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Full text of "Istoria civile del regno di Napoli"

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WILLIAM ^ABCOCK 
COLLECTION 

IN T1ET>IS;VAL STVJJIB^ 

STAUPORD VNIVER0ITY 
LIBRARY 

rKESENTED BV IV1,IX M XY BASCOCK 



OPERE 



DI 



PIETRO GIANNONE 



VOL. II. 



ISTORIA CIVILE 



DEL 



REGNO DI NAPOLI 



DI 



PIETRO GIANNONE 



VOLUME SECONDO 

Il CUI COVTlBirSl LA POLIZIA DBL RBGIO SOTTO AOMAHI^ 
GOTI, GIECI E LOHGOBAIDI 



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MILANO 


DALLA 


SOCIETÀ TiPOG. DE' CLASSICI ITALIANI 



MDCCCIXIII 



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DELL'ISTORIA CIVILE 

DIL 

REGNO DI NAPOLI 



LIBRO TERZO 



I 



vari moti civili^ le grandi mutazioni di 
Stato e le vicende della giurisprudenza romana 
che avvennero dopo la morte di Yalentiniano III 
infiiio al regno di Giustino II imperadoi*c^ sa^ 
ramio il soggetto .di quésto libro. Si narreranno 
gli avvenimenti di un secolo, il^l quale nuovi 
dominii, straniere, genti e nuove leggi vide W 
iaììsLj e videro queste nostre provincie che ora 
compongono il regno di Napoli; Infino a que- 
sto tempo non altri magistrati si conobbero^ 
non altre leggi , se non quelle de^ Romani : da 
ora innanzi si vedranno mescolate con quelle 
di straniere nazioni, le quali, ancorché bar- 
bare, merìtan però ogni . commendazione , non 
solo per le molte ed insigni virtù loro , ma an-> 
che perchè fìiron delle leggi romane così osse-" 
quiose e riverenti, che non pur non osaron ol- 
traggiarle , ma con somma moderazione , coutrp 
alle leggi della vittoria , ehe dettavano di far 
passare i vinti sotto le leggi de^ vincitori, le 
ritennero. Non aspettino per/ tanto i lettori che 
dovendo io in questo e ne^ seguenti libri favellai' 



6 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

de* Goti^ de* Longobardi e de* Normanni^ che 
hanno una medesima origine^ debbia^ come 
han fatto moltissimi, aspramente trattargli da 
inumani, da fieri e da crudeli, ed avere le loro 
leggi per empie , ingiuste ed asinili , come yen- 
gon per lo più da^ nostri scrittori riputate. Splen- 
derà ancora nelle gesta de* loro principi non 
meno la fortezza e la magnanimità, che la pie- 
tà , la giustizia e la temperanza 3 e le loro leggi 
e i loro costumi, se bene non potranno para- 
gonarsi con quelli degli antichi Romani, non 
dovranito pero posporsi a quegli degli ultimi 
tempi dello scadunento dell* imperio , ne* quali 
la condizione d* esser Romano divenne più vile 
ed abbietta che quella di co1(h*o che oarbari 
e stranieri fìiron nputati. 

Dovendo admique prima d'ogni altro favellar 
de* Goti, non è del mio instituto che venga da 
più alti prìncipii a narrar la loro origine, e da 
qual parte del Settentrione usciti, venissero ad 
inondare queste nostre contrade* Non mancano 
sórittori che ci descrissero la loro origine, i pro- 
gressi e le conquiste sopra varie regioni d Eìu- 
ropa; ed ultimamente 1* incomparabile Ugone 
Grozio ne trattò con tanta esattezza e di- 
gnità, che oscurò tutti gli altri. Quel che però 
dee sommamente importare, sarà il distinguere 
con chiarezza i Goti orientaU dagU occidenta- 
li; poiché dall*averg^ alcuni nostri autori con- 
fusi, e non ben distinti, han parimente confiise 
le loro leggi e costumi, ed appropriato agli uni 
ciò che s* apparteneva agU altri , com^ si vedrà 
chiaro più mnanzi nel corso di questo libro. 

O Grot. in Proleg. in Hist. Got. 



LIBUO tÈRftO ^ 

L* origine del loro nome non è molto oscu^ 
ra: essi che per F ospitalità e cortesia verso i 
forastierì furono . assai rinomati e celebri^ ànclte 
prima che abbracciassero il cristianesimo, s^ac-* 
quìstarono presso a^ Germani il nome di buoni: 
Boni^ dice Grozio C)y Grermanis simt Goteii, 
aut Guten: onde aWeùne che poi presso a 
tutte r altre nazioni d^ Europa Goti s^appellas-^ 
sero. Furono di'dsi^ secondo i siti delle regioni 
che abitarono, in Goti orientati o siano òstro- 
goti , e Goti .occidentali ovvero ▼estrogoti , 
die i Latini corrottamente chiamarono Visigoti. 
Quegli ch^ abitarono le regioni più alFOrit!nte 
rivolte verso il Ponto Eussino, msino al fiume 
Tiras, e che poi con permissione de^Mmpe- 
radori orientah eM>en> là Pannonia, la Tracia, 
ed «dtimamente V Illirico per loro sede , furon 
appeiali Ostrogoti; ed eran governati da' prii^ 
cipi àéisL non meno antica che iUnstre casa 
de^ Amali, donde trasse la sua origine Teodo^ 
rico Ostrogoto che resse queste nostre provin- 
de. Gli altri che verso Ocddehte fiirono rivolti, 
e che 'sH tempi d'Onorio ressero rAxpiitania e 
la Narbona, e da pòi molte provinde della Spa* 
gna, XTestrogoti fixvoa nomati: onesti erano 
comandati da' principi della casa de Baiti; gente 
lUustre altresì, ma non quanto la stirpe degli 
AmidL la quaie in nobiltà teneva il vanto : IV 
Iosa ra la loro sede, capitale della Provincia , 
detta poi per la loro residenza questa contrada 
Guascogna, che tailto vuol dire hi loro lingua, 



O Grot. in Prolegom. pag. t3. 



8 ISTORIA DEL EEGRO DI NAPOLI 

quanto Gozia occidentale (i); benché altri di- 
cano che da^ Vasconi popoli di Spagna^ che^ 
varcali i Pirenei^ occuparono questa provìncia, 
tosse detta Guascogna. 



CAPO l 

De Goti occidentali, e deUe loro feggz. 

I prìncipi westrogoti della stirpe de^ Baiti , 
essendo stata loro sotto F imperio d^ Onorio da 
questo principe stabilmente assegnata FAqaita- 
nia e molte altre città della Naroona, in To- 
losa fermaron la loro sede, onde poi re di To- 
losa si dissero. Essi a tutto potere proccuravano 
stendere il lor dominio neU^ altre provincie della 
Gallia e delle Spagne, le quali eran da^ Vandali 
malmenate ed oppresse. Più volte a Vailia, che, 
come si disse nel precedente libro, a Rigerico 
successor d^Ataulfo succede, fortunatamente av- 
venne che nelle Spagne trionfasse d^ essi, e lor 
desse molte gravi e memorabili rotte. Morì Val- 
lia, dopo aver riportate contro a^ Vandali tante 
vittorie, in Tolosa Fanno di Cristo 4^8, ed a 
lui succede nel regno Teodorico (a). Gli scrit^ 
tori variano nel nome di questo principe: Gre- 
gorio di Tours (3) lo chiama Tendo: Isidoro, 
Teudorido: Idacio, Teodoro: ma noi seguendo 
Giomandes (4), scrittore il più antico e 1 più 



(i) Paulus /Etnil. de Reb. Frane, lib. i. 
(a) Paul. /Èmil. loc cif. 

(3) Greg. 1. 2. Hìst. Frane, caf). 7. 

(4) Jornawl. de Reb. Geiic, cap. 94» 



LIBRO TKRZO Q 

accurato delle cose de^ Goti, lo chiameremo con 
Alteserra (i) Teodorìco. Resse questo prìncipe 
rAquitania anni ventitré: prode ed ecceUente 
capitano, che contro ad Attila ne^ campi di 
Qiaalons diede F ultime prove del suo valore: (u 
egli in questa battala gravemente ferito , e 
sbalzato da cavallo restò tutto infranto, ed indi 
a poco morì. Lasciò di lui sei figliuoli maschi, 
Torrismondo, Teodorìco il giovane, Frederìco, 
Evarìco. Ro temerò ed Aimerìco, ed una figtiuola, 
che colloco Ila in matrimonio con Umierico fi- 
glipolo di Gizerico re de^ Vandali. 

Torrismondo adunque succede nel reame, il 
quale anco rchè si fosse trovato insieme col pa» 
are contro ad Attila, e fosse stato in quella bat* 
taglia ferito, intesa ch^ebbe la morte del mede- 
simo, tornò subito in Tolosa, ove con universale 
acclamazione fu nel trono regio assunto (2). Il 
regno di questo principe ebbe brevissima du- 
rata; e se dee prestarsi fede ad Isidoro, non 
imperò più che un sol anno, poiché per opara 
di Teodorìco e Frederìco suoi fratelli, che mal 
soffrivan il suo governo , fu crudelmente uc- 
ciso (3). 

Teodorìco il giovane, suo fratello, gli succede 
nel regno; principe, secondo Sidonio Apollina- 
re (4), dotato di nobili ed eccellenti virtù; ed 
ancorché il genio degli "Westrogoti mal s' adat- 
tasse alle leggi romane, centra il costume degU 
Ostrogoti, che F ebbero sempre in somma stima 

(1) Alirs. Rer. Aquìt. lib. 5. cap. i3. 

(a) Joraand. de Reo. Getir. cap. 4 1 • Paul /£niil. do Kcb. Fraii. 1. 1 

(3) Altes. lor. cit. cap. i3. 

(4) Sidon. lib. 1. ep. 3. 



IO ISTORIA D£L REGNO DI NAPOLI 

e venerazione^ fii non però Teodorìco II aman- 
tissimo delle medesime, e n^ebbe grandissima 
stima. 

GXl Westrogoti , per le continue guerre ch^ d>- 
bero co' Romani, fiiron non poco avversi alle 
leggi romane; tanto che parlando de^ loro tempi, 
éShe a dire Gaudiano (i): Moermt capiisHtó, pel* 
Ilio judice legRs. Ataulfo loro re, che, come si 
disse, ad Alarico I succede, per la ferocia del 
suo animo, già meditava d' esterminarle in tut* 
to; ma raddolcito per le continue persuasioni 
e conforti di Placidia sua moglie cotanto da lui 
amata, se n^ astenne e mutò consiglio; ed ancor- 
ché i suoi Goti mal ciò soffrissero , pur egli ap- 
presso Orosio (2) confessò che non poteva senza 
ijuelle la repubblica perfettamente conservarsi, 
né di dava il cuore di toglierle affatto: Neque 
GomoSy ei dice, uUo modo parere legibus posse, 
ptopter effraenatam barhariem, ncque reip. m^ 
terdici leges oportere, sine quibus resp. non est 
respubUca. Onde narrasi (3) che questo principe 
neuanno /^i2 avesse per pubblico editto coman- 
dato a^ suoi sudditi che le leggi de^ Romani 
insieme co' costumi de' Goti osservassero. Gol- 
dasto (4) tra le Costituzioni imperiaU ne rap- 

Forta r editto, ma si vede esser conceputo col- 
istesse parole poc' anzi riferite d'Orosio, e molte 
cose in esso aggiunte che in quell' autore non 
sono. 



CO Claud. 1. 2. ad Rufin. • 
(a) Oros. 1. 7. e. 29. 

(3) Artur. Diik de iisu et aulh. jur. cit. 1. 3. e. G. nuiD* i4< 

(4) Goldast. Const. Imp. tom. 3. 



LIBRO TERZO II 

Ma a Teodorìco il giovane^ del quale si fih 
vella^ fii in tanto pregio lo studio d€»le romane 
leggi ^ che Sidonio Apollinare (i) introducendolo 
in un suo canne a parlar con Avito , cosi gli 
fa dire: 

mihi ìhmufa dudum 

Per u jìMra pìacenu 

Ed altrove (a) chiamò questo Teodorico .... ite- 
manae colamene sabisaue geniis. Ed appresso 
Qaudiano^ parlandosi m questa principe^ come 
osservò Grozio (3)^ pur si legge: P^inmcet Aro 
tous {fiolaias advena leges. Né gli "Westrogoti^ 
ne' taoipi di questo re, o de' suoi predecessori^ 
ebbero proprie leggi scritte , né sì presero mai 
cura di formarle. 

Ma morto Teodorico nel decimo terzo anno 
dd suo regno • essendogli stato renduto da Eva- 
lieo ciò ch'egli fece a Torrismondo, succedette 
ndi reame Evarico suo fratello. Questi fu il primo 
che diede a' Goti le leggi scritte^ come ce n' ac- 
certa Isidoro (4): Sub hoc Rege Goihi legum 
instituta scriptìs habere coeperunt, nam antea 
tantum morìous et consuetudine tenebantur: per 
la qual cosa da Sidonio (5) in una epistola che 
dirizzò all' imperadore Lione, fu celebrato Eva» 
rico per principe sàggio e conditor delle leggi: 
Modo per promotae Umitem sortìs, ut popuhis 
sub armiSy sic fraenat arma sub legibus. 

Nel regno di questo prìncipe cominciaron le 

(i) Sftlon. carro, n, 
(p!) Carm. de Narbon. 

(3) Grot. in Prolrg. in Hist. Got. 

(4) laici, in Chron. Era 5n4. 

(5) Siclon. lib. 8. rpist. 3. 



la ISTORIA DEL REONO DI NAPOLI 

leggi de^ Romani ad oscurarsi ^ non già in Ita-* 
Ha y ma nell^ Aquitania e nella Narbona j ed in 
alcmi^ altre provincie della Spagna; poiché que** 
ste nuove leggi che Teodonciane uiron dette ^ 
proposte per opera de' Goti a' Provinciali, si 
lece in modo che le Teodosiane non cotanto 
s^ apprezzassero; ed al deterioramento di quelle 
non poco vi cooperò ancora la malvagità de^ 
propri romani uflmalì, e particolarmente di Se* 
Fonato prefetto allora delle Gallie, il quale fa- 
vorendo le parti de^ Goti, e tradendo il suo 
proprio principe, era a' Romani awersissimo 3 
tanto che da Sidonio (i) era chiamato il Càti- 
lina di quel secolo. Costui (u peniizioso a' Ro- 
mani stessi, non solamente per le gravi perdite 
cagionate dalla sua ribalderia all'imperio d'Oc- 
cidente neUa Gallia, ma molto più per lo dis- 
prezzo e vilipendio che faceva delle leggi Teo- 
dosiane, con innalzare all'incontro quelle de^ 
Goti. Ancor oggi appresso Sidonio (2) si leggono 
le querele de' Provinciali contra costui: ExuU 
tans Gothis, insuUans Romanis, iUudens Prae- 
fecUSf coUudensque numerarìisy leges Theodor 
sianas calcans , Theodorìcianasque proponens , 
s^eteres culpas, nova trìbiUa perquirit Onde si 
vide in questi tempi la condizione de' Romani, 
per la rapacità di quest'uomo pestilente che 
d' eccessivi ed esorbitanti tributi gli caricava , 
ridotta ih tale stato, che, come fu detto nel f 
libro, i Provinciah eleggevan più tosto la ser- 
vitù de' Goti, che la Ubertà ae' Romani; onde 



(1) Sidon. I. 3. e I. 
(a) Id. lib. 3. ep. i. 



LIBRO rmzo i3 

Salvìane (i) d^essi parlando disse: Passim y vel 
ad GothoSy s^el ad Èagaudas, vel ad aUos ubi-* 
que dominantes Barbaros migranty et comnu- 
grasse non poenitet; malunt enim sub specie 
captivìtatis s^ivere liberi^ quam sub specie libera 
tatis esse captis^L Itaque nomen cis^ium Romor 
norum aìiquando non solum magno aestimaUuny 
sed magno emptum, nane uUro repudiaiuTy ac 
fugjitury nec vile tantum, sed etìam abominabile 
pene habetur. Paolo Orosìo {2) attesta ancora 
che i Provinciali eleggevano più tosto tra^ bar- 
bari vivere, che tra' Romani: Qui malint in- 
ter Barbaros pauperem libertatem, quam inter 
Romanos tributariam sollicitudinem substinere. 
Quindi Isidoro (3) potè conchiudere: Unde et 
hucusque Romani, qui in regno Gothorum eonr 
sistunty adeo amplectunUir , ut melius sit illis 
cum Gothis pauperes vivere, quam inter Ro- 
manos potentes esse, et grave jugum tributi por- 
tare. Ma cotanta ribalderìa di Seronato non ri- 
mase lungo tempo impunita, poiché strascinato 
in Roma, fugli tronco il capo, in cotal guisa 
soddisfacendo la pena di tante sue scelleratezze. 
Furono le leggi da Evarìco stabilite chiamate 
Teodoriciane, non perchè riconoscessero per 
loro autori i due Teodorici di sopra memorati, 
come diedesi a credere il fiaromo (4), che ne 
fece autore Teodorico il giovane predecessore 
d'Evarico, poiché a tempo de' medesimi ninna 
legge scritta ebbe questa nazione. Molto meno 

(1) Salvi an. lih. 5. de Gtibcr. Dri. 
(a) Oros. lih. 7. cap. a8. 

(3) Isid. in Cbroiiic. Era 447* 

(4) Baron. Ann. toni. 5. A. 4^* o* n* 



l4 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

furon COSÌ appellate y perchè forse V autore di 
quelle fosse stato Teodorìco Ostrogoto re'd^I- 
talìa^ come altri si persuasero: perocché questo 
principe^ come diremo più iimanzi^ ebhe sen- 
timenti assai diversi intomo alla cura delle leggi 
romane^ e regnò molto tempo da poi in Ita- 
lia^ morto già Sidonio Apollinare ^ il quale non 
poteva nomar queste leggi Teodoriciane, perchè 
questo Teodonco ne fosse autore. Teodorìco 
Ostrogoto j come dii*assi y regnò in Italia ne^ 
tempi d^ Anastasio imperador d' Oriente nel- 
Fanno 49^ ^ ^^O; quando Sidonio Apollinare 
era già morto^ com^è manifesto appresso Gre- 
gorio di Tours (i)j laonde meritamente (ìi da 
Cironio (2) incolpato d^ errore Cmacìo^ che au- 
tore di queste leggi ne fece Teodorico re d'I- 
taha. 

Sìrmondo e Dadino Alteserra (3) saviamente 
dissero che fossero queste leggi chiamate Teo- 
doriciane per paranomasia, per opporle alle 
Teodosiane^ acciocché siccome i Romani va- 
levansi delle Teodosiane, così i Goti avessero 
leggi priorie che con diverso senso, ma con 
conforme suono si dicessero Teodoriciane : ma , 
siccome osservò Cironio (4), sarebbe questa una 
paranomasia troppo insulsa, se Evarico non 
tosse stato ancora cjùamato Tebdorico; onde 
il dottissimo Savarone (5) sopra ouel luogo di 
Sidonio Apollinare assai chiaro oimostra che 



(1) Grcgor. Tur. Hist. Frane lib. 3. cap. a3. 
(a) CiroD. obs. jiir. can. 1. 5. e. i. 

(3) AItcs. Ber. Aquit. lib. 5. cap. i5. 

(4) Ciron. 1. 5. e. i. 

(5) Savaro in 1. a. Sid. ep* i. 



UBRO TERZO l5 

il vero nome di questo principe fosse stato 
itjello di Teodorìco : Grozìo poi nel suo 
Nomenclatore ci fa vedere che questo re si fosse 
chiamato anche Evarìco per questo stesso che 
fu il primo fra^ re goti a compor leggi: Evarix, 
e^ dice, aUas EsHirìcus, Evwi ricchf Legibus 
pollens. In g^ssis Lex, Ew(l 

SI. 

Del Codice d'Alarico. 

Poterono sotto il regno d^ Evarico ^ ma molto 
più per la ribalderìa di Seronato sofferire questi 
oltraggi le leggi romane; ma tolto dal mondo 
si reo uomo^ essendo da poi nell^aimo 4^4 
morto Evarico, sursero quelle di bel nuovo, e 
tomar(»io nell^ antico lor vigore: poiché d'Ala- 
rico figliuol d' Evarìco , che nel reame gli suc- 
cede, (iuftmo i sentimenti assai diversi ; impe- 
rocché le querele de' ProviiKiali, che mal sof- 
ferìvan T abbassamento delle medesime, trova- 
ron quel luogo pi'esso ad^ Àlarìco che appo al 
padre non ebbon giammai. Erano note a que- 
sto prìncipe le doglianze degli Aquitam e degU 
altrì suoi sudditi, i quali mal volentierì si sa- 
rebbon accomodati alle leggi Teodorìciane, e 
che a mran torto lor involavansi le leggi romar 
ne , coUe quaU eran nati e cresciuti. Èra altresì 
a lui noto con quanta stima venivan rìcevute 
da Teodorìco Ostrogoto , che già ne' suoi tempi 
regnava in Italia , la cui figliuola Teodelusa egU 

O Orot. in Nomrncl. in Hist. Got. 



l6 ISTORIA DEL REGlfO DI NAPOLI 

aveva per moglie , e perciò d^ Teodorico ve- 
niva suo figliuolo chiamato^ come si vede ap- 
presso Cassiodoro in quella affettuosa epistola 
che gli scrìsse (i). Fu per tanto risoluto nel 
ventesimo secondo anno del suo regno di com- 
piacergli; onde avendo tirascelti uomini pru- 
dentissimi, ed i più insinui duréconsulti che 
fiorissero nella sua età ^ a quali prepose Goia- 
rico {2)y non altramente che di Triboniano fece 
fimperador Giustiniano nella compilazione delle 
Pandette e del suo Codice j impose a^ mede- 
simi^ che dalle costituzioni del Codice Teo- 
dosiano e dalle sentenze di vari giureconsulti 
sparse in diversi libri ne formassero un nuovo 
codice. E perchè non si diminuisse la maestà 
del suo imperio ) quasi che di leggi straniere 
d' altri principi avesse bisogno per governare i 
popoli a se soggetti ^ volle che questo nuovo 
codice in suo nome si pubblicasse^ e che le 
leggi in quello contenute da lui ricevessero la 
forza ed il nerbo , perchè potessero costrin- 
gersi i suoi sudditi ad ubbidirle. 

I più vulgati e . celebri libri , ne' quah in qiie- 
sti tempi contenevasi la ragion civile de' Ro- 
mani j se riguardansi le costituzioni de' princi- 
pi, eran i Codici Gregoriano, Ermogemano e 
quel di Teodosio con le di lui Novelle , e P al- 
tre di Valentiniano a quello aggiunte; e fra i 
volumi de' giureconsulti fiorivan in questa età 
sopra tutti le Sentenze di Paolo e l'Institu- 
zioni di Caio : perciò per opera di que' valenti 



(i) CiiKsiod. 1. 3. \ar. e. i. 

(a) Got. iu Prolcgom. C. Th. e. 5. i). 6. 



>. 



LIBRO TERZO I7 

uomini (i) fìi dalle costituzioni di que^ codici^ 
dal corpo di quelle Novelle e dalle sentenze di 
questi giureconsulti compilato questo nuovo ri- 
stretto codice j laonde perciò anche Breviario 
del Codice Teodosiano fu dagli scrittori di que* 
tempi e della seguente età nominato, il quale, 
secondo il computo del Gotofredo (2), fii conr 
dotto a fine Tanno 5 06. La cui compilazione 
dee a Goiarìco e suoi colleglli attribuirsi (3), 
non già ad Aniano cancellier d^ Alarico, come 
stimarono Giovanni Tillio e Cuiacio, ingannati 
forse da ciò che scrìsse Sigeberto (4). Aniano 
nella fabbrica del medesimo non v^ ebbe alcuna 
parte, ma solamente da lui d'ordine d'Alarico 
tu pubblicato e sottoscrìtto in Ayre città della 
Guascogna nel concilio d'ambedue gli ordini (5), 
cioè degli ecclesiastici e de' nobili; poiché di 

3uesti tempi m Francia il terzo ordine non era 
'alcun momento, nò d'autorità veruna (6). La 
qual pubbhcazione e sottoscrìzione d' Aniano 
reiidesi manifesta dal Commonitorìo d'Alarìco 
dirètto al conte Timoteo, che va imianzi al 
Codice Teodosiano, nel quale si leggono que- 
ste parole (7) : Àniamis s^ir spcctahiìisy ex prae- 
cepto D. N, gloriosissimi J larici regis, ìuuic Co^ 
dicem de T/ieodosianis legibus , aùjiie serUentiis 

(1) Got. in Proloj,'. C. Th. e. 5. 

(2) Gotof. in Proirp. C. Th. e. 5. 

(3) Altcs. Rer. Aqiiit. 1. 3. r. ^. 

(4) Sigohert. de Lcrlos. Scrip. e. 70. Aiiianus vìr spoclahilis , 
juhentc Alarico R. , volumen unum de Irgibus 'J'hcoilobii imp. 
edidit. 

(5) Got. in Prolcp. r. 5. 
(f>) Loysrau dcs Ordn*s. 

(7) Alto», loc. cil, Cironio 1. 5. ohs. jur. cao. e. 2. Gotofr. 
in rroicg. e. 5. 

GlAHifoiVB, yol. II. ' 2 



I& ISTOKIA DEL REGNO Di NAPOLI 

juriSf wl diversis Ubris electumj Aduris anno 
XXII eo regnante edidit, atque subscripsit 

Alcuni per questo stesso rispetto han creduto 
che nel medesimo tempo Amano avesse com- 
poste ancora le Note nelle Sentenze di Paolo 
e nell'Instituzioni di Caio^ come scrìssero D&« 
ciano (i) ed Arturo (2) con manifesto errore j 
poiché in questo Breviario, oltre alle leggi tra- 
scelte dal Codice Teodosiano, vi furon anche 
riposte le sentenze di questi giureconsulti da' 
mentovati compilatori , non già da Aniano. E 
quelle interpetrazioni che s'osservano nel Co- 
dice di Teodosio, non ad Aniano, ma a coloro 
dehbon attribuirsi, come diligentemente osservò 
Gotofredo ne' Prolegomeni di quel codice (3). 
E da notarsi ancora , eh' essendo state unite 
queste note ed interpetrazioni a quel codice, 
ne nacque presso agli scrittori de' seguenti se- 
coli un errore , che volendo allegar le leggi di 
quel codice, allegavan sovente, come costitu- 
zioni del medesimo, una di queste interpetra- 
zioni, o note di Paolo giureconsulto, siccome 
fu avvertito da Savarone (4) sopra Sidonio Apol- 
linare. Così veggiamo che Ivone di Chartres (5), 
che fiorì nelFamio 1092, sovente allega per 
leggi di questo codice ciò ch'era dell' inleipe- 
trazionc ai Paolo giureconsulto. Graziano (6) poi 

0) Dccian. in Àpol. advcr. AlciaL lib. a. cap. 7. 

(2) Arthur. Duck 1. a. e. 6. n. i4* 

(3) Got. ili Prolcp. e. 5. 

(4) Savaro siip. Sidoii. I. a. cp. 1. 

(5) Ivo Carnut. ep. 1 1 a. qnod ox legib. Thcod. laudai , id 
Uabet c\ inl<M'prclat. ad Paul. 5. seni. 11. 

(fì) Gratian. a. qu. 6. e. id ex intcrpietat. in 5, Paul. scnt« 
tit, de (}au« et pocnÌ6 appellai. § 1. 



LIBRO TEUZO ig 

nel suo Decreto prende moltissimi di somiglianti 
abbagli^ siccome fu da Gotofredo (i) e da altri 
osservato. 

S II. 

Traslazione della sede regia degli PVestrogod da Tolosa 
di Francia in Toledo nelle Spagne. 

Questa (u la varia fortuna che la romana giu- 
risprudenza sostenne appresso gli westrogoti ^ 
di Tolosa^ che all^ Aquitania ed a molti ìfuoghi 
della Gallia^ oltre alle provincie della Spagna^ 
imperavano: ma vedi le vicende dell'umane 
cose. Alarico , che dopa ventitré anni d' imp^ 
rio avea sì bene stabilito il suo regno in Fran- 
cia, e che di tutt' altro poteva temere che di 
dover esser egli F ultimo re di Tolosa, (u del 
regno e della vita privo, ed in lui s^ estinse la 
dominazione de' Goti nella Gallìa. Clodoveo re 
di Francia, sia per lo zelo di religione, sia per 
ragion di Stato, dì mal animo sofl&iva avere 
Alarico per compagno nell'imperio delle Gal- 
lie (2). Éra^in fatti Alarico , come furon tutti i 
Goti, ariano: Qodoveo, ardente di zelo per la 
religion cattolica recentemente da lui abbrac- 
ciata, diliberò movergli contra Farmi, e dalla 
GaUia discacciario: cosi questo principe, come 
sr legge appresso Gregorio di Tours (3), parlò 



(i) Got. in Proleg. e 6. 

(a) Goldast. toro. i. Const. irap. rapporta le querele di Teo- 
dorico re J* Italia contro Clodoveo, trattandolo da usurpatore 
e tiranno , perciìé senza giusta causa avesse mosso le armi con- 
tro Alarico. 

(3) Greg. Tur. I. a. Hist Frane, cap. 3. 



:kO- ISTORIA DEL REGNO Di NAPOLI 

a* suoi soldati: Valde moleste fero quod hi 
Ariani partem teneant Galliarum : eamus cum 
Dei adjutorio, et superatis redigamus terram in 
ditionem nostrani. Ecco che assembrati gPeser- 
citi; assale i confini de^ Goti, si pugna feroce- 
mente ne' campi di Vique; ea Alarico sbalzato 
di cavallo, rimane dalle mani proprie di Qo- 
doveo estmto. I Goti per la morte del loro re 
in somma costernazione posti, fiiron dispersi, e 

Siasi che in tutto alla perfine distrutti. Trionfa 
odoveo, e prende molte città e casteUi : Teo- 
dorico suo figliuolo penetrando nell'interiori 
parti dell' Aquitania , tutte si sottomette quelle 
città : Glodoveo con trionfai pompa entra in 
Tolosa, sede che fu già gran tempo de' re 
Goti, e tutti i tesori d'Alarico vi prende. Ecco 
il fine della doimuazion de' Goti nell'Aquitania, 
e vedi intanto la mano del Signore come tras- 
ferisce i regni di gente in gente. 

Conquistatasi da Glodoveo l'intera Aquitania 
con Tolosa, rimasero sotto l'imperio d^' Goti 
le Spagne, ed ancor parte della provincia di 
Narbona , per la quale lungo temp^ da' Goti fii 
poi guerreggiato co' Francesi : ed avvegnaché 
finalmente se ne fossero questi renduti padro^ 
ni , però nella Francia Narbonese , come dice 
Grozio 0, non s' estinse affatto il sangue goti- 
co, né quivi mancò in tutto la stirpe de' Baiti, 
rimanendovi ancora queUi della famiglia di Baux, 
i quah non altronde che da questi Goti tirano 
la lor origine, e conservavan tuttavia in quella 
provincia parte . del principato d' Grange, Un 

(*) C^rot, iq Proleg. Hist, Gol, 



LIBRO TERZO 211 

altro ramo di cjuesta stessa famìglia di Francia 
fu trasferito nel nostro regno di Napoli ^ dove 
si disse appresso noi di Baucio, ovvero del 
Balzo ^ che tenne il principato d^Altamura, il 
ducato d^Andrìa ed u contado d' Avellino j del 
che non vogliamo altro migUor testimonio che 
Grozio stesso : ecco le sue parole : AUaque 
ejusdem familiae propoffy in regno Neapolitano 
prìncipaium AUomurae , ducaUan Andrìae , co-^ 
mitatum Asfellinae, virtutis non degenerantis 
monumenta tenuit. 

Gli T^estrogoti discacciati da Tolosa e da 
Francia posero la loro sede regia in Toledo 
nelle Spagne. Quivi per lungo tempo tennero il 
regno mfin alla spaventosa e terribile irruzione 
de Saraceni. Tennelo Gesalarico j e da poi Teo^ 
dorico ostrogoto re d^ Italia^ il quale volen-* 
dosene poi ritornar in Italia, lascio quello ad 
Amalarìco suo nipote. Tennelo anche sotto Giù-* 
stimano imperadore poco men che diciotto anni 
Teudio, e dopo lui Teudiscolo per im sol an- 
no: Agìla per cinque: Atanagildo quattordici ; 
e dopo la di lui morte seguita in Toledo, liu- 
ba (i). Leovigildo suo fratello gli succedette nel 
regno; principe di vasti pensieri, e che fu tutto 
inteso ad ampliare i confini del suo imperOi 
Vinse i Gantabrì, che sono i Biscaini ed i Na- 
varresi; Amava e molt^ altre ribellanti città si 
sottopose: egli fa perciò detto il Conquistato- 
re, perchè gran parte della Spagna conquistò: 
Nam antea Gens Gothorum (come dice Isi- 
doro (2) ) angustis finibus arctabatur. Ma tanto 



(1) Isidor. Era 593. Grot. in Prolegom. Ilist. Got. 
(3) Isiilor. Era 606. 



22 ISTORIA DEL REGNO 01 NAPOLI 

sue virtù furon oscurate per le persecuzioni che 
diede a^ cattolici; e per la ferocità e crudeltà 
del suo animo ; non perdonò né meno ad Ej> 
menegildo suo figliuolo. 

s m. 

Del nuovo codice delle leggi degli fVestrogotì. 

Presso a tutti questi principi le leggi romane 
non fiiron in molta stima avute ^ e molto meno 
presso a Leovigildo , il quale portando gli stessi 
sentimenti d' Evarico^ volle alle sue leggi gotiche 
aggiungerne deff altre; e ciò che nelle medesime 
egU credette fuor d^ ordine^ o superfluo^ volle 
correggere e togliere^ e con mi^or metodo oi^ 
dinare: In legibus quoque (narra Isidoro 0) 
ea, quae ab Evarìco incondite constituta vide- 
bantur, correxit^ plurimas leges praetemùssas 
adjiciensj plurasque superfhias auferens. Ac- 
crebbe ancora questo principe di molto Pera- 
rio^ e dopo dìciotto anni di regno^ nell^anno 586 
morì in Toledo sua sede regia. 

Non diversi sentimenti intomo alle leggi ro* 
.mane portarono i suoi successorì: Beccaredo 
suo figliuolo (che fii il primo il quale lasciò 
r arianesimo per abbracciare la religione catto- 
lica^ dal che fii nomato il Re Cattdico^ sopra-* 
nome poi ripigliato da Alfonso e Ferdinando re 
d'Aragona, e dai suoi successori); Lduba. 11^ 
Witterico, Gundemaro, Sisebuto, Beccaredo H^ 
Svintila ; Sìsciiando , •CintUa , Tulca ' e Chin- 
desvindo, principi tutti cattolici e religiosi ^ 

O ln<I- in Chron. £119 608. 



LIBRO TERZO ^3 

aggiungendo le loro leggi atf altre de' loro prede* 
cessorì^ fecion sì che ne surse col correr degli 
anni questo nuovo codice , delle Leggi westro- 
gote detto (i). Le leggi che si hanno in quello^ 
alcune portano in fronte il nome degli autori^ 
come di Gundemaro re, e degli altri che re- 
gnarono dopo Evarico e Leovi^do ^ altre sono 
sotto il nome di legge antica, che potrebbero 
attribuirsi ad Evarico, o più tosto a Leovigil* 
do, che corresse ed accrebbe le costui leggi. 
Fu tanta F autorità di questo codice, che oscurò 
in queste provincìe affatto lo splendore delle 
leegì romane } poiché Cliindesvindo {2) re de^ 
westrogoti, che a Tulca succede, promulgò un . 
editto , per cui sbandì la legge romana da tutti 
i confim del suo regno, e ordinò che solo qae^ 
sto codice s'osservasse, sotto vano e stupido 
pretesto perchè quella ricercava troppo sottile 
mterpetrazione. Ecco le parole del suo editto (3): 
AUenae gentis legibus , ad exercidum utiUtatìs 
imbuiy et permiuimus, et oplamus; ad negotio- 
rum i^ero discussionem , et resuUamus, etpro» 
hibemus. Ouojmis enim eloquus polleanty tamen 
difficukatwus haerent : aaeo cum sufficiat ad 
justidae plenitudinem 9 et praeserUcUio radonum, 
et competentium ardo verbonun^ quae Codicis 
kufus series agnoscitur contineref nolumus, swe 
romanis legibus^ swe alienis iristitiUionibus amodo 
ampUus convexarì. Questa costituzione ritrovan- 
dosi per errore di Benedetto Levita registrata 
tra' Capitolari di Carlo M. , diede occasione al 

(1) Ciron. I. 5» obscr. jur. ran. e. a. 

(ni) Altra. Ker. Anuit. 1. 3. r. ii. Gol. in IVulcij^. C. Tli. e. 7. 

(3) Lcg. Wisig. lib, 2, Ut. I. r. 9. 






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». 






24 ISTORU DEL REGNO DI NAPOLI 

Gonzalez (i) di credere che Carlo fosse stato il 

I)rìmo a sterminare dal foro Fuso delle romane 
eggi. Reciswindo suo figliuolo , che nel regno 
gli succedette^ rinnovò gu ordinamenti del pa-* 
dre j e voUe che fuor di questo codice non si 
ubbidissero altre leggi, siano romane, ovvero 

• teodosiane, o d^ altre straniere genti. Nullus, 
e' dice, prorsus ex omnibus regni nostri prae- 
ter hunc Uhrian, qui nuper est editus y atquc 
secundum seriem nujus omnimode translatum, 
alium librum quocwnque negotio insudicio qf- 

Jerre pertentet (2). Tenne Reciswinao il regno 
dopo la morte del padre tredici anni, e morì 
in Toledo F aimo di nostra salute 67 2 (3) , nei 
quale Vamba fii eletto suo successore. 

Egli è però vero che questo codice ad emu- 
lazione di quello di Giustiniano fu compilato, 
e diviso perciò in dodici libri. I compilatori eb- 
bero presente ancora il Codice Teodosiano e 
quello d'Alarico, come è manifesto dalle co- 
stituzioni che in esso si leggono (4). Si valsero 
ancora del Codice di Giustiniano , connume- 
rando (5) i gradi della consanguinità coUHstesso 
ordine , e quasi coli' istesse parole di cui si 
valse Giustiniano ne' libri delle Instituzioni ; e 
quel eh' è più notabile, fu con puro latino scrit- 
to, e non già con quello stile insulso e barbaro, 
del quale valevansi l'altre nazioni^ tanto che 

(1) Gonzal. in e super specula, de prìyil. nuni. 3. 
(a) Cocl. LL. Wisig. lib. 2. tit. 1. e. 10. Got. in Prolcg. Cod. 
Th. e. 7. 

(3) Got. in Proleg. Hist. Goth. 

(4) Cod. LL. Wisig. ì, 5. tit. 5. e. 9. L 1. C. Th. de usuris 
Cod. LL. Wisig. lib. 3. tit. i. e. 1. 1. un. C Th. de nupt 

(5) LL. Wisig. 1. 4* e. >*• 






il? H: 



LIBRO TERZO ^5 

Cuiacio (i) perciò ne prende argomento che 
fosse quella. gente più eulta di tutte F altre. E 
fu cotanta F autorità di questo codice^ che non 
solo presso agli Westrogoti, ma anche appo 
r altre nazioni ebhe vigore e fermezza, siccome 
presso a^ Borgognoni ed a^ Sassoni^ anzi né* 
concili tenuti in Toledo spesso le sue costitu- 
zioni s^ allegano, e di quelle sovente fassene il- 
lustre ed onorata memoria: onde si videro nella 
Spagna in cotal guisa mescolate le leggi romane 
con quelle de* GÌoti; e non pure in questa età, 
ma anche ne* tempi susseguenti fiiron osservate 
non solo da* Goti, ma anche da* Saraceni (2), 
i quaU dopo Fanno 716 avendo inondata la 
Spagna, le ritennero, né nuove leggi v'intro- 
dussero, salvo che alcune poche intomo a* giù- 
dicii criminaU, come della bestemmia del falso 
lor profeta Maometto ; ed ultimamente questi 
essendo scacciati, da* re spagnuoli stessi tiiron 
ritenute, come per la testimonianza di Boderico 
scrisse Grozio (a), fino al regno d'Alfonso IX 
o X il quale, essendo cancellate in buona parte 
per disusanza le leggi de* Goti, introdusse nella 
Spagna le romane, che nell* idioma spagnuolo, 
per opera di Pietro Lopez e di Bartolomeo 
d*Arìenza, fece tradurre e divulgare, le quali 



(0 Cujac. de Feiid. 1. q. lit. ii. 

(a) Arthur. Duck ]. 2. e. 6. n. i5. 

(a) Grot. in Prole:;. Hist. Got. Postquam è Saracrnorum manu 
rccupcrari partes Hispaniae co#»per<», rcsascilalac a Vorcniundo, 
Ald^lfunso, FfTdinaudo, ut Kodovicus nos docet, Gotdiicac le- 
ges: guarum Corpus Forum Judicqm, ci oliin, et nunc di- 
citur K>ii9 Terus Hispanici jurb. 



26 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

ora ritengono tutto il vigore, e leggi delle Par- 
tite s'appellano (i).. 

Questo codice delle leggi degli Vestrogoti , 
noi lo dobbiamo alla diligenza di Pietro Piteo^ 
il quale fu il primo che comunicoUo a Giacomo 
Guiacio, della qual cortesia tanto se gli dimcv* 
stra tenuto. Né io voglio che mi rincresca di qui 
recarne le sue parole (2): Gothorum^ swe Pri^ 
sigotJìorum reges, qui Hispaniam et GaUciam 
Tokio sede regia tenuerunt, ediderunt XII 
Constìtutionum libros, acmulaiione Codicis Jur 
stìmardy quorum auctoritate utìmur saepe Ubenr 
ter 9 quoa sint in eis omnia fere peiita ex jure 
civili^ et sermone latino cons cripta j non ilio in" 
sulso caeteranim gentium, quem nonnumquam 
legimus ingratis: ut gens illa maxime , quae con" 
sedit in His pania y piane cultior caeteris, hoc ar-* 
gumento fmsse vùlcatur. Communicas^it autem 
mihi ultro PeùTis Pitheus, quem ego hominem y 
et si amore , et perpetuo quodam judicio meo 
(tilexi semper vix jam ex ephebo prq/atusjòre, 
ut, probitate et erudiiione aequalium suorum, 
nemird cederet: tamen prò sin^ulari isto bene- 
JìciOy maximam modo animi oenevolentìam ^ et 
summa ac singularia studia omnia me ei de-- 
bere confiteor y idemque erit erga eum animus 
bonorum omnium, si, quod s^eliementer exopto, 
eos libros in publicum con/èrre maturas>erit Ciò 
che Cuiacio desiderava, fu da Piteo gik adem- 
piuto; poiché non guarì da poi permise òhe 



(i) Covar. 1, I. var. Resol. e. 14. n. 5. Artur. Duck lib. a. e 6. 
n. iG. 
(3) Ciijac. do Feud. lib. a. tit. a. 



LIBRO TERZO 27 

questi libri si dessero alle stampe, come e^ dice^ 
scrivendo ad Odoardo Moleo: Imo etiamy ne 
quid Orienti Occidens de eadem gente incide- 
ret, l^s Wisìgothorum Ubros Xll ut tandem 
aUquando ederentur, concessi (i). A costui pa- 
rimente dobbiamo V editto di Teodorìco ostro- 
goto re dMtalia; di cui più innanzi favelle- 
remo* 

Né perchè la Spagna fu poi invasa da* Sara- 
ceni, mancò ivi affiitto il nome el sangue de* 
Goti, siccome non mancarono le loro leggL 
Vanta con ragione la maggior parte della no- 
biltà di quel regno ritenerne non meno il sai^ 
gue che i nomi: ed in fatti, come osservò Gro- 
zio {2)j nomi gotici sono queUi di Ferdinando, 
di Frederìco, Roderico, Ermanno e altri consi- 
mili che gli SpagnuoU ritengono. I re medesimi 
di Spagna vantarono e vollero esser creduti 
discender essi dal figliuolo di Favilla Pelagio, 
nato di regia stirpe, il quale nell^ irruzione sa- 
racinesca avendo raccolte le reliquie delle sue 
genti in Asturia, quivi si mantenne, ancor che 
in tenue fortuna, ma con nome regio, sperando 
che la sua posterità un tempo, come poi av- 
venne, potesse ricuperare i loro aviti regni: jéd 
huncy come dice Mariana, Hispanìae regss nunh 
quam intercisa serie cum semper, aut parentìbus 
Jiliiy aM fratres fratribus successerint, clarissi" 
mum genus referunL FrouUba moglie di Pelagio 
fu ancor ella Gota, ed il suo genero Aldefonso fìi 



(1) Pitcus ad Edoard. in rp. prapposita adEdictum Thcodorici 
in oper. Cassiod. 

(a) Grot. in Prolog. Uist. GoU p. 5i/ 



:i8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

parimente goto del sangue del re Reccaredo. 
Goti furon dunque, e della regal stirpe de' Baiti ^ 
i re di Spagna ; i quali per lo spazio di sette^ 
cento anni avendo con istancabili e continue 
fatiche purgata la Spagna dall'inondamento ara-* 
bicO; stesero finalmente il loro dominio non 
pure sopra gran parte d'Europa, dell'Affrica e 
dell' Asia , ma si sottoposero un nuovo e sco- 
nosciuto mondo, e ressero ancora per lunga se- 
rie d'anni queste nostre provincie che ora com- 
pongono il regno di Napoli. 

Abbiam riputato diffonderci alquanto intomo 
alla serie di questi principi westrogoti, ed in- 
torno alla varia fortuna della giurisprudenza ro^ 
mana eh' ebbe presso a' medesimi ncUa Francia 
e nella Spagna, con parlarne separatamente da 
quello che n'avvenne fra gli Ostrogoti nell'Ita- 
haj non solamente per additar l'origine de' re 
di Spagna, da' quali ne' secoli più a noi vicini 
fu questo nostro reame governato , ma anche 
perchè si distinguessero le vicende della giuris- 

1 prudenza romana appresso queste due nazioni^ 
e quali non ebbero m ciò uniformi sentimenti, 
ma totalmente opposti e diversi. E tanto mag- 
giormente dovea ciò farsi, quanto che gli scrit- 
tori mischiano le leggi degli uni e degli altri; 
né ponendo mente alla serie e genealogia cji 
questi principi, e alle varie abitazioni ch'ebbero, 
confondono gli uni cogli altri, e credon che in 
Italia appresso gli Ostrogoti avesse avuta pari- 
mente autorità questo codice, con ascrivere a* 
principi ostrogoti ciò che gli westrogoti fece- 
ro. Nel qual errore non possiamo non maravi- 
gliarci d' esserv' incorso eziandio il diligentissimo 



LIBRO TERZO 2g 

Arturo Duck (i)^ il quale senza tener conto de^ 
tempi e delle regioni diverse dominate da questi 
principi, fra i re westrogoti confonde Atalarico 
ostrogoto, e con ordine alquanto torlndo e con** 
fuso tratta questo soggetto. 



CAPO II. 

De' Goti orientali, e loro editti. 

Degli prìncipi ostrogoti dell^ illustre casa degli 
Amali lunga sene ne fu da Giomandes tessuta 
nelle sue Istorie (2): prima d^Ermanarìéo se ne 
contano ben sei, Amalo, Isama, Ostrogota che 
fiorì nell^ imperio di Filippo, Cniva, Ararico e 
Geperìco. Ermanarico poi fa quegli che distese 
più d'ogni altro i confini del suo regno, e soc- 
gioeò molte nazioni. Egli fa un principe di 
molto valore, ma d'assai maggior felicità: la 
sua morte recò alla condizione degli Ostrogoti 
non picciolo detrimento ^ poiché lui estinto, i 
^estrogoti si separarono, ed a' tempi delTimr 
perador Valente dessero Fridigemo per lor ca- 
pitano, indi Atanarico per loro re, e dopo co- 
stui, nell'imperio d'Onorio, Alarico, la serie de' 
cui successori, che regnaron prima in Francia 
e poi in Ispagna, s'è di sopra rapportata, ^i** 
nitario dell^stessa stirpe degti Aniati ad EIrma- 
narico succede; ma costui quantunque ritenesse 
le medesime insegne del principato, nulladimeno 



(1) Artur. Dock d€ usu et aut. jur. civ. cap. 6. num. i4* 
(3) Joroand. Hiat. Got e 48. Orot. in ProUg. Hiat. Got. 



3o ISTORIA DEI* KEGifO DI NAPOLI 

rimasero gli Ostrogoti sottoposti agli Unni; come 
quelli che nelle loro regioni dimoravano. Mal sof- 
ferendo perciò Winitario l'imperio degli Unni, 
andavasi pian piano studiando di sottrarsi dai 
giogo lorO; infiu che eli venne fatto d'impadro- 
nirsi della persona di Box loro re, de' suoi 
figliuoU, e di settanta de' principah signori del 
suo reame, che tutti per terribile esemplo degli 
altri affisse in croce, e per più giorni fece ve- 
der pendenti i loro cadaveri^ ma non potè go- 
dere della libertà del suo imperio che per un 
sol anno^ perchè avendogU moséa guerra il re 
Balambro, ancorché nella prima e seconda batr 
tagUa rimanesse costui vinto, e molta strage de^ 
gli Unni seguisse, nella terza però fii 'W^initarìo 
ucciso per mi colpo di saetta, che gli percosse 
il capo, da Balambro stesso avventatagli. Confusi 
perciò e costernati gU Ostrogoti, tutti all'impen 
rio di Balambro sì sottoposero^ ma per aversi 
questo principe sposata w aladamarca nipote di 
' winitano, ricevettero molte onorevoH condi- 
zioni di pace; poiché, avvegnaché rimanessero 
agU Unni sottoposti, non mancavan però con 
consiglio e permessione de' medesimi d eleggersi 
sempre un loro re che gligovemasse. Ebbero 
perciò, dopo la morte dU "^^tario, Unimondo 
figliuolo del già famoso e potente re Ermanarì- 
co. A costui succede Torrismondo suo figliuolo, 
prode e valente giovane, che centra i Gepidi 
riportò sovente grandi vittorie: la memoria del 
quale fu tanto cara appo gU Ostrogoti, che, lui 
estìnto, per quarant' anni vollero vivere senza 
re , insino a w alamh'o. Fu Walamiro figUuolo di 
Wandalario nato da un fratello d'Ermanarico, 



LIBRO TERZO 3l 

c perciò di Torrismondo consobrino (*). Da 
costui nacquero tre figliuoli, Walamiro , Teo- 
demiro e widemiro, ne' Quali conservavasi Fillu- 
6tre famiglia degli Amali. W alamiro fii assimto al 
regno; ma fra questi fratelli fu cotanto T amore 
e la gratitudine, che scambievolmente l'uno al- 
r altro porgeva la sua opera perchè conservassero 
in pace il regno. Erano però sottoposti ad Atr 
tila re degli Unni, al cui imperio era uopo ub- 
bidire; né era lor permesso di ricusare cu con>- 
battere sovente contra gli Westrogoti stessi loro 
parenti, cosi portando la necessità della sugge- 
zione nella quale trovavansì. 

Ma la dominazione degli Unni nelle parti 
orientali, per la morte d'Attila lor valoroso ed 
invitto re. venne miseramente a mancare; poi- 
ché avendo questo principe di sé e delle molte 
sue mogli procreati innumerabili figliuoli; men- 
tre essi fra loro pugnano e contendono per la 
successione del regno, vennero tutti a perder- 
lo; perocché Ardarico re de' Geoidi approfit- 
tandosi delle loro contese ^ fece a essi misera 
strage, e gli disperse in guisa che F altre na- 
zioni le quaU erano sotto gh Unni, per sì prò*- 
speri avvenimenti, poterono scuotere il giogo 
della servitù, ed insieme co' Gepidi ricorrere a 
Marciano che allora imperava nell'Oriente, per- 
ché stabilmente a loro distribuisse quelle regioni 
ch'essi col proprio valore avevano sottratte dalla 
iiramiide aegh.Unni. 

Era Marciano nell'anno 4^0 succeduto a Teo- 
dosio il giovane nell'imperio d'Oriente, il quale 

(*) Grot, in Prolcg. Hwt. Gol, 



33 ISTORIA DEL REGNO DI RiPOLI 

con gratissìmo animo ricevendogli in protezione^ 
concedè loro la pace, e assegnò a* (xepidi ior 
terameute la Dacia, sede che m degli Unni, da^ 
miali essi T avevano ricuperata. I Goti scorgendo 
che i Gepidi se Tavrebbono ben difesa, per non 
contrastar con essi, amaron meglio che si as- 
segnasser loro del romàno imperio altre terre ^ 
come fii fatto; onde neUa Pannonia trasferirono 
la loro sede. I confini della Pannonia erano al- 
lora verso Ponente la Mesia superiore, dal 
mezzo giorno la Dalmazia, dall'occidente il 
Norico, e dal settentrione il Danubio: proviit- 
cia ornata di più città, fi*a le quaU sopra tutte 
s'innalzava Sirmio, ove gUimperadori sovente 
solevan fermarsi. 

Trasferita adunque dagli Ostrogoti la lor sede 
nella Pannonia, vissero lungo tempo sotto il re- 
gio di Walamiro loro re, e di Teodemiro e 
Widemiro suoi fratelli ; i quali ancorché divisi 
di luoghi che fra essi ripartironsi , eran però ne' 
consigli e nelle deliberazioni così strettamente 
uniti e congiunti, che da un solo sembrava esr 
ser la Pannonia retta e governata 0- Questi 
spesso ributtarono le armi che loro venivan 
mosse da' fi^liuoU d'Attila, i quaU riputandogh 
desertori del loro imperio , sovente gU assali- 
vano, sin che, sconfitti da ^alamiro, nella Sci- 
zia non furon confinati. Nacque a Teodemiro , in 
questo stesso gioioso tempo della vittoria ripor- 
tata contro a' figliuoH d'Attila, Teodorico, que- 
gli che fin da' suoi natali dando di sé alte spe- 
ranze, per le sue nobili maniere ed eccellenti 

O Jornand, Hist. Got. e. 4^. 




LIBRO TERZO 33 

virtù ^ entrato in somma grazia dell' imperador 
Zenone^ ebbe la fortima per molti anni con 
nome regio di signoreggiar l'Italia e queste no-, 
stré Provincie. 

Continuavasi intanto fra Fimperador Marciano 
e Walamiro e suoi fratelli una perfetta e sta- 
bil pace: ma offesi qiìesti che nella corte im-* 
penale (li Costantinopoli un tal Teodorìco fi- 
gliuolo di un soldato veterano, se ben Goto, 
però non della stirpe dedi Amali, aveva tirato a 
sé gli animi di tutti, e che dall' imperadore niun 
conto d^essi facevasi, sottraendosi loro gli sti- 
pendi che solevan dall'imperio ricevere: sde- 
gnati perciò acerbamente, mossero incontanente 
contra l'imperio l'armi, e posero sossopra la 
Dalmazia e l'Illirico. Prestamente l'iimperadore 
mutò sentimenti: laonde per tenergli amici, 
mandò ambasciadori a stabilir con essi con 
più forte nodo una più ferma e stabil pace, 
offerendo loro non pur quegli stipendi che per 
Io passato aveva denegati, ma anche tutto ciò 
che fin a quel tempo dovevano conseguire, ob- 
bUgandosi eziandio di corrispondergli nell'avve- 
nire, purché essi si contenessero ne' loro con- 
fini, né guerra all'imperio portassero. Furono 
accordate le condizioni^ ma l'imperadore per 
istar maggiormente sicuro , volle che per ostag- 
gio si desse il £hicìu11o Teodorico, figliuolo di 
Teodemiro. Ripugnava l' affettuoso padre , né 
poteva soffrire che sì caro pegno se gh toglies- 
se j ma finalmente persuaso dalle pregliiere dì 
suo fratello Walamiro, ghe lo concedette.^ Fu per 
tanto fermata tra Goti e Romani una ferma e 
stabil pace, pegno della quale fu Teodorico, 
G1A115011E » FoL IL 3 



34 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

che dato in ostaggio, fìi in Costantinopoli por-- 
tato nelle mani dell' imperador Lione il Trace ^ 
eh' allora era in Oriente a Marciano succeduto . 
il quale per V avvenenza e gentili maniere del 
fanciullo, cosi caro Febbe, che più di proprio 
figliuolo Famò e ritenne. 

Essendosi admique i Goti con si forte nodo 
di pace stretti co' Romani, contra varie nazioni 
che con loro confinavano, sovente mossero l'ar- 
mi: ma ecco che mentre Walamiro valorosa- 
mente combatte i Sciti, sbalzato dal suo caval- 
lo, fu da essi ucciso: onde i Goti per vendicar 
la morte del re loro, pugnarono si fortemente 
contro a' medesimi, cne affatto U estinsero e 
debellarono. Muove altresì Teodemiro Y armi 
contro a' Svevi ed Alemanni, e di essi fa cru- 
del macello, gli disperde, e quasi affatto gli 
estingue: e mentre trionfando ritoma nella Pan- 
nonia sua sede, ecco che Teodorico suo figliuolo 
dato in ostaggio se ne ritorna da Costantino- 
poli onusto di doni , licenziato dall' imperador 
Lione , perchè in libertà piena godesse u patrio 
suolo. 

Ritornato Teodorico nella Pannonia, appena 
uscito dalla puerizia , non avendo diciotto anni 
finiti, comincia a dar di se saggi d'incredibil 
valore; poiché senza che Teodemiro suo padre 
il sapesse, raguna molte tmppe de' suoi più 
ben affezionati, ed il munero di poco men che 
sei mila uomini unendo, valica il Danubio, e 
contra Babai re di Sannati porta le sue armi , 
il quale poco anzi aveva trionfato di Camundo 
capitan romano; lo vince, l'uccide, e sopra lui 
piena vittoria riportando , sorprende anche la 



lilBRO TERZO 35 

città di Semandrìa che da^ Sarmati era stata 
occupata, uè la rende a^ Romani, ma al suo 
reame la sottomette. 

Ma mentre i Goti così depredano i lor vi- 
cini, vie più cresce l'ardore di dilatare i lor 
confini, e cercare in altre parti più agiate sedi: 
Widemìro per tanto si dispone co' suoi di pas^ 
sar in Italia, come fece; ma appena ivi giunto, 
fiiron da inaspettata morte troncati tutti i suoi 
disegni; onde succedutogli nel regno il figliuolo 
che Widemiro parimente nomossi, questi con- 
fortato da Glicerio ch'allora imperava nell'Oc- 
cidente, da Italia nella Gallia volse il suo cam- 
mino, ed unitosi cogli Westrogoti suoi parenti, 
potè co' medesimi purgar la Gallia e le Spagne 
da molte nazioni che l'infestavano, e difendere 
quelle provincie contra l'invasione de' Vandali. 

Teodemìro all' incontro suo zio con Teodo- 
rico suo figliuolo, stimolato anche da Gezerico 
re de' VandaU, verso la Dalmazia e l'Illirico 
portò le sue armi, prende Neis'sa principal città 
di Questa provincia, indi Ulpiano è tutti gh al- 
tri luoghi, ancorché inaccessìbili quelli si fos- 
sero: sottomette al suo imperio Eraclea e La- 
rissa città della TessagUa: trascorre più oltre, 
ed all'impresa di Tessalonica ancor aspira. Tro- 
vavasi alta guardia di questa città Glarìano pa- 
trìzio e capitan romano, il quale colto cosi 
inaspettatamente da Teodemiro, e considerando 
le sue forze non sufficienti a potergh resistere, 
gli mandò legati con molti doni, perchè dal- 
l assedio di quella città si rimanesse. Furon 
accordate tosto le condizioni di pace, lascian- 
dosi a' Goti tutti que' luoghi che eransi a loro 



36 ISTORIA DEL KEGNO DI IfAPOLI 

rendati^ cioè Ceropellas^ Europo^ Mediana^ Pe- 
tina, Bereo e gli altri paesi dell^ Illirico , ove i 
Goti col loro re^ deposte Farmi. trancpiiUaménte 
si posarono. Non molto da poi gravemente in- 
fermossi Teodemiro , a quale convocati i Goti, 
avendo disegnato ad essi Teodorico suo figliuolo 
per loro re e suo successore , da tutti compianto 
finì i giorni suoi (i). 

SI 

Di Teodorico ostrogoto ^ re d'Italia. 

■ 

Intanto Fltalia per la morte di Valentiniano III 
accaduta nell^anno 4^5 (a) era per la variazione 
di tanti principi e imperadon tutta sconvolta 
e miseramente afflitta: Massimo ; autor dellMn- 
fame assassinamento, si fece acclamar impera- 
dore d'Occidente, e sposò Eudossia moglie di 
Valentiniano e figliuola di Teodosio; ma avcn- 
. dole manifestato eh' egli era stata la cagione 
della morte del suo primo marito, ella chiamò 
dall'Affrica Genserico re de' VandaU, il quale 
venne con potente armata in ItaHa, ed entrato 
in Roma interamente la devasta e saccheggia; 
e Massimo, mentre fugge, fu dal popolo ro- 
mano lapidato e sbranato. Dopo aver Genserico 
scorse molte provincie, volgesi indietro con pro- 
posito d'abbandonarla e ripassare in Affrica: 
scorre per la nostra Campagna, e tutta la de- 
vasta e scompiglia ; prende Capua e Nola ; e 



(i) Jornand. de Rcb. Grt. 

(3) P«gi Dtsacrt. de Consulib. p. aSS, 



LIBRO TERZO 3 7 

molte altre città di questa provincia sono di- 
strutte e poste a sacco: indi a Cartagine fece 
ritomo. Avito in queste turbolenze col favor de- 
gli Westrogoti si fece in Francia gridar impe- 
radorej ma ben presto lasciò la porpora^ poiché 
Marciano imperadore, che, come si disse , era 
succeduto nelT imperio d^ Oriente a Teodosio il 
giovane j avendo intesa la morte dì Massimo y 
proccurò che dal senato e da^ soldati si creasse 
miperadore Maggiorìano, come segui nelT an- 
no 457. Fu questi non molto da poi per opera 
di Severo fatto uccidere, il quale sMntruse net 
r imperio: ma non passò il terzo aimo che Sc^ 
vero fu fatto privar di vita da Ricomcro, il 
quale stabili in suo luogo Antemio: ebbe que^ 
sti ancora il favor di Lione, che nell^anno 4^7 
per la morte di Marciano era nell'imperio d'O- 
riente succeduto. Ma essendosi da poi contra 
Antemio dichiarato Ricomero, fu da costui pa- 
rimente fatto morire nelTanno 472, e fece in 
suo luogo collocare Olibrio, il quale non regnò 
più che otto mesi; e Glicerio pi*ì P^r la sua 
potenza, e per essere sostenuto aa' w estrogoti ^ 
che per libera elezione, fu in Ravenna dichia- 
rato imperadore. Ma questi appena finì un anno 
d' impeno, che Giulio Nipote nell'anno 474 ^^ 
fece deporre, e prese egli il tìtolo d' imperado- 
re: Oreste, stabilito da lui generale delle sue 
armi, si ribellò contro di esso, e fece dichiarare 
in Ravenna suo figliuolo Augustolo imperadore. 
I principi stranieri vedendo tanta confiisione 
e disordine presso a' Romani, ben pensarono 
d'approfittarsene, siccome, fece già Evarico we- 
strogoto, e fecero molti altri j ma nel regno 



38 ISTORIA DKL REGNO DI NÀPOLI 

d^Augustolo crescendo via più il disordine^ 
venne fatto agli Eruli e Turingi, sotto Odoa- 
cre.lor capitano, invitato anche dagli amici di 
Nipote , d occupar finalmente V Italia : uccide 
Oreste, e discacciato dall'imperio Augustolo, lo 
manda in Napoli in esilio nel castello di Lu- 
cullo che ora noi diciamo dell'Uovo (i). Ed 
ecco in Augustolo estinto l'imperio de' Romani 
in Occidente in quest'anno 476) tanto che ebbe 
a dire Giomande: Sic quoque Hesperium JRo- 
maruze gentis imperiumy quod septingentesimo 

Xsimo tertio Urbis eoncUtae» anno y primus 
justorum Octavianus Augustus tenere eoe- 
pity cum hoc Augustolo periit, anno decesso- 
runiy praedecessorumque regni quingentesimo 
sexto; Gothorum dehinc regibus. Romani^ Ita" 
Uamque tenentibus. Terminò ancora nella sua 
persona il nome d'imperador d'Occidente, per- 
chè Odoacre essendosi renduto padrone d'Ita- 
Ua, non prese altra qualità che di re. 

Teime Odoacre il regno d'Italia, secondo 
Giomande, poco men che quattordici anni (3), 
infino che da Teodorico ostrogoto nell'anno 489 
non ne vemie scacciato e confinato in Ravenna, 
ove lo cinse di stretto assedio. Non ebbe l'I- 
taUa, non ebbero queste nostre proviittie tempi 
più miserabili di quelli che corsero dalla morte 
di Valentiniano Ili infino al regno di Teodorir 
co; poiché se vorrà considerarsi di quanto 
damio sia cagione ad una repubbUca o ad un 



(1) Jomand. de Rcb. Get. Augustulum filium cjus de Regno 
puìsiim, in LucuUano Cainpaniae castello ex.ilii poena damnavit. 
(pi) V. Pagi in Proleg. no Consiilib. num. ^o. 



LIBRO TERZO Òg^ 

regno variar prìncipe o governo , sì potrà quindi 
facilmente immaginare quanto in tali tempi pa- 
tissero queste nostre provincie per la variazione 
di tanti principi ed imperadori. Tutto era dis^ 
ordine, tutto confusione e sconvolgimento: le 
leggi avvilite, e più la giustizia. GP imperadori, 
che sì spesso eran rifatti, a tutt^alti*o badavano: 
solamente alcune Novelle di Marciano, di Mag- 
gloriano, di Severo e d^Antemio sono a noi 
rimase, le quali' da Giacopo Gotofredo furon 
raccolte, quelle che veggonsi impresse dopo il 
suo Ck)dice Teodosiano. Ma assunto al regno 
Teodorico, merito questo principe non medio- 
cre lode} poiché egli fu il primo che facesse 
cessare tante calamità, tal che per lo spazio 
poco meno di 38 anni che regnò in Italia , la 
ridusse in tanta grandezza, che gU antichi mali 
e desolazioni più in lei non si conoscevano ^ 
imperocché reggendola secondo gl'instituti e 
leggi de' Romani , la restituì nell' antico splen- 
dore e maestà. Per la qual cosa conviene a noi 
narrar particolarmente i gesti di questo eccelso 
principe, a cui molto debbon queste nostre pro- 
vincie ch'ora compongon il regno di Napoli. 

Teodorico, dopo la morte di Teodemiro suo 
padre, assunto al paterno reame, dominava 
nell'Illirico, ove gU Ostrogoti, come dicemmo, 
dopo quelle conquiste posando l' armi , si ferma- 
rono. Reggeva allora l' Oriente Zenone , il quale 
nell'anno 474 ^^^ all' imperador Lione succeduto 
in Oriente: questi avendo inteso che Teodorico 
era stato dagli Ostrogoti eletto re , dubitando 
che per lo troppo suo potere non incpiietasse il 
suo imperio, stimò richiamarlo in Gostaiitinopoli, 



4o ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

ove giunto^ con incredìbili segni di stima V ac- 
colse , e fra i primi signori del palazzo lo fece 
in prima arrolare; i^on ^arì da poi per suo 
figbuolo r adottò^ e creollo ordinario console^ 
dignità in oue^ tempi la più eminente del mon- 
do: né gli nastò questo, ma volle ancora che 
{)er gloria d^un si ragguardevol personaggio gli 
osse eretta avanti la reggia dell^ imperiai palagio 
una statua equestre. Ma mentre questo principe 
godeva in Ck)stantinopoli tutti quegli agi e que^ 
onori che da mano imperiale potevan dispensarsi^ 
il generoso suo animo però mal sofferiva di ve- 
der la sua gente, che nell'Illirico era trattenu- 
ta y invilita nell' ozio , ed in povertà ed angustie, 
ed egli starsene oziosamente godendo quelle de- 
lizie, menando una vita neghittosa e lenta: da 
sì potenti stimoU riscosso, si risolve a più ma- 
gnanime imprese, e portatosi all' iraperator Ze- 
none, secondo che narra Giornanae 0> così 
gh parla : Ancorché a me ed a' miei Goti che 
al vostro imperio ubbidiscono, niente manciù 
per la vostra magnanimità e grandezza, piac- 
ciavi nondimeno udire i voti e i desiderii del 
mio cuore che son ora Uberamente, per esporvi. 
L' impello d'Occidente, che lunga stagione fii 
governato da' vostri predecessori, va tutto in 
guerra , e non vi é barbara nazione che non lo 
devasti, scompigli e manometta: Roma, che fu 
già capo e signora del mondo, con l'Italia tutta 
dalla tii'aiuiide . d' Odoacre é oppressa : voi solo 
permetterete che , stando noi qui oziosi e in- 
nngardi , altri depredino sì bella parte del 

O Jornand. de Rcb. Gel. 



LIBRO TERZO 4^ 

vostro imperio? che non mandi me colla mia 
gente a portar ivi le nostre armi? Noi vendi- 
cheremo i vostri torti e le vostre onte 3 ed ol- 
tre che risparmierete le gravi spese ^che , stando 
noi qui, sostenete, se io colT aiuto del Signore 
vinc^ò y risonerà la fama della vostra pietà e 
del vostro onore per tutto il mondo. Io son 
vostro servo e vostro figUuolo ancora, onde 
sarìi più espediente e ragionevole che se vin- 
cerò , abhia io per vostro dono a posseder quel 
regno che ora è premuto dalla tiramiide di stra- 
niere genti che tengono il vostro senato e gran 
parte della vostra repubblica in vile servitù e 
cattività: se io trionferò d^esse, per tua muni- 
ficenza possederò P Occidente; se resterò vinto, 
al vostro imperio ed alla vostra pietà niente sì 
toglie, anzi ne guadagnerete queste gravi e rir 
levanti spese. 

Sì magnanima risoluzione di Teodorico an- 
corché forte spìacesse all^imperador Zenone, che 
mal sofieriva il suo allontanamento, pure, e per 
non contristarlo, e seco medesimo pensando che 
megUo fosse che i suoi Goti, di riposo impar 
zienti, portassero altrove le loro anni e non 
inquietassero le parti orientaU, volle compia- 
cerlo; e concedendogH tutto ciò che domanda- 
va , caricatolo di ricchissimi doni , lo lasciò an- 
dare, raccomandandogU sopra ogni altra cosa 
il senato ed il popolo romano, (h cui dovesse 
averne ogni stima e rispetto. Esce fuor di Co- 
stantìnopoH Teodorico ripieno d' altissime spe- 
ranze, e ritornando a^ suoi Goti, fa sì che molti 
lo seguissero , e per cammin diritto , avviandosi 
per la Paimonia, verso Italia drizza il suo 



4^ ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

/esercito. Indi entrando né* confini di Vinezia^ 

Eresso al ponte di Ldsonzo^ non lungi d^Aqui- 
ÀSLy pone i suoi alloggiamenti. 

I messi intanto di questa mossst eran precorsi 
ad Odoacre^ il quale sentendo essersi Teodo- 
rico già accampato in quel ponte y gli muove 
incontro il suo esercito. Ma Teodorico preve- 
nendolo ne^ campi di Verona, gli presenta la 
battaglia j pugnasi ferocemente , e Teodorico 
delle genti nemiche fa strage crudele ^ onde au- 
dacissimamente entrando in Italia, passato il 
Po, presso a Ravenna accampa il suo esercito, 
ed all^ assedio di questa imperiai città è tutto 
rivolto. Odoacre, che si ritrova dentro, fa ogni 
sforzo in munirla , e sovente con notturne scor- 
rerie inquieta l'esercito de* Goti; ed in questa 
guisa pugnando , ora perdente , ora vincente , 
si giunge al terzo anno di qiiest' assedio : ma 
invano s'affatica Odoacre, poiché fra tanto da 
tutta Italia era Teodorico per suo re e signore 
acclamato, ed ogni cosa, così pubbUca come 
privata , i suoi voti secondava. In tale stato 
scorgendo Odoacre esser ridotta la sua fortuna, 
e riguardandosi solo in Ravemia, e che già per 
lo continuo e stretto assedio mancavano i vi- 
veri, diliberò rendersi, onde mandò legati a 
Teodorico a chiedergU pace : fugU accordata j 
ma da poi entrato in sospetto che Odoacre 
gì' insidiasse il regno, gU fece toglier la vita. 

Intanto di sì avventurosi successi diede Teo- 
dorico distinti ragguagli all' imperador Zenone, 
avvisandolo non rimanergli altro che Ravenna 
sola per P intera conquista dell' ItaUa : ebbene 
sommo piacere Zenone, onde con suo imperiai 



LIBRO TERZO 4^ 

decreto confermógli F imperiò d^ Italia } e per 
suo consigKo deponendo l'abito goto^ non già 
d'imperiai diadema^ ma di regie insegne e di 
regale ammanto si cuopre, e re de' Goti e de' 
Romani è proclamato (j. Indi nel secondo anno 
deU' imperio d'Anastasio, che a Zenone succe* 
dette, prese, per la morte di Odoacre, Raren- 
na, e nelFanno 49^ fermò in questa città, come 
avevan fatto i suoi predecessori, la regia sede. 
Se (u mai principe al mondo in favor del 
quale nell'acquisto de' suoi regni concorressero 
tanti giusti titoli, certamente dovrà reputarsi 
Teodorico a rispetto del regno d'Italia. Era già 
a' suoi di l'imperio d'Occidente, per la morte 
d' Augustolo , finito affatto ed estinto : la Spa- 
gna da' Vandali, da eli Westrogoti e da' Svevi 
era occupata: la GaUia da' Franzesi e da' Bor- 
gognoni: la Germania dagli Alemanni e da altre 
più inculte e barbare nazioni: l'Italia non po- 
tendo esser difesa dagl' imperadori d'Oriente, 
era stata da essi abbandonata, e lasciata in 
preda di più barbare genti : Gizerico re de' 
Vandali la devasta e depreda 5 Odoacre l' inva- 
de, e sotto la sua tirannide la fa gemere. Giunge 
Teodorico a liberarla , ed a suo costo per mezzo 
d'infiniti perigli, col valor delle sue anni e colle 
forze della sua propria nazione supera il tiran- 
no, lo discaccia e l'uccide. Tutti i popoli per 
loro re e signore l' acclamano , ed il suo regno 
desiderano. Se v' era chi sopra Italia avesse alcun 

O Jomand. de Rcb. Gct. Zcnonisq. impcratorìs consulto pri- 
Tatum habitum , suacqiic gcnlis vostitMm doponons , insigne regit 
amìclus , quasi jam Goihorum , Roraanoruraquc regnator , , ad- 
tumit. 



^ 



44 ^ ISTORIA DKL REGNO DI NAPOLI 

diritto^ era Fimperador d'Oriente; ma Teodo- 
rìco mandato da lui viene a conquistarla ed a 
discaccianie F invasore. Conquistata che Febbe 
coUe proprie forze ^ gli vien da Zenone coiifer<- 
mato r imperio ; e per suo consiglio ed autorità 
dell'insegne regali s'udoma^ e re d'Italia è gri- 
dato, transfondendo neUa sua persona i più 
supremi diritti. Nel che non vogliamo altri te- 
stimoni che i Greci stessi; niente dico di Gior* 
nande, che come Goto potrebbe forse ad al- 
cuni sembrar sospetto; mente d'Emiodio, quel 
santo vescovo di Pavia , che per la giustizia del 
suo regno gli stese minorazione panegirica (i): 
vagliami Procopio (2) di nazione greca, il quale 
neUa sua Storia, siccome tanto si compiace de' 
suoi Greci, così a' Goti non fu molto favore- 
vole: ecco ciò ch'ei narra di questo fatto, se- 
condo la traduzione di Grozio : At Zeno im- 
peratoFy gnarus rebus utiy ut dahant tempora, 
Theodorico hortator est, ut in Italiani iret, 
Odoacroque devicto, sibi ipse ac Gothis pa- 
raret Occidentis regnum. Quippe satius homini 
in senaium allecto, Romae^ atque Itaìis impe- 
rata , invasore pulso ^ quam arma in imperato- 
rem cum periculo experiri. Per la qual cosa i 
miserabiti Goti, quando nel regno di Teia ul- 
timo loro re furono costretti da Giustiniano a 
lasciar F Italia, ricorrendo a' Franzesi per aiuto, 
fra F altre cose che per movergU allaior di- 
fesa poser loro iimanzi gli occhi*, fu il dire 
che ciò che i Romani allora facevano ad essi, 



(i) Ennodii Panogyricus , apud Cassiod. 
(a) Proc. 1. I. Hist, Got. 



. LIBRO TERZO 4^ 

avrebbon un dì fatto a loro altresì; poiché or 
che vedevan le loro forze abbattute^ con ispe- 
ziosi pretesti movean loro guerra, con dire che 
Teodorico invase l'Italia che a' Romani s'ap- 
parteneva: Cum lumen y essi dicevano appresso 
Àgatìa (i) , Theodoricus non ipsis nolentìbus, 
sed Zenonis quondam imperatoris concessu ve- « 
nisset in ItaÙam, neque eam Romanis abstu^ 
lissety qui pridem eam amiseranty sed depulso 
Odoacro invasore peregrino , Belli jure quac- 
siifisset quaecunque ille possederat 

E morto Timperador Zenone, Anastasio, che 
gli succede neU imperio d'Oriente, portò gli 
stessi sentimenti del suo predecessore, aven- 
dolo per giusto e legittimo principe 3 poiché se ^ 
bene appresso FÀnommo Valesiano, che fìi fatto 
imprimere da Errico Valesio dopo Àmmiano \ 
rapportato da Pagi nella sua dissertazione Hy" 
patica de Consulibus , sì legga che i Goti, 
morto nell'anno 49^ Odoacre, sibi confirma- 
veruni Theodoricum regem, non expeciantes 
jussionem nòvi prìncipis (intendendo d'Anasta- 
sio che allora era a Zenone succeduto) ciò che^ 
come avverte Pagi (2), insino ad ora fu igno» 
rato ; nulladimanco daÌT epistole di Cassiodoro 
si vede che Anastasio approvò poi ciò che i 
Goti aveano per propria autorità fatto; anzi fin- 
ché visse, mantenne con Teodorico una ben 
ferma e sicura amicizia, esortandolo sempre 
che amasse il senato, abbracciasse le leggi de^ 
principi romani suoi predecessori, e proccurasso 



(1) Agatia 1. I. 

(3) Pagi DbscrU de Cunsulib. p. 3uu. 



46 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

sotto il SUO regno mantener F Italia unita in una 
tranquilla e sicura pace : di che Teodorico he 
l'accertava con promesse e con effetti, come 
si vede dalle sue epistole che appresso Cassio- 
doro sì leggono dirizzate ad Anastasio (i). 

Giustiniano stesso che discacciò i Goti d'I- 
talia, non potè non riputar giusto e legittimo 
il regno di Teodorico é degù "altri re d'Italia 
suoi successorÌ3 poiché conquistata che l'ebbe 
per opera di que* due illustri capits^ Belisa-^ 
rio e Narsete, abolì sì bene tutti gh atti, con^ 
cessioni e privilegi di Totila da lui reputato in- 
vasore e tiranno, ma non già queUi di questo 
principe e degli altri suoi successori (2). 

(La subordinazione e riverenza nella quale 
furono i re goti agi' imperadori d'Oriente, si' 
convmce apertamente dalle rhonete di questi re 
che si conservano' ancora ne' più rinomati mu- 
sei d'Europa, nelle quaU in ima parte si vede 
l'effigie de^' imperadori, nell'altra non già ima- 
gine alcuna di re goto, ma solo i loro nomi; 
toltone alcune monete di rame, nelle quali, forse 
per concessione avutane dagl' imperadori, se ne 
vede anche l'effigie. Di quelle d'argento nel mu- 
seo cesareo di Vienna se ne veggono alcune le 
3uaU da una parte hanno l'effigie dell' impera- 
ore Giustiniano, e dall'altra i nomi di questi 
re : Athalaricvs Rex, Theodatvs Rex. Vitigis 
Bex. Badvela Rex. Il Bandurio le ha pure im- 
presse; ed il Parata porta anche una consimil 
moneta del re Teia. Il dubbio che sorge, come 



(1) Cassiod. I. I. cp. I. 

(a) Pragm. Sanctio Justin. post Nov. cap. i. et a. 



VoLIl.p.1,6 




LIBRO TERZO 4? 

Giustiniano permettesse a Baduela. che è lo 
stesso che Totila, coniar monete colla sua ima- 
gine ed il di lui nome, quando lo riputava in- 
vasore e tiramio, viene sciolto dal Èandurio^ 
al quale volentieri ci rimettiamo). 

in fatti TeodoricO; ancorché non gli fosse pia- 
ciuto d^ assumere il nome d^imperadore, era in 
realtà da tutti i suoi popoli tenuto per tale; e 
Procopio stesso dice che niente gli maiicava di 
quel decoro che ad uno imperador si conveniva j 
anzi Cassiodoro reputò che questo nome stava 
assai più bene a lui che a qualunque altro ^ an- 
corché chiarissimo, imperador romano; ed in ef- 
fetto questo principe^ sia per riverenza degPim- 
peradori d'Oriente, sia perché Odoacre non 
prese altra quaUtà che di re, sia perché queste 
nazioni straniere riputassero più profittevole e 
vigoroso il titolo di re , come dinotante una si- 
gnoria affatto indipendente e libera, che quello 
d'imperadore, non volle giammai assumere tal 
nome d'imperadore di Occidente, come fece 
da poi Carlo M. E pure, o si riguardi P esten- 
sione del dominio, o F eminenti virtù che Pa- 
domavano , non meno che Carlo M. sarebbe 
stato meritevole di tal onore. Egli possedeva 
P Italia con tutte le sue provincie, e la Sicilia 
ancora. Né questa parte d' Europa solamente 
era sotto la sua dominazione.. Tenne la Rezia, 
il Norico, la Dalmazia coUa Lòbumia, P Istria, 
e parte della Svevia; quella parte della Panno- 
nia ove sono poste Sigetinez e Sirmio; alcuna 
parte della Galua, per la quale co' Franzesi so* 
vente venne all'armi; e per ultimo reggeva, come 
tutore d' Amalarico suo nipote, la Spagna; tante 



48 ISTOKIA DEL REGNO DI NAPOLI 

che Gioniande (i) ebbe a dire: Nec fiiit in 
parte Occidua ^ns, quae Theodorico , dum 
viverci 9 aut amicitia, aut subjectione non de- 
serviret 

Non ancora in Occidente erasi introdotto quel 
costume che i re smungessero ed incoronassero 
per mano de^ vescovi della città metropoli. In 
Oriente cominciava già a praticarsi questa ce- 
rimonia; ed in questi medesimi tempi leggiamo 
che Lione il Trace dopo essere stato nel senato 
di Costantinopoli eletto imperadore, fu incoro- 
nato da Anatolio patriarca di quella città. Se 
questa usanza si fosse trovata introdotta in Ita- 
Ha , e fosse piaciuto a Teodorico portarsi in 
Roma a farsi incoronare ìmperadore da papa 
Gelasio, siccome fece Carlo M. con papa Lio- 
ne m, certamente che oggi pure si direbbe es- 
sere stato trasferito V imperio d' Occidente da' 
Romani ne' Goti per autorità deUa Sede apo- 
stolica romana. 

S II. 

Leggi romane ricevute da Teodorico in Italia^ 
e suoi edilli conformi alle medesime. 

• 

Ma avvegnaché a questo principe non fosse 
piaciuto assumere il nome aimperador d'Oc- 
cidente, egli però resse l'Italia e queste nostre 
Provincie non come principe straniero , ma 
come tutti gli altri imperadori romani. Ritenne 
le medesime leggi, i medesimi magistrati, l'i- 
stessa poUtica e la medesima distribuzione deUe 

CO Jornand. de Kcb. Gelic. 



LIBRO TERZO 49 

1)roYmcie. Egli divise prima gli Ostrogoti per 
e terre co' capi loro, acciocché nella guerra 
gii comandassero e nella pace gli reggessero ^ ed 
eccetto che la disciplina militare^ rendè a' Ro- 
mani ogni onore. Comandò in prima che le 
leggi romane si ritenessero, ed inviolabilmente 
s' osservassero, ed avessero quel medesimo vi- 
gore ch^ ebbero sotto gli altri imperadorì d'Oc- 
cidente; anzi {il cgU di quelle cotanto riverente 
e rispettoso, che sovente appresso Cassiodoro 
in cotal guisa ne favella: Jura veterum ad no- 
stram cupimus res^erentiam custodiri. Ed altro- 
ve; JPelectoììiur jure romano vivere; ed in altri 
luoghi: Reverenda legiim antiquitas , etc. (i). 
Laonde i pontefici romani si rallegravano con 
Teodorico , che come principe saggio e pru- 
dente avesse ritenuta la legge romana in Italia. 
Così Gelasio, secondo rapporta Gotofredo (2), 
ovver Simmaco suo successore, secondo vuole 
Alteserra (3) , si congratulava con Teodorico : 
Certe est magnjficentiae vestrae, leges romano- 
rum principum^ quas in negotiis hominum cu- 
stodiendas esse praecepit^ multo magis circa 
Beati Petri ripostoli sedem prò suae JcUcitatis 
augumento velie servali. E per questa cagione 
ne' primi cinque libri di Cassiodoro, che dei- 
l'epistole et emtti di Teodorico si compongono, 
non vedesi inculcar altro a' giudici ed a' ma- 
gistrati, che la debita osservanza e riverenza 



(t) Cassìod. 1. 3. e. 4^. et I. 1. e. 27. 

(a) Got. in. Prolog, ex Gelagli PP. Ep. in decreto Ivouis 
part. I. e. 18. ad Theodorictira. 

C3) Altes. Rer. Aquit. 1. 3. e. i4* ex Decreto Gratiani can. 
ceftum la. dist, 10. 



GiAFirovE, FoL IL 



5o ISTORIA DEL REGNO QI NAPOLI 

delle leggi romane: e moltissime costituzioni del 
Codice Teodosiano e molte Novelle di Teodo- 
sio y di Valentiniano e di Maiorìano ^ in que^ li- 
bri s^ allegano^ delle ornali lungo catalogo ne 
tessè U (Uigentissimo Gotofredo ne' suoi Pro- 
legomeni a quel codice (i). 

Né £^tra fvi Fidea di questo principe ; che 
mantenere il regno d'Italia con quelle stesse 
le^gi e cgjl medesimo spirito ed unipne con 
cui Onorio, Valentinìaao j(n e gli altri impera- 
dori d'Occidente Favean governato. Così egli 
se ne dichiarò con Anastasio imperador d' O- 
riente : Quia pati ws non credimus inter utras- 
que respublicas, quarum semper unum corpus 
sub aniiquis prìncipihus fuisse dèclaratur, ali- 
quid discordiae perrfumere; quas non solum 
oportet inter se otiosa dilectione conjurigi^ ^erum 
etiam decet mutuis virìbus adjus^ari. Romani 
regni unum snelle, una semper opinio sit (2). 
Per la qual cosa da Teodorico nuove leggi in 
Italia non furono introdotte , credendo bastar 
le romane^ per le quali lungo tempo s'era go- 
yerfiata. E se bene ancor oggi si legga u|i suo 
editto (3) contenente cento cinquanta quattro 
capi (il quale lo debbiamo alla diligenza di Pie- 
tro Piteo che lo fece imprimere) però, toltone 
alcuni capi che del gotico rigore sono aspersi , 
come il capo 56, 61 ed alcuni altri, tutto il rir 
. manente è tolto dalle leggi romane, siccome 



(i) Got. in Prolcg. e. 3. 

(9) Cas5Ìod. lib. I. £p. I. 

(3) Cdict, Thcod. in oprrib. Casaiod. 



LIBRO TSRZO 5l 

Teodorico stesso lo confessa nel fine del me- 
desimo: Nec cujustibet digniùOis, aut substcuh- 
Uaéy aut poteììtiae, aut cinguUy vel honoris pei^ 
sona 9 contra haecy quae sakibrìter statuta sunt, 
quolibet modo creaat esse ifeniendum, quae ex 
noveUis ìegibus, oc veterisjuris sanctìmonìa 
prò aUqua parte coìleganus. Né vi è quasi capo 
del snddetio editto che disponga cosà la quale 
nelle feggi romane non si trovi Onde sovente 
Teodorico. per corroborar il suo comando o 
divieto^ aUe medemne si rapporta. Oosi nel 
C2a>. ^4 ^ecundum legum i^eiemm constUuta: e 
n^ cap. 26 secumàim kges: e nel ci^. 36 /e- 
gufn censuram, ed altrove. . 

Ma ciò che rende pia commendabile questo 

{>rìnc]pe^fit che volle eziandìo che queste leggi 
ossero connuni non solo a' Romani^ ma a^ Goti 
stessi che fira^ Romant vivevano , come è ma- 
nifesto per cpiesto suo editto, lasciando a' Goti 
poche leggi proprie le quali, come più a loro 
usuali, più tosto lor proprie costumanze erano 
che leggi scritte: ma in ciò ch^era di momento, 
come di successioni, di solennità, di testamen- 
ti, d'adozioni, dì contratti, di pene, di delitti, 
ed ìa somma per tutto ciò che s^ appartiene 
aDa pubblica e privata ragione, le leggi romane 
erano a tutti comuni. Né altre leggi, contendendo 
il Goto col Romano, o il Romano col Goto, volle 
che i giudici riguardassero per decidere le loro 
Uti, come espressamente Teodorico rescrìsse ad 
un tal Gennaro preside del nostro Samiio : Inr 
tra itaque provinciam Samnii, si quod negotium 
Romano cimi Gothis est, aut Gotha emerserìt 
aliquod cum Ronumù , legum consideratìone 



52 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

definias ; fiec permittìmus discreto jure nvere , 
quos uno sH)to s^olmnus ^indicare (i). Solamente 
quando le liti ^ agitavan fra Goto e Goto ^ volle 
cne si decidessero dal propiio giudice^ elisegli 
destinava in ciascuna città; secondo i suoi editti^ 
i quali; come s^è detto^ ancorché contenessero 
alcune cose dì gotica disciplina, non molto 
però s^ allontanavan dalle leggi romane: ma in 
ciò i Romani anche venivan privilegiati, poiché 
solo se la lite era fra Goto e Goto, poteva pro- 
cedere il lor giudice^ ma se in essa occor- 
reva che v^ avesse anche interesse il Romano , 
attore o reo che questi, si fosse, doveva ricor- 
rersi al magistrato romano: ed in questa ma- 
niera era conceputa da Teodorìco la fbrmola 
della Comitiva che si dava a coloro che da lui 
erano eletti per giudici de^ Goti in ciascheduna 

Erovincia, rapportata da Cassiodorb nel settimo 
bro fra le molt^ altre sue formole (2). 

S. III. 

La medesima polizia e magistrati ritenuii 
da Teodorico in Italia, 

Siccome somma fu la cura dì Teodorìco di 
ritenere in Italia le leggi romane , non minore 
certamente fu il suo studio di ritenere ancora 
ristessa forma del governo, così per quel che 
$^ attiene alla distribuzione delle provincie, come 
de' magistrati e delle dignità. Egli ritrovando 



(1) Cassind. 1. j. var. ep. i3, 
(a) Id, lib. 7. e. 3, 



LIBRO TERZO 53 

trasferita la sede imperiale da Onorio e Valen- 
tiniano suoi predecessori in Ravenna^ che non 
a casb^ e per allontanarsi da Roma, ivi la col- 
locarono, ma per esser più pronti ed apparec- 
chiati a repnmer rirruzioni de^ barbari che 
per quella parte sMnoltravan ne^ confini d^ Ita- 
lia } ivi panmente volle egli fermarsi ; onde le 
querele w Romani erano pur troppo ingiuste 
e irragionevoli, quando di lui si doievano per- 
dio in Ravenna e non in Roma avesse «collocata 
la sua sede regia. Ben del suo amore inverso 
quell^ inclita città lasciò egli manifestissimi do- 
cumenti, ornandola di pubbliche e ciliare m^ 
morie della sua grandezza e regal animo, e 
della sua magnificenza, cingendola ancóra di 
ben forti e sicure mura. Non fu minore il suo 
amore e riverenza verso il senato romano, come 
ne fanno pienissima fede le tante affettuose epi- 
stole da lui a quel senato dirizzate, piene d^ogni 
stima e rispetto, che si leggono presso a Cassio- 
doro. In Ravenna adunque, come avean fatto 
i suoi predecessori, collocò la sua regia sedej 
e quindi resse F Italia e queste nostre provin- 
cie, che ora compongono il regno di Napoli, 
con quelli magistrati medesimi co^ quaU era 
stata governata dagF imperadori romani. 

De' magistrati e degli altri ufficiaU del pa- 
lazzo e del regno, ancorché alcuni ne fossero 
stati sotto il suo governo nuovamente rifatti, 
e ne' nomi e ne' gradi qualche diversità vi 
si notasse, se ne ritennero però moltissimi, se 
non in tutto nella potestà e giurisdizione simili 
a quelli de' Romani, molti però nel nome ed 
assaissimi anche in realtà a' medesimi conformi. 



54 ISTORIA DEL HEGIfO DI KAPOll 

Si ritennero i senatori , i consoli^ i patrizi, il 
prefetto al pretorio , i prefetti della città ed 
1 questori. Si ritennero i consolari, i corretto- 
ri, i presìdi e moltissimi altri. Qualche muta- 
zione solamente fu ùegli ufficiali minori, essendo 
stata usanza de^ Goti in ogni benché piccola 
città mandare i comiti e particolari giumci per 
F amministrazione del governo e della giustìzia, 
e di creare alcuni altri ufficiali, dì cui nella No 
tizia delle dignità dellMmperio è ignoto il nome. 
Ma se in questo divario de' magistrati intro- 
dotto da' Goti vogliamo seguire u sentimento 
dell'accuratissimo Ugon Grozio, bisognerà dire 
che in ciò fecero cosa assai più commendabile 
che i Romani stessi j imperciocché, e' dice, ap- 
presso a' Romani fìiron molti nomi di dignità 
affatto vani e senza soggetto : Multa apud Ro^ 
manos ejusmodi inani sono constantìa , P^acan^ 
tium y Ùonorariorum^ etc. (i). All'incontro i 
Goti ebbero sentimenti contrari, come si legge 
in Cassiodoro (2): Grata sunt omnino nomina, 
quae designant protinus actiones, quando tota 
ambig^iitas audiendi tollitur ubi In vocahulo 
concluditfir 9 quid geratur. In oltre Grozio ri- 
flette che i Romani mandando per (Ciascheduna 
provìncia un consolare o un preside, il quale 
dovesse avere il governo e la cura di tutte le 
città e castelli della provincia, molti de' quali 
eran. assai distanti dalla sua sede 5 quindi avve- 
niva che non potendo il preside esser presente 
in tutti que' luoghi , venivan perciò a gravarsi 



(0 Grol. in Prolrgom. ad Hìst. Gothor. 
(a) Cassiod. lìb. 6. oap. 7. 



LIBRO TERZO 55 

i provinciali d'immense e rilevanti spese; poi- 
ché bisognava eh' essi ricorressero a lui da 
parli remotissime. Presso a' Goti la bisogna in 
altro modo procedeva: avevan bensì le provìn- 
cié i loro consolari^ i correttori ed i prèsidi. 
nuDadimeno non solamente alle più principah 
bitta; ina eziandio a ciascheduno benché pic^ 
colo castello mandavansi i comitì; o altri magi** 
strati inferiori; fedeE; incorrotti; e dal consentir* 
meiitd de' popoli approvati; acdiocché potessero 
render loro giustìzia; ed aver cura de tributi e 
altri bisogni di que' luoghi. 

Tanto ehé cjuesta disposizione di magistrati 
che oggidì anbora nel nostro regno osserviamo) 
di mandarsi govemadori e giudici ad ogi4 città^ 
la dobbiamo non a' Romani; ma a' Goti. 

E se he* tempi nostri si praticassero que' ri-* 
gbri e qudle diligenze che a' tempi di Teodo^ 
nco usavansi nella scelta di tali ministri; cioè 
di mandare Uomini di conosciuta integrità e 
dottrina e a' popoli accettissimi; vietando per- 
ciò Pappellaziom ad altri tribunali lontam; e' 
sol permettendole quando o la gravità degli af- 
fari o una manifesta ingiustizia il richiedesse; 
certamente d'infinite Hti e di tanti gravi di- 
spendi vedrebbonsi libere queste nostre Pro- 
vincie ; eh' ora non sono. E per questa cagione 
presso a molti scrittori tanto s' esagera il go- 
verno de' popoli orientali ed affncani; che noi 
dovente nelle comuni querele sogliamo perciò 
invidiargli j perocché questi non pur nelle città; 
ma in ogni piccolo castello hanno i lor giudici 
.sempre pronti ed apparecchiati j e le liti non tan- 
tosto sono fi'a essi insorte, che sul)ito veggonsi 



56 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

terminate^ rarissime volte ^ o non mai, ammetr 
tendo appellazioni; perchè la gente tenendo 
nella venerazione dovuta il magistrato , a^ suoi 
decreti tosto s^ acqueta, e soffre più volentieri 
che se le tolga la roba controvertita, che andar 
girando in parti lontane e remote con maggiori 
dispendi, e coll^ incertezza di vincere, e sovente 
col timore di tornar a perdere *, e stiman esser 
di loro maggior profitto che ad essi s^ usi una 
ingiustìzia pronta e sollecita, che una giustizia 
stentata e tai'da. Perciò Genardo avendo la- 
sciata Europa, e in Affrica nel regno di Feza 
rìcovratosi , soleva a molti suoi amici europei 
scrivere, ch'egU non invidiava le magnificenze 
e grandezze di tante belle città, solamente per- 
chè non dovea più nel foro rivoltarsi tra tanta 
gente malvagia e piena di cavilli: ne ivi faceva 
uopo de' loquaci causidici , ma se occorreva tra 
quegli AfTricani qualche Ute, era sempre presto 
il giudice a deciderla, uè tomavan a casa i U- 
tiganti> se non terminato il htigio. Ma questo, 
nello stato delle cose presenti, è più tosto da 
desiderarsi clie da sperarsi , poiché il male è 
nella radice ; oltraccliè nelP elezione de' magi- 
strati non s' attendon più quelle prerogative che 
forse in quei tempi, cn'ora noi cliiamiamo bar- 
bari, accuratamente s'attendevano: ciò che al- 
lora era rimedio, presentemente in mortifero 
veleno si trasmuterebbe; giacché fin da' tempi 
d'Alfonso I Aragonese si trasfuse il male di 



O Clrnardi Epistolar ad Arnoldum Streytrriiim et ad Jaco- 
bum Latomum A. i54i. Gcor. Pasquius de Nov. inv. de varia 
fortun. doct. iuris. 



LIBRO TSRZO • Sy 

concedere a* baroni del regno ogni giurisdizione 
ed imperio. E oggi sono più i governi che si 
conceaono da^ medesimi^ che quelli che sono 
dal re provveduti; e la maggior parte del re- 
gno è governata da essi nelle prime istanze; 
onde era espediente che s^ ammettessero que^ 
tanti ricorsi a^ tribunali superiori che oggigiorno 
osserviamo; giacché non potè praticarsi il di* 
segno che Carlo VHI re di Francia ^ in que^ po- 
cm mesi che tenne questo regno, avea conce- 
puto, di togliere a' baroni ogni giurisdizione ed 
miperìo, e ridurgli a somiglianza di quelli di 
Francia e dell'altre provincie d'Europa (i). 

Ma ritornando onde siamo dipartiti, i Goti, 
secondo che ci rappresentano i libri di Cassio- 
doro , fìiron molto avvertiti nella scelta de' ma- 
gistrati , e non meno nell' elezione de' maggiori 
ufficiali, che in quella de' minori che manda- 
vano in ciascuna città , ponendovi ogni lor cura 
e diligenza : quindi presso a Cassiodoro leggiamo 
tanti nuovi ufficiaU , i cancellieri , i canonicarii, 
i comiti , i referendarii ; e le tante formole colle 
quaU eran tante e si varie dignità conferite a^ 
soggetti di conosciuta bontà e dottrina. Pietro 
Fantino (2) scrìsse un non dispregevol libro 
delle dignità della Camera gotica : ma, come fii 
osservato da Grozio (3), senza la costui fatica 
e diligenza ben potevano quelle ravvisarsi e 
comprendersi dal libro sesto e settimo di Cas- 
siodoro, ove tutte queste dignità ci vengono- 
rappresentate e descrìtte. 

(1) V. Afilict in Prachid. ad Constit. rcgu. Phil. Comii;. 
Koppin. de Domaiiio Franciae. 

(2) Pet. Pantinus de Dìgnit. Goth. Avlac. 

(3) Grot. in Proleg. ad Hist. Gotkor. 



» 



58 ISTORIA On. REGirO DI NAPOLI 

S* IV. 

La medesima disposizione delle proinncie ritenuta 
in Italia dal re Teodorico. 

Ritenne ancora questo principe la stessa di- 
visione delle Provincie che sotto F imperio di 
Costantino e de^ suoi successori componevano 
r Italia : era ancora il medesimo nùmero di qud 
d^ Adriano 3 ed in diciassette eran ancora di^ 
stinte; né ciò ch^ora appelliamo regno di Na- 
poli^ in più Provincie (a partito: quattro ancora 
nirono sotto la dominazione di Teodorico^. La 
Campagna, II. la Calabria colla Puglia, lEL la 
Lucania e' Bruzi, IV. il Sannio. Alla provincia 
della Campagna furono mandati , come prima, 
i consolari a governarla: all'altre due di Cala- 
bria e Lucania i correttori; ed al Saimio i 
presidi. 

Della Campagna, e suoi consolari. 

n primo consolare della Campania che ne' 
cinque libri di Cassiodoro s'incontra, fii 
un tal Giovaimi, a cui Teodorico mandò una 
epistola , nella quale tanto gli raccomandava la 
giustizia e la cura della pubbHca utilità, deco- 
randolo col titolo di P^iro Senatori ^ come dal- 
V iscrizione : Joanni V. S, Consiliari Campa- 
niae^ Theod, Rex. A questo stesso Giovanni 
indirizza Teodorico quel suo editto, che presso 

O Cassiod. U^3. e. 27. 






tlBEO TERSO ' * ^ 

a Cassiodoro (t) anche si legge ^ per cui m 
severamente proibita quella pessima usanza che 
nella Campania e nel Sannio eradi introdotta, 
che il creditore senza pubblica autorità^ ma 

Eer privata licenza si prendeva la roba del de- 
itore per pegno, né la restituiva, se del suo 
credito non fosse stato soddisfatto; anzi so« 
vente si prendeva la roba non del debitore ^ 
ma d^un suo amicò, vicino, o congiunto, che 
in Italia son chiamate rappresa^ : si vietò tal 
costume severamente, e s'impose pena ddla 
perdita del credito, e di restituire il doppio, 
nel caso che si fosse fatta rappresaglia non al 
debitore, ma all'amico, o congiunto. Zenone 
imperadore quest' istesso avéa comandato per 
k' (Mente con una sua consimile costituzione (2) : 
onde Teodorico, che intendeva reggere Fltìdia 
colle medesime massime, volle anche in ciò 
imitarlo: Giustiniano poi lo ripetè nelle sue 
Novelle (3). Né volle mai Teodonco permettere 
che s'usassero simili violenze nel suo regno; 
ma che i creditori, secondo che parimente det- 
tavano le leggi romane, per vie legittime di pub* 
bUci giudizi sperimentassero le loro ragioni. 

Trovandosi questo prìncipe esausto a cagion 
delle guerre sostenute alcun tempo co' Frauda 
sì, ebbe necessità di far da questa provìncia 

Eroweder di vettovaglie i suoi esercitij e si 
igge perciò un altro suo editto (4), imponendo 
a' navicularii della Campagna che trasportassero 

CO Cassiod. ì. 4- e. IO. 

(a) L. un. Ut nullus ex Vicauis prò alien, vican. deb. tcn. 1. 1 1 . 

O) Novell. 52 et 134. 

C4) Cassiod. 1. 4* ^- ^. \ 



60 ISTORIA. DEL REGNO DI NAPOLI 

<|ue* viveri nelle Gallie. Meditava ancora d^inv* 
porle altri pesi; ma orando a prò di questa 
provincia Boezio Severino (i)^ e ponendogli 
avanti agli occhi le tante sue miserie e le tante 
afflizioni e desolazioni che per F invasione de* 
Vandali aveva patite^ clementissimamente Teo- 
dorico le concedè ogni indulgenza^ né di nuovi 
pesi volle maggiormente caricaiia; anzi avendo 
1 Campani^ e particolarmente i Napoletani ed i 
Nolani^ per F irruzione del Vesuvio accaduta in 
questi tempi ^ patiti danni gravissimi, concedè 
Si medesimi indulgenza anche de' soliti tributi^ 
come scorgesi presso a Cassiodoro in quell'al- 
tro suo editto {2)y nel quale con molto spirito 
e vivezza si descrivono i fremiti, Torride nubi 
ed i torrenti di fìioco che suole mandar fuori 

3uel monte. Cassiodoro è maraviglioso in simili 
esenzioni ; ma quel che non se gli può con- 
donare^ è che. oltre al valersi d'alcune ardite 
iperboli e d'alcune metafore soverchio licen- 
ziose, introduce in si fatta guisa a parlar Teo- 
dorico, che non saprebbesi scemere se voglia 
ordinar leggi e dar provvidenza a' bisogni delle 
sue Provincie, come era il suo scopo, o pure 
voglia far il declamatore, introducendolo so- 
vente a parlare in una maniera che non si 
comporterebbe né anche a' più stravolti pane- 
giristi de' nostri tempi. 

Aveva veramente la Campania, quando Gez&- 
rìco dall'Affrica si mosse con potente armata 
ad invader l'ItaUa, patiti danni insopportabili. 



(0 Petrus Bcrtius in Vita Boiitii. 
(q) Cassiod. I. 4* e* 5o. 



IIBEO TERZO 6l 

Fu allora da^ VaDdali aspramente trattata , de- 
vastando il suo paese y e Capua . ch^ era la sua 
metropoli^ fa barbaramente saccneggìata e poco 
men che distrutta. Queste stesse calamità sof- 
ferirono Nola e molte altre città della medesi- 
ma. Napoli solamente per cagion del suo sito 
fu dal nu*or di quei barbari esente: città allo- 
ra^ ancorché piccola, ben difesa però dal va- 
lore de^ suoi cittadini, dal sito, e più dalle 
mura forti che la cingevano. E per questa va- 
ria fortuna che sortirono, avvenne da poi che 
molte città di queste nostre provincie da grandi 
si fecìon picciole, e le picciole divennero granr 
di; quindi avvenne ancora che, ruinata Capua 
e molte città di questa provincia, Napoli co- 
minciasse pian piano ad estollersi sopra tutte 
r altre, e ne^ tempi de^ Greci e Longobardi si 
rendesse capo d^uno non picciol ducato. 

Ne' tempi di Teodorìco, ninna altra città di 
questa provincia leggiamo che si fosse rallegrata 
cotanto dell'imperio di questo principe, quanto 
Napoli, né altra che avesse con tanti e sì co*- 
spicui segni di fedeltà e di stima mostrata la 
sua divozione ed ossequio verso di lui. Assunto 
che fu Teodorico nel trono, gti eressero i Na- 
poletani nella maggiore lor piazza una statua, 
oudla che da poi s'ebbe per infausto presagio 
dell'infelice fine della dommazione de' Goti in 
ItaUaj poiché, come narra Procopio Oy ^vevan 
i Napoletani innalzata a Teodonco questa sta* 
tua composta con maravighoso artificio di pic- 
ciole petruzze di color vario, e così bene tra 

C) Procop. 1. f. Hist. Gol. 



