  piii  meiid.  della  Marmarica 
giunge  appena  al  gr.  33.  M. 

—  Sul  mar . 

Tanto  mediterraneo  verso  noi ,  quanto  Oceano  verso  levante, 
e  mezzodì,  come  appare  dalle  tavole  di  Geografia;  ed  afferma 
Strabene  nel  -i  libro  con  simili  parole:  Quella  rii'iera  maritti- 
ma di  lei  (cioè  di-11' Affrica),  che  ris^iiarda  verso  noi,  in  grandis- 
sima parte  b  fertile,  particolarmente  la  Cirenaica,  ed  i  luoglii  che 
sono  Verso  Cartagine  ,  fino  a  Maurusii ,  ed  alle  colonne  d' Ercole: 
mediocremente  aticora  e  coltivata  la  riviera  che  è  intorno  all'  O- 
Ctcìno,  m.a  quella  eli  è  fra  terra,  malamente . 

—  ....;.   eulta,  e  fcracd . 

Non  solo  eulta,  ma  ferace.  Molto  ferace,  dice  Pomponio  Mela: 
«    Oiumtum  incolitur  eximie fertilis  est. 

—  ...'(2 a  dentro  solo 

Fertil  di  mostri ,  e  d' infeconde  arene  . 

Dì  ciò  favella  Strabone  nell'istesso  luogo;  e  Pomponio  Mela  al 
3  cap.  del  primo  libro  in  questo  modo  :  Pleraque  ejus  incuba  ,  et 
aut  arenis  sterilibus  obducta,  uut  oh  situm  cfcli ,  terrarumqne 
deserta  sunt ,  aut  infcstantur  multo,  ac  malefico  genere  ani- 
mali um. 

—  Fa  Marmarica  rade. 

La  M:(rmarica  è  detta  Barca  o«*grd'i ,  e  confina  da  occidente,  co- 
Uk;  dice  Tolomeo,  con  la  regiofi  Cirenaica.  Guast. 

Marmarica ,  grande  regione  dell'Affrica,  che  secondo  la  Gco- 
LM-.ilia  di  Strabone  comprendeva  i  paesi  che  erano  tra  l'Egitto  e 
la  Cirenaica.  La  sua  larghezza  doveva  essere  dal  lido  della  Dar- 
Jjcria  iiao  ai  grado  ag  di  lakituil.  setlen.  M. 


LIBERATA    C.  XV.  17 

Dove  cinque  cittadi  ebbe  Cirene  : 
Qui  Tolomita,  e  poi  con  V  onde  chete 
Sorger  si  mira  il  fabuloso  Lete  . 

XVIII. 

La  maggior  Sirte  a'  naviganti  infesta^ 
Trattasi  in  alto  ,  inver  le  piagge  lassa: 


— e  rade  il  suolo 

Ùove  cinque  cittadi  ebbe  Cirene . 
Dal  che  ne  fu  quella  regione  Cirenaica  detta  ezianilio  Pentapo- 
litana .  Plinio  al  cap.  5  del  lib.  5.  Ghast. 

Cirene,  o  Cirenaica,  che  da'  Greci  chiamasi  ancora  Pentapoli 
a  cagione  delle  sue  cinque  principali  città,  vastissima  regione, 
che  da  Tolomeo  vien  posta  tra  il  promontorio  Cliersonnesus  ma- 
gna (ora  Capo  Ramotin  al  gr.  !\o  e  45  di  long.)  ed  il  golfo  della 
grande  Sirte,  gr.  35  circa  di  long.  Le  cinque  città,  delle  quali 
parla  il  Poeta  ,  sono  :  Cirene,  Apollonia  ,  Ptolemaide,  Arsinoe  e 
Berenice  ,  ora  pressoché  interamente  distrutta.  (V.  Martiniére  e 
Hofman,  Lex.  univers.  ) 

—    Qui  Tolomita ,  e  poi  con  V onde  chete  ec. 
Tolomiia,  la  stessa  che  Ptolemaide  ,  detta  anticamente  Barce, 
giusta  il  sentimento  di  Strabone  e  di  Stefaoo  Geografo,  città  del- 
la Cirenaica  ai  gr.  38  di  long,  e  33  e  3o  di  lat.  sett. 

— ^   ,  .■ i  .  .   .  il  fabuloso  Lete. 

Fabulosus  Hydaspes ,  disse  Orazio,  cioè  del  quale  sono  finte  e 
contate  molte  favole.  A  Lete  dà  si  fatto  aggiunto  il  Poeta  nostro 
per  gli  orti  delle  Esperidi ,  che  furono  finti  in  questo  luogo.  Gua. 
Lete,  fiume  della  Cirenaica,  che  secondo  Plinio  e  Tolomeo  ba- 
gnava le  mura  di  Berenice  .  Dicesi ,  che  dopo  la  sua  sorgente  si 
approfonda  ,  e  per  alcune  miglia  scorre  nascosto  sotto  terra,  fin- 
ché sgorga  con  grande  strepito  vicino  a  Berenice.  Il  che  fece  cre- 
dere agli  antichi  abitanti,  che  avesse  la  sua  sorgente  nell'  Aver- 
no  .  A  ciò  allude  Lucaùo  nel  9,  v.  355. 

«    Quam  juxta  Letìies  tacitis  proelabitur  amnis , 
«   Injernis  ,  ut  faina  ,  trahens  oblivia  venis  .  M. 

St.  18.  La  maggior  Sirte  a  naviganti  infesta  , 
Trattasi  in  alto  ,  in  ver  le  piagge  lassa  . 
Due  furono  le  Sirti ,  una  detta  Maggiore  e  l'altra  Minore;  la 
maggior  avea  di  circuito  4o25  passi,  come  dice  Plinio  al  capo  4 
del  libro  5 ,  la  minore  è  di  3ooo:  e  Strabone  al  17  nel  fine  dando 
la  causa  perché  sia  difficile  navigare  verso  la  maggior  Sirte,  dice, 
che  essendo  molte  volle  fangosa  nel  flusso  e  nel  riflusso  del  mare, 
avviene  che  la  nave  inciampi  in  certi  scanni ,  e  vi  rimanga;  e 
poche  siano  quelle  navi,  che  d'indi  n'escano  salve;  di  questo,  Si- 
lio al  17  : 

«   Hiirnmonii  Garamas ,  et  semper  naufraga  Syrtis , 
E  Battista  Mantovano: 

Il  Fecit  arenosa;  per  vada  Sjrtis  iter.  Maut. 


i8  LA  GERUSALEMME 

E  '1  capo  di  Giudeca  indietro  resta , 

E  la  foce  di  Magra  indi  trapassa . 

Tripoli  appar  sul  lido;  e  neon  tra  a  questa 

Giace  Malta  fra  1'  onde  occulta  e  bassa  : 

E  poi  riman  con  1'  altre  Sirti  a  tergo 

Alzerbe,  già  de'  Lotofagi  albergo  . 


Sìrti ,  ora  Secche  di  B.irberia ,  sono  due  pericolosi  e  famosissi- 
mi scogli  nel  Mediterraneo  lungo  la  costa  dell'Affrica.  Il  loro  no- 
me deriva  dal  greco  ffupff'  trarre,  forse  perchè  traggono  in  peri- 
colo gl'incauti  naviganti .  Gli  antichi  ne  distinguevano  due:  la 
^r,7/i(^e  sulla  costa  della  Cirenaica,  la  picdola  sulla  costa  della 
Bisacena.  Pomponio  Mela  descrive  assiù  bene  amcndue  le  Sirti. 
Dà  alla  piccola ,  la  quale  si  apre  alla  foggia  di  un  golfo  ,  cento 
miglia  circa  d'apertura  e  trecento  di  costa,  e  dà  alla  grande  pres- 
soché il  doppio  in  estensione.  V.  Rob.  Steph. 

—  E  'l  capo  di  Giù  deca  . 

Il  Capo  di  Giudeca,  probabilmente  il  capo  che  dagli  antichi 
chiama  vasi  Cfphalas ,  e  che  da  Strabene  vien  posto  al  principio 
della  Sirti  maggiore ,  dalla  parte  occidentale. 

—  E  la  foce  di  Ma^  ra  . 

Magra,  fiume  della  Barberia  nel  regno  di  Tripoli:  si  getta  nel 
mare  presso  la  città  di  Lebeda.  Tolomeo  lo  conobbe  sotto  il  no- 
me di  Cinvp/iits  ,  ed  Eroiloto  e  Plinio  lo  cliiamarouo  Cinyps  . 

—  Tripoli  appar  sui  li. lo  . 

Tripoli ,  città  sulla  costa  della  Barberia  ,  capitale  della  Repub- 
blica che  ne  porta  il  nome  :  giace  in  un  terreno  arenoso  e  soven- 
te inondato  dal  mare.  Il  magnifico  suo  acquedotto  ,  che  si  conser- 
va presso  che  intiero,  e  le  grandiose  sue  rovine  fanno  sospettare 
ch'ella  fosse  l'antica  Orsa  o  per  lo  meno  una  colonia  Greca  o  Ro- 
mana .  La  sua  long,  è  di  3o.  56i' ,  la  lat.  3o.  53'. 

—  Giace  Malta  . 

Malta,  isola  del  Mediterraneo  tra  le  coste  dell'Affrica  e  la  Si- 
cilia, dalla  quale  è  distante  sole  quindici  leghe.  Tolomeo  la  met- 
te tra  le  isole  dell'  Aiì'rica.  Cluvier  crede  ch'essa  fia  l'antica  Ogj- 
^in ,  dove  Calipso  accolse  il  naufrago  Ulisse. 

—  Alzerbe  ,  già  dt'  Lotofagi  albergo  . 

Alzerbc ,  isola  detta  Mcnin.r  da  Plinio,  Mirmi.r  da  Polibio,  e 
Grrha  da  Antonino.  Tolomeo  pone  qucsl  isola  fra  le  due  Sirti  al- 
l'imboccatura del  Cinifo .  Strabone  però  la  colloca  piìi  verisimil- 
mente  al  principio  della  costa  orientale  della  Sirti  minore.  Di- 
fatti i  Geografi  moderni  la  mettono  dicontro  al  Capo  di  Zerbi , 
dal  quale  prese  il  nome  di  Alzerbc .  In  quest'isola,  e  lungo  il  lido 
che  corrisponde  alla  Sirti  minore,  abitarono  già  i  Lotofagi ,  cosi 
detti  dall' albi-ro  Lotus  ,  del  cui  frutto  si  miti  ivano.  Era  quc'stu 
frutto  cosi  bello  e  dolce,  che  faceva,  per  (juanto  si  dice,  perdere 
agii  stranieri  la  brama  di  ritornare  alla  lor  j)atria,  siccome  ac- 
cadde ai  compj|^iii  d'Ulisse,  i  <|uali  a\cndonc  gustato,  aj[ipcna  a 


LIBERATA    C.  XV.  19 

XIX. 

In  curvo  lido  poi  Tunisi  vede, 

G'ha  d'  ambo  i  lati  del  suo  golfo  un  monte; 

Tunisi  ricca  ed  onorata  sede 

A  par  di  quante  n'  lia  Libia  più  conte. 

A  lui  di  costa  la  Sicilia  siede, 

Ed  il  gran  Lilibeo  gì'  innalza  a  fronte . 

Or  quinci  addita  la  donzella  ai  due 

Guerrieri  il  loco  ove  Cartagin  fue . 

XX. 

Giace  r  alta  Cartago  :  appena  i  segni  ^ 

Dell'  alte  sue  ruine  il  lido  serba  . 

grandissimo  stento  sortir  poterono  dall'  isola.  V.  Om.  Toloni.,  e 
Rob.  Stef. 

St.    19.    In  curvo  lido  poi  Tunisi  vede . 

Tunisi,  città  capitale  dello  Stato  o  della  Repubblica  che  ne 
porta  il  nome  .  Essa  fu  sotto  il  dominio  de' Cartaginesi ,  quindi 
dei  Romani  ,  dei  Vandali  ,  degli  Arabi,  e  finalmente  dei  Turchi  . 
Dinanzi  a  Tunisi  ,  cui  stretta  area  di  assedio,  mori  S.  Luigi  Re 
di  Francia  nel  1270.  Essa  giace  a  cr.  28.  26'  di  long,  e  36.  ^o  di 
lat.  Alla  distanza  di  tre  leghe  da  Tunisi  si  vedono  le  ruine  di 
Cartagine,  la  rivale  di  Roma,  distrutta  da  Scipione  Emiliano  146 
anni  prima  dell'era  volgare.  Fu  rifabbricata  da  Giulio  Cesare;  e 
fu  di  nuovo  distrutta  sino  alle  fondamenta  dai  Saraceni  nel  698. 
—  A  lui  di  rosta  .  M. 

Dante  nel  Sa  del  Purgatorio  : 

u    Vidi  di  Costa  lei  dritto  un  gigante . 

— la  Sicilia,  siede  . 

Strabone  nel  17:  àvTt'7rop&/uÒ5  S'  i'qiv  vi  EiK^Xtx  tcV?  to- 
TTOt;  TOUTO<{  v;  XOLTÙ  AlXvfixiov  .  Cioè:  «Dirimpetto  a  questi 
luoghi  è  la  Sicilia,  che  è  intorno  al  Lilibeo  ». 

—    Ed  il  gran  LililtO  gì' innalza  n  fronte  . 
Lilibeo  ,  promontorio  della  Sicilia,  dicontro  all' Affrica,  famoso 
pe'suoi  scogli.  Long.  3o,  20'.  Lat.  38.  20'. 

St.   20.    Giace  V alta  Cartago:  appena  i  segni  ec. 
Bella  imitazione  di  quel    luogo  del  Sanazzaro  de  parta   Vir- 
ginis ,  lib.  2  : 

« f/ua  devictw  Carthaginis  arces 

«   Procubaere,  jucentrjue  infausto  in  littore  turres 

«   Eversce  ;  quantum  ili  a  metus ,  quantum  illa  laborum 

«f    Urbs  dedit  insultans  Latio  et  Laurentibus  arvisì 

(c   Nunc  passim  vis  reliquias ,  vi.r  nomitia  scrvans 

«    Obruitur  propriis  non  agnoscenda  ruinis  . 

«   Et  (fuerimur  genus  in/'eli.r,  liumana  labare 

«    Membra  oevo ,  cum  regna  palam  moriantur  et  urbes! 


20  L\  GERUSALEMME 

Moiono  le  città,  moiono  i  regni: 
Copre  i  fasti  e  le  pompe  arena  ed  erba  ; 
E  1  uom  d'  esser  mortai  par  che  si  sdegni . 
Oh  nostra  mente  cupida  e  superba  ! 

Ed  avanti  lui  disse  Dante  Paiad.  i6  : 
«    Udir  come  le  schiatte  si  disfanno  , 

«   Non  ti  parrà  nova  cosa  ,  ne  forte: 

«  Posciaclie  le  cittadi  tennin  hanno  . 
Ma  non  solamente  morire  è  slato  detto  delle  città ,  e  tiaspo^  ta- 
ta questa  voce  dalle  cose  che  hanno  anima ,  a  quelle  che  ne  sono 
prive,  ma  eziandio  cadavero  che  è  più,  da  Servio  Sulpizio  in 
quella  bellissima  lettera  consolatoria  che  e  scrisse  a  Cicerone  in 
morte  della  sua  Tullia:  Heu  nox  honiunculi  indignamur ,  si  qui» 
nostrum  interiit ,  aut  occisns  est ,  quorum,  vita  brti'ior  esse  debet , 
cum  uno  loco  tot  oppidorum  cadavera  projecta  jaceant  ?  Guast. 
Né  men  leggiadra  ed  al  proposito,  di  che  si  ragiona,  è  quella 
sentenza  di  Velleio  Paterculo,  lib.  primo:  Inopem  vitam  in  tugu- 
rio  ruinarum  Carthaginensium  tolcravit ,  cum  Marius  aspicìens 
Carthaginem  ,  illa  intiiens  Marium  alter  alteri  possent  esse  sol  i- 
lio  .  Il  quale  non  dubito  che  fosse  imitato  da  Lucano ,  ove  parla, 
del  medesimo  Mario,  dicendo: 

«  Et  Poenos  pressit  cineres  :  solatia  fati 

«    Carthago  Alariusque  tulit ,  pariterque  jacentes 

«  Ignoi'ere  Deis  . 
Ed  è  da  notare  che  il  Tasso ,  e  il  Sanazzaro  usano  il  verbo 
morire  in  quel  senso,  che  l'  usò  Modestino  Giurisconsulto,  ove 
▼olendo  dare  un  esempio  di  quelle  città,  che  per  morte  perdono 
l'usufrutto  lasciato  loro,  dice  :  Ut  Carthago  ,  quoe  aratrum  pascci 
est.  Perciocché  non  sarebbe  stato  inteso,  che  una  città,  benché 
distrutta,  fosse  morta,  se  con  l'aratro  non  fosse  stata  solennemen- 
te solcata  dal  vincitore,  secondo  l'antico  rito  de'Romani;  in  ve- 
ce del  quale  si  é  usato  già  ne'  tempi  degli  avi  nostri  di  spargervi 
il  sale,  come  fu  fatto  a  Milano.  Gent. 

—  Moiono  le  città ,  moibno  i  regni . 

Imitò  il  Petrarca  in  questo  luogo,  che  nel  Trionfo  del  Tempo 
cos'i  scrive: 

«   Passan  vostri  trionfi  e  vostre  pompe  > 
«   Passan  le  signorie  ,  passano  i  regni: 
«    Ogni  cosa  mortai  Tempo  interrom.pe  ! 

—  Oh  nostra  mente  cupiiLi  e  superba  ! 
Così  il  Petrarca  nel  Trionfo  della  Divinità  : 

«    O  mente  vaga  aljin  sempre  digiuna  , 

«   A  clic  tanti  pensieri?  un  ora  sgombra 

«    Quel  eh' in  molt' anni  a  gran  pena  s' acquista  . 
E  1  Sanazzaro: 

«    Ahi  ment(  cicche  e  sorde 

«  De'  miseri  mortali  ! 
E  Lucrezio  al  3  de  rerum  natura: 

u    O  niiscras  hominum  mentes ,  o  pectora  ceeca! 


LIBERATA    C.  XV. 
Glungon  quinci  a  Biserla^  e  più  lontano 
Han  r  isola  de'  Sardi  all'  altra  mano . 

XXI. 

Trascorser  poi  le  piagge ,  ove  i  Numidi 
Menar  già  vita  pastorale  erranti; 
Trovar  Bugia  ed  Algeri,  infami  nidi 


— Biserta  . 

Bisertcì ,  città  maiiUima  sulla  costa  del  Mediterraneo  nello 
Stalo  di  Tunisi .  Alcuni  ùn.ono  d'avviso  che  Biserta  fosse  l'antica 
Utica  .  Ma  il  Signor  dt  la  Martiniére  ha  dimostrato  con  evidenti 
ragioni,  che  Utica  giaceva  iu  tutt' altra  situazione.  Long.  28.  io'. 
Lat.  37.  20'. 

—  Han  V  isola  de  Sardi . 
Isola  de' Sardi ,  ossia  Sardegna,  nel  Mediterraneo  tra  l'Italia  e 
l'Affrica,  sotto  alla  Corsica,  da  cui  è  divisa  per  un  braccio  di 
mare  da  nove  a  dieci  miglia  di  larghezza .  Tolomeo  la  mette  dai 
gradi  29  fino  a  3o  di  long.,  e  dai  3o  sino  ai  39  di  lat.  Il  Sig.  Ddi- 
sle  con  più  accurate  osservazioni  la  mette  tra  i  gradi  25.  ^o'  di 
long.,  e  tra  i  38.  42'  3o"  ed  i  4'  >  1 1'  di  lat.  1  Mitologi  vogliono, 
che  quest'Isola  preso  abbia  il  nome  da  Sardus ,  jQglio  d'Ercole, 
che  vi  contlusse  una  colonia  gr«ca  .  M. 

St.  21.  Trascarstr  poi  le  piagge ,  ove  i  Numidi  ec. 
La  Numidia  è  una  parte  dell'Affrica  tra  la  regione  Cartaginese, 
e  la  Tingitania ,  qual  è  ora  (secondo  vuole  il  Bcllero)  il  regno  di 
Tunisi.  Fu  detta  da  vo<- b;  che  vuol  dire /ja.uo/t> ,  perchè  questa 
gente  da  principio  molto  studio  pose  alla  cosa  di  detto  pascolo, 
come  pare  che  tocchi  Plinio  al  capo  3  del  5  con  queste  parole: 
]\umid(v  vero  I\omades  a  permutandis  pahulis  ,  napalia  sua  .  hoc 
est  domus  plaustris,  circumjerentes .  Vedi  il  Sig.  Giacomo  Mazzo- 
ni al  lib.  3.  Marx. 

ì\m7»z(Ìì,  popoli  dell' Affrica,  che  giusta  il  sentimento  del  Sig. 
d' jinville  occupavano  tutta  la  regione,  che  ora  forma  il  regno  o 
la  repubblica  d'Algeri .  Dai  Latini  erano  detti  Aomadcs  dal  co- 
stume che  avevano  di  andare  erranti,  e  sempre  cangiando  pascoli 
e  domicilio.  La  loro  vita  era  perfettamente  pastorale  j  ed  è  pro- 
babile che  il  loro  nome  derivi  in  parte  dal  greco  >■.  u-  ,  che  si- 
gnifica appunto  pascere  .  Da  questo  paese  traevano  gli  antichi  il 
uiarmo  e  le  fiere.  V.  Anville,  e  Bob.  Stef. 

—    Trovar  Bugia  ed  Algieri ,  injami  nidi. 
Bugia  ,  città  forte  nello  Stato  d'  Algeri  sulla  costa  del  Mediter- 
raneo a  3o  leghe  da  Algeri . 

yilgeri,  capitale  dello  Stato  che  ne  porta  il  nome,  è  la  più 
considerabile  città  deir  Affrica  dopo  il  Cairo.  Chiamavasi  antica- 
mente Cesarea  iì\  Mauritania .lA.a  un  ottimo  porto,  e  sorge  sut 
pendio  di  un  monte  alla  fosjgia  d'anfiteatro.  Long.  21.  20'  lai. 
J6, 3o'.  "^  "  M. 


:ì2  la  GERUSALEMME 

Di  corsari,  ed  Oran  trovar  più  innanti: 

E  costeggiar  di  Tingitana  i  lidi, 

Nutrice  di  leoni  e  d'  elefanti , 

Gli'  or  di  Marocco  è  il  regno,  e  quel  di  Fessa  ; 

E  varcar  la  Granata  incontro  ad  essa . 

XXII. 

Son  già  là  dove  il  mar  fra  terra  inonda, 
Per  via  eh'  esser  d'  Alcide  opra  si  finse; 
E  forse  è  ver ,  eh'  una  continua  sponda 
Fosse,  eh'  alta  mina  in  due  distinse: 


— Oran  trovar  più  innanti  . 

Orano ,  città  forte  sul  fido  della  Barberia,  appartenente  ad  Al- 
geri .  Long.  1 7.  40' ,  lat.  37.  40'.  ^- 
—  E  costeggiar  dì  Tingitana  i  lidi  . 
La  Tingitania  è  provincia  di  170  mille  passi  di  lunghezza:  tra 
l'altre  cose,  delle  quali  ella  è  copiosa,  v'è  l'elefante  e  il  leone, 
coinè  ben  dice  Plinio  al  cap.  2  1.  5  e  Solino  al  cap.  5o  .        Marx. 

Tingitana ,  vastissima  regione  dell'Affrica,  che  corrisponde  a 
tutta  quella  parte  della  Mauritania,  che  s'estendeva  dal  fiume 
Malva  sino  all' Oceano  Atlantico .  ^ssa  prese  il  nome  da  Tingis 
•uà  capitale,  che  giace  sullo  stretto  Erculeo,  e  che  ora  chiamasi 
Tanger  o  Tangari .  I  Romani  traevano  specialmente  da  questa 
provincia  i  leoni,  gli  elefanti  e  l'altre  fiere  pei  loro  spettacoli  . 
Nella  divisione  dell'Impero  fu  aggregata  aila  Spagna,  e  chiamos- 
«i  Hispania  Transfretana  ,  la  Spagna  al  di  qua  dello  stretto  .  Ora 
comprende  il  regno  di  Fez,  e  parte  di  quello  di  Marocco  .  V. 
d'Anville. 

— Granata . 

Grrtna/a,  provincia  della  Spagna.  Prende  il  nome  dalla  sua 
capitale.  Si  estende  dalla  nuova  Castiglia  sino  al  Mediterraneo,  e 
forma  parte  dell'antica  Betica.  M. 

Sx.  aa.  San  giù  là  ,  dove  il  mar  fra  terra  inonda  . 
Per  l'ia  di'  esser  d' Alcide  opra  sijìnse; 
E  forse  è  ver ,  ec. 
Questi  versi  vengono  dichiarati  dalle  parole  di  Seneca:  Hercu' 
les  Jurens ,  Atto  2  ,  v.  235: 

«   Penetrare  jtissus  Solis  cestivi  plagas  , 
«   Et  adusta  medius  regna  qiioe  tnrret  dies , 
«    Utrinqne  montcs  s&lvit  abrupto  ohjice , 
«    Et  jam  menti  ferit  Oceano  viam  .  Mart. 

Fra  le  gloriose  fatiche  d'Ercole,  le  quali  con  non  nion  favolo- 
.•iO  clic  famoso  grido,  l'antirliilà  inalzò  fino  al  ciclo,  una  fu  colà 
negli  ultimi  termini  della  Spagna  fra  Abila  e  Calpe,  l'apertura 
della  terra,  la  quale  dicono  che  essendo  racchiusa  prima,  egli 
con  l'estrema  forza  sua   dividesse  ,  e  desse  l'entrata  all'Oceano  . 


LIBERATA  G.  XV. 

PassovvI  a  forza  1'  Oceano,  e  V  onda 
Abila  quinci ,  e  quindi  Galpe  spinse  : 
Spagna  e  Libia  parti'o  con  foce  angusta  : 
Tanto  mutar  può  lunga  età  vetusta. 


Di  che  Pomponio  Mela  nel  primo  libro  al  cap.  5  parla  in  questo 
modo  :  Deinde  est  mons  prtealtus  ,  ei  quem  ex  adverso  Hispnnia 
nttollit  objectus  :  hunc  Abylam,illum  Calpen  vocant ,  cohimnas 
Herculis  utrum</ue  .  Addii  fama  nominis  fabulam  ,  Herculem  i- 
psum  junctos  olini  perpetuo  )ugo  diremisse  colles,  atque  ita  exclu- 
sitrii  antea  mole  montium  Oceanum  ,  ad  quce  mine  inundat  ad- 
missum .  E  Plinio  nel  proemio  del  3  lib.  in  questo  modo  ;  Proxi" 
ma  autem.  J'aucibus ,  utrinque  impositi  montes,  coercent  cìattstru; 
Abjla  AJ'ricoe ,  EuropOE  Culpe,  laborum.  Herculis  mette.  Quam 
oh  caussam  indigenoe  colum.nas  ejus  Dei  vocant ,  credunttfue  per 
/ossas  exclusa  antea  admisisse  maria  ,  et  rerum  mutasse  Ja- 
ciem . 

Che  quel  luogo  Ercole  aprisse,  essendo  prima  racchiuso,  ha  det- 
to che  fu  finto,  accennando  la  favola  ,  ma  che  racchiuso  si  spac- 
casse rovinando,  dice  che  per  avventura  fu  vero.  Simile  dice  Vir- 
gilio nel  libro  3  delF Eneide,  v.  \\!\:  del  Faro  di  Messina  j  le  cui 
parole  ha  eziandio  tolte  il  Tasso  : 

«  Hoec  luca,  vi  quondam,  et  vasta  convulsa  mina 
«  (  Tantum  aivi  longinqua  vnlet  m.utare  vetustAs) 
«   Dissiluisse  ferunt  ;  cum.  protinus  utraque  tellus- 
«    Una  foret ,  venit  medio  vi  pontus  ,  et  undis 
«   Hesperium  Siculo  latus  abscidit  :  arvaque  et  urhes 
«   Litore  diductas  angusto  interluit  (estu  . 
Ma  quanto  al  predetto  luogo  delie  colonne  d'Ercole,  che  essen- 
do prima  serrato  fosse  aperto  dopoi,  ne  fa  eziandio  menzione,  ol- 
tre i  luoghi  allegati,  Strabone  nel  primo  libro  della  sua  Geografia, 
dove  adduce  il  parere  di  Eratostene  e  d'altri  geografi,  apportan- 
do intorno  a  tal  materia  alcune  belle  e  degne  considerazioni ,  e 
sue  e  d'altri;  e  fra  l'altre  come  mentre  era  racchiuso  questo  luo- 
go alle  colonne,  tutto  lo  istmo,  o  spazio  di  terra,  che  è  fra  il 
mar  d'Egitto  ed  il  mar  Rosso,  essendo  più  basso  di  quello ,  era 
tutto  coperto  di  mare,  ove  aperto  poi  il  luogo,  ed  abbassandosi 
per  lo  scorrere  fuori  dello  stretto  il  mare,  si  venne  ad  iscoprire 
tale  spazio  di  terra,  che  dura  da  mille  stadii,  cioè  da  cento  ven- 
ticinque miglia .  GuAST, 

—  Spagna  e  Libia  partio  con  foce  angusta. 

Questa  foce  si  addimandava  anticamente  Sepia:  siccome  si  può 
•vedere  nel  Codice  Tit.  De  officio  PrceJ.  Proetorii  A/ricce..  Onde 
s'è  detto  poi  lo  Stretto  di  Gibilterra  .  Gent. 

—  Tanto  mutar  può  lunga  età  vetusta . 
Verso  tolto  dal  4  dell'Eneide: 

«    Tantum,  oevi  longinqua  valet  mutare  vetustas . 
Ne'qiiai  versi  viene  mostrata  la  potenza  dei  tempo,  come  anco- 
ja  in  quei  di  Lucrezio  al  5  : 

G.  LlB.  T.  III.  3 


o4  LA  GERUSALEMME 

XXIII. 

Quattro  volte  era  apparso  il  Sol  nell'  orto , 
Da  che  la  nave  si  spiccò  dal  lito  ; 
Ne  mai  (di'  uopo  non  fu)  s'  accolse  in  porto, 
E  tanto  del  cammino  ha  già  fornito  : 
Or  entra  nello  stretto ,  e  passa  il  coito 
Varco ,  e  s' ingolfa  in  pelago  infinito . 
Se  '1  mar  qui  è  tanto,  ove  il  terreno  il  serra , 
Che  fia  colà  dov'  egli  ha  in  sen  la  terra  ? 

XXIV. 

Più  non  si  vede  omai  tra  gli  alti  fluiti 
La  fertil  Gade ,  e  1'  altre  due  vicine . 
Fuggite  son  le  terre  e  i  lidi  tutti  : 
Dell'  onda  il  ciel,  del  ciel  1'  onda  è  confine. 
Diceva  Ubaldo  allor:  tu,  che  condutti 
N'  hai,  donna,  in  questo  mar  che  non  ha  fine, 
Di'  s'  altri  mai  qui  giunse,  e  se  più  avante. 
Nel  mondo  che  corriamo ,  have  abitante . 


"  Denique  non  lapìdes  vinci  quoque  cernix  ab  txvo 

«   Non  alias  arres  . 
Il  che  seguendo  il  Sanazzaro  disse: 

«   C/ie  se  le  sfatile,  e  i  sassi  il  tempo  frange  ec.       Mart,- 
St.  23.    Quattro  volte  era  apparso  il  Sol  nell'orto. 
A  si  fatto  nocchiero  bastava  ben  tanto  spazio,  e  non  piti . 

—  Se  7  mar  qui  <>  tanto  ,  ove  il  terreno  il  serra . 

Il  qual  n'è  perciò  detto  mediterraneo,  cioè  posto  in  mezzo  del- 
la terra  : 

—  Clicjia  colà  dov' egli  ha  in  sen  la  terra? 

Ciò  dice  per  l'ampiezza  dell'Oceano,  rispetto  a  quell'isole  che 
egli  contiene,  parendo  che '1  maggiore  abbracci  il  minore;  non 
già  che  di  qui  s'abbia  necessariamente  a  conchiudere,  com'hanno 
fatto  alcuni,  che  il  Poeta  sia  di  parere  che  tutta  la  terra  sia  cir- 
condata dall'acque;  opinione  rifiutata  e  tenuta  per  falsa  da  tutti 
i  migliori  matematici;  come  che  sia  però  libertà  de' poeti  in  que- 
sti casi  appiccarsi  dove  par  loro .  Guast. 
St.   1^.   La/er/il  Gride,  e  l' altrr  due  virine  . 

Gade,  Cadice,  città  dell'Andalusia  ,  fabbricata  da  una  colonia 
di  Fenicj  su  di  un'amena  e  fertilissima  isoletta.  Ha  una  lingua 
di  terra,  che  si  estende  assai  nel  mare,  sull'estremità  della  (|tialc 
finsero  gli  antichi  che  Ercole  innalzate  avesse  le  sue  famose  co- 
lonne. Long.  12.  Lat.  36,  2,5'.  M. 


L  I  B  E  R  A  T  A    e.  XV.  »5 

XXV. 

Risponde:  Ercole,  poi  eh'  uccisi  i  mostri 
Ebbe  di  Libia ,  e  del  paese  Ispano , 
E  tutti  scorsi  e  vinti  i  lidi  vostri, 
Non  osò  di  tentar  1'  alto  Oceano: 
Segnò  le  mete,  e  'n  troppo  brevi  chiostri 
L'  ardir  ristrinse  dell'  ingegno  umano  ; 
Ma  quei  segni  sprezzò  eh'  egli  prescrisse , 
Di  veder  vago  e  di  sapere,  Ulisse. 

St.  35.  Segnò  le  mete. 
Come  ha  detto  Plinio  nel  proemio  del  3  libro ,  citato  di  sopra  . 
E  Dante  dello  stesso  parlando ,  nel  26  dell'  Inferno: 
«    Ov'  Ercole  segnò  li  suoi  riguardi . 
—  Ma  quei  segni  sprezzò  eh'  egli  prescrisse , 
Di  veder  vago  e  di  sapere ,  Ulisse . 
Questa. Storia,  o  favola  della  peregrinazione  e  della  morte  d'U- 
lisse è  tolta  da  Dante  nel  cap.  26,  v.  90  dell'Inferno,  come  ne  so- 
no  ancora  tolti  alcuni  versi.  E  dice  Dante  così: 

« .  •  •    Quando 

«   Mi  dipartii  da  Circe,  che  sottrasse 
«   Me  pih  d' un  anno  là  presso  a  G»eta  , 
«   Prima  che  sì  Enea  la  nominasse  : 
«   Né  dolcezza  di  figlio  ,  né  la  pietà 

«   Del  vecchio  padre ,  né  7  debito  amore  , 
«  Lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta, 
«    Vincer  poter  dentro  di  me  l'ardore  ,. 
«    Ch'  i'  ebbi  a  divenir  del  mondo  esperto  , 
«   E  degli  vizj  umani ,  e  del  valore  : 
«  Ma  misi  me  per  V  alto  mare  aperto 

«  Sol  Con  un  legno ,  e  con  quella  compagna; 
«   Picciola  ,  dalla  qual  non  fui  deserto, 
«   L' un  lito  e  r  altro  vidi  infin  la  Spagna , 
«  Fin  nel  Marrocco  ,  e  l'isola  de' Sardi, 
«   E  l' altre  che  quel  mare  intorno  bagna  . 
«   lo  e  i  compagni  era\'am  vecchi  e  tardi , 
«    Quando  venimmo  a  quella  foce  stretta, 
«    Oc'  Ercole  segnò  li  suoi  riguardi , 
«   Acciochè  r uom  pih  oltre  non  si  metta: 
«   Dalla  man  destra  mi  lasciai  Sibilia 
«    Dall'  altra  già  m' afea  lasciata  Setta. 
«    O  frati ,  dissi ,  che  per  cento  milia 
«    Perigli  siete  giunti  all'  occidente, 
«   A  questa  tanta  picriola  vig  ilia 
«  De' vostri  sensi,  eh' è  del  rimanente, 
«   Aon  vogliate  negar  l'esperienza, 
«   Diretro  al  Sol  del  mondo  senza  gente. 


26  LA  GERUSALEMME 

XXVI. 

Ei  passò  le  colonne,  e  per  Y  aperto 
Mare  spiegò  de'  remi  il  volo  audace  ; 


(e   Considerate  la  v&stra  semenza , 
«  Fatti  nonjoste  a  viver  come  bruti 
«   Ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza . 
<t  Li  miei  compagni  feci  io  sì  acuti , 

«   Con  quest' orazion  picciola  ,  al  camino, 
«    Ch'appena  poscia  gli  avrei  ritenuti . 
«  E  volta  nostra  poppa  nel  mattino , 
«  De'remijacemrn'alealjolle  volo 
«   Seinpre  acquistando  del  lato  mancino . 
«    Tutte  le  stelle  già  dell'  altro  polo 

«    Vedea  là  notte ,  e  7  nostro  tanto  basso  , 
«    Che  non  surgeva  fuor  del  marin  suolo . 
«   Cinque  volte  racceso ,  e  tante  casso 
«  Lo  lume  era  di  sotto  dalla  Luna 
«    Poi  eh'  entrati  eravam  nel l' alto  passo  . 
u    Quando  n  apparve  una  montagna  bruna 
«    Per  la  distanzia ,  e  parventi  alta  tanto  , 
«    Quanto  veduta  non  n  aveva  alcuna . 
«  ^oi  ci  allegrammo ,  e  tosto  tornò  in  pianto-: 
«    Che  dalla  nova  terra  un  turbo  nacque , 
«    E  percosse  del  legno  il  primo  canto  . 
M    Tre  volte  il  fé'  girar  con  tutte  l' acque  ; 
«   Alla  quarta  levar  la  poppa  in  suso , 
«   E  la  prora  ire  in  giù,  com.' altrui  piacque, 
«   Jnfin  chi-  7  mar  fu  sopra  noi  richiuso  .  GbAST. 

Oltre  a  ciò  che  de' viaggi  d'Ulisse  e  dell'  arrivo  di  lui  sino  al- 
l'estremitìi  dell'Oceano  racconta  Omero  nella  sua  Odissea,  Stra- 
bone  sull'autorità  di  Possidonio,  d' Artemidoro  e  d' Asclepiade  , 
racconta,  che  Ulisse  passò  lo  stretto  ,  e  penetrato  nella  Lusi- 
tania  o  Portogallo,  fabbricò  la  città  d'Ulitsea,  o  Ulisipoua,  o  O- 
lisipone,  come  la  chiama  Plinio  (in  oggi  Lisbona).  Ed  era  fama 
ancora,  che  avendo  poscia  Ulisse  tentato  di  ripassare  lo  stretto, 
vi  rimase  affogato.  M. 

St.  26.  Ei  passò  le  colonne ,  e  per  V  aperto  ce. 
Al  poeta  (come  ne  lasciò  scritto  Plutarco  nel  libro  che  fece  di 
Omero)  essendo  variamente  di  una  cosa  ragionato,  è  in  potere  se- 
guire l'opinione  che  più  gli  aggrada;  e  perequivi  il  Tasso,   sa- 
pendo che  da  molti  poeti  era  stata  variamente  trattata  la  mòrte 
di  Ulisse,  segui  l'opinione  che  gli  piacque.  Che  della  morte  di 
Ulisse  fossero  varie  le  opinioni  ne  appare:  prima  Ovidio  pensò 
che  egli  morisse  per  le  mani  di  Telegono  suo  figlio  mentre  cac- 
ciava detto  Telegono:  le  parole  sono  neiril)i.  v.  56g: 
«    Ossibus  inquit  tuis  tclis  genus  hwreat  illud, 
«    Traditur  Icarii ,  quo  eecidisse  gcner . 


LIBERATA   C.  XV.  27 

Ma  non  giovògli  esser  nell'  onde  esperto , 
Perchè  inghioltillo  l' Ocean  vorace  ; 
E  giacque  col  suo  corpo  anco  coperto 
Il  suo  gran  caso ,  eh'  or  tra  voi  si  tace. 
S'  altri  vi  fu  da'  venti  a  forza  spinto, 
0  non  tornonne ,  o  vi  rimase  estinto  : 
xxvii. 
Sì  che  ignoto  è  '1  gran  mar  che  solchi  j  ignote 
Isole  mille  e  mille  regni  asconde  : 
Né  già  d'  ahitator  le  terre  han  vote; 
Ma  son  come  le  vostre,  anco  feconde. 
Son  esse  atte  al  produr;  ne  steril  puote 
Esser  quella  virtù  che  '1  Sol  v'  infonde . 


Alla  quale  opinione  si  sottoscrissero  Dite,  e  Igino  alU  faroU 
127  ,  e  Licofronc  nella  Cassandra  con  queste  parole: 
Xr£va  Vi  xucpac  Tryapà  yciyicG  90'pu^ 
Xévrpuj  SvidXyyji  ÌWcttoì  cap5wv<K^< 
XìXcop  Sa  Trarpcff  opTcnfjiOC  xKyjijlit  tcvs  . 
«  E  morirà /e  rito  d'una  punta 
«  Del  Sardonico  pesce  acerba  e  amara: 
«   Sarà  del  padre  micidiale  il  figlio  . 
E  Teopompo  (come  nota  l'Interprete  di  Licofrone)  fu  di  opi- 
nione che  Ulisse  offeso  dalla  bruttezza  de' suoi  di  casa  tornasse  da 
Circe,  e  morisse  per  le  mani  di  Telemaco.  Per  tornare  dunque  a 
proposito,  vedendo  il  Poeta  nostro   questa  varietà,  si  risolvè  a 
tenere  da  quella  di  Ciaudiano,  che  disse  Ulisse  essere  morto  nel 
mare  ;  il  che  segui  forse  il  Petrarca  quando  nel  Trionfo  della  Fama 
disse: 

«   Neil'  alto  Ajace  ,  Diom.ede  e  Ulisse , 
«    Che  desiò  del  mondo  veder  troppo  .  Mart. 

Aperto  a  differenza  del  Mediterraneo,  eh' è  rinchiuso  e  stretto 
fta  terra .  Ed  è  di  Dante  come  si  è  veduto  ne'  versi  pur' ora  alle- 
gati. 

—  ....  spiegò  de' remi  il  volo  audace. 
Virgilio  disse  all'  incontro  ,  Remigium.  alarum  :  e  ciò  per  esser 
la  metafora  di  propmzione ,  e  scambievole,  e  Dante,  come  si  « 
risto: 

«   De' remi  facemm' ali  al  folle  volo  .  Guast. 

Perchè  è  metafora  usitatissima  tra' Poeti  di  usare  i  vocaboli 
àcW  ale  e  del  volo  degli  uccelli  per  esprimere  il  corso  delle  na- 
vi: ed  all'incontro.  La  quale  metafora  è  presa  dalla  proporzione 
che  tra  queste  cose  si  scorge .  Perchè  quello  die  agli  uccelli  son'o 
r  ali ,  alle  navi  souo  le  vele  ed  i  remi .  (test. 


28  LA  GERUSALEMME 

Ripiglia  Ubaldo  allor:  del  mondo  occulto, 

Dimmi  quai  son  le  leggi ,  e  quale  il  culto . 

XS.VIII. 

Gli  soggiunse  colei  :  diverse  bande 
Diversi  han  riti,  ed  abiti  e  favelle. 
Altri  adora  le  belve  ;  altri  la  grande 
Comune  madre;  il  Sole  altri  e  le  stelle. 
V  è  clii  d'  abbominevoli  vivande 
Le  mense  ingombra  scellerate  e  felle  : 
E  'n  somma  ognun ,  che  'n  qua  da  Galpe  siede. 
Barbaro  è  di  costumi,  empio  di  fede. 

XXIX. 

Dunque  (  a  lei  replicava  il  cavaliero  ) 
Quel  Dio  che  scese  a  illuminar  le  carte, 
Vuole  ogni  raggio  ricoprir  del  vero 
A  questa  che  del  mondo  è  sì  gran  parte? 
No,  rispose  ella;  anzi  la  Fé  di  Piero 
Fiavì  introdotta ,  ed  ogni  civil'  arte  : 
Ne  già  sempre  sarà  che  la  via  lunga 
Questi  da'  vostri  popoli  disgiunga . 

XXX. 

Tempo  verrà  che  fian  d'Ercole  i  segni 
Favola  vile  ai  naviganti  industri: 


St.   28 diverse  bande  ce. 

Di  lutti  questi  costumi  ed  usanze  a  lungo  si  ha  nelle  Naviga- 
zioni (li  diversi  raccolte  dal  Ramusio  . 

—    f^'  è  chi  d' abbominevoli  vivande  ec. 
Intende  i  Canibali,  od  antropofagi ,  che  si  pascono  di  carne  u- 
inana,  come  appare  nelle  Navigazioni  dell'Indie  citate  di  sopra. 
11  modo  del  dire  è  del  Petrarca  : 

« e  poi  la  mensa  ingombra 

«   £H  povere  vivande  .  GvkSJ. 

St.  29.   Quel  Dio  che  scese  a  illuminar  le  carte . 
11  Petrarca  : 

«    f^enendn  in  terra  a  illuminar  le  carte , 
«    C/ì' avean  moW  anni  già  celato  il  vero  . 
l  quali  versi  imitando,  l'Ariosto  al  Canto  7  stan.  74»  tlis»<^  = 
«   Ma  l'  j4ngel  venne  a  interpretar  le  carte  , 
"    Ch' avean  molt'  anni  già  celato  il  vero  .  Mart. 

St.  io.    J'empo  verrà  (.hcjìan  d' Ercule  i  i-e^'il 


LIBERATA    G.  XV.  29 

E  ì  mar  riposti ,  or  senza  nome ,  e  i  regni 
Ignoti,  ancor  tra  voi  saranno  illustri. 
Fia  che  '1  più  ardito  allor  di  tutti  i  legni, 
Quanto  circonda  il  mar,  circondi  e  lustri, 
E  la  terra  misuri ,  immensa  mole , 
Vittorioso  ed  emulo  del  Sole . 

XXXI. 

Un  uom  della  Liguria  avrà  ardimento 
Air  incognito  corso  esporsi  in  prima  ; 
Né  '1  minacce  voi  fremito  del  vento  , 
Né  r  inospito  mar,  né  '1  dubbio  clima, 
Né  s'  altro  di  periglio  o  di  spavento 
Più  grave  e  formidabile  or  si  stima , 
Faran  che  '1  generoso  entro  ai  divieti 
D'  Abila  angusti  F  alta  mente  accheti . 

XXXII. 

Tu  spiegherai ,  Colombo,  a  un  novo  polo 
Lontane  sì  le  fortunate  antenne , 
Gli'  a  pena  seguirà  con  gli  occhi  il  volo 
La  Fama  e'  ha  mille  occhi  e  mille  penne . 
Ganti  ella  Alcide  e  Bacco ,  e  di  te  solo 
Basti  ai  posteri  tuoi  eh'  alquanto  accenne; 

Favola  vile  ai  naviganti  industri: 

Volendo  predir  cosa  a  venire  ,  comincia  da  quello  eh' è  più  co- 
mune ed  universale,  e   perciò   più   confuso,  per  scendere  poi   a 
quello  eh'  è  più  proprio  e  particolare,  e  perciò  più  distinto,  qua- 
si cosa  che  si  vada  a  poco  a  poco  scoprendo  da  lontano  . 
St.   3i.    Un  uom  della  Liguria. 

Scende  piìi  al  particolare,  come  s'è  detto,  dinotando  la  contra- 
da onde  lu  natio  quegli,  di  cui  intendeva. 
St.  32.    Tu  spiegherai  ,  Colombo  . 

Ecco  scopre  alla  fine  il  glorioso  e  cotanto  celebre  ed  illustre 
nome  di  Cristoforo  Colombo  genovese  ;  il  quale  con  sì  smisurato 
ardimento  e  valore,  trapassando  per  mille  disagi  e  miserie,  tanti 
fieri  ed  inconosciuti  mari,  per  il  primo  trovò  l'Indie  di  Ponente; 
la  qual  navigazione  continuata  poi  da  altri  dopo  lui,  s  ha  infini- 
tamente accresciuto  il  paese  prima  icoperio .  Spiegar  l' antenne  è 
metonimia,  essendo  le  antenne  quelle  che  tengono  la  vele,  né 
fatte  ad  altro  fine .  Gvast. 


So  LA  GERUSALEMME 

Che  quel  poco  darà  lunga  memoria 
Di  poema  degnissima  e  d' istoria . 

XXXIII. 

Così  dice  ella;  e  per  T  ondose  strade 

Corre  al  ponente ,  e  piega  al  mezzogiorno , 
E  vede  come  incontra  il  Sol  giù  cade , 
E  come  a  tergo  lor  rinasce  il  giorno  : 
E  quando  appunto  i.  raggi  e  le  rugiade 
La  bella  Aurora  seminava  intorno, 
Lor  s'offrì  di  lontano  oscuro  un  monte, 
Che  tra  le  nubi  nascondea  la  fronte. 

XXXIV. 

E  '1  vedean  poscia,  procedendo  avante. 
Quando  ogni  nuvol  già  n'era  rimosso. 
All'acute  piramidi  sembiante. 
Sottile  in  ver  la  cima ,  e  'n  mezzo  gresso . 


—  Di  poema  degnissima  e  d' istoria  , 

Del  Petrarca  ;  e  Bernarilo  Tasso  avca  eletto: 

«  U' agni  pnemii  degno  e  d'ogni  istoria.  Marx. 

St.  33.  Ijor  s' offrì  di  lontano  oscuro  un  m,onte  . 

Il  Pico  di  Teneri ffc  nelle  Canarie,  celebre  per  la  sua  altezza, 
che  dal  padre  Feuillée  viene  calcolato  2ai3  tese  sopra  il  livello 
del  mare,  e  la  di  cui  sommità  si  vede  in  mare  a  4^  roiglia  di  di- 
stanza. Esso  è  propriamente  un  Tulcano,  che  termina  in  un  co- 
no tronco,  ed  obliquo  all'asse.  Terribile  fu  l'eruzione  ciie  fece 
nel  1704.  V.  Transact.  P/iilos.  n.  345.  M. 

St.   34.   £  mostrarsi  talor  cosi  fumante  ec. 

Ha  voluto  quivi  il  Tasso  schifare  la  riprensione  da' critici  fatta 
a  Virgilio,  perchè  ragionando  dell'incendio  dell'Etna,  non  fece 
distinzione  veruna  del  giorno  e  della  notte;  ove  che  Pindaro  imi- 
tato da  lui  distintamente  avea  detto  che  il  giorno  fumava  e  la 
notte  ardeva,  sicèomc  recita  A.  Gellio.  Ma  Virgilio  è  stato  difeso 
da  uomini  dottissimi.  Ed  io  dico,  che  non  faceva  al  proposito  di 
Virgilio  né  serviva  al  decoro  una  tale  distinzione:  come  ognun 
può  vedere,  chi  con  giudizio  lo  vuol  leggere.  E  mi  maraviglio  che 
non  abbiano  prima  ripreso  Lucrezio ,  il  (juale  come  Hlosofo,  et 
ex  professo  di  questo  incendio  trattando,  non  pur  n'accenna  que- 
sta differenza  di  giorno  e  di  notte.  Come  nò  anche  fece  Claudiano, 
JJc  Hufiiu  Proserpimc .  E  mi  giova  di  credere,  che  non  sia  ver* 
o  stabile  e  ferma:  siccome  dell'incendio  stesso  recita  per  fama  A- 
ristolile  ,  5i.  Dg  Ausenlt.  Mirabil.  Ma  questo  sia  detto  per  occor- 
tmuA .  Gekx., 


LIBERATA  C.  XV.  3f 

E  mostrarsi  talor  così  fumante , 
Come  quel  che  d'  Encelado  è  sul  dosso  ; 
Che  per  propria  natura  il  giorno  fuma, 
E  poi  la  notte  il  ciel  di  fiamme  alluma . 

XXXV. 

Ecco  altre  isole  insieme,  altre  pendici 
Scopriano  alfin  mcn  erte  ed  elevate, 
Ed  eran  queste  l' Isole  Felici  : 
Così  le  nominò  la  prisca  etate, 
A  cui  tanto  stimava  i  cieli  amici , 
Che  credea  volontarie ,  e  non  arate 
Qui  partorir  le  terre ,  e  'n  più  graditi 
Frutti,  non  eulte,  germogliar  le  viti. 


—   Come  quel  che  d'  Enceìado  è  sul  dosso, 
Encelado  ,  gigante,  figlio  della  Terra,  fulminato  da  Giove,  e 
sepolto  sotto  l'Etna  nella  Sicilia  .Virgilio,  Eneide  3,  v.  678: 
«   Fama  est ,  Enceladi  semustum  fulmine  corpus 
o    Urgeri  m.ole  hac  ,  ingentem-que  insuper  ^tnam 
«   Impositum. ,  ruplis  flnmmam  expirare  caminis  etc.     M. 
St.   35.  Ed  cran  queste  l' Isole  Felici: 
Cosi  le  nominò  la  prisca  etate . 
Di  quest'Isole  Felici  o  Fortunate  fecero  menzione  mille  poeti , 
ed  altri  scrittori  antichi.  Ma  come  che  dell'amenità  e  delizie  di 
quelle  s'accordassero  tutti  insieme,  del  luogo  però  dove  fossero 
poste  furono  differenti,  altri  colà  neli' ultima  Spagna,  altri  intor- 
no al  globo  della  Luna,  altri  circa  la  Brettagna,  ed  altii  altrove 
ponendole;  ma  i  moderni  pure,  che  tuttodì  vi  navigano,  le  col- 
locano fuori  dello  stretto  di  Gibilterra  là  nell'Oceano,  nel  clima 
che  passa  per  Siene,  lontane  da  Cales  di  Spagna  mille  dugento 
miglia;  della  natura  delle  quali,  come  del  sito,  del  nome  e  dei 
costumi   degli  abitanti  ragiona  a  lungo  Aloisio  Cadamosto  nelle 
sue  navigazioni.  Guast. 

Non  solo  da' poeti,  ma  eziandio  da  gravissimi  istorici  fu  ciò  af- 
fermato per  vero.  Tra' quali  il  primo  è  Salustio,  le  cui  parole  so- 
no recitate  da  Sosipatro  fuor  del  nono  lib.  dell'Istorie:  Cujiis 
duas  insulas  (^<\ic' ei)  propinquas  inter  se ,  et  decem  stadium  pro- 
cul  a  Qadibus  satis  constatai  suopte  ingenio  alimenta  mortalihus 
gignerc .  E  Plutarco  scrive  ,  che  vi  pensò  d'andare  Sertorio,  a- 
vendo  inteso  dalle  genti  marittime  della  Spagna  gran  cose  del- 
la felicità  di  quell'isole  predicarsi;  le  quali  udite  eziandio  per 
fama  da'  poeti ,  secondo, il  loro  costume  l'accrebbero  e  l'alteraro- 
no sì  ,  che  divennero  poi  favolose:  del  quale  costume  discorre  a 
lungo  Lattanzio  Fiim.  lib.  i  ,  Institut.  ove  prova,  che  tutte  le 
finzioui  poetiche  cbbuo  oiigiae  dalla  veiità.  Gest. 


32  LA  GERUSALEMME 

XXXVI. 

Qui  non  fallaci  mai  fiorir  gli  olivi , 
E  '1  mei  dicea  stillar  dall'  elei  cave; 
E  scender  giù  da  lor  montagne  i  rivi 
Con  acque  dolci  e  mormorio  soave: 
E  zefiri  e  rugiade  i  raggi  estivi 
Temprarvi  sì ,  che  nullo  ardor  v'  è  grave  : 
E  qui  gli  Elisj  campi ,  e  le  famose 
Stanze  delle  beate  anime  pose. 

XXXVII 

A  queste  or  vien  la  donna  ;  ed ,  ornai  siete 
Dal  fin  del  corso,  lor  dicea,  non  lunge. 
L' Isole  di  Fortuna  ora  vedete. 
Di  cui  gran  fama  a  voi ,  ma  incerta,  giunge. 
Ben  son  elle  feconde  ,  e  vaghe  e  liete  ; 
Ma  pur  molto  di  falso  al  ver  s' aggiunge . 
Cosi  parlando,  assai  presso  si  fece 
A  quella ,  che  la  prima  è  delle  diece  . 


St.   36.    Qii!  non  fallaci  mni /lori r  gli  olivi  , 
E  7  mei  direa  stillar  dall'  elei  cave . 
Orazio  di  queste  medesime  isole  ragionando   nell'Epodo,   al- 
rode  i6: 

e<   Nos  manet  Oceanus  circumvagus  :  arvn  ,  beata 

«    Petamus  arva ,  divites  et  in.sulas  , 
«   Reddit  ubi  Cererem  tellus  inarata  quotannis  , 

«   Et  imputata  fio  rei  usquc  vinca  : 
«    Germinat  et  numqitam.  Jallt'ntls  terines  uliva^ , 

«   Snainque  palla  ficus  ornat  arborem  : 
«    Mella  cava  mam-nt  ex  ilice;  iiuinfibiis  altis 
«   Levis  crepante  lympha  dcsilit  pcde  . 
—    E  qui  gli  Elisj  campi . 
Altri  questi  campi  posero  sotterra,  facendoli  in  quelle  tenebre 
dell'  Ignoranza  loro  ,  stanza  delle  anime  purgate  e  beatificate  ,  co- 
me Platone  nel  Gorgia,  e  Virgilio  nel  (>  dell'Eneide  v.  638  ,  coli 
ove  dice: 

'<    Devenerc  loros  Icetos ,  et  amena  vireta 
«    Fortunatontm  nemuruin  ,  sedasqiic  beatas  . 
«   Largior  liic  campos  oeltier ,  et  lamine  vestii 
u    Purpureo  ;  Solemquc  suum ,  sua  sidcra  norunt . 
Ma  altri  dissero  puro  esser  questi  nell'Isole  Fortunate,  i  quali 
segue  qui  ora  il  iioiitro  Pseta  .  Cìuasx. 


L  I  B  E  R  A  T  A    G.  XV.  3 

XXXVlll. 

Carlo  incomincia  allor:  se  ciò  concede. 
Donna,  quell'  alta  impresa  ove  ci  guidi. 
Lasciami  ornai  por  nella  terra  il  piede, 
E  veder  questi  inconosciuti  lidi  ; 
Veder  le  genti ,  e  '1  culto  di  lor  fede , 
E  tutto  quello  ,  ond'  uom  saggio  m' invidi , 
Quando  mi  gioverà  narrare  altrui 
Le  novità  vedute,  e  dire  :  io  fui. 
xxxix. 

Gli  rispose  colei  :  ben  degna  invero 
La  domanda  è  di  te;  ma  che  poss'io, 
S'  egli  osta  inviolabile  e  severo 
Il  decreto  de' Cieli  al  bel  desio? 
Ch'  ancor  vòlto  non  è  lo  spazio  intero  , 
Ch'  al  grande  scoprimento  ha  fisso  Dio  ; 
Ne  lece  a  voi  deli'  Oceàn  profondo 
Recar  vera  notizia  al  vostro  mondo. 

A  voi,  per  grazia ,  e  sovra  1'  arte  e  V  uso 
De' naviganti,  ir  per  quest'acque  è  dato; 
E  scender  là  dove  è  il  guerrier  rinchiuso , 
E  ridurlo  del  mondo  all'  altro  lato . 
Tanto  vi  basti;  e  l'aspirar  più  suso 
Superbir  fora ,  e  calcitrar  col  fato  . 


St.  38.    Quando  mi  gioverà  narrare  altrui 
Le  novità  vedute  ,  e  dire:  io  fui . 
Dante  nel  i6  dell'Inf.  in  persona  di  Guidoguerra: 
«    Però  se  canìpi  d' esti  luoghi  bui  , 
«   E  torni  a  riveder  le  belle  stelle , 
«    Quando  ti  gioverà  dicere:  io  fui  . 
St.   3g.   Ch'  ancor  volto  non  e  lo  spazio  intero  , 
Ch'  al  grande  scoprimento  ha  Jisso  Dio  . 
Fu  questo  meraviglioso  scoprimento  di  Colombo  di  cui  intende 
il  Poeta,  fatto  la  prima  volta  l'anno  1492,  come  nelle  navigazio- 
ni di  cosi  grande  e  coraggioso  nocchiero  si   può  vedere  pili  a  lun- 
go. Ben  le  Fortunate  o  Canarie,  se  pure  non  sono  differenti^  co- 
me pare  che  le  faccia  Plinio ,  erano  già  trovate   di  prima ,  se  ben 
iton  cosi  a  loro  ordinar i%  la  navigazione  ,  come  poi. 


34  LA  GERUSALEMME 

Qui  tacque;  e  già  parea  piìi  bassa  farsi 

L' isola  prima  ,  e  la  seconda  alzarsi . 

XLI. 

Ella  mostrando  già ,  eh'  all'  Oriente 
Tutte  con  ordin  lungo  eran  dirette; 
E  che  largo  è  fra  lor  quasi  egualmente 
Quello  spazio  di  mar  che  si  frammette . 
Pdnsi  veder  d'abitatrice  gente 
Case  e  culture,  ed  altri  segni  in  sette  : 
Tre  deserte  ne  sono ,  e  v'  han  le  belve 
Sicurissima  tana  in  monti  e  in  selve . 

XLIl. 

liuogo  è  in  una  dell'  erme  assai  riposto , 
Ove  si  curva  il  lido  e  in  fuori  stende 
Due  lunghe  corna,  e  fra  lor  tiene  ascosto 
Un  ampio  seno ,  e  porto  un  scoglio  rende , 
Ch'a  lui  la  fronte,  e'I  tergo  all'onda  ha  opposto. 
Che  vien  dall'  alto ,  e  la  respinge  e  fende. 
S'inalzan  quinci  e  quindi,  e  torreggianti 
Fan  due  gran  rupi  segno  a'  naviganti . 


St,  t^i.  E  clic  largo  è  fra  lor  quasi  egualmente  ec. 
Quaranta  miglia  dice  Aloisio  da  Cadamosto  esser  di  spazio  fra 
ciascheduna  di  esse. 

—  Pónsi  veder  <£'  abitatrice  gente 

Caxe  e  culture ,  ed  altri  segni  in  sette . 
Così  dice  lo  stesso  Cadamosto  nelle  sue  Navigazioni. 

St.   42.    Luogo  è  in  una  dAl'  ernie  assai  riposto  eC. 
Da  Virgilio  è  tolta  questa  descrizione  di  porto,  che  la  tolse  da. 
un'altra  d'Omero  nell'Odissea.  E  nel  primo  dell'Eneide,  v.  lò'^ 
«    Est  in  secessu  longo  ìocus  ;  insula  portum. 
«    Efficit  objectu  lateruni ,  qulhus  umnis  ah  alto 
«   Frangitur ,  incjue  sinus  scindi t  sese  linda  reductos  . 

—  S' inalzan  quinci  e  quindi ,  e  torreggianti 
Fan  due  gran  rupi  segno  a'  naviganti . 

Virgilio  nello  stesso  luogo: 

«   Hinc  ,  atque  liinc  vastoe  rupes ,  geminique  minantur 

<c   In  C(vlum  scopuli  . 
E  nel  3  della  stessa  Eneide ,  v.  533  : 
*      « gemino  dem.ittunt  brachi  a  muro 

n    Turriti  scopuli  . 


L  I  B  E  R  A  T  A   e.  XV.  35 

XLIII. 

Tacciono  sotto  i  mar  securi  in  pace  : 
Sovra  ha  di  negre  selve  opaca  scena; 
E  'n  mezzo  cV  esse  una  spelonca  giace 
D'edere  e  d'ombre  e  di  dolci  acque  amena. 
Fune  non  lega  qui ,  ne  col  tenace 
Morso  le  slanche  navi  àncora  frena. 
La  donna  in  sì  solinga  e  queta  parte 
Entrava ,  e  raccogliea  le  vele  sparte . 

XLIV 

Mirate ,  disse  poi ,  quell'  alta  mole 

Che  di  quel  monte  in  sulla  cima  siede  : 
Quivi  fra  cibi ,  ed  ozio ,  e  scherzi ,  e  fole 
Torpe  il  Campion  della  Cristiana  Fede. 
Voi  con  la  guida  del  nascente  Sole 
Su  per  queir  erto  moverete  il  piede; 
Ne  vi  gravi  il  tardar  ;  però  che  fora , 
Se  non  la  mattutina ,  infausta  ogn'  ora . 

XLV. 

Ben  col  lume  del  dì,  eh'  anco  riluce, 
Insino  al  monte  andar  per  voi  potrassi . 


Ma  il  torreggiare  è  anche  usato  da  Dante,  come  pur  s'ò  notato 
addietro  . 

St.  43.    Tacciono  sotto  i  mar  securi  in  pace . 
Virgilio,  ibid. 

« quorum  sub  vertice  late 

o   JEquora  tuta  sileni  . 
—  Sovra  ha  di  negre  selve  opaca  scena . 
Virgilio,  nel  primo,  v,  i63: 

« tum  sjrh'is  scaena  coruscis 

«  Desuper,  liorrentique  ntrum  nemus  iinminet  umbra. 
Scena  vuol  dire  un  ridotto  fatto  di  rami  e  di  frondi  d'  alberi 
affla  di  starvi  all'ombra,  e  vien  dalla  v^e  greca  cxl'a.  ,  che  om- 
bra vuol  dire.  Quindi  perciocché  da  principio  in  simili  luoghi 
dimoravano  gli  Ateniesi,  quando  si  cominciò  da  loro  a  dar  origi- 
ne alla  commedia,  è  rimasto  continuamente  lo  stesso  nome  a  quel 
luogo,  dove  compaiono  gl'istrioni  per  recitare:  ma  qui  il  Tasso, 
ad  imitazion  di  Virgilio,  da  cui  ha  tolto  il  concetto,  il  piglia  al 
primo  modo;  intendendo  però  il  ridolt*  t  l'adombrsinient*  nsttn.- 
rale ,  e  non  artificiale . 


36  LA  GERUSz\LEMME 

Essi  al  congedo  della  nobil  duce 
Poser  nel  lido  desiato  i  passi , 
E  ritrovar  la  via ,  eh'  a  lui  conduce , 
Agevol  sì ,  che  i  pie  non  ne  fur  lassi: 
E  quando  v'  arrivar ,  dalU  Oceano 
Era  il  carro  di  Febo  anco  lontano . 

XLVT. 

Veggion  che  per  dirupi  e  fra  ruine 

S'  ascende  alla  sua  cima  alta  e  superba  ; 

E  eh'  è  fin  là  di  nevi  e  di  pruine 

Sparsa  ogni  strada  :  ivi.ha  poi  fiori  ed  erba . 

Presso  al  canuto  mento  il  verde  crine 

Frondeggia ,  e  '1  ghiaccio  fede  ai  gigli  serba 

Ed  alle  rose  tenere  :  cotanto 

Puote  sovra  natura  arte  d' incanto  ! 

XLVII 

I  duo  guerrieri  in  loco  ermo  e  selvaggio, 
Chiuso  d' ombre ,  fermarsi  a  pie  del  monte  ; 
E  come  il  ciel  rigò  col  novo  raggio 
Il  Sol ,  dell'  aurea  luce  eterno  fonte  ; 
Su  su ,  gridaro  entrambi  :  e  1  lor  viaggio 
Ricominciar  con  voglie  ardite  e  pronte. 
Ma  esce ,  non  so  donde ,  e  s'  attraversa 
Fiera,  serpendo,  orribile  e  diversa. 


St.   46 e 'l  ghiaccio  fede  a  gigli  serha . 

Metafora  trasportata  dagli  uomini  alle  cose  senz'anima,  quasi 
anch'esse,  fatta  ed  avuta  amistà  e  conversazione  insieme,  s'abbiau 
promesso  di  non  offendersi  l'una  l'altra.  Ed  è  presa  da  Claudian» 
là  ove  parla  del  monte  Etna,  lib.  i  ,  v.  167  De  Raptu  Pros. 
n  Sed  quiirnvis  nimio  fervens  exuberet  cesta, 
«  Scit  nivibus  servare  Jidem.  GcAST. 

La  Metafora  è  un  po' troppo  ricercata,  ma  meno  di  quella  del 
Poeta  Latino,  che  vi  aggiunse  l'antitesi  delle  nevi    e  dell'  ar- 
dore .  M. 
Ed  è  metafora  pigliata  dalle  convenzioni  civili ,  come  quella  di 
Ovidio,  lib.  4,  Mctam. 

<( arvaque  jtissit 

«   Fallcre  dcpositam,  vitiosaque  semina  J'ecit .  Gent. 

St.   47-  Fiera ,  serpendo  ,  orribile  e  diversa. 


L  I  BER  AT  A    e.  XV.  ^7 

XLVIII. 

Inalza  d'oro  squallido  squamose 

Le  creste  e  '1  capo,  e  gonfia  il  collo  d'ira: 
Arde  negli  ocelli ,  e  le  vie  tutte  ascose 
Tien  sotto  il  ventre,  e  tosco  e  fumo  spira. 
Or  rientra  in  se  stessa ,  or  le  nodose 
Rote  distende ,  e  se  dopo  se  tira . 
Tal  s'appresenla  alla  solita  guarda; 
Né  però  de'  guerrieri  i  passi  tarda . 

XLIX. 

Già  Carlo  il  ferro  stringe,  e  '1  serpe  assale; 
Ma  r  altro  grida  a  lui:  che  fai?  che  tente? 
Per  isforzo  di  man ,  con  arme  tale 
Vincer  avvisi  il  difensor  serpente? 
Egli  scote  la  verga  aurea  immortale. 
Sì  che  la  belva  il  sibilar  ne  sente; 
E  impaurita  al  suon,  fuggendo  ratta, 
Lascia  quel  varco  libero ,  e  s'  appiatta . 

Diversa,  cioè  spaventosa ,  abominevole  e  <la  aboirire.  Dante 
nel  6  dell'Inferno: 

«  Cerbero  Jiera  crudele  e  diversa  . 
Nel  Novellino  alla  nov.  54  là  ove  si  parla  di  quel  cavallo  scor- 
ticato vivo  e  fetente:  Imperoccli' era  di'.'ersa  cosa  a  vedere  .  Dante 
nella  Vita  Nuova:  E  poi  dopo  queste  donne  mi  parvero  certi  visi 
diversi  ed  orribili  a  vedere .  Usalo  anche  a  questo  modo  il  Boo- 
«accio  nella  vita  di  Dante. 

St.   48.    Inalza  d' oro  squallido  squamose  ec. 
Mirabile  è  l'energia  di  tutta  questa  stanza  ,  la  quale  nasce  dal- 
la pienissima  e  minutissima  descrizione  di  tutte  le  circostanze  di 
quell'animale,  e  ciò  senza  bassezza  alcuna  . 

— d'  oro  squallido  . 

D'oro  pieno,  abbondante,  alla  guisa  latina:  Squallentem  auro, 
disse  "Virgilio.  Guast. 

Ebbe  riguardo  a  quel  luogo  d'Accio  poeta  antico,  Pelopidis  -. 
E] US  serpentis  squamce  squallido   auro,  et  purpura  prcetexfoe  ,  ci- 
tato da  Flavio  Sosipatro,  e  da  A.  Gelilo.  Gent. 
St.  49.   Già  Carlo  il  ferro  stringe ,  e  'l  serpe  assale  ee. 
Virgilio  nel  6,  v.  290: 

«    Corripit  Ilio  subita  trrpidus  Jormidine  ferrum 
«    JEneas ,  strictamque  aciem  venientihos  offert . 
«    Et ,  ni  docta  comes  tenues  sine  torpore  vitas 
«   Adinoneat  volitare  cava  sub  imagine  formoe , 
«   Jrruat ,  et  frustra  J  erro  divcrberet  umbras. 


53  Lk  GERUSALEMME 

L. 

Più  SUSO  alquanto  il  passo  a  lor  contende 
Fero  leon  che  rugge  e  torvo  guata, 
E  i  velli  arrizza ,  e  le  caverne  orrende 
Della  bocca  vorace  apre  e  dilata  : 
Si  sferza  con  la  coda ,  e  l'ire  accende  . 
Ma  non  è  pria  la  verga  a  lui  mostrata , 
Gli' un  secreto  spavento  al  cor  gli  agghiaccia 
Ogni  nativo  ardire,  e  'n  fuga  il  caccia . 

LI. 

Segue  la  coppia  il  suo  camniin  veloce; 
Ma  formidabil  oste  han  già  davante 
Di  guerrieri  animai,  varj  di  voce, 
Varj  di  moto  ,  e  varj  di  sembiante . 
Ciò  che  di  mostruoso  e  di  feroce 
Erra  fra  '1  Nilo  e  i  termini  d'  Atlante , 


St.  5i.  Si  sferza  con  la  coda,  e  l'ire  accende. 
Da  molti  è  tocca  questa  proprietà  del  leone  di  battersi  i  fian- 
chi con  la  coda,  ogni  volta  che  sia  adirato.  Omero  nel  20  dell'  I- 
iiade  là  ove  di  questo  animale  faceva  comparazione  con  Achille: 

Ma<?i'6Ta( ,  'ii  5'  otuTÒu  «VoTpuva  \j.ix-)(iQci.c<yctM. 
Cioè: 

«  E  con  la  eoda  le  coste  e  i  fianchi  dall'  una  banda  e  dall'altra 
«  Batte  ,  e  se  stesso  instiga  al  combattere . 
Esiodo,  nello  scudo  d'Ercole  : 

nXfvpàv  Ti  adì  Jjuous 

Oùpt  fj.d'^ixpfjiv  TToacc  ■ypd'pii ,  ou5fT<«  clvtov 
T!'tXvi  ìq   avrà  fSwv  >^fò'wi/  ìxc^tlv  ovìi  Ma.-)(fGca.i, 
Catullo,  nel  poema  sopra  Ati,  v.  8t  : 

«   Àge  ,  ccede  terga  cauda  :  tua  verhera  patere 
«  Face  cuncta  mugienti  fremitu  loca  retonent . 
Lucano  : 

«  JEstifercB  Lybìoe ,  viso  tea  cor/tiniis  ìioste 
«   Subsedit  dubius,  totam  dum  colligit  iran  , 
«  Mo.v  ubi  se  .ftcì'oe  stimulavit  verbere  cauda; , 
«  Ereritque  jubar  .  GuAST. 

St.  Si.  Ciò  che  di  mostruoso  e  dijeroce  ec. 
Il  Nilo  partorisce  assaissirai  animali  fieri  e  velenosi,  siccome 
^la  gli  altri  il  Cocodrillo,  l'Ichneumonc,  il  Basilisco,  e  l'Ippota- 


LIBERATA   C.  XV.  3^ 

Par  qui  tutto  raccolto  ,  e  quante Ijelve 
L'Ercinia  ha  in  sen_,  quante  l'Ircane  selve. 

LII. 

Ma  pur  sì  fero  esercito  e  sì  grosso 

Non  vien  che  lor  respinga  o  lor  resista: 
Anzi  (  miracol  nuovo  !  )  in  fuga  è  mosso 
Da  un  picciol  fischio  e  da  una  breve  vista . 
La  coppia  ornai  vittoriosa  il  dosso 
Della  montagna  senza  intoppo  acquista; 
Se  non  se  in  quanto  il  gelido  e  1'  alpino 
Delle  rigide  vie  tarda  il  cammino . 
{.III. 

Ma,  poi  che  già  le  nevi  ebber  varcate, 
E  superato  il  discosceso  e  l'erto, 
Un  bel  tepido  ciel  di  dolce  state 
Trovaro ,  e  '1  pian  sul  monte  ampio  ed  aperto 
Aure  fresche  mai  sempre  ed  odorate 
Vi  spiran  con  tenor  stabile  e  certo; 
Ne  i  fiati  lor,  siccome  altrove  suole. 
Sopisce,  o  desta  ivi  girando  il  Sole  . 

LIV. 

Isè,  come  altrove  suol,  ghiacci  ed  ardori. 
Nubi  e  sereni  a  quelle  piagge  alterna; 


■oo  ed  altri.  Ves;gasi  Plinio  al  cap.  •2\  e  a5  del  8  lib.  e  al  eap;  g 
del  5,  e  Solino  al  cap.  35.  Mabt. 

—  U  F.rcinia  ha  in  sen  ,  quante  l' Irrane  selve  . 
Ercinin,  celebre  foresta  dell'antica  Germania,  in  oggi  chiamai» 
Selva  Nrra  .  Cesare  ne  fece  la  descrizione  nel  lib.  6  de' suoi  Com- 
mentar) delle  guerre  GaUìche.  Ire  naia ,  provincia  della  Persia, 
famosa  per  le  fiere  ,  dalle  quali  era  infestata.  Essa  propriamente 
formava  una  parte  delle  regioni  de' Parti .  M. 

St.    53,   F  superato  iì  discosceso  e  V  erto  . 
Il  nome  disccsceso  vuol  tlire  rotto  in  diverse  parti.  L'usò  Dafu 
te  al  12  Canto  dell'Inferno: 

«   Al  piano  è  si  la  roccia  discoscesa  . 
E  al  Canto  i6  del  medesimo: 

u   Così  giù  d' una  discascesa  . 
E  l'Ariosto  al  Canto  a.-'j  stan.  i4: 

«    Unjiume  d' alta  e  discoscesa  riva.  Mart. 

St.  54-  AV>,  come  altrove  suol  f^hincci  ed' ardori  ,  ec. 

G.  Lib.  t.  hi.  4- 


4o  LA  GERUSALEMME 

Ma  il  ciel  di  candidissimi  splendori 
Sempre  s'ammanta,  e  non  s' infiamma,  o  verna  ; 
E  nutre  ai  prati  l'erba ,  all'  erba  i  fiori, 
Ai  fior  l'odor,  l'ombra  alle  piante  eterna  . 
Siede  sul  lago ,  e  signoreggia  intorno 
I  monti  e  i  mari  il  bel  palagio  adorno . 

LV. 

I  cavalier  per  1'  alta  aspra  salita 

Sentiansi  alquanto  affaticati  e  lassi  ; 

Onde  ne  gian  per  quella  via  fiorita 

Lenti ,  or  movendo  ed  or  fermando  i  passi; 

Quando  ecco  un  fonte,  clie  a  bagnar  gT  invita 

L' asciutte  labbra  ,  alto  cader  da'  sassi 

E  da  una  larga  vena ,  e  con  ben  mille 

Zampiiletti  spruzzar  l'erbe  di  stille: 

LVI. 

Ma  tutta  insieme  poi  tra  verdi  sponde 
In  profondo  canal  1'  acqua  s'  aduna; 


Esprime  i  versi  di  Omero,  ne'quali  ragiona  del  Cielo,  lib.  6 
Odiss.  Siccome  eziandio  gli  espresse  Lucrezio,  1.  3,  v.  i8  dicendo: 
«   Apparet  Divum  numt^n,  sedescfue  quieioe , 
«    Qitas  nequc  concutiunt  venti,  ncque  nuhìLi  nimbis 
«  Aspergunt ,  ncque  nix  acri  concreta  pruina 
(I    Cuna  cadens  violat ,  sernpcrque  innulnlus  ccther 
«   Integit ,  et  late  diffuso  fumine  ridet . 
Il  Boccaccio  di  un  giardino  fatto  pur  da  un  mago  in  mezzo  l'in- 
verno, «  Pervenuti  al  giardino  (dice)  v'entrarono  dentro  per  una 
«  bella  porta,  ed  in  quello  non  freddo  si ,  come  di  fuori,  ma  un 
o  aere  temperato  e  dolce  sentivano  »  .  Onde  il  Tasso  dirà  nel 
•anto  seguente . 

«  JL'  aura  ,  non  eh'  altro  ,  è  della  maga  effetto  .  Gent. 

— ,  e  non  s' infiamma  ,  a  verna. 

Non  è  mai  quivi  l'aria  in  alcuna  qualità  eccedente  com'ella  e 
appo  noi,  infiammata  l'estate  ,  e  gelata  l'inverno;  ma  vi  è  sem- 
pre una  tepida  e  fiorita  pi'imavera.  Vernare  in  questa  lingua  pro-> 
priamente  vuol  dire  esser  d'inverno.  Petrarca: 

«    Di  state  un  ghiaccio  ,  un  /beo  quando  verna. 
Ed  il  medesimo  nostro  Poeta  nel  canto  i3,  st.  !\^  : 

«    Vemù  in  quel  punto  . 
O  passar  l'inverno  o  svernare,  che  i  Latini  dicono  hyhcrnarc  . 
Dante,  Purg.  24  = 

d.  Come  gli  augci  che  vcrnan  verso  il  Nilo  . 


LIBERATA    e.  XV.  41 

E  sotto  r  ombra  di  perpetue  fronde 
Mormorando  sen  va  gelida  e  bruna  ; 
Ma  trasparente  sì ,  che  non  asconde 
Dell'  imo  letto  suo  vaghezza  alcuna  ; 
E  sovra  le  sue  rive  alta  s' estolle 
L'  erbetta,  e  vi  fa  seggio  fresco  e  molle, 

LVII. 

Ecco  il  fonte  del  riso ,  ed  ecco  il  rio 
Che  mortali  perigli  in  sé  contiene. 
Dissero  :  or  qui  frenar  nostro  desio , 
Ed  esser  cauti  molto  a  noi  conviene . 
Chiudiam  1'  orecchie  al  dolce  canto  e  rio 
Di  queste  del  piacer  false  Sirene. 
Così  n'  andar  fin  dove  il  fiume  vago 
Si  spande  in  maggior  letto  ,  e  forma  un  lago . 

LVIII. 

Quivi  di  cibi  preziosa  e  cara 

Apprestata  è  una  mensa  in  sulla  rive, 
E  scherzando  sen  van  per  l' acqua  chiara 
Due  donzellette  garrule  e  lascive, 
CI/  or  si  spruzzano  il  volto ,  or  fanno  a  gara 
Chi  prima  a  un  segno  destinato  arrive: 
Si  tuffano  talora,  e  '1  capo  e  '1  dorso 
Scoprono  alfin  dopo  il  celato  corso. 

LIX. 

Mosser  le  natatrici  ignude  e  belle 

De'  duo  guerrieri  alquanto  i  duri  petti  ;^ 


Ma  appresso  i  Latini  ha  significalo  di  primavera  : 

«    Vernai  humus,  vernat  ager ,  aviculos  vernant . 
E  Marziale  : 

«   Diim  tibi  vernarent  tenera  lanugine  mala;. 
Ed  a  simil  modo  il  pose  pur  Dante  nel  trentesimo  capitolo  del 
Paradiso  ,  in  quel  verso: 

«    Odor  di  lode  al  Sol,  che  sempre  verna,, 
St.  57.  Erco  il  fonte  del  riso  . 
Di  questo  fonte  si  è  parlato  di  sopra  . 


42  LA  GERUSALEMME 

Sicché  fermarsi  a  riguardarle  \  ed  elle 
Seguian  pure  i  lor  giochi  e  i  lor  diletti . 
Una  intanto  drizzossi,  e  le  mammelle  , 
E  tutto  ciò  che  più  la  vista  alletti 
Mostrò  dal  seno  in  suso  aperto  al  ciclo  : 
E  '1  lago  all'  altre  membra  era  un  bel  velo . 

LX. 

Qual  mattutina  stella  esce  dall'  onde 
Rugiadosa  e  stillante  j  o  come  fuore 


St.  6o.    Qual  mattitina  stella  esce  dalV  onde 
Rugiadosa ,  e  stillante . 
Stazio,  nel  primo  della  Tebaide: 

«  Sic  ubi  tranquillo  pellucent  sidera  ponto 
«    Vibratiirque  fretis  coeli  stellantis  imago  : 
«    Omnia  darà  nitent 
E  Virgilio  neirS  dell'Eneide,  v.  589: 

«    Qualis  uhi  Oceani  perfusus  Lucijer  unda  , 
«    Qucm  yenui  ante  alias  astrorum  diligit  ignes  , 
n   E.vtulit  OS  sarnim  roelò  ,  tenehrasque  resoh'it . 
Che '1  tolse  da  Omero  nel   io  dell'Iliade.  E  fassi  menzione  del- 
l'umore in  queste  cose  lucide  e  splendenti ,  perchè  in  esso  molt» 
meglio  rilucono  e  scintillano,  e  perciò  disse  anco  il  Petrarca: 
«   Non  vidi  mai  dopo  notturna  pioggia 
«    Gir  per  l'aer  sereno  stelle  erranti^. 

— o  come  fuore 

Spuntò  nascendo  già  dalle  feconde  ce. 
Allude  a  quella  bellissima  e  celebratissima  imagine  di  Venere 
fatta  da  Apelle;  nella  quale  egli  dipinse  questa  Dea  ,  che  dopo  il 
suo  nascimento  uscendo  del  mare,  e  già  fuori  dalle  poppe  in  su, 
s'asciugava  con  ambedue  le  mani  i  capelli ,  e  l'acqua  marina  dal 
volto;  la  quale  fu  celebrata  da  diversi  eccellenti  poeti ,  come  si 
può  vedere  negli  Epigrammi  Greci:  e  Plinio  ne  fa  nobile  menzione 
nel  IO  capitolo  del  trentesimo  quinto  libro.  Guast. 

Col  qual  titolo  greco  Avà^'uraévi^  ,  cioè  nascente  dalle  spume 
del  mare ,  fu  da  Augusto  dedicata  la  Venere  di  A|}elle  nel  tem- 
pio di  Cesaie  suo  padre ,  siccome  recita  Plinio  libro  35  ,  cap. 
IO.  Il  Tasso  chiama  quelle  spume  /cco/u/c:  nel  qual  senso  anco- 
ra un  Poeta  antico,/»  Pcn.>igilio  generis  ,  prese  le  pioggie  mari- 
ne, dicendo: 

«  Fccit  undantcm  Dioncm  de  marilis  imhrihus . 
Come  se  la  spuma  fosse  stata  moglie  del  sangue  di  Celo;  per 
essere  nata  dal  mescolamento  loro  la  dea  Venere.  Varrone  ,  De 
lingua  Latina:  Poetfc  de  c<clo  scmcn  igneum  ca-cidissc  dicunt  ih 
mare  ,  ac  natiim  e  spuniis  Venererà  cu  nj  une  ti  ori  e  ignii  et  humo- 
ris  .  Geni. 


LIBERATA    C.  XV. 

Spuntò  ,  nascendo  già  dalle  feconde 
Spume  dell'  Ocean  la  Dea  d' amore  ; 
Tale  apparve  costei  :  tal  le  sue  bionde 
Chiome  stillavan  cristallino  umore  . 
Poi  girò  gli  occhi;  e  pur  allor  s'infinse 
Que'  duo  vedere ,  e  in  se  tutta  si  strinse . 

LXI. 

E  '1  crin,  che  'n  cima  al  capo  avea  raccolto 
In  un  sol  nodo,  immantinente  sciolse; 
Che  lunghissimo  in  giù  cadendo  e  folto , 
D'  un  aureo  manto  i  molli  avorj  involse . 
Oh  che  vago  spettacolo  è  lor  tolto  ! 
Ma  non  men  vago  fu  chi  loro  il  tolse. 
Così  dall'  acque  e  da' capelli  ascosa, 
A  lor  si  volse  lieta  e  vergognosa . 

LXII. 

Rideva  insieme,  e  insieme  ella  arrossia; 
Ed  era  nel  rossor  più  bello  il  riso , 


Venere  nacque  (come  favoleggiano  i  poeti)  dalla  spuma,  dorè 
stettero  i  pudendi  di  Celo,  che  da  Saturno  furono  gittati  in  ma- 
re; il  che  toccò  Ovidio  al  4  de' Fasti: 

«   Sed  Veneris  niensem  Grajo  sermone  notatum 
«   Arbitrar  a  spumis  est  Dea  dieta  maris . 

E  il  Bembo,  e  Catullo,  e  Q.  Calabro  al  5. 

Per  questa  causa  fu  detta  A'pp'jc^i/fh^l  da  AdlpOf;  che  vuol  dire 
spuma,  come  dice  Macrobio  al  primo  de' Saturnali  al  cap.  8,  e 
12.  Celio  Rodigino  pensò  che  fosse  cosi  detta  da  otippo?  ,  ma  per 
diversa  cagione,  cioè  per  essere  spuma  il  seme  umano,  ed  esseu- 
do  ella  sopra  le  cose  veneree,  e  per  questo  fu  detta  Dea  dell'a- 
more. (Celio  Rodigino  al  cap.  17,  del  16  lib.  dell'antiche  lezioni) 
e  Fortunato  par  che  voglia  che  si  dica  Trapa  to  app^ivvv  per- 
chè fa  altri  impazzire,  e  Didimo  altrimenti  7rapotroa/3pCi'  t>Jh 
^(XiTyii  perchè  si  dica  che  Venere  nascesse  dalla  spuma  del  ma- 
re: e  che  ella  fosse  madre  di  Cupido,  veggasi  il  dottissimo  Pico 
Mirandolano  nella  sua  lezione  sovra  una  Canzone .  Mart. 

St.  6a.  Rideva  insieme,  e  insieme  ella  arr ossia,  ec. 

Simile  a  quel  di  Platone  ,  nel  Carraìde  A'vepjS'pffoicots  ouv  0 
Kap^ij>j$ ,   TTpwrwv  juàv   ^TTf   KJnAAfwvÈipàvJj .    Che  tuqI  dire; 


44  LA  GERUSALEMME 

E  nel  riso  il  rossor ,  che  le  copria 
Insino  al  mento  il  delicato  viso  . 
Mosse  la  voce  poi  sì  dolce  e  pia , 
Che  fora  ciascun  altro  indi  conquiso  : 
Oh  fortunati  peregrin  ,  cui  lice 
Giungere  in  questa  sede  alma  e  felice! 

LXIII. 

Questo  è  il  porto  del  mondo;  e  qui  il  ristoro 
Delle  sue  noie ,  e  quel  piacer  si  sente , 
Che  già  sentì  ne'  secoli  dell'  oro 
L'antica  e  senza  fren  libera  gente. 
L'arme,  che  sin  a  qui  d'uopo  vi  ìóto. 
Potete  omai  depor  securamente, 
E  sacrarle  in  quest'  ombra  alla  quiete; 
Che  guerrier  qui  solo  d' Amor  sarete  : 

LXIV. 

E  dolce  campo  di  battaglia  il  letto 
Fiavi_,  e  r  erbetta  morbida  de' prati. 
Noi  meneremvi  anzi  il  regale  Espetto 
Di  lei  che  qui  fa  i  servi  suoi  beati; 
Che  v'  accorrà  nel  bel  numero  eletto 
Di  quei  eh'  alle  sue  gioie  ha  destinati . 
Ma  pria  la  polve  in  queste  acque  deporre 
Vi  piaccia ,  e  '1  cibo  a  quella  mensa  tórre . 

LXV. 

L'  una  disse  così  ;  l' altra  concorde 

L' invito  accompagnò  d' atti  e  di  sguardi , 


4<  esscmlosi  dunque  arrossito  il  giovinetto  Carmide.  apparve  au- 
«  Cora  piii  bello».  L'Autor  nostro  nella  Silvia  leggiadrissima- 
mente: 

«  /«  tanto  io  più  ridea  del  suo  rossore , 
«  Ella  più  s' arrossia  del  riso  mio  . 
Tanto  gli  piacque  simile  scherzo  di  parlare. 

St.  64.   E  dolce  Campo  di  battaglia  il  letto . 
Patrarca: 

«   E  duro  campo  è  di  battaglia  il  letta . 


L  I  B  E  R  A  T  A    e.  XV.  45 

Sì  come  al  suon  delle  canore  corde 
S' accompagnano  i  passi  or  pi'esli  or  tardi . 
Ma  i  cavalieri  hanno  indurate  e  sorde 
L'  alme  a  quei  vezzi  perfidi  e  bugiardi; 
E  1  lusinghiero  aspetto  e  '1  parlar  dolce 
Di  fuor  s'  aggira,  e  solo  i  sensi  molce. 

LXVI. 

E  se  di  tal  dolcezza  entro  trasfusa 

Parte  penetra^  onde  il  desio  germoglie, 
Tosto  ragion  nell'  armi  sue  rinchiusa 
Sterpa  e  riseca  le  nascenti  voglie. 
L'  una  coppia  riman  vinta  e  delusa  : 
L'  altra  sen  va ,  né  pur  congedo  toglie  . 
Essi  entrar  nel  palagio  ',  esse  nell'  acque 
Tuffarsi;  a  lor  sì  la  repulsa  spiacque. 


St.  66.  E  se  dì  tal  dolcezza  entro  trasfusa 

Parte  penetra ,  onde  il  desio  germoglie . 
Ottimamente  dice  germoglie,  per  significare  la  copia  de  pia- 
ceri :  siccome  fece  Lucrezio  parlando  dell'inconvenienze  che  nel- 
r amore  si  fanno ,  eziandio  quando  più  si  gode,  lib.  4>  v.  1075: 
«   Et  stimuli  siibsunt ,  qui  instigant  lasdere  idipsum, 
«    Quodcunque  est,  rabici  undc  ilice  lioeC  germina  surgunt. 
Dante  usò  simil  verbo  per  significarne  la  copia  de' pensieri. 
Purg.  5  : 

«    Che  sempre  V  uum.o  in  cui  pensier  rampolla 
«   Sovra  pensier  ec . 
Ciò  che  fece  forse  ad  imitazion  d'Eschilo,  il  quale  dice 
Bi^iìoLv  a.\0K0i  Sidipfivci  xcufi'Trfiv^ivov 
E^K;«  Tw  KfSvct  /3Xagav6<  /SouXf U|U.aTa . 
Cioè:  «   profondo  solco,  il  quale  produce  nella  mente  frutti 
K   donde  gli  ottimi  e  lodabili  consigli  ranipollan*.  Gent. 


LA 

GERUSALEMME 

LIBERATA 


CANTO  DECIMOSESTO 

ARGOMENTO 

Entrano  i  dao  gnerrier  nell'ampio  tetto. 
Ove  in  dolce  prigion  Rinaldo  stassi-. 
E  fan  SI  cb'ei  pian  d'ira  e  di  dispetto, 
Muove  al  partir  di  là  con  loro  i  passi. 
Per  ritenere  il  cavalier  diletto 
Prega  e  piange  la  maga:  egli  alfin  vassi. 
Essa,  per  vendicare  il  suo  gran  duolo, 
Strugge  il  palagio,  e  va  per  l'aria  a  volo. 


1  ondo  è  il  ricco  edificio;  e  nel  più  cliiiiso 
Grembo  di  lui ,  eh'  è  quasi  centro  al  giro  , 
Un  giardin  v'  ha,  eh'  adorno  è  sovra  1'  uso 
Di  quanti  pili  famosi  unqua  fiorirò  : 


St.  I .  Thndo  t  il  ricco  edificio)  ;  e  nel  piti  cfuiisO 
Grembo  di  lui ,  cìi'  b  qwisi  centro  al  giro. 
«  In  questo  tondo  edifìzio  ,  dice  il  Galileo ,  con  nuova  architettu- 
la  fabbricato  ,  sono  alcuno  cose  degne  di  considerazione  e  rorsr> 
di  riprensione.  E  prima  questo  edilìzio  non  è  una  città,  o  un  ca- 
stello, ina  un  palazzo;  cliè  così  l'ha  addoinandato  l'Autore  nel 
tìau  dell'  ultima  stanza  del  canto  precedente  : 

«  Essi  entrar  nel  palagio  ec.  e  Canto  \iv.  stan.  70. 
«   E  vi  fonda  un  palagio  appresso  a  un  lago  . 
Questo  palazzo  è /ora^o,    e   nel  pia   chiuso   grembo  ,  eli  e  quasi 
crntra  ,  ha  un  j^iardiiio  «ou  architettar»,   contraria  alia  cunituic  , 


LIBERATA    C.  XVI.  47 

D' intorno  inosservabile  e  confuso 
Ordin  di  logge  i  Demòn  fabbri  ordirò  : 
E ,  tra  le  oblique  \  ie  di  quel  fallace 
Ravvolgimento,  impenetrabil  giace. 
II. 
Per  r  entrata  maggior  (  però  che  cento 
L'  ampio  albergo  n'  avea  )  passar  costoro . 
Le  porte  qui  d'effigiato  argento 
Sui  cardini  stridean  di  lucid'  oro . 


perchè  si  veggono  bene  palazzi  in  mezzo  de' giardini,  ma  non  per 
l'opposito  :  e  questo  benché  sia  quasi  centro  del  palazzo,  nulladi- 
meno  contiene  in  sé  colline,  valli,  spelonche,  fiumi  e  stagni, 
tutte  robe  costituite  su  la  cima  d'un  alto  monte.  »  Questa  cen- 
sura del  Galileo  ragionevole  sarebbe,  se  il  nome  eriZ/fz/o  limitar 
si  dovesse  a  particolarmente  dinotare  una  casa  o  un  palagio:  es- 
so però  aver  suole  un  senso  assai  pii:  esteso.  Gli  Accademici  della 
Crusca  danno  aU'  edifizìo  il  significato  generale  di  Fabbrica ,  o 
cosa  edificata.  In  questo  senso  1'  usò  il  Davanzati  (  Tac.  ann.  (\, 
lo3):  Sfavasi  allora  Tiberio  intorno  agli  edijic]  ,  e  a' nomi  di 
dodici  ville  .  Il  Tasso  adunque  dicendo  che  tondo  è  il  ricco  edifi- 
cio ,  non  parla  del  palazzo,  ch'esser  non  dovea  che  una  parte  del- 
lo stesso  edificio ,  ma  del  tutto  bensì  della  fabbrica,  del  circuito, 
per  cosi  dire,  e  delle  miua  che  circondavano  l' incantata  ro*ggia 
di  Armida,  e  nelle  quali  era  racchiuso  lo  stesso  palagio  .  Siccome 
però  questo  medesimo  palagio  formar  dovea  la  parte  principale 
dell' edilizio,  così  il  Poeta,  usando  la  parte  pel  tutto,  ottima- 
mente disse  negli  altri  due  luoghi  palagio  in  vece  di  edifizio  ,  in 
quella  maniera  appunto  che  noi  ancora  quando  diciamo  palagio,  o 
reggia,  o  cose  simili,  intendiamo  per  lo  piìi  non  solamente  il  pala- 
gio preso  nel  suo  proprio  senso ,  ma  i  giardini  ancora,  le  corti  ,  i 
rustici,  e  tutte  le  altre  cose  che  vi  sono  annesse  ,  e  che  si  com- 
prendono sotto  il  nome  generale  di  edilìzio .  M' 
St.   2.      Per  V  entrata  maggior ,  però  che  cento  ,  ec. 

Numero  finito  per  l'infinito.  Virgilio  nel  3  ,  v.  io8: 

«    Centum  urbes  hubitant  rnagnas,  uberrima  re^na.     Gbast. 
—  Le  porte  qui  d' effigiato  argento ,  ee. 

Dante,  Purg.  io: 

«    Dì  contra  effigiata  ad  una  vista 

(c   D' un  gran  palazzo  ,  Micol  ammirava  . 

Dice  poi  il  Tasso,  che  la  materia  è  vinta  dal  lavoro,  imitanda 
quel  di  Ovidio: 

(t    Materiam  superabat  opus; 
ed  intendendo  per  lavoro,  quello  che   i    Lritini   dicono    Mnnu.r 
pretiu/n  ,  e  Manu  pretium ,  noi  manijattura  .  E  pei'chè  ci  è  acca- 
duto di  fare  menzione  del  nome   lavoro,  non  sarà  fuor  di  propo- 
sito di  annotar  J'i;»i0  quello   che  ad   illustrare   molti  luoghi  di 


48  LA  GERUSALEMME 

Fermar  nelle  figure  U  guardo  intento  ; 
Gilè  vinta  la  materia  è  dal  lavoro . 
Manca  il  parlar:  di  vivo  altro  non  cinedi; 
Né  manca  questo  ancor ,  s'  agli  occhi  credi . 


questo  poema,  ne'quali  si  ragiona  della  Croce  Trionfale,  non  po- 
co gioverà:  cioè,  che  lavoro  per  la  insegna  della  Croce  si  piglia- 
va ne' più  bassi  tempi  dell'Imperio  Romano  ,  siccome  si  può  in- 
tendere dalle  costituzioni  dcgl' Imperatori,  e  da' testimoni  do' sa- 
cri scrittori  ,  citati  dal  valentissimo  Giurisronsulto  Già.  Cujacio, 
nel  titolo  del  Codice,  de  Prirf.  ìaborum  .  Tra' quali  racconta  Eu- 
sebio, che  Costantino  Magno  propose  alla  cura  di  tale  stendardo 
cinquanta  soldati,  i  quali  nella  battaglia  di  qua  e  di  là  lo  portas- 
sero, secondo  che  questa  o  quella  parte  era  più  «ppressa  da'  ne- 
mici, come  per  segno  d'ajuto  e  di  liberazione.  E  di  qui  s  inten- 
de quel  da  nessuno,  ch'io  sappia,  inteso  luogo  di  Dante,  ove  Giu- 
stiniano Imperatore  cosi  dice  di  sé  stesso  ,  Farad.  6: 
«    Tatto  die  con  la  Chiesa  mossi,  i  piedi , 

«   y4  Dio  per  grazia  piacque  di  spirarmi 

«  L'ulto  lavoro. 
Perchè  avea  detto  di  sopra,  che  egli  era  stato  de'seguaci  di  Eu- 
tiche  eretico ,  il  quale  credeva  che  in  Cristo  non  fosse  vera  na- 
tura umana:  ma  che  poi  fu  da  Agapito  Pontefice  convertito  alla 
vera  fede,  cioè,  a  credere  che  eziandio  la  natura  umana  vera  e 
distintamente  vi  fosse,  la  qual  natura  umana,  perciocché  sola  fu 
afilssa  al  legno  della  Croce,  però  egli  dice,  che  Dio  il  lavoro, 
cioè  la  Croce,  gli  spirò,  e  lo  dimanda  allo  per  più  ragioni .  Il  qual 
senso,  come  egli  è  verissimo  ,  così  spero  che  ad  ognuno  sarà  uoa 
men  grato  d  intenderlo,  che  a  me  sia  stato  di  averlo  esplicato  . 

Gent. 

—  Su  i  cardini  stridcan  di  liicid'  oro 

Virgilio,  nel  primo  deli  Eneide,  parlando  del  tempio  di  Didone 
in  Cartagine,  v.  453: 

« Jòribus  cardo  stridebat  ahenis . 

Il  pongo  per  quelli  che  hanno  ripreso  lo  stridere  in  questo  luo- 
go, non  avendo  più  che  far  nel  tempio  di  Didone,  che  qui. 

—  Clie  vinta  la  materia  b  dal  lavoro . 
Ovidio  ,  sopì  a  citato. 

—  Manca  il  parlar,  di  vivo  altro  non  chiedi , 
J\iè  manca  questo  ancor,  s'agii  occhi  credi. 

Dal  parlar  in  fuori ,  che  non  si  sentiva,  eran  vive  le  figure;  ma 
se  del  parlare  vogliamo  credere  agli  occhi,  e  non  all'orecchie  ,  si 
aveva  ad  ogni  modo  a  dire  che  parlavaa  quelle  immagini,  cotan- 
to il  pareva  in  rimirandole.  Il  concetto  è  di  Dante  da  lui  parti- 
colareggiato nel  IO  del  Purgatorio;  (ma  universaleggiato  dal  Tas- 
so qui  ): 

«   Dinanzi  parca  gente ,  e ,  tutta  quanta 
«    Partita  in  sette  cori ,  a'  duo  miei  sensi 
«   tacca  dicer  V un  no ,  l'altro  si,  canttt. 


LIBERATA    C.  XVI.  49 

III. 
Mirasi  qui  fra  le  Meonie  ancelle 

Favoleggiar  con  la  conoccliia  Alcide: 

Se  l'Inferno  espugnò  ,  resse  le  stelle, 

Or  torce  il  fuso  :  Amor  se  '1  guarda  e  ride. 

Mirasi  Jole  con  la  destra  imbelle 

Per  isclierno  trattar  1'  armi  omicide; 

E  'n  dosso  ha  il  cuojo  del  leon ,  che  sembra 

Ruvido  troppo  a  sì  tenere  membra . 

IV, 

D'incontro  è  nn  mare;  e  di  canuto  flutto 
Vedi  spumanti  i  suoi  cerulei  campi  : 
Vedi  nel  mezzo  un  doppio  ordine  instrutto 
Di  navi  e  d' arme ,  e  uscir  delf  arme  i  lampi  : 


?  Similemente  al  fumo  degli  incensi, 

«    Che  v'era  i  magi  nato  ,  e  gli  occhi  e   I  naso  , 
«   Ed  al  sì,  ed  al  no  discordi fensi.  GuAST. 

St.   3.     Mirasi  quijra  le  Meonie  ancelle. 
Ovidio  libro  2.  De  Arte  Amandi: 

«  Illefatigatoe  vincendo  m^nstra  novercce 

«    Qui  meruit  coelum ,  <]uod  prior  ipse  tulii: 
«  Inter  Jonicas  calathum  tenuisse  puellas 
Dicitur  ,  et  lanas  excoluisse  rudes . 
Il  Boccaccio  «  chi  fu  (dice)  più  valoroso  uomo  di  Ercole:  il  qua- 
le innamorato  mise  le  sue  forza  in  oblio,  e  divenuto  vile  61ò  l'ac- 
cia con  le  femmine  d' Jole?  »  E  di  questo  intese  colui ,  che  sotto- 
scrisse alla  statua  di  Cupidine  questi  due  versi  dichiaranti  la  sua 
potenza  : 

«  Sol  calet  igne  meo  :  flagrai  Neptunus  in  undis, 
«   Pensa  dedi  Alcidoe ,  Baccum  servire  coegi.  Gent. 

Pittura  conveniente  a  porte  di  giardino  ,  ove  albergavan  si  fat- 
ti amanti. 

—  Favoleggiar  con  la  conocchia  Alcide . 

Ad  Onfale  reina  de' Lidi,  delti  altrimente  Meonj ,  servi  sì  gran 
padrone;  e  fra  le  fanti  di  lei  avvolto  iu  gonna  femminile,  si  tor- 
se il  fuso.     ¥ 

—  Mirasi  Jole . 

Amata  e  rapita  da  Ercole  fu  costei ,  secondo  che  racconta  A- 
poUodoro  nella  sua  Biblioteca  ;  e  per  amor  di  lei,  secondo  altri 
quello  pati  che  sotto  Onfale  per  altri  rispetti  già  era  stato  co- 
stretto a  patire . 

St.   4-      Vedi  nel  mezzo  un  doppio  ordine  instrutto  ec. 

Lcggiadri«sime  sono  queste  ottave,  e  bella  l'invenzione  degli 


Co  LA  GERUSALEMME 

D'  oro  fiammeggia  1'  onda  ,  e  par  che  tutto 
D  incendio  marzial  Leucate  avvampi . 
Quinci  Augusto  i  Romani ,  Antonio  quindi 
Trae  l'Oriente,  Egizj ,  Arabi  ed  Indi. 

V. 

Svelte  nuotar  le  Cicladi  diresti 

Per  r  onde ,  e  i  monti  coi  gran  monti  urtarsi  ; 

L' impeto  è  tanto ,  onde  quei  vanno  e  questi 

Co' legni  torreggianti  ad  incontrarsi. 

Già  volar  faci  e  dardi,  e  già  funesti 

Vedi  di  nova  strage  i  mari  sparsi  : 

Ecco  (  ne  punto  ancor  la  pugna  inchina  ) 

Ecco  fuggir  la  barbara  reina  ; 

VI. 

E  fugge  Antonio ,  e  lasciar  può  la  speme 
Dell'  imperio  del  mondo,  ov'egli  aspira. 


intagli  ed  ottimamente  accomodata.  Il  nostro  Poeta  prese  qui  ad 
imitare  la  bellissima  descrizione  dello  Scudo  di  Enea  ,  opera  me- 
ravigliosa di  Vulcano,  e  sul  quale  Viri;ilio  Anse  scolpite  le  pia. 
fastose  vicende  de' Romani  e  di  Augusto.  Ecco  i  principali  luo-» 
ghi  ,  posti  a  parallelo . 
Virgilio  nell'  8 ,  v.  275  : 

((   In  medio  classes  (xratas,  Actìa  bella 

a    Cernere  erat ;  totiimque  instructo  marte  vidcres 

(I   FtTi'cre  Leucaten  ,  auroque  effulgere  fluctus  . 

—  Quinci  Augusto  i  Romani ,  Antonio  quindi 
Trae  /'  Oriente ,  Egizi  »  Arabi  ed  Indi  . 

Virgilio  nel  luogo  allegato,  v.  685: 

«   Hi  ne  ope  barbarica,  variisque  Antonius  armix 
«    Victor  ab  Auroroe  po/juli.v ,  ft  litore  rubro  , 
«   /Egyptum ,  vircsque  Orientis ,  et  ultiriia  secHin 
«    Bactra  ve  kit . 
St.  5.      Si'elte  nuotar  le  Cicladi  diresti  ec. 

Virgilio,  V.  692: 

u Pelago  credas  innare  reviUsas 

«    Cycladas  ,  aut  montes  conrurrere  montibus  altos , 
n    Tanta  mole  turi  turritis  pappi  bus  instant . 

—  Giù  volar  faci  ,  e  dardi  ,  e  già  funesti 
Vedi  di  nuova  strage  i  mari  sparsi  . 

Virgilio,  V.  Gg'f: 

Il   Stuppea  flanima  tnanu  ,  tcliquc  volatile  ferrurn 
a   Hpargitur ,  arvu  nova  Nctpunìa  cuede  rubescunt  ^ 


LIBERATA    C.  XVI. 

Non  fugge  no  ;  non  tenie  11  fier ,  non  teme 
Ma  segue  lei ,  che  fugge  e  seco  il  tira . 


E  per  terminare  il  parallelo  ^  a  confronto  dei  versi  della  si.  7  ; 

«  Nelle  latebre  fioi  te. 
stanno  i  seguenti  di  Virgilio,  v.  71 1  ,  e  7  i3. 

«    Contra  nutem  maona  mccrentem  torpore  Niliim. 

«  Cocruleum  in  grcinium ,  latcbrusacjuc  jhimina  victos  etc. 
Al  Galileo  sembra  tuttavia  un  po' troppo  ardito  ciò  che  il  Tas- 
so dice  delle  Cicladi ,  e  quel  percuotersi  e  urtarsi  di  navi  finte  e 
■prive  di  moto.  Siccome  però  il  Poeta  non  asserisce  che  assoluta- 
mente le  del  idi  fossero  svelte ,  né  che  le  navi  si  urtassero  ;  ma  a 
meglio  spiegare  l'eccellenza  di  quel  lavoro  soraniamente  meravi- 
glioso, appunto  perchè  fatto  con  arte  magica,  premette  che  dire- 
itti  (  il  che  suona  lo  stesso  che  ti  sembra  )  svelte  not.ir  le  Cicladi 
e  i  monti  coi  gran  monti  iir0irsi:  cosi  bellissimo  e  naturale,  anzi 
che  ardito  ,  dee  dirsi  questo  luogo  ,  e  vero  e  sublime  è  l'entusia- 
smo con  cui  il  Poeta  descrive  lo  stupendo  intaglio.  Né  però  il 
solo  Virgilio  fu  in  queste  ottave  imitato  dal  Tasso,  ma  il  venu- 
stissimo Poliziano  ancora  in  quelle  divine  stanze,  alle  quali  deb- 
be  l'Italiana  Poesia  iu  gran  parte  il  suo  risorgimento  dopo  i  tre 
suoi  primi  lumi  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio .  Il  luog»  del  Poli- 
ziano è  quello  in  cui  egli  prende  a  descrivere  le  porte  e  le  soglie 
della  reggia  di  Venere.  Bellissima  fra  le  altre  è  la  descrizione  di 
una  scultura  rappresentante  la  Dea,  che  nasce  dalle  schiume  d«l 
mare.  Eccone  un  saggio  nella  stan.  100.  e  seg. 
«   Vera  la  schiuma  e  vero  il  mar  direste, 

«  Il  nicchio  ver,  vero  il  soffiar  de' venti. 

«  La  Dea  negli  occhi  folgorar  vedreste, 

«   E  '1  ciel  riderle  attorno  e  gli  elementi: 

«  L'  Ore  premer  l'arena  in  bianche  veste  , 

«  L'aura  increspar  li  crin  distesi  e  lenti. 

«  Non  una,  non  diversa  esser  lor  faccia; 

«   Come  par  che  a  sorelle  esser  confaccia. 
«  Giurar  potresti  che  dell'onde  uscisse 

n  La  Dea  premendo  con  la  destra  il  crino, 

«   Con  l'altra  il  dolce  pomo  ricoprisse; 

tf  E  stampata  dal  pie  sacro  e  divino, 

«  D'erba  e  di  fior  la  rena  si  vestisse; 

«  Poi  con  sembiante  lieto  e  pellegrino 

«  Dalle  tre  Ninfe  in  grembo  fosse  accolta, 

«  E  di  stellato  vestimento  involti ,  ec.  ec.  M. 

St.  6.  ]\on  Jii^ge  no;  non  teme  il  /ler ,  non  teme  ,  ec. 
Ottimamente  dice  tira  :  perchè  scrive  Plutarco,  che  Antonio 
in  quella  sua  vergognosa  fuga  era  da  Cleopatra  ritirato  non  altri- 
menti, che  se  fosse  stato  al  corpo  di  lei  concreato  :  dimosti andò 
esser  vero  quel  che  uno  disse  per  ischerzo ,  che  l'anima  dell  a- 
niante  vive  nel  corpo  di  chi  da  lui  s'ama .  Dice  poi ,  che  rimirava 
le  fuggenti  vele:  intendendo  solamente  della  nave  di  Cleopatra  , 
la  quale  aveva  le  vele  di  porpora:  tome  testifica  Plinio  lib,  jq^ 


5i  L\  GERUSALEMME 

Vedresti  lui  simile  ad  uom  che  freme 

D  amore  a  un  tempo,  e  di  vergogna  e  d' ira, 

Mirar  alternamente  or  la  crudele 

Pugna  eh'  è  in  dubbio ,  or  le  fuggenti  vele . 

VII. 

Nelle  latebre  poi  del  Nilo  accolto 

Attender  pare  in  grembo  a  lei  la  morte; 
E  nel  piacer  d' un  bel  leggiadro  volto 
Sembra  che  il  duro  fato  egli  conforte. 
Di  cotai  segni  variato  e  scolto 
Era  il  metallo  delle  regie  porte. 
I  duo  guerrier ,  poi  che  dal  vago  obietto 
Rivolser  gli  occhi,  entrar  nel  dubbio  tetto . 
vili. 

Qual  Meandro  tra  rive  oblique  e  incerte , 

Scherza  e  con  dubbio  corso  or  cala,  or  monta, 
Queste  acque  ai  fonti ,  e  quelle  al  mar  converte; 
E  mentre  ei  vien ,  se  che  ritorna ,  affronta  : 


cap   i.Ela  medesima  si  addiraandava  Aatonia,  siccome  in  un 
altro  luogo  di  questo  poema  annotai . 

St.  7.  IVe/le  latr'bre  poi  dal  Nilo  accolto  ec. 
Quivi  è  degno  d'  esser  notato  quello  che  racconta  Seneca  : 
cioè,  che  Rabizio  Poeta  in  una  sua  favola  (Tragedia  credo  che 
fusse  )  fingeva  M.  Antonio,  poiché  vide  la  fortuna  esser  cambia- 
ta, ed  a  sé  niente  altro  restare,  che  la  libertà  e  ragione  della 
morte,  e  questa  non  altrimenti ,  che  se  preoccupata  se  l'avesse, 
in  questa  guisa  esclamare  : 

«  Hoc  liabui ,  quodcunque  dedi; 
Tolendo  dire  (com'io  avviso)  che  quello  solamente  avea,  che  in 
quel  suo  crudelissimo  Triumvirato  avea  dato  altrui,  cioè  la  l^ 
berta  del  morire,  avanti  che  da' suoi  ministri  fusse  ucciso.  Le 
quali  parole  è  verisimile  ch'ei  dicesse  quando  se  stesso  uccise  ia 
quel  sepolcro ,  nel  quale  per  fraude  della  sua  Cleopatra ,  che  si 
fingeva  morta,  si  andò  a  mettere.  Gent. 

St.  8.      Qual  Meandro  fra  rive  oblique  e  incerte  ee. 
Ovidio  lib.  8,  Metani,  v.  i63: 

<(   Non  secus  ac  liquidix  Phrygius  Mceander  in  undis 
«   Ludit ,  et  ambìguo  tapsu  rejluitque  Jluitquc , 
«    Occurrensquc  sihi  ventiiras  aspicit  undns  : 
«   Et  mine  adjòntcs,  nunc  ad  mare  versus  apertura 
«    Incertas  exercet  aquas  . 
Da  questo  corso  si  obliquo  ed  incerto,  tutte  le  cose  che  sona  . 


LIBERATA    C.  XVI.  53 

Tali,  e  più  inestricabili,  conserte 
Son  queste  viej  ma  il  libro  in  se  le  impronta. 
Il  libro ,  don  del  mago  ;  e  d' esse  in  modo 
Parla,  die  le  risolve ,  e  spiega  il  nodo. 

IX. 

Poi  che  lasciar  gli  avviluppati  calli, 
In  lieto  aspetto  il  bel  giardin  s'  aperse  : 
Acque  stagnanti,  mobili  cristalli, 
Fior  vari ,  e  varie  piante ,  erbe  diverse , 
Apriche  collinette,  ombrose  valli. 
Selve  e  spelonche  in  una  vista  offerse  ; 
E,  quel  che  '1  bello  e  '1  caro  accresce  all'opre, 


tali  s'addimandano  Meandri:  siccome  nota  Strabone,  ed  in  ogni 
autore  è  lecito  di  vedeìe  .  Gent. 

—  Tali ,  e  più  inestricabili  conserte 
Son  queste  vie . 

Si  fatte  son  queste  vie,  e  cosi  inestricabili  ravvolte  insieme. 
Conserte  è  voce  di  Dante  e  del  Monteniagno,  come  si  notò  nel 
primo  canto,  Goast. 

St.   q.      Acque  stagnanti ,  mobili  cristalli  ec . 

