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WILLIAM ^ABCOCK
COLLECTION
IN T1ET>IS;VAL STVJJIB^
STAUPORD VNIVER0ITY
LIBRARY
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OPERE
DI
PIETRO GIANNONE
VOL. II.
ISTORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI
DI
PIETRO GIANNONE
VOLUME SECONDO
Il CUI COVTlBirSl LA POLIZIA DBL RBGIO SOTTO AOMAHI^
GOTI, GIECI E LOHGOBAIDI
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MILANO
DALLA
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DELL'ISTORIA CIVILE
DIL
REGNO DI NAPOLI
LIBRO TERZO
I
vari moti civili^ le grandi mutazioni di
Stato e le vicende della giurisprudenza romana
che avvennero dopo la morte di Yalentiniano III
infiiio al regno di Giustino II imperadoi*c^ sa^
ramio il soggetto .di quésto libro. Si narreranno
gli avvenimenti di un secolo, il^l quale nuovi
dominii, straniere, genti e nuove leggi vide W
iaììsLj e videro queste nostre provincie che ora
compongono il regno di Napoli; Infino a que-
sto tempo non altri magistrati si conobbero^
non altre leggi , se non quelle de^ Romani : da
ora innanzi si vedranno mescolate con quelle
di straniere nazioni, le quali, ancorché bar-
bare, merìtan però ogni . commendazione , non
solo per le molte ed insigni virtù loro , ma an->
che perchè fìiron delle leggi romane così osse-"
quiose e riverenti, che non pur non osaron ol-
traggiarle , ma con somma moderazione , coutrp
alle leggi della vittoria , ehe dettavano di far
passare i vinti sotto le leggi de^ vincitori, le
ritennero. Non aspettino per/ tanto i lettori che
dovendo io in questo e ne^ seguenti libri favellai'
6 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
de* Goti^ de* Longobardi e de* Normanni^ che
hanno una medesima origine^ debbia^ come
han fatto moltissimi, aspramente trattargli da
inumani, da fieri e da crudeli, ed avere le loro
leggi per empie , ingiuste ed asinili , come yen-
gon per lo più da^ nostri scrittori riputate. Splen-
derà ancora nelle gesta de* loro principi non
meno la fortezza e la magnanimità, che la pie-
tà , la giustizia e la temperanza 3 e le loro leggi
e i loro costumi, se bene non potranno para-
gonarsi con quelli degli antichi Romani, non
dovranito pero posporsi a quegli degli ultimi
tempi dello scadunento dell* imperio , ne* quali
la condizione d* esser Romano divenne più vile
ed abbietta che quella di co1(h*o che oarbari
e stranieri fìiron nputati.
Dovendo admique prima d'ogni altro favellar
de* Goti, non è del mio instituto che venga da
più alti prìncipii a narrar la loro origine, e da
qual parte del Settentrione usciti, venissero ad
inondare queste nostre contrade* Non mancano
sórittori che ci descrissero la loro origine, i pro-
gressi e le conquiste sopra varie regioni d Eìu-
ropa; ed ultimamente 1* incomparabile Ugone
Grozio ne trattò con tanta esattezza e di-
gnità, che oscurò tutti gli altri. Quel che però
dee sommamente importare, sarà il distinguere
con chiarezza i Goti orientaU dagU occidenta-
li; poiché dall*averg^ alcuni nostri autori con-
fusi, e non ben distinti, han parimente confiise
le loro leggi e costumi, ed appropriato agli uni
ciò che s* apparteneva agU altri , com^ si vedrà
chiaro più mnanzi nel corso di questo libro.
O Grot. in Proleg. in Hist. Got.
LIBUO tÈRftO ^
L* origine del loro nome non è molto oscu^
ra: essi che per F ospitalità e cortesia verso i
forastierì furono . assai rinomati e celebri^ ànclte
prima che abbracciassero il cristianesimo, s^ac-*
quìstarono presso a^ Germani il nome di buoni:
Boni^ dice Grozio C)y Grermanis simt Goteii,
aut Guten: onde aWeùne che poi presso a
tutte r altre nazioni d^ Europa Goti s^appellas-^
sero. Furono di'dsi^ secondo i siti delle regioni
che abitarono, in Goti orientati o siano òstro-
goti , e Goti .occidentali ovvero ▼estrogoti ,
die i Latini corrottamente chiamarono Visigoti.
Quegli ch^ abitarono le regioni più alFOrit!nte
rivolte verso il Ponto Eussino, msino al fiume
Tiras, e che poi con permissione de^Mmpe-
radori orientah eM>en> là Pannonia, la Tracia,
ed «dtimamente V Illirico per loro sede , furon
appeiali Ostrogoti; ed eran governati da' prii^
cipi àéisL non meno antica che iUnstre casa
de^ Amali, donde trasse la sua origine Teodo^
rico Ostrogoto che resse queste nostre provin-
de. Gli altri che verso Ocddehte fiirono rivolti,
e che 'sH tempi d'Onorio ressero rAxpiitania e
la Narbona, e da pòi molte provinde della Spa*
gna, XTestrogoti fixvoa nomati: onesti erano
comandati da' principi della casa de Baiti; gente
lUustre altresì, ma non quanto la stirpe degli
AmidL la quaie in nobiltà teneva il vanto : IV
Iosa ra la loro sede, capitale della Provincia ,
detta poi per la loro residenza questa contrada
Guascogna, che tailto vuol dire hi loro lingua,
O Grot. in Prolegom. pag. t3.
8 ISTORIA DEL EEGRO DI NAPOLI
quanto Gozia occidentale (i); benché altri di-
cano che da^ Vasconi popoli di Spagna^ che^
varcali i Pirenei^ occuparono questa provìncia,
tosse detta Guascogna.
CAPO l
De Goti occidentali, e deUe loro feggz.
I prìncipi westrogoti della stirpe de^ Baiti ,
essendo stata loro sotto F imperio d^ Onorio da
questo principe stabilmente assegnata FAqaita-
nia e molte altre città della Naroona, in To-
losa fermaron la loro sede, onde poi re di To-
losa si dissero. Essi a tutto potere proccuravano
stendere il lor dominio neU^ altre provincie della
Gallia e delle Spagne, le quali eran da^ Vandali
malmenate ed oppresse. Più volte a Vailia, che,
come si disse nel precedente libro, a Rigerico
successor d^Ataulfo succede, fortunatamente av-
venne che nelle Spagne trionfasse d^ essi, e lor
desse molte gravi e memorabili rotte. Morì Val-
lia, dopo aver riportate contro a^ Vandali tante
vittorie, in Tolosa Fanno di Cristo 4^8, ed a
lui succede nel regno Teodorico (a). Gli scrit^
tori variano nel nome di questo principe: Gre-
gorio di Tours (3) lo chiama Tendo: Isidoro,
Teudorido: Idacio, Teodoro: ma noi seguendo
Giomandes (4), scrittore il più antico e 1 più
(i) Paulus /Etnil. de Reb. Frane, lib. i.
(a) Paul. /Èmil. loc cif.
(3) Greg. 1. 2. Hìst. Frane, caf). 7.
(4) Jornawl. de Reb. Geiic, cap. 94»
LIBRO TKRZO Q
accurato delle cose de^ Goti, lo chiameremo con
Alteserra (i) Teodorìco. Resse questo prìncipe
rAquitania anni ventitré: prode ed ecceUente
capitano, che contro ad Attila ne^ campi di
Qiaalons diede F ultime prove del suo valore: (u
egli in questa battala gravemente ferito , e
sbalzato da cavallo restò tutto infranto, ed indi
a poco morì. Lasciò di lui sei figliuoli maschi,
Torrismondo, Teodorìco il giovane, Frederìco,
Evarìco. Ro temerò ed Aimerìco, ed una figtiuola,
che colloco Ila in matrimonio con Umierico fi-
glipolo di Gizerico re de^ Vandali.
Torrismondo adunque succede nel reame, il
quale anco rchè si fosse trovato insieme col pa»
are contro ad Attila, e fosse stato in quella bat*
taglia ferito, intesa ch^ebbe la morte del mede-
simo, tornò subito in Tolosa, ove con universale
acclamazione fu nel trono regio assunto (2). Il
regno di questo principe ebbe brevissima du-
rata; e se dee prestarsi fede ad Isidoro, non
imperò più che un sol anno, poiché per opara
di Teodorìco e Frederìco suoi fratelli, che mal
soffrivan il suo governo , fu crudelmente uc-
ciso (3).
Teodorìco il giovane, suo fratello, gli succede
nel regno; principe, secondo Sidonio Apollina-
re (4), dotato di nobili ed eccellenti virtù; ed
ancorché il genio degli "Westrogoti mal s' adat-
tasse alle leggi romane, centra il costume degU
Ostrogoti, che F ebbero sempre in somma stima
(1) Alirs. Rer. Aquìt. lib. 5. cap. i3.
(a) Joraand. de Reo. Getir. cap. 4 1 • Paul /£niil. do Kcb. Fraii. 1. 1
(3) Altes. lor. cit. cap. i3.
(4) Sidon. lib. 1. ep. 3.
IO ISTORIA D£L REGNO DI NAPOLI
e venerazione^ fii non però Teodorìco II aman-
tissimo delle medesime, e n^ebbe grandissima
stima.
GXl Westrogoti , per le continue guerre ch^ d>-
bero co' Romani, fiiron non poco avversi alle
leggi romane; tanto che parlando de^ loro tempi,
éShe a dire Gaudiano (i): Moermt capiisHtó, pel*
Ilio judice legRs. Ataulfo loro re, che, come si
disse, ad Alarico I succede, per la ferocia del
suo animo, già meditava d' esterminarle in tut*
to; ma raddolcito per le continue persuasioni
e conforti di Placidia sua moglie cotanto da lui
amata, se n^ astenne e mutò consiglio; ed ancor-
ché i suoi Goti mal ciò soffrissero , pur egli ap-
presso Orosio (2) confessò che non poteva senza
ijuelle la repubblica perfettamente conservarsi,
né di dava il cuore di toglierle affatto: Neque
GomoSy ei dice, uUo modo parere legibus posse,
ptopter effraenatam barhariem, ncque reip. m^
terdici leges oportere, sine quibus resp. non est
respubUca. Onde narrasi (3) che questo principe
neuanno /^i2 avesse per pubblico editto coman-
dato a^ suoi sudditi che le leggi de^ Romani
insieme co' costumi de' Goti osservassero. Gol-
dasto (4) tra le Costituzioni imperiaU ne rap-
Forta r editto, ma si vede esser conceputo col-
istesse parole poc' anzi riferite d'Orosio, e molte
cose in esso aggiunte che in quell' autore non
sono.
CO Claud. 1. 2. ad Rufin. •
(a) Oros. 1. 7. e. 29.
(3) Artur. Diik de iisu et aulh. jur. cit. 1. 3. e. G. nuiD* i4<
(4) Goldast. Const. Imp. tom. 3.
LIBRO TERZO II
Ma a Teodorìco il giovane^ del quale si fih
vella^ fii in tanto pregio lo studio d€»le romane
leggi ^ che Sidonio Apollinare (i) introducendolo
in un suo canne a parlar con Avito , cosi gli
fa dire:
mihi ìhmufa dudum
Per u jìMra pìacenu
Ed altrove (a) chiamò questo Teodorico .... ite-
manae colamene sabisaue geniis. Ed appresso
Qaudiano^ parlandosi m questa principe^ come
osservò Grozio (3)^ pur si legge: P^inmcet Aro
tous {fiolaias advena leges. Né gli "Westrogoti^
ne' taoipi di questo re, o de' suoi predecessori^
ebbero proprie leggi scritte , né sì presero mai
cura di formarle.
Ma morto Teodorico nel decimo terzo anno
dd suo regno • essendogli stato renduto da Eva-
lieo ciò ch'egli fece a Torrismondo, succedette
ndi reame Evarico suo fratello. Questi fu il primo
che diede a' Goti le leggi scritte^ come ce n' ac-
certa Isidoro (4): Sub hoc Rege Goihi legum
instituta scriptìs habere coeperunt, nam antea
tantum morìous et consuetudine tenebantur: per
la qual cosa da Sidonio (5) in una epistola che
dirizzò all' imperadore Lione, fu celebrato Eva»
rico per principe sàggio e conditor delle leggi:
Modo per promotae Umitem sortìs, ut popuhis
sub armiSy sic fraenat arma sub legibus.
Nel regno di questo prìncipe cominciaron le
(i) Sftlon. carro, n,
(p!) Carm. de Narbon.
(3) Grot. in Prolrg. in Hist. Got.
(4) laici, in Chron. Era 5n4.
(5) Siclon. lib. 8. rpist. 3.
la ISTORIA DEL REONO DI NAPOLI
leggi de^ Romani ad oscurarsi ^ non già in Ita-*
Ha y ma nell^ Aquitania e nella Narbona j ed in
alcmi^ altre provincie della Spagna; poiché que**
ste nuove leggi che Teodonciane uiron dette ^
proposte per opera de' Goti a' Provinciali, si
lece in modo che le Teodosiane non cotanto
s^ apprezzassero; ed al deterioramento di quelle
non poco vi cooperò ancora la malvagità de^
propri romani uflmalì, e particolarmente di Se*
Fonato prefetto allora delle Gallie, il quale fa-
vorendo le parti de^ Goti, e tradendo il suo
proprio principe, era a' Romani awersissimo 3
tanto che da Sidonio (i) era chiamato il Càti-
lina di quel secolo. Costui (u peniizioso a' Ro-
mani stessi, non solamente per le gravi perdite
cagionate dalla sua ribalderia all'imperio d'Oc-
cidente neUa Gallia, ma molto più per lo dis-
prezzo e vilipendio che faceva delle leggi Teo-
dosiane, con innalzare all'incontro quelle de^
Goti. Ancor oggi appresso Sidonio (2) si leggono
le querele de' Provinciali contra costui: ExuU
tans Gothis, insuUans Romanis, iUudens Prae-
fecUSf coUudensque numerarìisy leges Theodor
sianas calcans , Theodorìcianasque proponens ,
s^eteres culpas, nova trìbiUa perquirit Onde si
vide in questi tempi la condizione de' Romani,
per la rapacità di quest'uomo pestilente che
d' eccessivi ed esorbitanti tributi gli caricava ,
ridotta ih tale stato, che, come fu detto nel f
libro, i Provinciah eleggevan più tosto la ser-
vitù de' Goti, che la Ubertà ae' Romani; onde
(1) Sidon. I. 3. e I.
(a) Id. lib. 3. ep. i.
LIBRO rmzo i3
Salvìane (i) d^essi parlando disse: Passim y vel
ad GothoSy s^el ad Èagaudas, vel ad aUos ubi-*
que dominantes Barbaros migranty et comnu-
grasse non poenitet; malunt enim sub specie
captivìtatis s^ivere liberi^ quam sub specie libera
tatis esse captis^L Itaque nomen cis^ium Romor
norum aìiquando non solum magno aestimaUuny
sed magno emptum, nane uUro repudiaiuTy ac
fugjitury nec vile tantum, sed etìam abominabile
pene habetur. Paolo Orosìo {2) attesta ancora
che i Provinciali eleggevano più tosto tra^ bar-
bari vivere, che tra' Romani: Qui malint in-
ter Barbaros pauperem libertatem, quam inter
Romanos tributariam sollicitudinem substinere.
Quindi Isidoro (3) potè conchiudere: Unde et
hucusque Romani, qui in regno Gothorum eonr
sistunty adeo amplectunUir , ut melius sit illis
cum Gothis pauperes vivere, quam inter Ro-
manos potentes esse, et grave jugum tributi por-
tare. Ma cotanta ribalderìa di Seronato non ri-
mase lungo tempo impunita, poiché strascinato
in Roma, fugli tronco il capo, in cotal guisa
soddisfacendo la pena di tante sue scelleratezze.
Furono le leggi da Evarìco stabilite chiamate
Teodoriciane, non perchè riconoscessero per
loro autori i due Teodorici di sopra memorati,
come diedesi a credere il fiaromo (4), che ne
fece autore Teodorico il giovane predecessore
d'Evarico, poiché a tempo de' medesimi ninna
legge scritta ebbe questa nazione. Molto meno
(1) Salvi an. lih. 5. de Gtibcr. Dri.
(a) Oros. lih. 7. cap. a8.
(3) Isid. in Cbroiiic. Era 447*
(4) Baron. Ann. toni. 5. A. 4^* o* n*
l4 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
furon COSÌ appellate y perchè forse V autore di
quelle fosse stato Teodorìco Ostrogoto re'd^I-
talìa^ come altri si persuasero: perocché questo
principe^ come diremo più iimanzi^ ebhe sen-
timenti assai diversi intomo alla cura delle leggi
romane^ e regnò molto tempo da poi in Ita-
lia^ morto già Sidonio Apollinare ^ il quale non
poteva nomar queste leggi Teodoriciane, perchè
questo Teodonco ne fosse autore. Teodorìco
Ostrogoto j come dii*assi y regnò in Italia ne^
tempi d^ Anastasio imperador d' Oriente nel-
Fanno 49^ ^ ^^O; quando Sidonio Apollinare
era già morto^ com^è manifesto appresso Gre-
gorio di Tours (i)j laonde meritamente (ìi da
Cironio (2) incolpato d^ errore Cmacìo^ che au-
tore di queste leggi ne fece Teodorico re d'I-
taha.
Sìrmondo e Dadino Alteserra (3) saviamente
dissero che fossero queste leggi chiamate Teo-
doriciane per paranomasia, per opporle alle
Teodosiane^ acciocché siccome i Romani va-
levansi delle Teodosiane, così i Goti avessero
leggi priorie che con diverso senso, ma con
conforme suono si dicessero Teodoriciane : ma ,
siccome osservò Cironio (4), sarebbe questa una
paranomasia troppo insulsa, se Evarico non
tosse stato ancora cjùamato Tebdorico; onde
il dottissimo Savarone (5) sopra ouel luogo di
Sidonio Apollinare assai chiaro oimostra che
(1) Grcgor. Tur. Hist. Frane lib. 3. cap. a3.
(a) CiroD. obs. jiir. can. 1. 5. e. i.
(3) AItcs. Ber. Aquit. lib. 5. cap. i5.
(4) Ciron. 1. 5. e. i.
(5) Savaro in 1. a. Sid. ep* i.
UBRO TERZO l5
il vero nome di questo principe fosse stato
itjello di Teodorìco : Grozìo poi nel suo
Nomenclatore ci fa vedere che questo re si fosse
chiamato anche Evarìco per questo stesso che
fu il primo fra^ re goti a compor leggi: Evarix,
e^ dice, aUas EsHirìcus, Evwi ricchf Legibus
pollens. In g^ssis Lex, Ew(l
SI.
Del Codice d'Alarico.
Poterono sotto il regno d^ Evarico ^ ma molto
più per la ribalderìa di Seronato sofferire questi
oltraggi le leggi romane; ma tolto dal mondo
si reo uomo^ essendo da poi nell^aimo 4^4
morto Evarico, sursero quelle di bel nuovo, e
tomar(»io nell^ antico lor vigore: poiché d'Ala-
rico figliuol d' Evarìco , che nel reame gli suc-
cede, (iuftmo i sentimenti assai diversi ; impe-
rocché le querele de' ProviiKiali, che mal sof-
ferìvan T abbassamento delle medesime, trova-
ron quel luogo pi'esso ad^ Àlarìco che appo al
padre non ebbon giammai. Erano note a que-
sto prìncipe le doglianze degli Aquitam e degU
altrì suoi sudditi, i quali mal volentierì si sa-
rebbon accomodati alle leggi Teodorìciane, e
che a mran torto lor involavansi le leggi romar
ne , coUe quaU eran nati e cresciuti. Èra altresì
a lui noto con quanta stima venivan rìcevute
da Teodorìco Ostrogoto , che già ne' suoi tempi
regnava in Italia , la cui figliuola Teodelusa egU
O Orot. in Nomrncl. in Hist. Got.
l6 ISTORIA DEL REGlfO DI NAPOLI
aveva per moglie , e perciò d^ Teodorico ve-
niva suo figliuolo chiamato^ come si vede ap-
presso Cassiodoro in quella affettuosa epistola
che gli scrìsse (i). Fu per tanto risoluto nel
ventesimo secondo anno del suo regno di com-
piacergli; onde avendo tirascelti uomini pru-
dentissimi, ed i più insinui duréconsulti che
fiorissero nella sua età ^ a quali prepose Goia-
rico {2)y non altramente che di Triboniano fece
fimperador Giustiniano nella compilazione delle
Pandette e del suo Codice j impose a^ mede-
simi^ che dalle costituzioni del Codice Teo-
dosiano e dalle sentenze di vari giureconsulti
sparse in diversi libri ne formassero un nuovo
codice. E perchè non si diminuisse la maestà
del suo imperio ) quasi che di leggi straniere
d' altri principi avesse bisogno per governare i
popoli a se soggetti ^ volle che questo nuovo
codice in suo nome si pubblicasse^ e che le
leggi in quello contenute da lui ricevessero la
forza ed il nerbo , perchè potessero costrin-
gersi i suoi sudditi ad ubbidirle.
I più vulgati e . celebri libri , ne' quah in qiie-
sti tempi contenevasi la ragion civile de' Ro-
mani j se riguardansi le costituzioni de' princi-
pi, eran i Codici Gregoriano, Ermogemano e
quel di Teodosio con le di lui Novelle , e P al-
tre di Valentiniano a quello aggiunte; e fra i
volumi de' giureconsulti fiorivan in questa età
sopra tutti le Sentenze di Paolo e l'Institu-
zioni di Caio : perciò per opera di que' valenti
(i) CiiKsiod. 1. 3. \ar. e. i.
(a) Got. iu Prolcgom. C. Th. e. 5. i). 6.
>.
LIBRO TERZO I7
uomini (i) fìi dalle costituzioni di que^ codici^
dal corpo di quelle Novelle e dalle sentenze di
questi giureconsulti compilato questo nuovo ri-
stretto codice j laonde perciò anche Breviario
del Codice Teodosiano fu dagli scrittori di que*
tempi e della seguente età nominato, il quale,
secondo il computo del Gotofredo (2), fii conr
dotto a fine Tanno 5 06. La cui compilazione
dee a Goiarìco e suoi colleglli attribuirsi (3),
non già ad Aniano cancellier d^ Alarico, come
stimarono Giovanni Tillio e Cuiacio, ingannati
forse da ciò che scrìsse Sigeberto (4). Aniano
nella fabbrica del medesimo non v^ ebbe alcuna
parte, ma solamente da lui d'ordine d'Alarico
tu pubblicato e sottoscrìtto in Ayre città della
Guascogna nel concilio d'ambedue gli ordini (5),
cioè degli ecclesiastici e de' nobili; poiché di
3uesti tempi m Francia il terzo ordine non era
'alcun momento, nò d'autorità veruna (6). La
qual pubbhcazione e sottoscrìzione d' Aniano
reiidesi manifesta dal Commonitorìo d'Alarìco
dirètto al conte Timoteo, che va imianzi al
Codice Teodosiano, nel quale si leggono que-
ste parole (7) : Àniamis s^ir spcctahiìisy ex prae-
cepto D. N, gloriosissimi J larici regis, ìuuic Co^
dicem de T/ieodosianis legibus , aùjiie serUentiis
(1) Got. in Proloj,'. C. Th. e. 5.
(2) Gotof. in Proirp. C. Th. e. 5.
(3) Altcs. Rer. Aqiiit. 1. 3. r. ^.
(4) Sigohert. de Lcrlos. Scrip. e. 70. Aiiianus vìr spoclahilis ,
juhentc Alarico R. , volumen unum de Irgibus 'J'hcoilobii imp.
edidit.
(5) Got. in Prolcp. r. 5.
(f>) Loysrau dcs Ordn*s.
(7) Alto», loc. cil, Cironio 1. 5. ohs. jur. cao. e. 2. Gotofr.
in rroicg. e. 5.
GlAHifoiVB, yol. II. ' 2
I& ISTOKIA DEL REGNO Di NAPOLI
juriSf wl diversis Ubris electumj Aduris anno
XXII eo regnante edidit, atque subscripsit
Alcuni per questo stesso rispetto han creduto
che nel medesimo tempo Amano avesse com-
poste ancora le Note nelle Sentenze di Paolo
e nell'Instituzioni di Caio^ come scrìssero D&«
ciano (i) ed Arturo (2) con manifesto errore j
poiché in questo Breviario, oltre alle leggi tra-
scelte dal Codice Teodosiano, vi furon anche
riposte le sentenze di questi giureconsulti da'
mentovati compilatori , non già da Aniano. E
quelle interpetrazioni che s'osservano nel Co-
dice di Teodosio, non ad Aniano, ma a coloro
dehbon attribuirsi, come diligentemente osservò
Gotofredo ne' Prolegomeni di quel codice (3).
E da notarsi ancora , eh' essendo state unite
queste note ed interpetrazioni a quel codice,
ne nacque presso agli scrittori de' seguenti se-
coli un errore , che volendo allegar le leggi di
quel codice, allegavan sovente, come costitu-
zioni del medesimo, una di queste interpetra-
zioni, o note di Paolo giureconsulto, siccome
fu avvertito da Savarone (4) sopra Sidonio Apol-
linare. Così veggiamo che Ivone di Chartres (5),
che fiorì nelFamio 1092, sovente allega per
leggi di questo codice ciò ch'era dell' inleipe-
trazionc ai Paolo giureconsulto. Graziano (6) poi
0) Dccian. in Àpol. advcr. AlciaL lib. a. cap. 7.
(2) Arthur. Duck 1. a. e. 6. n. i4*
(3) Got. ili Prolcp. e. 5.
(4) Savaro siip. Sidoii. I. a. cp. 1.
(5) Ivo Carnut. ep. 1 1 a. qnod ox legib. Thcod. laudai , id
Uabet c\ inl<M'prclat. ad Paul. 5. seni. 11.
(fì) Gratian. a. qu. 6. e. id ex intcrpietat. in 5, Paul. scnt«
tit, de (}au« et pocnÌ6 appellai. § 1.
LIBRO TEUZO ig
nel suo Decreto prende moltissimi di somiglianti
abbagli^ siccome fu da Gotofredo (i) e da altri
osservato.
S II.
Traslazione della sede regia degli PVestrogod da Tolosa
di Francia in Toledo nelle Spagne.
Questa (u la varia fortuna che la romana giu-
risprudenza sostenne appresso gli westrogoti ^
di Tolosa^ che all^ Aquitania ed a molti ìfuoghi
della Gallia^ oltre alle provincie della Spagna^
imperavano: ma vedi le vicende dell'umane
cose. Alarico , che dopa ventitré anni d' imp^
rio avea sì bene stabilito il suo regno in Fran-
cia, e che di tutt' altro poteva temere che di
dover esser egli F ultimo re di Tolosa, (u del
regno e della vita privo, ed in lui s^ estinse la
dominazione de' Goti nella Gallìa. Clodoveo re
di Francia, sia per lo zelo di religione, sia per
ragion di Stato, dì mal animo sofl&iva avere
Alarico per compagno nell'imperio delle Gal-
lie (2). Éra^in fatti Alarico , come furon tutti i
Goti, ariano: Qodoveo, ardente di zelo per la
religion cattolica recentemente da lui abbrac-
ciata, diliberò movergli contra Farmi, e dalla
GaUia discacciario: cosi questo principe, come
sr legge appresso Gregorio di Tours (3), parlò
(i) Got. in Proleg. e 6.
(a) Goldast. toro. i. Const. irap. rapporta le querele di Teo-
dorico re J* Italia contro Clodoveo, trattandolo da usurpatore
e tiranno , perciìé senza giusta causa avesse mosso le armi con-
tro Alarico.
(3) Greg. Tur. I. a. Hist Frane, cap. 3.
:kO- ISTORIA DEL REGNO Di NAPOLI
a* suoi soldati: Valde moleste fero quod hi
Ariani partem teneant Galliarum : eamus cum
Dei adjutorio, et superatis redigamus terram in
ditionem nostrani. Ecco che assembrati gPeser-
citi; assale i confini de^ Goti, si pugna feroce-
mente ne' campi di Vique; ea Alarico sbalzato
di cavallo, rimane dalle mani proprie di Qo-
doveo estmto. I Goti per la morte del loro re
in somma costernazione posti, fiiron dispersi, e
Siasi che in tutto alla perfine distrutti. Trionfa
odoveo, e prende molte città e casteUi : Teo-
dorico suo figliuolo penetrando nell'interiori
parti dell' Aquitania , tutte si sottomette quelle
città : Glodoveo con trionfai pompa entra in
Tolosa, sede che fu già gran tempo de' re
Goti, e tutti i tesori d'Alarico vi prende. Ecco
il fine della doimuazion de' Goti nell'Aquitania,
e vedi intanto la mano del Signore come tras-
ferisce i regni di gente in gente.
Conquistatasi da Glodoveo l'intera Aquitania
con Tolosa, rimasero sotto l'imperio d^' Goti
le Spagne, ed ancor parte della provincia di
Narbona , per la quale lungo temp^ da' Goti fii
poi guerreggiato co' Francesi : ed avvegnaché
finalmente se ne fossero questi renduti padro^
ni , però nella Francia Narbonese , come dice
Grozio 0, non s' estinse affatto il sangue goti-
co, né quivi mancò in tutto la stirpe de' Baiti,
rimanendovi ancora queUi della famiglia di Baux,
i quah non altronde che da questi Goti tirano
la lor origine, e conservavan tuttavia in quella
provincia parte . del principato d' Grange, Un
(*) C^rot, iq Proleg. Hist, Gol,
LIBRO TERZO 211
altro ramo di cjuesta stessa famìglia di Francia
fu trasferito nel nostro regno di Napoli ^ dove
si disse appresso noi di Baucio, ovvero del
Balzo ^ che tenne il principato d^Altamura, il
ducato d^Andrìa ed u contado d' Avellino j del
che non vogliamo altro migUor testimonio che
Grozio stesso : ecco le sue parole : AUaque
ejusdem familiae propoffy in regno Neapolitano
prìncipaium AUomurae , ducaUan Andrìae , co-^
mitatum Asfellinae, virtutis non degenerantis
monumenta tenuit.
Gli T^estrogoti discacciati da Tolosa e da
Francia posero la loro sede regia in Toledo
nelle Spagne. Quivi per lungo tempo tennero il
regno mfin alla spaventosa e terribile irruzione
de Saraceni. Tennelo Gesalarico j e da poi Teo^
dorico ostrogoto re d^ Italia^ il quale volen-*
dosene poi ritornar in Italia, lascio quello ad
Amalarìco suo nipote. Tennelo anche sotto Giù-*
stimano imperadore poco men che diciotto anni
Teudio, e dopo lui Teudiscolo per im sol an-
no: Agìla per cinque: Atanagildo quattordici ;
e dopo la di lui morte seguita in Toledo, liu-
ba (i). Leovigildo suo fratello gli succedette nel
regno; principe di vasti pensieri, e che fu tutto
inteso ad ampliare i confini del suo imperOi
Vinse i Gantabrì, che sono i Biscaini ed i Na-
varresi; Amava e molt^ altre ribellanti città si
sottopose: egli fa perciò detto il Conquistato-
re, perchè gran parte della Spagna conquistò:
Nam antea Gens Gothorum (come dice Isi-
doro (2) ) angustis finibus arctabatur. Ma tanto
(1) Isidor. Era 593. Grot. in Prolegom. Ilist. Got.
(3) Isiilor. Era 606.
22 ISTORIA DEL REGNO 01 NAPOLI
sue virtù furon oscurate per le persecuzioni che
diede a^ cattolici; e per la ferocità e crudeltà
del suo animo ; non perdonò né meno ad Ej>
menegildo suo figliuolo.
s m.
Del nuovo codice delle leggi degli fVestrogotì.
Presso a tutti questi principi le leggi romane
non fiiron in molta stima avute ^ e molto meno
presso a Leovigildo , il quale portando gli stessi
sentimenti d' Evarico^ volle alle sue leggi gotiche
aggiungerne deff altre; e ciò che nelle medesime
egU credette fuor d^ ordine^ o superfluo^ volle
correggere e togliere^ e con mi^or metodo oi^
dinare: In legibus quoque (narra Isidoro 0)
ea, quae ab Evarìco incondite constituta vide-
bantur, correxit^ plurimas leges praetemùssas
adjiciensj plurasque superfhias auferens. Ac-
crebbe ancora questo principe di molto Pera-
rio^ e dopo dìciotto anni di regno^ nell^anno 586
morì in Toledo sua sede regia.
Non diversi sentimenti intomo alle leggi ro*
.mane portarono i suoi successorì: Beccaredo
suo figliuolo (che fii il primo il quale lasciò
r arianesimo per abbracciare la religione catto-
lica^ dal che fii nomato il Re Cattdico^ sopra-*
nome poi ripigliato da Alfonso e Ferdinando re
d'Aragona, e dai suoi successori); Lduba. 11^
Witterico, Gundemaro, Sisebuto, Beccaredo H^
Svintila ; Sìsciiando , •CintUa , Tulca ' e Chin-
desvindo, principi tutti cattolici e religiosi ^
O ln<I- in Chron. £119 608.
LIBRO TERZO ^3
aggiungendo le loro leggi atf altre de' loro prede*
cessorì^ fecion sì che ne surse col correr degli
anni questo nuovo codice , delle Leggi westro-
gote detto (i). Le leggi che si hanno in quello^
alcune portano in fronte il nome degli autori^
come di Gundemaro re, e degli altri che re-
gnarono dopo Evarico e Leovi^do ^ altre sono
sotto il nome di legge antica, che potrebbero
attribuirsi ad Evarico, o più tosto a Leovigil*
do, che corresse ed accrebbe le costui leggi.
Fu tanta F autorità di questo codice, che oscurò
in queste provincìe affatto lo splendore delle
leegì romane } poiché Cliindesvindo {2) re de^
westrogoti, che a Tulca succede, promulgò un .
editto , per cui sbandì la legge romana da tutti
i confim del suo regno, e ordinò che solo qae^
sto codice s'osservasse, sotto vano e stupido
pretesto perchè quella ricercava troppo sottile
mterpetrazione. Ecco le parole del suo editto (3):
AUenae gentis legibus , ad exercidum utiUtatìs
imbuiy et permiuimus, et oplamus; ad negotio-
rum i^ero discussionem , et resuUamus, etpro»
hibemus. Ouojmis enim eloquus polleanty tamen
difficukatwus haerent : aaeo cum sufficiat ad
justidae plenitudinem 9 et praeserUcUio radonum,
et competentium ardo verbonun^ quae Codicis
kufus series agnoscitur contineref nolumus, swe
romanis legibus^ swe alienis iristitiUionibus amodo
ampUus convexarì. Questa costituzione ritrovan-
dosi per errore di Benedetto Levita registrata
tra' Capitolari di Carlo M. , diede occasione al
(1) Ciron. I. 5» obscr. jur. ran. e. a.
(ni) Altra. Ker. Anuit. 1. 3. r. ii. Gol. in IVulcij^. C. Tli. e. 7.
(3) Lcg. Wisig. lib, 2, Ut. I. r. 9.
i
"t
».
24 ISTORU DEL REGNO DI NAPOLI
Gonzalez (i) di credere che Carlo fosse stato il
I)rìmo a sterminare dal foro Fuso delle romane
eggi. Reciswindo suo figliuolo , che nel regno
gli succedette^ rinnovò gu ordinamenti del pa-*
dre j e voUe che fuor di questo codice non si
ubbidissero altre leggi, siano romane, ovvero
• teodosiane, o d^ altre straniere genti. Nullus,
e' dice, prorsus ex omnibus regni nostri prae-
ter hunc Uhrian, qui nuper est editus y atquc
secundum seriem nujus omnimode translatum,
alium librum quocwnque negotio insudicio qf-
Jerre pertentet (2). Tenne Reciswinao il regno
dopo la morte del padre tredici anni, e morì
in Toledo F aimo di nostra salute 67 2 (3) , nei
quale Vamba fii eletto suo successore.
Egli è però vero che questo codice ad emu-
lazione di quello di Giustiniano fu compilato,
e diviso perciò in dodici libri. I compilatori eb-
bero presente ancora il Codice Teodosiano e
quello d'Alarico, come è manifesto dalle co-
stituzioni che in esso si leggono (4). Si valsero
ancora del Codice di Giustiniano , connume-
rando (5) i gradi della consanguinità coUHstesso
ordine , e quasi coli' istesse parole di cui si
valse Giustiniano ne' libri delle Instituzioni ; e
quel eh' è più notabile, fu con puro latino scrit-
to, e non già con quello stile insulso e barbaro,
del quale valevansi l'altre nazioni^ tanto che
(1) Gonzal. in e super specula, de prìyil. nuni. 3.
(a) Cocl. LL. Wisig. lib. 2. tit. 1. e. 10. Got. in Prolcg. Cod.
Th. e. 7.
(3) Got. in Proleg. Hist. Goth.
(4) Cod. LL. Wisig. ì, 5. tit. 5. e. 9. L 1. C. Th. de usuris
Cod. LL. Wisig. lib. 3. tit. i. e. 1. 1. un. C Th. de nupt
(5) LL. Wisig. 1. 4* e. >*•
il? H:
LIBRO TERZO ^5
Cuiacio (i) perciò ne prende argomento che
fosse quella. gente più eulta di tutte F altre. E
fu cotanta F autorità di questo codice^ che non
solo presso agli Westrogoti, ma anche appo
r altre nazioni ebhe vigore e fermezza, siccome
presso a^ Borgognoni ed a^ Sassoni^ anzi né*
concili tenuti in Toledo spesso le sue costitu-
zioni s^ allegano, e di quelle sovente fassene il-
lustre ed onorata memoria: onde si videro nella
Spagna in cotal guisa mescolate le leggi romane
con quelle de* GÌoti; e non pure in questa età,
ma anche ne* tempi susseguenti fiiron osservate
non solo da* Goti, ma anche da* Saraceni (2),
i quaU dopo Fanno 716 avendo inondata la
Spagna, le ritennero, né nuove leggi v'intro-
dussero, salvo che alcune poche intomo a* giù-
dicii criminaU, come della bestemmia del falso
lor profeta Maometto ; ed ultimamente questi
essendo scacciati, da* re spagnuoli stessi tiiron
ritenute, come per la testimonianza di Boderico
scrisse Grozio (a), fino al regno d'Alfonso IX
o X il quale, essendo cancellate in buona parte
per disusanza le leggi de* Goti, introdusse nella
Spagna le romane, che nell* idioma spagnuolo,
per opera di Pietro Lopez e di Bartolomeo
d*Arìenza, fece tradurre e divulgare, le quali
(0 Cujac. de Feiid. 1. q. lit. ii.
(a) Arthur. Duck ]. 2. e. 6. n. i5.
(a) Grot. in Prole:;. Hist. Got. Postquam è Saracrnorum manu
rccupcrari partes Hispaniae co#»per<», rcsascilalac a Vorcniundo,
Ald^lfunso, FfTdinaudo, ut Kodovicus nos docet, Gotdiicac le-
ges: guarum Corpus Forum Judicqm, ci oliin, et nunc di-
citur K>ii9 Terus Hispanici jurb.
26 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
ora ritengono tutto il vigore, e leggi delle Par-
tite s'appellano (i)..
Questo codice delle leggi degli Vestrogoti ,
noi lo dobbiamo alla diligenza di Pietro Piteo^
il quale fu il primo che comunicoUo a Giacomo
Guiacio, della qual cortesia tanto se gli dimcv*
stra tenuto. Né io voglio che mi rincresca di qui
recarne le sue parole (2): Gothorum^ swe Pri^
sigotJìorum reges, qui Hispaniam et GaUciam
Tokio sede regia tenuerunt, ediderunt XII
Constìtutionum libros, acmulaiione Codicis Jur
stìmardy quorum auctoritate utìmur saepe Ubenr
ter 9 quoa sint in eis omnia fere peiita ex jure
civili^ et sermone latino cons cripta j non ilio in"
sulso caeteranim gentium, quem nonnumquam
legimus ingratis: ut gens illa maxime , quae con"
sedit in His pania y piane cultior caeteris, hoc ar-*
gumento fmsse vùlcatur. Communicas^it autem
mihi ultro PeùTis Pitheus, quem ego hominem y
et si amore , et perpetuo quodam judicio meo
(tilexi semper vix jam ex ephebo prq/atusjòre,
ut, probitate et erudiiione aequalium suorum,
nemird cederet: tamen prò sin^ulari isto bene-
JìciOy maximam modo animi oenevolentìam ^ et
summa ac singularia studia omnia me ei de--
bere confiteor y idemque erit erga eum animus
bonorum omnium, si, quod s^eliementer exopto,
eos libros in publicum con/èrre maturas>erit Ciò
che Cuiacio desiderava, fu da Piteo gik adem-
piuto; poiché non guarì da poi permise òhe
(i) Covar. 1, I. var. Resol. e. 14. n. 5. Artur. Duck lib. a. e 6.
n. iG.
(3) Ciijac. do Feud. lib. a. tit. a.
LIBRO TERZO 27
questi libri si dessero alle stampe, come e^ dice^
scrivendo ad Odoardo Moleo: Imo etiamy ne
quid Orienti Occidens de eadem gente incide-
ret, l^s Wisìgothorum Ubros Xll ut tandem
aUquando ederentur, concessi (i). A costui pa-
rimente dobbiamo V editto di Teodorìco ostro-
goto re dMtalia; di cui più innanzi favelle-
remo*
Né perchè la Spagna fu poi invasa da* Sara-
ceni, mancò ivi affiitto il nome el sangue de*
Goti, siccome non mancarono le loro leggL
Vanta con ragione la maggior parte della no-
biltà di quel regno ritenerne non meno il sai^
gue che i nomi: ed in fatti, come osservò Gro-
zio {2)j nomi gotici sono queUi di Ferdinando,
di Frederìco, Roderico, Ermanno e altri consi-
mili che gli SpagnuoU ritengono. I re medesimi
di Spagna vantarono e vollero esser creduti
discender essi dal figliuolo di Favilla Pelagio,
nato di regia stirpe, il quale nell^ irruzione sa-
racinesca avendo raccolte le reliquie delle sue
genti in Asturia, quivi si mantenne, ancor che
in tenue fortuna, ma con nome regio, sperando
che la sua posterità un tempo, come poi av-
venne, potesse ricuperare i loro aviti regni: jéd
huncy come dice Mariana, Hispanìae regss nunh
quam intercisa serie cum semper, aut parentìbus
Jiliiy aM fratres fratribus successerint, clarissi"
mum genus referunL FrouUba moglie di Pelagio
fu ancor ella Gota, ed il suo genero Aldefonso fìi
(1) Pitcus ad Edoard. in rp. prapposita adEdictum Thcodorici
in oper. Cassiod.
(a) Grot. in Prolog. Uist. GoU p. 5i/
:i8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
parimente goto del sangue del re Reccaredo.
Goti furon dunque, e della regal stirpe de' Baiti ^
i re di Spagna ; i quali per lo spazio di sette^
cento anni avendo con istancabili e continue
fatiche purgata la Spagna dall'inondamento ara-*
bicO; stesero finalmente il loro dominio non
pure sopra gran parte d'Europa, dell'Affrica e
dell' Asia , ma si sottoposero un nuovo e sco-
nosciuto mondo, e ressero ancora per lunga se-
rie d'anni queste nostre provincie che ora com-
pongono il regno di Napoli.
Abbiam riputato diffonderci alquanto intomo
alla serie di questi principi westrogoti, ed in-
torno alla varia fortuna della giurisprudenza ro^
mana eh' ebbe presso a' medesimi ncUa Francia
e nella Spagna, con parlarne separatamente da
quello che n'avvenne fra gli Ostrogoti nell'Ita-
haj non solamente per additar l'origine de' re
di Spagna, da' quali ne' secoli più a noi vicini
fu questo nostro reame governato , ma anche
perchè si distinguessero le vicende della giuris-
1 prudenza romana appresso queste due nazioni^
e quali non ebbero m ciò uniformi sentimenti,
ma totalmente opposti e diversi. E tanto mag-
giormente dovea ciò farsi, quanto che gli scrit-
tori mischiano le leggi degli uni e degli altri;
né ponendo mente alla serie e genealogia cji
questi principi, e alle varie abitazioni ch'ebbero,
confondono gli uni cogli altri, e credon che in
Italia appresso gli Ostrogoti avesse avuta pari-
mente autorità questo codice, con ascrivere a*
principi ostrogoti ciò che gli westrogoti fece-
ro. Nel qual errore non possiamo non maravi-
gliarci d' esserv' incorso eziandio il diligentissimo
LIBRO TERZO 2g
Arturo Duck (i)^ il quale senza tener conto de^
tempi e delle regioni diverse dominate da questi
principi, fra i re westrogoti confonde Atalarico
ostrogoto, e con ordine alquanto torlndo e con**
fuso tratta questo soggetto.
CAPO II.
De' Goti orientali, e loro editti.
Degli prìncipi ostrogoti dell^ illustre casa degli
Amali lunga sene ne fu da Giomandes tessuta
nelle sue Istorie (2): prima d^Ermanarìéo se ne
contano ben sei, Amalo, Isama, Ostrogota che
fiorì nell^ imperio di Filippo, Cniva, Ararico e
Geperìco. Ermanarico poi fa quegli che distese
più d'ogni altro i confini del suo regno, e soc-
gioeò molte nazioni. Egli fa un principe di
molto valore, ma d'assai maggior felicità: la
sua morte recò alla condizione degli Ostrogoti
non picciolo detrimento ^ poiché lui estinto, i
^estrogoti si separarono, ed a' tempi delTimr
perador Valente dessero Fridigemo per lor ca-
pitano, indi Atanarico per loro re, e dopo co-
stui, nell'imperio d'Onorio, Alarico, la serie de'
cui successori, che regnaron prima in Francia
e poi in Ispagna, s'è di sopra rapportata, ^i**
nitario dell^stessa stirpe degti Aniati ad EIrma-
narico succede; ma costui quantunque ritenesse
le medesime insegne del principato, nulladimeno
(1) Artur. Dock d€ usu et aut. jur. civ. cap. 6. num. i4*
(3) Joroand. Hiat. Got e 48. Orot. in ProUg. Hiat. Got.
3o ISTORIA DEI* KEGifO DI NAPOLI
rimasero gli Ostrogoti sottoposti agli Unni; come
quelli che nelle loro regioni dimoravano. Mal sof-
ferendo perciò Winitario l'imperio degli Unni,
andavasi pian piano studiando di sottrarsi dai
giogo lorO; infiu che eli venne fatto d'impadro-
nirsi della persona di Box loro re, de' suoi
figliuoU, e di settanta de' principah signori del
suo reame, che tutti per terribile esemplo degli
altri affisse in croce, e per più giorni fece ve-
der pendenti i loro cadaveri^ ma non potè go-
dere della libertà del suo imperio che per un
sol anno^ perchè avendogU moséa guerra il re
Balambro, ancorché nella prima e seconda batr
tagUa rimanesse costui vinto, e molta strage de^
gli Unni seguisse, nella terza però fii 'W^initarìo
ucciso per mi colpo di saetta, che gli percosse
il capo, da Balambro stesso avventatagli. Confusi
perciò e costernati gU Ostrogoti, tutti all'impen
rio di Balambro sì sottoposero^ ma per aversi
questo principe sposata w aladamarca nipote di
' winitano, ricevettero molte onorevoH condi-
zioni di pace; poiché, avvegnaché rimanessero
agU Unni sottoposti, non mancavan però con
consiglio e permessione de' medesimi d eleggersi
sempre un loro re che gligovemasse. Ebbero
perciò, dopo la morte dU "^^tario, Unimondo
figliuolo del già famoso e potente re Ermanarì-
co. A costui succede Torrismondo suo figliuolo,
prode e valente giovane, che centra i Gepidi
riportò sovente grandi vittorie: la memoria del
quale fu tanto cara appo gU Ostrogoti, che, lui
estìnto, per quarant' anni vollero vivere senza
re , insino a w alamh'o. Fu Walamiro figUuolo di
Wandalario nato da un fratello d'Ermanarico,
LIBRO TERZO 3l
c perciò di Torrismondo consobrino (*). Da
costui nacquero tre figliuoli, Walamiro , Teo-
demiro e widemiro, ne' Quali conservavasi Fillu-
6tre famiglia degli Amali. W alamiro fii assimto al
regno; ma fra questi fratelli fu cotanto T amore
e la gratitudine, che scambievolmente l'uno al-
r altro porgeva la sua opera perchè conservassero
in pace il regno. Erano però sottoposti ad Atr
tila re degli Unni, al cui imperio era uopo ub-
bidire; né era lor permesso di ricusare cu con>-
battere sovente contra gli Westrogoti stessi loro
parenti, cosi portando la necessità della sugge-
zione nella quale trovavansì.
Ma la dominazione degli Unni nelle parti
orientali, per la morte d'Attila lor valoroso ed
invitto re. venne miseramente a mancare; poi-
ché avendo questo principe di sé e delle molte
sue mogli procreati innumerabili figliuoli; men-
tre essi fra loro pugnano e contendono per la
successione del regno, vennero tutti a perder-
lo; perocché Ardarico re de' Geoidi approfit-
tandosi delle loro contese ^ fece a essi misera
strage, e gli disperse in guisa che F altre na-
zioni le quaU erano sotto gh Unni, per sì prò*-
speri avvenimenti, poterono scuotere il giogo
della servitù, ed insieme co' Gepidi ricorrere a
Marciano che allora imperava nell'Oriente, per-
ché stabilmente a loro distribuisse quelle regioni
ch'essi col proprio valore avevano sottratte dalla
iiramiide aegh.Unni.
Era Marciano nell'anno 4^0 succeduto a Teo-
dosio il giovane nell'imperio d'Oriente, il quale
(*) Grot, in Prolcg. Hwt. Gol,
33 ISTORIA DEL REGNO DI RiPOLI
con gratissìmo animo ricevendogli in protezione^
concedè loro la pace, e assegnò a* (xepidi ior
terameute la Dacia, sede che m degli Unni, da^
miali essi T avevano ricuperata. I Goti scorgendo
che i Gepidi se Tavrebbono ben difesa, per non
contrastar con essi, amaron meglio che si as-
segnasser loro del romàno imperio altre terre ^
come fii fatto; onde neUa Pannonia trasferirono
la loro sede. I confini della Pannonia erano al-
lora verso Ponente la Mesia superiore, dal
mezzo giorno la Dalmazia, dall'occidente il
Norico, e dal settentrione il Danubio: proviit-
cia ornata di più città, fi*a le quaU sopra tutte
s'innalzava Sirmio, ove gUimperadori sovente
solevan fermarsi.
Trasferita adunque dagli Ostrogoti la lor sede
nella Pannonia, vissero lungo tempo sotto il re-
gio di Walamiro loro re, e di Teodemiro e
Widemiro suoi fratelli ; i quali ancorché divisi
di luoghi che fra essi ripartironsi , eran però ne'
consigli e nelle deliberazioni così strettamente
uniti e congiunti, che da un solo sembrava esr
ser la Pannonia retta e governata 0- Questi
spesso ributtarono le armi che loro venivan
mosse da' fi^liuoU d'Attila, i quaU riputandogh
desertori del loro imperio , sovente gU assali-
vano, sin che, sconfitti da ^alamiro, nella Sci-
zia non furon confinati. Nacque a Teodemiro , in
questo stesso gioioso tempo della vittoria ripor-
tata contro a' figliuoH d'Attila, Teodorico, que-
gli che fin da' suoi natali dando di sé alte spe-
ranze, per le sue nobili maniere ed eccellenti
O Jornand, Hist. Got. e. 4^.
