OPERE
DI
TORQUATO
TASSO
COLLE CONTROVERSIE
SULLA
GERUSALEMME
POSTE IN MIGLIORE ORDINE , RICORRETTR
SULl' edizione FIORENTINA , ED ILLU-
STRATE DAL PROFESSORE GIO. ROSINI .
VOLUME XXVL
PISA
PRESSO NICCOLÒ CAPURRO
MDCCCXXX.
51953Q
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LA
GERUSALEMME
LIBERATA
CON
ILLUSTRAZIONI
TOMO IIL
PISA
PRESSO NICCOLÒ CAPURRO
MDCCC XXX.
LA
GERUSALEMME
LIBERATA
CANTO DECIMOQVINTO
ARGOMENTO
Dal mago instrutti, i duo guerrier sen vanno
Dove il pino fatai gli attende in porto:
Spiegan la vela; e pria dei gran Tiranno
D'Egitto i legni e P apparecchio han scorto.
Poi tale il vento, e tale il nocchier hanno,
Che ben lungo viaggio estiman corto.
All'Isola remota alfine spinti,
Da lor le forze sono e i vezzi vinti.
V7Ìà richiamava il belnascente raggio
All' opre ogni animai che in terra alberga ;
Quando venendo ai duo guerrieri il Saggio ;,
Portò il loglio j e lo scudo , e 1' aurea verga :
Accingetevi , disse , al gran viaggio
Prima che '1 dì, che spunta, ornai più s' erga
Eccovi qui quanto ho promesso, e quanto
Può della maga superar 1' incanto .
II.
Erano essi già sorti , e 1' arme intorno
Alle robuste membra avean già messe ;
Onde per vie che non rischiara il giorno ,
Tosto seguono il vecchio : e son l' istesse
4 LA GEKL'SALIìMME
Vestigia ricalcate or nel ritorno,
Che fnron prima nel venire impresse.
Ma giunti al letto del suo fiume: amici ,
Io V accomiato, ei disse; ite felici,
m.
Gli accoglie il rio nell' alto seno ,• e 1' onda
Soavemente in su gli spinge e porta ,
Come suole innalzar leggiera fronda ,
La qual da violenza in giù fu torta ;
E poi gli espou sovra la molle sponda :
Quinci mirar la già promessa scorta :
Vider picciola nave, e in poppa, quella^
Che guidar gli dovea, fatai donzella.
St. 3. Gli accoglie il rio rielV alto seno , e V ondii ee.
E qui cresce ed appare maggiormente il miracolo. GuASt.
— Vider picciola nave , e in poppa , quella ec.
Fra i moltissimi errori, ne' quali sconciamente inciampò il Si-
gnor di Voltaire nel suo Saggio sulla Poesia Epica di tutte le na-
zioni, stampalo in francese ed in inglese, non dee passarsi sotto
silenzio quello, con cui egli dice che Ubaldo et san Compagnvn.
iont transportcs axix Islcs Canaries dans un pelìt bateaii par une
Vieille ; per meglio confermare questa sua opinione , che X^futaL
donzella ioise una l'errliia, lasciò correre anche nell'inglese Old
woman , che appunto significa vecchia donna. Ecco come gli 01-
tramonlfcni trasformano in bizzarra e mostruosa maniera quelle
cose ch'essi non mai forse intesero. E come mai esser poteva una
veccliia quella donna che dal Poeta vicn detta simile agli angio-
li nel sembiante , e che in tutto il viaggio presentasi a' messaggi
qnal giovine donzella, amabile e leggiadra? Eppure il Signor di
Voltaire pretese già d'essere annoverato tra gli Accademici della
Crusca . Fi-d<tnc ( così contro di lui opportunamente scherza
Francesco Baretti nel suo Discorso su Shakespear), Monsieur l'A-
cademicien de la Crusca! Lìsez, un bon Dictionnoire à la main
les dis-huit vers , par Ics (fuels le Tasse a dccrit cette Femme , et
vous la verrcz tout-à-coup m('tamorplios<'e en une Dcmoiselle pour
le rnoins aussi jolie, et aussi galatnment liahillée, que la Gabriel"
le de vótre Henri ade , personage trbs peu poetique, et par consc-
quent tròs-peu intéressant , pour vous le dire cliemin Jaisant .
Coinment me persuaderez-vous, à propos de cette pretendue WeW-
ìe , que vous fu'ez lu plusieur.t Jais la Jerusalcm delivrée, vous-
qui ne vous étes point aperqu de vótre grosse bd^'ue dans le long
cours de cinqt/ante anndcs hien comptettes ? Peut-on a\'oir l'ej-
Jronterie de louer ou de blamer le Tasse, quand o» ne l' à pas
LIBERATA C. XY.
IV.
Crinita fronte ella dimostra, e ciglia
Cortesi e favorevoli e tranquille :
E nel sembiante agli angioli somiglia ;
Tanta luce ivi par eh' arda e sfavillo .
La sua gonna or azzurra , ed or vermiglia
Diresti ; e si colora in guise mille j
Sì eh' uom sempre diversa a sé la vede ,
Quantunque volte a riguardarla riede
V,
Così piuma talor , che di gentile
Amorosa colomba il collo cinge,
méme assez lu pour pouvoir distinguer s'il est qitestion d'une jeu-
ne ou d'une vieille dans une longue descrìption d' une J emme ?
Anche il Tasso in una delle Lettere inedite dichiara esser que-
sta la Fortuna. M-
St. 4- Crinita fronte.
Di questo s'è ragionato dì sopra .
— e ciglia
Cortesi e favorevoli .
Lieta e prospera fortuna dipinge il Poeta, e perciò segue anco
appresso ;
— E nel sembiante agli angioli somiglia .
Così bella essendo, cotanto risplendente e giovine di viso come
ancora sono figurati gli angeli .
— La sua gonna ora azzurra , ed or vermiglia .
Dinota la varietà ed instabilità , come di sopra , e ciò tocca al-
la fortuna in universale.
St. 5. Cosi piuma talor, che di gentile ec.
Imitò in questa stanza il Poeta nostro Lucrezio leggiadrissima-
mente in que' versi che si trovano al 2 De rerum natura , v. 800 :
« Piuma columharum quo pacto in Sole vidctur ,
« Quoe sita cervices circum collumque coronai :
« Namque alias fit itti darò sit rubra pyropu ,
a Interdum quodam sen-su fit uti vidcatur
<( Inter coeruleum virides miscere smaragdos .
Il quale esempio si usa da' filosofi per dimostrare che non tutto
guel che appare agli occhi, è vero: e da altri per provare che il
colore non è proprio dei corpi (come dissi altrove), ma si genera e
si varia secondo che il lume gli porcote . E di questo credo ragio-
Dasse in suo poema Nerone, uom degno piii del lauro de'Poeti che
di quello degl'Imperatori: couciosiachè questo verso di lui:
« Colla Cjieriacce splendent agitata columbo; ,
»ia recitato e laudato da Seneca suo maestro nelle Ouestioni
6 LA GERUSALEMME
Mai non si scorge a se stessa simile.
Ma in diversi colori al Sol si tinge :
Or d' accesi rubili sembra un monile ;
Or di verdi smeraldi il lume fìnge;
Or insieme gli mesce; e varia e vaga,
In cento modi i riguardanti appaga .
VI.
Entrate, dice, o fortunati, in questa
Nave, ond'io 1' Oceàn secura varco,
Cui destro è ciascun vento , ogni tempesta
Tranquilla , e lieve ogni gravoso incarco .
Per ministra e per duce or mi v' appresta
Il mio signor, del favor suo non parco.
Cosi parlò la donna ; e più vicino
Fece poscia alla sponda il curvo pino .
naturali. E di questo si deve intendere quel frammento di "Vaì"-
lone: Ut nìtet Pa^'onis colliis nihìl extrinseriis sumens , citato da
Nonio Grammatico, fuor dell'opera di lui intitolata Sexagexis .
Gent.
St. 6 Per ministra, per duce or mi v' appresta
Il mio signor.
Cioè Iddio. Questo dunque cosi meraviglioso, ed importante
coi'so, che ci fini;e il Poeta, ben è guidalo dalla Fortuna, ma non
però da essa semplicemente; anzi ( come di qui appare) da lei co-
me da ministra e serva d'Iddio, superiore alla fortuna, al fato,
alla natura, o se qual si voglia altra cagione si trova nelle cose.
Perciò non è meraviglia, se governato da cos'i saggio e potente
hocchiero, fosse oltre l'ordinario così spedito e tranquillo, e se
non potè esser renduta vana l'opra da qual si voglia impedimen-
to . Gdast-
Se Omero avesse avuto a trattare questo luogo, avrebbe fatto
l'he Minerva , cioè la Prudenza . e non la Fortuna fosse stata duce
di quella navicella, e di quei messaggicri , che dovevano rivocare
Rinaldo da vita amorosa e lasciva: siccome fece Leucothoe dare
una fascia ad Ulisse, la quale si cingesse al petto per iscampare
nuotando dagli tempestosi Hutti ì\q\ mare: volendoci accennare
che in questo pelago della ragione ci dovemo munire il petto con.
la Filosofia, siccome l'intese Mass. Tirio. Ma il Tasso prendendo
la Fortuna per l'ajuto d'Iddio, è molto piìi da approvare. Gent.
— Fere poscia alla sponda il run'o pino .
Il pino per essere attissimo a formarne navi , Virgilio alle vol-
te il pose per l'istessa nave per la figura Ipallage, come qui il
Sig. Tasso. Virgilio disse:
« *. . . Diinf utile lignum
a Ndvigiis pinos .
LIBERATA C. XV.
VII.
Come la nobil coppia ha in lui raccolta,
Spinge la ripa , e gli rallenta il morso ;
Ed avendo la vela all' aure sciolta,
Ella siede al governo , e regge il corso .
Gonfio il torrente è sì , eh' a questa volta
I navigli portar ben può sul dorso;
Ma questo è sì leggier, che '1 sosterrebbe
Qual altro rio per novo umor men crebbe .
vili.
Veloce sovra il naturai costume
Spingon la vela in verso il lido i venti :
Biancheggian 1' acque di canute spume ,
E rotte dietro mormorar le senti .
Ecco giungono omai là dove il fiume
Queta in letto maggior 1' onde correnti :
E neir ampie voragini del mare
Disperso, o divien nulla, o nulla appare.
IX.
Appena ha tocco la mirabil nave
Della marina , allor turbata , il lembo ,
Che sparisco!! le nubi , e cessa il grave
E all'Egloga 4 ili<^e il medesimo: e Valerio Fiacco,
« Volai iniTTLissis eai.>a pinus hahenis ,
Cella medesima figura Vir|;ilio pose la trave per l'istessa nave:
« Vfistiirnque Cava trabe currlmas ecjaor .
E Orazio: « Ut trahe Cypria
a Myrtoum pavìdiia nauta secet mare .
E Catullo, descrivendo le lodi del Faselo :
« Neque ullius natantis impetiim trahis
« J\eqiiisse proeterire . Mart.
St. 8. Biancheggian V acque di cnnitte fpume ,
E rotte dietro mormorar le senti.
Energia delle circostanze .
St. 9. /appena ha tocco la m.irahil nave ec.
Con pili copia, più vaghezza e più leggiadria, che in Virgilio,
lib. 5, V. 819:
'<■ Coeruleo , per stimma levis volai cequora curru : »
<i Subsidunt undoe , tum-idumque sub a.re tonanti
« Siernitiir (xquor aquis ,/ugiunt vasto cethere nimbi.
G. Lib. t. ni. a
8 L\ GERUSALEMME
Noto , che minacciava oscuro nembo .
Spiana i monti dell' onde aura soave ,
E solo increspa il bel ceruleo grembo ;
E d' un dolce seren diffuso ride
Il ciel , che sé più chiaro unque non vide ,
— E solo increspa il bel cernito grembo .
Bellissima inelafoia, e che niirabilmcnti! picscJita innaozi agli
occhi quell'effetto dell'onde, che in esse, a tempo sereno, piccio-
lo vento suol fare, crespandole quasi velo.
— E d' un dolce strtn dijj'uso ride
Il ciel , che sé più chiaro unqua non vide.
Lucrezio, nel i , v. 8:
« tihi rident (equora ponti ;
« Pacatnmque nifet diffuso lamine C(vlnm .
II ridere è metafora proporzionevole dal volto dell'uomo, ed è
detta d'ogni cosa che apparisca lieta e giojosa. Orazio:
« Ridet argento doiius .
Dante nel 3o del Paradiso:
« iljiume, e li topazii
<c C li entrano ed escono , e 7 rider dell'erbe.
Il Petrarca :
« Jìidono i prati , e 7 ciel si rasserena .
E del cielo ristesse Dante al 28 del Paradiso:
« sì che 7 ciel ne ride
« Con le bellezze . GwAST.
Eschilo cosi descrisse un cotale riso :
^iòig jv{S>jp , Hjc< Ta)(;^u7rrcpoi ttvoixi
rìorXjHWV Ti -KViyxi TTOvTÌ'jJV T6 km^utÌÌv
A'vhvi^t-'Oi vfXaouCK., ■n-.-vauS^vtp Th^'i^ .
Ove appella riso inanità quello, che il nostro Dante appella
riso dell'universo in quei versi , Paradiso 3^;
« Ciò, eli i' vedeva , mi pareva un riso
« Dell' universo : perchè mia ebrezza
a Entrava per l' udire e per Ixy viso .
Il Tasso poi aggiunse alle parole di Lucrezio, che il cielo non
vide unqua sé più chiaro, secondo il costume de' poeti , i quali
fingono le stelle essere occhi del cielo. Ma Platone nel Timeo di-
ce bene che il cielo è animale perfettissimo, ma che non ha occhi,
né orecchie: perchè non ha fuori di sé che vedere, o che udire:
siccome gli altri animali, a'quali perciò sono dati dalla Natura
cotali istrumenti; i quali sono inilizj , e segni della imperfezione
loro, non potendosi di quegli a verun patto mancarsi , come Ari-
stotile in un luogo scrisse. Quella descrizione poi' della quiete
del mare fatta dal Tasso ne' sci precedenti versi, fu ad un simi-
le proposito esplicata con un verso solo da Pacuvio nella favola
Chryse , dicendo: Intcrea loca flucti flaviscunt , silescunt venti ^
mollilur mare. Gekt.
LIBERATA C. XV.
X.
Trascorse oltre Ascalona , ed a mancina
Andò la navicella in ver ponente ;
E tosto a Gaza si trovò vicina ,
Che fu porto di Gaza anticameiite :
Traslazione da cose animate, che ridendo dimostrano allegrez-
za, in cose inanimate, come appresso Catullo nell Epitalamio di
Peieo e di Tetide:
« Queis permulsa domus jucundo risit odore,.
Sovra il qual luogo reggasi il Morcti .
St. io. Trascorse oltre Ascalonn , ec.
Ascalona è un castello di Palestina secondo Plinio al capo i3 ;
il qual' è picciolo, ma assai copioso di cipolle, conie ben dice
Strabone al 1 6 della Geografia, con queste parole fatte Tolgari :
// contado d' Ascalona è buono per cipolle , ma il castello è pic-
ciolo . Quindi i Latini in genere di cipolle nominarono Ascalonia
(che volgarmente viene detta Scalogna) dalla gran copia di esse
che in detto castello ritrovansi: il che viene confermato da Pli-
nio al 19, al capo 6 con queste parole parlando di detta Scalogna:
Ascalonia ab oppido Jiidece nominata . Appresso Gardara è il
porto di Gaza; la città poi è piìi oltre 7 stadj , che fu rovinata da
Alessandro Magno. V. Strabone al 16, Plinio al 5. Mart.
y^.>C".'o«rt, una delle cinque città de' Filistei sulla sponda del
Mediterraneo . Essa fu conquistata dalla tribh di Giuda dopo la
morte di Giosuè, ed è assai celebre nel vecchio Testamento. Bal-
dovino re di Gerusalemme la prese a'Saraceni nel 1 154 • Ora non
fiche un ammasso di rovine, rifugio di alcune povere famiglie
turche . V. Guglielmo Tirio , e Jacq. de Vitri, Hist. Orien.
Gaza, città della Palestina, della tribù di Giuda, anticamen-
te una delle cinque satrapic de' Filistei. Fu distrutta da Ales-
sandro il Grande. Presso le rovine dell'antica fu poi fabbricata la
nuova Gaza, che chiamasi anche Gazara , Gazrr e Gazeris . ( y .
Baudrured ). Un'altra Gaza fnvvi pure presso l'Egitto, che negli
atti degli Apostoli è chiamata deserta. M.
— die Ju porto di Gaza anticamente .
Passata Ascalona, e correndo per diritto alla riviera del mare,
si trovava il porto di Gaza, come che la città fosse piìi sopra fra
terra quasi un miglio, secondo che recita Strabone nel i5 libro.
La qual città essendo poi stata distrutta da Alessandro, come dice
lo stesso autore, ne crebbe i|uest'altra in riva al mare. Guast.
Questa e le 2 seguenti stanze vengono dal Galileo giudicate
bellissime , specialmente perchè rappresentano in miralnle ma-
niera quello che il Poeta ha preso a dipingere. Una simile rap-
presentazione vedesi nel Furioso e. i5, stan. 16 e i^.
« Lasciando il porto e l'onde piii tranquille
« Con felice aura eh' a la poppa spira,
« Sopra le ricche e popolose ville
« De l'odorifera India il duca gira,
IO LA GERUSALEMME
Ma poi , crescendo dell' altrui mina ,
Città divenne assai grande e possente;
Ed eranvi le piagge allor ripiene
Quasi d' uomini sì , come d' arene .
XI.
Volgendo il guardo a terra i naviganti,
Scorgean di tende numero infinito ;
« Scoprendo a destra ed a sinistra mille
a Isole sparsip; e tanto va , che mira
« la terra di Toininaso, onde il noccliiero
« PJìi A Tramoaìtana poi volge il sentiero,
n Quasi radendo l'aurea Chersonesso
« La bella armata il gran pelago frange ,
« E costeggiando i ricchi liti spesso
« Vede come nel mar biancheggi il Gange,
« E Taprobane vede e Cori appresso,
« E vede il mar che fra i duo liti s' ange.
« Dopo gran via furo a Cochino , e quindi
« Uscirò fuor dai termini de gì Indi .
Non però queste sole ottave, ma tutta la navigazione che vieii
qui dal Tasso descritta , è vaghissima e mirabilmente condotta.
E primieramente ha il Tasso saputo con bell'artitìcio accoppiare
l'antica geografìa con quella de'suoi tempi , aggiungendo alla più
parte de' luoghi quelle circostanze, oud'è ciascuno particolarmen-
te descritto e caratterizzato nelle varie sue vicende e speciali si-
tuazioni . Leggasi Strabene, e vedrassi quanto fosse il nostro Poe-
ta versato nell'antica erudizione . Meravigliosa è inoltre la rapi-
dità, colla quale egli ci trasporta, direni quasi, per questa mede-
sima navigazione con un'infinita varietà d'oggetti, talché sem-
pre più ci va stuzzicando la curiosità, né mai soflre die ci si laf-
freddi la fantasia. Con quanta naturalezza poi non vien egli tes-
sendo il dialogo tra Ubaldo e la fatale Condottiera? Quanto ina-
spettata, nuova e sublime non è mai la predizione della scoperta
d'un nuovo Mondo, onde scossi siamo da quel sommo piacere che
chiamasi di sorpresa? La stessa Vergine, che è posta al governo
del picciol naviglio , e nella quale viene allegoricamente rapjire-
sentata la Virili della Prudenza , è cosi bene dipinta, che non ha
che invidiare ai Greci , e ci addita b<'n tosto , che non poeta sol-
tanto, ma profondo lìlosofo ancora stato era il Tasso. Noi perciò
affine di rendere pili facile l'intelligenza di questa n.ivigazione
abbiamo aggiunto c|ui una brevissima topografia de' principali
luoglii che sono in essa nominati . M.
— Ma por , rrcxcerufii i/r//' n/triii mina ec.
E il rowscio di quel verso d'un Comico greco
citato da Stralione lib. 8; la cui Geografia sopra tutti è da ve-
dere, a chi vuole cpiesta navigazione del Tasso ben intendere .
LIBERATA C. XV. 1 1
Miravan cavalier , miravan fanti
Ire e tornar dalla cittade al lito :
E da cammelli onusti e da elefanti
L' arenoso sentier calpesto e trito :
Poi del porto vedean ne' fondi cavi
Surte, e legate all' ancore, le navi.
XII.
Altre spiegar le vele, e ne vediéno
Altre i remi trattar veloci e snelle;
E da essi e da' rostri il molle seno
Spumar percosso in queste parti e in quelle.
Disse la donna allor : benché ripieno
Il lido e '1 mar sia delle genti felle,
Non ha insieme però le schiere tutte
Il potente tiranno anco ridutte.
XIII.
Sol dal regno d' Egitto e dal contorno
Raccolte ha queste: or le lontane attende;
Che verso 1' oriente e '1 mezzcgioino
Il vasto imperio suo molto si stende;
Sicché sper' io che prima assai ritorno
Fatto avrem noi , che mova egli le tende ;
EgU, o quel che n sua vece esser soprano
Dell' esercito suo de' capitano .
XIV.
Mentre ciò dice, come aquila suole
Tra gli altri augelli trapassar secura,
E sorvolando ir tanto appresso il Sole,
Che nulla vista più la raffigura;
St. «4. Mentre ciò dice , come aquila suole , ec.
Questa comparazione dell'aquila alla nave fu usata eziandio
da Teocrito nell'Hyla, ragionando della nave Argo. Perchè dice:
aV(« Kvxvid voù ■)(ìì \|/aTO (jvvdp0fxa.0u}v vaus,
A'XXà Jfé^ai'^f, /3a3r'ju 3' iìciSpXjXi Yactv ,
fiCnTvi WS, iJ.iya\aiT^a.
Ma qui è pili tosto immagine, che comparazione qual è questa
del Tasso, e quella d' Appoìlonio, Aigoaaut. lib. 2. Grkt.
12 LA GERUSALEMME
Così la nave stia sembra che vole
Tra legno e legno ; e non ha tema^ o cura
Che vi sia chi 1' arresti o chi la segua;
E da lor s' allontana e si dilegua .
XV.
E in un momento incontra Raffia arriva,
Città la qual in Siria appar primiera
A chi d' Egitto move ; indi alla riva
Sterilissima vien di Rinocera .
,St. i5. e in un momento incontra Raffia arrii.'a .
E posta Raffia dopo Gaza la nuova, andando verso Pelusio, e
verso l'Egitto, onde siccome è primiera città della Palestina a
chi parte d'Egitto per andare in quella regione, cosi è ultima a
chi di essa parte per andar verso Egitto, come facevano questi
due cavalieri. Guast.
Raflia è città della Palestina, che viene ora detta Rama da'Giu-
dei , come ne dice Giovanni Bellero ; tra la quale anco si fece la
giornata tra Tolomeo il quarto, e Antioco il grande , come dice
Strabone al i6 libro, e Plinio al capo i3 del libro 5. Mart.
Raffia, città sul Mediterraneo tra Gaza e Rinocera, celebre
per la vittoria che Filopatore re d'Egitto ottenne su di Antioco
il grande, re di Siria, l'anno del mondo 3787. Polibio, lib. 5 ,
mette Raffia per la prima città della Siria venendo, appunto co-
me dice il Tasso , dall' Egitto . M.
— indi alili riva
Sterilissima vien di Rinocera .
Dopo Gaza e Raffia mette Strabone RinocoUira; cosi la doman-
da anco Tolomeo : e rende Strabone la ragion di cosi fatto nome;
dicendo che cosi fu cotal luogo chiamato da quelli che essendo
loro state tagliate le narici ( pc VJS le dicono i Greci ) furono
quivi posti: avvegnaché un certo uomo d'Etiopia, avendo assal-
tato l'Egitto, tutti i malfattori non con morte, ma col troncar lo-
ro le narici era solito di punire, mettendoli poi quivi , acciò per
la bruttezza della faccia non avessero piìi ardire di tornar a ca-
sa . Plinio dimanda questo luogo Rinocolura, né è alcuno o geo-
grafo, o altro scrittore veduto da me che ponga quivi o riva o
tittà con nome di Rinocera. So ben ch'oggidì è (piella detta Fara-
niida . Ma son altri per avventura da me non veduti, che a (pici
niodo l'addimaiulano , onde 1' ha tolto il Tasso. Ben della sterili-
tà del paese, che è dopo Gaza dove pur è la predetta Rinocolura,
parla lo stesso Strabone nel lib. iG. Guast.
Rinorera, trovasi nella storia ora appartenente alia Siria , ora
alla Palestina , e qualche volta all'Egitto, e propriamente signifi-
ca narici tagliate . Uiodoro Siculo racconta che Actisavo re d' E-
tiopia volendo purgare il suo regno dai ladri che lo desolavano,
e uou volendo lulUfiit. farli lUoiiic, no fece prendere (j,ucl maj;-
LIBERATA C. XV. i3
Non lunge un monte poi le si scopriva,
Che sporge sovra 1 mar la chioma aìtefa,
E i pie si lava nell' instabil' onde,
E r ossa eli Pompeo nel grembo asconde.
gioì" numero che gli fu possibile, e fatto loro mozzare il naso , li
rilegò in una spiaggia deserta e sterile, dove essi fabbricarono u-
na città che fu chiamata Rhinocolura , o IMnorem a cagione dei
loro nasi mozzati . Al monte, di cui parla il Poeta, e che racchiu-
de la tomba del busto di Pompeo, par che alluda Lucano, Fars.
8 , V. 797. Sitiis est , qua terra cxtrema refuso jjendet in Oceano.
E questo probabilmente il monte Casio , che sorge vicino al la-
go Sirbunide , e si sporge in mare con una punta chiamata Capo
del Kas . (V. M. d'Anville, Géog. Ancienne). Roberto Stefano però
t- d' opinione , sul testimonio di Capitolino, che non ncH' Egitto,
ma nell'Arabia sia questo monte: Arabia, mons est , cosi egli, ju-
xta , qtiem delubrum est Casii Joi'is , r/tiod Romanorum ambiiio
illustre J'ecit , et Pompeiì tumuhis multis post annis ab Hudria-
no ìnstanratiis , ut Capitolinus ttadit . M.
Ho ferma credenza, che Rinocera sia quel castello , o città del-
ridumea , che da Plinio e da Strabene viene chiamata Rinocoln-
ra, è l'etimologia di detta parola viene narrata da Strabone al i6in
cosi fatto modo: Rinocolura cosi nominata dal naso tagliato dei
<suoi abitatori, perchè nell'Egitto essendo entralo un Capitano de-
gli Etiopi in vece di far morire i malj attori , tagliando loro il
riaso gli mandava quivi ad abitare , acciocché per vergogna, di a-
vere a quel modo guasta la faccia, si guardassero dal malfare per
l' avvenire . Sin qui Strabone. Quando poi il Poeta dice:
— Non lunge un monte ec.
Intende del monte Casio, il quale come dice Strabone, si stende
oltre in mare, ed in cui furono poste le ceneri del Gran Pompeo uc-
ciso a tradimento dagli Egiziani dopo che vinto in Farsaglia s'era
rifuggilo colà: la qual sepoltura fattagli di nascoso da un povero ma
molto amico suo, poeticamente, cioè con molta grazia e leggiadria
è descritta da Lucano nell'ultima parte dell'ottavo libro. Guast.
Pel monte Casio passa chi vuol andare a Dainiata . Li esso è il
tempio di Giove Casio, a differenza di molti altri del medesimo
nome. Che sia vero, che il Poeta intenda del primo dove è Gio-
ve Casio, appare da quello parole:
« E l' ossa di Pompeo nel grembo asconde .
Perchè, come dice Strabone al i6, in detto monte è il corpo
di Pompeo: le parole sono queste: // Casio è un poggio arenoso
Jatto a guisa di promontorio senz' acqua , dove giace il corpo di-
Pompeo Magno , e v' è il tempio di Giove Casio ; quivi appresso
fu scannato il Magno , e dagli Egiz] morto a tradimento: ciò an-
che fu mentovato da Plinio al capo 12 del 5 . Marx.
— E i pie si lava nelle instabil' onde ec.
Instabili si per lo flusso, e reflusso di tutto il mare , come par-
ticolarmente per una cosa notabile , che racconta Straiboite avve-
i4 LA GERUSALEMIME
XVI.
Poi Damiata scopre, e come porte
Al mar tributo di celesti umori
Per sette il Nilo sue famose porte,
E per cento altre ancor foci minori:
nire a quella parte ,di esso, dove è posto il predetto monte Casio,
con simili parole in nostra lingua: Lo stesso ^ stato scritto avve-
rtir neir Egitto intorno al monte Casio, dove la terra alle volte
con un tostano e semplice movimento , o tremore si rivolge, e
prega dall'uri de' lati all'altro , in guisa che la parte di lei ele-
vata spinge oltre il mare , e la parte abbassata il riceve , la qual
poi Cambiata di nuovo all' altro modo, ogni cosa viene a ricevere
la sua forma di prima ; ed alle volte vi rimane alcuna mutazio-
ne, alcune volte no E ciò aflerma anche il predetto Geografo ac-
cadere eziandio fra Tuo e Tolemaide. Guast.
St. i6. Poi Dannata scopre .
Damiata , antica e celebre città dell'Egitto, sopra una delle
boccile orientali del Nilo. 1 Crociati la presero nel l'Jig, fu resa
al Sultano nel 1221. S. Luigi Re di Francia la riprese nel 1249,
ma fu costretto a restituirla per redimere se stesso. Fu poscia di-
strutta; ed una nuova ne venne fabbricata alla distanza d' una
lega dall'antica. M.
— dì celesti umori .
Per sette il Nilo sue famose porte .
Delle sette famose bocche del Nilo ragionano Strabone nel 17
libro, e Pomponio Mela nel 5 cap. del primo.
Celesti , cioè vitali ed accouiodalissimi alla produzione e gene-
razione. Della fecondità dcdl'Egitto nascente dalla virtìi del Ni-
lo , oltre molti altri, cosi ne dice Pomponio Mela: Non pererrat
aiitem (del Nilo ragiona) /rt«i/<7rt cani, sed cestivo sydere cxsun-
dans etiam irrii^at , adco efficacibiis aquis ad gcncrandam , alen-
dumque; ut proeter id i/uod scatet piscibus , (juod hyppopol arnos ,
crocodilosque , vastas b^lluas gignit , glebis etiam infundat ani-
mas ; ex ipsaque hiimo vitalia effingat . Hoc eo manijestnm est,
quod ubi sedavit diluvia, ac se sibi reddidit, per humentes cani'
pos, qiiùedam nondum perfccta animalia , sed twii priinum acci-
pientia spiritum , et ex parte jam /'ormata , ex parte adirne terrea
visun/ur. Guast.
Il Nilo per sboccar nell'Oceano con sette bocche fu detto da 0-
vidio settenfluo al 1 delle Trasformazioni:
« Sic ubi descruit uiadidos scptemjiuus agros
« Nitlis, et antiquo sua /lumina reddidit alveo.
E al 5 , le sette suddette porte accennando disse :
« Oui se genitum septtmplice Nilo .
E al 3 dell'Elegie:
« Il le flucns dives sep/cna per liostia Ailus .
E Claiuliano. I nomi di dette bocche vengono dette da Plinio
al capo 10, lib. 5; Sunt in. honore, et intra dacursus i\ili multa
LIBERATA C. XV. '>
E naviga olire la città ^ dal forte
Greco l'ondata ai Greci abitatori,
Ed oltra Faro , isola già, che kinge
Giacque dal lido , ^1 lido or si congiunge .
oppida, prcecipue c/uoe nomina dedere ostiis, non omnibus xiir. enim
reperiuntur , superqiie cpiatuor, qu(V ipsi falsa ora nppeììant , sed
celeberrimis septem, proximo Alexandrìoe Canopico , deinde Boi'
hitino, Sebennytico , Phantitico , Alendesico, Tanitico , ultimoqus-
Pelusiaco; eli che disse Lucano al 6:
« Qiia dividui pars maxima Nili
« In nuda decurrit Pclusia .
Il Nilo è un fiume, delle cui feconde acque inigato 1' Egitto
frutta assaissimo per portai detta acqua molto fango. E però Pli-
nio Juniore nel Panegirico di Trajano disse: M^iyptus alendis ,
augendisque seminibus ita gloriata est, ut nitiil imbribus coeloquc
deberct : si quidcm proprio semper amne per/usa, nec alio genere
aquarum solita pinguescere , quam. quas ipse devexerat , tantis se-
getibus induebatur , ut cum feracissiniis terris , quasi numquam,
cessura certaret , e va seguendo : e Lycofrone nella Cassandra cosi
parla:
O 6p>5Kf^(7 'tKTOr' H^i-K OlOLTIOlV
©pJ^TWl-CCT tx/5oXoLÌ Glfxq VI XOKlCT^flC)
Xpcrou TT'pacae .
Leggi Solino e Plinio al capo 9 del quinto . Dlodoro al 2 , Ovi-
dio al 2 . Mart.
— E naviga oltre la città , dal forte
Greco fondata ai Greci abitatori .
Alessandria fondata da Alessandro Magno a' Greci , che prima
in certi vicoli quivi abitavano. Strabene nel 17, e Plinio nel 5
al cap. IO.
— Ed oltra il Faro , isola già, che lungc
Giacque dal lido , al lido or si congiunge ,
Isola era il Faro a'tempi d'Omero, o al tempo ch'ei finge che
v' andasse Menelao, cosi dicendo nel 4 tlell' Odissea 354, i" P^^"
sona dello stesso Menelao :
N>)o-o« i'mtTÒi Tiq tqc 7roXuKXu<;c4) ivi ttovtw ,
AiyuTTTov TrpoTrapotSrf (^lapov Ss i xkxXì^gxovciv)
Tocraov a'vfuS^' oaaov n Trcuvvi^ifi'yi yXoi.(f>L'p>j v^vi
H'Vuajv, i) Xiyùi fupoj ì /rinniyiciv Óttic^ìv .
Cioè :
« E poi una certa isola nel molto tempestoso mare
« Innanzi all' Egitto, Faro quella addimandano,
« Tanto discosta quanto in tutto un giorno una concava nave
« Fornisce , alla quale lo stridente vento spira di dietro .
Strabone molto a lungo nel primo libro. Plinio nel 5 al cap.
5i , e nel i3, cap. n . Lutano ad 10, y. Sog;
i6 LA GERUSALEMME
XVII.
Rodi e Greta lontane in\ erso 1 polo
Non scerne , e pur lungo Affrica sen viene ,
Sul mar eulta e ferace , a dentro solo
Fertil di mostri e d' infeconde arene .
La Marmarica rade, e rade il suolo,
« Tunc claustrum palagi coepit Pharon (insula quondam)
n In medio stetit illa mari , sub tempore i>atis
« Pniteos ; at mine Pellceis pro.vima muris .
Faro, anticamente detta Canopus , fu già piccola isola dinanzi
all' imboccatura del Nilo. Tolomeo Filadoìfo re dell'Egitto vi le-
ce innalzare la famosa torre, che serviva di fanale, e di guida ai
naviganti, e che prese il nome dall' istessa isola. Era unita ad A-
lessandria per un ponte o argine, che i Latini chiamavano mole :
ora è interamente congiunta alla Terra ferma. M.
St. l'j. Rodi e Creta lontane inverso 'Ipolo.
Cioè poste più a Tramontana. Gdast.
Rodi e Creta (ora Candia) isole del Mediterraneo. I Messaggi
navigavano costeggiando l'Affrica: essi adunque scernere non po-
tevano queste due isole, perchè giacciono amendue al di sopra
de'gradi 35 di lat., laddove la costa piii meiid. della Marmarica
giunge appena al gr. 33. M.
— Sul mar .
Tanto mediterraneo verso noi , quanto Oceano verso levante,
e mezzodì, come appare dalle tavole di Geografia; ed afferma
Strabene nel -i libro con simili parole: Quella rii'iera maritti-
ma di lei (cioè di-11' Affrica), che ris^iiarda verso noi, in grandis-
sima parte b fertile, particolarmente la Cirenaica, ed i luoglii che
sono Verso Cartagine , fino a Maurusii , ed alle colonne d' Ercole:
mediocremente aticora e coltivata la riviera che è intorno all' O-
Ctcìno, m.a quella eli è fra terra, malamente .
— ....;. eulta, e fcracd .
Non solo eulta, ma ferace. Molto ferace, dice Pomponio Mela:
« Oiumtum incolitur eximie fertilis est.
— ...'(2 a dentro solo
Fertil di mostri , e d' infeconde arene .
Dì ciò favella Strabone nell'istesso luogo; e Pomponio Mela al
3 cap. del primo libro in questo modo : Pleraque ejus incuba , et
aut arenis sterilibus obducta, uut oh situm cfcli , terrarumqne
deserta sunt , aut infcstantur multo, ac malefico genere ani-
mali um.
— Fa Marmarica rade.
La M:(rmarica è detta Barca o«*grd'i , e confina da occidente, co-
Uk; dice Tolomeo, con la regiofi Cirenaica. Guast.
Marmarica , grande regione dell'Affrica, che secondo la Gco-
LM-.ilia di Strabone comprendeva i paesi che erano tra l'Egitto e
la Cirenaica. La sua larghezza doveva essere dal lido della Dar-
Jjcria iiao ai grado ag di lakituil. setlen. M.
LIBERATA C. XV. 17
Dove cinque cittadi ebbe Cirene :
Qui Tolomita, e poi con V onde chete
Sorger si mira il fabuloso Lete .
XVIII.
La maggior Sirte a' naviganti infesta^
Trattasi in alto , inver le piagge lassa:
— e rade il suolo
Ùove cinque cittadi ebbe Cirene .
Dal che ne fu quella regione Cirenaica detta ezianilio Pentapo-
litana . Plinio al cap. 5 del lib. 5. Ghast.
Cirene, o Cirenaica, che da' Greci chiamasi ancora Pentapoli
a cagione delle sue cinque principali città, vastissima regione,
che da Tolomeo vien posta tra il promontorio Cliersonnesus ma-
gna (ora Capo Ramotin al gr. !\o e 45 di long.) ed il golfo della
grande Sirte, gr. 35 circa di long. Le cinque città, delle quali
parla il Poeta , sono : Cirene, Apollonia , Ptolemaide, Arsinoe e
Berenice , ora pressoché interamente distrutta. (V. Martiniére e
Hofman, Lex. univers. )
— Qui Tolomita , e poi con V onde chete ec.
Tolomiia, la stessa che Ptolemaide , detta anticamente Barce,
giusta il sentimento di Strabone e di Stefaoo Geografo, città del-
la Cirenaica ai gr. 38 di long, e 33 e 3o di lat. sett.
— ^ , .■ i . . . il fabuloso Lete.
Fabulosus Hydaspes , disse Orazio, cioè del quale sono finte e
contate molte favole. A Lete dà si fatto aggiunto il Poeta nostro
per gli orti delle Esperidi , che furono finti in questo luogo. Gua.
Lete, fiume della Cirenaica, che secondo Plinio e Tolomeo ba-
gnava le mura di Berenice . Dicesi , che dopo la sua sorgente si
approfonda , e per alcune miglia scorre nascosto sotto terra, fin-
ché sgorga con grande strepito vicino a Berenice. Il che fece cre-
dere agli antichi abitanti, che avesse la sua sorgente nell' Aver-
no . A ciò allude Lucaùo nel 9, v. 355.
« Quam juxta Letìies tacitis proelabitur amnis ,
« Injernis , ut faina , trahens oblivia venis . M.
St. 18. La maggior Sirte a naviganti infesta ,
Trattasi in alto , in ver le piagge lassa .
Due furono le Sirti , una detta Maggiore e l'altra Minore; la
maggior avea di circuito 4o25 passi, come dice Plinio al capo 4
del libro 5 , la minore è di 3ooo: e Strabone al 17 nel fine dando
la causa perché sia difficile navigare verso la maggior Sirte, dice,
che essendo molte volle fangosa nel flusso e nel riflusso del mare,
avviene che la nave inciampi in certi scanni , e vi rimanga; e
poche siano quelle navi, che d'indi n'escano salve; di questo, Si-
lio al 17 :
« Hiirnmonii Garamas , et semper naufraga Syrtis ,
E Battista Mantovano:
Il Fecit arenosa; per vada Sjrtis iter. Maut.
i8 LA GERUSALEMME
E '1 capo di Giudeca indietro resta ,
E la foce di Magra indi trapassa .
Tripoli appar sul lido; e neon tra a questa
Giace Malta fra 1' onde occulta e bassa :
E poi riman con 1' altre Sirti a tergo
Alzerbe, già de' Lotofagi albergo .
Sìrti , ora Secche di B.irberia , sono due pericolosi e famosissi-
mi scogli nel Mediterraneo lungo la costa dell'Affrica. Il loro no-
me deriva dal greco ffupff' trarre, forse perchè traggono in peri-
colo gl'incauti naviganti . Gli antichi ne distinguevano due: la
^r,7/i(^e sulla costa della Cirenaica, la picdola sulla costa della
Bisacena. Pomponio Mela descrive assiù bene amcndue le Sirti.
Dà alla piccola , la quale si apre alla foggia di un golfo , cento
miglia circa d'apertura e trecento di costa, e dà alla grande pres-
soché il doppio in estensione. V. Rob. Steph.
— E 'l capo di Giù deca .
Il Capo di Giudeca, probabilmente il capo che dagli antichi
chiama vasi Cfphalas , e che da Strabene vien posto al principio
della Sirti maggiore , dalla parte occidentale.
— E la foce di Ma^ ra .
Magra, fiume della Barberia nel regno di Tripoli: si getta nel
mare presso la città di Lebeda. Tolomeo lo conobbe sotto il no-
me di Cinvp/iits , ed Eroiloto e Plinio lo cliiamarouo Cinyps .
— Tripoli appar sui li. lo .
Tripoli , città sulla costa della Barberia , capitale della Repub-
blica che ne porta il nome : giace in un terreno arenoso e soven-
te inondato dal mare. Il magnifico suo acquedotto , che si conser-
va presso che intiero, e le grandiose sue rovine fanno sospettare
ch'ella fosse l'antica Orsa o per lo meno una colonia Greca o Ro-
mana . La sua long, è di 3o. 56i' , la lat. 3o. 53'.
— Giace Malta .
Malta, isola del Mediterraneo tra le coste dell'Affrica e la Si-
cilia, dalla quale è distante sole quindici leghe. Tolomeo la met-
te tra le isole dell' Aiì'rica. Cluvier crede ch'essa fia l'antica Ogj-
^in , dove Calipso accolse il naufrago Ulisse.
— Alzerbe , già dt' Lotofagi albergo .
Alzerbc , isola detta Mcnin.r da Plinio, Mirmi.r da Polibio, e
Grrha da Antonino. Tolomeo pone qucsl isola fra le due Sirti al-
l'imboccatura del Cinifo . Strabone però la colloca piìi verisimil-
mente al principio della costa orientale della Sirti minore. Di-
fatti i Geografi moderni la mettono dicontro al Capo di Zerbi ,
dal quale prese il nome di Alzerbc . In quest'isola, e lungo il lido
che corrisponde alla Sirti minore, abitarono già i Lotofagi , cosi
detti dall' albi-ro Lotus , del cui frutto si miti ivano. Era quc'stu
frutto cosi bello e dolce, che faceva, per (juanto si dice, perdere
agii stranieri la brama di ritornare alla lor j)atria, siccome ac-
cadde ai compj|^iii d'Ulisse, i <|uali a\cndonc gustato, aj[ipcna a
LIBERATA C. XV. 19
XIX.
In curvo lido poi Tunisi vede,
G'ha d' ambo i lati del suo golfo un monte;
Tunisi ricca ed onorata sede
A par di quante n' lia Libia più conte.
A lui di costa la Sicilia siede,
Ed il gran Lilibeo gì' innalza a fronte .
Or quinci addita la donzella ai due
Guerrieri il loco ove Cartagin fue .
XX.
Giace r alta Cartago : appena i segni ^
Dell' alte sue ruine il lido serba .
grandissimo stento sortir poterono dall' isola. V. Om. Toloni., e
Rob. Stef.
St. 19. In curvo lido poi Tunisi vede .
Tunisi, città capitale dello Stato o della Repubblica che ne
porta il nome . Essa fu sotto il dominio de' Cartaginesi , quindi
dei Romani , dei Vandali , degli Arabi, e finalmente dei Turchi .
Dinanzi a Tunisi , cui stretta area di assedio, mori S. Luigi Re
di Francia nel 1270. Essa giace a cr. 28. 26' di long, e 36. ^o di
lat. Alla distanza di tre leghe da Tunisi si vedono le ruine di
Cartagine, la rivale di Roma, distrutta da Scipione Emiliano 146
anni prima dell'era volgare. Fu rifabbricata da Giulio Cesare; e
fu di nuovo distrutta sino alle fondamenta dai Saraceni nel 698.
— A lui di rosta . M.
Dante nel Sa del Purgatorio :
u Vidi di Costa lei dritto un gigante .
— la Sicilia, siede .
Strabone nel 17: àvTt'7rop&/uÒ5 S' i'qiv vi EiK^Xtx tcV? to-
TTOt; TOUTO<{ v; XOLTÙ AlXvfixiov . Cioè: «Dirimpetto a questi
luoghi è la Sicilia, che è intorno al Lilibeo ».
— Ed il gran LililtO gì' innalza n fronte .
Lilibeo , promontorio della Sicilia, dicontro all' Affrica, famoso
pe'suoi scogli. Long. 3o, 20'. Lat. 38. 20'.
St. 20. Giace V alta Cartago: appena i segni ec.
Bella imitazione di quel luogo del Sanazzaro de parta Vir-
ginis , lib. 2 :
« f/ua devictw Carthaginis arces
« Procubaere, jucentrjue infausto in littore turres
« Eversce ; quantum ili a metus , quantum illa laborum
«f Urbs dedit insultans Latio et Laurentibus arvisì
(c Nunc passim vis reliquias , vi.r nomitia scrvans
« Obruitur propriis non agnoscenda ruinis .
« Et (fuerimur genus in/'eli.r, liumana labare
« Membra oevo , cum regna palam moriantur et urbes!
20 L\ GERUSALEMME
Moiono le città, moiono i regni:
Copre i fasti e le pompe arena ed erba ;
E 1 uom d' esser mortai par che si sdegni .
Oh nostra mente cupida e superba !
Ed avanti lui disse Dante Paiad. i6 :
« Udir come le schiatte si disfanno ,
« Non ti parrà nova cosa , ne forte:
« Posciaclie le cittadi tennin hanno .
Ma non solamente morire è slato detto delle città , e tiaspo^ ta-
ta questa voce dalle cose che hanno anima , a quelle che ne sono
prive, ma eziandio cadavero che è più, da Servio Sulpizio in
quella bellissima lettera consolatoria che e scrisse a Cicerone in
morte della sua Tullia: Heu nox honiunculi indignamur , si qui»
nostrum interiit , aut occisns est , quorum, vita brti'ior esse debet ,
cum uno loco tot oppidorum cadavera projecta jaceant ? Guast.
Né men leggiadra ed al proposito, di che si ragiona, è quella
sentenza di Velleio Paterculo, lib. primo: Inopem vitam in tugu-
rio ruinarum Carthaginensium tolcravit , cum Marius aspicìens
Carthaginem , illa intiiens Marium alter alteri possent esse sol i-
lio . Il quale non dubito che fosse imitato da Lucano , ove parla,
del medesimo Mario, dicendo:
« Et Poenos pressit cineres : solatia fati
« Carthago Alariusque tulit , pariterque jacentes
« Ignoi'ere Deis .
Ed è da notare che il Tasso , e il Sanazzaro usano il verbo
morire in quel senso, che l' usò Modestino Giurisconsulto, ove
▼olendo dare un esempio di quelle città, che per morte perdono
l'usufrutto lasciato loro, dice : Ut Carthago , quoe aratrum pascci
est. Perciocché non sarebbe stato inteso, che una città, benché
distrutta, fosse morta, se con l'aratro non fosse stata solennemen-
te solcata dal vincitore, secondo l'antico rito de'Romani; in ve-
ce del quale si é usato già ne' tempi degli avi nostri di spargervi
il sale, come fu fatto a Milano. Gent.
— Moiono le città , moibno i regni .
Imitò il Petrarca in questo luogo, che nel Trionfo del Tempo
cos'i scrive:
« Passan vostri trionfi e vostre pompe >
« Passan le signorie , passano i regni:
« Ogni cosa mortai Tempo interrom.pe !
— Oh nostra mente cupiiLi e superba !
Così il Petrarca nel Trionfo della Divinità :
« O mente vaga aljin sempre digiuna ,
« A clic tanti pensieri? un ora sgombra
« Quel eh' in molt' anni a gran pena s' acquista .
E 1 Sanazzaro:
« Ahi ment( cicche e sorde
« De' miseri mortali !
E Lucrezio al 3 de rerum natura:
u O niiscras hominum mentes , o pectora ceeca!
LIBERATA C. XV.
Glungon quinci a Biserla^ e più lontano
Han r isola de' Sardi all' altra mano .
XXI.
Trascorser poi le piagge , ove i Numidi
Menar già vita pastorale erranti;
Trovar Bugia ed Algeri, infami nidi
— Biserta .
Bisertcì , città maiiUima sulla costa del Mediterraneo nello
Stalo di Tunisi . Alcuni ùn.ono d'avviso che Biserta fosse l'antica
Utica . Ma il Signor dt la Martiniére ha dimostrato con evidenti
ragioni, che Utica giaceva iu tutt' altra situazione. Long. 28. io'.
Lat. 37. 20'.
— Han V isola de Sardi .
Isola de' Sardi , ossia Sardegna, nel Mediterraneo tra l'Italia e
l'Affrica, sotto alla Corsica, da cui è divisa per un braccio di
mare da nove a dieci miglia di larghezza . Tolomeo la mette dai
gradi 29 fino a 3o di long., e dai 3o sino ai 39 di lat. Il Sig. Ddi-
sle con più accurate osservazioni la mette tra i gradi 25. ^o' di
long., e tra i 38. 42' 3o" ed i 4' > 1 1' di lat. 1 Mitologi vogliono,
che quest'Isola preso abbia il nome da Sardus , jQglio d'Ercole,
che vi contlusse una colonia gr«ca . M.
St. 21. Trascarstr poi le piagge , ove i Numidi ec.
La Numidia è una parte dell'Affrica tra la regione Cartaginese,
e la Tingitania , qual è ora (secondo vuole il Bcllero) il regno di
Tunisi. Fu detta da vo<- b; che vuol dire /ja.uo/t> , perchè questa
gente da principio molto studio pose alla cosa di detto pascolo,
come pare che tocchi Plinio al capo 3 del 5 con queste parole:
]\umid(v vero I\omades a permutandis pahulis , napalia sua . hoc
est domus plaustris, circumjerentes . Vedi il Sig. Giacomo Mazzo-
ni al lib. 3. Marx.
ì\m7»z(Ìì, popoli dell' Affrica, che giusta il sentimento del Sig.
d' jinville occupavano tutta la regione, che ora forma il regno o
la repubblica d'Algeri . Dai Latini erano detti Aomadcs dal co-
stume che avevano di andare erranti, e sempre cangiando pascoli
e domicilio. La loro vita era perfettamente pastorale j ed è pro-
babile che il loro nome derivi in parte dal greco >■. u- , che si-
gnifica appunto pascere . Da questo paese traevano gli antichi il
uiarmo e le fiere. V. Anville, e Bob. Stef.
— Trovar Bugia ed Algieri , injami nidi.
Bugia , città forte nello Stato d' Algeri sulla costa del Mediter-
raneo a 3o leghe da Algeri .
yilgeri, capitale dello Stato che ne porta il nome, è la più
considerabile città deir Affrica dopo il Cairo. Chiamavasi antica-
mente Cesarea iì\ Mauritania .lA.a un ottimo porto, e sorge sut
pendio di un monte alla fosjgia d'anfiteatro. Long. 21. 20' lai.
J6, 3o'. "^ " M.
:ì2 la GERUSALEMME
Di corsari, ed Oran trovar più innanti:
E costeggiar di Tingitana i lidi,
Nutrice di leoni e d' elefanti ,
Gli' or di Marocco è il regno, e quel di Fessa ;
E varcar la Granata incontro ad essa .
XXII.
Son già là dove il mar fra terra inonda,
Per via eh' esser d' Alcide opra si finse;
E forse è ver , eh' una continua sponda
Fosse, eh' alta mina in due distinse:
— Oran trovar più innanti .
Orano , città forte sul fido della Barberia, appartenente ad Al-
geri . Long. 1 7. 40' , lat. 37. 40'. ^-
— E costeggiar dì Tingitana i lidi .
La Tingitania è provincia di 170 mille passi di lunghezza: tra
l'altre cose, delle quali ella è copiosa, v'è l'elefante e il leone,
coinè ben dice Plinio al cap. 2 1. 5 e Solino al cap. 5o . Marx.
Tingitana , vastissima regione dell'Affrica, che corrisponde a
tutta quella parte della Mauritania, che s'estendeva dal fiume
Malva sino all' Oceano Atlantico . ^ssa prese il nome da Tingis
•uà capitale, che giace sullo stretto Erculeo, e che ora chiamasi
Tanger o Tangari . I Romani traevano specialmente da questa
provincia i leoni, gli elefanti e l'altre fiere pei loro spettacoli .
Nella divisione dell'Impero fu aggregata aila Spagna, e chiamos-
«i Hispania Transfretana , la Spagna al di qua dello stretto . Ora
comprende il regno di Fez, e parte di quello di Marocco . V.
d'Anville.
— Granata .
Grrtna/a, provincia della Spagna. Prende il nome dalla sua
capitale. Si estende dalla nuova Castiglia sino al Mediterraneo, e
forma parte dell'antica Betica. M.
Sx. aa. San giù là , dove il mar fra terra inonda .
Per l'ia di' esser d' Alcide opra sijìnse;
E forse è ver , ec.
Questi versi vengono dichiarati dalle parole di Seneca: Hercu'
les Jurens , Atto 2 , v. 235:
« Penetrare jtissus Solis cestivi plagas ,
« Et adusta medius regna qiioe tnrret dies ,
« Utrinqne montcs s&lvit abrupto ohjice ,
« Et jam menti ferit Oceano viam . Mart.
Fra le gloriose fatiche d'Ercole, le quali con non nion favolo-
.•iO clic famoso grido, l'antirliilà inalzò fino al ciclo, una fu colà
negli ultimi termini della Spagna fra Abila e Calpe, l'apertura
della terra, la quale dicono che essendo racchiusa prima, egli
con l'estrema forza sua dividesse , e desse l'entrata all'Oceano .
LIBERATA G. XV.
PassovvI a forza 1' Oceano, e V onda
Abila quinci , e quindi Galpe spinse :
Spagna e Libia parti'o con foce angusta :
Tanto mutar può lunga età vetusta.
Di che Pomponio Mela nel primo libro al cap. 5 parla in questo
modo : Deinde est mons prtealtus , ei quem ex adverso Hispnnia
nttollit objectus : hunc Abylam,illum Calpen vocant , cohimnas
Herculis utrum</ue . Addii fama nominis fabulam , Herculem i-
psum junctos olini perpetuo )ugo diremisse colles, atque ita exclu-
sitrii antea mole montium Oceanum , ad quce mine inundat ad-
missum . E Plinio nel proemio del 3 lib. in questo modo ; Proxi"
ma autem. J'aucibus , utrinque impositi montes, coercent cìattstru;
Abjla AJ'ricoe , EuropOE Culpe, laborum. Herculis mette. Quam
oh caussam indigenoe colum.nas ejus Dei vocant , credunttfue per
/ossas exclusa antea admisisse maria , et rerum mutasse Ja-
ciem .
Che quel luogo Ercole aprisse, essendo prima racchiuso, ha det-
to che fu finto, accennando la favola , ma che racchiuso si spac-
casse rovinando, dice che per avventura fu vero. Simile dice Vir-
gilio nel libro 3 delF Eneide, v. \\!\: del Faro di Messina j le cui
parole ha eziandio tolte il Tasso :
« Hoec luca, vi quondam, et vasta convulsa mina
« ( Tantum aivi longinqua vnlet m.utare vetustAs)
« Dissiluisse ferunt ; cum. protinus utraque tellus-
« Una foret , venit medio vi pontus , et undis
« Hesperium Siculo latus abscidit : arvaque et urhes
« Litore diductas angusto interluit (estu .
Ma quanto al predetto luogo delie colonne d'Ercole, che essen-
do prima serrato fosse aperto dopoi, ne fa eziandio menzione, ol-
tre i luoghi allegati, Strabone nel primo libro della sua Geografia,
dove adduce il parere di Eratostene e d'altri geografi, apportan-
do intorno a tal materia alcune belle e degne considerazioni , e
sue e d'altri; e fra l'altre come mentre era racchiuso questo luo-
go alle colonne, tutto lo istmo, o spazio di terra, che è fra il
mar d'Egitto ed il mar Rosso, essendo più basso di quello , era
tutto coperto di mare, ove aperto poi il luogo, ed abbassandosi
per lo scorrere fuori dello stretto il mare, si venne ad iscoprire
tale spazio di terra, che dura da mille stadii, cioè da cento ven-
ticinque miglia . GuAST,
— Spagna e Libia partio con foce angusta.
Questa foce si addimandava anticamente Sepia: siccome si può
•vedere nel Codice Tit. De officio PrceJ. Proetorii A/ricce.. Onde
s'è detto poi lo Stretto di Gibilterra . Gent.
— Tanto mutar può lunga età vetusta .
Verso tolto dal 4 dell'Eneide:
« Tantum, oevi longinqua valet mutare vetustas .
Ne'qiiai versi viene mostrata la potenza dei tempo, come anco-
ja in quei di Lucrezio al 5 :
G. LlB. T. III. 3
o4 LA GERUSALEMME
XXIII.
Quattro volte era apparso il Sol nell' orto ,
Da che la nave si spiccò dal lito ;
Ne mai (di' uopo non fu) s' accolse in porto,
E tanto del cammino ha già fornito :
Or entra nello stretto , e passa il coito
Varco , e s' ingolfa in pelago infinito .
Se '1 mar qui è tanto, ove il terreno il serra ,
Che fia colà dov' egli ha in sen la terra ?
XXIV.
Più non si vede omai tra gli alti fluiti
La fertil Gade , e 1' altre due vicine .
Fuggite son le terre e i lidi tutti :
Dell' onda il ciel, del ciel 1' onda è confine.
Diceva Ubaldo allor: tu, che condutti
N' hai, donna, in questo mar che non ha fine,
Di' s' altri mai qui giunse, e se più avante.
Nel mondo che corriamo , have abitante .
" Denique non lapìdes vinci quoque cernix ab txvo
« Non alias arres .
Il che seguendo il Sanazzaro disse:
« C/ie se le sfatile, e i sassi il tempo frange ec. Mart,-
St. 23. Quattro volte era apparso il Sol nell'orto.
A si fatto nocchiero bastava ben tanto spazio, e non piti .
— Se 7 mar qui <> tanto , ove il terreno il serra .
Il qual n'è perciò detto mediterraneo, cioè posto in mezzo del-
la terra :
— Clicjia colà dov' egli ha in sen la terra?
Ciò dice per l'ampiezza dell'Oceano, rispetto a quell'isole che
egli contiene, parendo che '1 maggiore abbracci il minore; non
già che di qui s'abbia necessariamente a conchiudere, com'hanno
fatto alcuni, che il Poeta sia di parere che tutta la terra sia cir-
condata dall'acque; opinione rifiutata e tenuta per falsa da tutti
i migliori matematici; come che sia però libertà de' poeti in que-
sti casi appiccarsi dove par loro . Guast.
St. 1^. La/er/il Gride, e l' altrr due virine .
Gade, Cadice, città dell'Andalusia , fabbricata da una colonia
di Fenicj su di un'amena e fertilissima isoletta. Ha una lingua
di terra, che si estende assai nel mare, sull'estremità della (|tialc
finsero gli antichi che Ercole innalzate avesse le sue famose co-
lonne. Long. 12. Lat. 36, 2,5'. M.
L I B E R A T A e. XV. »5
XXV.
Risponde: Ercole, poi eh' uccisi i mostri
Ebbe di Libia , e del paese Ispano ,
E tutti scorsi e vinti i lidi vostri,
Non osò di tentar 1' alto Oceano:
Segnò le mete, e 'n troppo brevi chiostri
L' ardir ristrinse dell' ingegno umano ;
Ma quei segni sprezzò eh' egli prescrisse ,
Di veder vago e di sapere, Ulisse.
St. 35. Segnò le mete.
Come ha detto Plinio nel proemio del 3 libro , citato di sopra .
E Dante dello stesso parlando , nel 26 dell' Inferno:
« Ov' Ercole segnò li suoi riguardi .
— Ma quei segni sprezzò eh' egli prescrisse ,
Di veder vago e di sapere , Ulisse .
Questa. Storia, o favola della peregrinazione e della morte d'U-
lisse è tolta da Dante nel cap. 26, v. 90 dell'Inferno, come ne so-
no ancora tolti alcuni versi. E dice Dante così:
« . • • Quando
« Mi dipartii da Circe, che sottrasse
« Me pih d' un anno là presso a G»eta ,
« Prima che sì Enea la nominasse :
« Né dolcezza di figlio , né la pietà
« Del vecchio padre , né 7 debito amore ,
« Lo qual dovea Penelope far lieta,
« Vincer poter dentro di me l'ardore ,.
« Ch' i' ebbi a divenir del mondo esperto ,
« E degli vizj umani , e del valore :
« Ma misi me per V alto mare aperto
« Sol Con un legno , e con quella compagna;
« Picciola , dalla qual non fui deserto,
« L' un lito e r altro vidi infin la Spagna ,
« Fin nel Marrocco , e l'isola de' Sardi,
« E l' altre che quel mare intorno bagna .
« lo e i compagni era\'am vecchi e tardi ,
« Quando venimmo a quella foce stretta,
« Oc' Ercole segnò li suoi riguardi ,
« Acciochè r uom pih oltre non si metta:
« Dalla man destra mi lasciai Sibilia
« Dall' altra già m' afea lasciata Setta.
« O frati , dissi , che per cento milia
« Perigli siete giunti all' occidente,
« A questa tanta picriola vig ilia
« De' vostri sensi, eh' è del rimanente,
« Aon vogliate negar l'esperienza,
« Diretro al Sol del mondo senza gente.
26 LA GERUSALEMME
XXVI.
Ei passò le colonne, e per Y aperto
Mare spiegò de' remi il volo audace ;
(e Considerate la v&stra semenza ,
« Fatti nonjoste a viver come bruti
« Ma per seguir virtute e conoscenza .
<t Li miei compagni feci io sì acuti ,
« Con quest' orazion picciola , al camino,
« Ch'appena poscia gli avrei ritenuti .
« E volta nostra poppa nel mattino ,
« De'remijacemrn'alealjolle volo
« Seinpre acquistando del lato mancino .
« Tutte le stelle già dell' altro polo
« Vedea là notte , e 7 nostro tanto basso ,
« Che non surgeva fuor del marin suolo .
« Cinque volte racceso , e tante casso
« Lo lume era di sotto dalla Luna
« Poi eh' entrati eravam nel l' alto passo .
u Quando n apparve una montagna bruna
« Per la distanzia , e parventi alta tanto ,
« Quanto veduta non n aveva alcuna .
« ^oi ci allegrammo , e tosto tornò in pianto-:
« Che dalla nova terra un turbo nacque ,
« E percosse del legno il primo canto .
M Tre volte il fé' girar con tutte l' acque ;
« Alla quarta levar la poppa in suso ,
« E la prora ire in giù, com.' altrui piacque,
« Jnfin chi- 7 mar fu sopra noi richiuso . GbAST.
Oltre a ciò che de' viaggi d'Ulisse e dell' arrivo di lui sino al-
l'estremitìi dell'Oceano racconta Omero nella sua Odissea, Stra-
bone sull'autorità di Possidonio, d' Artemidoro e d' Asclepiade ,
racconta, che Ulisse passò lo stretto , e penetrato nella Lusi-
tania o Portogallo, fabbricò la città d'Ulitsea, o Ulisipoua, o O-
lisipone, come la chiama Plinio (in oggi Lisbona). Ed era fama
ancora, che avendo poscia Ulisse tentato di ripassare lo stretto,
vi rimase affogato. M.
St. 26. Ei passò le colonne , e per V aperto ce.
Al poeta (come ne lasciò scritto Plutarco nel libro che fece di
Omero) essendo variamente di una cosa ragionato, è in potere se-
guire l'opinione che più gli aggrada; e perequivi il Tasso, sa-
pendo che da molti poeti era stata variamente trattata la mòrte
di Ulisse, segui l'opinione che gli piacque. Che della morte di
Ulisse fossero varie le opinioni ne appare: prima Ovidio pensò
che egli morisse per le mani di Telegono suo figlio mentre cac-
ciava detto Telegono: le parole sono neiril)i. v. 56g:
« Ossibus inquit tuis tclis genus hwreat illud,
« Traditur Icarii , quo eecidisse gcner .
LIBERATA C. XV. 27
Ma non giovògli esser nell' onde esperto ,
Perchè inghioltillo l' Ocean vorace ;
E giacque col suo corpo anco coperto
Il suo gran caso , eh' or tra voi si tace.
S' altri vi fu da' venti a forza spinto,
0 non tornonne , o vi rimase estinto :
xxvii.
Sì che ignoto è '1 gran mar che solchi j ignote
Isole mille e mille regni asconde :
Né già d' ahitator le terre han vote;
Ma son come le vostre, anco feconde.
Son esse atte al produr; ne steril puote
Esser quella virtù che '1 Sol v' infonde .
Alla quale opinione si sottoscrissero Dite, e Igino alU faroU
127 , e Licofronc nella Cassandra con queste parole:
Xr£va Vi xucpac Tryapà yciyicG 90'pu^
Xévrpuj SvidXyyji ÌWcttoì cap5wv<K^<
XìXcop Sa Trarpcff opTcnfjiOC xKyjijlit tcvs .
« E morirà /e rito d'una punta
« Del Sardonico pesce acerba e amara:
« Sarà del padre micidiale il figlio .
E Teopompo (come nota l'Interprete di Licofrone) fu di opi-
nione che Ulisse offeso dalla bruttezza de' suoi di casa tornasse da
Circe, e morisse per le mani di Telemaco. Per tornare dunque a
proposito, vedendo il Poeta nostro questa varietà, si risolvè a
tenere da quella di Ciaudiano, che disse Ulisse essere morto nel
mare ; il che segui forse il Petrarca quando nel Trionfo della Fama
disse:
« Neil' alto Ajace , Diom.ede e Ulisse ,
« Che desiò del mondo veder troppo . Mart.
Aperto a differenza del Mediterraneo, eh' è rinchiuso e stretto
fta terra . Ed è di Dante come si è veduto ne' versi pur' ora alle-
gati.
— .... spiegò de' remi il volo audace.
Virgilio disse all' incontro , Remigium. alarum : e ciò per esser
la metafora di propmzione , e scambievole, e Dante, come si «
risto:
« De' remi facemm' ali al folle volo . Guast.
Perchè è metafora usitatissima tra' Poeti di usare i vocaboli
àcW ale e del volo degli uccelli per esprimere il corso delle na-
vi: ed all'incontro. La quale metafora è presa dalla proporzione
che tra queste cose si scorge . Perchè quello die agli uccelli son'o
r ali , alle navi souo le vele ed i remi . (test.
28 LA GERUSALEMME
Ripiglia Ubaldo allor: del mondo occulto,
Dimmi quai son le leggi , e quale il culto .
XS.VIII.
Gli soggiunse colei : diverse bande
Diversi han riti, ed abiti e favelle.
Altri adora le belve ; altri la grande
Comune madre; il Sole altri e le stelle.
V è clii d' abbominevoli vivande
Le mense ingombra scellerate e felle :
E 'n somma ognun , che 'n qua da Galpe siede.
Barbaro è di costumi, empio di fede.
XXIX.
Dunque ( a lei replicava il cavaliero )
Quel Dio che scese a illuminar le carte,
Vuole ogni raggio ricoprir del vero
A questa che del mondo è sì gran parte?
No, rispose ella; anzi la Fé di Piero
Fiavì introdotta , ed ogni civil' arte :
Ne già sempre sarà che la via lunga
Questi da' vostri popoli disgiunga .
XXX.
Tempo verrà che fian d'Ercole i segni
Favola vile ai naviganti industri:
St. 28 diverse bande ce.
Di lutti questi costumi ed usanze a lungo si ha nelle Naviga-
zioni (li diversi raccolte dal Ramusio .
— f^' è chi d' abbominevoli vivande ec.
Intende i Canibali, od antropofagi , che si pascono di carne u-
inana, come appare nelle Navigazioni dell'Indie citate di sopra.
11 modo del dire è del Petrarca :
« e poi la mensa ingombra
« £H povere vivande . GvkSJ.
St. 29. Quel Dio che scese a illuminar le carte .
11 Petrarca :
« f^enendn in terra a illuminar le carte ,
« C/ì' avean moW anni già celato il vero .
l quali versi imitando, l'Ariosto al Canto 7 stan. 74» tlis»<^ =
« Ma l' j4ngel venne a interpretar le carte ,
" Ch' avean molt' anni già celato il vero . Mart.
St. io. J'empo verrà (.hcjìan d' Ercule i i-e^'il
LIBERATA G. XV. 29
E ì mar riposti , or senza nome , e i regni
Ignoti, ancor tra voi saranno illustri.
Fia che '1 più ardito allor di tutti i legni,
Quanto circonda il mar, circondi e lustri,
E la terra misuri , immensa mole ,
Vittorioso ed emulo del Sole .
XXXI.
Un uom della Liguria avrà ardimento
Air incognito corso esporsi in prima ;
Né '1 minacce voi fremito del vento ,
Né r inospito mar, né '1 dubbio clima,
Né s' altro di periglio o di spavento
Più grave e formidabile or si stima ,
Faran che '1 generoso entro ai divieti
D' Abila angusti F alta mente accheti .
XXXII.
Tu spiegherai , Colombo, a un novo polo
Lontane sì le fortunate antenne ,
Gli' a pena seguirà con gli occhi il volo
La Fama e' ha mille occhi e mille penne .
Ganti ella Alcide e Bacco , e di te solo
Basti ai posteri tuoi eh' alquanto accenne;
Favola vile ai naviganti industri:
Volendo predir cosa a venire , comincia da quello eh' è più co-
mune ed universale, e perciò più confuso, per scendere poi a
quello eh' è più proprio e particolare, e perciò più distinto, qua-
si cosa che si vada a poco a poco scoprendo da lontano .
St. 3i. Un uom della Liguria.
Scende piìi al particolare, come s'è detto, dinotando la contra-
da onde lu natio quegli, di cui intendeva.
St. 32. Tu spiegherai , Colombo .
Ecco scopre alla fine il glorioso e cotanto celebre ed illustre
nome di Cristoforo Colombo genovese ; il quale con sì smisurato
ardimento e valore, trapassando per mille disagi e miserie, tanti
fieri ed inconosciuti mari, per il primo trovò l'Indie di Ponente;
la qual navigazione continuata poi da altri dopo lui, s ha infini-
tamente accresciuto il paese prima icoperio . Spiegar l' antenne è
metonimia, essendo le antenne quelle che tengono la vele, né
fatte ad altro fine . Gvast.
So LA GERUSALEMME
Che quel poco darà lunga memoria
Di poema degnissima e d' istoria .
XXXIII.
Così dice ella; e per T ondose strade
Corre al ponente , e piega al mezzogiorno ,
E vede come incontra il Sol giù cade ,
E come a tergo lor rinasce il giorno :
E quando appunto i. raggi e le rugiade
La bella Aurora seminava intorno,
Lor s'offrì di lontano oscuro un monte,
Che tra le nubi nascondea la fronte.
XXXIV.
E '1 vedean poscia, procedendo avante.
Quando ogni nuvol già n'era rimosso.
All'acute piramidi sembiante.
Sottile in ver la cima , e 'n mezzo gresso .
— Di poema degnissima e d' istoria ,
Del Petrarca ; e Bernarilo Tasso avca eletto:
« U' agni pnemii degno e d'ogni istoria. Marx.
St. 33. Ijor s' offrì di lontano oscuro un m,onte .
Il Pico di Teneri ffc nelle Canarie, celebre per la sua altezza,
che dal padre Feuillée viene calcolato 2ai3 tese sopra il livello
del mare, e la di cui sommità si vede in mare a 4^ roiglia di di-
stanza. Esso è propriamente un Tulcano, che termina in un co-
no tronco, ed obliquo all'asse. Terribile fu l'eruzione ciie fece
nel 1704. V. Transact. P/iilos. n. 345. M.
St. 34. £ mostrarsi talor cosi fumante ec.
Ha voluto quivi il Tasso schifare la riprensione da' critici fatta
a Virgilio, perchè ragionando dell'incendio dell'Etna, non fece
distinzione veruna del giorno e della notte; ove che Pindaro imi-
tato da lui distintamente avea detto che il giorno fumava e la
notte ardeva, sicèomc recita A. Gellio. Ma Virgilio è stato difeso
da uomini dottissimi. Ed io dico, che non faceva al proposito di
Virgilio né serviva al decoro una tale distinzione: come ognun
può vedere, chi con giudizio lo vuol leggere. E mi maraviglio che
non abbiano prima ripreso Lucrezio , il (juale come Hlosofo, et
ex professo di questo incendio trattando, non pur n'accenna que-
sta differenza di giorno e di notte. Come nò anche fece Claudiano,
JJc Hufiiu Proserpimc . E mi giova di credere, che non sia ver*
o stabile e ferma: siccome dell'incendio stesso recita per fama A-
ristolile , 5i. Dg Ausenlt. Mirabil. Ma questo sia detto per occor-
tmuA . Gekx.,
LIBERATA C. XV. 3f
E mostrarsi talor così fumante ,
Come quel che d' Encelado è sul dosso ;
Che per propria natura il giorno fuma,
E poi la notte il ciel di fiamme alluma .
XXXV.
Ecco altre isole insieme, altre pendici
Scopriano alfin mcn erte ed elevate,
Ed eran queste l' Isole Felici :
Così le nominò la prisca etate,
A cui tanto stimava i cieli amici ,
Che credea volontarie , e non arate
Qui partorir le terre , e 'n più graditi
Frutti, non eulte, germogliar le viti.
— Come quel che d' Enceìado è sul dosso,
Encelado , gigante, figlio della Terra, fulminato da Giove, e
sepolto sotto l'Etna nella Sicilia .Virgilio, Eneide 3, v. 678:
« Fama est , Enceladi semustum fulmine corpus
o Urgeri m.ole hac , ingentem-que insuper ^tnam
« Impositum. , ruplis flnmmam expirare caminis etc. M.
St. 35. Ed cran queste l' Isole Felici:
Cosi le nominò la prisca etate .
Di quest'Isole Felici o Fortunate fecero menzione mille poeti ,
ed altri scrittori antichi. Ma come che dell'amenità e delizie di
quelle s'accordassero tutti insieme, del luogo però dove fossero
poste furono differenti, altri colà neli' ultima Spagna, altri intor-
no al globo della Luna, altri circa la Brettagna, ed altii altrove
ponendole; ma i moderni pure, che tuttodì vi navigano, le col-
locano fuori dello stretto di Gibilterra là nell'Oceano, nel clima
che passa per Siene, lontane da Cales di Spagna mille dugento
miglia; della natura delle quali, come del sito, del nome e dei
costumi degli abitanti ragiona a lungo Aloisio Cadamosto nelle
sue navigazioni. Guast.
Non solo da' poeti, ma eziandio da gravissimi istorici fu ciò af-
fermato per vero. Tra' quali il primo è Salustio, le cui parole so-
no recitate da Sosipatro fuor del nono lib. dell'Istorie: Cujiis
duas insulas (^<\ic' ei) propinquas inter se , et decem stadium pro-
cul a Qadibus satis constatai suopte ingenio alimenta mortalihus
gignerc . E Plutarco scrive , che vi pensò d'andare Sertorio, a-
vendo inteso dalle genti marittime della Spagna gran cose del-
la felicità di quell'isole predicarsi; le quali udite eziandio per
fama da' poeti , secondo, il loro costume l'accrebbero e l'alteraro-
no sì , che divennero poi favolose: del quale costume discorre a
lungo Lattanzio Fiim. lib. i , Institut. ove prova, che tutte le
finzioui poetiche cbbuo oiigiae dalla veiità. Gest.
32 LA GERUSALEMME
XXXVI.
Qui non fallaci mai fiorir gli olivi ,
E '1 mei dicea stillar dall' elei cave;
E scender giù da lor montagne i rivi
Con acque dolci e mormorio soave:
E zefiri e rugiade i raggi estivi
Temprarvi sì , che nullo ardor v' è grave :
E qui gli Elisj campi , e le famose
Stanze delle beate anime pose.
XXXVII
A queste or vien la donna ; ed , ornai siete
Dal fin del corso, lor dicea, non lunge.
L' Isole di Fortuna ora vedete.
Di cui gran fama a voi , ma incerta, giunge.
Ben son elle feconde , e vaghe e liete ;
Ma pur molto di falso al ver s' aggiunge .
Cosi parlando, assai presso si fece
A quella , che la prima è delle diece .
St. 36. Qii! non fallaci mni /lori r gli olivi ,
E 7 mei direa stillar dall' elei cave .
Orazio di queste medesime isole ragionando nell'Epodo, al-
rode i6:
e< Nos manet Oceanus circumvagus : arvn , beata
« Petamus arva , divites et in.sulas ,
« Reddit ubi Cererem tellus inarata quotannis ,
« Et imputata fio rei usquc vinca :
« Germinat et numqitam. Jallt'ntls terines uliva^ ,
« Snainque palla ficus ornat arborem :
« Mella cava mam-nt ex ilice; iiuinfibiis altis
« Levis crepante lympha dcsilit pcde .
— E qui gli Elisj campi .
Altri questi campi posero sotterra, facendoli in quelle tenebre
dell' Ignoranza loro , stanza delle anime purgate e beatificate , co-
me Platone nel Gorgia, e Virgilio nel (> dell'Eneide v. 638 , coli
ove dice:
'< Devenerc loros Icetos , et amena vireta
« Fortunatontm nemuruin , sedasqiic beatas .
« Largior liic campos oeltier , et lamine vestii
u Purpureo ; Solemquc suum , sua sidcra norunt .
Ma altri dissero puro esser questi nell'Isole Fortunate, i quali
segue qui ora il iioiitro Pseta . Cìuasx.
L I B E R A T A G. XV. 3
XXXVlll.
Carlo incomincia allor: se ciò concede.
Donna, quell' alta impresa ove ci guidi.
Lasciami ornai por nella terra il piede,
E veder questi inconosciuti lidi ;
Veder le genti , e '1 culto di lor fede ,
E tutto quello , ond' uom saggio m' invidi ,
Quando mi gioverà narrare altrui
Le novità vedute, e dire : io fui.
xxxix.
Gli rispose colei : ben degna invero
La domanda è di te; ma che poss'io,
S' egli osta inviolabile e severo
Il decreto de' Cieli al bel desio?
Ch' ancor vòlto non è lo spazio intero ,
Ch' al grande scoprimento ha fisso Dio ;
Ne lece a voi deli' Oceàn profondo
Recar vera notizia al vostro mondo.
A voi, per grazia , e sovra 1' arte e V uso
De' naviganti, ir per quest'acque è dato;
E scender là dove è il guerrier rinchiuso ,
E ridurlo del mondo all' altro lato .
Tanto vi basti; e l'aspirar più suso
Superbir fora , e calcitrar col fato .
St. 38. Quando mi gioverà narrare altrui
Le novità vedute , e dire: io fui .
Dante nel i6 dell'Inf. in persona di Guidoguerra:
« Però se canìpi d' esti luoghi bui ,
« E torni a riveder le belle stelle ,
« Quando ti gioverà dicere: io fui .
St. 3g. Ch' ancor volto non e lo spazio intero ,
Ch' al grande scoprimento ha Jisso Dio .
Fu questo meraviglioso scoprimento di Colombo di cui intende
il Poeta, fatto la prima volta l'anno 1492, come nelle navigazio-
ni di cosi grande e coraggioso nocchiero si può vedere pili a lun-
go. Ben le Fortunate o Canarie, se pure non sono differenti^ co-
me pare che le faccia Plinio , erano già trovate di prima , se ben
iton cosi a loro ordinar i% la navigazione , come poi.
34 LA GERUSALEMME
Qui tacque; e già parea piìi bassa farsi
L' isola prima , e la seconda alzarsi .
XLI.
Ella mostrando già , eh' all' Oriente
Tutte con ordin lungo eran dirette;
E che largo è fra lor quasi egualmente
Quello spazio di mar che si frammette .
Pdnsi veder d'abitatrice gente
Case e culture, ed altri segni in sette :
Tre deserte ne sono , e v' han le belve
Sicurissima tana in monti e in selve .
XLIl.
liuogo è in una dell' erme assai riposto ,
Ove si curva il lido e in fuori stende
Due lunghe corna, e fra lor tiene ascosto
Un ampio seno , e porto un scoglio rende ,
Ch'a lui la fronte, e'I tergo all'onda ha opposto.
Che vien dall' alto , e la respinge e fende.
S'inalzan quinci e quindi, e torreggianti
Fan due gran rupi segno a' naviganti .
St, t^i. E clic largo è fra lor quasi egualmente ec.
Quaranta miglia dice Aloisio da Cadamosto esser di spazio fra
ciascheduna di esse.
— Pónsi veder <£' abitatrice gente
Caxe e culture , ed altri segni in sette .
Così dice lo stesso Cadamosto nelle sue Navigazioni.
St. 42. Luogo è in una dAl' ernie assai riposto eC.
Da Virgilio è tolta questa descrizione di porto, che la tolse da.
un'altra d'Omero nell'Odissea. E nel primo dell'Eneide, v. lò'^
« Est in secessu longo ìocus ; insula portum.
« Efficit objectu lateruni , qulhus umnis ah alto
« Frangitur , incjue sinus scindi t sese linda reductos .
— S' inalzan quinci e quindi , e torreggianti
Fan due gran rupi segno a' naviganti .
Virgilio nello stesso luogo:
« Hinc , atque liinc vastoe rupes , geminique minantur
<c In C(vlum scopuli .
E nel 3 della stessa Eneide , v. 533 :
* « gemino dem.ittunt brachi a muro
n Turriti scopuli .
L I B E R A T A e. XV. 35
XLIII.
Tacciono sotto i mar securi in pace :
Sovra ha di negre selve opaca scena;
E 'n mezzo cV esse una spelonca giace
D'edere e d'ombre e di dolci acque amena.
Fune non lega qui , ne col tenace
Morso le slanche navi àncora frena.
La donna in sì solinga e queta parte
Entrava , e raccogliea le vele sparte .
XLIV
Mirate , disse poi , quell' alta mole
Che di quel monte in sulla cima siede :
Quivi fra cibi , ed ozio , e scherzi , e fole
Torpe il Campion della Cristiana Fede.
Voi con la guida del nascente Sole
Su per queir erto moverete il piede;
Ne vi gravi il tardar ; però che fora ,
Se non la mattutina , infausta ogn' ora .
XLV.
Ben col lume del dì, eh' anco riluce,
Insino al monte andar per voi potrassi .
Ma il torreggiare è anche usato da Dante, come pur s'ò notato
addietro .
St. 43. Tacciono sotto i mar securi in pace .
Virgilio, ibid.
« quorum sub vertice late
o JEquora tuta sileni .
— Sovra ha di negre selve opaca scena .
Virgilio, nel primo, v, i63:
« tum sjrh'is scaena coruscis
« Desuper, liorrentique ntrum nemus iinminet umbra.
Scena vuol dire un ridotto fatto di rami e di frondi d' alberi
affla di starvi all'ombra, e vien dalla v^e greca cxl'a. , che om-
bra vuol dire. Quindi perciocché da principio in simili luoghi
dimoravano gli Ateniesi, quando si cominciò da loro a dar origi-
ne alla commedia, è rimasto continuamente lo stesso nome a quel
luogo, dove compaiono gl'istrioni per recitare: ma qui il Tasso,
ad imitazion di Virgilio, da cui ha tolto il concetto, il piglia al
primo modo; intendendo però il ridolt* t l'adombrsinient* nsttn.-
rale , e non artificiale .
36 LA GERUSz\LEMME
Essi al congedo della nobil duce
Poser nel lido desiato i passi ,
E ritrovar la via , eh' a lui conduce ,
Agevol sì , che i pie non ne fur lassi:
E quando v' arrivar , dalU Oceano
Era il carro di Febo anco lontano .
XLVT.
Veggion che per dirupi e fra ruine
S' ascende alla sua cima alta e superba ;
E eh' è fin là di nevi e di pruine
Sparsa ogni strada : ivi.ha poi fiori ed erba .
Presso al canuto mento il verde crine
Frondeggia , e '1 ghiaccio fede ai gigli serba
Ed alle rose tenere : cotanto
Puote sovra natura arte d' incanto !
XLVII
I duo guerrieri in loco ermo e selvaggio,
Chiuso d' ombre , fermarsi a pie del monte ;
E come il ciel rigò col novo raggio
Il Sol , dell' aurea luce eterno fonte ;
Su su , gridaro entrambi : e 1 lor viaggio
Ricominciar con voglie ardite e pronte.
Ma esce , non so donde , e s' attraversa
Fiera, serpendo, orribile e diversa.
St. 46 e 'l ghiaccio fede a gigli serha .
Metafora trasportata dagli uomini alle cose senz'anima, quasi
anch'esse, fatta ed avuta amistà e conversazione insieme, s'abbiau
promesso di non offendersi l'una l'altra. Ed è presa da Claudian»
là ove parla del monte Etna, lib. i , v. 167 De Raptu Pros.
n Sed quiirnvis nimio fervens exuberet cesta,
« Scit nivibus servare Jidem. GcAST.
La Metafora è un po' troppo ricercata, ma meno di quella del
Poeta Latino, che vi aggiunse l'antitesi delle nevi e dell' ar-
dore . M.
Ed è metafora pigliata dalle convenzioni civili , come quella di
Ovidio, lib. 4, Mctam.
<( arvaque jtissit
« Fallcre dcpositam, vitiosaque semina J'ecit . Gent.
St. 47- Fiera , serpendo , orribile e diversa.
L I BER AT A e. XV. ^7
XLVIII.
Inalza d'oro squallido squamose
Le creste e '1 capo, e gonfia il collo d'ira:
Arde negli ocelli , e le vie tutte ascose
Tien sotto il ventre, e tosco e fumo spira.
Or rientra in se stessa , or le nodose
Rote distende , e se dopo se tira .
Tal s'appresenla alla solita guarda;
Né però de' guerrieri i passi tarda .
XLIX.
Già Carlo il ferro stringe, e '1 serpe assale;
Ma r altro grida a lui: che fai? che tente?
Per isforzo di man , con arme tale
Vincer avvisi il difensor serpente?
Egli scote la verga aurea immortale.
Sì che la belva il sibilar ne sente;
E impaurita al suon, fuggendo ratta,
Lascia quel varco libero , e s' appiatta .
Diversa, cioè spaventosa , abominevole e <la aboirire. Dante
nel 6 dell'Inferno:
« Cerbero Jiera crudele e diversa .
Nel Novellino alla nov. 54 là ove si parla di quel cavallo scor-
ticato vivo e fetente: Imperoccli' era di'.'ersa cosa a vedere . Dante
nella Vita Nuova: E poi dopo queste donne mi parvero certi visi
diversi ed orribili a vedere . Usalo anche a questo modo il Boo-
«accio nella vita di Dante.
St. 48. Inalza d' oro squallido squamose ec.
Mirabile è l'energia di tutta questa stanza , la quale nasce dal-
la pienissima e minutissima descrizione di tutte le circostanze di
quell'animale, e ciò senza bassezza alcuna .
— d' oro squallido .
D'oro pieno, abbondante, alla guisa latina: Squallentem auro,
disse "Virgilio. Guast.
Ebbe riguardo a quel luogo d'Accio poeta antico, Pelopidis -.
E] US serpentis squamce squallido auro, et purpura prcetexfoe , ci-
tato da Flavio Sosipatro, e da A. Gelilo. Gent.
St. 49. Già Carlo il ferro stringe , e 'l serpe assale ee.
Virgilio nel 6, v. 290:
« Corripit Ilio subita trrpidus Jormidine ferrum
« JEneas , strictamque aciem venientihos offert .
« Et , ni docta comes tenues sine torpore vitas
« Adinoneat volitare cava sub imagine formoe ,
« Jrruat , et frustra J erro divcrberet umbras.
53 Lk GERUSALEMME
L.
Più SUSO alquanto il passo a lor contende
Fero leon che rugge e torvo guata,
E i velli arrizza , e le caverne orrende
Della bocca vorace apre e dilata :
Si sferza con la coda , e l'ire accende .
Ma non è pria la verga a lui mostrata ,
Gli' un secreto spavento al cor gli agghiaccia
Ogni nativo ardire, e 'n fuga il caccia .
LI.
Segue la coppia il suo camniin veloce;
Ma formidabil oste han già davante
Di guerrieri animai, varj di voce,
Varj di moto , e varj di sembiante .
Ciò che di mostruoso e di feroce
Erra fra '1 Nilo e i termini d' Atlante ,
St. 5i. Si sferza con la coda, e l'ire accende.
Da molti è tocca questa proprietà del leone di battersi i fian-
chi con la coda, ogni volta che sia adirato. Omero nel 20 dell' I-
iiade là ove di questo animale faceva comparazione con Achille:
Ma<?i'6Ta( , 'ii 5' otuTÒu «VoTpuva \j.ix-)(iQci.c<yctM.
Cioè:
« E con la eoda le coste e i fianchi dall' una banda e dall'altra
« Batte , e se stesso instiga al combattere .
Esiodo, nello scudo d'Ercole :
nXfvpàv Ti adì Jjuous
Oùpt fj.d'^ixpfjiv TToacc ■ypd'pii , ou5fT<« clvtov
T!'tXvi ìq avrà fSwv >^fò'wi/ ìxc^tlv ovìi Ma.-)(fGca.i,
Catullo, nel poema sopra Ati, v. 8t :
« Àge , ccede terga cauda : tua verhera patere
« Face cuncta mugienti fremitu loca retonent .
Lucano :
« JEstifercB Lybìoe , viso tea cor/tiniis ìioste
« Subsedit dubius, totam dum colligit iran ,
« Mo.v ubi se .ftcì'oe stimulavit verbere cauda; ,
« Ereritque jubar . GuAST.
St. Si. Ciò che di mostruoso e dijeroce ec.
Il Nilo partorisce assaissirai animali fieri e velenosi, siccome
^la gli altri il Cocodrillo, l'Ichneumonc, il Basilisco, e l'Ippota-
LIBERATA C. XV. 3^
Par qui tutto raccolto , e quante Ijelve
L'Ercinia ha in sen_, quante l'Ircane selve.
LII.
Ma pur sì fero esercito e sì grosso
Non vien che lor respinga o lor resista:
Anzi ( miracol nuovo ! ) in fuga è mosso
Da un picciol fischio e da una breve vista .
La coppia ornai vittoriosa il dosso
Della montagna senza intoppo acquista;
Se non se in quanto il gelido e 1' alpino
Delle rigide vie tarda il cammino .
{.III.
Ma, poi che già le nevi ebber varcate,
E superato il discosceso e l'erto,
Un bel tepido ciel di dolce state
Trovaro , e '1 pian sul monte ampio ed aperto
Aure fresche mai sempre ed odorate
Vi spiran con tenor stabile e certo;
Ne i fiati lor, siccome altrove suole.
Sopisce, o desta ivi girando il Sole .
LIV.
Isè, come altrove suol, ghiacci ed ardori.
Nubi e sereni a quelle piagge alterna;
■oo ed altri. Ves;gasi Plinio al cap. •2\ e a5 del 8 lib. e al eap; g
del 5, e Solino al cap. 35. Mabt.
— U F.rcinia ha in sen , quante l' Irrane selve .