A  me  pare  che  in  tutta  questa  descrizione  non  sia  veruno 
scherzo,  quale  gli  acuti  uomini  v'annotano  e  scherniscono,  ma  che 
il  Tasso  abbia  ottimamente  conseguito  quello  che  Ermogene  c'in- 
segna nei  capitolo  della  dolcezza,  cioè  dieci  è  lecito  di  descrivere  la 
bellezza  d'un  luogo  con  quella  figura  che  Ecphrasis  si  addiman- 
da  ,  e  dipingere  varie  sorte,  alberi  ed  erbe,  e  diverse  specie  di 
acque,  e  simir altre  cose  ,  le  quali  danno  piacere  agli  occhi,  men- 
tre si  rimirano  ,  ed  agli  orecchi  mentre  si  narrano.  E  dà  l'esem- 
pio di  Saffo  ,  la  quale  disse  : 

A'^<^i  (|)fù3wp  vi/uypbv  xfyaSa  Si'uc^uv  ^a>t'va-v, 
cioè:  «  L'acqua  fresca  rende  intorno  per  li  rami  un  dolce  susut- 
(i  ro  »  .  Ora  ognun  sa  che  il  Tasso  non  ha  seguito  iqui  altro  che 
la  dolcezza .  Gekt. 

—  E ,  quel  che  V  bello  e  'l  caro  accresce  all'opre  ce. 
Artificio  d' ogni  artificio,  è  metter  sommo  artificio  in  alcuna 

cosa ,  e  far  che  non  appaja  ;  e  ciò  la  rende  più   bella  e  cara  per 
non  vi  si  scorgere  affettazione.  Guast. 

L'Ariosto  descrive  in  tal  modo,  nd  can.  6,  la  reggia  d' Alcina, 
stan.  ao  e  segg. 

a  Non  vide  né  '1  più  bel ,  né  '1  più  giocondo 
«   Da  tutta  r  aria,  ove  le  penne  stese; 
n  Né,  se  tutto  cercato  avesse  il  mondo, 
«  Vedria  di  questo  il  piìi  gentil  paese; 
«  Ove  dopo  un  girarsi  di  gran  tondo. 


54  LA   GERUSALEMME 

L' arte  che  tutto  fa  ,  nulla  si  scopre  . 

«  Con  Ruggier  seco  il  grande  augel  discese  . 

«  Culle  pianure  e  delicati  colli 

«  Ciliare  acque,  ombrose  ripe  e  prati  molli. 
«  Vaghi  boschetti  di  soavi  allori, 

n   Di  palme,  di  amenissime  mortelle: 

«  Cedri  ed  aranci ,  eh'  aven  frutti  e  fiori 

«  Contesti  in  varie  forme,  e  tutte  belle, 

«  Facean  ripar  ai  fervidi  calori 

«   De'giorni  estivi  con  lor  spesse  ombrelle, 

«  E  tra  quei  rami  con  sicuri  voli 

«   Cantando  se  ne  giano  i  rosignoli. 
«  Tra  le  purpuree  rose  e  i  bianchi  gigli , 

«  Che  tepida  aura  freschi  ognora  serba , 

«  Securi  si  vedean  lepri  e  conigli , 

«  E  cervi  con  la  fronte  alta  e  superba , 

n  Senza  temer  che  aleun  gli  uccida  e  pigli, 

«  Pascano,  o  stiansi  ruminando  l'erba. 

«  Saltano  i  daini  e  i  capri  snelli  e  destri, 

«  Che  sono  in  copia  in  quei  luoghi  campestri. 
Vedasi  ancora  un'altra  simile  e  bellissima  descrizione,  che  fa 
lo  stesso  Ariosto ,  can.  'i\  ,  stan.  49 1  «  segg. 

Pare  però  che  amendue  i  Poeti  imitato  abbiano  in  queste  de- 
scrizioni il  già  lodato  soavissimo  Poliziano.  Tre  sole  stanze  na 
vogliamo  qui  aggiungere,  lasciando  a'iettori  il  farne  «B  piii  lungo 
confronto  delle  altre  ancora,  stan.  70  ,  e  segg. 
«  Vagheggia  Cipri  un  dilettoso  monte, 

«  Che  del  gran  Nilo  i  sette  corni  vede 

«  Al  primo  rosseggiar  dell'orizzonte, 

«  Ove  poggiar  non  lice  a  mortai  piede. 

n  Nel  giogo  un  verde  colle  alza  la  fronte; 

«  Sott'esso  aprico  un  lieto  pratel  siede; 

«  U'scherzando  tra' fior  lascive  aurette, 

o  Fan  dolcemente  tremolar  l'erbette. 
«  Corona  un  muro  d'or  l'estreme  sponde 
,    «  Con  valle  ombrosa  di  schietti  arboscelli, 

»  Ove  in  su'  rami  fra  novelle  sponde 

<f  Cantano  i  loro  amor  soavi  augelli. 

«  Sentcsi  un  grato  mormorio  doll'onde, 

«  Che  fan  duo  freschi  e  lucidi  ruscelli, 

«  Versando  dolce  con  amar  liquore, 

«  Ove  arma  l'oro  de' suoi  strali  Amore. 
«  Ne  mai  le  chiome  del  giardino  eterno 

«  Tenera  brina  0  fresca  neve  imbianca; 

«  Ivi  non  osa  entrar  ghiacciato  verno: 

Il   Non  vento  l'erbe,  o  gli  arboscelli  stanca: 

«   Ivi  non  volgon  gli  Anni  il  lor  quaderno; 

«  Ma  lieta  Primavera  mai  non  manca, 

«  Che  i  suoi  crin  biondi  e  crespi  all'aura  spiega, 

«  E  mille  fiori  in  ghirlandctta  lega,  ce.  ec.  M. 


LIBERATA    C.  XVI.  55 

X. 

Slimi  (  sì  misto  il  culto  è  col  negletto  ) 
Sol  naturali  e  gli  ornamenti  e  i  siti. 
Di  natura  arte  par,  che  per  (lllelto 
L'imitatrice  sua  scherzando  imiti. 
L'aura,  non  eh'  altro  ,  è  della  maga  effetto , 
L'aura  che  rende  gli  alberi  fioriti: 
Co'  fiori  eterni  eterno  il  frutto  dura  ; 
E  mentre  spunta  V  un,  ]'  altro  matura. 

Xi. 

Nel  tronco  istesso  e  tra  l' istessa  foglia 
Sovra  il  nascente  fico  invecchia  il  fico  : 


St.    io xl  mixto  il  culto  è  cui  negletto. 

In  tal  guisa  è  mescolato  l'ornato  con  lo  spregiato,  o  la  coltur:» 
col  dispregio,  che  tu  stimi  ogni  cosa  venir  dalla  natura,  e  nulla 
dall'arte  . 

—  Di  natura  arte  par ,  che  per  diletto 
U  imitatrice  sua  scherzando  irriti  . 
Appare  in  quel  luogo  non  che  la  natura  sia  stata   imitata  dal- 
l'arte, com'ella  suol  fare;  ma  all'incontro  più  tosto  dalla  natura 
l'arte.  In  tal  guisa  dunque  era  ogni   cosa   cnlta,  che  non  parca 
che  potesse  venir  dalla  natura  ,  che  non  suole  far  cose  cos';  ador- 
nate ,  e  pur  con  tutto  quell'ornamento,  era  essa  si  fatta  cl»e  pa- 
rca naturale.  Il  concetto  è  d'Ovidio  in  due  luoghi  nelle  Meta- 
morfosi:   e   dove  dice  Natura;  ludi'utis  opus,  e  al  3  ,  v.  157: 
«    Cujus  in  e.rtremo  est  ani  rum  nemorale  rcccssu 
«   /4rte  lahoratum  nulla  :  siinulaverat  artcrn 
«   Ingenio  natura  suo. 
Ma  qui  si  contiene  c|uel  concetto  di  più  riposto  in  quella  paro- 
la V imitatrice  sua,  volendo  dir  ch'era  allora  iinitante  chi  soleva 
tssere  imitata.  Goast. 

Questi  versi  per  essere  alquanto  duretti  ad  intendersi,  fiu'ono 
cangiati  dal  Poeta  nella  prima  Apologia,  in  questa  guisa: 
«  Beli'  arte  di  naturn ,  ave  a  diletto 
«   jL'  imitatrice  sua  giocando  imiti. 
Nelle  quali  parole  viene  accennata  quella  sentenza,  che  ars  i- 
mitatur  naturam ,  tolta  da  Aristotile  ad  Nicomachum  ne'Morali , 
—    Co' fiori  eterni  eterno  il  frutto  dura,  ec.  Gent. 

Cosi  l'Ariosto  al  canto  io,  mentre  descrive  il  giardino  di  Logi- 
stilla,  alla  stan.  63  : 

«   Ma  quin  era  perpetua  verdura, 
«    Perpetua  la  beltà  de' fiori  eterni. 
Il  che  fu  fatto  ad  imitazion  di  Omero,  come  vedrassi  piii  sot- 
to. Mart. 
St.    1 1.  JVcl  tronco  istesso  e  tra  l' istessa  Joglia  ec, 

G.  LiB.  T.  in.  5 


56  LA  GERUSALEMME 

Pendono  a  un  ramo,  un  con  dorala  spoglia, 
L'altro  con  verde,  il  novo  e  1'  pomo  antico. 
Lussureggiante  serpe  alto  e  germoglia 
La  torta  vite,  ov'  è  più  1'  orto  aprico  : 
Qui  r  uva  ha  in  fiori  acerba,  e  qui  d'  ór  1'  have, 
E  di  pirópo  e  già  di  nettar  grave. 

XII. 

V  ezzosi  augelli  infra  le  verdi  fronde 
Temprano  a  prova  lascivette»note. 
Mormora  1'  aura ,  e  fa  le  foglie  e  V  onde 
Garrir,  che  variamente  ella  pcrcote. 

Tutta  la  presente  stanza  è  da  conferirsi  con  i  versi  di  Ome- 
ro, nel  libro  7,  dell'Odissea,  ove  descrive  l'orto  dc'Feaci.  Nella 
qual  descrizione  siccome  il  Tasso  avea  imitato  Omero,  cos'i  Ome- 
ro (  se  a  Giustino  Martire  vogliamo  dar  fede)  imitò  Moisc  là  do- 
ve il  Paradiso  descrisse.  Nella  imitazione  del  Tasso  è  da  notare 
che  potrebbe  ad  alcuno  parere,  che  non  avesse  prudenteiiK-nle 
lasciato  quel  che  dice  Omero,  uv^Acv  b  ìttÌ  p.>5Xw  ,  cioè  il  melo 
invecchia  sopra '1  melo;  perciocché,  fu  questo  pomo  dedicato  a 
Venere  ,  siccome  l'interprete  di  Teocrito  scrisse  .  Onde  i  poeti  ne 
fanno  spesso  menzione  come  di  cosa  lasciva  ed  amorosa  ,  quali 
sono  tutte  queste  che  il  Tasso  usa  nel  descrivere  il  giardino  di 
Armida  .  Ma  egli  forse  il  lasciò,  o  per  giudiziosa  brevità,  o  per 
onestà  accorta,  sapendo  il  laido  signilicato,  nel  quale  è  solito  di 
prendersi  questo  nome,  sicché  il  volle  ne' seguenti  versi  ricopi  i,g 
sotto  il  nome  generale  di  pomo.  Gent. 

'ilvQx  H  òt'vòprx  juaKpà  TTiCpvnii  Ti^XfS'o'wvTa. , 

EuxaT  Ts  ykVKfpy-l ,  kxì  ìXxToli  riXi^^ó'^cai  . 
Tci'wv  ouTTcrt  Kxpnoi  (X7roA.Xuraj ,  oOS'  iTihn'Trst 
Xii'ixaTOi  ouiV  Sf'pffj  iTTiTì^Gici,  aX\à  juaX'  a.iét 
Zipxjpivj  TTvHaaix  rà  /uÈi/  ^uc( ,  aXXà  ^ì  ttigcììi  . 
'Oy)(\'Vl  ?7r'  óyxyyi  yyipxaxH ,  \x.v\Kov  K  ìtti'  juj^aco  , 
Aùràp  ini  STacpuX^  c7raipuX>j ,  cùxov  5'  ìttÌ  auKcj  . 
Cioè  : 

«  Quivi  gli  alberi  grandi  crescevano  co' rampolli, 
«  Il  pero  ,  il  granalo  e  le  mele  col  bel  frutto, 
«   E  i  fichi  dolci,  e  gli  ulivi  co' rampolli. 
«   Da  questi  non  niai  il  frutto  perisce,  o  manca 
«  D'inverno,  né  di  state,  tutto  l'anno  durando,  ma  sempre 
«    Co'  zefiri  spirando  altri  ne  fa  nascere  ,  ed  altri  maturare. 
«  Il  pero  sovra  il  pero  invecchia  ,  e  il  pomo  sovra  il  pomo , 
«  E  l'uva  sopra  Tura,  e  il  Geo  sovia  il  lieo.  Gvast. 


L  1  B  E  11  A  1  A   C.  XVI.  57 

Quando  laccion  gli  augelli ,  allo  risponde  ; 
Quando  cantan  gli  augei,  più  lieve  scote: 
Sia  caso  od  arie,  or  accompagna,  ed  ora 
Alterna  i  versi  lor  la  musica  óra  . 

XIII. 

Vola  fra  gli  altri  un  che  le  piume  ha  sparte 
Di  color  varj ,  ed  ha  purpureo  il  rostro; 
E  lingua  snoda  in  guisa  larga,  e  parte 
La  voce  sì ,  eh'  assembra  il  sermon  nostro. 
Quest'  ivi  allor  continovò  con  arte 

St.    12.    Quando  taccion  gli  augelli,  alto  risponde ,  ec. 
Tiro  Massimo,  Serni.  87   racconta  di  un  certo  uomo  che  si  di- 
Iettava  di  allevare  animali ,  che  avea  nel  suo  albergo  molti  uc- 
celli di  quelli  che  sogliono  la  mattina  più  dolcemente  cantare  ; 
li  quali  udendo  ogni  giorno  sonare  un  musico  il  flauto,  in  tal  ma- 
niera si  avvezzarono  a  quel  suono,  che  non  prima  quel  musico 
incominciava  il  suo  canto,  che  quelli,  quasi  ammoniti,  a  guisa  di 
coro  non  rispondessero.  E  questo  è  quello   che  dice  il  Tasso  nel 
presente  luogo  .  Al  che  piìi  chiaramente  allude  di  sotto,  dicendo  : 
«    Tacque ,  e  concorde  degli  augelli  il  coro  , 
«    Quasi  approvando  il  canto ,  indi  ripiglia  .  Gent. 

Dante  di  simil  concerto  di  musica  fra  le  foglie  e  gli   augelli 
nel  28  del  Purgatorio: 

«   Ma  Con  piena  letizia  ,  V  ore  prime 

«    Cantando  ,  rice^'eano  intra  le  foglie, 
«    Che  tenevan  bordone  alle  sue  rime.  Gdast. 

St.    i3.    Vola  fra  gli  altri  un  che  le  piume  ha  sparte  ec. 
Ci  descrive  il  pappagallo.  De' quali  si  scrive  ancora  dagli  anti- 
chi che  nelle  Indie  s"  insegnano  da' maestri  a  formare  voci  umane: 
e  che  sono  nell' imparare  percossi  con  una  chiavicella   di  ferro, 
come  scrive  Solino;  ovvero   come  Plinio,  con  un  raggio  di  ferro. 

Gent. 
Il  Sig.  di  Voltaire  chiama  indistintamente  questi  uccelli  r/e*- 
perrocjuets  (pappagalli)  e  piglia  due  sbagli .  i.  Uno  solo  fra  tanti 
uccelli  è  quello  che  parla ,  e  che  potrebbe  e.ssrr  preso  per  un  per- 
roquet .  1.  Egli  non  s'avvide  del  bell'artifizio  che  usò  il  Tasso,  fa- 
cendo a  bella  posta  il  nome  di  quest'uccello  pailante  non  mai  pili 
veduto,  per  renderlo  piìi  maraviglioso,  0  schivare  a  un  tempo 
l'inverisimiglianza  e  forse  anche  il  ridicolo.  C  est  là,  dire  il 
Ba retti,  sa  fa(;on  l'ternelle  de  traduìre  .  ]V|. 

—  E  lingua  snoda  in  guisa  larga , 
Alta  e  chiara . 

— e  parte  . 

Coni  par  te. 

—  Quest'  ivi  allor  continovò  con  arte 
Tanto  il  parlar ,  che  fu  mirabil  mostro  , 


58  LA  GERUSALEMME 

Tanto  il  parlar  ,  che  fu  mirabil  mostro  : 
Tacquero  gli  altri  ad  ascoltarlo  intenti , 
E  fermaro  i  susurri  in  aria  i  venti . 

XIV. 

Deh  mira,  egli  cantò  ,  spuntar  la  rosa 
Dal  verde  suo  modesta  e  verginella^ 
Che  mezzo  aperta  ancora  e  mezzo  ascosa , 
Quanto  si  mostra  men,  tanto  è  più  bella  , 


Il  che  dice  Plinio  ,  loqui  longìori  conte.rfu  :  ove  passiona,  ma  ecco 
le  sue  parole:  1.  io  e.  4'-*"  yl^rippina  conjux  Claiidii  Civsarix  tur- 
dum  Itabuit  (^i),uod  nunqunm  ante)  iinitantetn  sermoncs  hominiim, 
tiim  hcec  prodcrem  .  Hcihebant  et  Ccesares  jiivenes  itein  sturnum  , 
item  luscinias  Qroeco  atque  Latino  sermone  docìles  :  proeterea  me- 
ditantes  in  diem ,  et  assidue  nui'a  ìoqiientcs ,  longìore  etiam  con- 
textu  .  Di  (juesti  miracoli  si  potrebbe  farne  un  giusto  volume. 

GB^T. 

—  Tcicquero  gli  altri  ad  ascoltarlo  intenti  . 
"Virgilio  nel  2  dell'Eneide: 

«    Conticuere  omnes ,  intentique  ora  tenehant . 
St.    14.   Deh  mira  ,  egli  cantò  ,  spuntar  la  rosa 
D  il  verde  suo  modesta  e  verginella  . 
Imitò    leggiadrissimamente    Catullo  in    quei    versi    intitolati; 
Carmen  nuutiaie ,  che  credesi  di  Giulia  e  di  Manlio: 

«    Ut  flos  in  septis  secretus  nasci  tur  ìiortis 

d   Ignatus  pecari ,  nullo  contusus  aratro  , 

«    Quem  mulcent  auroe  ,  .firinat  sol ,  educat  imher  ,  ec. 
I  quali  versi  furono  anche  imitati  dall'Ariosto  al  canto  primo, 
stan.  42: 

«  La  verginella  b  simile  alla  rosa  ,  ec. 
E  mi  pare,  che  nella  descrizione  della  rosa  non  meno  be- 
ne si  sia  portato  il  Signor  Tasso  ,  che  1'  Ariosto:  ancorché  gli 
Accademici  Fiorentini,  con  alcuna  ragione  la  loro  opinione  non 
provando,  abbiano  quella  del  Tasso  biasimata  ,  allegando  solo, 
che  non  vi  calzò  bene  per  epiteto  della  rosa  quella  parola  mode- 
sta; ma  quel  eh' è  bello,  lodano  poi  sommamente  una  stanza  di 
Angelo  Poliziano,  la  quale,  non  che  arrivi  alla  bellezza  di  quella 
del  Signor  Tasso,  ma  né  anche  vi  si  avvicina;  e  patisce  la  mede- 
sima opposizione  :  perchè  dice  : 

«    Trema  lu  m.itnmoletta  verginella 

«    Con  occhi  bassi  onesta  e  vergognosa  , 
Ecco  quell'onesta  ,  che  è  il   medesimo  quasi  che  modesta;  oltre 
ciò  più  sotto  vi  sono  molte  cose,  che  potriansi  contra  detta  stan- 
za dirsi  ,  ma  qui  non  lo  richiede  il  luogo  nò  l'occasione. 

—  Che  mezzo  aperta  ancora  e  mezzo  ascosa  . 
Cosi  l'Ariosto  al  canto  2,  stan.  32: 

<c   Mezzo  scoperto  ancora  e  mezzo  ascoso.  Mart. 


LIBERATA   C.  XVI.  5g 

Ecco  poi  nudo  il  sen  già  baldanzosa 
Dispiega;  ecco  poi  langue  e  non  par  quella, 
Quella  non  par ,  che  desiata  avanti 
Fu  da  mille  donzelle  e  mille  amanti . 

XV. 

giorno 
,^erde 


Così  trapassa  al  trapassar  d' un  gio 
Della  vita  mortale  il  fiore  e  1  v( 


—  Ecco  poi  nudo  il  sen  già  baldanzosa  ec. 

Dispiega  ;  ecco  poi  langue  e  non  par  quella , 
Quella  non  par. 
Grandissimo  effetto  fa  la  repetizione  in  questo  luogo,  e  appor- 
ta notabile  giovamento .  Guast. 

Acconsentirei    a  quelli  i  quali  hanno  ripreso  questo  modo  di 
parlare  ,  e  non  par  quella  :  se  non  vi  fosse  seguita  la  ripetizione 
delle  medesime  parole  ,  la  quale  lo  rende  gentile  ed  onesto  ;  al 
quale  eccotene  uno  simile  in  Orazio.  In  Lycen.  lib.  4  = 
«    Quo  Jugit  Venus  heu?  quove  color  decens  ? 
«e    Quo  motus?  quid  habes  illius  ,  illius, 
«    Quo£  spirabat  amores , 
«    Quoe  me  surpuerat  milii  ec. 
Perchè  sappiam'  ancor  noi  che  ci  suonino  Illa    et  illud  .   Ma 
non  si  riprende  forse  questo  .  Gent. 

St.  i5.  Cosi  trapassa  al  trapassar  d' un  giorno  ec. 
Bellissima  e  proprissima  somiglianza  per  dinotare  la  fragilità 
della  vita  umana,  si  può  veramente  stimare  questa  della  rosa; 
avvegnaché  ella  sotto  si  belli,  freschi  e  vivaci  colori ,  quali  di- 
mostra la  mattina,  in  brevissimo  spazio  d'ore  si  può  vedere  eoa 
tanta  diversità  marcita,  e  guasta  la  sera,  come  nella  vita  nostra 
dalla  gioventù  alla  vecchiezza  si  vede  appunto  avvenire.  Perciò 
servironsene  molti  degli  antichi  Poeti  ;  ed  in  particolare  intorno 
a  ciò  leggesi  quella  bellissima  e  vaghissima  elegia  intitolata  ^o- 
ioe,  la  quale  quantunque  a  Virgilio  fosse  attribuita  prima,  vo- 
gliono tuttavia  alcuni  ch'ella  sia  d'Ausonio;  e  in  essa  fra  gli  al- 
tri sono  c[uesti  versi: 

«   Mtrahar  c.eìerem  fugìtiva  ostate  rapinam  , 
«   Jit  dum  nascuntur ,  consenuisse  rosas. 
E  questi  altri  : 

«    Tot  speries ,  tantosque  ortus ,  variosque  novatus 
«    Una  dies  aperit;  conficit  ipsa  dies . 
E  questi  altri  dappoi  : 

<(    Quiiin  longa  una  dies ,  cetas  tam  longa  rosarum 

a    Quas  puhescentes  junctd  senecta  pre.mit .  GcAST. 

Imitasi  in  questi    versi   la  brevità  della  vita  nostra,  e  per» 
ben  disse  Ovidio: 

«    Tempora  lahuntur  ,  tncitìsqne  senescimus  annis  , 
«   Et  Jugiunt  frano  non  rtinorante  dies  , 
£  Orazio  al  i  dell'  Epistole  : 


6o  LA  GERUSALEMME 

Né ,  perchè  faccia  indietro  aprii  rilorno  ^ 
Si  rinfiora  ella  mai,  ne  si  rinverde. 
Cogliam  la  rosa  in  sul  mattino  adorno 
Di  questo  dì ,  che  tosto  il  seren  perde  : 


a Festinat  enim  deciirrere  velox 

«   Flosculus  angustce  rniserwqut'  brevissirna  vitce 
«   Portio  diim  hibimiia  dtim  serta  ungenta  puellot 
«   Poxcimus  ,  obrtpsit  non  intellecta  senectus . 
Platone  nel  Cratilo  =   A,\\à  a.jTcit.TiX7rpoi.jua,ro(.  w  Tw  -KipiKivt 

W5  iVX\)TOV^QVH    Vi    O'j    Sé    h!l3xifBsQV    à.\Xx    pHC   KXi  (i)fpS(79-£ 

KOLl  ixBiXfcvi  7r«,5575  ©opoi?  HCii  yfVcCSCi  afi .  cioè:  «Ma  le  co- 
«  fift  umane  lianuo  dalli  natura  questo,  che  di  quelle  alcuna  non 
«  è  costante,  ina  ora  niuojono,  ora  nascono,  ora  di  dette  alcuna 
«  se  ne  corrompe,  altre  se  ne  generano.  »  E  Gio.  Antonio  Flami- 
nio al  2  degli  Epigrammi  : 

«   Nostra  l'elutjlorem  cernis  ,  sic  interit  cetas  , 
n   Et  properant  celeri  tempora  nostra  gradu  . 
Ed  al  medesimo  libro  si  ritrova  un  Epitaffio  altresì  leggiadro 
sopra  Camilla  Venerea,  che  comincia: 

a  Nil  stabile,  ac  certuni,  nil  prosunt  forma  decorane , 
a  A't7  cetas ,  ncc  oves  :  hoec  rnpit  fiora  brevis  . 
Quanto  poi  a' poeti  volgari ,  che  di  ciò  trattarono,  tra  gli  altri 
"reggasi  il  Petrarca  al  capo  della  Divinità;  e  al  2  capo  del  TrioH. 
d'Amore;  alla  sestina.  Gioitane  donna.-  e  nella  canzone.  Se  io  cre- 
dessi per:  e  in  quella.  Perchè  la  vita:  e  in  c(ucir altra,  Italia 
m.ia  :  e  al  Sonetto ,  Si  breve  <)  il  tempo  :  e  a  quello ,  //  mal  mi  pre- 
me: a  quello.  La  vita  fugge  :  e  a  quella.  La  bella  donna:  e  il  Sa- 
nazzaro  all'egloga  8.  Quindi  Omero  disse,  che  gli  uomini  erano 
come  le  frondi  degli  alberi ,  e  ciò  dice  al  6  e  al  ai  e  dell'  Iliade  , 
laqual  cosa  fu  anche  detta  da  Mimnermo  : 

A/u.f7p  3'  oloLT  <pvK\oL(^vH  7roXÌxvTi(J.oi  wpij 

Eapo5  t'  01.1^1/  auyjj  olìj^ìtai  y,Xi'is. 
€ioè  : 

«  Noi  siamo  come  frondi ,  che  la  Prima- 
«   vera  fiorita  apporti ,  e  il  Sol  le  scalda  . 
E  dal  divino  Dante  al  26  del  Par- 

«   Che  l'uso  de'  mortali  è  come  fronda 
(.<■  In  ramo,  che  sen  va  ,  e  l' altra  viene.  Mart. 

—  Nò  perchè  faccia  indietro  aprii  ritorno 
Si  rinfiora  ella  mai,  né  si  rinverde. 
Catullo  nel  5  a  Lesbia: 

•<   Soics  occiderc ,  et  redirc  possunt  : 
«  Nobis ,  cum.  semel  ocridit  brevi s  lux, 
'<■   Aox  e.<:t  perpetua  una  dormi enda  . 


LIBERATA   C.  XVI.  6i 

Cogliam  cV  amor  la  rosa  ;  amiamo  or  quando 
Esser  si  puote  riamato  amando  . 

XVI. 

Tacque  ;  e  concorde  degli  augelli  il  coro , 
Quasi  approvando  ;,  il  canto  indi  ripiglia  ; 
Raddoppian  le  colombe  i  baci  loro; 


—    Cogliam  d' amor  la  rosa;  amiamo  or  quando  ec. 
Il  medesimo  appunto  comanda  Mosco: 

2Ip{'p7f T*  rou?  (piXfovTix; ,  l'v  i?v  (ptXsvTf ,  (pfXv^cS^ae . 
Cioè,  «  amate  quelli  che  vi  amano,  acciocché  amando  siate  riama- 
ti ».  E  col  titolo  di  Riamante  compose  Anaxandride  Greco  un  poe- 
ma ,  del  quale  cita  Ateneo  un  non  so  che  detto  delle  colombe,  e 
de' passeri,  de' quali  si  nota  nella  seguente  stanza  . 

— an  iamu  or  quando 

Esser  si  puotc  riamato  amando  . 
Non  nella  vecchiezza  ,  nella  quale  non  si  trovano  riamatori.  Il 
che  nel  suo  Pastor  Fido  leggiadrissimamente,  come  niill'altri  gra- 
ziosi concetti,  espose  in  questo  modo  il  Signor  Cavalier  Guarini: 
«    Godinm. ,  sorella  mia, 
^-^^        «    Gudiam,  che  'l  tempo  vola,  e  posson  gli  anni 
it  Ben  ristorare  i  danni 
«   Della  passata  lor  fredda  vecchiezza  ; 
o   Ma  s'in  noi  giovinezza 
a    Una  folta  si  perde , 
«  Mai  piti  non  si  rim'erde , 
«   Ed  a  canuto  e  lii'ido  sembiante 

u   Ben  può  tornar  amor ,  ma  non  amante  .  GuAST. 

St.    ifì.   Raddoppian  le  colombe  i  bari  loro. 
Fa  speziai   menzione  delle  colombe  :  perchè  passano  tutti  gli 
altri  animali  di  lascivia  nel  baciarsi.  Catullo,  ad  Manlium: 
«   ]\ec  tantum  nù'eo  gavisa  est  ulta  columbu 
fl    Campar  seu  quirquid  dicitur  improbius , 
«    Oscula  mordaci  semper  decerpere  rostro  . 
Onde  Gn.  Mario  formò  quell'avverbio  columhatìm ,  dicendo 
ne' suoi  Mimi: 

«   Simiqiie  amirnm-  recipere  frigidiim  caldo  , 
«    Culumbatiinqiie  lahra  conserens  Inbris  .  ' 

E  per  questo  le  colombe  sono  sacre  a  Venere  ,  il  carro  della 
quale  però  finse  SalFo  poetessa  che  da' passeri,  e  non  dalle  colom- 
be fosse  tirato.  E  di  quelli  forse  intese  Catullo  nel  luogo  di  so- 
pra riferito.  Quello  poi,  che  aggiunge  il  Tasso  delle  querele,  e 
dell'altre  piante  conferiscilo  con  i  vaghissimi  ver.^i  di  Claudiano 
de  Auptiis  Honor.  et  Murice,  i  quali  pili  copiosamente  imitò  egli 
nella  sua  Silvia,  cominciando  ivi  : 

«    Vivant  in  Venererà  frondes .  Gent. 

Opra  e  forza  del  lusinghevol  canto ,  ad  insegnamento  nostro 
che  si  fatte  voci  s' hanno  a  fuggire.  Le  colombe,  animale  lasci- 


6i  LA  GERUSALEMME 

Ogni  anima]  d'  amar  si  riconsiglia  : 

Par  che  la  dura  quercia  e  1  casto  alloro, 

E  tutta  la  frondosa  ampia  famiglia, 

Par  che  la  terra  e  1'  acqua  e  formi  e  spiri 

Dolcissimi  d'  amor  sensi  e  sospiri . 

XVII. 

Fra  melodia  sì  tenera  e  fra  tante 
Vaghezze  alleltatrici  e  lusinghiere  , 
Va  quella  coppia,  e  rigida  e  costante 
Se  stessa  indura  ai  vezzi  del  piacere . 
Ecco  tra  fronde  e  fronde  il  guardo  avante 
Penetra  ,  e  vede ,  o  pargli  di  vedere  ; 
Vede  pur  certo  il  vago  e  la  diletta , 
Ch'egli  è  in  grembo  alla  donna,  essa  all'erbetta, 
xviii. 

Ella  dinanzi  al  petto  ha  il  vel  diviso, 

E  '1  crin  sparge  incomposto  al  vento  estivo  : 


▼  issiino  e  i  un  a  moia  lo  ,  ladiloppiaron  gli  effetti  d' amore;  la  quer- 
cia e  1' alloro  coriLiastaiili  :nl  amore,  l'un   per  la  durezza  iunata, 
l'altra  per  la  castità  famosa  in  Dafne,  della  quale  esso   nacque, 
presi  anch'essi  d'amore,  sospirarono  amorosi  sospiri  . 
—    O^rù  animai  d' ainir  si  riconsiglici . 
Del  Petrarca .  Guast. 

Sr.    I  ^.    Ftjdtì  par  certo  il  ì'as;o  e,  la  diletta  ,  ec. 
Ovidio  per  lo  contrario  fa  che  Venere  sedesse  in  grembo  di  A- 
donc,  e  questi  nell'crb.»  dicemlo  nelle  Mei.  lib.  io,  v.  556: 

« Libet  liar.  reqtiiexcere  tecum 

«   Et  recjuievit  kamo  :  pressitrfue  et  gramen,  et  ipsum. 
«   Inque  sinns  /in\riis  po.ti/u  reri'ic;  rerlivi  . 
Il  Tisso  ha  seguito  quello  che  più   convenevole  gli  è  paruto 
in  questi  due  innamorati,  ed  Ovidio  il  costume  de'suoi  Romani  , 
i  quaii  solcano  le  loro  donne  ed  innamorite  collocare  a  mensa  sì, 
che  essendo  essi  all'usanza  loro  <rntesi  sopra  certi  letticciuoli  in 
terra,  si  prendevano  quelle  nel  luoi;o  di  dentro,  il  che  si  dicca  , 
iniL-riìts  cubare;  onde  avveniva,  che  il  capo  di  quelle  si  richinas- 
se sopra  il  seno  di  loro  .  Gent. 
Ma  il  Tasso  fa  la  situazione  c  positura  di  Armida  e  Rinaldo, 
alquanto  piìi  lasciva,  come  si  può  vedere;  e  ciò  lispetto  al  caldo 
de' piaceri  Venerei ,  de' quali   egli  finge  Armida  infocata  in  (jucl 
tempo,  conc  sestue  appresso  . 

St.    i8.    r.ila  dì  nunzi  al  petto  ha  if  ir'  diviso  ,  ce. 
Descrive  il  semplice  e  negletto  abito  della  lasciva  donna  ncl^ 


LIBERATA    C.  XVI.  Ci 

Langue  per  vezzo ,  e  '1  suo  infiammato  viso 
Fan  biancheggiando  i  bei  siidor  più  vivo . 
Qual  raggio  in  onda,  le  scintilla  un  riso 
Negli  umidi  occhi  tremulo  e  lascivo  . 
Sovra  lui  pende;  ed  ei  nel  grembo  molle 
Le  posa  il  capo,  e  '1  volto  al  volto  attoUe. 

XIX. 

E  i  famelici  sguardi  avidamente 

In  lei  pascendo ,  si  consuma  e  strugge . 


l'ora  della  mattina,  prima  che  allo  specchio  s'abbigliasse  e  «ora- 
ponesse ,  come  segue  a  far  dopoi . 

— e  'l  suo  infiammato  viso 

Fan  hianclieggiando  i  bei  siidor  più  vivo . 
Più  vivo  per  la  comparazione,  od  opposizione  d'un  colore  al- 
l'altro. 

—  Qual  raggio  in  onda  le  scintilla  un  riso 
Negli  umidi  occhi  tremulo  e  lascivo . 

Notabilissimamente  gli   occhi ,  come  parte    molto  spiritosa  e 
mobile  eh' e' sono,  dimostrano  l'inclinazione  e  il  caldo  degli  ap- 
petiti venerei .  Ovidio  nel  secondo  De  arte  amandi ,  v.  721  : 
((   Asjncies  oculos  tremulo  Julgore  micante.r 

«    Ut  sol  in  liquida  soepe  rej'ulget  aqua.  GuAST. 

Altro  intese  Giovenale  ,  quando  e' disse; 
«    Oculosque  infine  trementes : 
ed  altro  il  Petrarca  nella  Canz.  Gentil  mia  donna  ,  dicendo: 
«    Vien  da'  begli  occhi  al  fin  dolce  tremanti 
«    Ultim.a  spene  de' cortesi  amanti  . 
Perchè  Giovenale  intende  cosa  disonesta,  ed  il  Petrarca  a  sen- 
so vago  la  tiasferì  :  siccome  fece  eziandio  in  quell'altro  verso  dei 
medesimo  Poeta  latino: 

«   Et  lassata  l'iris,  nondum  satiata  rccessit . 
Perchè  ei  disse  onestamente  di  se  stesso  : 

«   Stanco  giù  di  mirar ,  non  sazio  ancora. 
Il  medesimo  fece  il  Tasso  in  quel  verso  pur  di  Giovenale,  ove 
dice,  che  furono  alcuni  vestigj  di  pudicizia,  et  sub  Jovg,  sed  Jo- 
ce  nondum  barbato . 

Perchè  ei  disse ,  can.  1  \  : 

«    Giove Jorm-ò ,  ma  Giove  aliar  tonante. 

—  Sovra  liti  pende ,  ed  ei  nel  grembo  molle 
Le  posa  il  capo ,  e  'l  volto  al  volto  estolle . 

St.   19.  £"  i  J iimelici  sguardi  avidamente 

In  lei  pascendo . 
Imita  Lucrezio  ,  ove  parla  di  Venere  e  di  Marte,  che  gli  era  in 
grembo,  nella  invocazione  ,  lib.  i  ,  v   38: 

'< In  j^reminm  qìii  serpe  tuum  se 


64  LA  GERUSALEMME 

S' inchina  ,  e  i  dolci  baci  ella  sovente 

Liba  or  dagli  occhi,  e  dalle  labbra  or  sugge: 

Ed  in  quel  punto  ei  sospirar  si  sente 

Profondo  sì ,  che  pensi  :  or  1'  alma  fugge  , 

E  n  lei  trapassa  peregrina .  Ascosi 

Mirano  i  duo  guerrier  gli  atti  amorosi . 


«  Reiicit  eeterna  devinctus  vulnera  amoris  : 

«  Atque  snnpiciens  terree  cervice  reposta 

a   Pascit  ainore  avidos  inhians  in  te.  Dea,  visus. 

«   Atqiie  ,  tuo  pendens  resupini  spiritus  oris .  Gbnt, 

— si  consuma  e  strugge  . 

Monsignor  della  Casa  ad  Amore  : 

«  A  quella  tua  che  in  un  pasce ,  e  consuma 
«  Esca  fui  preso  . 
E  ben  fa  ritratto  Amore  ond'ei  nacque,  secondo  Platone  ,  cioè 
dalla  povertà  e  abbondanza;  perciocché  quanto  più   ne' suoi  pia- 
ceri si  acquista,  tanto  piii  in  essi  manca,  perchè  tanto  piìi  si  de- 
sidera . 

— e  i  dolci  baci  ella  sovente 

Liba  or  dagli  occhi ,  e  dalle  labbra  or  sugge  . 
Virgilio: 

«    Oscula  libavit  natoc  . 
Voce   accommodatissima  e  appiopriatissima   negli    occhi,  per 
mostrare  il  riguardo  con  che  si  bacia  così  gentil  membro  per  non 
ofTcndcrlo;  non  così  nelle  labbra,  però  di  esse  dice  il  Poeta: 
«   E  dalle  labbra  or  sugge. 
E  Lucrezio  lib.  6,  v.  1 187  : 

«    Qui  tenet  adsuctis  humcctans  oscula  lahris. 
—  Ed  in  quel  punto  ci  sospirar  si  sente 

Profondo  sì,  che  pensi,  or  l' alma  fugge 
E  in  lei  trapassa  peregrina  . 
Mirabile  energia  di  tutta  quest'azione. 

Del  trapasso  dell'anime  dell'uno  amante  nell'altro  son  piene 
tutte  le  poesie  amorose,  e  n'è  in  particolare  quel  bellissimo  epi- 
grimma  attribuito  a  Platone  nella  sua  gioventù,  nel  qual  tempo 
ancora  si  grand' uomo  allo  studio,  e  al  componimento  delle  tra- 
gedie dicono  che  attendesse;  e  dico  cosi  : 

H'XS'cyàp  yitXvjfxuiv  ,  (ai  S<a)3i^0'0|Uf'vi^ . 
Il  quale  con  molta  larghezza,  e  accicscimento  di   concetti  fu 
poi  tradotto  in  latina  da  certo  giovine  appresso  A.  Gelilo,  lib.   ig, 
<ap.  I  1,  in  fjuesto  modo  ; 

«   Dum  semiliulro  suavio 
(I   AJf.um  puellum  snavior  , 
»    Dulcemque  floram  spiritus 
(<   Duco  e.-g  aperto  trainile; 


LIBERATA    C.  XVI.  65 

XX. 

Dal  fianco  dell'amante,  estranio  arnese, 
Un  cristallo  pendea  lucido  e  netto  . 
Sorse ,  e  quel  fra  le  mani  a  lui  sospese , 
Ai  misteri  d' amor  ministro  eletto  : 
Con  luci  ella  ridenti,  ei  con  accese, 


«   Animula  wgra  et  saucia 
«    Cucurrit  ad  lahias  mihi: 
«   Rìctumquc ,  rictu  pervium 
«  Et  labra  pueri  mollìa, 
«   Rimata  it inerì  transitiis  , 
<«    Ut  transilìret  nititur , 
«    Tum  si  morce  quid  plusculce. 
«   Fuixset  in  coita  osculi  j 
«   Amoris  igni  percita 
«    Transisset ,  et  me  linqueret: 
«   Et  mira  prorsum  res  foret 
«    TJt  ad  me  Jierem,  mortuus  , 
«   /id  puerum.  ut  intus  viverem, . 
Ma  piìi  da  vicino  assai,  e  senza  giuata  di  concetto  alcuno,  « 
quasi  parola  per  parola,  come  che  molto  leggiadramente  in  volga- 
re, dal  mio  gentilissimo  Sijj.  Leonardo  Spinosa  del  Signor  Stefan» 
in  questo  modo: 

«    Mentre  dolci  porgea 
«   Al  mio  Agatone  i  baci, 
«   L' anima  in  cima  delle  labra  avea; 
K   Che  di  dolcezza  vinta 

«  Ne  trasse  quasi  al  trappassar  accinta .  GuAST. 

St.  20.  Dal  fianco  dell'  amante  estranio  arnese  ec. 
Di  tale  specchio  si  fa  menzione  da  lui  nelle  sue  Rime  in  un  so- 
MCtto,  del  quale  è  il  primo  verso  quello  che  ha  quivi  usurpato 
«   Ai  misteri  d' amor  ministro  eletto  . 
Simil  cosa  erano  quelle  tavole  amatorie  fatte  di  cristallo,  che 
Cleopatra  soleva  mandare  al  suo  Rinaldo,  cioè  a  Marc' Antonio , 
siccome  si  legge  nella  vita  di  lui  scritta  da  Plutarco.  Gent. 

— .  Sorse . 
Armida ,  per  abbigliarsi ,  e  fecesi  tener  lo  specchio  dal  cava- 
liere . 

—  Ai  misteri  d'  amor  ministro . 

Lo  specchio  ministro  de'misterj  d'amore,  perciocché  dinanzi 
adesso  con  occulta  e  misteriosa  ragione  amorosa  ella  s'adornava 
e  componeva;  è  questo  verso  eziandio  il  primo  d'un  sonetto  del 
medesimo  Poeta  nostro  dove  tratta  un  concetto  simile  al  pre- 
sente. 

—  Con  luci  ella  ridenti. 

Piene  di  letizia  per  l' imperio  in  amore,  come  segue  nell'  altra 
stanza  . 


G6  LA  GERUSALEMME 

Mirano  in  varj  oggetti  un  solo  oggelt«  . 
Ella  del  vetro  a  se  fa  specchio ,  ed  egli 
Gli  occhi  di  lei  sereni  a  sé  fa  spegli . 

XXI. 

L' uno  di  servitù ,  1'  altra  d' impero 

Si  gloria,  ella  in  se  stessa,  ed  egli  in  lei: 

Volgi,  dicea,  deh  volgi,  il  cavaliere  , 

A  me  quegli  occhi,  onde  beata  bei; 

Che  son ,  se  tu  noi  sai ,  ritratto  vero 

Delle  bellezze  tue  gFincendj  miei: 

La  forma  lor ,  le  meravigUe  appieno  , 

Più  che  1  cristallo  tuo ,  mostra  il  mio  seno . 

XXII. 

Deh  !  poi  che  sdegni  me  ,  coni'  egU  è  vago 
Mirar  tu  almen  potessi  il  proprio  volto  : 
Che  '1  guardo  tuo,  eh'  altrove  non  è  pago, 
Gioirebbe  felice  in  sé  rivolto  . 


—   Mirano  in  varj  oggetti . 
La   dolina   nello   specchio,   e    il  cavaliere    negli  ocelli  della 
donna. 

— un  solo  oggetto . 

La  cosa  amata  . 

St.  21.    yol2,i,  direi,  deh  vnl^i  ,  il  cavaliere  ,  ec. 
Simile  a  quel  luogo  di  Dante,  Paiad.  3i  : 

.  «    Volgi.  Beatrice,  volgi  gli  occhi  santi  . 
St.   22.   Che  7  guardo  tuo ,  eh'  altrove  non  è  pago  ec. 
Sentimento  Platonico.  Perchè  si  legge  nell'Alcibiade  priin», 
che  l'occhio  nostro  ha  solamente  un  modo,  per  il  quale   possa 
conoscere  qual'ei  sia:  cioè  il  riguardare  nell'occhio  altrui  ,  ed  ivi 
quasi  in  un  vivo  specchio  se  stesso   conteuiplare  ,  ed   in    quella 
parte  dell' occliio  spicialnientt',  clic  si  addinianda  pupilla,  donde 
si  spicca  la  vista,  e  perciò  dell'altre  è  la  più  iiobil  parte.  Al  qual 
luogo  di  Platone  ebbe  seuzn  tlubbio  riguardo  il  Petrarca ,  nella 
C;iii/,.  Perchè  la  vita,  dicendo: 
«  Luci  beate  e  liete, 

«  Se  non  ch'il  veder  voi  stesse  v' è  tolto: 
u  Ma  quante  volte  a  me  vi  rivolgete, 
«   Conoscete  in  altrui  quel  che  voi  sete. 
Rettamente  dice,  quel  che  voi  sete:  perchè  nello  specchio  li  si 
Jimoslra,  quel  che  pajono,  e  non  quel  che  sono.  Dante  Purg.  19. 
«   Bianco  marmo  era  ,  si  uni  ilo  e  terso , 
«    Ch' i'  mi  spacchiava  in  esso  quale  i' pajo  . 


LIBERATA    C.  XVI  67 

Non  può  specchio  ritrar  sì  dolce  imago; 
Né  in  picciol  vetro  è  un  paradiso  accollo  : 
Specchio  t'  è  degno  il  cielo  ,  e  nelle  stelle 
Puoi  riguardar  le  tue  sembianze  belle, 
xxiii. 
Ride  Armida  a  quel  dir;  ma  non  che  cesse 
Dal  vagheggiarsi,  o  da'  suoi  bei  lavori. 
Poi  clie  intrecciò  le  chiome,  e  che  ripresse 
Con  ordin  vago  i  lor  lascivi  errori. 
Torse  in  anella  i  crin  minuti,  e  in  esse,   • 
Quasi  smalto  sull  òr,  consparse  i  fiori; 
E  nel  bel  sen  le  peregrine  rose 
Giunse  ai  nativi  gigli,  e  "1  vel  compose  . 

XMV. 

Ne  '1  superbo  pavon  sì  vago  in  mostra 
Spiega  la  pompa  dell'  occhiute  piume  ; 


E  però  soggiunse  il  nostro: 

—  Aura  può  specchio  ritrar  sì  dolce  imago  . 

Onde  è,  che  in  vece  di  specchio,  Catullo  disse  in  un  suo  epi- 
gramma,/ma^moiM/T^.  Gent. 

Ma  prima  che  dal  Poeta  nostro,  furon'in  prosa  questi  concetti 
ron  molta  vaghezza,  e  assai  a  lungo  spiegati  da!  Signor  Sperone 
Speroni,  nel  suo  Dialogo  d'Amore. 

St,  33.  Poi  che  intrecciò  le  chiome  ec. 

La  quali  prima  spargeva  incomposte  al  vento. 
— le  pertg  ri  ne  rose  . 

Peregrine  ,  a  differenza  de' gigli  che  v'eran  naturali ,  cciue  se- 
gue nel  verso  appresso: 

—  Giunse  ai  nativi  gigli. 
Alla  bianchezza  naturale  delle  carni. 

— e  7  liei  compose . 

Ecco,  posto  l'ultimo  ornamento,  fornito  tutto  l'abbiglio: 

St.  24.   At'  'l  superbo  pavon  si  l'ago  in  mostra,  eC. 
Claudiano ,  lib.  2,  v.  97:  De  Rupia  Pros. 

«   AfC  tales  volucris  pandit  Jiinionia  pennas ; 
«   Nec  sic  innumeros  arai  mutante  colores 
«   Incipiens  mutatiir  hyems ,  cum  tramite  flexo 
«   Semita  discretis  intervirct  humida  nimbis  .  Guast. 

Dalla  coda  del  pavone  scrisse  Crisippo  lib.  5.  de  Natura,  che 
si  poteva  intendere,  che  la  natura  di  bellezza,  e  di  varietà  insie- 
me si  diletta.  Per  lo  che  (se  crediamo  a  Plutarco)  ci  volle  acci  n- 
nare,  che  il  pavone  è  fatto  perla  coda,  e  non  la  coda  pel  paro- 


68  LA  GERUSALEMME 

Ne  l'Iride  sì  bella  indora  e  iiiostra 

Il  curvo  grembo  e  rugiadoso  al  lume. 

Ma  bel  sovra  ogni  fregio  il  cinto  mostra  , 

Glie  neppur  nuda  lia  di  lasciar  costume. 

Die  corpo  a  chi  non  1'  ebbe ,  e  quando  il  fece, 

Tempre  mischiò,  eh'  altrui  mescer  non  lece. 

XXV. 

Teneri  sdegni ,  e  placide  e  tranquille 
Repulse ,  e  cari  vezzi ,  e  liete  paci , 


ne.  La  qual  sentenza  come  quell  altra  eziandio  del  raedesiino  fi- 
losofo, che  Tuomo  è  utilmente  destato  da' cimici,  ed  ammonito 
da' sorci  ad  aver  cura  alle  cose  sue ,  hanno  fatto  che  io  non  mi  ri- 
da più  di  quel  povero  scolastico,  il  quale  commentando  la  fisi- 
ca, e  vejiuto  a  quel  luogo,  ove  si  dice,  che  noi  siamo  in  certo 
modo  il  fine  delle  cose,  vi  mosse  la  quistione  decimici,  delle 
mosche  e  delle  pulci ,  dalle  quali  siamo  cosi  miseramente  trafit- 
ti ;  e  stato  alquanto  sopra  di  sé  ,  alla  fine  risponde ,  che  la  natuia 
ci  ha  dati  questi  animaletti  per  utile  nostro ,  acciocché  alla  gui- 
sa di  ciriisici  e  di  barbieri  ci  tirano  fuori  il  sangue  corrotto.  A- 
cutezza  d' uomo!  Ma  compensisi  ella  con  questa  bellissima  sen- 
tenza di  Tertulliano  ,  De  Pallio  cap.  3  :  Mutant  et  hestice  prò  ve- 
ste Jormam  ;  qiianquam  et  pavo  piuma  vcstìs  ,  et  quidem  de  cata- 
clitis  ;  imo  omni  conchylio  depres.tior  ,  qua  colla  fio  reni  ;  et  omni 
patagio  inaurati  or ,  qua  terga  fwlgent  ;  et  omni  sy  rinate  solatior, 
(jfua  caudce  j acent;  multicolor,  et  versicolor  ,  qua,  nunquam  i- 
psa,  semper  alia,  etsi  semper  ipsa  quando  alia,  totiens  denique 
mutanda  quotiens  movenda .  Gent. 

—  Nk  V  Iride  sì  bella  indora  e  inostra  . 

L'Iride,  che  noi  chiamiamo  arco  celeste,  appare  avanti  la 
pioggia,  ma  non  si  sovente,  né  meno  si  leggiadra,  come  cjuando 
è  piovuto  ,  perchè  la  vista  si  ribatte  pili  nell'  acqua  ,  che  ncU'  a- 
lia:  appare  (  come  dice  Aristotile)  rpì^Jt^JS,  cioè  di  tre  colori,  di- 
cendo nondimeno  Virgilio  : 

«   Mille  trahit  varios  adverso  smle  colores  .  Mabt. 

—  Die  corpo  a  chi  non  V  ebbe . 

Fece  corporee  cose  incorporee,  come  segue  nella  stanza  ap- 
presso . 

St.   a5.    Teneri  sdegni  ec. 

Questo  è  lo  Cinto  di  Venere,  che  da' Greci  si  dimanda  Crstos , 
ed  è  descritto  da  Omero  nel  decimo  quarto  della  Iliade.  Vedasi 
Claudiano,  ove  descrive  il  monte  di  Venere,  De  Nupt.  Ilonar.  et 
Mar.  \\\:  Et  flccti  faciles  iroc,  GenT. 

E  formato  questo  Cinto  ad  imilazìon  di  quello  di  Venere,  col 
quale  essa  faceva  innamorar  la  gente ,  descritto  da  Omero  nel  i  \ 
dell'  Iliade ,  v.  214  con  queste  parole  . 


LIBERATA    C.  XVI.  69 

Sorrise  parolette ,  e  dolci  slille 
Di  pianto ;,  e  sospir  tronchi ,  e  molli  baci; 
Fuse  tai  cose  tutte,  e  poscia  unille, 
Ed  al  foco  temprò  di  lente  faci; 
E  ne  formò  quel  sì  mirabil  cinto  , 
Di  eh'  ella  aveva  il  bel  fianco  succinto  . 

XXVI. 

Fine  alfin  posto  al  vagheggiar,  richiede 
A  lui  corniate,  e  1  bacia,  e  si  diparte  : 
Ella  per  uso  il  dì  n'esce,  e  rivede 
Gli  affari  suoi,  le  sue  magiche  carte. 
Egli  riman  ;  che  a  lui  non  si  concede 
Por  piede  ,  o  trar  momento  in  altra  parte; 
E  tra  le  fere  spazia  e  tra  le  piante, 
Se  non  quanto  è  con  lei,  romito  amante. 

H',  y.cil  a-TTO  gi^'S'fO'ipiv  f*Xuo"aTo  me^òv  c'/^avra, 
nciitiXcv .  iv^a  U  oi  6tXKTvf(3(a  nùvra  TeruxTc. 
E'vS"'  tvt  jufv  <piXÓT}^i  iv  5'7/j.fpoe,  fv  h""  òoipfqós 
nap'cpac/s  yjT  t'ukt^e  vòov  Trujta  Tr^p  Opcvtovrwv. 

Cioè: 

«   Disse,  e  dal  petto  si  scinse  il  cinto  ricamato 
«   Di  diversi  colori:  quivi  i  vezzi  tutti  erano, 
«   Quivi  l'amore,  il  desiderio,  i  susurri, 
(1   Le  lusinghe  che  rubano  la  mente  eziandio  de' più  saggi. 
Ma   dal  Poeta  nostro,  come  può  osservar  ciascheduno,  è  stato 
migliorato  non  poco,  coU'aggiunta  d'alcune  cose  tralasciate  da 
Omero  ;  le  quali  come  spesso  incontrano  negli  amori ,  cosi  soglio- 
no farsi  assai  più  cari  e  soavi  .  Ma  la  Bnzion  poetica  di  mescolare 
insieme  e  cuocere  al  fuoco  cose  incorporee,  è  eziandio  d'Ovidio 
nel  4  delle  Metamorfosi,  là  ove  di  Medea  ragiona  ,  v.  /199: 
«    ylttiilerut  st'cum  liquidi  quoque  monslra  itncrii  , 
&    Oris  Ccrberci  spumas  ,  et  virus  Echidna;  ; 
«    Erroresqve  vagos ,  cceroeque  ob/ivia  nitnlis, 
«   Et  scehix,  et  lacrymas ,  rabiemque  et  ccrdis  amorem; 
«    Omnia  trita  simul  :  quce  sanguine  mista  recenti 
n    Co.rerat  erre  ca\'o  viridi  versa/ a  cicuta  .  GxJAST. 

E  Virgilio,  lib.  8  ,  v.  i3i,  con  bell'ardimento  assoggettò  alla 
potenza  fabbrile  il  lampo  ,  lo  strepito  ,  la  paura,  lo  sdegno,  e  gli 
impastò,  li  fuse,  e  diede  lor  forma ,  alla  guisa  che  si  fa  della  ma- 
teria : 

«    Fulgures  nunc  terrificos  ,  strepiiiimque ,  metumque 

«   Miicebant  operi  jflnmmisque  sequucibus  irne .  M. 


70  LA  GERUSALEMME 

XXVI!. 

Ma  quando  l'ombra  co'  silenzj  ainiei 
Riippella  ai  furti  lor  gli  amanti  accorti , 
Traggono  le  notturne  ore  felici 
Sotto  un  tetto  medesmo  entro  a  quegli  orti. 
Or,  poi  che  volta  a  più  severi  uffici 
Lasciò  Armida  il  giardino  e  i  suoi  diporti, 
I  duo,  che  tra  i  cespugli  eran  celati , 
Scoprirsi  a  lui  pomposamente  armati . 

XXVIII. 

Qual  feroce  destrier ,  eh'  al  faticoso 
Onor  dell'  arme  vincitor  sia  tolto  , 


St.    27.   Ma  quando  V  ombra  coi  silenzj  arnici 

Rappella  ai  furti  lor  gli  amanti  accorti. 

Forse  ad  imitazione  di  Catullo  nel  vii  ad  Lesbiam: 
«   Aut  cum  sydera  multa  ,  cum  tacet  nox 
«  Furtivos  hominum  vident  amores , 

E  Tibullo  disse  1 

«    Veneris  per  dulcia  furia  . 

E  l'Ariosto,  al  canto  14,  stan.  99: 

«  E  per  quant'  occhi  il  del  le  furtìv'  opre 
«   Degli  amatori  a  mezza  noti  e  scopre . 


Mart. 


St.  28.    Qual  feroce  destrier ,  eh' al  faticoso 
Onor  dell'  arme  vincitor  sia  tolto  . 
Comparazione  simile  in  alcuna  parte  k  quella  d'Ovidio  nel  3 
delle  Trasformazioni,  v.  704: 

«    Ut  frem.it  acer  equus ,  cum-  bellicus  cere  canoro 
«  Signa  dedit  tubicen  ,  pugncecjiie  assumit  amorem  . 
E  meravit^liosa  a(lin  di  mettere  innanzi  agli  occhi    lo  stato  di 
Rinaldo  caduto  in  quelle  lascivie,  ed  allora  sorgeutene;  il  che  e- 
ra  tutto  il  proponimento  del  Poeta . 

«   E  s'aguzza  dell'ira  all'aspra  cote  .  GuAST. 

Ma  il  Tasso  non  solo  alla  natura  del  cavallo  ha  riguardo ,  ma 
eziandio  alla  consuetudine,  la  quale  ha  tanta   forza   in    essi  che 
li  fanno  infino   a  sognare  la  battaglia  e  l'arringo,  ed  afTaticar  Ir 
membra,  come  se  presenti  vi  fossero,  e  contendessero  della  pal- 
ma, siccome  scrive  Lucrezio  .  Ma  io  non  mi  dubito,  che  il  Tasso 
imiti  quel  luogo  di  Valerio  Fiacco,  lib.  2.  Argonaut.  v.  385: 
«    Haud  sccus  /Esoiiides  moni/is  accensus  amaris  , 
n    Quam  bellator  equus ,  longa  quem  frigida  pace 
«    Terra  juvat ,  brevis  in,  Icevos  piger  angitur  orhes  : 
«   Frena  tainen  dominumqne  velit,  si  Martius  aiires 
«   Clamor ,  et  obliti  rursus  fragor  inplcat  ueris .        Gent. 


L  IHER  AT  \    C.  XVL  yt 

E  lascivo  marito,  in  vii  riposo 
Fra  gli  armenti  e  ne' paschi  erri  disciolto; 
Se  '1  desta  o  suon  di  tromba ,  o  luminoso 
•    Acciar,  colà  tosto  annitrendo  è  volto: 
Già  già  brama  1'  arringo,  e  l'uom  sul  dorso 
Portando,  urtato  riurlar  nel  corso: 

XXIX. 

Tal  si  fece  il  garzon,  quando  repente 

Dell'  arme  il  lampo  gli  occhi  suoi  percosse  . 
Quel  sì  guerrier,  quel  sì  feroce  ardente 
Suo  spirto  a  quel  fulgor  tutto  si  scosse  y 
Benché  tra  gli  agi  morbidi  languente, 
E  tra  i  piaceri  ebro  e  sopito  ei  fosse . 
Intanto  Ubaldo  oltra  ne  viene  ;  e  '1  terso 
Adamantino  scudo  ha  in  lui  converso . 

XXX. 

Egli  al  lucido  scudo  il  guardo  gira  ; 

Onde  si  specchia  in  lui  qual  siasi,  e  quanto 
Con  delicato  culto  adorno  spira 
Tutto  odori  e  lascivie  il  crine  e  '1  manto; 
E  '1  ferro,  il  ferro  aver,  non  eh'  altro,  mira 
Dal  troppo  lusso  eft'eminato  accanto  : 


St.  29.   Quel  sì  guerrier ,  quel  si  feroce  ardente  ee. 
Par  che  imiti  que' versi  di  Ovidio,  ne'qnali  si  vanta  Ulisse  di 
aver  collo  splendore  dell'arme  ritratto  Achille  lucri  del  serraglio 
del  Re  di  Lidia  .  Lib.  i3  ,  Metam.  v.  164  : 

«   ^rma  ego  Jemincis  .  animum  moturn  virilem 
«  Mercibus  inseriti;  ncque  adliuc  projecerat  licros 
*    Virgineos  hahitns,  cum  pnrmnm  hastdfnquc  tenenti , 
«  Nate  dea,  dixi ,  tihi  se  peritura  resenant 
«   Pergama ,  quid  dubifns  ingentein  evertere  Trnjam.  ? 
I  quali  duo  ultimi  versi  sono  d  un  medesimo  sentimento  eoa 
«|uei  del  Tasso  nella  st.  33  ; 

« e  Z'  empia  setta , 

«    Che  già  crollasti ,  a  terra  estinta  rada 
n   Sotto  r  inevif  abile  tua  spada  .  Gewt. 

St.  3o.  Egli  al  lucido  scudo  il  guardo  gira;  ee. 
Queste  ottave,  nelle  quali  il  Poeta  descrive  l'effeminato  ve.stip 
di  Rinaldo,  il  rossore  e  il  pentimonto  del  "iovine  eroe,  vo!;liouo 
esser  confrontate  con  quelle  dell'Ariosto,  e.  7,  st.  53  e  segg.  M. 
G.  Lib.  t.  hi.  6 


rji  LA  GERUSALEMME 

Guemito  è  sì,  ch'inutile  ornamento 
Sembra,  non  militar  fero  instrumento, 
xxxr. 
Qual  uom  da  cupo  e  grave  sonno  oppresso 
Dopo  vaneg.^iar  lungo  in  sé  riviene; 
Tcile  ei  tornò  nel  rimirar  se  stesso: 
Ma  se  stesso  mirar  già  non  sostiene. 
Giù  cade  il  guardo;  e  timido  e  dimesso 
Guardando  a  terra  la  vergogna  il  tiene . 
Si  chiuderebbe  e  sotto  il  mare,  e  dentro 
Il  foco ,  per  celarsi ,  e  giù  nel  centro . 

XXXII. 

Ubaldo  incominciò  parlando  allora  : 

Va  r  Asia  tutta  e  va  1'  Europa  in  guerra  : 
Chiunque  pregio  brama,  e  Cristo  adora. 
Travaglia  in  arme  or  nella  Siria  terra  : 
Te  solo,  o  figlio  di  Bertoldo  ,  fuora 
Del  mondo,  in  ozio,  un  breve  angolo  serra 
Te  sol  dell'  universo  il  moto  nulla 
Move,  egregio  campion  d'  una  fanciulla. 

XXXIII. 

Qual  sonno  ,  o  qual  letargo  ha  sì  sopita 
La  tua  virtute?  o  qual  villa  1' alleila? 
Su  su  :  te  il  Campo  e  te  Goffredo  invita  : 
Te  la  fortuna  e  la  vittoria  aspetta  . 

.    Vieni ,  o  fatai  guerriero ,  e  sia  fornita 
La  ben  comincia  impresa  ;  e  1'  empia  setta , 


St.  33.  Qual  sonno ,  o  qual  letargo  ha  si  sofjifa 
//rt  tua  virtute?  o  qual  viltà  l' allftfa  ? 
Il  letargo  è  una  necessità  di  dormire,  dalla  quale  astreUi  noB 
la  potiamo  schifare;  cosi  si  trova  appresso  Celso  al  c:ip.  io  del  3. 
11  letargo  è  ancora  una  infirmità,  la  quale  viene  a  chi  inanijia 
troppo  Ocymo  (/v/.vi7jro)  ,  come  bene  dice  Plinio  al  cap.  \i  del 
20  lil).  come  pure  se  c;ìi  ammalati  mansiano  uve  nuove  (  lib.  a3  , 
e.  I  ).  Del  Letargo  parlò  Ippocrate  ali  Aforismo  20  del  7  lib.  La 
medesima  voce  fu  usata  dal  Petrarca  al  capitolo  del  Tempo: 

«  Da  un  grava  e  murtijt.ro  letargo .  Mari. 


LIBERATA    C.  XVI.  7 

Che  già  crollasti ,  a  terra  estinta  cada 
Sotto  r  inevitabile  tua  spada . 

XXXIV. 

Tacque:  e  '1  nobil  garzon  restò  per  poco 
Spazio  confuso ,  e  senza  molo  e  voce . 
Ma  poi  che  die  vergogna  a  sdegno  loco , 
Sdegno  guerrier  delia  ragion  feroce^ 
E  eh'  al  rossor  del  volto  un  novo  foco 
Successe  j  che  più  avvampa  e  che  più  coce, 
Squarciossi  i  vani  fregi,  e  quelle  indegne 
Pompe,  di  servitù  misere  insegne: 

XXXV. 

Ed  affrettò  il  partire,  e  della  torta 
Confusione  uscì  del  laberinlo. 
Intanto  Armida  della  regal  porta 
Mirò  giacere  il  fier  custode  estinto . 


—  Sdegno  guerrier  della  ragion  feroce  . 

Sentenza  di  Platone,  il  quale  in  più  luoj^hi  scrive,  che  lo  sdf- 
j»no  è  dato  dalla  natura  all'uomo  per  soccorrere  la  ragione  contra 
le  cupidigie,  e  perciò  lo  compara  al  cane ,  il  quale  dia  soccorso  al 
pastore  incontro  alle  fiere  che  l'assalissero .  Gekt. 

St.  34 "'^  novo  foco 

Successe . 
Cioè  il  desiderio  della  gloria.  Gcast. 

St.  35.   Ed  affrettò  il  partire  ,  e  della  torta  ec. 
Qui  pare  che  il  Poeta  nostro  si  contradica,  perchè  di  sopra  a- 
vea  detto  alla  stanza  16  del  medesimo  canto,  che  Rinaldo 
«   Himan;  che  a  lui  non  si  conced-j 
n    Por  orma,  o  trar  momento  in  altra  parte. 
E  pur  quivi  senza  altro  dice,  che  si  partì  frettolosamente;   al 
che  credo  si  possa  così  rispondere:  che  Armida  la  mattina  subito 
levata  giva  a  rivedere  le  carte  magiche,  e  che  ogni  giorno  l'incan- 
tava; ma  essendo  stati  nascosi  Ubaldo  e  Carlo  fin  che  Venne  il 
nono  giorno,  come  si  dice  al  canto  i5  ,  stan.  \'] ,  ed  essendosi  e- 
glino  scoperti  avanti  che  ella  lo  avesse  incantato,  segue,  che  per 
quel  di  nel  quale  si  parti ,  non  fossi  incantato  ,  né  perciò  impe- 
dito nel  partire.  Marx. 

—  Intanto  Armida  della  regal  porta  ec. 

Qui  non  è  altrimenti  peccato  di  memoria  ,  coin'  hanno  pensato 
alcuni ,  se  ben  1'  uccision  del  mostro  qui  accennata  ,  che  si  legge- 
va prima  in  questo  poema,  è  stato  dall'Autore  tolta  via;  avvegna- 
ché non  tutto  quello  che  di  necessità  va  innanzi  ad  una  cosa,  la 
quale  si  fa  dal  poeta  succedere  da  poi,  è  di  mestieri  che  da  lui 


74  LA  GERUSALEMME 

Sospettò  prima,  e  si  fu  poscia  accorta 
Ch'  era  il  suo  caro  al  dipartirsi  accinto  : 
E  '1  vide  (  ahi  fera  vista!  )  al  dolce  albergo 
Dar  frettoloso  fuggitivo  il  tergo . 

XXXVI. 

Volea  gridar:  dove,  o  crudel,  me  sòia 

Lasci?  ma  il  varco  al  suon  chiuse  il  dolore; 

Sì  che  tornò  la  flebile  parola 

Più  amara  indietro  a  riin])ombar  sul  core . 


sia  stato  spiejrato  prima;  ma  si  suppone  molte  volte  per  se;^uito  , 
senza  che  il  poeta  l'abbia  detto.  Ecco  Virgilio  nell'ottuo  dell'E- 
neide, mentre  erano  a  ragionamento  Enea  ed  Evandro,  Unge  che 
all'improvviso  apparisse  un  lampo,  ed  insieme  s'udissero  tuoni, 
i  quali  più  volte  risuoiiassero ,  vedendo  eglino  nel  medesimo 
tempo  risplendere  al  sereno  alcune  armi ,  di  che  rimanendo  istu- 
piditi gli  altri ,  dice  il  Poeta  ,  che  conobbe  Enea  lo  strepito  e  le 
promesse  di  sua  madre;  e  cosi  seguita  di  fargli  raccontare  ad  E- 
vandro,  come  gli  aveva  promesso  Venere,  che  venendo  il  bisogno 
essa  gli  manderebbe  per  soccorso  armi  fabi)ricale  da  Vulcano  :  e 
pure  di  simile  promessa  niuna  menzione  s'eia  fatta  innanzi.  Nel 
medesimo  modo  l'istesso  Poeta  nel  io  fìnge  che  le  ninfe,  che  ta- 
li, di  navi  ch'erano,  poco  innanzi  erano  divenute,  incontrando 
pei'  viaggio  Enea,  il  quale  veniva  da  Evandro  e  da  Tarconte,  gli 
diano  novella  delle  cose  sue,  e  di  Ascanio  suo  ligliuolo  ,  dicendo- 
gli come  i  cavalli  d'Arcadia,  insienje  co' Toscani ,  s'eran  fermati 
ne'luoghi  comandati  loro  a  far- le  difese;  e  pur  di  tal  cotnanda- 
mento ,  e  della  loro  gita  a  simil  opra,  nulla  si  era  detto  innanzi. 
Per  l'istessa  maniera  Claudiano  nell'ultima  pirle  (Ud  priujo  libro 
del  Rapimento  di  Proserpina,  avendo  detto  come  Venere  e  Paila- 
de  per  comandamento  di  Giove  andate  a  tro\ar  Proserpina  per 
recar  ad  effetto  il  matrimonio  con  Plutone,  erano  arri\at(!  nella 
casa  di  lei,  ed  essa  vedutele,  era  venuta  per  vergogna  verdi jglia; 
soggiunge  che  già  Plutone  s'apparecchiava  d'ami. ir  ui  Sicilia  a 
rapirla  secondo  l'avviso  avuto  dal  fratello;  e  pur  di  tale  avviso 
non  aveva  fatto  parola  innanzi.  Perchè  si  può  concludere  dall'  e- 
sempio  di  cosi  pregiati  poeti,  che  senza  biasimo  alcuno  ha  |)otulo 
il  Poeta  nostro  in  questo  luogo  far  menzione  d(d  mostro  guardia- 
no della  porta  ucciso,  e  non  aver  dell'uccisione  fatta  prima  .-nea- 
zione  alcuna.  Giìast. 

St.   30.    Si  che  torri.)  la  Jlchile  parola 

Pih  ainariL  indietro  a  rimbomhar  sul  corr . 
Simile  è  quel  di  Dante  ,  Infcr.  33,  dove  parla  dei  traditori  fitt,i 
Bel  ghiaccio: 

«    Lo  pianto  ,\ti..\sa  li  pianger  non  lasria, 

«    E  'L  diiol  clic  trov'  in  su  gli  ardii  riritopuo 
«  6i  voIk'o  in  entrò  a  far  crescer  (ambascia  ^ 


LIBERATA    C.  XVI.  73 

Misera  !  i  suoi  diletti  ora  le  invola 
Forza  e  saper  del  suo  saper  maggiore  : 
Ella  se  '1  vede,  e  in  van  pur  s'  argomenta 
Di  ritenerlo ,  e  1'  arti  sue  ritenta . 

XXXVII. 

Quante  mormorò  mai  profane  note 
Tessala  maga  con  la  bocca  immonda, 
Ciò  che  arrestar  può  le  celesti  rote, 
E  r  ombre  trar  della  prigion  profonda  , 
Sapea  ben  tutto  ;  e  pur  oprar  non  puote 
Gli'  almen  l' Inferno  al  suo  parlar  risponda. 
Lascia  gl'incanti,  e  vuol  provar  se  vaga 
E  supplice  beltà  sia  miglior  maga . 


E  prima  d'ambedue  aveva  sc.titto  Ovidio  nel  libro   i3  delle 
Trasloriuazioni,  v.  538: 

«    Troades  e.rclamant:  ohmutuìt  ili  a  dolore , 
«    Et  paritcr  vccem ,  lacrymasque  introrsus  obortns 
«    Uevorat  ìpse  dolor. 
Al  qual  luogo  di  Ovidio  ebbe  forse  riguardo  Seneca  nelle  Con- 
troversie, ove  dice:    Premo  interim  gtmitus   meos ,   et  introrsus 
hcerentes  ìacrimas  ago  .  Di  qui  si  coBosca  esser   probabile  la   e« 
mendazionc  di  Rob.  Tizio,  che  legge,  arentes .  Gent. 

St.   3j.    Quante  mormorò  m-ui  profane  note 

Tessala  maga  Con  la  bocca  immonda 
Allude  al  proverbio ,  Tessala  rnulier  (  secondo  penso  )  ,  detto  di 
coloro  che  sono  celebri  neU'arte  magica;  o  per  essere  i  paesani 
di  Tessaglia  in  quell'arte  dottissimi,  o  per  essere  stata  di  lov 
nazione  Medea  cosi  rara  maga,  come  dice  Strabone  al  primo  in 
due  luoghi,  e  Plinio  al  capo  i  del  lib.  ■>.'S  ;  della  quale  ,  e  delle  sue 
incantazioni,  sì  fra  gli  antichi  che  fra  i  moderni  sono  state  fatte 
varie  tragedie .  Mart. 

—  .  , e  pur  oprar  non  puote 

Ch' almen  l' Inferno  al  suo  parlar  risponda. 

No  '1  permetteva  Iddio ,  per  cui  commissione  si  faceva  la  ri- 
chiamata di  Rinaldo.  GUAST. 

—  Lascia  gli  incanti ,  e  vuol  provar ,  se  vaga. 
E  supplire  beltà  sia  miglior  maga . 

Questo  è  quello  che  disse  Olimpia  madre  di  Alessandro  Magno 
verso  (li  una  donna  Tessala  ,  la  quale  era  sospetta  ,  che  per  in- 
canti constringesse  Filippo  marito  di  essa  neU'amor  suo.  Perchè 
avutala  nelle  mani  subito  che  il  bel  viso  e  le  gentili  maniere 
sue  vide  ;  Cessino  omai ,  disse ,  le  calunnie ,  01«ppia  :  queste  sono 
le  rtìaghe,  questi  i  veleni .  Gb>t. 


rCi  LA  GERUS  ALEMMR 

XXXVIII- 

Corre ,  e  non  ha  d'  onor  cura  o  ritegno . 
Ahi  dove  or  sono  i  suoi  trionfi  e  i  vanti? 
Costei  d'  Amor,  quanto  egli  è  grande,  il  regno 
Volse  e  rivolse  sol  col  cenno  innantij 
E  così  pari  al  fasto  ebhe  lo  sdegno , 
Che  amò  d'  esser  amata ,  odiò  gli  amanti  : 
Sé  gradì  sola,  e  fuor  di  se  in  altrui 
Sol  qualche  effetto  de'  begli  occhi  sui . 
xxxix 

Or  negletta  e  schernita ,  e  in  abbandono 
Rimasa ,  segue  pur  chi  fugge  e  sprezza  ; 
E  procura  adornar  co'  pianti  il  dono 
Rifiutato  per  se  di  sua  bellezza. 
Vassene:  ed  al  pie  tenero  non  sono 
Quel  gelo  intoppo  e  quell'  alpina  asprezza  ; 
E  invia  per  messaggieri  innanzi  i  gridi: 
Ne  giunge  lui  pria  eh'  ei  sia  giunto  ai  lidi . 

XL. 

Forsennata  gridava:  o  tu,  che  porte 
Teco  parte  di  me ,  parte  ne  lassi , 
O  prendi  1'  una,  o  rendi  V  altra,  o  morte 
Dà  insieme  ad  ambe  :  arresta,  arresta  i  passi. 
Sol  che  ti  sian  le  voci  ultime  porte, 
Non  dico  i  baci  :  altra  più  degna  avrassi 
Questi  da  le:  che  temi,  empio,  se  resti? 
l'otrai  negar,  poiché  fuggir  potesti. 

XLf. 

Dissegli  Ubaldo  allor  già  non  conviene. 
Che  d'  aspettar  costei,  signor,  ricusi  : 


oT.   38.   Cli  amò  d' esser  amnta,  odiò  gli  amanti  . 
Alterezza  mescolata  con  compiacimento  delle  bellezze  piojuie  . 
Il  Petrarca  di  Laura  disse  cosi  : 

«  Ed  Ila  si  eguale  alle  bellezze  orgoglio, 

«    C/i«  di  piacer  altrui  par  che  le  tpiaccia  .  Gvast. 


LIBERATA   C.  XVI.  77 

Di  beltà  armata  e  de'  suoi  preghi  or  viene 
Dolcemente  nel  pianto  amaro  infusi. 
Qual  pili  forte  di  te  ,  se  le  Sirene 
Vedendo  ed  ascoltando  a  vincer  t' usi  ? 
Così  ragion  pacifica  reina 
De'  sensi  tassi ,  e  se  medesma  affina. 

XLII. 

Allor  ristette  il  cavaliero  :  ed  ella 
Sovraggiunse  anelante  e  lagrimosa  ; 
Dolente  sì ,  che  nulla  più;  ma  bella 
Altrettanto  però,  quanto  dogliosa. 
Lui  guarda ,  e  in  lui  s'  affisa  ,  e  non  favella: 
O  che  sdegna,  o  che  pensa  ,  o  che  non  osa. 
Ei  lei  non  mira;  e  se  pur  mira,  il  guardo 
Volge  furtivo,  e  vergognoso  e  tardo. 

XLIII. 

Qual  musico  gentil,  prjma  che  chiara 
Altamente  la  lingua  al  canto  snodi, 
All'  armonia  gli  animi  altrui  prepara 
Con  dolci  ricercale,  in  bassi  modi; 
Così  costei ,  che  nella  doglia  amara 
Già  tutte  non  oblia  l' arti  e  le  frodi , 
Fa  di  sospir  breve  concento  in  prima. 
Per  dispor  1  alma,  in  cui  le  voci  imprima . 


St.  4'-    Qual  più  forte  dì  te  ,  se  le  Sirene. 
Questo  fu  il  consiglio  Ji  Omero,  per  il  quale  fece  che  Ulisse 
solo  tra  suoi  compagni  non  s'incerasse  l'orecchie,  ma  intendesse 
il  canto  delle  Sirene.  Laonde  si  dice  da  Dante,  Purg.  3i  : 
a    Tutt<n>ia  perchè  me'  vergogna  porte 
«   Del  tuo  errore ,  e  perchè  altra  volta 
a    Vedendo  le  Sirene  sii  più  forte  . 
Dice  poi  il  Tasso,  ajinn  ;  perciocché  siccome  l'oro  si  purga  ed 
affina  nelle  fiamme:  cosi  la  lagione  nostra  nelle  passioni. 
St.   42.  Dolente  gì ,  clu:  nulla  più:  ma  bella  ec. 
Ovidio  lib.  7,  Metara.  v.  ^io: 

«    Tristis  erat  ;  sed  nulla  tamen  Jormosior  illa 
n    Esse  potest  tristi.  Gent, 

—  Lui  guarda  ,  e  in  lui  s' affisa  ,  e  non  favella  ■ 
Ei»ergia  mirabile.  Goast, 


7»  LA  GERUSALEMME 

XLIV. 

Poi  cominciò  :  non  aspettar  ch'io  preghi, 
Crudel,  te,  come  amante  amante  deve  : 
Tai  fummo  un  tempo;  or  se  tal  esser  neghi, 
E  di  ciò  la  memoria  anco  t'  è  greve, 
Come  nemico  almeno  ascolta  :  i  preghi 
D'  un  nemico  talor  1'  altro  riceve. 
Ben  quel  eh'  io  chieggio  è  tal ,  che  darlo  puoi 
E  inte'gri  conservar  gli  sdegni  tuoi . 

XLV 

Se  m'  odii ,  e  in  ciò  diletto  alcun  tu  senti , 
Non  ten  vengo  a  privar  :  godi  pur  d'  esso; 
Giusto  a  te  pare,  e  siasi .  Aneli  io  le  genti 
Cristiane  odiai,  noi  nego  ,  odiai. te  stesso  . 
iVacqui  Pagana:  usai  varj  argomenti, 
.  Che  per  me  l'osse  il  vostro  imperio  oppresso  : 
Te  perseguii ,  te  presi ,  e  te  lontano 
Dall'  arme  trassi  in  loco  ignoto  e  strano  . 

XLVI. 

Aggiungi  a  questo  ancor  quel  eh'  a  maggiore 
Onta  tu  rechi  ed  a  maggior  tuo  danno  : 
T'ingannai,  t'allettai  nel  nostro  amore; 
Empia  lusinga  certo ,  iniquo  inganno  , 
Lasciarsi  córre  il  verginal  suo  fiore , 
Far  delle  sue  bellezze  altrui  tiranno  ; 
Quelle,  eh' a  mille  antichi  in  premio  sono 
Negate,  offrire  a  novo  amante  in  dono. 
xLvn. 

Sia  questa  pur  tra  le  mie  frodi,  e  vaglia 
Sì  di  tante  mie  colpe  in  le  il  difetto, 
Che  tu  quinci  ti  parta ,  e  non  ti  caglia 
Di  questo  albergo  tuo  già  sì  diletto. 
Vattene;  passa  il  mar,  pugna,  travaglia, 
Struggi  la  Fede  nostra  :  anch'io  t'  affretto  . 
Che  dico  nostra?  ah  non  più  mia!  fedele 
Sono  a  te  solo  ,  idolo  mio  crudele. 


LIBERATA   C.  XYI.  79 

XLVIH. 

Solo,  ch'io  segua  te,  mi  si  conceda; 
Picciola  fra'  nemici  anco  richiesta . 
Non  lascia  indietro  il  predator  la  preda, 
Va  il  trionfante,  il  prigionier  non  resta. 
Me  fra  1'  altre  tue  spoglie  il  campo  veda , 
Ed  all'  altre  tue  lodi  aggiunga  questa  , 
Glie  la  tua  schernitrice  abbia  schernito, 
Mostrando  me,  sprezzata  ancella,  a  dito. 

XLIX. 

Sprezzata  ancella,  a  chi  fo  più  conserva 
Di  questa  chioma,  or  eh'  a  te  fatta  è  tile? 
RaccorcieroUa  :  al  titolo  di  serva 
Vuo'  portamento  accompagnar  servile . 
Te  seguirò ,  quando  1'  ardor  più  ferva 
Della  battaglia,  entro  la  turba  ostile. 
Animo  ho  bene ,  ho  ben  vigor  che  baste 
A  condurti  i  cavalli ,  a  portar  l' aste . 

L. 

Sarò  qual  più  vorrai,  scudiero  o  scudo: 
Non  fia  eh'  in  tua  difesa  io  mi  risparmi. 
Per  questo  sen ,  per  questo  collo  ignudo , 
Pria  che  giungano  a  te,  passeran  l'armi. 
Barbaro  forse  non  sarà  sì  crudo. 
Che  ti  voglia  ferir,  per  non  piagarmi; 
Condonando  il  piacer  della  vendetta 
A  questa  ,  qual  si  sia,  beltà  negletta . 

LI. 

Misera  !  ancor  presumo  ?  ancor  mi  vanto 
Di  schernita  beltà  che  nulla  impetra  ? 
Volea  più  dir  ;  ma  l' interruppe  il  pianto , 
Che  qual  fonte  sorgea  d' alpina  pietra . 


St.  48.   Picciola  fra  nemici  anco  ricJiiestii , 
Apposizione.  Quello  eh'  io  ti  dimando  «  picciola  lidiicsla  e- 
ziasdlo  fra  quelli  ehe  sono  inimifti.  Cvasx. 


8i.  L\  GEKUSALtlMME 

Prendergli  cerca  allor  la  destra  o   1  manto, 
Supplichevole  in  atto;  ed  ei  s'arretra. 
Resiste ,  e  vince  :  e  in  lui  trova  impedita 
Amor  r  entrata ,  il  lacrimar  l' uscita . 

LII. 

Non  entra*  Amor  a  rinnovar  nel  seno , 
Che  ragion  congelò,  la  fiamma  antica; 
V'entra  pietate  in  quella  vece  almeno  , 
Pur  compagna  d'Amor,  benché  pudica; 
E  lui  commuove  in  guisa  tal,  che  a  freno 
Può  ritener  le  lagrime  a  fatica . 
Pur  quel  tenero  affetto  entro  restringe  , 
E,  quaulo  può;  gli  atti  compone  e  infinge. 

LUI. 

Poi  le  risponde:  Armida,  assai  mi  pesa 
Di  te  :  sì  potess'  io ,  come  il  farei , 
Del  mal  concetto  ardor  1'  anima  accesa 
Sgombrarti  !  Odj  non  son ,  né  sdegni  i  miei  : 
Né  vuo'  vendetta,  né  rammento  offesa: 
Né  serva  tu,  né  tu  nemica  sei . 
Errasti ,  è  vero ,  e  trapassasti  i  modi  ; 
Ora  gli  amori  esercitando,  or  gli  odi. 
Liv. 

Ma  che?  son  colpe  umane,  e  colpe  usate: 
Scuso  la  natia  legge,  il  sesso  e  gli  anni. 
Anch'io  parte  fallii:  se  a  me  pietate 
Negar  non  vuo' ,  non  fia  eh'  io  te  condanni . 
Fra  le  care  memorie  ed  onorate 
Mi  sarai  nelle  gioje  e  negli  affanni. 
Sarò  tuo  cavalier,  quanto  concede 
La  guerra  d'  Asia,  e  con  1'  onor  la  Fede. 

LV. 

Deh  !  che  del  fallir  nostro  or  qui  sia  il  line , 
\i  di  nostre  vergogne  omai  ti  spiaccia; 
Ed  in  <piesto  del  mondo  ermo  confine 
La  memoria  di  lor  sepolta  giaccia . 


LIBERATA     C.  XVI. 

Sola  in  Europa  e  nelle  due  vicine 
Parti,  fra  l'opre  mie  questa  si  taccia. 
Deh  !  non  voler  che  segni  ignobil  fregio 
Tua  beltà,  tuo  valor,  tuo  sangue  regio . 

LVF. 

Rimanti  in  pace  ;  io  vado  :  a  te  non  lice 
Meco  venir;  chi  mi  conduce  il  vieta. 
Rimanti,  o  va  per  altra  via  felice; 
E ,  come  saggia ,  i  tuoi  consigli  acqueta  . 
Ella,  mentre  il  guerrier  così  le  dice, 
Non  trova  loco  torbida ,  inquieta  : 
Già  buona  pezza  in  dispettosa  fronte 
Torva  il  riguarda;  alfin  prorompe  all'  onte 

LVII. 

Né  te  Sofia  produsse ,  e  non  sei  nato 
Dell'  Azio  sangue  lu  :  te  l' onda  insana 


St.    57.   Aè  te  Sofia  produsse  ,  e  non  sei  nato  eC. 
Ingiurie  ordinarie  in  bocca  di  chiunque  esclama  centra  l'altrui 
crudeltà  e  durezza;  facendo  per   lo  più  ritratto  ciascheduno  dal 
luogo  dond'egli  nacque  e  fu  nodrito.  Omero  nel  i6  dell'Iliade: 
NyfXiii  cvx  cupa  cci  yt  7rxr}^p-yjv  Innora  Oi^XfLS, 
Oò  5é  ©£'r<«  iJVjTvp.  >-XauK>5  Ss  a  riKTt  I^a^cxcca, 
PiTfOii  t'  '^Xifixict  ,0Ti  roi  vóof  tqìv  v.nviv\^i. 
Cioè: 

«  Crudele,  non  a  t«  veramente  fu  padre  il  caralier  Peleo, 
«  Né  Tetide  madre,  ma  lo  spaventoso  mare  te  partorì, 
«  E  l'altre  pietre  ,  poi  ch'hai  la  mente  fiera  . 
Catullo,  nelle  nozze  di  Tetide  e  di  Peleo,  v.  i54: 
«    Quoenam  te  genuit  sola  sub  rupe  lecena  ? 
«    Quod  mare  conceptum  spumantibvs  expuit  itndis  ? 
«    Quoe  Syrtis ,  qiioe  Scylla  vorax ,   (ftioe  vasta  Charybdis  ? 
Tirgilio  nel  4  dell'Eneide,  v.  365: 

«   Nec  /ibi  diva  parens ,  generis  nec  Dardanus  auctor, 
«    Perjide ;  sed  duris  genuit  te  cautibus  ìiorrens 
«    C axi casus  ,  hyrcanceque  admorunt  ubera  tigres  . 
Ovidio  neirS  delle  Metamorfosi,  v.  210: 

«   Aon  genitrix  Europa  tibi  est ,  sed  inhospita  Syrtit 
«   Armenioe  tigres,  austrocjue  agitata  Charybidis . 
Il  Boccaccio  nella  Fiammetta:  «  Egli  non  è  di  quercia^  o  di  grot- 
ta,  o  di  dura  pietra  scoppiato ,  ma  bevve  latte  di  ti^re ,  o  di  quul. 
altro  è  piti  ftro  animale .  7)  Gbast. 


82  LA  GERUSALEMME 

Del  mar  produsse  ,  e  '1  Caucaso  gelato  , 

E  le  mamme  allattar  di  tigre  Ircaiia . 

Che  dissimulo  io  più  ?  1'  uomo  spietato 

Pur  un  segno  non  die  di  mente  umana . 

Forse  cam}3Ìo  color  ?  forse  al  mio  duolo 

Bagnò  almen  gli  occhi,  o  sparse  un  sospir  solo. 

LVIII. 

Quali  cose  tralascio ,  o  quai  ridico  ? 

S'  ofFre  per  mio  :  mi  fugge,  e  m' abbandona  . 


Modo  di  parlare  usitatissimo  tra  poeti:  e  tal  volta  usalo  dagli 
oratori .  Cicerone  Accadem.  lib.  ^.  Non  enim  est  ex  sa.ro  sctiiptus^ 
aut  e  rohore  dolatus ,  alludendo  a  quel  luogo  d'  Omero  : 

Il  quale  proferisce  di  se  stesso  Socrate  nell'Apologia,  ed  il  Doc- 
caccio  lo  espresse  in  persona  di  Florio,  dicendo:  «  Perciocché   io 
non  fui  generato  dalle  quercie  del  monte  Apenniuo  ,  né  dalle  du- 
re grotte  di  Peloro,  né  dalle  fiere  tigri .   »  Gest. 
Ed  è  da  notare  in  quel  verso  : 

« Te  r  onda  insana 

«   Del  mar  produsse  : 
che  hanno  i   Poeti  per  costume  quando  vogliono  accennare  uno 
essere  inumano  e  barbaro  ,  di  dire  ,  che  egli  è  nato  dall'onda'  del 
mare,  o  dall' istesso  mare,  o  da  pietre ,  o  da  animali  pessimi;  e 
però  Omero  nel  16  dell'Iliade  di  Glauco  parlando  disic: 

yXauxij  H  iKUTi  ^xKxggx  . 

E  Teocrito  nell'  Epolo  di  Amore  ragionando  : 

ypx  \-xi   vx<j 

MotcSi^t  t^i^ax^i  SpU|U.co  vijxxv  iiptpe  ai^TS^p. 
Cioè  : 

«   Di  leonessa  le  mamme  ha  succhiate  , 
«    La  madre  in  bosco  insicin  V  ha  partorito  . 
E  il  medesimo  Virgilio  all'Egloga  8  ,  v.  8  : 

« Diiris  in  cortibus  iìlum 

«   Jsmarus  ,  aut  Rodope  ,  aut  extremi  Qarainantes 
n   Nec  generis  nostri  put rum  ,  ncc  sanguinis  edunt . 
E  Tibullo: 

«   iVrt/«  te  nec  vasti  genucrunt  cequora  ponti.  Mart. 

—   Che  dissimulo  io  più  ?  V  uomo  spittato 
Pur  un  segno  non  dio  dì  mente  umana  . 
Forse  cambiò  color  F  /'orse  al  mio  duolo 
Bagnò  almen  gli  occhi  ,  o  sparse  un  sospir  solo  ? 
Bella  imitazione  di  ciò  che  dice  Uidone  contro,  Enea  ,  lib.  4» 
V. 3G8: 

«   A'  ìm  <juid  dissimulo  ?  aut  qure  luf  id  inajora  rest;r<.'»  ? 


LIBERATA    C.  XVI.  83 

Quasi  buon  vincitor,  di  reo  nemico 
Oblia  le  offese,  e  i  falli  aspri  perdona. 
Odi  come  consiglia  !  odi  il  pudico 
Senocrate,  d'  amor  come  ragiona! 
0  Cielo ;,  o  Dei,  perchè  soffrir  questi  empi, 
Fulminar  poi  le  torri  e  i  vostri  tempi? 

LIX. 

Vattene  pur,  crudel,  con  quella  pace. 
Che  lasci  a  me;  vattene,  iniquo,  omai. 
Me  tosto,  ignudo  spirto,  ombra  seguace, 
Indivisibilmente  a  tergo  avrai . 


«   Niim  fletti  ingemuit  nostro?  num  lumina  fle.rit  ? 

«   Num  lacrymas  victus  dedit  ,  aut  miseratus  amantem  est? 

«    Oucc  quibus  antcferam  ? 

— odi  il  pudico 

Senocrate  d' amor  come  ragiona  ! 
Celebre  continenza  di  questo  fifosofo  racconta  Diogene  Laerzio 
nella  vita  di  lui  con  queste  parole  in  nostra  lingua.»  Frine  nobi- 
lissima meretrice  dicono  che '1  tentasse  una  volta  ,  essendo  egli 
da  alcuni  in  prova  perseguitata;  la  quale  da  lui  nella  sua  piccio- 
la  casa  per  merce  ricevuta,  non  vi  essendo  altro  che  un  solo  e 
picciolo  letto,  anche  del  letticciuolo  parte  le  concesse:  finalmen- 
te avendolo  costei  lungamente,  e  in  vano  pregato  senza  aver  nul- 
la potuto  ottenere;  si  parti  ,  e  partita  ebbe  a  dire,  che  non  cnn 
un  uomo,  ma  con  una  statua  era  giaciuta  la  notte.  »  Guasi. 

Senocrate  Calcidonio  fu  scolare  di  Platone,  e  di  meravigliosa 
continenza ,  e  però  narrano ,  che  essendo  posto  a  giacer  con  Frine 
bellissima  donna  ,  la  quale  area  pattuito  con  certi  giovani,  quai 
promettevano  a  lei  una  grossa  somma  di  danari  se  movesse  Seno- 
crate.  Con  tutto  che  ella  gli  facesse  assaissimi  vezzi  e  scherzi  la- 
scivi, tuttavia  mai  sempre  stette  saldo.  Laonde  detti  giovani  da 
lei  come  perditrice  dimandando  la  promessa  somma  del  patto,  el- 
la rispose  avere  pattuito  giacere  con  un  uomo,  ma  che  era  gia- 
ciuta con  una  pietra.  La  detta  cosa  fu  accennata  dal  Petrarca,  al 
cap.  3  della  Fama  : 

«   E  Senocrate  piìi  saldo  eh'  un  sasso, 
«    C/ie  nulla  /orza  il  volse  a  pensier  vile  . 
E  l'Ariosto  al  canto  2: 

n    Con  la  qiial  non  saria  stato  quel  crudo 
«   Senocrate  di  lui  più  paziente  .  Mart. 

St.   5g.  Me  tosto  ignudo  spirto,  ombra  seguace  ec. 
Cosi  pur  Bidone  presso  Virgilio  al  4,  v.  384  • 

« Sequar  atris  ignibus  absens  ; 

K   Et  aim,  frigida  mors  anima  sedu.xerit  artus , 

«    Omnibus  umbra  locis  adcro  :  dabis,  improbe,  pcrnas  .Gv. 


84  LA  GERUSALEMiME 

Nova  Furia  co'  serpi  e  con  la  face 

Tanto  t'  agiterò ,  quanto  t'  amai . 

E  s'  è  destin  eh'  esca  del  mar  ,  che  schivi 

Gli  scogli  e  r  onde,  e  che  alla  pugna  arrivi; 

LX. 

Là  tra  '1  sangue  e  le  morti  egro  giacente 
Mi  pagherai  le  pene ,  empio  guerriero  , 
Per  nome  Armida  chiamerai  sovente 
Negli  ultimi  singulti  :  udir  ciò  spero . 
Or  qui  mancò  lo  spirto  alla  dolente, 
Ne  questo  ultimo  suono  espresse  intero  ] 
E  cadde  tramortita ,  e  si  diffuse 
Di  gelato  sudore ,  e  i  lumi  chiuse  . 

LXI. 

Chiudesti  i  lumi,  Armida:  il  Cielo  avaro 
Invidiò  il  conforto  ai  tuoi  martiri. 
Apri ,  misera,  gli  occhi  :  il  pianto  amaro 
Negli  occhi  al  tuo  nemico  or  che  non  miri  ? 
Oh  s' udir  tu  '1  potessi ,  oh  come  caro 
T'  addolcirebbe  il  suon  de'  suoi  sospiri  ! 
Dà  quanto  ei  puote  ,  e  prende  (  e  tu  noi  credi  ) 
Pietoso  in  vista  gli  ultimi  congedi. 

LXII. 

Or  che  farà?  Dee  sull'  ignuda  arena 
Costei  lasciar  così  Ira  viva  e  morta? 


—    Tanto  t' agiterò ,  qiuinto  t'amai. 
Il  medesimo  dice  Venere  ad  Elena,  Iliad.  4  '■ 

Tò;  5f  Tra  Trty'^vfY^  '  "^*  y^'^  tH.Trayk'  ì(pi'XvjacL. 
«    TdtitQ  t' odierò ,  quanto  t' amai  .  Gekt. 

St.  6o.    Per  nome  Armida  chiamerai  sovente 
Negli  111  limi  singulti  . 
Virgilio  nello  stesso  liiof;o  ,  v.  38a  : 

«   Spero  cquid-cm  mediis  ,  si  quid  pia  num.ina  po^sunt , 
«   Supplìcia  hausurum  scopulis  ,  et  nomine  ,  Dido 
«   Soepe  vocaturum  . 
E  più  sotto; 

«   Mis  medium  dirtis  sermnnem  nhrumpit ,  et  auras 

«  yEgra  Jugit  i  seque  ex  oculis  Ux'ertit  et  aufert .       Mat.t. 


L  Ili  ERA  T  A   C.  XVI.  W 

Cortesia  Jo  rilien,  pietà  l'affiena; 
Dura  necessità  seco  nel  porla. 
Parte;  e  di  lievi  zefiri  è  ripiena 
La  chioma  di  colei  che  gli  la  scorta. 
Vola  [icr  l'alto  mar  l'aurata  vela: 
Ei  guarda  il  lido;  e  '1  lido  ecco  si  cela. 

l-XIII. 

Poi  ch'ella  in  se  tornò,  deserto  e  muto, 
Quanto  mirar  potè,  d'intorno  scorse: 
Ito  se  n'è  pur,  disse,  ed  ha  potuto 
Me  qui  lasciar  della  mia  vita  in  forse? 
JNè  un  momento  indugiò?  ne  un  breve  aiuto 
Nel  caso  estremo  il  traditor  mi  porse? 
Ed  io  pur  anco  1'  amo  ?  e  in  questo  lido 
Invendicata  ancor  piango,  e  m  assido? 

LXIV. 

Che  fa  più  meco  il  piar.to?  altr'arme,  altr'arte 
Io  non  ho  dunque?  ahi  seguirò  pur  l'empio; 


St.  62.   Parte  ;  e  di  lievi  zefri  è  ripiena  ec. 
Mostra  la  levata  del  vento  da' conseguenti  .Né  è  di  necessit'i  il 
riferire  queste  parole  alla  finzione  usata  piima  dai  Tasso  in  que- 
sto poema  ,  e  poi  tolta  via  ,  cioè  al  far  vela  della  cliioma,    il  che 
si  fingeva  innanzi  ;  e  quindi  accusarne  1'  autore  di  ptccato  di  me- 
moria ;  perchè  senza  aver  rispuardo  a  simile  finzione  ben  possono 
le  predette  parole  esser  poste  a  significare,  come  s'è  detto,  il  le- 
var del  vento  dagli  accidenti ,  che  a  questo  seguono  appresso,  co- 
ree è  il  riempir  la  chioma  della  nocchiera.  Gbast. 
St.   63.   Poi  ch'ella  in  ■'■è  tornò,  dtscrto  e  mvto  ec. 
L'  Arianna  di  Catullo  ,  lasciata  ancor'  ella  nel  1  ito  da  Teseo  : 

« Omnia  mula, 

"    Omnia  sunt  dateria  :  ost^^ntnnt  omnia  Ictum  . 
Dante  molto  fuor  deU'  uso  comune  si  servi  del  nome  muto 
Inf.  5  : 

«   Io  venni  in  luogo  d' ogni  luce  muto  , 

«  Che  muggia  ,  come  Ja  niiir  per  tempesta  . 
Perchè  vuol  dire  privo  d'  ogni  luce  .  Ma  è  concesso  a'  poeti  di 
usare  i  rocaboli  di  un  senso  per  i  vocaboli  d'un  altro.  Siccome 
fece  Accio  nel  suo  Chrysippo:  Quid  ngdm  ?  vnr  illins  est  certe, 
idem  um/ies  cernimus  :  id  est  audimus  .  Perchè  io  non  penso,  che 
Dante  per  rispetto  della  rima  usi  vocaboli  nuovi,  o  trasformati,  o 
nip'oprj.  Gekt. 


86  L\  GERUSALEMME 

Ne  r  abisso  per  lui  riposta  parte , 
Né  il  ciel  sarà  per  lui  sicuro  tempio  . 
Già'l  giungo  e  1  prendo,  e '1  cor  gii  svello,  e  sparte 
Le  membra  appendo ,  ai  dispietati  esempio  . 
Mastro  è  di  ferità:  vuo' superarlo 
NelFarti  sue.  Ma  dove  son?  che  parlo? 

LXV. 

Misera  Armida,  allor  dovevi,  e  degno 
Ben  era ,  in  quel  crudele  incrudelire , 
Che  tu  prigion  1'  avesti  :  or  tardo  sdegno 
T'  infiamma,  e  movi  negliittosa  l'ire  . 
Pur  se  beltà  può  nulla,  o  scaltro  ingegno, 
Non  fia  vóto  d'effetto  il  mio  desire. 
O  mia  sprezzata  forma ,  a  te  s'  aspetta , 
(Cile  tua  l'ingiuria  fu),  1'  alla  vendetta. 

LXVI. 

Questa  bellezza  mia  sarà  mercede 
Del  troncator  dell' esecrabil  testa: 
O  miei  famosi  amanti ,  ecco  si  chiede 
Difficil  SI,  da  voi,  ma  impresa  onesta. 
Io,  che  sarò  d'  ampie  ricchezze  erede, 
D'una  vendetta  in  guiderdon  son  presta. 
S' esser  compra  a  tal  prezzo  indegna  io  sono , 
Beltà ,  sei  di  natura  inutil  dono  . 

LXVII. 

Dono  infelice,  io  ti  rifiuto;  e  insieme 
Odio  l'esser  reina,  e  1'  esser  viva, 
E  r  esser  nata  mai  :  sol  fa  la  speme 
Della  dolce  vendetta  ancor,  ch'io  viva. 


St.  65.  Mìsera  Armida,  allor  dovevi,  e  degn» 
Ben  era,  in  quel  erudii  e  incrudelire . 
Virgilio  nell'istesso  luogo,  v.  SgS: 

«    Quid  luquor?  aut  uhi  suni?  quce  mentem  insania  mutai.* 
«    Tum  decuit  ami  sceptra  dabas  . 

St.   6^ sol  fa  le  speme 

Della  dolce  vendetta  ancor  di'  io  viva  . 
Similissimo  a  quel  luogo  di  Pacuvio,  Iliona  : 


L  I  V,  E  R  A  T  A    C.  XVI.  i57 

Così  in  voci  interrotte  irata  freme, 
E  torce  il  pie  dalla  deserta  riva  ; 
Mostrando  ben  quanto  ha  furor  raccolto, 
Sparsa  il  crin ,  bieca  gli  occhi,  accesa  il  volto  . 

LXVIII. 

Giunta  agli  alberghi  suoi,  chiamò  trecento, 
Con  lingua  orrenda ,  deità  d' Averno . 
S'  empie  il  ciel  d'atre  nubi,  e  in  un  momento 
laipallidisce  il  gran  pianeta  «eterno  ; 
K  soffia ,  e  scuote  i  gioghi  alpestri  1  vento . 
Ecco  già  sotto  i  pie  mugghiar  l' Inferno  : 
Quanto  gira  il  palagio ,  udresti  irati 
Sibili  ed  urli,  e  fremiti  e  latrati. 

LXIX. 

Ombra  piiì  che  di  notte ,  in  cui  di  luce 
Raggio  misto  non  è ,  tutto  il  circonda  ; 
Se  non  se  in  quanto  un  lampeggiar  riluce 
Per  entro  la  caligine  profonda. 
Gessa  alfin  1'  ombra ,  e  i  raggi  il  Sol  riduce 
Pallidi  ;  né  ben  V  aria  anco  e  gioconda  ; 


il  Da  me  etsi  perdunt  tamen  esse  aiìiutam  expetunt , 
«    Qi'od  prius  quam  pereo  ,  spathnn  nlciscendi  dabiint . 
E  non  meno  a  questo  proposito  fa  quella  sentenza  di  Pubìio 
Siro  : 

«  Inimicum  iilcisci ,  vitam  acci  pere  est  alteram  . 
Quel  verso  poi  del  nostro: 

<t   Sparsa  il  crin ,  hier<i  ^li  occhi,  acceso  il  volto  , 
i  simile  di  forma  a  quel  di  Claudiano: 

«    Cincia  .nnus ,  eaertn  tnanus  ,  armata  hipenni  . 
La  quale  fiijnra  di  parlare  greca   è  spesse  volte  usata  dal  Tasso 
con  somma  lec;giadria.  Gest 

St.  68.   (jiunta  ao;ll  alberghi  suoi,  chiamò  trecento  tc. 
Yirgilio  nel  4,  v.  5io: 

«    Terrentunt  tonai  ore  deos  ,  E rehumque  Chaosque  ec. 
—   Ecco  giù  sotto  i  pie  mugghiar  V  Inferno  .- 
Virgilio  nell'istesso  luogo,  v.  l\'^o: 

n   • mugire  videbis 

«   Si'b  pedi  bus  terram . 
E  nel  sesto,  v.  ?,56: 

«   Sub  pedibus  mugire  solum  .  GsASX. 

G.  LiB,  T.  III.  7 


88  LA  GERUSALEMME 

Ne  più  il  palagio  appar,  né  pur  le  sue 
Vestigia;  ne  dir  puossi:  egli  qui  fue. 

LXX. 

Come  immagin  talor  d' immensa  mole 
Forman  nubi  nell'  aria,  e  poco  dura  , 
Che  il  vento  la  disperde,  o  solve  il  Sole; 
Come  sogno  sen  va  eh'  egro  figura  : 
Così  sparver  gli  alberghi ,  e  restar  sole 
L'  alpe ,  e  1'  orro^  che  fece  ivi  natura  . 
Ella  sul  carro  suo ,  che  presto  aveva , 
S'  asside,  e,  come  ha  in  uso,  al  ciel  si  leva 

LXXI. 

Calca  le  nubi ,  e  tratta  1  aure  a  volo , 
Cinta  di  nembi  e  turbini  sonori  : 
Passa  i  lidi  soggetti  all'  altro  polo , 
E  le  terre  d'ignoti  abitatori: 
Passa  d' Alcide  i  termini ,  né  '1  suolo 
Appressa  degli  Esperj ,  o  quel  de'  Mori  ; 
Ma  su  i  mari  sospeso  il  corso  tiene, 
Infin  che  ai  lidi  di  Sona  perviene . 
Lxxn. 

Quinci  a  Damasco  non  s'invia,  ma  schiva 
Il  già  sì  caro  della  patria  aspetto; 
E  drizza  il  carro  all'infeconda  riva, 
Ov' è  tra  l'onde  il  suo  castello  eretto. 
Qui  giunta  ,  i  servi  e  le  donzelle  priva 
Di  sua  presenza ,  e  sceglie  ermo  ricetto  ; 
E  fra  varj  pensier  dubbia  s' aggira  : 
Ma  tosto  cede  la  vergogna  all'  ira  . 


E  '1  Sanazzaro  alla  prosa  io  :  Chiamò  ad  alta  voce  trecento  nu- 
mi di  non  conosciuti  Iddii  .  Mart. 

St.   71 e  tratta  l'aure  a  volo. 

Dante  nel  ao  del  Purgai. 

«    Trattando  V  aere  con  V  eterne  penne . 
E  nel  21: 

«    Trattando  V  ombre  come  cosa  salda .  Guast. 


LIBERATA    C.  XVI.  «q 

LXXIII. 

Io  n'  andrò  pur  ,  dic'eUa  ,  anzi  clie  1'  armi 
Dell'Oriento  il  re  d'EgiUo  mova  : 
Ritentar  ciascun' arte^  e  trasmutarmi 
In  ogni  ferma  ijisolita  mi  giova: 
Trattar  1'  arco  e  la  spada ,  e  serva  farmi 
De' più  potenti,  e  concitargli  a  prova: 
Purché  le  mie  vendetle  io  vcggia  in  parte. 
Il  rispetto  e  1'  onor  stiasi  in  disparte.   . 

LXXIV. 

^lon  accusi  già  me:  biasmi  se  stesso 
Il  mio  custode  e  zio_,  che  così  volse; 
Ei  r  alma  baldanzosa  e  '1  fragil  sesso 
Ai  non  debiti  ufficj  in  prima  volse  : 
Esso  mi  fé' donna  vagante;  ed  esso  . 
Spronò  r  ardire  ,  e  la  vergonga  sciolse . 
Tutto  si  rechi  a  lui  ciò  che  d' indegno 
Fei  per  amore,  o  che  farò  per  sdegno  * 

LXXV. 

Così  donchiude:  e  cavalieri  e  donne. 
Paggi  e  sergenti  frettolosa  aduna; 
E  ne' superbi  arnesi  e  nelle  gonne 
L'  arte  dispiega  e  la  regal  fortuna  : 


St.  74-  ^pi'onò  l'ardire ,  e  lei  vergogna  sciolse. 
Dice  sciolse  airusanza  degli  antichi,  appo  i  quali  le  spose  st 
scioglievano  la  zona  o  1  cinto  ,  siccome  facevano  eziandio,  quan- 
do la  prima  volta  partorivano:  perchè  sciogliendosi  la  zona,  la 
sospendevano  a  Diana,  di  cui  perciò  fu  in  Alene  un  tempio  col 
titolo  di  A'^o^wv^e ,  cioè  Scioglitrice  di  Zona:  onde  Alcimed» 
appresso  Apollonio  Rodio  dice  : 

., W   ÌttÌ  IJ.WVU) 

M(  Tpv)i'  TrpuTOv  iXncx  y.tì  'jgarov . 
E  qua  alluse  Dante,  quando  ei  dice,  Inf.  8: 
a   Benedetta  colei ,  eh' en  te  s' incinse: 
perchè  avanti  al  partorire  si  poteano  dire  cinte,  non  avendo  an- 
cora sciolta  la  zona.  Ciò  che  non  so   se  altri  ve  l'ha  osservato. 

Ge.\t.. 
St.  7 5.  L' (irte  dispiega. 
Le  cose  preziose  l'atte  dall'arte. 


1)0  LA  GERUSALEMME 

E  ili  vìa  si  pone ,  e  non  è  mai  eh'  assonne 
O  che  si  posi  al  Sole  od  alla  Luna; 
Sin  che  non  giunge  ove  le  schiere  amiche 
Goprian  di  Gaza  le  campagne  apriche . 


— e  non  mai  è  eh'  assonne , 

Dante  nel  32  del  Purgatorio: 

«e  S'io  potessi  ritrar  come  assonnaro 
«   Gli  occhi . 
E  nel  3:^  del  Paradiso  : 

a  Ma  perchè  'l  tempo  fugge ,  che  t' assonna .  Gdast. 


LA 

G  E  R  U  S  A  L  E  M  M  E 

LIBERATA 


CANTO  DECIMOSETTIMO 

ARGOMENTO 

Il  SUO  esercito  immenso  In  mostra  cìiiama 
L'Egizio;  e  poi  contra  i  Cristian  l' invia. 
Armida,  che  pur  di  Rinaldo  brama 
La  morte,  con  sna  gente  anco  ginngia; 
E  per  meglio  saziar  sua  crudel  brama  , 
Sé  in  guiderdon  della  vendetta  offria. 
Ei  vestia  intanto  armi  fatali,  dove 
Mira  impresse  degli  avi  illustri  prove  . 


G 


aza  è  città  della  Giudea  nel  fine , 
Su  quella  via  eh'  in  ver  Pelusio  mena  , 
Posta  in  riva  del  mare ,  ed  ha  vicine 
Immense  solitudini  d'  arena  ; 
Le  quai ,  come  Austro  suol  F  onde  marine , 
Mesce  il  turho  spirante  ;  onde  a  gran  pena 


St.    1.      Posta  in  riva  del  mare. 
È  questa  Gaza  la  nuova,  deUa  Gazarla  oggidì,  eh'  era  prima  il 
porto  de'Gazei,  essendo  la  vecchia  piìi  suso  fra  terra  un  miglio, 
come,  secondo  Strabone,  si  è  notato  di  sopra. 

— :  ....  ed  ha  vicine 

Immense  solitudini  d' arena,  ec. 
Diversi  sono  i  luoghi  arenosi  dell'Affrica,  o  dell'Asia  finitimi 


9^  LA  GEllUSALEAIME 

Ritrova  il  peregrin  riparo  o  scampo 
Nelle  tempeste  dell'  inslabil  campo 


all'Affiica,  de' quali  si  conta  per  gli  scrittori  così  pericoloso  acci- 
dente. D'uno  fa  menzione  Q  Curzio  nel  4  libro  della  sua  istoria  , 
là  ove  parla  d'Alessandro  il  .Magno,  dopo  ch'egli  ebbe  espugnata 
G;iza,edice  cosi:  CumpositÌ!.que  rebus  ita,   ut  niliil  ex  patrio 
JEgyptiorum  more  niutarét,  adire  Joi'is  Hammonìs  oraculum  sta- 
tuii .  Iter  expcditis  quoque,  et paucis  vix  tolerabile  ingrediend"m 
«rat:  terra  coeloque  aquarum  penuria  est;  steriles  arcnce  jacent; 
quas  ubi  vapor  soìis  accendit , jerviiio  salo  exurente  vestigia,   in- 
tolerahilis  oestus  exsistit .   Luc.tandum   est  non  tam  cum.  ardore  et 
siccitate  regioni.",  scd  etiam  cum  tenacissimo  sabato,  quod  proeal- 
tum, ,  et  vestigio  cedens  ce  gre   moliuntur  pedes .  E  pi  il  basso  :  Ae 
primo  quidem. ,  et  sequenti   die  tolerabilis  lahor   visus  :   nondum 
tam-  vastis ,   nudisque  solitudinibus  aditis ,  jani  iamen   sterili  et 
emoriente  terra.  Sed  ut  aperuere  se  campi  alto  obruti   sabulo , 
haud  secus   quam  profundiim  osquor  ingressi ,   terram    oculis   re- 
quirebant .  Nulla  arbor,  nullum  culti  soli  occurrebat  vestigiuni  .  E 
Pomponio  Mela  nel  primo  libro  al  cap.  8  ne  parla  in  questo  mo- 
do :  Inde  ad  Cutabat/i-non  Cvrenaica  provincia  est ,  in  eaque  sunt 
HammoTìis  oraculum,  fidei  inclitce,  et  fons  quem  Solis  nppellant  , 
et  rupes  qucedam  Austro  sacra .  Hcec  cum.  hominum  manu  attingi- 
tur,  ille  immodicus  exsurgit,  arenasque  quasi  maria  agens ,  siccis 
soevit ,  ut  <equor  ,fluctibus .  D'un  altro  di  la  dal  Mar  Rosso  nell'A- 
rabia, somigliante  a  questo  fa  menzione  Ludovico  Romano    nel 
primo  libro  delle  sue  Navigazioni ,  al  cap.  4  cosi  dicendo  :  <c  Noa 
«  voglio  però  mandare  iu  oblivione  quello  ch'io    vidi  nel   mare 
«  detto  della  Sabbia .  Questo  fu  da  noi  ritrovato  prima  che  vc- 
<t   nissemo  al  monte  de' Giudei.  In  questo  mare  arenoso  facemmo 
«  viaggio  <li  cinque  giorni   e  di   cinque  notti .  Manifesterò    ap- 
«   presso  di  che  sorte  mare  egli  sia.  Sono  questo  certe  campagne 
«  rase,  coperte  d'arene  bianche  a  guisa  di  fior  di  farina  ;  e  se  per 
«  disgrazia  avvenisse,  che  coloro,  i  quali  per  colà  fanno  viaggio 
«  fossero  portati  dall'Austro,  come  sono  dalla  Tramontana,  soffo- 
n  cali  dalia  sabbia  si  morrebbono  tutti;  peiciocchè  se  ben  noi  e- 
«  lavam  guidati  da  vento  prospero,  eravamo  però  dalla  neri  pro- 
ti cella  del  sabbione  in  guisa  ravvolti,  che  toltoci  dalla  vista  il 
«  camino,  per  ispazio  di  dieci  passi  l'un  non  poteva  veder  l'  al- 
«   tro.  perciò  gU  abitatori  si  fanno  portare  da' cammelli  rinchiusi 
«(   in  gabbie  di  legno:  e  in  esse  niLuano  la  lor  vita,  avendo  però 
«  sempre  per  guida  i  piloti ,  i  <piali  non  altrimenti  che  nell'  on- 
«  dcegiante  mare   sono  guidati  dalla  bussola  e  dalla  carta.  »    Di 
questa  stessa  rena  fa  anco  menzione,  se  ben  con  poche  parole  ,  A- 
loisio  Cadamosto  nelle  sue  Navigazioni  al  cap.  5G.  Ma  della  steri  - 
lità  del  paese  vicino  a  Gaza  scrive  ancora  Strabone  nel  2(3  libro 
cosi  dicendo:   Ko(.(  aurjj  ^iv  cui/  v^  dnh  Pji^'??  k'jTvp*  ttxcx^ 


LIBERATA    C.  XVIL  gS 

II. 
Del  Re  d'  Egitto  è  la  città  frontiera , 

Da  lui  gran  tempo  innanzi  ai  Turchi  tolta; 
E  ,  però  eh'  opportuna  e  prossima  era 
Air  alta  impresa ,  ove  la  mente  ha  vòlta  ; 
Lasciando  Menfi_,  eh' è  sua  reggia  altera, 
Qui  traslatò  il  gran  seggio;  equi  raccolta 
Già  da  varie  provincie  insieme  avea 
L' innumerabil  oste  all'  assemblea . 
III. 
Musa ,  quale  stagione ,  e  qual  là  fosse 
Stato  di  cose  or  tu  mi  reca  a  mente; 
QuaF  arme  il  grande  Imperatore  quai  posse^ 
Qual  serva  avesse,  e  qual  compagna  gente. 
Quando  del  Mezzogiorno  in  guerra  mosse 
Le  forze  e  i  regi,  e  1'  ultimo  Oriente: 
Tu  sol  le  schiere  e  i  duci ,  e  sotto  F  arme 
Mezzo  il  mondo  raccolto  or  puoi  dettarme . 