LIBRO TERZO 33
virtù ^ entrato in somma grazia dell' imperador
Zenone^ ebbe la fortima per molti anni con
nome regio di signoreggiar l'Italia e queste no-,
stré Provincie.
Continuavasi intanto fra Fimperador Marciano
e Walamiro e suoi fratelli una perfetta e sta-
bil pace: ma offesi qiìesti che nella corte im-*
penale (li Costantinopoli un tal Teodorìco fi-
gliuolo di un soldato veterano, se ben Goto,
però non della stirpe dedi Amali, aveva tirato a
sé gli animi di tutti, e che dall' imperadore niun
conto d^essi facevasi, sottraendosi loro gli sti-
pendi che solevan dall'imperio ricevere: sde-
gnati perciò acerbamente, mossero incontanente
contra l'imperio l'armi, e posero sossopra la
Dalmazia e l'Illirico. Prestamente l'iimperadore
mutò sentimenti: laonde per tenergli amici,
mandò ambasciadori a stabilir con essi con
più forte nodo una più ferma e stabil pace,
offerendo loro non pur quegli stipendi che per
Io passato aveva denegati, ma anche tutto ciò
che fin a quel tempo dovevano conseguire, ob-
bUgandosi eziandio di corrispondergli nell'avve-
nire, purché essi si contenessero ne' loro con-
fini, né guerra all'imperio portassero. Furono
accordate le condizioni^ ma l'imperadore per
istar maggiormente sicuro , volle che per ostag-
gio si desse il £hicìu11o Teodorico, figliuolo di
Teodemiro. Ripugnava l' affettuoso padre , né
poteva soffrire che sì caro pegno se gh toglies-
se j ma finalmente persuaso dalle pregliiere dì
suo fratello Walamiro, ghe lo concedette.^ Fu per
tanto fermata tra Goti e Romani una ferma e
stabil pace, pegno della quale fu Teodorico,
G1A115011E » FoL IL 3
34 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
che dato in ostaggio, fìi in Costantinopoli por--
tato nelle mani dell' imperador Lione il Trace ^
eh' allora era in Oriente a Marciano succeduto .
il quale per V avvenenza e gentili maniere del
fanciullo, cosi caro Febbe, che più di proprio
figliuolo Famò e ritenne.
Essendosi admique i Goti con si forte nodo
di pace stretti co' Romani, contra varie nazioni
che con loro confinavano, sovente mossero l'ar-
mi: ma ecco che mentre Walamiro valorosa-
mente combatte i Sciti, sbalzato dal suo caval-
lo, fu da essi ucciso: onde i Goti per vendicar
la morte del re loro, pugnarono si fortemente
contro a' medesimi, cne affatto U estinsero e
debellarono. Muove altresì Teodemiro Y armi
contro a' Svevi ed Alemanni, e di essi fa cru-
del macello, gli disperde, e quasi affatto gli
estingue: e mentre trionfando ritoma nella Pan-
nonia sua sede, ecco che Teodorico suo figliuolo
dato in ostaggio se ne ritorna da Costantino-
poli onusto di doni , licenziato dall' imperador
Lione , perchè in libertà piena godesse u patrio
suolo.
Ritornato Teodorico nella Pannonia, appena
uscito dalla puerizia , non avendo diciotto anni
finiti, comincia a dar di se saggi d'incredibil
valore; poiché senza che Teodemiro suo padre
il sapesse, raguna molte tmppe de' suoi più
ben affezionati, ed il munero di poco men che
sei mila uomini unendo, valica il Danubio, e
contra Babai re di Sannati porta le sue armi ,
il quale poco anzi aveva trionfato di Camundo
capitan romano; lo vince, l'uccide, e sopra lui
piena vittoria riportando , sorprende anche la
lilBRO TERZO 35
città di Semandrìa che da^ Sarmati era stata
occupata, uè la rende a^ Romani, ma al suo
reame la sottomette.
Ma mentre i Goti così depredano i lor vi-
cini, vie più cresce l'ardore di dilatare i lor
confini, e cercare in altre parti più agiate sedi:
Widemìro per tanto si dispone co' suoi di pas^
sar in Italia, come fece; ma appena ivi giunto,
fiiron da inaspettata morte troncati tutti i suoi
disegni; onde succedutogli nel regno il figliuolo
che Widemiro parimente nomossi, questi con-
fortato da Glicerio ch'allora imperava nell'Oc-
cidente, da Italia nella Gallia volse il suo cam-
mino, ed unitosi cogli Westrogoti suoi parenti,
potè co' medesimi purgar la Gallia e le Spagne
da molte nazioni che l'infestavano, e difendere
quelle provincie contra l'invasione de' Vandali.
Teodemìro all' incontro suo zio con Teodo-
rico suo figliuolo, stimolato anche da Gezerico
re de' VandaU, verso la Dalmazia e l'Illirico
portò le sue armi, prende Neis'sa principal città
di Questa provincia, indi Ulpiano è tutti gh al-
tri luoghi, ancorché inaccessìbili quelli si fos-
sero: sottomette al suo imperio Eraclea e La-
rissa città della TessagUa: trascorre più oltre,
ed all'impresa di Tessalonica ancor aspira. Tro-
vavasi alta guardia di questa città Glarìano pa-
trìzio e capitan romano, il quale colto cosi
inaspettatamente da Teodemiro, e considerando
le sue forze non sufficienti a potergh resistere,
gli mandò legati con molti doni, perchè dal-
l assedio di quella città si rimanesse. Furon
accordate tosto le condizioni di pace, lascian-
dosi a' Goti tutti que' luoghi che eransi a loro
36 ISTORIA DEL KEGNO DI IfAPOLI
rendati^ cioè Ceropellas^ Europo^ Mediana^ Pe-
tina, Bereo e gli altri paesi dell^ Illirico , ove i
Goti col loro re^ deposte Farmi. trancpiiUaménte
si posarono. Non molto da poi gravemente in-
fermossi Teodemiro , a quale convocati i Goti,
avendo disegnato ad essi Teodorico suo figliuolo
per loro re e suo successore , da tutti compianto
finì i giorni suoi (i).
SI
Di Teodorico ostrogoto ^ re d'Italia.
■
Intanto Fltalia per la morte di Valentiniano III
accaduta nell^anno 4^5 (a) era per la variazione
di tanti principi e imperadon tutta sconvolta
e miseramente afflitta: Massimo ; autor dellMn-
fame assassinamento, si fece acclamar impera-
dore d'Occidente, e sposò Eudossia moglie di
Valentiniano e figliuola di Teodosio; ma avcn-
. dole manifestato eh' egli era stata la cagione
della morte del suo primo marito, ella chiamò
dall'Affrica Genserico re de' VandaU, il quale
venne con potente armata in ItaHa, ed entrato
in Roma interamente la devasta e saccheggia;
e Massimo, mentre fugge, fu dal popolo ro-
mano lapidato e sbranato. Dopo aver Genserico
scorse molte provincie, volgesi indietro con pro-
posito d'abbandonarla e ripassare in Affrica:
scorre per la nostra Campagna, e tutta la de-
vasta e scompiglia ; prende Capua e Nola ; e
(i) Jornand. de Rcb. Grt.
(3) P«gi Dtsacrt. de Consulib. p. aSS,
LIBRO TERZO 3 7
molte altre città di questa provincia sono di-
strutte e poste a sacco: indi a Cartagine fece
ritomo. Avito in queste turbolenze col favor de-
gli Westrogoti si fece in Francia gridar impe-
radorej ma ben presto lasciò la porpora^ poiché
Marciano imperadore, che, come si disse , era
succeduto nelT imperio d^ Oriente a Teodosio il
giovane j avendo intesa la morte dì Massimo y
proccurò che dal senato e da^ soldati si creasse
miperadore Maggiorìano, come segui nelT an-
no 457. Fu questi non molto da poi per opera
di Severo fatto uccidere, il quale sMntruse net
r imperio: ma non passò il terzo aimo che Sc^
vero fu fatto privar di vita da Ricomcro, il
quale stabili in suo luogo Antemio: ebbe que^
sti ancora il favor di Lione, che nell^anno 4^7
per la morte di Marciano era nell'imperio d'O-
riente succeduto. Ma essendosi da poi contra
Antemio dichiarato Ricomero, fu da costui pa-
rimente fatto morire nelTanno 472, e fece in
suo luogo collocare Olibrio, il quale non regnò
più che otto mesi; e Glicerio pi*ì P^r la sua
potenza, e per essere sostenuto aa' w estrogoti ^
che per libera elezione, fu in Ravenna dichia-
rato imperadore. Ma questi appena finì un anno
d' impeno, che Giulio Nipote nell'anno 474 ^^
fece deporre, e prese egli il tìtolo d' imperado-
re: Oreste, stabilito da lui generale delle sue
armi, si ribellò contro di esso, e fece dichiarare
in Ravenna suo figliuolo Augustolo imperadore.
I principi stranieri vedendo tanta confiisione
e disordine presso a' Romani, ben pensarono
d'approfittarsene, siccome, fece già Evarico we-
strogoto, e fecero molti altri j ma nel regno
38 ISTORIA DKL REGNO DI NÀPOLI
d^Augustolo crescendo via più il disordine^
venne fatto agli Eruli e Turingi, sotto Odoa-
cre.lor capitano, invitato anche dagli amici di
Nipote , d occupar finalmente V Italia : uccide
Oreste, e discacciato dall'imperio Augustolo, lo
manda in Napoli in esilio nel castello di Lu-
cullo che ora noi diciamo dell'Uovo (i). Ed
ecco in Augustolo estinto l'imperio de' Romani
in Occidente in quest'anno 476) tanto che ebbe
a dire Giomande: Sic quoque Hesperium JRo-
maruze gentis imperiumy quod septingentesimo
Xsimo tertio Urbis eoncUtae» anno y primus
justorum Octavianus Augustus tenere eoe-
pity cum hoc Augustolo periit, anno decesso-
runiy praedecessorumque regni quingentesimo
sexto; Gothorum dehinc regibus. Romani^ Ita"
Uamque tenentibus. Terminò ancora nella sua
persona il nome d'imperador d'Occidente, per-
chè Odoacre essendosi renduto padrone d'Ita-
Ua, non prese altra qualità che di re.
Teime Odoacre il regno d'Italia, secondo
Giomande, poco men che quattordici anni (3),
infino che da Teodorico ostrogoto nell'anno 489
non ne vemie scacciato e confinato in Ravenna,
ove lo cinse di stretto assedio. Non ebbe l'I-
taUa, non ebbero queste nostre proviittie tempi
più miserabili di quelli che corsero dalla morte
di Valentiniano Ili infino al regno di Teodorir
co; poiché se vorrà considerarsi di quanto
damio sia cagione ad una repubbUca o ad un
(1) Jomand. de Rcb. Get. Augustulum filium cjus de Regno
puìsiim, in LucuUano Cainpaniae castello ex.ilii poena damnavit.
(pi) V. Pagi in Proleg. no Consiilib. num. ^o.
LIBRO TERZO Òg^
regno variar prìncipe o governo , sì potrà quindi
facilmente immaginare quanto in tali tempi pa-
tissero queste nostre provincie per la variazione
di tanti principi ed imperadori. Tutto era dis^
ordine, tutto confusione e sconvolgimento: le
leggi avvilite, e più la giustizia. GP imperadori,
che sì spesso eran rifatti, a tutt^alti*o badavano:
solamente alcune Novelle di Marciano, di Mag-
gloriano, di Severo e d^Antemio sono a noi
rimase, le quali' da Giacopo Gotofredo furon
raccolte, quelle che veggonsi impresse dopo il
suo Ck)dice Teodosiano. Ma assunto al regno
Teodorico, merito questo principe non medio-
cre lode} poiché egli fu il primo che facesse
cessare tante calamità, tal che per lo spazio
poco meno di 38 anni che regnò in Italia , la
ridusse in tanta grandezza, che gU antichi mali
e desolazioni più in lei non si conoscevano ^
imperocché reggendola secondo gl'instituti e
leggi de' Romani , la restituì nell' antico splen-
dore e maestà. Per la qual cosa conviene a noi
narrar particolarmente i gesti di questo eccelso
principe, a cui molto debbon queste nostre pro-
vincie ch'ora compongon il regno di Napoli.
Teodorico, dopo la morte di Teodemiro suo
padre, assunto al paterno reame, dominava
nell'Illirico, ove gU Ostrogoti, come dicemmo,
dopo quelle conquiste posando l' armi , si ferma-
rono. Reggeva allora l' Oriente Zenone , il quale
nell'anno 474 ^^^ all' imperador Lione succeduto
in Oriente: questi avendo inteso che Teodorico
era stato dagli Ostrogoti eletto re , dubitando
che per lo troppo suo potere non incpiietasse il
suo imperio, stimò richiamarlo in Gostaiitinopoli,
4o ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
ove giunto^ con incredìbili segni di stima V ac-
colse , e fra i primi signori del palazzo lo fece
in prima arrolare; i^on ^arì da poi per suo
figbuolo r adottò^ e creollo ordinario console^
dignità in oue^ tempi la più eminente del mon-
do: né gli nastò questo, ma volle ancora che
{)er gloria d^un si ragguardevol personaggio gli
osse eretta avanti la reggia dell^ imperiai palagio
una statua equestre. Ma mentre questo principe
godeva in Ck)stantinopoli tutti quegli agi e que^
onori che da mano imperiale potevan dispensarsi^
il generoso suo animo però mal sofferiva di ve-
der la sua gente, che nell'Illirico era trattenu-
ta y invilita nell' ozio , ed in povertà ed angustie,
ed egli starsene oziosamente godendo quelle de-
lizie, menando una vita neghittosa e lenta: da
sì potenti stimoU riscosso, si risolve a più ma-
gnanime imprese, e portatosi all' iraperator Ze-
none, secondo che narra Giornanae 0> così
gh parla : Ancorché a me ed a' miei Goti che
al vostro imperio ubbidiscono, niente manciù
per la vostra magnanimità e grandezza, piac-
ciavi nondimeno udire i voti e i desiderii del
mio cuore che son ora Uberamente, per esporvi.
L' impello d'Occidente, che lunga stagione fii
governato da' vostri predecessori, va tutto in
guerra , e non vi é barbara nazione che non lo
devasti, scompigli e manometta: Roma, che fu
già capo e signora del mondo, con l'Italia tutta
dalla tii'aiuiide . d' Odoacre é oppressa : voi solo
permetterete che , stando noi qui oziosi e in-
nngardi , altri depredino sì bella parte del
O Jornand. de Rcb. Gel.
LIBRO TERZO 4^
vostro imperio? che non mandi me colla mia
gente a portar ivi le nostre armi? Noi vendi-
cheremo i vostri torti e le vostre onte 3 ed ol-
tre che risparmierete le gravi spese ^che , stando
noi qui, sostenete, se io colT aiuto del Signore
vinc^ò y risonerà la fama della vostra pietà e
del vostro onore per tutto il mondo. Io son
vostro servo e vostro figUuolo ancora, onde
sarìi più espediente e ragionevole che se vin-
cerò , abhia io per vostro dono a posseder quel
regno che ora è premuto dalla tiramiide di stra-
niere genti che tengono il vostro senato e gran
parte della vostra repubblica in vile servitù e
cattività: se io trionferò d^esse, per tua muni-
ficenza possederò P Occidente; se resterò vinto,
al vostro imperio ed alla vostra pietà niente sì
toglie, anzi ne guadagnerete queste gravi e rir
levanti spese.
Sì magnanima risoluzione di Teodorico an-
corché forte spìacesse all^imperador Zenone, che
mal sofieriva il suo allontanamento, pure, e per
non contristarlo, e seco medesimo pensando che
megUo fosse che i suoi Goti, di riposo impar
zienti, portassero altrove le loro anni e non
inquietassero le parti orientaU, volle compia-
cerlo; e concedendogH tutto ciò che domanda-
va , caricatolo di ricchissimi doni , lo lasciò an-
dare, raccomandandogU sopra ogni altra cosa
il senato ed il popolo romano, (h cui dovesse
averne ogni stima e rispetto. Esce fuor di Co-
stantìnopoH Teodorico ripieno d' altissime spe-
ranze, e ritornando a^ suoi Goti, fa sì che molti
lo seguissero , e per cammin diritto , avviandosi
per la Paimonia, verso Italia drizza il suo
4^ ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
/esercito. Indi entrando né* confini di Vinezia^
Eresso al ponte di Ldsonzo^ non lungi d^Aqui-
ÀSLy pone i suoi alloggiamenti.
I messi intanto di questa mossst eran precorsi
ad Odoacre^ il quale sentendo essersi Teodo-
rico già accampato in quel ponte y gli muove
incontro il suo esercito. Ma Teodorico preve-
nendolo ne^ campi di Verona, gli presenta la
battaglia j pugnasi ferocemente , e Teodorico
delle genti nemiche fa strage crudele ^ onde au-
dacissimamente entrando in Italia, passato il
Po, presso a Ravenna accampa il suo esercito,
ed all^ assedio di questa imperiai città è tutto
rivolto. Odoacre, che si ritrova dentro, fa ogni
sforzo in munirla , e sovente con notturne scor-
rerie inquieta l'esercito de* Goti; ed in questa
guisa pugnando , ora perdente , ora vincente ,
si giunge al terzo anno di qiiest' assedio : ma
invano s'affatica Odoacre, poiché fra tanto da
tutta Italia era Teodorico per suo re e signore
acclamato, ed ogni cosa, così pubbUca come
privata , i suoi voti secondava. In tale stato
scorgendo Odoacre esser ridotta la sua fortuna,
e riguardandosi solo in Ravemia, e che già per
lo continuo e stretto assedio mancavano i vi-
veri, diliberò rendersi, onde mandò legati a
Teodorico a chiedergU pace : fugU accordata j
ma da poi entrato in sospetto che Odoacre
gì' insidiasse il regno, gU fece toglier la vita.
Intanto di sì avventurosi successi diede Teo-
dorico distinti ragguagli all' imperador Zenone,
avvisandolo non rimanergli altro che Ravenna
sola per P intera conquista dell' ItaUa : ebbene
sommo piacere Zenone, onde con suo imperiai
LIBRO TERZO 4^
decreto confermógli F imperiò d^ Italia } e per
suo consigKo deponendo l'abito goto^ non già
d'imperiai diadema^ ma di regie insegne e di
regale ammanto si cuopre, e re de' Goti e de'
Romani è proclamato (j. Indi nel secondo anno
deU' imperio d'Anastasio, che a Zenone succe*
dette, prese, per la morte di Odoacre, Raren-
na, e nelFanno 49^ fermò in questa città, come
avevan fatto i suoi predecessori, la regia sede.
Se (u mai principe al mondo in favor del
quale nell'acquisto de' suoi regni concorressero
tanti giusti titoli, certamente dovrà reputarsi
Teodorico a rispetto del regno d'Italia. Era già
a' suoi di l'imperio d'Occidente, per la morte
d' Augustolo , finito affatto ed estinto : la Spa-
gna da' Vandali, da eli Westrogoti e da' Svevi
era occupata: la GaUia da' Franzesi e da' Bor-
gognoni: la Germania dagli Alemanni e da altre
più inculte e barbare nazioni: l'Italia non po-
tendo esser difesa dagl' imperadori d'Oriente,
era stata da essi abbandonata, e lasciata in
preda di più barbare genti : Gizerico re de'
Vandali la devasta e depreda 5 Odoacre l' inva-
de, e sotto la sua tirannide la fa gemere. Giunge
Teodorico a liberarla , ed a suo costo per mezzo
d'infiniti perigli, col valor delle sue anni e colle
forze della sua propria nazione supera il tiran-
no, lo discaccia e l'uccide. Tutti i popoli per
loro re e signore l' acclamano , ed il suo regno
desiderano. Se v' era chi sopra Italia avesse alcun
O Jomand. de Rcb. Gct. Zcnonisq. impcratorìs consulto pri-
Tatum habitum , suacqiic gcnlis vostitMm doponons , insigne regit
amìclus , quasi jam Goihorum , Roraanoruraquc regnator , , ad-
tumit.
^
44 ^ ISTORIA DKL REGNO DI NAPOLI
diritto^ era Fimperador d'Oriente; ma Teodo-
rìco mandato da lui viene a conquistarla ed a
discaccianie F invasore. Conquistata che Febbe
coUe proprie forze ^ gli vien da Zenone coiifer<-
mato r imperio ; e per suo consiglio ed autorità
dell'insegne regali s'udoma^ e re d'Italia è gri-
dato, transfondendo neUa sua persona i più
supremi diritti. Nel che non vogliamo altri te-
stimoni che i Greci stessi; niente dico di Gior*
nande, che come Goto potrebbe forse ad al-
cuni sembrar sospetto; mente d'Emiodio, quel
santo vescovo di Pavia , che per la giustizia del
suo regno gli stese minorazione panegirica (i):
vagliami Procopio (2) di nazione greca, il quale
neUa sua Storia, siccome tanto si compiace de'
suoi Greci, così a' Goti non fu molto favore-
vole: ecco ciò ch'ei narra di questo fatto, se-
condo la traduzione di Grozio : At Zeno im-
peratoFy gnarus rebus utiy ut dahant tempora,
Theodorico hortator est, ut in Italiani iret,
Odoacroque devicto, sibi ipse ac Gothis pa-
raret Occidentis regnum. Quippe satius homini
in senaium allecto, Romae^ atque Itaìis impe-
rata , invasore pulso ^ quam arma in imperato-
rem cum periculo experiri. Per la qual cosa i
miserabiti Goti, quando nel regno di Teia ul-
timo loro re furono costretti da Giustiniano a
lasciar F Italia, ricorrendo a' Franzesi per aiuto,
fra F altre cose che per movergU allaior di-
fesa poser loro iimanzi gli occhi*, fu il dire
che ciò che i Romani allora facevano ad essi,
(i) Ennodii Panogyricus , apud Cassiod.
(a) Proc. 1. I. Hist, Got.
. LIBRO TERZO 4^
avrebbon un dì fatto a loro altresì; poiché or
che vedevan le loro forze abbattute^ con ispe-
ziosi pretesti movean loro guerra, con dire che
Teodorico invase l'Italia che a' Romani s'ap-
parteneva: Cum lumen y essi dicevano appresso
Àgatìa (i) , Theodoricus non ipsis nolentìbus,
sed Zenonis quondam imperatoris concessu ve- «
nisset in ItaÙam, neque eam Romanis abstu^
lissety qui pridem eam amiseranty sed depulso
Odoacro invasore peregrino , Belli jure quac-
siifisset quaecunque ille possederat
E morto Timperador Zenone, Anastasio, che
gli succede neU imperio d'Oriente, portò gli
stessi sentimenti del suo predecessore, aven-
dolo per giusto e legittimo principe 3 poiché se ^
bene appresso FÀnommo Valesiano, che fìi fatto
imprimere da Errico Valesio dopo Àmmiano \
rapportato da Pagi nella sua dissertazione Hy"
patica de Consulibus , sì legga che i Goti,
morto nell'anno 49^ Odoacre, sibi confirma-
veruni Theodoricum regem, non expeciantes
jussionem nòvi prìncipis (intendendo d'Anasta-
sio che allora era a Zenone succeduto) ciò che^
come avverte Pagi (2), insino ad ora fu igno»
rato ; nulladimanco daÌT epistole di Cassiodoro
si vede che Anastasio approvò poi ciò che i
Goti aveano per propria autorità fatto; anzi fin-
ché visse, mantenne con Teodorico una ben
ferma e sicura amicizia, esortandolo sempre
che amasse il senato, abbracciasse le leggi de^
principi romani suoi predecessori, e proccurasso
(1) Agatia 1. I.
(3) Pagi DbscrU de Cunsulib. p. 3uu.
46 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
sotto il SUO regno mantener F Italia unita in una
tranquilla e sicura pace : di che Teodorico he
l'accertava con promesse e con effetti, come
si vede dalle sue epistole che appresso Cassio-
doro sì leggono dirizzate ad Anastasio (i).
Giustiniano stesso che discacciò i Goti d'I-
talia, non potè non riputar giusto e legittimo
il regno di Teodorico é degù "altri re d'Italia
suoi successorÌ3 poiché conquistata che l'ebbe
per opera di que* due illustri capits^ Belisa-^
rio e Narsete, abolì sì bene tutti gh atti, con^
cessioni e privilegi di Totila da lui reputato in-
vasore e tiranno, ma non già queUi di questo
principe e degli altri suoi successori (2).
(La subordinazione e riverenza nella quale
furono i re goti agi' imperadori d'Oriente, si'
convmce apertamente dalle rhonete di questi re
che si conservano' ancora ne' più rinomati mu-
sei d'Europa, nelle quaU in ima parte si vede
l'effigie de^' imperadori, nell'altra non già ima-
gine alcuna di re goto, ma solo i loro nomi;
toltone alcune monete di rame, nelle quali, forse
per concessione avutane dagl' imperadori, se ne
vede anche l'effigie. Di quelle d'argento nel mu-
seo cesareo di Vienna se ne veggono alcune le
3uaU da una parte hanno l'effigie dell' impera-
ore Giustiniano, e dall'altra i nomi di questi
re : Athalaricvs Rex, Theodatvs Rex. Vitigis
Bex. Badvela Rex. Il Bandurio le ha pure im-
presse; ed il Parata porta anche una consimil
moneta del re Teia. Il dubbio che sorge, come
(1) Cassiod. I. I. cp. I.
(a) Pragm. Sanctio Justin. post Nov. cap. i. et a.
VoLIl.p.1,6
LIBRO TERZO 4?
Giustiniano permettesse a Baduela. che è lo
stesso che Totila, coniar monete colla sua ima-
gine ed il di lui nome, quando lo riputava in-
vasore e tiramio, viene sciolto dal Èandurio^
al quale volentieri ci rimettiamo).
in fatti TeodoricO; ancorché non gli fosse pia-
ciuto d^ assumere il nome d^imperadore, era in
realtà da tutti i suoi popoli tenuto per tale; e
Procopio stesso dice che niente gli maiicava di
quel decoro che ad uno imperador si conveniva j
anzi Cassiodoro reputò che questo nome stava
assai più bene a lui che a qualunque altro ^ an-
corché chiarissimo, imperador romano; ed in ef-
fetto questo principe^ sia per riverenza degPim-
peradori d'Oriente, sia perché Odoacre non
prese altra quaUtà che di re, sia perché queste
nazioni straniere riputassero più profittevole e
vigoroso il titolo di re , come dinotante una si-
gnoria affatto indipendente e libera, che quello
d'imperadore, non volle giammai assumere tal
nome d'imperadore di Occidente, come fece
da poi Carlo M. E pure, o si riguardi P esten-
sione del dominio, o F eminenti virtù che Pa-
domavano , non meno che Carlo M. sarebbe
stato meritevole di tal onore. Egli possedeva
P Italia con tutte le sue provincie, e la Sicilia
ancora. Né questa parte d' Europa solamente
era sotto la sua dominazione.. Tenne la Rezia,
il Norico, la Dalmazia coUa Lòbumia, P Istria,
e parte della Svevia; quella parte della Panno-
nia ove sono poste Sigetinez e Sirmio; alcuna
parte della Galua, per la quale co' Franzesi so*
vente venne all'armi; e per ultimo reggeva, come
tutore d' Amalarico suo nipote, la Spagna; tante
48 ISTOKIA DEL REGNO DI NAPOLI
che Gioniande (i) ebbe a dire: Nec fiiit in
parte Occidua ^ns, quae Theodorico , dum
viverci 9 aut amicitia, aut subjectione non de-
serviret
Non ancora in Occidente erasi introdotto quel
costume che i re smungessero ed incoronassero
per mano de^ vescovi della città metropoli. In
Oriente cominciava già a praticarsi questa ce-
rimonia; ed in questi medesimi tempi leggiamo
che Lione il Trace dopo essere stato nel senato
di Costantinopoli eletto imperadore, fu incoro-
nato da Anatolio patriarca di quella città. Se
questa usanza si fosse trovata introdotta in Ita-
Ha , e fosse piaciuto a Teodorico portarsi in
Roma a farsi incoronare ìmperadore da papa
Gelasio, siccome fece Carlo M. con papa Lio-
ne m, certamente che oggi pure si direbbe es-
sere stato trasferito V imperio d' Occidente da'
Romani ne' Goti per autorità deUa Sede apo-
stolica romana.
S II.
Leggi romane ricevute da Teodorico in Italia^
e suoi edilli conformi alle medesime.
•
Ma avvegnaché a questo principe non fosse
piaciuto assumere il nome aimperador d'Oc-
cidente, egli però resse l'Italia e queste nostre
Provincie non come principe straniero , ma
come tutti gli altri imperadori romani. Ritenne
le medesime leggi, i medesimi magistrati, l'i-
stessa poUtica e la medesima distribuzione deUe
CO Jornand. de Kcb. Gelic.
LIBRO TERZO 49
1)roYmcie. Egli divise prima gli Ostrogoti per
e terre co' capi loro, acciocché nella guerra
gii comandassero e nella pace gli reggessero ^ ed
eccetto che la disciplina militare^ rendè a' Ro-
mani ogni onore. Comandò in prima che le
leggi romane si ritenessero, ed inviolabilmente
s' osservassero, ed avessero quel medesimo vi-
gore ch^ ebbero sotto gli altri imperadorì d'Oc-
cidente; anzi {il cgU di quelle cotanto riverente
e rispettoso, che sovente appresso Cassiodoro
in cotal guisa ne favella: Jura veterum ad no-
stram cupimus res^erentiam custodiri. Ed altro-
ve; JPelectoììiur jure romano vivere; ed in altri
luoghi: Reverenda legiim antiquitas , etc. (i).
Laonde i pontefici romani si rallegravano con
Teodorico , che come principe saggio e pru-
dente avesse ritenuta la legge romana in Italia.
Così Gelasio, secondo rapporta Gotofredo (2),
ovver Simmaco suo successore, secondo vuole
Alteserra (3) , si congratulava con Teodorico :
Certe est magnjficentiae vestrae, leges romano-
rum principum^ quas in negotiis hominum cu-
stodiendas esse praecepit^ multo magis circa
Beati Petri ripostoli sedem prò suae JcUcitatis
augumento velie servali. E per questa cagione
ne' primi cinque libri di Cassiodoro, che dei-
l'epistole et emtti di Teodorico si compongono,
non vedesi inculcar altro a' giudici ed a' ma-
gistrati, che la debita osservanza e riverenza
(t) Cassìod. 1. 3. e. 4^. et I. 1. e. 27.
(a) Got. in. Prolog, ex Gelagli PP. Ep. in decreto Ivouis
part. I. e. 18. ad Theodorictira.
C3) Altes. Rer. Aquit. 1. 3. e. i4* ex Decreto Gratiani can.
ceftum la. dist, 10.
GiAFirovE, FoL IL
5o ISTORIA DEL REGNO QI NAPOLI
delle leggi romane: e moltissime costituzioni del
Codice Teodosiano e molte Novelle di Teodo-
sio y di Valentiniano e di Maiorìano ^ in que^ li-
bri s^ allegano^ delle ornali lungo catalogo ne
tessè U (Uigentissimo Gotofredo ne' suoi Pro-
legomeni a quel codice (i).
Né £^tra fvi Fidea di questo principe ; che
mantenere il regno d'Italia con quelle stesse
le^gi e cgjl medesimo spirito ed unipne con
cui Onorio, Valentinìaao j(n e gli altri impera-
dori d'Occidente Favean governato. Così egli
se ne dichiarò con Anastasio imperador d' O-
riente : Quia pati ws non credimus inter utras-
que respublicas, quarum semper unum corpus
sub aniiquis prìncipihus fuisse dèclaratur, ali-
quid discordiae perrfumere; quas non solum
oportet inter se otiosa dilectione conjurigi^ ^erum
etiam decet mutuis virìbus adjus^ari. Romani
regni unum snelle, una semper opinio sit (2).
Per la qual cosa da Teodorico nuove leggi in
Italia non furono introdotte , credendo bastar
le romane^ per le quali lungo tempo s'era go-
yerfiata. E se bene ancor oggi si legga u|i suo
editto (3) contenente cento cinquanta quattro
capi (il quale lo debbiamo alla diligenza di Pie-
tro Piteo che lo fece imprimere) però, toltone
alcuni capi che del gotico rigore sono aspersi ,
come il capo 56, 61 ed alcuni altri, tutto il rir
. manente è tolto dalle leggi romane, siccome
(i) Got. in Prolcg. e. 3.
(9) Cas5Ìod. lib. I. £p. I.
(3) Cdict, Thcod. in oprrib. Casaiod.
LIBRO TSRZO 5l
Teodorico stesso lo confessa nel fine del me-
desimo: Nec cujustibet digniùOis, aut substcuh-
Uaéy aut poteììtiae, aut cinguUy vel honoris pei^
sona 9 contra haecy quae sakibrìter statuta sunt,
quolibet modo creaat esse ifeniendum, quae ex
noveUis ìegibus, oc veterisjuris sanctìmonìa
prò aUqua parte coìleganus. Né vi è quasi capo
del snddetio editto che disponga cosà la quale
nelle feggi romane non si trovi Onde sovente
Teodorico. per corroborar il suo comando o
divieto^ aUe medemne si rapporta. Oosi nel
C2a>. ^4 ^ecundum legum i^eiemm constUuta: e
n^ cap. 26 secumàim kges: e nel ci^. 36 /e-
gufn censuram, ed altrove. .
Ma ciò che rende pia commendabile questo
{>rìnc]pe^fit che volle eziandìo che queste leggi
ossero connuni non solo a' Romani^ ma a^ Goti
stessi che fira^ Romant vivevano , come è ma-
nifesto per cpiesto suo editto, lasciando a' Goti
poche leggi proprie le quali, come più a loro
usuali, più tosto lor proprie costumanze erano
che leggi scritte: ma in ciò ch^era di momento,
come di successioni, di solennità, di testamen-
ti, d'adozioni, dì contratti, di pene, di delitti,
ed ìa somma per tutto ciò che s^ appartiene
aDa pubblica e privata ragione, le leggi romane
erano a tutti comuni. Né altre leggi, contendendo
il Goto col Romano, o il Romano col Goto, volle
che i giudici riguardassero per decidere le loro
Uti, come espressamente Teodorico rescrìsse ad
un tal Gennaro preside del nostro Samiio : Inr
tra itaque provinciam Samnii, si quod negotium
Romano cimi Gothis est, aut Gotha emerserìt
aliquod cum Ronumù , legum consideratìone
52 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
definias ; fiec permittìmus discreto jure nvere ,
quos uno sH)to s^olmnus ^indicare (i). Solamente
quando le liti ^ agitavan fra Goto e Goto ^ volle
cne si decidessero dal propiio giudice^ elisegli
destinava in ciascuna città; secondo i suoi editti^
i quali; come s^è detto^ ancorché contenessero
alcune cose dì gotica disciplina, non molto
però s^ allontanavan dalle leggi romane: ma in
ciò i Romani anche venivan privilegiati, poiché
solo se la lite era fra Goto e Goto, poteva pro-
cedere il lor giudice^ ma se in essa occor-
reva che v^ avesse anche interesse il Romano ,
attore o reo che questi, si fosse, doveva ricor-
rersi al magistrato romano: ed in questa ma-
niera era conceputa da Teodorìco la fbrmola
della Comitiva che si dava a coloro che da lui
erano eletti per giudici de^ Goti in ciascheduna
Erovincia, rapportata da Cassiodorb nel settimo
bro fra le molt^ altre sue formole (2).
S. III.
La medesima polizia e magistrati ritenuii
da Teodorico in Italia,
Siccome somma fu la cura dì Teodorìco di
ritenere in Italia le leggi romane , non minore
certamente fu il suo studio di ritenere ancora
ristessa forma del governo, così per quel che
$^ attiene alla distribuzione delle provincie, come
de' magistrati e delle dignità. Egli ritrovando
(1) Cassind. 1. j. var. ep. i3,
(a) Id, lib. 7. e. 3,
LIBRO TERZO 53
trasferita la sede imperiale da Onorio e Valen-
tiniano suoi predecessori in Ravenna^ che non
a casb^ e per allontanarsi da Roma, ivi la col-
locarono, ma per esser più pronti ed apparec-
chiati a repnmer rirruzioni de^ barbari che
per quella parte sMnoltravan ne^ confini d^ Ita-
lia } ivi panmente volle egli fermarsi ; onde le
querele w Romani erano pur troppo ingiuste
e irragionevoli, quando di lui si doievano per-
dio in Ravenna e non in Roma avesse «collocata
la sua sede regia. Ben del suo amore inverso
quell^ inclita città lasciò egli manifestissimi do-
cumenti, ornandola di pubbliche e ciliare m^
morie della sua grandezza e regal animo, e
della sua magnificenza, cingendola ancóra di
ben forti e sicure mura. Non fu minore il suo
amore e riverenza verso il senato romano, come
ne fanno pienissima fede le tante affettuose epi-
stole da lui a quel senato dirizzate, piene d^ogni
stima e rispetto, che si leggono presso a Cassio-
doro. In Ravenna adunque, come avean fatto
i suoi predecessori, collocò la sua regia sedej
e quindi resse F Italia e queste nostre provin-
cie, che ora compongono il regno di Napoli,
con quelli magistrati medesimi co^ quaU era
stata governata dagF imperadori romani.
De' magistrati e degli altri ufficiaU del pa-
lazzo e del regno, ancorché alcuni ne fossero
stati sotto il suo governo nuovamente rifatti,
e ne' nomi e ne' gradi qualche diversità vi
si notasse, se ne ritennero però moltissimi, se
non in tutto nella potestà e giurisdizione simili
a quelli de' Romani, molti però nel nome ed
assaissimi anche in realtà a' medesimi conformi.
54 ISTORIA DEL HEGIfO DI KAPOll
Si ritennero i senatori , i consoli^ i patrizi, il
prefetto al pretorio , i prefetti della città ed
1 questori. Si ritennero i consolari, i corretto-
ri, i presìdi e moltissimi altri. Qualche muta-
zione solamente fu ùegli ufficiali minori, essendo
stata usanza de^ Goti in ogni benché piccola
città mandare i comiti e particolari giumci per
F amministrazione del governo e della giustìzia,
e di creare alcuni altri ufficiali, dì cui nella No
tizia delle dignità dellMmperio è ignoto il nome.
Ma se in questo divario de' magistrati intro-
dotto da' Goti vogliamo seguire u sentimento
dell'accuratissimo Ugon Grozio, bisognerà dire
che in ciò fecero cosa assai più commendabile
che i Romani stessi j imperciocché, e' dice, ap-
presso a' Romani fìiron molti nomi di dignità
affatto vani e senza soggetto : Multa apud Ro^
manos ejusmodi inani sono constantìa , P^acan^
tium y Ùonorariorum^ etc. (i). All'incontro i
Goti ebbero sentimenti contrari, come si legge
in Cassiodoro (2): Grata sunt omnino nomina,
quae designant protinus actiones, quando tota
ambig^iitas audiendi tollitur ubi In vocahulo
concluditfir 9 quid geratur. In oltre Grozio ri-
flette che i Romani mandando per (Ciascheduna
provìncia un consolare o un preside, il quale
dovesse avere il governo e la cura di tutte le
città e castelli della provincia, molti de' quali
eran. assai distanti dalla sua sede 5 quindi avve-
niva che non potendo il preside esser presente
in tutti que' luoghi , venivan perciò a gravarsi
(0 Grol. in Prolrgom. ad Hìst. Gothor.
(a) Cassiod. lìb. 6. oap. 7.
LIBRO TERZO 55
i provinciali d'immense e rilevanti spese; poi-
ché bisognava eh' essi ricorressero a lui da
parli remotissime. Presso a' Goti la bisogna in
altro modo procedeva: avevan bensì le provìn-
cié i loro consolari^ i correttori ed i prèsidi.
nuDadimeno non solamente alle più principah
bitta; ina eziandio a ciascheduno benché pic^
colo castello mandavansi i comitì; o altri magi**
strati inferiori; fedeE; incorrotti; e dal consentir*
meiitd de' popoli approvati; acdiocché potessero
render loro giustìzia; ed aver cura de tributi e
altri bisogni di que' luoghi.
Tanto ehé cjuesta disposizione di magistrati
che oggidì anbora nel nostro regno osserviamo)
di mandarsi govemadori e giudici ad ogi4 città^
la dobbiamo non a' Romani; ma a' Goti.
E se he* tempi nostri si praticassero que' ri-*
gbri e qudle diligenze che a' tempi di Teodo^
nco usavansi nella scelta di tali ministri; cioè
di mandare Uomini di conosciuta integrità e
dottrina e a' popoli accettissimi; vietando per-
ciò Pappellaziom ad altri tribunali lontam; e'
sol permettendole quando o la gravità degli af-
fari o una manifesta ingiustizia il richiedesse;
certamente d'infinite Hti e di tanti gravi di-
spendi vedrebbonsi libere queste nostre Pro-
vincie ; eh' ora non sono. E per questa cagione
presso a molti scrittori tanto s' esagera il go-
verno de' popoli orientali ed affncani; che noi
dovente nelle comuni querele sogliamo perciò
invidiargli j perocché questi non pur nelle città;
ma in ogni piccolo castello hanno i lor giudici
.sempre pronti ed apparecchiati j e le liti non tan-
tosto sono fi'a essi insorte, che sul)ito veggonsi
56 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
terminate^ rarissime volte ^ o non mai, ammetr
tendo appellazioni; perchè la gente tenendo
nella venerazione dovuta il magistrato , a^ suoi
decreti tosto s^ acqueta, e soffre più volentieri
che se le tolga la roba controvertita, che andar
girando in parti lontane e remote con maggiori
dispendi, e coll^ incertezza di vincere, e sovente
col timore di tornar a perdere *, e stiman esser
di loro maggior profitto che ad essi s^ usi una
ingiustìzia pronta e sollecita, che una giustizia
stentata e tai'da. Perciò Genardo avendo la-
sciata Europa, e in Affrica nel regno di Feza
rìcovratosi , soleva a molti suoi amici europei
scrivere, ch'egU non invidiava le magnificenze
e grandezze di tante belle città, solamente per-
chè non dovea più nel foro rivoltarsi tra tanta
gente malvagia e piena di cavilli: ne ivi faceva
uopo de' loquaci causidici , ma se occorreva tra
quegli AfTricani qualche Ute, era sempre presto
il giudice a deciderla, uè tomavan a casa i U-
tiganti> se non terminato il htigio. Ma questo,
nello stato delle cose presenti, è più tosto da
desiderarsi clie da sperarsi , poiché il male è
nella radice ; oltraccliè nelP elezione de' magi-
strati non s' attendon più quelle prerogative che
forse in quei tempi, cn'ora noi cliiamiamo bar-
bari, accuratamente s'attendevano: ciò che al-
lora era rimedio, presentemente in mortifero
veleno si trasmuterebbe; giacché fin da' tempi
d'Alfonso I Aragonese si trasfuse il male di
O Clrnardi Epistolar ad Arnoldum Streytrriiim et ad Jaco-
bum Latomum A. i54i. Gcor. Pasquius de Nov. inv. de varia
fortun. doct. iuris.
LIBRO TSRZO • Sy
concedere a* baroni del regno ogni giurisdizione
ed imperio. E oggi sono più i governi che si
conceaono da^ medesimi^ che quelli che sono
dal re provveduti; e la maggior parte del re-
gno è governata da essi nelle prime istanze;
onde era espediente che s^ ammettessero que^
tanti ricorsi a^ tribunali superiori che oggigiorno
osserviamo; giacché non potè praticarsi il di*
segno che Carlo VHI re di Francia ^ in que^ po-
cm mesi che tenne questo regno, avea conce-
puto, di togliere a' baroni ogni giurisdizione ed
miperìo, e ridurgli a somiglianza di quelli di
Francia e dell'altre provincie d'Europa (i).
Ma ritornando onde siamo dipartiti, i Goti,
secondo che ci rappresentano i libri di Cassio-
doro , fìiron molto avvertiti nella scelta de' ma-
gistrati , e non meno nell' elezione de' maggiori
ufficiali, che in quella de' minori che manda-
vano in ciascuna città , ponendovi ogni lor cura
e diligenza : quindi presso a Cassiodoro leggiamo
tanti nuovi ufficiaU , i cancellieri , i canonicarii,
i comiti , i referendarii ; e le tante formole colle
quaU eran tante e si varie dignità conferite a^
soggetti di conosciuta bontà e dottrina. Pietro
Fantino (2) scrìsse un non dispregevol libro
delle dignità della Camera gotica : ma, come fii
osservato da Grozio (3), senza la costui fatica
e diligenza ben potevano quelle ravvisarsi e
comprendersi dal libro sesto e settimo di Cas-
siodoro, ove tutte queste dignità ci vengono-
rappresentate e descrìtte.
(1) V. Afilict in Prachid. ad Constit. rcgu. Phil. Comii;.
Koppin. de Domaiiio Franciae.
(2) Pet. Pantinus de Dìgnit. Goth. Avlac.
(3) Grot. in Proleg. ad Hist. Gotkor.
»
58 ISTORIA On. REGirO DI NAPOLI
S* IV.
La medesima disposizione delle proinncie ritenuta
in Italia dal re Teodorico.
Ritenne ancora questo principe la stessa di-
visione delle Provincie che sotto F imperio di
Costantino e de^ suoi successori componevano
r Italia : era ancora il medesimo nùmero di qud
d^ Adriano 3 ed in diciassette eran ancora di^
stinte; né ciò ch^ora appelliamo regno di Na-
poli^ in più Provincie (a partito: quattro ancora
nirono sotto la dominazione di Teodorico^. La
Campagna, II. la Calabria colla Puglia, lEL la
Lucania e' Bruzi, IV. il Sannio. Alla provincia
della Campagna furono mandati , come prima,
i consolari a governarla: all'altre due di Cala-
bria e Lucania i correttori; ed al Saimio i
presidi.
Della Campagna, e suoi consolari.
n primo consolare della Campania che ne'
cinque libri di Cassiodoro s'incontra, fii
un tal Giovaimi, a cui Teodorico mandò una
epistola , nella quale tanto gli raccomandava la
giustizia e la cura della pubbHca utilità, deco-
randolo col titolo di P^iro Senatori ^ come dal-
V iscrizione : Joanni V. S, Consiliari Campa-
niae^ Theod, Rex. A questo stesso Giovanni
indirizza Teodorico quel suo editto, che presso
O Cassiod. U^3. e. 27.
tlBEO TERSO ' * ^
a Cassiodoro (t) anche si legge ^ per cui m
severamente proibita quella pessima usanza che
nella Campania e nel Sannio eradi introdotta,
che il creditore senza pubblica autorità^ ma
Eer privata licenza si prendeva la roba del de-
itore per pegno, né la restituiva, se del suo
credito non fosse stato soddisfatto; anzi so«
vente si prendeva la roba non del debitore ^
ma d^un suo amicò, vicino, o congiunto, che
in Italia son chiamate rappresa^ : si vietò tal
costume severamente, e s'impose pena ddla
perdita del credito, e di restituire il doppio,
nel caso che si fosse fatta rappresaglia non al
debitore, ma all'amico, o congiunto. Zenone
imperadore quest' istesso avéa comandato per
k' (Mente con una sua consimile costituzione (2) :
onde Teodorico, che intendeva reggere Fltìdia
colle medesime massime, volle anche in ciò
imitarlo: Giustiniano poi lo ripetè nelle sue
Novelle (3). Né volle mai Teodonco permettere
che s'usassero simili violenze nel suo regno;
ma che i creditori, secondo che parimente det-
tavano le leggi romane, per vie legittime di pub*
bUci giudizi sperimentassero le loro ragioni.
Trovandosi questo prìncipe esausto a cagion
delle guerre sostenute alcun tempo co' Frauda
sì, ebbe necessità di far da questa provìncia
Eroweder di vettovaglie i suoi esercitij e si
igge perciò un altro suo editto (4), imponendo
a' navicularii della Campagna che trasportassero
CO Cassiod. ì. 4- e. IO.
(a) L. un. Ut nullus ex Vicauis prò alien, vican. deb. tcn. 1. 1 1 .
O) Novell. 52 et 134.
C4) Cassiod. 1. 4* ^- ^. \
60 ISTORIA. DEL REGNO DI NAPOLI
<|ue* viveri nelle Gallie. Meditava ancora d^inv*
porle altri pesi; ma orando a prò di questa
provincia Boezio Severino (i)^ e ponendogli
avanti agli occhi le tante sue miserie e le tante
afflizioni e desolazioni che per F invasione de*
Vandali aveva patite^ clementissimamente Teo-
dorico le concedè ogni indulgenza^ né di nuovi
pesi volle maggiormente caricaiia; anzi avendo
1 Campani^ e particolarmente i Napoletani ed i
Nolani^ per F irruzione del Vesuvio accaduta in
questi tempi ^ patiti danni gravissimi, concedè
Si medesimi indulgenza anche de' soliti tributi^
come scorgesi presso a Cassiodoro in quell'al-
tro suo editto {2)y nel quale con molto spirito
e vivezza si descrivono i fremiti, Torride nubi
ed i torrenti di fìioco che suole mandar fuori
3uel monte. Cassiodoro è maraviglioso in simili
esenzioni ; ma quel che non se gli può con-
donare^ è che. oltre al valersi d'alcune ardite
iperboli e d'alcune metafore soverchio licen-
ziose, introduce in si fatta guisa a parlar Teo-
dorico, che non saprebbesi scemere se voglia
ordinar leggi e dar provvidenza a' bisogni delle
sue Provincie, come era il suo scopo, o pure
voglia far il declamatore, introducendolo so-
vente a parlare in una maniera che non si
comporterebbe né anche a' più stravolti pane-
giristi de' nostri tempi.
Aveva veramente la Campania, quando Gez&-
rìco dall'Affrica si mosse con potente armata
ad invader l'ItaUa, patiti danni insopportabili.
(0 Petrus Bcrtius in Vita Boiitii.
(q) Cassiod. I. 4* e* 5o.
IIBEO TERZO 6l
Fu allora da^ VaDdali aspramente trattata , de-
vastando il suo paese y e Capua . ch^ era la sua
metropoli^ fa barbaramente saccneggìata e poco
men che distrutta. Queste stesse calamità sof-
ferirono Nola e molte altre città della medesi-
ma. Napoli solamente per cagion del suo sito
fu dal nu*or di quei barbari esente: città allo-
ra^ ancorché piccola, ben difesa però dal va-
lore de^ suoi cittadini, dal sito, e più dalle
mura forti che la cingevano. E per questa va-
ria fortuna che sortirono, avvenne da poi che
molte città di queste nostre provincie da grandi
si fecìon picciole, e le picciole divennero granr
di; quindi avvenne ancora che, ruinata Capua
e molte città di questa provincia, Napoli co-
minciasse pian piano ad estollersi sopra tutte
r altre, e ne^ tempi de^ Greci e Longobardi si
rendesse capo d^uno non picciol ducato.
Ne' tempi di Teodorìco, ninna altra città di
questa provincia leggiamo che si fosse rallegrata
cotanto dell'imperio di questo principe, quanto
Napoli, né altra che avesse con tanti e sì co*-
spicui segni di fedeltà e di stima mostrata la
sua divozione ed ossequio verso di lui. Assunto
che fu Teodorico nel trono, gti eressero i Na-
poletani nella maggiore lor piazza una statua,
oudla che da poi s'ebbe per infausto presagio
dell'infelice fine della dommazione de' Goti in
ItaUaj poiché, come narra Procopio Oy ^vevan
i Napoletani innalzata a Teodonco questa sta*
tua composta con maravighoso artificio di pic-
ciole petruzze di color vario, e così bene tra
C) Procop. 1. f. Hist. Gol.