64 ISTOklA DEL REGNO DI NAPOLI 

de' nostri tempi ^ Cedola, ovvero Patente) le 
prerogative di questa città j le sue delizie , la 
sua eccellenza, quanto sia decoroso F impiego^ 
quanto ampia F autorità e giurisdizione che se 
gli concede , e quanto pieno di maestà il suo 
tribunale: ella è chiamata (i): Urhs ornata rnuU 
titudine cmum^ abundans marinis, ierrenisque 
deUcìis : ut dulcissìmam wtam te ibidem inve-- 
nisse dijudices, si nullis amaritudinibus misceor 
ris. Praetoria tua officia replefit, militum turba 
custodit Conscenais gemmatum tribunal , sed 
tot testes pateriSf quot te agmina circumdare 
cognoscis. Praeterea Utora usque ad praefini- 
tum locum data jussione custodis. Tuae vohtn- 
tati parent peregrina commercia. Praestas emen- 
tìbus de pretio suo, et gratìae tuae prqficis , 
quod aviaus mercator acquirit Sed inter liaec 
praeclara Jastigia , optimum esse judicem de-- 
cety etc. Ne minori sono P a|rettuose dimostranzc 
che da questo principe eran espresse nella let- 
tera solita darsi al provisto, scrivendo alla città 
di Napoli in commendazione del medesimo; la 
formoia della quale pur la dobbiamo a Cassio- 
doro (2)j e da essa può anche raccorsi che 
Teodorico lasciasse a' Napoletani quell' istessa 
forma di governo ch'ebbero ne' tempi de' Ro- 
mani, cioè d'aver la curia o senato, come pri- 
ma, dove degli affari di quella città per quel 
che s' attiene alla pubbUca annona , al riparo 
delle strade ed altre occorrenze riguardanti il 



(i) Cassiod. I. 6. e. >3. 
(3) id. ]. 6. e. a6. 



LIBRO TERàSO 65 

governo della medesima^ avesser cura^ e sola- 
mente loro to^esse il poter da^ decurioni eleg- 
gere i magistrati^ i quali quella giurisdizione 
avessero che concedeva egli al govemadore, o 
comite che vi mandava. Ebbe ancora questa 
provìncia il suo cancelliero^ la cui carica e fun- 
zioni ci sono rappresentate da Cassiodoro nel- 
Tundecimo e duodecimo libro delle sue opere (i). 

Della Puglia e Calabria ^ e suoi correttori. 

Siccome non volle Teodorìco mutare il go- 
verno della Campagna ne^ magistrati superiori^ 
lasciando i consolari in essa^ come ebbe sotto 
i Romani: cosi né meno piacque al medesimo 
mutarlo nella provincia della PugHa e Calabria. 
Non divise egli^ intomo al governo-, la Puglia 
dalla Calabria; né mutarono queste provincie 
nomi, come ne^ tempi che seguirono, furon va- 
riati: sotto un solo moderatore furon ammini- 
strate y ancorché al governo di ciascuna città 
particolari contiti , o siano govemadori, man- 
dasse, secondo la commendabile usanza de^ 
Goti. 

n primo moderatore della Puglia e Calabria 
che ne^ primi cinque Hbri di Cassiodoro sMn- 
contra, tu un talFesto, ovvero Fausto, come 
altri leggono; a costui si vede da Teodorico in- 
dirizzata queir epistola (2) per la quale si coi>* 
cede a^ pubblici negoziatori, della rugUa e Ca- 
labria la franchigia de^ dazi e gabelle; e sono 

(1) Ca:isiod. Var. 1. ii. e. 37. et I. 12. e. i. et 3. 
(a) Id. 1. a. e. a6. 

GuififowEi Fot, IL 5 



66 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

da notarsi i spesiosi e decorosi titoli co* quali 
Teodorìco tratta (|uesto ministro. 

Tenne Teodorìco particular cura di questa 
provincia , e de* suoi campi j e molte salutari 
providenze egli yì diede ^ come in più luoghi 
appresso Cassiodoro potrà osservarsi (i). Fra 
le città della Puglia più cospicue fii un tempo 
Siponto^ che ora delle sue alte mine appena 
serba alcun vestigio: città quanto antica^ altret- 
tanto nobile e potente^ tanto che i suoi Sipon- 
tini ne* seguenti tempi poteron sostenere lunghe 
guerre co* Napoletani e co* Greci, come nel suo 
luogo diremo. Dalle comuni calamità che per 
1* irruzione de* Vandali e per la tiramiide d O- 
doacre travagliarono Fltaua^ non restò libera 

Siesta città; fiirono i suoi cittadini in que* tre 
timi anni di guerra che Odoacre sostenne con 
Teodorìco j per essersi renduti i Sipontini a 
questo principe, crudelmente da Odoacre trat- 
tati , ed i loro campi devastati, tanto che i 
negozianti sipontini in grand* estremità rìdotti, 
rìcorsero alla clemenza di Teodorico, chieden- 
dogli r immunità de* tributi e qualche dilazione 
per U loro creditori : fu loro per tanto pietosa- 
mente da questo principe conceduto che per 
due anni non potessero esser travagliati per li 
tributi, ne molestati da* loro creditori, come 
da un* altra epistola diretta al suddetto Fausto 
moderatore ai questa provincia, o pure, come 
altri leggono, ad Atemidoro, si scorge presso 
al Senatore (2). 



(1) Gas6Ìod. lib. 5. e 7. ci 3i, 
(a) W, 1, X cap. 37, 



LIBRO TERZO &J 

Della Lucania e Bruzi^ e suoi correttori^ 

Siegue la proviucia della Lucania e de^ Brof^i , 
intomo al cui governo niente ancora fii da Teo- 
dorico variato. Si ritennero i correttori j uè i 
Bruzi da' Lucani fiiron divisi^ ma sotto un sol 
moderatore, come prima, rimasero. Reggio fu 
la lor sede, ond'è che appresso Gassiodoro(i) 
si raccomandano i cittaoini di questa città ad 
Anastasio canceUjero della Lucama , e de' Bruzi, 
e l'orìgine del nome di Reggio è descritta: Bhe* 
gienses civesy ultimi Brutiorum, quos a Sici- 
Uae corpore violenti quondam maris impetus 
segregdifit , unde cUfitas eorum nomen acdepit; 
dimio enim phyirji^ graeca lingua i^ocitatur, etc^ 

Non dee riputarsi picciol pregio di ouesta 

provincia l' avere avuto ne' tempi di Teoaorico 

er suo correttore Gassiodoro medesimo, che 

il primo personaggio di questa* età cui Teo- 
dorico profusamente cumulò di tutte le dignità 
che dalla sua regal mano potevan dispensarsi. 
Nel principio del suo regno , essendo le cose 
della Sicilia, per lo nuovo dominio, ancora flut- 
tuanti, fu trascelto Gassiodoro al governo di 
quell'isola. Indi dato bastante saggio degU al- 
^fUsimi suoi talenti , nella Lucania e ne' Bruzi 

Ber correttore di questa provincia fu mandato, 
on molto da poi alla (ugnità di prefetto pre- 
torio fu assunto, e finalmente al supremo onore 
del patriziato fu da Teodorico promosso (2) , 



(0 Cassiod. I. 13. e. 14. 
(a) Id. I. t. e 3. 



^ 



68 ISTORIA DEL HEGNO DI NAPOLI 

come per la formola che Cassiodoro stesso ne^ 
suoi libri ci propone^ è manifesto (i)j dalla 
(juale par che possa senza dubbio ricavarsi, 
come u Bando j Pomerio , Romeo e moltissimi 
altri autori scrìssero (2) , essere stata il Bruzio, 
e propriamente Squillace patria di sì nobile spi- 
. rito, e che al suo terreno debba darsi tutto il 
vanto d^ aver pianta sì nobile prodotta , come 
anche da quelle parole di Teodorico si racco- 
glie : Sed non eo praeconiorum fine contenti , 
Brutioriuii et Lucaniae (ibi d^dimus mores r^ 
gendos : ne bonuni , quod peregrina proi^incia 
(intendendo della Sicilia) meruisset, genitalis soli 
fortuna nesciret 

Fu dopo Cassiodoro, sotto questo stesso 
principe, correttore della Lucania, e de' Bruzi 
Venanzio , al quale Teodorico scrisse qucU' e- 
pistola in cui F esazion de' tributi di questa 

(provincia gF incarica 5 così appresso Cassiodoro 
eggiamo (3) : yenantio Viro senatori correciori 
Lucaniae et Brutiorum^ Theod, rex. Di questo 
stesso Venanzio fassi da Teodorico onorata 
menzione in quel suo editto (4) indirizzato ad 
Adeodato j dove si legge: J^iri spectabilis K&^ 
naniii Lucaniae et Brutioriun praesulis (v5) j e 
del correttore di questa provincia pur nel capo 
seguente presso Cassiodoro fassi menzione, comA 
da quelle parole: Corrector Lucaniae, ÉrutiO' 
rumque. Tenne ancora la Lucania e '1 Brua^io 



(I) Gassiod. 1. 12. r. i5. 

(a) P. Garolii:s in Vita Csutsiod. 

(3) Cussiod. 1. 3. r. 8. 

(4) Id. 1. 3. r. 48. 

(fj^ Jiirct. id cat coMCCciQris^ 



LIBRO TERZO 69 

il SUO cancelliero y come può vedersi appresso 
Cassìodoro (i). 

A^ navicularìi della Lucania^ siccome a quelli 
della Campagna , ancora fu da Teodorìco co- 
mandato il trasporto delle vettovaglie in Fran- 
cia^ come si legge appresso il Senatore (2). Né 
da Atalarico suo nipote fìi questa provincia tras- 
curata. Egli diede opportuni provvedimenti, per- 
chè una gran fiera cne si faceva in questi tem- 
pi • e dove concorreva molta gente di tutte 
P altre provincie , ed una gran festività che si 
celebrava nel dì di S. Qpriano, non fosse di-^ 
sturbata: donde fti data occasione a Cassiodo- 
ro (3), come altrove (4) fece del Fonte Aretusa 
posto nel territorio di Squillace, di descriverci 
il maravigUoso ' Fonte Marcilianó clV era nella 
Lucania, ed impiegare nella descrizione del me- 
desimo, secondo u soUto stile, tutte le sue ar- 
ditezze ed ipcrboU: e quel ch^è più, ponendole 
in bocca d'un principe che non aveva altro 
scopo che con severi editti proibire che tanta 
celebrità non fosse da' rei e perversi uomini 
disturbata. 

(U Fonte MarciUano in Lucania, descritto da 
Gassiodoro lib, 8 ep. 33 , era vicino alla città 
chiamata Cosilina, oggi distrutta, la quale avea 
un sobborgo , chiamato MarciUano , dove poi 
andò ad abitare il vescovo, onde promiscua-^ 
mente fu da poi nominato ora Episcopus Mar- 
cellianensis , ora Cosilinus, Ecco come ne parla 



(0 CassioH. 1. II. e. 39. ci I. la. e. 12. i4< '-'t lOs 
(5) Iti. I. 4. e. 5. ' 

(T) hi 1. 8. e. 33. 
(4) 111. I. la. c« i5. 



?0 ISTORIA DEL RfGNO DI NAPOLI 

^sterno nelle note a Carlo S. Paolo in Lucania 
ti Bruzia: Cosilianum antiquissima Lucaniae 
Cwitas (Cassiodor. P^ar. Uh. 8, ep. 33) Suburbi' 
cum habuit Marcìlianum , sive Marcellianiim ^ 
unde MarcelUanensis Episcopus et Cosiìinus 
promiscue dicebatur. Contrastano i vicini abitSH 
tòri per appropriarsene i ruderi; e chi vuole che 
sian quelh onde ^sorse la città di Marsico^ at 
Im pretendono che da que^ ruderi fosse sorta 
non già Marsico^ ma la città di Sala). 

Del Sannio^ e suoi presidi. 

Viene in ultimo luogo il Sannio, provincia^ 
9Ìccome appo i Romani^ così ne^ tempi di Teo- 
dorico non decorata d^ altro che di preside. In 
questa provincia si legge pressò a Cassiodoro (i) 
essersi da Teodorico mandato a preghiere de* 
Sanniti un tal Gennaro^ ovvero^ come altri (a) 
leggono^ Sunhivado per lor. moderatore e giu- 
dice ^ imponendosegli che accadendo litìgio nella 
medesima tra^ Romani con Goti^ ovvero fra* 
Goti con Romani^ dovesse secondo le leggi ro- 
mane difiSnirlo; non volendo egli permettere che 
sotto varie e diverse leggi i Romani co* Goti 
vivessero ; le cui parole già furon da noi ad 
altro proposito recate. Ebbe anche questa pro- 
vincia i suoi cancellieri^ come è chiaro appresso 
Cassiodoro <3); e del Sannio pur altrove (4) 
&ssi da Teodorico memoria; tanto che non 

j(i) Cassiod. I. 3. e i3. 
(i) P. Garet. 

(3) Cassiod. 1. ii. e. 36. 

(4) Id. I. S. e. S7, 



LIBRO TEE^O Jì 

y* è stata provìncia di quelle che ora compon^ 
gon il nostro regno, che, per le memorie che 
a noi sono rimase di questo prìncipe, le quali 
tutte fra gii altri scrittori le debbiamo a Gas«» 
siodoro^ non si vegga da Teodorico provida-* 
mente amministrata, e dati giusti ed c^portoni 
rimedi per lo governo loro. 

/ medesimi codici riienuii^ e le medesime condizioni 

delle persone % dt? retaggi. 

Quindi può distintamente conoscersi che le 
nostre provincie, estinto ^imperio romano (F Oc- 
cidente, ancorché passassero sotto la domina* 
adone de^ Goti, non sentirono quelle mutazioni 
che regolarmente ne^ nuovi domuiii di straniere 

E enti sogUon accadere. Non furon in quelle nuove 
;ggi introdotte, ma si ritennero le romane j e 
la legge comune de^ nostri provinciali fu quella 
de^ Romani, ch^ allora ne^ Codici Gregoriano, 
Ermogeniano, e sopra ceni altro nel Codice di 
Teodosio e nel corpo delle Novelle di questo 
imperadore, di Valentiniano, Marziano, MagiO' 
riauo, Severo ed Antemio suoi successori si 
contenevano: ed a^ libri di qudUU giureconsulti 
che Valentiniano trascdse, era data piena au- 
torità e forza. 

Non s^ introdusse nuova forma di governo, e 
si ritennero i medesimi ufficiali; né la varia- 
zione de' magistrati fu tanta, che non si rite- 
nessero le dignità più cospicue e sublimi. Poiché 
Tidea di Teodorico, e poi del suo successore 



• 



7 a ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Atalaiico fii di reggere F Italia e queste nostre 
Provincie col medesimo spirito e forma colla 
quale si resse l'imperio sotto gVimperadorij ed 
è costante opinione de^ nostri scrittori che le 
cose d'Italia sotto il suo regno furon più quiete 
e tranquille che ne' tempi degli ultimi impera- 
dori d'Occidente, e ch'egli fosse stato il primo 
che facesse quietare tanti mah e disordini. 

Quindi è avvenuto che ancor che queste 
nostre provincie passassero da' Romani sotto 
la dominazione de Goti, non s'introducessero, 
siccome nell'altre provincie dell'imperio roma- 
no, quelle servitù ne' popoli che passati sotto 
altre nazioni sofFerirono. Cosi quando la Gallia 
fii conquistata da^ Franzesi, fìi trattata come 
paese di conquista: essendo cosa certa che si 
fecero signori delle persone e de' retaggi di 
quella, cioè si fecero signori perfetti, così nella 
signoria pubblica, come nella proprietà e si- 
gnoria privata (i) : ed in quanto alle persone, 
essi fecero i naturali del paese sem; non già 
di un'intera servitù, ma simili a quelli che i 
Romani chiamavan censiti , ovvero ascrittizi, o 
coloni addetti alla gleba (2). Non così trattaron 
i Goti l'Italia, la Sicilia e queste nostre pro- 
vincie, ma lasciaron intatta la condizione dello 
persone, poiché non gli governava un principe 
straniero, ma un re che si pregiava cu vivere 
alla romana, e di serbare le medesime leggi 
ed instituti de' Romani. Furon bensì in molti 



(i) Loyscau dcs ScigD. e. 

(a) Cod. de Agric. et Gens. 1. n. ComnaD. in Com. iur. civ. 
lib. a. lit. C. 



LIBRO TERZO n^ 

viliag^ delle nostre provincié di questi ascrìttizi 
e censiti (siccome vi furon anche .de' servi, 
perchè a' tempi de' Goti fuso de' medesimi 
non s'era dismesso (i)), ma queUi stessi, o 
loro discendenti, in ({ueUa marnerà che prima 
si tenevano da' Romani, e di essi ci restano 
ancora molti vestigi ne' Codici di Teodosio e 
di Giustiniano, che poi i secoli seguenti chia- 
maron angarii e parangarii (a). Gò che si coìir 
ferma per un avvenimento rapportato da Ugone 
Falcando in Sicilia a' tempi del re Guglielmo II. 
poiché essendo i cittadini di Caccamo ricorsi 
al re contra Giovanni Lavardino franzese, il 
ouale affliggeva i terrazzani con esigere la metà 
aelle lor entrate, secondo che diceva esser la 
consuetudine delle sue terre in Francia^ e ri- 
portate queste querele al G. cancelliero , eh' era 
allora Stefano di Parzio. perchè questi era anr 
cor egli fr'anzese, lasciò la cosa senza provvedi^ 
mento, onde i suoi nemici gli concitaron l'o- 
dio di tutti i Siciliani e di molti cittadini e 
terrazzani, gridando ch'essi eran liberi, e che 
non dovea permettere, secondo l'uso di Fran- 
cia, Ut universi populi Siciliae redditus an~ 
nuos et exactiones sohere cogerentur juxta 
Galliae consuetucUmmy quae cwes liberos non 
haberet 

Ed in quanto a' retaggi e terre deUa Gallia, 
i Franzesi vittoriosi le confiscàron tutte, attri- 
buendo allo Stato l'una e l'altra signoria di 



(i) Leon. Osticns. in Cronic. Cassi n. GIbssator in notis. e. 6. 
num. 533. 

(a) Got. in Cod. Thcod. I. 8. tit. de ciirs. pub. et angar. 1. 4* 



^4 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

quelle (*)• E fuori di quelle terre che ritennero 
in dominio del principe, distribuiron tutte F al- 
tre a^ principali capi e capitani delia loro na- 
zióne ^ a tal uno dando una provincia a titolo 
di ducato j ad un altro^ un paese di frontiera 
a titolo di marchesato; a costui una città col 
suo territorio adiacente a titolo di contea^ e 
ad altri de^ castelli e villaggi con alcune terre 
dintorno a titolo di baronia , castellania , o sem- 
plice signoria , secondo i meriti particulari di 
ciascheduno ed il numero de^ soldati ch^ aveva 
sotto di sé; poiché davansi cosi per essi ciie 

{ler li loro soldatL Non cosi fecero i Goti in 
talia ed in queste nostre provincie, poiché si 
lasciarono le terre a^ loro posseditori , né s' in- 
quietò alcuno nella privata signoria de' loro re- 
taggi; e le Provincie e le città eran amministrate 
da medesimi ufficiali che prima, secondo che 
si governavano sotto P imperio di Valdhtiniano e 
degli altri imperadori d'Occidente suoi prede- 
cessori. Né in ItaHa ed in queste nostre pro- 
vincie l'uso de' feudi e de' ducati e contaoi fu 
introdotto , se non nel regno de' Longobardi , 
come diremo nel quarto libro di questa Istoria. 

SVI. 

Insigni virtù di Teodorico ^ e sua morte. 

Fu veramente Teodorico di tutte quelle rade 
e nobili virtù ornato ^ che fosse mai qualunque 
altro più eccellente principe che vantassero tutti 
i secoli. Per la sua pietà e culto al vero IddiO; 

(*) Loyseau des Seign. e. 



LIBRO TERZO ^5 

(il con iimnense lodi celebrato da Emiodio cat- 
tolico vescovo di Pavia. E se bene istrutto nella 
religione cristiana ^ i suoi dottori gliela avessero 
renduta torbida e contaminata per la pestilente 
eresia d^Arrio, siccome fecero a tutti i Goti, 
questa colpa non a^ Goti dee attribuirsi, ma 
a' Romani stessi, e spezialmente all^imperador 
Valente, che mandando ad istruir questa na^ 
zione nella religione cristiana, vi mandò dot- 
tori arriani; tanto che Salviano (i), qud santa 
vescovo di Marsiglia , nomò questa loro disgnh 
zìa, fallo non già de Goti, ma del magistrato 
romano: e testifica questo santo vescovo che 
nel meaesimo lor errore non altro fu da essi 
riguardato se non che il maggior onore di Dio; 
e per questa pia lor credenza ed affetto non 
dover essere i Goti reputati indegni della fede 
cattolica, i quali, comparate le lor opere con 
quelle de^ cattolici, di gran lunga eran a co^ 
storo in bontà e giustizia superiori, o si ri- 
guardi la venerazione delle chiese , a la fede , 
o la speranza, o la carità verso Dio; quindi è 
che Socrate (3), scrittore dell^ Istoria Ecclesia- 
stica, a molti Goti, che per la religione fiirono 
da^ Pagani uccisi, dà il titolo di martìri, come 
queHi che con sempUee e divoto cuore eransi 
a Cristo lor redentore dedicati. E se per altrui 
colpa incorsero i Goti in quest'errore, ben fu 

rista macchia tolta e compensata col merito 
Riccaredo del loro sangue, che purgò daV* 
Farrianesimo tutta la Spagna. 



(1) Salvian. 1. 5. de Gubem. Dei. 
(a) Soc. lib. 4* <:• 53* 



76 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

E (u sìiigular pietà de^ Groti e di Teodorico 
precisamente d^ astenersi da ogni violenza co^ 
suoi sudditi intomo alla religione j né perchè 
essi eran de^ dogmi arrìani aspersi^ proibiva 
perciò a^ suoi popoU di confessar la fede del 
gran concilio m Nicea (i); anzi Teodorico, in 
tutto il tempo che resse PltaUa e queste no- 
stre Provincie , non pure lasciò inviolata ed in- 
tatta la religione cattolica a^ suoi sudditi, ma 
si permetteva ancor a^ Goti stessi, se volessero 
daU^ arrianesimo passare alla fede di Nicea , che 
lìberamente fosse a lor lecito di farlo. 

Maggiore rilucerà la pietà di questo principe, 
in considerando che della cattolica religione « 
ancorché da lui non professata , ebbe egÙ tanta 
cura e pensiero, che non permetteva che al 
governo della medesima s'eleggessero se non 
vescovi di conosciuta probità e dottrina, de' 
quaU fu egU amantissimo e riverente : di ciò 
presso a Cassiodoro (2) ce ne dà piena testi- 
monianza il suo nipote stesso Atalaiìco : Opor- 
tebat enim arbitrio boni principis obediri, qui 
sapienti deUberatione pertractansy quam^fis in 
aliena religione y talem visus est pontificem de- 
legisse, ut agnoscatis illum hoc optasse, prae^ 
cipuey quatenus bonis sacerdotìbus ecclesiarum 
omnium religio pullularet 

Quindi awemie, come Paolo Wamefrido e 
Zonara raccontano (3), ch'essendo nato ne' suoi 
tempi quel grave scisma nella Chiesa romana, 



(0 Grot. in Prqleg. Hist. Golii. 
(:i) Cnssiod. 1. 8. e. i4- 
C3) Grot. loc. cit. 



LIBRO TERZO 77 

tosto fu da luì tolto col convocamento d^un 
concìlio, e le cose restituite in una ben ferma 
e tranquilla pace. Si leggon ancora di questo 
principe rìgioissimi editti, come similmente di 
Atalarìco suo nipote, per li quali severamente 
^engon proibite tutte quelle ordinazioni di ve- 
scovi che per ambizione o interveniente de- 
naro si facessero, annullandole affatto, e di 
niun momento e vigore riputandole , sic- 
come più distesamente diremo, quando della 
Eolizia ecclesiastica di questo secolo favelleremo. 
\ pur di Teodorico si leg^e, che quantunque 
nudrisse altra religione, volle che i vescovi cat- 
tolici per lui porgessero calde preghiere a Dio. 
delle quaU sovente credette giovarsi. Per la qual 
cosa non dee parere strano, siccome dice Gro- 
zio, che Silverìo vescovo cattolico romano fosse 
&tato a^ Greci sospetto , quasi che volesse e de- 
siderasse più la signoria de^ Goti in Italia, che 
quella de' Greci stessi. 

Ed alla pietà di questo principe noi dob- 
biamo che queste nostre provincie ch'ora for- 
mano il regno di Napoli, ancorché sotto la 
dominazione de' Goti arrìani poco men che 
settant' anni durassero , non fossero di quel pe- 
stilente dogma infestate , ma ntenessero la cat- 
toUca fede così pura ed intatta, come i loro 
maggiori Favevan abbracciata, e che potè poi 
star forte e salda alle frequenti incursioni de^ 
Saraceni che ne' seguenti tempi l' invasero e le 
combatterono: imperocché piacque a Teodorìco 
non pur lasciarla cosi stare, come trovoUa , ma 

O Cissiod. 1. 9* e. i5. 



^8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

di favorirla, ed esser eziandio della medesima 
custode e difensore : dal cui esemplo mossi 
Atalarico e gli altri Goti suoi successori, si 
fece in modo che, durante il loro dominio, 
non restò ella né perturbata, né in qualunque 
modo contaminata. 

Della giustizia, umanità, fede, e di tutte P al- 
tre più pregiabili e nobili virtù di questo prin- 
cipe, non accade che lungamente se ne ragioni : 
Gassiodoro ne^ suoi libri ci fa ravvisare una 
immagine di regno così culto, giusto e clemeur 
le, che a ragione potè Grozio (i) dire: Planeque 
si qius eultissimi clementissimique imperìi Jòr^ 
mam conspicere voluerity ei ego legendas cen- 
seam Ragion Ostrogothorum epistolas y quas 
Cassiodorus coUeótas edidit Onde non senza 
cagione potevan i Goti appresso Belisario vaur 
tarsi di questa lode (2) : né senza ' ragione Teo- 
dorico stesso potè dire : Mquitad fave : emi- 
nentiam animi virtute defcvdey ut inter natìonum 
consuetudinem peiversam y Gothorum possis de- 
monstrare justitiam: ed altrove: Imitamini certe 
Gothos nosttosy qui Jbris praelia» intus norunt 
èxercere justitiam. E fu cotanto lo studio e la 
cura di questo principe nel reggere i suoi sud- 
diti con ima esatta e perfetta giustìzia, che si 
dichiarò co' medesimi volersi portar con esso 
loro in modo che si dolessero più tosto d'es- 
ser così tardi venuti sotto T imperio de' Groti. 
Procopio , ancorché Greco , non può non in- 
nalzare queste regìe ed insigni sue virtù: egli 



(1) Gioì, in Prolrcom. ad Hiat. Gotb. 
(a) Procop. Hist. Goth. 



LIBRO TERZO ^ yg 

custode delle leggi; giusto nell^ assegnare i prezzi 
dell^ annona ; esatto ne^ pesi e neOe misure 3 e 
nellMmpoixe tributi fìi maravigliosa la sua equa- 
bilità^ e sovente per giuste cagioni era pronto 
a rimettergli. Se i suoi eserciti in passando dan- 
neggiayan i paesani^ soleva Teodorìco a^ ve- 
scovi mandare il denaro per risarcirgli de^ patiti 
danni: se v^era bisogno di materia per fabbri- 
car navi, o di munire d^ altra guisa 1 suoi cam- 
pì, pagava immantenente il prezzo: egli libera- 
lissuno co' poveri; e la maggior parte del suo 
regal impiego era il sowenimento e la cura de^ 
pupilli e delle vedove, di che chiara testimo- 
nianza ce n'ha data Cassiodoro. 

La moderazione di questo principe da' suoi 
fatti di sopra esposti è pur troppo nota; e' po- 
tendo far passare i vinti sotto le leggi de' Goti 
vincitori, volle che colle leggi proprie, colle 

Siali eran nati e nudriti, vivessero. Permise 
le sotto il suo regno Roma fosse dallo stesso 
romano senato governata: che giudicasse il Ro- 
mano tra' Romani; tra' Goti e Romani, il Goto 
ed il Romano. Che quella religione ritenessero 
ch'avevan succhiata col latte (*); awersissimo 
d^ introdurre novità, come quelle che sogliono 
essere sempremai alle repubbUche pemiziosis-^ 
sime, e cagione di molti e gravi disordini. 

La sua temperanza fu da Ennodio chiamata 
modestia sacerdotale: e', secondo l'usanza della 
sua nazione, parchissimo ne' cibi, e molto più 
sobrio nelle vesti. Nel suo regnò i Goti si man- 
tennero continentissimi e casti, né fu insidiata 

(3) P. Garct. ia Vita Gas. par.»- 1 . § i a. 



fc ,■■ 



80 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

la pudicizia delle donne: Quae Rotnani poUue- 
rant Jbrnicatìone , dice Salviano j mwulant 
barbari castitate : -ed altrove : ImpiuUcitìam nos 
dilìgimuSf Gothi execrantur; puritatem nos Ju- 
gimus , ìlU amant Vivevan di cibi semplicis- 
simi ^ di pane, di latte, di cascio, di butirro, 
di carne, e sovente cruda, macerata solamente 
nel sale. Tralascio per brevità le sue virtù re- 
gie: infin oggi s^ ammirano in Roma ed in Ra- 
venna i monumenti deUa sua magnificenza negli 
'edificii, negli acquedotti ed in altre splendide 
opere. Dal corso de^ suoi fatti egregi, incomiiir 
ciaiido dalla puerìzia, è pur troppo noto il suo 
valore, la fortezza, la sua magnanimità, il suo 
sublime spinto, ed il suo genio sempre a grandi 
e difficili imprese prontissimo. Principe e nella 
guerra e nella pace espertissimo, donde nell'una 
fu sempre vincitore, e nell'altra beneficò gran- 
demente le città ed i popoli suoi: e la virtù 
sua giunse a tanto, che seppe contenere den- 
tro a' termini loro , senza tumulto di guerre , 
ma solo con la. sua autorità, tutti i re barbari 
occupatori dell'imperio. E per restituire l'Italia 
nell'antica pace e tranquillità, molte terre e 
fortezze edificò infra la .punta del mare Adria- 
tico e l'Alpi, per impedire più facilmente il 
passo a' nuovi barbari che volessero assalirla. 
Tanto che è costantissima opinione di tutti gU 
scrittori che mediante la virtù e la bontà sua 
non solamente Roma ed ItaUa, ma tutte l'altre 
parti dell' Occidental imperio lìbere dalle continue 



(*) Sahian. de Giib. Dei. 



LIDftO TERZO 8l 

battiture che per tanti anni da tante inonda- 
zioni di barbari avevan sopportate^ si solleva- 
rono, ed in buon ordine ed assai felice stato 
si ridussero. 

So che alcuni credono esser queste tante 
virtù di Teodorìco state imbrattate dall^ insidie 
e morte finalmente fatta dare ad Qdoacre; e 
nell^ ultimo della sua vita da alcune crudeltà ca- 
gionate per vari sospetti del regno suo, con 
avere ancora fatto morire Simmaco e Boezio 
suo genero senatori ed al consolato assunti: 
uomini di nobilissima stirpe ifiati, nello studio 
della filosofia consumatissimi , religiosissimi^ e 
per fama di pietà e di dottrina assai insigni. 

Ma se vogliano questi fatti attentamente con- 
siderarsi, la ragione di Stato difende il primo; 
e deli^ essere stato crudele con Simmaco e Boe- 
zio , dobbiamo di quello stesso incolpar Teo- 
dorìco, di che fu incolpato da^ suoi domestici: 
Id UH injuriae, come dice Procopio, in subdi- 
tos primumy ac postremum fidi, quod non ddr 
hibita, ut solebat, inquisitione 9 de wrìs tands 
statuerat In questo solamente mancò Teodorìco, 
ch^ essendo stati per invidia imputati Simmaco 
e Boezio di maccliinar contro alla sua vita ed 
al suo regno, gli avesse senza usare molta in- 
quisizione in caso sì grave, in cui rìchiedevasi 
somma avvedutezza, condennati a morte: del 
resto , come bene osservò Grozio (*) , Actum 
ibi, non de religione 9 quae Boèthio satis Pia-* 
tonica Jiiitf sed de imperii stata. Non fu mosso 
certamente Teodorìco da leggier motivo, ma 

O Orot. in Prol. ad Hist. Goth. 



82 ISTORIA DEL REGNO DI ITAPOLI 

per cagione dì Stato ^ non già di religione ^ 
come alcuni credono. Ben si sono scorti quafi 
sentimenti fossero di questo prìncipe intomo 
a lasciare in libertà le coscienze degli uomini^ 
ed appigliarsi a quella religione che lor piaces- 
se. Ne per Boezio poteva accader ciò, la cui 
religione fu più platonica che cristiana. E se 
dee credersi a Procopio, ben di quel suo fallo 
poco prima di morire ne pianse Teodorìco ama^ 
ramente con intensissimo dolore del suo spinto^ 
poiché essendosegli, mentre cenava, apprestato 
da^ suoi ministrì mi pesce di grossissimo capo^ 
se gli attraversò nella fantasia cosi al vivo rma- 
magine di Simmaco, che parvegli quello del pe- 
sce essere il costui capo, il quale con volto 
crudele ed orrìbile lo minacciasse, e volesse 
^ella ^ua morte prender vendetta} tanto che 
spaventato per ìsì portensosa veduta. corsegU 
per le vene un freddo, che obbligatolo a metr 
tersi a giacere, si fece coprìr di molti panni j 
ed avendo raccontato ad Elpidio suo medico 
ciò che gli era occorso, ùi Simmactun^ oc 
Boètfiium quod peccwerat, deflevit: poeniten- 
tiaeqiie, ac doloris magnitudine 9 non multo 
post ohìit, come narra ftocopio. 

Giomande niente dice di sì strano successo^ 
ma lo fa morìre di veccliiezza , narrando che 
Teodorìco postquam ad senium pervenisset, et 
se in brevi ah )iac luce egressurum cognosce-^ 
rety fece avanti di lui convocare i Goti e' prin- 
cipali signorì del regno, a^ quaU disegnò per 
suo successore Àtalarìco, fighuolo d^Amalasunta 
sua figliuola, il quale, morto Eutarìco suo pa- 
die pur dcU^ illustre stirpe degli Amali ^ non 



LIBRO T£RKO 83 

avendo più che dieci anni , sotto la cura ed 
educazione di sua madre viveva. Non tralasciò 
morendo di raccomandare a^ medesimi la fe- 
deltà che dovevan portare al re suo nipote^ 
raccomandò loro ancora V amore e riverenza 
verso il senato e ^popolo romano^ e sopra tutto 
incaricò che dovessero mantenersi amico e pro- 
pizio Timpcradore d^ Oriente^ col quale proccu- 
rassei*o tener sempre una ben femm^ e stabil 
pace e confederazione: il qual consiglio avendo 
rehgiosamente custodito Amalasunta^ le cose de^ 
Goti^ infinchè visse il suo figliuolo Atalarico^ 
andaron assai prosperamente^ poiché per lo 
apBiìo d'otto anni che regnarono^ mantennero 
il loro reame in una ben ferma e tranquilla 
pace. Tale fii la morte di questo illustre prin- 
cipe, che avvenne nelTanno 5a6 di nostra sa- 
luta, dopo aver regnato poco men che 38 anni, 
e ridotta Tltalia e queste nostre provincie nel- 
l'antica pace e tranquillità. 

8 VII. 

Di Atalarico re d* Italia, 

Pk*ese il governo del regno, per la giovanezza 
di Atalarico, Amalasunta sua madre, principessa 
ornata di molte virtù, la quale uguagliò la sa- 

Sienza de' più savi re della terra; ella governò 
reame e la giovanezza del suo figliuolo con 
tanta prudenza, che non cedeva guari a quella 
di Teodorìco suo padre. Ella, appena morto 
costui, ricordevole de' suoi consigli, fece da 
Atalarico scrìvere a Giustiniano I imperadorc 



84 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

{il quale essendo succeduto ad Anastasio , sd- 
lora imperava nell^ Oriente ) calde ed officiose 
lettere ^ per conservare tra essi quella concor^ 
dia che Teodorico aveva incaricata. Altre pa-* 
rìmente ne fece scrìvere al. senato ed al popolo 
romano afiettuosissime e piene d^ogni stima, 
le quali ancor oggi appresso Cassiodoro leg- 
giamo (i). 

Mantenne ouell^istessa forma ed istituti nel 
governo che Teodorico tenne; né durante il 
regno di suo figliuolo permise che alcuna cosa 
si mutasse: le medésime leggi si ritennero (2)^ 
gristessi magistrati, Pistessa disposizione delle 
provinoie e la medesima amministrazione. Tutti 
1 siioi . studi erano di far allevare il giovine prìn- 
cipe alla romana, con farlo istruire nelle buone 
lettere e nelle virtù, tenendo per questo effetto 
molti maestri che F insegnassero. Ma i Goti ed 
i grandi della corte dimenticatisi prestamente 
de^ consigli di Teodorico, mal soflferivano che 
Amalasunta allevasse così questo principe; e 
gridando ch'essi volevano mi re che fosse nu- 
drito fra V armi come i suoi antecessori , fii 
ella in fiinc costretta d^ abbandonarlo alla lor 
condotta, la quale fu tanto funesta a questo po- 
vero principe, che caduto in molte dissolutezze, 
perde affatto la salute, e venne in tale languii 
dezza che lo condusse ben tosto alla tomba; 
poiché appena giunto all'ottavo anno del suo 
^-egnare, finì nel 534 i suoi giorni. Origine che 
fu de' mah e della ruina de' Goti in Italia, de' 



(I) Gas. 1. 8. e. I. a. 3. 
(3j Jd, 1. 8. e. 3, 



LIBRO TERZO 85 

clisordini e delle tante rivoluzioni che da poi 
seguirono^ mentre già alF imperio d'Oriente era 
stato innalzato da Giustino , Giustiniano suo 
nipote^ quegli che per le tante sue famose ge- 
sta sarà il suggetto del seguente capitolo. 



CAPO III. 

Di Giustiniano imperadore^ e sue le^. 

Mentre in Italia per la prudenza di Amala^ 
sunta conservavasi quella stessa pace e tran- 
quillità nella quale Teodorico aveala lasciata, 
ed il regno d'Atalarico, come uniforme a quello 
del re suo avolo, riusciva a^ popoli clementis- 
simo, fìi da Giustino, richiedendolo il popolo 
costantinopolitano, * fatto suo collega ed« impe- 
radore Giustiniano suo nipote nel di primo a a- 
prilc dell'anno di nostra salute 5^7. E morto 
quattro mesi da poi Giustino, cominciò egli 
solo a reggere l'imperio d'Oriente (*)•• Questi 
fii quel Giustiniano cui i suoi fatti egregi ac-" 

?i]istaron il soprannome di Grande, sotto di cui 
imperio ripigliò vigore e forza , non men in 
tempo di pace che di guerra, a cagion de' fa-* 
mosi giureconsulti che fiorirono nella sua età, 
e del valore di BeUsario e di Narsete suoi ilIu-> 
stri capitani. Le sue prime grand'imprese furon 
quelle adoperate in tempo di pace. Kgli ne' 
primi anni del suo regno s'accinse a voler dare 
una più nohil forma alla giurisprudenza romana ) 

(*) Pagi Diss. hyp. de Consiilib. p. 3oo. 



86 ISTORIA DVL aiGlfO DI NAPOLI 

ed invidiando non men a Teodosio il giovane 
clie a Yaléntiniano IO qudtta gloria che acqut- 
staronsi; Fimo per la compilazione dd famoso 
Codice Teodosiano^ e P altro per la providenza 
data sopra i libri de^ rìureconsulti, vdle non 
pur imitargli, ma emmargli in guisa, che al 
paragone la lama di coloro rimanesse oscura 
e spenta, e nelT Oliente non meno che nelT Oc- 
cidente non più si rammentassero i loro egregi 
fatti. 



SI. 



Dèi primo Codice di Giustiniano, 

Adunque non ancor giunto al secondo anno 
del suo imperio, nel mese di febbraio dell'an- 
no 5^8 promulgò un editto, al senato di Co- 
stantinopoli dirizzato, per la compilazione d'un 
nuovo codice. Trascelse alla fabbrica di questa 
opera da tre ordini gli uomini più insigni del 
suo tempo , da' magistrati , da cattedratici e 
da quello degli avvocati: dall'ordine de' magi- 
strati liiron eletti Giovanni, Leonzio, Foca, Ba- 
silide, Tomaso, Triboniano e Costantino: de' 
professori fu trascelto Tcofilo , e dall' ordine de» 

ffli avvocati Dioscoro e Presentino, a' quali tutti 
u preposto il famoso Triboniano, come lor capo. 

La forma che a costoro si prefisse, fu di , 
dover da' tre Codici Gregoriano, Ermogeniano 
e Teodosiano raccorre le costituzioni &' prin- 
cìpi che quivi erano , ed oltre a questo di ag- • 
giugnervi ancora l' altre che da Teodosio il gio- 
vane e dagU altri imperadori suoi successori 



LIBRO TERZO 87 

ii^ a lui erano state di tempo in tempo pro- 
mulgate^ eziandio quelle che si trovasse egli 
medesimo aver emanate ; le quali tutte in mi vo- 
lume dovessero raccogliere. Irescrisse lor ancora 
r istituto ed il modo ^ cioè di troncar quello che 
in esse trovavan d^ inutile e superfluo. togUere 
le prefazioni^ levare affatto quelle eh eran tra 
loro contrarie, raccorciarle, mutarle, correggerle 
e render più chiaro il loro sentimento; collo* 
carie secondo F ordine de^ tempi e secondo la 
materia che trattano. Non tralasciassero a cia- 
scheduna costituzione di porv^ i nomi degPim- 
peradori che le promulgarono, il luogo, il tempo 
e le persone a chi furon indirizzate : il tutto ad 
emulazione di Teodosio, come è manifesto dal- 
r editto ' dì Giustiniano che leggiamo sotto il tit 
ile nosfo Cod. Jkciendo. ^ 

Impiegarono per tanto quest'insigni giurecon- 
sulti le lor fatiche poco più d'mi anno per la 
compilazione di questo nuovo codice, tanto che 
nel principio del terzo anno del suo imperio, 
e propriamente in aprile dell'anno seguente 629 
fu compiuto e promulgato: e con altro editto, 
che si legge sotto il tit. de Justirdaneo Codi 
confirmaiìdo^ ordinò che questo codice sola- 
mente nel foro avesse autorità, che i giudici 
di quello si servissero, e che gu avvocati non - 
altronde che da questo allegassero nelle contese 
forensi le leggi; proibì affatto i tre primi co^ 
dici, i quaU voUe che rimanessero senza alcima 
autorità , né in giudicio potessero più allegarsi ; 
donde nacque che in Oriente s' oscurò il Codice . 
di Teodosio. D che però non avveniìe in Occi- 
dente e in Italia precisamente, ove, durante la 



88 ISTOEIA DEL REGNO DI NAPOLI ' 

dominazione de^ Goti, questo di Giustiniano 
non fu ricevuto, e fiirono perciò più fortunati 
i successi del Codice Teodosifuio m Occidente 
che nell^ Oriente, per opera di Giustiniano. 

Le costituzioni che in questo nuovo codice, 
in dodici libri distinto, umronsi, come raccolte 
da' tre primi codici, cominciàvan da Adriano 
infin a Giustiniano, e le leggi promulgate da 
cinquantaquattro imperadorì contenevano. E 
quindi è che alcune costituzioni allegate da^ 
giureconsulti nelle Pandette, in questo nuovo 
codice si leggano, che non possono leggersi 
nel Codice di Teodosio, come quello che co- 
mincia da Costantino M. , ma che ben erano 
ne' Codici di Gregorio e di Ermogene, da' 
quaU anche fu questo ultimo compilato. 

t II. 

Delle Pandette ed Instituzioni, 

Per emular Giustiniano la fama di Teodosio, 
non contentossi del solo codice : volle che ad 
impresa più nobile e difficile si ponesse mano, 
cioè a raccorre ed unire insieme i monumenti 
di tutta r antica giurisprudenza , e con ordine 
disporglij e siccome erasi fatto delle costitu- 
zioni de' principi che da Adriano infin a lui 
fiorirono, così anche si facesse de' responsi de- 
gli antichi giureconsulti, delle note loro ch'essi 
si trovassero aver fatte alle leggi de' Romani , 
e precisamente all' Editto perpetuo ; de' loro 
trattati; de' libri metodici, e finalmente di tutti' 
i lor commentari; l'opere de' c|uaU erano cosi 



LIBRO TERZO 89 

ampie e numerose^ che se ne contavan infin a 
duemila volumi. Nel quarto amio del suo im- 
perio diede Giustiniano fuori un altro editto (i)^ 
a Triboniano indirizzato^ dove questVopera si 
comanda, ed al medesimo Triboniano ed a sa- 
dici altri suoi colleghi si dà F impiego di cosi 
ardua e malagevole impresa. Furono trascelti in- 
gegni i migliori di quel secolo, e quali veramente 
richiedevansi per opera sì diificue. Oltre a Tri- 
iboniano furon eletti Teofilo e Gratino, celebri 
professori di legge lìell^ Accademia di Costanti- 
nopoli; Dorodeo ed Anatolio pur anche profes- 
sori nell' Accademia di Berìto : dell^ ordine de* 
magistrati intervenne .pure Gostantino; e det 
F ordine degli avvocati undici ne fìirono tra- 
scelti, Stefano, Menna, Prosdocio, £utolmio,r 
Timoteo, Leonide, Leonzio, Platone, Jacopo, 
Costantino e Giovanni (2). 

Mentre costoro sono tutti intesi a questa gran 
fabbrica, che dopo il corso di tre anni con- 
dussero a fine, piacque al medesimo Giusti- 
niano d'ordinare a Triboniano, Teofilo e Do- 
rodeo che in grafia della gioventù compilassero 
le Instituzioni , ovvero gU Elementi e^ Principii 
della legge, perchè i giovani, incamminandosi 
prima per questo sentiero piano e semplicissi- 
mo, potessero poi inoltrarsi allo studio delle 
Pandette che già si preparavano : ^ siccome in- 
fatti da quelli tre insigm giureconsulti ad esem- 
pio degU antichi, cioè di Caio, Ulpiano e Fio- 
rentino, furon tantosto compilate; e quantunque 
la fabbrica de' Digesti fosse stata innanzi co- 



(1) L. I. C. de vet. jur. enucl. 
li) L. 2^ C. de ?et. jur. enucL 



90 ISTORIA DEL RKGMO M 'NÀPOLI 

mandata j nulladimeno per questo fine si proc- 
curò che le Institaziom si pubblicassero prima 
delle Pandette ; come in efifetto un mese pri- 
ma, cioè a novembre dell'anno 533 nel set- 
timo anno del suo imperio fiirono promulgate 
e divolgate. Divisero questi Elementi in quattro 
libri, in novantanove titoli^ e se anche si vo- 
gliano numerare i principii de' medesimi, in otr 
tocento e sedici paragrafi. Opera, secondo il 
sentimento dell'incomparabile Guiacio, perfetr 
tissima ed elegantissima, che non dovrebbe 
caricarsi tanto di cosi ampii e itspessi commen- 
tari, come a' dì nostri s'è fatto, ma da aversi 
sempre per le mani, e col solo aiuto di picciolo 
noie, e per via semplicissima a' giovani inse- 
gnarsi, siccome fii l'idea di coloro che la com- 
posero , e di Giustiniano stesso che la comandò. 
Pubbhcati questi EHementi, si venne presta- 
mente a fine della grand-opera delie Pandette, 
le quali un mese cu poi, e propriamente nel 
decembre dell' istess' anno 533 si pubblicarono 
per tutt' Oriente e nelF Illirico. Appena nata sortì 
due nomi, l'mio latino di Digesti, l'altro greco 
di Pandette, ambidue dagli antichi giurecon- 
sulti tolti ed usurpati: filile dato nome di Di- 
gesti, perchè ne' libri che contengono, fiirono 
con certo ordine e sotto ciascun titolo collo- 
cate le sentenze degU antìclii giureconsulti, e 
disposte, per quanto fìi possìbile, secondo il 
metodo e la serie dell'Editto perpetuo: si dis- 
sero anche Pandette, come quelle che abbrac- 
ciano tutta la giurisprudenza antica 0* 



O V. Ant. Ai|§ust. in libel. de nomimb, propri» Panded* 
florcm. e. de Pandcct. nom. et. gencr. 



LIBRO TERZO Ql 

Donde ^ da quali giureconsulti e da quali loro 
libri fiiron composti i Digesti, è cosa molto fa» 
cìle a raccoglier dai catalogo degli antichi giu- 
reconsulti e dell^ opere loro, che ancor òggi 
reggiamo prefisso alle Pandette fiorentine. Ivi- 
leggonsi 37 autori, chiarissimi giureconsulti da 
noi sovente lodati, quando nel primo libro, far- 
cendo memoria de^ giureconsulti che da Augu* 
sto infin a Costantino M. lessero, notammo 
sotto quali imperadori fiorissero: oltre a questi 
fassi onorata memoria di molti altri, i quali 
meritarono esser nominati e lodati nell^ opere 
loro, ovvero che meritarono esser con giusti 
commentari , o con perpetue note esposti ed 
illustrati. Nel che non dobbiamo defraudar della 
meritata lode Iacopo Labitto, il quale con somma 
diligenza ed accuratezza compose un indice delle 
leggi che sono nelle Pandette, ciaschedmia delle 
quali, oltre al disegnarle Fautore, va distinta- 
mente notando da qual libro o trattato di qu^ 
sti antichi giureconsulti sia stata presa , sepa- 
rando fra di loro le leggi che si trovano sparse 
in tutto il corpo de^ INgesti, e poi arrotando 
ciascuna delle medesime sotto quel trattato o 
libro del giureconsulto onde fri tolta. Fatica 
quanto ingegnósa, altrettanto utilissima per po- 
ter ben intendere il vero senso delle medesime^ 
essendo cosa maravigliosa il vedere come Tuna 
riceva lume dall^ altra, quando sotto i libri onde ' 
friron prese si dispongono j il qual lume non 
potrà mai sperarsi, quando cosi sparse si leg- 
gono. E ben quest^ autore diffusamente dimostra 
con più esempli quanto conduca Fuso di quel- 
la indice alla vera mterpctrazionc delle leggi: e 



93 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

quanto fosse stato commendato da Cuiacio suo 
maestro; il quale fu quegli che T animò a pro- 
seguire questa beil^ opera, e di daria alle stam- 
pe. Confermò Cuiacio col suo esempio ciò che 
da Labitto era stato dimostrato, mettendo in 
opera e riducendo in effetto ciò che colui aveva 
insemato: quindi si vede che questo incompa- 
rabile giureconsulto nel commentar le leggi delle 
Pandette tenne altro metodo ed altro sentiero 
calcò di . quello eh' erasi per V addietro calcato 
dagli altri commentatori : cioè di separare le 
leggi 3 e quelle ch'eran d'Affricano, e prese da^ 
suoi libri, unille insieme, e sotto i propri ti- 
toli le dispose, indi con quest'ordine le com- 
mentò, come altresì fece sopra Papiniano, Pao- 
lo, Scevola, ed alcuni altri giureconsulti^ il 
maravìglioso uso del quale, e di quanti comodi 
sia cagione, ben anche l'intese Antonio Augu- 
stine che compilò un altro non dissimil indice, 
e lo sentono ancora tutti coloro che della no- 
stra giurisprudenza sono a fondo intesi. 

Piacque in tanto a Triboniano ed a' suoi col- 
leglli partire questa gran opera de' Digesti in 
sette parti principali, distinguerla in cinquanta 
libri, e dividerla in 43o titoli. Se vogliam riguar- 
dare le Pandette fiorentine eh' oggi con molta 
stima si conservan in Firenze nella biblioteca de' 
Medici, le vedremo in due voluihi ben grandi 
divise: se ben Crispino (*) rapporta che anti- 
camente di tutti i DO libri ne fosse fatto un 
sol voliune ; ma quelle che vanno or attorno 
per le mani d'ognuno, sortiron varia divisione, 

O Crispinus in serie PP; in priuc. 



LIBRO TERZO g3 

secondo le vane edizioni. Delle molte ch'oggi 
s' osservano y e particolarmente in quest' ultimi 
nostri tempii che sono infinite^ tre sono le più 
celebri, e ricevute nell^ accademie e ne^ tribunali 
d'Europa. La prima edizione, cioè la volgare 
e meno corretta, è quella della quale si valsero 
Accursio e gli altri antichi |)ossatori. La seconda 
vien detta Norica, ovvero di Norimberga, ed è 
quella che Gregorio Aloandro nell^aimo i53i 
fece imprimere. La terza appellasi Fiorentina ^ 
ovvero Pisana , la quale da noi deesi a Fran- 
cesco Taurello che nell'anno i553 dalla libre- 
ria de' Medici fece darla alle stampe. 

La vulgata partizione di quest'opera in tre 
volumi è assai più antica di ciò cn' altri cre- 
de; poiché fin da' tempi di Pileo, di Bulgaro 
e di Azone, per maggior comodità fii in tal 
maniera divisa y essendo la mole sua cosi 
vasta, che comprendendosi in uno sol volume, 
non avrebbe potuto senza gran disagio leggersi 
e maneggiarsi. Come poi a ciascun volume tosse 
dato il nome, al primo di Digesto vecchio, al 
secondo d' inforziato , ed al terzo di nuovo ^ 
quando tutti e tre nacquero in un istesso tem** 
DO, egU è assai malagevole a recarne la ragione. 
Essersi detto il primo vecchio e l'ultimo nuovo, 
non sarebbe cosa molto strana 3 ma quel di 
mezzo appellarsi con istrano vocabolo infbrziar 
io, è quello che ha esercitate le penne di più 
scritton, i quali in cose cotanto tenui han vo» 
luto pure aobassare U lor ingegno. 



O Bairbós, ad rubr. D. Solut. matr« num. 3. 



« ,1 

il 



94 ISTORIA DEL KEONO DI NÀPOLI 

Alcuni hall creduto essersi chiamato infor- 
ziato dalla voce greca (fopriovy che in latino si- 
gnifica onusy perchè quel volume contiene le 
leggi più obbUgantiy come di restituzioni di 
dote* di tutele, eredità^ alimenti, prestasioni 
di fiaecommissi, ed altro (i). Più tollerabile è 
la conghiettura di Bernardo Waltero (2) , il qual 
disse che corrottamente siasi così chismiato per 
vìzio degli scrittori , i quali in vece ò! udirci'- 
tum 9 come posto in mezzo tra 1 vecchio e 1 
nuovo, lo dissero in/òrtiatum. Ma sopra tutte 
r altre migliore par che sembri quella d^ Alciato 
che la riputò voce barbara ed insulsa (3)3 ov- 
vero r altra che ultimamente comunicò a Gio- 
vanni Doujat (4) Gaudio Cappellano dottor della 
Sorbona, e regio professor di lingua ebraica in 
Parigi: questi suspica esser derivato dal caldeo 
Jbrthiata, la qua! voce da^ rabbini fii sovente 
presa per significar testamento ed ultima volontà 
dell^uomo; onde potè avvenire che taluno, o 
per ischerzo, o per ostentar novità, volendo dir 
testamento, avesselo chiamato iiiforziato, ed 
indi, trasferita questa voce a quel volume de' 
Digesti ove de testamenti si tratta , avesse 
preso questo nome; ma ciò che siasi di que- 
sto in cui certamente non sono riposte le ric^ 
ch^ze della Grecia, rimettendoci in via, egli 
è costantissimo che pubblicati i Digesti da Giu- 
stiniano, e sparsi per tutto F Oriente, essendo 



(1) Rninald. Corsus i. in<Ia|;at. jur. i. 

(3) Ber. W<iUhcr. in Misceli, obs. lih. 2. cap. 5. 

(3) Alcint. lib. 1. Dispiinct. 

(4) Doujat iu lli&t. fur. civ. in fiu. 



LIBRO TERZO p5 

statp commesso a^ prefetti delFOrìente, deU H- 
lirico e della Libia ^ che gli notìficassero a tutti 
i popoli aUa loro giuriscUzione soggetti^ come 
è manifesto dalla prefazione che Giustiniano 
prepose a' Digesti ed altrove 0> non poteron 
pero penetrare allora in Italia ed in queste no- 
stre regioni^ come in quelle che sotto alieno 
principe e sotto la dominazione de^ Goti lancor 
duravano; né in questo terreno poteron esser 

{)iantati, ed acquistar quella autorità e quella 
orza che poi dopo il corso di più secoh fop* 
lunatamente ottennero^ ed in tanta stima e ri- 
putazione sursero^ quanto è quella nella quale 
oggi si veggono. 

s ni. 

Del secondo Codice di Giustiniano 
di repetita prelezione. 

Posto fine a quest^ opera veramente regia, non 
perciò quietossi questo eccelso prìncipe j egli 
essendo stato avvertito che nel compilar de^ 
Digesti erasi osservato che molte controversie 
restavan ancor indecise negli scrìtti di quegli 
antichi giureconsulti, e che bisognava termi- 
narle colla sua autorìùi imperìale; e di vantaggio 
avendo egli fra tanto, dopo pubblicato il primo 
codice, promulgate altre sue costituzioni le quali 
vagavano sparse e non affisse ad alcun volumej 
ed essendosi osservato eziandio che molte cose 
nel codice già compilato mancavanoj comandò 



O L. tanta, C. de vct. jur. coacl. 
« 



n ■ 



96 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

nel seguente anno, che fu T ottavo del suo re« 
' gno, e propriamente nell^anno 534; che qud 
codice s emendasse e ritrattasse y con farsene 
un altro più compiuto e perfetto (i). Diedesi 
per tanto il pensiero a pinque di color ch^ in- 
tervennero alla fabbrica de^ Digesti, cioè a Tri- 
boniano e Doroteo, ed a tre altii avvocati, 
Menna, Costantino e Giovanni: questi secondo 
r ordine prescritto loro da Giustiniano, che si 
legge nel suo codice (2) , levarono dal primo 
quelle costituzioni che stimaron oziose e super- 
flue, o che fossero state dall^altre emanate da 
poi, corrette ed abolite. 

Erano corsi cinque anni tra il primo codice 
e questo secondo, e nello spazio di questo 
tempo molle costituzioni eransi da Giustiniano 
stabilite. Nel consolato di Decio, dopo la pro- 
mulgazione del primo codice, ne fiiron pubbli- 
cate da Giustiniano alcune, fra le quali fu assai 
famosa quella che leggiamo sotto il tit. de bori, 
quae Uh. (3). dove fii generalmente stabilito 
che ciò che il fìgUuolo altronde acquistava, non 
ex patema suhstantUij fosse suo peculio av- 
ventizio, e r usufrutto solamente fosse del padre, 
contra ciò che nell'antica e mezza giurispru- 
denza era disposto. Da poi nel consolato di 
Lampadio e d Oreste furono promulgate quasi 
tutte le cinquanta decisioni, che per togliere 



(1) Auctor Chronici Alex, apud Pagi io Disscrt Hypatica de 
Consulib. pag. 3oi. His Coss. JTustinianrus Codex rcnovatus est, 
adjunctis novi» , post priorem Codicem , Constitutionibus , jus- 
susque est, antiquato priore, suam obtincre vim, sivc auctori- 
tatem IV. Lai. furi, indict. XII. 

C2) Cod. de emend.it. C. Justio. et secunda cdit. 

(3) L. 6. C. de bon. quac lib. 



LIBRO TERZO 97 

le controversie ed ambiguità degli antichi gii»- 
recousulti ^ piacque a Giustiniano stabilire ; 
molte delle quali abbiamo sotto il tit. de usufr. 
come la /. 13, i3, i4j i5 e 16; poiché la 17, 
ancorché sia una delle 5o decisioni, fu fatta 
Tanno seguente dopo il consolato di Lampadio. 
Non pure in questo consolato si promulgaron 
quasi tutte queste decisioni, ma anche furon 
latte altre costituzioni, come la /. 7 che leg- 
giamo sotto il tit. de hon. quae Uh. dove i\\ 
stabilito che non s^ acquistasse al padre Fusu- 
flutto delle robe donate al figliuolo dal principe 
o dall' imperadnce , e X altra nobilissima , cioè 
la l. un. C, de rei luv, ad. Fu anche in que- 
sta amio 53o, che fu il quarto dell'imperio di 
Giustiniano, promulgata quell'altra sua costitu-^ 
zione che si legge sotto il tit. de vet jur. eaucl. 
ove, come si disse, Giustiniano comandò a Tri- 
boniano ed a sedici altri giureconsulti la fab- 
brica de' Digesti. 

Nell'amie seguente dopo il consolato di Lam-^ 

!>adio, e quinto dell'imperio di Giustiniano, ne 
iiron promulgate moltissime, come la /. 2 <Ì0 
Constit, pecun. ove fu aboUta l'azione recepti- 
zia j la /. 3 C. Com. de legat ove fu tolta, 
la difTcrenza de' legati e fidecommessi partico- 
lari; la /. 3 C, de indie, s^ididt dove restò abo- 
Uta la legge Giulia Miscella; la l 3 C, de Edict 
D. Hadrian, tolL per la quale si tolse e can- 
cellò l'editto d'Adriano per la vigesima dell'e- 
redità; e la /. 4 ^- ^^ libar, praet ove rimase 
abolita la differenza del sesso nell'eseredazione. 

(.*) V. Einund. Mrrtl. iu deci*. Jiittinw 

GiA^NonEi Fui. IL j 



98 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

In questo medesimo anno fiirono ancora pro- 
mulgate quelle nobili costituzioni, cioè la /. si 
quis argentum. 35 C. de donaty la /. uk. C. de 
jur. delib.j la /. ult. C, qui pot in pign,j ed al- 
cune altre. 

Nel secondo arnio dopo il consolato di Lam- 
padio e S! Oreste si pubblicò la /. 2 Cod. de 
s^t jur. enucly e nell^anno seguente 533^ settimo 
del suo imperio, furon pubblicate F Istituzioni, 
e, come si disse, un mese da poi le Pandette. 
Questi due anni si notano cosi, perchè fiirono 
senza consoli. 

Aggiunsero perciò i compilatori in questo 
nuovo codice tutte queste costituzioni cne se- 
condo Balduino (1) e Bittersusio (2) oltrepas- 
sano il numero di 200, promulgate dopo il 
primo codice fra lo spazio di cinque anni, che 
possono anche vedersi appresso Aloandro nel 
catalogo de^ consoU al suo codice aggiunto, delle 
quali Francesco Raguellio (3) ne compilò parti- 
colari commentari: siccome fece anche Emondo 
MeriUio sopra le 5o decisioni (4). Per queste si 
variò non poco il sistema di varie materie alla 
nostra giurisprudenza attinenti, e particolarmente 
restò variala la dottrina deVpeculii, de' legati e 
(l'altre moltissime cose. Donde ne siegue, sic- 
come anche avvertirono Balduino (5) e Ritter- 
isusio (6), che sia error grave il credere che in 



CO Balduin. in Justiniano pag, 497- 

Ca) RiltPrsiis. in Jurc Justin. in prooem. r. i. d. 4* 

{3r) Fr. Raglici, i. Coniment. ad Comtitut. et dccìs. Justin, 

C4> Emund. Meril. ad 5o. dee. Just. 

(.5) Balduin. in Justin. pag. 497< 

;6) Killer», loc. cil. 



LIBRO TERZO gQ 

questo nuovo codice \i si fossero solamente 
aggiunte le cinquanta decisioni, e che toltone 
queste decisioni, in niente altro discordano ie 
Pandette da questo Codice di repetUa prele-- 
zione. 

Ridotte adunque in questa miglior forma ed 
in questo nuovo codice le costituzioni de' prin- 
cipi j nel quale anche furono inserite alcmie co- 
stituzioni de' successori di Teodosio e di Va- 
lentiniano , come di Marciano , Lione , Àntemio, 
Zenone, Anastasio e Giustino, comandò Giu- 
stiniano che il primo codice non Qvesse più 
autorità, né vigore alcuno: ma che questo se- 
condo, che ad esempio degli antichi chiamò 
di repetlta prelezione ^ dovesse solamente ne' 
tribunali in tutti i giudicii aver forza e vigore j 
ne d'altronde che da esso potessero le costi- 
tuzioni nel foro allegarsi, cassando tutte T altre 
che forse si trovassero andare sparse e vaghe 
fuori del medesimo \ ond' è che alcuni assai a 
proposito avvertirono che di nimi vigore sien 
quelle costituzioni di Zenone o d' altro impe- 
radore che non veggiamo hiserite in questo 
codice , le quali solo dobbiamo alla diUgenza 
ed erudizione di qualche scrittore, che dalle 
lunghe tenebre ove eran sepolte le cavò fuori, 
alla luce dei mondo restituendole; molte delle 

Siali si debbono all'industria di Conzio,^ di 
Iacopo Cuiacio, di Dionisio e di Giacopo Go- 
tofredo e d'alcmii altri eruditi; l'uso delle quali 
sarà , non cU valersene come costituzioni di 
principi che ci facciano legittima autorità, ma 
solo per ricever da esse qualche lume per 'in- 
tender meglio le riccMite, e quelle clic per 



lOO ISTORIA DEL REGNO DI IfAPOLl 

antica usanza hanno acquistato appresso noi 
nel foro forza di legge. E quantunque la costi- 
tuzione di Zenone stabilita intomo agli edificii 
e prospetto del mare sia difesa da molti per 
legittima e d^ autorità, cioè perchè quella si 
vede da Giustiniano confermata nelle sue No- 
velle, e nel Codice vien dichiarata non essere 
stata locale per Costantinopoli solamente, ma 
comprendere tutte V altre provincie dell' impe- 
rio (i). 

Fu cotanto rìgido Giustiniano in non volere 
ammettere altre costituzioni che quelle le quali 
in questo codice fossero insieme unite e con- 
giunte, che tutte quell'altre che per qualche 
grave bisogno , o per dare altra providenza , 
fossero per emanarsi nell'avvenire, volle che si 
raccogliessero a parte in altro volume, al quale 
si desse il nome non di Codice , ma di Novelle 
Costituzioni . e che formassero mi altro corpo 
separato dal suo codice : onde se bene il nome 
di Codice , generalmente parlando , potesse con- 
venire ad ogni Ubro, a caudicibus arhonun 
deducio s^ocabulo; nulladimeno i nostri giure- 
consulti per antonomasia Codice solamente ap- 
pellarono quel libro ove con certo ordine erano 
raccolte le costituzioni imperìaU; poiché, sic- 
come dopo Cuiacio avvertì Gotofredo (2), le 
costituzioni e rescritti de' principi solevano scri- 
versi ne' codici e pugillari, eh eran tavole di 
legno, ed anche di rame o d'avorio, le quaU 
per conservarne la memoria serbavansi negU 



Ci) V. Card, de Luca de icrrit. disc. i. 

^3) Golb. ad tit, de dot. cod, facieodo in prìxic. 






LIBRO TER]^(^ •. lOt 

scrigni, o sia cancellarìa del *' principe; oud\è 
che leggiamo che Teodosio ìl/fffivjine^ quando 
fece compilare il suo codice, hi^bdi^ a ricer- 
care a Valentimano ID le costitueioì)^ da lui 
fatte per P Occidente che conservavé^^e] suoi 
scrìgm per poterle unire colle sue e dkgllim^ 
peradorì suoi predecessori, e compilarne. ^el 
codice. All'incontro i responsi de' prudenti',* 
onde si compilarono i Digesti, solcano scrÌ7.-\^ 
versi nelle membrane, non già in legno o ih:j>-\.^ 
rame. -V'- 

Abolito dunque il primo codice, del quale se '•': 
n' estinse affatto la memoria, a questo secondo 
si diede tutta T autorità, ed è quello ch'oggi 
ci va per le mani, e del quale si servono tutti 
i tribunali, tutte l'accademie d'Europa, diviso, 
come ognun vede, in dodici libri e distìnto 
in 776 titoli Le sue costituzioni fiiron quasi 
tutte dettate in lingua latina , e contiene le co- 
stituzioni di 54 imperadorì, cominciando da 
Adriano infino a Giustiniano, siccome è mani-* 
festo dal loro catalogo che Aloandro e Dioni- 
sio Gotofredo prefissero a' loto codici. L'indice 
delle leggi promulgate da ciascheduno impera- 
tore pur lo dobbiamo all'industria e diligenza 
di Iacopo Labitto e d' Antonio Agostino , che 
agli studiosi della nostra giurisprudenza riesce 
non men utile e comodo che quello composto 
da' medesimi de' responsi de' giureconsulti nelle 
Pandette. 

Alcmii han ripreso Giustiniano principe co- 
tanto cattolico, che in questo codice abbia fatto 
inserire molte costituzioni non degne della sua 
pietà e religione. U nostro Matteo degli Afflitti, 



102 ISTOIMM OCA REGNO DI NAPOLI^ 

seguitando questo ^rrore^ scrisse che molte leggi 
inìcpie aves^ fatte inserire ne^ tre ultimi libri : 
ma ben n0*-l^* ripreso dal Valenzuola. Altri dis- 
sero che* ikài fecesse Giustiniano a trasferir nel 
suo cQciii;^ la legge di Valente contra i SoUta- 
rii,.-ét$*Amaia non ardisce in ciò difenderio: 
ma'^ vede chiaro che quella legge non fu sta** 
^ijjita contra i veri SoUtarìi, ma contra coloro 
" K^he sotto pretesto di religione , affettando lo 
. 'esserci , s' univano con quelli per isfiiggire i 
pesi deUa ernia. Alcuni altri lo riprendono pei^ 
chS* molte leggi riguardanti f usure ed i repudii 
stabiUsse^ con permettergh; Aa Godelino (i)^ 
Leotardo (2) ed altri lo difendono. Altri per- 
chè molte leggi* attinenti all' esterior ponzi a 
ecclesiastica v inserisse 5 ma costoro sono de- 
gni di scusa, perocché non posero mente alla 
condizione di qiie' tempi ne' quali furono pro- 
mulgate, ma secondo le massime de' secoli ne' 
quali scrissero, reputarono non convenirsi al- 
1 autorità del principe di stabilirle; ciò che 
megUo si vedrà, quando della poUzia ecclesia- 
stica di questo secolo tratteremo. 

S IV. 

Delle Novelle di Giustiniano* 

Se bene abbastanza si fosse provveduto da 
Giustiniano allo studio deUa giurisprudenza con 



(1) Godelino de jnr. novis. e. io in fin. 
(a) fintar, dt usiir. qu. 6. n. tiS« 



LIBRO TERZO Io3 

queste tre sue lodevoli opere, cioè dell^ Insti- 
tuzioni y de^ Digesti e del Codice ^ nulladìmeno^ 
come che col correr degli anni, secondo le va- 
rie bisogne e nuove emergenze, fu d^uopo dar 
nuove providenze ed emanar nuove costituzioni, 
si fece in modo che non molto da poi creb- 
bero queste tanto, che bisognò unirle in un 
altro volume , il quale delle Novelle Costituzioni 
fu detto. Furon queste di tempo in tempo da 
Giustiniano emanate, e non già in sermon la- 
tino , come r altre racchiuse nel codice , ma 
quasi tutte in greca lingua concepute ( i ) , tol- 
tane la Novella 9, 11, :23, 62, i43, i5o che 
furono' dettate in latino (2) , nelle quali vera- 
mente ewi molto che disiderare intorno all'è- 
leganza, brevità, gravità e dottrina^ t quanto 
le costituzioni de' prìncipi che da Costantino M. 
infino a lui fiorirono , cedono alle costituzioni 
degli altri più antichi imperadori, da Adriano 
fino a Costantino 3 tanto queste Novelle di Giu- 
stiniano cedono in brevità ed eleganza alle se- 
conde, in guisa che s'è sempre retroceduto ed 
andato di peggio in peggio, leggendosi queste 
ora con molta nausea piene di loquacità , tu- 
mide e prive affatto di quella brevità, gravità 
ed eleganza delle prime : ma ciò che più im- 
porta, osservasi nelle medesime una certa in- 
costanza e leggerezza inescusabile , mutandosi 
e variandosi ciò che non molto prima erasi 
stabilito, e quel che «poco anzi piacque, poco 
da poi si muta e si cancella. La qua! co^a ha 



(1) Ant. Augustin. in Partt ad Nov* 
(a) Ritten. in prooem. r. 4* num. i« 



.I04 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

dato motivo a molti dì credere che tanta in- 
stabilità procedesse dalla leggerezza femminile 
di Teodora, moglie di Giustiniano, che sovente 
s'intrigava in si fatte cose^ e dalP avarìzia di 
Trihoniano. che per denaro sovente mutava e 
variava le leggi a sua posta (i). 
. Di queste Novelle solamente novantasei fu- 
rono a notizia degli antichi nostri glosatori, 
ancorché Giuliano professor di legge neU^ Acca- 
demia di CostantinopoU, poco da poi di Giu- 
stiniano avendole in compencUo ridotte e tras- 
portate dalla greca nella lingua latina, infino al 
numero di centoventicinque ne traducesse. Ne' 
tempi meno a noi lontani ne furon da Aloan- 
dro ritrovate dell'altre, ed infino al numero di 
centosessantacinque accresciute: Giacopo Cuia- 
cio n'aggiunse altre tre, tanto che il loro nu- 
mero arriva oggi a quello di centosessantotto (2). 
Ma non dee tralasciarsi d'avvertire che nel- 
l' unire insieme queste Novelle non fu osservato 
con esattezza l'ordine de' tempi, scorgendosi 
molte di esse che furono promulgate negli .ul- 
timi tempi dell' imperio di Giustiniano, esser 
preposte a quelle che si fecero prima, ed all'in- 
contro alcune pubblicate prima j occupare l'ul- 
timo luogo. Così nel nono anno dell'imperio di 
Giustiniano, nel consolato di BeUsario, quando 
cominciarono a stabilirsi, furono promulgate le 
Novelle i, 2, 3, 4? 5, 6, 7, 8, 9, io, 11, 12, 
i3, i4; 1S7 16, 17, 183 e nel medesimo anno 



CO Prorop. lib. i. de Bello Prrsico. Suidas in dictione Tri- 
bonianii». 
(2) Doujat. Hisf. jiir. riv. Rittersus. in jur. Jiis<iii. 



LIBRO TERZO Io5 

ancora k Novella 24; ^^5, 26, 27, 28, 29, 32, 
42, 5i, 102, io3, 107, no, 116, 118 e 157. 
Nel seguente anno, dopo il consolato di Beli- 
sario, si promulgò la Novella 19, 20, 21, 22, 
3i, 38, 39. 4^? 43; 45j 1225 e nell^anno se- 
guente, undecimo del suo imperio, si fecero le 
Novelle 4'? ^2, J3, 54; 55, o6y 58, 59, 60, 61, 
ed altre moltissime. 

Nel consolato di Giovanni, e duodecimo del- 
l' imperio di Giustiniano, furon pubblicate le No- 
velle 63, 64, 66j 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 
74, 765 siccome nell'amio appresso le Novelle 
78, 79, 80, 81, 83, 97, 99, loi, i33, 162; e 
nel seguente, nel consolato di Giustino, la No- 
vella 98. 

Nel consolato di Basilio, e decimoquinto del- 
r imperio di Giustiniano si profferirono le No- 
velle 108, 109, IH, ii3, ii5, 117, 119, 120, 
121, 123, 124, 125, 128, 129, i3o, i3i, i32, 
i34, i35, i36, 137, 145, 146, i47j i53. Ne' 
seguenti anni niente da Giustiniano promulgos- 
sij ma nell'almo 32, ultimo del suo imperio, fu 
emanata la Novella i4i; onde l'ultima di tutte 
dee riputarsi questa, come quella che sì fece 
nell'almo 558. 

Queste Novelle insieme co' tredici editti pro- 
mulgati di tempo in tempo da Giustiniano fu- 
rono unite e raccòlte in un volume, non per or- 
dine di Giustiniano ; ^^ dopo la sua morte 
per privata diligenza ed industria , come ,mo- 
strano Cuiacio ed Antonio Agostino, senza te- 
nersi altr' ordine di quello che di sopra s' è 

Ci) Rittcrsu5. in Jnrr Ju^lin. r. i. n. i8. in proormin. 



I06 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

detto. Fu tutta opra ded^ ìnterpetrì poi divi- 
derle ili nove Ck)llaziom^ le quali a similitudine 
de^ libri contengono ciascheduna più titoli. E 
fu nominato da poi ne^ tempi di Bulgaro Aur 
tentico y o perchè a queste costituzioni, come 
qi^elle che promulgate dopo le leggi del codice, 
loro si desse maggiore autorità e peso; ovvero, 
com^è più probabile, che al paragone delT Epi- 
tome latina fatta da GiuUano , questa opra ^ 
come quella che conteneva le Novelle intere, e 
come furon da Giustiniano promulgate, doveva 
riputarsi P origine e P autentica (i). 

Abbiam di queste Novelle tre versioni latine : 
una antica , della quale si crede autore Bul- 
garo *, ma Guìacio (2) ed altri vi dissentisco- 
no : r altra fatta da Aloandro y e la terza da 
Errico Agileo. Non convengono gli autori né 
nel nome , né nell' età di questo antico inter- 
petre. Alcuni lo credettero o più antico, ovvero 
coetaneo di S. Gregorio M. , allegando e trascri- 
vendo questo pontefice molti passi di queste 
Novelle ne' suoi libri; della quale opinione fu 
anche Balduino (3). Ma Antonio Agostino (4) 
seguitato da Rittersusio rapporta che ne' tempi 
di Inierio e di Bulgaro fu per opra d'un certo 
monaco trovato il volume greco di queste No- 
velle , il quale lo tradusse in latino. Fu questi 
chiamato Bergonzione Pisano, del quale anche 



(1) Rittersus. in Jure Justìn. in prooem. e i. n« i8. e. i. 
o. 10, II, 12. 

(3) Cuiac. I. 8. obs. cap. tilt. Doujal. His. jur. cìvil. 

(3) Balduini Justiu. p. 573. 

(4) Aiit. Aiigust. iu Parat. Nov. gii. RiU#rt. in proo^in. e. ^, 
n. 9. 



LIBRO TERZO lO^ 

SÌ narra ch^ traducesse in latino quelle clausole 
greche che si trovano ne' libri de' Digesti. 

La traduzione fatta da Aloandro segui in que- 
sto modo. Conservavasi in Firenze un volume 
MS. delle greche Novelle ^ dal qual libro fioren- 
tino fu copiato quello di Bologna: di questo si 
servì' Aloandro . e fu il primo che diede alle 
stampe le NoveUe greche da lui tradotte in la- 
tino. La prima edizione si fece nell'anno i53i 
non senza gloria del senato di Norimbergh^ il 
quale somministrò le spese. Elrrigo Scrimgero 
molti aimi dopo avendo avuto in mano in Ve- 
nezia mi altro esemplare MS. più esatto^ che 
fu del cardinale Bessarìone, supplì da questo 
nuovo volume molto di ciò che mancava nel- 
l'edizione di Norimbergh, stampò le Novelle in 
quell'idioma, cioè greco; donde ne nacque poi 
la terza traduzione di Errico Agileo, il quale 
tradusse ancora le Novelle di Lione: e Conzio ne 
trasportò ancora alcune altre nella latina favella. 

W emero, ovvero ; come i nostri l'appellano, 
Imerio, con non picciol comodo degli studiosi 
avendole accorciate, a ciascuna legge del co- 
dice che per le Novelle venisse corretta, o che 
trattasse di simil argomento, aggiunse il ristretto 
delle medesime, perchè potesse conoscersi ciò 
che su quel soggetto erasi innovato per queste 
novissime costituzioni di Giustiniano, che per- 
ciò acquistaron il nome d' Autentiche , le quali 
cautamente debbon co' suoi fonti onde aeri- 
vano confrontarsi, poiché alle volte si disco- 
stano da' medesimi; e Giorgio Rittersusio 

O Gfor^. RiUen. in upix'tiHìrr ad Juj Jiintìn. patrit. 



108 I^ORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

figliuolo di Corrado noterà 70 luoghi che di- 
scordano da^ loro originali 

E ancora d'avvertire che in tre cose princir 
palmcnte differisce dal codice questo volume 
delle Novelle. La prima ^ che il codice abbraccia 
le costituzioni di più principi^ cominciando da 
Adriano infino a Giustmianoj e le Novelle sono 
costituzioni del solo Giustiniano. La seconda, 
che le leggi del codice furono (piasi tutte dettate 
in sermon latino, e le Novelle in greco. La 
terza, che nel codice le costituzioni sono ripar- 
tite in certe classi e -collocate sotto vari titoli, 
secondo la varietà del soggetto che trattano, e 
molte volte ne sono state più disposte sotto un 
titolo^ quando nel volume delle Novelle ciasche- 
duna costituzione ha il suo titolo , e furono 
senz' ordine unite insieme, con serbarsi sola- 
mente r ordine del tempo-, il qual ordine nem- 
meno fu in tutto osservato , come di sopra s' è 
veduto. 

S V. 

Dell'uso ed autorità di questi libri in Italia 
ed in queste nostre provincie. 

Quantunque Giustiniano, per queste insigni 
sue opere, avesse nell'Oriente oscurata la fama 
di Teodosio, tanto che s' estinse affatto il nome 
del costui codice, né altrove che a questi suoi 
libri poteva ricorrersi o nel foro , o neff ac- 
cademie; e fossero stati nell'imperio d'Oriente 
questi soli ricevuti, e rifiutati tutti gli altri; nulla- 
(timeno nell' Occidente ed in ItaUa precisamente 



LIBRO TERZO I 09 

diversa fu la lor fortuna 3 poiché essendo stati 
da Giustiniano pubblicati negli ultimi anni del 
regno d^Atalarìco^ mentre ancor durava la do- 
minazione de^ Goti^ non furono in Italia^ né in 
queste nostre provincie ricevuti, né qui, come in 
alieno terreno poterono esser piantati e metter 

Srofonde radici; ma si ritennero gli antichi co« 
ici, e gli anticlii libri de^ giureconsulti, ed il 
codice di Teodosio niente P<^rdé di stima e di 
autorità: anzi appresso gli w estrogoti per V au- 
torità d Alarico m in somma riputazione avuto; 
tanto che il suo Compendio che essi chiamavan 
Breviario, non pure appresso agli Ostrogoti e 
presso a mdte altre nazioni, come Borgogno- 
ni, Franzesi e Longobardi, niente perde di pre- 
gio e d^ autorità; e ciò ch'era legge de' Romani, 
in questi libri era racc|^uso. 

E se bene dopo la morte d'Atalarico, ed 
indi a poco d'Amalasunta, le cose de' Groti in 
Italia si riducessero ad infelicissimo stato, e 
Giustiniano col valore di Belisario riportasse 
di loro più vittorie, ed avesse con particolar 
editto ordinato l'osservanza delle leggi ro- 
mane ne' suoi libri contenute per tutte le pro- 
vincie d'Italia; e da poi che Belisario nel de- 
dm' anno del suo imperio ebbe espugnata Napoli, 
la Puglia, la Calabria, il Sannio e la Campania, 
avesse tolte a' Goti queste provincie ; nulladimeno 
avendo poi costoro sotto T< 
prudentissimo principe ripreso l'antico spirito e 



avendo poi costoro sotto Totila valorosissin 
prudentissimo principe ripreso l'antico spiri 
valore, e poste in tanta revoluzione le cose d'Ita- 
lia che a tutt' altro potè badarsi che alle leggi in 



O Pnigm* JuttUi. post. NotcL 



112 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Antico, AlaiiicO; Vandalico ed Affricauo, per le 
tante genti vinte e debellate. Né minor fii la 
sua fortuna per li tanti illustri e valorosi ca- 

1)itaiii che fiorirono a^ suoi tempi, quanto per 
e opportunità che se gli presentarono per age- 
volar le conquiste} e particolarpiente nella guerra 
che mosse a^ Goti per F impresa dUtalia. di cui 
saremo brevemente a narrare i successi. 

Da poi che Belisario ebbe trionfato de^ Vandali 
nell^ Aurica e presa Cartagine, avendo fatto pri- 
gioniero Gìlimere loro re, e pollatolo in trionfo 
a CostantiiiopoU } vedendo Giustiniano sotto- 
messo al suo imperio quel vastissimo regno, 
rivolse tutti i suoi disegni all'impresa d^ Italia, 
per sottrarla dalla dominazione de^ Goti 3 ed 
una opportunità assai prospera, che presentos- 
segU, accelerò l'impresa, e diede maggiori sli- 
moh all'esecuzione. 

Amalasunta principessa prudentissima. come 
\ide suo figliuolo Atalarico per la sua oissolu- 
tezza caduto in una mortale languidezza che non 
v'era più. da sperare di sua vita, dubitò che 
dopo la morte ih suo figliuolo non sarebbe po- 
tuta vivere in sicurezza fra' Goti, i quah l'odia- 
vano a morte, perciocché non poteva ella sofFe- 
rire i loro disordini e dissolutezze; e perdi' crii 
ella infinitamente stimata dall' iniperador Giusti- 
niano, e tenuta dal medesimo cosi cara ed in 
tant' onore, che venne fino ad insospettirsene 
e rendersene gelosa Teodora sua moglie, in- 
cominciò celatamente a trattar con Gdustiniano, 
come potesse mettere il reame d' Itaha fra le sue 
mani , pensando che in questa maniera otter- 
rebbe la sua quiete e sicurezza } ma la morte 



LIBUO TSKZO Il3 

improvisa di suo figliuolo non le diede tanto 
tempo di potere adempiere il suo disegno; per 
la qual cosa dubitando che i Goti, non volendo 
soflerire il suo fioremo, non facessero pronta- 
mente un re a lor capriccio, destramente gli 
prevenne, mettendo sul trono Teodato suo cu- 

?'ino. figliuolo d'Amalafirida sorella del gran 
eodorico, pur egji dell'illustra gente Amala (i)^ 
Eira costui un principe che aveva menata sua 
vita nelle solitudine di Toscana, e nello studio 
della filosofia platonica era tutto immerso (2)3 
uomo di molte lettere, e per la lingua latina 
sopra ogni altro eccellente, la quale a' suoi tempi 
era tanto caduta dal suo candore, che reputavasi 
a gran pregio chi fosse di queUa a pieno esper- 
to: anzi, se dobbiamo prestar fede a Cassio- 
doro (3) , poiché Procopio nulla ne dice , fu 
Teodato anche versato nella teologia e negli 
studi ecclesiastici j imperocché nell'epistola d'A- 
malasunta scritta al senato di Roma, ove di 
dà conto dell' innalzamento al trono del mec&- 
simo , fra gli altri pregi e lodi che si danno 
a Teodato, é l'essere ancora un principe molto 
erudito ndle discipline ecclesiastiche. Ma tutte 
queste lettere e queste erudizioni non ' fiiron 
bastanti a mutar la sua natura e la bassezza 
della sua mente; poiché del rimanente fii un 
uomo inespertissimo delle cose militari, timido^ 
pigro, e sopra tutto avarissimo, senza onore, 



(1) ProGop. de Bello Gol. CassiocL L io. o. i, 3, 3. 
(a) Jomanil. de Rrb. Get. 

(3) Cassioil. I. 10. e. 3. Prìik:cps vcster etiam ecclesiasiicis 
cfli liierU erudituf. 

GUSNOIIB, Voi. II. 8 



Il 4 ISTORIA DISL REOlffO DI NAPOLI 

«enza probità, e pieno di tanta perfidia e mat^ 
yasità, elicerà capace di fare le più cattive asioni 
(lei mondo, quando gli fossero ispirate o dalle 
^ue proprie o dall^ altrui passioni. 

Ben di questa sua perfida natura aen^ aocorse 
da poi cQn suo estremo periglio Viiifelice prinn 
cipe^sa Apialasunta ; poiché assunto al trono y 
obbliiindo tutte le promesse cfa^. aveva &tte alla 
§ua benefattrice, si lasciò governare da' parenti 
di coloro che questa principessa avea fatti nio^ 
rire per loro falli; e seguendo il consiglio di 
queste genti, la fece levare dal palagio di Ra-? 
venna O > e condun-e in prigione in un^ isoh| 
posta nd meszo del laro di Bolsena , e dopo 
scorsi alquanti giorni la fece barbaramente stroz? 
?are nel bagno , nd medesimo tempo ch^ egli 
domandava la pace aU^ imperador GiusUiiìano : 
avendo costretta prima questa miserabile prin- 
cipessa a scrivere allUmperadore per ottenerla. 
JJon mancano scrittori cne narran. Teodato es-r 
sers' indotto a tanta scelleratezza non pure per 
la malvagità della sua natura e per li consigli 
di quelli di sua corte, ma anche per opera e 
per le persuasioni di Teodora moglie di Giu- 
stiniano, la quale ingelosita per Famor che suo 
marito poitava a questa principessa, dubitò che 
questi un giorno non dovesse abbandonar lei 
per Amalasunta. 

Giustiniano in tanto furiosamente sdegnato 
per sì orribile brutalità di Teodato e degU Ostro^ 
goti, si risolse di vendicar fa morte di Amala- 
sunta; e dall^ altro canto ardente di de^derìo d( 

O {ornami, de Rc(). Get. 



tiBRO nuo- ii5 

riunire Tltalia all^ imperio^ pensò questa esser 
la miglior opportunità che mai potesse presen- 
tarsegU per mover guerra a^ Goti^ e discacciar-- 
^ dP Italia. 

(Un altro pretesto ebbe Giustiniano per T in- 
vasione di Sicilia, e fii per la restituzione del 
promontorio o sia castello Lilibeo di Sicilia, 
che Giustiniano pretendeva appartenersi all^A- 
fiica. Questo promontorio, ancorché parte della 
Sicilia, Teodorìco avealo aato per dote alla sua 
sorella Amalafrida, quando la maritò a Trasi- 
mondo re de^ Vandan, siccome narra Procopio 
lib. I. Belli Vandal e. 8. Avendo dunque Giu- 
stiniano per Belisario estinto il regno vanda- 
lico, e restituita P Africa all^ imperio, pretendeva 
che il Lilibeo, come parte accessoria ed appar- 
tenente air Africa, dovesse Amalasupta restituirlo 
air imperio*, ma questa savia regina destramente 
andava sfuggenao la dimanda con umilmente 
rispondergli che di qudla dotazione fatta da 
Teodorico non dovea aversi conto, come con- 
traria alle leggi de^ Goti, le quali proibiscono 
potersi alienare alcuna parte del regno, siccome 
Procopio istesso, rapportando le vicendevoli pre:- 
tensioni, scrisse nel lib. 2, e. 5. Amalasunta ve- 
dendo che colla forza non potea resistere a 
Giustiniano, gli rispondeva con ogni rispetto, 
dicendo: Liljrbeum est Gothici jurìs , neque 
ionia odia meretur, oome lo ripete Procopio 
anche nel Gb. L Belli Gothici e. i e 3; e con 
maniere rispettose ritenne Timperadore a non 
dare alcuna mossa. Ma morta questa infelice 
principessa, Giustiniano non ebbe più quel ri- 
spetto che avea fin allora avuto j onde con 



I l6 ISTORIA DEL REGNO M HAPOU 

cmest^ altro pretesto del lilibeo invase tutta la 
Sicilia^ per la qual cosa saviamente ponderò 
Ludewig in vita Justìniani ilf. e. 8^ § 91, n. 456, 
pag. 4^7; dicendo: QuiUhet Jacìlé inteUigit hoc;^ 
non tam Lilrbei nic causam aciam, quam 
viae wl clauaendaey vel aperiendae SiciUae uni" 
s^ersae ). 

Adunque nell^anno dd Signore 535 avendo 
scolto Belisario per quest** impresa, e fatti molti 




dalla Sicilia, la quale, come nutrice di quelle 
Provincie ch^oggi formano il nostro regno, do*' 
vea, quella presa, render^ più facile la con- 
quista delle medesime. 

Tentò ancora Giustiniano tutte le strade per 
agevolar questa impresa, e fece tutti i suoi 
sforzi per avere in aiuto i Franzesi, portando 
a^ medesimi le sue doglianze centra i Goti, ed 
allegando le cagioni eh egli riputava giustissime 
per questa guerra. I Goti, e' dice appresso 
Procopio 7 rapta ItaUa , quae nostri haud 
duhie est juris , non pur non curano di resti- 
tuirla all^ imperio, ma di vantaggio bau cercato 
il mio disprezzo nella morte crudelmente data 
ad Amalasunta, da me cotanto stimata ed in 
Uuito pregio avuta, nellMstesso tempo che mi 
dimandavan pace. Ma i Franzesi non si mossero 
ad aiutarlo; anzi irritato da poi Teodeberto 
loro principe, nipote del gran Qodoveo, che 
Giustiniano ne^ suoi editti a tanti elogi avevs^ 

O Procop. 1. I, 4c Beli. Gol, 



LIBRO TER20 1 I ^ 

anche aggiunto il prenome di Francico, quasi 
che pur aresse deoellata la sua inclita eentc^ 
g^ mossero i Franzesi guerra, e presero Farmi 
contro di lui a favore di Teodato j e poi di 
'^^tige. 

Frattanto Belisario giunto in Sicilia y non tra-* 
vagliò molto , per la confusione ch^ ivi era y a 
conquistarla: la prende, e da Messina imman- 
tenente passa a Reggio, ove gli furon aperte le 
porte 3 ed indi prendendo il cammino per terra, 
verso Roma indirìzzossi. Tutti i luoghi che per 
via incontrava, spontaneamente gli si rendeva-' 
no. Prende per tanto senza molto contrasto i 
Bruzi, la Lucania, la Puglia, la Calabria ed il 
Sannió: Benevento, e quasi tutte le. città prin-^ 
cipali di queste provincie a lui si renderono 
er lo terrore delle sue armi, e molto più per 
o spavento de^ Goti, e per la stupidezza e ti-* 
more di Teodato. La Clampania solamente con-* 
trastò per quanto le sue forze poterono. In que^ 
sta provincia le città che potevan difendersi 
erano Napoli e Guma : Napoli s^ <)ppose con 
molto valore e intrepidezza, e sonerse molti 
giorni r assedio senza volersi rendere-, ma da poi 
scovertosi da un soldato fortunatamente un ac^ 
quedotto che si stendeva fin dentro la città, per 
questo, con somma costanza^ ancorché più volte 
costernati, alla fine i Greci penetrarono fin den-* 
tro alla medesima, e con {stordimento degli as- 
sediati, entrati che furono, posero sossopra la 
citAà; e più lagrìmevole e funesto sarebbe stalo 
il sacco che le diedero, se Belisario non avesse 
posto freno alla rapacità de^ soldati. -Siegue 
Belisario, dopo la conquista di queste nostre 



E 



Il8 ISTO&IA DEL B16N0 DI NAPOLI 

Erovìncie^ il cammino verso Berna • ed in fine 
i prende nell^ undecimo anno ddr imperio di 
Giustiniano y dopo sessanta anni ch^era stata 
da straniere nanonì occupata. 

Intanto per lo spavento di tnieste armi e per 
le tante ^vittorie di jBdisario^ vie pà intimorito 
TeodatP) tenta tutte le strade per ottener la 
pace da Giustiniano : manda piÀ legati in Co- 
stantinopoli^ fira^ quali Agaqpito B. P.. offiorendo- 
gli patb e condizioni per rendersi 0* Aveva 
pure Giustiniano mandato in Italia per trattar 
questa pace un tal Pietro^ uomo assai venenh 
bile^ e ne' maneggi di Slato espertissimo: Teo- 
dato fa molti progetti al medesimo^ il quale 
senza espressa volontà delTin^paradcHre non po- 
tendogli accettare^ fece sì che si mandassero a 
dirittura a GostantinopoIL Offeriva Teodato a 
Giustiniano la Sicilia: cne il popolo romano ne^ 
giorni solemii e festivi, o in qualunque altra 
pubblica (unzione^ o nei teatro, o nelle piazze, 
potesse, avanti.il nome di Teodato, c^ebrare 
il nome delT imperadore j che non potesse di- 
rizzarsi alcuna statua, o sia di marmo, o di 
bronzo, o di qualsivoglia altra materia, né ve- 
runa medaglia colla sola immagine di Teodato, 
ma dovesse insieme dirizzarsi o imprimersi 
quella dell' imperadpre ancora, con darsi all'ef- 
figie dell' imperadore il migUor luogo afla destra 
di Teodato. 

Mentre s'attendevano i sentimenti di Giusti- 
niano, non cessava Teodato di domandare spesso 
all' ambasciadore', di cui aveva somma stima e 

O P- Oaret. in ViU Ctuìod. p. i. 



tlURO tElitÒ 11^ 

Veneratone ^ come dalle sue èjtestcrfé presso a 
Cassiodaro^ se sarebbe Fimperadore per aoset» 
tare T offerte condizioni. Lagnavasi pure con 
Pietro altamente di Giustiniano/ che per leg- 




ch essi ravenui ncnperata dalle mam d Odoa^ 
ere colle proprie lor forze, e col consentimento 
delFistesso imperadore Zenone. Né a tutte qù&> 
ste querele altro rìspondevasi da Pietro , come 
ancora si faceva da capitani greci, se non col 
dire, che non disconveùiva a Giustiniano di ri-» 
cuperar quelle provincie. le quali a tutti era 
noto essere state tolte aU^ imperio: e che a hli^ 
al qual era commessa la cura del medésimo y 
conveniva far tutti gli sforzi per restitoirie là 
donde fiiron divelte (i). I progetti Intanto man* 
dati da Teodato a Giustiniano (caron da costui 
derisi; non altrimenti che derise Alessandro Al 
quelli offertigli da Dario, il quale offeriva per 
dote della figliuola tutti qne^ luoghi ch^ erano 
tra r Ellesponto ed il fiume Haliti quali erano 
già stati aa lui conquistati (2) ; nò altriménti di 
ciò che fi^e il popolo romano con Vologeso re 
de' Parti (3), e che fece da poi Carlo M. con 
Niceforo, il quale offeriva la Sassonia già so^ 
giogata (4)3 imperocché Teodato offeriva la ^ 
cilia ch'era stata già occupata da Belisario con 

(1) Pracop. de Bell. Gdt. At illuni non dcdecet rcpi*trrc tcr« 
ram , quam constai fnUse cjus , quod ipsi commiMum e«l , im« 
perii 

(a) Curt. l. 4. 

O) Tac. Annal. I. iT». 

(4) Ayent. 1. 4* Annal. Bojor. 



laO ISTORIA DEL RSGlfO DI NAPOLI 

k Provincie del nostro reame: onde ributtate 
queste condizioni^ crebbe via più il timor di 
Teodato e lo sgomento de^ Goti. 
. ^I miserabili Goti, vedutisi in tanta costerna- 
zione, e scorto il timor di Teodato, e che 
per la di lui dappocaggine eransì ridqtti a 
stato si lagrìmevole, vollero tentare se con Be* 
lisario almeno potessero riuscire questi trattati 
di pace; onde mandaron legati al medesimo 

eerchè gli esponessero le loro giuste querele, e 
> trattenessero dall'impresa. Ammessi da Be- 
lisario, cominciaron ad esporgli i torti che per 
questa ingiusta guerra si facevan a' Goti. Grande 
mgiuria, e' diceano 0^ ^ questa che ci fanno 
i Romani, i quali contrp di noi, essendo ad 
essi confederati ed amici, prendon Farmi senza 
ragione alcuna, l Goti non per forza hanno 
tolta a' Romani Tltalìa: Odoacre fu quegli che 
con molta strage rapiUa, mentre Zenone impe- 
rava nell'Oriente; il quale non potendo vendi- 
carsi e ritorgU la grande ingiusta preda , uè 
avendo forze taU che potesse opporsi alla ti- 
rannide degU l'IruU, chiamò il nostro principe 
Teodorico , che minacciavagli allora, per alcuni 
disturbi fra di loro insorti, di volerlo assediare 
dentro a G)stantinopoU medesima; e lo pregò 
che volesse perdonare al nuovo inimico per la 
memoria delle dignità del patriziato e conso- 
lato romano ch'aveagU conferito, e della stima 
ch'aveva fatto sempre della di lui persona; e 
che tutto il suo valore e tutta la ferocia della 
sua gente dovesse altrove indirizzare; prendesse 

O Procop. 1. a. de Bello Got. 



UBRO TERZO 131 

rarmi contra Odoacre, e vendicasse la morte 
d^AagustoIo infamemente da colui ucciso; do- 
vesse rìtorgli r Italia ch'egli liberamente conce- 
deva a lui ed a' suoi Goti^ aflSncliè potessero 
per sempre in ogni futura età reggerla^ e rite- 
nersela con si giusto titolo ed ottima ragione. 
Venne Teodorìco in Italia, e col suo valore e 
colle proprie forze de' suoi Goti discaccia il ti- 
ranno , e c(d consenso e confederazione di tutti 
i prìncipi d'Oriente resse così bene per tanti 
anni l'Italia^ la quale ora dopo la di lui morte 
è da' suoi Goti governata: con qual ragione 
dunque si pretende muover guerra si ingiusta 
a coloro cne la posseggono con si giusti titoli^ 
dopo averla tanti amii con tanta giustizia pos- 
seduta ed amministrata 7 

Ma Belisario che vedeva volar dal suo «canto 
la vìttoriia, non era in istato di muoversi per si 
fatte cose, le quali se non sono accompagnate 
colla forza, a niente giovano : rispose loro in 
volto assai severo e grave , eh' essi soverchio 
eransi avanzati nel dire che Teodorico fu ben 
mandato da Zenone per combattere Odoacre, 
ma non già che da poi avesse da insignorirsi 
d'Italia; poiché non importava nulla all'impera- 
dore, che non ricuperandosi all'imperio, stasse 
sotto la servitù o dell'uno e dell'altro tiranno; 
ma che si liberasse Italia, e sotto le leggi im- 
periaH vivesse: ma .Teodorico essendosi valoro- 
samente portato contra Odoacre , si fece poi le- 
cito molte cose, ricusando di renderla ai vero 
padrone. A me, dicea egU, sono in ugual grado, 
e-chi rapisce per forza, e clii ritiene la roba 
che non è sua , contro alla volontà del padrone : 



1^4 ISTORIA DEL REGNO PI irAFOLI 

sn. 

Di Totìla re iPItaUa. 

Sotto questo prìncipe^ per la singoiar sua 
virtù ed estremo valore, i Goti ripresero ar- 
dire, e ricuperarono motte provìnciè da Belisa- 
sarìo ocellate: ruppe e^ le genti delTimpera- 
dore^ e racquistò la Toscana. Non guari da poi 
ricuperò queste nostre provincie òhe ora forman 
il regno. Riacquista il Sannio, e devasta Bene- 
vento che prese a forza d^arme, buttando a 
terra le sue mura. Passa indi nella nostra Cam- 
pagna, e pone r assedio a Napoli, e fra tanto 
prende Cuma , e tutte V altre piazze lungo il 
mare^ e durando ancor l'assedio di Napoli, con 
ciò sia che la sua armata s'era renduta poten- 
tissima per un infinito numero di Goti i quali 
accolsero a lui da tutte le parti, egti s' impa- 
droni senza resistenza per suoi luogotenenti 
della Puglia, della Calabria e dell'altre provin- 
cie, dalle quali ne tirò somme immense che 
s^eran unite per Giustiniano. I Napoletani alla 
fiue renderonsij e quantunque dubitassero che 
per la fatta resistenza non fossero da Totila se- 
veramente trattati, sperimentaron nondimeno la 
mansuetudine di questo prìncipe, il quale non 
pur fu difensore e custode della pudicizia delle 
donne napoletane ? n^^ trattogli assai beiù- 
gnamente e con somma umanità. Ed in si Catta 
maniera per valore di Totila ritornarono queste 

O Orot. in Prolegom. ad Hbt. Got. 



LIBRO TEKZO I riS 

nostre provìnciè di nuovo sotto la dominazione 
de' Goti , che per inezia di 'Teodato eransi 
perdute. 

Infin a questi tempi i pontefici romani non 
eransi intrigati negli affari di Stato e de^ prin* 
cipì; né motto eransi curati che Tltalia da Ro- 
mani passasse ora sotto il dominio de^ Goti, 
ora de' Greci. I loro studi erano tutti indiriz- 
zati alla riunione della chiesa d'Occidente con 
quella d'Oriente^ e a dar sesto in vari concilìi 
alle varie controversie insorte tra' vescovi d'O- 
riente intomo a' dogmi ed alla disciplina. I poi^ 
tefici Silverio e Vigitio furon i primi: Silverio 
rendutosi perciò sospetto a' Greci ^ quasi che de- 
siderasse in Italia più la dominazione de' Goti^ 
che quella de' Greci, fu da Belisario accusato 
d'avere avuta intelligenza co' Goti. Era Silverio 
per la morte di papa Agapito stato eletto in sua 
vece in Roma, e riconosciuto dal clero e dal 
popolo romano per vescovo legittimo di quella 
città. All'incontro Vigilio diacono della cliiesa di 
Roma, che mandato per affari di religione in 
Costantinopoli era rimaso in quella città, aspi- 
rando anch' egli al papato, e vedendosi preve- 
nuto da Silverio eh era sostenuto da' Romani e 
da' Goti, mette in opera tutti i maneggi con 
Giustiniano, per indurlo a mandar BeUsario di 
nuovo in Italia con potente armata per togliere 
a' Goti tutto ciò che sotto Totila avean ricu- 
perato: e già lo persuade a mandarìo. Usa aor 
cofa tutte l'arti ed ingegni coU'imperadrice sua 
moglie, permettendole di ricever Teodosio, An- 
timo e Severo alla sua comunione, e d'appro- 
vare la loro dottrina, s'ella lo faceva elegger 
papa. 