IV. 

Poscia  che ,  ribellante  al  Greco  Impero 
Si  sottrasse  l' Egitto ,  e  mutò  Fede , 


ec. ,  cioè:  «  Il  paese  dopo  Gaza  è  sterile  e  arenoso,  e  più  ance- 
«  ra  quella  distanza  che  è  dappoi  fra  il  lago  Sorboaide,  e  il  ma- 
«  ro  con  eguale  intervallo    » 

St,  2 all'assemblea. 

Assemblea  èvoce  provenzale,  e  signiliea  raunanza.  Il  Boccaccio 
nel  Labirinto:  Le  lor  prodezze ,  e  i  loro  am.ori ,  e  le  giostre,  e 
torncnnienti ,  e  le  assemblee .  Usasi  anco  assembrare  neWo  stesso 
significato  di  congregarsi,  e  raunarsi  insieme,  odi  far  mostra  o 
rassegna .  Nel  Cento  antico  alla  novella  9-2:  «  Venendo  i  Galli  u- 
«  na  volta  verso  Roma,  Quinzio  il  Dittatore  fece  assembrare  tut- 
«  ta  la  gioventude  romana  ,  e  con  grand'  oste  uscì  di  Roma  » .  E 
il  Petrarca  nel  sonetto  scritto  a  penna,  e  citato  di  sopra: 
«  La  mia  sparsa  virtù  s' assem.bra  al  core. 
E  Dante  in  una  canzone  : 

«  Jn  ciascuno  è  ciascuno  vizio  assembro  . 
E  in  un'altra: 

«    Tanto  dolore  intorno  al  cor'  m' assembra  . 
Usasi  aache  assemprare  ,  come  insempre,  e  insembre  per  la- 
sieme . 


94  LA  GERUSALEMME 

Del  sangue  di  Macon  nato  un  guerriero 
Sen  fé'  tiranno  ,  e  vi  fondò  la  sede  . 
Ei  fu  detto  Califfo  ;  e  del  primiero 
Chi  tien  lo  scettro  ,  al  nome  anco  succede . 
Così  per  ordin  lungo  il  Nilo  i  suoi 
Faraon  vide ,  e  i  Tolomei  da  poi. 
y. 
Volgendo  gli  anni,  il  regno  è  stabilito, 
Ed  accresciuto  in  guisa  tal ,  che  viene , 
Asia  e  Libia  ingombi  andò ,  al  Sirio  Ut© 
Da"  Marmarici  fini  e  da  Cirene; 
E  passa  a  dentro  incontra  all'  infinito 
Corso  del  Nilo  assai  sovra  Siene; 
E  quinci  alle  campagne  inabitate 
Va  della  sabbia,  e  quindi  al  grand'  Eufrate. 

St.  4-     I^i^l  sàngue  dì  Macon  nato  un  guerrier» 
Sen  fé  tiranno . 
Ali,  dice  Paolo  Emilio  che  fu  costui. 

—  Ei  fu  delta  Calilfo  . 

Calijfd  era  nomo  di  principato,  e  voleva  dir  eiiccessore,  come 
l'interpreta  Paolo  Emilio,  quasi  succedesse  quel  principe  alla 
ricchezza  e  alla  potenza  ili  Maometto  primo  occupator  dell'Impe- 
li o .  Ma  in  tale  stato,  come  su  '1  piincipio  fosse  un  solo  quegli 
che  comandava,  nacque  con  processo  di  tempo  in  tanto  Impero 
sedizione;  onde  dividendosi  poi  ,  un  fu  detto  Califlb  di  Baldacco, 
che  signoreggiava  pili  il  Levante;  e  l'altro  Calill'o  d'Egitto,  che 
avendo  poco  stato  su  '1  principio  ,  1'  allargò  poi  infinitamente  da 
lutti  i  lati,  come  nella  stanza  seguente  divisa  il  proprio  Poeta 
nostro . 

—  Coxl  per  ordin  lungo  il  Nilo  i  suoi 
Fdraun  vide,  e  i  Tolomei  da  poi. 

Come  Augusti  gì'  Imperatori  Piomani  ,  cosi  Faraoni  e  Tolomei 
furono  detti  i  Re  dell'Egitto  grandissimo  tempo,  e  a  qucst'  usan- 
za Califfi  ne'tempi  più  bassi,  come  alferma  lo  stesso  Poeta  nostro  . 
St.    5.      Ed  iiccrisriuto  in  gìiisa  tul  ,xhe  viene,  ce. 

Dimostra  la  grandezza  dello  slato  del  Califfo  d'Egitto  in  quel 
tempo,  pigliando  i  confini  da  tutti  i  lati  ,  avvegnacliè  da  Ponente 
comprendesse  li  legion  Cirenaica  e  la  Marmarica,  provinrie  del- 
la Lii)ia,  e  si  stendesse  oltre  lungo  il  mare  verso  il  Levante  finn 
al  lido  di  Soria  in  Asia,  e  verso  Mi.-zzodi  fra  terra  passasse  dentro 
fin  sopra  Siene;  allargandosi  poi  per  tutto  quello  spazio,  ch'egli 
segue  a  dire  : 

—  E  qiiinci  alle  cninpagng  inabitata 
Va  della  .'^abbili . 


LIBERATA   C.  XVII.  95 

VI. 

A  destra  ed  a  sinistra  in  se  comprende 
L'  odorata  maremma ,  e  '1  ricco  mare  ; 
E  fuor  dell'Eritrèo  molto  si  stende 
Incontro  al  Sol  che  mattutino  appare . 
L'Imperio  lia  in  sé  gran  forze,  e  piiì  le  rende 
Il  Re ,  eh'  or  le  governa  ,  illustri  e  chiare , 
Ch'  è  per  sangue  signor,  ma  più  per  merto, 
Nell'arti  regie  e  militari  esperto. 

VII. 

Questi  or  co' Turchi ,  or  con  le  genti  Perse 
Pili  guerre  fé'  ;  le  mosse ,  e  le  respinse  : 
Fu  perdente,  e  vincente;  e  nell'avverse 
Fortune  fu  maggior  che  quando  vinse. 


Queste  giudico  io  esser  quelle  che  nel  luogo  citato  di  sopra 
descrisse  Ludovico  Romano  nelle  sue  Navigazioni. 
St.  6.  /1  destra  ed  a  sinistra  in  sé  comprende 
L' odorata  maremma. 
Le  maremme  del  Mar  Rosso  dall'una  parte  e  dall'altra  odora- 
te ,  avvegnaché  in  una  di  esse,  cioè  in  quella  eh' è  verso  1' Egit- 
to ,  o  a  man  sinistra  nell' entrar  del  Golfo,  siano  i  Trogloditi  po- 
poli abbondantissimi  d'aromi;  onde  n'è  perciò  una  regione  detta 
da  Stìnhone  aromati/era  cioè  producente  aiomi;  ed  altra  per  la 
copia  dell'incenso  in  particolare,  thurifera  e  alti-a  per  la  mirra 
mirrhifera  e  altre  per  simil  modo  ;  e  nell'altra  da  man  destra  l'A- 
rabie, dove  appo  i  Sabei,  ed  altri  popoli  nasce  altres'i  incenso, 
mirra,  storace,  ed  è  tanta  copia  d'alberi  e  d'erbe  odorifere,  come 
dice  Strabone  nel  iG  libro  ,  che  inducendo  la  fragranza  dell'odo- 
re in  que' popoli  sovente  stupore  nella  testa  ,  sono  costretti  a  ri- 
mediarvi co'profumi  di  bitume  e  altri  ingegni:  e  della  cannella  ed 
altre  simili  piante  odorose^  si  servono  per  far  fuoco  alla  giornata. 

St.  6 e'I  ricco  mare . 

TI  Mar  Rosso,  ricco  per  le  molte  gemme  e  pietre  preziose  che 
»i  trovano  in  esso  5  perchè  di  lui  disse  Tibullo: 

V.   Nec  tibi  gcm.maruTn  quidquid  felicihiis  undis 
«   Nascitur  Eoi  qua  maris  unda  riibet . 
—  Incontro  al  Sol  che  mattutino  appare . 
Verso  il  golfo  di  Persia,  come  appare  nella  mostra  .        Gbast. 

St.   7.      Fu  perdente  ,  e  vincente;  e  neW  avverse  ec. 
Il  medesirpo  si  recita  dagli  scrittori  per  singoiar  natura  de' Ro- 
mani. Di  che  Sulpizia,  non  raen  dotta  che  gentile  donna,  cosi  nP 
scriise,  Satyrico  de  Edicto  Domìtiani: 

«    Quos  Inter  prisci  sententia  diva  Catonis 
"■   Serre  duo  magni  Jccissét,  virumn^  secundis 


96  LA  GERUSALEMME 

Poi  che  la  grave  età  più  non  sofferse 
Dell'  armi  il  peso,  al  fin  la  spada  scinse  ; 
Ma  non  depose  il  suo  guerriero  ingegno , 
Né  d' onore  il  desio  vasto "^  di  regno  . 
vili. 
Ancor  guerreggia  per  ministri;  ed  have 
Tanto  vigor  di  mente  e  di  parole , 
Che  della  monarchia  la  soma  grave 
Non  sembra  agli  anni  suoi  soverchia  mole . 
Sparsa  in  minuti  regni  Africa  pavé 
Tutta  al  suo  nome,  e  '1  remoto  Indo  il  cole. 
E  gli  porge  altri  volontario  ajuto 
D'  armate  genti,  ed  altri  d'  ór  tributo. 

IX. 

Tanto  e  sì  fatto  Re  1'  arme  raguna; 
Anzi  pur  adunate  omai  1'  affretta 
Contia  il  sorgente  Imperio,  e  la  fortuna 
Franca,  nelle  vittorie  omai  sospetta. 
Armida  ultima  vien  :  giunge  opportuna 
Nell'ora  appunto  alla  rassegna  eletta. 
Fuor  delle  mura  in  spazioso  campo 
Passa  dinanzi  a  lui  schierato  il  Campo  . 

X. 

Egli  in  sublime  soglio ,  a  cui  per  cento 
Gradi  eburnei  s'  ascende,  altero  siede; 
E  sotto  r  ombra  d'  un  gran  ciel  d' argento 


«   An  magis  adversis  staret  Romana  propaga , 
«  Scilicet  adi.'er.iis  . 
E  però  Tito  Quinzio  appresso  Polibio  dice,  che  agli  uomini 
virtuosi  e  prodi  si  conviene  essere  nelle  battaglie  aspri  ed  ani- 
mosi: nelle  perdite  generosi  e  magnanimi:  nelle  vittorie  mode- 
rati e  facili  ed  umani . 

—   Ma  non  depose  il  suo  guerriero  ingegno  , 
Ne  d'  onore  il  desio  vasto  e  di  regno  . 
Sente  quelle  parole  di  Sallustio  ckive  parla  dell'inimodcrata  am- 
bizione di  Catillna,  alV.  della  Storia  della  Congiura  di  lui:   ^.z- 
stus  animus  imnioderata  ,  incredihilia  [nìcyin'x  leggono  intollera- 
hilia^  ,  ninii^  ftlta  semper  cupisbat . 


LIBERATA    G.  XVII.  ^-j 

Porpora  intesta  d'  ór  preme  col  piede; 
p]  ricco  di  barbarico  ornamento 
In  abito  regal  sj)lender  si  vede . 
Fan,  torti  in  mille  fasce ,  i  biancbi  lini 
Aito  diadema  in  nova  forma  ai  crini. 

XI. 

Lo  scettro  ha  nella  destra  ;  e  per  canuta 
Barba  appar  venerabile  e  severo  \ 
E  dagli  occhi ,  eh'  etade  ancor  non  muta , 
Spira  r  ardire  e  "1  suo  vigor  primiero  : 
E  ben  da  ciascun  atto  è  sostenuta 
La  maestà  degli  anni  e  dell'  impero . 
Apelle  forse ,  o  Fidia  in  tal  sembiante 
Giove  formò  ;  ma  Giove  allor  tonante . 


St.    to.   E  ricco  dì  harhirìcn  orm.TTWn.fo .  '(• 

Barbarico  ornamento  ,  cioè  fatto  da' Frigi;  come  Btirhan'cce  ver- 
stes  appo  Lucrezio,  Barbarirum  aurum  appo  Virgilio,  per  le  ve- 
sti e  por  l'oro  de' Frigi;  i  quali  par  che  il  nome  di  barbaro  s'ab- 
biano fattoquasi  proprio,  siccome  da  molti  letterati  uomini  è  sta- 
to annotato ,  e  si  può  barbarico  eziandio  prendere  per  le  vesti 
tessute  in  Babilonia,  delle  quali  si  parla  da  Plinio.  Gekt. 

Si  riscontri  al  proposito  di  questa  nuova  rassegna  quanto  ne 
scrisse  il  Cesarolti,  che  lu  da  noi  riportato  a  pag.  5o  del  Tom.  I 
della  presente  edizione. 

St.    I  I .  Apelle  forse  ,  o  Fidia  in  tal  sembiante  ec. 

Fidia  fece  la  statua  di  Giove  Olimpico  Tonante.  E  si  dice  dalli 
scrittori,  che  nel  dito  di  quella  scrisse,  *  ANT  APKHSKAAOZ, 
cioè  Pantarce  bello,  il  qual  nome  era  di  un  leggiadro  garzone  a- 
mato  da  lui .  Ciò  che  tra  l'altre  empietà  rimprovera  a'  Pagani  Ar- 
nobio,  1.  6  tidversus  Genies .  Nella  qual  guisa  di  GioTC  fu  da  Apelle 
nel  tempio  di  Diana  Efesia  dipinto  Alessandro  con  un  fulmine 
in  mano  ,  siccome  lecita  Plinio.  E  però  ben  fa  il  Tasso  a  compa- 
rar questo  altro  Re  a  Giove  tonante.  Benché  si  potrebbe  di  lui 
dire  quel  che  ad  un  maggior  di  lui  rispose  un  certo  Gallo:  cioè, 
a  Cajo  Imperatore,  il  quale  pazzo  che  era,  si  facea  chiamare  Gio- 
ve Laziale  ,  nella  maestà  del  quale  sedendo  un  giorno  nel  tribu- 
nale,  come  questi  del  Tasso  nel  soglio,  e  vedendo  che  colui  ne 
sorrideva;  gli  dimandò:  chi  gli  paresse  egli  ?  Il  quale  liberamen- 
te rispondendo,  una  gran  follia,  li  disse:  siccome  recita  Dione  . 

Gent. 

Dinota  la  maestà  di  quell'Imperatore.  Faceva  Fidia  il  siniola- 
«ro  di  Giove  Olimpico,  e  domandato  da  che  esemplare  caverebbe, 
VimmagÌH«,  rispesa  che  n'avea  ritrovato  l'archetipo  in  quo' tre 


9^  LA  GERUSALEMME 

XII. 

Stannogii  a  destra  1'  un,  ]'  altro  a  sinistra, 
Duo  Sntrapi  i  maggiori:  alza  il  piiì  degno 
La  nuda  spada  del  rigor  ministra; 
L'  altro  il  sigillo  ha  del  suo  ufficio  in  segno. 
Custode  un  de'  secreti ,  al  Re  ministra 
Opra  civil  ne' grandi  affar  del  regno; 
Ma  Prence  degli  eserciti,  e  con  piena 
Possanza  è  l' altro  ordinator  di  pena . 

XIII. 

Sotto,  folta  corona  al  seggio  fanno 

Con  fedel  guardia  i  suoi  Circassi  astati; 
Ed  oltre  1'  aste  hanno  corazze ,  ed  hanno 
Spade  lunghe  e  ricurve  all'un  de' lati. 
Così  sedea  ,  così  scopria  '1  tiranno 
Da  eccelsa  parte  i  popoli  adunati. 
Tutte  a  suoi  pie,  nel  trapassar,  le  schiere 
Chinan  ,  quasi  adorando ,  armi  e  bandiere  • 

XIV. 

Il  popol  dell'  Egitto  in  ordin  primo 

Fa  di  se  mostra;  e  quattro  i  duci  sono  : 

versi  d'Omero: 

H'    X0!.<    HUavÈOfCtV    I.T    ÒP^'ÓCI   VfUCTf  KpOV(''jJV  . 

Au&poff<a<  3'  apx  -yjxi  tolì  STrTr/ppcoffoiro  ólvxktoì 
Kparb?  oìtt  ol^xvoÌtoio ,  fj.i'yxv  ^'  tKiXi^iv  oXujuttov. 
Cioè  : 

«  Disse,  e  con  le  nere  ciglia  fece  cenno  il  figliuol  di  Saturno , 
«  E  le  odorifere  chiome  del  Re  si  furono  vibrate 
«  Del  capo  immortale  ,  e  il  gran  cielo  scosse  . 

— ma  Giove  allor  tonante . 

7b/irtw/e,  perciocché  Giove  si  ligurava  in  varie  guise,  e  appo 
i  Garamanti  con  le  coma  senza  folgore  sotto  nome  di  Giove  Am- 
mone,  come  mostra  Lucano  nel  9,  v.  5i2: 

«   Ventum  erat  ad  templum  ,  Lybicis  quod  gentihus  unum 
«   Incititi  Garamnntes  habcnt:  stat  corni ger  ilìic 
«   Jupiter  ,  ut  nicmorant ,  sed  non  aut  /ulmina  l'ibrans  , 
«   ylut  similis  nostro  ,  scd  tortis  cornibu.i ,  Hummon  . 
A  proposito  ancora  della  somiglianza  del   Poeta  ,  dice  Pliniw 
nel  Uh.  35  che  nel  tempio  di  Diana  in  Ef  so  fu  da  Apelle  dipinto 
Alessandro  il  Magno  tenente  unjfolgore  \n  mano. 


LIBERATA   C.  XVII.  y9 

Duo  dell'alio  paese,  e  duo  dell'imo, 
Gli'  è  del  celeste  Nilo  opera  e  dono  : 


St.    14.  Duo  dell'  alto  paese ,  e  duo  dell'  imo  . 

L'Egitto  è  diviso  in  due  parti,  superiore  e  inferiore  .  Inferio- 
re è  quella  che  è  fra  alcune  braccia  del  Nilo,  il  qual  fiume  dira- 
mandosi in  alcun  luogo,  e  stendendo  certe  corna  o  braccia,  e  con 
esse  arrivando  fin' al  mare  la  come  un  delta  greco,  o  un  triangolo 
a  questo  modo  A,  e  n'è  perciò  ([nella  parte  detta  il  gran  Delta; 
ed  è  questo  l'Egitto  da  basso.  Pili  suso  dipoi  da  cjuesta  parte  si- 
no a  Siene,  ed  oltre^  è  l'Egitto  di  sopra:  Strabone  nel  i  libro  . 
—   C/i'  è  del  celeste  JSilo  opera  e  dono  . 

Tutto  l'Egitto  fu  da  Esiodo  cliiaiuato  don  del  Nilo,  come  testi- 
fica Strabone  nel  luogo  poco  innanzi  allegato,  e  Aristotile  nel 
primo  delle  meteore  il  disse  opera  di  cjuel  fiume:  ma  se  non  tut- 
to, soggiunge  Strabone,  cjuella  parte  almeno,  che  è  dopo  il  dira- 
mar del  Delta,  ed  è  detto  l'Egitto  inferiore.  E  di  chiamarlo  a 
quel  modo  fu  cagione,  come  dicono  gli  stessi  Strabone,  Aristotile 
e  il  medesimo  nostro  Poeta  appresso ,  il  modo  con  che  viene  fat- 
to quel  paese,  eh' è  per  benefìcio  e  opera  del  Nilo,  il  quale  col- 
lo scorrere  che  continuamente  e'  fa,  porta  a  basso  molta  terra  f. 
molto  fango,  la  qual  materia  accumulata  insieme,  e  seccata,  e 
rassodata,  ne  vien  perciò  a  rimaner  l'Egitto,  e  n'è  abitato.  E 
per  questo  modo  il  Faro  che  ne' tempi  di  Omero,  secondo  che  si 
vede  nel  4  dell'Odissea ,  fu  isola  separata  da  terra  ferma  ,  essen- 
do accumulata  simil  materia  innanzi  aUe  bocche,  fu  dopo  con- 
giunta al  lido,  come  di  sopia  ha  detto  il  medesimo  nostro  Poeta  . 
— celeste  Nilo 

Celeste,  per  quello  che  si  disse  di  sopra  quando  il  Poeta  chia- 
mò celesti  gli  umori  suoi;  a  che  si  può  ancora  aggiungere  quel- 
lo che  del  predetto  fiume  scrive  Strabone  nel  17  libro,  citan- 
do Qmero  che '1  chiama  ZluniTca  cioè  sceso  dal  Cielo,  o  da  Gio- 
ve: e  quello  di  più  che  ne  dice  Eliodoro  nel  9  libro  della  sua 
Storia  Etiopica,  il  che  traduce  in  questo  modo  Leonardo  Chini: 
«  E  tanto  piìr  che  accade,  che  tornava  allora  il  tempo  de'Nilia- 
«  ci,  solennità  appo  gli  Egiziani  grandissima;  e  costumasi  ccle- 
«  brare  nel  tempo  dello  estivo  solstizio,  quando  il  fiume  comin- 
«  eia  a  prendere  aumento;  e  in  questa  pongono  gli  Egiziani 
«  maggiore  studio  che  in  tutte  l'altre,  e  fannolo  per  questa  ca- 
ci gione .  Fingono  essi  uno  in  forma  del  Nilo ,  e  leggendo  a  questo 
«  il  maggiore  de' più  potenti ,  e  con  grave  e  ornata  orazione  as- 
«  somigliano  il  fiume  al  Cielo,  come  quello  che  senza  nubi  e 
«  pioggie  aeree  bagna  i  colti  loro:  e  questo  fa  ogni  anno  ordina- 
te riamente,  e  per  tal  cagione  è  onorato  da  molti  popoli.  Ma 
«  quello  ch'egli  hanno  per  cosa  divina  è  che  stimano,  che  la 
«  principale  cagione  dell'  essere  e  vivere  degli  uomini  sia  la 
«  congiunzione  dell'umida  e  secca  natura  ,  dicendo  che  gli  altri 
«  alimenti,  non  principalmente ,  ma  uniti  con  questi  operano 
«,e  si  dimostrano.  Dicono  ancora  che  '1  Nilo  l'umido,  e  la  terra 
.«  loro  il  secco  rappresenta  ,  ec.  »  Gcast.. 


ice  LA  GERUSALEMME 

Al  mare  usurpò  il  letto  il  fertil  limo , 

E  rassodato  al  coltivar  fu  buono . 

Sì  crebbe  Egitto:  oh  quanto  a  dentro  è  posto 

Quel  che  fu  lido  ai  naviganti  esposto  ! 

XV. 

Nel  primiero  squadrone  appar  la  gente , 
Ch'  abitò  d'  Alessandria  il  ricco  piano. 
Gli'  abitò  il  lido  vólto  all'  Occidente, 
Ch'  esser  comincia  omai  lido  Africano . 
Araspe  è  il  duce  lor,  duce  potente 
D' ingegno  piìi,  che  di  vigor  di  mano  : 
Ei  di  furtivi  aguati  è  mastro  egregio , 
E  d'  ogn'  arte  Moresca  in  guerra  ha  '1  pregio  . 

XVI. 

Secondan  quei,  che  posti  in  ver  l'Aurora 
Nelle  costa  Asiatica  albergar©  ; 
E  gli  guida  Aronteo ,  cui  nulla  onora 
Pregio  o  virtij ,  ma  i  titoli  il  fan  chiaro  . 
Non  sudò  il  molle  sotto  l' elmo  ancora , 
Ne  mattutine  tfombe  anco  il  destaro  ; 
Ma  dagli  agi  e  dall'ombre  a  dura  vita 
Intempestiva  ambizion  l' invita  . 


Chiama  il  Nilo  celeste  ad  imitazion  di  Omero,  il  quale  lo  chia- 
mo Au  ^erVii  cioè  «  Stagnante  dal  Cielo,  o  Giove»  .  Dalla  quale 
appellazione  presero  arE;omento  gli  antichi  filosofi ,  che  la  causa 
dell'inondazione  del  Nilo  fosse  la  pioggia:  siccome  testifica  Stra- 
bone,  lib.  17,  E  chiama  l'Egitto  opera  ,  e  dono  del  Nilo  all'  u- 
•anza  de' Greci,  del  che  vedi  Aristotile  nello  Meteore.  Gent. 
St.  16.  Non  sudò  il  molle  sotto  l' elmo  ancora. 
Ne  mattutine  trombe  anco  il  destaro  . 

Quello  che  si  disse  della  copia,  e  della  varietà  con  che  il  Poeta 
nostro  spiegò  la  mostra  de' Cristiani  nel  primo  canto,  si  può  con- 
siderare di  nuovo  qui ,  e  c©n  tanta  maggior  meraviglia  ,  quanto  è 
questa  seconda  mostra;  e  pur  tuttavia  con  si  varj  e  nuovi  modi 
conduce  la  gente  innanzi ,  e  condisce  que' semplici  co'ncetti ,  che 
dilettevole,  e  oltre  ad  ogn'altra  meravigliosa  cosa  è  a  leggerla:  e 
se  Omero,  e  Virgilio  fecero  due  mostre  anch'essi,  ben  si  vede 
nella  seconda,  come  se  la  passino  seccamente,  e  quasi  senz'  ap- 
parato ed  ornamento  alcuno. 


LIBERATA   C.  XVII.  loi 

XVII. 

Quella  che  terza  è  poi,  squadra  non  pare, 
Ma  un'osle  immensa;  e  campi  e  lidi  tiene. 
Non  crederai  eh'  Egitto  mieta  ed  are 
Per  tanti;  e  pur  da  una  città  sua  viene: 
Città,  eh' alle  provincie  emula  e  pare. 
Mille  cittadinanze  in  se  contiene  : 
Del  Cairo  i'  parlo  :  indi  1  gran  vulgo  adduce , 
Vulgo  all'  arme  restio ,  Campsòne  è  il  duce . 

XVIII. 

Vengon  sotto  Gazel  quei  che  le  biade 
Segaron  nel  vicin  campo  fecondo , 
E  più  suso ,  insin  là  dove  ricade 
Il  fiume  al  precipizio  suo  secondo. 
La  turba  Egizia  avea  sol  archi  e  spade, 
Né  sosterri'a  d'elmo  o  corazza  il  pondo . 
D'abito  è  ricca;  onde  altrui  vien  che  porte 
Desio  di  preda,  e  non  timor  di  morte . 

XIX. 

Poi  la  plebe  di  Barca ,  e  nuda  e  inerme 
Quasi,  sotto  Alarcon  passar  si  vede; 


St.   i8.  e  pih  suso ,  insin  là  dove  ricade  ec. 
Al  precipizio  secondo  ,  cioè  alla  seconda  e  minor  cateratta  del 
Nilo,  eh' è  sovra  Siene  ed  Elefantina.  Strahone .  Guast. 

Accenna  ciò  che  dissero  molti,  ch'in  un  luogo  (  da  Plinio  Stu- 
disi nomA^o)  con  tal  furia,  e  con  tal  suono  si  precipita  il  Nilo, 
che  toglie  Tudito  alle  persone.  Plinio  al  e.  29  del  lib.  6:  Stadisin 
ubi    ISiihis  prcecipitans  se  ,Jrigore  auditum   accolis  nufert  .   La 
qnal  cosa  viene  toccata  dal  Petrarca  nel  Sonetto,  Se  mai  : 
«   Forse  siccome  il  Nil ,  d'  alto  cadendo, 
«   Col  grnn  suono  i  vicin  d' intorno  assorda. . 
E  l'Ariosto  al  canto  16,  stan.  56: 

«   Hendon  un  alto  suon  ,  che  a  quel  s' accorda 
«    C^ort  che  i  vicin  cadendo  il  Aito  assorda  . 
E  nelle  Rime: 

«    yers'  ove  il  Nilo  al  gran  cader  rimugge , 
Seneca  al  quarto  delle  Questioni  Naturali  ,  e  Aristotile  nel  fto- 
diaco,  Plinio  al  quinto.  Mart. 

St.   ig.   Poi  la  plebe  di  Barca  . 
Barca,  è  detto  ossidi  quel  deserto  e  inabitato  paese  dell  Af- 


102  LA  GERUSALEMME 

Che  la  vita  famelica  nelF  erme 
Piagge  gran  tempo  sostentò  di  prede  , 
Con  istuol  manco  reo  ,  ma  inetto  a  ferme 
Battaglie,  di  Zumara  il  re  succede; 
Quel  di  Tripoli  poscia;  e  l' uno  e  1'  altro 
Nel  pugnar  volteggiando  è  dotto  e  scaltro . 

XX. 

Di  retro  ad  essi  apparvero  i  cultori 
Dell'Arabia  Petrea ,  della  Felice, 
Che  '1  soverchio  del  gelo  e  degli  ardori 
Non  sente  mai,  se  '1  ver  la  fama  dice; 
Ove  nascon  gT  incensi  e  gli  altri  odori^ 
Ove  rinasce  V  immortai  Fenice  , 


fiica,  che  si  stende  da  Tripoli  di  Baibaiia  fino  ad  Alessaudria  di 
Egitto,  ed  era  anticamente  detto  Maiinarica. 
St.  20.  Dell'  Arabia  Petrea,  della  Felice,  ec. 
Il  Bembo  : 

«  Neil' odorato  e  lucido  Oriente, 

«  Z/(l  sotto  il  vago  e  temperato  cielo 

o  Della  felice  Arabia,  che  non  sente 

a.  Sì  che  l'offenda  mai  caldo ,  né  gelo  . 
■Il  qual  concetto  tolse  il  Bembo  da  quella  bellissima  e  vaghissi- 
ma Elegia  di  Lattanzio  intitolata  Phenix;  come  che  però  Lat- 
tanzio non  dell'Arabia  Felice,  ma  si  ben  d'altro  luogo  parlasse, 
ch'egli  poeticamente  e  trovò,  e  volle  descrivere,  come  quasi  tut- 
to il  resto  di  quell'Elegia  . 

—  Ok/c  nascon  gì'  incensi  e  gli  altri  odori  . 
Strabone  ne_  luoghi  addotti  di  sopra  . 

—  Oi'e  rinasce  V  immortal  Fenice  ,  ee. 

Dal  medesimo  luogo  tradusse  Dante  que'suoi  versi,  Inf.  %!\^. 
«  Erba  nò  biada  in  sita  vita  non  pasce 

tt   Ala  sol  d' incenso  lacrime ,  e  d' amomo  , 
«   E  nardo  ,  e  mirra  son  V  ultime  fasce  , 
Perchè  dice  Ovidio: 

« Nec  fruge  ,  nec  herhis  , 

«  Sed  th/iris  lac.rymis ,  et  succo  l'ivit  amami. 
E  non  dirò  altro  di  questo  uccello,  per  esserne  pieno  quasi  o- 
gni  libro,  se  non  che  mi  par  d'avere  scorte  circa  il  suo  nasci- 
mento due  opinioni:  l'una  si  è, «che  il  medesimo  che  more  si 
rifaccia  e  ristori  di  nuovo:  T  altra  ,  che  non  rinasca  l'istesso,  ma 
che  infonda  in  quel  suo  odorifero  nido  certa  forza  generativa  , 
dalia  quale  un  nuovo  fenice  si  generi  .  E  questa  è  la  vera:  dalla 
quale  non  discorda  la  prima,  se  con  discreta  maniera  s' intende 
ed  interpreti* .  Geist. 


LIBERATA    C.  XVII.  io3 

Che  tra  i  fiori  odoriferi ,  che  aduna 
Air  esequie,  ai  natali,  ha  tomba  e  ernia. 

XXI. 

L'  abito  di  costoro  è  meno  adorno  ; 

Ma  r  armi  a  quei  d'Egitto  han  simiglianti. 
Ecco  altri  Arabi  poi ,  che  di  soggiorno 
Certo  non  sono  stabili  abitanti. 
Peregrini  perpetui  usano  intorno 
Trarne  gli  alberghi  e  le  cittadi  erranti  : 
Han  questi  femminil  voce  e  statura , 
Crin  lungo  e  negro ,  e  negra  faccia  e  scura . 


—  Che  tra  fiori  odoriferi  eh'  aduna 

■All' esequie ,  ai  natali ,  ha  tomba  e  cuna  . 
Questa  favola  della  morte  e  del  rinascimento  della  Fenice  com 
molta  vaghezza  e  leggiadria  come  altre  cose  sue,  toccò  nelle  Tra- 
f formazioni  Ovidio,  cosi  dicendo,  lib.  i5,  v.  SgS: 

«  Hoec  ubi  (juinque  suoe  conipleAt  scecula  t'ita:, 
«   Iticis  in  ramis  ,  tremulceve  cacumine  palmoe 
n    Unguibus  et  duro  nidum  sibi  construit  ore  . 
«    Quo  simul  ac  casias,  et  nardi  lenis  aristas 
«    Ouassaque  cum  fulva  substravit  cinnama  nvyrrha  f. 
«  Se  super  imponit ,  fnitque  in  odoribus  osi'um  . 
«   Inde  Juerunt  totidem  qui  vivere  debeat  annas  , 
«    Corpore  de  patrio  parvuin  Phocnica  renose  i . 
«    Cum  dedit  Imic  oetas  vires  ,  onorique  ferendo  est 
«    Ponderibus  nidi  ramos  levai  arboris  alta:  , 
«   Fertque  pius  cunasque  suas  ,  patriumque  sepulchruin . 
E  con  magi^ior  copia,  e  con  vaghezza  non  minore  spiegò  tutto  \\ 
fatto  Lattanzio  Firmiano  nell'Elegia  citata  fli  sopra,  nella  quale  fra 
gli  altri,  somigliante  ai  presenti  del  Poeta  nostro,  è  questo  verso: 
«    Construit  inde  sibi  seu  nidum  ,  sive  scpulchrum.    GoAST. 
St.   21.   Ecco  altri  Arabi  poi  ,  che  di  soggiorno 
Certo  non  sono  stabili  abitanti . 
Sono  questi  gli  Arabi  Sceniti,  cosi  detti  dalla  voce  greca  CX'^vv;-^ 
che,  ombra,  o  adombramento,  o  ridotto  fatto  di  foglie,  di  pelli  > 
e  di  simil  materia  per  stare  al  coperto,  signidca;  sotto  i  quali  li- 
dotti  albergando  continuamente  ,  anzi  seco  stessi  ,  come  vaghi  ed 
erranti  che  quegli  erano,  portandolisi  sempre  ovunque  andasse- 
ro dietro,  n'acquistarono  perciò  cotal  nome. 

—  ffiin  questi  femminil  l'ore  e  statura  . 

Lodovico  Romano  nel  primo  libro  delle  sue  Navigazioni  al  cap. 

nono,  di  questi  Arabi  parlando,  scrive  cos'i:  «  Per  armi  portano 

«    una  canna  lunga  dicci  o  dodici  braccia,  che  nella  punta  ha  un 

u.  ferro,  e  intorno  intorno  è  lavorata  di  seta.  Sono  di  statiua 

G.  Lip.  T.  ni.  t) 


L 


164  LA  GERUSALEMME 

XXII. 

Lunghe  canne  Indiane  arman  di  corte 
Punte  di  ferro  e  'n  su'  destrier  correnti 
Diresti  ben  che  un  turbine  lor  porte  ^ 
Se  pur  han  turbo  sì  veloce  i  venti . 
Da  Siface  le  prime  erano  scorte: 
Aldino  in  guardia  ha  le  seconde  genti: 
Le  terze  guida  Albiazar,  eh'  è  fiero 
Omicida  ladron,  non  cavaliere. 

XXIII. 

La  turba  è  appresso,  che  lasciate  avea 
L'isole  cinte  dall' Arabich'  onde, 
Da  cui  pescando  già  raccor  solca 
Conche  di  perle  gravide  e  feconde. 
Sono  i  Negri  con  lor ,  sull'  Eritrea 
Marina  posti  alle  sinistre  sponde . 
Quegli  Agricalte ,  e  questi  Osmida  regge , 
Che  schernisce  ogni  Fede  ed  ogni  Legge . 

XXIV. 

Gli  Etiopi  di  Meroe  indi  seguirò , 
Meroe  che  quindi  il  Nilo  isola  face. 
Ed  Astrabora  quinci ,  il  cui  gran  giro 
È  di  tre  regni ,  e  di  due  Fé  capace . 


«  brutta  e  picciola  .  11  color  loro  è  fra  1  berettino  e  1  negro;  la 
«  voce  di  donna,  i  capegli  hanno  lunghi ,  e  distesi  e  nereggianti . 
St.  22.  Se  pur  han  turbo  si  veloce  i  l'enti. 
Turbo  è  quel  vento,  che  i  Greci  chiamano  Thyphona  ,  i  Latini 
turbinem  et  vorticem .  Perciocché  è  fiato,  il  quale  con  gran  vio- 
lenza e  stridore  uscendo  da  una  nube  in  un'altra  nube  percuote, 
onde  si  aggira  non  altrimente,  che  soglia  il  vento  aggirarsi  in  uà 
angiporto.  Sicconse  scrive  Aristotile  nelle  Meteore.  Gbnt. 

St.  23.  Sono  i  Negri  con  lor ,  sull'  Eritrea 
Marina  posti  alle  sinistre  sponde . 
Gli  Etiopi  a  man  sinistra  nell' entrar  del  Golfo  Arabico,  o  Mar 

Rosso.  GOAiT. 

St.  7^.   Gli  Etiopi  di  Meroe. 
Gli  Etiopi  sotto  r Egitto. 

—   Ed  Astrabora  quinci  . 
E  r  Astrabora  un  fiume,  il  quale  sbocca  nel  Nilo,  e  insieme 


LIBERATA    G.  XVII.  io5 

Gli  condiicea  Canario  ed  Assimiro , 
Re  r  uno  e  1'  altro,  e  di  Macon  seguace, 
E  tributario  al  Calife;  ma  tenne 
Santa  credenza  il  terzo ,  e  qui  non  venne  . 

XXV. 

Poi  duo  regi  soggetti  anco  venieno 

Con  squadre  d'  arco  armate  e  di  quadrella  : 
Un ,  Soldano  è  d'  Ormus ,  che  dal  gran  seno 
Persico  è  cinta,  nobil  terra  e  bella; 
L'  altro  di  Boecan  :  questa  è  nel  pieno 
Del  gran  flusso  marino  isola  anch' ella; 
Ma  quando  poi  scemando  il  mar  s'  abbassa , 
Col  piede  asciutto  il  peregrin  vi  passa  . 

XXVI. 

Né  te ,  Altamoro ,  entro  al  pudico  letto 
Potuto  ha  ritener  la  sposa  amata  . 
Pianse,  percosse  il  biondo  crine  e  '1  petto ^ 
Per  distornar  la  tua  fatale  andata . 
Dunque  (dicea)  crudel,  più  che  '1  mio  aspettOj 
Del  mar  1'  orrida  faccia  a  te  fia  grata  ? 
Fian  r  arme  al  braccio  tuo  più  caro  peso , 
Che  '1  picciol  figlio  ai  dolci  scherzi  inteso  ? 

XXVII. 

E  questi  Re  di  Sai'macante  ;  e  '1  manco  , 
Che  'n  lui  si  pregi  è  il  libero  diadema; 
Così  dotto  è  neir  arme ,  e  cosi  franco 
Ardir  congiunge  a  gagliardia  suprema. 
Saprallo  ben  (  1'  annunzio  )  il  popol  Franco; 
Ed  è  ragion  che  insino  ad  or  ne  tema  . 


con  un  altro  fiume  detto  Astapo,  che  sbocca  dall' altra  lato,  comtr 
dice  Strabene  nel  principio  del  17  libro,  fa  l'isola  di  Meroe. 
St.   25.    Un,  Soldano  ò  d'  Orrnìis  . 
Soldano  Tuoi  dire  prefetto  o  governatore;  e  cosi  chiamava  il 
Ee  di  Persia  quelli  eh'  egli  faceva  soprastanti  alle   sue  provincie, 
come  si  disse  ancora  al  nono  canto . 

— che  dal  gran  seno 

Persico  è  cìnta .. 


io6  LA.  GERUSALEMME 

I  suoi  guerrieri  indosso  lian  la  corazza , 
La  spada  al  fianco,  ed  all'  arcion  la  mazza. 

XXVIII. 

Ecco  poi  fin  dagl'Indi,  e  dall'albergo 
Dell'Aurora  venuto  Adrasto  il  fero  , 
Che  d'  un  serpente  indosso  lia  per  usbergo 

II  cuojo  verde  e  maculato  a  nero; 
E  smisurato  a  un  elefante  il  tergo 
Preme  così,  come  si  suol  destriero. 
Gente  guida  costui  di  qua  dal  Gange , 
Che  si  lava  nel  mar  che  l' Indo  frange . 

XXIX. 

Nella  squadra  che  segue  è  scelto  il  fiore 
Della  regal  milizia  ,  e  v'  ha  quei  lutti 
Che  con  larga  mercè  ,  con  degno  onore, 
E  per  guerra  e  per  pace  eran  condutti  ; 
Cli'  armali  a  sicurezza  ed  a  terrore 
Vengono  in  su  destrier  possenti  inslrutli: 
E  de' purpurei  manti,  e  della  luce 
Dell'  acciaio  e  dell'oro,  il  ciel  riluce. 

XXX. 

Fra  questi  è  il  crudo  Alarco  ,  ed  Odemaro 
Orcìinator  di  squadre,  ed  Idraorte, 
E  Rimedon,  che  per  1'  audacia  è  chiaro, 
Sprezzalor  de' mortali  e  della  morte; 
E  Tigrane,  e  Rapoldo  il  gran  corsaro. 
Già  de' mari  tiranno;  e  Ormondo  il  forte, 
E  Marlabusto  Arabico,  a  chi  '1  nome 
L'  Arabie  dier,  che  ribellanti  ha  dome, 
xxxi. 

Evvi  Orindo ,  Arimon ,  Pirga ,  Brimarte 
Espugnator  delle  città  ,  Sifante 


È  Ormus  isola  nel  golfo  di  Persia.  E  perciò  disse  di  sopra  il 
Poeta,  che  l'impero  del  Re  d'E;^iUo  andava  fin* oltre  all'Euirate  , 
il  qiial  fiume  sbocca  in  questo  seno  . 

St.  3i.   Evi'i  Orindo,  Arimon,  Pirga,  Brimarte , 


LIBERATA    G.  XVil.  107 

Domator  de' cavalli^  e  tu  dell'arte 
Della  lotta  maestro ,  Aridamante  ; 
E  Tisaferno  ;,  il  folgore  di  Marte, 
A  crii  non  è  chi  d'  agguagliar  si  vanto, 
O  se  in  arcione ,  o  se  pedon  contrasta, 
0  se  rota  la  spada,  o  corre  1'  asta. 

XXXII. 

Guida  un  Armen  la  squadra  ,  il  qual  tragitto 
Al  Paganesmo  nelletà  novella 
Fé' dalla  vera  Fede;  ed  ove  ditto 
Fu  già  Clemente,  ora  Emiren  s'  appella; 
Per  altro  uom  fido,  e  caro  al  Re  d'  Egitto 
Sovra  quanti  per  lui  calcar  mai  sella; 
E  duce  insieme  e  cavalier  soprano 
Per  cor  ,  per  senno  e  per  valor  di  mano . 

XXXIII. 

Nessun  più  rimanea  ,  quando  improvvisa 
Armida  apparve,  e  dimostrò  sua  scliiera. 


Molti  così  alla  rinfusa  nomina  ,  come  nel  fin  del  racconto  tro- 
vandosi,  e  t(uasi  desideroso  di  spacciarsene;  e  ad  imitazion  d'  O- 
mcro  e  di  Virgilio  . 

St.   3a.    Guida  un  Armen  la  squadra . 
L' Arcivescovo  di  Tiro  nella   sua  storia  diceche  si  rinnegò  co- 
stui per  somma  di  danari  ricevuti  da'  nemici . 

— ,  ...  il  qual  tragitto . 

Dante  nel  34  dell'  Infern. 

«   Da  sera  a  mane  ha  fatto  il  Sol  tragitto . 

— ed  ove  ditto 

Fu  già  Clemente . 
Così  il  chiama  Roberto  monaco  nell'ottavo  libro  della  sua  sto- 
ria; ma  l'Arcivescovo  di  Tiro,  Elefdalio  ed  Erairco  ;  ma  Emirco 
dice  Paolo  Emilio    eh'  è  vocabolo   comune  ,  e    che    significa  iiv 
quella  lingua  Satrapo  e  nobilissimo .  Goast. 

—  E  duce  insieme  e  cavalier  soprano  ec. 
Dant-e,  Inf.  18: 

«  Quegli  e  Giason ,  che  per  cuore  ,  e  per  senno 
«  Li  Calchi  del  monton  privati  Jene  . 
Ma  è  da  notare  ,  che  appo  i  I^atini  il  medesimo  significava 
cuore  che  senno,  cioè  sapienza;  onde  i  gran  Savj  si  dimandava- 
no Corculi  :  noi  per  la  fortezza  lo  prendiamo ,  ma  il  nome  valore 
è  preso  qui  dal  Tasso  in  quel  significato,  che  dagli  antichissimi 
Romani  si  preudea  il  aome  valentia  :  cioè  differciiU  dal  senno . 


leb  LA  GERUSALEMME 

Venia  sublime  in  un  gran  carro  assisa  , 
Succinta  in  gonna  ,  e  faretrata  arciera  ; 
E  mescolato  il  novo  sdegno  in  guisa 
Col  natio  dolce  in  quel  bel  volto  s*  era, 
Che  vigor  dalle;  e  cruda  ed  acerbetta 
Par  che  minacci,  e  minacciando  alletta. 

XXX IV. 

Somiglia  il  carro  a  quel  che  porta  il  giorno , 
Lucido  di  piropi  e  di  giacinti: 
E  frena  il  dotto  auriga  al  giogo  adorno 
Quattro  unicorni  a  coppia  a  coppia  avvinti 
Cento  donzelle  e  cento  paggi  intorno 
Pur  di  faretra  gli  jomeri  van  cinti; 
Ed  ai  bianchi  destrier  premono  il  dorso , 
Che  sono  al  giro  pronti  e  lievi  al  corso  . 

XXXV. 

Segue  il  suo  stuolo ,  ed  Aradin  con  quello 
Ch'  Idraote  assoldò  nella  Soria. 
Come  allor  che  '1  rinato  unico  augello 
I  suoi  Etiopi  a  visitar  s' invia  , 


Tìtìnìiis ,  Setina;  Sapìentìa  gubcrriiitor  naverrt  torquet ,  non  va- 
lentia: ma  vi  aggiunse  di  mano;  conciossiachc  valore  in  lingua 
Tolt,'aie  ogni  virtù  abbracci.  Gent. 

St.   34.  Somiglia  il  carro  a  quel  che  porta  il  giorno  eC. 
Descriiione  in  vece  del  nome.  Rinato  ed   unico  son   due  con- 
dizioni ,  elle  solo  alla  fenice  s'appartengono  .  Gua^t. 

Il  piropo  è  gemma  di  grandissimo  prezzo,  detta  da  noi  Carbon- 
chio; viene  da  Trup  ,  che  tanto  vale  quanto  fuoco,  essendo  che 
detta  gemma  risplenda  come  fuoco,  come  abbiamo  dimostrato 
più  sotto.  Maht. 

St.  35.  Come  aliar  die  7  rinato  unico  augello  ce. 
Siccome  dissi  di  sopra   nel  cau.  elccimoscsto ,  che  il   Tasso  in 
quei  versi  di  Cartagine  avea  superato  il  Sanazzaro;  cosi  in  questi 
della  Fenice  non  so  se  l'abbia  conseguito,  1.  vt,  v.  4»5  de  Par.  Vir. 

'< Qiialis ,  nostrum  cum  tcndit  in  orbem, 

«   Purpurcis  nitilat  pennis  nitidissima  Pliceni.v: 

«    Quam  varifc  circurn  vo/ucres  comitantiir  eiintcm. 

«    Illa  volans  ,  Solem  nativo  provocai  auro 

«  Fulva  Caput ,  caudam,  et  roseis  interlita  punctis 

«    Coeruleani;  stiipct  ipsa  cohors ,  plausuque  sonoro 

<■<■  Per  sudum  .strepit  innumeris  g.rgrcitus  alis .  Gbnj. 


LIBERATA    G.  XVII  109 

Vario  e  vago  la  piuma ,  e  ricco  e  bello 
Di  monil,  di  corona  aurea  natia; 


Muore  e  rinasce  quest'uccello  nell'Arabia  Felice.  Egli  ogni  volta 
che  per  lo  peso  soverchio  degli  anni  morto,  si  è  risanato,  il  che 
favoleggiano  essere  dopo  i  settecento  settantanni,  portando  seco 
tutto  quell'odorifero  nido,  o  sepolcro  suo,  riparata  la  vita  e  la 
gioventù  ,  si  parte  dall'Arabia,  e  verso  l'Egitto,  o  Etiopia  alla 
città  del  Sole,  pianeta  a  cui  egli  è  dedicato,  accompagnato  da  in- 
finita schiera  d'uccelli  che  l'ammirano  ,  si  va  ;  e  quivi  sopra  l'al- 
tare deposto  il  dolce  carico  ,  si  ritorna  all'Arabia,  o  secondo  Lat- 
tanzio ,  a  quel  felicissimo  luogo  nell'Oriente,  ov'  e'  descrive  «he 
quegli  tiene  la  sua  abitazione  .  E  da  questo  è  tolta  la  comparazio- 
ne ch'usa  qui  il  nostro  Poeta,  come  anco  ne  la  tolse  Claudiano 
nel  2  Panegirico  a  Stilicone,  v.  l\\'i:  così  dicendo: 

o   Sic  ubi  fcBCunda  reparavìt  morte  juvenUim  , 
«  Et  patrios  idem  cineres  ,  collectaque  portai 
«    Ungvihus  ossa  pii.t ,  Ailic/ite  ad  li  ti  ora  tendens 
«    Unicus  extremo  Phoenix  procedit  ab  Euro 
«    Conveniunt  aquiloe ,  cunctoeque  ex  orbe  volucres , 
«    Ut  Solis  mirentur  avem  ;  prociil  ignea  lucei 
«   j4les ,  odorati  redolent  cui  cinnama  busti,  etc. 
Lattanzio  nell'Elegia  citata  descrive  tutto  il  fatto,  dove  fra  gli 
altri  sono  questi  versi  : 

«    yic  uhi  primoeva  coepit  florere  juventa  , 

«   Ei'olat  ad  primas  jam  reditura  domos . 
«   Ante  tainen ,  proprio  quicquid.  de  corpore  restata 

«    Ossaque ,  vel  cineres  ,  exsuviasque  suas , 
«    Unguine  balsameo ,  myrrhaque ,  et  thure  soluto 

«    Condii  ,  et  in  J'ormam  conglobai  ore  pio. 
*    Quam  pedibus  gestans  contendit  Solis  ad  orius , 

«   Inque  ara  residens  pomi  ,  in  cede  sacra  . 
x   Mirandam  scse  praestat ,  prosbetque  vìdenti  : 
«    Tantus  ibi  decor  est ,  tantus  abundai  honor  . 
£  quésti  altri: 

«  Sed  levis  et  velox  regali  piena  decore , 

a    Talis  in  adspectu  se  exhibet  usque  hominum^ 
o    Convenit  ^gyptus  tanti  ad  miracula  visus  , 
«    Et  raram  volucrem  turba  salutai  ovans . 
—    Vario  e  vago  la  piuma ,  e  ricco  e  bello 
Di  monil ,  di  Corona  aurea  natia. 
Plinio  al  2  cap.  del  io  libro,  di  quest'uccello  parlando:  Aquiloe 
narratur  magnitudine,  auri  Julgore  circa  colla,  coetera  purpureiis 
cceruleam  roseis  caiidam  pennis  distinguentibus  eie. 
Lattanzio  nell'Elegia  allegata: 

(i   jEquatur  foto  capiti  radiata  corona 
<(   P  il  febei  refercns  verticis  alia  decus  . 
E  il  Sauazzaro  ne' tersi  citati  di  sopra  : 

« Soltm  nativo  provocai  auro. 


i.o  L.\  GERUSALEMME 

Stupisce  il  mondo  ;  e  va  dietro  ed  ai  laii 
Meravigliando  esercito  d'  alati  : 
xxxvr. 
Così  passa  costei,  meravigliosa 

D'abito,  di  maniere  e  di  sembiante: 
Non  è  allor  sì  inumana,  o  sì  ritrosa 
Alma  d'amor,  cbe  non  divenga  amante. 
Veduta  appena,  e  in  gravità  sdegnosa. 
Invaghir  può  genti  sì  varie  e  tante  : 
Che  sarà  poi ,  quando  in  più  lieto  viso 
Co' begli  occhi  lusinghi  e  col  bel  riso? 

XXXVII. 

Ma  poi  eh'  ella  è  passata ,  il  Re  de'  regi 
Comanda  ch'Emireno  a  sé  ne  vegna , 
Che  lui  preporre  a  tutti  i  duci  egregi , 
E  duce  Tarlo  universal  disegna  . 
Quel ,  già  presago ,  a'  meritati  pregi 
Con  fronte  vien,  che  ben  del  grado  è  degna  : 


Ed  il  Petrarca  : 

«  Questa  Fenice  dell'  aiiruta  piuma 
«  Al  suo  bel  collo  candido  gentile 
(!   Forma  se nz'  arte  un  sì  caro  monile  eC. 

— e  va  dietro  ed  ai  lati 

Meravigliando  esercito  d'  alati  . 
Meravigliando,  cioè  meravigliandosi.  Ed  è  il  concetlo  del  San- 
nazaro: Stupet  ipsa  coliors :  e  anco  diClaudiano:   Ul  Sulis  mircn- 
tur  a^'exn  .  Il  meravigliando ,  per  meravigliandosi  ,  è  come  quello 
del  Petrarca  : 

«    Ond' io  meravigliando  dissi,  or  come? 
Cioè  meravigliandomi.  E  quell'altro: 

«  Vergognando  talor  eh' ancor  si  taccia; 
per  vergognandomi.  Di  che  si  ragione  ancora  in  altri  luoghi 
di  queste  annotazioni.  Ma  quelli  che  per  ammirando  l'espon- 
gono, e  n'accusano  perciò  d'improprietà  il  Poeta  ,  mostrano  be- 
ne die  eziandio  con  pregiudizio  degli  ingegni  loro,  si  sforzino  Ai 
trovar  falli  nel  presente  poema.  Ma  ben  con  offesa  d'altro  cIir 
d'ingegno  nelle  repliche  poi,  quando  per  mantener  1' esposizion; 
prima  lanno  dire  al  Poeta: 

««   Stupisce  il  mondo  ;  ed  ha  dietro  ed  ai  lati  ec. 
in  luogo  di  va,  com'è  la  vera  lezione  .  Guasx. 

Si  è  veduto  iu  Lutiauzio,  che  la  Fenice  quando  v»ol  ujorirc 


LIBERATA    C.  XVII.  1 1 1 

La  guardia  de'  Circassi  in  due  si  fende, 
E  gli  fa  strada  al  seggio;  ed  ei  v'  ascende. 

XXXVIII. 

E ,  chino  il  capo  e  le  ginocchia  ,  al  petto 
Giunge  la  destra;  e  '1  Re  così  gli  dice  : 
Te' questo  scettro:  a  te,  Emiren,  commetto 
Le  genti,  e  tu  sostieni  in  lor  mia  vice; 
E  porta,  liberando  il  Re  soggetto. 
Su'  Franchi  l' ira  mia  vendicatrice. 
Va',  vedi,  e  vinci  ;  e  non  lasciar  de'  vinti 
Avanzo;  e  mena  presi  i  non  estinti. 

XXXIX. 

Così  parlò  il  Tiramio  ;  e  del  soprano 
Imperio  il  cavalier  la  verga  prese: 
Prendo  scettro ,  signor,  da  invitta  mano, 
Disse,  e  \o  co'  tuo'  auspicj  all'alte  imprese; 


va  in  Affrica;  e  morta  e  rinnovata,  subito  che  può  volare,  torna 
■el  suo  paese,  passando  per  l'Egitto,  ove  son   gli  Etiopi. 

Marx. 

St.  38 e  tu  sostieni  in  lor  mia  vice. 

Vice  è  parola  usata  da  Dante  nel  27  del  Farad. 
«   La  providcnzia ,  che  quivi  cumparte 
«    Vice  ed  ufficio  . 
—    f^a  ,  vedi  e  vinci , 
GÌ' impone  e  gli  augura  prestezza,  come  con  le  medesime  paro- 
le la  significò  Cesare   a' suoi  amici  dopo  la  rotta  data  a  Farnace 
figliuolo  di  Mitridate,  cosi  scrivendo:  Veni ,  vidi,  vici.  Gcast, 
Cosi  al  canto  1 8 ,  stan.  l^o  : 

it    Vidi  ,  e  vinsi  gì'  incanti . 
L'Ariosto  al  canto  46,  stan.  96: 

«   Sicché  può  dir  che  viene  e  vede  e  vince. 
St.   39.  Disse  ,  e  vo  co' tuoi  auspicj  all'alte  imprese. 
Nota  magnificenza  di  verso,  la  quale  fanno  non  tanto  le  parole 
accorciate,  quanto  la  congiunzione  di  quei  monosiiiabi,e  vo  ce/ 
tuo'.  Tale  è  quel  verso  di  Virgilio,  Georg,  i  ,  v.  24  : 

a    Tuque  adeo  ,  qitem  mox  quce  sint  habitura  deoriim, 
«   Concilia  . 
e  lib.  G  dell'  Eneide ,  v.  791  : 

u   Hic  rir ,  liic  est ,  tihi  quem  promitti  scepius  audis , 
«   Augiistus  C cesar  . 
Perchè  ti  fanno  ritardare,  come  che  parlino  di  cosa  che  non  si 
deve  cosi  leggiermente  e  velocemente  trapassare.  Quella  preghie- 
ra poi   ch«  fa  Emireno  Bella  seguente  stanza,  si  attribuisce  dagli 


112  LA  GERUSALEMME 

E  spero  ,  in  tua  virtù ,  tuo  capitniio  . 
Dell'  Asia  vendicar  le  gravi  offese. 
Né  tornerò j  se  vincitor   non  torno; 
E  la  perdita  avrà  morte  _,  non  scorno  . 

XL. 

Ben  prego  il  ciel,  che  s'  ordinato  male, 
(  Gh'  io  già  noi  credo  )  di  lassù  minaccia  , 
Tutta  sul  capo  mio  quella  fatale 
Tempesta  accolta  di  sfogar  gii  piaccia  : 
E  salvo  rieda  il  Campo ,  e  'n  trionfale  , 
Più  che  in  funebre  pompa  il  Duce  giaccia  . 
Tacque  :  e  seguì  co'  popolari  accenti 
Misto  un  gran  suon  di  barbari  istrumenti , 

XLI. 

E  fra  le  grida  e  i  suoni  in  mezzo  a  densa 
Nobile  turba  il  Re  de'  Re  si  parte: 
E  giunto  alla  gran  tenda,  a  lieta  mensa 
Raccoglie  i  duci,  e  siede  egli  in  disparte: 
Ond'  or  cibo ,  or  parole  altrui  dispensa , 
Né  lascia  inonorata  alcuna  parte . 
Armida  all'arti  sue  ben  trova  loco 
Quivi  opportun,  fra  1' allegrezza  e  '1  gioco. 

XLII. 

Ma  già  tolte  le  mense ,  ella ,  che  vede 
Tutte  le  viste  in  se  fisse  ed  intente; 

E  eh'  a'  seyni  ben  noti  omai  s'  avvede 

o 

Che  sparso  è  il  suo  venen  per  ogni  mente  , 
Sorge  ,  e  si  volge  al  Re  dalla  sua  sede , 
Con  atto  insieme  altero  e  riverente; 
E ,  quanto  può  ,  magnanima  e  feroce 
Cerca  parer  nel  volto  e  nella  voce . 

XLIII. 

O  Re  supremo  ,  dice,  anch  io  ne  vegno 
Per  la  Fò,  per  la  patria  ad  impiegarmc. 


Jàloiici  a  Firiiilio  ed  a  M.  Anloiiiu,  n(iJle  gueue  di  Perseo  Re  « 

dt-' Parti.  GrENT. 


LIBERATA  C.  XVII.  ii3 

Donna  son  io  ,  ma  regal  donna;  indegno 
Già  di  reina  il  guerreggiar  non  parme. 
Usi  ogni  arte  regal  chi  vuole  il  regno  ; 
Dansi  all'  istessa  man  lo  scettro  e  1'  arme. 
Saprà  la  mia  (ne  torpe  al  l'erro  o  langue) 
Ferire,  e  trar  dalle  ferite  il  sangue. 

XLIV. 

Né  creder  che  sia  questo  il  dì  primiero 
Ch'  a  ciò  nobil  m'  invoglia  alta  vaghezza  ; 
Che  'n  prò  di  nostra  Legge  e  del  tuo  Impero 
Son  io  già  prima  a  militar  avvezza . 
Ben  rammentar  dei  tu  s' io  dico  il  vero, 
Che  d'  alcun'  opra  nostra  hai  pur  contezza  : 
E  sai  che  molti  de'  maggior  campioni , 
Che  dispieghin  la  Croce ,  io  fei  prigioni . 

XLV. 

Da  me  presi  ed  avvinti ,  e  da  me  furo 
In  magnifico  dono  a  te  mandati  ; 
Ed  ancor  si  stanano  in  fondo  oscuro 
Di  perpetua  prigion  per  te  guardati  ; 
E  saresti  ora  tu  via  più  securo 
Di  terminar ,  vincendo ,  i  tuoi  gran  piati  ; 
Se  non  che  il  fier  Rinaldo,  il  quale  uccise 
I  miei  guerrieri ,  in  libertà  li  mise . 

XLVI. 

Chi  sia  Rinaldo.,  è  noto;  e  qui  di  lui 
Lunga  istoria  di  cose  anco  si  conta. 


St.  43-  Saprà  la  mia  (né  torpe  aljerro  o  langue) 

Ferire ,  e  trar  delle  ferite  il  sangue . 
Virgilio  nel  12  dell'Eneide,  v.  5o  : 

«  Et  nos  tela  pater,  f'errumque  haud  debile  dextra 
«   Spargimus ,  et  nostro  setjuitur  de  vulnere  sangui*. 
—  Dansi  all'  istessa  man  lo  scettro  e  V  arme . 
Il  medesimo  suona  quel  verso  proverbiale  d'  Omero: 

Glie  f  nel  dire  :  ce  Buono  Re  ,  e  forte  guerriero  » .  Gf.ht. 


]i4  LA  GERUSALEMME 

Questi  è  '1  crudele ,  onci'  asprameule  io  lui 
Offesa  poi,  né  vendicata  ho  Y  onta  . 
Onde  sdegno  a  ragione  aggiunge  i  sui 
Stimoli ,  e  più  mi  rende  all'  arme  pronta  : 
Ma  qual  sia  la  mia  ingiuria,  a  lungo  detta 
Saravvi  ;  or  tanto  basti  :  io  vuo'  vendetta  ; 

XLVII. 

E  la  procurerò  :  che  non  invano 

Soglion  portarne  ogni  saetta  i  venti; 
E  la  destra  del  ciel  di  giusta  mano 
Drizza  1  arme  talor  contra  i  nocenti. 
Ma ,  s'  alcun  fia  eh'  al  barbaro  inumano 
Tronchi  il  capo  odioso,  e  mei  presenti, 
A  grado  av  rò  questa  vendetta  ;  ncora  ; 
Benché,  fatta  da  me,  più  nobil  torà: 

XLVIII. 

A  grado  sì ,  che  gli  sarà  concessa 

Quella  eh'  io  posso  dar  maggior  mercede. 
Me,  d'  un  tcsor  dotata,  e  di  me  stessa, 
In  moglie  avrà,  s' in  guiderdon  mi  chiede: 
Così  ne  faccio  qui  stabil  promessa, 
Così  ne  giuro  inviolabd  lede  . 
Or  s'  alcuno  è  che  stimi  i  premj  nostri 
Degni  del  rischio ,  parli  e  si  dimostri . 

XLIX. 

Mentre  la  donna  in  guisa  tal  favella , 
.Adrasto  affigge  in  lei  cupidi  gli  occhi: 
Tolga  il  ciel ,  dice  poi ,  che  le  quadrella 
jN  el  barbaro  omicida  unqua  tu  scocchi  ; 
Che  non  è  degno  un  cor  villano,  o  bella 
Saettatrice,  che  tuo  colpo  il  tocchi: 
Atto  dell'ira  tua  ministro  io  sono; 
Ed  io  del  capo  suo  ti  farò  dono  . 

L. 

lo  sterperógli  il  core  :  io  darò  in  pasto 
Le  membra  lacerate  agli  avoltoi. 


LIBERATA    C.  XVII.  n5 

Così  parlava  T Indiano  Adrasto; 
Né  soffrì  Tisaferno  i  vanti  suoi. 
E  chi  sei  (disse)  tu,  che  sì  gran  fasto 
Mostri,  presente  il  Re,  presenti  noi? 
Forse  è  qui  tal,  ch'ogni  tuo  vanto  audacp 
Supererà  co' falli,  e  pur  si  tace. 

LI. 

Rispose  r  Indo  fero  :  io  mi  son  uno , 

Gli' appo  r  opre  il  parlare  ho  scarso  e  scemo; 
Ma  s' altrove,  che  qui,  così  importuno 
Parlavi  tu,  parlavi  il  detto  eslremo. 
Seguito  avri'an;  ma  raffrenò  ciascuno, 
Distendendo  la  deslra  il  Re  supremo . 
Disse  ad  Armida  poi:  donna  gentile, 
Ben  hai  tu  cor  magnanimo  e  virile  : 


LII. 


E  ben  sei  degna,  a  cui  suoi  sdegni  ed  ire, 
L'uno  e  r  altro  di  lor  conceda  e  done. 
Perchè  tu  poscia  a  voglia  tua  le  gire 
Contra  quel  forte  predator  fellone. 
Là  fìan  meglio  impiegale;  e  '1  loro  ardire 
Là  può  chiaro  mostrarsi  in  paragone . 
Tacque  ciò  detto;  e  quegh  offerta  nova 
Fecero  a  lei  di  vendicarla  a  prova . 
,  LUI. 

Ne  quelli  pur,  ma  qual  più  in  guerra  è  chiaro, 
La  lingua  al  vanto  ha  l^aldanzosa  e  presta, 
S'  offerser  tutti  a  lei  :  tutti  giurare 
Vendetla  far  su  l'esecrabil  testa: 
Tante  contra  il  guerrier  ,  eh' ebhe  sì  caro, 
Arme  or  costei  commove  e  sdegni  desta . 


5t.    5i Io  mi  son  uno 

«    Ch'  appo  r  opre  il  parlare  ho  scurso  e  scemo  . 
Ovidio  nel  nono  delle  Metamorfosi,  v.  29: 

« Meli  or  milii  dcxtera  lingua  est .      Gbasie. 


ii6  LA  GERUSALEMME 

Ma  esso,  poi  ch'abbandonò  la  rlva^ 
Felicemente  al  gran  corso  veniva . 

LIV. 

Per  le  medesme  vie  che  'n  prima  corse, 
La  navicella  indietro  si  raggira; 
E  r  aura  eh'  alle  vele  il  volo  porse , 
Non  men  seconda  al  ritornar  vi  spira. 
Il  giovinetto  or  guarda  il  Polo  e  1  Orse, 
Ed  or  le  stelle  rilucenti  mira , 
Via  dell'opaca  notte;  or  fiumi,  e  monti 
Che  sporgono  sul  mar  le  alpestre  fronti . 

LV. 

Or  lo  stato  del  Campo,  or  il  costume 
Di  varie  genti  investigando  intende  : 
E  tanto  van  per  le  salate  spume , 
Che  lor  dall'  Orto  il  quarto  Sol  risplende  ; 
E  quando  omai  n'è  disparito  il  lume, 
La  nave  terra  finalmente  prende . 

St.  54.  //  giovinetto  or  guarda  il  Polo  e  V  Orse . 
Imita  Omero  e  Virgilio,  i  quali  finsero  Ulisse  e  Fallante  navi- 
gando rimirare  le  stelle.  Onde  Polibio  grandemente  loda  Omero, 
che  induca  Wlisse,  principe  eccellentissimo,  a  prendere  congiettu- 
ra  dalle  stelle  non  solamente  della  navigazione ,  ma  eziandio  del- 
le cose  che  in  terra  operar  doveva.  Per  lo  che  conchiude ,  che  ad 
un  capitan  d'esercito  si  conviene  sapere  le  scienze  matematiche  , 
e  specialmente  la  geometria  e  l'astrologia.  Ed  il  medesimo  si 
forza  di  provare  Platone  ne'libri  del  suo  Comune.  Di  che  Quin- 
tiliano recita  nel  primo  libro  alcuni  belli  esempj  pertinenti  alla 
cognizione  delle  stelle;  le  quali  il  Tasso  chiama,  come  Virgilio  , 
Via  dell'  opaca  notte:  perchè  si  (inge  da' poeti  la  notte  menare  il 
suo  carro  per  lo  cielo,  onde  il  Petrarca  lo  dimandò  Stellano:  e 
Mosco  la  notte  stessa  non  negra,  come  gli  altri  sogliono,  ma 
cerulea  : 

«    O  di  Venere  luce ,  a  sacra  imago 
«   Della  cerulea  notte,  amica  stella. 
Il  qual  colore  ognun  sa  che  è  proprio  del  cielo .  Gest. 

—   Ed  or  le  stelle  rilucenti  mira  ce. 
Apposizione,  le  quai  stelle  sono  la  via  dell'opaca  notte.  Ad  i- 
initvzion  di  Virgilio  nel  io  dell'  Eneide,  v.  i6i  : 

— jam  quoerit  sidera  ,  opacae 

«   Noctisitcr.  G0À»T. 


I  IBER  AT  A    C.  XVII.  117 

Disse  la  Donna  allor;  le  Palestine 
Piagge  son  qui;  qui  del  viaggio  è  il  fine, 

LVI. 

Quinci  i  tre  cavalier  sul  lido  pose; 

E  sparve  in  men  che  non  si  forma  un  detto. 
Sorgea  la  notte  intanto  ,  e  delle  cose 
Confondea  i  varj  aspetti  un  solo  aspetto; 
E  in  quelle  solitudini  arenose 
Essi  veder  non  ponno  o  muro  o  tetto; 
^è  d'  uomo  o  di  destriero  appaion  orme, 
Od  altro  pur  che  del  cammin  gì'  informe . 
Lvn. 

Poi  che  stati  sospesi  alquanto  fóro, 

Mossero  i  passi ,  e  dier  le  spalle  al  mare; 
Ed  ecco  di  lontano  agli  occhi  loro 
Un  non  so  che  di  luminoso  appare , 
Che  con  raggi  d'  argento  e  lampi  d'  oro 
La  notte  illustra ,  e  fa  1'  ombre  più  rare  . 
Essi  ne  vanno  allor  conlra  la  luce; 
E  già  veggion  che  sia  quel  che  si  luce . 

LVIII. 

Veggiono  a  un  grosso  tronco  armi  novelle 
Incontra  i  raggi  della  Luna  appese  ; 
E  fiammeggiar ,  più  che  nel  ciel  le  stelle. 
Gemme  nell'  elmo  aurato  e  nell'  arnese  : 
E  scoprono  a  quel  lume  immagin  belle 
Nel  grande  scudo  in  lungo  ordine  stese . 
Presso,  quasi  custode,  un  vecchio  siede, 
Che  contra  lor  sen  va ,  come  gli  vede. 

LIX. 

Ben  è  da' duo  guerrier  riconosciuto 
Del  saggio  amico  il  venerabil  volto; 
Ma  poi  eh'  ei  ricevè  lieto  saluto  , 
E  ch'ebbe  lor  cortesemente  accolto. 
Al  giovinetto,  il  qual  tacito  e  muto 
Il  riguardava,  il  ragionar  rivolto; 


ti3  LA  GERUSALEMME 

Signor  ,  te  sol ,  gli  disse ,  io  qui  soletto 
111  cotal'  opra  desiando  aspetto  : 

LX. 

Che ,  se  noi  sai,  ti  sono  amico;  e  quanto 
Curi  le  cose  tue,  chiedilo  a  questi: 
Cli'essi  scorti  da  me  vinser  l' incanto, 
Ove  tu  vita  misera  traesti. 
Or  odi  i  detti  miei  contrarj  al  canto 
Delle  Sirene,  e  non  ti  sian  molesti; 
Ma  gii  serba  nel  cor ,  sin  che  distingua 
Meglio  a  te  il  ver  pili  saggia  e  santa  lingua . 


LXI. 


Signor,  non  sotto  1'  ombra  in  piaggia  molle 
Tra  fonti  e  fior,  tra  Ninfe  e  tra  Sirene , 
Ma  in  cima  all'  erto  e  faticoso  colle 
Della  virtù  riposto  è  il  nostro  bene. 


St.  6i.  Signor ,  non  sotto  V  ombra  in  piaggia  molle  ec. 

Sent«  quella  Qnzione  ti' Esiodo  delle  vie  del  piacere  e  della  vir- 
ili, delle  quali  cosi  scrisse  il  giau  Varrò  nel  Sesquiiilisse  :  Unam 
finm  Zcnona  munisse  dure  virtute  liane  esse  nohilem  :  alteram 
Carneadem  desubulasse ,  bona  corporis  secufum  .  Lo  iTcita  No- 
nio nella  voce  desulmlare ,  ch'egli  interpreta  perforare,  quasi  che 
Cameade  primo  abbia  fattyi  la  strada  al  piacere,  o  (  se  si  legge 
desabulasse ,  come  alcuni  vogliono  )  l'abbia  sparsa  di  sabbione, 
essendo  stata  avanti  fatta  da  altri,  ne' quali  ragiona  Ateneo  nei 
Dipnosofistl.  E  nota,  che  dice  il  nostro  bene,  e  non  il  sommo 
bene,  come  si  dice  comunemente  da' filosofi .  Perchè  il  sommo 
bene  non  è  nella  virtìi ,  ma  nella  cognizion  di  Dio.  Cièche  c- 
ziandio  Platone  conobbe,  scrivendo  nel  Filebo,  che  nel  terzo 
grado  del  bene  è  la  mente  e  la  sapienza  umana:  nel  quarto  le 
arti  e  discipline:  nel  quinto  gli  onesti  piaceri  :  ma  nel  secondo  è 
questa  maravigliosa  proporzione  dell'universo,  nel  primo  è  Dio, 
onde  tutti  gli  altri  beni  dipendono,  come  dall'idea  del  bene  e 
della  felicità  istessa  .  Gent. 

—  Ma  in  cima  all'  erto  e  fai  iroso  ralle  ce. 

La  virili ,  come  Esiodo  afTerma,  è  posta  solo  in  cose  faticose,  e 
chi  la  vuole  intieramente  possedere  è  d'  uopo  clie  si  alfalichi. 

«  P'irtutvm  posiicre  Dei  sudore  parandam  : 
La  qual  sentenza  si  trova  appresso  Cicerone  all'Epistola  i8  del  6 
delle  Familiari.  Per  confermazione  della  i|Mal  cosa,  diceva  Simo- 
nide,  clic  ella  (dico  la  virtii)  abita  (coijie  riferisce  Clemente  Ales- 
sandrino nel  6  degli  Stromati  )  in  rupi  dillicilissime  ;  e  perù  Dan- 
te al  primo  dell  Inferno  ,  detta  sentenza  volendo  accennare  disse  : 


LIBERATA   C.  XVII.  no 

Chi  non  gela^  e  non  suda,  e  non  s'estolle 
Dalle  vie  del  piacer,  là  non  perviene. 
Or  vorrai  tu  lungi  dall'alte  cime 
Giacer ,  quasi  tra  valli  augel  sublime? 

LXII. 

T'  alzò  Natura  in  verso  il  ciel  la  fronte, 
E  ti  die  spirti  generosi  ed  alti , 
Perchè  in  su  miri ,  e  con  illustri  e  contp 
Opre  te  stesso  al  sommo  pregio  esalti. 
E  ti  die  l'ire  ancor  veloci  e  pronte; 
Non  perchè  l' usi  ne'  civili  assalti , 

«   Perchè  non  sali  il  dilettoso  monte  , 
«   Ch'  è  principio,  e  Cagion  di  tanta  gioja? 
E  il  Petrarca  nel  Sonetto  :  Amor  piangeva  : 

o   Fu  per  mostrar  qitant'  è  spinoso  il  calle 
«   E  (juant' alpestra  e  dura  la  salita, 
«    Ond' al  vero  valor  convien  eh' uom  poggi. 
L'Ariosto  al  canto  7,  stan.  42: 

«    Penso  di  trarlo  per  via  nlpestra  e  dura 
«  Alla  Vera  virtù  mal  grado  d' esso  . 
E  il  Muzio  nell'Egloga  3  del  primo  libro: 

«   Di  gir  al  monte ,  ove  la  via  s' impara, 
«    Che  l' alme  altrui  conduce  a  più  bel  nionte  . 
Aristotile  anche  disse  la  virtù  aver  le  radici  amare,  ma  i  frutti 
dolcissimi;  di  ciò  vedi  negli  Adagj  :  a  proposito  di  ciò  vedasi  Se- 
nofonte nel  6  de'Memorabili,  e  Suida,  e  Cicerone  al  primo  degli 
OfEz) .  Makt. 

St.  62.  T' alzò  Tintura  in  verso  il  ciel  la  fronte  ec. 
Di  questo,  oltre  gli  altri  scrittori,  cosi  ragiona  Asistotile  nel 
quarto  libro  de  partibns  Animai.  Cap.  io;  Solus  enim  animaliuin 
omninm  erectus  est  ( Homo )  quoniam  ejus  natura  atque  substan- 
tia  divina  est:  offlcium  autcm  divini  est  intelligere ,  atque  saptre 
quod  non  facile  esset ,  si  vasta  corporis  moles  assidjret .  Pcndu.f 
enim  tardiortm  reddit ,  et  nuntem,  et  scnsum  cummunem  .  Quel- 
lo poi  che  il  Tasso  a  luogo  esplica  dell'ire,  è  tutto  sentimento 
Platonico,  del  quale  abbiamo  alcune  cose  accennato  ne' canti  pre- 
cedenti. Gent. 
Ovidio  al  primo  delle  Trasformazioni ,  v.  85  : 

«  Os  homini  sublime  dcdit:  coelum.que  tucri 
«  Jussit ,  et  ererlos  ad  sidcra  tollere  vultus . 
E  anche  Cicerone  al  2  De  Natura  Dtorum  :  Ad  hanc  providen- 
tiam  naturai  tam  diiigentem ,  tamqiie  solertem. ,  adjungi  multa 
possunt ,  ex  quibus  intcUigatur  quantos  res  hominihus  a  Deo, 
quam,que  eximioe  t ributte  sint  ;  qui  primum  eos  humo  exritatos  ^ 
celsos  et  erectos  constituit  ,  ut  deorum  cognitionein ,  cce'um  in- 
tucntes ,  capere  possent  ete.  MiRT. 

G.  LlD.  T-  HI.  9 


,30  LA  GERUSALEMME 

Ne  perchè  sian  di  desiderj  ingordi 
Elle  ministre,  ed  a  ragion  discordi; 
Lxin. 
Ma  perchè  il  tuo  valore,  armato  d'esse, 
Più  fero  assalga  gli  avversar]  esterni, 
E  sian  con  maggior  forza  indi  ripresse 
Le  cupidigie,  empj  nemici  interni. 
Dunque  neir  uso,  per  cui  fur  concesse, 
L' impieghi  il  saggio  duce,  e  le  governi; 
Ed  a  suo  senno  or  tepide,  or  ardenti 
Le  faccia,  ed  or  le  affretti,  ed  or  le  allenti. 

LXIV 

Così  parlava:  e  1'  altro  attento  e  cheto 
Alle  parole  sue  d'aUo  consiglio, 
Fea  de'  delti  conserva ,  e  mansueto 
Volgeva  a  terra  e  vergognoso  il  ciglio . 
Ben  vide  il  saggio  veglio  il  suo  secreto , 
E  gli  soggiunse:  alza  la  fronte,  o  figlio, 
E  in  questo  scudo  affissa  gli  occhi  ornai, 
Ch'ivi  de'  tuoi  maggior  1'  opre  vedrai. 


St.  63.  Ma  perchè  il  tuo  valore,  armato  d' exsc  ih:. 
Opinione  de' Peripatetici   intorno    agli   affetti,  della  quale   si 
parlò  di  sopra . 

—  Ed  a  suo  senno  or  tepide,  or  ardenti 
IjC  J  accia 

Convicn  che  dalla  rajiione  a  suo  piacere  sia  retta  e  governata 
l'irascibile,  s'ella  ha  da  essere  islrumento  di  virtù.  Guast. 

—  ir  in  questo  scudo  affissa  gli  occhi , 

Questo  scudo  di  Rinaldo  è  fatto  ad  imitazione  di  quello  d'  A- 
chille  nel  i8  dell'Iliade,  e  di  quello  d'Enea  nel  8  dell'Eneide, 
dt'qii:(li  fere  il  Signor  Cesarotti  un'Analisi  critica.  Noi  ags^iun- 
geremo  qui  le  p;ii(>lc,  colle  t[uali  quel  dottissimo  uomo  nel  secon- 
do articolo  chiude  la  serie  delle  varie  Imitazioni,  che  fatte  furono 
dello  scudo  Omericu.  «  Chiude  questa  fila  di  scudi  (jnello  di  Ri- 
naldo ,  che  trovasi  presso  il  nostro  Tasso  nel  carilo  17  del  suo 
Golfrcdo.  Vorrei  poter  dire  d'averlo  posto  in  ultimo  luoi^o  per  la 
sua  peilc/.ione  e  niat;c;ioranza  su  tutti  gli  altri .  Ma  sono  astretto 
a  confessare,  che  questo  non  è  uno  dei  pezzi  piìi  singolari  d'  un 
tal  poema ,  e  che  non  parmi  che  possa  reggere  al  paragone  nò  <lel- 
l'uno,  né  dell'altro  di  quelli  de"  due  maggiori  epici,  ch'ci  pure 


LIBERATA   C.  XVII.  «it 

LXV. 

Vedrai  degli  avi  il  divulgato  onore 

Lunge  precorso  in  luogo  erto  e  solingo  : 

non  solo  emulò  ,  ma  vinse  più  d'una  volta  .  Non  è  già  che  possa 
dirsi  spregevole  :  questo  titolo  non  può  cadere  in  un  tal  poeta; 
solo  non  ha  cosa  per  cui  distintaruente  e  superiormente  risplen- 
da .  Deesi  intanto  convenire  che  questo  scudo  è  introdotto  arcon- 
ciamcnte  e  chiamato  dalla  circostanza.  Rinaldo  andato  in  esigilo 
avea  scambiate  le  sue  arme  con  quelle  d'un  Pagano  a  fine  di  non 
essere  riconosciuto:  la  sua  armadura  famosa  era  caduta  in  mano 
di  Armida  .  Quand'egli  alfine  si  sottrasse  da  costei,  parti  inerme, 
o  certo  non  armato  come  dovea  convenirglisi  per  tanta  impresa. 
Opportunamente  adunque  il  Mago  Cristiano,  che  lo  attendeva, 
gli  fa  trovar  nuove  arme  da  lui  fabbricate  di  tempra  finissima;  »> 
iiccome  voleva  accenderlo  maggiormente  dell'amor  della  gloria  , 
e  sgombrargli  dallo  spirito  ogni  idea  delle  passate  mollezze,  cosi 
pensò  di  mettergli  dinanzi  agli  occhi  scolpite  nello  scudo  tutte  le 
gesta  de' suoi  maggiori,  onde  muoverlo  ad  emularle.  Tuttoché 
l'imprese  degli  Eroi  Estensi  non  avessero  sull'universo  politico 
tutta  quella  vasta  e  decisiva  intluenza  ch'ebbero  quelle  de' Ro- 
mani, e  perciò  la  descrizione  del  Tasso  non  potesse  far  sui  letto- 
ri un'impressione  uguale  a  quella  che  risentono  dalla  de.=criziono 
di  Virgilio,  pure  un  certo  numero  di  personaggi  e  di  fatti  di 
quella  schiatta  cosi  famosa  in  Europa  potea  destar  interesse  nei 
coetanei ,  ed  ammirazione  ne'  posteri,  ove  quelli  fossero  ben  rap- 
presentati e  bene  scelti .  Or  questo  è  ciò  che  non  panni  eseguito 
dal  nostro  Poeta  in  modo  da  poter  gareggiare  coli' Epico  Latino. 
Primieramente  egli  sembra  essersi  fatto  una  legge  di  nominar 
successivamente  tutti  gli  antenati  di  Rinaldo,  il  che  fa  che  le  lo- 
ro azioni  non  possano  esser  tutte  né  d'ugual  importanza,  né  svi- 
luppate cjuanto  basta,  né  poste  in  un  lume  ugualmente  vivo, 
benché  pur  più  d'una  ne  tocchi  colla  sua  solita  maestria  In  se- 
condo luogo  egli  ha  a  fronte  di  Virgilio  uno  svantaggio  notabile  . 
Quest'è  che  nello  scudo  d'Enea  parla  il  poeta  ai  lettovi,  in  que- 
sto parla  sempre  il  Mago  a  Rinaldo.  Quindi  è  che  Virgilio  può 
lussureggiare  a  suo  grado  nelle  bellezze  pittoriche,  laddove  il 
Tasso  deve  essere  sobrio ,  e  fissare  lo  spirito  del  suo  Eroe  più  nei 
fatti  che  nelle  immagini  :  quegli  può  darci  un  quadro  storiato, 
questi  non  può  che  tratteggiar  leggermente  un  compendio  stori- 
co. Ha  pur  anche  maggior  vaghezza  insegnosa  il  veder  adilitarsi 
ad  Enea  i  suoi  posteri  non  conosciuti ,  di  quello  che  lammcinora- 
re  a  Rinaldo  la  serie  de' suoi  maggiori, che  doveva  essergli  abbi- 
stanza  nota;  ma  la  diversa  situazione  de'due  poemi  faceva  che 
Virgilio  avesse  allora  bisogno  dei  nipoti ,  e  l'altro  degli  avi .  Nul- 
la più  avrebbe  ripugnato  che  il  sinto  Mago,  il  quale  alla  sua  tra- 
scendente sapienza  poteva  aggiungere  l'inspirazione,  avesse  amo 
fatto  travedere  al  suo  Eroe  alcuno  de' suoi  discendenti  più  pros- 
simi a' tempi  del  Tasso,  il  che  forse  avrebbe  lusingato  di  più  gli 
Estensi  viventi».  .  M. 


Ili  LA  GERUSALEMME 

Tu  dietro  anco  riman',  lento  cursore. 
Per  questo  della  gloria  illustre  arringo . 
Su  su,  te  stesso  incita;  al  tuo  valore 
Sia  sferza  e  spron  quel  eh'  io  colà  dipingo . 
Così  diceva;  e  '1  cavaliero  affisse 
Lo  sguardo  là ,  mentre  colui  sì  disse . 

LXVI. 

Con  sottil  magistero  in  campo  angusto 
Forme  infinite  espresse  il  fabro  dotto  : 
Del  sangue  d'  Azzio  glorioso ,  augusto 
L'  ordin  vi  si  vedea ,  nulla  interrotto  ; 
Vedeasi  dal  Roman  fonte  vetusto 
I  suoi  rivi  dedur  puro  e  incorrotto. 
Stan  coronati  i  Principi  d'  alloro  : 
Mostra  il  vecchio  le  guerre  e  i  pregi  loro . 

LXVIl. 

Mostragli  Cajo ,  allor  eh'  a  strane  genti 
Va  prima  in  preda  il  già  inclinato  impero , 
Prendere  il  fren  de' popoli  volenti, 
E  farsi  d' Este  il  principe  primiero  ; 


St.  66.  Del  sangue  d' Azzio  glorioso  ,  augusto 
L,' orrììri  vi  si  vedea  . 
Dagli  Azzii  Romani,  uno  dc'quali  fu   avo  materno  d'  Augusto, 
discende,  per  quanto  afferma  il  Pigna  nella  sua  storia  ,  la  casa  da 
Este  . 

St.  67.   Mostragli  Cajo  ,  allor  che  a  strane  genti  ce. 

Nel  tempo  dell'Impero  d' Arcadie  e  d'Onorio,  e  negli  anni  del 

Signore  l\o'ò ,  Stilicone  spinto  dall'ambizione  e  dal  desiderio  di 

regnare,  per  indebolire  Onorio,  che  nell'Occidente  comandava, 

chiamò  in  Italia  Alarico  e  Radagasso  Re  de' Goti  e  de' Vandali; 

nel  qual  tempo  questo  Cajo  Azzio  secondo  che  dice  il  Pigna  era 

decurione,  o  uno  de' governatori  in  Este  a  nome  dell' Ini poralore; 

perchè  guastando  e  distruggendo  in  quc' contorni  lieramentc  ogni 

cosa  quc'  barbari,  né  pigliandovi  l'Imperatore  rimedio  alcuno,  di 

governatore  ch'egli  era,  acciò  da  lui  fossero  difesi,  lo  elessero 

principe  assoluto.  Guast. 

V.  il  Pigna,  lib.  i  ,  e  segg.  della  Istoria  di  Casa  d'Estc,  dove 

jnoltissiiiic  cose  si  trovano,  che  servir  possono  a  dilucidare  varj 

luoghi  di  questo  Canto.  Vedasi  anche  il  Muratori,  Antichità  E- 

ftansi .  M 


LIBERATA    C.  XVII.  i^H 

Ed  a  lui  ricovrarsi  i  men  potenti 
Vicini ,  a  cui  rettor  facea  mestiere . 
Poscia  quando  ripassa  il  varco  noto, 
Agi'  inviti  d'  Onorio,  il  fero  Goto; 

LXVIII. 

E  quando  sembra  che  più  avvampi  e  ferva 
Di  barbarico  incendio  Italia  tutta  ; 
E  quando  Roma  prigioniera  e  serva 
Sin  dal  suo  fondo  teme  esser  distrutta , 
Mostra  eli'  Aurelio  in  libertà  conserva 
La  gente  sotto  al  suo  scettro  ridutta. 
Mostragli  poi  Foresto,  che  s'  oppone 
All'  Unno  regnator  dell'  Aquilone . 

LXIX. 

Ben  si  conosce  al  volto  Attila  il  fello, 
Che  con  occhi  di  drago  par  che  guati; 
Ed  ha  faccia  di  cane;  ed  a  vedello 
Dirai  che  ringhi,  e  udir  credi  i  latrati. 
Poi  vinto  il  fiero  in  singoiar  duello 
Mirasi  rifuggir  tra  gli  altri  armati, 


—  Ed  a  luì  ricovrarsi  i  men  potenti 
Vicini,  a  cui  rettor  facea  mestiero . 

Furono  questi  secondo  il  Pigna ,  Monselice ,  Calaone ,  Monta- 
gnana  ,  Ceno,  "Vicenza  ,  e  Feltre. 

—  Poscia  quando  ripassa  il  varco  noto  ec. 

Questo  va  appiccato  alla  stanza  che  segue,  perciocché  fu  opra 
d'Aurelio  figliuolo  di  Cajo  :  arvegnadio  che  quando  sdegnato  O- 
norio  contro  a' Romani  traslatò  la  sede  imperiale  in  Ravenna,  e 
richiamò  di  nuovo  Alarico  in  Italia,  seppe  Aurelio  si  bcn'opera- 
le  co' Goti  ,  che  inviati  essi  verso  Roma  per  distruggerla ,  passan- 
do per  li  paesi  di  lui,  non  gli  olFesero  punto. 

— l' irco  noto  . 

Noto  ,  perchè  passato  da  lui  un'altra  volta  innanzi ,  quando  fu 
chiamato  da  Stilicone . 

St.  68.  Mostragli  poi  Foresto,  che  s'oppone  ec . 

Ad  Attila  Re  degli  Unni;  il  quale  nell'anno  \So  arrabbiato 
contro  i  Cristiani  ,  scorrendo  all'assalto  d'  Aquileja  per  poter  piìi 
agevolmente  scendere  in  Italia,  fu  da  Foresto  figliuolo  d'Aurelio^ 
con  le  genti  di  Gilio  Re  di  Padova  suo  parente,  sconfitto  pili  d'u- 
na volta . 

St.  69.  Poi  vinto  il  fero  in  singoiar  duello . 


1^4  LA  GERUSALEMME 

E  la  difesa  d'Aquilea  poi  tórre 

Il  buon  Foresto,  dell'  Italia  Ettorre. 

LXX. 

Altrove  è  la  sua  morte;  e  '1  suo  destino 
E  destin  della  patria.  Ecco  l'erede 
Del  padre  grande  il  gran  figlio  Acarino, 
Ch  all'Italico  onor  campion  succede. 
Cedeva  ai  Fati,  e  non  agli  Unni  Aitino  ; 
Poi  riparava  in  plii  secura  sede  : 
Poi  raccoglieva  una  città  di  mille 
In  vai  di  Po  case  disperse  in  ville . 

Combatteron  da  solo  a  solo  Attila  e  Foresto,  secondo  die  sci  i- 
Te  il  Pigna,  ed  etsendo  in  termine  di  vittoria.  Foresto  fu  da'Pa- 
j;ani  disturbato.  Gcast. 

AUila  (come  s'è  detto  )  Be  degli  Unni  per  vendicarsi  della 
morte  de' suoi  capitani,  cioè  di  Braino  e  di  Garboino,  seguita 
per  le  genti  del  Principe  Foresto  da  Este  in  battaglia,  con  5ooo 
cavalli ,  e  looo  arcieri  andò  ad  assalire  detto  principe,  ed  aven- 
dolo giunto  mentre  giva  ad  Aquileja  (essendo  in  difesa  di  essa 
città  dal  Re  Giglio  di  Padova  mandato)  senza  molto  alcuno  andò 
a  ritrovare  il  Principe  di  Este  tra  tanta  gente,  e  si  mise  a  com- 
battere da  solo  a  solo  seco,  nel  quale  abbattimento  essendo  stato 
a.iiniazzalo  il  cavallo  al  Principe  di  Este,  Attila  isnellaniente  dal 
suo  scendendo  incominciò  un'altra  fi  ita  la  pugna.  Il  fine  fu  che 
il  Re  degli  Unni  tirò  un  gravissimo  colpo  al  suo  avversario  sul- 
l'elmo,  sicché  lo  fece  per  la  grave  angoscia  quasi  stordire;  ma 
essendo  irato,  con  forza  via  maggiore  rendendogli  il  colpo,  lo  feri 
in  una  coscia  e  in  una  gamba  ;  per  le  quali  ferite  venuto  meno, 
sarebbe  facilmente  restato  morto  Attila  per  le  mani  del  Princi- 
pe Foresto,  se  non  l'avessero  ajutato  Agoris  e  Friberto  suoi  Ca- 
pitani.  Marx. 

St.    70 il  granfiano  /4  rari  no  . 

Successe  questi  a  Foresto  il  padre  nel  dominio  d'  Este  e  di 
Monselice:e  fece  notabili  prodezze  contro  allo  stesso  Attila,  co- 
me racconta  il  Pigna  nel  primo  libro  . 

—  Cedei':!  Il'  Fati  ,  e  non  a^li  Unni  Aitino . 

Ebbero  quei  d'Aitino  le  cose  in  guisa  contrarie  al  proponi- 
mento loro,  nel  tempo  che  Attila  gli  assediava,  che  ben  si  parve 
che  le  loro  disgrazie  e  necessità  fossero  volontà  di  Dio;  perchè 
di  essi  dice  il  Poeta  che  cedevano  a' Fati  ,  e  non  agli  Unni  . 

—  T^oi  riparava  in  piii  secura  sede  . 

Condusse  Acarino  (juei  d'Aitino  nell'isole  che  dal  nome  de'  se- 
stieri del  loro  luo^o  furon  dette  Torniella ,  Anioriana,  Mazorbia, 
Bojeana,  Constantina  e  Amiana;  e  i  suoi  di  Este  e  Monselicc  a 
Cliioggia,  Palestrina  e  Malamocco  . 

—  Poi  raCi.oiilitii'U  una  cìUl)  di  mille  «C. 


LIBERATA   C.  XVII.  I25 

LXXI. 

Centra  il  gran  fiuiìie,  che  'n  diluvio  ondeggia, 
Muniasi  ;  e  quindi  la  città  sorgea , 
Che  ne'  futuri  secoli  la  reggia 
De' magnanimi  Estensi  esser  dovea. 
Par  che  rompa  gli  Alani ,  e  che  si  veggia 
Contra  Odoacro  aver  poi  sorte  rea  ; 
E  morir  per  l'Italia.  Oh  nobil  morte, 
Che  dell' onor  paterno  il  fa  consorte! 

LXXII. 

Cader  seco  Alforisio  ',  ire  in  esigliò 
Azzo  si  vede,  e  '1  suo  fratel  con  esso; 
E  ritornar  con  1'  arme  e  col  consiglio 
Dappoi  che  fu  il  tiranno  Erulo  oppresso . 
Trafitto  di  saetta  il  destro  ciglio, 


St.  ^i.  Cantra  i]  gran  fiume,  clie'n  diluvio  ondeggia ,  ec. 
Ridusse  eziandio  Acarino  in  forma  di  città  Aventino,  Anzio, 
Trento  e  alcuni  altri  villaggi  finitimi  ,  riparandosi  eon  ap^'ini 
contra  il  fiume,  ed  escludendo  da' campi  della  terra  parte  dell'ac- 
que de' fondi  valleggiale  ;  e  di  qui  Ferrara  ebbe  principio  e  accre- 
scimento non  picciolo .  V.  il  Pigna  nel  i  lib.  dell'istoria  di  Casa 
d'Este,  di  sentenza  di  Peregrino  Prisciano. 

—  Par  che  rompa  gli  Alani . 

Insieme  con  Ricomiro  Goto  ,  ma  patrizio  Romano,  e  generale 
dì  Severiano  Imperatore,  essendo  Acarino  capitano  della  caval- 
leria: e  fu  nel  463. 

—  Contra  Odoacro  aver  poi  sorte  rea. 

Sotto  Lodi  rimase  morto  Aearino  insieme  con  Alforisio  suo 
fratello,  volendo  opporsi  ad  Odoacro  re,  ch'era  uno  da' princi- 
pali baroni  dell'esercito  d'  Attila  ;  il  quale  Odoacro  sollecitato  da 
Nipote  Imperatore  scacciato  da  Oreste  ,  era  sceso  in  Italia  con 
molti  altri  principali  delle  reliquie  di  quel  barbaro . 

St.   72 ire  in  esiglio 

Azzo  si  vede  ,  e  7  suo  fratel  con  esso  . 

Azzo  e  Costanzo  figliuoli  d'  Acarino  perseguitati  da  Odoacro 
furano  spogliati  di  tutti  i  suoi  beni,  e  costretti  a  sgombrare  1'  I- 
talia  . 

—  Dappoi  che  fu  il  tiranno  Erulo  oppresso . 

Cioè  lo  stosso  Odoacro,  che  da  Teodorico  Amalo  Re  degli  Ostro- 
goti generale  di  Zenone  Imperatore  fu  per  tre  volte  sconfitto, 
due  anni  assediato  in  Ravenna,  e  finalmente  ucciso;  dopo  che 
licbbcro  Azzo  e  Costanzo  gli  stati  loro. 

—  Trafitto  di  saetta  il  destro  t:igli» 


120  LA  GERUSALEMME 

Segue  r  Estense  Epaminonda  appresso  : 
E  par  lieto  morir ,  poscia  che  '1  crudo 
Totiia  è  vinto,  e  salvo  il  caro  scudo . 

LX\ITl. 

Di  Bonifacio  parlo;  e  fanciulletto 
Premea  Valen'an  V  orme  del  padre  : 
Già  di  destra  viril,  viril  di  petto, 
Genio  noi  sostenean  Gotiche  squadre . 
Non  lunge  ferocissimo  in  aspetto 
Fea  contra  Schiavi  Ernesto  opre  leggiadre: 
Ma  innanzi  a  lui  V  intrepido  Aidoardo 
Da  Monselce  escludeva  il  Re  Lombardo  . 

LXXIV. 

Enrico  v'  era,  e  Berengario;  e  dove 

Spiega  il  gran  Carlo  la  sua  augusta  insegna, 


Segue  r  Estense  Epaminonda  appresso  . 
Per  r  Estense  Epaminonda  intende  Bonifazio  ,  come  appaic 
dalla  stanza  che  segue  ;  e  successe  tal  fatto  nel  556  quando  Naise- 
te  mandato  da  Giustiniano  Imperatore  superò  Totiia  re  de' Goti; 
perchè  trovatosi  in  quella  giornata  Bonifazio  ,  e  valorosamente 
cambattendo  ,  fu  colto  d'una  saetta  nell'occhio  destro  che  li  pas- 
sò la  nuca  di  dietro;  e  posto  nello  scudo  coperto  di  pelle  di  bue  , 
fu  portato  al  padiglione  dove  tosto  si  morì .  Perchè  V  assomiglia  il 
Poeta  ad  Epaminonda  Tebano,  di  cui  raccontano,  che  nella  gior- 
nata di  Mantinca  ,  ferito  a  morte,  e  portato  al  padiglione,  do- 
mandò s'  era  salvo  Io  scudo  ,  e  inteso  che  si ,  e  recatoselo  innan- 
zi ,  e  baciatolo,  lietamente  se  ne  morì  . 

St.   t3 e  fanciulletto 

Premea  Valerian  . 
Quattordici  anni  dice  il  Pigna  ch'avea  questo  garzone  quando 
morì  il  padre:  e  di  quell'età  era  tuttavia  in  compagnia  di  Nane- 
te  a  distruzion  de'  Goti . 

—  Da  Monselce  escludeva  il  Re  Lombardo  . 
Agilulfo,  il  quale  per  esser  divenuto  marito  di  Toololin<la,  es- 
sendo insieme  divenuto  re  de' Longobardi,  fatta  pace  co' France- 
si,  perseguitava  l'Italia,  e  presa  Padova,  difesa  in  prima  dal  va- 
lor de' Principi  di  Este,  cerciva  di  far  altrettanto  di  Monsclice  . 

—  /'tri  contra  Schiavi  Ernesto  opre  leggiadre . 
Ernesto  figliuolo  d'Eriberto  da  Este,  in  Dalmazia,  che  dal  no- 
me delli  Schiavi  ,  Scbiavonia  si  cominciò  a  dire;  fece  molte  se- 
gnalale fizioni,  dando  loro  molte  rotte,  e  gli  sconfisse  in  manie- 
ra clic  nf)n  ebbero  ar<lire  di  tornarvi  laai  piii:  e  fu  nel  71 1. 

Sv.   ^^.  Enrico  u  era  ^ 


LIBERATA    C.  XVII.  127 

Par  eli'  egli  il  primo  ferilor  si  trove  , 
Ministro  0  capitan  d'impresa  degna. 
Poi  segue  Lodovico:  e  quegli  il  move 
Contra  il  nipote  eh  in  Italia  regna: 
Ecco  in  battaglia  il  vince,  e  '1  la  prigione: 
Eravi  poi  co'  cinque  figli  Ottone . 

LXXV. 

V  era  Almerico  ;  e  si  vedea  già  fatto 
Della  città,  donna  del  Po  ,  marchese  . 
Devotamente  il  Ciel  riguarda ,  in  atto 
Di  contemplante,  il  fondator  di  chiese. 


Figliuolo  (l'Ernesto . 

— e  Berengario  ; 

Figliuole  d'Enrico. 

— e  dove 

Spiega  il  gran  Carlo . 
Carlo  Magno,  che  da  Enrico  e  da  Berengario  fu  sempre  con 
notabili  prodezze  servito . 

—  Poi  segue  Lodovico  . 

Morto  Carlo  Magno ,  servi  Berengario  a  Lodovico  figliuolo  di 
Carlo  rimasto  creato  Imperatore. 

— e  quegli  il  move. 

Contr.i  Bernardo  figlio  di  Pipino,  T  altro  figliuol  di  Carlo,  che 
dallo  sttsso  Carlo  era  stato  creato  Re  d'Italia:  e  fu  questi  da  Be- 
rengario combattuto,  e  fatto  prigione,  e  poi  in  Aquisgrana  priva- 
to del  regno  e  degli  occhi  l'anno  819. 

—  Eravi  poi  Con  cinque  Ji^li  Ottone. 

Ottone  fratello  di  Berengario.  I  cinque  figliuoli  furono  Marino, 
Sigifredo ,  Uberto  ,  Ugone ,  Amizzone. 
St    ^5.   V  era  Almerico  ; 
Figliuolo  d' Amizzone. 

— e  si  vedea  già  Jatto 

Della  città  ,  donna  del  Po  ,  marchese . 
Per  il  favor  ch'ebbe  da  Ugone  re  d'Italia,  dal  quale  era  in 
grandissima  stima  tenuto,  fu  Almerico  da' Ferraresi  chiamato  al 
governo  loro ,  onde  rettili  con  somma  autorità  conferitagli  dal 
popolo,  ne  divenne  finalmente  Signore,  e  funne  anco  chiamato 
Marchese  . 

— il  fondator  di  chiese  , 

Applicò  il  predetto  Almerico  una  gran  parte  delle  sue  rendile 
a  diverse  Chiese  e  Abbazie  e  dispensò  anco  i  suoi  danari  in  fab- 
bricarne; construendo  tra  l'altre  quella  ili  S.  Georgio,  che  di 
quei  di  era  la  principale  in  Ferrara,  e  le  donò  il  comodo  da  man- 
tenersi , 


128  LA  GERUSALEMME 

D' incontra  Azzo  secondo  avean  riUatto 
Far  contra  Berengario  aspre  conlese  ; 
Che  dopo  un  corso  di  fortuna  alterno 
Vinceva,  e  dell'Italia  avea  il  governo  . 

LXXVI. 

Vedi  Alberto  il  figliuolo  ir  fra' Germani , 
E  colà  far  le  sue  virtij  sì  note , 
Che,  vinti  in  giostra  e  vinti  in  guerra  i  Dani, 
Genero  il  compra  Otton  con  larga  dote. 


— •  Li' incontra  Azzo  secondo  avean  ritratto 
Far  contni  Berengario  as/jre  contese  . 
Contra  Bpien:;aiio  Re  d' Italia;  e  di  questo  il  Pigua  nel   piiiuo 
libro  all'anno  C)5o  e  gSS. 

St.   'j6.    Vedi  Alberto  il  figlinolo  ir  fra' Germani  . 
Alberto  figliuolo  d'  Azzo  secondo. 

—  die ,  vinti  in  gioitra  e  vinti  in  guerra  i  Dani . 
Della  giostra  parla  il  Pigna  nel   priino  lib.  all'anno  970,  del* 

la  guerra  al  976. 

—  Omero  il  compra  Otton  con  larga  dote . 

Ebbe  da  Ottone  I.:iperatore  AJeieida  sua  figliuola  per  moglie 
con  dote  di  Friburg  in  Germania,  e  in  Italia  di  Abbarco,  Castro, 
Casalinaggio.e  ,  Busseto  ,  Nocera  e  altri  Castelli  nominati  dal 
Pigna  nel   1  lib.  all'anno  97  >• 

Albertazzo ,  che  qui  il  Poeta  chiama  Alberto,  per  aver  iatLc 
molte  cose  degne  di  memoria  appresso  Ottone  Re  primo  de"  Ger- 
mani,  fu  meritevole  di  aver  per  moglie  la  figlia  di  detto  Re,  no- 
minata Alda,  il  che  ancora  toccò  l'Ariosto,  quando  al  canto  3  , 
stnn.  iQ>  e  ^7  ,  disse: 

«    Ecco  Albi-rtazzo  ,  il  cui  siH'io  consiglio 
«    7'orrù  d' It.iliii  Berengario  e  i!  figlio  ; 
«    E  sarà  degno  ,  a  cui  Cesare  Otone 

«    Alda  sua  Jtglia  in  matrimonio  aggiunga. 

—  Genero  il  compra  . 
Virgilio  nel  i  della  Georgica  ,  v.  3>  : 

«  Teqiie  siiti  generum  Tlictyx  emat  omnibus  undis  . 
Ed  allude  ad  una  delle  tre  maniere  del  prender  moglie  usate 
dagli  antichi  ;  ch'era  per  cocmp  ionem  ,  detta  [)erciò  a  questo 
modo  secondo  Varrone,  avvegnaché  la  moglie  venendo  a  casa  del 
marito  aveva  per  costume  di  portar  seco  tre  assi  (era  questa  un.i 
sorte  di  maneta  d'argento  ),  e  uno  che  teneva  nella  m.ino  dava 
quasi  comprandoselo,  al  marito;  l'altro  che  tenea  nel  piede,  met- 
teva nel  focolare,  (;  co  '1  terzo  riposto  nella  borsa,  faceva  strepito 
alia  vicinanza;  tutte  le  q.iali  azioni  avean  altro  e,  per  cosi  dire  , 
misterioso  significato;  m.i  non  è  luogo  di  ragionarne  qui.  L'altre 
due;  maniere  erano  dette  per  confcrreaiioncm-  e  per  usiim  ,  come 
s'ha  'la  Boezio  nella  Topica  . 


LIBERATA  C.  XVII.  1C19 

Vedigli  a  tergo  Ugon,  quel  eh' a' Romani 
Fiaccar  le  corna  impeluoso  puote; 
E  che  marchese  dell'Italia  fia 
Detto,  e  Toscana  tutta  avrà  in  halia  , 

LXXVII. 

Poscia  Tebaldo ,  e  Bonifacio  a  canto 
A  Beatrice  sua  poi  v'era  espresso. 
Non  si  vedea  virile  erede  a  tanto 


A  imitazione  del  quale  disse  nel  3  canto  dell' Amadigi  Beinac- 
tlo  Tasso: 

«   E  lo  vorrian  per  genero  comprare 
«    Tetide  e  V  Ocenn  con  tutt'il  mare. 

—  Vedigli  a  tergo  Ugon. 
Figliuolo  d'Alberto. 

— quel  eh' a  Romani 

Fiaccar  le  corna  impetuoso  puote . 
Molte  fazioni  di  costui  contro  a'Roniani  in  favor  del  Papa  Gre- 
gorio V  ,  e  dell' Impera  ter  Ottone  raccowta  il  Pigna  nel  primo  li- 
bro all'anno  996  e  997. 

—  E  che  Marchesi  dell'  Italia  fia 
Detto  . 

Il  Pigna  nel  luogo  allegato.  Gcìst. 

L'Ariosto  al  canto'3  ,  stan.  37: 

«    Vedi  un  altr'  Ugo  ,  o  bella  successione , 
«    Che  dal  patrio  valor  non  si  dilunga  , 
«    Costui  sarà  ,  che  per  giusta  cagione 
«   Ai  superbi  Boman  l' orgoglio  emunga  . 
Sovra  il  qual  luogo  veggansi  il  Fornari  e  l' Eugenico  ^  che  rac- 
contano in  che  modo  Ugo  a' Romani  emungesse  l'orgoglio. 
E  da  notare  sopra  quel  verso  del  Tasso: 

«    Genero  il  compra  Otton  con  larga  dote ,  Mart. 

St.   77.    Poscia  Tebaldo. 
Figliuolo  d'Azzo  secondo  ,  e  Duca  di  Ferrara  ,  Marchese  di  E- 
ste.  Conte  di  Canossa ,  Signor  di  Lucca,  Piacenza,  Parma  e  Reg- 
gio ,  nel  970.  Un  altro  ne  fu  ancora  in  quegli  stessi  tempi  del 
medesimo  nome. 

— e  Bonifacio . 

Due  furono  i  Bonifazj,  uno  figliuolo  del  poco  anzi  nominato  Al- 
berto, e  l'altro  figliuolo  di  Tedaldo  Duca  di  Ferrara  ec.  E  questi 
successe  negli  stati  del  padre ,  ed  ebbe  di  più  Mantova,  e  fu  Vi- 
cario Imperiale  in  Italia  nel  1007. 

—  a  canto 

A  Beatrice  sua  poi  v  era  espresso  . 

A  Beatrice  sua  moglie  figliuola  di  Corrado  secondo  Imperatore, 
dalla  quale  ebbe  in  dote  Verona  nel  io34. 

— ■    Aon  si  vcdea  tirile  «rede  a  tanto 


i3o  LA  GERUSALEMME 

Retaggio  a  sì  gran  padre  esser  successo. 
Seguia  Matelda,  ed  adempia  ben  quanto 
Difetto  par  nel  numero  e  nel  sesso; 
Che  può  la  saggia  e  valorosa  donna 
Sovra  corone  e  scettri  alzar  la  «onna . 


0^ 
LXXVIII. 


Spira  spiriti  maschi  il  nobil  volto  : 

Mostra  vigor  piiì  che  vii:il  lo  sguardo . 

Là  sconfiggea  i  Normanni  ;  e  'n  fuga  vòlto 

Si  dileguava  il  già  invitto  Guiscardo: 

Qui  rompea  Enrico  il  quarto;  ed  a  lui  tolto 

Offriva  al  tempio  imperiai  stendardo  : 

Qui  riponea  il  Pontefice  soprano 

Nel  gran  soglio  di  Pietro  in  Vaticano  . 


Retaggio  a  si  gran  padre  esser  successo  . 
Non  lasciò  Bonifazio  se  non  un  flgliuolo  maschio  ,  che  putto 
morì  sotto  la  tutela  della  madie  Beatrice  , 

—  St'giiìa  Matelda  . 

Figliuola  di  Bonifazio  e  di  Beatrice,  come  là  fa  il  Poeta,  se- 
guendo il  Pigna:  perchè  pure  altri  sì  grande,  e  gloriosa  donna 
fauno  figliuola  d'altri . 

— ed  adempia  hen  quanto 

Difetto  par  nel  numero  e  nel  sr-yso  . 

Nel  numero:  perchè  sola  rimase  eredo  ili  tanto  stato,  essendo 
mosto  il  fratello  maschio,  e  anche  l'altra  sorella  dal  nome  della 
madre  dotta  altresì  Beatrice  .  Nel  sesso:  per  l'imperfezion  natu- 
rale delke  donne. 

St.    ^8.  Là  scottfiggea  i  Normanni . 

I  quali,  ed  alcuni  anni  prima,  e  in  quel  tempo  sotto  Boberto 
Guiscardo  aveano  occupato  la  Puglia  e  la  Calabria;  e  aspirando  a 
«Jose  molto  maggiori,  cercavano  d'abbassare  Matilda:  ma  ossa 
molte  Gate  li  vinse  e  sconilsse;  dove  che  Roberto,  poi  fatta  pace 
con  la  stessa  Matilda,  rajutò  a  soccorrere  il  Papa  contra  Enrico 
quarto  . 

—  Qui  rompea  Enrico  il  quarto  . 

Fu  questo  Enrico  quarto  Imperatore  ,  nemicissimo  di  santa 
Chiesa  avendole  voluto  tor  le  sue  ragioni  nel  crear  de' Vescovi ,  e 
perseguitando  i  veri  e  legittimi  Papi  creato  "due  volte  Antipapi . 

— e  a  lui  tolto 

Offriva  al  tempio  imperiai  stendardo  . 
Ciò  segui  in  Canossa  del  io8i  mentre,  essendovi  detto  Gregorii» 
nono  ,  Enrico  l'assediava. 