64 ISTOklA DEL REGNO DI NAPOLI
de' nostri tempi ^ Cedola, ovvero Patente) le
prerogative di questa città j le sue delizie , la
sua eccellenza, quanto sia decoroso F impiego^
quanto ampia F autorità e giurisdizione che se
gli concede , e quanto pieno di maestà il suo
tribunale: ella è chiamata (i): Urhs ornata rnuU
titudine cmum^ abundans marinis, ierrenisque
deUcìis : ut dulcissìmam wtam te ibidem inve--
nisse dijudices, si nullis amaritudinibus misceor
ris. Praetoria tua officia replefit, militum turba
custodit Conscenais gemmatum tribunal , sed
tot testes pateriSf quot te agmina circumdare
cognoscis. Praeterea Utora usque ad praefini-
tum locum data jussione custodis. Tuae vohtn-
tati parent peregrina commercia. Praestas emen-
tìbus de pretio suo, et gratìae tuae prqficis ,
quod aviaus mercator acquirit Sed inter liaec
praeclara Jastigia , optimum esse judicem de--
cety etc. Ne minori sono P a|rettuose dimostranzc
che da questo principe eran espresse nella let-
tera solita darsi al provisto, scrivendo alla città
di Napoli in commendazione del medesimo; la
formoia della quale pur la dobbiamo a Cassio-
doro (2)j e da essa può anche raccorsi che
Teodorico lasciasse a' Napoletani quell' istessa
forma di governo ch'ebbero ne' tempi de' Ro-
mani, cioè d'aver la curia o senato, come pri-
ma, dove degli affari di quella città per quel
che s' attiene alla pubbUca annona , al riparo
delle strade ed altre occorrenze riguardanti il
(i) Cassiod. I. 6. e. >3.
(3) id. ]. 6. e. a6.
LIBRO TERàSO 65
governo della medesima^ avesser cura^ e sola-
mente loro to^esse il poter da^ decurioni eleg-
gere i magistrati^ i quali quella giurisdizione
avessero che concedeva egli al govemadore, o
comite che vi mandava. Ebbe ancora questa
provìncia il suo cancelliero^ la cui carica e fun-
zioni ci sono rappresentate da Cassiodoro nel-
Tundecimo e duodecimo libro delle sue opere (i).
Della Puglia e Calabria ^ e suoi correttori.
Siccome non volle Teodorìco mutare il go-
verno della Campagna ne^ magistrati superiori^
lasciando i consolari in essa^ come ebbe sotto
i Romani: cosi né meno piacque al medesimo
mutarlo nella provincia della PugHa e Calabria.
Non divise egli^ intomo al governo-, la Puglia
dalla Calabria; né mutarono queste provincie
nomi, come ne^ tempi che seguirono, furon va-
riati: sotto un solo moderatore furon ammini-
strate y ancorché al governo di ciascuna città
particolari contiti , o siano govemadori, man-
dasse, secondo la commendabile usanza de^
Goti.
n primo moderatore della Puglia e Calabria
che ne^ primi cinque Hbri di Cassiodoro sMn-
contra, tu un talFesto, ovvero Fausto, come
altri leggono; a costui si vede da Teodorico in-
dirizzata queir epistola (2) per la quale si coi>*
cede a^ pubblici negoziatori, della rugUa e Ca-
labria la franchigia de^ dazi e gabelle; e sono
(1) Ca:isiod. Var. 1. ii. e. 37. et I. 12. e. i. et 3.
(a) Id. 1. a. e. a6.
GuififowEi Fot, IL 5
66 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
da notarsi i spesiosi e decorosi titoli co* quali
Teodorìco tratta (|uesto ministro.
Tenne Teodorìco particular cura di questa
provincia , e de* suoi campi j e molte salutari
providenze egli yì diede ^ come in più luoghi
appresso Cassiodoro potrà osservarsi (i). Fra
le città della Puglia più cospicue fii un tempo
Siponto^ che ora delle sue alte mine appena
serba alcun vestigio: città quanto antica^ altret-
tanto nobile e potente^ tanto che i suoi Sipon-
tini ne* seguenti tempi poteron sostenere lunghe
guerre co* Napoletani e co* Greci, come nel suo
luogo diremo. Dalle comuni calamità che per
1* irruzione de* Vandali e per la tiramiide d O-
doacre travagliarono Fltaua^ non restò libera
Siesta città; fiirono i suoi cittadini in que* tre
timi anni di guerra che Odoacre sostenne con
Teodorìco j per essersi renduti i Sipontini a
questo principe, crudelmente da Odoacre trat-
tati , ed i loro campi devastati, tanto che i
negozianti sipontini in grand* estremità rìdotti,
rìcorsero alla clemenza di Teodorico, chieden-
dogli r immunità de* tributi e qualche dilazione
per U loro creditori : fu loro per tanto pietosa-
mente da questo principe conceduto che per
due anni non potessero esser travagliati per li
tributi, ne molestati da* loro creditori, come
da un* altra epistola diretta al suddetto Fausto
moderatore ai questa provincia, o pure, come
altri leggono, ad Atemidoro, si scorge presso
al Senatore (2).
(1) Gas6Ìod. lib. 5. e 7. ci 3i,
(a) W, 1, X cap. 37,
LIBRO TERZO &J
Della Lucania e Bruzi^ e suoi correttori^
Siegue la proviucia della Lucania e de^ Brof^i ,
intomo al cui governo niente ancora fii da Teo-
dorico variato. Si ritennero i correttori j uè i
Bruzi da' Lucani fiiron divisi^ ma sotto un sol
moderatore, come prima, rimasero. Reggio fu
la lor sede, ond'è che appresso Gassiodoro(i)
si raccomandano i cittaoini di questa città ad
Anastasio canceUjero della Lucama , e de' Bruzi,
e l'orìgine del nome di Reggio è descritta: Bhe*
gienses civesy ultimi Brutiorum, quos a Sici-
Uae corpore violenti quondam maris impetus
segregdifit , unde cUfitas eorum nomen acdepit;
dimio enim phyirji^ graeca lingua i^ocitatur, etc^
Non dee riputarsi picciol pregio di ouesta
provincia l' avere avuto ne' tempi di Teoaorico
er suo correttore Gassiodoro medesimo, che
il primo personaggio di questa* età cui Teo-
dorico profusamente cumulò di tutte le dignità
che dalla sua regal mano potevan dispensarsi.
Nel principio del suo regno , essendo le cose
della Sicilia, per lo nuovo dominio, ancora flut-
tuanti, fu trascelto Gassiodoro al governo di
quell'isola. Indi dato bastante saggio degU al-
^fUsimi suoi talenti , nella Lucania e ne' Bruzi
Ber correttore di questa provincia fu mandato,
on molto da poi alla (ugnità di prefetto pre-
torio fu assunto, e finalmente al supremo onore
del patriziato fu da Teodorico promosso (2) ,
(0 Cassiod. I. 13. e. 14.
(a) Id. I. t. e 3.
^
68 ISTORIA DEL HEGNO DI NAPOLI
come per la formola che Cassiodoro stesso ne^
suoi libri ci propone^ è manifesto (i)j dalla
(juale par che possa senza dubbio ricavarsi,
come u Bando j Pomerio , Romeo e moltissimi
altri autori scrìssero (2) , essere stata il Bruzio,
e propriamente Squillace patria di sì nobile spi-
. rito, e che al suo terreno debba darsi tutto il
vanto d^ aver pianta sì nobile prodotta , come
anche da quelle parole di Teodorico si racco-
glie : Sed non eo praeconiorum fine contenti ,
Brutioriuii et Lucaniae (ibi d^dimus mores r^
gendos : ne bonuni , quod peregrina proi^incia
(intendendo della Sicilia) meruisset, genitalis soli
fortuna nesciret
Fu dopo Cassiodoro, sotto questo stesso
principe, correttore della Lucania, e de' Bruzi
Venanzio , al quale Teodorico scrisse qucU' e-
pistola in cui F esazion de' tributi di questa
(provincia gF incarica 5 così appresso Cassiodoro
eggiamo (3) : yenantio Viro senatori correciori
Lucaniae et Brutiorum^ Theod, rex. Di questo
stesso Venanzio fassi da Teodorico onorata
menzione in quel suo editto (4) indirizzato ad
Adeodato j dove si legge: J^iri spectabilis K&^
naniii Lucaniae et Brutioriun praesulis (v5) j e
del correttore di questa provincia pur nel capo
seguente presso Cassiodoro fassi menzione, comA
da quelle parole: Corrector Lucaniae, ÉrutiO'
rumque. Tenne ancora la Lucania e '1 Brua^io
(I) Gassiod. 1. 12. r. i5.
(a) P. Garolii:s in Vita Csutsiod.
(3) Cussiod. 1. 3. r. 8.
(4) Id. 1. 3. r. 48.
(fj^ Jiirct. id cat coMCCciQris^
LIBRO TERZO 69
il SUO cancelliero y come può vedersi appresso
Cassìodoro (i).
A^ navicularìi della Lucania^ siccome a quelli
della Campagna , ancora fu da Teodorìco co-
mandato il trasporto delle vettovaglie in Fran-
cia^ come si legge appresso il Senatore (2). Né
da Atalarico suo nipote fìi questa provincia tras-
curata. Egli diede opportuni provvedimenti, per-
chè una gran fiera cne si faceva in questi tem-
pi • e dove concorreva molta gente di tutte
P altre provincie , ed una gran festività che si
celebrava nel dì di S. Qpriano, non fosse di-^
sturbata: donde fti data occasione a Cassiodo-
ro (3), come altrove (4) fece del Fonte Aretusa
posto nel territorio di Squillace, di descriverci
il maravigUoso ' Fonte Marcilianó clV era nella
Lucania, ed impiegare nella descrizione del me-
desimo, secondo u soUto stile, tutte le sue ar-
ditezze ed ipcrboU: e quel ch^è più, ponendole
in bocca d'un principe che non aveva altro
scopo che con severi editti proibire che tanta
celebrità non fosse da' rei e perversi uomini
disturbata.
(U Fonte MarciUano in Lucania, descritto da
Gassiodoro lib, 8 ep. 33 , era vicino alla città
chiamata Cosilina, oggi distrutta, la quale avea
un sobborgo , chiamato MarciUano , dove poi
andò ad abitare il vescovo, onde promiscua-^
mente fu da poi nominato ora Episcopus Mar-
cellianensis , ora Cosilinus, Ecco come ne parla
(0 CassioH. 1. II. e. 39. ci I. la. e. 12. i4< '-'t lOs
(5) Iti. I. 4. e. 5. '
(T) hi 1. 8. e. 33.
(4) 111. I. la. c« i5.
?0 ISTORIA DEL RfGNO DI NAPOLI
^sterno nelle note a Carlo S. Paolo in Lucania
ti Bruzia: Cosilianum antiquissima Lucaniae
Cwitas (Cassiodor. P^ar. Uh. 8, ep. 33) Suburbi'
cum habuit Marcìlianum , sive Marcellianiim ^
unde MarcelUanensis Episcopus et Cosiìinus
promiscue dicebatur. Contrastano i vicini abitSH
tòri per appropriarsene i ruderi; e chi vuole che
sian quelh onde ^sorse la città di Marsico^ at
Im pretendono che da que^ ruderi fosse sorta
non già Marsico^ ma la città di Sala).
Del Sannio^ e suoi presidi.
Viene in ultimo luogo il Sannio, provincia^
9Ìccome appo i Romani^ così ne^ tempi di Teo-
dorico non decorata d^ altro che di preside. In
questa provincia si legge pressò a Cassiodoro (i)
essersi da Teodorico mandato a preghiere de*
Sanniti un tal Gennaro^ ovvero^ come altri (a)
leggono^ Sunhivado per lor. moderatore e giu-
dice ^ imponendosegli che accadendo litìgio nella
medesima tra^ Romani con Goti^ ovvero fra*
Goti con Romani^ dovesse secondo le leggi ro-
mane difiSnirlo; non volendo egli permettere che
sotto varie e diverse leggi i Romani co* Goti
vivessero ; le cui parole già furon da noi ad
altro proposito recate. Ebbe anche questa pro-
vincia i suoi cancellieri^ come è chiaro appresso
Cassiodoro <3); e del Sannio pur altrove (4)
&ssi da Teodorico memoria; tanto che non
j(i) Cassiod. I. 3. e i3.
(i) P. Garet.
(3) Cassiod. 1. ii. e. 36.
(4) Id. I. S. e. S7,
LIBRO TEE^O Jì
y* è stata provìncia di quelle che ora compon^
gon il nostro regno, che, per le memorie che
a noi sono rimase di questo prìncipe, le quali
tutte fra gii altri scrittori le debbiamo a Gas«»
siodoro^ non si vegga da Teodorico provida-*
mente amministrata, e dati giusti ed c^portoni
rimedi per lo governo loro.
/ medesimi codici riienuii^ e le medesime condizioni
delle persone % dt? retaggi.
Quindi può distintamente conoscersi che le
nostre provincie, estinto ^imperio romano (F Oc-
cidente, ancorché passassero sotto la domina*
adone de^ Goti, non sentirono quelle mutazioni
che regolarmente ne^ nuovi domuiii di straniere
E enti sogUon accadere. Non furon in quelle nuove
;ggi introdotte, ma si ritennero le romane j e
la legge comune de^ nostri provinciali fu quella
de^ Romani, ch^ allora ne^ Codici Gregoriano,
Ermogeniano, e sopra ceni altro nel Codice di
Teodosio e nel corpo delle Novelle di questo
imperadore, di Valentiniano, Marziano, MagiO'
riauo, Severo ed Antemio suoi successori si
contenevano: ed a^ libri di qudUU giureconsulti
che Valentiniano trascdse, era data piena au-
torità e forza.
Non s^ introdusse nuova forma di governo, e
si ritennero i medesimi ufficiali; né la varia-
zione de' magistrati fu tanta, che non si rite-
nessero le dignità più cospicue e sublimi. Poiché
Tidea di Teodorico, e poi del suo successore
•
7 a ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
Atalaiico fii di reggere F Italia e queste nostre
Provincie col medesimo spirito e forma colla
quale si resse l'imperio sotto gVimperadorij ed
è costante opinione de^ nostri scrittori che le
cose d'Italia sotto il suo regno furon più quiete
e tranquille che ne' tempi degli ultimi impera-
dori d'Occidente, e ch'egli fosse stato il primo
che facesse quietare tanti mah e disordini.
Quindi è avvenuto che ancor che queste
nostre provincie passassero da' Romani sotto
la dominazione de Goti, non s'introducessero,
siccome nell'altre provincie dell'imperio roma-
no, quelle servitù ne' popoli che passati sotto
altre nazioni sofFerirono. Cosi quando la Gallia
fii conquistata da^ Franzesi, fìi trattata come
paese di conquista: essendo cosa certa che si
fecero signori delle persone e de' retaggi di
quella, cioè si fecero signori perfetti, così nella
signoria pubblica, come nella proprietà e si-
gnoria privata (i) : ed in quanto alle persone,
essi fecero i naturali del paese sem; non già
di un'intera servitù, ma simili a quelli che i
Romani chiamavan censiti , ovvero ascrittizi, o
coloni addetti alla gleba (2). Non così trattaron
i Goti l'Italia, la Sicilia e queste nostre pro-
vincie, ma lasciaron intatta la condizione dello
persone, poiché non gli governava un principe
straniero, ma un re che si pregiava cu vivere
alla romana, e di serbare le medesime leggi
ed instituti de' Romani. Furon bensì in molti
(i) Loyscau dcs ScigD. e.
(a) Cod. de Agric. et Gens. 1. n. ComnaD. in Com. iur. civ.
lib. a. lit. C.
LIBRO TERZO n^
viliag^ delle nostre provincié di questi ascrìttizi
e censiti (siccome vi furon anche .de' servi,
perchè a' tempi de' Goti fuso de' medesimi
non s'era dismesso (i)), ma queUi stessi, o
loro discendenti, in ({ueUa marnerà che prima
si tenevano da' Romani, e di essi ci restano
ancora molti vestigi ne' Codici di Teodosio e
di Giustiniano, che poi i secoli seguenti chia-
maron angarii e parangarii (a). Gò che si coìir
ferma per un avvenimento rapportato da Ugone
Falcando in Sicilia a' tempi del re Guglielmo II.
poiché essendo i cittadini di Caccamo ricorsi
al re contra Giovanni Lavardino franzese, il
ouale affliggeva i terrazzani con esigere la metà
aelle lor entrate, secondo che diceva esser la
consuetudine delle sue terre in Francia^ e ri-
portate queste querele al G. cancelliero , eh' era
allora Stefano di Parzio. perchè questi era anr
cor egli fr'anzese, lasciò la cosa senza provvedi^
mento, onde i suoi nemici gli concitaron l'o-
dio di tutti i Siciliani e di molti cittadini e
terrazzani, gridando ch'essi eran liberi, e che
non dovea permettere, secondo l'uso di Fran-
cia, Ut universi populi Siciliae redditus an~
nuos et exactiones sohere cogerentur juxta
Galliae consuetucUmmy quae cwes liberos non
haberet
Ed in quanto a' retaggi e terre deUa Gallia,
i Franzesi vittoriosi le confiscàron tutte, attri-
buendo allo Stato l'una e l'altra signoria di
(i) Leon. Osticns. in Cronic. Cassi n. GIbssator in notis. e. 6.
num. 533.
(a) Got. in Cod. Thcod. I. 8. tit. de ciirs. pub. et angar. 1. 4*
^4 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
quelle (*)• E fuori di quelle terre che ritennero
in dominio del principe, distribuiron tutte F al-
tre a^ principali capi e capitani delia loro na-
zióne ^ a tal uno dando una provincia a titolo
di ducato j ad un altro^ un paese di frontiera
a titolo di marchesato; a costui una città col
suo territorio adiacente a titolo di contea^ e
ad altri de^ castelli e villaggi con alcune terre
dintorno a titolo di baronia , castellania , o sem-
plice signoria , secondo i meriti particulari di
ciascheduno ed il numero de^ soldati ch^ aveva
sotto di sé; poiché davansi cosi per essi ciie
{ler li loro soldatL Non cosi fecero i Goti in
talia ed in queste nostre provincie, poiché si
lasciarono le terre a^ loro posseditori , né s' in-
quietò alcuno nella privata signoria de' loro re-
taggi; e le Provincie e le città eran amministrate
da medesimi ufficiali che prima, secondo che
si governavano sotto P imperio di Valdhtiniano e
degli altri imperadori d'Occidente suoi prede-
cessori. Né in ItaHa ed in queste nostre pro-
vincie l'uso de' feudi e de' ducati e contaoi fu
introdotto , se non nel regno de' Longobardi ,
come diremo nel quarto libro di questa Istoria.
SVI.
Insigni virtù di Teodorico ^ e sua morte.
Fu veramente Teodorico di tutte quelle rade
e nobili virtù ornato ^ che fosse mai qualunque
altro più eccellente principe che vantassero tutti
i secoli. Per la sua pietà e culto al vero IddiO;
(*) Loyseau des Seign. e.
LIBRO TERZO ^5
(il con iimnense lodi celebrato da Emiodio cat-
tolico vescovo di Pavia. E se bene istrutto nella
religione cristiana ^ i suoi dottori gliela avessero
renduta torbida e contaminata per la pestilente
eresia d^Arrio, siccome fecero a tutti i Goti,
questa colpa non a^ Goti dee attribuirsi, ma
a' Romani stessi, e spezialmente all^imperador
Valente, che mandando ad istruir questa na^
zione nella religione cristiana, vi mandò dot-
tori arriani; tanto che Salviano (i), qud santa
vescovo di Marsiglia , nomò questa loro disgnh
zìa, fallo non già de Goti, ma del magistrato
romano: e testifica questo santo vescovo che
nel meaesimo lor errore non altro fu da essi
riguardato se non che il maggior onore di Dio;
e per questa pia lor credenza ed affetto non
dover essere i Goti reputati indegni della fede
cattolica, i quali, comparate le lor opere con
quelle de^ cattolici, di gran lunga eran a co^
storo in bontà e giustizia superiori, o si ri-
guardi la venerazione delle chiese , a la fede ,
o la speranza, o la carità verso Dio; quindi è
che Socrate (3), scrittore dell^ Istoria Ecclesia-
stica, a molti Goti, che per la religione fiirono
da^ Pagani uccisi, dà il titolo di martìri, come
queHi che con sempUee e divoto cuore eransi
a Cristo lor redentore dedicati. E se per altrui
colpa incorsero i Goti in quest'errore, ben fu
rista macchia tolta e compensata col merito
Riccaredo del loro sangue, che purgò daV*
Farrianesimo tutta la Spagna.
(1) Salvian. 1. 5. de Gubem. Dei.
(a) Soc. lib. 4* <:• 53*
76 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
E (u sìiigular pietà de^ Groti e di Teodorico
precisamente d^ astenersi da ogni violenza co^
suoi sudditi intomo alla religione j né perchè
essi eran de^ dogmi arrìani aspersi^ proibiva
perciò a^ suoi popoU di confessar la fede del
gran concilio m Nicea (i); anzi Teodorico, in
tutto il tempo che resse PltaUa e queste no-
stre Provincie , non pure lasciò inviolata ed in-
tatta la religione cattolica a^ suoi sudditi, ma
si permetteva ancor a^ Goti stessi, se volessero
daU^ arrianesimo passare alla fede di Nicea , che
lìberamente fosse a lor lecito di farlo.
Maggiore rilucerà la pietà di questo principe,
in considerando che della cattolica religione «
ancorché da lui non professata , ebbe egÙ tanta
cura e pensiero, che non permetteva che al
governo della medesima s'eleggessero se non
vescovi di conosciuta probità e dottrina, de'
quaU fu egU amantissimo e riverente : di ciò
presso a Cassiodoro (2) ce ne dà piena testi-
monianza il suo nipote stesso Atalaiìco : Opor-
tebat enim arbitrio boni principis obediri, qui
sapienti deUberatione pertractansy quam^fis in
aliena religione y talem visus est pontificem de-
legisse, ut agnoscatis illum hoc optasse, prae^
cipuey quatenus bonis sacerdotìbus ecclesiarum
omnium religio pullularet
Quindi awemie, come Paolo Wamefrido e
Zonara raccontano (3), ch'essendo nato ne' suoi
tempi quel grave scisma nella Chiesa romana,
(0 Grot. in Prqleg. Hist. Golii.
(:i) Cnssiod. 1. 8. e. i4-
C3) Grot. loc. cit.
LIBRO TERZO 77
tosto fu da luì tolto col convocamento d^un
concìlio, e le cose restituite in una ben ferma
e tranquilla pace. Si leggon ancora di questo
principe rìgioissimi editti, come similmente di
Atalarìco suo nipote, per li quali severamente
^engon proibite tutte quelle ordinazioni di ve-
scovi che per ambizione o interveniente de-
naro si facessero, annullandole affatto, e di
niun momento e vigore riputandole , sic-
come più distesamente diremo, quando della
Eolizia ecclesiastica di questo secolo favelleremo.
\ pur di Teodorico si leg^e, che quantunque
nudrisse altra religione, volle che i vescovi cat-
tolici per lui porgessero calde preghiere a Dio.
delle quaU sovente credette giovarsi. Per la qual
cosa non dee parere strano, siccome dice Gro-
zio, che Silverìo vescovo cattolico romano fosse
&tato a^ Greci sospetto , quasi che volesse e de-
siderasse più la signoria de^ Goti in Italia, che
quella de' Greci stessi.
Ed alla pietà di questo principe noi dob-
biamo che queste nostre provincie ch'ora for-
mano il regno di Napoli, ancorché sotto la
dominazione de' Goti arrìani poco men che
settant' anni durassero , non fossero di quel pe-
stilente dogma infestate , ma ntenessero la cat-
toUca fede così pura ed intatta, come i loro
maggiori Favevan abbracciata, e che potè poi
star forte e salda alle frequenti incursioni de^
Saraceni che ne' seguenti tempi l' invasero e le
combatterono: imperocché piacque a Teodorìco
non pur lasciarla cosi stare, come trovoUa , ma
O Cissiod. 1. 9* e. i5.
^8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
di favorirla, ed esser eziandio della medesima
custode e difensore : dal cui esemplo mossi
Atalarico e gli altri Goti suoi successori, si
fece in modo che, durante il loro dominio,
non restò ella né perturbata, né in qualunque
modo contaminata.
Della giustizia, umanità, fede, e di tutte P al-
tre più pregiabili e nobili virtù di questo prin-
cipe, non accade che lungamente se ne ragioni :
Gassiodoro ne^ suoi libri ci fa ravvisare una
immagine di regno così culto, giusto e clemeur
le, che a ragione potè Grozio (i) dire: Planeque
si qius eultissimi clementissimique imperìi Jòr^
mam conspicere voluerity ei ego legendas cen-
seam Ragion Ostrogothorum epistolas y quas
Cassiodorus coUeótas edidit Onde non senza
cagione potevan i Goti appresso Belisario vaur
tarsi di questa lode (2) : né senza ' ragione Teo-
dorico stesso potè dire : Mquitad fave : emi-
nentiam animi virtute defcvdey ut inter natìonum
consuetudinem peiversam y Gothorum possis de-
monstrare justitiam: ed altrove: Imitamini certe
Gothos nosttosy qui Jbris praelia» intus norunt
èxercere justitiam. E fu cotanto lo studio e la
cura di questo principe nel reggere i suoi sud-
diti con ima esatta e perfetta giustìzia, che si
dichiarò co' medesimi volersi portar con esso
loro in modo che si dolessero più tosto d'es-
ser così tardi venuti sotto T imperio de' Groti.
Procopio , ancorché Greco , non può non in-
nalzare queste regìe ed insigni sue virtù: egli
(1) Gioì, in Prolrcom. ad Hiat. Gotb.
(a) Procop. Hist. Goth.
LIBRO TERZO ^ yg
custode delle leggi; giusto nell^ assegnare i prezzi
dell^ annona ; esatto ne^ pesi e neOe misure 3 e
nellMmpoixe tributi fìi maravigliosa la sua equa-
bilità^ e sovente per giuste cagioni era pronto
a rimettergli. Se i suoi eserciti in passando dan-
neggiayan i paesani^ soleva Teodorìco a^ ve-
scovi mandare il denaro per risarcirgli de^ patiti
danni: se v^era bisogno di materia per fabbri-
car navi, o di munire d^ altra guisa 1 suoi cam-
pì, pagava immantenente il prezzo: egli libera-
lissuno co' poveri; e la maggior parte del suo
regal impiego era il sowenimento e la cura de^
pupilli e delle vedove, di che chiara testimo-
nianza ce n'ha data Cassiodoro.
La moderazione di questo principe da' suoi
fatti di sopra esposti è pur troppo nota; e' po-
tendo far passare i vinti sotto le leggi de' Goti
vincitori, volle che colle leggi proprie, colle
Siali eran nati e nudriti, vivessero. Permise
le sotto il suo regno Roma fosse dallo stesso
romano senato governata: che giudicasse il Ro-
mano tra' Romani; tra' Goti e Romani, il Goto
ed il Romano. Che quella religione ritenessero
ch'avevan succhiata col latte (*); awersissimo
d^ introdurre novità, come quelle che sogliono
essere sempremai alle repubbUche pemiziosis-^
sime, e cagione di molti e gravi disordini.
La sua temperanza fu da Ennodio chiamata
modestia sacerdotale: e', secondo l'usanza della
sua nazione, parchissimo ne' cibi, e molto più
sobrio nelle vesti. Nel suo regnò i Goti si man-
tennero continentissimi e casti, né fu insidiata
(3) P. Garct. ia Vita Gas. par.»- 1 . § i a.
fc ,■■
80 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
la pudicizia delle donne: Quae Rotnani poUue-
rant Jbrnicatìone , dice Salviano j mwulant
barbari castitate : -ed altrove : ImpiuUcitìam nos
dilìgimuSf Gothi execrantur; puritatem nos Ju-
gimus , ìlU amant Vivevan di cibi semplicis-
simi ^ di pane, di latte, di cascio, di butirro,
di carne, e sovente cruda, macerata solamente
nel sale. Tralascio per brevità le sue virtù re-
gie: infin oggi s^ ammirano in Roma ed in Ra-
venna i monumenti deUa sua magnificenza negli
'edificii, negli acquedotti ed in altre splendide
opere. Dal corso de^ suoi fatti egregi, incomiiir
ciaiido dalla puerìzia, è pur troppo noto il suo
valore, la fortezza, la sua magnanimità, il suo
sublime spinto, ed il suo genio sempre a grandi
e difficili imprese prontissimo. Principe e nella
guerra e nella pace espertissimo, donde nell'una
fu sempre vincitore, e nell'altra beneficò gran-
demente le città ed i popoli suoi: e la virtù
sua giunse a tanto, che seppe contenere den-
tro a' termini loro , senza tumulto di guerre ,
ma solo con la. sua autorità, tutti i re barbari
occupatori dell'imperio. E per restituire l'Italia
nell'antica pace e tranquillità, molte terre e
fortezze edificò infra la .punta del mare Adria-
tico e l'Alpi, per impedire più facilmente il
passo a' nuovi barbari che volessero assalirla.
Tanto che è costantissima opinione di tutti gU
scrittori che mediante la virtù e la bontà sua
non solamente Roma ed ItaUa, ma tutte l'altre
parti dell' Occidental imperio lìbere dalle continue
(*) Sahian. de Giib. Dei.
LIDftO TERZO 8l
battiture che per tanti anni da tante inonda-
zioni di barbari avevan sopportate^ si solleva-
rono, ed in buon ordine ed assai felice stato
si ridussero.
So che alcuni credono esser queste tante
virtù di Teodorìco state imbrattate dall^ insidie
e morte finalmente fatta dare ad Qdoacre; e
nell^ ultimo della sua vita da alcune crudeltà ca-
gionate per vari sospetti del regno suo, con
avere ancora fatto morire Simmaco e Boezio
suo genero senatori ed al consolato assunti:
uomini di nobilissima stirpe ifiati, nello studio
della filosofia consumatissimi , religiosissimi^ e
per fama di pietà e di dottrina assai insigni.
Ma se vogliano questi fatti attentamente con-
siderarsi, la ragione di Stato difende il primo;
e deli^ essere stato crudele con Simmaco e Boe-
zio , dobbiamo di quello stesso incolpar Teo-
dorìco, di che fu incolpato da^ suoi domestici:
Id UH injuriae, come dice Procopio, in subdi-
tos primumy ac postremum fidi, quod non ddr
hibita, ut solebat, inquisitione 9 de wrìs tands
statuerat In questo solamente mancò Teodorìco,
ch^ essendo stati per invidia imputati Simmaco
e Boezio di maccliinar contro alla sua vita ed
al suo regno, gli avesse senza usare molta in-
quisizione in caso sì grave, in cui rìchiedevasi
somma avvedutezza, condennati a morte: del
resto , come bene osservò Grozio (*) , Actum
ibi, non de religione 9 quae Boèthio satis Pia-*
tonica Jiiitf sed de imperii stata. Non fu mosso
certamente Teodorìco da leggier motivo, ma
O Orot. in Prol. ad Hist. Goth.
82 ISTORIA DEL REGNO DI ITAPOLI
per cagione dì Stato ^ non già di religione ^
come alcuni credono. Ben si sono scorti quafi
sentimenti fossero di questo prìncipe intomo
a lasciare in libertà le coscienze degli uomini^
ed appigliarsi a quella religione che lor piaces-
se. Ne per Boezio poteva accader ciò, la cui
religione fu più platonica che cristiana. E se
dee credersi a Procopio, ben di quel suo fallo
poco prima di morire ne pianse Teodorìco ama^
ramente con intensissimo dolore del suo spinto^
poiché essendosegli, mentre cenava, apprestato
da^ suoi ministrì mi pesce di grossissimo capo^
se gli attraversò nella fantasia cosi al vivo rma-
magine di Simmaco, che parvegli quello del pe-
sce essere il costui capo, il quale con volto
crudele ed orrìbile lo minacciasse, e volesse
^ella ^ua morte prender vendetta} tanto che
spaventato per ìsì portensosa veduta. corsegU
per le vene un freddo, che obbligatolo a metr
tersi a giacere, si fece coprìr di molti panni j
ed avendo raccontato ad Elpidio suo medico
ciò che gli era occorso, ùi Simmactun^ oc
Boètfiium quod peccwerat, deflevit: poeniten-
tiaeqiie, ac doloris magnitudine 9 non multo
post ohìit, come narra ftocopio.
Giomande niente dice di sì strano successo^
ma lo fa morìre di veccliiezza , narrando che
Teodorìco postquam ad senium pervenisset, et
se in brevi ah )iac luce egressurum cognosce-^
rety fece avanti di lui convocare i Goti e' prin-
cipali signorì del regno, a^ quaU disegnò per
suo successore Àtalarìco, fighuolo d^Amalasunta
sua figliuola, il quale, morto Eutarìco suo pa-
die pur dcU^ illustre stirpe degli Amali ^ non
LIBRO T£RKO 83
avendo più che dieci anni , sotto la cura ed
educazione di sua madre viveva. Non tralasciò
morendo di raccomandare a^ medesimi la fe-
deltà che dovevan portare al re suo nipote^
raccomandò loro ancora V amore e riverenza
verso il senato e ^popolo romano^ e sopra tutto
incaricò che dovessero mantenersi amico e pro-
pizio Timpcradore d^ Oriente^ col quale proccu-
rassei*o tener sempre una ben femm^ e stabil
pace e confederazione: il qual consiglio avendo
rehgiosamente custodito Amalasunta^ le cose de^
Goti^ infinchè visse il suo figliuolo Atalarico^
andaron assai prosperamente^ poiché per lo
apBiìo d'otto anni che regnarono^ mantennero
il loro reame in una ben ferma e tranquilla
pace. Tale fii la morte di questo illustre prin-
cipe, che avvenne nelTanno 5a6 di nostra sa-
luta, dopo aver regnato poco men che 38 anni,
e ridotta Tltalia e queste nostre provincie nel-
l'antica pace e tranquillità.
8 VII.
Di Atalarico re d* Italia,
Pk*ese il governo del regno, per la giovanezza
di Atalarico, Amalasunta sua madre, principessa
ornata di molte virtù, la quale uguagliò la sa-
Sienza de' più savi re della terra; ella governò
reame e la giovanezza del suo figliuolo con
tanta prudenza, che non cedeva guari a quella
di Teodorìco suo padre. Ella, appena morto
costui, ricordevole de' suoi consigli, fece da
Atalarico scrìvere a Giustiniano I imperadorc
84 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
{il quale essendo succeduto ad Anastasio , sd-
lora imperava nell^ Oriente ) calde ed officiose
lettere ^ per conservare tra essi quella concor^
dia che Teodorico aveva incaricata. Altre pa-*
rìmente ne fece scrìvere al. senato ed al popolo
romano afiettuosissime e piene d^ogni stima,
le quali ancor oggi appresso Cassiodoro leg-
giamo (i).
Mantenne ouell^istessa forma ed istituti nel
governo che Teodorico tenne; né durante il
regno di suo figliuolo permise che alcuna cosa
si mutasse: le medésime leggi si ritennero (2)^
gristessi magistrati, Pistessa disposizione delle
provinoie e la medesima amministrazione. Tutti
1 siioi . studi erano di far allevare il giovine prìn-
cipe alla romana, con farlo istruire nelle buone
lettere e nelle virtù, tenendo per questo effetto
molti maestri che F insegnassero. Ma i Goti ed
i grandi della corte dimenticatisi prestamente
de^ consigli di Teodorico, mal soflferivano che
Amalasunta allevasse così questo principe; e
gridando ch'essi volevano mi re che fosse nu-
drito fra V armi come i suoi antecessori , fii
ella in fiinc costretta d^ abbandonarlo alla lor
condotta, la quale fu tanto funesta a questo po-
vero principe, che caduto in molte dissolutezze,
perde affatto la salute, e venne in tale languii
dezza che lo condusse ben tosto alla tomba;
poiché appena giunto all'ottavo anno del suo
^-egnare, finì nel 534 i suoi giorni. Origine che
fu de' mah e della ruina de' Goti in Italia, de'
(I) Gas. 1. 8. e. I. a. 3.
(3j Jd, 1. 8. e. 3,
LIBRO TERZO 85
clisordini e delle tante rivoluzioni che da poi
seguirono^ mentre già alF imperio d'Oriente era
stato innalzato da Giustino , Giustiniano suo
nipote^ quegli che per le tante sue famose ge-
sta sarà il suggetto del seguente capitolo.
CAPO III.
Di Giustiniano imperadore^ e sue le^.
Mentre in Italia per la prudenza di Amala^
sunta conservavasi quella stessa pace e tran-
quillità nella quale Teodorico aveala lasciata,
ed il regno d'Atalarico, come uniforme a quello
del re suo avolo, riusciva a^ popoli clementis-
simo, fìi da Giustino, richiedendolo il popolo
costantinopolitano, * fatto suo collega ed« impe-
radore Giustiniano suo nipote nel di primo a a-
prilc dell'anno di nostra salute 5^7. E morto
quattro mesi da poi Giustino, cominciò egli
solo a reggere l'imperio d'Oriente (*)•• Questi
fii quel Giustiniano cui i suoi fatti egregi ac-"
?i]istaron il soprannome di Grande, sotto di cui
imperio ripigliò vigore e forza , non men in
tempo di pace che di guerra, a cagion de' fa-*
mosi giureconsulti che fiorirono nella sua età,
e del valore di BeUsario e di Narsete suoi ilIu->
stri capitani. Le sue prime grand'imprese furon
quelle adoperate in tempo di pace. Kgli ne'
primi anni del suo regno s'accinse a voler dare
una più nohil forma alla giurisprudenza romana )
(*) Pagi Diss. hyp. de Consiilib. p. 3oo.
86 ISTORIA DVL aiGlfO DI NAPOLI
ed invidiando non men a Teodosio il giovane
clie a Yaléntiniano IO qudtta gloria che acqut-
staronsi; Fimo per la compilazione dd famoso
Codice Teodosiano^ e P altro per la providenza
data sopra i libri de^ rìureconsulti, vdle non
pur imitargli, ma emmargli in guisa, che al
paragone la lama di coloro rimanesse oscura
e spenta, e nelT Oliente non meno che nelT Oc-
cidente non più si rammentassero i loro egregi
fatti.
SI.
Dèi primo Codice di Giustiniano,
Adunque non ancor giunto al secondo anno
del suo imperio, nel mese di febbraio dell'an-
no 5^8 promulgò un editto, al senato di Co-
stantinopoli dirizzato, per la compilazione d'un
nuovo codice. Trascelse alla fabbrica di questa
opera da tre ordini gli uomini più insigni del
suo tempo , da' magistrati , da cattedratici e
da quello degli avvocati: dall'ordine de' magi-
strati liiron eletti Giovanni, Leonzio, Foca, Ba-
silide, Tomaso, Triboniano e Costantino: de'
professori fu trascelto Tcofilo , e dall' ordine de»
ffli avvocati Dioscoro e Presentino, a' quali tutti
u preposto il famoso Triboniano, come lor capo.
La forma che a costoro si prefisse, fu di ,
dover da' tre Codici Gregoriano, Ermogeniano
e Teodosiano raccorre le costituzioni &' prin-
cìpi che quivi erano , ed oltre a questo di ag- •
giugnervi ancora l' altre che da Teodosio il gio-
vane e dagU altri imperadori suoi successori
LIBRO TERZO 87
ii^ a lui erano state di tempo in tempo pro-
mulgate^ eziandio quelle che si trovasse egli
medesimo aver emanate ; le quali tutte in mi vo-
lume dovessero raccogliere. Irescrisse lor ancora
r istituto ed il modo ^ cioè di troncar quello che
in esse trovavan d^ inutile e superfluo. togUere
le prefazioni^ levare affatto quelle eh eran tra
loro contrarie, raccorciarle, mutarle, correggerle
e render più chiaro il loro sentimento; collo*
carie secondo F ordine de^ tempi e secondo la
materia che trattano. Non tralasciassero a cia-
scheduna costituzione di porv^ i nomi degPim-
peradori che le promulgarono, il luogo, il tempo
e le persone a chi furon indirizzate : il tutto ad
emulazione di Teodosio, come è manifesto dal-
r editto ' dì Giustiniano che leggiamo sotto il tit
ile nosfo Cod. Jkciendo. ^
Impiegarono per tanto quest'insigni giurecon-
sulti le lor fatiche poco più d'mi anno per la
compilazione di questo nuovo codice, tanto che
nel principio del terzo anno del suo imperio,
e propriamente in aprile dell'anno seguente 629
fu compiuto e promulgato: e con altro editto,
che si legge sotto il tit. de Justirdaneo Codi
confirmaiìdo^ ordinò che questo codice sola-
mente nel foro avesse autorità, che i giudici
di quello si servissero, e che gu avvocati non -
altronde che da questo allegassero nelle contese
forensi le leggi; proibì affatto i tre primi co^
dici, i quaU voUe che rimanessero senza alcima
autorità , né in giudicio potessero più allegarsi ;
donde nacque che in Oriente s' oscurò il Codice .
di Teodosio. D che però non avveniìe in Occi-
dente e in Italia precisamente, ove, durante la
88 ISTOEIA DEL REGNO DI NAPOLI '
dominazione de^ Goti, questo di Giustiniano
non fu ricevuto, e fiirono perciò più fortunati
i successi del Codice Teodosifuio m Occidente
che nell^ Oriente, per opera di Giustiniano.
Le costituzioni che in questo nuovo codice,
in dodici libri distinto, umronsi, come raccolte
da' tre primi codici, cominciàvan da Adriano
infin a Giustiniano, e le leggi promulgate da
cinquantaquattro imperadorì contenevano. E
quindi è che alcune costituzioni allegate da^
giureconsulti nelle Pandette, in questo nuovo
codice si leggano, che non possono leggersi
nel Codice di Teodosio, come quello che co-
mincia da Costantino M. , ma che ben erano
ne' Codici di Gregorio e di Ermogene, da'
quaU anche fu questo ultimo compilato.
t II.
Delle Pandette ed Instituzioni,
Per emular Giustiniano la fama di Teodosio,
non contentossi del solo codice : volle che ad
impresa più nobile e difficile si ponesse mano,
cioè a raccorre ed unire insieme i monumenti
di tutta r antica giurisprudenza , e con ordine
disporglij e siccome erasi fatto delle costitu-
zioni de' principi che da Adriano infin a lui
fiorirono, così anche si facesse de' responsi de-
gli antichi giureconsulti, delle note loro ch'essi
si trovassero aver fatte alle leggi de' Romani ,
e precisamente all' Editto perpetuo ; de' loro
trattati; de' libri metodici, e finalmente di tutti'
i lor commentari; l'opere de' c|uaU erano cosi
LIBRO TERZO 89
ampie e numerose^ che se ne contavan infin a
duemila volumi. Nel quarto amio del suo im-
perio diede Giustiniano fuori un altro editto (i)^
a Triboniano indirizzato^ dove questVopera si
comanda, ed al medesimo Triboniano ed a sa-
dici altri suoi colleghi si dà F impiego di cosi
ardua e malagevole impresa. Furono trascelti in-
gegni i migliori di quel secolo, e quali veramente
richiedevansi per opera sì diificue. Oltre a Tri-
iboniano furon eletti Teofilo e Gratino, celebri
professori di legge lìell^ Accademia di Costanti-
nopoli; Dorodeo ed Anatolio pur anche profes-
sori nell' Accademia di Berìto : dell^ ordine de*
magistrati intervenne .pure Gostantino; e det
F ordine degli avvocati undici ne fìirono tra-
scelti, Stefano, Menna, Prosdocio, £utolmio,r
Timoteo, Leonide, Leonzio, Platone, Jacopo,
Costantino e Giovanni (2).
Mentre costoro sono tutti intesi a questa gran
fabbrica, che dopo il corso di tre anni con-
dussero a fine, piacque al medesimo Giusti-
niano d'ordinare a Triboniano, Teofilo e Do-
rodeo che in grafia della gioventù compilassero
le Instituzioni , ovvero gU Elementi e^ Principii
della legge, perchè i giovani, incamminandosi
prima per questo sentiero piano e semplicissi-
mo, potessero poi inoltrarsi allo studio delle
Pandette che già si preparavano : ^ siccome in-
fatti da quelli tre insigm giureconsulti ad esem-
pio degU antichi, cioè di Caio, Ulpiano e Fio-
rentino, furon tantosto compilate; e quantunque
la fabbrica de' Digesti fosse stata innanzi co-
(1) L. I. C. de vet. jur. enucl.
li) L. 2^ C. de ?et. jur. enucL
90 ISTORIA DEL RKGMO M 'NÀPOLI
mandata j nulladimeno per questo fine si proc-
curò che le Institaziom si pubblicassero prima
delle Pandette ; come in efifetto un mese pri-
ma, cioè a novembre dell'anno 533 nel set-
timo anno del suo imperio fiirono promulgate
e divolgate. Divisero questi Elementi in quattro
libri, in novantanove titoli^ e se anche si vo-
gliano numerare i principii de' medesimi, in otr
tocento e sedici paragrafi. Opera, secondo il
sentimento dell'incomparabile Guiacio, perfetr
tissima ed elegantissima, che non dovrebbe
caricarsi tanto di cosi ampii e itspessi commen-
tari, come a' dì nostri s'è fatto, ma da aversi
sempre per le mani, e col solo aiuto di picciolo
noie, e per via semplicissima a' giovani inse-
gnarsi, siccome fii l'idea di coloro che la com-
posero , e di Giustiniano stesso che la comandò.
Pubbhcati questi EHementi, si venne presta-
mente a fine della grand-opera delie Pandette,
le quali un mese cu poi, e propriamente nel
decembre dell' istess' anno 533 si pubblicarono
per tutt' Oriente e nelF Illirico. Appena nata sortì
due nomi, l'mio latino di Digesti, l'altro greco
di Pandette, ambidue dagli antichi giurecon-
sulti tolti ed usurpati: filile dato nome di Di-
gesti, perchè ne' libri che contengono, fiirono
con certo ordine e sotto ciascun titolo collo-
cate le sentenze degU antìclii giureconsulti, e
disposte, per quanto fìi possìbile, secondo il
metodo e la serie dell'Editto perpetuo: si dis-
sero anche Pandette, come quelle che abbrac-
ciano tutta la giurisprudenza antica 0*
O V. Ant. Ai|§ust. in libel. de nomimb, propri» Panded*
florcm. e. de Pandcct. nom. et. gencr.
LIBRO TERZO Ql
Donde ^ da quali giureconsulti e da quali loro
libri fiiron composti i Digesti, è cosa molto fa»
cìle a raccoglier dai catalogo degli antichi giu-
reconsulti e dell^ opere loro, che ancor òggi
reggiamo prefisso alle Pandette fiorentine. Ivi-
leggonsi 37 autori, chiarissimi giureconsulti da
noi sovente lodati, quando nel primo libro, far-
cendo memoria de^ giureconsulti che da Augu*
sto infin a Costantino M. lessero, notammo
sotto quali imperadori fiorissero: oltre a questi
fassi onorata memoria di molti altri, i quali
meritarono esser nominati e lodati nell^ opere
loro, ovvero che meritarono esser con giusti
commentari , o con perpetue note esposti ed
illustrati. Nel che non dobbiamo defraudar della
meritata lode Iacopo Labitto, il quale con somma
diligenza ed accuratezza compose un indice delle
leggi che sono nelle Pandette, ciaschedmia delle
quali, oltre al disegnarle Fautore, va distinta-
mente notando da qual libro o trattato di qu^
sti antichi giureconsulti sia stata presa , sepa-
rando fra di loro le leggi che si trovano sparse
in tutto il corpo de^ INgesti, e poi arrotando
ciascuna delle medesime sotto quel trattato o
libro del giureconsulto onde fri tolta. Fatica
quanto ingegnósa, altrettanto utilissima per po-
ter ben intendere il vero senso delle medesime^
essendo cosa maravigliosa il vedere come Tuna
riceva lume dall^ altra, quando sotto i libri onde '
friron prese si dispongono j il qual lume non
potrà mai sperarsi, quando cosi sparse si leg-
gono. E ben quest^ autore diffusamente dimostra
con più esempli quanto conduca Fuso di quel-
la indice alla vera mterpctrazionc delle leggi: e
93 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
quanto fosse stato commendato da Cuiacio suo
maestro; il quale fu quegli che T animò a pro-
seguire questa beil^ opera, e di daria alle stam-
pe. Confermò Cuiacio col suo esempio ciò che
da Labitto era stato dimostrato, mettendo in
opera e riducendo in effetto ciò che colui aveva
insemato: quindi si vede che questo incompa-
rabile giureconsulto nel commentar le leggi delle
Pandette tenne altro metodo ed altro sentiero
calcò di . quello eh' erasi per V addietro calcato
dagli altri commentatori : cioè di separare le
leggi 3 e quelle ch'eran d'Affricano, e prese da^
suoi libri, unille insieme, e sotto i propri ti-
toli le dispose, indi con quest'ordine le com-
mentò, come altresì fece sopra Papiniano, Pao-
lo, Scevola, ed alcuni altri giureconsulti^ il
maravìglioso uso del quale, e di quanti comodi
sia cagione, ben anche l'intese Antonio Augu-
stine che compilò un altro non dissimil indice,
e lo sentono ancora tutti coloro che della no-
stra giurisprudenza sono a fondo intesi.
Piacque in tanto a Triboniano ed a' suoi col-
leglli partire questa gran opera de' Digesti in
sette parti principali, distinguerla in cinquanta
libri, e dividerla in 43o titoli. Se vogliam riguar-
dare le Pandette fiorentine eh' oggi con molta
stima si conservan in Firenze nella biblioteca de'
Medici, le vedremo in due voluihi ben grandi
divise: se ben Crispino (*) rapporta che anti-
camente di tutti i DO libri ne fosse fatto un
sol voliune ; ma quelle che vanno or attorno
per le mani d'ognuno, sortiron varia divisione,
O Crispinus in serie PP; in priuc.
LIBRO TERZO g3
secondo le vane edizioni. Delle molte ch'oggi
s' osservano y e particolarmente in quest' ultimi
nostri tempii che sono infinite^ tre sono le più
celebri, e ricevute nell^ accademie e ne^ tribunali
d'Europa. La prima edizione, cioè la volgare
e meno corretta, è quella della quale si valsero
Accursio e gli altri antichi |)ossatori. La seconda
vien detta Norica, ovvero di Norimberga, ed è
quella che Gregorio Aloandro nell^aimo i53i
fece imprimere. La terza appellasi Fiorentina ^
ovvero Pisana , la quale da noi deesi a Fran-
cesco Taurello che nell'anno i553 dalla libre-
ria de' Medici fece darla alle stampe.
La vulgata partizione di quest'opera in tre
volumi è assai più antica di ciò cn' altri cre-
de; poiché fin da' tempi di Pileo, di Bulgaro
e di Azone, per maggior comodità fii in tal
maniera divisa y essendo la mole sua cosi
vasta, che comprendendosi in uno sol volume,
non avrebbe potuto senza gran disagio leggersi
e maneggiarsi. Come poi a ciascun volume tosse
dato il nome, al primo di Digesto vecchio, al
secondo d' inforziato , ed al terzo di nuovo ^
quando tutti e tre nacquero in un istesso tem**
DO, egU è assai malagevole a recarne la ragione.
Essersi detto il primo vecchio e l'ultimo nuovo,
non sarebbe cosa molto strana 3 ma quel di
mezzo appellarsi con istrano vocabolo infbrziar
io, è quello che ha esercitate le penne di più
scritton, i quali in cose cotanto tenui han vo»
luto pure aobassare U lor ingegno.
O Bairbós, ad rubr. D. Solut. matr« num. 3.