120 ISTOEIÀ DEL REOITO DI NAPOLI 

Bitoiiia per tanto Belisario in' Italia per dis* 
cacciame i Qotil ma ritornato con poche fcMrze, 
perde più tosto la riputazione delle cose prima 
Citte da lui^ che altra maggiore ne racquistasse^ 
in^erocchè Totila, trovandosi Bdisano con le 
sue truppe ad Ostia, sotto ^ occhi suoi espu- 
gnò Roma, e veggendo non patere né lasciarla, 
né teneria, in maggior parte la disfi&oe, e cao- 
donne il popolo, menando seco i senatori; e 
stimando poco Belisario, andò colf esercito in 
Calabria ad incontrar le genti che di Grecia in 
aiuto di Belisario venivano. Belisario vedendo 
abbandonata Roma, la rìpig^ò tantosto, ed eiF< 
tirato nelle romane mine, eoa quanta più cele" 
rità potè, rifece a qudla città le mura, e vi 
richiamò dentro ^ abitatori. Vigilio, ripresa da 
BeUsario Roma, partì da Costantinopoli con or- 
dine secreto ddl imperadrice diretto a Belisario 
per far riuscire il suo disegno. Giunto a Roma 
IO diede a Belisario, e gli promise del danaio, 
purché lo ponesse in gudUb sede: BeUsario fece 
venire a sé Silverio, ed accusatolo d'intelligenza 
co' Goti, lo stimolò a riconoscere Antimo: ne- 
gando di fario Silverio, fu spogliato degli abiti 
sacerdotali, e mandato a Patara in esilio, fa- 
cendo in sua vece elegger Vigilio. Ma a' pro- 
gressi che si speravano di BeUsario tosto s op* 
pose la fortima, perché Giustiniano in quel 
tempo assaUto da* Parti, richiamò Belisario. 
Questi per ubbidire al suo signore abbandonò 
ritaUa, e rimase questa provincia a discrezione 
di Totila, il quale di nuovo prese Roma; ma 
non fu con quella crudeltà trattata, che prima, 
perchè pregato da S. Benedetto, il quale in 



LIBRO TEllZO 127 

que* tempi aveva di santità grandissima fama^ 
SI volse più tosto a rifarla. Giustiniano intanto 
aveva fatto accordo co^ Parti ^ e pensando di 
mandar nuova gente al soccorso d'Italia, fu da- 
di Sciavi, nuovi popoli settentrionali, ritenuto, 
1 quali avevan passato il Danubio, ed assalita 
riUuia e la TVacia-, in modo che Totila ridusse 
quasi r intera Italia sotto la sua dominazione. 
Ma non molto goderon i Goti de^ frutti di 
tante vittorie, perchè vinto ch^ebbe Giustiniano 
gli Sciavi, mandò in Italia con potenti eserciti 
Narsete eunuco, uomo in guerra esercitatissimo^ 
il qual accrebbe i suoi eserciti coU^ istesse genti 
straniere, e fra F altre nazioni, come Eruli, Unni 
e €repidi, servivasi anche de^ Longobardi che 
portò daUa Pannonia; i quali da poi seppero 
cosi ben valersi della notizia di si bel paese e 
deiroccasiom che loro si presentarono, che da 
fiusiliari fecionsi conquistatori, come più innanzi 
diremo. Non ancor Natsete erasi sbrigato dal- 
r impresa della Tracia per venire in Italia, che 
il govemador di Taranto, lasciando le partì ed 
il servigio dì Totila, remise la sua piazza fra 
le mani d' alcun^ imperiali ch^eran calati a Co- 
trone; onde Totila sorpreso per queste perdite, 
e stordito dalla grandezza dell'apparecchio della 
guerra, che la fama pubblicava ed ingrandiva 
per tutto, che Narsete faceva contro dì lui, iqr 
viò Teia valorosissimo capitano per arrestar 
Narsete al passo ^ ma non essendo riuscito i| 
Teia d^impedirìo, ecco che Narsete, rotto ogni 
aipne, inonda con potenti eserciti le campagne: 
^è potè farsi altrimenti che non si venisse ad 
una campai battaglia , nella quale Totila avendo 



128 ISTORIA DEL UGNO DI NAPOLI 

dati gli ultimi segni del suo valore, non potendo 
resistere alle forze di gran lunga superiori del 
suo nemico, rimase vinto e morto, ed i suoi 
Goti sconfitti e debellati: onde gl'infelici riuni- 
tisi, come poteron il megfio, dopo si crudel bat- 
taglia, si ritiraron in Pavia, dove crearono loro 
re Teia, nel cui valore ed audacia era riposta 
ogni speranza, per ìstabìfire il loro impeno in 
Italia. All'incontro Narsete dopo questa vittoria 
prese Roma, e F altre città a lui si renderono. 
Potè questa sconfitta abbattere in guisa le 
forze de' Goti in Italia, che in appresso più 
non valsero a rìstabilirvisi j ma assai maggior 
nocumento recò loro la perdita di Totila valo- 
rosissimo loro re: principe che col suo valore^ 
e molto più colla sua prudenza e bontà seppe 
ristorar in modo le fortune de' suoi Goti, che 
quasi aveale ridotte in quel medesimo stato in 
cui lascioUe Teodorico. Égli, per lo spazio poco 
men di dieci anni che regnò, tanti monumenti 
lasciò del suo valore, della sua bontà e di 
molt' altre virtù delle quali era ornato, che non 
v'è scrittore il quale aon lo commendi, e per 
tante sue virtù infili al cielo non F estolga: egli 
ancor che Goto, dice Paolo Vaniefrido, abitò co' 
Romani, come un padre co' suoi figliuoli, niente 
mutò delle loro leggi e de' loro istituti. L'istcssa 
amministrazione e la medesima forma delle prò- 
vincie e del governo ritenne, come Teodorico 
aveale lasciate} amantissimo della giustizia e 
dell' equità j ed è veramente ammirabile V ora- 
zione che questo principe fece a^ suoi soldati, 

O Presso GoicLift., lom. i. Conat. imp. y ù leggono molte ora« 
zioni (li Totila. 



LIBRO TERZO 1 29 

dopo aver preso Napoli^ in commendazione della 
giustizia e dell^ altre virtù^ che presso a Procopia 
ancor leggiamo. La sua bontà e mansuetudine 
verso i vinti vien celebrata sovente da auesta 
istesso storico^ ancor che greco. Egli seroò in-* 
tatta e sicura d^ ogni disprezzo Rusticiana mo^ 
glie che fu di Boezio y femmina infesta al nome 
goto y e deUa quale i Goti non erano niente sod«^ 
disfatti. 

Ne men della sua temperanza poteron tacer» 
gF istorici : egh fu che sovente salvò la pudi-^ 
cizia e la libertà delle matrone romane y e che ^ 
presa Napoli , fu delF onor delle domie zelantis^ 
simo y e che severamente punisse gli altrui mis-* 
fatti: ohe di semplicissimi cibi fosse contento 
eo^ suoi Goti^ come di pane^ latte ^ cacio ; bu- 
tirro , e di carni salva gge e ferine, e di queste 
allo spesso crude, ed alle volte salate. Tanto ' 
che per T esempio di questo prìncipe poterono 
i Goti avere il vanto d^ esser essi reputati i tem- 

E erati, i giusti ed i mansueti, non gP istessi 
omaiii, ne* quali, come disse Salviano 0, era 
da desiderare la virtù, la giustizia e la tem-» 
peranza de^ Goti medesimi^ 

Di Teia lèltimo re d^ Goti in Italia. 

GY infeUcissimi Goti , dopo la battaglia per 
loro funestissima datagli da Narsete, usando 
tutti i loro sforzi e industria per trovar mezzi 

(*) Sahìan. I. 7. de giiber. Dei. 



j3o laroRiA del recito di napoli 
pronti per ristorarsi delle passate perdite^ ol- 
ir^ aver eletto per loro re Teia valorosissimo 
principe^ tentarono i soccorsi de^ prìncipi vi- 
cini. Ricorsero a' Franzesi ^ e mandaron ad essi 
ambasciadorì per muovergli al loro soccorso. 
Merita veramente ess^ da tutti letta ed am- 
mirata r orazione di questi legati tutta piena 
d^ affetti e di nobilissimi sensi, ch'esposero a* 
Franzesi, la quale presso Agatia srncor si leg- 
ge. M Se il nome de^ Goti , essi dicevano , maiir 
cherà, ecco che i Romani saranno pronti ed 
apparecchiati contro di voi a rinovar V antiche 
guerre. Né alla loro cupidigia mancheranno pre- 
testi speziosi e ricercati colorì. Vi rìcorderanno 
i Mariì , i Camilli , e i molt^ imperadori che guer- 
reggiarono co' Germani, e che oltre al Reno 
estesero i confini del lor imperio. E per queste 
• ragioni voglion esser riputati^ non come rapitori 
degU altrui Stati , ma come se niente fosse d' al- 
trui , ed il tutto lor proprio : vantano di non 
far altro , che coli' armi loro giuste e legittime 
ricuperare ciò che da' loro maggiori era statò 
posseduto : non per altre cagioni mossero a noi 
così ingiustamente la guerra; come se il nostro 
sempre glorioso principe ed autore di questa im- 
presa, Teodorico, a torto e per ingiuria avesse 
ad essi*tolta F Italia: perciò han creduto esser 
loro lecito di toglierci le nostre sostanze , estin- 
guere la maggior parte della nostra gente , e de' 
capitani fra noi i pm sublimi ed eminenti: m- 
crudeUre contra le nostre mogli , centra i pro- 
pri nostri figUuoU, ed a portargli in dura servitù j 

O AgaU)« i. I. histor. 



LIBRO TERZO |3l 

quando Teodorìco non con loro repuguanza^ 
ma con particolar concessione e permessione 
di Zenone lor imperadore venne in Italia, non 
già togliendola a^ Romani ^ i quali Taveanper^ 
duta^ ma colle proprie sue forze ^ e col suo pro- 
prio valore , avendo discacciato Odoacre inva* 
sor peregrino y^^^e Belli j acquistò ciò che questi 
avea occupato. Ma i Romani da poi che si vi* 
dero ristaoiliti^ niente curando del giusto e del 
ragionevole^ col pretesto delja morte d^Amala- 
sunta si finsero in prima irati contra Teodato ^ 
e da poi non tralasciaron di muoverci ingiusta 
guerra^ e per forza rapirci ogni cosa. £ pure 
questi sono che vantan esser soli i sapienti^ 
essi soli esser tocchi del timor di Dio^ essi 
tutte le cose dirizzare secondo la norma della 
giustizia. Perchè dunque non v^ accada un giorno 

rei che da noi presentemente si patisce , ed 
pentimento non vi giunga tardi quando più 
non potrà giovarvi, debhon ora prevenirsi gii 
inimici^ ne dee da voi tralasciarsi F occasione 
, presente di mandar contro a* Romani un pari 
esercito j al quale presieda un vostro valorosa 
capitano, che adoperandosi con prudenza e va-« 
lore contro d'essi, proccuri disturbargli dalF im- 
presa d'Itaha, e noi restituisca nella possessione 
della medesima. » 

Ma riuscì inutile questa lor ambascerìa co^ 
Franzesi, da' quali niente poteron ottenere j 
perocché avendo Teodiberto dopo la guerra 
mossa a Giustiniano, poco prima di morire^ 
stabihta una ferma e stabile pace col medesimo 
neir anno 548 , la quale poi fu confermata 
da Teodobaldo suo «igliuolo , non vollero , 



l3a ISTORIA DEL RKGNO DI NAPOLI 

rìcordeyoli di auesti patti, in conto alcuno in- 
dursi a romper la pace; t^nto che si trattennero 
e di muover V anni contro a^ Goti ad istigazione 
di Giustiniano, e di portarle contra i Romani, 
ancorché i Goti .glielo richiedessero con calde 
istanze: e se bene dopo estinta già la domi- 
nazione de^ Goti, nell^anno 555 morto il re Teo«- 
dobaldo, Leotaro ed il suo fratello Bucellino 
generale delle truppe d^Àustrasia, co^ Franzesi e 
cogli Alemanni avessero tentata F impresa d^I- 
talia, e si fosse il primo avanzato fin in Pu- 
glia e Calabria, ed il secondo, oltre alFaver 
devastato il Sanuio, fosse scorso fino in Sici- 
lia; nuUadimeno i loro eserciti furon non molto 
da poi disfatti: quello di Leotaro da un fiero 
moroo, che in una state F estinse; e P altro di 
Bucellino fu da Narsete a Casilino interamente 
sconfitto. E fu questa la prima volta che i Fran- 
zesi tentassero di sottoporre alla loro domina- 
zione queste nostre provincie : presagio che fu 
Pur troppo infausto di dovere le loro armi nel- 
impresa d^ Italia aver sempremai infelicissimo 
fine , siccome sovente F esperienza ha dimo- 
strato ne^ secoli men a noi lontani, che que' 
gigli più volte piantati in questi nostri teiTeni 
non poteron mai mettervi profonde e ferme 
radici. 

Esclusi per tanto i Goti dal soccorso de' 
Ftanzesi, tutte le speranze furon collocate nel 
valore di Teia, il quale fece sforzi i più nia- 
ravigUosi che potessero mai desiderarsi in casi 
così estremi, per ristorare le fortune de' Goti. 
Egli incontrato da Narsete a piedi del nostro 
Vesuvio, accampò così j^ene il suo esercito, 



LIBRO TERSO I 35 

che con tutto le due armate non fossero se- 
parate clie dal duine Sariio , dimoraron noudi- 
meno due mesi a scaramucciare, non potendo 
Narsete tentare il passaggio avanti T esercito di 
Teia ch'era signore del ponte, né ritirarsi , per 

£aura che i Goti non portassero soccorso a 
urna: ma alla fine essendo riuscito a Narsete, 
ch'era di gran lunga superiore di forze, dì dar 
battaglia, Teia facendo l'ultime pruove del suo 
valore ed ardire , rimase in quella miseramente 
ucciso: onde i Goti già costernati, veggeiidoai 
privi di sì ^orioso capitano, rìsolsero di ren- 
dersi a Narsete , il quale lor accordò che se ne 
potessero andare dalle terre delf imperio con 
tutti gli argenti ch'essi avevano, e di vivere se- 
condo le loro leggi. Cosi fu accordato il trattato 
dì buona fede da una parte e dall'altra dopo i8 
anni di guerra, in maniera che tutte le piazze 
essendosi messe fra le mani de' commessarii di 
Narsete , i Goti uscìron d' Itaha l' anno del Si* 
gnore 553, dove 64 anni, da Teodorico loro 
re ìnGn a Teia, avevano regnato. 

Ecco il line della dominazione de^ Goti in 
Italia ed in queste nostre provincie: gente as- 
sai illustre e bellicosa, che tra gli strepiti di. 
Marte non abbandonò mai gh esercìzi della 

F'ustizia, della temperanza, della fede e dei- 
altre insirni virtiì ond'era adorna j non cosi 
baii>ara ed inumana, coni' altri a torto la re- 
puta. Lasciò vìvere i popoli vinti e debellati 
coUe stesse leggi romane, colle quali erau nati 
e cresciuti, e delle quali era sommamente os- 
sequiosa e riverente : che non mutò la disposi- 
zione e r ordine dì queste nostre provincie ; 



|34 IS^rORlA DEL IVEGrCO DI ?rÀPOLI 

non variò i magistrati; ritenne i consolari^ i 
correttori ed i presidi, e molt^ altri costumi 
ed istituti mantenne, siccome eran in tempo 
degPistessi imperadorì romani: tanto che que- 
ste nostre provincie ricevettero altra forma e 
nuova amministrazione, non già quando stet* 
tero sotto la dominazione de^ Goti , ma quando 
passarono sotto gPimperadori d^ Oriente; 1 quali 
mandando in Italia gli esarchi , e dividendo le 
Provincie in più ducati, diedero perciò alle me- 
desime disposizione diversa da quella di prima , 
come di qui a poco vedremo. 

Non si poterono però evitare que' disordini 
e quelle confusioni che le tante feroci e cru- 
deli guerre soglion apportare alle discipline ed 
alle lettere: certamente in Italia in questi tempi, 
per quel s^ appartiene alla giurisprudenza, non 
potevano sperarsi giureconsulti cotanto rino- 
mati, né così insigni professori ed avvocati che 
avessero potuto restituirla nell' antico splendore 
nel foro e nell^ accademie. Non dee però ripu- 
tarsi di piccol momento in mezzo a tante e 
si feroci armi, che pensassero i re goti, come 
fecero Atalarico e Teodato, di mantener quanto 
più fosse possibile F antico lustro del senato 
romano e dell' accademia di Roma , con pro- 
vederla di professori esperti nella legai disci- 
plina, come fece Atalarico 0? e d'illustri gram- 
matici, perchè la lingua lathia non affatto si 
perdesse fra tante lingue stramere e barbare: 
ed infatti in questMstessi tempi sarebbe man- 
cata air intutto, se non si fosse ristabihta in 

(•) Cts. lih, ry rap, 21. 



« LIBRO TCAZO l35 

queir accademia , e Teodato col suo esempio , 
essendone vaghissimo ^ non v'avesse dato ripa- 
ro. Fin da questi tempi si lodava Roma per la 
purità della lingua latina, perchè in tutte Tal' 
tre Provincie d' Italia era già di barbarie ricol- 
ma ; e gP istromenti che per mano di tabel- 
lioni, ch^oggi diciamo notai ^ si stipulavano^ 
non eran dx miglior condizione intorno alla lin- 
gua di quel eli' oggi s' usa in Italia. Narra For- 
nerio 11^ Cassiodoro y serbarsi in Parigi nella 
libreria del re un antico istromento di transa*» 
zione conceputo con formole non migliori di 
quelle che usiam oggi, nella quale un tal Ste- 
fano tutore di Graziano pupillo si transigè col 
medesimo per una certa lite , che fu rogato in 
Ravenna nelU ultim' anno dell'imperio di Giusti- 
niano , cioè nel 38 all' indizione 1 2 che cade 
nel 564 di Cristo. E perciò anche in questi 
tempi si riputava cosa di sommo pregio chi 
di lingua latina fosse intendente , siccome fra 
r altre lodi che si davan a Teodato per le sue 
molte lettere, una era questa. Pure con tutto 
ciò vide ritalia in quest'età un Ennodio, un 
Giomande, un Boezio Severino, un Simmaco, 
un Cassiodoro, un Aratore , ed alcun' altri va- 
lent' uomini non in tutto sfomiti di scienze e 
d' erudizione. 

Giustiniano, sconfitti ch'ebbe per mezzo di 
Narsete i Goti, e ritolta l'Italia dalle lor mani ^ 
a richiesta , com' e' dice , di Vigilio pontefice 
romano , promulgò nel penultim' anno del suo 



O Forncr. in Cìm. lib. io. var. cap* 7« 



l36 ISTOniA DEL REGNO DI NÀPOLI 

imperio una prammatica di più capi, nella 
quale a' disordini fin allora patiti in Italia , e 
neli^ altre parti occidentali, pensò dar qualche 
riparo^ fu questa indirizzata ad Antioco prefetto 
d^ Italia, e data in Costantinopoli nel 87 anno del 
6U0 imperio. Li quella siccome si confermano 
tutti gli atti e donazioni fatte da Atalarìco e 
da Amalasunta sua madre e da Teodato istés^ 
so, cosi all^ incontro riputando Totiia per ti^ 
ranno, tutti gli atti e donazioni fatte da costui 
nel teiìipo della sua tirannide , gli abolisce , gli 
abbomina, e vuol che di quelli non se n^ab-^ 
bia cagione alcuna : vuol che nelle prescrizioni 
di 3o e 40 anni non debba computarsi il tempo 
ch^ Italia stiè sotto la tirannide di Totiia : che 
nelle liti insorte fra' Romani non si mescolas- 
6ero giudici militari, ma che i civili l'avessero 
a decidere: diede previdenza a' superinditti im- 
posti a' negoziatori delle provincie di Calabria 
e di Pugha: e molt' altre leggi promulgò allo 
stato d'Italia, e di queste nostre provincie ap- 
partenenti , che posson osservarsi in questa 
I)rammatica in più capi distinta, la quale si 
egge dopo le Novelle. Ma cosa assai più no- 
tabile osserviamo nella medesima: alcuni per 
conghietture ed argomenti scrissero che per es- 
sersi la pubbUcazione delle Pandette e del Co- 
dice conmiessa da Giustiniano al prefetto dell'Il- 
lirico, per questo dobbiam credere che in ItaUa 
si fossero anche pubblicate. Non bisognan argo* 
menti in cosa si manifesta; per questa pramma- 
tica abbiamo^ che Giustiniano per suo particolar 

(•) Prajrin. Ju^in. post. Nor. 



LIBRO TERZO I S^ 

editto ordinò che le leggi inserite ne^ suoi li- 
bri s'osservassero per tutt' Italia. Ma perchè poi 
nel regno di Totila le cose de' Greci andaron in 
mina j ed i Goti ritornarono nel pristino domi- 
nio, in mezzo a tante rivoluzioni di cose, non 
poterono certamente aver luogo le sue leggi. Ri- 
storati da poi per Narsete* gli aflari de' Greci, 
e debellati aflatto i Goti , volle per questa pram- 
matica che non solamente quelle leggi s'osser- 
vassero per tutt' Italia, ma anche quell'altre sue 
costituzioni Novelle, ch'aveada poi promulga- 
te, in guisa che formata col voler di Dio una 
repubblica, una e sola anche fosse l'autorità 
delle leggi per tutte le sue parti , come sono le 

{)arole della prammatica , che come notabili per 
o nostro istituto, e da altri fin qui, ch'io sap- 
)ia, non mai osservate, sarà bene di trascriver- 
e: Jura insuper, vel leges Codifibus nostris 
insertaSy quas jam sub edictali programmate in 
Italiam dudum misimus , obtinere sancimus ; sed 
et eas , quas post e J promulgavinuis constìtutio^ 
nesj juoemus sub edictali propositione vulgari 
ex eo tempore , quo sub edictali programmate 
evulgatae Jiierint etìam per partes Italiae obtìr 
nenie j ut una^ Deo volente jfacta republica^ fe- 
gum etiam nostrarum ubique prolatetur auctO" 
ritas. 

Ma non perchè si fosse spento il nome de* 
Goti in Italia, si mantennero queste provincie 
lungo tempo sotto gl'imperadori d'Oriente, ed 
i libri di Giustiniano ebbero forse lunga dura- 
ta: morto Giustiniano, ritornarono di bel nuovo, 
se non sotto la dominazione de' Goti , sotto 
queUa de^ Longobardi; i quali traggon la lor 



i 



]38 ISTORIA DEL RECITO DI NÀPOLI 

origine da^ Goti stessi, e de^ quali sono ram* 

JioUi e germogli, come si vedrà quando d^essi 
arem memoria. 

Né perchè queste provincie passassero sotto 
r imperio di Giustiniano , vi fu tanto di , spa- 
zio che potessero le di lui leggi stabilìrvisi ^ 
e che r insigni sue compilazioni avessero po- 
tuto in esse poner piede, e mettier qui pro- 
fonde radici; se pur ci vennero, tosto delle 
medesime si spense affatto la memoria ed ogni 
vestigio; poiché appena Giustiniano ' ebbe la 
^orìa d^aver liberata Italia da^ Goti, che dis- ^ 
tratto per la seconda guerra della Persia e 
per r invasioni degli Unni, fu dalla morte non 
guari da poi netfanno 565 sopraggiunto in età 
già matura d'anni 82, dopo averne imperato 38 
e mesi otto. Principe, che se non avesse nel- 
r ultimo di sua vita oscurata la sua fama per 
r eresia Eutichiana (i) che volle abbracciare, né 
mai abiurarla , avrebbe superata la gloria di 
molt' imperadori per la pietà , per la magnifi- 
cenza, per li tanti egregi suoi fatti, e per le 
tante insigni vittorie, che e nella pace e nella 
guerra Fo renderon immortale; come ce lo rap- 
presentano tutti i più famosi storici de' suoi , 
tempi, e quelli ancora che dopo lui fiorirono. 
Teofilo abate suo maestro (2), Procopio, Aga- 
tia , Teofane , Zonara , Marcellino , Evagrio e 
Niceforo fra' Greci ; e fra' Latini , Cassiodoro , 
Wamefrido, ed altri moltissimi (3): tanto che 



(0 Anasta.4. Bihiiot. Paal. Diacon. 

(9) Thfophiins abbas Jiisliiiiani prarcrplor exlat apucl Pho- 
tiuiD. 

(3) Giphaniuj. Conltus. AlrnMimni in uotU aJ Procopiuin* 



LIBRO TERZO I 3c) 



si rende ora inescusabile rcrror di coloro che 
reputarono j per la testimonianza di Snida, que- 
sto principe così illitterato e tanto rozzo, che 
nemmeno sapesse V abici ) quando Giustiniano 
egli medesimo testifica d' aver letti e ricono- 
sciuti i libri delle sue Istituzioni. LViTor nac- 
que dalla scon*ezione del testo di Snida , che 
fece stampare in Milano Demetrio Calcondìla , 
ove in vece di Giustino, come leggesi in tutti 
i codici di Snida del Vaticano, si leggeva Giu- 
stiniano (*)} onde ciò che con errore s^ascrive 
a Giustiniano , dee attribuirsi a Giustino , zio 
e padre adottivo di Giustiniano , come il ma- 
nifesta Procopio testimonio di veduta, asserendo 
che Giustino da pecoraio divenuto soldato ed 
indi comite, finalmente con maraviglioso rav- 
volgimento di fortuna òi vide al trono impe- 
riale innalzato e che non sapendo scrivere > 
firmava gli atti pubblici con certo istromento 
o segno fatto apposta , siccome usava di far 
Teodorico ancora, il quale se bene fosse quel 
principe cotanto grancle , quanto s' è narrato , 
era nondimeno di lettere ignaro ; e come ne' 
tempi più bassi si legge di Vitredo re di Can- • 
zia , e di Tassilone duca di Baviera. E da al- 
cuni fu anche detto che Carlo M. istesso non 
sapeva scrìvere, quantimque sapesse leggere, e 
fosse dottissimo. 



(•) Nicol. Alrmaii. atl Proroj>. pjp. riS. 



l4o ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

« 

CAPO V. 

Di Giustino II imperadore; e della nuova pò- 
lizia introdotta in Italia ed in queste nostre 
Provincie da Longino suo primo esarca. 

Morto Giustiniano, si fransero tutti i suoi dise- 
gni^ e le fortune degi imperadorì orientali toma- 
ron alla declinazione di prima; poiché essendo 
succeduto nell^ imperio Giustino il giovane fi- 
gliuolo di Vigilanzia^ sorella di Giustiniano ^ 
troppo da lui diverso, e per la sua stupidezza 
essendosi dato tutto in braccio al governo di 
Sofia tua moglie, per consiglio della medesima 
rivocò Narsete d^ Italia, e gb mandò neiranno 568 
Longino per successore (i). 

Giunto Longino in Italia con assoluto potere 
ed imperio datogli dall' istesso Giustino, tentò 
nuove cose, e trasformò lo stato di quella: egli 
fu il primo che desse all'Italia nuova forma e 
nuova disposizione, e che nuovo governo v'in- 
troducesse, il quale agevolò e rendè più facile 
la ruina della medesima: egli se bene fermasse 
la sua sede in Ravenna, come avevan fatto gì' im- 
peradori occidentali e Teodorico co' suoi Goti, 
volle però dare all'Italia nuova forma (2). Tolse 
via dalle provincie i consolari, i correttori ed 
i presidi contra ciò eh' avevan fatto i Romani 
ed i Goti stessi, e fece in tutte le città e terre 



(1) Marqiiard. Frrhrr. in Chronologia Ezjtrc. RaTen. apud 
L«*unrlaviuni. 

(i) Sigon. de R. Itaì. 1. i. 



LIBRO TERZO l4l 

di qualche momento ^ capi; i quali chiamò du- 
chi ^ assegnando giudici in ciascheduna d^esse 
per Pamministrazion della giustìzia. Né in tale 
distribuzione oqorò più Roma che V altre città ; 
perchè tolto via i consoli ed il senatori quali 
nomi infin a questo tempo eranvisi mantenuti, 
la ridusse sotto un duca che ciascun anno di 
Ravenna vi si mandava ^ onde surse il nome del 
ducato romano : ed a colui che per P imperadore 
risedeva in Ravenna e governava tutta F Italia, 
non duca, ma esarca pose nome, ad imitazione 
dell'esarca deirAflrica. Presso a' Greci, esarca 
diccasi colui che presiedeva ad una diocesi, cioè 
a più Provincie, delle quaU la diocesi si com- 
poneva: così nella gerarchia della Chiesa si \àde 
che quel vescovo il quale ad una diocesi , e 
seguentemente a più provincie, delle qiiali si 
componeva, era preposto, non metropolitano, 
che aveva una sola provincia , ma esarca era 
cliiamato. Così FltaUa pati maggiori trasforma- 
zioni sotto r imperio di Giustino imperador d'O- 
riente, che sotto i Goti medesimi, i quali ave- 
van proccurato di mantenerla nell'istessa forma 
ed apparenza con cui dagli antichi imperadori 
d'Occidente fu retta ed amministrata. 

Le Provincie, in quanto s'appartiene al go- 
verno, furono mutate e divise; e siccome prima 
ciascuna aveva il suo consolare, o correttore, 
o il preside, a' quali stava raccomandata l'am- 
ministrazione ed il governo delle medesime, per 
questa nuova divisione poi dandosi a ciascuna 



O Biond. Hist. 1. 8. JccìacI. ult. Jo. Slciclan. de quatuor Suin. 
Imp. 1. ). 



l4:2 ISTOUIA DEL REGNO DJ NAPOLI 

città o castello il suo duca ed un giudice^ ciar- 
sclieduiio d^ essi sol s^ impacciava del governo 
di quelle partìtamente, e solamente all^ esarca^ 
che da Ravenna governava tutta P Italia , stavan 
sottoposti^ sotto la cui disposizione erano ; ed 
a cui ne^ casi di gravame si ricorreva da^ prò* 
vìncìali. Quindi nefie nostre provinde trassero 
orìgine que^ tanti ducati che ravviseremo nel 
regno de Longobardi , parte sotto la domina- 
zione de^ Greci ^ come fu il ducato di Napoli ^ 
di Sorrento e d^ Amalfi, il ducato di Gaeta e 
r altro di Bari^ e parte sotto i duchi longobardi , 
i quali avendo ritolto a^ Greci quasi tutta FI- 
taUa e gran parte di queste nostre provincie^ 
ritennero questi medesimi nomi di ducati : onde 
poi sopra tutti gli altri s^avanzaron il ducato 
di Benevento , quello di Spoleti e F altro del 
Friuli, come diremo più ampiamente nel libro 
seguente di questa Istoria. 

Ma non durò guari in Italia F imperio de' Gre- 
ci, né Longino potè molto lodarsi di questa 
nuova forma che le diede; poiché questa mi- 
nuta divisione dcjlle provincie in tante parti ed 
in più (lucati rendè più facile la ruina d'Italia, 
e con più celerità diede occasione a' Longobardi 
d'occuparla; imperocché Narsete fortemente sde- 
gnato contra F imperadore , per essergli stato 
tolto il governo ai quella provincia che con 
la sua virtù e col suo valore aveva acquistata^ 
e non essendo bastato a Sofia di richiamarlo, 
che ella vi volle anche aggiungere parole piene 
d'ingiuria e di scherno, dicendogU cheFavrebl v 
fatto tornare a filar con gli altri eunuchi e fem* 
mine del suo palazzo ; questo capitano portò 



LIBRO T£UZO i43l 

tanto innanzi la sua collera ^ che mal potendo 
celar anche con parole il suo acerbo dispetto^ 
rispose; ch^egli all^ incontro F avrebbe ordita una 
tela che né ella, né suo marito avrebbon po- 
tuto districarla 3 ed avendo licenziato il suo 
esercito^ da Roma, ov^egli era, portossi in Na- 
poli, da dove cominciò a trattar con Alboino, 
suo grand^ amico, re de^ Longobardi, ch^ allora 
regnava nella Pannonia, e tant^ operò, finché lo 
persuase di venire co^ suoi Longobardi ad oc- 
cupare ItaUa. Ma poi che per la venuta de^ Lon- 
gobardi in Itaha le cose di quella presero altra 
lorma ; e siccome in essa sMntrodusse nuova po- 
lizia e nuove leggi , cosi ancora queste nostre 
Srovincie furon in altra maniera divise, e pren- 
eiido nuovi nomi, sotto altri dinasti si videro 
disposte ed amministrate, ed in un medesimo 
tempo sottoposte alla dominazione non pur d^mi 
sol principe, ma di varie nazioni, di Greci e di 
Longobardi, e talora anche di Saraceni; sarà 
util cosa per la novità del soggetto, e per la 
grandezza e varietà degli avvenimenti, che dopo 
aver narrata la poUzia ecclesiastica di questo 
secolo, nel seguente libro partitamente se ne 
ragioni 

CAPO VL 

DeW esterìor polizia ecclesiastica. 

La Chiesa ancorché sotto gfimperadorì Ar- 
cadio ed Onorio principi religiosi, i quaU quasi 
terminaron di distruggere F idolatria nellMmpe- 
rio romano, si vedesse, per quel che riguarda 



l44 ISTOaiA D£L aSGJXO DI NAPOLI 

questa parte, in istato florido e tranquillo} nut 
ladimeno fu comLattuta da tante e sì varie ere* 
sie, che uè li numei^osi e sì frequenti concilii, 
né le molte costituzioni degTiniperadorì pubbli- 
cate contra gii eretici, bastaron per darle pace* 
La religione pagana, se bene sotto gP impera^ 
dori cristiani, imitando i sudditi F esempio de* 
loro sovrani, si fosse veduta in grandissima de^ 
clinazione, nientedinoieno non essendosi repu« 
tato colla forza estinguerìa affatto, anzi avendo 
grimperadorì suddetti per lungo tempo tollerato 
i templi de^ Gentili, molte superstizioni pagane 
ed il culto degli Dei (i), era quella da^ più pro- 
fessata, ancorché il numero de^ Cristiani era 
molto maggiore di quello de^ Pagani. Ma sotto 
gl'imperadori Arcadio ed Onorio, il culto gen- 
tile era quasi ridotto a nulla in tutte le città 
dellUmperio: solamente ne' castelli, in pagis ed 
in campagna era F esercizio di quella religione 
mantenuto. Da questo venne il nome de' Pagani , 
che s'incontra spesso nel Codice di Teodosio (2), 
per significar gl'Idolatri: nome che lor era al- 
lora dato comunemente dal popolo cristiano, in 
vece di quello dì Gentili. GÌ imperadori Teodo- 
sio il giovane e Valentiniano III avviliron poi 
i Pagani in guisa, che vietando d'ammettergli 
alla milìzia, ovvero ad altro ufficio, gU ridus- 
sero a segno, che Tistesso imperador Teodosio 



(1) L. 10. C. Th. de Pa«an. 1. i. ft a. C. Th. de. M:il<»fir, 
(a) L. 18. C. Th. de Kpisc L. 46. C. Th. de Haerel. Gen»i- 
les, qiios vulgo Pagaiios appelIanL S. Aug, lib. a. Reclracl. 4^* 
Dooriiro falsoruin , mulorummie ciiltores, qi><^^ usitato numiue 
Paganos appellamus, V. Gotn. in notis aa tit. C. Th. de Pa- 
gania, 



LIBRO TERZO l45 

mette in dubbio se a^ suoi tempi ve ne fosse 
rimasò pur uno: Paganos qui supersunt, quamr 
quam jam nuUos esse credamus (i). In mie gli 
condanna e gli proscrìve, ed ordina che se pur 
V erano ancor rimasi lor tempii o cappelle , siano 
distrutte e convertite in chiese (a). 

Ma con tutti gli sforzi di quest^ imperadorì ^ 
restarono in campagna , in pagis , più antichi 
tempii ne^ quali il culto degh Dei era sostenuto; 
e per maggior tempo vi si mantenne, come qudli 
che sono gli ultimi a deporre F antiche usanze 
e costumi; tanto che nella nostra campagna pur 
si narra che S. Benedetto a' tempi del re Totila 
abbattesse una reliquia di gentilità ancor ivi ri- 
masa presso a^ Goti, ed in suo luogo v^ ergesse 
una chiesa. Restava ancor un* infinità di nazioni 
barbare nelle tenebre dell* idolatrìa; ma soprat- 
tutto assai più in questi tempi perturbavano la 
Qiiesa le scorrerìe de* Barban, ed i nuovi do^ 
minii stabiliti nell*imperìo da* principi stranieri: 
questi o non in tutto spogliati del paganesimo, 
ovvero per la maggior parte arriani, tutta la 
sconvolsero e malmenarono; e se Tltaha e que- 
ste nostre provincie non sofTerirono sì strane 
revoluzioni, tutto si dee alla pietà e modera* 
zione del re Teodorico, il quale, ancorché ar- 
riano, lasciò in pace le nostre chiese; e siccome 
non variò la polizia dello stato civile e tempo» 
rale, cosi ancora volle mantenere in Itaha Vi* 
stessa forma e polizia dello stato ecclesiastico 
e spirituale. 



(i) L. sa. C. Th. de PaganU. 

(a> L. ai, a3, a5. C. Th. de Pagan. 

GlAVVOVE , Fot, II, IO 



l48 ISTORIA Bit RtOtrÒ DI NAPOLI 

friniate I fu cosa molto facile di stenderia sopra 
altre psovincie. Per ragion del primato s^ ap- 
parteneva anche a lui aveme cura e pensiero j 
quindi cominciò in alcune provincie^ dove cre- 
dette esservene bisogno, a mandarvi suoi vicarìi. 
I primi che sostituirono, furon quelli che mandò 
iieirillìrico. Tessalonica, ch^era capo della dio- 
cesi dì Macedonia, nella quale il suo vescovo eser- 
citava le ragioni esarcau , da poi che riconobbe 
ì vicarìi mandati dal pontefice romano, si vide 
sottoposta al patriarca di Roma , Jl quale per 
mezzo de* meaesimi non pin* le ragiom di pri* 
mate , ma anche le patriarcali v* esercitava : e 
così avvenne ancora, oltre alla Macedonia, neir 
r altre provincie delT Illirico. Gol correr poi de- 
gli anni non solo alT autorità sua patriarcale sot- 
topose Finterà Italia, ma anche le Gallie e le 
Spagne; ond^è che non solo da^ Latini, ma da* 
Greci medesimi degU ultimi tempi era reputato 
il romano pontefice patriarca di tutto F Occiden- 
te ] siccome ali* incontro volevano che quel di 
Costantinopoli si reputasse patriarca di tutto 
r Oriente. S* aggiunse ancora, che a molte pro- 
vincie e nazioni che si rìducevan alla fede aella 
religion cattolica, erano pronti e solleciti i pon- 
tefici romani a mandarvi prelati per governarle, 
ed in questa maniera al loro patriarcato le sog- 
gettavano; siccome accadde alla Bulgaria, la 
quale ridotta che fii alla fede di Cristo, tosto 
le si diede un arcivescovo; onde nacquero le 
tante contese per questa provincia col patriarca 
di Costantinopoli che a so pretendeva aggiudi- 
carla. In cotal guisa tratto tratto i pontefici ro- 
mani estesero ì confini del loro patriarcato per 



LIBRO TERZO l49 

tutt^ Occidente ; oncr avvenne ( non senza però 
gravissimi contrasti ) che s^ arrogaron essi la po-« 
testa d^ ordinare i vescovi per tutto F Occidente y 
ed in conseguenza d^ abbattere e mettere a terra 
le ragioni di tutti- i metropolitani. Di vantaggio 
trassero a sé V ordinazioni de^ metropolitani stes* * 
si. Cosi quando prima F arcivéscovo di Milano ^ 
eh* era V esarca di tutto il vicariato d* Italia y era 
ordinato da* soli vescovi d* Italia, come sì legge 
appresso Teodorìto (i) dell* ordinazione di S. Am- 
brogio, in processo di tempo i romani ponte- 
fici alla loro ordinazione vollero che si ricercasse 
ancora il loro consenso, come rapporta S. Gre- 
gorio nelle sue epistole (a). Trassero a sé an* 
Cora tutte le ragioni de* metropoUtani intorno 
ali* ordinazioni per la concessione del pallio che 
lor mandavano, poiché per quello si dava da* 
sommi pontefici piena potestà a* metropolitani 
d^ ordinare i vescovi delia provincia j onde ne se- 
' giiiva che a* medesimi insieme col pallio si con*- 
cedeva tal potestà: quindi fii per nuovo diritto 
interdetto a* metropolitani di poter esercitare 
tutte le funzioni vescoviU, se non prima rice- 
vevano il pallio; e fu intt*odotto ancora di do- 
ver prestare al papa il giuramento della fedeltà 
che da lui rìcercavasL Fu ancora in progresso 
di tempo stabilito che F appellazioni de* giudicii 
che da metropolitani erano proferiti intorno alle 
controversie che occorrevano per F elezioni , si 
devolvessero al pontefice romano : che se gli 
elettori fossero negligenti, ovver F eletto non 



(0 Thfodorit. I. 4< Hi!«t. e. 7. 
(3) Greg. I. 9. £p. Si. 



/ 



l5o ISTORIA DEL lUEGHO DI NAPOU 

fosse idoneo , che V elezione si devolvesse al 
papa: che di lui solo fosse il diritto d'ammet- 
tere le cessioni de' vescovati; e di determinare 
le traslazioni e le coadiutorie colla futura suc- 
cessione: e finalmente che a lui s'appartenesse 
la confermazione delFdezioiii di tutti i vescovi 
delle Provincie. 

Ma tutte queste intraprese che si videro sopra 
l'altre provincie d'Occidente, non portarono va- 
riazione alcuna in queste nòstre onde ora si 
compone il regno ; poiché essendo qudle subur- 
bicarie, e su le quali il papa fin da principio 
esercitò sempre le sue ragioni patriarcali; Airone 
come prima a lui sottc^oste} né perciò si tolse 
ragione alcuna a' metropolitani; poiché non ve 
n'erano; né intomo ali ordinazioni de' vescovi 
si variò la disciplina de' precedenti secoli. Non 
ancora le nostre chiese erano innalzate ad es- 
ser metropoli; né anche; per la conceasion del 
pallio ; a' loro vescovi eran concedute; come fu 
fatto da poi; le ragioni de' metropoUtani ; né 
fin a quésto tempo erano state invase dal pa- 
triarca di Costantmopoli; poiché ciò che si narra 
di Pietro vescovo di Bari 0; che nell'amio 53o 
sotto il pontificato di Felice IV avesse dal pa- 
triarca ai Costantinopoli ricevuto il titolo di ar- 
civescovo e l'autorità di metropolitano; con fa- 
coltà di poter consecrare dodici vescovi per la 
sua provmcia di PugUa; non dee a quell anno 
riportarsi; quando queste provincie non erano 
state ancora da' Greci invase ; ed erano sotto 
la dominazione d'Atalarico re de' Goti, ma ne' 

O UglieL de Ep. Bar. BcaUllo Ilùt. di Bari , p. 9. 



lIBAO TER20 l5l 

tempi seguenti, quando sotto grimperadorì d^O* 
riente essendo rìmasa parte della Puglia e Ca- 
labria, ddla Lucania e Bruzio, e molte altre 
città marittime dell^ altre provincìe, i patriarchi 
di Costantinopoli col favore degPimperadori s^u^ 
surparono in quelle le ragioni patriarcali , come 
diremo ne^ seguenti libri 

s n. 

Del patriarca d^ Oriente. 

Se grandi furono F intraprese del patriarca di 
Roma sopra tutte le provincie d^ Occidente, mag-* 
giori e più audaci senza dubbio furon quelle del 
patriarca di Costantinopoli in Oriente : egli non 
solamente sottopose al suo patriarcato le tre dio- 
cesi autocefale. FÀsiana. (mdia di Ponto e la 
Tracia; ma col correr degli anni quasi estinse 
i tre celebri patriarcati d^ Oriente, f Alessandri- 
no, PAntioclieno e F ultimo di Gierusalemme. 
Né contenta la sua ambizione di questi confi- 
ni , invase anche molte provincie d Occidente; 
né perdonò a queste nostre, che per tutte le 
ragioni al patriarcato di Roma s^ appartenevano. 

Da quah bassi e tenui principii avesse il pa^ 
Inarcato di Costantinopoh cominciamento , si 
vide nA precedente libro. D vescovo di Bizan^ 
zio prima non era che un semplice suffraganeo 
del vescovo d^ Eraclea, il quale presiedeva come 
esarca nella Tiacia 0- ^pra tutti erano in 



(*) Getas* Epìst. i. 



\ 



l52 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

Oriente celebri ed eminenti due patriarcati. TA- 
lessandrino e FAntiochenò. (^ello d'Alessandria 
teneva il secondo luogo dopo il patriarca 'di' 
Roma, forse perchè Alessandria era riputata 
dopo Roma la seconda città dd mondo: T al- 
tro d^Antiochia teneva il terzo hogo , ragguar- 
devole ancora per la memoria che serbava d' a- 
vervi S. Pietro tenuta la sue prima cattedra. Cosi 
le tre parti del mondo tre chiese parimente ri- 
conobbero superiori sopra tutte T altre: TOcci- 
dente quella ai Róma, F Oriente quella d'An- 
tiochia^ ed il mezzogiorno quella d Alessandria. 
Non è però che sopra tutta Europa esercitasse 
la sua potestà patnarcale quel cu Romaj ov- 
vero quello d'Antiochia per tutta FAsia , e F al- 
tro d'Alessandria in tutta FAffiìca: ciascuno, 
come s'è veduto nel secondo libro, non esten- 
deva la sua potestà che nella diocesi a sé sot- 
toposta ; F altre ubbidivano agli esarchi propri ; 
e molti altri luoghi ebbero ancora i loro ve- 
scovi autocefali, cioè a niun sottoposti. Tali 
furon in Oriente i vescovi di Cartagine e di 
Cipro. Tali furon un tempo nell' Occidente i 
vescovi della Gallia, della Spagna, delia Germa- 
nia e dell' altre più remote regioni. Le chiese de' 
Barbari certamente non furon soggette ad alcun 
patriarca , ma si govemavan da' loro propri ve- 
scovi. Cosi le chiese d'Etiopia, della Persia, del- 
l' Indie e dell' altre regioni eh' eran fuori del ro- 
mano imperio , da' lor propri sacerdoti venivan 
governate. 

Vide ancora F Oriente un altro patriarca, e fu 
quello di Gierusalemme. Se si riguarda la dispo- 
sizione dell'imperio, non meno che il vescovo 



LIBRO TEiàO l53 

di Bisanzio j merìtava tal prerogatiTa il vescovo 
di Gierusalemme 3 e siccome quegli era suffira- 
ganeo al metropolitano d^ Eraclea nella Tracia^ 
così questi era suffiraganeo al vescovo di Cesarea 
metropoli della Palestina. Ma forse con più ra- 
gione si diedero gli onori di patriarca al vescovo 
di Gierusalemme. Fin da^ tempi degli Apostoli 
fu riputato un gran pregio il sedere in questa 
cattedra posta nella città santa , dove il nostro 
Redentore istituì la sua Chiesa y e dalla quale il 
Vangelo per tutte l'altre parti del mondo fu di»- 
seminato 3 dove TAutor della vita conversò fra 
noi j ove di mille sanguinosi rivi lasciò asperso 
il terreno: 

Dove mori, dorè sepolto fue. 
Dove poi rÌTetU le membra sue. 

Ma se altrove in ben mille esempi si vide 
come la polizia della Chiesa secondasse quella 
dell'imperio, e come al suo variare mutasse an- 
cor ella forma e disposizione, certamente per 
niun altro convincesi più fortemente questa ve- 
rità , che per Fingrancumento del patnarcato di 
Costantinopoh. Da che Costantino il Grande 
rendè cotanto illustre e magnifica quella città , 
che la fece sede dell' imperio d'Oriente, con im- 
pegno di renderla uguale a Roma, e che fosse 
riputata dopo quella la seconda città del mon- 
do y cominciò u suo vescovo anch' egli ad estol- 
lere il capo, ed a scuotere il giogo del proprio 
metropolitano. Per essere stata riputata Costanr 
tinopoli un^ altra Roma, ecco che ixel concilio 
costantìnopohtano f) vengono al suo vescovo 

O Conc CoDiUntin. «ap. 3. 



l54 ISTORIA DKi; RKGirO DI HAPOLI 

conceduti i primi onori dopo quella, eo auod 
sii nwa Roma. Cosi quando prima, dopo il ro-^ 
mano, i primi onori erano del patriarca d^Ales- 
aandria , sottentra ora qneDo di Costantinopoli 
ad occupare il suo luoga Eg^ è vero, come 
ben pruova Dupino O9 <2he i soli onori. furon 
a lui dal concilio conceduti, non già veruna pa- 
triarcal giurisdizione sopra le tre .diocesi auto* 
cefale: ma tanto bastò, che col specioso pre- 
testo di questi onori cominciasse e^ le sue 
intraprese ; non passò guarì che invalse la Tra- 
cia, ed esercitando ivi le ragioni esarcali, si 
rendè esarca di quella diocesi ed oscurò le ra- 
gioni del vescovo di Eraclea. 

Dopo essersi stabilito nella Tracia , lo spinse 
la sua ambizione a dilatar più oltre i suoi con- 
fini : invade le vicine diocesi, cioè FAsia e Ponto, 
ed in fine al suo patriarcato le sottopone. Non 
in un tratto le sorprende, ma di tempo in tempo 
col favor de^ concilii, e piò degP imperadorì. San 
Giovanni Crisostomo più di tutti gli altri ve- 
scovi di Costantinopoli aprì la strada d^ intera- 
mente occuparle : in fine venne ad appropriarsi 
non solo la potestà d^ ordinar egli i metropolitani 
dell^Asia e di Ponto , ma ottenne legge daU^ im- 
peradore , che niuno senza autorità del patriarca 
di Costantinopoli potesse ordinarsi vescovo j 
onde appoggiato su questa legge, si fece lecito 
poi orcÙnare anche i semplici vescovi. Ecco come 
1 patriarchi di Costantinopoli occuparono PAsìa 
e Ponto j dio che poi, per render più ferme le 
loro conquiste, si fecion confennare dal conciho 



O Dupin. loc. cit. dissert 1. 



LIBRO TERZO l55 

di Calcedonia e dagli editti degP imperadorì (i). 
S^ opposero a tanto ingrandimento i ponte- 
fici romani: Lione il Santo glie le contrastò: 
il simile fecero i suoi successori , e sopra tutti 
Gdasio (2)9 che tenne la cattedra di Roma dal- 

Fanno 49^ ^^ all^anno 49^* ^^ ^^^ ^ ^^^ 
sforzi riusciron vani ] poiché tenendo i patrìal^ 
chi di Costantinopoli tutto il favor degPimpe- 
radori, fìi loro sempre non ^meno confermato 
il secondo grado d' onore dopo il patriarca di 
Roma, che la giurisdizione in Ponto , nell'Asia e 
nella Tracia. L'imperador Basilisco in un suo 
editto rapportato da Evagrio (3) glie le ratifi- 
cò : r imperador Zenone fece V istesso per una 
sua costituzione eh' ancor si legge nel nostro 
C!odice (4)7 e finalmente il nostro Giustiniano 
con la sua Novella (5) secondando quel che da' 
canoni del concilio di Calcedonia era stato sta- 
tuito y comandò il medesimo. Ciò che poi fii ab- 
bracciato dal consenso della Chiesa universale } 
poiché essendo stati inseriti i canoni de' con- 
cilii costantinopoUtano e calcedonese ne' Co- 
dici de' canom delle chiese, fu ne' seguenti 
secoli tenuto per costante j il patriarca di Co- 
stantinopoli tener il secondo grado d'onore, e 
la giurisdizione sopra tutte e tre quelle diocesi. 
Ecco come questo patriarca si lasciò indie- 
tro gli altri tre eh' erano in Oriente. Quelle tre 
sedi non pure per lo di lui ingrandimento e 



(1) Liberal, in Breviar. e. i3. 

(3) Gclas. Epìsf. 4* ci Ep. i3 ad Epitcopos. 

(3) Cvagr. L 3. e 3. 

(4) L. decemimufl 16. C. de Sacros. Eccl. 

(5) NoT. i3i. e. I. 



l56 ISTORIA DSL EEGMO DI NAPOLI 

per le frequenti scorrerie de^ Barbari che ia-- 
yasero le loro diocesi^ ma assai più per le se* 
dizioni e contrasti che sovente insorsero- fi*^ 
loro intomo all' elezioni e inUumo a* dogmi ed 
alla disciplina y perderono il loro antico lustro e 
splendore; e da allora itmaiud con quest^ ordine 
SI cominciarono a numerare le sedi patriarcali y 
la Romana^ la Costantinopolitana » F Alessandri- 
na, FAntiochena e la Gierosolimitana. Quest^ or- 
dine tenne il concilio di Costantinopoli cdebrato 
ndFanno 536. Questo medesimo tenne Giusti- 
niano nd Codice e nelle sue Novelle , e tennero 
tutti gli altri scrittori non meno greci che la- 
tini. Non ancora però il nome di patriarca erasi 
ristretto solamente a questi cinque: alcune volte 
soleva ancor darsi ad insigni metropoUtani: cosi 
nel sopraccitato concilio di Costantinopoli si 
diede anche ad Epifanio vescovo di Tiro; e 
Giustiniano così nel (i) Codice come nelle (2) 
Novelle dà generalmente questo nome agli esar- 
chi eh' avevan il governo di qualche diocesi : non 
molto da poi però in Oriente questo nome si re- 
strinse a que soli cinque. 

Ma in Occidente si continuò come prima a 
darsi ad altri vescovi e metropoUtani. In Italia 
il nostro re Atalarìco appresso Cassiodoro (3) 
chiamò i vescovi patriarchi , ed il romano pon- 
teGce lor capo lo chiamò per tal riguardo ve- 
scovo de' patriarchi. Da Paolo Wamefrido (4) 
i vescovi aAquileia e di Grado sono anche 



^i> Cod. 1. I. tit. 3. r. 47* et tit. 4^.- e. 34. 

(2) NoY. 3. e. a. NoT. 6. e. 3. Epilog. Noy. 7.0! ia3. e. aa. a3. 

(3) Gas. 1. (). e. i5. 

(4) Paul. Warnefir. 1. 3. e. 7. 1« 6. e. 1 1. ci 1. 4* c« 10. 



LIBEO TERZO ìS*] 

nomati patriarchi. In Francia questo nome fu an- 
che dato a^ più celebri metropolitani ed depri- 
mati. Gregorio di Tours (i) chiamò Nicezio pa- 
triarca di Lione. Il concUio di Mascon, celebrato 
nellUnno 585 ^ chiamò Prisco vescovo di quella 
città anche patriarca (2). Desiderio di Gahors 
. appellò ancora Sulpizio vescovo di Bourges pa- 
triarca : ed Incmaro di Rems non distingue i pa- 
triarchi da' primati (3). Cosi ancora nea Affrica 
il primo vescovo de' VandaU assunse il nome 
di patriarca y ciò che non senza riso fii inteso 
da* vescovi cattolici; ed in decorso di tempo 
presso a quelle nazioni che si riducevan alla 
fede di Cristo j il primo vescovo eh' era loro 
datO; fii detto patriarca. Ridotta la Bulgaria alla 
nostra fede j V arcivescovo che se le diede, ed 
i suoi successori presero il nome di patriarca. 
Simili patriarclii hanno ora i Cristiani d'Orien- 
te (4); dove toltone queUi che propriamente 
si dicono Greci, i quah rìtengon tuttavia i quat- 
tro patriarchi, il Costantinopolitano, FAlessandri- 
110, l'Antiocheno e '1 Gerosolimitano , ancorché 
ì pontefici romani soglian essi parimente crear- 
gli titolari: quante sette vi sono, altrettanti pa- 
triarchi si contano. Così i Giacobiti hanno il lor 
patriarca : hannolo i Maroniti , e gU uni e gli al- 
tri prendon il nome di patriarca d'Antiocliia. I 
Copnti hanno ancora il patriarca che si fa chia- 
mare Alessandrino , e tien la sua sede in Ales- 
sandria. GU Abissini hanno il loro che regge tutta 

(0 Grog. TiiroD. 1. 3. hist. e. so. 
(a) Tom. 5. Concil. col. pSo. 

(3) llinciiiar. in lib. Capit.. 55. e. 17. 

(4) Dtipin. loc. cit. diascr. i. 






l58 ISTORIA DEL iREGNO DI NÀPOU 

F Etiopia, ancorabè al patriarca de^ Gophti sia 
in qualche maniera soggetto. I Giorgiam hanno 
un arcivescovo autocefalo a niun sottoposto. Gli 
Armeni hanno due generali patriarchi: il primo 
siede in Arad città delFAnnenia^ P altro m Gis 
città di Caramfuiia. 

Abbìam veduto quanto s^ innalzasse il pa-. 
triarca di Costantinopoli sopra ^ altri patriar- 
chi d'Oriente, e quanto stendesse i coimni del 
soo patriarcato in questo secolo fin alP impe- 
rio ai Giustino. Ne' due secoli seguenti lo ve- 
dremo fatto assai più grande • volare sopra al- 
tre Provincie e nazioni j poicnè non contenta 
la sua ambizione di questi confini, ne' tempi 
di Lione Isaurico lo vedremo occupare EDlin- 
co, Epiro, Acaia e la Macedonia: lo vedrem 
ancora soggettarsi al suo patriarcato la Sicilia 
e molte chiese di queste nostre provincie, e 
contendere in fine col pontefice romano per la 
Bulgaria e per altre regioni. 

S ni. 

Polizia ecclesiastica di queste nostre provincie sotto 
I Goti e sotto i Greci jin 4;^ tempi di Giustino IL 

Teodorìco e gli altri re Ostrogoti suoi suc- 
cessori, ancorché arrìani^ lasciarono, come si 
è detto, le nostre chiese in pace; e quella me- 
desima polizia che trovarono, fii da lor man- 
tenuta inviolata ed intatta. H pontefice romano 
vi fu mantenuto, ed in queste nostre provin- 
cie, come suburbicarie, esercitava come prima 
r autorità sua patriarcale , anzi era riconosciuto 



LIBRO TERZO iSq 

come patriarca insieme e metropolitano } poi- 
ché ìnfin a questi tempi le nostre metropob , in 
quanto alla polizia ecclesiastica , non ebbero ar- 
civescovo o metropolitano alcuno. Nelle città ^ 
corner prima ^ erano semplici vescovi; ricono- 
scenti il pontefice romano come lor metropo- 
litano: quindi Alalarìco (i), che aWescovi so- 
leva dar anche il nome di patriarca, chiamoUo 
vescovo de^ patriarchi £ se in alcune città d** I- 
taHa nel remo de^ Goti e de^ liOngobardi an- 
cora ^ i quau fnron parimente arrìani, si videro 
in una stessa città due cattedre occupate da 
due vescovi , F uno cattoUco , T altro arrìano i 
in queste nostre provincie , le quali si manten- 
nero sempre salde , e non furon mai contami- 
nate dagli errori d^Arrio , i vescovi professaron 
tutti la fede di Nicea y e serbaron le lor chiese 
pure ed illibate , e mantennero gli antichi dogmi 
e quella disciplina che serbava la romana Chiesa 
loro maestra e condottiera. I vescovi govema- 
van le lor chiese col comun consiglio del pre- 
sbiterio. Non si ravvisava in quelle altra gerar- 
chia , se non di preti, diacom, sottodiaconi , 
accoliti, esorcisti^ lettori ed ostiarìi, 

I vescovi eran ancora eletti dal clero e dal 
popolo, 6 ordinati dal papa, come prima, an- 
corché il favor de^ principi vi cominciasse ad 
avere la sua parte. Grozio (2) portò opinione 
che i re goti, o arrìani o cattoUci che fosse- 
ro, semper episcoporum electiones in sua pò- 
testate fiabuere; e rapporta essersi anche ciò 



(1) CoA. I. 9 c. i5. 

(3) Croi, in Proleg. ad hist. Got, 



]6o ISTOMA DEL UGNO DI NAPOU 

oasenrato da Giovanni Ganda : ma da' nostri 
re goti non si vide sopra ciò^ essersi usata al- 
tra potestà I se non qudla cb* esercitarono gFim- 
peradorì , cosi d' Occidente y - come d' Oriente^ 
Essi; come custodi e protettori ddla ^Gliiesa, 
e come quelli che reputavano appartener loro 
anche il governo e 1 esterior polizia delia me- 
desima, credettero essere della lor potestà ed 
incumbenza di regolare jcon loro leggi V elezio- 
ni, proibire F ambizioni, dar riparo a* disor- 
dini e tumulti sediziosi, e sovente prevenir^; 
riparar gii sconcerti che aUo spesso accadevan 
per le fazioni delle parti, e far decidere le con- 
troversie che per queste elezioni solevan sor- 
!;ere: ma reiezione al clero ed al popolo la 
asciavano , siccome F ordinazione a' vescovi 
provinciali, ovvero al metropolitano. Odoacre re 
degli Eruli, più immediato successor di Teodo- 
rico in Italia alle ragioni degF imperadori d'Oc- 
cidente, nell'elezione del vescovo di Roma e 
degli altri d' Italia vi volle avere la medesima 
parte: Basilio suo prefetto pretorio v'invigilò 
sempre, anche come e^ diceva, per ammoni- 
zione del pontefice SimpHcio, il quale gF inca- 
ricò, che morendo y niuna elezione si facesse 
senza il suo consiglio e guida 0* 

Ad esempio di quel che fece Fimperador 
Onorio nello scisma della Chiesa di Roma fra 
Bonifacio ed Eulalio, si osserva che Teodo- 
rico usasse della medesima autorità per F altro 
insorto ne' suoi tempi in Roma fra Lorenzo e 



O CoBc. RomaB. snb Sjminac. e bene i. di»i. 96. 



LIBRO TERZO l6l 

Simmaco. Per la morte accaduta nd fine del- 
r anno 49^ ^ P^^ Anastasio , jpretendevana 
ambedue essere innalzati su quella sede. Sim* 
maco diacono di quella Cjiìesa fu da maggior 
numero eletto ed ordinato: ma Festo aenator 
di Roma, ch^avea promesso aU'ìmperador Ana* 
stasÌQ dì &r deggere un papa die sarebbe 
stato d[>bidiente a suoi desiaeriij fece leg- 
gere ed ordinare Lorenzo. I due partiti pop* 
tarons' in Ravenna a ritrovare il re Teodonco, 
il quale giudicò clie dovesse rimaner vescova 
di noma colui il quale fosse stato eletto il 
primo, ed avesse avvito il maggior numero de' 
suffragi, Simmaco avea sopwa Lorenzo ambe- 
due questi vantaggi ; onde fu confermato nel 
possesso di quella sede, e nel primo anno del 
suo ponlifìcato tenne un concilio , dove furon 
di nuovo fatti alcuni canoni per impedir nel- 
r avvenire le competenze in simili elezioni. 
Quelli die s'eran opposti all'ordinazione di Sim» 
DUCO, vedoidolo tor mal grado in possesso, fe- 
cei-o tutti i loro sforzi perchè ne fosse scaccia- 
toj gli attribuiron perciò motU delitti, sollevaron 
una gran parte del popolo e del senato contro 
di esso, e domandaron al re Teodorico un vi- 
sitatore, cui delegasse la conoscenza di queste 
accuse. Teodorico nominò Pietro vescovo di 
Aitino , il (pale precipitosameate e centra il 
diritto spogliò incontanente il papa dell'am- 
ministrazione della sua diocesi e di tutte le fa- 
coltà ddla Chiesa. Questa azione sì precipitosa 
eccitò in Roma gravi sconcerti e perniziosì tu- 
multi : Teodorico per acquetargli fece tosto nel> 
l'anno 5oi convocare un concilio in Roma, al 
Gianhore, T^ol. Il, Il 



162 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

quale invitò' lutti i vescovi (Tltalia 0- Vanda- 
ron quasi tutti i vescovi della nostra Campagna j 
quel di Capua^ di Napoli ^ di Nola^ di Cuma, 
di MisenO; di Pozzuoli ^ di Sorrento, di Stabia^ 
di Venafro, di Sessa^ d^Alife, d^ Avellino; ed al- 
cuni altri dell^ altre città di questa provincia. Dal 
. Sannio vi si portarono i vescovi ai Benevento, 
d^Isemia, di Boiano, d'Atina, di Chieti; di Ami- 
temo ed altri. 

Da queste due provinole^ come piò a Roma 
vicine, ve ne andaron moltissimi: dalF altre due, 
come dalla Puglia e Calabria, e dalla Lucania 
e Bi*uzio, come più da Roma lontane e più a^ 
Greci vicine, ve ne andaron molto poclii. Vi 
vennero ancora i vescovi d'Emilia, di Liguria 
e di Venezia , i quali passando per Ravenna , 
parlaron a Teodorico in favor di Simmaco; ed 
essendo giunti in Roma, senza volere impren- 
dere ad esaminare l'accuse proposte contro Sim- 
maco, lo dichiararono innanzi al popolo inno- 
cente ed assoluto, e s'adoperaron in guisa col 
re Teodorico, che si contentò di quella senten- 
za; ed il popolo col senato ch'erano molto ir- 
ritati contro al papa, si placarono, e lo rico- 
nobbero per vero pontefice. Restarono tuttavia 
alcuni mal contenti che produssero contra quel 
sinodo una scrittura : ma Ennodio' vescovo di 
Pavia vi fece la risposta, la quale fu approvata 
in un altro concilio tenuto in Roma neir anno 5o3, 
nel quale la sentenza del primo sinodo fu con- 
fermata. Le calunnie inventate contra Simmaco 



O Paul, Warncfrid, Zonaias, Grot. in rrolegoni, ad His. Got. 



LIBRO TERZO l63 

passarci! fino in Oriente, e l'imperador Ana- 
stasio ch^ era separato dalla comunione della 
Chiesa romana, glie le rinfacciò: Simmaco eoa 
una scrittura apologetica si giustificò assai bene^ 
il quale mal grado de^ suoi nemici dimorò pa"* 
cifico possessor di quella sede fin all^anno 5 14 
che fu quello della sua morte. 

Fu in questi tempi riputato così proprio de* 
principi di regolare queste elezioni, per evitar 
gli ambimenti e le sedizioni, che Atalarico mosso 
da' precedenti scismi accaduti in Roma per l'e^ 
lezione de' loro vescovi, volendo dare una norma 
neir avvenire, affinchè non accadessero consimili 
disordini, imitando gl'imperadori Lione ed An-« 
temio , fece un rigoroso editto ( che dirizzò a 
Giovanni II romano pontefice, il quale nell'an-» 
no 532 era succeduto a Bonifacio su la sede di 
Roma) con cui regolò l'elezioni non solamente 
de' pontefici romani, ma anche di tutti i me- 
tropolitani e vescovi} imponendo gravissime 
pene a coloro i quali per ambizione o per de- 
naro aspirassero ad occupar le sedi, dichiaran- 
dogli sacrilegi ed infami, e die oltre alla resti- 
tuzion del denaro ed altre gravi ammende, da 
impiegarsi alla reparazione delle fabbriche delle 
chiese ed a' ministri di quelle, sarebbono stati 
severamente puniti da' suoi giudici; e le lor ele- 
zioni, come simoniache, avute per nulle ed in- 
valide. Diede con questo editto altre providenze 
per evitar l'altercazioni e litigi sull'elezioni, le 
quali riportate al suo palazzo da' popoli , egli 
n'avrebbe tosto presa cura e dato provedimen- 
to : dichiarando che ciò ch'egli stabiliva per 
questo suo editto, s'appartenesse non solo per 



l64 ISTORIA DEL REGNO DI HAPOLI 

reiezione del vescovo di Roma^ sed etiam ad 
universos pairiarchas, aique metropolitanas eo 
clesias. Fu questo editto istronientato per Gas- 
siodoro (i)^il quale ancorché cattolico e nelle 
cose ecclesiastiche versatissimo ^ tanto che oggi 
vien annoverato fra li non inferiori scrittori della 
Chiesa^ e da alcuni riputato per santo, forse per- 
chè mori monaco Cassinese (2) , non ebbe alcun 
riparo di non solamente istrumentarlo , ma con- 
sigharlo ancora , come assai opportuno al suo 
principe; né fu riputato , secondo le massime 
di quésto secolo, estranio e lontano dalla sua 
real potestà. Fu dirizzato a papa Giovanni II, 
che lo ricevè con molto rispetto e stima, né 
se ne dolse: anzi se è vero esser £^a quelite- 
pistola che leggiamo fra le leggi del Codice (3)^ 
scrìtta air imperador Giustiniano , dove tanto 
commenda il suo studio intorno alla disciplina 
ecclesiastica (poiché Ottomano (4) ed altri (5) 
ne dubitano, ancorché venga difesa da Fachi- 
neo (6)) si vede che questo pontefice non con- 
trastò mai a' principi quella potestà che s'at- 
tribuivano sopra la disciplina della Chiesa. E di 
vantaggio Atalarìco lo mandò ancora a Salvan- 
zio (7), che si trovava allora prefetto della città 
di Roma, acciocché dovesse senza frapporvi di- 
mora pubbUcarlo al senato e popolo romano : 



CO Cassiod. 1. 9. 0. i5. 

Ca) P. Garct, in Vita Cagsiod. 

(3) L. intcr. claras , Cod. de summa Trinit. et fld. cath. 

C4) Hot. 1. obs. 7. e. a. 

C5) V. Alciat. 1. 5. par. e. a 3. Cujac' obs. Sa. r. a6. 

(fi) Fachin. controv. 1. 8. e. i. 

(7) Cassiod. 1. 9. e. 16. 



LIBRO TERZO l65 

anzi perchè di ciò ne rimanesse perpetua me- 
moria ne^ futuri secoli , ordinogli che lo facesse 
scolpire nelle tavole cU marmo ^ le quali dovesse 
egli porre avanti V atrio di S. Pietro Apostolo 
per pubblica testimonianza (i). 

Vollero i re goti, come successori degPim- 
peradori d'Occidente, mantener tutte quelle pre- 
rogative che costoro avevan esercitate intomo 
all'esterior polizia ecclesiastica, delle quali ne ren- 
dono testimonianza le tante loro costituzioni, re- 
gistrate nell'ultimo libro del Codice di Teodosio. 
Cosi appartenendo ad essi lo stabilire ì gradi 
dentro a' quali potevan contraersi le nozze (2), 
vietare i matrimonii ne^ gradi più prossimi, di- 
spensargli per mezzo di loro rescritti (3) , ed 
aver la conoscenza delle cause matrimoniali^ 
non dee parer cosa nuova se tra le formole 
dettate da Cassiodoro (4) si legga ancora quella 
de' nostri re goti formata per le dispense che 
solevan concedere ne' gradi proibiti aalle leggi. 
Cosi ancora imitando ciò che fecero gl'impera- 
dori d' Occidente e d' Oriente, di non permettere 
assolutamente e senza lor consenso a' loro sud- 
diti di ascriversi alle chiese o monasteri, di che 
ne restano molti vestigi nel Codice Teodosiano, 
fu de' Goti ancora, come scrive Grozio (5), non 



(1) Leges olirn in atriis Ecclesiae locabantar. Ciijac. 1. i. Feud. 
tìL 17. JureL ad Cassiod. 1. 9. e. 16. 

(a) L. 3. l. 16. C. Th. de. incrst. nnpt. Ambr. Epist. 65. ad 
Patem. 1. 8. 1. si quis , C. de incestis. nup. 1. in celehrandis , 
C. de nupt. 

(3) L. 1. C. si nuptiac ex re^ripto pctantur. V. Launojo in 
Trart. Regia in matnmon. poiestas pari. 3. art. 1. 

(4) Cassio<l. 1. 7. e. 4^. 

(5) Grot. in Prolej^. ad Hist. GoL 



l66 ISTORIA. DEL REGNO DI PIAPOLI 

minus laudanda cautio, quod subditorum suo- 
rum neminem permisere se Ecclesiis, aut mona" 
steriis manciparey suo impcrmissu. 

La medesima polizia intomo a ciò fu ritenuta 
in queste nostre provincie^ quando da' Goti pas- 
sarono sotto gFimperadori d'Oriente, e molto 
più sotto r imperio di Giustiniano. GFimperadori 
d^ Oriente calcaron ancora le medesime pedate^ 
e delFimperador Marciano, che in ciò fu il più 
moderato di tutti, siccome scrisse Facondo (i) 
TescoYO d^Ermiana in Afiìrica, si leggono molti 
editti appartenenti all'esterior polizia della Chie- 
sa. L'imperador Lione, imitato da poi da Ata- 
larico , proibì ancora a' vescovi F elezione per 
ambizione e per simonia ; ed oltre alla pena della 
degradazione imposta dal concilio di Calcedonia, 
v'aggiunse egli quella dell'infamia 5 ed Aiiteinio 
fece il medesimo (2). Ma sopra tutti gli altri im- 

Seradori d'Oriente, Giustiniano fu quegli che 
ella disciplina ecclesiastica prese maggior cura 
e pensiero: donde nacque che gli ultimi impe- 
radori d'Oriente, non sapendo tener poi in ciò 
regola né misura, s'avanzaron tant' innanzi , che 
finalmente sottoposero interamente il sacerdozio 
alF autorità del principe. Le sue Novelle per la 
maggior parte sono ripiene di tanti editti sopra 
la disciplina della Chiesa, che \ien perciò egli 
arrolato nel numero degH autori ecclesiastici. 
Egli più leggi stabilì intorno alFordinazion de' 
vescovi, della loro età, de' requisiti che debbon 



(i) FacunH. I. io. r. 3. 

(a) Jacob. Got. in Cod. Th. t. 6. AnUicm. I. si qiirmqiiam , 
C. de Episr. et Clrricis. 



LIBRO TERZO 167 

aver coloro per esser eletti e promossi al ve- 
scovado ; della loro residenza^ oell^ loro nazione 
e privilegi; ed inSnite altre cose a quelli appar- 
tenenti. Regolò le convocazioni de^ sinodi e de^ 
concilii, e loro prescrisse il tempo. Diede vani 
provedimenti intomo a^ costumi e condotta de^ 
preti; diaconi e sottodiaconi; alle loro esen- 
zioni e cariclie personali. Fece molti editti ri- 
guardanti la degradazione de' cherìci; ed intorno 
alla regolarità e professione de' monaci. Diede 
con sui! leggi maggior forza e vigore a' canoni 
che furono stabiliti in varii concilii; imponendo 
a' metropolitani; a' vescovi ed a tutti gli eccle- 
siastici P osservanza di essi; aggiungendo gravi 
pene a coloro che a quelli contravvenissero, 
d'esser deposti e degradati dal loro ordine: e 
moltissimi altri editti sopra le cose ecclesiasti- 
che stabili; che possono vedersi nelle sue No- 
velle e nel suo Codice. 

Appartenevasi ancora all'economia del prin- 
cipe impedire a' vescovi l' abuso delle chiavi. 
Così quando essi s'abusavano delle scomuniche; . 
tosto lor s'opponevano; e Giustiniano stesso con 
sua legge (i) proibì a' vescovi le scomuniche; 
se prima la cagione non fosse giustificata : e ne^ 
Basilici ancor si vede con particolar legge (2) 
proibito a' vescovi di scomunicar senza giusta 
cagione; e quando non concorrano i requisiti da' 
canoni prescritti. Quindi avvenne che i principi 
ne' loro reami; che in Europa stabilirono dopo 
la decadenza dell'imperio romano ;. vi vcJlero 



(1) Nov. 3a3. 

(3) Ba^il. Ii1>. 3o. C. tic EpÌ!»ropii ci Clericiii. 



l68 ISTORIA DEL RfiCIlO DI HÀPOLI 

mantenere questo diritto, come praticano gli 
Spagnuoli ed i Franzesi, e come ancora veggìamo 
tuttodì in questo nostro, reame; di che altrove 
ci sarà data occasione d mi più lungo discorso. 
Né in qnesti tempi furono queste leggi reputate 
come eccedenti la potestà imperiale; anzi furon 
queste di Giustiniano comunemente riccTute non 
men in Oriente che in Occidente , come ne ren*- 
don testimonianza Giovanni Scolastico patriarca 
di Costantinopoli^ S. Gregorio M. (i), Incma- 
ro (2) ed altri. £ se non è apocrifa la stia epi- 
stola che si legge nel nostro Codice (3) ^ di si 
fatta cura e pensiero ch'egli mostrò verso F ec- 
clesiastica discliplina, n'ebbe per commenda- 
tore e panegirista Fistesso Giovanni romano 
pontefice. 

Le medesime pedate furon calcate da Giustino 
suo successore, sotto l' imperio del quale ora veg- 
giamo queste nostre provincie. Per la qiial cosa 
non fu infin a questo tempo (per ciò che s'at- 
tiene a questa parte) variata la polizia ecclesia- 
stica di queste nostre provincie , ma da' Goti 
e da' Greci fu ritenuta la medesima che si vide 
ne' secoU precedenti salto i successori di Co- 
stantino fin a Valentiniano IH imperador d'Oc- 
cidente. 



CO Grcg. lib. a. Episl. 54. 

Ca) Hincmar. opusc. cap. 17. 

(3) L. inter claras, C. de sammt Trìnk. et Fid. CaUli. 



LIBRO TERZO 169 

S IV. 
D^ mo.'raci. 

Cominciarono però in questo secolo le nostre 
Provincie a sentir qualche mutazione per ri- 
guardo del monachismo^ che di tali tempi ehbe 
nelle medesime la perfezione e lo stabilimento. 
Come si vide nel precedente libro^ non ancora 
fino a' tempi di Valentiniano eransi hi queste 
nostre parti stabiliti i sohtarii o cenobiti. Ma 
ecco cn essendosi P ordine monastico perfezio- 
nato in Oriente^ tanto per le leggi degPimpe- 
radori^ quanto da^ varii trattati ascetici^ e di- 
venuto sopra tutti gh ordini quello di S. Basilio 
celebre e numeroso^ che in due nostre provincie 
più a^ Greci vicine ^ cioè nella PugUa e Calabria, 
nella Lucania e Bruzi, comincian a fondarsi in 
alcune città delle medesime monasteri di quel- 
r ordine che BasiUani furon appellati. 

Nelle due altre, quanto più si Greci lontane, 
tanto più a Roma vicine, cioè nella Campagna 
e nel Sannio, vedi stabilito il monachisibo per 
molte regole, ma sopra tutte per quella di S. Be- 
nedetto , il cui ordine fu si avventuroso, che sta- 
bilito nella nostra Campagna, si sparse in poco 
tempo non solo per Fltalia, ma eziandio per la 
Francia e per F Inghilterra. 

S. Benedetto nacque in Norcia, città della 
diocesi di Spoleto, verso Tanno 480. Fu con- 
dotto giovane in Roma a studiare j ™^ 

O $• Oi^< in Vita S. Benedicti. 



lyO ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

fastidito delle cose del secolo^ si ritirò in Su- 
biaco 4^ miglia da Roma distante; e si chiuse 
in una grotta^ ove dimorò per lo spazio di tre 
anni, senza che alcuno ne avesse notizia, tol- 
tone Romano monaco, il quale gli somministrava 
dal suo vicino monastero il mangiare: essendo 
stato poi conosciuto, i monaci d^un monastero 
vicino, per la morte del loro superiore, F eles- 
sero abate; ma i loro costumi non confacendosi 
con quelli (li Benedetto, egli si ritirò di nuovo 
nella solitudine, dove, visitato da molte persone, 
vi fabbricò dodici monasteri, de^ quali T abate 
della Noce rapporta i nomi e i luoghi dove fu- 
ron fondati (i). Dì là passò nell^anno 529 nella 
nostra Campagna (a) , e fermossi nel monte che 
da Casino, antica colonia de' Romani, la qual 
è nella sua costa, prende il nome, lontano da 
Subiaco intorno a 5o miglia , e da Roma -70. 
Quivi giunto, abbatte una reliquia di gentilità 
ch'era in quell'angolo ancor rimasa presso. a' 
Goti, ed in suo luogo v'erge un tempio che de- 
dicò a' SS. Martino e Giovanni. I suoi prodigiosi 
fatti ivi adoperati e la santità della sua vita 
tiraron in quel luogo della gente, e molti sotto 
la sua regola ivi rimasero. Si rendè vie più fa- 
moso per l' opinione e slima che s' acquistò 
presso a Totila re d' Italia , e presso a molti 
nobiU romani: crebbe perciò il numero de' suoi 
monaci, e vi s'arrolavan i personaggi più insi- 
gni; ond'egli stese la sua regola, e gettò gli sta- 
bili fondamenti di un grand' ordine. 



Co Ab. de \iicr in noi. ad Vi!. S. Rencdicti. 

(7Ì) V. Camil. Ft^llrgi*. in Serie ab. Casaiod. in princ. 



LIBRO TERZO I^I 



La divozione de^ popoli e la fama della sua 
santità tirò ancora la pietà di molti nobili ad 
arricchirlo di poderi e di facoltà. TertuUo pa- 
trizio romano 9 vivendo ancor S. Benedetto, gli 
donò tutto quel tratto di territorio eh' è d'in- 
torno al monastero Cassinese (i), onde Zaccheria 
in suo diploma disse esser quel monastero edi- 
ficato in solo TertuUi (2) : donogh ancora molte 
altre possessioni che e' teneva in Sicilia; e Gor- 
donio padre dì S. Gregorio M. gli donò una sua 
villa che possedeva ne contorni d'Aquino. Così 
tratto tratto, non ancor morto S. Benedetto, 
cominciò questo monastero a rendersi numeroso 
ed illustre per la qualità de' suoi monaci, e ad 
arricchirsi per le tante donazioni che alla gior- 
nata gli si tacevano. La sua fama non potè con- 
tenersi nella sola Campagna: si mandavan anche 
monaci di sperimentata probità e dottrina a fon- 
dar ncll' altre nostre provincie altri monasteri. 
Cassiodoro , uno de' più illustri personaggi di 
questo secolo, nell'età di «jo anni ritiratosi dalla 
corte si fece monaco , e tratto dalla fama di 
S. Benedetto eh' ancor viveva, volle ne' Bruzi, 
e propriamente in Squillace suo natio paese, 
fondarvi un monastero, che secondo pruova il 
P. Garezio (3), e rapporta Dupino (4)? lo pose 
sotto la regola di S. Benedetto, nella quale egli 
viveva ; e venuto poi a governarlo , menò in 
quello venticinque anni, che fu il resto di sua 
vita, essendovi morto veccliissimo d'età di più 



CO Lro OsL in Chron. 1. i. e. i. 

(a) Ab. ciff Nucc ad Chr. Cassimi. lor. cit. 

(3) P. GarcU in disser. de Vita Monaiit. Cassiod. 

<4) O'i pin. in Biblinth. t. 5. .>rrulo ^. 



in 2 ISTORIA DEL REGITO DI NAPOLI 

di 95 anni^ verso Fanno 565 di nostra salute, 
onde Bacon di Venilamio (i) lo fa quasi che 
centenario. 

Questo è il monastero Vivarìese , ovvero Ca- 
steUese, di cui tratta ben a lungo il P. Gare-- 
zio monaco Benedettino della congregazione di 
S. Mauro (a), fondato da Cassiodoro, di cui ne 
fii abate, non molto lungi da Squillace a pie del 
monte volgarmente chiamato Moscio, ovvero Car 
stellese, da una villa di tal nome quivi vicina, 
le cui radici vengono bagnate dal fiume Pelena , 
oggi detto di Squillace. Fu nomato Vivarìese^ 
perchè Cassiodoro, mentre occupava i primi 
onori nella corte de* re goti, sovente soleva an- 
dar a diporto a Squillace sua patria, ed in quella 
villa, per la comodità ed abbondanza dell^ acque 
di quel fiume che irrigava le radici del monte, 
fece costruire molti vivai (3). Avendo da poi per 
la caduta de^ Goti abbandonata la corte, ren- 
dutosi monaco, quivi ritirossi, e costrusse in 
quel luogo ove aveva i suoi vivai e poderi, que- 
sto monastero, dove compose la maggior parte 
delle sue opere, e nel quale ancora ebbe per 
compagno Dionigi il Piccolo (4). Lo arricchì 
delle sue possessioni e d^una biblioteca, e lo 
rendè illustre e numeroso per molti monaci; fa- 
cendo anche nella sommità di quel monte co- 
struire molte celle per coloro i quaU dalla vita 
monastica volevan passare air eremitica , e da 



(1) Baco Histh. vilac et mortis, p. 534» 

Ca) P. Garrì, in vita Cass. par. a. § 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12, 

(3) Cass. lib. la. var. op. i5. 

(4) Cass. 1. Divin. lect. e 29. S. Grog, ad Jo. Episc. Scyllacoiiin, 
rp. 33. ì. 7. 'Rrgist. indici. 1. 



LIBRO TERZO . lyS 

cenobitì rendersi anacoreti e solitarii (i). Prima 
di morire lasciò ivi per abati Calcedonio e Ge- 
ronzio y V uno perone reggesse gli eremiti che 
nella sotumità del monte Castellese eransi riti- 
rati, r altro i cenobiti del monastero Virariese, 
Il P. Garezio (2) rapporta ancora, che dopo la 
sua morte per molti anni fu ritenuto da mo- 
naci Benedettini; ma che poi vi sottentrarono 
in lor luogo i Basilìani , che lungamente il ten- 
nero, insino che per le susseguenti irruzioni de* 
Saracini non fosse stato disfatto e minato. Così 
non pur nel vicino Sannio e nella Puglia comin- 
ciarono in questi tempi a fondarsi monasteri di 
quest'ordine, ma ancne nelle provincjie più re- 
mote e lontane. 

Neil' ultimo anno di sua vita mandò S. Bene- 
detto Placido suo discepolo in Sicilia a fondarvi 
de' monasteri del suo ordine, dove colle dona- 
zioni di TertuUo e divozione di que' popoli 
fu propagato per tutta quell' isola. Altre missioni 
in questi meaesimi tempi si fecero nella Fran- 
cia, dove S. Mauro, Fausto e' suoi compagni vi 
fecero meravigliosi progressi. Morì S. Benedetto, 
secondo Lione Ostiense ed altri, nell'anno 543, 
ovvero secondo alcuni altri nell' amio 547 ) ^^^^ 
essendo ancor appurato presso agU scrittori 
il preciso giorno ed anno della sua morte ; di 
che l'abate della Noce (3), come d'un punto 
d'istoria nK»lto importante, tanto s'affatica e 
si travagUa. Ma per la di lui morte crebbero 



(1) CaM. L Divin. Icct. r. Sa. 
(3) Garct. loc. cit. g 13. 
(3) Ab. de Mucc p. 93. 



1^4 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

e s^ avanzaroii più tosto le fortune al suo 
ordine ] imperocché da poi assai più moltìplica- 
ronsi i monasteri, e si stese non pur in Italia ^ 
Sicilia e nella Francia , ma ancora nell^Lighil- 
terra e nelF altre più lontane provincie del- 
l'Europa. 

In cotal guisa queste nostre due provincie ^ 
la Campagna ed il Sannio^ videro in maggior 
numero i monasteri di quest^ ordine^ i quali nel- 
r altre due provincie, come più remote, furon 
più radi 3 ma ben air incontro più numerosi 
quelli fondati sotto la regola di S. Basilio. La 
Puglia e la Calabria, il Bruzio e la Lucania, e 
le città marittime della Campagna, come Napo- 
li, Gaeta, Amalfi ed alcune altre, che per la 
maggior parte lungo tempo dimorarono sotto 
gV inipcradori d'Oriente, come più a' Greci vi- 
cine, e co' quali aveano assai più frequenti com- 
merci, ricevettero con maggiore prontezza i loro 
istituti ; ed in Oriente essendo la regola di S. Ba- 
silio assai celebre e rinomata, quindi avvenne 
che tutti o la più parte de' monasteri che vi 
si fondavano, sotto quell' ordine erano istituiti. 
In Napoli S. Agnello lu il primo, per quanto si 
sa , che vi stabihsse un monastero , cominciato 
prima da S. Gaudioso, di cui egli ne fu abate. 
Alcuni (i) credettero che S. Agnello seguitasse 
la regola di S. Benedetto} ma il P. Caracciolo (2) 
pruova assai chiaro che fu monaco Basiliano. 
il quale trovando che S. Gaudioso, quando si 



(0 Rror. in hisr. Trilìirm. 

(2) Carar. Monnm. San-, Nrap. de S. Agnello Abbate. Ughell. 
de KpiM;. Ncap. tom. G. p. 75. 



LIBRO TERZO 1^5 

ricopro in P^apolì, dove morì l'anno 4^3, avanti 
che fosse nato S. Benedetto , v' avea eretto un 
monastero^ egli vi stabilì la regola di S. Basi- 
lio ] ordine che in que^ tempi erasi renduto as- 
sai celebre e rinomato. Né queUo passò sotto 
la regola di S. Benedetto , se non ne* tempi pò- * 
steriori^ morto Agnello^ dopo Famio Sgo^ quando 
i Benedettini cominciaron ad essere più consi- 
derati e si renderon piò famosi. Molto tempo 
da poi, ne* secoli men a noi remoti, verso Pan- 
no i5i7, fu abitato da* canonici regolari della 
congregazione del Salvatore (i), siccome oggi- 
giorno vi dimorano. E così in questo sesto se- 
colo , come ne' secoli seguenti si videro in Na- 
poli molti di questi monasteri sotto la regola 
di S. Basilio , come il monastero Gazarese nella 
piaggia dì mare, de* SS. Nicandro e Marciano , 
di S. Sebastiano, de* SS. Basilio ed Anastasio 
nella regione Amelia, dì S. Demetrio nella re- 
gione Albina, di S. Spirito ovvero Spiridione, 
di S. Gregorio Armeno nella regione Nostriana, 
di S. Maria di Agnone, di S. Samona, de' SS. Qui- 
rico e Giulitta ed altri ed in Napoli ed al- 
trove (!2). 

Ecco come in queste nostre provincie fos- 
sero stati introdotti i monasteri. I primi che 
vi comparvero , furono sotto la regola di S. Ba- 
silio e di S. Benedetto; e quindi essendosi già 
introdotte le comunità di donzelle , le quali f a- 
cevan voto di virginità , e dopo certo tempo 
ricevevano con solennità il velo, si videro 



(i) Ugb. loc cit. p. So. 

(9) I\ Carac. loc, cit. Ugh. loc. cH. 



1^6 ISTOKU DEL BECNQ DI NAPOLI 

parìmenti i raonasterì di donne soUo la reg(^ di 
S, Benedetto, cV ebbero ancora per loro cod- 
dottìera Scolastica di lui sorella, e sotto quella 
dì S. Basilio, che sono ì più antichi che rav- 
visiamo in queste nostre prorincie. G>8Ì presso 
di noi fu sUubiUto Tordine monastico, il quale 
perb in questi tempi non avea fatti que^ mara- 
Tigliosi progressi che si sentiranno in appresso. 
Né ^ aDati e' monaci erano stati ancora sot- 
traili dalla giurisdizione de^ veacoTÌ, nà lor con- 
ceduti que' tanti privilegi da' ponte6ci romani . 
ì quali per averli a sé devoti e ligìi da poi 
lor conce.dettono. Si rendè perciò il monte Ca- 
sino uno de' due più celebri santuari] ch'ebbero 
in quesl'etù le nostre provincie, ove concorre- 
van i peregrini da tutte le parti del mondo. 
Un altro in questi medesimi tempi era surto in 
Puglia nel monte Gargano per l'apparizione dì 
S. Michele, che narrasi accaduta in quella grotta 
a tempo di papa GeLnsio , mentre la sede di Si- 
ponto era occupata dal vescovo Lorenzo. San- 
tuarii che nel regno de' Longobardi e de' Nor- 
manni si renderò» così chiari e rinomali, che 
jier la loro miracolosa fama tiraron a sé non 
pur i peregrini dalle più remote parli del mondo, 
ma anche i maggiori re e monarchi d' Europa > 
ed ì più potenti principi della terra. 

$ V. 

Regolamenti eccUtiastici, e nuove collezioni. 

I regolamenti ecclesiastici si videro in questi 
tempi, non men iulorao a' dogmi, che alla 



LIBRO TERSO 1 77 

disciplma , assai più ampii e numerosi. CoU* oc- 
casione a essersi convocati più sinodi e con- 
cilji , si stalùliron in conseguenza moltissìnii 
canoni. & cominciò a stabilirne anche (U quelli 
ches'appaiieneraao alla potestà de* principL I 
gradi di parentela cbe [Hima si regOKiTaDo se- 
condo le leggi civili, furon anche regolati da* ca- 
noni, e le proibiùoni delle nozze furono stese a* 
cugini ed a figliuoli de* cugini. Teodosio M. area 
prima proibite le nozze ira* cugini y il cbe coit- 
lermaron Arcadio ed Onorio sixa figliuoli, come 
attesta S. Ambrosio (i) ■ Giustiniano p<M le per- 
mise {ay-f onde TViboniano volendo inserir nel 
suo Codice la legge di Teodosio (3>, la smo^ 
xic& sconciamente per non farla contrad<^re a 
ciò che Giustiniano avea su ciò variato (4)* ^ 
canoni ora le proibbcono, non pur fra' cugini^ 
come avea fatto Teodosio, ma anche fra' fi^uc^ 
di quelli} ed introdusser poi un nuovo modo 
di computare ì gradi, che Cuiacio (5) stima non 
esser più antico di S. Gregorio Ai. e dd papa 
Zaccberia. Non s'eran ancora intesi regolamenti ' 
intorno alle facoltà delle chiese; ma essendo in 
questi tempi cresciute e malmenate dagli eccle- 
siastici, sì cominciò a &r de' canoni po' impe- 
dirne il dissipamento e ralÌMiaziom. Era della 
potestà de' princìpi il proibir 1' op«'e sa:vili nel 
di di domenica, e ^'imperadon ne stavano in 
possesso, come ai vede dalle leggi dì lione e 



(0 S. Amb. Ep. 66. fd Paternum, 
(3) S duoTum , Iati, de Nuptiii. 

(3) L. li quii 5. C. de incrit. Nuptifa. 

(4) L. ia cdebnodìi, C de Nuptiia. 
iS) Cajaa. til. decretai. ■' 

GlATtWOMt, Fol. II. 



1^8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

d Antemio (i) : ed ora si vede sopra di ciò es- 
sersene anche fatti canoni. H dichiarar le chiese 
per asili (2) s' apparteneva agli stessi impera- 
dorì, come se ne leggono molte costituzioni nel 
Codice di Teodosio ; ma ora miesto diritto vien 
anche dichiarato da^ canonL Ne furon eziandio 
stabiliti molti su V usure e divorzi e sopra altre 
materie ; la cui provvidenza e regolamento s'ap- 
parteneva ed era deUa potestà ed imperio de' 
prìncipi* Quindi si vide il lor numero crescere 
m immenso; onde sursero.altrì Codici e nuove 
compilazioni. 

Nel precedente libro s'è veduto che fin a' 
tempi di Valentiniano Uly cosi la Chiesa Oc- 
cidentale, come F Orientale non conobbero al- 
tri regolamenti che quelli che furono rauuati nel 
Codice de* canoni della Chiesa unis^rsale, com- 
pilato per Stefano vescovo d'Efeso. Ma da poi 
nel pnmo anno dell'imperio di Giustiniano^ 
nel 5^7 uscì fuori la Collezione di Dionigi il 
Piccolo. Questi fu un monaco scita abitante in 
Roma, e fu il primo che introdusse l'uso di nu- 
merar gli anni dalla nascita di Cristo S. N.; come 
noi facciamo ^incora (3) ) poiché prima si com- 
putavano o nella maniera dell^ antica Roma per 
u consoli, o per U primi stabilimenti de' prin- 
cipi greci successori d'Alessandro^ ovvero per 
li tempi de' martiri che sofTerìrono il martirio 
sotto Diopleziano : ed in Ispagua per l'Era d'Au- 
gusto imperadore, che precede 38 amii alla 



CO L. ult G. de Feriis. 

(a^ V. P. Sarp. He juro Asyìor. 

(3) Dou)ut, UuU du Droit Gan. par, i. cap, 17. 



LIBRO TERZO I^g 

nascita di Cristo. Egli fìi amicissimo di Cassio^ 
doro^ dal quale fìi ricercato che istruisse nelle 
discipline e particolarmente nella filosofia i suoi 
monaci nel monastero Yivarìese (i) : lesse quivi 
insieme con Cassiodoro la dialettica^ e più 
anni dimorò suo compagna in quel magi&terio« 
Gli encomii che da Cassiodoro gli v^ngon dati^ 
si leggono ancora nelle sue opere (2). £gli aiw 
rìchi la Chiesa latina di molte traduiioni fe-> 
deli dell* opere de^ Greci; ed a ridiiesta di 
Stefano vescovo di Salona (3) in Dalmazia 
tradusse in latiiK) la raccolta de^ canoni greci 
più fedelmente che non era la traduzione an<« 
tica latina y della quale si servivano eli Occi-« 
dentali: a questa aggiunse tutto ciò che v^era 
nel Codice greco^ cioè i 5o canoni apostolici^ 
i canoni del concilio di Calcedonia^ di Sardica^ 
di Cartagine e d' altri concilii d'Affrica. 

Aggiimse parimente V epistole decretali da Si-^ 
rìcio papa ^ che morì Y anno 398 y fino a papa 
Ormisda che mori nell^anno 523: argomenta 
che r epistole che si rapportano prima di Si-« 
rìcio sieno apocrife. Si cnìamavano lettere de- 
cretaU quelle che i pontefici scrivevano sopra 
le consultazioni de^ vescovi per decidere i punti 
di disciplina 9 e le quali si mettevano fra cag- 
noni. Cosi i Greci mettevano fra i canoni le 
tre lettere di S. Basilio ad Anfilochio y ed alcune 
altre de' più famosi vescovi ddle sedi maggio- 
ri (4). A queste poi, dopo la morte di Dionigi ^ 

(1) P. Garet. in vita Gas. par. a. § ao. et ai. 

(a) Cass..Iib. Dir. Icct. cap. aa. 

(3) Gas. loc cìt Doujat hist. du Droit Can. parU i, e. 17. 

(4) Fleary in Inst. Jur. Can. in piinc. 



l8o IST5rU del RIORO DI ICAP0U 

fiiron aggiunti i decreti dì Gregorio. 11^ conv* 
presi in 1 7 capitoli y còme fii osaenrato da Pie<- 
tro de Marca arcivescovo di Parigi (i). Quel che 
reca maravi^a^ si è« che benché il Codice gre- 
co^ di cui si servi IKonip^ . fioiase nel concilio 
costantinopolitano T^ al quale eransi poi ag- 
giunti discontinuatamente i canoni del concilio 
calcedonèse, come afierma fl medesimo Dio- 
nigi nella prefazione a Stefiwò vescovo di Sa- 
Iona; tuttavia avendovi dovuto aggiunger tanto 
del suo^ come i canoni sardicensi ed affiìcanij 
non & ninna menzione dd coucifio efesino^ o 
de^ suoi canom fatti nelTanno J^Si^ quando, 
questi canoni si trovano nel Codice greco dato * 
in luce dà Justello nelPanno i6i0^ onde si ri- 
fiuta V opinione di coloro che stimano che Giu- 
stiniano nella Novella i Siffatta netfanno 4^1^ 
avesse confermato e data forza di legge al Co- 
dice de^ canoni compilato da Dionigi^ poiché 
quivi Giustiniano conferma anche i canoni fatti 
nel conciUo efesino ) ivi: Sancimus yicem le-- 
gum obtinere sanctas ecclesiasticas regulas, ec. 
in Ephesina prima ^ in qua Nestorius est damna-- 
tusy ec. Doujat (2) però dice che Dionigi non ne 
fece menzione, perchè quel concilio non stabili 
canoni attenenti alla disciplina, ma solamente 
canoni riguardanti F esecuzione della condanna 
di Nestorìo e suoi aderenti. 

Questa collezione di Dionigi in Occidente ed 
in queste nostre provincie ebbe tutta F autorità 



(1) P. de Marca de Concord. lib. 3. cap. 3. 

(a) V. Doujat loc cìU n. a. et part. i. cap. 7. nuni. 4« 



LIBRO TEKZO l8l 

e lutto il vigore (i); e da Niccolìi 1 R. P. (3) 
TÌen chiamata per eccellenza Codex Ccatonum^ 
e dal diritto canonico Corpus Canonum (3). E 
ne' tempi seguenti ebbe tanta forza, che nel- 
r anno "^S"] data in dono da Adriano I a Cario 
Magno (4) ; questo principe comandò a' vescovi 
di Francia che invigilassero all'osservanza de' 
canoni in quella racchiusi; e comprese que' de- 
creti nel suo Capitolare d'Aix la Chapellej che 
fece comporre nell' anno 789, secondo che narra 
Justello (5). 

Intorno al medesimo tempo nelfanno 547, 
Fulgenzio Ferrando diacono di Cartagine fece 
un' altra raccolta di canoni (6) f ma con diverso 
ordine, più tosto citandogli che rapportando- 
di, e sotto ciascun capo raccolse 1 canoni cU 
diversi concilii, della quale fa menzione Gra- 
ziano nel suo Decreto (7). 

n cardinal Baronio (8) stima che circa que- 
sti medesimi tempi aìeno state fatte le collezioni 
di Martino di Braga e di Gresconìo. Altri cre- 
dono (9) che quella di Martino fosse fatta in- 
torno air anno Sia, e Faltra di Cresconio circa 
r anno 670. Manmo , di nazione unghero e mo- 
naco Benedettino , fìi vescovo di Braga in Por- 
togallo. Fece la sua raccolta per uso delle chiese 



(t) Cm*. lib. Div. tecL ctp. as. 
(I) Caa. 1. diit. IO, 

(3) In liucr. cap. 3. d« prarbead. 

(4) Sirmond. to. 3. Coac Gali, ad A. •} 

(5) V. Juitcl. in praef. ad Coà. Eccl. U 

(6) Donjat hisL du Droìt Can. par. i. e 
i-fl Grat. Can. lacror. 3j. ditt. 63. 

(8) Baron. ad An. S37. num. 76. 
(9} Douiar. loc. cit Dunt. a. «t 3. 



iSq istoria del regno di napoli 

di Spagna, traducendo i sinodi greci ^ ed ag- 
giungendovi altri canoni di concilii latini e spe* 
zialmente de^ Toletani : questa collezione però , 
fuori delle Spagne ; non ha avuto uso ne au- 
torità, se non quanto avesse servito per illu- 
strazione (i). 

Cresconio vescovo d^Ai&ica compose la sua 
collezione di canoni, della quale ci resta un 
compendio, il cui titolo, secondo un MS.- che 
rapporta ilBaronio, era questo: Concordia Ccb^ 
nonum a Cresconio Africano Episcopo digesta 
sub capitibus trecentìs. E perchè ivi fassi an- 
che menzione d'un poema in versi esametri' 
composto dal medesuno Cresconio per cele- 
brar le guerre e le vittorie riportate da Gio- 
vanni Patricio contro i Saraceni d^ Affrica, fa 
conto il Baronio eh' egli vivesse intomo a' tempi 
di Giustiniano imperadore. 

Giovanni Scolastico, che, mandato Eutichio 
in esilio 5 fu innalzato al patriarcato di Costanti- 
nopoli da Giustiniano imperadore (2), e visse 
anche dopo lui, fu il primo che in Oriente 
avesse fatta raccolta dove s'unissero insieme 
i canoni colle leggi , spezialmAe le Novelle di 
Giustiniano ; la qual spezie di libro fu chiamata 
poi Nomocanone da' scrittori seguenti. E ben- 
ché questa collezione, divisa in cinquanta titoli, 
da principio ebbe qualch'uso; nonoiraeno Teo- 
doro Balsamone nel supplimento osseiTa che 
a tempo suo, cioè nella fine del secolo duo- 
decimo, non aveva alcuna stima, come quella 

(1) V. Aut. Aiigust. ]>ar. a. epitom. jur pontific cap. i5. et 
in GraL Dìalog. io. ii. et la. 

(q) V. Nìr. Alrmannum ad hisff. arcan. Procopìi. Ju6t<*l. lor. rìL 



LIBRO TERZO l83 

eh' era stata adombrata dal Nomocanone di Fo- 
zio, più utile e piiì abbondante (i) 

Queste furono le collezioni de' canoni che 
dopo il Codice de' canoni della Chiesa univer- 
sale sursero ne' seguenti tempi infin all' impe- 
rio di Giustino successor di Giustiniano (3): le 
quali non avevan forza di legge , se non quando 
dagrimperadori e principi era lor data. La Chiesa 
non avea peranche in questi tempi acquistata 
giurisdizione perfetta, a che potesse far valere 
i suoi regolamenti come leggi, e obbligare ì 
fedeli con temporal costringimento all' osser- 
vanza de' medesimi , o punire i trasgressori con 
f)ene temporali : obbligavan solamente per la 
orza della religione le loro anime j e le pene 
e' gastighi erano spirituali, di censure, peni- 
tenze e deposizioni I principi per mezzo delle 
loro costituzioni lor davan forza di legge, ob- 
bligando i sudditi ad osservargli con tempo- 
rale costringimento , come il manifestano in 
Oriente le Novelle di Giustiniano , la collezione 
di Giovanni Scolastico, i Nomocanoni di Fozio 
e di Balsamone ; ed in Occidente , nella Fran- 
cia i Capitolari di Carlo M., in Ispagna le leggi 
di qua' re, per le quali a' canoni stabiliti né con- 
cilii tenuti in Toledo, o altrove , davan tutta la' 
forza ed autorità; ed in Italia i tanti editti di 
Teodorìco e d'Atalarìco, che appresso Ca«sio- 
doro si leggono. 



(0 V. Frane. Flon-nL Ar Orig. Jur. Can. pur. 3. $ 3. JutUl. 
loc. ril. P. Al" Marra Ae Concorìl. lib. 3. cap. 3. ^ tt. 
(3) V. FIrDi? in Inilit. Jur. Can. 



l86 I8T0RU DEL RSGKO DI. RAMU 

condennati, ed il rìmaneDte da dorenì imjùe* 
gare alle fabbriche ddlechiete, e per aovreni* 
mento de^ loro imiÙBtrì. ' 

Intorao alle loro caoM àTÌU fa aeriiata a* ma- 
gistrati secolari la medeaiiiui gÈorisdisioBe cbe 
prima avevano j.doTersn innanB 9 loro istituirà 
1 giudicii, proponer le loro aiioni. e citati dar 
mallevoiia /luiicio sistì. Sdamante il re Atalarìco 
favorì in CIÒ la Chiesa romana, approvando una 
consuetudine che s'era introdotta nd cWro di 
quella, di doversi prima i suoi preti convenire 
o accusare avanti il loro veacóva I mt^tntì 
secolari che in Roma da qad principe erano 
staU destinati ad anumnistrar giustizia, secondo 
ciò che praticavasì in tutte T^tre provincìe, ad 
istanza del suo creditore, costrinsero un diacono 
di quella chiesa a soddisfar il debito; e lo strin- 
sero con tanta acerbità, che lo diedero iv mano 
del medesimo creditore a custodirlo. Un altro 
prete della medesima chiesa per leggieri cagioni 
accusato, lo trattarono assai aspramente e con 
molti strazi. Il clero di Roma con flebiU lamenti 
e pregliiere ricorse al re Atalarico, esponendogli 
che nella lor chiesa per lunga consuetudine, af- 
finchè ì loro preti intrigati nelle liti del foro e 
tra^ negozi del secolo non si distogliessero dal 
culto diviAo, erasi introdotto che avanti il loro 
vescovo dovessero convenirsi; e che ciò non 
ostante da' suoi magistrati erano stati uu lor 
prete e un diacono acerbamente e con molte 
contumelie trattati: pregavano per tanto la cle- 
menza di quel principe a darvi opportuno prov- 
vedimento. Q re alle loro preci rispose, che per 
la rivo^nza ed onore che sì doveva a quella 



LIBRO TERZO 187 

sede apostolica y d! allora innanzi stabiliva 
che se alcuno avea da convenire qualche prete 
del clero romano in qualsivoglia causa, dovesse 
prima rìcon^ere al giudicio dd vescovo di quella 
sede, il quale dovesse o egli conoscere more 
suae sanctìtatìs de^ meriti della causa, ovvero 
delegarla , aeqiUtatis studio ierminandam ; ma 
se Fattore o r accusatore, usando di questa ri^ 
Terenza, si vedesse deluso e differito nelle sue 
dimande, o quelle disprezzate, timc ad saecu- 
lana fora jurgqturus occorra^. All'incontro se, 
pretermesso questo suo comandainento, ricor- 
rerh alla prima a' tribunali secolari, gF impone 
pena di dieci Ubbre d^oro, da doversi da' suoi 
tesorieri immantenente riscuotere, e per le mani 
del vescovo dispensarsi a^ poveri, e ai vantaggio 
cadesse dalla causa, e con tal doppia pena fosse 
punito. Ma non tralasciò Àtalanco nell'istesso 
tempo d' ammonirgli , che vivessero come si con- 
veniva al loro stato, dicendogli: Magnum scebis 
est crimen adndttere^ qiios nec conversationem 
decet habere saeculap$m: professio vestra vita 
caelestìs est NoUte ad mortaìiwn vota humilia 
et errores descendere. Mundani coèrceantur hur 
mano jure, vos sanctis moribus obedUe. 