Ercinin, celebre foresta dell'antica Germania, in oggi chiamai»
Selva Nrra . Cesare ne fece la descrizione nel lib. 6 de' suoi Com-
mentar) delle guerre GaUìche. Ire naia , provincia della Persia,
famosa per le fiere , dalle quali era infestata. Essa propriamente
formava una parte delle regioni de' Parti . M.
St. 53, F superato iì discosceso e V erto .
Il nome disccsceso vuol tlire rotto in diverse parti. L'usò Dafu
te al 12 Canto dell'Inferno:
« Al piano è si la roccia discoscesa .
E al Canto i6 del medesimo:
u Così giù d' una discascesa .
E l'Ariosto al Canto a.-'j stan. i4:
« Unjiume d' alta e discoscesa riva. Mart.
St. 54- AV>, come altrove suol f^hincci ed' ardori , ec.
G. Lib. t. hi. 4-
4o LA GERUSALEMME
Ma il ciel di candidissimi splendori
Sempre s'ammanta, e non s' infiamma, o verna ;
E nutre ai prati l'erba , all' erba i fiori,
Ai fior l'odor, l'ombra alle piante eterna .
Siede sul lago , e signoreggia intorno
I monti e i mari il bel palagio adorno .
LV.
I cavalier per 1' alta aspra salita
Sentiansi alquanto affaticati e lassi ;
Onde ne gian per quella via fiorita
Lenti , or movendo ed or fermando i passi;
Quando ecco un fonte, clie a bagnar gT invita
L' asciutte labbra , alto cader da' sassi
E da una larga vena , e con ben mille
Zampiiletti spruzzar l'erbe di stille:
LVI.
Ma tutta insieme poi tra verdi sponde
In profondo canal 1' acqua s' aduna;
Esprime i versi di Omero, ne'quali ragiona del Cielo, lib. 6
Odiss. Siccome eziandio gli espresse Lucrezio, 1. 3, v. i8 dicendo:
« Apparet Divum numt^n, sedescfue quieioe ,
« Qitas nequc concutiunt venti, ncque nuhìLi nimbis
« Aspergunt , ncque nix acri concreta pruina
(I Cuna cadens violat , sernpcrque innulnlus ccther
« Integit , et late diffuso fumine ridet .
Il Boccaccio di un giardino fatto pur da un mago in mezzo l'in-
verno, « Pervenuti al giardino (dice) v'entrarono dentro per una
« bella porta, ed in quello non freddo si , come di fuori, ma un
o aere temperato e dolce sentivano » . Onde il Tasso dirà nel
•anto seguente .
« JL' aura , non eh' altro , è della maga effetto . Gent.
— , e non s' infiamma , a verna.
Non è mai quivi l'aria in alcuna qualità eccedente com'ella e
appo noi, infiammata l'estate , e gelata l'inverno; ma vi è sem-
pre una tepida e fiorita pi'imavera. Vernare in questa lingua pro->
priamente vuol dire esser d'inverno. Petrarca:
« Di state un ghiaccio , un /beo quando verna.
Ed il medesimo nostro Poeta nel canto i3, st. !\^ :
« Vemù in quel punto .
O passar l'inverno o svernare, che i Latini dicono hyhcrnarc .
Dante, Purg. 24 =
d. Come gli augci che vcrnan verso il Nilo .
LIBERATA e. XV. 41
E sotto r ombra di perpetue fronde
Mormorando sen va gelida e bruna ;
Ma trasparente sì , che non asconde
Dell' imo letto suo vaghezza alcuna ;
E sovra le sue rive alta s' estolle
L' erbetta, e vi fa seggio fresco e molle,
LVII.
Ecco il fonte del riso , ed ecco il rio
Che mortali perigli in sé contiene.
Dissero : or qui frenar nostro desio ,
Ed esser cauti molto a noi conviene .
Chiudiam 1' orecchie al dolce canto e rio
Di queste del piacer false Sirene.
Così n' andar fin dove il fiume vago
Si spande in maggior letto , e forma un lago .
LVIII.
Quivi di cibi preziosa e cara
Apprestata è una mensa in sulla rive,
E scherzando sen van per l' acqua chiara
Due donzellette garrule e lascive,
CI/ or si spruzzano il volto , or fanno a gara
Chi prima a un segno destinato arrive:
Si tuffano talora, e '1 capo e '1 dorso
Scoprono alfin dopo il celato corso.
LIX.
Mosser le natatrici ignude e belle
De' duo guerrieri alquanto i duri petti ;^
Ma appresso i Latini ha significalo di primavera :
« Vernai humus, vernat ager , aviculos vernant .
E Marziale :
« Diim tibi vernarent tenera lanugine mala;.
Ed a simil modo il pose pur Dante nel trentesimo capitolo del
Paradiso , in quel verso:
« Odor di lode al Sol, che sempre verna,,
St. 57. Erco il fonte del riso .
Di questo fonte si è parlato di sopra .
42 LA GERUSALEMME
Sicché fermarsi a riguardarle \ ed elle
Seguian pure i lor giochi e i lor diletti .
Una intanto drizzossi, e le mammelle ,
E tutto ciò che più la vista alletti
Mostrò dal seno in suso aperto al ciclo :
E '1 lago all' altre membra era un bel velo .
LX.
Qual mattutina stella esce dall' onde
Rugiadosa e stillante j o come fuore
St. 6o. Qual mattitina stella esce dalV onde
Rugiadosa , e stillante .
Stazio, nel primo della Tebaide:
« Sic ubi tranquillo pellucent sidera ponto
« Vibratiirque fretis coeli stellantis imago :
« Omnia darà nitent
E Virgilio neirS dell'Eneide, v. 589:
« Qualis uhi Oceani perfusus Lucijer unda ,
« Qucm yenui ante alias astrorum diligit ignes ,
n E.vtulit OS sarnim roelò , tenehrasque resoh'it .
Che '1 tolse da Omero nel io dell'Iliade. E fassi menzione del-
l'umore in queste cose lucide e splendenti , perchè in esso molt»
meglio rilucono e scintillano, e perciò disse anco il Petrarca:
« Non vidi mai dopo notturna pioggia
« Gir per l'aer sereno stelle erranti^.
— o come fuore
Spuntò nascendo già dalle feconde ce.
Allude a quella bellissima e celebratissima imagine di Venere
fatta da Apelle; nella quale egli dipinse questa Dea , che dopo il
suo nascimento uscendo del mare, e già fuori dalle poppe in su,
s'asciugava con ambedue le mani i capelli , e l'acqua marina dal
volto; la quale fu celebrata da diversi eccellenti poeti , come si
può vedere negli Epigrammi Greci: e Plinio ne fa nobile menzione
nel IO capitolo del trentesimo quinto libro. Guast.
Col qual titolo greco Avà^'uraévi^ , cioè nascente dalle spume
del mare , fu da Augusto dedicata la Venere di A|}elle nel tem-
pio di Cesaie suo padre , siccome recita Plinio libro 35 , cap.
IO. Il Tasso chiama quelle spume /cco/u/c: nel qual senso anco-
ra un Poeta antico,/» Pcn.>igilio generis , prese le pioggie mari-
ne, dicendo:
« Fccit undantcm Dioncm de marilis imhrihus .
Come se la spuma fosse stata moglie del sangue di Celo; per
essere nata dal mescolamento loro la dea Venere. Varrone , De
lingua Latina: Poetfc de c<clo scmcn igneum ca-cidissc dicunt ih
mare , ac natiim e spuniis Venererà cu nj une ti ori e ignii et humo-
ris . Geni.
LIBERATA C. XV.
Spuntò , nascendo già dalle feconde
Spume dell' Ocean la Dea d' amore ;
Tale apparve costei : tal le sue bionde
Chiome stillavan cristallino umore .
Poi girò gli occhi; e pur allor s'infinse
Que' duo vedere , e in se tutta si strinse .
LXI.
E '1 crin, che 'n cima al capo avea raccolto
In un sol nodo, immantinente sciolse;
Che lunghissimo in giù cadendo e folto ,
D' un aureo manto i molli avorj involse .
Oh che vago spettacolo è lor tolto !
Ma non men vago fu chi loro il tolse.
Così dall' acque e da' capelli ascosa,
A lor si volse lieta e vergognosa .
LXII.
Rideva insieme, e insieme ella arrossia;
Ed era nel rossor più bello il riso ,
Venere nacque (come favoleggiano i poeti) dalla spuma, dorè
stettero i pudendi di Celo, che da Saturno furono gittati in ma-
re; il che toccò Ovidio al 4 de' Fasti:
« Sed Veneris niensem Grajo sermone notatum
« Arbitrar a spumis est Dea dieta maris .
E il Bembo, e Catullo, e Q. Calabro al 5.
Per questa causa fu detta A'pp'jc^i/fh^l da AdlpOf; che vuol dire
spuma, come dice Macrobio al primo de' Saturnali al cap. 8, e
12. Celio Rodigino pensò che fosse cosi detta da otippo? , ma per
diversa cagione, cioè per essere spuma il seme umano, ed esseu-
do ella sopra le cose veneree, e per questo fu detta Dea dell'a-
more. (Celio Rodigino al cap. 17, del 16 lib. dell'antiche lezioni)
e Fortunato par che voglia che si dica Trapa to app^ivvv per-
chè fa altri impazzire, e Didimo altrimenti 7rapotroa/3pCi' t>Jh
^(XiTyii perchè si dica che Venere nascesse dalla spuma del ma-
re: e che ella fosse madre di Cupido, veggasi il dottissimo Pico
Mirandolano nella sua lezione sovra una Canzone . Mart.
St. 6a. Rideva insieme, e insieme ella arr ossia, ec.
Simile a quel di Platone , nel Carraìde A'vepjS'pffoicots ouv 0
Kap^ij>j$ , TTpwrwv juàv ^TTf KJnAAfwvÈipàvJj . Che tuqI dire;
44 LA GERUSALEMME
E nel riso il rossor , che le copria
Insino al mento il delicato viso .
Mosse la voce poi sì dolce e pia ,
Che fora ciascun altro indi conquiso :
Oh fortunati peregrin , cui lice
Giungere in questa sede alma e felice!
LXIII.
Questo è il porto del mondo; e qui il ristoro
Delle sue noie , e quel piacer si sente ,
Che già sentì ne' secoli dell' oro
L'antica e senza fren libera gente.
L'arme, che sin a qui d'uopo vi ìóto.
Potete omai depor securamente,
E sacrarle in quest' ombra alla quiete;
Che guerrier qui solo d' Amor sarete :
LXIV.
E dolce campo di battaglia il letto
Fiavi_, e r erbetta morbida de' prati.
Noi meneremvi anzi il regale Espetto
Di lei che qui fa i servi suoi beati;
Che v' accorrà nel bel numero eletto
Di quei eh' alle sue gioie ha destinati .
Ma pria la polve in queste acque deporre
Vi piaccia , e '1 cibo a quella mensa tórre .
LXV.
L' una disse così ; l' altra concorde
L' invito accompagnò d' atti e di sguardi ,
4< esscmlosi dunque arrossito il giovinetto Carmide. apparve au-
« Cora piii bello». L'Autor nostro nella Silvia leggiadrissima-
mente:
« /« tanto io più ridea del suo rossore ,
« Ella più s' arrossia del riso mio .
Tanto gli piacque simile scherzo di parlare.
St. 64. E dolce Campo di battaglia il letto .
Patrarca:
« E duro campo è di battaglia il letta .
L I B E R A T A e. XV. 45
Sì come al suon delle canore corde
S' accompagnano i passi or pi'esli or tardi .
Ma i cavalieri hanno indurate e sorde
L' alme a quei vezzi perfidi e bugiardi;
E 1 lusinghiero aspetto e '1 parlar dolce
Di fuor s' aggira, e solo i sensi molce.
LXVI.
E se di tal dolcezza entro trasfusa
Parte penetra^ onde il desio germoglie,
Tosto ragion nell' armi sue rinchiusa
Sterpa e riseca le nascenti voglie.
L' una coppia riman vinta e delusa :
L' altra sen va , né pur congedo toglie .
Essi entrar nel palagio ', esse nell' acque
Tuffarsi; a lor sì la repulsa spiacque.
St. 66. E se dì tal dolcezza entro trasfusa
Parte penetra , onde il desio germoglie .
Ottimamente dice germoglie, per significare la copia de pia-
ceri : siccome fece Lucrezio parlando dell'inconvenienze che nel-
r amore si fanno , eziandio quando più si gode, lib. 4> v. 1075:
« Et stimuli siibsunt , qui instigant lasdere idipsum,
« Quodcunque est, rabici undc ilice lioeC germina surgunt.
Dante usò simil verbo per significarne la copia de' pensieri.
Purg. 5 :
« Che sempre V uum.o in cui pensier rampolla
« Sovra pensier ec .
Ciò che fece forse ad imitazion d'Eschilo, il quale dice
Bi^iìoLv a.\0K0i Sidipfivci xcufi'Trfiv^ivov
E^K;« Tw KfSvct /3Xagav6< /SouXf U|U.aTa .
Cioè: « profondo solco, il quale produce nella mente frutti
K donde gli ottimi e lodabili consigli ranipollan*. Gent.
LA
GERUSALEMME
LIBERATA
CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO
Entrano i dao gnerrier nell'ampio tetto.
Ove in dolce prigion Rinaldo stassi-.
E fan SI cb'ei pian d'ira e di dispetto,
Muove al partir di là con loro i passi.
Per ritenere il cavalier diletto
Prega e piange la maga: egli alfin vassi.
Essa, per vendicare il suo gran duolo,
Strugge il palagio, e va per l'aria a volo.
1 ondo è il ricco edificio; e nel più cliiiiso
Grembo di lui , eh' è quasi centro al giro ,
Un giardin v' ha, eh' adorno è sovra 1' uso
Di quanti pili famosi unqua fiorirò :
St. I . Thndo t il ricco edificio) ; e nel piti cfuiisO
Grembo di lui , cìi' b qwisi centro al giro.
« In questo tondo edifìzio , dice il Galileo , con nuova architettu-
la fabbricato , sono alcuno cose degne di considerazione e rorsr>
di riprensione. E prima questo edilìzio non è una città, o un ca-
stello, ina un palazzo; cliè così l'ha addoinandato l'Autore nel
tìau dell' ultima stanza del canto precedente :
« Essi entrar nel palagio ec. e Canto \iv. stan. 70.
« E vi fonda un palagio appresso a un lago .
Questo palazzo è /ora^o, e nel pia chiuso grembo , eli e quasi
crntra , ha un j^iardiiio «ou architettar», contraria alia cunituic ,
LIBERATA C. XVI. 47
D' intorno inosservabile e confuso
Ordin di logge i Demòn fabbri ordirò :
E , tra le oblique \ ie di quel fallace
Ravvolgimento, impenetrabil giace.
II.
Per r entrata maggior ( però che cento
L' ampio albergo n' avea ) passar costoro .
Le porte qui d'effigiato argento
Sui cardini stridean di lucid' oro .
perchè si veggono bene palazzi in mezzo de' giardini, ma non per
l'opposito : e questo benché sia quasi centro del palazzo, nulladi-
meno contiene in sé colline, valli, spelonche, fiumi e stagni,
tutte robe costituite su la cima d'un alto monte. » Questa cen-
sura del Galileo ragionevole sarebbe, se il nome eriZ/fz/o limitar
si dovesse a particolarmente dinotare una casa o un palagio: es-
so però aver suole un senso assai pii: esteso. Gli Accademici della
Crusca danno aU' edifizìo il significato generale di Fabbrica , o
cosa edificata. In questo senso 1' usò il Davanzati ( Tac. ann. (\,
lo3): Sfavasi allora Tiberio intorno agli edijic] , e a' nomi di
dodici ville . Il Tasso adunque dicendo che tondo è il ricco edifi-
cio , non parla del palazzo, ch'esser non dovea che una parte del-
lo stesso edificio , ma del tutto bensì della fabbrica, del circuito,
per cosi dire, e delle miua che circondavano l' incantata ro*ggia
di Armida, e nelle quali era racchiuso lo stesso palagio . Siccome
però questo medesimo palagio formar dovea la parte principale
dell' edilizio, così il Poeta, usando la parte pel tutto, ottima-
mente disse negli altri due luoghi palagio in vece di edifizio , in
quella maniera appunto che noi ancora quando diciamo palagio, o
reggia, o cose simili, intendiamo per lo piìi non solamente il pala-
gio preso nel suo proprio senso , ma i giardini ancora, le corti , i
rustici, e tutte le altre cose che vi sono annesse , e che si com-
prendono sotto il nome generale di edilìzio . M'
St. 2. Per V entrata maggior , però che cento , ec.
Numero finito per l'infinito. Virgilio nel 3 , v. io8:
« Centum urbes hubitant rnagnas, uberrima re^na. Gbast.
— Le porte qui d' effigiato argento , ee.
Dante, Purg. io:
« Dì contra effigiata ad una vista
(c D' un gran palazzo , Micol ammirava .
Dice poi il Tasso, che la materia è vinta dal lavoro, imitanda
quel di Ovidio:
(t Materiam superabat opus;
ed intendendo per lavoro, quello che i Lritini dicono Mnnu.r
pretiu/n , e Manu pretium , noi manijattura . E pei'chè ci è acca-
duto di fare menzione del nome lavoro, non sarà fuor di propo-
sito di annotar J'i;»i0 quello che ad illustrare molti luoghi di
48 LA GERUSALEMME
Fermar nelle figure U guardo intento ;
Gilè vinta la materia è dal lavoro .
Manca il parlar: di vivo altro non cinedi;
Né manca questo ancor , s' agli occhi credi .
questo poema, ne'quali si ragiona della Croce Trionfale, non po-
co gioverà: cioè, che lavoro per la insegna della Croce si piglia-
va ne' più bassi tempi dell'Imperio Romano , siccome si può in-
tendere dalle costituzioni dcgl' Imperatori, e da' testimoni do' sa-
cri scrittori , citati dal valentissimo Giurisronsulto Già. Cujacio,
nel titolo del Codice, de Prirf. ìaborum . Tra' quali racconta Eu-
sebio, che Costantino Magno propose alla cura di tale stendardo
cinquanta soldati, i quali nella battaglia di qua e di là lo portas-
sero, secondo che questa o quella parte era più «ppressa da' ne-
mici, come per segno d'ajuto e di liberazione. E di qui s inten-
de quel da nessuno, ch'io sappia, inteso luogo di Dante, ove Giu-
stiniano Imperatore cosi dice di sé stesso , Farad. 6:
« Tatto die con la Chiesa mossi, i piedi ,
« y4 Dio per grazia piacque di spirarmi
« L'ulto lavoro.
Perchè avea detto di sopra, che egli era stato de'seguaci di Eu-
tiche eretico , il quale credeva che in Cristo non fosse vera na-
tura umana: ma che poi fu da Agapito Pontefice convertito alla
vera fede, cioè, a credere che eziandio la natura umana vera e
distintamente vi fosse, la qual natura umana, perciocché sola fu
afilssa al legno della Croce, però egli dice, che Dio il lavoro,
cioè la Croce, gli spirò, e lo dimanda allo per più ragioni . Il qual
senso, come egli è verissimo , così spero che ad ognuno sarà uoa
men grato d intenderlo, che a me sia stato di averlo esplicato .
Gent.
— Su i cardini stridcan di liicid' oro
Virgilio, nel primo deli Eneide, parlando del tempio di Didone
in Cartagine, v. 453:
« Jòribus cardo stridebat ahenis .
Il pongo per quelli che hanno ripreso lo stridere in questo luo-
go, non avendo più che far nel tempio di Didone, che qui.
— Clie vinta la materia b dal lavoro .
Ovidio , sopì a citato.
— Manca il parlar, di vivo altro non chiedi ,
J\iè manca questo ancor, s'agii occhi credi.
Dal parlar in fuori , che non si sentiva, eran vive le figure; ma
se del parlare vogliamo credere agli occhi, e non all'orecchie , si
aveva ad ogni modo a dire che parlavaa quelle immagini, cotan-
to il pareva in rimirandole. Il concetto è di Dante da lui parti-
colareggiato nel IO del Purgatorio; (ma universaleggiato dal Tas-
so qui ):
« Dinanzi parca gente , e , tutta quanta
« Partita in sette cori , a' duo miei sensi
« tacca dicer V un no , l'altro si, canttt.
LIBERATA C. XVI. 49
III.
Mirasi qui fra le Meonie ancelle
Favoleggiar con la conoccliia Alcide:
Se l'Inferno espugnò , resse le stelle,
Or torce il fuso : Amor se '1 guarda e ride.
Mirasi Jole con la destra imbelle
Per isclierno trattar 1' armi omicide;
E 'n dosso ha il cuojo del leon , che sembra
Ruvido troppo a sì tenere membra .
IV,
D'incontro è nn mare; e di canuto flutto
Vedi spumanti i suoi cerulei campi :
Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto
Di navi e d' arme , e uscir delf arme i lampi :
? Similemente al fumo degli incensi,
« Che v'era i magi nato , e gli occhi e I naso ,
« Ed al sì, ed al no discordi fensi. GuAST.
St. 3. Mirasi quijra le Meonie ancelle.
Ovidio libro 2. De Arte Amandi:
« Illefatigatoe vincendo m^nstra novercce
« Qui meruit coelum , <]uod prior ipse tulii:
« Inter Jonicas calathum tenuisse puellas
Dicitur , et lanas excoluisse rudes .
Il Boccaccio « chi fu (dice) più valoroso uomo di Ercole: il qua-
le innamorato mise le sue forza in oblio, e divenuto vile 61ò l'ac-
cia con le femmine d' Jole? » E di questo intese colui , che sotto-
scrisse alla statua di Cupidine questi due versi dichiaranti la sua
potenza :
« Sol calet igne meo : flagrai Neptunus in undis,
« Pensa dedi Alcidoe , Baccum servire coegi. Gent.
Pittura conveniente a porte di giardino , ove albergavan si fat-
ti amanti.
— Favoleggiar con la conocchia Alcide .
Ad Onfale reina de' Lidi, delti altrimente Meonj , servi sì gran
padrone; e fra le fanti di lei avvolto iu gonna femminile, si tor-
se il fuso. ¥
— Mirasi Jole .
Amata e rapita da Ercole fu costei , secondo che racconta A-
poUodoro nella sua Biblioteca ; e per amor di lei, secondo altri
quello pati che sotto Onfale per altri rispetti già era stato co-
stretto a patire .
St. 4- Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto ec.
Lcggiadri«sime sono queste ottave, e bella l'invenzione degli
Co LA GERUSALEMME
D' oro fiammeggia 1' onda , e par che tutto
D incendio marzial Leucate avvampi .
Quinci Augusto i Romani , Antonio quindi
Trae l'Oriente, Egizj , Arabi ed Indi.
V.
Svelte nuotar le Cicladi diresti
Per r onde , e i monti coi gran monti urtarsi ;
L' impeto è tanto , onde quei vanno e questi
Co' legni torreggianti ad incontrarsi.
Già volar faci e dardi, e già funesti
Vedi di nova strage i mari sparsi :
Ecco ( ne punto ancor la pugna inchina )
Ecco fuggir la barbara reina ;
VI.
E fugge Antonio , e lasciar può la speme
Dell' imperio del mondo, ov'egli aspira.
intagli ed ottimamente accomodata. Il nostro Poeta prese qui ad
imitare la bellissima descrizione dello Scudo di Enea , opera me-
ravigliosa di Vulcano, e sul quale Viri;ilio Anse scolpite le pia.
fastose vicende de' Romani e di Augusto. Ecco i principali luo-»
ghi , posti a parallelo .
Virgilio nell' 8 , v. 275 :
(( In medio classes (xratas, Actìa bella
a Cernere erat ; totiimque instructo marte vidcres
(I FtTi'cre Leucaten , auroque effulgere fluctus .
— Quinci Augusto i Romani , Antonio quindi
Trae /' Oriente , Egizi » Arabi ed Indi .
Virgilio nel luogo allegato, v. 685:
« Hi ne ope barbarica, variisque Antonius armix
« Victor ab Auroroe po/juli.v , ft litore rubro ,
« /Egyptum , vircsque Orientis , et ultiriia secHin
« Bactra ve kit .
St. 5. Si'elte nuotar le Cicladi diresti ec.
Virgilio, V. 692:
u Pelago credas innare reviUsas
« Cycladas , aut montes conrurrere montibus altos ,
n Tanta mole turi turritis pappi bus instant .
— Giù volar faci , e dardi , e già funesti
Vedi di nuova strage i mari sparsi .
Virgilio, V. Gg'f:
Il Stuppea flanima tnanu , tcliquc volatile ferrurn
a Hpargitur , arvu nova Nctpunìa cuede rubescunt ^
LIBERATA C. XVI.
Non fugge no ; non tenie 11 fier , non teme
Ma segue lei , che fugge e seco il tira .
E per terminare il parallelo ^ a confronto dei versi della si. 7 ;
« Nelle latebre fioi te.
stanno i seguenti di Virgilio, v. 71 1 , e 7 i3.
« Contra nutem maona mccrentem torpore Niliim.
« Cocruleum in grcinium , latcbrusacjuc jhimina victos etc.
Al Galileo sembra tuttavia un po' troppo ardito ciò che il Tas-
so dice delle Cicladi , e quel percuotersi e urtarsi di navi finte e
■prive di moto. Siccome però il Poeta non asserisce che assoluta-
mente le del idi fossero svelte , né che le navi si urtassero ; ma a
meglio spiegare l'eccellenza di quel lavoro soraniamente meravi-
glioso, appunto perchè fatto con arte magica, premette che dire-
itti ( il che suona lo stesso che ti sembra ) svelte not.ir le Cicladi
e i monti coi gran monti iir0irsi: cosi bellissimo e naturale, anzi
che ardito , dee dirsi questo luogo , e vero e sublime è l'entusia-
smo con cui il Poeta descrive lo stupendo intaglio. Né però il
solo Virgilio fu in queste ottave imitato dal Tasso, ma il venu-
stissimo Poliziano ancora in quelle divine stanze, alle quali deb-
be l'Italiana Poesia iu gran parte il suo risorgimento dopo i tre
suoi primi lumi Dante, Petrarca e Boccaccio . Il luog» del Poli-
ziano è quello in cui egli prende a descrivere le porte e le soglie
della reggia di Venere. Bellissima fra le altre è la descrizione di
una scultura rappresentante la Dea, che nasce dalle schiume d«l
mare. Eccone un saggio nella stan. 100. e seg.
« Vera la schiuma e vero il mar direste,
« Il nicchio ver, vero il soffiar de' venti.
« La Dea negli occhi folgorar vedreste,
« E '1 ciel riderle attorno e gli elementi:
« L' Ore premer l'arena in bianche veste ,
« L'aura increspar li crin distesi e lenti.
« Non una, non diversa esser lor faccia;
« Come par che a sorelle esser confaccia.
« Giurar potresti che dell'onde uscisse
n La Dea premendo con la destra il crino,
« Con l'altra il dolce pomo ricoprisse;
tf E stampata dal pie sacro e divino,
« D'erba e di fior la rena si vestisse;
« Poi con sembiante lieto e pellegrino
« Dalle tre Ninfe in grembo fosse accolta,
« E di stellato vestimento involti , ec. ec. M.
St. 6. ]\on Jii^ge no; non teme il /ler , non teme , ec.
Ottimamente dice tira : perchè scrive Plutarco, che Antonio
in quella sua vergognosa fuga era da Cleopatra ritirato non altri-
menti, che se fosse stato al corpo di lei concreato : dimosti andò
esser vero quel che uno disse per ischerzo , che l'anima dell a-
niante vive nel corpo di chi da lui s'ama . Dice poi , che rimirava
le fuggenti vele: intendendo solamente della nave di Cleopatra ,
la quale aveva le vele di porpora: tome testifica Plinio lib, jq^
5i L\ GERUSALEMME
Vedresti lui simile ad uom che freme
D amore a un tempo, e di vergogna e d' ira,
Mirar alternamente or la crudele
Pugna eh' è in dubbio , or le fuggenti vele .
VII.
Nelle latebre poi del Nilo accolto
Attender pare in grembo a lei la morte;
E nel piacer d' un bel leggiadro volto
Sembra che il duro fato egli conforte.
Di cotai segni variato e scolto
Era il metallo delle regie porte.
I duo guerrier , poi che dal vago obietto
Rivolser gli occhi, entrar nel dubbio tetto .
vili.
Qual Meandro tra rive oblique e incerte ,
Scherza e con dubbio corso or cala, or monta,
Queste acque ai fonti , e quelle al mar converte;
E mentre ei vien , se che ritorna , affronta :
cap i.Ela medesima si addiraandava Aatonia, siccome in un
altro luogo di questo poema annotai .
St. 7. IVe/le latr'bre poi dal Nilo accolto ec.
Quivi è degno d' esser notato quello che racconta Seneca :
cioè, che Rabizio Poeta in una sua favola (Tragedia credo che
fusse ) fingeva M. Antonio, poiché vide la fortuna esser cambia-
ta, ed a sé niente altro restare, che la libertà e ragione della
morte, e questa non altrimenti , che se preoccupata se l'avesse,
in questa guisa esclamare :
« Hoc liabui , quodcunque dedi;
Tolendo dire (com'io avviso) che quello solamente avea, che in
quel suo crudelissimo Triumvirato avea dato altrui, cioè la l^
berta del morire, avanti che da' suoi ministri fusse ucciso. Le
quali parole è verisimile ch'ei dicesse quando se stesso uccise ia
quel sepolcro , nel quale per fraude della sua Cleopatra , che si
fingeva morta, si andò a mettere. Gent.
St. 8. Qual Meandro fra rive oblique e incerte ee.
Ovidio lib. 8, Metani, v. i63:
<( Non secus ac liquidix Phrygius Mceander in undis
« Ludit , et ambìguo tapsu rejluitque Jluitquc ,
« Occurrensquc sihi ventiiras aspicit undns :
« Et mine adjòntcs, nunc ad mare versus apertura
« Incertas exercet aquas .
Da questo corso si obliquo ed incerto, tutte le cose che sona .
LIBERATA C. XVI. 53
Tali, e più inestricabili, conserte
Son queste viej ma il libro in se le impronta.
Il libro , don del mago ; e d' esse in modo
Parla, die le risolve , e spiega il nodo.
IX.
Poi che lasciar gli avviluppati calli,
In lieto aspetto il bel giardin s' aperse :
Acque stagnanti, mobili cristalli,
Fior vari , e varie piante , erbe diverse ,
Apriche collinette, ombrose valli.
Selve e spelonche in una vista offerse ;
E, quel che '1 bello e '1 caro accresce all'opre,
tali s'addimandano Meandri: siccome nota Strabone, ed in ogni
autore è lecito di vedeìe . Gent.
— Tali , e più inestricabili conserte
Son queste vie .
Si fatte son queste vie, e cosi inestricabili ravvolte insieme.
Conserte è voce di Dante e del Monteniagno, come si notò nel
primo canto, Goast.
St. q. Acque stagnanti , mobili cristalli ec .
A me pare che in tutta questa descrizione non sia veruno
scherzo, quale gli acuti uomini v'annotano e scherniscono, ma che
il Tasso abbia ottimamente conseguito quello che Ermogene c'in-
segna nei capitolo della dolcezza, cioè dieci è lecito di descrivere la
bellezza d'un luogo con quella figura che Ecphrasis si addiman-
da , e dipingere varie sorte, alberi ed erbe, e diverse specie di
acque, e simir altre cose , le quali danno piacere agli occhi, men-
tre si rimirano , ed agli orecchi mentre si narrano. E dà l'esem-
pio di Saffo , la quale disse :
A'^<^i (|)fù3wp vi/uypbv xfyaSa Si'uc^uv ^a>t'va-v,
cioè: « L'acqua fresca rende intorno per li rami un dolce susut-
(i ro » . Ora ognun sa che il Tasso non ha seguito iqui altro che
la dolcezza . Gekt.
— E , quel che V bello e 'l caro accresce all'opre ce.
Artificio d' ogni artificio, è metter sommo artificio in alcuna
cosa , e far che non appaja ; e ciò la rende più bella e cara per
non vi si scorgere affettazione. Guast.
L'Ariosto descrive in tal modo, nd can. 6, la reggia d' Alcina,
stan. ao e segg.
a Non vide né '1 più bel , né '1 più giocondo
« Da tutta r aria, ove le penne stese;
n Né, se tutto cercato avesse il mondo,
« Vedria di questo il piìi gentil paese;
« Ove dopo un girarsi di gran tondo.
54 LA GERUSALEMME
L' arte che tutto fa , nulla si scopre .
« Con Ruggier seco il grande augel discese .
« Culle pianure e delicati colli
« Ciliare acque, ombrose ripe e prati molli.
« Vaghi boschetti di soavi allori,
n Di palme, di amenissime mortelle:
« Cedri ed aranci , eh' aven frutti e fiori
« Contesti in varie forme, e tutte belle,
« Facean ripar ai fervidi calori
« De'giorni estivi con lor spesse ombrelle,
« E tra quei rami con sicuri voli
« Cantando se ne giano i rosignoli.
« Tra le purpuree rose e i bianchi gigli ,
« Che tepida aura freschi ognora serba ,
« Securi si vedean lepri e conigli ,
« E cervi con la fronte alta e superba ,
n Senza temer che aleun gli uccida e pigli,
« Pascano, o stiansi ruminando l'erba.
« Saltano i daini e i capri snelli e destri,
« Che sono in copia in quei luoghi campestri.
Vedasi ancora un'altra simile e bellissima descrizione, che fa
lo stesso Ariosto , can. 'i\ , stan. 49 1 « segg.
Pare però che amendue i Poeti imitato abbiano in queste de-
scrizioni il già lodato soavissimo Poliziano. Tre sole stanze na
vogliamo qui aggiungere, lasciando a'iettori il farne «B piii lungo
confronto delle altre ancora, stan. 70 , e segg.
« Vagheggia Cipri un dilettoso monte,
« Che del gran Nilo i sette corni vede
« Al primo rosseggiar dell'orizzonte,
« Ove poggiar non lice a mortai piede.
n Nel giogo un verde colle alza la fronte;
« Sott'esso aprico un lieto pratel siede;
« U'scherzando tra' fior lascive aurette,
o Fan dolcemente tremolar l'erbette.
« Corona un muro d'or l'estreme sponde
, « Con valle ombrosa di schietti arboscelli,
» Ove in su' rami fra novelle sponde
<f Cantano i loro amor soavi augelli.
« Sentcsi un grato mormorio doll'onde,
« Che fan duo freschi e lucidi ruscelli,
« Versando dolce con amar liquore,
« Ove arma l'oro de' suoi strali Amore.
« Ne mai le chiome del giardino eterno
« Tenera brina 0 fresca neve imbianca;
« Ivi non osa entrar ghiacciato verno:
Il Non vento l'erbe, o gli arboscelli stanca:
« Ivi non volgon gli Anni il lor quaderno;
« Ma lieta Primavera mai non manca,
« Che i suoi crin biondi e crespi all'aura spiega,
« E mille fiori in ghirlandctta lega, ce. ec. M.
LIBERATA C. XVI. 55
X.
Slimi ( sì misto il culto è col negletto )
Sol naturali e gli ornamenti e i siti.
Di natura arte par, che per (lllelto
L'imitatrice sua scherzando imiti.
L'aura, non eh' altro , è della maga effetto ,
L'aura che rende gli alberi fioriti:
Co' fiori eterni eterno il frutto dura ;
E mentre spunta V un, ]' altro matura.
Xi.
Nel tronco istesso e tra l' istessa foglia
Sovra il nascente fico invecchia il fico :
St. io xl mixto il culto è cui negletto.
In tal guisa è mescolato l'ornato con lo spregiato, o la coltur:»
col dispregio, che tu stimi ogni cosa venir dalla natura, e nulla
dall'arte .
— Di natura arte par , che per diletto
U imitatrice sua scherzando irriti .
Appare in quel luogo non che la natura sia stata imitata dal-
l'arte, com'ella suol fare; ma all'incontro più tosto dalla natura
l'arte. In tal guisa dunque era ogni cosa cnlta, che non parca
che potesse venir dalla natura , che non suole far cose cos'; ador-
nate , e pur con tutto quell'ornamento, era essa si fatta cl»e pa-
rca naturale. Il concetto è d'Ovidio in due luoghi nelle Meta-
morfosi: e dove dice Natura; ludi'utis opus, e al 3 , v. 157:
« Cujus in e.rtremo est ani rum nemorale rcccssu
« /4rte lahoratum nulla : siinulaverat artcrn
« Ingenio natura suo.
Ma qui si contiene c|uel concetto di più riposto in quella paro-
la V imitatrice sua, volendo dir ch'era allora iinitante chi soleva
tssere imitata. Goast.
Questi versi per essere alquanto duretti ad intendersi, fiu'ono
cangiati dal Poeta nella prima Apologia, in questa guisa:
« Beli' arte di naturn , ave a diletto
« jL' imitatrice sua giocando imiti.
Nelle quali parole viene accennata quella sentenza, che ars i-
mitatur naturam , tolta da Aristotile ad Nicomachum ne'Morali ,
— Co' fiori eterni eterno il frutto dura, ec. Gent.
Cosi l'Ariosto al canto io, mentre descrive il giardino di Logi-
stilla, alla stan. 63 :
« Ma quin era perpetua verdura,
« Perpetua la beltà de' fiori eterni.
Il che fu fatto ad imitazion di Omero, come vedrassi piii sot-
to. Mart.
St. 1 1. JVcl tronco istesso e tra l' istessa Joglia ec,
G. LiB. T. in. 5
56 LA GERUSALEMME
Pendono a un ramo, un con dorala spoglia,
L'altro con verde, il novo e 1' pomo antico.
Lussureggiante serpe alto e germoglia
La torta vite, ov' è più 1' orto aprico :
Qui r uva ha in fiori acerba, e qui d' ór 1' have,
E di pirópo e già di nettar grave.
XII.
V ezzosi augelli infra le verdi fronde
Temprano a prova lascivette»note.
Mormora 1' aura , e fa le foglie e V onde
Garrir, che variamente ella pcrcote.
Tutta la presente stanza è da conferirsi con i versi di Ome-
ro, nel libro 7, dell'Odissea, ove descrive l'orto dc'Feaci. Nella
qual descrizione siccome il Tasso avea imitato Omero, cos'i Ome-
ro ( se a Giustino Martire vogliamo dar fede) imitò Moisc là do-
ve il Paradiso descrisse. Nella imitazione del Tasso è da notare
che potrebbe ad alcuno parere, che non avesse prudenteiiK-nle
lasciato quel che dice Omero, uv^Acv b ìttÌ p.>5Xw , cioè il melo
invecchia sopra '1 melo; perciocché, fu questo pomo dedicato a
Venere , siccome l'interprete di Teocrito scrisse . Onde i poeti ne
fanno spesso menzione come di cosa lasciva ed amorosa , quali
sono tutte queste che il Tasso usa nel descrivere il giardino di
Armida . Ma egli forse il lasciò, o per giudiziosa brevità, o per
onestà accorta, sapendo il laido signilicato, nel quale è solito di
prendersi questo nome, sicché il volle ne' seguenti versi ricopi i,g
sotto il nome generale di pomo. Gent.
'ilvQx H òt'vòprx juaKpà TTiCpvnii Ti^XfS'o'wvTa. ,
EuxaT Ts ykVKfpy-l , kxì ìXxToli riXi^^ó'^cai .
Tci'wv ouTTcrt Kxpnoi (X7roA.Xuraj , oOS' iTihn'Trst
Xii'ixaTOi ouiV Sf'pffj iTTiTì^Gici, aX\à juaX' a.iét
Zipxjpivj TTvHaaix rà /uÈi/ ^uc( , aXXà ^ì ttigcììi .
'Oy)(\'Vl ?7r' óyxyyi yyipxaxH , \x.v\Kov K ìtti' juj^aco ,
Aùràp ini STacpuX^ c7raipuX>j , cùxov 5' ìttÌ auKcj .
Cioè :
« Quivi gli alberi grandi crescevano co' rampolli,
« Il pero , il granalo e le mele col bel frutto,
« E i fichi dolci, e gli ulivi co' rampolli.
« Da questi non niai il frutto perisce, o manca
« D'inverno, né di state, tutto l'anno durando, ma sempre
« Co' zefiri spirando altri ne fa nascere , ed altri maturare.
« Il pero sovra il pero invecchia , e il pomo sovra il pomo ,
« E l'uva sopra Tura, e il Geo sovia il lieo. Gvast.
L 1 B E 11 A 1 A C. XVI. 57
Quando laccion gli augelli , allo risponde ;
Quando cantan gli augei, più lieve scote:
Sia caso od arie, or accompagna, ed ora
Alterna i versi lor la musica óra .
XIII.
Vola fra gli altri un che le piume ha sparte
Di color varj , ed ha purpureo il rostro;
E lingua snoda in guisa larga, e parte
La voce sì , eh' assembra il sermon nostro.
Quest' ivi allor continovò con arte
St. 12. Quando taccion gli augelli, alto risponde , ec.
Tiro Massimo, Serni. 87 racconta di un certo uomo che si di-
Iettava di allevare animali , che avea nel suo albergo molti uc-
celli di quelli che sogliono la mattina più dolcemente cantare ;
li quali udendo ogni giorno sonare un musico il flauto, in tal ma-
niera si avvezzarono a quel suono, che non prima quel musico
incominciava il suo canto, che quelli, quasi ammoniti, a guisa di
coro non rispondessero. E questo è quello che dice il Tasso nel
presente luogo . Al che piìi chiaramente allude di sotto, dicendo :
« Tacque , e concorde degli augelli il coro ,
« Quasi approvando il canto , indi ripiglia . Gent.
Dante di simil concerto di musica fra le foglie e gli augelli
nel 28 del Purgatorio:
« Ma Con piena letizia , V ore prime
« Cantando , rice^'eano intra le foglie,
« Che tenevan bordone alle sue rime. Gdast.
St. i3. Vola fra gli altri un che le piume ha sparte ec.
Ci descrive il pappagallo. De' quali si scrive ancora dagli anti-
chi che nelle Indie s" insegnano da' maestri a formare voci umane:
e che sono nell' imparare percossi con una chiavicella di ferro,
come scrive Solino; ovvero come Plinio, con un raggio di ferro.
Gent.
Il Sig. di Voltaire chiama indistintamente questi uccelli r/e*-
perrocjuets (pappagalli) e piglia due sbagli . i. Uno solo fra tanti
uccelli è quello che parla , e che potrebbe e.ssrr preso per un per-
roquet . 1. Egli non s'avvide del bell'artifizio che usò il Tasso, fa-
cendo a bella posta il nome di quest'uccello pailante non mai pili
veduto, per renderlo piìi maraviglioso, 0 schivare a un tempo
l'inverisimiglianza e forse anche il ridicolo. C est là, dire il
Ba retti, sa fa(;on l'ternelle de traduìre . ]V|.
— E lingua snoda in guisa larga ,
Alta e chiara .
— e parte .
Coni par te.
— Quest' ivi allor continovò con arte
Tanto il parlar , che fu mirabil mostro ,
58 LA GERUSALEMME
Tanto il parlar , che fu mirabil mostro :
Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti ,
E fermaro i susurri in aria i venti .
XIV.
Deh mira, egli cantò , spuntar la rosa
Dal verde suo modesta e verginella^
Che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa ,
Quanto si mostra men, tanto è più bella ,
Il che dice Plinio , loqui longìori conte.rfu : ove passiona, ma ecco
le sue parole: 1. io e. 4'-*" yl^rippina conjux Claiidii Civsarix tur-
dum Itabuit (^i),uod nunqunm ante) iinitantetn sermoncs hominiim,
tiim hcec prodcrem . Hcihebant et Ccesares jiivenes itein sturnum ,
item luscinias Qroeco atque Latino sermone docìles : proeterea me-
ditantes in diem , et assidue nui'a ìoqiientcs , longìore etiam con-
textu . Di (juesti miracoli si potrebbe farne un giusto volume.
GB^T.
— Tcicquero gli altri ad ascoltarlo intenti .
"Virgilio nel 2 dell'Eneide:
« Conticuere omnes , intentique ora tenehant .
St. 14. Deh mira , egli cantò , spuntar la rosa
D il verde suo modesta e verginella .
Imitò leggiadrissimamente Catullo in quei versi intitolati;
Carmen nuutiaie , che credesi di Giulia e di Manlio:
« Ut flos in septis secretus nasci tur ìiortis
d Ignatus pecari , nullo contusus aratro ,
« Quem mulcent auroe , .firinat sol , educat imher , ec.
I quali versi furono anche imitati dall'Ariosto al canto primo,
stan. 42:
« La verginella b simile alla rosa , ec.
E mi pare, che nella descrizione della rosa non meno be-
ne si sia portato il Signor Tasso , che 1' Ariosto: ancorché gli
Accademici Fiorentini, con alcuna ragione la loro opinione non
provando, abbiano quella del Tasso biasimata , allegando solo,
che non vi calzò bene per epiteto della rosa quella parola mode-
sta; ma quel eh' è bello, lodano poi sommamente una stanza di
Angelo Poliziano, la quale, non che arrivi alla bellezza di quella
del Signor Tasso, ma né anche vi si avvicina; e patisce la mede-
sima opposizione : perchè dice :
« Trema lu m.itnmoletta verginella
« Con occhi bassi onesta e vergognosa ,
Ecco quell'onesta , che è il medesimo quasi che modesta; oltre
ciò più sotto vi sono molte cose, che potriansi contra detta stan-
za dirsi , ma qui non lo richiede il luogo nò l'occasione.
— Che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa .
Cosi l'Ariosto al canto 2, stan. 32:
<c Mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso. Mart.
LIBERATA C. XVI. 5g
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
Dispiega; ecco poi langue e non par quella,
Quella non par , che desiata avanti
Fu da mille donzelle e mille amanti .
XV.
giorno
,^erde
Così trapassa al trapassar d' un gio
Della vita mortale il fiore e 1 v(
— Ecco poi nudo il sen già baldanzosa ec.
Dispiega ; ecco poi langue e non par quella ,
Quella non par.
Grandissimo effetto fa la repetizione in questo luogo, e appor-
ta notabile giovamento . Guast.
Acconsentirei a quelli i quali hanno ripreso questo modo di
parlare , e non par quella : se non vi fosse seguita la ripetizione
delle medesime parole , la quale lo rende gentile ed onesto ; al
quale eccotene uno simile in Orazio. In Lycen. lib. 4 =
« Quo Jugit Venus heu? quove color decens ?
«e Quo motus? quid habes illius , illius,
« Quo£ spirabat amores ,
« Quoe me surpuerat milii ec.
Perchè sappiam' ancor noi che ci suonino Illa et illud . Ma
non si riprende forse questo . Gent.
St. i5. Cosi trapassa al trapassar d' un giorno ec.
Bellissima e proprissima somiglianza per dinotare la fragilità
della vita umana, si può veramente stimare questa della rosa;
avvegnaché ella sotto si belli, freschi e vivaci colori , quali di-
mostra la mattina, in brevissimo spazio d'ore si può vedere eoa
tanta diversità marcita, e guasta la sera, come nella vita nostra
dalla gioventù alla vecchiezza si vede appunto avvenire. Perciò
servironsene molti degli antichi Poeti ; ed in particolare intorno
a ciò leggesi quella bellissima e vaghissima elegia intitolata ^o-
ioe, la quale quantunque a Virgilio fosse attribuita prima, vo-
gliono tuttavia alcuni ch'ella sia d'Ausonio; e in essa fra gli al-
tri sono c[uesti versi:
« Mtrahar c.eìerem fugìtiva ostate rapinam ,
« Jit dum nascuntur , consenuisse rosas.
E questi altri :
« Tot speries , tantosque ortus , variosque novatus
« Una dies aperit; conficit ipsa dies .
E questi altri dappoi :
<( Quiiin longa una dies , cetas tam longa rosarum
a Quas puhescentes junctd senecta pre.mit . GcAST.
Imitasi in questi versi la brevità della vita nostra, e per»
ben disse Ovidio:
« Tempora lahuntur , tncitìsqne senescimus annis ,
« Et Jugiunt frano non rtinorante dies ,
£ Orazio al i dell' Epistole :
6o LA GERUSALEMME
Né , perchè faccia indietro aprii rilorno ^
Si rinfiora ella mai, ne si rinverde.
Cogliam la rosa in sul mattino adorno
Di questo dì , che tosto il seren perde :
a Festinat enim deciirrere velox
« Flosculus angustce rniserwqut' brevissirna vitce
« Portio diim hibimiia dtim serta ungenta puellot
« Poxcimus , obrtpsit non intellecta senectus .
Platone nel Cratilo = A,\\à a.jTcit.TiX7rpoi.jua,ro(. w Tw -KipiKivt
W5 iVX\)TOV^QVH Vi O'j Sé h!l3xifBsQV à.\Xx pHC KXi (i)fpS(79-£
KOLl ixBiXfcvi 7r«,5575 ©opoi? HCii yfVcCSCi afi . cioè: «Ma le co-
« fift umane lianuo dalli natura questo, che di quelle alcuna non
« è costante, ina ora niuojono, ora nascono, ora di dette alcuna
« se ne corrompe, altre se ne generano. » E Gio. Antonio Flami-
nio al 2 degli Epigrammi :
« Nostra l'elutjlorem cernis , sic interit cetas ,
n Et properant celeri tempora nostra gradu .
Ed al medesimo libro si ritrova un Epitaffio altresì leggiadro
sopra Camilla Venerea, che comincia:
a Nil stabile, ac certuni, nil prosunt forma decorane ,
a A't7 cetas , ncc oves : hoec rnpit fiora brevis .
Quanto poi a' poeti volgari , che di ciò trattarono, tra gli altri
"reggasi il Petrarca al capo della Divinità; e al 2 capo del TrioH.
d'Amore; alla sestina. Gioitane donna.- e nella canzone. Se io cre-
dessi per: e in quella. Perchè la vita: e in c(ucir altra, Italia
m.ia : e al Sonetto , Si breve <) il tempo : e a quello , // mal mi pre-
me: a quello. La vita fugge : e a quella. La bella donna: e il Sa-
nazzaro all'egloga 8. Quindi Omero disse, che gli uomini erano
come le frondi degli alberi , e ciò dice al 6 e al ai e dell' Iliade ,
laqual cosa fu anche detta da Mimnermo :
A/u.f7p 3' oloLT <pvK\oL(^vH 7roXÌxvTi(J.oi wpij
Eapo5 t' 01.1^1/ auyjj olìj^ìtai y,Xi'is.
€ioè :
« Noi siamo come frondi , che la Prima-
« vera fiorita apporti , e il Sol le scalda .
E dal divino Dante al 26 del Par-
« Che l'uso de' mortali è come fronda
(.<■ In ramo, che sen va , e l' altra viene. Mart.
— Nò perchè faccia indietro aprii ritorno
Si rinfiora ella mai, né si rinverde.
Catullo nel 5 a Lesbia:
•< Soics occiderc , et redirc possunt :
« Nobis , cum. semel ocridit brevi s lux,
'<■ Aox e.<:t perpetua una dormi enda .
LIBERATA C. XVI. 6i
Cogliam cV amor la rosa ; amiamo or quando
Esser si puote riamato amando .
XVI.
Tacque ; e concorde degli augelli il coro ,
Quasi approvando ;, il canto indi ripiglia ;
Raddoppian le colombe i baci loro;
— Cogliam d' amor la rosa; amiamo or quando ec.
Il medesimo appunto comanda Mosco:
2Ip{'p7f T* rou? (piXfovTix; , l'v i?v (ptXsvTf , (pfXv^cS^ae .
Cioè, « amate quelli che vi amano, acciocché amando siate riama-
ti ». E col titolo di Riamante compose Anaxandride Greco un poe-
ma , del quale cita Ateneo un non so che detto delle colombe, e
de' passeri, de' quali si nota nella seguente stanza .
— an iamu or quando
Esser si puotc riamato amando .
Non nella vecchiezza , nella quale non si trovano riamatori. Il
che nel suo Pastor Fido leggiadrissimamente, come niill'altri gra-
ziosi concetti, espose in questo modo il Signor Cavalier Guarini:
« Godinm. , sorella mia,
^-^^ « Gudiam, che 'l tempo vola, e posson gli anni
it Ben ristorare i danni
« Della passata lor fredda vecchiezza ;
o Ma s'in noi giovinezza
a Una folta si perde ,
« Mai piti non si rim'erde ,
« Ed a canuto e lii'ido sembiante
u Ben può tornar amor , ma non amante . GuAST.
St. ifì. Raddoppian le colombe i bari loro.
Fa speziai menzione delle colombe : perchè passano tutti gli
altri animali di lascivia nel baciarsi. Catullo, ad Manlium:
« ]\ec tantum nù'eo gavisa est ulta columbu
fl Campar seu quirquid dicitur improbius ,
« Oscula mordaci semper decerpere rostro .
Onde Gn. Mario formò quell'avverbio columhatìm , dicendo
ne' suoi Mimi:
« Simiqiie amirnm- recipere frigidiim caldo ,
« Culumbatiinqiie lahra conserens Inbris . '
E per questo le colombe sono sacre a Venere , il carro della
quale però finse SalFo poetessa che da' passeri, e non dalle colom-
be fosse tirato. E di quelli forse intese Catullo nel luogo di so-
pra riferito. Quello poi, che aggiunge il Tasso delle querele, e
dell'altre piante conferiscilo con i vaghissimi ver.^i di Claudiano
de Auptiis Honor. et Murice, i quali pili copiosamente imitò egli
nella sua Silvia, cominciando ivi :
« Vivant in Venererà frondes . Gent.
Opra e forza del lusinghevol canto , ad insegnamento nostro
che si fatte voci s' hanno a fuggire. Le colombe, animale lasci-
6i LA GERUSALEMME
Ogni anima] d' amar si riconsiglia :
Par che la dura quercia e 1 casto alloro,
E tutta la frondosa ampia famiglia,
Par che la terra e 1' acqua e formi e spiri
Dolcissimi d' amor sensi e sospiri .
XVII.
Fra melodia sì tenera e fra tante
Vaghezze alleltatrici e lusinghiere ,
Va quella coppia, e rigida e costante
Se stessa indura ai vezzi del piacere .
Ecco tra fronde e fronde il guardo avante
Penetra , e vede , o pargli di vedere ;
Vede pur certo il vago e la diletta ,
Ch'egli è in grembo alla donna, essa all'erbetta,
xviii.
Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,
E '1 crin sparge incomposto al vento estivo :
▼ issiino e i un a moia lo , ladiloppiaron gli effetti d' amore; la quer-
cia e 1' alloro coriLiastaiili :nl amore, l'un per la durezza iunata,
l'altra per la castità famosa in Dafne, della quale esso nacque,
presi anch'essi d'amore, sospirarono amorosi sospiri .
— O^rù animai d' ainir si riconsiglici .
Del Petrarca . Guast.
Sr. I ^. Ftjdtì par certo il ì'as;o e, la diletta , ec.
Ovidio per lo contrario fa che Venere sedesse in grembo di A-
donc, e questi nell'crb.» dicemlo nelle Mei. lib. io, v. 556:
« Libet liar. reqtiiexcere tecum
« Et recjuievit kamo : pressitrfue et gramen, et ipsum.
« Inque sinns /in\riis po.ti/u reri'ic; rerlivi .
Il Tisso ha seguito quello che più convenevole gli è paruto
in questi due innamorati, ed Ovidio il costume de'suoi Romani ,
i quaii solcano le loro donne ed innamorite collocare a mensa sì,
che essendo essi all'usanza loro <rntesi sopra certi letticciuoli in
terra, si prendevano quelle nel luoi;o di dentro, il che si dicca ,
iniL-riìts cubare; onde avveniva, che il capo di quelle si richinas-
se sopra il seno di loro . Gent.
Ma il Tasso fa la situazione c positura di Armida e Rinaldo,
alquanto piìi lasciva, come si può vedere; e ciò lispetto al caldo
de' piaceri Venerei , de' quali egli finge Armida infocata in (jucl
tempo, conc sestue appresso .
St. i8. r.ila dì nunzi al petto ha if ir' diviso , ce.
Descrive il semplice e negletto abito della lasciva donna ncl^
LIBERATA C. XVI. Ci
Langue per vezzo , e '1 suo infiammato viso
Fan biancheggiando i bei siidor più vivo .
Qual raggio in onda, le scintilla un riso
Negli umidi occhi tremulo e lascivo .
Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle
Le posa il capo, e '1 volto al volto attoUe.
XIX.
E i famelici sguardi avidamente
In lei pascendo , si consuma e strugge .
l'ora della mattina, prima che allo specchio s'abbigliasse e «ora-
ponesse , come segue a far dopoi .
— e 'l suo infiammato viso
Fan hianclieggiando i bei siidor più vivo .
Più vivo per la comparazione, od opposizione d'un colore al-
l'altro.
— Qual raggio in onda le scintilla un riso
Negli umidi occhi tremulo e lascivo .
Notabilissimamente gli occhi , come parte molto spiritosa e
mobile eh' e' sono, dimostrano l'inclinazione e il caldo degli ap-
petiti venerei . Ovidio nel secondo De arte amandi , v. 721 :
(( Asjncies oculos tremulo Julgore micante.r
« Ut sol in liquida soepe rej'ulget aqua. GuAST.
Altro intese Giovenale , quando e' disse;
« Oculosque infine trementes :
ed altro il Petrarca nella Canz. Gentil mia donna , dicendo:
« Vien da' begli occhi al fin dolce tremanti
« Ultim.a spene de' cortesi amanti .
Perchè Giovenale intende cosa disonesta, ed il Petrarca a sen-
so vago la tiasferì : siccome fece eziandio in quell'altro verso dei
medesimo Poeta latino:
« Et lassata l'iris, nondum satiata rccessit .
Perchè ei disse onestamente di se stesso :
« Stanco giù di mirar , non sazio ancora.
Il medesimo fece il Tasso in quel verso pur di Giovenale, ove
dice, che furono alcuni vestigj di pudicizia, et sub Jovg, sed Jo-
ce nondum barbato .
Perchè ei disse , can. 1 \ :
« Giove Jorm-ò , ma Giove aliar tonante.
— Sovra liti pende , ed ei nel grembo molle
Le posa il capo , e 'l volto al volto estolle .
St. 19. £" i J iimelici sguardi avidamente
In lei pascendo .
Imita Lucrezio , ove parla di Venere e di Marte, che gli era in
grembo, nella invocazione , lib. i , v 38:
'< In j^reminm qìii serpe tuum se
64 LA GERUSALEMME
S' inchina , e i dolci baci ella sovente
Liba or dagli occhi, e dalle labbra or sugge:
Ed in quel punto ei sospirar si sente
Profondo sì , che pensi : or 1' alma fugge ,
E n lei trapassa peregrina . Ascosi
Mirano i duo guerrier gli atti amorosi .
« Reiicit eeterna devinctus vulnera amoris :
« Atque snnpiciens terree cervice reposta
a Pascit ainore avidos inhians in te. Dea, visus.
« Atqiie , tuo pendens resupini spiritus oris . Gbnt,
— si consuma e strugge .
Monsignor della Casa ad Amore :
« A quella tua che in un pasce , e consuma
« Esca fui preso .
E ben fa ritratto Amore ond'ei nacque, secondo Platone , cioè
dalla povertà e abbondanza; perciocché quanto più ne' suoi pia-
ceri si acquista, tanto piii in essi manca, perchè tanto piìi si de-
sidera .
— e i dolci baci ella sovente
Liba or dagli occhi , e dalle labbra or sugge .
Virgilio:
« Oscula libavit natoc .
Voce accommodatissima e appiopriatissima negli occhi, per
mostrare il riguardo con che si bacia così gentil membro per non
ofTcndcrlo; non così nelle labbra, però di esse dice il Poeta:
« E dalle labbra or sugge.
E Lucrezio lib. 6, v. 1 187 :
« Qui tenet adsuctis humcctans oscula lahris.
— Ed in quel punto ci sospirar si sente
Profondo sì, che pensi, or l' alma fugge
E in lei trapassa peregrina .
Mirabile energia di tutta quest'azione.
Del trapasso dell'anime dell'uno amante nell'altro son piene
tutte le poesie amorose, e n'è in particolare quel bellissimo epi-
grimma attribuito a Platone nella sua gioventù, nel qual tempo
ancora si grand' uomo allo studio, e al componimento delle tra-
gedie dicono che attendesse; e dico cosi :
H'XS'cyàp yitXvjfxuiv , (ai S<a)3i^0'0|Uf'vi^ .
Il quale con molta larghezza, e accicscimento di concetti fu
poi tradotto in latina da certo giovine appresso A. Gelilo, lib. ig,
<ap. I 1, in fjuesto modo ;
« Dum semiliulro suavio
(I AJf.um puellum snavior ,
» Dulcemque floram spiritus
(< Duco e.-g aperto trainile;
LIBERATA C. XVI. 65
XX.
Dal fianco dell'amante, estranio arnese,
Un cristallo pendea lucido e netto .
Sorse , e quel fra le mani a lui sospese ,
Ai misteri d' amor ministro eletto :
Con luci ella ridenti, ei con accese,
« Animula wgra et saucia
« Cucurrit ad lahias mihi:
« Rìctumquc , rictu pervium
« Et labra pueri mollìa,
« Rimata it inerì transitiis ,
<« Ut transilìret nititur ,
« Tum si morce quid plusculce.
« Fuixset in coita osculi j
« Amoris igni percita
« Transisset , et me linqueret:
« Et mira prorsum res foret
« TJt ad me Jierem, mortuus ,
« /id puerum. ut intus viverem, .
Ma piìi da vicino assai, e senza giuata di concetto alcuno, «
quasi parola per parola, come che molto leggiadramente in volga-
re, dal mio gentilissimo Sijj. Leonardo Spinosa del Signor Stefan»
in questo modo:
« Mentre dolci porgea
« Al mio Agatone i baci,
« L' anima in cima delle labra avea;
K Che di dolcezza vinta
« Ne trasse quasi al trappassar accinta . GuAST.
St. 20. Dal fianco dell' amante estranio arnese ec.
Di tale specchio si fa menzione da lui nelle sue Rime in un so-
MCtto, del quale è il primo verso quello che ha quivi usurpato
« Ai misteri d' amor ministro eletto .
Simil cosa erano quelle tavole amatorie fatte di cristallo, che
Cleopatra soleva mandare al suo Rinaldo, cioè a Marc' Antonio ,
siccome si legge nella vita di lui scritta da Plutarco. Gent.
— . Sorse .
Armida , per abbigliarsi , e fecesi tener lo specchio dal cava-
liere .
— Ai misteri d' amor ministro .
Lo specchio ministro de'misterj d'amore, perciocché dinanzi
adesso con occulta e misteriosa ragione amorosa ella s'adornava
e componeva; è questo verso eziandio il primo d'un sonetto del
medesimo Poeta nostro dove tratta un concetto simile al pre-
sente.
— Con luci ella ridenti.
Piene di letizia per l' imperio in amore, come segue nell' altra
stanza .
G6 LA GERUSALEMME
Mirano in varj oggetti un solo oggelt« .
Ella del vetro a se fa specchio , ed egli
Gli occhi di lei sereni a sé fa spegli .
XXI.
L' uno di servitù , 1' altra d' impero
Si gloria, ella in se stessa, ed egli in lei:
Volgi, dicea, deh volgi, il cavaliere ,
A me quegli occhi, onde beata bei;
Che son , se tu noi sai , ritratto vero
Delle bellezze tue gFincendj miei:
La forma lor , le meravigUe appieno ,
Più che 1 cristallo tuo , mostra il mio seno .
XXII.
Deh ! poi che sdegni me , coni' egU è vago
Mirar tu almen potessi il proprio volto :
Che '1 guardo tuo, eh' altrove non è pago,
Gioirebbe felice in sé rivolto .
— Mirano in varj oggetti .
La dolina nello specchio, e il cavaliere negli ocelli della
donna.
— un solo oggetto .
La cosa amata .
St. 21. yol2,i, direi, deh vnl^i , il cavaliere , ec.
Simile a quel luogo di Dante, Paiad. 3i :
. « Volgi. Beatrice, volgi gli occhi santi .
St. 22. Che 7 guardo tuo , eh' altrove non è pago ec.
Sentimento Platonico. Perchè si legge nell'Alcibiade priin»,
che l'occhio nostro ha solamente un modo, per il quale possa
conoscere qual'ei sia: cioè il riguardare nell'occhio altrui , ed ivi
quasi in un vivo specchio se stesso conteuiplare , ed in quella
parte dell' occliio spicialnientt', clic si addinianda pupilla, donde
si spicca la vista, e perciò dell'altre è la più iiobil parte. Al qual
luogo di Platone ebbe seuzn tlubbio riguardo il Petrarca , nella
C;iii/,. Perchè la vita, dicendo:
« Luci beate e liete,
« Se non ch'il veder voi stesse v' è tolto:
u Ma quante volte a me vi rivolgete,
« Conoscete in altrui quel che voi sete.
Rettamente dice, quel che voi sete: perchè nello specchio li si
Jimoslra, quel che pajono, e non quel che sono. Dante Purg. 19.
« Bianco marmo era , si uni ilo e terso ,
« Ch' i' mi spacchiava in esso quale i' pajo .
LIBERATA C. XVI 67
Non può specchio ritrar sì dolce imago;
Né in picciol vetro è un paradiso accollo :
Specchio t' è degno il cielo , e nelle stelle
Puoi riguardar le tue sembianze belle,
xxiii.
Ride Armida a quel dir; ma non che cesse
Dal vagheggiarsi, o da' suoi bei lavori.
Poi clie intrecciò le chiome, e che ripresse
Con ordin vago i lor lascivi errori.
Torse in anella i crin minuti, e in esse, •
Quasi smalto sull òr, consparse i fiori;
E nel bel sen le peregrine rose
Giunse ai nativi gigli, e "1 vel compose .
XMV.
Ne '1 superbo pavon sì vago in mostra
Spiega la pompa dell' occhiute piume ;
E però soggiunse il nostro:
— Aura può specchio ritrar sì dolce imago .
Onde è, che in vece di specchio, Catullo disse in un suo epi-
gramma,/ma^moiM/T^. Gent.
Ma prima che dal Poeta nostro, furon'in prosa questi concetti
ron molta vaghezza, e assai a lungo spiegati da! Signor Sperone
Speroni, nel suo Dialogo d'Amore.
St, 33. Poi che intrecciò le chiome ec.
La quali prima spargeva incomposte al vento.
— le pertg ri ne rose .
Peregrine , a differenza de' gigli che v'eran naturali , cciue se-
gue nel verso appresso:
— Giunse ai nativi gigli.
Alla bianchezza naturale delle carni.
— e 7 liei compose .
Ecco, posto l'ultimo ornamento, fornito tutto l'abbiglio:
St. 24. At' 'l superbo pavon si l'ago in mostra, eC.
Claudiano , lib. 2, v. 97: De Rupia Pros.
« AfC tales volucris pandit Jiinionia pennas ;
« Nec sic innumeros arai mutante colores
« Incipiens mutatiir hyems , cum tramite flexo
« Semita discretis intervirct humida nimbis . Guast.
Dalla coda del pavone scrisse Crisippo lib. 5. de Natura, che
si poteva intendere, che la natura di bellezza, e di varietà insie-
me si diletta. Per lo che (se crediamo a Plutarco) ci volle acci n-
nare, che il pavone è fatto perla coda, e non la coda pel paro-
68 LA GERUSALEMME
Ne l'Iride sì bella indora e iiiostra
Il curvo grembo e rugiadoso al lume.
Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra ,
Glie neppur nuda lia di lasciar costume.
Die corpo a chi non 1' ebbe , e quando il fece,
Tempre mischiò, eh' altrui mescer non lece.
XXV.
Teneri sdegni , e placide e tranquille
Repulse , e cari vezzi , e liete paci ,
ne. La qual sentenza come quell altra eziandio del raedesiino fi-
losofo, che Tuomo è utilmente destato da' cimici, ed ammonito
da' sorci ad aver cura alle cose sue , hanno fatto che io non mi ri-
da più di quel povero scolastico, il quale commentando la fisi-
ca, e vejiuto a quel luogo, ove si dice, che noi siamo in certo
modo il fine delle cose, vi mosse la quistione decimici, delle
mosche e delle pulci , dalle quali siamo cosi miseramente trafit-
ti ; e stato alquanto sopra di sé , alla fine risponde , che la natuia
ci ha dati questi animaletti per utile nostro , acciocché alla gui-
sa di ciriisici e di barbieri ci tirano fuori il sangue corrotto. A-
cutezza d' uomo! Ma compensisi ella con questa bellissima sen-
tenza di Tertulliano , De Pallio cap. 3 : Mutant et hestice prò ve-
ste Jormam ; qiianquam et pavo piuma vcstìs , et quidem de cata-
clitis ; imo omni conchylio depres.tior , qua colla fio reni ; et omni
patagio inaurati or , qua terga fwlgent ; et omni sy rinate solatior,
(jfua caudce j acent; multicolor, et versicolor , qua, nunquam i-
psa, semper alia, etsi semper ipsa quando alia, totiens denique
mutanda quotiens movenda . Gent.
— Nk V Iride sì bella indora e inostra .
L'Iride, che noi chiamiamo arco celeste, appare avanti la
pioggia, ma non si sovente, né meno si leggiadra, come cjuando
è piovuto , perchè la vista si ribatte pili nell' acqua , che ncU' a-
lia: appare ( come dice Aristotile) rpì^Jt^JS, cioè di tre colori, di-
cendo nondimeno Virgilio :
« Mille trahit varios adverso smle colores . Mabt.
— Die corpo a chi non V ebbe .
Fece corporee cose incorporee, come segue nella stanza ap-
presso .
St. a5. Teneri sdegni ec.
Questo è lo Cinto di Venere, che da' Greci si dimanda Crstos ,
ed è descritto da Omero nel decimo quarto della Iliade. Vedasi
Claudiano, ove descrive il monte di Venere, De Nupt. Ilonar. et
Mar. \\\: Et flccti faciles iroc, GenT.
E formato questo Cinto ad imilazìon di quello di Venere, col
quale essa faceva innamorar la gente , descritto da Omero nel i \
dell' Iliade , v. 214 con queste parole .
LIBERATA C. XVI. 69
Sorrise parolette , e dolci slille
Di pianto ;, e sospir tronchi , e molli baci;
Fuse tai cose tutte, e poscia unille,
Ed al foco temprò di lente faci;
E ne formò quel sì mirabil cinto ,
Di eh' ella aveva il bel fianco succinto .
XXVI.
Fine alfin posto al vagheggiar, richiede
A lui corniate, e 1 bacia, e si diparte :
Ella per uso il dì n'esce, e rivede
Gli affari suoi, le sue magiche carte.
Egli riman ; che a lui non si concede
Por piede , o trar momento in altra parte;
E tra le fere spazia e tra le piante,
Se non quanto è con lei, romito amante.
H', y.cil a-TTO gi^'S'fO'ipiv f*Xuo"aTo me^òv c'/^avra,
nciitiXcv . iv^a U oi 6tXKTvf(3(a nùvra TeruxTc.
E'vS"' tvt jufv <piXÓT}^i iv 5'7/j.fpoe, fv h"" òoipfqós
nap'cpac/s yjT t'ukt^e vòov Trujta Tr^p Opcvtovrwv.
Cioè:
« Disse, e dal petto si scinse il cinto ricamato
« Di diversi colori: quivi i vezzi tutti erano,
« Quivi l'amore, il desiderio, i susurri,
(1 Le lusinghe che rubano la mente eziandio de' più saggi.
Ma dal Poeta nostro, come può osservar ciascheduno, è stato
migliorato non poco, coU'aggiunta d'alcune cose tralasciate da
Omero ; le quali come spesso incontrano negli amori , cosi soglio-
no farsi assai più cari e soavi . Ma la Bnzion poetica di mescolare
insieme e cuocere al fuoco cose incorporee, è eziandio d'Ovidio
nel 4 delle Metamorfosi, là ove di Medea ragiona , v. /199:
« ylttiilerut st'cum liquidi quoque monslra itncrii ,
& Oris Ccrberci spumas , et virus Echidna; ;
« Erroresqve vagos , cceroeque ob/ivia nitnlis,
« Et scehix, et lacrymas , rabiemque et ccrdis amorem;
« Omnia trita simul : quce sanguine mista recenti
n Co.rerat erre ca\'o viridi versa/ a cicuta . GxJAST.
E Virgilio, lib. 8 , v. i3i, con bell'ardimento assoggettò alla
potenza fabbrile il lampo , lo strepito , la paura, lo sdegno, e gli
impastò, li fuse, e diede lor forma , alla guisa che si fa della ma-
teria :
« Fulgures nunc terrificos , strepiiiimque , metumque
« Miicebant operi jflnmmisque sequucibus irne . M.
70 LA GERUSALEMME
XXVI!.
Ma quando l'ombra co' silenzj ainiei
Riippella ai furti lor gli amanti accorti ,
Traggono le notturne ore felici
Sotto un tetto medesmo entro a quegli orti.
Or, poi che volta a più severi uffici
Lasciò Armida il giardino e i suoi diporti,
I duo, che tra i cespugli eran celati ,
Scoprirsi a lui pomposamente armati .
XXVIII.
Qual feroce destrier , eh' al faticoso
Onor dell' arme vincitor sia tolto ,
St. 27. Ma quando V ombra coi silenzj arnici
Rappella ai furti lor gli amanti accorti.
Forse ad imitazione di Catullo nel vii ad Lesbiam:
« Aut cum sydera multa , cum tacet nox
« Furtivos hominum vident amores ,
E Tibullo disse 1
« Veneris per dulcia furia .
E l'Ariosto, al canto 14, stan. 99:
« E per quant' occhi il del le furtìv' opre
« Degli amatori a mezza noti e scopre .
Mart.
St. 28. Qual feroce destrier , eh' al faticoso
Onor dell' arme vincitor sia tolto .
Comparazione simile in alcuna parte k quella d'Ovidio nel 3
delle Trasformazioni, v. 704:
« Ut frem.it acer equus , cum- bellicus cere canoro
« Signa dedit tubicen , pugncecjiie assumit amorem .
E meravit^liosa a(lin di mettere innanzi agli occhi lo stato di
Rinaldo caduto in quelle lascivie, ed allora sorgeutene; il che e-
ra tutto il proponimento del Poeta .
« E s'aguzza dell'ira all'aspra cote . GuAST.
Ma il Tasso non solo alla natura del cavallo ha riguardo , ma
eziandio alla consuetudine, la quale ha tanta forza in essi che
li fanno infino a sognare la battaglia e l'arringo, ed afTaticar Ir
membra, come se presenti vi fossero, e contendessero della pal-
ma, siccome scrive Lucrezio . Ma io non mi dubito, che il Tasso
imiti quel luogo di Valerio Fiacco, lib. 2. Argonaut. v. 385:
« Haud sccus /Esoiiides moni/is accensus amaris ,
n Quam bellator equus , longa quem frigida pace
« Terra juvat , brevis in, Icevos piger angitur orhes :
« Frena tainen dominumqne velit, si Martius aiires
« Clamor , et obliti rursus fragor inplcat ueris . Gent.
L IHER AT \ C. XVL yt
E lascivo marito, in vii riposo
Fra gli armenti e ne' paschi erri disciolto;
Se '1 desta o suon di tromba , o luminoso
• Acciar, colà tosto annitrendo è volto:
Già già brama 1' arringo, e l'uom sul dorso
Portando, urtato riurlar nel corso:
XXIX.
Tal si fece il garzon, quando repente
Dell' arme il lampo gli occhi suoi percosse .
Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente
Suo spirto a quel fulgor tutto si scosse y
Benché tra gli agi morbidi languente,
E tra i piaceri ebro e sopito ei fosse .
Intanto Ubaldo oltra ne viene ; e '1 terso
Adamantino scudo ha in lui converso .
XXX.
Egli al lucido scudo il guardo gira ;
Onde si specchia in lui qual siasi, e quanto
Con delicato culto adorno spira
Tutto odori e lascivie il crine e '1 manto;
E '1 ferro, il ferro aver, non eh' altro, mira
Dal troppo lusso eft'eminato accanto :
St. 29. Quel sì guerrier , quel si feroce ardente ee.
Par che imiti que' versi di Ovidio, ne'qnali si vanta Ulisse di
aver collo splendore dell'arme ritratto Achille lucri del serraglio
del Re di Lidia . Lib. i3 , Metam. v. 164 :
« ^rma ego Jemincis . animum moturn virilem
« Mercibus inseriti; ncque adliuc projecerat licros
* Virgineos hahitns, cum pnrmnm hastdfnquc tenenti ,
« Nate dea, dixi , tihi se peritura resenant
« Pergama , quid dubifns ingentein evertere Trnjam. ?
I quali duo ultimi versi sono d un medesimo sentimento eoa
«|uei del Tasso nella st. 33 ;
« e Z' empia setta ,
« Che già crollasti , a terra estinta rada
n Sotto r inevif abile tua spada . Gewt.
St. 3o. Egli al lucido scudo il guardo gira; ee.
Queste ottave, nelle quali il Poeta descrive l'effeminato ve.stip
di Rinaldo, il rossore e il pentimonto del "iovine eroe, vo!;liouo
esser confrontate con quelle dell'Ariosto, e. 7, st. 53 e segg. M.
G. Lib. t. hi. 6
rji LA GERUSALEMME
Guemito è sì, ch'inutile ornamento
Sembra, non militar fero instrumento,
xxxr.
Qual uom da cupo e grave sonno oppresso
Dopo vaneg.^iar lungo in sé riviene;
Tcile ei tornò nel rimirar se stesso:
Ma se stesso mirar già non sostiene.
Giù cade il guardo; e timido e dimesso
Guardando a terra la vergogna il tiene .
Si chiuderebbe e sotto il mare, e dentro
Il foco , per celarsi , e giù nel centro .
XXXII.
Ubaldo incominciò parlando allora :
Va r Asia tutta e va 1' Europa in guerra :
Chiunque pregio brama, e Cristo adora.
Travaglia in arme or nella Siria terra :
Te solo, o figlio di Bertoldo , fuora
Del mondo, in ozio, un breve angolo serra
Te sol dell' universo il moto nulla
Move, egregio campion d' una fanciulla.
XXXIII.
Qual sonno , o qual letargo ha sì sopita
La tua virtute? o qual villa 1' alleila?
Su su : te il Campo e te Goffredo invita :
Te la fortuna e la vittoria aspetta .
. Vieni , o fatai guerriero , e sia fornita
La ben comincia impresa ; e 1' empia setta ,
St. 33. Qual sonno , o qual letargo ha si sofjifa
//rt tua virtute? o qual viltà l' allftfa ?
Il letargo è una necessità di dormire, dalla quale astreUi noB
la potiamo schifare; cosi si trova appresso Celso al c:ip. io del 3.
11 letargo è ancora una infirmità, la quale viene a chi inanijia
troppo Ocymo (/v/.vi7jro) , come bene dice Plinio al cap. \i del
20 lil). come pure se c;ìi ammalati mansiano uve nuove ( lib. a3 ,
e. I ). Del Letargo parlò Ippocrate ali Aforismo 20 del 7 lib. La
medesima voce fu usata dal Petrarca al capitolo del Tempo:
« Da un grava e murtijt.ro letargo . Mari.
LIBERATA C. XVI. 7
Che già crollasti , a terra estinta cada
Sotto r inevitabile tua spada .
XXXIV.
Tacque: e '1 nobil garzon restò per poco
Spazio confuso , e senza molo e voce .
Ma poi che die vergogna a sdegno loco ,
Sdegno guerrier delia ragion feroce^
E eh' al rossor del volto un novo foco
Successe j che più avvampa e che più coce,
Squarciossi i vani fregi, e quelle indegne
Pompe, di servitù misere insegne:
XXXV.
Ed affrettò il partire, e della torta
Confusione uscì del laberinlo.
Intanto Armida della regal porta
Mirò giacere il fier custode estinto .
— Sdegno guerrier della ragion feroce .
Sentenza di Platone, il quale in più luoj^hi scrive, che lo sdf-
j»no è dato dalla natura all'uomo per soccorrere la ragione contra
le cupidigie, e perciò lo compara al cane , il quale dia soccorso al
pastore incontro alle fiere che l'assalissero . Gekt.
St. 34 "'^ novo foco
Successe .
Cioè il desiderio della gloria. Gcast.
St. 35. Ed affrettò il partire , e della torta ec.
Qui pare che il Poeta nostro si contradica, perchè di sopra a-
vea detto alla stanza 16 del medesimo canto, che Rinaldo
« Himan; che a lui non si conced-j
n Por orma, o trar momento in altra parte.
E pur quivi senza altro dice, che si partì frettolosamente; al
che credo si possa così rispondere: che Armida la mattina subito
levata giva a rivedere le carte magiche, e che ogni giorno l'incan-
tava; ma essendo stati nascosi Ubaldo e Carlo fin che Venne il
nono giorno, come si dice al canto i5 , stan. \'] , ed essendosi e-
glino scoperti avanti che ella lo avesse incantato, segue, che per
quel di nel quale si parti , non fossi incantato , né perciò impe-
dito nel partire. Marx.
— Intanto Armida della regal porta ec.
Qui non è altrimenti peccato di memoria , coin' hanno pensato
alcuni , se ben 1' uccision del mostro qui accennata , che si legge-
va prima in questo poema, è stato dall'Autore tolta via; avvegna-
ché non tutto quello che di necessità va innanzi ad una cosa, la
quale si fa dal poeta succedere da poi, è di mestieri che da lui
74 LA GERUSALEMME
Sospettò prima, e si fu poscia accorta
Ch' era il suo caro al dipartirsi accinto :
E '1 vide ( ahi fera vista! ) al dolce albergo
Dar frettoloso fuggitivo il tergo .
XXXVI.
Volea gridar: dove, o crudel, me sòia
Lasci? ma il varco al suon chiuse il dolore;
Sì che tornò la flebile parola
Più amara indietro a riin])ombar sul core .
sia stato spiejrato prima; ma si suppone molte volte per se;^uito ,
senza che il poeta l'abbia detto. Ecco Virgilio nell'ottuo dell'E-
neide, mentre erano a ragionamento Enea ed Evandro, Unge che
all'improvviso apparisse un lampo, ed insieme s'udissero tuoni,
i quali più volte risuoiiassero , vedendo eglino nel medesimo
tempo risplendere al sereno alcune armi , di che rimanendo istu-
piditi gli altri , dice il Poeta , che conobbe Enea lo strepito e le
promesse di sua madre; e cosi seguita di fargli raccontare ad E-
vandro, come gli aveva promesso Venere, che venendo il bisogno
essa gli manderebbe per soccorso armi fabi)ricale da Vulcano : e
pure di simile promessa niuna menzione s'eia fatta innanzi. Nel
medesimo modo l'istesso Poeta nel io fìnge che le ninfe, che ta-
li, di navi ch'erano, poco innanzi erano divenute, incontrando
pei' viaggio Enea, il quale veniva da Evandro e da Tarconte, gli
diano novella delle cose sue, e di Ascanio suo ligliuolo , dicendo-
gli come i cavalli d'Arcadia, insienje co' Toscani , s'eran fermati
ne'luoghi comandati loro a far- le difese; e pur di tal cotnanda-
mento , e della loro gita a simil opra, nulla si era detto innanzi.
Per l'istessa maniera Claudiano nell'ultima pirle (Ud priujo libro
del Rapimento di Proserpina, avendo detto come Venere e Paila-
de per comandamento di Giove andate a tro\ar Proserpina per
recar ad effetto il matrimonio con Plutone, erano arri\at(! nella
casa di lei, ed essa vedutele, era venuta per vergogna verdi jglia;
soggiunge che già Plutone s'apparecchiava d'ami. ir ui Sicilia a
rapirla secondo l'avviso avuto dal fratello; e pur di tale avviso
non aveva fatto parola innanzi. Perchè si può concludere dall' e-
sempio di cosi pregiati poeti, che senza biasimo alcuno ha |)otulo
il Poeta nostro in questo luogo far menzione d(d mostro guardia-
no della porta ucciso, e non aver dell'uccisione fatta prima .-nea-
zione alcuna. Giìast.
St. 30. Si che torri.) la Jlchile parola
Pih ainariL indietro a rimbomhar sul corr .
Simile è quel di Dante , Infcr. 33, dove parla dei traditori fitt,i
Bel ghiaccio:
« Lo pianto ,\ti..\sa li pianger non lasria,
« E 'L diiol clic trov' in su gli ardii riritopuo
« 6i voIk'o in entrò a far crescer (ambascia ^
LIBERATA C. XVI. 73
Misera ! i suoi diletti ora le invola
Forza e saper del suo saper maggiore :
Ella se '1 vede, e in van pur s' argomenta
Di ritenerlo , e 1' arti sue ritenta .
XXXVII.
Quante mormorò mai profane note
Tessala maga con la bocca immonda,
Ciò che arrestar può le celesti rote,
E r ombre trar della prigion profonda ,
Sapea ben tutto ; e pur oprar non puote
Gli' almen l' Inferno al suo parlar risponda.
Lascia gl'incanti, e vuol provar se vaga
E supplice beltà sia miglior maga .
E prima d'ambedue aveva sc.titto Ovidio nel libro i3 delle
Trasloriuazioni, v. 538:
« Troades e.rclamant: ohmutuìt ili a dolore ,
« Et paritcr vccem , lacrymasque introrsus obortns
« Uevorat ìpse dolor.
Al qual luogo di Ovidio ebbe forse riguardo Seneca nelle Con-
troversie, ove dice: Premo interim gtmitus meos , et introrsus
hcerentes ìacrimas ago . Di qui si coBosca esser probabile la e«
mendazionc di Rob. Tizio, che legge, arentes . Gent.
St. 3j. Quante mormorò m-ui profane note
Tessala maga Con la bocca immonda
Allude al proverbio , Tessala rnulier ( secondo penso ) , detto di
coloro che sono celebri neU'arte magica; o per essere i paesani
di Tessaglia in quell'arte dottissimi, o per essere stata di lov
nazione Medea cosi rara maga, come dice Strabone al primo in
due luoghi, e Plinio al capo i del lib. ■>.'S ; della quale , e delle sue
incantazioni, sì fra gli antichi che fra i moderni sono state fatte
varie tragedie . Mart.
— . , e pur oprar non puote
Ch' almen l' Inferno al suo parlar risponda.
No '1 permetteva Iddio , per cui commissione si faceva la ri-
chiamata di Rinaldo. GUAST.
— Lascia gli incanti , e vuol provar , se vaga.
E supplire beltà sia miglior maga .
Questo è quello che disse Olimpia madre di Alessandro Magno
verso (li una donna Tessala , la quale era sospetta , che per in-
canti constringesse Filippo marito di essa neU'amor suo. Perchè
avutala nelle mani subito che il bel viso e le gentili maniere
sue vide ; Cessino omai , disse , le calunnie , 01«ppia : queste sono
le rtìaghe, questi i veleni . Gb>t.
rCi LA GERUS ALEMMR
XXXVIII-
Corre , e non ha d' onor cura o ritegno .
Ahi dove or sono i suoi trionfi e i vanti?
Costei d' Amor, quanto egli è grande, il regno
Volse e rivolse sol col cenno innantij
E così pari al fasto ebhe lo sdegno ,
Che amò d' esser amata , odiò gli amanti :
Sé gradì sola, e fuor di se in altrui
Sol qualche effetto de' begli occhi sui .
xxxix
Or negletta e schernita , e in abbandono
Rimasa , segue pur chi fugge e sprezza ;
E procura adornar co' pianti il dono
Rifiutato per se di sua bellezza.
Vassene: ed al pie tenero non sono
Quel gelo intoppo e quell' alpina asprezza ;
E invia per messaggieri innanzi i gridi:
Ne giunge lui pria eh' ei sia giunto ai lidi .
XL.
Forsennata gridava: o tu, che porte
Teco parte di me , parte ne lassi ,
O prendi 1' una, o rendi V altra, o morte
Dà insieme ad ambe : arresta, arresta i passi.
Sol che ti sian le voci ultime porte,
Non dico i baci : altra più degna avrassi
Questi da le: che temi, empio, se resti?
l'otrai negar, poiché fuggir potesti.
XLf.
Dissegli Ubaldo allor già non conviene.
Che d' aspettar costei, signor, ricusi :
oT. 38. Cli amò d' esser amnta, odiò gli amanti .
Alterezza mescolata con compiacimento delle bellezze piojuie .
Il Petrarca di Laura disse cosi :
« Ed Ila si eguale alle bellezze orgoglio,
« C/i« di piacer altrui par che le tpiaccia . Gvast.
LIBERATA C. XVI. 77
Di beltà armata e de' suoi preghi or viene
Dolcemente nel pianto amaro infusi.
Qual pili forte di te , se le Sirene
Vedendo ed ascoltando a vincer t' usi ?
Così ragion pacifica reina
De' sensi tassi , e se medesma affina.
XLII.
Allor ristette il cavaliero : ed ella
Sovraggiunse anelante e lagrimosa ;
Dolente sì , che nulla più; ma bella
Altrettanto però, quanto dogliosa.
Lui guarda , e in lui s' affisa , e non favella:
O che sdegna, o che pensa , o che non osa.
Ei lei non mira; e se pur mira, il guardo
Volge furtivo, e vergognoso e tardo.
XLIII.
Qual musico gentil, prjma che chiara
Altamente la lingua al canto snodi,
All' armonia gli animi altrui prepara
Con dolci ricercale, in bassi modi;
Così costei , che nella doglia amara
Già tutte non oblia l' arti e le frodi ,
Fa di sospir breve concento in prima.
Per dispor 1 alma, in cui le voci imprima .
St. 4'- Qual più forte dì te , se le Sirene.
Questo fu il consiglio Ji Omero, per il quale fece che Ulisse
solo tra suoi compagni non s'incerasse l'orecchie, ma intendesse
il canto delle Sirene. Laonde si dice da Dante, Purg. 3i :
a Tutt<n>ia perchè me' vergogna porte
« Del tuo errore , e perchè altra volta
a Vedendo le Sirene sii più forte .
Dice poi il Tasso, ajinn ; perciocché siccome l'oro si purga ed
affina nelle fiamme: cosi la lagione nostra nelle passioni.
St. 42. Dolente gì , clu: nulla più: ma bella ec.
Ovidio lib. 7, Metara. v. ^io:
« Tristis erat ; sed nulla tamen Jormosior illa
n Esse potest tristi. Gent,
— Lui guarda , e in lui s' affisa , e non favella ■
Ei»ergia mirabile. Goast,
7» LA GERUSALEMME
XLIV.
Poi cominciò : non aspettar ch'io preghi,
Crudel, te, come amante amante deve :
Tai fummo un tempo; or se tal esser neghi,
E di ciò la memoria anco t' è greve,
Come nemico almeno ascolta : i preghi
D' un nemico talor 1' altro riceve.
Ben quel eh' io chieggio è tal , che darlo puoi
E inte'gri conservar gli sdegni tuoi .
XLV
Se m' odii , e in ciò diletto alcun tu senti ,
Non ten vengo a privar : godi pur d' esso;
Giusto a te pare, e siasi . Aneli io le genti
Cristiane odiai, noi nego , odiai. te stesso .
iVacqui Pagana: usai varj argomenti,
. Che per me l'osse il vostro imperio oppresso :
Te perseguii , te presi , e te lontano
Dall' arme trassi in loco ignoto e strano .
XLVI.
Aggiungi a questo ancor quel eh' a maggiore
Onta tu rechi ed a maggior tuo danno :
T'ingannai, t'allettai nel nostro amore;
Empia lusinga certo , iniquo inganno ,
Lasciarsi córre il verginal suo fiore ,
Far delle sue bellezze altrui tiranno ;
Quelle, eh' a mille antichi in premio sono
Negate, offrire a novo amante in dono.
xLvn.
Sia questa pur tra le mie frodi, e vaglia
Sì di tante mie colpe in le il difetto,
Che tu quinci ti parta , e non ti caglia
Di questo albergo tuo già sì diletto.
Vattene; passa il mar, pugna, travaglia,
Struggi la Fede nostra : anch'io t' affretto .
Che dico nostra? ah non più mia! fedele
Sono a te solo , idolo mio crudele.
LIBERATA C. XYI. 79
XLVIH.