« ,1
il
94 ISTORIA DEL KEONO DI NÀPOLI
Alcuni hall creduto essersi chiamato infor-
ziato dalla voce greca (fopriovy che in latino si-
gnifica onusy perchè quel volume contiene le
leggi più obbUgantiy come di restituzioni di
dote* di tutele, eredità^ alimenti, prestasioni
di fiaecommissi, ed altro (i). Più tollerabile è
la conghiettura di Bernardo Waltero (2) , il qual
disse che corrottamente siasi così chismiato per
vìzio degli scrittori , i quali in vece ò! udirci'-
tum 9 come posto in mezzo tra 1 vecchio e 1
nuovo, lo dissero in/òrtiatum. Ma sopra tutte
r altre migliore par che sembri quella d^ Alciato
che la riputò voce barbara ed insulsa (3)3 ov-
vero r altra che ultimamente comunicò a Gio-
vanni Doujat (4) Gaudio Cappellano dottor della
Sorbona, e regio professor di lingua ebraica in
Parigi: questi suspica esser derivato dal caldeo
Jbrthiata, la qua! voce da^ rabbini fii sovente
presa per significar testamento ed ultima volontà
dell^uomo; onde potè avvenire che taluno, o
per ischerzo, o per ostentar novità, volendo dir
testamento, avesselo chiamato iiiforziato, ed
indi, trasferita questa voce a quel volume de'
Digesti ove de testamenti si tratta , avesse
preso questo nome; ma ciò che siasi di que-
sto in cui certamente non sono riposte le ric^
ch^ze della Grecia, rimettendoci in via, egli
è costantissimo che pubblicati i Digesti da Giu-
stiniano, e sparsi per tutto F Oriente, essendo
(1) Rninald. Corsus i. in<Ia|;at. jur. i.
(3) Ber. W<iUhcr. in Misceli, obs. lih. 2. cap. 5.
(3) Alcint. lib. 1. Dispiinct.
(4) Doujat iu lli&t. fur. civ. in fiu.
LIBRO TERZO p5
statp commesso a^ prefetti delFOrìente, deU H-
lirico e della Libia ^ che gli notìficassero a tutti
i popoli aUa loro giuriscUzione soggetti^ come
è manifesto dalla prefazione che Giustiniano
prepose a' Digesti ed altrove 0> non poteron
pero penetrare allora in Italia ed in queste no-
stre regioni^ come in quelle che sotto alieno
principe e sotto la dominazione de^ Goti lancor
duravano; né in questo terreno poteron esser
{)iantati, ed acquistar quella autorità e quella
orza che poi dopo il corso di più secoh fop*
lunatamente ottennero^ ed in tanta stima e ri-
putazione sursero^ quanto è quella nella quale
oggi si veggono.
s ni.
Del secondo Codice di Giustiniano
di repetita prelezione.
Posto fine a quest^ opera veramente regia, non
perciò quietossi questo eccelso prìncipe j egli
essendo stato avvertito che nel compilar de^
Digesti erasi osservato che molte controversie
restavan ancor indecise negli scrìtti di quegli
antichi giureconsulti, e che bisognava termi-
narle colla sua autorìùi imperìale; e di vantaggio
avendo egli fra tanto, dopo pubblicato il primo
codice, promulgate altre sue costituzioni le quali
vagavano sparse e non affisse ad alcun volumej
ed essendosi osservato eziandio che molte cose
nel codice già compilato mancavanoj comandò
O L. tanta, C. de vct. jur. coacl.
«
n ■
96 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
nel seguente anno, che fu T ottavo del suo re«
' gno, e propriamente nell^anno 534; che qud
codice s emendasse e ritrattasse y con farsene
un altro più compiuto e perfetto (i). Diedesi
per tanto il pensiero a pinque di color ch^ in-
tervennero alla fabbrica de^ Digesti, cioè a Tri-
boniano e Doroteo, ed a tre altii avvocati,
Menna, Costantino e Giovanni: questi secondo
r ordine prescritto loro da Giustiniano, che si
legge nel suo codice (2) , levarono dal primo
quelle costituzioni che stimaron oziose e super-
flue, o che fossero state dall^altre emanate da
poi, corrette ed abolite.
Erano corsi cinque anni tra il primo codice
e questo secondo, e nello spazio di questo
tempo molle costituzioni eransi da Giustiniano
stabilite. Nel consolato di Decio, dopo la pro-
mulgazione del primo codice, ne fiiron pubbli-
cate da Giustiniano alcune, fra le quali fu assai
famosa quella che leggiamo sotto il tit. de bori,
quae Uh. (3). dove fii generalmente stabilito
che ciò che il fìgUuolo altronde acquistava, non
ex patema suhstantUij fosse suo peculio av-
ventizio, e r usufrutto solamente fosse del padre,
contra ciò che nell'antica e mezza giurispru-
denza era disposto. Da poi nel consolato di
Lampadio e d Oreste furono promulgate quasi
tutte le cinquanta decisioni, che per togliere
(1) Auctor Chronici Alex, apud Pagi io Disscrt Hypatica de
Consulib. pag. 3oi. His Coss. JTustinianrus Codex rcnovatus est,
adjunctis novi» , post priorem Codicem , Constitutionibus , jus-
susque est, antiquato priore, suam obtincre vim, sivc auctori-
tatem IV. Lai. furi, indict. XII.
C2) Cod. de emend.it. C. Justio. et secunda cdit.
(3) L. 6. C. de bon. quac lib.
LIBRO TERZO 97
le controversie ed ambiguità degli antichi gii»-
recousulti ^ piacque a Giustiniano stabilire ;
molte delle quali abbiamo sotto il tit. de usufr.
come la /. 13, i3, i4j i5 e 16; poiché la 17,
ancorché sia una delle 5o decisioni, fu fatta
Tanno seguente dopo il consolato di Lampadio.
Non pure in questo consolato si promulgaron
quasi tutte queste decisioni, ma anche furon
latte altre costituzioni, come la /. 7 che leg-
giamo sotto il tit. de hon. quae Uh. dove i\\
stabilito che non s^ acquistasse al padre Fusu-
flutto delle robe donate al figliuolo dal principe
o dall' imperadnce , e X altra nobilissima , cioè
la l. un. C, de rei luv, ad. Fu anche in que-
sta amio 53o, che fu il quarto dell'imperio di
Giustiniano, promulgata quell'altra sua costitu-^
zione che si legge sotto il tit. de vet jur. eaucl.
ove, come si disse, Giustiniano comandò a Tri-
boniano ed a sedici altri giureconsulti la fab-
brica de' Digesti.
Nell'amie seguente dopo il consolato di Lam-^
!>adio, e quinto dell'imperio di Giustiniano, ne
iiron promulgate moltissime, come la /. 2 <Ì0
Constit, pecun. ove fu aboUta l'azione recepti-
zia j la /. 3 C. Com. de legat ove fu tolta,
la difTcrenza de' legati e fidecommessi partico-
lari; la /. 3 C, de indie, s^ididt dove restò abo-
Uta la legge Giulia Miscella; la l 3 C, de Edict
D. Hadrian, tolL per la quale si tolse e can-
cellò l'editto d'Adriano per la vigesima dell'e-
redità; e la /. 4 ^- ^^ libar, praet ove rimase
abolita la differenza del sesso nell'eseredazione.
(.*) V. Einund. Mrrtl. iu deci*. Jiittinw
GiA^NonEi Fui. IL j
98 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
In questo medesimo anno fiirono ancora pro-
mulgate quelle nobili costituzioni, cioè la /. si
quis argentum. 35 C. de donaty la /. uk. C. de
jur. delib.j la /. ult. C, qui pot in pign,j ed al-
cune altre.
Nel secondo arnio dopo il consolato di Lam-
padio e S! Oreste si pubblicò la /. 2 Cod. de
s^t jur. enucly e nell^anno seguente 533^ settimo
del suo imperio, furon pubblicate F Istituzioni,
e, come si disse, un mese da poi le Pandette.
Questi due anni si notano cosi, perchè fiirono
senza consoli.
Aggiunsero perciò i compilatori in questo
nuovo codice tutte queste costituzioni cne se-
condo Balduino (1) e Bittersusio (2) oltrepas-
sano il numero di 200, promulgate dopo il
primo codice fra lo spazio di cinque anni, che
possono anche vedersi appresso Aloandro nel
catalogo de^ consoU al suo codice aggiunto, delle
quali Francesco Raguellio (3) ne compilò parti-
colari commentari: siccome fece anche Emondo
MeriUio sopra le 5o decisioni (4). Per queste si
variò non poco il sistema di varie materie alla
nostra giurisprudenza attinenti, e particolarmente
restò variala la dottrina deVpeculii, de' legati e
(l'altre moltissime cose. Donde ne siegue, sic-
come anche avvertirono Balduino (5) e Ritter-
isusio (6), che sia error grave il credere che in
CO Balduin. in Justiniano pag, 497-
Ca) RiltPrsiis. in Jurc Justin. in prooem. r. i. d. 4*
{3r) Fr. Raglici, i. Coniment. ad Comtitut. et dccìs. Justin,
C4> Emund. Meril. ad 5o. dee. Just.
(.5) Balduin. in Justin. pag. 497<
;6) Killer», loc. cil.
LIBRO TERZO gQ
questo nuovo codice \i si fossero solamente
aggiunte le cinquanta decisioni, e che toltone
queste decisioni, in niente altro discordano ie
Pandette da questo Codice di repetUa prele--
zione.
Ridotte adunque in questa miglior forma ed
in questo nuovo codice le costituzioni de' prin-
cipi j nel quale anche furono inserite alcmie co-
stituzioni de' successori di Teodosio e di Va-
lentiniano , come di Marciano , Lione , Àntemio,
Zenone, Anastasio e Giustino, comandò Giu-
stiniano che il primo codice non Qvesse più
autorità, né vigore alcuno: ma che questo se-
condo, che ad esempio degli antichi chiamò
di repetlta prelezione ^ dovesse solamente ne'
tribunali in tutti i giudicii aver forza e vigore j
ne d'altronde che da esso potessero le costi-
tuzioni nel foro allegarsi, cassando tutte T altre
che forse si trovassero andare sparse e vaghe
fuori del medesimo \ ond' è che alcuni assai a
proposito avvertirono che di nimi vigore sien
quelle costituzioni di Zenone o d' altro impe-
radore che non veggiamo hiserite in questo
codice , le quali solo dobbiamo alla diUgenza
ed erudizione di qualche scrittore, che dalle
lunghe tenebre ove eran sepolte le cavò fuori,
alla luce dei mondo restituendole; molte delle
Siali si debbono all'industria di Conzio,^ di
Iacopo Cuiacio, di Dionisio e di Giacopo Go-
tofredo e d'alcmii altri eruditi; l'uso delle quali
sarà , non cU valersene come costituzioni di
principi che ci facciano legittima autorità, ma
solo per ricever da esse qualche lume per 'in-
tender meglio le riccMite, e quelle clic per
lOO ISTORIA DEL REGNO DI IfAPOLl
antica usanza hanno acquistato appresso noi
nel foro forza di legge. E quantunque la costi-
tuzione di Zenone stabilita intomo agli edificii
e prospetto del mare sia difesa da molti per
legittima e d^ autorità, cioè perchè quella si
vede da Giustiniano confermata nelle sue No-
velle, e nel Codice vien dichiarata non essere
stata locale per Costantinopoli solamente, ma
comprendere tutte V altre provincie dell' impe-
rio (i).
Fu cotanto rìgido Giustiniano in non volere
ammettere altre costituzioni che quelle le quali
in questo codice fossero insieme unite e con-
giunte, che tutte quell'altre che per qualche
grave bisogno , o per dare altra providenza ,
fossero per emanarsi nell'avvenire, volle che si
raccogliessero a parte in altro volume, al quale
si desse il nome non di Codice , ma di Novelle
Costituzioni . e che formassero mi altro corpo
separato dal suo codice : onde se bene il nome
di Codice , generalmente parlando , potesse con-
venire ad ogni Ubro, a caudicibus arhonun
deducio s^ocabulo; nulladimeno i nostri giure-
consulti per antonomasia Codice solamente ap-
pellarono quel libro ove con certo ordine erano
raccolte le costituzioni imperìaU; poiché, sic-
come dopo Cuiacio avvertì Gotofredo (2), le
costituzioni e rescritti de' principi solevano scri-
versi ne' codici e pugillari, eh eran tavole di
legno, ed anche di rame o d'avorio, le quaU
per conservarne la memoria serbavansi negU
Ci) V. Card, de Luca de icrrit. disc. i.
^3) Golb. ad tit, de dot. cod, facieodo in prìxic.
LIBRO TER]^(^ •. lOt
scrigni, o sia cancellarìa del *' principe; oud\è
che leggiamo che Teodosio ìl/fffivjine^ quando
fece compilare il suo codice, hi^bdi^ a ricer-
care a Valentimano ID le costitueioì)^ da lui
fatte per P Occidente che conservavé^^e] suoi
scrìgm per poterle unire colle sue e dkgllim^
peradorì suoi predecessori, e compilarne. ^el
codice. All'incontro i responsi de' prudenti',*
onde si compilarono i Digesti, solcano scrÌ7.-\^
versi nelle membrane, non già in legno o ih:j>-\.^
rame. -V'-
Abolito dunque il primo codice, del quale se '•':
n' estinse affatto la memoria, a questo secondo
si diede tutta T autorità, ed è quello ch'oggi
ci va per le mani, e del quale si servono tutti
i tribunali, tutte l'accademie d'Europa, diviso,
come ognun vede, in dodici libri e distìnto
in 776 titoli Le sue costituzioni fiiron quasi
tutte dettate in lingua latina , e contiene le co-
stituzioni di 54 imperadorì, cominciando da
Adriano infino a Giustiniano, siccome è mani-*
festo dal loro catalogo che Aloandro e Dioni-
sio Gotofredo prefissero a' loto codici. L'indice
delle leggi promulgate da ciascheduno impera-
tore pur lo dobbiamo all'industria e diligenza
di Iacopo Labitto e d' Antonio Agostino , che
agli studiosi della nostra giurisprudenza riesce
non men utile e comodo che quello composto
da' medesimi de' responsi de' giureconsulti nelle
Pandette.
Alcmii han ripreso Giustiniano principe co-
tanto cattolico, che in questo codice abbia fatto
inserire molte costituzioni non degne della sua
pietà e religione. U nostro Matteo degli Afflitti,
102 ISTOIMM OCA REGNO DI NAPOLI^
seguitando questo ^rrore^ scrisse che molte leggi
inìcpie aves^ fatte inserire ne^ tre ultimi libri :
ma ben n0*-l^* ripreso dal Valenzuola. Altri dis-
sero che* ikài fecesse Giustiniano a trasferir nel
suo cQciii;^ la legge di Valente contra i SoUta-
rii,.-ét$*Amaia non ardisce in ciò difenderio:
ma'^ vede chiaro che quella legge non fu sta**
^ijjita contra i veri SoUtarìi, ma contra coloro
" K^he sotto pretesto di religione , affettando lo
. 'esserci , s' univano con quelli per isfiiggire i
pesi deUa ernia. Alcuni altri lo riprendono pei^
chS* molte leggi riguardanti f usure ed i repudii
stabiUsse^ con permettergh; Aa Godelino (i)^
Leotardo (2) ed altri lo difendono. Altri per-
chè molte leggi* attinenti all' esterior ponzi a
ecclesiastica v inserisse 5 ma costoro sono de-
gni di scusa, perocché non posero mente alla
condizione di qiie' tempi ne' quali furono pro-
mulgate, ma secondo le massime de' secoli ne'
quali scrissero, reputarono non convenirsi al-
1 autorità del principe di stabilirle; ciò che
megUo si vedrà, quando della poUzia ecclesia-
stica di questo secolo tratteremo.
S IV.
Delle Novelle di Giustiniano*
Se bene abbastanza si fosse provveduto da
Giustiniano allo studio deUa giurisprudenza con
(1) Godelino de jnr. novis. e. io in fin.
(a) fintar, dt usiir. qu. 6. n. tiS«
LIBRO TERZO Io3
queste tre sue lodevoli opere, cioè dell^ Insti-
tuzioni y de^ Digesti e del Codice ^ nulladìmeno^
come che col correr degli anni, secondo le va-
rie bisogne e nuove emergenze, fu d^uopo dar
nuove providenze ed emanar nuove costituzioni,
si fece in modo che non molto da poi creb-
bero queste tanto, che bisognò unirle in un
altro volume , il quale delle Novelle Costituzioni
fu detto. Furon queste di tempo in tempo da
Giustiniano emanate, e non già in sermon la-
tino , come r altre racchiuse nel codice , ma
quasi tutte in greca lingua concepute ( i ) , tol-
tane la Novella 9, 11, :23, 62, i43, i5o che
furono' dettate in latino (2) , nelle quali vera-
mente ewi molto che disiderare intorno all'è-
leganza, brevità, gravità e dottrina^ t quanto
le costituzioni de' prìncipi che da Costantino M.
infino a lui fiorirono , cedono alle costituzioni
degli altri più antichi imperadori, da Adriano
fino a Costantino 3 tanto queste Novelle di Giu-
stiniano cedono in brevità ed eleganza alle se-
conde, in guisa che s'è sempre retroceduto ed
andato di peggio in peggio, leggendosi queste
ora con molta nausea piene di loquacità , tu-
mide e prive affatto di quella brevità, gravità
ed eleganza delle prime : ma ciò che più im-
porta, osservasi nelle medesime una certa in-
costanza e leggerezza inescusabile , mutandosi
e variandosi ciò che non molto prima erasi
stabilito, e quel che «poco anzi piacque, poco
da poi si muta e si cancella. La qua! co^a ha
(1) Ant. Augustin. in Partt ad Nov*
(a) Ritten. in prooem. r. 4* num. i«
.I04 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
dato motivo a molti dì credere che tanta in-
stabilità procedesse dalla leggerezza femminile
di Teodora, moglie di Giustiniano, che sovente
s'intrigava in si fatte cose^ e dalP avarìzia di
Trihoniano. che per denaro sovente mutava e
variava le leggi a sua posta (i).
. Di queste Novelle solamente novantasei fu-
rono a notizia degli antichi nostri glosatori,
ancorché Giuliano professor di legge neU^ Acca-
demia di CostantinopoU, poco da poi di Giu-
stiniano avendole in compencUo ridotte e tras-
portate dalla greca nella lingua latina, infino al
numero di centoventicinque ne traducesse. Ne'
tempi meno a noi lontani ne furon da Aloan-
dro ritrovate dell'altre, ed infino al numero di
centosessantacinque accresciute: Giacopo Cuia-
cio n'aggiunse altre tre, tanto che il loro nu-
mero arriva oggi a quello di centosessantotto (2).
Ma non dee tralasciarsi d'avvertire che nel-
l' unire insieme queste Novelle non fu osservato
con esattezza l'ordine de' tempi, scorgendosi
molte di esse che furono promulgate negli .ul-
timi tempi dell' imperio di Giustiniano, esser
preposte a quelle che si fecero prima, ed all'in-
contro alcune pubblicate prima j occupare l'ul-
timo luogo. Così nel nono anno dell'imperio di
Giustiniano, nel consolato di BeUsario, quando
cominciarono a stabilirsi, furono promulgate le
Novelle i, 2, 3, 4? 5, 6, 7, 8, 9, io, 11, 12,
i3, i4; 1S7 16, 17, 183 e nel medesimo anno
CO Prorop. lib. i. de Bello Prrsico. Suidas in dictione Tri-
bonianii».
(2) Doujat. Hisf. jiir. riv. Rittersus. in jur. Jiis<iii.
LIBRO TERZO Io5
ancora k Novella 24; ^^5, 26, 27, 28, 29, 32,
42, 5i, 102, io3, 107, no, 116, 118 e 157.
Nel seguente anno, dopo il consolato di Beli-
sario, si promulgò la Novella 19, 20, 21, 22,
3i, 38, 39. 4^? 43; 45j 1225 e nell^anno se-
guente, undecimo del suo imperio, si fecero le
Novelle 4'? ^2, J3, 54; 55, o6y 58, 59, 60, 61,
ed altre moltissime.
Nel consolato di Giovanni, e duodecimo del-
l' imperio di Giustiniano, furon pubblicate le No-
velle 63, 64, 66j 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73,
74, 765 siccome nell'amio appresso le Novelle
78, 79, 80, 81, 83, 97, 99, loi, i33, 162; e
nel seguente, nel consolato di Giustino, la No-
vella 98.
Nel consolato di Basilio, e decimoquinto del-
r imperio di Giustiniano si profferirono le No-
velle 108, 109, IH, ii3, ii5, 117, 119, 120,
121, 123, 124, 125, 128, 129, i3o, i3i, i32,
i34, i35, i36, 137, 145, 146, i47j i53. Ne'
seguenti anni niente da Giustiniano promulgos-
sij ma nell'almo 32, ultimo del suo imperio, fu
emanata la Novella i4i; onde l'ultima di tutte
dee riputarsi questa, come quella che sì fece
nell'almo 558.
Queste Novelle insieme co' tredici editti pro-
mulgati di tempo in tempo da Giustiniano fu-
rono unite e raccòlte in un volume, non per or-
dine di Giustiniano ; ^^ dopo la sua morte
per privata diligenza ed industria , come ,mo-
strano Cuiacio ed Antonio Agostino, senza te-
nersi altr' ordine di quello che di sopra s' è
Ci) Rittcrsu5. in Jnrr Ju^lin. r. i. n. i8. in proormin.
I06 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
detto. Fu tutta opra ded^ ìnterpetrì poi divi-
derle ili nove Ck)llaziom^ le quali a similitudine
de^ libri contengono ciascheduna più titoli. E
fu nominato da poi ne^ tempi di Bulgaro Aur
tentico y o perchè a queste costituzioni, come
qi^elle che promulgate dopo le leggi del codice,
loro si desse maggiore autorità e peso; ovvero,
com^è più probabile, che al paragone delT Epi-
tome latina fatta da GiuUano , questa opra ^
come quella che conteneva le Novelle intere, e
come furon da Giustiniano promulgate, doveva
riputarsi P origine e P autentica (i).
Abbiam di queste Novelle tre versioni latine :
una antica , della quale si crede autore Bul-
garo *, ma Guìacio (2) ed altri vi dissentisco-
no : r altra fatta da Aloandro y e la terza da
Errico Agileo. Non convengono gli autori né
nel nome , né nell' età di questo antico inter-
petre. Alcuni lo credettero o più antico, ovvero
coetaneo di S. Gregorio M. , allegando e trascri-
vendo questo pontefice molti passi di queste
Novelle ne' suoi libri; della quale opinione fu
anche Balduino (3). Ma Antonio Agostino (4)
seguitato da Rittersusio rapporta che ne' tempi
di Inierio e di Bulgaro fu per opra d'un certo
monaco trovato il volume greco di queste No-
velle , il quale lo tradusse in latino. Fu questi
chiamato Bergonzione Pisano, del quale anche
(1) Rittersus. in Jure Justìn. in prooem. e i. n« i8. e. i.
o. 10, II, 12.
(3) Cuiac. I. 8. obs. cap. tilt. Doujal. His. jur. cìvil.
(3) Balduini Justiu. p. 573.
(4) Aiit. Aiigust. iu Parat. Nov. gii. RiU#rt. in proo^in. e. ^,
n. 9.
LIBRO TERZO lO^
SÌ narra ch^ traducesse in latino quelle clausole
greche che si trovano ne' libri de' Digesti.
La traduzione fatta da Aloandro segui in que-
sto modo. Conservavasi in Firenze un volume
MS. delle greche Novelle ^ dal qual libro fioren-
tino fu copiato quello di Bologna: di questo si
servì' Aloandro . e fu il primo che diede alle
stampe le NoveUe greche da lui tradotte in la-
tino. La prima edizione si fece nell'anno i53i
non senza gloria del senato di Norimbergh^ il
quale somministrò le spese. Elrrigo Scrimgero
molti aimi dopo avendo avuto in mano in Ve-
nezia mi altro esemplare MS. più esatto^ che
fu del cardinale Bessarìone, supplì da questo
nuovo volume molto di ciò che mancava nel-
l'edizione di Norimbergh, stampò le Novelle in
quell'idioma, cioè greco; donde ne nacque poi
la terza traduzione di Errico Agileo, il quale
tradusse ancora le Novelle di Lione: e Conzio ne
trasportò ancora alcune altre nella latina favella.
W emero, ovvero ; come i nostri l'appellano,
Imerio, con non picciol comodo degli studiosi
avendole accorciate, a ciascuna legge del co-
dice che per le Novelle venisse corretta, o che
trattasse di simil argomento, aggiunse il ristretto
delle medesime, perchè potesse conoscersi ciò
che su quel soggetto erasi innovato per queste
novissime costituzioni di Giustiniano, che per-
ciò acquistaron il nome d' Autentiche , le quali
cautamente debbon co' suoi fonti onde aeri-
vano confrontarsi, poiché alle volte si disco-
stano da' medesimi; e Giorgio Rittersusio
O Gfor^. RiUen. in upix'tiHìrr ad Juj Jiintìn. patrit.
108 I^ORIA DEL REGNO DI NAPOLI
figliuolo di Corrado noterà 70 luoghi che di-
scordano da^ loro originali
E ancora d'avvertire che in tre cose princir
palmcnte differisce dal codice questo volume
delle Novelle. La prima ^ che il codice abbraccia
le costituzioni di più principi^ cominciando da
Adriano infino a Giustmianoj e le Novelle sono
costituzioni del solo Giustiniano. La seconda,
che le leggi del codice furono (piasi tutte dettate
in sermon latino, e le Novelle in greco. La
terza, che nel codice le costituzioni sono ripar-
tite in certe classi e -collocate sotto vari titoli,
secondo la varietà del soggetto che trattano, e
molte volte ne sono state più disposte sotto un
titolo^ quando nel volume delle Novelle ciasche-
duna costituzione ha il suo titolo , e furono
senz' ordine unite insieme, con serbarsi sola-
mente r ordine del tempo-, il qual ordine nem-
meno fu in tutto osservato , come di sopra s' è
veduto.
S V.
Dell'uso ed autorità di questi libri in Italia
ed in queste nostre provincie.
Quantunque Giustiniano, per queste insigni
sue opere, avesse nell'Oriente oscurata la fama
di Teodosio, tanto che s' estinse affatto il nome
del costui codice, né altrove che a questi suoi
libri poteva ricorrersi o nel foro , o neff ac-
cademie; e fossero stati nell'imperio d'Oriente
questi soli ricevuti, e rifiutati tutti gli altri; nulla-
(timeno nell' Occidente ed in ItaUa precisamente
LIBRO TERZO I 09
diversa fu la lor fortuna 3 poiché essendo stati
da Giustiniano pubblicati negli ultimi anni del
regno d^Atalarìco^ mentre ancor durava la do-
minazione de^ Goti^ non furono in Italia^ né in
queste nostre provincie ricevuti, né qui, come in
alieno terreno poterono esser piantati e metter
Srofonde radici; ma si ritennero gli antichi co«
ici, e gli anticlii libri de^ giureconsulti, ed il
codice di Teodosio niente P<^rdé di stima e di
autorità: anzi appresso gli w estrogoti per V au-
torità d Alarico m in somma riputazione avuto;
tanto che il suo Compendio che essi chiamavan
Breviario, non pure appresso agli Ostrogoti e
presso a mdte altre nazioni, come Borgogno-
ni, Franzesi e Longobardi, niente perde di pre-
gio e d^ autorità; e ciò ch'era legge de' Romani,
in questi libri era racc|^uso.
E se bene dopo la morte d'Atalarico, ed
indi a poco d'Amalasunta, le cose de' Groti in
Italia si riducessero ad infelicissimo stato, e
Giustiniano col valore di Belisario riportasse
di loro più vittorie, ed avesse con particolar
editto ordinato l'osservanza delle leggi ro-
mane ne' suoi libri contenute per tutte le pro-
vincie d'Italia; e da poi che Belisario nel de-
dm' anno del suo imperio ebbe espugnata Napoli,
la Puglia, la Calabria, il Sannio e la Campania,
avesse tolte a' Goti queste provincie ; nulladimeno
avendo poi costoro sotto T<
prudentissimo principe ripreso l'antico spirito e
avendo poi costoro sotto Totila valorosissin
prudentissimo principe ripreso l'antico spiri
valore, e poste in tanta revoluzione le cose d'Ita-
lia che a tutt' altro potè badarsi che alle leggi in
O Pnigm* JuttUi. post. NotcL
112 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
Antico, AlaiiicO; Vandalico ed Affricauo, per le
tante genti vinte e debellate. Né minor fii la
sua fortuna per li tanti illustri e valorosi ca-
1)itaiii che fiorirono a^ suoi tempi, quanto per
e opportunità che se gli presentarono per age-
volar le conquiste} e particolarpiente nella guerra
che mosse a^ Goti per F impresa dUtalia. di cui
saremo brevemente a narrare i successi.
Da poi che Belisario ebbe trionfato de^ Vandali
nell^ Aurica e presa Cartagine, avendo fatto pri-
gioniero Gìlimere loro re, e pollatolo in trionfo
a CostantiiiopoU } vedendo Giustiniano sotto-
messo al suo imperio quel vastissimo regno,
rivolse tutti i suoi disegni all'impresa d^ Italia,
per sottrarla dalla dominazione de^ Goti 3 ed
una opportunità assai prospera, che presentos-
segU, accelerò l'impresa, e diede maggiori sli-
moh all'esecuzione.
Amalasunta principessa prudentissima. come
\ide suo figliuolo Atalarico per la sua oissolu-
tezza caduto in una mortale languidezza che non
v'era più. da sperare di sua vita, dubitò che
dopo la morte ih suo figliuolo non sarebbe po-
tuta vivere in sicurezza fra' Goti, i quah l'odia-
vano a morte, perciocché non poteva ella sofFe-
rire i loro disordini e dissolutezze; e perdi' crii
ella infinitamente stimata dall' iniperador Giusti-
niano, e tenuta dal medesimo cosi cara ed in
tant' onore, che venne fino ad insospettirsene
e rendersene gelosa Teodora sua moglie, in-
cominciò celatamente a trattar con Gdustiniano,
come potesse mettere il reame d' Itaha fra le sue
mani , pensando che in questa maniera otter-
rebbe la sua quiete e sicurezza } ma la morte
LIBUO TSKZO Il3
improvisa di suo figliuolo non le diede tanto
tempo di potere adempiere il suo disegno; per
la qual cosa dubitando che i Goti, non volendo
soflerire il suo fioremo, non facessero pronta-
mente un re a lor capriccio, destramente gli
prevenne, mettendo sul trono Teodato suo cu-
?'ino. figliuolo d'Amalafirida sorella del gran
eodorico, pur egji dell'illustra gente Amala (i)^
Eira costui un principe che aveva menata sua
vita nelle solitudine di Toscana, e nello studio
della filosofia platonica era tutto immerso (2)3
uomo di molte lettere, e per la lingua latina
sopra ogni altro eccellente, la quale a' suoi tempi
era tanto caduta dal suo candore, che reputavasi
a gran pregio chi fosse di queUa a pieno esper-
to: anzi, se dobbiamo prestar fede a Cassio-
doro (3) , poiché Procopio nulla ne dice , fu
Teodato anche versato nella teologia e negli
studi ecclesiastici j imperocché nell'epistola d'A-
malasunta scritta al senato di Roma, ove di
dà conto dell' innalzamento al trono del mec&-
simo , fra gli altri pregi e lodi che si danno
a Teodato, é l'essere ancora un principe molto
erudito ndle discipline ecclesiastiche. Ma tutte
queste lettere e queste erudizioni non ' fiiron
bastanti a mutar la sua natura e la bassezza
della sua mente; poiché del rimanente fii un
uomo inespertissimo delle cose militari, timido^
pigro, e sopra tutto avarissimo, senza onore,
(1) ProGop. de Bello Gol. CassiocL L io. o. i, 3, 3.
(a) Jomanil. de Rrb. Get.
(3) Cassioil. I. 10. e. 3. Prìik:cps vcster etiam ecclesiasiicis
cfli liierU erudituf.
GUSNOIIB, Voi. II. 8
Il 4 ISTORIA DISL REOlffO DI NAPOLI
«enza probità, e pieno di tanta perfidia e mat^
yasità, elicerà capace di fare le più cattive asioni
(lei mondo, quando gli fossero ispirate o dalle
^ue proprie o dall^ altrui passioni.
Ben di questa sua perfida natura aen^ aocorse
da poi cQn suo estremo periglio Viiifelice prinn
cipe^sa Apialasunta ; poiché assunto al trono y
obbliiindo tutte le promesse cfa^. aveva &tte alla
§ua benefattrice, si lasciò governare da' parenti
di coloro che questa principessa avea fatti nio^
rire per loro falli; e seguendo il consiglio di
queste genti, la fece levare dal palagio di Ra-?
venna O > e condun-e in prigione in un^ isoh|
posta nd meszo del laro di Bolsena , e dopo
scorsi alquanti giorni la fece barbaramente stroz?
?are nel bagno , nd medesimo tempo ch^ egli
domandava la pace aU^ imperador GiusUiiìano :
avendo costretta prima questa miserabile prin-
cipessa a scrivere allUmperadore per ottenerla.
JJon mancano scrittori cne narran. Teodato es-r
sers' indotto a tanta scelleratezza non pure per
la malvagità della sua natura e per li consigli
di quelli di sua corte, ma anche per opera e
per le persuasioni di Teodora moglie di Giu-
stiniano, la quale ingelosita per Famor che suo
marito poitava a questa principessa, dubitò che
questi un giorno non dovesse abbandonar lei
per Amalasunta.
Giustiniano in tanto furiosamente sdegnato
per sì orribile brutalità di Teodato e degU Ostro^
goti, si risolse di vendicar fa morte di Amala-
sunta; e dall^ altro canto ardente di de^derìo d(
O {ornami, de Rc(). Get.
tiBRO nuo- ii5
riunire Tltalia all^ imperio^ pensò questa esser
la miglior opportunità che mai potesse presen-
tarsegU per mover guerra a^ Goti^ e discacciar--
^ dP Italia.
(Un altro pretesto ebbe Giustiniano per T in-
vasione di Sicilia, e fii per la restituzione del
promontorio o sia castello Lilibeo di Sicilia,
che Giustiniano pretendeva appartenersi all^A-
fiica. Questo promontorio, ancorché parte della
Sicilia, Teodorìco avealo aato per dote alla sua
sorella Amalafrida, quando la maritò a Trasi-
mondo re de^ Vandan, siccome narra Procopio
lib. I. Belli Vandal e. 8. Avendo dunque Giu-
stiniano per Belisario estinto il regno vanda-
lico, e restituita P Africa all^ imperio, pretendeva
che il Lilibeo, come parte accessoria ed appar-
tenente air Africa, dovesse Amalasupta restituirlo
air imperio*, ma questa savia regina destramente
andava sfuggenao la dimanda con umilmente
rispondergli che di qudla dotazione fatta da
Teodorico non dovea aversi conto, come con-
traria alle leggi de^ Goti, le quali proibiscono
potersi alienare alcuna parte del regno, siccome
Procopio istesso, rapportando le vicendevoli pre:-
tensioni, scrisse nel lib. 2, e. 5. Amalasunta ve-
dendo che colla forza non potea resistere a
Giustiniano, gli rispondeva con ogni rispetto,
dicendo: Liljrbeum est Gothici jurìs , neque
ionia odia meretur, oome lo ripete Procopio
anche nel Gb. L Belli Gothici e. i e 3; e con
maniere rispettose ritenne Timperadore a non
dare alcuna mossa. Ma morta questa infelice
principessa, Giustiniano non ebbe più quel ri-
spetto che avea fin allora avuto j onde con
I l6 ISTORIA DEL REGNO M HAPOU
cmest^ altro pretesto del lilibeo invase tutta la
Sicilia^ per la qual cosa saviamente ponderò
Ludewig in vita Justìniani ilf. e. 8^ § 91, n. 456,
pag. 4^7; dicendo: QuiUhet Jacìlé inteUigit hoc;^
non tam Lilrbei nic causam aciam, quam
viae wl clauaendaey vel aperiendae SiciUae uni"
s^ersae ).
Adunque nell^anno dd Signore 535 avendo
scolto Belisario per quest** impresa, e fatti molti
dalla Sicilia, la quale, come nutrice di quelle
Provincie ch^oggi formano il nostro regno, do*'
vea, quella presa, render^ più facile la con-
quista delle medesime.
Tentò ancora Giustiniano tutte le strade per
agevolar questa impresa, e fece tutti i suoi
sforzi per avere in aiuto i Franzesi, portando
a^ medesimi le sue doglianze centra i Goti, ed
allegando le cagioni eh egli riputava giustissime
per questa guerra. I Goti, e' dice appresso
Procopio 7 rapta ItaUa , quae nostri haud
duhie est juris , non pur non curano di resti-
tuirla all^ imperio, ma di vantaggio bau cercato
il mio disprezzo nella morte crudelmente data
ad Amalasunta, da me cotanto stimata ed in
Uuito pregio avuta, nellMstesso tempo che mi
dimandavan pace. Ma i Franzesi non si mossero
ad aiutarlo; anzi irritato da poi Teodeberto
loro principe, nipote del gran Qodoveo, che
Giustiniano ne^ suoi editti a tanti elogi avevs^
O Procop. 1. I, 4c Beli. Gol,
LIBRO TER20 1 I ^
anche aggiunto il prenome di Francico, quasi
che pur aresse deoellata la sua inclita eentc^
g^ mossero i Franzesi guerra, e presero Farmi
contro di lui a favore di Teodato j e poi di
'^^tige.
Frattanto Belisario giunto in Sicilia y non tra-*
vagliò molto , per la confusione ch^ ivi era y a
conquistarla: la prende, e da Messina imman-
tenente passa a Reggio, ove gli furon aperte le
porte 3 ed indi prendendo il cammino per terra,
verso Roma indirìzzossi. Tutti i luoghi che per
via incontrava, spontaneamente gli si rendeva-'
no. Prende per tanto senza molto contrasto i
Bruzi, la Lucania, la Puglia, la Calabria ed il
Sannió: Benevento, e quasi tutte le. città prin-^
cipali di queste provincie a lui si renderono
er lo terrore delle sue armi, e molto più per
o spavento de^ Goti, e per la stupidezza e ti-*
more di Teodato. La Clampania solamente con-*
trastò per quanto le sue forze poterono. In que^
sta provincia le città che potevan difendersi
erano Napoli e Guma : Napoli s^ <)ppose con
molto valore e intrepidezza, e sonerse molti
giorni r assedio senza volersi rendere-, ma da poi
scovertosi da un soldato fortunatamente un ac^
quedotto che si stendeva fin dentro la città, per
questo, con somma costanza^ ancorché più volte
costernati, alla fine i Greci penetrarono fin den-*
tro alla medesima, e con {stordimento degli as-
sediati, entrati che furono, posero sossopra la
citAà; e più lagrìmevole e funesto sarebbe stalo
il sacco che le diedero, se Belisario non avesse
posto freno alla rapacità de^ soldati. -Siegue
Belisario, dopo la conquista di queste nostre
E
Il8 ISTO&IA DEL B16N0 DI NAPOLI
Erovìncie^ il cammino verso Berna • ed in fine
i prende nell^ undecimo anno ddr imperio di
Giustiniano y dopo sessanta anni ch^era stata
da straniere nanonì occupata.
Intanto per lo spavento di tnieste armi e per
le tante ^vittorie di jBdisario^ vie pà intimorito
TeodatP) tenta tutte le strade per ottener la
pace da Giustiniano : manda piÀ legati in Co-
stantinopoli^ fira^ quali Agaqpito B. P.. offiorendo-
gli patb e condizioni per rendersi 0* Aveva
pure Giustiniano mandato in Italia per trattar
questa pace un tal Pietro^ uomo assai venenh
bile^ e ne' maneggi di Slato espertissimo: Teo-
dato fa molti progetti al medesimo^ il quale
senza espressa volontà delTin^paradcHre non po-
tendogli accettare^ fece sì che si mandassero a
dirittura a GostantinopoIL Offeriva Teodato a
Giustiniano la Sicilia: cne il popolo romano ne^
giorni solemii e festivi, o in qualunque altra
pubblica (unzione^ o nei teatro, o nelle piazze,
potesse, avanti.il nome di Teodato, c^ebrare
il nome delT imperadore j che non potesse di-
rizzarsi alcuna statua, o sia di marmo, o di
bronzo, o di qualsivoglia altra materia, né ve-
runa medaglia colla sola immagine di Teodato,
ma dovesse insieme dirizzarsi o imprimersi
quella dell' imperadpre ancora, con darsi all'ef-
figie dell' imperadore il migUor luogo afla destra
di Teodato.
Mentre s'attendevano i sentimenti di Giusti-
niano, non cessava Teodato di domandare spesso
all' ambasciadore', di cui aveva somma stima e
O P- Oaret. in ViU Ctuìod. p. i.
tlURO tElitÒ 11^
Veneratone ^ come dalle sue èjtestcrfé presso a
Cassiodaro^ se sarebbe Fimperadore per aoset»
tare T offerte condizioni. Lagnavasi pure con
Pietro altamente di Giustiniano/ che per leg-
ch essi ravenui ncnperata dalle mam d Odoa^
ere colle proprie lor forze, e col consentimento
delFistesso imperadore Zenone. Né a tutte qù&>
ste querele altro rìspondevasi da Pietro , come
ancora si faceva da capitani greci, se non col
dire, che non disconveùiva a Giustiniano di ri-»
cuperar quelle provincie. le quali a tutti era
noto essere state tolte aU^ imperio: e che a hli^
al qual era commessa la cura del medésimo y
conveniva far tutti gli sforzi per restitoirie là
donde fiiron divelte (i). I progetti Intanto man*
dati da Teodato a Giustiniano (caron da costui
derisi; non altrimenti che derise Alessandro Al
quelli offertigli da Dario, il quale offeriva per
dote della figliuola tutti qne^ luoghi ch^ erano
tra r Ellesponto ed il fiume Haliti quali erano
già stati aa lui conquistati (2) ; nò altriménti di
ciò che fi^e il popolo romano con Vologeso re
de' Parti (3), e che fece da poi Carlo M. con
Niceforo, il quale offeriva la Sassonia già so^
giogata (4)3 imperocché Teodato offeriva la ^
cilia ch'era stata già occupata da Belisario con
(1) Pracop. de Bell. Gdt. At illuni non dcdecet rcpi*trrc tcr«
ram , quam constai fnUse cjus , quod ipsi commiMum e«l , im«
perii
(a) Curt. l. 4.
O) Tac. Annal. I. iT».
(4) Ayent. 1. 4* Annal. Bojor.
laO ISTORIA DEL RSGlfO DI NAPOLI
k Provincie del nostro reame: onde ributtate
queste condizioni^ crebbe via più il timor di
Teodato e lo sgomento de^ Goti.
. ^I miserabili Goti, vedutisi in tanta costerna-
zione, e scorto il timor di Teodato, e che
per la di lui dappocaggine eransì ridqtti a
stato si lagrìmevole, vollero tentare se con Be*
lisario almeno potessero riuscire questi trattati
di pace; onde mandaron legati al medesimo
eerchè gli esponessero le loro giuste querele, e
> trattenessero dall'impresa. Ammessi da Be-
lisario, cominciaron ad esporgli i torti che per
questa ingiusta guerra si facevan a' Goti. Grande
mgiuria, e' diceano 0^ ^ questa che ci fanno
i Romani, i quali contrp di noi, essendo ad
essi confederati ed amici, prendon Farmi senza
ragione alcuna, l Goti non per forza hanno
tolta a' Romani Tltalìa: Odoacre fu quegli che
con molta strage rapiUa, mentre Zenone impe-
rava nell'Oriente; il quale non potendo vendi-
carsi e ritorgU la grande ingiusta preda , uè
avendo forze taU che potesse opporsi alla ti-
rannide degU l'IruU, chiamò il nostro principe
Teodorico , che minacciavagli allora, per alcuni
disturbi fra di loro insorti, di volerlo assediare
dentro a G)stantinopoU medesima; e lo pregò
che volesse perdonare al nuovo inimico per la
memoria delle dignità del patriziato e conso-
lato romano ch'aveagU conferito, e della stima
ch'aveva fatto sempre della di lui persona; e
che tutto il suo valore e tutta la ferocia della
sua gente dovesse altrove indirizzare; prendesse
O Procop. 1. a. de Bello Got.
UBRO TERZO 131
rarmi contra Odoacre, e vendicasse la morte
d^AagustoIo infamemente da colui ucciso; do-
vesse rìtorgli r Italia ch'egli liberamente conce-
deva a lui ed a' suoi Goti^ aflSncliè potessero
per sempre in ogni futura età reggerla^ e rite-
nersela con si giusto titolo ed ottima ragione.
Venne Teodorìco in Italia, e col suo valore e
colle proprie forze de' suoi Goti discaccia il ti-
ranno , e c(d consenso e confederazione di tutti
i prìncipi d'Oriente resse così bene per tanti
anni l'Italia^ la quale ora dopo la di lui morte
è da' suoi Goti governata: con qual ragione
dunque si pretende muover guerra si ingiusta
a coloro cne la posseggono con si giusti titoli^
dopo averla tanti amii con tanta giustizia pos-
seduta ed amministrata 7
Ma Belisario che vedeva volar dal suo «canto
la vìttoriia, non era in istato di muoversi per si
fatte cose, le quali se non sono accompagnate
colla forza, a niente giovano : rispose loro in
volto assai severo e grave , eh' essi soverchio
eransi avanzati nel dire che Teodorico fu ben
mandato da Zenone per combattere Odoacre,
ma non già che da poi avesse da insignorirsi
d'Italia; poiché non importava nulla all'impera-
dore, che non ricuperandosi all'imperio, stasse
sotto la servitù o dell'uno e dell'altro tiranno;
ma che si liberasse Italia, e sotto le leggi im-
periaH vivesse: ma .Teodorico essendosi valoro-
samente portato contra Odoacre , si fece poi le-
cito molte cose, ricusando di renderla ai vero
padrone. A me, dicea egU, sono in ugual grado,
e-chi rapisce per forza, e clii ritiene la roba
che non è sua , contro alla volontà del padrone :
1^4 ISTORIA DEL REGNO PI irAFOLI
sn.
Di Totìla re iPItaUa.
Sotto questo prìncipe^ per la singoiar sua
virtù ed estremo valore, i Goti ripresero ar-
dire, e ricuperarono motte provìnciè da Belisa-
sarìo ocellate: ruppe e^ le genti delTimpera-
dore^ e racquistò la Toscana. Non guari da poi
ricuperò queste nostre provincie òhe ora forman
il regno. Riacquista il Sannio, e devasta Bene-
vento che prese a forza d^arme, buttando a
terra le sue mura. Passa indi nella nostra Cam-
pagna, e pone r assedio a Napoli, e fra tanto
prende Cuma , e tutte V altre piazze lungo il
mare^ e durando ancor l'assedio di Napoli, con
ciò sia che la sua armata s'era renduta poten-
tissima per un infinito numero di Goti i quali
accolsero a lui da tutte le parti, egti s' impa-
droni senza resistenza per suoi luogotenenti
della Puglia, della Calabria e dell'altre provin-
cie, dalle quali ne tirò somme immense che
s^eran unite per Giustiniano. I Napoletani alla
fiue renderonsij e quantunque dubitassero che
per la fatta resistenza non fossero da Totila se-
veramente trattati, sperimentaron nondimeno la
mansuetudine di questo prìncipe, il quale non
pur fu difensore e custode della pudicizia delle
donne napoletane ? n^^ trattogli assai beiù-
gnamente e con somma umanità. Ed in si Catta
maniera per valore di Totila ritornarono queste
O Orot. in Prolegom. ad Hbt. Got.
LIBRO TEKZO I riS
nostre provìnciè di nuovo sotto la dominazione
de' Goti , che per inezia di 'Teodato eransi
perdute.
Infin a questi tempi i pontefici romani non
eransi intrigati negli affari di Stato e de^ prin*
cipì; né motto eransi curati che Tltalia da Ro-
mani passasse ora sotto il dominio de^ Goti,
ora de' Greci. I loro studi erano tutti indiriz-
zati alla riunione della chiesa d'Occidente con
quella d'Oriente^ e a dar sesto in vari concilìi
alle varie controversie insorte tra' vescovi d'O-
riente intomo a' dogmi ed alla disciplina. I poi^
tefici Silverio e Vigitio furon i primi: Silverio
rendutosi perciò sospetto a' Greci ^ quasi che de-
siderasse in Italia più la dominazione de' Goti^
che quella de' Greci, fu da Belisario accusato
d'avere avuta intelligenza co' Goti. Era Silverio
per la morte di papa Agapito stato eletto in sua
vece in Roma, e riconosciuto dal clero e dal
popolo romano per vescovo legittimo di quella
città. All'incontro Vigilio diacono della cliiesa di
Roma, che mandato per affari di religione in
Costantinopoli era rimaso in quella città, aspi-
rando anch' egli al papato, e vedendosi preve-
nuto da Silverio eh era sostenuto da' Romani e
da' Goti, mette in opera tutti i maneggi con
Giustiniano, per indurlo a mandar BeUsario di
nuovo in Italia con potente armata per togliere
a' Goti tutto ciò che sotto Totila avean ricu-
perato: e già lo persuade a mandarìo. Usa aor
cofa tutte l'arti ed ingegni coU'imperadrice sua
moglie, permettendole di ricever Teodosio, An-
timo e Severo alla sua comunione, e d'appro-
vare la loro dottrina, s'ella lo faceva elegger
papa.
120 ISTOEIÀ DEL REOITO DI NAPOLI
Bitoiiia per tanto Belisario in' Italia per dis*
cacciame i Qotil ma ritornato con poche fcMrze,
perde più tosto la riputazione delle cose prima
Citte da lui^ che altra maggiore ne racquistasse^
in^erocchè Totila, trovandosi Bdisano con le
sue truppe ad Ostia, sotto ^ occhi suoi espu-
gnò Roma, e veggendo non patere né lasciarla,
né teneria, in maggior parte la disfi&oe, e cao-
donne il popolo, menando seco i senatori; e
stimando poco Belisario, andò colf esercito in
Calabria ad incontrar le genti che di Grecia in
aiuto di Belisario venivano. Belisario vedendo
abbandonata Roma, la rìpig^ò tantosto, ed eiF<
tirato nelle romane mine, eoa quanta più cele"
rità potè, rifece a qudla città le mura, e vi
richiamò dentro ^ abitatori. Vigilio, ripresa da
BeUsario Roma, partì da Costantinopoli con or-
dine secreto ddl imperadrice diretto a Belisario
per far riuscire il suo disegno. Giunto a Roma
IO diede a Belisario, e gli promise del danaio,
purché lo ponesse in gudUb sede: BeUsario fece
venire a sé Silverio, ed accusatolo d'intelligenza
co' Goti, lo stimolò a riconoscere Antimo: ne-
gando di fario Silverio, fu spogliato degli abiti
sacerdotali, e mandato a Patara in esilio, fa-
cendo in sua vece elegger Vigilio. Ma a' pro-
gressi che si speravano di BeUsario tosto s op*
pose la fortima, perché Giustiniano in quel
tempo assaUto da* Parti, richiamò Belisario.
Questi per ubbidire al suo signore abbandonò
ritaUa, e rimase questa provincia a discrezione
di Totila, il quale di nuovo prese Roma; ma
non fu con quella crudeltà trattata, che prima,
perchè pregato da S. Benedetto, il quale in
LIBRO TEllZO 127
que* tempi aveva di santità grandissima fama^
SI volse più tosto a rifarla. Giustiniano intanto
aveva fatto accordo co^ Parti ^ e pensando di
mandar nuova gente al soccorso d'Italia, fu da-
di Sciavi, nuovi popoli settentrionali, ritenuto,
1 quali avevan passato il Danubio, ed assalita
riUuia e la TVacia-, in modo che Totila ridusse
quasi r intera Italia sotto la sua dominazione.