Ecco come in questi tempi in tutte f altre 
chiese de' magistrati secolari era la conoscenza 
e giurisdizione delle cause cosi civili come cri-* 
minali , e gli ecclesiastici erano sottoposti a^ loro 
gindicii ed ammende: né perchè al solo clero 
di Roma, per riverenza di quella sede, volle 



O Cassiod» lib. 8. cap. a^, ronsideranles apo8tolicae scdis 
honorrm. 



l88 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Atalarico usar questa indulgenza ^ fii perciò al 
suo vescovo^ o pure a qudli a^ qnati egli de- 
legava le cause y data per giudicarle giurisdizióne 
alcuna^ tna solo che dovessero terminarle mord 
suae sanctUaiis et aequiiaiis studio y in forma 
d^ arbitrio e di caritatevole composizione; non 
già in forma di giudido e di giustizia conten- 
ziosa« 

(^ustiniano adunque fii il primo che cominciò 
>ad accrescere la conoscenza de* vescovi nelle 
cause degli ecclesiastici^ e diede a qudU privi- 
legio di non piatire avanti giudici laici. Questo 
prmcipC; siccom'egli era pietoso e religioso y 
cosi accrebbe la conoscenza de* vescovi ^ ordi- 
nando per le sue Novelle che neir azioni ci- 
vili i monaci ed i cherici sarebbero convenuti 
in prima innanzi al vescovo ^ il quale decide- 
reboe le loro differenze prontamente senza pro- 
cessi e senz* alcun rumore o strepito di giudi- 
ciò; a condizione però che se una delle parti 
dichiarasse fra dieci giorni di non volere acque- 
tarsi al suo giudicio^ il magistrato ordinario pren- 
desse cognizione della causa, non per forma d* ap- 
pellazione , come alcuni credettero , e come m 
ciò superiore al vescovo j ma tutto di nuovo : e 
se giudicava come aveva arbitrato il vescovo ^ 
non v'era appellazione da lui; ma se altrìmente , 
si dava in questo caso luogo all^ appellazione. E 
quanto alle cause criminali , era permesso d^ in- 
dirizzarsi contro il cherico, o innanzi al vescovo^ 
ovvero al giudice ordinario , salvo ne' delitti ec- 
clesiastici; come d'eresia, simonia, inobbedienza 

O NoT. 83. et ia3. 



LIBRO TERaO 189 

al vescovo^ ed ogni altro concernente la loro qua- 
lità^ la cui conoscenza era attribuita al solo ve^ 
scovo: come altresì delle differenze concementi 
alla religione ed alla polizìa ecclesiastica anche 
contro a^ laici. Stabili ancora che se nelle cause 
criminali il cherico fosse condennato dal giudice 
laico ; la sua sentenza non potesse eseguirsi ^ né 
il prete degradarsi senza V approvazione del ve- 
scovo: che se egli non lo volesse fare; era ne- 
cessario di ricorrere all^imperadore. Ed in quanto 
a' vescovi, diede loro particolarmente questo pri- 
idlegio di non piatire per niente innanzi a^ ma- 
gistrati laici, il qual privilegio diede ancora alle 
religiose per la Novella 79, che gl'interpreti hanno 
malamente steso a^ religiosi. E questo regola- 
mento di Giustiniano contenuto nella Novella i23 
è quasi interamente reiterato dalle costituzioni 
delrimperador Costantino IO fi^uolo d'Eraclio 
e d'Alessio Comneno, rapportate per Balsamone 
nel titolo sesto del suo Nomocanone. Ecco come 
per privilegio del principe si cominciò ad in- 
grandire la conoscenza de* vescovi: non è però 
ch'allora acquistassero giustizia perfetta, che il 
diritto chiama giurisdizione, sopra i preti, non 
avendo di que' tempi territorio, cioè jiis terrendi, 
né preciso costringimento. Per la qual cosa non 
potevano di lor autorità imprigionare le persone 
ecclesiastiche } né avevan carceri; né potevan 
imporre pene afflittive di corpo, d'esilio, e 
molto meno di mutilazion di membra o di mor- 
te, anche ne' più gravi delitti ; né condennare 
all'ammende pecuniarie. 

Le pene che usavano , erano deposizioni o 
sospensioni dagli ordini, digiuni e penitenze: e 



IQO ISTOBiÀ DEL AEGNO DI NAPOLI 

?uesta fonna di disciplina contìnuossi per tutto 
ottavo secolo: ciò che ottimamente notò Gre- 
Jorio H in qudDa bella epistola che dirizzò a 
ione Isaurico (i) ^ dove fa vedere quanto sia 
grande la differenza fra le pene delTmiperìo e 
della Chiesa. GFimperadori condannano a morte ^ 
imprigionano^ mandano i rei in esilio e rilegano: 
jion cosi i pontefici: Sed ubi, come sono le sue 
parole^ péccarii quis et ctmfessusJùerUy suspenr 
dii, ifd amputatipnis capUis locò, Esumgelium 
et crucerà ejus cervicibus circumponunt, eimn 
que tamquam in carcerem, in secretaria, scLcrO' 
rumque snisonun aeraria con/iciunt, in ecclesiae 
diaconia et in catecumena ableganl, oc visce^ 
ribus eorum jejunium, ocuUsque vigilìas et laur* 
dadonem ori ejus indicunt Cwnque probe castt- 
garint, probequefame a^fiixmnt, ium pretiosum 
itli Domini corpus impartiuht, et sancto illum 
sanguine potant: et cum iUum \his electionis re* 
stituerint, oc immunem peccati , sic ad Deum, 
purum insontèmque transmiUuht P7des, Impera- 
ter, ecclesianun imperiorumque discrimen^ ec. 
Avevan però gli ecclesiastici in questi tempi 
cominciato ad usurparsi la potestà di bruciare 
i libri degU eretici^ perchè nell^amio 433 il pon« 
tefice Lione il Santo bruciò in Roma molti libri 
de^ Manichei y ouando prima la censura solamente 
apparteneva alla Chiesa, ma la proibizione o bru* 
ciamento al principe (2) ; di cne altrove ci tor- 
nerà occasione di piò lungamente ragionare. 



CO (vregor. II. Epi«t. i3, ad Leon. Isaur, Rioher. in Apolog, 
Jo. Gerson. |>ar. 3, ax, 36. 
(a) Feuret, 1. S, e a. n. 7. 



LIBRO TERZO IQl 

S VII. 
Beni temporali. 

Non al pali della conoscenza ndle cause fu 
ringrandimento de^ beni temporali nelle nostre 
chiese: fti questo di gran lunga a quello supe- 
riore. I princìpi intorno agli acquisti che tutta- 
via facevano , non molto vi badavano ; e non 
solo poca cura si presero d'impedire gli ecces- 
sivi, come fecero Teodosio M. e gli altri impe- 
radorì suoi successori, ma anch^essi vi contri- 
buirono con donazioni e privilegi (i). Quando 
prima gli acquisti facevansi dalle sole chiese y 
ora cominciando in queste nostre provincìe a 
fondarvisi de' monasteri, ancor essi ne tiravano 
la lor parte, e molti buoni presagi ne diedero, 
fin da'loro natali, i monasteri di S. Benedetto. 

S'aprirono ancora nuovi altri fonti donde ne 
scaturiva mjiggior ricchezza : sursero in questi 
tempi i santttarii, e allargossi grandemente la ve- 
nerazione delle reliquie de' Santi. I tanti miracoli 
che si predicavano, l' apparizioni angeliche, le 
particolari devozioni a' Santi e l'esortazioni de^ 
monaci tiravano le genti per la loro devozione 
ad offerire a' loro monasteri ampie ricchezze. 
Fu riputato ancora in questi tempi il donare o 
lasciare per testamento alle chiese , essere un 
fortissimo remedio per ottener la remissione de* 
peccati. Salviano (a) , che fiorì nell' imperio di 

0) Cuiìod. I. 13. e. il. 

<3) Salvila, lib. i. et sciju. adver. avarit. Aut. Matl. uhiiikI. 
ad Ju Can, I, a, tiU a. 



193 ISTORIA DEL REGNO Di IfiPOLI 

Anastasio^ esortava a molti pietosi che soccor- 
ressero le loro anime ultima rerum suarum obla- 
tione. Quindi sovente leggiamo nelle donazioni 
fatte alle chiese quella clausola r prò redemptione 
animarum, ec. 

Si stabiU ancora un nuovo fondo assai più 
stabile di quel di prìma^ donde se ne ritraevano 
buoni emolumenti* Le decime che ne^ tre primi 
secoli erano libere e volontarie , e nel quarto e 
Quinto secolo^ per la tepidezza de* Fedeli in 
darle I erano avvalorate aa* sermoni de^ PP. e 
dalie loro esortazioni perchè non le tralascias- 
sero; in questo sesto secolo dÌTennero debite 
e necessane (i). Vedendo che niente allora gio- 
vavano le prediche e F esortazioni , fu bisogno 
ricorrere ad aiuti più forti e vigorosi; onde si 
, pensò a stabiUrle per via di precetti e di canoni. 
Cosi molti concihi d^ Occidente e più decretali 
de* romani pontefici fecero passare in legge Fuso 
di pagarle. Per queste ed altre vie le ricchezze 
delle chie&Q cominciaron ad essere assai più am- 
\m e considerabili^ ed a posseder es&e partico^ 
m patrimonii. La Chiesa di Roma sopra tutte 
r altre si renda riccliissima ^ tanto che narra 
Paolo Vamefrido (a) ^ eh' avendo Trasimondo 
re de* YandaU in Affrica mandato in esiUo 220 
vescovi, Simmaco, che allora sedeva nella cat- 
tedra di Roma, fece a tutti somministrar ciò 
che lor bisognava per sostentarsi. Né si pensò 
solo a' modi d'acquistar le ricchezze, ma anche 
a* modi di conservarle; poiché colle ricchezze 



(,1) Fr. de Roye Instit. CaDon. lib. 3. de dectm. 
(2) Paul. lib. i5. sub. Ana«t. 



LIBRO TERZO 193 

essendo congiunto il rilasciamento ddla disci- 
plina e de* costumi , quelle appropriandosi gli 
ecclesiastici, come facoltà proprie, dove prima 
non eran considerate se non come patrimonio 
de' poveri, venivan in conseguenza mal impiegate 
e peggio distribuite: onde più concilii (quando 
che prima non erasi per anche fatto alcun re- 
• golamento sopra questa materia) si mossero a 
stabilire un gran numero di canoni, proibendo 
l'alienazioni, regolando il modo di distribuirie, 
e badando sopra tutto alla loro conservaùone 
e sicurezza. Égli è però ancor vero che non 
perciò i principi lasciarono di stabilir leggi in- 
tomo a' fieni ecclesiastici^ regolando gli acqui- 
sti, e talora anche le maniere di distribuirgh, 
e vietando gli abusi: e Giustiniano ci accerta 
d' aver egli di suo diritto stabilite molte leggi 
intomo a* medesimi <i). 

La divisione de' frutti di questi beni in quat- 
tro parti, una dell'amministratore o beneficiato, 
l'altra alla Chiesa, la terza a* poveri, e la quarta 
a' cherici, che s'attribuisce a papa SimpUcio, il 
qual fìi eletto nell'anno 4^^; ^'^^ ^ "* questi 
tempi sempre costante , né la medesima per 
tutte le Provincie d' Occidènte. In Francia nel 
concilio I d' OH^ms (s) ragunato 1' anno 5 1 1 
s'assegna la metà al vescovo, e l'altra metà al 
dero. Li Ispagn» dal concilio I di Braga (3) 
tenuto nell'anno 563 la divisione dell'oblazioni 
si riserva a' cherici tutti in comune. Ma da poi 



(.1) V, de Marca dr Concor. Sac et Imp. 1. a. i 
(a) Cap. i6. ' 

(3> Gap. ai. 



1^4 I8T0&. DEL REGNO DI HAP. LIBRO TERZO 

nd concilio IV di Toledo convocato sotto il re 
Sifienando nelF anno 633; fii stabilito che i ve* 
acovi avessero la tersa parte delle rendite (i). 
Cosi; come assai a proposito notò Graziano (2)^ 
accendo la divertita de* luoghi e consuetudine 
ddle regioni y al vescovo era riservata ^ in alcune 
la terza; in altre la ^larta parte: né tali divi* 
sioni fbron sempre e da per tutto invariabili e 
peipetue. 

urande che fosse stato in questo sesto secolo 
r accrescimento de* beni temporali delle nostre 
chiese e de' monasteri, a riguardo però degU altri 
immensi ed eccessivi acquisti che poi si videro 
nel regno de* Iiongobardi e de* Normanni, era 
co mp ortabile, né moka alterazione recossi per- 
ciò allo StatGf civile : maggiore lo ravviseremo 
sotto i Ixmgobardi, il regno de* <]uali saremo 
ora per narrare. 



(1) Can. coDttitutiiin 69. caut. 16. ou. 1. 

Ca) Crai. po«t can. poateMÌouet eao. caos. et. qu. 



DELL'ISTORIA CIVILE 

DEL 

REGNO DI NAPOLI 



LIBRO QUARTO 



1 Longobardi non altronde che da^ Goti ri- 
conoscono la loro origine; e la penisola di Scan- 
dinavia fu dell'una e dell'altra gente la comune 
madre: regione che a dovere fu da Giornande 
appellata P^agina gentium, e che può merita- 
mente vantarsi di avere prodotti tutti quelli 
prìncipi che lungamente le Spagne, buona parte 
della Gallie, e sopra tutto F Italia signoreggia- 
,rono: la quale ancorché veggasi di questi tempi 
sottratta dal dominio de' Goti, ben tosto rìcadae 
sotto quello de' Longobardi; e questi poi man- 
cati, sotto i Normanni che pure vantano la 
medesima orìgine (i). I Gepidi, che dalla pro- 
sapia de' Goti discesero, usciti da quella peni- 
sola insieme co' Goti, alla Vistola fermaronsi (2): 
indi superati i Borgognoni, si avanzarono, come 
narra Procopio, neU'una e nell'altra riva del 
Danubio, dove furono a' Romani infesti per le 



(1) JomaDdci HUt. Got. 

(a) Grot. in Prolegom. ad Hi«t« Got. 



V .■ 



196 ISTOKIA DKL RE<^0 DI NAPOLI 

varie incorsioiii e scorrerie che fecero in qudk 
regione, secondo che scrive Vopisco. Finalmente 
regnanao in Oriente Marziano imperadorc; avendo 
discacciati ^ Unni daDa Pannonia^ quivi ferma- 
rono le loro sedL Egli è éltrerì appresso si gravi 
scrittori costantissimo ; che divisi fra loro i Gè- 

E idi y da onesta divisione ne sorsero i Longo- 
ardi; onaè che Salmasio (i) rende a noi te- 
stimonianza d^aver egli in alcmii antichi libri 
greci I non ancora impressi, osservato che i Ge- 
pidi si nomavano Longobardi: Gepidae, qui dir 
cuntur Longobardi: e Costantino Porfirogenito 
impemcbr £ Costantinopoli dalT istoria dì Teo- 
fane (qoe^ che da* Greci fra il nmnero de* santi 
ili venerato) trascrisse ancora che dalla divisione 
de* Gepidi sursero i liongobardi {2). 

Chi primamente di lor &cesse memoria , edi 
è Prospero A<jiiitanico vescovo di Reggio, che 
scrisse innanzi Paolo "^Tamefrido diacono d^A* 
quìleia. Parla egli di questi Longobardi ^ dando 
loro là medesima origine, i quali dalla Scandi-^ . 
navia giunti a* lidi dw Oceano, avidi di nuove 
sedi, primieramente sotto Ibone ed Aione loro 
capi vinsero i Vandali, e si dissero "QTinili, cioè 
vaghi, non avendo allora alcuna ferma sede; ma 
da poi avendo eletto per loro re Agìlmondo, 
dopo avere scorse varie regioni, finalmente nella 
Pannonia si fermarono. Dopo Agilmondo ebbero 
successivamente per loro re Lamisco, J^eta, 



co Salmas. apud Grot lect cit, 

(9) Constant. Porphyrog. de Admin. Imperio e a), ex Risto» 
ria S. Theophanis. £t Gcpides qoidem, ex quibiu pottea Leo*» 
gobardi , ;itque Avares per •uoceMÌonem orìupdi sunt. 



LIBRO QDAHTO I97 

ndeoc, Gudeoe,'Gafibj Tato {i), e dopo questi 
'Waltau ; del qual prìncipe appresso altri non 
(assi memorìa, siccome colui che regnò picciol 
tempo ed in contìnue guerre. Succeaerouo po> 
scia 'Waco, Audoino, e finalmente Alboino^ quello 
che avendo stabiUto con Nursete una bea lerma 
e stretta pace ed amicìzia, fii poi rìserbato alla 
conquista d'Itaha. 

Come questi popoli prendessero il nome di 
Longobardi, non bisogna volerne più di quello 
che con molta assictiranza ne scrisse Paolo 
"Waraefrido (3)-, cioè che questi 'WiiiiU si dis- 
sero Longobardi per la lunghezza delle loro 
barbe, le quaU con tanto stuojo serbavanai essi 
intatte dal ferro; imperciocché secondo il lor 
hnguaggio long non significa altro che lunga ^ 
e baert, barba: nel che s'accordano Costantino 
Porfirogenito (3), Ottone Frisingense (4), Gun- 
tero {5> e Grozio. 

So che alcuni moderni scrittori non contenti 
fli qud che sì antichi e gravi autori rapporta' 
no, nan voluto ricercare in altri paesi 1 origine 
di questi popoli, ed il nome de' Longobardi 
non dalla lunghezza delle loro barbe, ma, come 
credette Tabate della Noce (6), dalla lunghezza 
delle loro alabarde; ed altri^ altronde esser de* 
rivato. 



(0 Grot. in Frolegom. ad Rut. Got 

(,f) Paul. Warnefr. 1. i. r. 9. 

<3) CoDitant. Porph. de Them. lih, 3. Tfarma ti. Longibar- 

promiau barba incolarura dieta cit. 

Otbo PrìiÌDg. I. 3. e. i3. de geit. Fred. Imper. 

Gunter. I. a. Grot. loc. cit. 

Ab. da Nuc« in Nolii «d Cbroo. Leon. Oitieu> pag. 95. 



I 



198 ISTORIA DCL BSGHO DI NAPOLI 

Alcuni niegano ésaete dalla Scanilmavia usciti^ 
ma dalla interior Germania. Dicono che molto 
prima di qnd che narrasi dc^ loro uscita da 
ouella penisola^ de* Longobardi fecero m^izione 
.atrabone, Taoto^ Tolomeo e. Patercolo (i)^ 
come di popoli che nella interior Germania [vi* 
Teano; onde il nome loro essendo più antico^ 
non dalla basba lunga, come dice Paolo Wsay^ 
nefiidoy ma altronde uopo è che dmyL H nodo 
con molta facilità fu sciolto dalTincimiparabile 
Ugon Cirozio (n); poiché questo nome non sir 
èmfica altro che uomini di barba lunga, come 
U> riconobbero tutti i Germani e '^arnefrido 
istesso. Ora i nomi di questa sorte, che deriyano 
da vari abiti ed aspetti, sogUon ora appresso 
un popolo, ora presso ad un altro, in vari luo- 
{^ ed in yari tempi distantissimi, secondo che 

3ppare la novità e stranerà, nascere e span* 
ersi tra quella gente la quale della novità «i 
maravigUa. Presso a' Germani, come narra Ta- 
cito, era cosa usitatissima farsi crescere i ca- 
pelli e la barba; né solevan quelli tosarsi, se 
non dopo sconfidi Foste nemica; ma qualora 
avveniva che un grande stuolo d'uomim com< 
parìva in altra regione con un aspetto assai 
nuovo e strano, certamente che presso a co- 
loro eran denominati per quel nuovo e strano 
aspetto, onde eran sorpresi; e quindi non è ma- 
raviglia, se quella novità, ora in un luogo, ora 
in un altro avesse prestata occasione al nuovo 



(1) TaciL 1. 9. Annal. Vcl. Patere 1. a. Hist. 
(3) Grot. in, Prolog, ad Hist. Oot. p. aS. 



LIBRO QUARTO I99 

nome. Che fuTTÌ di comune tra Domizìo Eno- 
barbo, Federico Barìiaroasa, ed alcuni famosi 
coraari di questo nome} niente, se non che es- 
sendo simih d'aspetto, (il anche a lor comune 
il nome. Ogni ragion vuole adunque che in si 
fatte cose crediamo a* vecchi scrìttorì, e delle 
cose de' Longobardi precisamente a Paolo^^ar* 
nefirido, che ancorché nato in Italia, fu d' orìgine 
longobardo, il quale è T unico ed il proprio 
scrittore de' fatti loro. Ove manca questo scrit- 
tore, possiam ricorrere ad Ercbempeto, e dopo 
costui agli altri scrittori contemporanei die non 
ne mancano (*)■ Onde saviamente n'ammonisce 
Grmio^ die dobbiamo credere a' vecclti, quando 
questi nnovì scrittori nulla ci recan di più cro< 
dibile e di più certo; e tenere co' primi, che 
i Vandali, ^ Ostrogoti e ATestrogoti, i Gepidi 
ed i Ijongobacdi, tutti alla ScaiuUnaTia debbiano 
la loro origine. 

Ma dò che siasi , egli è presso a tutti co- 
stante die i Longobardi, aopo avere scorse 
varie regioni d'Europa, finalmente ndla Panno- 
ma si formarono; la qual provincia fu da essi 
dfHninata per ^3 anni , e si contano da Agil- 
mondo fino ad JUboino dieci re, sotto i quali 
visBenx Nd regno d' Alboino , essendo stato 
mandato in Itaua Narsete da Giustiniano per 
discacciame i Goti che sotto Totila avevan 
riacquistata qudla provincia , egH essendo già 
molto tempo prima in lega co' Longobar^ , 



(*) QuMtl lono l' Anunimo Salernitano , ed altri raccolti àa 
Canili. Pelleg. in Hiat. Princ. Xonfob. 



aOO ISTORIA DEL RCONTO DI NAPOLI 

mandò ambascìadori ad Alboino^ dimandando- 
gli soccorso contra i Goti. Allora fu che Al- 
boino gli mandò una eletta banda di guerrieri ^ 
i quali aiutassero i Romani contra i Goti 0. 
Costoro passando per Io golfo del mare Adria- 
tico^ vennero in Italia; e fu la prima volta che 
questi popoli videro queste belle contrade, e in 
una di queste nostre provincie, cioè nel Sannio, 
ponessero il piede, come diremo. Uniti intanto 
co' Romani, vennero a battaglia co' Goti; ed es- 
sendo loro riuscito di rompergli in quella bat- 
taglia ove rimase Totila ucciso, carichi di molti 
doni e vincitori ritornarono alle proprie stan- 
ze. Ed in tutto il tempo che i Longobardi pos- 
sederono la Pannonia, furono in aiuto de' Ro- 
mani contra i nemici de' medesimi; e Narsete 
mantenne e conservò sempre una stretta e fedel 
amicizia con Alboino; onde non fu a lui impresa 
molto difficile allettarlo (per vendicarsi del torto 
fattogH da Sofia moglie dell' imperador Giustino) 
a venire alla conquista d'ItaUa, siccome colui 
al quale erano altresì note le ricchezze di que- 
sta provincia, e le molte altre prerogative onde 
era fornita. Risolse intanto questo prìncipe, agli 
inviti di Narsete, di mettersi egli in persona alla 
testa del suo esercito; ed avendo anche per que- 
sta impresa sollecitato l'aiuto degli Sassoni, la- 
sciata la Pannonia agU Umii ( donde questa pro- 
vincia prese poi il nome d'Ungheria) con legge 
che se per qualche sinistro accidente non gU 
riuscisse l'impresa per cui partiva, e gli biso- 
gnasse ritornare, dovessero restituirgU ciò che 

O Paul. Wamefr. lib. a. e i. 



LIBRO QUAUTO 201 

loro 8Ì lasciava^ si pose co^ suoi Longobardi e 
loro famiglie y e co^ Sassoni ed altri popoli, in 
cammino^ e nel mese d'aprile dell'anno 568, re- 
gnando nell'Oriente Giustino imperadore, entra- 
rono in Italia (i). Trovavasi allora questa pro- 
vincia sprovista d'ogni aiuto e divisa in tante 
parti per la nuova forma che Longino esarca 
di Ravenna le avea data ; onde potè Alboino in 
un tratto occupar Aquileia con molte terre della 
provincia di Venezia; ed in questo stesso an- 
no 568 prese anche FriuU capo di questa pro- 
vincia, e quivi fermatosi l'inverno, ridotta quella 
in forma di ducato, ne creò Gisulfo suo nipote 
duca. Ecco l' orìgine ed il nome * del ducato 
Foroiuhense, che fu il primo costituito da' Lon* 
gobcirdi . nella provincia di Venezia. 

Tolta da AlDoino questa provincia a' Greci, 
passò nel seguente anno 569 ad occupar Tri- 
vigi ed Oderzo; indi lasciatosi addietro Pado- 
va, Monte Selice, Mantova e Cremona, sorprende 
Vicenza , Verona e Trento , e l' altre terre di 
quella provincia; e secondo che queste città ve- 
nivan in suo potere, cosi a ciascuna d'esse, olr 
tre a lasciarle un valido presidio de' Longobar- 
di, vi creava un duca ciie la reggesse. Questi 
duchi nel lor principio, a somiglianza de' duchi 
di Francia; cne ci descrive Paolo Emilio (2) y 



(O Historìola ignoti Monaci Cassinen. apud Camil. Peli. Hi- 
storia Prìnc. Long. P. Wamefr. 1. a. e la. Certuni est an- 
iem , tane Alboin multos secum ex diversis , ouas vel alii Re- 
set, Tel ipse caeperat gentibus ad Italiani addoiisse; onde nsqot 
nodie eorum , in quibus habitant , vicos Gcpidos , Bulgaros , oai^ 
matas, Pannonios, Suevos, Norìcos, aliis, sire hnjusmodi nò- 
minibus appellamus. 

(a) Pani. iEmil. de Reb. Frane. 



202 ISTORIA WSL REGNO DI NAPOLI 

non furono che semplici uffizìali o governadorì 
di città ^ e la lor durata pendea dall^ arbitrio del 
principe che gli creava. 



C A P O L 

Di Aìboino I re d'Italia che formò la sua sede 
reffà in Pa9ia, e de^ albi re suoi succes- 
sorL 

Non furono nel seguente anno Syo minori gli 
acquisti che Alboino fece nella Liguiia. Avendo 
egti passato il fiume Adda y tosto prende Bre- 
scia, Bergamo, Lodi, Como, e tutte F altre ca- 
stella delia Liguria infino all^Alpi^ indi allMm- 
presa di Milano capo della provincia s^ accinge, 
che dopo breve assedio si rende alle sue armi. 
Passata questa città sotto il suo domìnio , i Lon- 
gobardi subito gridarono Alboino re d^ Italia, e 
con acclamazioni giulive per tale lo salutarono , 
dandogli Fasta ch'era allora l'insegna del regio 
nome. I riti e le ceiimonie che si praticavano 
da queste nazioni nella creazione de' loro re, 
non erano che d' innalzare \ eletto sopra uno 
scudo in mezzo all'esercito 0, e con acclama- 
zioni gridarlo e salutarlo re, dandogli in mano 
Fasta in segno della real dignità. Questo fu il 
principio del regno de' Longobardi in Italia sotto 
Alboino I re d'Italia, ma XI re de' Longobardi, 
se tra la serie de' loro principi che ressero la 
Pannonia, vuoisi anche annoverare Waltau che 

O V, Patrie, in Marte Gallico. 



LIBRO QUARTO ao3 

regnò poco^ ed il suo imperio fu molto contra- 
stato. jSoi; a^ quali nulla giova tener conto de^ 
re della Pannonia^ lo diremo in questa istoria 
primo re d^ Italia, e secondo quest^ ordine no* 
minefemo gfi altri suoi successori: e dal mese 
di gennaro di quest* anno 670 numereremo il 
princìpio del regno d'Alboino e de* Longobardi 
in Italia , non dalla loro entrata y come hanno 
fatto altri^ che fu nelFanno 568. L'abate Bac- 
chini nelle sue dissertazioni sopra il Libro pon- 
tificale di Agnello Ravennate, avverte che due 
epoche si debbono stabilire per togliere ogni 
confusione; Funa presa dall'entrata de' Longo- 
bardi in Italia nel 568 a' a di aprile; l'altra dal 
cominciamento del regno di Alboino in Italia, 
che corrisponde a^ 29 di dicembre dell' anno 568. 
Con queste due epoche mostra le ragioni per 
le quali s'ingannò il Baronie, che fa morire Al- 
boino nel 57 1 dopo tre anni e mezzo di regno 
assegnatigli da Paolo Diacono, e difende il chia- 
rissimo Sigonio censurato da Camillo Pellegrino 
intomo a questo particolare, confrontando esat- 
tamente^ computi dell'uno e dell'altro dal sud- 
detto anno primo del regno de' Longobardi fino 
alla morte di Rotarì seguita nel 671 secondo 
Paolo Diacono ed il Sigonio, i quali mirabil- 
mente convengono. 

Ma che che ne sia, non essendo del nostro 
instituto esaminar tanto sottilmente i tempi , Al- 
boino avendo ridotta la Liguria sotto la sua do- 
minazione, con non minor felicità ndl' altre vicine 
Provincie stende il suo dominio. Assedia Pavia; 
ma per la difficoltà del sito non essendogli riu- 
scito di prenderla, vi lascia nell'assedio parte del 



2o4 UTOEIÀ mEL BSGHO DI ffAPOLI 

800 esercito* e col rimanente invade V Emilia^ la 
Toscana e F Umbria. Pirende mdte città dell'Emi- 
lia, Tortona, Piacensa, Parma, Brissdlo, Reggio 
e Modena. Lia Toscana è quasi tutta in sua do- 
testa; e passando neffUmbrià, occupa in prima 
SpoMia, città un tempo, quanto antica, altret- 
tanto nobile; che se bene da^ Goti fosse stata 
nnnata, era stata nulladimeno da poi da.Nar- 
sete restituita al suo stato primiero, é da Al- 
boino non solo conservata, ma fu aaomata an- 
cora d'altre prerogative, avendola fatta metropofi 
deff Umbria, la quale ridotta da lui in forma di 
ducato, a Spoleto la sottopose, dove costiti:d 
Alca Faroaldo che ne fu il primo duca (*). E 
quindi poi il ducato spoletano cominciò a cele- 
brarsi, e sopra gli altn si rendè cospicuo, onde 
fra gK tre famosi ducati de' Longobardi fu an- 
noverato; e cosi parimente dava intanto Alboino 
air altre città ancora i loro duchi che F ammi- 
nistrassero, come aveva fatto nelle provincia di 
Venezia e della Liguria. Ma disbrigato questa 
principe dall'impresa di questa città, fece tan- 
tosto ritomo air assedio di Pavia, ed alla fine 
dopo il terzo anno ridusse questa alla sua ub- 
bioienza; ed ancorché fieramente sdegnato con- 
tro a' suoi cittadini per tanta resistenza usatagli, 
pulsasse di passargli tutti a fil di spada, per- 
suaso nulladuneno dagli stessi Longobardi del 
contrario, se ne ritenne, ed entrato nella città, 
fu da tutti per re acclamato e salutato. E ouivi, 
come in città forte ed opportuna, voDe stabilire 
la sua sede regia; onde poi avvenne che, durante 

O PtnL Wainefir. L S. e. 7. 



LIBRO QUARTO !2o5 

la dominazione de^ Longobardi in Italia ^ Pavia 
fosse sopra tutte le altre sue città innalzata per 
capo e metropoli di tutto il regno dUtalia. 

Alboino y per gli tanti e si veloci acquisti cre- 
dendo aver già ridotta F Italia sotto la sua si- 
gnorìa ^ portatosi . a Verona y volle celebrarvi un 
solenne convito. Teneva questo principe per mo- 
glie Rosmonda figliuola di Comundo re de^ Gè* 
pìdi^ al quale in una battaglia colla vita aveva 
tolto anche la Pannonia^ e spinto dalla sua fiera 
natura y fece del teschio di Comundo fare una 
tazza ^ nella quale in memoria di quella vitto- 
ria solca bere 0* Essendo dunque Alboino in 
questo convito divenuto allegro, avendo il te- 
schio di Comundo pieno di vino, lo fece pre- 
sentare a Rosmonda regina, la quale dirimpetto 
a lui sedeva, dicendo a voce alta, che voleva 
in tanta allegrezza avesse ella bevuto con suo 
padre : la qua! voce fu come una ferita nel petto 
della donna; onde deliberata di vendicarsi, sa- 
pendo che Almachilde , nobile longobardo e gio- 
vane feroce, amava una sua damigella, trattò 
con costei che celatamente desse opera che Al- 
machilde in suo cambio dormisse con lei : ed 
essendo Almachilde, secondo F ordine della da- 
migella, venuto a ritrovarla in luogo oscuro, 
giacque, non sapendolo, con Rosmonda, la quale 
dopo il fatto se gU scoperse, e dissegU enferà 
in suo arbitrio o ammazzare Alboino e godersi 
sempre di lei e del regno, o esser morto dal 
re, come stupratore della mogUe. Consenti Al- 
machilde di ammazzare Alboino; ma da poi che 

O Paul. Warnefr. lib. a, cap, i4« 



206 ISTORIA DEL REGNO DI IIAPOU 

eglino r ebbero ucciso^ veggendo come non rìu- 
sciva loro di occupare il regno, anzi dubitando 
di non esser morti da^ Longobardi, per F amore 
che ad Alboino portavano, con tutto il tesoro 
regio se ne fuggirono in Ravenna a Longino, dal 
quale forono onorevolmente ricevuti Ma Longino 
riputando essere allora il tempo comodo a poter 
diventare, mediante Rosmonda ed il suo tesoro, 
re de' Longobardi e di tutta Italia, conferì con 
lei questo suo disegno, e la persuase ad am- 
mazzare Almachilde , e pigliar lui per marito. Il 
che da lei accettato, ordinò una coppa di vino 
avvelenato, e di sua mano la porse ad Alma- 
childe che assetato usciva del bagno, il quale 
come Pebbe bevuta mezza ^ sentendosi commo- 
vere le viscere, ed accorgendosi di quel ch'era, 
sforzò Rosmonda a bere il resto; e cosi in pò* 
che ore V uno e V altro di loro morirono ; e Lon- 
gino restò privo della speranza di diventare re. 

8 1. 

Di Ckfi II re d' Italia. 

I Longobardi intanto, morto Alboino che re- 
gnò tre anni e sei mesi , dopo averlo amara- 
mente pianto, raunatìsi in Pavia prìncipal sede 
del loro regno, fecero Qefi loro re Q; uomo 

Suanto nobile, altrettanto di spiriti altieri e cru- 
de, il quale appresso Ravenna riedificò Imola 
stata rovinata da Narsete , occupò Rìmìni ^ e 
quasi infino a Roma ogni altro luogo: ma nel 

(*) Paul Warncfr. lib. i. cap. 14. 



LIBRO QUARTO 207 

corso delle sue yittorìe morì per mano d^un suo 
fami^re, non avendo regnato che dicìotto mesL 
Fu Gefi in modo crudele non solamente contra 
gli stranieri, ma eziandio contra i suoi Longo- 
bardi , che questi sbigottiti della potestà regia, 
punto non curaron d^ eleggersi sunito altro re« 
ma per dieci anni continui vollero più tosto a 
duchi ubbidire; ciascim de^ quali ritenne il go- 
verno della sua città e del suo ducato eoii piena 
facoltà e dominio, non riconoscendo come prima 
r autorità reale o altro supremo dominio. Questo 
consiglio fu cagione che i Longobardi non oc- 
cuparono allora tutta F Italia, e che Roma) Ra- 
venna, Cremona, Mantova, Padova, Monselice, 
Parma, Bologna, Faenza, Forlì e Cesena, parte 
si difesero un tempo, parte non furon mai da 
loro conquistate; unperocchè il non avere re 
gli fece men pronti alla difesa , e poiché di 
nuovo il crearono, divennero (per essere stati 
liberi un tempo) meno ubbidienti e più facili 
alle discordie fra loro. La qual cosa, prima ri- 
tardò le loro conquiste, e aa poi in ultimo fu 
cagione che fossero dUtalia cacciati. 

Non dee qui tralasciarsi di notare con Camillo 
Pellegrino (*) V crror fatto già comune tra' mo- 
derni scrittori, i quali seguitando il Sigonio, o 
qualche altro scrittore più antico di lui, credet- 
tero che i Longobardi , abbominando la potestà 
regia , mutassero la forma del regno , e che , 
morto Qefi, creassero allora trenta duchi , fra 
i quali fii diviso il loro regno; perocché chi 
attentamente considererà le parole di Paolo 

O Camil, Pellcgr, in Oissert. de Oucatu Benevcnt, dissert. 1. 






. • - 

ao8 ISTOUUL DSL l]EG!CO DI HAPOLI 

.ITanirfbìdo. che^di questa' mutazioiie fiivélla ^ 
Bconerà ch^ i Longobsffdi^ morto Gefi, trasco- 

. . iBando d'elègger subito il loro re, forse atterriti 
della crudeltà di qud prindpe • e spayentati dal- 
FinfeHce fine ch'ebbero Albomo e Qefi^ segui- 

; torono a vivere sotto i loro duchi: i qpli non 
furono all(Nra la piriixià volta istituiti per dar 
nuova forma e mutar Fantica dd regno loro, 
ma fin da' tempi del re Alboino e di Clefi si ri- 
trovavano già detti, secondo Fusanza de* Lon* 
gobardi presa da' Greci , die dopo la conqui- 
da delle città y per governo delle medesime vi 
destinavano un duca j siccome in £itti lo stesso 
'Wamefiido ne accerta che nella morte di Clefi 
si rìtrovfivano preposti come duchi , al governo 
di Pavia, Zaban: a quel di Blilano, Alboino: di 
Bergamo, "Wallari: di Brescia, Alachi: di Trento, 
Evin: del FrìuH, Gìsulfo: ed oltre a costoro, 
nelF altre città a' Longobardi soggette v'erano 
trenta duchi, a ciascun de' quali il governo 
d'esse era commesso. Per la qual cosa, dalT es- 
sersi differita F elezione del re, non altra novità 
fu introdotta ; se non che, siccome prima questi 
duchi erano a' re in tutto subordinati, e come 
suoi ministri dipendevan da' loro cenni; essendo 
poi per lo spazio di dieci anni mancati li re, 
ciascun il ducato a sé conmiesso governava con 
assoluta potestà ed arbitrio: cagione che fu di 
tanti disordini, e che da poi gU fece pensare 
ad elegger di comun consiglio e parere Autari 
fi^uolo di Clefi, perchè agli incessanti danni 
fiicesse argine e desse ristoro. Né dee altresì 

O P«il« Waniefr. lib. a. cap. ult 



LIBRO QUARTO 209 

tralasciarsi che, couforme n' accerta Io itesao 
Wanie&ido , non trenta furono questi ducbi , 
come comunemente si crede, ma giunsera fino 
al numero di 36, dicendo espressamente Questo 
scrittore che trenta furon aestinati al governo 
delle altre città, oltre a' sei de' quali aveva edì 
fatta menzione, cioè de' duchi di Pavia, di fi&> 
lano , Bergamo , Brescia , Trento e Friuli. Del 
ducato di Benevento non si fa parola, come 
quello che non^ra stato ancora istinto, coi>> 
Unuando tuttavia queste nostre provincie nd 
dominio de' Greci sotto Tiberio successor dì 
Giustino, il quale dopo anni i3 d^imperio era 
per soverchi travagli morto , ed in suo luogo 
creato Tiberio , che occupato nella guerra de* 
Farti non poteva soweiiìr rita]ia,nè impedir» 
i progressi de' Longobardi. 

Le cose di costoro, durante questo interre- 
gno, ancorché andassero alquanto prospere per 
quel che riguarda alle guerre che fecero a' Greci, 
avendo nell'anno 579 colle nuove conquiste di 
Sutri, Bomarzo, Orla, Todi, Amelia, Perugia, 
Luceolì ed altre città ingrandito lo Statoj nol- 
tadimeno tosto s' avvidero che volendo in A 
fatta guisa tener diviso il lor reame, non poteva 
diirar lungamente. Imperoccliè essendosi data, 
per qualche discordia fra essi insorta, facile e 
pronta occasiojie d' essere assahti da naùooi- 
straniere, conobbero con manifesto lor danno, 
dì quanto nocumento fosse questa loro diviùo- 
ne : perchè assaliti da' Franzesi , avevan da 
questa nazione avute molte strane rotte; e ol- 
tre a ciò, ad istigazione del re di Franiàaj ù 
Gu»oiiB, Fot. II. 14 



aio ISTORIA DEL REGNO DI KAPOLI 

ribellarono tre ducili (i). Aggiugnevasi a tutto 
questo^ ch^ essendo nel 582 morto Tiberio impe- 
radori) il Qual avea retto sette anni PimperiO; 
lodevole più per la sua pietà cristiana che per la 
prudenza miUtare, e succedutogli Maurizio di 
Gappadocia suo capitano ^ al quale egli aveva 
sposata una sua figliuola^ principe e per valore 
e per prudenza di gran lunga superiore a* suoi 
predecessori Giustino e Tiberio j costui conside* 
rando seriamente i gravi danni ohe i Longobardi 
gli avevano portato in Italia ^ pensò porre in 
opera tutti i mezzi possibili per discacciarriL 
E considerando altresì che non era peso ddle 
spalle di Longino (la cui fedeltà erasi ancor 
resa sospetta) di poter venire a capo di que- 
sta impresa ; lo richiamò a sé, ed in suo luogo 
con nuovo esercito nell^ anno 584 inandò per 
esarca in Ravenna Smaragdo (2), uomo ih guerra 
esercitatissimo e prudentissimo ; e fece duca di 
Roma un tal Gregorio , a cui fu il governo del 
romano ducato commesso^ ed insieme fece mae- 
stro di soldati in Roma Castorio; poiché ave- 
vano i Greci in costume di tener nelle città, ol- 
tre al duca, anche il maestro de^ soldati che ne 
tenesse cura 3 onde è che in Napoli , la quale 
lungo tempo sotto F imperio de^ Greci si man- 
tenne ^ oltre al duca , leggiamo ancora esservi 
stato questo altro ufficiale. 

Giunto Smaragdo in Ravenna, non tardò guari 
a porre in opera i suoi disegni. Fece egli che 



(0 Paol. iEmil. de Kob. Frane. 

(pi) Harqiiar. Freber. io Cbronolog. Exarc. Kav«*u. apud Lcun* 
rlavium. 



LIBKO QUARTO ali 

t)octxulfOj uomo in guerra espertì«8Ìmo>, ai ri» 
bdlasse da* Longobardi, e passasse «Ila sua par- 
te: e non molto da poi prese Brìssello , ed 
ali imperio de^ Greci Io sottopose. E mentre 
Smaragdo faceva questi progpressi in Italia, nOD 
cessava intanto Maurizio di prenda* altri mezn 

Ser discacciar da questa provincia i Longobar- 
i; proccurava egli con ogni studio tirar alla sua 
parte i Franzesi , e finalmente ^ Tenne fatto 
per via di denaro d^indurre Cliildeberto re di 
Francia a mover guerra a* Longobardi; ì quaK 
temendo allora ragionevolmente del |ran danno 
ohe per questo appareccbio e confederazione 
poteva lor venire di là dell'Alpi, e considerando 
che non d* altra maniera potevasi a tanti mali 
riparare, e resistere agli sforzi de' Franzesi e de* 
Romani, se non col rimettersi sotto il dominijO 
di un solo; subito radunati, crearono di comun 
consentimento per loro re Autari figUudlo di 
Gefi nell'anno 585. 



Sii- 
ci Autori /// re d'IiaUa. 

Fu Autari un principe di tanto valore e prò* 
denza, che di gran lunga avanzò Alboino; ed 
ì suoi progressi in Italia fiiron tanti, cbe a lui 
debbono i Longobardi la.lunga durata del regno 
loro in Italia per lo spazio di ducento anni. 
Poiché appena egli assunto al trono, cinse di 
stretto assedio Brissello, e per punir con me< 
inorando esempio la feUonia di Doctnilfo, poi» 



aia ISTORIA DSL lÙSGNO DI HAPOLl 

in opera tutit' i suoi sforzi per averlo nelle ma> 
nij imperocfhè questo traoimeiìto avealo ren- 
duto in modo sospettoso^ che temè sempre , fin 
che regnò y che gU altri duchi non facessero a 
lui il somigliante; tanto che fu più agitato nel 
trovar modo di recare i suoi duchi all^ ubbi- 
dienza, che nel resistere agli sforzi de^ suoi ne* 
mici. Questi fu un prìncipe cotanto savio e pru- 
dente ^ che più d^ogni altra cosa pensò a* mezzi 
per li quali potesse darsi al suo regno un più 
decoroso aspetto e una più stabil forma di go- 
verno. Institui in prìma che i re longobardi a 
somiglianza degr imperadorì romani si doves- 
sero nomar Flavii^ siccome egli volle esser chia- 
mato ^ perchè dal suo esempio i successori te- 
nessero questo prenome, che da poi tutti gli 
susseguenti Ve longobardi felicemente usarono (i). 
E considerando cne i duchi avvezzi per lo spa* 
zio di dieci anni a governar con assoluto un- 
perìo e potestà i loro ducati, mal soffrirebbero 
che avesse loro a togliersi ogni autorità e do- 
minio y ed esser ridotti all^ antico stato j affin- 
chè s^ evitassero maggiori disordini, e non si ve- 
nisse allumi, compose con molta prudenza le 
cose in questa maniera (2): che ciasche4un di 
loro desse al re ed a' suoi successori la metà 
de^ dazi e gabelle , perchè servisse a sostenere 
il regio decoro e la real maestà, e che dovesse 
nel regal palazzo trasportarsi ; V altra metà se 
la ritenessero per impiegarla nel governo de^ 



(I) Paul. Waroefr. lib. 3. e. 16. 

(3^ Reffin. lib. 1. A. 517. Paul Warncfr, 1. 3. eap. 16. Sigoa« 
de Rcg. Italiat, 1. 1. 




LIBRO QUARTO ai 3 

ducati loro, per le spese e soldi de* ministrì ed 
altri bisogni : lasciò loro il governo e V ammi- . 
Distrazione ddle città , delle quali erano stati 
duchi instituitj, ritenendosi pem il dominio e 
la suprema ragione ed autorità regia, con legge 
che venendo u bisogno, dovessero subito esser 
pronti ad assisterio colle loro forze ed armi 
contra ì suoi nemià; e 'se bene potesse prìVan* 
di dd ducato, quando più gh piaceva, nulla- 
dimeno Autari mal non volle dar toro de^ suc- 
cessori, se non quando o fosse estinta la loro 
maschile stirpe , o quando se ne fossero resi . 
immeritevoh per qualche gran fdlonia com- 
messa (*). 

sm. 

Origine tic' feudi in Italia- 

Ec&ì donde trassero in Itaha origine i lèudif 
t quah a somiglianza dd Nilo par che tenessero . 
tanto nascosto il lor capo, e cosi occulta la loro 
origine, che presso a' scrittori de' passati se- 
coh riputossi ta ricerca tanto difEcite e dispe- 
rata, cne ciascheduno sforzandosi 3 tul^ potere 
di rinvenirla, le diedero cosi strani e diuerenti 
principi!, che più tosto ci aggiunsero maggiori 
tenebre ed oscurità, che chiarezza. Non è però 
con tutto que^ da avanzarsi tanto, e dire che 
ì Longobardi fossero stati i primi ad introdur^, 



O Sigon. àt n. Itil. I. I. Guido Pancirol. IViaur. nu-. Ieri, 
t. 1. e 90. Il Duribiu urbci , dominio nipmno nbi memi», 
coMMail, qn» ili •tirprm tiriUm UMun triniDulli TOl*itd 



àt4 ISTORIA DEL aCGNQ DI «ÀPOLI 

e che ad imitazione di essi le altre nazioni gli 
avessero poi ne^ loro dominii ricevuti 3 poiché 
iKdlMstorìe di Francia^ secondo che rapporta ii 
Papiniano franzese Cario Molineo (1)^ ae' feudi 
si trova memoria sin da* tempi del re Childe- 
berto 1/ e ne* loro Annali e presso dimoino (2) 
e Gregorio' di Tours (3) pur si legge il mede- 
timo. Si Isgge ancora che mtomo a questi stessi 
tempi dd re Autari^ anzi undici anni prima, nel 
regno di Childerico I; e propriamente nelT an- 
no 574;Guntranno re privò Erpone del suo du- 
cato , dandogH (4) il successore; e Paolo Emi- 
fio <5) e Giacomo Cuiacio (6) ne accertano che 
avevano pure i re di Francia questo stesso co- 
stume di crear nelle città i duchi ed i conti; e 
siccome da principio; quando ciò s* introdusse, 
era in arbitno de* re ai cacciarnegli , quando 
più lor piaceva , s* introdusse poi una consue- 
tudine che non si potessero privare dello Stato, 
se non si provava d* aver commessa qualche 
gran fdlonia. E finalmente gli slessi re con giu- 
ramento confermavangli in quelli Stati de* quali 
per loro cortesia gU avean fatti signori. Egli è 
vero che nel principio, come s*è detto, questi 
ducili e conti non erano che govemadori di cit- 
tà, ma poi si diedero non in ufficio, ma in si- 
gnoria (7). 



(1) Molla, in Consoei. Paris. Ut. i. C. dea Fiefs, num. i3. 
(9) Ainon. lib. i. cap. i4. 

(S) Grfg. Turon. Hist. Frane. 1. 4* e. 45. V. Alteser. Orig. 
Feud. CI. 
(^ Greg. Turon. I. 7. e. aà. et I. io. S ><>• 
(S) Paul. i£mil. di* neh. Franr, 1. 1. 
(S) Cif)Br. de Feud. in prine. 
(7) LoyKcau Des Off. I. 1. eap. 5. 



LIBRO QUARTO ai5 



E^ in verO; né i Romani^ né i Greci| nò alt4 
oiiahinque antichi popoli riconobbero giammai 
altre dignità; che gli ordini e gli uffici. Furono 
gli antichi Franzesi^ e questi popoli settentrio* 
nali; i quali stabilendosi ne^ paesi altrui ^ inven- 
tarono 1 feudi y e per conseguenza la terza spe^ 
zie di dignità eh é la signorìa. Non é però che 
in qualche maniera questa invenzione non co« 
minciasse per glMmperadori romani (i);iquaK 
per assicurar maggiormente le frontiere dell im- 
perio ^ solevano a capitani ed ai soldati che ai 
erano segnalati nelle conquiste, conceder in ri- 
compensa delle lor fatiche alcune terre poste in 
quelle frontiere , delle quaU ne avevano tutto Tu- 
ttle, tanto che questa concessione la cliiamarono 
beneficìum : e ciò perché con più coraggio e va- 
lore fossero obbligati a continuar la milizia , di- 
fendendo le proprie terre ; ut attentius ndUtarent^ 
propria rura defendent^ , come dice Lamprì- 
dio (2). 

Quel che non potrà porsi in dubbio, si é* che 
quasi ne^ medesimi tempi le genti settentrionali , 
i Franzesi nella Gallia ed i Longobardi ndl^I- 
talia y introdussero i feudi (3) , seguendo forse 
queste due nazioni T esempio de^ Goti, che, come 
vuole il nostro Orazio Montano (4) y furono i 
primi a gettarvi i fondamenti. Cario Molineo (5) 
vuole che i Franzesi fossero stati i primi ad 

(1) MoUn. in Consact. Par. tit des fiefi, fu ii. 
(3) Lamprìd. in Alex. Sev. e 5S. Loysean Des Oft 1. i. e. i. 
in fin. 

(3) Th. Gragins 1. i. dicg. 5. Jo. Schiltenis Com. ad Rabr. 
ottin. 104. Jar. Frud. Aleni. § S. 

(4) Montan. in Prael. Feiid. 

(5) Molìn. i» CoNMirf. Pari», tit. dot Firfii, «uiii. i3. 



ai6 ISTORIA DEL RCGNO DI fTAPOLI 

introdurgli nella Gallia^ da' quali rappresero i 
Longobardi che F introdussero poi in Italia^ e 
propriamente i Longobardi; donde poi si spar^ 
aero in Sicilia e nella nostra Puglia; e crede che 
in queste nostre regipni i primi ad introdurgli 
fossero stati i Normanni venutici dalla Neustria ^ 
che ora diciamo Normannia. Ma i nostri mag^ 
gioii molto prima della venuta de^ Normanni 
conobbero i feudi; ed i primi che gfintrodus- 
èéfo nella provincia del Samiio e nella Campagna^ 
finrono i Longobardi: provincie che furono le 

Erime ad essere conqijistate da^ Longobardi; è 
(Puglia e la Calabria gli riceverono più tardi 
da* Normanni; come quelli che ne discacciarono 
interamente i Greci , presso a^ quali T uso de^ 
feudi non era conosciuto ; come vedrassi con 
maggior distinzione nel progresso della presente 
Istoria. 

Egli è però ancor vero che tutto il loro ac- 
crescimento e tutte le consuetudini e leggi che 
da poi intorno ad essi furono introdotte e prò-* 
mulgatC; si debbono a^ Longobardi che in Italia 
gli stabilirono ; e lor diedero certa e più co- 
stante forma 0; onde perciò s^innalzaron tanto, 
che in appresso tutte T altre nazioni non con 
altre leggi e costumi, che con quelli de^ Lon- 
gobardi, vollero regolare le loro successioni, gli 
acquisti , le investiture , e tutte Y altre cose a* 
feudi attenenti; donde ne sorse un nuovo corpo 
di leggi che feudaU appelliamo. Ma di ciò a più 
opportuno luogo faveUeremo, quando de^ libri 
ìorOy che oggi nel nostro regno formano una 

O Hornint in Jorìspr. Fondai. #. i. $ S. 



\ 



LIBRO QUARTO ai^ 

dèlie principali parli della nostra giorìspruden» 
ztLy CI tornerà occasione di più diffusamente 
ragionare. 

Dopo avere Antan in sì fatta guisa aoddis* 
fatti 1 suoi duchi 9 non tralasciò di provvedere 
a^ bisogni del suo regno ^ e sopra tutto a faf 
che in quello la giustizia e la religione avesse 
il dovuto luogo 0* Volle che i furti ^ le rapine j 

J^li omicidii^ gli adulterìi e tutti gli altri delitti 
ossero severamente puniti. Si spogliò e depose 
il gentilesimo, ed abbracciò la religione cristiana 
da liOngobardi non prima ricevuta, i quali ad 
esempio del loro re passarono per la maggior 

E arte nella nuova religione del loro principe. Ma 
i condizione di que tempi, e T esempio assai 
firesco de' Goti, fece che non la ricevessero 
pura ed incorrotta, ma parimente contaminata 
dair arrianesimo : il che cagionò che essendo i 
loro vescovi arriani, molti disordini e discordie 
insorsero fra essi ed i vescovi cattolici ch'e- 
rano nelle città a lor soggette. 

Non minori furono i progressi d' Autari nel 
valor militare, che nella prudenza civile. Ricu- 
però ben tosto Brissellò; e perchè nell'avvenire 
più non potasse esser ricetto de' suoi nemici^ 
gittò a terra e demolì le forti mura che lo cin* 
gevano. Ma sopra tutto la sua prudenza e va*- 
lore si dimostrò, allorché avendo già Childe- 
berto re di arancia passate l'Alpi con potente 
esercito, egli conoscendosi inferior di forze, e . 
che non poteva ostargli in campagna^ ordinò 
a' suoi duchi che munissero le loro città con 

(•) Sipnn. t!*? R. Ifal. I. i. 



ai8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

forti presidi! y e senza uscir da^ loro recinti • 
aspettassero sopra le mura il nemico. La qua! 
condotta* ebbe si prospero avvenimento^ che 
Giildeberto considerando che impresa molto 
lunga e difficile era di porre T assedio a tante 
città, tosto si piegò alle lusinghe d^Autari, il 
quale avcagli mandati ambasciadorì con riccliis- 
9Ìmi doni per rimoverlo da queir impresa , ed 
a dimandargli là pace, siccome in fatti Febbe. 
Onde poi nacquero, le forti doglianze di Mau- 
rizio imperadore, if anale altamente dolendosi 
di . questa mancanza di Childeberto , non lasciò 
di continuamente sollecitarlo, o che gli resti- 
tuisse r immense somme di denaro che aveasi 
preso per far la guerra a^ Longobardi, ovvero 
osservasse la promessa di tornare di nuovo in 
Italia a. combattergU; e furono cosi gontinue e 
spesse queste querele di Maurizio e questi rim- 
proveri, che alla fine mosso Childeberto dagli 
stimoli d^ onore, deliberò di ritornare in Italia con 
esercito più potente di quello di prima. Allora fu 
che Autarì diede F ultime prove del suo valore; 
perchè seriamente considerando che doveansi 
impiegar tutte- le forze e far gli ultimi sforzi 
per abbattere questo potente inimico, affinchè 
nell^ avvenire non venisse piìi inquietato il suo 
regno da' Franzesi , e per lo costoro esempio 
se ne ritenessero ancora F altre nazioni; deUberò 
di disporre la milizia in altra guian di ciò che 
aveva prima fatto. Volle dunque prevenirlo ed 
andargF incontro in campagna aperta; ed avendo 
raunato da tutto il regno i suoi eserciti, animo- 
gli ad impresa, quanto dura e difficile, altret- 
tanto gloriosa , e che sarebbe cagione , se 



LIBRO QUARTO SIQ 

riusciva, di dare una perpetua pace e tranquillità 
al suo regno : incoraggiava i suoi Longobardi 
a dar F ultime pruove del lor valore: ricordava 
le tante vittorie riportate sopra i Gepidi nella 
Pannonia; aver essi per la fortezza de^ loro 
animi soggiogata F Italia: e finalmente che non 
irattavasi ora, come prima, di guerreggiar per 
P imperio, o per F ingrandimento di quello, ma - 
per la libertà propria, e per la salute di loro^ 
medesimi. Furono queste parole di tanto stimolo 
a* Longobardi, che toccati nel più vivo del cuo^ 
re, datosi il segno della battaglia, ne^ primi at- 
tacchi si portarono con tanto valore ed intre* 
pidezza, cne si vide tosto inclinar Fala nemica j 
onde prendendo maggior animo per cosi pro- 
spero cominciamento , F incalzarono con tanta 
ferocia e valore, che ridussero i Franzesi ad 
abbandonare il campo , e a cercare nella fuga 
lo scampo. Fugati dunque e dispersi i nemici, 
moki restarono presi ed uccisi; moltissimi che 
fuggendo la loro ira si nascosero, di fame e di 
fireddo perirono. Per cosi celebre e rinomata 
vittoria il nome di Autari si rendè illustre e 
luminoso per tutta F Europa ; e vedutosi già lir 
bero dalle incursioni di straniere genti, pensò 
a soggiogare il resto d^ Italia ch^i)ncor era in 
mano de^ Greci. • 



Ù30 UTORU DEL KEGirO 01 HAPOtI 

C AP O II 

Pel ducato beneveniatu), e di Zoiong 
suo primo duca. 

Aveva Autari, ciò che non fecero i suoi mag'- 
giòrì , soggiogata quasi tutta V Italia citeriore : 
toltone il ducato romano e T esarcato di Ra* 
veuna che allora veniva governato da Roma- 
no 0; avendone poco prima Firaperador Mau* 
mio levato Smaragdo ^ tutto il resto era in sua 
mano; ma restava^ ancora da conquistare la jHÙ 
bella e preclara parte d^ Italia^ cioè quella parte 
e quelle provincie che oggi compongono questo 
regno di Napoli. Infino a questi tempi eransi que« 
ate Provincie mantenute sotto F imperio degl^im- 
peradorì orientali^ che le governavano secondo 
quella forma che da Longino v^era introdotta. 
Avevan quasi tutte le città più principali il lor 
duca: Napoli aveva il suo, Sorrento, Amalfi, Ta- 
ranto, Gaeta, e cosi di mano in mano T altre*, tanto 
che quello che ora è regno , intomo all^ ammini- 
strazione, in più ducati era distinto, tutti però 
immediatamente sottoposti all^ esarca dlRavenna, 
e dopo costui agFimperadori d^ Oriente. E se bene 
nella forma de^ governo tenessero apparenza di 
repubblica, nuUadimeno è somma sciocchezza il 
credere che fossero così hberi , che non rico- 
noscessero r imperadore d' Oriente per loro 
sovrano, sotto la cui dominazione vivevano: 

(*) Marq. Frclirr. in Ghmnnl. Exar. Bar. Smaragrius A. 564* 



Roinana^ A. 587 



UBRO QUARTO 22 i 

qnantnnque per la debolezza degli esarcbi di 
Ravenna^ e per la lontananza della sede impe* 
riale/il governo de^ duchi si rendesse un poco 
più libero e pieno, tanto che sovente arrivavano 
infino a manifeste fellonie, con ribellarsi dal 
loro principe; la (mal cosa più volte tentaron 
di fare i duchi di Napoli, come più innanzi nel 
suo luogo diremo. 

Queste provincie, come quelle ch^ erano pia 
lontane da Pavia ^ sede de^ Longobardi, e- che 
potevano, in caso che fossero assalite, ricever 
tosto soccorsi per mare, onde sono quasi tutte 
circondate, con picciolìssimi presidii da^ Greci 

* eran guardate. Onde Autari espertissimo prin* 
dpe pensò dalle provincie mediterranee cominr 
ciar le sue conquiste: e lasciandosi in dietro 
Roma e Ravenna, delle quali non cosi di leg«» 
gieri potevasi venire a capo, avendo nella prì* 
mavera di quest^anno 689 nel ducato di Spo- 
leti unito il suo esercito, fingendo di dirizzare 
il suo cammino in altre parti , di repente lo 
torse, e nel Sannio si gittò. Colti così allMm- 
phovviso i Greci, entrarono in tale stordimento 
e costernazione, che senza molto contrasto venne 
fatto ad Autari di conquistare in un tratto tutta 
questa provincia, e finalmente Benevento, città, 
come credette il Sigonio, fin da questi tempi 
capo e metropoh del Saimiò. Indi si narra che 
questo principe al calore di sì ragguardevole 
conquista spingesse oltre il suo cammino, e 
traversando tutta la Calabria insino a Reggio 
scorresse, città posta nelF ultima punta d^ Italia 
lungo il mare, e che quivi, essendo ancor a ca* 

, vallo, percotendo colla sua asta una colonna 



2^2 ISTORIA DEL REaNO^Dl NÀPOLI 

posta ne^ lidi di quel mare • dicesse : Fin qui 
saranno i confini de' Longobardi y ondi è che 
F Ariosto de^ fatti di questo glorioso principe 
cantando^ disse che 

Corse il tao stendardo 

Vai* pie de^ monti al Mamertino lido. 

Narrasi ancora che ritornato a B^evento^ rì<* 
ducesse quella provincia in forma di ducato, e 
die ne creasse duca Zotone^ ed a* due celebri 
ducati di Friuli e Spoleti v^ aggiungesse il terzo^ 
il quale col correr degli anni si rendè tanto 
superiore agU altri due primi ^ quanto questi 
sppravanzavan gU altri ducati minori d^ Italia. 

Ma poiché del principio ed instituzione del 
ducato beneventano non è di tutti conforme il 
parere, e questo ducato dee occupai^ una gran 
parte della nostra Istoria, per lo spazio di 5oo 
e più anni, siccome quello il quale non sola- 
mente per la durata, ma per la sua ampiezza 
si stese tanto , die abbracciò quasi tutto quel 
ch^è ora regno di Napoli; non rincrescevo! cosa 
doyerà perciò essere che di esso più partita- 
mente SI ragioni. 

Il ducato di Benevento credesi comunemente 
che da Autari in questo anno 589 fosse stato 
la prima volta instituilo, e che Zotone ne fosse 
stato creato duca da questo stesso principe. 
Passa per indubitato presso a tutti gF istorici, 
che questo Zotone fosse il primo duca di Be* 
bevente ; ma chi ve Y avesse fatto ed in quali 



O f* Warncfr. l 3. e. 53. 



LIBRO QUARTO 22S 

tempi ^ non ò di tutti concorde il tteutimeuto« 
Car[ó Sigonio (i) e "W^olfango Lazio (a) y non 
avendo ben esaminate le parole e la frase usata 
da Paolo Wamefrido. (3) j quando di questa in* 
stituzione favella ^ tennero costantemente per la 
costui autorità che fosse stato iustituito dà Au- 
tari in questo stesso anno elisegli conquisto il 
Sannio e Benevento ^ creduto da essi in questi 
tempi capo di questa provincia. Ma dal modo 
istesso con cui ne parla ^amefrido^ che non 
con fermezza^ ma con un putatiir, re/trtur, 
fama esty se ne. disbriga, e aa ciò che ne vien 
da lui soggiunto, che Zotone tenne il ducato 
di Benevento venti anni : il che non s^ accor- 
derebbe colla serie delle cose da poi avvenute, 
e colla cronologia de^ tempi degli altri duchi che 
seguirono, se da questo anno 689 si volessero 
cominciare a numerare i venti anni del ducato 
di Zotone; perciò alcuni altri, fra i quali Scipione 
Ammirato nella dissertazione de^ duchi e principi 
di Benevento, ed Antonio Caracciolo (4) hanno 
cominciato a dubitai*e se si dovesse ne^ tempi 
più antichi fissar V epoca di questo ducato. Ma 
ciò che poi loro fece rifiutar dcuiiberatamente V o* 
pinione tenuta dal Sigonio e dia Lazio, fu Tau* 
torità di Lione Ostiense (5), il quale ancorché 
fiorisse trecento anni dopo ^amefirido, non con 
incertezza , ma< con molta asseveranza scrisse 



(1) Sigon. de R. Ital. L f. 

Ca) Wolfgau. Las. lib. la. de Migra*, grnt. 

(3) P. Warn. I. 3. r. 34. et 35. 

ìi) Aut. Carar. in Propileo ad miatuor C1u*od. 

($) Leo Otftku». Quou. 1. i. e. 48. 



aa4 ISTORIA D£X A£GfCO DI NAPOLI 

lidia sua Cronaca^ secondo P edizione napole- 
taudj che i Greci ritolsero a' Longobardi Bene- 
vento nelTanno 891^: dopo trecento venti anni 
da che Zotone ne fu ducaj onde seicondo FO- 
stiense^ il, principio del ducato di Zotone do- 
vrebbe riportarsi ncU^aiìno 5^1^ o ^siccome vuole 
FAmmiratOi all^anno 5 7 3: il quale per accordarlo 
colla serie delle cose accadute da poi, e colla 
cronologia degli altri ducili tenuU dalT istesso 
Warnefndo ^ emenda il luogo dèU^ Ostiense ; e 
vuol che si legga; non trecento venti ^ ma tre* 
cento diciotto: in guisa che^ secondo il parer 
di costoro y il ducato beneventano ^ prima che 
Autari conquistasse il Saimio^ ed alquanti aimi 
dopo la venuta d^ Alboino in Italia^ ebbe il suo 
pnncipio. Altri trovarono F origine di questo du» 
cato in tempi più lontani ^ cioè nellMstesso an« 
no 568 9 quando Alboino, uscito dalla Panno- 
nìa^ venne alla conquista d^ Italia; e che oltre 
alla provincia di Venezia, una banda di Longo- 
bardi s^ inoltrasse infino a Benevento , e quivi 
fennad eleggessero Zotone per loro duc^ : il 
che comprovano per un catalogo antico de^ du« 
chi e principi beneventani fatto da mi ignoto 
monaco del monastero di S. Sofia di Bene* 
vento, che va innanzi all'Istoria delF Anonimo 
Salernitano, ove questo scrittore dice (*): Anno 
ab JncamaUone Domini quingeniesimo sexag^- 
simo oclavo , principes cocperunt principari in 
principatu Bene^ntano, quorum primus \^oca- 
batur Zotto ; al quale dà egli ventidue anni di 
ducato, non venti, come ^aruefrido. 

O Lfiggesi presso Camil. Pel. iu Hist. Princ. Long. 



LiBho QUARTO aaS 

Ma non finisce qui la varietà de' pareri, né 
sì contentano i piiì diligenti investigatori di que- 
sto principio, ma un altro piìi remoto ed in 
tempi più lontani se ne cerca. Questo viene ad- 
ditato da Lione Ostiense medesimo nella sua. 
Cronaca, nella quale se bene giusta V edizione 
napoletana si legga che corsero trecento venti 
anni da che fu credito Zotone duca ùifino al- 
l'anno 891, che fu da' Greci riacquistato Bene- 
ventoj nuUadimanco it suo orifinale, che sì con- 
serva neirarchivio Cassinese, à molto discorde 
dair edizione napoletana; poiché ivi si legge che 
da Zotone ìntìno all'anno 891 non 830 owe-- 
ro 3i8, ma ben 33o anni passarono. Conformi 
a questa lezione sono T edizioni di Venezia ^ 

3 nella dì Parigi, e T ultima data fuori dall'abate 
ella Noce: Tuna e l'altra molto piiì appurata 
che quella di Napoli mtomo al numero degli 
anni, in guisa che, secondo questo conto, bi- 
sognerà confessare che il ducato di Benevento 
avesse il suo principio da Zotone nell'anno 56i. 
Ma sembrerà senza alcun dubbio cosa molto 
strana e assai nuova, che in questo anno sì 
dovesse dire di essersi instituito quel ducato , 
quando verrebbe ad aver il suo principio sette 
anni prima che i Longobardi usciron dalla Pan- 
uonia per t'impresa d'Italia, e quando ì Greci 
dominavano con vigore tutte le provincie della 
medesima. 

la tanta varietà a noi giova seguitare. il pa- 
rere del diligentissimo Camillo Pellegrino 0> 
scrittore accuratissimo, e che eoa più diligenza 

O Cam. Pel. in dii. Due. B«L di*, i. 

CiAHvoni, Fot. n. i5 



aa6 ISTORIA del regno di napoli 

dì tutti gli altri trattò di proposito questo aog- 

fstto e parere che vien sostenuto da ciò che sul- 
arrivo de^ Longobardi in Benevento ci lasciò 
scrìtto Costantino Porfirogenito: autore ancorché 
al(]uanto favoloso intomo a ciò che scrìve della 
venuta de^ Longobardi in Italia; nuUadimeno in 
mezzo delle sue favole riluce pure qualche rag- 
gio di vero^ che può ih cosa tanto difficile e 
dubbia additarci il cammino per trovare il prin- 
cipio e instituzion» di questo ducato. Narra que- 
. sto scrìttore 0> ^^^ chiamati i Longobardi da 
Narsete in Italia^ questi venissero con le loro 
famiglie in Benevento; ma che non ammessi da* 
Beneventani dentro alla città; fuorì delle mura 
si fabbrìcassero le loro abitazioni, e con ciò 
venisse a formarsi una picciola città che fin da* 
suoi tempi riteneva ancora il nome di Città No- 
va: e che quivi fermati , ne* t;jempi seguenti loro 
venisse fatto per inganno d'entrare in Benevento 
armati, e posta sossopra la città, uccidessero 
tutti i cittadini^ e che preso Benevento, scorser 
da poi per tutta la provincia, e la sottoposero 
al dominio de^ Longooardi, e stendessero il loro 
imperìo dalla Calabria infino a Pavia , toltone 
le città d^ Otranto, Gallipoli, Rossano, Napoli, 
Gaeta, Sorrento ed Amalfi. 

Ciò che narra costui, che i Longobardi usciti 
da Benevento stendessero il loro imperio per 
tutta Italia , ben si vede esser favoloso , e 
contrastare a tutta F istoria, dalla quale abbia- 
mo, che usciti dalla Pamionia sotto Alboino, i 



O CouiUnt. Porphyr, dt Àdmin. Imp. o. a^. 




LIBRO QUjLKTO 32^ 

primi acquisti furono nella provincia ài Vene- 
sia, e da poi trailo tratto nella Uguria, nel- 
r Emilia , nella Toscana e nell' altre provincie. 
Favola eziandio è ciò phe dice della Città Nova, 
la quale molto tempo dopo la venuta d^ Alboino 
in Italia, cioè ducente anni appresso, fu da 
Areclii per timor de' Franzesi costrutta, come 
ctiremo a suo luogo. Ma ciò che questo autore 
narra de' Longobardi che sotto Narsete si rìco- 
Trarono in Benevento, non è certamente favo- 
loso; poiché da quel che si è di sopra narrato, 
è costantissimo che Narsete, prima dell'invito 
fatto ad Alboino, e della universal loro trasmi- 
grazione , in quasi tutte le sue guerre soleva 
valersi in Italia de' Longobardi. Né fu questa 
la prima volta che furono da luì chiamati: gli 
ebbe ausiliarii nella guerra contro a Totila; e, 
siccome dice 'Wamefrido , avvegnaché dopo 
aver riportata quella vittoria, carichi di molti 
doni , fossero stati rimandati alle proprie stan- 
ze, in tutto il tempo però che possederono la 
Pannonia, furon senipre in aiuto de' Romani. 
Onde è nxJto probabile, che quantunque Nar- 
sete gli licenziasse, non però tutti ritornassero 
alle paterne case, ma che intorbo all'anno 55a 
ovvero 553 molti di essi ritenuti dalf amenità 
del paese, in ItaUa si fermassero, ed a guisa 
di predoni andassero vagando ora in questo 
ora in quell'altro luogo, del che Procopio ao- 
oora rende testimonianza; e ohe in fine sponta- 
neamente, o pure per comandamento di Narsete 
per tenergli in freno, e per impedire que* disor- 
dini che r andar così dispersi cagionava, fossa 
stata loro assegnata per abitazione la città di 



I 



228 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Beneveulo} e che poi nell^anno 56 1 F avessero 
occupata^ neUa qual a^one avesse vi avuta la 
principal parte Zotoue lor capo. Cosi da que- 
sta anno potremo dire con F Ostiense che co- 
minciassero i Longobardi a dominar Benevento 
sotto Zotone. perchè infino affanno 891, nel 
quale furon discacciati da' Greci , corsero ap- 
punto trecento trenta anni : ma non già che in 
questi tempi si fosse insUtuito il ducato ^ e che 
quando la dominazione de^ Greci era in questa 
provincia vigorosa e potente, avessero quei 

Ì)0chi Longobardi potuto ridurre il Sannio in 
brina di djiicàto , e stabilirvi Zotone per duca. 
Per accordare poi gli anni del ducato che 
Wamefiido da a Zotone ^ colla serie de^ fatti 
e cronologia degU altri duchi successori tenuta 
da questMstesso scrittore, bisognerà porre per 
primo anno di questo ducato ranno 071, cioè 
quando essendo entrato già Alboino in Italia e 
conquistate più provincie, fatti più audaci que^ 
Longobardi cV erano in Benevento, scossero 
apertamente il giogo de^ Greci, e ribellandosi 
eia loro, avessero occupata là regione convi- 
cina, e n'avessero poi in questo anno 671 
creato Zotone della lor propria gente duca, il 
quale per così oscuro principio avesse comin- 
ciato a governargli. Venuto poscia Autari ad 
invadere la nostra Cistiberìna Italia, ed avendo 
al suo dominio sottoposta Finterà provincia 
del Sannio, trovando Benevento occupato da' 
liOngobardi, i quah ubbidivano a Zotone lor 
duca, ne confermò a costui il governo, e fat- 
tolo tributario, come furono in appresso tutti 
i duchi di Benevento a' re longobardi, lasciò 




LIBKO QtfARTO 339 

qu^ ducato sotto la sua amministrazione. Onde 
avreane che presso agli scrittori ìi pnncipio dti 
ducato di Zotone si prese non dal tempo che 
Autari occupò il Saniiio, e ridottolo in forma 
dì ducato, lo commise al suo governo; ma dal 
tempo che Zotone cominciò per quegli oscuri 

Srincipii e per questo ordine di cose ad avere 
governo ai Benevento e di q\ie' Longobardi 
che, come oaira Porfirogeiiito, prima Taveano 
occupato. 

n ducato adunque di Benevento da sì bassi 
e tenui prìncipii ebbe il suo nascimento: qual 
narrasi che sortirono ancora le più celebri re- 
pubbliche ed i più famosi principati dtì mon- 
do. Col correr poi degli anni, non pur aggua- 
gliò quello di Spoleti e di Friuli, ma di gran 
lunga superogli, e Io vedremo un tempo occu- 
pare quasi tutta Fltalia Cistiberina, anzi verso 
settentrione stendere i suoi confini, più dì quel 
che presentemente verso quella parte sì stende 
il nostro regno. Incominciò da que^ pochi Lon- 
gobardi che sotto Narsete in Benevento si fer- 
marono ; e sopra sì deboli fondamenti pian 
Eiano venne da poi ad introdurvisi quella pò- 
zia e quella forma di governo che sotto i 
duchi successoti di Zotone per più secoli si 
mantenne. Autari fii il primo che gli diede più 
stabile e certa forma , e che cominciò a dila-* 
tare ì suoi confini; imperocché tutta la pro- 
vincia del Sannìo sottopose egli a questo du- 
cato; e, come vedremo, gli albi re longobaitli 
suoi successori per mezzo de^ duchi maravi- 
gliosamente 'Tacerebbero. Benevento ebbe la 
fortuna d^ esser capo e metropoU di un tante 



d3o 18T0RU DEL REGNO DI NiPOLI 

ducato^ non per elezione^ né perchè forse nel 
regno d'Àutari questa città s'mualzasse tanto 
sopra tutte le altre citta di quelle provincie, che 
poi dominò, onde forse per questa sua emi- 
nenza avesse avuto da anteporsi a tante altre. 
Vi erano nel Sannio altre città non meno ce- 
lebri ed antiche, come Isernia, Boiano ed al- 
tre; ed assai più ragguardevoli ve n^ erano nells^ 
Campagna. AllMncontro Benevento quantunque 
a tempo de^ Romani fosse stata una delle più 
celebn colonie che avesse quella repubblica } 
nulladimeno per le invasioni de^ Goti pati so- 
vente di quelle calamità che soglion nascere 
da' si strani ravvolgimenti; né in tempo di 
costoro riteneva più quella sua antica dignità; 
anzi sotto il regno di Totila^ per aver fatto 
demolire questo principe le sue mura y si 
ridusse in istato pur troppo lagrimevole. Fu 
dunque per certo fato e per sua prospera for- 
tuna, che Benevento, costituita sede di questo 
ducato, si rendesse da poi capo e metropoli 
delle Provincie a sé vicine; ma questo pregio 
lo venne ad acquistar molto da poi. Ben ne^ 
tempi ne' quali scrisse 'Wamefrido, avea que- 
sta città innalzata la fronte sopra tutte T altre; 
ma q^iesto fu due secoli dopo il regno d' Au- 
tari. Per la qual cosa , quando questo autore 
descrìvendo le dicisette provincie d'Italia, e col- 
locando nel Sannio Benevento, nomò questa città 
capo delle provincie circonvicine, ciò disse avendo 
riguardo a tempi che scriveva , ne' quali la sede 
di questo ducato s' era renduta ampissima e 

O Pro^op. (totb. lib. 3. 




libuo QUAK-ro aSt 

rìcchÌMÌma, e Benevento (a innalzato ad es- 
ser capo non pur d'ima, ma di molte prorin* 
eie , come del Sannio , della Qampania , della 
Pu^a, ddla Lucania e de' Bruzi, o in tutto, 
ovvero in parte, come appresso diremo. Sic- 
come tutto a rovescio, quando questo scrittore 
ccdlocò Benevento nel Sannio , eia non fece 
riguardando i tempi ne* quali ^dominarono i 
Longobardi, ma tenne presente la vecchia de- 
scrizione d* Italia de* tempi degli antichi San- 
nìtij poiché secondo T altra più recente d'Au- 
gusto, come ce n'assicura Plinio (i), Benevento 
non nel Sannio, ma nella Puglia era collocato: 
e nelle altre descrizioni seguite appresso, si 
vide questa cittì posta dentro a' coo&ii della 
Campania: ood' è che negh Atti di Gennaro j 
quel santo vescovo di Benevento, oggi primo 
tutelare di NapoU , osserviamo che patendo egli 
il martìrio sotto Diocleziano , fu al preside dwa 
Campania, cui appartenevasi , commesso qu^ 
r affare. E ritroviamo ancora, che Ausonio fa- 
voleggiando di colóro che mutarono sesso , e 
narrando che in Benevento non arca molto 
tempo che un giovanetto divenne femmina, 
chiamò Benevento Città Campana. 



£ per questa ragione nell'Itinerario che s'at- 
trihuisce ad Antonino, il confine della Campa- 
nia si figge ad Equo Tutico, che secondo T os- 
servazione dì Filippo Quverio (a) i quella cittJi 



a3a ISTORIA DSL REGNQ DI NAPOLI 

die noi oggi Tolrarmente .chiamianio • Ariano ^ 
posta più in là da Benevento.; come sono le 
parole dell^ Itinerario : A CamuL Equo Tutico 
m. P. LIV. ubi Óampania bmitan kabet Caur 
dis M. R XXI. Benevento M* P^ XI. Equo Tu- 
fico M. P. XXI. 

Né per altra ragione ancora avretme che i 
Beneventani^ come s*è detto, posero piò marmi 
cogli elogi de* consolari dola Campania, sic- 
come altresì facevano i Capuani , i Napoletani , 
e le altre città che dal consolare ddU Campa- 
nia eran «governate. Da* quali documenti mani- 
lestamente apparisce, per qnal ragione T altro 
GennarO| pur vescovo di Benevento , essendo 
anch^egli intervenuto nel concilio di Sardica 
celebrato nell^ anno 347 j e correndo allora il 
costume di sottoscrìversi i vescovi col nome 
della propria città , e della provincia ove quella 
era posta , si fosse ivi sottoscrìtto in questa for- 
ma: Januarius a Campania de Benevento. 

Non altrìmente fece ^amefrìdo , quando ci 
descrìsse le dicisette provincie d'Italia, rap- 
presentandole siccome le ritrovò nella Notizia 
dell'uno e delF altro Imperio, fatta sotto Teo- 
dosio il giovane intomo Fanno del Signore 44^* 
Poiché ne' suoi tempi le provincie d'Italia, an- 
corché ritenessero i medesimi nomi presso agli 
scrittori (come anche facciamo oggi, che per 
ostentar erudizione nello scrivere, non pur ri-, 
corriamo a' tempi di Teodosio, ma a più alto 

Srincipio volgendoci, diamo i nomi a ciascuna 
eDe dodici nostre provincie che oggi compon- 
gono il regno , secondo erano ne' tempi della 
libera repubblica , con nomare i loro popoli , 




LIBRO QDAKTO 333 

Sanniti, Lucani, Hirpìni, Salentìni e simili), njit 
ladimeno era Tariata in tutto la loro anuuìni- 
strazione, e fu divisa Tltalia in più ducati che 
non furono prima provinciej onde avrenne che 
di quello che ora e regno , e che prìma non 
era diviso che in quattro provincte, se ne fos- 
sero da poi formate dodici , che acquistarono 
ahrì nom^ ed altri confini, come net prosegui- 
mento di questa Istoria vedremo. 

Or ritornando in cammino , V istituzione di 
questo ducato , se si riguardano i suoi hassi 
prìncipìi, fii a caso, non ad arte in Benevento 
stabilita; siccome furono non solo tutti gli altri 
ducati minori da' Longobardi in diverse città 
istituiti, ma quel di Friuli ancora, e l'altro di 
Spoletì; e siccome sogliono essere tutte le altre 
cose di questo mondo: che, se si riguarda la 
lor origine , surte a caso da tenuissimi prìn- 
cipìi s' innalzano al sommo , ove poi giunte , 
uopo è che retrocedano, ed allo stato di prima 
ritornino, come portano le leggi delle mondane 
cose ; leggi indispensabiU , alle quali T umana 
sapienza non vale ad opporsi , ne a darvi ri- 
paro. Non è però, che stabilite col correr degU 
anni le fortune de' Longobardi in Italia, avendo 
i loro re scorto che u perpetuare con lunga 
serie tanti ducati sarebbe tener troppo -diviso 
il loro -regno, non pensassero da poi d'estìn- 
guerne moUifisìmi, e ritener quelli solamente die 
potevano più giovare nlla conservazione deflo 
Stato. In fatti ^aniefrido istesso ne accerta che 
a' suoi tempi molti erano estinti, non facendo 
questo scrittore ne' seguenti anni della sua Isto- 
na menzione d'altri ducati, se non dì qud ài 



•|34 ISTORIA DSL EEGRO DI WAPOLI 

l^rentOy di Turino ^ di Bergamo | di Brescia^ e. di 
.ouesti altri tre che sopra tutti «^estolsero, cioè di 
^oleti, di Friuli I e questo di Boieyenta 

Né egli è fuor di ragione il credere che que- 
sti ulUmi tre sopra tutti gli altri si fosse pro- 
curato avanzargU^ perchè stando così (Ustnbui- 
ti 9 veniva il regno a conservarsi con più sicurtà, 
ed a poter estendere assai più oltre i suoi confinL 
Imperocché essendo situato il ducato dd Friuli 
air ingresso delT Italia , si poteva quindi con 
maggior prontezza resistere alle incursioni dji 
straniere genti che tentassero invaderla: dalT al- 
tro di SpoTetiy collocato in mezzo ritaUa, si po- 
teva con più facilità contrastare a^ moti de* 
Romani e de^ Greci , da^ quali in Ravenna e in 
Roma forlificatì venivan sovente con varie scor- 
rerie molestati : ed il terzo di Benevento era po- 
sto a reggere Pinferior p^rte d^talia, donde si 
potesse fare argine a^ Greci stessi ed a^ Romani^ 
da^ quali spesso per questi lati marittimi erano 
assaliti ed in continue guerre esercitati. Per la 
qual cosa Matteo Paimerio {*) accuratamente ci 
rappresentò la polizia e forma del governo de^ 
re longobardi, quando disse che aveiido costi- 
tuita la loro reggia in Pavia, avevano vari prin- 
cipati per Italia distribuiti, a^ quali preponevano 
i duchi; fc9L quali i più cospicui, e per succes- 
sione osservati, erano quel di FriuU nell^ingresso 
dcU^ Italia, T altro di Spoleti posto quasi nelFum- 
biUco di quella, ed il terzo di Benevento per 
regger Tinferior parte della medesima; dap- 
poiché questi tre ducati furono sempre a^ re 

O ^' ra?mrr. in Chion. ad A. 77G. 




LIBRO QUARTO 335 

loUopostì , e con uno spinto e colle -medesime 
leggi si goremavaDO, formando una sola repub- 
blica; ed in qiiesta maniera stabiliti si renderon 
più celebri, e pian piano stendendo i lor con- 
fini (nel cbe sopra tutti gli altri s^avanzfi quel 
fli Benevento) poterono lungamente conservare 
ÌD Italia il dominio de' Longobardi. 

Nel registrare ì fatti de' ducbi di Benevento 
noi seguiremo T ordine de* tempi e degli araiì 
tenuto dal diligentis^o Pellegrino, come quedi 
eh' è più accurato di tutti gli altri , eziandio ddlo 
stesso ^amefrido. E ponendo noi il principio 
del ducato di Zotone nell'anno del Signore 5^1, 
non nell'anno 585, come fece 'Wamefrido (il 
quale però conferà ancor egli cbe il di lui do- 
minio durò anni venti, tempo certamente cbe 
è il più sicuro), verremo perciò a mettere il suo 
fine nell'anno 591, non nel 6o5 o nel 598, come 
(a il Sigonio. Laonde quel che questo scrittore 
narra del sacco e della preda ai Crotone, che 
indubitatamente sorU nell' anno 596, non sotto 
2otone, ma sotto Arechi suo successore avven- 
ne. Donde manifestamente si veggono gli ab- 
bagli che nascono , e de' quali non s' avvide 
Fistesso Sigonio, se sì voglia fissare il princi- 
pio del ducato di Zotone, com'ei fece, nell'an- 
no 589, poiché il fine del suo ducato e la sua 
morte avrebbe egli dovuto porre nell'anno 609 
dopo scorsi H ao anni, non, come fece, nel 598, 
nel qual anno non ne sarebbon passati più che 
nòve del suo ducato. 

I fatti di Zotone primo duca di Benevento 
non meritano commendazione; poiché appena 
ritornato Antan in Verona, dopo aver sottoposto 




336 ISTOKU DKL UOMI-SI UF(n.t 

y Sutoio al suo doeitOj q bMaatoiie a ZotOM 
il gOTOmo, e* d diede um-ben èhini doOai éam 
npacith, ed ancora deb'*» poca rdi^oiiBy 
per ^unto dal sraoeBta'fidto'ai pnà compna' 
Bere. Il monastero Gaa ai naw òca do «mi prima 
edificato da S, Benedetto, eod par bi&ma dd 
MIO fondatore, come pef la aatthrtà e-£gmtà da^ 
monaà assai cdebre al iMHijo, «rera tintb a 
sa la mnnificensa di vari mfaie^ dw con ào^ ■ 
naràRÙ gmdissime tVeranb mwOTJi^oiaimta 
anicchtto. Zotonr, uomo avaiUsìiiio, co* inoi 
LoDgobardi, avido di queste liochene, impnrr- 
TÌsamente at notte Fasufi, e. non cootento defla 
preda, e d'aveme tolto tatto ciò che pia di 
pregevole Vera, devasta e getta a terra Pedi- 
lìcio; e mentre ì Longobardi sono tutti intenti 
alla preda, ebbe campo Bonito, che n^era al- 
lora abate, di fuggir con i suoi monaci in Roma, 
ove accolti con molta benignità da Pelagio papa, 
ed assegnate loro alcune stanze vicino Laterano, 
qmvi si fabbricarono essi un monastero, dove 
per cento trenta anni si fermarono ; e rimase 
uitanto quel monastero dì Cassino abbandonato 
per tutto questo tempo, infinocbè Petrouace a^ 
conforti di Gregorio U ne prese cura. Costui 
aveàdovi ridotti molti monaci e nobili che Te- 
lessero abate, rifece l'abitazione, e lo restituì 
alla pristina dignità. • 

n sacco di questo monastero non puf) porsi 
in dubbio , che da Zotone fu commesso non 
nudto tempo prima della sua morte , verso la 
fine di quest' anno 589 , copie -qudlo che ac- 
" " ' ■ " qoal morì nell'ao- 

igorio M. 



cadde sotto Pelagio papa, il qoal morì tu 
no 590, non molto innanzi cbe.S. Gregoi 



LIBRO QUAKTO 33^ 

scrivesse i suoi Dialoghi, ne^ quali facendo me»-, 
zioue di questo sacco, lo narra come d'uD 
successo di fresco accaduto {i). Ed è costan- 
tissimo , come accuratamente osservò il Baro- 
nie, cbe S. Gregorio scrìsse i suoi Dialoghi nel- 
l'anno 593, onde sì vede apei-tamente l'errore ■ 
di ^amefrido che pone questo fatto nell' an- 
no 6o5, e l'altro di Sigiberto, che questa de- 
vastazione Tuoi che sia seguita nell' anno 596, 
non avvertendo il testimonio certissimo di S. Gre- 
gorio, e quel che si raccoghe dalla Crouica di 
Lione Ostiense ; ciò che meriterebbe un più 
lungo discorso , ma supplirà quello dell' abate 
della Noce (a) che esamino con molta diligenza' 
questo punto. 



CAPO IIL 

Di Jffluyò IV re de' LongobarM, e di 
Grecia II duca di Benevento. 

Mentre queste cose accadevano nelle nostre 
Provincie, Aularì non avendo potuto ottener 
per moglie la soreUa di Childeberto re di FraiH 
eia , la quale fu da questo prìncipe sposata a 
Becaredo re di Spagna, da poi che ebbe costui 
abbracciata la fede cattolica, e con memorabil 
esempio discacciato l' arrìanesimo da' suoi re- 
ffà; rifiutato dunque Autarì da CbildebertOi 



(0 S. Grcg. H. I, a. Dialog. e. 7. Nactiumi tempore nnper 
iUic LoDgobardi ingrcui lunt, 
(9) Ab. d« Kiwe Chn». Ch. I. i. c a. m Emw. Chranal«(. 



!l40 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

solamente per le sue pieghevoli e dolci maniere, 
ma molto più per la gratitudine d' averlo al trono 
innalzato; Abbraccia per tanto Agilulfo la reli- 
gion cattolica^ e seguitando i Longobardi T esem- 
pio del loro principe, moltissimi di loro dete- 
starono , chi il gentilesimo, altri Tarrianesimo 
de^ (juaU eran infetti, e renderonsi cattolici. E 
potè tanto in Agilujifo il zelo di questa rehgione , 
che a* conforti di Teodolinda rifece molti mo- 
^ nasteri, e molte chiese ristorò, le quaU per le 
passate guerre eran poco men che distrutte, e 
donò a quelle molte possessioni, restituendo l'o- 
nore e la riputazione ^ vescovi, i quali, quando 
i Longobarai erano nell'errore del paganesimo , 
furono in depressione ed abietti (i). 

SI. 

Di Arechi II duca di Benevento. 

Nel regno di Agilulfo, conforme al conto del 
Pellegrino, in quest'anno Sgi accadde la morte 
di Zotone duca di Benevento, celebre più per la 
sua rapacità e per lo memorabile sacco del mo- 
nastero Gassinese, che per altro; onde per la co- 
stui morte fu dal re Agilulfo nel ducato di Bene- 
vento eletto Areclii congiunto per consanguinità 
a Gisulfo duca del Friuli (3). Secondo la polizia 
introdotta da Autari nel regno de' Longobardi 
in Italia , non solevan questi duchi levarsi se 
non o per fellonia, o per morte; e dopo la 



(1^ Pani. Warnrfr. ì. 4. 

d^ Siffon, ^r Rrb, Ital. An. 598, 




LIBRO QUARTO ì^l 

morte Tenne anche ad introdursi di anteporre 
a qualui)(]ue altro ì BgliuoU del morto, se il re 
gli reputava libili. Cosi veggiamo die dopo il 
lungo ducato di questo Arechi, die durò ciiv- 

Siant* anni , succede nello stesso Aione suo fi- 
iuolo. E accadendo di morire il duca senza 
figliuoli , il re o eleggeva altri ìa luogo suo , 
ovvero estingueva il ducalo, senza surrogarvi 
successore. U che s' osserva essersi cominciato 
a praticare negli ultimi anni del regno di questo 

Snncipe : ciocché facevano essi per ragion di 
Lato , fomentata dall' ambizione de^ duchi , i 
aliali bene spesso tentavan di scuotere il giogo 
ella dipendenza e rcndctsì assoluti; onde fu- 
ron obbligali a pensare di sopprimere , quando 
potevano , molti di questi ducati : tanto che 
pian piano gU ridussero a ben pochi , rite- 
nendo solamente quetU che potevano, conio s' è 
di sopra osservato , giovare alia maggiore si- 
curtà e custodia del regno. Tanto maggior- 
mente, che i re longobardi non meno per le 
guerre esterne di straniere nazioni, quanto per 
quelle che venivan mosse da' loro proprii du- 
chi, erano in continue sollecitudini ed angu- 
stie, come si è veduto nel regno d'Aulari, e 
potrà osservarsi in questo d'Agilulfo, il quale 
dopo avere nell' anno 5i^ di nostra salute fatta 
la pace co' Romani, e dopo avere ristabilita la 
lega con Teodiberto nuovo re di Francia , ebbe 
a comballere co' suoi duchi eh' ernnsegli ribel- 
lati, e con memorando esempio sconfitti che gli 
ebbe , senza che potessero trovar perdono , privò 
di vita tre di loro, Zangnillb in Verona, Gan- 
dolfo in Bergauio e Vaniecauso in Pavia. 
GlAKnOHE, f o!. Il, ili 



2ÌJ^2 . ISTOKU DEL REGNO DI NAPOLI 

Per questa ragione mancando per morte o per 
fellonia alcuno di essi , o proccuravan surrogarvi 
altri; delLi cui fedeltà ed amore eran ben certi^ 
come fece Agilulfo , quando morto Evino duca 
di Trento, surrogò in quel ducato Gondoaldo 
uomo cattolico ed insigne per la sua pietà (i): 
owero ndn curavap darvi successore, siccome 
avvenne al ducato di Crema, al quale, morto 
Cremete senza figliuoli, non se gli die succes» 
sore (2). 

Q ducato beneventano sotto il governo d^A- 
rechi , che fu il più lungo di quanti mai ne fu- 
rono, durando cinquanta anni , dal 5gi infino 
al 641 9 stese molto i-suoi confini ^ tantoché, 
secondo Paolo EmiUo <3) ed altri scrittori , i 
suoi termini da un lato s' estesero insino a Na- 
poli , e dair altro sino a Siponto , la qual città 
dopo il ponteficato di Gregorio M. si rendè an- 
che a' Longobardi^* ed ai ducato beneventano 
fu aggiunta. Né infino a questi tempi allargò egli 
tant' oltre i suoi confini , quanto fortunatamente 
gU distese poi negli anni seguenti, allorché ab- 
bracciaron quasi tatto quello eh' è ora regno di 
Napoli. Né perchè i Longobardi sotto questo 
duca di Benevento , che secondo T epoca del 
Pellegi'ino non potè esser certamente Zotone, ma 
Arechi , avesser presa e saccheggiata la città di 
Crotone , e fatti quivi molti prigionieri , dovrà 
dirsi che sin da questi tempi i suoi confini verso 
oriente si fossero stesi sino a Crotone ; poiché 
il costume de' Longobardi era , quando loro non 

(0 P. Warnffr. 1. 4* <*• »»• 

(?) Sij^on. df Rejj. Ilal. An. 6oa. 

(3) Paul. /Em\\. He Reb. Frane. 



IIBHO QUARTO ^^3 

riusciva di conquistar piazze nelle quali potes- 
sero mantenervi si e lasciarvi presidio^ di scor- 
rere a guisa di predoni il paese e saccheggiar- 
lo, con portarsi seco i paesani, che riducevano 
in cattività e n^ esigevan grosse somme per gli 
riscatti. Come appunto avvenne a^ Crotonesi , che 
per ricomprarsi fu d^ uopo sborsar gran dena- 
ro^ e da una epistola di S. Gregorio M. ove de- 
plorandosi la cattività de^ medesimi , si leggono 
gli sforzi che da questo pontefice si facevan per 
riscattargli, si conosce chiaramente che pVesa 
ch^ ebbero questa città , dopo averla saccheg- 
giata , carichi della preda si condussero conesso 
loro molti nobili , non perdonando né ad età 
né a sesso, e la lasciarono, né vi posero, pre* 
sidio, essendo allora molto lontana da* confini 
del loro ducato , ed in mezzo alP altre città de* 
Greci loro inimici. Fu questo un costume pra- 
ticato anche fra* GattoUci , i quaU ancorché non 
riducessero in servitù i presi , solevano nondi- 
meno custodirgli infino che non fossero con de- 
naro riscossi : di che rendono a noi testimo- 
nianza gravissimi autori 0* Non dee perciò 
riputarsi acerbità o fiiror de* soli Longobardi , i 
quaU, parte gentiU ed altri arriani, praticassero 
lo stesso co* loro nemici Così anche sotto Zo- 
tone, non perché dessero il sacco al monastero 
Cassinese , s' allargò in quel tempo questo du- 
cato tanto verso quella parte, come si stese da 
poi. E per questa ragione ancora più sconcio er- 
ror sarebbe se fin da tempi d*Autari re volessimo 



O Orot. Hr Jure bflli et p«ic. L 3* e. 7. ft. 9. Vìbb. lB»tit. 
I. I. til. 3. S tn*TÌ. B. 4* 



^44 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

dire che il ducato beneTentano sì fosse disteso 
sino a Reggio , perchè Autari iufino a quest^ ul« 
tima parte facesse correre il suo stendardo } poi- 
ché aa questo stesso , e da ciò che narrasi aver 
detto questo principe quando coli' asta percosse 

3uella colonna ^ che fin quivi dovea egli sten- 
ere i confini del suo regno j si conosce ma* 
nifestamente che allora tutti queMuoghi erano ^ 
come furono per molto tempo da poi y sotto la 
dominazione degf imperadori d'Oriente. 

Ecco come quello che ora è regno di Napoli , 
in questi tempi non riconosceva come^ prima un 
sol signore ed un sol principe^ ma ben due. Il 
ducato beneventano ubbidiva al suo duca im- 
mediatamente, e per lui al re de' longobardi; 
la Puglia e la Calabria, la Lucania ed i Bruzi, 
il ducato napoUtano , quelli di Gaeta , di Sor- 
rento j di Amalfi e gli altri ducati minori , a' loro 
duchi immediatamente, e per essi all'esarca di 
Ravenna e agi' imperadori d' Oriente. 



CAPO IV. 

Del ducato napoletano , e suoi duchi. 

Poiché nel ducato napoletano abbiamo de' du- 
chi che lo ressero, una continuata serie, e fu 
auello che solo restò esente dalla dominazione 
e' Longobardi , e che poi , estinti gli altri du- 
cati minori , abbracciò molte città eh' eran in 
quelli comprese, onde perciò si rendè anche piò 
cospicuo ; non sarà fuor di proposito che par- 
lando de' duchi di Benevento, nel tempo stesso 



LIBKO QUARTO :i^5 

si paHì di quelli dì Napoli , perchè ei conoscano 
ìli. ciò le vicende delle inondaQe cose, come per 
le continue guene ch'ebbero questi popoh, i 
Beneventani co' Napoletani, avanziuidosi sempre 
più il ducato di Benevento , quel di Napoli all' in- 
contro e la dominazione de' Greci in tutto il resto 
dell'altre provincie venisse ad estenuarsi: e come 
da poi siasi veduto che del ducato di Benevento 
appena siane a noi rimaso vestigio, ediall'in- 
contro Napoli si fosse innalzata tanto, fino ad 
esser iion pur capo di un picciol ducato, quale 
era , ma capo e metropoli d' un vastissimo e flo- 
ridissimo regno, qual oggi con ammirazione & 
stupore di tutti sì ravvisa. 

11 ducato napoletano, che nel suo nascere ebbe 
angustissimi confini , la città sola dì Napoli colle 
sue pertinenze abbracciando , ne' tempi di Mau- 
rizio impei-adore d'Oriente fece notabili acquisti; 
poiché questo prìnc^ie aggiunse stabilmente À 
suo dominio I* isole vicine , come Ischia , Ni- 
sìda e Procìda , nella cui possessione confermò 
i Napoletani ; siccome scnve S. Gregorio M. (*)• 
S^ aggiunsero da poi Cuma , Stabìa , Sorrento 
ed Amalfi ancora , la quale insino a' tempi d'A- 
driano papa e di Carlo M. fu del ducato napo- 
letano , come ò chiaro per una epistola di qud 
pontefice rapportata dal Pellegrini ; tanto che 
ridotto questo ducato quasi in forma d' una pro- 
vincia, venne volgarmente cliiamato anche Cojo- 
pania: onde sovente il duca di Napoli diccTasì 



a4é ISTORIA DEL EEGNO DI NAPOLI 

dux Campanice^ come S. Gregorio (i) chiama 
Scolastico duo: Campanioe , ed altrove (2) Go- 
ìdiscalco duo: Campanice. Questa abbracciava 
molte città di quel lido j che a' Napoletani ed 
al lor duca eran soggette ) isd i vescovi di queste 
città solevan perciò appellarsi vescovi napole- 
tani ; ond^ è che sovente nell^ epistole dì questo 
pontefice (3) si legga : episcopis neapoUtanis, 

Non potè stendere più oltre i suoi confini verso 
occidente , settentrione e oriente ; poiché il du- 
cato beneventano già verso quelle parti stende- 
va , fatto potente y le sue forti braccia. Capua 
col suo territorio infino a Cuma j ed a^ lidi che 
non han porto ^ di Mintumo^ Vultumo e Patria ^ 
detta anticamente Lintemo«era già passata sotto 
la dominazione de^ Longonardi Non molto da 

Eoi stesero i Longobardi i confini del ducato 
eneventano infino a Salerno ; e molte altre città 
verso oriente infino a Cosenza , con tutte Y altre 
terre me^iiterranee , furono a' Greci tolte. Ed an- 
che questo ducato napoletano sarebbe passato 
sotto il dominio de' Longobardi , come passa- 
rono nel con'er degU anni tutte 1' altre città me- 
diterranee del regno j e da poi le marittime an- 
cora , toltone Gaeta j Amalfi, Sorrento , Otranto, 
Gallipoli e Rossano, se due cagioni non 1' aves- 
sero impedito. Ciò sono , il non essere i Longo- 
bardi forniti di armate di mare , né molto esperti 
agli assedi di piazze marittime ; e V aver i 
Napoletani, per ragion anche decloro siti, ben 
fortificata Napoli e V altre piazze marittime a loro 

(1) Grrg. M. 1. a. InH. ii. Epis. i. a fX i5. 
(a) Epist. ivt. 1. 8. Ind. %, 
(S) Epist. !t4. 1. la. ind. 7. 



LIBRO QUARTO 2/^^ 

soggette. Tanto che potrà meritamente vantarsi 
Napoli col suo picciolo ducato ^ che non ostante 
d^ esser passate sotto la dominazione de^ Lon- 
gobardi quasi tutte le città del regno , toltone 
quelle poche dianzi rammemorate y e d' essersi 
renduti i Longòfiardi signori di quasi tutto ciò 
che ora >è regno , non poterono però mai sog- 
giogar affatto i Napoletani y ancorché da poi ne- 
S[li ultimi anni a' principi di Benevento fossero 
atti tributarii, come nel progresso di questa Isto- 
ria diremo: in guisa che non è condonabile Ter- 
ror del Biondo (i) che scrisse , i Longobardi 
non molto tempo dopo il governo de' 36 duchi 
avere soggettata Napoh. 

Al ducato napoletano solevan^i mandare i du- 
chi per reggerlo , o da Costantinopoli a dirittura 
dagF imperadori d' Oriente j o pure , quando il 
bisogno non permetteva d'aspettar molto tempo 
che venisse da parti sì remote, l'esarca di Ra- 
venna , eh' era allora in ItaUa il primo magi- 
strato degl' imperadori greci, soleva egli man- 
darcelo. 

Ne' tempi ne' quali siamo , sotto il ducato di 
Arechi , imperando in Oriente Maurizio , essendo 
NapoU senza duca, e meditando Arechi insieme 
con Arnulfo duca di Spoleti assaUrla : S. Gre- 
gorio M. a cui molto importava la sua difesa, 
e che invigilava per gl'interessi dell' imperadore 
contro a' Longobardi , dubitando che costoro 
conquistando il resto d'Italia, eh' era in poter 
de' Greci , finalmente non soggiogassero Roma 
ancora, scrisse {2) nel 592 con molta sollecitudine 

(i) Blond. DeoìA. 1, h\%ì. I. 8. 

(9) S. Grrg. M. I. :t. ìn<ì. io. l'.p. Si. Caiu. PH. in dis*. àe 
Due. Ben. 



!l48 ISTORIA. DEL REGNO DI NAPOLI 

a Giovanni vescovo di Ravenna ; perchè affret- 
tasse r esarfca a mandar prestamente in Napoli 
il duca per difenderla dallMnsìdie d' Arechi, 
poiché altrimente egli senza dubbio la vedeva 
perduta. 

E da un^ altra epistola (i) di questo stesso 
pbntefice, data neli^anno 599, osserviamo che 
non molto tempo da poi fu mandato in Napoli 
per duca Maurenzio y il quale con tanta vigilanza 
8Ì pose a custodir questa città , che oltre ad 
averla munita con valido presidio, costrinse an- 
che i monaci a far la sentinella sopra le mu- 
ra, senza perdonar nemmeno a Teodosio abate; 
onde fortemente se ne dolse Gregorio (2) e per- 
chè r affliggeva oltre alle sue deboli forze, e per- 
chè avea mandato ancora molti soldati ad allog- 
giare in un monastero di. monache, costringendo 
Angela loro badessa a rii^evergli. 

Ma essendo stato Y imperador Maurizio scac- 
ciato dair imperio nell'anno 602 da Foca, questi 
si fece acclamare imperadore dall' esercito nella 
Pannonia , e giunto in Costantinopoli, vi fu ri- 
conosciuto, e fece morire Maurizio co' suoi fi- 
gliuoh 5 ed avendo mandato il suo ritratto in , 
Roma, fuv^^ parimente acclamato imperadore, 
con consenso anche di S. Gregorio, che lo ri- 
conobbe in Roma, come avea fatto in Costan- 
tinopoli il patriarca Ciriaco. Foca adunque as- 
sunto al trono , in luogo di Callinico , eh' era 
stato da Maurizio sostituito a Romano , mandò 
di nuovo in Ravenna per esarca Smaragdo (3) , 
€d in NapoH per duca Goudoino. 

(1) F.p. ^4* ^' 7* ^"'^•. 3. 

(•-*) Kp. 107. I. 7. ind. a. 