Solo, ch'io segua te, mi si conceda;
Picciola fra' nemici anco richiesta .
Non lascia indietro il predator la preda,
Va il trionfante, il prigionier non resta.
Me fra 1' altre tue spoglie il campo veda ,
Ed all' altre tue lodi aggiunga questa ,
Glie la tua schernitrice abbia schernito,
Mostrando me, sprezzata ancella, a dito.
XLIX.
Sprezzata ancella, a chi fo più conserva
Di questa chioma, or eh' a te fatta è tile?
RaccorcieroUa : al titolo di serva
Vuo' portamento accompagnar servile .
Te seguirò , quando 1' ardor più ferva
Della battaglia, entro la turba ostile.
Animo ho bene , ho ben vigor che baste
A condurti i cavalli , a portar l' aste .
L.
Sarò qual più vorrai, scudiero o scudo:
Non fia eh' in tua difesa io mi risparmi.
Per questo sen , per questo collo ignudo ,
Pria che giungano a te, passeran l'armi.
Barbaro forse non sarà sì crudo.
Che ti voglia ferir, per non piagarmi;
Condonando il piacer della vendetta
A questa , qual si sia, beltà negletta .
LI.
Misera ! ancor presumo ? ancor mi vanto
Di schernita beltà che nulla impetra ?
Volea più dir ; ma l' interruppe il pianto ,
Che qual fonte sorgea d' alpina pietra .
St. 48. Picciola fra nemici anco ricJiiestii ,
Apposizione. Quello eh' io ti dimando « picciola lidiicsla e-
ziasdlo fra quelli ehe sono inimifti. Cvasx.
8i. L\ GEKUSALtlMME
Prendergli cerca allor la destra o 1 manto,
Supplichevole in atto; ed ei s'arretra.
Resiste , e vince : e in lui trova impedita
Amor r entrata , il lacrimar l' uscita .
LII.
Non entra* Amor a rinnovar nel seno ,
Che ragion congelò, la fiamma antica;
V'entra pietate in quella vece almeno ,
Pur compagna d'Amor, benché pudica;
E lui commuove in guisa tal, che a freno
Può ritener le lagrime a fatica .
Pur quel tenero affetto entro restringe ,
E, quaulo può; gli atti compone e infinge.
LUI.
Poi le risponde: Armida, assai mi pesa
Di te : sì potess' io , come il farei ,
Del mal concetto ardor 1' anima accesa
Sgombrarti ! Odj non son , né sdegni i miei :
Né vuo' vendetta, né rammento offesa:
Né serva tu, né tu nemica sei .
Errasti , è vero , e trapassasti i modi ;
Ora gli amori esercitando, or gli odi.
Liv.
Ma che? son colpe umane, e colpe usate:
Scuso la natia legge, il sesso e gli anni.
Anch'io parte fallii: se a me pietate
Negar non vuo' , non fia eh' io te condanni .
Fra le care memorie ed onorate
Mi sarai nelle gioje e negli affanni.
Sarò tuo cavalier, quanto concede
La guerra d' Asia, e con 1' onor la Fede.
LV.
Deh ! che del fallir nostro or qui sia il line ,
\i di nostre vergogne omai ti spiaccia;
Ed in <piesto del mondo ermo confine
La memoria di lor sepolta giaccia .
LIBERATA C. XVI.
Sola in Europa e nelle due vicine
Parti, fra l'opre mie questa si taccia.
Deh ! non voler che segni ignobil fregio
Tua beltà, tuo valor, tuo sangue regio .
LVF.
Rimanti in pace ; io vado : a te non lice
Meco venir; chi mi conduce il vieta.
Rimanti, o va per altra via felice;
E , come saggia , i tuoi consigli acqueta .
Ella, mentre il guerrier così le dice,
Non trova loco torbida , inquieta :
Già buona pezza in dispettosa fronte
Torva il riguarda; alfin prorompe all' onte
LVII.
Né te Sofia produsse , e non sei nato
Dell' Azio sangue lu : te l' onda insana
St. 57. Aè te Sofia produsse , e non sei nato eC.
Ingiurie ordinarie in bocca di chiunque esclama centra l'altrui
crudeltà e durezza; facendo per lo più ritratto ciascheduno dal
luogo dond'egli nacque e fu nodrito. Omero nel i6 dell'Iliade:
NyfXiii cvx cupa cci yt 7rxr}^p-yjv Innora Oi^XfLS,
Oò 5é ©£'r<« iJVjTvp. >-XauK>5 Ss a riKTt I^a^cxcca,
PiTfOii t' '^Xifixict ,0Ti roi vóof tqìv v.nviv\^i.
Cioè:
« Crudele, non a t« veramente fu padre il caralier Peleo,
« Né Tetide madre, ma lo spaventoso mare te partorì,
« E l'altre pietre , poi ch'hai la mente fiera .
Catullo, nelle nozze di Tetide e di Peleo, v. i54:
« Quoenam te genuit sola sub rupe lecena ?
« Quod mare conceptum spumantibvs expuit itndis ?
« Quoe Syrtis , qiioe Scylla vorax , (ftioe vasta Charybdis ?
Tirgilio nel 4 dell'Eneide, v. 365:
« Nec /ibi diva parens , generis nec Dardanus auctor,
« Perjide ; sed duris genuit te cautibus ìiorrens
« C axi casus , hyrcanceque admorunt ubera tigres .
Ovidio neirS delle Metamorfosi, v. 210:
« Aon genitrix Europa tibi est , sed inhospita Syrtit
« Armenioe tigres, austrocjue agitata Charybidis .
Il Boccaccio nella Fiammetta: « Egli non è di quercia^ o di grot-
ta, o di dura pietra scoppiato , ma bevve latte di ti^re , o di quul.
altro è piti ftro animale . 7) Gbast.
82 LA GERUSALEMME
Del mar produsse , e '1 Caucaso gelato ,
E le mamme allattar di tigre Ircaiia .
Che dissimulo io più ? 1' uomo spietato
Pur un segno non die di mente umana .
Forse cam}3Ìo color ? forse al mio duolo
Bagnò almen gli occhi, o sparse un sospir solo.
LVIII.
Quali cose tralascio , o quai ridico ?
S' ofFre per mio : mi fugge, e m' abbandona .
Modo di parlare usitatissimo tra poeti: e tal volta usalo dagli
oratori . Cicerone Accadem. lib. ^. Non enim est ex sa.ro sctiiptus^
aut e rohore dolatus , alludendo a quel luogo d' Omero :
Il quale proferisce di se stesso Socrate nell'Apologia, ed il Doc-
caccio lo espresse in persona di Florio, dicendo: « Perciocché io
non fui generato dalle quercie del monte Apenniuo , né dalle du-
re grotte di Peloro, né dalle fiere tigri . » Gest.
Ed è da notare in quel verso :
« Te r onda insana
« Del mar produsse :
che hanno i Poeti per costume quando vogliono accennare uno
essere inumano e barbaro , di dire , che egli è nato dall'onda' del
mare, o dall' istesso mare, o da pietre , o da animali pessimi; e
però Omero nel 16 dell'Iliade di Glauco parlando disic:
yXauxij H iKUTi ^xKxggx .
E Teocrito nell' Epolo di Amore ragionando :
ypx \-xi vx<j
MotcSi^t t^i^ax^i SpU|U.co vijxxv iiptpe ai^TS^p.
Cioè :
« Di leonessa le mamme ha succhiate ,
« La madre in bosco insicin V ha partorito .
E il medesimo Virgilio all'Egloga 8 , v. 8 :
« Diiris in cortibus iìlum
« Jsmarus , aut Rodope , aut extremi Qarainantes
n Nec generis nostri put rum , ncc sanguinis edunt .
E Tibullo:
« iVrt/« te nec vasti genucrunt cequora ponti. Mart.
— Che dissimulo io più ? V uomo spittato
Pur un segno non dio dì mente umana .
Forse cambiò color F /'orse al mio duolo
Bagnò almen gli occhi , o sparse un sospir solo ?
Bella imitazione di ciò che dice Uidone contro, Enea , lib. 4»
V. 3G8:
« A' ìm <juid dissimulo ? aut qure luf id inajora rest;r<.'» ?
LIBERATA C. XVI. 83
Quasi buon vincitor, di reo nemico
Oblia le offese, e i falli aspri perdona.
Odi come consiglia ! odi il pudico
Senocrate, d' amor come ragiona!
0 Cielo ;, o Dei, perchè soffrir questi empi,
Fulminar poi le torri e i vostri tempi?
LIX.
Vattene pur, crudel, con quella pace.
Che lasci a me; vattene, iniquo, omai.
Me tosto, ignudo spirto, ombra seguace,
Indivisibilmente a tergo avrai .
« Niim fletti ingemuit nostro? num lumina fle.rit ?
« Num lacrymas victus dedit , aut miseratus amantem est?
« Oucc quibus antcferam ?
— odi il pudico
Senocrate d' amor come ragiona !
Celebre continenza di questo fifosofo racconta Diogene Laerzio
nella vita di lui con queste parole in nostra lingua.» Frine nobi-
lissima meretrice dicono che '1 tentasse una volta , essendo egli
da alcuni in prova perseguitata; la quale da lui nella sua piccio-
la casa per merce ricevuta, non vi essendo altro che un solo e
picciolo letto, anche del letticciuolo parte le concesse: finalmen-
te avendolo costei lungamente, e in vano pregato senza aver nul-
la potuto ottenere; si parti , e partita ebbe a dire, che non cnn
un uomo, ma con una statua era giaciuta la notte. » Guasi.
Senocrate Calcidonio fu scolare di Platone, e di meravigliosa
continenza , e però narrano , che essendo posto a giacer con Frine
bellissima donna , la quale area pattuito con certi giovani, quai
promettevano a lei una grossa somma di danari se movesse Seno-
crate. Con tutto che ella gli facesse assaissimi vezzi e scherzi la-
scivi, tuttavia mai sempre stette saldo. Laonde detti giovani da
lei come perditrice dimandando la promessa somma del patto, el-
la rispose avere pattuito giacere con un uomo, ma che era gia-
ciuta con una pietra. La detta cosa fu accennata dal Petrarca, al
cap. 3 della Fama :
« E Senocrate piìi saldo eh' un sasso,
« C/ie nulla /orza il volse a pensier vile .
E l'Ariosto al canto 2:
n Con la qiial non saria stato quel crudo
« Senocrate di lui più paziente . Mart.
St. 5g. Me tosto ignudo spirto, ombra seguace ec.
Cosi pur Bidone presso Virgilio al 4, v. 384 •
« Sequar atris ignibus absens ;
K Et aim, frigida mors anima sedu.xerit artus ,
« Omnibus umbra locis adcro : dabis, improbe, pcrnas .Gv.
84 LA GERUSALEMiME
Nova Furia co' serpi e con la face
Tanto t' agiterò , quanto t' amai .
E s' è destin eh' esca del mar , che schivi
Gli scogli e r onde, e che alla pugna arrivi;
LX.
Là tra '1 sangue e le morti egro giacente
Mi pagherai le pene , empio guerriero ,
Per nome Armida chiamerai sovente
Negli ultimi singulti : udir ciò spero .
Or qui mancò lo spirto alla dolente,
Ne questo ultimo suono espresse intero ]
E cadde tramortita , e si diffuse
Di gelato sudore , e i lumi chiuse .
LXI.
Chiudesti i lumi, Armida: il Cielo avaro
Invidiò il conforto ai tuoi martiri.
Apri , misera, gli occhi : il pianto amaro
Negli occhi al tuo nemico or che non miri ?
Oh s' udir tu '1 potessi , oh come caro
T' addolcirebbe il suon de' suoi sospiri !
Dà quanto ei puote , e prende ( e tu noi credi )
Pietoso in vista gli ultimi congedi.
LXII.
Or che farà? Dee sull' ignuda arena
Costei lasciar così Ira viva e morta?
— Tanto t' agiterò , qiuinto t'amai.
Il medesimo dice Venere ad Elena, Iliad. 4 '■
Tò; 5f Tra Trty'^vfY^ ' "^* y^'^ tH.Trayk' ì(pi'XvjacL.
« TdtitQ t' odierò , quanto t' amai . Gekt.
St. 6o. Per nome Armida chiamerai sovente
Negli 111 limi singulti .
Virgilio nello stesso liiof;o , v. 38a :
« Spero cquid-cm mediis , si quid pia num.ina po^sunt ,
« Supplìcia hausurum scopulis , et nomine , Dido
« Soepe vocaturum .
E più sotto;
« Mis medium dirtis sermnnem nhrumpit , et auras
« yEgra Jugit i seque ex oculis Ux'ertit et aufert . Mat.t.
L Ili ERA T A C. XVI. W
Cortesia Jo rilien, pietà l'affiena;
Dura necessità seco nel porla.
Parte; e di lievi zefiri è ripiena
La chioma di colei che gli la scorta.
Vola [icr l'alto mar l'aurata vela:
Ei guarda il lido; e '1 lido ecco si cela.
l-XIII.
Poi ch'ella in se tornò, deserto e muto,
Quanto mirar potè, d'intorno scorse:
Ito se n'è pur, disse, ed ha potuto
Me qui lasciar della mia vita in forse?
JNè un momento indugiò? ne un breve aiuto
Nel caso estremo il traditor mi porse?
Ed io pur anco 1' amo ? e in questo lido
Invendicata ancor piango, e m assido?
LXIV.
Che fa più meco il piar.to? altr'arme, altr'arte
Io non ho dunque? ahi seguirò pur l'empio;
St. 62. Parte ; e di lievi zefri è ripiena ec.
Mostra la levata del vento da' conseguenti .Né è di necessit'i il
riferire queste parole alla finzione usata piima dai Tasso in que-
sto poema , e poi tolta via , cioè al far vela della cliioma, il che
si fingeva innanzi ; e quindi accusarne 1' autore di ptccato di me-
moria ; perchè senza aver rispuardo a simile finzione ben possono
le predette parole esser poste a significare, come s'è detto, il le-
var del vento dagli accidenti , che a questo seguono appresso, co-
ree è il riempir la chioma della nocchiera. Gbast.
St. 63. Poi ch'ella in ■'■è tornò, dtscrto e mvto ec.
L' Arianna di Catullo , lasciata ancor' ella nel 1 ito da Teseo :
« Omnia mula,
" Omnia sunt dateria : ost^^ntnnt omnia Ictum .
Dante molto fuor deU' uso comune si servi del nome muto
Inf. 5 :
« Io venni in luogo d' ogni luce muto ,
« Che muggia , come Ja niiir per tempesta .
Perchè vuol dire privo d' ogni luce . Ma è concesso a' poeti di
usare i rocaboli di un senso per i vocaboli d'un altro. Siccome
fece Accio nel suo Chrysippo: Quid ngdm ? vnr illins est certe,
idem um/ies cernimus : id est audimus . Perchè io non penso, che
Dante per rispetto della rima usi vocaboli nuovi, o trasformati, o
nip'oprj. Gekt.
86 L\ GERUSALEMME
Ne r abisso per lui riposta parte ,
Né il ciel sarà per lui sicuro tempio .
Già'l giungo e 1 prendo, e '1 cor gii svello, e sparte
Le membra appendo , ai dispietati esempio .
Mastro è di ferità: vuo' superarlo
NelFarti sue. Ma dove son? che parlo?
LXV.
Misera Armida, allor dovevi, e degno
Ben era , in quel crudele incrudelire ,
Che tu prigion 1' avesti : or tardo sdegno
T' infiamma, e movi negliittosa l'ire .
Pur se beltà può nulla, o scaltro ingegno,
Non fia vóto d'effetto il mio desire.
O mia sprezzata forma , a te s' aspetta ,
(Cile tua l'ingiuria fu), 1' alla vendetta.
LXVI.
Questa bellezza mia sarà mercede
Del troncator dell' esecrabil testa:
O miei famosi amanti , ecco si chiede
Difficil SI, da voi, ma impresa onesta.
Io, che sarò d' ampie ricchezze erede,
D'una vendetta in guiderdon son presta.
S' esser compra a tal prezzo indegna io sono ,
Beltà , sei di natura inutil dono .
LXVII.
Dono infelice, io ti rifiuto; e insieme
Odio l'esser reina, e 1' esser viva,
E r esser nata mai : sol fa la speme
Della dolce vendetta ancor, ch'io viva.
St. 65. Mìsera Armida, allor dovevi, e degn»
Ben era, in quel erudii e incrudelire .
Virgilio nell'istesso luogo, v. SgS:
« Quid luquor? aut uhi suni? quce mentem insania mutai.*
« Tum decuit ami sceptra dabas .
St. 6^ sol fa le speme
Della dolce vendetta ancor di' io viva .
Similissimo a quel luogo di Pacuvio, Iliona :
L I V, E R A T A C. XVI. i57
Così in voci interrotte irata freme,
E torce il pie dalla deserta riva ;
Mostrando ben quanto ha furor raccolto,
Sparsa il crin , bieca gli occhi, accesa il volto .
LXVIII.
Giunta agli alberghi suoi, chiamò trecento,
Con lingua orrenda , deità d' Averno .
S' empie il ciel d'atre nubi, e in un momento
laipallidisce il gran pianeta «eterno ;
K soffia , e scuote i gioghi alpestri 1 vento .
Ecco già sotto i pie mugghiar l' Inferno :
Quanto gira il palagio , udresti irati
Sibili ed urli, e fremiti e latrati.
LXIX.
Ombra piiì che di notte , in cui di luce
Raggio misto non è , tutto il circonda ;
Se non se in quanto un lampeggiar riluce
Per entro la caligine profonda.
Gessa alfin 1' ombra , e i raggi il Sol riduce
Pallidi ; né ben V aria anco e gioconda ;
il Da me etsi perdunt tamen esse aiìiutam expetunt ,
« Qi'od prius quam pereo , spathnn nlciscendi dabiint .
E non meno a questo proposito fa quella sentenza di Pubìio
Siro :
« Inimicum iilcisci , vitam acci pere est alteram .
Quel verso poi del nostro:
<t Sparsa il crin , hier<i ^li occhi, acceso il volto ,
i simile di forma a quel di Claudiano:
« Cincia .nnus , eaertn tnanus , armata hipenni .
La quale fiijnra di parlare greca è spesse volte usata dal Tasso
con somma lec;giadria. Gest
St. 68. (jiunta ao;ll alberghi suoi, chiamò trecento tc.
Yirgilio nel 4, v. 5io:
« Terrentunt tonai ore deos , E rehumque Chaosque ec.
— Ecco giù sotto i pie mugghiar V Inferno .-
Virgilio nell'istesso luogo, v. l\'^o:
n • mugire videbis
« Si'b pedi bus terram .
E nel sesto, v. ?,56:
« Sub pedibus mugire solum . GsASX.
G. LiB, T. III. 7
88 LA GERUSALEMME
Ne più il palagio appar, né pur le sue
Vestigia; ne dir puossi: egli qui fue.
LXX.
Come immagin talor d' immensa mole
Forman nubi nell' aria, e poco dura ,
Che il vento la disperde, o solve il Sole;
Come sogno sen va eh' egro figura :
Così sparver gli alberghi , e restar sole
L' alpe , e 1' orro^ che fece ivi natura .
Ella sul carro suo , che presto aveva ,
S' asside, e, come ha in uso, al ciel si leva
LXXI.
Calca le nubi , e tratta 1 aure a volo ,
Cinta di nembi e turbini sonori :
Passa i lidi soggetti all' altro polo ,
E le terre d'ignoti abitatori:
Passa d' Alcide i termini , né '1 suolo
Appressa degli Esperj , o quel de' Mori ;
Ma su i mari sospeso il corso tiene,
Infin che ai lidi di Sona perviene .
Lxxn.
Quinci a Damasco non s'invia, ma schiva
Il già sì caro della patria aspetto;
E drizza il carro all'infeconda riva,
Ov' è tra l'onde il suo castello eretto.
Qui giunta , i servi e le donzelle priva
Di sua presenza , e sceglie ermo ricetto ;
E fra varj pensier dubbia s' aggira :
Ma tosto cede la vergogna all' ira .
E '1 Sanazzaro alla prosa io : Chiamò ad alta voce trecento nu-
mi di non conosciuti Iddii . Mart.
St. 71 e tratta l'aure a volo.
Dante nel ao del Purgai.
« Trattando V aere con V eterne penne .
E nel 21:
« Trattando V ombre come cosa salda . Guast.
LIBERATA C. XVI. «q
LXXIII.
Io n' andrò pur , dic'eUa , anzi clie 1' armi
Dell'Oriento il re d'EgiUo mova :
Ritentar ciascun' arte^ e trasmutarmi
In ogni ferma ijisolita mi giova:
Trattar 1' arco e la spada , e serva farmi
De' più potenti, e concitargli a prova:
Purché le mie vendetle io vcggia in parte.
Il rispetto e 1' onor stiasi in disparte. .
LXXIV.
^lon accusi già me: biasmi se stesso
Il mio custode e zio_, che così volse;
Ei r alma baldanzosa e '1 fragil sesso
Ai non debiti ufficj in prima volse :
Esso mi fé' donna vagante; ed esso .
Spronò r ardire , e la vergonga sciolse .
Tutto si rechi a lui ciò che d' indegno
Fei per amore, o che farò per sdegno *
LXXV.
Così donchiude: e cavalieri e donne.
Paggi e sergenti frettolosa aduna;
E ne' superbi arnesi e nelle gonne
L' arte dispiega e la regal fortuna :
St. 74- ^pi'onò l'ardire , e lei vergogna sciolse.
Dice sciolse airusanza degli antichi, appo i quali le spose st
scioglievano la zona o 1 cinto , siccome facevano eziandio, quan-
do la prima volta partorivano: perchè sciogliendosi la zona, la
sospendevano a Diana, di cui perciò fu in Alene un tempio col
titolo di A'^o^wv^e , cioè Scioglitrice di Zona: onde Alcimed»
appresso Apollonio Rodio dice :
., W ÌttÌ IJ.WVU)
M( Tpv)i' TrpuTOv iXncx y.tì 'jgarov .
E qua alluse Dante, quando ei dice, Inf. 8:
a Benedetta colei , eh' en te s' incinse:
perchè avanti al partorire si poteano dire cinte, non avendo an-
cora sciolta la zona. Ciò che non so se altri ve l'ha osservato.
Ge.\t..
St. 7 5. L' (irte dispiega.
Le cose preziose l'atte dall'arte.
1)0 LA GERUSALEMME
E ili vìa si pone , e non è mai eh' assonne
O che si posi al Sole od alla Luna;
Sin che non giunge ove le schiere amiche
Goprian di Gaza le campagne apriche .
— e non mai è eh' assonne ,
Dante nel 32 del Purgatorio:
«e S'io potessi ritrar come assonnaro
« Gli occhi .
E nel 3:^ del Paradiso :
a Ma perchè 'l tempo fugge , che t' assonna . Gdast.
LA
G E R U S A L E M M E
LIBERATA
CANTO DECIMOSETTIMO
ARGOMENTO
Il SUO esercito immenso In mostra cìiiama
L'Egizio; e poi contra i Cristian l' invia.
Armida, che pur di Rinaldo brama
La morte, con sna gente anco ginngia;
E per meglio saziar sua crudel brama ,
Sé in guiderdon della vendetta offria.
Ei vestia intanto armi fatali, dove
Mira impresse degli avi illustri prove .
G
aza è città della Giudea nel fine ,
Su quella via eh' in ver Pelusio mena ,
Posta in riva del mare , ed ha vicine
Immense solitudini d' arena ;
Le quai , come Austro suol F onde marine ,
Mesce il turho spirante ; onde a gran pena
St. 1. Posta in riva del mare.
È questa Gaza la nuova, deUa Gazarla oggidì, eh' era prima il
porto de'Gazei, essendo la vecchia piìi suso fra terra un miglio,
come, secondo Strabone, si è notato di sopra.
— : .... ed ha vicine
Immense solitudini d' arena, ec.
Diversi sono i luoghi arenosi dell'Affrica, o dell'Asia finitimi
9^ LA GEllUSALEAIME
Ritrova il peregrin riparo o scampo
Nelle tempeste dell' inslabil campo
all'Affiica, de' quali si conta per gli scrittori così pericoloso acci-
dente. D'uno fa menzione Q Curzio nel 4 libro della sua istoria ,
là ove parla d'Alessandro il .Magno, dopo ch'egli ebbe espugnata
G;iza,edice cosi: CumpositÌ!.que rebus ita, ut niliil ex patrio
JEgyptiorum more niutarét, adire Joi'is Hammonìs oraculum sta-
tuii . Iter expcditis quoque, et paucis vix tolerabile ingrediend"m
«rat: terra coeloque aquarum penuria est; steriles arcnce jacent;
quas ubi vapor soìis accendit , jerviiio salo exurente vestigia, in-
tolerahilis oestus exsistit . Luc.tandum est non tam cum. ardore et
siccitate regioni.", scd etiam cum tenacissimo sabato, quod proeal-
tum, , et vestigio cedens ce gre moliuntur pedes . E pi il basso : Ae
primo quidem. , et sequenti die tolerabilis lahor visus : nondum
tam- vastis , nudisque solitudinibus aditis , jani iamen sterili et
emoriente terra. Sed ut aperuere se campi alto obruti sabulo ,
haud secus quam profundiim osquor ingressi , terram oculis re-
quirebant . Nulla arbor, nullum culti soli occurrebat vestigiuni . E
Pomponio Mela nel primo libro al cap. 8 ne parla in questo mo-
do : Inde ad Cutabat/i-non Cvrenaica provincia est , in eaque sunt
HammoTìis oraculum, fidei inclitce, et fons quem Solis nppellant ,
et rupes qucedam Austro sacra . Hcec cum. hominum manu attingi-
tur, ille immodicus exsurgit, arenasque quasi maria agens , siccis
soevit , ut <equor ,fluctibus . D'un altro di la dal Mar Rosso nell'A-
rabia, somigliante a questo fa menzione Ludovico Romano nel
primo libro delle sue Navigazioni , al cap. 4 cosi dicendo : <c Noa
« voglio però mandare iu oblivione quello ch'io vidi nel mare
« detto della Sabbia . Questo fu da noi ritrovato prima che vc-
<t nissemo al monte de' Giudei. In questo mare arenoso facemmo
« viaggio <li cinque giorni e di cinque notti . Manifesterò ap-
« presso di che sorte mare egli sia. Sono questo certe campagne
« rase, coperte d'arene bianche a guisa di fior di farina ; e se per
« disgrazia avvenisse, che coloro, i quali per colà fanno viaggio
« fossero portati dall'Austro, come sono dalla Tramontana, soffo-
n cali dalia sabbia si morrebbono tutti; peiciocchè se ben noi e-
« lavam guidati da vento prospero, eravamo però dalla neri pro-
ti cella del sabbione in guisa ravvolti, che toltoci dalla vista il
« camino, per ispazio di dieci passi l'un non poteva veder l' al-
« tro. perciò gU abitatori si fanno portare da' cammelli rinchiusi
«( in gabbie di legno: e in esse niLuano la lor vita, avendo però
« sempre per guida i piloti , i <piali non altrimenti che nell' on-
« dcegiante mare sono guidati dalla bussola e dalla carta. » Di
questa stessa rena fa anco menzione, se ben con poche parole , A-
loisio Cadamosto nelle sue Navigazioni al cap. 5G. Ma della steri -
lità del paese vicino a Gaza scrive ancora Strabone nel 2(3 libro
cosi dicendo: Ko(.( aurjj ^iv cui/ v^ dnh Pji^'?? k'jTvp* ttxcx^
LIBERATA C. XVIL gS
II.
Del Re d' Egitto è la città frontiera ,
Da lui gran tempo innanzi ai Turchi tolta;
E , però eh' opportuna e prossima era
Air alta impresa , ove la mente ha vòlta ;
Lasciando Menfi_, eh' è sua reggia altera,
Qui traslatò il gran seggio; equi raccolta
Già da varie provincie insieme avea
L' innumerabil oste all' assemblea .
III.
Musa , quale stagione , e qual là fosse
Stato di cose or tu mi reca a mente;
QuaF arme il grande Imperatore quai posse^
Qual serva avesse, e qual compagna gente.
Quando del Mezzogiorno in guerra mosse
Le forze e i regi, e 1' ultimo Oriente:
Tu sol le schiere e i duci , e sotto F arme
Mezzo il mondo raccolto or puoi dettarme .
IV.
Poscia che , ribellante al Greco Impero
Si sottrasse l' Egitto , e mutò Fede ,
ec. , cioè: « Il paese dopo Gaza è sterile e arenoso, e più ance-
« ra quella distanza che è dappoi fra il lago Sorboaide, e il ma-
« ro con eguale intervallo »
St, 2 all'assemblea.
Assemblea èvoce provenzale, e signiliea raunanza. Il Boccaccio
nel Labirinto: Le lor prodezze , e i loro am.ori , e le giostre, e
torncnnienti , e le assemblee . Usasi anco assembrare neWo stesso
significato di congregarsi, e raunarsi insieme, odi far mostra o
rassegna . Nel Cento antico alla novella 9-2: « Venendo i Galli u-
« na volta verso Roma, Quinzio il Dittatore fece assembrare tut-
« ta la gioventude romana , e con grand' oste uscì di Roma » . E
il Petrarca nel sonetto scritto a penna, e citato di sopra:
« La mia sparsa virtù s' assem.bra al core.
E Dante in una canzone :
« Jn ciascuno è ciascuno vizio assembro .
E in un'altra:
« Tanto dolore intorno al cor' m' assembra .
Usasi aache assemprare , come insempre, e insembre per la-
sieme .
94 LA GERUSALEMME
Del sangue di Macon nato un guerriero
Sen fé' tiranno , e vi fondò la sede .
Ei fu detto Califfo ; e del primiero
Chi tien lo scettro , al nome anco succede .
Così per ordin lungo il Nilo i suoi
Faraon vide , e i Tolomei da poi.
y.
Volgendo gli anni, il regno è stabilito,
Ed accresciuto in guisa tal , che viene ,
Asia e Libia ingombi andò , al Sirio Ut©
Da" Marmarici fini e da Cirene;
E passa a dentro incontra all' infinito
Corso del Nilo assai sovra Siene;
E quinci alle campagne inabitate
Va della sabbia, e quindi al grand' Eufrate.
St. 4- I^i^l sàngue dì Macon nato un guerrier»
Sen fé tiranno .
Ali, dice Paolo Emilio che fu costui.
— Ei fu delta Calilfo .
Calijfd era nomo di principato, e voleva dir eiiccessore, come
l'interpreta Paolo Emilio, quasi succedesse quel principe alla
ricchezza e alla potenza ili Maometto primo occupator dell'Impe-
li o . Ma in tale stato, come su '1 piincipio fosse un solo quegli
che comandava, nacque con processo di tempo in tanto Impero
sedizione; onde dividendosi poi , un fu detto Califlb di Baldacco,
che signoreggiava pili il Levante; e l'altro Calill'o d'Egitto, che
avendo poco stato su '1 principio , 1' allargò poi infinitamente da
lutti i lati, come nella stanza seguente divisa il proprio Poeta
nostro .
— Coxl per ordin lungo il Nilo i suoi
Fdraun vide, e i Tolomei da poi.
Come Augusti gì' Imperatori Piomani , cosi Faraoni e Tolomei
furono detti i Re dell'Egitto grandissimo tempo, e a qucst' usan-
za Califfi ne'tempi più bassi, come alferma lo stesso Poeta nostro .
St. 5. Ed iiccrisriuto in gìiisa tul ,xhe viene, ce.
Dimostra la grandezza dello slato del Califfo d'Egitto in quel
tempo, pigliando i confini da tutti i lati , avvegnacliè da Ponente
comprendesse li legion Cirenaica e la Marmarica, provinrie del-
la Lii)ia, e si stendesse oltre lungo il mare verso il Levante finn
al lido di Soria in Asia, e verso Mi.-zzodi fra terra passasse dentro
fin sopra Siene; allargandosi poi per tutto quello spazio, ch'egli
segue a dire :
— E qiiinci alle cninpagng inabitata
Va della .'^abbili .
LIBERATA C. XVII. 95
VI.
A destra ed a sinistra in se comprende
L' odorata maremma , e '1 ricco mare ;
E fuor dell'Eritrèo molto si stende
Incontro al Sol che mattutino appare .
L'Imperio lia in sé gran forze, e piiì le rende
Il Re , eh' or le governa , illustri e chiare ,
Ch' è per sangue signor, ma più per merto,
Nell'arti regie e militari esperto.
VII.
Questi or co' Turchi , or con le genti Perse
Pili guerre fé' ; le mosse , e le respinse :
Fu perdente, e vincente; e nell'avverse
Fortune fu maggior che quando vinse.
Queste giudico io esser quelle che nel luogo citato di sopra
descrisse Ludovico Romano nelle sue Navigazioni.
St. 6. /1 destra ed a sinistra in sé comprende
L' odorata maremma.
Le maremme del Mar Rosso dall'una parte e dall'altra odora-
te , avvegnaché in una di esse, cioè in quella eh' è verso 1' Egit-
to , o a man sinistra nell' entrar del Golfo, siano i Trogloditi po-
poli abbondantissimi d'aromi; onde n'è perciò una regione detta
da Stìnhone aromati/era cioè producente aiomi; ed altra per la
copia dell'incenso in particolare, thurifera e alti-a per la mirra
mirrhifera e altre per simil modo ; e nell'altra da man destra l'A-
rabie, dove appo i Sabei, ed altri popoli nasce altres'i incenso,
mirra, storace, ed è tanta copia d'alberi e d'erbe odorifere, come
dice Strabone nel iG libro , che inducendo la fragranza dell'odo-
re in que' popoli sovente stupore nella testa , sono costretti a ri-
mediarvi co'profumi di bitume e altri ingegni: e della cannella ed
altre simili piante odorose^ si servono per far fuoco alla giornata.
St. 6 e'I ricco mare .
TI Mar Rosso, ricco per le molte gemme e pietre preziose che
»i trovano in esso 5 perchè di lui disse Tibullo:
V. Nec tibi gcm.maruTn quidquid felicihiis undis
« Nascitur Eoi qua maris unda riibet .
— Incontro al Sol che mattutino appare .
Verso il golfo di Persia, come appare nella mostra . Gbast.
St. 7. Fu perdente , e vincente; e neW avverse ec.
Il medesirpo si recita dagli scrittori per singoiar natura de' Ro-
mani. Di che Sulpizia, non raen dotta che gentile donna, cosi nP
scriise, Satyrico de Edicto Domìtiani:
« Quos Inter prisci sententia diva Catonis
"■ Serre duo magni Jccissét, virumn^ secundis
96 LA GERUSALEMME
Poi che la grave età più non sofferse
Dell' armi il peso, al fin la spada scinse ;
Ma non depose il suo guerriero ingegno ,
Né d' onore il desio vasto "^ di regno .
vili.
Ancor guerreggia per ministri; ed have
Tanto vigor di mente e di parole ,
Che della monarchia la soma grave
Non sembra agli anni suoi soverchia mole .
Sparsa in minuti regni Africa pavé
Tutta al suo nome, e '1 remoto Indo il cole.
E gli porge altri volontario ajuto
D' armate genti, ed altri d' ór tributo.
IX.
Tanto e sì fatto Re 1' arme raguna;
Anzi pur adunate omai 1' affretta
Contia il sorgente Imperio, e la fortuna
Franca, nelle vittorie omai sospetta.
Armida ultima vien : giunge opportuna
Nell'ora appunto alla rassegna eletta.
Fuor delle mura in spazioso campo
Passa dinanzi a lui schierato il Campo .
X.
Egli in sublime soglio , a cui per cento
Gradi eburnei s' ascende, altero siede;
E sotto r ombra d' un gran ciel d' argento
« An magis adversis staret Romana propaga ,
« Scilicet adi.'er.iis .
E però Tito Quinzio appresso Polibio dice, che agli uomini
virtuosi e prodi si conviene essere nelle battaglie aspri ed ani-
mosi: nelle perdite generosi e magnanimi: nelle vittorie mode-
rati e facili ed umani .
— Ma non depose il suo guerriero ingegno ,
Ne d' onore il desio vasto e di regno .
Sente quelle parole di Sallustio ckive parla dell'inimodcrata am-
bizione di Catillna, alV. della Storia della Congiura di lui: ^.z-
stus animus imnioderata , incredihilia [nìcyin'x leggono intollera-
hilia^ , ninii^ ftlta semper cupisbat .
LIBERATA G. XVII. ^-j
Porpora intesta d' ór preme col piede;
p] ricco di barbarico ornamento
In abito regal sj)lender si vede .
Fan, torti in mille fasce , i biancbi lini
Aito diadema in nova forma ai crini.
XI.
Lo scettro ha nella destra ; e per canuta
Barba appar venerabile e severo \
E dagli occhi , eh' etade ancor non muta ,
Spira r ardire e "1 suo vigor primiero :
E ben da ciascun atto è sostenuta
La maestà degli anni e dell' impero .
Apelle forse , o Fidia in tal sembiante
Giove formò ; ma Giove allor tonante .
St. to. E ricco dì harhirìcn orm.TTWn.fo . '(•
Barbarico ornamento , cioè fatto da' Frigi; come Btirhan'cce ver-
stes appo Lucrezio, Barbarirum aurum appo Virgilio, per le ve-
sti e por l'oro de' Frigi; i quali par che il nome di barbaro s'ab-
biano fattoquasi proprio, siccome da molti letterati uomini è sta-
to annotato , e si può barbarico eziandio prendere per le vesti
tessute in Babilonia, delle quali si parla da Plinio. Gekt.
Si riscontri al proposito di questa nuova rassegna quanto ne
scrisse il Cesarolti, che lu da noi riportato a pag. 5o del Tom. I
della presente edizione.
St. I I . Apelle forse , o Fidia in tal sembiante ec.
Fidia fece la statua di Giove Olimpico Tonante. E si dice dalli
scrittori, che nel dito di quella scrisse, * ANT APKHSKAAOZ,
cioè Pantarce bello, il qual nome era di un leggiadro garzone a-
mato da lui . Ciò che tra l'altre empietà rimprovera a' Pagani Ar-
nobio, 1. 6 tidversus Genies . Nella qual guisa di GioTC fu da Apelle
nel tempio di Diana Efesia dipinto Alessandro con un fulmine
in mano , siccome lecita Plinio. E però ben fa il Tasso a compa-
rar questo altro Re a Giove tonante. Benché si potrebbe di lui
dire quel che ad un maggior di lui rispose un certo Gallo: cioè,
a Cajo Imperatore, il quale pazzo che era, si facea chiamare Gio-
ve Laziale , nella maestà del quale sedendo un giorno nel tribu-
nale, come questi del Tasso nel soglio, e vedendo che colui ne
sorrideva; gli dimandò: chi gli paresse egli ? Il quale liberamen-
te rispondendo, una gran follia, li disse: siccome recita Dione .
Gent.
Dinota la maestà di quell'Imperatore. Faceva Fidia il siniola-
«ro di Giove Olimpico, e domandato da che esemplare caverebbe,
VimmagÌH«, rispesa che n'avea ritrovato l'archetipo in quo' tre
9^ LA GERUSALEMME
XII.
Stannogii a destra 1' un, ]' altro a sinistra,
Duo Sntrapi i maggiori: alza il piiì degno
La nuda spada del rigor ministra;
L' altro il sigillo ha del suo ufficio in segno.
Custode un de' secreti , al Re ministra
Opra civil ne' grandi affar del regno;
Ma Prence degli eserciti, e con piena
Possanza è l' altro ordinator di pena .
XIII.
Sotto, folta corona al seggio fanno
Con fedel guardia i suoi Circassi astati;
Ed oltre 1' aste hanno corazze , ed hanno
Spade lunghe e ricurve all'un de' lati.
Così sedea , così scopria '1 tiranno
Da eccelsa parte i popoli adunati.
Tutte a suoi pie, nel trapassar, le schiere
Chinan , quasi adorando , armi e bandiere •
XIV.
Il popol dell' Egitto in ordin primo
Fa di se mostra; e quattro i duci sono :
versi d'Omero:
H' X0!.< HUavÈOfCtV I.T ÒP^'ÓCI VfUCTf KpOV(''jJV .
Au&poff<a< 3' apx -yjxi tolì STrTr/ppcoffoiro ólvxktoì
Kparb? oìtt ol^xvoÌtoio , fj.i'yxv ^' tKiXi^iv oXujuttov.
Cioè :
« Disse, e con le nere ciglia fece cenno il figliuol di Saturno ,
« E le odorifere chiome del Re si furono vibrate
« Del capo immortale , e il gran cielo scosse .
— ma Giove allor tonante .
7b/irtw/e, perciocché Giove si ligurava in varie guise, e appo
i Garamanti con le coma senza folgore sotto nome di Giove Am-
mone, come mostra Lucano nel 9, v. 5i2:
« Ventum erat ad templum , Lybicis quod gentihus unum
« Incititi Garamnntes habcnt: stat corni ger ilìic
« Jupiter , ut nicmorant , sed non aut /ulmina l'ibrans ,
« ylut similis nostro , scd tortis cornibu.i , Hummon .
A proposito ancora della somiglianza del Poeta , dice Pliniw
nel Uh. 35 che nel tempio di Diana in Ef so fu da Apelle dipinto
Alessandro il Magno tenente unjfolgore \n mano.
LIBERATA C. XVII. y9
Duo dell'alio paese, e duo dell'imo,
Gli' è del celeste Nilo opera e dono :
St. 14. Duo dell' alto paese , e duo dell' imo .
L'Egitto è diviso in due parti, superiore e inferiore . Inferio-
re è quella che è fra alcune braccia del Nilo, il qual fiume dira-
mandosi in alcun luogo, e stendendo certe corna o braccia, e con
esse arrivando fin' al mare la come un delta greco, o un triangolo
a questo modo A, e n'è perciò ([nella parte detta il gran Delta;
ed è questo l'Egitto da basso. Pili suso dipoi da cjuesta parte si-
no a Siene, ed oltre^ è l'Egitto di sopra: Strabone nel i libro .
— C/i' è del celeste JSilo opera e dono .
Tutto l'Egitto fu da Esiodo cliiaiuato don del Nilo, come testi-
fica Strabone nel luogo poco innanzi allegato, e Aristotile nel
primo delle meteore il disse opera di cjuel fiume: ma se non tut-
to, soggiunge Strabone, cjuella parte almeno, che è dopo il dira-
mar del Delta, ed è detto l'Egitto inferiore. E di chiamarlo a
quel modo fu cagione, come dicono gli stessi Strabone, Aristotile
e il medesimo nostro Poeta appresso , il modo con che viene fat-
to quel paese, eh' è per benefìcio e opera del Nilo, il quale col-
lo scorrere che continuamente e' fa, porta a basso molta terra f.
molto fango, la qual materia accumulata insieme, e seccata, e
rassodata, ne vien perciò a rimaner l'Egitto, e n'è abitato. E
per questo modo il Faro che ne' tempi di Omero, secondo che si
vede nel 4 dell'Odissea , fu isola separata da terra ferma , essen-
do accumulata simil materia innanzi aUe bocche, fu dopo con-
giunta al lido, come di sopia ha detto il medesimo nostro Poeta .
— celeste Nilo
Celeste, per quello che si disse di sopra quando il Poeta chia-
mò celesti gli umori suoi; a che si può ancora aggiungere quel-
lo che del predetto fiume scrive Strabone nel 17 libro, citan-
do Qmero che '1 chiama ZluniTca cioè sceso dal Cielo, o da Gio-
ve: e quello di più che ne dice Eliodoro nel 9 libro della sua
Storia Etiopica, il che traduce in questo modo Leonardo Chini:
« E tanto piìr che accade, che tornava allora il tempo de'Nilia-
« ci, solennità appo gli Egiziani grandissima; e costumasi ccle-
« brare nel tempo dello estivo solstizio, quando il fiume comin-
« eia a prendere aumento; e in questa pongono gli Egiziani
« maggiore studio che in tutte l'altre, e fannolo per questa ca-
ci gione . Fingono essi uno in forma del Nilo , e leggendo a questo
« il maggiore de' più potenti , e con grave e ornata orazione as-
« somigliano il fiume al Cielo, come quello che senza nubi e
« pioggie aeree bagna i colti loro: e questo fa ogni anno ordina-
te riamente, e per tal cagione è onorato da molti popoli. Ma
« quello ch'egli hanno per cosa divina è che stimano, che la
« principale cagione dell' essere e vivere degli uomini sia la
« congiunzione dell'umida e secca natura , dicendo che gli altri
« alimenti, non principalmente , ma uniti con questi operano
«,e si dimostrano. Dicono ancora che '1 Nilo l'umido, e la terra
.« loro il secco rappresenta , ec. » Gcast..
ice LA GERUSALEMME
Al mare usurpò il letto il fertil limo ,
E rassodato al coltivar fu buono .
Sì crebbe Egitto: oh quanto a dentro è posto
Quel che fu lido ai naviganti esposto !
XV.
Nel primiero squadrone appar la gente ,
Ch' abitò d' Alessandria il ricco piano.
Gli' abitò il lido vólto all' Occidente,
Ch' esser comincia omai lido Africano .
Araspe è il duce lor, duce potente
D' ingegno piìi, che di vigor di mano :
Ei di furtivi aguati è mastro egregio ,
E d' ogn' arte Moresca in guerra ha '1 pregio .
XVI.
Secondan quei, che posti in ver l'Aurora
Nelle costa Asiatica albergar© ;
E gli guida Aronteo , cui nulla onora
Pregio o virtij , ma i titoli il fan chiaro .
Non sudò il molle sotto l' elmo ancora ,
Ne mattutine tfombe anco il destaro ;
Ma dagli agi e dall'ombre a dura vita
Intempestiva ambizion l' invita .
Chiama il Nilo celeste ad imitazion di Omero, il quale lo chia-
mo Au ^erVii cioè « Stagnante dal Cielo, o Giove» . Dalla quale
appellazione presero arE;omento gli antichi filosofi , che la causa
dell'inondazione del Nilo fosse la pioggia: siccome testifica Stra-
bone, lib. 17, E chiama l'Egitto opera , e dono del Nilo all' u-
•anza de' Greci, del che vedi Aristotile nello Meteore. Gent.
St. 16. Non sudò il molle sotto l' elmo ancora.
Ne mattutine trombe anco il destaro .
Quello che si disse della copia, e della varietà con che il Poeta
nostro spiegò la mostra de' Cristiani nel primo canto, si può con-
siderare di nuovo qui , e c©n tanta maggior meraviglia , quanto è
questa seconda mostra; e pur tuttavia con si varj e nuovi modi
conduce la gente innanzi , e condisce que' semplici co'ncetti , che
dilettevole, e oltre ad ogn'altra meravigliosa cosa è a leggerla: e
se Omero, e Virgilio fecero due mostre anch'essi, ben si vede
nella seconda, come se la passino seccamente, e quasi senz' ap-
parato ed ornamento alcuno.
LIBERATA C. XVII. loi
XVII.
Quella che terza è poi, squadra non pare,
Ma un'osle immensa; e campi e lidi tiene.
Non crederai eh' Egitto mieta ed are
Per tanti; e pur da una città sua viene:
Città, eh' alle provincie emula e pare.
Mille cittadinanze in se contiene :
Del Cairo i' parlo : indi 1 gran vulgo adduce ,
Vulgo all' arme restio , Campsòne è il duce .
XVIII.
Vengon sotto Gazel quei che le biade
Segaron nel vicin campo fecondo ,
E più suso , insin là dove ricade
Il fiume al precipizio suo secondo.
La turba Egizia avea sol archi e spade,
Né sosterri'a d'elmo o corazza il pondo .
D'abito è ricca; onde altrui vien che porte
Desio di preda, e non timor di morte .
XIX.
Poi la plebe di Barca , e nuda e inerme
Quasi, sotto Alarcon passar si vede;
St. i8. e pih suso , insin là dove ricade ec.
Al precipizio secondo , cioè alla seconda e minor cateratta del
Nilo, eh' è sovra Siene ed Elefantina. Strahone . Guast.
Accenna ciò che dissero molti, ch'in un luogo ( da Plinio Stu-
disi nomA^o) con tal furia, e con tal suono si precipita il Nilo,
che toglie Tudito alle persone. Plinio al e. 29 del lib. 6: Stadisin
ubi ISiihis prcecipitans se ,Jrigore auditum accolis nufert . La
qnal cosa viene toccata dal Petrarca nel Sonetto, Se mai :
« Forse siccome il Nil , d' alto cadendo,
« Col grnn suono i vicin d' intorno assorda. .
E l'Ariosto al canto 16, stan. 56:
« Hendon un alto suon , che a quel s' accorda
« C^ort che i vicin cadendo il Aito assorda .
E nelle Rime:
« yers' ove il Nilo al gran cader rimugge ,
Seneca al quarto delle Questioni Naturali , e Aristotile nel fto-
diaco, Plinio al quinto. Mart.
St. ig. Poi la plebe di Barca .
Barca, è detto ossidi quel deserto e inabitato paese dell Af-
102 LA GERUSALEMME
Che la vita famelica nelF erme
Piagge gran tempo sostentò di prede ,
Con istuol manco reo , ma inetto a ferme
Battaglie, di Zumara il re succede;
Quel di Tripoli poscia; e l' uno e 1' altro
Nel pugnar volteggiando è dotto e scaltro .
XX.
Di retro ad essi apparvero i cultori
Dell'Arabia Petrea , della Felice,
Che '1 soverchio del gelo e degli ardori
Non sente mai, se '1 ver la fama dice;
Ove nascon gT incensi e gli altri odori^
Ove rinasce V immortai Fenice ,
fiica, che si stende da Tripoli di Baibaiia fino ad Alessaudria di
Egitto, ed era anticamente detto Maiinarica.
St. 20. Dell' Arabia Petrea, della Felice, ec.
Il Bembo :
« Neil' odorato e lucido Oriente,
« Z/(l sotto il vago e temperato cielo
o Della felice Arabia, che non sente
a. Sì che l'offenda mai caldo , né gelo .
■Il qual concetto tolse il Bembo da quella bellissima e vaghissi-
ma Elegia di Lattanzio intitolata Phenix; come che però Lat-
tanzio non dell'Arabia Felice, ma si ben d'altro luogo parlasse,
ch'egli poeticamente e trovò, e volle descrivere, come quasi tut-
to il resto di quell'Elegia .
— Ok/c nascon gì' incensi e gli altri odori .
Strabone ne_ luoghi addotti di sopra .
— Oi'e rinasce V immortal Fenice , ee.
Dal medesimo luogo tradusse Dante que'suoi versi, Inf. %!\^.
« Erba nò biada in sita vita non pasce
tt Ala sol d' incenso lacrime , e d' amomo ,
« E nardo , e mirra son V ultime fasce ,
Perchè dice Ovidio:
« Nec fruge , nec herhis ,
« Sed th/iris lac.rymis , et succo l'ivit amami.
E non dirò altro di questo uccello, per esserne pieno quasi o-
gni libro, se non che mi par d'avere scorte circa il suo nasci-
mento due opinioni: l'una si è, «che il medesimo che more si
rifaccia e ristori di nuovo: T altra , che non rinasca l'istesso, ma
che infonda in quel suo odorifero nido certa forza generativa ,
dalia quale un nuovo fenice si generi . E questa è la vera: dalla
quale non discorda la prima, se con discreta maniera s' intende
ed interpreti* . Geist.
LIBERATA C. XVII. io3
Che tra i fiori odoriferi , che aduna
Air esequie, ai natali, ha tomba e ernia.
XXI.
L' abito di costoro è meno adorno ;
Ma r armi a quei d'Egitto han simiglianti.
Ecco altri Arabi poi , che di soggiorno
Certo non sono stabili abitanti.
Peregrini perpetui usano intorno
Trarne gli alberghi e le cittadi erranti :
Han questi femminil voce e statura ,
Crin lungo e negro , e negra faccia e scura .
— Che tra fiori odoriferi eh' aduna
■All' esequie , ai natali , ha tomba e cuna .
Questa favola della morte e del rinascimento della Fenice com
molta vaghezza e leggiadria come altre cose sue, toccò nelle Tra-
f formazioni Ovidio, cosi dicendo, lib. i5, v. SgS:
« Hoec ubi (juinque suoe conipleAt scecula t'ita:,
« Iticis in ramis , tremulceve cacumine palmoe
n Unguibus et duro nidum sibi construit ore .
« Quo simul ac casias, et nardi lenis aristas
« Ouassaque cum fulva substravit cinnama nvyrrha f.
« Se super imponit , fnitque in odoribus osi'um .
« Inde Juerunt totidem qui vivere debeat annas ,
« Corpore de patrio parvuin Phocnica renose i .
« Cum dedit Imic oetas vires , onorique ferendo est
« Ponderibus nidi ramos levai arboris alta: ,
« Fertque pius cunasque suas , patriumque sepulchruin .
E con magi^ior copia, e con vaghezza non minore spiegò tutto \\
fatto Lattanzio Firmiano nell'Elegia citata fli sopra, nella quale fra
gli altri, somigliante ai presenti del Poeta nostro, è questo verso:
« Construit inde sibi seu nidum , sive scpulchrum. GoAST.
St. 21. Ecco altri Arabi poi , che di soggiorno
Certo non sono stabili abitanti .
Sono questi gli Arabi Sceniti, cosi detti dalla voce greca CX'^vv;-^
che, ombra, o adombramento, o ridotto fatto di foglie, di pelli >
e di simil materia per stare al coperto, signidca; sotto i quali li-
dotti albergando continuamente , anzi seco stessi , come vaghi ed
erranti che quegli erano, portandolisi sempre ovunque andasse-
ro dietro, n'acquistarono perciò cotal nome.
— ffiin questi femminil l'ore e statura .
Lodovico Romano nel primo libro delle sue Navigazioni al cap.
nono, di questi Arabi parlando, scrive cos'i: « Per armi portano
« una canna lunga dicci o dodici braccia, che nella punta ha un
u. ferro, e intorno intorno è lavorata di seta. Sono di statiua
G. Lip. T. ni. t)
L
164 LA GERUSALEMME
XXII.
Lunghe canne Indiane arman di corte
Punte di ferro e 'n su' destrier correnti
Diresti ben che un turbine lor porte ^
Se pur han turbo sì veloce i venti .
Da Siface le prime erano scorte:
Aldino in guardia ha le seconde genti:
Le terze guida Albiazar, eh' è fiero
Omicida ladron, non cavaliere.
XXIII.
La turba è appresso, che lasciate avea
L'isole cinte dall' Arabich' onde,
Da cui pescando già raccor solca
Conche di perle gravide e feconde.
Sono i Negri con lor , sull' Eritrea
Marina posti alle sinistre sponde .
Quegli Agricalte , e questi Osmida regge ,
Che schernisce ogni Fede ed ogni Legge .
XXIV.
Gli Etiopi di Meroe indi seguirò ,
Meroe che quindi il Nilo isola face.
Ed Astrabora quinci , il cui gran giro
È di tre regni , e di due Fé capace .
« brutta e picciola . 11 color loro è fra 1 berettino e 1 negro; la
« voce di donna, i capegli hanno lunghi , e distesi e nereggianti .
St. 22. Se pur han turbo si veloce i l'enti.
Turbo è quel vento, che i Greci chiamano Thyphona , i Latini
turbinem et vorticem . Perciocché è fiato, il quale con gran vio-
lenza e stridore uscendo da una nube in un'altra nube percuote,
onde si aggira non altrimente, che soglia il vento aggirarsi in uà
angiporto. Sicconse scrive Aristotile nelle Meteore. Gbnt.
St. 23. Sono i Negri con lor , sull' Eritrea
Marina posti alle sinistre sponde .
Gli Etiopi a man sinistra nell' entrar del Golfo Arabico, o Mar
Rosso. GOAiT.
St. 7^. Gli Etiopi di Meroe.
Gli Etiopi sotto r Egitto.
— Ed Astrabora quinci .
E r Astrabora un fiume, il quale sbocca nel Nilo, e insieme
LIBERATA G. XVII. io5
Gli condiicea Canario ed Assimiro ,
Re r uno e 1' altro, e di Macon seguace,
E tributario al Calife; ma tenne
Santa credenza il terzo , e qui non venne .
XXV.
Poi duo regi soggetti anco venieno
Con squadre d' arco armate e di quadrella :
Un , Soldano è d' Ormus , che dal gran seno
Persico è cinta, nobil terra e bella;
L' altro di Boecan : questa è nel pieno
Del gran flusso marino isola anch' ella;
Ma quando poi scemando il mar s' abbassa ,
Col piede asciutto il peregrin vi passa .
XXVI.
Né te , Altamoro , entro al pudico letto
Potuto ha ritener la sposa amata .
Pianse, percosse il biondo crine e '1 petto ^
Per distornar la tua fatale andata .
Dunque (dicea) crudel, più che '1 mio aspettOj
Del mar 1' orrida faccia a te fia grata ?
Fian r arme al braccio tuo più caro peso ,
Che '1 picciol figlio ai dolci scherzi inteso ?
XXVII.
E questi Re di Sai'macante ; e '1 manco ,
Che 'n lui si pregi è il libero diadema;
Così dotto è neir arme , e cosi franco
Ardir congiunge a gagliardia suprema.
Saprallo ben ( 1' annunzio ) il popol Franco;
Ed è ragion che insino ad or ne tema .
con un altro fiume detto Astapo, che sbocca dall' altra lato, comtr
dice Strabene nel principio del 17 libro, fa l'isola di Meroe.
St. 25. Un, Soldano ò d' Orrnìis .
Soldano Tuoi dire prefetto o governatore; e cosi chiamava il
Ee di Persia quelli eh' egli faceva soprastanti alle sue provincie,
come si disse ancora al nono canto .
— che dal gran seno
Persico è cìnta ..
io6 LA. GERUSALEMME
I suoi guerrieri indosso lian la corazza ,
La spada al fianco, ed all' arcion la mazza.
XXVIII.
Ecco poi fin dagl'Indi, e dall'albergo
Dell'Aurora venuto Adrasto il fero ,
Che d' un serpente indosso lia per usbergo
II cuojo verde e maculato a nero;
E smisurato a un elefante il tergo
Preme così, come si suol destriero.
Gente guida costui di qua dal Gange ,
Che si lava nel mar che l' Indo frange .
XXIX.
Nella squadra che segue è scelto il fiore
Della regal milizia , e v' ha quei lutti
Che con larga mercè , con degno onore,
E per guerra e per pace eran condutti ;
Cli' armali a sicurezza ed a terrore
Vengono in su destrier possenti inslrutli:
E de' purpurei manti, e della luce
Dell' acciaio e dell'oro, il ciel riluce.
XXX.
Fra questi è il crudo Alarco , ed Odemaro
Orcìinator di squadre, ed Idraorte,
E Rimedon, che per 1' audacia è chiaro,
Sprezzalor de' mortali e della morte;
E Tigrane, e Rapoldo il gran corsaro.
Già de' mari tiranno; e Ormondo il forte,
E Marlabusto Arabico, a chi '1 nome
L' Arabie dier, che ribellanti ha dome,
xxxi.
Evvi Orindo , Arimon , Pirga , Brimarte
Espugnator delle città , Sifante
È Ormus isola nel golfo di Persia. E perciò disse di sopra il
Poeta, che l'impero del Re d'E;^iUo andava fin* oltre all'Euirate ,
il qiial fiume sbocca in questo seno .
St. 3i. Evi'i Orindo, Arimon, Pirga, Brimarte ,
LIBERATA G. XVil. 107
Domator de' cavalli^ e tu dell'arte
Della lotta maestro , Aridamante ;
E Tisaferno ;, il folgore di Marte,
A crii non è chi d' agguagliar si vanto,
O se in arcione , o se pedon contrasta,
0 se rota la spada, o corre 1' asta.
XXXII.
Guida un Armen la squadra , il qual tragitto
Al Paganesmo nelletà novella
Fé' dalla vera Fede; ed ove ditto
Fu già Clemente, ora Emiren s' appella;
Per altro uom fido, e caro al Re d' Egitto
Sovra quanti per lui calcar mai sella;
E duce insieme e cavalier soprano
Per cor , per senno e per valor di mano .
XXXIII.
Nessun più rimanea , quando improvvisa
Armida apparve, e dimostrò sua scliiera.
Molti così alla rinfusa nomina , come nel fin del racconto tro-
vandosi, e t(uasi desideroso di spacciarsene; e ad imitazion d' O-
mcro e di Virgilio .
St. 3a. Guida un Armen la squadra .
L' Arcivescovo di Tiro nella sua storia diceche si rinnegò co-
stui per somma di danari ricevuti da' nemici .
— , ... il qual tragitto .
Dante nel 34 dell' Infern.
« Da sera a mane ha fatto il Sol tragitto .
— ed ove ditto
Fu già Clemente .
Così il chiama Roberto monaco nell'ottavo libro della sua sto-
ria; ma l'Arcivescovo di Tiro, Elefdalio ed Erairco ; ma Emirco
dice Paolo Emilio eh' è vocabolo comune , e che significa iiv
quella lingua Satrapo e nobilissimo . Goast.
— E duce insieme e cavalier soprano ec.
Dant-e, Inf. 18:
« Quegli e Giason , che per cuore , e per senno
« Li Calchi del monton privati Jene .
Ma è da notare , che appo i I^atini il medesimo significava
cuore che senno, cioè sapienza; onde i gran Savj si dimandava-
no Corculi : noi per la fortezza lo prendiamo , ma il nome valore
è preso qui dal Tasso in quel significato, che dagli antichissimi
Romani si preudea il aome valentia : cioè differciiU dal senno .
leb LA GERUSALEMME
Venia sublime in un gran carro assisa ,
Succinta in gonna , e faretrata arciera ;
E mescolato il novo sdegno in guisa
Col natio dolce in quel bel volto s* era,
Che vigor dalle; e cruda ed acerbetta
Par che minacci, e minacciando alletta.
XXX IV.
Somiglia il carro a quel che porta il giorno ,
Lucido di piropi e di giacinti:
E frena il dotto auriga al giogo adorno
Quattro unicorni a coppia a coppia avvinti
Cento donzelle e cento paggi intorno
Pur di faretra gli jomeri van cinti;
Ed ai bianchi destrier premono il dorso ,
Che sono al giro pronti e lievi al corso .
XXXV.
Segue il suo stuolo , ed Aradin con quello
Ch' Idraote assoldò nella Soria.
Come allor che '1 rinato unico augello
I suoi Etiopi a visitar s' invia ,
Tìtìnìiis , Setina; Sapìentìa gubcrriiitor naverrt torquet , non va-
lentia: ma vi aggiunse di mano; conciossiachc valore in lingua
Tolt,'aie ogni virtù abbracci. Gent.
St. 34. Somiglia il carro a quel che porta il giorno eC.
Descriiione in vece del nome. Rinato ed unico son due con-
dizioni , elle solo alla fenice s'appartengono . Gua^t.
Il piropo è gemma di grandissimo prezzo, detta da noi Carbon-
chio; viene da Trup , che tanto vale quanto fuoco, essendo che
detta gemma risplenda come fuoco, come abbiamo dimostrato
più sotto. Maht.
St. 35. Come aliar die 7 rinato unico augello ce.
Siccome dissi di sopra nel cau. elccimoscsto , che il Tasso in
quei versi di Cartagine avea superato il Sanazzaro; cosi in questi
della Fenice non so se l'abbia conseguito, 1. vt, v. 4»5 de Par. Vir.
'< Qiialis , nostrum cum tcndit in orbem,
« Purpurcis nitilat pennis nitidissima Pliceni.v:
« Quam varifc circurn vo/ucres comitantiir eiintcm.
« Illa volans , Solem nativo provocai auro
« Fulva Caput , caudam, et roseis interlita punctis
« Coeruleani; stiipct ipsa cohors , plausuque sonoro
<■<■ Per sudum .strepit innumeris g.rgrcitus alis . Gbnj.
LIBERATA G. XVII 109
Vario e vago la piuma , e ricco e bello
Di monil, di corona aurea natia;
Muore e rinasce quest'uccello nell'Arabia Felice. Egli ogni volta
che per lo peso soverchio degli anni morto, si è risanato, il che
favoleggiano essere dopo i settecento settantanni, portando seco
tutto quell'odorifero nido, o sepolcro suo, riparata la vita e la
gioventù , si parte dall'Arabia, e verso l'Egitto, o Etiopia alla
città del Sole, pianeta a cui egli è dedicato, accompagnato da in-
finita schiera d'uccelli che l'ammirano , si va ; e quivi sopra l'al-
tare deposto il dolce carico , si ritorna all'Arabia, o secondo Lat-
tanzio , a quel felicissimo luogo nell'Oriente, ov' e' descrive «he
quegli tiene la sua abitazione . E da questo è tolta la comparazio-
ne ch'usa qui il nostro Poeta, come anco ne la tolse Claudiano
nel 2 Panegirico a Stilicone, v. l\\'i: così dicendo:
o Sic ubi fcBCunda reparavìt morte juvenUim ,
« Et patrios idem cineres , collectaque portai
« Ungvihus ossa pii.t , Ailic/ite ad li ti ora tendens
« Unicus extremo Phoenix procedit ab Euro
« Conveniunt aquiloe , cunctoeque ex orbe volucres ,
« Ut Solis mirentur avem ; prociil ignea lucei
« j4les , odorati redolent cui cinnama busti, etc.
Lattanzio nell'Elegia citata descrive tutto il fatto, dove fra gli
altri sono questi versi :
« yic uhi primoeva coepit florere juventa ,
« Ei'olat ad primas jam reditura domos .
« Ante tainen , proprio quicquid. de corpore restata
« Ossaque , vel cineres , exsuviasque suas ,
« Unguine balsameo , myrrhaque , et thure soluto
« Condii , et in J'ormam conglobai ore pio.
* Quam pedibus gestans contendit Solis ad orius ,
« Inque ara residens pomi , in cede sacra .
x Mirandam scse praestat , prosbetque vìdenti :
« Tantus ibi decor est , tantus abundai honor .
£ quésti altri:
« Sed levis et velox regali piena decore ,
a Talis in adspectu se exhibet usque hominum^
o Convenit ^gyptus tanti ad miracula visus ,
« Et raram volucrem turba salutai ovans .
— Vario e vago la piuma , e ricco e bello
Di monil , di Corona aurea natia.
Plinio al 2 cap. del io libro, di quest'uccello parlando: Aquiloe
narratur magnitudine, auri Julgore circa colla, coetera purpureiis
cceruleam roseis caiidam pennis distinguentibus eie.
Lattanzio nell'Elegia allegata:
(i jEquatur foto capiti radiata corona
<( P il febei refercns verticis alia decus .
E il Sauazzaro ne' tersi citati di sopra :
« Soltm nativo provocai auro.
i.o L.\ GERUSALEMME
Stupisce il mondo ; e va dietro ed ai laii
Meravigliando esercito d' alati :
xxxvr.
Così passa costei, meravigliosa
D'abito, di maniere e di sembiante:
Non è allor sì inumana, o sì ritrosa
Alma d'amor, cbe non divenga amante.
Veduta appena, e in gravità sdegnosa.
Invaghir può genti sì varie e tante :
Che sarà poi , quando in più lieto viso
Co' begli occhi lusinghi e col bel riso?
XXXVII.
Ma poi eh' ella è passata , il Re de' regi
Comanda ch'Emireno a sé ne vegna ,
Che lui preporre a tutti i duci egregi ,
E duce Tarlo universal disegna .
Quel , già presago , a' meritati pregi
Con fronte vien, che ben del grado è degna :
Ed il Petrarca :
« Questa Fenice dell' aiiruta piuma
« Al suo bel collo candido gentile
(! Forma se nz' arte un sì caro monile eC.
— e va dietro ed ai lati
Meravigliando esercito d' alati .
Meravigliando, cioè meravigliandosi. Ed è il concetlo del San-
nazaro: Stupet ipsa coliors : e anco diClaudiano: Ul Sulis mircn-
tur a^'exn . Il meravigliando , per meravigliandosi , è come quello
del Petrarca :
« Ond' io meravigliando dissi, or come?
Cioè meravigliandomi. E quell'altro:
« Vergognando talor eh' ancor si taccia;
per vergognandomi. Di che si ragione ancora in altri luoghi
di queste annotazioni. Ma quelli che per ammirando l'espon-
gono, e n'accusano perciò d'improprietà il Poeta , mostrano be-
ne die eziandio con pregiudizio degli ingegni loro, si sforzino Ai
trovar falli nel presente poema. Ma ben con offesa d'altro cIir
d'ingegno nelle repliche poi, quando per mantener 1' esposizion;
prima lanno dire al Poeta:
«« Stupisce il mondo ; ed ha dietro ed ai lati ec.
in luogo di va, com'è la vera lezione . Guasx.
Si è veduto iu Lutiauzio, che la Fenice quando v»ol ujorirc
LIBERATA C. XVII. 1 1 1
La guardia de' Circassi in due si fende,
E gli fa strada al seggio; ed ei v' ascende.
XXXVIII.
E , chino il capo e le ginocchia , al petto
Giunge la destra; e '1 Re così gli dice :
Te' questo scettro: a te, Emiren, commetto
Le genti, e tu sostieni in lor mia vice;
E porta, liberando il Re soggetto.
Su' Franchi l' ira mia vendicatrice.
Va', vedi, e vinci ; e non lasciar de' vinti
Avanzo; e mena presi i non estinti.
XXXIX.
Così parlò il Tiramio ; e del soprano
Imperio il cavalier la verga prese:
Prendo scettro , signor, da invitta mano,
Disse, e \o co' tuo' auspicj all'alte imprese;
va in Affrica; e morta e rinnovata, subito che può volare, torna
■el suo paese, passando per l'Egitto, ove son gli Etiopi.
Marx.
St. 38 e tu sostieni in lor mia vice.
Vice è parola usata da Dante nel 27 del Farad.
« La providcnzia , che quivi cumparte
« Vice ed ufficio .
— f^a , vedi e vinci ,
GÌ' impone e gli augura prestezza, come con le medesime paro-
le la significò Cesare a' suoi amici dopo la rotta data a Farnace
figliuolo di Mitridate, cosi scrivendo: Veni , vidi, vici. Gcast,
Cosi al canto 1 8 , stan. l^o :
it Vidi , e vinsi gì' incanti .
L'Ariosto al canto 46, stan. 96:
« Sicché può dir che viene e vede e vince.
St. 39. Disse , e vo co' tuoi auspicj all'alte imprese.
Nota magnificenza di verso, la quale fanno non tanto le parole
accorciate, quanto la congiunzione di quei monosiiiabi,e vo ce/
tuo'. Tale è quel verso di Virgilio, Georg, i , v. 24 :
a Tuque adeo , qitem mox quce sint habitura deoriim,
« Concilia .
e lib. G dell' Eneide , v. 791 :
u Hic rir , liic est , tihi quem promitti scepius audis ,
« Augiistus C cesar .
Perchè ti fanno ritardare, come che parlino di cosa che non si
deve cosi leggiermente e velocemente trapassare. Quella preghie-
ra poi ch« fa Emireno Bella seguente stanza, si attribuisce dagli
112 LA GERUSALEMME
E spero , in tua virtù , tuo capitniio .
Dell' Asia vendicar le gravi offese.
Né tornerò j se vincitor non torno;
E la perdita avrà morte _, non scorno .
XL.
Ben prego il ciel, che s' ordinato male,
( Gh' io già noi credo ) di lassù minaccia ,
Tutta sul capo mio quella fatale
Tempesta accolta di sfogar gii piaccia :
E salvo rieda il Campo , e 'n trionfale ,
Più che in funebre pompa il Duce giaccia .
Tacque : e seguì co' popolari accenti
Misto un gran suon di barbari istrumenti ,
XLI.
E fra le grida e i suoni in mezzo a densa
Nobile turba il Re de' Re si parte:
E giunto alla gran tenda, a lieta mensa
Raccoglie i duci, e siede egli in disparte:
Ond' or cibo , or parole altrui dispensa ,
Né lascia inonorata alcuna parte .
Armida all'arti sue ben trova loco
Quivi opportun, fra 1' allegrezza e '1 gioco.
XLII.
Ma già tolte le mense , ella , che vede
Tutte le viste in se fisse ed intente;
E eh' a' seyni ben noti omai s' avvede
o
Che sparso è il suo venen per ogni mente ,
Sorge , e si volge al Re dalla sua sede ,
Con atto insieme altero e riverente;
E , quanto può , magnanima e feroce
Cerca parer nel volto e nella voce .
XLIII.
O Re supremo , dice, anch io ne vegno
Per la Fò, per la patria ad impiegarmc.
Jàloiici a Firiiilio ed a M. Anloiiiu, n(iJle gueue di Perseo Re «
dt-' Parti. GrENT.
LIBERATA C. XVII. ii3
Donna son io , ma regal donna; indegno
Già di reina il guerreggiar non parme.
Usi ogni arte regal chi vuole il regno ;
Dansi all' istessa man lo scettro e 1' arme.
Saprà la mia (ne torpe al l'erro o langue)
Ferire, e trar dalle ferite il sangue.
XLIV.
Né creder che sia questo il dì primiero
Ch' a ciò nobil m' invoglia alta vaghezza ;
Che 'n prò di nostra Legge e del tuo Impero
Son io già prima a militar avvezza .
Ben rammentar dei tu s' io dico il vero,
Che d' alcun' opra nostra hai pur contezza :
E sai che molti de' maggior campioni ,
Che dispieghin la Croce , io fei prigioni .
XLV.
Da me presi ed avvinti , e da me furo
In magnifico dono a te mandati ;
Ed ancor si stanano in fondo oscuro
Di perpetua prigion per te guardati ;
E saresti ora tu via più securo
Di terminar , vincendo , i tuoi gran piati ;
Se non che il fier Rinaldo, il quale uccise
I miei guerrieri , in libertà li mise .
XLVI.
Chi sia Rinaldo., è noto; e qui di lui
Lunga istoria di cose anco si conta.
St. 43- Saprà la mia (né torpe aljerro o langue)
Ferire , e trar delle ferite il sangue .
Virgilio nel 12 dell'Eneide, v. 5o :
« Et nos tela pater, f'errumque haud debile dextra
« Spargimus , et nostro setjuitur de vulnere sangui*.
— Dansi all' istessa man lo scettro e V arme .
Il medesimo suona quel verso proverbiale d' Omero:
Glie f nel dire : ce Buono Re , e forte guerriero » . Gf.ht.
]i4 LA GERUSALEMME
Questi è '1 crudele , onci' asprameule io lui
Offesa poi, né vendicata ho Y onta .
Onde sdegno a ragione aggiunge i sui
Stimoli , e più mi rende all' arme pronta :
Ma qual sia la mia ingiuria, a lungo detta
Saravvi ; or tanto basti : io vuo' vendetta ;
XLVII.
E la procurerò : che non invano
Soglion portarne ogni saetta i venti;
E la destra del ciel di giusta mano
Drizza 1 arme talor contra i nocenti.
Ma , s' alcun fia eh' al barbaro inumano
Tronchi il capo odioso, e mei presenti,
A grado av rò questa vendetta ; ncora ;
Benché, fatta da me, più nobil torà:
XLVIII.
A grado sì , che gli sarà concessa
Quella eh' io posso dar maggior mercede.
Me, d' un tcsor dotata, e di me stessa,
In moglie avrà, s' in guiderdon mi chiede:
Così ne faccio qui stabil promessa,
Così ne giuro inviolabd lede .
Or s' alcuno è che stimi i premj nostri
Degni del rischio , parli e si dimostri .
XLIX.
Mentre la donna in guisa tal favella ,
.Adrasto affigge in lei cupidi gli occhi:
Tolga il ciel , dice poi , che le quadrella
jN el barbaro omicida unqua tu scocchi ;
Che non è degno un cor villano, o bella
Saettatrice, che tuo colpo il tocchi:
Atto dell'ira tua ministro io sono;
Ed io del capo suo ti farò dono .
L.
lo sterperógli il core : io darò in pasto
Le membra lacerate agli avoltoi.
LIBERATA C. XVII. n5
Così parlava T Indiano Adrasto;
Né soffrì Tisaferno i vanti suoi.
E chi sei (disse) tu, che sì gran fasto
Mostri, presente il Re, presenti noi?
Forse è qui tal, ch'ogni tuo vanto audacp
Supererà co' falli, e pur si tace.
LI.
Rispose r Indo fero : io mi son uno ,
Gli' appo r opre il parlare ho scarso e scemo;
Ma s' altrove, che qui, così importuno
Parlavi tu, parlavi il detto eslremo.
Seguito avri'an; ma raffrenò ciascuno,
Distendendo la deslra il Re supremo .
Disse ad Armida poi: donna gentile,
Ben hai tu cor magnanimo e virile :
LII.
E ben sei degna, a cui suoi sdegni ed ire,
L'uno e r altro di lor conceda e done.
Perchè tu poscia a voglia tua le gire
Contra quel forte predator fellone.
Là fìan meglio impiegale; e '1 loro ardire
Là può chiaro mostrarsi in paragone .
Tacque ciò detto; e quegh offerta nova
Fecero a lei di vendicarla a prova .
, LUI.
Ne quelli pur, ma qual più in guerra è chiaro,
La lingua al vanto ha l^aldanzosa e presta,
S' offerser tutti a lei : tutti giurare
Vendetla far su l'esecrabil testa:
Tante contra il guerrier , eh' ebhe sì caro,
Arme or costei commove e sdegni desta .
5t. 5i Io mi son uno
« Ch' appo r opre il parlare ho scurso e scemo .
Ovidio nel nono delle Metamorfosi, v. 29:
« Meli or milii dcxtera lingua est . Gbasie.
ii6 LA GERUSALEMME
Ma esso, poi ch'abbandonò la rlva^
Felicemente al gran corso veniva .
LIV.
Per le medesme vie che 'n prima corse,
La navicella indietro si raggira;
E r aura eh' alle vele il volo porse ,
Non men seconda al ritornar vi spira.
Il giovinetto or guarda il Polo e 1 Orse,
Ed or le stelle rilucenti mira ,
Via dell'opaca notte; or fiumi, e monti
Che sporgono sul mar le alpestre fronti .
LV.
Or lo stato del Campo, or il costume
Di varie genti investigando intende :
E tanto van per le salate spume ,
Che lor dall' Orto il quarto Sol risplende ;
E quando omai n'è disparito il lume,
La nave terra finalmente prende .
St. 54. // giovinetto or guarda il Polo e V Orse .
Imita Omero e Virgilio, i quali finsero Ulisse e Fallante navi-
gando rimirare le stelle. Onde Polibio grandemente loda Omero,
che induca Wlisse, principe eccellentissimo, a prendere congiettu-
ra dalle stelle non solamente della navigazione , ma eziandio del-
le cose che in terra operar doveva. Per lo che conchiude , che ad
un capitan d'esercito si conviene sapere le scienze matematiche ,
e specialmente la geometria e l'astrologia. Ed il medesimo si
forza di provare Platone ne'libri del suo Comune. Di che Quin-
tiliano recita nel primo libro alcuni belli esempj pertinenti alla
cognizione delle stelle; le quali il Tasso chiama, come Virgilio ,
Via dell' opaca notte: perchè si (inge da' poeti la notte menare il
suo carro per lo cielo, onde il Petrarca lo dimandò Stellano: e
Mosco la notte stessa non negra, come gli altri sogliono, ma
cerulea :
« O di Venere luce , a sacra imago
« Della cerulea notte, amica stella.
Il qual colore ognun sa che è proprio del cielo . Gest.
— Ed or le stelle rilucenti mira ce.
Apposizione, le quai stelle sono la via dell'opaca notte. Ad i-
initvzion di Virgilio nel io dell' Eneide, v. i6i :
— jam quoerit sidera , opacae
« Noctisitcr. G0À»T.
I IBER AT A C. XVII. 117
Disse la Donna allor; le Palestine
Piagge son qui; qui del viaggio è il fine,
LVI.
Quinci i tre cavalier sul lido pose;
E sparve in men che non si forma un detto.
Sorgea la notte intanto , e delle cose
Confondea i varj aspetti un solo aspetto;
E in quelle solitudini arenose
Essi veder non ponno o muro o tetto;
^è d' uomo o di destriero appaion orme,
Od altro pur che del cammin gì' informe .
Lvn.
Poi che stati sospesi alquanto fóro,
Mossero i passi , e dier le spalle al mare;
Ed ecco di lontano agli occhi loro
Un non so che di luminoso appare ,
Che con raggi d' argento e lampi d' oro
La notte illustra , e fa 1' ombre più rare .
Essi ne vanno allor conlra la luce;
E già veggion che sia quel che si luce .
LVIII.
Veggiono a un grosso tronco armi novelle
Incontra i raggi della Luna appese ;
E fiammeggiar , più che nel ciel le stelle.
Gemme nell' elmo aurato e nell' arnese :
E scoprono a quel lume immagin belle
Nel grande scudo in lungo ordine stese .
Presso, quasi custode, un vecchio siede,
Che contra lor sen va , come gli vede.
LIX.
Ben è da' duo guerrier riconosciuto
Del saggio amico il venerabil volto;
Ma poi eh' ei ricevè lieto saluto ,
E ch'ebbe lor cortesemente accolto.
Al giovinetto, il qual tacito e muto
Il riguardava, il ragionar rivolto;
ti3 LA GERUSALEMME
Signor , te sol , gli disse , io qui soletto
111 cotal' opra desiando aspetto :
LX.
Che , se noi sai, ti sono amico; e quanto
Curi le cose tue, chiedilo a questi:
Cli'essi scorti da me vinser l' incanto,
Ove tu vita misera traesti.
Or odi i detti miei contrarj al canto
Delle Sirene, e non ti sian molesti;
Ma gii serba nel cor , sin che distingua
Meglio a te il ver pili saggia e santa lingua .
LXI.
Signor, non sotto 1' ombra in piaggia molle
Tra fonti e fior, tra Ninfe e tra Sirene ,
Ma in cima all' erto e faticoso colle
Della virtù riposto è il nostro bene.
St. 6i. Signor , non sotto V ombra in piaggia molle ec.
Sent« quella Qnzione ti' Esiodo delle vie del piacere e della vir-
ili, delle quali cosi scrisse il giau Varrò nel Sesquiiilisse : Unam
finm Zcnona munisse dure virtute liane esse nohilem : alteram
Carneadem desubulasse , bona corporis secufum . Lo iTcita No-
nio nella voce desulmlare , ch'egli interpreta perforare, quasi che
Cameade primo abbia fattyi la strada al piacere, o ( se si legge
desabulasse , come alcuni vogliono ) l'abbia sparsa di sabbione,
essendo stata avanti fatta da altri, ne' quali ragiona Ateneo nei
Dipnosofistl. E nota, che dice il nostro bene, e non il sommo
bene, come si dice comunemente da' filosofi . Perchè il sommo
bene non è nella virtìi , ma nella cognizion di Dio. Cièche c-
ziandio Platone conobbe, scrivendo nel Filebo, che nel terzo
grado del bene è la mente e la sapienza umana: nel quarto le
arti e discipline: nel quinto gli onesti piaceri : ma nel secondo è
questa maravigliosa proporzione dell'universo, nel primo è Dio,
onde tutti gli altri beni dipendono, come dall'idea del bene e
della felicità istessa . Gent.
— Ma in cima all' erto e fai iroso ralle ce.
La virili , come Esiodo afTerma, è posta solo in cose faticose, e
chi la vuole intieramente possedere è d' uopo clie si alfalichi.
« P'irtutvm posiicre Dei sudore parandam :
La qual sentenza si trova appresso Cicerone all'Epistola i8 del 6
delle Familiari. Per confermazione della i|Mal cosa, diceva Simo-
nide, clic ella (dico la virtii) abita (coijie riferisce Clemente Ales-
sandrino nel 6 degli Stromati ) in rupi dillicilissime ; e perù Dan-
te al primo dell Inferno , detta sentenza volendo accennare disse :
LIBERATA C. XVII. no
Chi non gela^ e non suda, e non s'estolle
Dalle vie del piacer, là non perviene.
Or vorrai tu lungi dall'alte cime
Giacer , quasi tra valli augel sublime?
LXII.
T' alzò Natura in verso il ciel la fronte,
E ti die spirti generosi ed alti ,
Perchè in su miri , e con illustri e contp
Opre te stesso al sommo pregio esalti.
E ti die l'ire ancor veloci e pronte;
Non perchè l' usi ne' civili assalti ,
« Perchè non sali il dilettoso monte ,
« Ch' è principio, e Cagion di tanta gioja?
E il Petrarca nel Sonetto : Amor piangeva :
o Fu per mostrar qitant' è spinoso il calle
« E (juant' alpestra e dura la salita,
« Ond' al vero valor convien eh' uom poggi.
L'Ariosto al canto 7, stan. 42:
« Penso di trarlo per via nlpestra e dura
« Alla Vera virtù mal grado d' esso .
E il Muzio nell'Egloga 3 del primo libro:
« Di gir al monte , ove la via s' impara,
« Che l' alme altrui conduce a più bel nionte .
Aristotile anche disse la virtù aver le radici amare, ma i frutti
dolcissimi; di ciò vedi negli Adagj : a proposito di ciò vedasi Se-
nofonte nel 6 de'Memorabili, e Suida, e Cicerone al primo degli
OfEz) . Makt.
St. 62. T' alzò Tintura in verso il ciel la fronte ec.
Di questo, oltre gli altri scrittori, cosi ragiona Asistotile nel
quarto libro de partibns Animai. Cap. io; Solus enim animaliuin
omninm erectus est ( Homo ) quoniam ejus natura atque substan-
tia divina est: offlcium autcm divini est intelligere , atque saptre
quod non facile esset , si vasta corporis moles assidjret . Pcndu.f
enim tardiortm reddit , et nuntem, et scnsum cummunem . Quel-
lo poi che il Tasso a luogo esplica dell'ire, è tutto sentimento
Platonico, del quale abbiamo alcune cose accennato ne' canti pre-
cedenti. Gent.
Ovidio al primo delle Trasformazioni , v. 85 :
« Os homini sublime dcdit: coelum.que tucri
« Jussit , et ererlos ad sidcra tollere vultus .
E anche Cicerone al 2 De Natura Dtorum : Ad hanc providen-
tiam naturai tam diiigentem , tamqiie solertem. , adjungi multa
possunt , ex quibus intcUigatur quantos res hominihus a Deo,
quam,que eximioe t ributte sint ; qui primum eos humo exritatos ^
celsos et erectos constituit , ut deorum cognitionein , cce'um in-
tucntes , capere possent ete. MiRT.
G. LlD. T- HI. 9
,30 LA GERUSALEMME
Ne perchè sian di desiderj ingordi
Elle ministre, ed a ragion discordi;
Lxin.
Ma perchè il tuo valore, armato d'esse,
Più fero assalga gli avversar] esterni,
E sian con maggior forza indi ripresse
Le cupidigie, empj nemici interni.
Dunque neir uso, per cui fur concesse,
L' impieghi il saggio duce, e le governi;
Ed a suo senno or tepide, or ardenti
Le faccia, ed or le affretti, ed or le allenti.
LXIV
Così parlava: e 1' altro attento e cheto
Alle parole sue d'aUo consiglio,
Fea de' delti conserva , e mansueto
Volgeva a terra e vergognoso il ciglio .
Ben vide il saggio veglio il suo secreto ,
E gli soggiunse: alza la fronte, o figlio,
E in questo scudo affissa gli occhi ornai,
Ch'ivi de' tuoi maggior 1' opre vedrai.
St. 63. Ma perchè il tuo valore, armato d' exsc ih:.
Opinione de' Peripatetici intorno agli affetti, della quale si
parlò di sopra .
— Ed a suo senno or tepide, or ardenti
IjC J accia
Convicn che dalla rajiione a suo piacere sia retta e governata
l'irascibile, s'ella ha da essere islrumento di virtù. Guast.
— ir in questo scudo affissa gli occhi ,
Questo scudo di Rinaldo è fatto ad imitazione di quello d' A-
chille nel i8 dell'Iliade, e di quello d'Enea nel 8 dell'Eneide,
dt'qii:(li fere il Signor Cesarotti un'Analisi critica. Noi ags^iun-
geremo qui le p;ii(>lc, colle t[uali quel dottissimo uomo nel secon-
do articolo chiude la serie delle varie Imitazioni, che fatte furono
dello scudo Omericu. « Chiude questa fila di scudi (jnello di Ri-
naldo , che trovasi presso il nostro Tasso nel carilo 17 del suo
Golfrcdo. Vorrei poter dire d'averlo posto in ultimo luoi^o per la
sua peilc/.ione e niat;c;ioranza su tutti gli altri . Ma sono astretto
a confessare, che questo non è uno dei pezzi piìi singolari d' un
tal poema , e che non parmi che possa reggere al paragone nò <lel-
l'uno, né dell'altro di quelli de" due maggiori epici, ch'ci pure
LIBERATA C. XVII. «it
LXV.
Vedrai degli avi il divulgato onore
Lunge precorso in luogo erto e solingo :
non solo emulò , ma vinse più d'una volta . Non è già che possa
dirsi spregevole : questo titolo non può cadere in un tal poeta;
solo non ha cosa per cui distintaruente e superiormente risplen-
da . Deesi intanto convenire che questo scudo è introdotto arcon-
ciamcnte e chiamato dalla circostanza. Rinaldo andato in esigilo
avea scambiate le sue arme con quelle d'un Pagano a fine di non
essere riconosciuto: la sua armadura famosa era caduta in mano
di Armida . Quand'egli alfine si sottrasse da costei, parti inerme,
o certo non armato come dovea convenirglisi per tanta impresa.
Opportunamente adunque il Mago Cristiano, che lo attendeva,
gli fa trovar nuove arme da lui fabbricate di tempra finissima; »>
iiccome voleva accenderlo maggiormente dell'amor della gloria ,
e sgombrargli dallo spirito ogni idea delle passate mollezze, cosi
pensò di mettergli dinanzi agli occhi scolpite nello scudo tutte le
gesta de' suoi maggiori, onde muoverlo ad emularle. Tuttoché
l'imprese degli Eroi Estensi non avessero sull'universo politico
tutta quella vasta e decisiva intluenza ch'ebbero quelle de' Ro-
mani, e perciò la descrizione del Tasso non potesse far sui letto-
ri un'impressione uguale a quella che risentono dalla de.=criziono
di Virgilio, pure un certo numero di personaggi e di fatti di
quella schiatta cosi famosa in Europa potea destar interesse nei
coetanei , ed ammirazione ne' posteri, ove quelli fossero ben rap-
presentati e bene scelti . Or questo è ciò che non panni eseguito
dal nostro Poeta in modo da poter gareggiare coli' Epico Latino.
Primieramente egli sembra essersi fatto una legge di nominar
successivamente tutti gli antenati di Rinaldo, il che fa che le lo-
ro azioni non possano esser tutte né d'ugual importanza, né svi-
luppate cjuanto basta, né poste in un lume ugualmente vivo,
benché pur più d'una ne tocchi colla sua solita maestria In se-
condo luogo egli ha a fronte di Virgilio uno svantaggio notabile .
Quest'è che nello scudo d'Enea parla il poeta ai lettovi, in que-
sto parla sempre il Mago a Rinaldo. Quindi è che Virgilio può
lussureggiare a suo grado nelle bellezze pittoriche, laddove il
Tasso deve essere sobrio , e fissare lo spirito del suo Eroe più nei
fatti che nelle immagini : quegli può darci un quadro storiato,
questi non può che tratteggiar leggermente un compendio stori-
co. Ha pur anche maggior vaghezza insegnosa il veder adilitarsi
ad Enea i suoi posteri non conosciuti , di quello che lammcinora-
re a Rinaldo la serie de' suoi maggiori, che doveva essergli abbi-
stanza nota; ma la diversa situazione de'due poemi faceva che
Virgilio avesse allora bisogno dei nipoti , e l'altro degli avi . Nul-
la più avrebbe ripugnato che il sinto Mago, il quale alla sua tra-
scendente sapienza poteva aggiungere l'inspirazione, avesse amo
fatto travedere al suo Eroe alcuno de' suoi discendenti più pros-
simi a' tempi del Tasso, il che forse avrebbe lusingato di più gli
Estensi viventi». . M.
Ili LA GERUSALEMME
Tu dietro anco riman', lento cursore.
Per questo della gloria illustre arringo .