Ma non molto goderon i Goti de^ frutti di
tante vittorie, perchè vinto ch^ebbe Giustiniano
gli Sciavi, mandò in Italia con potenti eserciti
Narsete eunuco, uomo in guerra esercitatissimo^
il qual accrebbe i suoi eserciti coU^ istesse genti
straniere, e fra F altre nazioni, come Eruli, Unni
e €repidi, servivasi anche de^ Longobardi che
portò daUa Pannonia; i quali da poi seppero
cosi ben valersi della notizia di si bel paese e
deiroccasiom che loro si presentarono, che da
fiusiliari fecionsi conquistatori, come più innanzi
diremo. Non ancor Natsete erasi sbrigato dal-
r impresa della Tracia per venire in Italia, che
il govemador di Taranto, lasciando le partì ed
il servigio dì Totila, remise la sua piazza fra
le mani d' alcun^ imperiali ch^eran calati a Co-
trone; onde Totila sorpreso per queste perdite,
e stordito dalla grandezza dell'apparecchio della
guerra, che la fama pubblicava ed ingrandiva
per tutto, che Narsete faceva contro dì lui, iqr
viò Teia valorosissimo capitano per arrestar
Narsete al passo ^ ma non essendo riuscito i|
Teia d^impedirìo, ecco che Narsete, rotto ogni
aipne, inonda con potenti eserciti le campagne:
^è potè farsi altrimenti che non si venisse ad
una campai battaglia , nella quale Totila avendo
128 ISTORIA DEL UGNO DI NAPOLI
dati gli ultimi segni del suo valore, non potendo
resistere alle forze di gran lunga superiori del
suo nemico, rimase vinto e morto, ed i suoi
Goti sconfitti e debellati: onde gl'infelici riuni-
tisi, come poteron il megfio, dopo si crudel bat-
taglia, si ritiraron in Pavia, dove crearono loro
re Teia, nel cui valore ed audacia era riposta
ogni speranza, per ìstabìfire il loro impeno in
Italia. All'incontro Narsete dopo questa vittoria
prese Roma, e F altre città a lui si renderono.
Potè questa sconfitta abbattere in guisa le
forze de' Goti in Italia, che in appresso più
non valsero a rìstabilirvisi j ma assai maggior
nocumento recò loro la perdita di Totila valo-
rosissimo loro re: principe che col suo valore^
e molto più colla sua prudenza e bontà seppe
ristorar in modo le fortune de' suoi Goti, che
quasi aveale ridotte in quel medesimo stato in
cui lascioUe Teodorico. Égli, per lo spazio poco
men di dieci anni che regnò, tanti monumenti
lasciò del suo valore, della sua bontà e di
molt' altre virtù delle quali era ornato, che non
v'è scrittore il quale aon lo commendi, e per
tante sue virtù infili al cielo non F estolga: egli
ancor che Goto, dice Paolo Vaniefrido, abitò co'
Romani, come un padre co' suoi figliuoli, niente
mutò delle loro leggi e de' loro istituti. L'istcssa
amministrazione e la medesima forma delle prò-
vincie e del governo ritenne, come Teodorico
aveale lasciate} amantissimo della giustizia e
dell' equità j ed è veramente ammirabile V ora-
zione che questo principe fece a^ suoi soldati,
O Presso GoicLift., lom. i. Conat. imp. y ù leggono molte ora«
zioni (li Totila.
LIBRO TERZO 1 29
dopo aver preso Napoli^ in commendazione della
giustizia e dell^ altre virtù^ che presso a Procopia
ancor leggiamo. La sua bontà e mansuetudine
verso i vinti vien celebrata sovente da auesta
istesso storico^ ancor che greco. Egli seroò in-*
tatta e sicura d^ ogni disprezzo Rusticiana mo^
glie che fu di Boezio y femmina infesta al nome
goto y e deUa quale i Goti non erano niente sod«^
disfatti.
Ne men della sua temperanza poteron tacer»
gF istorici : egh fu che sovente salvò la pudi-^
cizia e la libertà delle matrone romane y e che ^
presa Napoli , fu delF onor delle domie zelantis^
simo y e che severamente punisse gli altrui mis-*
fatti: ohe di semplicissimi cibi fosse contento
eo^ suoi Goti^ come di pane^ latte ^ cacio ; bu-
tirro , e di carni salva gge e ferine, e di queste
allo spesso crude, ed alle volte salate. Tanto '
che per T esempio di questo prìncipe poterono
i Goti avere il vanto d^ esser essi reputati i tem-
E erati, i giusti ed i mansueti, non gP istessi
omaiii, ne* quali, come disse Salviano 0, era
da desiderare la virtù, la giustizia e la tem-»
peranza de^ Goti medesimi^
Di Teia lèltimo re d^ Goti in Italia.
GY infeUcissimi Goti , dopo la battaglia per
loro funestissima datagli da Narsete, usando
tutti i loro sforzi e industria per trovar mezzi
(*) Sahìan. I. 7. de giiber. Dei.
j3o laroRiA del recito di napoli
pronti per ristorarsi delle passate perdite^ ol-
ir^ aver eletto per loro re Teia valorosissimo
principe^ tentarono i soccorsi de^ prìncipi vi-
cini. Ricorsero a' Franzesi ^ e mandaron ad essi
ambasciadorì per muovergli al loro soccorso.
Merita veramente ess^ da tutti letta ed am-
mirata r orazione di questi legati tutta piena
d^ affetti e di nobilissimi sensi, ch'esposero a*
Franzesi, la quale presso Agatia srncor si leg-
ge. M Se il nome de^ Goti , essi dicevano , maiir
cherà, ecco che i Romani saranno pronti ed
apparecchiati contro di voi a rinovar V antiche
guerre. Né alla loro cupidigia mancheranno pre-
testi speziosi e ricercati colorì. Vi rìcorderanno
i Mariì , i Camilli , e i molt^ imperadori che guer-
reggiarono co' Germani, e che oltre al Reno
estesero i confini del lor imperio. E per queste
• ragioni voglion esser riputati^ non come rapitori
degU altrui Stati , ma come se niente fosse d' al-
trui , ed il tutto lor proprio : vantano di non
far altro , che coli' armi loro giuste e legittime
ricuperare ciò che da' loro maggiori era statò
posseduto : non per altre cagioni mossero a noi
così ingiustamente la guerra; come se il nostro
sempre glorioso principe ed autore di questa im-
presa, Teodorico, a torto e per ingiuria avesse
ad essi*tolta F Italia: perciò han creduto esser
loro lecito di toglierci le nostre sostanze , estin-
guere la maggior parte della nostra gente , e de'
capitani fra noi i pm sublimi ed eminenti: m-
crudeUre contra le nostre mogli , centra i pro-
pri nostri figUuoU, ed a portargli in dura servitù j
O AgaU)« i. I. histor.
LIBRO TERZO |3l
quando Teodorìco non con loro repuguanza^
ma con particolar concessione e permessione
di Zenone lor imperadore venne in Italia, non
già togliendola a^ Romani ^ i quali Taveanper^
duta^ ma colle proprie sue forze ^ e col suo pro-
prio valore , avendo discacciato Odoacre inva*
sor peregrino y^^^e Belli j acquistò ciò che questi
avea occupato. Ma i Romani da poi che si vi*
dero ristaoiliti^ niente curando del giusto e del
ragionevole^ col pretesto delja morte d^Amala-
sunta si finsero in prima irati contra Teodato ^
e da poi non tralasciaron di muoverci ingiusta
guerra^ e per forza rapirci ogni cosa. £ pure
questi sono che vantan esser soli i sapienti^
essi soli esser tocchi del timor di Dio^ essi
tutte le cose dirizzare secondo la norma della
giustizia. Perchè dunque non v^ accada un giorno
rei che da noi presentemente si patisce , ed
pentimento non vi giunga tardi quando più
non potrà giovarvi, debhon ora prevenirsi gii
inimici^ ne dee da voi tralasciarsi F occasione
, presente di mandar contro a* Romani un pari
esercito j al quale presieda un vostro valorosa
capitano, che adoperandosi con prudenza e va-«
lore contro d'essi, proccuri disturbargli dalF im-
presa d'Itaha, e noi restituisca nella possessione
della medesima. »
Ma riuscì inutile questa lor ambascerìa co^
Franzesi, da' quali niente poteron ottenere j
perocché avendo Teodiberto dopo la guerra
mossa a Giustiniano, poco prima di morire^
stabihta una ferma e stabile pace col medesimo
neir anno 548 , la quale poi fu confermata
da Teodobaldo suo «igliuolo , non vollero ,
l3a ISTORIA DEL RKGNO DI NAPOLI
rìcordeyoli di auesti patti, in conto alcuno in-
dursi a romper la pace; t^nto che si trattennero
e di muover V anni contro a^ Goti ad istigazione
di Giustiniano, e di portarle contra i Romani,
ancorché i Goti .glielo richiedessero con calde
istanze: e se bene dopo estinta già la domi-
nazione de^ Goti, nell^anno 555 morto il re Teo«-
dobaldo, Leotaro ed il suo fratello Bucellino
generale delle truppe d^Àustrasia, co^ Franzesi e
cogli Alemanni avessero tentata F impresa d^I-
talia, e si fosse il primo avanzato fin in Pu-
glia e Calabria, ed il secondo, oltre alFaver
devastato il Sanuio, fosse scorso fino in Sici-
lia; nuUadimeno i loro eserciti furon non molto
da poi disfatti: quello di Leotaro da un fiero
moroo, che in una state F estinse; e P altro di
Bucellino fu da Narsete a Casilino interamente
sconfitto. E fu questa la prima volta che i Fran-
zesi tentassero di sottoporre alla loro domina-
zione queste nostre provincie : presagio che fu
Pur troppo infausto di dovere le loro armi nel-
impresa d^ Italia aver sempremai infelicissimo
fine , siccome sovente F esperienza ha dimo-
strato ne^ secoli men a noi lontani, che que'
gigli più volte piantati in questi nostri teiTeni
non poteron mai mettervi profonde e ferme
radici.
Esclusi per tanto i Goti dal soccorso de'
Ftanzesi, tutte le speranze furon collocate nel
valore di Teia, il quale fece sforzi i più nia-
ravigUosi che potessero mai desiderarsi in casi
così estremi, per ristorare le fortune de' Goti.
Egli incontrato da Narsete a piedi del nostro
Vesuvio, accampò così j^ene il suo esercito,
LIBRO TERSO I 35
che con tutto le due armate non fossero se-
parate clie dal duine Sariio , dimoraron noudi-
meno due mesi a scaramucciare, non potendo
Narsete tentare il passaggio avanti T esercito di
Teia ch'era signore del ponte, né ritirarsi , per
£aura che i Goti non portassero soccorso a
urna: ma alla fine essendo riuscito a Narsete,
ch'era di gran lunga superiore di forze, dì dar
battaglia, Teia facendo l'ultime pruove del suo
valore ed ardire , rimase in quella miseramente
ucciso: onde i Goti già costernati, veggeiidoai
privi di sì ^orioso capitano, rìsolsero di ren-
dersi a Narsete , il quale lor accordò che se ne
potessero andare dalle terre delf imperio con
tutti gli argenti ch'essi avevano, e di vivere se-
condo le loro leggi. Cosi fu accordato il trattato
dì buona fede da una parte e dall'altra dopo i8
anni di guerra, in maniera che tutte le piazze
essendosi messe fra le mani de' commessarii di
Narsete , i Goti uscìron d' Itaha l' anno del Si*
gnore 553, dove 64 anni, da Teodorico loro
re ìnGn a Teia, avevano regnato.
Ecco il line della dominazione de^ Goti in
Italia ed in queste nostre provincie: gente as-
sai illustre e bellicosa, che tra gli strepiti di.
Marte non abbandonò mai gh esercìzi della
F'ustizia, della temperanza, della fede e dei-
altre insirni virtiì ond'era adorna j non cosi
baii>ara ed inumana, coni' altri a torto la re-
puta. Lasciò vìvere i popoli vinti e debellati
coUe stesse leggi romane, colle quali erau nati
e cresciuti, e delle quali era sommamente os-
sequiosa e riverente : che non mutò la disposi-
zione e r ordine dì queste nostre provincie ;
|34 IS^rORlA DEL IVEGrCO DI ?rÀPOLI
non variò i magistrati; ritenne i consolari^ i
correttori ed i presidi, e molt^ altri costumi
ed istituti mantenne, siccome eran in tempo
degPistessi imperadorì romani: tanto che que-
ste nostre provincie ricevettero altra forma e
nuova amministrazione, non già quando stet*
tero sotto la dominazione de^ Goti , ma quando
passarono sotto gPimperadori d^ Oriente; 1 quali
mandando in Italia gli esarchi , e dividendo le
Provincie in più ducati, diedero perciò alle me-
desime disposizione diversa da quella di prima ,
come di qui a poco vedremo.
Non si poterono però evitare que' disordini
e quelle confusioni che le tante feroci e cru-
deli guerre soglion apportare alle discipline ed
alle lettere: certamente in Italia in questi tempi,
per quel s^ appartiene alla giurisprudenza, non
potevano sperarsi giureconsulti cotanto rino-
mati, né così insigni professori ed avvocati che
avessero potuto restituirla nell' antico splendore
nel foro e nell^ accademie. Non dee però ripu-
tarsi di piccol momento in mezzo a tante e
si feroci armi, che pensassero i re goti, come
fecero Atalarico e Teodato, di mantener quanto
più fosse possibile F antico lustro del senato
romano e dell' accademia di Roma , con pro-
vederla di professori esperti nella legai disci-
plina, come fece Atalarico 0? e d'illustri gram-
matici, perchè la lingua lathia non affatto si
perdesse fra tante lingue stramere e barbare:
ed infatti in questMstessi tempi sarebbe man-
cata air intutto, se non si fosse ristabihta in
(•) Cts. lih, ry rap, 21.
« LIBRO TCAZO l35
queir accademia , e Teodato col suo esempio ,
essendone vaghissimo ^ non v'avesse dato ripa-
ro. Fin da questi tempi si lodava Roma per la
purità della lingua latina, perchè in tutte Tal'
tre Provincie d' Italia era già di barbarie ricol-
ma ; e gP istromenti che per mano di tabel-
lioni, ch^oggi diciamo notai ^ si stipulavano^
non eran dx miglior condizione intorno alla lin-
gua di quel eli' oggi s' usa in Italia. Narra For-
nerio 11^ Cassiodoro y serbarsi in Parigi nella
libreria del re un antico istromento di transa*»
zione conceputo con formole non migliori di
quelle che usiam oggi, nella quale un tal Ste-
fano tutore di Graziano pupillo si transigè col
medesimo per una certa lite , che fu rogato in
Ravenna nelU ultim' anno dell'imperio di Giusti-
niano , cioè nel 38 all' indizione 1 2 che cade
nel 564 di Cristo. E perciò anche in questi
tempi si riputava cosa di sommo pregio chi
di lingua latina fosse intendente , siccome fra
r altre lodi che si davan a Teodato per le sue
molte lettere, una era questa. Pure con tutto
ciò vide ritalia in quest'età un Ennodio, un
Giomande, un Boezio Severino, un Simmaco,
un Cassiodoro, un Aratore , ed alcun' altri va-
lent' uomini non in tutto sfomiti di scienze e
d' erudizione.
Giustiniano, sconfitti ch'ebbe per mezzo di
Narsete i Goti, e ritolta l'Italia dalle lor mani ^
a richiesta , com' e' dice , di Vigilio pontefice
romano , promulgò nel penultim' anno del suo
O Forncr. in Cìm. lib. io. var. cap* 7«
l36 ISTOniA DEL REGNO DI NÀPOLI
imperio una prammatica di più capi, nella
quale a' disordini fin allora patiti in Italia , e
neli^ altre parti occidentali, pensò dar qualche
riparo^ fu questa indirizzata ad Antioco prefetto
d^ Italia, e data in Costantinopoli nel 87 anno del
6U0 imperio. Li quella siccome si confermano
tutti gli atti e donazioni fatte da Atalarìco e
da Amalasunta sua madre e da Teodato istés^
so, cosi all^ incontro riputando Totiia per ti^
ranno, tutti gli atti e donazioni fatte da costui
nel teiìipo della sua tirannide , gli abolisce , gli
abbomina, e vuol che di quelli non se n^ab-^
bia cagione alcuna : vuol che nelle prescrizioni
di 3o e 40 anni non debba computarsi il tempo
ch^ Italia stiè sotto la tirannide di Totiia : che
nelle liti insorte fra' Romani non si mescolas-
6ero giudici militari, ma che i civili l'avessero
a decidere: diede previdenza a' superinditti im-
posti a' negoziatori delle provincie di Calabria
e di Pugha: e molt' altre leggi promulgò allo
stato d'Italia, e di queste nostre provincie ap-
partenenti , che posson osservarsi in questa
I)rammatica in più capi distinta, la quale si
egge dopo le Novelle. Ma cosa assai più no-
tabile osserviamo nella medesima: alcuni per
conghietture ed argomenti scrissero che per es-
sersi la pubbUcazione delle Pandette e del Co-
dice conmiessa da Giustiniano al prefetto dell'Il-
lirico, per questo dobbiam credere che in ItaUa
si fossero anche pubblicate. Non bisognan argo*
menti in cosa si manifesta; per questa pramma-
tica abbiamo^ che Giustiniano per suo particolar
(•) Prajrin. Ju^in. post. Nor.
LIBRO TERZO I S^
editto ordinò che le leggi inserite ne^ suoi li-
bri s'osservassero per tutt' Italia. Ma perchè poi
nel regno di Totila le cose de' Greci andaron in
mina j ed i Goti ritornarono nel pristino domi-
nio, in mezzo a tante rivoluzioni di cose, non
poterono certamente aver luogo le sue leggi. Ri-
storati da poi per Narsete* gli aflari de' Greci,
e debellati aflatto i Goti , volle per questa pram-
matica che non solamente quelle leggi s'osser-
vassero per tutt' Italia, ma anche quell'altre sue
costituzioni Novelle, ch'aveada poi promulga-
te, in guisa che formata col voler di Dio una
repubblica, una e sola anche fosse l'autorità
delle leggi per tutte le sue parti , come sono le
{)arole della prammatica , che come notabili per
o nostro istituto, e da altri fin qui, ch'io sap-
)ia, non mai osservate, sarà bene di trascriver-
e: Jura insuper, vel leges Codifibus nostris
insertaSy quas jam sub edictali programmate in
Italiam dudum misimus , obtinere sancimus ; sed
et eas , quas post e J promulgavinuis constìtutio^
nesj juoemus sub edictali propositione vulgari
ex eo tempore , quo sub edictali programmate
evulgatae Jiierint etìam per partes Italiae obtìr
nenie j ut una^ Deo volente jfacta republica^ fe-
gum etiam nostrarum ubique prolatetur auctO"
ritas.
Ma non perchè si fosse spento il nome de*
Goti in Italia, si mantennero queste provincie
lungo tempo sotto gl'imperadori d'Oriente, ed
i libri di Giustiniano ebbero forse lunga dura-
ta: morto Giustiniano, ritornarono di bel nuovo,
se non sotto la dominazione de' Goti , sotto
queUa de^ Longobardi; i quali traggon la lor
i
]38 ISTORIA DEL RECITO DI NÀPOLI
origine da^ Goti stessi, e de^ quali sono ram*
JioUi e germogli, come si vedrà quando d^essi
arem memoria.
Né perchè queste provincie passassero sotto
r imperio di Giustiniano , vi fu tanto di , spa-
zio che potessero le di lui leggi stabilìrvisi ^
e che r insigni sue compilazioni avessero po-
tuto in esse poner piede, e mettier qui pro-
fonde radici; se pur ci vennero, tosto delle
medesime si spense affatto la memoria ed ogni
vestigio; poiché appena Giustiniano ' ebbe la
^orìa d^aver liberata Italia da^ Goti, che dis- ^
tratto per la seconda guerra della Persia e
per r invasioni degli Unni, fu dalla morte non
guari da poi netfanno 565 sopraggiunto in età
già matura d'anni 82, dopo averne imperato 38
e mesi otto. Principe, che se non avesse nel-
r ultimo di sua vita oscurata la sua fama per
r eresia Eutichiana (i) che volle abbracciare, né
mai abiurarla , avrebbe superata la gloria di
molt' imperadori per la pietà , per la magnifi-
cenza, per li tanti egregi suoi fatti, e per le
tante insigni vittorie, che e nella pace e nella
guerra Fo renderon immortale; come ce lo rap-
presentano tutti i più famosi storici de' suoi ,
tempi, e quelli ancora che dopo lui fiorirono.
Teofilo abate suo maestro (2), Procopio, Aga-
tia , Teofane , Zonara , Marcellino , Evagrio e
Niceforo fra' Greci ; e fra' Latini , Cassiodoro ,
Wamefrido, ed altri moltissimi (3): tanto che
(0 Anasta.4. Bihiiot. Paal. Diacon.
(9) Thfophiins abbas Jiisliiiiani prarcrplor exlat apucl Pho-
tiuiD.
(3) Giphaniuj. Conltus. AlrnMimni in uotU aJ Procopiuin*
LIBRO TERZO I 3c)
si rende ora inescusabile rcrror di coloro che
reputarono j per la testimonianza di Snida, que-
sto principe così illitterato e tanto rozzo, che
nemmeno sapesse V abici ) quando Giustiniano
egli medesimo testifica d' aver letti e ricono-
sciuti i libri delle sue Istituzioni. LViTor nac-
que dalla scon*ezione del testo di Snida , che
fece stampare in Milano Demetrio Calcondìla ,
ove in vece di Giustino, come leggesi in tutti
i codici di Snida del Vaticano, si leggeva Giu-
stiniano (*)} onde ciò che con errore s^ascrive
a Giustiniano , dee attribuirsi a Giustino , zio
e padre adottivo di Giustiniano , come il ma-
nifesta Procopio testimonio di veduta, asserendo
che Giustino da pecoraio divenuto soldato ed
indi comite, finalmente con maraviglioso rav-
volgimento di fortuna òi vide al trono impe-
riale innalzato e che non sapendo scrivere >
firmava gli atti pubblici con certo istromento
o segno fatto apposta , siccome usava di far
Teodorico ancora, il quale se bene fosse quel
principe cotanto grancle , quanto s' è narrato ,
era nondimeno di lettere ignaro ; e come ne'
tempi più bassi si legge di Vitredo re di Can- •
zia , e di Tassilone duca di Baviera. E da al-
cuni fu anche detto che Carlo M. istesso non
sapeva scrìvere, quantimque sapesse leggere, e
fosse dottissimo.
(•) Nicol. Alrmaii. atl Proroj>. pjp. riS.
l4o ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
«
CAPO V.
Di Giustino II imperadore; e della nuova pò-
lizia introdotta in Italia ed in queste nostre
Provincie da Longino suo primo esarca.
Morto Giustiniano, si fransero tutti i suoi dise-
gni^ e le fortune degi imperadorì orientali toma-
ron alla declinazione di prima; poiché essendo
succeduto nell^ imperio Giustino il giovane fi-
gliuolo di Vigilanzia^ sorella di Giustiniano ^
troppo da lui diverso, e per la sua stupidezza
essendosi dato tutto in braccio al governo di
Sofia tua moglie, per consiglio della medesima
rivocò Narsete d^ Italia, e gb mandò neiranno 568
Longino per successore (i).
Giunto Longino in Italia con assoluto potere
ed imperio datogli dall' istesso Giustino, tentò
nuove cose, e trasformò lo stato di quella: egli
fu il primo che desse all'Italia nuova forma e
nuova disposizione, e che nuovo governo v'in-
troducesse, il quale agevolò e rendè più facile
la ruina della medesima: egli se bene fermasse
la sua sede in Ravenna, come avevan fatto gì' im-
peradori occidentali e Teodorico co' suoi Goti,
volle però dare all'Italia nuova forma (2). Tolse
via dalle provincie i consolari, i correttori ed
i presidi contra ciò eh' avevan fatto i Romani
ed i Goti stessi, e fece in tutte le città e terre
(1) Marqiiard. Frrhrr. in Chronologia Ezjtrc. RaTen. apud
L«*unrlaviuni.
(i) Sigon. de R. Itaì. 1. i.
LIBRO TERZO l4l
di qualche momento ^ capi; i quali chiamò du-
chi ^ assegnando giudici in ciascheduna d^esse
per Pamministrazion della giustìzia. Né in tale
distribuzione oqorò più Roma che V altre città ;
perchè tolto via i consoli ed il senatori quali
nomi infin a questo tempo eranvisi mantenuti,
la ridusse sotto un duca che ciascun anno di
Ravenna vi si mandava ^ onde surse il nome del
ducato romano : ed a colui che per P imperadore
risedeva in Ravenna e governava tutta F Italia,
non duca, ma esarca pose nome, ad imitazione
dell'esarca deirAflrica. Presso a' Greci, esarca
diccasi colui che presiedeva ad una diocesi, cioè
a più Provincie, delle quaU la diocesi si com-
poneva: così nella gerarchia della Chiesa si \àde
che quel vescovo il quale ad una diocesi , e
seguentemente a più provincie, delle qiiali si
componeva, era preposto, non metropolitano,
che aveva una sola provincia , ma esarca era
cliiamato. Così FltaUa pati maggiori trasforma-
zioni sotto r imperio di Giustino imperador d'O-
riente, che sotto i Goti medesimi, i quali ave-
van proccurato di mantenerla nell'istessa forma
ed apparenza con cui dagli antichi imperadori
d'Occidente fu retta ed amministrata.
Le Provincie, in quanto s'appartiene al go-
verno, furono mutate e divise; e siccome prima
ciascuna aveva il suo consolare, o correttore,
o il preside, a' quali stava raccomandata l'am-
ministrazione ed il governo delle medesime, per
questa nuova divisione poi dandosi a ciascuna
O Biond. Hist. 1. 8. JccìacI. ult. Jo. Slciclan. de quatuor Suin.
Imp. 1. ).
l4:2 ISTOUIA DEL REGNO DJ NAPOLI
città o castello il suo duca ed un giudice^ ciar-
sclieduiio d^ essi sol s^ impacciava del governo
di quelle partìtamente, e solamente all^ esarca^
che da Ravenna governava tutta P Italia , stavan
sottoposti^ sotto la cui disposizione erano ; ed
a cui ne^ casi di gravame si ricorreva da^ prò*
vìncìali. Quindi nefie nostre provinde trassero
orìgine que^ tanti ducati che ravviseremo nel
regno de Longobardi , parte sotto la domina-
zione de^ Greci ^ come fu il ducato di Napoli ^
di Sorrento e d^ Amalfi, il ducato di Gaeta e
r altro di Bari^ e parte sotto i duchi longobardi ,
i quali avendo ritolto a^ Greci quasi tutta FI-
taUa e gran parte di queste nostre provincie^
ritennero questi medesimi nomi di ducati : onde
poi sopra tutti gli altri s^avanzaron il ducato
di Benevento , quello di Spoleti e F altro del
Friuli, come diremo più ampiamente nel libro
seguente di questa Istoria.
Ma non durò guari in Italia F imperio de' Gre-
ci, né Longino potè molto lodarsi di questa
nuova forma che le diede; poiché questa mi-
nuta divisione dcjlle provincie in tante parti ed
in più (lucati rendè più facile la ruina d'Italia,
e con più celerità diede occasione a' Longobardi
d'occuparla; imperocché Narsete fortemente sde-
gnato contra F imperadore , per essergli stato
tolto il governo ai quella provincia che con
la sua virtù e col suo valore aveva acquistata^
e non essendo bastato a Sofia di richiamarlo,
che ella vi volle anche aggiungere parole piene
d'ingiuria e di scherno, dicendogU cheFavrebl v
fatto tornare a filar con gli altri eunuchi e fem*
mine del suo palazzo ; questo capitano portò
LIBRO T£UZO i43l
tanto innanzi la sua collera ^ che mal potendo
celar anche con parole il suo acerbo dispetto^
rispose; ch^egli all^ incontro F avrebbe ordita una
tela che né ella, né suo marito avrebbon po-
tuto districarla 3 ed avendo licenziato il suo
esercito^ da Roma, ov^egli era, portossi in Na-
poli, da dove cominciò a trattar con Alboino,
suo grand^ amico, re de^ Longobardi, ch^ allora
regnava nella Pannonia, e tant^ operò, finché lo
persuase di venire co^ suoi Longobardi ad oc-
cupare ItaUa. Ma poi che per la venuta de^ Lon-
gobardi in Itaha le cose di quella presero altra
lorma ; e siccome in essa sMntrodusse nuova po-
lizia e nuove leggi , cosi ancora queste nostre
Srovincie furon in altra maniera divise, e pren-
eiido nuovi nomi, sotto altri dinasti si videro
disposte ed amministrate, ed in un medesimo
tempo sottoposte alla dominazione non pur d^mi
sol principe, ma di varie nazioni, di Greci e di
Longobardi, e talora anche di Saraceni; sarà
util cosa per la novità del soggetto, e per la
grandezza e varietà degli avvenimenti, che dopo
aver narrata la poUzia ecclesiastica di questo
secolo, nel seguente libro partitamente se ne
ragioni
CAPO VL
DeW esterìor polizia ecclesiastica.
La Chiesa ancorché sotto gfimperadorì Ar-
cadio ed Onorio principi religiosi, i quaU quasi
terminaron di distruggere F idolatria nellMmpe-
rio romano, si vedesse, per quel che riguarda
l44 ISTOaiA D£L aSGJXO DI NAPOLI
questa parte, in istato florido e tranquillo} nut
ladimeno fu comLattuta da tante e sì varie ere*
sie, che uè li numei^osi e sì frequenti concilii,
né le molte costituzioni degTiniperadorì pubbli-
cate contra gii eretici, bastaron per darle pace*
La religione pagana, se bene sotto gP impera^
dori cristiani, imitando i sudditi F esempio de*
loro sovrani, si fosse veduta in grandissima de^
clinazione, nientedinoieno non essendosi repu«
tato colla forza estinguerìa affatto, anzi avendo
grimperadorì suddetti per lungo tempo tollerato
i templi de^ Gentili, molte superstizioni pagane
ed il culto degli Dei (i), era quella da^ più pro-
fessata, ancorché il numero de^ Cristiani era
molto maggiore di quello de^ Pagani. Ma sotto
gl'imperadori Arcadio ed Onorio, il culto gen-
tile era quasi ridotto a nulla in tutte le città
dellUmperio: solamente ne' castelli, in pagis ed
in campagna era F esercizio di quella religione
mantenuto. Da questo venne il nome de' Pagani ,
che s'incontra spesso nel Codice di Teodosio (2),
per significar gl'Idolatri: nome che lor era al-
lora dato comunemente dal popolo cristiano, in
vece di quello dì Gentili. GÌ imperadori Teodo-
sio il giovane e Valentiniano III avviliron poi
i Pagani in guisa, che vietando d'ammettergli
alla milìzia, ovvero ad altro ufficio, gU ridus-
sero a segno, che Tistesso imperador Teodosio
(1) L. 10. C. Th. de Pa«an. 1. i. ft a. C. Th. de. M:il<»fir,
(a) L. 18. C. Th. de Kpisc L. 46. C. Th. de Haerel. Gen»i-
les, qiios vulgo Pagaiios appelIanL S. Aug, lib. a. Reclracl. 4^*
Dooriiro falsoruin , mulorummie ciiltores, qi><^^ usitato numiue
Paganos appellamus, V. Gotn. in notis aa tit. C. Th. de Pa-
gania,
LIBRO TERZO l45
mette in dubbio se a^ suoi tempi ve ne fosse
rimasò pur uno: Paganos qui supersunt, quamr
quam jam nuUos esse credamus (i). In mie gli
condanna e gli proscrìve, ed ordina che se pur
V erano ancor rimasi lor tempii o cappelle , siano
distrutte e convertite in chiese (a).
Ma con tutti gli sforzi di quest^ imperadorì ^
restarono in campagna , in pagis , più antichi
tempii ne^ quali il culto degh Dei era sostenuto;
e per maggior tempo vi si mantenne, come qudli
che sono gli ultimi a deporre F antiche usanze
e costumi; tanto che nella nostra campagna pur
si narra che S. Benedetto a' tempi del re Totila
abbattesse una reliquia di gentilità ancor ivi ri-
masa presso a^ Goti, ed in suo luogo v^ ergesse
una chiesa. Restava ancor un* infinità di nazioni
barbare nelle tenebre dell* idolatrìa; ma soprat-
tutto assai più in questi tempi perturbavano la
Qiiesa le scorrerìe de* Barban, ed i nuovi do^
minii stabiliti nell*imperìo da* principi stranieri:
questi o non in tutto spogliati del paganesimo,
ovvero per la maggior parte arriani, tutta la
sconvolsero e malmenarono; e se Tltaha e que-
ste nostre provincie non sofTerirono sì strane
revoluzioni, tutto si dee alla pietà e modera*
zione del re Teodorico, il quale, ancorché ar-
riano, lasciò in pace le nostre chiese; e siccome
non variò la polizia dello stato civile e tempo»
rale, cosi ancora volle mantenere in Itaha Vi*
stessa forma e polizia dello stato ecclesiastico
e spirituale.
(i) L. sa. C. Th. de PaganU.
(a> L. ai, a3, a5. C. Th. de Pagan.
GlAVVOVE , Fot, II, IO
l48 ISTORIA Bit RtOtrÒ DI NAPOLI
friniate I fu cosa molto facile di stenderia sopra
altre psovincie. Per ragion del primato s^ ap-
parteneva anche a lui aveme cura e pensiero j
quindi cominciò in alcune provincie^ dove cre-
dette esservene bisogno, a mandarvi suoi vicarìi.
I primi che sostituirono, furon quelli che mandò
iieirillìrico. Tessalonica, ch^era capo della dio-
cesi dì Macedonia, nella quale il suo vescovo eser-
citava le ragioni esarcau , da poi che riconobbe
ì vicarìi mandati dal pontefice romano, si vide
sottoposta al patriarca di Roma , Jl quale per
mezzo de* meaesimi non pin* le ragiom di pri*
mate , ma anche le patriarcali v* esercitava : e
così avvenne ancora, oltre alla Macedonia, neir
r altre provincie delT Illirico. Gol correr poi de-
gli anni non solo alT autorità sua patriarcale sot-
topose Finterà Italia, ma anche le Gallie e le
Spagne; ond^è che non solo da^ Latini, ma da*
Greci medesimi degU ultimi tempi era reputato
il romano pontefice patriarca di tutto F Occiden-
te ] siccome ali* incontro volevano che quel di
Costantinopoli si reputasse patriarca di tutto
r Oriente. S* aggiunse ancora, che a molte pro-
vincie e nazioni che si rìducevan alla fede aella
religion cattolica, erano pronti e solleciti i pon-
tefici romani a mandarvi prelati per governarle,
ed in questa maniera al loro patriarcato le sog-
gettavano; siccome accadde alla Bulgaria, la
quale ridotta che fii alla fede di Cristo, tosto
le si diede un arcivescovo; onde nacquero le
tante contese per questa provincia col patriarca
di Costantinopoli che a so pretendeva aggiudi-
carla. In cotal guisa tratto tratto i pontefici ro-
mani estesero ì confini del loro patriarcato per
LIBRO TERZO l49
tutt^ Occidente ; oncr avvenne ( non senza però
gravissimi contrasti ) che s^ arrogaron essi la po-«
testa d^ ordinare i vescovi per tutto F Occidente y
ed in conseguenza d^ abbattere e mettere a terra
le ragioni di tutti- i metropolitani. Di vantaggio
trassero a sé V ordinazioni de^ metropolitani stes* *
si. Cosi quando prima F arcivéscovo di Milano ^
eh* era V esarca di tutto il vicariato d* Italia y era
ordinato da* soli vescovi d* Italia, come sì legge
appresso Teodorìto (i) dell* ordinazione di S. Am-
brogio, in processo di tempo i romani ponte-
fici alla loro ordinazione vollero che si ricercasse
ancora il loro consenso, come rapporta S. Gre-
gorio nelle sue epistole (a). Trassero a sé an*
Cora tutte le ragioni de* metropoUtani intorno
ali* ordinazioni per la concessione del pallio che
lor mandavano, poiché per quello si dava da*
sommi pontefici piena potestà a* metropolitani
d^ ordinare i vescovi delia provincia j onde ne se-
' giiiva che a* medesimi insieme col pallio si con*-
cedeva tal potestà: quindi fii per nuovo diritto
interdetto a* metropolitani di poter esercitare
tutte le funzioni vescoviU, se non prima rice-
vevano il pallio; e fu intt*odotto ancora di do-
ver prestare al papa il giuramento della fedeltà
che da lui rìcercavasL Fu ancora in progresso
di tempo stabilito che F appellazioni de* giudicii
che da metropolitani erano proferiti intorno alle
controversie che occorrevano per F elezioni , si
devolvessero al pontefice romano : che se gli
elettori fossero negligenti, ovver F eletto non
(0 Thfodorit. I. 4< Hi!«t. e. 7.
(3) Greg. I. 9. £p. Si.
/
l5o ISTORIA DEL lUEGHO DI NAPOU
fosse idoneo , che V elezione si devolvesse al
papa: che di lui solo fosse il diritto d'ammet-
tere le cessioni de' vescovati; e di determinare
le traslazioni e le coadiutorie colla futura suc-
cessione: e finalmente che a lui s'appartenesse
la confermazione delFdezioiii di tutti i vescovi
delle Provincie.
Ma tutte queste intraprese che si videro sopra
l'altre provincie d'Occidente, non portarono va-
riazione alcuna in queste nòstre onde ora si
compone il regno ; poiché essendo qudle subur-
bicarie, e su le quali il papa fin da principio
esercitò sempre le sue ragioni patriarcali; Airone
come prima a lui sottc^oste} né perciò si tolse
ragione alcuna a' metropolitani; poiché non ve
n'erano; né intomo ali ordinazioni de' vescovi
si variò la disciplina de' precedenti secoli. Non
ancora le nostre chiese erano innalzate ad es-
ser metropoli; né anche; per la conceasion del
pallio ; a' loro vescovi eran concedute; come fu
fatto da poi; le ragioni de' metropoUtani ; né
fin a quésto tempo erano state invase dal pa-
triarca di Costantmopoli; poiché ciò che si narra
di Pietro vescovo di Bari 0; che nell'amio 53o
sotto il pontificato di Felice IV avesse dal pa-
triarca ai Costantinopoli ricevuto il titolo di ar-
civescovo e l'autorità di metropolitano; con fa-
coltà di poter consecrare dodici vescovi per la
sua provmcia di PugUa; non dee a quell anno
riportarsi; quando queste provincie non erano
state ancora da' Greci invase ; ed erano sotto
la dominazione d'Atalarico re de' Goti, ma ne'
O UglieL de Ep. Bar. BcaUllo Ilùt. di Bari , p. 9.
lIBAO TER20 l5l
tempi seguenti, quando sotto grimperadorì d^O*
riente essendo rìmasa parte della Puglia e Ca-
labria, ddla Lucania e Bruzio, e molte altre
città marittime dell^ altre provincìe, i patriarchi
di Costantinopoli col favore degPimperadori s^u^
surparono in quelle le ragioni patriarcali , come
diremo ne^ seguenti libri
s n.
Del patriarca d^ Oriente.
Se grandi furono F intraprese del patriarca di
Roma sopra tutte le provincie d^ Occidente, mag-*
giori e più audaci senza dubbio furon quelle del
patriarca di Costantinopoli in Oriente : egli non
solamente sottopose al suo patriarcato le tre dio-
cesi autocefale. FÀsiana. (mdia di Ponto e la
Tracia; ma col correr degli anni quasi estinse
i tre celebri patriarcati d^ Oriente, f Alessandri-
no, PAntioclieno e F ultimo di Gierusalemme.
Né contenta la sua ambizione di questi confi-
ni , invase anche molte provincie d Occidente;
né perdonò a queste nostre, che per tutte le
ragioni al patriarcato di Roma s^ appartenevano.
Da quah bassi e tenui principii avesse il pa^
Inarcato di Costantinopoh cominciamento , si
vide nA precedente libro. D vescovo di Bizan^
zio prima non era che un semplice suffraganeo
del vescovo d^ Eraclea, il quale presiedeva come
esarca nella Tiacia 0- ^pra tutti erano in
(*) Getas* Epìst. i.
\
l52 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
Oriente celebri ed eminenti due patriarcati. TA-
lessandrino e FAntiochenò. (^ello d'Alessandria
teneva il secondo luogo dopo il patriarca 'di'
Roma, forse perchè Alessandria era riputata
dopo Roma la seconda città dd mondo: T al-
tro d^Antiochia teneva il terzo hogo , ragguar-
devole ancora per la memoria che serbava d' a-
vervi S. Pietro tenuta la sue prima cattedra. Cosi
le tre parti del mondo tre chiese parimente ri-
conobbero superiori sopra tutte T altre: TOcci-
dente quella ai Róma, F Oriente quella d'An-
tiochia^ ed il mezzogiorno quella d Alessandria.
Non è però che sopra tutta Europa esercitasse
la sua potestà patnarcale quel cu Romaj ov-
vero quello d'Antiochia per tutta FAsia , e F al-
tro d'Alessandria in tutta FAffiìca: ciascuno,
come s'è veduto nel secondo libro, non esten-
deva la sua potestà che nella diocesi a sé sot-
toposta ; F altre ubbidivano agli esarchi propri ;
e molti altri luoghi ebbero ancora i loro ve-
scovi autocefali, cioè a niun sottoposti. Tali
furon in Oriente i vescovi di Cartagine e di
Cipro. Tali furon un tempo nell' Occidente i
vescovi della Gallia, della Spagna, delia Germa-
nia e dell' altre più remote regioni. Le chiese de'
Barbari certamente non furon soggette ad alcun
patriarca , ma si govemavan da' loro propri ve-
scovi. Cosi le chiese d'Etiopia, della Persia, del-
l' Indie e dell' altre regioni eh' eran fuori del ro-
mano imperio , da' lor propri sacerdoti venivan
governate.
Vide ancora F Oriente un altro patriarca, e fu
quello di Gierusalemme. Se si riguarda la dispo-
sizione dell'imperio, non meno che il vescovo
LIBRO TEiàO l53
di Bisanzio j merìtava tal prerogatiTa il vescovo
di Gierusalemme 3 e siccome quegli era suffira-
ganeo al metropolitano d^ Eraclea nella Tracia^
così questi era suffiraganeo al vescovo di Cesarea
metropoli della Palestina. Ma forse con più ra-
gione si diedero gli onori di patriarca al vescovo
di Gierusalemme. Fin da^ tempi degli Apostoli
fu riputato un gran pregio il sedere in questa
cattedra posta nella città santa , dove il nostro
Redentore istituì la sua Chiesa y e dalla quale il
Vangelo per tutte l'altre parti del mondo fu di»-
seminato 3 dove TAutor della vita conversò fra
noi j ove di mille sanguinosi rivi lasciò asperso
il terreno:
Dove mori, dorè sepolto fue.
Dove poi rÌTetU le membra sue.
Ma se altrove in ben mille esempi si vide
come la polizia della Chiesa secondasse quella
dell'imperio, e come al suo variare mutasse an-
cor ella forma e disposizione, certamente per
niun altro convincesi più fortemente questa ve-
rità , che per Fingrancumento del patnarcato di
Costantinopoh. Da che Costantino il Grande
rendè cotanto illustre e magnifica quella città ,
che la fece sede dell' imperio d'Oriente, con im-
pegno di renderla uguale a Roma, e che fosse
riputata dopo quella la seconda città del mon-
do y cominciò u suo vescovo anch' egli ad estol-
lere il capo, ed a scuotere il giogo del proprio
metropolitano. Per essere stata riputata Costanr
tinopoli un^ altra Roma, ecco che ixel concilio
costantìnopohtano f) vengono al suo vescovo
O Conc CoDiUntin. «ap. 3.
l54 ISTORIA DKi; RKGirO DI HAPOLI
conceduti i primi onori dopo quella, eo auod
sii nwa Roma. Cosi quando prima, dopo il ro-^
mano, i primi onori erano del patriarca d^Ales-
aandria , sottentra ora qneDo di Costantinopoli
ad occupare il suo luoga Eg^ è vero, come
ben pruova Dupino O9 <2he i soli onori. furon
a lui dal concilio conceduti, non già veruna pa-
triarcal giurisdizione sopra le tre .diocesi auto*
cefale: ma tanto bastò, che col specioso pre-
testo di questi onori cominciasse e^ le sue
intraprese ; non passò guarì che invalse la Tra-
cia, ed esercitando ivi le ragioni esarcali, si
rendè esarca di quella diocesi ed oscurò le ra-
gioni del vescovo di Eraclea.
Dopo essersi stabilito nella Tracia , lo spinse
la sua ambizione a dilatar più oltre i suoi con-
fini : invade le vicine diocesi, cioè FAsia e Ponto,
ed in fine al suo patriarcato le sottopone. Non
in un tratto le sorprende, ma di tempo in tempo
col favor de^ concilii, e piò degP imperadorì. San
Giovanni Crisostomo più di tutti gli altri ve-
scovi di Costantinopoli aprì la strada d^ intera-
mente occuparle : in fine venne ad appropriarsi
non solo la potestà d^ ordinar egli i metropolitani
dell^Asia e di Ponto , ma ottenne legge daU^ im-
peradore , che niuno senza autorità del patriarca
di Costantinopoli potesse ordinarsi vescovo j
onde appoggiato su questa legge, si fece lecito
poi orcÙnare anche i semplici vescovi. Ecco come
1 patriarchi di Costantinopoli occuparono PAsìa
e Ponto j dio che poi, per render più ferme le
loro conquiste, si fecion confennare dal conciho
O Dupin. loc. cit. dissert 1.
LIBRO TERZO l55
di Calcedonia e dagli editti degP imperadorì (i).
S^ opposero a tanto ingrandimento i ponte-
fici romani: Lione il Santo glie le contrastò:
il simile fecero i suoi successori , e sopra tutti
Gdasio (2)9 che tenne la cattedra di Roma dal-
Fanno 49^ ^^ all^anno 49^* ^^ ^^^ ^ ^^^
sforzi riusciron vani ] poiché tenendo i patrìal^
chi di Costantinopoli tutto il favor degPimpe-
radori, fìi loro sempre non ^meno confermato
il secondo grado d' onore dopo il patriarca di
Roma, che la giurisdizione in Ponto , nell'Asia e
nella Tracia. L'imperador Basilisco in un suo
editto rapportato da Evagrio (3) glie le ratifi-
cò : r imperador Zenone fece V istesso per una
sua costituzione eh' ancor si legge nel nostro
C!odice (4)7 e finalmente il nostro Giustiniano
con la sua Novella (5) secondando quel che da'
canoni del concilio di Calcedonia era stato sta-
tuito y comandò il medesimo. Ciò che poi fii ab-
bracciato dal consenso della Chiesa universale }
poiché essendo stati inseriti i canoni de' con-
cilii costantinopoUtano e calcedonese ne' Co-
dici de' canom delle chiese, fu ne' seguenti
secoli tenuto per costante j il patriarca di Co-
stantinopoli tener il secondo grado d'onore, e
la giurisdizione sopra tutte e tre quelle diocesi.
Ecco come questo patriarca si lasciò indie-
tro gli altri tre eh' erano in Oriente. Quelle tre
sedi non pure per lo di lui ingrandimento e
(1) Liberal, in Breviar. e. i3.
(3) Gclas. Epìsf. 4* ci Ep. i3 ad Epitcopos.
(3) Cvagr. L 3. e 3.
(4) L. decemimufl 16. C. de Sacros. Eccl.
(5) NoT. i3i. e. I.
l56 ISTORIA DSL EEGMO DI NAPOLI
per le frequenti scorrerie de^ Barbari che ia--
yasero le loro diocesi^ ma assai più per le se*
dizioni e contrasti che sovente insorsero- fi*^
loro intomo all' elezioni e inUumo a* dogmi ed
alla disciplina y perderono il loro antico lustro e
splendore; e da allora itmaiud con quest^ ordine
SI cominciarono a numerare le sedi patriarcali y
la Romana^ la Costantinopolitana » F Alessandri-
na, FAntiochena e la Gierosolimitana. Quest^ or-
dine tenne il concilio di Costantinopoli cdebrato
ndFanno 536. Questo medesimo tenne Giusti-
niano nd Codice e nelle sue Novelle , e tennero
tutti gli altri scrittori non meno greci che la-
tini. Non ancora però il nome di patriarca erasi
ristretto solamente a questi cinque: alcune volte
soleva ancor darsi ad insigni metropoUtani: cosi
nel sopraccitato concilio di Costantinopoli si
diede anche ad Epifanio vescovo di Tiro; e
Giustiniano così nel (i) Codice come nelle (2)
Novelle dà generalmente questo nome agli esar-
chi eh' avevan il governo di qualche diocesi : non
molto da poi però in Oriente questo nome si re-
strinse a que soli cinque.
Ma in Occidente si continuò come prima a
darsi ad altri vescovi e metropoUtani. In Italia
il nostro re Atalarìco appresso Cassiodoro (3)
chiamò i vescovi patriarchi , ed il romano pon-
teGce lor capo lo chiamò per tal riguardo ve-
scovo de' patriarchi. Da Paolo Wamefrido (4)
i vescovi aAquileia e di Grado sono anche
^i> Cod. 1. I. tit. 3. r. 47* et tit. 4^.- e. 34.
(2) NoY. 3. e. a. NoT. 6. e. 3. Epilog. Noy. 7.0! ia3. e. aa. a3.
(3) Gas. 1. (). e. i5.
(4) Paul. Warnefir. 1. 3. e. 7. 1« 6. e. 1 1. ci 1. 4* c« 10.
LIBEO TERZO ìS*]
nomati patriarchi. In Francia questo nome fu an-
che dato a^ più celebri metropolitani ed depri-
mati. Gregorio di Tours (i) chiamò Nicezio pa-
triarca di Lione. Il concUio di Mascon, celebrato
nellUnno 585 ^ chiamò Prisco vescovo di quella
città anche patriarca (2). Desiderio di Gahors
. appellò ancora Sulpizio vescovo di Bourges pa-
triarca : ed Incmaro di Rems non distingue i pa-
triarchi da' primati (3). Cosi ancora nea Affrica
il primo vescovo de' VandaU assunse il nome
di patriarca y ciò che non senza riso fii inteso
da* vescovi cattolici; ed in decorso di tempo
presso a quelle nazioni che si riducevan alla
fede di Cristo j il primo vescovo eh' era loro
datO; fii detto patriarca. Ridotta la Bulgaria alla
nostra fede j V arcivescovo che se le diede, ed
i suoi successori presero il nome di patriarca.
Simili patriarclii hanno ora i Cristiani d'Orien-
te (4); dove toltone queUi che propriamente
si dicono Greci, i quah rìtengon tuttavia i quat-
tro patriarchi, il Costantinopolitano, FAlessandri-
110, l'Antiocheno e '1 Gerosolimitano , ancorché
ì pontefici romani soglian essi parimente crear-
gli titolari: quante sette vi sono, altrettanti pa-
triarchi si contano. Così i Giacobiti hanno il lor
patriarca : hannolo i Maroniti , e gU uni e gli al-
tri prendon il nome di patriarca d'Antiocliia. I
Copnti hanno ancora il patriarca che si fa chia-
mare Alessandrino , e tien la sua sede in Ales-
sandria. GU Abissini hanno il loro che regge tutta
(0 Grog. TiiroD. 1. 3. hist. e. so.