—  Qui  riponea  il  Pontefice  soprano  , 


LIBER  AT  \    C.  XVir.  lòi 

LXXIX. 

Poi  \eó\j  in  guisa  ci'  uom  ch'onori  ed  ami^ 

Ch'  or  l'è  al  fianco  Azzo  il  quinto,  orla  seconda: 
Ma  d'  Azzo  il  quarto  in  piiì  felici  rami 
Germogliava  la  prole  alma  e  feconda. 
Va  dove  par  che  la  Germania  il  chiami , 
Guelfo  il  figliuol,  fìgliuol  di  Cunigonda; 
E  '1  buon  germe  Roman  con  destro  fato 
E  ne'  campi  Bavarici  traslato . 

LXXX. 

Là  d'un  gran  ramo  Estense  ei  par  eh  innesti 
L'  arbore  di  Guelfon ,  eh'  è  per  sé  vieto  : 
Quel  ne'  suoi  Guelfi  rinnovar  vedresti 
Scettri  e  corone  d'  ór ,  più  che  mai  lieto  ; 
E  col  favor  de'  bei  lumi  celesti 
Andar  poggiando  ,  e  non  aver  divieto. 
Già  confina  col  elei,  già  mezza  ingombra 
La  gran  Germania ,  e  tutta  anco  1'  adombra . 

LXXXI. 

Ma  ne'  suoi  rami  Italici  fioriva 

Bella  non  men  la  regal  pianta  a  prova . 

Due  Pontefici  cosi  illastre  e  religiosa  donna  rispose  in  seggio, 
l'uno  Alessandro  secondo  scacciato  da  Gil)crlo  da  Parma ,  man- 
dato dall' Imperatore  Enrico  quarto  in  Italia;  il  cjiial  Enrico  fa- 
Toriva  il  Candolo  ,  che  parimente  col  mezzo  di  detto  Imperatore 
fu  creato  Antipapa,  e  l'altro  Gregorio  nono  perseguitato  dallo 
stesso  Enrico. 

St.   ^9.    Poi  vedi  ,  in  guisa  d' uom  eh' onori  ed  ami  ec. 
Questi,  secondo  il  Pigna,  fu  marito  secondo  di  Matilda,  cioè  do- 
po la  morte  di  Gottitiedo  gibboso,  ch'era  stato  primo  marito  di 
lei  ;  fra' quali  però  essendosi  scoperto  dapoi  ch'erano  parenti,  per 
comandamento  del  Papa  si  fece  il  divorzio. 

—   Ma  d' Az-o  il  cjuarto  in  pììi  jtìici  rami. 
Più /elici ,  cioè   più  fecondi  e  fruttiferi,  che  quelli  di  Bonifa- 
zio ,  il  quale  sola  ebbe  Matilda,  die  gli  succedesse.  La  voce Jrtici 
è  trasportata  alla  guisa  latina.  Virgilio  nel  a  della  Georg,  v.  8: 
«  E.riit  ad  caelum.  ramis  felirihus  arbos  . 
-I-   Va  dove  par  che  la  Germania  il  chiami. 
Guelfo  ilf^liuol. 
Guelfo   figliuolo   d'  Azzo   quarto    e  di  Cunigonda  figliuola  rH 
.Guelfo  quarto  Duca  di  Baviera. 


i3i  LA  GERUSALEMME 

Bertoldo  qui  d'  incontro  a  Guellb  uscirà: 
Qui  Azzo  il  sesto  i  suoi  prischi  rinnova. 
Questa  è  la  serie  degli  eroi,  che  viva 
Nel  metallo  spirante  par  si  mova . 
Rinaldo  sveglia ,  in  rimirando ,  mille 
Spirti  d' onor  dalle  natie  faville  : 

LXXXII. 

E  d' emula  virtù  1'  animo  altero 

Commosso  avvampa,  ed  è  rapito  in  guisa, 
Che  ciò  che  immaginando  ha  nel  pensiero , 
Città  battuta  e  presa,  e  gente  uccisa, 
Pur  come  sia  presente,  e  come  vero, 
Dinanzi  agli  occhi  suoi  vedere  avvisa  : 
E  s' arma  frettoloso  ;  e  con  la  spene 
Già  la  vittoria  usurpa ,  e  la  previene . 

LXXXIII. 

Ma  Carlo  ,  il  quale  a  lui  del  regio  erede 
Di  Dania  già  narrata  avea  la  morte , 
La  destinata  spada  allor  gli  diede . 
Prendila  disse,  e  sia  con  lieta  sorte: 
E  solo  in  prò  della  Cristiana  Fede 
L' adopra,  giusto  e  pio ,  non  men  che  forte  : 
E  fa  del  primo  suo  signor  vendetta. 
Che  t'  amò  tanto;  e  ben  a  te  s' aspetta . 

LXXXIV. 

Rispose  egli  al  guerriero  :  ai  cieli  piaccia 
Che  la  man,  che  la  spada  ora  riceve. 
Con  lei  del  suo  signor  vendetta  faccia. 
Paghi  con  lei  ciò  che  per  lei  si  deve . 


St.  8 1 .  Bertoldo  qui  d' incontro  a  Guelfo  usciva . 
Berloldo  figliuolo  dello  stesso  Azzo  quarto,  ma  d'un'altra  ma- 
glie, cioè  Giuditta  nata  di  Corrado  secondo,  che  gli  partorì  anclip 
Azzo  sesto ,  ed  era  questo  Bertoldo  il  padre  di  Rinaldo:  sicché 
nello  scudo  fin  quasi  dalla  prima  origine  era  descritta  tutta  la 
progenie  sua  per  fino  alla  propria  persona  di  lui . 

Gi'Asr. 


LIB  IDRATA    C.  XV!I.  ,  i3 

Carlo,  rivolle  a  lui  con  lieln  faccia, 
Limgiie  grazie  rislrinse  in  sermon  breve. 
Ma  lor  s'  offriva  intento,  ed  al  viaggio 
Notturno  gli  affrettava  il  nobil  saggio . 

LXXXV. 

Tempo  è,  dicea ,  di  girne  ove  t'  attende 

Goffredo  e  '1  campo  :  e  ben  giungi  opportuno 
Or  n'  andiam  pur  ;  eh'  alle  Cristiane  tende 
Scorger  ben  vi  saprò  per  1'  aer  bruno . 
Così  dice  egli;  e  poi  sul  carro  ascende^ 
E  lor  v'  accoglie  senza  indugio  alcuno  ; 
E  rallentando  a'  suoi  destrieri  il  morso, 
Gli  sferza ,  e  drizza  all'  Oriente  il  corso . 

LXXXVI. 

Taciti  se  ne  gian  per  l' aria  nera , 

Quando  al  garzon  si  volge  il  veglio,  e  dice: 

Veduto  bai  tu  della  tua  stirpe  altera 

I  rami  e  la  vetusta  alta  radice  : 

E  se  ben  ella  dall'  età  primiera 

Stata  è  fertil  d'eroi  madre  e  felice, 

Non  è ,  ne  fia  di  partorir  mai  stanca  j 

Che  per  vecchiezza  in  lei  virtù  non  manca . 

LXXXVII. 

Oh ,  come  tratto  ho  fuor  dal  fosco  seno 
Dell'  età  prisca  i  primi  padri  ignoti , 
Così  potessi  ancor  scoprire  appieno 
Ne'  secoli  avvenire  i  tuoi  nepoti  : 
E  pria  eh'  essi  apran  gli  occhi  al  bel  sereno 
Di  questa  luce,  farli  al  mondo  noti  ! 
Che  de  futuri  eroi  già  non  vedresti 
L'ordin  men  lungo,  o  pur  meii  chiari  i  gesti. 

LXXXVIII. 

Ma  r  arte  mia  per  se  dentro  al  futuro 

Non  scorge  il  ver,  che  troppo  occulto  giace j 
Se  non  caliginoso,  e  dubbio  e  scuro. 
Quasi  Innge  per  nebbia  incerta  face. 


i34  LA  GERUSALEMME 

E  se  cosa  qual  certo  io  m'  assecuro 
Affermarli ,  non  sono  in  questo  aiuìnce; 
Ch'  io  l' intesi  da  lai,  che  senza  velo 
I  secreti  talor  scopre  del  cielo . 

LXXXIX. 

Quel  eh'  a  lui  rivelò  luce  divina  _, 

E  ch'egli  a  me  scoperse,  io  a  te  predico. 
Non  fu  mai  Greca,  o  Barbara,  o  Latina 
Progenie  in  questo,  o  nel  buon  tempo  antico , 
Ricca  di  tanti  eroi,  quanti  destina 
A  te  chiari  nipoti  il  Cielo  amico  ; 
Ch'  agguaglieran  qual  più  chiaro  si  noma 
Di  Sparta ,  di  Cartagine  e  di  Roma, 
xc. 

Ma  fra  gli  altri ,  mi  disse ,  Alfonso  io  sceglio 
Primo  in  virtìi ,  ma  in  titolo  secondo  ; 
Che  nascer  dee,  quando  corrotto  e  veglio 
Povero  fia  d' uomini  illustri  il  mondo  . 
Questi  fia  tal ,  che  non  sarà  chi  meglio 
La  spada  usi ,  o  lo  scettro ,  o  meglio  il  pondo 
O  dell'  arme  sostegna  ,  o  del  diadema , 
Gloria  del  sangue  tuo  somma  e  suprema . 
xci. 

Darà,  fanciullo ,  in  varie  immagin  fere 
Di  guerra ,  indizio  di  valor  sublime  : 
Fia  terror  delle  selve  e  delle  fere  ; 
E  negli  arringhi  avrà  le  lodi  prime. 
Poscia  riporterà  da  pugne  vere 
Palme  vittoriose  ,  e  spoglie  opime: 
E  sovente  avverrà  che  '1  crin  si  cigna 
Or  di  lauro ,  or  di  quercia ,  or  di  gramigna . 

XCII. 

Della  matura  età  pregi  men  degni 
Non  fiano  stabilir  pace  e  quiete; 
Mantener  sue  città,  fra  1'  arme  e  i  regni 
Di  possenti  vicin,  tranquille  e  chete; 


LIBERATA   C.  XVII.  i3ài 

Nutrire  e  fecondar  Farti  e  gì'  ingegni. 
Celebrar  giochi  illustri  e  pompe  liete: 
Librar  con  giusta  lance  e  pene  e  premi  : 
Mirar  da  lunge ,  e  preveder  gli  estremi . 
xeni. 

O  s'  avvenisse  mai  che  centra  gli  empi, 
Che  tutte  infestèran  le  terre  e  i  mari, 
E  della  pace  in  quei  miseri  tempi 
Daran  le  leggi  ai  popoli  più  chiari. 
Duce  sen  gisse  a  vendicare  i  tempi 
Da  lor  distrutti ,  e  i  violati  altari; 
Qualei  giusta  fama  grave  vendetta 
Sul  gran  tiranno  e  suU  iniqua  setta  ! 
xciv. 

Indarno  a  lui  con  mille  schiere  armate 

Quinci  il  Turco  opporriasi,  e  quindi  il  Mauro  ; 

Ch'  egli  portar  potrebbe  oltre  V  Eufrate, 

Ed  oltre  i  gioghi  del  nevoso  Tauro , 

Ed  olire  i  regni  ov'è  perpetua  state, 

La  Croce,  e  '1  bianco  augello,  e  i  gigli  d'  auro: 

St.  92.  Mirar  da  funge  ,  e  preveder  gli  estremi  . 
Intende  per  gli  estiemi  le  cose  passate ,  e  quelle  che  hanno  a 
venire.  Percioochè  la  prudenza  in  amhedne  questi  tempi  egual- 
mente consiste:  il  che  ci  è  significato  dalle  due  faccie  di  Giano, il 
quale  si  rappresentò  dagli  antichi  poi  la  Prudenza.  E  per  questo 
dai  Romani  si  adoìsxvano  y4n/ei'orta,  e  Postuortn,  quasi  compagna 
della  Divinità  :  siccome  scrive  Macrobio ,  al  lib.  primo  dei  Satur- 
nal.  cap.  7,  Ed  Achille  appresso  Omero  riprende  Agamennone, 
dicendo: 

vìyÒLp  oy'  òXoJ^GTj  (ppfc/  3'Jf( , 

Oi^'  5fTt  oTSf  \ov\!ji  a/j.a  Tròcffw  K!xl  cVt'gou) . 
Cioè,  per  così  interpretarlo: 

Il eerto  costui 

«  Di  Consigli  pextij'eri  vaneggia  : 
a   E  le  cose  dinanzi ,  e  le  future 
«    Egualmente  non  sa  cieco  vedere, 
E  se  mi  si  dice  che  il  verbo  prevedere ,   posto  quivi  dal  Tasso  ,^ 
«on  si  può  accomodare  alle  cose  di  già  passate  ;  rispondo ,  che  la- 
prudenza  è  detta  dal  prevedere:  e  nientedimeno  non  è  altro  che 
un  abito  dell'  intelletto  raccolto  dalla  spcrienza  di  cose  già  acca— 
dute .  Gest^ 

G.  Lib.  t.  in.  10 


1.36  LA  GERUSALEMME 

E  per  battesmo  delle  nere  fronti 
Del  gran  Nilo  scoprir  l'ignote  fonti, 
xcv. 

Così  parlava  il  veglio  ;  e  le  parole 
Lietamente  accoglieva  il  giovinetto  ; 
Che  del  pensier  della  futura  prole 
Un  tacito  piacer  senti'a  nel  petto . 
L'Alba  intanto  sorgea  nunzia  del  Sole, 
E  '1  ciel  cangiava  in  Oriente  aspetto  : 
E  sulle  tende  già  potean  vedere 
Da  lunge  il  tremolar  delle  bandiere, 
xcvi. 

Ricon^inciò  di  novo  allora  il  saggio: 
Vedete  il  Sol  che  vi  riluce  in  fronte, 
E  vi  discopre  con  1'  amico  raggio 
Le  tende  e  '1  plano,  e  la  cittade  e  '1  monte. 
Securi  d' ogni  intoppo  e  d' ogni  oltraggio 
Io  scorti  v'  ho  sin  qui  per  vie  non  conte  : 
Potete  senza  guida  ir  per  voi  stessi 
Ornai j  né  lece  a  me  che  piìi  m'  appressi, 
xcvii 

Così  tolse  congedo ,  e  fé'  ritorno  , 
Lasciando  i  cavalieri  ivi  pedoni  ; 
Ed  essi  pur  contra  il  nascente  giorno 
Seguir  lor  strada,  e  giro  ai  padiglioni. 
Porlo  la  fama ,  e  divulgò  d' intorno 
L' aspettato  venir  de'  tre  baroni; 
E  innanzi  ad  essi  il  pio  Goffredo  corse , 
Che  per  raccorli  dal  suo  seggio  sorse . 


St.  96.    Vedete  il  Sol  che  vi  riluce  in  fronte. 
Dafite  nel  aa  del  Purgatorio: 

«    Vedi  là  il  Sol,  che  infrante  ti  riluce.  GuAST. 


LA 

GERUSALEMME 

LIBERATA 


CJNTO  BECIMOTTAVO 

ARGOMENTO 

Prima  i  suoi  falli  piange,  e  poi  l'impresa 
Del  bosco  tenta,  e  vince  il  bnon  Rinaldo. 
Del  campo  Egizio  s'è  novella  intesa, 
Ch'ornai  s'appressa:  però  astuto  e  Laido 
Va  a  spiarne  Y;*frino  .  Aspra  contesa 
Fassi  intorno  a  Sion:  ma  tanto  è  saldo 
L'aiuto  c'han  dal  Ciel  l'arme  Cristiane, 
Ch'a'  nostri  in  preda  la  Città  rimane. 


Vriunto  Rinaldo  ove  Goffredo  è  sorto 
Ad  incontrarlo,  incominciò:  Signore, 
A  vendicarmi  del  guerrier  eh'  è  morto, 
Cura  mi  spinse  di  geloso  onore  : 
E  s'io  n' offesi  te,  ben  disconforto 
Ne  sentii  poscirf,  e  penitenza  al  core. 
Or  vegno  a'  tuoi  richiami  ;  ed  ogni  emenda 
Son  pronto  a  far,  che  grgto  a  le  mi  renda . 
II. 

A  lui,  cli'un]JHtt[  s'Miichinò,  le  braccia 
Stese  al  coHb  Goffredo ,  e  gli  rispose  : 
Ogni  trista  memoria  ornai  si  taccia, 
E  pongansi  in  oblio  le  andate  cosej 


i38  LA.  GERUSALEMME 

E  per  emenda  io  vorrò  sol  che  faccia , 
Quai  per  uso  faresti,  opre  famose; 
Che  'n  danno  de'  nemici,  e  'n  prò  de' nostri 
Vincer  convienti  della  selva  i  mostri. 
III. 
L'  antichissima  selva,  onde  fu  innanti 
De' nostri  ordigni  la  materia  tratta, 
(  Qual  che  sia  la  cagione  )  ora  è  d' incanti 
Secreta  stanza  e  formidabil  fatta: 
Né  v'è  chi  legno  indi  troncar  si  vanti: 
-Ne  vuol  ragion  che  la  città  si  batta 
Senza  tali  instrumenti.  Or  colà,  dove 
Paventan  gli  altri,  il  tuo  valor  si  prove. 

IV. 

Così  disse  egli;  e  '1  cavalier  s'  offerse 
Con  brevi  detti  al  rischio  e  alla  fatica; 
Ma  negli  atti  magnanimi  si  scerse , 
Ch'assai  farà,  benché  non  molto  ei  dica  . 
E  vereo  gli  altri  poi  lieto  converse 
La  destra  e  '1  volto  all'accoglienza  amica: 
Qui  Guelfo,  qui  Tancredi,  e  qui  già  tutti 
S'  eran  dell'  oste  i  principi  ridutti . 

V. 

Poi  che  le  dimostranze  oneste  e  care 
Con  que' soprani  egli  iterò  più  volte  . 

St.   5.      Poi  che  le  dìmo^trame  one.tte  e  care 
Con  que'  soprani  egli  iterò  più  volte  . 
Dante  nel  7  del  Purgatorio: 

«  Poscia  che  le  accoglienze  oneste  e  liete 
«  Fur  iterate  tre  e  qìinttro  volte. 
Ma  il  Tasso  ha  cambiato  le  accoglienze  in  dimostrime ,  aven- 
do rifjuarclo  al  grado  di  que' soprani ,  de'quali  ei  ras;ionava,  a  cui 
propriamente  parlando  non  si  convcniv;mo  accoglienze ,  ma  di- 
mostrazioni d'onore,  essendo  o  maggiori  o  fj^^i  »  1"'  •  '^^'"  ^^"*^ 
persone  Jninori  soggiunge  appresso  ebbe  nt^lftè .  La  voce  dimo- 
Btranza  è  buona,  e  usata  dagli  autorevoli  scrittori  antichi ,  co- 
me anche  mostranza,  secondo  che  si  è  notato  altrove.  Guitton  di 
Arezzo  : 

n   t  di  penn-.ir  non  faccia  dimostrnnza  . 


LIBERATA    C.  XVIII.  lìij 

Placido  affabilmente  e  popolare  , 
L'  altre  genti  minori  ebbe  raccolte . 
]\è  sari'a  già  più  allegro  il  militare 
Grido,  o  le  turbe  intorno  a  lui  piti  folte. 
Se,  vinto  r  Oriente  e  '1  Mezzogiorno, 
Trionfante  ei  n'  andasse  in  carro  adorno . 

VI. 

Così  ne  va  sino  al  suo  albergo ,  e  siede 
In  cercbio  quivi  ai  cari  amici  accanto; 
E  molto  lor  risponde ,  e  molto  cbiede 
Or  della  guerra,  or  del  silvestre  incanto. 
Ma  quando  ognun  partendo  agio  lor  diede. 
Così  gli  disse  l'Eremita  santo: 
Ben  gran  cose,  signore,  e  lungo  corso 
(  Mirabil  peregrino  )  errando  hai  scorso . 

VII. 

Quanto  devi  al  gran  Re  che  1  mondo  regge! 
Tratto  egli  t' ha  dall'  incantate  soglie  : 
Ei  te  smarrito  agnel  fra  le  sue  gregge 
Or  riconduce,  e  nel  suo  ovile  accoglie  ; 
E  per  la  voce  del  Buglion  t'elegge 
Secondo  esecutor  delle  sue  voglie . 
Ma  non  conviensi  già  eh'  ancor  profano, 
Ne'  suoi  gran  ministeri  armi  la  mano  . 
vili. 

Che  sei  della  caligine  del  mondo , 
E  della  carne  tu  di  modo  asperso , 


St.   7.     Secondo  etecutor  delie  sue  voglie. 
Tutti  due  erano  esecutori  delle  voglie  d'  Iddio,  cioè  Goffredo  e 
Rinaldo  \  ma  Goffredo  come  Capitano,  e  perciò  primo  ;  e  Rinaldo 
come  ministro,  e  perciò  secondo. 

St.  8.     Che  sci  della  caligine  del  mondo  . 
Degli  errori  e  peccati    mondani  ;  i  quali  quasi  nera  caligine 
macchiano  l'anima  a  chi  segue  i  piaceri  del  senso.  Dante  nel 
Purgatorio  cu: 

«   Purgando  la  caligini  del  mondo  . 


i4o  LA  GERUSALExMME 

Che  '1  Nilo,  o  '1  Gange,  o  l' Ocean  profondo 

Non  ti  potrebbe  far  candido  e  terso . 

Sol  la  grazia  del  Ciel  quanto  hai  d' immondo 

Può  render  puro  :  al  Giel  dunque  converso 

Riverente  perdon  richiedi,  e  spiega 

Le  tue  tacite  colpe,  e  piangi  e  prega . 

IX. 

Così  gli  disse  :  ed  ei  prima  in  se  stesso 
Pianse  i  superbi  sdegni,  e  i  folli  amori: 
Poi  chiamato  a'  suoi  pie  mesto  e  dimesso 
Tutti  scoprigli  i  giovenili  errori . 


—   Che  7  Nilo ,  o  'l  Gange,  o  V  Ocean  profondo  ec. 
Tale  è  quel  che  Edipo  dice  appo  Sofocle  : 

OCis.(xi  ya.p  our  oìv  Cqpov  cvn  (pxciv  oìv 
Ni\l>y-i  xx^xpuu)  T^v  Sé  TviV  qf.yvìv  . 
«   Che  lai'ar  questa  mìa  camara,  i' penso, 
«(  JVon  potrebbe  purgando  Istro ,  né  Fasi  . 
Il  nostro  v'aggiunge  l'Oceano.  Obnt, 

Secondo  quel  verso  d'Euripide,  eh' è  sentenza  de' Gentili  : 

©aA.ac"c"a  kXv^si  ttoìvtoì  t  (Xv&pcÓTa;v  xxXa.. 
Cioè  : 

a  II  mare  lava  tutti  i  peccati  degli  uomini . 
Perchè  di  quello  scelerato  Gellio,  che  comraetiéy»  tanti   ince- 
sti, parlando  Catullo  disse  : 

«   Ecijuid  scis  quantum  suscipiat  scelcris  ? 
i<  Suscipit ,  o  Gela ,  quantum  non  ultima  Tethys 
«  Non  genitor  Nym.pharuTn  abluit  Oceanus . 
E  Marco  Tullio  del  Parricida  :  Noluerunt  feris  corpus  objicere  ; 
ne  bestiis  quoque,  quoe  si  tantum  scelus  attigissent,  immanioribus 
uteremur  ;  non  sic  nudus  in  flumcn  deiicere  ;  ne  cum  delati  essent 
in  mare,  ipsuin  polluerent t,  quo  coetera  quot  violata  sunt ,  e.rpia- 
ri  puLintur .  E  lo  stesso  Poeta  nostro  nella  sua  tragedia  intitolata 
il  Re  Torrismondo: 

«   Ahi  quando  mai  la  Tana  ,  o  7  Reno  ,  o  V  Istro, 
«    O  l' inospito  mare,  o  7  mar  vermiglio , 
«   O  r onde  Caspie,  o  V  Ocean  profondo 
«   Potrian  lavar  l' occulta  e  indegna  colpa 
«    Che  mi  tinse  e  macchiò  le  membra  e  l'  alma? 
E  di  ciò  favella  auclic  Celio  Rodigno  tielle  sue  Antiche  Lezioni . 

St.  9 ed  ei  prima  in  se  stesso 

Pianse  i  superbi  sdegni,  e  i  folli  amori  . 
Dinota  la  contrizione  ,  parte  necessaria  ,  come  dicono  i  teologi, 
ad  andar  innanzi  alla  confessione.  Gli   sdegni  furono  vcr«o  Ger- 
tando;  i  foU»  aiH«>i  verso  Armida. 


LIBERATA    C.  XVIII.  i4i 

Il  ministro  del  Ciel ,  dopo  il  concesso 
Perdono,  a  lui  dicea:  co' novi  albori 
Ad  orar  te  n'  andrai  là  su  quel  monte , 
Ch'ai  raggio  mattutin  volge  la  fronte. 

X. 

Quinci  al  bosco  t' invia ,  dove  cotanti 
Son  fantasmi  ingannevoli  e  bugiardi. 
Vincerai  (  questo  so  )  mostri  e  giganti, 
Pur  eh'  altro  folle  error  non  ti  ritardi . 
Deh,  ne  voce  che  dolce  o  pianga  o  canti. 
Né  beltà  che  soave  o  rida  o  guardi, 
Con  tenere  lusinghe  il  cor  ti  pieghi; 
Ma  sprezza  i  finti  aspetti  e  i  finti  preghi . 

XI. 

Così  il  consiglia;  e  '1  cavalier  s'  appresta. 
Desiando  e  sperando ,  all'  alta  impresa . 
Passa  pensoso  il  dì ,  pensosa  e  mesta 
La  notte;  e  pria  che  'n  ciel  sia  1'  Alba  accesa, 
Le  belle  arme  si  cinge ,  e  sopravvesta 
Nova  ed  estrania  di  color  s'  ha  presa  : 
E  tutto  solo ,  e  tacito ,  e  pedone 
Lascia  i  compagni,  e  lascia  il  padiglione, 
xn. 

Era  nella  slagion ,  che  anco  non  cede 
Libero  ogni  confin  la  notte  al  giorno  ; 
Ma  r  Oriente  rosseggiar  si  vede , 
Ed  anco  è  il  ciel  d  alcuna  stella  adorno. 
Quando  ei  drizzò  ver  V  Olivelo  il  piede, 
Con  gli  occhi  alzati  contemplando  intorno 
Quinci  notturne,  e  quindi  mattutine 


St.    II *  sopravvesta 

Nova ,  ed  estrania  di  Color  s'  ha  presa . 
Di  color  di  cenere  ,  dice  poco  più  a  basso. 

St.    12.    Quinci  notturne  ,  e  quindi  mattutine . 
Notturne    e  mattutine,  avvegnaché   essendo   l'ora,    la  quale 
partecipava  del  die  della  notte,  quando  partiva  l'una,  e  veniva 


i4i  LA  GERUSALEMME 

Bellezze  incorruttibili  e  divine. 

XIII. 

Fra  sé  stesso  pensava  :  oh  quante  belle 
Luci  il  tempio  celeste  in  se  raguna  ! 
Ha  il  suo  gran  carro  il  dì  :  1'  aurate  stelle 
Spiega  la  notte ,  e  1'  argentata  Luna  . 
Ma  non  è  chi  vagheggi  o  questa  o  quelle; 
E  miriam  noi  torbida  luce  e  bruna , 
Ch'  un  girar  d'occhi^  un  balenar  di  riso 
Scopre  in  breve  confi n  di  fragil  viso. 

XIV. 

Così  pensando,  alle  più  eccelse  cime 
Ascese  ;  e  quivi  inchino  e  riverente , 


l'altro;  ambidue  perciò  se  gli  offerivano   dinanzi:   ambedue  le 
quali  a  parte  distingue  ci  descrive  nella  geguente  itania .    Gbast. 
—  Bellezze  incorruttibili  e  divine . 

Di  queste  bellezze  del  cielo  ragionando  Aristotile,  e  preferen- 
do una  piccioia  cognizione  d'alcuna  di  quelle  ad  una  perfetta  del- 
le cose  che  sono  sotto  la  Luna,  usa  comparazione  mollo  vaga. 
«  Come  suol  essere  ad  ognuno  piìi  caro,  dice  egli  ,  il  toccare  con 
un  dito  qualche  parte  d'una  bellissima  giovane,  die  con  tutto  il 
corpo  le  membra  di  una  vecchia  femmina  abbracciare  »  . 
St.  i3.  Fì-a  se  stesso  penfUi'a  :  oh  quante  belle 
Luci  il  tempio  celeste  in  .vt"  raguna  ! 

Alcuni  avevano  letto  Duci ,  in  luogo  di  Luci ,  e  il  Gentili,  ci 
fa  la  seguente  annotazione:  <e  Come  gli  Egizj  addiniandayano  i 
Segni  dello  Zodiaco  Dii  Senatori  o  consiglieri ,  ed  i  Pianeti  Lit- 
tori :  credo,  perchè  la  loro  forza  è  temperata  dai  segni  di  quel- 
lo .  E  perciò  il  Poeta  nostro  usa  il  verbo  tempio ,  e  ragiona  to- 
me se  di  un  luogo  di  consiglio  pubblico  ragionasse,  che  dai 
Romani  si  dimandava  templum ,  perchè  era  consecrato  .  Dice 
poi,  che  il  di  ha  '1  suo  gran  carro,  intendendo  quei  del  Sole:  sic- 
come li  poeti  finsero  ,  da' quali  par  non  si  discosti  né  anco  Plato- 
ne, nel  decimo  libro  delle  sue  Leggi;  ma  Stesicoro  ed  altri  scris- 
seru,  che  il  Sole  dentro  ad  un  vaso  se  n'  andasse  a  coricare  negU 
oscuri  (lutti  della  notte.  Onde  è  forse  nato  quel  modo  di  parlare^ 
che  il  Sole  si  annida  nel  mare,  ed  ov'alberga  la  notte,  e  simili  usa- 
ti da  Dante  e  dal  nostro  Poeta  in  più  luoghi .  Perciocché  nido  nel- 
r  antica  favella  de' Latini  significava  un  vaso  da  bevere,  siccome 
i{1i  antichi  grammatici  provano.  Ma  di  questo  si  dirà  altrove, 
piacendo  a  Dio.  Dice  poi  il  Tasso,  l'  argentata  Luna,  ad  imita- 
zione del  Boccaccio  ,  che  disse:  Gl'inopinabili  corsi  dell'  ina  rgcn- 
Tatti  Luna.  Filoc.  7.  Gr.M, 


LIBERATA    C.  XVIII.  i^ 

Alzò  il  pensier  sovra  ogni  ciel  sublime, 
E  le  luci  fissò  neir  Oriente . 
La  prima  vita  e  le  mie  colpe  prime 
Mira  con  occhio  di  pietà  clemente;, 
Padre  e  Signore;  e  in  me  tua  grazia  piovi, 
Sicché  '1  mio  vecchio  Adam  purghi  e  rinnovi. 

XV. 

Così  pregava;  e  gli  sorgeva  a  fronte. 
Fatta  già  d'  auro,  la  vermigha  Aurora, 
Che  r  elmo  e  l' arme ,  e  intorno  a  lui  del  monte 
Le  verdi  cime  illuminando  indora  ; 
E  ventilar  nel  petto,  e  nella  fronte 
Senti'a  gli  spirti  di  piacevol  óra, 
Che  sovra  il  capo  suo  scotea  dal  grembo 
Della  bell'Alba  un  rugiadoso  nembo . 

XVI. 

La  rugiada  del  ciel  sulle  sue  spoglie 
Cade  ,  che  parean  cenere  al  colore; 
E  sì  l'asperge  che  '1  pallor  ne  toglie, 
E  induce  in  esse  un  lucido  candore . 


St.    1 4-  Alzò  ii  prn.ùer  sovra  ogni  ciel  sublime . 
A.  Dio  collocato  sopra  ogni  Cielo. 

' —  Sicché  ''/  mio  vecchio  Adam  purghi  e  rinnovi. 
Noi  siamo  generazione   d'Adamo,  e  da  lui  avendo  ricevuta  la. 
carne ,  partecipiamo  ancora  del   suo  antico  peccato  e  infermità. 
Dante  nel  9  del  Purgatorio  : 

«    Oiid'  io  che  meco  avea  di  quel  d' Adamo  . 
E  quanto  al  modo  del  dire,  il  Boccaccio  nella  Fiammetta:  «  0-. 
"  gni  sembiante  del  misero  tempo  da  noi  si  parta  ,  e  torni  il  lie-. 
c<  to  viso  al  presente  bene,  e  la  vecchia  Fiammetta  della  rinova- 
«  ta  anima  del  tutto  si  vesta  fuori.  Gbast. 

St.  16.  La  rugiada  del  ciel  su  le  sue  spoglie 
Cade  ,  che  parca  cenere  al  colore  . 
Usa  il  Poeta  in  questo  suo  poema  alcuni  modi  tratti  fuor  delle 
Sacre  Scritture,  quale  è  quello  nella  precedente  stanza:  «  Rinnovi 
in  me  il  vecchio  Adamo  n  e  questo  quivi,  che  pare  tratto  del  Sal- 
mo 146,  del  quale  reciterò  a  questo  proposito  le  paiole,  com'  io 
già  le  tradussi  in  verso,  nella  mia  parafrasi: 

«    Qui  nivium.  calo  canentia  veliera  fundit , 

<(    ììt  cinsi i  sìììiihm  spargit  per  grawina  rorem  .      Mart. 


i44  L^  GERUSALEMME 

Tal  rabbellisce  le  smarrite  foglie 
Ai  mattutini  geli  arido  fiore; 
E  tal  di  vaga  gioventù  ritorna 
Lieto  il  serpente;  e  di  novo  ór  s'  adorna. 

XVII. 

Il  bel  candor  della  mutata  vesta 

Egli  medesmo  riguardando  ammira  : 
Poscia  verso  1'  antica  alta  foresta 
Con  secura  baldanza  i  passi  gira. 
Era  là  giunto  ove  i  men  forti  arresta 
Solo  il  terror  clie  di  sua  vista  spira  : 
Pur  ne  spiacente  a  lui,  né  pauroso 
Il  bosco  appar,  ma  lietamente  ombroso, 
xviii. 

Passa  più  oltre ,  ed  ode  un  suono  intanto , 
Cbe  dolcissimamente  si  diffonde. 
Vi  sente  d' un  ruscello  il  roco  pianto , 
E  '1  sospirar  dell'  aura  infra  le  frondej 

—    Tal  rabbellisce  le  smarrite  foglie 
Ai  mattutini  geli  arido  fiore  . 
Imita,  e  con  buon  giudizio,  quel  luogo  di  Dante,  Infer.  a: 
«    Quale  i  fioretti  dal  notturno  gelo 

«e   Chinati,  e  chiusi,  poiché  il  Sol  gV  imbianca  , 
«   Si  drizzan  t'itti  aperti  in  loro  stelo  . 
Ove  mi  par  di  notare  in  passaggio,  che  dice  che  il  Sole  imbian- 
ca i  fioretti ,  siccoirte  altrove  disse,  che  l'Aurora  s'imbiancava  al 
Ibalcon  d'Oriente:  e  cosi  avea  detto  Mattio  ne' Mimiambi: 
«  Jam  jatn  nlbicassit  Phcehus ,  et  reccntatur 
«    Commune  lumen  omnibus  ,  l'oluptasque  . 
Ed  Empedocle  stimò  il  Sole  essere  di  color  biauco;,  per  lo  che 
«iisse  Ennio: 

«   Interca  Sol  albios  recessit  in  infera  nociis . 
Ma  questa  sentenza  è  stata  rifiutata  da  Aristotile  .  Gent. 

St.  i8.  yi  sente  d'  un  ruscello  il  roco  pianto  , 
E  'l  sospirar  dell'  aura  infra  lejrande. 
Cambia  forma  d' incanto  il  diavolo  ;  e  rispetto  al  sovrano  valo- 
re, e  all'estrema  forza  di  questo  cavaliero,  molto  meglio  con  la 
strada  delle  lusinghe,  de' piaceri ,  e  degli  inganni  pensa  di  sup(^- 
rarlo,  e  di  difender  la  selva,  che  cou  le  minaccie  e  gli  spaventi 
usati  con  gli  altri  j  a'quali  però, scorto  poscia  nulla  giovare  ì  pia- 
ceri e  le  lusinghe  ,  e  deliberato  di  tentar  ogni  strada ,  è  fmzato 
pure  di  uuoyo  ricorrere  al  line.  Gu\«t. 


LIBERATA   C.  XVIII.  i45 

E  di  musico  cigno  il  flebil  canto , 

E  r  usignuol  che  plora  e  gli  risponde; 


Organi  e  cetre,  e  voci  umane  in  rime: 


Tanti  e  sì  fatti  suoni  un  suono  esprime  ! 

XIX. 

Il  cavalier  (  pur  come  agii  altri  avviene  ) 
N'  attendeva  un  gran  tuon  d'  alto  spavento: 


—  E  di  musico  cigno  il  flebil  cunto  , 

E  r  usignuol  che  plora  e  gli  risponde  . 
Ottimamente  chiama  il  cìs,no  musico ,  siccome  Lucrezio  disse 
Et  cjcnea  mele ,  e  vi  aggiunge  '1  rosignuolo,  perchè  da  questi  so- 
li uccelli  impararono  gli  uomini  di  soavemente  cantare:  siccome 
è  stato  scritto  da  Plutarco,  de  Soler,  animai.  Perchè  poi  il  canto 
«lei  cigno  sia  flebile ,  vedi  cosa  notabile  nell'  Apologia  di  Platone . 

Gent. 
Chiamò  il  cigno  musico  per  cantare  soavissimamente ,  e  però 
fingesi  da' poeti  a  Apollo  essere  sacro,  che  è  Dio  de' poeti .  Il  suo 
canto  s'ode  viepiù  del  solito  dolce  appresso  al  morire  di  esso,  e 
ciò  avviene  (secondo  Alberto  il  grande)  che  gli  spirti ,  per  dare 
ajuto  a  quello  che  è  giunto  al  termine  della  vita,  si  ragunino 
assieme,  onde  cantando  egli  fa  un'armonia  soavissima.  Ma  se 
crediamo  ad  Ovidio,  ciò  avviene  perchè  gli  si  attraversa  per  il 
cervello  una  penna ,  dalla  quale  poscia  punto,  dolcemente  can- 
tando more:  le  parole  sue  sono  al  2  de' Fasti,  v.  109; 
«   Flebilibui  relitti  numeris ,  cnnentia  dura 
«    Trajectus  penna  tempora  cantai  olor , 
E  avvegnaché  Plinio  al  cap.  22  del  20  dica  di   ciò  nulla  essere 
Tero,  nuUadimeno  assaissimi  poeti,  e    uomini  gravissimi  seguii 0- 
BO  la  prima  opinione  ;  tra' poeti,  come  Marziale,  lib.  !3,  e  p.  77; 
«    Dulcia  dejecta  modulatur  carmina  lingua 
«   Cantator  cycnus  Juneris  ipso  sui  , 
Ovidio  alla  7  delle  Eroidi,  v.  1: 

«  Sic  ,  ubi  fata  vocant ,  udis  abjcctus  in  herhìs 
«   Ad  vada  Meandri  concinit  albus  olor . 
Lattanzio  Firmiano  ne' versi  che  fece  sopra  la  Fenice; 
o   Sed  ncque  olor  moriens  imitari  posse  putatur . 
E  '1  Sanazzaro  alla  prosa  8.  Ed  il  candido  cigno  presago  delln 
.ìua  morte  cantar  gli  esecjuiali  versi. 
E  '1  Chiabrera  al  canto  10  della  guerra  de' Goti: 
a    Qual  dove  a  consolar  suoi  giorni  spentì 
a   II  puro  ci^no  in  sul  morir  si  lagna. 
Platone  nel  Fedone  con  queste  parole  da  noi  fatte  volgari  :  / 
cigni  allora  cantano,  die  sono  vicini  alla  morte ,   rallegrandosi 
che  hanno  a  gir  daf.'anti  a  quel  Dio,   di  cui  essi  sono  ministri. 
Cicerone  nel  primo  delle  Tusculane:  Cycni  non  sine  causa  Apol- 
lini dicati  sunt ,  sed  ut  divinationem  habere  videantur,  quia  prcc 
liilentes  quid  in  marts  Ioni  iit  eum  c.tntu  moriuntur .  Maet. 


!46  Lk  GERUSALEM^IE 

E  v'  ode  poi  di  Ninfe  e  di  Sirene, 

D' aure,  d'  acque  e  d'  augei  dolce  concento  : 

Onde  meravigliando  il  pie  ritiene  , 

E  poi  sen  va  tutto  sospeso  e  lento  • 

E  ira  via  non  ritrova  altro  divieto, 

Che  quel  d'  un  fiume  trasparente  e  cheto . 

XX. 

L'  un  margo  e  1'  altro  del  bel  fiume  adorno 
Di  vaghezze  e  d'  odori,  olezza  e  ride. 
Ei  tanto  stende  il  suo  glrevol  corno, 
Che  tra  1  suo  giro  il  gran  bosco  s*  asside  : 
Ne  pur  gli  fa  dolce  ghirlanda  intorno; 
Ma  un  canaletto  suo  v'  entra,  e  1  divide: 
Bagna  egli  il  bosco,  e  '1  bosco  il  fiume  adombra 
Con  bel  cambio  fra  lor  d'  umore  e  d'  ombra. 

XXI. 

Mentre  mira  il  guerriero  ove  si  guade , 
Ecco  un  ponte  mirabile  appariva  ; 
Un  ricco  ponte  d'  ór ,  che  larghe  strade 
Su  gli  archi  stabilissimi  gli  offriva  . 
Passa  il  dorato  varco  ;  e  ({uel  giù  cade, 
Tosto  che  1  pie  toccata  ha  1'  altra  riva, 
E  se  ne  '1  porta  in  giù  1'  acqua  repente, 
L' acqua ,  eh'  è  d'  un  bel  rio  fatta  un  torrente  . 

XXII. 

E  si  rivolge,  e  dilatato  il  mira 

E  gonfio  assai ,  quasi  per  nevi  sciolte , 
Che  'n  sé  stesso  volubil  si  raggira 
Con  mille  rapidissime  rivolte  : 
Ma  pur  desio  di  novitade  il  tira 
A  spiar  tra  le  piante  antiche  e  folte  ; 
E  in  quelle  solitudini  selvagge 
Sempre  a  se  nova  meraviglia  il  tra 


St.   ai.   /,'  acqua,  eli'  è  d' un  bel  rio  fatta  un  torrente  . 
D'un  eliclo  fiuiniccllo  ch'egli  era,   divenuta  un  torrente,   che 
cxjrre  con  l'impeto  necessario  a  portar  via  il  ponte.  Guast. 


LIBERATA   G.  XVIII.  j47 

xxiir. 

Dove  in  passando  le  vestigia  ei  posa. 
Par  eh' ivi  scaturisca,  o  che  germoglie. 
Là  s'  apre  il  giglio,  e  qui  spunta  la  rosa: 
Qui  sorge  un  fonte,  ivi  un  rusccl  si  scioglie. 
E  sovra  e  intorno  a  lui  la  selva  annosa 
Tutta  parca  ringiovenir  le  foglie; 
S'  ammolliscon  le  scorze ,  e  si  rinverde 
Più  lietamente  in  ogni  pianta  il  verde . 
xxiv. 

Rugiadosa  di  manna  era  ogni  fronda, 
E  distillava  dalle  scorze  il  mele  : 
E  di  novo  s*  udi'a  quella  gioconda 
Strana  armonia  di  canto  e  di  querele: 
Ma  il  coro  unian ,  che  a'  cigni,  all'  aura ,  all'  ondi* 
Facea  tenor,  non  sa  dove  si  cele: 
Non  sa  veder  chi  formi  umani  accenti , 
Ne  dove  siano  i  musici  istrumenti. 

XXV. 

Mentre  riguarda ,  e  fede  il  pensier  nega 
A  quel  che  '1  senso  gli  ofFeria  per  vero , 


St.  23.  Dove  in  passando  le  vestigia  ei  posa  ec. 
Riguarda  a  quel  luogo  di  Persio,  Sat.  2,  v.  37: 

«   Hunc  optent  genenim  Rex  ,  et  Regina  ,  puelloe 
«  Hunc  rapiant  :  cjuidcjuid  calcaverit  hic,  rosa  fiat .  GE^T. 
Il  verbo  scaturisca ,  è  detto  di  cose  liquide  e  flessibili;  il  ger- 
tnoglie  di  cose  sode;  un  dell'  umore,  l'altro  delle  piante.  Clau- 
diano  in  lode  di  Serena  moglie  di  Stilicone,  v.  90: 

« quacumcjiie  per  herbam 

«    Reptares  yfluxere  rosee  ,  candetitia  nasci 
«  Lilia,  si  placido  cessi sstnt  lumina  somno, 
«   Purpura  surgebat  ec. 

—  Là  s' apre  il  giglio ,  e  qìii  spunta  la  rosa. 
Questo  è  il  germogliare  . 

—  Qui  sorge  un  fonte ,  e  qui  un  ruscel  si  scioglie. 
Questo  è  lo  scaturire. 

St.  24.  Ma  il  coro  uman ,  che  a'  cigni  ,  all'  aura,  all'onda 
Facea  tenor . 
Nel  giardino  d'Armida  fece  anco  il  concerto  di  musica  fra  l'au- 
va  e  gli  augelli,  usata  anche  da  Dante,  come  colà  «i  notò.  GiusT. 


i48  L\  GERUSALEMME 

Vede  un  mirto  in  disparte,  e  là  si  piega, 
Ove  in  gran  piazza  termina  un  sentiero. 
L'  estranio  mirto  i  suoi  gran  rami  spiega 
Più  del  cipresso  e  della  palma  altero  ; 
E  sovra  tutti  gli  alberi  frondeggia; 
Ed  ivi  par  del  bosco  esser  la  reggia  . 

XXVI. 

Fermo  il  guerrier  nella  gran  piazza ,  affisa 
A  maggior  novitate  allor  le  ciglia . 
Quercia  gli  appar,  che  per  se  stessa  incisa 
Apre  feconda  il  cavo  ventre,  e  figlia: 
E  n'  esce  fuor  vestita  in  strania  guisa 
Ninfa  d' età  cresciuta  (  oh  meraviglia  !  ): 
E  vede  insieme  poi  cento  altre  piante 
Cento  Ninfe  produr  dal  sen  pregnante . 

XXVII. 

Quai  le  mostra  la  scena ,  o  quai  dipìnte 
Talvolta  rimiriam  Dee  boscherecce , 
Nude  le  braccia ,  e  1'  abito  succinte , 
Con  bei  coturni,  e  con  disciolte  trecce; 
Tali  in  sembianza  si  vedean  le  finte 
Figlie  delle  selvatiche  cortecce  : 
Se  non  che  in  vece  d  '  arco  e  di  faretra , 
Chi  tien  leuto,  e  chi  viola  o  cetra  . 

XXVIII. 

E  incominciar  coslor  danze  e  carole , 
E  di  se  stesse  una  corona  ordirò  ; 


Si.  28.  E  incominn (ir  costar  dame  e  Carole. 
Carola  vuol  (lire  ballo,  parola  usata  da  Dante  nel  Par.  24: 

«    Cosi  quelle  carole  differente . 
Dall'Ariosto  nel  Furioso: 

«  E  come  rosìgnol  dolci  carole . 
E  nella  Satira  prima: 

a   Sin  a  conviti,  e  pubbliche  carole  . 
Da  questo  nome  ne  viene  il  verbo  carolare ,  che  vuol  dire  dan- 
zare, li  Boccaccio  nel  Corbaccio:  Come  si  confà  a  te  oggim,ni  ma- 
tura il  carolare  ?  Màrt. 


LIBERATA   C.  XVIII.  149 

E  cìnsero  il  guerrier,  sì  come  suole 
Esser  punto  rinchiuso  entro  '1  suo  giro . 
Cinser  la  pianta  ancora;  e  tai  parole 
Nel  dolce  canto  lor  da  lui  s'  udirò  : 
Ben  caro  giungi  in  queste  chiostre  amene, 
O  della  donna  nostra  amore  e  spene . 

XXIX. 

Giungi  aspettato  a  dar  salute  all'egra, 
D'  amoroso  pensiero  arsa  e  ferita . 
Questa  selva ,  che  dianzi  era  sì  negra , 
Stanza  conforme  alla  dolente  vita , 
Vedi  che  tutta  al  tuo  venir  s'  allegra, 
E  'n  più  leggiadre  forme  è  rivestita . 
Tale  era  il  canto;  e  poi  dal  mirto  uscia 
Un  dolcissimo  suono  ;  e  quel  s'  apria . 

XXX. 

Già  neir  aprir  d'  un  rustico  Sileno 
Meraviglie  vedea  l' antica  etade  ; 
Ma  quel  gran  mirto  dall'aperto  seno 
Immagini  mostrò  più  belle  e  rade  ; 
Donna  mostrò  ch'assomigliava  a  pieno 
Nel  falso  aspetto  angelica  beltade. 


St.   3o.   Già  nelV  aprir  d' un  rustico  Sileno  ec. 

Questi  erano  quelle  picciole  immagini  di  legno  in  forma  di  Si- 
leni,  le  quali  si  poneano  a  canto  delle  statue  de'Mercurj  poste 
nelle  vie  di  contado  per  mostrare  il  camino  a  viandanti,  ed  era- 
no di  fuori  rozzamente  fatte:  ma  di  dentro  chiudevano  immagini 
bellissime  nel  cavo  seno,  sicché  maravigliose  a'riguardanti  si  mo- 
stravano .  Gent. 

Erano  i  Sileni  appresso  gli  antichi  certe  immagini  come  di  Sa- 
tiri ,  li  quali  avendo  la  cornamusa,  o  zampogna  alla  bocca,  erano 
da'raaestri  fabbricati  in  guisa,  che  s'aprivan  loro,  come  certe  fi- 
nestre nel  petto.  E  questi  come  che  di  fuori  fossero  aspetti  ridi- 
coli e  deformi,  secondo  che  ridicoli  da  tutti  sono  figurati  i  Si- 
leni ,  aprendosi  mostravano  auguste  e  venerande  immagini  di 
Dei;  perchè  a  queste  fu  da  Alcibiade  nel  Convito  di  Platone  asso- 
migliato Socrate,  il  quale  tutto  differente  da  quello  che  appariva 
di  fuori,  era  di  dentro  conosciuto  da  quelli,  che  intrinsecamente 
erano  soliti  di  seco  usare . 


i5o  LA  GERUSALEMME 

Rinaldo  guata,  e  di  veder  gli  è  avviso 
Le  sembianze  d'  Armida ,  e  '1  dolce  viso . 

XXXI. 

Quella  lui  mira  in  un  lieta  e  dolente  : 

Mille  affetti  in  un  guardo  appaion  misti . 
Poi  dice:  io  pur  ti  veggio,  e  finalmente 
Pur  ritorni  a  colei  da  cui  fuggisti . 
A  che  ne  vieni?  a  consolar  presente 
Le  mie  vedove  notti,  e  i  giorni  tristi? 
0  vieni  a  mover  guerra,  a  discacciarme, 
Che  mi  celi  il  bel  volto ,  e  mostri  1'  arme? 

XXXII. 

Giungi  amante,  o  nemico?  il  ricco  ponte 
Io  già  non  preparava  ad  uom  nemico, 
Ne  gli  apriva  i  ruscelli ,  i  fior,  la  fonte , 
Sgombrando  i  dumi ,  e  ciò  eh'  a'  passi  è  intrico 
Togli  quest'  elmo  ornai  ;  scopri  la  fronte  , 
E  gli  occhi  agli  occhi  miei,  se  arrivi  amico: 
Giungi  i  labbri  alle  labbra,  il  senso  al  seno; 
Porgi  la  destra  alla  mia  destra  almeno  . 

XXXIII. 

Segui'a  parlando ,  e  in  bei  pietosi  giri 
Volgeva  i  lumi ,  e  scoloria  i  sembianti , 
Falseggiando  i  dolcissimi  sospiri, 
E  i  soavi  singulti,  e  i  vaghi  pianti: 


St.  3i.   Che  mi  celi  il  bel  volto ,  e  mostri  V  arme  ? 
Ciò  dice,  perciocché  il  volto  avea  Rinaldo  coperto  dalla  celata. 

GUAST. 

St.  32.   Giungi  i  lahhri  Me  labbra,  il  seno  al  seno  . 
Simile  a  quel  di  Lucilio,  lib.  8  ,  Salir. 

«    Tum  latus  compone  Interi ,  et  rum  pectore  pectus  . 
E  Plauto  nel  Milite  glorioso  :  Nam  ubi  amans  complexus  est  a- 
m.antem ,  ubi  ad  labra  tabella  adjungit  etc.  Gent. 

St.  33.  Falseggiando  i  dolcissimi  sospiri , 
Gettando  falsi  sospiri .  E  ciò  dice,  perchè  eran  quelle  tutte  fal- 
sità, bugie,  illusioni  diaboliche,  e  nulla  di  vero.  Dante  nel  9 
del  Paradiso  : 

«   Induce  falseggiando  la  moneta  . 
Falsare  usò  anche  lo  stesso  Dante  nel  29  del  Purg. 


LIBERATA  C.  XVllI.  i5i 

Tal  che  incauta  pietade  a  quei  martiri 
Intenerir  potea  gli  aspri  diamanti. 
Ma  il  cavaliere ,  accorto  sì ,  non  crudo , 
Più  non  v'  attende,  e  stringe  il  ferro  ignudo. 

XXXIV. 

Vassene  al  mirto  :  allor  colei  s'  abbraccia 
Al  caro  tronco ,  e  s' interpone ,  e  grida  : 
Ah  non  sarà  mai  ver ,  che  tu  mi  faccia 
Oltraggio  tal .  che  1'  arbor  mio  recida . 
Deponi  il  ferro ,  o  dispietato  ,  o  '1  caccia 
Pria  nelle  vene  all'  infelice  Armida  : 
Per  questo  sen ,  per  questo  cor  la  spada 
Solo  al  bel  mirto  mio  trovar  può  strada  . 

XXXV. 

Egli  alza  il  ferro ,  e  '1  suo  pregar  non  cura  : 
Ma  colei  si  trasmuta  (  oh  novi  mostri!  ) 
Sì  come  avvien  che  d'  una  altra  figura 
Trasformando  repente  il  sogno  mostri  ; 
Così  ingrossò  le  membra,  e  tornò  scura 
La  faccia;  e  vi  sparir  gli  avorj  e  gli  ostri: 
Crebbe  in  gigante  altissimo ,  e  si  feo 
Con  cento  armate  braccia  un  Briareo  . 

XXXVI. 

Cinquanta  spade  impugna  ,  e  con  cinquanta 
Scudi  risuona,  e  minacciando  freme. 


<{  Poco  pih  oltre  sette  alberi  cC  oro 
«  Falsava  tiel  parere  ii  lungo  tratto 
a   Del  mezzo,  eli  era  ancor  tra  noi  e  loro  . 
Cioè  falsamente  facea  parere;  avvegnaché  quelli  non  albeii , 
ma   veramente  fessero  candelabri,  come  dimostra  poi  lo  stesso 
Poeta . 

—   Afa  il  ca^>aliero  accorto  sì,  non  crudo  , 

Pih  non  v'  attende ,  e  stringe  il  ferro  ignudo . 
Mantiene  il  decoro  di  questo  cavaliere  ,  il  quale  è  sempre  fin- 
to da  lui  benigno  e  pietoso;  come  si  vide  nel  partir  d'Armida,  e 
si  vedrà  anco  nell'ultimo  canto.  E  perciò  dice,  a'corto  iì ,  m.n. 
crudo,  per  dar  ad  intendere,  che  benissimo  conoscea  Rinaldo 
che  non  era  colei  Armida,  ma  sì  ben  quelli  tutti  inganni  e  illu- 
sioni . 

G.  LiB.  T-  ni.  j  I 


i54  LA  GERUSALEMME 

Ogni  altra  Ninfa  ancor  d'  arme  s'  ammanta. 
Fatta  un  Ciclope  orrendo  :  ed  eì  non  teme; 
Ma  doppia  i  colpi  alla  difesa  pianta , 
Che ,  pur  come  animata ,  ai  colpi  geme  . 
Sembran  dell'  aria  i  campi  i  campi  Stigi  : 
Tanti  appaion  in  lor  mostri  e  prodigi. 

XXXVII. 

Sopra  il  turbato  ciel ,  sotto  la  terra 

Tuona  ;  e  fulmina  quello ,  e  trema  questa  : 
Vengono  i  venti  e  le  procelle  in  guerra , 
E  gli  soffiano  al  volto  aspra  tempesta . 
Ma  pur  mai  colpo  il  cavalier  non  erra, 
Ne  per  tanto  furor  punto  s'  arresta: 
Tronca  la  noce:  è  noce,  e  mirto  parve. 
Qui  r  incanto  fornì,  sparir  le  larve  . 
xxxvni. 

Tornò  sereno  il  cielo  e  l' aura  cheta  ; 
Tornò  la  selva  al  naturai  suo  stato  : 
Non  d' incanti  terribile ,  e  non  lieta  ; 
Piena  d'  orror,  ma  dell'  orrore  innato. 
Ritenta  il  vincitor  s'altro  più  ^ieta 
Ch'  esser  non  possa  il  bosco  omai  troncato  ; 
Poscia  sorride,  e  fra  se  dice  :  oh  vane 
Sembianze,  e  folle  chi  per  voi  rimane! 

XXXIX. 

Quinci  s' invia  verso  le  tende  ;  e  intanto 
Colà  gridava  il  solitario  Piero  : 
Già  vinto  è  della  selva  il  fero  incanto, 
Già  sen  ritorna  il  vincitor  guerriero  : 
Vedilo  ;  ed  ei  da  lunge  in  bianco  manto 
Compari'a  venerabile  ed  altero  ; 
E  dell'  aquila  sua  1'  argentee  piume 
Splendeano  al  Sol  d' inusitato  lume . 

XL. 

Ei  dal  campo  giojoso  alto  saluto 
Ha  con  sonoro  replicar  di  gridi; 


LIBERATA  C.  XVIII.  iSS 

E  poi  con  lieto  onore  è  ricevuto 
Dal  pio  Buglione  :  e  non  è  chi  l' invidi. 
Disse  al  Duce  il  guerriero  :  A  quel  temuto 
Bosco  n'andai ,  come  imponesti _,  e  '1  vidi; 
Vidi ,  e  vinsi  gì'  incanti  :  or  vadan  pure 
Le  genti  là  ;  che  son  le  vie  secure  . 

XLI. 

Vessi  air  antica  selva  :  e  quindi  è  tolta 
Materia  tal,  qual  buon  giudicio  elesse: 
E  benché  oscuro  fabbro  arte  non  molta 
Por  nelle  prime  macchine  sapesse. 
Pur  artefice  illustre  a  questa  volta 
E  colui  eh'  alle  travi  i  vinchi  intesse, 
Guglielmo ,  il  duce  Ligure ,  che  pria 
Signor  del  mare  corseggiar  solia . 


St.   4  •  •    y<mi  all'  ctnticm  stiva  ■ 

"Virgilio,  1.  6  T.  179: 

«   Jtur  in  antiquam.  sylvam. 

E  qui  è  l'esodo  della  farola;  perciocché  essendo  non  solo  co- 
nosciuta già  fin  da  prima  la  volontà  d'  Iddio,  ma  tolti  via  qui  o- 
ra  tutti  gli  impedimenti,  si  conosce  certo  ormai ,  come  abbia  s 
terminar  la  cosa;  e  tutto  il  fine  dell'azione  si  rende  manifesto. 
—   Guglielmo  il  duce  Ligure,  che  pria 
Signor  del  mare  corseggiar  solia . 

È  questi  il  valoroso  e  chiarissimo  Capitano  Guglielmo  Embria- 
•o  genovese,  detto  per  soprannome  Testa  di  martello;  il  qualf 
non  solamente  in  quella  santa  impresa ,  General  di  grosso  nume- 
ro di  legni,  fu  in  essa  di  tanta  importanza  ed  ajuto  ,  quanto  e  il 
Poeta  qui  dice,  e  scrivono  tutti  gli  storici,  e  particolarmente 
l'Arcivescovo  di  Tiro:  ma  l'anno  appresso  ancora,  che  fu  il  mille 
«ento.  Capitano  altresì  di  ventisette  galee,  e  sei  navi  «on  ottomi- 
la uomini  genovesi  in  compagnia  del  Legato  del  Papa  e  del  Pa-. 
triarca  di  Gerusalemme  ,  nella  presa  di  Cesarea  fu  il  primo  a  sji- 
lir  sulle  muraglie  di  quella  città;  e  fece  cosi  valorose«e  segnalate 
fazioni  ch'avuta  l'elezione  della  preda,  arricchì  la  sua  patria  di 
quel  meraviglioso  e  d'inestimabile  prezzo  vaso  di  smeraldo,  clic 
•on  tanta  custodia  si  serba  oggidì  nella  sagrestia  di  San  Lorenzo  . 
E  fece  pure  così  notabili  gesti  tuttavia  in  ciascheduna  impresa  di 
Terra  Sauta  coli' ajuto  de'compatriolti  suoi,  che  dal  Re  Baldovi- 
no ebbe  tutta  la  nazion  genovese  cosi  bel  privilegio,  qual  si  leg- 
ge nel  registro  del  Comune,  serbato  nell'archivio  della  nostra. 
Repubblica  .  Ed  io  per  maggior  chiarezza,  e  più  illustre  testimo- 
aio  della  virtù  de' miei  eittadiiii ,  hoiui*  iscato  c^ui  una  piccioli 


i54  LA  GERUSALEMME 

XLII. 

Poi  sforzato  a  ritrarsi,  ei  cesse  i  regni 
Al  gran  navigio  saracin  de' mari; 
Ed  ora  al  campo  conducea  dai  legni 
E  le  marittime  arme  e  i  marinari  : 
Ed  era  questi  infra  i  piìi  industri  ingegni 
Ne' meccanici  ordigni  uom  senza  pari: 
E  cento  seco  avea  iabbri  minori , 
Di  ciò  ch'egli  disegna  esecutori. 

XLIII. 

Costui  non  solo  incominciò  a  comporre 
Catapulte ,  baliste  ed  arieti , 


parte,  solamente  il  principio,  e  dice  così:  Anno  ab  Inrarnnfione 
Domini  Al.   C.    V.  Sept.  Kul.  Jun.   P rccsidente  Hierosulimitanoe 
EcclesicE    Domino   Damberto    Patriarcha  ,    regnante    Buldiiino , 
tradidit  doininus  civitatem  Acron  per  manus  servoruni  suorum 
Januensum  suo  glorioso  sepu-lchro  :  qui  in  primo   exercitii  Fran- 
corum  venientes ,   viriliter  prcejuerunt  in  acquisitione    Hierusa- 
lem,   Antiochia ,  et  Lcwdiceoe ,  ac  Tortosoe  ;  Solimum  autem,  et 
Gibellum  per  se  ceperunt i  Ccesaream  vero,  et  Assur  Hioerosoli- 
mitano  Imperio  nddidemnt .  Haic  igitur  tam  gloriosoe  genti  Bal- 
duinus  re.T  im'ictissimus  dcdit  in  Hieriisalem   viciim  unum  perpe- 
tuo jure  possidendum  ;  In  Ippe  autem,  alium, ,  iertiam   vero  par- 
tern  tam  Coetarece ,  et  Assur  quam  Acron,  ed  il  resto,  ove  si  con- 
tiene tutto  il  rimanente  del  bellissimo  privilegio  con  tutte   le 
condizioni  particolari  ampiamente  disteso.  Fu  questo  slesso  Gu- 
glielmo, uomo  di  molta  prudenza  e  di  molto  consiglio,  e  chia- 
ro per  queste  nobilissime  fresche  l'azioni    di  Terra   Santa .    Ri- 
tornato alla  patria  ch'ei  fu,  innalzato  subilo  al  sommo  magistra- 
to, e  creato  fu  Console  dello  stato  e  del  civile.  Nò  già  egli  solo 
di  questa  illustre  e  gloriosa  famiglia,  ch'oggidì  è  spenta  nella  no- 
stra città,  fu  grande  e  notabile  personaggio,  ma  mill' altri,  che 
in  essa  per  lo  continuato  spazio  di  quasi  quattrocento  anni  liori- 
nnio  in  dignità  di  capitani,  di  consoli,  di  ambasciatori ,  di  consi- 
glieri, di  governitori  di  terre  ,  d  Anziani ,  finche  nel  mille  quat- 
trocento quaranta,  in  Rafaelle  Embriaco  ,  che  quell'anno  fu  par- 
titor  delle  avarie,  come  anche  l'anno  del    \'\ì']   in  compagnia  di 
Gasparo  Guastavino  e  di  alcuni  altri  nobili  cittadini  del  consi- 
glio di  quell'anno,  mancarono  in  essa  tutti  gli  ufficj,  e  magistra- 
ti pubblici,  come  nel  Trattato  che  delle  nobili  famiglie  Genovesi, 
con  non  picciola  fatica  e  diligenza,  va  tuttavia  compilando  il  Sig. 
(^iulio  Pasqua,  non  men  letterato  e  prudente  che  cortese  gen^iluo- 
mo  d('lla  nostra  Repubblica,  si  può  vedere  piìi  distesamente. 
St.    /j2.    Poi  sjorzato  a  ritrarsi ,  ei  cesse  i  regni  eC. 
Dall'istoria,  come  anco  molti  altri  particolari  che  seguono  ap- 
picsso. 


LIBERATA  C.  XVIII.  ifi5 

Onde  alle  mura  le  difese  tórre 
Possa ,  e  spezzar  le  sode  alte  pareti  ; 
Ma  fece  opra  maggior  :  mirabil  torre , 
Ch'  entro  di  pin  tessuta  era  e  d'  abeti , 
E  nelle  cuoja  avvolto  ha  quel  di  fuore, 
Per  ischermirsi  da  lanciato  ardore  . 

XLIV. 

Si  scommette  la  mole  e  ricompone 
Con  sottili  giunture  in  un  congiunta  j 
E  la  trave  che  testa  ha  di  montone. 
Dall'  ime  parti  sue  cozzando  spunta . 
Lancia  dal  mezzo  un  ponte,  e  spesso  il  pone 
Suir  opposta  muraglia  a  prima  giunta; 
E  fuor  da  lei  su  per  la  cima  n'  esce 
Torre  minor,  ch'in  suso  è  spinta,  e  cresce. 

XLV. 

Per  le  facili  vie  destra  e  corrente 
Sovra  ben  cento  sue  volubil  rote , 
Gravida  d'arme,  e  gravida  di  gente. 
Senza  molta  fatica  ella  gir  puote  . 
Stanno  le  schiere  in  rimirando  intente 
La  prestezza  de'  fabbri  e  1'  arti  ignote  : 
E  due  torri  in  quel  punto  anco  son  fatte 
Della  prima  ad  immagine  ritratte . 


St.   43.   Ma  fece  opra  maggior:  mirabil  torre  ec. 

—  E  Tifile  cuoja  avvolto  ha  cjiiel  dijuore. 

Delle  cuoja  degli  animali  di  fresco  scorticati,  dice  l'ArcivescoTO 
di  Tiro ,  che  di  fuori  era  fasciata  la  torre  . 

St.  44-  ^  ^^  trave  che  tata  ha  di  montone  ec. 

—  Lancia  dal  mezzo  un  ponte  ec. 

—  E  fuor  di  lei  su  per  la  cim,a  n  esce  ec. 

Tre  effetti  di  questa  torre  mobile  ci  vengono  signiflcati  dal 
Poeta  ;  il  primo,  che  essa  dal  basso  come  ariete  batteva  le  miira- 
glii  ;  il  secondo,  che  dal  mozzo  lanciando  un  ponte  darà  passo 
nella  citta;  e  l'ultimo  che  dalla  cima  di  lei  alzandoci  una  nuova 
torre  di  dentro  rinchiusa ,  superava  le  muraglie  . 
St.  45.  E  due  torri  in  quel  punto  anco  sonfaiiii . 

Dall'istoria . 


i56  LAGERUSALEVIMFS 

XLVI. 

Ma  non  eran  frattanto  ai  Saracini 

L'opre,  eh'  ivi  si  fean,  del  tutto  ascostej 
Perchè  nell'  alte  mura  ai  più  vicini 
Lochi  le  guardie  ad  ispiar  son  poste . 
Questi  gran  salmerie  d' orni  e  di  pini 
Vedean  dal  bosco  esser  condotte  all'  oste  , 
E  macchine  vedean;  ma  non  appieno 
Riconoscer  lor  forma  indi  potiéno . 

XLVII. 

Fan  lor  macchine  anch'essi;  e  con  molt'artc 
Rinforzano  e  le  torri  e  la  muraglia; 
E  r  alzaron  così  da  quella  parte 
Ov'  è  men  atta  a  sostener  battaglia , 
Ch'  a  lor  credenza  ornai  sforzo  di  Marte 
Esser  non  può ,  eh'  ad  espugnar  la  vaglia . 
Ma  sovra  ogni  difesa  Ismen  prepara 
Copia  di  fochi  inusitata  e  rara . 

XLVIII. 

Mesce  il  maeo  fellon  zolfo  e  bitume, 
Che  dal  lago  di  Sodoma  ha  raccolto; 
E  fu  (credo)  in  Inferno:  e  dal  gran  fiume, 
Che  nove  volte  il  cerchia ,  anco  n'  ha  tolto 
Così  fa  che  quel  foco  e  puta  e  fumé, 
E  che  s'avventi  fiammeggiando  al  volto. 
E  ben  co'  feri  incendj  egli  s'  avvisa 
Di  vendicar  la  cara  selva  incisa , 


St.  47-  Fan  lor  rmicchine  anch'essi. 
Dall'istoria . 

—  Ma  sovra  ogni  difesa  Ismen  prepuni 
Copia  di  fochi . 
Dall'istoria;  ma  Ismeno  è  creatura  del  Poeta  .  GuAst 

St.  48    E  /u  (credo)  in  Inferno  ;  e  del  granjiume ,  ec. 
Qui   intende  della  palude  Slige,  che  è  fìurae  infernale,  che 
«irconda  nove  volte  T Inferno. 

Come  Virgilio  al  4  della  Georgica ,  e  al  6  : 

R  Et  novicf  Stj.T  iritiirfusa  eocreet .  Mart. 


LIBERATA  C.  XVlIi.  ifl; 

XLIX. 

Mentre  il  campo  all'  assalto ,  e  la  cittade 
S'  apparecchia  in  tal  modo  alle  difese. 
Una  colomba  per  1'  aeree  strade 
Vista  è  passar  sovra  lo  stuol  Francese; 
Che  ne  dimena  i  presti  vanni,  e  rade 
Quelle  liquide  vie  con  1*  ali  tese  : 
E  già  la  messaggiera  peregrina 
Dall'  alte  nubi  alla  città  s' inchina  ; 

L. 

Quando  di  non  so  donde  esce  un  falcone 
D'  adunco  rostro  armato  e  di  grand'  ugna, 
Che  fra  '1  Campo  e  le  mura  a  lei  s'  oppone. 
Non  aspetta  ella  del  crudel  la  pugna . 
Quegli ,  d'  alto  volando  ,  al  padiglione 
Maggior  r  incalza ,  e  par  eh'  ornai  l' aggiugiia,; 


St.  49»   Una  colomba  per  l'aeree  ttrade 

Vista  è  passar . 
Il  Sabellico  laGconta  che  realmente  una  colomba  fu  mandata 
dal  Re  di  Damasco  ai  Tirj ,  esortandogli  a  sostener  l'assedio  dei 
Cristiani,  e  promettendo  loro  che  sarebbero  in  breve  soccorsi. 
I  Cristiani  presero  la  colomba,  e  tolta  via  la  lettera  del  Re,  u- 
n' altra  ve  n'appesero,  nella  quale  erano  i  Tirj  esortati  ad  ar- 
rendersi. Saviamente  però  il  Tasso  non  ha  imitato  quella  frode, 
la  quale  avrebbe  arrecato  una  macchia  al  carattere  di  Goffredo,  e 
vi  aggiunse  in  vece  la  bellissima  avventura  del  falcone. 

Plinio  racconta  che  in  Italia  le  colombe  servirono  per  la  pri- 
ma volta  di  messaggiere  nella  guerra  di  Modena  .  V.  Paolo  Emi- 
lio, Vita  di  Filippo  I. 

—  Che  ne  dimena  i  presti  vanni  ,  e  rade 
Quelle  liquide  vie  con  V  ali  tese . 
Gli  Editori  di  Milano,  e  quindi  il  Sig.  Cavedoni,  leggono  non. 
dimena  dietro  l'autorità  di  Virgilio  che  al  lib.  5  v.  ai6  disse 

« Max  nere  lapsa  quieto 

«   Radit  iter  liquidiim  ,  celeres  neque  commovet  alas  : 
luogo ,  che  fu  tradotto  dal  Caro 

«  Sen  va  con  V ali  immobili  e  veloci.  M. 

St.  5o e  par  eli  ornai  V  aggiugna . 

Por  aggiunga  .  Così  all'  incontro ,  punga  per  pugna  usò  Dante 
Bcl  9  dell' luf. 

«   Pur  a  noi  converrà  vincer  la  punga . 
Ma  quella  jprioia  rariazione  è  assai  frequente  j  questa  più  li- 


i58  LA  GERUSALEMME 

Ed  al  tenero  capo  il  piede  ha  sovra  : 
Essa  nel  grembo  al  pio  Buglion  ricovra . 

LI. 

Là  raccoglie  Goffredo,  e  la  difende: 

Poi  scorge  in  lei  guardando  estrania  cosa  : 
Che  dal  collo  ad  un  filo  avvinta  pende 
Rinchiusa  carta,  e  sotto  un'  ala  ascosa. 
La  disserra  e  dispiega  ;  e  bene  intende 
Quella  che  'n  se  contien  non  lunga  prosa  : 
Al  Signor  di  Giudea  (  dicea  lo  scritto  ) 
Invia  salute  il  Capitan  d'  Egitto . 

LII. 

Non  sbigottir,  signor:  resisti  e  dura 

Infin  al  quarto  o  insino  al  giorno  quinto  : 
Ch'  io  vengo  a  liberar  coteste  muraj 
E  vedrai  tosto  il  tuo  nemico  vinto . 
Questo  il  secreto  fu ,  che  la  scrittura 
In  barbariche  note  avea  distinto , 
Dato  in  custodia  al  portator  volante  ; 
Che  tai  messi  in  quel  tempo  usò  il  Levante , 
LUI. 

Libera  il  prence  la  colomba:  e  quella, 
Che  de' secreti  fu  rivelatrice. 


cenziosa,  e  meno  usata;  nò  io  alcun' altra  volta  mi  ricordo  di  a- 
yerla  veduta;  e  fu  per  avventura  forza  della  rima . 

St.  52.  Che  tal  messi  in  quel  tempo  usò  il  Levante  . 
Di  simili  messaggieri  volanti  sono  alcuni  esempi  nell'istorie  di 
que' tempi.  Perciocché  oltre  quest' istesso  cavato  dalla  medesima 
storia  di  questa  guerra,  come  si  è  notato  di  sopra  ,  scrive  il  me- 
desimo Paolo  Emilio,  ch'essendo  il  governator  d'  Esarco  assediato 
da  Alapiano;  e  avendo  per  mezzo  d'ambasciatori  domandato  aju- 
to  ;  da  Baldovino  in  Edessa,  ne  l'impetrò;  ma  non  essendo  clii  po- 
tesse al  governatore  renderne  l'avviso,  avvegnaché  fossero  tutti  i 
passi  all'intorno  chiusi,  legarono  gli  ambasciatori  alla  coda  d'u- 
na colomba  condotta  con  esso  seco  dalla  città ,  nell'  andare  a  chie- 
dere il  soccorso,  una  lettera,  dove  si  conteneva  il  fatto:  e  invia- 
ta quella  al  governatore,  esso  intese  il  tutto.  Il  che  scrive  ancora 
l'Arcivescovo  di  Tiro,  se  ben  con  alcuna  picciola  variet.'i .  Il  Sa- 
bellico  altresì  fa  menzione  d'un'allìa  colomba  mandata  dal  R»  di 
Damasco  a'Tir)  assediati,  come  k  detto  sopra. 


LIBERATA   C.  XVIII.  09 

Come  esser  creda  al  suo  signor  rubella , 
Non  ardì  più  tornar,  nunzia  infelice. 
Ma  il  sopran  Duce  i  minor  duci  appella , 
E  lor  mostra  la  carta ,  e  così  dice  : 
Vedete ,  come  il  tutto  a  noi  riveli 
La  provvidenza  del  Signor  de'  cieli  ! 

LIV. 

Già  più  da  ritardar  tempo  non  parmi . 
Nova  spianata  or  cominciar  potrassi  ; 
E  fatica  e  sudor  non  si  risparmi , 
Per  superar  d'inverso  l'Austro  i  sassi. 
Duro  fia  sì  far  colà  strada  all'  armi  3 
Pur  far  si  può  :  notato  ho  il  loco  e  i  passi . 
E  ben  quel  muro,  eh'  assecura  il  sitO;, 
D'  arme  e  d'  opre  men  deve  esser  munito . 

LV. 

Tu,  Raimondo,  vogl'io  che  da  quel  lato 
Con  le  macchine  tue  le  mura  offenda  : 
Vuo'  che  dell'  arme  mie  F  alto  apparato 
Contra  la  porta  Aquilonar  si  stenda; 
Sì  che  il  nemico  il  veggia ,  ed  ingannato 
Indi  il  maggiore  impeto  nostro  attenda: 
Poi  la  gran  torre  mia,  che  agevol  move. 
Trascorra  alquanto ,  e  porti  guerra  altrove . 

LVI. 

Tu  drizzerai,  Cammillo,  al  tempo  stesso 
Non  lontana  da  me  la  terza  torre . 
Tacque  \  e  Raimondo ,  che  gli  siede  appresso , 
E  che,  parlando  lui,  fra  sé  discorre. 
Disse:  al  consiglio  da  Goffredo  espresso 
Nulla  giunger  si  puote ,  e  nulla  tórre . 
Lodo  solo ,  oltre  a  ciò ,  eh'  alcun  s' invìi     " 
Nel  campo  ostil,  che  i  suoi  secreti  spiij 


vSt.  56.  Lodo  solo ,  oìtra  ciò  ,  eli  alcun  s' invii  ec. 
.€o&i  rieexcara  la  piucUnza  di  chi  coosiglìava  neU'eserciloj 


i6o  LA  GERUSALEMME 

LVII. 

E  ne  ridica  il  numero ,  e  1  pensiero , 
(Quanto  raccdr  potrà)  certo  e  verace. 
Soggiunse  allor  Tancredi:  ho  un  mio  scudiero, 
Ch'  a  questo  ufizio  di  propor  mi  piace; 
Uom  pronto  e  destro ,  e  sovra  i  piò  leggiero , 
Audace  sì,  ma  cautamente  audace; 
Che  parla  in  molte  lingue,  e  varia  il  noto 
Suon  della  voce,  e  '1  portamento  e  '1  moto . 

LVIII. 

Venne  colui  chiamato  :  e ,  poi  che  intese 
Ciò  che  Goffredo  e  '1  suo  Signor  desia , 
Alzò  ridendo  il  volto,  ed  intraprese 
La  cura  ,  e  disse  :  or  or  mi  pongo  in  via  : 
Tosto  sarò  dove  quel  campo  tese 
Le  tende  avrà,  non  conosciuta  spia  . 
Vuo'  penetrar  di  mezzo  dì  nel  vallo , 
E  numerarvi  ogn'  uomo,  ogni  cavallo  . 

l'unirersale,  o  '1  verisimile  deU' azione;  onde  se  ben  non  ne  fa 
menzione  ristoria,  ve  l'aggiunge  di  suo  il  poeta,  coiu  anche  molti 
•Uri  particolari  :  e  cosi  pur  nell'esodo  ancora  non  picciol  luogi» 
ha  l'ingegno  e  i'invenzion  del  poeta. 

St.  57.    Uom  pronto  e  destro ,  e  sovra  i  pie  leggiero  , 
Audace  si,  ma  cautamente  audace  ec. 

Ben  con  altra  e  senza  dubbio  miglior  considerazione  descrivend» 
una  spia,  reca  in  mezzo  il  Poeta  nostro  condizioni  a  tal  mestiere 
appropriate,  che  non  fece  Omero  nel  io  deU' Iliade;  dove  figuran- 
do Dolone  trojano  spia  altresì,  ben  di  suo  padre,  de'fratelli,  dell* 
ricchezza,  della  bruttezza  del  volto  di  lui  fece  menzione;  ma  di 
parti  e  condizioni  ricercate  a  siinil  bisogno  (  come  si  vede  clic 
qui  fa  il  Tasso),  fuor  che  della  velocità  de' piedi,  non  fa  parola 
alcuna. 

St.  58.    Vo' penetrar  di  mezzo  dì  nel  vallo ,  ec. 

Omero  nel  10  dell'Iliade,  v.  324: 

To^ppa  yap  f{  gpxTov  ìÌjj.i  hx^TCt^ìi  opf»v  ik^^xi 

Niìi  Ayafxijj.vovif'ìv . 
Cioè. 

«  Io  a  te  non  vana  spia  sarò,  né  fuor  dell'opinione, 
'<  Perciocché  neir  esercito  mi  sarò  p«r  tutto  fina  tanto  ch'ar- 
rivi 
'«  Alla  uare  d'Agameiuìoa*. 


LIBERATA    C.  XYIII.  .61 

LIX. 

Quanta  e  qual  sia  quell'  oste,  e  ciò  che  pensi 
Il  Duce  loro,  a  voi  ridir  prometto: 
Vantomi  in  lui  scoprir  gT  intimi  sensi , 
E  i  secreti  pensier  trargli  dal  petto  . 
Così  parla  Vafrino,  e  non  trattiensi; 
Ma  cangia  in  lungo  manto  il  suo  farsetto , 
E  mostra  fa  del  nudo  collo ,  e  prende 
D' intorno  al  capo  attorcigliate  bende . 

LX. 

La  faretra  s'  adatta  e  1'  arco  Siro, 
E  barbarico  sembra  ogni  suo  gesto . 
Stupiron  quei  che  favellar  l' udirò , 
Ed  in  diverse  lingue  esser  sì  presto  ; 
Ch'Egizio  in  Menfi,  o  pur  Fenice  in  Tiro 
L'  avria  creduto  e  quel  popolo  e  questo. 
Egli  sen  va  sovra  un  destrier ,  eh'  appena 
Segna  nel  corso  la  più  molle  arena . 

LXI. 

Ma  i  Franchi,  pria  che  '1  terzo  di  sia  giunto, 
Appianaron  le  vie  scoscese  e  rotte , 
E  fornir  gì'  instrumenti  anco  in  quel  punto  : 
Che  non  fur  le  fatiche  unqua  interrotte  j 
Anzi  air  opre  de'  giorni  avean  congiunto , 
Togliendola  al  riposo ,  anco  la  notte  : 
Né  cosa  è  più  che  ritardar  li  possa 
Da  far  l' estremo  ornai  d' ogni  lor  possa. 

LXII. 

Del  dì ,  cui  dell'  assalto  il  dì  successe , 

Gran  parte  orando  il  pio  Buglion  dispensa  j 
E  impon  eh'  ogn'  altro  i  falli  suoi  confesse , 
E  pasca  il  pan  dell'  alme  alla  gran  mensa . 


St.   59.   Coil  parla  Fa/rinù  . 
Nome  formato  a  significar  la    piincipal  paite   ch«»  conveniva 
possedere  a  sì  fatte  ministio^  cig^  astuzia. 


i62  LA  GERUSALEMME 

Macchine  ed  arme  poscia  ivi  più  spesse 
Dimostra,  ove  adoprarle  egli  men  pensa; 
E  '1  deluso  Pagan  si  riconforta , 
Ch'  oppor  le  vede  alla  munita  porta . 

LXIII. 

Col  buio  della  notte  è  poi  la  vasta 
Agii  macchina  sua  colà  traslata , 
Ov'è  men  curvo  il  muro,  e  men  contrasta^ 
Ch'  angulosa  non  fa  parie  o  piegata; 
E  d' in  sul  colle  alla  città  sovrasta 
Raimondo  ancor  con  la  sua  torre  armata. 
La  sua  Cammillo  a  quel  lato  avvicina, 
Che  dal  Borea  all'  Occaso  alquanto  hichina 

LXIV. 

Ma  come  furo  in  Oriente  apparsi 
I  mattutini  messaggier  del  Sole, 
S'avvidero  i  Pagani  (  e  Len  turbarsi  ) 
Che  la  torre  non  è  dov'  esser  suole  : 
E  mirar  quinci  e  quindi  anco  inalzarsi 
Non  più  veduta  una  ed  un'altra  mole; 
E  in  numero  infinito  anco  son  viste 
Catapulte,  monton,  gatti  e  baliste. 

LXV. 

Non  è  la  turba  di  Soria  già  lenta 
A  trasportarne  là  molte  difese  , 
Ove  il'Bugìion  le  macchine  appresenta 
I)a  quella  parte,  ove  primier  1'  attese. 
Ma  1  Capitan  ,  eh'  a  tergo  aver  rammenta 
L'oste  d'  Egitto,  ha  quelle  vie  già  prese: 
E  Guelfo,  e  i  duo  Roberti  a  se  chiamati, 
Slate,  dice,  a  cavallo  in  sella  armati; 

LXVI. 

E  procurate  voi  che  mentre  ascendo 
Colà  dove  quel  muro  appar  men  forte, 

St.  64*  ^^  avvidero  ì  Pagani  (e  ben  luibdrsi)  ec. 
Dall' Jstoiia. 


LIBERA  T  A   C.  XVlil.  iGi 

S('1ìiera  non  sia,  che  subita  venendo 
S'  aLlerghi  agli  occupati,  e  guerra  porte. 
Tacque  ;  e  già  da  tre  lati  assalto  orrendo 
Movon  le  tre  sì  valorose  scorte; 
E  da  tre  lati  ha  il  Re  sue  genti  opposte; 
Che  riprese  quel  di  1'  arme  deposte . 

LXVII. 

Egli  medesmo  al  corpo  ornai  tremante 

Per  gli  anni,  e  grave  del  suo  proprio  pondo, 
L' arme ,  che  disusò  gran  tempo  avante , 
Circonda,  e  se  ne  va  centra  Raimondo: 
Solimano  a  Goffredo ,  e  '1  fero  Argante 
Al  buon  Cammillo  oppon ,  che  di  Boemondo 
Seco  ha  il  nipote;  e  lui  fortuna  or  guida, 
Perchè  il  nemico  a  se  dovuto  uccida. 

LXVIII. 

Incomniciaro  a  saettar  gli  arcieri 
Infette  di  veneno  arme  mortali; 
Ed  adombrato  il  ciel  par  ches'  anneri 
Sotto  un  immenso  nuvolo  di  strali. 
Ma  con  forza  maggior  colpi  piìi  feri 
Ne  venian  dalle  macchine  murali . 
Indi  gran  palle  uscian  marmoree  e  gravi, 
E  con  punta  d' acciar  ferrate  travi . 

LXIX 

Par  fulmine  ogni  sasso ,  e  così  trita 

L'  armatura  e  le  membra  a  chi  n'  è  cólto , 
Che  gli  toglie  non  pur  1'  alma  e  la  vita , 
Ma  la  forma  del  corpo  anco  e  del  volto. 


St.  68 che  di  Boemondo 

Seco  ha  il  nipote  . 
Cioè  Tancredi,  ch'era  nipote  di  Boemondo,  perchè  BglJuolo  (H 
una  sorella  di  lui . 

Sr.  Gg.   Che.  gli  toglie  non  pur  V  alma  e  la  vita  ec. 
Lucano  nel  terzo  della  Farsaglia,  v.  472: 

«   Frangit  cu  nata  ruens  ;  nec  tantum  corpora  pressa 
«  Exanimat ,  toios  cum  ■■ntn^uine  dissipai  artus. 


i64  L\  GERUSALEMME 

Non  si  ferma  la  lancia  alla  ferita  : 
Dopo  il  colpo  del  corso  avanza  molto  : 
Entra  da  un  lato ,  e  fuor  per  1'  altro  passa 
Fuggendo ,  e  nel  fuggir  la  morte  lassa . 

LXX. 

Ma  non  togliea  però  dalla  difesa 
Tanto  furor  le  Saracine  genti . 
Contra  quelle  percosse  avean  già  tesa 
Pieghevol  tela,  e  cose  altre  cedenti . 
L' impeto,  eh'  in  lor  cade,  ivi  contesa 
Non  trova ,  e  vien  che  vi  si  fiacchi  e  lenti 
Essi  _,  ove  miran  più  la  calca  esposta , 
Fan  con  l' arme  volanti  aspra  risposta . 

LXXI. 

Con  tutto  ciò  d'  andarne  oltre  non  cessa 
L'assalitor,  che  tripartito  move; 
E  chi  va  sotto  gatti ,  ove  la  spessa 
Gragnuola  di  saette  indarno  piove; 
E  chi  le  torri  all'  alto  muro  appressa  . 
Che  loro  a  suo  poter  da  se  rimo  ve . 
Tenta  ogni  torre  omai  lanciare  11  ponte; 
Cozza  il  monton  con  la  ferrata  fronte . 

LXXII. 

Rinaldo  intanto  irresoluto  hada; 

Che  quel  rischio  di  lui  degno  non  era. 
E  stima  onor  plebeo ,  quando  egli  vada 
Per  le  comuni  vie  col  volgo  in  schiera. 


—  Non  si  ferma  la  lancia  alla  ferita: 
Dopo  il  colpo  del  corso  avanza  molto . 
Lucano  nell'istesso  luogo,  v.  464; 

« ncque  enim  solis  excussa  lacertif 

«  JLancea,  seddenso  ballisi ot  turbine  rapta, 
«  Haud  unum  contenta  latus  transire  ,  quirsru  : 
<i  Sed  pandens  perqiie  arma  viam ,  perqiie  ossa,  relieta. 
«   Morte  fu  git  :  su  per  est  telo  post  vulnera  cursus  . 
St.   70.   Contra  quelle  percosse  aventi  gin  tcstt 
Pieglievol  tela  ee. 
Dall'istoria . 


LIBERATA    C.  XVIII.  jGS 

E  volge  intorno  gli  occhi  ;  e  quella  strada 
Sol  gli  piace  tentar,  eli'  altri  dispera. 
Là  dove  il  muro  piìi  munito  ed  alto 
In  pace  stassi ^  ei  vuol  portar  V  assalto. 

LXXIII. 

E  volgendosi  a  quegli ,  i  quai  già  furo 
Guidati  da  Dudon  guerrier  famosi  ; 
Oh  vergogna!  (dicea)  che  là  quel  muro 
Fra  cotante  arme  in  pace  or  si  riposi! 
Ogni  rischio  al  valor  sempre  è  sicuro  : 
Tutte  le  vie  son  piane  agli  animosi  : 
Moviam  la  guerra ,  e  contro  ai  colpi  crudi 
Facciam  densa  testuggine  di  scudi . 

LXXIV. 

Giunsersi  tutti  seco  a  questo  detto  : 
Tutti  gli  scudi  alzar  sovra  la  testa  ; 
E  gli  uniron  così ,  che  ferreo  tetto 
Facean  contra  l' orribile  tempesta  . 
Sotto  il  coperchio  il  fero  stuol  ristretto 
Va  di  gran  corso;  e  nulla  il  corso  arresta; 
Che  la  soda  testuggine  sostiene 
Ciò  che  di  ruinoso  in  giù  ne  viene . 

LXXV. 

Son  già  sotto  le  mura  :  allor  Rinaldo 
Scala  drizzò  di  cento  gradi  e  cento; 
E  lei  con  braccio  maneggiò  si  saldo, 
Ch'  agile  è  men  picciola  canna  al  vento . 
Or  lancia  or  trave,  or  gran  colonna  o  spaldo 
D'  alto  discende:  ei  non  va  su  più  lento; 


St.  ^5 o  spnldo  . 

Spaldo  è  voce  usata  da  Dante  nel  9  dell' Inf.  all'ultiiuo  vei&o, 
cosi  dicendo: 

«    Passammo  tra'  martiri ,  e  gli  alti  spalai . 
E  l'espongono  altri  per  pavimento,  altri  per  muraglia;  e  bea 
di  questo  modo  pare  che  l'intenda  lo  stesso  Dante  ii«1  a  Ter«p  dal 
eap.  che  segue ,  dicendo  : 

«    Ora  sen  va  per  un  steret»  ^aU0 


••-> 


j66  la  GERUSALEMME 

Ma  intrepido ,  ed  invitto  ad  ogni  scossa 

Sprezzeri'a,  se  cadesse.  Olimpo  ed  Ossa. 

LXXVI. 

Una  selva  di  strali  e  di  ruine 

Soslien  sul  dosso,  e  sullo  scudo  un  monte: 
Scote  una  man  le  mura  a  se  vicine, 
L'  altra  sospesa  in  guardia  è  della  fronte . 
L'  esempio  all'  opre  ardite  e  peregrine 
Spinge  i  compagni:  ei  non  è  sol  che  monte j 
Che  molti  appoggian  seco  eccelse  scale  j 
Ma  1  valore  e  la  sorte  è  diseguale . 

LXXVII. 

Muore  alcuno ,  altri  cade  :  egli  sublime 

Poggia ,  e  questi  conforta  ,  e  quei  minaccia  : 
Tanto  è  già  in  su ,  che  le  merlale  cime 
Puote  afferrar  con  le  distese  braccia . 
Gran  gente  allor  vi  trae ,  l' urta ,  il  reprime  , 
Cerca  precipitarlo,  e  pur  noi  caccia. 
(  Mirabil  vista  !  )  a  un  grande  e  fermo  stuolo 
Resister  può  sospeso  in  aria  un  solo . 

LXXVIII. 

E  resiste,  e  s'  avanza,  e  si  rinforza; 

E  come  palma  suol ,  cui  pondo  aggreva , 
Suo  valor  combattuto  ha  maggior  forza, 
E  nella  oppression  piìi  si  solleva. 
E  vince  alfin  tutti  i  nemici,  e  sforza 
L'  aste  e  gì'  intoppi  che  d' incontro  aveva  ; 


«    Tra  'l  muro  della  terra  e  gli  martiri 

«  JLo  mio  maestro ,  ed  io  dopo  le  spalle .  GuAST. 

St.  j8.  e  come  palm.a  suol ,  cui  pondo  aggreva  e.c. 
Qui  desciÌTe  la  natura  della  palma,  che  è,  che  quanto  più  è 
oppressa  da  grave  peso,  tanto  più  s'inalza  non  cedendo  .  Così  dice 
Plinio  al  cap.  42  del  lib.  i6  de  nat.hist.  e  Teofraslo  al  5  de  P/un- 
tis  ,  Aristotile  al  7  de' Problemi,  Plutarco  nell' 8  del  Simposio,  le 
cui  parole  sono  queste:  Perchè  il  legno  della  palma  se  con  [jcso 
sovrapposto  si  aggrevi  ,  ingiù,  non  declina,  ma  per  lo  contrario 
vi  alza  in  sii ,  quasiché  resista  al  peso  da  che  è  aggravato .  Mart. 


LIBERATA    C.  XVIII.  1Ò7 

E  sale  il  muro,  e  'I  signoreggia ,  e  '1  rende 
Sgombro  e  sicuro  a  chi  direlro  ascende . 

LXXIX. 

Ed  egli  stesso  all'  ultimo  germano 

Del  pio  Buglion,  eh' è  di  cadere  in  forse, 
Stesa  la  vincitrice  amica  mano , 
Di  salirne  secondo  aita  porse . 
Frattanto  erano  altrove  al  Capitano 
Varie  fortune  e  perigliose  occorse; 
Gli'  ivi  non  pur  fra  gli  uomini  si  pugna , 
Ma  le  macchine  insieme  anco  fan  pugna  . 

LXXX. 

Sul  muro  aveano  i  Siri  un  tronco  alzato  , 
Ch'  antenna  un  tempo  esser  solca  di  nave; 
E  sovra  lui  col  capo  aspro  e  ferralo 
Per  traverso  sospesa  è  grossa  trave. 
•  E ,  indietro  quel  da  canapi  tirato , 
Poi  torna  innanzi  impetuoso  e  grave: 
Talor  rientra  nel  suo  guscio ,  ed  ora 
La  tesluggin  rimanda  il  collo  iuora . 

LXXXI. 

Urtò  la  trave  immensa ,  e  così  dure 
Nella  torre  addoppiò  le  sue  percosse, 
Che  le  ben  teste  in  lei  salde  giunture 
Lentando  aperse ,  e  la  respinse  e  scosse . 
La  torre  a  quel  bisogno  armi  secure 
Avea  già  in  punto,  e  due  gran  falci  mosse: 
Che  avventate  con  arte  incontra  al  legno, 
Quelle  funi  troni  ar  eh'  eran  sostegno . 


St.  80.  Sul  muro  at'eano  i  Siri  un  trunco  alzato, 
Ch' antenna  un  tempo  esser  solca  di  nave. 
Dall'istoria. 

— e  due  gran j alci  mosse. 

D;>11' istoria.  Ed  esser  questa  parimente  stala  opera  de" Genove- 
si ,  scrive  Paolo  Emilio . 

G.  LiB.  T.  nu  la 


i68  LA  GERUSALEMME 

LXXXII. 

Qual  gran  sasso  talor,  ch'o  la  vecchiezza 
Solve  d'un  monte,  o  svelle  ira  de' venti, 
Ruinoso  dirupa,  e  porta  e  spezza 
Le  selve,  e  con  le  case  anco  gli  armenti; 
Tal  giiì  traea  dalla  sublime  altezza 
L' orribil  trave  e  merli  ed  arme  e  genti . 
Die  la  torre  a  quel  moto  uno  e  duo  crolli; 
Tremar  le  mura,  e  rimbombaro  i  colli. 

LXXXIII. 

Passa  il  Buglion  vittorioso  avanti, 
E  già  le  mura  d'  occupar  si  crede  ; 
Ma  fiamme  allora  fetide  e  fumanti 
Lanciarsi  incontra  immantinente  ei  vede . 
Ne  dal  sulfureo  sen  fochi  mai  tanti 
Il  cavernoso  Monglbel  fuor  diede; 
Né  mai  cotanti  negli  estivi  ardori 
Piovve  r  Indico  ciel  caldi  vapori . 


St.  82.    Qual  gran  sasso  talor  ,  che  O  la  vecchiezza  ec. 
Lucano  nel  3 ,  v.  469  : 

«  At  saxum  cjuoties  ingentis  verheris  ictu 
«  Excutìtur ,  qualis  ritpes ,  quam  vertice  montis 
«   Abscidit  impulsam  ventorum  adjuta  vetustas 
li  Frangit  cuncta  ruens ;  nec  tantum  corpora  pressa  etc. 
Virgilio  nel  12,  v.  684: 

a  Ac  velati  mentis  saxum  de  vertice  prceceps 
«   Cum  ruit  avulsum.  vento ,  seu  turbidus  imbcr 
«   Proluit ,  aut  amnis  solvit  sublapsa  vetustas  , 
a  Fertur  in  abruptum  magno  mons  improbus  actu , 
«  Exsultatque  solo ,  siU'as  ,  armenta ,  virosque 
«  Involvens  secum  ec. 
Omero  nel  1 3  dell'Iliade,  v.  i34: 

ijp)^f  3'  (x'p'^'Exrwp 

AvrjHpù  fissalo; ,  oAooi Tpo),^£«  wf  a^rò  niTpvii , 
'OvTi  xoLrà  CTipavm  TroTcìfJ^Qi  p(^s«fxapp'oo«  wj^i^, 
'Ptflas  acTri'rw  o'/x^pu  avallici  ty^fj.y.TX  TTirptìi , 
"Tvf/j  r  avaD'pwo'HU)!/  ttìtìtch^  iltvkÌìi  lì  3''u7r'aUToD 

leoTTiSov,  Tore  ?i'  ovvi  H'jAi'v5?roi<,  ì{7crujy,6vo'j  TTfp . 


LIBERATA    C.  XVlIl.  i6ij 

LXXXIV. 

Qui  vasi  e  cerchi  ed  aste  ardenti  sono: 

Qual  fiamma  nera,  e  qual  sanguigna  splende. 
L'odore  appuzza,  assorda '1  rombo  e '1  tuono, 
Accieca  il  fumo,  il  foco  arde  e  s'  apprende. 
L' umido  cuojo  alfin  sari'a  mal  buono 
Schermo  alla  torre:  appena  or  la  difende; 
Già  suda  e  si  rincrespa;  e  se  piiì  tarda 
Il  soccorso  del  Ciel ,  convien  pur  eli'  arda  • 

LXXXV. 

Il  magnanimo  Duce  innanzi  a  tutti 
Stassi ,  e  non  muta  ne  color  né  loco  : 
E  quei  conforta  che  su'  cuoi  asciutti 
Versali  1'  onde  apprestate  incontra  al  foco  • 
In  tale  stato  eraii  costor  ridutti , 
E  già  dell'  acque  rimanea  lor  poco  ; 
Quando  ecco  vento  ,  eh'  improvviso  spira , 
Centra  gli  autori  suoi  l'incendio  gira. 

LXXXVI. 

Vien  contra  al  foco  il  turbo  ;  e  indietro  volta 
Il  foco ,  ove  i  Pagali  le  tele  alzaro  : 
Quella  molle  materia  in  se  raccolto 
L'  ha  immantinente;  e  n'  arde  ogni  riparo  . 
O  glorioso  Capitano  !  o  molto 
Dal  gran  Dio  custodito,  al  gran  Dio  caro  ! 


«  Qual  sasso  struggitore  nel  corso  rotolantcsi  da  una  rupe,  cui 
«  giìi  dalla  cresta  abbia  sospinto  invernai  corrente  di  fiume , 
«  spezzando  con  immenso  acquazzone  i  ritegni  della  sconcia  ru- 
«  pe:  questa  in  atto  sobbalzando  vola,  e  infranto  sott'esso  rim- 
«  bomba  il  bosco:  continua  egli  agevolmente  nel  corso,  finché 
«  sia  giunto  alla  pianura;  allora  non  si  rotola  pii»  quantunque 
«  incitato ,  ec. 

St,  86.   O  glorioso  Capitano ,  o  molto 

Dal  gran  Dio  custodito,  al  gran  Dio  caro  ec. 
Esprime  quel  luogo  di  Claudiano,  nel  terzo  Consolato  d' Ond- 
ilo, V.  96: 

a  O  nimium  dilecte  Dea ,  cuifundit  ah  antris 
a  JEolus  armatas  hyemes  ,  cui  militat  oether  , 
«  Et  conjurati  veniunt  ad  classica  venti ,  Sbàst. 


lyo  L\  GERUSALEMME 

A  te  guerreggia  il  Cielo,  e  ubbidi'onli 

Vengon,  chiamati  a  suon  di  trombe,  i  venti. 

LXXXVII. 

Ma  r  empio  Ismen,  che  le  sulfuree  faci 
Vide  da  Borea  incontra  a  se  converse , 
Ritentar  volle  1'  arti  sue  fallaci 
Per  sforzar  la  natura  e  1'  aure  avverse  : 
E  fra  due  maghe,  che  di  lui  seguaci 
Si  fer,  sul  muro  agli  occhi  altrui  s'  offerse; 
E  torvo  e  nero,  e  squallido  e  barbuto 
Fra  due  Fune  parca  Caronte  o  Pluto  . 

LXXXVIII. 

Già  il  mormorar  si  udia  delle  parole, 
Di  cui  teme  Cocilo  e  Flegetonte: 
Già  si  vedea  1'  aria  turbare,  e  '1  Sole 
Cinger  d'  oscuri  nuvoli  la  fronte; 
Quando  avventato  fu  dall'  alta  mole 
Un  gran  sasso,  che  fu  parte  d'  un  monte: 
E  tra  lor  colse  sì ,  eh'  una  percossa 
Sparse  di  tutti  insieme  il  sangue  e  l'ossa. 

LXXXIX. 

In  pezzi  minutissimi  e  sanguigni 
Si  disperser  così  V  inique  teste  , 


Il  medesimo  si  scrive  da' sacri  e  profani  scrittori,  che  avven- 
ne nell'esercito  di  Adriano  Imperatore  in  Alemagna,  per  le  pre- 
ghiere di  una  legione  de' Cristiani.  Dico  che  fu  impetrata  per 
quelle  la  pioggia  dal  grande  Iddio,  la  quale  l'ardentissima  scie 
dell'esercito  Romano  restrinse:  ed  insieme  gran  copia  di  lulmini, 
j  quali  nell'esercito  nemico  degli  Alemanni  percossero  con  loro 
gran  mina.  Onde  quella  legione  ne  ripoitò  il  nome  di  Fuhuina- 
trice,  ed  altri  benefizj ,  che  l'Imperatore  graziosamente  a  tutti  i 
Cristiani  concesse  ,  il  quale  eziandio  nelle  sue  lettere  tcstilicò  a 
pieno  di  questo  miracolo.  Gemt. 

St.   88.  £  tra  lor  colse  si ,  eh'  una  percossa 

Sparse  di  tutti  insieme  il  sangue  e  V  ossa . 

Di  certe  maghe,  che  sopra  le  muraglie  di  Gerusalemme,  vo- 
lentlo  incantare  le  macchine  de' Cristiani,  furono  ammazzate  da 
essi ,  fa  menzione  l'Arcivescovo  di  Tiro. 


LIBERATA  C.  XVI'U  171 

Che  di  sotto  ai  pesanti  aspri  macij^J 
Soglion  poco  le  biade  uscir  più  peste 
Lasciar  gemendo  i  tre  spirti  maligni 
L'aria  serena  e  1  bel  raggio  celeste; 
E  sen  fuggir  tra  l'ombre  empie  infernali: 
Apprendete  pietà  quinci,  o  mortali  ! 
xc. 

Li  questo  mezzo  alla  città  la  torre, 
Cui  dall'incendio  il  turbine  assecura, 
S'avvicina  così,  che  può  ben  porre, 
E  fermare  il  suo  ponte  in  sulle  mura . 
Ma  Solimano  intrepido  v'accorre, 
E  '1  passo  angusto  di  tagliar  procura  : 
E  doppia  i  colpi ,  e  ben  1'  avria  reciso; 
Ma  un'  altra  torre  apparse  all'improvviso, 
xci. 

La  gran  mole  crescente  oltra  i  confini 
De'  più  alti  edificj  in  aria  passa . 
Attoniti  a  quel  mostro  i  Saracini 
Restar,  vedendo  la  città  più  bassa; 
Ma  il  fero  Turco,  ancor  che  'n  lui  ruini 
Di  pietre  un  nembo,  il  loco  suo  non  lassa; 
Né  di  tagliare  il  ponte  anco  diffida  ; 
E  gli  altri  che  temean  rincora  e  sgrida . 
xcii. 

S'  offerse  agli  occhi  di  Goffredo  allora , 
Invisibile  altrui,  1'  angel  Michele, 


St.  89.  Apprendete  pietà  quinci  ,  o  mortali  . 
Epifonema.  Virgilio  nel  6,  y.  6ao: 

«  Discite  justitiam  moniti ,  et  non  temnere  Divos  , 
St.  90.  AJa  un'  altra  torre  apparse  all'  improvvido  . 
Quella  che  rinchiusa  dentro  alla  predetta  maggiore  ,  si  spinge- 
rà fuori  dalla  cima  di  essa. 

St.  93.  S' offerse  agli  occhi  di  Goffredo  allora  ec. 

Il  miracolo  è  tolto  dall'istoria,  come  che  dal  Poeta  sia  alquanto 

variato.  Scrive  l'Arcivescovo  di  Tiro  nell'S  libro,  che  essendo  in 

una  zuffa  con   gl'infedeli   molto  travagliati   i   Cristiani,    «i    vide 

scendere  dall' Olivelo  un  soldato,  il  quale  avendo  uu  lucentissi- 


17»  .LA  GERUSALEMME 

Cinto  d'  armi  celesti  :  e  vinto  fora 
Il  Sol  da  lui,  cui  nulla  nube  vele: 
Ecco,  disse,  Goffredo ,  è  giunta  1'  ora, 
Ch'  esca  Sion  di  servitù  crudele . 
Non  chinar,  non  chinar  gli  occhi  smarriti j 
Mira  (tjn  quante  forze  il  Ciel  t' aiti . 
xeni. 

Drizza  pur  gli  occhi  a  riguardar  V  immenso 
Esercito  immortai  eh'  è  in  aria  accolto  ; 
Ch'  io  dinanzi  torrotti  il  nuvol  denso 
Di  vostra  umanità,  ch'intorno  avvolto 
Adombrando  t'  appanna  il  mortai  senso  ; 
Sì  che  vedrai  gi'  ignudi  spirti  in  volto  j 
E  sostener  per  breve  spazio  i  rai 
Dell'  angeliche  forme  anco  potrai . 
xciv. 

Mira  di  quei  che  fur  campion'  di  Cristo , 
L' anime  fatte  in  cielo  or  cittadine , 


rao  e  risplendente  scudo  in  mano  ,  inanimò  i  Cristiani  a  star  for- 
ti, e  a  ripigliar  la  battaglia:  la  qual  cosa  diede  loro  grandissimo 
vigore  e  forza;  e  quel  soldato  poi  non  fu  veduto  mai  piìi .  D'  un 
ìniinito  esercito  ancora  di  soldati  ,  con  cavalli  ,  sopravvesti  ed 
armi  bianche  veduti  nell'assedio  di  Antiochia  da  Pirro  uomo  Tur- 
co combattere  in  favor  de' Cristiani  contra  i  nemici  ogni  volta 
che  si  veniva  alle  mani,  ne  comparir  poi  in  altro  tempo  mai,  o 
stimati  perciò  Angeli  o  Anime  beate,  mandate  da  Iddio  per  aju- 
to  de'  Cristiahi,  parla  Roberto  Monaco  nel  5  lib.  della  sua  storia  . 
ed  anco  Paolo  Emilio. 

St.  93.   Ch'io  dinanzi  torrotti  il  nuvol  denso  eC. 
Omero  nel  quinto  dell'Iliade,  y.  127  : 

A;(^AÙv  y  au  TOi  oltt'  op^aXfxwv  fXov,  i^'  rrpf'v  STrijcV, 
Ó'(|)p  fu  yiv(j»7x.yii  >Jufv  3'fbv  r-f^g  :ia.l  ctvjpa. 
Cioè. 

«  E  la  caligine  di  nuovo  dagli  occhi  t'ho  tolto  via,   che  prima 
t'avevi; 

«  Acciocché  bene  tu  riconosca  o  Dio  od  uomo  . 
Virgilio  nel  secondo  dell'Eneide,  v.  604  : 

«   A.ipice ,  nainquc  omnent ,  quce  mine  ohducta  tusnti 
«  Mortales  hebetat  visus  tibi,  st  kumida  circum 
«    Caligai ,  nuhcm  eripiam  etc. 
St.  ^\.  L' anime  fatte  in  «ielo  or  cittadine. 


LIBERATA   C.  XVIII.  173 

die  pugnai!  teco,  e  di  sì  alto  acquisto 
Si  trovan  teco  al  glorioso  jSne  . 
Là  've  ondeggiar  la  polve  e  '1  fumo  misto 
Vedi ,  e  di  rotte  moli  alte  ruine, 
Tra  quella  folta  nebbia  Ugon  combatte, 
E  delle  torri  i  fondamenti  abbatte, 
xcv. 
Ecco  poi  là  Dudon,  clie  1'  alta  porta 
Aquilonar  con  ferro  e  fiamma  assale: 
Ministra  l'arme  ai  combattenti,  esorta 
Gb'  altri  su  monti,  e  drizza  e  tien  le  scale. 
Quel,  cb'  è  sul  colle,  e  '1  sacro  abito  porta, 
E  la  corona  ai  crin  sacerdotale  , 
E  il  pastore  Ademaro ,  alma  felice  : 
Vedi  che  ancor  vi  segna  e  benedice . 

Abitatrici.  II  Petrarca: 

«  U  anime  ,  che  là  su  son  cittadine . 

—  Là  ve  ondeggiar  la  polve ,  e  'l  fumo  misto 

Vedi,  e  di  rotte  moli  alte  mine  ec. 

Virgilio  nel  secondo  dell'Eneide,  v.  608: 

«  Hic  ubi  disjectas  moles ,  avulsaque  saxis 
«  Saxa  vides  ,  mistoque  undantem  pulvere  fùmum  t 
«  Neptunus  muros ,  magnoque  emota  tridenti 
«  Fundam.enta  quatit,  totamque  a  sedibus  urbem 
«  Eruit. 
St.  9.5.  Ecco  poi  là  Dudon ,  che  V  alta  porta  ee. 

Lo  stesso: 

« Hic  Juno  Scaeas  saevissima  portas 

«   Prima  tenet . 

—  Ministra  l' arme  ai  combattenti ,  esorta 
Cli  altri  su  monti ,  e  drizza  e  tien  le  scale . 

Lo  stesso  : 

«  Jpse  pater  Danais  animos ,  viresque  secundas 
«  Sufficit;  ipse  Deos  in  Dardana  suscitat  arma. 

—  Quel  eh'  è  sul  colle ,  e  7  sacro  abito  porta  ec. 

—  E  il  pastore  Ademaro . 

Di  ciò  cosi  scrive  l'Asci  vescovo  di  Tiro  nell'S  lib.  «  Quel  giov- 
«  no  Ademaro  Vescovo  di  Poggio  uomo  virtuoso ,  e  di  memoria 
«  immortale  che  venne  a  morte,  com'  abbiamo  detto,  appresso 
«  Antiochia,  fu  veduto  da  molti  nella  santa  Città;  di  maniera 
a  che  alcuni  uomini  gravi  e  degni  di  fede  affermavano  constan- 
o  temente  di  averlo  veduto  con  gli  occhi  del  corpo  essere  il  pri- 
«  mo  a  salire  le  mura ,  ed  a  innanimare  gli  altri  ad  entrare  nella 
<(  Città  » . 


174  LA  GERUSALEMME 

xcvi. 
Lev  a  più  in  su  1'  ardite  luci ,  e  tutta 

La  grande  oste  del  ciel  congiunta  guata . 

Egli  alzò  il  guardo;  e  vide  in  un  ridutta 

Milizia  innumerabile  ed  alata. 

Tre  tolte  squadre,  ed  ogni  squadra  instrutta 

In  tre  ordini  gira,  e  si  dilata; 

Ma  si  dilata  più,  quanto  più  in  fuori 

I  cerchi  son:  son  gV  intimi  i  minori. 

xcvn. 
Qui  chinò  vinti  i  lumi ,  e  gli  alzò  poi; 
JNè  lo  speltacol  grande  ei  più  rivide; 
Ma,  riguardando  d'ogni  parte  i  suoi, 
Scorge  che  a  tutti  la  vittoria  arride. 


St.  96.    Tre  folte  squadre,  td  ogni  squadra  instrutta  ec. 
Intende  le  tre  gerarchie  celesti ,  delle  quali  ciascheduna  ha  tre 
altri  ordini .  La  superiore  Serafini ,  Cherubini  e  Troni  ;  la  secon- 
da, Dominazioni,  Principati  e  Potestà;  la  terza  ,  Virtii  ,  Angeli  C 
Arcangeli:  secondo  l'ordine  di  Sin  Gregorio  e  di  San  Bernardo  , 
da' quali  però  varia  alquanto  Dionisio  Areopagita  secondo  che  nel 
libro  ch'egli  intitolò  Òelln  celeste  ^j^erurchia  ,  si  può  vcd«re . 
—    Ma  si  dilata  piìi ,  quanto  pih  infuori 
I  cerchi  son,  son  ^1'  intimi  i  minori. 
E  in  tanto  si  van  diminuendo  in  dentro,  che  s'arriva  nel  mez- 
zo ad  un  punto  indivisibile,    nel  quale  consiste  la  divina   .rssen- 
za;  secondo  che  figura  Dante  nel  28  del  Paradiso,  dose  di  quagli 
nove  cori  per  tal  modo  ragiona  : 

«    Un  punto  l'idi,  che  ra^giai'a  lume 
«  Acuto  sì ,  che  'l  viso  eh'  egli  affuoca 
«    Chiuder  conviensi  per  lo  forte  acume  . 
E  poi  : 

«    Distante  intorno  ni  punto  un  cerchio  d'  igne 
«   Si  girava  sì  ratto  ,  eli  avria  vinto 
«    Quel  moto  che  pih  tosto  il  mondo  cigne  ; 
«    E  questo  era  d'un  altro  circuncinto 

«   E  quel  dal  terzo  ,  e  'l  terzo  poi  dal  quarto , 
«    Dal  quinto  il  quarto  ,  e  poi  dal  sesto  il  quinta  • 
«   Sovra  seguiva  il  settimo  sì  sparto 

«    Già  di  larghezza ,  che  V  Messo  di  Giano 
«   Intero  a  contenerlo  sarebbe  arto . 
«    t  osi  V  ottavo  ,  e  '/  nono  :  e  ciascheduno 
"    Piìt  tardo  si  movea  ,  secondo  eh'  er» 
!>    //*  numero  distante  piii  dall'  uno  . 


LIBERATA    C.  XVIII.  17^ 

Molti  dietro  a  Rinaldo  illiistii  eroi 
Saliano j  ei  già  salito  i  Siri  uccide. 
Il  Capitan,  che  piiJ  indugiar  si  sdegna, 
Toglie  di  mano  al  fido  alficr  l' insegna, 
xcviu. 

E  passa  primo  il  ponte;  ed  impedita 

Gli  è  a  mezzo  il  corso  dal  Soldan  la  via . 
Un  picciol  varco  è  campo  ad  infinita 
Virtù,  che  'n  pochi  colpi  ivi  appari'a. 
Grida  il  fier  Solimano:  all'  altrui  vita 
Dono,  e  consacro  io  qui  la  vita  mia  : 
Tagliate  ,  amici ,  alle  mie  spalle  or  questo 
Ponte;  che  qui  non  facil  preda  io  resto, 
xcix. 