Su su, te stesso incita; al tuo valore
Sia sferza e spron quel eh' io colà dipingo .
Così diceva; e '1 cavaliero affisse
Lo sguardo là , mentre colui sì disse .
LXVI.
Con sottil magistero in campo angusto
Forme infinite espresse il fabro dotto :
Del sangue d' Azzio glorioso , augusto
L' ordin vi si vedea , nulla interrotto ;
Vedeasi dal Roman fonte vetusto
I suoi rivi dedur puro e incorrotto.
Stan coronati i Principi d' alloro :
Mostra il vecchio le guerre e i pregi loro .
LXVIl.
Mostragli Cajo , allor eh' a strane genti
Va prima in preda il già inclinato impero ,
Prendere il fren de' popoli volenti,
E farsi d' Este il principe primiero ;
St. 66. Del sangue d' Azzio glorioso , augusto
L,' orrììri vi si vedea .
Dagli Azzii Romani, uno dc'quali fu avo materno d' Augusto,
discende, per quanto afferma il Pigna nella sua storia , la casa da
Este .
St. 67. Mostragli Cajo , allor che a strane genti ce.
Nel tempo dell'Impero d' Arcadie e d'Onorio, e negli anni del
Signore l\o'ò , Stilicone spinto dall'ambizione e dal desiderio di
regnare, per indebolire Onorio, che nell'Occidente comandava,
chiamò in Italia Alarico e Radagasso Re de' Goti e de' Vandali;
nel qual tempo questo Cajo Azzio secondo che dice il Pigna era
decurione, o uno de' governatori in Este a nome dell' Ini poralore;
perchè guastando e distruggendo in quc' contorni lieramentc ogni
cosa quc' barbari, né pigliandovi l'Imperatore rimedio alcuno, di
governatore ch'egli era, acciò da lui fossero difesi, lo elessero
principe assoluto. Guast.
V. il Pigna, lib. i , e segg. della Istoria di Casa d'Estc, dove
jnoltissiiiic cose si trovano, che servir possono a dilucidare varj
luoghi di questo Canto. Vedasi anche il Muratori, Antichità E-
ftansi . M
LIBERATA C. XVII. i^H
Ed a lui ricovrarsi i men potenti
Vicini , a cui rettor facea mestiere .
Poscia quando ripassa il varco noto,
Agi' inviti d' Onorio, il fero Goto;
LXVIII.
E quando sembra che più avvampi e ferva
Di barbarico incendio Italia tutta ;
E quando Roma prigioniera e serva
Sin dal suo fondo teme esser distrutta ,
Mostra eli' Aurelio in libertà conserva
La gente sotto al suo scettro ridutta.
Mostragli poi Foresto, che s' oppone
All' Unno regnator dell' Aquilone .
LXIX.
Ben si conosce al volto Attila il fello,
Che con occhi di drago par che guati;
Ed ha faccia di cane; ed a vedello
Dirai che ringhi, e udir credi i latrati.
Poi vinto il fiero in singoiar duello
Mirasi rifuggir tra gli altri armati,
— Ed a luì ricovrarsi i men potenti
Vicini, a cui rettor facea mestiero .
Furono questi secondo il Pigna , Monselice , Calaone , Monta-
gnana , Ceno, "Vicenza , e Feltre.
— Poscia quando ripassa il varco noto ec.
Questo va appiccato alla stanza che segue, perciocché fu opra
d'Aurelio figliuolo di Cajo : arvegnadio che quando sdegnato O-
norio contro a' Romani traslatò la sede imperiale in Ravenna, e
richiamò di nuovo Alarico in Italia, seppe Aurelio si bcn'opera-
le co' Goti , che inviati essi verso Roma per distruggerla , passan-
do per li paesi di lui, non gli olFesero punto.
— l' irco noto .
Noto , perchè passato da lui un'altra volta innanzi , quando fu
chiamato da Stilicone .
St. 68. Mostragli poi Foresto, che s'oppone ec .
Ad Attila Re degli Unni; il quale nell'anno \So arrabbiato
contro i Cristiani , scorrendo all'assalto d' Aquileja per poter piìi
agevolmente scendere in Italia, fu da Foresto figliuolo d'Aurelio^
con le genti di Gilio Re di Padova suo parente, sconfitto pili d'u-
na volta .
St. 69. Poi vinto il fero in singoiar duello .
1^4 LA GERUSALEMME
E la difesa d'Aquilea poi tórre
Il buon Foresto, dell' Italia Ettorre.
LXX.
Altrove è la sua morte; e '1 suo destino
E destin della patria. Ecco l'erede
Del padre grande il gran figlio Acarino,
Ch all'Italico onor campion succede.
Cedeva ai Fati, e non agli Unni Aitino ;
Poi riparava in plii secura sede :
Poi raccoglieva una città di mille
In vai di Po case disperse in ville .
Combatteron da solo a solo Attila e Foresto, secondo die sci i-
Te il Pigna, ed etsendo in termine di vittoria. Foresto fu da'Pa-
j;ani disturbato. Gcast.
AUila (come s'è detto ) Be degli Unni per vendicarsi della
morte de' suoi capitani, cioè di Braino e di Garboino, seguita
per le genti del Principe Foresto da Este in battaglia, con 5ooo
cavalli , e looo arcieri andò ad assalire detto principe, ed aven-
dolo giunto mentre giva ad Aquileja (essendo in difesa di essa
città dal Re Giglio di Padova mandato) senza molto alcuno andò
a ritrovare il Principe di Este tra tanta gente, e si mise a com-
battere da solo a solo seco, nel quale abbattimento essendo stato
a.iiniazzalo il cavallo al Principe di Este, Attila isnellaniente dal
suo scendendo incominciò un'altra fi ita la pugna. Il fine fu che
il Re degli Unni tirò un gravissimo colpo al suo avversario sul-
l'elmo, sicché lo fece per la grave angoscia quasi stordire; ma
essendo irato, con forza via maggiore rendendogli il colpo, lo feri
in una coscia e in una gamba ; per le quali ferite venuto meno,
sarebbe facilmente restato morto Attila per le mani del Princi-
pe Foresto, se non l'avessero ajutato Agoris e Friberto suoi Ca-
pitani. Marx.
St. 70 il granfiano /4 rari no .
Successe questi a Foresto il padre nel dominio d' Este e di
Monselice:e fece notabili prodezze contro allo stesso Attila, co-
me racconta il Pigna nel primo libro .
— Cedei':! Il' Fati , e non a^li Unni Aitino .
Ebbero quei d'Aitino le cose in guisa contrarie al proponi-
mento loro, nel tempo che Attila gli assediava, che ben si parve
che le loro disgrazie e necessità fossero volontà di Dio; perchè
di essi dice il Poeta che cedevano a' Fati , e non agli Unni .
— T^oi riparava in piii secura sede .
Condusse Acarino (juei d'Aitino nell'isole che dal nome de' se-
stieri del loro luo^o furon dette Torniella , Anioriana, Mazorbia,
Bojeana, Constantina e Amiana; e i suoi di Este e Monselicc a
Cliioggia, Palestrina e Malamocco .
— Poi raCi.oiilitii'U una cìUl) di mille «C.
LIBERATA C. XVII. I25
LXXI.
Centra il gran fiuiìie, che 'n diluvio ondeggia,
Muniasi ; e quindi la città sorgea ,
Che ne' futuri secoli la reggia
De' magnanimi Estensi esser dovea.
Par che rompa gli Alani , e che si veggia
Contra Odoacro aver poi sorte rea ;
E morir per l'Italia. Oh nobil morte,
Che dell' onor paterno il fa consorte!
LXXII.
Cader seco Alforisio ', ire in esigliò
Azzo si vede, e '1 suo fratel con esso;
E ritornar con 1' arme e col consiglio
Dappoi che fu il tiranno Erulo oppresso .
Trafitto di saetta il destro ciglio,
St. ^i. Cantra i] gran fiume, clie'n diluvio ondeggia , ec.
Ridusse eziandio Acarino in forma di città Aventino, Anzio,
Trento e alcuni altri villaggi finitimi , riparandosi eon ap^'ini
contra il fiume, ed escludendo da' campi della terra parte dell'ac-
que de' fondi valleggiale ; e di qui Ferrara ebbe principio e accre-
scimento non picciolo . V. il Pigna nel i lib. dell'istoria di Casa
d'Este, di sentenza di Peregrino Prisciano.
— Par che rompa gli Alani .
Insieme con Ricomiro Goto , ma patrizio Romano, e generale
dì Severiano Imperatore, essendo Acarino capitano della caval-
leria: e fu nel 463.
— Contra Odoacro aver poi sorte rea.
Sotto Lodi rimase morto Aearino insieme con Alforisio suo
fratello, volendo opporsi ad Odoacro re, ch'era uno da' princi-
pali baroni dell'esercito d' Attila ; il quale Odoacro sollecitato da
Nipote Imperatore scacciato da Oreste , era sceso in Italia con
molti altri principali delle reliquie di quel barbaro .
St. 72 ire in esiglio
Azzo si vede , e 7 suo fratel con esso .
Azzo e Costanzo figliuoli d' Acarino perseguitati da Odoacro
furano spogliati di tutti i suoi beni, e costretti a sgombrare 1' I-
talia .
— Dappoi che fu il tiranno Erulo oppresso .
Cioè lo stosso Odoacro, che da Teodorico Amalo Re degli Ostro-
goti generale di Zenone Imperatore fu per tre volte sconfitto,
due anni assediato in Ravenna, e finalmente ucciso; dopo che
licbbcro Azzo e Costanzo gli stati loro.
— Trafitto di saetta il destro t:igli»
120 LA GERUSALEMME
Segue r Estense Epaminonda appresso :
E par lieto morir , poscia che '1 crudo
Totiia è vinto, e salvo il caro scudo .
LX\ITl.
Di Bonifacio parlo; e fanciulletto
Premea Valen'an V orme del padre :
Già di destra viril, viril di petto,
Genio noi sostenean Gotiche squadre .
Non lunge ferocissimo in aspetto
Fea contra Schiavi Ernesto opre leggiadre:
Ma innanzi a lui V intrepido Aidoardo
Da Monselce escludeva il Re Lombardo .
LXXIV.
Enrico v' era, e Berengario; e dove
Spiega il gran Carlo la sua augusta insegna,
Segue r Estense Epaminonda appresso .
Per r Estense Epaminonda intende Bonifazio , come appaic
dalla stanza che segue ; e successe tal fatto nel 556 quando Naise-
te mandato da Giustiniano Imperatore superò Totiia re de' Goti;
perchè trovatosi in quella giornata Bonifazio , e valorosamente
cambattendo , fu colto d'una saetta nell'occhio destro che li pas-
sò la nuca di dietro; e posto nello scudo coperto di pelle di bue ,
fu portato al padiglione dove tosto si morì . Perchè V assomiglia il
Poeta ad Epaminonda Tebano, di cui raccontano, che nella gior-
nata di Mantinca , ferito a morte, e portato al padiglione, do-
mandò s' era salvo Io scudo , e inteso che si , e recatoselo innan-
zi , e baciatolo, lietamente se ne morì .
St. t3 e fanciulletto
Premea Valerian .
Quattordici anni dice il Pigna ch'avea questo garzone quando
morì il padre: e di quell'età era tuttavia in compagnia di Nane-
te a distruzion de' Goti .
— Da Monselce escludeva il Re Lombardo .
Agilulfo, il quale per esser divenuto marito di Toololin<la, es-
sendo insieme divenuto re de' Longobardi, fatta pace co' France-
si, perseguitava l'Italia, e presa Padova, difesa in prima dal va-
lor de' Principi di Este, cerciva di far altrettanto di Monsclice .
— /'tri contra Schiavi Ernesto opre leggiadre .
Ernesto figliuolo d'Eriberto da Este, in Dalmazia, che dal no-
me delli Schiavi , Scbiavonia si cominciò a dire; fece molte se-
gnalale fizioni, dando loro molte rotte, e gli sconfisse in manie-
ra clic nf)n ebbero ar<lire di tornarvi laai piii: e fu nel 71 1.
Sv. ^^. Enrico u era ^
LIBERATA C. XVII. 127
Par eli' egli il primo ferilor si trove ,
Ministro 0 capitan d'impresa degna.
Poi segue Lodovico: e quegli il move
Contra il nipote eh in Italia regna:
Ecco in battaglia il vince, e '1 la prigione:
Eravi poi co' cinque figli Ottone .
LXXV.
V era Almerico ; e si vedea già fatto
Della città, donna del Po , marchese .
Devotamente il Ciel riguarda , in atto
Di contemplante, il fondator di chiese.
Figliuolo (l'Ernesto .
— e Berengario ;
Figliuole d'Enrico.
— e dove
Spiega il gran Carlo .
Carlo Magno, che da Enrico e da Berengario fu sempre con
notabili prodezze servito .
— Poi segue Lodovico .
Morto Carlo Magno , servi Berengario a Lodovico figliuolo di
Carlo rimasto creato Imperatore.
— e quegli il move.
Contr.i Bernardo figlio di Pipino, T altro figliuol di Carlo, che
dallo sttsso Carlo era stato creato Re d'Italia: e fu questi da Be-
rengario combattuto, e fatto prigione, e poi in Aquisgrana priva-
to del regno e degli occhi l'anno 819.
— Eravi poi Con cinque Ji^li Ottone.
Ottone fratello di Berengario. I cinque figliuoli furono Marino,
Sigifredo , Uberto , Ugone , Amizzone.
St ^5. V era Almerico ;
Figliuolo d' Amizzone.
— e si vedea già Jatto
Della città , donna del Po , marchese .
Per il favor ch'ebbe da Ugone re d'Italia, dal quale era in
grandissima stima tenuto, fu Almerico da' Ferraresi chiamato al
governo loro , onde rettili con somma autorità conferitagli dal
popolo, ne divenne finalmente Signore, e funne anco chiamato
Marchese .
— il fondator di chiese ,
Applicò il predetto Almerico una gran parte delle sue rendile
a diverse Chiese e Abbazie e dispensò anco i suoi danari in fab-
bricarne; construendo tra l'altre quella ili S. Georgio, che di
quei di era la principale in Ferrara, e le donò il comodo da man-
tenersi ,
128 LA GERUSALEMME
D' incontra Azzo secondo avean riUatto
Far contra Berengario aspre conlese ;
Che dopo un corso di fortuna alterno
Vinceva, e dell'Italia avea il governo .
LXXVI.
Vedi Alberto il figliuolo ir fra' Germani ,
E colà far le sue virtij sì note ,
Che, vinti in giostra e vinti in guerra i Dani,
Genero il compra Otton con larga dote.
— • Li' incontra Azzo secondo avean ritratto
Far contni Berengario as/jre contese .
Contra Bpien:;aiio Re d' Italia; e di questo il Pigua nel piiiuo
libro all'anno C)5o e gSS.
St. 'j6. Vedi Alberto il figlinolo ir fra' Germani .
Alberto figliuolo d' Azzo secondo.
— die , vinti in gioitra e vinti in guerra i Dani .
Della giostra parla il Pigna nel priino lib. all'anno 970, del*
la guerra al 976.
— Omero il compra Otton con larga dote .
Ebbe da Ottone I.:iperatore AJeieida sua figliuola per moglie
con dote di Friburg in Germania, e in Italia di Abbarco, Castro,
Casalinaggio.e , Busseto , Nocera e altri Castelli nominati dal
Pigna nel 1 lib. all'anno 97 >•
Albertazzo , che qui il Poeta chiama Alberto, per aver iatLc
molte cose degne di memoria appresso Ottone Re primo de" Ger-
mani, fu meritevole di aver per moglie la figlia di detto Re, no-
minata Alda, il che ancora toccò l'Ariosto, quando al canto 3 ,
stnn. iQ> e ^7 , disse:
« Ecco Albi-rtazzo , il cui siH'io consiglio
« 7'orrù d' It.iliii Berengario e i! figlio ;
« E sarà degno , a cui Cesare Otone
« Alda sua Jtglia in matrimonio aggiunga.
— Genero il compra .
Virgilio nel i della Georgica , v. 3> :
« Teqiie siiti generum Tlictyx emat omnibus undis .
Ed allude ad una delle tre maniere del prender moglie usate
dagli antichi ; ch'era per cocmp ionem , detta [)erciò a questo
modo secondo Varrone, avvegnaché la moglie venendo a casa del
marito aveva per costume di portar seco tre assi (era questa un.i
sorte di maneta d'argento ), e uno che teneva nella m.ino dava
quasi comprandoselo, al marito; l'altro che tenea nel piede, met-
teva nel focolare, (; co '1 terzo riposto nella borsa, faceva strepito
alia vicinanza; tutte le q.iali azioni avean altro e, per cosi dire ,
misterioso significato; m.i non è luogo di ragionarne qui. L'altre
due; maniere erano dette per confcrreaiioncm- e per usiim , come
s'ha 'la Boezio nella Topica .
LIBERATA C. XVII. 1C19
Vedigli a tergo Ugon, quel eh' a' Romani
Fiaccar le corna impeluoso puote;
E che marchese dell'Italia fia
Detto, e Toscana tutta avrà in halia ,
LXXVII.
Poscia Tebaldo , e Bonifacio a canto
A Beatrice sua poi v'era espresso.
Non si vedea virile erede a tanto
A imitazione del quale disse nel 3 canto dell' Amadigi Beinac-
tlo Tasso:
« E lo vorrian per genero comprare
« Tetide e V Ocenn con tutt'il mare.
— Vedigli a tergo Ugon.
Figliuolo d'Alberto.
— quel eh' a Romani
Fiaccar le corna impetuoso puote .
Molte fazioni di costui contro a'Roniani in favor del Papa Gre-
gorio V , e dell' Impera ter Ottone raccowta il Pigna nel primo li-
bro all'anno 996 e 997.
— E che Marchesi dell' Italia fia
Detto .
Il Pigna nel luogo allegato. Gcìst.
L'Ariosto al canto'3 , stan. 37:
« Vedi un altr' Ugo , o bella successione ,
« Che dal patrio valor non si dilunga ,
« Costui sarà , che per giusta cagione
« Ai superbi Boman l' orgoglio emunga .
Sovra il qual luogo veggansi il Fornari e l' Eugenico ^ che rac-
contano in che modo Ugo a' Romani emungesse l'orgoglio.
E da notare sopra quel verso del Tasso:
« Genero il compra Otton con larga dote , Mart.
St. 77. Poscia Tebaldo.
Figliuolo d'Azzo secondo , e Duca di Ferrara , Marchese di E-
ste. Conte di Canossa , Signor di Lucca, Piacenza, Parma e Reg-
gio , nel 970. Un altro ne fu ancora in quegli stessi tempi del
medesimo nome.
— e Bonifacio .
Due furono i Bonifazj, uno figliuolo del poco anzi nominato Al-
berto, e l'altro figliuolo di Tedaldo Duca di Ferrara ec. E questi
successe negli stati del padre , ed ebbe di più Mantova, e fu Vi-
cario Imperiale in Italia nel 1007.
— a canto
A Beatrice sua poi v era espresso .
A Beatrice sua moglie figliuola di Corrado secondo Imperatore,
dalla quale ebbe in dote Verona nel io34.
— ■ Aon si vcdea tirile «rede a tanto
i3o LA GERUSALEMME
Retaggio a sì gran padre esser successo.
Seguia Matelda, ed adempia ben quanto
Difetto par nel numero e nel sesso;
Che può la saggia e valorosa donna
Sovra corone e scettri alzar la «onna .
0^
LXXVIII.
Spira spiriti maschi il nobil volto :
Mostra vigor piiì che vii:il lo sguardo .
Là sconfiggea i Normanni ; e 'n fuga vòlto
Si dileguava il già invitto Guiscardo:
Qui rompea Enrico il quarto; ed a lui tolto
Offriva al tempio imperiai stendardo :
Qui riponea il Pontefice soprano
Nel gran soglio di Pietro in Vaticano .
Retaggio a si gran padre esser successo .
Non lasciò Bonifazio se non un flgliuolo maschio , che putto
morì sotto la tutela della madie Beatrice ,
— St'giiìa Matelda .
Figliuola di Bonifazio e di Beatrice, come là fa il Poeta, se-
guendo il Pigna: perchè pure altri sì grande, e gloriosa donna
fauno figliuola d'altri .
— ed adempia hen quanto
Difetto par nel numero e nel sr-yso .
Nel numero: perchè sola rimase eredo ili tanto stato, essendo
mosto il fratello maschio, e anche l'altra sorella dal nome della
madre dotta altresì Beatrice . Nel sesso: per l'imperfezion natu-
rale delke donne.
St. ^8. Là scottfiggea i Normanni .
I quali, ed alcuni anni prima, e in quel tempo sotto Boberto
Guiscardo aveano occupato la Puglia e la Calabria; e aspirando a
«Jose molto maggiori, cercavano d'abbassare Matilda: ma ossa
molte Gate li vinse e sconilsse; dove che Roberto, poi fatta pace
con la stessa Matilda, rajutò a soccorrere il Papa contra Enrico
quarto .
— Qui rompea Enrico il quarto .
Fu questo Enrico quarto Imperatore , nemicissimo di santa
Chiesa avendole voluto tor le sue ragioni nel crear de' Vescovi , e
perseguitando i veri e legittimi Papi creato "due volte Antipapi .
— e a lui tolto
Offriva al tempio imperiai stendardo .
Ciò segui in Canossa del io8i mentre, essendovi detto Gregorii»
nono , Enrico l'assediava.
— Qui riponea il Pontefice soprano ,
LIBER AT \ C. XVir. lòi
LXXIX.
Poi \eó\j in guisa ci' uom ch'onori ed ami^
Ch' or l'è al fianco Azzo il quinto, orla seconda:
Ma d' Azzo il quarto in piiì felici rami
Germogliava la prole alma e feconda.
Va dove par che la Germania il chiami ,
Guelfo il figliuol, fìgliuol di Cunigonda;
E '1 buon germe Roman con destro fato
E ne' campi Bavarici traslato .
LXXX.
Là d'un gran ramo Estense ei par eh innesti
L' arbore di Guelfon , eh' è per sé vieto :
Quel ne' suoi Guelfi rinnovar vedresti
Scettri e corone d' ór , più che mai lieto ;
E col favor de' bei lumi celesti
Andar poggiando , e non aver divieto.
Già confina col elei, già mezza ingombra
La gran Germania , e tutta anco 1' adombra .
LXXXI.
Ma ne' suoi rami Italici fioriva
Bella non men la regal pianta a prova .
Due Pontefici cosi illastre e religiosa donna rispose in seggio,
l'uno Alessandro secondo scacciato da Gil)crlo da Parma , man-
dato dall' Imperatore Enrico quarto in Italia; il cjiial Enrico fa-
Toriva il Candolo , che parimente col mezzo di detto Imperatore
fu creato Antipapa, e l'altro Gregorio nono perseguitato dallo
stesso Enrico.
St. ^9. Poi vedi , in guisa d' uom eh' onori ed ami ec.
Questi, secondo il Pigna, fu marito secondo di Matilda, cioè do-
po la morte di Gottitiedo gibboso, ch'era stato primo marito di
lei ; fra' quali però essendosi scoperto dapoi ch'erano parenti, per
comandamento del Papa si fece il divorzio.
— Ma d' Az-o il cjuarto in pììi jtìici rami.
Più /elici , cioè più fecondi e fruttiferi, che quelli di Bonifa-
zio , il quale sola ebbe Matilda, die gli succedesse. La voce Jrtici
è trasportata alla guisa latina. Virgilio nel a della Georg, v. 8:
« E.riit ad caelum. ramis felirihus arbos .
-I- Va dove par che la Germania il chiami.
Guelfo ilf^liuol.
Guelfo figliuolo d' Azzo quarto e di Cunigonda figliuola rH
.Guelfo quarto Duca di Baviera.
i3i LA GERUSALEMME
Bertoldo qui d' incontro a Guellb uscirà:
Qui Azzo il sesto i suoi prischi rinnova.
Questa è la serie degli eroi, che viva
Nel metallo spirante par si mova .
Rinaldo sveglia , in rimirando , mille
Spirti d' onor dalle natie faville :
LXXXII.
E d' emula virtù 1' animo altero
Commosso avvampa, ed è rapito in guisa,
Che ciò che immaginando ha nel pensiero ,
Città battuta e presa, e gente uccisa,
Pur come sia presente, e come vero,
Dinanzi agli occhi suoi vedere avvisa :
E s' arma frettoloso ; e con la spene
Già la vittoria usurpa , e la previene .
LXXXIII.
Ma Carlo , il quale a lui del regio erede
Di Dania già narrata avea la morte ,
La destinata spada allor gli diede .
Prendila disse, e sia con lieta sorte:
E solo in prò della Cristiana Fede
L' adopra, giusto e pio , non men che forte :
E fa del primo suo signor vendetta.
Che t' amò tanto; e ben a te s' aspetta .
LXXXIV.
Rispose egli al guerriero : ai cieli piaccia
Che la man, che la spada ora riceve.
Con lei del suo signor vendetta faccia.
Paghi con lei ciò che per lei si deve .
St. 8 1 . Bertoldo qui d' incontro a Guelfo usciva .
Berloldo figliuolo dello stesso Azzo quarto, ma d'un'altra ma-
glie, cioè Giuditta nata di Corrado secondo, che gli partorì anclip
Azzo sesto , ed era questo Bertoldo il padre di Rinaldo: sicché
nello scudo fin quasi dalla prima origine era descritta tutta la
progenie sua per fino alla propria persona di lui .
Gi'Asr.
LIB IDRATA C. XV!I. , i3
Carlo, rivolle a lui con lieln faccia,
Limgiie grazie rislrinse in sermon breve.
Ma lor s' offriva intento, ed al viaggio
Notturno gli affrettava il nobil saggio .
LXXXV.
Tempo è, dicea , di girne ove t' attende
Goffredo e '1 campo : e ben giungi opportuno
Or n' andiam pur ; eh' alle Cristiane tende
Scorger ben vi saprò per 1' aer bruno .
Così dice egli; e poi sul carro ascende^
E lor v' accoglie senza indugio alcuno ;
E rallentando a' suoi destrieri il morso,
Gli sferza , e drizza all' Oriente il corso .
LXXXVI.
Taciti se ne gian per l' aria nera ,
Quando al garzon si volge il veglio, e dice:
Veduto bai tu della tua stirpe altera
I rami e la vetusta alta radice :
E se ben ella dall' età primiera
Stata è fertil d'eroi madre e felice,
Non è , ne fia di partorir mai stanca j
Che per vecchiezza in lei virtù non manca .
LXXXVII.
Oh , come tratto ho fuor dal fosco seno
Dell' età prisca i primi padri ignoti ,
Così potessi ancor scoprire appieno
Ne' secoli avvenire i tuoi nepoti :
E pria eh' essi apran gli occhi al bel sereno
Di questa luce, farli al mondo noti !
Che de futuri eroi già non vedresti
L'ordin men lungo, o pur meii chiari i gesti.
LXXXVIII.
Ma r arte mia per se dentro al futuro
Non scorge il ver, che troppo occulto giace j
Se non caliginoso, e dubbio e scuro.
Quasi Innge per nebbia incerta face.
i34 LA GERUSALEMME
E se cosa qual certo io m' assecuro
Affermarli , non sono in questo aiuìnce;
Ch' io l' intesi da lai, che senza velo
I secreti talor scopre del cielo .
LXXXIX.
Quel eh' a lui rivelò luce divina _,
E ch'egli a me scoperse, io a te predico.
Non fu mai Greca, o Barbara, o Latina
Progenie in questo, o nel buon tempo antico ,
Ricca di tanti eroi, quanti destina
A te chiari nipoti il Cielo amico ;
Ch' agguaglieran qual più chiaro si noma
Di Sparta , di Cartagine e di Roma,
xc.
Ma fra gli altri , mi disse , Alfonso io sceglio
Primo in virtìi , ma in titolo secondo ;
Che nascer dee, quando corrotto e veglio
Povero fia d' uomini illustri il mondo .
Questi fia tal , che non sarà chi meglio
La spada usi , o lo scettro , o meglio il pondo
O dell' arme sostegna , o del diadema ,
Gloria del sangue tuo somma e suprema .
xci.
Darà, fanciullo , in varie immagin fere
Di guerra , indizio di valor sublime :
Fia terror delle selve e delle fere ;
E negli arringhi avrà le lodi prime.
Poscia riporterà da pugne vere
Palme vittoriose , e spoglie opime:
E sovente avverrà che '1 crin si cigna
Or di lauro , or di quercia , or di gramigna .
XCII.
Della matura età pregi men degni
Non fiano stabilir pace e quiete;
Mantener sue città, fra 1' arme e i regni
Di possenti vicin, tranquille e chete;
LIBERATA C. XVII. i3ài
Nutrire e fecondar Farti e gì' ingegni.
Celebrar giochi illustri e pompe liete:
Librar con giusta lance e pene e premi :
Mirar da lunge , e preveder gli estremi .
xeni.
O s' avvenisse mai che centra gli empi,
Che tutte infestèran le terre e i mari,
E della pace in quei miseri tempi
Daran le leggi ai popoli più chiari.
Duce sen gisse a vendicare i tempi
Da lor distrutti , e i violati altari;
Qualei giusta fama grave vendetta
Sul gran tiranno e suU iniqua setta !
xciv.
Indarno a lui con mille schiere armate
Quinci il Turco opporriasi, e quindi il Mauro ;
Ch' egli portar potrebbe oltre V Eufrate,
Ed oltre i gioghi del nevoso Tauro ,
Ed olire i regni ov'è perpetua state,
La Croce, e '1 bianco augello, e i gigli d' auro:
St. 92. Mirar da funge , e preveder gli estremi .
Intende per gli estiemi le cose passate , e quelle che hanno a
venire. Percioochè la prudenza in amhedne questi tempi egual-
mente consiste: il che ci è significato dalle due faccie di Giano, il
quale si rappresentò dagli antichi poi la Prudenza. E per questo
dai Romani si adoìsxvano y4n/ei'orta, e Postuortn, quasi compagna
della Divinità : siccome scrive Macrobio , al lib. primo dei Satur-
nal. cap. 7, Ed Achille appresso Omero riprende Agamennone,
dicendo:
vìyÒLp oy' òXoJ^GTj (ppfc/ 3'Jf( ,
Oi^' 5fTt oTSf \ov\!ji a/j.a Tròcffw K!xl cVt'gou) .
Cioè, per così interpretarlo:
Il eerto costui
« Di Consigli pextij'eri vaneggia :
a E le cose dinanzi , e le future
« Egualmente non sa cieco vedere,
E se mi si dice che il verbo prevedere , posto quivi dal Tasso ,^
«on si può accomodare alle cose di già passate ; rispondo , che la-
prudenza è detta dal prevedere: e nientedimeno non è altro che
un abito dell' intelletto raccolto dalla spcrienza di cose già acca—
dute . Gest^
G. Lib. t. in. 10
1.36 LA GERUSALEMME
E per battesmo delle nere fronti
Del gran Nilo scoprir l'ignote fonti,
xcv.
Così parlava il veglio ; e le parole
Lietamente accoglieva il giovinetto ;
Che del pensier della futura prole
Un tacito piacer senti'a nel petto .
L'Alba intanto sorgea nunzia del Sole,
E '1 ciel cangiava in Oriente aspetto :
E sulle tende già potean vedere
Da lunge il tremolar delle bandiere,
xcvi.
Ricon^inciò di novo allora il saggio:
Vedete il Sol che vi riluce in fronte,
E vi discopre con 1' amico raggio
Le tende e '1 plano, e la cittade e '1 monte.
Securi d' ogni intoppo e d' ogni oltraggio
Io scorti v' ho sin qui per vie non conte :
Potete senza guida ir per voi stessi
Ornai j né lece a me che piìi m' appressi,
xcvii
Così tolse congedo , e fé' ritorno ,
Lasciando i cavalieri ivi pedoni ;
Ed essi pur contra il nascente giorno
Seguir lor strada, e giro ai padiglioni.
Porlo la fama , e divulgò d' intorno
L' aspettato venir de' tre baroni;
E innanzi ad essi il pio Goffredo corse ,
Che per raccorli dal suo seggio sorse .
St. 96. Vedete il Sol che vi riluce in fronte.
Dafite nel aa del Purgatorio:
« Vedi là il Sol, che infrante ti riluce. GuAST.
LA
GERUSALEMME
LIBERATA
CJNTO BECIMOTTAVO
ARGOMENTO
Prima i suoi falli piange, e poi l'impresa
Del bosco tenta, e vince il bnon Rinaldo.
Del campo Egizio s'è novella intesa,
Ch'ornai s'appressa: però astuto e Laido
Va a spiarne Y;*frino . Aspra contesa
Fassi intorno a Sion: ma tanto è saldo
L'aiuto c'han dal Ciel l'arme Cristiane,
Ch'a' nostri in preda la Città rimane.
Vriunto Rinaldo ove Goffredo è sorto
Ad incontrarlo, incominciò: Signore,
A vendicarmi del guerrier eh' è morto,
Cura mi spinse di geloso onore :
E s'io n' offesi te, ben disconforto
Ne sentii poscirf, e penitenza al core.
Or vegno a' tuoi richiami ; ed ogni emenda
Son pronto a far, che grgto a le mi renda .
II.
A lui, cli'un]JHtt[ s'Miichinò, le braccia
Stese al coHb Goffredo , e gli rispose :
Ogni trista memoria ornai si taccia,
E pongansi in oblio le andate cosej
i38 LA. GERUSALEMME
E per emenda io vorrò sol che faccia ,
Quai per uso faresti, opre famose;
Che 'n danno de' nemici, e 'n prò de' nostri
Vincer convienti della selva i mostri.
III.
L' antichissima selva, onde fu innanti
De' nostri ordigni la materia tratta,
( Qual che sia la cagione ) ora è d' incanti
Secreta stanza e formidabil fatta:
Né v'è chi legno indi troncar si vanti:
-Ne vuol ragion che la città si batta
Senza tali instrumenti. Or colà, dove
Paventan gli altri, il tuo valor si prove.
IV.
Così disse egli; e '1 cavalier s' offerse
Con brevi detti al rischio e alla fatica;
Ma negli atti magnanimi si scerse ,
Ch'assai farà, benché non molto ei dica .
E vereo gli altri poi lieto converse
La destra e '1 volto all'accoglienza amica:
Qui Guelfo, qui Tancredi, e qui già tutti
S' eran dell' oste i principi ridutti .
V.
Poi che le dimostranze oneste e care
Con que' soprani egli iterò più volte .
St. 5. Poi che le dìmo^trame one.tte e care
Con que' soprani egli iterò più volte .
Dante nel 7 del Purgatorio:
« Poscia che le accoglienze oneste e liete
« Fur iterate tre e qìinttro volte.
Ma il Tasso ha cambiato le accoglienze in dimostrime , aven-
do rifjuarclo al grado di que' soprani , de'quali ei ras;ionava, a cui
propriamente parlando non si convcniv;mo accoglienze , ma di-
mostrazioni d'onore, essendo o maggiori o fj^^i » 1"' • '^^'" ^^"*^
persone Jninori soggiunge appresso ebbe nt^lftè . La voce dimo-
Btranza è buona, e usata dagli autorevoli scrittori antichi , co-
me anche mostranza, secondo che si è notato altrove. Guitton di
Arezzo :
n t di penn-.ir non faccia dimostrnnza .
LIBERATA C. XVIII. lìij
Placido affabilmente e popolare ,
L' altre genti minori ebbe raccolte .
]\è sari'a già più allegro il militare
Grido, o le turbe intorno a lui piti folte.
Se, vinto r Oriente e '1 Mezzogiorno,
Trionfante ei n' andasse in carro adorno .
VI.
Così ne va sino al suo albergo , e siede
In cercbio quivi ai cari amici accanto;
E molto lor risponde , e molto cbiede
Or della guerra, or del silvestre incanto.
Ma quando ognun partendo agio lor diede.
Così gli disse l'Eremita santo:
Ben gran cose, signore, e lungo corso
( Mirabil peregrino ) errando hai scorso .
VII.
Quanto devi al gran Re che 1 mondo regge!
Tratto egli t' ha dall' incantate soglie :
Ei te smarrito agnel fra le sue gregge
Or riconduce, e nel suo ovile accoglie ;
E per la voce del Buglion t'elegge
Secondo esecutor delle sue voglie .
Ma non conviensi già eh' ancor profano,
Ne' suoi gran ministeri armi la mano .
vili.
Che sei della caligine del mondo ,
E della carne tu di modo asperso ,
St. 7. Secondo etecutor delie sue voglie.
Tutti due erano esecutori delle voglie d' Iddio, cioè Goffredo e
Rinaldo \ ma Goffredo come Capitano, e perciò primo ; e Rinaldo
come ministro, e perciò secondo.
St. 8. Che sci della caligine del mondo .
Degli errori e peccati mondani ; i quali quasi nera caligine
macchiano l'anima a chi segue i piaceri del senso. Dante nel
Purgatorio cu:
« Purgando la caligini del mondo .
i4o LA GERUSALExMME
Che '1 Nilo, o '1 Gange, o l' Ocean profondo
Non ti potrebbe far candido e terso .
Sol la grazia del Ciel quanto hai d' immondo
Può render puro : al Giel dunque converso
Riverente perdon richiedi, e spiega
Le tue tacite colpe, e piangi e prega .
IX.
Così gli disse : ed ei prima in se stesso
Pianse i superbi sdegni, e i folli amori:
Poi chiamato a' suoi pie mesto e dimesso
Tutti scoprigli i giovenili errori .
— Che 7 Nilo , o 'l Gange, o V Ocean profondo ec.
Tale è quel che Edipo dice appo Sofocle :
OCis.(xi ya.p our oìv Cqpov cvn (pxciv oìv
Ni\l>y-i xx^xpuu) T^v Sé TviV qf.yvìv .
« Che lai'ar questa mìa camara, i' penso,
«( JVon potrebbe purgando Istro , né Fasi .
Il nostro v'aggiunge l'Oceano. Obnt,
Secondo quel verso d'Euripide, eh' è sentenza de' Gentili :
©aA.ac"c"a kXv^si ttoìvtoì t (Xv&pcÓTa;v xxXa..
Cioè :
a II mare lava tutti i peccati degli uomini .
Perchè di quello scelerato Gellio, che comraetiéy» tanti ince-
sti, parlando Catullo disse :
« Ecijuid scis quantum suscipiat scelcris ?
i< Suscipit , o Gela , quantum non ultima Tethys
« Non genitor Nym.pharuTn abluit Oceanus .
E Marco Tullio del Parricida : Noluerunt feris corpus objicere ;
ne bestiis quoque, quoe si tantum scelus attigissent, immanioribus
uteremur ; non sic nudus in flumcn deiicere ; ne cum delati essent
in mare, ipsuin polluerent t, quo coetera quot violata sunt , e.rpia-
ri puLintur . E lo stesso Poeta nostro nella sua tragedia intitolata
il Re Torrismondo:
« Ahi quando mai la Tana , o 7 Reno , o V Istro,
« O l' inospito mare, o 7 mar vermiglio ,
« O r onde Caspie, o V Ocean profondo
« Potrian lavar l' occulta e indegna colpa
« Che mi tinse e macchiò le membra e l' alma?
E di ciò favella auclic Celio Rodigno tielle sue Antiche Lezioni .
St. 9 ed ei prima in se stesso
Pianse i superbi sdegni, e i folli amori .
Dinota la contrizione , parte necessaria , come dicono i teologi,
ad andar innanzi alla confessione. Gli sdegni furono vcr«o Ger-
tando; i foU» aiH«>i verso Armida.
LIBERATA C. XVIII. i4i
Il ministro del Ciel , dopo il concesso
Perdono, a lui dicea: co' novi albori
Ad orar te n' andrai là su quel monte ,
Ch'ai raggio mattutin volge la fronte.
X.
Quinci al bosco t' invia , dove cotanti
Son fantasmi ingannevoli e bugiardi.
Vincerai ( questo so ) mostri e giganti,
Pur eh' altro folle error non ti ritardi .
Deh, ne voce che dolce o pianga o canti.
Né beltà che soave o rida o guardi,
Con tenere lusinghe il cor ti pieghi;
Ma sprezza i finti aspetti e i finti preghi .
XI.
Così il consiglia; e '1 cavalier s' appresta.
Desiando e sperando , all' alta impresa .
Passa pensoso il dì , pensosa e mesta
La notte; e pria che 'n ciel sia 1' Alba accesa,
Le belle arme si cinge , e sopravvesta
Nova ed estrania di color s' ha presa :
E tutto solo , e tacito , e pedone
Lascia i compagni, e lascia il padiglione,
xn.
Era nella slagion , che anco non cede
Libero ogni confin la notte al giorno ;
Ma r Oriente rosseggiar si vede ,
Ed anco è il ciel d alcuna stella adorno.
Quando ei drizzò ver V Olivelo il piede,
Con gli occhi alzati contemplando intorno
Quinci notturne, e quindi mattutine
St. II * sopravvesta
Nova , ed estrania di Color s' ha presa .
Di color di cenere , dice poco più a basso.
St. 12. Quinci notturne , e quindi mattutine .
Notturne e mattutine, avvegnaché essendo l'ora, la quale
partecipava del die della notte, quando partiva l'una, e veniva
i4i LA GERUSALEMME
Bellezze incorruttibili e divine.
XIII.
Fra sé stesso pensava : oh quante belle
Luci il tempio celeste in se raguna !
Ha il suo gran carro il dì : 1' aurate stelle
Spiega la notte , e 1' argentata Luna .
Ma non è chi vagheggi o questa o quelle;
E miriam noi torbida luce e bruna ,
Ch' un girar d'occhi^ un balenar di riso
Scopre in breve confi n di fragil viso.
XIV.
Così pensando, alle più eccelse cime
Ascese ; e quivi inchino e riverente ,
l'altro; ambidue perciò se gli offerivano dinanzi: ambedue le
quali a parte distingue ci descrive nella geguente itania . Gbast.
— Bellezze incorruttibili e divine .
Di queste bellezze del cielo ragionando Aristotile, e preferen-
do una piccioia cognizione d'alcuna di quelle ad una perfetta del-
le cose che sono sotto la Luna, usa comparazione mollo vaga.
« Come suol essere ad ognuno piìi caro, dice egli , il toccare con
un dito qualche parte d'una bellissima giovane, die con tutto il
corpo le membra di una vecchia femmina abbracciare » .
St. i3. Fì-a se stesso penfUi'a : oh quante belle
Luci il tempio celeste in .vt" raguna !
Alcuni avevano letto Duci , in luogo di Luci , e il Gentili, ci
fa la seguente annotazione: <e Come gli Egizj addiniandayano i
Segni dello Zodiaco Dii Senatori o consiglieri , ed i Pianeti Lit-
tori : credo, perchè la loro forza è temperata dai segni di quel-
lo . E perciò il Poeta nostro usa il verbo tempio , e ragiona to-
me se di un luogo di consiglio pubblico ragionasse, che dai
Romani si dimandava templum , perchè era consecrato . Dice
poi, che il di ha '1 suo gran carro, intendendo quei del Sole: sic-
come li poeti finsero , da' quali par non si discosti né anco Plato-
ne, nel decimo libro delle sue Leggi; ma Stesicoro ed altri scris-
seru, che il Sole dentro ad un vaso se n' andasse a coricare negU
oscuri (lutti della notte. Onde è forse nato quel modo di parlare^
che il Sole si annida nel mare, ed ov'alberga la notte, e simili usa-
ti da Dante e dal nostro Poeta in più luoghi . Perciocché nido nel-
r antica favella de' Latini significava un vaso da bevere, siccome
i{1i antichi grammatici provano. Ma di questo si dirà altrove,
piacendo a Dio. Dice poi il Tasso, l' argentata Luna, ad imita-
zione del Boccaccio , che disse: Gl'inopinabili corsi dell' ina rgcn-
Tatti Luna. Filoc. 7. Gr.M,
LIBERATA C. XVIII. i^
Alzò il pensier sovra ogni ciel sublime,
E le luci fissò neir Oriente .
La prima vita e le mie colpe prime
Mira con occhio di pietà clemente;,
Padre e Signore; e in me tua grazia piovi,
Sicché '1 mio vecchio Adam purghi e rinnovi.
XV.
Così pregava; e gli sorgeva a fronte.
Fatta già d' auro, la vermigha Aurora,
Che r elmo e l' arme , e intorno a lui del monte
Le verdi cime illuminando indora ;
E ventilar nel petto, e nella fronte
Senti'a gli spirti di piacevol óra,
Che sovra il capo suo scotea dal grembo
Della bell'Alba un rugiadoso nembo .
XVI.
La rugiada del ciel sulle sue spoglie
Cade , che parean cenere al colore;
E sì l'asperge che '1 pallor ne toglie,
E induce in esse un lucido candore .
St. 1 4- Alzò ii prn.ùer sovra ogni ciel sublime .
A. Dio collocato sopra ogni Cielo.
' — Sicché ''/ mio vecchio Adam purghi e rinnovi.
Noi siamo generazione d'Adamo, e da lui avendo ricevuta la.
carne , partecipiamo ancora del suo antico peccato e infermità.
Dante nel 9 del Purgatorio :
« Oiid' io che meco avea di quel d' Adamo .
E quanto al modo del dire, il Boccaccio nella Fiammetta: « 0-.
" gni sembiante del misero tempo da noi si parta , e torni il lie-.
c< to viso al presente bene, e la vecchia Fiammetta della rinova-
« ta anima del tutto si vesta fuori. Gbast.
St. 16. La rugiada del ciel su le sue spoglie
Cade , che parca cenere al colore .
Usa il Poeta in questo suo poema alcuni modi tratti fuor delle
Sacre Scritture, quale è quello nella precedente stanza: « Rinnovi
in me il vecchio Adamo n e questo quivi, che pare tratto del Sal-
mo 146, del quale reciterò a questo proposito le paiole, com' io
già le tradussi in verso, nella mia parafrasi:
« Qui nivium. calo canentia veliera fundit ,
<( ììt cinsi i sìììiihm spargit per grawina rorem . Mart.
i44 L^ GERUSALEMME
Tal rabbellisce le smarrite foglie
Ai mattutini geli arido fiore;
E tal di vaga gioventù ritorna
Lieto il serpente; e di novo ór s' adorna.
XVII.
Il bel candor della mutata vesta
Egli medesmo riguardando ammira :
Poscia verso 1' antica alta foresta
Con secura baldanza i passi gira.
Era là giunto ove i men forti arresta
Solo il terror clie di sua vista spira :
Pur ne spiacente a lui, né pauroso
Il bosco appar, ma lietamente ombroso,
xviii.
Passa più oltre , ed ode un suono intanto ,
Cbe dolcissimamente si diffonde.
Vi sente d' un ruscello il roco pianto ,
E '1 sospirar dell' aura infra le frondej
— Tal rabbellisce le smarrite foglie
Ai mattutini geli arido fiore .
Imita, e con buon giudizio, quel luogo di Dante, Infer. a:
« Quale i fioretti dal notturno gelo
«e Chinati, e chiusi, poiché il Sol gV imbianca ,
« Si drizzan t'itti aperti in loro stelo .
Ove mi par di notare in passaggio, che dice che il Sole imbian-
ca i fioretti , siccoirte altrove disse, che l'Aurora s'imbiancava al
Ibalcon d'Oriente: e cosi avea detto Mattio ne' Mimiambi:
« Jam jatn nlbicassit Phcehus , et reccntatur
« Commune lumen omnibus , l'oluptasque .
Ed Empedocle stimò il Sole essere di color biauco;, per lo che
«iisse Ennio:
« Interca Sol albios recessit in infera nociis .
Ma questa sentenza è stata rifiutata da Aristotile . Gent.
St. i8. yi sente d' un ruscello il roco pianto ,
E 'l sospirar dell' aura infra lejrande.
Cambia forma d' incanto il diavolo ; e rispetto al sovrano valo-
re, e all'estrema forza di questo cavaliero, molto meglio con la
strada delle lusinghe, de' piaceri , e degli inganni pensa di sup(^-
rarlo, e di difender la selva, che cou le minaccie e gli spaventi
usati con gli altri j a'quali però, scorto poscia nulla giovare ì pia-
ceri e le lusinghe , e deliberato di tentar ogni strada , è fmzato
pure di uuoyo ricorrere al line. Gu\«t.
LIBERATA C. XVIII. i45
E di musico cigno il flebil canto ,
E r usignuol che plora e gli risponde;
Organi e cetre, e voci umane in rime:
Tanti e sì fatti suoni un suono esprime !
XIX.
Il cavalier ( pur come agii altri avviene )
N' attendeva un gran tuon d' alto spavento:
— E di musico cigno il flebil cunto ,
E r usignuol che plora e gli risponde .
Ottimamente chiama il cìs,no musico , siccome Lucrezio disse
Et cjcnea mele , e vi aggiunge '1 rosignuolo, perchè da questi so-
li uccelli impararono gli uomini di soavemente cantare: siccome
è stato scritto da Plutarco, de Soler, animai. Perchè poi il canto
«lei cigno sia flebile , vedi cosa notabile nell' Apologia di Platone .
Gent.
Chiamò il cigno musico per cantare soavissimamente , e però
fingesi da' poeti a Apollo essere sacro, che è Dio de' poeti . Il suo
canto s'ode viepiù del solito dolce appresso al morire di esso, e
ciò avviene (secondo Alberto il grande) che gli spirti , per dare
ajuto a quello che è giunto al termine della vita, si ragunino
assieme, onde cantando egli fa un'armonia soavissima. Ma se
crediamo ad Ovidio, ciò avviene perchè gli si attraversa per il
cervello una penna , dalla quale poscia punto, dolcemente can-
tando more: le parole sue sono al 2 de' Fasti, v. 109;
« Flebilibui relitti numeris , cnnentia dura
« Trajectus penna tempora cantai olor ,
E avvegnaché Plinio al cap. 22 del 20 dica di ciò nulla essere
Tero, nuUadimeno assaissimi poeti, e uomini gravissimi seguii 0-
BO la prima opinione ; tra' poeti, come Marziale, lib. !3, e p. 77;
« Dulcia dejecta modulatur carmina lingua
« Cantator cycnus Juneris ipso sui ,
Ovidio alla 7 delle Eroidi, v. 1:
« Sic , ubi fata vocant , udis abjcctus in herhìs
« Ad vada Meandri concinit albus olor .
Lattanzio Firmiano ne' versi che fece sopra la Fenice;
o Sed ncque olor moriens imitari posse putatur .
E '1 Sanazzaro alla prosa 8. Ed il candido cigno presago delln
.ìua morte cantar gli esecjuiali versi.
E '1 Chiabrera al canto 10 della guerra de' Goti:
a Qual dove a consolar suoi giorni spentì
a II puro ci^no in sul morir si lagna.
Platone nel Fedone con queste parole da noi fatte volgari : /
cigni allora cantano, die sono vicini alla morte , rallegrandosi
che hanno a gir daf.'anti a quel Dio, di cui essi sono ministri.
Cicerone nel primo delle Tusculane: Cycni non sine causa Apol-
lini dicati sunt , sed ut divinationem habere videantur, quia prcc
liilentes quid in marts Ioni iit eum c.tntu moriuntur . Maet.
!46 Lk GERUSALEM^IE
E v' ode poi di Ninfe e di Sirene,
D' aure, d' acque e d' augei dolce concento :
Onde meravigliando il pie ritiene ,
E poi sen va tutto sospeso e lento •
E ira via non ritrova altro divieto,
Che quel d' un fiume trasparente e cheto .
XX.
L' un margo e 1' altro del bel fiume adorno
Di vaghezze e d' odori, olezza e ride.
Ei tanto stende il suo glrevol corno,
Che tra 1 suo giro il gran bosco s* asside :
Ne pur gli fa dolce ghirlanda intorno;
Ma un canaletto suo v' entra, e 1 divide:
Bagna egli il bosco, e '1 bosco il fiume adombra
Con bel cambio fra lor d' umore e d' ombra.
XXI.
Mentre mira il guerriero ove si guade ,
Ecco un ponte mirabile appariva ;
Un ricco ponte d' ór , che larghe strade
Su gli archi stabilissimi gli offriva .
Passa il dorato varco ; e ({uel giù cade,
Tosto che 1 pie toccata ha 1' altra riva,
E se ne '1 porta in giù 1' acqua repente,
L' acqua , eh' è d' un bel rio fatta un torrente .
XXII.
E si rivolge, e dilatato il mira
E gonfio assai , quasi per nevi sciolte ,
Che 'n sé stesso volubil si raggira
Con mille rapidissime rivolte :
Ma pur desio di novitade il tira
A spiar tra le piante antiche e folte ;
E in quelle solitudini selvagge
Sempre a se nova meraviglia il tra
St. ai. /,' acqua, eli' è d' un bel rio fatta un torrente .
D'un eliclo fiuiniccllo ch'egli era, divenuta un torrente, che
cxjrre con l'impeto necessario a portar via il ponte. Guast.
LIBERATA G. XVIII. j47
xxiir.
Dove in passando le vestigia ei posa.
Par eh' ivi scaturisca, o che germoglie.
Là s' apre il giglio, e qui spunta la rosa:
Qui sorge un fonte, ivi un rusccl si scioglie.
E sovra e intorno a lui la selva annosa
Tutta parca ringiovenir le foglie;
S' ammolliscon le scorze , e si rinverde
Più lietamente in ogni pianta il verde .
xxiv.
Rugiadosa di manna era ogni fronda,
E distillava dalle scorze il mele :
E di novo s* udi'a quella gioconda
Strana armonia di canto e di querele:
Ma il coro unian , che a' cigni, all' aura , all' ondi*
Facea tenor, non sa dove si cele:
Non sa veder chi formi umani accenti ,
Ne dove siano i musici istrumenti.
XXV.
Mentre riguarda , e fede il pensier nega
A quel che '1 senso gli ofFeria per vero ,
St. 23. Dove in passando le vestigia ei posa ec.
Riguarda a quel luogo di Persio, Sat. 2, v. 37:
« Hunc optent genenim Rex , et Regina , puelloe
« Hunc rapiant : cjuidcjuid calcaverit hic, rosa fiat . GE^T.
Il verbo scaturisca , è detto di cose liquide e flessibili; il ger-
tnoglie di cose sode; un dell' umore, l'altro delle piante. Clau-
diano in lode di Serena moglie di Stilicone, v. 90:
« quacumcjiie per herbam
« Reptares yfluxere rosee , candetitia nasci
« Lilia, si placido cessi sstnt lumina somno,
« Purpura surgebat ec.
— Là s' apre il giglio , e qìii spunta la rosa.
Questo è il germogliare .
— Qui sorge un fonte , e qui un ruscel si scioglie.
Questo è lo scaturire.
St. 24. Ma il coro uman , che a' cigni , all' aura, all'onda
Facea tenor .
Nel giardino d'Armida fece anco il concerto di musica fra l'au-
va e gli augelli, usata anche da Dante, come colà «i notò. GiusT.
i48 L\ GERUSALEMME
Vede un mirto in disparte, e là si piega,
Ove in gran piazza termina un sentiero.
L' estranio mirto i suoi gran rami spiega
Più del cipresso e della palma altero ;
E sovra tutti gli alberi frondeggia;
Ed ivi par del bosco esser la reggia .
XXVI.
Fermo il guerrier nella gran piazza , affisa
A maggior novitate allor le ciglia .
Quercia gli appar, che per se stessa incisa
Apre feconda il cavo ventre, e figlia:
E n' esce fuor vestita in strania guisa
Ninfa d' età cresciuta ( oh meraviglia ! ):
E vede insieme poi cento altre piante
Cento Ninfe produr dal sen pregnante .
XXVII.
Quai le mostra la scena , o quai dipìnte
Talvolta rimiriam Dee boscherecce ,
Nude le braccia , e 1' abito succinte ,
Con bei coturni, e con disciolte trecce;
Tali in sembianza si vedean le finte
Figlie delle selvatiche cortecce :
Se non che in vece d ' arco e di faretra ,
Chi tien leuto, e chi viola o cetra .
XXVIII.
E incominciar coslor danze e carole ,
E di se stesse una corona ordirò ;
Si. 28. E incominn (ir costar dame e Carole.
Carola vuol (lire ballo, parola usata da Dante nel Par. 24:
« Cosi quelle carole differente .
Dall'Ariosto nel Furioso:
« E come rosìgnol dolci carole .
E nella Satira prima:
a Sin a conviti, e pubbliche carole .
Da questo nome ne viene il verbo carolare , che vuol dire dan-
zare, li Boccaccio nel Corbaccio: Come si confà a te oggim,ni ma-
tura il carolare ? Màrt.
LIBERATA C. XVIII. 149
E cìnsero il guerrier, sì come suole
Esser punto rinchiuso entro '1 suo giro .
Cinser la pianta ancora; e tai parole
Nel dolce canto lor da lui s' udirò :
Ben caro giungi in queste chiostre amene,
O della donna nostra amore e spene .
XXIX.
Giungi aspettato a dar salute all'egra,
D' amoroso pensiero arsa e ferita .
Questa selva , che dianzi era sì negra ,
Stanza conforme alla dolente vita ,
Vedi che tutta al tuo venir s' allegra,
E 'n più leggiadre forme è rivestita .
Tale era il canto; e poi dal mirto uscia
Un dolcissimo suono ; e quel s' apria .
XXX.
Già neir aprir d' un rustico Sileno
Meraviglie vedea l' antica etade ;
Ma quel gran mirto dall'aperto seno
Immagini mostrò più belle e rade ;
Donna mostrò ch'assomigliava a pieno
Nel falso aspetto angelica beltade.
St. 3o. Già nelV aprir d' un rustico Sileno ec.
Questi erano quelle picciole immagini di legno in forma di Si-
leni, le quali si poneano a canto delle statue de'Mercurj poste
nelle vie di contado per mostrare il camino a viandanti, ed era-
no di fuori rozzamente fatte: ma di dentro chiudevano immagini
bellissime nel cavo seno, sicché maravigliose a'riguardanti si mo-
stravano . Gent.
Erano i Sileni appresso gli antichi certe immagini come di Sa-
tiri , li quali avendo la cornamusa, o zampogna alla bocca, erano
da'raaestri fabbricati in guisa, che s'aprivan loro, come certe fi-
nestre nel petto. E questi come che di fuori fossero aspetti ridi-
coli e deformi, secondo che ridicoli da tutti sono figurati i Si-
leni , aprendosi mostravano auguste e venerande immagini di
Dei; perchè a queste fu da Alcibiade nel Convito di Platone asso-
migliato Socrate, il quale tutto differente da quello che appariva
di fuori, era di dentro conosciuto da quelli, che intrinsecamente
erano soliti di seco usare .
i5o LA GERUSALEMME
Rinaldo guata, e di veder gli è avviso
Le sembianze d' Armida , e '1 dolce viso .
XXXI.
Quella lui mira in un lieta e dolente :
Mille affetti in un guardo appaion misti .
Poi dice: io pur ti veggio, e finalmente
Pur ritorni a colei da cui fuggisti .
A che ne vieni? a consolar presente
Le mie vedove notti, e i giorni tristi?
0 vieni a mover guerra, a discacciarme,
Che mi celi il bel volto , e mostri 1' arme?
XXXII.
Giungi amante, o nemico? il ricco ponte
Io già non preparava ad uom nemico,
Ne gli apriva i ruscelli , i fior, la fonte ,
Sgombrando i dumi , e ciò eh' a' passi è intrico
Togli quest' elmo ornai ; scopri la fronte ,
E gli occhi agli occhi miei, se arrivi amico:
Giungi i labbri alle labbra, il senso al seno;
Porgi la destra alla mia destra almeno .
XXXIII.
Segui'a parlando , e in bei pietosi giri
Volgeva i lumi , e scoloria i sembianti ,
Falseggiando i dolcissimi sospiri,
E i soavi singulti, e i vaghi pianti:
St. 3i. Che mi celi il bel volto , e mostri V arme ?
Ciò dice, perciocché il volto avea Rinaldo coperto dalla celata.
GUAST.
St. 32. Giungi i lahhri Me labbra, il seno al seno .
Simile a quel di Lucilio, lib. 8 , Salir.
« Tum latus compone Interi , et rum pectore pectus .
E Plauto nel Milite glorioso : Nam ubi amans complexus est a-
m.antem , ubi ad labra tabella adjungit etc. Gent.
St. 33. Falseggiando i dolcissimi sospiri ,
Gettando falsi sospiri . E ciò dice, perchè eran quelle tutte fal-
sità, bugie, illusioni diaboliche, e nulla di vero. Dante nel 9
del Paradiso :
« Induce falseggiando la moneta .
Falsare usò anche lo stesso Dante nel 29 del Purg.
LIBERATA C. XVllI. i5i
Tal che incauta pietade a quei martiri
Intenerir potea gli aspri diamanti.
Ma il cavaliere , accorto sì , non crudo ,
Più non v' attende, e stringe il ferro ignudo.
XXXIV.
Vassene al mirto : allor colei s' abbraccia
Al caro tronco , e s' interpone , e grida :
Ah non sarà mai ver , che tu mi faccia
Oltraggio tal . che 1' arbor mio recida .
Deponi il ferro , o dispietato , o '1 caccia
Pria nelle vene all' infelice Armida :
Per questo sen , per questo cor la spada
Solo al bel mirto mio trovar può strada .
XXXV.
Egli alza il ferro , e '1 suo pregar non cura :
Ma colei si trasmuta ( oh novi mostri! )
Sì come avvien che d' una altra figura
Trasformando repente il sogno mostri ;
Così ingrossò le membra, e tornò scura
La faccia; e vi sparir gli avorj e gli ostri:
Crebbe in gigante altissimo , e si feo
Con cento armate braccia un Briareo .
XXXVI.
Cinquanta spade impugna , e con cinquanta
Scudi risuona, e minacciando freme.
<{ Poco pih oltre sette alberi cC oro
« Falsava tiel parere ii lungo tratto
a Del mezzo, eli era ancor tra noi e loro .
Cioè falsamente facea parere; avvegnaché quelli non albeii ,
ma veramente fessero candelabri, come dimostra poi lo stesso
Poeta .
— Afa il ca^>aliero accorto sì, non crudo ,
Pih non v' attende , e stringe il ferro ignudo .
Mantiene il decoro di questo cavaliere , il quale è sempre fin-
to da lui benigno e pietoso; come si vide nel partir d'Armida, e
si vedrà anco nell'ultimo canto. E perciò dice, a'corto iì , m.n.
crudo, per dar ad intendere, che benissimo conoscea Rinaldo
che non era colei Armida, ma sì ben quelli tutti inganni e illu-
sioni .
G. LiB. T- ni. j I
i54 LA GERUSALEMME
Ogni altra Ninfa ancor d' arme s' ammanta.
Fatta un Ciclope orrendo : ed eì non teme;
Ma doppia i colpi alla difesa pianta ,
Che , pur come animata , ai colpi geme .
Sembran dell' aria i campi i campi Stigi :
Tanti appaion in lor mostri e prodigi.
XXXVII.
Sopra il turbato ciel , sotto la terra
Tuona ; e fulmina quello , e trema questa :
Vengono i venti e le procelle in guerra ,
E gli soffiano al volto aspra tempesta .
Ma pur mai colpo il cavalier non erra,
Ne per tanto furor punto s' arresta:
Tronca la noce: è noce, e mirto parve.
Qui r incanto fornì, sparir le larve .
xxxvni.
Tornò sereno il cielo e l' aura cheta ;
Tornò la selva al naturai suo stato :
Non d' incanti terribile , e non lieta ;
Piena d' orror, ma dell' orrore innato.
Ritenta il vincitor s'altro più ^ieta
Ch' esser non possa il bosco omai troncato ;
Poscia sorride, e fra se dice : oh vane
Sembianze, e folle chi per voi rimane!
XXXIX.
Quinci s' invia verso le tende ; e intanto
Colà gridava il solitario Piero :
Già vinto è della selva il fero incanto,
Già sen ritorna il vincitor guerriero :
Vedilo ; ed ei da lunge in bianco manto
Compari'a venerabile ed altero ;
E dell' aquila sua 1' argentee piume
Splendeano al Sol d' inusitato lume .
XL.
Ei dal campo giojoso alto saluto
Ha con sonoro replicar di gridi;
LIBERATA C. XVIII. iSS
E poi con lieto onore è ricevuto
Dal pio Buglione : e non è chi l' invidi.
Disse al Duce il guerriero : A quel temuto
Bosco n'andai , come imponesti _, e '1 vidi;
Vidi , e vinsi gì' incanti : or vadan pure
Le genti là ; che son le vie secure .
XLI.
Vessi air antica selva : e quindi è tolta
Materia tal, qual buon giudicio elesse:
E benché oscuro fabbro arte non molta
Por nelle prime macchine sapesse.
Pur artefice illustre a questa volta
E colui eh' alle travi i vinchi intesse,
Guglielmo , il duce Ligure , che pria
Signor del mare corseggiar solia .
St. 4 • • y<mi all' ctnticm stiva ■
"Virgilio, 1. 6 T. 179:
« Jtur in antiquam. sylvam.
E qui è l'esodo della farola; perciocché essendo non solo co-
nosciuta già fin da prima la volontà d' Iddio, ma tolti via qui o-
ra tutti gli impedimenti, si conosce certo ormai , come abbia s
terminar la cosa; e tutto il fine dell'azione si rende manifesto.
— Guglielmo il duce Ligure, che pria
Signor del mare corseggiar solia .
È questi il valoroso e chiarissimo Capitano Guglielmo Embria-
•o genovese, detto per soprannome Testa di martello; il qualf
non solamente in quella santa impresa , General di grosso nume-
ro di legni, fu in essa di tanta importanza ed ajuto , quanto e il
Poeta qui dice, e scrivono tutti gli storici, e particolarmente
l'Arcivescovo di Tiro: ma l'anno appresso ancora, che fu il mille
«ento. Capitano altresì di ventisette galee, e sei navi «on ottomi-
la uomini genovesi in compagnia del Legato del Papa e del Pa-.
triarca di Gerusalemme , nella presa di Cesarea fu il primo a sji-
lir sulle muraglie di quella città; e fece cosi valorose«e segnalate
fazioni ch'avuta l'elezione della preda, arricchì la sua patria di
quel meraviglioso e d'inestimabile prezzo vaso di smeraldo, clic
•on tanta custodia si serba oggidì nella sagrestia di San Lorenzo .
E fece pure così notabili gesti tuttavia in ciascheduna impresa di
Terra Sauta coli' ajuto de'compatriolti suoi, che dal Re Baldovi-
no ebbe tutta la nazion genovese cosi bel privilegio, qual si leg-
ge nel registro del Comune, serbato nell'archivio della nostra.
Repubblica . Ed io per maggior chiarezza, e più illustre testimo-
aio della virtù de' miei eittadiiii , hoiui* iscato c^ui una piccioli
i54 LA GERUSALEMME
XLII.
Poi sforzato a ritrarsi, ei cesse i regni
Al gran navigio saracin de' mari;
Ed ora al campo conducea dai legni
E le marittime arme e i marinari :
Ed era questi infra i piìi industri ingegni
Ne' meccanici ordigni uom senza pari:
E cento seco avea iabbri minori ,
Di ciò ch'egli disegna esecutori.
XLIII.
Costui non solo incominciò a comporre
Catapulte , baliste ed arieti ,
parte, solamente il principio, e dice così: Anno ab Inrarnnfione
Domini Al. C. V. Sept. Kul. Jun. P rccsidente Hierosulimitanoe
EcclesicE Domino Damberto Patriarcha , regnante Buldiiino ,
tradidit doininus civitatem Acron per manus servoruni suorum
Januensum suo glorioso sepu-lchro : qui in primo exercitii Fran-
corum venientes , viriliter prcejuerunt in acquisitione Hierusa-
lem, Antiochia , et Lcwdiceoe , ac Tortosoe ; Solimum autem, et
Gibellum per se ceperunt i Ccesaream vero, et Assur Hioerosoli-
mitano Imperio nddidemnt . Haic igitur tam gloriosoe genti Bal-
duinus re.T im'ictissimus dcdit in Hieriisalem viciim unum perpe-
tuo jure possidendum ; In Ippe autem, alium, , iertiam vero par-
tern tam Coetarece , et Assur quam Acron, ed il resto, ove si con-
tiene tutto il rimanente del bellissimo privilegio con tutte le
condizioni particolari ampiamente disteso. Fu questo slesso Gu-
glielmo, uomo di molta prudenza e di molto consiglio, e chia-
ro per queste nobilissime fresche l'azioni di Terra Santa . Ri-
tornato alla patria ch'ei fu, innalzato subilo al sommo magistra-
to, e creato fu Console dello stato e del civile. Nò già egli solo
di questa illustre e gloriosa famiglia, ch'oggidì è spenta nella no-
stra città, fu grande e notabile personaggio, ma mill' altri, che
in essa per lo continuato spazio di quasi quattrocento anni liori-
nnio in dignità di capitani, di consoli, di ambasciatori , di consi-
glieri, di governitori di terre , d Anziani , finche nel mille quat-
trocento quaranta, in Rafaelle Embriaco , che quell'anno fu par-
titor delle avarie, come anche l'anno del \'\ì'] in compagnia di
Gasparo Guastavino e di alcuni altri nobili cittadini del consi-
glio di quell'anno, mancarono in essa tutti gli ufficj, e magistra-
ti pubblici, come nel Trattato che delle nobili famiglie Genovesi,
con non picciola fatica e diligenza, va tuttavia compilando il Sig.
(^iulio Pasqua, non men letterato e prudente che cortese gen^iluo-
mo d('lla nostra Repubblica, si può vedere piìi distesamente.
St. /j2. Poi sjorzato a ritrarsi , ei cesse i regni eC.
Dall'istoria, come anco molti altri particolari che seguono ap-
picsso.
LIBERATA C. XVIII. ifi5
Onde alle mura le difese tórre
Possa , e spezzar le sode alte pareti ;
Ma fece opra maggior : mirabil torre ,
Ch' entro di pin tessuta era e d' abeti ,
E nelle cuoja avvolto ha quel di fuore,
Per ischermirsi da lanciato ardore .
XLIV.
Si scommette la mole e ricompone
Con sottili giunture in un congiunta j
E la trave che testa ha di montone.
Dall' ime parti sue cozzando spunta .
Lancia dal mezzo un ponte, e spesso il pone
Suir opposta muraglia a prima giunta;
E fuor da lei su per la cima n' esce
Torre minor, ch'in suso è spinta, e cresce.
XLV.
Per le facili vie destra e corrente
Sovra ben cento sue volubil rote ,
Gravida d'arme, e gravida di gente.
Senza molta fatica ella gir puote .
Stanno le schiere in rimirando intente
La prestezza de' fabbri e 1' arti ignote :
E due torri in quel punto anco son fatte
Della prima ad immagine ritratte .
St. 43. Ma fece opra maggior: mirabil torre ec.
— E Tifile cuoja avvolto ha cjiiel dijuore.
Delle cuoja degli animali di fresco scorticati, dice l'ArcivescoTO
di Tiro , che di fuori era fasciata la torre .
St. 44- ^ ^^ trave che tata ha di montone ec.
— Lancia dal mezzo un ponte ec.
— E fuor di lei su per la cim,a n esce ec.
Tre effetti di questa torre mobile ci vengono signiflcati dal
Poeta ; il primo, che essa dal basso come ariete batteva le miira-
glii ; il secondo, che dal mozzo lanciando un ponte darà passo
nella citta; e l'ultimo che dalla cima di lei alzandoci una nuova
torre di dentro rinchiusa , superava le muraglie .
St. 45. E due torri in quel punto anco sonfaiiii .
Dall'istoria .
i56 LAGERUSALEVIMFS
XLVI.
Ma non eran frattanto ai Saracini
L'opre, eh' ivi si fean, del tutto ascostej
Perchè nell' alte mura ai più vicini
Lochi le guardie ad ispiar son poste .
Questi gran salmerie d' orni e di pini
Vedean dal bosco esser condotte all' oste ,
E macchine vedean; ma non appieno
Riconoscer lor forma indi potiéno .
XLVII.
Fan lor macchine anch'essi; e con molt'artc
Rinforzano e le torri e la muraglia;
E r alzaron così da quella parte
Ov' è men atta a sostener battaglia ,
Ch' a lor credenza ornai sforzo di Marte
Esser non può , eh' ad espugnar la vaglia .
Ma sovra ogni difesa Ismen prepara
Copia di fochi inusitata e rara .
XLVIII.
Mesce il maeo fellon zolfo e bitume,
Che dal lago di Sodoma ha raccolto;
E fu (credo) in Inferno: e dal gran fiume,
Che nove volte il cerchia , anco n' ha tolto
Così fa che quel foco e puta e fumé,
E che s'avventi fiammeggiando al volto.
E ben co' feri incendj egli s' avvisa
Di vendicar la cara selva incisa ,
St. 47- Fan lor rmicchine anch'essi.
Dall'istoria .
— Ma sovra ogni difesa Ismen prepuni
Copia di fochi .
Dall'istoria; ma Ismeno è creatura del Poeta . GuAst
St. 48 E /u (credo) in Inferno ; e del granjiume , ec.
Qui intende della palude Slige, che è fìurae infernale, che
«irconda nove volte T Inferno.
Come Virgilio al 4 della Georgica , e al 6 :
R Et novicf Stj.T iritiirfusa eocreet . Mart.
LIBERATA C. XVlIi. ifl;
XLIX.
Mentre il campo all' assalto , e la cittade
S' apparecchia in tal modo alle difese.
Una colomba per 1' aeree strade
Vista è passar sovra lo stuol Francese;
Che ne dimena i presti vanni, e rade
Quelle liquide vie con 1* ali tese :
E già la messaggiera peregrina
Dall' alte nubi alla città s' inchina ;
L.
Quando di non so donde esce un falcone
D' adunco rostro armato e di grand' ugna,
Che fra '1 Campo e le mura a lei s' oppone.
Non aspetta ella del crudel la pugna .
Quegli , d' alto volando , al padiglione
Maggior r incalza , e par eh' ornai l' aggiugiia,;
St. 49» Una colomba per l'aeree ttrade
Vista è passar .
Il Sabellico laGconta che realmente una colomba fu mandata
dal Re di Damasco ai Tirj , esortandogli a sostener l'assedio dei
Cristiani, e promettendo loro che sarebbero in breve soccorsi.
I Cristiani presero la colomba, e tolta via la lettera del Re, u-
n' altra ve n'appesero, nella quale erano i Tirj esortati ad ar-
rendersi. Saviamente però il Tasso non ha imitato quella frode,
la quale avrebbe arrecato una macchia al carattere di Goffredo, e
vi aggiunse in vece la bellissima avventura del falcone.
Plinio racconta che in Italia le colombe servirono per la pri-
ma volta di messaggiere nella guerra di Modena . V. Paolo Emi-
lio, Vita di Filippo I.
— Che ne dimena i presti vanni , e rade
Quelle liquide vie con V ali tese .
Gli Editori di Milano, e quindi il Sig. Cavedoni, leggono non.
dimena dietro l'autorità di Virgilio che al lib. 5 v. ai6 disse
« Max nere lapsa quieto
« Radit iter liquidiim , celeres neque commovet alas :
luogo , che fu tradotto dal Caro
« Sen va con V ali immobili e veloci. M.
St. 5o e par eli ornai V aggiugna .
Por aggiunga . Così all' incontro , punga per pugna usò Dante
Bcl 9 dell' luf.
« Pur a noi converrà vincer la punga .
Ma quella jprioia rariazione è assai frequente j questa più li-
i58 LA GERUSALEMME
Ed al tenero capo il piede ha sovra :
Essa nel grembo al pio Buglion ricovra .
LI.
Là raccoglie Goffredo, e la difende:
Poi scorge in lei guardando estrania cosa :
Che dal collo ad un filo avvinta pende
Rinchiusa carta, e sotto un' ala ascosa.
La disserra e dispiega ; e bene intende
Quella che 'n se contien non lunga prosa :
Al Signor di Giudea ( dicea lo scritto )
Invia salute il Capitan d' Egitto .
LII.
Non sbigottir, signor: resisti e dura
Infin al quarto o insino al giorno quinto :
Ch' io vengo a liberar coteste muraj
E vedrai tosto il tuo nemico vinto .
Questo il secreto fu , che la scrittura
In barbariche note avea distinto ,
Dato in custodia al portator volante ;
Che tai messi in quel tempo usò il Levante ,
LUI.
Libera il prence la colomba: e quella,
Che de' secreti fu rivelatrice.
cenziosa, e meno usata; nò io alcun' altra volta mi ricordo di a-
yerla veduta; e fu per avventura forza della rima .
St. 52. Che tal messi in quel tempo usò il Levante .
Di simili messaggieri volanti sono alcuni esempi nell'istorie di
que' tempi. Perciocché oltre quest' istesso cavato dalla medesima
storia di questa guerra, come si è notato di sopra , scrive il me-
desimo Paolo Emilio, ch'essendo il governator d' Esarco assediato
da Alapiano; e avendo per mezzo d'ambasciatori domandato aju-
to ; da Baldovino in Edessa, ne l'impetrò; ma non essendo clii po-
tesse al governatore renderne l'avviso, avvegnaché fossero tutti i
passi all'intorno chiusi, legarono gli ambasciatori alla coda d'u-
na colomba condotta con esso seco dalla città , nell' andare a chie-
dere il soccorso, una lettera, dove si conteneva il fatto: e invia-
ta quella al governatore, esso intese il tutto. Il che scrive ancora
l'Arcivescovo di Tiro, se ben con alcuna picciola variet.'i . Il Sa-
bellico altresì fa menzione d'un'allìa colomba mandata dal R» di
Damasco a'Tir) assediati, come k detto sopra.
LIBERATA C. XVIII. 09
Come esser creda al suo signor rubella ,
Non ardì più tornar, nunzia infelice.
Ma il sopran Duce i minor duci appella ,
E lor mostra la carta , e così dice :
Vedete , come il tutto a noi riveli
La provvidenza del Signor de' cieli !
LIV.
Già più da ritardar tempo non parmi .
Nova spianata or cominciar potrassi ;
E fatica e sudor non si risparmi ,
Per superar d'inverso l'Austro i sassi.
Duro fia sì far colà strada all' armi 3
Pur far si può : notato ho il loco e i passi .
E ben quel muro, eh' assecura il sitO;,
D' arme e d' opre men deve esser munito .
LV.
Tu, Raimondo, vogl'io che da quel lato
Con le macchine tue le mura offenda :
Vuo' che dell' arme mie F alto apparato
Contra la porta Aquilonar si stenda;
Sì che il nemico il veggia , ed ingannato
Indi il maggiore impeto nostro attenda:
Poi la gran torre mia, che agevol move.
Trascorra alquanto , e porti guerra altrove .
LVI.
Tu drizzerai, Cammillo, al tempo stesso
Non lontana da me la terza torre .
Tacque \ e Raimondo , che gli siede appresso ,
E che, parlando lui, fra sé discorre.
Disse: al consiglio da Goffredo espresso
Nulla giunger si puote , e nulla tórre .
Lodo solo , oltre a ciò , eh' alcun s' invìi "
Nel campo ostil, che i suoi secreti spiij
vSt. 56. Lodo solo , oìtra ciò , eli alcun s' invii ec.
.€o&i rieexcara la piucUnza di chi coosiglìava neU'eserciloj
i6o LA GERUSALEMME
LVII.
E ne ridica il numero , e 1 pensiero ,
(Quanto raccdr potrà) certo e verace.
Soggiunse allor Tancredi: ho un mio scudiero,
Ch' a questo ufizio di propor mi piace;
Uom pronto e destro , e sovra i piò leggiero ,
Audace sì, ma cautamente audace;
Che parla in molte lingue, e varia il noto
Suon della voce, e '1 portamento e '1 moto .
LVIII.
Venne colui chiamato : e , poi che intese
Ciò che Goffredo e '1 suo Signor desia ,
Alzò ridendo il volto, ed intraprese
La cura , e disse : or or mi pongo in via :
Tosto sarò dove quel campo tese
Le tende avrà, non conosciuta spia .
Vuo' penetrar di mezzo dì nel vallo ,
E numerarvi ogn' uomo, ogni cavallo .
l'unirersale, o '1 verisimile deU' azione; onde se ben non ne fa
menzione ristoria, ve l'aggiunge di suo il poeta, coiu anche molti
•Uri particolari : e cosi pur nell'esodo ancora non picciol luogi»
ha l'ingegno e i'invenzion del poeta.
St. 57. Uom pronto e destro , e sovra i pie leggiero ,
Audace si, ma cautamente audace ec.
Ben con altra e senza dubbio miglior considerazione descrivend»
una spia, reca in mezzo il Poeta nostro condizioni a tal mestiere
appropriate, che non fece Omero nel io deU' Iliade; dove figuran-
do Dolone trojano spia altresì, ben di suo padre, de'fratelli, dell*
ricchezza, della bruttezza del volto di lui fece menzione; ma di
parti e condizioni ricercate a siinil bisogno ( come si vede clic
qui fa il Tasso), fuor che della velocità de' piedi, non fa parola
alcuna.
St. 58. Vo' penetrar di mezzo dì nel vallo , ec.
Omero nel 10 dell'Iliade, v. 324:
To^ppa yap f{ gpxTov ìÌjj.i hx^TCt^ìi opf»v ik^^xi
Niìi Ayafxijj.vovif'ìv .
Cioè.
« Io a te non vana spia sarò, né fuor dell'opinione,
'< Perciocché neir esercito mi sarò p«r tutto fina tanto ch'ar-
rivi
'« Alla uare d'Agameiuìoa*.
LIBERATA C. XYIII. .61
LIX.
Quanta e qual sia quell' oste, e ciò che pensi
Il Duce loro, a voi ridir prometto:
Vantomi in lui scoprir gT intimi sensi ,
E i secreti pensier trargli dal petto .
Così parla Vafrino, e non trattiensi;
Ma cangia in lungo manto il suo farsetto ,
E mostra fa del nudo collo , e prende
D' intorno al capo attorcigliate bende .
LX.
La faretra s' adatta e 1' arco Siro,
E barbarico sembra ogni suo gesto .
Stupiron quei che favellar l' udirò ,
Ed in diverse lingue esser sì presto ;
Ch'Egizio in Menfi, o pur Fenice in Tiro
L' avria creduto e quel popolo e questo.
Egli sen va sovra un destrier , eh' appena
Segna nel corso la più molle arena .
LXI.
Ma i Franchi, pria che '1 terzo di sia giunto,
Appianaron le vie scoscese e rotte ,
E fornir gì' instrumenti anco in quel punto :
Che non fur le fatiche unqua interrotte j
Anzi air opre de' giorni avean congiunto ,
Togliendola al riposo , anco la notte :
Né cosa è più che ritardar li possa
Da far l' estremo ornai d' ogni lor possa.
LXII.
Del dì , cui dell' assalto il dì successe ,
Gran parte orando il pio Buglion dispensa j
E impon eh' ogn' altro i falli suoi confesse ,
E pasca il pan dell' alme alla gran mensa .
St. 59. Coil parla Fa/rinù .
Nome formato a significar la piincipal paite ch«» conveniva
possedere a sì fatte ministio^ cig^ astuzia.
i62 LA GERUSALEMME
Macchine ed arme poscia ivi più spesse
Dimostra, ove adoprarle egli men pensa;
E '1 deluso Pagan si riconforta ,
Ch' oppor le vede alla munita porta .
LXIII.
Col buio della notte è poi la vasta
Agii macchina sua colà traslata ,
Ov'è men curvo il muro, e men contrasta^
Ch' angulosa non fa parie o piegata;
E d' in sul colle alla città sovrasta
Raimondo ancor con la sua torre armata.
La sua Cammillo a quel lato avvicina,
Che dal Borea all' Occaso alquanto hichina
LXIV.
Ma come furo in Oriente apparsi
I mattutini messaggier del Sole,
S'avvidero i Pagani ( e Len turbarsi )
Che la torre non è dov' esser suole :
E mirar quinci e quindi anco inalzarsi
Non più veduta una ed un'altra mole;
E in numero infinito anco son viste
Catapulte, monton, gatti e baliste.
LXV.
Non è la turba di Soria già lenta
A trasportarne là molte difese ,
Ove il'Bugìion le macchine appresenta
I)a quella parte, ove primier 1' attese.
Ma 1 Capitan , eh' a tergo aver rammenta
L'oste d' Egitto, ha quelle vie già prese:
E Guelfo, e i duo Roberti a se chiamati,
Slate, dice, a cavallo in sella armati;
LXVI.
E procurate voi che mentre ascendo
Colà dove quel muro appar men forte,
St. 64* ^^ avvidero ì Pagani (e ben luibdrsi) ec.
Dall' Jstoiia.
LIBERA T A C. XVlil. iGi
S('1ìiera non sia, che subita venendo
S' aLlerghi agli occupati, e guerra porte.
Tacque ; e già da tre lati assalto orrendo
Movon le tre sì valorose scorte;
E da tre lati ha il Re sue genti opposte;
Che riprese quel di 1' arme deposte .
LXVII.
Egli medesmo al corpo ornai tremante
Per gli anni, e grave del suo proprio pondo,
L' arme , che disusò gran tempo avante ,
Circonda, e se ne va centra Raimondo:
Solimano a Goffredo , e '1 fero Argante
Al buon Cammillo oppon , che di Boemondo
Seco ha il nipote; e lui fortuna or guida,
Perchè il nemico a se dovuto uccida.
LXVIII.
Incomniciaro a saettar gli arcieri
Infette di veneno arme mortali;
Ed adombrato il ciel par ches' anneri
Sotto un immenso nuvolo di strali.
Ma con forza maggior colpi piìi feri
Ne venian dalle macchine murali .
Indi gran palle uscian marmoree e gravi,
E con punta d' acciar ferrate travi .
LXIX
Par fulmine ogni sasso , e così trita
L' armatura e le membra a chi n' è cólto ,
Che gli toglie non pur 1' alma e la vita ,
Ma la forma del corpo anco e del volto.
St. 68 che di Boemondo
Seco ha il nipote .
Cioè Tancredi, ch'era nipote di Boemondo, perchè BglJuolo (H
una sorella di lui .
Sr. Gg. Che. gli toglie non pur V alma e la vita ec.
Lucano nel terzo della Farsaglia, v. 472:
« Frangit cu nata ruens ; nec tantum corpora pressa
« Exanimat , toios cum ■■ntn^uine dissipai artus.
i64 L\ GERUSALEMME
Non si ferma la lancia alla ferita :
Dopo il colpo del corso avanza molto :
Entra da un lato , e fuor per 1' altro passa
Fuggendo , e nel fuggir la morte lassa .
LXX.
Ma non togliea però dalla difesa
Tanto furor le Saracine genti .
Contra quelle percosse avean già tesa
Pieghevol tela, e cose altre cedenti .
L' impeto, eh' in lor cade, ivi contesa
Non trova , e vien che vi si fiacchi e lenti
Essi _, ove miran più la calca esposta ,
Fan con l' arme volanti aspra risposta .
LXXI.
Con tutto ciò d' andarne oltre non cessa
L'assalitor, che tripartito move;
E chi va sotto gatti , ove la spessa
Gragnuola di saette indarno piove;
E chi le torri all' alto muro appressa .
Che loro a suo poter da se rimo ve .
Tenta ogni torre omai lanciare 11 ponte;
Cozza il monton con la ferrata fronte .
LXXII.
Rinaldo intanto irresoluto hada;
Che quel rischio di lui degno non era.
E stima onor plebeo , quando egli vada
Per le comuni vie col volgo in schiera.
— Non si ferma la lancia alla ferita:
Dopo il colpo del corso avanza molto .
Lucano nell'istesso luogo, v. 464;
« ncque enim solis excussa lacertif
« JLancea, seddenso ballisi ot turbine rapta,
« Haud unum contenta latus transire , quirsru :
<i Sed pandens perqiie arma viam , perqiie ossa, relieta.
« Morte fu git : su per est telo post vulnera cursus .
St. 70. Contra quelle percosse aventi gin tcstt
Pieglievol tela ee.
Dall'istoria .
LIBERATA C. XVIII. jGS
E volge intorno gli occhi ; e quella strada
Sol gli piace tentar, eli' altri dispera.
Là dove il muro piìi munito ed alto
In pace stassi ^ ei vuol portar V assalto.
LXXIII.
E volgendosi a quegli , i quai già furo
Guidati da Dudon guerrier famosi ;
Oh vergogna! (dicea) che là quel muro
Fra cotante arme in pace or si riposi!
Ogni rischio al valor sempre è sicuro :
Tutte le vie son piane agli animosi :
Moviam la guerra , e contro ai colpi crudi
Facciam densa testuggine di scudi .
LXXIV.
Giunsersi tutti seco a questo detto :
Tutti gli scudi alzar sovra la testa ;
E gli uniron così , che ferreo tetto
Facean contra l' orribile tempesta .
Sotto il coperchio il fero stuol ristretto
Va di gran corso; e nulla il corso arresta;
Che la soda testuggine sostiene
Ciò che di ruinoso in giù ne viene .
LXXV.
Son già sotto le mura : allor Rinaldo
Scala drizzò di cento gradi e cento;
E lei con braccio maneggiò si saldo,
Ch' agile è men picciola canna al vento .
Or lancia or trave, or gran colonna o spaldo
D' alto discende: ei non va su più lento;
St. ^5 o spnldo .
Spaldo è voce usata da Dante nel 9 dell' Inf. all'ultiiuo vei&o,
cosi dicendo:
« Passammo tra' martiri , e gli alti spalai .
E l'espongono altri per pavimento, altri per muraglia; e bea
di questo modo pare che l'intenda lo stesso Dante ii«1 a Ter«p dal
eap. che segue , dicendo :
« Ora sen va per un steret» ^aU0
••->
j66 la GERUSALEMME
Ma intrepido , ed invitto ad ogni scossa
Sprezzeri'a, se cadesse. Olimpo ed Ossa.
LXXVI.
Una selva di strali e di ruine
Soslien sul dosso, e sullo scudo un monte:
Scote una man le mura a se vicine,
L' altra sospesa in guardia è della fronte .
L' esempio all' opre ardite e peregrine
Spinge i compagni: ei non è sol che monte j
Che molti appoggian seco eccelse scale j
Ma 1 valore e la sorte è diseguale .
LXXVII.
Muore alcuno , altri cade : egli sublime
Poggia , e questi conforta , e quei minaccia :
Tanto è già in su , che le merlale cime
Puote afferrar con le distese braccia .
Gran gente allor vi trae , l' urta , il reprime ,
Cerca precipitarlo, e pur noi caccia.
( Mirabil vista ! ) a un grande e fermo stuolo
Resister può sospeso in aria un solo .
LXXVIII.
E resiste, e s' avanza, e si rinforza;
E come palma suol , cui pondo aggreva ,
Suo valor combattuto ha maggior forza,
E nella oppression piìi si solleva.
E vince alfin tutti i nemici, e sforza
L' aste e gì' intoppi che d' incontro aveva ;
« Tra 'l muro della terra e gli martiri
« JLo mio maestro , ed io dopo le spalle . GuAST.
St. j8. e come palm.a suol , cui pondo aggreva e.c.
Qui desciÌTe la natura della palma, che è, che quanto più è
oppressa da grave peso, tanto più s'inalza non cedendo . Così dice
Plinio al cap. 42 del lib. i6 de nat.hist. e Teofraslo al 5 de P/un-
tis , Aristotile al 7 de' Problemi, Plutarco nell' 8 del Simposio, le
cui parole sono queste: Perchè il legno della palma se con [jcso
sovrapposto si aggrevi , ingiù, non declina, ma per lo contrario
vi alza in sii , quasiché resista al peso da che è aggravato . Mart.
LIBERATA C. XVIII. 1Ò7
E sale il muro, e 'I signoreggia , e '1 rende
Sgombro e sicuro a chi direlro ascende .
LXXIX.
Ed egli stesso all' ultimo germano
Del pio Buglion, eh' è di cadere in forse,
Stesa la vincitrice amica mano ,
Di salirne secondo aita porse .
Frattanto erano altrove al Capitano
Varie fortune e perigliose occorse;
Gli' ivi non pur fra gli uomini si pugna ,
Ma le macchine insieme anco fan pugna .
LXXX.