(a) Tom. 5. Concil. col. pSo.
(3) llinciiiar. in lib. Capit.. 55. e. 17.
(4) Dtipin. loc. cit. diascr. i.
l58 ISTORIA DEL iREGNO DI NÀPOU
F Etiopia, ancorabè al patriarca de^ Gophti sia
in qualche maniera soggetto. I Giorgiam hanno
un arcivescovo autocefalo a niun sottoposto. Gli
Armeni hanno due generali patriarchi: il primo
siede in Arad città delFAnnenia^ P altro m Gis
città di Caramfuiia.
Abbìam veduto quanto s^ innalzasse il pa-.
triarca di Costantinopoli sopra ^ altri patriar-
chi d'Oriente, e quanto stendesse i coimni del
soo patriarcato in questo secolo fin alP impe-
rio ai Giustino. Ne' due secoli seguenti lo ve-
dremo fatto assai più grande • volare sopra al-
tre Provincie e nazioni j poicnè non contenta
la sua ambizione di questi confini, ne' tempi
di Lione Isaurico lo vedremo occupare EDlin-
co, Epiro, Acaia e la Macedonia: lo vedrem
ancora soggettarsi al suo patriarcato la Sicilia
e molte chiese di queste nostre provincie, e
contendere in fine col pontefice romano per la
Bulgaria e per altre regioni.
S ni.
Polizia ecclesiastica di queste nostre provincie sotto
I Goti e sotto i Greci jin 4;^ tempi di Giustino IL
Teodorìco e gli altri re Ostrogoti suoi suc-
cessori, ancorché arrìani^ lasciarono, come si
è detto, le nostre chiese in pace; e quella me-
desima polizia che trovarono, fii da lor man-
tenuta inviolata ed intatta. H pontefice romano
vi fu mantenuto, ed in queste nostre provin-
cie, come suburbicarie, esercitava come prima
r autorità sua patriarcale , anzi era riconosciuto
LIBRO TERZO iSq
come patriarca insieme e metropolitano } poi-
ché ìnfin a questi tempi le nostre metropob , in
quanto alla polizia ecclesiastica , non ebbero ar-
civescovo o metropolitano alcuno. Nelle città ^
corner prima ^ erano semplici vescovi; ricono-
scenti il pontefice romano come lor metropo-
litano: quindi Alalarìco (i), che aWescovi so-
leva dar anche il nome di patriarca, chiamoUo
vescovo de^ patriarchi £ se in alcune città d** I-
taHa nel remo de^ Goti e de^ liOngobardi an-
cora ^ i quau fnron parimente arrìani, si videro
in una stessa città due cattedre occupate da
due vescovi , F uno cattoUco , T altro arrìano i
in queste nostre provincie , le quali si manten-
nero sempre salde , e non furon mai contami-
nate dagli errori d^Arrio , i vescovi professaron
tutti la fede di Nicea y e serbaron le lor chiese
pure ed illibate , e mantennero gli antichi dogmi
e quella disciplina che serbava la romana Chiesa
loro maestra e condottiera. I vescovi govema-
van le lor chiese col comun consiglio del pre-
sbiterio. Non si ravvisava in quelle altra gerar-
chia , se non di preti, diacom, sottodiaconi ,
accoliti, esorcisti^ lettori ed ostiarìi,
I vescovi eran ancora eletti dal clero e dal
popolo, 6 ordinati dal papa, come prima, an-
corché il favor de^ principi vi cominciasse ad
avere la sua parte. Grozio (2) portò opinione
che i re goti, o arrìani o cattoUci che fosse-
ro, semper episcoporum electiones in sua pò-
testate fiabuere; e rapporta essersi anche ciò
(1) CoA. I. 9 c. i5.
(3) Croi, in Proleg. ad hist. Got,
]6o ISTOMA DEL UGNO DI NAPOU
oasenrato da Giovanni Ganda : ma da' nostri
re goti non si vide sopra ciò^ essersi usata al-
tra potestà I se non qudla cb* esercitarono gFim-
peradorì , cosi d' Occidente y - come d' Oriente^
Essi; come custodi e protettori ddla ^Gliiesa,
e come quelli che reputavano appartener loro
anche il governo e 1 esterior polizia delia me-
desima, credettero essere della lor potestà ed
incumbenza di regolare jcon loro leggi V elezio-
ni, proibire F ambizioni, dar riparo a* disor-
dini e tumulti sediziosi, e sovente prevenir^;
riparar gii sconcerti che aUo spesso accadevan
per le fazioni delle parti, e far decidere le con-
troversie che per queste elezioni solevan sor-
!;ere: ma reiezione al clero ed al popolo la
asciavano , siccome F ordinazione a' vescovi
provinciali, ovvero al metropolitano. Odoacre re
degli Eruli, più immediato successor di Teodo-
rico in Italia alle ragioni degF imperadori d'Oc-
cidente, nell'elezione del vescovo di Roma e
degli altri d' Italia vi volle avere la medesima
parte: Basilio suo prefetto pretorio v'invigilò
sempre, anche come e^ diceva, per ammoni-
zione del pontefice SimpHcio, il quale gF inca-
ricò, che morendo y niuna elezione si facesse
senza il suo consiglio e guida 0*
Ad esempio di quel che fece Fimperador
Onorio nello scisma della Chiesa di Roma fra
Bonifacio ed Eulalio, si osserva che Teodo-
rico usasse della medesima autorità per F altro
insorto ne' suoi tempi in Roma fra Lorenzo e
O CoBc. RomaB. snb Sjminac. e bene i. di»i. 96.
LIBRO TERZO l6l
Simmaco. Per la morte accaduta nd fine del-
r anno 49^ ^ P^^ Anastasio , jpretendevana
ambedue essere innalzati su quella sede. Sim*
maco diacono di quella Cjiìesa fu da maggior
numero eletto ed ordinato: ma Festo aenator
di Roma, ch^avea promesso aU'ìmperador Ana*
stasÌQ dì &r deggere un papa die sarebbe
stato d[>bidiente a suoi desiaeriij fece leg-
gere ed ordinare Lorenzo. I due partiti pop*
tarons' in Ravenna a ritrovare il re Teodonco,
il quale giudicò clie dovesse rimaner vescova
di noma colui il quale fosse stato eletto il
primo, ed avesse avvito il maggior numero de'
suffragi, Simmaco avea sopwa Lorenzo ambe-
due questi vantaggi ; onde fu confermato nel
possesso di quella sede, e nel primo anno del
suo ponlifìcato tenne un concilio , dove furon
di nuovo fatti alcuni canoni per impedir nel-
r avvenire le competenze in simili elezioni.
Quelli die s'eran opposti all'ordinazione di Sim»
DUCO, vedoidolo tor mal grado in possesso, fe-
cei-o tutti i loro sforzi perchè ne fosse scaccia-
toj gli attribuiron perciò motU delitti, sollevaron
una gran parte del popolo e del senato contro
di esso, e domandaron al re Teodorico un vi-
sitatore, cui delegasse la conoscenza di queste
accuse. Teodorico nominò Pietro vescovo di
Aitino , il (pale precipitosameate e centra il
diritto spogliò incontanente il papa dell'am-
ministrazione della sua diocesi e di tutte le fa-
coltà ddla Chiesa. Questa azione sì precipitosa
eccitò in Roma gravi sconcerti e perniziosì tu-
multi : Teodorico per acquetargli fece tosto nel>
l'anno 5oi convocare un concilio in Roma, al
Gianhore, T^ol. Il, Il
162 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
quale invitò' lutti i vescovi (Tltalia 0- Vanda-
ron quasi tutti i vescovi della nostra Campagna j
quel di Capua^ di Napoli ^ di Nola^ di Cuma,
di MisenO; di Pozzuoli ^ di Sorrento, di Stabia^
di Venafro, di Sessa^ d^Alife, d^ Avellino; ed al-
cuni altri dell^ altre città di questa provincia. Dal
. Sannio vi si portarono i vescovi ai Benevento,
d^Isemia, di Boiano, d'Atina, di Chieti; di Ami-
temo ed altri.
Da queste due provinole^ come piò a Roma
vicine, ve ne andaron moltissimi: dalF altre due,
come dalla Puglia e Calabria, e dalla Lucania
e Bi*uzio, come più da Roma lontane e più a^
Greci vicine, ve ne andaron molto poclii. Vi
vennero ancora i vescovi d'Emilia, di Liguria
e di Venezia , i quali passando per Ravenna ,
parlaron a Teodorico in favor di Simmaco; ed
essendo giunti in Roma, senza volere impren-
dere ad esaminare l'accuse proposte contro Sim-
maco, lo dichiararono innanzi al popolo inno-
cente ed assoluto, e s'adoperaron in guisa col
re Teodorico, che si contentò di quella senten-
za; ed il popolo col senato ch'erano molto ir-
ritati contro al papa, si placarono, e lo rico-
nobbero per vero pontefice. Restarono tuttavia
alcuni mal contenti che produssero contra quel
sinodo una scrittura : ma Ennodio' vescovo di
Pavia vi fece la risposta, la quale fu approvata
in un altro concilio tenuto in Roma neir anno 5o3,
nel quale la sentenza del primo sinodo fu con-
fermata. Le calunnie inventate contra Simmaco
O Paul, Warncfrid, Zonaias, Grot. in rrolegoni, ad His. Got.
LIBRO TERZO l63
passarci! fino in Oriente, e l'imperador Ana-
stasio ch^ era separato dalla comunione della
Chiesa romana, glie le rinfacciò: Simmaco eoa
una scrittura apologetica si giustificò assai bene^
il quale mal grado de^ suoi nemici dimorò pa"*
cifico possessor di quella sede fin all^anno 5 14
che fu quello della sua morte.
Fu in questi tempi riputato così proprio de*
principi di regolare queste elezioni, per evitar
gli ambimenti e le sedizioni, che Atalarico mosso
da' precedenti scismi accaduti in Roma per l'e^
lezione de' loro vescovi, volendo dare una norma
neir avvenire, affinchè non accadessero consimili
disordini, imitando gl'imperadori Lione ed An-«
temio , fece un rigoroso editto ( che dirizzò a
Giovanni II romano pontefice, il quale nell'an-»
no 532 era succeduto a Bonifacio su la sede di
Roma) con cui regolò l'elezioni non solamente
de' pontefici romani, ma anche di tutti i me-
tropolitani e vescovi} imponendo gravissime
pene a coloro i quali per ambizione o per de-
naro aspirassero ad occupar le sedi, dichiaran-
dogli sacrilegi ed infami, e die oltre alla resti-
tuzion del denaro ed altre gravi ammende, da
impiegarsi alla reparazione delle fabbriche delle
chiese ed a' ministri di quelle, sarebbono stati
severamente puniti da' suoi giudici; e le lor ele-
zioni, come simoniache, avute per nulle ed in-
valide. Diede con questo editto altre providenze
per evitar l'altercazioni e litigi sull'elezioni, le
quali riportate al suo palazzo da' popoli , egli
n'avrebbe tosto presa cura e dato provedimen-
to : dichiarando che ciò ch'egli stabiliva per
questo suo editto, s'appartenesse non solo per
l64 ISTORIA DEL REGNO DI HAPOLI
reiezione del vescovo di Roma^ sed etiam ad
universos pairiarchas, aique metropolitanas eo
clesias. Fu questo editto istronientato per Gas-
siodoro (i)^il quale ancorché cattolico e nelle
cose ecclesiastiche versatissimo ^ tanto che oggi
vien annoverato fra li non inferiori scrittori della
Chiesa^ e da alcuni riputato per santo, forse per-
chè mori monaco Cassinese (2) , non ebbe alcun
riparo di non solamente istrumentarlo , ma con-
sigharlo ancora , come assai opportuno al suo
principe; né fu riputato , secondo le massime
di quésto secolo, estranio e lontano dalla sua
real potestà. Fu dirizzato a papa Giovanni II,
che lo ricevè con molto rispetto e stima, né
se ne dolse: anzi se è vero esser £^a quelite-
pistola che leggiamo fra le leggi del Codice (3)^
scrìtta air imperador Giustiniano , dove tanto
commenda il suo studio intorno alla disciplina
ecclesiastica (poiché Ottomano (4) ed altri (5)
ne dubitano, ancorché venga difesa da Fachi-
neo (6)) si vede che questo pontefice non con-
trastò mai a' principi quella potestà che s'at-
tribuivano sopra la disciplina della Chiesa. E di
vantaggio Atalarìco lo mandò ancora a Salvan-
zio (7), che si trovava allora prefetto della città
di Roma, acciocché dovesse senza frapporvi di-
mora pubbUcarlo al senato e popolo romano :
CO Cassiod. 1. 9. 0. i5.
Ca) P. Garct, in Vita Cagsiod.
(3) L. intcr. claras , Cod. de summa Trinit. et fld. cath.
C4) Hot. 1. obs. 7. e. a.
C5) V. Alciat. 1. 5. par. e. a 3. Cujac' obs. Sa. r. a6.
(fi) Fachin. controv. 1. 8. e. i.
(7) Cassiod. 1. 9. e. 16.
LIBRO TERZO l65
anzi perchè di ciò ne rimanesse perpetua me-
moria ne^ futuri secoli , ordinogli che lo facesse
scolpire nelle tavole cU marmo ^ le quali dovesse
egli porre avanti V atrio di S. Pietro Apostolo
per pubblica testimonianza (i).
Vollero i re goti, come successori degPim-
peradori d'Occidente, mantener tutte quelle pre-
rogative che costoro avevan esercitate intomo
all'esterior polizia ecclesiastica, delle quali ne ren-
dono testimonianza le tante loro costituzioni, re-
gistrate nell'ultimo libro del Codice di Teodosio.
Cosi appartenendo ad essi lo stabilire ì gradi
dentro a' quali potevan contraersi le nozze (2),
vietare i matrimonii ne^ gradi più prossimi, di-
spensargli per mezzo di loro rescritti (3) , ed
aver la conoscenza delle cause matrimoniali^
non dee parer cosa nuova se tra le formole
dettate da Cassiodoro (4) si legga ancora quella
de' nostri re goti formata per le dispense che
solevan concedere ne' gradi proibiti aalle leggi.
Cosi ancora imitando ciò che fecero gl'impera-
dori d' Occidente e d' Oriente, di non permettere
assolutamente e senza lor consenso a' loro sud-
diti di ascriversi alle chiese o monasteri, di che
ne restano molti vestigi nel Codice Teodosiano,
fu de' Goti ancora, come scrive Grozio (5), non
(1) Leges olirn in atriis Ecclesiae locabantar. Ciijac. 1. i. Feud.
tìL 17. JureL ad Cassiod. 1. 9. e. 16.
(a) L. 3. l. 16. C. Th. de. incrst. nnpt. Ambr. Epist. 65. ad
Patem. 1. 8. 1. si quis , C. de incestis. nup. 1. in celehrandis ,
C. de nupt.
(3) L. 1. C. si nuptiac ex re^ripto pctantur. V. Launojo in
Trart. Regia in matnmon. poiestas pari. 3. art. 1.
(4) Cassio<l. 1. 7. e. 4^.
(5) Grot. in Prolej^. ad Hist. GoL
l66 ISTORIA. DEL REGNO DI PIAPOLI
minus laudanda cautio, quod subditorum suo-
rum neminem permisere se Ecclesiis, aut mona"
steriis manciparey suo impcrmissu.
La medesima polizia intomo a ciò fu ritenuta
in queste nostre provincie^ quando da' Goti pas-
sarono sotto gFimperadori d'Oriente, e molto
più sotto r imperio di Giustiniano. GFimperadori
d^ Oriente calcaron ancora le medesime pedate^
e delFimperador Marciano, che in ciò fu il più
moderato di tutti, siccome scrisse Facondo (i)
TescoYO d^Ermiana in Afiìrica, si leggono molti
editti appartenenti all'esterior polizia della Chie-
sa. L'imperador Lione, imitato da poi da Ata-
larico , proibì ancora a' vescovi F elezione per
ambizione e per simonia ; ed oltre alla pena della
degradazione imposta dal concilio di Calcedonia,
v'aggiunse egli quella dell'infamia 5 ed Aiiteinio
fece il medesimo (2). Ma sopra tutti gli altri im-
Seradori d'Oriente, Giustiniano fu quegli che
ella disciplina ecclesiastica prese maggior cura
e pensiero: donde nacque che gli ultimi impe-
radori d'Oriente, non sapendo tener poi in ciò
regola né misura, s'avanzaron tant' innanzi , che
finalmente sottoposero interamente il sacerdozio
alF autorità del principe. Le sue Novelle per la
maggior parte sono ripiene di tanti editti sopra
la disciplina della Chiesa, che \ien perciò egli
arrolato nel numero degH autori ecclesiastici.
Egli più leggi stabilì intorno alFordinazion de'
vescovi, della loro età, de' requisiti che debbon
(i) FacunH. I. io. r. 3.
(a) Jacob. Got. in Cod. Th. t. 6. AnUicm. I. si qiirmqiiam ,
C. de Episr. et Clrricis.
LIBRO TERZO 167
aver coloro per esser eletti e promossi al ve-
scovado ; della loro residenza^ oell^ loro nazione
e privilegi; ed inSnite altre cose a quelli appar-
tenenti. Regolò le convocazioni de^ sinodi e de^
concilii, e loro prescrisse il tempo. Diede vani
provedimenti intomo a^ costumi e condotta de^
preti; diaconi e sottodiaconi; alle loro esen-
zioni e cariclie personali. Fece molti editti ri-
guardanti la degradazione de' cherìci; ed intorno
alla regolarità e professione de' monaci. Diede
con sui! leggi maggior forza e vigore a' canoni
che furono stabiliti in varii concilii; imponendo
a' metropolitani; a' vescovi ed a tutti gli eccle-
siastici P osservanza di essi; aggiungendo gravi
pene a coloro che a quelli contravvenissero,
d'esser deposti e degradati dal loro ordine: e
moltissimi altri editti sopra le cose ecclesiasti-
che stabili; che possono vedersi nelle sue No-
velle e nel suo Codice.
Appartenevasi ancora all'economia del prin-
cipe impedire a' vescovi l' abuso delle chiavi.
Così quando essi s'abusavano delle scomuniche; .
tosto lor s'opponevano; e Giustiniano stesso con
sua legge (i) proibì a' vescovi le scomuniche;
se prima la cagione non fosse giustificata : e ne^
Basilici ancor si vede con particolar legge (2)
proibito a' vescovi di scomunicar senza giusta
cagione; e quando non concorrano i requisiti da'
canoni prescritti. Quindi avvenne che i principi
ne' loro reami; che in Europa stabilirono dopo
la decadenza dell'imperio romano ;. vi vcJlero
(1) Nov. 3a3.
(3) Ba^il. Ii1>. 3o. C. tic EpÌ!»ropii ci Clericiii.
l68 ISTORIA DEL RfiCIlO DI HÀPOLI
mantenere questo diritto, come praticano gli
Spagnuoli ed i Franzesi, e come ancora veggìamo
tuttodì in questo nostro, reame; di che altrove
ci sarà data occasione d mi più lungo discorso.
Né in qnesti tempi furono queste leggi reputate
come eccedenti la potestà imperiale; anzi furon
queste di Giustiniano comunemente riccTute non
men in Oriente che in Occidente , come ne ren*-
don testimonianza Giovanni Scolastico patriarca
di Costantinopoli^ S. Gregorio M. (i), Incma-
ro (2) ed altri. £ se non è apocrifa la stia epi-
stola che si legge nel nostro Codice (3) ^ di si
fatta cura e pensiero ch'egli mostrò verso F ec-
clesiastica discliplina, n'ebbe per commenda-
tore e panegirista Fistesso Giovanni romano
pontefice.
Le medesime pedate furon calcate da Giustino
suo successore, sotto l' imperio del quale ora veg-
giamo queste nostre provincie. Per la qiial cosa
non fu infin a questo tempo (per ciò che s'at-
tiene a questa parte) variata la polizia ecclesia-
stica di queste nostre provincie , ma da' Goti
e da' Greci fu ritenuta la medesima che si vide
ne' secoU precedenti salto i successori di Co-
stantino fin a Valentiniano IH imperador d'Oc-
cidente.
CO Grcg. lib. a. Episl. 54.
Ca) Hincmar. opusc. cap. 17.
(3) L. inter claras, C. de sammt Trìnk. et Fid. CaUli.
LIBRO TERZO 169
S IV.
D^ mo.'raci.
Cominciarono però in questo secolo le nostre
Provincie a sentir qualche mutazione per ri-
guardo del monachismo^ che di tali tempi ehbe
nelle medesime la perfezione e lo stabilimento.
Come si vide nel precedente libro^ non ancora
fino a' tempi di Valentiniano eransi hi queste
nostre parti stabiliti i sohtarii o cenobiti. Ma
ecco cn essendosi P ordine monastico perfezio-
nato in Oriente^ tanto per le leggi degPimpe-
radori^ quanto da^ varii trattati ascetici^ e di-
venuto sopra tutti gh ordini quello di S. Basilio
celebre e numeroso^ che in due nostre provincie
più a^ Greci vicine ^ cioè nella PugUa e Calabria,
nella Lucania e Bruzi, comincian a fondarsi in
alcune città delle medesime monasteri di quel-
r ordine che BasiUani furon appellati.
Nelle due altre, quanto più si Greci lontane,
tanto più a Roma vicine, cioè nella Campagna
e nel Sannio, vedi stabilito il monachisibo per
molte regole, ma sopra tutte per quella di S. Be-
nedetto , il cui ordine fu si avventuroso, che sta-
bilito nella nostra Campagna, si sparse in poco
tempo non solo per Fltalia, ma eziandio per la
Francia e per F Inghilterra.
S. Benedetto nacque in Norcia, città della
diocesi di Spoleto, verso Tanno 480. Fu con-
dotto giovane in Roma a studiare j ™^
O $• Oi^< in Vita S. Benedicti.
lyO ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
fastidito delle cose del secolo^ si ritirò in Su-
biaco 4^ miglia da Roma distante; e si chiuse
in una grotta^ ove dimorò per lo spazio di tre
anni, senza che alcuno ne avesse notizia, tol-
tone Romano monaco, il quale gli somministrava
dal suo vicino monastero il mangiare: essendo
stato poi conosciuto, i monaci d^un monastero
vicino, per la morte del loro superiore, F eles-
sero abate; ma i loro costumi non confacendosi
con quelli (li Benedetto, egli si ritirò di nuovo
nella solitudine, dove, visitato da molte persone,
vi fabbricò dodici monasteri, de^ quali T abate
della Noce rapporta i nomi e i luoghi dove fu-
ron fondati (i). Dì là passò nell^anno 529 nella
nostra Campagna (a) , e fermossi nel monte che
da Casino, antica colonia de' Romani, la qual
è nella sua costa, prende il nome, lontano da
Subiaco intorno a 5o miglia , e da Roma -70.
Quivi giunto, abbatte una reliquia di gentilità
ch'era in quell'angolo ancor rimasa presso. a'
Goti, ed in suo luogo v'erge un tempio che de-
dicò a' SS. Martino e Giovanni. I suoi prodigiosi
fatti ivi adoperati e la santità della sua vita
tiraron in quel luogo della gente, e molti sotto
la sua regola ivi rimasero. Si rendè vie più fa-
moso per l' opinione e slima che s' acquistò
presso a Totila re d' Italia , e presso a molti
nobiU romani: crebbe perciò il numero de' suoi
monaci, e vi s'arrolavan i personaggi più insi-
gni; ond'egli stese la sua regola, e gettò gli sta-
bili fondamenti di un grand' ordine.
Co Ab. de \iicr in noi. ad Vi!. S. Rencdicti.
(7Ì) V. Camil. Ft^llrgi*. in Serie ab. Casaiod. in princ.
LIBRO TERZO I^I
La divozione de^ popoli e la fama della sua
santità tirò ancora la pietà di molti nobili ad
arricchirlo di poderi e di facoltà. TertuUo pa-
trizio romano 9 vivendo ancor S. Benedetto, gli
donò tutto quel tratto di territorio eh' è d'in-
torno al monastero Cassinese (i), onde Zaccheria
in suo diploma disse esser quel monastero edi-
ficato in solo TertuUi (2) : donogh ancora molte
altre possessioni che e' teneva in Sicilia; e Gor-
donio padre dì S. Gregorio M. gli donò una sua
villa che possedeva ne contorni d'Aquino. Così
tratto tratto, non ancor morto S. Benedetto,
cominciò questo monastero a rendersi numeroso
ed illustre per la qualità de' suoi monaci, e ad
arricchirsi per le tante donazioni che alla gior-
nata gli si tacevano. La sua fama non potè con-
tenersi nella sola Campagna: si mandavan anche
monaci di sperimentata probità e dottrina a fon-
dar ncll' altre nostre provincie altri monasteri.
Cassiodoro , uno de' più illustri personaggi di
questo secolo, nell'età di «jo anni ritiratosi dalla
corte si fece monaco , e tratto dalla fama di
S. Benedetto eh' ancor viveva, volle ne' Bruzi,
e propriamente in Squillace suo natio paese,
fondarvi un monastero, che secondo pruova il
P. Garezio (3), e rapporta Dupino (4)? lo pose
sotto la regola di S. Benedetto, nella quale egli
viveva ; e venuto poi a governarlo , menò in
quello venticinque anni, che fu il resto di sua
vita, essendovi morto veccliissimo d'età di più
CO Lro OsL in Chron. 1. i. e. i.
(a) Ab. ciff Nucc ad Chr. Cassimi. lor. cit.
(3) P. GarcU in disser. de Vita Monaiit. Cassiod.
<4) O'i pin. in Biblinth. t. 5. .>rrulo ^.
in 2 ISTORIA DEL REGITO DI NAPOLI
di 95 anni^ verso Fanno 565 di nostra salute,
onde Bacon di Venilamio (i) lo fa quasi che
centenario.
Questo è il monastero Vivarìese , ovvero Ca-
steUese, di cui tratta ben a lungo il P. Gare--
zio monaco Benedettino della congregazione di
S. Mauro (a), fondato da Cassiodoro, di cui ne
fii abate, non molto lungi da Squillace a pie del
monte volgarmente chiamato Moscio, ovvero Car
stellese, da una villa di tal nome quivi vicina,
le cui radici vengono bagnate dal fiume Pelena ,
oggi detto di Squillace. Fu nomato Vivarìese^
perchè Cassiodoro, mentre occupava i primi
onori nella corte de* re goti, sovente soleva an-
dar a diporto a Squillace sua patria, ed in quella
villa, per la comodità ed abbondanza dell^ acque
di quel fiume che irrigava le radici del monte,
fece costruire molti vivai (3). Avendo da poi per
la caduta de^ Goti abbandonata la corte, ren-
dutosi monaco, quivi ritirossi, e costrusse in
quel luogo ove aveva i suoi vivai e poderi, que-
sto monastero, dove compose la maggior parte
delle sue opere, e nel quale ancora ebbe per
compagno Dionigi il Piccolo (4). Lo arricchì
delle sue possessioni e d^una biblioteca, e lo
rendè illustre e numeroso per molti monaci; fa-
cendo anche nella sommità di quel monte co-
struire molte celle per coloro i quaU dalla vita
monastica volevan passare air eremitica , e da
(1) Baco Histh. vilac et mortis, p. 534»
Ca) P. Garrì, in vita Cass. par. a. § 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12,
(3) Cass. lib. la. var. op. i5.
(4) Cass. 1. Divin. lect. e 29. S. Grog, ad Jo. Episc. Scyllacoiiin,
rp. 33. ì. 7. 'Rrgist. indici. 1.
LIBRO TERZO . lyS
cenobitì rendersi anacoreti e solitarii (i). Prima
di morire lasciò ivi per abati Calcedonio e Ge-
ronzio y V uno perone reggesse gli eremiti che
nella sotumità del monte Castellese eransi riti-
rati, r altro i cenobiti del monastero Virariese,
Il P. Garezio (2) rapporta ancora, che dopo la
sua morte per molti anni fu ritenuto da mo-
naci Benedettini; ma che poi vi sottentrarono
in lor luogo i Basilìani , che lungamente il ten-
nero, insino che per le susseguenti irruzioni de*
Saracini non fosse stato disfatto e minato. Così
non pur nel vicino Sannio e nella Puglia comin-
ciarono in questi tempi a fondarsi monasteri di
quest'ordine, ma ancne nelle provincjie più re-
mote e lontane.
Neil' ultimo anno di sua vita mandò S. Bene-
detto Placido suo discepolo in Sicilia a fondarvi
de' monasteri del suo ordine, dove colle dona-
zioni di TertuUo e divozione di que' popoli
fu propagato per tutta quell' isola. Altre missioni
in questi meaesimi tempi si fecero nella Fran-
cia, dove S. Mauro, Fausto e' suoi compagni vi
fecero meravigliosi progressi. Morì S. Benedetto,
secondo Lione Ostiense ed altri, nell'anno 543,
ovvero secondo alcuni altri nell' amio 547 ) ^^^^
essendo ancor appurato presso agU scrittori
il preciso giorno ed anno della sua morte ; di
che l'abate della Noce (3), come d'un punto
d'istoria nK»lto importante, tanto s'affatica e
si travagUa. Ma per la di lui morte crebbero
(1) CaM. L Divin. Icct. r. Sa.
(3) Garct. loc. cit. g 13.
(3) Ab. de Mucc p. 93.
1^4 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
e s^ avanzaroii più tosto le fortune al suo
ordine ] imperocché da poi assai più moltìplica-
ronsi i monasteri, e si stese non pur in Italia ^
Sicilia e nella Francia , ma ancora nell^Lighil-
terra e nelF altre più lontane provincie del-
l'Europa.
In cotal guisa queste nostre due provincie ^
la Campagna ed il Sannio^ videro in maggior
numero i monasteri di quest^ ordine^ i quali nel-
r altre due provincie, come più remote, furon
più radi 3 ma ben air incontro più numerosi
quelli fondati sotto la regola di S. Basilio. La
Puglia e la Calabria, il Bruzio e la Lucania, e
le città marittime della Campagna, come Napo-
li, Gaeta, Amalfi ed alcune altre, che per la
maggior parte lungo tempo dimorarono sotto
gV inipcradori d'Oriente, come più a' Greci vi-
cine, e co' quali aveano assai più frequenti com-
merci, ricevettero con maggiore prontezza i loro
istituti ; ed in Oriente essendo la regola di S. Ba-
silio assai celebre e rinomata, quindi avvenne
che tutti o la più parte de' monasteri che vi
si fondavano, sotto quell' ordine erano istituiti.
In Napoli S. Agnello lu il primo, per quanto si
sa , che vi stabihsse un monastero , cominciato
prima da S. Gaudioso, di cui egli ne fu abate.
Alcuni (i) credettero che S. Agnello seguitasse
la regola di S. Benedetto} ma il P. Caracciolo (2)
pruova assai chiaro che fu monaco Basiliano.
il quale trovando che S. Gaudioso, quando si
(0 Rror. in hisr. Trilìirm.
(2) Carar. Monnm. San-, Nrap. de S. Agnello Abbate. Ughell.
de KpiM;. Ncap. tom. G. p. 75.
LIBRO TERZO 1^5
ricopro in P^apolì, dove morì l'anno 4^3, avanti
che fosse nato S. Benedetto , v' avea eretto un
monastero^ egli vi stabilì la regola di S. Basi-
lio ] ordine che in que^ tempi erasi renduto as-
sai celebre e rinomato. Né queUo passò sotto
la regola di S. Benedetto , se non ne* tempi pò- *
steriori^ morto Agnello^ dopo Famio Sgo^ quando
i Benedettini cominciaron ad essere più consi-
derati e si renderon piò famosi. Molto tempo
da poi, ne* secoli men a noi remoti, verso Pan-
no i5i7, fu abitato da* canonici regolari della
congregazione del Salvatore (i), siccome oggi-
giorno vi dimorano. E così in questo sesto se-
colo , come ne' secoli seguenti si videro in Na-
poli molti di questi monasteri sotto la regola
di S. Basilio , come il monastero Gazarese nella
piaggia dì mare, de* SS. Nicandro e Marciano ,
di S. Sebastiano, de* SS. Basilio ed Anastasio
nella regione Amelia, dì S. Demetrio nella re-
gione Albina, di S. Spirito ovvero Spiridione,
di S. Gregorio Armeno nella regione Nostriana,
di S. Maria di Agnone, di S. Samona, de' SS. Qui-
rico e Giulitta ed altri ed in Napoli ed al-
trove (!2).
Ecco come in queste nostre provincie fos-
sero stati introdotti i monasteri. I primi che
vi comparvero , furono sotto la regola di S. Ba-
silio e di S. Benedetto; e quindi essendosi già
introdotte le comunità di donzelle , le quali f a-
cevan voto di virginità , e dopo certo tempo
ricevevano con solennità il velo, si videro
(i) Ugb. loc cit. p. So.
(9) I\ Carac. loc, cit. Ugh. loc. cH.
1^6 ISTOKU DEL BECNQ DI NAPOLI
parìmenti i raonasterì di donne soUo la reg(^ di
S, Benedetto, cV ebbero ancora per loro cod-
dottìera Scolastica di lui sorella, e sotto quella
dì S. Basilio, che sono ì più antichi che rav-
visiamo in queste nostre prorincie. G>8Ì presso
di noi fu sUubiUto Tordine monastico, il quale
perb in questi tempi non avea fatti que^ mara-
Tigliosi progressi che si sentiranno in appresso.
Né ^ aDati e' monaci erano stati ancora sot-
traili dalla giurisdizione de^ veacoTÌ, nà lor con-
ceduti que' tanti privilegi da' ponte6ci romani .
ì quali per averli a sé devoti e ligìi da poi
lor conce.dettono. Si rendè perciò il monte Ca-
sino uno de' due più celebri santuari] ch'ebbero
in quesl'etù le nostre provincie, ove concorre-
van i peregrini da tutte le parti del mondo.
Un altro in questi medesimi tempi era surto in
Puglia nel monte Gargano per l'apparizione dì
S. Michele, che narrasi accaduta in quella grotta
a tempo di papa GeLnsio , mentre la sede di Si-
ponto era occupata dal vescovo Lorenzo. San-
tuarii che nel regno de' Longobardi e de' Nor-
manni si renderò» così chiari e rinomali, che
jier la loro miracolosa fama tiraron a sé non
pur i peregrini dalle più remote parli del mondo,
ma anche i maggiori re e monarchi d' Europa >
ed ì più potenti principi della terra.
$ V.
Regolamenti eccUtiastici, e nuove collezioni.
I regolamenti ecclesiastici si videro in questi
tempi, non men iulorao a' dogmi, che alla
LIBRO TERSO 1 77
disciplma , assai più ampii e numerosi. CoU* oc-
casione a essersi convocati più sinodi e con-
cilji , si stalùliron in conseguenza moltissìnii
canoni. & cominciò a stabilirne anche (U quelli
ches'appaiieneraao alla potestà de* principL I
gradi di parentela cbe [Hima si regOKiTaDo se-
condo le leggi civili, furon anche regolati da* ca-
noni, e le proibiùoni delle nozze furono stese a*
cugini ed a figliuoli de* cugini. Teodosio M. area
prima proibite le nozze ira* cugini y il cbe coit-
lermaron Arcadio ed Onorio sixa figliuoli, come
attesta S. Ambrosio (i) ■ Giustiniano p<M le per-
mise {ay-f onde TViboniano volendo inserir nel
suo Codice la legge di Teodosio (3>, la smo^
xic& sconciamente per non farla contrad<^re a
ciò che Giustiniano avea su ciò variato (4)* ^
canoni ora le proibbcono, non pur fra' cugini^
come avea fatto Teodosio, ma anche fra' fi^uc^
di quelli} ed introdusser poi un nuovo modo
di computare ì gradi, che Cuiacio (5) stima non
esser più antico di S. Gregorio Ai. e dd papa
Zaccberia. Non s'eran ancora intesi regolamenti '
intorno alle facoltà delle chiese; ma essendo in
questi tempi cresciute e malmenate dagli eccle-
siastici, sì cominciò a &r de' canoni po' impe-
dirne il dissipamento e ralÌMiaziom. Era della
potestà de' princìpi il proibir 1' op«'e sa:vili nel
di di domenica, e ^'imperadon ne stavano in
possesso, come ai vede dalle leggi dì lione e
(0 S. Amb. Ep. 66. fd Paternum,
(3) S duoTum , Iati, de Nuptiii.
(3) L. li quii 5. C. de incrit. Nuptifa.
(4) L. ia cdebnodìi, C de Nuptiia.
iS) Cajaa. til. decretai. ■'
GlATtWOMt, Fol. II.
1^8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
d Antemio (i) : ed ora si vede sopra di ciò es-
sersene anche fatti canoni. H dichiarar le chiese
per asili (2) s' apparteneva agli stessi impera-
dorì, come se ne leggono molte costituzioni nel
Codice di Teodosio ; ma ora miesto diritto vien
anche dichiarato da^ canonL Ne furon eziandio
stabiliti molti su V usure e divorzi e sopra altre
materie ; la cui provvidenza e regolamento s'ap-
parteneva ed era deUa potestà ed imperio de'
prìncipi* Quindi si vide il lor numero crescere
m immenso; onde sursero.altrì Codici e nuove
compilazioni.
Nel precedente libro s'è veduto che fin a'
tempi di Valentiniano Uly cosi la Chiesa Oc-
cidentale, come F Orientale non conobbero al-
tri regolamenti che quelli che furono rauuati nel
Codice de* canoni della Chiesa unis^rsale, com-
pilato per Stefano vescovo d'Efeso. Ma da poi
nel pnmo anno dell'imperio di Giustiniano^
nel 5^7 uscì fuori la Collezione di Dionigi il
Piccolo. Questi fu un monaco scita abitante in
Roma, e fu il primo che introdusse l'uso di nu-
merar gli anni dalla nascita di Cristo S. N.; come
noi facciamo ^incora (3) ) poiché prima si com-
putavano o nella maniera dell^ antica Roma per
u consoli, o per U primi stabilimenti de' prin-
cipi greci successori d'Alessandro^ ovvero per
li tempi de' martiri che sofTerìrono il martirio
sotto Diopleziano : ed in Ispagua per l'Era d'Au-
gusto imperadore, che precede 38 amii alla
CO L. ult G. de Feriis.
(a^ V. P. Sarp. He juro Asyìor.
(3) Dou)ut, UuU du Droit Gan. par, i. cap, 17.
LIBRO TERZO I^g
nascita di Cristo. Egli fìi amicissimo di Cassio^
doro^ dal quale fìi ricercato che istruisse nelle
discipline e particolarmente nella filosofia i suoi
monaci nel monastero Yivarìese (i) : lesse quivi
insieme con Cassiodoro la dialettica^ e più
anni dimorò suo compagna in quel magi&terio«
Gli encomii che da Cassiodoro gli v^ngon dati^
si leggono ancora nelle sue opere (2). £gli aiw
rìchi la Chiesa latina di molte traduiioni fe->
deli dell* opere de^ Greci; ed a ridiiesta di
Stefano vescovo di Salona (3) in Dalmazia
tradusse in latiiK) la raccolta de^ canoni greci
più fedelmente che non era la traduzione an<«
tica latina y della quale si servivano eli Occi-«
dentali: a questa aggiunse tutto ciò che v^era
nel Codice greco^ cioè i 5o canoni apostolici^
i canoni del concilio di Calcedonia^ di Sardica^
di Cartagine e d' altri concilii d'Affrica.
Aggiimse parimente V epistole decretali da Si-^
rìcio papa ^ che morì Y anno 398 y fino a papa
Ormisda che mori nell^anno 523: argomenta
che r epistole che si rapportano prima di Si-«
rìcio sieno apocrife. Si cnìamavano lettere de-
cretaU quelle che i pontefici scrivevano sopra
le consultazioni de^ vescovi per decidere i punti
di disciplina 9 e le quali si mettevano fra cag-
noni. Cosi i Greci mettevano fra i canoni le
tre lettere di S. Basilio ad Anfilochio y ed alcune
altre de' più famosi vescovi ddle sedi maggio-
ri (4). A queste poi, dopo la morte di Dionigi ^
(1) P. Garet. in vita Gas. par. a. § ao. et ai.
(a) Cass..Iib. Dir. Icct. cap. aa.
(3) Gas. loc cìt Doujat hist. du Droit Can. parU i, e. 17.
(4) Fleary in Inst. Jur. Can. in piinc.
l8o IST5rU del RIORO DI ICAP0U
fiiron aggiunti i decreti dì Gregorio. 11^ conv*
presi in 1 7 capitoli y còme fii osaenrato da Pie<-
tro de Marca arcivescovo di Parigi (i). Quel che
reca maravi^a^ si è« che benché il Codice gre-
co^ di cui si servi IKonip^ . fioiase nel concilio
costantinopolitano T^ al quale eransi poi ag-
giunti discontinuatamente i canoni del concilio
calcedonèse, come afierma fl medesimo Dio-
nigi nella prefazione a Stefiwò vescovo di Sa-
Iona; tuttavia avendovi dovuto aggiunger tanto
del suo^ come i canoni sardicensi ed affiìcanij
non & ninna menzione dd coucifio efesino^ o
de^ suoi canom fatti nelTanno J^Si^ quando,
questi canoni si trovano nel Codice greco dato *
in luce dà Justello nelPanno i6i0^ onde si ri-
fiuta V opinione di coloro che stimano che Giu-
stiniano nella Novella i Siffatta netfanno 4^1^
avesse confermato e data forza di legge al Co-
dice de^ canoni compilato da Dionigi^ poiché
quivi Giustiniano conferma anche i canoni fatti
nel conciUo efesino ) ivi: Sancimus yicem le--
gum obtinere sanctas ecclesiasticas regulas, ec.
in Ephesina prima ^ in qua Nestorius est damna--
tusy ec. Doujat (2) però dice che Dionigi non ne
fece menzione, perchè quel concilio non stabili
canoni attenenti alla disciplina, ma solamente
canoni riguardanti F esecuzione della condanna
di Nestorìo e suoi aderenti.
Questa collezione di Dionigi in Occidente ed
in queste nostre provincie ebbe tutta F autorità
(1) P. de Marca de Concord. lib. 3. cap. 3.
(a) V. Doujat loc cìU n. a. et part. i. cap. 7. nuni. 4«
LIBRO TEKZO l8l
e lutto il vigore (i); e da Niccolìi 1 R. P. (3)
TÌen chiamata per eccellenza Codex Ccatonum^
e dal diritto canonico Corpus Canonum (3). E
ne' tempi seguenti ebbe tanta forza, che nel-
r anno "^S"] data in dono da Adriano I a Cario
Magno (4) ; questo principe comandò a' vescovi
di Francia che invigilassero all'osservanza de'
canoni in quella racchiusi; e comprese que' de-
creti nel suo Capitolare d'Aix la Chapellej che
fece comporre nell' anno 789, secondo che narra
Justello (5).
Intorno al medesimo tempo nelfanno 547,
Fulgenzio Ferrando diacono di Cartagine fece
un' altra raccolta di canoni (6) f ma con diverso
ordine, più tosto citandogli che rapportando-
di, e sotto ciascun capo raccolse 1 canoni cU
diversi concilii, della quale fa menzione Gra-
ziano nel suo Decreto (7).
n cardinal Baronio (8) stima che circa que-
sti medesimi tempi aìeno state fatte le collezioni
di Martino di Braga e di Gresconìo. Altri cre-
dono (9) che quella di Martino fosse fatta in-
torno air anno Sia, e Faltra di Cresconio circa
r anno 670. Manmo , di nazione unghero e mo-
naco Benedettino , fìi vescovo di Braga in Por-
togallo. Fece la sua raccolta per uso delle chiese
(t) Cm*. lib. Div. tecL ctp. as.
(I) Caa. 1. diit. IO,
(3) In liucr. cap. 3. d« prarbead.
(4) Sirmond. to. 3. Coac Gali, ad A. •}
(5) V. Juitcl. in praef. ad Coà. Eccl. U
(6) Donjat hisL du Droìt Can. par. i. e
i-fl Grat. Can. lacror. 3j. ditt. 63.
(8) Baron. ad An. S37. num. 76.
(9} Douiar. loc. cit Dunt. a. «t 3.
iSq istoria del regno di napoli
di Spagna, traducendo i sinodi greci ^ ed ag-
giungendovi altri canoni di concilii latini e spe*
zialmente de^ Toletani : questa collezione però ,
fuori delle Spagne ; non ha avuto uso ne au-
torità, se non quanto avesse servito per illu-
strazione (i).
Cresconio vescovo d^Ai&ica compose la sua
collezione di canoni, della quale ci resta un
compendio, il cui titolo, secondo un MS.- che
rapporta ilBaronio, era questo: Concordia Ccb^
nonum a Cresconio Africano Episcopo digesta
sub capitibus trecentìs. E perchè ivi fassi an-
che menzione d'un poema in versi esametri'
composto dal medesuno Cresconio per cele-
brar le guerre e le vittorie riportate da Gio-
vanni Patricio contro i Saraceni d^ Affrica, fa
conto il Baronio eh' egli vivesse intomo a' tempi
di Giustiniano imperadore.
Giovanni Scolastico, che, mandato Eutichio
in esilio 5 fu innalzato al patriarcato di Costanti-
nopoli da Giustiniano imperadore (2), e visse
anche dopo lui, fu il primo che in Oriente
avesse fatta raccolta dove s'unissero insieme
i canoni colle leggi , spezialmAe le Novelle di
Giustiniano ; la qual spezie di libro fu chiamata
poi Nomocanone da' scrittori seguenti. E ben-
ché questa collezione, divisa in cinquanta titoli,
da principio ebbe qualch'uso; nonoiraeno Teo-
doro Balsamone nel supplimento osseiTa che
a tempo suo, cioè nella fine del secolo duo-
decimo, non aveva alcuna stima, come quella
(1) V. Aut. Aiigust. ]>ar. a. epitom. jur pontific cap. i5. et
in GraL Dìalog. io. ii. et la.
(q) V. Nìr. Alrmannum ad hisff. arcan. Procopìi. Ju6t<*l. lor. rìL
LIBRO TERZO l83
eh' era stata adombrata dal Nomocanone di Fo-
zio, più utile e piiì abbondante (i)
Queste furono le collezioni de' canoni che
dopo il Codice de' canoni della Chiesa univer-
sale sursero ne' seguenti tempi infin all' impe-
rio di Giustino successor di Giustiniano (3): le
quali non avevan forza di legge , se non quando
dagrimperadori e principi era lor data. La Chiesa
non avea peranche in questi tempi acquistata
giurisdizione perfetta, a che potesse far valere
i suoi regolamenti come leggi, e obbligare ì
fedeli con temporal costringimento all' osser-
vanza de' medesimi , o punire i trasgressori con
f)ene temporali : obbligavan solamente per la
orza della religione le loro anime j e le pene
e' gastighi erano spirituali, di censure, peni-
tenze e deposizioni I principi per mezzo delle
loro costituzioni lor davan forza di legge, ob-
bligando i sudditi ad osservargli con tempo-
rale costringimento , come il manifestano in
Oriente le Novelle di Giustiniano , la collezione
di Giovanni Scolastico, i Nomocanoni di Fozio
e di Balsamone ; ed in Occidente , nella Fran-
cia i Capitolari di Carlo M., in Ispagna le leggi
di qua' re, per le quali a' canoni stabiliti né con-
cilii tenuti in Toledo, o altrove , davan tutta la'
forza ed autorità; ed in Italia i tanti editti di
Teodorìco e d'Atalarìco, che appresso Ca«sio-
doro si leggono.
(0 V. Frane. Flon-nL Ar Orig. Jur. Can. pur. 3. $ 3. JutUl.
loc. ril. P. Al" Marra Ae Concorìl. lib. 3. cap. 3. ^ tt.
(3) V. FIrDi? in Inilit. Jur. Can.
l86 I8T0RU DEL RSGKO DI. RAMU
condennati, ed il rìmaneDte da dorenì imjùe*
gare alle fabbriche ddlechiete, e per aovreni*
mento de^ loro imiÙBtrì. '
Intorao alle loro caoM àTÌU fa aeriiata a* ma-
gistrati secolari la medeaiiiui gÈorisdisioBe cbe
prima avevano j.doTersn innanB 9 loro istituirà
1 giudicii, proponer le loro aiioni. e citati dar
mallevoiia /luiicio sistì. Sdamante il re Atalarìco
favorì in CIÒ la Chiesa romana, approvando una
consuetudine che s'era introdotta nd cWro di
quella, di doversi prima i suoi preti convenire
o accusare avanti il loro veacóva I mt^tntì
secolari che in Roma da qad principe erano
staU destinati ad anumnistrar giustizia, secondo
ciò che praticavasì in tutte T^tre provincìe, ad
istanza del suo creditore, costrinsero un diacono
di quella chiesa a soddisfar il debito; e lo strin-
sero con tanta acerbità, che lo diedero iv mano
del medesimo creditore a custodirlo. Un altro
prete della medesima chiesa per leggieri cagioni
accusato, lo trattarono assai aspramente e con
molti strazi. Il clero di Roma con flebiU lamenti
e pregliiere ricorse al re Atalarico, esponendogli
che nella lor chiesa per lunga consuetudine, af-
finchè ì loro preti intrigati nelle liti del foro e
tra^ negozi del secolo non si distogliessero dal
culto diviAo, erasi introdotto che avanti il loro
vescovo dovessero convenirsi; e che ciò non
ostante da' suoi magistrati erano stati uu lor
prete e un diacono acerbamente e con molte
contumelie trattati: pregavano per tanto la cle-
menza di quel principe a darvi opportuno prov-
vedimento. Q re alle loro preci rispose, che per
la rivo^nza ed onore che sì doveva a quella
LIBRO TERZO 187
sede apostolica y d! allora innanzi stabiliva
che se alcuno avea da convenire qualche prete
del clero romano in qualsivoglia causa, dovesse
prima rìcon^ere al giudicio dd vescovo di quella
sede, il quale dovesse o egli conoscere more
suae sanctìtatìs de^ meriti della causa, ovvero
delegarla , aeqiUtatis studio ierminandam ; ma
se Fattore o r accusatore, usando di questa ri^
Terenza, si vedesse deluso e differito nelle sue
dimande, o quelle disprezzate, timc ad saecu-
lana fora jurgqturus occorra^. All'incontro se,
pretermesso questo suo comandainento, ricor-
rerh alla prima a' tribunali secolari, gF impone
pena di dieci Ubbre d^oro, da doversi da' suoi
tesorieri immantenente riscuotere, e per le mani
del vescovo dispensarsi a^ poveri, e ai vantaggio
cadesse dalla causa, e con tal doppia pena fosse
punito. Ma non tralasciò Àtalanco nell'istesso
tempo d' ammonirgli , che vivessero come si con-
veniva al loro stato, dicendogli: Magnum scebis
est crimen adndttere^ qiios nec conversationem
decet habere saeculap$m: professio vestra vita
caelestìs est NoUte ad mortaìiwn vota humilia
et errores descendere. Mundani coèrceantur hur
mano jure, vos sanctis moribus obedUe.