(3) Marq. Frchcr. in Chron. Exarc. Rav. ^ 



/ 




LIBRO QUARTO S^Q 

Per la morte di Goiidoino , fu mandato da 
Foca in Napoli per duca Giovanni Compsino co- 
stantinopolitano , quegli che , violando la fede 
al suo Principe , tentò rendersi assoluto signore 
della città a sé coimiiessa. Poicliè essendo stato 
ucciso nell' anno Gio Foca (i) , e succeduto 
iieir imperio Eraclio suo competitore j non po- 
tendo i Ravignani soiferir la superbia e le gra- 
vezze di Giovanni Lemigio (2) nuovo esarca, 
mandato nell' anno Già da Eraclio in Ravenna, 
preser le armi, e tumultuando, con gran con- 
corso di popolo, giunti al palazzo, T uccisero 
iniiiemc co' suoi giudici. Pervenuto questo fatto 
a notizia di Giovanni Compsino duca di Napoli, 
pensò non dovere aspettar miglior occasione per 
nnpadronirsi della ritta ; onde tantosto per sé 
occupoUuj e con forte presidio munilla centra 
gli sforzi clic temeva dell' imperador Eraclio ; 
il quale in fatti, avvisato de' tumulti di Raven- 
na, e della fellonia dì Compsino, mandò subito 
in Italia per esarca F>leuterio (3) patrizio e suo 
cubiculario , uom jirode di mano e piìi di con- 
siglio. Questi avendo composti ì romorì in Ra- 
venna , passò con sufficiente esercito in Napoli , 
dove entrato pugnando, uccise il tiranno, rìdu- 
cendola come prima sotto la dominazione d'E- 
raclio3 e lasciatovi nuovo duca, vincitore in Ra- 
venna fece ntonio (4)- 



<i) P. Pigi Ar Consulib. p. ii-). 
(1) Alarq. Frchtr. Inr. til. 
O) Mai<|. Frplirr. Inr. rit. 
<4') Anittai. RiMìotlier. in Driiideilil. Cmil. 
u-il. 5. de Due. Bn>. 



aSo ISTOKIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Non ha del verisimile P opinione del Summon* 
te, o ciò che egli suspica, che il nuovo duca 
lasciato in NapoH da Eleuterio fosse quel Teodoro 
che si porta fondator della cliiesa de' SS. Pietro 
e Paolo , già posta nel quartier di Nido ; poiché 
r iscrizione greca che in un marmo ivi si leg- 
geva, e nella quale si nominava per fondator 
di quella chiesa Teodoro consple e duca, por- 
tando la data della iv indizione, viene a cadere 
in tempi più bassi , -cioè neW anno 786 , nel 
quale tempo governò questo duca, come da va- 
lentuomim è stato osservato. ' Ed all' incontro 
è vero che Eleuterio fu mandato da Eraclio' in 
Ravenna nell'anno 616, dove poco più di due 
anni tenne 1' esarcato, poiché nell' anno 619 vi 
fu mandato Isacio patrizio ptsr suo successore (i). 

Su questa fellonia di Compsino sono stupende 
le favole che i nostri moderni scrittori hanno 
inventate. Dicono che questo duca dopo aver 
occupato Napoli si rendesse ancor signore della 
Puglia e della Calabria , e d' altri luoghi del no- 
stro regno : che di più se n' avesse fatto inco- 
ronare re, e che prima andasse a' Bari a farsi 
coronare della corona del ferro, e poscia in Na- 
poli con quella dell' oro ; e che perciò egli fosse 
il primo che s' avesse usurpato il titolo di re 
di ÌSfapoli ; aggiungendo che i Normanni da poi , 
coli' esempio di questo I re di Napoli , vollero 
pure farsi prima coronare in Bari colla corona 
del ferro, e poi in Palermo con quella dell' oro (2). 
Sono tutti questi racconti sogni d'infermi. Né 



Ci) Marq. Frrhrr. lor. rìl. 

(li) Bealil. hisi. Bar. p. is. hisl. S. Nic. 1. ii. 



LIBRO QUARTO a5 I 

mai Compsìuo s^ insigiiori della Puglia e della 
Calabria, iiè d^ altre provincie, le quali perla 
maggior parte erano passate in questi tempi sotto 
la dominazione de^ Longobardi. Invase egli Na- 
poli solamente colle siie pertinenze; e Paolo Vai> 
nefrìdo narra che dopo non molti giorni ne 
fu cacciato da Eleuterio patrizio. Gran cose do* 
vea far costui in cosi breve tempo, domando 
non pure i Greci, ma i Longobardi allora po- 
tentissimi ; né presso ad autori di conto si legge 
mai che s' avesse fatto incotonare re. Cosa an« 
che più ridicola è il dire che fosse andato fino 
a Bari a prender la corona di ferro, e poi in 
Napoli quella d^ oro ; essendo tutto favoloso ciò 
che si narra di questa coronazione di ferro in 
Bari , né da alcuno de^ nostri re mai praticata^ 
come si vedrà chiaro ne^ seguenti libri di questa 
Istoria. 

CAPO V. 

Di Adalualdo ed Ariovaldo^ V e VI re 

de' Longobardi / 

Ridotta già la dominazióne de^ Greci in Italia 
a declinazione grandissima, tentarono i Longo- 
bardi sotto il re Agilulfo finire di interamente 
discacciargli da tutte F altre regioni ch^ erano a 
lor rimase. Nel che conferiva molto P aver i Lon- 
gobardi in gran parte ( seguitando T esempio di 
Agilulfo ) deposto, chi il gentilesimo e moltissimi 
r arrianesimo, ed abbracciata la reUgion cattolica ) 



O Waniffr. 1. <. r. 35. 



25 a ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

ciò che gli rendè a' provinciali men odiosi^ ed 
il lor dominio men grave e pesante. In fatti ad 
Agilulfo, che de' re Longobardi fu il primo ad 
abbracciar questa religione, e che in tutto il 
corso di sua vita lasciò monumenti di /nolta 
pietà e munificenza verso le chiese e monasteri , 
si dee che lungo tempo il regno si mantenesse 
in pace. Poiché egli morto , lasciando per suc- 
cessore Adalualdo suo figliuolo , che ancor vi- 
vente r aveva per suo collega assunto al trouoj 
questi seguitando V esempio di suo padre , e 
molto più imitando TeodoUnda sua madre, che 
nel regnare volle averla per compagna , ridus- 
sero le fortune de' Longobardi in istato così 
placido e tranquillo, che ninno strepito di Marte 
turbò la loro pace ed il loro riposo } e sotto co- 
storo furono rinovate le chiese, e fatte molte 
donazioni a' luoghi sacri (i). 

Ma non potè molto Adalualdo goder di tanta 
quiete; poiché nell' ottavo anno del suo regno, 
avendof^li maadato F impcrador Eraclio per am- 
basciadore un tal Eusebio per trattar seco della 
pace e d' altre cose rilevanti , questi o per pro- 
prio consiglio, o pure per comandamento avuto 
dal suo signore , mentre il re usciva dal bagno , 
gU porse una bevanda come a lui salutifera, la 
qnal bevuta , cominciò ad uscir di senno e ad 
impazzire (2): il che scorgendosi dall'accorto 
Eusebio , diedegli a sentire che dovesse per sua 
maggior sicurtà far morire i più potenti Lon- 
gobardi. Questo consiglio, come giovane e stolto, 



(1) Warnrlr. I. .{• <•• 'i3. 
0> Si-iou. ad Ali. (S53. 



LIBRO QUARTO ^53 

essendo tla lui abbracciato , fece uccider tosto 
dodici nobili de' primi; la qual cosa scorgendo 
gli altri Longobardi , e veggendo non istar essi 
più sicuri dalla stolidezza di costui, avendo ec- 
citato un gran tumulto , e gridandolo per empio 
e tiranno y lo discacciarono dal^trono insieme 
colla regina Teodolinda sua madre , ed iù suo 
luogo riposero Ariovaldo duca di Torino, che 
aveva per moglie Gundcberga sorella di Ada- 
lualdo. 

Questo successo divise i Longobardi in due 
fazioni. Ariovaldo era sostenuto da que' nobili 
che tunmltuarono , a' quali s' erano aggiiuiti tutti 
i vescovi delle città di là del Po, che a tutto 
potere studiuvansi con altri d' ingrossare il lor 
partito. Adalualdo dalf altra parte era aiutato da 
Onorio pontefice romano , il quale aveva forte 
cagione di sostenerlo, così per riguardo di Teo- 
dolinda , alla cui pietà doveva molto la religion 
cattolica , come anche perchè Ariovaldo era da' 
Cattolici abborrito per l'eresia arriana, in cui 
era nato e cresciuto : e fu tanta T opera d' O- 
norio , che tirò a sé anche Isacio aflor esarca 
in Italia, ed obbligoUo a restituir nel trono Ada- 
lualdo con potente esercito. Proccurò anche to- 
glier dal partito di Ariovaldo que' vescovi che 
lo favorivano , minacciandogli che non lascìa- 
rebbe impunita tanta loro scelleratezza. Ma nQn 
reggendosi ridotta a compiuto fine l' opera d' I- 
sacio , e morto opportunamente Adalualdo di 
veleno , ottenne finalmente Ariovaldo il regno ; 
ed essendo egli infesto a' Cattolici , cagionò in 
Itaha non leggieri disturbi. 
. Nel regno di costui , non passarono moli' anni , 



^54 ISTORIA DUi REGNO DI NÀPOLI 

che Teodolinda vedendosi cosi abietta y e priva 
d^ orni speranza di ricuperar la pristina dignità 
regale . piena di mestizia e d^ estremo dolore 
venne. a morte nell' amio 627. Principessa, e 
per le eccelse doti del suo animo e per la sua 
rada pietà j degnissima di lode , e da annove- 
rarsi fra le donne più illustri del mondo , la 
2ualè . non meritava esser posta in novella da 
fiovànni Boccacci nel suo Deeamerone 0* 
Arìovaldo regnò altri nove aniii dopo la morte 
di Teodolinda y e mori senza lasciar di sé stirpe 
maschile neir anno 636. Per la qual cosa i Loiv* 
gobardi , convocati i duchi y pensarono di crear 
un nuovo re; né vedendo chi dovesse innal- 
zarsi al trono, diedero a Gundeberga, come 
avevan prima fatto a Teodolinda , il poter ella 
ereare per re colui che si eleggesse per marito. 
Gundeberga, come donna prudentissima e molto 
savia y elesse per suo marito e re Rotari duca 
di Brescia, in questo stesso anno 636, secondo 
il computo del Pellegiùno. 



CAPO VI. 

Di Rotari yil re, da cui in Italia furono 
le fcggì longobarde ridotte in iscrìtto. 

Rotari fu un prìncipe in cui del pari eran con- 
giunti un estremo valore ed una somma pru- 
denza ) ma sopra tutto fii grande amatore della 
giustizia : e se alcuna ombra di colpa rendè non 



O IV>rrar. Cior. 3. \©t. a. 



LIBRO QUARTO ^55 

chiari i suoi pregi ^ fu V essere macchiato del- 
r eresia arriana ] onde avveiuie che a^ suoi tempi 
in molte città d' Italia erano due vescovi , F un 
cattolico e V altro arriano (i). 

Questo principe fu il primo che diede le leggi 
scritte a^ suoi Longobardi (2) , dal cui esempio 
mossi gli altri re suoi successori^ surse^ col 
correr degli anni^ in Italia un nuovo volume dì 
leggi; longobarde chiamate, le quaU nel regno 
nostro ebbero un tempo tal vigore e dignità , 
che fu forza che le leggi romane retrocedessero. 
Ma prima che delle leggi longobarde facciam 
parola y convenevol cosa è che si vegga lo stato 
nel quale a' tempi di questo principe e de' re 
suoi successori si era ridotta la giurisprudenza 
romana in Itali a , e nelle provincie che oggi coui- 
pongono il nostro regno y ed in quali hbri era 
compresa. 

Giustiniano imperadore ancorché avesse proc- 
curato sparger per Italia i suoi volumi, e stret- 
tamente avesse comandato che , aboUti tutti gli 
altri j quelli solamente per Italia si ricevessero 
insieme colle sue costituzioni novelle; hulladi- 
meno F autorità de' medesimi quasi s' estinse 
insieme con lui. Poiché egU morto, e succeduto 
Giustino inettissimo principe, ricadde Italia di 
bel nuovo in mano di straniere genti ; e tol- 
tone F esarcato di Ravenna , il ducato di Ro- 
ma , que' piccioli di Napoli , Gaeta , AmalG , e 
di alcune altre città marittime di Puglia , di Ca* 
labrìa e di Lucania , i Longobardi dominavano 

(1) Wamefr. I. 4* «• 44* 
(3) Paul. Warncfr. loc. ciL 




a56 ISTOIUA bCL REGIfO DI XAPOIJ 

iu tutte r altre sue provliicic, senza clic gli altri 
imperadoi'i die a Ciìuslino succeciurono, molta 
cura si prciitlessero di ricuperarle , e tanto meno 
delle leggi di GiusLÌnianoj anzi non vi inanca- 
Ton di coloro y come si dirà a suo luogo , che 
o per invitUa o per emulazione cercarono an- 
che Dell'' Oriente d^estìnguerìe atTatto. S' aggiun- 
geva in oltre , che presso a^ Longobardi, per 
le continue guerre fra di essi accese, il nome 
de^ Greci era abbominatissimo j e tutto ciò che 
da loro procedeva , con somma avversione era 
rìfìutatu e scacciato. Quindi nacque, che sebbene 
a' provinciali permettessero 1' uso delle leggi ro- 
mane, ed a* Romani di poter sotto le medesime 
vivere , con tutLo ciù vollero che quelle appren- 
dessero da! Codice di Teodosio ; onde presso 
i LoHE^obardi fu in più stima e riputazione il 
Codice Teodosiano, clie quello di Giustiniano (i). 

Al che s' aggiinigeva V esempio de' Weslro- 
gotì , che signoreggiavano allora la Spagna , i 
qnali contenti deJ Codice fatto per ordine d'A- 
larico , e del novello compilato dalle leggi de' 
^estrogoti , ad ìmitazioii di quello di Giusti- 
niano , non riconoscevan ì costui hbrì. 

S' aggiungeva ancora 1' esempio do' Franzesi, 
i quali infìuo a' tempi di Carlo il Calvo non ri- 
conobbero altre leggi romane , se non quelle 
eh' erano racchiuse nel Codice Teodosiano , o 
nel suo Breviario fatto per ordine d' Alarico (2), 
Anzi Carlo M. stesso , volendo ristorar la giu- 
risprudenza romana; che a' suoi tempi era ridotta 



LIBRO QUAKTO sSy 

in ìstato pur troppo lagrimerole} posposti i li- 
bri di Giustiniano, si diede a riparare il Co> 
dice di Teodosio, e ad emendarlo, come mo- 
strano quelle parole aggiunte al commonitorio 
d'Alaiico che va imiaiizi al Codice Teodosiano: 
Et iterum anno xx regnante Carolo rege Franc^ 
iet LongobanL et Patritio Romano. K fu tanta 
Ila cura di questo gtorìo&o principe ed il ri- 
tipetto ebe tenne di questo Codice, che molto 
^gi di esso volle trasferire ne' suoi Cs^ito- 
■i (I). 

i Ne' tempi di Cario il Calvo par che io Fra». 
I si cominciassero a sentire le leggi di GÌih 
lìiiiano, come mostrano gh autori di quell'età, 
niali spesso allegando le leggi di Giusliniauo. 
"~ Teodosiane tacciono. Cosi Hincmaro di 
ì: Et sacri Africae provinciae canones et 
Justirùana decernunt (3)j ed altrove (3): 
tps Justimani dicunt II che comprovasi da 
[ clie Giovanni Italo (4) scrisse di Abbono 
)'di Odone Cluniacense, il quale Justiniani 
feilam memoriter tenebat: sebbene non man- 
Ino ne' tempi seguenti autori ì quali anche 
' lero delT autorità non meno de' libri di 
inìano, che delle leggi Teodoùane, come 
I Ivone di Cbartres (5) y Graziano ed altri. 
Italia solamente studiavansi i pontefici ro- 
|di mantenere l'autorità delie leggi di Giu- 
e degli altri imperadorì a Oriente, 

. . ipìtulw. Caitli H. r. 1S4. Addit. et e. 981. L & 
(a)BÌDc. Rm. ep. 7. 

(S^^Bionn. ìd Ooiuc. iilfm. Hinemamm LudoBCBMin. 
"Vo. lui. in VlU S. OdoD. Abb. CIomìul Alle*, loe. eir. 

■Ito EpUt. Ila. >4). 1S0. 
■akhobs, FoL II. ìj 



u5d ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

zfìostfando di quelle somiqa stima e venera- 
zione. Erano i loro disegni di sostenere in Ita- 
lia a tutto potere V autorità degF imperadorì 
greci con riconoscergli per sovrani^ perchè in 
dotai guisa potessero far contrappeso alle forze 
de* Longobardi y e );ener divisa V Italia tra due 
eguali potenze ^ acciocché V una intraprendendo ^ 
6opra r altra y Roma non cadesse sotto la ser- 
vitù delFuna o dell^ altra. Amavano essi meglio 
V imperio de' Greci , perchè questi , come lon- 
tani^ non erano in istato di badar molto ad 
impedire i loro progressi y e^ disegni che ave- 
vano dMmpadronirsi di Roma; e perciò quando 
i Longobardi avanza vànsi tanto ; onde si po- 
tesse temere che finalmente non occupassero 
quella città y la cui perdita sarebbe stata seguita 
dalla lor mina , ricorrevati tosto a' Greci y per- 
chè s' opponessero di tutto potere a' loro sforzi 
In effetto S. Gregorio M.^ che, come s'è detto, 
era molto sollecito che i Greci non fossero in 
tutto discacciati d'Italia, portava somma ve- 
nerazione alle leggi degl'i mperadori d'Oriente, 
e sopra tutto a quelle di Giustiniano , delle 
quali sovente vale vasi , e delle Novelle più fre- 
quentemente , coni' è manifesto appresso Gra- 
ziano e ne' Decretali (i). Questo istituto ancora 
ritennero da poi i suoi successori , e fra gli 
altri Gregorio III (a), Niccolò I, Lucio III, Gio- 
vanni Vili, (3), ed altri rappoilati da Dadiiio 

0) Grcgor, 1. la. Epist. 5i. et Epist. 54* !• n* Novell. ia3. 
Grat. e. 38. e. ii. q. i. et e. a. de Tcstib. e. ull, Nov. 90, 
V. Altpser. Rer. Aquit. e. 16. p. a 18. et seq. 

(a) Greg. Ili. e. Lator. de pignorib. 

O) Jo. Vili. Cau. fin. iG, q. 3. Sed vencraadae Kuip. 1v« 
((«'ij ec. 



/ 



LIBRO QUARTO sSq 

Alteserra (i). Per questa cagione seguitando 
Lione IV i vestigi de' suoi predecessori , scrìsse 
queli^ epìstola che si legge in Graziano (2). al- 
1 imperadore Lotario I^ in cui lo prega a con*- 
servare la legge ron>ina : Vestram Jlagitamus 
dementiamo ut siciU hactenus Romana lex sfk' * 
guit absque unwersis procellis, et prò nullius 
persona fiominis reminiscitur esse corrupta ; ita ' 
nunc suum robur, propriumque s^igorem obiir 
neat Ond' è che Ivone di Cliartres (3) disse : 
Dicunt enim institicta legum novellarum^ quas 
comiìieiidat et sen^at Romana Ecclesia : e che 
poi siasi veduto gli ecclesiastici^ cosi nel no- 
vero degli anni per la lor minore età^ come 
in molte altre cose , seguire le leggi romane. 
Quindi i libri di Giustiniano nel ducato romano 
ebbero in questi tempi maggiore autorità e vi- 
gore y che netf altre parti d' Italia , siccome Teb-, 
bero in Ravenna (4) sec|p dell'esarcato de' Gre- 
ci 'j onde narrasi (5) che in questa città si fosse 
lungamente conservato quel volume de' Digesti 
che ora chiamiamo Inforziato^ a cui i Ravi- 
guani solevano ricorrere per la decisione delie- 
loro cause: ond' è che a ragione potè e onchiu* 
dere Ermando Conringio (6)\che in ItaUa prima 
di Lotario n, Jtiris Romani y et quidem mOf^ * 
xime Jiistinianeiy usus aUquis arvitrarius sw^ 
perfkiU exiguus uhwis; frequendor tanien Ro^' 
mae, inque aUis Exarchatus locis, qiuun in 

(1) kìtea, loc. cit. p. 919. 

Ci) lo Decret. Grat dUt. io. e. i3. AUes. Rer. Acpiit. l.,3* 

e. i4* 

(3) Ito Ep. aSo. 

(4) Balduin. in Plrole^. Comment. in Instif. 

(5) Artur. Durk De Usu Jur. ctv. 1. i. e. 5. nani. 19. 
(jS) Conriag. De Orig, Jur. Ger. e. 90. 



a6o I8T0RU DEL REGNO DI NAPOLI 

Regno Longobaniico , Nos^ellarum praecipua 

fidi auctoritas in rebus ecclesiasiicis nonnultis. 

Ma i Longobardi, per le ostinate e ciudeli 

guerre ch^ ebbero co^ Greci^ sebbene ad esem- 

E io de^ Goti lasciassero Tivere i provinciali colle 
rggi romane^ non da altri libri, se non dal 
(!k>aice di Teodosio e did Breviario d^Alarìco 
vollero che queDe s^ apprendessero , ed avessero 
forza e vigor di legge, imitando anche in que« 
sto la pratica de^ Gotìj né infino ad ora per 
sessanta sei anni, da che vennero in Ita£a^ 
ebbero essi per loro legge alcuna scrìtta (i)^ 
ma govemavansi solamente secondo i loro co- 
stumi, e secondo queglMstituti che tramandati 
come per tradizione da* loro maggiori , con 
molta osservanza e religione mantenevano. 

Rotarì adunque fii il primo che assunto al 
trono, dopo avere ingrandito il suo reame col* 
P acquisto delle Alpi Cozzie e di Oderzo , pensò 
a dare anche le leggi scritte a' suoi Longonardi. 
La maniera colla quale i re longobardi sta- 
bilivano le loro leggi, fu cotanto commendata 
da Ugon Grozio (2), che antepone in ciò i 
Longobardi a^ Romani stessi. Questi sovente 
dall'arbitrio d^un solo ricevevano le leggi, il 
quale le mutava e variava a sua posta ^ onde 
tutto ciò che al principe piaceva, ebbe vigor 
di legge. All'incontro i re longobardi non s'ar^ 
rogavano soli questa potestà, ma nello stabilirle 
vi volevano ancora il parere e consiglio de' 
principali signori e baroni del regno , e i ordino 



(0 P. Warn. L 4. e 44. 

(^ QfX. in Pfolcg. ad iu»t. Golk 



U8B0 QDARTO a6t 

dd magistnrto ti avea ancora la ma parte. Né 
altrove stabilÌTansi, che nelle pubblicne assem- 
blee a questo 6ne convocate, ndle quali non 
^ atametteva all' uso dì Francia l' ordine eccle- 
•iastieo j ma solo V ordine de* signori e de' ma- 
gistrati: né la plebe appresso loro faceva or- 
dine a parte, ma, secondo che scrisse Cesar» 
deir antica Gallia: Plebs piane servorum haba- 
batur loco, quae per se nil audet, ìutUiqa* 
adfùbetur concilio. 

Avendo adunque Rotarì, secondo l'^oca dì 
Camillo Pellegrinò, nell^anno 644 intimata una 
dieta in Pavia, radunati quivi i signori e' ma" 
gistrati, stabilì molte leggi, le quali fece egli 
ridurre in iscritto, ed inserìlle in un suo editto 
<^e fece pubblicare per tutto il suo regno : non 
altrimente che fece Teodorico ostrogoto , quando 
pubblicò il suo per tutta Italia, del quale nel 
precedente libro si è fatto menzione. Fra gli 
altri monumenti dell' antichità che serba V ar* 
chivio del monastero della Trinità della Cava 
dell'ordine di S. Benedetto, (il qual dopo quello 
di M. Casino è il più antico che abbiamo net 
regno ) evvi un codice membranaceo da noi 
con propri occhi attentamente osservato, scritto 
in lettere longobarde, dove non solamente gli 
editti de' re longobardi (comìnciaudo da que- 
fto di Rotarì) ma ancne degl' imperadori fraih 
lesi e germani, che fiirono re- d'Italia, vi sono 
inseriti, [n questo editto di Rotarì dopo il proe* 
mio, che ai vede trascritto anche dal Sigomo f) 
nella sua Istoria d'Italia, ai leggono i tibdi di 

O S^M. M R. iHOiM, lib. 9. ad A. tifi. 



262 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

ciascun capitolo , ed il primo comincia : Si quis 
hominum contra animam Èegis cogitaverit; e 
questi terminati^ siegue la conchiusione deliV- 
ditto in cotal guisa : Praesentis vero dispositio- 
nis nostrae Edictum^ ec. (*)• Seguono da poi 
le leggi , ovvero colpitoli , secondo il numero 
de' titoli precedenti j e contiene questo editto 
trecento ottanta sei capitoli, ovvero leggi. Il 
compilatore de' libri delle leggi longobarde, che 
vamio ora impressi nel volume delle Novelle di 
Giustiniano, prese da questo editto di Rotari 
le leggi; delle quali compilò quasi interamente 
iT primo e secondo libro; e nel terzo libro due 
o tre se ne leggono di questo re, siccome diremo 
piò distesamente, quando della compilazione di 
quel volume delle leggi longobarde ci tornerà 
occasione di favellare. . 

L' esempio di Rotari (u imitato da poi dagli 
altri re longobardi suoi successori , come da 
Grimoaldo , Luitprando , Racbi ed Astolfo. Ma 
di tulli questi re ninno lasciò tante leggi, quanto 
Rotari , essendo , come s' è detto , il lor numero 
arrivato insino a 386. Fece egli pubblicare il 
suo editto in questo anno 644? che fu l'ottavo 
del suo regno , per tutte le provincie ch'erano 
sotto la sua signoria , e sopra tutto nel ducato 
beneventano , che avendo allora stesi assai più 
i suoi confini , era riputato la più ampia e no- 
bil parte del regno d'Italia. 



O La ronrliiiijiioiìr di qiirsto Editto ni Ifggc pariinrnlc in Si- 
1:01110 I. rit. 



UBRO <;UARTO, ^6$ 



CAPO vn. 

Di Alone e RadoaMo IH e If^ duchi 
di Benevento. 

n ducato di Benevento , per la morte acc«- 
• duta nell^anno 64 1 d'Areclu, che cinqoe mevi 
prìma di morire avea associato al ducato Aicnw 
suo figliuolo, da costui era governato (i)} in* 
conoscendolo il padre di poco souio j e mev 
atto a sostenere questo peso, lo raccomandò 
morendo a Badoaldo e Gnmoaldo , figliuoli amf 
bedue di Gisulfo già duca del FriuU , i quali 
nella sua corte erano stati allevati e rìtenuU. 
Eran questi amati da Arecbi, come proprii fi- 
^uoli , e gli aveva anche sostituiti al ducato in 
mancanza aAione suo figliuolo. Tenendo adunque 
il ducata dì Benevento Aione sotto la cura di 
questi due fratelli , cominciarono la prima volta 
a farsi sentire in queste nostre contrade gli 
Schiavoni. 

Erano gli Schiavoni orìginarìi della Sarmazia 
europea , di qua e di Ut del Boristene ^ e seguendo 
Fesempio e le orme degli altri popoli barbari , 
l' avanzarono fin alle rive del Danubio , e le 
valicarono sotto V imperio di Giustiniano (3). 
Gettatisi poi nell' Illìrico , ne occuparono final- 
mente uoa gran parte , particolarmente quella 
che sta tra la Drava e la Sava , tirando véna 



(3> rracop. (Ir B«U. • 



^64 ISTORIA OXL RSGUO DI ITAPOLI 

r occidente ^ chiamata ancor oggidì dal lor nome 
Schiavonia. 

Questi calando daUa Dalmazia ^ che già ave- 
vano occupata y sbarcati a Siponto ^ comincia- 
rono a depredare la nostra Puglia. Aìonc intesa 
r irruzione degli Sciavi nella Puglia, la quale 
era stata in gran parte al ducato beneventano 
aggiunta , miite al meglio che potè alquante 
truppe j andò , in assenza di {iadoaldo j presta- 
tnente per combattergli ) ma venuto presso al 
fiume Ofanto alF armi , cadde in un fosso , dove 
aopraggiimgendo gli Schiavoni, lo ammazza- 
rono C). Non tenne Aione più U ducato di he- 
nevento, toltone i cinque mesi che regnò in- 
sieme col padre, che un solo anno. Ma lui 
morto, trìonfanao gK Sciavi della vittoria ri- 
portata sopra il medesimo, sopraggiunse oppor- 
tunamente con valide forze Badoaldo , il quale 
investitigli con incredibil valore , gU sconfisse e 
disperse ; e dopo aver sì fortemente vendicata la 
morte d^Aione , al ducato di Benevento iìi assunto 
con Grimoaldo suo fratello, conforme all^ isti- 
tuzione d' Arechi , il quale ed a sé ed al figliuolo 
avea provveduto di successore. 

Resse questo principe il ducato beneventano 
insieme con Grimoaldo suo fratello cinque an- 
ni. Invase costui altre regioni de' Greci , e presso 
Sorrento portò le sue anni. Assediò questa cit- 
tà , sforzandosi di prenderla per assalto 3 ma 
i Sorrentini respinsero le sue truppe, inco- 
raggiti anche da Agapito lor vescovo ; onde 



O Cam. PHl. in HUterl. Pur. Ben. Hits. ^. 



, LIBRO QttUITO :t65 

Badoaldo sciolse l' assedio , e Sorrento fu libe* 
rata (i). Governando costoro il ducato di Be- 
nevento , s* intesero la prima volta in queste 
Provincie, che ora compongono il nostro re- 

fno y le nuove leggi scritte de^ Longobardi pub- 
licale da Rotarì coirìfento suo editto. Quindi 
le dttjt- del nostro regno che in quel ducato 
eran comprese , ed ì QOftrì provinciali j ancor- 
ché quelle per li soli LongoDanti fossero stat« 
fatte, cominciaron pian piano ad apprenderle 
e rendersele familiari tanto , che ne tempi s»< 
guenti bisognò che le romane cedessero, e si 
conservassero solo come antiche usanze presso 
alla plebe , la quale è X ultima o deporre le 
leggi ed ì costumi de^ suoi maggiori , siccome 
più innanzi vedremo. 

Morto Radoaldo in Benevento nelT anno 647^ 

resti al governo solo Grimoaldo di luì fratel- 

I lo. Tenne costui il ducato anni sedici , seiiza- 

peri comprendervi gli altri anni cinque che avea 

regnato col frateUo. 

CAPO vm. 

Di Grimoaìdo V duca di Benevento: delle 
guerre da lui mosse d NepoUtani; e morta 
del re Rotori. 

Grimoaldo V duca di Beievento fii un prìn- 
cipe d' animo si grande e intraprendente , che 



O Ada SS. RrMli H Valprii ni Anp. Epi*. Satn-ot. fmó 
TWwK ér Aichirp. Snrm». 



tt66 uTORiA DU mipvo ^ vapoli 
DCljEi qomeato iT aver dateti i' confiut del suo 
ducato^ e riportale mdte vittorie sopra 1 Na- 
poletani e* Greci ^ aspirando ionpre ad imprese 
pia dite e generose , finalmente dai suo destino 
Ja esaltato al trono y, e msse ii regno d'Italia , 
dnpo i sedici jàxX sno ducato ^ altri anni nove. 

Miòitre fu egli duca di Benevento , ebbe so- 
lvente a combatter co* Napoletani j ed in questi 
tempi si narra esser accaduto gì& che racAo 
ITamefrìdo (i) rapporta, di aver egli impedito 
«! Greci il sacco aelU.bvailica di.& Michele 
porta nel monte Gurgano^ e d^averg^ intera* 
mAite sconfitti. Vìen rifinito ancora che quiiH 
dici anm da poi y asceso già al regal trono in 
Cavia, avesse un' altra vdka aconnlti i Napo- 
letani , e che questi per tale ìavveraità tocchi 
pd cuore, avessero mutati^ jraligioiie e da Gen- 
tili eh* erano , avessero abbracciata la religione 
cristiana, siccome narrano Fautpre degli Atti 
deU^Apparìzione Angelica (a) e ^ignoto Monaco 
Cassinese (3). ^ 

Ma poiché questi successi variamente dagli 
scrittori si narrano, alcuni a^ Saraceni impu- 
tando ciò che Paob ascrìve a^ Greci , altri con 
manifesto anacronismo più ind»etro^ portando 
questi successi, gli fingono a^ tempi di Teodo* 
nco e d^Odoacre, quando i Longobardi non 
erano ancora in Italia conosciuti; ed altri con 
maggior verità T attribuiscono a^ medesimi Lon- 
gobardi: perciò farà a proposito più distesa- 



co P. Warn. 1. 4. r. 47. 

(9") A età Angflirar Appaat. annd Siirìum , tom. 5. p. ^a3. 
C3) Hisloriola Ignoti Voniri Caitin. prrtio Canali. P<*U. Mal. 
Priuc Long. par. 1. p. <);. 



LIBIIO QUARTO tG-J 

mente mostrare che qpii i Greci, o i Napoli 
tani , ovvero i Saraceni , ma i Longobardi diedero 
il sacco a quel santuario, e che la conversione 
dal gentilesimo al catlolicismo. la quale a' Na- 
poletani s^ imputa, dee a^ Longobarm beneven- 
tani, non già agli altri attrìbuir&i. 

U monte Gargano, posto nella Puglia sopra 
Siponto, dirimpetto all'isole Dlomedee del mare 
superiore <oggi dette di Tremiti, nome ancw 
egli antichissimo e da Tacito (i) usato), Sa 
prima renduto celebre al mondo da Virgilio e 
da Orazio ; ma da poi a tempo di Gelasio I 
pontefìce romano fu assai più rinomato per la 
maravigliosa apparizione in questo luogo acca-. 
duta dell'Arcangelo Michele. E discacciati dUta- 
lia ì Goti dall* imperador Giustiniano per Be- 
hsario e Narsete , ed air imperio d^ Oriente 
finalmente restituita, fu incredibile la venera- 
EÌone de' Greci verso questo Santo. Non vi 
ebbe città così nella Grecia, come ìn Italia, 
che non gli fabbricasse tempii e non gli diriz- 
. zasse altari. Narra Prgcopio (a) che da Giusti- 
niano nella sola città di Costantinopoli gli iìi- 
ron molti nuovi tempii eretti, ed altri antichi 
riiàtti: il cui esempio imitarono ancora l'altre 
città greche d'Italia- In NapoU massimamente 
la di lui venerazione fu maravigliosa , avendo- 
gli i Napolitani irnialcato ancor essi un tempio, 
che poi secondo il rito della chiesa romtoia 
fu in tempo di S. &egorio M. dedicato; e lo 

<0 T*cit. Annal. 4. e. 71. Jaliam Angoiti iirptrm «dolila 
conTÌctam , nrujrclam ab ro .fuìua in IiiHiUm Trrinrliim hlltd 
fstwol Appiil» litoribui, ihique 90 inoii rxilium Int^attr. 

<«) Pnicnp. 1. I. dr iF.Hific Ja*t. Imp. 



368 ISTORU VZL RSGNO DI NAPOLI 

Stesso pontefice di questa dedicazione in una 
sua epistola fa memoria 0- ^ molti altri im* 
peradorì greci e particolarmente d^ Eraclio si 
narra lo stesso, i quali di ricchi e preziosi 
doni arricchirono quel santuario : in ^isa* che 
non potrà porsi in dubbio che i Napoletani per 
lungo tempo a* Greci congiunti non avessero 
una. pari reUgioiie e venerazione a questo Ar- 
cangelo portata: ed ìì voler imputare i Napo* 
tetani in questi tempi dUnfedeltà e dUdolatria, 
egti è un error così grande, che la sola crono* 
logia de^ vescovi cattolici di questa città , e ciò 
che nel precedente libro si è narrato , può ren« 
derio manifesto e indubitato. 

AllMncontro è certissimo che quando i Lon- 
gobardi ritolsero a^ Greci F Italia, non altra re* 
Bgione professavano, se no^i quella de^ Pagani , 
e molti Tarrìanesmo: e quantunque nel regno 
d^Adlulfo, seguendo i Longobardi F esempio 
del loro principe, avessero molti di essi lasciato 
Farrìanesmo e F idolatria; nientedimeno perse- 
verando gli altri re suoi successori nellarria-. 
nesmo, fu cagione che i Longobardi e parti- 
colarmente que' di Benevento tomaron di nuovo 
ne' primi errori , de' quali non fiuiron d' intera- 
mente spogliarsi fino alF anno 663 , quando fu- 
gato Costanzo imperadore, per opera di S. Bar- 
bato vescovo di Benevento alla religion cattoKca 
furon convertiti, come quindi a poco diremo. 

E altresì notissimo a clii attentamente con- 
sidererà F Istoria de' Longobardi di Paolo Var- 
nefìido, che questo scrittore , siccome furono 



LIBEO.QIlAItTO 369 

tatti gli altri di tal nazione, per esser km" 
gobardo, 'si è studiato a tutto polere di scu- 
sare i suoi da questa nota d' infedeltà e da^ 
errori d^Arrìo^ anzi in tutto il corso d^a sua 
Istoria non favellò mai della ragione che tei^ 
nero questi popoli; tanto che nemmeno ddla 
loro conversione per opera di S. Barbato alla 
cattolica credenza ne dice parola | per fuggire 
di non esser costretto a nir menzione deA 
antichi errori, come accuratamente notò il cb* 
Hgentissimo Pellegrino (i). 

<^uindi nella Storia sua molte cose sono ùn- 
potate a* Greci, che da* Longobardi si com- . 
misero . siccome con verità osservò anche il 
cardinal Baronio (3): e chiarissimo documento 
ne sarà questo stesso successo; conciossiachò 
è affatto mcredibile che i Greci cotanto vene- 
ratori di quel santuario avessero potuto avere 
un animo cosi perverso, come e' dice, di sac- 
fdteggiarlo, e che perciò venuti alitarmi co* Lon- 
gobardi, fossero da costoro stati distolti di cori 
esecrando e sacrilego eccesso. Tutto al rovescio 
è da credersi che andasse la bisogna, ed ap- 
punto come ce la descrìve il Pellegrino (3) , 
cioè che ì Longobardi contendendo co' Greci 
della possessione dì quel luogo, dopo una lunga 
ed ostinata pugna , finalmente fosse loro riu- 
scito di vincere i Greci; e siccome quegli cVe> 
ran già avvezzati a somigtianti scelleratezze j 
ciò cne essi sotto Zotone avevan altra volta 
fatto nel monte Casino , vollero sotto Grimoaldo 

(r) Cun.Prll. ìndUvrI. finn Dna, Bean«nt, ad tqitcalrionm. 
<*) Bmvd. bH an. 585. n. i. 

(3) CuaUl. PrlL loc ciL 



2'JQ ISTOIUA DEL RSGCfO DI NAPOLI » 

replicar nel monte Gargano ^ saccheggiando quel 
santuario che ricco per vani doni de^ Greci potè 
invitar la loro rapacità a quel sacrilegio. Ed 
in fatti dagli Atti medesimi di S. Barbato ve- 
scovo di Benevento (che non ancora impressi 
si conservavano nel monastero delle monache di 
S. Gio. Battista della città di Campagna , e che 
fiirono da poi da Giovanni Bollando (i) dati 
alla luce colle sue note, e parte d^essi si veg- 

fono ora anche impressi nelT ottavo volume di 
erdìnando Ughello (a)) si vede con chiarezza 
'che quella basiUca patì allora in realtà il sac- 
co: tanto è lontano che fosse stato impedito 
da^ Longobardi beneventani, restando cosi in- 
colta e desolata, ut nec sedulumilUc officium 
persolsfi possity come dice S. Barbato. Né co- 
minciò a restituirsi al sno antico lustro , se 
non quindici anni da poi , quando discacciato 
Costanzo da Longobardi, a^ conforti di Barbato 
abbracciarono la religion cattoUca , deponendo 
l'infedeltà; la qual conversione all'autore degli 
Atti dell'Apparizione AngeUca, essendo pari- 
mente longobardo , piacque ancora d' addos- 
sarla a' napoletani Greci , come vedremo più in- 
nanzi: ciò che maggiormente confermerà quanto 
ora si è detto, 

E per questa stessa ragione si vede che vanno 
eziandio errati coloro (3) i quali vogliono im- 
putare i Saraceni di ciò che Paolo "W^arnefrido 
narra de' Greci, scrivendo essi che Grimoaldo 



(i) Bolland. t. 3, Arlor, Saiirtor. 3. Frbr. 
(a) U((1m*1. Ital. Sac. ì, 8, de Arclnop. B«?nrr. 
(3) Ciarlan. del Sannìo. 




LIBRO QUARTO 3^1 

net monte Gargano in questi aouì del suo du- 
cato avesse combattuto co'Saiaceni, i quali vo- 
lendo saccheggiar quel santuario , furono da 
Grimoaldo sconfitti e debeUati. Poiché questa 
guerra fu, come 'Wumerrìdo la scrìve, tra' Lod- 
gobardì e Greci, e noa co' Saraceni, i quali 
in questi tempi non erano ancora venuti a de- 
predare queste nostre provincìe ; e poi quando 
ci vennero, non nel Gargano, ove non mai ai 
fermarono, se non negli ultimi tempi, ma nd 
Garìgliano sua aUquamo domicilia habuenint, 
come dice il Pellegrìno. Né è vero che fu im- 

E edito il sacco, perchè segui veramente ; onde 
i sconfitta che si narra data a' Saraceni nel 
Gargano da Grimoaldo, è ugualmente favo- 
losa di quell'altra che dal Sunmionte e da al- 
tri vien riferita di aver ricevuta in Napoli da 
S. Agnello abate, in tempo che questi popoli 
in Italia non erano stati ancor conosciuti, nà 
il nome loro era stato in queste nostre parti 
peranche inteso. 

Ma mentre i Longobardi beneventani scmo 
occupati in queste guerre co' Greci napoletani^ 
accadde nell'anno 653 in Pavia la funesta morte 
di Botali re, il quale morendo lasciò erede e 
successore nel regno Bodoaldo suo unico figliuo- 
lo , non restando altri della sua virile stirpe y 
che questo unico rampollo. Resse Rotari sedici 
anni il regno con tanta prudenza e giustizia , 
che tra ì principi più illustri della terra iìi 
meritamente annoverato ; e l' aver egli lasciato 
in tibertìi i suoi sudditi di poter vìvere in 
quella rehgione che volessero , permettendo che 
iti quasi tutte le città del suo regno vi fossero 



-^ i. >;iv^''- • ■ • ■/■■.■■ ■^' . .-. ì:- 

' \ .. -. : ■ , \. ' ' * .'-'t. ■■■ 

• " • • • ■ • . 1<> 

070 urroujL ìfoi fUMWp m jupoli 

dot Teioovì| Fono cattidico a F altro aiTumoy 

(Bi^ questo berpiiioao «Éempio hooto etiiiiòla 

<^ ^ iiì^ empii poma di confisrinare la loro mas- 

jpM 'che il prìacdpe nìoii dovesse molto impao- 

I . cfiusi ddBa raìgioDe dè^ ' sadditi j. né sferzargli 

a óùvw cr*dere e professar ^pwua cV edi re* 

'VI ' palasse la più'Tenu Onde Bodino (1) duensor 

'^' \ m questa perrersa doUtioa^ alF esempio di Teo» 

dosio M. di coi òredò. che eresse mqdesiiiipi* 
nenie permesso a^ suoi sudditi simfle libertà 
di cosoenaa^ sensi oorarai punto se fossero 
Aniam o Gattoticii noti si dimenticò d'aggiun- 
ger questo idtro m lUMari^ fl quale p^^ 
ittesso. Non è però da trdasctarsi di noi;ar qui 
di passaggio F errore di questo scrittore j che 
reputò Teodosio M. essere stato autore dì quella 
legge (a)| la quale quairtuniiae nel GodUpeTeo^ 
dosiano portasse in fixnte ebA fl nome di Teo^ 
desio M. come F altro cU Yalentiniano 11^ egli 
è però costante presso a tatti di scrittori che 
autore di quella ne fosse solo Yalentiniano^ il 
quale per impulso delFimperadrìce Giustina sua 
madre ^ e ad istanza de^ uoti arriani, residendo 
in qucJl^anno in Milano/ la fece pubblicare^ 
contro alla quale declamò tanto S. Ambrogio 
' TescoTO di quella città. Ed è altresì noto che 

ancorché gl^ imperadori reggessero allora F im« 
perio diviso in occidentale ed orientale, nuUa*^ 
dimanco il costarne era che le leggi che si pro«- 
mulgavano o dall^ uno o dall^ altro , portavano 
in fironte i nomi di tatti coloro che governa* 
vano allora F imperio: ciò ch^ osserviamo 

(0 Bodin. de Repabl. 1. 4* '- > 
<9) L. ttlt. C Tk. de Fid. C«ik. 




LIBRO QUARTO 3^3 

ancora ne' marmi j etl infiniti altri esempi ne som- 
ministra il Codice stesso Teodosiano, siccome 
fu anche osservato dal diligentissimo Iacopo 
Gotofredo (i); il quale dell'istesso errore n^ 
Francesco BaldoTÌno , che per quella iscrizione 
credè parimente che Teodosio M. fosse stato 
autore di quella legge. 



CAPO K. 

Di Rodoaldo, Arìperto, Portante e Gundeber- 
to.riJl, IX, X e XI re de LongobartU. 

Siccome nel lungo e savio regno di Kotari 
le cose de^ Longobar^ andarono molto pn>- 
spere in Italia, così il molto breve e sconsi- 
gliato di Bodoaldo suo figliuolo, e più la di- 
scordia de' suoi Bucccsson pose le loro fortune 
in pericoloso stato. Rodoalao , ancorché ^ar- 
nefrido rapporti aver regnato cinque anni, ap- 
pena governò solo un anno ; poiché avendo 
stuprata la moglie d'un certo Longobardo, fìi' 
dal marito ammazzato ; e ne' suoi cinque anni 
di regno, Paolo annoverò queUi, quando regnò 
insieme col padre che lo fece suo collega. 

Essendo mancata per tanto la maschile stirpe 
di Rotali , raunati i Longobardi per creare mi 
nuovo re , elessero Ariuerlo figliuolo dì Gun> 
doaldo fratello di TeouoUnda. Tenne costui il 
regno <le' Longobardi nove anni, secondo War- 
ueirido (a) j né in tutto il corso del suo imperio 

(i> Jn;. Gat«lr. in d. I. ult. rX in Prolnoin. c> S. 
(a) P. Wvnefr. I. 4- e iS. So, «t 53. 

OURKOITE, Voi, II. l8 



21 ^ ISTORIA DKL REGNO DI NAPOLI 

r istoria rapporta cosa di lui degna di me* 
moria ) se già non se gli ' volesse ascrivere a 
lode r opinione che di lui avevasi^ che fosse 
alla religion cattolica assai inclinato^ contro 
all^ esempio di Rotari e del figUuolò Rodoaldo. 

Morì uell^ anno 66 1 Arìperto • e lasciò di sé 
due figliuoli; Partarite e Gundeberto^ tra i 
quaU parti con pessimo consiglio il regno. Così 
Gundeberto tenne la sede del suo regno in 
Pavia ^ è Partarite neUa città di Milano : che 
fu cagione onde a Grimoaldo nostro duca di 
Benevento s^ offerse V opportunità di scacciare 
ambedue dalle loro sedi j e di rendersi signore 
di tutto il regno. Poiché nata fra^ due fratelli 
discordia e odio grandissimo ^ ciascuno cer- 
cava d^. occupare il regno deff altro*, onde non 
contento Gundeberto di sua sorte , vennegU 
talento di tener solo V intero regno y e discac^ 
ciame il fratello. Ma non fidandosi delle pro- 
prie forze y mandò Ganbaldo duca di Torino 
a Grimoaldo duca di Benevento y perchè a 
questa impresa Y aiutasse y promettendogli in 
premio la sorella per moglie. 

Ma il duca di Torino tutto altro espose a 
Grimoaldo y e tradendo il suo signore y lo per- 
suase a non dover trascurare d' approfittarsi 
di questa discordia che poteva porgli in mano 
il regno} né durò molta fatica a persuaderlo. 
Onde preso Grimoaldo dall'avidità di regnare, 
unì, come potè 11 megUo. alquante truppe , e la- 
sciato in Benevento per duca Romualdo suo fi- 
gUuolo y verso Pavia incamminossi. Giunto a Pia- 
cenza spedì a Gundeberto colf avviso della di 
lui venuta Garibaldo, il quale fatta V imbasciata, 




LIBSD QUAMTO 376 

ToU< in oltre persuaderlo a dovergli andare 
incontro ; e se pare avesse di qualche cosa 
sospettato , poteva sotto le regali vesti armarsi 
di corazza ; dalF altro canto con inaudita perfi- 
dia avvertì Grimoaldo che si guardasse bene 
di Guodeberto , poiché armato veniva ad in- 
contrailo. Credette Grimoaldo al traditore ; e 
tanto più stimò vero il sospetto , che essen- 
dosi poi incontrati , tra i saluti e gli abbrac- 
ciamenti , toccò veramente esser Gundeberto 
di corazza armato , onde punto non dubitò 
che tutto si fosse apparecchiato per ucciderlo, 
nel qual impeto sfoderando la spada lo tra- 
fisse ^ e morto lo distese a terra ^ ed in un 
subito occupò il remo , facendosene signore. 
Aveva allora Gundeberto un piccolo figliuolo 
(Riamato Regiberto , il quale secretamente fti 
trafugato da* suoi fidati, e fatto diligentemeiite ' 
allevare ; né Grimoaldo si curò molto di averlo 
in mano , perciocché era ancora bambino. , 
Non così tosto ebbe dì questo successo av^ 
viso Partarite , che pien di paura , con cc^tà 
grande lasciando in abbandono lo Stato, Ro- 
dolinda sua moglie e Cuniperto picciolo suo 
figliuolo, se ne fug^, e sotto Cacano re degli 
Avari ricovrossi. Grìihoaldo preso eh' ebbe Mt- 
Uno, confinò in Benevento nodohnda e Cuni- 
' perto ; e passato da poi in Pavia , fii procla- 
mato re dagh stessi Longobardi nel fine di 
questo aimo 663 ; ed avendosi sposala la so- 
rella di Gundeberto con estrema allegrezza di 
tutti , rimandò carico di doni T esercito in Be- 
nevento, e seco ritenne solo alcuni suoi [»ù 
fidali , che innalzò poi a' primi onori del regna- 



/ 
/ 



2'j6 ISTORIA DKL KBGNO DI ^NAPOLI 

C A P X. 

* 

Di Grimoaldo XII re de* Longobardi , di Ro^ 
mualdo VI duca eli Benes^erUo ; e della spe^ 
dizione italica di Costanzo imperador d O- 
riente. 

Mentre Grimoaldo regnava in Pavia, e Ro- 
mualdo suo figliuolo in Bene\)iento con tanta 
felicità y ecco che lor s^ appresta una guerra 
oltramodo travagliosa e crudele y la quale por- 
tava il pericolo sommo d^ esser da^ loro Stati 
interamente discacciati Infino a qui gFimpe-^ 
radori greci poco curando delle cose d^ Italia^ 
e contenti solamente d^ avere in lei V esarcato 
di Ravenna , il ducato di Roma y e quelli di 
Napoli y di Gaeta e d^ Amalfi j con alcune altre 
città della Calabria e de^ Bruzi , niun pensiere 
prendevansi di restituirla al loro imperio. L' im- 
perador Eraclio appéna potè contenere i Lon- 
gobardi ne' loro limiti , perchè interamente non 
finissero di scacciare d' Italia i Greci j ma mor to 
costui nel mese di maggio dell'anno 641, la- 
sciò per successore Costantino suo figliuolo. 
Fu allora veduta la sede di Costantinopoli in 
tante revoluzioni , che non potò pensare alle 
cose d' Italia ; conciossiachè Costantino non 
istette più sul trono che quattro j o j secondo 
altri j sei mesi^ avendolo fatto morire Mar- 
tina sua madrigna^ per mettervi Eracleone suo 
figliuolo. Ma questi ne fu cacciato in capo a 

O Frchcr. in ChroDolog. £z. Rar. 



LIBRO QUARTO ^'J'J 

sei mesiy e relegato insieme con sua madre. 
Costanzo figliuolo di Costantino gli succede 
nell^ anno 64 3 , in tempo del quale F imperio 
d' Oriente cominciò ad aver qualche respiro. 
Questo principe s^ invogliò talmente di riunire 
r ItaUa all^ imperio d^ Oriente . che reputò in- 
degnamente portar la corona di ^eU' imperio^ 
se non avesse d^ Italia affatto 1 Longobarm 
discacciati : e fu tanta V ardenza sua in ese-»- 
guire questo disegno, che non soddisfatto di 
mandarvi capitani per questa impresa, volle 
egli stesso j lasciando in abbandono la sede di 
Costantinopoli , portarsi di persona in queste 
nostre contrade, e porsi alla testa deU esép* 
cito : cosa veramente nuova , né altre volte 
accaduta, essendo stata questa la prima volta 
che fu veduto un imperador d' Oriente por- 
tarsi in Italia ed in Roma. La novità e strava- 
ganza del qual fatto diede molto da pensare 
per iscovrire i consigli e le cagioni di tal mossa. 
Alcuni credettero che avendo scelleratissi- 
mamente ammazzato Teodosio suo fratello , il 
quale sovente con immagini tetre e formida- 
biU lo spaventava, agitato da si funeste larve^ 
proccurasse allontanarsi da quella città e da 
que^ luoghi a lui già fatti odiosi e funesti {*). 
Altri attribuivano questa sua mossa all^ odio 
che i Costantinopolitani portavangli per aver 
egli abbracciata r eresia ae^ M onoteliti , e che 
perciò proccurasse trasferir la sede delF impe- 
rio in Roma. Ma i più sensati autori , ira i 



O Sigon. de R. Ital. ad A. 563. 



/ 



378 ISTORIA DSL RlSGIVO DI NAPOLI 

rli sono Anastasio Bibliotecario e Wamefii- 
O9 dicano che non per altro si fu mosso, 
se non per la cupiditò di recuperare V Italia, 
e per la speranza di potere con le sue forze 
discacciare da questi luoghi i Longobardi. Per- 
ciò nella primavera di questo anno 663 ap- 
prestata una grande armata di ijoiare , da Ck>« 
staiitinopoU partissi , e verso Taranto diiizzò 
il cammino. Molte città di queste provincie , 
che ora formano il nostro t^gno, tenevansi 
tuttavia ne^ tempi di Costanzo sotto la signoria 
de^ Greci , i quali oltre al ducato napoletano , 
6 agli altri ducati minori, vi avevano parimente 
molte altre città marittime della Calabria, sic- 
come Taranto altresì , non ancora da^ LiongO" 
bardi beneventani occupata. Giunto Costanzo 
in questa città , e sbarcatevi le suts truppe , 
alle quali unironsi poi i Napoletani , verso Be- 
nevento dirizeossi. Questa non aspettata com- 
parsa de' Greci pose da principio in tanta con- 
stemazione e spavento i Beneventani, che molte 
città delia Puglia furon da essi abbandonate -, 
onde con leggier contrasto potè Costanzo pren- 
der e devastar Lucerà , città da Siponto non 
molto lontana: ma non potè già far lo stesso 
di Acerenza , per esser posta in fortissimo luo- 
go ; e non volendovi consumare più Imigo 
tempo , andossene prestamente a campo sotto 
Benevento, e di stretto assedio la cinse. 



O Wani. l. 5. f. 0. 




LIBRO QUARTO a^Q 

Vi Romualdù VI duca di Beiuttitto. 

Romualdo duca dì Benevento Tedutosì in quc'- 
sto stato, tosto spe^ Sesualdn suo balio ai re 
Grìmoaldo suo padre in Pavia, perchè gli man- 
dasse validi soccorsi: ed intanto ì Longobardi 
beneventani, ancorché da^ Greci fosse più volte 
stata assalita la citt^ , sempre però gh ributta- 
rono, ed alle volte ancora gG assalirono ne* 
proprii alloggiamenti con varie sortite , e per 
ogni parte danni e rotte considerabili lor die- 
dero. Nella difesa della quale città non conferì 
poeo r opera di Barbato prete , e poi suo ve- 
scovo, il quale declamando sempre che di que- 
sti mah eran puniti i LiOngobardi beneventani 
con guerre sì crudeli , perchè non ancora avean 
deposta la superstizione de* Gentili, ed alcuni 
r arrianesimo, tanto fece, che ridusse que' po- 

Eoli a deporre ridolatrìa , e ad implorare per 
> scampo delle imminenti calamità il divmo 
aiuto e la protezion de' Santi j e ad esser' da 
poi persuasi che ne fossero scampati per opera 
divina. Ma mentre Costanzo era in questo as- 
sedio , ecco che il re Grimoaldo vien di per- 
sona con potente esercito a soccorrere il figliuo- 
lo ; ed intanto manda Sesualdo a dargU avviso 
che stesse di buon animo, ch*egh era ben to- 
sto per liberarlo. Ma T infelice giunto al campo 
nimico, mentre tenta dì gettarsi dentro l'asse- 
diata città, fu preso e portato innanzi al- 
rimperador Costanzo, il quale sentendo che 



\ 



380 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

Grimoaldo già sen veniva con forte esercito a 
soccorrere il figliuolo^ é ch^era già vicino, tur- 
bossene grandemente; e risoluto di levar T as- 
sedio, tentò, perchè sicuramente potesse farlo, 
e potesse anclie ricavarne qualche onesta con- 
dizione di pace, che Sesuauio tutto al rovescio 
esponesse a Romualdo F ambasciata; onde fat- 
tolo condurre sotto le mura, il costrinse a chia- 
mar Romualdo, al quale voleva egli che dicesse 
di non potere in conto alcuno venir suo padre 
per soccorrerlo; ma Sesualdo con animo intre* 
pido e forte, veduto Romualdo sopra la mu- 
ragUa , con alta y ocè^. perchè tutti i Greci' eh' e- 
ran presenti anche il sentissero, gli disse: ^ Sta 
m forte, e di buon animo, o signore, e non 
u ti smarrire ; ecco tuo padre è già vicino^ con 
« potente esercito per tuo soccorso, e questa 
« notte al fiume Sangro dee esser giunto. Ben 
« ti raccomando la mia cara moglie e i miei 
u cari figliuoli, perchè son certo che questi ri- 
« baldi Greci mi faran tosto morire »». Sde- 
gnato fieramente Costanzo per così generoso e 
magnanimo atto, fecegli tosto mozzar il capo, 
che con una briccola il fece buttar dentro le 
mura della città. Il duca Romualdo presolo, ed 
affettuosamente l>aciandolo, di molte lagrime il 
bagnò ; così onorando la singular sua virtù e 
Famor del suo fedele, con fargli inoltre dare 
sontuosa e nobile sepoltura. 

Temendo perciò Fimperadore della venuta di 
Grimoaldo , sciolse F assedio ; e mentre verso 



co Warnrfr. 1. Ti. e. 8. ri 9. 




LIBKO QDISTO sSl 

Napoli sua cittì fivttoloso si arria, il conte Mì- 
tula di Capua Del cammino diede al suo eser- 
cito una grande rotta al Gume Calore, che non 
poco r a£ElÌ8se. Giuntò finalmente in Napoli 
con animo di voler quindi passare in Roma, 
essendosi esibito Sabm-ro che gli dava il cuo- 
re, se Pimperadore lasciasse sotto al suo co- 
mando ventunila soldati, di debellar tutti ì Lon- 
gobardi , e riportarne certa Tittorìa j Costanzo 
glie lì concedette, e lasciollo sul passo di Fop- 
mia , che ora dicono esser Castellone o M(Ja 
di Gaeta , almeno perchè gli servissero per te- 
ner a freno il nemico che, andando eeli in So- 
ma j lasciavasi indietro. Ù esercito di Sabarro 
era misto dì Greci e di Napolitani, popoli che , 
fiiron sempre rÌTali ed implacabili nemici de' 
Beneventani, e co* quali eboero sempre cniddi 
ed ostinate gueire. Era Grìmoaldo giunto in Be- 
nevento , quando intese ì vanti di Saburro ed 
i disegni de* Greci, e fu per andarvi egli di 
persona per combattergli ; ma pregato da Ro- 
mualdo suo figliuolo , che a lui conunettesse 
questa impresa, bastandogli il cuore di vincer- 
gU, e^i ne fii contento, e gli diede una parte 
del suo esercito. Con intrepidezza incompara- 
bile atlrontò Romualdo Tesercito nemico; e men- 
tre fieramente si combatte, ed era ancor dub- 
bia la pugna, ecco che un E^ongobardo, Amelongo 
nomato , di' era solito di poi-tar la lancia in- 
nanzi al re, con animo forte, coH'istessa lan- 
cia percosse un cavalier greco con tanta forza 
ed empito, che levatolo da sella TaJzò all'aria * 
in alto^ e per sopra il suo capo lo fece pre- 
cipitare in terra. Per così valoroso fatto tanto 



aSl ISTORIA nCL &CG3I0 DI NAPOLI 

terrore e spavento entrò ne^ Greci ^ che vilmente 
abbandonando il campo ^ dieronsi a fuggire 3 ed 
i Longobardi seguitandogU fecero di loro strage 
cradeHssima, e piena vittoria ne riportarono. 
Romualdo pien di gioia trionfando in Benevento 
tomossene y ove accolto dal padre e da^ Bene- 
ventani con applauso grande , da tatti y come 
liberator della patria e dello Stato ^ fu onorato 
e commendato. Intantq Tìmperador Costanzo 
quando vide vana ogni sua opera ^ parendogli 
essere fuori di ogni speranza di superare i Lon- 
gobardi^ perchè all^ intatto non paresse inutile 
la sua venuta in Italia ^ pensò pieno di cruccio 
andare in Roma^ ove ancorché fosse stato ac- 
colto con molti segni di stima e di venerazione 
da Vitaliano romano pontefice^ in dodici giorni 
che vi dimorò^ non attese ad altro che a spo- 
gliarla de^ più ricchi ornamenti che vi ritrovò ; 
e toltone quanto eravi di più rado, d'oro, d'ar- 
gento, di bronzo e di marmo, e fattolo im- 
barcar ne' suoi legni per condurlo in Costanti- 
nopoli, egli per cammin terrestre tornossene a 
NapoU , e quindi a Reggio , ove la terza volta 
furono le sue truppe da' Beneventani battute : 
indi a Sicilia portossi. Quivi essendo egli di- 
morato qualche tempo, fu in Siracusa, mentre 
si lavava nel bagno , nell' anno 668 da' suoi 
stessi miseramente ucciso (*) ; e le sue inesti- 
mabili prede e ricchezze , che da Roma e da 
altri luoghi aveva raccolte, capitate in mano 
de' Saraceni, non già in Costantinopoli, ma in 
Alessandria furon condotte. 

O P. Pagi de Consulib. p. 348. 




Libro qcabto' a83 

Ecco qual fine per sé e per B Greci fiinesto 
ebbe r impresa di Costanzo, il quale pronietteit- 
do8t dì restituire Fitalia al suo impei-io, rendè 
pili prospere le fortune de^ Longobardi: spedi- 
zione quanto infelice per li Greci, a^ quali mancò 
poco che non fossero interamente scacciati d^I- 
talia, altrettanto avrenturosa e prospera per li 
Longobardi , i quali maggiormente stabiliti ne* 
loro Stati, a niente altro da poi Airono intenti , 
che a discacciare i Greci da quelle città eh* essi 
ancor rìtenevano. Per queste illustri vittorie Ro- 
mualdo ampliò poi tanto il ducato benereiita- 
no, che discacciati i Greci da* Bari, Taranto, 
Brindisi, e da tutti que* luoghi ddla Calabria 
che oggi Terra d'Otranto diciamo, gli ridusse 
al solo piccolo ducato di Napoli e di Amalfi, 
ed Otranto, GaUipoU, Gaeta, e. ad alcune altre 
citta marittime de Bruzi che oggi Calabria ul- 
teriOTe chiamiamo. 

Queste furono- le memorabili rotte che gTi- 
storìci in questi tempi narrano essersi date da* 
Bcneventam a' Napoletani, ne' quah per oper^- dì 
S. Barbato i Longobardi beneventani abbando- 
narono interamente l'idolatria e la superstìzio^ 
ne, il culto della religione cattohca tenacemente 
abbracciando. La qual conversione volendo a 
sommo studio tener nascosta 'Wamelrido, e lo 
scrittore degli Atti dell'Apparizione Angelica nel 
monte Gargano, ambedue di nazione longobar-' 
da, perchè con ciò non si scovrisse che sino a 
questi tempi i Longobardi avevan ritemito il gen- 
tilesimo: ai ciò ch'essi fecero, n'imputarono i 
Napoletani, ì quaU, come si è veduto, e di quel 
santuario e della fede catt<dica erano riverenti e 



^84 ISTORIA DEL RKGlfO DI KAPOLI 

tenaci Né maggior pruova di questo potrìi aversi^ 
se non dagli Atti di S. Barilaio istessò . dati ora 
alla luce dal Bollando e dalTUghello f): il quale 
Santo dopo aver persuaso al duca di Benevento 
ed a^ Longobardi y per opera divina e dell'Ar- 
cangelo Michele essere scampati da tante cala- 
mità^ questi; deposto ogni rito pagano ^ ed ab- 
bracciata la religion cattolica ^ lo elessero per 
vescovo di queUa città ^ ed avendogli il duca 
proferto molti e ricchi doni, il santo vescovo 

Sii rifiutò; persuadendo a Romualdo che que^ 
ioni offerisse alla basilica del monte Gargano ^ 
la quale a cagion dd preceduto sacco essendo 
rimasa incolta e men frequentata , proccurasse 
egli renderla più eulta j e col suo esempio la 
venerazion di quel luogo a^ suoi Longobardi in- 
stillasse ; ed inolti*e y che tutto ciò ch^ era nel 
tenimento del vescovato sipontino, alla sua sede 
beneventana sottoponesse , perchè que^ luoghi 
allora incolli, posti sotto la sua cura, meglio 
da lui potessero custodirsi e governarsi, siccome 
da Grimoaldo fu fatto. Quindi nacque che fin 
da questi tempi di Vitaliano romano pontefice 
il vescovato di Siponto e la cura della basilica 
garganica alla sede beneventana si appartenne ; 
com'è pur manifesto da alcune epistole di Vi- 
taliano papa a Barbato istesso dirette, rappor- 
tate da Mario Vipera nel libro primo della sua 
Cronologia de' Vescovi ed Arcivescovi Beneven- 
tani ; onde da poi ne' tempi seguenti Imigamente 
si è veduta la chiesa sipontina e la garganica 
a' vescovi beneventani soggetta , in&io che , 

O Bollanti, loc. cit. Ughell. tom. 4* 'tal. Sacr. loc. cit. 



Luto QltAKTO , 365 

minando già il principato di Benevento, fu a 
Siponto dato il suo airÌTescoTO, alla cui cura 
lilomaroiio assolulamente queste chiese, come, 
quando deUa polizia ecclesiastica di questi tempi 
CI tornerà occasione di trattare, piiì distesamente 
^remo. 

Per questa cagione crebbe la Teneraùone di 
questo santuario appresso ì Longobardi bene- 
ventani} tanto cbe per lor protettore lo rico- 
nobbero: e siccome i Longobardi subalpini eb- 
bero per loro protettore il Precursor di Cristo, 
i Long<^ardi spoletanì S. Sabino vescovo e 
martire j cosi i nostri Longobardi cistìberìni 
ebbero l'Arcangelo Micbde (i). Onde si fece' 
poi che tutte le vittorie che ne* seguenti tempi 
riportarono i Beneventani sopra i Napoletam, 
come cbe sovente accadute, siccome fu questa, 
agli otto di maggio , giorno dell'Apparizione 
^geUca , tutte F attribuirono all' intercessione 
di questo lor protettore {2). Quindi parimente 
si manifesta Ferror di coloro ì quah,, ignari di 
questi fatti, riportano indietro questi avveni- 
menti sino a' tempi di Teodorico ostrogoto; e 
vedendo che ancor prima di que' tempi erano 
ì Napoletani cattoUci, vollero che ciò che di- 
ceasì de' Napoletani infedeli, dovea intendersi 
de' Vandah che allora sotto Odojicre eran con- 
giunti a' Napoletani contra i Goti. 



^86 ISTORIA DEL llBGflO DI NAPOLI 

/ S II. 

Venuui dt' Bulgari; ed orione della lingua iealiaìia. 

I 

Ma ritornando al re Giimoaldo da noi in 
Benevento lasciato, questo principe vedendo 
già tutte a terra le fortune de^ Greci , da poi 
ch^ ebbe premiato Trasimondo conte di Gapua), 
al quale oltre ad aver data per isposa una sua 
figliuola, per la morte di Zótone^ lo fece an- 
che duca di Spole ti j a Pavia sua regal sede 
si restituì Mentre quivi è tutto inteso a gasti- 
gar la fellonia di Lupo duca del Friuli, ecco 
che viene a lui Aiczeco- duca de' Bulgari () , 
il quale abbandonando, né si sa per qual ca- 
gione, i suoi proprii paesi , entrato pacifica- 
mente in Italia co suoi Bulgari , offre a Gri- 
moaldo il suo servigio , cercaudogli di voler 
abitare co' suoi in qualche luogo che gli desti- 
nasse del suo dominio. I Bulgari erano usciti 
da quella parte della Sarmazia asiatica eh' è 
bagnata dal fiume Volga , e dopo avere traver- 
sati tutti ({ue' vasti paesi che si stendono da 
questo fiume fin alle bocche del Danubio, lo 
passarono per la prima volta al tempo dell' im- 
perador Anastasio, e diedero spesso grandis- 
simi guasti alla Tracia ed all'IUirico, e stabi- 
lironsi finalmente lungo il Danubio, in quel 
tratto di paese che comprende le due Misie 
con la picciola Scizia, che vien detta oggidì 
Bulgaria dal nome di questi popoli. 

O P. Warucfr. L 5. e. i6. et seq. 



\. 



LIBRO QUARTO 287 

n re accoltolo benignamente, pensando po- 
tergli molto giovare a soccorrere e aiutare suo 
figliuolo contra i Greci ^ lo mandò in Benevento 
a Romualdo , al quale impose che a lui colla sua 
gente assegnasse alcuni luoghi del ducato be- 
neventano ove potessero abitare. Il duca Ro* 
mualdo graziosamente rìcevendogU, diede per 
loro . abitazione molte buone città di quel du- 
cato, cioè Sepino, Boiano ed Isemia, con al* 
tre città e terrìtorii vicini: ma volle che lasciato 
il titolo di duca ( come che que^ luoghi glie li 
assegnava non in signoria, né perpetualmente), 
phiamar si facesse per Tawisiiire gastaldo, ri-* 
putando forse ancora cosa inconveniente che non 
avendo egU altro titolo che di duca, potesse 
anche un^ altro a sé soggetto ritenerlo. Quindi 
anche avvenne che diviso il ducato beneventano 
in più contee, essendo tutte al duca di Bene- 
vento soggette , non avessero altro nome coloro 
ch^ erano destinati al governo delle medesime, 
che di conti , o di gastaldi , e ritenessero que^ 
luoghi, come dice Cmstcio y jure gastaldiae , non 
perpetuo 9 proprioque feudi jure (*). 

Ed ecco circa questo anno 667 introdotta nel 
nostro regno una nuova nazione di Bulgari: 
gente che per molti secoli abitò in quelle con- 
trade che ora contado di MoUse chiamiamo, e 
che sebbene cento cinquanta e più anni da pt)i, 
qu^mdo Wamefrìdo scrìsse la sua Istoria , aves- 
sero appreso il nostro comune linguaggio ita- 
hano, non aveano però ne' tempi di questVi- 
storìco ancora perduto Fuso della lor propria 

O Cujjic. lib, I. Jf Fcud. tit. I. 5 3. 



a88 ISTORIl DEL REGNO DI NAPOLI 

favella ) come egli rapporta nel lib. 5. de^ Gestì 
de^ Longobardi al capo 1 1 . Nel qual luogo do- 
vrà notarsi^ che scrivendo egli che i Bulgari ri^ 
tenessero nella sua età il proprio linguaggio j 
sebbene parlassero ancora latinamente^ quatnvis 
etiivn .latuìe loquantur^ non perciò dovrà in- 
tendersi • come si diedero a credere alcuni (i)^ 
che favellassero colla lingua latina romana, la 
quale ne^ tempi ne^ quaU scrisse Warnefrido j 
cioò verso il fine del nono secolo, era già an- 
data presso al commie in disusanza, e solo 
nelle scritture , ma molto corrotta , era ritenuta : 
ed un* altra nuova popolare e comune, dalle 
varietà e mescolamenti e confusione di tante 
straniere lingue colla latina cagionata, erasi già 
in Italia introdotta, che italiana appellossi. 

Né bisogna dubitar punto se in questa sta- 
gione avesse la lingua italiana preso pie e vi- 
gore , essendo ella più antica che altri non 
crede. Fin da^ tempi di Giustiniano imperadore 
attesta Fomerio (2) essersi in Ravenna stipu- 
lato istromcnto , concepUun eo fere sermone , 
i(jo nane ^ulgus ItaUae utitiir, Costantino Por- 
irogenito pur ne' suoi tempi versj Tanno 910 
chiamò cUtà noi^a Benevento e Venezia (3). 
L' autore degli Atti di Alessandro ITI presso il 
cardinal Barouio (4) riferendo T ingiurie dette 
dalle donne romane ad Ottaviano antipapa, dice 
che lo chiamavano lingua vulgctri: smanta com- 
pagno. Ne' tempi poi di Federico II già era 



(1) Ciarlnnt. noi Sannio , od altri. 
(Ti) Foni, in nolis ad Cass. lib. io. cap. 7. 
(!)) C.'>nstant. do admin. Imp. cap. a^. et 38. 
C4) Baron. An. ano. 11 $4. 



Ili 




tlBRO QUARTO a8u 

comunissìma, e resa ormai già Tecchia. Oltre tu 
quel limito calabrese che, secondo narra Ric- 
cardo di S. Germano (i) andava gridando: Be- 
ticdittu, laudata e santìficatu lu Patre: Be- 
jtedittu, laudata e santìficatu Ut Fillu: Bene- 
d^ta, laudata e santìficatu lu Spirita Santa ; 
dell' is^sso Federico, d^Enzio suo figliuolo ba- 
stardo, di Pietro delle Vigne, e dì tanti altri 
di quel secolo , si leggono motte composizioni 
dettate in italiana favella. 

Questa venne dagli scrittori di questa eti, 
e delle seguenti ancora, delta anche latina ; poi- 
ché si usava comunemente da que' medesimi 
antichi Provinciali che Latini , o Romani , per 
distinguerli o da* Greci o da* Longobardi , o 
dall'altre nazioni che vennero in Italia, erano 
appellati, il linguaggio de* quali , prima della 
corruzione, era il prisco latino; onde è che 
non solo presso Paolo 'Warnefrìdo, ma appo gli 
scrittori molto a lui posteriori, il parlar latino 
comune e popolare era lo stesso che il volgar 
italiano. Così Ottone Frisingeiise (-1) loda i Lon- 
gobardi de' suoi tempi già futti Italiani, per 
F eleganza del sermon latino, cioè dell'italiano, 
col quale parlavano cosi bene ed espeditamente. 
Né m questi tempi il nostro idioma itahano 
altro nome avea, che di volgar latino: tale fìi 
appellato nella fine del primo capitolo di ser Bru- 
netto. Così anche latine loqui presso Dante AH- 
ghierì, Petrarca (3> e Giovanni Boccacci (4> 



(0 Kice. in Chron. ann. i>]s. 
(?) Olbo Pruina, de Grtt. Prid. lib. 9 e 
(3) l^rtrar. arì Trionfa d'Amoru, Mp, a 
(4^ Boccar. NotcI. s. Gìori. 5. 
GilHMJKB fo/. J/. 



390 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

sono detti coloro i quali non del prisco latino^ 
ma col serm^n nostro italiano parlavano, come 
accuratamente osservò anche il diligentissimo 
Pellegrino (i). 

E da questa residenza direbbero varie na- 
zioni in molte parti del nostro regno, è nata 
quella tanta diversità di linguaggi, ancorché 
tutti parlassero italicamente, che oggi osserviamo 
nelle nostre provincie. Imperocché fermati i Bul- 
gari per più secoli in quelle città ^ ancorché 
essi a lungo andare renduti già italiani, depo* 
nessero il sermon proprio, ed il popolar lin- 
guaggio apprendessero, e P antico cèdesse al 
comune italiano ; nientedimeno questa tnesco- 
lan^a di due nazioni in un medesimo luogo 
portò che T italiano, sebben superiore, rima- 
nesse alquanto contaminato j ed oltre alle nuove 
parole di quella straniera nazione , quelT aria , o 
accento, o pur vocabolo dello straniero rite- 
nesse. Così anche nell' altre parti nel nostro re- 
gno , come nel Sannio e iiegU Apruzzi , ove i 
Longobardi più lungamente si mantennero, la- 
sciarono, oltre a' vocaboli, unMmpressione di- 
versa dalla comune italiana favella. Ed in quelle 
regioni ove i Greci lungo tempo dominarono, 
come in alcune città della Calabria, ed in Na- 
poli particolarmente , ancor oggi si ritiene molta 
aria di quel parlare , e si ritengono ancora 
molti vocaboli ; ne è mancato chi di essi abbia 
voluto tesserne lungo catalogo , come fece il Ca- 
paccio (2) de' vocaboli greci ritenuti anche oggi 



(i) Camil. Pell^gr. iti diss. de Due. Ben. 
(2) Capar, nel Foia»!irr. . 



LIBRO QUARTO 391 

fla' Napoletani , e de^ quali nel comun parlare 
' si vaglìono. E non essendo finita qui la novità e 
viirietà (Ielle straniere genti che inrasero il re- 
tano, ma succeduta una nazione all'altra in varii 
tempi, ed anche in varie regioni di esso: quindi 
nacque il tanto vario e strano mescolamento 
che og^ si vede. , 

Anehe gli Arabi o sieno Saraceni lasciarono 
a noi la lor parte. Questi fermati prima nel Ga- 
rìgliano, indi sparsi per te Calabrie, per la Pu- 
^ii ed in Pozzuoli, lasciarono fra noi varie 
parole, come, per dante un saegiO) sono quelle 
di meschino f magaziao, mascncra, gìbel, clic 
significa monte ', onde Gibel Y Etna per edcel- 
lenza s'appellò, e poi corrottamente Mongib^ 
lo^ dicendosi due fiate lo stesso, ed altre. E 
vi è chi scrisse che la rima data a' versi, uoa 
altronde che dagli Arabi 1' avessero prima i Si- 
ciliani , e poi gii altri Italiani appresa , e che 
la portassero anche alle Spagne; e Tomaso Cam* 
panella in conferma di ciò ne recava in testi- 
monio una canzone schiavona , ove ciò s^ af- 
fermava , e ch'egli a memoria recitar soleva. 
Dónde poi 1' appresero 1' altre provincié d' Eu- 
ropa, ed arrivò sino io Germania, siccome 
vedesi da quel poema o sìan versi rimati d'Ofr- 
frìdo, che visse sotto Lodovico Pio* il qoal 
crede Antonio Mattei (*) che fosse il più antico 
scrittore che oggi riconosca la Germania. Anzi, 
- come vedremo ne' seguenti libri di questa Isto- 
ria, non altnmde che dagli Arabi venne a ncn 

O Anton. Ibuhmit de CrìiriÌBÌbiM ul L. Svlmm .ViìmU <% i. 



Ug2 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

la filosofia 9 la medicina^ la matéb!atica^ e F al- 
tre discipline che per più secoli tennero occu- 
pale le nostre scuole. 

Ma essendo poi a' Longobardi , a" Greci , 
a' Saraceni succeduti i Normanni , e da poi i 
Suevi^ i Franzesi^ gli Spagnuoli^ gli Albanesi^ 
e chi no? si venne per questo, ancorché tutte 
le nostre provincie ritenessero la medesima ita- 
liana favella , a qtiella diversità e mescolanza che 
ora vediamo coii tanta maggior maraviglia y 
mianto che non vi è luogo benché picciolo 
elle fosse nel regno, che o nelFaria^ o nel- 
P accento , e sovente ne' vocabiti non differisca , 
e dall' altro non si distingua. Ma ^ ciò sia 
detto abbastanza, e forse non mancherà occa- 
sione di ragionarne altrove ad altro proposito. 

s ni. 

Leggi di Grimoaldo y e sua morte. 

Liberato intanto Grimoaldo da tutti gli so- 
spetti e dalle cure militari, nel sesto anno del 
suo regno fu tutto rivolto agli studi della pace, 
ed a ristabilir con nuove leggi il suo imperio. 
Le leggi di Rotari , per ventiquattro anni da 
che furon promulgate, avevano neiritalia poste 
profonde radici. A quelle cominciavano ad ac- 
comodarsi non pure i Longobardi , per li quali 
erano stale fatte , ma i provinciali medesimi , 
ancorché loro non fosse stato mai interdetto 
r uso delle romane. Ma col correr degli anni , 
come suole accadere , fu osservato non essersi 
per le medesime proveduto a tutto ciò che era di 




I.IBHO QUARTO ygS 

mestieri, e molte di esse veneodosi all'uso ed 
aUa pratica, sembravano al<}uanto dure e cru- 
deli (i). Quindi Grìmoaldo prudenlissimo piio- 
cipe , volendo riformar in parte l' editto di 
Botati, ed accrescerlo d'altre leggi che gli par- 
vero pili utili, convocati, come era il loro co- 
stume, nell^anno 668, che fu il sesto del sud 
regno , i Longobardi e' loro giudici , all' editto 
di Rotali aggiunse nuove leggi , e riformò la 
già fatte , ed un nuovo editto promulgò con 
questo proemio : Supcriore pagina hujus edicti 
tegibir , quod adirne , annuente Domino , me- 
morare poterimus, de singuìis causis qua prOB- 
sentì non essent ailfictcB, in hoc edicto adjun- 
gerc debeamus, ita ut causa quce judicatce et 
JinitfB siint, non re\>ol\>anìur. Ideo ego Grimoal- 
dus vir exceìlentissimus , rex gentis Longobar- 
donim, anno, Deo propicio, sejcto regni niei^ 
mense Julio, Indictione undecima , per su^s- 
stionem fudicum, omniumqiie consensum , quw 
ilUs dura et impia in lioc edicto visa sunt, ad 
meliorcm sensum jvvocare prcBvidimus (a), 

Questo editto di Grìmoaldo si legge nel men- 
tovato Codice Cavcnse dopo quello di Rolarì, 
e non contiene più che undici capitoli , Ì cui 
titoli rjuesti sono. / Si quis hominem nolendo 
occiderit IL Ut causa Jìntta non revohantur. 
III. De servo qui 3o anno servivit If^. De 
3o annorum liberiate. V. De culpa servorum. 
f^I. De 3o annorum possessione. VII. De 

<i> P. WiriM*. ). 5. r. 33. 

(a) Si Iritf!' n*"' CoitiiY Civmw , t iiA Corpo A^llr L<^ Lon- 
■obarde, Sitichi;, Al'inannr ec. deU^editionc dì B>iiiln dtU 
r«nno iSS^, e prcMO Sigonio de Itcf. lul. I. «■ ad A, 66S. 




■jg^ ISTORIA DFX BEONO DI NAPOLI 

successione nepotiim. F"!!!. De uxoribus ài- 
mìtfendis. IX. De crimine uxoris. X. Si mulier 
aut puella super alia ad maritimi intraveriì. 
IX. Si anelila fitrtum feceriL Dopo i quali sie- 



giiono 



Hpitoli , ' 
Il cotnpilalore 
gobardc inserì 
Grimoaldo nel 
mimerò dì sett- 
, primo sotto il 
l'US ; la seco! 
rum) la teraa 
I qìM iixorem Sm 



libri delle leggi lon- 
:une di queste leggi dì 
;ccondo libro , sino al 
ma si legge nel libro 
•tis j et ser\'is fugaci- 
1 til. de culpis servo- 
secondo sotto il tit. tfe 
niscrit; Ire altre nello 
itesso libro sotto il tit. de pneseripUon. , e. la 
settima nel medesimo Ubro séeondo sotto il tit. 
quaiiter quìsqite se defindere deheat 

Dopo aver Grimoaldo cosi bene adempiute 
le parti d^un ottimo prìncipe, ecco che per 
un accidente stranissimo .è tolto a' mortali j poi- 
ché avendosi fatto salassar nel braccio, dopo 
nove giorni del salasso , mentre e^ fa forza 
in caricando un arco, gli si apre la vena; né 
con tutti gli argomenti possìbili potendosi chiu- 
dere j esangue se ne morì nel nono anno del 
suo regno, che cadde nel 671 dell'umana Be- 
denzione. Fu Grimoaldo fornito d* ogni rara 
virtjj , e per la sua sagacìtà e singolar accor- 
tezza meritamente fìi al trono portato. Prìncipe 
che volle anche per la sua pietli lasciar di sé 
lodevole ed onorata memoria; poiché sd)beiie 
neir eresia d'Ariio fosse nato e cresciuto, a' con- 
forti di Giovanni vescovo di BergAmo , uomo 
di singoiar bontà e dottrina , T alwominò , ab- 
bracciando la relig^Hi cattolica; né contento di 




l-IEBO QfAnTO 395 

ciìt, molte chiese rifeoej ed altre di ouoro co- 
stnuse, fra le quali celebre fu qadla dedicata 
ad Alessandro nell'isola di Fulcneria, e l'altra 
in Pavia al santo vescovo Ambro^o 0- ^ fu 
questo esempio così memorando, die gli altri 
re suoi successori furon tutti cattolici j e s' e- 
stinse in lui Tanianesmo appo tutti i Longo- 
bardi in Italia. 



C A P O XI 

Di Garihaldo , Pertarite, Cimiperto , ed altri re 
e duchi di Beììcvento , infino a Luitprando. 

lasciò GrimoaHo, oltre a Romualdo che re- 
gnava in Benevento , un altro piccolo suo fi- 
gliuolo Garibaldo nominato , al quale lasciò 
morendo il regno. Non fu Romualdo duca di Be- 
nevento al regal solio assunto, ancorché mag- 
gior nato , poiché era comiuiemente riputato 
81)0 Ggliuol bastardo. Ma Garibaldo non potè 
molto goderlo , perchè appena innalzato al tro- 
no, Pertarite, ch'esule aimorava in Francia, 
avuta novdla della morte di Grimoaldo. tosto 
venne in Italia , ove appena giimto, accolto con 
incredibile contentezza da moltitudine grande 
de* Longobardi, passò in Pavia. Quivi fugato 
Garibaldo , che non più che tre mesi dopo la 
morte del padre avea regnato, iu da' Longo- 
bardi nel regno restituito ) ed avendo ricma- 
mata a sé Rodolinda sua moglie e Cuoiperto 

O %»>■ <!• K- Il«1. ad A. 671. 



!296 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

SUO figliuolo ; che in Benevento in lungo esilio 
eran dimorati y resse da poi il regno con tanta 
quiete e giustizia ^ che ne violàize né ruberìe 
né tradimenti furono nel suo gOTemo inlesi. 

Assunse questo prìncipe nell^ anno 678 per 
compagno nel regno Cuniperto suo figliuolo , 
il quale ^ morto finalmente Peitarìte nell^anno 690^ 
continuò solo a governarlo. Fu però la sua quiete 
e tranquillità alquanto interrotta per Alachi duca 
di Trento^ il quale invase il regno; ma ne fu 
ben presto il tiranno iiigato y e Cuniperto vit- 
torioso seguitò ad amministrarlo con la prìstina 
ed antica quiete. Morì Cunipei*to nell^ anno 700^ 
lasciando per successore al regno Luitperto 
unico suo figliuolo ancor infante^ e perciò la- 
scioUo sotto la cura d^Asprando uomo di chiara 
nobiltà y ma sopra tutto di grande prudenza e 
saviezza. Fu Cuniperto, come dice Vamefndo, 
4]n prìncipe di rada e maravigliosa venustà^ e 
di costumi soavissimi^ d^ audacia singolare; ed 
uomo cattolico e di somma pietà; tanto che 
il regno de' Longobardi non fu veduto insino 
a qui mai in tanta pace e tranquillità ^ quanto 
nel regno suo, e di Pertarìte suo padre. 

S I. 

Di GrimoaltJo il, Gisulfo /, Romualdo //, Adulai , 
Gregorio , Godcscalco , Gisulfo II e Luitprando du- 
chi di Bcne\^ento, 

Intanto al ducato di Benevento , essendo 
morto Romualdo nell'almo 67 7^ era succeduto 
Grìmoaldo II suo figliuolo ^ al quale lasciò il 
ducato molto più grande y avendolo accresciuto 




LISHO QUARTO 397 

colle conquiste di Taranto, Brìndisi, Bari, e 
di tutta la regione d' intorno , che tolse egli 
all' ìmperador a Oriente. Ma si godè Grìmoalao 
poco il suo ducato , poicliè appena finì tre 
anni , ne* quali insieme con Gisulio suo frateUo 
avea regnato , che sopraggiunlo dalla morte 
lasciò suo fratello solo nel ducato. 

Gisulio leime il ducato beneventano, nove- 
randovi i tre anni che regnò con suo fratello 
Grìmoaldo, anni dìcissettej e comìnciù solo a 
- reggerlo nd fine dell'anno 680. Questi fu che 
a tempo di Gio, V pontefice romano intorno 
all' anno 685 , secondo il computo del Pelle-, 
grìno , devastò la Campagna romana. 

Ma morto Gisulfo nell' anno 694 , succedette 
al ducalo Romualdo II suo figliuolo , e mentre 
egli reggeva Benevento , fu da Petronace resti- 
filuito al suo antico lustro il monastero Cassi- 
nese. Il ducato di Romualdo fu ben lungo , du- 
rando ventjsei anni , e travagUò molto i Napo- 
letani , togliendogli Cuma : ma i Napoletani 
istigati da Gregorio II pontefice romano, ben 
tosto, militando eotto il loro duca Giovanni, 
glie lo rìtolseroj e molta strage de' I^ongobardi 
tu fatta (*). 

A Romualdo nell'anno ^ao successe Adelai, 
che non regnò più che due anni. Di costui fu 
successore Gregorio , che tenne il ducato anni 
sette j e morto n^' anno 728, fu assunto al 
ducato Godescalco, che poco mea che quat- 
tro anni lo resse. 

Succede nell'anno 782 Gisulfo H di questo 

("> Jo, Diaom. ipnil. Vglitll. ile Epiw. Nripi p. B& 



908 IflTORU OIL MEGMQ BI ITÀPOLI 

nome^i il qoole per anunenda del sacco dr Zo^ 
jtone / arricchì il monastero di monte Casino 
di molti poderi , e d* immensi doni accrebbe 
-qiidi Inogo. Farongli allora donati 'que' luoghi 
e tare ddlo Stato di S. (fermano ^ che col cor-, 
rer deeK anni , accresciuto d^ altre doUauoni y 
lo renderon tanto ribeo y che i loror abati fiiUi 
signori di più vassalli, vennero in tale altezza. 
e£^tenn«ro troppe «^ loro stìpendii. / 
Resse Gisnlfo ril dacato beneventanp anni 
9! prìncipe di molta pietà, e fibera^ 
verso le chiese, «He (juali fece profuse 
donazioni,^ e molte ne costrasse^ fra le quali 
celebre fu quella di S: Sofia • che in Benevaito 
da* fiMidamenti eresse. Mori nel fine ^-deW an- 
no 749 7 suo successore'lb Lultprando , ultimo 
, che m . duca di Benevento. Questi tome il du- 
cato anni otto e mesi tre, e. kd morto ndTan* 
no 758, fii da^ baroni beneventani e dal re 
Pesiderìo Costituito Arechi suo genero : quegli 
che, estinto già il regno de^ Longobardi in Ita- 
lia per Carlo M. ^ fu il primo a mutare il du-^ 
cato di Benevento in prmeipato, e che nuova 
polizia introducendovi , di molti conti e ga- 
staldi empiè il suo Stato ; e che lasciando il 
titolo di duca ^ prese quello di prìncipe , e fat- 
tosi ungere da^ suoi vescovi , volle assumere 
la corona ^ lo scettro e la clamide , e tutte 
T altre insegne regali : i cui fatti egregi ci som'* 
ministreranno abbondaute materia nel sesto li* 
bro di questa Istoria. 



In 



LIBftO QUARTO 



Dì fjuitpcrto j lìagutnliertQ , Àriperlo II ed Atprando 
re à^ Longobardi. 

Inlanto nel regno d^ Italia a Luìtperto , che 
non regnò più cbe otto mesi, era succeduto 
Bagiimuerto. Questi era duca «ii Torino, e fu 
figliuolo del re Gudeberto , cbe lo lasciò molto 

fticcolo quando fu egli ucciso dal re GrìtDoaldo. 
nvase costui il regno per la minoritJi di Luìt- 
perto , e finalmente lo scacciò dalla sede. 

A BaguDiberto, che morì nell'istesso anno, 
succede Arìperto II di questo nome suo figliuolo, 
di cui si narra aver confirmato alla Chiesa ro- 
mana il patrimonio delle Alpi G>zzie; ma egli fu 
da poi fugato e morto da Asprando , il quale oo 
cupo il regno. E questi essenoo parimente morto 
dopo tre mesi, lo lasciò a Luitprando suo^- 
gliuolo , nd cui tempo germodiarono que' mali 
che fnron non molto da poi cagione della transla- 
zione del regno dMtalia da^ Longobardi a'Frau- 
zesi ; donde nacque il principio del dominio 
temporale in Itaha de' romani pontefici , e nac- 
quero tante e si stnme mutazioni in quéste 
nostre prorincie , che per la novitìi e grandezza' 
de* successi meritano che , dopo aver narrata 
la polizia ecclesiastica di questi tempi, si ri- 
portino al seguente libro della nostra Istoria. 



300 ISTORIA DEL RECITO DI NÀPOLI 



CAPO XH 

Deir esterior polizia ecclesiastica nel regno de 
Longobardi da /éutari insino al re Luitoran- 
do ; e neir imperio de* Greci , da óiustì-:^ 
no II insino a Lione Isaurìco. 

Grandi che fossero stati in questi tempi i 
progressi de^ patriarchi di Ck)staiitinopoli in 
Oriente 9 non aveano però infin ad ora stesa 
la loro patriarcale autorità sopra queste nostre 
Provincie. Cominciavano bensì pian piano , so- 
stenuti dal favore deglMmperadori , a metter 
'mano in alcune chiese poste in quelle città che 
ancor ubbidivano allMmperio greco. Prima in- 
trodussero di dar a' vescovi u titolo d' arcive- 
scovo , poiché non essendo questo nome di 
potestà y come il metropolitano j ma solo di 
dignità , fu cosa molto facile a' semplici vescovi 
d' ottenerlo ^ ed a' patriarchi d'Oriente di darlo. 
Così leggiamo che sin da' tempi delf impe- 
rador Foca , che resse quelP imperio dall' an- 
no 602 insino al 6co, cominciarono i patriar- 
chi di GostantinopoU j secondo il soUto fasto 
de' Greci , a dare a molti nostri vescovi delle 
città che a loro ubbidivano , questo spezioso 
nome d'arcivescovo, come fecero ^ non senza 
collera e sdegno de' romani pontefici , con quello 
d' Otranto j di Bari, e da poi anche con quel 
di Napoh (*). Questi furono i primi passi che 

O Ughcll. de Episr. Ilydnintin. Bcatil. Iiisl. di Bari. 




UDRÒ QUAHTO 3oi 

diedero in ([ueste nosli-e partì. Ma in Oriente, 
per essere state le altre città patriarcali occn- 
pate da' barbari , e posti a teiTa que' tre pa- - 
tiiarchi , tanto cbe non potè di lor conservarsi 
continuata' successione, si rendè il Costantino- 
politano piìt altiero e fastoso. Quindi Giovanni 
il Digiunatore , die fu eletto patriarca dì Co- 
stantinopoli nell'anno 58a, imperando Maurizio, 
prese il fastoso titolo di patriarca Ecumenico. 

Ma dair altra parte non erano minori i pro- 
gressi del patriarca di Boma in Occidente, sic- 
cbè non si potesse contrasture a tanta alterigia 
e far contrappeso a tanta potenza. E sopra ogni 
altro in questi medesimi tempi erasi la cattedra 
di Roma grandemente innalzata per la santità 
e dottrina di Gregorio il Grande , clie nell^an- 
, no 590 vi sedette. Questo pontefice mantenne 
l'autorità e' diritti della sua sede , e fece valere 
la sua autorità in tutto Occidente : si oppose 
al patriarca Giovanni, non approvando il titolo 
fastoso d'Ecumenico, come ambizioso, e che 
riguardava a diminuire la potestà e la giurisdi- 
zione degli altri vescovi ; onde fu il primo cbe 
voMe nomarsi e sottoscriversi Servo de' servi di 
Dìo , per opporlo al titolo fastoso d'Ecumenico 
del patriarca di Costantinopoli (1). 

Proccurò ancora a questo fine mantenersi 
nella grazia degi' imperadori d' Oriente , di cui 
egU si professava suddito (3), poiché Roma ub- 
bidiva a que' principi; e per rendersi a coloro 
benemerito , sì oppose sempre agli sforzi de' Lon- 
gobardi, Tf^ghiando non pure alla difesa di 



3o4 ISTORIA DEL AEGNO Di NÀPOLI 

siccome fecero tutti gli altri romaiii pontefici , 
che stettero sempre fermi nell^ ubbidienza de- 
gl^ imperadorì d^ Oriente contra i Longobardi^ 
infino a Lione Isaurico} il quale volendo soste- 
. nere F errore degli Iconoclasti contra gli sforzi 
de^ pontefici Gregorio II e III ^ pose tutto in 
disordine ^ come si vedrà nel libro seguente di 
questa Istoria. 

Dair altra parte i Longobardi, quantonque per 
la maggior parte idolatri ed altn arriam^ non 
turbarono la pace delle nostre chiese^ e sotto 
la cura de^ pontefici romani^ cosi come prima 
erano j le lasciarono. H re Autarì verso V an- 
no 590 depose il paganesimo ed abbracciò la 
religione cristiana; ma seguendo F esempio de* 
re Goti^ la ricevette imbrattata dall^ eresia ar- 
riana. I Longobardi y ad esempio del loro re , 
fecero il medesimo ; quando lasciandosi a^ pro- 
vinciali intatta la loro religione , si videro ia 
alcune città d^ Italia due vescovi, Puno arria- 
no , che presedeva a' Longobardi convertiti ; 
Poltro cattolico, che governava le chiese cat- 
toliche de' provinciah. Le nostre provincie però 
non videro questa difformità; poiché quelle che 
ancor rimanevano sotto Y ubbidienza degl' im- 
peradori d'Oriente, erano tutte cattoliche: l'al- 
tre che passarono sotto la dominazione de* 
Longobardi, ritennero intatta quella medesima 
religione che i Goti e sopra tutto il gran re 
Teodorico loro avea conservata, nella quale il 
re Autari e gli altri re suoi successori le man- 
tennero. A tutto ciò s'aggiunse da poi la pietà 
della regina Teodolinda , donna reUgiosissima 
e cattolica , la quale ancorché col suo primo 
marito A.utan non le fosse riuscito di far loro 



\\ 




LIBRO QUAItTO ■ 3o5 

deporre V arrianesimo , con Agilulfo però suo 
secondo marito potè tanto , per le ^aildi ob- 
bligazioni che a lei professava, che gli fece ab- 
bracciar la religione cattolica- ond'è che S. Qre- 
gorìo M. cotanto si mostra obbligato a questa 

Erincipessa, alla quale dedicò i suoi quattro li- 
ri delle Vite de* Santi {i),. e- tante affettuose 
epìstole di lui si leggono piene d'encomii e di 
lodi dirette a questa regina {3). Quindi avvenne 
che molti Longobardi, seguendo l'esempio del 
loro prìncipe, si rendessero ancor essi cattoli- 
ci , e perciò molte chiese e monasterì net re- 
gno di Agilulfo fossero edificati (3) : donate per- 
ciò motte possessioni a'medesimi, r che i vescovi, 
che prima nelle città di Longobardia eran de- 
pressi, fossero stati sollevati ed in sommo onore 
avuti. E quantunque nel regno di Ariovaldo per- 
fido arrìano, die ad Agilulfo succede, fossesi 
turbata quella pace che Agilulfo gli avea data ', 
nuUadimanco succeduto poi al trono Botarì , 
prìncipe, ancorché arrìano, di piacevoli costu- 
mi, e che lasciò in libertà di vivere, così i 
Longobardi come i provinciaU, con quella re- 
hgtone eh' essi volessero , rìtomarono le cose 
nella prìstina quiete e tranquillità, nella quale 
maggiormente si stabilirono sotto il regno di 
Arìpcrto, molto propenso ed inclinato alla te- 
ligion cattolica. 

Ma poscia i nostrì cistiberìni Longobardi fu- 
rono ì prìmi a lasciare affatto l' arrianesimo . 
mercè dì due illustrì vescovi , Barbato di 

<i) P. Wanu^. lib. 4. e 5. 

(1) firegor. M. I. 3. ™. 4. ri. 33. r. j. ep. 41. 

(^ ìf. WiimC ). 4. e. 5. 

GuKiowi, P'ol. IT. ao 



3o6 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Benevento e Decoroso di Capua. barbato^ dopo la 
sconfitta che i Longobardi beneventani sotto fl 
loro duca Romualdo diedero a^ Greci ^ purgò 
quella nazione non men dell^ idolatria che del- 
1 arrianesimO; e divennero tutti cattoUcì. H si- 
mile avvenne de^ Longobardi capuani per De- 
coroso loro vescovo ) tanto che in tutte quelle 
Provincie che eran passate sotto il loro domi- 
nio^ Farrìanesimo presso a^ Longobardi istessi 
restò affatto abolito. Le altre regioni che ancor 
duravìano sotto i Greci^ ancorché lOriente spesso 
partorìsse delP eresie e decli errori intomo a^ 
dogmi y onde mal s^ accordavano quelle chiese 
con queste nostre d'Occidente, e sopra tutto 
in questi tempi per quella de^ Monoteli ti : nien- 
tedimeno la vigilanza de^ romani pontefici, sotto 
la cui custodia e governo ancor duravano, fece 
si che non rimasero di que^ errori le nostre 
cliiese contaminati. 

Ma non mólto da poi , ciò che avventurosa- 
mente avvenne a' nostri cistiberini Longobardi 
sotto Romualdo duca di Benevento , accadde a' 
Longobardi subalpini sotto Grimoaldo re d' Ita^ 
ha. Questo principe fattosi cattoUco , favorì tanto 
le chiese , ed ebne tanta avversione alla dot- 
trina degli Arriani , che estinse affatto in tutta 
ItaUa r arrianesimo. Quindi s'accrebbero le tante 
lor ricchezze, donde parimente ne nacque la 
sregolatezza della maggior parte de' Cristiani, 
e lo scadimento della disciplina ecclesiastica. 

Questi principi longobardi, ad esempio di tutti 
gh altri principi dell' Occidente e degl' impera- 
dori d' Oriente , ancorché fatti cattolici , man- 
tennero però ne' loro domimi quelle medesime 




LIBRO QUARTO ÌOJ 

próDgative e preminenze clie i re goti riten- 
nero, per quel che s'attiene alTeslenor polizia 
ecclesiastica. Ed avvegnaché i pontefici romani 
iàcessero valere la loro autorità in Occidente , 
nulladimanco i principi , e speziahuente odia 
Francia e nella Spagna, vollero, fra 1* altre co- * 
se , autorizzare colle loro leggi ed editti i sinodi 
provinciali j che in questo secolo furono assai 
n%quenti , e di lor ordine fatti convocare per 
dar riparo agli abusi ed alla corrotta disciplina 
e sregolatezza degU ecclesiastici. Dall' altra parte 
d' imperadori d' Oriente non pur seguitavano 
le Vestìgie de' loro predecessori , ma presero 
molta parte negli affari della réUgione, non 
potendo i pontefici romaDÌ farvi tutta ^ella 
resistenza che avrehbono voluto. L' impera- 
dor Maurizio , calcando le medesime pedate 
dedi altri imperadori suoi predecessori , pro- 
mulgò legge proibente che i soldati si riceves- 
sero ne' monasteri. S. Gregorio (i) sì doleva 
della legge, ma non attaccava la potestà del 
legislatore, e con molta riserva esagerava che 
quella fosse ingiusta e contra il servigio di . 
Dio ; quasi che volesse con ciò impedirsi agli 
nomini il cammino d'una maggior perfezione. 
Maurenzio nostro duca di NapoU obbligava i 
monaci a far le sentinelle per' guardia della 
città , e ripartiva le truppe per l' alloggio in 
ogni quartiere , non perdonando né anche a' 
monasteri di donne; di che parimente abbiamo 
le doglianze di questo pontefice (a). 

<■> Epirt. 61. Hb. I 



3o8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

In Oriente gli imperadori disponevano pure 
delle diocesi e delle metropoli , e regolavano i 
troni e le precedenze, accrescevano ed este- 
nuavano le pertinenze de^ metropolitani a lor 
talento. E dall^ altra parte i nostri duchi di Be- 
nevento fecero il medesimo nel lor ampio du- 
cato. A richiesta di Barbato vescovo dì quella 
città ^ il duca Romualdo unì al vescovato di 
Benevento quello di Siponto. Ecco le richieste 
di '^Barbato a^ Romualdo, come si legge ne^ suoi 
Atti: Si munuSf e' dice, tuae salutis offèrre 
studes y unum impende heneficiuhij ut B. Mi- 
chaèlis Arcangeli domus quae in largano sita 
est, et omnia quae sub aitìone SipontirU, EpU 
scopatus sunty ad sedem JBeatissimae Gemtri- 
cìs Dei y ubi nunc indigna praesum , in omni- 
bus subdas ; et quoniam absque cuUoribus omnia 
depravantur, unde nec seaubun officìum per- 
soci poteste melius a nobis disposila tibipro^ 
JicieiU in salutem, Romualdo assentisce a questa 
dimanda, e ne gli fa diploma: Illico princeps 
viri Dei consentii petitìorìibus , co ordine , utjati 
sumusy ety sicut mos estj per prmeceptvm 
Genitrici Dei universa concessit ; et ut resonet 
in futuruiHy anathefnatizaverat qui contra haec 
agens irriiam hanc facere voluerìt concessio- 
nem. Ciò che da poi volle Barbato che anche 
se gli concedesse da papa Vitahano; poiché 
de' romani pontefici ( a' quah il Sannio e la 
Pugha , come provincie suburbicarie , appartene- 
vansi ) uffizio era d' unire e separare le lor chie- 
se, siccome sovente erasi praticato dal pon- 
tefice Gregorio , che nell'anno 692 uni la chiesa 




LIBRO QUARTO 309 

di Cuma a quella di Miseao (i) (ancorché tal 
unione poco durasse), ed erasi praticato nel- 
l'altre Provincie suburbicarìe. Perciò appresso 
Vipera ed Ughello (a) si legge il Breve i^ Vi- 
taliano diretto al vescovo Barbato , ove fra l'al- 
tre cose si leggono : Concedeittes Ubi, tuaeque 
pracfatae Revererutissìmae BeneveiUanensi Ec- 
cìesiae. Bihinum , Ascuhim, Lariman et Ecch' 
Siam Sorteti Michaèìis Archangeli in Gargano, 
pariterque Sìpontinam Ecclesiapf, quae in ma- 
gna inopia etpaupertate esse videtur , et ahsqite 
cuUoriòiis et ecclesiasticif ojficiis nunc cer- 
niiur esse depravcUa, cum omnibus quidem eo- 
nun pertinentiis et omnibus praedììs cum Ec- 
'^■clesìis, ec. Onde avvenne che da questi tempi 
di papa Vitalianr la chiesa sipontina fosse 
unita a quella di Benevento , e che ì vescovi 
beneventani nel corso di' molti anni , finché di 
nuovo quella non fa separata , si dicessero an- 
che vescovi di Siponto. 