Ma  venirne  Rinaldo  in  volto  orrendo  ; 
E  fuggirne  ciascun  vedea  lontano  : 
Or  che  laro  ?  se  qui  la  vita  spendo , 
La  spendo  (disse)  e  la  disperdo  invano  . 
E  hi  sé  nove  difese  anco  volgendo, 
Cedea  libero  il  passo  al  Capitano , 
Che  minacciando  il  segue,  e  della  santa 
Croce  il  vessillo  in  sulle  mura  pianta . 
e. 

La  vincitrice  insegna  in  mille  giri 
Alteramente  si  rivolge  intorno; 
E  par  che  'n  lei  più  riverente  spiri 
L' aura,  e  che  splenda  in  lei  più  chiaro  il  giorno; 


St.  98.   Grida  il  fier  Solimano  :  all'altrui  vita  e». 
Il  dono  e  consacro  ,  esprima  il  devoveo  de'  Latini  ;  l'azione  è  i- 
mitala  da  quella  d'Orazio  Coclite. 

St.  9y.  Ala  venirne  Rinaldo  in  volto  orrendo; 
E Juggirne  ciascun  vedtxi  lontano. 
E  da  notare,  come  in  o;;ni  luogo  la  persona  di  Rinaldo  è  mezzo 
•he  Goffredo  acquisti  le  vittorie,  e  ciò  affin  d'introdur  la  sovrana 
meraviglia  nell'azion  del  poema  j  la  qual' azione  non  si  può  recar 
a  fine,  né  si  reca  senza  la  persona  di  Rinaldo,  come  altrove  ab- 
biamo di  scora» . 


176  LA  GERUSALEMME 

Ch'  ogni  dardo,  ogni  strai  che  'n  lei  si  tiri, 

0  la  declini,  o  faccia  indi  ritorno: 

Par  che  Sion,  par  che  l'opposto  monte 
Lieto  r  adori ,  e  inchini  a  lei  la  fronte . 

CI. 

Allor  tutte  le  squadre  il  grido  alzaro 
Della  vittoria  altissimo  e  festante  j 
E  risonarne  i  monti,  e  replicar© 
Gli' ultimi  accenti:  e  quasi  in  quell'istante 
Kuppe  e  vinse  Tancredi  ogni  riparo. 
Che  gli  aveva  all'  incontro  opposto  Argante  : 
E ,  lanciando  il  suo  ponte ,  anch'  ei  veloce 
Passò  nel  muro ,  e  v'  innalzò  la  Croce . 

GII. 

Ma  verso  il  mezzogiorno,  ove  il  canuto 
Raimondo  pugna  e  1  Palestin  Tiranno , 

1  guerrier  di  Guascogna  anco  potuto 
Giunger  la  torre  alla  città  non  hanno; 
Che  '1  nerbo  delle  genti  ha  il  Re  in  aiuto, 
Ed  ostinati  alla  difesa  stanno  : 

E  se  ben  quivi  il  muro  era  men  fermo. 
Di  macchine  v'  aveva  maggior  lo  schermo  . 
CHI. 

Oltra  che,  men  eh'  altrove,  in  questo  canto 
La  gran  mole  il  sentier  trovò  spedito; 
Né  tanto  arte  potè ,  che  pur  alquanto 
Di  sua  natura  non  ritegna  il  sito  . 
Fu  r  alto  segno  di  vittoria  intanto 
Dai  difensori ,  e  dai  Guasconi  udito  : 
Ed  avvisò  il  Tiranno ,  e  V  Tolosano , 
Che  la  città  già  presa  è  verso  il  piano . 
civ. 

Onde  Raimondo  a'  suoi  dall'  altra  parte 
Grida:  o  compagni,  è  la  città  già  presa. 
Vinta  ancor  ne  resiste?  or  soli  a  parte 
Non  sarem  noi  di  sì  onorala  impresa? 


LIBERATA    C.  :n:VIII.  177 

Ma  il  Re,  cedendo  alfin,  di  là  si  parte, 
Pcrch'  ivi  disperata  è  la  difesa; 
E  sen  rifugge  in  loco  forte  ed  alto , 
Ove  egli  spera  sostener  1'  assalto  . 
cv. 
Entra  ali  or  vincitore  il  Campo  tutto 
Per  le  mura  non  sol ,  ma  per  le  porte  ; 
di'  è  già  aperto  ,  abbattuto  ,  arso  e  distrutto 
Ciò  che  lor  s'  opponea ,  rinchiuso  e  forte . 
Spazia  r  ira  del  ferro  ;  e  va  col  lutto 
E  con  r  orror,  compagni  suoi,  la  Morte. 
Ristagna  il  sangue  in  ghorghi ,  e  corre  in  rivi 
Pieni  di  corpi  estinti  e  di  mal  vivi . 


St.   io4-  e  *cn  rifugge  in  loco  forte  ed  alto. 
Nel  Tempio  ili  Salomone,  come  dice  l'Arcivescovo  di  Tiro  nel- 
la sua  istoria,  e  il  Poeta  poco  piìx  a  basso .  Gdast. 
St.   io5.  Spazia  l' ira  del  ferro  ,  e  va  col  lutto  ,  ec.  . 
I  Poeti  greci  diedero  per  compagni  a  Marte  T Orrore,  la  Tema 
e  la  Discordia;  i  quali  seguendo  il  nostro  disse  nel  canto  9: 
«  U orror  ,  la  crudeltà ,  la  tema,  il  lutto 
«    Vati  d'  intorno  scorrendo  . 
Perciocché    Orrore   e    Tema  esprimono   que'  due    nomi  grfd 
Attuo?  xeni  Oo/So?,  i  quali  Valerio  Fiacco  espresse  in  latino, 
dicendo  Terrorque ,  Pavorque  ,  Martis  equi  :  ove  nota  nuova  6n- 
zionc ,  ch«  di  «ompagni  li  fa  cavalli  di  Marte .  Gent^ 


LA 

GERUSALEMME 

LIBERATA 


CANTO  DECIMONONO 

ARGOMENTO 

Intera  palma  del  famoso  Argante 

Tancredi  ottiene  in  singoiar  tenzoni;. 
Salvo  è  il  Re  nella  rocca.  Erminia  ha  innante 
Vafrino;  e  questa  a  lui  gran  cose  espone. 
Riede  instrutto:  ella  è  seco;  e  '1  caro  amante 
Di  lei  trovano  esangue  in  sul  sabbione. 
Piange  ella,  e  '1  cura  poi.  Goffredo  intende 
Quali  insidie  il  Pagan  contra  gli  tende. 


v_yià  la  morte,  o  il  consiglio  ,  o  la  paura 
Dalle  difese  ogni  Pagano  ha  tolto  : 
E  sol  non  s'  è  dall'  espugnale  mura 
Il  pertinace  Argante  anco  rivolto . 
Mostra  ei  la  faccia  intrepida  e  secura, 
E  pugna  pur  fra  gl'inimici  avvolto, 
Più  che  morir ,  temendo  esser  respinto  ; 
E  vuol,  morendo,  anco  parer  non  vinto. 
II. 

Ma  sovra  ogn'  altro  feritore  infesto 
Sovraggiunge  Tancredi,  e  lui  percote. 
Ben'  è  il  Circasso  a  riconoscer  presto 
Al  portamento,  agli  atti,  all'  arme  note, 


LIBERATA    C.  XIX.  1-9 

Lui,  die  pugnò  già  seco,  e  '1  giorno  sesto 
Tornar  promise,  e  le  promesse  ir  vote; 
Onde  gridò  :  così  la  le,  Tancredi, 
Mi  servi  tu?  così  alla  pugna  or  riedi? 
III. 
Tardi  riedi  ,  e  non  solo  :  io  non  rifiato 
Però  combatter  teco ,  e  riprovarmi; 
Benché  non  qual  guerrier  ,  ma  qui  venuto 
Quasi  inventor  di  macchine  tu  parmi. 
Fatti  scudo  de'  tuoi  :  trova  in  ajuto 
Novi  ordigni  di  guerra  e  insolite  armi; 
Che  non  potrai  dalle  mie  mani ,  o  forte 
Delle  donne  uccisor,  fuggir  la  morte. 


St.  2.      Onde  gridò  t  cosila  fk ,  Tancredi, 
Mi  servi  tu  ?  così  alla  pugna  riedi  ? 
Queste  parole,  con  quo' due  versi  della  quinta  stanza,  dove  ti 
dice: 

«  Ch'  h  proprio  mio  ,  piii  che  comiin  nemico 
«  Questi,  ed  a  lui  mi  stringe  obbligo  antico; 
porgono  occasione  di  considerare  ,  se  in  tutta  quella  azione  e 
DÌsof;na  del  duello  fra  Tancredi  e  Argante  ,  fu  mancamento  alcu- 
no per  la  parte  d'esso  Tancredi,  come  pare  che  per  queste  parole 
voglia  rimproverarli  Argante;  avvegnaché  Tancredi  non  ritor- 
nasse il  sesto  giorno,  com'aveva  promesso;  e  quando  poi  ritornò 
non  cercasse  altrimente  piìi  né  l'inimico  privato,  né  il  compi- 
mento del  duello  ;  intorno  a  che  mi  par  di  dire,  che  Tancredi 
per  alcun  conto  non  mancò  al  debito  suo:  peiciocchè  se  non  ri- 
tornò, fu  chiaro  l'impedimento  attraversatoli  dalla  fortuna,  al 
quale  era  impossibile  ch'egli  rimediasse  .  Ritornato  poi  ch'e'fu, 
era  già  cjuel  luogo,  come  carico  pubblico,  stato  preso  da  altri,  e  a- 
■vula  la  faccenda  quel  fine  che  s'è  veduto.  Né  egli  per  quel  ri- 
spetto, in  essa,  dove  era  come  agente  e  ministro  del  Principe,  a- 
vea  piii  da  intromettersi,  se  da  quello  non  gli  veniva  espressa- 
r:entc  comandato,  e  come  cavalier  privato  e  di  propria  persona, 
o  non  poteva  ,  o  non  era  necessario,  o  non  istava  bene  ch'egli  fa- 
cesse nuova  disfida;  nella  quale  conveniva  che  intervenisse  l'au- 
torità del  Capitano,  e  ad  altro  allora  s'avea  ad  attendere  nell'  e- 
sercito  .  Queste  parole  dunrpic  debbono  esser  prese,  come  dette 
da  pwsona  superba  e  arrogante,  e  per  tale  figurata  dal  Poeta,  e 
per  tale  conosciuta;  la  quale  non  si  prendeva  guardia  alcuna  di 
incaricare  il  nemico  piìr  del  dovere,  e  oltre  quello  che  si  conve- 
niva alla  verità. 

GCAST. 


rSo  LA  GERUSALEMME 

IV. 

Sorrise  il  buon  Tancredi  un  cotal  riso 
Di  sdegno,  e  in  detti  alteri  ebbe  risposto 
Tardo  è  il  ritorno  mio  ;  ma  pur  avviso 
Che  frettoloso  ti  parrà  ben  tosto  ; 
E  bramerai  che  te  da  me  diviso 
O  r  alpe  avesse,  o  fosse  il  mar  frapposto 
E ,  che  del  mio  indugiar  non  fu  cagione 
Tema  o  viltà,  vedrai  col  paragone  . 

V. 

Vienne  in  disparte  pur  tu  eh'  omicida 
Sei  de'  giganti  solo  e  degli  eroi: 
L' uccisor  delle  femmine  ti  sfida . 
Così  gli  dice:  indi  si  volge  a' suoi, 


St.  4-     Sorrise  il  buon  Tancredi  un  cotal  riso  . 
Senza  il  cotale  disse  l'Ariosto: 

«   Or  rise  amaramente  in  piò  salito 

«  //  Conte  ec.  RI. 

St.  5.      bienne  in  disparte  pur  fu  eh'  omicida  ee. 
Questo  modo  di  parlare,  che  in  Tancredi  è  ironia,  in  qufl  sci- 
▼0  Plautino,  il  quale  dice  ad  un  soldato  taglia-cantoni: 

«  E.rprome  benignum  a  te  ingenium.  urbi  cape , 

«  Occisor  regum; 
è  buffoneria,  la  quale  è  differente  dall'ironia  in  questo,  che  si 
usa  per  dar  piacere  altrui,  ciocché  è  cosa  servile;  ma  1'  ironia 
per  dar  piacere  a  se  stesso:  e  perciò  ad  uomini  liberi  pila  si  con- 
viene, quantunque  essa  ancora  sia  vizio,  come  scrive  Aristotile, 
contrapposto  alla  buffoneria.  Onde  Socrate  fu  da  Zenone  Epicureo 
chiamato  per  il  suo  ironico  parlare  Buffone  Ateniese .  II  qual  no- 
me indarno  mi  persuadono  i  dottissimi  annotatori  del  Boccaccio 
essere  stato  nella  sua  prima  origine  onesto:  perchè  io  so,  che  è  il 
medesimo  con  quello  antichissimo  dc'Latini,  Kuccones ,mi\\.a\?. 
le  due  ce  ,  in  due^,  siccome  spesso  avvenne  nell'antiche  paro- 
le .  Ma  di  questo  più  a  lungo  in  un  altro  luogo . 

—  Così  gli  dice ,  indi  si  l'oìge  ai  suoi ,  ec. 
Chiama,  obbligo  antico  il  patto  ch'osso  Tancredi  fece  con  Ar- 
gante, nel  sesto  canto,  di  ritornare  a  duello  il  sesto  giorno.  Il 
qual  patto  non  fu  rotto,  né  dalla  parte  di  esso  Tancredi,  iì  qua- 
le non  ritornò,  impedito  da  disavventura  non  cercata  da  lui, 
perchè  alle  cose  impossibili  nessuno  è  tenuto;  né  dalla  parte  di 
Argante,  benché  uno  de'suoi  Pagani  contra  ogni  ragione  lo  vio- 
lasse piagando  Ilaimondo,  che  in  vece  di  Tancredi  era  succedu- 
to; perché  il  fatto  altrui  non  deve  ad  altrui  nuocere  che  all'au- 
tor suo,  siccome  scrivono  i  nostri  legish^tori .  Sicché  rimanendo 


LIBERATA  C.  XIX.  i8i 

E  fa  ritrargli  dall'  offese^  e  grida: 
Cessate  pur  di  molestarlo  or  voi  ; 
Ch'è  proprio  mio,  più  che  comun  nemico 
Questi,  ed  a  lui  mi  stringe  obbligo  antico. 

VI. 

Or  discendine  giù  solo,  o  seguito. 

Come  più  vuoi  (ripiglia  il  fier  Circasso): 
Va  in  frequentato  loco  od  in  romito  ; 
Che  per  dubbio  o  svantaggio  io  non  ti  lasso . 
Sì  fatto  ed  accettato  il  .fero  invito , 
Movon  concordi  alla  gran  lite  il  passo . 
L'odio  in  un  gli  accompagna,  e  fa  il  rancorts 
L' un  nemico  dell'  altro  or  difensore . 

VII. 

Grande  è  il  zelo  d'  onor,  grande  il  desire. 
Che  Tancredi  del  sangue  ha  del  Pagano  j 
Ne  la  sete  ammorzar  crede  dell'ire. 
Se  n'  esce  stilla  fuor  per  1'  altrui  mano  : 
E  con  lo  scudo  il  copre;  e:  non  ferire, 

saldo  ed  intiero  ,  veniva  Argante  ad  essere  proprio  nemico  di 
Tancredi  pili  che  del  resto  dell'esercito  de' Cristiani.  Tanto  pììi 
che  quel  patto  fu  convenzione  pubblica  di  tutti,  essendo  fatta 
da  Goffredo  Duca  d'essi.  Altrimenti  un  soldato  non  può  patteg- 
giar da  per  sé  con  un  nemico,  e  fare  che  sia  proprio  nemico.  On- 
de scrive  Tito  Livio,  che  quando  quel  Francese  nel  fervor  della 
battaglia  disfidò  un  Romano  a  duello,  e  s'affrontò  con  Manlio, 
furono  lasciati  in  mezzo  a  combattere  soli  più  per  ammirazione 
dell'una  e  dall'altra  parte,  che  per  la  ragione  delle  genti .  Gent. 
—   C/l'è  proprio  mio,  piii  che  comun  nemico  ec. 

Ciò  è  detto  per  certa  sovrabbondanza  di  gelosia  d'  onor  caval- 
leresco, ed  eziandio  per  vietare  e  ritener  meglio  ciascheduno  dal- 
l'offendere  il  nemico,  affinchè  fosse  lasciato  a  lui  solo;  che  per 
altro  egli  non  v'aveva  piìi  obbligo  alcuno,  essendo  passalo  il  ter- 
mine ,  e  in  sua  vece  ,  da  chi  il  potea  fare,  posto  un  altro  in  quel 
ìuogo,  com'abbiamo  detto.  Gbast. 

St.     6.   Cile  per  dubbio  ,  o  svantaggio  io  non  ti  lasso . 

Simile  a  quel  di  Nevio  in  equo  Trojano: 

«  JSumquam  hodie  eff'ugies ,  quia  mea  m,anu  moriaris. 

Il  che  mostra  d'esser  deito  in  simile  occasione  di  duello,  e  for- 
se da  Menelao  a  Paride .  Gent. 
St.  ^.     E  con  lo  scudo  il  copre;  e:  non  ferire ,  ec. 

Così  Achille  appresso  Omero  nel  22  dell'Iliade  va  acceuuande» 


i82  LA  GERUSALEMME; 

Grida  a  quanti  rincontra  anco  lonlano; 
Sì  che  salvo  il  nemico  infra  gli  amici 
Tragge  {lall'  arme  irate  e  vincitrici . 
vili. 
Escon  della  cittade,  e  dan  le  spalle 
Ai  padiglion  delle  accampate  genti; 
E  se  ne  van  dove  un  girevol  calle 
Gli  porta  per  secreti  avvolgimenti; 
E  ritrovano  ombrosa  angusta  valle 
Tra  più  colli  giacer ,  Qon  altrimenti 
Che  se  fosse  un  teatro,  o  fosse  ad  uso 
Di  battaglie  e  di  cacce  intorno  chiuso  . 

IX. 

Qui  si  fermano  entrambi  :  e  pur  sospeso 
Volgeasi  Argante  alla  cittade  afflitta . 
Vede  Tancredi  che  '1  Pagan  difeso 
jNon  è  di  scudo,  e  '1  suo  lontano  ei  gitla. 
Poscia  lui  dice  :  or  qual  pensier  ti  ha  preso  ? 
Pensi  che  è  giunta  l' ora  a  te  prescritta  ? 
Se  antivedendo  ciò  timido  stai , 
E  '1  tuo  timore  intempestivo  ornai. 


a' suoi  che  non  feriscano  Ettore,  affinchè  non  £;li  venga  tolta  la 
gloria  d'averlo  ucciso  egli  stesso  .  Al  Galileo  però  sembra,  che  sia 
qui  offeso  il  carattere  d'Argante,  il  quale  rappresentato  già  nel 
Poema  come  il  pil,i  superbo,  indomito  ed  arrogante,  soffre  ora  che 
Tancredi  lo  difenda  e  lo  ricopra  collo  scudo.  Alla  quale  censura 
due  cose  oppor  si  potrebbero.  E  piimieramente  che,  sebbene  d 
Poeta  abbia  rappresentato  Argante  di  feroce  careltere,  indomito  e 
superbo  ,  non  l'ha  tuttavia  fatto  perciò  furioso  e  pazzo ,  siccome 
Io  sarebbe  appunto,  s'egli  permettere  non  volesse  che  Neuga  di 
Tancredi  difeso  nell'atto  che  solo  passa  fra  mezzo  all'esercito  ne- 
mico con  imminente  pericolo  d'essere  assalito  alle  spalle,  per  tra- 
♦limento  e  senza  che  pur  se  ne  avvegga.  In  secondo  luogo  fa  d'uo- 
po riflettere,  che  quella  medesima  sete,  che  ha  Tancredi  del  san- 
gue del  Pagano,  essere  debbe  ancora  in  Argante  stesso,  il  ((uale 
perciò  non  ad  altro  anelar  dee  in  quest'istanti  che  alia  morte  del 
suo  grande  nemico,  ben  poco  importandogli  di  tutto  il  rimanente 
delle  Cristiane  falangi  .  Finalmente  è  un  atto,  die  onora  il  carat- 
tere di  Tancredi,  la  protezione  ch'egli  usa  verso  il  suo  nemico.  M. 
St.   g.       K  7  tuo  tinnire  intempe.<;ti<.'()  omtiì . 

Perciocché  chi  viene  ia  campo  a  ducilo  non  ha  potestà  di  riti- 


LIBERATA   G.  XIX.  i  8" 

X. 

Pdiso  ,  risponde  ,  alla  città  del  regno 
Di  Giudea  antichissima  regina, 
Che  vinta  or  cade  ;  e  indarno  esser  sostegno 

10  procurai  della  fatai  mina; 

E  eli'  è  poca  vendetta  al  niio  disdegno 

11  capo  tuo,  che  1  Cielo  or  mi  destina. 
Tacque:  e  incontra  si  vdn  con  gran  risguardo: 
Gilè  ben  conosce  l'un  1'  altro  gagliarda. 

XI. 

E  di  corpo  Tancredi  agile  e  sciolto, 
E  di  man  velocissimo  e  di  piede . 
Sovrasta  a  lui  con  1'  alto  capo,  e  molto 
Di  grossezza  di  membra  Argante  eccede. 
Girar  Tancredi  inchino  e  in  sé  raccolto 
Per  avventarsi  e  sottentrar  si  vede; 
E  con  la  spada  sua  la  spada  trova 
Nemica,  e  'n  disviarla  usa  ogni  prova. 

XII. 

Ma  disteso  ed  eretto  il  fero  Argante 
Dimostra  arte  simile,  atto  diverso  : 

rarsi  senza  il  consenso  della  parie  avversa.  Ed  in  questo  cred»^ 
che  sia  alquanto  piìi  rea  la  condizione  di  colui  che  ha  provocato  y 
«he  di  chi  ha  ricevuta  la  disfida:  siccome  in  molte  civili  conven- 
zioni si  potrebbe  esemplificare.  Ma  bastici  l'autorità  di  Omero  , 
il  quale  il  medesimo  che  quivi  ad  Argante  si  dice  da  Tancredi , 
finse  essere  avvenuto  ad  Ettore  lib.  j ,  v.  216: 

'^'ExTcpi  T  aurw  Si'/uòi  ivi  cT^^L(jci  ttùtclgcìv  , 
AXX'  ouTTwf  ('ti  Ci')(tv  vTTcTp'coLi ,  ouS'  avaSuvotf 
A\|/  Xawi/  f$  ou<Xov,  tTTtl  irpovay  fccc.ro  yoipaM. 
Ove  dice,  che  ad  Ettore  venuto  a  duello  con  Ajace  cominciò  a 
palpitare  il  petto  di  paura:  ma  che  non  si  potrà  più  r  trarre  in 
dietro  ,  poiché  era  stato  quelli  che  avea  pro\ocato  a  duello.  E  la 
medesima  ragione  usò  Ajace ,  acciocché  Ettore  fosse  il  primo  a 
parlare  di  finir  la  tenzone,  giacché  la  notte  era  venuta  •  benché 
pari  virtù  avessero  mostrata  ambedue  nel  combattere  ,  seconJf  ia 
sentenza  degli  Araldi.  Gemt. 

St.    io.   Perno,  risponde,  alia  città  dei  re^no  ce. 
«  Mirabile,  nobile  e  generosissima  risposta  veramente,  dice  il 
Galileo,  e  tale,  che  forse  none  altrettanto  in  tutto  questo  li- 
hio . »  Mk 

G.  LiE.  T.  iiu  l3 


j84  la  GERUSALEMME 

Quanto  egli  può  va  col  gran  braccio*  avante, 

E  cerca  il  ferro  no ,  ma  il  corpo  avverso  : 

Quel  tenta  aditi  novi  in  ogn'  istante  : 

Questi  gli  ha  il  ferro  al  volto  ognor  converso  . 

Minaccia ,  e  intento  a  proibirgli  stassi 

Furtive  entrate,  e  subiti  trapassi. 

XIII. 

Così  pugna  naval,  quando  non  spira 
Per  lo  piano  del  mare  Affrico  o  Noto, 
Fra  duo  legni  ineguali  egual  si  mira , 
Ch'  un  d'altezza  preval,  T altro  di  moto. 
L'un  con  volte  e  rivolte  assale  e  gira 
Da  prora  a  poppa  ,  e  si  sta  V  altro  immoto  ; 
E  quando  il  più  leggier  se  gli  avvicina, 
D' alta  parte  minaccia  alta  ruina . 

XIV. 

Mentre  il  Latin  di  sottentrar  ritenta , 
Sviando  il  ferro  che  si  vede  opporre  ; 
Vibra  Argante  la  spada ,  e  gli  appresenta 
La  punta  agli  occhi  :  egli  al  riparo  accorre  ; 
Ma  lei  sì  presta  allor,  sì  violenta 
Cala  il  Pagan,  che  '1  difensor  precorre; 


St.   i3.   Così  pugna  naval  ec. 

—   Ch' un.  d'  altezza  preval ,  V  altro  di  moto  . 
Virgilio  nel  quinto  dell'Eneide,  v.  43o: 

«  Jlle ,  pedum  meiior  niotu ,  fretusque  juventa  : 
«   Hic  membris  et  mole  valens  :  sed  tarda  trementi 
«    Genita  labant . 
Dalle  quali  parole  prese  per  avventura  l'occasione  della  com- 
parazione qui  usata  il  Tasso ,  più  bella  assai,  di  più  spirito,  e 
che  meglio  esprime  e  mette  innanzi  la  cosa  di  quella  di  Virgilio 
nello  stesso  luo£;o. 

Non  men  leggiadra  ed  acconcia  sarebbe  stata  la  comparazione 
del  lione  e  dell'elefante.  De' quali  scrive  Platone,  che  venutila 
guerra ,  il  lione  per  esser  agile  e  sciolto  di  membre,  come  si  dice 
qui  di  Tancredi  ,  ora  in  qua  ora  in  là  gli  s'aggira:  ma  \'  elefante 
per  la  grandezza  del  corpo  sta  quasi  immobile,  quale  è  quivi  Ar- 
gante .  Certo  che  sarebbe  stata  pili  pellegrina ,  e  perciò  piìi  cara 
agli  uditori .  Gew  r. 


LIBERATA    C.  XIX.  iHT 

It  1  fere  al  fianco;  e,  risto  il  fianco  infermo, 
Grida:  lo  schermitor  \nnto  è  di  schermo. 

XV. 

Fra  lo  sdegno  Tancredi  e  la  vergogna 
Si  rode,  e  lascia  i  soliti  riguardi  ; 
E  in  cotal  guisa  la  vendetta  agogna , 
Che  sua  perdita  stima  il  vincer  tardi . 
Sol  risponde  col  ferro  alla  rampogna , 
E  '1  drizza  all'  elmo,  ove  apre  il  passo  ai  guardi. 
Ribatte  Argante  il  colpo  ;  e  risoluto 
Tancredi  a  mezza  spada  è  già  venuto . 

XVI. 

Passa  veloce  allor  col  pie  sinestro, 

E  con  la  manca  al  dritto  braccio  il  prende  ; 
E  con  la  destra  intanto  il  lato  destro 
Di  punte  mortai  issi  me  gli  offende  : 
Questa  (diceva)  al  vincitor  maestro 
Il  vinto  schermitor  risposta  rende. 
Freme  il  Circasso ,  e  si  contorce  e  scote; 
Ma  il  braccio  prigionie!'  ritrar  non  puote  . 

XVII. 

Alfin  lasciò  la  spada  alla  catena 

Pendente,  e  sotto  al  buon  tatin  si  spinse: 


St.   i5.   C/if  sua  perdita  stima  il  vincer  tardi. 
Clud.  in  laud.  Stilic. 

« .  Hic  vincere  tarde 

«    Vinci  pene  fuit . 
ESilioItal,  lib.  i4,  V.  iSg: 

«  Stnt  mediocre  decus  mncentum- .  ignava  Juventus  ; 
«  Hoec  laus  sola  datur,  si  viso  vinciti s  hoste, 
—  Sol  risponde  col  ferro  alla  rampogna. 
All'ingiuria,  alla  viprensione.  Petrarca: 

«   Il  mio  avversario  con  agre  rampogne .  GuAcsf. 

St.   17.  Aljin  lasciò  la  spada  alla,  catena 

Pendente  . 
Questa  usanza  eli  portar  la  spada  pendente  alla  catena  non  mi 
ricordo  averla  letta  in  veruno  scrittore  antico,  se  non  che  si  re- 
cita da  Plutarco,  che  quei  Tedeschi  ,  i  quali  furono  sconfitti  (hi 
Mario  in  Italia  ,  avevano  fatta  tale  ordinanza  nella  biittas^lia,  clic 
V  UH  all'altro  era  incatenato  con  catene  attaccale  alla  spada ,  o. 


j86  la  GERUSALEMME 

Fc'  ristesse  Tancredi;  e  con  gran  lena 
L'  un  calcò  1'  altro ,  e  l' un  l' altro  ricinse . 
Ne  con  })iù  forza  dall'  adusta  arena 
Sospese  Alcide  il  gran  gigante  e  strinse. 
Di  quella  onde  lacean  tenaci  nodi 
Le  nerborute  braccia  in  varj  modi . 
xviii. 
Tai  fur  gli  avvolgimenti  e  tai  le  scosse, 

Ch'  ambi  in  un  tempo  il  suol  presser  col  fianco . 
Argante,  od  arie  o  sua  ventura  l'osse, 
Sovra  lia  il  braccio  migliore,  e  sotto  il  manco: 
Ma  la  man  eli' è  più  atta  alle  percosse. 
Sottogiace  impedita  al  guerrier  Franco  ; 
Ond'ei,  che  '1  suo  svantaggio  e  '1  rischio  vede, 
Si  sviluppa  dall'  altro ,  e  salta  in  piede. 


alla  cintura  .  In  che  guisa  i  Persi  congiuntisi  con  le  mani  lutti 
gli  abitatori  d'una  isola  greca  racchiusero ,  e  presero  quasi  den- 
tro ad  una  rete,  e  forse  che  rete  veramente  vi  usarono,  secondo 
il  costume  di  certi  popoli  di  Scizia;  del  quale  scrive  Valerio 
Fiacco,  lib.  6,  V.  1 32  : 

ft   Doctns  ,  et  Auchates  patiilo  vaga  vincula  gyro 
«   Spargere ,  et  extremas  laqueis  adducere  tiinnas . 
Ma  di  questo  non  è  al  proposilo  di  qui  ragionare  .  Gent. 

—   A^  con  più  forza  dall'  adusta  arena  ce. 
Di  Anteo  nella  Libia  ucciso  da  Ercole  coli' averlo  da  terra  alza- 
to e  stretto  al  petto,  soffocatolo,  fa  menzione  Apollodoro  nel   se- 
condo libro  della  Biblioteca.  Guast. 

Tocca  la  favola  di  Anteo,  del  quale  dicono  i  poeti,  come  Luca- 
no nel  4  ,  che  era  Re  di  Libia  ,  ed  era  di  natura  tale,  che  quante 
volte  toccava  la  terra  rinfrescava  le  forze,  e  ciò  avveniva  per  es- 
sere egli,  dicono  i  poeti,  Gglio  di  essa  terra  .  L'istoria  di  questa 
cosa  è,  che  fu  gigante,  come  appare  dalle  parole  di  Plutarco  nel- 
la vita  di  Sertorio:  Tjgcnnam  oppidutn ,  in  quo  Axcaìius ,  etjra- 
tres  conjugerant ,  expugnavit ;  ibi  scpiiltum  esse  Anteum  incoìoe 
t raduni ,  ejusque  monumentum  cum  propter  magnitudinem  asse- 
rentibus  barharis  non  prcestaret ,  perjodit  ;  ibique  reperto  carpare 
septuaginta  cubitorum  ,  obstupuit ,  restauratoque  tumulo  ,  famam 
e/US  honoremque  au.rit.  La  qual  cosa  viene  da  Strabonc  nel  i3 
della  Geografia  detta  j  e  da  Giulio  Ferretti  nel  trattato  de  Duello 
al  i8  num.  q^.  Questa  favola  viene  tocca  da  Giovenale  alla  Sati- 
ra 3 ,  V.  88  : 

«   Et  longum  invalidi  collnm  cen'icibus  cequat 
«   Hercuììs ,  Antositm  procul  a  tellure  tenentis . 
E  negli  Epigrammi  Greci  al  libro  primo  wj  a>'Wi'<$aj .  Marx* 


LIBERATA  C.  XIX.  1S7 

XIX. 

Sorge  più  tardi ,  e  un  gran  fendente,  m  prima. 
Che  sorto  ei  sia,  vien  sopra  al  Saracino: 
Ma  come  aJT  Euro  la  frondosa  cima 
Piega,  e  in  un  tempo  la  solleva  il  pino; 
Così  lui  sua  virtLite  alza  e  sublima , 
Quando  ei  n'  è  già  per  ricader  più  chino . 
Or  ricomincian  qui  colpi  a  vicenda  : 
La  pugna  ha  manco  d'arte,  ed  è  più  orrenda.] 

XX. 

Esce  a  Tancredi  in  più  d'  un  loco  il  sangue; 
Ma  ne  versa  il  Pagan  quasi  torrenti. 
Già  nelle  sceme  forze  il  furor  langue , 
Sì  come  fiamma  in  debili  alimenti . 
Tancredi ,  che  '1  vedea  col  braccio  esangue 
Girare  i  colpi  ad  or  ad  or  più  lenti , 
Dal  magnammo  cor  deposta  l' ira, 
Placido  gli  ragiona ,  e  1  pie  ritira . 

XXI. 

Cedimi,  uom  forte;  o  riconoscer  voglia 
Me  per  tuo  vincitore ,  o  la  fortuna  : 
Né  ricerco  da  te  trionfo,  o  spoglia  ; 
Né  mi  riserbo  in  te  ragione  alcuna . 
Terribile  il  Pagan  più  che  mai  soglia  , 
Tutte  le  furie  sue  desta  e  raguna . 
Risponde  :  or  dunque  il  meglio  aver  ti  vanto , 
Ed  osi  di  viltà  tentare  Argante? 

XXII. 

Usa  la  sorte  tua,  che  nulla  io  temo; 
Né  lascerò  la  tua  follia  impunita . 
Come  face  rinforza  anzi  l' estremo 
Le  fiamme,  e  luminosa  esce  di  vita; 

St.  22.    Usa  la  sorte  tua  . 
Serviti  del  beneficio  della  fortuna .  Virgilio  nel  12  in  persoaa 
(li  Turno  mal  condotto,  e  cacciata  a  terra  da  Enea: 

« Uterc  sorte  tua  .  GoiST. 

—  Come  face  rinforza  arni  V  estremo  «e. 


/^ 


i88  LA  GERUSALLxMiME 

Tal,  n'empiendo  ei  d'ira  il  sangue  scemo ^ 

Rinvigorì  la  gagliardia  smarrita: 

E  r  ore  della  morte  ornai  vicine 

Volse  illustrar  con  generoso  fine . 

XXIII. 

La  man  sinistra  alla  compagna  accosta, 
E  con  ambe  congiunte  il  ferro  abbassa  : 
Cala  un  fendente,  e  benché  trovi  opposta 
La  spada  ostil,  la  sforza  ed  oltre  passa 
Scende  alla  spalla ,  e  giù  di  costa  in  costa 
Molte  ferite  in  un  sol  punto  lassa . 
Se  non  teme  Tancredi ,  il  petto  audace 
Non  fé'  natura  di  timor  capace . 

XXIV. 

Quel  doppia  il  colpo  orribile;  ed  al  vento 
Le  forze  e  l' ire  inutilmente  ha  sparte; 
Perchè  Tancredi,  alla  percossa  intento  , 
Se  ne  sottrasse ,  e  si  lanciò  in  disparte . 
Tu  ,  dal  tuo  peso  tratto ,  in  giù  col  mento 
N'  andasti  Argante,  e  non  potesti  aitarle: 
Per  te  cadesti,  avventuroso  in  tanto. 
Gli'  altri  non  ha  di  tua  caduta  il  vanto . 


Comparazione  attissima  per  dimostrare  la  vita  nostra,  percioc- 
ché la  successione  della  generazione  umana  fu  comparata  dagli 
antichi  a  quelle  faci  ardenti  che  ne' giuochi  di  Atene  solevano 
quei  che  a  cavallo  correvano  ,  l'un  l'altro  darsi  nelle  mani.  On- 
de Lucrezio  dice  de' padri  e  de' figliuoli: 

a  Et  <}uasi  cursores  vitoe  lampada  tradunf . 
E  di  qui  è,  che  alcuni  filosofi  dissero,  che  gli  uomini  si  ap- 
pellassero ■^uìTti .    il  qual  nome  è  tirato  dal  lume.  Perchè  pensa^ 
Tano  che  l' anima  e  la  vita  nostra  non  fosse  altro  che  un  lume . 

Gent. 
St.  al^.   Quel  doppia  il  capo  orribile  ;  ed  al  vento 
Le  forze  e  V  ire  inutilmente  ha  sparte  . 
Virgilio  nel  5  : 

" ille  ictum  venientem  a  vertice  velox 

u   Proevidit ,  celeriquc  elapsus  corpore  cessil  : 

«  Entdlus  l'ires  in  ventum  effudit .  GoAST. 


LIBERATA   C.  XIX.  tfi^ 

XXV. 

Il  cader  dilatò  le  piaghe  aperte , 

E  "1  sangue  espresso  dilagando  scese . 
Punta  ei  la  manca  in  terra ,  e  si  converte 
Ritto  sovra  un  ginocchio  alle  difese  : 
Renditi,  grida  j  e  gli  fa  nove  offerte, 
Senza  noiarlo,  il  vincitor  cortese. 
Quegli  di  furto  intanto  il  ferro  caccia , 
E  sul  tallone  il  fiede  ;  indi  il  minaccia  . 

XXVI. 

Infun'ossi  allor  Tancredi,  e  disse: 
Così  abusi,  fellon,  la  pietà  mia? 
Poi  la  spada  gii  fisse  e  gli  rifisse 
Nella  visiera,  ove  accertò  la  via. 
Moriva  Argante ,  e  tal  moria  qual  visse  : 
Minacciava,  morendo,  e  non  langm'a. 
Superbi,  formidabili  e  feroci 
Gli  ultimi  moti  fur,  l'ultime  voci. 

XXVII. 

Ripon  Tancredi  il  ferro  ;  e  poi  devoto 


St.  26.  Minacciava  morendo ,  e  non  languia  . 
Nulla  di  più  acconcio  e  di  piìi  sublime  a  rappresentare  la  co- 
stanza del  carattere  di  Argante  per  sino  nella  morte,  quanto  que- 
sto suo  minacciare  senza  ch'egli  punto  languisca.  In  simile  guisa 
Floro  (lib.  I  cap.  18)  nella  battaglia  contro  di  Pirro  descrive  i 
soldati  Romani  colle  minacce  in  volto  ancor  dopo  estìnti  :  Qui" 
dam  hostibus  suis  immortiii  ;  omnium,  in  manibus  enses ,  et  reli- 
ctce  in  vultibus  mi  noe .  Salustio  nella  Guerra  Catilinaria  dice  che 
Catilina  spirante  serbava  n«l  volto  la  ferocia  stessa  ch'aveva  già 
avuta  in  vita:  Catilina  longe  a  suis  inter  hostium  cadavera  re" 
pertus  est ,  paulum  etiam  ,  spirans  Jerociamque  animi  <juam,  ha' 
buerat  vivus,  in  vultu  retinens .  E  Claudiano  attribui«ce  a'  cada* 
veri  de'Giganti  più  spolpati  il  minacciar  tuttavia  crudelmente, 
Lib.  ò ,  de  Rapi.  Proserp. 

« hic  prodigiosa  Gigantum 

¥.    Tergora  dependent ,  et  adltuc  crudele  minantur 
«  AffixcB  facies  trìincis ,  immaniacjue  ossa 
«  Serpentum ,  passim.  tum.ulis  exanguibus  albent , 
«  Et  rigidoe  multo  suspirant  fulmine  pelles  ec.  ec,        M. 
St.  27.   Ripon  Tancredi  il /erro,  e  poi  devoto  ce. 
Secondo  1'  antico  costume^  dal  (juaU  fu  argomentato   contra 


I90  LA  GERUSALEMME 

Ringrazia  Dio  del  trionfale  onore . 
Ma  lasciato  di  forze  ha  quasi  vóto 
La  sanguigna  vittoria  il  vincitore . 
Teme  egli  assai  che  del  viaggio  al  molo 
Durar  non  possa  il  suo  fievoi  vigore  : 
Pur  s' incammina  ;  e  così  passo  passo 
Per  le  già  corse  vie  move  il  pie  lasso . 

XXVIII. 

Trar  molto  il  deb  il  fianco  oltra  non  puote^ 
E  quanto  più  si  sforza j. e  piiì  s'affanna: 
Onde  in  terra  s  asside,  e  pon  le  gote 
Sulla  destra ,  che  par  tremula  canna . 
Ciò  che  vedea ,  pargii  veder  che  rote  y 
E  di  tenebre  il  dì  già  gli  s'  appanna. 
Alfin  isvienej  e '1  vincitor  dal  vinto 
Non  ben  sana,  nel  rimirar,  distinto. 

LXIX. 

Mentre  qui  segue  la  solinga  guerra, 
Che  privata  cagion  fé' così  ardente, 
L' ira  de'  vincitor  trascorre  ed  erra 
Per  la  città  sul  popolo  nocente . 
Or  chi  giammai  dell'  espugnata  terra 
Potrebbe  appien  l' immagine  dolente 


Menelao  ,  che  non  avesse  vinto  Paride ,  il  quale  s'  eia  l'uggito  dal 
duello.  Perciocché  non  rese  grazie  a  Dio,  ma  lo  ilicusò  d'  aveili 
ritolto  Paride  dalle  mani.  Del  qual  Paride  forse  si  devono  pren- 
dere quelle  parole  d'Ennio  ,  nell' Ecuba  ; 

«  Juppiter  tibi  summe  tandem  re  male  gesta  gratular , 
ìAest ,  grati  OS  ago.  Le  quali  parole  piìi  si  converebbero   ad  un 
Cristiano,  dovendosi  in  ogni  sorte  o  buona  o  rea  che  sia,  la  vo- 
lontà del  grande  Iddio  ringraziarsi,  e  non  mai  a  verun  paLto  ac- 
cusarsi, siccome  altrove  dicemmo  del  destino ,  che  non   è  altro 
che  la  volontà  ed  il  decreto  d'Iddio:  siccome  il  Tasso  e  gli  al- 
tri pii  scrittori  l' interprelano .  Gent. 
St.  29.  Mentre  qxii  segue  la  solingtt  guerra  ec. 
Privata  ragione  domanda  l'ira,  la  raisbia  e  il  desiderio  di  vin- 
cersi 1' un  r  altro  ,  conceputo  e  rimasto  in  ciaschedun  di  essi  fin 
da  quel  di  che  per  pubblica  cagione  avea  combattuto  insieme;  e 
da  questo  per  avventura  spinto,  il  domandò  ancora  di  sopra  piìi 
nemico  proprio  ch«  comune. 


LIBERATA  C.  XIX.  igt 

Ritrarre  in  carte?  od  adeguar  parlando 
Lo  spettacolo  atroce  e  miserando  ? 

XXX. 

Ogni  cosa  di  strage  era  già  pieno  : 

Vedeansi  in  mucchi  e  in  monti  i  corpi  avvolti. 

Là  i  feriti  sui  morti ,  e  qui  giaciéno 

Sotto  morti  insepolti  egri  sepolti . 
.    Fuggian  ,  premendo  1  pargoletti  al  seno , 

Le  meste  madri  co'  capegli  sciolti  ; 

E  1  predator ,  di  spoglie  e  di  rapine 

Carco  ,  stringea  le  vergini  nel  crine . 

XXXI. 

Ma  per  le  vie  eli'  al  più  sublime  colle 

Saglion  verso  Occidente,  ov'  è  il  gran  tempio, 
Tutto  del  sangue  ostile  orrido  e  molle 
Rinaldo  corre,  e  caccia  il  popol  empio. 
La  fera  spada  il  generoso  estolle 
Sovra  gli  armati  capi ,  e  ne  fa  scempio . 
È  schermo  frale  ogn'  elmo  ed  ogni  scudo  : 
Difesa  è  qui  1'  esser  dell'  arme  ignudo . 

XXXII. 

Sol  contra  il  ferro  il  nobil  ferro  adopra , 
£  sdegna  negi'  inermi  esser  feroce  : 


St.   3o.   Ogni  cosa  dì  strage  era  già  pieno . 
Ogni  cosa  pieno  :  frase  antica  .  Boccaccio:  Etsendojreddi  gran- 
dissimi ,  ed  ogni  cosa  pieno  di  neve  e  ghiaccio  .  GuAST. 

—  Fuggian  /premendo  i  pargoletti  al  seno , 
Le  meste  madri . 

Tolto  da  Virgilio,  che  nel  9  dell'Eneide  così  dice: 

«   Et  trepidce  matres  pressere  ad  pectora  natos . 
Il  qual  verso  medesimamente  imitò  l'Ariosto  al  cauto  vigesimo- 
settimo,  stan.  loi  : 

«   Si  strinsero  le  madri  i figli  al  seno.  Màbt. 

St.  3i.  Saglion  verso  Occidente  ,  ov' il  gran  tempio . 
Di  Salomone,  come  segue  nella  stanza  33,  e  si  hadaBoberlo 
Monaco  nel  libro  ottavo. 

—  Difesa  è  qui  V  esser  dtW  arme  ignudo, 
St.   3a.  Sol  contra  il  ferro  il  nohil  ferro  adupra 

E  sdegna  ne gV  inermi  esser  J croce ,  ec, 
%Aa  notare  la  (JiScr«nza  di  g«ner«io  e  magnanimo  yal ore,  a 


192  LA  GERUSALEMME 

E  quei  eli'  ardir  non  armi ,  arme  non  copra , 

Caccia  col  guardo  e  con  1'  orribil  voce. 

Vedresti  ;,  di  valor  mirabil  opra  ; 

Come  or  disprezza ,  ora  minaccia ,  or  noce  : 

Come  con  rischio  disegual  fugati 

Sono  egualmente  pur  nudi  ed  armati . 

XXXIII. 

Già  col  più  imbelle  volgo  anco  ritratto 
S  è  non  picciolo  stuol  del  più  guerriero 
Nel  Tempio ,  che  più  volte  arso  e  rifatto 
Si  noma  ancor ,  dal  fondator  primiero^ 
Di  Salomone  ;  e  fu  per  lui  già  fatto 
Di  cedri  e  d' oro  e  di  bei  marmi  altero  , 
Or  non  sì  ricco  già,  pur  saldo  e  forte 
E  d' alte  torri ,  e  di  ferrate  porte . 

XXXIV. 

Giunto  il  gran  cavaliero  ove  raccolte 

S' eran  le  turbe  in  loco  ampio  e  sublime  ; 
Trovò  chiuse  le  porte,  e  trovò  molte 
Difese  apparecchiate  in  sulle  cime. 
Alzò  lo  sguardo  orribile  ,  e  due  volte 
Tutto  il  mirò  dall'  alte  parti  all'ime, 

caìlerica  e  furiosa  rabbia,  qual'è  d'Argante  nel  9  canto,  st.  67; 
«   Rota  il  ferro  crudele,  ov'  è  più.  stretto , 
«   E  piit,  calcato  insieme  il  popoL  Franco  : 
«  Miete  i  vili  e  i  potenti ,  e  i  pia  sublimi 
«   E  pili,  superbi  capi  adegua  agi'  imi  . 
A  quel  modo  anche  Enea  appresso  Virgilio  nel  i»  lasciato  ogni 
altro  (la  parte,  solo  cercava  Turno  fra  tutti,  e  solamente  seco  vo- 
leva affrontarsi,  benché  poi  essendogli  levato  Turno  dinnanzi  da 
Giuturua,  ed  esso  percosso  da  Messapo  ,  vinto  da  collera  grandis- 
sima, senza  differenza  facesse  uccisione  di  grandi  e  piccioli,  e  di 
quairti  se  gli  paravano  dinnanzi , 

St.  34.  Alzò  lo  sguardo  orribile ,  e  due  volte  ec. 
In  simile  guisa  è  da  Virgilio  descritto  Ercole  che  furibondo  va 
in  traccia  di  Caco,En.  8,  v.  228. 

«   Ecce  Jurens  animis  aderat  Tirynthius  ,omnem(jue 

«   Acccssum  liiitrans ,  huc  ora  ferebat ,  et  Ulne  . 

«  Dentibus  infrendens  ,  ter  toturn  fervidus  ira 

«   Lustrai  Aventini  montem;  ter  sa.rea  tentat 

«  Lumina  ec  GVAST. 


LIBERATA  C.  XIX.  19? 

Varco  angusto  cercando;  ed  altrettante 
Il  circondò  con  le  veloci  piante  . 

XXXV. 

Qaal  lupo  predatore  all'  aer  bruno 

Le  chiuse  mandre,  insidiando,  aggira, 
Secco  r avide  fauci,  e  nel  digiuno. 
Da  nativo  odio  stimolato  e  d'ira; 
Tale  egli  intorno  spia  s  adito  alcuno 
(  Piano  od  erto  che  siasi  )  aprir  si  mira  : 
Si  l'erma  alfin  nella  gran  piazza  ;  e  d' alto 
Stanno  aspettando  i  miseri  1'  assalto . 

XXXVI. 

In  disparte  giacca  (  qual  che  si  fosse 
L'  uso  a  cui  si  serbava  )  eccelsa  trave  : 
IN  è  così  alte  mai ,  ne  così  grosse 
Spiega  r  antenne  sue  Ligura  nave . 
Ver  la  gran  porta  il  cavalier  la  mosse 
Con  quella  man  cui  nessun  pondo  è  grave  ' 
E  recandosi  lei  di  lancia  in  modo. 
Urtò  d  incontro  impetuoso  e  sodo . 
xxxvii. 

Restar  non  può  marmo  o  metallo  avanti 
Al  duro  urtare ,  al  riurtar  più  forte . 
Svelse  dal  sasso  i  cardini  sonanti; 
Ruppe  i  serragli,  ed  abbattè  le  porte. 
Non  l'ariete  di  far  più  si  vanti; 
Non  la  bombarda,  fulmine  di  morte. 
Per  la  dischiusa  via  la  gente  inonda, 
Quasi  un  diluvio,  e  '1  vincitor  seconda. 
xxxviii. 

Rende  misera  strage  atra  e  funesta 

L' alta  magion ,  che  fu  magion  di  Dio  . 
O  giustizia  del  Ciel ,  quanto  men  presta , 
Tanto  più  grave  sovra  il  popol  rio! 

Ut.   38.    O  giustizia  del  Ciel ,  quanto  men  presta  ce. 


194  LA  GERUSALEMME 

Dal  tuo  secreto  provveder  fu  desta 
L' ira  ne'  cor  pietosi ,  e  incrudelio . 
Lavò  col  sangue  suo  1'  empio  Pagano 
Quel  tempio,  che  già  fatto  avea  profano . 

XXXIX. 

Ma  intanto  Soliman  ve'r  la  gran  torre 
Ito  se  n'è,  che  di  David  s'appella; 
E  qui  fa  de'  guerrier  1'  avanzo  accórre , 
E  sbarra  intorno  e  questa  strada  e  quella  : 
E  '1  tiranno  Aladino  anco  vi  corre. 
Come  il  Soldan  lui  vede,  a  lui  favella: 
Vieni ,  o  famoso  Re ,  vieni ,  e  là  sovra 
Alia  rocca  fortissima  ricovra  : 

XL. 

Che  dal  .furor  delle  nemiche  spade 

Guardar  vi  puoi  la  tua  salute,  e  '1  regno: 
Ohimè,  risponde,  ohimè,  che  la  cittaLle 
Strucae  dal  fondo  suo  barbaro  sdegno 


Sentenza  verissima,  e  parimente  celebrala  dagli  Etnici  e  dai 
Cristiani .  Ed  il  Tasso  imita  quelle  parole  di  Dante.  Inf.  ì^: 
«    O  giustizia  del  del ,  quanto  ò  severi , 
«    Che  cotai  colpi  per  vendetta  croscia  !  Gent. 

In  questi  versi  leggiadramente  esprime  quella  sentenza  di  Va- 
lerio Massimo:  Lento  grada  ad  l'indictam  divina  procediti  ira  , 
^ed  gravitate  siipplicii  pcence  gravitate  compensat  ;  1^  qual  tu  pri- 
mieramente dal  Principe  de' poeti  greci  in  così  fatte  parole  tocca- 
ta al  4  dell' Iliade: 

« .—.  .  .   Contemni  numen  Olympi 

«  Haud  impune  sinunt  Superi  sccelera  impia,  quamquam 
«   Distulcrint ,  culpas  hominum  graviora  morantur 
«   Supplicia . 
E  da  Dante: 

<c   La  spada  di  là  su  non  taglia  in  fretta  . 
E  dall'  Ariosio  al  canto  3^  ,  stan.  io5  : 

«  La  qual ,  se  ben  tarda  a  venir ,  compensa 
((    L'  indugio  poi  con  punizione  immensa. 
E  da  Bernardo  Tasso  al  canto  32  al  canto   34  dell'  Amadigi  all-k 
prima  stanza.  Quindi  ne  nacque  il  proverbio;  f^indicta  sera,  tcd 
gravis .  Mart, 

St.  39.  Ma  intanto  Soliman  vèr  la  gran  torre  ec. 
La  torre  di  David  era  il  forte  d«lU  città . 


LIBERATA.  C.  XIX.  195 

E  la  mia  vita,  e  '1  nostro  imperio  cade! 
Vissi  e  regnai:  non  vivo  or  più  né  regno . 
Ben  si  può  dir,  noi  fummo:  a  tutti  è  giunto 
L'  ultimo  di,  Tinevitabil  punto  . 

XLI. 

Ov'è-  signor,  la  tua  virtute  antica? 

(Disse  il  Soldan  tutto  cruccioso  allora) 

Tolgaci  i  regni  pur  sorte  nemica  ; 

Che  '1  regal  pregio  è  nostro  ,  e  in  noi  dimora  . 

Ma  colà  dentro  ornai  dalla  fatica 

Le  stanche  e  gravi  tue  membra  ristora. 

Così  gli  parla  ;  e  fa  che  si  raccoglia 

Il  vecchio  Re  nella  guardata  soglia . 

XLII. 

Egli  ferrata  mazza  a  due  man  prende , 
E  si  ripon  la  fida  spada  al  fianco  ; 


St.  4o.    Vissi  ,  e  regnai;  non  vivo  più  ,  Tiè  regno:  ec. 
Virgilio  nel  2,  V.  324: 

a    Venit  summa  dìes  et  ineluctahile  tempiis 
n  Dardanioe  :  fiùmus  Troes  ,  fuit  Ilium  ,  et  ingcna 
«    Gloria  Teucrorum .  GtiAST. 

Vissi,  cioè  fui  già  felice.  Perchè  vivere  in  senso  latino  e  greco 
si  prende  per  menare  vita  allegra  ed  amorosa.  Varrò  FI  p<  (ptXo- 
VfiKla?  :  Properate  vivere  puerce  ,  quas  sinit  cetatula  ludere ,  es- 
se et  amare,  et  Veneris  tenere  bigas .  E  Seneca  racconta  nell'e- 
pistole di  un  certo  Pacuvio,  che  quando  s'era  quasi  seppellito  nel- 
le vivande  e  nel  vino,  una  greggia  di  uomini  impudici  lo  ripor- 
tava dentro  alla  camera,  con  suoni  musici ,  e  con  voci,  che  di- 
eeano,  B^/Sùxé ,  /3c/3/w)tf  ,  che  vuol  dire.  «  E' visse  ,  e' visse  »  . 
Appo  i  Romani  si  usava  questo  modo  di  dire  eziandio  per  ischi- 
fare  l'infausto  annunzio  della  morte.  Per  lo  che  Cicerone,  avendo 
fatto  i  congiurati  giustiziare,  ed  uscendo  fuori  della  Curia,  con 
alta  voce  pronunziò  al  circostante  popolo,  Vixerunt,  siccome  re- 
cita Plutarco  nella  sua  vita  . 

St.  [^l.    Tolgaci  i  regni  pur  sorte  nemica  ; 

Che  7  regal  pregio  è  nostro ,  e  in  noi  dimora . 
Imita,  se  non  m'inganno,  quei  ver&i  di  Accio,  •critti  da  lui 
nella  Tragedia  Telefo: 

«   Nam  si  a  me  regnum  Fortuna  ,  atque  opes 
«   E  ri  pere  quivit ,  et  virtutem  nequivit , 
Paiole  veramente  generose  e  degne  di  Re.  Gext. 


i9<5  LA  GERUSALEMME 

E  slassi  al  varco  intrepido ,  e  tlifende 
Il  chiuso  delle  strade  al  popol  Franco. 
Eran  mortali  le  percosse  orrende  : 
Quella  che  non  uccide,  atterra  almanco. 
Già  fugge  ognun  dalla  sbarrata  piazza , 
Dove  appressar  vede  1'  orribil  mazza. 

XLIII. 

Ecco  da  fera  conìpagnia  seguito 

Sopraggiungeva  il  Tolosan  Raimondo  . 

Al  periglioso  passo  il  vecchio  ardito 

Corse,  e  sprezzò  di  quei  gran  colpi  il  pondo. 

Primo  ei  ferì;  ma  invano  ebbe  ferito  : 

Non  ferì  invano  il  feri  lo  r  secondo; 

Ch'  in  fronte  il  colse ,  e  l' atterrò  col  peso 

Supin,  tremante _,  a  braccia  aperte,  e  sleso. 

XLIV. 

Finalmente  ritorna  anco  ne'  vinti 
La  virtù ,  che  '1  timore  avea  fugata  : 
E  i  Franchi  vincitori  o  son  rispinti , 
O  pur  caggiono  uccisi  in  su  1'  entrata . 
Ma  il  Soldan ,  che  giacere  infra  gli  estinti 
Il  tramortito  duce  ai  pie  si  guata , 
Grida  a  i  suoi  cavalier  :  costui  sia  tratto 
Dentro  alle  sbarre  _,  e  prigionier  sia  fatto  . 

XLV. 

Si  movon  quegli  ad  eseguir  F  effetto  ; 
Ma  trovan  dura  e  faticosa  impresa  ; 
Perchè  non  è  d'  alcun  de'  suoi  negletto 
Raimondo,  e  corron  tutti  in  sua  difesa. 
Quinci  furor,  quindi  pietoso  affetto 
Pugna;  nò  vii  cagione  è  di  contesa: 


St.  i^/J né  vii  ragione  è  di  contesa  :  ec. 

Oiiino  in  Simile  proposito,  ooni'ò  sua  usanza  ili  paiticolareg- 
piai  siMiipro  assai ,  noi  22  dell' Iliade,  uoniiuù  qual  non  fosse  vile 
cagion  di  contesa,  dicendo,  V.  i58: 

llpóc^iì  ah  ì<j'^Kqs  tCpfuyf ,  5t'.jKf  ^'r  fj.lv  fi.^y  du.iTv(j>}v 


LIBERATA   €.  XIX.  197 

Di  sì  grand'  uom  la  libertà,  la  vita 
Questi  a  guardar _,  quegli  a  rapire  invita. 

XLVI. 

Pur  vinto  avrebbe  a  lungo  andar  la  prova 
Il  Soldano,  ostinato  alla  vendetta; 
Ch'  alla  fulminea  mazza  oppor  non  giova 
0  doppio  scudo  ,  o  tempra  d'  elmo  eletta  : 
Ma  grande  aita  a'  suoi  nemici  e  nova 
Di  qua ,  di  là  vede  arrivare  in  fretta  : 
Che  da  duo  lati  opposti  in  un  sol  punto 
Il  sopran  Duce  e  '1  gran  guerriero  è  giunto . 

XLVII. 

Come  pastor,  quando  fremendo  intorno 
Il  vento  e  i  tuoni ,  e  balenando  i  lampi , 

Afvvc^yjv  ,  a  tb  ttocciv  oiì^Xici.  yipviT&.i  dv^puiv  j 

AXXà   TTfpi  ^VX^^   ^^^^  ^  XTOpOJ  e  TTTToSa/XOiO  . 

Cioè: 

«  Innanzi  fuggiva  il  buono  ,  e  seguitava  il  molto  migliore 

«  Velocementej  perciocché  non  una  vittima,  né  un  tergo  di 

bue 
«  Correvano,  quali  sono  i  premj  a'piedi  degli  uomini  correnti, 
«   Ma  correvano  per  l'anima  d'Ettore  domator  de'cavalli. 
Fi  nella  comparazione  altresì  ,  che  segue  pur  particolareggia , 
!r.  i6ai 

'Qi  S' 0  r  ttt6\o(J)po(  TTfpi  Tfpfiara  |u.wvu)^f?  iTnrct 
P<  fj.<pa.  fx&.Xa  Tf>u}-)((h(^t ,  TÒ  h  (j-iya.  xHTai  atS'Xov . 
H''  Tp«'7rof ,  ))ì  yuvjj,  àv5pb$  xaTaTtèvfiwro? 

Cioè: 

«  E  come  quando  intorno  alle  mete,  i  cavilli  d'una-unghia-so- 

la ,  giuocatori 
«  Molto  velocemente  corrono ,  e  grande  è  proposto  il  premio , 
«  O  treppiè,  o  donna  del  morto  marito;  Cosi  ec. 
Ma  Virgilio  ,  che  in  queste  minute  descrizioni,  non  seppe,  co- 
me dice  il  Castelvetro,  o  non  volle,  com'io  immagino  piuttosto, 
imitarlo,  nel  12  dell'Eneide  stette  pur  su  l'universale,  dicen- 
do, V.  762: 

«    Qitintfue  orbes  explent  ciirsii ,  totidemque  retexvnt 
«   Huc ,  Ulne  ;  nec  enim  levia  aut  ludicra  peluntur 
«   Proemia  ,  sed  Turni  de  l'ita  et  sanguine  certant .  Gvasx» 
St.  /^7.   Come  paslor  ;  quando  fremendo  intorno  ,  ':c. 


jf)8  LA  GERUSALEMME 

Vede  oscurar  di  mille  nubi  il  giorno. 
Ritrae  la  greggia  dagli  aperti  campi , 
E  sollecito  cerca  alcun  soggiorno, 
Ove  r  ira  del  ciel  securo  scampi  : 
Eì  col  grido  indrizzando  e  con  la  verga 
Le  mandre  innanzi,  agli  ultimi  s'  atterga  : 

XLVIII. 

Così  il  Pagan,  che  già  venir  sentia 
L'irreparabil  turbo  e  la  tempesta  , 
Che  di  fremiti  orrendi  il  ciel  feria , 
D'  arme  ingombrando  e  quella  parte  e  questa  ; 
Le  custodite  genti  innanzi  invia 
Nella  gran  torre,  ed  egli  ultimo  resta; 
Ultimo  parte,  e  sì  cede  al  periglio, 
Ch'  audace  appare  in  provido  consiglio  . 

XLIX. 

Pur  a  fatica  avvien  che  si  ripari 

Dentro  alle  porte  ;  e  le  riserra  appena , 
Che  già  rotte  le  sbarre,  ai  limitari 
Rinaldo  vien ,  ne  quivi  anco  s'  affrena . 
Desio  di  superar  chi  non  ha  pari 
In  opra  d'  arme,  e  giuramento  il  mena  : 
Che  non  oblia,  che  'n  voto  egli  promise 
Di  dai^  morte  a  colui  che  '1  Dano  uccise. 

L. 

E  ben  allor  allor  l' invitta  mano 
Tentato  avri'a  l'inespugnabil  muro: 
Ne  forse  colà  dentro  era  il  Soldano 
Dal  fatai  suo  nemico  assai  securo  : 

Imita  quei  versi  di  Omero,  Iliad.  4>  v.  ajS: 

Ep)^OHXfVOV    XXTÒt.   TTOVTOV    ÙttÒ    Ztf)Vf)OlO  lUlVIi  , 

Tùi  U  T  oLvfuS'év  tóvTi  /ufXavnpof  vivrs  Tri'aca , 

*J)XlVtT    ihv  KXTX   TTo'vTOV,    Oiyd  Sì  Ti  KclÌKCLTCX  TTOWViV 

PjVic^'v  Ti  iSdv  ,  uVb  Ti  Cittì i)(  ^KxciuyfXoL. . 
Cioè:   V.  Siccome  talora  dall' alto  d'una  rupe  il  pastore  ic  orge 


LIBERATA    C.  XIX.  uy.) 

Ma  già  suona  a  ritratta  il  Capitano; 
Già  l'orizzonte  d'  ogni  intorno  è  scuro: 
Goffredo  alloggia  nella  Terra,  e  vuole 
Rinnovar  poi  1'  assalto  al  novo  Sole. 

LI. 

Diceva  a* suoi,  lietissimo  in  sembianza: 
Favorito  ha  il  gran  Dio  l' armi  Cristiane  : 
Fatto  è  il  sommo  de' fatti,  e  poco  avanza 
Dell'  opra,  e  nulla  del  timor  rimane. 
La  torre  (  estrema  e  misera  speranza 
Degl'Infedeli)  espugnerem  dimane. 
Pietà  frattanto  a  confortar  v'  inviti 
Con  sollecito  amor  gli  egri  e  i  feriti . 

LII. 

Ite,  e  curate  quei  c'iian  fatto  acquisto 
Di  questa  patria  a  noi  col  sangue  loro . 
Ciò  più  conviensi  ai  cavalier  di  Cristo , 
Che  desio  di  vendetta  o  di  tesoro . 
Troppo,  ahi!  troppo  di  strage  oggi  s'  è  visto  : 
Troppa  in  alcuni  avidità  dell'  oro  . 
Rapir  più  oltra,  e  incrudelire  io  vieto  : 
Or  divulghin  le  trombe  il  mio  divieto. 

LUI. 

Tacque  :  e  poi  se  n'  andò  la  dove  il  Conte 
Riavuto  dal  colpo  anco  ne  geme. 


«  un  nembo  venir  sul  mare  sospinto  dal  soffio  eli  zefiro,  e  cosi  da 
«  lungi  avanzando,  lungo  il  mare  gli  apparisce  piii  nero  che  pe- 
«  ce,  e  trae  seco  molta  tempesta:  egli  raccapriccia  a  tal  vista,  e 
«  caccia  il  gregge  sotto  una  grotta  ,  ce. 

I  quali  versi  mi  pajono  quasi  incomparabili.  Gent. 

St.   5o.  AJa  fila  suona  a  ritratta  il  Capitano . 
A  raccolta .  Gio.  Villani  al  lib.  7  cap.  68:  AJa  sappiendulo  il  Fa 
fece  suonare  le  trombe  alla  ritratt  1  :  e  anche  altrove  . 
St.  Sa.  Ite,  e  curate  quei  e' han  Jattu  acquisto 
Di  questa  patria  a  noi  col  sangue  loro  . 
Virgilio  neir  1 1  ,  v.  i\  : 

«   Ite,  alt ,  egregias  animas  ,  quoe  sanguine  nohis 
u  Hanc  patriatn  pepercre  suo  ,  decorate  supremis- 
«  Muneribus . 
G.  LlB.  T-  III.  j4 


20O  LA  GERUSALEMME 

Ne  Soliman  con  meno  ardita  fronte 
A'  suoi  ragiona,  e  '1  duol  nell'  alma  preme: 
Siate,  o  compagni,  di  Fortuna  all'  onte 
Invitti,  insin  che  verde  è  fior  di  speme; 
Gilè  sotto  alta  apparenza  di  fallace 
Spavento,  oggi  men  grave  il  danno  giace. 

LIV. 

Prese  i  nemici  han  sol  le  mura  e  i  tetti, 
E  '1  volgo  umi'l,  non  la  cittade  han  presa; 
Che  nel  capo  del  Re,  ne'  vostri  petti , 
Nelle  man  vostre  è  la  città  compresa. 
Veggio  il  Re  salvo ,  e  salvi  i  suoi  più  eletti; 
Veggio  che  ne  circonda  alta  difesa . 
Vano  trofeo  d' abbandonata  terra 
Abbiansi  i  Franchi  ;  alfin  perdan  la  guerra . 

LV. 

E  certo  io  son  che  perderanla  al  fine  ; 
Che ,  nella  sorte  prospera  insolenti , 
Fian  vólti  agli  omicidj  ,  alle  rapine, 
Ed  agi  ingiuriosi  abbracciamenti  . 
E  saran  di  leggier  tra  le  mine , 
Tra  gli  stupri  e  le  prede  oppressi  e  spenti, 
Se  in  tanta  tracotanza  omai  sorgiunge 
L'  oste  d'  Egitto  ;  e  non  puote  esser  lunge . 


St.   53.  I ni' itti  ,  insin  che  verde  h  fior  di  speme. 
Fin  che  ci  è  punto,  o  nulla  di  speranza.  Fiore  vai  punto,  o 
alcuna  cosa ,  come  osservò  prima  cU  lutti  il  Bembo,  ed  altri  dopo 
lui .  Il  luogo  è  imitato  da  Dante  nel  3  del  Purgat. 
«    Mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde. 
Tuttavia  si  potrebbe  anco  dire,  che  la  voce  fiore  non  è  posta  a 
questo  modo  j  anzi  sta  pure  nella  sua  più  comune  signifu  azione 
(  che  che  si  dica  l' Infarinato,  alla  cui  ragione  da  noi  altrove  è 
stato  risposto  )  ed  esporrassi  così:   Insin.  che  verde  è  fior  di  spe- 
me; cioè  fin  eh' è  verde  e  vivo  il  fiore  della  .speranza  .  Il  luogo  di 
Dante  è  ben  anche  Ietto  da  altri  in  altro  modo,  cioè  cosi: 

"   Mentre  die  hi  speranza  è  fuor  del  l'erde  . 
Ma  il  considerare  qual  lettura  sia  migliore,  non  la  ora  luogo.  Go. 
St.  55.  Se  in  tanta  tracotanza  omai  sorgiunge  . 
Tracotanza  vuol  dire  presunzione  temeraria;  in  tal  significato 


LIBERATA    C.  XIX.  v.o 

LVI.  ' 

Inlanlo  noi  signore^iar  co'  sassi 
Potrem  della  città  gli  alti  edifìci  ; 
Ed  ogni  calle  ,  onde  al  Sepolcro  \  assi  ; 
Torran  le  nostre  macchine  ai  nemici . 
Così ,  vigor  porgendo  ai  cor  già  lassi , 
La  speme  rinnovò  negl'infelici. 
Or,  mentre  qui  tai  cose  eran  passate, 
Errò  Vafrin  tra  mille  schiere  armate . 

LVII. 

All'esercito  avverso  eletto  in  spia, 
Già  declinando  il  Sol,  partì  Vafrino: 
E  corse  oscura  e  solitaria  via 
Notturno  e  sconosciuto  peregrino . 
Ascalona  passò ,  che  non  usci'a 
Dal  balcon  d'Oriente  anco  il  mattino; 
Poi,  quando  è  nel  meriggio  il  solar  l;impo  , 
A  vista  fu  del  poderoso  campo . 

LVIII. 

Vide  tende  infinite ,  e  ventilanti 

Stendardi  in  cima  azzurri  e  persi  e  gialli  j 
E  tante  udì  lingue  discordi ,  e  tanti 
Timpani  e  corni  e  barbari  metalli, 
E  voci  di  cammelli  e  d'  elefanti , 
Tra  '1  nitrir  de'  magnanimi  cavalli, 
Che  fra  sé  disse:  qui  V  Affrica  tutta 
Traslata  viene,  e  qui  1'  Asia  è  condutta, 

LIX. 

Mira  egli  alquanto  pria  come  sia  forte 

Del  campo  il  sito,  e  qual  vallo  il  circonde: 
Poscia  non  tenta  vie  furtive  e  torte , 
Né  dal  frequente  popolo  s'asconde^ 


l'usò  Dante  al  canto  8  dell'Inferno: 

«    Questa  lor  tracotanza  non  m  è  nova . 
E  al  canto  9  dell'Inferno: 

u    Onde 'està  tracotanza  in  voi  s' alletta  ?  Mart. 


20Ì  LA  GERUSALEMME 

Ma  per  dritto  sentier  tra  regie  porte 
Trapassa  ,  ed  or  dimanda  ed  or  risponde  . 
A  dimande,  a  risposte  astute  e  pronte 
Accoppia  baldanzosa  ,  audace  fronte . 

LX, 

Di  qua ,  di  là  sollecito  s'  aggira 

Per  le  vie^  per  le  piazze  e  per  le  tende: 
I  guerrier,  i  destrier  1'  arme  rimira 
L'  arti  e  gli  ordini  osserva ,  e  i  nomi  apprende. 
Nò  di  ciò  pago,  a  maggior  cose  aspira  : 
Spia  gii  occulti  disegni ,  e  parte  intende . 
Tanto  s'  avvolge,  e  così  destro  e  piano, 
Ch'  adito  s'  apre  al  padiglion  soprano . 

LXI. 

Vede,  mirando  qui,  sdrucita  tela, 

Ond'ha  varco  la  voce,  onde  si  scerne. 
Che  là  proprio  risponde  ove  son  de  la 
Stanza  regal  le  ritirate  interne; 
SI  che  i  secreti  del  Signor  mal  cela 
Ad  uom  che  ascolti  dalle  parti  esterne . 
Vafrin  vi  guata ,  e  par  eh'  ad  altro  intenda  , 
Come  sia  cura  sua  conciar  la  tenda . 

LXIF. 

Stavasi  il  Capitan  la  testa  ignudo , 

Le  membra  armnto ,  e  con  purpureo  ammanto 
Lunge  duo  paggi  avean  1'  elmo  e  lo  scudo  : 
Preme  egli  un'  asta ,  e  vi  s'  appoggia  alquanto. 
Guardava  un  uom  di  torvo  aspetto  e  crudo , 
Membruto  ed  alto ,  il  qual  gli  era  da  canto  . 
Vafrino  è  attento ,  e  di  Goffredo  a  nome 
Parlar  sentendo ,  alza  gli  orecchi  al  nome . 


St.  Gì.    Ond'ha  varco  la  voce ,  onde  si  scerne. 
Dal  qual  luogo  aveva  adito ,  e  l' udire  e  ì  vedere . 


—  Che  là 


Che  ,  cioè  perchè . 


proprio . 


LIBERATA    C.  XIX.  3o3 

LXIII. 

Parla  il  Duce  a  colui:  dunque  sicuro 
Sei  così  tu  di  dar  morte  a  Goffredo  ? 
Risponde  quegli:  io  sonne,  e  'n  corte  giuro 
Non  tornar  mai ,  se  vincitor  non  riedo  : 
Preverrò  ben  color  che  meco'furo 
Al  congiurare;  e  premio  altro  non  cinedo _, 
Se  non  eh'  io  possa  un  bel  trofeo  dell'  armi 
Drizzar  nel  Cairo,  e  sottopor  tai  carmi: 

LXIV. 

Queste  arme  in  guerra  al  Capitan  Francese 
Distruggitor  dell'Asia,  Ormondo  trasse. 
Quando  gii  trasse  1'  alma  ;  e  le  sospese , 
Perchè  memoria  ad  ogni  età  ne  passe  . 
Non  fia  (1'  altro  dicea  )  che  '1  Re  cortese 
L'  opera  grande  inonorata  lasse  : 
Ben  ei  darà  ciò  che  per  te  si  chiede; 
Ma  con  giùnta  1'  avrai  d' alta  mercede  . 

LXV. 

Or  apparecchia  pur  l' armi  mentite  ; 

Che  '1  giorno  omai  della  battaglia  è  presso. 


St.  6^.   Queste  arme  in  guerra  al  Capitan  Francese  ec. 
Par  che  volesse  imitar  quel  luogo  d' Omero  cosi  tradotto  da  Ci- 
cerone lib.  2  ,  de  Gloria  : 

«  Hic  situs  est  aliquis  jampridem  lumina  linquens  , 
«    Qui  quondam  Hectoreo  percuisus  concidit  ense . 
«  Fabitur  hoec  aliquis:  mea  semper  gloria  vii-et  . 
Le  quali  parole  sono  proferite  da  Ettore  con  pari  vanagloria, 
che  da  questo  Ormondo  le  sue  .  Gent. 

Imitazione  d'Omero,  appo  il  quale  Ettore  nel  7  dell'Iliade, 
Trincendo  nel  duello,  non  vuole  altro  premio  del  vinto,  che  1'  ar- 
mi per  appenderle  a  sua  gloria  nel  tempio  d' Apolline.  Ma  Dolo- 
ne  nel  io  offertosi  per  ispia   a'Trojani  dimanda  cose  di  più  ,  e 
vuole  da  Ettore  ed  armi,  e  cocchio,  e  cavalli;  e  le  vuole  col  giu- 
ramento innanzi;  ed  Ettore  da  buon  Capitano,  senza  pensar  se  le 
potrà  avere  od  altro  ,  gliele  promette  incontinente.  E  anco  da  ve- 
dere per  comparazione  l'offerta  di  Niso  in  Virgilio  nel  9. dell' En. 
—  Bdn  ei  darà  ciò  che  per  te  si  chiede  ; 
Ma  con  giunta  l'  avrai  d'  alta  mercede. 
Ben  poteva  costui  dir  cosi,  perchè  Ormondo  o  volea  ritornar 
vincitore  ,  o  non  tornar  mai  più  . 


?.o4  LA  GERUSALEMME 

Son ,  rispose ,  già  preste .  E  qui ,  fornite 

Queste  parole,  e  il  Duce  tacque  ed  esso  . 

Restò  Vafrino  alle  gran  cose  udite 

Sospeso  e  dubbio  ;  e  rivolgea  in  se  stesso 

Quali  arti  di  congiura,  e  quali  sieno 

Le  mentite  arnie ,  e  noi  comprese  appieno . 

LXVI. 

Indi  partissi;  e  quella  notte  intera 

Desto  passò  ;  eh'  occhio  serrar  non  volse. 
Ma  quando  poi  di  novo  ogni  bandiera 
All'  aure  mattutine  il  Campo  sciolse, 
Anch' ei  marciò  con  1'  altra  gente  in  schiera; 
Fermossi  anch'  egli  ov'  ella  albergo  tolse  ; 
E  pur  anco  tornò  di  tenda  in  tenda  , 
Per  udir  cosa  ,  onde  il  ver  meglio  intenda . 

LXVII. 

Cercando ,  trova  in  sede  alta  e  pomposa 
Fra  cavalieri  Armida  e  fra  donzelle , 
Che  stassi  in  sé  romita;  e  sospirosa 
Fra  se  co'  suoi  pensier  par  che  favelle . 
Sulla  candida  man  la  guancia  posa , 
E  china  a  terra  1'  amorose  stelle . 
Non  sa  se  pianga  o  no  :  ben  può  vederle 
Umidi  gli  occhi  e  gravidi  di  perle  . 

LXVIII. 

Vedele  incontra  il  fero  Adrasto  assiso, 

Che  par  eh'  occhio  non  batta  e  che  non  spiri: 

Tanto  da  lei  pendea ,  tanto  in  lei  fiso 

Pasceva  i  suoi  famelici  desiri . 

Ma  Tisaferno  or  l'uno,  or  1'  altra  in  viso 

Guardando ,  or  vien  che  brami ,  or  che  s'  adiri; 

E  segna  il  mobil  volto  or  di  colore 

Di  rabbioso  disdegno ,  ed  or  d' amore  . 


St.  67.    Fra  ve  co'  suoi  pensier  par  che  favelle  re. 
Diatiposi  che  ha  evidenza  raarayiiiliosa. 


LIBERATA   C.  XIX.  20J 

LXIX. 

Scorge  poscia  Altamor,  che  'n  cerchio  accolto 
Fra  le  donzelle  alquanto  era  in  disparte: 
Non  lascia  il  desir  vago  a  freno  sciolto. 
Ma  gira  gli  occhi  cupidi  con  arte. 
Volge  un  guardo  alla  mano,  uno  al  bel  volto 
Talora  insidia  più  guardata  parte; 
E  là  s'interna,  ove  mal  cauto  apri'a 
Fra  due  mamme  un  bel  vel  secreta  via . 

LXX. 

Alza  al  fin  gli  occhi  Armida,  e  pur  alquanto 
La  bella  fronte  sua  torna  serena  ; 
E  repente  fra  i  nuvoli  del  pianto 
Un  soave  sorriso  apre  e  balena . 
Signor,  dicea,  membrando  il  vostro  vanto, 
L'  anima  mia  puote  scemar  la  pena; 
Che  d'esser  vendicata  in  breve  aspetta: 
E  dolce  è  V  ira  in  aspettar  vendetta . 

LXXI. 

Risponde  F  Indian  :  la  fronte  mesta 

Deh ,  per  Dio,  rasserena,  e  '1  duolo  alleggia^ 
Ch'  assai  tosto  avverrà  che  1'  empia  testa 
Di  quel  Rinaldo  a' pie  tronca  ti  veggia: 
O  menerolti  prigionier  con  questa 
Ultrice  mano,  ove  prigion  tu  '1  chieggia. 
Così  promisi  in  voto .  Or  1'  altro  eh'  ode. 
Motto  non  fa  ;  ma  tra  suo  cor  si  rode . 

LXXII. 

Volgendo  in  Tisaferno  il  dolce  sguardo  : 
Tu,  che  dici,  signor?  colei  soggiunge. 
Risponde  egli  infingendo:  io,  che  son  tardo, 
Seguiterò  il  valor  così  da  lunge 
Di  questo  tuo  teiTÌbile  e  gagliardo  : 
K  con  tai  detti  amaramente  il  punge. 
Ripiglia  lindo  allor  :  ben  è  ragione, 
Che  lunge  segua,  e  tema  il  paragone.. 


2o6  L.\  GEEIUSALEMME 

LXXIII. 

Crollando  Tisaferno  il  capo  altero , 

Disse:  oh  foss'  io  signor  del  mio  talento! 
Libero  avessi  in  questa  spada  impero  ! 
Che  tosto  e'  si  parn'a  chi  sia  più  lento . 
Non  temo  io  te,  né  tuoi  gran  vanti,  o  feroj 
Ma  il  cielo ,  e  '1  mio  nemico  Amor  pavento  ^ 
Tacque;  e  sorgeva  Adrasto  a  far  disfida; 
Ma  lo  prevenne,  e  s'interpose  Armida. 

LXXIV. 

Diss'  ella  :  o  cavalier,  perchè  quel  dono  , 
Donatomi  più  volte,  anco  togliete? 
Miei  campion  sete  voi  :  pur  esser  buono 
Dovri'a  tal  nome  a  por  tra  voi  quiete. 
Meco  s'  adira  chi  s'  adira  :  io  sono 
Neil'  otfese  1'  offesa  ;  e  voi  '1  sapete . 
Così  lor  parla;  e  così  avvien  che  accordi 
Sotto  giogo  di  ferro  alme  discordi. 

LXXV. 

E  presente  Vafrino,  e  1  tutto  ascolta; 
E,  sottrattone  il  vero,  indi  si  toglie. 
Spia  dell'  alta  congiura ,  e  lei  ravvolta 
Trova  in  silenzio ,  e  nulla  ne  raccoglie. 
Chiedene  improntamente  anco  talvolta; 
E  la  difficoltà  cresce  le  voglie  . 


St.  •]3.  Crollando  Tisaferno  il  capo  altero , 

Disse:  oh  foss' io  signor  del  mio  talento  ! 
Virgilio  nel  12  dell'Eneide,  v.  Sg^: 

«   Illc  caput  qiiassans  :  non  me  tua  fervida  terrenf 
«   Dieta  ,ferox;  Dii  me  terreni ,  et  Juppiter  hostis , 

St.   Jj^ e  Cos'i  ai,<vien  eh' accordi 

Sotto  gio^o  di  ferro,  alme  discordi. 
Sotto  grave  e  temuto  imperio.'  Orazio  1.  i,  od.  33: 
«  Sic  tiisiim  Veneri,  cui  placet  impares 
«  Form.as ,  atque  aniinos  sub  juga  ahtnaa 
u  Soei'o  mittere  cum  joco ,  Guast. 

E  lo  stesso  : 

«  Diductosque  jiigo  cogit  aheneo  .  ^ì&\. 


LIBERATA    C.  XIX.  :to7 

O  qui  lasciar  la  vita  egli  è  disposto , 
O  riportarne  il  gran  secreto  ascosto. 

LXXVI. 

Mille  e  più  vie  cV  accorgimento  ignote, 
Mille  e  piiì  pensa  inusitate  frodi; 
E  pur  con  tutto  ciò  non  gli  son  note 
Dell'  occulta  congiura  o  1'  arme  o  i  modi . 
Fortuna  alfin  (  quel_,  eh'  ei  per  se  non  puote  ) 
Isviluppò  d'ogni  suo  dubbio  i  nodi; 
Sì  eh'  ei  distinto  e  manifesto  intese , 
Come  l'insidie  al  pio  Buglion  sian  tese. 

LXXVII. 

Era  tornato  ov'  è  pur  anco  assisa 

Fra'  suoi  campioni  la  nemica  amante  ; 
Ch'  ivi  opportun  l' investigarne  avvisa , 
Ove  genti  traean  sì  varie  e  tante . 
Or  qui  s'  accosta  a  una  donzella  in  guisa , 
Che  par  che  v'  abbia  conoscenza  avante  : 
Par  v'  abbia  d'  amistade  antica  usanza; 
E  ragiona  in  affabile  sembianza . 

LXXVIII. 

Egli  dìcea*^,  quasi  per  gioco:  anch'io 
Vorrei  d'  alcuna  bella  esser  campione; 
E  troncar  penserei  col  ferro  mio 
Il  capo  o  di  Rinaldo  o  del  Buglione . 
Chiedila  pure  a  me,  se  n'hai  desio _, 
La  testa  d'  alcun  barbaro  barone . 
Così  comincia ,  e  pensa  a  poco  a  poco 
A  più  grave  parlar  ridurre  il  gioco  . 

LXXIX. 

Ma  in  questo  dir  sorrise,  e  fé'  rìdendo 
Un  cotal  atto  suo  nativo  usato . 


St.  79.  Ma  in  questo  dir  sorrìse ,  e  fé'  rìdendo 
Un  cotal  atto  suo  nativo  usato  . 

^ieouoscimento,  il  quale  ei  riduce  sUla  prima  sorte  de'ricon^- 


loS  LA  GERUSALEMME 

Una  dell'  altre  allor  qui  sorgiungeiKlo  , 

L'  udì,  gnardollo,  e  poi  gii  venne  al  lato . 

Disse;  involarti  a  ciascun' altra  intendo; 

Ne  ti  dorrai  d'  amor  male  impiegato  . 

In  mio  campion  t'eleggo;  ed  in  disparte, 

Come  a  mio  cavalier,  vuo'  ragionarle. 

LXXX. 

Ritirollo ,  e  parlò  :  riconosciuto 

Ho  te,  Vafrin;  tu  me  conoscer  dei. 

Nel  cor  turbossi  lo  scudiero  astuto; 

Pur  si  rivolse,  sorridendo,  a  lei: 

Non  t' ho  (  che  mi  sovvenga  )  unqua  veduto  ; 

E  degna  pur  d'  esser  mirata  sei . 

Questo  so  ben,  ch'assai  vario  da  quello 

Che  tu  dicesti,  è  il  nome ,  ond'io  m'  appello. 

LXXXI. 

Me  sulla  piaggia  di  Biserta  aprica 

Lesbin  produsse ,  e  mi  nomò  Almanzorre . 
Tosco  (disse  ella),  ho  conoscenza  antica 
D' ogn'  esser  tuo  ;  né  già  mi  voglio  apporre . 
Non  ti  celar  da  me,  eh'  io  sono  amica, 
Ed  in  tuo  prò  vorrei  la  vita  esporre . 
Erminia  son,  già  di  re  figlia,  e  serva 
Poi  di  Tancredi  un  tempo  ,  e  tua  conserva  . 


scimenti;  cioè  di  quelli  che  si  fanno  per  via  di  segni  ;  non  essen- 
do nien  segno  per  riconoscere  alcuno  certi  atti  e  gesti  naturali  e 
ordinar]  delie  persone,  che  cicatrici,  nei,  e  somiglianti.  Questo 
tolto  dal  riso,  è  preso  dal  Boccaccio,  nel  riconoscimento  che  di  M. 
Torello  da  Pavia  fece  pure  in  questo  modo  il  Saladino  . 

St.  8i e  tua  conserva. 

Serva  in  tua  compagnia.  Petrarca  nel  trionfo  d'Amore: 
«  /  miei  in/elici  e  miseri  conservi 
St.   8a.   Pietoso  fjrigionier  tn  avesti  in  guarda  . 
Guarda  per  guardia,  come  anche  di  sopra  :  cosi  Dante,  invili- 
rà per  ingiuria  nel  ^  del  Parad.  e  infama  per  in/ amia  disse  Guit 
ton  d'Arezzo.  E  si  potrebbe  per  avventura  ridurre  a  quella  spe- 
<:ie  di  nomi  ch'Aristotile  chiama  accoreiati . 


LIBERATA    C.  XIX.  -ìoc, 

LXXXII. 

Nella  dolce'prigion  due  lieti  mesi, 

Pietoso  prigionier  m'avesti  in  guarda, 
E  mi  servisti  in  bei  modi  cortesi . 
Ben  dessa  i'  son,  ben  dessa  i'son;  riguarda. 
Lo  scudier,  come  pria  v'  ha  gli  occhi  intesi, 
La  bella  faccia  a  ravvisar  non  tarda  : 
Vivi  (ella  soggiungea)  da  me  securo  : 
Per  questo  Ciel ,  per  questo  Sol  tei  giuro . 

LXXXIII. 

Anzi  pregar  ti  vuo'  che  quando  torni 
Mi  riconduca  alla  prigion  mia  cara  : 
Torbide  notti  e  tenebrosi  giorni 
Misera  vivo  in  liberlade  amara. 
E  se  qui  per  ispia  forse  soggiorni. 
Ti  si  fa  incontro  alta  fortuna  e  rara . 
Saprai  da  me  congiure,  e  ciò  che  altrove 
Malagevol  sarà  che  tu  ritrove . 

LXXXTV. 

Così  gli  parla  ;  e  intanto  ei  mira  e  tace  : 
Pensa  all'esempio  della  falsa  Armida. 
Femmina  è  cosa  garrula  e  fallace: 
Vuole  e  disvuole j  è  folle  uom  che  sen  fida. 


St.  82.  Ben  dessa  i' son  ,  ben  dessa  i' son;  riguarda. 
Dante,  Purg.  3o: 

«    Guardami  ben ,hen  son,  ben  son  Beatrice.  Gewt. 

St.  84.  Femina  è  cosa  garrula  ejallace: 
Vuole  e  disvuole. 
Virgilio  :  Gbast. 

« varium  et  mutabile  semper 

«  Etìemina, 
Racchiude  quasi  tuUo  l'ingegno  della  femmina  sotto  poche  pa- 
role si,  che  nessun  altro  meglio.  E  prima  gli  attribuisce  1'  esser 
garrula  meritamente.  Onde  appresso  i  Latini  s'usa  di  dire  mi/ - 
lier  in  vece  di  loejuace  e  ciarliera.  Plauto  nella  Casina: 

«   Imipìens  semper  tu  hu'c  verbo  vitato  abs  tuo  viro  . 
«    CL.  Cui  verbo."  Mr.  l  foras ,  mulier  ex. 
Dipoi  r  essere  fallace  .  Ciò  che  dicono  avvenire  dal  sospetto 
che  di  ogni  cosa  hanno .  £  finalmente  l'esser  mutabile,  ciò  che 


2  18  LA  GERUSALEMME 

Sì  tra  sé  volge  :  or ,  se  venir  ti  piace  , 
(  Alfin  le  disse  )  io  ne  sarò  tua  guida . 
Sia  fermalo  Ira  noi  questo  e  conchiuso  : 
Serbisi  il  parlar  d'  altro  a  miglior  uso. 

LXXXV. 

Gli  ordini  danno  di  salire  in  sella 

Anzi  il  mover  del  Campo  allora  allora . 
Parte  Vafrin  del  padiglione  ;  ed  ella 
Si  torna  all'  altre,  e  alquanto  ivi  dimora. 
Di  scherzar  fa  sembiante,  e  pur  favella 
Del  campion  novo ,  e  se  ne  vien  poi  fuora  . 
Viene  al  loco  prescritto,  e  s'accompagna  ; 
Ed  escon  poi  del  Campo  alla  campagna . 

LXXXVI. 

Già  eran  giunti  in  parte  assai  romita, 
E  già  sparian  le  Saracine  tende ,    . 
Quando  ei  le  disse  :  or  di'  come  alla  vita 
Del  pio  Goffredo  altri  V  insidie  tende. 
Ali  or  colei  della  congiura  ordita 
L' iniqua  tela  a  lui  dispiega  e  stende , 
Son  (gli  divisa)  otto  guerrier  di  corte  , 
Tra'  quali  il  più  famoso  è  Ormondo  il  forte  . 

LXXXVII. 

Questi  (  che  che  lor  mova,  odio  o  disdegno  ) 
Han  cospirato;  e  1  arte  lor  fia  tale: 
Quel  dì  che  'n  hte  verrà  d'  Asia  il  regno , 
Tra  duo  gran  Campi  in  gran  pugna  campale  . 

clicliìara  con  dire  Vuole  e  disvuole ,  siccome  fece  Terenzio  nel- 
y  Eunuco: 

«  Novi  ego  ingenium  mulierum , 

«   Nolunt ,  ubi  velis  :  ubi  nolis  ,  cu-piant  ultra. 
E  Catullo,  il  quale  gli  dà  il  titolo  di  Multinola.  Gekt. 

Properzio  : 

«  Nulla  diujacmina  pondua  habet . 
Il  Petrarca  : 

«   Fcmina  cosa  rnohil  per  natura  . 
Il  Sanazzaro  all'Egloga  8i  ; 

ti   I\ vii' onda  solca,  e  n.<:ll' arena  semina. 


LIBERATA    C.  XIX.  2m 

Avran  sull'  arme  della  Croce  il  segno , 
E  r  arme  avranno  alla  Francesa  ;  e  quale 
La  guardia  di  GoflVedo  ha  bianco  e  d'oro 
Il  suo  vestir  ,  sarà  V  abito  loro  . 

LXXXVIII. 

Ma  ciascun  terrà  cosa  in  sull'  elmetto , 

Che  noto  a'  suoi  per  uom  Pagano  il  faccia  : 

Quando  fia  poi  rimescolato  e  stretto 

L'  un  campo  e  1'  altro ,  elli  porransi  in  traccia 

E  insidieranno  al  valoroso  petto, 

Mostrando  di  custodi  amica  faccia  ; 

E  1  ferro  armato  di  veleno  avranno , 

Perchè  mortai  sia  d'  ogni  piaga  il  danno  . 

LXXXIX. 

E,  perchè  fra' Pagani  anco  risassi, 

Ch'  io  so  vcslr'  usi,  ed  arme  e  sopravveste; 
Fér  che  le  false  insegne  io  divisassi; 
E  fui  costretta  ad  opere  moleste . 
Queste  son  le  Cf^gion  che  '1  Campo  io  lassi: 
Fuggo  r  imperiose  altrui  richieste. 
Schivo  ed  abborro  in  qual  si  voglia  modo 
Contaminarmi  in  atto  alcun  di  frodo  . 
xc. 

Queste  son  le  cagion  ;  ma  non  già  sole . 
E  qui  si  tacque ;,  e  di  rossor  si  tinse, 
E  chinò  gli  occhi,  e  1'  ultime  parole 
Ritener  volle ,  e  non  ben  le  distinse. 
Lo  scudier,  che  da  lei  ritrar  pur  vuole 
Ciò  ch'ella  vergognando  in  sé  ristrinse  : 
Di  poca  fede,  disse,  or  perchè  cele 
La  più  vere  cagioni  al  tuo  fedele? 


o  E  il  vago  vento  fpera  in  rete  accogliere , 
«    Chi  fonda  sua  speranza  in  cor  di  f  emina. 
Il  nostro  Poeta  all'atto  primo  alla  scena  a  dell' Àminta  suo, 
l'Ariosto  al  canto  i%.  Marx. 


213  LA  GERUSALEMME 

xci. 
Ella  dal  petto  un  gran  sospiro  apriva, 
E  parlava  con  suon  tremante  e  roco  : 
Mal  guardata  vergogna  intempestiva, 
Vattene  ornai  :  non  hai  tu  qui  più  loco . 
A  che  pur  tenti ,  o  in  van  ritrosa  e  schiva , 
Celar  col  fuoco  tuo  d' amore  il  foco  ? 
Debiti  fur  questi  rispetti  avante  , 
Non  or,  che  fatta  son  donzella  errante. 

XCII. 

Soggiunge  poi  :  la  notte  a  me  fatale , 

Ed  alla  patria  mia  che  giacque  oppressa , 
Perdei  più  che  non  parve  :  e  '1  mio  gran  male 
Non  ebbi  in  lei,  ma  derivò  da  essa. 
Leve  perdita  è  il  regno  :  io  col  regale 
Mio  alto  stato  anco  perdei  me  stessa  : 
Per  mai  non  ricovrarla,  allor  perdei 
La  mente  folle  e  1  core  e  i  sensi  miei . 
xeni. 

Vafrin ,  tu  sai  che  timidetta  accorsi , 
Tanta  strage  vedendo  e  tante  prede. 
Al  tuo  signore  e  mio ,  che  prima  io  scórsi 
Armato  por  nella  mia  reggia  il  piede; 
E  chinandomi  a  lui  tai  voci  porsi  : 
Invitto  vincitor,  pietà,  mercede  ; 
Non  prego  io  te  per  la  mia  vita  ;  il  fiore 
Salvami  sol  del  virginale  onore. 


St.  g^.   Mal  guardata  vergogna  intempestiva  ec. 
Il  medesimo  fa  Apollonio  Rodio,  che  Medea  dica  a  se  stessa, 
Argonaut.  3: 

K'rp/rf.)  ottico';.   FVo?  "^'0  dy\t{iì  . 
«    Vale ,  pudor  ;  vale  ,  pulchritudo  . 

Il  quale  luogo  imitò  forse  il  nostro  Poeta:  corno  eziandio  nel 
contrasto  che  fanno  onore  ed  amore  nel  cuore  di  Erminia,  imitò 
il  contrasto  deU'amore  e  della  vergogna,  che  Apollonio  finge  in 
Medea .  Ciò  che  mi  scordai  d'annotare  nel  sesto  canto  :  ma  non  i- 
fjui  meno  a  proposito.  Gent 


LIBERATA    C.  XIX.  5.1 3 

xciv. 
Egli  la  sua  porgendo  alla  mia  mano. 
Non  aspettò  che'l  mio  pregar  fornisse: 
Vergine  bella ,  non  ricorri  in  vano  : 
Io  ne  sarò  tuo  difensor,  mi  disse. 
Allora  un  non  so  che  soave  e  piano 
Sentii ,  eh'  al  cor  mi  scese  e  vi  si  affisse. 
Che  serpendomi  poi  per  1'  alma  vaga, 
.  Non  so  come,  divenne  incendio  e  piaga  . 

xcv. 
Visitommi  egli  spesso ,  e  'n  dolce  suono 
Consolando  il  mio  duol,  meco  si  dolse  j 
Dicea  :  l' intera  libertà  ti  dono  ; 
E  delle  spoglie  mie  spoglia  non  volse . 
Ohimè  !  che  l'u  rapina  e  parve  dono; 
Che,  rendendomi  a  me,  da  me  mi  tolse. 
Quel  mi  rendè  eh'  è  via  men  caro  e  degno; 
Ma  s'  usurpò  del  core  a  forza  il  regno . 
xcvi. 
Male  amor  si  nasconde  .  A  te  sovente 
Desiosa  i'  chiedea  del  mio  signore . 
Veggendo  i  segni  tu  d'  inferma  mente: 
Erminia,  mi  dicesti,  ardi  d'  amore. 


St.  94-  Egli  la  sua  porgendo  alla  mia  mano  ec. 
Dante  nel  canto  3  dell'Inferno: 

«   E  poiché  la  sua  mano  alla  mia  pose^  Mart. 

—    Vergine  bella  ,  non  ricorri  in  vano 
Questo  verso  fu  anche  usato  di  sopra  nel  canto  4  come  alcuni 
altri  due  fiate;  e  quello  in  prova  forse  pili, 

«  Gildippe  ed  Odoardo ,  amanti  e  sposi. 
Ma  siccome  quest'usanza  parcamente  usata  si  può  concedere 
senza  sazietà,  secondo  che  veggiamo  avvenire  in  Virgilio;  così 
farlo  tanto  spesso,  cosi  da  vicino,  e  nelle  belle  diecine  di  versi , 
come  si  vede  in  Omero,  non  so  veramente  come  non  apporti  fa- 
stidio grandissimo  . 

St.  y6.  Erminia  ,  m-i  dicen  ,  ardi  d' amore  . 
Alcuni  testi    hanno,  ami  d'amore.  Ma  l'ultimo  verso  della 
stanza  : 

«   Manifestava  il  fuoco,  onde  tutta  ardo: 
e  alcune  altre  eonsiderazioni  ancora  danno  pure    ad   intendere' 


•21 4  LA  GERUSALEMME 

Io  lei  negai;  ma  un  mio  sospiro  ardente 
Fu  più  verace  testimon  del  core: 
E  'n  vece  forse  della  lingua,  il  guardo 
Manifestava  il  foco ,  onde  lutt'  ardo . 
xcvii. 
Sfortunato  silenzio!  Avessi  io  almeno 
Chiesta  allor  medicina  al  gran  martire, 
S'  esser  poscia  dovea  lentato  il  freno , 
Quando  non  gioverebbe,  al  mio  desire . 
Partiimi  in  somma,  e  le  mie  piaghe  in  seno 
Portai  celate ,  e  ne  credei  morire  : 
Alfin,  cercando  al  viver  mio  soccorso. 
Mi  sciolse  amor  d'  ogni  rispetto  il  morso  : 

XCVIII. 

Sì  eh'  a  trovarne  il  mio  signor  io  mossi , 
Ch'  egra  mi  fece ,  e  mi  potea  far  sana . 
Ma  tra  via  fero  intoppo  attraversossi 
Di  gente  inclementissima  e  villana . 
Poco  mancò  che  preda  lor  non  fossi  : 
Pur  in  parte  fuggimi  erma  e  lontana  ; 
E  colà  vissi  in  solitaria  cella 
Cittadina  di  boschi,  e  pastorella. 

che  ardi  sabbia  a  leggere.  TuUavolta  non  si  è  per  avventura  da 
mancar  di  notare  in  questa  occasiose,  che  amar  d' amore ,  è  fra- 
se antica,  e  buona  nella  nostra  lingua;  e  significa  per  mio  avvi- 
so come  anche  amar  per  amore,  amar  con  desiderio  di  «oderc 
sensualmente,  e  d'altra  maniera  che  in  astratto  ,  o  alla  Platoni- 
ca; come  dicono  nel  Cento  antico  alla  nov.  97:  Un  giovine  di  Fi- 
renze amava  d' am-ore  una  gentil  pulzella:  E  alla  57:  Qui  conta 
come  Carlo  d'Angiò  amò  per  amore  :  e  appresso  :  Carlo  nobile  Re 
di  Cicilia,  quando  era  cónte  d'  Angiò  si  amoe  per  amore  la  bella 
contessa  di  Teli.  Il  Boccaccio  in  Re  Carlo:  Mi  è  si  nuovo  e  si 
strano,  che  voi  per  amore  amiate,  che  quasi  un  miracolo  mi 
pare . 

St.  q8.   C  li'  egra  mi  fere,  e  mi  potea  far  sana. 
Secondo  quel  verso  di  Mimo  Publiano: 

«  Amoris  vulnus  idem  qui  sanat ,  facit  ; 
Dove  s'allude  aU'  asta  di  Telefo . 

—   Cittadina  di  boschi  . 
Abitatrice,  come  di  sopra  .  Pet»-arca: 

((    Tal  che  m  ha  fatto  un  riftadin  di  boschi  . 


LIBERATA   C.  XIX.  2)5 

XCIX- 

Bla ,  poiché  quel  desio,  che  fu  rìpresso 
Alcun  dì  per  la  tema,  in  me  risorse, 
Tornarmi  ritentando  al  loco  stesso , 
La  medesma  sciagura  anco  m'  occorse  . 
Fuggir  non  potei  già  ;  eh'  era  ornai  presso 
Predatrice  masnada,  e  troppo  corse. 
Così  fui  presa  :  e  quei  che  mi  rapirò 
Egizj  fur  ,  eh'  a  Gaza  indi  sen  giro  ; 
e. 

E  'n  don  menarmi  al  Capitano,  a  cui 
Diedi  di  me  contezza,  e  '1  persuasi 
Sì ,  eh'  onorata  e  inviolata  fui 
Que'  dì  che  con  Armida  ivi  rimasi. 
Così  venni  più  volte  in  forza  altrui , 
E  men  sottrassi .  Ecco  i  miei  duri  casi. 
Pur  le  prime  catene  anco  riserva 
La  tante  volte  liberata  e  serva.. 

CI. 

Oh!  pur  colui,  che  circondolle  intorno 
All'  alma  sì  che  non  fìa  chi  le  scioglia. 
Non  dica:  errante  ancella,  altro  soggiorno 
Cercati  pure;  e  me  seco  non  vogha; 
Ma  pietoso  gradisca  il  mio  ritorno , 
E  neir  antica  mia  prigion  m'  accoglia . 
Così  diceagli  Erminia  ;  e  insieme  andaro 
La  notte  e  '1  giorno  ragionando  a  paro . 
cu. 

Il  più  usato  sentier  lasciò  Vafrino , 
Calle  cercando  o  più  securo  o  corto . 
Giunsero  in  loco  alla  città  vicino. 
Quando  è  il  Sol  nell'  occaso  ,e  imbruna  V  orto 
E  trovaron  di  sangue  atro  il  cammino; 
E  poi  vider  nel  sangue  un  guerrier  morto ,. 
Che  le  vie  tutte  ingombra  :  e  la  gran  faccia 
Tien  vòlta  al  cielo,  e  morto  an^i^o  minaccia. 
G.  LiB.  T.  ur.  iS 


aie  LA  GERUSALEMME 

CHI. 

L' uso  dell'  arme  e  *1  portamenlo  eslrano 
Pagan  mostrarlo;  e  lo  scudier  trascorse. 
Un  altro  alquanto  ne  giacea  lontano  , 
Che  tosto  agli  occhi  di  Vafrìno  occorse. 
Egli  disse  fra  se  :  questi  è  Cristiano . 
Più  il  mise  poscia  il  vestir  bruno  m  forse . 
Salta  di  sella,  e  gli  discopre  il  viso; 
Ed,  ohimè  !  grida:  è  qui  Tancredi  ucciso-, 
civ. 

A  riguardar  sovra  il  guerrier  feroce 
La  male  avventurosa  era  fermata, 
Quando  dal  suon  della  dolente  voce 
Per  lo  mezzo  del  cor  fu  saettata . 
Al  nome  di  Tancredi  ella  veloce 
Accorse  in  guisa  d' ebra  e  forsennata  : 
Vista  la  faccia  scolorita  e  bella , 
Non  scese  no ,  precipitò  di  sella  , 
cv. 

E  in  lui  versò  d' inessiccabil  vena 
Lagrime ,  e  voce  di  sospiri  mista  : 
In  che  misero  punto  or  qui  mi  mena 
Fortuna?  a  che  veduta  amara  e  trista? 
Dopo  gran  tempo  io  ti  ritrovo  n]>pena, 
Tancredi,  e  li  riveggio,  e  non  son  vista; 
Vista  non  son  da  te  benché  presente  : 
E  trovando  ti  perdo  eternamente . 
evi. 

Misera  !  non  credea  eh'  agli  occhi  miei 
Potessi  in  alcun  tempo  esser  noioso  : 
Or  cieca  farmi  volentier  torrei 
Per  non  vederti;  e  riguardar  non  oso. 
Ohimè  !  de'  lumi  già  sì  dolci  e  bei 
Ov'è  la  fiamma?  ov'è  il  bel  raggio  ascoso? 

St.    io 4.  Non  scese  no,  precipitò  di  sella. 
Mirabile  espressione  della  prestezza  dello  scendere. 


LIBERATA  C.  XIX  -i 

Delle  fiorite  guancia  il  bel  vermiglio 
Ove  fuggito?  ov'è  il  seren  dei  ciglio? 

CVII. 

Ma  che?  squallido  e  scuro  anco  mi  piaci: 
Anima  bella  ,  se  quinci  entro  gire  , 
S' odi  il  mio  pianto ,'  alle  mie  voglie  audaci 
Perdona  il  furto  e  '1  temerario  ardire. 
Dalle  pallide  labbra  i  freddi  baci  ; 
Che  piùi  caldi  sperai,  vuo'pur  rapire: 
Parte  torrò  di  sue  ragioni  a  morte , 
Baciando  queste  labbra  esangui  e  smorte . 

CVIII. 

Pietosa  bocca ,  che  solevi  in  vita 
Consolar  il  mio  duol  di  tue  parole. 
Lecito  sia  eh'  anzi  la  mia  partita 
D'  alcun  tuo  caro  bacio  io  mi  console: 
E  forse  allor  (  s'  era  a  cercarlo  ardila  ) 
Quel  davi  tu  ,  eli'  ora  convien  eh'  invola. 
Lecito  sia  eh'  ora  ti  stringa ,  e  poi 
Versi  lo  spirto  mio  fra  i  labbri  tuoi . 
cix. 

Raccogli  tu  r  anima  mia  seguace  : 
Drizzala  tu  dove  la  tua  sen  gio . 
Così  parla  gemendo,  e  si  disface 
Quasi  per  gli  occhi,  e  par  conversa  in  rio. 


St.    10'^.  Anima  bella  ,  se  (jiiinci  entro  gire  . 

Quicentro  tutto  in  una  paiola  vollero  che  si  leggesse  nel  Boc- 
caccio que'valent' uomini  (lei  7?,  che  le  novelle  corressero,  in 
quella  di  Ghismontla,  laonde  ha  tolto  questo  concetto  il  Poeta 
nostro:  Io  son  certa  che  quella  è  uncora  quicestro ,  e  rii^uiirclii  i 
luu<^tn  de' suoi  e  de' miei  diletti .  Ma  quinrcntro  concedono  pure 
ancora  che  si  possa  dire;  e  che  così  s'abbia  a  leggere  nella  novel- 
la di  Madonna  Lisetta ,  benché  con  alcuna  picciola  diversità  di 
significato,  com'essi  nelle  Annotazioni  fecero  manifesto.  Ma  il 
Tasso  con  molta  considerazione  variò  alcuna  particella,  e  parlò 
pili  riserbalo  che '1  Boccaccio ,  dicendo  questi,  io  son  certa;  e 
quegli,  se.  Avvegnadio  che  a  quel  primo  modo  ha  cotal  della 
per  avventura  troppo  del  Platonico  e  del  Gentile. 


2i8  LA  GERUSALEMME 

Rivenne  quegli  a  quelF  umor  vivace , 
E  le  languide  labbra  alquanto  apri'o  : 
Aprì  le  labbra  ;  e  con  le  luci  chiuse 
Un  suo  sospir  con  que'  di  lei  confuse . 
ex. 
Sente  la  donna  il  cavalier  che  geme; 
E  forza  è  pur  che  si  conforti  alquanto  : 
Apri  gli  occhi ,  Tancredi ,  a  queste  estreme 
Esequie  (grida)  ch'io  ti  fo  col  pianto  : 
Riguarda  me  ,  cbe  vuo'  venirne  insieme 
La  lunga  strada,  e  vuo'  morirti  accanlo: 
Riguarda  ine  :  non  ten  fuggir  sì  presto  : 
L'  ultimo  don  eh'  io  ti  dimando  è  questo . 

CXI. 

Apre  Tancredi  gli  occhi,  e  poi  gli  abbassa 
Torbidi  e  gravi;  ed  ella  pur  si  lagna. 
Dice  Vafrino  a  lei  :  questi  non  passa  : 
Curisi  adunque  prima,  e  poi  si  piagna  . 
Egli  il  disarma  :  ella  tremante  e  lassa 
Porge  la  mano  all'opere  compagna. 
Mira  e  tratta  le  piaghe,  e  di  ferute 
Giudice  esperta,  spera  indi  salute, 
cxii. 

Vede  che  '1  mal  dalla  stanchezza  nasce , 
E  dagli  umori  in  troppa  copia  sparti . 
Ma  non  ha,  fuor  eh'  un  velo,  onde  gli  fasce 
Le  sue  ferite,  in  sì  solinghe  parti. 
Amor  le  trova  inusitate  fasce, 
E  di  pietà  le  insegna  insolite  arti; 
Le  asciugò  con  le  chiome ,  e  rilegoUe 
Pur  con  le  chiome;,  che  troncar  si  volle; 


St.   111.  Dice  Vafrino  a  lei  :  questi  non  passa . 
Non  si  muore.  Di  tal  significato  di  questo  verbo  si  è  detto  di 
sopra . 


LIBERATA    G.  XiX.  219 

CXIII. 

Però  che  '1  velo  suo  bastar  non  puote 
Breve  e  sottile  alle  sì  spesse  piaghe. 
Dittamo  e  croco  non  avea  ;  ma  note 
Per  uso  tal  sape  a  potenti  e  maghe. 
Già  il  mortifero  sonno  ei  da  se  scote  5 
Già  può  le  luci  alzar  mobili  e  vaghe. 
Vede  il  suo  servo ,  e  la  pietosa  donna 
Sopra  si  mira  in  peregrina  gonna, 
cxiv. 

Chiede:  o  Vafì-in,  qui  come  giungi,  e  quando? 
E  tu  chi  sei ,  medica  mia  pietosa  ? 
Ella  fra  lieta  e  dubbia,  sospirando. 
Tinse  il  bel  volto  di  color  di  rosa. 
Saprai ,  rispose ,  il  tutto  :  or  (  tei  comando , 
Come  medica  tua  )  taci ,  e  riposa . 
Salute  avrai  :  prepara  il  guiderdone  : 
Ed  al  suo  capo  il  grembo  indi  suppone, 
cxv. 
Pensa  intanto  Vafrin,  come  all'ostello 
Agiato  il  porti  anzi  piìi  fosca  seraj 


Sr.  1 13.  Diffamo  e  croco  non  aved  :  mn  note  eC. 
Cosi  Omero  fa  che  il  sangue  della  l'eiita  di  Ulisse  si  ristagnasse 
con  incanti .  Perciocché  solcano  gli  antichi  riporre  l'incanto  tra 
le  parti  della  medicina,  come  si  può  e  da  Pindaro  conoscere,  o- 
ve  loda  Macaone  medico,  e  dal  Carniide  di  Platone,  ove  si  rai;io- 
na  di  Zahnolxide  Re  di  Tiacia,  e  medico  insieme  peritissitiio, 
che  constringeva  con  giuramento  i  suoi  discepoli  a  non  liiai  u5'jr 
medicina  ne' corpi,  se  prinia  con  incanti  non  avessero  gli  animi 
sanati,  da'quali  ogni  malattia  credca  che  nei  corpi  derivasse.  Era- 
no poi  quegli  incanti ,  secondo  che  interpreta  Socrate,  le  oneste 
dicerie ,  per  le  quali  si  rendeva  l'anima  ornata  di  temperanza  e 
d'ogni  altra  virtù  e  santità  di  costumi.  E  questo  forse  volfe  in- 
tendere Varrone  in  que'suoi  celebri  versi ,  nell'Euinenidi  : 
«   Hospes  quid  mi'riix  animo  curare  Serapim? 

«    Quid  quaxi  non  criret  l  ani  idem  Aristotcles .' 
«   Aut  ambos  mira,  niit  noli  mirare  de  eodem. 
Perchè  ,  animo  curare ,  è  l'istesso  che  quello  che  Platone  dice 
Sfpo,    7rtuff9.'<  J-^v   ^KiX^v .    E  tanto  più,    che  Porfirio   scri?- 
5e,  che  questo  S«rapide  soleva  scacciare  i  demoni  dagli    uomini. 


-:i  '  LA  GERUSALEMME 

Ed  ceco  di  guerrier  giunge  un  drappello . 
Conosce  ei  ben  che  di  Tancredi  è  schiera  - 
Quando  affrontò  il  Circasso,  e  per  appelh; 
Di  battaglia  chiaraollo,  insieme  egli  era. 
Non  seguì  lui  j  perdi'  ei  non  volle  allora  : 
Poi  dubbioso  il  cercò  della  dimora . 
cxvi. 
Seguian  molti  altri  la  medesma  inchiesta; 
Ma  ritrovarlo  avvien  che  lor  succeda . 
Delle  stesse  lor  braccia  essi  han  contesta 
Quasi  una  sede ,  ov'  ei  s' appoggi  e  sieda . 
Disse  Tancredi  allora  :  adunque  resla 
Il  valoroso  Argante  ai  corvi  in  preda? 
Ah!  per  Dio  non  si  lasci,  e  non  si  frodi 
O  della  sepoltura ,  o  delle  lodi . 


Ciò  che  si  fa  ordinariamente  con  iscongxui'azioni ,  come  ognun  sa 
molto  bene.  Gent. 

St.  !  i6.  Dinse  Tancredi  allora:  adunque  resta  ec. 
Il  primo  che  togliesse  quest'uso  di  lasciare  i  corpi  ile'  nemici 
in  preda  a' cani  ed  uccelli ,  fu  Ercole,  siccome  testifica  Eliano, 
rendendogli  a  chi  gli  chiedeva  per  sepellirli.  La  cui  mansuetudi- 
ne ha  il  Tasso  in  questo  Tancredi  non  solo  imitata,  ma  eziandio 
resa  molto  maggiore.  Benché  è  da  sapere,  che  tra  i  Persi,  de'qun- 
li  spesso  si  ragiona,  fu  cjuesta  usanza  per  nobilissima  approvata, 
dico  di  gittare  i  corpi  de' loro  morti  (  in  vece  di  sepellirli  )  a'  ca- 
ni ed  agli  uccelli,  siccome  recita  Pjocopio,  lib.  i  da  bello  Persi- 
co, ed  Agathia,  lib.  2,  v'aggiunge  di  pili ,  che  scelleratissimo  e- 
ra  stimalo  colui  che  non  era  da  quegli  divorato.  Il  medesimo 
racconta  Silio  Italico  degli  Spagnuoli  e  de' Numidi  :  se  non  che 
questi  abbruciavano  loro  il  capo:  ed  il  resto  gittavano  agli  avvol- 
to): sepolcro  veramente  troppo 'Crudele,  come  disse  Ennio  in 
que'  versi: 

«    f^ultiiris  in  syh'is  magnum  mandehat  Immonem 
n   Heu  quam  crudeli  condehtit  memhra  se/iilrro  . 
La' paura  di  che  ad  uomini  eziandio  fortissimi  parve  acerbissi- 
ma   siccome  ad  Ettore  si  finge  da  Omero,  della  quale  però  gen- 
tilm'ente  si  ride  Lr.crezio  ed  altri.  Gejit. 