Ecco come in questi tempi in tutte f altre
chiese de' magistrati secolari era la conoscenza
e giurisdizione delle cause cosi civili come cri-*
minali , e gli ecclesiastici erano sottoposti a^ loro
gindicii ed ammende: né perchè al solo clero
di Roma, per riverenza di quella sede, volle
O Cassiod» lib. 8. cap. a^, ronsideranles apo8tolicae scdis
honorrm.
l88 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
Atalarico usar questa indulgenza ^ fii perciò al
suo vescovo^ o pure a qudli a^ qnati egli de-
legava le cause y data per giudicarle giurisdizióne
alcuna^ tna solo che dovessero terminarle mord
suae sanctUaiis et aequiiaiis studio y in forma
d^ arbitrio e di caritatevole composizione; non
già in forma di giudido e di giustizia conten-
ziosa«
(^ustiniano adunque fii il primo che cominciò
>ad accrescere la conoscenza de* vescovi nelle
cause degli ecclesiastici^ e diede a qudU privi-
legio di non piatire avanti giudici laici. Questo
prmcipC; siccom'egli era pietoso e religioso y
cosi accrebbe la conoscenza de* vescovi ^ ordi-
nando per le sue Novelle che neir azioni ci-
vili i monaci ed i cherici sarebbero convenuti
in prima innanzi al vescovo ^ il quale decide-
reboe le loro differenze prontamente senza pro-
cessi e senz* alcun rumore o strepito di giudi-
ciò; a condizione però che se una delle parti
dichiarasse fra dieci giorni di non volere acque-
tarsi al suo giudicio^ il magistrato ordinario pren-
desse cognizione della causa, non per forma d* ap-
pellazione , come alcuni credettero , e come m
ciò superiore al vescovo j ma tutto di nuovo : e
se giudicava come aveva arbitrato il vescovo ^
non v'era appellazione da lui; ma se altrìmente ,
si dava in questo caso luogo all^ appellazione. E
quanto alle cause criminali , era permesso d^ in-
dirizzarsi contro il cherico, o innanzi al vescovo^
ovvero al giudice ordinario , salvo ne' delitti ec-
clesiastici; come d'eresia, simonia, inobbedienza
O NoT. 83. et ia3.
LIBRO TERaO 189
al vescovo^ ed ogni altro concernente la loro qua-
lità^ la cui conoscenza era attribuita al solo ve^
scovo: come altresì delle differenze concementi
alla religione ed alla polizìa ecclesiastica anche
contro a^ laici. Stabili ancora che se nelle cause
criminali il cherico fosse condennato dal giudice
laico ; la sua sentenza non potesse eseguirsi ^ né
il prete degradarsi senza V approvazione del ve-
scovo: che se egli non lo volesse fare; era ne-
cessario di ricorrere all^imperadore. Ed in quanto
a' vescovi, diede loro particolarmente questo pri-
idlegio di non piatire per niente innanzi a^ ma-
gistrati laici, il qual privilegio diede ancora alle
religiose per la Novella 79, che gl'interpreti hanno
malamente steso a^ religiosi. E questo regola-
mento di Giustiniano contenuto nella Novella i23
è quasi interamente reiterato dalle costituzioni
delrimperador Costantino IO fi^uolo d'Eraclio
e d'Alessio Comneno, rapportate per Balsamone
nel titolo sesto del suo Nomocanone. Ecco come
per privilegio del principe si cominciò ad in-
grandire la conoscenza de* vescovi: non è però
ch'allora acquistassero giustizia perfetta, che il
diritto chiama giurisdizione, sopra i preti, non
avendo di que' tempi territorio, cioè jiis terrendi,
né preciso costringimento. Per la qual cosa non
potevano di lor autorità imprigionare le persone
ecclesiastiche } né avevan carceri; né potevan
imporre pene afflittive di corpo, d'esilio, e
molto meno di mutilazion di membra o di mor-
te, anche ne' più gravi delitti ; né condennare
all'ammende pecuniarie.
Le pene che usavano , erano deposizioni o
sospensioni dagli ordini, digiuni e penitenze: e
IQO ISTOBiÀ DEL AEGNO DI NAPOLI
?uesta fonna di disciplina contìnuossi per tutto
ottavo secolo: ciò che ottimamente notò Gre-
Jorio H in qudDa bella epistola che dirizzò a
ione Isaurico (i) ^ dove fa vedere quanto sia
grande la differenza fra le pene delTmiperìo e
della Chiesa. GFimperadori condannano a morte ^
imprigionano^ mandano i rei in esilio e rilegano:
jion cosi i pontefici: Sed ubi, come sono le sue
parole^ péccarii quis et ctmfessusJùerUy suspenr
dii, ifd amputatipnis capUis locò, Esumgelium
et crucerà ejus cervicibus circumponunt, eimn
que tamquam in carcerem, in secretaria, scLcrO'
rumque snisonun aeraria con/iciunt, in ecclesiae
diaconia et in catecumena ableganl, oc visce^
ribus eorum jejunium, ocuUsque vigilìas et laur*
dadonem ori ejus indicunt Cwnque probe castt-
garint, probequefame a^fiixmnt, ium pretiosum
itli Domini corpus impartiuht, et sancto illum
sanguine potant: et cum iUum \his electionis re*
stituerint, oc immunem peccati , sic ad Deum,
purum insontèmque transmiUuht P7des, Impera-
ter, ecclesianun imperiorumque discrimen^ ec.
Avevan però gli ecclesiastici in questi tempi
cominciato ad usurparsi la potestà di bruciare
i libri degU eretici^ perchè nell^amio 433 il pon«
tefice Lione il Santo bruciò in Roma molti libri
de^ Manichei y ouando prima la censura solamente
apparteneva alla Chiesa, ma la proibizione o bru*
ciamento al principe (2) ; di cne altrove ci tor-
nerà occasione di piò lungamente ragionare.
CO (vregor. II. Epi«t. i3, ad Leon. Isaur, Rioher. in Apolog,
Jo. Gerson. |>ar. 3, ax, 36.
(a) Feuret, 1. S, e a. n. 7.
LIBRO TERZO IQl
S VII.
Beni temporali.
Non al pali della conoscenza ndle cause fu
ringrandimento de^ beni temporali nelle nostre
chiese: fti questo di gran lunga a quello supe-
riore. I princìpi intorno agli acquisti che tutta-
via facevano , non molto vi badavano ; e non
solo poca cura si presero d'impedire gli ecces-
sivi, come fecero Teodosio M. e gli altri impe-
radorì suoi successori, ma anch^essi vi contri-
buirono con donazioni e privilegi (i). Quando
prima gli acquisti facevansi dalle sole chiese y
ora cominciando in queste nostre provincìe a
fondarvisi de' monasteri, ancor essi ne tiravano
la lor parte, e molti buoni presagi ne diedero,
fin da'loro natali, i monasteri di S. Benedetto.
S'aprirono ancora nuovi altri fonti donde ne
scaturiva mjiggior ricchezza : sursero in questi
tempi i santttarii, e allargossi grandemente la ve-
nerazione delle reliquie de' Santi. I tanti miracoli
che si predicavano, l' apparizioni angeliche, le
particolari devozioni a' Santi e l'esortazioni de^
monaci tiravano le genti per la loro devozione
ad offerire a' loro monasteri ampie ricchezze.
Fu riputato ancora in questi tempi il donare o
lasciare per testamento alle chiese , essere un
fortissimo remedio per ottener la remissione de*
peccati. Salviano (a) , che fiorì nell' imperio di
0) Cuiìod. I. 13. e. il.
<3) Salvila, lib. i. et sciju. adver. avarit. Aut. Matl. uhiiikI.
ad Ju Can, I, a, tiU a.
193 ISTORIA DEL REGNO Di IfiPOLI
Anastasio^ esortava a molti pietosi che soccor-
ressero le loro anime ultima rerum suarum obla-
tione. Quindi sovente leggiamo nelle donazioni
fatte alle chiese quella clausola r prò redemptione
animarum, ec.
Si stabiU ancora un nuovo fondo assai più
stabile di quel di prìma^ donde se ne ritraevano
buoni emolumenti* Le decime che ne^ tre primi
secoli erano libere e volontarie , e nel quarto e
Quinto secolo^ per la tepidezza de* Fedeli in
darle I erano avvalorate aa* sermoni de^ PP. e
dalie loro esortazioni perchè non le tralascias-
sero; in questo sesto secolo dÌTennero debite
e necessane (i). Vedendo che niente allora gio-
vavano le prediche e F esortazioni , fu bisogno
ricorrere ad aiuti più forti e vigorosi; onde si
, pensò a stabiUrle per via di precetti e di canoni.
Cosi molti concihi d^ Occidente e più decretali
de* romani pontefici fecero passare in legge Fuso
di pagarle. Per queste ed altre vie le ricchezze
delle chie&Q cominciaron ad essere assai più am-
\m e considerabili^ ed a posseder es&e partico^
m patrimonii. La Chiesa di Roma sopra tutte
r altre si renda riccliissima ^ tanto che narra
Paolo Vamefrido (a) ^ eh' avendo Trasimondo
re de* YandaU in Affrica mandato in esiUo 220
vescovi, Simmaco, che allora sedeva nella cat-
tedra di Roma, fece a tutti somministrar ciò
che lor bisognava per sostentarsi. Né si pensò
solo a' modi d'acquistar le ricchezze, ma anche
a* modi di conservarle; poiché colle ricchezze
(,1) Fr. de Roye Instit. CaDon. lib. 3. de dectm.
(2) Paul. lib. i5. sub. Ana«t.
LIBRO TERZO 193
essendo congiunto il rilasciamento ddla disci-
plina e de* costumi , quelle appropriandosi gli
ecclesiastici, come facoltà proprie, dove prima
non eran considerate se non come patrimonio
de' poveri, venivan in conseguenza mal impiegate
e peggio distribuite: onde più concilii (quando
che prima non erasi per anche fatto alcun re-
• golamento sopra questa materia) si mossero a
stabilire un gran numero di canoni, proibendo
l'alienazioni, regolando il modo di distribuirie,
e badando sopra tutto alla loro conservaùone
e sicurezza. Égli è però ancor vero che non
perciò i principi lasciarono di stabilir leggi in-
tomo a' fieni ecclesiastici^ regolando gli acqui-
sti, e talora anche le maniere di distribuirgh,
e vietando gli abusi: e Giustiniano ci accerta
d' aver egli di suo diritto stabilite molte leggi
intomo a* medesimi <i).
La divisione de' frutti di questi beni in quat-
tro parti, una dell'amministratore o beneficiato,
l'altra alla Chiesa, la terza a* poveri, e la quarta
a' cherici, che s'attribuisce a papa SimpUcio, il
qual fìi eletto nell'anno 4^^; ^'^^ ^ "* questi
tempi sempre costante , né la medesima per
tutte le Provincie d' Occidènte. In Francia nel
concilio I d' OH^ms (s) ragunato 1' anno 5 1 1
s'assegna la metà al vescovo, e l'altra metà al
dero. Li Ispagn» dal concilio I di Braga (3)
tenuto nell'anno 563 la divisione dell'oblazioni
si riserva a' cherici tutti in comune. Ma da poi
(.1) V, de Marca dr Concor. Sac et Imp. 1. a. i
(a) Cap. i6. '
(3> Gap. ai.
1^4 I8T0&. DEL REGNO DI HAP. LIBRO TERZO
nd concilio IV di Toledo convocato sotto il re
Sifienando nelF anno 633; fii stabilito che i ve*
acovi avessero la tersa parte delle rendite (i).
Cosi; come assai a proposito notò Graziano (2)^
accendo la divertita de* luoghi e consuetudine
ddle regioni y al vescovo era riservata ^ in alcune
la terza; in altre la ^larta parte: né tali divi*
sioni fbron sempre e da per tutto invariabili e
peipetue.
urande che fosse stato in questo sesto secolo
r accrescimento de* beni temporali delle nostre
chiese e de' monasteri, a riguardo però degU altri
immensi ed eccessivi acquisti che poi si videro
nel regno de* Iiongobardi e de* Normanni, era
co mp ortabile, né moka alterazione recossi per-
ciò allo StatGf civile : maggiore lo ravviseremo
sotto i Ixmgobardi, il regno de* <]uali saremo
ora per narrare.
(1) Can. coDttitutiiin 69. caut. 16. ou. 1.
Ca) Crai. po«t can. poateMÌouet eao. caos. et. qu.
DELL'ISTORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI
LIBRO QUARTO
1 Longobardi non altronde che da^ Goti ri-
conoscono la loro origine; e la penisola di Scan-
dinavia fu dell'una e dell'altra gente la comune
madre: regione che a dovere fu da Giornande
appellata P^agina gentium, e che può merita-
mente vantarsi di avere prodotti tutti quelli
prìncipi che lungamente le Spagne, buona parte
della Gallie, e sopra tutto F Italia signoreggia-
,rono: la quale ancorché veggasi di questi tempi
sottratta dal dominio de' Goti, ben tosto rìcadae
sotto quello de' Longobardi; e questi poi man-
cati, sotto i Normanni che pure vantano la
medesima orìgine (i). I Gepidi, che dalla pro-
sapia de' Goti discesero, usciti da quella peni-
sola insieme co' Goti, alla Vistola fermaronsi (2):
indi superati i Borgognoni, si avanzarono, come
narra Procopio, neU'una e nell'altra riva del
Danubio, dove furono a' Romani infesti per le
(1) JomaDdci HUt. Got.
(a) Grot. in Prolegom. ad Hi«t« Got.
V .■
196 ISTOKIA DKL RE<^0 DI NAPOLI
varie incorsioiii e scorrerie che fecero in qudk
regione, secondo che scrive Vopisco. Finalmente
regnanao in Oriente Marziano imperadorc; avendo
discacciati ^ Unni daDa Pannonia^ quivi ferma-
rono le loro sedL Egli è éltrerì appresso si gravi
scrittori costantissimo ; che divisi fra loro i Gè-
E idi y da onesta divisione ne sorsero i Longo-
ardi; onaè che Salmasio (i) rende a noi te-
stimonianza d^aver egli in alcmii antichi libri
greci I non ancora impressi, osservato che i Ge-
pidi si nomavano Longobardi: Gepidae, qui dir
cuntur Longobardi: e Costantino Porfirogenito
impemcbr £ Costantinopoli dalT istoria dì Teo-
fane (qoe^ che da* Greci fra il nmnero de* santi
ili venerato) trascrisse ancora che dalla divisione
de* Gepidi sursero i liongobardi {2).
Chi primamente di lor &cesse memoria , edi
è Prospero A<jiiitanico vescovo di Reggio, che
scrisse innanzi Paolo "^Tamefrido diacono d^A*
quìleia. Parla egli di questi Longobardi ^ dando
loro là medesima origine, i quali dalla Scandi-^ .
navia giunti a* lidi dw Oceano, avidi di nuove
sedi, primieramente sotto Ibone ed Aione loro
capi vinsero i Vandali, e si dissero "QTinili, cioè
vaghi, non avendo allora alcuna ferma sede; ma
da poi avendo eletto per loro re Agìlmondo,
dopo avere scorse varie regioni, finalmente nella
Pannonia si fermarono. Dopo Agilmondo ebbero
successivamente per loro re Lamisco, J^eta,
co Salmas. apud Grot lect cit,
(9) Constant. Porphyrog. de Admin. Imperio e a), ex Risto»
ria S. Theophanis. £t Gcpides qoidem, ex quibiu pottea Leo*»
gobardi , ;itque Avares per •uoceMÌonem orìupdi sunt.
LIBRO QDAHTO I97
ndeoc, Gudeoe,'Gafibj Tato {i), e dopo questi
'Waltau ; del qual prìncipe appresso altri non
(assi memorìa, siccome colui che regnò picciol
tempo ed in contìnue guerre. Succeaerouo po>
scia 'Waco, Audoino, e finalmente Alboino^ quello
che avendo stabiUto con Nursete una bea lerma
e stretta pace ed amicìzia, fii poi rìserbato alla
conquista d'Itaha.
Come questi popoli prendessero il nome di
Longobardi, non bisogna volerne più di quello
che con molta assictiranza ne scrisse Paolo
"Waraefrido (3)-, cioè che questi 'WiiiiU si dis-
sero Longobardi per la lunghezza delle loro
barbe, le quaU con tanto stuojo serbavanai essi
intatte dal ferro; imperciocché secondo il lor
hnguaggio long non significa altro che lunga ^
e baert, barba: nel che s'accordano Costantino
Porfirogenito (3), Ottone Frisingense (4), Gun-
tero {5> e Grozio.
So che alcuni moderni scrittori non contenti
fli qud che sì antichi e gravi autori rapporta'
no, nan voluto ricercare in altri paesi 1 origine
di questi popoli, ed il nome de' Longobardi
non dalla lunghezza delle loro barbe, ma, come
credette Tabate della Noce (6), dalla lunghezza
delle loro alabarde; ed altri^ altronde esser de*
rivato.
(0 Grot. in Frolegom. ad Rut. Got
(,f) Paul. Warnefr. 1. i. r. 9.
<3) CoDitant. Porph. de Them. lih, 3. Tfarma ti. Longibar-
promiau barba incolarura dieta cit.
Otbo PrìiÌDg. I. 3. e. i3. de geit. Fred. Imper.
Gunter. I. a. Grot. loc. cit.
Ab. da Nuc« in Nolii «d Cbroo. Leon. Oitieu> pag. 95.
I
198 ISTORIA DCL BSGHO DI NAPOLI
Alcuni niegano ésaete dalla Scanilmavia usciti^
ma dalla interior Germania. Dicono che molto
prima di qnd che narrasi dc^ loro uscita da
ouella penisola^ de* Longobardi fecero m^izione
.atrabone, Taoto^ Tolomeo e. Patercolo (i)^
come di popoli che nella interior Germania [vi*
Teano; onde il nome loro essendo più antico^
non dalla basba lunga, come dice Paolo Wsay^
nefiidoy ma altronde uopo è che dmyL H nodo
con molta facilità fu sciolto dalTincimiparabile
Ugon Cirozio (n); poiché questo nome non sir
èmfica altro che uomini di barba lunga, come
U> riconobbero tutti i Germani e '^arnefrido
istesso. Ora i nomi di questa sorte, che deriyano
da vari abiti ed aspetti, sogUon ora appresso
un popolo, ora presso ad un altro, in vari luo-
{^ ed in yari tempi distantissimi, secondo che
3ppare la novità e stranerà, nascere e span*
ersi tra quella gente la quale della novità «i
maravigUa. Presso a' Germani, come narra Ta-
cito, era cosa usitatissima farsi crescere i ca-
pelli e la barba; né solevan quelli tosarsi, se
non dopo sconfidi Foste nemica; ma qualora
avveniva che un grande stuolo d'uomim com<
parìva in altra regione con un aspetto assai
nuovo e strano, certamente che presso a co-
loro eran denominati per quel nuovo e strano
aspetto, onde eran sorpresi; e quindi non è ma-
raviglia, se quella novità, ora in un luogo, ora
in un altro avesse prestata occasione al nuovo
(1) TaciL 1. 9. Annal. Vcl. Patere 1. a. Hist.
(3) Grot. in, Prolog, ad Hist. Oot. p. aS.
LIBRO QUARTO I99
nome. Che fuTTÌ di comune tra Domizìo Eno-
barbo, Federico Barìiaroasa, ed alcuni famosi
coraari di questo nome} niente, se non che es-
sendo simih d'aspetto, (il anche a lor comune
il nome. Ogni ragion vuole adunque che in si
fatte cose crediamo a* vecchi scrìttorì, e delle
cose de' Longobardi precisamente a Paolo^^ar*
nefirido, che ancorché nato in Italia, fu d' orìgine
longobardo, il quale è T unico ed il proprio
scrittore de' fatti loro. Ove manca questo scrit-
tore, possiam ricorrere ad Ercbempeto, e dopo
costui agli altri scrittori contemporanei die non
ne mancano (*)■ Onde saviamente n'ammonisce
Grmio^ die dobbiamo credere a' vecclti, quando
questi nnovì scrittori nulla ci recan di più cro<
dibile e di più certo; e tenere co' primi, che
i Vandali, ^ Ostrogoti e ATestrogoti, i Gepidi
ed i Ijongobacdi, tutti alla ScaiuUnaTia debbiano
la loro origine.
Ma dò che siasi , egli è presso a tutti co-
stante die i Longobardi, aopo avere scorse
varie regioni d'Europa, finalmente ndla Panno-
ma si formarono; la qual provincia fu da essi
dfHninata per ^3 anni , e si contano da Agil-
mondo fino ad JUboino dieci re, sotto i quali
visBenx Nd regno d' Alboino , essendo stato
mandato in Itaua Narsete da Giustiniano per
discacciame i Goti che sotto Totila avevan
riacquistata qudla provincia , egH essendo già
molto tempo prima in lega co' Longobar^ ,
(*) QuMtl lono l' Anunimo Salernitano , ed altri raccolti àa
Canili. Pelleg. in Hiat. Princ. Xonfob.
aOO ISTORIA DEL RCONTO DI NAPOLI
mandò ambascìadori ad Alboino^ dimandando-
gli soccorso contra i Goti. Allora fu che Al-
boino gli mandò una eletta banda di guerrieri ^
i quali aiutassero i Romani contra i Goti 0.
Costoro passando per Io golfo del mare Adria-
tico^ vennero in Italia; e fu la prima volta che
questi popoli videro queste belle contrade, e in
una di queste nostre provincie, cioè nel Sannio,
ponessero il piede, come diremo. Uniti intanto
co' Romani, vennero a battaglia co' Goti; ed es-
sendo loro riuscito di rompergli in quella bat-
taglia ove rimase Totila ucciso, carichi di molti
doni e vincitori ritornarono alle proprie stan-
ze. Ed in tutto il tempo che i Longobardi pos-
sederono la Pannonia, furono in aiuto de' Ro-
mani contra i nemici de' medesimi; e Narsete
mantenne e conservò sempre una stretta e fedel
amicizia con Alboino; onde non fu a lui impresa
molto difficile allettarlo (per vendicarsi del torto
fattogH da Sofia moglie dell' imperador Giustino)
a venire alla conquista d'ItaUa, siccome colui
al quale erano altresì note le ricchezze di que-
sta provincia, e le molte altre prerogative onde
era fornita. Risolse intanto questo prìncipe, agli
inviti di Narsete, di mettersi egli in persona alla
testa del suo esercito; ed avendo anche per que-
sta impresa sollecitato l'aiuto degli Sassoni, la-
sciata la Pannonia agU Umii ( donde questa pro-
vincia prese poi il nome d'Ungheria) con legge
che se per qualche sinistro accidente non gU
riuscisse l'impresa per cui partiva, e gli biso-
gnasse ritornare, dovessero restituirgU ciò che
O Paul. Wamefr. lib. a. e i.
LIBRO QUAUTO 201
loro 8Ì lasciava^ si pose co^ suoi Longobardi e
loro famiglie y e co^ Sassoni ed altri popoli, in
cammino^ e nel mese d'aprile dell'anno 568, re-
gnando nell'Oriente Giustino imperadore, entra-
rono in Italia (i). Trovavasi allora questa pro-
vincia sprovista d'ogni aiuto e divisa in tante
parti per la nuova forma che Longino esarca
di Ravenna le avea data ; onde potè Alboino in
un tratto occupar Aquileia con molte terre della
provincia di Venezia; ed in questo stesso an-
no 568 prese anche FriuU capo di questa pro-
vincia, e quivi fermatosi l'inverno, ridotta quella
in forma di ducato, ne creò Gisulfo suo nipote
duca. Ecco l' orìgine ed il nome * del ducato
Foroiuhense, che fu il primo costituito da' Lon*
gobcirdi . nella provincia di Venezia.
Tolta da AlDoino questa provincia a' Greci,
passò nel seguente anno 569 ad occupar Tri-
vigi ed Oderzo; indi lasciatosi addietro Pado-
va, Monte Selice, Mantova e Cremona, sorprende
Vicenza , Verona e Trento , e l' altre terre di
quella provincia; e secondo che queste città ve-
nivan in suo potere, cosi a ciascuna d'esse, olr
tre a lasciarle un valido presidio de' Longobar-
di, vi creava un duca ciie la reggesse. Questi
duchi nel lor principio, a somiglianza de' duchi
di Francia; cne ci descrive Paolo Emilio (2) y
(O Historìola ignoti Monaci Cassinen. apud Camil. Peli. Hi-
storia Prìnc. Long. P. Wamefr. 1. a. e la. Certuni est an-
iem , tane Alboin multos secum ex diversis , ouas vel alii Re-
set, Tel ipse caeperat gentibus ad Italiani addoiisse; onde nsqot
nodie eorum , in quibus habitant , vicos Gcpidos , Bulgaros , oai^
matas, Pannonios, Suevos, Norìcos, aliis, sire hnjusmodi nò-
minibus appellamus.
(a) Pani. iEmil. de Reb. Frane.
202 ISTORIA WSL REGNO DI NAPOLI
non furono che semplici uffizìali o governadorì
di città ^ e la lor durata pendea dall^ arbitrio del
principe che gli creava.
C A P O L
Di Aìboino I re d'Italia che formò la sua sede
reffà in Pa9ia, e de^ albi re suoi succes-
sorL
Non furono nel seguente anno Syo minori gli
acquisti che Alboino fece nella Liguiia. Avendo
egti passato il fiume Adda y tosto prende Bre-
scia, Bergamo, Lodi, Como, e tutte F altre ca-
stella delia Liguria infino all^Alpi^ indi allMm-
presa di Milano capo della provincia s^ accinge,
che dopo breve assedio si rende alle sue armi.
Passata questa città sotto il suo domìnio , i Lon-
gobardi subito gridarono Alboino re d^ Italia, e
con acclamazioni giulive per tale lo salutarono ,
dandogli Fasta ch'era allora l'insegna del regio
nome. I riti e le ceiimonie che si praticavano
da queste nazioni nella creazione de' loro re,
non erano che d' innalzare \ eletto sopra uno
scudo in mezzo all'esercito 0, e con acclama-
zioni gridarlo e salutarlo re, dandogli in mano
Fasta in segno della real dignità. Questo fu il
principio del regno de' Longobardi in Italia sotto
Alboino I re d'Italia, ma XI re de' Longobardi,
se tra la serie de' loro principi che ressero la
Pannonia, vuoisi anche annoverare Waltau che
O V, Patrie, in Marte Gallico.
LIBRO QUARTO ao3
regnò poco^ ed il suo imperio fu molto contra-
stato. jSoi; a^ quali nulla giova tener conto de^
re della Pannonia^ lo diremo in questa istoria
primo re d^ Italia, e secondo quest^ ordine no*
minefemo gfi altri suoi successori: e dal mese
di gennaro di quest* anno 670 numereremo il
princìpio del regno d'Alboino e de* Longobardi
in Italia , non dalla loro entrata y come hanno
fatto altri^ che fu nelFanno 568. L'abate Bac-
chini nelle sue dissertazioni sopra il Libro pon-
tificale di Agnello Ravennate, avverte che due
epoche si debbono stabilire per togliere ogni
confusione; Funa presa dall'entrata de' Longo-
bardi in Italia nel 568 a' a di aprile; l'altra dal
cominciamento del regno di Alboino in Italia,
che corrisponde a^ 29 di dicembre dell' anno 568.
Con queste due epoche mostra le ragioni per
le quali s'ingannò il Baronie, che fa morire Al-
boino nel 57 1 dopo tre anni e mezzo di regno
assegnatigli da Paolo Diacono, e difende il chia-
rissimo Sigonio censurato da Camillo Pellegrino
intomo a questo particolare, confrontando esat-
tamente^ computi dell'uno e dell'altro dal sud-
detto anno primo del regno de' Longobardi fino
alla morte di Rotarì seguita nel 671 secondo
Paolo Diacono ed il Sigonio, i quali mirabil-
mente convengono.
Ma che che ne sia, non essendo del nostro
instituto esaminar tanto sottilmente i tempi , Al-
boino avendo ridotta la Liguria sotto la sua do-
minazione, con non minor felicità ndl' altre vicine
Provincie stende il suo dominio. Assedia Pavia;
ma per la difficoltà del sito non essendogli riu-
scito di prenderla, vi lascia nell'assedio parte del
2o4 UTOEIÀ mEL BSGHO DI ffAPOLI
800 esercito* e col rimanente invade V Emilia^ la
Toscana e F Umbria. Pirende mdte città dell'Emi-
lia, Tortona, Piacensa, Parma, Brissdlo, Reggio
e Modena. Lia Toscana è quasi tutta in sua do-
testa; e passando neffUmbrià, occupa in prima
SpoMia, città un tempo, quanto antica, altret-
tanto nobile; che se bene da^ Goti fosse stata
nnnata, era stata nulladimeno da poi da.Nar-
sete restituita al suo stato primiero, é da Al-
boino non solo conservata, ma fu aaomata an-
cora d'altre prerogative, avendola fatta metropofi
deff Umbria, la quale ridotta da lui in forma di
ducato, a Spoleto la sottopose, dove costiti:d
Alca Faroaldo che ne fu il primo duca (*). E
quindi poi il ducato spoletano cominciò a cele-
brarsi, e sopra gli altn si rendè cospicuo, onde
fra gK tre famosi ducati de' Longobardi fu an-
noverato; e cosi parimente dava intanto Alboino
air altre città ancora i loro duchi che F ammi-
nistrassero, come aveva fatto nelle provincia di
Venezia e della Liguria. Ma disbrigato questa
principe dall'impresa di questa città, fece tan-
tosto ritomo air assedio di Pavia, ed alla fine
dopo il terzo anno ridusse questa alla sua ub-
bioienza; ed ancorché fieramente sdegnato con-
tro a' suoi cittadini per tanta resistenza usatagli,
pulsasse di passargli tutti a fil di spada, per-
suaso nulladuneno dagli stessi Longobardi del
contrario, se ne ritenne, ed entrato nella città,
fu da tutti per re acclamato e salutato. E ouivi,
come in città forte ed opportuna, voDe stabilire
la sua sede regia; onde poi avvenne che, durante
O PtnL Wainefir. L S. e. 7.
LIBRO QUARTO !2o5
la dominazione de^ Longobardi in Italia ^ Pavia
fosse sopra tutte le altre sue città innalzata per
capo e metropoli di tutto il regno dUtalia.
Alboino y per gli tanti e si veloci acquisti cre-
dendo aver già ridotta F Italia sotto la sua si-
gnorìa ^ portatosi . a Verona y volle celebrarvi un
solenne convito. Teneva questo principe per mo-
glie Rosmonda figliuola di Comundo re de^ Gè*
pìdi^ al quale in una battaglia colla vita aveva
tolto anche la Pannonia^ e spinto dalla sua fiera
natura y fece del teschio di Comundo fare una
tazza ^ nella quale in memoria di quella vitto-
ria solca bere 0* Essendo dunque Alboino in
questo convito divenuto allegro, avendo il te-
schio di Comundo pieno di vino, lo fece pre-
sentare a Rosmonda regina, la quale dirimpetto
a lui sedeva, dicendo a voce alta, che voleva
in tanta allegrezza avesse ella bevuto con suo
padre : la qua! voce fu come una ferita nel petto
della donna; onde deliberata di vendicarsi, sa-
pendo che Almachilde , nobile longobardo e gio-
vane feroce, amava una sua damigella, trattò
con costei che celatamente desse opera che Al-
machilde in suo cambio dormisse con lei : ed
essendo Almachilde, secondo F ordine della da-
migella, venuto a ritrovarla in luogo oscuro,
giacque, non sapendolo, con Rosmonda, la quale
dopo il fatto se gU scoperse, e dissegU enferà
in suo arbitrio o ammazzare Alboino e godersi
sempre di lei e del regno, o esser morto dal
re, come stupratore della mogUe. Consenti Al-
machilde di ammazzare Alboino; ma da poi che
O Paul. Warnefr. lib. a, cap, i4«
206 ISTORIA DEL REGNO DI IIAPOU
eglino r ebbero ucciso^ veggendo come non rìu-
sciva loro di occupare il regno, anzi dubitando
di non esser morti da^ Longobardi, per F amore
che ad Alboino portavano, con tutto il tesoro
regio se ne fuggirono in Ravenna a Longino, dal
quale forono onorevolmente ricevuti Ma Longino
riputando essere allora il tempo comodo a poter
diventare, mediante Rosmonda ed il suo tesoro,
re de' Longobardi e di tutta Italia, conferì con
lei questo suo disegno, e la persuase ad am-
mazzare Almachilde , e pigliar lui per marito. Il
che da lei accettato, ordinò una coppa di vino
avvelenato, e di sua mano la porse ad Alma-
childe che assetato usciva del bagno, il quale
come Pebbe bevuta mezza ^ sentendosi commo-
vere le viscere, ed accorgendosi di quel ch'era,
sforzò Rosmonda a bere il resto; e cosi in pò*
che ore V uno e V altro di loro morirono ; e Lon-
gino restò privo della speranza di diventare re.
8 1.
Di Ckfi II re d' Italia.
I Longobardi intanto, morto Alboino che re-
gnò tre anni e sei mesi , dopo averlo amara-
mente pianto, raunatìsi in Pavia prìncipal sede
del loro regno, fecero Qefi loro re Q; uomo
Suanto nobile, altrettanto di spiriti altieri e cru-
de, il quale appresso Ravenna riedificò Imola
stata rovinata da Narsete , occupò Rìmìni ^ e
quasi infino a Roma ogni altro luogo: ma nel
(*) Paul Warncfr. lib. i. cap. 14.
LIBRO QUARTO 207
corso delle sue yittorìe morì per mano d^un suo
fami^re, non avendo regnato che dicìotto mesL
Fu Gefi in modo crudele non solamente contra
gli stranieri, ma eziandio contra i suoi Longo-
bardi , che questi sbigottiti della potestà regia,
punto non curaron d^ eleggersi sunito altro re«
ma per dieci anni continui vollero più tosto a
duchi ubbidire; ciascim de^ quali ritenne il go-
verno della sua città e del suo ducato eoii piena
facoltà e dominio, non riconoscendo come prima
r autorità reale o altro supremo dominio. Questo
consiglio fu cagione che i Longobardi non oc-
cuparono allora tutta F Italia, e che Roma) Ra-
venna, Cremona, Mantova, Padova, Monselice,
Parma, Bologna, Faenza, Forlì e Cesena, parte
si difesero un tempo, parte non furon mai da
loro conquistate; unperocchè il non avere re
gli fece men pronti alla difesa , e poiché di
nuovo il crearono, divennero (per essere stati
liberi un tempo) meno ubbidienti e più facili
alle discordie fra loro. La qual cosa, prima ri-
tardò le loro conquiste, e aa poi in ultimo fu
cagione che fossero dUtalia cacciati.
Non dee qui tralasciarsi di notare con Camillo
Pellegrino (*) V crror fatto già comune tra' mo-
derni scrittori, i quali seguitando il Sigonio, o
qualche altro scrittore più antico di lui, credet-
tero che i Longobardi , abbominando la potestà
regia , mutassero la forma del regno , e che ,
morto Qefi, creassero allora trenta duchi , fra
i quali fii diviso il loro regno; perocché chi
attentamente considererà le parole di Paolo
O Camil, Pellcgr, in Oissert. de Oucatu Benevcnt, dissert. 1.
. • -
ao8 ISTOUUL DSL l]EG!CO DI HAPOLI
.ITanirfbìdo. che^di questa' mutazioiie fiivélla ^
Bconerà ch^ i Longobsffdi^ morto Gefi, trasco-
. . iBando d'elègger subito il loro re, forse atterriti
della crudeltà di qud prindpe • e spayentati dal-
FinfeHce fine ch'ebbero Albomo e Qefi^ segui-
; torono a vivere sotto i loro duchi: i qpli non
furono all(Nra la piriixià volta istituiti per dar
nuova forma e mutar Fantica dd regno loro,
ma fin da' tempi del re Alboino e di Clefi si ri-
trovavano già detti, secondo Fusanza de* Lon*
gobardi presa da' Greci , die dopo la conqui-
da delle città y per governo delle medesime vi
destinavano un duca j siccome in £itti lo stesso
'Wamefiido ne accerta che nella morte di Clefi
si rìtrovfivano preposti come duchi , al governo
di Pavia, Zaban: a quel di Blilano, Alboino: di
Bergamo, "Wallari: di Brescia, Alachi: di Trento,
Evin: del FrìuH, Gìsulfo: ed oltre a costoro,
nelF altre città a' Longobardi soggette v'erano
trenta duchi, a ciascun de' quali il governo
d'esse era commesso. Per la qual cosa, dalT es-
sersi differita F elezione del re, non altra novità
fu introdotta ; se non che, siccome prima questi
duchi erano a' re in tutto subordinati, e come
suoi ministri dipendevan da' loro cenni; essendo
poi per lo spazio di dieci anni mancati li re,
ciascun il ducato a sé conmiesso governava con
assoluta potestà ed arbitrio: cagione che fu di
tanti disordini, e che da poi gU fece pensare
ad elegger di comun consiglio e parere Autari
fi^uolo di Clefi, perchè agli incessanti danni
fiicesse argine e desse ristoro. Né dee altresì
O P«il« Waniefr. lib. a. cap. ult
LIBRO QUARTO 209
tralasciarsi che, couforme n' accerta Io itesao
Wanie&ido , non trenta furono questi ducbi ,
come comunemente si crede, ma giunsera fino
al numero di 36, dicendo espressamente Questo
scrittore che trenta furon aestinati al governo
delle altre città, oltre a' sei de' quali aveva edì
fatta menzione, cioè de' duchi di Pavia, di fi&>
lano , Bergamo , Brescia , Trento e Friuli. Del
ducato di Benevento non si fa parola, come
quello che non^ra stato ancora istinto, coi>>
Unuando tuttavia queste nostre provincie nd
dominio de' Greci sotto Tiberio successor dì
Giustino, il quale dopo anni i3 d^imperio era
per soverchi travagli morto , ed in suo luogo
creato Tiberio , che occupato nella guerra de*
Farti non poteva soweiiìr rita]ia,nè impedir»
i progressi de' Longobardi.
Le cose di costoro, durante questo interre-
gno, ancorché andassero alquanto prospere per
quel che riguarda alle guerre che fecero a' Greci,
avendo nell'anno 579 colle nuove conquiste di
Sutri, Bomarzo, Orla, Todi, Amelia, Perugia,
Luceolì ed altre città ingrandito lo Statoj nol-
tadimeno tosto s' avvidero che volendo in A
fatta guisa tener diviso il lor reame, non poteva
diirar lungamente. Imperoccliè essendosi data,
per qualche discordia fra essi insorta, facile e
pronta occasiojie d' essere assahti da naùooi-
straniere, conobbero con manifesto lor danno,
dì quanto nocumento fosse questa loro diviùo-
ne : perchè assaliti da' Franzesi , avevan da
questa nazione avute molte strane rotte; e ol-
tre a ciò, ad istigazione del re di Franiàaj ù
Gu»oiiB, Fot. II. 14
aio ISTORIA DEL REGNO DI KAPOLI
ribellarono tre ducili (i). Aggiugnevasi a tutto
questo^ ch^ essendo nel 582 morto Tiberio impe-
radori) il Qual avea retto sette anni PimperiO;
lodevole più per la sua pietà cristiana che per la
prudenza miUtare, e succedutogli Maurizio di
Gappadocia suo capitano ^ al quale egli aveva
sposata una sua figliuola^ principe e per valore
e per prudenza di gran lunga superiore a* suoi
predecessori Giustino e Tiberio j costui conside*
rando seriamente i gravi danni ohe i Longobardi
gli avevano portato in Italia ^ pensò porre in
opera tutti i mezzi possibili per discacciarriL
E considerando altresì che non era peso ddle
spalle di Longino (la cui fedeltà erasi ancor
resa sospetta) di poter venire a capo di que-
sta impresa ; lo richiamò a sé, ed in suo luogo
con nuovo esercito nell^ anno 584 inandò per
esarca in Ravenna Smaragdo (2), uomo ih guerra
esercitatissimo e prudentissimo ; e fece duca di
Roma un tal Gregorio , a cui fu il governo del
romano ducato commesso^ ed insieme fece mae-
stro di soldati in Roma Castorio; poiché ave-
vano i Greci in costume di tener nelle città, ol-
tre al duca, anche il maestro de^ soldati che ne
tenesse cura 3 onde è che in Napoli , la quale
lungo tempo sotto F imperio de^ Greci si man-
tenne ^ oltre al duca , leggiamo ancora esservi
stato questo altro ufficiale.
Giunto Smaragdo in Ravenna, non tardò guari
a porre in opera i suoi disegni. Fece egli che
(0 Paol. iEmil. de Kob. Frane.
(pi) Harqiiar. Freber. io Cbronolog. Exarc. Kav«*u. apud Lcun*
rlavium.
LIBKO QUARTO ali
t)octxulfOj uomo in guerra espertì«8Ìmo>, ai ri»
bdlasse da* Longobardi, e passasse «Ila sua par-
te: e non molto da poi prese Brìssello , ed
ali imperio de^ Greci Io sottopose. E mentre
Smaragdo faceva questi progpressi in Italia, nOD
cessava intanto Maurizio di prenda* altri mezn
Ser discacciar da questa provincia i Longobar-
i; proccurava egli con ogni studio tirar alla sua
parte i Franzesi , e finalmente ^ Tenne fatto
per via di denaro d^indurre Cliildeberto re di
Francia a mover guerra a* Longobardi; ì quaK
temendo allora ragionevolmente del |ran danno
ohe per questo appareccbio e confederazione
poteva lor venire di là dell'Alpi, e considerando
che non d* altra maniera potevasi a tanti mali
riparare, e resistere agli sforzi de' Franzesi e de*
Romani, se non col rimettersi sotto il dominijO
di un solo; subito radunati, crearono di comun
consentimento per loro re Autari figUudlo di
Gefi nell'anno 585.
Sii-
ci Autori /// re d'IiaUa.
Fu Autari un principe di tanto valore e prò*
denza, che di gran lunga avanzò Alboino; ed
ì suoi progressi in Italia fiiron tanti, cbe a lui
debbono i Longobardi la.lunga durata del regno
loro in Italia per lo spazio di ducento anni.
Poiché appena egli assunto al trono, cinse di
stretto assedio Brissello, e per punir con me<
inorando esempio la feUonia di Doctnilfo, poi»
aia ISTORIA DSL lÙSGNO DI HAPOLl
in opera tutit' i suoi sforzi per averlo nelle ma>
nij imperocfhè questo traoimeiìto avealo ren-
duto in modo sospettoso^ che temè sempre , fin
che regnò y che gU altri duchi non facessero a
lui il somigliante; tanto che fu più agitato nel
trovar modo di recare i suoi duchi all^ ubbi-
dienza, che nel resistere agli sforzi de^ suoi ne*
mici. Questi fu un prìncipe cotanto savio e pru-
dente ^ che più d^ogni altra cosa pensò a* mezzi
per li quali potesse darsi al suo regno un più
decoroso aspetto e una più stabil forma di go-
verno. Institui in prìma che i re longobardi a
somiglianza degr imperadorì romani si doves-
sero nomar Flavii^ siccome egli volle esser chia-
mato ^ perchè dal suo esempio i successori te-
nessero questo prenome, che da poi tutti gli
susseguenti Ve longobardi felicemente usarono (i).
E considerando cne i duchi avvezzi per lo spa*
zio di dieci anni a governar con assoluto un-
perìo e potestà i loro ducati, mal soffrirebbero
che avesse loro a togliersi ogni autorità e do-
minio y ed esser ridotti all^ antico stato j affin-
chè s^ evitassero maggiori disordini, e non si ve-
nisse allumi, compose con molta prudenza le
cose in questa maniera (2): che ciasche4un di
loro desse al re ed a' suoi successori la metà
de^ dazi e gabelle , perchè servisse a sostenere
il regio decoro e la real maestà, e che dovesse
nel regal palazzo trasportarsi ; V altra metà se
la ritenessero per impiegarla nel governo de^
(I) Paul. Waroefr. lib. 3. e. 16.
(3^ Reffin. lib. 1. A. 517. Paul Warncfr, 1. 3. eap. 16. Sigoa«
de Rcg. Italiat, 1. 1.
LIBRO QUARTO ai 3
ducati loro, per le spese e soldi de* ministrì ed
altri bisogni : lasciò loro il governo e V ammi- .
Distrazione ddle città , delle quali erano stati
duchi instituitj, ritenendosi pem il dominio e
la suprema ragione ed autorità regia, con legge
che venendo u bisogno, dovessero subito esser
pronti ad assisterio colle loro forze ed armi
contra ì suoi nemià; e 'se bene potesse prìVan*
di dd ducato, quando più gh piaceva, nulla-
dimeno Autari mal non volle dar toro de^ suc-
cessori, se non quando o fosse estinta la loro
maschile stirpe , o quando se ne fossero resi .
immeritevoh per qualche gran fdlonia com-
messa (*).
sm.
Origine tic' feudi in Italia-
Ec&ì donde trassero in Itaha origine i lèudif
t quah a somiglianza dd Nilo par che tenessero .
tanto nascosto il lor capo, e cosi occulta la loro
origine, che presso a' scrittori de' passati se-
coh riputossi ta ricerca tanto difEcite e dispe-
rata, cne ciascheduno sforzandosi 3 tul^ potere
di rinvenirla, le diedero cosi strani e diuerenti
principi!, che più tosto ci aggiunsero maggiori
tenebre ed oscurità, che chiarezza. Non è però
con tutto que^ da avanzarsi tanto, e dire che
ì Longobardi fossero stati i primi ad introdur^,
O Sigon. àt n. Itil. I. I. Guido Pancirol. IViaur. nu-. Ieri,
t. 1. e 90. Il Duribiu urbci , dominio nipmno nbi memi»,
coMMail, qn» ili •tirprm tiriUm UMun triniDulli TOl*itd
àt4 ISTORIA DEL aCGNQ DI «ÀPOLI
e che ad imitazione di essi le altre nazioni gli
avessero poi ne^ loro dominii ricevuti 3 poiché
iKdlMstorìe di Francia^ secondo che rapporta ii
Papiniano franzese Cario Molineo (1)^ ae' feudi
si trova memoria sin da* tempi del re Childe-
berto 1/ e ne* loro Annali e presso dimoino (2)
e Gregorio' di Tours (3) pur si legge il mede-
timo. Si Isgge ancora che mtomo a questi stessi
tempi dd re Autari^ anzi undici anni prima, nel
regno di Childerico I; e propriamente nelT an-
no 574;Guntranno re privò Erpone del suo du-
cato , dandogH (4) il successore; e Paolo Emi-
fio <5) e Giacomo Cuiacio (6) ne accertano che
avevano pure i re di Francia questo stesso co-
stume di crear nelle città i duchi ed i conti; e
siccome da principio; quando ciò s* introdusse,
era in arbitno de* re ai cacciarnegli , quando
più lor piaceva , s* introdusse poi una consue-
tudine che non si potessero privare dello Stato,
se non si provava d* aver commessa qualche
gran fdlonia. E finalmente gli slessi re con giu-
ramento confermavangli in quelli Stati de* quali
per loro cortesia gU avean fatti signori. Egli è
vero che nel principio, come s*è detto, questi
ducili e conti non erano che govemadori di cit-
tà, ma poi si diedero non in ufficio, ma in si-
gnoria (7).
(1) Molla, in Consoei. Paris. Ut. i. C. dea Fiefs, num. i3.
(9) Ainon. lib. i. cap. i4.
(S) Grfg. Turon. Hist. Frane. 1. 4* e. 45. V. Alteser. Orig.
Feud. CI.
(^ Greg. Turon. I. 7. e. aà. et I. io. S ><>•
(S) Paul. i£mil. di* neh. Franr, 1. 1.
(S) Cif)Br. de Feud. in prine.
(7) LoyKcau Des Off. I. 1. eap. 5.
LIBRO QUARTO ai5
E^ in verO; né i Romani^ né i Greci| nò alt4
oiiahinque antichi popoli riconobbero giammai
altre dignità; che gli ordini e gli uffici. Furono
gli antichi Franzesi^ e questi popoli settentrio*
nali; i quali stabilendosi ne^ paesi altrui ^ inven-
tarono 1 feudi y e per conseguenza la terza spe^
zie di dignità eh é la signorìa. Non é però che
in qualche maniera questa invenzione non co«
minciasse per glMmperadori romani (i);iquaK
per assicurar maggiormente le frontiere dell im-
perio ^ solevano a capitani ed ai soldati che ai
erano segnalati nelle conquiste, conceder in ri-
compensa delle lor fatiche alcune terre poste in
quelle frontiere , delle quaU ne avevano tutto Tu-
ttle, tanto che questa concessione la cliiamarono
beneficìum : e ciò perché con più coraggio e va-
lore fossero obbligati a continuar la milizia , di-
fendendo le proprie terre ; ut attentius ndUtarent^
propria rura defendent^ , come dice Lamprì-
dio (2).
Quel che non potrà porsi in dubbio, si é* che
quasi ne^ medesimi tempi le genti settentrionali ,
i Franzesi nella Gallia ed i Longobardi ndl^I-
talia y introdussero i feudi (3) , seguendo forse
queste due nazioni T esempio de^ Goti, che, come
vuole il nostro Orazio Montano (4) y furono i
primi a gettarvi i fondamenti. Cario Molineo (5)
vuole che i Franzesi fossero stati i primi ad
(1) MoUn. in Consact. Par. tit des fiefi, fu ii.
(3) Lamprìd. in Alex. Sev. e 5S. Loysean Des Oft 1. i. e. i.
in fin.
(3) Th. Gragins 1. i. dicg. 5. Jo. Schiltenis Com. ad Rabr.
ottin. 104. Jar. Frud. Aleni. § S.
(4) Montan. in Prael. Feiid.
(5) Molìn. i» CoNMirf. Pari», tit. dot Firfii, «uiii. i3.
ai6 ISTORIA DEL RCGNO DI fTAPOLI
introdurgli nella Gallia^ da' quali rappresero i
Longobardi che F introdussero poi in Italia^ e
propriamente i Longobardi; donde poi si spar^
aero in Sicilia e nella nostra Puglia; e crede che
in queste nostre regipni i primi ad introdurgli
fossero stati i Normanni venutici dalla Neustria ^
che ora diciamo Normannia. Ma i nostri mag^
gioii molto prima della venuta de^ Normanni
conobbero i feudi; ed i primi che gfintrodus-
èéfo nella provincia del Samiio e nella Campagna^
finrono i Longobardi: provincie che furono le
Erime ad essere conqijistate da^ Longobardi; è
(Puglia e la Calabria gli riceverono più tardi
da* Normanni; come quelli che ne discacciarono
interamente i Greci , presso a^ quali T uso de^
feudi non era conosciuto ; come vedrassi con
maggior distinzione nel progresso della presente
Istoria.
Egli è però ancor vero che tutto il loro ac-
crescimento e tutte le consuetudini e leggi che
da poi intorno ad essi furono introdotte e prò-*
mulgatC; si debbono a^ Longobardi che in Italia
gli stabilirono ; e lor diedero certa e più co-
stante forma 0; onde perciò s^innalzaron tanto,
che in appresso tutte T altre nazioni non con
altre leggi e costumi, che con quelli de^ Lon-
gobardi, vollero regolare le loro successioni, gli
acquisti , le investiture , e tutte Y altre cose a*
feudi attenenti; donde ne sorse un nuovo corpo
di leggi che feudaU appelliamo. Ma di ciò a più
opportuno luogo faveUeremo, quando de^ libri
ìorOy che oggi nel nostro regno formano una
O Hornint in Jorìspr. Fondai. #. i. $ S.
\
LIBRO QUARTO ai^
dèlie principali parli della nostra giorìspruden»
ztLy CI tornerà occasione di più diffusamente
ragionare.
Dopo avere Antan in sì fatta guisa aoddis*
fatti 1 suoi duchi 9 non tralasciò di provvedere
a^ bisogni del suo regno ^ e sopra tutto a faf
che in quello la giustizia e la religione avesse
il dovuto luogo 0* Volle che i furti ^ le rapine j
J^li omicidii^ gli adulterìi e tutti gli altri delitti
ossero severamente puniti. Si spogliò e depose
il gentilesimo, ed abbracciò la religione cristiana
da liOngobardi non prima ricevuta, i quali ad
esempio del loro re passarono per la maggior
E arte nella nuova religione del loro principe. Ma
i condizione di que tempi, e T esempio assai
firesco de' Goti, fece che non la ricevessero
pura ed incorrotta, ma parimente contaminata
dair arrianesimo : il che cagionò che essendo i
loro vescovi arriani, molti disordini e discordie
insorsero fra essi ed i vescovi cattolici ch'e-
rano nelle città a lor soggette.