Sul muro aveano i Siri un tronco alzato ,
Ch' antenna un tempo esser solca di nave;
E sovra lui col capo aspro e ferralo
Per traverso sospesa è grossa trave.
• E , indietro quel da canapi tirato ,
Poi torna innanzi impetuoso e grave:
Talor rientra nel suo guscio , ed ora
La tesluggin rimanda il collo iuora .
LXXXI.
Urtò la trave immensa , e così dure
Nella torre addoppiò le sue percosse,
Che le ben teste in lei salde giunture
Lentando aperse , e la respinse e scosse .
La torre a quel bisogno armi secure
Avea già in punto, e due gran falci mosse:
Che avventate con arte incontra al legno,
Quelle funi troni ar eh' eran sostegno .
St. 80. Sul muro at'eano i Siri un trunco alzato,
Ch' antenna un tempo esser solca di nave.
Dall'istoria.
— e due gran j alci mosse.
D;>11' istoria. Ed esser questa parimente stala opera de" Genove-
si , scrive Paolo Emilio .
G. LiB. T. nu la
i68 LA GERUSALEMME
LXXXII.
Qual gran sasso talor, ch'o la vecchiezza
Solve d'un monte, o svelle ira de' venti,
Ruinoso dirupa, e porta e spezza
Le selve, e con le case anco gli armenti;
Tal giiì traea dalla sublime altezza
L' orribil trave e merli ed arme e genti .
Die la torre a quel moto uno e duo crolli;
Tremar le mura, e rimbombaro i colli.
LXXXIII.
Passa il Buglion vittorioso avanti,
E già le mura d' occupar si crede ;
Ma fiamme allora fetide e fumanti
Lanciarsi incontra immantinente ei vede .
Ne dal sulfureo sen fochi mai tanti
Il cavernoso Monglbel fuor diede;
Né mai cotanti negli estivi ardori
Piovve r Indico ciel caldi vapori .
St. 82. Qual gran sasso talor , che O la vecchiezza ec.
Lucano nel 3 , v. 469 :
« At saxum cjuoties ingentis verheris ictu
« Excutìtur , qualis ritpes , quam vertice montis
« Abscidit impulsam ventorum adjuta vetustas
li Frangit cuncta ruens ; nec tantum corpora pressa etc.
Virgilio nel 12, v. 684:
a Ac velati mentis saxum de vertice prceceps
« Cum ruit avulsum. vento , seu turbidus imbcr
« Proluit , aut amnis solvit sublapsa vetustas ,
a Fertur in abruptum magno mons improbus actu ,
« Exsultatque solo , siU'as , armenta , virosque
« Involvens secum ec.
Omero nel 1 3 dell'Iliade, v. i34:
ijp)^f 3' (x'p'^'Exrwp
AvrjHpù fissalo; , oAooi Tpo),^£« wf a^rò niTpvii ,
'OvTi xoLrà CTipavm TroTcìfJ^Qi p(^s«fxapp'oo« wj^i^,
'Ptflas acTri'rw o'/x^pu avallici ty^fj.y.TX TTirptìi ,
"Tvf/j r avaD'pwo'HU)!/ ttìtìtch^ iltvkÌìi lì 3''u7r'aUToD
leoTTiSov, Tore ?i' ovvi H'jAi'v5?roi<, ì{7crujy,6vo'j TTfp .
LIBERATA C. XVlIl. i6ij
LXXXIV.
Qui vasi e cerchi ed aste ardenti sono:
Qual fiamma nera, e qual sanguigna splende.
L'odore appuzza, assorda '1 rombo e '1 tuono,
Accieca il fumo, il foco arde e s' apprende.
L' umido cuojo alfin sari'a mal buono
Schermo alla torre: appena or la difende;
Già suda e si rincrespa; e se piiì tarda
Il soccorso del Ciel , convien pur eli' arda •
LXXXV.
Il magnanimo Duce innanzi a tutti
Stassi , e non muta ne color né loco :
E quei conforta che su' cuoi asciutti
Versali 1' onde apprestate incontra al foco •
In tale stato eraii costor ridutti ,
E già dell' acque rimanea lor poco ;
Quando ecco vento , eh' improvviso spira ,
Centra gli autori suoi l'incendio gira.
LXXXVI.
Vien contra al foco il turbo ; e indietro volta
Il foco , ove i Pagali le tele alzaro :
Quella molle materia in se raccolto
L' ha immantinente; e n' arde ogni riparo .
O glorioso Capitano ! o molto
Dal gran Dio custodito, al gran Dio caro !
« Qual sasso struggitore nel corso rotolantcsi da una rupe, cui
« giìi dalla cresta abbia sospinto invernai corrente di fiume ,
« spezzando con immenso acquazzone i ritegni della sconcia ru-
« pe: questa in atto sobbalzando vola, e infranto sott'esso rim-
« bomba il bosco: continua egli agevolmente nel corso, finché
« sia giunto alla pianura; allora non si rotola pii» quantunque
« incitato , ec.
St, 86. O glorioso Capitano , o molto
Dal gran Dio custodito, al gran Dio caro ec.
Esprime quel luogo di Claudiano, nel terzo Consolato d' Ond-
ilo, V. 96:
a O nimium dilecte Dea , cuifundit ah antris
a JEolus armatas hyemes , cui militat oether ,
« Et conjurati veniunt ad classica venti , Sbàst.
lyo L\ GERUSALEMME
A te guerreggia il Cielo, e ubbidi'onli
Vengon, chiamati a suon di trombe, i venti.
LXXXVII.
Ma r empio Ismen, che le sulfuree faci
Vide da Borea incontra a se converse ,
Ritentar volle 1' arti sue fallaci
Per sforzar la natura e 1' aure avverse :
E fra due maghe, che di lui seguaci
Si fer, sul muro agli occhi altrui s' offerse;
E torvo e nero, e squallido e barbuto
Fra due Fune parca Caronte o Pluto .
LXXXVIII.
Già il mormorar si udia delle parole,
Di cui teme Cocilo e Flegetonte:
Già si vedea 1' aria turbare, e '1 Sole
Cinger d' oscuri nuvoli la fronte;
Quando avventato fu dall' alta mole
Un gran sasso, che fu parte d' un monte:
E tra lor colse sì , eh' una percossa
Sparse di tutti insieme il sangue e l'ossa.
LXXXIX.
In pezzi minutissimi e sanguigni
Si disperser così V inique teste ,
Il medesimo si scrive da' sacri e profani scrittori, che avven-
ne nell'esercito di Adriano Imperatore in Alemagna, per le pre-
ghiere di una legione de' Cristiani. Dico che fu impetrata per
quelle la pioggia dal grande Iddio, la quale l'ardentissima scie
dell'esercito Romano restrinse: ed insieme gran copia di lulmini,
j quali nell'esercito nemico degli Alemanni percossero con loro
gran mina. Onde quella legione ne ripoitò il nome di Fuhuina-
trice, ed altri benefizj , che l'Imperatore graziosamente a tutti i
Cristiani concesse , il quale eziandio nelle sue lettere tcstilicò a
pieno di questo miracolo. Gemt.
St. 88. £ tra lor colse si , eh' una percossa
Sparse di tutti insieme il sangue e V ossa .
Di certe maghe, che sopra le muraglie di Gerusalemme, vo-
lentlo incantare le macchine de' Cristiani, furono ammazzate da
essi , fa menzione l'Arcivescovo di Tiro.
LIBERATA C. XVI'U 171
Che di sotto ai pesanti aspri macij^J
Soglion poco le biade uscir più peste
Lasciar gemendo i tre spirti maligni
L'aria serena e 1 bel raggio celeste;
E sen fuggir tra l'ombre empie infernali:
Apprendete pietà quinci, o mortali !
xc.
Li questo mezzo alla città la torre,
Cui dall'incendio il turbine assecura,
S'avvicina così, che può ben porre,
E fermare il suo ponte in sulle mura .
Ma Solimano intrepido v'accorre,
E '1 passo angusto di tagliar procura :
E doppia i colpi , e ben 1' avria reciso;
Ma un' altra torre apparse all'improvviso,
xci.
La gran mole crescente oltra i confini
De' più alti edificj in aria passa .
Attoniti a quel mostro i Saracini
Restar, vedendo la città più bassa;
Ma il fero Turco, ancor che 'n lui ruini
Di pietre un nembo, il loco suo non lassa;
Né di tagliare il ponte anco diffida ;
E gli altri che temean rincora e sgrida .
xcii.
S' offerse agli occhi di Goffredo allora ,
Invisibile altrui, 1' angel Michele,
St. 89. Apprendete pietà quinci , o mortali .
Epifonema. Virgilio nel 6, y. 6ao:
« Discite justitiam moniti , et non temnere Divos ,
St. 90. AJa un' altra torre apparse all' improvvido .
Quella che rinchiusa dentro alla predetta maggiore , si spinge-
rà fuori dalla cima di essa.
St. 93. S' offerse agli occhi di Goffredo allora ec.
Il miracolo è tolto dall'istoria, come che dal Poeta sia alquanto
variato. Scrive l'Arcivescovo di Tiro nell'S libro, che essendo in
una zuffa con gl'infedeli molto travagliati i Cristiani, «i vide
scendere dall' Olivelo un soldato, il quale avendo uu lucentissi-
17» .LA GERUSALEMME
Cinto d' armi celesti : e vinto fora
Il Sol da lui, cui nulla nube vele:
Ecco, disse, Goffredo , è giunta 1' ora,
Ch' esca Sion di servitù crudele .
Non chinar, non chinar gli occhi smarriti j
Mira (tjn quante forze il Ciel t' aiti .
xeni.
Drizza pur gli occhi a riguardar V immenso
Esercito immortai eh' è in aria accolto ;
Ch' io dinanzi torrotti il nuvol denso
Di vostra umanità, ch'intorno avvolto
Adombrando t' appanna il mortai senso ;
Sì che vedrai gi' ignudi spirti in volto j
E sostener per breve spazio i rai
Dell' angeliche forme anco potrai .
xciv.
Mira di quei che fur campion' di Cristo ,
L' anime fatte in cielo or cittadine ,
rao e risplendente scudo in mano , inanimò i Cristiani a star for-
ti, e a ripigliar la battaglia: la qual cosa diede loro grandissimo
vigore e forza; e quel soldato poi non fu veduto mai piìi . D' un
ìniinito esercito ancora di soldati , con cavalli , sopravvesti ed
armi bianche veduti nell'assedio di Antiochia da Pirro uomo Tur-
co combattere in favor de' Cristiani contra i nemici ogni volta
che si veniva alle mani, ne comparir poi in altro tempo mai, o
stimati perciò Angeli o Anime beate, mandate da Iddio per aju-
to de' Cristiahi, parla Roberto Monaco nel 5 lib. della sua storia .
ed anco Paolo Emilio.
St. 93. Ch'io dinanzi torrotti il nuvol denso eC.
Omero nel quinto dell'Iliade, y. 127 :
A;(^AÙv y au TOi oltt' op^aXfxwv fXov, i^' rrpf'v STrijcV,
Ó'(|)p fu yiv(j»7x.yii >Jufv 3'fbv r-f^g :ia.l ctvjpa.
Cioè.
« E la caligine di nuovo dagli occhi t'ho tolto via, che prima
t'avevi;
« Acciocché bene tu riconosca o Dio od uomo .
Virgilio nel secondo dell'Eneide, v. 604 :
« A.ipice , nainquc omnent , quce mine ohducta tusnti
« Mortales hebetat visus tibi, st kumida circum
« Caligai , nuhcm eripiam etc.
St. ^\. L' anime fatte in «ielo or cittadine.
LIBERATA C. XVIII. 173
die pugnai! teco, e di sì alto acquisto
Si trovan teco al glorioso jSne .
Là 've ondeggiar la polve e '1 fumo misto
Vedi , e di rotte moli alte ruine,
Tra quella folta nebbia Ugon combatte,
E delle torri i fondamenti abbatte,
xcv.
Ecco poi là Dudon, clie 1' alta porta
Aquilonar con ferro e fiamma assale:
Ministra l'arme ai combattenti, esorta
Gb' altri su monti, e drizza e tien le scale.
Quel, cb' è sul colle, e '1 sacro abito porta,
E la corona ai crin sacerdotale ,
E il pastore Ademaro , alma felice :
Vedi che ancor vi segna e benedice .
Abitatrici. II Petrarca:
« U anime , che là su son cittadine .
— Là ve ondeggiar la polve , e 'l fumo misto
Vedi, e di rotte moli alte mine ec.
Virgilio nel secondo dell'Eneide, v. 608:
« Hic ubi disjectas moles , avulsaque saxis
« Saxa vides , mistoque undantem pulvere fùmum t
« Neptunus muros , magnoque emota tridenti
« Fundam.enta quatit, totamque a sedibus urbem
« Eruit.
St. 9.5. Ecco poi là Dudon , che V alta porta ee.
Lo stesso:
« Hic Juno Scaeas saevissima portas
« Prima tenet .
— Ministra l' arme ai combattenti , esorta
Cli altri su monti , e drizza e tien le scale .
Lo stesso :
« Jpse pater Danais animos , viresque secundas
« Sufficit; ipse Deos in Dardana suscitat arma.
— Quel eh' è sul colle , e 7 sacro abito porta ec.
— E il pastore Ademaro .
Di ciò cosi scrive l'Asci vescovo di Tiro nell'S lib. « Quel giov-
« no Ademaro Vescovo di Poggio uomo virtuoso , e di memoria
« immortale che venne a morte, com' abbiamo detto, appresso
« Antiochia, fu veduto da molti nella santa Città; di maniera
a che alcuni uomini gravi e degni di fede affermavano constan-
o temente di averlo veduto con gli occhi del corpo essere il pri-
« mo a salire le mura , ed a innanimare gli altri ad entrare nella
<( Città » .
174 LA GERUSALEMME
xcvi.
Lev a più in su 1' ardite luci , e tutta
La grande oste del ciel congiunta guata .
Egli alzò il guardo; e vide in un ridutta
Milizia innumerabile ed alata.
Tre tolte squadre, ed ogni squadra instrutta
In tre ordini gira, e si dilata;
Ma si dilata più, quanto più in fuori
I cerchi son: son gV intimi i minori.
xcvn.
Qui chinò vinti i lumi , e gli alzò poi;
JNè lo speltacol grande ei più rivide;
Ma, riguardando d'ogni parte i suoi,
Scorge che a tutti la vittoria arride.
St. 96. Tre folte squadre, td ogni squadra instrutta ec.
Intende le tre gerarchie celesti , delle quali ciascheduna ha tre
altri ordini . La superiore Serafini , Cherubini e Troni ; la secon-
da, Dominazioni, Principati e Potestà; la terza , Virtii , Angeli C
Arcangeli: secondo l'ordine di Sin Gregorio e di San Bernardo ,
da' quali però varia alquanto Dionisio Areopagita secondo che nel
libro ch'egli intitolò Òelln celeste ^j^erurchia , si può vcd«re .
— Ma si dilata piìi , quanto pih infuori
I cerchi son, son ^1' intimi i minori.
E in tanto si van diminuendo in dentro, che s'arriva nel mez-
zo ad un punto indivisibile, nel quale consiste la divina .rssen-
za; secondo che figura Dante nel 28 del Paradiso, dose di quagli
nove cori per tal modo ragiona :
« Un punto l'idi, che ra^giai'a lume
« Acuto sì , che 'l viso eh' egli affuoca
« Chiuder conviensi per lo forte acume .
E poi :
« Distante intorno ni punto un cerchio d' igne
« Si girava sì ratto , eli avria vinto
« Quel moto che pih tosto il mondo cigne ;
« E questo era d'un altro circuncinto
« E quel dal terzo , e 'l terzo poi dal quarto ,
« Dal quinto il quarto , e poi dal sesto il quinta •
« Sovra seguiva il settimo sì sparto
« Già di larghezza , che V Messo di Giano
« Intero a contenerlo sarebbe arto .
« t osi V ottavo , e '/ nono : e ciascheduno
" Piìt tardo si movea , secondo eh' er»
!> //* numero distante piii dall' uno .
LIBERATA C. XVIII. 17^
Molti dietro a Rinaldo illiistii eroi
Saliano j ei già salito i Siri uccide.
Il Capitan, che piiJ indugiar si sdegna,
Toglie di mano al fido alficr l' insegna,
xcviu.
E passa primo il ponte; ed impedita
Gli è a mezzo il corso dal Soldan la via .
Un picciol varco è campo ad infinita
Virtù, che 'n pochi colpi ivi appari'a.
Grida il fier Solimano: all' altrui vita
Dono, e consacro io qui la vita mia :
Tagliate , amici , alle mie spalle or questo
Ponte; che qui non facil preda io resto,
xcix.
Ma venirne Rinaldo in volto orrendo ;
E fuggirne ciascun vedea lontano :
Or che laro ? se qui la vita spendo ,
La spendo (disse) e la disperdo invano .
E hi sé nove difese anco volgendo,
Cedea libero il passo al Capitano ,
Che minacciando il segue, e della santa
Croce il vessillo in sulle mura pianta .
e.
La vincitrice insegna in mille giri
Alteramente si rivolge intorno;
E par che 'n lei più riverente spiri
L' aura, e che splenda in lei più chiaro il giorno;
St. 98. Grida il fier Solimano : all'altrui vita e».
Il dono e consacro , esprima il devoveo de' Latini ; l'azione è i-
mitala da quella d'Orazio Coclite.
St. 9y. Ala venirne Rinaldo in volto orrendo;
E Juggirne ciascun vedtxi lontano.
E da notare, come in o;;ni luogo la persona di Rinaldo è mezzo
•he Goffredo acquisti le vittorie, e ciò affin d'introdur la sovrana
meraviglia nell'azion del poema j la qual' azione non si può recar
a fine, né si reca senza la persona di Rinaldo, come altrove ab-
biamo di scora» .
176 LA GERUSALEMME
Ch' ogni dardo, ogni strai che 'n lei si tiri,
0 la declini, o faccia indi ritorno:
Par che Sion, par che l'opposto monte
Lieto r adori , e inchini a lei la fronte .
CI.
Allor tutte le squadre il grido alzaro
Della vittoria altissimo e festante j
E risonarne i monti, e replicar©
Gli' ultimi accenti: e quasi in quell'istante
Kuppe e vinse Tancredi ogni riparo.
Che gli aveva all' incontro opposto Argante :
E , lanciando il suo ponte , anch' ei veloce
Passò nel muro , e v' innalzò la Croce .
GII.
Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto
Raimondo pugna e 1 Palestin Tiranno ,
1 guerrier di Guascogna anco potuto
Giunger la torre alla città non hanno;
Che '1 nerbo delle genti ha il Re in aiuto,
Ed ostinati alla difesa stanno :
E se ben quivi il muro era men fermo.
Di macchine v' aveva maggior lo schermo .
CHI.
Oltra che, men eh' altrove, in questo canto
La gran mole il sentier trovò spedito;
Né tanto arte potè , che pur alquanto
Di sua natura non ritegna il sito .
Fu r alto segno di vittoria intanto
Dai difensori , e dai Guasconi udito :
Ed avvisò il Tiranno , e V Tolosano ,
Che la città già presa è verso il piano .
civ.
Onde Raimondo a' suoi dall' altra parte
Grida: o compagni, è la città già presa.
Vinta ancor ne resiste? or soli a parte
Non sarem noi di sì onorala impresa?
LIBERATA C. :n:VIII. 177
Ma il Re, cedendo alfin, di là si parte,
Pcrch' ivi disperata è la difesa;
E sen rifugge in loco forte ed alto ,
Ove egli spera sostener 1' assalto .
cv.
Entra ali or vincitore il Campo tutto
Per le mura non sol , ma per le porte ;
di' è già aperto , abbattuto , arso e distrutto
Ciò che lor s' opponea , rinchiuso e forte .
Spazia r ira del ferro ; e va col lutto
E con r orror, compagni suoi, la Morte.
Ristagna il sangue in ghorghi , e corre in rivi
Pieni di corpi estinti e di mal vivi .
St. io4- e *cn rifugge in loco forte ed alto.
Nel Tempio ili Salomone, come dice l'Arcivescovo di Tiro nel-
la sua istoria, e il Poeta poco piìx a basso . Gdast.
St. io5. Spazia l' ira del ferro , e va col lutto , ec. .
I Poeti greci diedero per compagni a Marte T Orrore, la Tema
e la Discordia; i quali seguendo il nostro disse nel canto 9:
« U orror , la crudeltà , la tema, il lutto
« Vati d' intorno scorrendo .
Perciocché Orrore e Tema esprimono que' due nomi grfd
Attuo? xeni Oo/So?, i quali Valerio Fiacco espresse in latino,
dicendo Terrorque , Pavorque , Martis equi : ove nota nuova 6n-
zionc , ch« di «ompagni li fa cavalli di Marte . Gent^
LA
GERUSALEMME
LIBERATA
CANTO DECIMONONO
ARGOMENTO
Intera palma del famoso Argante
Tancredi ottiene in singoiar tenzoni;.
Salvo è il Re nella rocca. Erminia ha innante
Vafrino; e questa a lui gran cose espone.
Riede instrutto: ella è seco; e '1 caro amante
Di lei trovano esangue in sul sabbione.
Piange ella, e '1 cura poi. Goffredo intende
Quali insidie il Pagan contra gli tende.
v_yià la morte, o il consiglio , o la paura
Dalle difese ogni Pagano ha tolto :
E sol non s' è dall' espugnale mura
Il pertinace Argante anco rivolto .
Mostra ei la faccia intrepida e secura,
E pugna pur fra gl'inimici avvolto,
Più che morir , temendo esser respinto ;
E vuol, morendo, anco parer non vinto.
II.
Ma sovra ogn' altro feritore infesto
Sovraggiunge Tancredi, e lui percote.
Ben' è il Circasso a riconoscer presto
Al portamento, agli atti, all' arme note,
LIBERATA C. XIX. 1-9
Lui, die pugnò già seco, e '1 giorno sesto
Tornar promise, e le promesse ir vote;
Onde gridò : così la le, Tancredi,
Mi servi tu? così alla pugna or riedi?
III.
Tardi riedi , e non solo : io non rifiato
Però combatter teco , e riprovarmi;
Benché non qual guerrier , ma qui venuto
Quasi inventor di macchine tu parmi.
Fatti scudo de' tuoi : trova in ajuto
Novi ordigni di guerra e insolite armi;
Che non potrai dalle mie mani , o forte
Delle donne uccisor, fuggir la morte.
St. 2. Onde gridò t cosila fk , Tancredi,
Mi servi tu ? così alla pugna riedi ?
Queste parole, con quo' due versi della quinta stanza, dove ti
dice:
« Ch' h proprio mio , piii che comiin nemico
« Questi, ed a lui mi stringe obbligo antico;
porgono occasione di considerare , se in tutta quella azione e
DÌsof;na del duello fra Tancredi e Argante , fu mancamento alcu-
no per la parte d'esso Tancredi, come pare che per queste parole
voglia rimproverarli Argante; avvegnaché Tancredi non ritor-
nasse il sesto giorno, com'aveva promesso; e quando poi ritornò
non cercasse altrimente piìi né l'inimico privato, né il compi-
mento del duello ; intorno a che mi par di dire, che Tancredi
per alcun conto non mancò al debito suo: peiciocchè se non ri-
tornò, fu chiaro l'impedimento attraversatoli dalla fortuna, al
quale era impossibile ch'egli rimediasse . Ritornato poi ch'e'fu,
era già cjuel luogo, come carico pubblico, stato preso da altri, e a-
■vula la faccenda quel fine che s'è veduto. Né egli per quel ri-
spetto, in essa, dove era come agente e ministro del Principe, a-
vea piii da intromettersi, se da quello non gli veniva espressa-
r:entc comandato, e come cavalier privato e di propria persona,
o non poteva , o non era necessario, o non istava bene ch'egli fa-
cesse nuova disfida; nella quale conveniva che intervenisse l'au-
torità del Capitano, e ad altro allora s'avea ad attendere nell' e-
sercito . Queste parole dunrpic debbono esser prese, come dette
da pwsona superba e arrogante, e per tale figurata dal Poeta, e
per tale conosciuta; la quale non si prendeva guardia alcuna di
incaricare il nemico piìr del dovere, e oltre quello che si conve-
niva alla verità.
GCAST.
rSo LA GERUSALEMME
IV.
Sorrise il buon Tancredi un cotal riso
Di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto
Tardo è il ritorno mio ; ma pur avviso
Che frettoloso ti parrà ben tosto ;
E bramerai che te da me diviso
O r alpe avesse, o fosse il mar frapposto
E , che del mio indugiar non fu cagione
Tema o viltà, vedrai col paragone .
V.
Vienne in disparte pur tu eh' omicida
Sei de' giganti solo e degli eroi:
L' uccisor delle femmine ti sfida .
Così gli dice: indi si volge a' suoi,
St. 4- Sorrise il buon Tancredi un cotal riso .
Senza il cotale disse l'Ariosto:
« Or rise amaramente in piò salito
« // Conte ec. RI.
St. 5. bienne in disparte pur fu eh' omicida ee.
Questo modo di parlare, che in Tancredi è ironia, in qufl sci-
▼0 Plautino, il quale dice ad un soldato taglia-cantoni:
« E.rprome benignum a te ingenium. urbi cape ,
« Occisor regum;
è buffoneria, la quale è differente dall'ironia in questo, che si
usa per dar piacere altrui, ciocché è cosa servile; ma 1' ironia
per dar piacere a se stesso: e perciò ad uomini liberi pila si con-
viene, quantunque essa ancora sia vizio, come scrive Aristotile,
contrapposto alla buffoneria. Onde Socrate fu da Zenone Epicureo
chiamato per il suo ironico parlare Buffone Ateniese . II qual no-
me indarno mi persuadono i dottissimi annotatori del Boccaccio
essere stato nella sua prima origine onesto: perchè io so, che è il
medesimo con quello antichissimo dc'Latini, Kuccones ,mi\\.a\?.
le due ce , in due^, siccome spesso avvenne nell'antiche paro-
le . Ma di questo più a lungo in un altro luogo .
— Così gli dice , indi si l'oìge ai suoi , ec.
Chiama, obbligo antico il patto ch'osso Tancredi fece con Ar-
gante, nel sesto canto, di ritornare a duello il sesto giorno. Il
qual patto non fu rotto, né dalla parte di esso Tancredi, iì qua-
le non ritornò, impedito da disavventura non cercata da lui,
perchè alle cose impossibili nessuno è tenuto; né dalla parte di
Argante, benché uno de'suoi Pagani contra ogni ragione lo vio-
lasse piagando Ilaimondo, che in vece di Tancredi era succedu-
to; perché il fatto altrui non deve ad altrui nuocere che all'au-
tor suo, siccome scrivono i nostri legish^tori . Sicché rimanendo
LIBERATA C. XIX. i8i
E fa ritrargli dall' offese^ e grida:
Cessate pur di molestarlo or voi ;
Ch'è proprio mio, più che comun nemico
Questi, ed a lui mi stringe obbligo antico.
VI.
Or discendine giù solo, o seguito.
Come più vuoi (ripiglia il fier Circasso):
Va in frequentato loco od in romito ;
Che per dubbio o svantaggio io non ti lasso .
Sì fatto ed accettato il .fero invito ,
Movon concordi alla gran lite il passo .
L'odio in un gli accompagna, e fa il rancorts
L' un nemico dell' altro or difensore .
VII.
Grande è il zelo d' onor, grande il desire.
Che Tancredi del sangue ha del Pagano j
Ne la sete ammorzar crede dell'ire.
Se n' esce stilla fuor per 1' altrui mano :
E con lo scudo il copre; e: non ferire,
saldo ed intiero , veniva Argante ad essere proprio nemico di
Tancredi pili che del resto dell'esercito de' Cristiani. Tanto pììi
che quel patto fu convenzione pubblica di tutti, essendo fatta
da Goffredo Duca d'essi. Altrimenti un soldato non può patteg-
giar da per sé con un nemico, e fare che sia proprio nemico. On-
de scrive Tito Livio, che quando quel Francese nel fervor della
battaglia disfidò un Romano a duello, e s'affrontò con Manlio,
furono lasciati in mezzo a combattere soli più per ammirazione
dell'una e dall'altra parte, che per la ragione delle genti . Gent.
— C/l'è proprio mio, piii che comun nemico ec.
Ciò è detto per certa sovrabbondanza di gelosia d' onor caval-
leresco, ed eziandio per vietare e ritener meglio ciascheduno dal-
l'offendere il nemico, affinchè fosse lasciato a lui solo; che per
altro egli non v'aveva piìi obbligo alcuno, essendo passalo il ter-
mine , e in sua vece , da chi il potea fare, posto un altro in quel
ìuogo, com'abbiamo detto. Gbast.
St. 6. Cile per dubbio , o svantaggio io non ti lasso .
Simile a quel di Nevio in equo Trojano:
« JSumquam hodie eff'ugies , quia mea m,anu moriaris.
Il che mostra d'esser deito in simile occasione di duello, e for-
se da Menelao a Paride . Gent.
St. ^. E con lo scudo il copre; e: non ferire , ec.
Così Achille appresso Omero nel 22 dell'Iliade va acceuuande»
i82 LA GERUSALEMME;
Grida a quanti rincontra anco lonlano;
Sì che salvo il nemico infra gli amici
Tragge {lall' arme irate e vincitrici .
vili.
Escon della cittade, e dan le spalle
Ai padiglion delle accampate genti;
E se ne van dove un girevol calle
Gli porta per secreti avvolgimenti;
E ritrovano ombrosa angusta valle
Tra più colli giacer , Qon altrimenti
Che se fosse un teatro, o fosse ad uso
Di battaglie e di cacce intorno chiuso .
IX.
Qui si fermano entrambi : e pur sospeso
Volgeasi Argante alla cittade afflitta .
Vede Tancredi che '1 Pagan difeso
jNon è di scudo, e '1 suo lontano ei gitla.
Poscia lui dice : or qual pensier ti ha preso ?
Pensi che è giunta l' ora a te prescritta ?
Se antivedendo ciò timido stai ,
E '1 tuo timore intempestivo ornai.
a' suoi che non feriscano Ettore, affinchè non £;li venga tolta la
gloria d'averlo ucciso egli stesso . Al Galileo però sembra, che sia
qui offeso il carattere d'Argante, il quale rappresentato già nel
Poema come il pil,i superbo, indomito ed arrogante, soffre ora che
Tancredi lo difenda e lo ricopra collo scudo. Alla quale censura
due cose oppor si potrebbero. E piimieramente che, sebbene d
Poeta abbia rappresentato Argante di feroce careltere, indomito e
superbo , non l'ha tuttavia fatto perciò furioso e pazzo , siccome
Io sarebbe appunto, s'egli permettere non volesse che Neuga di
Tancredi difeso nell'atto che solo passa fra mezzo all'esercito ne-
mico con imminente pericolo d'essere assalito alle spalle, per tra-
♦limento e senza che pur se ne avvegga. In secondo luogo fa d'uo-
po riflettere, che quella medesima sete, che ha Tancredi del san-
gue del Pagano, essere debbe ancora in Argante stesso, il ((uale
perciò non ad altro anelar dee in quest'istanti che alia morte del
suo grande nemico, ben poco importandogli di tutto il rimanente
delle Cristiane falangi . Finalmente è un atto, die onora il carat-
tere di Tancredi, la protezione ch'egli usa verso il suo nemico. M.
St. g. K 7 tuo tinnire intempe.<;ti<.'() omtiì .
Perciocché chi viene ia campo a ducilo non ha potestà di riti-
LIBERATA G. XIX. i 8"
X.
Pdiso , risponde , alla città del regno
Di Giudea antichissima regina,
Che vinta or cade ; e indarno esser sostegno
10 procurai della fatai mina;
E eli' è poca vendetta al niio disdegno
11 capo tuo, che 1 Cielo or mi destina.
Tacque: e incontra si vdn con gran risguardo:
Gilè ben conosce l'un 1' altro gagliarda.
XI.
E di corpo Tancredi agile e sciolto,
E di man velocissimo e di piede .
Sovrasta a lui con 1' alto capo, e molto
Di grossezza di membra Argante eccede.
Girar Tancredi inchino e in sé raccolto
Per avventarsi e sottentrar si vede;
E con la spada sua la spada trova
Nemica, e 'n disviarla usa ogni prova.
XII.
Ma disteso ed eretto il fero Argante
Dimostra arte simile, atto diverso :
rarsi senza il consenso della parie avversa. Ed in questo cred»^
che sia alquanto piìi rea la condizione di colui che ha provocato y
«he di chi ha ricevuta la disfida: siccome in molte civili conven-
zioni si potrebbe esemplificare. Ma bastici l'autorità di Omero ,
il quale il medesimo che quivi ad Argante si dice da Tancredi ,
finse essere avvenuto ad Ettore lib. j , v. 216:
'^'ExTcpi T aurw Si'/uòi ivi cT^^L(jci ttùtclgcìv ,
AXX' ouTTwf ('ti Ci')(tv vTTcTp'coLi , ouS' avaSuvotf
A\|/ Xawi/ f$ ou<Xov, tTTtl irpovay fccc.ro yoipaM.
Ove dice, che ad Ettore venuto a duello con Ajace cominciò a
palpitare il petto di paura: ma che non si potrà più r trarre in
dietro , poiché era stato quelli che avea pro\ocato a duello. E la
medesima ragione usò Ajace , acciocché Ettore fosse il primo a
parlare di finir la tenzone, giacché la notte era venuta • benché
pari virtù avessero mostrata ambedue nel combattere , seconJf ia
sentenza degli Araldi. Gemt.
St. io. Perno, risponde, alia città dei re^no ce.
« Mirabile, nobile e generosissima risposta veramente, dice il
Galileo, e tale, che forse none altrettanto in tutto questo li-
hio . » Mk
G. LiE. T. iiu l3
j84 la GERUSALEMME
Quanto egli può va col gran braccio* avante,
E cerca il ferro no , ma il corpo avverso :
Quel tenta aditi novi in ogn' istante :
Questi gli ha il ferro al volto ognor converso .
Minaccia , e intento a proibirgli stassi
Furtive entrate, e subiti trapassi.
XIII.
Così pugna naval, quando non spira
Per lo piano del mare Affrico o Noto,
Fra duo legni ineguali egual si mira ,
Ch' un d'altezza preval, T altro di moto.
L'un con volte e rivolte assale e gira
Da prora a poppa , e si sta V altro immoto ;
E quando il più leggier se gli avvicina,
D' alta parte minaccia alta ruina .
XIV.
Mentre il Latin di sottentrar ritenta ,
Sviando il ferro che si vede opporre ;
Vibra Argante la spada , e gli appresenta
La punta agli occhi : egli al riparo accorre ;
Ma lei sì presta allor, sì violenta
Cala il Pagan, che '1 difensor precorre;
St. i3. Così pugna naval ec.
— Ch' un. d' altezza preval , V altro di moto .
Virgilio nel quinto dell'Eneide, v. 43o:
« Jlle , pedum meiior niotu , fretusque juventa :
« Hic membris et mole valens : sed tarda trementi
« Genita labant .
Dalle quali parole prese per avventura l'occasione della com-
parazione qui usata il Tasso , più bella assai, di più spirito, e
che meglio esprime e mette innanzi la cosa di quella di Virgilio
nello stesso luo£;o.
Non men leggiadra ed acconcia sarebbe stata la comparazione
del lione e dell'elefante. De' quali scrive Platone, che venutila
guerra , il lione per esser agile e sciolto di membre, come si dice
qui di Tancredi , ora in qua ora in là gli s'aggira: ma \' elefante
per la grandezza del corpo sta quasi immobile, quale è quivi Ar-
gante . Certo che sarebbe stata pili pellegrina , e perciò piìi cara
agli uditori . Gew r.
LIBERATA C. XIX. iHT
It 1 fere al fianco; e, risto il fianco infermo,
Grida: lo schermitor \nnto è di schermo.
XV.
Fra lo sdegno Tancredi e la vergogna
Si rode, e lascia i soliti riguardi ;
E in cotal guisa la vendetta agogna ,
Che sua perdita stima il vincer tardi .
Sol risponde col ferro alla rampogna ,
E '1 drizza all' elmo, ove apre il passo ai guardi.
Ribatte Argante il colpo ; e risoluto
Tancredi a mezza spada è già venuto .
XVI.
Passa veloce allor col pie sinestro,
E con la manca al dritto braccio il prende ;
E con la destra intanto il lato destro
Di punte mortai issi me gli offende :
Questa (diceva) al vincitor maestro
Il vinto schermitor risposta rende.
Freme il Circasso , e si contorce e scote;
Ma il braccio prigionie!' ritrar non puote .
XVII.
Alfin lasciò la spada alla catena
Pendente, e sotto al buon tatin si spinse:
St. i5. C/if sua perdita stima il vincer tardi.
Clud. in laud. Stilic.
« . Hic vincere tarde
« Vinci pene fuit .
ESilioItal, lib. i4, V. iSg:
« Stnt mediocre decus mncentum- . ignava Juventus ;
« Hoec laus sola datur, si viso vinciti s hoste,
— Sol risponde col ferro alla rampogna.
All'ingiuria, alla viprensione. Petrarca:
« Il mio avversario con agre rampogne . GuAcsf.
St. 17. Aljin lasciò la spada alla, catena
Pendente .
Questa usanza eli portar la spada pendente alla catena non mi
ricordo averla letta in veruno scrittore antico, se non che si re-
cita da Plutarco, che quei Tedeschi , i quali furono sconfitti (hi
Mario in Italia , avevano fatta tale ordinanza nella biittas^lia, clic
V UH all'altro era incatenato con catene attaccale alla spada , o.
j86 la GERUSALEMME
Fc' ristesse Tancredi; e con gran lena
L' un calcò 1' altro , e l' un l' altro ricinse .
Ne con })iù forza dall' adusta arena
Sospese Alcide il gran gigante e strinse.
Di quella onde lacean tenaci nodi
Le nerborute braccia in varj modi .
xviii.
Tai fur gli avvolgimenti e tai le scosse,
Ch' ambi in un tempo il suol presser col fianco .
Argante, od arie o sua ventura l'osse,
Sovra lia il braccio migliore, e sotto il manco:
Ma la man eli' è più atta alle percosse.
Sottogiace impedita al guerrier Franco ;
Ond'ei, che '1 suo svantaggio e '1 rischio vede,
Si sviluppa dall' altro , e salta in piede.
alla cintura . In che guisa i Persi congiuntisi con le mani lutti
gli abitatori d'una isola greca racchiusero , e presero quasi den-
tro ad una rete, e forse che rete veramente vi usarono, secondo
il costume di certi popoli di Scizia; del quale scrive Valerio
Fiacco, lib. 6, V. 1 32 :
ft Doctns , et Auchates patiilo vaga vincula gyro
« Spargere , et extremas laqueis adducere tiinnas .
Ma di questo non è al proposilo di qui ragionare . Gent.
— A^ con più forza dall' adusta arena ce.
Di Anteo nella Libia ucciso da Ercole coli' averlo da terra alza-
to e stretto al petto, soffocatolo, fa menzione Apollodoro nel se-
condo libro della Biblioteca. Guast.
Tocca la favola di Anteo, del quale dicono i poeti, come Luca-
no nel 4 , che era Re di Libia , ed era di natura tale, che quante
volte toccava la terra rinfrescava le forze, e ciò avveniva per es-
sere egli, dicono i poeti, Gglio di essa terra . L'istoria di questa
cosa è, che fu gigante, come appare dalle parole di Plutarco nel-
la vita di Sertorio: Tjgcnnam oppidutn , in quo Axcaìius , etjra-
tres conjugerant , expugnavit ; ibi scpiiltum esse Anteum incoìoe
t raduni , ejusque monumentum cum propter magnitudinem asse-
rentibus barharis non prcestaret , perjodit ; ibique reperto carpare
septuaginta cubitorum , obstupuit , restauratoque tumulo , famam
e/US honoremque au.rit. La qual cosa viene da Strabonc nel i3
della Geografia detta j e da Giulio Ferretti nel trattato de Duello
al i8 num. q^. Questa favola viene tocca da Giovenale alla Sati-
ra 3 , V. 88 :
« Et longum invalidi collnm cen'icibus cequat
« Hercuììs , Antositm procul a tellure tenentis .
E negli Epigrammi Greci al libro primo wj a>'Wi'<$aj . Marx*
LIBERATA C. XIX. 1S7
XIX.
Sorge più tardi , e un gran fendente, m prima.
Che sorto ei sia, vien sopra al Saracino:
Ma come aJT Euro la frondosa cima
Piega, e in un tempo la solleva il pino;
Così lui sua virtLite alza e sublima ,
Quando ei n' è già per ricader più chino .
Or ricomincian qui colpi a vicenda :
La pugna ha manco d'arte, ed è più orrenda.]
XX.
Esce a Tancredi in più d' un loco il sangue;
Ma ne versa il Pagan quasi torrenti.
Già nelle sceme forze il furor langue ,
Sì come fiamma in debili alimenti .
Tancredi , che '1 vedea col braccio esangue
Girare i colpi ad or ad or più lenti ,
Dal magnammo cor deposta l' ira,
Placido gli ragiona , e 1 pie ritira .
XXI.
Cedimi, uom forte; o riconoscer voglia
Me per tuo vincitore , o la fortuna :
Né ricerco da te trionfo, o spoglia ;
Né mi riserbo in te ragione alcuna .
Terribile il Pagan più che mai soglia ,
Tutte le furie sue desta e raguna .
Risponde : or dunque il meglio aver ti vanto ,
Ed osi di viltà tentare Argante?
XXII.
Usa la sorte tua, che nulla io temo;
Né lascerò la tua follia impunita .
Come face rinforza anzi l' estremo
Le fiamme, e luminosa esce di vita;
St. 22. Usa la sorte tua .
Serviti del beneficio della fortuna . Virgilio nel 12 in persoaa
(li Turno mal condotto, e cacciata a terra da Enea:
« Uterc sorte tua . GoiST.
— Come face rinforza arni V estremo «e.
/^
i88 LA GERUSALLxMiME
Tal, n'empiendo ei d'ira il sangue scemo ^
Rinvigorì la gagliardia smarrita:
E r ore della morte ornai vicine
Volse illustrar con generoso fine .
XXIII.
La man sinistra alla compagna accosta,
E con ambe congiunte il ferro abbassa :
Cala un fendente, e benché trovi opposta
La spada ostil, la sforza ed oltre passa
Scende alla spalla , e giù di costa in costa
Molte ferite in un sol punto lassa .
Se non teme Tancredi , il petto audace
Non fé' natura di timor capace .
XXIV.
Quel doppia il colpo orribile; ed al vento
Le forze e l' ire inutilmente ha sparte;
Perchè Tancredi, alla percossa intento ,
Se ne sottrasse , e si lanciò in disparte .
Tu , dal tuo peso tratto , in giù col mento
N' andasti Argante, e non potesti aitarle:
Per te cadesti, avventuroso in tanto.
Gli' altri non ha di tua caduta il vanto .
Comparazione attissima per dimostrare la vita nostra, percioc-
ché la successione della generazione umana fu comparata dagli
antichi a quelle faci ardenti che ne' giuochi di Atene solevano
quei che a cavallo correvano , l'un l'altro darsi nelle mani. On-
de Lucrezio dice de' padri e de' figliuoli:
a Et <}uasi cursores vitoe lampada tradunf .
E di qui è, che alcuni filosofi dissero, che gli uomini si ap-
pellassero ■^uìTti . il qual nome è tirato dal lume. Perchè pensa^
Tano che l' anima e la vita nostra non fosse altro che un lume .
Gent.
St. al^. Quel doppia il capo orribile ; ed al vento
Le forze e V ire inutilmente ha sparte .
Virgilio nel 5 :
" ille ictum venientem a vertice velox
u Proevidit , celeriquc elapsus corpore cessil :
« Entdlus l'ires in ventum effudit . GoAST.
LIBERATA C. XIX. tfi^
XXV.
Il cader dilatò le piaghe aperte ,
E "1 sangue espresso dilagando scese .
Punta ei la manca in terra , e si converte
Ritto sovra un ginocchio alle difese :
Renditi, grida j e gli fa nove offerte,
Senza noiarlo, il vincitor cortese.
Quegli di furto intanto il ferro caccia ,
E sul tallone il fiede ; indi il minaccia .
XXVI.
Infun'ossi allor Tancredi, e disse:
Così abusi, fellon, la pietà mia?
Poi la spada gii fisse e gli rifisse
Nella visiera, ove accertò la via.
Moriva Argante , e tal moria qual visse :
Minacciava, morendo, e non langm'a.
Superbi, formidabili e feroci
Gli ultimi moti fur, l'ultime voci.
XXVII.
Ripon Tancredi il ferro ; e poi devoto
St. 26. Minacciava morendo , e non languia .
Nulla di più acconcio e di piìi sublime a rappresentare la co-
stanza del carattere di Argante per sino nella morte, quanto que-
sto suo minacciare senza ch'egli punto languisca. In simile guisa
Floro (lib. I cap. 18) nella battaglia contro di Pirro descrive i
soldati Romani colle minacce in volto ancor dopo estìnti : Qui"
dam hostibus suis immortiii ; omnium, in manibus enses , et reli-
ctce in vultibus mi noe . Salustio nella Guerra Catilinaria dice che
Catilina spirante serbava n«l volto la ferocia stessa ch'aveva già
avuta in vita: Catilina longe a suis inter hostium cadavera re"
pertus est , paulum etiam , spirans Jerociamque animi <juam, ha'
buerat vivus, in vultu retinens . E Claudiano attribui«ce a' cada*
veri de'Giganti più spolpati il minacciar tuttavia crudelmente,
Lib. ò , de Rapi. Proserp.
« hic prodigiosa Gigantum
¥. Tergora dependent , et adltuc crudele minantur
« AffixcB facies trìincis , immaniacjue ossa
« Serpentum , passim. tum.ulis exanguibus albent ,
« Et rigidoe multo suspirant fulmine pelles ec. ec, M.
St. 27. Ripon Tancredi il /erro, e poi devoto ce.
Secondo 1' antico costume^ dal (juaU fu argomentato contra
I90 LA GERUSALEMME
Ringrazia Dio del trionfale onore .
Ma lasciato di forze ha quasi vóto
La sanguigna vittoria il vincitore .
Teme egli assai che del viaggio al molo
Durar non possa il suo fievoi vigore :
Pur s' incammina ; e così passo passo
Per le già corse vie move il pie lasso .
XXVIII.
Trar molto il deb il fianco oltra non puote^
E quanto più si sforza j. e piiì s'affanna:
Onde in terra s asside, e pon le gote
Sulla destra , che par tremula canna .
Ciò che vedea , pargii veder che rote y
E di tenebre il dì già gli s' appanna.
Alfin isvienej e '1 vincitor dal vinto
Non ben sana, nel rimirar, distinto.
LXIX.
Mentre qui segue la solinga guerra,
Che privata cagion fé' così ardente,
L' ira de' vincitor trascorre ed erra
Per la città sul popolo nocente .
Or chi giammai dell' espugnata terra
Potrebbe appien l' immagine dolente
Menelao , che non avesse vinto Paride , il quale s' eia l'uggito dal
duello. Perciocché non rese grazie a Dio, ma lo ilicusò d' aveili
ritolto Paride dalle mani. Del qual Paride forse si devono pren-
dere quelle parole d'Ennio , nell' Ecuba ;
« Juppiter tibi summe tandem re male gesta gratular ,
ìAest , grati OS ago. Le quali parole piìi si converebbero ad un
Cristiano, dovendosi in ogni sorte o buona o rea che sia, la vo-
lontà del grande Iddio ringraziarsi, e non mai a verun paLto ac-
cusarsi, siccome altrove dicemmo del destino , che non è altro
che la volontà ed il decreto d'Iddio: siccome il Tasso e gli al-
tri pii scrittori l' interprelano . Gent.
St. 29. Mentre qxii segue la solingtt guerra ec.
Privata ragione domanda l'ira, la raisbia e il desiderio di vin-
cersi 1' un r altro , conceputo e rimasto in ciaschedun di essi fin
da quel di che per pubblica cagione avea combattuto insieme; e
da questo per avventura spinto, il domandò ancora di sopra piìi
nemico proprio ch« comune.
LIBERATA C. XIX. igt
Ritrarre in carte? od adeguar parlando
Lo spettacolo atroce e miserando ?
XXX.
Ogni cosa di strage era già pieno :
Vedeansi in mucchi e in monti i corpi avvolti.
Là i feriti sui morti , e qui giaciéno
Sotto morti insepolti egri sepolti .
. Fuggian , premendo 1 pargoletti al seno ,
Le meste madri co' capegli sciolti ;
E 1 predator , di spoglie e di rapine
Carco , stringea le vergini nel crine .
XXXI.
Ma per le vie eli' al più sublime colle
Saglion verso Occidente, ov' è il gran tempio,
Tutto del sangue ostile orrido e molle
Rinaldo corre, e caccia il popol empio.
La fera spada il generoso estolle
Sovra gli armati capi , e ne fa scempio .
È schermo frale ogn' elmo ed ogni scudo :
Difesa è qui 1' esser dell' arme ignudo .
XXXII.
Sol contra il ferro il nobil ferro adopra ,
£ sdegna negi' inermi esser feroce :
St. 3o. Ogni cosa dì strage era già pieno .
Ogni cosa pieno : frase antica . Boccaccio: Etsendojreddi gran-
dissimi , ed ogni cosa pieno di neve e ghiaccio . GuAST.
— Fuggian /premendo i pargoletti al seno ,
Le meste madri .
Tolto da Virgilio, che nel 9 dell'Eneide così dice:
« Et trepidce matres pressere ad pectora natos .
Il qual verso medesimamente imitò l'Ariosto al cauto vigesimo-
settimo, stan. loi :
« Si strinsero le madri i figli al seno. Màbt.
St. 3i. Saglion verso Occidente , ov' il gran tempio .
Di Salomone, come segue nella stanza 33, e si hadaBoberlo
Monaco nel libro ottavo.
— Difesa è qui V esser dtW arme ignudo,
St. 3a. Sol contra il ferro il nohil ferro adupra
E sdegna ne gV inermi esser J croce , ec,
%Aa notare la (JiScr«nza di g«ner«io e magnanimo yal ore, a
192 LA GERUSALEMME
E quei eli' ardir non armi , arme non copra ,
Caccia col guardo e con 1' orribil voce.
Vedresti ;, di valor mirabil opra ;
Come or disprezza , ora minaccia , or noce :
Come con rischio disegual fugati
Sono egualmente pur nudi ed armati .
XXXIII.
Già col più imbelle volgo anco ritratto
S è non picciolo stuol del più guerriero
Nel Tempio , che più volte arso e rifatto
Si noma ancor , dal fondator primiero^
Di Salomone ; e fu per lui già fatto
Di cedri e d' oro e di bei marmi altero ,
Or non sì ricco già, pur saldo e forte
E d' alte torri , e di ferrate porte .
XXXIV.
Giunto il gran cavaliero ove raccolte
S' eran le turbe in loco ampio e sublime ;
Trovò chiuse le porte, e trovò molte
Difese apparecchiate in sulle cime.
Alzò lo sguardo orribile , e due volte
Tutto il mirò dall' alte parti all'ime,
caìlerica e furiosa rabbia, qual'è d'Argante nel 9 canto, st. 67;
« Rota il ferro crudele, ov' è più. stretto ,
« E piit, calcato insieme il popoL Franco :
« Miete i vili e i potenti , e i pia sublimi
« E pili, superbi capi adegua agi' imi .
A quel modo anche Enea appresso Virgilio nel i» lasciato ogni
altro (la parte, solo cercava Turno fra tutti, e solamente seco vo-
leva affrontarsi, benché poi essendogli levato Turno dinnanzi da
Giuturua, ed esso percosso da Messapo , vinto da collera grandis-
sima, senza differenza facesse uccisione di grandi e piccioli, e di
quairti se gli paravano dinnanzi ,
St. 34. Alzò lo sguardo orribile , e due volte ec.
In simile guisa è da Virgilio descritto Ercole che furibondo va
in traccia di Caco,En. 8, v. 228.
« Ecce Jurens animis aderat Tirynthius ,omnem(jue
« Acccssum liiitrans , huc ora ferebat , et Ulne .
« Dentibus infrendens , ter toturn fervidus ira
« Lustrai Aventini montem; ter sa.rea tentat
« Lumina ec GVAST.
LIBERATA C. XIX. 19?
Varco angusto cercando; ed altrettante
Il circondò con le veloci piante .
XXXV.
Qaal lupo predatore all' aer bruno
Le chiuse mandre, insidiando, aggira,
Secco r avide fauci, e nel digiuno.
Da nativo odio stimolato e d'ira;
Tale egli intorno spia s adito alcuno
( Piano od erto che siasi ) aprir si mira :
Si l'erma alfin nella gran piazza ; e d' alto
Stanno aspettando i miseri 1' assalto .
XXXVI.
In disparte giacca ( qual che si fosse
L' uso a cui si serbava ) eccelsa trave :
IN è così alte mai , ne così grosse
Spiega r antenne sue Ligura nave .
Ver la gran porta il cavalier la mosse
Con quella man cui nessun pondo è grave '
E recandosi lei di lancia in modo.
Urtò d incontro impetuoso e sodo .
xxxvii.
Restar non può marmo o metallo avanti
Al duro urtare , al riurtar più forte .
Svelse dal sasso i cardini sonanti;
Ruppe i serragli, ed abbattè le porte.
Non l'ariete di far più si vanti;
Non la bombarda, fulmine di morte.
Per la dischiusa via la gente inonda,
Quasi un diluvio, e '1 vincitor seconda.
xxxviii.
Rende misera strage atra e funesta
L' alta magion , che fu magion di Dio .
O giustizia del Ciel , quanto men presta ,
Tanto più grave sovra il popol rio!
Ut. 38. O giustizia del Ciel , quanto men presta ce.
194 LA GERUSALEMME
Dal tuo secreto provveder fu desta
L' ira ne' cor pietosi , e incrudelio .
Lavò col sangue suo 1' empio Pagano
Quel tempio, che già fatto avea profano .
XXXIX.
Ma intanto Soliman ve'r la gran torre
Ito se n'è, che di David s'appella;
E qui fa de' guerrier 1' avanzo accórre ,
E sbarra intorno e questa strada e quella :
E '1 tiranno Aladino anco vi corre.
Come il Soldan lui vede, a lui favella:
Vieni , o famoso Re , vieni , e là sovra
Alia rocca fortissima ricovra :
XL.
Che dal .furor delle nemiche spade
Guardar vi puoi la tua salute, e '1 regno:
Ohimè, risponde, ohimè, che la cittaLle
Strucae dal fondo suo barbaro sdegno
Sentenza verissima, e parimente celebrala dagli Etnici e dai
Cristiani . Ed il Tasso imita quelle parole di Dante. Inf. ì^:
« O giustizia del del , quanto ò severi ,
« Che cotai colpi per vendetta croscia ! Gent.
In questi versi leggiadramente esprime quella sentenza di Va-
lerio Massimo: Lento grada ad l'indictam divina procediti ira ,
^ed gravitate siipplicii pcence gravitate compensat ; 1^ qual tu pri-
mieramente dal Principe de' poeti greci in così fatte parole tocca-
ta al 4 dell' Iliade:
« .—. . . Contemni numen Olympi
« Haud impune sinunt Superi sccelera impia, quamquam
« Distulcrint , culpas hominum graviora morantur
« Supplicia .
E da Dante:
<c La spada di là su non taglia in fretta .
E dall' Ariosio al canto 3^ , stan. io5 :
« La qual , se ben tarda a venir , compensa
(( L' indugio poi con punizione immensa.
E da Bernardo Tasso al canto 32 al canto 34 dell' Amadigi all-k
prima stanza. Quindi ne nacque il proverbio; f^indicta sera, tcd
gravis . Mart,
St. 39. Ma intanto Soliman vèr la gran torre ec.
La torre di David era il forte d«lU città .
LIBERATA. C. XIX. 195
E la mia vita, e '1 nostro imperio cade!
Vissi e regnai: non vivo or più né regno .
Ben si può dir, noi fummo: a tutti è giunto
L' ultimo di, Tinevitabil punto .
XLI.
Ov'è- signor, la tua virtute antica?
(Disse il Soldan tutto cruccioso allora)
Tolgaci i regni pur sorte nemica ;
Che '1 regal pregio è nostro , e in noi dimora .
Ma colà dentro ornai dalla fatica
Le stanche e gravi tue membra ristora.
Così gli parla ; e fa che si raccoglia
Il vecchio Re nella guardata soglia .
XLII.
Egli ferrata mazza a due man prende ,
E si ripon la fida spada al fianco ;
St. 4o. Vissi , e regnai; non vivo più , Tiè regno: ec.
Virgilio nel 2, V. 324:
a Venit summa dìes et ineluctahile tempiis
n Dardanioe : fiùmus Troes , fuit Ilium , et ingcna
« Gloria Teucrorum . GtiAST.
Vissi, cioè fui già felice. Perchè vivere in senso latino e greco
si prende per menare vita allegra ed amorosa. Varrò FI p< (ptXo-
VfiKla? : Properate vivere puerce , quas sinit cetatula ludere , es-
se et amare, et Veneris tenere bigas . E Seneca racconta nell'e-
pistole di un certo Pacuvio, che quando s'era quasi seppellito nel-
le vivande e nel vino, una greggia di uomini impudici lo ripor-
tava dentro alla camera, con suoni musici , e con voci, che di-
eeano, B^/Sùxé , /3c/3/w)tf , che vuol dire. « E' visse , e' visse » .
Appo i Romani si usava questo modo di dire eziandio per ischi-
fare l'infausto annunzio della morte. Per lo che Cicerone, avendo
fatto i congiurati giustiziare, ed uscendo fuori della Curia, con
alta voce pronunziò al circostante popolo, Vixerunt, siccome re-
cita Plutarco nella sua vita .
St. [^l. Tolgaci i regni pur sorte nemica ;
Che 7 regal pregio è nostro , e in noi dimora .
Imita, se non m'inganno, quei ver&i di Accio, •critti da lui
nella Tragedia Telefo:
« Nam si a me regnum Fortuna , atque opes
« E ri pere quivit , et virtutem nequivit ,
Paiole veramente generose e degne di Re. Gext.
i9<5 LA GERUSALEMME
E slassi al varco intrepido , e tlifende
Il chiuso delle strade al popol Franco.
Eran mortali le percosse orrende :
Quella che non uccide, atterra almanco.
Già fugge ognun dalla sbarrata piazza ,
Dove appressar vede 1' orribil mazza.
XLIII.
Ecco da fera conìpagnia seguito
Sopraggiungeva il Tolosan Raimondo .
Al periglioso passo il vecchio ardito
Corse, e sprezzò di quei gran colpi il pondo.
Primo ei ferì; ma invano ebbe ferito :
Non ferì invano il feri lo r secondo;
Ch' in fronte il colse , e l' atterrò col peso
Supin, tremante _, a braccia aperte, e sleso.
XLIV.
Finalmente ritorna anco ne' vinti
La virtù , che '1 timore avea fugata :
E i Franchi vincitori o son rispinti ,
O pur caggiono uccisi in su 1' entrata .
Ma il Soldan , che giacere infra gli estinti
Il tramortito duce ai pie si guata ,
Grida a i suoi cavalier : costui sia tratto
Dentro alle sbarre _, e prigionier sia fatto .
XLV.
Si movon quegli ad eseguir F effetto ;
Ma trovan dura e faticosa impresa ;
Perchè non è d' alcun de' suoi negletto
Raimondo, e corron tutti in sua difesa.
Quinci furor, quindi pietoso affetto
Pugna; nò vii cagione è di contesa:
St. i^/J né vii ragione è di contesa : ec.
Oiiino in Simile proposito, ooni'ò sua usanza ili paiticolareg-
piai siMiipro assai , noi 22 dell' Iliade, uoniiuù qual non fosse vile
cagion di contesa, dicendo, V. i58:
llpóc^iì ah ì<j'^Kqs tCpfuyf , 5t'.jKf ^'r fj.lv fi.^y du.iTv(j>}v
LIBERATA €. XIX. 197
Di sì grand' uom la libertà, la vita
Questi a guardar _, quegli a rapire invita.
XLVI.
Pur vinto avrebbe a lungo andar la prova
Il Soldano, ostinato alla vendetta;
Ch' alla fulminea mazza oppor non giova
0 doppio scudo , o tempra d' elmo eletta :
Ma grande aita a' suoi nemici e nova
Di qua , di là vede arrivare in fretta :
Che da duo lati opposti in un sol punto
Il sopran Duce e '1 gran guerriero è giunto .
XLVII.
Come pastor, quando fremendo intorno
Il vento e i tuoni , e balenando i lampi ,
Afvvc^yjv , a tb ttocciv oiì^Xici. yipviT&.i dv^puiv j
AXXà TTfpi ^VX^^ ^^^^ ^ XTOpOJ e TTTToSa/XOiO .
Cioè:
« Innanzi fuggiva il buono , e seguitava il molto migliore
« Velocementej perciocché non una vittima, né un tergo di
bue
« Correvano, quali sono i premj a'piedi degli uomini correnti,
« Ma correvano per l'anima d'Ettore domator de'cavalli.
Fi nella comparazione altresì , che segue pur particolareggia ,
!r. i6ai
'Qi S' 0 r ttt6\o(J)po( TTfpi Tfpfiara |u.wvu)^f? iTnrct
P< fj.<pa. fx&.Xa Tf>u}-)((h(^t , TÒ h (j-iya. xHTai atS'Xov .
H'' Tp«'7rof , ))ì yuvjj, àv5pb$ xaTaTtèvfiwro?
Cioè:
« E come quando intorno alle mete, i cavilli d'una-unghia-so-
la , giuocatori
« Molto velocemente corrono , e grande è proposto il premio ,
« O treppiè, o donna del morto marito; Cosi ec.
Ma Virgilio , che in queste minute descrizioni, non seppe, co-
me dice il Castelvetro, o non volle, com'io immagino piuttosto,
imitarlo, nel 12 dell'Eneide stette pur su l'universale, dicen-
do, V. 762:
« Qitintfue orbes explent ciirsii , totidemque retexvnt
« Huc , Ulne ; nec enim levia aut ludicra peluntur
« Proemia , sed Turni de l'ita et sanguine certant . Gvasx»
St. /^7. Come paslor ; quando fremendo intorno , ':c.
jf)8 LA GERUSALEMME
Vede oscurar di mille nubi il giorno.
Ritrae la greggia dagli aperti campi ,
E sollecito cerca alcun soggiorno,
Ove r ira del ciel securo scampi :
Eì col grido indrizzando e con la verga
Le mandre innanzi, agli ultimi s' atterga :
XLVIII.
Così il Pagan, che già venir sentia
L'irreparabil turbo e la tempesta ,
Che di fremiti orrendi il ciel feria ,
D' arme ingombrando e quella parte e questa ;
Le custodite genti innanzi invia
Nella gran torre, ed egli ultimo resta;
Ultimo parte, e sì cede al periglio,
Ch' audace appare in provido consiglio .
XLIX.
Pur a fatica avvien che si ripari
Dentro alle porte ; e le riserra appena ,
Che già rotte le sbarre, ai limitari
Rinaldo vien , ne quivi anco s' affrena .
Desio di superar chi non ha pari
In opra d' arme, e giuramento il mena :
Che non oblia, che 'n voto egli promise
Di dai^ morte a colui che '1 Dano uccise.
L.
E ben allor allor l' invitta mano
Tentato avri'a l'inespugnabil muro:
Ne forse colà dentro era il Soldano
Dal fatai suo nemico assai securo :
Imita quei versi di Omero, Iliad. 4> v. ajS:
Ep)^OHXfVOV XXTÒt. TTOVTOV ÙttÒ Ztf)Vf)OlO lUlVIi ,
Tùi U T oLvfuS'év tóvTi /ufXavnpof vivrs Tri'aca ,
*J)XlVtT ihv KXTX TTo'vTOV, Oiyd Sì Ti KclÌKCLTCX TTOWViV
PjVic^'v Ti iSdv , uVb Ti Cittì i)( ^KxciuyfXoL. .
Cioè: V. Siccome talora dall' alto d'una rupe il pastore ic orge
LIBERATA C. XIX. uy.)
Ma già suona a ritratta il Capitano;
Già l'orizzonte d' ogni intorno è scuro:
Goffredo alloggia nella Terra, e vuole
Rinnovar poi 1' assalto al novo Sole.
LI.
Diceva a* suoi, lietissimo in sembianza:
Favorito ha il gran Dio l' armi Cristiane :
Fatto è il sommo de' fatti, e poco avanza
Dell' opra, e nulla del timor rimane.
La torre ( estrema e misera speranza
Degl'Infedeli) espugnerem dimane.
Pietà frattanto a confortar v' inviti
Con sollecito amor gli egri e i feriti .
LII.
Ite, e curate quei c'iian fatto acquisto
Di questa patria a noi col sangue loro .
Ciò più conviensi ai cavalier di Cristo ,
Che desio di vendetta o di tesoro .
Troppo, ahi! troppo di strage oggi s' è visto :
Troppa in alcuni avidità dell' oro .
Rapir più oltra, e incrudelire io vieto :
Or divulghin le trombe il mio divieto.
LUI.
Tacque : e poi se n' andò la dove il Conte
Riavuto dal colpo anco ne geme.
« un nembo venir sul mare sospinto dal soffio eli zefiro, e cosi da
« lungi avanzando, lungo il mare gli apparisce piii nero che pe-
« ce, e trae seco molta tempesta: egli raccapriccia a tal vista, e
« caccia il gregge sotto una grotta , ce.
I quali versi mi pajono quasi incomparabili. Gent.
St. 5o. AJa fila suona a ritratta il Capitano .
A raccolta . Gio. Villani al lib. 7 cap. 68: AJa sappiendulo il Fa
fece suonare le trombe alla ritratt 1 : e anche altrove .
St. Sa. Ite, e curate quei e' han Jattu acquisto
Di questa patria a noi col sangue loro .
Virgilio neir 1 1 , v. i\ :
« Ite, alt , egregias animas , quoe sanguine nohis
u Hanc patriatn pepercre suo , decorate supremis-
« Muneribus .
G. LlB. T- III. j4
20O LA GERUSALEMME
Ne Soliman con meno ardita fronte
A' suoi ragiona, e '1 duol nell' alma preme:
Siate, o compagni, di Fortuna all' onte
Invitti, insin che verde è fior di speme;
Gilè sotto alta apparenza di fallace
Spavento, oggi men grave il danno giace.
LIV.
Prese i nemici han sol le mura e i tetti,
E '1 volgo umi'l, non la cittade han presa;
Che nel capo del Re, ne' vostri petti ,
Nelle man vostre è la città compresa.
Veggio il Re salvo , e salvi i suoi più eletti;
Veggio che ne circonda alta difesa .
Vano trofeo d' abbandonata terra
Abbiansi i Franchi ; alfin perdan la guerra .
LV.
E certo io son che perderanla al fine ;
Che , nella sorte prospera insolenti ,
Fian vólti agli omicidj , alle rapine,
Ed agi ingiuriosi abbracciamenti .
E saran di leggier tra le mine ,
Tra gli stupri e le prede oppressi e spenti,
Se in tanta tracotanza omai sorgiunge
L' oste d' Egitto ; e non puote esser lunge .
St. 53. I ni' itti , insin che verde h fior di speme.
Fin che ci è punto, o nulla di speranza. Fiore vai punto, o
alcuna cosa , come osservò prima cU lutti il Bembo, ed altri dopo
lui . Il luogo è imitato da Dante nel 3 del Purgat.
« Mentre che la speranza ha fior del verde.
Tuttavia si potrebbe anco dire, che la voce fiore non è posta a
questo modo j anzi sta pure nella sua più comune signifu azione
( che che si dica l' Infarinato, alla cui ragione da noi altrove è
stato risposto ) ed esporrassi così: Insin. che verde è fior di spe-
me; cioè fin eh' è verde e vivo il fiore della .speranza . Il luogo di
Dante è ben anche Ietto da altri in altro modo, cioè cosi:
" Mentre die hi speranza è fuor del l'erde .
Ma il considerare qual lettura sia migliore, non la ora luogo. Go.
St. 55. Se in tanta tracotanza omai sorgiunge .
Tracotanza vuol dire presunzione temeraria; in tal significato
LIBERATA C. XIX. v.o
LVI. '
Inlanlo noi signore^iar co' sassi
Potrem della città gli alti edifìci ;
Ed ogni calle , onde al Sepolcro \ assi ;
Torran le nostre macchine ai nemici .
Così , vigor porgendo ai cor già lassi ,
La speme rinnovò negl'infelici.
Or, mentre qui tai cose eran passate,
Errò Vafrin tra mille schiere armate .
LVII.
All'esercito avverso eletto in spia,
Già declinando il Sol, partì Vafrino:
E corse oscura e solitaria via
Notturno e sconosciuto peregrino .
Ascalona passò , che non usci'a
Dal balcon d'Oriente anco il mattino;
Poi, quando è nel meriggio il solar l;impo ,
A vista fu del poderoso campo .
LVIII.
Vide tende infinite , e ventilanti
Stendardi in cima azzurri e persi e gialli j
E tante udì lingue discordi , e tanti
Timpani e corni e barbari metalli,
E voci di cammelli e d' elefanti ,
Tra '1 nitrir de' magnanimi cavalli,
Che fra sé disse: qui V Affrica tutta
Traslata viene, e qui 1' Asia è condutta,
LIX.
Mira egli alquanto pria come sia forte
Del campo il sito, e qual vallo il circonde:
Poscia non tenta vie furtive e torte ,
Né dal frequente popolo s'asconde^
l'usò Dante al canto 8 dell'Inferno:
« Questa lor tracotanza non m è nova .
E al canto 9 dell'Inferno:
u Onde 'està tracotanza in voi s' alletta ? Mart.
20Ì LA GERUSALEMME
Ma per dritto sentier tra regie porte
Trapassa , ed or dimanda ed or risponde .
A dimande, a risposte astute e pronte
Accoppia baldanzosa , audace fronte .
LX,
Di qua , di là sollecito s' aggira
Per le vie^ per le piazze e per le tende:
I guerrier, i destrier 1' arme rimira
L' arti e gli ordini osserva , e i nomi apprende.
Nò di ciò pago, a maggior cose aspira :
Spia gii occulti disegni , e parte intende .
Tanto s' avvolge, e così destro e piano,
Ch' adito s' apre al padiglion soprano .
LXI.
Vede, mirando qui, sdrucita tela,
Ond'ha varco la voce, onde si scerne.
Che là proprio risponde ove son de la
Stanza regal le ritirate interne;
SI che i secreti del Signor mal cela
Ad uom che ascolti dalle parti esterne .
Vafrin vi guata , e par eh' ad altro intenda ,
Come sia cura sua conciar la tenda .
LXIF.
Stavasi il Capitan la testa ignudo ,
Le membra armnto , e con purpureo ammanto
Lunge duo paggi avean 1' elmo e lo scudo :
Preme egli un' asta , e vi s' appoggia alquanto.
Guardava un uom di torvo aspetto e crudo ,
Membruto ed alto , il qual gli era da canto .
Vafrino è attento , e di Goffredo a nome
Parlar sentendo , alza gli orecchi al nome .
St. Gì. Ond'ha varco la voce , onde si scerne.
Dal qual luogo aveva adito , e l' udire e ì vedere .
— Che là
Che , cioè perchè .
proprio .
LIBERATA C. XIX. 3o3
LXIII.
Parla il Duce a colui: dunque sicuro
Sei così tu di dar morte a Goffredo ?
Risponde quegli: io sonne, e 'n corte giuro
Non tornar mai , se vincitor non riedo :
Preverrò ben color che meco'furo
Al congiurare; e premio altro non cinedo _,
Se non eh' io possa un bel trofeo dell' armi
Drizzar nel Cairo, e sottopor tai carmi:
LXIV.
Queste arme in guerra al Capitan Francese
Distruggitor dell'Asia, Ormondo trasse.
Quando gii trasse 1' alma ; e le sospese ,
Perchè memoria ad ogni età ne passe .
Non fia (1' altro dicea ) che '1 Re cortese
L' opera grande inonorata lasse :
Ben ei darà ciò che per te si chiede;
Ma con giùnta 1' avrai d' alta mercede .
LXV.
Or apparecchia pur l' armi mentite ;
Che '1 giorno omai della battaglia è presso.
St. 6^. Queste arme in guerra al Capitan Francese ec.
Par che volesse imitar quel luogo d' Omero cosi tradotto da Ci-
cerone lib. 2 , de Gloria :
« Hic situs est aliquis jampridem lumina linquens ,
« Qui quondam Hectoreo percuisus concidit ense .
« Fabitur hoec aliquis: mea semper gloria vii-et .
Le quali parole sono proferite da Ettore con pari vanagloria,
che da questo Ormondo le sue . Gent.
Imitazione d'Omero, appo il quale Ettore nel 7 dell'Iliade,
Trincendo nel duello, non vuole altro premio del vinto, che 1' ar-
mi per appenderle a sua gloria nel tempio d' Apolline. Ma Dolo-
ne nel io offertosi per ispia a'Trojani dimanda cose di più , e
vuole da Ettore ed armi, e cocchio, e cavalli; e le vuole col giu-
ramento innanzi; ed Ettore da buon Capitano, senza pensar se le
potrà avere od altro , gliele promette incontinente. E anco da ve-
dere per comparazione l'offerta di Niso in Virgilio nel 9. dell' En.
— Bdn ei darà ciò che per te si chiede ;
Ma con giunta l' avrai d' alta mercede.
Ben poteva costui dir cosi, perchè Ormondo o volea ritornar
vincitore , o non tornar mai più .
?.o4 LA GERUSALEMME
Son , rispose , già preste . E qui , fornite
Queste parole, e il Duce tacque ed esso .
Restò Vafrino alle gran cose udite
Sospeso e dubbio ; e rivolgea in se stesso
Quali arti di congiura, e quali sieno
Le mentite arnie , e noi comprese appieno .
LXVI.
Indi partissi; e quella notte intera
Desto passò ; eh' occhio serrar non volse.
Ma quando poi di novo ogni bandiera
All' aure mattutine il Campo sciolse,
Anch' ei marciò con 1' altra gente in schiera;
Fermossi anch' egli ov' ella albergo tolse ;
E pur anco tornò di tenda in tenda ,
Per udir cosa , onde il ver meglio intenda .
LXVII.
Cercando , trova in sede alta e pomposa
Fra cavalieri Armida e fra donzelle ,
Che stassi in sé romita; e sospirosa
Fra se co' suoi pensier par che favelle .
Sulla candida man la guancia posa ,
E china a terra 1' amorose stelle .
Non sa se pianga o no : ben può vederle
Umidi gli occhi e gravidi di perle .
LXVIII.
Vedele incontra il fero Adrasto assiso,
Che par eh' occhio non batta e che non spiri:
Tanto da lei pendea , tanto in lei fiso
Pasceva i suoi famelici desiri .
Ma Tisaferno or l'uno, or 1' altra in viso
Guardando , or vien che brami , or che s' adiri;
E segna il mobil volto or di colore
Di rabbioso disdegno , ed or d' amore .
St. 67. Fra ve co' suoi pensier par che favelle re.
Diatiposi che ha evidenza raarayiiiliosa.
LIBERATA C. XIX. 20J
LXIX.
Scorge poscia Altamor, che 'n cerchio accolto
Fra le donzelle alquanto era in disparte:
Non lascia il desir vago a freno sciolto.
Ma gira gli occhi cupidi con arte.
Volge un guardo alla mano, uno al bel volto
Talora insidia più guardata parte;
E là s'interna, ove mal cauto apri'a
Fra due mamme un bel vel secreta via .
LXX.
Alza al fin gli occhi Armida, e pur alquanto
La bella fronte sua torna serena ;
E repente fra i nuvoli del pianto
Un soave sorriso apre e balena .
Signor, dicea, membrando il vostro vanto,
L' anima mia puote scemar la pena;
Che d'esser vendicata in breve aspetta:
E dolce è V ira in aspettar vendetta .
LXXI.
Risponde F Indian : la fronte mesta
Deh , per Dio, rasserena, e '1 duolo alleggia^
Ch' assai tosto avverrà che 1' empia testa
Di quel Rinaldo a' pie tronca ti veggia:
O menerolti prigionier con questa
Ultrice mano, ove prigion tu '1 chieggia.
Così promisi in voto . Or 1' altro eh' ode.
Motto non fa ; ma tra suo cor si rode .
LXXII.
Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo :
Tu, che dici, signor? colei soggiunge.
Risponde egli infingendo: io, che son tardo,
Seguiterò il valor così da lunge
Di questo tuo teiTÌbile e gagliardo :
K con tai detti amaramente il punge.
Ripiglia lindo allor : ben è ragione,
Che lunge segua, e tema il paragone..
2o6 L.\ GEEIUSALEMME
LXXIII.
Crollando Tisaferno il capo altero ,
Disse: oh foss' io signor del mio talento!
Libero avessi in questa spada impero !
Che tosto e' si parn'a chi sia più lento .
Non temo io te, né tuoi gran vanti, o feroj
Ma il cielo , e '1 mio nemico Amor pavento ^
Tacque; e sorgeva Adrasto a far disfida;
Ma lo prevenne, e s'interpose Armida.
LXXIV.
Diss' ella : o cavalier, perchè quel dono ,
Donatomi più volte, anco togliete?
Miei campion sete voi : pur esser buono
Dovri'a tal nome a por tra voi quiete.
Meco s' adira chi s' adira : io sono
Neil' otfese 1' offesa ; e voi '1 sapete .
Così lor parla; e così avvien che accordi
Sotto giogo di ferro alme discordi.
LXXV.
E presente Vafrino, e 1 tutto ascolta;
E, sottrattone il vero, indi si toglie.
Spia dell' alta congiura , e lei ravvolta
Trova in silenzio , e nulla ne raccoglie.
Chiedene improntamente anco talvolta;
E la difficoltà cresce le voglie .
St. •]3. Crollando Tisaferno il capo altero ,
Disse: oh foss' io signor del mio talento !
Virgilio nel 12 dell'Eneide, v. Sg^:
« Illc caput qiiassans : non me tua fervida terrenf
« Dieta ,ferox; Dii me terreni , et Juppiter hostis ,
St. Jj^ e Cos'i ai,<vien eh' accordi
Sotto gio^o di ferro, alme discordi.
Sotto grave e temuto imperio.' Orazio 1. i, od. 33:
« Sic tiisiim Veneri, cui placet impares
« Form.as , atque aniinos sub juga ahtnaa
u Soei'o mittere cum joco , Guast.
E lo stesso :
« Diductosque jiigo cogit aheneo . ^ì&\.
LIBERATA C. XIX. :to7
O qui lasciar la vita egli è disposto ,
O riportarne il gran secreto ascosto.
LXXVI.
Mille e più vie cV accorgimento ignote,
Mille e piiì pensa inusitate frodi;
E pur con tutto ciò non gli son note
Dell' occulta congiura o 1' arme o i modi .
Fortuna alfin ( quel_, eh' ei per se non puote )
Isviluppò d'ogni suo dubbio i nodi;
Sì eh' ei distinto e manifesto intese ,
Come l'insidie al pio Buglion sian tese.
LXXVII.
Era tornato ov' è pur anco assisa
Fra' suoi campioni la nemica amante ;
Ch' ivi opportun l' investigarne avvisa ,
Ove genti traean sì varie e tante .
Or qui s' accosta a una donzella in guisa ,
Che par che v' abbia conoscenza avante :
Par v' abbia d' amistade antica usanza;
E ragiona in affabile sembianza .
LXXVIII.
Egli dìcea*^, quasi per gioco: anch'io
Vorrei d' alcuna bella esser campione;
E troncar penserei col ferro mio
Il capo o di Rinaldo o del Buglione .
Chiedila pure a me, se n'hai desio _,
La testa d' alcun barbaro barone .
Così comincia , e pensa a poco a poco
A più grave parlar ridurre il gioco .
LXXIX.
Ma in questo dir sorrise, e fé' rìdendo
Un cotal atto suo nativo usato .
St. 79. Ma in questo dir sorrìse , e fé' rìdendo
Un cotal atto suo nativo usato .
^ieouoscimento, il quale ei riduce sUla prima sorte de'ricon^-
loS LA GERUSALEMME
Una dell' altre allor qui sorgiungeiKlo ,
L' udì, gnardollo, e poi gii venne al lato .
Disse; involarti a ciascun' altra intendo;
Ne ti dorrai d' amor male impiegato .
In mio campion t'eleggo; ed in disparte,
Come a mio cavalier, vuo' ragionarle.
LXXX.
Ritirollo , e parlò : riconosciuto
Ho te, Vafrin; tu me conoscer dei.
Nel cor turbossi lo scudiero astuto;
Pur si rivolse, sorridendo, a lei:
Non t' ho ( che mi sovvenga ) unqua veduto ;
E degna pur d' esser mirata sei .
Questo so ben, ch'assai vario da quello
Che tu dicesti, è il nome , ond'io m' appello.
LXXXI.
Me sulla piaggia di Biserta aprica
Lesbin produsse , e mi nomò Almanzorre .
Tosco (disse ella), ho conoscenza antica
D' ogn' esser tuo ; né già mi voglio apporre .
Non ti celar da me, eh' io sono amica,
Ed in tuo prò vorrei la vita esporre .
Erminia son, già di re figlia, e serva
Poi di Tancredi un tempo , e tua conserva .
scimenti; cioè di quelli che si fanno per via di segni ; non essen-
do nien segno per riconoscere alcuno certi atti e gesti naturali e
ordinar] delie persone, che cicatrici, nei, e somiglianti. Questo
tolto dal riso, è preso dal Boccaccio, nel riconoscimento che di M.
Torello da Pavia fece pure in questo modo il Saladino .
St. 8i e tua conserva.
Serva in tua compagnia. Petrarca nel trionfo d'Amore:
« / miei in/elici e miseri conservi
St. 8a. Pietoso fjrigionier tn avesti in guarda .
Guarda per guardia, come anche di sopra : cosi Dante, invili-
rà per ingiuria nel ^ del Parad. e infama per in/ amia disse Guit
ton d'Arezzo. E si potrebbe per avventura ridurre a quella spe-
<:ie di nomi ch'Aristotile chiama accoreiati .
LIBERATA C. XIX. -ìoc,
LXXXII.
Nella dolce'prigion due lieti mesi,
Pietoso prigionier m'avesti in guarda,
E mi servisti in bei modi cortesi .
Ben dessa i' son, ben dessa i'son; riguarda.
Lo scudier, come pria v' ha gli occhi intesi,
La bella faccia a ravvisar non tarda :
Vivi (ella soggiungea) da me securo :
Per questo Ciel , per questo Sol tei giuro .
LXXXIII.
Anzi pregar ti vuo' che quando torni
Mi riconduca alla prigion mia cara :
Torbide notti e tenebrosi giorni
Misera vivo in liberlade amara.
E se qui per ispia forse soggiorni.
Ti si fa incontro alta fortuna e rara .
Saprai da me congiure, e ciò che altrove
Malagevol sarà che tu ritrove .
LXXXTV.
Così gli parla ; e intanto ei mira e tace :
Pensa all'esempio della falsa Armida.
Femmina è cosa garrula e fallace:
Vuole e disvuole j è folle uom che sen fida.
St. 82. Ben dessa i' son , ben dessa i' son; riguarda.
Dante, Purg. 3o:
« Guardami ben ,hen son, ben son Beatrice. Gewt.
St. 84. Femina è cosa garrula ejallace:
Vuole e disvuole.
Virgilio : Gbast.
« varium et mutabile semper
« Etìemina,
Racchiude quasi tuUo l'ingegno della femmina sotto poche pa-
role si, che nessun altro meglio. E prima gli attribuisce 1' esser
garrula meritamente. Onde appresso i Latini s'usa di dire mi/ -
lier in vece di loejuace e ciarliera. Plauto nella Casina:
« Imipìens semper tu hu'c verbo vitato abs tuo viro .
« CL. Cui verbo." Mr. l foras , mulier ex.
Dipoi r essere fallace . Ciò che dicono avvenire dal sospetto
che di ogni cosa hanno . £ finalmente l'esser mutabile, ciò che
2 18 LA GERUSALEMME
Sì tra sé volge : or , se venir ti piace ,
( Alfin le disse ) io ne sarò tua guida .
Sia fermalo Ira noi questo e conchiuso :
Serbisi il parlar d' altro a miglior uso.
LXXXV.
Gli ordini danno di salire in sella
Anzi il mover del Campo allora allora .
Parte Vafrin del padiglione ; ed ella
Si torna all' altre, e alquanto ivi dimora.
Di scherzar fa sembiante, e pur favella
Del campion novo , e se ne vien poi fuora .
Viene al loco prescritto, e s'accompagna ;
Ed escon poi del Campo alla campagna .
LXXXVI.
Già eran giunti in parte assai romita,
E già sparian le Saracine tende , .
Quando ei le disse : or di' come alla vita
Del pio Goffredo altri V insidie tende.
Ali or colei della congiura ordita
L' iniqua tela a lui dispiega e stende ,
Son (gli divisa) otto guerrier di corte ,
Tra' quali il più famoso è Ormondo il forte .
LXXXVII.
Questi ( che che lor mova, odio o disdegno )
Han cospirato; e 1 arte lor fia tale:
Quel dì che 'n hte verrà d' Asia il regno ,
Tra duo gran Campi in gran pugna campale .
clicliìara con dire Vuole e disvuole , siccome fece Terenzio nel-
y Eunuco:
« Novi ego ingenium mulierum ,
« Nolunt , ubi velis : ubi nolis , cu-piant ultra.
E Catullo, il quale gli dà il titolo di Multinola. Gekt.
Properzio :
« Nulla diujacmina pondua habet .
Il Petrarca :
« Fcmina cosa rnohil per natura .
Il Sanazzaro all'Egloga 8i ;
ti I\ vii' onda solca, e n.<:ll' arena semina.
LIBERATA C. XIX. 2m
Avran sull' arme della Croce il segno ,
E r arme avranno alla Francesa ; e quale
La guardia di GoflVedo ha bianco e d'oro
Il suo vestir , sarà V abito loro .
LXXXVIII.
Ma ciascun terrà cosa in sull' elmetto ,
Che noto a' suoi per uom Pagano il faccia :
Quando fia poi rimescolato e stretto
L' un campo e 1' altro , elli porransi in traccia
E insidieranno al valoroso petto,
Mostrando di custodi amica faccia ;
E 1 ferro armato di veleno avranno ,
Perchè mortai sia d' ogni piaga il danno .
LXXXIX.
E, perchè fra' Pagani anco risassi,
Ch' io so vcslr' usi, ed arme e sopravveste;
Fér che le false insegne io divisassi;
E fui costretta ad opere moleste .
Queste son le Cf^gion che '1 Campo io lassi:
Fuggo r imperiose altrui richieste.
Schivo ed abborro in qual si voglia modo
Contaminarmi in atto alcun di frodo .
xc.
Queste son le cagion ; ma non già sole .
E qui si tacque ;, e di rossor si tinse,
E chinò gli occhi, e 1' ultime parole
Ritener volle , e non ben le distinse.
Lo scudier, che da lei ritrar pur vuole
Ciò ch'ella vergognando in sé ristrinse :
Di poca fede, disse, or perchè cele
La più vere cagioni al tuo fedele?
o E il vago vento fpera in rete accogliere ,
« Chi fonda sua speranza in cor di f emina.
Il nostro Poeta all'atto primo alla scena a dell' Àminta suo,
l'Ariosto al canto i%. Marx.
213 LA GERUSALEMME
xci.
Ella dal petto un gran sospiro apriva,
E parlava con suon tremante e roco :
Mal guardata vergogna intempestiva,
Vattene ornai : non hai tu qui più loco .
A che pur tenti , o in van ritrosa e schiva ,
Celar col fuoco tuo d' amore il foco ?
Debiti fur questi rispetti avante ,
Non or, che fatta son donzella errante.
XCII.
Soggiunge poi : la notte a me fatale ,
Ed alla patria mia che giacque oppressa ,
Perdei più che non parve : e '1 mio gran male
Non ebbi in lei, ma derivò da essa.
Leve perdita è il regno : io col regale
Mio alto stato anco perdei me stessa :
Per mai non ricovrarla, allor perdei
La mente folle e 1 core e i sensi miei .
xeni.
Vafrin , tu sai che timidetta accorsi ,
Tanta strage vedendo e tante prede.
Al tuo signore e mio , che prima io scórsi
Armato por nella mia reggia il piede;
E chinandomi a lui tai voci porsi :
Invitto vincitor, pietà, mercede ;
Non prego io te per la mia vita ; il fiore
Salvami sol del virginale onore.
St. g^. Mal guardata vergogna intempestiva ec.
Il medesimo fa Apollonio Rodio, che Medea dica a se stessa,
Argonaut. 3:
K'rp/rf.) ottico';. FVo? "^'0 dy\t{iì .
« Vale , pudor ; vale , pulchritudo .
Il quale luogo imitò forse il nostro Poeta: corno eziandio nel
contrasto che fanno onore ed amore nel cuore di Erminia, imitò
il contrasto deU'amore e della vergogna, che Apollonio finge in
Medea . Ciò che mi scordai d'annotare nel sesto canto : ma non i-
fjui meno a proposito. Gent
LIBERATA C. XIX. 5.1 3
xciv.
Egli la sua porgendo alla mia mano.
Non aspettò che'l mio pregar fornisse:
Vergine bella , non ricorri in vano :
Io ne sarò tuo difensor, mi disse.
Allora un non so che soave e piano
Sentii , eh' al cor mi scese e vi si affisse.
Che serpendomi poi per 1' alma vaga,
. Non so come, divenne incendio e piaga .
xcv.
Visitommi egli spesso , e 'n dolce suono
Consolando il mio duol, meco si dolse j
Dicea : l' intera libertà ti dono ;
E delle spoglie mie spoglia non volse .
Ohimè ! che l'u rapina e parve dono;
Che, rendendomi a me, da me mi tolse.
Quel mi rendè eh' è via men caro e degno;
Ma s' usurpò del core a forza il regno .
xcvi.
Male amor si nasconde . A te sovente
Desiosa i' chiedea del mio signore .
Veggendo i segni tu d' inferma mente:
Erminia, mi dicesti, ardi d' amore.
St. 94- Egli la sua porgendo alla mia mano ec.
Dante nel canto 3 dell'Inferno:
« E poiché la sua mano alla mia pose^ Mart.
— Vergine bella , non ricorri in vano
Questo verso fu anche usato di sopra nel canto 4 come alcuni
altri due fiate; e quello in prova forse pili,
« Gildippe ed Odoardo , amanti e sposi.
Ma siccome quest'usanza parcamente usata si può concedere
senza sazietà, secondo che veggiamo avvenire in Virgilio; così
farlo tanto spesso, cosi da vicino, e nelle belle diecine di versi ,
come si vede in Omero, non so veramente come non apporti fa-
stidio grandissimo .
St. y6. Erminia , m-i dicen , ardi d' amore .
Alcuni testi hanno, ami d'amore. Ma l'ultimo verso della
stanza :
« Manifestava il fuoco, onde tutta ardo:
e alcune altre eonsiderazioni ancora danno pure ad intendere'
•21 4 LA GERUSALEMME
Io lei negai; ma un mio sospiro ardente
Fu più verace testimon del core:
E 'n vece forse della lingua, il guardo
Manifestava il foco , onde lutt' ardo .
xcvii.
Sfortunato silenzio! Avessi io almeno
Chiesta allor medicina al gran martire,
S' esser poscia dovea lentato il freno ,
Quando non gioverebbe, al mio desire .
Partiimi in somma, e le mie piaghe in seno
Portai celate , e ne credei morire :
Alfin, cercando al viver mio soccorso.
Mi sciolse amor d' ogni rispetto il morso :
XCVIII.
Sì eh' a trovarne il mio signor io mossi ,
Ch' egra mi fece , e mi potea far sana .
Ma tra via fero intoppo attraversossi
Di gente inclementissima e villana .