Non fu per tanto così nelle provìncie cVeran 
passate sotto la signorìa de' Longobardi , come 
in quelle ch'erano rimase sotto Ì Grecij variata 
la poUzia ecclesiastica^ ma per ciò die s'at- 
tiene a questa parte , fu ritenuta quella stessa 
forma che tennero sotto i goti re d'Italia, e 
sotto Giustiniano e Giustino imperadori d'O- 
riente. 



(0 Dgh. de Epìi. Cmtunl 
<9) Ufii. de Epii. BriM-T. 



* • «■ * 

3 1 I6T0RU DEL REGNO DI NÀPOLI 



.> " 



8 1. 

Elezione de* vescovi, e loro disposizione nelle città 

di queste nostre pròvincie. 

I vescovi erano ancora eletti dal clero e dal 
popolo y ed ordinati dal pontefice romano ^ come 
prima ; ma i princìpi y come se dal popolo fosse 
a loro devoluta tal potestà j nelP elezione ne vo- 
levano la maggior parte ^ onde ne nacque y che 
facendo essi eleggere alcuni che non avevano né 
meriti né scien:^a né capacità^ erano le chiese 
mal governate. Dal registro dell^epistole di S. Gre- 
gorio si legge che il pontefice romano esercitando 
nelle nostre chiese 1 autorità sua di metropolitano 
insieme e di patriarca y noa pur ordinava gli 
eletti dal clero e dal popolo • ma regolava V de^ 
zioni y diflìniva le contese cne forse insorgeva- 
no , e sovente spogliava i vescovi delle loro 
sedi y quando gli conosceva immeritevoli. Cosi 
de' vescovi di Napoli leggiamo, che tenendo 
neir anno 690 la cattedra di Napoli Demetrio , 
fu costui per li molti e gravi suoi deUtti nel 
seguente anno scacciato da Gregorio , il quale 
dopo averlo deposto, scrisse al clero e agli or- 
dini di questa città, cioè a' nobili ed al popolo, 
che in luogo di Demetrio n'eleggessero un altro ^ 
ed intanto egli vi mandò il vescovo di Nepi Paolo 
a regger quella chiesa, insino che a quella non 
si fosse dato il successore. I Napoletani si tro- 
vavano così ben soddisfatti di Paolo , che scris- 
sero al pontefice , pregandolo che V avesse lor 
• dato per vescovo. Gregorio prese tempo per 




LIBRO QUARTO >3ll 

deliberare^ ed intanto avendo Paolo nel ca- 
stello dì LucuUo, che oggi chìatmamo dell'Uo- 
vo , ricevuto un affronto da alcuni servi d'una 
dama napoletana chiamata Gemenzia, pregò 
Gregorio che lo facesse ritornar presto alla 
sua chiesa ; onde i Napoletani non convenendo 
fra loro nella elezione d un lor cittadino , e scor- 
gendo che Paolo non Favrebbe accettato, eles- 
sero Florenzio sottodiacono del papa , che al- 
lora si trovava in Napoli : ma questi tosto scappò 
via, e fuggì in Roma, riSutando il carico; tanto 
che Gregorio scrisse (i) a Scolastico duca di 
Napoli , esortandolo a convocare i nobili ed il 
popolo della città per V elezione d' altra perso* 
na 'j e quella eletta, mandassero il decreto io 
Roma , perchè potesse ordinarla : dicendogli an- 
cora , ^cchè due volte aveano eletti uotitinì 
stranieri, che se non trovavan fra' cittadini 
persona idonea a tal carica , almeno elegges- ' 
sero tre uomini savi e dabbene, a' quali tutti 
^ ordini dessero la lor facoltà , e gh mandasi 
sero in Roma, affinchè facendo le veci della 
città, venuti in Roma potessero insieme col 
pontefice consultare, e far sì ohe finalmente 
trovassero perdona irreprensibile , nella quale 
consentissero , e stante la loro elezione potesse 
il papa ordinarla e mandarla alla vedova chiesa. 
Consimile epìstola (a) scrisse Gregorio a Re- 
tro sottodiacono della Campagna , che reggeva 
il patrimonio dì S. Pietro di questa provìncia, 
al quale incaricò che facesse convocare il clero 

(0 Ep. Orta. aiiaH Cfaior. At Cplir. Xenp. 
(9) Ep. apnd Cuior. loc di. 



3ia ISTOiU DEL tlC50 M SAPOT.I 

(Iella cLirj3 di Napoli . bnponcndo^i che pa- 
rimeDle elesz^s^ro due o tre di loro . ai quali 
dasiero tutta la lacoUa . e di mandassero in 
Roma- dove oniti con eli altri rappresentanti 
la nobiltà e 1 popolo. ^ potesse trattar del- 
TelezifMie eil ordinazione do nuovo vescovo. 

Cliiatnava«i questa elezione per compromis- 
sum . la quale <olev3 praticarsi ne* casi di di- 
TÌsione e di di^ordie . acciocché unendosi la 
Toloatà ed i su&a^ di molti in due o tre per- 
sone savie. pùte??eH> quelle, per evitare i tu- 
multi, senza contrasto elegger colui che sti- 
massero più meritevole e degno (i). In cotal 
marnerà tu in fine da* compromessorì eletto in 
BoDu nel mese di ^ugno delTanoo òqì For- 
bmato : ed ordinato che fii dal paqta , se ne 
Tome in Napob . dov« (n da' Napotetam suoi 
figliuc^ cortesemente ricevuto : e resse questa 
chiesa per molti anni con tanta prudenza e ^'i- 
gilanza. che ne fu da Gregorio sommamente 
commendato . legccndosi perciò molte sue epi- 
stole dirizzate a questo vescovo (3>- 

Morto Fortunato . per dargli successore in- 
sorsero nuo^i contrasti; ed essendosi divisi i suf- 
fia^ . due vescovi dal clero e dal popolo furono 
eletti: imo partito elesse Giovanni diacono: l'al- 
tro Pietro parimente diacono. Tosto si ebhe 
ricorso al pontetìce Gregorio, perchè fra i due 
delti, quello che reputasse il più degno, con- 
iomasse ed ordinasse. Ma niun di essi piacque. 



r. Ft EL pot. tii. 4- ?• ''^■ 
(iL Ani. Mttlharat Man. wl 





LIBRO QUUTO a.^'^ 

(^oranm fu notato d^incontiiieiiza, perche te- 
nera una figliuob, testimonio di sua debolez- 
za : Pietro , come usuraio e troppo semplice , 
fii riputato indegno ed inutile; onde fìi rescrìtto 
a' Napoletani y che eleggessero altrì , come poi 
fecero (*)• 

Questo medesimo costume vediamo praticato 
nell'elezioni deWescovi capuani, di Qima, di 
Miseno, di Benevento, di Salerno, d'Apruzzi, 
. e di tutte le altre chiese di queste nostre prò- 
vincie , che come suburbicarìe al pontefice ro- 
mano s' apparteuevano. Palermo ancora, Mes^ 
«ina e T altre chiese di quell' isola , poiché la 
Sicilia fu anche provincia suburbicarìa, sella- 
vano il medesimo istituto. 

L'elezione, secondo il prescrìtto de* canoni, 
dovea cadere in uno che fosse ddla chiesa 
stessa, o a quella ùicardinato , non già di al- 
tre chiese ; e solo quando fra' cittadini non si 
trovava persona idonea , il che rade volte ac- 
cadeva, rìcorrevasi agli stranierì i quali fossero 
o nella pietà , o nella prudenza e dottrina emi- 
nenti. Cosi leggiamo che Gregorio , dovendGsi 
eleggere il vescovo in Capua , discordando i 
Capuani nell' elezione , ed alcimi facendo no^ 
mina di soggetti stranierì, col pretesto che de* 
nazionali non vi fosse persona degna , rispose 
che ciit parevagli molto strano, e che pertanto 
facessero inighore scrutinio sopra de' loro cit- 
tadini j e se veramente né pur uno ve ne fosse 
degno, allora avrebbe egh provveduto di per- 
sona meritevole. 

Ci Epiit. Grfgor. ipad Qiiocc. loc. dt. ~ 



3l4 IStOAtA DSL UÒNO DI NAPOLI 

Per là morte di Libedo Vescovo di Cuma^ 
accaduta nell'aimo 5ga^ questMstesso pontefice 
mandò Benenato vescovo di Mìseno a gover- 
narla infino che non se gli desse il successore. 
Discordavano i Gumani per reiezione^ inten- 
dendo alcuni elegger persona d^ altra chiesa ; 
ma Gregorio fece senture a Benenato, che non 
permettesse far eleggere persona straniera, se 
non nel caso che a lui costasse non esservi fra' 
Gumani uomo alcuno mentevole d^ essere in* 
Balzato a quella dignità. 

Quest^istesso vedesi praticato nell'elezione del 
vescovo di Palermo. Per la morte di Vittore 
era rimasa vedova quella chiesa: S. Gregorio 
vi mandò tosto Barbato vescovo di Benevento , 

Serchè la governasse fin tanto che si fosse dato 
successore 0- I Palermitani discordi nelf e- 
lezione d' un nazionale y pensavano eleggere che- 
fico straniere. Si oppose loro Gregorio, e scrisse 
a Barbato, che non permettesse che si eleg- 
gesse persona d' altra chiesa , nisi Jbrte inter 
clericos ipsiits cwitatis luilìus ad episcopatum 
dignus , quod evenire fton credimus , poterìt 
ùwenirì. 

In tal maniera si facevano Y elezioni de' ve- 
scovi , quando volevasi attendere V antica disci- 
plina della Chiesa ed il prescritto de' sacri ca- 
noni. Così ancora avrebbe dovuto farsi l'elezione 
del vescovo di Roma dal clero e dal popolo j 
né aveano in ciò da impacciarsene gli impera- 
dori d' Oriente. Ma cominciavano già in questi 
tempi i principi ad occupare le ragioni del 

O Cpitt. Gregor. apud Chiooc. 



UVB.0 QViKTO 3l5 

popolo e dd clero in queate deriom: sìa per 
timore, sìa per compiacenza , sovente colui era 
eletto che al principe pigerà. Gl*ìii)peradori 
d* Oriente, come padroni di Roma, aveano gran ' 
parte nell elezione de' pajtt ch'erano loro sud* 
ditij e fìi anche introdotto costume che senza 
lor commessione niuno potesse esser ordinato! 
onde l'eletto dorea mandare in Costantinopt^ 
a rìchiederoe il consenso o la permissione del- 
Tìmperadore (i). ScrÌTe Paolo ^amefiido (a) 
che quando dopo la morte di Benedetto Bo- 
DOSO, iu nell'anno $77 innalzato a quella sede 
Pelagio n, perchè Roma in que' tempi era cinta 
di stretto assedio da* Longobardi , né alcuno 
poteva uscire da quella città . non potè Pelagio 
mandare in Costantinopoh all' imperadore per- 
chè v' assentisse , onde fii ordhiato pontefice 
senza commessione del principe. Levati poi gli 
impedimenti, solevano i pontefici romam man^ 
dar lettere agfimperadori, nelle quali allegando 
gl'impedimenti aMiti, cercavano di scusarsi, e 
che alla fatta ordinazione consentissero. S. Gre* 
gorio il Grande fletto papa , ricusando d' es- 
serci, scrisse all' imperadore Maurizio, istante- 
mente supphcandolo che non prestasse il suo 
assenso ali elezione: ma l' imperadore, che tanto 
si compiacque dell elezione, non volle fario (3). 
Nelle nostre Provincie pure i nostri principi 
nell* elezione de vescovi delle loro città vi vol- 
lero la lor parte. G>sì leggiamo alcuna volta 

(0 AiM*t. Bibliolh. in Vigilio. Ittrm m Pdwia II. 

(a) Winwf. lib. 3. «p. an. 

(3) Jo. Dìk. Viu & Greg. lib. 1, «. 3». jo. 



3l$ I6T011IA DSL ÈSOtXO DI NÀPOLI 

esser accaduto nelT elezioni de^ vescovi di Be- 
nevento^ come fii reiezione di Barbato nel- 
Fanno 663. se^ta per opera del duca Ro- 
mualdo. De vescovi napoletani pur lo stesso 
si leg&[e^ e particolarmente del vescovo Sergio, 
il quale dal duca di Napoli Giovanni fu, dopo 
la morte di Lorenzo, innalzato a quella sede. Ma 
questi casi avvenivano fuori d^ ordine. La disci- 
plina era, che reiezione s^ appartenesse al clero 
ed al popolo, siccome roramazione al romano 
pontefice. 

La disposizione de^ vescovi in queste nostre 
Provincie era la medesima de^ secón precedenti . 
E per quel che s^ attiene alla loro autorità e 
giurisdizione, la loro conoscenza era ristretta 
come prima nelle cause ecclesiastiche, dove 
procedevasi per via di censura. Non avevano 
giustizia perfetta, non tribunali, non magistrati, 
e la loro cognizione non più si stese di quella 
che Giustiniano avea lor data in quella sua No- 
vella (*)• Intorno all'onore e potestà, era Ti- 
stessa, e circoscrìtta da' medesimi confini. Erano 
nelle città vescovi solamente : non avea alcun 
d'essi acquistato ancora autorità di metropo- 
Htano; né alcuno sotto di sé avea vescovi suf- 
firaganei e dipendenti j ma ciascuno de' vescovi 
reggeva la sua chiesa ed il popolo a sé com- 
messo. Non ancora i patriarchi di Costantino- 
poh aveano invase le chiese nostre, sicché al- 
cune ne avessero potuto render metropoli, ed 
innalzare * i loro vescovi a metropolitani , con 
sottoporle al trono di CostanlinopoU, siccome 

O Norell. 83. et ia5. 




tlBRO QUUTO 317 

fecero da poi nell'imperio di lione Isaurìco, 
e degli altri ìmperadori d'Oriente suoi succes- 
sori. Solo , come sì è detto d* alcuni vescovi 
delle città all'imperio greco soggette, comin- 
ciavflno , secondo il fasto de* Greci , ad esser 
-decorati del nome di arcivescorij non senza 
sdegno però de' romani pontefici, i truali ri- 

Srendevan acerbamente que' vescovi. che lo pren- 
evano (1). 
Alcuni credettero che il vescovo di Napdi 
prima di S. Gregorio M., o almeno da questo 
poute6ce , fosse stato innalzato agli onori di 
metropolitano e d'arcivescovo. Lo provano da 
quella iscrizione che si legge nel Decretale (a), 
sotto U titolo de statu Monac, ivi: Gregorius 
jirchiepiscopo Neapolis; e sotto l'altro <fe reli- 
àosis domipus, ivi: Gregorius y^ictori. Archiep. 
rfeap. Ma chi non vede la manifesta scorre- 
zione del Oidice vulgato? poiché negli emendati 
la prima si legge così : Gregorius Fortunaio 
Episcopo NeapoUtano , siccome anche legge 
Cronzaiez (3) j e la seconda : Gregorius J^ictori 
Neapolis Episcopo. Oltreché nel registro del- 
r epistole di S. Gregorio riconosciuto ed emen- 
dato in Roma, donde quel testo si dice trascritF 
to, questo titolo nqn sì vede; né tra T fistole 
dì S. Gregorio sì legge questa decretale che si ' 
dice indirizzata a Anittorc. Quindi ì nostri pia 
accurati scrittori, come il Caracciolo (4) el 
GhioccareUi (5) , riprovarono con molta ragione 

(i) Qme, <!<• CpUc Ncip. Anno ;3a. 
<a) C^ t. de SuiD Hoiuc. 
<3) GoDialn d. e. i. rt de relig. danib. 
(4) Cane de Sta. Ecd. Neap. Hoduik. 
{.Si Chioc, de Epnr. Nnp. 



3l9 JISTORIA DEL REGNO DK NAPOLI 

questa lor credenza ^ ed iu tempi posterìori pon- 
gono V elevazione m questa sede in metropoli* 
Altri dalla disposizione che presero queste 
nostre prorincie nel ponteficato di Gregorio ^ 
presero argomento che fin da questi tempi si 
fosse Napoli fatta metropoli. Napoli, essi dico- 
no^ ayea in questi tempi il suo ducaj F altre 
città y conti e goyemadorì. H duca secondo la 
polizia dell* imperio presedeva a più città della 
provincia che compongcmo il ducato. H conte 

E resedeva ad una città sola; ond^è che nelle 
^ggi degli ^estrogoti si dice duca di provin- 
cia, e conte di città; e Fortunato al conte Sì- 
goaldo ^ dice: 

Qui moda dai comiiis i dei tildjum ducis. 

Regolarmente dodici città erano a** duchi sot> 
toposte, e queste città si nomavano contadi, 
onde U duca presìdeva a dodici conti, sic- 
come notò Pietro Piteo per quel luogo d'Ai- 
monio ; Pipinus domum reversus , Gnfbnem 
more ducum duodecim comitatìbus dona\fit; e 
Camillo Pellegrino (*), a cagion di molti esempi 
che si leggono appresso Gregorio Turonese nella 
sua Appendice. Quindi Guglielmo Durando os- 
servò^ che adattandosi la polizia delia Chiesa 
a quella dell* impero, le città ducali ebbero gli 
arcivescovi, e le contee i vescovi, avendo cor- 
rispondenza gli arcivescovi co* duchi, ed i ve- 
scovi con li conti. Così Napoli fatta ora città 
ducale , ed il suo ducato , ancorché fin qui 
non molto si stendesse, come si stese da poi , 

O Pellegr. in diaaMt. de Due. Bener. diss. 3. 




LIBRO QUARTO 3ig 

abbracciando nuUadimauco le città vicine in- 
tomo al cratere, eicconie Pompei, Erculano, 
Acerra, Nola, Pozzuoli, Coma, Miaeno, Baia 
ed Ischia , potè in questi tempi diTenir me- 
tropoli , ed il suo vescovo rendersi metropo- 
litano. 

Ma siccome egli è vero cbe la polizia di qoe- 
ute nostre chiese col correr de^ anni si an- 
dava adattando alla disposizione o polizia del- 
V imperio , come vedremo ne' secoli seguenti j 
nientedimeno . ne' tempi ne' quali siamo , alla 
disposizione de' ducati, siano de* Longobardi, 
siano de' Greci, non si adattò la pohzia ec- 
clesiastica ; e la disposizione delle nostre chiese 
e di quedle d'Italia ni tutta diversa: onde fallace 
argomento è questo di dare ora arcivescovi alle 
città ducali. Puossi vedere in questi tempi città 
più cospicua ed eminente in queste nostre re- 
gioni, quanto Benevento, capo di un ducato cosi 
vasto che abbracciava molte Provincie, e sede 
de' duchi beneventani? e pure il suo vescovo qon 
era metropolitano, né arcivescovo, avendo acqui- 
stato questa prerogativa molto tempo da poi, cioè 
nell'anno* 969 nel ponteficato di Giovanni XQI, 
come diremo. Spoleto, capo d'un altro insigne 
ducato, non ebbe arcivescovo. Brescia, Tren- 
to, ed altre città di Longobardia decorate da*' 
C^ipi longobardi con titoli di ducati, non eb- 
m questa età, ma molto dapoi ì loro ap- 
civescovi } anzi né Brescia , né Spoleto 1' ac- 
quistarono mai. Gaeta ebbe pure il suo duca, 
ma non giammai arcivescovo. Capua, Bari, 
Reggio j Salerno f città cospicue , e mólte altre 
di quelle re^oni che ubbidivano a' Greci, non 



/ 

% 



3aO ISTORIA DVL REGNO DI NAPOLI 

ebbero se non nel decimo secolo^ ed sltte in 
tempi più posteriori ^ i loro metropolitaiù da^ ro- 
mani pontefici^ ancorché i patriarclii di Costan- 
tinopoli altramente ne disponessero^ come ne 
seguenti libri diremo. Non fìi dunque Napoli, 
come lo confessano Fistesso P. Caracciolo ecl 
altri nostri scrittori^ fatta metropoli in questi 
tempi. Fu ella adoma di queste dignità nel de< 
cimo secolo nel ponteficato di Giovanni XIII ^ 
dopo Capua e Benevento, come diremo a suo 
luogo. Non tutte V altre chiese di queste nostre 
Provincie aveano ancora ottenuto questa prero- 
gativa. Erano soli vescovi coloro che preside- 
vano alle città ^ per grandi ed illustri che fos-- 
sero , e sedi de duchi. Egli è però vero che 
col correr degli anni^ innalzandosi alcune città 
ad esser capo e metropoli o d^un ducato o d^un 
principato^ e cominciando nel decimo secolo i 
pontefici romani ad esercitare in queste nostre 
provincie nuove ragioni patriarcali ^ con ergere 
1 vesco\i a metropoUtani in mandandogli il 
pallio; la polizia e disposizione ecclesiastica 
venne ad adattarsi e a corrispondere alla po- 
Uzia dell'imperio. 

EgU però è altresì vero che fin da questi 
tempi s incominciarono a gittare i fondamenti 
della nuova pohzia così dell' imperio , come del 
sacerdozio. Così da questi tempi vediamo che 
al vescovo di Benevento s' unirono le chiese di 
Siponto^ di Bovino. Ascoh e Larmo. Al vescovo 
di Napoli quelle di Cuma ^ Miseno e Baia s' ap- 
partenevano; non già che i vescovi di queste 
città lo riconoscessero per metropolitano , ma 
per onore della città ducale, e come loro 




LIBRO QUARTO òli 

metropoli, per quel che riguardava la polizia 
deir imperio , gli accordavano i priini onori, 
poicliè tra' vescovi di quel ducato era riputato 
il primo. Col corso degb anni , oltre al ducato 
di Benevento e quello di Napoli, sursero an- 
cora il ducato di Capua e I altro di Salerno , 
i ciuali con quello di Benevento s^ iniialzarouo 
poi a principati. Amalfi ebbe in appresso an- 
che il suo duca, siccome Sorrento, e si eres- 
sero in ducati. Bari poi ebbe anche Ìl suo du- 
ca. Alcune città della Puglia e della Calabria, 
de' Bruzi e Lucania , fatte parimente capi e 
metropoli di quelle regioni , si renderono piij 
cospicue dell' altre ; onde secondo la poUzia 
dell imperio ricevettero poi i metropohtani, ed 
ì vescovi delle città minori di quelle provincie 
rimasero lor sufiraganei. Quindi avvenne che 
quanto più si stendeva il lor ducato o provin- 
cia , più sulTraganei avessero : e per questa ca- 
gione , poiché il ducato beneventano distese più 
ai tutti gli altri i suoi confini , il suo arcivescovo 
ebbe tanti vescovi siifTragaaei, che sopra tutti 
gli altri metropolitani oggi ne ritiene in gran 
numero. Quindi ancora è avvenuto che il prin- 
cipato di Salerno , se non quanto quel di Be- 
'nevento , avendo pure molto ampliato i suoi 
confini . il suo arcivescovo ancor egli ritenesse 
molti suflraganei ; e quel di Capua per la stessa 
ragione anche moltissimi : ed ali incontro il 
ducato di Napoli , quel di Soireuto e l' idtro 
d'Amalfi, come che molto ristretti, non aves- 
sero così numeroso stuolo di vescovi sufirag»- 
nei, siccome ^ altri metropolitani delle altre 

GitHNaxE, A'o/. II. ai 



333 ISTORIA DEL RKGTfO DI NAPOLI 

città di queste nostre proviucie , come osser- 
veremo quando della tor polizia ecclesiastica 
degli ultimi tempi ci sarà data occasione di 
trattare. 

Ecco adunque qual fosse la disposizione e 
la gerarcliia ecclesiastica di queste nostre pro- 
viiicie in questa età. H romano pontefice , come 
metropolitano insieme e Patriarca: vescovi, pre- 
ti j diaconi , sottodiaconi , i quali già in questi 
tempi eransi ligati al celibato, e il lor ordine 
posto nel rango de^ maggiori ordini : acoliti y 
esorcisti, lettori ed ostiarii. 

Sentironsi ancora negli scrittori di questi 
tempi , e sopra tutto nclT epistole di S. Grego- 
rio, i preti cardinali, i diaconi cardinali e sot- 
todiaconi cardinali; e molte chiese avere avuti 
di questi cardinali , come , oltre alla romana , 

? nella d' Aquileia , di Ravenna , di Milano , di 
isa , di Terracina , di Siracusa ; e nelle no- 
stre Provincie ancora , come le chiese di Na- 
f)oli , di Capua, di Benevento, di Venafro , e 
orse ogni altra. Ma in questi tempi, siccome 
ben pruovano Fiorente e Baluzio (*), ed è 
chiaro dalle epistole stesse di S. Gregorio, que- 
sti cardinali neh erano che preti , diaconi e sot- 
todiaconi stranieri , i quah erano uniti ed af- 
fissi, o, come diciamo, inzeppati ad una certa 
chiesa ; la quale unione chiamavano incardina- 
zione , e questo unire dicevano incardinare , 
poiché per questo inzeppamento si univa colui 
a (jucl corpo, come nel suo cardine j in guisa 
che non più straniero , ma proprio di quella 

O Balux. in annot. ad Anton. Augnai, in Derrrlo Grar. 




LIBRO QUÀIITO 3^3 

chiesa rìputavasi, e nomavasi perciò incardi- 
nato, ovvero cafcunale: nome che sebbene netta 
sua origine non denotava dignità o superiorità 
alcuna, s'intese poi ne^ seguenti secoli risonare 
cotanto magnifico e fastoso, che s'è proccurato 
negli ultimi tempi uguagliarlo al nome regio } 
e coloro che n erano adomi, di pareggiargli 
a' più potenti re della terra. 

Sursero, egli è vero, in questi tempi, anche 
in Occidente, varii umciali, ed altn nomi si 
intesero, come di Cimeliarca, di Rettore, Car> 
tularii, ed altri; e nella chiesa d'Oriente altri 
più assai , di cui lungo catalogo abbiamo ap- 
presso Codino (i) e Leunclavio (3). Ma questi 
uflìciali per lo più sursero per la cura che sì 
dovea avere della temporalità delle cliiese e delle 
loro ricchezze. I vescovi, per la pietà de' prin- 
cipi e de' Fedeli profusi in donare alle loro chie- 
se, si diedero a ^ostruirne altre di nuovo, e con 
maggior magnificenza, e singolarmente i nostri 
vescovi napoletani (3); siccome i vescovi di tutte 
le altre ' chiese di queste provincie molte n'in- 
grandirono nelle loro città , e moltissime nuo- 
vamente ne costrussero. Quando prima i vasi 
erano di legno , dì vetro o di creta , le vesti 
sobrie, e tutti ^ altri ornamenti semplici e 
achieltì : ora i vasi divengono d* oro e d* ar- 
gento , le vesti ricche e pompose, e gli orna- 
menti tutti preziosi e magnifici. Perciò biso- 
gnava che ad uno del citerò si desse il pensiero 



(i> C^iti. de ORìc. Eccl. Coiwtuit. 

(1) Leancl I. 9. Jiir. Grrcn-Roai. 

(3>Ja. Diama. de Ejate. Ktmp. Chioc de Cpis«. Nmi>. 



/■ 



3a4 UXORIA DSL liRG.XO DI NAPOLI 

di custodirgli, ed averne esatta cura e proy- 
videnza: quindi il custode appresso noi (i) fu 
chiamato cimeliarca, ed appresso i Greci (2) 
Magnus vasorum custos. Ebbe )a chiesa di Na- 
poli il suo cimeliarca, siccome ancor oggi lo 
ritiene ; ma con impiego diverso: P ebbero an- 
cora le altre chiese di queste nostre provincìe, 
ancora quelle di Roma, di Ravemia, ed in fine 
r ebbero tutte. Le possessioni , i poderi e T am- 
pie lor reudite, poste ancora in paesi remoti e di- 
stanti, ricercavano particolar persona che avesse 
di lor cura e pensiero. Quindi sursero ì retto- 
ri, de^ quali sovente S. Gregorio favella , che 
aveano il governo de^ patrìmonii delle chiese: 
ed in coi]i3eguenza i cartularii, gli economi ed 
, altri uflSciali. Ma tutti questi uffici nacquero per 
le temporalità delle chiese, non già che fossero 
gradi gerarchici, e che punto s^ appartìenessero 
al suo potere spirituale. 

S li. 

Monaci. 

Non meno le chiese che i monasteri rende- 
ronsi in questi tempi più spessi e magnifici , e 
i loro monaci più numerosi. I Longobardi, come 
suole avvenire ne' primi ardori delle novelle re- 
ligioni, abbracciata ch'ebbero la religione cat- 
tolica romana, furono in queste nostre provin- 
cie assai più profusi colle chiese e monasteri, 



(i) Chi oc. de Epi.jr. Nean. 
(a) Codia. Leuucl. loc. cit. 




LIMO QOAUTO 3^5 

che i Greci crìstìanì vecclii. U re Agilulfo , fatto 
cattolico, molti monasteri rifece per l'Italia, ed 
altri nuovi ne costrusse. B re Arìperto fu così 
profuso nel donare a' monasteri, alle chiese, 
e particolarmente alla romana, che per la re- 
stituzione degli ampi! e grandi poderi che le 
fece nell^Alpi Cozzie, onde tanto m quella prò- 
TÌncia crebbe il patrimonio di S. Pietro, diede 
occasione ad alcuni di credere che la provin- 
cia tutta dell'Alpi avesse Ariperto donaio alla 
chiesa romana. 

I nostri duchi di Benevento, ancorché sotto 
'Zotone I duca pagano e idolatra, il monastero 
Gissinese avesse patito quel miserando sacco j 
nulladimeno, abbnicciato che poi ebbero per 
opera di Barbato il cattolicismo , favorirono le 
chiese ed i monasteri; tantoché rifatto quel mo< 
nastero nell'anno 720 da Petronace, i duchi dì 
Benevento lo arricchirono grandemente, e fra 
gli altri Gisulfo n d' immensa doni e di grandi 
poderi l'accrebbe. Que' luoghi e quelle terre po- 
ste nello Stato dì S- Germano passarono in 
gran parte in dominio dì quel monastero ; tanto 
die poi col correr degh anni accresciuto per 
altre ampie donazioni, si rendè cotanto ricco 
e possente , che i loro abati fatti, signori dì più 
terre e vassalli, vennero in tale stato, che man- 
tenevano 3' loro stipendi! eserciti armati, come 
ne' seguenti secoli vedremo. 

Perciò i monasteri dell'ordine di S. Benedetto 
renderonsi più numerosi nel ducato beneventa- 
no, che aboracciava in que' tempi ciò che ora 
diciamo ì due Apruzzì, d contado dì Mohse e 
Capitanata^ quaaì tutta la Can^iagna, • bnona 



3aG ISTORU DEL MGXO DI NAPOLI 

parte ddla Lucania, ddla Puglia e ddF antica 
balabrìa, Taranto , Brìndisi , e tutto qud lar- 
diiasimo paese che gli è intomo (i). Molti b 
auomìni e di donne ne furono 'in queste prò- 
Tincie nuovamente eretti nel regno de* Longa< 
bardi In Benevento ne* tempi di S. Gregbrio 
ne leghamo moltissimi (2) : il monastero di mo- 
nache di S. Nazario martire, Faltro a qaeDo 
vìcmo de* Frati di S. Maria ad .OUvoìam) e a* 
tempi di Grimoaldo V duca di Benevento leg- 
giamo quello di S. Modesto, arricchito da Gin- 
moaldo di grandi possessioni (3); e Teodora- 
ta , moglie del duca Romualdo stio figliuolo y 
fiK»i le mura di Benevento fondò un monastero 
di donne ad onore di & Pietro Apostolo. L*e- 
aempio de* principi fii da poi s^;mtato da* loro 
sudditi benestanti, così Longobardi come pro- 
vinciali ; tanto che nel ducato beneventano, per 
tutte quelle provincie che esso abbracciava, i 
monasteri di S. Benedetto si videro in onesti 
tempi più numerosi che nel secolo preceaente. 
Nel ducato napoletano^ ed in tutte quelle città 
che a* Greci ubbidivano, ancorché molti altri di 
questo ordine se ne fossei-o nuovamente costrut- 
ti, nnlladimanco il numero dvì* monasteri così 
dì uomini come di donne posti sotto la regola 
di S. Basilio era maggiore. Napoli n^ebbe mol^ 
ti, come si è veduto nel precedente libro: non 
erano meno frequenti in Otranto , Brindisi , Reg- 
gio, e óosì in tutte 1* altre città della Calabria 
e de* Bruzi. 



(1) P. Wamffr. I. 6. r. i. 
(1) Ughell. de Episc. Bener. 
(3) P. Diac. I. 6. e. I. 




LIBRO QUARTO Sa^ 

Fu per tanto lo stato monastico, non meli 
ehe nella Francia e nell'Àlemagna ed in tutte 
Taltre parti d' Occidente, steso ed arricchito in 
queste nostre provincìe^ tantoché già gli abati 
e monasteri cominciavano a pretendere di scuo- 
tere il giogo de' vescovi , ed a dimandare de' 
privilegi e dell' esenzioni per rendersi in liber- 
tà. Se sono veli gli Atti del concilio che si narra 
aver tenuto S. Gregorio in Roma nell'anno 601 
.in favore de' monaci, fu in quello stabilito che 
i monaci .dovessero avere la libertà di eleggere 
il loro abate , e di scegliere un monaco della 
lor comunità , o d' un altro monastero : che ì 
vescovi non potessero trar monaci da un mo- 
nastero per fargli rlierici, ovvero per impiegar- 
gli alla riforma d^ un altro monastero , senza il 
consenso dell'abate: che i vescovi' non doves- 
sero impacciarsi nel temporale de' monasteri, 
né celebrare l' ufficio solenne nella chiesa de 
monaci, né esercitarvi alcuna giurisdizione. Per 
tutte queste cagioni lo stato monastico si rendè 
fin da questi tempi consideradJle, e cominciò 
non poco ad alterare lo stato civile e tempo- 
rale de' principi, i quali in vece di fare argine 
a tanti acquisti, piìì tosto gli accrescevano colle 
loro immense donazioni. 



S III. 

Regolamenti ecclesiastici. 

I canoni che in varii condili iìirono stabiliti 
in oDesto settimo secolo in Occidente, e par- 
tìcouniiente in Toledo ed in Francia, ripararono 



3a8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

in gran parte la sregolatezza della maggior 
parte de^ Cristiani , e la disciplina degli ec- 
clesiastici elìcerà in declinazione. Furono an* 
cora avvalorati dagli editti de^ sovrani ; e S. Gre- 
gorio gran pontefice riparò in Italia la cadente 
disciplina delie nostre chiese : vegliò sopra la 
conservazione di quella^ e s^ applicò tutto a fare 
osservare inviolabilmente i canoni in tutte le 
chiese. Scrisse perciò una CTan quantità di let- 
tere ne^ quattordici anni del suo pontificato, le 
quali contengono una grandissima copia di de- 
cisioni sopra il governo e la disciplina della 
Qiiesa. 

Se si voglia aver per vero ciò che scrisse il 
Baronio di Cresconio vescovo d^Affiica, e ciò 
che i più gravi autori dicono della Collezione 
d'Isidoro Mercatore, ninna collezione di canoni 
fu fatta in questo settimo secolo. H Baronio cre- 
dette che il vescovo Cresconio fiorisse intorno 
a^ tempi di Giustiniano imperadorej onde la sua 
ampia raccolta de^ canoni fu per ciò da noi 
rappoitata nel libro precedente. Se poi si vo- 
glia seguire l'opinione di Doujat (i), riputata 
vera da Pagi (2) , ed abbracciata ultimamente 
da Burcardo Gotlhelf Struvio (3), la Collezione 
di Cresconio cederebbe in questo luogo, come 
quella che , secondo il sentimento di costoro , 
si fece intorno Y anno 690 in questo settimo 
secolo. Quella di Isidoro Mercatore bisognerà 
certamente riportarla al libro seguente, poiché 



(1) Doujat. hist. rlii Droit Can. par. i. r. 12. 

(JÌ) Pagi in Critici in Ann. Baron. ad A. 80.^. num. i4< 

(3) Strarius hist. Jur. Can. e. 7. § ii. 




LIBRO QVAHTO Sag 

questo scrittore Goti nell'ottavo secolo, verso 
Tanno 75o. 

Se si volesse fame autore Isidoro di Spagna 
vescovo di Siviglia, certamente cbe questo sa- 
rebbe il suo luogo. Sedè egli in quella cattedra 
dopo la morte di suo fratello Leandro , a cui 
succede verso l'anno 5g5, e la governò quasi 
per io spazio di quaranta anni. Ma è cosa certa 
che non ne fu egli il compilatore , cosi perchè 
in quella raccolta si rapportano molti canoni 
stabiliti in varii concilii tenuti in Toledo molto 
tempo dopo la sua morte che accadde nel- 
fanno 636, ed alcune epistole di Gregorio II 
e III e di Zaccaria (i) che sederono nella cat- 
tedra di Roma nell'ottavo secolo; come anche 
perchè tra le motte opere che si numerano di 
questo insigne scrittore, ninno ha fatta men- 
xione di questa raccolta (3). 

S IV. 

Beni lanporati. 

Le tante profuse donazioni che non men da^ 
privati che da' princìpi dì tempo in tempo s'e- 
rano fatte alle chiese nel corso poco men di 
due secoh , fìiron cagione cbe le chiese, non 
men che il principe ed i privati avessero ì loro 
particolari patrimonii. Le possessioni ampissime • 
che acquistarono non pur nel distretto delle 



(i) Pftr. ile Marr. de Coiw. S*r. rt Imp. I. 3. ein. 5. nam. 9. 

(a> V, Gonulci in Appirala de otìk. «t progr. Jur. Cbd. 
aam. 4S. V, Unnoldnn Pleltmh«Tgiuin Introdurt. ad Ja* Can, 
■11-5 7- 



33o ISTORIA DEL EIGNO DI NAPOLI 

loro città, ma anche in lontani paesi, onde 
tfante rendite e frutti se ne ritraevano, le ap« 
pdlavano pairunonuj secondo Fuso di, que* 
tempi , né' quali le possessioni di qualunque fii- 
migua e i retaggi pervenuti da^ loro maggiori 
ai chiamavano il patrimonio di quella. Così ma- 
Cora cliìamavasi pÀtrimonio del principe qud 
fondo ch'ei possedeva in proprietà, e per di* 
stinguerio non meno da' patrimonii de' privali, 
che dal fisco delFistesso principe, si nominava 
4 sacrum patrimoniumy come si le^ge in molte 
costituzioni del Codice di Giustiniano 0* ^^ 
'che da poi ne' nuovi regi4 in Europa stabiliti 
fu detto doniamo regale. Per queste istesse ca- 
gioni si diede poi il nome di patrimonio alle 
possessioni di ciascuna chiesa. Così neiT epi- 
stole di S. Gfregorio si veggon nominati non 
solo i patrimonii della chiesa romana, ma an- 
che il patrimonio della chiesa di Ravenna, il 
patrimonio della chiesa di Milano , il patrimo- 
nio della chiesa di Rimini, e di molte altre. Le 
chiese delle città grandi^ come di Roma, Ra- 
venna e Milano^ come città imperiali, e dove 
abitarono senatori, grandi ulHciali ed altre per- 
sone illustri, acquistarono patrimonii non pur 
dentro i loro confini, ma in diverse parti del 
mondo. Le altre chiese poste in città minori , 
come fra noi NapoU, Benevento, Capua, Sa- 
lerno, Bari, Reggio e tante altre, e che ave- 
vano abitatori di fortune mediocri, e tutte ri- 
poste ne' loro confini , non aveano patrimonii 
fuori del loro distretto. 

O Cod. JoBlin, )• ti. et i3. 




I LlBftO QUIKTO 33 1 

Fra tutte le chiese delle città imperiali , lu 
chiesa romana fu quella che avea acquistali iu 
questi tempi più ampii e vasti patrimoiiii non 
pur in Italia, ma anche nelle provincie più re- 
mote d'Europa (*)■ Nel pontificato di Gregorio 
il Grande, come si raccoglie' dalle sue lettere, 
ebbe la chiesa romana ampio patrimonio in Si- 
cilia , scrivehdo questo pout^ce a Giustino pre- 
tore di quella isola, la quale da lui reggevasi 
per r imperio d^ Oriente, che proccurasse far 
togUere ogni indugio per lo trasporto d''alcuni 
grani raccolti dalle possessioni del patrimonio 
di S. Ketro, ch'ei voleva in Roma ove ve n'era 
penuria. E poiché queste possessioni eran mol- 
te, ed alcune divise in pezzi, secondo le do- 
nazioni che da* FedeU di volta in volta eransì 
fatte , per ciò rescrive a Pietro sottodiacono 
rettore di quel patrimonio, ch'essendone state 
domandate alcune in enfiteusi, talora se n'era 
contentato , e talora non Tavea permesso. Ebbe 
ancora la chiesa romana il patrimonio in Af- 
frica } onde Gregorio rende infinite grazie a 
Gennadìo patrizio ed esarca di quella pro^nn- 
cia , che pur si teneva per l' imperadore d' O- 
rìente, cn' essendo molti luoghi di questo pa* 
trimonìo stati abbandonati da' coltivatori, egli 
mandandovi molti di que' popoli da lui vinti ^ 
avessegli grandemente ristorati. Avea anche pa- 
trimonio in Francia , alla cura del quale avendo 
Gregorio preposto un prete , il cui nome fu 
Candido, lo raccomanda caldamente non meno 
alla reina Brunìchìlda, che al re Childeberto 

O V. Ammirat. ne* luoi OpiiK. iliir. ]. 



333 ItTOEU BEL UGUO Di HAPOLI 

SUO figfiuolo., Faniio 696 , mostrando che quel 
carico innanzi di CancUdo era stato raccoman- 
dato a Dinanio patrìzio; anzi scrìve a Qm- 
dido a qoal uso quelle entrate si dovessero di- 
spensare: e verso il fine del suo pontificato 
1 anno 604 raccomandò ([uel patrimonio ad 
Asclepiodato patrìzio de* GallL Ebbe e^andio 
patrimonio* in Dalmazia^ a cui era preposto 
Antonio, ovvero Antonino sottodiacono. 

In Italia ed in (pieste ^ nostre provincie an- 
cora ebbe la cliiesa romana molti patrimooii. 
Nella provincia dell* Alpi Gozzie ebbe un bea 
àmpio patrimonio, che ocoupat0 per molto 
tempo da* Longobardi, fii da poi restituito alla 
medesima dal re Anpertò nel pontfficato di 
Giovamù Vn, scrìvenao Paolo ▼amefirido che 
Ariperlo re de Longobardi resUlxà ìa dond- 
Mione del patrimonio deltAìpi Cozzie appane- 
nerUe alla Sede Apostolica , ma per moka 
tempo stato levato aci! Longobardi; e mandò a 
Roma questa donazione scrìtta con lettere doro. 
La qua! donazione, al dir dello stesso autore, 
fii da poi confermata dal re Luitprando , dicen- 
do: In quel tempo il re Luitprando conformò 
alla chiesa di Roma la donazione del patrimonio 
dell Alpi Cozzie. Nell^ esarcato di Ravenna pur 
S. Pietro ebbe il suo patrimonio ) anzi nel pon- 
tificato di S. Gregorio vi fu lite tra lui ed il 
vescovo di Ravenna per li patrimonii d* ambe- 
due le chiese, che s^accomodò anche per tran- 
sazione. Nel nostro ducato beneventano pur 
ebbe la chiesa romana il suo patrimonio. L* ebbe 
in Salerno; Febbe in Nola, dove scrisse San 



V 




LIBRO QUARTO 333 

Gregorio (i) che delle rendite di quello si sov- 
venisse alla povertà di certe monache. L^ebbe 
ancora in Napoli, dove, come si vede da al- 
cune epistole (2) di questo pontefice , da Roma 
mandavansi i rettori clie n avessero cura, a' 

Xali buona parte delle loro rendite imponeva 
e dispensassero a' poveri. Furono in NapoU ret- 
tori di questo patrimonio successivamente Pie- 
tro, Fantino, Aiitemio, Teodimo ed altri, tutti 
sottodiaconi della chiesa romana. Questi in Napoli 
aveano le loro diaconie costituite, le quali erano 
certi luoghi, ovvero stazioni, in cui il sotto- 
diacono rettore del patrimonio soccorreva i po- 
veri della città, e mspensava a quelli Telemo- 
sine, a somìghanza di Roma, la quale avea 
molte di queste diaconie (3). L^ebbe in line in 
alcune altre città di questa provìncia della (Cam- 
pagna j l'ebbe in Apruzzo^ Febbe nella Luca- 
nia, e nella Calabria ancora. 

I vescovi di queste sedi maggiori , siccome 
anche dell' altre minori, per far rispettare mag- 
giormente le possessioni delle loro chiese, so- 
levano dar loro il nome del Santo che quella 
chiesa avea in ispezial venerazione. Così la cniesa 
di Ravenna nominava le possessioni sue dì S. 
ApoUinare, e quella di Milano di S. Ambrogip, 
e la Romana diceva il patrimonio dì S. Pietro 
in Sicilia, in Affrica, in Francia, in Dalmazia, 
in Calabria, in Apruzzo, in Benevento, in Na- 

1)oU, ed altrove; non altrimenti che a Venezia 
e pubbhche entrate si chiamano di S. Marco. 

(i) f,ib. r. Epiit i3. 

<s) L. S. Ef^. II. 

(3) V. Ani. Matlliae. nmnd. ad tal Cm. I. i. 111. t;. 



334 ISTORIA DEL REGXO DI IfAPOLI 

Così ancora le chiese delie città minori, per 
fine di maggior rispetto^ nomavano i loro pa- 
trlmonii col nome del Santo elidesse avevano 
in più divozione, come Napoli il patrìmonio 
di S. Aspremo, Benevento di S. Barbato, Brin- 
disi di S. Leoci; e poi Amalfi di S. Andrea^ 
Salerno di S. Matteo y e cosi di mano in mano 
tutte le altre. 

Ma egli è ben da notare che questo nome di 
patrimonio , che la chiesa di Roma avea in quelle 
Provincie, non significava qualche dominio su- 
premo, o qualche giurisdizione della chiesa 
romana, o del pontefice, ch^ avesse sopra tali 
patrìmonii: eran essi, a riguardo de' princìpi 
nelle cui provincie stavan collocati , come tutti 
gli altri particolari patrimonii , sottoposti alla 
giurisdizione ed al dominio eminente di quel 
principe, dentro al cui Stato quelli erano. Tenta- 
ronOj egli è vero, alcuni ecclesiastici della chiesa 
romana di farvi dell^ intraprese 5 ma riusciron 
vani questi pensieri ed i lor disegni. Poiché 
ne' patrimonii de' principi, quando non erano 
assegnati a' soldati, era posto un governadore 
con giurisdizione per le cause che intorno a 
qu(»lle possessioni potevan nascere , per la più 
facile csazion delle lor rendite, e per lo co- 
stringimento de' debitori. Queste istesse ragioni 
tentarono usurpare alcuni ecclesiastici né* pa- 
trimonii di quella chiesa : volevano farsi ragione 
per se stessi , e farsi la giustizia colle mani 
proprie, e non ricorrere al pubblico giudizio 
de' magistrati. Ma S. Gregorio istesso, pruden- 
tissiino e saggio pontefice, riprese questa in- 
troduzione, e comandò e proibì sotto pena di 




LIBRO QUARTO 335 

scomunica, clic non si facesse j nò i prìncipi 
ne' loro domimi vollero in conto alcuno tol- 
lerarb. 

Pagavano perciò le possessioni ecclesiastiche 
ì tributi al principe , come tutti gli altri p»- 
trìmonii de privati , siccome manifestamente 
appare dal can. si trihuiiim, eh' è di S. Am- 
brogio (i): ed è chiaro che l'imperador Costan- 
tino Pogonato nel 68 1 concede esenzione da' 
tributi che la chiesa romana pagava per lo pa- 
tiimonio di Sicilia e di Calabria. E l' imperador 
Giustiniano Hiuotineto , successor di Costan- 
tino j nel 687 remise il tiibuto che pagavano 
i patrimonii d^Apruzzo e di Lucania. Queste 
indulgenze da (rihuti ottennero i pontefìci ro- 
mani dagr imperadorì d'Oriente, Gncbè fra essi 
fu buona amicizia e corrispondenza. Ma quando 
da poi per le novità insorte nelf imperio di 
Lione Isaurìco nacquero tra i pontefìci romani 
e gì' imperadorì d' Oriente quelle acerbissime 
contese che saranno il soggetto del seguente 
libro, le quali finalmente proruppero in mani- 
feste sedizioni ed inimicìzie ; Lione Isaurìco 
nel 733 non pur non gli fece franchi, ma tolse 
alla chiesa romana i patrìmonìi di Sicilia e dì 
Calabria, e gli applico al suo fisco. E gli scrit- 
tori che nan'ano questi successi , rapportano 
che' questi patrimoni! confiscati rendevano d'en- 
trata, tra tutti, tre talenti e mezzo d'oro in 
ciascun anno (a), che fanno in nostra mone- 

(1) Cut. li tribatum 37. C. XI. q. i. 

<a) TbrapUanci in Cbronc^. an. 16. Lron. Iiiur. Apprllal.-i 
palrìiaonw MRrtomm Prineipum Apoitoluniui , qui a|iiid vf- 
Irrmi Romain in vrnrralionc Mint , iiionim cerloiiii j.im oiim 
■M-rMJti Milita, aiiri lalriil'iUù, ri •rmia acrarifi riibtiro lulvi 
tusaiu V, De Mai-ca Je Concord. SaccnL et linp. 1. 1. e. 1 1 n, 4- 




336 ISTORIA DEt RECSO DI NAPOtI 

ta ( per non far minuto conto sopra la varietà 
delle opinioni quanto precisaineiite corrisponda 
ad un talento) la somma di aSoo scudi: ed 
il patrimonio di Sicilia anche molto ampio uon 
rendeva più di scudi aioo Tanno. 

Da questi pat-™""'' die teneva" la chiesa 



romana m vane ' 
ecclesiastici, quai 
usurpavano ancora 
cause a quelli aj 
scrittori de' tem| 
data poi agli altn 
crederlo , e di tessi 
alln chiesa romana s 



dove sovente gli 
veniva in acconcio, si 
jlie giurisdizione nelle 
nti, ne nacque tra gU 
(assi quell' errore, e fu 
leguìrono, occasione di 
altre favole : cioè , che 
irtenessero la provincia 



dell'Alpi Cozzie , la Siciliii , il ducalo beneventano, 
il ducato spoletano , parte deUa Toscana e delta 
Campagna , e tante altre provincie , perchè iij 
quelle vi avea il suo patrimonio; confondendo il 
patrimonio che avea nell'Alpi Cozzie colla provin* 
eia istessa : l' altro che teneva nella Sicilia colla 
stessa ìsola ; il patrimonio beneventano col du- 
cato; il patrimonio salernitano con quel prin- 
cipato : il patrimonio Napoletano , e gfi altri che 
teneva nella Campagna, colla provincia istessa ; 
e così delle altre provincie. Nel qual errore non 
possiamo non meravigliarci esservì fra gli altri 
caduto anche il nostro Scipione Ammirato {*) , 
per altro diligentìssìmo istorico , il quale colla 
testimonianza di Paolo Varnefrido istesso volle 
darci ancor egli a sentire che la donazione 
del re Ariperto conteneva la restituzione e coa- 
ferma delle Alpi Cozzie, che fece quel principe 



(*) Ai^mir. Opnac. dtnv -, 




LIBRO QUARTO 33t 

a papa GioTanni VII; quando dalle parole di 
supra da noi rapportate di questo scrittore sì 
vede chiaro che sì parìa dei patrimonio delle 
Alpi Cozzie, non già di quella provincia che ab- 
biacdava gran tratto di paese, e sì stendeva 
insino a Genova , ornata di tante città e terre , 
che sarebbe stolidezza il credere aversene vo- 
luto quel prìucipe, in tempi per altro molto 
gelosi e sospettosi, spogliare, e donarla a' pon- 
tefici romani confederali allora cogrimperadori 
d'Oriente^ implacabili nemici de' Longobardi. 
Questo equivoco ancora scopriremo, quando 
delle cotanto celebrate donazioni di C^rlo M. 
e di Lodovico Pio ne' loro tempi avremo occa- 
sione di ragionare , dove vedremo che ciò che 
in esse si legge di NapoB, Salerno, e soprat- 
tutto di Benevento ( volendosi pure riputar per 
vere), non già decloro ducati e principati, ma 
de' patrìmoiiii che la chiesa romana teneva in 
queste provincie , favellano j i quaU , secondo iì 
costume che correva allora , dagl' imperadort 
che successivamente dominarono nel regno dlta- 
lìa, liiron <per mezzo de* loro precètti confer- 
mali e conceduti alla chiesa romana; siocome 
del patrimonio beneventano fece Ludovico Pio 
neU^8i7 con papa Pascale I, che poi fu di 
nuovo confermato e conceduto da Ottone I e 
da Ottone re di Germania suo figliuolo a Gio- 
vanni XII nel 963 ; non già del ducato ovvero 
della città di Benevento , la quale è cèrto che 
venne in poter della Chiesa nell'anno io5a con 
tìtolo di pennuta fatta da Errico II figliuolo 
di Corrado, con papa Ijone IX colla chiesa 

Gij>iio«e, Fot, ti. 11 




338 ISTORIA DEL RECiNO DI NAPOLI 

di Bamherga , cuiue al suo upporluiio luogo 
diremo. 

Cotanto fu in (pesti tempi V accrescimento 
de^ beni temporali delle nostre clitese , e ^opra 
tutto della chiesa di Roma loro maestra e con- 
dotliera : e i«ecoudo la siluazioue dello slato 



presente maggiori . 
secoli avvenire. 
Mulliplicate le 
b accrebbe il ci 
e loro immagini. _ 
miello del monte < 
. Ja' Longobardi eiu 
di preziosi doui. \ , 
ed oltre alle prediclit i 



ti se ne vediaimo ne' 

■d i monasteri, rie piii 
ìnti, delle loro reliouie 
l'ìi , e sopra ogni altro 
non jnen da' Greci che 
i-equentati ed ai riccliiti 
oli vie pili crescevano , 
I a' sermoni , coiiiiucia- 
vano già a tessersi di loro infiniti racconti , ed a 
raccogliersi in volumi ; e S. Gregorio ne pub- 
blicò molti ne' suoi quattro libri de' Dialoghi che 
dedicò alla regina Teodolinda. Si accrebbero 
nelle chiese le feste, 1' ottava di Natale , quella 
dell' Epìtaiiìa , l' altra della Purificazione , del- 
rAnnuuziazione della Vergine , della sua morte , 
della sua natività , e finalmente quella di tutti 
ì Santi. A pati del culto e della divozione creb- 
bero le ricchezze , promettendosi anche i Fedeli 
da' Santi non pur conseguiineuLo di beni spi- 
rituali , ma anello di temporali , di sanità , di 
abbondanza , di liechezza , buoni successi ne' 
traflìchi e ne' negozi , nelle navigazioni e ne' 
viaggi lenestri. 

Da tanti e sì diversi fonti che cominciavano 
a scoprirsi, vie più s'accrescevano alle chiese 
le possessioni ed i retaggi; e la cagione era, 
penUiè se , come scrisse il nostro Ammirato , 




LIBRO QUARTO 3^9 

essendo la religione uà conto che si tiene a 
parte con Dio , e avendo i mortali in molta 
cose bisogno dì lui, o ringraziandolo de* beni 
rJceTuti o de' mali scampati j o- pregandolo cbe 
questi non avrengano , e che quelli felicemente 
succedano j necessariamente siegue che de* no-> 
stri beni, o come grati o come solleciti, fac- 
ciamo parte , non già a lui che non ne ha ìfi- 
eognoy ma a* suoi tempii ed a' suoi sacerdoti^ 
quanto più dovettero aUora crescere i doni « 
le oflerle,' quando a* ebbe a tenere non pur 
un sol conto con Dio solamente , ma con tanti 
Santi , daU*intercession de' quali promettevano 
i Fedeli queste medesime cose. Ed essendo tanto 
cresciuto il lor culto e venerazione , ed eretti 
per ciò in lor nome più monasteri e tempii, 
e multiplicati i loro santuarii, ben poteron per 
conseguenza tirar la gente ad ofTerir loro , ed 
a* loro tempii ancora e sacerdoti, iu maggior 
copia e doni e ricchezze. Cominciossi ancora 
a donare <uon pur alle chiese, ma a'parroclù, 
a* preti ed albi ministri per li loro aacrìficii,a 
fin di liberar V anime de' loro defonti dal Pur- 
gatorio (i); onde surse, al creder di Morna- 
cio (a) , r autorità che &* assumevano di fare 
i testamenti a coloro cbe morivano intestati } 
di che altrove ci tornerà occasione di ragionare. 
Mantennero le nostre chiese , intomo alla 
distribuzione delle rendite e beni loro tempo- 
raU , il medesimo istituto di dividergli in quat- - 
tro parti, mia al vescovo, 1' altra al clero , la 

(0 V. Bodin. liK^S. de n«p. e. 9. 

(>} Honuc aa I. 1. C. de Sacvu>uHt. S«d. lai. IbUlt. 
laaniid. ud Jii> Cu. L 9. lit. t. 



« 

34o ISTORIA DEL REGNO DI KAPOLI 

terza a^ poveri, e la quarta per la chiesa ma- 
teriale. Della chiesa di Napoli, che sin da' 
tempi di. S. Gregorio sotto it vescovo Pascasio 
teneva un clero numeroso , contandosene fin a 
cento ventisei, oltre a' preti, diaconi e. cherici 
peregrini; abbiamo dall^ epìstole di questo pon- 
tefice (i), che trascurando Pascasio di distri- 
buire come si conveniva a* poveri ed al clero 
le rendite di quella cliiesa, fu costretto egli a 
far la distribuzione ; e riserbando la porzione 
al vescovo , vi stabilisce ciò che dovesse som- 
ministrarsi al clero ed a' poveri , imponendo 
anche ad Antemio suo sottodiacono , eh* era 
rettore del patrimonio di S. Pietro in Napoli y 
che unitamente col vescovo sopraintendesse a 
dividere , secondo il bisogno de* poveri , la 
quantità del danaro, e tener modo anche, se- 
condo la sua prudenza, di distribuirlo a tempo 
opportuno. 

La chiesa di Benevento tenne ancora quest' i- 
stesso costume di dividere le sue rendite in 
quattro parti. S. Barbato suo vescovo non volle 
in ciò dipartirsi dal prescritto de' canoni ; e 
, ne* suoi Atti si legge che da poi che il duca 
Bomualdo arricchì la sua chiesa di tanti doni, 
ed alla quale unì quella di Siponto , volle con 
particolar providenza stabilire in perpetuo que- 
sta distribuzione , la quale si dovesse tenere 
sempre ferma nella sua chiesa. Ecco ciò che 
in quegli Atti (2) si legge : Impetratìs omnibus 
ut poposcerat 9ir sanctus , non est oblitus 

(i") Lib. 9. Ep, 39, V. Chioc. df "pisc. Neap. in Pascasio. 
Ca) Si leggono presso Ugbd. de L|)iac Bcoev. va S, BaibaU« 




LIBRO- QUARTO i^t 

mandatorum Dei : in qutUuor partes ctaictum 
eccìesiae redditum omni tempore sanxit fide' 
liter dispartìri, unam egmtibus , secundam his 
qui Domino sedulas in ecclesiis exhibent ìauf 
aes , tertìam prò ecclesiarum restauratioìie di' 
stribui, juxta tjuartam suis peragendìs uttliUt- 
tibus episcopus habeat; et hactenus, sicut ab 
co disposita sunt, in praesend cuncta videntur. 
Questo medesimo istituto tennero tutte 1' al- 
tre chiese di queste nostre provincie , le qaali 
per altro erano in ciò commendabili , poiché 
non era fraudata a* poveri la lor porzione, ed 
i vescovi praticavano co' peregrim quclT oipì- 
talità che i canoni ^ obbligava a mantenere. 






DELL' I8TORU CIVILE 

REGNO DI NAPOLI 



LIBRO QUINTO 



Jjuì^irBiido re de* Longobardi avendo odi* 
fanno 'jia fcitpato il sogho del ano regno in 
Pavia j siccome i suoi predecessori avean fattO| 
cominciò a dar saggi grandissimi della sua 
bontà e prudenza civile. JEglì» imitando suo pa» 
drc e gli altri re suoi predecessori , nella re- 
lìgion cattolica fu costantissimo^ ed alla di lui 
pietà dee Pavia Y ossa gloriose d^Agostino ^ 
poiché egli le vendicò dalle mani de' Saraceni, 
dopo «ivergli discacciati da Sardegna, dove 
trovavasi il prezioso deposito. Egli, seguendo 
P esempio di Botari e di Gripioaldo , volle 
eziandio esser partecipe della gloria di savio 
facitor di leggi 3 poiché nel primo anno del 
suo regno, avendo in Pavia , secondo il co- 
stume , ragunati gli ordini del regno, ordinò 
altre leggi , e P aggiunse agli editti di Rotari 
e di Grimoaldo • "^ di ciò ben soddisfatto, 



C) P. Wani<>fr. 1. 6. e. 58. Bernard. Saccua HUt. Tidn. I. 9. 
«. 5. Sìgon, ad A. 71). 




IST. DTL REGNO DI TTAP. LIB. T. 3^3 

ne' seguenti anni, secondo che il bisogno ri- 
chiedeva . altre ne stabili : t^to che fra i re 
longobardi, dopo Eolari, Luìtprando fu qiiegU 
che più d' ogni altro empiè il suo regno di leggi. 

SI. 
Leggi di L'iitprando. 

Molte leggi di questo piincipe piene di somma 
prudenza ed utilità sono ancor oggi a noi ri* 
roase nel volume delle leggi longobarde , ma 
nel Codice membranaceo Cavense si leggono 
interi i suoi editti , donde le prese il compi- 
latore di quel volume. Ivi si legge il suo primoi 
editto che e' promulgò nel primo nnno del suo 
regno, contenente sci capitou, fra' quali il primo 
lia questo titolo : de successione JiUantm. Si 
leggono ancora gli altri editti che e' fece ne' se- 
guenti anni' ; poiché nel quinto del «uo regno 
ne promulgò un altro che contiene sette altri 
capitoU : nell'ottavo, dieci : nel decimo anno, 
cinque : nell' undccimo , trentatrè : nel decimo 
terz anno , cinque : nel decimoqaarto , qoat- 
tordìci; nel decimoqninto, dodici: nel decimo* 
sesto, otto: nel decimosettimo, tredici: nel 
decimonono, tredici : nel ventunesimo , nove : 
nel ventesimosecondo , quattro : nel ventesimo- 
terzo , cinque ; ed alcuni altri ne promulgò negli 
anni seguenti. Di maniera che le leggi di que- 
sto principe , siccome vengono re^strate nello 
stesso Codice che si conserva nelf archìvio 
della Cava , arrivano al numero di cento cin- 
quantadoe , alle quali nel Codice suddetto ai 




344 ISTORIA DEL HXGItO DI SUOLI 

veggono aggiunti selle albi capitoli , i cui titoli 
o sommarii sono : / De Mercede Magistri-f 
Il De Muro ; III De annona ; IP^ Ve Ope- 
ra; V De Cantinata i^ FI De Fumo; VII De 
Puteo. 



Di queste l 
lite nel volume. 
coiDpilatore. Ne 



:nte iSt furono inse- 
gi longobanle dal suo 
iLro se ne leggono 48, 
zìììi nel terzo non ne 
i legge nel primo libro, 
Consilio : 1 altra sotto 
ne leggono sotto il tit 
sotto quello de Parri- 
.1 titolo decimoquarto 



nel secondo 
abbiamo. La pii 
è sotto il Ut. € 
il tit. 8 : nove 
de homicidiis : i 
cidìis ,■ un' altra sono 

dell'istesso libro : quattro sotto quello de 
jurits mulierum : tre nel titolo decimoseltimo ) 
una sotto il tit de seditione contro judicem: 
altra nel titolo decimonono : un' alti-a sotto 
quello de pauperie : quattro nel tìtolo vigesimo- 
terzo j dodici sotto queUo de Juriìs et servis 
fumcibus ; una sotto il tit. de invasionibus : 
un altra sotto il vigesimonono ; altra .sotto il 
tit. de raptu muUerum ; un' altra sotto quello 

, de fomicatione ; tre sotto il tit. de adulterio : 
una nel titolo trìgesimoquarto : e l'altra sotto 
quello de culpis servorum , eh' è l'ultima del 
primo libro. 

Nel secondo ne leggiamo assai più iasino 
ad ottantanove ; due sotto il tìtolo secondo : 
una sotlb il terzo : tre nel quarto: una uà 
quinto : altra nel sèsto : un' altra nel settimo : 

. otto sotto il tit. de prohihitis nuptiis : una nel 
nono : un' altra nel decimo : altra nell' undeci- 
mo : tre sotto quello ^ ccmfugiis servorum : 




LIBRO QUINTO 34^ 

altra sotto il titolo deciraoterzo : un* altra sotto 
quello de do/iationìbus : un'altra sotto il tìt. 
ae uUimis voluntatibus: tre sotto il ventesimo: 
sedici nel tìt. de debiUs et guadìmoniis : una 
sotto quello de treugis : due sotto il ventesimo 
quinto: un' altra sotto il ventesimo sesto: altra 
sotto quello de depositis : altra sotto il tit <& 
rebus intertiatis : sette nel tit de prohibUa ali&- 
natìone: due sotto il trentesimo: una sotto 
quello de prohibita aìienatione servorum : quat- 
tro sotto il tit de praescriptionibus : djie sotto 
rello de evictionibus : quattro sotto 1' altro 
sanctùnonialibus : due nel tit de ariotis : 
quattro sotto il tit. de reverentia Ecclesiae p 
seu immunitatihus debita: cinqua sotto F altro, 
aualiter judices judicare debeant : una sotto 
u ut de consuetudine; un' altra sotto quello 
die testibus : quattro sotto il tit. quaìiter quis se 
defèn. deb.: ed una in quello de perjurìis^ eh' è 
il penultimo titolo del libro secondo. 

Mei terzo , leggi di Luitprando non abbiamo, 
come quello che per lo più fa composto dalle 
leggi ai quegl' imperadori che F Itaha come 
successori de' re de' Longobardi signoreggiaro- 
no, dopo avergli da questa provincia discac- 
ciati : tuttoché alcune pochissime leggi di Ro- 
tarì , di Bachi e di Astolfo pure i compilatoli 
T'inserissero. Alcune altre leggi di questo rs 
possono vedersi appresso MarcoUb (*) e Goldasto. 

Ma ia saviezza- che mostrò questo principe 
in comporre il suo regno con sì previde leggi, 
e tutti g^ altri suoi pregi fiir ncm poco oscurati 

O Mncal. Ut. 35. rt L«t> In*?- Golttoil. in CoUecl. Connwl. 



346^ ISTORIA DEL KEGyO DI NÀPOLI 

dalla soTercliia ambizione di dominare ^ e dal ' 
desiderio estremo di stendere i confini del suo 
regno oltre a quello che i suoi predecessori 
gli avean lasciato^ la quale portò egli tanto 
avanti^ che finalmente cagionò ne' suoi succes- 
sori la mina dellMmperìo de' Longobardi in 
Italia. Poiché non contento, di aver ritolto al 
pontefice romano il patrimonio delle Alpi Coz- 
zìe , che poco innanzi il re Ariperto avea con- 
fermato alla chiesa romana , invase anche il 
patrimonio Sabinense; e tutto intento ad ap-* 
|)rofittarsi e ad investigar qualunque opportu- 
nità d' ampliare il suo dominio^ secondando 
gli avidi consigli con una presta e destrissima 
esecuzione , gli venne fatto d' allargare gran- 
de mente il suo regno sopra le rovine de' Greci. 
Tanto che la sua potenza rendutasi ormai so- 
spetta a' pontefici romani ^ finalmente veggendo 
costoro depressa e poco men che estinta in 
Italia r autorità degl' imperadori d' Oriente, e 
non fidandosi più de' Greci eh' erano divenuti 
loro capitalissimi nemici , pensarono nella ma- 
niera che ora diremo , di ricorrere alle forze 
straniere per abbassare imperio sì grande. 

S li. 

Novità insorte in Italia per gli editti di Lione Isaurico, 

Reggeva in questi tempi F Oriente Lione 
Isaurico , il quale calcando le orme di Bardane 
soprannoraato Filippico ( che fu il primo iin- 
perador d' Oriente che cominciò a muover 
guerra alle immagini) ^ era chiamato Iconomaco^ 




LIBKO QOlRTO 347 

come colui elle fuor d' ogni misura e sopra 
tutti gli albi avea quelle in odio ed abbomì- 
nazione; poicliè persuaso, con abbgtterle , di 
discacciar l'idolatria, che credette per l'ado- 
razione e culto delle medesime essersi intro- 
dotta nel cristianesimo , si prometteva felicità 
nel suo imperio j ed in premio dì sì magna- 
nima e pietosa impresa, come e' la riputava, 
lusingavasi di dovere colla prosperità de' suc- 
cessi stendere il suo imperio, reinte^argli 1' I- 
talia da' Longobardi occupata, ed alla f)ristina 
dignità e grandezza restiluirlo. Né mancò obi 
per accrescer 1' inganno e la lusinga con pre- 
sagi ed augurìi alcune volte dal caso confer- 
mati , gliene promettesse facile e sicuro adem- 
pimento. E la politica di questo principe, la 
quale non può negarsi che non sia stata grande, 
nmase da sì vani vaticìnii delusa e sctiemila. 
Imperocché non ponderando egli che cippresso 
i popoh, e particolarmente agi' Italiani, sì strana 
e nuova impresa dovea eccitar turbolenze e 
tumulti grandissimi, siccome coloro i quali av- 
vezzi già per molto tempo nelle chiese ed al- 
trove a venerar quelle immagioi, e a promet- 
tersi per l'intercessione de' loro prototipi felicità 
non meno spirituali che temporali, non pote- 
vano i loro animi , percossi da e1 strana no- 
vità, non riempiersi di grandissimo orrore in 
reggendo ardere per mano di uomini vilìssimì, 
con sommo disprezzo abbattere ed in minu- 
tissimi pezzi frangere quelle statue che da' loro 
maggiori con ugual pietà e magnificenza erano 
state ne' tempii e su le porte ddle città a pub- 
blica venerazione Cfdlocate. 



348 « ISTORIA DCL &VG90 DI NAPOLI 

NÒ certamente avrebbe gìammid niente (Tàomo 
potuto investigare novità più rinuirchevole o 
più pjene^|U[ìte di questa ^ per mettere in iscom- 

Fig|io ie Provincie tutte deU^ Italia; avvegnaché 
altre eresie, non avendo avuto niente dd 
popolare e del. tragico y ancorché si fossero 
diffiise per la mente degli uomini^ e precisa- 
mente ' rÀrrìana , non portarono nel disseminai^si 
tanti tumulti e sconcerti, quanti ne doyea su- 
scitar questa , . la quale non poteva porsi in 
eflfetto se non per mezzo di modi stupitosi • 
cT incendii , d^ aobattimenti , e uer dltri tragici 
avvenimenti. Lione , come principe prudaute 
e savio , sul principio tenne perdo modi soavi 
e placidi : proccurò prima con ragioni e soon- 
ginn persuafler negli altri qud eh* egli, credeva j 
poi veggendo che ciò niente ipovava, diede 
niori un editto , col <pale non si comandava 
altro, se non che si togUessero le immagini 
da que^ luoghi soliti dove trovavansi riposte 
per esservi adorate , e si collocassero nelle som- 
mità > de^ tempii , ove non potessero ricever 
'culto né adorazione alcuna. Ma avendo da poi 
scorto negli animi di molti delT orrore, anzi del** 
Fav versione a cotali suoi ordinamenti , preso da 
stizza e da furore , rompendo ogni maggior in- 
dugio e deponendo qualunque moderazione, 
imperversò tanto nelP impresa, che fatto unire 
il senato, con pubblica dichiarazione ordinò 
che tutte le immagini fossero abbattute , e che 
né pur una ne fosse permessa dentro alle chiese 
di CostantinopoU ; essendo egU persuaso che 
quanto piò tardasse a condurre al suo fine questa 
eroica e gloriosa operazione , tanto più sarebbe 




LIBRO QUINTO 34j) 

tardato a riceverne il premio conforme alle 
concepute idee. 

In Oriente a questo disegno dell' iniperadore ' 
»i opposero Gennano patriarca di Costantino- . 
poli e S. Giovanili Damasceno; ma Lione léce 
deporre Germano , e n<:l 730 fece metter in suty 
luogo Anastasio. Sono alcmii che scrìssero che 
facesse ancora colla forza eseguire in Costun- 
tinopoU r editto , con far ardere e rovesciare 
tutte le immagini j e tutto ciò eh' era di rado 
e pellegrino in quella città } e che alla vista di 
tutto il mondo facesse anche abbattere la statua 
del Salvatore , che s' innalzava sopra la gnin 
porta del palagio imperiale^ fatta ivi ergere da 
Costantino il Grande. Altri riputano favoloso ciò 
che si narra dell* abbattimento della statua del 
Salvatore, e vogtiono che in quesU principii 
Lione non imperversasse tanto. Che che ne sia^ 
egh voleva far valere il suo editto, e che s'e- 
seguisse non meno in CostantinopoB ed in 
Orìente , che in tutte le altre provincie del- 
r Occidente eh' erano rimase sotto il suo do- 
minio. Comandò per tanto gagliardamente a' 
suoi ufficiali eh' eran destinati al governo dì 
quelle, che facessero nelle città a loro soggette ' 
eseguir l'editto, e sopra ogni altro impose a 
Scolastico patrizio , che si trovava allora esarca 
di Ravenna, che tacesse eseguire puntualmente 
ì suoi ordini , con far rovesciare in quella città ' 
tutte le imma^ni , senza permettenie alcuna. 

Ma in Occidente , e particolanuente in Ita- 
lia , non pure non fu ubbidito l'editto, ma ven^ 
nero i popoli in tanto abbonimento di quello, 
che apertamente proruppero in manifesta solle- 
vazione; I prìncipi dell'Occidente che non erano 



35o ISTORIA DEL REGNO DI KIPOLI 

sotto il di lui imperio, ì 'Loiigobar4i 
lia ed ì nostri ducili di Benevento 1( 
rono , né vollero die ne' loro domini 
vesse. Questa stessa avversione era 
soggetti all'imperio greco ^ né tutti 
degU ufficiali che volevan in tutti tu 
eseguire , poterono giammai nulla spui 
tra r ostinata universal repugnanza. N 
nero in Roma ed in tutto U ducato 
niente nel ducato. napoletano', e negli 
cati e città che ubhidivano agi' impera 
riente. Anzi Y esarca Scolastico in 
volendo con violenza obbligare quel i 
Tosservanza dell'editto, cadono pii 
' dannevoli disordini; poiché avendoci 
che a viva forza si l'ovescìassero in q 
V immagini , eccitò tali tumulti y che 
spinto a manifesta rivolta contra V im 
ndusse la cosa in tale estremità , che I 
ì Itavignaiii passarono sotto la doi 
di Luitpraiido. Imperocché questo aci 
principe, che invigilava sempre ad i 
il suo regno a danni dell' imperadore 
intesa la sollevazione di coloro, por 
l'assedio a quella cittÀ, e strettala pi 
per terra , dopo avere sconfitta 1" arma 
de' Greci che veniva per soccorrerla, se 
iii pochi giorni padrone {'). Molte ; 
dell'esarcato tantosto rcnderonsi a lui 
mente ridusse V esarcato in forma d 
ed agli altri ducati de' Longobardi agg 
sto, dandogli nuova forma, e ne ( 



» Gii-i;. U. P. War. 1. 6. r. Sj. 




LIDAO QUINTO 35 I 

Udcprando suo nipote (({ucgU che poi fu imtal- 
zato al soglio reale ) , al quale , essendo ancor 
fanciullo, diede per direttore 'Peredeo duca dì ' 
Vicenza. . 

Reggeva in questi medesimi tempi il ponti- ~ 
ficìito romano Gregorio U di questo uome, il 
quale era succeduto a CusLantìno nella sede di 
noma t'amio ^i5. Questi sebbene unito co' Ro- 
mani si fosse grandemente opposto a' disegni di 
Lione, nulladimanco avendo sospetta, come eb- 
bero sempre i suoi predecessori, la potenza de' 
Longobiirdi, non poteva soQiire che il loro re- 
gno sotto Luitprando principe ambizioso si sten- 
desse tanto, che fìnatmente potesse portar la ruina 
della sua sede e del pontificato. Per questi rì- 
Bpetti , come fece l'altro Gregorio, invigilava ■ 
sempre agl'interessi degl' imperadori greci che 
tcnvano in Italia , e proccurava che le loro 
forze non declinassero , afTmchè potessero op- 
ponérsi a' disegni de' Longobardi, e fosse l'au- 
torità loro ritegno e freno a tanta potenza. Per- 
ciò si oppose al duca di Benevento , ed aiutò 
i Greci napoletani, perchè Ciinia non fosse da' 
Longobardi beneventani soggiogata. E quantun- 
que per aversi egli dovuto opponere agii sforzi 
ai Lione in queste noviUt dell' abbattimento delle 
immagini, fosse stato dall' imperadore indegnis- 
simamente IrattJito, Gno a minacciarlo di volerlo 
scacciare dalla sua sede e di mandarlo in esiho Ci; 
con tutto ciò posponendo le private mgiurie alta 
pubbhca causa, dirizzò tuttri suoi pensieri per 
impedire la rivolta de' popoli d' Itaba che a lui 

O SigoB. ad A. jiS. 



353 IBTOEIÀ DEL REGna DI NAPOLI 

ubbidivano, e per difendere le terre dell'impe- 
rio dall'invasione de' Longobardi. 

Non aveva egli'in Italia principe vicino a chi 
potesse ricorrere per poter contra coloro ùur 
argine. Le sole forze de' Greci non bastavano. 
La repubblica di Venezia solamente , che da te- 
nuissimi principii surta, in questi tempi erasi 
Fenduta ai qualche considerazione ìnt Italia, vi 
restava, tanto che l'esarca ivi erasi salvato. Si 
raccomandò e si rivolse per tanto Gregorio a' 
soccorsi de* Veneziani, ed avendo scritto una 
ben forte lettera ad Urso lor duce, tanto fece 
ed operò co* suoi uffici, che finalmente ridusse 
i Veneziani a ristabilir l'esarca in Ravenna 3 la 
quale essi con tanta celerità rìtobero a' Longo- 
bardi, che Luitprando da Pavia non potè man« 
darvi soccorso. Furono dunque i Longobardi 
scacciati, rimanendo Ildeprando prigione» in 
mano de Veneziani; e Peredeo, mentre fuggi- 
va j fuwi miseramente ucciso. 

Credette il papa che Lione sarebbe stato ri- 
conoscente d' un servigio tanto considerabile ; 
onde si mise a sollecitarlo più fortemente che 
mai per lettere (*) affinchè abbandonasse la sua 
impresa. Ma fu ben deluso Gregorio nelle sue 
speranze; poiché questo principe, a cui era noto 
che Gregorio più per proprio suo interesse , che 
per r imperio , erasi mosso in suo aiuto , irri- 
tato vie più in veggendo che e' continuasse 
d' opporsi sempre più al suo disegno , e che 
con manifeste rivolte si tentasse scuotere il suo 
dominio, e conoscendo la fermezza del papa 

O Ep. I. et 2. Grrg. ad Leon. 




unto QuiRTo 353 

che r avrebbe impedito per sempre, pensò se- 
riamente a rìmovere ogni ostacolo; e vedendo 
die sarebbe stata cosa difBcile di venirne a capo 
colla forza, pensò dì ricorrere alle arti ed al tr»> 
dimentp. Il ducato romano, come s^èpiù volte 
detto j durava in Italia sotto la sua dominazione^ 
e da lui si mandavano Ì duchi a Roma per reg- 
gerlo. Era stato mandato in questi tonni per duca 
in Roma Marino Spaiano: a costui (ueae segre- 
tissimi ordini di favorire tre suoi ufficiali, che si 
.ritrovavano in Roma, li quali insidiando la vita 
del pontefice, avevano data parola a Lione di 
condurlo in Costantinopoli vivo o morto. Ma 
non riuscito a costoro H disegno, e pensando 
Timperadore che dalla negligenza de' suoi prìn~ 
cipali uIBciali fosse stato frastornato, inviai net- 
Panno 2^ Paolo patrìzio in Italia per coman- 
dar in Ravenna in qualità d'esarca Q, al quale 
incaricò questo fatto } ed allora ì tre congiurali 
tenendosi sicuri d'una potente protezione, si 
affrettarono di fare il disegnato colpo. Ma prima 
che ne venissero all'esecuzione, la congiura Ai 
scopata da' Romani, vi^antissimi alla conser- 
vazione d*un pontefice ch'essi avevano tanto 
caro; ed avendone incontanente an-estatì due, 
gli fecero subito morire; e l'altro che colla fuga 
era.si posto in salvo dentro un monastero , quivi 
rendutosì monaco fini i suoi giorni. 

Intanto il nuovo esarca , clie veniva solleci- 
tato da Lione con premuroùssimi ordini di tro- 
var ogni strada per avere in mano il papa, ce- 
dendo riiucir vane tutte le sue arti ed insidie. 



O K«n|. Frehrr ìa Oironol. Cmt. lUren. m^ 71&. 
GiAimoiis, f^ól. il. aS 



354 UTOBl\ DEI* aKGMO VI KAPOLl 

perchè il papa era troppo ben ^ardalo da^ Ro- 
mani, finalmente impaziente a ogni indugio ai 
risolse d^ impiegar la forza aperta per mantener 
la parola che egli aveva data a I^one di met- 
tergli nelle mani Gregorio 0. Ragunò dunque 
più presto che gli fu possibile alcune truppe^ 
i*accglte parte da Ravenna e parte dall^ armata 
ch^egli teneva in piedi p^ essere sempre in 
istato di difendersi dagP msulti de^ Longobardi 
vicini < e le mandò ad unirsi agP imperiali^ ch^e* 
rano m Roma più deboli^ con ordine di me* 
iiar via il papa e di condurlo a Ravenna. 

Ma Luitprando scaltro ed accortissimo prin- 
cipe ^ ancorché si tenesse offeso da Gregorio^ 
il quale aveva suscitati i Veneziani contro di 
lui per fargli perdere Ravenna^ come la per* 
dette, deliberò in questa necesdtà di soccor- 
rere il papa ed i Romani contra i Greci ^ ac- 
ciocché tenendo in bilancio i due partiti^ per 
gli aiuti più o meno forti che lor avrebbe son^ 
ministrati secondo le occasioni, venissero in 
questa divisione a poco a poco ad indebolirsi 
e gli uni e gli altri y onde potesse poi della lor 
debolezza approfittarsi. Diede pertanto pronto 
ordine a' governadori delie piazze ch'egli aveva 
ne' c^pniorni di Ravenna e di Roma , d' unirsi 
a' Romani ^ i quah con si valido soccorso tro- 
vandosi più forti di quelli dell' esarca , gli ferma- 
rono vicino Spoleto , e costrinsongli filialmente 
ad abbandonar la loro impresa e a ritornare in 
Ravenna. , 

Lione intanto^ il quale per altro nell'arte del 

C) Auitktas-. Bibl. ju iJrn'i^ur. 11. 




UBRO QUIRTO 35S 

regaare e del flìesimulare uoii era cotanto ine- 
aperto, ancorché vedesse essergli sì mal riu- 
scita la forza ed il tradimento, lasciossi tal- 
mente trasportar dalla collera, che non curando 
i danni gravissimi che poteva portar seco una 
risoluzione tanto bizzarra , come era quella che 
egli ToUc prendere quando men dovea, credette 
che Tautorità sua per sé sola e disarmata avrebbe 
fatto senza fatica ciò che non potè eseguire ccd- 
l'armi e colle insidie. Perciò, trascurato ogni 
rispetto, e consigliandosi solamente colla sua 
passione, reiterò quanto intempestivamente, al- 
trettanto con motta veemenza e fervore, gh or> 
dini ali* esarca di' far pubblicare ed eseguire 
in Roma, ed in tutte le città del suo imperio 
che teneva in Italia, Teditto che poco anzi 
aveva in Costantinopoh formato. Conteneva Te* 
ditto, come s*è detto, che si togUessero dalle 
chiese tutte le immagini, come tanti idoU: pro- 
metteva di più ogni sorte di favore al papa ^ 
purché ubbidisse, ed air incontro lo dichiarava 
reo e decaduto dal pontificato uel caso che 
ricusasse. 

Non fu veduta mai più pronta né più gene- 
rale né meglio concertata risoluzione di quella 
che si fece per tutto , e principalmente a fìo> 
ma , subito che vi fu pubblicito questo editto. 

Gregorio assicurato già degli animi di tutti 
disposti in suo aiuto, assicurato ancora da* 
Longobardi , e vedendo che Lione non osser- 
vava più né misura né modo, e che altaccara 
^à apertamente non pur la sua persona, ma 
anche la reh^onej « risolse (l'impiegare alla 



356 J81t)RIA DFX REGNO DI NAPOLI 

prima tutta V autorità sua pontificale ^ e le ama 
spirituali del suo ministero ^ per impedire che 
un così detestabile editto non fosse ricevuto in 
Italia. Cominciò a scomunicare solennemente 
l'esarca ^ e tutti i di lui complici. Poi mandò 
lettere apostoliche a' Veneziani , al re Luilprao» 
do j ed a^ duchi de' Longobardi y ed a tutte le 
città deir imperio ; per le quali gli esortava a 
tenersi saldi ed immobili nella fède cattohca^ 
e ad opporsi con tutte le forze all'esecuzione 
di questo editto. 

Queste lettere fecero tjànta impressione sopra 
gli spiriti^ che tutti i popoli d Italia ^ benché 
di partiti differenti^ e che spesso fin di loro 

Sérreggiavano^ come i Veneziani^ Romani e 
^ngobardi^ s'unirono tutti in un sol corpo ^ 
animato d'un medesimo spirito , che gli lece 
operare di concerto per difender la fede cat"> 
tolica e la vita del papa , protestando tutti in- 
sieme di voler conservarla fino ad esporre la 
propria per una causa si gloriosa. Ma come è 
difficile nel calore d'un primo moto di conser- 
var eziandio nel bene le giuste misure che egli 
dee avere j non si tennero ne' limiti d'una le- 
gittima difesa j perocché non solo i Romani e 
quelli di Pentapoli, eh' è oggidì la Marca d'An- 
cona^ presero le armi e s'unirono a' Veneziani, 
che furono i primi ad armarsi, ma portando 
più innanzi il loro zelo, scossero apertamente 
il giogo. Non contenti d'aver abbattute le im- 
magini di Lione, non vollero più conoscerlo 
per loro iniperadore, e si elessero da loro stessi 
nuovi magistrati per governaisi nell'inten^egno 




LlBilO QUINTO 357 

che pretendevano fare di propria loro lutorìU. 
Andarono anche pia avanli, e portarono final- 
mente la cosa quasi all'ultima estremità; per- 
ciocché eran risoluti dì creare un altro impe»- 
radore , e di conduHo a Costantinopoli con una 

£ stente armata, per metterlo nel luogo di Lione. 
[a il papa non riputando questo consigtio op- 
portuno, né propno di quef tempo, lo rifiuto, 
« vi si oppose in maniera che non ebbe net* 
suno effetto (*). 

Mi questo non ìmpetfi il destino di Oone, 
che terminò finalmente di fargli perdere in It»* 
lia Tesarcato di Ravemia, il ducato dì Roma. 
e mancò poco che non perdesse il ducato di 
Napoli, e con esso tutta la sua autorità in It*i 
lìaj perocché sollevati ì popoli, tantosto sì di- 
visero in fazioni e partiU. In Ravenna Paolo 
esarca n'avea guadagnato molli, o per vile com- 
piacenza, o per interesse, o per la speranza 
di saUre in posti maggiori. Ma U contrario, che 
aoBteneva il papa , più forte e numeroso , non 
potendo solTrire l'esarca, si sollevò , ed insorta 
una furiosa sedizione , anzi una spezia di guerra 
civile tra i due partiti, presero Tarmi per di' 
struggersi T un con l' altro. La fazione de' C^> 
tolici, come più forte, essendo nel conflitto 
rimaaa superiore , fece strage grandissima dì 
tutti gf Iconoclasti , senza risparmiar nemmeno 
r esarca, che fu ammazzato in questo tumulto. 
Queste furono le cagioni le qnah fecero perdere 
agT imperadori d' Oriente molte città della Ro- 
magna eh' eran dell'esarcato, e tutte l'altre città 

O P> Wira. I. 6. R<!|iiM I. i. Cbran. Sigon. tA «ob. 706. 



358 ISTORIA DCL REOrrO DI IfAPOLl 

della Marca , che si reuderono a Luitprando re 
de^ Longobardi. Imperocché questo scaltro prìn- 
cipe , il quale non era per altro entrato in que- 
sta guerra che per pix)fittar deli^ occasione d in- 
grandirsi a' danni degli uni e degli altri ^ non 
mancò di tirar tutto il vantaggio ch^ egli poteva 
spellare di questa rivolta, e di far valere il pre- 
testo della fehgione^ secondo la massima della 
politica umana, per conseguire i suoi fini. Fece 
dunque comprf?ndere a questi popoli , da una 

Sarte, che non potrebbono mai conservar la re- 
gione sotto un imperadore non solamente ere* • 
tico, ma ancora persecutor degli ortodossi; e 
che dall^ altra, erano troppiò deboli per resistere 
alle forse d^un 6i potente prìncipe, dal quale 
potrebbono essei^ attaccati in un tempo in cui 
allrì interessi sarebbon forse dMmnedimento a' 
loro amici di soccorrergli^ Dimoaoclià cpelle 
citfà^ non seguitando in questo movimento se 
non i consigli che lor venivcino ispirati dall'o- 
dio e dal timore mischiati di zelo e d'amore 
Fer la religione , dopo avere scosso il giogo del- 
imperiq^ si misero sotto l'ubbidienza del Lon- 
gobardo. Documento che può mostrai^ a' prìn- 
cipi qiinnto possa nell'animo de'popoh la forza 
della religione , e da ciò apprenderanno non 

Eotersi quella alterare, senza pericolo di vio- 
jntemente scuotere fino da^ primi cardini gli 
Stati da loro governati. 




Liaitu QUixTO 359, 



// ducalo mapolaana si maiUenHe utili fnlr 
di L'OHe haurìco- 

Mancò poco che ciò die i predecessori di 
laitpr^ado per lungo corso dì anni e di guerre 
non poteron conseguire, egli in un tratto non 
ne Tenìase a capo, occupando il ducalo napo- 
letano, come avea fatto di molte citt^ dell'e- 
sarcato dì Ravenna. Era il ducato di Napoli,, 
come ai disse, governato da un duca, die an- 
che da Costantinopoli solevan mandare o creare 
gPimperadori orientali, a^ quab era sottopoata 
Ne^ tempi di Lione governava questa cìttii per 
Pimperadore, Esilarato, successore di Giovanni, 
il ^lale spinto da precisi ordini di IJone , sol* 
lecitava i popoli della Cnnipagna a ricevere il'0' 
ditto, ed a seguitare la religione del loro prin* 
cipe. Aveva medesimamente subornati uomini 
per fare ammazzare il papa, promettendo loro 
grandi ricompense, se lìicessero questo co^o^ 
eh* egli diceva esser assohitamente necessa^o 
per riposo d^ItaHa. Questa esecranda viltà sco- 
perta da' Napoletani, devotissimi che furono sea»! 
Ere de' pontefici, e tenacissimi in sostenendo 
i dottniia della chiesa romana , parve loro cotA 
orrenda e mostruosa, che chiudendo gli occhi 
ad ogni altra consideraxione, fuorché a quella 
die animava la loro indegnazione alla vendetta 
di questo attentato, presero le armi, ed ecci- 
tato avendo turbolenze e tnmdti, rivoltaronsi 
contra S duca Esilarato, il qnale non aTrodo 



36o ' ISTORIA DKL REGNO DI NÀPOLI 

di che far loro resistenza in una si generale sol- 
levazione y V ammazzarono insieme con Adriano 
suo figliuolo j e ad uno de^ suoi principali uf- 
ficiali, dicessi accusarono d^aver composto un 
sedizioso scritto contra il papa, parimente tol- 
sero la vita (*). , 

Ma i Napoletani non portarono piò avanti il 
loro sdegno, né mancarono alla tede dovuta^ 
al loro prìncipe, come fecero F altre città; ne 
vollero avere alcun ricorso a^ Longobardi, i 
quali sebbene avessero subito aperti gli occhi 
a si bella opportunità, nuUadimeno i Napole- 
tani per non irritar maggiormente lo sclegno 
dell^ imperadore , o , come è più verisimile , 
essendo sempre stato fi*a questi due popoli, 
per le lunghe e continuate guerre, odio impla- 
cabile, non vollero usar tanta viltà di sotto- 
porsi a^ Longobardi , avuti da essi sempre per 
neri ed implacabili nemici. Tanto che non riu* 
sci a Luitprando, ne a^ Longobardi beneven- 
tani di potersi approfittar di si bella occasione. 
Per cotàl modo si mantenne questo ducato 
( quando tutte le altre signorie che gP impera- 
dori orientali tenevano in Italia cominciava!! a 
mancai*e) saldo e costante nell^ ubbidienza del 
suo principe: onde in luogo d^ Esilarato sosti- 
tuendosi Teodoro per duca di questa città , con- 
tinuarono essi a vivere sotto 1 imperio de^ Gre- 
ci, infinattanto che da^ Normamii non fu il 
lor ducato, dopo il corso di molti e molti 
anni, a^ Greci finalmente tolto, come diremo 
ne^ seguenti libri. 

(*) ^lisina, «ff aiif 776. Maireh. Hist. Irrmorl. 




Linno QUINTO 36t 

Lione stordito alla notizia d'una sì generale 
tÌToluzione, in vece di levar la cagione d'un 
sì gran male , non fece altro die maggiormente 
ìmiasprìrlo, fino a renderlo incurabile; ciò che 
finalmente fecegli anche perdere il ducato di Ro- 
ma, senza speranza di più ricuperarlo; e. che 
r avrebbe anche interamente spogliato di quello 
di Napoli» e di tutta l'autorità sua in Itaha, se. 
la costanza de' Napoletani, e Tavversione ch^essi 
tenevano a' Longobardi, non V avesse impedito. 
E^i imperversando sempre più contro alla vita 
del pontefice, credendolo autore, di tutti que- 
sti mali , subito cir ebbe intesa la morte di Paolo 
esarca , e la sollevazione della Campagna con* 
tra il duca di Napoli, mandò nell'anno ^a^ 
1' eunuco Eutichìo in Ravenna in quahtà d'esar- 
ca {■) , uno de' più scellerati uomini della terra,, 
e de' più atti ad eseguire le più empie e più 
difficih imprese. Si sforzò costui di con'ompcre 
i govemadori delle piazze ch'erano sotto la 
dominazione de' Longobardi ne' contomi di 
Napoli e di Roma , solamente per obbligargli a 
dissimulare , ed a non far lutto quello che po- 
trebbero per difendere il papa. Ma non ebbe 
questo vile artificio tutto il successo eh' egli 
n' aspettava ; poiché un uomo mandato da 
Questo eunuco 8egretaniente> a Roma , fu preso 
aa' Romani , e trovatolo carico degU ordini 
espressi delT ìmperadore a tutti i suoi uffi- 
ciali di porre a rischio ogni cosa per am- 
mazzare il papa, furono per porio in pczà^ 
se Gregorio non l'avesse impedito, contentan- 
dosi solo di scomunicare Eutichio (a). 

(O Pnher. in Cbrenol. Eurt. Unni. 



36j l^TOKtk DSL KKGNO DI NAPOLI 

f IV. 

Origine del dominio temporale de romani ponte/lei 

in Italia. 

Trovavasi reramente Gregorio in angustie 
grandi j poiché sebbene Luitprando co* Longo* 
bardi mostravano di difendeno contra gli sforzi 
di Lione ^ conosceva però assai bene che qoe- 
jto zelo lo dimostravano non tanto per di lui 
servigio e conservazione , quanto per approfit- 
tarsi sopra F altrui discordie; per la qual ca« 
gione non aveva in che molto fidarsi di loro^ 
^come r evento il dimostrò. Quindi i Romani 
abbominando dall^un canto Fempiet^ di Lione , 
Villa quale voleva tirargli per quel suo. editto, 4e 
dalFattro essendo loro sospetta F ambizione di- 
Luitprando ; che non cercava altro in questi 
torbidi che dMmpadronirsi del ducato rotuanoj 
si risolsero finalmente^ scosso il giogo di Lione, 
mantenersi uniti sotto F ubbidienza del papa , 
al quale giurarono di volerlo difendere contra 
li sforzi e di Lione e di Luìiprando. Questa 
F orìgine e questi furono i primi fondamenti 
che si buttarono , sopra de^ quali col correr 
degli anni venne a stabilirsi il dominio tempo-* 
rale de^ pontefici romani in Italia. Cominciò il 
'lor dominio da questo interregno che fecero i 
Romani , i quali Oberatisi da Lione » eran tutti 
uniti sotto u papa lor capo, ma non già an- 
cora lor principe. 

Ma non perchè tanta avversità a^ suoi dise^ 
gni scorgesse Eutichio j si perde d'animo a pro- 
segiùrs il suo disegno 3 imperochè rifatta ^ eomf 



t 




L'tBRO QDIRTO 3(>3 

potè meglio, la sua annata, si portò in Ka' 
venna, e durando ancora te fazioni in quella 
ritUi, gli fu facile, veggoidosi ì suoi partigiani 
soccorsi con sì valide forze, ricuperarla , e ri- 
durre i Ravignani nella fede del suo prìncipe, 
Questi ponderando che tutta Fltalia era per 
lui perduta , e che non potrebbe mai opprimere 
il papa e V ostinazione de' Romani, sempre che 
Luitprando era per soccorrergli , impiegò tutta 
la sua destrezza, e politica per distaccar questo 
principe dagl' interessi del pontefice e de' Ro- 
mani , ed obbligalo ne' suoi. Erasi in questo 
incontro ribellato a Luitprando , Trasimondo 
duca di Spoleto , e trovandosi lAiitprando im- 
piegato a reprìmer la costui fellonia , ardeva 
di desiderìo di fame aspra e presta vendetta. Sì 
era ancora 11 re accorto per la resoluzione ferma 
de' Romani di darsi al papa , che nimte pò- , 
trebberò giovargli con essi le arti e le lusinghe 
per tirargli aRa sua obbìdicnza, ma che restava 
la sola forza per far questo colpo. Per questi 
rispetti ofiTerendogli V esarca il suo esercito per 
reprìmere prìma la fellonìa di Trasimondo, come 
che non per altri fini s' era intrigato in questa 
guerra , che per approfittar delle occasioni cVeUa 
gli avrebbe somministrate di tirar grandi van- 
taggi o dall'una o dall'altra parte;. non ebbe 
Eutichìo a durar molta fatica per tirario ne* 
suoi disegni. Per questo dimenticatosi dell'ob- 
bligo ch'egli aveva co' Romani, e della parola, 
da lui data di difendere il papa e la rebgiona . 
eontra ^ insulti deTimperadore , accettò que- 
ste oflfeftej'e conclmise con Eulichio il tratta- 
to; il quale in fatti congiunse tosto la stM 



364 ISTOniÀ DEL REGIfO DI NAPOLI 

armata a quella del re ^ e seguitoUo alla guerra 
ch^ egli andò a portare con tra il duca di Spo- 
leti suo ribelle. La quale non durò troppo ^ 
poiché Trasimondo restò così sorpreso di que* 
éta colleganza^ la quale non aspettava punto , 
che subito che Luitprando fu arrivato innanzi 
Spoletiy venne a gittarsi a^ di lui piedi, chie- 
dl^ndogli perdono, e T ottenne: fu medesima* 
mente ristabilito nel suo ducato , facendo di 
nuovo al re il giuramento , e jdandogli ostaggi 
della sua fedeltà. 

Mancata così tosto F occasione d^ impiegar 
le armi contra ribelli, in adempimento del 
trattato con Eutichio , furon quelle voltate con^ 
tra i Romani , e venne Luitprando con le due 
armate a presentarsi sotto Roma, accampan* 
dosi nelle praterìe di Nerone, che sono tra 1 
Tcbro e la chiesa di S. Pietro , cUrìmpetto al 
Castel S. Angelo. Presentendo Gregorio T appa- 
recchio di Luitprando , aveva fatto munire , 
come potè il meglio, la città di Roma*, ma 
scorgendo che mai colla forza poteva resistere 
a tanto apparato di guerra , avendo innanzi agU 
occhi r esempio dei duca di Spoleti , che colle 
pregliiere ottenne dalla pietà di Luitprando quel 
che non avrebbe potuto sperar colle armi ; volle 
imitarlo. E senza consultar la piiidenza umana . 
la quale non poteva mai persuadere ch^egh 
fosse andato a mettersi nelle mani de^ - suoi 
nemici , senza grandi precauzioni , e senza aver 
ben prima prese le sue misure , accompagnato 
dal clero e da alcuni baroni romani, andò egU 
stesso a trovare il re. Sorpreso Luitprando da 
quest^atto non preveduto, non poti resistere. 



LIBRO QUINTO 365 

agi* impulsi della cortesia che gli erano molto 
naturati^ e di riceverlo con tutto il rispetto 
dovuto alla santità della vita ed all' augusto ca- 
rattere del sovrano pontificato. Allora fu che 
Gregorio pigliando quell' aria di maestà che la 
sola yiitù suprema accompagnata da una si alta * 
dignità può ispirare , cominciò con tutta la forza 
immaginabile temperata con una grave benignità 
a spander fiumi aeloquenza j rimproverandogli 
la tede promessa . il torto che faceva alla rè- 
Ugione y della quale era tanto zelante , e ponen- 
dogli avanti gli occhi i danni gravissimi che pò* 
teva apportare al suo regno ^ se mancasse di* 
protegger la Chiesa : lo scongiurava a desisterei 
dall'impresa^ altrove le sue armi rivolgendo. 
Luitprando y o tocco internamente dagli stimoli 
di religione^ o che vedesse in queli' istante molte 
cose ch'egli non aveva considerate nell'ardore 
della sua pascione ^ o perchè siccome gli uo- 
mini non sanno essere in tutto buoni, nem- 
meno sanno essere in tutto cattivi, rimase così 
tocco di queste dimostranze di Gregorio, che 
senza pensare ne a giustificar la sua condotta , . 
né a cercare scusa per metter in qualche modo 
a coperto l'onor suo, getto^si alla presenza di 
tutti a' di lui piedi , e confessando il suo er- 
rore, protestò di voler ripararlo allora , e di 
non mai soffrire per l'avvenire che si facesse 
alcun torto a' Romani , né che si violasse nella 
di lui persona la maestà della Chiesa , di cui 
era egli padre e capo. Ed istando l'esarca che 
's'adempiessero gli ordini dell' imperadoreO^ 



366 ISTOEIA DSL REGNO D| IfAPOU 

nou solo non vi diede orecchio « ma per dare 
al papa un più sicuro pegno della sua parola ^ , 
pregollo che andassero msieme nella basilica di 
S. Pietro^ la qual era ancora in ouel ten^ 
fiiorì delle mura della città; e quivi m presenza 
di tutti i capi della sua armata j che V avevano 
seguitato, fattosi disarmare, pose sopra il se- 
polcro deli^Apostolo le sue aimi, la cinta eia 
spada j il bracciale , V ammanto regale , la sua 
corona d^ oro ed una croce d^ argento : supplicò 
da poi il papa che ricevesse neUa sua grazia 
r esarca ]^utichio, di cui non potevasi più te- 
mere, quando non avesse Faiuto de^ Longoban^ 
di Gregorio sperando sempre che Lione avrebbe 
un dì riconosciuti i suoi errori, acconsenti a que- 
sta dimanda, dimodoché ritiratosi Luitprando 
coir esercito T\e^ suoi Stati, T esarca fu ncevuto 
in Roma , e trattennevisi qualche tempo molto 
quieto in buona intelligenza col papa ; in guisa 
che essendo succeduto medesimamente in que- 
sti tempi che un impostore, il quale facevasi 
chiamar Tiberio, e che vantavasi della stirpe 
degr imperadori , aveva sedotti alcuni popoli 
della Toscana che lo proclamarono Augusto (i); 
Gregorio che non trascurava occasione d' ob- 
bligarsi Lione , veggendo che T esarca n' era 
entrato in pensiero per non aver forze bastanti 
ad opprimerlo , si maneggiò tanto appresso i 
Romani, che Taccompagiiarono in questa guerra 
centra il tiranno , il quale fu assediato e preso 
in un castello , donde fu mandata la di lui te- 
sta allMmperadore. 

(*) Au.i»t« Bihiiot. in Grrg, II. 






LIBEO QUINTO Z&J 

Ma Lione indurato sempre più y portò la stia 

Sassione fino ali^ ultime estremità, perchè in 
oriente , ore era più assoluto il suo imperio , 
e che non aveva chi se eli opponesse , riempiè 
di stragi, di lagrime e ai sangue il tutto: fece 
cancellar quante pitture erano in tutte le chie« 
se : indi fece pubblicar un ordine, col quale 
s'incaricava a tutti gli abitanti, principalmente 
a quelli che avevan cura delle chiese, di ri- 
porre nelle mani de^ suoi ufficiaU tutte le im- 
magini , acciocché in un momento potesse pur* 
gar la città , facendole bruciare tutte insieme. 
Ma r esecuzione riuscendo strepitosa, non per- 
donandosi né a sesso né ad età, fu questa anal- 
mente la cagione che, senza speranza di riacqui- 
starlo , fece perdere a Lione ed a' suoi successori 
ciò che restava loro in Occidente. Imperocché 
il papa disperando allMututto la riduzione di 
questo principe , e temendo che un giorno non 
SI facesse nelle provincie d^ Occidente ciò che 
egli vedeva con estremo dolore essersi fatto in 
quelle d^ Oriente, rallentò quel freno che e' per 
lo passato avea tenuto forte^a non permettere 
che i Romani scotessero affatto il giogo del lor 
principe; ma lasciando al loro arbitrio di far 
ciò che volessero, approvò finalmente quello 
che egli infino allora erasi sempre studiato im- 
pedire , e ciò che i popoU aveano già comin* 
ciato a fare da loro stessi. Onde i Romani ^ 
tòlta ogni ubbidienza a Lione, si sottrassero 
affatto dal suo dominio, impedendo che più 
se gli pagassero i tributi, e s^ unirono insieme 
sotto r ubbidienza di Gregorio come lor^capo, 
non già come lor principe. 




ISTOnU DEL BBCaO Dt KAPOLI 

mi nostri scrittori , per Y autorità di 
le, Cedreno , Zonara e dì Nìceforo au~ 
xici, e che fiorirono molto tempo dopo 
do , Paolo "Wartiefrido ed Anastasio Bi- 
tiliotecario , rapportano che ì Romani , scasso 
il giogo, eless. rio pw lor prìncipe^ 

dandogli il giura , fedeltà; e che il pa- 

pa, accelUito il ì di Roma, ordinasse 

a' Itomani ed a resto d'Italia che non 

pagassero più i imperadore, e cl>e di 

più assolvesse e ;nto i va&salU dell' im- 

perio; scomunic )ubblica e solenne ce- 

lebrità l'impers ; lo privasse non pur 

de' domini! che Cp,. „ ; in Italia , ma anche- 
di tulio l'imperio: e che quindi fosse surto il 
dominio independente del papa sopra dì Roma 
e del suo ducato , che poi per la munificenza 
di Pipino e di Carlo M. si stese sopra T esar- 
cato di Ravenna, di PeiitapoU, e di molte al- 
tre città d'ItaUa. 