Omero  nel  7  dell'Iliade: 

A'p.ip<  Sì  vi>ipciciv  KOiTXX^i  jU£v  c\jTi  f^iyaipu}    , 
Oò  yùp  Tig  PhI(Ì  vfxOwv  xarariS'vfJwrwv 
TiyviT  fV«'a£  9^àvw(j£,  7rupò{  ^H\c(yiu.iv  ùhol. 
Cioè: 


LIBERATA  C.  XIX.  2'it 

CXVII. 

Nessuna  a  me  col  busto  esangue  e  muto 
Riman  più  guerra  ;  egli  morì  qual  forte  : 
Onde  a  ragion  gli  è  quell'  onor  dovuto , 
Che  solo  in  terra  avanzo  è  della  morte. 
Cosi  da  molti  ricevendo  aiuto, 
Fa  che  '1  nemico  suo  dietro  si  porte . 
Vafrino  al  fianco  di  colei  si  pose, 
Siccome  uom  suole  alle  guardate  cose . 
cxviu. 

Soggiunse  il  prence:  alla  città  regale, 
Non  alle  tende  mie,  vuo'che  si  vada; 
Che  s' umano  accidente  a  questa  frale 
Vita  sovrasta ,  è  ben  eh'  ivi  m'  accada  ; 
Che  '1  loco  ove  morì  1'  Uomo  immortale. 
Può  forse  al  cielo  agevolar  la  strada  : 
E  sarà  pago  un  mio  pensier  devoto , 
D' aver  peregrinato  al  fin  del  voto . 
cxix. 

Disse  :  e  colà  portato ,  egli  fu  posto 

Sovra  le  piume  ;  e  il  prese  un  sonno  cheto . 
Vafrino  alla  donzella,  e  non  discosto  , 
Ritrova  albergo  assai  chiuso  e  secreto  . 
Quinci  s' invia  dov'  è  Goffredo;  e  tosto 
Entra,  che  non  gli  è  fatto  alcun  divieto; 
Sebben  allor  della  futura  impresa 
In  bilance  i  consigli  appende  e  pesa . 


«  Ma  circa  i  morti ,  non  vieto  che  siano  abbruciati  ., 

«  Perciocché  guadagno  alcuno  da' corpi  de' morti 

«  Non  si  ha;  poiché  sono  morti,  col  fuoco  facciamo  loro  rosa 

grata  subito  . 
Virgilio  neir  1 1  ,  v.  102  : 

«    Corpora  per  Cam pos  ferro  quce  fusa  jne.ehant 
«   Redderet ,  ne  tumulo  sineret  succedere  terree. 
Sr.   117.  Nessuna  a  me  col  I/usto  esangue  e  muto 

Riman  più  guerra . 
Virgilio  nello  stesso  luogo: 

«  Aullum  cum  victis  certam/en  et  <»tligre  cai$is,      Gri.sx. 


322  LA  GERUSALEMiME 

cxx. 

Del  letto ,  ove  la  stanca  egra  persona 
Posa  Raimondo,  il  Duce  è  sulla  sponda: 
E  d'  ogn'  intorno  nobile  corona 
De'  più  potenti  e  più  saggi  il  circonda . 
Or ,  mentre  lo  scudiero  a  lui  ragiona, 
Non  v'  è  chi  d'  altro  chieda,  o  chi  risponda 
Signor  (  dicea  )  come  imponesti  andai 
Tra  gì'  Infedeli ,  e  '1  Campo  lor  cercai . 
cxxi. 

Ma  non  aspettar  già  che  di  quelF  oste 
L' innumerabil  numero  ti  conti . 
r  vidi  eh'  al  passar  le  valli  ascoste 
Sotto  e'  teneva  e  i  piani  tutti  e  i  monti . 
Vidi  che  dove  giunga ,  ove  s'  accoste  , 
Spoglia  la  terra,  e  secca  i  fiumi  e  i  fonti; 
Perchè  non  bastan  1'  acque  alla  lor  sete, 
E  poco  è  lor  ciò  che  la  Siria  miete. 

CXXil. 

Ma  sì  de'  cavalier,  sì  de' pedoni. 

Sono  in  gran  parte  inutili  le  schiere. 
Gente,  che  non  intende  ordini  o  suoni, 

'     Nò  stringe  ferro ,  e  di  lontan  sol  fere . 
j5on  ve  ne  sono  alquanti  eletti  e  buoni, 
Che  seguite  di  Persia  han  le  bandiere  \ 
E  forse  squadra  anco  migliore  è  quella , 
Che  la  squadra  immortai  del  Re  s' appella . 


St.    lai.    Vidi  che  duve  giunga,  o'i'e  s' accoste  , 

Spoglia  la  terra  ,  e  seccn  i  fiumi  e  i  Jouli . 
Così  si  racconta  da  scrittori  Greci ,  e  specialmente  da  Erodoto , 
che  Serse  nel  passaggio  che  fece  in  Grecia,  seccò  sette  grandissi- 
mi fiumi  dell'Asia  .  Di  che  par  che  si  rida  Giovenale  dicendo: 

« CrcdimiiS  a/tos 

«   De/ecisse  arnnes  ,  epotaque  fliimina ,  Medo 
«    P ra rìdente ,  et  madidis  Cnntat  qiioe  Sostrati!..',  ali'. 
Ma  se  crediamo  che  quell'esercito  coprisse  il  cielo  eoa  le  saet- 
te ,  cxederemo  ancora  (jneet'  altro . 


LIBERATA   C.  XIX.  t^?> 

CXXIII. 

Ella  è  eletta  immortai ,  perchè  diletto 
In  quel  numero  mai  non  fu  pur  d'  uno; 
Ma  empie  il  loco  voto,  e  sempre  eletto 
Sottentra  uom  novo,  ove  ne  manclii  alcuno  . 
Il  capitan  del  campo,  Emiren  detto, 
Pari  ha  in  senno  e  'n  valor  pochi,  o  nessuno; 
E  gli  comanda  il  Re ,  che  provocarti 
Debba  a  pugna  campai  con  tutte  1'  arti, 
cxxiv. 

Né  credo  già  che  al  dì  secondo  tardi 
L'  esercito  nemico  a  comparire. 
Ma  tu,  Rinaldo,  assai  convien  che  guardi 
Il  capo ,  ond'  è  fra  lor  tanto  desire: 
Che  i  più  famosi  in  arme  e  i  più  gagliardi 
Gli  hanno  incontra  arrotato  il  ferro  e  lire; 
Perchè  Armida  se  stessa  in  guiderdone 
A  qual  di  loro  il  troncherà  propone, 
cxxv. 

Fra  questi  è  il  valoroso  e  nobil  Perso; 
Dico  Allamoro,  il  re  di  Sarmacantc. 
Adrasto  v'  è ,  e'  ha  il  regno  suo  là  verso 
I  confin  dell'Aurora,  ed  è  gigante: 
Uom  d'  ogni  umanità  così  diverso , 
Che  frena  per  cavallo  un  elefante . 


St.  .123.  Ella  è  detta  imtnortal ,  perchè  difetto  ec. 
Di  questa  guardia  immortale  de' Re  di  Persia  da  molti  scrittori 
antichi  e  nuovi  si  fa  menzione,  alla  quale  si  potrebbe  comparare 
una  legione  degli  antichi  Romani  .  Perciocché  scrive  Alfeno 
Giurisconsulto,  che  quantunque  in  quella  per  ispazio  di  tempo 
fossero  slati  tutti  i  particolari  morti  successivamente,  nientedi- 
meno si  poteva  dimandare  la  medesima  legione  :  e  cosi  un  popo- 
lo, un  gregge  ed  ogni  altra  università  constante  di  piìi  capi. 
Anzi  che  Plutarco  scrive,  che  fu  questione  celebratissima  nelle 
scuole  di  Atene ,  se  la  nave  di  Teseo,  la  quale  era  a  parte  a  parie 
tante  volte  rifatta,  che  nnsuna  tavola  piìi  delle  antiche  vi  rima- 
nea,  si  poterà  dire  essere  la  raedesicna  nave ,  e  %\  conehiude  di 


224  LA  GERUSALEMME 

V  è  Tisaferno,  a  cui  nell'  esser  prode 

Concorde  fama  dà  sovrana  lode. 

GXXVI. 

Così  dice  egli;  e  '1  giovinetto  in  volto 
Tutto  scintilla ,  ed  ha  negli  occhi  il  foco  : 
Vorri'a  già  tra'  nemici  essere  avvolto , 
Né  cape  in  se ,  ne  ritrovar  può  loco . 
Quinci  Vafrino  al  Capitan  rivolto  : 
Signor,  soggiunse,  il  fin  qui  detto  è  poco. 
La  somma  delle  cose  or  qui  si  chiuda  : 
Impugneransi  in  te  1'  arme  di  Giuda . 
cxxvii. 

Di  parte  in  parte  poi  tutto  gli  espose 
Ciò  che  di  fraudolento  in  lui  si  tesse: 
L'arme  e  '1  velen,  le  insegne  insidiose, 
Il  vanto  udito ,  i  premj  e  le  promesse . 
Molto  chiesto  gli  fu ,  molto  rispose  : 
Breve  tra  lor  silenzio  indi  successe . 
Poscia  innalzando  il  Capitano  il  ciglio 
Chiede  a  Raimondo  :  or  qual  è  il  tuo  consiglio? 

CXXVIII. 

Ed  egli:  è  mio  parer,  eh'  ai  nuovi  alhori, 
Come  concluso  fu,  più  non  s'  assaglia  : 
Ma  si  stringa  la  torre,  onde  uscir  fuori 
Chi  dentro  stassi  a  suo  piacer  non  vaglia: 
E  posi  il  nostro  Campo ,  e  si  ristori 
Frattanto  ad  uopo  di  maggior  battaglia. 
Pensa  poi  tu  .  s'  è  meglio  usar  la  spada    ' 
Con  forza  aperta,  o  '1  gir  tenendo  a  bada. 


St.    ta5.  Impugneransi  in  te  V arme  dì  Giuda. 
Cioè  de'  traditori .  Tale  è  quel  di  Dante,  Purg.  ao: 
«  Sem' arm.e  n  esce ,  e  solo  con  la  lancia, 
«    Con  la  qiial  giostrò  Giuda. 
E  nota  decoio  osservato  in  questo  Vaifrine  - 

<&E«T. 


LIBERATA    C.  XIX.  'y.^ 

CXXIX. 

Mio  giudizio  è  però  eh'  a  te  convegna 
Di  te  stesso  curar  sovra  ogni  cura; 
Che  per  te  vince  1'  oste^  e  per  te  regna. 
Chi  senza  te  1  indrizza  e  1'  assecura? 
E^  perchè  i  tradilor  non  ceH  insegna , 
Mutar  l'insegne  a' tuoi  guerrier  procura. 
Così  la  fraudc  a  te  palese  fatta 
Sarà  da  quel  medesmo  in  chi  s'  appiatta, 
cxxx. 

Risponde  il  Capitan  :  come  hai  per  uso, 
Mostri  amico  volere  e  saggia  mente. 
Ma  quel  che  dubbio  lasci  or  fia  conchiuso  : 
Uscirem  contro  alla  nemica  gente; 
Né  già  star  deve  in  muro ,  o  'n  vallo  chiuso 
Il  campo  domator  dell'Oriente. 
Sia  da  quegli  empj  il  valor  nostro  esperto 
Nella  più  aperta  luce,  in  loco  aperto  . 
cxxxi. 

Non  sosterran  delle  vittorie  il  nome. 
Non  che  de'  vincitor  l' aspetto  altero  ; 
Non  che  l' arme  :  e  lor  forze  saran  dome  , 
Fermo  stabilimento  al  nostro  impero . 
La  torre  o  tosto  renderassi ,  o ,  come 
Altri  noi  vieti,  il  prenderla  è  leggiero. 
Qui  il  magnanimo  tace,  e  fa  partita; 
Che  '1  cader  delle  stelle  al  sonno  invita . 


St.  lag.  Mio  giudìzio  è  però  eh' a  te  com'era  ec. 
E  di  qui,  come  ancbe  da  altri  luoghi  di  sopra,  quivi  notati  da 
noi,  si  può  conoscere  secondo  cbe  eziandio  altrove  in  alcun  di- 
scorso s'è  detto,  il  grado ,  la  superiorità,  il  luogo  e  la  parte  per 
così  dire,  oltre  ad  ogn'altro  maggiore  e  principale,  che  teneva 
Goffredo  nelle  vittorie:  e  come  essendo  egli  quello  cbe  consiglia- 
va ,  indirizzava  e  dava  il  movimento,  le  vittorie  da  lui,  come  da 
principal  origine  s'avevano  a  riconoscere. 

St.    i3i.   Che  'l  cader  delle  stelle  al  fonno  invita. 
Virgilio,  1.  2  v.  g: 

......  suadentejue  cadentia  sydera  .<:omnos .       Guast. 


LA 

GERUSALEMME 

LIBERATA 


CANTO  VIG  ESIMO 

ARGOMENTO 

Giunge  l'oste  Pagana,  e  cradel  guerra 
Fa  col  Campo  Fedele.  Il  fier  Soldano 
L'assediata  rocca  anco  disserra  , 
Vago  d'andare  a  guerreggiar  nel  piano. 

.  N'esce  coi  Re;  ma  l'uno  e  l'altro  a  terr;» 
Estinto  cade  da  iamosa  mano. 
Placa  Rinaldo  Armida.  I  Cristian  scempio 
Fan  de' nemici,  e  poi  Taa  lieti  al  Tempio  . 


"^ià  il  Sole  avea  desti  i  moiiaìi  all'  opre; 
Già  dieci  ore  del  giorno  eran  trascorse; 
Quando  io  stuol,  ch'alia  gran  torre  è  sopre 
Un  non  so  che  da  lunge  ombroso  scórse. 


St.  I.  Già  il  Sole  avea  desti  i  mortali  all' opra  : 
Già  dieci  ore  del  giorno  eran  trascorse . 
II  sentimento  di  questi  due  versi  è  disgiunto,  e  sono  due  con- 
cetti .  Già  s'era  levato  il  Sole  ,  e  già  volto  tutto  quello  spazio  di 
mezzo  eran  corse  dieci  ore  del  giorno:  e  ciò  fa  il  Poeta  perchè  di 
quanto  avvenne  in  quelle  dieci  ore  non  vuol  far  menzione  alcu- 
na, li  luogo  era  assai  facile,  tuttavia  per  certa  profonda  e  ben 
veramente  matematica  esposizione  delì'aiitore  innominato  di  al- 
cune dichiarazioni  sovra  questo  poema,  non  ho  giudicato  opera 
perduta  il  dichiararlo . 

— rh' lilla  gran  iurrc.   ■    .   . 

Di  David  . 


LIBERATA    C.  XX.  ^.fq 

Quasi  nebbia  eh'  a  sera  il  mondo  copre: 
E  eh'  era  il  Campo  amico  alfin  s'  accorse. 
Che  tutto  intorno  il  ciel  di  polve  adombra, 
E  i  colli  sotto  e  le  campagne  ingombra, 
II. 

Alzano  allor  dall'alta  cima  i  gridi 
Infino  al  ciel  l'assediate  genti, 
Con  quel  romor,  con  che  dai  Trac]  nidi 
Vanno  a  stormi  le  gru  ne' giorni  algenti, 
E  tra  le  nubi  a'  più  tepidi  lidi 
Fuggon  stridendo  innanzi  ai  freddi  venti: 
Ch'  or  la  giunta  speranza  in  lor  fa  pronte 
La  mano  al  saettar,  la  lingua  all'  onte. 
IH. 

Ben  s' avvisano  i  Franchi  onde  dell'  ire 
L' impeto  novo  e  '1  minacciar  procede  : 
E  miran  d'alta  parte,  ed  apparire 
Il  poderoso  C^mpo  indi  si  vede. 

St.  2.      Con  quel  rumor  con  che  da  Tracj  nidi  ee. 
Omero  nel  3  dell'Iliade,  v.  2: 

Tpu;i5  /nÈv  KKo^yyìj  T   ivonvf  r   icav  ^  cpvi^ig  uU' 

HvTi  TTip  xXoiyyì^  ytpavwv  ttìXh  ovpa.\ió?n  Trpo, 

A7  t'  iTTtì  OLV   J^HjUWia  (pUyCV   Hai  OL^'c(pyTCV   OjU/S(^CV, 

EXayyi}  Tcni'yi  Tr/rcvrai  ì-k   Qxc&vrTc  poa'cov . 
«  I  Trojani  certo  con  isUepito  e  grido  andavano  come  uccelli, 
«   Quale  lo  strepito  delle  gru  è  nel  cielo, 
«  Le  quali  dopo  che  il  freddo  hanno  fuggito,  e  la  grandissima 

pioggia, 
«  Con  istrepito  queste  volano  a' lidi  dell'Oceano. 
Virgilio  nel  io  dell'  Eneide,  v.  264  : 

« (juales  sul)  nuhilus  atris 

a   Strymonice  dant  signa  gruex ,  ate/ue  cethera  trnnant 
«   Cìim.  sonitu  ,  JiigiunUjue  Notes  clamore  secundo  . 
Dante  nel  5  dell' Inferno: 

«    E  come  gli  siurnei  ne  porian  V ali 

«   Nel  freddo  tempo  a.  schiera  larga  e  piena . 
E  poco  più  di  sotto  : 

1'    E  come  i  gru  van  cantando  lor  lai 
«   Facendo  in  aer  di  so  lunga  riga . 

— a  piti  tepidi  lidi. 

Dell'  Affrica ,  più  tepida  della  Tracia , 


228  LA  GERUSALEMME 

Subito  avvampa  il  generoso  ardire 
In  que' petti  feroci;,  e  pugna  chiede  . 
La  gioventute  altera  accolta  insieme  : 
Dà,  grida,  il  segno,  invitto  Duce;  e  freme. 
rv. 
Ma  nega  il  saggio  offrir  battaglia  avante 
Ai  nuovi  albori,  e  tien  gli  audaci  a  freno: 
Né  pur  con  pugna  instabile  e  vagante 
Vuol  che  si  tentin  gli  avversar)  almeno  : 
Ben  è  ragion,  dicea,  che  dopo  tante 
Fatiche  un  giorno  io  vi  ristori  appieno  . 
Forse  ne'  suoi  nemici  anco  la  folle 
Credenza  di  se  stessi  ei  nudrir'voUe . 

V. 

Si  prepara  ciascun,  della  novella 
Luce  aspettando  cupido  il  ritorno . 
Non  fu  mai  1'  aria  sì  serena  e  bella, 

,     Come  air  uscir  del  memorabil  giorno  . 
L'  Alba  lieta  rideva,  e  parca  eh'  ella 
Tutti  i  raggi  del  Sole  avesse  intorno  ; 


St.  4-  Ma  nega  il  saggio  offrir  battaglia  avante 
Ai  nuoi'i  albori. 
Del  giorno  seguente,  essendo  allora  già  presso  a  sera,  come  ha 
«ietto  nella  prima  stanza. 

St.  5.  L.'  Alba  lieta  rideva ,  e  parca  eh'  ella 
Tutti  i  raggi  del  Sole  avesse  intorno  . 
Questo  particolare  della  bellezza  dell'Alba  in  quel  c>iorno  ,  che 
seguì  il  gran  fatto  d'arme,  scrive  eziandio  Roberto  Monaco  nel- 
rS  lib.  con  queste  parole  in  nostra  lingua:  «  Ora  poiché  la  notte 
<<  fu  via  passata,  si  cominciò  a  veder  1'  Aurora  apparita  con  vie 
«  maggior  chiarezza  che  l'usato  ,  onde  i  nostri  si  levaron  tutti  da 
«  dormire  ec.  »  Guast. 

Esagerazione  bellissima,  e  simile  a  quella  di  Claudiano,  lib.  2 
in  Riiffinìim : 

«    Tandem  Raffini  visurns  funera  Titan 
«    Prosiivi f  strati s  . 
Imitando  forse  quelle  parole  di  M.  Tullio  nella  4  Filippica:  O 
soìe/n  ipsiirn  beati ssimum,  qui  antequam  se  abdcret  ,  stratis  cada- 
K'cribns  parriridrrum. ,  cum  paucis  fugientem  l'idìt  Antonium. 

Geht. 


LIBERATA  C  XX.  ^^9 

E  '1  lume  usato  accrebbe ,  e  senza  Telo 
Volle  mirar  1'  opere  grandi  il  Cielo . 

VI. 

Come  vide  spuntar  1'  aureo  mattino, 

Mena  fuori  Goffredo  il  Campo  instrutto  j 
Ma  pon  Raimondo  intomo  al  Palestine 
Tiranno ,  e  de'  Fedeli  il  popol  tutto  , 
Che  dal  paese  di  Soria  vicino 
A'  suoi  liberator  s'era  condutto  : 
Numero  grande;  e  pur  non  questo  solo. 
Ma  di  Guasconi  ancor  lascia  uno  stuolo  , 


—  E  'l  lume  usato  accrebbe,  e  senza  velo 
Volle  mirar  V  opere  grandi  il  Cielo  . 
L'autore  della  Maniera  di  ben  pensare  (Dial.  i- p.  98) ,  usan- 
do delle  osservazioni  fatte  dal  Pallavicini,  trova  ardito  e  difetto- 
so questo  luogo  del  Tasso:  Car  nous  si^nvons  hitn  ....  qve  le  Crei 
tnaltriel  n  a  point  d'  yeux  pour  voir ,  ni  d' ame  pour  voiiloir  ,  et 
tjue  les  hiibitnns  du  Ciel ,  si  e'  est  d'  eux  qu'  oii  entend  pnrler, 
fojent  uu  travers  des  plus  cpoi.-ses  nces  re  mie  les  mn'tels  font 
sur  la  terre.  Per  rispondere  a  questa  cersura  non  altro  far  si  dee 
se  non  avvertire  col  Marchese  Orsi  l'oltramontano  Critico  «  clie 
non  v'è  quasi  maestro  di  Rettorica  o  di  Poetica,  che  non  proponga 
o  non  commendi  quest'uso  di  assegnare  rettoricamentr  ("ria  con 
piìi  franchezza  poeticamente  )  e  l'anima  e  le  prerogative  dell'ani- 
D.a  a  cose  ,  cui  non  v'ha  setta  di  filosofia  nel  mondo,  che  non  ri- 
conosca insensate  «  .  Eoma  viene  da  Cicerone  introdotta  a  favel- 
lare nella  sua  famosa  invettiva  contro  di  Catilina.  Demetrio  finge 
che  la  Grecia  si  presenti  in  sembianza  di  femmina  a  dir  le  proprie 
ragioni.  Valerio  Fiacco  fa  che  i  monti  e  le  selve  sentano  timore: 

« pavet  omnif  conscia  late 

«   Sylva ,  pavent  montcs  ec. 
Virgilio  stesso,  che  è  pure  il  meno  ardito  di  tutti  i  poeti,    finge 
che  gli  scogli  minaccino,  ed  altrove  che  presi  si^no  dalla  mara- 
■viglia  : 

« geminìquc  minantur 

V.   In  ccrlum  scopuli  , 

«  Nec  tantum  Rhodope  miratvr  et  Ismariis  Orphea . 
Non  v'è  poeta  in  somma,  il  quale  non  attribuisca  sentimenti  ed 
anima  alle  cose  materiali.  Anzi  la  stessa  sacra  Scrittura  usa  in 
più  luoghi  di  simili  maniere  enfatiche;  ed  ora  attribuisce  il  tace- 
re alla  Terra,  quasi  avesse  voce,  il  vedere  ed  il  fuggirò  al  mare, 
quasi  avesse  sentimento  di  vista  e  libertà  di  moto,  l'innebbriarsi 
nel  sangue  alle  saette,  come  se  fossero  capaci  di  beverlo.  Per  lo 
the  questo  luogo  del  Tasso  non  solo  noB  è  difettoso,  ma  an/i  dee 
dirbi  ioiumainsate  poetico  €  twblimc.  M^ 


230  LA  GERUSALEMME 

VII. 

Vassene;  e  tal'  è  in  vista  il  sommo  Duce^ 
Ch'  altri  certa  vittoria  indi  presume. 
Novo  favor  del  cielo  in  lui  riluce , 
E  '1  fa  grande  ed  augusto  oltra  il  costume. 

St.   7.      J^assene  ;  e  tal  è  in  vista  il  sommo  Duce  , 
C II'  altri  certa  vittoria  indi  presume  :  ec. 
Imita  qui  Omero,  il  quale  alla  fine  del  libro  2  dell'IliaJe  dice 
eVie  Giove  aveva  in  quel  giorno  dato  ad  Atride  un  sovtuinaao  a- 
«petto,  sicché  nella  rassegai  del  Greco  Campo  n'andava  insigne 
fra  ogni  altro  Eroe  ,  v.  4^2  : 

Tcicv  cip   Arpa'3!^v  òvjxs  Z"j«  vifioiTi  ^Hvià 
ExTrpETrs'  iv  TToWoict  Kyi  t^oypv  v,p^-.cct.v . 
«    Talem  Atricìem  fecit  Jupiter  die  ilio 
«   Insignem  inter  multos  et  eximium  heroits  . 
Ed  imita  ancor  piìi  particolarmente  Virgilio ,  il  quale  nel    1 
dellEneide  6nge  ,  che  Enea  allorché,  disciolta  la  nube  ,  apparve 
dinanzi  a  Didone,  ricevuto  avesse  da  Venere  sua  madre  un  aou 
so  che  di  divino  e  di  leggiadrisslmo  nell'aspetto,  v.  588: 
a    Restitit  JEneas  ,  rlaraque  in  luce  refulsit  . 
a    Os ,  humerosque  Dea  similis:  nam,que  ipsa  decovam 
«    Coesariem  nato  genitrix  ,  lumenque  juifentcs 
«   Purpureum  ,  et  Icetos  oculis  afflarat  honores . 
Non  dee  tultavolta  omettersi  ciò,  che  da  altri  fu  di  già  osser- 
vato, che  assai  piìi  opportunamente  viene  quel  divino  aspetto  at- 
tribuito da  Virgilio  ad  Enea,  e  dal  Tasso  a  Goflfrcdo,  che  da  O- 
Mero  ad  Agamennone.  Imperciocché  in   una  semplice  rassegna, 
siccome  è  quella  del  2  dell'Iliade,  non  era  necessario  che  Giove 
tanto  attribuisse  al  sommo  Duce  de' Greci,  sembrando  pili  verisi- 
mile, che  quella  imponente  divinità  veder  si  dovesse  in  Agamen- 
none, allorché  questi  fosse  per  incoraggire  i  suoi  in  orribile  pu- 
gna, o  per  sostenere  l'esercito  contro  l'impeto  de'Trojani;  o  per 
lo  meno  allorché  fosse  per  riconciliarsi  col  feroce  Achille.  Virgi- 
lio in  vece  (inse  che  il  suo  Enea  ricevesse  da  Venere  l'aspetto  di- 
vino nell'atto  che  c[uesti  non  senza  suo  pericolo  si  scopre  nel 
tempio   dei  Cartaginesi ,  circostanza  nella  quale  era  necessario 
ch'egli  colla  stessa  sua  presenza  imponesse  ad  un  popolo  affollato 
e  spettatore,  e  già  di  sua  natura  mal  lido   e  geloso.   Aggiungasi 
che  scopo  era  del  Poeta  il  rendere  in  quest'occasione  piìi  dell'  or- 
dinario avvenente  il  suo  Eroe,  affinchè  di  lui  s'invaghisse  la  Ti- 
ria  Didone.  Egualmente  il  Tasso  attribuisce  a  GoflVedo  un  so- 
vrumano aspetto,  sicché 

((  Altro  che  mortai  cosa  egli  rassemhra  , 
allora  appunto  che  sta  por  condurlo  contro  la  poderosa  ed  innu- 
merevole oste  d'Egitto  ,  «llorà  cioè  che  compiere  doveasi  la  gran- 
de impresa,  e  che  di  maggioi  coraggio  facea  d'uopo  nel  Cristiano 
esercito  già  esausto  di  forze  per  l'assalto  dato  poc'anzi  a  Gerusa- 
lemme. M. 


LIBERATA  C.  XX.  x"^  r 

Gli  empie  d'onor  la  faccia,  e  vi  riduce 
Di  g'iGvinezza  il  bel  purpureo  lume  ; 
E  neir  atto  degli  occhi  e  delle  membra 
Altro  che  mortai  cosa  egli  rasstnibra. 
vili. 
Ma  non  molto  sen  va ,  che  giunge  a  fronte 
Dell'  attendato  esercito  Pagano; 
E  prender  fa,  nelF arrivare,  un  monte 
Ch'  egli  ha  da  tergo  e  da  sinistra  mano  : 
E  r  ordinanza  poi,  larga  di  fronte  , 
Di  fianchi  angusta,  spiega  inverso  il  piano; 
Stringe  in  mezzo  i  pedoni ,  e  rende  alati 
Con  r  ale  dei  cavalli  entrambi  i  lati. 

IX. 

Nel  corno  manco ,  il  qual  s'  appressa  alF  erto 
Dell'  occupato  colle ,  e  s'  assecura  , 
Pon  r  uno  e  l'altro  principe  Roberto: 
Dà  le  parti  di  mezzo  al  frate  in  cura . 
Egli  a  destra  s'  allunga  ,  ov'  è  1'  aperto 
E  1  periglioso  pili  della  pianura  ; 
Ove  il  nemico  ,  che  di  gente  avanza , 
Di  circondarlo  aver  potea  speranza . 

X. 

E  qui  i  suoi  Loteringhi,  e  qui  dispone 
Le  meglio  armate  genti  e  le  più  elette; 


St.   7.   Gli  empie  d'onor  la  faccia ,  e  vi  riduce  ec. 
Omero  nel  quinto  dell'Iliade,  v.  i  ; 

Ei&'  av  Tvhi^jj  ilioiJi^^ci'  UxKXàg  A^\{viyi 

ApyEicici  yi'vocTo ,  (Ss  nXiog  f c&Xbv  apc.TO  . 
AaTf'  ci  rx  xopu&os  Ti  xaLi  acnì^oi  axa^aaTOv  ^rup-» 
Cioè  : 

«  Quivi  di  nuovo  al  Bgliuol  di  Tideo  Diomede  Pallade  Mi- 
nerva 
«  Diede  foi/a  e  audacia  ,  acciò  liguardavole  fra  tutti 
«  I  Greci  divenisse,  e  gloria  grande  riportasse  . 
«  Luce  vagli  da  l'elmo  e  da  lo  scudo  indefesso  fuoco . 
G.  LiB.  T.  ui.  i6 


233  LA  GERUSALEMME 

Qui  tra'  cavalli  arcieri  alcun  pedone 
Uso  a  pugnar  tra'  cavalier  frammette  . 
Poscia  d' Avventurier  forma  un  squadrone  ;, 
E  d'  altri  altronde  scelti ,  e  presso  il  mette  ; 
Mette  loro  in  disparte  al  lato  destro; 
E  Rinaldo  ne  fa  duce  e  maestro . 

XI. 

Ed  a  lui  dice  :  in  te,  signor  ,  riposta 
La  vittoria ,  e  la  somma  è  delle  cose . 
Tieni  tu  la  tua  schiera  alquanto  ascosta 
Dietro  a  queste  ali  grandi  e  spaziose . 
Quando  appressa  il  nemico ,  e  tu  di  costa 
L'  assali ,  e  rendi  van  quanto  e'  propose . 
Proposto  avrà ,  se  '1  mio  pensier  non  falle , 
Girando,  ai  fianchi  urtarci  ed  alle  spalle. 

XII. 

Quindi  sovra  un  corsier  di  schiera  in  schiera 
Parca  volar  tra'  cavalier,  tra' fanti: 
Tutto  il  volto  scopn'a  per  la  visiera  : 
Fulminava  negli  occhi  e  ne'  sembianti . 
Confortò  il  dubbio,  e  confermò  chi  spera: 
Ed  air  audace  rammentò  i  suoi  vanti, 
E  le  sue  prove  al  forte  :  a  chi  maggiori 
Gli  stipendi  promise,  a  chi  gli  onori. 

XIII. 

Alfin  colà  fermossi,  ove  le  prime 
E  pila  nobili  squadre  erano  accolte; 
E  commciò  da  loco  assai  sublime 
Parlare,  ond'  è  rapito  ogn' uom  eh' ascolte. 
Come  in  torrenti  dall'  alpestri  cime 

St,   II.  Ed  a  lui  dice:  in  te,  signor ,  riposta  ec. 
Ecco  neir  oprare  e  nell' eseguire  Rinaldo  principale  e  sovrano 
Btromento  di  Goffredo ,  che  consiglia  e  dà  il  movimento . 
—    Tieni  tu  la  tua  schiera  alquanto  ascosta,  ec. 
Ecco  nel  dar  gli  ordini  e  i  movimenti,  nel  consigliare  e  in- 
drizzare ,  principale  e  maggior  di  tutti  Goffredo . 
St.   i3.   Come  in  torrenti  dall' alpestri  rime  ec. 


LIBERATA    C.  XX.  233 

Soglion  giù  derivar  le  nevi  sciolte; 
Così  covrean  volubili  e  veloci 
Dalla  sua  bocca  le  canore  voci  : 
XI  v. 
0  de' nemici  di  Gesù  flagello. 

Campo  mio ,  domator  dell'  Oriente, 
Ecco  r  ultimo  giorno  ;  eccovi  quello , 
Che  già  tanto  bramaste,  omai  presente. 
Ne  senza  alta  cagion ,  che  il  suo  rubello 
Popolo  in  un  s'  accoglia,  il  Ciel  consente  : 
Ogni  vostro  nemico  ha  qui  congiunto. 
Per  fornir  molte  guerre  in  un  sol  punto . 

XV. 

Noi  raccorrem  molte  vittorie  in  una  ; 
Ne  fia  maggiore  il  rischio  o  la  fatica . 
Non  sia ,  non  sia  tra  voi  temenza  alcuni! 
In  veder  così  grande  oste  nimica  ; 
Che,  discorde  fra  se  mal  si  raguna, 
E  negli  ordini  suoi  se  stessa  intrica; 

Omero  nel  i3  dell'Iliade,  parlando  d'Ulisse: 

Kat  Ìttìo.  v«potSìffC£v  foixoroL  ^(^éJjatptifO'fv . 

Cioè  : 

«  Ma  quando  la  voce  grande  dal  petto  mandava  fuori 
n  E  le  parole  simili  alla  caduta  delle  nevi  d'inverno.    Goast. 
Imita  Omero,  il  quale  fa  che  Antenore  lodi  Menelao  di  parlar 
succinto  ed  arguto,  ed  Ulisse  di  parlar  canoro  e  volubile  a  guisa 
delle  nevi  dell'inverno.  Chiama  poi  le  voci  ancora  veloci  ad  imi- 
tazione del  medesimo  poeta,  il  quale  in  ogni  luogo  usa  di  dire 
i  TTf  avI/Tépcf  vTX  ,  cioè  «  parole  alate  »  :  E  cosi  appella  Platone 
quel  parlare,  che  i  figliuoli  usana  verso  i  padri  con  poca  riveren- 
za di  loro:  a'quali  die' egli,  che  gravissima  pena  s'aspetta.  Gejt^ 
St.   I  4-    O  de' nemici  di  Gesù  flagello  ec. 
—  Ecco  r  ultimo  giorno  ,  ec. 
Lucano  nel  7 ,  v.  240:. 

n    O  dom.itor  mundi ,  rerum /or/una  m.earum. , 
«  Miles,  adest  toties  optutce  copia  pugnoe , 
«    Nil  opus  est  votis  etc. 
«  Hoec  est  illa  dies ,  mi  hi  fjuam  efc 
E  Virgilio  nel  io,  v.  280.- 

tt   In  manibus  Mcirs  ipse  ,  viri  ;  mine  con.jugis  est9 
«   Ouisque  su(B ,  te^ti<]u£  rnemar . 


234  LA  GERUSALEMME 

E  di  chi  pugni  il  numero  fi  a  poco  : 
Mancherà  il  core  a  molti,  a  molli  il  loco. 

XVI. 

Quei  che  incontra  verranci ,  uomini  ignudi 
Fian  per  lo  più,  senza  vigor,  senz'  arte. 
Che  dal  lor  ozio ,  o  dai  servili  studi 
Sol  violenza  or  allontana  e  parte. 
Le  spade  ornai  tremar ,  tremar  gli  scudi , 
Tremar  veggio  l' insegne  in  queUa  parte  : 
Conosco  i  suoni  incerti  e  i  dubbj  moti  : 
Veggio  la  morte  loro  ai  segni  noti . 

XVII. 

Quel  capitan,  che  cinto  d'  ostro  e  d'  oro  , 
Dispon  le  squadre,  e  par  sì  fero  in  vista, 
Vinse  forse  talor  T  Arabo  o  il  Moro; 
Ma  il  suo  valor  non  fia  eh'  a  noi  resista . 
Che  farà,  benché  saggio,  in  tanta  loro 
Confusione,  e  si  torbida  e  mista? 
Mal  noto  è  (credo)  ,  e  mal  conosce  i  sui, 
Ed  a  pochi  può  dir:  tu  fosti,  io  fui. 

St.   i6.   Quei  eh'  incontra  verranci  ,  uomini  ignudi  etì. 
Lucano  nell'istesso  luogo,  v.  260: 

« Gratis  Hflecta  jin'cntuf: 

n    Gymnnsiis  aderit ,  ttudìoqve  i:;nm-a  palestra; , 
u   Et  vix  arma  Jercns ,  et  mixtoe  disson.i  turboe 
«   Barharies ,  non  ilio,  fiiias  ,  non  agni  ina  moto 
«    Clamofem  latttri  smuri  ;  eie.  GoAST- 

St.  i^.  Mal  noto  è  rredn ,  e  mal  conosce  i  sui ,  ec. 
Tra  le  virtù  de' capitani  non  è  quella  infima  di  conoì^ere  i  sol- 
dati suoi  .  Onde  Senofonte  ci  finge  che  Ciro  eziandio  i  nomi  sa- 
pesse di  cias(hedun  suo  soldato,  e  Virgilio  clic  Enea,  dicendo: 
Nomine  cjuenique  vucans .  E  la  medesima  conoscenza  si  ricerca 
tra* soldati,  e  massime  tra  quelli  i  quali  sono  nella  battai:!;lia  vici- 
ni: acciocché  i'un  l'altro  sia  più  incitato  a  difendersi ,  essendo 
compaoni  ed  amici.  Per  lo  che  Fammene  solca  dir  giocando,  che 
quel  Nestore  di  Omero  non  fu  perito  ordinator  di  squadre  ,  collo- 
cando i  soldati  in  ordinanza  sì ,  che  la  curia  alla  curia,  e  li  tribù 
alla  tribù  fosse  di  ajuto .  Perchè  diceva  egli,  che  dovea  coUocars 
piì»  tosto  eli  amanti  appresso  gli  amati.  Certo  che  Socrate  co- 
manilò  da  senno,  che  le  giovani  andassero  a  riguardare  la  batta- 
glia alquanto  da  lungi,  e  che  non  fosse  ad  alcuna  lecito  di  negare 
un  bacio  a  ehi  avanti  la  battaglia  lo  dimandava  de' cittadini .  La 


LIBERATA    C.  XX.  ui5 

xvni. 
Ma  capitano  io  son  di  gente  eletta  : 

Pugnammo  un  tempo,  e  trionfammo  insieme  j 
E  poscia  un  tempo  a  mio  voler  F  ho  retta. 
Di  chi  di  voi  non  so  la  patria  e  '1  seme? 
Quale  spada  m'è  ignota?  o  qual  saetta, 
Benché  per  1'  aria  ancor  sospesa  treme, 
Non  saprei  dir  s'  è  Franca ,  o  se  d' Irlanda, 
E  quale  appunto  il  braccio  è  che  la  manda? 

XIX. 

Chiedo  solite  cose  :  ognun  qui  sembri 

Quel  medesmo  eh'  altrove  i'  1'  ho  già  visto  : 
E  V  usato  suo  zelo  abbia ,  e  rimembri 
L' onor  suo ,  F  onor  mio ,  F  onor  di  Cristo . 
Ite,  abbattete  gli  empi,  e  i  tronchi  membri 
Calcate ,  e  stabilite  il  santo  acquisto  . 
Che  più  vi  tengo  a  bada?  assai  distinto 
Negli  occhi  vostri  il  veggio  :  avete  vinto  . 

qual  legge  di  Socrate  ,  o  di  Platone  fu  posta  in  effetto  da  Isabella 
Reina  di  Spagna  :  e  gli  successe  felicissimamente,  come  ognun  sa. 
St.    i8.  Ma  capitano  io  son  di  gente  eletta  ec. 
Questa  e   la  seguente  stanza  sono  l'atte  ad  imitazione  di  Luca- 
no,  il  quale  finge  che  Cesare  dica  queste  parole  a' suoi  soldati, 
lib.  7  ,  V.  275  : 

.........  Magis  sed  me  Fortuna  meorum 

«    Commisit  manibus ,  t/uorum  me  Gallia  testem 
«    Totfecit  bellis . 

—  Quale  spada  m' è  ignota  ?  o  qual  saetta  ec. 
« cujus  non  mìlitis  ensem. 

«   Agnoscam  ?  coelumque  tremens  cum.  lancea  tiansit , 
«    Dicere  non  fallar  ,  quo  sit  vibrata  lacerto  . 
St.    19.  Ite,  abbattete  gli  empi,  e  i  tronchi  membri  ee.. 
Lucano,  ibid.  v.  277: 

«t  Ite  per  ignavas  gentes ,  famosaque  regna  , 
«  Et  primo  ferri  mota  prosternite  mundum. 

—  Che  più  vi  tengo  a  bada  ?  assai  distinto 
Negli  occhi  voilri  il  veggio:  avete  tanto  , 

Lucano,  ibid.  v.  280 : 

«    Quod  si  signa  ducem.  numquam  fallentìa  vestrutTi- 
«   Conspicio ,  faciesque  trttces ,  oeulosque  min^xes , 
«    Vicistis . 

E  poi,  y.  285: 


*36  LA  GERUSALEMME 

XX. 

Parve  Che  nel  fornir  di  tai  parole 

Scendesse  un  lampo  lucido  e  sereno , 
Come  talvolta  estiva  notte  suole 
Scoter  dal  manto  suo  stella  o  baleno . 
Ma  questo  creder  si  potea  che  '1  Sole 
Giuso  il  mandasse  dal  più  interno  seno  : 
E  parve  al  capo  irgli  girando;  e  segno 
Alcun  pensoUo  di  futuro  regno . 

«   Sed  meo.  fata  moror ,  qui  voa  in  tela  ruentes 
«(    Vocibus  his  teneo  .  M> 

St.  20.   Come  talvolta  estiva  notte  suole 

Scoter  dal  manto  suo  stella  a  baleno  . 
Saggiamente  dice  scotere  ;  perchè  \  alito  secco  ,  che  è  la 
materia  di  queste  fiamme,  o  stelle  trascorrenti  per  aria  ,  essendo 
acceso  ed  aggirato  intorno  dal  freddo  ,  viene  a  scuotersi  violente- 
mente in  giù,  come  dardo  dalla  mano  ,  ovvero  saetta  dalla  corda 
dell'arco.  E  dice  estiva  notte ,  significandoci  due  cose,  ciò  sono  , 
che  e  nella  notte  più  chiaramente  si  scorgono,  e  nella  estate  più 
facilmente  si  generano  per  essere,  come  ho  detto,  la  materia  loro 
cecca  e  calda ,  perchè  non  mi  credo,  che  a  guisa  de' poeti  senta 
che  colali  stelle  cadano  dal  cielo:  delle  quali  finsero  la  notte  es- 
sere madre  e  nutrice,  siccome  la  chiama  Elettra  appresso  Euri- 
pide : 

i2  vu^  ^iK<xiva.  ^pjffi'cov  oLgpu;v  rpo^|))^. 
Cioè: 

«    O  dell'  niiree  stelle  atra  nutrice. 
Ciò  che  disse  questo  Scenico  filosofo,  secondo  la  opinione  degW 
antichi  filosofi  ,  ì  quali  pensavano  che  le  stelle  fossero  animali,  e 
elle  si  nutrissero  dell'-umore  della  notte  ,  o  della  terra.      Gbnt. 
—  E  parve  al  capo  irgli  girando  ;  €  segno 
Alcun,  pensollo  di  futuro  regno  . 
Così  appresso  Virgilio  nel  i  dell'Eneide,  v.68a,  cignificò  ad 
Ascanio  il  regno  la  fiamma  aggiratasegli  intorno  al  capo: 
«  £cce  levis  summo  de  vertice  visus  luli . 
«  Fundere  lumen  apex  et  e. 
E  per  lo  stesso  modo  nel  settimo  a  Lavinia,  v.  7?: 

«  Visa  (ne/as)  longis  comprehendere  crinibus  ignern , 
u  Atque  omnem  ornatum  fiamma  crepitante  cremai  ì . 
Ed  è  tolto  dall'istoria;  avvegnaché  racconta  Tito  Livio  nel  1 
libro,  che  essendo  Servio  Tullio  in  casa  di  Tarquinio  Prisco  te- 
nuto per  ischiavo,  gli  fu  visto  alcuna  volta  una  fiamma  andar 
girando  intorno  al  capo;  la  quale  cercando  di  spegner  con  l'a- 
«qua,  quei  di  casa  sbigottiti  di  tal  cosa,  gli  fece  ristare  Taaaquil- 
la  moglie  del  Re,  e  perita  indovina,  e  a  lui  ne  predisse  il  regna 
cniae  atVt'aue.  Guajt, 


LIBERATA    G.  XX.  aS; 

XXI. 

Forse  (  se  deve  infra'  celesti  arcani 
Presuntuosa  entrar  lingua  mortale  ) 
Angel  custode  fu ,  che  dai  soprani 
Cori  discese,  e  '1  circondò  con  l'ale. 
Mentre  ordinò  Goffredo  i  suoi  Cristiani, 
E  parlò  fra  le  schiere  in  guisa  tale, 
L' Egizio  Capitan  lento  non  fue 
Ad  ordinare  ;,  a  confortar  le  sue . 
xxn. 

Trasse  le  squadre  fuor,  come  veduto 
Fu  da  lunge  venirne  il  popol  Franco  ; 
E  fece  anch'  ei  1'  esercito  cornuto  y 
Co' fanti  in  mezzo,  e  i  cavalieri  al  fianco. 
E  per  sé  il  corno  destro  ha  ritenuto  ; 
E  prepose  Altamoro  al  lato  manco  : 
Muleasse  fra  loro  i  fanti  guida  ; 
E  in  mezzo  è  poi  della  battaglia  Armida . 

XXIII. 

Col  Duce  a  destra  è  il  Re  degT  Indiani , 
E  Tisaferno ,  e  tutto  il  regio  stuolo .. 
Ma ,  dove  stender  può  ne'  larghi  piani 
L' ala  sinistra  più  spedito  il  volo , 
Altamoro  ha  i  re  Persi,  e  i  re  Affricani, 
E  i  duo  che  manda  il  più  fervente  suolo . 
Quinci  le  frombe  e  le  balestre  e  gli  archi 
Esser  tutti  dovean  rotate  e  scarchi . 

XXIV. 

Così  Emiren  gli  schiera;  e  corre  anch'  esso 
Per  le  parti  di  mezzo  e  per  gii  estremi  : 


Si.  ai.  Forse  (se  deve  infra  cslesti  arcani 

Prosontuosa  entrar  lingua,  mortale.) 
Cosi  il  Petrarca  : 

«  Lingua  mortai  prosontuosa  vegna .  Maj^T. 

— .  Angel  custode  fu  ,  che  dai  soprani  eC. 
Custodisce  Iddio  il  suo  diletto  campione,  e  per  maggior  favo- 
re, joe  dà  cosi, eyideute  segno. 


23i3  LA  GERUSALEMME 

Per  interpreti  or  parla ,  or  per  se  stesso  : 
Mesce  lodi  e  rampogne,  e  pene  e  premi. 
Talor  dice  ad  alcun  :  perchè  dimesso 
Mostri,  soldato,  il  volto?  e  di  che  teaii? 
Che  puote  un  contra  cento?  io  mi  confido 
Sol  coir  ombra  fugargli,  e  sol  col  grido. 

XXV. 

Ad  altri  :  o  valoroso ,  or  via  con  questa 
Faccia  a  ritor  la  preda  a  noi  rapita . 
L'immagine  ad  alcuno  in  mente  desta, 
Glie  la  figura  quasi  e*  glie  V  addita 
Della  pregante  patria,  e  della  mesta 
Supplice  famigliuola  sbigottita  : 
Credi,  dicea,  che  la  tua  patria  spieghi 
Per  la  mia  lingua  in  tai  parole  i  preghi  : 

XXVI. 

Guarda  tu  le  mie  leggi ,  e  i  sacri  tempi 
Fa  ch'io  del  sangue  mio  non  bagni  e  lavi: 
Assecura  le  vergini  dagli  empi, 
E  i  sepolcri  e  le  ceneri  degli  avi . 
A  te,  piangendo  i  lor  passati  tempi, 
Mostran  la  bianca  chioma  i  vecchi  gravi: 
A  te  la  moglie  le  mammelle  e  1  petto. 
Le  cune  e  i  figli,  e  '1  maritai  suo  letto. 

XXV  li. 

A  molti  poi  dicea  :  1'  Asia  campioni 
Vi  fa  dell'  onor  suo  :  da  voi  s'  aspetta 


St.   2^.   Me^c^  lodi  e  rampogne ,  e  pene  e  pr£nil. 
Mostra  la  varietà  e  la  mischianza  delle  esortazioni  fatte  dal  Ca« 
pit  ino,  le  quali  più  distintamente  descriveapprcs30.il  modo  è 
simile  a  quello  d'Ovidio  nel  4  delle  Trasformazioni,  v.  471  : 
«  Imperiiim,  promissa ,  preces  conjundit  in  ur.um  . 
St.  7,5.   Credi f  dicea,  che  la  mia  patria  spieghi  ee. 
Piosopeja .  Cosi  Lucano ,  nel  7  ,  v.  SSg  : 

a   C redite  pendentes ,  e  summis  mceriibus  urbis 

u   Crinibus  effusis  hortari  in  prcelia  matres  , 

<t   Credile  grandecvum ,  vctitumqiie  cetate  senatum 

u   Arma  fpcjui,  sacros  pedi  bus  pronternere  canos  ,     GwAST, 


LIBERATA   C.  XX.  '»-39 

Contra  quc' pochi  barbari  ladroni 
Acerba  ,  ma  giustissima  vendetta. 
Così  con  arti  varie,  in  varj  suoni 
Le  varie  genti  alla  battaglia  alletta. 
Ma  già  tacciono  i  Duci  ;  e  le  vicine 
Schiere  non  parte  ornai  largo  confine . 
xxviii. 
Grande  e  mirabil  cosa  era  il  vedere , 

Quando  quel  Campo  e  questo  a  fronte  venne, 
Come,  spiegate  in  ordine  le  schiere, 
Di  mover  già,  già  d'assalire  accenne  : 
Sparse  al  vento  ondeggiando  ir  le  bandiere, 
E  ventolar  sui  gran  cimier  le  penne; 
Abiti,  fregi,  imprese,  arme  e  colori. 
D'oro  e  di  ferro  al  Sol  lampi  e  fulgori. 

XXIX. 

Sembra  d' alberi  densi  alta  foresta 

L'  un  Campo  e  1'  altro,  di  tant'aste  abbonda. 
Son  tesi  gli  archi,  e  son  le  lance  in  resta; 
Vibransi  i  dardi,  e  rotasi  ogni  fionda  : 
Ogni  cavallo  in  guerra  anco  s'  appresta; 
Gli  odj  e  '1  furor  del  suo  signor  seconda  : 
Raspa  ,  batte ,  nitrisce ,  e  si  raggira  ; 
Gonfia  le  nari,  e  fumo  e  foco  spira. 

XXX. 

Bello  in  sì  beDa  vista  anco  è  l'orrore; 
E  di  mezzo  la  tema  esce  il  diletto  : 

St,   3o.  Bello  in  si  bella  vista  anco  è  l' orrore ,  ec. 
Lucano  al  medesimo  proposito: 

a mctuenda  voluptas 

o  Cernentis  ,  pulcherque  timur . 
Tale  è  quel  piacere  che  è  proprio  della  Tragedia ,  il  quale  «- 
sce  di  mezzo  la  tema  e  la  compassione,  mentre  vediamo  una 
buona  persona  per  qualche  caso,  di  felice  divenire  infelice,  o 
per  dir  meglio ,  tale  è  quel  piacere  che  dalla  vista  di  mostruosi  e 
spaventevoli  abiti  ed  apparati  si  prende  nelle  scene,  il  quale  di- 
ce Aristotile  non  essere  proprio,  ma  straniero  della  tragedia,  non 
nascendo  da  compassione  e  spavento  fatt*  per  opera  della  imi- 
azieae. 


-4o  LA  GERUSALEMME 

Ne  niftì  le  trombe  orribili  e  canore 

Sono  agli  orecchi  lieto  e  fero  oggetto . 

Tur  il  Campo  Fedel,  benché  minore. 

Par  di  suon  più  mirabile,  e  d'aspetto-: 

E  canta  in  più  guerriero  e  chiaro  carme 

Ogni  sua  tromba ,  e  maggior  luce  han  1'  arme 

XXXI. 

Fer  le  trombe  Cristiane  il  primo  invito  : 
Risposer  1'  altre ,  ed  accettar  la  guerra . 
S' inginocchiaro  i  Franchi ,  e  riverito 
Da  lor  fu  il  Cielo ,  indi  baciar  la  terra . 
Decresce  in  merao  il  Campo  :   ecco  è  sparito  : 
L'  un  con  1'  altro  nemico  omai  si  serra . 
Già  fera  zuffa  è  nelle  corna  ;  e  avanti 
Spingonsi  già  con  lor  battaglia  i  fanti . 
xxxii. 

Or  chi  fu  il  primo  feritor  Cristiano , 
Che  facesse  d'onor  lodati  acquisti? 


St.  3i.  S' inginoccìùaro  i  Franchi,  e  TÙ'erUo  ec. 
Questa  religiorie  di  baciar  la  teira  avanti  ai  combattere  fu  au- 
licamente peculiare  a' Romani;  siccome  quella   comune  a  molte 
nazioni,  di  baciar  la  terra  nella  quale  venivano  :  ciò  clie  dice  Emi- 
lio nell'istoria  di  Francia  che  fecero  i  Cristiani  nella  prima  vista 
di  Gerusalemme.  Onde  mi  raaraviglio  che  il  nostro  Poeta  l'abbia 
pretermesso  nel  terzo  cauto .  Dice  poi  quivi,  che  prima  il  Cielo 
riverirono,  per  signiiicarc,  che  il  Cielo  si  riverisce  per  la  mente, 
onde  è  venuta,  e  la  terra  si  bacia  pel  corpo,  alla  quale  deve  ri- 
tornare. Perchè  saggiamente  disse  Ennio  nell'Epicarino: 
«    Terra  corpun  est;  at  mentis  i^nis  est . 
Mentis,  prò  mens  ,  dice  Prisciano,  all'antica,  come  di  sopra 
vuìturis ,  prò  vultur,  Gent. 

St.  32.   Or  chi  fa  il  primo  feritor  Cristiano  ,  ce. 
Omero  nella  presente  occacionc  di  ridire  chi  nella  zuffa  fosse  il 
primo  ad  incontrare  o  ad  uccidere  il  nemico,  nel   ii   e  nel  i.^ 
dell'Iliade,  le  Muse  invocò,  cosi  dicendo  nei  primo  luogo,  v.  ai% 
'EovrcTi  v\ìv  fj.01 ,  iViouffat,  oXùjU.n"<a.  òw'^ar   t'j^ovffoK 

*H   U.VTiaV   TpWUV,  yjì  xXUTÌiv  iTlHO'jpiOV. 

Cioè: 

«  Ditemi  ora,  o  Muse  che  le  celesti  case  abitate, 

«<  Chi  allora  priinieio  ad  Agamennone  iacoutra  andò, 


LIBERATA    G.  XX.  a4i 

Fosti,  Gildippe,  tu  ,  che  '1  grande  Ircauo, 
Che  regnava  in  Ormus ,  prima  feristi 
(  Tanto  di  gloria  alla  femminea  mano 
Concesse  il  Cielo  ) ,  e  '1  petto  a  lui  partisti . 
Cade  il  trafitto;  e  nel  cadere  egli  ode 
Dar  gridando  i  nemici  al  colpo  lode. 

XXXIII. 

Con  la  destra  viril  la  donna  stringe, 

Poi  e'  ha  rotto  il  troncon ,  la  buona  spada j 
E  contra  i  Persi  il  corridoi  sospinge, 
E  '1  folto  delle  schiere  apre  e  dirada . 
Coglie  Zopiro  là  dove  uom  si  cinge, 
B  fa  che  quasi  bipartito  ei  cada  : 
Poi  fier  la  gola,  e  tronca  al  crudo  Alare© 
Della  voce  e  del  cibo  il  doppio  varco. 

XXXIV. 

D'  un  mandritto  Artaserse,  Argeo  di  punta, 
L' uno  atterra  stordito,  e  l' altro  uccide. 


a   O  degli  stessi  Trojani ,  ovTero  degl'incliti  compagni. 
E    cosi  neir  altro  ^  v.  608  : 

'EcTfra  vuv  /J.OJ,  Mouca^,  cKki^-kio.  Sw/^ar  i-)(0\iG(Xt. 
"OaTi<i  5>J  TTpwTOi  BpoTo'svr'  avSpctypr  A^J^wv 
Hpar',  «Tra'  p'  ikKivi  ^i.<x-)(v\v  kXutòj  Evvoc(yflc«c$. 
Cioè: 

«  Ditemi  ora,  o  Muse,  che  le  celesti  case  abitate 
«   Chi  allora  primiero  le  sanguinose  spoglie  de' Greci 
«  Riportò  ,  dopo  che  fece  piegar  la  zuffa  V  inclito  Nettuno  . 
Ma  al  Tasso  non  parendo  questa  cagion  meritevole  di  chiamata 
di  Muse,  imitando  il  modo,  lasciò  da  parte  l'invocazione;  come 
prima  di  lui  fece  anche  Virgilio  uell'  u  ,  v.  664,  descrivend©  la 
g;rande  uccisione  fatta  da  Cammilla  : 

«    Quem  telo  primum  ,  quem  postremum  aspera  virgo 
«  Dejicis?  aut  quot  humi  morientia  carpar  a  Jundis  ? 
St.  33.   Della  voce  e  del  cibo  il  doppio  7>arco  . 
I  due  canali,  cioè  il  gorgozzule  e  la  gola  ;  i  quali  sono  posti  l'u- 
no sotto  all'altro  :  e  per  lo  primo  di  essi  ha  passo  la  voce  e  lo  spi- 
rito, e  termina  nel  polmone,  e  per  l'altro  il  cibo  ed  il  bere,  e 
termina  nello  stomaco,  com'è  chiaro  e  risoluto  fra  tutti  gli  ana- 
tomisti: tutto  che  Platone  ne  prendesse  in  questo  grandissimo  er- 
rore, e  malamente  fosse  da  Macrobio  ne'Saturuali  cercato  di  di- 
fendere . 


i4i  LA  GERUSALEMME 

Poscia  i  pieghevol  nodi  ,  onde  congiunta 
La  manca  al  braccio,  ad  Ismael  recide. 
Lascia,  cadendo,  il  fmi  la  man  disgiunta; 
Sugli  orecchi  al  destriero  il  colpo  stride  : 
Ei,  che  si  sente  in  suo  poter  la  briglia , 
Fugge  a  traverso,  e  gli  ordini  scompiglia . 

XXXV. 

Questi  e  molti  altri,  che  'n  silenzio  preme 
L'età  vetusta,  ella  di  vita  toglie. 
Stringonsi  i  Persi,  e  vanle  addosso  insieme, 
Vaghi  d'  aver  le  gloriose  spoglie; 
Ma  lo  sposo  fedel,  che  di  lei  teme. 
Corre  in  soccorso  alla  diletta  moglie.         \.^ 
Così  congiunta  la  concorde  coppia, 
NeUa  fida  union  le  forze  addoppia . 

XXXVI. 

Arte  di  schermo  nova  e  non  più  udita 
Ai  magnanimi  amanti  usar  vedresti  : 
Oblia  di  sé  la  guardia,  e  l'altrui  vita 
Difende  intentamente  e  quella  e  questi . 
Ribatte  i  colpi  la  Guerriera  ardita , 
Che  vengono  al  suo  caro  aspri  e  molesti: 
Egli  all'  arme  a  lei  dritte  oppon  lo  scudo: 
V  opporrla,  s'  uopo  fosse,  il  capo  ignudo. 

XXXVII. 

Propria  V  altrui  difesa ,  e  propria  face 
L'  uno  e  F  altro  di  lor  F  altrui  vendetta . 
Egli  dà  morte  ad  Artabano  audace, 
Per  cui  di  Boecan  l' isola  è  retta  : 
E  per  l' istessa  mano  Alvante  giace^ 
Ch'osò  puf  di  colpir  la  sua  diletta: 
Ella  fra  ciglio  e  ciglio  ad  Arimonte, 
Che  '1  suo  fede!  batlea,  partì  la  fronte. 

XXXVIII. 

Tal  fean  de'  Persi  strage  ;  e  via  maggiore 
La  fea  de  Franchi  il  Re  di  Sarmacante; 


I  I  B  E  Pi  A  T  A    G.  XX.  24^' 

Cir  ove  il  ferro  volgeva  o  '1  corridore,' 
Uccideva,,  abbati ea  cavallo  o  Tante. 
Felice  è  qui  colui  che  prima  more. 
Né  geme  poi  sotto  il  destrier  pesante; 
Perchè  il  destrier  (se  dalla  spada  resta 
Alcun  mal  vivo  avanzo  )  il  moide  e  pésta. 

XXXIX. 

Bìman  dai  colpi  d' Altamoro  ucciso 

Brunellone  il  membruto,  Ardonio  il  grande. 
L'  elmetto  all'  uno  e  '1  capo  è  si  diviso, 
Ch'ei  ne  pende  sugli  omeri  a  due  bande. 
Trafitto  è  r  altro  infin  là  dove  il  riso 
Ha  suo  principio ,  e  '1  cor  dilata  e  spande; 
Tal  che  (strano  spettacolo  ed  orrendo) 
Ridea  sforzato ,  e  si  moria  ridendo . 

XL. 

^è  solamente  discacciò  costoro 

La  spada  micidial  dal  dolce  mondo  ; 


St.  39.   U  elmetto  all' lino  e  '1  capò  è  si  diviso  ,  t:C. 
Virgilio  nel  g  ,  v.  ^54  tli  Pandaro  ucciso  da  Turno: 

« atqiie  ila  partihus  oequis 

«  Hvc  caput ,  atque  illiic  liumero  ex  utroque  pependit ., 
Ma  intorno  a  questo  soggetto  della  varietà  delle  morti  ,  non  è 
intendimento  mio  il  far  considerazione  alcuna,  né  parajjonar 
quelle  d'Omero  e  di  Virgilio  con  queste  dei  Tasso,  cercando  qua 
li  da  loro  abbia  tolto  del  tutto,  quali  variate  in  parte,  cjuali  uri 
tutto  ritrovate  da  sé  ,  e  somiplianti  cose,  perchè  sarebbe  ti -ìppu 
lunga  bisogna;  e  può  ciascheduno  a  cui  torna  in  g'.ado  far  cjucto 
(la  sé,  considerando  i  luoghi  proprj  ,  che  sono  molti  appresso  1  li- 
no e  l'altro  poeta;  appresso  Omero  nel  ^j  nel  5 ,  nel  ii  ,  ne-l  14.. 
nel  lò,  nel  17  dell'Iliade,  e  anche  altrove.  Appresso  Vii pilio  nel 
g,  nel  10  ,  nel  vx  dell'Eneide. 

—    Trafitto  ò  l'altro  ìvjin  là  dove  il  riso 

Ha  suo  prinr/pio  ,  e  7  cor  dilata  e  spande. 
Da'Latini  Anatomisti  è  questo  luogo  Aeììo  se^ptum  transfer' 
siiìTi ,  o  mcdiastinum  :  cioè  barra  traversa  o  di  mezzo,  per  esser 
eerta  menbrana ,  o  pelle,  la  quale  cBvide  le  parti  naturali  del' 
l'uomo,  dalle  animali  o  spirituali  ;  ed  è  mezzana  fra  loro.  (ìua.st. 
I  nostii  medici  lo  chiamano  diajramma ;  ed  è  opinione  de'fi- 
siologi  che  il  riso  sia  una  specie  di  convulsione  eccitata  in  qurf 
viscere.  M. 


244  LA  GERUSALEMME 

Ma  spinti  insieme  a  crudel  morte  foro 

Gentonio,  Guasco,  Guido  e  1  buoo  Rosmondo. 

Or  chi  narrar  potri'a  quanti  Altamoro 

N'abbatte,  e  frange  il  suo  destrier  col  pondo? 

Chi  dire  i  nomi  delle  genti  uccise? 

Chi  del  ferir,  chi  del  morir  le  guise? 

XLI. 

Non  è  chi  con  quel  fero  ornai  s'afFronte, 
Ne  chi  pur  lunge  d' assalirlo  accenne . 
Sol  rivolse  Gildippe  in  lui  la  fronte , 
Né  da  quel  dubbio  paragon  s'astenne. 
Nulla  Amazzone  mai  sul  Termodonte 
Imbracciò  scudo ,  o  maneggiò  bipenne 
Audace  sì,  com'ella  audace  in  verso 
Al  furor  va  del  formidabil  Perso . 

XLII. 

Ferillo  ove  splendea  d' oro  e  di  smalto 
Barbarico  diadema  in  sull'  elmetto  : 
E  '1  ruppe  e  sparse;  onde  il  superbo  ed  alto 
Suo  capo  a  forza  egh  è  a  chinar  costretto . 
Ben  di  robusta  man  parve  1'  assalto 
Al  re  Pagano  ;  e  n'  ebbe  onta  e  dispetto  ; 
Né  tardò  in  vendicar  1'  ingiurie  sue; 
Che  r  onta  e  la  vendetta  a  un  tempo  fue . 

XLHI. 

Quasi  in  quel  punto  in  fronte  egli  percosse 
La  donna  di  percossa  in  modo  fella. 
Che  d'  ogni  senso  e  di  vigor  la  scosse  : 
Cadea;  ma  il  suo  fedel  la  tenne  in  sella: 
Fortuna  loro ,  o  sua  virtù  pur  fosse , 
Tanto  bastogli  ;  e  non  ferì  più  in  ella  ; 
Quasi  leon  magnanimo  che  lassi 
Sdegnando  uom  che  si  giaccia,  e  guardi  e  passi. 

XLIV. 

Ormondo  intanto,  alle  cui  fere  mani 
Era  commessa  la  spietata  cura , 


LIBERATA   C.  XX.  24:» 

Misto  con  false  insegne  è  fra  Cristiani , 
E  i  compagni  con  lui  di  sua  congiura. 
Così  lupi  notturni^  i  quai  di  cani 
Moslrin  sembianza  per  la  nebbia  oscura^ 
Vanno  alle  mandre^  e  spian  come  in  lor  s' enti  e. 
La  dubbia  coda  ristringendo  al  ventre. 

XLV. 

Giansi  appressando;  e  non  lontano  al  fianco 
Del  pio  Goffredo  il  fier  Pagan  si  mise: 
Ma  come  il  Capitan  1'  orato  e  '1  bianco 
Vide  apparir  delle  sospette  assise  : 
Ecco ,  gridò  _,  quel  traditor  clic  Franco 
Cerca  mostrarsi  in  simulate  guise . 
Ecco  i  suoi  congiurati  in  me  già  mossi  : 
Così  dicendo^  al  perfido  avventossi. 

XLVI. 

Mortalmente  piagollo;  e  quel  fellone 

Non  fere,  non  fa  scliermo,  e  non  s'  arretra; 
Ma  come  innanzi  agli  occhi  abbia  1  Gorgone , 
(  E  fu  cotanto  audace  )  or  gela  e  impetra . 
Ogni  spada _,  ed  ogn'  asta  a  lor  s'oppone, 
E  si  vota  in  lor  soli  ogni  faretra  . 
Va  in  tanti  pezzi  Ormondo  e  i  suoi  consorti , 
Che  1  cadavere  pur  non  resta  ai  morii . 


St.  44-  ^^  dubbia  coda  ristringendo  al  ventre . 
Virgilio  nel  io,  v.  812: 

« caudamque  remulcens 

«  Subjecit  pavitantem  utero , 
Che  1  tolse  da  Omero . 

^St.  46.  Ma  come  innanzi  agli  occhi  abbia  'l  Gorgone  ,  ce. 
È  da  notare  quanto  operi  aspetto  maestevole  nello  spaventare 
l'offenditore;  di  che  è  esempio  celebratissimo  in  Mario  ,  il  quale 
essendo  prigione,  colla  sola  guardatura  degli  occhi  legò  iu  auisa 
le  mani  al  manigoldo  eh'  era  ito  per  ucciderlo  ,  che  non  si  'potò 
pur  muovere . 

—   Che  'l  cadavero  pur  non  resta  ai  morii . 
Che  ad  essi  morti  ed  uccisi  non  avanzò  pur  corpo  da  poter  es- 
ser seppellito,  in  tanti  menomi  pizzi  furono  minuzzati  .  Guast. 
Gt/r^orte ,  cioè  il  volto  di  Medusa,  che  /aceva  chiiiiKiue  lo  ri- 


246  L\  GERUSALEMME 

XLVII. 

Poiché  di  sangue  ostil  si  vede  asperso , 
Entra  in  guerra  Goffi'edo ,  e  là  si  volve 
Ove  appresso  vedea  che  '1  duce  Perso 
Le  più  ristrette  squadre  apre  e  dissolve; 
Sì  che  il  suo  stuolo  ornai  n'andn'a  disperso _, 
Come  anzi  1'  Austro  l' AfFricana  polve. 
Ver  lui  si  drizza ,  e  i  suoi  sgrida  e  minaccia  : 
E ,  fermando  chi  fugge ,  assai  chi  caccia . 

XLVIII. 

Comincian  qui  le  due  feroci  destre 

Pugna ,  qual  mai  non  vide  Ida  né  Xanto  : 

Ma  segue  altrove  aspra  tenzon  pedestre 

Fra  Baldovino  e  Muleasse  intanto  . 

Né  ferve  men  1'  altra  battaglia  equestre 

Appresso  il  colle ,  all'  altro  estremo  canto  ; 

Ove  il  barbaro  Duce  delle  genti 

Pugna  in  persona,  e  seco  ha  i  duo  potenti. 

XLIX. 

Il  Rettor  delle  turbe  e  1'  un  Roberto 

Fan  crudel  zuffa  ;  e  lor  virtù  s'  agguaglia. 
Ma  r  Indi'an  dell'altro  ha  1'  elmo  aperto, 
E  r  arme  tuttavia  gli  fende  e  smaglia  . 
Tisaferno  non  ha  nemico  certo 
Che  gli  sia  paragon  degno  in  battaglia  ; 
Ma  scorre  ove  la  calca  appar  più  folta  ) 
E  mesce  varia  uccisione  e  molta  . 

L. 

Così  si  combatteva;  e  'n  dubbia  lance 
Col  timor  le  speranze  eran  sospese  . 
Pien  tutto  il  campo  é  di  spezzate  lance  , 
*Di  rotti  scudi  e  di  troncato  arnese  ; 

mirava  convertir  in  pietra,  come  dice  dice  il  Petrarca  nel  sonet^ 
to  :  Gerì ,  (juando  talor ,  ec. 

« //  ì'olfo  di  Medusa 

«  Chefacea  marnuj  diventar  la  gente.  Ma.RT. 


I 


LIBERATA    C.  XX.  247 

Di  spade  ai  petti ,  alle  squarciate  pance 
Altre  confitte  ,  altre  per  terra  slese  : 
Di  corpi,  altri  supini,  altri  co'  volti, 
Quasi  mordendo)  il  suolo ,  al  suoi  rivolti . 

LI. 

Giace  il  cavallo  al  suo  signore  appresso  : 

Giace  il  compagno  aj)po  il  compagno  estinto  : 
Giace  il  nemico  appo  il  nemico  5  e  spesso 
Sul  morto  il  vivo,  il  vincitor  sul  vinto . 
Non  v'  è  silenzio,  e  non.v'  è  grido  espresso  ; 
Ma  odi  un  non  so  che  roco  e  indistinto: 
Fremiti  di  furor;  mormori  d'  ira; 
Gemiti  di  chi  langue  e  di  chi  spira . 

LIl. 

L'  arme  ,  che  già  sì  liete  in  vista  foro , 
Faceano  or  mostra  spaventosa  e  mesta  . 
Perduti  ha  i  lampi  il  ferro,  i  raggi  V  oro  : 
Nulla  vaghezza  ai  bei  color  più  resta. 
Quanto  appari'a  d'  adorno  e  di  decoro 
Ne'  cimieri  e  ne' fregi,  or  si  calpesta. 
La  polve  ingombra  ciò  eh'  al  sangue  avanza; 
Tanto  i  campi  mutata  avean  sembianza  ! 
LUI. 

Gli  Arabi  allora  e  gli  Etiopi  e  i  Mori, 
Che  l'estremo  tenean  del  lato  manco, 
Giansi  spiegando  e  distendendo  in  fuori; 
Indi  giravan  de' nemici  al  fianco: 
Ed  ornai  sagittarj  e  frombatori 
Molestavan  da  lunge  il  popol  Franco; 
Quando  Rinaldo  e  '1  suo  drappel  si  mosse; 
E  parve  che  treiiioto  e  tuono  fosse . 

LIV. 

Assimiro  di  Meroe  infra  l'aduslo 

Stuol  d'Etiopia  era  il  primier  de' forti. 
Rinaldo  il  colse  ove  s'  annoda  al  busta 
Il  nero  collo,  e  '1  fé' cader  tra' morti,. 
G.  LiB.  T.  IH.  57 


248  LA  GERUSALEMME 

Poi  eh'  eccitò  della  vittoria  il  gusto 
L'  appetito  del  sangue  e  delle  morti 
Nel  fero  vincitore,  egli  fé'  cose 
Incredibili,  orrende  e  most^ose. 

LV. 

Die  pili  morti  che  colpi,  eppur  frequente 
De' suoi  gran  colpi  la  tempesta  cade. 
Qual  tre  lingue  vibrar  sembra  il  serpente, 
Che  la  prestezza  d'  una  il  persuade  ; 
Tal  credea  lui  la  sbigottita  gente 
Con  la  rapida  man  girar  tre  spade . 
L'  occliio  al  moto  deluso  il  falso  crede  ; 
E  '1  terrore  a  que'  mostri  accresce  fede . 

LVI. 

I  Libici  tiranni  e  i  Negri  regi , 

L'  un  nel  sangue  dell  altro  a  morte  stese  : 
Dier  sovra  gli  altri  i  suoi  compagni  egregi, 
Cui  d'emulo  furor  l'esempio  accese. 
Cadeane  con  orribili  dispregi 
L'Infedel  plebe,  e  non  Iacea  difese  . 
Pugna  questa  non  è ,  ma  strage  sola  : 
Che  quinci  oprano  il  ferro,  indi  la  gola. 


St.  55.    Qual  tre  lingue  vibrar  sembra  il  serpente . 
Dichiara  quel  detto  di  Virgilio: 

« et  linguis  micat  ore  trisiilcis  , 

Perchè  si  causa  dal  celere  moto  di  una  :  il  quale  si  dice  da  Pacu- 
vio,  crispo  :  in  Medo:  Linguce  hisulcis  actu  crispo  fulgere  . 

La  causa  di  questa  scissura  e  celerità  della  lingua  del  serpente 
si  riferisce  alla  sua  ingordigia  da  Michele  Efesio . 
St.   56.   Pugna  questa  non  è ,  ma  strage  sola  : 

Che  quinci  oprano  il  ferro,  indi  la  gola. 
Imita  que'  versi  di  Lucano  ,  lib.  7 ,  v.  Saa  : 

«    Perdidit  inde  niodum  ccedes ,  ac  nulla  secata  est 
«    Pugna  :  sed  lune  ingulis  ,  liinc  ferro  bella  gerunlur  . 
«   Nec  valet  hoec  acies  tantum  prosternere ,  quantum 
«   Inde  perire  potest . 
Ove  nota  con  quanto  giudizio  abbi  il  Tasso  risccato  il  sover- 
chio loro;  e,  come  i  Latini  direbbono,  mutata  la  lussuria  iV  essi 
con  l'acume  del  suo  sliie  . 


L  I  B  E  R  A  T  A  e.  XX  ^49 

LVII. 

Ma  non  lunga  stagion  volgon  la  faccia, 
Ricevendo  le  piaghe  in  nobil  parte  : 
Fuggon  le  turbe  _,  e  sì  il  timor  le  caccia , 
Gli'  ogni  ordinanza  lor  scompagna  e  parie. 
Ma  segue  pur  senza  lasciar  la  traccia , 
Sin  che  Tha  in  tutto  dissipate  e  sparte; 
Poi  si  raccoglie  il  vincitor  veloce, 
Che  sovra  i  più  fugaci  è  men  feroce . 

LVIII. 

Quàl  vento,  a  cui  s'oppone  o  selva  o  colle. 
Doppia  nella  contesa  i  soffi  e  l'ira; 
Ma  con  fiato  piìi  placido  e  pili  molle 
Per  le  campagne  libere  poi  spira  ; 
Come  fra  scogli  il  mar  spuma  e  ribolle, 
E  neir  aperto  onde  più  chete  aggira  : 
Così,  quanto  contrasto  avea  men  saldo, 
Tanto  scemava  il  suo  furor  Rinaldo . 

LIX. 

Poiché  sdegnossi  in  fuggitivo  dorso 
Le  nobil  ire  ir  consumando  invano; 
Verso  la  fanteria  voltò  il  suo  corso , 
Ch'  ebbe  l'Arabo  al  fianco  e  V  AfFricano. 
Or  nuda  è  da  quel  lato  ;  e  chi  soccorso 
Dar  le  doveva,  o  giace,  od  è  lontano. 


St.  58    Qual  vento,  ti  cui  s'&ppone  a  selva  o  eolle , 
Doppia  nella  contesa  i  soffi  e  V  ira . 
Imita  il  medesimo  poeta  ,  lib.  3,  v.  36a: 

«    Vcntus  ut  amittat  vires,  nisi  rotore  densoe 
«    Occurrant  sylvoe  ,  spatio  diffusus  inani, 
«    Utfjue  perit  magnus  nullis  obstantibus  ignis ; 
«  Sic  tiostes  mi/li  deesse  nocet . 
E  v'aggiunge  la  comparazione  dell'acque,  simile  a  quella  ifi 
Ovidio /lib.  3,  Melam.  v.  568: 

«   Sic  ego  torrentem  qua  nil  ostahat  eunti, 

a   I^enius ,  et  modico  strepita  decurrere  vidi: 

«   ^t  (juacurnque  trnbes  ,  ostructaqiie  saxa  jacehant , 

«  Spumeus  ,  etjervens ,  et  ab  obice  seevior  ibat .         Gen  r^ 


25o  LA  GERUSALEMME 

Vien  da  traverso  ;  e  le  pedestri  scliiere 
La  gente  d'  arme  impetuosa  fere  . 

LX. 

Ruppe  1'  aste  e  gì'  intoppi,  e  '1  violento 
Impeto  vinse  ,  e  penetrò  fra  esse  : 
Le  sparse  e  1'  atterrò  :  tempesta  o  vento 
Men  tosto  abbatte  la  pieghevol  messe . 
Lastricato  col  sangue  è  il  pavimento 
D'  arme  e  di  membra  perforate  e  fesse  ; 
E  la  cavalleria  correndo  il  calca 
Senza  ritegno  ,  e  fera  oltre  sen  valca. 

LXI. 

Giunse  Rinaldo  ove  sul  carro  aurato 
Stavasi  Armida  in  militar  sembianti; 
E  nobil  guardia  avea  da  ciascun  lato 
De' Baroni  seguaci  e  degli  amanti. 
Noto  a  più  segni  egli  è  da  lei  mirato 
Con  occhi  d' ira  e  di  desio  tremanti. 
Ei  si  tramuta  in  volto  un  cotal  poco  : 
Ella  si  fa  di  gel,  divien  poi  foco  . 

LXII. 

Declina  il  carro  il  cavaliero  e  passa , 

E  fa  sembiante  d'  uom  cui  d'  altro  cale  ; 

Ma  senza  pugna  già  passar  non  lassa 

Il  drappel  congiurato  il  suo  rivale  : 

Chi  '1  ferro  stringe  in  lui,  chi  1'  asta  abbassa: 

Ella  stessa  in  sull'  arco  ha  già  lo  strale . 

Spingea  le  mani,  e  incrudeli'a  lo  sdegno; 

Ma  la  placava,  e  n'  era  Amor  ritegno . 


St.  6 1 .  Ella  si  fa  di  gel ,  divìen  poi  foco  . 
Passione  propria  degli  innamorati.  Petrarca: 
<|   E  so  come  in  un  punto  si  dilegua , 

«  E  poi  si  Sparge  per  le  vene  il  sangue  , 

«  Se  paura ,  a  vergogna  avvien  che  7  segua . 

©CAST. 


LIBERATA   C.  XX.  25i 

LXIII. 

Sorse  Amor  centra  l' Ira  ;  e  fé'  palese 
Che  vive  il  (beo  suo  eh'  ascoso  tenne . 
La  man  tre  volte  a  saettar  distese; 
Tre  volte  essa  inchinolla,  e  si  ritenne. 
Pur  vinse  alfln  lo  sdegno,  e  1'  arco  tese, 
E  fé'  volar  del  suo  quadrel  le  penne . 
Lo  strai  volò;  ma  con  lo  strale  un  voto 
Subito  uscì ,  che  vada  il  colpo  a  vóto . 

LXIV. 

Torria  ben  ella  che  1  quadrel  pungente 
Tornasse  indietro,  e  le  tornasse  al  core: 
Tanto  poteva  in  lei,  benché  perdente, 
(  Or  che  potrìa  vittorioso  ?  ) ,  Amore . 
Ma  di  tal  suo  pensier  poi  si  ripente , 
E  nel  discorde  sen  cresce  il  furore . 
Così  or  paventa ,  ed  or  desia  che  tocchi 
Appieno  il  colpo ,  e  '1  segue  pur  con  gli  occhi , 

LXV. 

Ma  non  fu  la  percossa  invan  diretta; 

Ch'ai  cavalier  sul  duro  usbergo  è  giunta  : 
Duro  ben  troppo  a  femminil  saetta , 
Che,  di  pungere  in  vece,  ivi  si  spunta. 
Egli  le  volge  il  fianco  :  ella  negletta 
Esser  credendo  ,  e  d' ira  arsa  e  compunta. 
Scocca  r  arco  più  volte,  e  non  fa  piaga; 
E  mentre  ella  saetta ,  Amor  lei  piaga . 

LXVI. 

Sì  dunque  impenetrabile  è  costui 

(Fra  se  dicea  ),  che  forza  ostil  non  cura? 
Vestirebbe  mai  forse  i  membri  sui 
Di  quel  diaspro  ,  ond'  ei  1'  alma  ha  sì  dura? 
Colpo  d' occhio  o  di  man  non  puote  in  lui  ; 
Di  tai  tempre  è  il  rigor  che  1'  assecura  : 
E  inerme  io  vinta  sono,  e  vinta  armata. 
Nemica  ,  amante,  egualmente  sprezzata. 


o52  LA  GERUSALEMME 

LXVIT. 

Or  qual  arte  tiovella^  e  qual  m'  avanza 
Nova  forma,  in  cui  possa  anco  mutarmi? 
Misera  !  e  nulla  aver  degg'  io  speranza 
Ne'  cavalieri  miei  ;  che  veder  parmi, 
Anzi  pur  veggio ,  alla  costui  possanza 
Tutte  le  forze  frali  e  tutte  F  armi . 
E  ben  vedea  de'  suoi  campioni  estinti 
Altri  giacerne,  altri  abbattuti  e  vinti. 

LXVIII. 

Soletta  a  sua  difesa  ella  non  basta  ; 
E  già  le  pare  esser  prigiona  e  serva  ; 
Né  s'  assecura  (  e  presso  1'  arco  ha  1'  asta  ) 
Neil'  arme  di  Diana,  o  di  Minerva . 
Qnal'è  il  timido  cigno,  a  cui  sovrasta 
Col  fero  artigho  1'  aquila  proterva  , 
Ch'  a  terra  si  rannicchia  e  china  1'  ali , 
I  suoi  timidi  moti  eran  cotali . 

LXIX. 

Ma  il  principe  Allamor ,  che  sino  allora 
Fermar  de'  Persi  procurò  lo  stuolo  , 
Ch'era  già  in  piega,  e  'n  fuga  ito  sen  fora; 
Ma  '1  ritenea,  bench'  a  fatica ,  ei  solo 
Or  tal  veggendo  lei  ;  eh'  amando  adora , 
Là  si  volge  di  corso ,  anzi  di  volo  : 
E  '1  suo  onor  abbandona  e  la  sua  schiera  ; 
Pur  che  costei  si  salvi,  il  mondo  pera. 

St.  69.  Pur  che  costei  si  salvi,  il  mondo  pera  . 
Simile  a  quel  detto  di  Nerone:  il  quale   iutcudendo  prenun- 
ciarsi  quel  Senaiio  Greco: 

tLjJiOÙ   òdvQVTOe,   yOUOL  ^lypiTU}    TTUpì  . 

Imo  s/aoù  CjijjVTOi  rispose. 
Cioè:  «  Morto  me,  la  terra  si  meschi  col  fuoco»  Anzi  me  vivo,» 
soggiunse  egli,  e  non  in  vano,  perchè  abbruciò  Roma  capo  del 
mondo:  e  1  mondo  poi  crudelmente  diede  in  preda  a' suoi  mini- 
stri: siccome  avea  raccontato  de' Numidi,  i  quali  abbruciavano 
solamente  la  testa  d«' morti ,  e  1  resto  davano  a  lacerare  agli  a- 
voltoi  ed  a' cani .  Gb«t. 


LIBERATA    C.  XX.  255 

LXX. 

Al  mal  difeso  carro  egli  fa  scorta, 

E  col  ferro  le  vie  gli  sgombra  avante. 
Ma  da  Rinaldo  e  da  Goffredo  è  morta 
E  fugata  sua  schiera  in  quell'istante. 
Il  misero  sei  vede,  e  sei  comporta, 
Assai  miglior  ,  che  capitano,  amante. 
Scorge  Armida  in  securo  ;  e  torna  poi , 
Intempestiva  aita  ,  ai  vinti  suoi; 

LXXI. 

Che  da  quel  lato  de'  Pagani  il  Campo 
Irreparabilmente  è  sparso  e  sciolto . 
Ma  dall'  opposto ,  abbandonando  il  campo 
Agl'Infedeli,  i  nostri  il  tergo  han  volto. 
Ebbe  r  un  de'  Roberti  appena  scampo  , 
Ferito  dal  nemico  il  petto  e  '1  volto  : 
L'  altro  è  prigion  d'  Adrasto .  In  cotal  guisa 
La  sconfitta  egualmente  era  divisa. 

LXXII. 

Prende  Goffredo  allor  tempo  opportuno  : 
Riordina  sue  squadre,  e  fa  ritorno 
Senza  indugio  alla  pugna:  e  così  l'uno 
Viene  ad  urtar  nell'  altro  intero  corno . 
Tinto  sen  vien  di  sangue  ostil  ciascuno , 
Ciascun  di  spoglie  trionfali  adorno  . 
La  Vittoria  e  1  Gnor  vien  da  ogni  parte: 
Sta  dubbia  in  mezzo  la  Fortuna,  e  Marte. 


St.  72.  La  Vittoria  e  V  Onor  vien  da  ogni  parte: 
Sta  dubbia  in  mezzo  la  Fortuna,  e  Marte. 
Non  so,  perchè  faccia  stare  dubbio  Marte  :  dicendo»  la  Vittmia 
da  ogni  parte  venire .  Conciossiacosaché  Marte  allora  si  dice  er- 
rar dubbio  tra  mezzo  doli' armi,  quando  la  vittoria  non  inchina 
da  veruna  parte  :  onde  nelle  antiche  inscrizioni  Marte  si  coii- 
giunge  con  la  Vittoria.  GneoMattio,  nell'Iliade: 

«   Dum  dct  vincenti  t/roepes  Victoria  paimam. 
Ma  il  Tasso  forse  che  intende  del  principio  della  vittoria,  di- 
cendo viene.  Laonde  di  sotto  dice: 

«   E  Fortuna ,  che  varia  e  instabiV  er* 


254  Lk  GERUSALEMME 

LXXIII. 

Or  ,  mentre  in  guisa  tal  fera  tenzone 
E  tra  '1  Fedele  esercito  e  '1  Pagano , 
Salse  in  cima  alla  torre  ad  un  balcone, 
E  mirò,  benché  fuìige,  il  fier  Soldanoj 
Mirò,  quasi  in  teatro  od  in  agone, 
L'  aspra  tragedia  dello  stato  umano  : 
I  varj  assalti ,  e  '1  fero  orror  di  morte , 
E  i  gran  giochi  del  caso  e  della  sorte . 

LXXIY. 

Stette  attonito  alquanto  e  stupefatto 
A  quelle  prime  viste;  e  poi  s'accese, 
E  desiò  trovarsi  anch'  egli  in  atto 
Nel  periglioso  campo  all'  alte  imprese  : 
Né  pose  indugio  al  suo  desir;  ma  ratto 
D' elmo  s'  armò ,  eh'  aveva  ogn'  altro  arnese  : 
Su  su,  gridò,  non  più,  non  più  dimora: 
Gonvien  eh'  oggi  si  vinca ,  o  che  si  mora . 

LXXV. 

O  che  sia  forse  il  provveder  divino  , 
Che  spira  in  lui  la  furiosa  mente , 

«   Pi'h  non  osò  por  la  vittoria  in  forse ,  ee. 

Parlando  di  vittoria  già  certa  e  compiuta.  Gent. 

Da  o:^ni  parte  ,  cioè  de' Fedeli  e  degl'  Infedeli  ;  da  ciascheduna 
dalle  quali  facendosi  onorate  fazioni,  e  acquistandosi  molte  vitto- 
rie particolari  sopra  il  nemico,  stava  perciò  la  fortuna  uni  versai» 
della  battaglia  eguale,  né  piìi  inclinata  all'una  parte  che  all' al- 
tra, e  perciò  la  vittoria  universale  n' era  dubbia  ed  incerta .  Il 
che  ti  è  dichiarato,  tutto  che  assai  agevole  a  capirsi,  perciocché 
alcuni  non  intendendolo,  hanno  stimato  che  qui  abbia  contradi- 
aione .  Guast. 

St.   ^3.    Mirò  quasi  in  teatro  od  in  agone  . 

Agone  è  voce  greca,  e  uno  de'suoi  significati  è  il  designare  il 
luogo  dove  si  esercitavano  i  giuochi  della  persona.  Quindi  a  Ro- 
inaera  detta  Agone  quella  piazza,  dove  si  facevano  i  giuochi  det- 
ti da  loro  curali,  ch'oggidì  corrotto  il  vocabolo,  è  delta  piazza 
Navona . 

—   E  i  gran  giochi  del  caso  e  della  sorte. 

La  quale  se  in  alcuna  altra  cosa,  ci  ottiene  principal  signoria 
nelle  guerre  e  fatti  d'arme;  coni*  fra  gli  altri  afferma  Marso  Tul- 
lio in  una  tua  pistola. 


L  I  B  E  R  A  T  A    e.  XX.  555 

Perchè  quel  giorno  sian  del  PaJestino 
Imperio  le  reliquie  in  tutto  spente  j 
O  che  sia  eh'  alla  morte  omai  vicino 
D'andarle  incontra  stimolar  si  sente: 
Impetuoso  e  rapido  disserra 
La  porta ,  e  porta  inaspettata  guerra . 

LXXVI. 

E  non  aspetta  pur  che  i  feri  inviti 
Acceltino  i  compagni:  esce  sol  esso; 
E  sfida  sol  mille  nemici  uniti  j 
E  sol  fra  mille  intrepido  s'  è  messo . 
Ma  dall' empito  suo  quasi  rapiti^ 
Seguon  poi  gli  altri,  ed  Aladino  istesso. 
Chi  fu  vii ,  chi  fu  cauto  ,  or  nulla  teme  ; 
Opera  di  furor  più  che  di  speme. 

LXXVII. 

Quei  che  prima  ritrova  il  Turco  atroce^ 
Caggiono  ai  colpi  orribili  improvvisi; 
E  in  condur  loro  a  morte  è  sì  veloce, 
Ch'uom  non  gli  vede  uccidere,  ma  uccìsi. 
Dai  primieri  ai  sezzai^  di  voce  in  voce 
Passa  il  terror;  vanno  i  dolenti  avvisi; 
Tal  che  '1  volgo  Fedel  della  Soria 
Tumultuando  già  quasi  fuggi'a  . 

LXXVllI. 

Ma  con  men  di  terrore  e  di  scompiglio 
L' ordine  e  '1  loco  suo  fu  ritenuto 


St.  7^.   Ch'  uom  non  gli  fede  uccidere ,  ma  uccisi . 
Simile  è  a  quel  concetto  d'Antipatio,  sciiTendo  d'Aria  com- 
dore;  la  cui  velocità   nel  correre  dice  ck'era  tanta,  ch'uom  mai 
noi  vedeya  in  mezzo  al  corso,  ma  «empre  o  nelle  moise,  o  n«llf 
mete . 

Hyap  ip   v::7r}.ì^yyu)v  y]  rfP|aaTc« ,  |ufv  m  aKpow 
HrS-fov,  jUfVcw  3'  cuttot' f  v/  ga5/u. 

Cioè: 

u  Perciocché  o  nelle  mosse,  o  nelle  met»  ultime  vid«  cisrjcwns 

R  II  giovinetto ,  ma  in  mezzo  il  «orso  non  mai . 


■?M  LA  r^ERUSALEiVIMB 

Dal  Guascon,  benché,  prossimo  al  periglio. 
Air  improvviso  ei  sia  cólto  e  battuto  . 
Nessun  dente  giammai ,  nessun  artiglio 
O  di  silvestre  o  d' animai  pennuto 
Insanguinossi  in  mandra,  o  tra  gli  augelli. 
Come  la  spada  del  Soldan  tra  quelli . 

LXXIX. 

Sembra  quasi  famelica  e  vorace: 

Pasce  le  membra  quasi ,  e  1  sangue  sugge . 
Seco  Aladin ,  seco  lo  stuol  seguace 
Gli  assediatori  suoi  percote  e  strugge. 
Ma  il  buoi  Raimondo  accorre  ove  disface 
Soliman  le  sue  squadre,  e  già  noi  fugge, 
Sebben  la  fera  destra  ei  riconosce, 
Onde  percosso  ebbe  mortali  angosce  . 

LXXX. 

Pur  di  novo  1'  affronta,  e  pur  ricade, 
Pur  ripercosso,  ove  fu  prima  offeso; 
E  colpa  è  sol  della  soverchia  etade, 
A  cui  soverchio  è  de'  gran  colpi  il  peso  . 
Da  cento  scudi  fu,  da  cento  spade 
Oppugnato  in  quel  tempo  anco  e  difeso  . 
Ma  trascorre  il  Soldano,  o  che  sei  creda 
Morto  del  tutto,  o  '1  pensi  agevol  preda  . 

LXXXI. 

Sovra  gli  altri  ferisce ,  e  tronca  e  svena , 
E  'n  poca  piazza  fa  mirabil  prove. 
Ricerca  poi ,  come  furore  il  mena  , 
A  nuova  uccision  materia  altrove. 
Qual  da  povera  mensa  a  ricca  cena 
Coni  stimolato  da  digiun  si  move; 
Tal  vanne  a  maggior  guerra,  ov'egli  sbrame 
Ltì  sua  di  sangue  infunata  fame . 

LXXXII. 

Scende  egli  giù  per  le  abbattute  mura , 
E  s'indirizza  alla  gran  pugna  hi  frutta. 


LIBERATA  C.  XX.  -57 

Ma  '1  furor  ne' compagni,  e  la  paura 
Riman,  che  i  suoi  nemici  han  già  concetta; 
E  r  una  schiera  d' asseguir  procura 
Quella  vittoria  ch'ei  lasciò  imperfetta. 
L'  altra  resiste  sì  ;  ma  non  è  senza 
Segno  di  fuga  ornai  la  resistenza. 

LXXXill. 

Il  Guascon  ritirandosi  cedeva; 

Ma  se  ne  già  disperso  il  popol  Siro . 
Eran  presso  all'  albergo  ove  giaceva 
Il  buon  Tancredi ,  e  i  gridi  entro  s'  udirò  : 
Dal  letto  il  fianco  infermo  egli  solleva; 
Vien  sulla  vetta,  e  volge  gli  occhi  in  giro: 
Vede,  giacendo  il  conte,  iJtri  ritrarsi, 
Altri  del  tutto  già  fugati  e  sparsi . 

LXXXIV. 

Virtù  ,  eh' a  valorosi  unqua  non  manca, 
Perchè  languisca  il  corpo  fral,  non  langue; 
Ma  le  piagate  membra  in  lui  rinfranca 
Quasi  in  vece  di  spirito  e  di  sangue . 
Del  gravissimo  scudo  arma  ei  la  manca, 
E  non  par  grave  il  peso  al  braccio  esangue  : 
Prende  con  V  altra  man  l'ignuda  spada, 
(  Tanto  basta  all'  uom  forte  )  e  più  non  bada  ; 

LXXXV. 

Ma  giù  sen  viene,  e  grida:  ove  fuggite. 
Lasciando  il  signor  vostro  in  preda  altrui? 
Dunque  i  barbari  chiostri  e  le  mesciuta 
Spiegheran  per  trofeo  1'  arme  di  lui? 
Or,  tornando  in  Guascogna,  al  figlio  dite,. 
Che  morì  il  padre ,  onde  fuggiste  vui . 
Così  lor  parla  ;  e  '1  petto  nudo  e  infermo 
A  mille  armati  e  vigorosi  è  schermo  : 

LXXXVI. 

E  col  grave  suo  scudo,  il  qual  di  sette 
Dure  cuoia  di  tauro  era  composto. 


0  58  LA  GERUSALEMMI^: 

E  che  alle  terga  poi  di  tempre  elette 

Un  coperto  d'  acciaio  ha  soprapposto , 

Tien  dalle  spade ,  e  tien  dalle  saette , 

Tien  da  tutte  arme  il  buon  Raimondo  ascoslo  : 

E  col  ferro  i  nemici  intorno  sgombra 

Sì  _,  che  giace  sicuro ,  e  quasi  all'  ombra . 

LXXXVII. 

Respirando  risorge  in  spazio  poco 

Sotto  il  fidò  riparo  il  vecchio  accolto: 
E  si  sente  avvampar  di  doppio  foco , 
Di  sdegno  il  core,  e  di  vergogna  il  volto: 
E  drizza  gli  occhi  accesi  a  ciascun  loco. 
Per  riveder  quel  fiero  onde  fu  collo  : 
Ma ,  noi  vedendo  ,  freme  ;  e  far  prepara 
Ne'  seouaci  di  lui  vendetta  amara . 

o 

LXXXVIII. 

Ritornan  gli  Aquilani ,  e  tutti  insieme 
Seguono  il  duce  al  vendicarsi  intento . 
Lo  stuol  che  dianzi  osava  tanto ,  or  teme  : 
Audacia  passa  ov'era  pria  spavento. 
Cede  chi  rincalzò  :  chi  cesse  or  preme  : 
Così  varian  le  cose  in  un  momento  . 
Ben  fa  Raimondo  or  sua  vendetta ,  e  sconta 
Pur  di  sua  man  con  cento  morti  un'  onta  . 

LXXXIX. 

Mentre  Raimondo  il  vergognoso  sdegno 
Sfogar  ne'  capi  più  sublimi  tenta, 
Vede  r  usyrpator  del  nobil  regno  , 
Che  fra' primi  combatte,  e  gli  s'avventa. 
E  '1  fere  in  fronte ,  e  nel  medesmo  segno 
Tocca  e  ritocca,  e  '1  suo  colpir  non  lenta; 
Onde  il  Re  cade,  e  con  singulto  orrendo 
La  terra  ove  regnò  morde  morendo . 

St.  89.  La  terra,  ove  regnò  ,  morde  murendo  . 
D'Omero  in  molti  luoghi,  e  di  Virgilio  altresì  ia  moli' altri, 
come  di  sopra  si  notò  .  Gdast. 


LIBERATA  C.  XX.  259 

xc. 

Poicli'  una  scorta  è  Innge,  e  1'  altra  uccisa, 
In  color  che  restar  vario  è  1'  a  fletto: 
Alcun,  eli  belva  infuriata  in  guisa. 
Disperato  nel  ferro  urta  col  petto  : 
Altri  temendo,  di  campar  s'avvisa, 
E  là  rifugge  ov'  ebbe  pria  ricetto . 
Ma  tra  fuggenti  il  vincitor  commisto 
Entra,  e  fin  pone  al  glorioso  acquisto, 
xci. 

Presa  è  la  rocca  ;  e  su  per  l' alte  scale 

Chi  fugge  è  morto ,  e  'n  sulle  prime  soglie; 
E  nel  sommo  di  lei  Raimondo  sale, 
E  nella  destra  il  gran  vessillo  toghe: 
E  incontra  ai  duo  gran  Campi  il  trionfale 
Segno  della  vittoria  al  vento  scioglie. 
Ma  già  noi  guarda  il  fier  Soldan,  che  lunge 
E  di  là  fatto,  ed  alla  pugna  giunge. 
xcii. 

Giunge  in  campagna  tepida  e  vermiglia , 
Che  d'  ora  in  ora  più  di  sangue  ondeggia, 
Sì  che  il  regno  di  Morte  omai  somiglia , 
Ch'  ivi  i  trionfi  suoi  spiega,  e  passeggia. 
Vede  un  destrier  che  con  pendente  briglia 
Senza  rettor  trascorso  è  fuor  di  greggia  : 
Gli  gitta  al  fren  la  mano,  e  '1  voto  dorso 
Montando  preme ,  e  poi  lo  spinge  al  corso . 


Tolto  da  Virgilio  ,  che  nel  10,  v.   4%  cosi  dice: 

a    Terramque  hoslilcm  morjens  petit  ore  cruento  .    Mart. 
St,  90.  Alcun,  di  belva  infjuriata  in  guisa,  ec. 
Ovidio  oltre  a  Virgilio,  lib.  1 1 ,  Metamorf.  v.  5 io. 
«    Utquc  sotcnt  sumptis  in  cursu  vintiis  ire 
«    Pectore  in  armajeri,  protentaque  tela  leones  . 
Belva  disse  il  nostro  per  il  leone:  siccome  disse  Virgilio, /èr^x, 
e  non  altrimenti  sogliono  prendere   i  Greci  (rJvj^ix  onde  è  venuto 
il  nome  Fera .  Geni. 

—  E  là  rifugge ,  ov'  ebbe  priti  ricetto  , 
Kella  rocca . 


26o  LA  GERUSALEMME 

xeni. 
Grande,  ma  breve  aita  apportò  questi 
A'  Saracini  impauriti  e  lassi  : 
Grande,  ma  breve  fulmine  il  diresti. 
Gli'  inaspettato  sopraggiunga  e  passi  ; 
Ma  del  suo  corso  momentaneo  resti 
Vestigio  eterno  in  dirupati  sassi . 
Cento  ei  n'uccise  e  più  :  pur  di  duo  soli 
Non  fia  che  la  memoria  il  tempo  involi . 

xciv. 
Gildippe  ed  Odoardo ,  i  casi  vostri 
Duri  ed  acerbi,  e  i  fatti  onesti  e  degni 
(  Se  tanto  lice  ai  miei  Toscani  inchiostri  ) 
Consacrerò  fra' pellegrini  ingegni; 
Sì  eh'  ogni  età ,  quasi  ben  nati  mostri 
Di  virtute  e  d'  amor ,  v'  additi  e  segni  ; 
E  col  suo  pianto  alcun  servo  d'  Amore 
La  morte  vostra  e  le  mie  rime  onore . 

xcv. 
La  magnanima  donna  il  destrièr  volse 
Dove  le  genti  distruggea  quel  crudo, 
E  di  duo  gran  fendenti  a  pieno  il  colse: 
Ferigli  il  fianco,  e  gli  partì  lo  scudo . 
Gridò  il  crudel,  ch'ali'  abito  raccolse 
Chi  costei  fosse  :  ecco  la  putta  e  '1  drudo  : 
Meglio  per  te  s' avessi  il  fuso  e  1'  ago , 
Che  'n  tua  difesa  aver  la  spada  e  '1  vago . 


St.  9^.   Gildippe  ed  Odoardo  i  czsi  vostri 

Duri  ed  acerbi ,  e  i  fatti  onesti  e  degni  ec. 
Virgilio  nel  g,  \.  !^'^6 ,  parlando  di  Niso  ed  Eurialo  : 
«   Fortunati  ambo  ,  si  quid  meo  carmina  possunt , 
«   Nulla  dies  umquam  memori  vos  cximet  (bvo  .       GCAST. 
—   (Se  tanto  lice  ai  miei  Toscani  ine/nostri)  . 
Così  il  Petrarca  nel  sonetto:  L'aura,  e  l'odore: 
«   E  se  mia  rime  alcuna  cosa  panno, 
«    Consecrata  fra  nobili  intelletti 
«   Fìa  del  tuo  nome  qui  memoria  eterna . 
E  l'Ariosto  al  canto  29  ,  stan.  27.  Marx. 


LlBEIl  AT  A  C.  XX.  2G. 

xcvi. 
Qui  tacque  ;  e  di  furor  più  che  mai  pieno, 
Drizzo  percossa  temeraria  e  f"er«. 
Ch'osò,  rompendo  ogn' arme,  entrar  nel  seno, 
Che  de' colpi  d'Amor  degno  sol  era. 
Ella  repente  abbandonando  il  freno, 
Sembiante  fa  d' uom  che  languisca  e  pera; 
E  ben  sei  vede  il  misero  Odoardo , 
Mal  fortunato  difensor,  non  tardo. 

XCVH. 

Che  far  dee  nel  gran  caso  ?  ira  e  piietàde 
A  varie  parti  in  un  tempo  V  aflVetta; 
Questa  all'appoggio  del  suo  ben  che  cade, 
Quella  a  pigliar  del  percussor  vendetta. 
Amore  indifferente  il  persuade , 
Che  non  sia  l' ira  o  la  pietà  negletta: 
Con  la  sinistra  man  corre  al  sostegno; 
L'  altra  ministra  ei  fa  del  suo  disdegno . 

XCVIII. 

Ma  voler  e  poter  che  si  divida, 

Bastar  non  può  contra  il  Pagan  bì  forte; 
Tal  che  né  sostien  lei,  né  1'  omicida 
Della  dolce  alma  sua  conduce  a  morte . 
Anzi  avvien  che  '1  Soldano  a  lui  recida 
Il  braccio,  appoggio  alla  ledei  consorte: 
Onde  cader  lasciolla  ;  ed  egli  presse 
Le  membra  a  lei  con  le  sue  membra  stesse, 
xcix. 

Come  olmo,  a  cui  la  pampinosa  pianta 
Cupida  s'  avviticchi  e  si  marite; 
Se  ferro  il  tronca,  o  fulmine  lo  schianta. 
Trae  seco  a  terra  la  compagna  vite; 
Ed  egli  stesso  il  verde,  onde  s'  ammanta, 
Le  sfronda,  e  pesta  1'  uve  sue  gradite; 
Par  che  sen  dolga ^  e  più  che  '1  proprio  fato. 
Di  lei  gì'  incresca  che  gli  more  alialo  : 


2G4  LA  GERUSALEMME 

e. 
Così  cade  egli  ;  e  sol  di  lei  gli  duole , 
Che  '1  Cielo  eterna  sua  compagna  fece. 
Vorrian  formar ,  ne  pon  formar  parole  : 
Forman  sospiri  di  parole  in  vece  . 
L'  un  mira  1'  altro  j  e  l' un ,  pur  come  suole , 
Si  stringe  all'altro,  mentre  ancor  ciò  lece; 
E  si  cela  in  un  punto  ad  ambi  il  die; 
E  congiunte  sen  van  l' anime  pie . 

CI. 

AUor  scioglie  la  Fama  i  vanni  al  volo , 
Le  lingue  al  grido  ,  e  '1  duro  caso  accerta  : 
Ne  pur  n'  ode  Rinaldo  il  romor  solo , 
Ma  d'  un  messaggio  ancor  nova  più  certa. 
Sdegno,  dover,  benevolenza  e  duolo 
Fan  eh'  air  alta  vendetta  ei  si  converta  : 
Ma  il  sentier  gli  attraversa ,  e  fa  contrasto 
Su  gli  occhi  del  Soldano  il  grande  Adrasto . 
cu. 

Gridava  il  re  feroce:  ai  segni  noti 

Tu  sei  pur  quegli  alfin  eh'  io  cerco  e  bramo  : 
Scudo  non  è  eh'  io  non  riguardi  e  noti, 
Ed  a  nome  tutt'  oggi  invan  ti  chiamo . 
Or  solverò  della  vendetta  i  voti 
Col  tuo  capo  al  mio  nume .  Omai  facciamo 
Di  valor,  di  furor  qui  paragone, 
Tu  nemico  d'  Armida,  ed  io  campione. 
CHI. 

Così  lo  sfida  ;  e  di  percosse  orrende 

Pria  sulla  tempia  il  fere ,  indi  nel  collo . 

St.    100.  E  congiunte  sen  van  V  anime  pie. 
Mantiene  quanto  disse  di  loro  nel  primo  ctnto  : 

«   Non  sarete  disgiunti  ancor  che  morti.  6*AST 

St.   ioi.  Aliar  scioglie  lajam-a  i  vanni  al  volo^  et. 
Virgilio  nel  decimo,  v.  5 io: 

«  Nnc  jam,  jamci  m.ali  tanti ,  se/i  certior  auctor 

«  Advolat  j^noee:  tenui  discrimine  ìethi 

d-  Esse  suos .  Marx  - 


LIBERATA    G.  XX.  263 

L' ''Imo  falal  (che  non  sì  può)  non  fende; 
Ma  lo  scote  in  arcion  con  più  (V  un  crollo . 
Binaldo  lui  sul  fianco  in  guisa  on'eude, 
Che  vana  vi  san'a  V  arte  d' A])oilo. 
Cade  1  uom  smisurato,  il  rege  i'.ivlUo  : 
E  n' è  l'onore  ad  un  sol  colpo  ascritto. 
civ. 
Lo  stupor,  di  spavento  e  d' orror  misto , 
Il  sangue  e  i  cori  ai  circostanti  agghiaccia  ; 
E  Soliman,  ch'estranio  colpo  ha  visto, 
Nel  cor  si  turba ,  e  impallidisce  in  faccia . 
E,  chiaramente  il  suo  morir  previsto. 
Non  si  risolve,  e  non  sa  quel  che  faccia: 
Cosa  insolita  in  lui  ;  ma  che  non  regge 
Degli  affari  quaggiù  V  eterna  legge  ? 

St.    Io3.   Che  vitn  1  vi  saria  l'arte  à'  Apollo . 
La  medicina.  Ovidio  noi  3  delle  Metamorf. 
n   Inventum  tnedicina  meum  est. 
St.    104.  E  Soliman  eh'  estranio  colpo  ha  vifto  , 

Nel  cor  si  turba,  e  impallidisce  in  faccia  ,  ec. 
Questa  morte  di  Solimano  per  man  di  Rinaldo  è  tinta  a  somi^- 
Slianza  di  quella  di  Turno  per  man  d'  Enea  appresso  Virgilio  nel 
12  dell'Eneide,  e  molti  concetti  di  là  sono  qui  dal  Poeta  nostro 
trasportati.  Ben  convenevolmente  così  l' una  ,  come  l'altra  è  con 
tanta  agevolezza  del  nemico  recata  ad  effetto;  avv^-gnacbè  dall'  e- 
terna  volontà  e  provvidenza  divina  ,  elleno  cosi  fossero  ordinate, 
come  ne' suoi  luoghi  si  conosce .  Di  questa  di  Solimano  già  fin  nel 
canto  ottavo  ci  fece  chiari  il  Poeta  nostro,  quando  della  spada  di 
Sveno  parlando,  la  quale  a  questo  fine  s'avea  a  dare  a  Rinaldo,  ei 
disse  in  questo  modo: 

«   E  con  lei  J accia  ,  perchè  a  lei  s' aspetta  , 
«   Di  chi  S'.'eno  uccise  aspra  vendetta  . 
«  Soliman  Sveno  uccise,  e  Solimano 
«  Dee  per  la  spada  sta  restarne  ucciso  . 
E  più  a  basso: 

«    Resta  che  sappia  tu ,  chi  sia  colui 
«    Che  deve  della  spada  esser  erede  : 
«    Questi  è  Rinaldo  il  giovinetto ,  a  cui, 
«   Il  pregio  di  Jortezza  ogr' altro  Ci.de. 
«   j4  Ivi  Li  porgi  ;  e  di'  che  sol  da.  lui 
«  L'  alta  vendetta  il  Cirio  ,  e  'l  mondo  chiede. 
B  pur  questo  stesso  ci  manifesta  qui  di  nuovo  nelle  parole 

— ma  che  non  re^ge 

Degli  affari  quaggiù  l' eterna  legge? 
G.  LlB.  T.  III.  '8. 


264  J-A  GEIIUSALEMME 

cv. 
Come  vede  talor  torbidi  sogni 

Ne'  brevi  sonni  suoi  l' egro,  o  l' insano 


Ove  all'eterna  e  divina  Provvidenza  si  vede  recata  la  tema  di 
Solimano,  per  altro  uomo  di  quel  coraggio  e  di  quell'estrema 
audacia,  che  per  tutto  il  poema  si  è  conosciuta.  Ben  a  si  fatto  ti- 
more dà  occasione  alritna  il  Poeta,  col  far  vedere  dello  stesso  ca- 
valier  vincitore  prove  non  solo  meravigliose  ,  ma  eziandio  stra- 
niere al  nemico  che  ha  da  rimanere  ucciso;  e  ciò  per  ajutar  piìi 
che  sia  possibile  il  verisimile  di  quella  tema  ,  o  piii  tosto  stupore 
di  lui.  Ora  non  già  poco  gloriosa  per  lo  vincitore  ,  o  piena  di  po- 
ca maraviglia  s'ha  da  stimare  la  presente  morte,  tuttoché  si  vin- 
ca tanto  agevolmente;  anzi  oltre  ad  ogn' altra  illustre  e  memore- 
vole, inalzando  sovra  quanto  si  possa  quasi  innalzare  ,  il  valor  di 
Piinaklo,  che  con  tanta  agevolezza  uccide  cosi  bravo  e  valente  ni- 
mico; avvegnaché  maggior  gloria  assai  è  che  l'inimico  temendo 
non  ardisca  azzuffarsi ,  e  a  questo  modo  vincerlo  e  superarlo;  che 
combattendo  esso  valorosamente,  riportarne  vittoria  sanguinosa, 
come  lece  Tancredi  d'Argante.  Ma  perciocché  simili  meravisìlie  non 
sogliono  parer  del  tutto  verisimili,  ed  è  la  verisomigliaiiza  l'anima 
del  poema  ,  perciò  si  rifugge  per  accozzar  insieme  l'una  cosa  e  l'al- 
tra,  com'anche  di  sopra  a  simil  proposito  dicemmo,  attribuendolo 
all'ordine,  volontà  e  ajuto  divino.  Cotii  Ettore  appresso  Omero  uc- 
cide Patroclo  ferito  prima  da  Apolline;  cosi  Aeh.lìe  ajiitato  da 
Minerva  uccide  Eii ore:  cosi  Ulisse  con  l'ajuto  dslla  stessa  Dea 
mena  a  morte  tutti  i  Dra<li;  e  in  somma  non  fa  mai  qjasi  Omero 
azione,  non  dico  maravigllosa,  ma  quasi  importante,  che  non  si 
conduca  a  (ine  coU'ajuto  di  qiialche  Dio:  e  tutto  ciò  per  acipii- 
stare  il  verisimile,  come  s'è  (ietto  Ma  ben  in  tanto  cosi  Virgilio 
conie  il  Tasso  mi  pare  ch'abbiaiin  avanzato  Oineio,  e  li  lui  siano 
stati  piìi  avvertiti;  in  quant»  O  «ero  ha  par  costutne  neUe  azioni 
di  far  intervenire  gli  stessi  Dei  in  persona;  e  quasi  uomini  ado- 
prar  le  mani  e  il  t'erro;  dove  che  ciò  fu  schifato  da  Virgilio  assai, 
€  molto  pili  dal  Tasso.  Perciocché  tal  cosa  scema  assai  della  ma- 
raviglia dell'azione  ,  scorgendosi  cosi  eviilcnte  l  ajuto  divino  ,  al 
quale  chiaro  è  non  poter  resistere  l'umano.  Per  la  (jual  cosa  sì 
latto  ajuto  il  pili  che  sia  possibile  s'ha  da  tener  nascoso,  aflin  di 
accoppiare  insieme  quanto  più  si  possa,  quelle  due,  male  per  dire 
vero  di  sua  natura  accoppiabili  cose,  meraviglia  e  verisomiglian- 
ze  ,  il  che  è  lo  scopo  del  Poeta. 