Poco mancò che preda lor non fossi :
Pur in parte fuggimi erma e lontana ;
E colà vissi in solitaria cella
Cittadina di boschi, e pastorella.
che ardi sabbia a leggere. TuUavolta non si è per avventura da
mancar di notare in questa occasiose, che amar d' amore , è fra-
se antica, e buona nella nostra lingua; e significa per mio avvi-
so come anche amar per amore, amar con desiderio di «oderc
sensualmente, e d'altra maniera che in astratto , o alla Platoni-
ca; come dicono nel Cento antico alla nov. 97: Un giovine di Fi-
renze amava d' am-ore una gentil pulzella: E alla 57: Qui conta
come Carlo d'Angiò amò per amore : e appresso : Carlo nobile Re
di Cicilia, quando era cónte d' Angiò si amoe per amore la bella
contessa di Teli. Il Boccaccio in Re Carlo: Mi è si nuovo e si
strano, che voi per amore amiate, che quasi un miracolo mi
pare .
St. q8. C li' egra mi fere, e mi potea far sana.
Secondo quel verso di Mimo Publiano:
« Amoris vulnus idem qui sanat , facit ;
Dove s'allude aU' asta di Telefo .
— Cittadina di boschi .
Abitatrice, come di sopra . Pet»-arca:
(( Tal che m ha fatto un riftadin di boschi .
LIBERATA C. XIX. 2)5
XCIX-
Bla , poiché quel desio, che fu rìpresso
Alcun dì per la tema, in me risorse,
Tornarmi ritentando al loco stesso ,
La medesma sciagura anco m' occorse .
Fuggir non potei già ; eh' era ornai presso
Predatrice masnada, e troppo corse.
Così fui presa : e quei che mi rapirò
Egizj fur , eh' a Gaza indi sen giro ;
e.
E 'n don menarmi al Capitano, a cui
Diedi di me contezza, e '1 persuasi
Sì , eh' onorata e inviolata fui
Que' dì che con Armida ivi rimasi.
Così venni più volte in forza altrui ,
E men sottrassi . Ecco i miei duri casi.
Pur le prime catene anco riserva
La tante volte liberata e serva..
CI.
Oh! pur colui, che circondolle intorno
All' alma sì che non fìa chi le scioglia.
Non dica: errante ancella, altro soggiorno
Cercati pure; e me seco non vogha;
Ma pietoso gradisca il mio ritorno ,
E neir antica mia prigion m' accoglia .
Così diceagli Erminia ; e insieme andaro
La notte e '1 giorno ragionando a paro .
cu.
Il più usato sentier lasciò Vafrino ,
Calle cercando o più securo o corto .
Giunsero in loco alla città vicino.
Quando è il Sol nell' occaso ,e imbruna V orto
E trovaron di sangue atro il cammino;
E poi vider nel sangue un guerrier morto ,.
Che le vie tutte ingombra : e la gran faccia
Tien vòlta al cielo, e morto an^i^o minaccia.
G. LiB. T. ur. iS
aie LA GERUSALEMME
CHI.
L' uso dell' arme e *1 portamenlo eslrano
Pagan mostrarlo; e lo scudier trascorse.
Un altro alquanto ne giacea lontano ,
Che tosto agli occhi di Vafrìno occorse.
Egli disse fra se : questi è Cristiano .
Più il mise poscia il vestir bruno m forse .
Salta di sella, e gli discopre il viso;
Ed, ohimè ! grida: è qui Tancredi ucciso-,
civ.
A riguardar sovra il guerrier feroce
La male avventurosa era fermata,
Quando dal suon della dolente voce
Per lo mezzo del cor fu saettata .
Al nome di Tancredi ella veloce
Accorse in guisa d' ebra e forsennata :
Vista la faccia scolorita e bella ,
Non scese no , precipitò di sella ,
cv.
E in lui versò d' inessiccabil vena
Lagrime , e voce di sospiri mista :
In che misero punto or qui mi mena
Fortuna? a che veduta amara e trista?
Dopo gran tempo io ti ritrovo n]>pena,
Tancredi, e li riveggio, e non son vista;
Vista non son da te benché presente :
E trovando ti perdo eternamente .
evi.
Misera ! non credea eh' agli occhi miei
Potessi in alcun tempo esser noioso :
Or cieca farmi volentier torrei
Per non vederti; e riguardar non oso.
Ohimè ! de' lumi già sì dolci e bei
Ov'è la fiamma? ov'è il bel raggio ascoso?
St. io 4. Non scese no, precipitò di sella.
Mirabile espressione della prestezza dello scendere.
LIBERATA C. XIX -i
Delle fiorite guancia il bel vermiglio
Ove fuggito? ov'è il seren dei ciglio?
CVII.
Ma che? squallido e scuro anco mi piaci:
Anima bella , se quinci entro gire ,
S' odi il mio pianto ,' alle mie voglie audaci
Perdona il furto e '1 temerario ardire.
Dalle pallide labbra i freddi baci ;
Che piùi caldi sperai, vuo'pur rapire:
Parte torrò di sue ragioni a morte ,
Baciando queste labbra esangui e smorte .
CVIII.
Pietosa bocca , che solevi in vita
Consolar il mio duol di tue parole.
Lecito sia eh' anzi la mia partita
D' alcun tuo caro bacio io mi console:
E forse allor ( s' era a cercarlo ardila )
Quel davi tu , eli' ora convien eh' invola.
Lecito sia eh' ora ti stringa , e poi
Versi lo spirto mio fra i labbri tuoi .
cix.
Raccogli tu r anima mia seguace :
Drizzala tu dove la tua sen gio .
Così parla gemendo, e si disface
Quasi per gli occhi, e par conversa in rio.
St. 10'^. Anima bella , se (jiiinci entro gire .
Quicentro tutto in una paiola vollero che si leggesse nel Boc-
caccio que'valent' uomini (lei 7?, che le novelle corressero, in
quella di Ghismontla, laonde ha tolto questo concetto il Poeta
nostro: Io son certa che quella è uncora quicestro , e rii^uiirclii i
luu<^tn de' suoi e de' miei diletti . Ma quinrcntro concedono pure
ancora che si possa dire; e che così s'abbia a leggere nella novel-
la di Madonna Lisetta , benché con alcuna picciola diversità di
significato, com'essi nelle Annotazioni fecero manifesto. Ma il
Tasso con molta considerazione variò alcuna particella, e parlò
pili riserbalo che '1 Boccaccio , dicendo questi, io son certa; e
quegli, se. Avvegnadio che a quel primo modo ha cotal della
per avventura troppo del Platonico e del Gentile.
2i8 LA GERUSALEMME
Rivenne quegli a quelF umor vivace ,
E le languide labbra alquanto apri'o :
Aprì le labbra ; e con le luci chiuse
Un suo sospir con que' di lei confuse .
ex.
Sente la donna il cavalier che geme;
E forza è pur che si conforti alquanto :
Apri gli occhi , Tancredi , a queste estreme
Esequie (grida) ch'io ti fo col pianto :
Riguarda me , cbe vuo' venirne insieme
La lunga strada, e vuo' morirti accanlo:
Riguarda ine : non ten fuggir sì presto :
L' ultimo don eh' io ti dimando è questo .
CXI.
Apre Tancredi gli occhi, e poi gli abbassa
Torbidi e gravi; ed ella pur si lagna.
Dice Vafrino a lei : questi non passa :
Curisi adunque prima, e poi si piagna .
Egli il disarma : ella tremante e lassa
Porge la mano all'opere compagna.
Mira e tratta le piaghe, e di ferute
Giudice esperta, spera indi salute,
cxii.
Vede che '1 mal dalla stanchezza nasce ,
E dagli umori in troppa copia sparti .
Ma non ha, fuor eh' un velo, onde gli fasce
Le sue ferite, in sì solinghe parti.
Amor le trova inusitate fasce,
E di pietà le insegna insolite arti;
Le asciugò con le chiome , e rilegoUe
Pur con le chiome;, che troncar si volle;
St. 111. Dice Vafrino a lei : questi non passa .
Non si muore. Di tal significato di questo verbo si è detto di
sopra .
LIBERATA G. XiX. 219
CXIII.
Però che '1 velo suo bastar non puote
Breve e sottile alle sì spesse piaghe.
Dittamo e croco non avea ; ma note
Per uso tal sape a potenti e maghe.
Già il mortifero sonno ei da se scote 5
Già può le luci alzar mobili e vaghe.
Vede il suo servo , e la pietosa donna
Sopra si mira in peregrina gonna,
cxiv.
Chiede: o Vafì-in, qui come giungi, e quando?
E tu chi sei , medica mia pietosa ?
Ella fra lieta e dubbia, sospirando.
Tinse il bel volto di color di rosa.
Saprai , rispose , il tutto : or ( tei comando ,
Come medica tua ) taci , e riposa .
Salute avrai : prepara il guiderdone :
Ed al suo capo il grembo indi suppone,
cxv.
Pensa intanto Vafrin, come all'ostello
Agiato il porti anzi piìi fosca seraj
Sr. 1 13. Diffamo e croco non aved : mn note eC.
Cosi Omero fa che il sangue della l'eiita di Ulisse si ristagnasse
con incanti . Perciocché solcano gli antichi riporre l'incanto tra
le parti della medicina, come si può e da Pindaro conoscere, o-
ve loda Macaone medico, e dal Carniide di Platone, ove si rai;io-
na di Zahnolxide Re di Tiacia, e medico insieme peritissitiio,
che constringeva con giuramento i suoi discepoli a non liiai u5'jr
medicina ne' corpi, se prinia con incanti non avessero gli animi
sanati, da'quali ogni malattia credca che nei corpi derivasse. Era-
no poi quegli incanti , secondo che interpreta Socrate, le oneste
dicerie , per le quali si rendeva l'anima ornata di temperanza e
d'ogni altra virtù e santità di costumi. E questo forse volfe in-
tendere Varrone in que'suoi celebri versi , nell'Euinenidi :
« Hospes quid mi'riix animo curare Serapim?
« Quid quaxi non criret l ani idem Aristotcles .'
« Aut ambos mira, niit noli mirare de eodem.
Perchè , animo curare , è l'istesso che quello che Platone dice
Sfpo, 7rtuff9.'< J-^v ^KiX^v . E tanto più, che Porfirio scri?-
5e, che questo S«rapide soleva scacciare i demoni dagli uomini.
-:i ' LA GERUSALEMME
Ed ceco di guerrier giunge un drappello .
Conosce ei ben che di Tancredi è schiera -
Quando affrontò il Circasso, e per appelh;
Di battaglia chiaraollo, insieme egli era.
Non seguì lui j perdi' ei non volle allora :
Poi dubbioso il cercò della dimora .
cxvi.
Seguian molti altri la medesma inchiesta;
Ma ritrovarlo avvien che lor succeda .
Delle stesse lor braccia essi han contesta
Quasi una sede , ov' ei s' appoggi e sieda .
Disse Tancredi allora : adunque resla
Il valoroso Argante ai corvi in preda?
Ah! per Dio non si lasci, e non si frodi
O della sepoltura , o delle lodi .
Ciò che si fa ordinariamente con iscongxui'azioni , come ognun sa
molto bene. Gent.
St. ! i6. Dinse Tancredi allora: adunque resta ec.
Il primo che togliesse quest'uso di lasciare i corpi ile' nemici
in preda a' cani ed uccelli , fu Ercole, siccome testifica Eliano,
rendendogli a chi gli chiedeva per sepellirli. La cui mansuetudi-
ne ha il Tasso in questo Tancredi non solo imitata, ma eziandio
resa molto maggiore. Benché è da sapere, che tra i Persi, de'qun-
li spesso si ragiona, fu cjuesta usanza per nobilissima approvata,
dico di gittare i corpi de' loro morti ( in vece di sepellirli ) a' ca-
ni ed agli uccelli, siccome recita Pjocopio, lib. i da bello Persi-
co, ed Agathia, lib. 2, v'aggiunge di pili , che scelleratissimo e-
ra stimalo colui che non era da quegli divorato. Il medesimo
racconta Silio Italico degli Spagnuoli e de' Numidi : se non che
questi abbruciavano loro il capo: ed il resto gittavano agli avvol-
to): sepolcro veramente troppo 'Crudele, come disse Ennio in
que' versi:
« f^ultiiris in syh'is magnum mandehat Immonem
n Heu quam crudeli condehtit memhra se/iilrro .
La' paura di che ad uomini eziandio fortissimi parve acerbissi-
ma siccome ad Ettore si finge da Omero, della quale però gen-
tilm'ente si ride Lr.crezio ed altri. Gejit.
Omero nel 7 dell'Iliade:
A'p.ip< Sì vi>ipciciv KOiTXX^i jU£v c\jTi f^iyaipu} ,
Oò yùp Tig PhI(Ì vfxOwv xarariS'vfJwrwv
TiyviT fV«'a£ 9^àvw(j£, 7rupò{ ^H\c(yiu.iv ùhol.
Cioè:
LIBERATA C. XIX. 2'it
CXVII.
Nessuna a me col busto esangue e muto
Riman più guerra ; egli morì qual forte :
Onde a ragion gli è quell' onor dovuto ,
Che solo in terra avanzo è della morte.
Cosi da molti ricevendo aiuto,
Fa che '1 nemico suo dietro si porte .
Vafrino al fianco di colei si pose,
Siccome uom suole alle guardate cose .
cxviu.
Soggiunse il prence: alla città regale,
Non alle tende mie, vuo'che si vada;
Che s' umano accidente a questa frale
Vita sovrasta , è ben eh' ivi m' accada ;
Che '1 loco ove morì 1' Uomo immortale.
Può forse al cielo agevolar la strada :
E sarà pago un mio pensier devoto ,
D' aver peregrinato al fin del voto .
cxix.
Disse : e colà portato , egli fu posto
Sovra le piume ; e il prese un sonno cheto .
Vafrino alla donzella, e non discosto ,
Ritrova albergo assai chiuso e secreto .
Quinci s' invia dov' è Goffredo; e tosto
Entra, che non gli è fatto alcun divieto;
Sebben allor della futura impresa
In bilance i consigli appende e pesa .
« Ma circa i morti , non vieto che siano abbruciati .,
« Perciocché guadagno alcuno da' corpi de' morti
« Non si ha; poiché sono morti, col fuoco facciamo loro rosa
grata subito .
Virgilio neir 1 1 , v. 102 :
« Corpora per Cam pos ferro quce fusa jne.ehant
« Redderet , ne tumulo sineret succedere terree.
Sr. 117. Nessuna a me col I/usto esangue e muto
Riman più guerra .
Virgilio nello stesso luogo:
« Aullum cum victis certam/en et <»tligre cai$is, Gri.sx.
322 LA GERUSALEMiME
cxx.
Del letto , ove la stanca egra persona
Posa Raimondo, il Duce è sulla sponda:
E d' ogn' intorno nobile corona
De' più potenti e più saggi il circonda .
Or , mentre lo scudiero a lui ragiona,
Non v' è chi d' altro chieda, o chi risponda
Signor ( dicea ) come imponesti andai
Tra gì' Infedeli , e '1 Campo lor cercai .
cxxi.
Ma non aspettar già che di quelF oste
L' innumerabil numero ti conti .
r vidi eh' al passar le valli ascoste
Sotto e' teneva e i piani tutti e i monti .
Vidi che dove giunga , ove s' accoste ,
Spoglia la terra, e secca i fiumi e i fonti;
Perchè non bastan 1' acque alla lor sete,
E poco è lor ciò che la Siria miete.
CXXil.
Ma sì de' cavalier, sì de' pedoni.
Sono in gran parte inutili le schiere.
Gente, che non intende ordini o suoni,
' Nò stringe ferro , e di lontan sol fere .
j5on ve ne sono alquanti eletti e buoni,
Che seguite di Persia han le bandiere \
E forse squadra anco migliore è quella ,
Che la squadra immortai del Re s' appella .
St. lai. Vidi che duve giunga, o'i'e s' accoste ,
Spoglia la terra , e seccn i fiumi e i Jouli .
Così si racconta da scrittori Greci , e specialmente da Erodoto ,
che Serse nel passaggio che fece in Grecia, seccò sette grandissi-
mi fiumi dell'Asia . Di che par che si rida Giovenale dicendo:
« CrcdimiiS a/tos
« De/ecisse arnnes , epotaque fliimina , Medo
« P ra rìdente , et madidis Cnntat qiioe Sostrati!..', ali'.
Ma se crediamo che quell'esercito coprisse il cielo eoa le saet-
te , cxederemo ancora (jneet' altro .
LIBERATA C. XIX. t^?>
CXXIII.
Ella è eletta immortai , perchè diletto
In quel numero mai non fu pur d' uno;
Ma empie il loco voto, e sempre eletto
Sottentra uom novo, ove ne manclii alcuno .
Il capitan del campo, Emiren detto,
Pari ha in senno e 'n valor pochi, o nessuno;
E gli comanda il Re , che provocarti
Debba a pugna campai con tutte 1' arti,
cxxiv.
Né credo già che al dì secondo tardi
L' esercito nemico a comparire.
Ma tu, Rinaldo, assai convien che guardi
Il capo , ond' è fra lor tanto desire:
Che i più famosi in arme e i più gagliardi
Gli hanno incontra arrotato il ferro e lire;
Perchè Armida se stessa in guiderdone
A qual di loro il troncherà propone,
cxxv.
Fra questi è il valoroso e nobil Perso;
Dico Allamoro, il re di Sarmacantc.
Adrasto v' è , e' ha il regno suo là verso
I confin dell'Aurora, ed è gigante:
Uom d' ogni umanità così diverso ,
Che frena per cavallo un elefante .
St. .123. Ella è detta imtnortal , perchè difetto ec.
Di questa guardia immortale de' Re di Persia da molti scrittori
antichi e nuovi si fa menzione, alla quale si potrebbe comparare
una legione degli antichi Romani . Perciocché scrive Alfeno
Giurisconsulto, che quantunque in quella per ispazio di tempo
fossero slati tutti i particolari morti successivamente, nientedi-
meno si poteva dimandare la medesima legione : e cosi un popo-
lo, un gregge ed ogni altra università constante di piìi capi.
Anzi che Plutarco scrive, che fu questione celebratissima nelle
scuole di Atene , se la nave di Teseo, la quale era a parte a parie
tante volte rifatta, che nnsuna tavola piìi delle antiche vi rima-
nea, si poterà dire essere la raedesicna nave , e %\ conehiude di
224 LA GERUSALEMME
V è Tisaferno, a cui nell' esser prode
Concorde fama dà sovrana lode.
GXXVI.
Così dice egli; e '1 giovinetto in volto
Tutto scintilla , ed ha negli occhi il foco :
Vorri'a già tra' nemici essere avvolto ,
Né cape in se , ne ritrovar può loco .
Quinci Vafrino al Capitan rivolto :
Signor, soggiunse, il fin qui detto è poco.
La somma delle cose or qui si chiuda :
Impugneransi in te 1' arme di Giuda .
cxxvii.
Di parte in parte poi tutto gli espose
Ciò che di fraudolento in lui si tesse:
L'arme e '1 velen, le insegne insidiose,
Il vanto udito , i premj e le promesse .
Molto chiesto gli fu , molto rispose :
Breve tra lor silenzio indi successe .
Poscia innalzando il Capitano il ciglio
Chiede a Raimondo : or qual è il tuo consiglio?
CXXVIII.
Ed egli: è mio parer, eh' ai nuovi alhori,
Come concluso fu, più non s' assaglia :
Ma si stringa la torre, onde uscir fuori
Chi dentro stassi a suo piacer non vaglia:
E posi il nostro Campo , e si ristori
Frattanto ad uopo di maggior battaglia.
Pensa poi tu . s' è meglio usar la spada '
Con forza aperta, o '1 gir tenendo a bada.
St. ta5. Impugneransi in te V arme dì Giuda.
Cioè de' traditori . Tale è quel di Dante, Purg. ao:
« Sem' arm.e n esce , e solo con la lancia,
« Con la qiial giostrò Giuda.
E nota decoio osservato in questo Vaifrine -
<&E«T.
LIBERATA C. XIX. 'y.^
CXXIX.
Mio giudizio è però eh' a te convegna
Di te stesso curar sovra ogni cura;
Che per te vince 1' oste^ e per te regna.
Chi senza te 1 indrizza e 1' assecura?
E^ perchè i tradilor non ceH insegna ,
Mutar l'insegne a' tuoi guerrier procura.
Così la fraudc a te palese fatta
Sarà da quel medesmo in chi s' appiatta,
cxxx.
Risponde il Capitan : come hai per uso,
Mostri amico volere e saggia mente.
Ma quel che dubbio lasci or fia conchiuso :
Uscirem contro alla nemica gente;
Né già star deve in muro , o 'n vallo chiuso
Il campo domator dell'Oriente.
Sia da quegli empj il valor nostro esperto
Nella più aperta luce, in loco aperto .
cxxxi.
Non sosterran delle vittorie il nome.
Non che de' vincitor l' aspetto altero ;
Non che l' arme : e lor forze saran dome ,
Fermo stabilimento al nostro impero .
La torre o tosto renderassi , o , come
Altri noi vieti, il prenderla è leggiero.
Qui il magnanimo tace, e fa partita;
Che '1 cader delle stelle al sonno invita .
St. lag. Mio giudìzio è però eh' a te com'era ec.
E di qui, come ancbe da altri luoghi di sopra, quivi notati da
noi, si può conoscere secondo cbe eziandio altrove in alcun di-
scorso s'è detto, il grado , la superiorità, il luogo e la parte per
così dire, oltre ad ogn'altro maggiore e principale, che teneva
Goffredo nelle vittorie: e come essendo egli quello cbe consiglia-
va , indirizzava e dava il movimento, le vittorie da lui, come da
principal origine s'avevano a riconoscere.
St. i3i. Che 'l cader delle stelle al fonno invita.
Virgilio, 1. 2 v. g:
...... suadentejue cadentia sydera .<:omnos . Guast.
LA
GERUSALEMME
LIBERATA
CANTO VIG ESIMO
ARGOMENTO
Giunge l'oste Pagana, e cradel guerra
Fa col Campo Fedele. Il fier Soldano
L'assediata rocca anco disserra ,
Vago d'andare a guerreggiar nel piano.
. N'esce coi Re; ma l'uno e l'altro a terr;»
Estinto cade da iamosa mano.
Placa Rinaldo Armida. I Cristian scempio
Fan de' nemici, e poi Taa lieti al Tempio .
"^ià il Sole avea desti i moiiaìi all' opre;
Già dieci ore del giorno eran trascorse;
Quando io stuol, ch'alia gran torre è sopre
Un non so che da lunge ombroso scórse.
St. I. Già il Sole avea desti i mortali all' opra :
Già dieci ore del giorno eran trascorse .
II sentimento di questi due versi è disgiunto, e sono due con-
cetti . Già s'era levato il Sole , e già volto tutto quello spazio di
mezzo eran corse dieci ore del giorno: e ciò fa il Poeta perchè di
quanto avvenne in quelle dieci ore non vuol far menzione alcu-
na, li luogo era assai facile, tuttavia per certa profonda e ben
veramente matematica esposizione delì'aiitore innominato di al-
cune dichiarazioni sovra questo poema, non ho giudicato opera
perduta il dichiararlo .
— rh' lilla gran iurrc. ■ . .
Di David .
LIBERATA C. XX. ^.fq
Quasi nebbia eh' a sera il mondo copre:
E eh' era il Campo amico alfin s' accorse.
Che tutto intorno il ciel di polve adombra,
E i colli sotto e le campagne ingombra,
II.
Alzano allor dall'alta cima i gridi
Infino al ciel l'assediate genti,
Con quel romor, con che dai Trac] nidi
Vanno a stormi le gru ne' giorni algenti,
E tra le nubi a' più tepidi lidi
Fuggon stridendo innanzi ai freddi venti:
Ch' or la giunta speranza in lor fa pronte
La mano al saettar, la lingua all' onte.
IH.
Ben s' avvisano i Franchi onde dell' ire
L' impeto novo e '1 minacciar procede :
E miran d'alta parte, ed apparire
Il poderoso C^mpo indi si vede.
St. 2. Con quel rumor con che da Tracj nidi ee.
Omero nel 3 dell'Iliade, v. 2:
Tpu;i5 /nÈv KKo^yyìj T ivonvf r icav ^ cpvi^ig uU'
HvTi TTip xXoiyyì^ ytpavwv ttìXh ovpa.\ió?n Trpo,
A7 t' iTTtì OLV J^HjUWia (pUyCV Hai OL^'c(pyTCV OjU/S(^CV,
EXayyi} Tcni'yi Tr/rcvrai ì-k Qxc&vrTc poa'cov .
« I Trojani certo con isUepito e grido andavano come uccelli,
« Quale lo strepito delle gru è nel cielo,
« Le quali dopo che il freddo hanno fuggito, e la grandissima
pioggia,
« Con istrepito queste volano a' lidi dell'Oceano.
Virgilio nel io dell' Eneide, v. 264 :
« (juales sul) nuhilus atris
a Strymonice dant signa gruex , ate/ue cethera trnnant
« Cìim. sonitu , JiigiunUjue Notes clamore secundo .
Dante nel 5 dell' Inferno:
« E come gli siurnei ne porian V ali
« Nel freddo tempo a. schiera larga e piena .
E poco più di sotto :
1' E come i gru van cantando lor lai
« Facendo in aer di so lunga riga .
— a piti tepidi lidi.
Dell' Affrica , più tepida della Tracia ,
228 LA GERUSALEMME
Subito avvampa il generoso ardire
In que' petti feroci;, e pugna chiede .
La gioventute altera accolta insieme :
Dà, grida, il segno, invitto Duce; e freme.
rv.
Ma nega il saggio offrir battaglia avante
Ai nuovi albori, e tien gli audaci a freno:
Né pur con pugna instabile e vagante
Vuol che si tentin gli avversar) almeno :
Ben è ragion, dicea, che dopo tante
Fatiche un giorno io vi ristori appieno .
Forse ne' suoi nemici anco la folle
Credenza di se stessi ei nudrir'voUe .
V.
Si prepara ciascun, della novella
Luce aspettando cupido il ritorno .
Non fu mai 1' aria sì serena e bella,
, Come air uscir del memorabil giorno .
L' Alba lieta rideva, e parca eh' ella
Tutti i raggi del Sole avesse intorno ;
St. 4- Ma nega il saggio offrir battaglia avante
Ai nuoi'i albori.
Del giorno seguente, essendo allora già presso a sera, come ha
«ietto nella prima stanza.
St. 5. L.' Alba lieta rideva , e parca eh' ella
Tutti i raggi del Sole avesse intorno .
Questo particolare della bellezza dell'Alba in quel c>iorno , che
seguì il gran fatto d'arme, scrive eziandio Roberto Monaco nel-
rS lib. con queste parole in nostra lingua: « Ora poiché la notte
<< fu via passata, si cominciò a veder 1' Aurora apparita con vie
« maggior chiarezza che l'usato , onde i nostri si levaron tutti da
« dormire ec. » Guast.
Esagerazione bellissima, e simile a quella di Claudiano, lib. 2
in Riiffinìim :
« Tandem Raffini visurns funera Titan
« Prosiivi f strati s .
Imitando forse quelle parole di M. Tullio nella 4 Filippica: O
soìe/n ipsiirn beati ssimum, qui antequam se abdcret , stratis cada-
K'cribns parriridrrum. , cum paucis fugientem l'idìt Antonium.
Geht.
LIBERATA C XX. ^^9
E '1 lume usato accrebbe , e senza Telo
Volle mirar 1' opere grandi il Cielo .
VI.
Come vide spuntar 1' aureo mattino,
Mena fuori Goffredo il Campo instrutto j
Ma pon Raimondo intomo al Palestine
Tiranno , e de' Fedeli il popol tutto ,
Che dal paese di Soria vicino
A' suoi liberator s'era condutto :
Numero grande; e pur non questo solo.
Ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo ,
— E 'l lume usato accrebbe, e senza velo
Volle mirar V opere grandi il Cielo .
L'autore della Maniera di ben pensare (Dial. i- p. 98) , usan-
do delle osservazioni fatte dal Pallavicini, trova ardito e difetto-
so questo luogo del Tasso: Car nous si^nvons hitn .... qve le Crei
tnaltriel n a point d' yeux pour voir , ni d' ame pour voiiloir , et
tjue les hiibitnns du Ciel , si e' est d' eux qu' oii entend pnrler,
fojent uu travers des plus cpoi.-ses nces re mie les mn'tels font
sur la terre. Per rispondere a questa cersura non altro far si dee
se non avvertire col Marchese Orsi l'oltramontano Critico « clie
non v'è quasi maestro di Rettorica o di Poetica, che non proponga
o non commendi quest'uso di assegnare rettoricamentr ("ria con
piìi franchezza poeticamente ) e l'anima e le prerogative dell'ani-
D.a a cose , cui non v'ha setta di filosofia nel mondo, che non ri-
conosca insensate « . Eoma viene da Cicerone introdotta a favel-
lare nella sua famosa invettiva contro di Catilina. Demetrio finge
che la Grecia si presenti in sembianza di femmina a dir le proprie
ragioni. Valerio Fiacco fa che i monti e le selve sentano timore:
« pavet omnif conscia late
« Sylva , pavent montcs ec.
Virgilio stesso, che è pure il meno ardito di tutti i poeti, finge
che gli scogli minaccino, ed altrove che presi si^no dalla mara-
■viglia :
« geminìquc minantur
V. In ccrlum scopuli ,
« Nec tantum Rhodope miratvr et Ismariis Orphea .
Non v'è poeta in somma, il quale non attribuisca sentimenti ed
anima alle cose materiali. Anzi la stessa sacra Scrittura usa in
più luoghi di simili maniere enfatiche; ed ora attribuisce il tace-
re alla Terra, quasi avesse voce, il vedere ed il fuggirò al mare,
quasi avesse sentimento di vista e libertà di moto, l'innebbriarsi
nel sangue alle saette, come se fossero capaci di beverlo. Per lo
the questo luogo del Tasso non solo noB è difettoso, ma an/i dee
dirbi ioiumainsate poetico € twblimc. M^
230 LA GERUSALEMME
VII.
Vassene; e tal' è in vista il sommo Duce^
Ch' altri certa vittoria indi presume.
Novo favor del cielo in lui riluce ,
E '1 fa grande ed augusto oltra il costume.
St. 7. J^assene ; e tal è in vista il sommo Duce ,
C II' altri certa vittoria indi presume : ec.
Imita qui Omero, il quale alla fine del libro 2 dell'IliaJe dice
eVie Giove aveva in quel giorno dato ad Atride un sovtuinaao a-
«petto, sicché nella rassegai del Greco Campo n'andava insigne
fra ogni altro Eroe , v. 4^2 :
Tcicv cip Arpa'3!^v òvjxs Z"j« vifioiTi ^Hvià
ExTrpETrs' iv TToWoict Kyi t^oypv v,p^-.cct.v .
« Talem Atricìem fecit Jupiter die ilio
« Insignem inter multos et eximium heroits .
Ed imita ancor piìi particolarmente Virgilio , il quale nel 1
dellEneide 6nge , che Enea allorché, disciolta la nube , apparve
dinanzi a Didone, ricevuto avesse da Venere sua madre un aou
so che di divino e di leggiadrisslmo nell'aspetto, v. 588:
a Restitit JEneas , rlaraque in luce refulsit .
a Os , humerosque Dea similis: nam,que ipsa decovam
« Coesariem nato genitrix , lumenque juifentcs
« Purpureum , et Icetos oculis afflarat honores .
Non dee tultavolta omettersi ciò, che da altri fu di già osser-
vato, che assai piìi opportunamente viene quel divino aspetto at-
tribuito da Virgilio ad Enea, e dal Tasso a Goflfrcdo, che da O-
Mero ad Agamennone. Imperciocché in una semplice rassegna,
siccome è quella del 2 dell'Iliade, non era necessario che Giove
tanto attribuisse al sommo Duce de' Greci, sembrando pili verisi-
mile, che quella imponente divinità veder si dovesse in Agamen-
none, allorché questi fosse per incoraggire i suoi in orribile pu-
gna, o per sostenere l'esercito contro l'impeto de'Trojani; o per
lo meno allorché fosse per riconciliarsi col feroce Achille. Virgi-
lio in vece (inse che il suo Enea ricevesse da Venere l'aspetto di-
vino nell'atto che c[uesti non senza suo pericolo si scopre nel
tempio dei Cartaginesi , circostanza nella quale era necessario
ch'egli colla stessa sua presenza imponesse ad un popolo affollato
e spettatore, e già di sua natura mal lido e geloso. Aggiungasi
che scopo era del Poeta il rendere in quest'occasione piìi dell' or-
dinario avvenente il suo Eroe, affinchè di lui s'invaghisse la Ti-
ria Didone. Egualmente il Tasso attribuisce a GoflVedo un so-
vrumano aspetto, sicché
(( Altro che mortai cosa egli rassemhra ,
allora appunto che sta por condurlo contro la poderosa ed innu-
merevole oste d'Egitto , «llorà cioè che compiere doveasi la gran-
de impresa, e che di maggioi coraggio facea d'uopo nel Cristiano
esercito già esausto di forze per l'assalto dato poc'anzi a Gerusa-
lemme. M.
LIBERATA C. XX. x"^ r
Gli empie d'onor la faccia, e vi riduce
Di g'iGvinezza il bel purpureo lume ;
E neir atto degli occhi e delle membra
Altro che mortai cosa egli rasstnibra.
vili.
Ma non molto sen va , che giunge a fronte
Dell' attendato esercito Pagano;
E prender fa, nelF arrivare, un monte
Ch' egli ha da tergo e da sinistra mano :
E r ordinanza poi, larga di fronte ,
Di fianchi angusta, spiega inverso il piano;
Stringe in mezzo i pedoni , e rende alati
Con r ale dei cavalli entrambi i lati.
IX.
Nel corno manco , il qual s' appressa alF erto
Dell' occupato colle , e s' assecura ,
Pon r uno e l'altro principe Roberto:
Dà le parti di mezzo al frate in cura .
Egli a destra s' allunga , ov' è 1' aperto
E 1 periglioso pili della pianura ;
Ove il nemico , che di gente avanza ,
Di circondarlo aver potea speranza .
X.
E qui i suoi Loteringhi, e qui dispone
Le meglio armate genti e le più elette;
St. 7. Gli empie d'onor la faccia , e vi riduce ec.
Omero nel quinto dell'Iliade, v. i ;
Ei&' av Tvhi^jj ilioiJi^^ci' UxKXàg A^\{viyi
ApyEicici yi'vocTo , (Ss nXiog f c&Xbv apc.TO .
AaTf' ci rx xopu&os Ti xaLi acnì^oi axa^aaTOv ^rup-»
Cioè :
« Quivi di nuovo al Bgliuol di Tideo Diomede Pallade Mi-
nerva
« Diede foi/a e audacia , acciò liguardavole fra tutti
« I Greci divenisse, e gloria grande riportasse .
« Luce vagli da l'elmo e da lo scudo indefesso fuoco .
G. LiB. T. ui. i6
233 LA GERUSALEMME
Qui tra' cavalli arcieri alcun pedone
Uso a pugnar tra' cavalier frammette .
Poscia d' Avventurier forma un squadrone ;,
E d' altri altronde scelti , e presso il mette ;
Mette loro in disparte al lato destro;
E Rinaldo ne fa duce e maestro .
XI.
Ed a lui dice : in te, signor , riposta
La vittoria , e la somma è delle cose .
Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta
Dietro a queste ali grandi e spaziose .
Quando appressa il nemico , e tu di costa
L' assali , e rendi van quanto e' propose .
Proposto avrà , se '1 mio pensier non falle ,
Girando, ai fianchi urtarci ed alle spalle.
XII.
Quindi sovra un corsier di schiera in schiera
Parca volar tra' cavalier, tra' fanti:
Tutto il volto scopn'a per la visiera :
Fulminava negli occhi e ne' sembianti .
Confortò il dubbio, e confermò chi spera:
Ed air audace rammentò i suoi vanti,
E le sue prove al forte : a chi maggiori
Gli stipendi promise, a chi gli onori.
XIII.
Alfin colà fermossi, ove le prime
E pila nobili squadre erano accolte;
E commciò da loco assai sublime
Parlare, ond' è rapito ogn' uom eh' ascolte.
Come in torrenti dall' alpestri cime
St, II. Ed a lui dice: in te, signor , riposta ec.
Ecco neir oprare e nell' eseguire Rinaldo principale e sovrano
Btromento di Goffredo , che consiglia e dà il movimento .
— Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta, ec.
Ecco nel dar gli ordini e i movimenti, nel consigliare e in-
drizzare , principale e maggior di tutti Goffredo .
St. i3. Come in torrenti dall' alpestri rime ec.
LIBERATA C. XX. 233
Soglion giù derivar le nevi sciolte;
Così covrean volubili e veloci
Dalla sua bocca le canore voci :
XI v.
0 de' nemici di Gesù flagello.
Campo mio , domator dell' Oriente,
Ecco r ultimo giorno ; eccovi quello ,
Che già tanto bramaste, omai presente.
Ne senza alta cagion , che il suo rubello
Popolo in un s' accoglia, il Ciel consente :
Ogni vostro nemico ha qui congiunto.
Per fornir molte guerre in un sol punto .
XV.
Noi raccorrem molte vittorie in una ;
Ne fia maggiore il rischio o la fatica .
Non sia , non sia tra voi temenza alcuni!
In veder così grande oste nimica ;
Che, discorde fra se mal si raguna,
E negli ordini suoi se stessa intrica;
Omero nel i3 dell'Iliade, parlando d'Ulisse:
Kat Ìttìo. v«potSìffC£v foixoroL ^(^éJjatptifO'fv .
Cioè :
« Ma quando la voce grande dal petto mandava fuori
n E le parole simili alla caduta delle nevi d'inverno. Goast.
Imita Omero, il quale fa che Antenore lodi Menelao di parlar
succinto ed arguto, ed Ulisse di parlar canoro e volubile a guisa
delle nevi dell'inverno. Chiama poi le voci ancora veloci ad imi-
tazione del medesimo poeta, il quale in ogni luogo usa di dire
i TTf avI/Tépcf vTX , cioè « parole alate » : E cosi appella Platone
quel parlare, che i figliuoli usana verso i padri con poca riveren-
za di loro: a'quali die' egli, che gravissima pena s'aspetta. Gejt^
St. I 4- O de' nemici di Gesù flagello ec.
— Ecco r ultimo giorno , ec.
Lucano nel 7 , v. 240:.
n O dom.itor mundi , rerum /or/una m.earum. ,
« Miles, adest toties optutce copia pugnoe ,
« Nil opus est votis etc.
« Hoec est illa dies , mi hi fjuam efc
E Virgilio nel io, v. 280.-
tt In manibus Mcirs ipse , viri ; mine con.jugis est9
« Ouisque su(B , te^ti<]u£ rnemar .
234 LA GERUSALEMME
E di chi pugni il numero fi a poco :
Mancherà il core a molti, a molli il loco.
XVI.
Quei che incontra verranci , uomini ignudi
Fian per lo più, senza vigor, senz' arte.
Che dal lor ozio , o dai servili studi
Sol violenza or allontana e parte.
Le spade ornai tremar , tremar gli scudi ,
Tremar veggio l' insegne in queUa parte :
Conosco i suoni incerti e i dubbj moti :
Veggio la morte loro ai segni noti .
XVII.
Quel capitan, che cinto d' ostro e d' oro ,
Dispon le squadre, e par sì fero in vista,
Vinse forse talor T Arabo o il Moro;
Ma il suo valor non fia eh' a noi resista .
Che farà, benché saggio, in tanta loro
Confusione, e si torbida e mista?
Mal noto è (credo) , e mal conosce i sui,
Ed a pochi può dir: tu fosti, io fui.
St. i6. Quei eh' incontra verranci , uomini ignudi etì.
Lucano nell'istesso luogo, v. 260:
« Gratis Hflecta jin'cntuf:
n Gymnnsiis aderit , ttudìoqve i:;nm-a palestra; ,
u Et vix arma Jercns , et mixtoe disson.i turboe
« Barharies , non ilio, fiiias , non agni ina moto
« Clamofem latttri smuri ; eie. GoAST-
St. i^. Mal noto è rredn , e mal conosce i sui , ec.
Tra le virtù de' capitani non è quella infima di conoì^ere i sol-
dati suoi . Onde Senofonte ci finge che Ciro eziandio i nomi sa-
pesse di cias(hedun suo soldato, e Virgilio clic Enea, dicendo:
Nomine cjuenique vucans . E la medesima conoscenza si ricerca
tra* soldati, e massime tra quelli i quali sono nella battai:!;lia vici-
ni: acciocché i'un l'altro sia più incitato a difendersi , essendo
compaoni ed amici. Per lo che Fammene solca dir giocando, che
quel Nestore di Omero non fu perito ordinator di squadre , collo-
cando i soldati in ordinanza sì , che la curia alla curia, e li tribù
alla tribù fosse di ajuto . Perchè diceva egli, che dovea coUocars
piì» tosto eli amanti appresso gli amati. Certo che Socrate co-
manilò da senno, che le giovani andassero a riguardare la batta-
glia alquanto da lungi, e che non fosse ad alcuna lecito di negare
un bacio a ehi avanti la battaglia lo dimandava de' cittadini . La
LIBERATA C. XX. ui5
xvni.
Ma capitano io son di gente eletta :
Pugnammo un tempo, e trionfammo insieme j
E poscia un tempo a mio voler F ho retta.
Di chi di voi non so la patria e '1 seme?
Quale spada m'è ignota? o qual saetta,
Benché per 1' aria ancor sospesa treme,
Non saprei dir s' è Franca , o se d' Irlanda,
E quale appunto il braccio è che la manda?
XIX.
Chiedo solite cose : ognun qui sembri
Quel medesmo eh' altrove i' 1' ho già visto :
E V usato suo zelo abbia , e rimembri
L' onor suo , F onor mio , F onor di Cristo .
Ite, abbattete gli empi, e i tronchi membri
Calcate , e stabilite il santo acquisto .
Che più vi tengo a bada? assai distinto
Negli occhi vostri il veggio : avete vinto .
qual legge di Socrate , o di Platone fu posta in effetto da Isabella
Reina di Spagna : e gli successe felicissimamente, come ognun sa.
St. i8. Ma capitano io son di gente eletta ec.
Questa e la seguente stanza sono l'atte ad imitazione di Luca-
no, il quale finge che Cesare dica queste parole a' suoi soldati,
lib. 7 , V. 275 :
......... Magis sed me Fortuna meorum
« Commisit manibus , t/uorum me Gallia testem
« Totfecit bellis .
— Quale spada m' è ignota ? o qual saetta ec.
« cujus non mìlitis ensem.
« Agnoscam ? coelumque tremens cum. lancea tiansit ,
« Dicere non fallar , quo sit vibrata lacerto .
St. 19. Ite, abbattete gli empi, e i tronchi membri ee..
Lucano, ibid. v. 277:
«t Ite per ignavas gentes , famosaque regna ,
« Et primo ferri mota prosternite mundum.
— Che più vi tengo a bada ? assai distinto
Negli occhi voilri il veggio: avete tanto ,
Lucano, ibid. v. 280 :
« Quod si signa ducem. numquam fallentìa vestrutTi-
« Conspicio , faciesque trttces , oeulosque min^xes ,
« Vicistis .
E poi, y. 285:
*36 LA GERUSALEMME
XX.
Parve Che nel fornir di tai parole
Scendesse un lampo lucido e sereno ,
Come talvolta estiva notte suole
Scoter dal manto suo stella o baleno .
Ma questo creder si potea che '1 Sole
Giuso il mandasse dal più interno seno :
E parve al capo irgli girando; e segno
Alcun pensoUo di futuro regno .
« Sed meo. fata moror , qui voa in tela ruentes
«( Vocibus his teneo . M>
St. 20. Come talvolta estiva notte suole
Scoter dal manto suo stella a baleno .
Saggiamente dice scotere ; perchè \ alito secco , che è la
materia di queste fiamme, o stelle trascorrenti per aria , essendo
acceso ed aggirato intorno dal freddo , viene a scuotersi violente-
mente in giù, come dardo dalla mano , ovvero saetta dalla corda
dell'arco. E dice estiva notte , significandoci due cose, ciò sono ,
che e nella notte più chiaramente si scorgono, e nella estate più
facilmente si generano per essere, come ho detto, la materia loro
cecca e calda , perchè non mi credo, che a guisa de' poeti senta
che colali stelle cadano dal cielo: delle quali finsero la notte es-
sere madre e nutrice, siccome la chiama Elettra appresso Euri-
pide :
i2 vu^ ^iK<xiva. ^pjffi'cov oLgpu;v rpo^|))^.
Cioè:
« O dell' niiree stelle atra nutrice.
Ciò che disse questo Scenico filosofo, secondo la opinione degW
antichi filosofi , ì quali pensavano che le stelle fossero animali, e
elle si nutrissero dell'-umore della notte , o della terra. Gbnt.
— E parve al capo irgli girando ; € segno
Alcun, pensollo di futuro regno .
Così appresso Virgilio nel i dell'Eneide, v.68a, cignificò ad
Ascanio il regno la fiamma aggiratasegli intorno al capo:
« £cce levis summo de vertice visus luli .
« Fundere lumen apex et e.
E per lo stesso modo nel settimo a Lavinia, v. 7?:
« Visa (ne/as) longis comprehendere crinibus ignern ,
u Atque omnem ornatum fiamma crepitante cremai ì .
Ed è tolto dall'istoria; avvegnaché racconta Tito Livio nel 1
libro, che essendo Servio Tullio in casa di Tarquinio Prisco te-
nuto per ischiavo, gli fu visto alcuna volta una fiamma andar
girando intorno al capo; la quale cercando di spegner con l'a-
«qua, quei di casa sbigottiti di tal cosa, gli fece ristare Taaaquil-
la moglie del Re, e perita indovina, e a lui ne predisse il regna
cniae atVt'aue. Guajt,
LIBERATA G. XX. aS;
XXI.
Forse ( se deve infra' celesti arcani
Presuntuosa entrar lingua mortale )
Angel custode fu , che dai soprani
Cori discese, e '1 circondò con l'ale.
Mentre ordinò Goffredo i suoi Cristiani,
E parlò fra le schiere in guisa tale,
L' Egizio Capitan lento non fue
Ad ordinare ;, a confortar le sue .
xxn.
Trasse le squadre fuor, come veduto
Fu da lunge venirne il popol Franco ;
E fece anch' ei 1' esercito cornuto y
Co' fanti in mezzo, e i cavalieri al fianco.
E per sé il corno destro ha ritenuto ;
E prepose Altamoro al lato manco :
Muleasse fra loro i fanti guida ;
E in mezzo è poi della battaglia Armida .
XXIII.
Col Duce a destra è il Re degT Indiani ,
E Tisaferno , e tutto il regio stuolo ..
Ma , dove stender può ne' larghi piani
L' ala sinistra più spedito il volo ,
Altamoro ha i re Persi, e i re Affricani,
E i duo che manda il più fervente suolo .
Quinci le frombe e le balestre e gli archi
Esser tutti dovean rotate e scarchi .
XXIV.
Così Emiren gli schiera; e corre anch' esso
Per le parti di mezzo e per gii estremi :
Si. ai. Forse (se deve infra cslesti arcani
Prosontuosa entrar lingua, mortale.)
Cosi il Petrarca :
« Lingua mortai prosontuosa vegna . Maj^T.
— . Angel custode fu , che dai soprani eC.
Custodisce Iddio il suo diletto campione, e per maggior favo-
re, joe dà cosi, eyideute segno.
23i3 LA GERUSALEMME
Per interpreti or parla , or per se stesso :
Mesce lodi e rampogne, e pene e premi.
Talor dice ad alcun : perchè dimesso
Mostri, soldato, il volto? e di che teaii?
Che puote un contra cento? io mi confido
Sol coir ombra fugargli, e sol col grido.
XXV.
Ad altri : o valoroso , or via con questa
Faccia a ritor la preda a noi rapita .
L'immagine ad alcuno in mente desta,
Glie la figura quasi e* glie V addita
Della pregante patria, e della mesta
Supplice famigliuola sbigottita :
Credi, dicea, che la tua patria spieghi
Per la mia lingua in tai parole i preghi :
XXVI.
Guarda tu le mie leggi , e i sacri tempi
Fa ch'io del sangue mio non bagni e lavi:
Assecura le vergini dagli empi,
E i sepolcri e le ceneri degli avi .
A te, piangendo i lor passati tempi,
Mostran la bianca chioma i vecchi gravi:
A te la moglie le mammelle e 1 petto.
Le cune e i figli, e '1 maritai suo letto.
XXV li.
A molti poi dicea : 1' Asia campioni
Vi fa dell' onor suo : da voi s' aspetta
St. 2^. Me^c^ lodi e rampogne , e pene e pr£nil.
Mostra la varietà e la mischianza delle esortazioni fatte dal Ca«
pit ino, le quali più distintamente descriveapprcs30.il modo è
simile a quello d'Ovidio nel 4 delle Trasformazioni, v. 471 :
« Imperiiim, promissa , preces conjundit in ur.um .
St. 7,5. Credi f dicea, che la mia patria spieghi ee.
Piosopeja . Cosi Lucano , nel 7 , v. SSg :
a C redite pendentes , e summis mceriibus urbis
u Crinibus effusis hortari in prcelia matres ,
<t Credile grandecvum , vctitumqiie cetate senatum
u Arma fpcjui, sacros pedi bus pronternere canos , GwAST,
LIBERATA C. XX. '»-39
Contra quc' pochi barbari ladroni
Acerba , ma giustissima vendetta.
Così con arti varie, in varj suoni
Le varie genti alla battaglia alletta.
Ma già tacciono i Duci ; e le vicine
Schiere non parte ornai largo confine .
xxviii.
Grande e mirabil cosa era il vedere ,
Quando quel Campo e questo a fronte venne,
Come, spiegate in ordine le schiere,
Di mover già, già d'assalire accenne :
Sparse al vento ondeggiando ir le bandiere,
E ventolar sui gran cimier le penne;
Abiti, fregi, imprese, arme e colori.
D'oro e di ferro al Sol lampi e fulgori.
XXIX.
Sembra d' alberi densi alta foresta
L' un Campo e 1' altro, di tant'aste abbonda.
Son tesi gli archi, e son le lance in resta;
Vibransi i dardi, e rotasi ogni fionda :
Ogni cavallo in guerra anco s' appresta;
Gli odj e '1 furor del suo signor seconda :
Raspa , batte , nitrisce , e si raggira ;
Gonfia le nari, e fumo e foco spira.
XXX.
Bello in sì beDa vista anco è l'orrore;
E di mezzo la tema esce il diletto :
St, 3o. Bello in si bella vista anco è l' orrore , ec.
Lucano al medesimo proposito:
a mctuenda voluptas
o Cernentis , pulcherque timur .
Tale è quel piacere che è proprio della Tragedia , il quale «-
sce di mezzo la tema e la compassione, mentre vediamo una
buona persona per qualche caso, di felice divenire infelice, o
per dir meglio , tale è quel piacere che dalla vista di mostruosi e
spaventevoli abiti ed apparati si prende nelle scene, il quale di-
ce Aristotile non essere proprio, ma straniero della tragedia, non
nascendo da compassione e spavento fatt* per opera della imi-
azieae.
-4o LA GERUSALEMME
Ne niftì le trombe orribili e canore
Sono agli orecchi lieto e fero oggetto .
Tur il Campo Fedel, benché minore.
Par di suon più mirabile, e d'aspetto-:
E canta in più guerriero e chiaro carme
Ogni sua tromba , e maggior luce han 1' arme
XXXI.
Fer le trombe Cristiane il primo invito :
Risposer 1' altre , ed accettar la guerra .
S' inginocchiaro i Franchi , e riverito
Da lor fu il Cielo , indi baciar la terra .
Decresce in merao il Campo : ecco è sparito :
L' un con 1' altro nemico omai si serra .
Già fera zuffa è nelle corna ; e avanti
Spingonsi già con lor battaglia i fanti .
xxxii.
Or chi fu il primo feritor Cristiano ,
Che facesse d'onor lodati acquisti?
St. 3i. S' inginoccìùaro i Franchi, e TÙ'erUo ec.
Questa religiorie di baciar la teira avanti ai combattere fu au-
licamente peculiare a' Romani; siccome quella comune a molte
nazioni, di baciar la terra nella quale venivano : ciò clie dice Emi-
lio nell'istoria di Francia che fecero i Cristiani nella prima vista
di Gerusalemme. Onde mi raaraviglio che il nostro Poeta l'abbia
pretermesso nel terzo cauto . Dice poi quivi, che prima il Cielo
riverirono, per signiiicarc, che il Cielo si riverisce per la mente,
onde è venuta, e la terra si bacia pel corpo, alla quale deve ri-
tornare. Perchè saggiamente disse Ennio nell'Epicarino:
« Terra corpun est; at mentis i^nis est .
Mentis, prò mens , dice Prisciano, all'antica, come di sopra
vuìturis , prò vultur, Gent.
St. 32. Or chi fa il primo feritor Cristiano , ce.
Omero nella presente occacionc di ridire chi nella zuffa fosse il
primo ad incontrare o ad uccidere il nemico, nel ii e nel i.^
dell'Iliade, le Muse invocò, cosi dicendo nei primo luogo, v. ai%
'EovrcTi v\ìv fj.01 , iViouffat, oXùjU.n"<a. òw'^ar t'j^ovffoK
*H U.VTiaV TpWUV, yjì xXUTÌiv iTlHO'jpiOV.
Cioè:
« Ditemi ora, o Muse che le celesti case abitate,
«< Chi allora priinieio ad Agamennone iacoutra andò,
LIBERATA G. XX. a4i
Fosti, Gildippe, tu , che '1 grande Ircauo,
Che regnava in Ormus , prima feristi
( Tanto di gloria alla femminea mano
Concesse il Cielo ) , e '1 petto a lui partisti .
Cade il trafitto; e nel cadere egli ode
Dar gridando i nemici al colpo lode.
XXXIII.
Con la destra viril la donna stringe,
Poi e' ha rotto il troncon , la buona spada j
E contra i Persi il corridoi sospinge,
E '1 folto delle schiere apre e dirada .
Coglie Zopiro là dove uom si cinge,
B fa che quasi bipartito ei cada :
Poi fier la gola, e tronca al crudo Alare©
Della voce e del cibo il doppio varco.
XXXIV.
D' un mandritto Artaserse, Argeo di punta,
L' uno atterra stordito, e l' altro uccide.
a O degli stessi Trojani , ovTero degl'incliti compagni.
E cosi neir altro ^ v. 608 :
'EcTfra vuv /J.OJ, Mouca^, cKki^-kio. Sw/^ar i-)(0\iG(Xt.
"OaTi<i 5>J TTpwTOi BpoTo'svr' avSpctypr A^J^wv
Hpar', «Tra' p' ikKivi ^i.<x-)(v\v kXutòj Evvoc(yflc«c$.
Cioè:
« Ditemi ora, o Muse, che le celesti case abitate
« Chi allora primiero le sanguinose spoglie de' Greci
« Riportò , dopo che fece piegar la zuffa V inclito Nettuno .
Ma al Tasso non parendo questa cagion meritevole di chiamata
di Muse, imitando il modo, lasciò da parte l'invocazione; come
prima di lui fece anche Virgilio uell' u , v. 664, descrivend© la
g;rande uccisione fatta da Cammilla :
« Quem telo primum , quem postremum aspera virgo
« Dejicis? aut quot humi morientia carpar a Jundis ?
St. 33. Della voce e del cibo il doppio 7>arco .
I due canali, cioè il gorgozzule e la gola ; i quali sono posti l'u-
no sotto all'altro : e per lo primo di essi ha passo la voce e lo spi-
rito, e termina nel polmone, e per l'altro il cibo ed il bere, e
termina nello stomaco, com'è chiaro e risoluto fra tutti gli ana-
tomisti: tutto che Platone ne prendesse in questo grandissimo er-
rore, e malamente fosse da Macrobio ne'Saturuali cercato di di-
fendere .
i4i LA GERUSALEMME
Poscia i pieghevol nodi , onde congiunta
La manca al braccio, ad Ismael recide.
Lascia, cadendo, il fmi la man disgiunta;
Sugli orecchi al destriero il colpo stride :
Ei, che si sente in suo poter la briglia ,
Fugge a traverso, e gli ordini scompiglia .
XXXV.
Questi e molti altri, che 'n silenzio preme
L'età vetusta, ella di vita toglie.
Stringonsi i Persi, e vanle addosso insieme,
Vaghi d' aver le gloriose spoglie;
Ma lo sposo fedel, che di lei teme.
Corre in soccorso alla diletta moglie. \.^
Così congiunta la concorde coppia,
NeUa fida union le forze addoppia .
XXXVI.
Arte di schermo nova e non più udita
Ai magnanimi amanti usar vedresti :
Oblia di sé la guardia, e l'altrui vita
Difende intentamente e quella e questi .
Ribatte i colpi la Guerriera ardita ,
Che vengono al suo caro aspri e molesti:
Egli all' arme a lei dritte oppon lo scudo:
V opporrla, s' uopo fosse, il capo ignudo.
XXXVII.
Propria V altrui difesa , e propria face
L' uno e F altro di lor F altrui vendetta .
Egli dà morte ad Artabano audace,
Per cui di Boecan l' isola è retta :
E per l' istessa mano Alvante giace^
Ch'osò puf di colpir la sua diletta:
Ella fra ciglio e ciglio ad Arimonte,
Che '1 suo fede! batlea, partì la fronte.
XXXVIII.
Tal fean de' Persi strage ; e via maggiore
La fea de Franchi il Re di Sarmacante;
I I B E Pi A T A G. XX. 24^'
Cir ove il ferro volgeva o '1 corridore,'
Uccideva,, abbati ea cavallo o Tante.
Felice è qui colui che prima more.
Né geme poi sotto il destrier pesante;
Perchè il destrier (se dalla spada resta
Alcun mal vivo avanzo ) il moide e pésta.
XXXIX.
Bìman dai colpi d' Altamoro ucciso
Brunellone il membruto, Ardonio il grande.
L' elmetto all' uno e '1 capo è si diviso,
Ch'ei ne pende sugli omeri a due bande.
Trafitto è r altro infin là dove il riso
Ha suo principio , e '1 cor dilata e spande;
Tal che (strano spettacolo ed orrendo)
Ridea sforzato , e si moria ridendo .
XL.
^è solamente discacciò costoro
La spada micidial dal dolce mondo ;
St. 39. U elmetto all' lino e '1 capò è si diviso , t:C.
Virgilio nel g , v. ^54 tli Pandaro ucciso da Turno:
« atqiie ila partihus oequis
« Hvc caput , atque illiic liumero ex utroque pependit .,
Ma intorno a questo soggetto della varietà delle morti , non è
intendimento mio il far considerazione alcuna, né parajjonar
quelle d'Omero e di Virgilio con queste dei Tasso, cercando qua
li da loro abbia tolto del tutto, quali variate in parte, cjuali uri
tutto ritrovate da sé , e somiplianti cose, perchè sarebbe ti -ìppu
lunga bisogna; e può ciascheduno a cui torna in g'.ado far cjucto
(la sé, considerando i luoghi proprj , che sono molti appresso 1 li-
no e l'altro poeta; appresso Omero nel ^j nel 5 , nel ii , ne-l 14..
nel lò, nel 17 dell'Iliade, e anche altrove. Appresso Vii pilio nel
g, nel 10 , nel vx dell'Eneide.
— Trafitto ò l'altro ìvjin là dove il riso
Ha suo prinr/pio , e 7 cor dilata e spande.
Da'Latini Anatomisti è questo luogo Aeììo se^ptum transfer'
siiìTi , o mcdiastinum : cioè barra traversa o di mezzo, per esser
eerta menbrana , o pelle, la quale cBvide le parti naturali del'
l'uomo, dalle animali o spirituali ; ed è mezzana fra loro. (ìua.st.
I nostii medici lo chiamano diajramma ; ed è opinione de'fi-
siologi che il riso sia una specie di convulsione eccitata in qurf
viscere. M.
244 LA GERUSALEMME
Ma spinti insieme a crudel morte foro
Gentonio, Guasco, Guido e 1 buoo Rosmondo.
Or chi narrar potri'a quanti Altamoro
N'abbatte, e frange il suo destrier col pondo?
Chi dire i nomi delle genti uccise?
Chi del ferir, chi del morir le guise?
XLI.
Non è chi con quel fero ornai s'afFronte,
Ne chi pur lunge d' assalirlo accenne .
Sol rivolse Gildippe in lui la fronte ,
Né da quel dubbio paragon s'astenne.
Nulla Amazzone mai sul Termodonte
Imbracciò scudo , o maneggiò bipenne
Audace sì, com'ella audace in verso
Al furor va del formidabil Perso .
XLII.
Ferillo ove splendea d' oro e di smalto
Barbarico diadema in sull' elmetto :
E '1 ruppe e sparse; onde il superbo ed alto
Suo capo a forza egh è a chinar costretto .
Ben di robusta man parve 1' assalto
Al re Pagano ; e n' ebbe onta e dispetto ;
Né tardò in vendicar 1' ingiurie sue;
Che r onta e la vendetta a un tempo fue .
XLHI.
Quasi in quel punto in fronte egli percosse
La donna di percossa in modo fella.
Che d' ogni senso e di vigor la scosse :
Cadea; ma il suo fedel la tenne in sella:
Fortuna loro , o sua virtù pur fosse ,
Tanto bastogli ; e non ferì più in ella ;
Quasi leon magnanimo che lassi
Sdegnando uom che si giaccia, e guardi e passi.
XLIV.
Ormondo intanto, alle cui fere mani
Era commessa la spietata cura ,
LIBERATA C. XX. 24:»
Misto con false insegne è fra Cristiani ,
E i compagni con lui di sua congiura.
Così lupi notturni^ i quai di cani
Moslrin sembianza per la nebbia oscura^
Vanno alle mandre^ e spian come in lor s' enti e.
La dubbia coda ristringendo al ventre.
XLV.
Giansi appressando; e non lontano al fianco
Del pio Goffredo il fier Pagan si mise:
Ma come il Capitan 1' orato e '1 bianco
Vide apparir delle sospette assise :
Ecco , gridò _, quel traditor clic Franco
Cerca mostrarsi in simulate guise .
Ecco i suoi congiurati in me già mossi :
Così dicendo^ al perfido avventossi.
XLVI.
Mortalmente piagollo; e quel fellone
Non fere, non fa scliermo, e non s' arretra;
Ma come innanzi agli occhi abbia 1 Gorgone ,
( E fu cotanto audace ) or gela e impetra .
Ogni spada _, ed ogn' asta a lor s'oppone,
E si vota in lor soli ogni faretra .
Va in tanti pezzi Ormondo e i suoi consorti ,
Che 1 cadavere pur non resta ai morii .
St. 44- ^^ dubbia coda ristringendo al ventre .
Virgilio nel io, v. 812:
« caudamque remulcens
« Subjecit pavitantem utero ,
Che 1 tolse da Omero .
^St. 46. Ma come innanzi agli occhi abbia 'l Gorgone , ce.
È da notare quanto operi aspetto maestevole nello spaventare
l'offenditore; di che è esempio celebratissimo in Mario , il quale
essendo prigione, colla sola guardatura degli occhi legò iu auisa
le mani al manigoldo eh' era ito per ucciderlo , che non si 'potò
pur muovere .
— Che 'l cadavero pur non resta ai morii .
Che ad essi morti ed uccisi non avanzò pur corpo da poter es-
ser seppellito, in tanti menomi pizzi furono minuzzati . Guast.
Gt/r^orte , cioè il volto di Medusa, che /aceva chiiiiKiue lo ri-
246 L\ GERUSALEMME
XLVII.
Poiché di sangue ostil si vede asperso ,
Entra in guerra Goffi'edo , e là si volve
Ove appresso vedea che '1 duce Perso
Le più ristrette squadre apre e dissolve;
Sì che il suo stuolo ornai n'andn'a disperso _,
Come anzi 1' Austro l' AfFricana polve.
Ver lui si drizza , e i suoi sgrida e minaccia :
E , fermando chi fugge , assai chi caccia .
XLVIII.
Comincian qui le due feroci destre
Pugna , qual mai non vide Ida né Xanto :
Ma segue altrove aspra tenzon pedestre
Fra Baldovino e Muleasse intanto .
Né ferve men 1' altra battaglia equestre
Appresso il colle , all' altro estremo canto ;
Ove il barbaro Duce delle genti
Pugna in persona, e seco ha i duo potenti.
XLIX.
Il Rettor delle turbe e 1' un Roberto
Fan crudel zuffa ; e lor virtù s' agguaglia.
Ma r Indi'an dell'altro ha 1' elmo aperto,
E r arme tuttavia gli fende e smaglia .
Tisaferno non ha nemico certo
Che gli sia paragon degno in battaglia ;
Ma scorre ove la calca appar più folta )
E mesce varia uccisione e molta .
L.
Così si combatteva; e 'n dubbia lance
Col timor le speranze eran sospese .
Pien tutto il campo é di spezzate lance ,
*Di rotti scudi e di troncato arnese ;
mirava convertir in pietra, come dice dice il Petrarca nel sonet^
to : Gerì , (juando talor , ec.
« // ì'olfo di Medusa
« Chefacea marnuj diventar la gente. Ma.RT.
I
LIBERATA C. XX. 247
Di spade ai petti , alle squarciate pance
Altre confitte , altre per terra slese :
Di corpi, altri supini, altri co' volti,
Quasi mordendo) il suolo , al suoi rivolti .
LI.
Giace il cavallo al suo signore appresso :
Giace il compagno aj)po il compagno estinto :
Giace il nemico appo il nemico 5 e spesso
Sul morto il vivo, il vincitor sul vinto .
Non v' è silenzio, e non.v' è grido espresso ;
Ma odi un non so che roco e indistinto:
Fremiti di furor; mormori d' ira;
Gemiti di chi langue e di chi spira .
LIl.
L' arme , che già sì liete in vista foro ,
Faceano or mostra spaventosa e mesta .
Perduti ha i lampi il ferro, i raggi V oro :
Nulla vaghezza ai bei color più resta.
Quanto appari'a d' adorno e di decoro
Ne' cimieri e ne' fregi, or si calpesta.
La polve ingombra ciò eh' al sangue avanza;
Tanto i campi mutata avean sembianza !
LUI.
Gli Arabi allora e gli Etiopi e i Mori,
Che l'estremo tenean del lato manco,
Giansi spiegando e distendendo in fuori;
Indi giravan de' nemici al fianco:
Ed ornai sagittarj e frombatori
Molestavan da lunge il popol Franco;
Quando Rinaldo e '1 suo drappel si mosse;
E parve che treiiioto e tuono fosse .
LIV.
Assimiro di Meroe infra l'aduslo
Stuol d'Etiopia era il primier de' forti.
Rinaldo il colse ove s' annoda al busta
Il nero collo, e '1 fé' cader tra' morti,.
G. LiB. T. IH. 57
248 LA GERUSALEMME
Poi eh' eccitò della vittoria il gusto
L' appetito del sangue e delle morti
Nel fero vincitore, egli fé' cose
Incredibili, orrende e most^ose.
LV.
Die pili morti che colpi, eppur frequente
De' suoi gran colpi la tempesta cade.
Qual tre lingue vibrar sembra il serpente,
Che la prestezza d' una il persuade ;
Tal credea lui la sbigottita gente
Con la rapida man girar tre spade .
L' occliio al moto deluso il falso crede ;
E '1 terrore a que' mostri accresce fede .
LVI.
I Libici tiranni e i Negri regi ,
L' un nel sangue dell altro a morte stese :
Dier sovra gli altri i suoi compagni egregi,
Cui d'emulo furor l'esempio accese.
Cadeane con orribili dispregi
L'Infedel plebe, e non Iacea difese .
Pugna questa non è , ma strage sola :
Che quinci oprano il ferro, indi la gola.
St. 55. Qual tre lingue vibrar sembra il serpente .
Dichiara quel detto di Virgilio:
« et linguis micat ore trisiilcis ,
Perchè si causa dal celere moto di una : il quale si dice da Pacu-
vio, crispo : in Medo: Linguce hisulcis actu crispo fulgere .
La causa di questa scissura e celerità della lingua del serpente
si riferisce alla sua ingordigia da Michele Efesio .
St. 56. Pugna questa non è , ma strage sola :
Che quinci oprano il ferro, indi la gola.
Imita que' versi di Lucano , lib. 7 , v. Saa :
« Perdidit inde niodum ccedes , ac nulla secata est
« Pugna : sed lune ingulis , liinc ferro bella gerunlur .
« Nec valet hoec acies tantum prosternere , quantum
« Inde perire potest .
Ove nota con quanto giudizio abbi il Tasso risccato il sover-
chio loro; e, come i Latini direbbono, mutata la lussuria iV essi
con l'acume del suo sliie .
L I B E R A T A e. XX ^49
LVII.
Ma non lunga stagion volgon la faccia,
Ricevendo le piaghe in nobil parte :
Fuggon le turbe _, e sì il timor le caccia ,
Gli' ogni ordinanza lor scompagna e parie.
Ma segue pur senza lasciar la traccia ,
Sin che Tha in tutto dissipate e sparte;
Poi si raccoglie il vincitor veloce,
Che sovra i più fugaci è men feroce .
LVIII.
Quàl vento, a cui s'oppone o selva o colle.
Doppia nella contesa i soffi e l'ira;
Ma con fiato piìi placido e pili molle
Per le campagne libere poi spira ;
Come fra scogli il mar spuma e ribolle,
E neir aperto onde più chete aggira :
Così, quanto contrasto avea men saldo,
Tanto scemava il suo furor Rinaldo .
LIX.
Poiché sdegnossi in fuggitivo dorso
Le nobil ire ir consumando invano;
Verso la fanteria voltò il suo corso ,
Ch' ebbe l'Arabo al fianco e V AfFricano.
Or nuda è da quel lato ; e chi soccorso
Dar le doveva, o giace, od è lontano.
St. 58 Qual vento, ti cui s'&ppone a selva o eolle ,
Doppia nella contesa i soffi e V ira .
Imita il medesimo poeta , lib. 3, v. 36a:
« Vcntus ut amittat vires, nisi rotore densoe
« Occurrant sylvoe , spatio diffusus inani,
« Utfjue perit magnus nullis obstantibus ignis ;
« Sic tiostes mi/li deesse nocet .
E v'aggiunge la comparazione dell'acque, simile a quella ifi
Ovidio /lib. 3, Melam. v. 568:
« Sic ego torrentem qua nil ostahat eunti,
a I^enius , et modico strepita decurrere vidi:
« ^t (juacurnque trnbes , ostructaqiie saxa jacehant ,
« Spumeus , etjervens , et ab obice seevior ibat . Gen r^
25o LA GERUSALEMME
Vien da traverso ; e le pedestri scliiere
La gente d' arme impetuosa fere .
LX.
Ruppe 1' aste e gì' intoppi, e '1 violento
Impeto vinse , e penetrò fra esse :
Le sparse e 1' atterrò : tempesta o vento
Men tosto abbatte la pieghevol messe .
Lastricato col sangue è il pavimento
D' arme e di membra perforate e fesse ;
E la cavalleria correndo il calca
Senza ritegno , e fera oltre sen valca.
LXI.
Giunse Rinaldo ove sul carro aurato
Stavasi Armida in militar sembianti;
E nobil guardia avea da ciascun lato
De' Baroni seguaci e degli amanti.
Noto a più segni egli è da lei mirato
Con occhi d' ira e di desio tremanti.
Ei si tramuta in volto un cotal poco :
Ella si fa di gel, divien poi foco .
LXII.
Declina il carro il cavaliero e passa ,
E fa sembiante d' uom cui d' altro cale ;
Ma senza pugna già passar non lassa
Il drappel congiurato il suo rivale :
Chi '1 ferro stringe in lui, chi 1' asta abbassa:
Ella stessa in sull' arco ha già lo strale .
Spingea le mani, e incrudeli'a lo sdegno;
Ma la placava, e n' era Amor ritegno .
St. 6 1 . Ella si fa di gel , divìen poi foco .
Passione propria degli innamorati. Petrarca:
<| E so come in un punto si dilegua ,
« E poi si Sparge per le vene il sangue ,
« Se paura , a vergogna avvien che 7 segua .
©CAST.
LIBERATA C. XX. 25i
LXIII.
Sorse Amor centra l' Ira ; e fé' palese
Che vive il (beo suo eh' ascoso tenne .
La man tre volte a saettar distese;
Tre volte essa inchinolla, e si ritenne.
Pur vinse alfln lo sdegno, e 1' arco tese,
E fé' volar del suo quadrel le penne .
Lo strai volò; ma con lo strale un voto
Subito uscì , che vada il colpo a vóto .
LXIV.
Torria ben ella che 1 quadrel pungente
Tornasse indietro, e le tornasse al core:
Tanto poteva in lei, benché perdente,
( Or che potrìa vittorioso ? ) , Amore .
Ma di tal suo pensier poi si ripente ,
E nel discorde sen cresce il furore .
Così or paventa , ed or desia che tocchi
Appieno il colpo , e '1 segue pur con gli occhi ,
LXV.
Ma non fu la percossa invan diretta;
Ch'ai cavalier sul duro usbergo è giunta :
Duro ben troppo a femminil saetta ,
Che, di pungere in vece, ivi si spunta.
Egli le volge il fianco : ella negletta
Esser credendo , e d' ira arsa e compunta.
Scocca r arco più volte, e non fa piaga;
E mentre ella saetta , Amor lei piaga .
LXVI.
Sì dunque impenetrabile è costui
(Fra se dicea ), che forza ostil non cura?
Vestirebbe mai forse i membri sui
Di quel diaspro , ond' ei 1' alma ha sì dura?
Colpo d' occhio o di man non puote in lui ;
Di tai tempre è il rigor che 1' assecura :
E inerme io vinta sono, e vinta armata.
Nemica , amante, egualmente sprezzata.
o52 LA GERUSALEMME
LXVIT.
Or qual arte tiovella^ e qual m' avanza
Nova forma, in cui possa anco mutarmi?
Misera ! e nulla aver degg' io speranza
Ne' cavalieri miei ; che veder parmi,
Anzi pur veggio , alla costui possanza
Tutte le forze frali e tutte F armi .
E ben vedea de' suoi campioni estinti
Altri giacerne, altri abbattuti e vinti.
LXVIII.
Soletta a sua difesa ella non basta ;
E già le pare esser prigiona e serva ;
Né s' assecura ( e presso 1' arco ha 1' asta )
Neil' arme di Diana, o di Minerva .
Qnal'è il timido cigno, a cui sovrasta
Col fero artigho 1' aquila proterva ,
Ch' a terra si rannicchia e china 1' ali ,
I suoi timidi moti eran cotali .
LXIX.
Ma il principe Allamor , che sino allora
Fermar de' Persi procurò lo stuolo ,
Ch'era già in piega, e 'n fuga ito sen fora;
Ma '1 ritenea, bench' a fatica , ei solo
Or tal veggendo lei ; eh' amando adora ,
Là si volge di corso , anzi di volo :
E '1 suo onor abbandona e la sua schiera ;
Pur che costei si salvi, il mondo pera.
St. 69. Pur che costei si salvi, il mondo pera .
Simile a quel detto di Nerone: il quale iutcudendo prenun-
ciarsi quel Senaiio Greco:
tLjJiOÙ òdvQVTOe, yOUOL ^lypiTU} TTUpì .
Imo s/aoù CjijjVTOi rispose.
Cioè: « Morto me, la terra si meschi col fuoco» Anzi me vivo,»
soggiunse egli, e non in vano, perchè abbruciò Roma capo del
mondo: e 1 mondo poi crudelmente diede in preda a' suoi mini-
stri: siccome avea raccontato de' Numidi, i quali abbruciavano
solamente la testa d«' morti , e 1 resto davano a lacerare agli a-
voltoi ed a' cani . Gb«t.
LIBERATA C. XX. 255
LXX.
Al mal difeso carro egli fa scorta,
E col ferro le vie gli sgombra avante.
Ma da Rinaldo e da Goffredo è morta
E fugata sua schiera in quell'istante.
Il misero sei vede, e sei comporta,
Assai miglior , che capitano, amante.
Scorge Armida in securo ; e torna poi ,
Intempestiva aita , ai vinti suoi;
LXXI.
Che da quel lato de' Pagani il Campo
Irreparabilmente è sparso e sciolto .
Ma dall' opposto , abbandonando il campo
Agl'Infedeli, i nostri il tergo han volto.
Ebbe r un de' Roberti appena scampo ,
Ferito dal nemico il petto e '1 volto :
L' altro è prigion d' Adrasto . In cotal guisa
La sconfitta egualmente era divisa.
LXXII.
Prende Goffredo allor tempo opportuno :
Riordina sue squadre, e fa ritorno
Senza indugio alla pugna: e così l'uno
Viene ad urtar nell' altro intero corno .
Tinto sen vien di sangue ostil ciascuno ,
Ciascun di spoglie trionfali adorno .
La Vittoria e 1 Gnor vien da ogni parte:
Sta dubbia in mezzo la Fortuna, e Marte.
St. 72. La Vittoria e V Onor vien da ogni parte:
Sta dubbia in mezzo la Fortuna, e Marte.
Non so, perchè faccia stare dubbio Marte : dicendo» la Vittmia
da ogni parte venire . Conciossiacosaché Marte allora si dice er-
rar dubbio tra mezzo doli' armi, quando la vittoria non inchina
da veruna parte : onde nelle antiche inscrizioni Marte si coii-
giunge con la Vittoria. GneoMattio, nell'Iliade:
« Dum dct vincenti t/roepes Victoria paimam.
Ma il Tasso forse che intende del principio della vittoria, di-
cendo viene. Laonde di sotto dice:
« E Fortuna , che varia e instabiV er*
254 Lk GERUSALEMME
LXXIII.
Or , mentre in guisa tal fera tenzone
E tra '1 Fedele esercito e '1 Pagano ,
Salse in cima alla torre ad un balcone,
E mirò, benché fuìige, il fier Soldanoj
Mirò, quasi in teatro od in agone,
L' aspra tragedia dello stato umano :
I varj assalti , e '1 fero orror di morte ,
E i gran giochi del caso e della sorte .
LXXIY.
Stette attonito alquanto e stupefatto
A quelle prime viste; e poi s'accese,
E desiò trovarsi anch' egli in atto
Nel periglioso campo all' alte imprese :
Né pose indugio al suo desir; ma ratto
D' elmo s' armò , eh' aveva ogn' altro arnese :
Su su, gridò, non più, non più dimora:
Gonvien eh' oggi si vinca , o che si mora .
LXXV.
O che sia forse il provveder divino ,
Che spira in lui la furiosa mente ,
« Pi'h non osò por la vittoria in forse , ee.
Parlando di vittoria già certa e compiuta. Gent.
Da o:^ni parte , cioè de' Fedeli e degl' Infedeli ; da ciascheduna
dalle quali facendosi onorate fazioni, e acquistandosi molte vitto-
rie particolari sopra il nemico, stava perciò la fortuna uni versai»
della battaglia eguale, né piìi inclinata all'una parte che all' al-
tra, e perciò la vittoria universale n' era dubbia ed incerta . Il
che ti è dichiarato, tutto che assai agevole a capirsi, perciocché
alcuni non intendendolo, hanno stimato che qui abbia contradi-
aione . Guast.
St. ^3. Mirò quasi in teatro od in agone .
Agone è voce greca, e uno de'suoi significati è il designare il
luogo dove si esercitavano i giuochi della persona. Quindi a Ro-
inaera detta Agone quella piazza, dove si facevano i giuochi det-
ti da loro curali, ch'oggidì corrotto il vocabolo, è delta piazza
Navona .
— E i gran giochi del caso e della sorte.
La quale se in alcuna altra cosa, ci ottiene principal signoria
nelle guerre e fatti d'arme; coni* fra gli altri afferma Marso Tul-
lio in una tua pistola.
L I B E R A T A e. XX. 555
Perchè quel giorno sian del PaJestino
Imperio le reliquie in tutto spente j
O che sia eh' alla morte omai vicino
D'andarle incontra stimolar si sente:
Impetuoso e rapido disserra
La porta , e porta inaspettata guerra .
LXXVI.
E non aspetta pur che i feri inviti
Acceltino i compagni: esce sol esso;
E sfida sol mille nemici uniti j
E sol fra mille intrepido s' è messo .
Ma dall' empito suo quasi rapiti^
Seguon poi gli altri, ed Aladino istesso.
Chi fu vii , chi fu cauto , or nulla teme ;
Opera di furor più che di speme.
LXXVII.
Quei che prima ritrova il Turco atroce^
Caggiono ai colpi orribili improvvisi;
E in condur loro a morte è sì veloce,
Ch'uom non gli vede uccidere, ma uccìsi.
Dai primieri ai sezzai^ di voce in voce
Passa il terror; vanno i dolenti avvisi;
Tal che '1 volgo Fedel della Soria
Tumultuando già quasi fuggi'a .
LXXVllI.
Ma con men di terrore e di scompiglio
L' ordine e '1 loco suo fu ritenuto
St. 7^. Ch' uom non gli fede uccidere , ma uccisi .
Simile è a quel concetto d'Antipatio, sciiTendo d'Aria com-
dore; la cui velocità nel correre dice ck'era tanta, ch'uom mai
noi vedeya in mezzo al corso, ma «empre o nelle moise, o n«llf
mete .
Hyap ip v::7r}.ì^yyu)v y] rfP|aaTc« , |ufv m aKpow
HrS-fov, jUfVcw 3' cuttot' f v/ ga5/u.
Cioè:
u Perciocché o nelle mosse, o nelle met» ultime vid« cisrjcwns
R II giovinetto , ma in mezzo il «orso non mai .
■?M LA r^ERUSALEiVIMB
Dal Guascon, benché, prossimo al periglio.
Air improvviso ei sia cólto e battuto .
Nessun dente giammai , nessun artiglio
O di silvestre o d' animai pennuto
Insanguinossi in mandra, o tra gli augelli.
Come la spada del Soldan tra quelli .
LXXIX.
Sembra quasi famelica e vorace:
Pasce le membra quasi , e 1 sangue sugge .
Seco Aladin , seco lo stuol seguace
Gli assediatori suoi percote e strugge.
Ma il buoi Raimondo accorre ove disface
Soliman le sue squadre, e già noi fugge,
Sebben la fera destra ei riconosce,
Onde percosso ebbe mortali angosce .
LXXX.
Pur di novo 1' affronta, e pur ricade,
Pur ripercosso, ove fu prima offeso;
E colpa è sol della soverchia etade,
A cui soverchio è de' gran colpi il peso .
Da cento scudi fu, da cento spade
Oppugnato in quel tempo anco e difeso .
Ma trascorre il Soldano, o che sei creda
Morto del tutto, o '1 pensi agevol preda .
LXXXI.
Sovra gli altri ferisce , e tronca e svena ,
E 'n poca piazza fa mirabil prove.
Ricerca poi , come furore il mena ,
A nuova uccision materia altrove.
Qual da povera mensa a ricca cena
Coni stimolato da digiun si move;
Tal vanne a maggior guerra, ov'egli sbrame
Ltì sua di sangue infunata fame .
LXXXII.
Scende egli giù per le abbattute mura ,
E s'indirizza alla gran pugna hi frutta.
LIBERATA C. XX. -57
Ma '1 furor ne' compagni, e la paura
Riman, che i suoi nemici han già concetta;
E r una schiera d' asseguir procura
Quella vittoria ch'ei lasciò imperfetta.
L' altra resiste sì ; ma non è senza
Segno di fuga ornai la resistenza.
LXXXill.
Il Guascon ritirandosi cedeva;
Ma se ne già disperso il popol Siro .
Eran presso all' albergo ove giaceva
Il buon Tancredi , e i gridi entro s' udirò :
Dal letto il fianco infermo egli solleva;
Vien sulla vetta, e volge gli occhi in giro:
Vede, giacendo il conte, iJtri ritrarsi,
Altri del tutto già fugati e sparsi .
LXXXIV.
Virtù , eh' a valorosi unqua non manca,
Perchè languisca il corpo fral, non langue;
Ma le piagate membra in lui rinfranca
Quasi in vece di spirito e di sangue .
Del gravissimo scudo arma ei la manca,
E non par grave il peso al braccio esangue :
Prende con V altra man l'ignuda spada,
( Tanto basta all' uom forte ) e più non bada ;
LXXXV.
Ma giù sen viene, e grida: ove fuggite.
Lasciando il signor vostro in preda altrui?
Dunque i barbari chiostri e le mesciuta
Spiegheran per trofeo 1' arme di lui?
Or, tornando in Guascogna, al figlio dite,.
Che morì il padre , onde fuggiste vui .
Così lor parla ; e '1 petto nudo e infermo
A mille armati e vigorosi è schermo :
LXXXVI.
E col grave suo scudo, il qual di sette
Dure cuoia di tauro era composto.
0 58 LA GERUSALEMMI^:
E che alle terga poi di tempre elette
Un coperto d' acciaio ha soprapposto ,
Tien dalle spade , e tien dalle saette ,
Tien da tutte arme il buon Raimondo ascoslo :
E col ferro i nemici intorno sgombra
Sì _, che giace sicuro , e quasi all' ombra .
LXXXVII.
Respirando risorge in spazio poco
Sotto il fidò riparo il vecchio accolto:
E si sente avvampar di doppio foco ,
Di sdegno il core, e di vergogna il volto:
E drizza gli occhi accesi a ciascun loco.
Per riveder quel fiero onde fu collo :
Ma , noi vedendo , freme ; e far prepara
Ne' seouaci di lui vendetta amara .
o
LXXXVIII.
Ritornan gli Aquilani , e tutti insieme
Seguono il duce al vendicarsi intento .
Lo stuol che dianzi osava tanto , or teme :
Audacia passa ov'era pria spavento.
Cede chi rincalzò : chi cesse or preme :
Così varian le cose in un momento .
Ben fa Raimondo or sua vendetta , e sconta
Pur di sua man con cento morti un' onta .
LXXXIX.
Mentre Raimondo il vergognoso sdegno
Sfogar ne' capi più sublimi tenta,
Vede r usyrpator del nobil regno ,
Che fra' primi combatte, e gli s'avventa.
E '1 fere in fronte , e nel medesmo segno
Tocca e ritocca, e '1 suo colpir non lenta;
Onde il Re cade, e con singulto orrendo
La terra ove regnò morde morendo .
St. 89. La terra, ove regnò , morde murendo .
D'Omero in molti luoghi, e di Virgilio altresì ia moli' altri,
come di sopra si notò . Gdast.
LIBERATA C. XX. 259
xc.
Poicli' una scorta è Innge, e 1' altra uccisa,
In color che restar vario è 1' a fletto:
Alcun, eli belva infuriata in guisa.
Disperato nel ferro urta col petto :
Altri temendo, di campar s'avvisa,
E là rifugge ov' ebbe pria ricetto .
Ma tra fuggenti il vincitor commisto
Entra, e fin pone al glorioso acquisto,
xci.
Presa è la rocca ; e su per l' alte scale
Chi fugge è morto , e 'n sulle prime soglie;
E nel sommo di lei Raimondo sale,
E nella destra il gran vessillo toghe:
E incontra ai duo gran Campi il trionfale
Segno della vittoria al vento scioglie.
Ma già noi guarda il fier Soldan, che lunge
E di là fatto, ed alla pugna giunge.
xcii.
Giunge in campagna tepida e vermiglia ,
Che d' ora in ora più di sangue ondeggia,
Sì che il regno di Morte omai somiglia ,
Ch' ivi i trionfi suoi spiega, e passeggia.
Vede un destrier che con pendente briglia
Senza rettor trascorso è fuor di greggia :
Gli gitta al fren la mano, e '1 voto dorso
Montando preme , e poi lo spinge al corso .
Tolto da Virgilio , che nel 10, v. 4% cosi dice:
a Terramque hoslilcm morjens petit ore cruento . Mart.
St, 90. Alcun, di belva infjuriata in guisa, ec.
Ovidio oltre a Virgilio, lib. 1 1 , Metamorf. v. 5 io.
« Utquc sotcnt sumptis in cursu vintiis ire
« Pectore in armajeri, protentaque tela leones .
Belva disse il nostro per il leone: siccome disse Virgilio, /èr^x,
e non altrimenti sogliono prendere i Greci (rJvj^ix onde è venuto
il nome Fera . Geni.
— E là rifugge , ov' ebbe priti ricetto ,
Kella rocca .
26o LA GERUSALEMME
xeni.
Grande, ma breve aita apportò questi
A' Saracini impauriti e lassi :
Grande, ma breve fulmine il diresti.
Gli' inaspettato sopraggiunga e passi ;
Ma del suo corso momentaneo resti
Vestigio eterno in dirupati sassi .
Cento ei n'uccise e più : pur di duo soli
Non fia che la memoria il tempo involi .
xciv.
Gildippe ed Odoardo , i casi vostri
Duri ed acerbi, e i fatti onesti e degni
( Se tanto lice ai miei Toscani inchiostri )
Consacrerò fra' pellegrini ingegni;
Sì eh' ogni età , quasi ben nati mostri
Di virtute e d' amor , v' additi e segni ;
E col suo pianto alcun servo d' Amore
La morte vostra e le mie rime onore .
xcv.
La magnanima donna il destrièr volse
Dove le genti distruggea quel crudo,
E di duo gran fendenti a pieno il colse:
Ferigli il fianco, e gli partì lo scudo .
Gridò il crudel, ch'ali' abito raccolse
Chi costei fosse : ecco la putta e '1 drudo :
Meglio per te s' avessi il fuso e 1' ago ,
Che 'n tua difesa aver la spada e '1 vago .
St. 9^. Gildippe ed Odoardo i czsi vostri
Duri ed acerbi , e i fatti onesti e degni ec.
Virgilio nel g, \. !^'^6 , parlando di Niso ed Eurialo :
« Fortunati ambo , si quid meo carmina possunt ,
« Nulla dies umquam memori vos cximet (bvo . GCAST.
— (Se tanto lice ai miei Toscani ine/nostri) .
Così il Petrarca nel sonetto: L'aura, e l'odore:
« E se mia rime alcuna cosa panno,
« Consecrata fra nobili intelletti
« Fìa del tuo nome qui memoria eterna .
E l'Ariosto al canto 29 , stan. 27. Marx.
LlBEIl AT A C. XX. 2G.
xcvi.
Qui tacque ; e di furor più che mai pieno,
Drizzo percossa temeraria e f"er«.
Ch'osò, rompendo ogn' arme, entrar nel seno,
Che de' colpi d'Amor degno sol era.
Ella repente abbandonando il freno,
Sembiante fa d' uom che languisca e pera;
E ben sei vede il misero Odoardo ,
Mal fortunato difensor, non tardo.
XCVH.
Che far dee nel gran caso ? ira e piietàde
A varie parti in un tempo V aflVetta;
Questa all'appoggio del suo ben che cade,
Quella a pigliar del percussor vendetta.
Amore indifferente il persuade ,
Che non sia l' ira o la pietà negletta:
Con la sinistra man corre al sostegno;
L' altra ministra ei fa del suo disdegno .
XCVIII.
Ma voler e poter che si divida,
Bastar non può contra il Pagan bì forte;
Tal che né sostien lei, né 1' omicida
Della dolce alma sua conduce a morte .
Anzi avvien che '1 Soldano a lui recida
Il braccio, appoggio alla ledei consorte:
Onde cader lasciolla ; ed egli presse
Le membra a lei con le sue membra stesse,
xcix.
Come olmo, a cui la pampinosa pianta
Cupida s' avviticchi e si marite;
Se ferro il tronca, o fulmine lo schianta.
Trae seco a terra la compagna vite;
Ed egli stesso il verde, onde s' ammanta,
Le sfronda, e pesta 1' uve sue gradite;
Par che sen dolga ^ e più che '1 proprio fato.
Di lei gì' incresca che gli more alialo :
2G4 LA GERUSALEMME
e.
Così cade egli ; e sol di lei gli duole ,
Che '1 Cielo eterna sua compagna fece.
Vorrian formar , ne pon formar parole :
Forman sospiri di parole in vece .
L' un mira 1' altro j e l' un , pur come suole ,
Si stringe all'altro, mentre ancor ciò lece;
E si cela in un punto ad ambi il die;
E congiunte sen van l' anime pie .
CI.