Gli scrittori francesi, fì-a' quali Faravescovo 
di Parigi P. di Marca (r), e que' due cele- 
bri teologi Natale e Dupino (3) niegano che 
Gregorio , savio e prudente pontefice , avesse 
dato in tali eccessi. Le epistole di questo stesso- 
pontefice (3) , "Waniefrido , Anastasio Bibliote- 
cario, Damasceno, l'epistole ancora di Grego* 
rio IH e dì Carlo M. a Costantino ed Irene , 
convincono per favolosi questi racconti ; per la 
testimonianza de' quali tanto è lontano che Gre- 
gorio avesse scomunicato Lione, accettato il 

<i) P. ^r Marc* dr dnrnrd. Siifr. «t Imp, I. S. & 1 1, vtm, %, 
<*) Dup. de Anlic). Eni. due. diu. ;. 
^ Cnf. II. in l^p. I. ad Lrooen, 




LIBRO QlflNTO Z6q 

principato di Boma, sciolti i vassalli ddl'im- 

Fei'io dal gìuraniHito e da* tributi , « deposto 
imperadore ; che anzi ci accertano che Gre- 
gorio, ancorché in mille guise ofieso, ioss» 
«tato sempre a lioiie uflicioso e riverente, ed 
avesse in tutte le occasioni impedite te riyolte 
de^ pc^oli , e Drocciirato .che non si sollevas- 
sero contro al lor prìncipe. & oppose , egli '^ 
vero,,agU editti di Lione per Tabolizione delle 
immagini, comandando che non s'ubbidissero, 
ed esortando quel principe che lasciasse il di- 
segno in cui era entrato; ma appresso, sì gravi 
autori non si legge che lo scomunicasse. H primo 
pontefice romano che si die vanto di aver ado- 

Ìierati i suoi fulmini sopra le teste imperiali, 
il il famoso Udeprando Gregorio VII, come no- 
teremo a suo luogo, non già Gregorio H. Q6 
che più chiaro si manifesta per quello che scrìve 
Anastasio (*}, narrando che avendo lione de^ 
posto dal patriarcato di CostantinopoU Germa- 
no , per non aver voluto acconsentire all' edit- 
to, e sostituito Anastasia iconoclasta; dice egli 
(Aie Gregorio scomunicò bensì Anastasio pei^ 
severando nell'errore, ma clie all' imperadore 
»olo sgridava con lettere, ammomva, esortava 
che desistesse dall^'impresa , non già clie lo 
«comunicasse, come scrisse di Anastasio. Pii^ 
Uivolòsn à la dMWsizione c^e sì narra fatta da 
Gregorio; poiché questo pontefice riconobbe 
Lione per imperadoi'e fìnchà visse ; e lo slessO' 
fbce il suo successore Gregorio IH, il quale co- 
municò col medesimo , e m liù si leggono molte 



O ÌMil. Bibliolrr, in Grrg. II. 
GlAHNOXt f^ol. li. 




« dimxate all' imperadore piene di molto 
» tà e riveceiiza. Anzi tanto è vero che io 

nei bbe sempre per tale, che le dal* delle 
3U0 lettele porUmo g|i anni del suo imperio , 
copie è queUa di Gregorio dirizzata a BoniA)- 
cio, ùniJK lisfimo Ju^tsta lao- 

ne, Impent 171. 1. 

I nostri T ri latini, tratti dall' siu- 

torilà , rono come vere le loro 

favole; n— 1 che dovea pioponde^ 

rare assi e' nostri anticln latiui 

scrittori ^..^ , ma , o che narravano 

cose accadute d in parte da loro non 

cotanto rimota e h...»..i'ì. Non nwertirooo an- 
cora che i Greci di quegb ultimi tempi , oltre 
al carattere della loro nazione che gli ha serrn 
pre palesati al mondo mendaci e favolosi, erano 
lutti avversi alla Chiesa ronuna, e per conmio- 
ver ^ animi di tutti ad o(Iio, e per recar ìa* 
vidia a' pontefici romani , gh rappresentarono 
til mondo per autori di novità e di rivoluzioni , 
imputando ad essi la mina dell^ imperio d^Oc* 
cìdente , aocagioQandogli di novatori , ambizìo* 
sij usurpatori aell^autorità temporale de^ principi, 
e che mal imitando il nostro capo e maesb^ ■ 
Gesìi, fossero divenuti da sacerdoti , principi. 

Le favole di questi Greci scismatici flirono 
poi con avidità e con applauso ricevute da* 
moderni novatori, e da' più rabbiosi eretici Ae-^ 
gh ultimi nostri tempi. Essi ancora, per l'au' 
torìtà di costoro, vogliono in tutti i modi cb«' 



LIBBO QUINTO ^J l 

veramente Gregorio scomunicasse Lione ^ cne 
assolvesse i vassalli dell'imperio dal giuramen- 
to^ che deponesse Timperadore^ ordinasse che 
non se gli pagassero i tributi, e che da^ Ro<» 
mani ribellanti essendogli oiTerta la signorìa dì 
Roma, avesse accettato d^ esseme signore ^ onde 
ne divenisse prìncipe. Spanemio y fra gH al- 
trì, si scaglia contri s\i scrìttorì franzeai clie 
hanno per favolosi nella persóna di Gregorìo 

3uesti rs^ccouti : dice che essi scrìvendo sotto 
regno di Lodovico il Grande , han voluto ne- 
gar questi fatti ^ ne sub Ludovica M. in Rq^ 
mano PonJ&Jice hujusmodi potestatem agnoscero 
viderentun ma essi intanto vogliono che fossero 
verì^ per fame un tal paragone tra Crìsto S. N« ^ 
ed u pontefice romano; Crìsto^ volendo queUa 
imiumerabile turba tratta da^ suoi miracoli failo 
re y tosto fuggi y e loro rìspòse che il suo regno 
non era di questo mondo: il papa j avendo i 
ribellanti Romani scosso il giogo di Lione^ ed 
offerto il principato a Gregorìo, tosto accon-» 
senti e ne divenne prìncipe. Crìsto espressamente 
comandò che si pagasse il trìhuto a Cesare; il 
papa ordinò che non si pacassero più i tributi 
a Lione. Per queste e simili antitesi, per me^ 
8t^ vie, non tenendo né modo né misura, naà 
prorotto poi in quella bestémmia di aver il papa [ 
per Anticrìsto, 

Or chi crederebbe che i più parsisdi de^ Greoi 
icismi^tici , ed i maggióii sostenitorì di questi 
rabbiosi eretici, sieno ora i moderni Romani^ 
e gli scrìttorì più addetti a quella corte? Que* 
iti, ancorché ad altro fine, pur vogliono cho 

C) Span^Bi« contri^ Maivborg^ m BUtor« Iin«g< p^g- 5». 



372 ItTQKlA PEL UGKO DI MÀPOLI 

Giregorìo avesse scomunicato Lione ^ avesselo 
deposto^ oomandando che non se gK pagasse 
il tributo^ e, quel che è più, che ofTerendose* 
gli il principato da^ ribellanti Romani T avesse 
accettato ) onde surse il dominio temporale de* 
romani pontefici in Italia. Ecco , per tacer degli 
altri y come ne scrive il nostro istorico Gesuita 
autor della nuova Istoria Napoletana (): T'ùm 
tandem Romani OrientaUs imperii /ugum ex* 
cusseruntf Gregorium Dominum salutamni, eJ- 
(jue Sacramenium dìxerunt^ ec Gregorius obla^ 
tum uUro principatum suscepii: quem non 
arma, non humanae s^ires , artesque^ sed p€>^ 
pulorum studia anno 'jn'j auspicato contile^ 
runt Questo principio appunto vorrebbero ^i 
eretici dare al dominio temporale de* papi , fon« 
darlo su la fellonia de* Romani , e che Gregorio 
mal imitando Cristo N. S. avesse accettato il 
principato^ ed il Servo de' Servi fosse divenuto 
Signore. Ma per quel che diremo più innanzi, 
si conoscerà chiaramente che sebbene da que- 
sti deboU prìncipii si cominciasse^ non fu però 
che il papa acquistasse allora la signoria di 
Roma, ma ben molti anni in appresso^ né con 
tutto r interregno che far pretesero i Romani 
di loro propria autorità , mancarono affatto gli 
ufQciah dell imperador greco iu Homa. E pos* 
siamo con verità dire che i primi acquisti fu» 
rono nell'esarcato di Ravenna, in Penlapoli, 
e poi nel ducato romano , por quelle occasioni 
che saremo or ora a narrare , non già ideila 
città di Roma, 



O CÌAiiiiftt4». ÌX'ì*t, iXeap. f, 5, l>ag. 94, 



/ 




UBMl QVllfTO 3^S 



Primi rieofn avuti in Francia da papa Gregorio ti 
t dal tuo oiceeMiort Gregorio Ut. 

L^imperador Lione arnaato dì questi ano-, 
cessi ai cotanta importanza , imperversando 
assai più contro at pontefice, confiscò imman* 
tenente tutti i patrimonii che in Sicilia, nella 
Calabria e negli altri suoi Stali possedeva la 
Cliiesa romana-, e giit s'apprestava con polenta 
armata di punire U fellonia de* Romani, ridurre 
r altre terre al suo imperio, e prender aspra 
vendetta del papa, cb ei reputava l'autore dì 
tutte queste rivolte. Per la qual cosa Gregorio 
conoscendo che un colpo dt tanta importanza 
avrebbe potuto cadere sopra di Lui ed oppri- 
merlo, se non fosse stato sostenuto da una pò* 
tenza che potesse opporsi con vigore a quella 
di Lione, pensò di sceghere un proteUore, dov* 
trovasse tutto il sostegno e l'appoggio neces- 
sano. Non poteva fidarsi de* Longobardi, de^ 
quali con lunga sperìenza aveva conosciuti i di- 
segni e provata F infedeltà. I Veneliani, benché 
zeuntissinù per la difesa della Chiesa, non 
enmo ancora così ben forti ìa Italia per con- 
trastare soli a tutte le forze del greco impera- 
dore, particolarmente quando fossero in difB* 
denza de' Longobardi eh* erano fastidiosi vicini. 
£ in quanto aUa Spagna, ella era in un lagri- 
moso stato in quel tempo, e poco men che tuttft 
oppressa da* Saraceni. Risolse pertanto d'aver 
ricorso alla potenza de' Franzesi, la eoi cottanu 




3''4 ISTORU DEL KEGItO Dt RAPOLl 

nella fede cattolica era stata sempre feruti^ 
Erano questi già da jjìii di quinaici aiini gover- 
nali da Cario Martello, il quale, per la insuf- 
ficienza e poco spirito del re, assunto al primo 
onore del regiro , di maggiordomo della casa rea- 
le, reggeva con assoluto arbìtrio quel reamc^ e 
fatto celebre per mille gloriose spedizioni di 
guerra nelle Gallie e nella Gemiauia , e sopra 
tutto per la meaiorabile sconfitta di.tii a' Sani' 
ceni ne' campi di Tours, era reputato nnivei> 
aalmente il primo capitano ed il vero eroe dd 
suo tempo. 

À questo gran prìncipe mand& Gregorio, ciò 
che nissun papa avca ancora fatto, una magni- 
fica arubasciena con molli belli doni di divo- 
rione, per ricercarlo di soccorso contra gli at- 
tentati di Lione, e di ricevere i Romani e la 
Chiesa sotto la dì llii protezione '0- Forono i 
legati ricevuti da Carlo con onori ab^ordinaiii 
e con magnificenza degna del più angusto prìn- 
eJpe del suo secolo j ed in poco tempo (a con- 
chiuso il trattato, per cnì obbligavasi Cario di 
passare in Italia per difèndere la Qùesa ed i 
Romani , ae venissero ad essere attaccati da* 
Greci o da* Longobardi : ed i Romani all'ibcOD- 
tro di riconoscerlo per loro protettore, coti de- 
ferirgli l'onore del consolato, come altra volta 
aveva fatto Tìmperador Anastasio al gran Qo' 
doveo, da poi direbbe sconfitti gli 'W^estrogt^ 
E rimandati i legati pieni di ricchi donativi, e 
soddisfatti d'una si felice negoziazÌMie, Grego- 
rio non avendo più che temere per la Chiesa j 

ei ApMt. BiU. 'm ftfpk. III. 



\ 




dl& quale lasciBTa un cosi poteùte protettorei 
fini i giorni suoi nell*anno ^31 con fama d^un 
pontefice di rare ed eminenti virtù, che gli ff^ 
Cero meritare sopra la terra gli onori che non 
n rendono se non a' Santi dd cielo. 

Successe nel pontificato Gregorio HI, dì cui 
altri scrìssero, essere stata questa legaiione 
mandata a Carlo Martello ^ per occasione che 
Lui^randOj sconfitto Trasimondo duca di Spo* 
leti che di nuovo erasi a lui ribellato^ prcut- 
tando al solito delle vittorie, si fosse portato 
ad invadere di bel nuovo il ducato romano , ir^ 
ritato centra Gregorio IH che avea accolto il 
ribelle , e si fosse avanzato a porre la seconda 
Volta r assedio a Boma; e che non essendo iJi 
papa giovate le preghiere e relomienu, come 
M suo predecessore, finalmente al soccorso di 
Cario 81 fosse rivolto, per la cui mediazioria 
Ottenne che Lmtprando contento iolo dì qnat" 
tro città, sciogliesse l'assedio, e lasciasse a Rv 
mani ed al papa Roma ccd rimansite di quel 
ducato. Che cne sia di ciò, egli i certo che 
per questi ricorsi cominciarono i Frantesi ad 
mtrigarsi negT interessi d* Italia, per U qoafi cod 
reciproco aiuto , e cospirando ciascuna delld 
parti a'proprii avanKamentì, finalmente, dUscac-- 
ciati i Longobardi , fìiron essi veduti dominare 
PltaHa, essersi da' Merovinn nella stirpe de^ Ca' 
ri^gì trasferito il reame di Francia; ed all'in- 
contro i pontefici romani essersi stabiliti in Roma 
e nd ducato romano^ con moita parte ancora 
ddr esarcato di Bavoma e Penti^ioli, come plA 
imiaiui diremo. 



O SifoH. «1 k. ;V 




376 



Coiianlino Copronimo succede l 

e morte di Luitarando re de' Longobardi, 



In endo le cose d'I 
e ce pre più deleriorando 
le Uiotie, era solamente 
rù„oad ij ie delta sua atitoiità. 
L'esarcato intonato in gran parte 
dalle contpiisie bardi, già minacciava 
la total rovina a. anza di riaversi. II du- 
cato romano era n ^ ...ani de' Romani e del 

pontefice lor capo, a' oliali ubbidiva; e st'l>bene 
rimanessero ancora in noma alcuni vestìgi della 
sovranità, tenendovi ancora lAone ì suoi ufB- 
ciali, vi era nondimeno il suo imperio così de 
bole , che ben mostrava di dovere iu breve 
rimaner alTatto estinto. Nel sólo ducato napo- 
letano, nella Calabria e ne' Bnizi, e nelle altre 
città marittime del regno che non ancora erano 
pervenute nelle mani de' Longobardi beneven- 
tani, esercitava egli il pieno potere e dominio. 
Ha morto Lione Isaurìco in quest'anno 74') ^ 
succeduto Dell' Orientf Costantino Copronimo 
Buo figliuolo, diedesi l'ultìma mano aUa fatai 
ruina : poiché Costantino non avendo niente 
delle buone qualità che aveva avuto suo padre ^ 
lo superò infiiùtamente nelle reej e S0 si voglia 
in ciò prestar fede a' greci scrìttoli, egli fu il 
piò scellerato e sozzo mostro che avesse giam- 
mai avuto la terra (*)■ Appena si vide solo Fim- 



O Sifoo. id A. 741. 




LIBRO (JtJISTO 3^;T 

pcradore, che imperversando assai peggio di suo 
padre contra le immagini, diede fuori un editto, 
col quale non solamente condannava le imma* 
gini de* Santi, ma proibiva d'invocargli, e di 
dar loro titolo di Santo ; e portando più avanti 
il suo furore, ìmpciTcrsò ancora contra le loro 
reliquie, sino ad oidinare i maggiori oltraggi e 
disprezzi del mondo. Perseguitò per tanto i di- 
fensori delle immagini , e mandò per questa ca- 
gione molti vescovi in esilio. Ma si rendi vie 



più empio e da tutti abborrito per 1' odio da 
lui conceputo contro alla Madre di Dio, proi- 
bendo che si celebrasse festa alcuna a di lei 



onore, e che non s'implorasse l'aiuto di Dio 
per la di lei intercessione, asserendo non aver 
ella nessun potere nel cielo, né sopra la terra. 

Questa esecranda impietìi, unita alle tanto 
altre peggiori praticate in appresso ed a tanti 
abbominévoli suoi vizi, lo rendè cosi odioso a' 
sudditi , che non pur gli fecero pei'derc quel- 
la ombra di dominio eh* e* teneva in Roma ed 
in Ravenna, ma mancò poco che non pei'desse 
insieme tutto l'imperio. 

Era neiristessó anno che mori Lione, trapas- 
sato anche Gregorio UI, ed assunto al pontifi- 
cato Zaccaria. Dehbe a costui la Chiesa roma- 
na, molto più clic a' due Gregorii, il dominio 
temporale die sopra le spoglie dell'imperio greco 
seppe parte ristabilire e molto più acquistare^ 
imperocché questi appena assunto al trono , 
mandò legati a Luitpraiido a chiedergli le quatp 
tro cittii che per la mediazione di Carlo Martello 
erangli state lasciate, quando la seconda volta 
sciolse da Roma l'assedio. E sebbene da Luit- 
prando fovKfo i di lui ainhasciadorì rìcavuli 




S-8 ISTORI* DSL RSG50 DI nApokl 

con onore, e n'avessero riportata qnytfihe sp<!- 
raiiza per la resiJluzioiie-, con tulio ciò Zaccaria 
vedendo ratTare mandarsi in lunj;o, Volle anche 
egli in it3r Gregorio II; e portatosi di persona con 
tutto il clero nimaiin a rirrovarc il re. ricevuto 
da costui CO" ' i segni di atinia , fu- 

ronc così i suoi u£ci , che non 

solanien ?tà dt questo principe 

la dìmauu ma stabilita tra loro 

la I :e ' T ebbe ancora i! patri- 

tni eiii Itri acquisti fece oltre 

ad u «"Ki i fu cotanto fortunato 

questo pont ; i Ltlit^ando , ed in 

tanta sua buona grazia , che avendo in questi 
tiltimi tempi del suo regno, dì riposo impazteo- 
te, conforme al suo naturai coatume, voluto at< 
laccar di nuovo Ravenna ; Eutìchìo esarca es' 
sendo ricorso alla mediazione del papa . opterò 
costui tanto con Zjuitprando, che fecelo aste- 
nere da quella impresa , e restituire anche aì- 
cuni luoghi occupati, e prima d*ogni altro Cesena. 
Ma ecco, che mentre queste cose succedono 
in Itaha, Luitprando, dopo a.ttT regnato 3a an- 
ni, fin) i giorni suoi in Pavia nel mese di luglio 
dell'anno n^Z (i). Morte quanto improvrisa, aI-> 
trettanto a Longobardi dolorosissima, da* quali 
non abbastanza compianto , con solenne pompa 
iti sepolto nel tempio di S. Adriano martire in 
Pavia con elogio ricolmo dì eccelse lodi (a). Prin- 
cipe, se ne togli la soverchia ambizione dd do- 
nnnare, fornito di tutte le perfezioni desidet-a- 
bili in un re, o per la pace, o per la guerra: 



(0 Rr^nDfi. drwT. S. *piiH CawilL Peli'!!- H»'' Ì'<'<"<'- Imu^. 
(t>> P. Wani. Ae |nt. Lonc. I. 6. r. SS. , 



ì 




UIIIU QUITTO •>"() 

egli, cnpìtaito quanto valoroso, aUretUinlo for- 
tunato nelle sue imprese, dilatò ì confiiù del suo 
regno (i), e nudrìto sin da fanciullo in mezzo 
air anni, non aveva niente dì fiera e <li feroce, 
anzi cortesiit.stino ed iticliìnato sempre ad usar 
clemenza anche verso coloro che T avevano of- 
feso; egli savissimo, fu più al>ile di rpianti «rano 
del suo consiglio. Le sue leggi , tutte savie e 
prudenti ; e quantunque non avesse coltivato il 
suo spirito collo studio delle buone lettere, aveva 
egli pure trovato da se stesso nel suo proprio 
fondo tutta la forza e sottigliezza d'un filosofo. 
Della sua pietà verao Dio restano ancora in* 
«igni monumenti : egli magnifico in fondando 
grandi chiese e belli monasteri, de' quali Vai> 
neirido (a) rapporta il numero, ed ancora oggi 
in Lombardia se ne ammirano i vestigi : egli ca- 
sto e misericordioso co* poveri , e d* un così 
buon naturale , che di quanti prìncipi longo- 
bardi ressero Tltalia, meritamente a luì tutti 
SU scrittori rendono il vanto maggiore. Lasciò 
regno ad Ddeprando suo nipote, che negli ul- 
timi anni di sua vita volle anche averlo per coni' 
pagno. Ma durò poco la costui signoria; poiché 
appena scorsi sette mesi (3) che i Longobardi . 
non potendo per la sua inettitutUne promelterst 
di lui felice e buon governo, lo discacciarono 
dal sogho, ed in suo luogo innalzarono Rachi 
duca del Friuli, principe adomo di nobili virtù 
e d^ incomparabile pietà. 



(■> Erch. imhI PtOeg. tor. cil. 
()) f. Wun. L A. Mu. 58. 
0) Enh. «pud. )>«ll*f. iM-, lil. 




Di Bachi re de Lonaibartli, e site iegg^ 



iacer ài tulti assiiirt<r" 
744? di^'le ne' primi 
ben chiari del suo 
>le ad ogni studio di 
accana la pace che 
Ili prima pattovita^ e 
i altri re Joii?obardi. 
«,.« i« — : ^ ™.„ii„ aJ 



Rachi con in 
al trono regale 
anni del suo r 
animo quieto t 
pace; poiché ler 
area Luitpi'andn 
seguitando l'esei 

volle anche nggiungere ...lOve leggi a quelle de 
8Uoi predecessori, ed ammoUire il rigore c\»c 
in alenile di esse era ancor rimaso. Egli avendo 
convocati in Paria nell'arnie fj^G gli ordini dd 
regno, le stabilì, e per un suo editto, secondo 
il costume de' suoi maggiori , le fece pronial- 
gare per tutto il suo regno. Questo ecbtto an- 
Cora 8Ì legge intero nel piiì volte mentovato Co* 
cGce Cavense, il qual contiene midici capitoli. 

n primo comincia : Ut unusquisque judex in 
sua civitate debéat quotidie in judìcio residere; 
e r ultimo ha questo tit. : de Arimanno quomodo 
cum judice suo caballicare debeat. Da questo 
editto nove sole leggi prese il compilatore, le 

?iali abbiamo nel v^ume delle leggi longobarde, 
re ne abbiamo nel primo libro , una sotto il 
tit de seditione cantra judicem, e due sotto 
P altro de invasiomhus. Nel libro secondo ne 
abbiamo quattro : una sotto il tit de debitis et 

fuadì/noni's; urC altra nel tit de proBscripUom- 
us: altra sotto il tit de officio judicis: un* al- 
tra aoUo qnello: QìialUet quis te dejindart 




LIBRO QOmTO 38l 

debeat; e due altre nel terzo libro, una ietto il 
tit de his qui secreta BeffS ìnqìfinmt; e l'al- 
tra a'otto quello , uhi ìnterdicUim sU Legatum 
alleai miUerCt ove eoa sommo rigore vieti proi- 
bito mandar legati senza licenza del re a Roma, 
Ravenna, Spoleti, Benevento, in Francia, Ba- 
viera, jUemagna, Grecia e Navarra. 

Ma Rechi dopo aver cosi ben coltivati gli 
studi della pace, e sì ben composto il suo re* 
gno con sagge e provide leggi, non passarono 
molti anni che gì intenuise ; e preso dall^ bhk 
bizione di dilatare i -confini del regno, come 
area fatto il suo predecessore , volle imitarlo j 
il perchè posto in ptedi l'esercito, portò in Pen- 
tapoli la guerra, e presi alcuni luoghi di quella 
regione , s' inoltrò nel ducato romano , e final* 
mente cinse Perugia di stretto assedio (*). 

In questi tempi fu che Zaccaria pontefice 
romano ebbe occasioni sì prospere , che lo por* 
tarcHio ad imprese cotanto rinomato ed eccel- 
se, che meritamente il suo nome dee andane 
p;torìoso sopra tutti gU altri pontefici romani; 
imperocché seppe gettar foniUmenti tali e sì 
profondi per distender T autoritit ed ìl dominio , 
della sua sede , che a nìim altro in appresti]» 
vanne mai cosi acconciamente (atto. 



f ) Crdunip. n^uà CamU. P^Uif. ìac eh. 



'ÌS:t ISTOaU OCL «BGKO 01 NAVOtt 

«'• 

TVaiMVii^oiitf Jf / reame dì Fnmcia da* Merovingi 

a* Caroliagi, 

Dopo la morte di Carlo Martello^ I^ino a 
Carlomanno suoi figliuoli presero il goremo dd 
regiK) (ranzese, Childerico^ ultimo re ddla prima 
atirpe y. non rìteoeva altro per la sua dappo- 
caggine j ohe il solo nome i^g^a Ma soorsi sei 
anni » Carlomanna rinunciando si fratdlo il go^ 
Temo, neIl^anno747 accompagnato da molti Fran« 
sesi se ne venne a Roma, ed acceso di fervente 
icelo di religione , volle cne Zaccaria F ascrìvesse 
nel niUmero de^ cherìci ; indi ritiratosi nel monte 
Soratte, vi fondò un monastero, che voUe de* 
dicare a S, Silvestro papa, narrandosi che ia 
Soratte fosse stato questo pontefice nascosto in 
tempo delle sue persecuzioni, prima che Co-* 
stantino M. ricevesse la religione cristiaixa. Ma 
essendo c[uesto luogo di continuo frequentato da* 
Franzesi che venivano o di proposito o di pas* 
gaggio a visitarlo, volle, per distaccarsi adatto 
da tutti grinteressi del secolo, ritirarsi in monte 
Casino, ove consecratosi a Dio si fece mo* 
liaco 0, 

Rimase intanto sola a reggere la monarchia 
di Francia Pipino , con quello stesso arbitrio ed 
autorità colla quale Carlo Martello suo padre 
aveva governato, anzi maggiore; poiché CliiU 
derico ni, ultimo che fb della stirpe de' Me- 
rovingi, per la sua sciocchezza ed inettitudine 

(*> Frrlirmp. apitrl Cumill. PHIrrr. lor. rit. 




LIMO QUINTO Z6^ 

ara atìmato meno degli altri re suoi predece»* 
«ori , i quali ìutomo a cento anni non aTevano 
avuto altro che il nome regio, sofFerendo TJl-< 
mente la reggenza de^ maestri del palazzo che 
n'avevano tutta Tautorìtà. All'incontro Pipino 
per le nobili sub maniera a- per le sui.- gloriose 
axioQi aveva tìi-?to a sé ^ inimi di tutti i Fran-* 
Keai, i quali di buona voglia ^avrebbero rìcono* 
fciuto più tosta per loro re lui, che CUilderìco 
prìncipe stupido ed inetto. Non trascurò Pipino 
al bella occasione di trasferir il reane di fran- 
eia dalla stirpe del {[ran Clodoveo nella sua ca« 
sa , e adoperowi ogni più fina industria. Ma 
sebbene i Francesi aecoudassero i suoi disegni. 
non volevano però per se stessi farlo, persuasi 
di non avere ques^ autorità di trasferire il reame 
dalle mani del legittimo erede in altra casa, né 
per sé S0& liberarsi dal giuramento della fedeltà 
che avean dato al lor prìncipe, pipino pondo* 
rande T arduità del fatto, e che Carla Martella 
suo padre, auoorchò formidabile ed illustre per 
tante vittorie, non aveva avuto ardimento di 
tentarlo, e pensando altresì che tanta e sì nuova 
impresa non per altro modo avrebbe potuto reu> 
dorsi meno strepitosa, anzi commendabile, che 
oot ricorrere air autorità della sede apostolica, 
riputata fin da questi tempi il seminano d' ogni ' 
virtù e d'ogni santità, la quale se non avesse 
approvato u fhtto , avrebbe potuto concitar^ 
contro tanti inimici ch'egli non avrebbe potuto 
colle sue forze abbattere; pensò eon somma pru- 
tlenza sotto il manto dell' autorità della mede* 
sima coprire la deformità del fatto. E mandata 
in Roma al pontefice Zaccaria il vescovo 'Wers-' 
purgense, lece da costui esp(M-gh il desiderio 



•> 

«J 



84 ISTORIA PEL lieUSfO Di llAPOtI 

0UO e di tutti i Franzesi^ rìchiedendolo del suo 
parere, se per la comune utilità dd régiio fta« 
rebbe Jbea fatto di trasferire lo scettro da uno 
stupido re in Pipino prode e saggio principe C). 
£ dopo avergli il vescovo dimostrato y cbe ap- 
provando egli questa traslazione^ s^acquisterebbe 
maggior gloria^ che Carlo Martello d^aver triou* 
iato de^ Saraceni , lo richiese d^ interporre V au-« 
torità sua, e di sciorro dal giuramento i FraiH 
zesi^ perchè potessero innalzar al trono Pipino. 
Questa fu la pubblica ambasciala del legato ; ma 
le seci*ete istruzioni erano, di promettere al pa- 
pa^ se assentiva, di difenderlo coiitra tutti i 
suoi nemici y e spezialmente contra i Longobar*- 
di, da^ quali potrebbe stare sicuro che non so<- 
lamento non gli farebbe far oppressione, ma di 
proccurar maggiori avanzi alla sua seae« 

Zaccaria non trascurò punto sì bella ed op« 
portuna occasione, ove si dava campo di mo- 
strare insieme la grandezza della sua autori- 
tà, e di stabilire non solo il dominio temporale 
cbe cominciava a tenero in Italia, ma di sten- 
derlo più oltre nel ducato romano e nell^ esar- 
cato cU Ravenna. Non solamente dunque consi- 
gliò che potessero farlo; ma perchè rimanesse 
a' posteri un solenne documento delf autorità 
suri, agj^àunse del suo anche un decreto, col 
quale annullando il regno di (iliilderico, come 
ix; insulHcicnte . e liberando i Franzosi dalla re- 
ligione del giuramento, ordinò che in suo luogo 
fosse Pipino sustituito. I Franzcsi ottenuto rlie 
r ebbero, ragìmatisi a Soissons, scacciata dal 



r— 




LIBRO QUINTO 385 

regno Chìlderico, e ridotto questo povero prìn> 
cine a farsi monaco , con rìncliiudersi dentro 
un monastero, elessero Rpinoj e lo fecero so- 
lennemente incoronare per Bonifacio arcivescovo 
di Magonza , dal quale ancora ricevè la sacra 
unzione, acciocché ella il rendesse piiì venera- 
bile a' suoi sudditi ; e fu il primo re di Fran- 
cia che l'usasse. 

Alcuni sciittorì franzesi, e largamente Dupi- 
no (I), diinestrano che i Franzesi mandarono 
quest* ambasciata a Zaccaria per consultarlo so- 
lamente come dottore e paure de' Cristiani, e 
che d'altro non Io ricercassero, salvo che de) 
suo avviso od approvazione, per rendere la loro 
elezione più plausibile a tutta ìà ciìstìanità ; e 

3uìndi die Zaccaria non facesse allia opera, che 
are il suo parere o consiglio. Altri per l'auto- 
rità di Eginardo {3), di Keginone e degli Annali 
atessi di Francia, rapportano clic questo papa 
non si ritenne solo di approvar quest'elezione, 
ma, come egli ù facile di far più di quello che 
vien rìcliiesto , allorché ^ale ad estendere ed 
allargare la pinjtria autorità . volle anche pas- 
sar più iiman/.i, cioè ad ordinalo e a farne de- 
creto. Il che però essi ilìcoiio che non appor- 
tasse a loro per V avvcuire niuna conseguenza 
o pregiudizio, come si rendè chiaro, quando 
duccnto trentasett' anni da poi i Franzesi eles- 
sero di conum consoni inienlo ed incoronarono 
Ugone Ciq)fto, scacciandone Carlo di Lorena, 



r.t. ilisr, di uni. ■ 



386 ISrORU D£L AEGIfO DI NAPOLI 

ch'era il legittimo eiede della stirpe di Caro* 
lingì ^ senza che Tosse d^ uopo di consultarne il 
papa, come erasi fatto per Pipino. Glie che ne 
sia, egli è certo che questi rispetti e trattati 
passarono allora fra Zaccaria e Pipino: quegli 
d^ assentire alla traslazione del regno che Pipino 
pretendeva fare sortire nella sua casa, e di pre- 
stargli ogni aiuto, come fece^ questi all^ incon- 
tro di proleggere la sede apostolica , e difen* 
derla contra i suoi nemici, e particolarmente 
contra i Longobardi, con proccurarle maggiori 
vantaggi 0. Ciò che lasciò in dubbio, se mag* 

f;ior benelìcio avesse riportato la sede aposto^ 
ica da Pipino , e dalle armi che impugnò per 
difenderla contra gli sforzi de^ Longobardi , e 
di ristabilire il suo temporal dominio in Italia; 
veramente Pipino dall' autorità di quella se* 
de, la quale fu a^ Franzesi cotanto propizia, 
che rende! i suoi discendenti padroni d^ Italia, 
ed agevolò il (ii.sL'aceJan;enlu de' Longobardi da 
quella. 

S li. 

lìacUi ahhaiKÌona il regno e iasii monaco Cassi nae, 

liilaulo XriCCuiia, nienlre ancora non aveva 
conchiusi qiK'sli tralcali con Pipino, non tras- 
curava ^riiileressi della sua sedo con Rachi, il 
quale trascorso nel ducalo romano e nel suo te- 
nir:;ento . iacva, conic si disse, cinta Peixigia 



*, P. ifjnil. i\r Hrl». fianr. 




LIBRO QUINTO 387 . 

di stretto assedio , e mìnac.ciava ulteriori pro- 
gressi. LMmperadore lontano, -e delle cose d^I- 
talia non curante j l'esarca impotente a segno 
che appena poteva difendersi in RaTenna, tanto 
era lontano che potesse ostargli; altro non re- 
stava a Zaccaria per isgombrar questo turbine, 
che ricorrere alla sua autorità ed al proprio va- 
lore deir animo. Preso dunque ardire, volle egli 
con decoroso accompagnamento portarsi di per- 
sona nel campo ove Raclii era presso alle mura 
di Perugia. Ivi da questo prìncipe accolto con 
molto onore, fu tanta la forza e veemenza del 
suo dire, che istillò in Ractii affetti cosi vivi 
di pietà e di religione , che tosto questo prin- 
cipe non solo abbandonò l'assedio di Perugia, 
ma alquanti castelli di Pentapoli, che aveva oc- 
cupati , immantcnente gli rendcLLe. E fu il colpo 
81 profondo, che un anno da poi , preso dalla 
maestà del pontefice, e vinto da occuira forza 
di religione, volle passare in Roma con Tasia 
sua mogUe e Ratruda sua figliuola a visitarlo: 
e quivi prostrato a' suoi piedi, rinunciando al 
regno, volle farsi monaco inNÌeuii; colla moglie 
e figliuola; e preso l'abito dalie mani del pon- 
tefice, rìtirossi in monte Casino a finire ì suoi 
giorni in quel monastero sotto la regola di S. Be- 
• nedetto. Seguirono il di lui esempio Tasia e Ra- 
truda , le quah avendo a proprie spese eretto 
dalle fondamenta , non molto distante da Ca- 
sino , un magnifico monastero di vergini , ivi 
vestito r abito monastico, menarono santamente 
la loro vila {*)■ 

e*) En^mtp. apuli Peti kift. Prinr. Long. n. 3. T.'^ O-iiiroJ. 



388 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

Menò Bacili il resto tle^ ^uoi anni nel niona^ 
stero Cassinese. Principe memorando per aver 
amministrato il regno con tanta prudenza e mo« 
derazione, e con sì provide leggi ch'egli pro- 
mulgò^ ma molto più renduto immortale e com« 
mendabile nella memoria degli uomini per averlo 
deposto con tanti segni di pietà e di religione; 
ond' ò che i monaci di ouel monastero lo ve-» 
nerino oggi per Santo. Ne tempi ne' quali Lione 
Ostiense compose la sua Cronaca j si vedea vi-* 
cino quel monastero una vigna che , come narrsi 
lione ( I ) , era comunemente chiamata la vigna 
di Rachi j dicendo que' monaci che Bachi l'avesse 
piantata e coltivata. L^abate della Noce (2) y poi 
arivescovo di Bossano , nel tempo che vi fu aba- 
te, fece ricercar questo luogo , cne lo trovò tutto 
ipcolto : vi fece rifar la vigna di cui non era 
rimaso vestigio, e fecevi anche fabbricar una 
chiesetta in suo onore, 

Giovanni Villani fiorentino (3) portò opinione 
(!he quella ^t^tua di inelallo che ora si vede 
nella piazza di Barletta , fosse stata da'* Longo- 
bardi ocnevcnlani eretta a cjuesto principe, cìiV 
chiama Eracco. L' autorità di questo istorico 
fece anche credere a Beatillo (4) , e , quel ch'è 
più, all'abate della Noce (5) e ad alcuni altri, 
che quella veramente fosse di Rachi. Ciò che, 
PC si viguarcla 1' estensione del ducato bcneven-^ 
tano di questi tempi, non sarebbe stata cosc'^ 

(«) Lfo Oìilirn*», dir. I. i. r. 8. 

Ca) Ab. de Nncc a<l O&licns. lor. ci*. . 

(3) Villan. I. 2. r. <), 

C4) V. Beati n. I.st. (li San Sabino xctcoxo di Canora, 

(Ji) Ab. de IV^icc lor. rit. 




libuo quinto 3% , 

imposaibile ; concìosiiiachè estendendo da c[ue- 
bL) parte i suoi confini oltre Sìpoiito , insino 
a Buri, veniva quella terra ad esser compresa 
nel ducato beneventano j il quale ancorché te-- 
nesse Ì suoi particolari ducili a' quali immedia- 
tanieute s^ apparteneva Ìl su» governo, iiulladi- 
manco costituendosi il regno de Longobardi iu 
Italia , non pure per quel tratto di paese che 
ora cliiaraiaino Lombardia , e per gli altri du- 
cati miuori , ma sopra tutto per que"" tre cele» 
bri ducati , di Spoleto , di Friuli e questo di 
Benevento maggiore di tutti gli altri , i quali 
erano subordinati a' if^ de' Longobardi cIil' te- 
nevano la loro sede in Pavia ; non sarebbe stata 
cosa molto strana die i Longobardi beneven- 
tani avessero a Rachi loro re innalzitla quella 
statua. 

Ma due ragioni fortissime^ convincono per fa- 
volosa ed erronea V opinione del Villani. Sem- 
bra priuiieramentc affatto iuvcrisitnile clic i Lon- 
gobardi beneventani una statua così grande e 
magnilìca avessero voluto collocarla in Barletta, 
teira in quest' età pìccola e di niun conto , e 
posta (juasi ne* confini del lor ducalo , e non 
in Benevento città metropoli , ovvero in qual' 
eh' altra citt^ magnifica di quel ducato , die 
n' ebbe molte ; non a Capua , non a Salerno j 
non a Bari, e non a lant' altre. Barletta prima 
non era che una loire posta nel mezzo del 
cammino fra Trnni e la cittìi di Canne cotanto 
rinomata per la celebre rotta data quivi dii An- 
nibale a' Romani: ella sn-viva per alloggio de* 
pa«seggierì , e , com* è uao , teneva per insegnd 
una barìletta. La cotnoditfa del sito, ciselido 




390 ISTORIA Oa. REGSO DI NAPOLI 

sette miglia discosto rlall' una e sclte dall'altra 
di queste due città, tirò a sé alcuni <le' lor 
cittadini ad nbiturvi , onde poi il luogo prese 
il nome di Burletta^ e crescendo tuttavia gli 
abitatori sotto 1* impeiio di Zenone e uè! pou- 
tificato di Gela; lino vescovo di Cauosa 

la giudicò luog. Ilio dove ai fabbricasse 

una cliiesa per l<i le degli sbitanti , come 

III eretta in oni Audrra Apostolo. Nar- 

rasi ancora e lusi papa Gelasio nel 

monte Gargant racolo (MP .ipparizione 

di S. Michele, presliicie riel vescovo 

Sabino intorno i 3 calasse n CDiisccr.irla 

insieme con Lorenztj .. jcovo ili Sjponlo , Pal- 
ladio di Salpi, Eulicliio diTrani, Giovanni di 
Bovo , Eustorio dì Venosa , e Ruggiero vescovo 
di ('anne; e fatta questa cmisecrazione, di tempo 
in tempo crescendovi gli abitanti , divenne una 
buona terra , passando dulia citt^ di Canne ad 
abitare in essa per maggior comodità molti cit- 
tadini. Tale era lo stato di Barletta nel regno 
di Bacili. Crebbe poi e cominciò a prender 
forma di città molti secoli appresso j e sotto il 
regno de' Svevi, Manfredi, a cui fu motto cara 
questa parte di Puglia , ed ove soleva per lo 
pili risedere , onoroUa sovente , e vi fece qual- 
che dimora mentr'era lutto inteso' alla fabbrica 
del nuovo Siponto , che dal suo prese il nome 
di Manfredonia. Innalzata da questo principe 
potè poi insorgere contra Canne sua madre, e 
contendere con lei de' confini e del territorio^ 
che per jDoIti anni ebbero comune j onde Car- 
lo I d'Angiò^ pw toglier via le contese che 




LIBKO QUINTO 13 J [ 

soglion per ciò nascere fra' vicini , (ecc partir- 
gli (i). Fu ciiiUi allora dì mura, e furo per ordine 
«ii questo re iiKjiiadrate le strade e fatte le por- 
te, i'u fatta poi sede degli ai-civescovi di Na- 
zaret , e ridotta in quella magnificenza che oggi 
«i vede. Giovanni Villani , die fiorì nel regno 
di Carlo n d'Angiò, e di (ìiovanna 1 snn nipote, 
in tempo clic Barletta era già divenuta una delle 
città ragguardevoli della Puglia , credendola an- 
cor tale nel regno di Raclii, e vedendo giacere 
nel porto di quella citt^ «questa statua, che ì 
BarleLLani chiamavano corrottamente , siccome 
cbiumiiimo ancor oggi, di Arachio, credette che 
fosse di questo re longobardo. Donde anche si 
Tede r errore dì Scipione Ammiralo (a) it q-.iale 
scrìsse che questa statua fosse stata da' Barlct- 
tani dirizzata au Eraclio ìmperadore in segno 
di gratitudine, per .ivcre queU' iinpcraJore per 
comoditi de' mercatanti fatto il molo nella loro 
città ; quando ne' tempi d' Irradio BarlcLla era 
piccola terra , ed il molo fu fatto molti secoli 
dopo Eraclio da' cittadini barlcttani, i qiiah non 
prìma dell'anno 1491 trasportarono quella sta- 
tua , che mezza fracassata giaceva net porto , 
dentro la città nella piazza dove sta oggi , ac- 
comodandovi le gambe e le mani nel modo che 
ora si vede. 

L^altra ragione che convince non es.ierc quella 
atatua dì Rachi , è il volto c\n: ci rippresenta 
tutto raso . l' ahito greco rlie veste , e F avcit! 

IXJ3. Mtraa. DiMrr. 
.Ti "f.p. 



393 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

ìb una Diano la croce e nell^ altra il poma^ sim- 
bolo del mondo. Questi segni siccome provano 
esser quella una statua di qualche imperadore 
d^ Oriente, così dimostrano non essere di Ra- 
chi y o di quaich' altro re longobardo. Nel tante 
volte rammentato Codice Cavense , ove sono gli 
editti de^ longobardi re d' Italia , veggonsi alcuni 
ritratti miniati d^ alcuni di questi re j autori di 
quegli e(£tti, i quali ancorché malfatti, e se- 
condo le dipinture di que** tempi , sconci e gof* 
fi, nulladimanco ci rappresentano i volti con 
barba lunga , gli abiti lunghi con clamide e scet- 
tro, non già croce né pomo, e colla corona 
sul capo. Quindi non è fuor di ragione il cre- 
dere per vera V antichissima tradizione de' Bar- 
lettam , i quali la riputano statua d'Elraclio im- 
perador d' Oriente. 

Questi, dicono essi, per la divozione gran- 
dissima portata non pur da lui solo, ma da 
tutti gli altri imperadori suoi predecessori al- 
TArcangelo Michele , al cjuale eransi in Costan- 
tinopoli eretti tanti tempii ed altari , essendosi 
a' suoi di rendalo così celebre il santuario del 
monte Gargano e cotanto famoso , che tirava a 
sé la munificenza de' più potenti re della ter- 
ra j volle ancor egli mandare ad olferire a que- 
sto tempio molti doni . e fra gh altri la sua 
statua , acciorc Ile ai rrndesse eterna la memo- 
ria del culto che e' rendeva a quel Santo. Ag- 
giungono , che la nave la quale questi doni con- 
duceva , sbattuta neirAdriatioo da' venti e da 
procelle , fosse naufragata in quel mare vicino 
a' lidi dì Barletta , dove la statua giaciuta per 
lungo tempo nell^ acque, fossesi a lungo andare 




LIBRO QtHHTO 3g3 

poi scoverta , indi portata al lido , e propria- 
mente nel porto dì quella àttk , ove mezza fra- 
cassata ^cque ancora per altro lungo tempo j 
finalmente i BaHettani nell^anno 1491 l'avessero 
trasportata dentro la città , e collocata in qud 
luogo dove ora si vede. Certamente la barba 
rasa , Tabito greco e corto, la croce ed il pomo 
la dimostrano d* un qualche imperadore d'Orien- 
te : la fama , la tradizione, il viso , conforme a 
queUo che scrìvono , d' EracHo , il nome , an- 
corché corrotto, col quale fu sempre nomata 
da^ Barlettani , la fanno non senza ragione cre- 
dere che fosse di questo imperadore. 

( Gedreno , parlando d^' imperador Eraclio , 
narra che sebbene prima d'essere stalo innal- 
zato al trono si avesse fatta crescer la barba, 
nulladimanco, fatto inweradore, se la foce rado- 
re, siccome dice in Heraclii Anno J, quod Jm- 
perator factus , bttrbam raserit, quam abierit 
ante). 

L'opinione del MazzeOa 0» >1 qu^ credette 
questa statua essere delT imperadore Federico II, 
è cotanto falsa ed inetta, che sarebbe consu- 
mare inutilmente il tempo a convincerìa per ri- 
pugnante a tutta l'istona. 



<*> Umk-I. Dncf. del K«|bo Jì Nipull e tue Protia. 



. t 



'V 



394' 


IfTOAU Wn^ MOVO Dt MA90U 

4. 


. 


e A P IL 



JH Jsiot/o n di Longobardi; ma spad^iom 
: «4 /{(moina f e fine di quM esarcato. 

• ' " . ■ '- 

/ I Longobardi^ torto che Bachi ai foca mo- 

nacoy anstìtuirono nd ao|^ dd regno Aab^ 
ano frateUo: principe prode dì mano, e pia oi 
oQoaiflliOr il quale avendo poftato- il ano regno 
drulbmo perìodo dalla ^adeiia^ ^neato ateaao 
eaffic^ò la aua dedinasione e la mina de' Ijoq- 
gobardi in Italia. Mostra nel .{mncipio del ano 
-gotr^no aentimenti di moderaiiona. e di qoiete : 
con fe ruiA con Zaccaria la pace albi» ^otte alar 
bilita con Luitprando e con Bachi ano firutdloi 
ed accordò al medesimo tutte qndle condiiumi 
che co' suoi predecessóri erano alate pattate. 
Questo pontefice ^ dopo aver con Astolfo stabi* 
lita la pace^ e dopo aver cosi prosperamente 
composti gP interessi della sua sede^ uscì da 
questa mortai vita nell'anno 753. Pontefice, a 
cui molto debbe la Chiesa romana, che seppe 
far tanto per la di lei grandezza, e per 1 au- 
gumento della sua autorità. Egli lascio a' suoi 
successori fondamenti molto stabili e ben fer- 
mi . onde con facilità poterono da poi condurre 
la lor potenza in tutte le parti d Occidente a 
quella grandezza che finalmente si rendè a' prin- 
cipi sospetta ed a' popoli tremenda. 

Morto Zaccaria , u clero e popolo romano su- 
stituirono Stefano IL Ma questi non tenne più 
quella sede, che tre o quattro giorni ^ perocché 




LIBRO QUINTO 'Òg?ì 

oppresso da grave letargo per tre giorni conti- 
nui, nel (juarto rendè lo spirito. Tosto ne lu 
eletto tiii altro, aiiclie Stefano iioinato , il quale 
dagli antichi scrittori vien appellalo auclie U, 
non avendo ragione del suo predecessore, che 
morì senza esser consecrato; poiché in questi 
tempi relezione sola non dava il papato, ma la 
consecrazionej onde se alcuno eletto moriva in- 
nanzi dVsser consecrato, non era posto nel ca- 
talogo e numero de^ pontefìci. Così veggiamo, 
per tralasciar altri , die Ercherapeiio ed Ostien- 
se {*) chiamano questo Stefano, II, e non DI. Al 
presente però si tiene per articolo, contra quello 
che rantìuliilù Iia credulo, che per la sola ele- 
zione de' cartlinnii il papa liceva tutta l'anto- 
rità; e per ciò gU scrìttorì di queslì ultimi teinpì 
si sono tnivagliali per mcUer in numero ed m 
catalogo questo Stelano, laonde è lor convenuto 
mutare il tiunicro agli altri Stefani seguenti , chia- 
mando il secondo terzo, ed il terzo quarto, e 
così lino al nono, che lo dicono decimo, con 
molla confusione tra gli scrittoli vecchi e nuovi, 
nata solo per interesse dì sostenere questo ap* 
ticolo. 

Questo ponteGce assunto al trono, imitando 
i vestigi de^ suoi predecessori , mandò , dopo tre 
mesi del suo pontificato , legati ad Astolfo con 
molti doni, perchè con lui ristabilisse quella 

tace che già con Zaccaria aveva fermala. Astolfo 
I ratilìcù, e fu accordata per 4^ altr'anni. 
Ma questo principe, che non nudrìva neir«> 
nimo pensieri meno ambiziosi di quelli di Luib- 
praado, aveva fermata questa pace col papa^ 

<*) Enhmp. ipn^ PrHofr. n. H. Ortin, lib. j. sip. fl. 



y 



396 ISTORIA DSL RCGlfO DI IIAPOLI 

acciocché non potesse il medesimo frastornai^ 
gli i disegui che aveva di sottoporre al suo do^ 
minio Ravenna con tutto il resto dell^ esarcato 
che ancor era in mano de^ Greci ^ e che veniva 
governato dall^ esarca Eutichio. Avea egli per 
questa impresa, da che fu innalzato al trono , 
per lo spazio di due anni sótto altri colori unite 
tutte insieme le sue foi*ze, e rendatele più po^ 
derose che mai; e scorgendo che Costantino 
Copronìmo, il quale in questi tempi aveva as^ 
sunto per compagno al trono Lione suo figliuolo^ 
era distratto in altre imprese nella Grecia e net 
FAsia, e che punto non badava alle cose d^I- 
talia, uè volendo avrebbe potuto sì tosto soc- 
correrla ; si mosse in un sunito con tutte le sue 
forze contra Euticliio , ed a Ravenna capo del* 
r esarcato dirizzò il suo cammino , cingendo di 
stretto assedio quella imperiai città. Eutichio 
colto così all' improvviso^ mal potendo sostener 
r assalto^ ?iè a tanta forza resistere ^ gli con- 
vemio pertanto render la piazza, e con quella 
ogni speranza dì ricuperarla 5 jioichè lontano da 

3ualunqiie soccorso , e sprovcdiito di gente e di 
anaro, abbandonando ogni cosa, se ne ritornò 
in Grecia. Ad Astolfo, presa Ravenna, con fa- 
cilità si renderono tutto le altre città dell' esar- 
cato e di Penlapoli ; e trionfando de' suoi ne- 
mici , uni al suo regno l'esarcato di Hav(*nna, 
per cui tanto volte i suoi predecessori s'erano 
indarno affaticati, i quali ora perditori ^ ora vin- 
citori, mai non poterono interamente e stabil- 
mente unirlo alla lor corona , senza timore di 
perderlo, come fortunatamente accadde ad AsloU 
io ^ ed alla felicità delle su<^ armi. , 




LIBRO QUISTO 397 

Kccn il fiiu> (teircsan'iltu di Kaveiuia e del 
suo esarca: ina};istralo rlic per lo spazio di i63 
niiiii aveva Ì!i Italia iiiaiiU^nuta la potenza e Tau- 
torilìi dcM' intpcradori d'Oriente: line imcora del 
niat;};ior luslro <• spicu<iore di quella cìUìi, la 
quale da Onorio e da Valeiitiniano Augusti , pos- 
posta Hoiua, aveudo avuto l'onore d'esser per- 
petua sede degl' iniperadon e da poi degli esar- 
clii, acquali ubbidivano Ì duchi di Roma, di 
Napoli, e di tutte l'altre italiche città dell'im- 
perio, e clic i suoi vescovi contesero con quelli 
(li Roma islessa della maggioranza; ora ritolta 
da^ Longobanli a' Greci j nuitata fbrlmia , e ri- 
dotta in lonna di ducato, non fu da essi tral- 
lala da più che gli altii ducati mìnorì, onde il 
regno de Longobardi era composto: origine che 
fu della sua fatai ruina , e «lellu stato in cui oggi 
la ìeftgiiimo, Marqiinrdo Fr<!ero (") nella Crono- 
logia ch'ei lesse degli csarchi di Ravenna, da 
Longino primo esarca sotto Giustino li ìnfìno 
iiir ultimo che fu questo Luticliio, scrisse che 

Iuesto esarcalo rlurò 175 anni. Ma dal computo 
egli anni ch'e* mcdesnno ne fa, si vede che 
essendo, com* e<<li stesso dice, cominciato da 
Longino neiraniio ÙdS, e liuito in Ktitichio, 
dopo aver Astolfo pn>sa Ravenna secondo luì 
nell'anno ^Si, durò fesavcalo non già 17J, ma 
ben i83 anni, lì, secando coloro che parlano 
la caduta dì Ravcmia nell'almo 763, Irsan-alQ 
durò 184 aiiiii. 



(*^ Frrli. «pnd Ltiiiu'ljT. t. 1, Jnrì) CneccHlloniMi, 



l 



396 



ISTORIA DEL HXC:<0 1 



SpeMzion,' tlJtlolfo nel durato 



1 



Afitolfo dopo sì grande e gloriosa impresa 



1, niuiiicciava già di 
opra gli alili miseri 
tàiia all^ impcrador de' 
dell^ csarcalo di Ha- 
uto a tutte quelle ra- 
sarcalo , le quali erano 
ana aulorìtii sopra il 
) il resto, pretendeva 
« le città del ducato 
di Roma . nella 



ripieno d" elatissin.^ 
stendere il suo inij 
avanzi clie resUivai 
Greci. Egli impat 
veniia , credendosi 
gioui fhe porlava !, 
la muggioranxa e >- 
ducato di Roma e 
di dovere anche ui,, 
romano , e mollo pili la 
quale agi' imperadori d' Oriente , dopo T accordo 
fatto da Luitprando con Gregorio D , era li- 
maso ancor vestigio della loro superiorità , te- 
nendovi tuttavia i loro uiliciali. Minacciava per- 
tanto le terre del dominio della Chiesa e Roma 
stessa ; e rotti e violati i tanti trattati di pace 
stabiliti da lui e da' suoi predecessori co ro- 
mani pontefici , mosse il suo esercito verso 
Roma, ed avendo presa Nami, mandò legati 
al pontefice con aspre ambasciate , dicendogli 
che avrebbe saccheggiata Roma, e fatti pas- 
sare a fìl di spada tutti i Romnni , se non si 
fossero sottoposti al suo imperio . con pagar- 
gli ogni anno per tributo uno scudo per uo- 
mo (*). A sì terribile ambasciata tutto com- _ 
mosso il papa . tentò placarlo per una legazione 

O Sij!;on, »A A. -bt. 




UtRO QUINTO 399 

coapicua dì due celebri abati che fiorìvano in 
quel tempo. Gli spedi T abate di monte Casi- 
no , e T altro di S. Vincenzo a Volturno , e gli 
accompagnò con molti e preziosi doni , inca- 
ricando loro che proccurassero e con ragioni 
e con preghiere , rammentandogli la pace poco 

E rima Brmata , di persuaderìo a non romper- 
t, e voltare altrove -le sue armi (1). ^ 

Aveva il ponteGce fin dal principio delT ir- - ^ 

ruzione di Astolfo sopra Bavenna , prevedendo > ..^ 

questi malij fatto inleso Y imperador Costantino ,r' 

de' disegni de' Longobardi, e sollecitatelo a *^ 

mandare all^ esarca validi soccorsj per impe- 
dirgli. Ma Costantino volendo copnre la sua 
debolezza sotto il manto dell' autorìli , dando 
a sentire che questa sola bastasse per rìmo- 
vere i Longobardi datale impresa, mandò ^ in 
vece di eserciti , un gentiluomo' della sua ca- 
mera chiamato Giovanni Silenziario, con or- 
dine al papa di farlo accOBopagnare con sue 
. lettere ad Astolfo, per obbligalo a rendere ciò 
eh' egli aveva preso (a). Furono dal papa spe- 
diti non sdlo ^lere, ma legati ancora ad ac- 
compagnar Giovanni. Ma arrivali in Ravenna 
ove Astolfo dimorava , ed espostogU l' imba- 
sciata di restituire ciò ch'egli s' area preso, fu 
intesa da quel principe con riso, e tosto ne 
furono rimandati seuz alcun frutto , come boi 
potevano immaginare. Per la qual cosa s^in-' 
camminarono i legati del papa insieme con 
Giovanni a dirittura in Costantinopoli per sup- 
plicar di nuovo r imperadore in nome del papa 



4oO 15T0RIA DEL REGNO DI KAPOLl 

di Tenir egli stesso con poderosa armata in 
^ Italia per salvar Rpina ^ e gli altii avanzi ri- 
masi al suo imperio in ItaGa y che i Longo* 
bardi tentavano tuttavia di rapirgli. Ma Co- 
stantino eh' era intrigato in altre guerre, e che 
non badava ad altro che per un nuovo con* 
cilio y che in quest^ anno ^SS avea fatto unire 
di 338 vescovi ad abbattere le inunagini , non 
era in istato d' intraprendere altre brighe c(h 
Longobardi. Perciò vedendo Stefano che in vano 

^. si ricorreva a Copronimo ; il quale non pò- 

d te va ne meno difender sé stesso da' liOngo- 

^ bardi y e cK era molto lontano per protegger 

la sua chiesa 3 e che alP incontro Astolfo en« 
trato coli' esercito nel ducato romano, deva* 
stava tutto il paese, e minacciava stragi e ser< 
vitù a' Romani , se non si rendevano a lui 3 si 
risolse finalmente, ad esémpio di Zaccaria e 
de' due Gregorii , di ricorrere alla protezione 
della Francia , e d' implorare V aiuto di Pipino. 
Mandò nascostamente un suo messo in tran- 
cia , per cui espose a Pipino le sue angustie , 
e eh' egli desiderava venir di persona in Fran- 
cia , se gli mandasse legati . per potersi quivi 
condurre con sicurtà. Pipino non mancò subito 
di mandargli due de' pnmi ufficiali della sua 
corlC; Crodegando vescovo ed il duca Autcario , 
per condurlo in Francia. Giunti il vescovo ed 
il duca in Roma . ritrovarono che Y esercito 
de' liOngobardi . dopo avere presi tutti i ca- 
' stelli ne' contorni (li Roma^ era in procinto 



(*) AuaAtas. lor. rit. Ccinrns ab iinprrjali polfiilia iiuUiim 
ttse suhvcniendi aux il in ni. 




LIBBO QUiirro 4oi . 

d* iiiTestìr quella città ; e che ritornati i dot 
legati del papa con l' inviato dell' imperadors 
da Custantinopoli , niente altro avevau ripor- 
tato da costui , -se non un secondo ordine ti 
papa d* andar e^ in persona a ritrovar AstoUb 
per sollecitarlo a restituir Rarenna e le altra 
città da lui occupate. Non vi era alcuna appa- 
renza che questa andata potesse riuscir di prt^ 
fitto j e pure il pontefice volle ben ancora ub- 
bidire, per far l ultimo esperimento di poter 
piegar quel principe. Ma quando vide che al 
vento SI gittava ogni opera , e die Astolfo, il 
quale gli aveva insieme proibito di parlar^ 
d' alcuna restituzione , faceva tutti gli sforzi suoi 
per fermarìo, lasciossi finalmente condurre da^ 
ambasciadori di Pipino in Francia. 

Sii. 

Papa Stefait» in Fraiuin .- sttoi tramiti col re Pipi' 
no ; e éotuuione di questo prìneipe fatta alia Chìtitt 
romana di Pmtapolt e delP tsanaio di Ravtiuia 
lotto a* Longobardi. 

Giunto il pontefice in Francia , fu accoltb d* 
Pipino con ogni segno di slima e dì vener»> 
zione : T adorò come pontefice e padre della 
cristianità , e gU rendè i maggiori onori che si 
potessero rendere a^ più potpnti re d^a terra. 
Espose Stefano i suoi bisogni al re , e X angu- 
stie nelle quali i Longobardi Tavean ridotto j 
dimandogli il suo aiutu e protezione , ofTereu- 
dosi air incontro d'' impiegar tutta T autorità 
della sede apostolica jn suo vantaggio. Allora 
Pipino, affinchè si rendesse più venerando a^ suoi 
CiAiOroiiz , Fot. li. 26 



if03 ISTORIA DEL RE(i?(0 DI KAPOLI 

SDiidili , e ptr umggiormcute stabilire Ìl ("egno 
di Francia nella sua persona e nella sua pu- 
^lenUl , vollv clie Stefano colle sub mani lo 
conseerasse re , ed insieme che i- duo suoi fi- 
gliuoli Carlo e CarloiDaiino ricevessero pari> 
uieule da lui l' unzione sacra , siccome segui 
nella cliiesa di S. Dionigi (i). All' iut-ontro Pi- 

fino , olire ad assicurarlo che avrebbe frenato 
wriliie de' Longobardi , e fattigli restituire i 
luoghi occupati nel ducato romano , gli promise 
ancora eh' egli avrebbe scacciato Astolfo dal- 
l' esarcato di Bavenna e da PentapoU, e tolti 
al Longobardo questi Stali, gli avrebbe nou 
già restituiti all' imperio greco a cui s' appar- 
tenevano , ma donati a S. Pietra ed al sua 
vicario, Stefano lodò la magnanima oflèrla che 
si faceva con tanta profusione dell'alimi roba, 
esagerandola ancora come molto profittevole 
per la salute della sua anima * onde da Pipino 
ne iù stipulata e giurata la promessa della do- 
nazione , facendola firmare auclie da^suoi fi- 
gliuoli CaHo e Carlomanno. 

Questa pronlcssa di futura donazione, nel 
caso fosse riuscito a Pipino di scacciare i Lon- 
gobardi dair esarcato e dd Fentapoli , non ab- 
bracciava che questi Stati, Lione Ostiense (a) 
conlii.se ciò che Anastasio BibUotccario avea 
scritto della donazione fatta poi da Cario M. 
a papa Adriano , Con questa promessa di Pi- 
pino a papa Slelano. Anastasio narra (3) che 



. 8, Pì|iiiii'ni , e> rfuus lìM» 




unito QUINTO 4"^ 

Gildo M. coitfermù e pose ili efièUo ciò che. 
Pipiitp suo padre area promesso^ auzi che ac- 
crebbe la patema doDuziouBj e dìge clie da 
Cario con nuovo istromento furoao donate a 
S. Pietro ed al suo vicario molte città e tw- 
rìtorìi d^ ItaUa per designati confini , incomin- 
ciando da Luni cittÀ della Toscana , posta i^* 
coufiiù (leQa LigiHÌa , con 1' isola dì Corsica , 
e calando nel Sorano e nd monte Bordona 
abbracciava Vercetri , Parma j Reggio , Mao- 
tova e Monselicc ; ed insieme tutto Y esarcata 
tU Haveiioa, siccome fìi atiticamente, colle Pro- 
vincie di Venezia e d^ Istria; e tutta il ducato 
^oletauo e beneventano. Lione (i> (come it- 
T«tì anche T abate della Noce (2) \ patianda 
nel capo 8 della donazione di Pijiiao ^ si serva 
di queste istesse parole d'Anastasio che rìgtuuw 
dauo la donazione di Carlo suo figliuolo; a 
^ando poi nel capo i a tratta de^ fatti di Cuv 
lo, e di questa sua donazione , oaa Dumwaa 
come Anastasio , ì luoghi e le cìtUi ; ma eot«D 
se Culo iton avesse fatto idtro che aolamenté 
eonf^mare qudla di Pipino , col supposto chft 
quella abbracciasse tutti qoe' htoebi da iui net 
r 8 capo descritti, dice che Cario bona oc tibenti 
animo oliam donadonis promissionem i/isiat: 
prioiis descFÌbi praecepiL Ma cbe cpjesta do- 
nazione di Pipino non abbracciasse altro du> 
PentapoU e V esarcato di Elaveuna, ,che (^nan 
togliersi ad, Astolfo, si conosce cliiara daU*e0»< 
cuzione che ne fu fatta dall' istessa Pipino , 




4o4 ISTORIA DEL HEG^fO DI NAPOLI 

quando, come diremo, calato in Italia, e tol- 
tigli ili Longobardo, ne fece dono alla sede 
apostolica , scrivendo 1' istcsso Lione [*; die 
Pipino simul ciiin praefatù Romario Ponf/fice 
Italiani veniens et Jiavcnnam, et viginti alias 
cmtates supratticto Aistitljiy abstuUl, et sub 
jurv JnnsU " di'git. 

Si e Inci ialia Cronaca del tno- 

nsHtprc 'isola di Pescara, rhe 

01 iprei ì sesto tomo deirila- 

lia ra ( e narrandosi quest' i- 

ato ' [efaiio con Pipino, si 

1 ;cacciato Astolfo e li- 

beri cernii con Tenti altre città 

a S. tro. Q questo autore favella 

della donazione di t.arlo, dice che questo prin- 
cipe restitiiit Beato Petra qitae pater ejm de- 
tierat et Desiderius ahìtitìerat , .idiìeks etiatn 
Ducatum Spoletanum et Beneventamim , ec. Ma 

Stianto sia vero ciò die Anastasio narra deJla 
onazìone dì Carlo M., volendo che abbracciasse 
la Corsica, il ducato di Spoleto, il Beneventa- 
no, le Venezie, l'Istria, e Unti altri luogbi non 
mai presi né posseduti da Carlo , lu vedremo 
più innanzi, quando di quella ci tornerà occa- 
sione tli tàvelfare. 

Accordati che furono questi trattati tra Ste- 
fano e Pipino, questi, essendo il papa rimaso 
in Francia presso di lui , immant3;ifente inter- 
pose i più-^eiTorosi uffici con Astolfo, perchè 
restituisse i luoghi occupati^ e gli repUcò ben 
tre volte. Ma nulla giovando uè preghiere n& 



LIBRO QUIETO /^oS 

minacele, finalmente stimolato dal papa, sì rì- 
solvette di marciare con tutte le Bue truppe, in 
Italia contro di lui, e seguitato da Stefano, sfor- 
zando il passo delle Alpi, fiigù Tesercito d'A- 
stolfo che se gli opponeva, e l'incalzò siiio alle 
porte di Pa^na, dove assediollo, costringendolo - 
finalmente a dure condizioni, con obbligarlo, 
ricevuti innanzi gli ostaggi , a promettere di 
rendere le terre della Cbiesa da lui occupate 
nel ducato ^mano : gli tolse Ravenna con venti 
altre città, ed inquest^anno 7 54 le aggiunse al 
dominio di S. Pietro (i) e prestamente in Fran- 
cia si restituì, e papa Stefano in Roma. 

Ma non fu così tosto ritornato Pipino in Fran- 
cia, cbe Astolfo poco curandosi degli ostaggi 
che aveva dati in mano di Pipino, rompendo 
tutti i giuramenti da lui fatti, venne con tutte 
le forze del suo regno a piantar T assedio in- 
nanzi a Roma , dopo aver dato un terrìbil gua- 
sto ne' contomi. Allora Stefano vedendosi ri- 
dotto all'tdtima estremila, ebbe ricorso al suo 
protettore nella maniera più forte e compassio- 
nevole che potesse mai farsi. Gli scrìsse quelle 
tre lettere che ci re^no ancora (2) , le più vee- 
menti e le più sommesse che si possano im- 
maginare j e con esempio nuovo le scrìsse sotto' 
nome di S. Pietro a dui erasi fatta la donazio- 
ne , indrìzzandole al re , a' di lui due figliuo- 
li, ed a tutti gli ord^ della Francia, di que- 
sto tenore : Petrus vocatus Jpostoìus a je'su 



(1) tf» 0«i. 1. 1. 1. 8. It*Tniniun, rt lig'mti «W «tUit» m- 
pntfliclo Aiitdifo abitalit, et *ub \an Kpatiotitme Stdit rcdrgìl. 
<i} Baron. «d k, jiS. M tota. (i. Caorii. tàh. Piri<. 




4o6 ISTORIA DEL REGSO DI KAPOLI 

Christo Dei t)ivi ftlio , ec. Viris excelieniissì- 
mis Vaino, Carolo et Carolomanno trihus Fe~ 
s, ec, dove introducendo cjiicsto Aposlnlo a 
panargli così: E^ Petrus jlpostolu.s liiun a Chri- 
sto, 'fi vhifiUo, vocattis stun supcmue clcimn- 
tiae tt ' ' ' ' rve in (jiielln di lutti i 

niù ;ss»Ti a parte di Dio, percliè 

iuvi.on ikrinirnli, sarà alienato 

regn dalla viXa eterna, mo- 

TG lo tilt ù allo a scuolt-rt* un 

«10 n 

• bastalo per obbligar 
a prima le amii. Aveva 

I ^aati pc alla prima novella 

Tenutagli de' movimenti aAstolfo: e con quelle 
incamminatosi di nuovo verso Italia, nippc Te- 
sercìto d'Astolfo , die aveva voluto contrastare 
a^Franzesi il passaggio delle Alpi; ed avendo- 
gli minacciata T estrema sua rovina, se durasse 
neir impresa , obbligò Astolfo a levar l' assedio 
da Boma già tre mesi durato, e di buttarsi den- 
tro Pavia col resto delle sue truppe. 

Intanto Costantino Copronimo avvisato dì que- 
sti tratLiti avuti sopra i suoi Stati fra Stefano 
e Pipino, e die Astolfo cedeva 1' esarcato dì Ra- 
venna a Pipino per daHo al papa, mandò to- 
sto due ambasciadori al re Pipino perchè glielo 
restituisse, come appartenente all'imperio. Inte- 
sero questi a Marsiglia , dov' erano venuti da 
Roma con un legato del papa , di aver già Pi- 
pino passale l'Alpi, e sconfìtto T esercito de' 

(*) Vili. Frali. cliiChiinrtoin.l. Ilist. Franr. p»%- ;o5. Pt ^m, 
A!mT.ini.. de Parid. Latmneiih rap. io. 




UBfto QDitrro 407 

Longobardi; {wrciò Funo de' due pìgliaiido più 
vdocemente innanzi il cammino, mentre ìaU 
tro tratteneva il legato, si portò sollecitamente 
, appresso il re Kpino^ che non era molto lon^ 
taao da Pavia nel procinto d^ assediarla. 

Fu Pambasciadore tosto introdotto alTudienx* 
del re, nella quale dopo aver esaltato Pipino per 
ie due TÌttone da hu riportate sopra 1 Longt^ 
bardi, nemici comuni dell'imperio^ ddla Fmn* 
eia, e commoidate altamente le gloriose sue geata^ 
espose in nome del sdo principe l'ambasciata (*): 
esageri» , T esarcato essere senxa alcun dubbio 
dell imperio, usurpatogli da Astolfo, il quale pi* 
diava tutte T occasioni d' ingrandirsi a' danni ' 
de* suoi vicini, mentre il suo principe facevil 
la guerra a' Saraceni: che poiché il re F aveva 
ritolto dalle mani di questo usurpatore, era giu- 
sto che rimettesse anche nelle mani dell'' impi^ 
radore ciò ch'era suo: che finalmente il papa 
era sno suddito , e che lasciandolo godere tran- 
quillamente quanto gli era stato dato dagFim- 
peradori e d!a' privati per mantener la sua di- 
gnità, non sarebbe cosa giusta- di' egli usurpasse 
ancora le terre del suo sovrano : essere del re* 
sto G>stantino, il quale in questo non diman» 
dava altro che la giustizia , prontissimo a pra- 
ticarla anch' egh dal suo canto : e che p<Mchi 
il re aveva già &itte grandi spese in questa jgcar- 
ra, gli oiFeriva in riiacimeiito tutto quello bh'^ 
g^i avrebbe potuto desiderare' da un iniperadone 
ugualmente liberale e riconoscente. 



D Ana"l> In Vili Strph. II. 




' j^oS ISTOntA DEL RKGNO DI NAPOLI 

Pipino j a cui non giunse nuova questa im' 
basciata , e die aveva preveduto cÌo che do- 
vrelibe l'ambasci attore dimandarglij umanamente 
gli ri )ose: appartenere T esarcato al vincitor de' 
Loi bardi , i quali 1' avevano jiire belli con- 
quiaidto, come aveano latto anche i loro pre- 
aecesson a rte d' Italia sopra gli 

impei ■ medesimamente cosa 

nota ■ e di que' popoli , in- 

d( IV- tar religione, s" erano 

i« così presupponendo 
o ae 1 e) quale non era luogo 

cu uu are Ho de' Frarizesi i quali 

avevaiiu allie sopra i Romani « 

Vestrogou, ci« curo del suo proprio; 

poicliè egli aveva costretto Astolfo per via delle 
armi a cederf^li I" esarcalo, del quale andava a 
mettersi in possesso per la medesima via; che 
poi essendone padrone, n'avea potuto disporre 
a suo arbitrio e volontà (i). Ea aveva trovato 
espediente di dame il dominio al papa, perclii 
in quello la fede cattolica, violata per tante in- 
fami eresie <le\ Greci , si mantenesse intera , e 
Tambizioue ed avarizia de' Longobardi non l'oc- 
cupasse ; per le quali considerazioni egli aveva 
prese V armi contra coloro che opprìmevan la 
Chiesa <a) : che per tutti i teson del mondo 
non avrebbe mutata risoluzione , e che man- 
terrebbe contra tutti il papa e la Chiesa nel 
possesso di tutto ciò elisegli aveva loro donaUx 

Bimandato pertanto, senza voler sentir altra 




»RO QUI KTO 409 

replica, su Fora Tauibascùdore, andò a por l'as- 
sedio innanzi Pavia, e la striAse così forte, di« 
Astolfo ridotto a non poter più resistere, ta co* 
stretto a dimandargli la pace , la quale ottenne 
a condizione che mettesse pront^imente in es»- 
dizione il trattato dell'anno precedente, e re- 
stituisse le città dell'* esarcato j ddl' Emilia .oggji 
detta Romagna, e delia FentapoU, die diciamo 
Marca d^Ancona (i), nelle mam di Fulrado abate 
di S. Dionigi, da Pipino destinato suo commes> 
tasio. Gò che fìi eseguito prontamente j impe- 
rocché destinati anche da Astolfo i commessa- 
rìi, Fulrado avendo latto uscire dall'esarcato e 
dagli albi luoghi tutti ì Longobardi, e ricevuli 



instrumentata con tutte le solennità e forme ne- 
cessarie, e ch'egli aveva fatta anche sottoscri- 
vere da' due suoi figliuoli Carlo e Càrlomanno, 
e da' primi baroni e prelati della Francia. L'e- 
sarcato, se dee prestarsi fede al Sigonio (a), 
abbracciava le città difiavcnna, Bologna, Imo- 
la, Faenza, Forlimpopoli, Forlì, Cesena, Bob- 
bio, Ferrara, Comacchìo^ Adria, Cervia e Sec- 
chia. Tutte fiirono coiisignate al papa, eccetto 
die Faenza e Ferrara. 

Pentapoli, ovvero Marca d'Ancona, compren- 
deva Annulli, Pesaro, Conca, Fano, Siniga- 
^ia, Ancona, Osimo, Umana {ora disfatta), 
Jesi, Fossombrone , Monfeltro,*IJrbino, il ter- 
rìtono Babensc, Ca^, Luceolo e Gubìo c<hi 



fi) AnMt. I. r. Leo Oitinu. I. 1. & 8. 
fa) Sipin. ad Ana. 755. 



4lO tSTOBIA 1>EL nEGItO 01 MAPOLI 

li cJisteUi e territorii nppartenciilì alle modesiiufi, 
come appare dal privilegio di Lijiiovico Pio, 
col qoilf vien confermalfl mitsU donaeioDe dì 
Pipino: della x-erità del ijiiiiV si parfem a suo 
luoffo. 

Il poiilefice, ricco dì tante cìllfi e dominii, 
all' arcivescovo di Ravenna comniÌBC V ammi- 
nistrazione dell'esarcato; ond'è che alcuni scris' 
sero che gli arcivescovi di quella cittA s'intito- 
lavano anche esarchi, non già conie arcivescovi j 
ma come ulTìciali del papa, già principe tempo- 
rale. Ecco per dove i papi hanno cominciato 
a divenir potenti signori in ItaUa, congiuiigeiido 
al sacerdozio il principato, e lo scettro alle chia- 
vi. Perocché la donazione di Costantino M, par- 
licolarmpme intomo a ciò che riguarda Roma 
e r Italia j per quel che si disse nel secondo li- 
bro di questa Istoria, e per ciò che ì più dotd 
istorici, giureconsulti e teologi tengono per in- 
dubitabile, fu grossamente finta da un solenne 
impostore del decimo secolo; o, come Pietro 
di Marca, motto prima ne' tempi di Adriano e 
di Cario Magno. Né quantunque sì volesse sup- 
ponere per vera , ebbe ella alcun effetto , es- 
sendosi veduto che grimperadori, e gli alu-i 
re stranieri che a coloro succedettono, ne fii-' 
rono da quel tempo sempre padroni. Né i 
papi vi pretendevano altro , che quegli patri- 
moniì che vi possedevano per munificenza di 
ntcun principe o privato, per la loro sussistenza 
donatigli, come si disse, e sicome appmito ten- 
gono oggi gli altri ecclesiastici ì loro negli al- 
tri Stati per tutta la cristianità. Pipino vera- 
mente fu quegli, da poi che i papi s'ebbero 




LIBRO QDtyro 4ll 

aperte bÌ opportune vìe per rendereene uen> 
teroli, che dalla faasser.za dPuna fortuna A m» 
diocre gK arricchì delle spòglie de^ re longo> 
bardi e de^ imperadorì greci , donando loro 
città e Provincie. Oic se voglia il vero oonfes^ 
sarsi, Al delle medealme Uberalissimo, c(»ne so< 
gU(mo essere tutti coloro che niente del proprio, 
ina deH* altrui profondono. Queste spettavano m 
verità a Gostsotino imperador d'Oriente; e- se 
vogBa dirsi giusta questa donazione, dovea es* . 
aer'&tta non da Pipino, ma da Costantino ^ 
di cui erano', onde perciò alcuni (*) scrissero 
che questa donaùofie fosse stata fatta sotto 
nome di Costantino, e quindi esser nata la fa- 
vola della donazione di Costantino M. Da que* 
Bto tempo cessarono i pontefici nelle loro epi* 
atole e diplomi di notare gli anni pussimonun 
jiugujtorum , come prima facerana Assicurati 
che furono del patrocinio de* Franzesi , scos" 
aero ogni ubbidienza aeF imperadorì d'Oriente, 
né vollero esser riputati più loro sudditi. Ma 
ali* incontro questa grandezza de' pontefici ro* 
mani riuscì a Pipino tanto profittevole , che 
portò al suo figliuolo Cario, che gli succede, 
non pur il regno ,d' Italia , discacciandone i Lon* 
gobimji, ma l'imperio d'Occidente, che il papa 
volle far risorgere nella persona di Cerio, coma 
nel seguente libro diremo. 

1 Franzesi , oltre a voler essere riputati autori 
d^b grandezza e del dominio temporale della 
sede apostolica (ciò che non può loro con- 
trastarsi), s' avansanò più, con dire che di tutte 






4 13 ISTORU DKL RBCXO DI J(*Pf>LI 

quesU' cillà da Pipino alla Clik-sa (ioiiate, 
avessero i papi il solo doittinio uti1f> ( siccome 
il Sigoiiio ia pili luoghi disila sua Islorìa nou 
nntè negarlo), rimanendo In sovTanità appresso 
ano , e gli altri re di Francia suoi succes- 
80I essendo cois manilpRia, essi dicono, che 
i [■pnH.enli v' ebbero la sovrana 

at if itavaao in quasi tutta 

r liana. o tempo da poi, die 

, i pontetii oro irò sovi'aiii di quelle 

Provincie, i Roma , non per la 

pretesa cessioni lorador Carlo il Calvo 

fece de^ suoi •ni e preoiincnze , ma 

per la decadeu «rio f da che fu U- 

luitato e racchiusa i a Alemagna, in quella 

maniera appunto che tanti altn pni\cipi d'Italia 
possedooo al di d' oggi legittimamente la so- 
vranità eh* essi si hanno acquistata sopra TOc- 
cidente. 

Pietro di Marca (*) fa vedere come e su quali 
fondamenti a poco a poco i pontefici romani 
a lop trassero la sovranità sopra Roma: ciò che 
non fu certamente in questi tempi. Egli dice, 
che ceduto che fu da Pipino Tesarcato di Ra- 
Temia al romano pontefice, per ragion del me- 
desimo appartenevasi anche a lui la sopranten- 
deuza ed u governo di Roma , non altrimente 
che s'apparteneva all'esarca di Ravenna, sotto 
il quale erano posti tutti i ducati de' Greci , 
e quello di Roma ancora : la sovranità s' appar- 
teneva agi' imperadori di Oriente, T amministra- 
zione agh esarchi; quin(U i romani pontefici coma 

O P' <V Mura I. 3. (. ii, non. ]. it. tt it. 



LIBBO QUINTO 4'^ 

esarclii la pretesero. Ma creati Pipino e Carlo 
Maglio patnzi di Roma , importando '1 patri- 
ziato T aver cura di quella città ^ si videro in* 
sieme il papa e 1 patrìzio, prendere il governo 
di quella ^ siccome s' osservò nella persona tli 
papa Adriano e di Carlo Magno. Essendo poi 
morto Adiìano, ed in suo luogo creato Lione ili, 

resti lasciò a Carlo Finterà amministrazione ,. 
quale da patrìzio innalzato alla dignità d' ìhh 
peradore j essendo con ciò passata anche m 
Cario la sovranità di Roma, i pontefici più non 
s* intrigarono nel governo di quella : iiismo che 
decadendo pian piano V autorità aegl' impera*- 
dòri successori di Carlo in Italia , finalmente^ 
Cario il Calvo non si fosse ndl^ anno Sj6 spo- 
gliato d^ ogni sua ragione y cedendo alla seda 
apostolica la sovranità di Roma ed ogni suo 
diritto. Quindi è che Costantino Porfii*ogenito {*) 
descrivendo i Temi d^Europa^^e lo stato iU 
quella del suo secolo intomo ali anno gio, dica 
cne Roma si teneva da^ romani pontefici iure 
domimi. Quindi cominciò il costume ne^ /liplomi 
di notarsi gli anni de^ romani pontefici^ quando 
prima ciò era de' soli principi ed impìéradorì. 
L' abatq Giovanni VignoU ne' nosUi ultimi 
tempi ^ cioè nell'anno 1709, ha dato in luce 
un libretto intitolato: Atùiquiores Pontificum 
Romanomm Derumi ^ ove contro a questa opi^ 
nione che tengono i Franzesi, si sforza dimo« 
strare che il senato e popolo romano , àofo 



(•) Const. Por. de Themit. I. a. Tli. X. Roma Rpgiiim de- 
potiiit Principattini, etpropriam adinÌDÌAtralio1iem ac jiirii»dietio* 
nein obtinuit, eiqac propnf dominatur quidam suo U^mpore Papa. 



^i{ uroniA U£t. AK::(i> di i«apoli 

ii\et» scossa il giogo degl' imperadori d'Orieu* 
te, si tbs^e sottoposto a! romani pontefici, ri- 
conoscendogli come loro sovrani ; e clie uod 
puie il dominio utile rìteiuiera di Roma , ma 
uitcUe il supremo. Pretende ricavarlo dalle mo- 
nete clm si trovano de' poJilefici; e quantuncpie 
vo »ie tbssefo più antiche, niiUadimaaco riguar- 
dandosi sola quelle che ancora si veggono, (pie- 
sto cojuiutnano da Adriutio I, e furono conti- 
niiate a battere da Tjoi» UI, e dagli fdtri suo» 
aiiccessori. Ed ancorché alcune d'esse, comò 
i^uelle di Lione Ut e d' altri romani pooletìci , 
portassero aiicl>e ilnoinAdegriiuperadari, come 
di Carlo M., di Lodovico, dì Ottone e d'altri 
(tantoché per qnest' iatesso si diede occasione 
a Le-]^anc francese di compone un tniltalo col 
titolo di Disieriashno istoricn sopra alcune 
Monete dì Caio M.» di Lodovico Pio e di Lo^ 
itaio , e de laro ntccessori , battute ti» Roma f 
«on le quali vie» confutata t' opinione di coloro 
che pretèndono che <nie6ti prìncipi non abbiano 
mai avuto in Roma alcuna autontà, se non coi 
consentimento de' papi > ; contattotàit il detto 
«hate VignoU si atudia cUmostrare che molte 

, monete de' papi non ebbero il nome degl'ini- 
peradori^ come luia di Gin. VHI, la quale à 
solamente segnata del tH]me di questo ponte&< 
ce. Che che ne sia, l'opera di Le-filanc fa ve- 

~ dere quanto poco sicura sia l' opinione del Vi- 
gnoh, e molto più fondata quelui de' Fraozesi 



uno QiriiiTo ^ 4*3 



Lrgei itAs'.ol/o , « flirt morir. 

Aslolfo ìntauto, aucprchò da sì slrane scossa 
«battuto, non restava pei-ù dì volger ì peoaierì 
alla ccuiservasJone del suo regna E^ non avoTA 
mancato per nu^ve leggi riordinarlo, a^tu-r 
geudone altre a quelle de' suoi preaecessorì, ' 
e vaiìandole ancora, secondochè stimava più 
utile ed opportuno a' suoi tempi, Avendo per 
tanto in Pavia ne) quinto anno dd suo regno 
convocati da varie parti i principali signon e 
nmgisti-ati -del suo regno, seguendo gli esempi 
de' suoi predecessori, promulgò un editto nel 

3aale molte leggi stabilì. Pure abbiamo quest'e- 
ittp d'Astolfo nel Codice Cavense per intera^ 
che contiene ventidue capitoli: il pnmo comin- 
cia : Donationes ilite tjuce fiictee sunt a Hackis 
Bege et Tassia comit^. L^ ultimo ha per tito- 
lo : Si quis in servitaan cujuscumqiie prò bona 
voUtTitate introìerit. Alcune di queste leggi ìl 
compilatore del volume delle leggi longobarde 
le inserì in quc' libri. Tre se ne leggono nel 
primo libro: una sotto il tit t/é Scandalis, fal- 
tra sotto il tìL de Exercìtalibus , ed un' akra 
sotto quello de Iure mulìerum : quindici nel 
lib. 3: una sotto il Ut. 4; un'altra sotto quello 
de Successionibus , altra sotto il tit. de ummis 
volunt , un* altra sotto il tit ao , due sotto il 
tit. de Manumissìombus , due altre sotto quello 
de PrtEscriptionibus , e sette sotto il tit. Qua* 
lìter quis se defendere deb. £ nel lib. 3 ancor 



4l6 ISTORlJl DEL REGNO DI NAPOLI 

te ue legge mia sotto il tit. io ch^ è P ultima 
de^ re longobardi; poiché Desiderio suo suc- 
cessore^ e nel quale s^ estinse il regno ^ passando 
ne^ Franzesi^ applicato a cure più travagliose^ 
non potò d^ altre leggi fornir questo regno ^ che 
infehcemente ebbe a lasciare. 

Ma mentre questo principe j d(^ aver per 
dura necessità restituito F esarcato e tante al* 
tre città ^ è tutto intento a meditar nuovi dise- 
gni per vendicarsi dell^oppressione de^ Franzesi . 
e di riordinar nuovamente la guerra y essendosi 
un giorno portato alla caccia y spinto da un ci- 
gnale j ovvero y com^ altri rapportano y casual- 
mente sbalzato da cavallo^ o^ come dice Elr- 
chemperto 0, percosso da una saetta ^ il caso 
fo per lui cotanto fatale, che in pocm giorni 
rendè lo spirito <» lasciando in questi' anno 756 
il regno pieno di calamità e di sospetti y non 
«vendo ed sé lasciata prole alcuna. 



CAPO III. 

H ducato napoletano, la Calabria , il Bruzio, 

ed alcune altre città marittime di queste no* 

stre Provincie si mantengono sotto la jede 

ilelT imperadore Costantino^ e di Lione suo 

Jìgliuolo. 

Grandi che fossero state le scosse che gP im- 
peradori d'Oriente ebbero in Italia, il ducato 



O Erclirmpert. I. r. n. 4. A«tulphus post haco, in ▼fuatione 
MgUU prrcuscui, bmiìiiiis est. 



LIBRO QUIRTO 4' 7 

napoletano^ che allora, stendendo più oltre i 
suoi confini, abbracciava anche Amalfi j il du* 
cato di Gaeta . quasi tutta la Calabria e 1 Bru» 
zio rimaser fermi e costanti neir ubbidienza 
de' loro antichi prìncipi. Perduto F esarcato^ e 
tutto ciò che in Italia ubbidiva all^ imperio gre- 
co, non per ciò mancò il dominio degUimpe^ 
radon d' Oriente in queste nostre parti. I 5fa- 

1)oletani si mantenevano sotto Y ubbidienza de^ 
oro duchi / chiamati ancora maestri di soldati , 
siccome sotto gP imperadori d' Oriente erano 
appellati i duchi 0- Questi era un magistrato 
greco che da CostantinopoU soleva destinarsi. 
Fuwi in questo secolo uell^anno 723 Elsilarato. 
Fawi Teodoro nell'anno 780, di cui questa città 
serba anche vestigio, portandosi egu per fon- 
datore della chiesa de' SS. Pietro e Paolo,' ora 
disfatta, siccome dimostrava la lapide che prima 
ivi si leggeva, ed oggi nella chiesa di Donna- 
romata. Fuwi intomo a questi tempi , dopo la 
morte d'Astolfo, Stefano, il quale avendo per 
dodici anni governato con tanta prudenza il 
ducato di NapoU , morta sua moglie , fu anche 
fatto . vescovo di questa città. 

Nel tempo che Teodoro reggeva Napoli in qua- 
Utà di duca, avendo Fimperador Co^^taiitino 
nell'anno 7647 come si disse, fatto convocare 
un conciUo in CostantinopoU di 338 vescovi, 
questi stabilirono in quel concilio un decreto 
contro F adorazione delle immagini. Costantino 



(") P. Carac* de Sacr. Ecol. Neap. moniim. e. 3o. scet. a. 
Vedi Pcllegrioo di questi Maestri de* soldati , diss. 5. de Fin, 
Due. BeneT. ; T Abate della Nóce in ootis ad Chron. Cassin. 1. a. 
e. 56. 

GuHJCoiiK, F^ol. //, 2J 



AiB ISTORIA DEL RECKO DI IfAFOtl 

e Lioi V- SUO lìgliiiolo associalo all' imperio fe- 
cero per mezzo de' loro edilli valere il decreto 
per tutto Oriente j ed impieguiouo anche la 
forza per 1' osservanza di quello. Tentarono an- 
clie di farlo valere in Occidente , donde nacquero 
que' disordini e rivolle clic si sono vcdulc. Iten- 



Jerousi per ciò pu, 
contese , e a' ina 
savano allora tra 
dori d'Oriente. 

Jiapa Steiaiio , il i. 
L Questi j non 
era odioso agi' 
s' erano impegna 
concilio anche u 
altri luoelii che ancor rims 



■d irreconciliabili ì 
1 riniinicizie die pas- 
i foiniiui e eV impera- 
icsl'anno ^a^ morto 
: per successore Pao- 
i i suoi predecessori, 
I d'Oriente, i quali 
ere il decreto di quel 
uaptdetauo , e negli 
ano in queste pro- 



vincia' sotto la loro ubbidienza. I Napoletani 
ancorché avversi ad eseguirlo , come quelb che 
erano piìi di tulli gli altri popoh d'Italia attac- 
cati ali adorazione delle immagini, nulladimanco, 
perchè ciò nou s' imputasse a loro disubbidien- 
za , proccuravano in tutto il limanenle mostrarsi 
lutto riverenti ed esatti in aderire al volere e 
potestà de' loro signori. Laonde essendo in questi 
. Icmpi accaduta la morto de! lor vescovo Calvo , 
ed essendo sialo dal pontefice ordinato Paolo 
diacono deUa chiesa di JSapoli, suo molto amico 
e familiare , ripu{;nava 1' ini[>eradore , per esser 
cosini aderente al papa, che fosse ncevuto in 
quella chiesa , come quegli che avrebbe in Na- 
poli latti riuscir vani i suoi disegni di far ri- 
cevere il decreto del concilio (h Costantincpo- 
li. I Napoletani adeiirono in ciò al volere del 
loro imperadore e de' Greci . ed impedirono 




LIBKO QDIHTO 419 

perciò Tandata di Paolo ia.Roma per farsi coa- 
secrare.dal papa. Scorsi nove mesi, Paolo di 
nascosto andò in Roma, ed il papa immaote- 
iiente lo consecrò. Ma tornato a Napoli , uarra 
GìoTanni diacono nella Cronaca de vescovi di 
questa città, che i Napoletani suoi cittadini, 
per V aderenza che avcano co' Greci , uou Io 
vollero ricevere dentro ia città, ma tenuto fra 
di loro consiglio , lo maudoroiio fuori , nella 
chiosa di S. Gennaro, pusta non molto lontani 
dalla città ^ dove slette per lo spazio di quasi 
due anni ; non mancando intanto cosi il clero 
come il popolo universalmente d' ubbidirlo ed 
averlo come lor pastore , disponendo egli senza 
oslacolo delle cose della cliiesa , e facendo ivi 
tutte le funzioni pontificali. luUnto i nobili , 
scorgendo che per l' assenza di un tanto lor 
pastore ia città languiva, si risolsero tutti final- 
mente d' introdurlo nella città, e con molta 
letizia e celebrità andarono a prenderlo, e T in- 
trodussero nel vescovato, dove, dopo aver go- 
velnata la sua chiesa per due altri anni, fii^ i 
giorni suoi. Si scusarono essi coli' imperadore, 
allegando di non potei-e maggiormente soffrire 
4a vedovanza della cliiesa. 

Per la morte di Paolo Ì Napoletani elessero 
nell^ anno 764 ristesse duca Stefano per lor 
vescovo. Questi aucorchè eletto vescovo non. 
lasciò il ducato , ma lo^ governò insieme con 
Cesario suo figliuolo , che l'assunse per suo col- 
lega. Cesario premorì all'infelice padre ; onde 
Stefano continuò solo il governo fin al 789, 
anno della sua morte. Teofilatto gh succeoeUe 
nel duéato. Costui era suo genero , come que- 
gli che s'flvea sposata Etq)ra3sia sua figline^. 




420 ISTORIA. DEL REGNO DI NAPOLI 

ed avealo aticlie, dopo Cesario, fatto suo col- 
li!ga ; onde morto Stefano , restò egli solo cou- 
8oie e duca. A TeoGla.tto .succedette nei fine 
di questo secolo Antimo (i), di cui sì narra 
che nel tempo del suo consolato avesse cosliiitta 
in Napoli la chiesa di S. Paolo Apostolo , ed il 
— I — ,i„' ^^ g Giulilta. Questi fo- 



monastero de' a; 
rono i duchi e) 
il ducato nandl 
te, a' "" »! 

soli. con I 

anche consoli, 
quel di' io ne s 
la cagione. 
H nome di c( 



1 quest'ottavo secolo 
' iiiiperadori d' Orien- 
ìo anche nomati con- 
Sapoli si chiamassero 
nostri scrittori , per 
e curiositi di sajjei-ne 

;!! imperadori romam 
e da poi dagl'imperadori d'Oriente Icnuto in 
tanto pregio , e del quale essi s'adornavano , ne- 
grultimi anni dell'imperio greco fu da costoro 
disprezzato , e finalmente affatto tralasciato. II 
vedere che di quello valevansi anche i principi 
da essi riputati barbari ed usurpatori dell' im- 
perio, gliele fece deporre. Carlo M. , per mo- 
strare esser egli succeduto a tulle le ragioni e 
preminenze degli antichi imperadori d'Occiden- 
te , ne' suoi titoli se ne fregiava. Il simile fecero 
tutti gli altri imperadori franzesi suoi successori. 
Al costoro esempio lo stesso fecero gì' impera- 
dori italiani, Berengario duca di Friuli, e Guido 
duca di Spoleti (2). In fine sino i Saraceni, da 
poi ch'ebbero conquistata la Spagna, ad esem~ 
pio degl'-imperadorl di CostanliuopoU , voUorq 



(I) Di Aniimf. V. Chine. Hf' Vmc, Dan. p. -fi. 
la) P. P.gi de CoMulib. |>. 370. 



LIBRO QUINTO 4^1 

pure chiamarsi consoli. Abderamo re de^ Sara- 
cèni in Ispagna^ che comiaciò à regnare in Cor- 
dova neU^ anno 8^ i y Maomat suo figliuolo e 
successore nel regno ^ secondo che ce n^ ac- 
certano l'opere di S. Eulogio (i), ne^ loro di- 
plonii notavano non meno gU anni del loro 
imperio , che del consolato. Anzi nel nono se- 
colo della Chiesa y siccome nelT Oriente grim- 
peradorì creavano altri consoU oporarii^ cosi 
1 re saraceni lion solo se medesimi y ma anche 
i principaU magistrati del loro regno chiama- 
vano consoU (2). Quindi nacque che secondo 
il fas^o de' Greci y questi non potendo còmpor- ' 
tare che titolo sì spezioso fosse usurpato da 
nazioni straniere e barbare, si proccurò arv'i- 
Urlo y e davanlo a^ loro magistrati y ancorché di 
non molto eminente grado , insino che essi poi, 
secondo die prova V accuratissimo Pagi (3) y 
intoruQ r anno gSS non lo deponessero affatto ; 
donde avvenne che un' ombra ed immagine di 
quella dignità e titolo rimanesse in molti loro 
ufficiali, e si vedesse così diffuso in tanti or- 
dini, anche di persone private. 

I Saraceni solevano dar questo nome agU am- 
miragU di mare j onde poi avvenne che coloro 
ch'erano preposti agli emporìi ed a' porti, si 
chiamarono consoli ; e Codmo (4) , iPacmmere (5) 
e Gregora (6) osservano che i magistrali de' 

Pisani e degli Anconitani che dimoravano in 

.■ • 

(1) S. Ealog. in Memoriali Sanctortim t. s* r. ,t. 
' (^^ Ealo^. L a. e. 6. 

(3) P. Pagi dfì Consalib. p* 370. 

(4) Codio, e. 7. n. 9. 

(.^ Prrhymerw 1. V. r. ^^, 
<0) Grei^oras I. 4» - 



I * 



433 I^TOHIA lÌEL AEOIIO DI HAPOLl 

Costantìhopdr, !^n chinznati copsolL - Qaindi ff 

conisolatp ^oi mare; e quindi negli autori della 

bassa etìk 3 rapportati nel GJossario di Dufrèsnie^ 

^esto nome lo vediamo sparso ùeUc comiinità. 

' tra^ gìiudtci e vani ordini Of, persona ^ìnsibo u^ 

àrte^nL Non dee dunque senìbrar cosà nuova 

ft in questo ottavo secolo ìì nome^di console * 

proprio degFimperadorì, e prima cotanto. lUu- 

. atre e rinomato^ si senta ,ìielle persone de^ du« 

: chi di Napoli y nìfficìafi eh' erano delP impìerio 

. grecò, al quale quesito ducato ubbidiva. 



C A P O IV. 
Di Desiderio ultìmo re de tsOi^jB^àréi 

Per la mòrte d'Astolfo^ ncm, avendo di aè 
lasciata prole ^ e Bachi suo fratello ancorché vi«- 
VO; essendosi fatto monaco^ rimase il regno va- 
cante. Desiderio duca di Toscana, che Astolfo 
oltre ad avergli dato questo ducato , P avea an- 
cora fatto contestabile del regno, non trascurò 
r occasione, coWoti de^suoi Longobardi tosca- 
ni, di farsi proclamare re. Bachi avendo ciò 
inteso, ne arse di sdegno, e diede in tali ec- 
cessi, che in tutti i conti voleva uscir dal mo- 
nastero, e rinunciando al monacato, ritornare 
al regno; liè mancò chi qiiesta sua risoluzione 
favorisse , e proccurasse ai farla venire ad ef- 
fetto. Ma Desiderio essendo ricorso a Stefano 
pontefice romano, a chi offerse in ricompensa 
Faenza , Gavello e Ferrara , città che non 







LIBRO QUIRTO , ^2^ 

erano state restituite da Astolfo, se in questa 
congiuntura l'aiutasse^ seppe far taìito questo 
papa con Bachi, che finalmente lo fece quie- 
tare, e deporre que^ suoi pensieri d'uscire dal 
monastero, ed in premio della sua mediazione 
ricevè da Desiderio le città promessegli; e poco 
dopo avere stabilito nel regno Desiderio , fini 
Stefano i giorni suoi a' a6 d'aprile di quest'an- 
no ^57. Pontefice a cui la Chiesa romana dee 
molto pili che a' suoi predecessori , che seppe 
ampliana di sì belle città e Stati, e che lasaò 
le fortune della medesima in tanta pròspniti^ 
cbe i suoi successori non mancarono d'appro- 
fittarsene, come fece Paolo che gli successe, e 
dopo lui un altro Stefano; ma molto più Adria- 
no, cbe ridusse per trattati arati con Cario M. 
la sua potenza in più alto grado, come di qui 
a poco vedremo. 

Desiderio dopo due anni del suo regno volle^ 
ad esempio de' suoi predecessori, iftsumere'per 
collega Àdelgiso suo figliuolo; ma non passò 
guari cbe sospettando il pontefice Stefano IO, 
osta IV, il quale a Paolo succedette, de' di lui 
andamenti , e credendo ogni sua mossa in pre* 
giudizio de' proprii Stati, cominciarono i soliti 
sospetti e le consuete gelosie fra di loro. Final- 
mente ruppero in aperta discordia, poiché avendo 
il re Desiderio fatto conferire l'arcivescovado di 
Ravenna ad uii certo chiamato Michele suo fe^ 
dele e domestico, Stefano lo fece scacciare da 
quella sede. Il re per vendicarsene fece cavar 
gli occhi a Cristofano ed a Sergio mandati dal 
papa in Pavia per domandare le facoltà che ap- 
partenevano alla Oitesa di Boma; e.prevedeliao 

GiAHsoHK, f<rf. II. 37 • 



4^4 ISTORIA DEL RECSO DI flAPOLI 

dov« jvrebbero dovute andare a torininar que- 
ste icordie, proccurava di congimigersi siret- 
tfl le co' Fraiiaesi , perchè non cosi ^ oleii- 
essero questi a' continui inviti de' pontefici 
lio. Era in questi tempi giìt morto Pipino, 
noi ftgbuoli Carlo e Cartomanno avendosi 



i 



?ntaao i 

sue fi: il 

ptescntito , seri 

Jueste nozze, i 
!arlomanno , t 
fiero, anathem. 



sebbene concordi io 
icuza gf4osia re^nava- 
sun Hicurezaa strìnger 
principi, ofTerendocIì 
i. Stefano avendo ciò 
eaente, per distornar 
urte ietterà a Carlo e 
loro, ile t' a e consentisi 
n, et. twtenti ciun dia- 



bolo incrndii poctiam ( ). Ma non o.sUuUe i suoi 
sforzi, si sposarono felicemente le due sorelle 
figliuole ambedue del re Desiderio, il quale seppe 
così bene impegnar Bertrada madre di Carlo e 
Cartomanno*, che per impulso ddla medesima 
si conchiusero i matrìmonii. Il dispiacere dd 
pontefice non fu minore del contento* di Desi- 
derio , il quale credeva in cotal maniera avergli 
clùusa ogni strada di soccorsi. Ma questa al- 
leanza non durò guarì, poiché non mancarono 
modi dì far sì che Carlo ripudiasse la princi- 
pessa sua sposa, sotto pretesto d'esserle sco- 
verta un'infermità che la rendeva inabile d'aver 
figliuoh. Né alla stranezza del fatto manc& il 
presidio e rautorìlà della legge, perché furono 
presti molti vescovi a dichiarar il matrìinonio 
nullo , ed a permettere che Carìo l' anno seguente 



t*) Tom. 6. Conc. eoi, i 




Lino <ii)tirTO 4^^ 

■i «posaaM Ildegarda di Sveria.. Si accese po' 
qiM!8to rìpudìo d' ira e di sdegno il re Deaide- 
no'y ed essendo accaduta poco tempo da prà 
la morte di Caiiomaono, la regina Berta rimasa 
vedova con due figliuoli, temendo di non star 
aicttra in Francia , e che Cario non ioddiasso 
k vita de' suoi nepoti, come aveva loro tolto 
il regno , andò precipitosamente a gettarsi 60* 
figliuoli tra le braccia di Desiderio suo padre, 
il quale ricevè dì buon animo questa occasione 
per potersi -aa giorno vendicar di Cario che 
gli '' aveva poco innanzi rimandata la figliuola. 

Tentò Desiderio, postiai in mano i figliuoli 
di Carlomaniio, di lonilar un potente partito, 
e di mettere la Francia in divisione e 8COi>< 
certo , perchè occupata ne* proprii mali non 
potesse pensar alle cose d^ Italia, Era intanto,' 
morto Stefano, stato eletto nel '^•^3 Adriano I, 
fl quale sul principio del suo pontificato trattò 
eoa Desideno dì pace, e tra loro fermarono 
convenzione di non dÌ8turi>ar8Ì l'un coli* altro. 
Perciò jpesiderio credendo che jquesto nuovo 
pontefice fosse di contrari! sentimenti de* suoi 
predecessori, pensò, per meglio agevolar i suoi 
disegni, d' indurlo a consccrare i due figliuoli 
di Carlomanno per re. Impiegò quanto potè 
e quanto seppe con preghiere e promesse per 
obDlìgario di venire ad ìmgere questi due prin- 
cipini, 'ed a fargli riconoscere per re di Fran- 
cia. Ddr esempio di Pipino e de* suoi fieliutJi 
erasi già pian piano introdotta tra* principi 
cristiani la cerimonia della consecranione , M 
quale appresso ì popoli era riputata come una 
marca e nota cui principato , e che quelli i 



4^6 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

quali fossero stali uDti^ dovessero riputarsi 
per re giusti e legittimi^ ed esser da tolti 
conosciuti per tali. Ma Adriano che intema- 
mente covava le medesime massime de' aooi 
predecessori , e che non meno di coIoto aveva 
per sospetta la potenza de^ Longobardi in Ita- 
lia^ non volle a patto alcuno disgustarsi il re 
Carlo f ed a* continui impulsi che gli dava De- 
siderio j fu sempre immobile. Onde questi ade» 
guato y e finalmente perduta ógni pauenasa j 
credendo colla forca ottener qudlo a che le 
preghiere non erano arrivate , invase T esarcato , 
ed in un tratto avendo presa Ferrare, Cornac- 
chio e Faenza ; designò, portar F assedio a Ra« 
venna. Adriano non mancava per legisti di pla^ 
cariO| e di tentare per mezzo degh stessi la 
restituzione di quelle città ; né Desiderio si 



rebbe mostrato renitente a fario. purché il 

Ì>ontcfice fosse venuto da lui j desiaerando par- 
argli e seco trattar della pace. Ma Adriano , 
rifmtaiKlo F inrito ed ogni ufficio j si ostinò a 
non voler mai comparirgli avanti^ se prima 
non seguiva la restituzione delle piazze occu- 
pate. Cosi cominciavano pian piano i pontefici 
romani a niegare a^ re d Italia que* rispetti e 
quegli onori che prima i loro predecessori non 
isdegnavano di prestare. Desiderio irritato mag- 
giormente per queste superbe maniere di Adria- 
no, comandò subitamente che il suo esercita 
marciasse in Pentapoli, ove fece devastar Si- 
nigaglia , Urbino , e molte altre città del Patri- 
monio di S. Pietro sino a' contorni di Roma. 
Questo fu che accelerò il corso della fatai mina 
dc^ Longobardi, perchè Adriano non mancò 



LISRO QClIfTO 4^7 

tosto di ricorrere in Francia , e dimandar lion 
pure soccorsi da Cariò, ma invitar questo prìn- 
cipe ali* acquisto del regno d' Italia j e perchè 
tenevan i Longobardi chiuse tutte le strade di 
terra, specUgli per mare un legato a sollecitar 
la sua venuta. 