St.    io5.    Come  l'ede  talor  torbidi  sogni 

Ne'  brei'i  sonni  suoi  V  egro ,  o  i'  insano ,  ec. 

Omero  nel  22  dell'Iliade: 

Ou  r'  ap  0  TQv  SovoiroK  uTO^tuyfiv,  oOS"'  0   5i'wKf<y  . 
Cioè: 

«   Ma  come  nel  sogno  non  può  un  che  fugge  seguir  alcuno 
n  Né  questi  fuggirsi  lia  quello ^  né  questi  seguirlo. 


L  I  V,  E  R  A  T  A    C.  XX.  ^fi^ 

Fargli  eli'  al  corso  avidamente  agogni 
Stender  le  membra,  e  clie  s'  afTanni  invano; 
Che  ne'  maggiori  sforzi  a'  suoi  bisogni 
Non  corrisponde  il  pie  stanco  e  la  mano  : 
Scioglier  talor  la  lingua,  e  parlar  vuole j 
Ma  non  seguon  la  voce  o  le  parole; 
evi. 

Così  allora  il  Soldan  vorn'a  rapire 

Pur  sé  stesso  all'  assalto  ,  e  se  ne  sforza  ; 
Ma  non  conosce  in  se  le  solite  ire. 
Ne  se  conosce  alla  scemata  forza . 
Quante  scintille  in  lui  sorgon  d'  ardire, 
Tante  un  secrelo  suo  terror  n'  ammorza . 
Volgonsi  nel  suo  cor  diversi  sensi  : 
Non  che  fuggir  ,  non  che  ritrarsi  pensi . 
cvii. 

Giunge  air  irresoluto  il  vincitore; 

E  in  arrivando  (  o  che  gli  pare  )  avanza 
E  di  velocitade  e  di  furore 
E  di  grandezza  ogni  mortai  sembianza . 
Poco  ripugna  quel  ;  pur ,  mentre  more . 
Già  non  oblia  la  generosa  usanza: 


Virgilio  nel  12  dell'Eneide,  r.  908: 

«   y^C  velli f  in  somni.'! ,  oatlos  uhi  languidn  presut 
«   Kocte  qnlex  ,  nequicquam  ai'idux  extendere  cursus 
«    Velie  videmur ,  et  in  mcdii.':  ronatibiis  cegri 
«   Siicridimu.t ;  non  lingun  t'offf ,  non  corpore  notix 
«    Sufficiitnt  vires ;  ncc  vox,  aut  verha  sequuntur . 
Boccaccio  nel  Laberinto:  «Ma  siccome  sovente  avviene  «  chi 
«  sofina  ,  che  pli  pare  ne'  maggiori  bisoc;ni  ,   per  niuna    condi- 
«  zione  del  mondo  potersi  movere;  cos'i  a  me  sognante  parve  che 
«  avvenisse,  e  pareami  che  le  gambe  mi  fosser  del  tutto  tolte, 
«  e  divenire  immobile»  . 

St.    io6.   Ma  non  ronnxre  in  sé  le  sofi'^f  ire , 
Nk  se  conosce  alla  scemata  forza . 
Virgilio  neiristesso  luogo: 

«  Sed  ncque  ciirrcntem  se ,  nrc  rognoscit  euatem , 
St.    107.    F  in  arrù-i.ndo  ("o  rhf  ^fi  pire  )  at'mz.t  ec. 
Tutte  queste  circostanze  e  condizioni  sono  poste  per  render  ve- 
FÌsiniilc  questa  morte,  che  per  si  agcvol  modo  avviene  .      Guast 


266  LA  GERUSALEMME 

Non  fugge  i  colpi,  e  gemito  non  spande; 
Né  atto  fa,  se  non  altero  e  grande, 
cviii. 

Poiché  '1  Soldan,  che  spesso  in  lunga  guerra, 
Quasi  novello  Anteo,  cadde,  e  risorse 
Pili  fero  ognora ,  alfin  calcò  la  terra 
Per  giacer  sempre,  intorno  il  suon  ne  corse 
E  Fortuna,  che  varia  e  instabil  erra  , 
Più  non  osò  por  la  vittoria  in  forse  ; 
Ma  fermò  i  giri ,  e  sotto  i  duci  stessi 
S' unì  co'  Franchi ,  e  militò  con  essi . 
cix. 

Fugge,  non  eh'  altri,  ornai  la  regia  schiera, 
Ov'è  dell*  Oriente  accolto  il  nerbo: 
Già  fu  detta  immortale;  or  vien  che  pera 
Ad  onta  di  quel  titolo  superbo . 
Emireno  a  colui  e' ha  la  bandiera. 
Tronca  la  fuga  ,  e  parla  in  modo  acerbo  : 
Non  se'  tu  quel  eh' a  sostenergli  eccelsi 
Segni  del  mio  Signor  fra  mille  i' scelsi? 


St.   io8.  Poìrhh  7  Solfìan  ,  che  spesxn  in  lunga  guerra , 
Quasi  not'ef/o  Anteo,  cadde,  e  risorse. 
L'  Ariosto  al  canto  9  ,  stan.  97  : 

«    Oital  il  Lil'ic:>  Anteo  sempre  piìifiero 

«   Sor;rcr  solea  dalla  percossa  arena  .  Makt 

—  E  Fortuna,  die  narit  e  instabil'  erra , 
Più  non  Osò  por  la  vittoria  injorse . 

Di  aopra  disse  : 

«  Sta  dubbia  in  mezzo  la  Fortuna  e  Marte  ; 
dinotando  come  la  Tittoria  intera  ed  universale  non  era  anco- 
ra certa  da  nessuna  parte;  ma  ora  eh' è  morto  Solimano  ella  è  pur 
sicura  e  ferma  dal  lato  de' Cristiani  ;  dove  s'ha  da  osservare  ,  co- 
inè il  valor  di  Rinaldo,  e  l'opere  della  sua  destra  son  quelle,  che 
danno  il  compimento  eia  perfezion  della  vittoria;  e  ben  di  così 
fare  era  necessario ,  avendo  il  P^oeta  scello  questo  cavaliero  per 
cosi  sovrano  personagf^io ,  e  per  secondo  esecutor  delle  voglie  di- 
vine, come  egli  medesimo  disse  nel  canto  17. 

—  Majermò  i  giri. 

Allude  alla  rota  attribuita  alla  Fortuna. 
St.   log.  Alon  se' tu  (pie' ,  eh' a  sostener  gli  eccelsi 
Segni  del  mio  Signor  fra  mille  i'  scelsi  ? 


LIBERATA   C.  XX.  267 

ex. 
Piimedcn,  questa  insegna  a  te  non  diedi, 
A^xìò  che  indietro  tu  la  riportassi . 
Dunque,  codardo,  il  capitan  tuo  vedi 
In  zuffa  co' nemici,  e  solo  il  lassi? 
Che  brami?  di  salvarti?  or  meco  riedi: 
Che  per  la  strada  presa  a  morte  vassi . 
Comljatta  qui  chi  di  campar  desia: 
La  via  d'onor  della  salute  è  via. 

Riede  in  guerra  colui ,  eh'  arde  di  scorno . 
Isa  ei  con  j^li  altri  poi  sermon  più  grave: 
Ttilor  minaccia  e  ti  r<  ;  onde  ritcìno 
Fa  contro  il  ferro  chi  del  lei  ro  })rtve  . 
Così  rintegra  del  fiaccato  corno 
La  miglior  parte,  v  speme  anco  pur  have. 
E  Tisaferno,  più  eh'  altri,  il  rincora, 
Ch'  orma  non  torse  per  ritrarsi  ancora. 

CXII. 

Meraviglie  quel  dì  fé'  Tisaferno  : 
I  Normandi  per  lui  fìiron  disfatti; 
Fé' de' Fiamminghi  strano  empio  governo: 
Gernier,  Ruggier,  Gherardo  a  morte  ha  tratti, 
Poi  eh'  alle  mete  dell'  onor  eterno 
La  vita  breve  prolungò  co'  fatti , 
Quasi  di  viver  più  poco  gli  caglia , 
Cerca  il  rischio  maggior  della  battaglia. 


St.   I  IO.  Rimedon ,  quest'insegna  a  te  non  diedi, 

Accioccliò  indietro  tu  la  riportasti. 
II  Petrarca,  nel  7  dell'Affrica: 

« tum  fervidus  ira 

«    Hannibal  exclamat:  non  lioec  ti  hi  signa  retro  rsum 
<i   FurciJ'er  ut  rejenis  ,  dedtram  ?  quia  pergis,  et  illa 
«   Hostibua  in  mcdiis  potiu.i  discerpta  rclin(jiie  . 
—   Che  brami?  di  salvarti?  or  meco  riedi: 
Che  per  la  strada  presa  a  ritorte  vassi:  ec. 
Il  Petrarca  nel  luogo  allegato: 

«  Hvi  mihi ,  cjuo  ruiiis?  no/i  est  via  racla:  venue : 


268  LA  GERUSALEMME 

CXUI. 

Vide  ei  Rinaldo  :  e  benché  ornai  vermigli 
Gli  azzurri  suoi  color  sian  divwmli, 
E  insanguinati  1'  aquila  j^Ii  artigli 
E  '1  rostro  s'  abbia ,  i  segni  ha  conosciuti . 
Ecco,  disse,  i  grandissimi  perigli: 
Qui  prego  il  Ciel  che  1  mio  arT^limenlo  aiuti; 
E  veggia  Armida  il  desiato  scempio  : 
Macon  _,  s' io  vinco ,  i'  voto  1'  arme  al  tempio 
cxiv. 

Così  pregava,  e  le  preghiere  ir  vote  ; 
Che  '1  sordo  suo  Macon  nulla  n'  udiva. 
Quale  il  leon  si  sferza  e  si  percote 
Per  isvegliar  la  ferità  nativa; 
Tale  ei  suoi  sdegni  desta  ;  ed  alla  cote 
D'  amor  gli  aguzza,  ed  alle  fiamme  avviva  . 
Tutte  sue  forze  aduna ,  e  si  ristringe 
Sotto  r  arme  all'assalto,  e  '1  destrier  spinge- 

GXV. 

Spinse  il  suo  contra  lui ,  che  in  atto  scerse 
D' assalitore ,  il  cavalier  Latino  . 
Fe'lor  gran  piazza  in  mezzo,  e  si  convt^rse 
Allo  spettacol  fero  ogni  vicino . 
Tante  fur  le  percosse  e  sì  diverse 
Dell'Italico  eroe,  del  Saracmo  ^ 


«    Hac  hostern  reperire  licei .  Carthaginis  estis 
«  Sic  memores  ?  ai.  forte  dumurn  reme.ire  putntis  f 
«    Erratis  ,  miseri  civrs;  haec  carceris  una 
«    Exsiliiijue  via  est . 
St.    1 1 3.   Macon ,  s' io  vinco  ,  '"  voro  V  arme  al  tempio . 
Virgilio  nel  10  dell' Eneide  ,  y.  4'^'  '• 

«    Da  nunc  Tybri  pater ,  ferro ,  quod  messile  libro 
«   Fortunam. ,  atque  viam  duri  per  pertiis  Malesi: 
«    HoiC  arma  erui-iasque  viri  tua  qutrcus  fiaè>»iit . 
St.    I  14.    Quale  il  leon  si  sferza,  e  si  percote 
Per  isvegliar  la  ferità  nativa  . 
Vedi  di  sopra  nel  «auto  t5  alla  itauia  5o 


LIBERATA    C.  XX.  7.69 

Gli'  altri  per  meraviglia  obliò  quasi 
L' ire ,  e  gli  affelli  proprj ,  e  i  proprj  casi, 
cxvi. 
Ma  r  un  percote  sol  :  percote  e  impiaga 

L'  altro,  e' ha  maggior  forza,  armi  più  ferme. 

Tisalerno  di  sangue  il  campo  allaga 

Con  V  elmo  aperto,  e  dello  scudo  inerme. 

Mira  del  suo  campion  la  bella  maga 

Rotti  gli  arnesi,  e  più  le  membra  inferme, 

E  gli  altri  lutti  impauriti  in  modo. 

Che  frale  omai  gli  stringe  e  debil  nodo . 

CXVII. 

Già  di  tanti  guerrier  cinta  e  munita , 
Or  rimasa  nel  carro  era  soletta . 
Teme  di  servitute,  odia  la  vita, 
Dispera  la  vittoria  e  la  vendetta. 
Mezza  tra  furiosa  e  sbigottita 
Scende ,  ed  ascende  un  suo  destriero  in  fretta  , 
Vassene,  e  fugge;  e  van  seco  pur  anco 
Sdegno  ed  Amor ,  quasi  duo  veltri  al  fianco  . 

CXVIII. 

Tal  Cleopatra  al  secolo  vetusto 
Sola  fuggi'a  dalla  tenzon  crudele. 
Lasciando  incontro  al  fortunato  Augusto 
Ne'  marittimi  rischi  il  suo  fedele  ; 
Che  per  amor  fatto  a  se  stesso  ingiusto , 
Tosto  seguì  le  solitarie  vele . 
E  ben  la  fuga  di  costei  segreta 
Tisalerno  seguia  ;  ma  l' altro  il  vieta . 


St.    1 15.  Ch'  altri  per  maraviglia  obliò  quasi 

U  ire. ,  e  gli  affetti  proprj  ,  e  i  proprj  Casi . 
Dante  nel  a8  dell'Inferno  . 

«   Pihfur  di  cento  ,  che  quando  l'udirò, 
ti   S' ctrrestaron  nel  Jo  a  so  a  riguardarmi , 
«    Per  maraviglia  obliando  il  martiro  . 


27»  LA  GERUSALEMME 

CXIX. 

Al  Pagan,  poi  che  sparve  il  suo  conforto, 
Sembra  che  insieme  il  giorno  e  '1  Sol  tfainonte; 
Ed  a  lui,  che  '1  ritiene  a  sì  gran  torto, 
Disperato  si  volge,  e  '1  fiede  in  fronte . 
A  fabbricare  il  fulmine  ritorto 
Via  più  leggier  cade  il  martel  di  Bronte- 
E  col  grave  fendente  in  modo  il  carc3, 
Che  ì  percosso  la  testa  al  petto  inarca . 
cxx. 

Tosto  Rinaldo  si  dirizza  ed  er^e , 

E  vibra  il  ferro-  e  rotto  il  grosso  usbergo, 
Gli  apre  le  coste,  e  l'aspra  punta  immerge 
In  mezzo  '1  cor  ^  dove  ha  la  vita  albergo  : 
Tanto  oltre  va,  che  piaga  doppia  asperge 
Quinci  al  Pagano  il  petto,  «^  quindi  il  tergo; 
E  largamente  1'  anima  fugace 
Più  d'  una  via  nel  suo  partir  si  face . 

ex  XI 

Allor  si  ferma  a  rimirar  Rinaldo 
Ove  drizzi  gli  assalti,  ove  gli  aiuti , 
E  de'  Pagan  non  vede  ordine  saldo , 
Ma  gli  stendardi  lor  tutti  caduti . 
Qui  pon  fine  alle  morti;  e  in  lui  quel  caldo 
Di  sdegno  marzial  par  che  s'  attuti. 
Placido  è  fatto  ;  e  gli  si  reca  a  mente 
La  donna  che  fuggia  sola  e  dolente . 
cxxii. 

Ben  rimirò  la  fuga:  or  da  lui  chiede 


St.    lai.   Qui  ponine  alh  morti  ;  e  in  lui  quel  caldo 
Di  .sdegno  marzial  par  che  s' attuti. 
S'ammorzi;  si  spenga.  Danle  Alighieri  nel  a6  del  Purg^ 
«   Ma  poicliì)  J'uron  di  stupore  scarc/ie , 
«   I,o  qudl  negli  alti  cuor  tosto  s' attuta  . 
Dante  da  Majano: 

«   E  lo  dLsio  non  s' attuta,  né  stinge. 
St.    132.    Ben  rimirò  la  fuga  :  or  da  fui  ci  i/'d"- 


LIBERATA  C.  XX.  27 1 

Pietà,  che  n'  abbia  cura  e  cortesia; 
E  gli  sovvien  che  si  promise  in  lede 
Suo  cavalier  ,  ([uando  da  lei  partia . 
Si  drizza  ov'ella  lugge,  ov'egli  vede 
Il  pie  del  palal'ren  segnar  la  via . 
Giunge  ella  intanto  in  chiusa  opaca  chiostra , 
Gli'  a  solitaria  morte  atta  si  mostra . 

CXXIII. 

Piacquele  assai;,  che  'n  quelle  valli  ombrose 
L'  orme  sue  erranti  il  caso  abbia  condutte . 
Qui  scese  del  destriero,  e  qui  depose 
E  r  arco  e  la  faretra  e  l'armi  tutte: 
Armi  infehci,  disse,  e  vergognose, 
Ch'usciste  fuor  della  battaglia  asciutte, 
Qui  vi  depongo;  e  qui  sepolte  state, 
Poiché  r  ingiurie  mie  mal  vendicate . 


Pietà ,  che  n  abbia  cura  e  cortesia , 
E  gli  sovvien  che  si  promise  in  fede 
Suo  cavalier  ,  quando  da  lei  partia . 
Molto  benigno  e  cortese  cavaliere  ci  è  sempre  stato  dal  nostre 
Poeta  figurato  Rinaldo;  onde  nel  partir  dall'Isole  fortunate  si  vi- 
de l'immensa  doglia  ch'egli  senti  dell'afflizione  e  dell'angoscie  di 
Armida;  e  fiel  disincantar  il  bosco,  percotendo  1' albero  abbrac- 
ciato da  chi  la  stessa  Armida  somigliava,  per  non  lo  far  differen- 
te dalla  sua  usata  cortesia,  come  colà  da  noi  si  osservò,  disse, 
accorto  sì,  non  crudo .  Per  questo  seguendo  qui  tuttavia  Piinaldo  il 
costume  proprio,  e  insieme  ancora  1'  universale  d'ogni  cavaliere 
di  soccorrere  e  consigliare  ogni  donzella,  a  cui  ne  faccia  raestiero 
(del  qual  costume  alcune  cose  si  toccarono  da  noi  nel  canto  4)  è 
di  più  eziandio  ricordevole,  come  dice  il  medesimo  Poeta,  della 
promessa  fattale  nella  partenza;  vedendo  la  vittoria  interamente 
acquistata,  e  già  quasi  del  tutto  fornito  il  fatto  d'arme,  tocco  da, 
pietà,  lei  fuggente  segue,  afiin  di  consolarla,  e  porgerle  soccorso, 
non  già  da  sensuale  alcuno  desiderio  mosso,  come  senza  fonda- 
mento da'nemici  suoi  fu  opposto  al  Poeta .  E  ben  ciò  appare  cbia- 
eamente  da  quelle  parole  St.  129: 

«    E   l  bel  volto  e  'l  bel  seno  alla  meschina 

K   Bajfnò  d' alcuna  lagrima  pietosa  . 
E  da  quell'altre  ancora  della  i34- 

«  U ajj'ettuoso  pianto  egli  confonde, 

a   In  cui  pudica  la  pietà  sfavilla  : 

a.   E  con  modi  dolcissimi  risponde: 

<    Armida ,  il  cor  turiatv  gnwi  tranquilla  ee. 


372  LA  GEliUSALEMIVlE 

cxxiv. 
Ah!  ma  non  fia  che  fra  tant'armi  e  tante 

Una  di  sangue  oggi  si  bagni  almeno? 

S'  ogni  altro  petto  a  voi  par  di  diamante , 

Oserete  piagar  femniinil  seno? 

In  questo  mio,  che  vi  sta  nudo  avante, 

I  pregi  vostri  e  le  vittorie  sieno . 

Tenero  ai  colpi  è  questo  mio;  ben  sallo 

Amor ,  che  mai  non  vi  saetta  in  fallo  . 
cxxv. 
Dimostratevi  in  me  (  eh'  io.  vi  perdono 

La  passata  viltà  )  forti  ed  acute  : 

Misera  Armida,  in  qual  fortuna  or  sono, 

Se  sol  posso  da  voi  sperar  salute  ! 

Poich'  ogn'  altro  rimedio  è  in  me  non  buono , 

Se  non  sol  di  ferule  alle  ferute  ; 

Sani  piaga  di  strai  piaga  d'  amore; 

E  sia  la  morte  medicina  al  core . 
cxxvi. 
Felice  me ,  se  nel  morir  non  reco 

Questa  mia  peste  ad  infettar  l' Inferno  . 

Restine  Amor  ;  venga  sol  Sdegno  or  meco  , 

E  sia  dell'ombra  mia  compagno  eterno; 

O  ritorni  con  lui  dal  regno  cieco 

A  colui  che  di  me  fé'  1'  empio  scherno; 

E  se  gli  mostri  tal,  che  'n  fere  notti 

Abbia  riposi  orribili  e  interrotti . 
cxxvii. 
Qui  tacque;  e  stabilito  il  suo  pensiero, 

Strale  sceglieva  il  più  pungente  e  forte; 

Quando  giunse  e  mirolla  il  cavaliero 

Tanto  vicina  alla  sua  estrema  sorte, 

Già  compostasi  in  atto  atroce  e  fero  ; 

Già  tinta  in  viso  di  pallor  di  morte  . 

Da  tergo  ei  se  le  avventa,  e  1  braccio  prende. 

Che  già  la  fera  punta  al  petto  stende. 


LIBERATA   C.  XX.  o.-j', 

CXXVIII. 

Si  volse  Armida,  e  1  rimirò  improvviso^ 
Che  noi  sfut'.  quando  da  prima  ei  venne . 
Alzò  le  strida,  e  dall'amato  viso 
Torse  le  luci  disdegnosa,  e  svenne. 
Ella  cadea,  quasi  fior  mezzo  inciso. 
Piegando  il  lento  collo  :  ei  la  sostenne  : 
Le  fé  d'  un  braccio  al  bel  fianco  colonna  ; 
E  'ntanto  al  sen  le  rallentò  la  gonna  . 
cxxix. 

E  '1  bel  volto  e  '1  bel  seno  alla  meschina 
Bagnò"  d'alcuna  lagrima  pietosa. 
Qual  a  pioggia  d  argento  e  mattutina 
Si  rabbellisce  scolorita  rosa; 
Tal  ella  ,  rivenendo  ,  alzò  la  china 
Faccia  del  non  suo  pianto  or  lagrimosa* 
Tre  volte  alzò  le  luci ,  e  tre  chinolle 
Dal  caro  aggetto;  e  rimirar  noi  volle <^ 
cxxx. 

E  con  man  languicletta  il  forte  braccio, 
Ch'  era  sostegno  suo,  schiva  respinse  « 
Tentò  più  volte  ,  e  non  uscì  d'impaccio; 
Che  via  più  stretta  ei  rilegoUa  e  cinse . 
Alfin  raccolta  entro  quei  caro  laccio , 
Che  le  fu  caro  forse  ,  e  se  n'  infinse, 
Parlando  incominciò  di  spander  fiumi, 
Senza  mai  dirizzagli  al  volto  i  lumi, 
cxxxi. 

0  sempre,  e  quando  parti,  e  quando  torni 
Egualmente  crudele,  or  chi  ti  guida? 
Gran  meraviglia,  che  '1  morir  distorni, 
E  di  vita  cagion  sia  l'omicida. 


St.    1 3 1 .   .       :  ....  e  se  n  injìnse  . 

Finse  die  non  le  fttS8«.  Della  signi6cazione  di  questo  veibo  si 
è  ragioHuto  di  sopra.  Guast. 


274  LA  GERUSALEMME 

Tu  di  salvarmi  cerchi  ?  A  quali  scorni , 
A  quali  pene  è  riservata  Armida? 
Conosco  l'arti  del  fellone  ignote; 
Ma  ben  può  nulla  chi  morir  non  puote  . 
cxxxii. 
Certo  è  scemo  il  tuo  onor,  se  non  s'  addita 
Incatenata  al  tuo  trionfo  avanti 
Femmina  or  presa  a  forza ,  e  pria  tradita  : 
Quest  è  '1  maggior  de' titoli  e  de  vanti. 
Tempo  fu,  eh  io  ti  chiesi  e  pace  e  vita; 
Dolce  or  sana  con  morte  uscir  di  pianti  ; 
Ma  non  la  chiedo  a  te,  che  non  è  cosa, 
Ch  essendo  dono  tuo,  non  sia  odiosa. 

CXXXIII. 

Per  me  stessa ,  crudel ,  spero  sottrarmi 
Alla  tua  feritadc  in  alcun  modo . 
E  s  ali  incatenata  il  tosco  e  Tarmi 
Pur  mancheranno,  e  i  precipizj,  e   1  nodo. 


St.    i32.    Qiie.1t' è  7  maggior  de'  tìtoìl  e  de' vanti . 
Propriamente  elice,  titoli ,  avendo  di  sopra  detto: 
«   Incatenata  al  tao  trionfo  innanti  ; 
perchè  sente  quella  usanza  de' Romani ,  di  portare  ne' trionfi  di- 
pinte le  città,  i  paesi  ed  i  re  vinti  da'loro  e  sogsiog>'*ti  -^  ^^^^  vol- 
ta i  nudi  e  semplici  titoli ,  quale  fu  quello  di  Cesare  ,  veni ,  vidi  , 
vici,  per  significare  la  prestezza  con  la  quale  ei  vinse  Farnace 
figliuol  di  Mitridate.  Simil'è  quel  luogo  di  Ovidio  dove  Arianna 
dice  a  Teseo: 

«   Me  (Quoque  narrnto  solam  tellure  relirtam: 
«   Non  ego  siim  titulis  ,  xiirripienda  tuia  . 
Ed  aggiungevi  quello,  che  la  medesima  Armida  dice  a  Rinaldo 
Bel  decimosettimo  canto. 

St.   i33.  e  s'  all'  incatenata  il  tosco  e  l' armi  ec. 
Par  che  imiti  que' versi  di  Seneca  nell'Edipo: 

« morte  prohiberi  ìiaud  queo  . 

«  Ferrum  negabis  ?  noxias  lapso  vias 
«   Claudes?  et  arctis  colla  laqueis  inseri 
«    Proliibebis?  herbas ,  quoe  ferunt  letum. ,  nuferes  ? 
«    Quid  ista  tandem  cura  proficet  tua? 
«    Ubicfue  mors  est ,  optime  hoc  cavit  Deus  , 
«  Eripere  vitnm.  nemo  non  homini  potest , 
«   At  ru'rno  mortem. 
£  che  questa  sentenza  «ia  yera^  l'esempio  solo  di  Cleopatra 


LIBERATA    C.  XX.  ^7^ 

Veggio  secure  vie;  che  tu  vietarmi 
Il  morir  non  potresti ,  e  1  Ciel  ne  lodo  : 
Cessa  ornai  da  tuoi  vezzi.  Ah  par  eh' ei  fìnga: 
Deh  come  le  speranze  egre  lusinga-l 
cxxxiv. 

Così  doleasi;  e  con  le  flebil'onde, 

Ch'  Amor  e  Sdegno  da'  begli  occhi  stilla  , 
L'  affettuoso  pianto  egli  confonde , 
In  cui  pudica  la  pietà  sfavilla; 
E  con  modi  dolcissimi  risponde  : 
Armida,  il  cor  turbato  ornai  tranquilla: 
Non  agli  scherni,  al  regno  io  ti  riservo. 
Nemico  no ,  ma  tuo  campione  e  servo  . 
cxxxv. 

Mira  negli  occhi  miei,  s'al  dir  non  vuoi 
Fede  prestar,  della  mia  fede  il  zelo. 
Nel  soglio,  ove  regnar  gli  avoli  tuoi. 
Riporti  giuro  ;  ed  oh  piacesse  al  Cielo 
Ch'  alla  tua  mente  alcun  de'  raggi  suoi 
Del  Paganesmo  dissolvesse  il  velo  ! 
Com'  io  farei ,  che  n  Oriente  alcuna 
Non  t'  agguagliasse  di  regal  fortuna . 
cxxxvi. 

Sì  parla  e  prega  ;  e  i  preghi  bagna  e  scalda 
Or  di  lagrime  rare ,  or  di  sospiri; 


illa  quale  il  Tasso  comparò  di  sopra  Armida,  ce  lo  può  a  pieno 
dimostrare  ,  perchè  custodita  a  tutto  suo  potere  da  Augusto,  ac- 
ciocché non  si  ammazzasse  ,  ed  invitata  con  molti  vezzi  a  voler 
vivere  ,  alla  fine  mostrò  ,  che  la  morte  non  si  può  togliere  a  ve- 
runo: se  bene  Canidia  Maga  minaccia  a  Orazio  il  contrario,  di- 
cendo nell'Ode  i8  dell'Epodo: 

«    Vcdes  modo  altis  desìi  ire  turrihus  ; 

«   Modo  ense  pectus  Norico  rtcludere  : 

«   Frustraque  vincla  gutturi  innectes  tuo , 

«   Fastidiosa  tristis  cegrimonia  . 
Ma  se  le  malie  possino  tanto  negli  uoinini,  reggasi  in  altri, 
che  io  non  ne  so  nulla. 


376  L.\GERUSALE^IME 

Onde,  siccome  suol  nevosa  falda  , 
Dov'  arda  il  Sole ,  o  tepid'  aura  spiri; 
Così  Tira,  clie  in  lei  parca  sì  salda, 
Solvesi,  e  restan  sol  gli  altri  desiri  : 
Ecco  r  ancilla  tua  :  d'  essa  a  tuo  senno 
DJspon  (  gli  disse  )  e  le  fi  a  legge  il  cenno . 

CXXXVII. 

In  qufsto  mezzo  il  Capitan  di  Egitto, 
die  a  terra  vede  il  suo  regal  stendardo, 
E  vede  a  un  colpo  di  Goffredo  invitto 
Cadere  insieme  Riraedon  gagliardo  , 
E  r  altro  popol  suo  morto  e  sconfitto, 
Né  vuol  nel  duro  fin  parer  codardo; 
Ma  va  cercando  (  e  non  la  cerca  in  vano  ) 
Illustre  morte  da  famosa  mano  : 
cxxxviii. 

Contra  il  maggior  Buglione  il  destrier  punge  , 
Che  nemico  veder  non  sa  più  degno. 
E  mostra  ov'  egli  passa ,  ov'  egli  giunge  , 
Di  valor  disperato  ultimo  segno  ; 
Ma  pria  eh'  arrivi  a  lui ,  grida  da  lunge  : 
Ecco  per  le  tue  mani  a  morir  vegno  ; 

St.    i36.    Onde,  siccome  suol  nei'osa  falda  ee. 
Leggiadrissimi  sono  i  versi  di  Appollonio  a  questo  pioposite , 
Argon.  4  : 

Ìmvìto  ìi  (ppfvàj  it'cìu) 

Tijxoiitvyj  ofovrf  yripl  po\ot(jiv  f/pav^ 
TvjKfTcii  ^  i^uìoiciv  ixfvou.ì'ivi  Oyìicciiv  . 
Ne'quali  dice,  che  Medea  si   liquefece  nella  mente  dal  desi», 
siccome  si  liquefa  la  rugiada  nelle  rose,  toccata  da'raggi  mattutini. 
St.    !3j.   Ma  va  cercando  ( lì  non  la  cerca  in  vano) 
Illustre  morte  da  famosa  mnan  . 
Perciocché,  siccome  dice  un  non  so  chi  nel  quinto  libro  di  E- 
lodoto,  il  morire  per  mano  di   gran  personaggio  non   è  che  una 
mezza  morte:  e  per  il  contrario  l'esser  vinto  da  un  nemico  inde- 
gno di  te,  egli  è  una  doppia  disgrazia,  dice  Eschine  contra  Cresi- 
fonte.  E  pili  compitamente  Accio  poeta,  Arm^rum  judicio: 
«    jVore  trojthoetim  fcrre  me  forti  viro ,  pairruin  est. 
•   Si  autem  et  vincar ,  vinci  «  tali  nullum  est  probrum . 

Gekt. 


LIBERATA    C.  XX.  277 

Ma  tenterò  nella  caduta  estrema. 
Che  la  ruina  mia  ti  colga  e  prema . 
cxxxix. 
Così  gli  disse  :  e  in  un  medesmo  punto 
L'un  verso  1'  altro  per  ferir  si  lancia. 
Rotto  lo  scudo  j  e  disarmato  e  plinto 
E  '1  manco  braccio  al  Capitan  di  Francia  ; 
L'  altro  da  lui  con  sì  gran  colpo  è  giunto 
Sovra  i  confin  della  sinistra  guancia, 
Che  ne  stordisce  in  su  la  sella;  e  mentre 
Risorger  vuol ,  cade  trafitto  il  ventre  . 

CXL. 

Morto  il  Duce  Emireno,  omai  sol  resta 
Picciol  avanzo  di  gran  Campo  estinto . 
Segue  i  vinti  Goffredo,  e  poi  s'  arresta; 
Ch'  Altamor  vede  a  pie  di  sangue  tinto , 
Con  mezza  spada  e  con  mezz'  elmo  in  testa , 
Da  cento  lance  ripercosso  e  cinto. 
Grida  egli  a'  suoi  :  cessale  ;  e  tu ,  barone , 
Renditi  (  io  son  Goffredo  )  a  me  prigione  . 

CXLI. 

Colui,  che  sino  allor  l'animo  grande 
Ad  alcun  atto  d'umiltà  non  torse, 
Ora  eh'  ode  quel  nome,  onde  si  spande 
Sì  chiaro  suon  dagli  Etiopi  all'Orse, 
Gli  risponde  :  farò  quanto  dimande. 
Che  ne  sei  degno;  e  V  arme  in  man  gli  porse 
Ma  la  vittoria  tua  sovra  Altamoro 
Né  di  gloria  fia  povera,  ne  d'  oro. 

CXLII. 

Me  l'oro  del  mio  regno  ,  e  me  le  gemme 
Ricompreran  della  pietosa  moglie. 


St.   4^.   Me  l'oro  del  mio  regno  ,  f  me  le  geminx 

Hìcompreran  della  pietom  moglie  . 
Omero  nel  6  dell'Iliade: 


27.*^  LA  GERUSALEMME 

Replica  a  lui  Goffredo  :  il  Ciel  non  diemme 

Animo  tal,  che  di  tesor  s  invoglie. 

Ciò  ,  che  ti  vien  dall'  Indiche  maremme  , 

Abbiti  pure  ,  e  ciò  che  Persia  accoglie  ; 

Che  della  vita  altrui  prezzo  non  cerco  : 

Guerreggio  in  Asia,  e  non  vi  cambio  o  merco 


Zwypa  AVpÈos  vi,  crù  5'  af/a  Sf^at  olttcìv» 
rioXXà  5'  tv  a(pi/f(où  TTXTp'oi  XH^yjXtx  jìutcìi 
KxKkoì  Tiy  xp«0"ó?  rf ,  7roXux(UL>jro'?  rt  rjS>)fo? 
Tu)v  xév  Toì  y^ctfiiijci.iro  7raTv;p  tXTrfpiìcri  cLnoivx 
Eì  xév  t'juf  ^ujov  7r67ru!^o(  r   fVi  vvjic/v  A' x^xiuiv  . 
Cioè: 

«  Lasciami  viro,  o  figliuol  d'Atreo;  e  tu  degni  piemj  ne  licrvij 
«  Molte  del  ricco  padre  nelln  casa  cose  preziose  stanno  riposte 
o  E  rame  ed  oro ,  e  lavorato  ferro  : 
«  Di  questi  ti  donerà  il  padre  mìo  infiniti  doni 
n  Se  me  vive  intenderà  ritrovarsi  appresso  le  navi  de' Greci. 
E  nel  to  come  forse  con  non  picciola  sazietà,  e  fastidio  del  leg- 
gitore è  oltre  modo  della  replicazione  vago  questo  poeta ,  secondo 
che  noi  ancora  piìj  d'una  volta  abbiamo  replicato  ,  gli  stessi  ap- 
punto : 

Zuypa  r ,  aoTap  iyòìv  Ìjj-ì  Kvcoulxi  ,  i^l  yap  è'vSov 

XxKxÓ;   T€,   •)(^p'J<70i   Ti,  TTOXVKfXVTOi  Tf  ffi'StJpO?  . 

Tm  6  vjj.ij.lv  •)^a(>tcxi  to  7rar)ip  a7rfpé(ci   xnoivx 

E/xfv  f^S  ^(jOQV    7Ct-rv%l   T    ÌtvI    VVJUO-JV   A')(,Ottù)V. 

Cioè: 

«  Lasciatemi  viro,  e  io  mi  riscatterò,  perchè  io  ho  in  casa 
«  E  oro,  e  rame  ,  e  lavorato  ferro    . 
«  Di  questi  a  voi  donerà  il  padre  mio  infiniti  doni 
«  Se  me  vivo  intenderà  ritrovarsi  appresso  le  navi  de  Greci. 
"Virgilio  nel  io  dell'Eneide,  v.  Ò2.\  ,  fa  che  Mago  supplichi  in 
siniil  guisa  Enea: 

«   Per  patriot!  m.anes ,  et  spes  siirgentis  lulì 
«    Te  precor  liane  animam  seri'cs  natoque ,  patriquc  . 
«  Est  domus  alta:  jacent  penitus  dfjossa  talenta 
«   Ccelati  argenti  :  sunt  aiiri  pondera  facti , 
«   InJ'etìque  mi  hi  . 
—   Guerreggio  in  Asia  ,  e  non  vi  cambio  o  merco . 
Sublime  sentimento  e  degno  di  GoftVedo .  Simile  fu  quella  ri- 
sposta che  Alessandro  diede  già  a  Parmenione,  il  quale  gli  avca 
fatto  delle  proposizioni  lucrose  e  poco  oneste:  Me  non   mercato- 
rem  memini  esse,  sed  regem  (  Q.  Cur.  lib.  4)-  Questa  risposta  di 
Alessandro  leggcsi  pure  in  Ennio,  come  data  da  Pirro  in  una  si- 
mile occasione:  Non  c.iuponantes  belhun  ,  sed  helligerantes  .  In- 


LIBERATA    C.  XX.  '   279 

CXLIII. 

Tace  ;  ed  a'  suoi  custodi  in  cura  dallo , 
E  segue  il  corso  poi  de' fuggitivi . 
Fuggon  quegli  ai  ripari,  ed  intervallo 
Dalla  morte  trovar  non  ponno  quivi . 
Preso  è  repente  e  pien  di  strage  il  vallo  : 
Corre  di  tenda  in  tenda  il  sangue  in  rivi , 
E  vi  macchia  le  prede  _,  e  vi  corrompe 
Gli  ornamenti  barbarici  e  le  pompe. 

CXLIV. 

Così  vince  Goffredo  :  ed  a  lui  tanto 
Avanza  ancor  della  diurna  luce , 
Ch'  alla  Città  già  liberata,  al  santo 
Ostel  di  Cristo  i  vincitor  conduce . 
Ne  pur  deposto  il  sanguinoso  manto. 
Viene  al  Tempio  con  gii  altri  il  sommo  Duce  : 
E  qui  r  arme  sospende,  e  qui  devoto 
Il  gran  Sepolcro  adora,  e  scioglie  il  voto. 


torno  a  che  osserva  il  Gentili ,  che  il  nostro  poeta  in  vece  di  cau- 
ponantes  ,  perciocché  era  duro  ad  essere  trasferito  in  lingua  vol- 
gare, molto  acconciamente  usò  quelle  due  parole  cambio  e  merco, 
imitando  in  ciò  Dante,  il  qual  disse:  Parad.  16: 

«   Tal  fatto  è  Fiorentino  ,  e  cambia  e  merca ,  Gent. 


G.  LiB.  T.  III.  19 


VARIANTI  LEZIONI 

filCATATE   DILLE   TRE  Viv'   ACraEDITATK  STAMPE 
DELLA.   GERUSALfcMHE    LÌBERA TA 


PAXHA, tODOVI 

«794- 


PAKUA  ,  TI  OTTO, 

i58i  in  4? 


MAMTOTA.  eXAKirA, 

i584. 


CANTO  XV. 


St.  V. 

•j  I  ha  in  lui 
8  2  Portano  al  mar  U 
\«'ia  d'oro  i  ven- 
ti 
17  a  Si  lascia,  e  coateg- 
giando  Africa  vie- 
ne 

—  5  Passa  '1   regno   di 

Barca  e  scopre  il 
suolo 
—  8  Sboccar  ....  il  fa- 
voloso 
31   4  innanti 
24  8  ove  corriamo 
3o  4  ignoti  ancor, 
5i   8  acqueti 
35  7  Quivi  produr 

38  7  Quanto 

—  8  e  dire:  io  fui! 

39  7  dall' ocean 
55  8  r  erba 

6a  5  Poscia  la  voce  man- 
sueta e  pia 

—  6  Mosse,  che  parve 

suon   di   paradi- 
so 
63  8  Che  guerrieri  qui 
sol 


ha  in  te 

Spingon  la  vela 
inverto  il  lido  i 
Venti 

Non  «cerne , e  pur 
lungo  Africa  sen 
viene 

La  Marmai  ica  ra- 
de e  rade  il  suo- 
lo 

Sorger  ...  il  fa- 
buloso 

inanti 

ove  corriamo 

ignoti ,  ancor 

accheti 

Quivi  produr 

Quando 

e  dov'io  fui 

dall' Ocean 

l'e.be 

Mosse  la  voce  poi 
*i  dolce  e  pia  , 

Che  fora  ciascuno 
altro  indi  con- 
quigo 

Che  guerrier  qui 
iolo 


ha  in  lui 

Spingon  la  vela 
inverso  il  lido  i 
venti 

Non  sceme  :e  pur 
lungo  Africa  sen 
viene 

La  Marmari(;a  ra- 
de, e  rade  il  suo- 
lo 

Sorger  ....  il  fa- 
buloso 

avanti 

che  corriamo 

ignoti ,  ancor 

accheti 

Qui  partorir 

Quando 

e  dire:  io  fui . 

dell' Ocean 

1  erbe 

M'-tsBe  la  voce  poi 
si  dolce  e  pia , 

Che  fora  ciascuno 
altro  indi  con- 
quiso 

Glie  guerrier  qui 
solo 


St.  V. 


CANTO  xri. 


iG  7  La  terra  e  l'aria         La  terra  e  l'acqaa     L»  terra  e  l'aequ?. 


28: 


VARIANTI 


St.  r. 
17  7 

—  8 

a5  3 
40  2 


4» 
48 
43 

5o 
55 
60 
61 
6a 

65 


2 
6 
6 
2 
7 
7 
3 
8 
3 

—  8 
70  2 
75  2 


PARMA,  EOnONI  j 

1794- 

Vede  pur  certo  il 
vago  e  la  dilet- 
ta 

Ch'egli  è  in  grem- 
bo alla  donna, es- 
sa all'erbetta 

sorrisi ,  parolette 

tra  gli  atti 

Parte  teco 

Dà  insieme  ad  am- 
be 

Volge  furtivo 

la  lingua 

Tutte  ancor  non 

Che  te  voglia  ferir 

ti  spiaccia 

E  cadde 

(  e  tu  noi  vedi) 

Cortesia  lo  ritien 

e  'l  lido  ecco  (4) 

Che  tuo  prigion 

l'aspra 

per  r  aria 

serventi 


PARMA,  VIOTTO, 

i58i  in  4 

Vede  pur  certo  il 
vago  e  la  dilet- 
ta 

Ch'egli  è  in  grem- 
bo alla  donna  , 
essa  all'erbetta 

sorrisi ,  parolette 

tra  gli  agi 

Parte  teco 

Dà  iusicnie  ad  am- 
bi 

Furtivo  volge 

la  voce 

Già  tutte  non 

Che  ti  voglia  ferir 

ti  spiaccia 

E  cade 

(e  in  no  1  credi  ) 

Cortesia  Io  ritien 

e  ')  lido  a  lui 

Che  tu  prigion 

l'alta 

nell'aria 

eeigenti 


MAKTOTA,  OSAlrWl. 
1534. 

Vede  pur  certo  Ar- 
mida insieme  e 
'irago(i)       • 

Sedersi  all'ombra 
incontra  un  chia- 
ro lago 

sorrise  parolette 

tra  gli  agi 

Teco  parte 

Dà  insieme  ad  am- 
be (2) 

Volge  furtivo 

la  lingua 

Già  tutte  non 

Che  ti  voglia  ferir 

ti  piaccia 

E  cade  (3) 

(  e  tu  no'l  credi  ) 

Il  ritien  cortesia 

e  I  lido  a  lui 

Che  tu  prigion 

l'alta 

nell'aria 

3Prc;enli 


CANTO  XV n. 


a  6  traslatò  (i)  traslato  traslato 

3    I    Qual  la  stagione,  quale       stagion  ,  quale  stagione,  < 

e  qual  là  fosse  quale  ivi  fosse  qual  là  fosse 

5  5  E  passa  dentro  in-  E  passa  dentro  in-  E  passa  a  dentr* 


(i)  Questa  lezione ,  che  trovasi  anche  nella  stampa  del  Caval- 
calupo  non  è  stata  adottata  nò  pure  dal  Sig.  Ab.  Colombo. 

(2)  Dopo  la  presente  stanza,  ho  posta  dietro  l'autorità  del  Sc- 
rassi r  altra  : 

«  Disselli  Ubaldo  aìlor  ec . 
Dice  il  Sig.  Colombo  che  «  poco  prudente  consiglio  dà  qui  Ubal- 
«  do  al  nostro  Eroe  .  Si  vincon  forse  le  Sirene  ascoltandole  ?  Cosi 
«  non  pensava  quel  saggio  Ulisse  ec.  »  Giustissima  rillessione, 
quando  avesse  avuto  tempo  Rinaldo  d'involarsi,  senza  udire  i 
lamenti  di  Armida:  ma  poiché  non  eravi  modo  di  farlo,  Ubald» 
consiglia  il  migliore  espediente  nella  strettezza  del  caso. 

(3)  Anche  il  Sig.  Colombo  legge  cadde  . 

(4)  Leggo  ecco  col  Serassi ,  perchè  mi  pare  di  maggiore  evi- 
denza . 

(i)  Leggo  trasJaiù  col  Serassi,  per  la  stessa  causa  che  sopia. 


LEZIONI 


283 


i>ARAlA,  BOBOHI  , 

FARMA,  VIOTTO, 

MAMOVÀ,  OSANNA, 

i794- 

i58i  in  4 

i584. 

Sj.  t^. 

centra  all'  ìuani- 

centra  all'inGnì- 

incontra  all'  in- 

to 

to 

finito 

(>  G  lo  governa 

lo  governa 

le  governa 

26  3 

Pianse ,  peicosào 

Pianse ,  percosso 

Piansc,percos3o(2) 

3o  7 

a  cui  il  nome 

a  chi  il  nome 

a  chi  il  nome 

3i   6 

d'uguagliarsi  van- 

d'  agguagliar      si 

d'   agguagliar     si 

ta 

vante 

vaute 

61   5 

non  cela  ,  non  su- 

non gela,   e  non 

non    gela ,  e  non 

da 

suda 

suda 

73  8 

Monscclse 

Monsclcc  (3) 

Monscelce 

11   t 

Te]>aldo  (4) 

Tedaldo 

Tedaldo 

78  3 

Là  sconQggea 

Là  configgea 

Là  configgea  (5) 

84   7 

intento 

il  Mago  ' 

intento 

87  8 

men  chiari  gesti 

men  chiari  i  gesti 

men  chiari  i  ge?ti 

CANTO  XyiIL 

3  3 

Qual  si  sia 

Qual  si  sia 

Qual  che  sia 

1  3 

la  sua  greggia 

le  sue  gregge 

le  sue  gregge 

20  3 

Ei  tanto  stende 

Ei  tanto  stende 

Ei  stende  tanto 

3o  2 

Meraviglia 

Meraviglie 

Meraviglie 

35  6 

La  faccia,  e  vi 

La  faccia,  vi 

La  faccia;  vi 

37  7 

La  noce;  e  noce 

la  nrtoe  ,  è  noce 

la  noce;  è  noce 

38  8 

Sembianze!  oh  fol- 

Sembianze,  e  fol- 

Sembianze, e  fol- 

le 

le 

le 

^3  8 

dal  lanciato 

da  lanciato 

da  lanciato 

45  5 

schiere  rimirando 

schiere    in    rimi- 

schiere   in   rimi.- 

rando 

rando 

49  5 

ne  dimena 

non  dimena 

ne  dimena 

63  5 

ed  in  sul  colle 

e  d' in  sul  colle 

e  d'in  fiul  colle 

66  3 

subito 

subita 

subita 

83  8 

Piove 

Piove 

Piovve 

84  3 

rombo 

bombo 

bombo  (i) 

87  7 

e  ubbidienti  (2) 

ed  ubbidienti 

ed  ubbidienti 

(2)  Percosse  legge  anco  il  Sig.  Colombo . 

(3)  Deve  dir  il/o«5e/ce,  cioè  Monsclice ,  e  così  legge  anche  il 
Sig.  Colombo . 

(4)  Correggasi  Tedaldo,  perchè  dee  dir  così,  ed  è  un  errore  di 
stampa,  ad  onta  della  lezione  del  Serassi. 

(5)  Deve  dir  sconfiggea ,  e  non  configgea ,  che  ha  un  altio  si- 
gnificato. 

(i)  Col  rispetto  che  debbesi  al  Sig.  Colombo,  e  di  tutte  l' edi- 
zioni (che  forse  lo  posero  per  errore  di  stampa),  adotto  rombo, 
poiché  bombo  in  Toscana  non  ha  altro  significato  che  il  bere  che 
dimandano  i  bainliini  quando  hanno  sete. 

(3)   Ubbidienti  di  cinque  ìiillabe  adotta  Miep  il  Big.  Coloiabo. 


284 


VARIANTI 


PARMJk,  BODOII, 

«794- 
St.  r, 

99  4  La  ipendo  (3) 

—  5  E,  sé  in  novf  di 

lete 


»i.RMi,  TIOTTO^ 

i58i  in  4' 

La  spando 

E  in  ȏ  noTC  dife- 


MINTOVA,  OS/lKNA, 

1584. 

La  spando 

E  in  ȏ  noTC  dife- 


7  4  P°''  l'alti'ui 
19  6  Quando  ci  ne  già 


CANTO  XIX. 

per  l'altrui 
Quando  ein'è  già 


30  5 
38  2 
43  8 

43  8 

47  4 
%  7 

81  3 
87  I 

9'  7 

95  8 
io5  4 

106  5 
114  5 
laG  6 


con  braccio 

sforza,  pi  il 

Dove  vede  appres- 
sar 

a  braccia  aperta 
steso 

'.u  greggia 

A  diinande  e  ri- 
sposte 

Tosco ,  disse  ella 

odio  o  disdegno 

questi  riguardi  in- 
nante 

Ma  jii' usurpò 

Fortuna  !  ah  che 
veduta  amara  e 
trista  ! 

si  dolci  e  bei 

risponde 

insia  qui  detto  è 
poco 


col  braccio 
sforza  j  piìi 
DoTe       appressar 

vede  (a) 
a  braccia  aperte, 

e  steso 
le  greggie 
A  dimande  ,  a  ri- 
sposte 
Tosto  disse  ella 
odio,  o  disegno 
questi    rispetti  i- 

nante 
Ma  s'usurpò 
Fortuna  ?    a   che 

▼  edula  amara   e 

trista  ? 
sì  dolci  e  rei 
rispose 
>     in  (in  qui  detto  k 

poco  (4) 

CANTO  XX. 


per  altrui 
Quando  ei   ne  già 

col  braccio 

sforza,  e  più 

Dove  vede  appres- 
sar 

a  braccia  aperte  , 
e  steso 

le  greggio 

A  dimande,  ?.  ri- 
sposte 

Tosco  (  disse  ella) 

odio  o  disegno 

questi  rispetti  a- 
vante 

Ma  s'usurpò 

Fin  tuna  ?  a  che 
veduta  aniarn  e 
trista? 

sì  dolci  e  rei  (3) 

rispose 

in  sin  qui  detto  à 

poco 


16  5  Tremar  le    spada     Le  spade  ornai  tre-     Le  spade  ornai  ».ii- 

oinai  mar  mar 

33  7  Poi  far  Poi  fer  Poi  fier 


(3)  Adotto  la  ripetizione  di  spendo  col  Serassi  per  evitare  il 
bisticcio  di  spendo  e  sp.indo  . 

(1)  Adotto  ;^m,  perchè  quel  ^2a(cioè  andava )y5er  ricadere, 
mi  sente  un  po' la  prosa:  ma  forse  ra'  inganno. 

(2)  Adotto   Dove  appressar  vede,  per  evitar  quel  ove ,  i'#  ,  del 
dove  vede  . 

(3)  Allotto  si  dola  e  hei  col  Serassi ,  come  pili  a  proposito  nel- 
la situazione  di  Erminia. 

(4)  Adotto  la  piima  lezione  dell'Autore  il  fin  qui  detto  è  poco  , 
perchè  parmi  che  abbia  maggior  garbo  poetico  . 


LEZIONI 


PARMA,  BODONI, 

>794- 
St.  V. 
62  8  Ma  la  placava 
64   I  Vorria 
68  5  Qual  è  timido 
88  2  a  vendicarsi 
95   5  Grida  il  crudel 
97  8  del  suo  disdegno 

107  8  se  non  altero  (2) 

108  2  cadde  e  risorse 
123  a  abbia  (4)  condutte 
i36  8  e  le  sia 


PARMA,  VIOTTO , 

i58i  in  4' 

Ma  le  placava 
Torria 

Qual  è  il  timido 
al  vendicarsi 
Grida  il  crudel 
del  suodisegno(t) 
se  non  se  altero 
cade ,  e  risorse 
abbian  condutte 
e  le  fia 


a85 

MANTOVA  ,  OSANNA 

i584. 

Ma  le  placava 
Torria 

Qual  è  il  timido 
al  vendicarsi 
Gridò  il  crudel 
del  suo  disegno 
se  non  se  altero 
cade  (3),  e  risorse 
abbian  condutte 
e  le  fia 


(i)  È  errore  di  stampa,  «  deve  dir  disdegno  .  Cosi  anco  adotta 
il  Sig.  Colombo. 

(2)  Leggo  cosi  per  maggior   semplicità;  giacché,  stando  gram- 
maticalmente bene  ,  si  evita  la  ripetizione  dei  due  **. 

(3)  Anche  il  Sig.  Colombo  legge  cadde  . 

(4)  Dee  così  leggersi .  Abbian  è  errore . 


STANZE 

RIFIUTATE  DALL' AUTOÌIE 


CANTO  XV. 

Così  Comincia  questo  Cantò  hell'  Edizione  del  Cavalcalup» , 

St.  4-  La  couca  al  lustro  ed  al  candor  somiglia 
Perla  che  pura  e  nitida  siaville . 
Vaga  è  la  donna ,  e  le  cortesi  ciglia 
Di  ridente  letizia  avea  tranquille. 
La  sua  veste  or  cerulea  ed  or  vermiglia 
Appare,  e  si  colora  in  guise  mille  Ce. 

St.  7.  Come  la  nobil  coppia  ebbe  raccolta. 

Colei  rallenta  alla  sua  nate  il  morso; 
£  siede  in  poppa  al  suo  governo ,  e  volta 
La  ticn  laddove  l'onde  han  maggior  corso. 
La  chioma  ,  ch'avvolgea  si  lunga  e  folta 
Ver  quella  parte  eh' è  contraria  al  dorso. 
Dispiega  e  spande  all'aura,  e  l'aura  ,  come 
In  vela  suol ,  curvando  empie  le  chiom*. 
IO.   Restò  Pelusio  indietro  ,  ed  a  mancina 
La  nave  il  corso  avventuroso  volse  ; 
E  vide  come  il  Nilo  alla  marina 
Per  sette  porte  il  gran  tributo  accolse. 
Vide  a  Canopo  la  città  vicina  , 
Che  dal  gran  fondatore  il  nome  tolse: 
E  Faro  ,  isola  già ,  che  in  alto  lunge 
Dal  lito  giacque,  al  lito  or  si  congiunge. 
29.  Dunque,  replica  Ubaldo,  il  sommo  Sole 
Che  fra  noi  scese  a  illuminar  le  carte  , 
Raggio  alcuno  di  sé  largir  non  vuole 
A  questa ,  che  del  mondo  è  sì  gran  parte. 
Risponde:  il  volgo  misero,  che  cole 
Or  Dei  bugiardi,  e  non  ha  civil  arte , 
Fia  rivolgendo  gli  anni  anco  ridutto 
Al  veio  culto  ,  e  nobilmente  instrutto. 
33.  Cosi  parlava ,  e  le  non  corse  strade 

Solca  fra  l'Occidente  e  '1  Mezzogiorno. 

Già  son  dove  ogni  stella  sorge  e  cade, 

E  sempre  gira  egual  la  notte  e  '1  giorno. 

Qui  miele  l'anno  le  mature  biade 

Due  volte,  e  doppio  ha  '1  verno  il  suo  ritorno. 

Vanno  innanzi  scorrendo ,  e  già  lor  sorge 

Il  Polo,  cui  r  Europa  iinquR  non  scorge. 


RIFIUTATE  a87 

Miran  quasi  duo  nuvoli  di  molte 

Luci  in  un  congregate,  e  in  mezzo  a  quelle 

Girar  con  angustissime  rivolte 

Due  pigre  e  brune  e  picciolette  stelle. 

E  sovra  lor  di  Croce  in  forma  accolte 

Quattro  più  grandi  luminose  e  belle. 

Eccovi  i  lumi  opposti  al  freddo  plaustro. 

Che  qui  segnano,  disse,  il  polo  d'Austro. 
Miran  duo  merghi  indi  coir  ale  molli 

Quasi  radendo  andar  l'onda  marina 
La  fatai  donna  ai  due  guerrier  mostroUi 

Per  segno,  che  la  ripa  è  già  vicina. 
Ed  ecco  di  lontano  oscuri  colli 
Scopron  dell'  umil  terra  peregrina . 
Lor  nel  petto  un  desìo  subito  viene 
Di  lasciar  l'acqua  e  di  calcar  l'arene. 
St.  38  Carlo  incomincia  allor ,  ec. 

St.  4i.  E  questo  ei  vuol,  perchè  la  gloria  integra  (^vedasi  nel  testo) 
Del  gran  trovato  il  trovator  poi  n'aggia. 
Ma  dell'  oblivion  tacita  e  negra , 
Ancor  tempo  verrà ,  ch'altri  la  traggia: 
E  la  spieghi  volando  per  l'allegre 
Aura  soave,  che  dà!  sol  s'irraggia. 
Quando  ancor  fia  chi  rinnovelli  e  cante 
La  giusta  guèrra  e  le  fatiche  sante . 

La  Stanza  che  segue  r.on  leggesi  in  alcvno  esgmpìare 
degli  stampati . 

£  ciò  sarà  ne' secoli  maligni. 

Che  per  tutto  fia  sVelto  il  mirto  e  '1  lauio; 

E  muti  languiran  sul  Tebro  i  cigni, 

E  in  Arno  e  in  Mincio  e  in  Taro  ed  in  Metauro  : 

Solo  fia  i  corni  del  gran  Po  ferigni 

Avranno  i  nidi  piìi  belli  che  d'auro  : 

Avranno  gli  antri  e  l' aeque  e  l'ombra  e  l'erba: 

O  glorioso  chi  gli  accoglie  e  serba  ! 
Così  dicendo  e  trascorrendo ,  il  legno 

La  fatai  duce  a  un  promontorio  accosta. 

Gl'inospitali  Antropofagi  il  regno 

Han  quivi,  e  quindi  stesa  è  la  gran  costa 

Per  lunghissimo  tratto  incontra  '1  segno, 

Al  quale  è  l'Orsa  d'Aquilone  opposta: 

Benché  talor  si  pieghi  alquanto  e  torca 

Verso  le  parti,  dove  il  Sol  si  corca  . 
Giungon  poi  dove  un  fiume  al  mar  confina. 

Che  tante  dal  gran  vaso  acque  diffonde. 

Che  1  ceruleo  color  della  marina 

Segna  un  lungo  sentier  di  torbide  onde. 

jVè  '1  Danubio  si  grande,  o  '1  Po  dechina, 

3Vè  qud ,  che  1  fonte  all'viu  de  Poli  asconde  , 


S  T  x\  N  Z  E 

Ed  all'altro  la  foce:  né  si  grande 

L'Eufrate  o  '1  Gange  mai  si  gonfia  e  spande < 
Sette  Isolette  ha  nella  bocca ,  e  tiene 

Più  suso  una  Provincia  intra  due  corna  , 

Ricca  di  preziose  argentee  vene, 

Ond'ella  ha  '1  nome  ,e  1  fiume  anco  n'adorna: 

La  lunga  spiaggia  delle  salse  arene 

Non  è  di  borgo  ,  o  di  castello  adorna; 

Rare  case  e  disperse  ,  e  spesso  scorti 

Son  da  lor  fiumi  e  promontori  e  porti . 
"Venner  dopo  gran  corso  al  sen ,  che  detto 

Ha  di  San  Giulian  libero  audace; 

Loco  a' legni  opportun,  se  non  che  '1  letto 

Pieno  di  sirti  e  innavigabil  giace  . 

Si  volser  quivi  a  un  improvviso  obbietto  ; 

(È  di  Tifci ,  d'Euceladi  ferace 

Quivi  la  terra)  orribili  muggliianti 

Scopron  sul  lido  i  Patagon  giganti. 
Era  in  gemelli  il  Sol,  quando  piìi  breve 

Qui  l'ombra  annotta,  e  i  di  maggiori  alluma. 

Ma  là  've  il  suo  valor  non  si  riceve, 

Verna  stagion  di  tenebre  e  di  bruma. 

Scoproa  da  lunge  alfin  monti  di  neve 

Carichi,  ov'ella  mai  non  si  consuma. 
Poi  tra  lor  chiuso  il  varco  angusto  appare  , 
Che  parte  il  mar  del  Sud  dall'altro  mare. 
Spettacol  quivi  al  nostro  mondo  ignoto 
Vider  di  strana  e  d'incredil  caccia: 

Volare  un  pesce,  un  altro  girne  a  noto; 
Fugge  il  volante ,  il  notatore  il  caccia. 
E  nell'ombra  ,  ch'è  'n  acqua  ,  osserva  il  moto, 
Chexjucl  fa  in  aria,  e  segue  ognor  la  traccia, 
Fin  che  quel,  che  non  regge  a  volo  il  peso 
Per  lungo  spazio,  in  mar  cadendo  è  preso. 
Escon  dal  breve  stretto  ad  Oceano 

Vasto  ed  immenso  ,  il  qual  co'  venti  ha  tregua, 
Si  ch'onda  pur  non  disagguagiia  il  piano, 
Cui  stabil  calma,  o  quasi  eterna  adegua. 
Or  perchè  il  corso,  che  da  senno  umano 
Retto  non  è,  rapidamente  segua. 
Spinge  sempre  soave  e  sempre  eguale 
Gli  avventurosi  erranti  aura  fatale. 
A  destra  è  lungo  tratto:  e  quivi  è  il  Guito, 
E  col  ricco  Perii  l'aurea  Castiglia  . 
Ma  la  nave  seguendo  il  manco  lito 
Ver  la  terra  anco  ignota  il  caminin  piglia. 
E  trova  un  mar  si  d'isole  fornito, 
Che  l'Egeo  colle  Cicladi  somiglia: 
E  già,  da  che  lasciar  l'arene  Ibere, 
Erari  dieci  albe  scorse  e  dieci  sere. 
Loco  B  in  quell'erme  spiaggie  assai  riposto: 


RIFIUTATE  289 

Porto  coir  ai  ti  sue  naliira  il  rende. 
Si  curva  il  lido  e  tra  due  corna  ascosto 
Fa  un  ampio  seno:  un'isola  il  difende. 
Ch'a  lui  la  fronte,  e  '1  tergo  all'onda  ha  opposto. 
Che  vien  dallalto,  e  la  respinge  e  fende, 
Quinci  e  quindi  è  gran  rupe,  e  torrcggianli 
Fan  due  gian  scogli  segno  ai  nariganii . 
Tacciono  sotto  i  mar  securi  in  pace: 
Sovra  ha  di  negre  selve  opaca  scena. 
Contra  pendente  una  spelonca  giace. 
D'edere  e  d'ombre  e  di  dolci  acque  amene. 
Fune  non  lega  qui ,  né  col  tenace 
Morso  le  stanche  navi  ancora  frena. 
Qui  in  vece  delle  vele  e  delle  sarte 
Raccolse  ella  le  chiome  al  vento  sparte . 

Con  queste  Stame  unisce  il  Canto  presente  nella  prima  ediziont 
del  Poema,  e  le  seguenti  Stame  rijnitate  non  si  leggono  nei 
due  testi  dell'  Ingegneri ,  né  in  alcun  altro  degl'impressi  ;  e 
noi  ad  esse  abbiamo  assegnato  il  luv^o ,  come  più  probabile  ci 
è  paruto . 

St. 47.  Fern.àrsi  a  pie  dell'alpe,  insin  che  chiuso 

Fu  dall'ombre  r.otturne  l'orizzonte. 

E  i  suoi  splendori  appena  ebbe  diffuso 
,      Il  Sol,  dell'aurea  luce  eterno  fonte, 

E  ricco  il  ciel  di  rai  ,  ch'ambo  là  suso 

Gridar  :  già  tempo  è  di  salire  il  monte. 

Ma  lor  sul  cominciar  l'erta  attraversa 

Fera  ,  sei  pendo  orribile  e  diversa. 
St.  54.  Siede  sul  lago,  e  imperioso  i  mari 

Vagheggia  e  i  monti  ampio  palagio  adorno. 

Tramutar  vede  le  stagioni,  e  in  vari 

Volti  sotto  apparir  la  notte  e  '1  giorno. 

Egli  è  in  stabil  riposo,  e  da  contrari 

Sì  gioja  accresce  al  suo  dolce  soggiorno. 

Come  è  soave  il  rimirar  d^  terra 

Nave  che  mar  cruccioso  aggira  ed  erra. 
Non  hanno,  s':  '1  desio  gli  aHretta  e  punge. 

Essi  a  tante  vaghezze  alcun  riguardo; 

Poiché  '1  mostro  custode  appar  da  lunse 

Sulla  gran  porta  in  minaccevol  guardo. 

D'uomo  è  in  lui  quel  di  sopra,  a  cui  congiungc 

Poscia  da' fianchi  in  giù  membra  di  pardo: 

Salvo  che  serpentina  orribil  coda 

Nel  deretano  suo  ripiega  e  snoda. 
Con  quella  fere  impetuoso  e  crudo 

Sì ,  che  ne  fende  e  fora  il  ferro  e  i  marmi . 

Elmo  non  ha  ,  non  ha  corazza  o  scudo  , 

Che  nella  pugna  l'assecuri  e  Tarmi. 

Ma  la  velficitade  al  corpo  ignudo. 


a9'>  STANZE 

E  la  destrezza  sua  vatjlion  per  avrai  , 
Tre  dardi  ha  nella  destra,  e.  la  litorla 
Spada  di  fina  tempra  al  fianco  porta . 

Contra  gli  armati  duo  sol  con  si  fatte 

Difese  vien ,  né  l'orme  in  terra  imprime,' 
E  correria  sovra  le  spÌE;he  ,  intatte 
Lasciando  lor  le  tremolanti  cime; 
E  porteria  per  mezzo  il  mar  le  ratte 
Piante  sull'onde  tumide  sublime 
Senza  punto  bagnarle .  Or  come  fue 
Vicin  lancio  l'armi  volanti  sue. 

E  di  tré  colpi  i  duo  guerrit^r  con  esse 

Percosse:  piac;ò  Ulialdo  a  mezzo  il  petto. 

Carlo  non  piagò  già,  però  che  resse 

Due  punte,  onde  fu  colto  il  forte  elmetto. 

Quinci  d'intorno  a  lor  tesse  e  ritesse 

Suoi  corsi  in  giro,  e  fende  a  suo  diletto  . 

E  sono  spesso  anco  colpiti  a  un  punto; 

Che  l'un  la  coda  ,  e  l'altro  il  ferro  ha  giunto  . 

Non  ,  se  fosser  tra  mille  in  mezzo  accolti, 
Foran  si  lor  battuti  i  petti  e  i  fianchi , 
Le  cave  tempie ,  i  larghi  omeri  e  i  volti , 
Come  un  sol  Ji  combatte  e  gli  ha  già  stanchi . 
Essi  non  mai  cogliendo,  e  sempre  colti 
Temon  che  indarno  sparso  il  vigor  manchi . 
Giunger  le  spalle,  e  far  costretti  furo 
Ciascun  col  petto  il  tergo  altrui  securo. 

Con  tutto  ciò  per  sì  diverse  strade 

Or  l'uno  or  l'altro  assale,  e  sì  repente; 

E  in  lor  de' colpi  la  tempesta  c.idf 

Delle  doppie  armi  sì  grave  e  frequente; 

Ch'hanno  al  parar  piìi  ch'ai  ferir  le  spade 

Con  tutte  l'arti  dello  scheimo  intonte  . 

E  se  nulla  temenza  han  di  morire, 

N'han  dubbio  almen ,  né  scema  il  dubbio  ardire 

Ubaldo  al  fine  argomentò  con  arte 
Nova  vincer  la  dubbia  aspra  contesa. 
Il  rotto  scudo  suo  gitta  in  disparte. 
Si  ch'abbia  la  sinistra  atta  a  far  presa. 
Quando  la  coda  poi,  ch'incide  e  parte 
Le  dure  piastre  è  sovra  lui  discesa. 
L'afferra  si ,  che  '1  mostro  a  st;  non  puote 
Ritrarla ,  e  fenna  le  veloci  rote. 

L'una  stringe  la  coda,  e  l'altra  mano 
Difende  ambiduo  lor  dalle  percosse; 
Che  tentò  1  mostro  di  troncar,  ma  in  van» 
Or  luna,  or  l'altra:  iiivau  si  torse  e  scosse. 
Rotar  non  può,  non  gir  da  lor  lontano  , 
Né  da  far  resistenza  have  armi  o  posse: 
Tal  che  senta  contrasti  e  senza  schermi 
Fesse  e  trafille  son  le  membra  inermi . 


RIFIUTATE  ^91 

Carlo  tre  volte  a  lui  la  spada  immerse 

Dove  l'umano  era  al  ferin  consorte: 

Ed  altrettante  il  capo  e  piìi  gli  aperse; 

E  bastava  assai  meno  alla  sua  morte. 

Poi  col  compagno  suo  l'orme  converse  , 

Già  curata  sua  piaga  ,  invér  le  porte . 

E  quando  presso  fur  ,  lucido  e  vago 

Trasse  allettando  alla  lor  vista  il  lago. 
St.  58.  Quivi  de' cibi  preziosi,  ce. 
St.  56.  Tutta  queir  acqua  poscia  insieme  accòlta 

Mormorando  seii  va  tra  vaghe  sponde: 

E  chi  mira  invaghisce  e  chi  l'ascolta 

Col  dolce  suono  e  colle  lucide  onde . 

E  sovra  ambe  le  rive  è  così  folta 

L'ombra,  che  scende  in  lor  da  verdi  frond<?f 

E  cosi  alta  l'erba  ivi  s'estolle; 

Che  seggio  esser  non  può  più  fresco  e  molle  - 
St,  59.  La  dolce  vista  delle  due  si  belle 

Ignude  inteneri  q'je'fìeri  petti; 

Sì  che  fermarsi  a  riguardarle,  ed  elle 

Seguian  oltre  ,  infingendo  ,  i  lor  diletti. 

Scoprendo  alcuna  ad  or  ad  or  di  quelle 

Parti  secrete,  che  più  gli  orchi  alletti. 

Una  al  fin  n'esce,  e  tutte  senza  velo 

Spiega  le  nude  sue  bellezze  al  cielo 

Canto  xvij. 

St,  37.  Che  sarà  poi,  quando  del  dolce  ris{i 

Sp  leghi  i  tesori ,  e  de'  begli  occhi  i  lampi? 

Chi  non  saia  del  suo  parlar  conquiso? 

Chi  fia,  che  a  quei  suoi  vezzi  invitto  scampi? 

Quand'  ella  armata  di  pietate  il  viso 

Oppugni  l'alme,  e  intorno  ai  cor  s' accampi.' 

Quand' ella  adopri  fulminando  insieme 

Le  macchine  d'Amor  diletto  e  speme. 
St.  37.  Ma  poich'alia  è  passata,  ec. 

Qui  l'edizione  di   Casalma^^iore  ha  la  segitenie  ottru-n:  essa  è 
registrata  nella  Mantovana  tra  le  rifiutate  dalV  Autore . 

St.  5o.  Quanto,  oh  quanto  t'inganni,  o  vuoi  severa, 

O  vuoi  clemente  dar  pena,  o  perdono. 

Clemcntissima  sei,  dolce  cueuieia. 

S'uccidi,  tu  chiami  castigo  il  dono. 

Per  l'allrui  ferro  il  tuo  nemico  pera: 

Atto  dell'ira  tua  ministro  io  sono. 

Il  capo  io  troncherò  di  quel  Rinaldo, 

Benché  diaspro  fosse  ,  o  ferro  saldo. 
Si.  93.  Così  n'  andaro  insin  ,  ch'ai  Sol  novello 

Mille  tende  poteano  ornai  vedere: 


'  29^  STVNZfì  RIFIUT.\TE 

,  E  spettacolo  in  cima  altero  e  bello 

;  Faceva  il  tremolar  delle  bandieie. 

j  Qael ,  che  scorti  <^li  avea  ,  sublime  aiigello 

\  Non  rivolo  v<ir  le  celesti  sfere  ; 

»  Ma  giù  discese,  e  del  fatai  campione 

(Posò  sull'elmo  ,  ove  il  cimier  si  pone  . 
E  qui  s'alìsse,  e  qui.immobil  divenne 

(Mirabil  mostro)  un  f^ran  cimier  d'argento  : 
Ma  par  ch'ai  volo  apparecchiarsi  accenue, 
■  Par  che  del  cielo  ancor  abbia  talento  : 

■  In  cotal  atto  l'arsientate  penne 

f  Dispiega  ,  e  tien  lo  sguardo  al  Sole  intento  . 

(  Conosciuto  è  Rinaldo,  e  già  precorre 

/  La  fama,  e  certo  poscia  il  nunzio  corre  . 

j  [Queste  Stanze  nelle  due  edizioni  fatte  dall'  Ingegneri,  seguono  (a 

/stanza  92 ,  e  ron  esse  compiesi  il   Canto  ;  ma   nelV  edizione  di 
P  irmi  d'jl  i58i  in  quarto  son.  fram,mezzo  le  stanze  gS  e  96,  la 
j  prima  però  interamente  mutata,   e  la  seconda    variata,  come 

j  segue  : 

• 
Da  lungo  il  tremolar  delle  bandiei-e 
Parea  a  mirar  spettacol  vago  e  bello  ; 
E  le  cose  piìi  chiare  anco  apparere 
Cotninciavano  ai  rai  del  Sol  jin/ello  ; 
Quando  calar  dalle  superne  sfere 
Di  forma  tal  ecco  improvviso  augello  , 
Qual  scese  in  Ida  Giova,  e  del  campione 
Posar  sull'elmo,  ore  il  cimier  si  pone. 


SQUARCIO 

DEL  PRIMO  SBOZZO 

DELLA 

GERUSALEMME  LIBERATA 

TRATTA    DAL  MS.   ORIGINALE  ,  CHE   SI  CONSERVA 

MHLLA  BIBLIOTECA  URBINATE  VATICANA 

CODICE  SEGNATO  NUM.   QoS, 


DELLA  ' 

GERUSALEMME  LIBERATA 

DI 

TORQUATO    TASSO 


LIBRO    PRIMO 

Pietro  Eremita  ritornando  da  Gerusalemme ,  ove  ave^m  %>eduto 
i  Cristiani  di  quel  paese  menar  sotto  la  tirannide  de'  Turchi  vita 
acerbissima  e  miserabile  ;  e  le  sacre  reliquie  esser  dall'  insolenza 
de' barbari  avute  in  dispregio  e  profanate,  narra  queste  cose  ai 
Cristiani  d'  Europa  .  E  quindi  prendendo  occasione  con  molta 
pubbliche  ed  ardenti  orazioni  gli  esorta  all'  acquisto  di  Terra 
Santa;  sicché  molti  Principi,  e  molti  Cavalieri  con  privato  con- 
siglio da  varie  parti  a  questa  impresa  s'inviarono:  i  quali  fi- 
nalmente congiuntisi  insieme  dopo  aver  date  molte  rotte  a'  Tur- 
chi ed  a'  Persiani ,  s'accostarono  a  Gerusalemme,  onde  il  prin' 
dpio  dell'  opera  si  prende . 


M^  ainii  pietose  io  canto  e  l'alta  impresa 
Di  Gottifrodo,  e  de' Cristiani  eroi. 
Da  cui  Gerusalem  fu  cinta  e  presa  , 
E  n'ebbe  impero  illustre  origin  poi . 
Tu,  Re  del  Ciel,  come  al  tuo  fuoco  acccs» 
La  mente  fu  di  quei  fedeli  tuoi , 
Tal  me  n'accendi  :  e  se  tua  santa  luce 
Fu  lor  nell'opre,  a  me  nel  dir  sia  duce. 

II. 

E  tu  che  forse  a  rinnovar  gli  esempi 
Del  famoso  Goffredo  eletto  fusti, 
E  puoi  Giudea  non  pur,  ma  i  Persi ,  e  gli  empi 
Mauri,  e  gl'Indi  domare  e  i  Traci  ingiusti. 
Si  che  l'invidia  oniai  dc'prisclii  tempi 
Cessi  ,e  la  gloria  de'  Romani  Angusti  : 
Ascolta  quel  che  d'  altrui  scrivo  e  canto, 
E  fa  me  di  te  stesso  augure  intanto. 


G.  LiB.  T.  III. 


29G  LA  GERUSALEMME 

in. 

Questa  che  spiego  or  de  gran  fatti  altrui 
Antiqua  tela  ,  e  parte  adorno  e  tingo  , 
È  veraie  pittura  e  certa  ,  in  cui 
Le  tue  future  glorie  adonibio,  e  piago. 
Febo  a  sé  mi  rapisce,  ed  io  di  lui 
Ripien  ,  sue  voglie  a  seguitar  m'accingo  , 
E  l'acceso  pensicr  scorge  or  palese 
I  simolacri  di  (</)  future  imprese  . 

IV. 

Già  mi  par  di  veder  la  Quercia  d'auro 
Spiegata  trionfar  per  l'  Asia  intorno  , 
E  'I  gran  Nilo  inchinarsi  al  bel  Mctauro, 
Ed  arricchirgli  de'suoi  fregi  il  corno. 
Già  d'andarne  mi  par  cinto  di  lauro 
Fra' tuoi,  ch'avran  di  paline  il  crine  adorno: 
E  fra  le  trombe ,  e  fra  il  romor  dell'armi 
^       Sonar  mia  cetra  e  i  miei  non  rozzi  carmi. 

V. 

Or  mentre  quasi  novo  augel ,  ch'apprenda 
Formar  le  note,  e  gir  volando  a  stuolo  , 
P'o  di  me  prova  ,  onde  securo  io  prenda 
Di  te  cantando,  poi  solingo  voloj 
Sovra  me  la  gran  Quercia  i  rami  estenda  , 
Che  questo  schermo  incontra  i  fati  ho  solo  . 
Così  sua  scorza  le  sue  lodi  stesse 
In  sé  riserbi  eternamente  impresse. 

VI 

Già  scorrea  vincitor  per  l'Oriente 

L'esercito  Cristian  da  Dio  oondutto  , 
E  Tarso  in  suo  poter  novellamente 
E  d'Antiochia  il  regno  avean  ridutto; 
E  vinta  e  morta  innumerabil  gente 
De'  Persi ,  e  quasi  Persia  in  lei  distrutto; 
Indi  Tripoli  presa,  in  quella  parte 
S'eraa  le  schiere  sue  fermate  e  sparte. 

YII. 

Quando  il  chiaro  Goffredo ,  a  cui  commesso 
Lo  scettro  fu  dell'onorata  impresa, 
Scorgendo  egual  desire  in  tutli  espresso 
Ch'ornai  Gerusalem  sia  cinta  e  presa; 
E  sentendo  egli  ancor  raff<'tto  istesso 
Di  maggior  fiamma  aver  sua  mente  accesa  , 
Tutte  le  genti  sparse  in  un  raccolse; 
E  ver  le  sacre  mura  il  Campo  volse. 


T  1  B  E  K  A  T  A  ■>.(): 

vili. 

4llor ,  di' a  Febo  in  Oliente  sono 
Del  Ciel  dischiuse  l'indorate  porte. 
Di  trombe  udissi ,  e  di  tamburi  un  suono 
Ond'al  camino  o^ni  gucrricr  s'esorte. 
Non  è  sì  tarato  a  mezzo  Ac;osto  il  tuono 
Che  speranza  di  pioee;ia  al  mondo  appoitc  , 
Come  fu  grato  all'animose  genti 
L'alto  romor  de' bellici  strumenti  . 

IX.  ' 

Tosto  ciascun  da  gran  desio  compunto 
Veste  le  membra  dell'usate  spoglie: 
E  tosto  appar  di  tutte  l'arme  in  punto; 
Tosto  sotto  i  suoi  duci  ognun  s'accoglie; 
ì'j  l'ordinato  stuolo  in  un  congiunto 
Tutte  le  sue  bandiere  al  vento  scioglie; 
E  nel  vessillo  imperiale  e  grande 
La  trionfante  Croce  al  ciel  si  spande. 

X. 

La  vincitrice  insegna  in  mille  giri 
Alteramente  si  rivolge  intorno: 
E  par  ch'in  lei  più  riverente  spiri 
L'aura;  e  che  splenda  in  lei  piii  chiaro  il  giorno, 
E  che  lungi  la  polve  indi  si  tiri. 
Nò  le  macchi  nell'aria  il  manto  adorno, 
E  che  nel  suo  passar  l'altere  fronti 
Pieghino  umili  d'ogni  intorno  i  monti. 

XI. 

In  tanto  il  Sol,  che  de' celesti  campi 

Va  più  sempre  avanzando,  e  in  alto  ascende, 
L'armi  percuote  ,  e  ne  trae  fiamme  e  lampi 
Tremuli  e  chiari  ond'ogui  vista  offende: 
L'aria  par  di  faville  intorno  avvampi 
E  di  stellato  ciel  senibianza  rende; 
E  con  fieri  nitriti  il  suon  s'accorda 
Del  ferro  scosso,  e  le  campagne  assorda  , 

XIl. 

Il  Capitan,  che  da'nemici  aguati 
Le  proprie  schiere  assicurar  desia  , 
Molti  a  cavallo  leggermente  armati 
A  scoprire  il  paese  intorno  invia: 
E  innanzi  i  guastatori  avea  mandati. 
Da  cui  si  debba  agevolar  la  via; 
E  i  voti  luoghi  empire  ,  e  s|  ianar  gli  erti  » 
E  da  cui  siano  i  chiusi  passi  aperti . 


298  LA  GERUSALEMME 

XIII. 

Conduce  ei  sempre  alle  marittime  onde 
Vicino  il  Campo  per  sicure  strade, 
Sapendo  ben  che  le  propinque  spon  le 
L'amica  arj.iata  costeggiando  rade: 
La  qual  può  far  cìie  sempre  il  Campo  abbonde 
Dei  necessari  arnesi,  e  delle  biade, 
E  di  ciò  che  la  vita  altrui  sostiene , 
Quello  arrecando  da  remote  arene  . 

XIV. 

Geme  il  vicino  mar  sotto  l' incarco 
Di  mille  curvi  abeti,  e  mille  pini, 
E  per  esso  ornai  pili  sicuro  varco 
In  Inogo  alcun  non  s'apre  a'Saracini  : 
Ch'oltra  quei,  e' ha  Georgio  armati  e  Marco 
Ne'Veneziani  e  Liguri  confini. 
Altri  Inghilterra  e  Scozia,  ed  altri  Olanda, 
Ed  altri  Francia,  e  Grecia  altri  ne  manda. 

XV. 

E  questi,  che  son  tutti  insieme  uniti 
Con  saldissimo  laccio  in  un  volere, 
S' eran  carchi  ie  provvisti  in  varii  liti 
Di  ciò  eh' è  d'uopo  alle  terrestri  schiere; 
Le  quai  trovando  liberi  e  sforniti 
I  passi  de' nemici  alle  frontiere, 
In  corso  velocissimo  sen  vanno 
Là  've  Cristo  soffrio  mortale  affanno. 

XVI, 

Non  v'è  gente  Pagana  insieme  accolta, 
Non  muro  cinto  di  profonda  fossa  , 
Non  monte  alpestre,  o  gran  torrente,  o  folta 
Selva  che  lor  viaggio  arrestar  possa: 
Cosi  degli  altri  fiumi  il  re  tal  volta. 
Quando  superbo  oltra  misura  ingrossa  , 
Fuor  delle  sponde  ruinoso  scorre. 
Né  cosa  è  mai ,  che  se  gli  ardisca  opporre  . 

XVII. 

Giunse  il  Campo  a  Mausse  ,  ove  alle  sue 
Piaggie  fann' ombra  d'alto  monte  i  gioghi: 
Con  doni  indi  a  Labilla  accolto  fue, 
Perchè  su  quel  terren  l'ira  non  sfoghi: 
'Vide,  o  Serepta ,  poi  le  mura  tue. 
Ed  arrivò  di  Tiro  ai  colti  luoghi: 
Tiro  di  Cadmo  albergo;  e  intorno  intoni* 
Di  vive  fonti,  e  di  giardini  adorno. 


¥ 


L  i  li  E  K  A  T  A 


Indi  partito  andò  per  strada  angusta 

Sin  che  d'Ancona  al  lieto  pian  ne  venne. 
Ove  d'Ancona  il  Re  eoa  dritta  e  giusta 
Condizion  amico  lor  divenne. 
Scorser  Cesarea  poi  che  alia*  vetusta 
Etade  ebbe  altro  nome  ,  e  noi  ritenne  ; 
Fra  il  Carmelo  passando  e  fra  l' arena 
Di  marine  cochiglie  e  d'alghe  piena . 

XIX. 

Antipatida  poscia  (  a  destra  mano 

Lasciando  di  Nettun  l'onde  spumose) 
Gli  accolse,  e  Joppe,  e  per  lo  steril  piano 
Passaro  a  Lida ,  ove  son  l'ossa  ascose. 
L'ossa  onorate  del  guerrier  Cristiano, 
Che  '1  vorace  serpente  a  morte  pose: 
Quivi  spesso  in  suo  onor  si  mira,  ed  ode 
Vaporar  tempj ,  e  cautar  inni  od  ode . 

XX. 

Quinci  per  dritta  e  spaziosa  strada 
La  bramata  Città  siede  non  lunge; 
E  perdi' uom  mova  a  lenti  passi  ,"e  vada 
Onusto  e  grave,  in  uu  di  sol  vi  giunge. 
O  quanto  intender  questo  a  tutti  aggrada  :  ' 
O  quanto  piii  il  desio  gì' instiga  e  punge: 
O  quanto ,  o  quanto  allor  sorge  molesta 
La  notte  poi ,  che  dal  camin  gli  arresta  ! 

XXI. 

Invida  notte ,  a  che  veloce  torni , 
A  che  t'opponi  a'desiderj  nostri? 
Forse  di  Giugno  or  son  scemati  i  giorni? 
Cieli ,  e  serbate  or  si  gli  ordini  vostri  ? 
Deh!  perchè  almen  tu  più  lucenti  corni 
Non  scuopri ,  o  Luna  ,  o  la  via  n  apri  e  mostri 
O  fosse  il  tempo  ch'ai  tuoi  rai  sen  fugge  , 
L'ombra  ch'or  noi,  non  pur  la  terra  adugge. 

XXII. 

Ma  lasso  che  più  sempre  orrido  velo 

C'involve,  né  vagar  gli  occhi  consente. 
Mira  che  cieco  abisso ,  e  come  il  cielo 
Le  belle  faci  d'ogni  intorno  ha  spente. 
Perchè  non  arde  in  noi  quel  vivo  aelo. 
Onde  altri  il  di  fu  d'arrestar  possente. 
Tal. che  s'ei  non  restasse  ,  almen  l'iiaago 
Rimanesse  di  lui  nell'aer  TS^o. 


299 


3oo  LA  GERUSALEMME 

^XXIII. 

Cosi  parla  ciascun ,  né  più  rifugi 

Trova  da  quel  desio  .  che  '1  pollo  accende: 
Anzi  tutto  sdegnoso  i  pigri  indussi 
Della  notte  Ira  se  biasina  e  riprende  ; 
E  mira  ad  or  ad  or  dove  pertugi 
S'apian  nel  padiglion  se  l  d:  risplende^ 
Ed  ingannando  ad  or  ad  or  se  stesso, 
Dice:  ornai  deve  il  giorno  essere  appresso. 

XXIV. 

E  fuori  esce  sovente  al  cielo  aperto  . 
Per  veder  se  pur  anco  il  di  si  schiare, 
O  se  ha  l'aurato  crine  a  noi  scoperto 
La  stella  ,  che  dinanzi  all'  alba  appare  : 
E  se  pur  dorme  alcun  nel  sogno  certti 
La  bramata  Città  veder  gli  pare; 
Ed  inchinar  le  sacre  mura,  e  'l  santo 
Terren  baciar,  ed  inondar  di  pianto  . 

XXV. 

Ma  queste  vision  tosto  ha  interrotte 
Con  ingrata  favella  un  de' compagni; 
Che  chieggia  altrui ,  se  molto  ancor  di  notte 
Spazio  vi  resti  ,  e  si  lamenti,  e  lagni  . 
O  che  divisi ,  come  vinte  e  rotte 
Le  forze  ostil  faranno  ampi  guadagni  : 
O  che  pien  d' ardiiaento  agli  altri  giiiii 
D'esser  fra  primi  ad  assaltar  que'  muri . 

XXVI. 

Non  quando  al  giorno  nubiloso  e  breve 

S'inchina  il  Sol  mentre  creiliam  che  poggi , 

Ed  inasprir  di  ghiaccio,  e  d'alta  neve 

Si  veggion  biancheggiar  d' intorno  i  poggi, 

Sembra  la  notte  cosi  lunga  e  greve 

A  peregri  n  ,  che  traviato  alloggi 

In  duro  bosco,  e  sotto  1  freddo  Giove 

Esposto  giaccia  ov'egli  tuona  e  piove. 


Qui  seguir  dovrebbe  la  Stanza  i  \ifino  a/  i  i6  dopo 
cui  va  la  St.  I  og  con  le  altre  annesse ,  le  quali 
alla  1",  si  uniscono  . 


LIBERATA  3oi 

XWII. 

.  Così  col  guaiJo  in  ver  la  terra  volto, 
E  col  pensiero  in  verso  il  elei  levato 
Parla  ciascuno  ,  e  '1  riveiente  volto 
Di  pietoso  palio r  porta  secnato  . 
In  tanto  il  Campo  dal  cainin  distolto 
E  presso  la  Città  s'era  fercnato, 
E  intorno  il  Capitan  miia  e  discorre 
Gli  alloggianieuti  ove  sia  meglio  a  porre  . 

XXVIII. 

Sietle  Geriisalem  sovra  duo  monti: 
Né  molto  spazio  di  larghezza  prende  : 
E  mira  intorno  il  pian  con  quattro  fronti; 
Ma  l'una  più  dell'allre  in  lungo  estende. 
La  terra  ov'egli  sta  non  vive  fonti , 
Non  lago,  o  fiume,  e  rio  feconda  rende; 
Di  selve  e  paschi  è  priva  ,  e  secca  ed  arsa  , 
E  in  più  luoghi  di  valli  orride  sparsa  . 

XXIX. 

Ha  da  quel  lato,  donde  il  giorno  appare 
Del  famoso  Giordan  le  plarid'onde, 
E  dalla  parte  occidental  del  mare 
Mediterraneo  1'  arenose  sponde: 
Verso  Borea  è  Bethel  ,  che  drizzò  l'are 
Al  Vitel  d'oro,  e  la  Samaria,  e  d'onde 
Austro  move  lalor  piovoso  nembo  , 
Betheleni  che  1  gran  parto  accolse  in  grembo. 

fìiiimanca  una  Stanza,  dello   accamparsi  dell' eser  ' 
cito  . 


XXX. 

Il  di  seguente  allor,  che  l'aura  estiva 
Pili  dolce  schermo  è  dal  solare  sdegno, 
Veggion  cinti  venir  di  verde  oliva 
L'ignuda  tempie  d'amicizia  in  segno. 
Due  Cavalier,  che  da  riinota  riva 
Giungean  di  novo  al  Palestino  regno: 
E  intende  il  Capitan  ,  ch'alte  ambasciate 
Bacano  da  Solimano  a  lui  mandate. 


3o2  LA  GERUSALEMME 

XXXI. 

Da  Soliman  che  '1  Nilo ,  e  i  campi  regge  , 
Fecondi  e  lieti  pei  la  negra  arena, 
Più  potente  di  qnanti  iniqua  legge 
Di  reo  profeta  a. danno  eterno  mena. 
Sembra  questi  pastor  ,  che  (  l'altrui  gregge 
SolFrir  viste  da' lupi  amara  pena  ) 
Delle  sue  teme,  e  'i  già  vicin  periglio 
Tenta  fuggir  con  l'arte  e  col  consiglio. 

XXXII. 

E.l  a  ragione  i  miseri  successi 

De  Persi  e  Turchi  a  lui  temenza  danno 
Che '1  fier  nemico,  ne'suoi  regni  stessi 
Non  rechi  un  giorno  ancor  l'istesso  danno: 
Né  può  soffrir,  che  piìi  vicin  s'appressi  , 
E  divenendo  di  Giudea  tiranno. 
Maggior  si  faccia,  e  con  più  certe  forze 
Contra  l'Imperio  suo  s'erga  e  rinforzo  . 

XXXIII. 

E  tanto  più  che  d'alto  amor  congiunto 
Era  col  Re  della  provincia  Ebrea: 
E  già  sovra  di  sé  giurando  assunto 
Di  conservarlo  in  stato  ei  preso  avea. 
Da  queste  cure  stimolato  e  punto 
Continuamente  nel  pensier  volgea 
Come  salvando  i  regni  altrui ,  potesse 
Assicurar  le  sue  proviucie  stesse  . 

XXXIV. 

Pur  egli  è  saggio,  e  con  diritta  lance 
Sue  forze  e  le  nimiche  insieme  pesa  ; 
Nò  vuol  prima  adoprar  spade  ,  né  lance  , 
Che  tardi  é  spenta  guerra  tosto  accesa  : 
Ma  con  minacce,  e  lusinghcvol  ciance 
Tentar  se  distornar  potrà  l' impresa  ; 
E  sol  per  questo  effetto  in  mcssaggieri 
Manda  al  chiaro  Buglione  ambo  i  guerrieri . 

XXXV. 

Alete  é  l'uno  ,  a  cui  soave  asperse 
Di  dolce  mei  Calliopca  la  lingua; 
Che  sa  come  con  voci  adorne  e  terse 
Mova  gli  affetti,  e  come  poi  gli  estingua. 
Uomo  timido  e  cauto,  e  di  perverse 
Maniere,  e  cui  sol  l'altrui  danno  impingua; 
Cui  sempre  invidia  turba  il  cor  maligno; 
E  i  ssmbianti  asserena  amico  ghigno. 


LIBERATA  3o3 

XXXVI. 

Argante  l'altio  ha  nome,  il  più  gagliardo 
Cavalier  dfir Egitto,  e  1  piìi  feroce. 
Di  gigantca  statura  e  d'empio  sguardo  , 
D'orribili  fattezze  e  d'aspra  voce  ; 
Ruvido  in  atto  e  ne' costumi,  e  tardo 
Di  lingua  sì ,  come  di  man  veloce  : 
A  cui  sua  spada  è  Dio ,  sua  spada  è  legge^ 
E  ciò  che  brama ,  quasi  onesto,  elegge. 

•  XXXVII. 

Ghie  sei'  questi  udienza,  ed  al  cospetto 
Del  famoso  Goffredo  ammessi  entrare; 
E  in  umil  seggio,  od  in  vestire  schietto 
Fra  i  suoi  Duci  sedente  il  ritrovare: 
Che  verace  valor,  benché  negletto 
Fa  di  se  stesso  a  sé  pregio  si  chiaro. 
Ch'uopo  non  è  ch'uom  lo  circondi  e  cinga 
Di  gemme  e  d'auro,  o  Tirio  succo  il  tinga. 

XXXVIII. 

Come  fu  dentro  Alete,  e  '1  Capitano 

Scorse,  e  quei  chiari  suoi  mastri  di  guerra. 
Mentre  il  compagno  del  suo  orgoglio  insano 
Fa  mostra,  e,  come  suol ,  vaneggia  ed  erra; 
Sovra  il  petto  ei  posò  la  destra  mano, 
E  piegò  il  capo,  e  chinò  gli  occhi  a  terra; 
Poi  gravemente  soUevoUi;  e  in  tardo 
Giro  a  torno  rivolse  umile  il  guanlo. 

XXXIX. 

Rivolge  il  guardo,  e  le  straniere  genti, 
E  le  strane  maniere  intento  ammira. 
Gli  abiti  in  lor  diversi ,  e  i  portamenti, 
E  le  sembianze  varie,  e  gli  anni  mira; 
Ma  ristesso  vigor  dagli  occhi  ardenti, 
E  dagli  atti  feroci  in  tutti  spira; 
E  qual  la  gioventude,  ancor  robusta 
Qui  si  mostra  fra  lor  l'età  vetusta. 

XL. 

Con  ruvidezza  militare  incolti 

Stanno,  e  con  signoril  decoro  altieri. 
L'elmo,  il  Sole,  il  sudor  la  polve,  i  volti 
Lor  tinto  ha  di  colori  adusti  e  neri. 
Ivi  le  cicatrici ,  ed  ivi  scolti 
Sono  i  trionfi  alicor  de' vinti  Imperi; 
E  lor  natia  Ixutà  ,  non  già  si  vaga. 
Ila  cou  più  maestà  1«  viste  appaga  . 


3o4  LA  GERUSALlvVlME 

XLI. 

M.i  sovra  tutti  con  severa  e  dolce  , 
Ed  ampia  fronte  il  Capitan  riluc*  ; 
E  mostra  ben,  che  degnamente  ei  folce 
Si  nobil  pondo,  e  che  degli  altri  è  Duce  . 
Bionde  ha  le  chiome,   azzurri  gli  occhi  ,  e  niolce 
Suo  soiiardo  i  cori ,  e  riverenza  induce  : 
Regale  il  naso  ,  e  curvo  alquanto  s'  erge  ; 
E  vivace  color  le  gote  asperge  . 

XLIl.  * 

Neil  ampio  petto,  e  nelle  spalle  assembra 
Te  Marte,  e  nelle  sciolte  e  lunghe  braccia: 
Miiscoios(!  ed  ossute  ha  l'altre  membra  : 
Né  parte  è  in  lui,  che  non  s'ammiri  e  piaccia  . 
Fiso  il  contempla  Alete  ,  e  in  tanto  membra 
Gli  alti  suoi  fatti,  e  doppia  il  cor  gli  agghiaccia 
Meraviglia,  ed  impetra;  alfin  si  scosse 
Da  stordi-gion  sì  lunga,  e  i  detti  mosse  : 

XLUT. 

O  vincltor  di  perigliosa  guerra. 

Principe  eccelso,  che  tanto  osi  e  puoi  , 
O  di  gloria  maggior  d'  ogni  altro  in  terra  : 
Ma  non  egual  di  gloria  ai  pregi  tuoi: 
Il  nome  tuo,  che  termine  non  serra  , 
Celebrato  risuona  ancor  fra  noi  ; 
E  la  farfia  d'Egitto  in  ogni  parte 
Chiare  del  tuo  valor  novelle  ha  spai  te. 

XLIV. 

Né  v'è  fra  tanti  alcun,  che  non  l'ascolte. 
Com'egli  suol  le  meraviglie  estreme; 
Ma  dal  mio  Re  con  istupore  accolte 
Sono  non  sol ,  ma  con  diletto  insieme: 
Ed  altrui  raccontarle  anco  più  volte 
S'appaga,  ed  ama  in  te  ciò  ch'altri  teme - 
Ama  il  valore,  e  volontario  elegge 
Teco  unirsi  d'amor  se  non  di  legge. 

XLy 

Da  si  bella  cagion  dunque  sospinto 
L'amicizia,  e  la  pace  a  te  richiede: 
E  1  mezzo,  onde  l'un  resti  all'altro  avvinto 
Sia  la  virtù  ,  s' esser  non  può  la  lede  . 
Ma  perchè  intese  che  già  t'eri  accinto 
Armato  ad  assalir  ciò  eh'  ei  possedè  , 
\olse  pria,  ch'altro  male  indi  seguisse, 
Ch'a  te  la  mente  sua  per  noi  s'aprisse. 


LIBERATA  3o5 

XLVI. 

E  la  sua  mente  è  lai ,  che  s  appagarli 

Vorrai  eli  quanto  liai  tatto  in  guerra  tuo, 

Nò  Giudea  molestar,  né  l'altre  parti. 

Le  quali  accolte  ha  sotto  il  favor  suo  ; 

Ei  prometto  all'incontro  assicurarti 

Il  non  ben  fermo  stato:  e  se  voi  duo 

Sarete  uniti ,  or  quando  i  Turchi,  o  i  Per»i 

Potranno  unqua  sperar  di  riaversi? 
XLVII. 
Gran  cose  o  Sire  in  picciol  tempo  hai  fatte. 

Che  mai  dal  tempo  non  saran  conquise: 

Tante  prese  città,  tante  disfatte, 

Tante  squadre  fugate  e  tante  uccise  ; 

Tante  sol  col  tuo  nome  esterrefatte 

Strane  genti,  e  dal  ciel  nostro  divise: 

E  se  ben  acquistar  puoi  novi  Imperi  , 

Acquistar  nova  gloria  indarno  speii. 

XLVIII. 

Giunta  è  tua  gloria  al  sommo,  e  per  V innanzi 
Fuggir  l'incerte  guerre  a  te  conviene: 
Ch'ove  tu  vinca  sol  di  stato  avanzi, 
Né  tua  gloria  maggior  per  ciò  diviene: 
E  gl'Imperi  acquistati  e  presi  innanzi 
Perdi  ,  e  la  fama  se  1  contrario  avviene: 
Né  dee  chi  drittamente  opra  ,  e  discorre, 
Il  molto  incontra  'I  poco  a  rischio  porre. 

XLIX. 

Ma  l'aver  sempre  vinto  in  ogni  impresa 
E  'l  (n)  ferver  dell'età,  che  bolle  e  ferve; 
E  '1  sentir  l'alma  d'  ingordigia  accesa 
Di  (b)  far  Provincie  tributarie  e  serve; 
E  '1  consiglio  d'alcun ,  cui  forse  pesa 
Ch'  altri  gli  acquisti  tuoi  sempre  conserve, 
l'aran  per  avventura  a  te  la  pace 
Fuggir  piti  che  la  guerra  altri  non  facs. 

L 

T'  esorteranno  a  seguitar  la  strada. 
Che  t' è  da' fati  largamente  aperta; 
A  non  ripor  questa  onorala  spada  , 
Al  cui  valore  ogni  vittoria  è  certa. 
Sin  che  legge  di  Macon  non  cada  , 
Sin  che  l'Asia  per  lei  non  sia  deserta'. 
Dolci  cose  ad  udir  e  dolci  inganni; 
Ond'escon  poi  sovente  estremi  danni . 

■^:\)   L'ardor.  (b)    Tributarie  far  provi  m  ir- . 


3o6  LA  GERUSALEMME 

LI. 

Ma  quando  affetto  alcun  non  ti  contenda  , 
]Nè  il  lume  adombri  in  te  della  ragione  , 
Vederai  ch'ove  tu  la  guerra  imprenda  , 
Hii  il  temer,  non  di  sperar,  cagione  : 
Ciiù  fortuna  qua  giù  varia  a  vicenda  , 
Mandandoci  avventure  or  triste  or  buone  ; 
Ne  grandezza  durar  può  lungamente, 
Se  l  principio,  e  se  1  mezzo  e  violente  . 

LII. 

Dimmi  s'ai  danni  tuoi  l'Egitto  move  , 
D'oro  e  d'armi  potente,  e  di  consiglio, 
E  s'avvien  che  la  guerra  anco  rinnove 
Il  Perso,  il  Turco,  e  di  Cassano  il  figlio  : 
Quai  forze  opporre  a  si  gran  furia  ,  o  dove 
Ritrovar  potrai  scampo  al  tuo  periglio  ? 
T'alìida  forse  il  Re  malvagio  Greco  , 
Lo  qual  da' sacri  patti  unito  è  tcco? 

LUI. 

La  fede  Greca  a  chi  non  è  palese  ? 

Tu  da  un  sol  tradimento  ogni  altro  impara  ; 
Anzi  da  mille,  ch'a  te  mille  ha  tese 
Lisidie  già  l'infila  terra  avara. 
Aihmque,  chi  già  il  passo  a  voi  contese  , 
Per  voi  la  vita  esporre  or  si  prepara  .'' 
E  chi  le  vie,  ch'altrui  comuni  souo  , 
Negò  ,  del  proprio  sangue  or  l'ara  dono  ? 

Olii  si  ragionerà  degli  ajuti  di  Francia. 


LIV. 

Ma  forse  hai,  Sir  ,  locata  ogni  tua  speme  , 
In  queste  squadre,  ond'ora  cinto  siedi; 
E  quei  eh' ad  uno  ad  un  vincesti  insieme 
Di  vincer  anco  agevolmente  credi: 
Se  ben  le  schiere  tue  già  molto  sceme 
Da  quel  che  allora  fur  tu  stesso  vedi  ; 
Se  ben  novo  nemico  a  le  s'accresce; 
E  gli  Egizii  co' Persi,  e  Turchi  mesce. 


LIBERATA  ^^(V7 

LV. 

Or  se  tu  pur  istirui  rsscv  fatale , 

Che  non  ti  possa  il  ferro  vincer  mai, 
Siati  concesso,  e  siati  a  punto  tale. 
Il  decreto  del  Ciel ,  qual  tu  lo  fai  ; 
Yinceiatti  la  fame:  a  questo«iale 
Che  difesa  ,  per  Dio,  che  schermo  avrai? 
Vibra  contra  coatei  la  spada,  e  stringi 
La  lancia,  e  la  vittoria  anco  ti  fingi: 

LVI, 

Ogni  campo  d'intorno  arso  e  distrutto 
Ha  la  provida  man  deeli  abitanti; 
E  in  alte  mura,  e  in  chiuse  torri  il  frutto 
Riposto  al  tuo  venir  piìi  giorni  innanli. 
Tu  ch'ardilo  fin  qui  ti  sei  condutto, 
Onde  speri  nudrir  cavalli  e  fanti? 
Dirai:  l'armata  in  mar  cura  ne  prende. 
Da'  venti  dunque  il  viver  tuo  depende  * 

LVII. 

Impera  forse  tua  fortuna  a' venti? 
E  gli  avvince  a  sua  voglia,  e  gli  dislega? 
E  '1  mar  sordo  alle  preci  ed  a' lamenti , 
Mutato  stile,  al  suo  voler  si  piega? 
O  non  potranno  pur  l'Egizie  genti, 
E  le  Perse  e  le  Tuiche  unite  in  lega 
Cosi  potente  armata  in  un  raccorre, 
Ch'a  questi  legni  tuoi  si  possa  opporre? 

LVIII. 

Doppia  vittoria  a  te,  signor,  bisogna 
S'hai  dell'impresa  a  riportar  l'onore. 
Una  perdita  sola  ,  alta  vergogna 
Può  cagionarti ,  o  danno  anco  maggiore. 
Ch'ove  la  nostra  armala  in  rotta  pogna 
La  tua,  qui  poi  di  fame  il  campo  more; 
E  se  tu  sei  perdente,  indarno  poi 
Saraii  vittoriosi  i  legui  tuoi  . 

LIX. 

Ora  se  in  stato  tal  tu  pur  rifiuti 

Col  Re  del  gran  Egitto,  e  pace  e  tregua; 

Si  dirà  poi  che  all'altre  tue  virtuti 

La  giovenil  prudenza  or  non  s'adegua. 

Ma  piaccia  al  Ciel  che '1  tuo  pensicr  si-muti/ 

Se  a  guerra  è  volto  ,  e  che  1  contrario  segua; 

Ch'alte  fatiche  hai  fin  ad  or  sofferte 

Per  le  strade  d'onor  spinose  ed  erte. 


'6od  LA  GERUSALEMME 

LX. 

cui  per  maijijioi  periglio  iu  prc;^io  salse 
Men  de' tesori,  o  della  vita  scarsa  ? 
Chi  sudò  mai  pili  sotto  l'armi  ed  alse  ? 
Chi  l'altrui  sangue,  o  '1  suo  piti  volte  ha  sparso i* 
Le  piaggie  e  i  monti  il  sanuo,  e  l'onde  salse, 
Ove  sei  vincitor  si  spesso  apparso. 
Tempo  è  già  di  riposo,  e  '1  chiede  e  I  brama 
Chiunque  i  tuoi  gran  inerti  onora  ed  ama  . 

LXI. 

Né  voi ,  che  ne' perigli  e  negli  affanni , 
E  nella  gloria  a  lui  sete  consorti  , 
Il  favor  di  fortuna  or  tanto  inganni  , 
Che  nove  guerre  a  provocar  v'  esorti  . 
Ma  qual  nocchier  ,  che  da' marini  inganni 
Ridotto  ha  i  legni  ai  desiati  porli  , 
Raccor  dovreste  omai  le  sparse  vele  , 
Né  fidarvi  di  nuovo  al  mar  crudele. 

LXH. 

Qui  tacque  Alete  ,  e  'l  suo  parlar  seguirò 
Con  basso  mormorar  quei  forti  eroi  : 
E  ben  negli  atti  dispettosi  aprirò 
Quanto  ciascun  quella  proposta  annoi. 
Il  Cipitan  rivolse  gli  occhi  in  giro 
Tre  volte  e  quattro,  e  mirò  in  fronte  i  suoi, 
E  poi  nel  volto  del  Pagan  gli  affisse  ; 
E  stendendo  la  man  cosi  gli  disse  : 

LXIII. 

Perch'io  ben  sappia,  ch'uom  piii  tosto  aggiunga 
A  quell'ultimo  fine,  ov'egli  intende, 
Se  del  determinar  lo  spazio  allunga  , 
Che  se  veloce  all'operar  discende; 
Non  vo'però,  che  la  dimora  lunga 
Sospenda  voi  poi  che  né  me  sospende 
Tua  dolce  lin-gua,  si  che  in  dubbio  torni 
Quel  che  s'è  stabilito  ha  già  piìi  giorni. 

LXIV. 

Sappi  che  tanto  abbiain  fin  or  sofferto 

In  mar  e  in  terra,  all'aria  chiara  e  scura  , 

Solo  acciocché  ne  fosse  il  calle  aperto 

A  queste  sacre  e  venerabil  mura, 

Pel"  acquistarri  appo  Dio  grazia  e  merlo, 

Togliendo  lor  da  servitìi  si  dura  ; 

Né  mai ,  pur  che  s'adempia  opra  sì  pia  , 

Rrgno,  o  vita  arrischiar  grave  ne  fia  . 


LIBERATA  3o<) 

LXV. 

Cbè  non  an.biziosi  avari  affetti 

Sprone  si  Imo  in  questa  impresa  o  gnida, 
(Si>onibii  il  padre  del  Ciel  da'nostri  petti 
Peste  si  rea  se  in  alcun  pur  s'annida; 
Né  soffra  che  l'asperga,  e  che  l'intVlti 
Di  velen  dolce  ,  che  piacendo  ancida  ) 
Ma  la  sua  man  ,  die  i  duri  cor  penetra. 
Soavemente  ,  e  gli  ammollisce  e  spetra. 

LXM. 

Questa  ha  noi  mossi ,  e  questa  ha  noi  condulti. 
D'ogni  perielio  tratti  e  d'o'^'ni  impaccio: 
Questa  la  piani  i  n)onti,  e  i  tinnii  asciutti, 
Lardor  toglie  alla  state,  al  verno  il  ghiaccio: 
Questa  placa  del  mar  gli  orridi  flutti: 
Questa  i  venti  ristringe  in  duro  laccio: 
Quindi  son  l'alte  nana ,  e  piese  ed  ar$e: 
Quindi  l'armate  schiere  uccise  e  sparse. 

LXVII. 

Quindi  l'ardir,  quindi  la  speme  nasce 
Non  dalle  frali  nostre  forze  e  stanche, 
Nou  dall'armata,  non  da  quante  pasce 
Genti  la  Grecia  ,  e  non  dall'armi  Franche  . 
Pur  che  costei  non  ci  abbandoni  e  laser. 
Che  dobbiamo  curar,  ch'altri  ci  manche? 
Chi  sa  come  difende  e  come  fere  , 
Soccorso  a' suoi  perigli  altro  non  chere. 

LXVIII. 

Ma  quando  di  sua  aita  ella  ne  privi 

Per  gli  error  nostri,  o  per  giudicii  occulti. 
Chi  fia  di  noi  ch'esser  sepulto  schivi 
Ove  i  membri  di  Dio  fur  già  sepulti? 
Noi  morirem  ;  né  invidia  avremo  ai  vivi  ; 
Noi  morirem  ;  ma  non  morremo  inulti: 
Né  l'Asia  riderà  di  nostra  morte: 
Ne  piangeremo  noi  la  nostra  sorte . 

LXIX. 

Non  creder  già  che  noi  fuggiam  la  pace 
Come  guerra  mortai  si  fugge  e  pavé: 
Che  l'amicizia  del  tuo  Re  ne  piace; 
Né  l'unirci  con  lui  ci  sarà  grave  • 
Ma  s'  al  suo  scettro  la  Giudea  soggiace 
Tu  '1  sai:  dunque  perché  tal  cura  n'ave? 
De' regni  altrui  l'acquisto  ei  non  ci  vieti: 
E  rcg^a  in  pace  i  suoi  felici  e  lieti . 


3 IO  LA  GERUSALEMME 

LXX. 

Qui  finì  ili  parlar;  e  sdegno  e  rabbia 
Per  tal  eletti  ad  Argante  il  cor  trafisse. 
Né  '1  celò  già,  ma  con  enfiate  labbia 
Si  trasse  innanti  al  Capitano,  e  disse: 
Chi  la  pace  non  vuol  la  guerra  s'abbia  ; 
Che  penuria  giammai  non  fu  di  risse  : 
E  ben  la  pace  ricusar  tu  mostri , 
Se  non  t'acqueti  ai  primi  detti  nostri . 

LXXI. 

Indi  il  suo  manto  per  il  lembo  prese , 

E  '1  curvò  in  mezzo;  e  quello  innanzi  sporto 
Col  braccio  insieme,  a  dir  così  riprese 
Al  Capitan,  mirando  bieco  e  torto: 
O  vincitor  delle  più  dubbie  imprese, 
In  questo  seno  istcsso  ecco  io  t'  apporto 
E  pace  e  guerra;  or  tu  di  lor  t'  apprendi 
A  quella,  che  per  te  miglior  comprendi. 

LXXII. 

L'  atto  altiero,  e  'l  parlar  tutti  commosse 
A  chiamar  guerra  in  un  concorde  grido. 
Non  attendendo  che  risposto  fosse 
(Com'ei  già  s' acci ngea)  dal  buon  Goffrido: 
Allor  quel  crudo  spiegò  il  seno,  e  scosse 
Il  manto,  e  disse:  a  guerra  omai  vi  sfido  .       • 
E  'l  disse  in  atto  si  feroce  ed  empio  , 
jChe  parve  aprir  di  Giano  il  chiuso  tempio  . 

LXXIII. 

Parve  che  aprendo  il  seno  indi  traesse 
Il  furor  pazzo  e  la  discordia  fiera: 
E  che  negli  occhi  suoi  lucenti  ardesse 
Orrida  face  d'infernal  Megera: 
Forse  già  quel  ch'or  da  tre  monti  oppresse 
Scuote  le  membra,  incontra  i  Dei  tal  era: 
Tal  forse,  e  tanto  il  vide  Flegra  al  cielo. 
Giove  sfidando,. alzar  la  faccia  e  '1  telo. 

LXXIV. 

Così  sendo  fra  lor  risposto  e  detto 
La  coppia  de'Pagan  congedo  tolse. 
E  l  magnanimo  Duce,  a  cui  nel  petto 
Cortesia  pari  al  gran  valor  s'  accolse  , 
Di  spada  Argante,  e  di  lucente  elmetti 
Ornare  Alete  alla  partita  volse  . 
Finissimo  era  l'elmo;  e  già  lo  scelse 
Tra  mille  prede,  e  propria  spoglia  felse. 


LIBERATA  3ti 

LXXV. 
vi  sorge  pai-  cimiero  orrido  e  grande 
Serpe,  che  si  dislunga,  e  'l  collo  snoda; 
Su  le  zampe  s'innalza,  e  l'ali  spande; 
E  pie^a  in  arco  la  forcuta  coda  . 
Par  che  favillo  fuor  dagli  occhi  mande. 
Fumo  dal  naso,  e  che  '1  suo  fischio  s'oda. 
D'argento  è  la  materia,  e  in  piìi  colori 
Dagli  smalti  distinta  appar  di  fuori. 

LXXVI. 

La  spada  ancora  è  d'artificio  egregio: 
Ma  nell'opre  miglior  che  bella  in  vi*t*; 
Pesante  e  lunga,  e  di  torneo  fu  pregio. 
Ove  col  sangue,  e  non  con  l'or  s'acquista. 
La  si  prese  l'altier  quasi  in  dispregio; 
E  poi  che  l'ebbe  disnudata  e  vista; 
Disse:  potrà  la  man  ch'or  la  riceve. 
Con  lei  pagar  ciò  che  per  lei  ti  d«Te . 

LXXVII. 

Ahi  che  festi,  Goffredo?  ahi  che  crudele 
Armi  contra  i  tuoi  stessi  iniqua  mano  ! 
Con  quai  lamenti ,  oimè  ,  con  quai  querele 
Sospirerai  quest'empio  don,  ma  invano? 
Odi  che  generoso  e  che  fedele 
Sangue  per  tal  cagion  fìa  sparso  il  pian*. 
Sparso  il  piano  sarà  del  sangue  altrui , 
Ma  pili  del  pianto  assai  degli  occhi  tui . 