AUor scioglie la Fama i vanni al volo ,
Le lingue al grido , e '1 duro caso accerta :
Ne pur n' ode Rinaldo il romor solo ,
Ma d' un messaggio ancor nova più certa.
Sdegno, dover, benevolenza e duolo
Fan eh' air alta vendetta ei si converta :
Ma il sentier gli attraversa , e fa contrasto
Su gli occhi del Soldano il grande Adrasto .
cu.
Gridava il re feroce: ai segni noti
Tu sei pur quegli alfin eh' io cerco e bramo :
Scudo non è eh' io non riguardi e noti,
Ed a nome tutt' oggi invan ti chiamo .
Or solverò della vendetta i voti
Col tuo capo al mio nume . Omai facciamo
Di valor, di furor qui paragone,
Tu nemico d' Armida, ed io campione.
CHI.
Così lo sfida ; e di percosse orrende
Pria sulla tempia il fere , indi nel collo .
St. 100. E congiunte sen van V anime pie.
Mantiene quanto disse di loro nel primo ctnto :
« Non sarete disgiunti ancor che morti. 6*AST
St. ioi. Aliar scioglie lajam-a i vanni al volo^ et.
Virgilio nel decimo, v. 5 io:
« Nnc jam, jamci m.ali tanti , se/i certior auctor
« Advolat j^noee: tenui discrimine ìethi
d- Esse suos . Marx -
LIBERATA G. XX. 263
L' ''Imo falal (che non sì può) non fende;
Ma lo scote in arcion con più (V un crollo .
Binaldo lui sul fianco in guisa on'eude,
Che vana vi san'a V arte d' A])oilo.
Cade 1 uom smisurato, il rege i'.ivlUo :
E n' è l'onore ad un sol colpo ascritto.
civ.
Lo stupor, di spavento e d' orror misto ,
Il sangue e i cori ai circostanti agghiaccia ;
E Soliman, ch'estranio colpo ha visto,
Nel cor si turba , e impallidisce in faccia .
E, chiaramente il suo morir previsto.
Non si risolve, e non sa quel che faccia:
Cosa insolita in lui ; ma che non regge
Degli affari quaggiù V eterna legge ?
St. Io3. Che vitn 1 vi saria l'arte à' Apollo .
La medicina. Ovidio noi 3 delle Metamorf.
n Inventum tnedicina meum est.
St. 104. E Soliman eh' estranio colpo ha vifto ,
Nel cor si turba, e impallidisce in faccia , ec.
Questa morte di Solimano per man di Rinaldo è tinta a somi^-
Slianza di quella di Turno per man d' Enea appresso Virgilio nel
12 dell'Eneide, e molti concetti di là sono qui dal Poeta nostro
trasportati. Ben convenevolmente così l' una , come l'altra è con
tanta agevolezza del nemico recata ad effetto; avv^-gnacbè dall' e-
terna volontà e provvidenza divina , elleno cosi fossero ordinate,
come ne' suoi luoghi si conosce . Di questa di Solimano già fin nel
canto ottavo ci fece chiari il Poeta nostro, quando della spada di
Sveno parlando, la quale a questo fine s'avea a dare a Rinaldo, ei
disse in questo modo:
« E con lei J accia , perchè a lei s' aspetta ,
« Di chi S'.'eno uccise aspra vendetta .
« Soliman Sveno uccise, e Solimano
« Dee per la spada sta restarne ucciso .
E più a basso:
« Resta che sappia tu , chi sia colui
« Che deve della spada esser erede :
« Questi è Rinaldo il giovinetto , a cui,
« Il pregio di Jortezza ogr' altro Ci.de.
« j4 Ivi Li porgi ; e di' che sol da. lui
« L' alta vendetta il Cirio , e 'l mondo chiede.
B pur questo stesso ci manifesta qui di nuovo nelle parole
— ma che non re^ge
Degli affari quaggiù l' eterna legge?
G. LlB. T. III. '8.
264 J-A GEIIUSALEMME
cv.
Come vede talor torbidi sogni
Ne' brevi sonni suoi l' egro, o l' insano
Ove all'eterna e divina Provvidenza si vede recata la tema di
Solimano, per altro uomo di quel coraggio e di quell'estrema
audacia, che per tutto il poema si è conosciuta. Ben a si fatto ti-
more dà occasione alritna il Poeta, col far vedere dello stesso ca-
valier vincitore prove non solo meravigliose , ma eziandio stra-
niere al nemico che ha da rimanere ucciso; e ciò per ajutar piìi
che sia possibile il verisimile di quella tema , o piii tosto stupore
di lui. Ora non già poco gloriosa per lo vincitore , o piena di po-
ca maraviglia s'ha da stimare la presente morte, tuttoché si vin-
ca tanto agevolmente; anzi oltre ad ogn' altra illustre e memore-
vole, inalzando sovra quanto si possa quasi innalzare , il valor di
Piinaklo, che con tanta agevolezza uccide cosi bravo e valente ni-
mico; avvegnaché maggior gloria assai è che l'inimico temendo
non ardisca azzuffarsi , e a questo modo vincerlo e superarlo; che
combattendo esso valorosamente, riportarne vittoria sanguinosa,
come lece Tancredi d'Argante. Ma perciocché simili meravisìlie non
sogliono parer del tutto verisimili, ed è la verisomigliaiiza l'anima
del poema , perciò si rifugge per accozzar insieme l'una cosa e l'al-
tra, com'anche di sopra a simil proposito dicemmo, attribuendolo
all'ordine, volontà e ajuto divino. Cotii Ettore appresso Omero uc-
cide Patroclo ferito prima da Apolline; cosi Aeh.lìe ajiitato da
Minerva uccide Eii ore: cosi Ulisse con l'ajuto dslla stessa Dea
mena a morte tutti i Dra<li; e in somma non fa mai qjasi Omero
azione, non dico maravigllosa, ma quasi importante, che non si
conduca a (ine coU'ajuto di qiialche Dio: e tutto ciò per acipii-
stare il verisimile, come s'è (ietto Ma ben in tanto cosi Virgilio
conie il Tasso mi pare ch'abbiaiin avanzato Oineio, e li lui siano
stati piìi avvertiti; in quant» O «ero ha par costutne neUe azioni
di far intervenire gli stessi Dei in persona; e quasi uomini ado-
prar le mani e il t'erro; dove che ciò fu schifato da Virgilio assai,
€ molto pili dal Tasso. Perciocché tal cosa scema assai della ma-
raviglia dell'azione , scorgendosi cosi eviilcnte l ajuto divino , al
quale chiaro è non poter resistere l'umano. Per la (jual cosa sì
latto ajuto il pili che sia possibile s'ha da tener nascoso, aflin di
accoppiare insieme quanto più si possa, quelle due, male per dire
vero di sua natura accoppiabili cose, meraviglia e verisomiglian-
ze , il che è lo scopo del Poeta.
St. io5. Come l'ede talor torbidi sogni
Ne' brei'i sonni suoi V egro , o i' insano , ec.
Omero nel 22 dell'Iliade:
Ou r' ap 0 TQv SovoiroK uTO^tuyfiv, oOS"' 0 5i'wKf<y .
Cioè:
« Ma come nel sogno non può un che fugge seguir alcuno
n Né questi fuggirsi lia quello ^ né questi seguirlo.
L I V, E R A T A C. XX. ^fi^
Fargli eli' al corso avidamente agogni
Stender le membra, e clie s' afTanni invano;
Che ne' maggiori sforzi a' suoi bisogni
Non corrisponde il pie stanco e la mano :
Scioglier talor la lingua, e parlar vuole j
Ma non seguon la voce o le parole;
evi.
Così allora il Soldan vorn'a rapire
Pur sé stesso all' assalto , e se ne sforza ;
Ma non conosce in se le solite ire.
Ne se conosce alla scemata forza .
Quante scintille in lui sorgon d' ardire,
Tante un secrelo suo terror n' ammorza .
Volgonsi nel suo cor diversi sensi :
Non che fuggir , non che ritrarsi pensi .
cvii.
Giunge air irresoluto il vincitore;
E in arrivando ( o che gli pare ) avanza
E di velocitade e di furore
E di grandezza ogni mortai sembianza .
Poco ripugna quel ; pur , mentre more .
Già non oblia la generosa usanza:
Virgilio nel 12 dell'Eneide, r. 908:
« y^C velli f in somni.'! , oatlos uhi languidn presut
« Kocte qnlex , nequicquam ai'idux extendere cursus
« Velie videmur , et in mcdii.': ronatibiis cegri
« Siicridimu.t ; non lingun t'offf , non corpore notix
« Sufficiitnt vires ; ncc vox, aut verha sequuntur .
Boccaccio nel Laberinto: «Ma siccome sovente avviene « chi
« sofina , che pli pare ne' maggiori bisoc;ni , per niuna condi-
« zione del mondo potersi movere; cos'i a me sognante parve che
« avvenisse, e pareami che le gambe mi fosser del tutto tolte,
« e divenire immobile» .
St. io6. Ma non ronnxre in sé le sofi'^f ire ,
Nk se conosce alla scemata forza .
Virgilio neiristesso luogo:
« Sed ncque ciirrcntem se , nrc rognoscit euatem ,
St. 107. F in arrù-i.ndo ("o rhf ^fi pire ) at'mz.t ec.
Tutte queste circostanze e condizioni sono poste per render ve-
FÌsiniilc questa morte, che per si agcvol modo avviene . Guast
266 LA GERUSALEMME
Non fugge i colpi, e gemito non spande;
Né atto fa, se non altero e grande,
cviii.
Poiché '1 Soldan, che spesso in lunga guerra,
Quasi novello Anteo, cadde, e risorse
Pili fero ognora , alfin calcò la terra
Per giacer sempre, intorno il suon ne corse
E Fortuna, che varia e instabil erra ,
Più non osò por la vittoria in forse ;
Ma fermò i giri , e sotto i duci stessi
S' unì co' Franchi , e militò con essi .
cix.
Fugge, non eh' altri, ornai la regia schiera,
Ov'è dell* Oriente accolto il nerbo:
Già fu detta immortale; or vien che pera
Ad onta di quel titolo superbo .
Emireno a colui e' ha la bandiera.
Tronca la fuga , e parla in modo acerbo :
Non se' tu quel eh' a sostenergli eccelsi
Segni del mio Signor fra mille i' scelsi?
St. io8. Poìrhh 7 Solfìan , che spesxn in lunga guerra ,
Quasi not'ef/o Anteo, cadde, e risorse.
L' Ariosto al canto 9 , stan. 97 :
« Oital il Lil'ic:> Anteo sempre piìifiero
« Sor;rcr solea dalla percossa arena . Makt
— E Fortuna, die narit e instabil' erra ,
Più non Osò por la vittoria injorse .
Di aopra disse :
« Sta dubbia in mezzo la Fortuna e Marte ;
dinotando come la Tittoria intera ed universale non era anco-
ra certa da nessuna parte; ma ora eh' è morto Solimano ella è pur
sicura e ferma dal lato de' Cristiani ; dove s'ha da osservare , co-
inè il valor di Rinaldo, e l'opere della sua destra son quelle, che
danno il compimento eia perfezion della vittoria; e ben di così
fare era necessario , avendo il P^oeta scello questo cavaliero per
cosi sovrano personagf^io , e per secondo esecutor delle voglie di-
vine, come egli medesimo disse nel canto 17.
— Majermò i giri.
Allude alla rota attribuita alla Fortuna.
St. log. Alon se' tu (pie' , eh' a sostener gli eccelsi
Segni del mio Signor fra mille i' scelsi ?
LIBERATA C. XX. 267
ex.
Piimedcn, questa insegna a te non diedi,
A^xìò che indietro tu la riportassi .
Dunque, codardo, il capitan tuo vedi
In zuffa co' nemici, e solo il lassi?
Che brami? di salvarti? or meco riedi:
Che per la strada presa a morte vassi .
Comljatta qui chi di campar desia:
La via d'onor della salute è via.
Riede in guerra colui , eh' arde di scorno .
Isa ei con j^li altri poi sermon più grave:
Ttilor minaccia e ti r< ; onde ritcìno
Fa contro il ferro chi del lei ro })rtve .
Così rintegra del fiaccato corno
La miglior parte, v speme anco pur have.
E Tisaferno, più eh' altri, il rincora,
Ch' orma non torse per ritrarsi ancora.
CXII.
Meraviglie quel dì fé' Tisaferno :
I Normandi per lui fìiron disfatti;
Fé' de' Fiamminghi strano empio governo:
Gernier, Ruggier, Gherardo a morte ha tratti,
Poi eh' alle mete dell' onor eterno
La vita breve prolungò co' fatti ,
Quasi di viver più poco gli caglia ,
Cerca il rischio maggior della battaglia.
St. I IO. Rimedon , quest'insegna a te non diedi,
Accioccliò indietro tu la riportasti.
II Petrarca, nel 7 dell'Affrica:
« tum fervidus ira
« Hannibal exclamat: non lioec ti hi signa retro rsum
<i FurciJ'er ut rejenis , dedtram ? quia pergis, et illa
« Hostibua in mcdiis potiu.i discerpta rclin(jiie .
— Che brami? di salvarti? or meco riedi:
Che per la strada presa a ritorte vassi: ec.
Il Petrarca nel luogo allegato:
« Hvi mihi , cjuo ruiiis? no/i est via racla: venue :
268 LA GERUSALEMME
CXUI.
Vide ei Rinaldo : e benché ornai vermigli
Gli azzurri suoi color sian divwmli,
E insanguinati 1' aquila j^Ii artigli
E '1 rostro s' abbia , i segni ha conosciuti .
Ecco, disse, i grandissimi perigli:
Qui prego il Ciel che 1 mio arT^limenlo aiuti;
E veggia Armida il desiato scempio :
Macon _, s' io vinco , i' voto 1' arme al tempio
cxiv.
Così pregava, e le preghiere ir vote ;
Che '1 sordo suo Macon nulla n' udiva.
Quale il leon si sferza e si percote
Per isvegliar la ferità nativa;
Tale ei suoi sdegni desta ; ed alla cote
D' amor gli aguzza, ed alle fiamme avviva .
Tutte sue forze aduna , e si ristringe
Sotto r arme all'assalto, e '1 destrier spinge-
GXV.
Spinse il suo contra lui , che in atto scerse
D' assalitore , il cavalier Latino .
Fe'lor gran piazza in mezzo, e si convt^rse
Allo spettacol fero ogni vicino .
Tante fur le percosse e sì diverse
Dell'Italico eroe, del Saracmo ^
« Hac hostern reperire licei . Carthaginis estis
« Sic memores ? ai. forte dumurn reme.ire putntis f
« Erratis , miseri civrs; haec carceris una
« Exsiliiijue via est .
St. 1 1 3. Macon , s' io vinco , '" voro V arme al tempio .
Virgilio nel 10 dell' Eneide , y. 4'^' '•
« Da nunc Tybri pater , ferro , quod messile libro
« Fortunam. , atque viam duri per pertiis Malesi:
« HoiC arma erui-iasque viri tua qutrcus fiaè>»iit .
St. I 14. Quale il leon si sferza, e si percote
Per isvegliar la ferità nativa .
Vedi di sopra nel «auto t5 alla itauia 5o
LIBERATA C. XX. 7.69
Gli' altri per meraviglia obliò quasi
L' ire , e gli affelli proprj , e i proprj casi,
cxvi.
Ma r un percote sol : percote e impiaga
L' altro, e' ha maggior forza, armi più ferme.
Tisalerno di sangue il campo allaga
Con V elmo aperto, e dello scudo inerme.
Mira del suo campion la bella maga
Rotti gli arnesi, e più le membra inferme,
E gli altri lutti impauriti in modo.
Che frale omai gli stringe e debil nodo .
CXVII.
Già di tanti guerrier cinta e munita ,
Or rimasa nel carro era soletta .
Teme di servitute, odia la vita,
Dispera la vittoria e la vendetta.
Mezza tra furiosa e sbigottita
Scende , ed ascende un suo destriero in fretta ,
Vassene, e fugge; e van seco pur anco
Sdegno ed Amor , quasi duo veltri al fianco .
CXVIII.
Tal Cleopatra al secolo vetusto
Sola fuggi'a dalla tenzon crudele.
Lasciando incontro al fortunato Augusto
Ne' marittimi rischi il suo fedele ;
Che per amor fatto a se stesso ingiusto ,
Tosto seguì le solitarie vele .
E ben la fuga di costei segreta
Tisalerno seguia ; ma l' altro il vieta .
St. 1 15. Ch' altri per maraviglia obliò quasi
U ire. , e gli affetti proprj , e i proprj Casi .
Dante nel a8 dell'Inferno .
« Pihfur di cento , che quando l'udirò,
ti S' ctrrestaron nel Jo a so a riguardarmi ,
« Per maraviglia obliando il martiro .
27» LA GERUSALEMME
CXIX.
Al Pagan, poi che sparve il suo conforto,
Sembra che insieme il giorno e '1 Sol tfainonte;
Ed a lui, che '1 ritiene a sì gran torto,
Disperato si volge, e '1 fiede in fronte .
A fabbricare il fulmine ritorto
Via più leggier cade il martel di Bronte-
E col grave fendente in modo il carc3,
Che ì percosso la testa al petto inarca .
cxx.
Tosto Rinaldo si dirizza ed er^e ,
E vibra il ferro- e rotto il grosso usbergo,
Gli apre le coste, e l'aspra punta immerge
In mezzo '1 cor ^ dove ha la vita albergo :
Tanto oltre va, che piaga doppia asperge
Quinci al Pagano il petto, «^ quindi il tergo;
E largamente 1' anima fugace
Più d' una via nel suo partir si face .
ex XI
Allor si ferma a rimirar Rinaldo
Ove drizzi gli assalti, ove gli aiuti ,
E de' Pagan non vede ordine saldo ,
Ma gli stendardi lor tutti caduti .
Qui pon fine alle morti; e in lui quel caldo
Di sdegno marzial par che s' attuti.
Placido è fatto ; e gli si reca a mente
La donna che fuggia sola e dolente .
cxxii.
Ben rimirò la fuga: or da lui chiede
St. lai. Qui ponine alh morti ; e in lui quel caldo
Di .sdegno marzial par che s' attuti.
S'ammorzi; si spenga. Danle Alighieri nel a6 del Purg^
« Ma poicliì) J'uron di stupore scarc/ie ,
« I,o qudl negli alti cuor tosto s' attuta .
Dante da Majano:
« E lo dLsio non s' attuta, né stinge.
St. 132. Ben rimirò la fuga : or da fui ci i/'d"-
LIBERATA C. XX. 27 1
Pietà, che n' abbia cura e cortesia;
E gli sovvien che si promise in lede
Suo cavalier , ([uando da lei partia .
Si drizza ov'ella lugge, ov'egli vede
Il pie del palal'ren segnar la via .
Giunge ella intanto in chiusa opaca chiostra ,
Gli' a solitaria morte atta si mostra .
CXXIII.
Piacquele assai;, che 'n quelle valli ombrose
L' orme sue erranti il caso abbia condutte .
Qui scese del destriero, e qui depose
E r arco e la faretra e l'armi tutte:
Armi infehci, disse, e vergognose,
Ch'usciste fuor della battaglia asciutte,
Qui vi depongo; e qui sepolte state,
Poiché r ingiurie mie mal vendicate .
Pietà , che n abbia cura e cortesia ,
E gli sovvien che si promise in fede
Suo cavalier , quando da lei partia .
Molto benigno e cortese cavaliere ci è sempre stato dal nostre
Poeta figurato Rinaldo; onde nel partir dall'Isole fortunate si vi-
de l'immensa doglia ch'egli senti dell'afflizione e dell'angoscie di
Armida; e fiel disincantar il bosco, percotendo 1' albero abbrac-
ciato da chi la stessa Armida somigliava, per non lo far differen-
te dalla sua usata cortesia, come colà da noi si osservò, disse,
accorto sì, non crudo . Per questo seguendo qui tuttavia Piinaldo il
costume proprio, e insieme ancora 1' universale d'ogni cavaliere
di soccorrere e consigliare ogni donzella, a cui ne faccia raestiero
(del qual costume alcune cose si toccarono da noi nel canto 4) è
di più eziandio ricordevole, come dice il medesimo Poeta, della
promessa fattale nella partenza; vedendo la vittoria interamente
acquistata, e già quasi del tutto fornito il fatto d'arme, tocco da,
pietà, lei fuggente segue, afiin di consolarla, e porgerle soccorso,
non già da sensuale alcuno desiderio mosso, come senza fonda-
mento da'nemici suoi fu opposto al Poeta . E ben ciò appare cbia-
eamente da quelle parole St. 129:
« E l bel volto e 'l bel seno alla meschina
K Bajfnò d' alcuna lagrima pietosa .
E da quell'altre ancora della i34-
« U ajj'ettuoso pianto egli confonde,
a In cui pudica la pietà sfavilla :
a. E con modi dolcissimi risponde:
< Armida , il cor turiatv gnwi tranquilla ee.
372 LA GEliUSALEMIVlE
cxxiv.
Ah! ma non fia che fra tant'armi e tante
Una di sangue oggi si bagni almeno?
S' ogni altro petto a voi par di diamante ,
Oserete piagar femniinil seno?
In questo mio, che vi sta nudo avante,
I pregi vostri e le vittorie sieno .
Tenero ai colpi è questo mio; ben sallo
Amor , che mai non vi saetta in fallo .
cxxv.
Dimostratevi in me ( eh' io. vi perdono
La passata viltà ) forti ed acute :
Misera Armida, in qual fortuna or sono,
Se sol posso da voi sperar salute !
Poich' ogn' altro rimedio è in me non buono ,
Se non sol di ferule alle ferute ;
Sani piaga di strai piaga d' amore;
E sia la morte medicina al core .
cxxvi.
Felice me , se nel morir non reco
Questa mia peste ad infettar l' Inferno .
Restine Amor ; venga sol Sdegno or meco ,
E sia dell'ombra mia compagno eterno;
O ritorni con lui dal regno cieco
A colui che di me fé' 1' empio scherno;
E se gli mostri tal, che 'n fere notti
Abbia riposi orribili e interrotti .
cxxvii.
Qui tacque; e stabilito il suo pensiero,
Strale sceglieva il più pungente e forte;
Quando giunse e mirolla il cavaliero
Tanto vicina alla sua estrema sorte,
Già compostasi in atto atroce e fero ;
Già tinta in viso di pallor di morte .
Da tergo ei se le avventa, e 1 braccio prende.
Che già la fera punta al petto stende.
LIBERATA C. XX. o.-j',
CXXVIII.
Si volse Armida, e 1 rimirò improvviso^
Che noi sfut'. quando da prima ei venne .
Alzò le strida, e dall'amato viso
Torse le luci disdegnosa, e svenne.
Ella cadea, quasi fior mezzo inciso.
Piegando il lento collo : ei la sostenne :
Le fé d' un braccio al bel fianco colonna ;
E 'ntanto al sen le rallentò la gonna .
cxxix.
E '1 bel volto e '1 bel seno alla meschina
Bagnò" d'alcuna lagrima pietosa.
Qual a pioggia d argento e mattutina
Si rabbellisce scolorita rosa;
Tal ella , rivenendo , alzò la china
Faccia del non suo pianto or lagrimosa*
Tre volte alzò le luci , e tre chinolle
Dal caro aggetto; e rimirar noi volle <^
cxxx.
E con man languicletta il forte braccio,
Ch' era sostegno suo, schiva respinse «
Tentò più volte , e non uscì d'impaccio;
Che via più stretta ei rilegoUa e cinse .
Alfin raccolta entro quei caro laccio ,
Che le fu caro forse , e se n' infinse,
Parlando incominciò di spander fiumi,
Senza mai dirizzagli al volto i lumi,
cxxxi.
0 sempre, e quando parti, e quando torni
Egualmente crudele, or chi ti guida?
Gran meraviglia, che '1 morir distorni,
E di vita cagion sia l'omicida.
St. 1 3 1 . . : .... e se n injìnse .
Finse die non le fttS8«. Della signi6cazione di questo veibo si
è ragioHuto di sopra. Guast.
274 LA GERUSALEMME
Tu di salvarmi cerchi ? A quali scorni ,
A quali pene è riservata Armida?
Conosco l'arti del fellone ignote;
Ma ben può nulla chi morir non puote .
cxxxii.
Certo è scemo il tuo onor, se non s' addita
Incatenata al tuo trionfo avanti
Femmina or presa a forza , e pria tradita :
Quest è '1 maggior de' titoli e de vanti.
Tempo fu, eh io ti chiesi e pace e vita;
Dolce or sana con morte uscir di pianti ;
Ma non la chiedo a te, che non è cosa,
Ch essendo dono tuo, non sia odiosa.
CXXXIII.
Per me stessa , crudel , spero sottrarmi
Alla tua feritadc in alcun modo .
E s ali incatenata il tosco e Tarmi
Pur mancheranno, e i precipizj, e 1 nodo.
St. i32. Qiie.1t' è 7 maggior de' tìtoìl e de' vanti .
Propriamente elice, titoli , avendo di sopra detto:
« Incatenata al tao trionfo innanti ;
perchè sente quella usanza de' Romani , di portare ne' trionfi di-
pinte le città, i paesi ed i re vinti da'loro e sogsiog>'*ti -^ ^^^^ vol-
ta i nudi e semplici titoli , quale fu quello di Cesare , veni , vidi ,
vici, per significare la prestezza con la quale ei vinse Farnace
figliuol di Mitridate. Simil'è quel luogo di Ovidio dove Arianna
dice a Teseo:
« Me (Quoque narrnto solam tellure relirtam:
« Non ego siim titulis , xiirripienda tuia .
Ed aggiungevi quello, che la medesima Armida dice a Rinaldo
Bel decimosettimo canto.
St. i33. e s' all' incatenata il tosco e l' armi ec.
Par che imiti que' versi di Seneca nell'Edipo:
« morte prohiberi ìiaud queo .
« Ferrum negabis ? noxias lapso vias
« Claudes? et arctis colla laqueis inseri
« Proliibebis? herbas , quoe ferunt letum. , nuferes ?
« Quid ista tandem cura proficet tua?
« Ubicfue mors est , optime hoc cavit Deus ,
« Eripere vitnm. nemo non homini potest ,
« At ru'rno mortem.
£ che questa sentenza «ia yera^ l'esempio solo di Cleopatra
LIBERATA C. XX. ^7^
Veggio secure vie; che tu vietarmi
Il morir non potresti , e 1 Ciel ne lodo :
Cessa ornai da tuoi vezzi. Ah par eh' ei fìnga:
Deh come le speranze egre lusinga-l
cxxxiv.
Così doleasi; e con le flebil'onde,
Ch' Amor e Sdegno da' begli occhi stilla ,
L' affettuoso pianto egli confonde ,
In cui pudica la pietà sfavilla;
E con modi dolcissimi risponde :
Armida, il cor turbato ornai tranquilla:
Non agli scherni, al regno io ti riservo.
Nemico no , ma tuo campione e servo .
cxxxv.
Mira negli occhi miei, s'al dir non vuoi
Fede prestar, della mia fede il zelo.
Nel soglio, ove regnar gli avoli tuoi.
Riporti giuro ; ed oh piacesse al Cielo
Ch' alla tua mente alcun de' raggi suoi
Del Paganesmo dissolvesse il velo !
Com' io farei , che n Oriente alcuna
Non t' agguagliasse di regal fortuna .
cxxxvi.
Sì parla e prega ; e i preghi bagna e scalda
Or di lagrime rare , or di sospiri;
illa quale il Tasso comparò di sopra Armida, ce lo può a pieno
dimostrare , perchè custodita a tutto suo potere da Augusto, ac-
ciocché non si ammazzasse , ed invitata con molti vezzi a voler
vivere , alla fine mostrò , che la morte non si può togliere a ve-
runo: se bene Canidia Maga minaccia a Orazio il contrario, di-
cendo nell'Ode i8 dell'Epodo:
« Vcdes modo altis desìi ire turrihus ;
« Modo ense pectus Norico rtcludere :
« Frustraque vincla gutturi innectes tuo ,
« Fastidiosa tristis cegrimonia .
Ma se le malie possino tanto negli uoinini, reggasi in altri,
che io non ne so nulla.
376 L.\GERUSALE^IME
Onde, siccome suol nevosa falda ,
Dov' arda il Sole , o tepid' aura spiri;
Così Tira, clie in lei parca sì salda,
Solvesi, e restan sol gli altri desiri :
Ecco r ancilla tua : d' essa a tuo senno
DJspon ( gli disse ) e le fi a legge il cenno .
CXXXVII.
In qufsto mezzo il Capitan di Egitto,
die a terra vede il suo regal stendardo,
E vede a un colpo di Goffredo invitto
Cadere insieme Riraedon gagliardo ,
E r altro popol suo morto e sconfitto,
Né vuol nel duro fin parer codardo;
Ma va cercando ( e non la cerca in vano )
Illustre morte da famosa mano :
cxxxviii.
Contra il maggior Buglione il destrier punge ,
Che nemico veder non sa più degno.
E mostra ov' egli passa , ov' egli giunge ,
Di valor disperato ultimo segno ;
Ma pria eh' arrivi a lui , grida da lunge :
Ecco per le tue mani a morir vegno ;
St. i36. Onde, siccome suol nei'osa falda ee.
Leggiadrissimi sono i versi di Appollonio a questo pioposite ,
Argon. 4 :
Ìmvìto ìi (ppfvàj it'cìu)
Tijxoiitvyj ofovrf yripl po\ot(jiv f/pav^
TvjKfTcii ^ i^uìoiciv ixfvou.ì'ivi Oyìicciiv .
Ne'quali dice, che Medea si liquefece nella mente dal desi»,
siccome si liquefa la rugiada nelle rose, toccata da'raggi mattutini.
St. !3j. Ma va cercando ( lì non la cerca in vano)
Illustre morte da famosa mnan .
Perciocché, siccome dice un non so chi nel quinto libro di E-
lodoto, il morire per mano di gran personaggio non è che una
mezza morte: e per il contrario l'esser vinto da un nemico inde-
gno di te, egli è una doppia disgrazia, dice Eschine contra Cresi-
fonte. E pili compitamente Accio poeta, Arm^rum judicio:
« jVore trojthoetim fcrre me forti viro , pairruin est.
• Si autem et vincar , vinci « tali nullum est probrum .
Gekt.
LIBERATA C. XX. 277
Ma tenterò nella caduta estrema.
Che la ruina mia ti colga e prema .
cxxxix.
Così gli disse : e in un medesmo punto
L'un verso 1' altro per ferir si lancia.
Rotto lo scudo j e disarmato e plinto
E '1 manco braccio al Capitan di Francia ;
L' altro da lui con sì gran colpo è giunto
Sovra i confin della sinistra guancia,
Che ne stordisce in su la sella; e mentre
Risorger vuol , cade trafitto il ventre .
CXL.
Morto il Duce Emireno, omai sol resta
Picciol avanzo di gran Campo estinto .
Segue i vinti Goffredo, e poi s' arresta;
Ch' Altamor vede a pie di sangue tinto ,
Con mezza spada e con mezz' elmo in testa ,
Da cento lance ripercosso e cinto.
Grida egli a' suoi : cessale ; e tu , barone ,
Renditi ( io son Goffredo ) a me prigione .
CXLI.
Colui, che sino allor l'animo grande
Ad alcun atto d'umiltà non torse,
Ora eh' ode quel nome, onde si spande
Sì chiaro suon dagli Etiopi all'Orse,
Gli risponde : farò quanto dimande.
Che ne sei degno; e V arme in man gli porse
Ma la vittoria tua sovra Altamoro
Né di gloria fia povera, ne d' oro.
CXLII.
Me l'oro del mio regno , e me le gemme
Ricompreran della pietosa moglie.
St. 4^. Me l'oro del mio regno , f me le geminx
Hìcompreran della pietom moglie .
Omero nel 6 dell'Iliade:
27.*^ LA GERUSALEMME
Replica a lui Goffredo : il Ciel non diemme
Animo tal, che di tesor s invoglie.
Ciò , che ti vien dall' Indiche maremme ,
Abbiti pure , e ciò che Persia accoglie ;
Che della vita altrui prezzo non cerco :
Guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco
Zwypa AVpÈos vi, crù 5' af/a Sf^at olttcìv»
rioXXà 5' tv a(pi/f(où TTXTp'oi XH^yjXtx jìutcìi
KxKkoì Tiy xp«0"ó? rf , 7roXux(UL>jro'? rt rjS>)fo?
Tu)v xév Toì y^ctfiiijci.iro 7raTv;p tXTrfpiìcri cLnoivx
Eì xév t'juf ^ujov 7r67ru!^o( r fVi vvjic/v A' x^xiuiv .
Cioè:
« Lasciami viro, o figliuol d'Atreo; e tu degni piemj ne licrvij
« Molte del ricco padre nelln casa cose preziose stanno riposte
o E rame ed oro , e lavorato ferro :
« Di questi ti donerà il padre mìo infiniti doni
n Se me vive intenderà ritrovarsi appresso le navi de' Greci.
E nel to come forse con non picciola sazietà, e fastidio del leg-
gitore è oltre modo della replicazione vago questo poeta , secondo
che noi ancora piìj d'una volta abbiamo replicato , gli stessi ap-
punto :
Zuypa r , aoTap iyòìv Ìjj-ì Kvcoulxi , i^l yap è'vSov
XxKxÓ; T€, •)(^p'J<70i Ti, TTOXVKfXVTOi Tf ffi'StJpO? .
Tm 6 vjj.ij.lv •)^a(>tcxi to 7rar)ip a7rfpé(ci xnoivx
E/xfv f^S ^(jOQV 7Ct-rv%l T ÌtvI VVJUO-JV A')(,Ottù)V.
Cioè:
« Lasciatemi viro, e io mi riscatterò, perchè io ho in casa
« E oro, e rame , e lavorato ferro .
« Di questi a voi donerà il padre mio infiniti doni
« Se me vivo intenderà ritrovarsi appresso le navi de Greci.
"Virgilio nel io dell'Eneide, v. Ò2.\ , fa che Mago supplichi in
siniil guisa Enea:
« Per patriot! m.anes , et spes siirgentis lulì
« Te precor liane animam seri'cs natoque , patriquc .
« Est domus alta: jacent penitus dfjossa talenta
« Ccelati argenti : sunt aiiri pondera facti ,
« InJ'etìque mi hi .
— Guerreggio in Asia , e non vi cambio o merco .
Sublime sentimento e degno di GoftVedo . Simile fu quella ri-
sposta che Alessandro diede già a Parmenione, il quale gli avca
fatto delle proposizioni lucrose e poco oneste: Me non mercato-
rem memini esse, sed regem ( Q. Cur. lib. 4)- Questa risposta di
Alessandro leggcsi pure in Ennio, come data da Pirro in una si-
mile occasione: Non c.iuponantes belhun , sed helligerantes . In-
LIBERATA C. XX. ' 279
CXLIII.
Tace ; ed a' suoi custodi in cura dallo ,
E segue il corso poi de' fuggitivi .
Fuggon quegli ai ripari, ed intervallo
Dalla morte trovar non ponno quivi .
Preso è repente e pien di strage il vallo :
Corre di tenda in tenda il sangue in rivi ,
E vi macchia le prede _, e vi corrompe
Gli ornamenti barbarici e le pompe.
CXLIV.
Così vince Goffredo : ed a lui tanto
Avanza ancor della diurna luce ,
Ch' alla Città già liberata, al santo
Ostel di Cristo i vincitor conduce .
Ne pur deposto il sanguinoso manto.
Viene al Tempio con gii altri il sommo Duce :
E qui r arme sospende, e qui devoto
Il gran Sepolcro adora, e scioglie il voto.
torno a che osserva il Gentili , che il nostro poeta in vece di cau-
ponantes , perciocché era duro ad essere trasferito in lingua vol-
gare, molto acconciamente usò quelle due parole cambio e merco,
imitando in ciò Dante, il qual disse: Parad. 16:
« Tal fatto è Fiorentino , e cambia e merca , Gent.
G. LiB. T. III. 19
VARIANTI LEZIONI
filCATATE DILLE TRE Viv' ACraEDITATK STAMPE
DELLA. GERUSALfcMHE LÌBERA TA
PAXHA, tODOVI
«794-
PAKUA , TI OTTO,
i58i in 4?
MAMTOTA. eXAKirA,
i584.
CANTO XV.
St. V.
•j I ha in lui
8 2 Portano al mar U
\«'ia d'oro i ven-
ti
17 a Si lascia, e coateg-
giando Africa vie-
ne
— 5 Passa '1 regno di
Barca e scopre il
suolo
— 8 Sboccar .... il fa-
voloso
31 4 innanti
24 8 ove corriamo
3o 4 ignoti ancor,
5i 8 acqueti
35 7 Quivi produr
38 7 Quanto
— 8 e dire: io fui!
39 7 dall' ocean
55 8 r erba
6a 5 Poscia la voce man-
sueta e pia
— 6 Mosse, che parve
suon di paradi-
so
63 8 Che guerrieri qui
sol
ha in te
Spingon la vela
inverto il lido i
Venti
Non «cerne , e pur
lungo Africa sen
viene
La Marmai ica ra-
de e rade il suo-
lo
Sorger ... il fa-
buloso
inanti
ove corriamo
ignoti , ancor
accheti
Quivi produr
Quando
e dov'io fui
dall' Ocean
l'e.be
Mosse la voce poi
*i dolce e pia ,
Che fora ciascuno
altro indi con-
quigo
Che guerrier qui
iolo
ha in lui
Spingon la vela
inverso il lido i
venti
Non sceme :e pur
lungo Africa sen
viene
La Marmari(;a ra-
de, e rade il suo-
lo
Sorger .... il fa-
buloso
avanti
che corriamo
ignoti , ancor
accheti
Qui partorir
Quando
e dire: io fui .
dell' Ocean
1 erbe
M'-tsBe la voce poi
si dolce e pia ,
Che fora ciascuno
altro indi con-
quiso
Glie guerrier qui
solo
St. V.
CANTO xri.
iG 7 La terra e l'aria La terra e l'acqaa L» terra e l'aequ?.
28:
VARIANTI
St. r.
17 7
— 8
a5 3
40 2
4»
48
43
5o
55
60
61
6a
65
2
6
6
2
7
7
3
8
3
— 8
70 2
75 2
PARMA, EOnONI j
1794-
Vede pur certo il
vago e la dilet-
ta
Ch'egli è in grem-
bo alla donna, es-
sa all'erbetta
sorrisi , parolette
tra gli atti
Parte teco
Dà insieme ad am-
be
Volge furtivo
la lingua
Tutte ancor non
Che te voglia ferir
ti spiaccia
E cadde
( e tu noi vedi)
Cortesia lo ritien
e 'l lido ecco (4)
Che tuo prigion
l'aspra
per r aria
serventi
PARMA, VIOTTO,
i58i in 4
Vede pur certo il
vago e la dilet-
ta
Ch'egli è in grem-
bo alla donna ,
essa all'erbetta
sorrisi , parolette
tra gli agi
Parte teco
Dà iusicnie ad am-
bi
Furtivo volge
la voce
Già tutte non
Che ti voglia ferir
ti spiaccia
E cade
(e in no 1 credi )
Cortesia Io ritien
e ') lido a lui
Che tu prigion
l'alta
nell'aria
eeigenti
MAKTOTA, OSAlrWl.
1534.
Vede pur certo Ar-
mida insieme e
'irago(i) •
Sedersi all'ombra
incontra un chia-
ro lago
sorrise parolette
tra gli agi
Teco parte
Dà insieme ad am-
be (2)
Volge furtivo
la lingua
Già tutte non
Che ti voglia ferir
ti piaccia
E cade (3)
( e tu no'l credi )
Il ritien cortesia
e I lido a lui
Che tu prigion
l'alta
nell'aria
3Prc;enli
CANTO XV n.
a 6 traslatò (i) traslato traslato
3 I Qual la stagione, quale stagion , quale stagione, <
e qual là fosse quale ivi fosse qual là fosse
5 5 E passa dentro in- E passa dentro in- E passa a dentr*
(i) Questa lezione , che trovasi anche nella stampa del Caval-
calupo non è stata adottata nò pure dal Sig. Ab. Colombo.
(2) Dopo la presente stanza, ho posta dietro l'autorità del Sc-
rassi r altra :
« Disselli Ubaldo aìlor ec .
Dice il Sig. Colombo che « poco prudente consiglio dà qui Ubal-
« do al nostro Eroe . Si vincon forse le Sirene ascoltandole ? Cosi
« non pensava quel saggio Ulisse ec. » Giustissima rillessione,
quando avesse avuto tempo Rinaldo d'involarsi, senza udire i
lamenti di Armida: ma poiché non eravi modo di farlo, Ubald»
consiglia il migliore espediente nella strettezza del caso.
(3) Anche il Sig. Colombo legge cadde .
(4) Leggo ecco col Serassi , perchè mi pare di maggiore evi-
denza .
(i) Leggo trasJaiù col Serassi, per la stessa causa che sopia.
LEZIONI
283
i>ARAlA, BOBOHI ,
FARMA, VIOTTO,
MAMOVÀ, OSANNA,
i794-
i58i in 4
i584.
Sj. t^.
centra all' ìuani-
centra all'inGnì-
incontra all' in-
to
to
finito
(> G lo governa
lo governa
le governa
26 3
Pianse , peicosào
Pianse , percosso
Piansc,percos3o(2)
3o 7
a cui il nome
a chi il nome
a chi il nome
3i 6
d'uguagliarsi van-
d' agguagliar si
d' agguagliar si
ta
vante
vaute
61 5
non cela , non su-
non gela, e non
non gela , e non
da
suda
suda
73 8
Monscclse
Monsclcc (3)
Monscelce
11 t
Te]>aldo (4)
Tedaldo
Tedaldo
78 3
Là sconQggea
Là configgea
Là configgea (5)
84 7
intento
il Mago '
intento
87 8
men chiari gesti
men chiari i gesti
men chiari i ge?ti
CANTO XyiIL
3 3
Qual si sia
Qual si sia
Qual che sia
1 3
la sua greggia
le sue gregge
le sue gregge
20 3
Ei tanto stende
Ei tanto stende
Ei stende tanto
3o 2
Meraviglia
Meraviglie
Meraviglie
35 6
La faccia, e vi
La faccia, vi
La faccia; vi
37 7
La noce; e noce
la nrtoe , è noce
la noce; è noce
38 8
Sembianze! oh fol-
Sembianze, e fol-
Sembianze, e fol-
le
le
le
^3 8
dal lanciato
da lanciato
da lanciato
45 5
schiere rimirando
schiere in rimi-
schiere in rimi.-
rando
rando
49 5
ne dimena
non dimena
ne dimena
63 5
ed in sul colle
e d' in sul colle
e d'in fiul colle
66 3
subito
subita
subita
83 8
Piove
Piove
Piovve
84 3
rombo
bombo
bombo (i)
87 7
e ubbidienti (2)
ed ubbidienti
ed ubbidienti
(2) Percosse legge anco il Sig. Colombo .
(3) Deve dir il/o«5e/ce, cioè Monsclice , e così legge anche il
Sig. Colombo .
(4) Correggasi Tedaldo, perchè dee dir così, ed è un errore di
stampa, ad onta della lezione del Serassi.
(5) Deve dir sconfiggea , e non configgea , che ha un altio si-
gnificato.
(i) Col rispetto che debbesi al Sig. Colombo, e di tutte l' edi-
zioni (che forse lo posero per errore di stampa), adotto rombo,
poiché bombo in Toscana non ha altro significato che il bere che
dimandano i bainliini quando hanno sete.
(3) Ubbidienti di cinque ìiillabe adotta Miep il Big. Coloiabo.
284
VARIANTI
PARMJk, BODOII,
«794-
St. r,
99 4 La ipendo (3)
— 5 E, sé in novf di
lete
»i.RMi, TIOTTO^
i58i in 4'
La spando
E in ȏ noTC dife-
MINTOVA, OS/lKNA,
1584.
La spando
E in ȏ noTC dife-
7 4 P°'' l'alti'ui
19 6 Quando ci ne già
CANTO XIX.
per l'altrui
Quando ein'è già
30 5
38 2
43 8
43 8
47 4
% 7
81 3
87 I
9' 7
95 8
io5 4
106 5
114 5
laG 6
con braccio
sforza, pi il
Dove vede appres-
sar
a braccia aperta
steso
'.u greggia
A diinande e ri-
sposte
Tosco , disse ella
odio o disdegno
questi riguardi in-
nante
Ma jii' usurpò
Fortuna ! ah che
veduta amara e
trista !
si dolci e bei
risponde
insia qui detto è
poco
col braccio
sforza j piìi
DoTe appressar
vede (a)
a braccia aperte,
e steso
le greggie
A dimande , a ri-
sposte
Tosto disse ella
odio, o disegno
questi rispetti i-
nante
Ma s'usurpò
Fortuna ? a che
▼ edula amara e
trista ?
sì dolci e rei
rispose
> in (in qui detto k
poco (4)
CANTO XX.
per altrui
Quando ei ne già
col braccio
sforza, e più
Dove vede appres-
sar
a braccia aperte ,
e steso
le greggio
A dimande, ?. ri-
sposte
Tosco ( disse ella)
odio o disegno
questi rispetti a-
vante
Ma s'usurpò
Fin tuna ? a che
veduta aniarn e
trista?
sì dolci e rei (3)
rispose
in sin qui detto à
poco
16 5 Tremar le spada Le spade ornai tre- Le spade ornai ».ii-
oinai mar mar
33 7 Poi far Poi fer Poi fier
(3) Adotto la ripetizione di spendo col Serassi per evitare il
bisticcio di spendo e sp.indo .
(1) Adotto ;^m, perchè quel ^2a(cioè andava )y5er ricadere,
mi sente un po' la prosa: ma forse ra' inganno.
(2) Adotto Dove appressar vede, per evitar quel ove , i'# , del
dove vede .
(3) Allotto si dola e hei col Serassi , come pili a proposito nel-
la situazione di Erminia.
(4) Adotto la piima lezione dell'Autore il fin qui detto è poco ,
perchè parmi che abbia maggior garbo poetico .
LEZIONI
PARMA, BODONI,
>794-
St. V.
62 8 Ma la placava
64 I Vorria
68 5 Qual è timido
88 2 a vendicarsi
95 5 Grida il crudel
97 8 del suo disdegno
107 8 se non altero (2)
108 2 cadde e risorse
123 a abbia (4) condutte
i36 8 e le sia
PARMA, VIOTTO ,
i58i in 4'
Ma le placava
Torria
Qual è il timido
al vendicarsi
Grida il crudel
del suodisegno(t)
se non se altero
cade , e risorse
abbian condutte
e le fia
a85
MANTOVA , OSANNA
i584.
Ma le placava
Torria
Qual è il timido
al vendicarsi
Gridò il crudel
del suo disegno
se non se altero
cade (3), e risorse
abbian condutte
e le fia
(i) È errore di stampa, « deve dir disdegno . Cosi anco adotta
il Sig. Colombo.
(2) Leggo cosi per maggior semplicità; giacché, stando gram-
maticalmente bene , si evita la ripetizione dei due **.
(3) Anche il Sig. Colombo legge cadde .
(4) Dee così leggersi . Abbian è errore .
STANZE
RIFIUTATE DALL' AUTOÌIE
CANTO XV.
Così Comincia questo Cantò hell' Edizione del Cavalcalup» ,
St. 4- La couca al lustro ed al candor somiglia
Perla che pura e nitida siaville .
Vaga è la donna , e le cortesi ciglia
Di ridente letizia avea tranquille.
La sua veste or cerulea ed or vermiglia
Appare, e si colora in guise mille Ce.
St. 7. Come la nobil coppia ebbe raccolta.
Colei rallenta alla sua nate il morso;
£ siede in poppa al suo governo , e volta
La ticn laddove l'onde han maggior corso.
La chioma , ch'avvolgea si lunga e folta
Ver quella parte eh' è contraria al dorso.
Dispiega e spande all'aura, e l'aura , come
In vela suol , curvando empie le chiom*.
IO. Restò Pelusio indietro , ed a mancina
La nave il corso avventuroso volse ;
E vide come il Nilo alla marina
Per sette porte il gran tributo accolse.
Vide a Canopo la città vicina ,
Che dal gran fondatore il nome tolse:
E Faro , isola già , che in alto lunge
Dal lito giacque, al lito or si congiunge.
29. Dunque, replica Ubaldo, il sommo Sole
Che fra noi scese a illuminar le carte ,
Raggio alcuno di sé largir non vuole
A questa , che del mondo è sì gran parte.
Risponde: il volgo misero, che cole
Or Dei bugiardi, e non ha civil arte ,
Fia rivolgendo gli anni anco ridutto
Al veio culto , e nobilmente instrutto.
33. Cosi parlava , e le non corse strade
Solca fra l'Occidente e '1 Mezzogiorno.
Già son dove ogni stella sorge e cade,
E sempre gira egual la notte e '1 giorno.
Qui miele l'anno le mature biade
Due volte, e doppio ha '1 verno il suo ritorno.
Vanno innanzi scorrendo , e già lor sorge
Il Polo, cui r Europa iinquR non scorge.
RIFIUTATE a87
Miran quasi duo nuvoli di molte
Luci in un congregate, e in mezzo a quelle
Girar con angustissime rivolte
Due pigre e brune e picciolette stelle.
E sovra lor di Croce in forma accolte
Quattro più grandi luminose e belle.
Eccovi i lumi opposti al freddo plaustro.
Che qui segnano, disse, il polo d'Austro.
Miran duo merghi indi coir ale molli
Quasi radendo andar l'onda marina
La fatai donna ai due guerrier mostroUi
Per segno, che la ripa è già vicina.
Ed ecco di lontano oscuri colli
Scopron dell' umil terra peregrina .
Lor nel petto un desìo subito viene
Di lasciar l'acqua e di calcar l'arene.
St. 38 Carlo incomincia allor , ec.
St. 4i. E questo ei vuol, perchè la gloria integra (^vedasi nel testo)
Del gran trovato il trovator poi n'aggia.
Ma dell' oblivion tacita e negra ,
Ancor tempo verrà , ch'altri la traggia:
E la spieghi volando per l'allegre
Aura soave, che dà! sol s'irraggia.
Quando ancor fia chi rinnovelli e cante
La giusta guèrra e le fatiche sante .
La Stanza che segue r.on leggesi in alcvno esgmpìare
degli stampati .
£ ciò sarà ne' secoli maligni.
Che per tutto fia sVelto il mirto e '1 lauio;
E muti languiran sul Tebro i cigni,
E in Arno e in Mincio e in Taro ed in Metauro :
Solo fia i corni del gran Po ferigni
Avranno i nidi piìi belli che d'auro :
Avranno gli antri e l' aeque e l'ombra e l'erba:
O glorioso chi gli accoglie e serba !
Così dicendo e trascorrendo , il legno
La fatai duce a un promontorio accosta.
Gl'inospitali Antropofagi il regno
Han quivi, e quindi stesa è la gran costa
Per lunghissimo tratto incontra '1 segno,
Al quale è l'Orsa d'Aquilone opposta:
Benché talor si pieghi alquanto e torca
Verso le parti, dove il Sol si corca .
Giungon poi dove un fiume al mar confina.
Che tante dal gran vaso acque diffonde.
Che 1 ceruleo color della marina
Segna un lungo sentier di torbide onde.
jVè '1 Danubio si grande, o '1 Po dechina,
3Vè qud , che 1 fonte all'viu de Poli asconde ,
S T x\ N Z E
Ed all'altro la foce: né si grande
L'Eufrate o '1 Gange mai si gonfia e spande <
Sette Isolette ha nella bocca , e tiene
Più suso una Provincia intra due corna ,
Ricca di preziose argentee vene,
Ond'ella ha '1 nome ,e 1 fiume anco n'adorna:
La lunga spiaggia delle salse arene
Non è di borgo , o di castello adorna;
Rare case e disperse , e spesso scorti
Son da lor fiumi e promontori e porti .
"Venner dopo gran corso al sen , che detto
Ha di San Giulian libero audace;
Loco a' legni opportun, se non che '1 letto
Pieno di sirti e innavigabil giace .
Si volser quivi a un improvviso obbietto ;
(È di Tifci , d'Euceladi ferace
Quivi la terra) orribili muggliianti
Scopron sul lido i Patagon giganti.
Era in gemelli il Sol, quando piìi breve
Qui l'ombra annotta, e i di maggiori alluma.
Ma là 've il suo valor non si riceve,
Verna stagion di tenebre e di bruma.
Scoproa da lunge alfin monti di neve
Carichi, ov'ella mai non si consuma.
Poi tra lor chiuso il varco angusto appare ,
Che parte il mar del Sud dall'altro mare.
Spettacol quivi al nostro mondo ignoto
Vider di strana e d'incredil caccia:
Volare un pesce, un altro girne a noto;
Fugge il volante , il notatore il caccia.
E nell'ombra , ch'è 'n acqua , osserva il moto,
Chexjucl fa in aria, e segue ognor la traccia,
Fin che quel, che non regge a volo il peso
Per lungo spazio, in mar cadendo è preso.
Escon dal breve stretto ad Oceano
Vasto ed immenso , il qual co' venti ha tregua,
Si ch'onda pur non disagguagiia il piano,
Cui stabil calma, o quasi eterna adegua.
Or perchè il corso, che da senno umano
Retto non è, rapidamente segua.
Spinge sempre soave e sempre eguale
Gli avventurosi erranti aura fatale.
A destra è lungo tratto: e quivi è il Guito,
E col ricco Perii l'aurea Castiglia .
Ma la nave seguendo il manco lito
Ver la terra anco ignota il caminin piglia.
E trova un mar si d'isole fornito,
Che l'Egeo colle Cicladi somiglia:
E già, da che lasciar l'arene Ibere,
Erari dieci albe scorse e dieci sere.
Loco B in quell'erme spiaggie assai riposto:
RIFIUTATE 289
Porto coir ai ti sue naliira il rende.
Si curva il lido e tra due corna ascosto
Fa un ampio seno: un'isola il difende.
Ch'a lui la fronte, e '1 tergo all'onda ha opposto.
Che vien dallalto, e la respinge e fende,
Quinci e quindi è gran rupe, e torrcggianli
Fan due gian scogli segno ai nariganii .
Tacciono sotto i mar securi in pace:
Sovra ha di negre selve opaca scena.
Contra pendente una spelonca giace.
D'edere e d'ombre e di dolci acque amene.
Fune non lega qui , né col tenace
Morso le stanche navi ancora frena.
Qui in vece delle vele e delle sarte
Raccolse ella le chiome al vento sparte .
Con queste Stame unisce il Canto presente nella prima ediziont
del Poema, e le seguenti Stame rijnitate non si leggono nei
due testi dell' Ingegneri , né in alcun altro degl'impressi ; e
noi ad esse abbiamo assegnato il luv^o , come più probabile ci
è paruto .
St. 47. Fern.àrsi a pie dell'alpe, insin che chiuso
Fu dall'ombre r.otturne l'orizzonte.
E i suoi splendori appena ebbe diffuso
, Il Sol, dell'aurea luce eterno fonte,
E ricco il ciel di rai , ch'ambo là suso
Gridar : già tempo è di salire il monte.
Ma lor sul cominciar l'erta attraversa
Fera , sei pendo orribile e diversa.
St. 54. Siede sul lago, e imperioso i mari
Vagheggia e i monti ampio palagio adorno.
Tramutar vede le stagioni, e in vari
Volti sotto apparir la notte e '1 giorno.
Egli è in stabil riposo, e da contrari
Sì gioja accresce al suo dolce soggiorno.
Come è soave il rimirar d^ terra
Nave che mar cruccioso aggira ed erra.
Non hanno, s': '1 desio gli aHretta e punge.
Essi a tante vaghezze alcun riguardo;
Poiché '1 mostro custode appar da lunse
Sulla gran porta in minaccevol guardo.
D'uomo è in lui quel di sopra, a cui congiungc
Poscia da' fianchi in giù membra di pardo:
Salvo che serpentina orribil coda
Nel deretano suo ripiega e snoda.
Con quella fere impetuoso e crudo
Sì , che ne fende e fora il ferro e i marmi .
Elmo non ha , non ha corazza o scudo ,
Che nella pugna l'assecuri e Tarmi.
Ma la velficitade al corpo ignudo.
a9'> STANZE
E la destrezza sua vatjlion per avrai ,
Tre dardi ha nella destra, e. la litorla
Spada di fina tempra al fianco porta .
Contra gli armati duo sol con si fatte
Difese vien , né l'orme in terra imprime,'
E correria sovra le spÌE;he , intatte
Lasciando lor le tremolanti cime;
E porteria per mezzo il mar le ratte
Piante sull'onde tumide sublime
Senza punto bagnarle . Or come fue
Vicin lancio l'armi volanti sue.
E di tré colpi i duo guerrit^r con esse
Percosse: piac;ò Ulialdo a mezzo il petto.
Carlo non piagò già, però che resse
Due punte, onde fu colto il forte elmetto.
Quinci d'intorno a lor tesse e ritesse
Suoi corsi in giro, e fende a suo diletto .
E sono spesso anco colpiti a un punto;
Che l'un la coda , e l'altro il ferro ha giunto .
Non , se fosser tra mille in mezzo accolti,
Foran si lor battuti i petti e i fianchi ,
Le cave tempie , i larghi omeri e i volti ,
Come un sol Ji combatte e gli ha già stanchi .
Essi non mai cogliendo, e sempre colti
Temon che indarno sparso il vigor manchi .
Giunger le spalle, e far costretti furo
Ciascun col petto il tergo altrui securo.
Con tutto ciò per sì diverse strade
Or l'uno or l'altro assale, e sì repente;
E in lor de' colpi la tempesta c.idf
Delle doppie armi sì grave e frequente;
Ch'hanno al parar piìi ch'ai ferir le spade
Con tutte l'arti dello scheimo intonte .
E se nulla temenza han di morire,
N'han dubbio almen , né scema il dubbio ardire
Ubaldo al fine argomentò con arte
Nova vincer la dubbia aspra contesa.
Il rotto scudo suo gitta in disparte.
Si ch'abbia la sinistra atta a far presa.
Quando la coda poi, ch'incide e parte
Le dure piastre è sovra lui discesa.
L'afferra si , che '1 mostro a st; non puote
Ritrarla , e fenna le veloci rote.
L'una stringe la coda, e l'altra mano
Difende ambiduo lor dalle percosse;
Che tentò 1 mostro di troncar, ma in van»
Or luna, or l'altra: iiivau si torse e scosse.
Rotar non può, non gir da lor lontano ,
Né da far resistenza have armi o posse:
Tal che senta contrasti e senza schermi
Fesse e trafille son le membra inermi .
RIFIUTATE ^91
Carlo tre volte a lui la spada immerse
Dove l'umano era al ferin consorte:
Ed altrettante il capo e piìi gli aperse;
E bastava assai meno alla sua morte.
Poi col compagno suo l'orme converse ,
Già curata sua piaga , invér le porte .
E quando presso fur , lucido e vago
Trasse allettando alla lor vista il lago.
St. 58. Quivi de' cibi preziosi, ce.
St. 56. Tutta queir acqua poscia insieme accòlta
Mormorando seii va tra vaghe sponde:
E chi mira invaghisce e chi l'ascolta
Col dolce suono e colle lucide onde .
E sovra ambe le rive è così folta
L'ombra, che scende in lor da verdi frond<?f
E cosi alta l'erba ivi s'estolle;
Che seggio esser non può più fresco e molle -
St, 59. La dolce vista delle due si belle
Ignude inteneri q'je'fìeri petti;
Sì che fermarsi a riguardarle, ed elle
Seguian oltre , infingendo , i lor diletti.
Scoprendo alcuna ad or ad or di quelle
Parti secrete, che più gli orchi alletti.
Una al fin n'esce, e tutte senza velo
Spiega le nude sue bellezze al cielo
Canto xvij.
St, 37. Che sarà poi, quando del dolce ris{i
Sp leghi i tesori , e de' begli occhi i lampi?
Chi non saia del suo parlar conquiso?
Chi fia, che a quei suoi vezzi invitto scampi?
Quand' ella armata di pietate il viso
Oppugni l'alme, e intorno ai cor s' accampi.'
Quand' ella adopri fulminando insieme
Le macchine d'Amor diletto e speme.
St. 37. Ma poich'alia è passata, ec.
Qui l'edizione di Casalma^^iore ha la segitenie ottru-n: essa è
registrata nella Mantovana tra le rifiutate dalV Autore .
St. 5o. Quanto, oh quanto t'inganni, o vuoi severa,
O vuoi clemente dar pena, o perdono.
Clemcntissima sei, dolce cueuieia.
S'uccidi, tu chiami castigo il dono.
Per l'allrui ferro il tuo nemico pera:
Atto dell'ira tua ministro io sono.
Il capo io troncherò di quel Rinaldo,
Benché diaspro fosse , o ferro saldo.
Si. 93. Così n' andaro insin , ch'ai Sol novello
Mille tende poteano ornai vedere:
' 29^ STVNZfì RIFIUT.\TE
, E spettacolo in cima altero e bello
; Faceva il tremolar delle bandieie.
j Qael , che scorti <^li avea , sublime aiigello
\ Non rivolo v<ir le celesti sfere ;
» Ma giù discese, e del fatai campione
(Posò sull'elmo , ove il cimier si pone .
E qui s'alìsse, e qui.immobil divenne
(Mirabil mostro) un f^ran cimier d'argento :
Ma par ch'ai volo apparecchiarsi accenue,
■ Par che del cielo ancor abbia talento :
■ In cotal atto l'arsientate penne
f Dispiega , e tien lo sguardo al Sole intento .
( Conosciuto è Rinaldo, e già precorre
/ La fama, e certo poscia il nunzio corre .
j [Queste Stanze nelle due edizioni fatte dall' Ingegneri, seguono (a
/stanza 92 , e ron esse compiesi il Canto ; ma nelV edizione di
P irmi d'jl i58i in quarto son. fram,mezzo le stanze gS e 96, la
j prima però interamente mutata, e la seconda variata, come
j segue :
•
Da lungo il tremolar delle bandiei-e
Parea a mirar spettacol vago e bello ;
E le cose piìi chiare anco apparere
Cotninciavano ai rai del Sol jin/ello ;
Quando calar dalle superne sfere
Di forma tal ecco improvviso augello ,
Qual scese in Ida Giova, e del campione
Posar sull'elmo, ore il cimier si pone.
SQUARCIO
DEL PRIMO SBOZZO
DELLA
GERUSALEMME LIBERATA
TRATTA DAL MS. ORIGINALE , CHE SI CONSERVA
MHLLA BIBLIOTECA URBINATE VATICANA
CODICE SEGNATO NUM. QoS,
DELLA '
GERUSALEMME LIBERATA
DI
TORQUATO TASSO
LIBRO PRIMO
Pietro Eremita ritornando da Gerusalemme , ove ave^m %>eduto
i Cristiani di quel paese menar sotto la tirannide de' Turchi vita
acerbissima e miserabile ; e le sacre reliquie esser dall' insolenza
de' barbari avute in dispregio e profanate, narra queste cose ai
Cristiani d' Europa . E quindi prendendo occasione con molta
pubbliche ed ardenti orazioni gli esorta all' acquisto di Terra
Santa; sicché molti Principi, e molti Cavalieri con privato con-
siglio da varie parti a questa impresa s'inviarono: i quali fi-
nalmente congiuntisi insieme dopo aver date molte rotte a' Tur-
chi ed a' Persiani , s'accostarono a Gerusalemme, onde il prin'
dpio dell' opera si prende .
M^ ainii pietose io canto e l'alta impresa
Di Gottifrodo, e de' Cristiani eroi.
Da cui Gerusalem fu cinta e presa ,
E n'ebbe impero illustre origin poi .
Tu, Re del Ciel, come al tuo fuoco acccs»
La mente fu di quei fedeli tuoi ,
Tal me n'accendi : e se tua santa luce
Fu lor nell'opre, a me nel dir sia duce.
II.
E tu che forse a rinnovar gli esempi
Del famoso Goffredo eletto fusti,
E puoi Giudea non pur, ma i Persi , e gli empi
Mauri, e gl'Indi domare e i Traci ingiusti.
Si che l'invidia oniai dc'prisclii tempi
Cessi ,e la gloria de' Romani Angusti :
Ascolta quel che d' altrui scrivo e canto,
E fa me di te stesso augure intanto.
G. LiB. T. III.
29G LA GERUSALEMME
in.
Questa che spiego or de gran fatti altrui
Antiqua tela , e parte adorno e tingo ,
È veraie pittura e certa , in cui
Le tue future glorie adonibio, e piago.
Febo a sé mi rapisce, ed io di lui
Ripien , sue voglie a seguitar m'accingo ,
E l'acceso pensicr scorge or palese
I simolacri di (</) future imprese .
IV.
Già mi par di veder la Quercia d'auro
Spiegata trionfar per l' Asia intorno ,
E 'I gran Nilo inchinarsi al bel Mctauro,
Ed arricchirgli de'suoi fregi il corno.
Già d'andarne mi par cinto di lauro
Fra' tuoi, ch'avran di paline il crine adorno:
E fra le trombe , e fra il romor dell'armi
^ Sonar mia cetra e i miei non rozzi carmi.
V.
Or mentre quasi novo augel , ch'apprenda
Formar le note, e gir volando a stuolo ,
P'o di me prova , onde securo io prenda
Di te cantando, poi solingo voloj
Sovra me la gran Quercia i rami estenda ,
Che questo schermo incontra i fati ho solo .
Così sua scorza le sue lodi stesse
In sé riserbi eternamente impresse.
VI
Già scorrea vincitor per l'Oriente
L'esercito Cristian da Dio oondutto ,
E Tarso in suo poter novellamente
E d'Antiochia il regno avean ridutto;
E vinta e morta innumerabil gente
De' Persi , e quasi Persia in lei distrutto;
Indi Tripoli presa, in quella parte
S'eraa le schiere sue fermate e sparte.
YII.
Quando il chiaro Goffredo , a cui commesso
Lo scettro fu dell'onorata impresa,
Scorgendo egual desire in tutli espresso
Ch'ornai Gerusalem sia cinta e presa;
E sentendo egli ancor raff<'tto istesso
Di maggior fiamma aver sua mente accesa ,
Tutte le genti sparse in un raccolse;
E ver le sacre mura il Campo volse.
T 1 B E K A T A ■>.():
vili.
4llor , di' a Febo in Oliente sono
Del Ciel dischiuse l'indorate porte.
Di trombe udissi , e di tamburi un suono
Ond'al camino o^ni gucrricr s'esorte.
Non è sì tarato a mezzo Ac;osto il tuono
Che speranza di pioee;ia al mondo appoitc ,
Come fu grato all'animose genti
L'alto romor de' bellici strumenti .
IX. '
Tosto ciascun da gran desio compunto
Veste le membra dell'usate spoglie:
E tosto appar di tutte l'arme in punto;
Tosto sotto i suoi duci ognun s'accoglie;
ì'j l'ordinato stuolo in un congiunto
Tutte le sue bandiere al vento scioglie;
E nel vessillo imperiale e grande
La trionfante Croce al ciel si spande.
X.
La vincitrice insegna in mille giri
Alteramente si rivolge intorno:
E par ch'in lei più riverente spiri
L'aura; e che splenda in lei piii chiaro il giorno,
E che lungi la polve indi si tiri.
Nò le macchi nell'aria il manto adorno,
E che nel suo passar l'altere fronti
Pieghino umili d'ogni intorno i monti.
XI.
In tanto il Sol, che de' celesti campi
Va più sempre avanzando, e in alto ascende,
L'armi percuote , e ne trae fiamme e lampi
Tremuli e chiari ond'ogui vista offende:
L'aria par di faville intorno avvampi
E di stellato ciel senibianza rende;
E con fieri nitriti il suon s'accorda
Del ferro scosso, e le campagne assorda ,
XIl.
Il Capitan, che da'nemici aguati
Le proprie schiere assicurar desia ,
Molti a cavallo leggermente armati
A scoprire il paese intorno invia:
E innanzi i guastatori avea mandati.
Da cui si debba agevolar la via;
E i voti luoghi empire , e s| ianar gli erti »
E da cui siano i chiusi passi aperti .
298 LA GERUSALEMME
XIII.
Conduce ei sempre alle marittime onde
Vicino il Campo per sicure strade,
Sapendo ben che le propinque spon le
L'amica arj.iata costeggiando rade:
La qual può far cìie sempre il Campo abbonde
Dei necessari arnesi, e delle biade,
E di ciò che la vita altrui sostiene ,
Quello arrecando da remote arene .
XIV.
Geme il vicino mar sotto l' incarco
Di mille curvi abeti, e mille pini,
E per esso ornai pili sicuro varco
In Inogo alcun non s'apre a'Saracini :
Ch'oltra quei, e' ha Georgio armati e Marco
Ne'Veneziani e Liguri confini.
Altri Inghilterra e Scozia, ed altri Olanda,
Ed altri Francia, e Grecia altri ne manda.
XV.
E questi, che son tutti insieme uniti
Con saldissimo laccio in un volere,
S' eran carchi ie provvisti in varii liti
Di ciò eh' è d'uopo alle terrestri schiere;
Le quai trovando liberi e sforniti
I passi de' nemici alle frontiere,
In corso velocissimo sen vanno
Là 've Cristo soffrio mortale affanno.
XVI,
Non v'è gente Pagana insieme accolta,
Non muro cinto di profonda fossa ,
Non monte alpestre, o gran torrente, o folta
Selva che lor viaggio arrestar possa:
Cosi degli altri fiumi il re tal volta.
Quando superbo oltra misura ingrossa ,
Fuor delle sponde ruinoso scorre.
Né cosa è mai , che se gli ardisca opporre .
XVII.
Giunse il Campo a Mausse , ove alle sue
Piaggie fann' ombra d'alto monte i gioghi:
Con doni indi a Labilla accolto fue,
Perchè su quel terren l'ira non sfoghi:
'Vide, o Serepta , poi le mura tue.
Ed arrivò di Tiro ai colti luoghi:
Tiro di Cadmo albergo; e intorno intoni*
Di vive fonti, e di giardini adorno.
¥
L i li E K A T A
Indi partito andò per strada angusta
Sin che d'Ancona al lieto pian ne venne.
Ove d'Ancona il Re eoa dritta e giusta
Condizion amico lor divenne.
Scorser Cesarea poi che alia* vetusta
Etade ebbe altro nome , e noi ritenne ;
Fra il Carmelo passando e fra l' arena
Di marine cochiglie e d'alghe piena .
XIX.
Antipatida poscia ( a destra mano
Lasciando di Nettun l'onde spumose)
Gli accolse, e Joppe, e per lo steril piano
Passaro a Lida , ove son l'ossa ascose.
L'ossa onorate del guerrier Cristiano,
Che '1 vorace serpente a morte pose:
Quivi spesso in suo onor si mira, ed ode
Vaporar tempj , e cautar inni od ode .
XX.
Quinci per dritta e spaziosa strada
La bramata Città siede non lunge;
E perdi' uom mova a lenti passi ,"e vada
Onusto e grave, in uu di sol vi giunge.
O quanto intender questo a tutti aggrada : '
O quanto piii il desio gì' instiga e punge:
O quanto , o quanto allor sorge molesta
La notte poi , che dal camin gli arresta !
XXI.
Invida notte , a che veloce torni ,
A che t'opponi a'desiderj nostri?
Forse di Giugno or son scemati i giorni?
Cieli , e serbate or si gli ordini vostri ?
Deh! perchè almen tu più lucenti corni
Non scuopri , o Luna , o la via n apri e mostri
O fosse il tempo ch'ai tuoi rai sen fugge ,
L'ombra ch'or noi, non pur la terra adugge.
XXII.
Ma lasso che più sempre orrido velo
C'involve, né vagar gli occhi consente.
Mira che cieco abisso , e come il cielo
Le belle faci d'ogni intorno ha spente.
Perchè non arde in noi quel vivo aelo.
Onde altri il di fu d'arrestar possente.
Tal. che s'ei non restasse , almen l'iiaago
Rimanesse di lui nell'aer TS^o.
299
3oo LA GERUSALEMME
^XXIII.
Cosi parla ciascun , né più rifugi
Trova da quel desio . che '1 pollo accende:
Anzi tutto sdegnoso i pigri indussi
Della notte Ira se biasina e riprende ;
E mira ad or ad or dove pertugi
S'apian nel padiglion se l d: risplende^
Ed ingannando ad or ad or se stesso,
Dice: ornai deve il giorno essere appresso.
XXIV.
E fuori esce sovente al cielo aperto .
Per veder se pur anco il di si schiare,
O se ha l'aurato crine a noi scoperto
La stella , che dinanzi all' alba appare :
E se pur dorme alcun nel sogno certti
La bramata Città veder gli pare;
Ed inchinar le sacre mura, e 'l santo
Terren baciar, ed inondar di pianto .
XXV.
Ma queste vision tosto ha interrotte
Con ingrata favella un de' compagni;
Che chieggia altrui , se molto ancor di notte
Spazio vi resti , e si lamenti, e lagni .
O che divisi , come vinte e rotte
Le forze ostil faranno ampi guadagni :
O che pien d' ardiiaento agli altri giiiii
D'esser fra primi ad assaltar que' muri .
XXVI.
Non quando al giorno nubiloso e breve
S'inchina il Sol mentre creiliam che poggi ,
Ed inasprir di ghiaccio, e d'alta neve
Si veggion biancheggiar d' intorno i poggi,
Sembra la notte cosi lunga e greve
A peregri n , che traviato alloggi
In duro bosco, e sotto 1 freddo Giove
Esposto giaccia ov'egli tuona e piove.
Qui seguir dovrebbe la Stanza i \ifino a/ i i6 dopo
cui va la St. I og con le altre annesse , le quali
alla 1", si uniscono .
LIBERATA 3oi
XWII.
. Così col guaiJo in ver la terra volto,
E col pensiero in verso il elei levato
Parla ciascuno , e '1 riveiente volto
Di pietoso palio r porta secnato .
In tanto il Campo dal cainin distolto
E presso la Città s'era fercnato,
E intorno il Capitan miia e discorre
Gli alloggianieuti ove sia meglio a porre .
XXVIII.
Sietle Geriisalem sovra duo monti:
Né molto spazio di larghezza prende :
E mira intorno il pian con quattro fronti;
Ma l'una più dell'allre in lungo estende.
La terra ov'egli sta non vive fonti ,
Non lago, o fiume, e rio feconda rende;
Di selve e paschi è priva , e secca ed arsa ,
E in più luoghi di valli orride sparsa .
XXIX.
Ha da quel lato, donde il giorno appare
Del famoso Giordan le plarid'onde,
E dalla parte occidental del mare
Mediterraneo 1' arenose sponde:
Verso Borea è Bethel , che drizzò l'are
Al Vitel d'oro, e la Samaria, e d'onde
Austro move lalor piovoso nembo ,
Betheleni che 1 gran parto accolse in grembo.
fìiiimanca una Stanza, dello accamparsi dell' eser '
cito .
XXX.
Il di seguente allor, che l'aura estiva
Pili dolce schermo è dal solare sdegno,
Veggion cinti venir di verde oliva
L'ignuda tempie d'amicizia in segno.
Due Cavalier, che da riinota riva
Giungean di novo al Palestino regno:
E intende il Capitan , ch'alte ambasciate
Bacano da Solimano a lui mandate.
3o2 LA GERUSALEMME
XXXI.
Da Soliman che '1 Nilo , e i campi regge ,
Fecondi e lieti pei la negra arena,
Più potente di qnanti iniqua legge
Di reo profeta a. danno eterno mena.
Sembra questi pastor , che ( l'altrui gregge
SolFrir viste da' lupi amara pena )
Delle sue teme, e 'i già vicin periglio
Tenta fuggir con l'arte e col consiglio.
XXXII.
E.l a ragione i miseri successi
De Persi e Turchi a lui temenza danno
Che '1 fier nemico, ne'suoi regni stessi
Non rechi un giorno ancor l'istesso danno:
Né può soffrir, che piìi vicin s'appressi ,
E divenendo di Giudea tiranno.
Maggior si faccia, e con più certe forze
Contra l'Imperio suo s'erga e rinforzo .
XXXIII.
E tanto più che d'alto amor congiunto
Era col Re della provincia Ebrea:
E già sovra di sé giurando assunto
Di conservarlo in stato ei preso avea.
Da queste cure stimolato e punto
Continuamente nel pensier volgea
Come salvando i regni altrui , potesse
Assicurar le sue proviucie stesse .
XXXIV.
Pur egli è saggio, e con diritta lance
Sue forze e le nimiche insieme pesa ;
Nò vuol prima adoprar spade , né lance ,
Che tardi é spenta guerra tosto accesa :
Ma con minacce, e lusinghcvol ciance
Tentar se distornar potrà l' impresa ;
E sol per questo effetto in mcssaggieri
Manda al chiaro Buglione ambo i guerrieri .
XXXV.
Alete é l'uno , a cui soave asperse
Di dolce mei Calliopca la lingua;
Che sa come con voci adorne e terse
Mova gli affetti, e come poi gli estingua.
Uomo timido e cauto, e di perverse
Maniere, e cui sol l'altrui danno impingua;
Cui sempre invidia turba il cor maligno;
E i ssmbianti asserena amico ghigno.
LIBERATA 3o3
XXXVI.
Argante l'altio ha nome, il più gagliardo
Cavalier dfir Egitto, e 1 piìi feroce.
Di gigantca statura e d'empio sguardo ,
D'orribili fattezze e d'aspra voce ;
Ruvido in atto e ne' costumi, e tardo
Di lingua sì , come di man veloce :
A cui sua spada è Dio , sua spada è legge^
E ciò che brama , quasi onesto, elegge.
• XXXVII.
Ghie sei' questi udienza, ed al cospetto
Del famoso Goffredo ammessi entrare;
E in umil seggio, od in vestire schietto
Fra i suoi Duci sedente il ritrovare:
Che verace valor, benché negletto
Fa di se stesso a sé pregio si chiaro.
Ch'uopo non è ch'uom lo circondi e cinga
Di gemme e d'auro, o Tirio succo il tinga.
XXXVIII.
Come fu dentro Alete, e '1 Capitano
Scorse, e quei chiari suoi mastri di guerra.
Mentre il compagno del suo orgoglio insano
Fa mostra, e, come suol , vaneggia ed erra;
Sovra il petto ei posò la destra mano,
E piegò il capo, e chinò gli occhi a terra;
Poi gravemente soUevoUi; e in tardo
Giro a torno rivolse umile il guanlo.
XXXIX.
Rivolge il guardo, e le straniere genti,
E le strane maniere intento ammira.
Gli abiti in lor diversi , e i portamenti,
E le sembianze varie, e gli anni mira;
Ma ristesso vigor dagli occhi ardenti,
E dagli atti feroci in tutti spira;
E qual la gioventude, ancor robusta
Qui si mostra fra lor l'età vetusta.
XL.
Con ruvidezza militare incolti
Stanno, e con signoril decoro altieri.
L'elmo, il Sole, il sudor la polve, i volti
Lor tinto ha di colori adusti e neri.
Ivi le cicatrici , ed ivi scolti
Sono i trionfi alicor de' vinti Imperi;
E lor natia Ixutà , non già si vaga.
Ila cou più maestà 1« viste appaga .
3o4 LA GERUSALlvVlME
XLI.
M.i sovra tutti con severa e dolce ,
Ed ampia fronte il Capitan riluc* ;
E mostra ben, che degnamente ei folce
Si nobil pondo, e che degli altri è Duce .
Bionde ha le chiome, azzurri gli occhi , e niolce
Suo soiiardo i cori , e riverenza induce :
Regale il naso , e curvo alquanto s' erge ;
E vivace color le gote asperge .
XLIl. *
Neil ampio petto, e nelle spalle assembra
Te Marte, e nelle sciolte e lunghe braccia:
Miiscoios(! ed ossute ha l'altre membra :
Né parte è in lui, che non s'ammiri e piaccia .
Fiso il contempla Alete , e in tanto membra
Gli alti suoi fatti, e doppia il cor gli agghiaccia
Meraviglia, ed impetra; alfin si scosse
Da stordi-gion sì lunga, e i detti mosse :
XLUT.
O vincltor di perigliosa guerra.
Principe eccelso, che tanto osi e puoi ,
O di gloria maggior d' ogni altro in terra :
Ma non egual di gloria ai pregi tuoi:
Il nome tuo, che termine non serra ,
Celebrato risuona ancor fra noi ;
E la farfia d'Egitto in ogni parte
Chiare del tuo valor novelle ha spai te.
XLIV.
Né v'è fra tanti alcun, che non l'ascolte.
Com'egli suol le meraviglie estreme;
Ma dal mio Re con istupore accolte
Sono non sol , ma con diletto insieme:
Ed altrui raccontarle anco più volte
S'appaga, ed ama in te ciò ch'altri teme -
Ama il valore, e volontario elegge
Teco unirsi d'amor se non di legge.
XLy
Da si bella cagion dunque sospinto
L'amicizia, e la pace a te richiede:
E 1 mezzo, onde l'un resti all'altro avvinto
Sia la virtù , s' esser non può la lede .
Ma perchè intese che già t'eri accinto
Armato ad assalir ciò eh' ei possedè ,
\olse pria, ch'altro male indi seguisse,
Ch'a te la mente sua per noi s'aprisse.
LIBERATA 3o5
XLVI.
E la sua mente è lai , che s appagarli
Vorrai eli quanto liai tatto in guerra tuo,
Nò Giudea molestar, né l'altre parti.
Le quali accolte ha sotto il favor suo ;
Ei prometto all'incontro assicurarti
Il non ben fermo stato: e se voi duo
Sarete uniti , or quando i Turchi, o i Per»i
Potranno unqua sperar di riaversi?
XLVII.
Gran cose o Sire in picciol tempo hai fatte.
Che mai dal tempo non saran conquise:
Tante prese città, tante disfatte,
Tante squadre fugate e tante uccise ;
Tante sol col tuo nome esterrefatte
Strane genti, e dal ciel nostro divise:
E se ben acquistar puoi novi Imperi ,
Acquistar nova gloria indarno speii.
XLVIII.
Giunta è tua gloria al sommo, e per V innanzi
Fuggir l'incerte guerre a te conviene:
Ch'ove tu vinca sol di stato avanzi,
Né tua gloria maggior per ciò diviene:
E gl'Imperi acquistati e presi innanzi
Perdi , e la fama se 1 contrario avviene:
Né dee chi drittamente opra , e discorre,
Il molto incontra 'I poco a rischio porre.
XLIX.
Ma l'aver sempre vinto in ogni impresa
E 'l (n) ferver dell'età, che bolle e ferve;
E '1 sentir l'alma d' ingordigia accesa
Di (b) far Provincie tributarie e serve;
E '1 consiglio d'alcun , cui forse pesa
Ch' altri gli acquisti tuoi sempre conserve,
l'aran per avventura a te la pace
Fuggir piti che la guerra altri non facs.
L
T' esorteranno a seguitar la strada.
Che t' è da' fati largamente aperta;
A non ripor questa onorala spada ,
Al cui valore ogni vittoria è certa.
Sin che legge di Macon non cada ,
Sin che l'Asia per lei non sia deserta'.
Dolci cose ad udir e dolci inganni;
Ond'escon poi sovente estremi danni .
■^:\) L'ardor. (b) Tributarie far provi m ir- .
3o6 LA GERUSALEMME
LI.
Ma quando affetto alcun non ti contenda ,
]Nè il lume adombri in te della ragione ,
Vederai ch'ove tu la guerra imprenda ,
Hii il temer, non di sperar, cagione :
Ciiù fortuna qua giù varia a vicenda ,
Mandandoci avventure or triste or buone ;
Ne grandezza durar può lungamente,
Se l principio, e se 1 mezzo e violente .
LII.
Dimmi s'ai danni tuoi l'Egitto move ,
D'oro e d'armi potente, e di consiglio,
E s'avvien che la guerra anco rinnove
Il Perso, il Turco, e di Cassano il figlio :
Quai forze opporre a si gran furia , o dove
Ritrovar potrai scampo al tuo periglio ?
T'alìida forse il Re malvagio Greco ,
Lo qual da' sacri patti unito è tcco?
LUI.
La fede Greca a chi non è palese ?
Tu da un sol tradimento ogni altro impara ;
Anzi da mille, ch'a te mille ha tese
Lisidie già l'infila terra avara.
Aihmque, chi già il passo a voi contese ,
Per voi la vita esporre or si prepara .''
E chi le vie, ch'altrui comuni souo ,
Negò , del proprio sangue or l'ara dono ?
Olii si ragionerà degli ajuti di Francia.
LIV.
Ma forse hai, Sir , locata ogni tua speme ,
In queste squadre, ond'ora cinto siedi;
E quei eh' ad uno ad un vincesti insieme
Di vincer anco agevolmente credi:
Se ben le schiere tue già molto sceme
Da quel che allora fur tu stesso vedi ;
Se ben novo nemico a le s'accresce;
E gli Egizii co' Persi, e Turchi mesce.
LIBERATA ^^(V7
LV.
Or se tu pur istirui rsscv fatale ,
Che non ti possa il ferro vincer mai,
Siati concesso, e siati a punto tale.
Il decreto del Ciel , qual tu lo fai ;
Yinceiatti la fame: a questo«iale
Che difesa , per Dio, che schermo avrai?
Vibra contra coatei la spada, e stringi
La lancia, e la vittoria anco ti fingi:
LVI,
Ogni campo d'intorno arso e distrutto
Ha la provida man deeli abitanti;
E in alte mura, e in chiuse torri il frutto
Riposto al tuo venir piìi giorni innanli.
Tu ch'ardilo fin qui ti sei condutto,
Onde speri nudrir cavalli e fanti?
Dirai: l'armata in mar cura ne prende.
Da' venti dunque il viver tuo depende *
LVII.
Impera forse tua fortuna a' venti?
E gli avvince a sua voglia, e gli dislega?
E '1 mar sordo alle preci ed a' lamenti ,
Mutato stile, al suo voler si piega?
O non potranno pur l'Egizie genti,
E le Perse e le Tuiche unite in lega
Cosi potente armata in un raccorre,
Ch'a questi legni tuoi si possa opporre?
LVIII.
Doppia vittoria a te, signor, bisogna
S'hai dell'impresa a riportar l'onore.
Una perdita sola , alta vergogna
Può cagionarti , o danno anco maggiore.
Ch'ove la nostra armala in rotta pogna
La tua, qui poi di fame il campo more;
E se tu sei perdente, indarno poi
Saraii vittoriosi i legui tuoi .
LIX.
Ora se in stato tal tu pur rifiuti
Col Re del gran Egitto, e pace e tregua;
Si dirà poi che all'altre tue virtuti
La giovenil prudenza or non s'adegua.
Ma piaccia al Ciel che '1 tuo pensicr si-muti/
Se a guerra è volto , e che 1 contrario segua;
Ch'alte fatiche hai fin ad or sofferte
Per le strade d'onor spinose ed erte.
'6od LA GERUSALEMME
LX.
cui per maijijioi periglio iu prc;^io salse
Men de' tesori, o della vita scarsa ?
Chi sudò mai pili sotto l'armi ed alse ?
Chi l'altrui sangue, o '1 suo piti volte ha sparso i*
Le piaggie e i monti il sanuo, e l'onde salse,
Ove sei vincitor si spesso apparso.
Tempo è già di riposo, e '1 chiede e I brama
Chiunque i tuoi gran inerti onora ed ama .
LXI.
Né voi , che ne' perigli e negli affanni ,
E nella gloria a lui sete consorti ,
Il favor di fortuna or tanto inganni ,
Che nove guerre a provocar v' esorti .
Ma qual nocchier , che da' marini inganni
Ridotto ha i legni ai desiati porli ,
Raccor dovreste omai le sparse vele ,
Né fidarvi di nuovo al mar crudele.
LXH.
Qui tacque Alete , e 'l suo parlar seguirò
Con basso mormorar quei forti eroi :
E ben negli atti dispettosi aprirò
Quanto ciascun quella proposta annoi.
Il Cipitan rivolse gli occhi in giro
Tre volte e quattro, e mirò in fronte i suoi,
E poi nel volto del Pagan gli affisse ;
E stendendo la man cosi gli disse :
LXIII.
Perch'io ben sappia, ch'uom piii tosto aggiunga
A quell'ultimo fine, ov'egli intende,
Se del determinar lo spazio allunga ,
Che se veloce all'operar discende;
Non vo'però, che la dimora lunga
Sospenda voi poi che né me sospende
Tua dolce lin-gua, si che in dubbio torni
Quel che s'è stabilito ha già piìi giorni.
LXIV.
Sappi che tanto abbiain fin or sofferto
In mar e in terra, all'aria chiara e scura ,
Solo acciocché ne fosse il calle aperto
A queste sacre e venerabil mura,
Pel" acquistarri appo Dio grazia e merlo,
Togliendo lor da servitìi si dura ;
Né mai , pur che s'adempia opra sì pia ,
Rrgno, o vita arrischiar grave ne fia .
LIBERATA 3o<)
LXV.
Cbè non an.biziosi avari affetti
Sprone si Imo in questa impresa o gnida,
(Si>onibii il padre del Ciel da'nostri petti
Peste si rea se in alcun pur s'annida;
Né soffra che l'asperga, e che l'intVlti
Di velen dolce , che piacendo ancida )
Ma la sua man , die i duri cor penetra.
Soavemente , e gli ammollisce e spetra.
LXM.
Questa ha noi mossi , e questa ha noi condulti.
D'ogni perielio tratti e d'o'^'ni impaccio:
Questa la piani i n)onti, e i tinnii asciutti,
Lardor toglie alla state, al verno il ghiaccio:
Questa placa del mar gli orridi flutti:
Questa i venti ristringe in duro laccio:
Quindi son l'alte nana , e piese ed ar$e:
Quindi l'armate schiere uccise e sparse.
LXVII.
Quindi l'ardir, quindi la speme nasce
Non dalle frali nostre forze e stanche,
Nou dall'armata, non da quante pasce
Genti la Grecia , e non dall'armi Franche .
Pur che costei non ci abbandoni e laser.
Che dobbiamo curar, ch'altri ci manche?
Chi sa come difende e come fere ,
Soccorso a' suoi perigli altro non chere.
LXVIII.
Ma quando di sua aita ella ne privi
Per gli error nostri, o per giudicii occulti.
Chi fia di noi ch'esser sepulto schivi
Ove i membri di Dio fur già sepulti?
Noi morirem ; né invidia avremo ai vivi ;
Noi morirem ; ma non morremo inulti:
Né l'Asia riderà di nostra morte:
Ne piangeremo noi la nostra sorte .
LXIX.
Non creder già che noi fuggiam la pace
Come guerra mortai si fugge e pavé:
Che l'amicizia del tuo Re ne piace;
Né l'unirci con lui ci sarà grave •
Ma s' al suo scettro la Giudea soggiace
Tu '1 sai: dunque perché tal cura n'ave?
De' regni altrui l'acquisto ei non ci vieti:
E rcg^a in pace i suoi felici e lieti .
3 IO LA GERUSALEMME
LXX.
Qui finì ili parlar; e sdegno e rabbia
Per tal eletti ad Argante il cor trafisse.
Né '1 celò già, ma con enfiate labbia
Si trasse innanti al Capitano, e disse:
Chi la pace non vuol la guerra s'abbia ;
Che penuria giammai non fu di risse :
E ben la pace ricusar tu mostri ,
Se non t'acqueti ai primi detti nostri .
LXXI.
Indi il suo manto per il lembo prese ,
E '1 curvò in mezzo; e quello innanzi sporto
Col braccio insieme, a dir così riprese
Al Capitan, mirando bieco e torto:
O vincitor delle più dubbie imprese,
In questo seno istcsso ecco io t' apporto
E pace e guerra; or tu di lor t' apprendi
A quella, che per te miglior comprendi.
LXXII.
L' atto altiero, e 'l parlar tutti commosse
A chiamar guerra in un concorde grido.
Non attendendo che risposto fosse
(Com'ei già s' acci ngea) dal buon Goffrido:
Allor quel crudo spiegò il seno, e scosse
Il manto, e disse: a guerra omai vi sfido . •
E 'l disse in atto si feroce ed empio ,
jChe parve aprir di Giano il chiuso tempio .
LXXIII.