Non mancò Desiderio all^ incontro , subito 
che fu avvisato di questo ricorso , di mostrare 
al re Carlo V inclinazione eh' egli diceva di aver 
tenuto sempre alla pace con Adriano , alta-? 
mente dolendosi della costui durezza, che avendo - 
egli offerta la pace e dimandato di parlargli, 
aveva ricusato di fallo. Né cessava in oltre 
con lettere a varii principi , e con pubblici 
manifesti dìfeiidersi dall' accuse d'Adriano , il 
quale lo pubblicava appo i Franzesi per di- 
stniltor della Toscana, per barbaro, inumano, 
fiero , crudele , dipingendolo reo di molti de- 
litti j tanto che per purgarsene si trpvò Desi- 
derio nella necessità di spedir legati a Cario 
in Francia , ed assicurarìo eh' egU avrebbe fer- 
mata ogni pace col papa , e reudutogli ciò 
eh' e' poteva da Ini pretendere. 

Ma Carlo , che non aspettava altro che sì 
beUa opportunità di vendicarsi di Desiderio , 
il quale con tenere in suo potere i suoi nepoti, 
tentava dividergH il regno , e' che non poteva 
aspettar miglior occasione per discacciar d'Ita- 
lia i Longobardi, ricevè con incredibii con- 
tentezza r invito fattogli da Adriano. Egli t«v- 
vava'sì allora ( per le tante vittorie riportate in 
Aquitania ed in Sassonia ) tulio glorioso e for- . 
midabile in Tionvilla su le sponde della 
sella. QmJn ricevè il legato del papa, • l" 




438 jISTOnU DEI, BBGWO m VkPOU 

insieme udienza agli ambasciadori di Deside- 
rio da' quali subito disbrigatosi , con riman- 
dargli indietro senza niente concliludere , ac- 
cettò con sommo piacer suo la proposta de! 
pontefice , e tosto ponendosi alla testa d' un 
poderoso esercito , sforzò il passo dell'jUpi in 
1 _ I 1_: .. jg^zi que' Longobardi 



due luoghi, t; 
che lo direndf-- 
Desiderio 
. in persona 
incalzata da yjs 
cito disfatto e 
solsc di difci 
Carlo non man 
diaria , e fra t; 
sforzò Veroiiii 
ritirato Àdalgì 



ie accorse aneli' egli 
.to per impedirlo; ma 
grosso del suo eser- 
a ritirarsi ^ onde ri- 
'avia j ove si chiuse, 
dì strettamente asse- 
na parte delle truppe 
di'Ulro della qiial città erasi 

_„ , per difenderla , insieme con 

Berta ed i due suoi figliuoh. Quando questo 
prìncipe ridesi stretto , disperando della for- 
tuna ai suo padre , e di poter difendere quella 
piazza, se ne fuggi, prima che ella cadesse 
in poter di Carlo ; e dopo esser andato lungo 
tempo ramingo , vedendo finalmente che tutto 
" era perduto per li Longobardi, salvossi per 
mare in Costantiuopnh , ove fu dall' imperador 
Lione figliuolo di Copronimo con molto pia^ 
cere ricevuto sotto la sua protezione. Que di 
Verona subito che videro uscir Adalgiso dalla 
piazza , si diedero in poter di Carlo , il quale 
presa Berta co' suoi figliuoli, tosto gli mandò 
in Francia , senza che siasi potuto saper da 
poi ciò che seguisse di questi due infelici prìn- 
cipi , de' quali non s' è mai più sentito parlare. 
Tutte r altre città de' Longobardi , sovvertite 



LIBRO QUIUTO 4^9 

{)er opera e macchinazione del pontefice, da 
oro stesse renderousi a Carlo. Kestava Pavia 
solamente , la quale difesa da Desiderio si mau- 
tcneva ancor in fede. 

Cario , cinta cb'ebbe Pavia di stretto asse- 
dio , volle passar in Roma alle feste di Pasqua 
dell' anno 7^4- ^^ eccessi d' allegrezza che 
mostrò Adriano , gli onori clie gli fliron fatti 
da' Romani e dal clero, guidando ogni cosa, 
il pontefìce , furono incredibiti. Fu salutato re 
di Trancia e de' Longobardi insieme, e patri* 
zio romano , incontrato un miglio fuori delle 
porte di Roma da tutta la nobiltà e magistrati.' 
e dal clero in lunghi ordini distinto con cróci 
ed inni ricevuto. Dopo eli applausi, e le feste, 
si venne a ciò che più importava. Fu tosto. 
' dal papà ricercato Cario a confermur le dona- 
zioni di Pipino suo padre , che aveva fatte alla 
Chiesa di Roma. Non volle costui esser molto 
pregato a confermarie , come fece di buona 
vogua , e facendone stipulare nuovo strumento 
per mano di Eterìo suo notaio , sottoscritto 
da lui , da tutti i vescovi ed abati, da' ducliij 
e da tutti que' Grandi eh' eran seco venuti , 
super Altare B. Petri manu propria posuit, 
come dice l'Ostiense (*). 

Anastasio Bibliotecario , come si è detto , 
motto ingrandisce questa donazione di Cario. 
Oltre all'esarcato di Ravenna e Pentapoli, ri 
aggiunge r isola di Corsica, tutto quel!' ampio 
paese che da Luni , calando nel Sorano e nel 
monte Bordone , abbraccia Vercetri , Parma , 
Reggio , Mantova e MonseUce , le. provìncie di 



43o ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI 

Venezia e d' Istria , ed i ducati di Spoleli e 
di Benevento. La Crouiica del monastero di 
S. Clemente narra che Carlo aggiunse alla do- 
iiuzioiie dì Pipino solamente questi due ducati. 
Sigonio poi e gli altri più modcnii scrittori, 
di ciò non ben soddisfatti , aggiungono il ter- 



tra r Umbria ed il 
mia , e della Cjiiipagua 
(') , ciù che dee re- 
to aucli'cgii da' vaua- 
colanto ingrandiscono 
ignilìcar in conseguenza 
aggiunge tutta la Cam- 
loli, gu ApruKzi e la 
' con ciò r origine delle 
iive-stiliuv. Altri 



rilorio , Sabiii 
Lazio, parte 
ancora. Pietro 
.oar pili marat 
gloriosi Fran 
questa donaz 
la liberalità I 
pagna, e co.. 
Puglia ancora, 
nostre papali 
anche la Sassonia da Carlo allora soggiogata | 
di più , che facesse anche dono di provincie 
non sue, e che non acquistò giammai, cioè 
della Sardegna e della Sicilia ; e che sopra tutte 
queste provincie e ducati s' avesse egh sola- 
mente riserbata la sovranità. Ma e gli antichi 
annali di Francia , e la sene delle cose se- 
guenti , ed il non averci potuto T archivio del 
Vaticano dare T istromcuto di questa donazio- 
ne, dal quale n'escono tanti altri d' inferior 
dignità, dimostrano per favolosi tutti questi 
racconti, e convincono che Carlo non fece al- 
tro che confermare la donazione di Pipino del- 
l'esarcato e di Peutapoli. Ed intanto alcuni 
scrissero che l'avesse anche accresciuta, per- 
chè molti luoghi deQ' esarcato e di Pentapoti 
che da' Longobardi erano stati occupati , in- 



C) P. Ae Marr» Hi- Conc«rd. Sue. et Imp. I. S. e. i 




LIBRO QlII>TO 4^1 

sieme co' patrìmonii che ia Chiesa romana posse- 
deva nfl ducato di Spolctì e iti quello di Bene- 
vento^ nella Toscana , nella Campagna ed altrove, 
eli' erano stati parimente occupali da' Longo- 
bardi j fece egli restituire. Ed in questi seusi 
l'aolo Emilio (*} e gli altri autori dissero che 
Carlo non solo avesse confermati i doni di Pi- 
pino suo padre, ma anclie accresciuti. Ciò che 
si con%ince manifestamente dall' istoria delle 
cose seguite appresso ; poiché Callo sotto il 
nome del regno d' Italia si ritenne, la Liguria , ' 
la Corsica , Emilia , le proviiicie di Venezia e 
deU' Alpi Cozzie , Piemonte ed il Geiiovesato, 
che avea tolti a' Longobardi, e fatti passare' 
sotto la sua dominazione : uè si legge <^"^ que- 
sta par^ d' Italia fosse stata mai posseduta 
da' pontefÌLÌ romani. 

Molto più cliiaro ciò si mamfesta dal ve- 
dersi elle que' tre famosi ducali , del Friuli , 
di Spoleti ed il nostro • di Benevento , mai non 
fiirono posseduti da' romani ponteGci; come nel 
seguente libro di questa Istoria si conoscerà 
chiaramente : cioè che questi tre ducati ebbero 
i loro duchi, né Carlo vi pretendeva altro, che , 
quella sovranità che v' avevano avuti i re Lon- 
;obardi suoi predecesscn : anzi i nostri duchi 
li Benevento scossero affatto il giogo, e si 
sottrassero totalmente da lui , negandogli qua- 
lunque ubbidienza , e vissero l'beri ed ìndepen- 
denti. Né la città di Benevento, se non molti 
e molti amii appresso, fu cambiata colla chiesa 
dì Bam'^erga , e conceduta alla sede di Bomaj 

O P«ul. JEmìì. Rer. Frane, p. i«. 



l" 




433 ISTORIA DEL REGRO DI HÀPOLr 

ma non già il suo ducato, che fu sempre pos- 
seduto da' nostri principi. 

Dali' aver Carlo fatti restituire i patriiuoiiii 
che la Ciiiesa roaiana possedeva nell Alpi Coz- 
zie , ne' ducati di Spoleti e di Benevento , nac- 
que r errore di quegli scrittori , i quali con- 



dell'Alpi CoKzie colla 
di Benevento col du- 
no che Carlo donù» a 
quella provincia. Cosi 
uirìano si legge de* du- 
levento donati a S. Pie* 
in di questi patrinionii 
uè quando l' iroperador 
I e F altro Ottone re di 



fondendo il [ 
provincia, il r> 
calo benevei 
S. Pietro que' 
ciò che nell' e 
cati di Spolp' 
,tro , non d' 
' si dee intendei 
Lodovico Pio , 
Germania confermarono a Pascjuale I ed a Gio- 
vainii XH i patriiuonii beneventano , salernitano 
e napolet^ino , siccome anche fece l' imperador 
Errico IV a Pasquale li non altro intesero se non 
di quelle terre e possessioni die la Cliiesa ro- 
mana , come patrimonio di S, Pietro , possedeva 
in queste provincie , che anche i nostri antichi 
chiamarono justUias Ecclesiae (a). Solo dunque 

<a) -Nil diploma della fonfirma a sia precetto /alio da Ot- 
tone M. al poiilefict nel gfia , rapportato dal Baronia an. 963, 
n. 3 . tspnssamtntt ciò si legge m quelle parole : Siculi fi p«- 
ti-imoDiiim Bfnetdilanum rt palrìmonium NFapoliUnum ci p»> 
trimunlum Calabriae superiori! (t iufrrioris. De Civitale aut«a 
Nrapolilana ciim ciutcllis et terriloriii rt finibui et intulij luit 
■ibi prrtincntibiii, licut ad fssdem irauirrre yìdcatur; nec .non 
patrimoDÌum Siciliar', li Deus nosrrì» illud ItadiderK manibui; 
tiniili mudo civi'tatriD Cajctaiii et fundum cucn oiiinibui rorutu 
pn'linentìit ec. Binio in Nolii ad Cune. Lairran. .\. ina. n. 7, 
Conci), par. 1. fol. 544. rapporta un roiisimiU prereito dell' im- 
perador Errico IV fatto a Pasquale II, owe pur li legge ; Ju- 
rrjurando lìrmaiit de Anoitolici iptitis vita et hounre , de inrm- 
brÌ9 , de niala eaplionc, de rrgalibui; ri i ani patrimoni is B. Pelrì, 
et noininatiin de Aputia, CaUhiia , Sicilia Capuaaoque PrincH 
|ialu factii Sacnmnitii, 






LiB&o QUiirro 4^3 

Pesarcato di Raveuna, PentapoU ed alcuni luo- 
ghi del ducato romano passarono nel dominio 
della Chiesa di Roma , nserbandosl il re Carlo 
la sovranità. Anzi in Roma stessa e nel ducato 
romano eran ancora in quelli tempi rimasi ve- 
stigi della dominazione degl'imperadorì d^Orìen- 
te, i quali tuttoché deboh vi tenevano tuttavia 
i loro ufficiali , ed erano ancora riconosciuti 
per sovrani , ìnsìno che a' tempi di Lione HI 
successor d'Adriano non si pose il popolo ro- 
mano sotto la fede e soggezione da re Carlo, 
che vollero anche da patrìzio innalzare ad im- 
perador romano. Niente dico dell' Isole di Sici- 
lia e di Sardegna non mai da Cario conquistate, 
le quali 5iron lungamente possedute dagl'im- 
peradorì greci , infiuchè i saraceni non gliele 
rapirono. 

Cario adunque, dopo aver in colai guisa sod- 
dbfatto il papa ed ì Romani , fece ritorno al 
campo appresso Pavia ; né restandogli altra im- 

{)resa, clie di ridurre quella città sotto la dì 
ui ubbidienza , pose ogni sforzo per impadro- 
nirsene, perchè quella presa, essendo capo del 
regno, non restasse altra speranza a' Longo- 
bardi di ristabilirsi nelle città perdute. La strinse 
perciò più strettamente , e togliendole ogni adito 
di potOT esser soccorsa ; Desiderio che sin al- 
l'estremo proccurò difeuderla, essendo la gente 
aflUtta non men dalla fame che dalla peste , 
che tutta la consumava ; finalmente m quest'an- 
no 774 f" costretto di render la piazza, se 
stesso, sua moglie e i di lui figliuoli alla discre- 
zione dì Cario, che fatUgli condurre tutti in 



434 UTOftià DEL EIGSIO W HAPbLl 

Frfocia^ fimroiui quivi i gionii loro in Cor- 
beia^ seniA che. piai di loro 8Ì fosse inteso più 
parlare. Così Carlo in una. seda calnp|&gna ai 
-rendè padrone deD% maggior parte d^ luBa^ nui 
non già di quelle provincie oùd^wa si compone 
il nostro regno ^ non del ducato beneventano , 
oè di quel di Ixapoli^ né delTaltré. città ddSà 
Calabria e de^ Bruzi , che lungamente . ai miaoi-* 
tennero sotto la dominazione degP ìmpecadori 
d^ Oriente y come vedremo nel seguente libro. 
Elcco come cominciarono i romani pontefici 
' a trasferire i regni da gente in gente. Quindi 
avvemie che calcandosi con maggior espertessa 
e desterìtk le medesime pedate da^ loro .> am^ 
cessorì, 'si rendessero a^ prìncipi trttnèndi; i 
quaU per avergli . amici , poco curando là so» 
vranità de^ ioro Stati e la propria dignità y ébg* 
gettàvansi loro insino a rendersi ligi e tribù- 
tari! ' di quella sede. Ecco ancora il fine del 
regno de' Longobardi in Italia : regno ancorché 
nel suo principio aspro ed incolto ^ pure si rendè 
da poi così placido e cullo ^ che per lo spazio 
di ducenlo anni che durò y pollava imìdia a 
tutte Y altre nazioni. Assuefatta f Italia alla do- 
minazione dc^ suoi re y non più come stranieri 
gli riconobbe y ma come principi suoi naturali; 

f)oicliò essi non aveano altii regni o Stati col- 
ocati altrcve^ ma loro proprio paese era già 
fatta r Italia y la quale per ciò non poteva dirsi 
sena e dominat;i da straniere genti ^ come fu ve* 
(luta poi^ allorché sottoposta con deplorabiU e 
spessi cambiafmenti a vaiie nazioni y pianse lun* 
gament^ la sua servitù. Questa era veramente 



UBKO QUINTO 4^5 

Cosa maravigliosa ^ dice Paolo Wariiefiido , 
e con esso lui P abate di ^esperga. che nel 
regno de' Longobardi non si faceva alcuna vio*. 
lenza y non sortiva tradimento, ne ingiustamente 
si spogliava o angariava alcuno : non eran ru- 
berie j non ladronecci . e ciascuno 3enza paura 
andava sicuro dove gli piaceva. I pontefici ro- 
mani y e sopra tutti Adriano y che mal potevano 
sofferirgli nell' Italia . come quelli che cercavano 
di rompere tutti i loro disegni, gU dipinsero 
al mondo per crudeli , inumani e barbari : quindi 
avvenne che presso alla gente e agU scrittori 
dell' età seguenti acquistassero fama d' incolti e 
di crudch. Ma le leggi loro cotanto saggie e 
giuste y che scampate dall' ingiuria del tempo 
ancor oggi si leggono , potramio esser bastanti 
documenti della loro umanità , giustizia e pru* 
denza civile. Avvenne a quelle appunto ciò che 
accadde alle léggi romane. Ruinato F imperio, 
non per questo mancò Y autorità e la forza di 
quelle ne' nuovi dominii inEuropa stabiliti: rovi* 
nato il regno de' Longobardi, non per questo 
in Italia le loro leggi vennero meno. 



CAPO V. 

Le^ de* Longobardi ritenute in Italia , ancora 
che da quella ne fossero stati scacciati : lora 
giustizia e saviezza. 

Le leggi de' Longobardi se vorranno Confe- 
rirsi colle leggi romane, il paragone certamente 

O P. Warn. Hbt. Long. Ub. 3. e. 6. 



43G ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI 

sarà indegno ) ma se vorremo pareggiarle con 
Quelle deÌT altre nazioni che dopo lo scadimento 
delIMmperio signoreggiarono in Europa^ sopra 
P altre tutte si renderanno ragguardevoli; cosi 
se si considera la prudenza e i modi che usa- 
vano in istabilirle^ come la loro utilità e giu- 
stizia j e finalmente il giudicio de^ più gravi e 
saggi scrittori che le commendarono. U modo 
che tennero ^ e la somma prudenza e maturità 
che praticai*ono i re quando volevano stabilirle , 
merita ogni lode e commendazione. Essi^ come 
s'è veduto, convocavano prima in Pavia gli 
ordini del regno , cioè i nobili e^ magistrati; 
poiché Perdine ecclesiastico non era da essi co- 
nosciuto , ne avea luogo nelle pubbliche deli- 
berazioni, e né meno la plebe, la quale, come 
disse Cesare parlando de Galli, nulli adhihe^ 
hatur Consilio, Si esammava quivi con matu- 
rità e discussione ciò che pareva più ghisto ed 
utile da stabilire j e quello sttibilito , era poi 
pubblicato da' loro re negli editti. Maniera, se- 
condo il sentimento di Ugon Grozio (*), forse 
migliore di quella che tennero gP imperadori 
stessi romani , le cui leggi dipendendo dalla 
sola volontà loro, soggetta a Aarii inganni e sug- 
gestioni, cagionarono tant' incostanza e varia- 
zione , che del solo Giustiniano vediamo in mia 
stessa cosa aver tre e quattro volte mutato e 
variato parere e sentenza. Presso a' Longobar- 
di, prima di pubblicarsi le leggi per mezzo de* 
loro editti , erano dagli ordini del regno ben 
esaminate e discusse 5 onde ne seguivano più co- 
modi. 11 primo, che non v'era timore di potersi 

<*) Dp:^ GroL in Prolrpom. ad Hisl. (lol. pag. (»3. ri scq. 



libro' quinto 4^7 

stabilire cosa nociva al ben pubblico, quando 
y^ erano tanti occl\i e tanti savii , a^ quali non 
poteva esser nascosto il danno che n^ avesse pp^ 
tuto nascere. Il secondo y cW era da tutti con 
pronto animo osservato ciò che piacque al co^ 
mun consentimenlo di stabilire. E' per ultimo, 
che non cosi facilmente eran soggette a variar- 
si, se non quando una causa urgentissima il 
ricercasse; come abbiam veduto essersi fatto 
da que^ re che dopo Rotari successero , i quali 
se non facto periculo j e dopo lunga esperienza, 
conoscendo alcune leggi de* loro predecessori 
alquanto dure ed aspre, e non ben conformarsi 
a^ loro tempi renduti più docili e culti , le va^* 
rìavano e mutavano col consiglio degli ordini, 
n qual si prudente e saggio costume lodò an^ 
che e commendò presso a^ Sueoni, popoli del 
Settentrione, quella pnidente e saggia donna Bri- 
gida , a cui oggi rendiamo noi gli onori che non 
si danno se non a^ Santi. 

Se si voglia poi riguardare la loro giustizia 
ed utilità, e pnma di ogni altro le leggi acco- 
modate agU affari e negozi de^ privati, ed alla 
loro sicurità e custodia , come sono i matrimo- 
nii, le tutele, i contratti, le alienazioni, i testa- 
menti , le successioni ab intestato, la sicurezza 
del possesso, non potremo riputarle se non tutte 
utili e prudenti. 

Per u matrimonii molte provide leggi s^ am- 
mirano nel libro secondo di quel volume (* ). L'in- 
genuo non s' accoppiava con la hbertina , né il 
nobile coUMgnobìle ; quindi essendo i re collo- 
cati sopra la condizione di tutti , quelli morti , 

O U* Longob. I. a. tft. 4* ^ ^* 7* ^> 9* 



438 ISTORIA DEL REGlfO DI ìilPOLI 

le loro vedove noti si collocavan poi con altri, 
se non eran di regal dignità decorati. Ma Giu- 
sliuiitno prese Teodora dalla scena con gran vi- 
tuperio del principalo. Quelli che non eran nati 
da giuste nozze, non si creavano cavalieri, non 
eran auimcssi al magistrato , anzi né meno a 
render testimònijin " profuse donazioni tra' 
mariti e mogli e te. Pnidentissima fa 

perciò la legge dj indo , colla quale fii 

■ posto freno al dr utino , che solevaii i 

mariti fare alle m aitino dopo la prima 

notte del loro ce ,ento, che i Longo- 

bardi chiamavano gap (i). Solevaii so- 

vente i mariti Idi , allettati da' vezzi 

delle novelle spo tutto. Luitprando (a) 

proibì tanta prolusione, e slabilì chf non po- 
tessero eccedere la quarta parte delle loro so- 
' stanze. E per gli esempi che rapporta Ducan- 
ge. si vede che per tutto l'undecima secolo iu 
la legge osser%'ata. Ed è veramente nuovo e sin- 
golare citi che l'abate Fontanini nel suo libro 
contra il P, Germonio rapporta di alcuni atti 
che pubblicò d'una notizia privata dell'anno 1 163, 
nella quale si legge che un tat Folco da Civi- 
dale del Friuli dona a Gerltnt sua moglie tutto 
il suo, omnia sua propter pretìum in mane quando 
surrexit de lecto. Gli adulterii erano severamente 
puniti ; le nozze fra' congiunti , secondo il pre- 
scritto non men delle leggi civili che de' cano- 
ni, erano vietate j e Luitprando (ó) istesso rende 
a noi testimonianza che fu mosso a vietarle 

(O VÌHe Grot. in Lriiro. 

(3) Luilprand, LL. Lonj;. I. i. tir. 4- 

O) LiiifpranJ. Irg. 4- til, de proh, tiiipl. 




LIBRO QUIXTO ^'Si} 

anche con sue leggi; Qniaj com'è* dice, Deo 
teste , papa urbis Romie , qui in omni nvindn 
caput ecclesiiirum Dei et sacerdotum est, per 
suame pistolam nos adliortatus est, ut tale cori' 
fUffum fieri nuUatenus permitteremus. 

Alcuni s'offendono che in questo secondo li- 
bro delle leggi de* Longobardi (i) si legga per- 
messo il concubinato, vietandosi solamente che 
in un istesso tempo si possa tener moglie e con- 
cubina, non altnmente che due mogli, essendo 
anche presso a' Longobardi vietata ogni poli' 
gamia. Ma tralasciando che qnclln legge fu dì 
Lotario , non giù d' alcuno de* re Longobardi^ 
questa maraviglia nasce dal non sapere che presso 
a Romani il concubinato fu una congiunzione 
legittima (a) , non pur tollerata , ma pcmiessa , 
ed era perciò deLto semimatrimonitiin, e la con- 
cubina era chiamata perciò semìconjux (3), e 
lecitamente l'uomo poteva avere per ?ua com- 
pagna o la moglie o la concubina , non però 
m un medesimo tempo e moglie e concubina 
insieme, perchè questa era riputata poligamia, 
non altrimente se tenesse due mogli (4). Que- 
sto istiluto fu continuato anche da poi die per 
Costantino Magno l'imperio' abbracciò la nostra 
rehgione, il quale ancorché ponesse freno al con- 
cubinato, non però lo tolse; ed appresso i Cri- 
stiani di più nazioni d'Europa per molti secoli 
fu ritenuto : di che fra gli altn ce ne rende certi 
un concilio di Toledo, ove fu parimente stabi- 
lito che l'uomo, sia laico sia chcrico, d'una 

<■> LL. Long. lib. a. lil. r3. I. 7. 

(a) L. (1 qua ilìuit. C. ad S. C. Orf. 

<3) Cujie. in Pani, m Pinci, lil. de Canciih. 

(4) V. Coanin. lib. 8. eoinrornl. Jur. cÌT.Amu. dr jiir. Cnnitul>- 



44o ISTORIA DEL REGXO DI MAPOLI 

sola debl)a contentarsi , o (!i moglie o di con- 
cubina, iion già che possa ritenere in uno stesso 
tempo tutte due (i). Ma vietatosi poi nella 
Chiesa latina a' preti affatlo di aver moglie , ed 
in conseguenza di tener anche concubine, poi- 
ché gli ecclesiastici per la loro incontinenza non 
potevan vivere Sfih . si ritennero !e concubine. 
Fu per isradicar ;ostume in vani coo- 

cihi severamente loro di tenerle. Non 

ebbero queste j gran successo, e fii- 

ron di poco prt i era V osservanza , ed 

i preti non poti atto alcuno distaccar- 

sene. Furono pt cati i divieti : non vi 

era conciho cut ;asse, che con severe 

minaccie non ìr.^ sempre il medesimo , 

detestandosi il coi..- >, e predicandosi peg- 

gior dell'adulterio, deli incesto, e più grave d'o- 
ghi altro vizio. Quindi nelle seguenti età il nome 
del concubinato, che prima era riputato una 
congiuuzion legittima, fu Fenduto odioso ed oi^ 
rendo in quella maniera eli' oggi si sente. Nel 
regno d' Itaha non pur presso a' Longobardi , 
ma anche cpando passò sotto la dominazione 
de' Franzesi , durava ancora l'istituto de' Ro- 
mani. Appresso alcune altre nazioni d' Europa 
era anche il concubinato riputato legittimo , e 
Cuiacio testimonia che anche a' suoi tempi era 
ritenuto da' Guasconi e da altri popoli presso 
i Pirenei (2). In Oriente per le Novelle di Ba- 
silio Macedone (3) e di Lione fit il concubinato 



(1) Gratìan. in Dfcrr^. Diil. 34. can. 4- ^t 5- 
(3) Cujac loc. cit. AaHio tamm con) rctiaere districte Voieo- 
nca , et Pyrnicm. 

(3) Novrl. Baiit. Micril, npiid. LetiDcl. Jur. Gr. Roidiui. )ib 1. 




LIBRO QOIHTO 44 1 

proibito } ma quelle iioii ebbero alcun vigore 
nelle provincie aEuropa, come qudle ch'ei'aiio 
state sottratte dallMniperìo , ed ubbidivano a* 
loro principi iiidepeudentemeute dagl' impera^ 
don aOrìenle: ciò che merìterebbe mi discorso 
a parte; ma-taiito basterà per ciò cbe riguarda 
il nostro istituto. 

Intorno alle tutele furoU' dati savii provvedi- 
menti. Eran i pupilli raccomandati ugualmente 
agli agnati , che a' cognati; ma de' pupiUi no- 
bili il principal tutore era il re 0- Quindi ap- 

Eresso noi nacque T istituto di darsi dal re il 
alio a' baroni, e prendersi da lui le lettere dd 
baliato. Davano ancora alle donne per la loro 
imbeciUità un peipetuo tutore, ch'essi chiama- 
vano mundualdo, u quale s*" assomigliava in gran 
E arte al tutore cessìzìo de' Romani antichi, sotto 
I cui autorità eran sempre le donne di qua- 
lunque età fossero, ed ancorché a nozze pas- 
sassero; ond'è cbe ancor oggi in alcuni luoghi 
del nostro regno sia rimase di loro alcun ve- 
stigio. 

m' contratti l'equità e la giustizia fu unica- 
mente ricercata. I contratti de^ maggiori, diflS- 
nendo la maggior età nell' anno decim' ottavo, 
eran ben fermi, né alle restituzioni soggetti. 'I 
creditori ed ì compratori erano sicuri di non 
esser fì-audati e delusi per le tacite ipoteche « 
per g^. occulti fedecommessi ; imperocché si fa- 
cevan passare tutti i contratti, le vendite, i 
pegni , i testamenti stessi sotto gli occhi ed 
avanti i magistrati, ed al cospetto del popolo. 

O Grot. in Prolrgom. ad Hist. Gol. pag. 6G. 



44^ ISTORll DEL RCGZIO DI 7tÀPOÌ.l 

V ordine di succedere ab intestato era sctnpU- 
cissimo : colui cli'cra più prossimo in grado ^ 
era l'istesso che l'erede, eccetto solamente che 
i figUuoU e' lor desceiidenti erano preferiti a' 
genitori. 

I giudicii, che appresso i Romani eran tratti 



in immenso con 
sostanze e cruc 
bardi eran brevi 
rità de' litigant- 
pieggierie. A' g 
tiito: nelle qui; 
suoi testimoni 
dagnava , che 
gior numero et) 
ambigue si ricorre 



'Ispendio delle proprie 
limo , appo i Longo- 
travaghosì. La torne- 
ata da' pegni e dalle 
e era piti facile e spe- 
itto portava l'attore i 
' ì suoi j e colui gua- 
nto avea di lor niag- 
Ndle cose dubbie ed 

.eligione de' giuramen- 



ti. Qupslo sì dava al reo, ma con mollo riguar- 
doj cioè se produceva testimoni di provata fama 
che deponessero ed attestassero della di lui pro- 
bità e religione , e che essi volentieri credereb- 
bero ai suo giuramento ('). Rade eran le qui- 
stioni di legge ; e se pur accadevano , non dagli 
infiniti volumi degl' interpetri , ma da' semphci 
e piani detti delle lor leggi , dal giusto e dal 
ragionevole prestamente eran decise. Pronto era 
il rimedio nelle perturbazioni di possesso , e su- 
bita la restituzione, andando il giudice co' te- 
stimoni in sul luogo a conoscer dello spoglio, 
e ad immantenente ripararlo. 

Nella cognizion criminale de' delitti eran due 
cose saggiamente osservate: la violazione della 
ra^one e società pubblica , e di qitella del pri- 
vato. Per questo due multe furono introdotte : 



ì Hi*i. Jur. Crim. 




pei 



LiBao Quiirro 44^ 

coU'una ti rìparava al danno del prìTatOj clie 
chìsmarOQO wedjìgeìdimn, cioè quel che si dava 
er lo taglione j coli' altra si riparava alla pub- 
lica pace,* che dissero per ciò Jedra, e si dava 
al re , o al comune di qualche città. Commenda 
Ugone Grozio (*) questo lor istiluto di non spar- 
gCTQ il sangue de' cittadini per leggieri cagioni. 
ma Solo per gravissime e capitali. Ne^ minori 
delitti hastava che per danaro si componessero , 
ovvero che il colpevole passasse nella serviti^ 
dell'offeso in cui s'era peccato. 

I beni de' condannati erano salvi a' loro fi- 
gliuoli, né' stavano soggetti a confiscazioni. Nelle 
cause criminali non ammettevano app^laziooij 
né questo portò a Grozio alcuna maraviglia , 
come non debbono altri averla; poiché i Pari 
della curia con somma religione e clemenza de^ 
lor pari giudicavano. Quindi presso di noi nac- 
que l'istituto che le cause capitali de' baroni 
non potessero decidersi senza quelli , che di- 
ciamo Pares CurìcB. 

\ "riti e le solennità ch'essi usavano nelle ma- 
numissioni e neli' adozioni , eran conformi a' 
lor costumi feroci e guerrieri. Le manumissioni 
come, c'insegna Paolo ^amefrido, si facevano 
per sagUiam, le -adozioni per arma, siccome le 
ahenazioni per ^bce ^stuciBve confectìonem 
in sinum emptoris. 

Dispiacque a molti quell' antica consuetudine 
de' Longobardi, che in alcune cause dubbie ed 
ambigue e ne' gravi delitti se ne nommettcsse 
la decisione alla sìngular pugna di due, che 

O Ufo Grot. M Prolfg. ad liiil. Gnl. 



444 ISTORIA. DEL necno di WKVOht 

chiamiamo duello. Fu veramente il duello an- 
tica tisanza de' Longobardi, che poi pHSsala iii 
legge, fu per molto tempo pralicalii uoii pur 
da loro , ma da molte altre nazioiK , le (mali 
da' Longobardi rappresero', lu fatti T istorie loro 
sono piene <li questi ducili ; e memorando fu 
quello di Ad"'-'*'" "'•" di adulterio aveva ten- 
tata la regina u^ a (i), ed avutane ri- 
pulsa, per vendi ricorse al re Arioaldo 
suo primo luarlb ale accusandola falsa- 
mente die ìnsiem' one duca della Toscana 
gf insidiasse la regno, fece imprigio- 
nare quella infeii ipessa. Di che ofleso 
Clotai'io re di lai cui sangue discen- 
deva , mandò le^i iovaldo con gajiUarde 
richieste di dover iuolu ..aerarla. Al clie :iveiido 
il re risposto eh' egh aveva cagioni giustissime 
di tenerla prigione , e negando i legati ciò 
che s' imputava alla regina , aflermando che 
mentivano gh autori di tal impostura^ finalmente 
Aiisoaldo uno di essi richiese al re che per 
duello il dubbio dovesse trenninarsi. Vennero 
alla pugna Fittone per la regina , e l' impo- 
store Adalidfo pel re, nella quale restando f ul- 
timo vinto, fu la regina Uberata e restituita al 
suo antico onore. Questo genere di purga7.ione 
fii cotanto commendato presso a tutte le na- 
zioni^ che Cuiaclo (2) dice che anche fra' Cri- 
stiani , così nelle cause civiU , come nelle ac- 
cusazioni criminali , hi il duello lungamente 



<0 Sigon. ad A. 63*. 

U) Cuìnc. lib. I. dn Fend. lit. 
JSt hnr gtnert purgalinnis din lui 
yilibus , quam in criminalibus eausi 




LIBRO QUINTO 44^ 

praticato, ed ì' nostri Franzesi normanni, fin- 
ché tennero questo regno , sovente l' usaro- 
no. Era ben da^ re longobardi ìstessi riputato 
Un esperimento Gero eu irragionevole j ma as- 
suefatti que* popoli lungamente a tal usanza , e 
reputando minor mate , per placar V ira e lo 
sdegno dì quegli animi (èrocì, commetter Taf- 
fare al 'periglio di pochi, che di vedere ar- - 
dere di discordie civili le intere famiglie, loro 
non parve grave , se non necessario , iK ritener- 
lo. Luìtprando, prìncipe prtidentissimo, beo lo 
conobbe ', ma ad esempio di Solone , che dì- 
mandato se .egli avesse date le migUorì leggi 
che aveva saputo agU Ateniesi , rispose, le mi- 
gliori che poievan confarsi a' loro costumi; così 
egli in una sua legge altamente dichiarò questi 
suoi sensi, dicendo che ben egli era incerto del 
giudicio di Dio, e molti sapeva che per duello 
senza giusta causa restavan pet'ditorì; ma sog- 
giunse : Seti proptcr consuetudinem gcriiis no- 
strtB Longobardontm legem impiam velare non 
possumi^^s (*). La religione cristiana tolse poi 

Juesta usanza , ma non si veggono tolte le ra- 
ici onde con tanta facilità cotali efTetti ger- 
mogUano ; ella è nata per isradicarìe intera- 
mente , ma noi medesimi siamo queUi che le 
facciamo contrasto e frapponghiamo impedi- 
menti. La tolsero poi gli altri prìncipi, e presso 
a noi l'imperadore Federìco U, e più severa- 
mente gli altri re suoi successori. 
' Dispiacque ancora queir altro gwcre di prova 
del ferro rovente, dell'acqua fervente, orvero 

O Lib. I. 1. 33. tir. g. de liumiLid, tibcr. hum. 



>*.' 



._■*.■ .. . . , .... ! ^ ,- 

* ■ 1 ■■•■*■■ ■ 

'.et : y 

' 44® UTORIA DVIi &IGNO H VÌPOLI 

i' Baresi lungamente ritenes$CTo f usanse óe\ 
'Longobardi/ onde ii_ librò delie, lóro GònsoetiF- 
dini fu ' compilato 3 pur confitòsano che-^fia da* 
'Wmpi del re Ruggiero era già taf costuiooie ^ af- 
fisitto mancato: Ferri ignil^j aqum fsxverttÌM^ ^ 
friffdiBf aut quodlibet judiciumi auod ¥ulfp 
paribok nùncupaturf a nastris dpihus penitus 
exuhwit (i). ^ ,V 

Parve anche a mobi fiero e cnidde qnd oor 
stumcì dì render cattivi i Cristiani^ e nceveme . 
per la lìberU riscatti, còme.s^i vednto cfaeft^ 
cerò co* Grotonesi, e con ahre gpnli d(dlaLtattà 
eh* erano in poter de' Greci loro nemici: <lal_ 
che altamente si auerdava ' S. GregcnJo BL Ib 
questo' costume., siccóme fii nairato nd prece* 
dente hbro, era allora indiffere n tennaate da talli 

S ratinato; né mancano scrittori che lo ^ifim» 
omo per giusto. ' • 

Per queste cagioni leggiamo noi ne* più gtavi 
autori cotanto commendarsi sopra tutte le stra- 
niere nazioni la longobarda per gente savia e 
prudente , e che meglio di tutte le altre avesse 
saputo stabilire le leggi, con tanta perìzia ed 
avvedimento dettate. Niente dico di Grozio (a) 
che perciò tante lodi F attribuisce ; niente di 
Paolo Wamefrido. Guntero secretano che fii di 
Federico I imperadore , e famoso poeta di que* ' 
tempi, cosi nel suo Ligurìno cantò de^ Longo- 
bardi. 

4 

Gtiu astuta , sagax , prudens , ùuUistrim , sKflers , 
- Provida Consilio , Itgum jurisquit perita. 



(0 CoDfUft. Bar. Rubr. de Immatiit. ^ Mouomaf*hia. 
(3) Ugo Grot. io Prol<'goui. jhI hist. Got. 



./^ 






umo Quiirro 449 

Né lo stile con cui furono quelle leggi scrit-- 
te, è cotanto insulso ed incolto, come pur troppo 
lo riputarono i nostri scrittori. Ben iurono elle 
giudicate daU* incomparabile Grozio dogno sog^ 
getto delle sue fatiche e de* suoi elevatissimi 
talenti: aveva ben egli apparecchiato loro un 
giusto commentario , siccome dell^ altre leggi del- 
r altre nazioni settentrionali, cosi ancora di que* 
ste de* Longobardi Ma pur troppo presto tolto 
a noi da immatura morte, non potè perfezio- 
narlo. È bensì a noi di lui rimaso un Sillabo (i) 
di tutti i nomi e verbi ed altri vocaboU de^ Lon- 
gobardi, per cui si scuoprono i molti abbati 
presi da' nostri scrittori cne vollero interpetrarJe. 
E Giacomo Cuiacio (a) ne* suoi libri de* Feudi, 
i quaU in gran parte da queste legei dipendono, 
sovente ne mostra molte voci delle medesime 
reputate dalla comune schiera per barbare ed 
incolte, ed a cui diedero altro senso, essere o 
gi'eche, o latine, o dipendere con perfetta ana?- 
logia da queste lingue. Così quella voce arga^ 
che s'incontra spesso in queste leggi; riputata 
barbara^ e che i nostri vogUono che significhi 
cornuto y come fra gli altri espose Maxilla nelle 
Ck>nsuetudim di Bari (3), che da queste leggi 
in gran parte derivano, presso a Paolo Wanie- 
frido (4) non significa altro che inerte , scimu^ 
nUo, stupido ed inutile; e la voce deriva dal 

(i) Questo Sillabo si Ifggt appresio l' Istoria c/e' Goti di 
Grozio, 
, (a) Ctijac. de Feud. I. i. Ut. s. 

(3) Maxilla io Consurt. Bar. rub. de Ar^a. Istud nomen Arga 
est Longobardortim , et idem importai , quod uocare {diquein 
cortiutum. Vedi Carlo Du-Frcsne in Le&ic. Latiaa<4>arbai*. 

(4) Paul, Warnefr. I. 6. e, 8. 

« 

Giannole FoL IL ag 



45o ISTOIUA. DEL IlEGSO DI IIAPOLI 

greco argòs , che appo i Greci significa Io stes- 
60, come dice Cuiacio (i), e lo conferma col- 
l' autorità di Didimo. E ciò clic sovente occorre 
in questi libri, astalium facerc , non vuol dir 
altro che ingannare, e mancare ul prìncipe o al 
commilitone del suo aiuto e soccorso, mentre 
nella pugna ne t' " aggior bisogno, ed ò 
in perìglio di vii» ncura farsi una cosa 

asta animo, com ; leggiamo in questo 

leggi, da voce la deriva j eh' è il mede- 

simo che d'anim" i ingannevole. Plauto 

in Pocnulo, act . 

Mt-a sarort ita • ine animo «W. 

Ed Accio appn ; 

Parimente quell'altra voce Strìde, che in que- 
ste leggi s'mcontra, e che presso a Feste è 
ristesse che malefica, si ritrova ancora in Plauto 
in Pseudolo, act. 3, se. 7. 

Sttt Strigihxis... Vivis ronitVw inUstinaque exejunl. 

ohe i Longobardi con voce prepria della na- 
zione chiamarono anche Masca, ed oggi noi 
chiamiamo Maga, o Strega. 

L'uso del tàlenone dicliiarato da Feste, Ve- 
gezio ed Isidoro, viene anche nettamente spie- 
gato da queste leggi (2), Il tàlenone , come an- 
che spiega la legge , non era altro che una trave 
librata sopra una forca di legno, per la quale 
$ì tirava con secchi l'acqua da' pozzi. 

U chiamare le domie non casiile vergini in 



CO Ciiiar. lor. rit. 

(■•') LL. LoDgub. lib, a, lit. ile Luniiciil. libci. hstn- F. ■^. 



oapillo f nop altronde deriva y che dalT istituto 
de Romani y i quali distinguevan le vergini da 
quelle che avean contratte nozze, perchè queste 
velavano il lor capo , ed all^ incontro le vergini 
andavano scov^rte e mostravano i loro capelli. 
Galeno credette che i cavalli^ e, toltone i ca* 
ni, ogni sprta di quadrupedi non potessero es- 
ser mai rabbiosi. AlF incontro Absirto e Jerocle 
Mulomedici (i) e Porfirio ancora contra il sei>* 
timento di Galeno scrissero che potevan ancora 
quelli esser rabbiosi. I Longobardi in queste loro 
leggi (a) ricevettero F opinione di costoro • e ri- 
fiutarono come falsa quella di Galeno. Molt^ altri 
consimili vestigi di loro erudizione si scorgono 
in quelle e molte altre voci di questo genere, 
che ad altri sembrano barbare, quando traggon 
la loro origine dalla greca 6 latina lingua , e 
sono sparse in questi libri , che non accade qui 
tesser di loro più lungo catalogo. Qascuno per 
sé potrà avvertirle, e potrà anche osservarle nel 
Sillabo che ne fece Grozio , del quale poc' anzi 
si fece da noi memoria, e nel Glossario del 
Ducange. 

/• Leggi LongohariU lungamente rilenute nel ducato be^ 
ne^'entano^ e poi disseminate in tutte le nostre prò* 
vincie ond^ora si compone il regno, 

V eminenza di queste leggi sopra tutte le al« 
tre delle nazioni straniere, e la loro giustizia e 
sapienza potrà comprendersi ancora dal vtidere, 

(0 De^ Mulomedici 'rctli G. Grotofrcdo uel CoiI. Tlt. ud 1. 3i. 
de Giirso pubblico. 

(a) LL. Longobar. de Pauperìe. I. a. 



4^3 ISTORIA DEL REGNO DI KÌ.70LI 

che discacciati die furono i Longobardi dal rfr- 
gno d'Ilalia, e succeduti in quello i Frantesi, 
Carlo re di Francia e d' Italia lasciolle intatte j 
anzi non pur le confermò, ma volle al corpo 
delle medesime aggiungerne altre proprie, clie 
come leggi pure longobarde volle che fossero 
in Lombardia, e > d'Itaha che a lui ub- 



bidiva, osservate. 
EgU ne aggiun 
longobai'dt auoi p 
come imperadore. 
d'italìa, ovvero d 
longobarda non 
cosi ancora la I 
Carlo né da' buc. 



altre agli editti de' re 
ori , che stabilì non 

Francia , ma come re 
u-di. E siccome la legge 
re presso a' Franzesi , 
I o francica non fu da 
>rì introdotta in ItaUa. 



Oiulfi sì vede l'crror tlel Sif;unio (")( '1 «jualo 
tre leggi vuole che nell' imperio de' Franzesi fio- 
rissero in Italia: la romana, la longobarda e la 
salica. Se non se forse volesse intendere che 
appo i soli Franzesi che vennero con Carlo in 
Italia, quella avesse forza e vigore. Pipino, suo 
figliuolo, e successore nel regno d'Italia, e gU 
altri re ed imperadori che gli succederono, come 
Lodovico, Lotario, Ottone, Corrado, Eitìco e 
Guido, non pur le mantennero intatte ed in vi- 
gore, ma altre leggi proprie v'aggiunsero. E 
quindi nacque che l'antico compilatore di que- 
ste leggi raccolse in tre libri non pur le leggi 
di que' cinque re longobardi , ma anche quelle 
di (Jarlo M. e dcgh altii suoi successori insino 
a Corrado, che come signori d'Jtaha le stabi- 
lirono j le quali tutte leggi longobarde furon detlc- 



(.'} Sigoit. He ft. lui. 1. 4. iuit. 




Ma presso dì noi per altre più rileTanti ca- 
lzoni turono mantenute e lungamente osserva- 
te. Nel ducato beneventano, che abbracciava la 
maggior parte di queste nostre provincie che 
ora compongono il regno, sotto i re longobardi 
loro autori, furono con somma venerazione ub- 
bidite. Questo ducato, ch'era ancor parte del 
regno loro, si reggeva colle medesime leggi. 1 
re avevano la sovranità di queUo, ed i duchi 
clic lo governavano, erano a loro subordinati; 
e Desiderio , ultimo re , vi avea creato , come 
s^ è detto , duca Àrechi suo genero. Ma mancati 
in Italia i re longobardi, non per cpiesto man- 
carono nel ducato beneventano i duchi ] anzi ' 
Arcchi , come diremo nel seguente libro , tol- 
tasi ogni soggezione de' Franzesi , lo resse con 
assoluto ed independente imperio. Volle di re- 
gali insegne ornarsi, con scettro, corona e cla- 
mide , e farsi ungere ed elevare in prìncipe 
sovrano; e lo mantenne perciò esente da qua- 
lunque altra dominazione : onde maggior piede 
e forza presero in questo ducato le leggi lon- 
gobarde, le quali poi si ritennero costantemente 
da tutti i principi beneventani successorì. E di- 
viso da poi il principato, e moltipUcato in tre, 
cioè nel Beneventano , Salernitano e Capuano , 
che abbracciavano quasi tutto il regno , mag- 
giormente si diffusero le leggi longobarde. Il du- 
cato napoletano e le altre città deUa Calabria 
e de' Bruzi, Gaeta, ed alcune altre città ma- 
rìttime , che anche da poi durarono per qual- 
che' tempo sotto la dominazione de' Greci, ri- 
cevettero più tardi quelite leggi. Que.sti kioglii^ 



^54 ISTORIA. DEL BECSO DI. BA POLI 

come soggetti agl'imneradori d'Oriente, si go- 
vernavano colle leggi loro; e quali queste si fos- 
sero, sarà esaraìiiato nel settimo libro, ove dt-lle 
loro Novelle e delle tante loro compilazioni fa- 
remo parola. Ma discacciati che ne fuiono i Greci 
da' Nomianni, e ridotte tutte queste provincie 
sotto il dominio d Normanni , a' Lon- 

gobardi sMcceduti, le loro leggi, e le 

diffusero per tutto ielle città che essi 

tolsero a' Greci, ci >mo ne' seguenti li- 

bri; onde avvenne essere stale queste 

leggi mantenute in o altri principi che 

non erano longo ;amente quelle du- 

rassero, e meltes fonde radici in qiic- 

s(e noslre provine., i a^Tenne ancora, 

che sebbene si lasciassero intatte le leggi roma- 
ne j e che ciascuno potesse vivere sotto quella 
legge, o romana o longobarda eli' e' si elegges- 
se (i)', nulladimcno per più secoli la fortuna delle 
longobarde fu tanta, che bisognò che le romane 
cedessero. Poiché e.ssendo in Italia e nelle no- 
stre provincie introdotti in piiì numero i feudi, e 
per conseguenza più baroni , ì quaU non con 
altre leggi vivevano che con quelle de' Longo- 
Lardi, si fece che tutti i nobili, alloro esem- 
pio, \ivessero colle medesime leggi j onde, tol- 
tone gli ecclesiastici . i quali anche per esecuzicie 
dell'editto di Lodovico Pio (2) viveano (di qua- 
lunque nazione si fossero) colle sole leggi de' Ro- 
mani , queste appo gli- altri , come per tradi- 
zione e come per antico costume, ebbero uso 

(1) In LL, LouroK I. a. lil. 5fl. 

<i) U. Liirt. Pii in LL. LrinRob. I. 3. I. 3;. I» LL. Bij.tiai. 
ca|>. Ecdc^ii jiire tiomano >ivit. 




LIBRO QUITITO 4^5 

e vigore; ed esseiidpsì per T ignoranza del sé' 
colo trascurati tutti i Codici ove eran registra- 
te, si rìmaaero presso alla gente vulgare ed igno* 
bile; la quale così nelle leggi come neir usanze 
è Tultima a deporre gli antichi istituti de^ loro 
maggiori , come più minutamente vedremo ne^ 
seguenti libri. 

E <juindi parimente nacque che nel nostro 
regno, a riguardo delle nuove costituzioni che 
sUntrodussero da poi da altri principi norman- 
ni, svevi e franzesi, la legge longobarda fu detta 
Jus commune, siccome quella de^ Romani (i)) 
ma con questa differenza, che il Jus comune 
de' Longobardi era Ìl dominante ed in più vi' 
gore, quello de' Romani di minor autorità, ed 
al quale rìcorrevasi quando mancassero le lou" 
gobarde; e ciò nemmeno sempre ed indistin- 
tamente. Per questa cagione avvenne ancora, chs 
la legge longobarda fosse allegata ne^ tribuna- 
ti , commendata da tutti , e riputata fonte an-f 
Cora dell^ altre leggi che si andavano da' nuovi 
principi stabileodo. Cosi veggiamo che i pon- 
tefici romani spesso ne' loro decreti se ne val- 
sero e l'approvarono (a). La legge feudale, che 
oggi appresso tutte le nazioni d Europa è una 
delie parti più nobili del Jas commune, non al- . 
tronde che dalle leggi longobarde ricevè il so- 
stegno, sopra le quali è fondata, come non 
solo fra' nostri scrissero Andrea d'Isemia ed 
il vescovo Liparulo , ma 1' avvertì ancora l' in- 
comparabile Ùgon Grozio. 



456 isTonu DEL heckò di napoli 

Le costituzioni stesse di Federico II del iMy- 
stro regno quasi tutte dalle leggi de^ Longobardi 
procedono , come , oltre a' nostri , scrisse an- 
che Grozio Oi ed è per se medesimo palese. 
Le Consuetudini di Bari dalle leggi longobarde 
derivano, come diremo quando della compila- 
zione di quel volun tornerà occasione di 
faveUarc. 

Ma ciò che non jsciarsi , e die mag- 

giormente fa cono tonta loro , ed il cre- 

dito col quale lui i mantennero in que- 

ste nostre provini. vedere che restitnita 

già la giurispmdei'- la nell'accademie d'I- 

talia ne' tempi di 1 dopo T avventuroso 

ritrovamento delle e in Amalfi, e posto 

ancor piede nella noslra Accademia a' tempi dcl- 
l'imperador -Federico II, non per questo mancò 
l'uso e l'autorità delle medesime. AMi i nostri 
scrittori allora più che mai posero la maggior 
cura e studio in commentarle; non altrimenic 
che fecero Gregorio ed Ermogeniano , i quah 
allora compilarono i loro Codici , per li quali 
proccurarono che l'antica romana giurisprudenza 
non si perdesse , quando videro che Costan- 
tino M. colle nuove leggi tirava a distruggere 
l'antiche de' Romani gentili. Co.ii veggiamo che 
le fatiche posteli da Carlo di Tocco commen- 
tandole, non furon fatte se non a tempo di Gu- 
ghelmo re di Sicilia ; e quel!' altro commento 
ch'abbiamo delle medesime d'Andrea da Bar- 
letta, avvocato escale che fu dell'imperador Fe- 
derico n, mostra più chiaramente che sino :i* 

(*) Grrl. in Prolrgom. nd lisi. Gol. Jam, fero ijuat in rrgna 
Tirapoli fano Sìcuhquc vaimi Comtitulionei a Fratriro J/ cvl~ 
ticliH, /itnt omnts Jìiaail t Irgilus I.on£oioidorum. 




unto QtiiiiTO ' 4^7 

tempi di questo prìncipe le leggi longobarde n^ 
nostro regno alle romane erano superìorì- e più 
ancora ne^ tempi posteriori j per r altro che vi 
fece Biase da Morcone^ che fiorì sotto il re 
Roberto. 

Netta considerazione delle quali cose se per 
un poco si fossero fermati i nostrì scrittorì, a* 
quali l'istoria fu sempre inimica, e che non fece 
loro distinguere i tempi come in ciò si conve- 
niva, non avrebbono ncohni i loro commentarii 
d'infinite sciocchezze ^ insino a* dire (non sa- 
pendo quali si fossero gh autori di queste leg- 
gi) ch'elle furono fatte da certi re che ai chia- 
mavano longobardi, cioè pugliesi, i quali venuti 
dalla Sardegna , pnma si fermarono nella Ro- 
magna , ed indi passarono nella Puglia, come 
scrissero Odofredo, Baldo, Alessandro e Fran- 
cesco di Curte, e, quel che è più strano, se- 
guitali da Niccolò Boerio , che volte più tosto 
credere a questi sogni, che dare orecchio alla 
vera istoria. 

Nò Luca di Penna, seguitato da poi, come 
spesso accade, inconsideratamente da Caravita, 
Maranta, Fabio d'Anna, e da altri nostri scrit- 
tbri, avrebbe avuta occasione di declamar tanto 
coutra il Jus de* Longobardi , e di chiamarlo 
. asinino, barbaro ed incolto,~e fecce più tosto 
che legge. Egli diceva così , perchè non seppe 
distinguere i tempi ne' quali scriveva , da' se^- 
coli trascorsi, ne quali queste leggi furono re- 
putate le più coke e prudenti di quante mai ne 
fiorissero in Italia. Egli scrìsse ne tempi ultimi 
sotto il regno di Giovanna I , dalla quale nel- 
l'anno i366 fii creato giudice della gran cor- 
te, quando avanzandosi sempre più r autorità 



453 ISTORIA DEL REGRO DI NAPOLI 

e lo Splendore della legge romana, cominciava 
già fra gli avvocali a dìspularsi qual delle due 
leggi dovesse prevalere j oude è die egli tro- 
vando altri clic, contra il suo sentimeiilo, coti' 
tendevano a favor delle longobarde, si scagliava 
contro di loro, cumulando di tante ingiurie que- 



ste leggi. E non f 
gonesi, che queste 
niente con disusai 
romane si restituii 
è a noi Matteo di 
dica che a' suoi 
nostri tribunali le 
lessero a quelle 
avere inteso dagu « 



[fa' tempi degh Ara- 
si nostro regno ùniA- 
::assero affatto , e le 
me buon testimonio 
tti , il quale sebbene 
n vide mai che ne* 
i' Longobardi preva- 
li, testifica però di 
vecchi elle ne' tempi 



antichi fu osservato it contrario. Ma delle vicende 
e varia fortuna di queste leggi non mancheranno 
nei progresso di questa Istoria più opportune 
occasioni di lungamente ragionare. 



CAPO VI. 

Della polizia ecclesiastica. 

Le chiese d' Occidente si videro in questo 
ottavo secolo in grandi disordini, e quella dì 
Boma, che dovea esser chiaro esempio per l'al- 
tre, fu la pili disordinata. Morto- che fu Paolo 
nell'anno767 , invase la cattedra Costantino fra- 
tello di Totoiie conte di Nepi. Questi con \io- 
lenza e per via di trattati si fece prima elegger 
papa , e poi fecesi ordinar sottodiacono , dia- 
cono e vescovo. Alcuni ufficiali delia Chiesa di 




LIBKO QOIItTO 4^0 

Roma, non potendo soffrire questa violenza, ri- 
corsero a Desiderio re de' Longobardi, ed avendo 
ottenuto il suo braccio, ritomarono a,Boma con 
una truppa di genti armate. Tolone gli assali, tua 
nel comnattimento essendo rimaso ucciso, Co- 
stantino fu scacciato, ed in suo luogo lu eletto 
Filippo sacerdote e monaco. Ma non essendo 
stato trovato abile al posto, fu costretto riti- 
rarsi in un luonasterio , e Stefano W fu di co- 
mun consenso eletto nel mese d'agosto dell'an- 
no ^68. Dopo la costui elezione , Costantino fu 
jgnominiosaniente deposto, e trattato d'una ma- 
niera crudele: fu posto prigione, e gli furono 
- cavati gli occhi. Stefano non trovandosi ben si- 
coro, inviò un deputato in Francia, a fine di 
(àr regolare quanto apparteneva agli affari della 
Chiesa di Roma. Carlo e Carìomanno , a' quali 
il deputato, dopo la morte del loro padre Pi- 
pino, consegnò le lettere, jnviarooo dodici ve- 
scovi in Roma, ì quali adunatisi in un concilio 
con molti vescovi della nostra Campagna d'I- 
talia, confermarono Stefano, e dichiararono nulla 
l'ordinazione di Costantino. Stefano restò paci- 
fico possessore di questa sede. Ma poi insorte 
per I elezione dell'arcivescovo di Ravenna, e per 
altre cagioni rapportate di sopra, gravi discor- 
die tra lui e Desiderio, questi portando l'assedio 
a Roma, esercitò ivi tanto rigore, che il papa 
pien di spavento se ne morì il primo di febbraio 
dell'anno 773, lasciando successore Adriano. 

Non minori disordini accadevano nell'elezione 
delle altre sedi minori. I favori de' principi, le 
violenze, ì negoziati e le simonie vi aveauo'la 
maggior parte. La disciplina era quasi che al- 
Tinlutto mancata: vi era uoUa ignoranza e molta 



^^aB 



J^Go ISTOtllA DU. Meno DI IfÀPOLt 

licen7.a fra i vescovi e fra i cherici. Non vì ora 
dissolutezza die non commettevasi : tenevano 
femmine in casa, andavano alla guerra, si ar- 
rotavano alla milizia, militando sotto gli altrui 
' stipendii; e scotendo U giogo, non ubbidivano 
piij a' loro vescovi. I pontefici romani divenuti 
potenti signori nel ale per la donazione 

fatta alla Cldesa di da Pipino e da Cario 

suo successore, C( ano sopra i principi 

a stendere la loro i. Zaccaria , per aver 

avuto gran parte azione del regno di 

f rancia ne' Caroli Ldriano del i-egiio d'I- 

talia ne^Franzesi, remeodi. Si pensava 

con maggiore soli alle cose temporali , 

che alle divine e ^. e seguitando t<U altri 

vescovi il loro esempio, venne a corrompersi 
ed a mancare aDatto l'antica disciplina. 

Dall' altro canto i principi del secolo vedendo 
tanta comizione, s' alTaticavano a tutto potere 
alla riforma del clero e della Chiesa; ed oltre 
a ciò , dandosi loro così opportuna occasione , 
s'intrigavano molto più che prima nell'elezione 
de' vescovi e degli altri ministri della Chiesa, 
ed a disporre delle loro entrate. Lione Isaurìco 
e gli altii imperarlori d'Oriente suoi siiccessoK 
volevano esser tenuti per moderatori non meno 
della polizìa ecclesiastica e della disciplina, che 
de' dogmi ancora: promulgavano editti intorno 
alla adorazione dell immagini , e toltone il solo 
mìnistei'io del saciificarc , essi volevan esser ri- 
putati i monarchi e presidenti delle chiese. Pre- 
aidevano a' sinodi, e lor davano vigore: davano le 
leggi , e componevano gli ordini ecclesiastici : so- 
prastavano alle liti ed a'giudicii eie' vescovi e de' 
cherici, alle elerioui che doveono Cirsi nelle sedi 




LIBRO QOIlfTO 46* 

vacanti, e ne* suflragi che doreano darsi: trasfe- 
rìvano i vescovi da una sede ad un'altra: ab- 
bassavano ed innalzavano le cattedre a lormodoj 
dal vescovado al metrop'oUtano ed arcivescova- 
do : di^onevano essi ì gradi ed t troni per la 
gerarclua: partivano le diocesi a lor modo, ed 
ergevano le chiese in nuovi vescovadi o metro- 
poli. Quindi cominciossi il disegno d'attn^ireal 
patriarcato di Costantinopoli molte etuese con 
toglierìe a quello di Roma , siccome nel seguente 
secolo fu ridotto a compimento. Gli tolsero in 
fra Taltre, come direibo a suo luogo, la Sicilia, 
la Calabria , la Puglia e la Campania , le quali quel 

Satriarcato ritenne, finché per l'opera de' nostri 
ormanni, e parUcolarménte del nostro Ruggie- 
ro I re di Sicilia, non si fossero restituite a 
quello di Roma. Maggiori stravaganze si videro 
ne' seguenti tempi nella declinazione del loro 
imperio , quando proccurarono interamente sot- 
toporre il sacerdozio all' imperio j intomo a che 
potranno vedersi Giovanni Filosaco (i) e Tom- 
masino (a) che distesamente ne ragionano. 

I principi d' Occidente ancorché non osassero 
tanto, nondimeno collo spezloso pretesto di rì- 

5 arare alla deformità del clero ed alla perduta 
ìsciplina, s'intrigavano assai più di ciò che im- 
portava la prptezione e la tutela delle lor chie- 
se -y anzi ne primi anni di questo secolo , non 
meno che gli ecclesiastici, deformarono lo stato 
di queOe. Carlo Martello dopo aver preso il g(v 
verno del regno di Francia, in vece d'apportar 



if63 ISTOnU DEL BSGRO DI rrAPOLI 

rimedio a' disordiiù die regnavano, si pose io 
possesso de^ beni delle chiese, donò le badie 
ed i vescovadi a* laici, distribuì le decime a* 
soldati , e lasciò vivere gli ecclesiastici ed ì mo- 
naci in maggioi-e dissolutezza. 

In Italia, ed in queste nostre provincie che 



eneventOj i re ed 
Dntinue inimicìzie che 
;fìci fatitori prin^a de' 
, cagionarono non mi- 
derio per le contese 
IV intomo all'eie- 
lele in arcivescovo di 
[al papa, per vendi- 
hi a Crìstofuno ed a 



ubbidivano a' dui 
duchi longobardi 
tenevano co' rom 
Greci, e poi de' 
nore deformità, il 
avute col pontefit 
zìone fatta da lu 
Ravenna, fallo s< 
carsene fece cavai 

Sergio uomini del piipa, e poi fece unclie mo- 
rir Crìstofano, ed intimorì di maniera il papa^ 
che gli accelerò la morte. 

Furono i Longobardi, non meno che ì Goti 
e gì' imperadori d' Occidente suoi predecessori, 
molto accorti a ritenere tutti i diritti che lor 
dava la ragion dell'imperio. U dichiarare le 
chiese per asili, e prescriver le leggi per quali 
delitti potessero i sudditi giovarsi dell' asilo j 
e per quaU il confugio ad essi non giovasse j 
era della loro potestà. H re Luitprando , imi- 
tando gì' imperadori d'Occidente, de' quali ci 
restano molte loro costituzioni nel Codice di 
Teodosio e dì Giustiniano a ciò attinenti, sta- 
bilì ancor egli che gli omicidi ed altii rei di 
morte non potessero giovarsi dell' asilo 0- In»" 
pone a' vescovi , abati , e ad altri rettori delle 

O !.. i. De hii qiii ad Erd. eoiifiigiimt. til. Zg. \. i. in LL. 




LIMO QUINTO 4^ 

chiese o moDasterì , di non ricettargli , di nm 
impedire ilmagistrato secolare volendogli estrap-' 
re : e se daranno mano a fargli fuggire, o oc- 
cultargli, oTvero ad impedire che non siano 
estratti , loro si prescrìve ancora pena pecu- 
niaria di 600 soldi (1). Ritennero ancora i no^ 
strì re longobardi la ragione dì stabilire leggi 
sopra i matrìmonii (3), dì vietargli con chi 
V onestà parentela o affinità recava impedì* 
mento, dilGìure l'età di contraergli, dichiarare 
r illegittimità delle nozze , degli sponsali e della - 
prole , e di stabilire tutto ciò che riguarda il 
maggior decoro ed onestà di queUi •, com* è 
cliiaro dalle loro leggi (3). 

Griinpcradorì d' Oriente, a' quaU ubbidivano 
in . questi tempi il ducato napoletano , gran 
parte della Calabria e della Pugha, e molte 
città marittime di queste nostre Provincie , pa- 
rimente inimici de' romani pontenci , esercita- 
vano sopra le chiese delle città a lor soggette 
assoluto arbìtrio. Costantino e Lione suo Gt- 
gfiuolo volevano far valere in quelle i loro editti 
per raboUzione delle immagini: non vollero 
far ammettere Paolo eletto vescovo di Napoli. 
come aderente al ponte6ce , e fecero che 1 
Napoletani non lo ricevessero dentro la lor città. 
Né fu veduta maggior deformità nella chiesa dì 
Napoli, che in questi tempi. & vide nel me» 
desìmo tempo Stefano, che n' era duca, e che 
come ufficiale dell' imperadore teneva il governo 

(■> L. 4. eiL tit. 3g. 1. 1. 

(3> LiuQojiM Regia in mttriin. polfst. part. X art. i; e. j. 
Ó] LL. Lonfob. 1. s. tit de prohibilii nopliii , L a. tìL t, 
éi qtpiMtlib. ' 



464 ISTOAU DEL REGNO DI NÀPOI.I 

del ducato^ morta sua moglie , essere stato 
eletto vescovo I e non deponendo V antica ca- 
rica^ aDuninistrare insieme le umane e le di- 
vine cose. Morto che fu, e succeduto nel du- 
cato Teofilatto suo genero | dovendosi venire 
ali^ elezione del nuovo pastore ^ Eupraasia ^ fi* 
gliuola di Stefano e moglie di Teoulattó^ cruc- 
ciata contra il clero che avea mostrato della 
morte di suo padre gran contento ed alle- 
grezza* giurò cne non avrebbe fatto eleggere 
niun di loro per vescovo ^ ed il duca suo ma« 
rito y sia per non contristarla^ o per avarìzia^ 
faceva perciò differire V elezione } tanto che i 
Napoletani attediati della limga vedovanza della 
lor cliiesa^ andarono' uniti insieme e clero e 

I)opolo a gridare avanti il ducal palagio ^ che 
oro dessero per vescovo chi volevano. AUora 
Euprassia tutta d^ ira e di furore accesa prese 
dal popolo un uomo laico , cliiamato Paolo, 
e loro il diede per vescovo} ne alcuno avendo 
ardire di contrastarle, presero Paolo , lo tosa- 
rono, e Y elessero vescovo; il quale gito a Ro- 
ma, il pontefice per la corruttela del secolo 
non ebbe alcuna difHcoltà di consecrarlo e con- 
fermarlo (*). 

In tanta corruttela, ed essendo giunte le cose 
in tale estremità, si scossero finalmente non 
meno i prelati della Chiesa che i principi del 
secolo a darvi qualche riparo. In Francia , morto 
Carlo Martello nell' anno 'j^iy avendosi diviso il 
regno Carlomanno e Pipino suoi figliuoli, benché 
non avessero la qualità di re, formarono il disegno 

O Jo. Diac. de Episc. Neap, CUioc. de F.pisc. Neap. Au, 795, 




L»U> QUINTO 4^ 

di operare in guisa che fosse in qualche modo 
riformata la disciplina. Carlomanno principe 
d' AuBtrasin fece net 743 convocare mi conci* 
lio in Alemanna , e yt pubblicò col consenso 
de' Tescovi molti regolamenti per riforma della 
disciplina e de* costumi : vietò aeli eccleeiasticì 
d* andare alla guerra : ordinò a curati di e»> 
Bere sottomessi a' loro vescovi : fece degradare 
e mettere in penitoua alcunf ecclesiastici coa< 
vinti di d^tti d' impurità. K neW altra adunanza 
che r anno seguente fece tenero in Lestines 
vicino a Cambray , oltre di aver confei'mato 
tutto ciò , vietò ancora gli adi^terii , gP ÌBce> 
sti , i matrimoniì illegittimi e le superstizioiu 
■ pa^ne. - 

Pipino prìncipe dì Neustria ài affaticò' paii> 
mente dal suo canto perchè la disciplina ec- 
clesiastica fosse rìfonnata. Fece tener un'adu* 
Danza di :)3 vescovi e molti Grandi dtA regno 
in Soissons nell' anno 7 44 ; nella quale furono 
confermati ì canoni de* conoilii prraedenti , ed 
ordinato che inviolabilmente fossero osservati: 
che ÌD ogni anno dovessera convocarsi i A- 
nodi: che i sacerdoti dovessero esser soggetti 
a' loro vescovi : che i cherici non potessero 
aver femmine nelle lor case, eccettuatene le 
loro madrìj sorelle e nipotij né i laici vergini 
a Dio sacrate. Ne^ seguenti anni ySa, •jSS, f66 
e 757 faroDO toiute altre consimili adimanze, 
nette quali sì stabilkooo altrì regolamenti sc^ra 
t costumi. E Pipino sopra ogni altro quasi ogni 
«DiH> fece tener queste adunanze , nelle quab 
furono stabiliti mólti Capitolarì per mantenere 
la dÌ8(»{Jina , rìnnoTanoo gli antidù cauoni , 

GiAPHOHB, FiU. II. 3q 



( 



46$ ISTORIA D91* aSGNO PI NÀPOLI 

€ &cendo de' nuovi regolamenti sopra i pres- 
santi bisogni della Qiiesa. Queste adunanze non 
erano propriamente concilii : elle non erano 
composte solamente di vescovi^ ma eziandio di 
signori e di Grandi del regno convocati da^ 

Ermcipi. I vescovi stendevano gli articoli per 
i polizia ecclesiastica, ed i signori, per quello 
apparteneva allo Stato ; e poi erano autorizzati 
e pubblicati da' principi , affinchè avessero, forza 
di legge. Questi articoli erano chiamati C2s|n- 
ioli; ovvero Capitolari. E questa fu la maniera 
ooUa quale era regolata la disciplina della Chiesa 
di Francia e di Alemagna sotto la seconda 
stirpe di que' re in questo secolo. 

In Italia (iirono parimente da alcum ponte* 
fici romani stabiliti molti canoni per riparo 
ddla caduta disciplina. Papa Zaccaria tenne 
perciò due concilii in Roma y uno nell^ anno 743; 
composto d^ intomo a quaranta vescovi d^ Ita- 
Uà , ove fu rinnovata la proibizione fatta tante 
volte a^ vescovi , a^ sacerdoti ed a^ diaconi di 
abitare insieme con femmine j e dati altri prov- 
vedimenti; r altro nel 'j^S j composto di sette 
vescovi e d' alcuni sacerdoti e diaconi ^ dove 
furono discusse alcune accuse fatte a due falsi 
vescovi franzesi , Adalberto e Gemente, e 
trattati alcuni dogmi intomo all^ idolatria, e di- 
chiarato che molti Angioli che venivano invocati, 
erano i loro nomi ignoti, e che non si sapevano 
se non i nomi di tre , cioè Michele , Raffaele e 
Gabriele. Anche in Ci vi dal del FriuU Paolino 
patriarca d^Aquileia nell' aimo 791 temie un con- 
cilio, ove dopo una confessione di fede stabilì 
quattordici canoni sopra la disciplina de^ cherici. 




LiBito qtiiirro 4^ 

■opra 1 matrimonii , e sopra le obbUgaziooi 
delle monache , e sopra altii bisogni. 

In Oriente , da poi che T imperailrìce Irene 
prese il governo aell' imperio, si pensò a ri- 
stabilir la discipUna. Prese risoluzione di far 
ragunare un nuovo conciho per esaminare ci& 
che r altro fatto tenere da Costantino Copro- 
nimo neU' anno 764 avea stabihto intomo d 
cidto delle immagini. Ne diede ti\a avviso A 
pontefice Adriano , che vi condescese , e vi 
mandò due sacerdoti per tenervi il suo luoga 
L^ adunanza del conciuo cominciò in Costan- 
tìnopoU nell' anno 786 : ma essendo stata tur* 
faata dagK ulBdali 4^'£3^^i''0; e da*soldatì 
eccitati da' vescovi opposti al culto delle im- 
magini f (il trasferita m Nicea V anno 787. 

I legati del pi^a vi tennero il primo luogo ; 
Tarasio patriarca di Costantinopoli il fecondo^ 
i deputati de' vescovi d' Oriente il terzo; dopo 
essi Agapio vescovo dì Cesarea in Cappado- 
cia, Giovanni vescovo di Efeso, Costantino 
metropolitano di Cipri , con 35o arcivescovi e 
Vescovi, e pìiì di cento sacerdoti e monacL 
"Vi assist^ono ancora due commessarìi delT im- 
peradoré e dell' imperadrìcej ed in più azioni 
lìi lungammte dibattuto il dogma del culto delle 
immagini , e stabiliti sopra ciò molti regoUt- 
raeoti. Non meno che a' dogmi , fa prowedato 
sopra la disciplina ecclesiastica per 31 canoni. 
Fa data norma alT esame de' vescovi , preacri- 
vendosi di non poter esser ammessi, se non 
fossero atti ad anunaestrnre i popoli , « ce oca 
sapevano il Salterio, il Vangao, l'epistole di 
S. Paolo ed i canoni. & dichiarano nulle tatté 



468 ISTORIA Dn RCGIfO Di NÀPOLI 

r elezioni de' vescovi o sacerdoti fatte da^ prìn- 
cipi; e reiezione d^un vescovo si commette 
a^ vescovi convicini. Si procede severamente 
contra i vescovi che ricevessero denari per de- 
porre, ovvero fulminar le scomuniche. Si ordina 
che tutte le chiese ed i monasteri debbiano 
avere i loro economi : che i vescovi e gli abati 
non possano senza necessità vendere o doiìare 
le tenute deUe loro chiese e monasteri : che 
non debbano le loro case vescovili e* monasteri 
fargli servire per osterìe: che un cherìco non. 
possa essere ascrìtto a due chiese : che i ve» 
scovi e gli altrì ecclesiastici ftion possano por* 
tare abiti pomposi. Si proibisce la rabbrica de^ 
oratorii ovvero cappelle , se non vi A possiede 
Mn fondo sufficiente per somministrar le spese. 
Si vièta alle femmine d* abitare ndUe case de* 
vescovi, ovvero ne^ monasteri denomini. Si proi- 
bisce di prendere cos^ alcuna per gli ordini , 
né per l'ingresso ne'monasterì, sotto pena di 
deposizione a' vescovi ed a' sacerdoti ^ ed in 
quanto alle badesse ed agli abati che non sono 
sacerdoti , di essere cacciati da' monasteri : 
peimette però a coloro che sono ricevuti né* 
monasteri, ovvero a loro parenti, il donar vo- 
lontariamente denaio o altro, sotto la con^ 
dizione però che que' donativi debbano rima*- 
nere a' monasteri , o che colui che v' entra vi 
dimori , o che n' esca , quando i superiori non 
siano cagione della loro uscita. Si vieta il far 
monasteri doppii d^ uomini e di femmine ] e si 
comanda che rispetto a queUi che sono già 
stabiliti , i monaci e le monache debbiano abi« 
tare in due case diverse, e che non possano 




ime QtnaTO 4^ 

vedersi , né aver familiarità insieme. Si proUii- 
sce a* monaci il lasciar i loro proprìi mona- 
steri per andarsene in altri; e per ultimo il 
mangiar insieme con femnune, quando ciò 
non fosse necessario per lo bene spirituale f 
ovvero per accogliere qualche parente , oppure 
in occasione di viaggio. 

Tali e tanti provvedimenti , perchè' la caduta 
disciplina in qualche modo si ristabilisse, iùr 
dati m questi tempi. Dove i vizi abbondavano^ 
bisognavano molte leggi per reprìmergli ; ma 

resta non era bastante medicina a tanti mafi. 
questo fine alcuni vescovi per riformar il lor , 
clero , fecero vivere i loro preti in comune den- 
tro un chiostro , .ed alla lor vigilanza è debi- - 
trice la Chiesa delP ordine de* (donici regolari, 
de' quali Crodegando vescovo di Metz sembra 
essere stato T inslitntore , ovvero U restauratore. 
Le chiese delle nostre provincie y le quali parte 
ubbi^vano agli imperadori d'Oriente, parte a* 
duchi longobardi, furono perciò alquanto rial- 
sate , ma non tanto , sicché per la narbarìe ed 
ignoranza del secolo non si vedessero per an- 
che disordinate , e pochi vestigi in quelle ri- 
» delT antica disciplina. 



ti. 

Baceolùt de* eaiumì. , 

In quest' età . bisogna collocare la cc^leùoqe 
d'Isidoro Mercatore., o uà Peccatore. EHa i 
latina , ed k compilata di vaili canoni de' con- 
ciliì tenuti in Grecia, in Affiica, in Frapda 




tSTOBU DEL a£GKO DI RAPOtr 

1 pagna, e di molte lettere decretali di 

f i inaino a Zaccaria clie moli liell^ an- 

(i). Davide Biondello (a) fa vedere I' im- 
di molte di queste epistole attnbuite 
a )api di cui uon aoiio; e Pietro di Mar- 

ca icorcliè condanni il modo troppo aspro 

■oiu non è pero che non 

;: 1 r impostura. Si dis- 

piiia aucu.^ u ii questa collezione. 

Incmaro (4) ^""^ ' Rema uè fece au- 

tore Isidoro di narra che Ricolfo 

Tescovo Mapo e tenne ipiella citiesa 

dall'anno 787 ' ino 814 j dalla Spa- 

gna la portass , dove sotto il re- 

gno di Carlo lO fatti mt^ti esen»* 

plari, e sparsi per tuiio. aia da ciò clic si disse 
nel precedente libro, e da quello che ne dice 
V istesso Baronìo e Marca , non può farsene 
autore Isidoro vescovo di Siviglia , il qual mori 
neir anno 636 , quando questa collezione ab- 
braccia anche Y epistole di Zaccaria morto nel 
^Sa. Altri (5) perciò V ascrivono ad Isidoro ve- 
scovo di Sepulveda, che morì nell'anno 8o5, 
il qual seguendo il costume di que' tempi , ne 
quali i vescovi per umiltà solevano sottoscrirersi 
ne' concilii ed altrove Peccatori, si fosse detto 
perciò Isidoro Peccatore , e che poi per vizio 
degli amanuensi in alcuni esemplari dì questa 
collezione in vece di Peccatore, si leggesse 

(i) Donjit Htif. du DroJt. Canon. p»rt, i. etti. Si, 
(3) Blonda in PH^udo-Mdora p<Ut. an. 1C3S. 
0> Marra de Cancor. Sin. et Inip. lib. 3. cap. 5. nnin. 1. 
<4) HÌDcmiT. Fp. 7. e, 13. rt in Opuic 5S. rap. a4> 
(5) Baron. An. 865. nuni. 5. Mariana lib. 6. d« Rcb. Hiip. 
«■p. 5. Chroiiic. Juli«ni T«). Pari*, edit. « Lanmilio lUmim. 



LIBRO qeijxro 4?' 

Mereaion. Emanuel Gonzalei (i) rapporta cne 
questa collezione d^ Isidoro Mercatore fu pub* 
blicata sotto nome desidero di Siviglia per 
darle maggior autorità y o perchè realmente db 
costui fosse cominciata un altra collezione^ rik 
dotta poi a compimento da Mercatore» c€m 
averci inserite molte altre epistole sino a^ tempi 
di Zaccaria. 

Non solo in questi tempi fu veduta sorgere* 
questa nuova collezione a Isidoro^ ma anclM 
se ne vide un^ altra sotto nome di Capitoli di 
Papa Adriano y che in Francia fu divulgata dfl 
Ingilramno vescovo di Metz V anno 785. Mf 
questa raccolta y secondo che ci te^t^ca Incma* 
ro (a) di Beims, non fu ricevuta nel rango di^ 
canoni; di che è da vedersi Pietro di Mar* 
ca (3). Anche in Roma in questo medesimo 
secolo fu fatta un^ altra raccolta di formole an- 
tiche ^ intitolata: Diumus Romanorum Ponti» 
ficum i della quale si servivano solamtnU i 
papi neBe loro spedizioni. 

tn. 

Monaci y e beni Umporati. 

I nostri principi ed i signori grandi non 
cessavano m far delle donazioni considerabìH 
alle chiese j ed a fondare de^ nuovi monasteit, 
ed arricclure i già costrutti. Fu veramente 

<i) Goncalet tu Apptnta de iwig. d progr. Iitr. Canoa; 
Barn. 16. 
(1) Hincmar. in Opusc màyrnc, Hincon. LainL 9^ s4* 
(3) P. de Marct loc. cH. nam. 4* 




473 isToniA USL recmo di ifipou 
questo il secolo de' monaci. L' ignoranKs e la 
fiuperstizione non inen de' laici che de' preti ci"a 
neil' I ino grado : solo uè' monaci eran rìmasa 
qualcb letteratura, onde con facilità tiravano 
per le orecchie la gente a ciò eh' essi voleva- 
no. I tanti miracoli , le tante nuove divozioni 

inventate a qu-'-"-- ^-olar Santo, ristniir 

essi per T ignur.. ìolutezza de' preti H 

popolo, operò t tirerono a sé la di- 

' vozione e pi i. II re Luitprando 

costrusse nuu utto, dove soleva di- 

morare, molte oche ben ampli mo- 

nasteri. Costui inasterò di S. Pietro 

fuori le mura v». le a' tempi di Paolo 

Wamefrido C) pt> cchezza si chiama'va 

Cielo d' Oro. Editiuo uiiLuia in cima delle Alpi 
di Bardone il monastero di Berceto ] ed oltre 
a ciò fabbricò in Olonna un tempio con mi- 
rabìl lavoro in onore di S. Anastasio martire f 
dove fece anclie costruire un ampio monaste- 
ra Egli con molta magnificenza per tutti i luo- 
ghi ordinò chiese , e fu il primo che dentro il 
suo palazzo edificò mi oratorio dedicato al Sal- 
vatore, ordinandovi sacerdoti e cberici, i quali 
ogni giorno vi cantassero i divini uffici. Qumdi 
cominciarono appo noi a rilucere con maggior 
dignità e splendore le cappeUe regie , le quali 
da sommi pontefici arriccbite poi di molte pre- 
rogative ed esenzioni per compiacere a'princkii 
che glie le richiedevano , non meno esse che 
i loro cappellani s' elevarono cotanto, quanto 
ravviseremo ne' seguenti libri di quest' Istcnia. 

n ftvi. Warocfr. lib. 6. e. 58. 



LIMO QVi:iTO 47^ 

I nostri duchi di Benevento , s^tntando F e- 
sempio de* l(»o re , non meno in Benevento 
che in tutto il loro ampio ducato ne fondarono 
de* nuovi , ed arrìcchutino i già costrutti , e 
s<^ra ogni altro quello di M. Casino. Arechi 
ingrandì quello di S. Sofia in Benevento, e di 
profuse donazioni lo cumulò. A questi ten^i circa 
neiranno 700 fu costrutto da que* tre famosi no- 
bili longobardi beneventani Patdo, Taso e Tato 
il famoso monastero di S. Vincenzo a Vultur- 
no (t) con tanta magnificenza » che ne' seguenti 
tempi quasi emulo di quello di M. Quino , in- 
nalzò i suoi abati a tanta dignità ^ eh* erano 
adoperati ne* più importanti auarì della sede di 
Boma e de' più potenti signori d' Occidente. 
Non meno in questo ducato che nel napoleta- 
no , e nelle altre città sottoposte agi' ìmpera- 
dori d* Oriente , i monasteri si moltiplicarono, 
non pure quelli sotto la regola di S. Benedetto 
che di S. Basiho, non solamente degU uomini 
che delle donne. In Napoli Stefano duca e ve- 
scovo costrusse molte cliiese e più monasteri, 
dotandogli d' ampiì poderi e rendite ; così quello 
di S. Festo martire, ora unito a quello di S. 
Marcellino , come F altro di S. Pantaleone, dì 
cui og^ non vi Ò vestigio ; e restituì in più 
magiufica forma quello cu S. Gau(Uoso (3). An- 
timo console e duca ne fondò altri , quella 
de' SS. Onirico e Gìulitta , la chiesa di S. Paoh^ 
che la congiunse col monastero di S, Andrea. 

(1) Oiti^Di. lib. I. r*p. i. V. PHIrgrin. in irrìr Abbat. Cat. 
•in. Tbeodeiiuir. V«dì Uibil. tam, 6. ore li legge h Cronaca 

C-i> Chioc d* ^M. VvMf. in St«phww A. 764. 



^74 ISTORIA. DKL RGGUO Di IfATOLI 

e così anche fecero non meno ì vescovi e^ du* 
chi <li Napoli , elle gii allrì uFGciali e' prelati 
delle altre ciUà di queste provincie onde ora 
ai compone il regno ; i quali possono osser- 
varsi nella laboriosa opera dell' Italia Sacra d' U- 
ghello. Crebbero perciò i monaci , e le loro 
ricchezze in * " " i non minore fu F ac- 
crescimento a torità e riputazione a 
cagion dell* igno li altri , e delle lettere 
che nel miglioi e si potè in tanta bar- 
barie , fra loro rayano, 

Fondati peri monasteri , ì monaci 

cotanto arricc dutisi in tanta eleva- 

tezza , tentaro che mai di scuotere 

affatto il giogo vi. Cominciarono, e^ 

è vero , nel precetlente secolo ì monasteri ad 
eaenzionarsi dalla giurisdizione de^ vescovi j ma 
ciò , secondo narra Alteserra Q j i>on si usava 
che di radissimo. 

(Ne' precedenti secoli fìiron rarissime le eseiH 
zioni de* monaci ; ed Isacco Haberto , Arcfaie 

Stag. SgS, crede che il primo abate esente 
osse stato quello del monasterio Lirinense, a 
cui dal concilio Aretatense lU fosse stata con- 
ceduta la prima volta esenzione intomo T an- 
no 4^0 ). 

L* esempio che in questo secolo diede Zac- 
caria col monastero di tnonte Casino, fece che 
j^ altri dì tempo in tempo si rendessero taitti 
esenti. Lo splendore nel qude era il medesimo 
in questi tempi , trasse a sé tutto il favore de 



O Alt»»"". AK«tiroii lib. j. Mp. I 



LURO QUINTO • 4?^ 

romaiii pontefici^ i quali come se foasero'pre* 
saghi che da quello j come dal cavallo troiaiiO| 
ne doyeano uscire tanti pontefici suoi succes-^ 
sori y non mai si stancarono di cumularlo di 
privilegi e di prerogative. Lo rendevano pia 
augusto essejrsi ivi resi monaci , oltre a Racni. 
Carlomanno y e tanti altri personaggi regali ed 
illustri. Perciò ristabilito col favore de^ due Gre- 

Jrorìi n e DI da Petronace in quella magnifica 
orma y Zaccaria y emulando i suoi predeces- 
sori y volle di maggiori preminenze arricchirlo. 
Volle egli di sua man propria consecrarlo , ed 
ivi portatosi con tredici arcivescovi e sessan- 
totto vescovi^ rendè più augusta e magnifica 
la consecrazione. Furono i monaci pronti a rìr 
chiederlo che si famoso ed illustre monastero 
dovesse esentarsi affatto dalla giurisdizione del 
propria vescovo • nella cui diocesi era. Zac-», 
earia volentieri ^li concedè ampia esenzione* 
e ne spedi privilegio y col quale non solo qud 
monastero ^ ma tutti gli altri appartenenti a 

J nello y ovunque posti j fossero esenti e liberi 
alla giurisdizione di tutti i vescovi y ita ut nul^ 
lius juri subjaceaty nisi soUus Romani Pon* 
tyicis 9 come sono le parole di Lione Ostien- 
se C). Oltre a ciò y lo decorò ancora d^ altre 
preminenze : che in tutti i concilii V abate Ca- 
sinense sopra tutti gli altri d)ati sedesse^ a 

Srima 'degli altri desse il suo voto : ch^ eletto 
a^ monaci dovesse consacrarsi dal pontefice 
cornano ; che il vescovo entrando nella sua 

P OsUeiu. lìb. 9. eap. 4. V. F Abate ddk Noee, diete- 
•tifica servarsi ancora questo prÌTilegio neir ArcfaÌT. Cairn» 



t 
I . -< 



476 rXTORtA DEL MGIIO DI IIU>OLI 

giurisdizione', non potesse celebrare , uè far altra 

Fontitìcal funzione , se non fosse invitato dal- 
abate o dal preposìto; che non gli fosse le- 
cito esiger decime da lui , uè interdire i suoi 
sacerdoti, né chiamarli a' concìlii sinodali; che 
gli abati di questo monastero potessero tener 
ordinazioni , eoi: Jtari , e ricevere per 

quabisia tcscovi oa. Gli confermò an- 

cora eoa suo p possessione dì tutti 

que^ beni che n :enza di tanti principi 

longobardi e gnori avea acquistati. 

Gli altri ponte! ori , seguitando le me- 

desime pedate . . ro questi priviJegi, de' 

quali l'abate d (*) ne ha tessiiLo un 

umgo catalogo. 

Gli altri monasteri solfo altre regole ed i 
loro abati di non inferior fama e valore con fa- 
cilìUt impetravano da' romani pontefici d' esser 
ricevuti sotto la protezion di S. Pietro , ed im- 
mediatamente sotto alla soggezion pontificia, 
Eerchè questa esenzione accresceva in gran parte 
1 lor potenza, e portava grande estensione 
della loro autorità appresso tutte le nazioni det- 
T Occidente- poiché costruendosi tuttavia grandi 
e nomerosi monasteri retti da abati di gran 
fiuna , i quali per la lor dottrina oscuravano ì 
vescovi , nacque in&a di loro qualche gara ; 
onde gli abati, per sottrarsi daDa loro sogge- 
zione , ricorrevano al papa , e tosto impetra- 
vano esenzioni , con sottoporsi immediatamente 
sotto alla soggezion pontificia. Ne ricevevano, 



UBRO QUIKTO 4?? 

oltre a ciò ^ altri privilegi^ di far essi li lettori 
per i loro monasteri^ d esser ordinati da^co- 
revescoiri, e tanti altri. Quindi naccjiie che il 
pontificato romano acquistasse molti defensor! 
della sua autorità e potestà \ poiché ottenendo 
i monaci tanti privile^ e prerogative, per con- 
servarsegli erano obbhgati di sostener V auto- 
rità del concedente: il che facendo ottimamente 
i monaci I ch^ erano i più letterati del secdo • 
non passarono molti anni che si videro tutti 
i monasteri esentati. Ed in decorso di tempo 
i capitoli ancora delle cattedrali . essendo per 
la maggior parte regolari , co* medesimi preto* 
sti impetrarono anch'essi esenzione. £ final* 
mente le congregazioni Quniacense e Qster- 
ciense tutte intere fiirono esentate con gran 
angumento delP autorità pontificia, la quale ye« 
mva ad aver sudditi proprii in ciascun luogo, 
ancorché da Roma lontanissimo , li quali n^ 
V istesso tempo eh* erano difesi e protetti dal 
papato , scambievolmente erano i difensori e 
protettori della sua potestà. S. Bernardo an« 
coichò Cisterciense non lodava V inv^mone , 
e di tal corruttela ne portava spesso le do* 
l^anze non pur ad Arrigo arcivescovo di Sena (i), 
ma ammomva F istesso pontefice Eugenio ID 
a considerare che tutti erano abusi , né si do» 
veva aver per bene se un abate ricusava di 
sottomettersi al vescovo , ed il vescovo al me« 
tropoUtano. Riccardo arcivescovo di Cantora 
hery (a) .pur lo stesso esclamava con Alessan* 
X dro IIL Ma costoro che non ben intendevano 



<i> S. Ber. Epift 43* ^ ^* )• ^ eoDiid. ad Eogen. 
<9) P. Bleten. Eput 6S. 



.• 



476 ' mOtU «Db iMM m VA»OU 

mmA ttmi S: S»ÉU> y firaM inlnij né 
iflb loro fnerab di oiad» . oredclua An^ ih^ 
imipi poftanori battatadoA la mtàemoM rim « 
'o procede. (Me «finii) poidiè da poi' |^ 
éSaa nindioanli non aob òttamaro (^^ < 
diacia ^fiTantpcìtà apisoopale, a g gn e rai f nta 
offunq ua feaavo ^ -ma anche bèoltà di ftbbn* 
air "«^iasa in mialnni|iia Inogoy ad in< <pà)m 
fgiandift • wtiwiìrtn ir 'ff^ T^**"" " "- k xmM utimi 
wcali a* ara. mito iunanaprocadoto ^ dia ùf/ai 
pijìyalo |irala cali poèa apaaa à^impatTava im 
aianakwdana'anpariorità- iM ana aasoofo mn 
•ab nflUa «aita or comsiÒBe ^ aia anche par 
potar ésaar ordinato' da dn di piacata , ea a 
aottana tli non tìcooofocte iltaacovo in eanka 
aKiano« ^£ anantnniOBa nH* conauo OA-Ciioatama 
aHa calda é i^Mtnta guarda dd finnoad, Gap* 
aciM (1) mdtiaaime aaanaiooi a* annaHaaaero | ad 
dtimamante nd concilio di Trento (2) si proc- 
curasse a tanti eccessi qualche compenso ; non 
SODO però da poi mancati modi alla corte di 
Boma di far ncadere la bisogna j salva P au« 
tonta del medesimo ; in quello stato che o^^gi 
tatti Teggiamo, - 

Questi ingrandimenti ddlo stato monastico 
portarono non solo a^ monaci grandi ricchezze, 
ma in conseguenza assai pia aUa corte di Ro« 
ma, ove finalmente vennero <peUe a terminare. 
Si proccarava non solo favorire gli acquisti, 
e tener sempre aperte le scaturigini, ma con 
severi anatami proibir le alienazioni, e scagliargli 

(O Gfnon. traet de poteit. Eedes, eoot. io, et èe sfaHK 
Erri. ooDsid. ^ ^' 

(9> Seu. i4* à9 rthr, i{, éà «ItroTC. 



LIBRO QOINTO 479 

ancora contro chi ardiva di turì^ar Tacque 
stato. Per Tignoi^anza e superstizione de^po^ 
poli i peliegrìnaggi erano più frequenti : V ora« 
xioni ed i sacrificii a fin cu liberar T anime de* 
loro defonti dal purgatorio y erano vie pi& 
raccomandati e molto più praticati. Si vide 
per ciò in questo secolo una gran cura del 
canto ^ de* riti e di ben ufficiare : le campane 
cominciarono ad esser comuni in tutte le chiese 
e monasteri; e le particolari devozioni a* Santi^ 
de* quali eransi composte innumeràbili vite e 
miracoli) tiravano molti a donare alle lor cliiese 
e monasteri. Ma i mònaci non contenti di ciò^ 
favoriti da* pontefici romani y invasero anche le 
decime dovute a* vescovi ed a* parrochi da* 
loro parrocchiani. Pretesero, e 1* ottennero da* 
creduli devoti, che impiegandosi essi assai me- 
glio che i preti alla cura delle loro anime , come 
quelli che più esperti sapevan far delle predir 
elle e de* sermom , ed istruirgli nella dottrina 
cristiana , le decime non a* parrochi , ma ad 
essi dovessero pagarle ] ed in effetto per lungo 
tempo vi diedero un guasto grandissimo non 
inferiore a quello che v*avea dato in Francia 
Carlo Martello ; tanto che bisognò ne* secoU se- 
guenti penar molto a ritogUerle e restituirle 
a* propni preti , a* quaU is* erano involate. 

Niun* altra provincia del mondo ^ quanto il 
nostro reame , ha fatto conoscere quanto im- 
portava a Roma la riccliezza de* monaci. Le 
maggiori commende, i più grandi benefizi eh* ella 
oggi dispensa a* suoi carainali e ad altri suoi 
prelati per mantener la pompa e lo splendore 
della sua corte, non altronde dipendono, ed 



4Bo I^T. DEL RE6X0 DI :IAF. LIB. V. 

hftiuio la di loro orìgine, se non da (jueste pro> 
fusioni de' noslri prìncipi e de' uostri FeilelL 
1 nionasterì più ricchi perciò si Ttdero dare in 
commende. Quelli clic u tempo consumù, sono 
rimasi fondi di tante. rendite che ora ne trag- 
gono j 8 le entrate di que' tanti monasteri , dì 



che ora appena 
Roma vanno . 



matene 

leggi, così j 

nuova giungp 

mi, quanti ne 

ciò a più opportuno luogo. 



rba vestigio , tutte in 
Kiindì i pontefici ro- 
ndpi , siccome quelli 
Le' feudi , così essi a* 
i : e siccome per la 
to un nuovo corpo di 
iaria se n' è fatta una 
Ile occupa tanti volit- 
ati la feudale. Ma di 



FiKE DSL Volumi II. 



I ■ 






TAVOLA 

DEI CAPITOLI 



LIBRO TERZO 

Cir. I. JLJé God occidentali, e dette loro 

l^ggi . • • pag. 8 

S *• ^cl Codice <f Alarico »> i5 

S 2. Traslazione della sede regia degli 
y lVestroff)li da Tolosa di Francia 

in Toledo nelle Spagne »> 19 

$ 3. ^Del nuovo Codice delle le^ degli 

IV^trogod. » 22 

Cip. II. De* Goti onenialiy e loro editti • . 99 ,29 
% i. Di Teodorico ostrogoto^ re é^ ItOr 

Ha n 36 

S ^- t^ggi romane ricesfute daTcodorìco 
in Italiane suoi editti conformi alle 

medesime " 4^ 

S 3. La medesima polizia e magistrati 
V ritenuti da Teodotico in Italia . n 52 

% ^. La medesima disposizione delle prò- 
^ vincie ritenuta in Italia dal re Teo- 

\ ^ • dorico, . ; » 58 

Della Campagna ^ e suoi consolari . n ivi 
Della Pugha e Calabria y e suoi cor- 
rettori. n 65 

Della Lucania e Bruziy e suoi cor-- «^ 

rettori » 67 

Del Sannio _, e suoi presidi .... » 70 

GlANNOIXE FoL IL 3i 



« 



\ 
1 



S 5. 7 medesimi codici rìiemui,e le me- 
desime condizioni deUe persone e 
de' retaggi ........... pag. 71 

* S 6. Insigni virtìi di Teodorìco , e sua 

morte n ^4 

S 7. Di Atalarico re df Italia » 83 

Caf. III. Di Giustiniano imperadorcy e sue leg^^ 85 
S I • Del primo Codice di Giustiniano n 86 
S a. /^e//e Pandette ed Instituzioni .' . »» 88 
% 3. /^e/ secondo Codice di Giustiniano 

di repetita prelezione n gS 

S 4* Delle NoveUe di Giustiniano, . . n ioti 
% 5. DelT uso ed autorità di questi libri ih 

Italia ed in queste nostre provincien 108 
Gap. ly. Espedixione di Giustiniano cantra Teo^ 

dato re i Italia successor ^Ata- 

larico n III 

% \, Di Viti^ , Ildibaldo ed Erarìco re 

tP Italia .....'> iati 

% là. Di Totila re i Italia , . » 1214 

% 3. Di Teia ultimo re de' Goti in Italia» \i^ 
Gap. V. Di Giustino II imperadote, e della 

nuoi^a polizia introdotta in Italia 
ed in queste nostre provincie da 
Longino suo pritno esarca ... « i4o 
Gap. vi. DcW esterior polizia ecclesiastica . . »» i43 

S I. Del patriarca d' Occidente 147 

5 2. Dei patriarca d! Oriente »> i5i 

5 3. Polizia ecclesiastica di queste nostre 
Provincie sotto i Goti e sotto i 
Greci fin a* tempi di Giustino Un 1 58 

§ 4» De* Monaci, n 169 

§ 5. Regolamenti ecclesiastici , e nuoi'c 

collezioni » 176 

S 6. Della conoscenza nelle cause, . . » 184 
§ 7. Beni temporali »> 19 1 

L I B R O IV. 

Gap, \, Di Albonio I re d* Italia che fermo 

la sua sede regia in Pavia, e degli 
altri /Tc siwi successoti v 202 



% ì. Di Clefi II rt it Italia .... pag. io3 
5 X Di Autori IH re cC Italia ....*> in 
\ 3. Origine de^ feudi in Italia .... » iiS 
Gap. II. Del ducato benes^ntano, e di Zotone 

suo primo duca » aao 

Gap. hi. Di Agilutfo IF re de* Longobardi , e 

di Arechi II duca di Benevento »» iZj 
% i. Di Arechi II duca di Benevento n alo 
Gap. rV. Del ducato napoletano y e suoi duchi » a44 
Gap. V. Di Adalualdo ed Ariovaldo, F e FI 

re de* Longobardi '* a5i 

Gap. vi. Di Rotori FlI re , da cui in Italia 

furono le leggi longobarde ridotte 

in iscritto '> a54 

Gap. vii. Di Alone e Rodoatdo, III e IF du- 
chi di Benevento n i63 

Gap. Vili. Di Grintoaldo F duca di Benevento: 

delle guerre da lui mosse d Na^' 
poletani ; e morte del re Rotori n a65 
Gap. IX. Di Rodoaldo , Ariperto^ Partorite e 

GundebertOy FIII^ v/Jf , X e XI 

re de* Longobardi »> l'j'i 

Gap. X. Di Grimoaldo XII re de' Longobardi, 

di Romualdo FI duca di Bene- 
vento ; e della spedizione italica di 
Costanzo imperador dH Oriente . » 276" 
S I. Di Romualdo FI duca di Bene^ 

vento n 279 

% 3. Fenuta de* Bulgari ; ed origine della 

lingua italiana^ n a86 

S 3. Leggi di Grimoaldo y e sua morie n 292 
Gap. XI. Di Garibaldo , Pertarite , Cuniperto , 

ed altri re e duchi di Benevento y 

infitto a Luilprando *» ^19^ 

S I. Di Grimoaldo II y Gisulfo /, Ro- 
mualdo II y AdeUd , Gregorio , 
Godescalco^ Gùfulfb II e Luit- 
prando duchi di Benevento ..." 296 
S a. Dì Luitperto , Rogumberio , Ariper- 
to II ed Asprtmdo re de* Longo- 
bardi 299 



m 

cn net ^M 
Autori ^M 
u-ltim- ^ 



Cap. XIl. Dell' ifsterior po&iin cevlctiaslicti 

rrgno ite' Longobardi da /iutari 
iiLiino al re Luilpimuio; e lu-ltùn- 
feria de' Greci , ita Giustino II 
insìno a Lione laaurico . . . I>ug. lou 
5 I . airone d«' vexravi , e loro dispth- 
dizione nttie cillà di tjuexle nostre 

S 3, 'esiattià ■ 327 

5 4- - 3-,g 

» V. 

S "^ - 343 

S Italia per gH edfifi 

vo " 346 

ekino H mantenne 

.ione, luaurico . . " 35() 

5 \. Orìgine aet Uominio temporale de' 

romani pontefici in Italia . , . , " 3Ga 

§ 5. Frinii ricorsi oi'uti in Francia da 
papa Gregorio If, e dal tuo suc~ 
cessore Gregorio IH n 3-3 

S 6. Costantino Copronimo succede a 
Lione tuo patire ; e morte dì Liiìt- 
pramlo re de' Longobardi . , . i- 3-(; 
(-*r. I. Di Bnrhi re de' Longobardi , e .sue 

irggi . . . ., - 38o 

5 I. TransUiàonc del reame di Francia 

da' Mermingi a' Carolingi .... » 3^2 

5 2. Racla abbandona il ifgno e fossi 

monaco Ca^mnese •, 3W; 

i',r,r. II. Di jistolfo re de' Longobanii: ma 
xptdizione in Ravenna , e Jìne di 
quell'esarcato Sof 

S 1 . S/H'dizione (C Astolfo nel durato ro- 

matto •■ 3t).S 

S 2. Papa Stefano in Francia: .'itoi trat- 
tali col re Pipino ; e duiurzionc di 
questo principe fatta alia Chiesa 
romana di Pcntafmli e delC esar- 




eato di Ravemia tolto à longo- 
bardi , . , . . pag. 4<» 

S 3. i>ffif étAtloyo, e ma morte . . » 4'^ 
IH. Il ducalo napolelano, la Calabria, 
il Bnizio^ ed alcune altre città 
marillime di queste notlre provin- 
cie n manlengono tolto lajède 
delT imperadore Costantino , e di 

Lione suo /ìgliuolo n 4'^ 

IV- Di Desiderio ultimo re de' Longobardi" 4^^ 
V. Leggi de' Longobardi ritenute in Itor 

lia , ancorché da tfueUa ne fossero ■ 
stali scacciati .■ loro giustizia e sa- 
viezza n 435 

/, Ijcggi lor^barde langamenle ri- 
lenule nel ducato beneventano , e 
poi disseminale in tutte le nostre 
Provincie ontE ora si compone il 

regno .' » 4^' 

VI. Della polizia ecclesiastica , .1, . . . n 4^8 

S I. Raccolta de' canoni »» 4^9 

S 2- Monaci, e beni temporali .... » 4?' 



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