LXXVIII. 

Pensoso  Alete  alla  Città  ritorno 

Fece ,  e  lieto  colui  che  '1  mondo  sdegna  . 
E  '1  Capitan  per  lo  seguente  giorno 
Le  genti  invita  a  general  rassegna: 
Che  veder  vuol  come  d'arnesi  adorno 
Ciascuno,  e  di  destrieri  instrutto  vegna. 
Per  far  eh' a  quelli,  il  cui  bisogno  il  cliieggia 
Quanto  in  lei  fia,  1'  armata  indi  proveggia  . 

LXXIX. 

Già  colonato  di  purpurei  fiori 

Sorto  se  n'era  il  Sol  dal  salso  letta, 
E  quasi  in  bel  zafir  dolci  colori 
S'accoglievan  del  ciel  nel  vago  aspett*^ 
Quando  ordinatamente  usciron  fuori 
Tutte  le  schiere  al  designato  effetto  ; 
E  pili  volte  girando  un  largo  piano  , 
Mottra  fer  di  se  stesse  al  Capitauo- 


G.  LsB.  T.   III.  21 


3ia  LA  GERUSALEMME 

LXXX. 

Spiega  primiero  Ugon  la  Gordiligi 
Fra  cinquemila  cavalicr,  e' ha  scelti. 
Parte  d'  amici  suoi ,  parte  di  ligi 
Negli  Aquitani  popoli ,  e  nei  Celti, 
E  Ligeri ,  e  Garona ,  e  '1  grau  Parigi  ; 
E  i  dolci  alberghi ,  dal  pensiero  svelti  » 
Pensa  ognun  sol  come  vittoria  o  morto 
Gli  apra  del  ciel  le  meritate  porte. 

LXXXI. 

Di  pensieri,  e  d'onori  e  d'anni  pieno  , 
E  d' ingegno  e  di  lingua  ,  e  d' òr  potente 
Segue  Odoardo,  a  cui  commesso  ha  il  freno 
L'Inglese  Re  della  sua  fiera  gente: 
Gente  che  'l  mar  col  piocelloso  seno 
Ha  dal  mondo  divisa,  e  differente 
La  feo  natura  ed  invecchiata  usanza 
D'abiti ,  dì  costumi  e  di  sembianza. 

LXXXII. 
Tre  mila  fanti  ha  qui ,  che  già  le  sponde 
Presserò  di  Tamigi  e  di  Sabrina; 
E  che  videro  il  capo  alzar  su  l'onde 
Tarvedo ,  e  i  pie  lavarsi  alla  marina. 
Altrettanti  con  lor  d'archi  e  di  fionde 
Armati,  e  cinti  di  pelle  ferina 
Dagli  aspri  monti,  e  dalle  selve  manda 
E  Buda  e  Zile,  e  la  rimota  Irlanda. 

LXXXIII. 

Gli  seconda  Argilon  ,  qual  presso  a  Tebe 
Già  Capaneo  con  orgoglioso  volto; 
Minacciosa  d'Elvezii  audace  plebe 
Seco  ei  conduce  in  grosso  stuolo  e  folto; 
Che  'l  ferro  uso  a  far  solchi  e  franger  glebe 
In  nove  forme  ,  e  in  piti  degne  opre  ha  volto; 
E  con  la  man  che  guardò  rozzi  armenti , 
Par  che  i  Regi  sfidar  nulla  paventi . 

LXXXIV. 

Né  l'Eremita  affaticar  lo  stanco 
Corpo  rifiuta  sotto  ferrea  salma  , 
Che  dal  peso  terren  lo  spirto  franco 
S'alza,  qual  da  gran  fascio  oppressa  palma. 
Né  si  natura  indebolir  può  il  fianco. 
Come  il  vero  valor  rinforza  l'alma  : 
Vecchio  onorato,  onde  felici  esenipj 
Prenda  ogni  etade,  e  gli  erga  altari  e  tempj . 


LIBERATA  3i3 

LXXXV. 

Ciespa  ei  la  fronte,  e  di  pel  bianco  lia  mista 
La  chioma  ,  e  gli  occhi  irsuto  ciglio  adombra  : 
La  rabuffata  barba,  in  doppia  lista 
Divisa  cade ,  e  '1  ventre  e  '1  seno  inirombra 
Cotal  già  forse,  e  si  pensoso  in  vista 
Le  quercie  e  i  tassi  sotto  pilli;!' ombra 
Accolser  Paulo;  e  per  diserte  rupi 
L'udire  inni  cantar  cinghiali  e  lupi. 

LXXXVI. 
Schiera  è  con  lui ,  che  in  lunghe  vesti  avvolte 
Portò  le  membra  un  tempo ,  e  '1  capo  rase  ; 
E  chiuse  celle ,  e  tra  le  selve  folte 
Contemplando  abitò  solinghe  case  . 
Questi  cangiati  studj  han  l'armi  tolte. 
Come  voce  del  ciel  lor  persuase  . 
Pochi  ora  sono,  e  già  fur  molti ,  e  morto 
L'Ungaro  iagiusto  ha'l  rimanente  a  torlo. 

Lxxxvn. 

Né  te ,  Gusman ,  dentro  al  pudico  letto  , 
Potuto  ha  ritener  la  sposa  amata  . 
Pianse  ,  squarciò  i  bei  crin ,  percosse  il  petto 
Per  distornar  la  tua  fatale  andata  . 
Dunque,  dicea  ,  crudel  più  che  1  mio  aspetto 
Del  mar  l'orrida  faccia  a  te  fia  grata? 
Fian  l'armi  al  braccio  tuo  piii  caro  peso. 
Che  '1  piccol  figlio,  a' dolci  scherzi  inteso? 

LXXXVIII. 
Regge  costui  l'Aragonesi  schiere  , 
E  di  sei  mila  fanti  è  capitano; 
Genti  di  corda  i  pie  calzati  ,e  nere 
Le  chiome  e  i  volti ,  e  di  rapace  mano: 
Che  videro  il  Salone,  e  l'onde  Iberc 
Gir  mormorando  per  lo  steril  piano; 
E  il  mare,  a  cui  Majorca  il  nome  diede. 
Mugghiar  superbo,  e  far  de'  legni  prede  . 

LXXXIX. 

Con  virtìi  pari  appi-esso ,  e  con  maggiore 
Numero  a  doppio  il  liei  Clo^areo  viene: 
Clotareo  or  della  Francia  illustre  onore» 
E  della  Francia  allor  siirgente  spene , 
Giovinetto  Regal  d'invitto  core; 
Cui  pili  d'altri  Goffredo  in  pregio  tienfr^ 
Ed  a  lui  caro  è  si,  che  i  suoi  vassaìii 
Ed  i  suoi  mercenarii  in  cura  dalli. 


3i4  LA  GERUSALEMME 

xc. 

Di  queste  patte  è  Leuca,  e  nacque,  e  crobbe 
In  Tulio  e  Nanzi ,  e  ne' confini  loro  ; 
Parte  che  '1  Reno  e  l' Istio  algente  bebbe  , 
Corse  al  ferro  non  men  pronta  che  all'oro: 
Né  le  tiepide  stuffe  ad  essi  increbbe 
Lasciar,  né  i  prandi ,  ove  si  lieti  fóro; 
Ove,  mandando  coronate  attorno 
Le  colme  tazze,  consumaro  il  giorno. 

XCI. 

Ecco  l'Italia  segue,  ecco  il  vessillo 

Con  la  Mitra  Real ,  con  l'auree  chiavi , 
Ecco  da  Pietro  eletto  il  gran  Camillo 
Move  squadre  d'acciar  lucenti  o  gravi, 
L  eto  eh' a  tanta  impresa  il  Ciei  sortillo, 
Ove  col  sangue  altrui  le  inaccbie  lavi 
Kostre  e  di  Roma  ,  o  degnamente  almeao 
Apra  cadendo  a  nobil  morte  il  seno . 

XCU. 

Gente  non  è  che  stringa  spada  ,o  ruote 
Fionda,  che  d'agguagliar  questi  si  vanti. 
Ristretti  vanno  ,e  intorno  il  ciel  percuote 
Un  orrido  fragor  d'armi  sonanti. 
Pesta  geme  la  terra  ,  e  'l  tergo  scuote 
Sotto  il  gran  peso  di  cavalli  e  fanti. 
Lampeggia  il  ferro  al  Sol,  qual  Tauro  o  Libu^ 
Lucente,  e  incontra  lui  suoi  raggi  vibra. 

xeni. 

Guida  costui  non  pur  Sennoni  e  Buoi 
Piceni  e  Toschi,,  e  Rutuli  e  Sabini, 
E  quei  che,  Roma  ,  nei  gran  colli  tuoi 
Nudrisli ,  e  ne' bei  campi  a  te  vicini. 
Ma  gli  concede  ancor  Tancredi  i  suoi 
Brutii,  Marsi  ,  Peligni  e  Salcntini, 
E  i  Penceti  e  Lucani,  a  cui  famose 
Spiegò  già  Pesto  l'odorate  rose  . 

XCIV. 

E  quei  che  la  Sirena  in  sen  nudrio. 
Nel  molle  sen  di  fior  vago  e  di  fronde; 
O  'I  fumante  Pozzuol  là  dove  aprio 
Natura  le  sulferee  e  tiepide  onde  ; 
E  chi  lasciato  ha  il  dolce  aer  natio 
Di  Linterno,  che  l'ossa  illustri  asconde; 
E  chi  da  carchi  rami  i  frutti  colse 
Nel  bel  Sorrento,  e  i  pesci  in  rete  accoUe. 


LIBERATA  3i5 

xcv. 

A  lui  pur  anco  il  glorioso  Conte 
Di  Monte  Feltro  i  suoi  ^nttnicr  concede J 
I  suoi  guoirier,  cui  la  i  aniita  fronte 
Del  gran  Padre  Appennin  ricetto  ilieile. 
Là  've  scendendo  dal  paterno  fonte 
Drizza  il  Metauro  ai  liti  d'Adria  il  piede; 
E  l'uno  e  l'altro  nelle  parti  estreme 
Vien  con  gli  erranti  cavalieri  insieme. 

XCV  I. 

Di  possenti  cavalli,  e  di  diverse 

Imprese  adorna,  e  n  lucide  armi  altiera 
Ultimamente  al  Capitan  s'ollerse  ^ 

Degli  erranti  guerrier  la  bella  schiera. 
Né  Simoenta  mai,  ne  Xanto  scerse 
Si  magnanimi  eroi;  ne  la  primiera 
Nave  mai  tali  al  vello  d'or  gli  addusse. 
Perchè  Alcide  tra  ciucili  o  Teseo  fusse. 

XCVII. 

Con  questi  alcun  non  va,  cui  palma  o  lauro 
La  vincitrice  destra  ,  e  'l  crin  non  fregi  . 
Alcun  non  va,  che  scosso  il  Perso  o  'l  Mauro 
Non  abbia  o  l  Turco  de'  maggior  suoi  pregi . 
Che  potrau  contra  questi  il  ferro  e  l'auro, 
O  pur  gl'inganni  degli  Egizj  Regi? 
Speran  tant.' oltre  andar  vincendo  a  gara, 
Che  lor  del  Nilo  il  capo  ignoto  appara , 

XCVIII. 

Il  coraggioso  Otton  degli  altri  è  duce. 
Cui  sovra  l'Istro  la  vezzosa  Flora 
Furtivamente,  alla  mondana  luce 
Produsse  a  un  Re  commista  umil  pastora; 
E  qual  fuor  delle  nubi  il  Sol  traluce 
Sorgendo,  e  i  crini  a  gli  alti  monti  indora  j 
Tal  parve,  eh'  egli  il  suo  valore  aprisse 
Mentre  in  povero  stato  occulto  visse. 

XCIX. 

Or  del  Romano  Re  palese  figlio 
Un  feroce  corsier  saltando  move. 
E  'n  cima  l'elmo  scopre,  e  nel  vermiglio 
Scudo  l'Imperiai  augel  di  Giove, 
Che  presi  i  polli  entro  all'adunco  artiglio 
Al  Sol  gli  volge,  e  fa  le  certe  prove, 
Credendo  solo  alla  virtìi  del  lume. 
Più  che  all'ugne,  ed  al  rostro  ed  alle  piume. 


3i6  LA  GERUSALEMME 

e. 

Immerso  in  profondissimo  pensiero 

Da  lui  Tancredi  alquanto  ivi  in  disparte  , 
Che  nel  suo  petto  Amor  s'apre  il  sentiero 
Tra  i  santi  affanni ,  e  nel  fervor  di  Marte. 
Il  bel  Tempio  di  Vesta  è  il  suo  cimiero, 
Ond'escon  molte  fiamme  al  cielo  sparte; 
E  scritto  appar  nel  piìi  sublime  loco: 
Esca  ognor  si  rinova  al  mio  gran  foco  . 

CI. 

Ornan  lo  scudo  al  Castigliano  Ernando 
Cinque  di  Mori  incoronati  capi , 
De' suoi  fatti  memoria;  ed  al  Normando 
Roberto  il  pinge  industre  schiera  d'api: 
Che  par  che  vada  in  verde  prato  errando  , 
Ed  in  sua  preda  i  piìi  bei  fior  si  capi  . 
Ed  un  leon  ad  una  quercia  avvinto 
Ha  nello  scudo  il  Donarci  dipinto . 

CU. 

Ha  Vineilao  Rangon  la  bella  conca, 
Onde  Venere  solca  ignuda  il  mare  . 
E  in  quattro  parti  una  spezzata  ronca 
Sovia  l'elmetto  di  Currado  appare. 
La  destra  a  lui  spietato  ferro  ha  tronca  , 
E  sol  può  la  sinistra  in  guerra  oprare  ; 
E  cosi  l'opra  ognor  ,  che  suoi  niraici 
Prendon  dal  suo  apparir  sinistri  auspici. 

CHI. 

Con  lor  s'accoppia  il  Longobardo  Astolfo 
E  gli  ondeggia  sul  capo  azzurra  piuma; 
Etna  ha  costui ,  che  dall'  accesa  zolfo 
Vome  faville  incontra  il  cielo,  e  fuma  . 
Porta  Gonzaga  un  tempestoso  golfo  , 
Che  tra  gli  scogli  è  rotto ,  e  freme  e  fuma . 
Al  Fiamingo  Roberto  orrida  spiega 
Medusa  i  crini,  e  al  collo  i  serpi  lega  . 

CIV. 

Segue  Ermiferro,  e  non  hai  braccio  carco 
Di  scudo ,  né  di  spada  adorna  il  fianco  , 
Ma  gli  suonano  a  tergo  i  dardi  e  l'arco  , 
E  gli  pende  la  mazza  al  lato  manco. 
Di  cimiero  e  di  piume  ha  l'elmo  scarco. 
Candide  l'armi  sono  ,  e  'l  destrier  bianco  , 
E  mostra  ancora  alta  letizia  in  viso 
D'  aver  con  man  pietosa  il  frate  ucciso . 


LIBERATA  J17 

cv. 

Porta  l'Orse  il  "Visconte  ,  a  cui  non  lice 
Lavarsi  i  velli  entro  il  marino  sale  ; 
Nello  scudo  d' Arbante  aurea  fenice 
Di  purpura  si  fascia  il  capo  e  l'ale. 
È  in  quel  (li  Claramon  pinta  Euridice  , 
A  cui  nrorde  il  tallone  aspe  fatale  : 
Nel  cimier  d'Eberardo  apre  le  corna 
Durate  il  tauro ,  e  i  pie  di  stelle  adorna . 

evi. 

Gli  è  giunta  al  fianco  la  sua  fida  moglie. 
Che  in  atto  militar  se  stessa  doma. 
Animo  altier,  pietose  e  caste  voglie, 
Quai  non  Atene  mai  vide  né  Roma  : 
Che  soffrio  di  lasciar  l'usate  spoglie, 
E  soffrio  di  lasciar  la  bella  chioma 
Sol  per  lui  non  lasciar  ,  e  fessi  audace 
Non  men  di  Marte,  che  di  lui  seguace. 

CVII. 

Con  questi  e  con  molti  altri  insieme  ir  volle 
Il  chiaro  Ubaldo,  che  degli  Umbri  è  Conte  : 
Chiaro  da  l'Orse  infin  dove  più  bolk 
La  Libia  ai  rai  del  fervido  Fetonte: 
E  sovra  tutti  alteramente  estolle 
Le  spalle ,  e  '1  petto  ,  e  l' onorata  fronte  ; 
E  da  tre  mete  d'or  purpurei  lampi 
Sparge,  e  del  cielo  illustra  i  lieti  campi. 

CVIII. 

Qual  tauro,  che  se  stesso  in  guerra  accende 
Solingo  errando  ove  piìi  l'ira  il  mena, 
Su  le  gran  corna  d'adirarsi  apprende 
D'urtar  possente,  e  di  ferir  con  lena; 
Co' vani  colpi  irrita  i  venti,  e  fende 
Co' pie  la  terra  ,  e  spande  al  ciel  l'arena: 
Salta,  e  mugge  saltando,  e  giù  li  sembra 
Con  l'altrui  piaghe  insanguinar  sue  membra. 

CIX. 

3.  Al  gran  piacer,  che  quella  prima  vista 
Dolcemente  spirò  nell'altrui  petto 
Alta  contriziou  successe  mista 
Di  timoroso  e  riverente  all'etto . 
Non  osau  pur  d'assicurar  la  vista 
Là  ov'ebbe  il  vero  Dio  lungo  ricett«, 
Dove  morì  ;  dove  sepolto  fue  ; 
Dove  poi  rivesti  le  membra  sue  . 

3.  Seguita  la  Stanza  27. 


3 1 8  LA  GERUSALEMME 

ex. 

Sommessi  accenti  e  tacite  paiole. 
Rotti  singulti  e  flebili  sospiri 
Della  gente,  che  in  un  s'allegra  e  duole  , 
Fan  che  pev  l'aria  un  inoimoiio  s'aggiri, 
Come  per  l'alte  selve  udir  si  suole, 
S'avvien  che  tra  le  fronde  il  vento  spiri; 

0  come  infra  gli  scogli,  o  presso  ai  lidi 
Freme  il  percosso  mar  con  rauchi  gridi. 

CXI. 

Nudo  ciascun  il  pie  calca  il  sentiero; 
Che  l'esempio  de' Duci  ogni  altro  move: 
Serico  fregio,  o  d'or,  piuma  o  cimiero 
Superbo  dal  suo  capo  ognnn  rimove; 
Ed  insieme  del  cor  l'abito  altiero 
Depone ,  e  cade ,  e  pie  lagrime  piove  : 
Pur  quasi  al  pianto  abbia  la  via  rinchiusa 
Ver  Dio  parlando  ognun  se  stesso  accusa: 

CXII. 

Dunque  ove  tu,  Signor,  di  mille  rivi 
Sanguinosi  ,  il  terren  lasciasti  asperso. 
D'amaro  pianto  almen  due  fonti  vivi 
In  si  acerba  memoria  oggi  io  non  verso  ! 
Agghiacciato  mio  cor,  che  non  derivi 
Per  gli  occhi,  e  stilli  in  lagrime  converso  ? 
Duro  mio  cor,  che  non  ti  spctri  e  frangi  ? 
Pianger  ben  merti  ognor,  s'ora  non  piangi 

cxiri. 

I.  Come  allor  questa  fredda  notte  estiva 
Che  per  un  breve  giro  alla  sua  meta 

1  veloci  corsier  spronando  giva  , 
Lunga  parve  a  ciascuno  ed  inquieta  . 
Ma  quando  l'Alba  fastidita  e  schiva 
Del  suo  vecchio  Titon  ,  se  n'  usci  lieta  , 
Tosto  ciascuno  il  suo  camin  riprese  , 

Né  suon  di  tromba,  o  di  tamburo  altesft. 

CXIV. 

Del  lor  desio  l'impetuoso  corso 

L'accorto  Capitan  segue  e  seconda: 
Che  più  lieve  saria  di  porre  il  morso 
AU'ocean,  cpiando  erge  al  ciel  pili  l'ontla; 
O  frenar  Borea  ,  allor  che  scuote  il  dorso 
Dell' Apennino,  e  i  legni  in  mare  affonda. 
Pur  che  vadano  uniti,  e  con  misura 
Cangino  i  ratti  passi,  egli  procura. 


LIBERATA  3ig 

cxv. 

Ali  ha  ciascuno  al  core,  ed  ali  al  piede. 
Né  del  suo  ratto  andar  però  s'accorge. 
Ma  quando  il  Sol  gli  aridi  campi  fiede 
Con  via  pili  caldi  strali ,  e  in  alto  sorge; 
Ecco  apparir  Gerusalem  si  vede: 
Ecco  additar  Gerusalem  si  scorge: 
Ecco  da  mille  voci  unitamente 
Gerusalemme  salutar  si  sente. 

CXVI. 

Cosi  di  naviganti  audace  stuolo, 
Che  mova  a  ricercar  estranio  lido, 
E  in  mar  dubbioso  ,  e  sotto  ignoto  polo 
Provi  spesso  il  furor  del  vento  intido; 
Se  al  fin  diseuopre  il  disiato  suolo, 
Lo  saluta  da  lungc,  in  lieto  grido  . 
E  r  uno  all'altro  il  mostra,  e  ntanto  oblia 
La  noja,  e  1  mal  della  passata  via.  ' 


2  Seguita  «on  la  ttanza  109. 


INDICE 

DELLE 

MATERIE   PRINCIPALI 

CONTENUTE 

NELLA  GERUSALEMME 


(I  primi  numeri  indicano  il  Canto  ;  i  tecondi  la  Stanza) 


Achille,  lombai^iilo ,  fratello  di  Sforza  e  Palamede,  in  mostra,  i, 

55:  —  Ucciso  ila  Clorinda  ,  19 ,  69. 
Adejiaro  ,  vescovo  di  Poggio,  (Puy)  in  mostra  colle  sue  truppe, 

I  ,  38  e  3g.  —  In   processione,   11  ,  5.  —  Ucciso  da  Clorinda, 

I I  ,  44-  —  Apparisce  in  ispirito  a  Goffredo,  e  benedice  l'eser- 
cito cristiano,  \S,  95. 

Adrasto,  re  e  condottiere  degl'Indiani,  in  mostra  co'suoi,  17, 
38. —  Promette  ad  Armida  di  uccidere  Rinaldo,  17,49;  i9> 
•ji.  —  Alterca  con  Tisaferno,  suo  rivale,  per  tale  oggetto,  17, 
5o  e  5i  ;  19,  68  e  seg.  —  Pugna  coll'uno  de' due  Roberti,  20, 
49;  —  lo  la  prigione,  20,  71.  —  Sfida  Rinaldo,  il  quale  lo  uc- 
cide, 20  ,102,  io3. 

Africa.  Sua  descrizione,  i5,  i5  e  seg.  —  Sue  truppe  nell'esercito 
egiziano ,  20  ,  23;  —  sbaragliate  da  Rinaldo,  20  ,  Sg  e  seg. 

Agricalte,  guerriero  fra  gli  Arabi  erranti,  è  ucciso  da  Argilla- 
nò  ,  9  ,  79. 

Agricalte,  condottiere  delle  truppe  dell'Isole  arabiche,  in  mo- 
stra, 17  ,  23. 

Aladiko,  re  di  Gerusalemme,  1 ,  83.  —  Suoi  sospetti  e  provvedi- 
menti all'udire  i  disegni  del  nemico,  i  ,  83  e  seg.  —  Persuaso 
da  Ismeno  ,  toglie  dal  tempio  de' Cristiani  l'immagine  di  Nostra 
Signora,  e  la  poita  nella  moschèa,  2,7. —  Condanna  Sofionia 
ed  Olindo  al  fuoco  ,  2  ,  26  e  seg.  —  Va  incontro  a  Clorinda  ,  e 
la  elegge  al  supremo  comando  del  suo  esercito,  2,  45  e  seg.  ; 
—  le  concede  in  dono  Sofronia  ed  Olindo,  a,  62.  —  D'  in  su 
uua  torre  ita  riguai'dando  il  campo  nemico,  3,  la;  •—  è  quivi 


:\ii  INDICE 

(la  Erminia  informato  de' principali  giienlL-ii  crisliini  ,  3  ,  i8 
e  seg. ,  37  e  seg. ,  58  e  seg.  —  Fa  nuovi  appaiccclii  di  difesa, 
6,  a.  —  Non  concetle  ad  Argante  di  tentare  una  sortita,  6, 
9;  — gli  permette  un  duello,  6,-i4-  —  Fa  intimare  alle  sue. 
truppe  la  ritirata,  9  ,  93  e  94. —  Tien  consiglio  co'suoi  fidi 
dopo  la  sofferta  sconlitta,  io  ,  35.  — •  E  confortato  da  Solimano, 
che  d'improvviso  apparisce  in  mezzo  all'adunanza  insieme  con 
Ismeno,  io,  ^9  e  seg.  —  Suoi  provvedimenti  in  occasione  del 
primo  assalto,  11,29.  —  Si  rallegra  alla  risoluzione  presa  da 
Clorinda  e  da  Argante  d'uscire  fra  le  tenebre  ad  incendiare  la 
maggior  macchina  de' nemici,  la,  io  e  seg.  -~  Rassicuralo  da 
Ismeno  che  gli  narra  i  successi  de' suoi  incantesimi,  ristaura  l«t 
mura  ,  i3  ,  12  e  seg.  —  Fa  avvelenare  ogni  fonte  ond'era  for- 
nito d'acqua  l'esercito  cristiano,  i3,  58.  —  Nell'ultimo  assal- 
to combatte  in  persona  ,  18,  67.  —  Sconfitto  ,  si  ripara  in 
luogo  forte  ed  alto,  18,  104.  —  Fugge  verso  la  torre  di  Da- 
vid, 19,  39  e  seg.  -^  Esce  della  torre,  e  segue  Solimano  alla 
pugna  ,  20 ,  76.  —  E  ucciso  da  Raimondo  ,  20  ,  89. 

Alarco,  indiano,  nel  corpo  scelto  della  real  milizia  del  califfo  di 
Egitto,  17 ,  3o. 

Alarco  ,  persiano ,  ucciso  da  Gildippe ,  30  ,  33. 

Alap.cone,  africano;  condottiere  delle  truppe  del  regno  di  Barca, 

i7>'9- 

Albazar  ,  uno  degli  Arabi  erranti ,  abbatte  Ernesto,  9,  4'- 

Albiazar  ,  uno  de'condottieri  degli  Arabi  erranti,  17  ,  22. 

Albino,  ferito  gravemente  da  Clorinda,  9,  G8. 

Alcandro,  fratello  di  Poliferno,  e  figlio  di  Ardelio,  ferito  da  Clo- 
rinda ,  3,35.  —  Crede,  pei'  errore,  che  suo  fratello  insegua 
Clorinda  (che  per  tale  è  tenuta  da  ambedue  la  fuggitiva  Ermi- 
nia), e  ne  avvisa  Goffredo,  G ,  107,  112  e  11 3. 

Alcasto,  condottiere  degli  Elvezj,  in  mostra  co'suoi,  i ,  63.  —  Sa- 
le il  primo  all'assalto  di  Gerusalemme,  ma  11'  è  risospinto  da 
Argante ,  1 1  ,  34  e  35.  —  Si  offre  a  troncare  la  selva  incantata  , 
ina  non  vi  riesce,  i3,  a4  ^  ^"^a- 

Aldiazil,  uno  degli  Arabi  erranti;  è  ucciso  da  Argillano ,  9  ,  79. 

Aldino,  condottiere  delle  truppe  dell'Arabia  felice,  17  ,  22 

Alete  ,  con  Argante  va  raessaggiero  del  re  d'Egitto  a  Goffredo, 
2,  57  e  seg.  — •  Sua  parlata,  '*,  61  e  seg.  —  Non  gli  riesce  il 
suo  disegno,  2,  81  e  seg.  —  È  regalato  e  congedato  da  Goffre- 
do, 2,  92.  —  Torna  in  Egitto,  2  ,  94. 

.\LETro,  Furia  infernale,  mette  in  iscompiglio  il  campo  de'  Cri- 
stiani, 8,  e  seg.  —  Piglia  il  sembiante  del  vecchio  Araspe 
per  incitar  Solimano  contro  il  nemico,  9,  8  e  seg. 

Aleonso  II ,  duca  di  Ferrara;  gli  è  dedicato  il  poema,  i,  4-  ""  Sue 
lodi,  17  ,  80. 

Algazzarre  ,  saraceno,  è  ucciso  da  Dudoae  nel  primo  conflitto, 

3,4i  . 

Algazf.l,  arabo,  uccide  Engerlaiio,  9,  ^^l.  —  E  tiucidato  da  .Ar- 
gillano, 9 ,  78. 

Alii'rando,  duce  de' predatori  Franchi  ,  porta  a  Goffredo  la  falsa 
notisia  della  morte  di  Rinaldo ,  8  ,  5o. 


DELLE  MATERIE  3  ^/^ 

Almaksor,  saraceno,  è  uccìjo  da  Dutlone  nel  primo  «orflitto,  3, 

44- 

Ai.TAMORO,  re  di  Sarmacantr,  in  mostra  co  suoi ,  17,  20  e  srg.; 
19,  125.  —  È  accfltalo  da  Armida  per  uno  de' suoi  vondicalo- 
ri ,  19,  69.  — Sue  prodezze  nell' ultima  batlnglia  ,  20,  -ri  e 
seg.  —  Difende  Armida,  ao,  69.  —  Si  rende  prigione  a  GoHie- 
do  ,  30  ,  i/jo  e  seg. 

Alvante,  persiano,  ucciso  da  Odoardo,  20  ,  37. 

Ambuosa  ,  città  in  Francia;  sue  truppe  in  mosti  a,  i,  62. 

Amuratte,  saraceno,  ucciso  da  Dudone,  3,  (\\. 

Angeli  ,  Gabriele,  mandato  da  Dio  a  Goffredo,  i,  1 1  e  seg.  —  L'^^/i- 
geìo  custode  difende  Raimondo,  7,  79.  —  Michele  ,  per  ordi- 
ne divino,  scaccia  i  demonj ,  9,  58  e  seg.  — L'Jn^t/o  rusiocìe 
di  Goffredo  lo  risana  d'una  ferita,  1 1 ,  72.  —  Michele  insieme 
con  un  esercito  d'altri  Angeli  porge  ajuto  a  Goffredo  nell'ulti- 
mo fatto  d'arme,  18,  92  e  seg. 

Antiochia,  presa  da' Cristiani ,  1,6  e  9.  Vedi  anclif  3 ,  12;  5.. 
49;  6,  56;  8,  8  e  seg. 

Aktoma;  torre  cosi  detta,  io,  3i. 

'Aquilino  ,  destriero  di  Raimondo,  7  ,  75. 

AgciTANi  sotto  Gerusalemme,  20,  88. 

Arabì  erranti  e  ladroni,  5  ,  87  e  seg.  —  Solimano,  perduto  l"  e- 
sercito  e  il  regno,  si  mette  alla  lor  testa,  9,  2  ,  e  seg. 

Arabia,  Petrea  ,  Felice,  Deseria,  e  loro  truppe  nell'esercito  egi- 
ziano, 17,  20  e  seg. 

Arabiche  isole,  o  sia  del  Mar  rosso;  loro  truppe  nell'esercito  egi- 
ziano, 17,  23;  20,  53.  —  Sconfitte  da  Rinaldo,  20,  Sg  e  seg. 

Aradino,  condottiere  de'Soriani  assoldati  da  Idraote,  17,  35. 

Araldi  <fe"i^ra/2c/j/ ,  5,  53;  6  ,  5o;  11,  18. 

kv. kh-DO  de'  Saraceni ,  spedito  al  campo  cristiano,  6,  \!\vì)0\'j, 
56  e  seg. 

Aramarte  ,  uno  de'cinque  figliuoli  di  Latino  ,  9,  27  ;  —  ucciso  da 
Solimano,  9,  32. 

Araspe,  vecchio  consisliere  di  Solimano.  V.  Aletto. 

Araspk,  duce  del  primo  squadrone  degli  Egizj ,  17  ,  i5 

Arbilano,  re  di  Damasco,  e  padre  d'Armida  ,  4,  4^  e  seg. 

Ardelìo,  vecchio  e  valoroso  guerriero  ,  e  padre  d' Alcandro  e  Po- 
liferno,  è  ucciso  da  Clorinda ,  3  ,  35. 

Ardonio,  ucciso  da  Altamoro,  20,  39. 

Argante,  circasso,  viene  messaggiero  con  Alete  a  Goffredo,  a, 
5y.  _  Gl'intima  la  guerra,  2,  38  e  39.  —  È  congedato  e  rega- 
lato da  Goffredo,  2  ,  92  e  93.  —  Si  parte  alla  volta  di  Gerusa- 
lemme, 2,  94.  ■ —  Esce  contro  i  Ciisliani,  3,  33.  —  Uccide 
Dudone  ,  3  ,  \5.  —  Schernisce  i  Cristiani  ,  3  ,  47  ^  4^-  —  Con- 
siglia Aladino  a  voler  diffinire  il  suo  litigio  con  Goffredo  per 
mezzo  d'un  duello,  e  offerisce  se  stesso  a  questo  cimento ,  6,  a 
e  seg.  —  Manda  un  araldo  a  sfid.ire  i  Cristiani,  6,  i4  e  seg. 
—  Combutte  con  Ottone  e  lo  atterra,  G,  28  e  seg.  —  Combat- 
te con  Tancredi,  ma  ,  sopravvenendo  la  notte,  gli  araldi  falla- 
no cessare  il  duello,  6,  36  e  seg.  —  Sfida  di  nuovo  i  Cristiani , 
7,  56.  —  Li  rampogna,  7  ,  73  e  seg.  —  Combatte  cen   Rai- 


3a4  INDICE 

mondo  il  quale  entra  nell' arringo  in  vece  di  Tancredi ,  7  ,  4f>,' 
è  ajiitato  da  Belzebù,  "^ ,  99.  —  Sue  prodezze  di  valore  nel 
mezzo  della  battaglia  campale  ,  7,  106  e  ses;.  —  Esce  con  Clo- 
rinda in  soccorso  di  Solimano,  9  ,  \'i.  —  Per  comando  del  re , 
si  ritira  dalla  pugna,  9,  9:^.  —  Parla  in  Consiglio  ed  incorag- 
gia Aladino,  io,  35  e  |seg.  —  Nell'assalto  dato  a  Gerusalemme 
difende  le  mura,  1 1 ,  27  ,  35,  36,  ^9  e  seg.  —  Esce  improvviso 
con  Solimano  sopra  i  nemici,  11  ,  63  e  seg.  —  Si  difende  da 
Goffredo,  e  uccide  Sigiero  scudiero  di  lui ,  1 1  ,  78  e  seg.  —  E- 
sce  di  notte  con  Clorinda  ad  ardere  la  macchina  maggiore  dei 
Cristiani ,  la,  |3  e  seg.  —  Giura  di  vendicar  Clorinda,  uccisa 
da  Tancredi  12  ,  loi  e  seg.  —  È  opposto  da  Aladino  a  Camil- 
lo, 18,  67.  —  Si  apparta  con  Tancredi  a  combattere,  e  rima- 
ne ucciso ,  19,  2  e  seg  —  Il  suo  cadavere  è  da  Tancredi  fatto 
condurre  onorevolmente  in  Gerusalemme,  19,  116  e  seg. 

Argeo  ,  persiano,  ucciso  da  Gildippe,  ìo,  34- 

Argillano;  credendo  che  sia  morto  Rinaldo,  solleva  il  campo 
contro  Goffredo,  8,  67  e  seg.  —  E  condannato  a  morte  ed  ar- 
restato, 8,81  e  seg.  —  Fugge  dalla  prigione^,  combatte  con- 
tro gli  Arabi,  e  ne  fa  strage,  9,  74  e  seg.  —  E  ucciso  da  Soli- 
mano, 9,  87. 

Ariadeno  ,  arabo,  uccide  due  Tedeschi ,  g ,  ^o. 

Ariadino,  arabo,  è  ucciso  da  Argillano,  9,  79. 

Aridajunte,  indiano,  gran  lottatore  ,  nel  corpo  «cello  della  mili« 
zia  reale  del  califfo  d'Egitto,  17  ,  3i. 

Arideo,  araldo  de'Franchi,  6,  5o. 

Arimone,  ucciso  da  Clorinda  ch'era  slata  da  lui  percossa,   12,49. 

Arimone,  indiano,  nel  corpo  scelto  della  milizia  reale  del  califfo 
d'Egitto  ,  17  ,  3i. 

AniMONTE ,  persiano  ,  ucciso  da  Gildippe ,  20  ,  37. 

Armata  navale.  F.  Flotta. 

Armida  ,  nipote  d'Idraote  mago  re  di  Damasco,  ed  esperta  ancor 
essa  neir  arti  magiche,  \,  "ìi  e  seg.  —  Ad  istanza  del  zio,  si 
conduce  nel  campo  cristiano  per  ordirvi  le  sue  insidie,  4 >  28 
e  seg.  —  Per  mezzo  d'Euslazio  ,  ottiene  da  Goffredo  dieci  guer- 
rieri in  suo  ajuto,  4  >  82  e  seg.  —  Suoi  modi  e  lusinghe  per  ti- 
rarsi dietro  quanto  può  maggior  numero  di  guerrieri  cristiani , 
4,87  e  seg.  —  Tenta  invano  d'innamorare  Goffredo,  .'> ,  6i. 

—  Avuto  il  promessole  soccorso,  si  parte,  5,  79.  —  Non  vista, 
vede  nel  suo  castello  il  combattiniento  di  Rambaldo  con  Tan- 
credi, il  quale  per  inganno  vi  riman  prigioniero,  7,  36  e  seg. — ■ 
Imprigiona  i  guerrieri  stati  a  lei  conceduti  da  Goffredo ,  ec. 
(  V.  Seguaci  d'Amiid.i),  io,  69  e  seg.  —  Vede  Piinildo,  se  ne 
innamora,  e  seco  il  trasporta  in  una  delle  Isole  Fortunale  ,  i4  . 
65  e  seg.  —  Suo  delizioso  albergo,  16,  i  e  seg.  —  Suoi  amori 
con  Rinaldo,  16,  i  7  e  seg. — Suo  cinto,  16,  24  e  25.  — Se- 
gue Rinaldo  che  fugge  ;  sue  preghiere,  sue  smanie,  16,  35  e 
seg.  —  Giura  vendetta  contro  Rinaldo  ;  distrugge  il  suo  pala- 
gio, e  si   parte  alla  volta  del   campo  egiziano,  16,  65   e  seg. 

—  Comparisce  in  mostra  nel  campo  d'Egitto,  17,  33  e  seg. 
Sua  parlata  al  Re  d'Egitto,   17,  43  e  seg.  —  Sua  vana  appari- 


DELLE  MATERIE  3^5 

zione  a  Rinaldo  per  impedire  ch'egli  tronchi  la  selva  incantata, 
i8,  25  e  seg.  —  Neil'  ultima  battaglia  ella  occupa  il  centro 
20  ,  22.  —  Sopra  il  suo  carro  assiste  alla  pugna,  20,  6 1  e  seg. 
—  Tenta,  ma  indarno,  di  colpire  Rinaldo,  20,  63  e  seg.  — Fug- 
ge, 20,  117.  —  È  per  ferirsi,  quando  Rinaldo  le  trattiene  il 
colpo,  2  o,  127  ,  —  Si  riconcilia  con  Rinaldo,  20  ,  i3i  e  seg. 

Arnaldo,  intimo  amico  di  Gernando,  provoca  vendetta  contro 
Rinaldo  uccisore  di  quel  principe  ,  5 ,  33  e  seg. 

Aronte  ,  personaggio  supposto  da  Armida  per  colorare  le  su€ 
menzogne,  ^,  56e  seg. 

Arotsteo  ,  condottiere  del  secondo  squadrone  egiziano,  in  mostra, 

Absete,  eunuco  egiziano,  racconta  a  Clorinda  l'origine  di  lei  per 
indurla  a  deporre  le  armi,  12 ,  18  e  seg.  —  Piange  la  morte  di 
Clorinda,  12,  101  e  seg. 

Arsura,  ond'è  privato  d'acque  il  campo  cristiano,  i3,  52  e  seg. 

—  Cessa ,  e  cade  benefica  pioggia,  per  le  preghiere  di  Goffredo, 
i3,  70  e  seg. 

Art  ABANO  ,  re  dìBoecan,  in  mostra,  i3,  25.  —  È  ucciso  da  O- 
doardo,  20,  37. 

Artaserse  ,  persiano,  atterrato  da  Gildippe  ,  ao  ,  34- 

Artemidoro  ,  conte  di  Pembroziaj  è  il  primo  eletto  a  seguire  Ar- 
mida, 5 ,  73. 

AscALONA ,  porto  di  Soria  ,  1 4  ,  3o  e  seg.  ;  1 5 ,  1 0 ,  ec 

AssiMiRO  ,  maomettano,  ve  etiope  j  in  mostra,  17 ,  24.  —  E  ucci- 
so da  Rinaldo,  20,  54- 

AsTRABORA,  città  dell'Etiopia,  17,  24. 

Astragorre  (demonio)  instiga  Aletto  a  metter  sossopra  il  eamp» 
cristiano ,  8 ,  i  e  seg. 

Atti  di  religione  de'  Franchi  ,  1 1 ,  4  G  seg.  —  1 8 ,  62. 

AvvENTDRiERi ,  Comandati  in  prima  da  Dudone,  i ,  52  e  seg.;  — 
18  ,  73;  ao,  IO. 

B 

Baldovino,  fratello  di  Goffredo;  suo  carattere,  ec,  1,9;  3,  6i-. 

—  In  mostra ,  i ,  40.  —  Si  offre  a  pugnar  con  Argante ,  7  ,  66. 

—  Affronta  i  nemici,  e  gli  sconfìgge,  7,  109  e  seg. —  Difende 
Goffredo  in  una  sedizione  suscitata  nel  campo  da  Aigillano, 
8  ,  75.  —  Combatte  da  semplice  soldato  ,  1 1  ,  25.  —  Si  racco- 
glie con  Goffredo  ferito  nella  tenda,  1 1  ,  68. —  Comanda  il  ceo» 
tro  dell'  esercito ,  20 ,  g.  —  Combatte  con  Muleasse ,  20 ,  48. 

Balnavilla,  patria  di  Ruggiero  ,  i  ,  54;  7  ,  107. 

Barca  ,  città  e  regno  nella  Barberia;  sue  truppe,  17,  19. 

Belzebù' (demonio)  a juta  Argante,  e  fa  ferir  Raimondo,  7,  99  « 

seg. 
Berlikghiero,  trafitto  da  Clorinda,  9,  68. 
Bertoldo,  padre  di  Rinaldo,  1  ,  19. 
Blesse,  città  di  Francia;  sue  truppe  in  mostra,  i  ,62. 
Boecan,  isola  sulle  foci  del  golfo  Persico.  V.  ARTABA^o. 
Boemohdo,  zio  di  Tancredi,  7,  28;   18,  67.  —  Ebbe  la  «jn»- 


32G  INDICE 

ria  d'Antiochia,  una  delle  prime  conquiste  de' Crociati ,  i  ,  9  e 
io;  3 ,  63  ;  7  ,  67  ;  i^ ,  at).  —  Il  solo  de'  Crociati  che  non  venis- 
se all'assedio  di  Gerusalemme,  1  ,  ao;  7,  58.  —  Presso  di  lui 
si  rifugge  Rinaldo,  5,  19;  io,  72. 

Bosco  incantato  .  V.  Selva  . 

Brimahte,  indiano,  in  mostra,  17,  5i. 

Brunellone  ,  ucciso  da  AUamoro  ,  20  ,  3y. 

Buglione.  F.Goffredo. 


Califfo,  o  Re  n'Er.iTTO.  F.  Egitto. 

Camiilo,  condottiere  delle  truppe  romane,  in  mostra,  i,  64.  —  È 
lontano  dal  campo  allorché  vi  scoppia  la  sedizione  d' Argillano, 
8,  7^.  —  Nell'ultimo  assalto  è  deputato  a  drizzare  una  delle  tor- 
ri contro  le  mura  di  Gerusalemme,  18,  56,  63.  —  Gli  viene 
opposto  Argante,  i8  ,  67. 

Cvmpagna;  sua  cavalleria  comandata  da  Tancredi ,  i  ,  49- 

Campioni  d'  Armida,  eletti  a  sorte,  5  ,  72  e  seg.  —  Si  partono  eon 
Armida,  5,  79  e  seg.  —  Ritornano  al  campo,  e  combattono 
contro  gli  Arabi  di  Solimano,  9,  92  e  seg.  —  Narrano  a  Gof- 
fredo come  fossero  fatti  prigioni  d'Armida,  e  cjuindi  liberati 
da  Rinaldo,  10,  60  e  seg. 

Campsonb,  condottiere  del  terzo  squadrone  egiziano,  17  ,  17. 

Canario  ,  uno  de' tre  re  d'Etiopia  di  Méroe,  17  ,  i\. 

Cariclia,  madre  d'Armida,  4,  !\^- 

Carlo,  tedesco,  narra  a  Goffredo  la  storia  di  Sveno,  principe  dei 
Dani  ,  ucciso  da  Solimano,  8,  2  seg.  —  E  deputato  insieme 
con  Ubaldo  ad  andare  in  traccia  di  Rinaldo  ,  richiamato  dall'e- 
silio, 16,  27  e  seg.  —  Ritrova  l'Eremita  che  lo  conduce  sotto 
terra  nel  suo  palazzo,  14,  33;  ed  è  instruito  da  esso  e  datogli 
modo  di  liberar  Rinaldo,  14,  5o  e  seg.  —  Suo  viaggio  nella 
nave  della  Fortuna,  i5,  6  seg.  —  Entra  nel  palazzo  d'Armida, 
i5,  44  e  seg.  —  Vi  trova  Rinaldo  fra  gli  amplessi  d'Armida, 
i6  ,  i^.  —  Parte  con  Rinaldo  verso  il  campo  cristiano,  i6, 
G2.  — Sbarca  con  esso ,  17,  4^-  — Gli  dà  la  spada  di  Sveno, 
1^  ^  83.  —  f^.  Ubaldo,  Rinaldo  ,  Eremiti  . 

Cassano  ,  padre  d'Erminia  ,  già  re  d'Antiochia,  3  ,  12;  6  ,  56. 

CniARAMONTE,  città  di  Francia,  dove  Urbano  II  intimò  la  Crocia- 
ta, II  ,  23. 

Ciucia,  regno  in  Asia  conquistato  da  Tancredi.  V .  Tancredi  . 

Circasso.  V.  Argante. 

Clorinda  ;  arriva  a  Gerusalemme  in  soccorso  de'Pagani,  a,  58  e 
seg.  —  Ottiene  da  Aladino  la  liberazione  d'Olindo  e  Sofronia, 
2,  4i  e  seg.  —  È  eletta  da  Aladino  al  supremo  comando  dell'e- 
sercito, 2,   j8. —  Esce  a  com!)attero  contro  i  Cristiani ,  3  ,    i3. 

—  Atterra  Gardo ,  e  ritoglie  la  preda  a' predatori  Franchi,  3, 
i5  e  seg.  —  Si  batte  con  Tancredi,  il  quale,  essendole  caduta 
l'elmo,  la  riconosce,  e  le  dichiara  l'amor  suo,  3,  21   e  seg. 

—  E  li(iveinente  ferita  da  un  soldato,  3 ,  29  e  3o.  — Uccide 
Àrdelio,  ferisce  Alcandro,  e  mette  in  fuga  Poliferno,  3,  35. 


DELLEMATERIE  Z^^ 

—  AssÌ5lf>  in  <lià|ìarte  con  mille  soldati  al  combattimento  d* 
Arcante  con  Ottone  e  Tancredi  ,6,21  e  see;.;  ed  a  quello  <!' 
All'ante  con  Raimondo,  7,  83.  — Sopravviene  una  tempesta, 
ed  ella  incoraggia  i  suoi,  e  fa  grandi  prove  di  valore,  7,  1 16 
e  seg.  — Esce  insieme  con  Argante  in  soccorro  di  Solimano,  9, 
44-  —  Uccide  varj  guerrieri  di  grido ,  9 ,  68  e  seg.  —  Yien  fe- 
rita in  un  fianco  da  Guelfo,  al  quale  rende  degna  risposta,  9, 
72.  —  Tenta  d'impedire  la  fuga  de' Pagani ,  9,  9^.  —  Va  ad  o- 
norare  Solimano,  10  ,  64.  —  Dalla  torre  angolare  sta  saettando 
il  campo  cristiano,  e  colpisce  molti  prodi  ,  11  ,  27  e  seg.  —  Fe- 
risce Goffredo,  II,  ^\.  —  Palesa  ad  Argante  il  suo  disegno  d'u- 
scir fuori  ad  ardere  la  gran  torre  di  legno,  12,  .5  e  seg.  —  Ne 
è  dissuasa,  ma  indarno,  da  Arsete,  suo  servo,  «lai  quale  inten- 
de la  storia  de' suoi  natali,  19,  ,  18  e  seg.  —  Esce  con  .argante 
nd  ardere  la  macchina  ,  12  ,  4'.»  e  seg.  —  nel  ritorno  ,  è  serrata 
fuori  della  città  ,  e  combatte  nuovamente  con  Tancredi,  12, 
49  e  seg.  —  Trafitta  da  lui,  chiede  il  battesimo,  e  si  ?ii(ioie, 
12,  64  e  seg.  —  Sua  fals.i  apparizione  ad  Gradino,  7,  99  e 
seg.  —  Apparisce  in  sogno  a  Tancredi ,  i3  ,  4'  f  ''ej. 

Clotareo  ,  condottiere  delle  truppe  dell'Isola  di  Fi.uicia,  in  mo- 
stra, i  ,  37.  —  E  ucciso  da  Clorinda  ,11,  '\S.  —  ^Jnrto  lui  ,  le 
sue  truppe  partecipano  alla  sedizione  d' Argillano  ,  i3  ,  69. 

Colomba  messaggiera  ,  18,  49. 

Colombo  Cristoforo  :  predizione  delle  sue  scoperte     1 5  ,  3o  e  se^. 

Congiura  d  '  Franrhi ,  contro  Goffredo,  8  ,  57  e  seg.  —  [}i-<^li  F.- 
n;ìziani  contro  il  medesimo,  19,  62  e  seg. 

CoNSA ,  città  nel  regno  di  Niipoli,  i  ,  53. 

Co^TE  di  Carnuti ,  in  mostra,  i  ,  40. 

Conte  di  Cof^tma  ,  7  ,  29. 

CoRBARO,  saraceno,  ucciso  da  Dudone ,  3,  \\. 

CoHcuTTE,  uno  de'Tiirchi  di  Solimano,  ferito  da  Goffredo,  9,  go. 

Corrado  11,  imperadore,  alla  cui  corte  Raimondo  ancor  giovinet- 
to die  prove  di  valore,  7  ,  64. 

CeRRiERE  spedito  da  Armida  per  sorprendere  Tancredi ,  7,  27  e 
seg. 

Croce  effigiati  nelle  insegne  e  vesti  de' Cristiani ,  i,  72  e  altrove. 

Crociata  ;  da  chi  e  quando  intimata  ,11,  23. 


Damasco,  città  della  Soria ,  4.  20;  io,  70;   ì\,  69;   16,72.    V. 

Armida, Idraote. 
Dani  ,  comandati  da  Sveno  ,  V.  Sveno  .  r 

Demoni  ,  convocati  da  Plutone  e  stimolati  ad  infestare  l'esercito 
cristiano,  4>  i  e  seg.  —  Uno  di  essi  instiga  Idraote  contro  i 
Cristiani,  4  .  22.  —  Suscitano  una  tempesta  in  favor  de" Pada- 
ni, 7,  114. —  Li  soccorrono  nell'assalto  notturno  dato  da  So- 
limano ai  Franchi,  9,  53.  —  Sono  scacciati  da  S.  TVluliele,  9, 
58  e  seg.  —  In  virtìi  degl'incantesimi  d'  Ismeno  investono  i;iia 
selva,  i3,  i  e  seg.  —  Palagio  d*  Armida  fabbricato  da  essi, 
16  ,  I  e  seg. 

G.  Liii.  T.  ni.  2i 


3a8  INDICE 

Dio,  manda  l'angelo  Gabriello  a  Goffrrflo  per  manifestale;'.!  il  suo 
volere,  i  ,  7  e  seg. —  Inspira  la  u  ente  di  Pietro  1'  eremita  e  dei 
primi  duci,  i  ,  33.  • —  Impone  all'angelo  custode  di  Raimondo 
di  pigliarne  la  difes;^  >  7  >  79  *'  ^f'S-  —  BIosso  a  pietà  de!  campo 
cristiano,  orilina  a  Micliele  di  respingere  i  Demonj  nell'  infer- 
no ,  9 ,  55  <■  seg.  —  Esaudisce  le  preghiere  di  Goffredo,  e  man- 
<la  la  pioggia  al  ca)i;po  cristiano,  i3,  70  e  seg.  — Manda  un 
so£no  a  Goffredo,  i/J ,  2  e  seg. 

Dragutte,  arabo,  fa  strage  de'Crisliani  nell'assalto  notturno, 
9,  lo. 

Dltoke  ,  principe  di  Cons.i ,  duce  degli  Avventurieri ,  in  mostra  , 
I  ,  .'"'9.  e  53  ;  3  ,  3g.  —  E  ucciso  da  Argante ,  3  ,  43  e  seg.  —  O- 
noii  funebri  a  lui  renduti ,  3„  56  e  seg.  —  Discordie  che  pro- 
dure il  (io\er  dai  gli  un  successore,  5,  5  e  seg.  —  Combatte  dal 
cielo  in  favore  de'Crisliani,  18,  gS. 

Duelli,  p'.  Akgamte  ,  Clorinda,  Tancredi  ,  Ottone,  Raimondo. 

E 

Eberardo,  bavaro,  uno  degli  Avventurieri,  in  mostra,  i,  56.  —  E- 
letto  per  uno  de' campioni  d'Armida,  5  ,  75. 

Eberardo  ,  di  Scozia,  si  offre  a  pugnar  con  Argante,  7,  67. 

Egitto.  Appartenenze,  esercito,  re,  califfi  d'Egitto,  17,  ^  e 
seg. 

Elvezj,  condotti  da  Alcasto,  in  mostra,  i  ,  63. 

Emavs,  cilt.ì  vicina  a  Gerusalemme,  2  ,  55  e  seg. 

Emirfko  ,  armeno  e  ciisfiano,  poi  fattosi  maomettano,  supremo 
duce  liei  (  jliffo  d'Egitto,  ec,  17,  Sa,  37  e  seg.  —  Per  mezzo 
d'una  colomba  invia  ad  Aladino  una  lettera,  che  viene  in  ma- 
no di  GoflVedo  ,  18,  4*)  ^  seg.  —  Incoraggia  Ormondo,  capo 
de' congiurati  contro  Gofi redo,  19,  6-2  e  seg.  —  Airiuga  a' suoi 
soldati,  gl'inGamma  alla  pugna,  ec,  20,  21.  —  Combatte  va- 
lorosamente, e  resta  ucciso  da  Goffredo,  20,  1  37  e  seg. 

Engerlako  ,  uno  degli  Avventurieri  ,  1  ,  54.  —  Ucciso  da  Algazcl , 

^9'4'-  .  ,.      .  .  . 

Enrico,  messaggiero  di  Goffredo,  spedito  in  Grecia  per  istimolar 

queir  In. peiatloie  ad  osservare  i  patti,  e  per  affrettar  la  venuta 
di  Sveno  al  campo,  1  ,  67  e  seg. 

Enrico,  francese,  uno  degli  Avventurieri,  eletto  a  campione  di 
Armida,  5,  75. 

Enrico,  inglese  ,  ucciso  da  Dragutte,  g,  40. 

Eremita,  promotore  della  Crociata,  f^.  Pietro. 

Eremiti.  Due  eremiti  ris.mano  Culo,  tedesco,  mortalmente  feri- 
to, 8,  2^  e  seg.  —  Gii  consegnano  la  spada  di  Sveno  da  darsi 
a  Rinaldo  perch'egli  vendichi  la  morte  di  quel  principe,  8, 
34  e  seg.  —  Lo  congedano  ,  8 ,  42. 

Ereamta,  nato  pagano,  e  poi  fattosi  cristiano,  accoglie  Ubaldo  e 
C;ii  lo ,  messaggieri  spediti  a  richiamar  Rinaldo;  li  conduce  nel 
suo  palagio  sotterraneo;  narra  loro  le  avventure  di  Rinaldo,  e 
li  fornisce  de'inezzi  onde  liberarlo  ,  i  ^ ,  33  e  seg.  —  Li  guida 
alla  nave  fatale ,  i5 ,  2.  —  AI  loro  ritorno  insieme  con  Rinaldo, 


INDICE  Big 

mostra  a  questo  le  imprese  della  stirpe  di  lui,  17,576  scg. 
—  Li  coni;ctla  ,  17  ,  86. 
Ermima;  sua  storia  ,  G  ,  56  e  scg.  —  ISella  torre  che  domina  il 
campo  nemico,  mostra  ad  Aladino  i  piincipaii  guerrieri  cristia- 
ni, 3,  t-ì  ,  17  e  sei;.,  37  e  set;.,  58  e  seg.  —  Dalla  torre  mira 
la  pugna  fra  Arjrante  e  Tancredi ,  di  cui  è  iiinaniorata  ,  6  ,  62 
e  seg.  —  E  irresoluta  se  debba  o  no  andar  a  medicar  le  lerite  di 
Tancredi,  6,  66  e  sep.  —  Si  veste  dell'armi  di  Clorinda,  e  par- 
te per  ritrovar  Tancredi,  6,  81  e  seg.  —  Invia  il  suo  scudiere 
a  Tancredi ,  6  ,  98  e  sce;.  —  Assalita  da  Polilerno  ,  che  la  stima 
Clorinda  ,  fug!:e,  6,  108,  —  Si  ricovera  appresso  d'un  pastore, 
7  ,  I  e  seg.  —  Nel  campo  d' Egitto,  riconosce  Vafrino  ,  scudiere 
di  Tancredi;  parte  seco  lui  alla  volta  del  campo  cristiano;  gli 
narra  le  sue  vicende,  gli  svela  la  congiura  contro  GoiìVedo,  e 
l'amor  suo  per  Tancredi;  19  ,  79  e  seg.  —  Trova  Tancredi  s\e- 
nuto,  e  lo  piange  per  morto,  19,  io3  e  seg-;  —  rinvenuto  che 
egli  è ,  lo  medica  ,  e  si  rimane  presso  di  lui ,  19,  3  e  seg. 

Ernesto,  ucciso  dall'arabo  Albazar,  9,4'- 

Erode,  f«'ce  costruire  la  torre  Antonia  in  Gerusalemme  ,  io  ,  So 
e  3i. 

Erotimo  ,  medico,  intraprende  a  curar  la  ferita  di  Goffredo  ,  1 1  , 
70  e  seg. 

Eseucito  cristiano:  sue  prime  imprese  nella  Bitinia,  Soria  e  Pa- 
lestina ,  I  ,  6  e  seg. 

Esercito  de'  Turchi  ed  Ambi  erranti ,  ausiliario  di  Aladino,  f^. 
Solimano. 

Estensi  ;  projenitori  e  discendenti  di  Guelfo  e  di  RinaKIo .  A*. 
Guelfo  e  Rinaldo. 

Etiopi,  tributar]  del  califfo  d'Egitto;  loro  truppe,  17  ,  2j;  20, 
53.  y.  Meroe. 

Eostazio  ,  fratello  minore  di  Goffredo  e  di  Baldovino  ,5,8;  18  , 
79  —  Uno  de'primi  fra  gli  Avventurieri,  in  mostra  i  ,  j.j.  — 
S'abbatte  in  Armida,  se  ne  invaghisce,  l'introduce  presso 
Goffredo,  e  perora  la  causa  di  lei,  4»  33  e  seg.  —  Propone  che 
fra  i;li  Avventurieri  si  eleggano  dieci  i  qucli  accompagi  ino 
Armida  e  le  prestino  ajuto,  4  j  79   —  Conforta  Armida  ,  4,  84. 

—  Torna  a  sollecitar  Goffredo  in  favore  d'Armida,   0,667. 

—  Geloso  di  Rinaldo,  gì  indirizza  un  astuto  discorso,  per  cer- 
care di  non  l'aver  per  compagno  ,  5  ,  8  e  seg.  —  Benché  non  e- 
letto  fra  i  dieci  campioni  d'Armida,  s'invola  di  nottetempo 
dal  campo  per  seguirla,  5 ,  80  e  seg.  —  Rimane  prigioniero  di 
Ann  irla ,  io  ,  69.  —  E  liberato  da  Rinaldo  ,10,71.  —  E  ferito 
nel  primo  assalto  di  Gerusalci.inie,  1 1 ,  60.  —  Nell'ultimo  as- 
salto, tien  dietro  a  Rinaldo  a  dar  la  scalata,  i8,  79. 


Fiamminghi  ,  in  mostra,  i  .  43. 

Filippo,  tedesco  ,  ucciso  da  Ariadeno,  9,  4<*- 

Flotta  cristiana  ,  i ,  78  ;  ■> ,  75. 

Flotta  egiziana,  .5,  86. 


33u  INDICE 

Fortuna,  i5,  3  e  seg^ 

FuocHf  inventati  dal  mago  Isiueuo  per  danueggiaie  i  Cristiani. 


Gabriele,  Angelo.  V.  Angeli  . 

Gallo  ,  ferito  da  Clorinda  ,  9  ,  fi8. 

Garbo  ,  duce  de' predatori  cristiani  ;  è  ucciso  da  Clorinda  ,  3  ,   i4 

^  e  seg. 

Gaza,  città  sulla  frontiera  dell'Egitto;  i  ,  67;  8,  5i  ;  io,  \  ;  i5y 
i o  e  seg. ;  16,  76;  17,  i  e  seg. 

Gazel,  duce  del  quarto  squatlrone  egiziano  ,  17,  «8. 

Gentonio,  uno  degli  Avventurieri,  i  ,  54.  — E  ucciso  da  Altamo- 
ro ,  20,  \o. 

Gernakdo,  norvegio,  in  mostra,  i,  54.  —  Sua  alterigia  ,  3  ,  ^o. 
—  Invidioso  di  Rinaldo,  si  maneggia  per  essere  elelto  duce  de- 
gli Avventurieri  in  vece  di  esso,  5,  i5  e  seg.  —  Accusa  Rinal- 
do ,  il  quale  lo  investe  ,  e  l' uccide ,  5 ,  a6  e  seg. 

Gerniero,  uno  degli  Avventurieri,  in  mostra,  i  .  'Ì6.  —  Si  offre 
a  combattere  con  Argante ,  7  ,  66'  —  Ferisce  Clorinda  ,  la  qua- 
le gli  tronca  la  destra,  9,  6g.  —  E  ucciso  da  Tisaierno,  'jo  , 
1 12. 

Gerksalemme ;  sua  situazione,  struttura,  er. ,  1  ,  90  ;  3  ,  55  e  seg  , 
64  e  seg.;  6,  1;  1 1  ,  aS  e  seg.  —  Sue  torri,  3  ,  9,  e  seg.;  6,  62  , 
IO,  3i  ;  1 1  ,  25  e  seg.  ;  19  ,  39.  —  Sue  provvisioni ,  3,  56  ;  6,  i 
e  seg.  ;  I  o  ,  43.  —  Sue  adiacenze ,  3 ,  57  ;  9 ,  gj  ;  1  o  ,  28  e  seg.  ; 
Il  ,  ro.  —  Arrivo  dell'esercito  cristiano  a  (ierusalemnie ,  3  ,  3. 
—  Sostiene  il  primo  assalto,  1 1 ,  32  e  seg.  —  Nel  secondo  as- 
salto cade  in  poter  de' Crociali,  ivS,  68  e  seg. 

Gherardi.  Due  guerrieri  di  questo  nome  fra  gli  Avventurieri  ,  in 
mostra;  i ,  54-  —  L'uno  d'essi  è  eletto  fra  i  cantpioni  d'  Armi- 
da, 5,  73.  —  Ambedue  oppongono  forte  resistenza  ad  Argante, 
7  ,  107.  —  Uno  di  essi  è  ucciso  da  Tisafertio,  20,  112. 

Gilberto  ,  tedesco,  ucciso  da  Ariadeno,  9,  \o. 

GiLDippE ,  moglie  di  Odoardo,  milita  con  esso  fra  gli  Avventurie- 
ri, 1 ,  56  e  57  ;  4  ,  4o.  —  Si  offre  a  combattere  con  Argante ,  7  , 
67.  —  Fa  strage  de'Saraceni  ,9,71-  —  Uccide  molti  Persiani, 
e  fa  prodigj  di  valore  ,  20 ,  32  e  seg.  —  Ferisce  Altamoro,  il 
quale  le  rende  la  pariglia,  20,  4'  —  Affronta  Soliuiano,  e  lo 
ferisce;  ma  poi  questi  uccide  lei  insieme  collo  sposo  intento  a 
soccorrerla  ,  20  ,  9  j  e  seg. 

Giordano,  fiume  della  Palestina,  3  ,  07  ;  7  ,  3  ;  ij  ,  67. 

Giosafa',  valle  contigua  a  Gerusalemme,  1 1 ,  10. 

Goffredo  Bu^tiune;  sue  virtù,  i,  1  e  seg.  —  Sue  prodezze  da 
giovane,  7,  72.  —  Ammonito  dall' Angelo, ,  raduna  i  duci  in 
Consiglio,  I  ,  19.  —  Sua  parlata,  i  ,  21.  —  È  proclamato  ilucc 
supremo,  i  ,  32  e  seg.  —  È  ricevuto  fra  gli  applausi  de' soldati, 
i  ,  34.  —  Passa  in  mostra  l'esercito,  1  ,  35  e  seg.  —  Cede  le  sue 
truppe  al  fratello  Baldovino,  i,  40.  —  Annunzia  a' maggiori 
duci  il  giorno  da  lui  stabilito   per  muovere  verso  (ierusalein- 


DELLE  MATERIE  3  li 

me,  I  ,  65  e  66.  —  Inyia  Enrico  in  Grecia  aJ  acceleiar  la  ve- 
nuta di  Sveno,  principe  de' Dani ,  ed  a  sollecitar  gli  ajuli  pro- 
messi dall' iinperator  greco,  i  ,  67  e  sei;.  —  Cautele  prese  da 
lui ,  1  ,  7^j.  —  Concede  la  pace   al  re  di  Tripoli ,  1  ,  76,-  io,  47- 

—  Suo  accorgimento  di  condurre  l'cseiciln  lungo  il  mare,  i, 
78.  —  In  Euiaus  riceve  Alete  ed  Argante,  ambasciadori  del  re 
d'Egitto,  2,5')  e  scg.  —  Accetta  la  guerra,  regala  gli  amba- 
sciadori ,  e  li  congeda  ,  2  ,  80  e  seg.  —  Arriva  coll'esercito  sot- 
to a  Gerusalemme,  3,  1  e  seg.  —  Accenna  a  Tancredi  d'inve- 
stire i  Pigani  guidali  da  Clorinda,  3,  16. —  Fa  intimare  a'suoi 
di  ritirarsi,  3,  62  e  seg.  —  Osserva  la  posizione  di  Gerusalem- 
me, 3,  54  e  seg.  —  Ne  disegna  le  operazioni  dell'assedio,  3, 
64  e  seg.  — Rende  segnalati  onori  all'estinto  Dudone  ,  3  ,  66  C 
seg.  —  Dà  gli  ordini  per  costruir  maccliitie  da  espugnare  Gcrti- 
saiemme  ,3,71  e  seg.  —  Dà  udienza  ad  Armida,  e,  vinto  dal- 
le altrui  istanze,  mal  suo  grado  le  concede  dieci  campioni,  4? 
j(S  e  seg.  —  Pensa  a  chi  debba  commettere  l'impresa  d'Armi- 
da, 5,  I  e  seg. —  Convoca  i  principali  perchè  eleggano  un  suc- 
ce.ssore  a  Dudone,  5,  e  seg. —  Sua  rigorosa  giustizia  contro  Bi- 
naldo  uccisore  di  Gernando,  5 ,  37  e  seg.  tino  a  5[).  —  Resiste 
alle  lusinghe  d'Armida,  5,  61.  — Fa  trarre  a  sorte  i  dieci 
campioni  che  debbono  seguire  Armida.  5  ,  72  e  seg. —  Rassicu- 
ra i  suoi  che  temono  di  mancar  di  vettovaglie,  5  ,  86  e  seg.  — 
Accetta  la  disfida  inviata  da  Argante,  e  destina  a  tale  impresa 
Tancredi,  6,176  seg.  —  Egli  medesimo,  ad  ifna  seconda  di- 
sfida d'Argante,  vedendo  la  codardia  de' suoi,  s'accinge  ad  ar- 
marsi per  coiiibattere  con  esso;  ma  in  sua  vece  si  presenta  Rai- 
mondo al  duello,  7  ,  56  fino  a  62.  —  Vedendo  violato  il  patto 
della  pugna  ,  e  ferito  Raimondo  ,  eccita  i  suoi  alia  vendetta,  7, 
io3  e  seg.  —  Ode  tla  Carlo,  tedesco,  la  miserabile  fine  di  Sve- 
no, 8,  6  u  seg.  —  Aliprando  gli  narra  la  supposta  morte  di  Ri- 
naldo ,  8  .  5o  e  seg.  —  Questa  supposta  moi  te  serve  di  prelesto 
ad  una  sedizione  nel  campo;  la  reprime  '  /'•  Argillano),  8, 
57  e  seg.  —  Si  dispone  a   dar  1  assalto  a   Gerusalemme  ,  8  ,  85. 

—  Muove  contro  una  sortita  notturna  di  Solimano,  col  cjuale 
si  batte,  e  mette  in  rotta  il  nemico ,  y ,  |i  e  seg.  —  Fa  seppel- 
lire i  suoi  morti,  ed  ordina  l'assalto  pel  dì  vegnente,  10  ,  67. 

—  Invila  i  campioni  che  aveano  seguito  Armida,  a  narrargli  le 
loro  avventure,  10,  58  e  seg.  — Ode  i  fausti  presagi  dell'ere- 
mita; IO,  73. —  Avanti  d'intraprendere  l'assalto ,  ordina  una 
sacra  processione  e  solenni  preci ,  i  (  ,  i  e  seg.  Veste  1'  armi  di 
leggier" pedone,  e  narra  a  Raimondo  un  voto  da  lui  fatto  a  Dio, 
Il  ,  20  e  seg.  —  Mette  in  ordinanza  l'esercito,  dà  il  segno  del- 
l'assalto, e  opera  geste  valorosissime,  1 1  ,  3o  e  seg.  —  È  ferito 
in  una  gamba  (  si  crede  )  da  Clorinda  ,  n  ,  5  J.  —  Non  desiste 
tuttavia  dalia  sua  impresa  ;  ma  infine  è  costretto  dalla  ricevu. 
ta  ferita  a  ritirarsi,  n  ,  55  e  seg.  —  Partito  lui ,  la  fortuna  ab- 
bandona il  campo  cristiano,  ii,  57. — È  medicato  da  Eroti- 
mo,  e  guarito  mercè  dell'ajuto  d'un  Angelo,  1 1 ,  68  e  seg.  — ■ 
Ritorna  alla  battaglia,  ferisce  Argante,  e,  sopravvenuta  la  not- 
te,  si   ritira  dopo  aver  dato  le  opportune  disposizioni,  1 1  ,  76 


33?.  INDICE 

e  seg.  —  Visita  Tancredi  giaveiiii'iile  ferito  ,  ii  ,  8\.  —  Essen- 
do stata  incenerita  la  prima  gran  macchina,  manda  i  suoi  fab-* 
bri  a  tagliar  legne  nel  bosco  incantato  da  Isnieno ,  i3,  17.  — • 
Non  riuscendo  1'  impresa  ,  vi  spedisce  ,  ma  invano  ,  diveisi 
guerrieri,  i3,  19  e  seg. —  Vuole  egli  stesso  condursi  al  bosco 
incantato,  ma  ne  è  distolto  dall'eremita  ,  i3,  5o. —  In  occasio- 
ue  d'una  terribile  siccità,  l'esercito  si  lagna  di  lui,  e  varj 
guerrieri  abbandonano  il  campo;  egli  ottiene  di  Dio  abbon- 
dantissima pioggia,  e  tutto  piglia  nuovo  aspetto,  i3,  52  sino 
alla  fine  del  canto.  —  Sogna  d'essere  traslato  in  cielo,  i4  ,  2  e 
seg.  —  Fa  richiamar  Rinaldo  ,  \  ^  ,  '20  e  seg.  —  Raccoglie  amo- 
revolmente Rinaldo ,  e  gli  commette  l'impresa  del  bosco ,  18, 
I  seg.  —  Ritrova  per  caso  sotto  l'ali  d'una  colomba  una  lettera 
importante  diretta  da  Emireno  ad  Aiadino,  18,  .5o  e  seg.  — 
Premessi  diversi  atti  di  religione,  e  dati  gli  opportuni  provve- 
dimenti, muove  all'assalto  di  Gerusalemme,  18,  62  e  seg. — • 
Vede  l'esercito  celeste  che  combatte  in  favor  de' Cristiani ,  18, 
92  e  seg.  —  Insegne  Solimano,  e  innalza  su  le  mura  il  vessillo 
della  Croce,  18,  r)8  e  seg.  —  Alloggia  in  Gerusalemme  ,  repri- 
me la  licenza  militare,  er.  ,  19,  5o  e  seg.  —  Visita  Raimondo 
infermo;  e  quivi  udito  da  Vafrino  le  insidie  orditegli  da'nemi- 
ci ,  si  consiglia  con  esso  Raimondo,  e  si  risolve  per  la  pugna, 
19,  120  e  seg.  —  Riordina  il  suo  campo,  e  gli  predice  la  vitto- 
ria, 20 ,  6  e  seg.  —  Uccide  Ormondo  ,  capo  de' congiurati  con- 
tro di  lui ,  e  tutti  i  compagni  del  medesimo  ,  20,  4^  e  !^Q.  — 
Spiega  tutta  l'abilità  d'un  gran  capitano,  e  tutto  il  valore  di 
un  guerriero,  20,  4?  e  seg.  —  Uccide  Emireno,  e  fa  prigione  il 
re  Àltamoro,  20,  13^  e  seg.  —  Vinti  tutti  gli  ostacoli,  va  al 
Tempio  ,  e  scioglie  il  suo  voto. 

Greci  .  f^.  Tatino. 

Gdardia  reale  del  califfo  d'Egitto  .  f-^.  Indiani  . 

Guasco,  uno  degli  Avventurieri,  in  mostra,  1  ,56. —  E  eletto  ad 
esser  uno  de' campioni  d'Armida,  5,  jS.  —  E  ucciso  da  AUa- 
inoro ,  20,  40. 

Guascone.  E  cosi  chiamato  Raimondo,  y.  Raimondo  . 

Guasconi  sotto  a  Gerusalemme  ,  20  ,  6. 

Guelfo  ,  sua  stirpe,  suoi  meriti ,  ec. ,  1  ,  io  ,  4o  e  seg.  ;  3  ,  63  ;  5  , 
36;  17  ,  80  e  seg.  —  Induce  Rinaldo,  uccisore  di  Gernando  ,  a 
ritirarsi  dal  campo  ,  5  ,  5o.  —  Parla  a  Goffredo  in  favor  di  Ri- 
naldo, 5  ,  57.  —  In  qualità  di  luogotenente  di  Goifredo  ,  muo- 
ve contro  i  nemici  guidati  da  Clorinda  ed  Argante  iicU'  assalto 
notturno  ,  9,  43  e  seg.  —  Ferisce  Clorinda  in  un  fianco  ,  e  uc- 
cide Osmida,  9,  72  673. — Veduto  lo  svantaggio  del  luogo, 
ferma  le  sue  genti,  9,96.  —  Comanda  in  capo  l'esercito,  in 
assenza  di  Goffredo  ferito  ,11,  56.  —  Nel  primo  assalta  delle 
mura,  cade  percosso,  11  ,  59.  —  Chiede  in  Consiglio  a  Goffre- 
do ed  ottiene  che  sia  richiamato  Rinaldo,  14,21  e  seg.  —  In- 
via Carlo  e  Ubaldo  in  traccia  di  Rinaldo,  1^4'  ^7  ^  ^^'■ò-  —  Sìk- 
accoglien/.c  a  Rinaldo  ritornato,  18,  4-  — È  deputato  da  Gof- 
fredo a  difender  le  spalle  de' Cristiani  in  occasione  deli'ultiuio 
assalto,  18  ,  65  e  66. 


DELLE  MATERIE  33? 

GiiGLiEi.MO  ,  principe  inglese,  in  mostra  co' suoi,  i,  44-  — Narra  a 
Gcftredo  ìc  vicende  <ii'et;li  corse  insieme  co'snei  con. [ogni  ap- 
presso di  Armida,  io,  59  e  seg.  —  E  f.i;i veniente  feiito  da  Clo- 
rinda ,11,  4''*- 

Guglielmo,  comandante  de'legni  lic"i"i,  manda  avviso  a  GoflVe- 
<lo  del  prossimo  arrivo  della  grande  armata  d'Egitto,  fi,  86. — 
Costruisce  stupende  macchine  da  guerra  per  dar  l'assalto  a  Ge- 
rusalemme, i8,  4'  fi  seg. 

Guglielmo,  vescovo  d'Oiangc,  in  mostra  co'suoi,  i  ,  38  e  seg. 

—  Chiude  una  solejinc  processione,  1 1  ,  5.  —  Celebra  la  santa 
messa,  1 1  ,  14  e  seg. 

Guglielmo  JHonrig/ione ,  Avventuriere,  ed  uno  degli  eletti  a  se- 
guire Armida,  5,  75. 

GriBO  .  Ve  n'ha  due  di  questo  nome,  entrambi  fra  gli  Avventu- 
rieri ,  I  ,  fi6.  —  Si  ofirono  a  con.'battere  contro  Argante  ,  7,  66. 

—  L'uno  di  essi  è  ferito  da  Ai  gante,  7,  107  e  108  .  L'altro  è 
ucciso  da  Altamoro,  20,  40. 

I 

Idraorte,  indiano,  nel  coipo  scelto  della  milizia  reale  del  calillb 
d'Egitto,  17,  3o. 

Idbaote  ,  mago,  re  di  Damasco,  invia  Armida  sua  nipote  al  cam- 
po cristiano  (  V.  Aemida),  4  >  20  e  seg.  —  Ottiene  da  Armida 
di  mandare  incatenati  i  di  lei  seguaci  cristiani  al  re  d'Egitto, 
IO  ,  70  e  seg.  —  Assolda  in  Soiia  uno  stuolo  di  guerrieri  ausi- 
liarj  d'Armida,  17,  35. 

Immagine  di  Ao.yfni  Si^noìa  tolta  a'  Cristiani  da'Pagani,  ed  a 
questi  ritolta  da'Cristiani  ,2,5,  e  seg  —  Venerata  dalla  ma- 
dre di  Clorinda,  12,  23. 

I^DlA^'l  nell'esercito  egizio,  17,  58  e  seg. —  Alcuni  di  essi  con- 
giurano contro  la  vita  di  Goffredo;  p  .  Oemo^do  .  —  Loro  su- 
premo comandante;  p\  Emirkno. —  Fuga  della  reale  milizia 
(  ch'era  composta  d'Indiani),  20,  log. 

Inglesi  ;  loro  truppe,  condottieri,  navi,  i  ,  4^  5  '  j  79j  7>  67;  8, 
3.  —  F.  Guglielmo,  principe  inglese. 

Ikcano  ,  persiano,  in  mosti  a,  17,  25.  —  E  ucciso  da  Gildippe, 
ao,  32. 

Irlandesi  ;  loro  truppe  e  condottieri ,  i ,  44i  7»  67. 

IsMENO,  g^ik  cristiano,  ora  pagano  e  mago,  persuiule  Aladino  a  far 
rapire  a' Cristiani  l'immagine  della  B.  V. ,  2  ,  1  e  seg.  —  Tenta 
invano  di  scoprire  che  cosa  sia  riuscito  della  dttt.i  immagine, 
2,  10.  —  Apparisce  a  Solimano  fuggitivo,  lo  conluita,  sii  pro- 
fetizza la  sorte  de'suoi  successori,  e  lo  conduce  invisibile  in 
mezzo  al  Consiglio  d' Aladino,  io,  7  e  seg.  —  Compime  certi 
fuochi  per  incendiarla  macchina  da  guerra  de' Cristiani,  12, 
17.  —  S'accompagna  con  Clorinda  ed  Argante  nella  spedizione 
notturna  diretta  ad  incendiar  la  delta  macchina,  12,  ^2  e  seg. 

—  Incanta  il  bosco,  onde  i  Cristiani  hanno  bisogno  di  trarre  il 
legname  per  le  lor  macchine  da  guerra,  i3,  i  e  seg.  —  Rincora 
Aladiuo  colle  sue  predizioni,  i3  ,  i3  e  seg.  —  Inventa  nuove 


334  INDICE 

inistuie  incendiarie,   i8,  4?  ^  ^^%-  —  Rimane  ueeiso  insieme 

con  due  maghe  ,  18  ,  87  e  seg. 
Isola  ineantatn  d'  Armida ,  14,  69  e  seg.;  i5  ,  37  e  seg. 
Isola  di  Francia;  sue  truppe  e  duci,    i  ,  87.  —  Morto  Clotareo 

loro  capitano,  alcuni   di  questi  guerrieri,  in  occasione  della 

siccità,  abbandonano  il  campo,  i3,  Og. 


Latini  (  cioè  Italiani  ),  8  ,  3  ed  altrove 

Latuno ,  romano,  ucciso  con  cinque  suoi  figliuoli  di  Solimano,  9, 

27  e  s«g 
Lai-rente,  figliuolo  di  Latino.  ^'.  Latino  . 
Leopoldo,  guerriero  feroce  e  gagliardissimo,  ucciso  da  Raimondo 

in  sua  gioventìi ,  7  ,  64. 
Lesbiko  ,  paggio  di  Solimano  ,  ucciso  da  Àrgillano  ,9,81  e  seg. 
Libano,  monte  nella  Palestina,  i  ,  14 
Libia;  suoi  re  uccisi  da  Rinaldo,  20  ,  56. 
LiGCHi  ;  loro  navi  nella  flotta  cristiana,  i ,  79;  5,  85. 
LiNCASTRO ,  granducato  in  Inghilterra,  1 ,  55. 
Lombardi  ;  tre  fratelli .  A'.  Achille  ,  Palamede  ,  Sforza  . 

I^OTTEBI^■GHI  ,  20  ,   IO. 

M 

MA.CCHINE  da  guerra  de'  Cristiani  ,3,71    e  7  j  ;  8  ,  85  ;  11  ,  1  ;  1 2 , 

I  e  5;  i3 ,  1  ;  18,  42  e  seg. 
Macchine  da  guerra  degli  assediati ,  1 1  ,  27  ;  18,  47  e  seg. 
Maga.  V.  Armida  . 

Maghe  ,  uccise  insieme  con  Ismeno,  18,  87. 
Magi  pagani .  V.  Idraote  ,  Ismeno  . 
Mago  fatto  cristiano.  V.  Eremita. 
Marlabi'sto,  detto  1'  Arabico  ,  in  mostra,  17,  3o. 
Matilda,  educatrice  di  Rinaldo,  i  ,  Sg. 
Meemetto,  guerriero  saraceno,  ucciso  da  Dudone,  3,  44- 
Meroe  ,  penisola  in  Etiopia  ,17,  24. 
Michele  (San).  F.  Angeli. 
Milano  ;  sua  insegna  ,  i  ,  55.  V.  Ottone  . 
Mori;  loro  truppe  nell'esercito  egiziano,  20  ,  53, 
MuLEASSE,  arabo,  ucciso  da  x\rgillano,  9,  79. 
Mdleasse,  indiano  ,  condottieie  della  fanteria  egizia  ,  20,  2a. 

N 

Nave /I-rM/e.  ^.  Fortuna. 

Neghi  ,  della  sinistra  sponda  dell'Eritrèo,  17  ,  aS.  —  Loro  re  uc- 
cisi, e  loro  truppe  sconfitte,  20,  56. 

Ni  ce  A,  in  Ritinia,  i  ,  6  ;  2,  92  ;  6,  io;  9,  3. 

NiCENo  .  E  cosi  chiamato  Solimano,  io,  i5.  —  ^.  Solimano, 

NoRMANDo  .  E  cosi  chiamato  Roberto  principe  di  Normandia,  ii  ; 
81.  y.  RoBFRTO,  principe  di  Normandia. 


DELLE  MATERIE  355 


O 

0»izo,  toscana  ,  uno  desjli  Avvcnturiei"'  •  i  .  5). 

Odbmabo  ,  indiano,  nel  corpo  scelto  <1rlle  gnaidio  icali  del  calilVo 
d'Egitto,  17  ,  3o. 

Odoaedo,  marito  di  Gildippc  V.  Gild'Ppi;. 

Olandesi  ;  loro  truppe  nell' esercito  cristiano,    i  ,  \'^ Loro  na- 

vi  ,  I  ,  79. 

Olderico,  uno  degli  Avventurieri,  eletto  a  secjuire  Armida, 
5,75. 

Oliferno,  bavaro  ,  ucciso  da  Drnsrutte,  9,  ^o. 

Olindo.  7''.  Sofronia  . 

Oliveto,  monte  presso  Gerusalemme,  11  ,  io. 

Gradino,  famoso  sagittario;  in<iannato  da  Belzebù  ,  soccorre  Ar- 
gante ferendo  Raimondo  ,  7  ,  100  e  seg. 

OncANo ;  si  oppone  in  Consiglio  a'progetti  d'Argante,  10,  .^9  e 
seg. 

Orindo,  indiano,  nel  corpo  tcelto  della  regia  milizia  del  califfo 
d'Egitto  ,  17  ,  3i. 

Ormanno;  ucciso  da  Argante,  7  ,  107  e  108. 

Ormondo  ,  indiano  ,  nel  corpo  scelto  della  regia  milizia  del  califfo 
d'Egitto,  n  ,  3o.  —  Si  fa  capn  d'una  congiura  controia  vita 
di  Goffredo,  ig,  62  e  seg.  —  È  ucciso  con  tutti  i  suoi  da  Gof- 
fredo, 20,  44  '^  seff. 

Ormus,  isola  nel  golfo  Persico  .  V.  Trcano. 

Ormusse  ,  duce  degli  Arabi  predatori;  introduce  in  Gerusalemme 
vettovaglie  e  milizie,  io,  lìS. 

OsMiDA,  palestino,  ferito  da  Guelfo,  9,  75. 

OsMiDA,  duce  de'Negri  nell'esercito  esizio;  17,  l'i. 

Ottone,  signor  di  Milano,  uno  degli  Avventnrieri ,  in  mostra  ,  1, 
55.  —  Si  batte,  in  vece  di  Tancredi,  con  Arcante  ,  che  il  fa 
prigione  ,  6  ,  28  e  seg.  —  Argante ,  nel  secondo  duello  ,  se  lo  f* 
condurre  innanzi  quale  ostaggio,  7  ,  56. 


Palagio   ìnmntaio  d' Armidn ,  i5,66;   ifi,    i    e  seg. —  F.  Tson, 

INCANTATA . 

Palamede  .  lombardo  ,  uno  degli  Avventurieri ,  i  ,  55.  —  E  ucciso 

da  Clorinda,  1 1 ,  45. 
Pastore  ,  presso  cui  si  rifugge  Erminia  ,7,66  seg. 
Pembrozia,  in  Inchilterra.  V.  Artemidoro. 
Persiani  ;    contendono  a'  Cristiani  la  presa   d'  Antiochia,   1.   R. 

—  S'oppongono  loro  ad  altre  conquiste,  1,42;  9  >  '8.  —  Loro 
re  e  truppe  ,  20 ,  23. 

Pico,  figliuolo  di  Latino,  V.  Latino. 

Pietro  eremita  ;    il    primo  che  consigliasse    d'  intraprendere  ta 
Crociata  ,  propone  l'elezione  d'-.in   duce  supremo,  i  .  29  e  seg. 

—  Udito  il  racconto  fatto  da  Gnelielnio  delle  vicende  incon- 
trate a'campioni  che   seguirono    AnTiid.n,  svela  che  Rinaldo  è 

G,  LlB.  T.  111.  23 


■536  INDICE 

ancor  vivo,  e  predice  le  gesta  di  lui  e  de  suoi  disceudcnti,  io, 
^3  e  sefj.  —  Esorta  GefTrcdo  a  solenni  atti  di  religione  avanti 
d'assalire  Gerusalemme,  ii  ,  i  e  seg.  —  Rimprovera  amorevol- 
mente Tancredi  costernato  per  la  morte  di  Clorinda  ,  i2,  85  o 
seg.  —  Distoglie  Goffredo  dal  tentare  egli  stesso  l'impresa  del 
bosco  incantato  ,  e  gli  presagisce  la  presa  di  Gerusalemme,  i3 , 
5o  e  seg.  —  Indirizza  Carlo  ed  Ubaldo,  deputati  a  ricijiamare 
Rinaldo,  ad  un  eremita  suo  amico,  i4,  39  e  seg.  —  Accoglie 
R.iialdo,  lo  confessa,  e  lo  invia  con  savj  ammonimenti  all'im- 
presa del  bosco  incantalo,  i8,  6  e  seg.  —  E  il  primo  ad  an- 
nunziare che  è  vinto  l'incanto  del  bosco,  i8,  3g. 

Pjkd  bo,  araldo  di  Aiadino  ,6,  5o. 

Pioggia  ristotatrice  del  campo  cristiano,  i3  ,  6\  e  seg. 

PiBGA,  indiano  nel  corpo  scelto  della  milizia  reale_  del  califfo  di 
Egitto  ,  17  ,  3  i. 

Pirro;  fece  ciVsuoi  inganni  cadere  Antiochia  in  potere  di  Boe- 
mondo,  7,  67. —  S'offre  a  far  duello  con  Argante,  ifi .  —  E 
ucciso  da  Clorinda  ,  7  ,  i  ig. 

Plutone  ,  chiama  a  consiglio  i  suoi  demonj ,  e  gli  eccita  a  fune- 
stare il  campo  cristiano,  ^,  i  e  seg. 

PoLiFERNo,  figliuolo  d'Ardelio,  insegue  Erminia  creduta  Clorin- 
da ,  6,  108.  f^.  Abdelio  e  Alcandro. 

Procella  suscitata  dai  Demonj  a  danno  de'  Cristiani,  7  ,  1 14  ,  e 
seg. 

Processione  religiosa  de'Cristiani  avanti  di  dare  il  primo  assalto, 
1 1 ,  4  e  seg. 


Raibiondo  ,  conte  di  Tolosa,  in  mostra  co' suoi,  i,  61.  —  Suoi 
possedimenti ,  sue  virtù  ,  sue  prodezze  ;  ii'i ,-  3 ,  Sg  e  60  ;  5  ,  Sg; 
7 ,  64  e  65.  —  Loda  la  severità  di  Goffredo  contro  Rinaldo  tic- 
cisore  di  Gernando,  5 ,  3g  —  Assistito  dal  suo  angelo  custode, 
entra  in  duello  con  Argante,  7  ,  61  e  seg.  —  Ferito  a  tradi- 
mento dal  sagittario  Gradino ,  rinfaccia  ad  Argante  la  viola- 
zione de'patti ,  7,  102  e  seg. —  Cerca  didissuader  Goffredo  dal 
dare  in  persona  la  scalata  a  Gevusalemme,  11,21  e  seg.  —  Nel 
pii/ijo  assalto  contro  Gerusalemme  è  colpito  da  un  sasso  ,11, 
5g  —  Consiglia  Goffredo  a  mandare  una  spia  nel  campo  d'  E- 
gitto,  18  ,  56  e  seg.  —  Suoi  luminosi  servigj  nell'ultimo  assal- 
to, 18,  63  e  seg  —  Entra  in  Gerusalemme,  i8,  io3  e  seg.  —  E 
atterralo  da  Solimano  ,  ig  ,  43.  —  Consiglia  Goffredo  di  quan- 
to s'abbia  a  fare  per  isventare  gl'insidiosi  progetti  del  nimico, 
ig,  127  e  seg.  —  E  posto  da  Goffredo  a  guardia  della  torre  oc- 
cupata da  Aladino  e  Solimano,  30,  6. —  Si  batte  di  nuovo  con 
Solimano,  e  ne  è  di  nuovo  atterrato,  20  ,  7g  e  80.  —  Protetto 
dallo  scudo  di  Tancredi,  si  vendica  de'  Pagani ,  ed  uccide  Ala- 
dino, 20,  86  e  seg. —  Presa  la  torre  di  David,  vi  pianta  il 
vessillo  della  Croce,  ao  ,  gì. 

Ramraluo  ,  guascone  ,  uno  degli  Avventurieri,  in  mostra,  1,54. 
• —  E  eletto  fra  i  campioni  destinati  a  seguire  Armida,  5,75 


DELLE  MATERIE  337 

—  Rinnega  la  fede,  per  amore  di  Annida,  ivi  ,07,  33.  —  Con- 
tende con  Eustazlo ,  venuto  a  raggiiin!;ere  Annida,  benché, 
non  eletto  a  tale  spedizione,  5  ,  81  e  seg.  —  Minaccia  Tancre- 
di arrivato  davanti  al  castello  d'Armida,  e  s'azzuffa  con  esso, 
7,3-2  6  seg. 

PiAPOLDo  ,  già  corsale,  nel  corpo  scelto  della  regia  milizia  del  ca- 
liffo d'Egitto,  17,  3o. 

Re  di  Boecan  ,  i  7  ,  9..5. 

Re  d' Egitto  .  V.  Egitto 

Re  d'  Ormus,  17  ,  25. 

Re  di  Siirmacnnte  ,17,  27. 

Re  di  Tripoli  di  Barberia ,  17,  u). 

Re  di  Tripoli  di  Soria  .  y.  Tripoli  . 

Re  di  Zumara ,   17  ,  19. 

PiiDOLFO  ,  uno  degli  Avventurieri,  t,  .')6.  È  eletto  a  seguire  Ar- 
mida ,  5,  75. 

Ridolfo,  irlandese,  s'offre  a  'duellar  con  Argante  ,  17,  67,  —  E 
ncciso  da  Argante ,  7  ,  119. 

IiiMEDOKE  ,  indiano,  nel  corpo  scelto  della  regia  milizia  del  calif- 
fo d'Egitto;  17  ,  33.  —  E  ucciso  da  Goffredo,  20,  137. 

Rinaldo;  sua  indole  ,  1  ,  10.  —  Suoi  genitori  e  antenati ,  sua  pa- 
tria, suoi  piegi ,  I,  5J)  eseg.  ;  3,  37;  :">,  8;  8,  7;  io,  75.  E 
presagito  che  la  sua  casa  s'imparenterà  con  quella  di  Goffredo; 
14  ,  19.  —  Sua  insegna,  3,  37  ;  8  ,  49;  '^o  ,  1 13.  —  Uno  de' pri- 
mi fra  gli  Avventurieri ,  in  mostra,  1  ,  58.  —  Sue  prime  gesta 
sotto  Gerusalemme,  3  ,  37  ,  4i  e  seg.  - —  Sgrida  i  suoi ,  e  muove 
all'assalto  di  Gerusalemme  per  vendicar  la  morte  di  Dudone , 
3  ,  5o  — 'E  riputato  eguale  per  valore  a  Goffredo,  3  ,  Sg.  — Ri- 
sponde ad  Eiistazio  che  pe'suoi  fini  segreti  gli  offre  di  farlo  e- 
leggere  duce  degli  Avventurieri,  5,  12. —  Uccide  Gernando 
suo  detrattore,  5,  26  e  seg.  —  L'aver  ucciso  Gcrnando  è  ca- 
gione che  ad  istanza  degli  amici  abbandoni  il  Campo,  e  si  riti- 
ri  appresso  di  Bocmondo ,  5 ,  33  e  seg.  —  La  sua  supposta  mor- 
te, attribuita  a  GotTredo,  fa  nascere  una  sedizione  nel  campo, 
8  ,  46  e  seg.  —  S'abbatte  ne' suoi  compagni  prigionieri  d'Armi- 
da,  e  li  libera;  io,  71  e  seg.  —  Si  scopre  la  falsità  della  sua 
morte,  io,  72  e  seg. —  Storia  di  quanto  gli  successe  dopo  par- 
tito dal  campo,  io,  71  e  72;  i4,5i  e  .seg.  —  E  fatto  prigio- 
niero d' Armida ^  invaghitasi  di  lui,  14  ,  37  e  seg.  —  Il  suo  ri- 
chiamo è  intimalo  a  Goffredo  per  mezzo  d'un  sogno,  i4,  2  e 
seg.  — Vita  effeminata  ch'egli  mena  nel  giardino  d'Annida, 
16,  17  e  seg.  —  Ravvedutosi  per  opera  di  Carlo  ed  Ubaldo,  ab- 
bandona la  maga,  16,  27  e  seg.  —  Raccolto  dal  vecchio  eremi- 
ta, mira  in  uno  scudo  le  gesta  de' suoi  antenati ,  e  s'accende  di 
virtuosa  emulazione,  17  ,  57  e  seg..  —  Riceve  da  Carlo  la  spada 
destinata  a  vendicare  la  morte  di  Sveno ,  1 7 ,  83  e  seg.  —  Gli 
vien  predetta  dall'eremita  la  gloria  de'suoi  nipoti,  17 ,  89  e  seg. 

—  Arriva  al  campo  cristiano  ,  si  nmilia  a  Goffredo;  si  confes- 
sa a  Pietro  eremita,  accetta  e  compie  l'impresa  del  bosco  in- 
cantato, 18,  1  fino  a  40.  —  Stimola  i  suoi  compagni  all'assalto 
di  Gerusalemme,  e  sale  il  primo  le  mura,  18,  72  e  seg.  —  Soc- 


338  INDICE 

coire  Eustaaio  che  gli  vien  secondo  all'assaU»,  18  79.  —  Sali- 
to su  le  mura,  uccide  i  Sirj  ,  ec. ,  18,  97  e  seg.  —  Scorre  per  la 
città  facendo  strage  de' nemici,  e  atterra  le  porte  del  Tempio, 

19,  3i  e  seg.  —  JNell'ultimo  fitto  d'arme  è  eletto  a  duce  degli 
Avventurieri,  20,  10. —  Uccide  Assimiro,  e  la  strage  d'altri  e- 
gregi  guerrieri,  20,  53  e  seg.  —  Uccide  o  abbatte  i  difensori 
d'Annida,  e  non  si  cura  di  lei,  benché  lo  faccia  segno  a'suot 
dardi,  20,  61  e  seg.  —  Insieme  con  Goffredo  distrugge  i  Per- 
siani che  difendono  il  carro  d'Armida,  10,  70. —  Uccide  A- 
drasto ,  20,  loi  e  seg.  —  Uccide  Solimano,  -20,  107.  —  Uccide 
Tisaferno,  20  ,  1 13  e  seg.  —  Segue  Armida  fuggita  dal  campo, 
le  impedisce  d'uccidersi,  e  si  riconcilia  con  essa,  20,  127» 
seg. 

Roberto,  fiammingo,  in  mostra  co' suoi ,  1  ,  ^3  e  44- —  ^^^  primo 
assalto  è  ferito  da  Clorinda  ,11,  4^-  —  ^^^  secondo  assalto  è 
deputato  a  difendere  le  spalle  degli  assalitori  ,  18  ,  65  e  seg.  — 
Nell'ultimo  fatto  d'arme  comanda   l'ala  sinistra  dell'esercita, 

20,  9.  —  Sua  fine,  20,  71. 

Roberto  ,  normando,  in  mostra  co'suoi,  i  ,  38.  —  Nel  primo  as- 
salto è  atterrato  da  Solimano,  1 1  ,  81.  —  Nel  secondo  assalto  è 
deputato  a  difendere  le  spaile  degli  assalitori,  18,  65  e  seg.  — 
Nell'ultimo  fatto  d'arme  comanda  l'ala  sinistra  dell'esercito  ^ 
20,  9.  —  Combatte  (se  pur  non  è  il  Roherto  Jìainmingo  )  insie- 
me con  Goflredo,  e  1'  uguaglia  in  yalore  ,  20,  49-  —  Sua  fine  , 
20 ,  71. 

Romani;  loro  milizie  sotto  Gerusalemme,  i  ,  64. 

RosMONDO,  inglese  ,  uno  degli  Avyeutuiieri ,  1  ,.55.  —  Si  offre  a 
<luellar  con  Argante,  7,  67.  —  E  ucciso  da  z\itamoro,  20,  ^o. 

Rossano,  turco  nelle  truppe  di  Solimano;  Goifrcdo  gli  tronca  am- 
bedue le  braccia  ,  9  ,  90. 

RosTENO ,  turco  nelle  truppe  di  Solimano,  è  ferito  da  Goffredo, 

9  >  9"-      . 
RuGGiEBO  di   Balnavilla,  uno  degli  Avrenturieri ,  in  mostra,  i  , 
54.  —  Si  offre  a  duellar  con   Argante,  7  ,  66.  —  Resiste  ad  Ar- 
gante, ma  infine  è  da  lui  atterrato,  7,  107  «  108.  —  E  uccisa 
da  Tisaferno  ,  20  ,  i  la. 


Sacìno,  uno  de' cinque  figliuoli  di  Latino.  ^.  Latino  . 

Saladino,  arabo,  è  ucciso  da  Argillano,  9,  79. 

Saladino,  pronipote  di  Solimano;  la  sua  gloria  è  profetizzata  dal 

mago  Ismeno,  10,  22  e  23. 
Sarmacante  .  ^'.  Re  di  Sarmacante . 
Scozia.  V.  Eberardo  di  Sroziii. 

Scudo,  sotto  del  (piale  un  angelo  ripara  Raimondo,  7,  82  e  seg. 
Scudo,  in  cui  Rinaldo  mira  la  sua  effeminatezza,  16,  3o. 
Scudo  ,  ove  sono  effigiate  le  gesta  degli  antenati  di  Rinald®  ,  17, 

57  e  seg. 
Seguaci  d' Armida  V.  Campioni  d'  Armida . 
Seir,  monte  presso  Tripoli  di  Pidcstina,  1  ,  77- 


DELLE  MATERIE  339 

SfcLiNO  ,  turco  ,  soldato  di  Solimano,  è  ucciso  da  Goffredo,  y ,  t)0. 

Selva,  vicina  a  Gcrusaleniino  ,  la  quale  fornisce  di  let;narne  da  co- 
struzione i  Cristiani,  3 ,  ^4  ^  ^c^.  —  Viene  investita  da'demo- 
11) ,  I  3  ,  a  e  seg.  —  1  /| ,  I  /(  ;  —  i  8  ,  i  o  e  sesj;. 

Senapo,  re  cristiano  d'Etiopia,  padre  di  Clorinda,  i3,  iì. 

Sforza  ,  lonjbardo,  uno  degli  Avventurieri,  in  mostra,  i  ,  55. 

Sicilia  ;  sue  navi,  i  ,  'ly. 

SiiACE,  condottile  delle  truppe  dell'Arabia  petrea ,  ncUesercito 
egiziano  ,  17  ,  22. 

SiFANTE  ,  indiano  ,  nel  corpo  scelto  della  regia  milizia  del  califfo 
d'  Egitto  17  ,  3i. 

SiGiERO  ,  scudiero  di  Goffredo,  a  nome  del  suo  signore  ordina  la 
ritirata  a' Cristiani  ^  3,5^.  —  Keca  a  Goffredo  l'armatura  leg- 
giera ,11,  53.  —  E  ucciso  da  Argante  col  colpo  destinato  a 
Goffredo,  1  i  ,  80. 

SiLoÈ,  fiumicello  presso  a  Gerusalemme,  inaridito,  i3  ,  5g. 

Sion,  monte  dentro  a  Gerusalemme;  ma  nel  poema  è  pigliato  in 
vece  della  stessa  Gerusalemme  ,  i  ,  23  ;  9  ,  64  J  '  5  ,  i  ;  18,  q3. 

Sofia,  madre  di  Rinaldo,  i ,  Sg. 

Sofronia,  vergine  cristiana,  s'accusa  ad  Aladino  d'aver  involala 
l'immagine  della  B.  V.;  —  è  condannala  al  fuoco;  —  Olindo, 
suo  occulto  amante  ,  per  salvarla,  dichiara  se  essere  il  reo; — ■ 
sono  condannati  ambedue  ;  —  Clorinda  li  libera; —  divengono 
sposi  ;  —  sono  esiliati  fuor  della  Palestina,  2,  i4  fino  a  54 

Sogno,  inviato  dal  Cielo  ad  Arsele,  servo  di  Clorinda,  12,  3fi  © 
seg.;  —  a  Clorinda  ,  12  ,  40  ;  —  a  Goffredo,  i4  »  2.  —  Tancredi 
vede  in  sogno  Clorinda  ,  la  cjuale  lo  accerta  dell'amor  suo,  12, 
91.  —  Ugone  apj)cire  in  sogno  a  Goffredo  ;  F.  Ugokiì:. 

Soldano  .  y.  Solimano. 

Solimano  ,  già  soldano  di  Nicéa,  poi  condottiero  degli  Arabi  er- 
ranti ,  6  ,  io  ;  9,  3  e  seg.  —  Antico  emulo  d'Argante  ,6,  12. — • 
Sua  insegna  militare  ,  9,25.  Uccide  Sveno,  ausiliario  di  Gof- 
fredo ,  e  distrugge  l'esercito  di  lui  ,8,16.  —  Incitato  da  Alet- 
to, assale  di  notte  i  Cristiani,  sparge  fra  essi  il  terrore  ,  e  uc- 
cide fra  gli  altri  Latino  co'  suoi  cinque  figliuoli ,  9,  8  e  seg. — 
Vendica  la  morte  del  suo  paggio  Lesbino,  uccidendo  Argilla.- 
no  ,  9 ,  85  e  seg.  —  Ferito  e  spossato,  fugge  dal  campo,  9,  97  e 
seg.  —  È  rincorato  dal  mago  Ismeno,  il  quale  gli  predire  la 
gloria  di  Saladino  suo  pronipote,  e  lo  conduce  invisibile  in 
Gerusalemme,  e  nell'aula  del  Consiglio  tenuto  da  Aladino, 
dove  si  scopre  ,  rileva  le  speranze  de'  Pagani ,  ed  è  da  tutti ,  ec- 
cetto Argante,  altamente  onorato,  10,  7  e  seg.  fino  a  56.  —  Nel 
primo  assalto  dato  da' Cristiani  ,  difende  le  mura  di  Gerusa- 
lemme, 1  i  ,  27  e  seg.  —  Insieme  con  Argante  piomba  addo.sso 
agli  assalitori ,  e  ne  fa  terribile  strage,  1 1 ,  62  e  seg.  —  In  oc- 
casione della  sortita  notturna  di  Clorinda  ed  Argante,  rimane 
in  guardia  delle  porte,  12,  16  e  48.  —  Viene  opposto  contra 
Goffredo,  18,  G7.  —  Tenta  di  render  vani  i  colpi  lanciali  da 
una  torre  de'  nemici,  ma  infine  cede  al  vincitore,  18,  90  e  seg. 
—  Fa  rifuggire  Aladino  e  l'avanzo  delle  truppe  nella  torre  di 
David  ,  19 ,  39  e  seg.  —  Esce  fuori  contro  i  Cristiani  ,  e  atterra 


34o  INDICE 

Rairaontlo  19,  4^  e  seg. —  E  costretto  egli  pure  a  ritirarsi,  19, 
48  e  seg.  —  Rincora  i  suoi,  19,  53.  —  Fa  una  novella  sortita, 
empie  il  campo  di  strage  ,  e  abbatte  un'altra  volta  Raimondo  , 
•20,  73  e  seg.  —  Giunge  nel  campo  egiziano,  e  uccide  fra  gli  al- 
tri Gildippe  ed  Odoardo,  20,  91  e  seg.  —  E  ucciso  da  Rinaldo, 
"io  ,  104  e  seg. 

SoRi A  ,  regione  dell' Asia;  sue  truppe  nell'esercito  egiziano,  17, 
35, 

Squadra  immortale,  19,  122  e  sef. — ^E  messa  nell'ala  destra 
dall'esercito  egiziano,  20  ,  23. — ^Nell'ultimo  fatto  d'arme,  si 
dà  alla  fuga  ,  20,  109. 

Stefano,  conte  di  Blesse,  d'Ambuosa  e  di  Turs,  in  mostra  coi 
suoi ,  i  ,  G2.  —  Si  olfre  a  duellar  con  Argante,  7  ,  66.  —  È  uc- 
ciso da  Clorinda  ,11,  43.- 

Sveno  ,  principe  de' Dani;  mentre  veniva  in  soccorso  de' Fedeli  , 
fu  ucciso  e  distrutto  il  suo  esercito  Ja  Solimano;  i ,  68  :  8,  2  e 
eeg.  fino  a  .\ì.  —  f^.  Carlo  . 


Tancredi  ,1,9.  —  In  mostra,  i ,  4^-  —  Come  s'innamorasse  di 
Clorinda  ,  i  ,  46  e  seg.  —  Sue  truppe  in  mostra ,  i  ,  49-  — Muo- 
ve contro  la  schiera  nemica  guidata,  da  Clorinda,  3  ,  16  e  seg. 
■ — E  fortemente  amato  da  Erminia,  3,  18  e  seg.  —  Colpisce 
Clorinda  nella  visiera,  si  clic  le  cade  l'  elmo  di  testa;  la  rico- 
nosce ,  e  le  scopre  l' amor  suo  ,  3 ,  a  i  e  seg.  —  Insegne  un  sol- 
dato che  in  passando  scalfì  l'ignudo  capo  di  Clorinda,  3,  29  e 
seg.  —  Perde  la  traccia  di  lei,  e  torna  in  soccorso  de' suoi,  3, 
36.  —  Insieme  con  Rinaldo  rompe  lo  stuolo  nemico,  3  ,  4''  — 
È  stimato  eguale  in  battaglia  a  Goffredo,  3,  59. —  Parla  in  fa- 
vore di  Rinaldo  reo  dell'uccisione  di  Gernando  ,  5  ,  35  e  36. — 
Induce  Rinaldo  a  partirsi  del  campo,  5 ,  4o  e  seg.  —  Sue  con- 
quiste precedenti ,  e  sua  moderazione  verso  l'usurpatore  di  es- 
se, 5,  47  e  seg.;  8,  64-  —  E  eletto  a  far  duello  con  Argante; 
ma,  veduta  Clorinda,  s'arresta  per  via,  tantoché  Ottone  com- 
batte in  sua  vece,  6  ,  24  e  seg.  —  Accorre  in  ajuto  d'Ottone; 
ferisce  Argante;  è  ferito  da  lui;  la  notte  sospende  il  duello,  6, 
36  e  seg.  —  Ode  lietamente  l'ambasciata  d'Erminia  che  gli  si 
offre  a  medicarlo,  6,  loi.  —  Corre  in  traccia  d  Erminia,  sup- 
ponendo ch'ella  sia  Clorinda,  G,  ii4-  —  Smarritosi ,  pervientr 
al  castello  d'Armida,  si  balte  con  ^Rambaldo  ,  e  riman  prigio- 
niero della  maga  ,7,  22  e  seg.  —  E  liberato  da  Rinaldo  ,  10, 
58  lino  a  71.  —  Nel  primo  assalto,  cedendo  i  Cristiani  dopo 
eh' è  stato  ferito  Golfredo,  egli  reintegra  la  zuffa,  1 1  ,. 67  e  seg. 
—  Combatte  per  la  seconda  volta  con  Clorinda  ,  da  lui  non  co- 
nosciuta; la  ferisce  mortalmente;  nel  darle  battesimo,  la  rico- 
nosce, ce.  ec. ,  la,  5i  e  seg.  ^'.  Clorinda.  —  Si  dispera  per  la 
morte  di  Clorinda,  e  n'è  rimproverato  da  Pietro  l'Eremita  ,  12, 
70  e  seg.  —  Vede  in  sogno  Clorinda,  che  lo  conforta  ;  la  fa 
seppellii  e,  e  va  a  visitare  la  di  lei  toml)a,  12,  91  e  seg.  —  Si 
piglia  l'iucarico  di  liberare  il  bosco  incantato  ;  ma,  illuso  dal- 


DELLE  MATERIE  ?4i 

Taiti  tlisliolicte,  si  litiia  dalT  inij  )esa  ,  i3,  33  fino  a  49.  ■ — 
Propone  a  GcflVrclo  il  !;uo  sciulino  "Vallino  yev  esjldiaicK  j ci 
campo  dell'Egitto,  18,  5^.  —  Nel  serenclo  assallo  tli  Gciusa- 
lenjine  è  opposto  con  Camillo  ad  A)i;antc,  18  ,  C7.  —  Passa  i,cl 
muro  nimico,  e  v'innalza  la  Cicce  ,  18  ,  101.  —  Esce  della  cit» 
tk  con  Argante,  si  batte  con  esso,  e  l'uccide,  19,  a  e  seg.  —  È 
trovato  giacente  da  Erminia  e  Vafrino,  i  quali  lo  pianf:oiìo  poi- 
morto  ;  rinviene ;Eiminia  lo  medica,  19,  io3  e  seg.  —  Ordina 
onorevole  sepolhiia  ad  Arcante,  e  si  la  trasportare  in  Gein.sa- 
lemme,  19,  116  e  seg.  —  Nell'ultimo  fatto  d'arme,  tuttoché 
infeimo,  accorre  in  ajuto  di  Raimondo,  e  lo  protegge  col  suo 
scudo  ,  20  ,  83  e  seg. 

Tatino,  gì  eco,  in  mostra  co  suoi ,  i  ,  5o.  —  Coglie  il  pretesto  di 
una  siccità  per  abbandonare  di  nottetempo  il  campo  cristiano, 
i3,  G8. 

Tedeschi  ;  loro  truppe  in  mostra,  i ,  4l- 

Tempesta      1    ,r  n 

Iemporale  i 

TiGRANE,  indiano,  nel  corpo  scelto  della  regia  milizia  del  califfa 
d'Egitto,  17,  3o. 

Ti  GRANE,  saraceno  di  Gerusalemme,  è  ucciso  da  Dudone,  3,  43- 

TisAFERKO  ,  valorosissin.o  indiano,  nel  còrpo  scelto  della  regia 
milizia  del  califfo  d  Egitto;  suo  vakue,  17,31—  Gai  cecia  con 
Adrasto,  suo  rivale,  per  vendicare  Armida,  17,  .Go;  19,  GS , 
72  e  7.-).  —  Occupa  colle  sue  truppe  l'ala  d<stia  dell'esercito  e- 
giziano ,  20,  23.  — Fa  grande  sliage  de'Cri^tiani,  e  fra  i  più 
illustri  uccide  Gciniero,  Ruggiero  e  Gherardo,  20,  49,  112.— 
Seguala  fuggitiva  Armida,  ma  ii'è  ritenuto  da  Rinaldo,  the 
l'uccide,  20  ,  1 18  e  seg, 

ToRTOsA ,  città  in  Soria  ,1,6. 

Tripoli  di  Barberi  a;  sue  truppe,  17  ,  19. 

Tripoli  di  Soria  ;  suo  re;  coruliiiisione  di  pace  fra  esso  e  Goffre- 
do ,  i  ,  76;  10,  47- 

Tronto,  fiume  della  Marca  d'Amona,  8,  58. 

TcRCHi ,  antichi  sudditi  e  soldati  di  Solimano  ,  unitisi  poi  a  mi- 
litar sotto  le  sue  insegne  insieme  cogli  Arabi  erranti,  1  ^  26,  e 
specialmente  9,  89. 

TcRs,  città  della  Francia  ;  sue  truppe  in  mostra,  1 ,  62. 

U 

Ubaldo  ,  uno  degli  Avventurieri ,  1 ,  5.5.  —  Suoi  pregi ,  ec. ,  14, 
27  e  seg.  —  È  deputato  insieme  con  Carlo  ad  andare  in  traccia 
di  Rinaldo,  i^-i ■  —  V.  Carlo  e  Rinaldo. 

Ugone.  che  fu  fratello  del  re  di  Francia,  i,  37.  —  Apparisce 
in  sogno  a  Goffredo,  e  lo  consiglia  a  richiamar  Rinaldo  ,  14,  5 
e  seg.  —  Pugna  fra  l'esercito  celeste  in  favor  de' Cristiani ,  18  , 

94- 

Urbano  11  ,  papa,  intima  la  Crociata  nel  concilio  di  Chiaramon* 
te.  Il ,  23. 


342  INDICE  DELLE  MATERIE 


Vafrino ,  toscano ,  scudiero  di  Tancredi,  è  mandato  per  ispia  nel 
campo  d'Egitto  ,  i8,  57  e  seg;  —  Osserva  o^ni  cisa  ;  scopre  li- 
na congiura  tramala  contio  la  vita  di  Gotfredo;  riconosciuto 
da  Erminia ,  s'accompagna  con  essa  per  ritornare  al  campo  cri- 
stiano ;  ritrova  Tancredi  giacente  per  terra,  e  lo  raccoglie  ;  fi- 
nalmente, giunto  alla  presenza  di  Goffredo  ,  gli  narra  le  coso 
da  lui  vedute  e  scoperte,  19  ,  56  e  seg.  fino  a  127.  —  f^.  Ermi- 
MA  e  Tancredi  . 

Veneziani  ;  loro  navi ,  i ,  79. 

Vescovi  militanti  nella  Crociata.  V.  Ademaro  e  Guglielmo,  Ve- 
scovo d' Grange . 

ViNciLAo,  uno  degli  Avventurieri;  uomo  già  saggio  e  grave,  ed 
ora,  benché  vecchio,  dominato  dall' amore  j  è  eletto  fra  i  cam- 
pioni d'Armida,  5 ,  73. 


ZopiRo,  persiano,  bcciso  da  Gildippe,  20  ,  53. 
ZuMARA .  V.  Re  di  Zumara  . 


PQ        Tasso,  Torquato 

4.636         Opere 

Al 

1821 

V.26 


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