Parve che aprendo il seno indi traesse
Il furor pazzo e la discordia fiera:
E che negli occhi suoi lucenti ardesse
Orrida face d'infernal Megera:
Forse già quel ch'or da tre monti oppresse
Scuote le membra, incontra i Dei tal era:
Tal forse, e tanto il vide Flegra al cielo.
Giove sfidando,. alzar la faccia e '1 telo.
LXXIV.
Così sendo fra lor risposto e detto
La coppia de'Pagan congedo tolse.
E l magnanimo Duce, a cui nel petto
Cortesia pari al gran valor s' accolse ,
Di spada Argante, e di lucente elmetti
Ornare Alete alla partita volse .
Finissimo era l'elmo; e già lo scelse
Tra mille prede, e propria spoglia felse.
LIBERATA 3ti
LXXV.
vi sorge pai- cimiero orrido e grande
Serpe, che si dislunga, e 'l collo snoda;
Su le zampe s'innalza, e l'ali spande;
E pie^a in arco la forcuta coda .
Par che favillo fuor dagli occhi mande.
Fumo dal naso, e che '1 suo fischio s'oda.
D'argento è la materia, e in piìi colori
Dagli smalti distinta appar di fuori.
LXXVI.
La spada ancora è d'artificio egregio:
Ma nell'opre miglior che bella in vi*t*;
Pesante e lunga, e di torneo fu pregio.
Ove col sangue, e non con l'or s'acquista.
La si prese l'altier quasi in dispregio;
E poi che l'ebbe disnudata e vista;
Disse: potrà la man ch'or la riceve.
Con lei pagar ciò che per lei ti d«Te .
LXXVII.
Ahi che festi, Goffredo? ahi che crudele
Armi contra i tuoi stessi iniqua mano !
Con quai lamenti , oimè , con quai querele
Sospirerai quest'empio don, ma invano?
Odi che generoso e che fedele
Sangue per tal cagion fìa sparso il pian*.
Sparso il piano sarà del sangue altrui ,
Ma pili del pianto assai degli occhi tui .
LXXVIII.
Pensoso Alete alla Città ritorno
Fece , e lieto colui che '1 mondo sdegna .
E '1 Capitan per lo seguente giorno
Le genti invita a general rassegna:
Che veder vuol come d'arnesi adorno
Ciascuno, e di destrieri instrutto vegna.
Per far eh' a quelli, il cui bisogno il cliieggia
Quanto in lei fia, 1' armata indi proveggia .
LXXIX.
Già colonato di purpurei fiori
Sorto se n'era il Sol dal salso letta,
E quasi in bel zafir dolci colori
S'accoglievan del ciel nel vago aspett*^
Quando ordinatamente usciron fuori
Tutte le schiere al designato effetto ;
E pili volte girando un largo piano ,
Mottra fer di se stesse al Capitauo-
G. LsB. T. III. 21
3ia LA GERUSALEMME
LXXX.
Spiega primiero Ugon la Gordiligi
Fra cinquemila cavalicr, e' ha scelti.
Parte d' amici suoi , parte di ligi
Negli Aquitani popoli , e nei Celti,
E Ligeri , e Garona , e '1 grau Parigi ;
E i dolci alberghi , dal pensiero svelti »
Pensa ognun sol come vittoria o morto
Gli apra del ciel le meritate porte.
LXXXI.
Di pensieri, e d'onori e d'anni pieno ,
E d' ingegno e di lingua , e d' òr potente
Segue Odoardo, a cui commesso ha il freno
L'Inglese Re della sua fiera gente:
Gente che 'l mar col piocelloso seno
Ha dal mondo divisa, e differente
La feo natura ed invecchiata usanza
D'abiti , dì costumi e di sembianza.
LXXXII.
Tre mila fanti ha qui , che già le sponde
Presserò di Tamigi e di Sabrina;
E che videro il capo alzar su l'onde
Tarvedo , e i pie lavarsi alla marina.
Altrettanti con lor d'archi e di fionde
Armati, e cinti di pelle ferina
Dagli aspri monti, e dalle selve manda
E Buda e Zile, e la rimota Irlanda.
LXXXIII.
Gli seconda Argilon , qual presso a Tebe
Già Capaneo con orgoglioso volto;
Minacciosa d'Elvezii audace plebe
Seco ei conduce in grosso stuolo e folto;
Che 'l ferro uso a far solchi e franger glebe
In nove forme , e in piti degne opre ha volto;
E con la man che guardò rozzi armenti ,
Par che i Regi sfidar nulla paventi .
LXXXIV.
Né l'Eremita affaticar lo stanco
Corpo rifiuta sotto ferrea salma ,
Che dal peso terren lo spirto franco
S'alza, qual da gran fascio oppressa palma.
Né si natura indebolir può il fianco.
Come il vero valor rinforza l'alma :
Vecchio onorato, onde felici esenipj
Prenda ogni etade, e gli erga altari e tempj .
LIBERATA 3i3
LXXXV.
Ciespa ei la fronte, e di pel bianco lia mista
La chioma , e gli occhi irsuto ciglio adombra :
La rabuffata barba, in doppia lista
Divisa cade , e '1 ventre e '1 seno inirombra
Cotal già forse, e si pensoso in vista
Le quercie e i tassi sotto pilli;!' ombra
Accolser Paulo; e per diserte rupi
L'udire inni cantar cinghiali e lupi.
LXXXVI.
Schiera è con lui , che in lunghe vesti avvolte
Portò le membra un tempo , e '1 capo rase ;
E chiuse celle , e tra le selve folte
Contemplando abitò solinghe case .
Questi cangiati studj han l'armi tolte.
Come voce del ciel lor persuase .
Pochi ora sono, e già fur molti , e morto
L'Ungaro iagiusto ha'l rimanente a torlo.
Lxxxvn.
Né te , Gusman , dentro al pudico letto ,
Potuto ha ritener la sposa amata .
Pianse , squarciò i bei crin , percosse il petto
Per distornar la tua fatale andata .
Dunque, dicea , crudel più che 1 mio aspetto
Del mar l'orrida faccia a te fia grata?
Fian l'armi al braccio tuo piii caro peso.
Che '1 piccol figlio, a' dolci scherzi inteso?
LXXXVIII.
Regge costui l'Aragonesi schiere ,
E di sei mila fanti è capitano;
Genti di corda i pie calzati ,e nere
Le chiome e i volti , e di rapace mano:
Che videro il Salone, e l'onde Iberc
Gir mormorando per lo steril piano;
E il mare, a cui Majorca il nome diede.
Mugghiar superbo, e far de' legni prede .
LXXXIX.
Con virtìi pari appi-esso , e con maggiore
Numero a doppio il liei Clo^areo viene:
Clotareo or della Francia illustre onore»
E della Francia allor siirgente spene ,
Giovinetto Regal d'invitto core;
Cui pili d'altri Goffredo in pregio tienfr^
Ed a lui caro è si, che i suoi vassaìii
Ed i suoi mercenarii in cura dalli.
3i4 LA GERUSALEMME
xc.
Di queste patte è Leuca, e nacque, e crobbe
In Tulio e Nanzi , e ne' confini loro ;
Parte che '1 Reno e l' Istio algente bebbe ,
Corse al ferro non men pronta che all'oro:
Né le tiepide stuffe ad essi increbbe
Lasciar, né i prandi , ove si lieti fóro;
Ove, mandando coronate attorno
Le colme tazze, consumaro il giorno.
XCI.
Ecco l'Italia segue, ecco il vessillo
Con la Mitra Real , con l'auree chiavi ,
Ecco da Pietro eletto il gran Camillo
Move squadre d'acciar lucenti o gravi,
L eto eh' a tanta impresa il Ciei sortillo,
Ove col sangue altrui le inaccbie lavi
Kostre e di Roma , o degnamente almeao
Apra cadendo a nobil morte il seno .
XCU.
Gente non è che stringa spada ,o ruote
Fionda, che d'agguagliar questi si vanti.
Ristretti vanno ,e intorno il ciel percuote
Un orrido fragor d'armi sonanti.
Pesta geme la terra , e 'l tergo scuote
Sotto il gran peso di cavalli e fanti.
Lampeggia il ferro al Sol, qual Tauro o Libu^
Lucente, e incontra lui suoi raggi vibra.
xeni.
Guida costui non pur Sennoni e Buoi
Piceni e Toschi,, e Rutuli e Sabini,
E quei che, Roma , nei gran colli tuoi
Nudrisli , e ne' bei campi a te vicini.
Ma gli concede ancor Tancredi i suoi
Brutii, Marsi , Peligni e Salcntini,
E i Penceti e Lucani, a cui famose
Spiegò già Pesto l'odorate rose .
XCIV.
E quei che la Sirena in sen nudrio.
Nel molle sen di fior vago e di fronde;
O 'I fumante Pozzuol là dove aprio
Natura le sulferee e tiepide onde ;
E chi lasciato ha il dolce aer natio
Di Linterno, che l'ossa illustri asconde;
E chi da carchi rami i frutti colse
Nel bel Sorrento, e i pesci in rete accoUe.
LIBERATA 3i5
xcv.
A lui pur anco il glorioso Conte
Di Monte Feltro i suoi ^nttnicr concede J
I suoi guoirier, cui la i aniita fronte
Del gran Padre Appennin ricetto ilieile.
Là 've scendendo dal paterno fonte
Drizza il Metauro ai liti d'Adria il piede;
E l'uno e l'altro nelle parti estreme
Vien con gli erranti cavalieri insieme.
XCV I.
Di possenti cavalli, e di diverse
Imprese adorna, e n lucide armi altiera
Ultimamente al Capitan s'ollerse ^
Degli erranti guerrier la bella schiera.
Né Simoenta mai, ne Xanto scerse
Si magnanimi eroi; ne la primiera
Nave mai tali al vello d'or gli addusse.
Perchè Alcide tra ciucili o Teseo fusse.
XCVII.
Con questi alcun non va, cui palma o lauro
La vincitrice destra , e 'l crin non fregi .
Alcun non va, che scosso il Perso o 'l Mauro
Non abbia o l Turco de' maggior suoi pregi .
Che potrau contra questi il ferro e l'auro,
O pur gl'inganni degli Egizj Regi?
Speran tant.' oltre andar vincendo a gara,
Che lor del Nilo il capo ignoto appara ,
XCVIII.
Il coraggioso Otton degli altri è duce.
Cui sovra l'Istro la vezzosa Flora
Furtivamente, alla mondana luce
Produsse a un Re commista umil pastora;
E qual fuor delle nubi il Sol traluce
Sorgendo, e i crini a gli alti monti indora j
Tal parve, eh' egli il suo valore aprisse
Mentre in povero stato occulto visse.
XCIX.
Or del Romano Re palese figlio
Un feroce corsier saltando move.
E 'n cima l'elmo scopre, e nel vermiglio
Scudo l'Imperiai augel di Giove,
Che presi i polli entro all'adunco artiglio
Al Sol gli volge, e fa le certe prove,
Credendo solo alla virtìi del lume.
Più che all'ugne, ed al rostro ed alle piume.
3i6 LA GERUSALEMME
e.
Immerso in profondissimo pensiero
Da lui Tancredi alquanto ivi in disparte ,
Che nel suo petto Amor s'apre il sentiero
Tra i santi affanni , e nel fervor di Marte.
Il bel Tempio di Vesta è il suo cimiero,
Ond'escon molte fiamme al cielo sparte;
E scritto appar nel piìi sublime loco:
Esca ognor si rinova al mio gran foco .
CI.
Ornan lo scudo al Castigliano Ernando
Cinque di Mori incoronati capi ,
De' suoi fatti memoria; ed al Normando
Roberto il pinge industre schiera d'api:
Che par che vada in verde prato errando ,
Ed in sua preda i piìi bei fior si capi .
Ed un leon ad una quercia avvinto
Ha nello scudo il Donarci dipinto .
CU.
Ha Vineilao Rangon la bella conca,
Onde Venere solca ignuda il mare .
E in quattro parti una spezzata ronca
Sovia l'elmetto di Currado appare.
La destra a lui spietato ferro ha tronca ,
E sol può la sinistra in guerra oprare ;
E cosi l'opra ognor , che suoi niraici
Prendon dal suo apparir sinistri auspici.
CHI.
Con lor s'accoppia il Longobardo Astolfo
E gli ondeggia sul capo azzurra piuma;
Etna ha costui , che dall' accesa zolfo
Vome faville incontra il cielo, e fuma .
Porta Gonzaga un tempestoso golfo ,
Che tra gli scogli è rotto , e freme e fuma .
Al Fiamingo Roberto orrida spiega
Medusa i crini, e al collo i serpi lega .
CIV.
Segue Ermiferro, e non hai braccio carco
Di scudo , né di spada adorna il fianco ,
Ma gli suonano a tergo i dardi e l'arco ,
E gli pende la mazza al lato manco.
Di cimiero e di piume ha l'elmo scarco.
Candide l'armi sono , e 'l destrier bianco ,
E mostra ancora alta letizia in viso
D' aver con man pietosa il frate ucciso .
LIBERATA J17
cv.
Porta l'Orse il "Visconte , a cui non lice
Lavarsi i velli entro il marino sale ;
Nello scudo d' Arbante aurea fenice
Di purpura si fascia il capo e l'ale.
È in quel (li Claramon pinta Euridice ,
A cui nrorde il tallone aspe fatale :
Nel cimier d'Eberardo apre le corna
Durate il tauro , e i pie di stelle adorna .
evi.
Gli è giunta al fianco la sua fida moglie.
Che in atto militar se stessa doma.
Animo altier, pietose e caste voglie,
Quai non Atene mai vide né Roma :
Che soffrio di lasciar l'usate spoglie,
E soffrio di lasciar la bella chioma
Sol per lui non lasciar , e fessi audace
Non men di Marte, che di lui seguace.
CVII.
Con questi e con molti altri insieme ir volle
Il chiaro Ubaldo, che degli Umbri è Conte :
Chiaro da l'Orse infin dove più bolk
La Libia ai rai del fervido Fetonte:
E sovra tutti alteramente estolle
Le spalle , e '1 petto , e l' onorata fronte ;
E da tre mete d'or purpurei lampi
Sparge, e del cielo illustra i lieti campi.
CVIII.
Qual tauro, che se stesso in guerra accende
Solingo errando ove piìi l'ira il mena,
Su le gran corna d'adirarsi apprende
D'urtar possente, e di ferir con lena;
Co' vani colpi irrita i venti, e fende
Co' pie la terra , e spande al ciel l'arena:
Salta, e mugge saltando, e giù li sembra
Con l'altrui piaghe insanguinar sue membra.
CIX.
3. Al gran piacer, che quella prima vista
Dolcemente spirò nell'altrui petto
Alta contriziou successe mista
Di timoroso e riverente all'etto .
Non osau pur d'assicurar la vista
Là ov'ebbe il vero Dio lungo ricett«,
Dove morì ; dove sepolto fue ;
Dove poi rivesti le membra sue .
3. Seguita la Stanza 27.
3 1 8 LA GERUSALEMME
ex.
Sommessi accenti e tacite paiole.
Rotti singulti e flebili sospiri
Della gente, che in un s'allegra e duole ,
Fan che pev l'aria un inoimoiio s'aggiri,
Come per l'alte selve udir si suole,
S'avvien che tra le fronde il vento spiri;
0 come infra gli scogli, o presso ai lidi
Freme il percosso mar con rauchi gridi.
CXI.
Nudo ciascun il pie calca il sentiero;
Che l'esempio de' Duci ogni altro move:
Serico fregio, o d'or, piuma o cimiero
Superbo dal suo capo ognnn rimove;
Ed insieme del cor l'abito altiero
Depone , e cade , e pie lagrime piove :
Pur quasi al pianto abbia la via rinchiusa
Ver Dio parlando ognun se stesso accusa:
CXII.
Dunque ove tu, Signor, di mille rivi
Sanguinosi , il terren lasciasti asperso.
D'amaro pianto almen due fonti vivi
In si acerba memoria oggi io non verso !
Agghiacciato mio cor, che non derivi
Per gli occhi, e stilli in lagrime converso ?
Duro mio cor, che non ti spctri e frangi ?
Pianger ben merti ognor, s'ora non piangi
cxiri.
I. Come allor questa fredda notte estiva
Che per un breve giro alla sua meta
1 veloci corsier spronando giva ,
Lunga parve a ciascuno ed inquieta .
Ma quando l'Alba fastidita e schiva
Del suo vecchio Titon , se n' usci lieta ,
Tosto ciascuno il suo camin riprese ,
Né suon di tromba, o di tamburo altesft.
CXIV.
Del lor desio l'impetuoso corso
L'accorto Capitan segue e seconda:
Che più lieve saria di porre il morso
AU'ocean, cpiando erge al ciel pili l'ontla;
O frenar Borea , allor che scuote il dorso
Dell' Apennino, e i legni in mare affonda.
Pur che vadano uniti, e con misura
Cangino i ratti passi, egli procura.
LIBERATA 3ig
cxv.
Ali ha ciascuno al core, ed ali al piede.
Né del suo ratto andar però s'accorge.
Ma quando il Sol gli aridi campi fiede
Con via pili caldi strali , e in alto sorge;
Ecco apparir Gerusalem si vede:
Ecco additar Gerusalem si scorge:
Ecco da mille voci unitamente
Gerusalemme salutar si sente.
CXVI.
Cosi di naviganti audace stuolo,
Che mova a ricercar estranio lido,
E in mar dubbioso , e sotto ignoto polo
Provi spesso il furor del vento intido;
Se al fin diseuopre il disiato suolo,
Lo saluta da lungc, in lieto grido .
E r uno all'altro il mostra, e ntanto oblia
La noja, e 1 mal della passata via. '
2 Seguita «on la ttanza 109.
INDICE
DELLE
MATERIE PRINCIPALI
CONTENUTE
NELLA GERUSALEMME
(I primi numeri indicano il Canto ; i tecondi la Stanza)
Achille, lombai^iilo , fratello di Sforza e Palamede, in mostra, i,
55: — Ucciso ila Clorinda , 19 , 69.
Adejiaro , vescovo di Poggio, (Puy) in mostra colle sue truppe,
I , 38 e 3g. — In processione, 11 , 5. — Ucciso da Clorinda,
I I , 44- — Apparisce in ispirito a Goffredo, e benedice l'eser-
cito cristiano, \S, 95.
Adrasto, re e condottiere degl'Indiani, in mostra co'suoi, 17,
38. — Promette ad Armida di uccidere Rinaldo, 17,49; i9>
•ji. — Alterca con Tisaferno, suo rivale, per tale oggetto, 17,
5o e 5i ; 19, 68 e seg. — Pugna coll'uno de' due Roberti, 20,
49; — lo la prigione, 20, 71. — Sfida Rinaldo, il quale lo uc-
cide, 20 ,102, io3.
Africa. Sua descrizione, i5, i5 e seg. — Sue truppe nell'esercito
egiziano , 20 , 23; — sbaragliate da Rinaldo, 20 , Sg e seg.
Agricalte, guerriero fra gli Arabi erranti, è ucciso da Argilla-
nò , 9 , 79.
Agricalte, condottiere delle truppe dell'Isole arabiche, in mo-
stra, 17 , 23.
Aladiko, re di Gerusalemme, 1 , 83. — Suoi sospetti e provvedi-
menti all'udire i disegni del nemico, i , 83 e seg. — Persuaso
da Ismeno , toglie dal tempio de' Cristiani l'immagine di Nostra
Signora, e la poita nella moschèa, 2,7. — Condanna Sofionia
ed Olindo al fuoco , 2 , 26 e seg. — Va incontro a Clorinda , e
la elegge al supremo comando del suo esercito, 2, 45 e seg. ;
— le concede in dono Sofronia ed Olindo, a, 62. — D' in su
uua torre ita riguai'dando il campo nemico, 3, la; •— è quivi
:\ii INDICE
(la Erminia informato de' principali giienlL-ii crisliini , 3 , i8
e seg. , 37 e seg. , 58 e seg. — Fa nuovi appaiccclii di difesa,
6, a. — Non concetle ad Argante di tentare una sortita, 6,
9; — gli permette un duello, 6,-i4- — Fa intimare alle sue.
truppe la ritirata, 9 , 93 e 94. — Tien consiglio co'suoi fidi
dopo la sofferta sconlitta, io , 35. — • E confortato da Solimano,
che d'improvviso apparisce in mezzo all'adunanza insieme con
Ismeno, io, ^9 e seg. — Suoi provvedimenti in occasione del
primo assalto, 11,29. — Si rallegra alla risoluzione presa da
Clorinda e da Argante d'uscire fra le tenebre ad incendiare la
maggior macchina de' nemici, la, io e seg. -~ Rassicuralo da
Ismeno che gli narra i successi de' suoi incantesimi, ristaura l«t
mura , i3 , 12 e seg. — Fa avvelenare ogni fonte ond'era for-
nito d'acqua l'esercito cristiano, i3, 58. — Nell'ultimo assal-
to combatte in persona , 18, 67. — Sconfitto , si ripara in
luogo forte ed alto, 18, 104. — Fugge verso la torre di Da-
vid, 19, 39 e seg. -^ Esce della torre, e segue Solimano alla
pugna , 20 , 76. — E ucciso da Raimondo , 20 , 89.
Alarco, indiano, nel corpo scelto della real milizia del califfo di
Egitto, 17 , 3o.
Alarco , persiano , ucciso da Gildippe , 30 , 33.
Alap.cone, africano; condottiere delle truppe del regno di Barca,
i7>'9-
Albazar , uno degli Arabi erranti , abbatte Ernesto, 9, 4'-
Albiazar , uno de'condottieri degli Arabi erranti, 17 , 22.
Albino, ferito gravemente da Clorinda, 9, G8.
Alcandro, fratello di Poliferno, e figlio di Ardelio, ferito da Clo-
rinda , 3,35. — Crede, pei' errore, che suo fratello insegua
Clorinda (che per tale è tenuta da ambedue la fuggitiva Ermi-
nia), e ne avvisa Goffredo, G , 107, 112 e 11 3.
Alcasto, condottiere degli Elvezj, in mostra co'suoi, i , 63. — Sa-
le il primo all'assalto di Gerusalemme, ma 11' è risospinto da
Argante , 1 1 , 34 e 35. — Si offre a troncare la selva incantata ,
ina non vi riesce, i3, a4 ^ ^"^a-
Aldiazil, uno degli Arabi erranti; è ucciso da Argillano , 9 , 79.
Aldino, condottiere delle truppe dell'Arabia felice, 17 , 22
Alete , con Argante va raessaggiero del re d'Egitto a Goffredo,
2, 57 e seg. — • Sua parlata, '*, 61 e seg. — Non gli riesce il
suo disegno, 2, 81 e seg. — È regalato e congedato da Goffre-
do, 2, 92. — Torna in Egitto, 2 , 94.
.\LETro, Furia infernale, mette in iscompiglio il campo de' Cri-
stiani, 8, e seg. — Piglia il sembiante del vecchio Araspe
per incitar Solimano contro il nemico, 9, 8 e seg.
Aleonso II , duca di Ferrara; gli è dedicato il poema, i, 4- "" Sue
lodi, 17 , 80.
Algazzarre , saraceno, è ucciso da Dudoae nel primo conflitto,
3,4i .
Algazf.l, arabo, uccide Engerlaiio, 9, ^^l. — E tiucidato da .Ar-
gillano, 9 , 78.
Alii'rando, duce de' predatori Franchi , porta a Goffredo la falsa
notisia della morte di Rinaldo , 8 , 5o.
DELLE MATERIE 3 ^/^
Almaksor, saraceno, è uccìjo da Dutlone nel primo «orflitto, 3,
44-
Ai.TAMORO, re di Sarmacantr, in mostra co suoi , 17, 20 e srg.;
19, 125. — È accfltalo da Armida per uno de' suoi vondicalo-
ri , 19, 69. — Sue prodezze nell' ultima batlnglia , 20, -ri e
seg. — Difende Armida, ao, 69. — Si rende prigione a GoHie-
do , 30 , i/jo e seg.
Alvante, persiano, ucciso da Odoardo, 20 , 37.
Ambuosa , città in Francia; sue truppe in mosti a, i, 62.
Amuratte, saraceno, ucciso da Dudone, 3, (\\.
Angeli , Gabriele, mandato da Dio a Goffredo, i, 1 1 e seg. — L'^^/i-
geìo custode difende Raimondo, 7, 79. — Michele , per ordi-
ne divino, scaccia i demonj , 9, 58 e seg. — L'Jn^t/o rusiocìe
di Goffredo lo risana d'una ferita, 1 1 , 72. — Michele insieme
con un esercito d'altri Angeli porge ajuto a Goffredo nell'ulti-
mo fatto d'arme, 18, 92 e seg.
Antiochia, presa da' Cristiani , 1,6 e 9. Vedi anclif 3 , 12; 5..
49; 6, 56; 8, 8 e seg.
Aktoma; torre cosi detta, io, 3i.
'Aquilino , destriero di Raimondo, 7 , 75.
AgciTANi sotto Gerusalemme, 20, 88.
Arabì erranti e ladroni, 5 , 87 e seg. — Solimano, perduto l" e-
sercito e il regno, si mette alla lor testa, 9, 2 , e seg.
Arabia, Petrea , Felice, Deseria, e loro truppe nell'esercito egi-
ziano, 17, 20 e seg.
Arabiche isole, o sia del Mar rosso; loro truppe nell'esercito egi-
ziano, 17, 23; 20, 53. — Sconfitte da Rinaldo, 20, Sg e seg.
Aradino, condottiere de'Soriani assoldati da Idraote, 17, 35.
Araldi <fe"i^ra/2c/j/ , 5, 53; 6 , 5o; 11, 18.
kv. kh-DO de' Saraceni , spedito al campo cristiano, 6, \!\vì)0\'j,
56 e seg.
Aramarte , uno de'cinque figliuoli di Latino , 9, 27 ; — ucciso da
Solimano, 9, 32.
Araspe, vecchio consisliere di Solimano. V. Aletto.
Araspk, duce del primo squadrone degli Egizj , 17 , i5
Arbilano, re di Damasco, e padre d'Armida , 4, 4^ e seg.
Ardelìo, vecchio e valoroso guerriero , e padre d' Alcandro e Po-
liferno, è ucciso da Clorinda , 3 , 35.
Ardonio, ucciso da Altamoro, 20, 39.
Argante, circasso, viene messaggiero con Alete a Goffredo, a,
5y. _ Gl'intima la guerra, 2, 38 e 39. — È congedato e rega-
lato da Goffredo, 2 , 92 e 93. — Si parte alla volta di Gerusa-
lemme, 2, 94. ■ — Esce contro i Ciisliani, 3, 33. — Uccide
Dudone , 3 , \5. — Schernisce i Cristiani , 3 , 47 ^ 4^- — Con-
siglia Aladino a voler diffinire il suo litigio con Goffredo per
mezzo d'un duello, e offerisce se stesso a questo cimento , 6, a
e seg. — Manda un araldo a sfid.ire i Cristiani, 6, i4 e seg.
— Combutte con Ottone e lo atterra, G, 28 e seg. — Combat-
te con Tancredi, ma , sopravvenendo la notte, gli araldi falla-
no cessare il duello, 6, 36 e seg. — Sfida di nuovo i Cristiani ,
7, 56. — Li rampogna, 7 , 73 e seg. — Combatte cen Rai-
3a4 INDICE
mondo il quale entra nell' arringo in vece di Tancredi , 7 , 4f>,'
è ajiitato da Belzebù, "^ , 99. — Sue prodezze di valore nel
mezzo della battaglia campale , 7, 106 e ses;. — Esce con Clo-
rinda in soccorso di Solimano, 9 , \'i. — Per comando del re ,
si ritira dalla pugna, 9, 9:^. — Parla in Consiglio ed incorag-
gia Aladino, io, 35 e |seg. — Nell'assalto dato a Gerusalemme
difende le mura, 1 1 , 27 , 35, 36, ^9 e seg. — Esce improvviso
con Solimano sopra i nemici, 11 , 63 e seg. — Si difende da
Goffredo, e uccide Sigiero scudiero di lui , 1 1 , 78 e seg. — E-
sce di notte con Clorinda ad ardere la macchina maggiore dei
Cristiani , la, |3 e seg. — Giura di vendicar Clorinda, uccisa
da Tancredi 12 , loi e seg. — È opposto da Aladino a Camil-
lo, 18, 67. — Si apparta con Tancredi a combattere, e rima-
ne ucciso , 19, 2 e seg — Il suo cadavere è da Tancredi fatto
condurre onorevolmente in Gerusalemme, 19, 116 e seg.
Argeo , persiano, ucciso da Gildippe, ìo, 34-
Argillano; credendo che sia morto Rinaldo, solleva il campo
contro Goffredo, 8, 67 e seg. — E condannato a morte ed ar-
restato, 8,81 e seg. — Fugge dalla prigione^, combatte con-
tro gli Arabi, e ne fa strage, 9, 74 e seg. — E ucciso da Soli-
mano, 9, 87.
Ariadeno , arabo, uccide due Tedeschi , g , ^o.
Ariadino, arabo, è ucciso da Argillano, 9, 79.
Aridajunte, indiano, gran lottatore , nel corpo «cello della mili«
zia reale del califfo d'Egitto, 17 , 3i.
Arideo, araldo de'Franchi, 6, 5o.
Arimone, ucciso da Clorinda ch'era slata da lui percossa, 12,49.
Arimone, indiano, nel corpo scelto della milizia reale del califfo
d'Egitto , 17 , 3i.
AniMONTE , persiano , ucciso da Gildippe , 20 , 37.
Armata navale. F. Flotta.
Armida , nipote d'Idraote mago re di Damasco, ed esperta ancor
essa neir arti magiche, \, "ìi e seg. — Ad istanza del zio, si
conduce nel campo cristiano per ordirvi le sue insidie, 4 > 28
e seg. — Per mezzo d'Euslazio , ottiene da Goffredo dieci guer-
rieri in suo ajuto, 4 > 82 e seg. — Suoi modi e lusinghe per ti-
rarsi dietro quanto può maggior numero di guerrieri cristiani ,
4,87 e seg. — Tenta invano d'innamorare Goffredo, .'> , 6i.
— Avuto il promessole soccorso, si parte, 5, 79. — Non vista,
vede nel suo castello il combattiniento di Rambaldo con Tan-
credi, il quale per inganno vi riman prigioniero, 7, 36 e seg. — ■
Imprigiona i guerrieri stati a lei conceduti da Goffredo , ec.
( V. Seguaci d'Amiid.i), io, 69 e seg. — Vede Piinildo, se ne
innamora, e seco il trasporta in una delle Isole Fortunale , i4 .
65 e seg. — Suo delizioso albergo, 16, i e seg. — Suoi amori
con Rinaldo, 16, i 7 e seg. — Suo cinto, 16, 24 e 25. — Se-
gue Rinaldo che fugge ; sue preghiere, sue smanie, 16, 35 e
seg. — Giura vendetta contro Rinaldo ; distrugge il suo pala-
gio, e si parte alla volta del campo egiziano, 16, 65 e seg.
— Comparisce in mostra nel campo d'Egitto, 17, 33 e seg.
Sua parlata al Re d'Egitto, 17, 43 e seg. — Sua vana appari-
DELLE MATERIE 3^5
zione a Rinaldo per impedire ch'egli tronchi la selva incantata,
i8, 25 e seg. — Neil' ultima battaglia ella occupa il centro
20 , 22. — Sopra il suo carro assiste alla pugna, 20, 6 1 e seg.
— Tenta, ma indarno, di colpire Rinaldo, 20, 63 e seg. — Fug-
ge, 20, 117. — È per ferirsi, quando Rinaldo le trattiene il
colpo, 2 o, 127 , — Si riconcilia con Rinaldo, 20 , i3i e seg.
Arnaldo, intimo amico di Gernando, provoca vendetta contro
Rinaldo uccisore di quel principe , 5 , 33 e seg.
Aronte , personaggio supposto da Armida per colorare le su€
menzogne, ^, 56e seg.
Arotsteo , condottiere del secondo squadrone egiziano, in mostra,
Absete, eunuco egiziano, racconta a Clorinda l'origine di lei per
indurla a deporre le armi, 12 , 18 e seg. — Piange la morte di
Clorinda, 12, 101 e seg.
Arsura, ond'è privato d'acque il campo cristiano, i3, 52 e seg.
— Cessa , e cade benefica pioggia, per le preghiere di Goffredo,
i3, 70 e seg.
Art ABANO , re dìBoecan, in mostra, i3, 25. — È ucciso da O-
doardo, 20, 37.
Artaserse , persiano, atterrato da Gildippe , ao , 34-
Artemidoro , conte di Pembroziaj è il primo eletto a seguire Ar-
mida, 5 , 73.
AscALONA , porto di Soria , 1 4 , 3o e seg. ; 1 5 , 1 0 , ec
AssiMiRO , maomettano, ve etiope j in mostra, 17 , 24. — E ucci-
so da Rinaldo, 20, 54-
AsTRABORA, città dell'Etiopia, 17, 24.
Astragorre (demonio) instiga Aletto a metter sossopra il eamp»
cristiano , 8 , i e seg.
Atti di religione de' Franchi , 1 1 , 4 G seg. — 1 8 , 62.
AvvENTDRiERi , Comandati in prima da Dudone, i , 52 e seg.; —
18 , 73; ao, IO.
B
Baldovino, fratello di Goffredo; suo carattere, ec, 1,9; 3, 6i-.
— In mostra , i , 40. — Si offre a pugnar con Argante , 7 , 66.
— Affronta i nemici, e gli sconfìgge, 7, 109 e seg. — Difende
Goffredo in una sedizione suscitata nel campo da Aigillano,
8 , 75. — Combatte da semplice soldato , 1 1 , 25. — Si racco-
glie con Goffredo ferito nella tenda, 1 1 , 68. — Comanda il ceo»
tro dell' esercito , 20 , g. — Combatte con Muleasse , 20 , 48.
Balnavilla, patria di Ruggiero , i , 54; 7 , 107.
Barca , città e regno nella Barberia; sue truppe, 17, 19.
Belzebù' (demonio) a juta Argante, e fa ferir Raimondo, 7, 99 «
seg.
Berlikghiero, trafitto da Clorinda, 9, 68.
Bertoldo, padre di Rinaldo, 1 , 19.
Blesse, città di Francia; sue truppe in mostra, i ,62.
Boecan, isola sulle foci del golfo Persico. V. ARTABA^o.
Boemohdo, zio di Tancredi, 7, 28; 18, 67. — Ebbe la «jn»-
32G INDICE
ria d'Antiochia, una delle prime conquiste de' Crociati , i , 9 e
io; 3 , 63 ; 7 , 67 ; i^ , at). — Il solo de' Crociati che non venis-
se all'assedio di Gerusalemme, 1 , ao; 7, 58. — Presso di lui
si rifugge Rinaldo, 5, 19; io, 72.
Bosco incantato . V. Selva .
Brimahte, indiano, in mostra, 17, 5i.
Brunellone , ucciso da AUamoro , 20 , 3y.
Buglione. F.Goffredo.
Califfo, o Re n'Er.iTTO. F. Egitto.
Camiilo, condottiere delle truppe romane, in mostra, i, 64. — È
lontano dal campo allorché vi scoppia la sedizione d' Argillano,
8, 7^. — Nell'ultimo assalto è deputato a drizzare una delle tor-
ri contro le mura di Gerusalemme, 18, 56, 63. — Gli viene
opposto Argante, i8 , 67.
Cvmpagna; sua cavalleria comandata da Tancredi , i , 49-
Campioni d' Armida, eletti a sorte, 5 , 72 e seg. — Si partono eon
Armida, 5, 79 e seg. — Ritornano al campo, e combattono
contro gli Arabi di Solimano, 9, 92 e seg. — Narrano a Gof-
fredo come fossero fatti prigioni d'Armida, e cjuindi liberati
da Rinaldo, 10, 60 e seg.
Campsonb, condottiere del terzo squadrone egiziano, 17 , 17.
Canario , uno de' tre re d'Etiopia di Méroe, 17 , i\.
Cariclia, madre d'Armida, 4, !\^-
Carlo, tedesco, narra a Goffredo la storia di Sveno, principe dei
Dani , ucciso da Solimano, 8, 2 seg. — E deputato insieme
con Ubaldo ad andare in traccia di Rinaldo , richiamato dall'e-
silio, 16, 27 e seg. — Ritrova l'Eremita che lo conduce sotto
terra nel suo palazzo, 14, 33; ed è instruito da esso e datogli
modo di liberar Rinaldo, 14, 5o e seg. — Suo viaggio nella
nave della Fortuna, i5, 6 seg. — Entra nel palazzo d'Armida,
i5, 44 e seg. — Vi trova Rinaldo fra gli amplessi d'Armida,
i6 , i^. — Parte con Rinaldo verso il campo cristiano, i6,
G2. — Sbarca con esso , 17, 4^- — Gli dà la spada di Sveno,
1^ ^ 83. — f^. Ubaldo, Rinaldo , Eremiti .
Cassano , padre d'Erminia , già re d'Antiochia, 3 , 12; 6 , 56.
CniARAMONTE, città di Francia, dove Urbano II intimò la Crocia-
ta, II , 23.
Ciucia, regno in Asia conquistato da Tancredi. V . Tancredi .
Circasso. V. Argante.
Clorinda ; arriva a Gerusalemme in soccorso de'Pagani, a, 58 e
seg. — Ottiene da Aladino la liberazione d'Olindo e Sofronia,
2, 4i e seg. — È eletta da Aladino al supremo comando dell'e-
sercito, 2, j8. — Esce a com!)attero contro i Cristiani , 3 , i3.
— Atterra Gardo , e ritoglie la preda a' predatori Franchi, 3,
i5 e seg. — Si batte con Tancredi, il quale, essendole caduta
l'elmo, la riconosce, e le dichiara l'amor suo, 3, 21 e seg.
— E li(iveinente ferita da un soldato, 3 , 29 e 3o. — Uccide
Àrdelio, ferisce Alcandro, e mette in fuga Poliferno, 3, 35.
DELLEMATERIE Z^^
— AssÌ5lf> in <lià|ìarte con mille soldati al combattimento d*
Arcante con Ottone e Tancredi ,6,21 e see;.; ed a quello <!'
All'ante con Raimondo, 7, 83. — Sopravviene una tempesta,
ed ella incoraggia i suoi, e fa grandi prove di valore, 7, 1 16
e seg. — Esce insieme con Argante in soccorro di Solimano, 9,
44- — Uccide varj guerrieri di grido , 9 , 68 e seg. — Yien fe-
rita in un fianco da Guelfo, al quale rende degna risposta, 9,
72. — Tenta d'impedire la fuga de' Pagani , 9, 9^. — Va ad o-
norare Solimano, 10 , 64. — Dalla torre angolare sta saettando
il campo cristiano, e colpisce molti prodi , 11 , 27 e seg. — Fe-
risce Goffredo, II, ^\. — Palesa ad Argante il suo disegno d'u-
scir fuori ad ardere la gran torre di legno, 12, .5 e seg. — Ne
è dissuasa, ma indarno, da Arsete, suo servo, «lai quale inten-
de la storia de' suoi natali, 19, , 18 e seg. — Esce con .argante
nd ardere la macchina , 12 , 4'.» e seg. — nel ritorno , è serrata
fuori della città , e combatte nuovamente con Tancredi, 12,
49 e seg. — Trafitta da lui, chiede il battesimo, e si ?ii(ioie,
12, 64 e seg. — Sua fals.i apparizione ad Gradino, 7, 99 e
seg. — Apparisce in sogno a Tancredi , i3 , 4' f ''ej.
Clotareo , condottiere delle truppe dell'Isola di Fi.uicia, in mo-
stra, i , 37. — E ucciso da Clorinda ,11, '\S. — ^Jnrto lui , le
sue truppe partecipano alla sedizione d' Argillano , i3 , 69.
Colomba messaggiera , 18, 49.
Colombo Cristoforo : predizione delle sue scoperte 1 5 , 3o e se^.
Congiura d ' Franrhi , contro Goffredo, 8 , 57 e seg. — [}i-<^li F.-
n;ìziani contro il medesimo, 19, 62 e seg.
CoNSA , città nel regno di Niipoli, i , 53.
Co^TE di Carnuti , in mostra, i , 40.
Conte di Cof^tma , 7 , 29.
CoRBARO, saraceno, ucciso da Dudone , 3, \\.
CoHcuTTE, uno de'Tiirchi di Solimano, ferito da Goffredo, 9, go.
Corrado 11, imperadore, alla cui corte Raimondo ancor giovinet-
to die prove di valore, 7 , 64.
CeRRiERE spedito da Armida per sorprendere Tancredi , 7, 27 e
seg.
Croce effigiati nelle insegne e vesti de' Cristiani , i, 72 e altrove.
Crociata ; da chi e quando intimata ,11, 23.
Damasco, città della Soria , 4. 20; io, 70; ì\, 69; 16,72. V.
Armida, Idraote.
Dani , comandati da Sveno , V. Sveno . r
Demoni , convocati da Plutone e stimolati ad infestare l'esercito
cristiano, 4> i e seg. — Uno di essi instiga Idraote contro i
Cristiani, 4 . 22. — Suscitano una tempesta in favor de" Pada-
ni, 7, 114. — Li soccorrono nell'assalto notturno dato da So-
limano ai Franchi, 9, 53. — Sono scacciati da S. TVluliele, 9,
58 e seg. — In virtìi degl'incantesimi d' Ismeno investono i;iia
selva, i3, i e seg. — Palagio d* Armida fabbricato da essi,
16 , I e seg.
G. Liii. T. ni. 2i
3a8 INDICE
Dio, manda l'angelo Gabriello a Goffrrflo per manifestale;'.! il suo
volere, i , 7 e seg. — Inspira la u ente di Pietro 1' eremita e dei
primi duci, i , 33. • — Impone all'angelo custode di Raimondo
di pigliarne la difes;^ > 7 > 79 *' ^f'S- — BIosso a pietà de! campo
cristiano, orilina a Micliele di respingere i Demonj nell' infer-
no , 9 , 55 <■ seg. — Esaudisce le preghiere di Goffredo, e man-
<la la pioggia al ca)i;po cristiano, i3, 70 e seg. — Manda un
so£no a Goffredo, i/J , 2 e seg.
Dragutte, arabo, fa strage de'Crisliani nell'assalto notturno,
9, lo.
Dltoke , principe di Cons.i , duce degli Avventurieri , in mostra ,
I , .'"'9. e 53 ; 3 , 3g. — E ucciso da Argante , 3 , 43 e seg. — O-
noii funebri a lui renduti , 3„ 56 e seg. — Discordie che pro-
dure il (io\er dai gli un successore, 5, 5 e seg. — Combatte dal
cielo in favore de'Crisliani, 18, gS.
Duelli, p'. Akgamte , Clorinda, Tancredi , Ottone, Raimondo.
E
Eberardo, bavaro, uno degli Avventurieri, in mostra, i, 56. — E-
letto per uno de' campioni d'Armida, 5 , 75.
Eberardo , di Scozia, si offre a pugnar con Argante, 7, 67.
Egitto. Appartenenze, esercito, re, califfi d'Egitto, 17, ^ e
seg.
Elvezj, condotti da Alcasto, in mostra, i , 63.
Emavs, cilt.ì vicina a Gerusalemme, 2 , 55 e seg.
Emirfko , armeno e ciisfiano, poi fattosi maomettano, supremo
duce liei ( jliffo d'Egitto, ec, 17, Sa, 37 e seg. — Per mezzo
d'una colomba invia ad Aladino una lettera, che viene in ma-
no di GoflVedo , 18, 4*) ^ seg. — Incoraggia Ormondo, capo
de' congiurati contro Gofi redo, 19, 6-2 e seg. — Airiuga a' suoi
soldati, gl'inGamma alla pugna, ec, 20, 21. — Combatte va-
lorosamente, e resta ucciso da Goffredo, 20, 1 37 e seg.
Engerlako , uno degli Avventurieri , 1 , 54. — Ucciso da Algazcl ,
^9'4'- . ,. . . .
Enrico, messaggiero di Goffredo, spedito in Grecia per istimolar
queir In. peiatloie ad osservare i patti, e per affrettar la venuta
di Sveno al campo, 1 , 67 e seg.
Enrico, francese, uno degli Avventurieri, eletto a campione di
Armida, 5, 75.
Enrico, inglese , ucciso da Dragutte, g, 40.
Eremita, promotore della Crociata, f^. Pietro.
Eremiti. Due eremiti ris.mano Culo, tedesco, mortalmente feri-
to, 8, 2^ e seg. — Gii consegnano la spada di Sveno da darsi
a Rinaldo perch'egli vendichi la morte di quel principe, 8,
34 e seg. — Lo congedano , 8 , 42.
Ereamta, nato pagano, e poi fattosi cristiano, accoglie Ubaldo e
C;ii lo , messaggieri spediti a richiamar Rinaldo; li conduce nel
suo palagio sotterraneo; narra loro le avventure di Rinaldo, e
li fornisce de'inezzi onde liberarlo , i ^ , 33 e seg. — Li guida
alla nave fatale , i5 , 2. — AI loro ritorno insieme con Rinaldo,
INDICE Big
mostra a questo le imprese della stirpe di lui, 17,576 scg.
— Li coni;ctla , 17 , 86.
Ermima; sua storia , G , 56 e scg. — ISella torre che domina il
campo nemico, mostra ad Aladino i piincipaii guerrieri cristia-
ni, 3, t-ì , 17 e sei;., 37 e set;., 58 e seg. — Dalla torre mira
la pugna fra Arjrante e Tancredi , di cui è iiinaniorata , 6 , 62
e seg. — E irresoluta se debba o no andar a medicar le lerite di
Tancredi, 6, 66 e sep. — Si veste dell'armi di Clorinda, e par-
te per ritrovar Tancredi, 6, 81 e seg. — Invia il suo scudiere
a Tancredi , 6 , 98 e sce;. — Assalita da Polilerno , che la stima
Clorinda , fug!:e, 6, 108, — Si ricovera appresso d'un pastore,
7 , I e seg. — Nel campo d' Egitto, riconosce Vafrino , scudiere
di Tancredi; parte seco lui alla volta del campo cristiano; gli
narra le sue vicende, gli svela la congiura contro GoiìVedo, e
l'amor suo per Tancredi; 19 , 79 e seg. — Trova Tancredi s\e-
nuto, e lo piange per morto, 19, io3 e seg-; — rinvenuto che
egli è , lo medica , e si rimane presso di lui , 19, 3 e seg.
Ernesto, ucciso dall'arabo Albazar, 9,4'-
Erode, f«'ce costruire la torre Antonia in Gerusalemme , io , So
e 3i.
Erotimo , medico, intraprende a curar la ferita di Goffredo , 1 1 ,
70 e seg.
Eseucito cristiano: sue prime imprese nella Bitinia, Soria e Pa-
lestina , I , 6 e seg.
Esercito de' Turchi ed Ambi erranti , ausiliario di Aladino, f^.
Solimano.
Estensi ; projenitori e discendenti di Guelfo e di RinaKIo . A*.
Guelfo e Rinaldo.
Etiopi, tributar] del califfo d'Egitto; loro truppe, 17 , 2j; 20,
53. y. Meroe.
Eostazio , fratello minore di Goffredo e di Baldovino ,5,8; 18 ,
79 — Uno de'primi fra gli Avventurieri, in mostra i , j.j. —
S'abbatte in Armida, se ne invaghisce, l'introduce presso
Goffredo, e perora la causa di lei, 4» 33 e seg. — Propone che
fra i;li Avventurieri si eleggano dieci i qucli accompagi ino
Armida e le prestino ajuto, 4 j 79 — Conforta Armida , 4, 84.
— Torna a sollecitar Goffredo in favore d'Armida, 0,667.
— Geloso di Rinaldo, gì indirizza un astuto discorso, per cer-
care di non l'aver per compagno , 5 , 8 e seg. — Benché non e-
letto fra i dieci campioni d'Armida, s'invola di nottetempo
dal campo per seguirla, 5 , 80 e seg. — Rimane prigioniero di
Ann irla , io , 69. — E liberato da Rinaldo ,10,71. — E ferito
nel primo assalto di Gerusalci.inie, 1 1 , 60. — Nell'ultimo as-
salto, tien dietro a Rinaldo a dar la scalata, i8, 79.
Fiamminghi , in mostra, i . 43.
Filippo, tedesco , ucciso da Ariadeno, 9, 4<*-
Flotta cristiana , i , 78 ; ■> , 75.
Flotta egiziana, .5, 86.
33u INDICE
Fortuna, i5, 3 e seg^
FuocHf inventati dal mago Isiueuo per danueggiaie i Cristiani.
Gabriele, Angelo. V. Angeli .
Gallo , ferito da Clorinda , 9 , fi8.
Garbo , duce de' predatori cristiani ; è ucciso da Clorinda , 3 , i4
^ e seg.
Gaza, città sulla frontiera dell'Egitto; i , 67; 8, 5i ; io, \ ; i5y
i o e seg. ; 16, 76; 17, i e seg.
Gazel, duce del quarto squatlrone egiziano , 17, «8.
Gentonio, uno degli Avventurieri, i , 54. — E ucciso da Altamo-
ro , 20, \o.
Gernakdo, norvegio, in mostra, i, 54. — Sua alterigia , 3 , ^o.
— Invidioso di Rinaldo, si maneggia per essere elelto duce de-
gli Avventurieri in vece di esso, 5, i5 e seg. — Accusa Rinal-
do , il quale lo investe , e l' uccide , 5 , a6 e seg.
Gerniero, uno degli Avventurieri, in mostra, i . 'Ì6. — Si offre
a combattere con Argante , 7 , 66' — Ferisce Clorinda , la qua-
le gli tronca la destra, 9, 6g. — E ucciso da Tisaierno, 'jo ,
1 12.
Gerksalemme ; sua situazione, struttura, er. , 1 , 90 ; 3 , 55 e seg ,
64 e seg.; 6, 1; 1 1 , aS e seg. — Sue torri, 3 , 9, e seg.; 6, 62 ,
IO, 3i ; 1 1 , 25 e seg. ; 19 , 39. — Sue provvisioni , 3, 56 ; 6, i
e seg. ; I o , 43. — Sue adiacenze , 3 , 57 ; 9 , gj ; 1 o , 28 e seg. ;
Il , ro. — Arrivo dell'esercito cristiano a (ierusalemnie , 3 , 3.
— Sostiene il primo assalto, 1 1 , 32 e seg. — Nel secondo as-
salto cade in poter de' Crociali, ivS, 68 e seg.
Gherardi. Due guerrieri di questo nome fra gli Avventurieri , in
mostra; i , 54- — L'uno d'essi è eletto fra i cantpioni d' Armi-
da, 5, 73. — Ambedue oppongono forte resistenza ad Argante,
7 , 107. — Uno di essi è ucciso da Tisafertio, 20, 112.
Gilberto , tedesco, ucciso da Ariadeno, 9, \o.
GiLDippE , moglie di Odoardo, milita con esso fra gli Avventurie-
ri, 1 , 56 e 57 ; 4 , 4o. — Si offre a combattere con Argante , 7 ,
67. — Fa strage de'Saraceni ,9,71- — Uccide molti Persiani,
e fa prodigj di valore , 20 , 32 e seg. — Ferisce Altamoro, il
quale le rende la pariglia, 20, 4' — Affronta Soliuiano, e lo
ferisce; ma poi questi uccide lei insieme collo sposo intento a
soccorrerla , 20 , 9 j e seg.
Giordano, fiume della Palestina, 3 , 07 ; 7 , 3 ; ij , 67.
Giosafa', valle contigua a Gerusalemme, 1 1 , 10.
Goffredo Bu^tiune; sue virtù, i, 1 e seg. — Sue prodezze da
giovane, 7, 72. — Ammonito dall' Angelo, , raduna i duci in
Consiglio, I , 19. — Sua parlata, i , 21. — È proclamato ilucc
supremo, i , 32 e seg. — È ricevuto fra gli applausi de' soldati,
i , 34. — Passa in mostra l'esercito, 1 , 35 e seg. — Cede le sue
truppe al fratello Baldovino, i, 40. — Annunzia a' maggiori
duci il giorno da lui stabilito per muovere verso (ierusalein-
DELLE MATERIE 3 li
me, I , 65 e 66. — Inyia Enrico in Grecia aJ acceleiar la ve-
nuta di Sveno, principe de' Dani , ed a sollecitar gli ajuli pro-
messi dall' iinperator greco, i , 67 e sei;. — Cautele prese da
lui , 1 , 7^j. — Concede la pace al re di Tripoli , 1 , 76,- io, 47-
— Suo accorgimento di condurre l'cseiciln lungo il mare, i,
78. — In Euiaus riceve Alete ed Argante, ambasciadori del re
d'Egitto, 2,5') e scg. — Accetta la guerra, regala gli amba-
sciadori , e li congeda , 2 , 80 e seg. — Arriva coll'esercito sot-
to a Gerusalemme, 3, 1 e seg. — Accenna a Tancredi d'inve-
stire i Pigani guidali da Clorinda, 3, 16. — Fa intimare a'suoi
di ritirarsi, 3, 62 e seg. — Osserva la posizione di Gerusalem-
me, 3, 54 e seg. — Ne disegna le operazioni dell'assedio, 3,
64 e seg. — Rende segnalati onori all'estinto Dudone , 3 , 66 C
seg. — Dà gli ordini per costruir maccliitie da espugnare Gcrti-
saiemme ,3,71 e seg. — Dà udienza ad Armida, e, vinto dal-
le altrui istanze, mal suo grado le concede dieci campioni, 4?
j(S e seg. — Pensa a chi debba commettere l'impresa d'Armi-
da, 5, I e seg. — Convoca i principali perchè eleggano un suc-
ce.ssore a Dudone, 5, e seg. — Sua rigorosa giustizia contro Bi-
naldo uccisore di Gernando, 5 , 37 e seg. tino a 5[). — Resiste
alle lusinghe d'Armida, 5, 61. — Fa trarre a sorte i dieci
campioni che debbono seguire Armida. 5 , 72 e seg. — Rassicu-
ra i suoi che temono di mancar di vettovaglie, 5 , 86 e seg. —
Accetta la disfida inviata da Argante, e destina a tale impresa
Tancredi, 6,176 seg. — Egli medesimo, ad ifna seconda di-
sfida d'Argante, vedendo la codardia de' suoi, s'accinge ad ar-
marsi per coiiibattere con esso; ma in sua vece si presenta Rai-
mondo al duello, 7 , 56 fino a 62. — Vedendo violato il patto
della pugna , e ferito Raimondo , eccita i suoi alia vendetta, 7,
io3 e seg. — Ode tla Carlo, tedesco, la miserabile fine di Sve-
no, 8, 6 u seg. — Aliprando gli narra la supposta morte di Ri-
naldo , 8 . 5o e seg. — Questa supposta moi te serve di prelesto
ad una sedizione nel campo; la reprime ' /'• Argillano), 8,
57 e seg. — Si dispone a dar 1 assalto a Gerusalemme , 8 , 85.
— Muove contro una sortita notturna di Solimano, col cjuale
si batte, e mette in rotta il nemico , y , |i e seg. — Fa seppel-
lire i suoi morti, ed ordina l'assalto pel dì vegnente, 10 , 67.
— Invila i campioni che aveano seguito Armida, a narrargli le
loro avventure, 10, 58 e seg. — Ode i fausti presagi dell'ere-
mita; IO, 73. — Avanti d'intraprendere l'assalto , ordina una
sacra processione e solenni preci , i ( , i e seg. Veste 1' armi di
leggier" pedone, e narra a Raimondo un voto da lui fatto a Dio,
Il , 20 e seg. — Mette in ordinanza l'esercito, dà il segno del-
l'assalto, e opera geste valorosissime, 1 1 , 3o e seg. — È ferito
in una gamba ( si crede ) da Clorinda , n , 5 J. — Non desiste
tuttavia dalia sua impresa ; ma infine è costretto dalla ricevu.
ta ferita a ritirarsi, n , 55 e seg. — Partito lui , la fortuna ab-
bandona il campo cristiano, ii, 57. — È medicato da Eroti-
mo, e guarito mercè dell'ajuto d'un Angelo, 1 1 , 68 e seg. — ■
Ritorna alla battaglia, ferisce Argante, e, sopravvenuta la not-
te, si ritira dopo aver dato le opportune disposizioni, 1 1 , 76
33?. INDICE
e seg. — Visita Tancredi giaveiiii'iile ferito , ii , 8\. — Essen-
do stata incenerita la prima gran macchina, manda i suoi fab-*
bri a tagliar legne nel bosco incantato da Isnieno , i3, 17. — •
Non riuscendo 1' impresa , vi spedisce , ma invano , diveisi
guerrieri, i3, 19 e seg. — Vuole egli stesso condursi al bosco
incantato, ma ne è distolto dall'eremita , i3, 5o. — In occasio-
ue d'una terribile siccità, l'esercito si lagna di lui, e varj
guerrieri abbandonano il campo; egli ottiene di Dio abbon-
dantissima pioggia, e tutto piglia nuovo aspetto, i3, 52 sino
alla fine del canto. — Sogna d'essere traslato in cielo, i4 , 2 e
seg. — Fa richiamar Rinaldo , \ ^ , '20 e seg. — Raccoglie amo-
revolmente Rinaldo , e gli commette l'impresa del bosco , 18,
I seg. — Ritrova per caso sotto l'ali d'una colomba una lettera
importante diretta da Emireno ad Aiadino, 18, .5o e seg. —
Premessi diversi atti di religione, e dati gli opportuni provve-
dimenti, muove all'assalto di Gerusalemme, 18, 62 e seg. — •
Vede l'esercito celeste che combatte in favor de' Cristiani , 18,
92 e seg. — Insegne Solimano, e innalza su le mura il vessillo
della Croce, 18, r)8 e seg. — Alloggia in Gerusalemme , repri-
me la licenza militare, er. , 19, 5o e seg. — Visita Raimondo
infermo; e quivi udito da Vafrino le insidie orditegli da'nemi-
ci , si consiglia con esso Raimondo, e si risolve per la pugna,
19, 120 e seg. — Riordina il suo campo, e gli predice la vitto-
ria, 20 , 6 e seg. — Uccide Ormondo , capo de' congiurati con-
tro di lui , e tutti i compagni del medesimo , 20, 4^ e !^Q. —
Spiega tutta l'abilità d'un gran capitano, e tutto il valore di
un guerriero, 20, 4? e seg. — Uccide Emireno, e fa prigione il
re Àltamoro, 20, 13^ e seg. — Vinti tutti gli ostacoli, va al
Tempio , e scioglie il suo voto.
Greci . f^. Tatino.
Gdardia reale del califfo d'Egitto . f-^. Indiani .
Guasco, uno degli Avventurieri, in mostra, 1 ,56. — E eletto ad
esser uno de' campioni d'Armida, 5, jS. — E ucciso da AUa-
inoro , 20, 40.
Guascone. E cosi chiamato Raimondo, y. Raimondo .
Guasconi sotto a Gerusalemme , 20 , 6.
Guelfo , sua stirpe, suoi meriti , ec. , 1 , io , 4o e seg. ; 3 , 63 ; 5 ,
36; 17 , 80 e seg. — Induce Rinaldo, uccisore di Gernando , a
ritirarsi dal campo , 5 , 5o. — Parla a Goffredo in favor di Ri-
naldo, 5 , 57. — In qualità di luogotenente di Goifredo , muo-
ve contro i nemici guidati da Clorinda ed Argante iicU' assalto
notturno , 9, 43 e seg. — Ferisce Clorinda in un fianco , e uc-
cide Osmida, 9, 72 673. — Veduto lo svantaggio del luogo,
ferma le sue genti, 9,96. — Comanda in capo l'esercito, in
assenza di Goffredo ferito ,11, 56. — Nel primo assalta delle
mura, cade percosso, 11 , 59. — Chiede in Consiglio a Goffre-
do ed ottiene che sia richiamato Rinaldo, 14,21 e seg. — In-
via Carlo e Ubaldo in traccia di Rinaldo, 1^4' ^7 ^ ^^'■ò- — Sìk-
accoglien/.c a Rinaldo ritornato, 18, 4- — È deputato da Gof-
fredo a difender le spalle de' Cristiani in occasione deli'ultiuio
assalto, 18 , 65 e 66.
DELLE MATERIE 33?
GiiGLiEi.MO , principe inglese, in mostra co' suoi, i, 44- — Narra a
Gcftredo ìc vicende <ii'et;li corse insieme co'snei con. [ogni ap-
presso di Armida, io, 59 e seg. — E f.i;i veniente feiito da Clo-
rinda ,11, 4''*-
Guglielmo, comandante de'legni lic"i"i, manda avviso a GoflVe-
<lo del prossimo arrivo della grande armata d'Egitto, fi, 86. —
Costruisce stupende macchine da guerra per dar l'assalto a Ge-
rusalemme, i8, 4' fi seg.
Guglielmo, vescovo d'Oiangc, in mostra co'suoi, i , 38 e seg.
— Chiude una solejinc processione, 1 1 , 5. — Celebra la santa
messa, 1 1 , 14 e seg.
Guglielmo JHonrig/ione , Avventuriere, ed uno degli eletti a se-
guire Armida, 5, 75.
GriBO . Ve n'ha due di questo nome, entrambi fra gli Avventu-
rieri , I , fi6. — Si ofirono a con.'battere contro Argante , 7, 66.
— L'uno di essi è ferito da Ai gante, 7, 107 e 108 . L'altro è
ucciso da Altamoro, 20, 40.
I
Idraorte, indiano, nel coipo scelto della milizia reale del calillb
d'Egitto, 17, 3o.
Idbaote , mago, re di Damasco, invia Armida sua nipote al cam-
po cristiano ( V. Aemida), 4 > 20 e seg. — Ottiene da Armida
di mandare incatenati i di lei seguaci cristiani al re d'Egitto,
IO , 70 e seg. — Assolda in Soiia uno stuolo di guerrieri ausi-
liarj d'Armida, 17, 35.
Immagine di Ao.yfni Si^noìa tolta a' Cristiani da'Pagani, ed a
questi ritolta da'Cristiani ,2,5, e seg — Venerata dalla ma-
dre di Clorinda, 12, 23.
I^DlA^'l nell'esercito egizio, 17, 58 e seg. — Alcuni di essi con-
giurano contro la vita di Goffredo; p . Oemo^do . — Loro su-
premo comandante; p\ Emirkno. — Fuga della reale milizia
( ch'era composta d'Indiani), 20, log.
Inglesi ; loro truppe, condottieri, navi, i , 4^ 5 ' j 79j 7> 67; 8,
3. — F. Guglielmo, principe inglese.
Ikcano , persiano, in mosti a, 17, 25. — E ucciso da Gildippe,
ao, 32.
Irlandesi ; loro truppe e condottieri , i , 44i 7» 67.
IsMENO, g^ik cristiano, ora pagano e mago, persuiule Aladino a far
rapire a' Cristiani l'immagine della B. V. , 2 , 1 e seg. — Tenta
invano di scoprire che cosa sia riuscito della dttt.i immagine,
2, 10. — Apparisce a Solimano fuggitivo, lo conluita, sii pro-
fetizza la sorte de'suoi successori, e lo conduce invisibile in
mezzo al Consiglio d' Aladino, io, 7 e seg. — Compime certi
fuochi per incendiarla macchina da guerra de' Cristiani, 12,
17. — S'accompagna con Clorinda ed Argante nella spedizione
notturna diretta ad incendiar la delta macchina, 12, ^2 e seg.
— Incanta il bosco, onde i Cristiani hanno bisogno di trarre il
legname per le lor macchine da guerra, i3, i e seg. — Rincora
Aladiuo colle sue predizioni, i3 , i3 e seg. — Inventa nuove
334 INDICE
inistuie incendiarie, i8, 4? ^ ^^%- — Rimane ueeiso insieme
con due maghe , 18 , 87 e seg.
Isola ineantatn d' Armida , 14, 69 e seg.; i5 , 37 e seg.
Isola di Francia; sue truppe e duci, i , 87. — Morto Clotareo
loro capitano, alcuni di questi guerrieri, in occasione della
siccità, abbandonano il campo, i3, Og.
Latini ( cioè Italiani ), 8 , 3 ed altrove
Latuno , romano, ucciso con cinque suoi figliuoli di Solimano, 9,
27 e s«g
Lai-rente, figliuolo di Latino. ^'. Latino .
Leopoldo, guerriero feroce e gagliardissimo, ucciso da Raimondo
in sua gioventìi , 7 , 64.
Lesbiko , paggio di Solimano , ucciso da Àrgillano ,9,81 e seg.
Libano, monte nella Palestina, i , 14
Libia; suoi re uccisi da Rinaldo, 20 , 56.
LiGCHi ; loro navi nella flotta cristiana, i , 79; 5, 85.
LiNCASTRO , granducato in Inghilterra, 1 , 55.
Lombardi ; tre fratelli . A'. Achille , Palamede , Sforza .
I^OTTEBI^■GHI , 20 , IO.
M
MA.CCHINE da guerra de' Cristiani ,3,71 e 7 j ; 8 , 85 ; 11 , 1 ; 1 2 ,
I e 5; i3 , 1 ; 18, 42 e seg.
Macchine da guerra degli assediati , 1 1 , 27 ; 18, 47 e seg.
Maga. V. Armida .
Maghe , uccise insieme con Ismeno, 18, 87.
Magi pagani . V. Idraote , Ismeno .
Mago fatto cristiano. V. Eremita.
Marlabi'sto, detto 1' Arabico , in mostra, 17, 3o.
Matilda, educatrice di Rinaldo, i , Sg.
Meemetto, guerriero saraceno, ucciso da Dudone, 3, 44-
Meroe , penisola in Etiopia ,17, 24.
Michele (San). F. Angeli.
Milano ; sua insegna , i , 55. V. Ottone .
Mori; loro truppe nell'esercito egiziano, 20 , 53,
MuLEASSE, arabo, ucciso da x\rgillano, 9, 79.
Mdleasse, indiano , condottieie della fanteria egizia , 20, 2a.
N
Nave /I-rM/e. ^. Fortuna.
Neghi , della sinistra sponda dell'Eritrèo, 17 , aS. — Loro re uc-
cisi, e loro truppe sconfitte, 20, 56.
Ni ce A, in Ritinia, i , 6 ; 2, 92 ; 6, io; 9, 3.
NiCENo . E cosi chiamato Solimano, io, i5. — ^. Solimano,
NoRMANDo . E cosi chiamato Roberto principe di Normandia, ii ;
81. y. RoBFRTO, principe di Normandia.
DELLE MATERIE 355
O
0»izo, toscana , uno desjli Avvcnturiei"' • i . 5).
Odbmabo , indiano, nel corpo scelto <1rlle gnaidio icali del calilVo
d'Egitto, 17 , 3o.
Odoaedo, marito di Gildippc V. Gild'Ppi;.
Olandesi ; loro truppe nell' esercito cristiano, i , \'^ Loro na-
vi , I , 79.
Olderico, uno degli Avventurieri, eletto a secjuire Armida,
5,75.
Oliferno, bavaro , ucciso da Drnsrutte, 9, ^o.
Olindo. 7''. Sofronia .
Oliveto, monte presso Gerusalemme, 11 , io.
Gradino, famoso sagittario; in<iannato da Belzebù , soccorre Ar-
gante ferendo Raimondo , 7 , 100 e seg.
OncANo ; si oppone in Consiglio a'progetti d'Argante, 10, .^9 e
seg.
Orindo, indiano, nel corpo tcelto della regia milizia del califfo
d'Egitto , 17 , 3i.
Ormanno; ucciso da Argante, 7 , 107 e 108.
Ormondo , indiano , nel corpo scelto della regia milizia del califfo
d'Egitto, n , 3o. — Si fa capn d'una congiura controia vita
di Goffredo, ig, 62 e seg. — È ucciso con tutti i suoi da Gof-
fredo, 20, 44 '^ seff.
Ormus, isola nel golfo Persico . V. Trcano.
Ormusse , duce degli Arabi predatori; introduce in Gerusalemme
vettovaglie e milizie, io, lìS.
OsMiDA, palestino, ferito da Guelfo, 9, 75.
OsMiDA, duce de'Negri nell'esercito esizio; 17, l'i.
Ottone, signor di Milano, uno degli Avventnrieri , in mostra , 1,
55. — Si batte, in vece di Tancredi, con Arcante , che il fa
prigione , 6 , 28 e seg. — Argante , nel secondo duello , se lo f*
condurre innanzi quale ostaggio, 7 , 56.
Palagio ìnmntaio d' Armidn , i5,66; ifi, i e seg. — F. Tson,
INCANTATA .
Palamede . lombardo , uno degli Avventurieri , i , 55. — E ucciso
da Clorinda, 1 1 , 45.
Pastore , presso cui si rifugge Erminia ,7,66 seg.
Pembrozia, in Inchilterra. V. Artemidoro.
Persiani ; contendono a' Cristiani la presa d' Antiochia, 1. R.
— S'oppongono loro ad altre conquiste, 1,42; 9 > '8. — Loro
re e truppe , 20 , 23.
Pico, figliuolo di Latino, V. Latino.
Pietro eremita ; il primo che consigliasse d' intraprendere ta
Crociata , propone l'elezione d'-.in duce supremo, i . 29 e seg.
— Udito il racconto fatto da Gnelielnio delle vicende incon-
trate a'campioni che seguirono AnTiid.n, svela che Rinaldo è
G, LlB. T. 111. 23
■536 INDICE
ancor vivo, e predice le gesta di lui e de suoi disceudcnti, io,
^3 e sefj. — Esorta GefTrcdo a solenni atti di religione avanti
d'assalire Gerusalemme, ii , i e seg. — Rimprovera amorevol-
mente Tancredi costernato per la morte di Clorinda , i2, 85 o
seg. — Distoglie Goffredo dal tentare egli stesso l'impresa del
bosco incantato , e gli presagisce la presa di Gerusalemme, i3 ,
5o e seg. — Indirizza Carlo ed Ubaldo, deputati a ricijiamare
Rinaldo, ad un eremita suo amico, i4, 39 e seg. — Accoglie
R.iialdo, lo confessa, e lo invia con savj ammonimenti all'im-
presa del bosco incantalo, i8, 6 e seg. — E il primo ad an-
nunziare che è vinto l'incanto del bosco, i8, 3g.
Pjkd bo, araldo di Aiadino ,6, 5o.
Pioggia ristotatrice del campo cristiano, i3 , 6\ e seg.
PiBGA, indiano nel corpo scelto della milizia reale_ del califfo di
Egitto , 17 , 3 i.
Pirro; fece ciVsuoi inganni cadere Antiochia in potere di Boe-
mondo, 7, 67. — S'offre a far duello con Argante, ifi . — E
ucciso da Clorinda , 7 , i ig.
Plutone , chiama a consiglio i suoi demonj , e gli eccita a fune-
stare il campo cristiano, ^, i e seg.
PoLiFERNo, figliuolo d'Ardelio, insegue Erminia creduta Clorin-
da , 6, 108. f^. Abdelio e Alcandro.
Procella suscitata dai Demonj a danno de' Cristiani, 7 , 1 14 , e
seg.
Processione religiosa de'Cristiani avanti di dare il primo assalto,
1 1 , 4 e seg.
Raibiondo , conte di Tolosa, in mostra co' suoi, i, 61. — Suoi
possedimenti , sue virtù , sue prodezze ; ii'i ,- 3 , Sg e 60 ; 5 , Sg;
7 , 64 e 65. — Loda la severità di Goffredo contro Rinaldo tic-
cisore di Gernando, 5 , 3g — Assistito dal suo angelo custode,
entra in duello con Argante, 7 , 61 e seg. — Ferito a tradi-
mento dal sagittario Gradino , rinfaccia ad Argante la viola-
zione de'patti , 7, 102 e seg. — Cerca didissuader Goffredo dal
dare in persona la scalata a Gevusalemme, 11,21 e seg. — Nel
pii/ijo assalto contro Gerusalemme è colpito da un sasso ,11,
5g — Consiglia Goffredo a mandare una spia nel campo d' E-
gitto, 18 , 56 e seg. — Suoi luminosi servigj nell'ultimo assal-
to, 18, 63 e seg — Entra in Gerusalemme, i8, io3 e seg. — E
atterralo da Solimano , ig , 43. — Consiglia Goffredo di quan-
to s'abbia a fare per isventare gl'insidiosi progetti del nimico,
ig, 127 e seg. — E posto da Goffredo a guardia della torre oc-
cupata da Aladino e Solimano, 30, 6. — Si batte di nuovo con
Solimano, e ne è di nuovo atterrato, 20 , 7g e 80. — Protetto
dallo scudo di Tancredi, si vendica de' Pagani , ed uccide Ala-
dino, 20, 86 e seg. — Presa la torre di David, vi pianta il
vessillo della Croce, ao , gì.
Ramraluo , guascone , uno degli Avventurieri, in mostra, 1,54.
• — E eletto fra i campioni destinati a seguire Armida, 5,75
DELLE MATERIE 337
— Rinnega la fede, per amore di Annida, ivi ,07, 33. — Con-
tende con Eustazlo , venuto a raggiiin!;ere Annida, benché,
non eletto a tale spedizione, 5 , 81 e seg. — Minaccia Tancre-
di arrivato davanti al castello d'Armida, e s'azzuffa con esso,
7,3-2 6 seg.
PiAPOLDo , già corsale, nel corpo scelto della regia milizia del ca-
liffo d'Egitto, 17, 3o.
Re di Boecan , i 7 , 9..5.
Re d' Egitto . V. Egitto
Re d' Ormus, 17 , 25.
Re di Siirmacnnte ,17, 27.
Re di Tripoli di Barberia , 17, u).
Re di Tripoli di Soria . y. Tripoli .
Re di Zumara , 17 , 19.
PiiDOLFO , uno degli Avventurieri, t, .')6. È eletto a seguire Ar-
mida , 5, 75.
Ridolfo, irlandese, s'offre a 'duellar con Argante , 17, 67, — E
ncciso da Argante , 7 , 119.
IiiMEDOKE , indiano, nel corpo scelto della regia milizia del calif-
fo d'Egitto; 17 , 33. — E ucciso da Goffredo, 20, 137.
Rinaldo; sua indole , 1 , 10. — Suoi genitori e antenati , sua pa-
tria, suoi piegi , I, 5J) eseg. ; 3, 37; :">, 8; 8, 7; io, 75. E
presagito che la sua casa s'imparenterà con quella di Goffredo;
14 , 19. — Sua insegna, 3, 37 ; 8 , 49; '^o , 1 13. — Uno de' pri-
mi fra gli Avventurieri , in mostra, 1 , 58. — Sue prime gesta
sotto Gerusalemme, 3 , 37 , 4i e seg. - — Sgrida i suoi , e muove
all'assalto di Gerusalemme per vendicar la morte di Dudone ,
3 , 5o — 'E riputato eguale per valore a Goffredo, 3 , Sg. — Ri-
sponde ad Eiistazio che pe'suoi fini segreti gli offre di farlo e-
leggere duce degli Avventurieri, 5, 12. — Uccide Gernando
suo detrattore, 5, 26 e seg. — L'aver ucciso Gcrnando è ca-
gione che ad istanza degli amici abbandoni il Campo, e si riti-
ri appresso di Bocmondo , 5 , 33 e seg. — La sua supposta mor-
te, attribuita a GotTredo, fa nascere una sedizione nel campo,
8 , 46 e seg. — S'abbatte ne' suoi compagni prigionieri d'Armi-
da, e li libera; io, 71 e seg. — Si scopre la falsità della sua
morte, io, 72 e seg. — Storia di quanto gli successe dopo par-
tito dal campo, io, 71 e 72; i4,5i e .seg. — E fatto prigio-
niero d' Armida ^ invaghitasi di lui, 14 , 37 e seg. — Il suo ri-
chiamo è intimalo a Goffredo per mezzo d'un sogno, i4, 2 e
seg. — Vita effeminata ch'egli mena nel giardino d'Annida,
16, 17 e seg. — Ravvedutosi per opera di Carlo ed Ubaldo, ab-
bandona la maga, 16, 27 e seg. — Raccolto dal vecchio eremi-
ta, mira in uno scudo le gesta de' suoi antenati , e s'accende di
virtuosa emulazione, 17 , 57 e seg.. — Riceve da Carlo la spada
destinata a vendicare la morte di Sveno , 1 7 , 83 e seg. — Gli
vien predetta dall'eremita la gloria de'suoi nipoti, 17 , 89 e seg.
— Arriva al campo cristiano , si nmilia a Goffredo; si confes-
sa a Pietro eremita, accetta e compie l'impresa del bosco in-
cantato, 18, 1 fino a 40. — Stimola i suoi compagni all'assalto
di Gerusalemme, e sale il primo le mura, 18, 72 e seg. — Soc-
338 INDICE
coire Eustaaio che gli vien secondo all'assaU», 18 79. — Sali-
to su le mura, uccide i Sirj , ec. , 18, 97 e seg. — Scorre per la
città facendo strage de' nemici, e atterra le porte del Tempio,
19, 3i e seg. — JNell'ultimo fitto d'arme è eletto a duce degli
Avventurieri, 20, 10. — Uccide Assimiro, e la strage d'altri e-
gregi guerrieri, 20, 53 e seg. — Uccide o abbatte i difensori
d'Annida, e non si cura di lei, benché lo faccia segno a'suot
dardi, 20, 61 e seg. — Insieme con Goffredo distrugge i Per-
siani che difendono il carro d'Armida, 10, 70. — Uccide A-
drasto , 20, loi e seg. — Uccide Solimano, -20, 107. — Uccide
Tisaferno, 20 , 1 13 e seg. — Segue Armida fuggita dal campo,
le impedisce d'uccidersi, e si riconcilia con essa, 20, 127»
seg.
Roberto, fiammingo, in mostra co' suoi , 1 , ^3 e 44- — ^^^ primo
assalto è ferito da Clorinda ,11, 4^- — ^^^ secondo assalto è
deputato a difendere le spalle degli assalitori , 18 , 65 e seg. —
Nell'ultimo fatto d'arme comanda l'ala sinistra dell'esercita,
20, 9. — Sua fine, 20, 71.
Roberto , normando, in mostra co'suoi, i , 38. — Nel primo as-
salto è atterrato da Solimano, 1 1 , 81. — Nel secondo assalto è
deputato a difendere le spaile degli assalitori, 18, 65 e seg. —
Nell'ultimo fatto d'arme comanda l'ala sinistra dell'esercito ^
20, 9. — Combatte (se pur non è il Roherto Jìainmingo ) insie-
me con Goflredo, e 1' uguaglia in yalore , 20, 49- — Sua fine ,
20 , 71.
Romani; loro milizie sotto Gerusalemme, i , 64.
RosMONDO, inglese , uno degli Avyeutuiieri , 1 ,.55. — Si offre a
<luellar con Argante, 7, 67. — E ucciso da z\itamoro, 20, ^o.
Rossano, turco nelle truppe di Solimano; Goifrcdo gli tronca am-
bedue le braccia , 9 , 90.
RosTENO , turco nelle truppe di Solimano, è ferito da Goffredo,
9 > 9"- .
RuGGiEBO di Balnavilla, uno degli Avrenturieri , in mostra, i ,
54. — Si offre a duellar con Argante, 7 , 66. — Resiste ad Ar-
gante, ma infine è da lui atterrato, 7, 107 « 108. — E uccisa
da Tisaferno , 20 , i la.
Sacìno, uno de' cinque figliuoli di Latino. ^. Latino .
Saladino, arabo, è ucciso da Argillano, 9, 79.
Saladino, pronipote di Solimano; la sua gloria è profetizzata dal
mago Ismeno, 10, 22 e 23.
Sarmacante . ^'. Re di Sarmacante .
Scozia. V. Eberardo di Sroziii.
Scudo, sotto del (piale un angelo ripara Raimondo, 7, 82 e seg.
Scudo, in cui Rinaldo mira la sua effeminatezza, 16, 3o.
Scudo , ove sono effigiate le gesta degli antenati di Rinald® , 17,
57 e seg.
Seguaci d' Armida V. Campioni d' Armida .
Seir, monte presso Tripoli di Pidcstina, 1 , 77-
DELLE MATERIE 339
SfcLiNO , turco , soldato di Solimano, è ucciso da Goffredo, y , t)0.
Selva, vicina a Gcrusaleniino , la quale fornisce di let;narne da co-
struzione i Cristiani, 3 , ^4 ^ ^c^. — Viene investita da'demo-
11) , I 3 , a e seg. — 1 /| , I /( ; — i 8 , i o e sesj;.
Senapo, re cristiano d'Etiopia, padre di Clorinda, i3, iì.
Sforza , lonjbardo, uno degli Avventurieri, in mostra, i , 55.
Sicilia ; sue navi, i , 'ly.
SiiACE, condottile delle truppe dell'Arabia petrea , ncUesercito
egiziano , 17 , 22.
SiFANTE , indiano , nel corpo scelto della regia milizia del califfo
d' Egitto 17 , 3i.
SiGiERO , scudiero di Goffredo, a nome del suo signore ordina la
ritirata a' Cristiani ^ 3,5^. — Keca a Goffredo l'armatura leg-
giera ,11, 53. — E ucciso da Argante col colpo destinato a
Goffredo, 1 i , 80.
SiLoÈ, fiumicello presso a Gerusalemme, inaridito, i3 , 5g.
Sion, monte dentro a Gerusalemme; ma nel poema è pigliato in
vece della stessa Gerusalemme , i , 23 ; 9 , 64 J ' 5 , i ; 18, q3.
Sofia, madre di Rinaldo, i , Sg.
Sofronia, vergine cristiana, s'accusa ad Aladino d'aver involala
l'immagine della B. V.; — è condannala al fuoco; — Olindo,
suo occulto amante , per salvarla, dichiara se essere il reo; — ■
sono condannati ambedue ; — Clorinda li libera; — divengono
sposi ; — sono esiliati fuor della Palestina, 2, i4 fino a 54
Sogno, inviato dal Cielo ad Arsele, servo di Clorinda, 12, 3fi ©
seg.; — a Clorinda , 12 , 40 ; — a Goffredo, i4 » 2. — Tancredi
vede in sogno Clorinda , la cjuale lo accerta dell'amor suo, 12,
91. — Ugone apj)cire in sogno a Goffredo ; F. Ugokiì:.
Soldano . y. Solimano.
Solimano , già soldano di Nicéa, poi condottiero degli Arabi er-
ranti , 6 , io ; 9, 3 e seg. — Antico emulo d'Argante ,6, 12. — •
Sua insegna militare , 9,25. Uccide Sveno, ausiliario di Gof-
fredo , e distrugge l'esercito di lui ,8,16. — Incitato da Alet-
to, assale di notte i Cristiani, sparge fra essi il terrore , e uc-
cide fra gli altri Latino co' suoi cinque figliuoli , 9, 8 e seg. —
Vendica la morte del suo paggio Lesbino, uccidendo Argilla.-
no , 9 , 85 e seg. — Ferito e spossato, fugge dal campo, 9, 97 e
seg. — È rincorato dal mago Ismeno, il quale gli predire la
gloria di Saladino suo pronipote, e lo conduce invisibile in
Gerusalemme, e nell'aula del Consiglio tenuto da Aladino,
dove si scopre , rileva le speranze de' Pagani , ed è da tutti , ec-
cetto Argante, altamente onorato, 10, 7 e seg. fino a 56. — Nel
primo assalto dato da' Cristiani , difende le mura di Gerusa-
lemme, 1 i , 27 e seg. — Insieme con Argante piomba addo.sso
agli assalitori , e ne fa terribile strage, 1 1 , 62 e seg. — In oc-
casione della sortita notturna di Clorinda ed Argante, rimane
in guardia delle porte, 12, 16 e 48. — Viene opposto contra
Goffredo, 18, G7. — Tenta di render vani i colpi lanciali da
una torre de' nemici, ma infine cede al vincitore, 18, 90 e seg.
— Fa rifuggire Aladino e l'avanzo delle truppe nella torre di
David , 19 , 39 e seg. — Esce fuori contro i Cristiani , e atterra
34o INDICE
Rairaontlo 19, 4^ e seg. — E costretto egli pure a ritirarsi, 19,
48 e seg. — Rincora i suoi, 19, 53. — Fa una novella sortita,
empie il campo di strage , e abbatte un'altra volta Raimondo ,
•20, 73 e seg. — Giunge nel campo egiziano, e uccide fra gli al-
tri Gildippe ed Odoardo, 20, 91 e seg. — E ucciso da Rinaldo,
"io , 104 e seg.
SoRi A , regione dell' Asia; sue truppe nell'esercito egiziano, 17,
35,
Squadra immortale, 19, 122 e sef. — ^E messa nell'ala destra
dall'esercito egiziano, 20 , 23. — ^Nell'ultimo fatto d'arme, si
dà alla fuga , 20, 109.
Stefano, conte di Blesse, d'Ambuosa e di Turs, in mostra coi
suoi , i , G2. — Si olfre a duellar con Argante, 7 , 66. — È uc-
ciso da Clorinda ,11, 43.-
Sveno , principe de' Dani; mentre veniva in soccorso de' Fedeli ,
fu ucciso e distrutto il suo esercito Ja Solimano; i , 68 : 8, 2 e
eeg. fino a .\ì. — f^. Carlo .
Tancredi ,1,9. — In mostra, i , 4^- — Come s'innamorasse di
Clorinda , i , 46 e seg. — Sue truppe in mostra , i , 49- — Muo-
ve contro la schiera nemica guidata, da Clorinda, 3 , 16 e seg.
■ — E fortemente amato da Erminia, 3, 18 e seg. — Colpisce
Clorinda nella visiera, si clic le cade l' elmo di testa; la rico-
nosce , e le scopre l' amor suo , 3 , a i e seg. — Insegne un sol-
dato che in passando scalfì l'ignudo capo di Clorinda, 3, 29 e
seg. — Perde la traccia di lei, e torna in soccorso de' suoi, 3,
36. — Insieme con Rinaldo rompe lo stuolo nemico, 3 , 4'' —
È stimato eguale in battaglia a Goffredo, 3, 59. — Parla in fa-
vore di Rinaldo reo dell'uccisione di Gernando , 5 , 35 e 36. —
Induce Rinaldo a partirsi del campo, 5 , 4o e seg. — Sue con-
quiste precedenti , e sua moderazione verso l'usurpatore di es-
se, 5, 47 e seg.; 8, 64- — E eletto a far duello con Argante;
ma, veduta Clorinda, s'arresta per via, tantoché Ottone com-
batte in sua vece, 6 , 24 e seg. — Accorre in ajuto d'Ottone;
ferisce Argante; è ferito da lui; la notte sospende il duello, 6,
36 e seg. — Ode lietamente l'ambasciata d'Erminia che gli si
offre a medicarlo, 6, loi. — Corre in traccia d Erminia, sup-
ponendo ch'ella sia Clorinda, G, ii4- — Smarritosi , pervientr
al castello d'Armida, si balte con ^Rambaldo , e riman prigio-
niero della maga ,7, 22 e seg. — E liberato da Rinaldo , 10,
58 lino a 71. — Nel primo assalto, cedendo i Cristiani dopo
eh' è stato ferito Golfredo, egli reintegra la zuffa, 1 1 ,. 67 e seg.
— Combatte per la seconda volta con Clorinda , da lui non co-
nosciuta; la ferisce mortalmente; nel darle battesimo, la rico-
nosce, ce. ec. , la, 5i e seg. ^'. Clorinda. — Si dispera per la
morte di Clorinda, e n'è rimproverato da Pietro l'Eremita , 12,
70 e seg. — Vede in sogno Clorinda, che lo conforta ; la fa
seppellii e, e va a visitare la di lei toml)a, 12, 91 e seg. — Si
piglia l'iucarico di liberare il bosco incantato ; ma, illuso dal-
DELLE MATERIE ?4i
Taiti tlisliolicte, si litiia dalT inij )esa , i3, 33 fino a 49. ■ —
Propone a GcflVrclo il !;uo sciulino "Vallino yev esjldiaicK j ci
campo dell'Egitto, 18, 5^. — Nel serenclo assallo tli Gciusa-
lenjine è opposto con Camillo ad A)i;antc, 18 , C7. — Passa i,cl
muro nimico, e v'innalza la Cicce , 18 , 101. — Esce della cit»
tk con Argante, si batte con esso, e l'uccide, 19, a e seg. — È
trovato giacente da Erminia e Vafrino, i quali lo pianf:oiìo poi-
morto ; rinviene ;Eiminia lo medica, 19, io3 e seg. — Ordina
onorevole sepolhiia ad Arcante, e si la trasportare in Gein.sa-
lemme, 19, 116 e seg. — Nell'ultimo fatto d'arme, tuttoché
infeimo, accorre in ajuto di Raimondo, e lo protegge col suo
scudo , 20 , 83 e seg.
Tatino, gì eco, in mostra co suoi , i , 5o. — Coglie il pretesto di
una siccità per abbandonare di nottetempo il campo cristiano,
i3, G8.
Tedeschi ; loro truppe in mostra, i , 4l-
Tempesta 1 ,r n
Iemporale i
TiGRANE, indiano, nel corpo scelto della regia milizia del califfa
d'Egitto, 17, 3o.
Ti GRANE, saraceno di Gerusalemme, è ucciso da Dudone, 3, 43-
TisAFERKO , valorosissin.o indiano, nel còrpo scelto della regia
milizia del califfo d Egitto; suo vakue, 17,31— Gai cecia con
Adrasto, suo rivale, per vendicare Armida, 17, .Go; 19, GS ,
72 e 7.-). — Occupa colle sue truppe l'ala d<stia dell'esercito e-
giziano , 20, 23. — Fa grande sliage de'Cri^tiani, e fra i più
illustri uccide Gciniero, Ruggiero e Gherardo, 20, 49, 112.—
Seguala fuggitiva Armida, ma ii'è ritenuto da Rinaldo, the
l'uccide, 20 , 1 18 e seg,
ToRTOsA , città in Soria ,1,6.
Tripoli di Barberi a; sue truppe, 17 , 19.
Tripoli di Soria ; suo re; coruliiiisione di pace fra esso e Goffre-
do , i , 76; 10, 47-
Tronto, fiume della Marca d'Amona, 8, 58.
TcRCHi , antichi sudditi e soldati di Solimano , unitisi poi a mi-
litar sotto le sue insegne insieme cogli Arabi erranti, 1 ^ 26, e
specialmente 9, 89.
TcRs, città della Francia ; sue truppe in mostra, 1 , 62.
U
Ubaldo , uno degli Avventurieri , 1 , 5.5. — Suoi pregi , ec. , 14,
27 e seg. — È deputato insieme con Carlo ad andare in traccia
di Rinaldo, i^-i ■ — V. Carlo e Rinaldo.
Ugone. che fu fratello del re di Francia, i, 37. — Apparisce
in sogno a Goffredo, e lo consiglia a richiamar Rinaldo , 14, 5
e seg. — Pugna fra l'esercito celeste in favor de' Cristiani , 18 ,
94-
Urbano 11 , papa, intima la Crociata nel concilio di Chiaramon*
te. Il , 23.
342 INDICE DELLE MATERIE
Vafrino , toscano , scudiero di Tancredi, è mandato per ispia nel
campo d'Egitto , i8, 57 e seg; — Osserva o^ni cisa ; scopre li-
na congiura tramala contio la vita di Gotfredo; riconosciuto
da Erminia , s'accompagna con essa per ritornare al campo cri-
stiano ; ritrova Tancredi giacente per terra, e lo raccoglie ; fi-
nalmente, giunto alla presenza di Goffredo , gli narra le coso
da lui vedute e scoperte, 19 , 56 e seg. fino a 127. — f^. Ermi-
MA e Tancredi .
Veneziani ; loro navi , i , 79.
Vescovi militanti nella Crociata. V. Ademaro e Guglielmo, Ve-
scovo d' Grange .
ViNciLAo, uno degli Avventurieri; uomo già saggio e grave, ed
ora, benché vecchio, dominato dall' amore j è eletto fra i cam-
pioni d'Armida, 5 , 73.
ZopiRo, persiano, bcciso da Gildippe, 20 , 53.
ZuMARA . V. Re di Zumara .
PQ Tasso, Torquato
4.636 Opere
Al
1821
V.26
PLEASE DO NOT REMOVE
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