Non minori furono i progressi d' Autari nel
valor militare, che nella prudenza civile. Ricu-
però ben tosto Brissellò; e perchè nell'avvenire
più non potasse esser ricetto de' suoi nemici^
gittò a terra e demolì le forti mura che lo cin*
gevano. Ma sopra tutto la sua prudenza e va*-
lore si dimostrò, allorché avendo già Childe-
berto re di arancia passate l'Alpi con potente
esercito, egli conoscendosi inferior di forze, e .
che non poteva ostargli in campagna^ ordinò
a' suoi duchi che munissero le loro città con
(•) Sipnn. t!*? R. Ifal. I. i.
ai8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
forti presidi! y e senza uscir da^ loro recinti •
aspettassero sopra le mura il nemico. La qua!
condotta* ebbe si prospero avvenimento^ che
Giildeberto considerando che impresa molto
lunga e difficile era di porre T assedio a tante
città, tosto si piegò alle lusinghe d^Autari, il
quale avcagli mandati ambasciadorì con riccliis-
9Ìmi doni per rimoverlo da queir impresa , ed
a dimandargli là pace, siccome in fatti Febbe.
Onde poi nacquero, le forti doglianze di Mau-
rizio imperadore, if anale altamente dolendosi
di . questa mancanza di Childeberto , non lasciò
di continuamente sollecitarlo, o che gli resti-
tuisse r immense somme di denaro che aveasi
preso per far la guerra a^ Longobardi, ovvero
osservasse la promessa di tornare di nuovo in
Italia a. combattergU; e furono cosi gontinue e
spesse queste querele di Maurizio e questi rim-
proveri, che alla fine mosso Childeberto dagli
stimoli d^ onore, deliberò di ritornare in Italia con
esercito più potente di quello di prima. Allora fu
che Autarì diede F ultime prove del suo valore;
perchè seriamente considerando che doveansi
impiegar tutte- le forze e far gli ultimi sforzi
per abbattere questo potente inimico, affinchè
nell^ avvenire non venisse piìi inquietato il suo
regno da' Franzesi , e per lo costoro esempio
se ne ritenessero ancora F altre nazioni; deUberò
di disporre la milizia in altra guian di ciò che
aveva prima fatto. Volle dunque prevenirlo ed
andargF incontro in campagna aperta; ed avendo
raunato da tutto il regno i suoi eserciti, animo-
gli ad impresa, quanto dura e difficile, altret-
tanto gloriosa , e che sarebbe cagione , se
LIBRO QUARTO SIQ
riusciva, di dare una perpetua pace e tranquillità
al suo regno : incoraggiava i suoi Longobardi
a dar F ultime pruove del lor valore: ricordava
le tante vittorie riportate sopra i Gepidi nella
Pannonia; aver essi per la fortezza de^ loro
animi soggiogata F Italia: e finalmente che non
irattavasi ora, come prima, di guerreggiar per
P imperio, o per F ingrandimento di quello, ma -
per la libertà propria, e per la salute di loro^
medesimi. Furono queste parole di tanto stimolo
a* Longobardi, che toccati nel più vivo del cuo^
re, datosi il segno della battaglia, ne^ primi at-
tacchi si portarono con tanto valore ed intre*
pidezza, cne si vide tosto inclinar Fala nemica j
onde prendendo maggior animo per cosi pro-
spero cominciamento , F incalzarono con tanta
ferocia e valore, che ridussero i Franzesi ad
abbandonare il campo , e a cercare nella fuga
lo scampo. Fugati dunque e dispersi i nemici,
moki restarono presi ed uccisi; moltissimi che
fuggendo la loro ira si nascosero, di fame e di
fireddo perirono. Per cosi celebre e rinomata
vittoria il nome di Autari si rendè illustre e
luminoso per tutta F Europa ; e vedutosi già lir
bero dalle incursioni di straniere genti, pensò
a soggiogare il resto d^ Italia ch^i)ncor era in
mano de^ Greci. •
Ù30 UTORU DEL KEGirO 01 HAPOtI
C AP O II
Pel ducato beneveniatu), e di Zoiong
suo primo duca.
Aveva Autari, ciò che non fecero i suoi mag'-
giòrì , soggiogata quasi tutta V Italia citeriore :
toltone il ducato romano e T esarcato di Ra*
veuna che allora veniva governato da Roma-
no 0; avendone poco prima Firaperador Mau*
mio levato Smaragdo ^ tutto il resto era in sua
mano; ma restava^ ancora da conquistare la jHÙ
bella e preclara parte d^ Italia^ cioè quella parte
e quelle provincie che oggi compongono questo
regno di Napoli. Infino a questi tempi eransi que«
ate Provincie mantenute sotto F imperio degl^im-
peradorì orientali^ che le governavano secondo
quella forma che da Longino v^era introdotta.
Avevan quasi tutte le città più principali il lor
duca: Napoli aveva il suo, Sorrento, Amalfi, Ta-
ranto, Gaeta, e cosi di mano in mano T altre*, tanto
che quello che ora è regno , intomo all^ ammini-
strazione, in più ducati era distinto, tutti però
immediatamente sottoposti all^ esarca dlRavenna,
e dopo costui agFimperadori d^ Oriente. E se bene
nella forma de^ governo tenessero apparenza di
repubblica, nuUadimeno è somma sciocchezza il
credere che fossero così hberi , che non rico-
noscessero r imperadore d' Oriente per loro
sovrano, sotto la cui dominazione vivevano:
(*) Marq. Frclirr. in Ghmnnl. Exar. Bar. Smaragrius A. 564*
Roinana^ A. 587
UBRO QUARTO 22 i
qnantnnque per la debolezza degli esarcbi di
Ravenna^ e per la lontananza della sede impe*
riale/il governo de^ duchi si rendesse un poco
più libero e pieno, tanto che sovente arrivavano
infino a manifeste fellonie, con ribellarsi dal
loro principe; la (mal cosa più volte tentaron
di fare i duchi di Napoli, come più innanzi nel
suo luogo diremo.
Queste provincie, come quelle ch^ erano pia
lontane da Pavia ^ sede de^ Longobardi, e- che
potevano, in caso che fossero assalite, ricever
tosto soccorsi per mare, onde sono quasi tutte
circondate, con picciolìssimi presidii da^ Greci
* eran guardate. Onde Autari espertissimo prin*
dpe pensò dalle provincie mediterranee cominr
ciar le sue conquiste: e lasciandosi in dietro
Roma e Ravenna, delle quali non cosi di leg«»
gieri potevasi venire a capo, avendo nella prì*
mavera di quest^anno 689 nel ducato di Spo-
leti unito il suo esercito, fingendo di dirizzare
il suo cammino in altre parti , di repente lo
torse, e nel Sannio si gittò. Colti così allMm-
phovviso i Greci, entrarono in tale stordimento
e costernazione, che senza molto contrasto venne
fatto ad Autari di conquistare in un tratto tutta
questa provincia, e finalmente Benevento, città,
come credette il Sigonio, fin da questi tempi
capo e metropoh del Saimiò. Indi si narra che
questo principe al calore di sì ragguardevole
conquista spingesse oltre il suo cammino, e
traversando tutta la Calabria insino a Reggio
scorresse, città posta nelF ultima punta d^ Italia
lungo il mare, e che quivi, essendo ancor a ca*
, vallo, percotendo colla sua asta una colonna
2^2 ISTORIA DEL REaNO^Dl NÀPOLI
posta ne^ lidi di quel mare • dicesse : Fin qui
saranno i confini de' Longobardi y ondi è che
F Ariosto de^ fatti di questo glorioso principe
cantando^ disse che
Corse il tao stendardo
Vai* pie de^ monti al Mamertino lido.
Narrasi ancora che ritornato a B^evento^ rì<*
ducesse quella provincia in forma di ducato, e
die ne creasse duca Zotone^ ed a* due celebri
ducati di Friuli e Spoleti v^ aggiungesse il terzo^
il quale col correr degli anni si rendè tanto
superiore agU altri due primi ^ quanto questi
sppravanzavan gU altri ducati minori d^ Italia.
Ma poiché del principio ed instituzione del
ducato beneventano non è di tutti conforme il
parere, e questo ducato dee occupai^ una gran
parte della nostra Istoria, per lo spazio di 5oo
e più anni, siccome quello il quale non sola-
mente per la durata, ma per la sua ampiezza
si stese tanto , die abbracciò quasi tutto quel
ch^è ora regno di Napoli; non rincrescevo! cosa
doyerà perciò essere che di esso più partita-
mente SI ragioni.
Il ducato di Benevento credesi comunemente
che da Autari in questo anno 589 fosse stato
la prima volta instituilo, e che Zotone ne fosse
stato creato duca da questo stesso principe.
Passa per indubitato presso a tutti gF istorici,
che questo Zotone fosse il primo duca di Be*
bevente ; ma chi ve Y avesse fatto ed in quali
O f* Warncfr. l 3. e. 53.
LIBRO QUARTO 22S
tempi ^ non ò di tutti concorde il tteutimeuto«
Car[ó Sigonio (i) e "W^olfango Lazio (a) y non
avendo ben esaminate le parole e la frase usata
da Paolo Wamefrido. (3) j quando di questa in*
stituzione favella ^ tennero costantemente per la
costui autorità che fosse stato iustituito dà Au-
tari in questo stesso anno elisegli conquisto il
Sannio e Benevento ^ creduto da essi in questi
tempi capo di questa provincia. Ma dal modo
istesso con cui ne parla ^amefrido^ che non
con fermezza^ ma con un putatiir, re/trtur,
fama esty se ne. disbriga, e aa ciò che ne vien
da lui soggiunto, che Zotone tenne il ducato
di Benevento venti anni : il che non s^ accor-
derebbe colla serie delle cose da poi avvenute,
e colla cronologia de^ tempi degli altri duchi che
seguirono, se da questo anno 689 si volessero
cominciare a numerare i venti anni del ducato
di Zotone; perciò alcuni altri, fra i quali Scipione
Ammirato nella dissertazione de^ duchi e principi
di Benevento, ed Antonio Caracciolo (4) hanno
cominciato a dubitai*e se si dovesse ne^ tempi
più antichi fissar V epoca di questo ducato. Ma
ciò che poi loro fece rifiutar dcuiiberatamente V o*
pinione tenuta dal Sigonio e dia Lazio, fu Tau*
torità di Lione Ostiense (5), il quale ancorché
fiorisse trecento anni dopo ^amefirido, non con
incertezza , ma< con molta asseveranza scrisse
(1) Sigon. de R. Ital. L f.
Ca) Wolfgau. Las. lib. la. de Migra*, grnt.
(3) P. Warn. I. 3. r. 34. et 35.
ìi) Aut. Carar. in Propileo ad miatuor C1u*od.
($) Leo Otftku». Quou. 1. i. e. 48.
aa4 ISTORIA D£X A£GfCO DI NAPOLI
lidia sua Cronaca^ secondo P edizione napole-
taudj che i Greci ritolsero a' Longobardi Bene-
vento nelTanno 891^: dopo trecento venti anni
da che Zotone ne fu ducaj onde seicondo FO-
stiense^ il, principio del ducato di Zotone do-
vrebbe riportarsi ncU^aiìno 5^1^ o ^siccome vuole
FAmmiratOi all^anno 5 7 3: il quale per accordarlo
colla serie delle cose accadute da poi, e colla
cronologia degli altri ducili tenuU dalT istesso
Warnefndo ^ emenda il luogo dèU^ Ostiense ; e
vuol che si legga; non trecento venti ^ ma tre*
cento diciotto: in guisa che^ secondo il parer
di costoro y il ducato beneventano ^ prima che
Autari conquistasse il Saimio^ ed alquanti aimi
dopo la venuta d^ Alboino in Italia^ ebbe il suo
pnncipio. Altri trovarono F origine di questo du»
cato in tempi più lontani ^ cioè nellMstesso an«
no 568 9 quando Alboino, uscito dalla Panno-
nìa^ venne alla conquista d^ Italia; e che oltre
alla provincia di Venezia, una banda di Longo-
bardi s^ inoltrasse infino a Benevento , e quivi
fennad eleggessero Zotone per loro duc^ : il
che comprovano per un catalogo antico de^ du«
chi e principi beneventani fatto da mi ignoto
monaco del monastero di S. Sofia di Bene*
vento, che va innanzi all'Istoria delF Anonimo
Salernitano, ove questo scrittore dice (*): Anno
ab JncamaUone Domini quingeniesimo sexag^-
simo oclavo , principes cocperunt principari in
principatu Bene^ntano, quorum primus \^oca-
batur Zotto ; al quale dà egli ventidue anni di
ducato, non venti, come ^aruefrido.
O Lfiggesi presso Camil. Pel. iu Hist. Princ. Long.
LiBho QUARTO aaS
Ma non finisce qui la varietà de' pareri, né
sì contentano i piiì diligenti investigatori di que-
sto principio, ma un altro piìi remoto ed in
tempi più lontani se ne cerca. Questo viene ad-
ditato da Lione Ostiense medesimo nella sua.
Cronaca, nella quale se bene giusta V edizione
napoletana si legga che corsero trecento venti
anni da che fu credito Zotone duca ùifino al-
l'anno 891, che fu da' Greci riacquistato Bene-
ventoj nuUadimanco it suo orifinale, che sì con-
serva neirarchivio Cassinese, à molto discorde
dair edizione napoletana; poiché ivi si legge che
da Zotone ìntìno all'anno 891 non 830 owe--
ro 3i8, ma ben 33o anni passarono. Conformi
a questa lezione sono T edizioni di Venezia ^
3 nella dì Parigi, e T ultima data fuori dall'abate
ella Noce: Tuna e l'altra molto piiì appurata
che quella di Napoli mtomo al numero degli
anni, in guisa che, secondo questo conto, bi-
sognerà confessare che il ducato di Benevento
avesse il suo principio da Zotone nell'anno 56i.
Ma sembrerà senza alcun dubbio cosa molto
strana e assai nuova, che in questo anno sì
dovesse dire di essersi instituito quel ducato ,
quando verrebbe ad aver il suo principio sette
anni prima che i Longobardi usciron dalla Pan-
uonia per t'impresa d'Italia, e quando ì Greci
dominavano con vigore tutte le provincie della
medesima.
la tanta varietà a noi giova seguitare. il pa-
rere del diligentissimo Camillo Pellegrino 0>
scrittore accuratissimo, e che eoa più diligenza
O Cam. Pel. in dii. Due. B«L di*, i.
CiAHvoni, Fot. n. i5
aa6 ISTORIA del regno di napoli
dì tutti gli altri trattò di proposito questo aog-
fstto e parere che vien sostenuto da ciò che sul-
arrivo de^ Longobardi in Benevento ci lasciò
scrìtto Costantino Porfirogenito: autore ancorché
al(]uanto favoloso intomo a ciò che scrìve della
venuta de^ Longobardi in Italia; nuUadimeno in
mezzo delle sue favole riluce pure qualche rag-
gio di vero^ che può ih cosa tanto difficile e
dubbia additarci il cammino per trovare il prin-
cipio e instituzion» di questo ducato. Narra que-
. sto scrìttore 0> ^^^ chiamati i Longobardi da
Narsete in Italia^ questi venissero con le loro
famiglie in Benevento; ma che non ammessi da*
Beneventani dentro alla città; fuorì delle mura
si fabbrìcassero le loro abitazioni, e con ciò
venisse a formarsi una picciola città che fin da*
suoi tempi riteneva ancora il nome di Città No-
va: e che quivi fermati , ne* t;jempi seguenti loro
venisse fatto per inganno d'entrare in Benevento
armati, e posta sossopra la città, uccidessero
tutti i cittadini^ e che preso Benevento, scorser
da poi per tutta la provincia, e la sottoposero
al dominio de^ Longooardi, e stendessero il loro
imperìo dalla Calabria infino a Pavia , toltone
le città d^ Otranto, Gallipoli, Rossano, Napoli,
Gaeta, Sorrento ed Amalfi.
Ciò che narra costui, che i Longobardi usciti
da Benevento stendessero il loro imperio per
tutta Italia , ben si vede esser favoloso , e
contrastare a tutta F istoria, dalla quale abbia-
mo, che usciti dalla Pamionia sotto Alboino, i
O CouiUnt. Porphyr, dt Àdmin. Imp. o. a^.
LIBRO QUjLKTO 32^
primi acquisti furono nella provincia ài Vene-
sia, e da poi trailo tratto nella Uguria, nel-
r Emilia , nella Toscana e nell' altre provincie.
Favola eziandio è ciò phe dice della Città Nova,
la quale molto tempo dopo la venuta d^ Alboino
in Italia, cioè ducente anni appresso, fu da
Areclii per timor de' Franzesi costrutta, come
ctiremo a suo luogo. Ma ciò che questo autore
narra de' Longobardi che sotto Narsete si rìco-
Trarono in Benevento, non è certamente favo-
loso; poiché da quel che si è di sopra narrato,
è costantissimo che Narsete, prima dell'invito
fatto ad Alboino, e della universal loro trasmi-
grazione , in quasi tutte le sue guerre soleva
valersi in Italia de' Longobardi. Né fu questa
la prima volta che furono da luì chiamati: gli
ebbe ausiliarii nella guerra contro a Totila; e,
siccome dice 'Wamefrido , avvegnaché dopo
aver riportata quella vittoria, carichi di molti
doni , fossero stati rimandati alle proprie stan-
ze, in tutto il tempo però che possederono la
Pannonia, furon senipre in aiuto de' Romani.
Onde è nxJto probabile, che quantunque Nar-
sete gli licenziasse, non però tutti ritornassero
alle paterne case, ma che intorbo all'anno 55a
ovvero 553 molti di essi ritenuti dalf amenità
del paese, in ItaUa si fermassero, ed a guisa
di predoni andassero vagando ora in questo
ora in quell'altro luogo, del che Procopio ao-
oora rende testimonianza; e ohe in fine sponta-
neamente, o pure per comandamento di Narsete
per tenergli in freno, e per impedire que* disor-
dini che r andar così dispersi cagionava, fossa
stata loro assegnata per abitazione la città di
I
228 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
Beneveulo} e che poi nell^anno 56 1 F avessero
occupata^ neUa qual a^one avesse vi avuta la
principal parte Zotoue lor capo. Cosi da que-
sta anno potremo dire con F Ostiense che co-
minciassero i Longobardi a dominar Benevento
sotto Zotone. perchè infino affanno 891, nel
quale furon discacciati da' Greci , corsero ap-
punto trecento trenta anni : ma non già che in
questi tempi si fosse insUtuito il ducato ^ e che
quando la dominazione de^ Greci era in questa
provincia vigorosa e potente, avessero quei
Ì)0chi Longobardi potuto ridurre il Sannio in
brina di djiicàto , e stabilirvi Zotone per duca.
Per accordare poi gli anni del ducato che
Wamefiido da a Zotone ^ colla serie de^ fatti
e cronologia degU altri duchi successori tenuta
da questMstesso scrittore, bisognerà porre per
primo anno di questo ducato ranno 071, cioè
quando essendo entrato già Alboino in Italia e
conquistate più provincie, fatti più audaci que^
Longobardi cV erano in Benevento, scossero
apertamente il giogo de^ Greci, e ribellandosi
eia loro, avessero occupata là regione convi-
cina, e n'avessero poi in questo anno 671
creato Zotone della lor propria gente duca, il
quale per così oscuro principio avesse comin-
ciato a governargli. Venuto poscia Autari ad
invadere la nostra Cistiberìna Italia, ed avendo
al suo dominio sottoposta Finterà provincia
del Sannio, trovando Benevento occupato da'
liOngobardi, i quah ubbidivano a Zotone lor
duca, ne confermò a costui il governo, e fat-
tolo tributario, come furono in appresso tutti
i duchi di Benevento a' re longobardi, lasciò
LIBKO QtfARTO 339
qu^ ducato sotto la sua amministrazione. Onde
avreane che presso agli scrittori ìi pnncipio dti
ducato di Zotone si prese non dal tempo che
Autari occupò il Saniiio, e ridottolo in forma
dì ducato, lo commise al suo governo; ma dal
tempo che Zotone cominciò per quegli oscuri
Srincipii e per questo ordine di cose ad avere
governo ai Benevento e di q\ie' Longobardi
che, come oaira Porfirogeiiito, prima Taveano
occupato.
n ducato adunque di Benevento da sì bassi
e tenui prìncipii ebbe il suo nascimento: qual
narrasi che sortirono ancora le più celebri re-
pubbliche ed i più famosi principati dtì mon-
do. Col correr poi degli anni, non pur aggua-
gliò quello di Spoleti e di Friuli, ma di gran
lunga superogli, e Io vedremo un tempo occu-
pare quasi tutta Fltalia Cistiberina, anzi verso
settentrione stendere i suoi confini, più dì quel
che presentemente verso quella parte sì stende
il nostro regno. Incominciò da que^ pochi Lon-
gobardi che sotto Narsete in Benevento si fer-
marono ; e sopra sì deboli fondamenti pian
Eiano venne da poi ad introdurvisi quella pò-
zia e quella forma di governo che sotto i
duchi successoti di Zotone per più secoli si
mantenne. Autari fii il primo che gli diede più
stabile e certa forma , e che cominciò a dila-*
tare ì suoi confini; imperocché tutta la pro-
vincia del Sannìo sottopose egli a questo du-
cato; e, come vedremo, gli albi re longobaitli
suoi successori per mezzo de^ duchi maravi-
gliosamente 'Tacerebbero. Benevento ebbe la
fortuna d^ esser capo e metropoU di un tante
d3o 18T0RU DEL REGNO DI NiPOLI
ducato^ non per elezione^ né perchè forse nel
regno d'Àutari questa città s'mualzasse tanto
sopra tutte le altre citta di quelle provincie, che
poi dominò, onde forse per questa sua emi-
nenza avesse avuto da anteporsi a tante altre.
Vi erano nel Sannio altre città non meno ce-
lebri ed antiche, come Isernia, Boiano ed al-
tre; ed assai più ragguardevoli ve n^ erano nells^
Campagna. AllMncontro Benevento quantunque
a tempo de^ Romani fosse stata una delle più
celebn colonie che avesse quella repubblica }
nulladimeno per le invasioni de^ Goti pati so-
vente di quelle calamità che soglion nascere
da' si strani ravvolgimenti; né in tempo di
costoro riteneva più quella sua antica dignità;
anzi sotto il regno di Totila^ per aver fatto
demolire questo principe le sue mura y si
ridusse in istato pur troppo lagrimevole. Fu
dunque per certo fato e per sua prospera for-
tuna, che Benevento, costituita sede di questo
ducato, si rendesse da poi capo e metropoli
delle Provincie a sé vicine; ma questo pregio
lo venne ad acquistar molto da poi. Ben ne^
tempi ne' quali scrisse 'Wamefrido, avea que-
sta città innalzata la fronte sopra tutte T altre;
ma q^iesto fu due secoli dopo il regno d' Au-
tari. Per la qual cosa , quando questo autore
descrìvendo le dicisette provincie d'Italia, e col-
locando nel Sannio Benevento, nomò questa città
capo delle provincie circonvicine, ciò disse avendo
riguardo a tempi che scriveva , ne' quali la sede
di questo ducato s' era renduta ampissima e
O Pro^op. (totb. lib. 3.
libuo QUAK-ro aSt
rìcchÌMÌma, e Benevento (a innalzato ad es-
ser capo non pur d'ima, ma di molte prorin*
eie , come del Sannio , della Qampania , della
Pu^a, ddla Lucania e de' Bruzi, o in tutto,
ovvero in parte, come appresso diremo. Sic-
come tutto a rovescio, quando questo scrittore
ccdlocò Benevento nel Sannio , eia non fece
riguardando i tempi ne* quali ^dominarono i
Longobardi, ma tenne presente la vecchia de-
scrizione d* Italia de* tempi degli antichi San-
nìtij poiché secondo T altra più recente d'Au-
gusto, come ce n'assicura Plinio (i), Benevento
non nel Sannio, ma nella Puglia era collocato:
e nelle altre descrizioni seguite appresso, si
vide questa cittì posta dentro a' coo&ii della
Campania: ood' è che negh Atti di Gennaro j
quel santo vescovo di Benevento, oggi primo
tutelare di NapoU , osserviamo che patendo egli
il martìrio sotto Diocleziano , fu al preside dwa
Campania, cui appartenevasi , commesso qu^
r affare. E ritroviamo ancora, che Ausonio fa-
voleggiando di colóro che mutarono sesso , e
narrando che in Benevento non arca molto
tempo che un giovanetto divenne femmina,
chiamò Benevento Città Campana.
£ per questa ragione nell'Itinerario che s'at-
trihuisce ad Antonino, il confine della Campa-
nia si figge ad Equo Tutico, che secondo T os-
servazione dì Filippo Quverio (a) i quella cittJi
a3a ISTORIA DSL REGNQ DI NAPOLI
die noi oggi Tolrarmente .chiamianio • Ariano ^
posta più in là da Benevento.; come sono le
parole dell^ Itinerario : A CamuL Equo Tutico
m. P. LIV. ubi Óampania bmitan kabet Caur
dis M. R XXI. Benevento M* P^ XI. Equo Tu-
fico M. P. XXI.
Né per altra ragione ancora avretme che i
Beneventani^ come s*è detto, posero piò marmi
cogli elogi de* consolari dola Campania, sic-
come altresì facevano i Capuani , i Napoletani ,
e le altre città che dal consolare ddU Campa-
nia eran «governate. Da* quali documenti mani-
lestamente apparisce, per qnal ragione T altro
GennarO| pur vescovo di Benevento , essendo
anch^egli intervenuto nel concilio di Sardica
celebrato nell^ anno 347 j e correndo allora il
costume di sottoscrìversi i vescovi col nome
della propria città , e della provincia ove quella
era posta , si fosse ivi sottoscrìtto in questa for-
ma: Januarius a Campania de Benevento.
Non altrìmente fece ^amefrìdo , quando ci
descrìsse le dicisette provincie d'Italia, rap-
presentandole siccome le ritrovò nella Notizia
dell'uno e delF altro Imperio, fatta sotto Teo-
dosio il giovane intomo Fanno del Signore 44^*
Poiché ne' suoi tempi le provincie d'Italia, an-
corché ritenessero i medesimi nomi presso agli
scrittori (come anche facciamo oggi, che per
ostentar erudizione nello scrivere, non pur ri-,
corriamo a' tempi di Teodosio, ma a più alto
Srincipio volgendoci, diamo i nomi a ciascuna
eDe dodici nostre provincie che oggi compon-
gono il regno , secondo erano ne' tempi della
libera repubblica , con nomare i loro popoli ,
LIBRO QDAKTO 333
Sanniti, Lucani, Hirpìni, Salentìni e simili), njit
ladimeno era Tariata in tutto la loro anuuìni-
strazione, e fu divisa Tltalia in più ducati che
non furono prima provinciej onde avrenne che
di quello che ora e regno , e che prìma non
era diviso che in quattro provincte, se ne fos-
sero da poi formate dodici , che acquistarono
ahrì nom^ ed altri confini, come net prosegui-
mento di questa Istoria vedremo.
Or ritornando in cammino , V istituzione di
questo ducato , se si riguardano i suoi hassi
prìncipìi, fii a caso, non ad arte in Benevento
stabilita; siccome furono non solo tutti gli altri
ducati minori da' Longobardi in diverse città
istituiti, ma quel di Friuli ancora, e l'altro di
Spoletì; e siccome sogliono essere tutte le altre
cose di questo mondo: che, se si riguarda la
lor origine , surte a caso da tenuissimi prìn-
cipìi s' innalzano al sommo , ove poi giunte ,
uopo è che retrocedano, ed allo stato di prima
ritornino, come portano le leggi delle mondane
cose ; leggi indispensabiU , alle quali T umana
sapienza non vale ad opporsi , ne a darvi ri-
paro. Non è però, che stabilite col correr degU
anni le fortune de' Longobardi in Italia, avendo
i loro re scorto che u perpetuare con lunga
serie tanti ducati sarebbe tener troppo -diviso
il loro -regno, non pensassero da poi d'estìn-
guerne moUifisìmi, e ritener quelli solamente die
potevano più giovare nlla conservazione deflo
Stato. In fatti ^aniefrido istesso ne accerta che
a' suoi tempi molti erano estinti, non facendo
questo scrittore ne' seguenti anni della sua Isto-
na menzione d'altri ducati, se non dì qud ài
•|34 ISTORIA DSL EEGRO DI WAPOLI
l^rentOy di Turino ^ di Bergamo | di Brescia^ e. di
.ouesti altri tre che sopra tutti «^estolsero, cioè di
^oleti, di Friuli I e questo di Boieyenta
Né egli è fuor di ragione il credere che que-
sti ulUmi tre sopra tutti gli altri si fosse pro-
curato avanzargU^ perchè stando così (Ustnbui-
ti 9 veniva il regno a conservarsi con più sicurtà,
ed a poter estendere assai più oltre i suoi confinL
Imperocché essendo situato il ducato dd Friuli
air ingresso delT Italia , si poteva quindi con
maggior prontezza resistere alle incursioni dji
straniere genti che tentassero invaderla: dalT al-
tro di SpoTetiy collocato in mezzo ritaUa, si po-
teva con più facilità contrastare a^ moti de*
Romani e de^ Greci , da^ quali in Ravenna e in
Roma forlificatì venivan sovente con varie scor-
rerie molestati : ed il terzo di Benevento era po-
sto a reggere Pinferior p^rte d^talia, donde si
potesse fare argine a^ Greci stessi ed a^ Romani^
da^ quali spesso per questi lati marittimi erano
assaliti ed in continue guerre esercitati. Per la
qual cosa Matteo Paimerio {*) accuratamente ci
rappresentò la polizia e forma del governo de^
re longobardi, quando disse che aveiido costi-
tuita la loro reggia in Pavia, avevano vari prin-
cipati per Italia distribuiti, a^ quali preponevano
i duchi; fc9L quali i più cospicui, e per succes-
sione osservati, erano quel di FriuU nell^ingresso
dcU^ Italia, T altro di Spoleti posto quasi nelFum-
biUco di quella, ed il terzo di Benevento per
regger Tinferior parte della medesima; dap-
poiché questi tre ducati furono sempre a^ re
O ^' ra?mrr. in Chion. ad A. 77G.
LIBRO QUARTO 335
loUopostì , e con uno spinto e colle -medesime
leggi si goremavaDO, formando una sola repub-
blica; ed in qiiesta maniera stabiliti si renderon
più celebri, e pian piano stendendo i lor con-
fini (nel cbe sopra tutti gli altri s^avanzfi quel
fli Benevento) poterono lungamente conservare
ÌD Italia il dominio de' Longobardi.
Nel registrare ì fatti de' ducbi di Benevento
noi seguiremo T ordine de* tempi e degli araiì
tenuto dal diligentis^o Pellegrino, come quedi
eh' è più accurato di tutti gli altri , eziandio ddlo
stesso ^amefrido. E ponendo noi il principio
del ducato di Zotone nell'anno del Signore 5^1,
non nell'anno 585, come fece 'Wamefrido (il
quale però conferà ancor egli cbe il di lui do-
minio durò anni venti, tempo certamente cbe
è il più sicuro), verremo perciò a mettere il suo
fine nell'anno 591, non nel 6o5 o nel 598, come
(a il Sigonio. Laonde quel che questo scrittore
narra del sacco e della preda ai Crotone, che
indubitatamente sorU nell' anno 596, non sotto
2otone, ma sotto Arechi suo successore avven-
ne. Donde manifestamente si veggono gli ab-
bagli che nascono , e de' quali non s' avvide
Fistesso Sigonio, se sì voglia fissare il princi-
pio del ducato di Zotone, com'ei fece, nell'an-
no 589, poiché il fine del suo ducato e la sua
morte avrebbe egli dovuto porre nell'anno 609
dopo scorsi H ao anni, non, come fece, nel 598,
nel qual anno non ne sarebbon passati più che
nòve del suo ducato.
I fatti di Zotone primo duca di Benevento
non meritano commendazione; poiché appena
ritornato Antan in Verona, dopo aver sottoposto
336 ISTOKU DKL UOMI-SI UF(n.t
y Sutoio al suo doeitOj q bMaatoiie a ZotOM
il gOTOmo, e* d diede um-ben èhini doOai éam
npacith, ed ancora deb'*» poca rdi^oiiBy
per ^unto dal sraoeBta'fidto'ai pnà compna'
Bere. Il monastero Gaa ai naw òca do «mi prima
edificato da S, Benedetto, eod par bi&ma dd
MIO fondatore, come pef la aatthrtà e-£gmtà da^
monaà assai cdebre al iMHijo, «rera tintb a
sa la mnnificensa di vari mfaie^ dw con ào^ ■
naràRÙ gmdissime tVeranb mwOTJi^oiaimta
anicchtto. Zotonr, uomo avaiUsìiiio, co* inoi
LoDgobardi, avido di queste liochene, impnrr-
TÌsamente at notte Fasufi, e. non cootento defla
preda, e d'aveme tolto tatto ciò che pia di
pregevole Vera, devasta e getta a terra Pedi-
lìcio; e mentre ì Longobardi sono tutti intenti
alla preda, ebbe campo Bonito, che n^era al-
lora abate, di fuggir con i suoi monaci in Roma,
ove accolti con molta benignità da Pelagio papa,
ed assegnate loro alcune stanze vicino Laterano,
qmvi si fabbricarono essi un monastero, dove
per cento trenta anni si fermarono ; e rimase
uitanto quel monastero dì Cassino abbandonato
per tutto questo tempo, infinocbè Petrouace a^
conforti di Gregorio U ne prese cura. Costui
aveàdovi ridotti molti monaci e nobili che Te-
lessero abate, rifece l'abitazione, e lo restituì
alla pristina dignità. •
n sacco di questo monastero non puf) porsi
in dubbio , che da Zotone fu commesso non
nudto tempo prima della sua morte , verso la
fine di quest' anno 589 , copie -qudlo che ac-
" " ' ■ " qoal morì nell'ao-
igorio M.
cadde sotto Pelagio papa, il qoal morì tu
no 590, non molto innanzi cbe.S. Gregoi
LIBRO QUAKTO 33^
scrivesse i suoi Dialoghi, ne^ quali facendo me»-,
zioue di questo sacco, lo narra come d'uD
successo di fresco accaduto {i). Ed è costan-
tissimo , come accuratamente osservò il Baro-
nie, cbe S. Gregorio scrìsse i suoi Dialoghi nel-
l'anno 593, onde sì vede apei-tamente l'errore ■
di ^amefrido che pone questo fatto nell' an-
no 6o5, e l'altro di Sigiberto, che questa de-
vastazione Tuoi che sia seguita nell' anno 596,
non avvertendo il testimonio certissimo di S. Gre-
gorio, e quel che si raccoghe dalla Crouica di
Lione Ostiense ; ciò che meriterebbe un più
lungo discorso , ma supplirà quello dell' abate
della Noce (a) che esamino con molta diligenza'
questo punto.
CAPO IIL
Di Jffluyò IV re de' LongobarM, e di
Grecia II duca di Benevento.
Mentre queste cose accadevano nelle nostre
Provincie, Aularì non avendo potuto ottener
per moglie la soreUa di Childeberto re di FraiH
eia , la quale fu da questo prìncipe sposata a
Becaredo re di Spagna, da poi che ebbe costui
abbracciata la fede cattolica, e con memorabil
esempio discacciato l' arrìanesimo da' suoi re-
ffà; rifiutato dunque Autarì da CbildebertOi
(0 S. Grcg. H. I, a. Dialog. e. 7. Nactiumi tempore nnper
iUic LoDgobardi ingrcui lunt,
(9) Ab. d« Kiwe Chn». Ch. I. i. c a. m Emw. Chranal«(.
!l40 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
solamente per le sue pieghevoli e dolci maniere,
ma molto più per la gratitudine d' averlo al trono
innalzato; Abbraccia per tanto Agilulfo la reli-
gion cattolica^ e seguitando i Longobardi T esem-
pio del loro principe, moltissimi di loro dete-
starono , chi il gentilesimo, altri Tarrianesimo
de^ (juaU eran infetti, e renderonsi cattolici. E
potè tanto in Agilujifo il zelo di questa rehgione ,
che a* conforti di Teodolinda rifece molti mo-
^ nasteri, e molte chiese ristorò, le quaU per le
passate guerre eran poco men che distrutte, e
donò a quelle molte possessioni, restituendo l'o-
nore e la riputazione ^ vescovi, i quali, quando
i Longobarai erano nell'errore del paganesimo ,
furono in depressione ed abietti (i).
SI.
Di Arechi II duca di Benevento.
Nel regno di Agilulfo, conforme al conto del
Pellegrino, in quest'anno Sgi accadde la morte
di Zotone duca di Benevento, celebre più per la
sua rapacità e per lo memorabile sacco del mo-
nastero Gassinese, che per altro; onde per la co-
stui morte fu dal re Agilulfo nel ducato di Bene-
vento eletto Areclii congiunto per consanguinità
a Gisulfo duca del Friuli (3). Secondo la polizia
introdotta da Autari nel regno de' Longobardi
in Italia , non solevan questi duchi levarsi se
non o per fellonia, o per morte; e dopo la
(1^ Pani. Warnrfr. ì. 4.
d^ Siffon, ^r Rrb, Ital. An. 598,
LIBRO QUARTO ì^l
morte Tenne anche ad introdursi di anteporre
a qualui)(]ue altro ì BgliuoU del morto, se il re
gli reputava libili. Cosi veggiamo die dopo il
lungo ducato di questo Arechi, die durò ciiv-
Siant* anni , succede nello stesso Aione suo fi-
iuolo. E accadendo di morire il duca senza
figliuoli , il re o eleggeva altri ìa luogo suo ,
ovvero estingueva il ducalo, senza surrogarvi
successore. U che s' osserva essersi cominciato
a praticare negli ultimi anni del regno di questo
Snncipe : ciocché facevano essi per ragion di
Lato , fomentata dall' ambizione de^ duchi , i
aliali bene spesso tentavan di scuotere il giogo
ella dipendenza e rcndctsì assoluti; onde fu-
ron obbligali a pensare di sopprimere , quando
potevano , molti di questi ducati : tanto che
pian piano gU ridussero a ben pochi , rite-
nendo solamente quetU che potevano, conio s' è
di sopra osservato , giovare alia maggiore si-
curtà e custodia del regno. Tanto maggior-
mente, che i re longobardi non meno per le
guerre esterne di straniere nazioni, quanto per
quelle che venivan mosse da' loro proprii du-
chi, erano in continue sollecitudini ed angu-
stie, come si è veduto nel regno d'Aulari, e
potrà osservarsi in questo d'Agilulfo, il quale
dopo avere nell' anno 5i^ di nostra salute fatta
la pace co' Romani, e dopo avere ristabilita la
lega con Teodiberto nuovo re di Francia , ebbe
a comballere co' suoi duchi eh' ernnsegli ribel-
lati, e con memorando esempio sconfitti che gli
ebbe , senza che potessero trovar perdono , privò
di vita tre di loro, Zangnillb in Verona, Gan-
dolfo in Bergauio e Vaniecauso in Pavia.
GlAKnOHE, f o!. Il, ili
2ÌJ^2 . ISTOKU DEL REGNO DI NAPOLI
Per questa ragione mancando per morte o per
fellonia alcuno di essi , o proccuravan surrogarvi
altri; delLi cui fedeltà ed amore eran ben certi^
come fece Agilulfo , quando morto Evino duca
di Trento, surrogò in quel ducato Gondoaldo
uomo cattolico ed insigne per la sua pietà (i):
owero ndn curavap darvi successore, siccome
avvenne al ducato di Crema, al quale, morto
Cremete senza figliuoli, non se gli die succes»
sore (2).
Q ducato beneventano sotto il governo d^A-
rechi , che fu il più lungo di quanti mai ne fu-
rono, durando cinquanta anni , dal 5gi infino
al 641 9 stese molto i-suoi confini ^ tantoché,
secondo Paolo EmiUo <3) ed altri scrittori , i
suoi termini da un lato s' estesero insino a Na-
poli , e dair altro sino a Siponto , la qual città
dopo il ponteficato di Gregorio M. si rendè an-
che a' Longobardi^* ed ai ducato beneventano
fu aggiunta. Né infino a questi tempi allargò egli
tant' oltre i suoi confini , quanto fortunatamente
gU distese poi negli anni seguenti, allorché ab-
bracciaron quasi tatto quello eh' è ora regno di
Napoli. Né perchè i Longobardi sotto questo
duca di Benevento , che secondo T epoca del
Pellegi'ino non potè esser certamente Zotone, ma
Arechi , avesser presa e saccheggiata la città di
Crotone , e fatti quivi molti prigionieri , dovrà
dirsi che sin da questi tempi i suoi confini verso
oriente si fossero stesi sino a Crotone ; poiché
il costume de' Longobardi era , quando loro non
(0 P. Warnffr. 1. 4* <*• »»•
(?) Sij^on. df Rejj. Ilal. An. 6oa.
(3) Paul. /Em\\. He Reb. Frane.
IIBHO QUARTO ^^3
riusciva di conquistar piazze nelle quali potes-
sero mantenervi si e lasciarvi presidio^ di scor-
rere a guisa di predoni il paese e saccheggiar-
lo, con portarsi seco i paesani, che riducevano
in cattività e n^ esigevan grosse somme per gli
riscatti. Come appunto avvenne a^ Crotonesi , che
per ricomprarsi fu d^ uopo sborsar gran dena-
ro^ e da una epistola di S. Gregorio M. ove de-
plorandosi la cattività de^ medesimi , si leggono
gli sforzi che da questo pontefice si facevan per
riscattargli, si conosce chiaramente che pVesa
ch^ ebbero questa città , dopo averla saccheg-
giata , carichi della preda si condussero conesso
loro molti nobili , non perdonando né ad età
né a sesso, e la lasciarono, né vi posero, pre*
sidio, essendo allora molto lontana da* confini
del loro ducato , ed in mezzo alP altre città de*
Greci loro inimici. Fu questo un costume pra-
ticato anche fra* GattoUci , i quaU ancorché non
riducessero in servitù i presi , solevano nondi-
meno custodirgli infino che non fossero con de-
naro riscossi : di che rendono a noi testimo-
nianza gravissimi autori 0* Non dee perciò
riputarsi acerbità o fiiror de* soli Longobardi , i
quaU, parte gentiU ed altri arriani, praticassero
lo stesso co* loro nemici Così anche sotto Zo-
tone, non perché dessero il sacco al monastero
Cassinese , s' allargò in quel tempo questo du-
cato tanto verso quella parte, come si stese da
poi. E per questa ragione ancora più sconcio er-
ror sarebbe se fin da tempi d*Autari re volessimo
O Orot. Hr Jure bflli et p«ic. L 3* e. 7. ft. 9. Vìbb. lB»tit.
I. I. til. 3. S tn*TÌ. B. 4*
^44 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
dire che il ducato beneTentano sì fosse disteso
sino a Reggio , perchè Autari iufino a quest^ ul«
tima parte facesse correre il suo stendardo } poi-
ché aa questo stesso , e da ciò che narrasi aver
detto questo principe quando coli' asta percosse
3uella colonna ^ che fin quivi dovea egli sten-
ere i confini del suo regno j si conosce ma*
nifestamente che allora tutti queMuoghi erano ^
come furono per molto tempo da poi y sotto la
dominazione degf imperadori d'Oriente.
Ecco come quello che ora è regno di Napoli ,
in questi tempi non riconosceva come^ prima un
sol signore ed un sol principe^ ma ben due. Il
ducato beneventano ubbidiva al suo duca im-
mediatamente, e per lui al re de' longobardi;
la Puglia e la Calabria, la Lucania ed i Bruzi,
il ducato napoUtano , quelli di Gaeta , di Sor-
rento j di Amalfi e gli altri ducati minori , a' loro
duchi immediatamente, e per essi all'esarca di
Ravenna e agi' imperadori d' Oriente.
CAPO IV.
Del ducato napoletano , e suoi duchi.
Poiché nel ducato napoletano abbiamo de' du-
chi che lo ressero, una continuata serie, e fu
auello che solo restò esente dalla dominazione
e' Longobardi , e che poi , estinti gli altri du-
cati minori , abbracciò molte città eh' eran in
quelli comprese, onde perciò si rendè anche piò
cospicuo ; non sarà fuor di proposito che par-
lando de' duchi di Benevento, nel tempo stesso
LIBKO QUARTO :i^5
si paHì di quelli dì Napoli , perchè ei conoscano
ìli. ciò le vicende delle inondaQe cose, come per
le continue guene ch'ebbero questi popoh, i
Beneventani co' Napoletani, avanziuidosi sempre
più il ducato di Benevento , quel di Napoli all' in-
contro e la dominazione de' Greci in tutto il resto
dell'altre provincie venisse ad estenuarsi: e come
da poi siasi veduto che del ducato di Benevento
appena siane a noi rimaso vestigio, ediall'in-
contro Napoli si fosse innalzata tanto, fino ad
esser iion pur capo di un picciol ducato, quale
era , ma capo e metropoli d' un vastissimo e flo-
ridissimo regno, qual oggi con ammirazione &
stupore di tutti sì ravvisa.
11 ducato napoletano, che nel suo nascere ebbe
angustissimi confini , la città sola dì Napoli colle
sue pertinenze abbracciando , ne' tempi di Mau-
rizio impei-adore d'Oriente fece notabili acquisti;
poiché questo prìnc^ie aggiunse stabilmente À
suo dominio I* isole vicine , come Ischia , Ni-
sìda e Procìda , nella cui possessione confermò
i Napoletani ; siccome scnve S. Gregorio M. (*)•
S^ aggiunsero da poi Cuma , Stabìa , Sorrento
ed Amalfi ancora , la quale insino a' tempi d'A-
driano papa e di Carlo M. fu del ducato napo-
letano , come ò chiaro per una epistola di qud
pontefice rapportata dal Pellegrini ; tanto che
ridotto questo ducato quasi in forma d' una pro-
vincia, venne volgarmente cliiamato anche Cojo-
pania: onde sovente il duca di Napoli diccTasì
a4é ISTORIA DEL EEGNO DI NAPOLI
dux Campanice^ come S. Gregorio (i) chiama
Scolastico duo: Campanioe , ed altrove (2) Go-
ìdiscalco duo: Campanice. Questa abbracciava
molte città di quel lido j che a' Napoletani ed
al lor duca eran soggette ) isd i vescovi di queste
città solevan perciò appellarsi vescovi napole-
tani ; ond^ è che sovente nell^ epistole dì questo
pontefice (3) si legga : episcopis neapoUtanis,
Non potè stendere più oltre i suoi confini verso
occidente , settentrione e oriente ; poiché il du-
cato beneventano già verso quelle parti stende-
va , fatto potente y le sue forti braccia. Capua
col suo territorio infino a Cuma j ed a^ lidi che
non han porto ^ di Mintumo^ Vultumo e Patria ^
detta anticamente Lintemo«era già passata sotto
la dominazione de^ Longonardi Non molto da
Eoi stesero i Longobardi i confini del ducato
eneventano infino a Salerno ; e molte altre città
verso oriente infino a Cosenza , con tutte Y altre
terre me^iiterranee , furono a' Greci tolte. Ed an-
che questo ducato napoletano sarebbe passato
sotto il dominio de' Longobardi , come passa-
rono nel con'er degU anni tutte 1' altre città me-
diterranee del regno j e da poi le marittime an-
cora , toltone Gaeta j Amalfi, Sorrento , Otranto,
Gallipoli e Rossano, se due cagioni non 1' aves-
sero impedito. Ciò sono , il non essere i Longo-
bardi forniti di armate di mare , né molto esperti
agli assedi di piazze marittime ; e V aver i
Napoletani, per ragion anche decloro siti, ben
fortificata Napoli e V altre piazze marittime a loro
(1) Grrg. M. 1. a. InH. ii. Epis. i. a fX i5.
(a) Epist. ivt. 1. 8. Ind. %,
(S) Epist. !t4. 1. la. ind. 7.
LIBRO QUARTO 2/^^
soggette. Tanto che potrà meritamente vantarsi
Napoli col suo picciolo ducato ^ che non ostante
d^ esser passate sotto la dominazione de^ Lon-
gobardi quasi tutte le città del regno , toltone
quelle poche dianzi rammemorate y e d' essersi
renduti i Longòfiardi signori di quasi tutto ciò
che ora >è regno , non poterono però mai sog-
giogar affatto i Napoletani y ancorché da poi ne-
S[li ultimi anni a' principi di Benevento fossero
atti tributarii, come nel progresso di questa Isto-
ria diremo: in guisa che non è condonabile Ter-
ror del Biondo (i) che scrisse , i Longobardi
non molto tempo dopo il governo de' 36 duchi
avere soggettata Napoh.
Al ducato napoletano solevan^i mandare i du-
chi per reggerlo , o da Costantinopoli a dirittura
dagF imperadori d' Oriente j o pure , quando il
bisogno non permetteva d'aspettar molto tempo
che venisse da parti sì remote, l'esarca di Ra-
venna , eh' era allora in ItaUa il primo magi-
strato degl' imperadori greci, soleva egli man-
darcelo.
Ne' tempi ne' quali siamo , sotto il ducato di
Arechi , imperando in Oriente Maurizio , essendo
NapoU senza duca, e meditando Arechi insieme
con Arnulfo duca di Spoleti assaUrla : S. Gre-
gorio M. a cui molto importava la sua difesa,
e che invigilava per gl'interessi dell' imperadore
contro a' Longobardi , dubitando che costoro
conquistando il resto d'Italia, eh' era in poter
de' Greci , finalmente non soggiogassero Roma
ancora, scrisse {2) nel 592 con molta sollecitudine
(i) Blond. DeoìA. 1, h\%ì. I. 8.
(9) S. Grrg. M. I. :t. ìn<ì. io. l'.p. Si. Caiu. PH. in dis*. àe
Due. Ben.
!l48 ISTORIA. DEL REGNO DI NAPOLI
a Giovanni vescovo di Ravenna ; perchè affret-
tasse r esarfca a mandar prestamente in Napoli
il duca per difenderla dallMnsìdie d' Arechi,
poiché altrimente egli senza dubbio la vedeva
perduta.
E da un^ altra epistola (i) di questo stesso
pbntefice, data neli^anno 599, osserviamo che
non molto tempo da poi fu mandato in Napoli
per duca Maurenzio y il quale con tanta vigilanza
8Ì pose a custodir questa città , che oltre ad
averla munita con valido presidio, costrinse an-
che i monaci a far la sentinella sopra le mu-
ra, senza perdonar nemmeno a Teodosio abate;
onde fortemente se ne dolse Gregorio (2) e per-
chè r affliggeva oltre alle sue deboli forze, e per-
chè avea mandato ancora molti soldati ad allog-
giare in un monastero di. monache, costringendo
Angela loro badessa a rii^evergli.
Ma essendo stato Y imperador Maurizio scac-
ciato dair imperio nell'anno 602 da Foca, questi
si fece acclamare imperadore dall' esercito nella
Pannonia , e giunto in Costantinopoli, vi fu ri-
conosciuto, e fece morire Maurizio co' suoi fi-
gliuoh 5 ed avendo mandato il suo ritratto in ,
Roma, fuv^^ parimente acclamato imperadore,
con consenso anche di S. Gregorio, che lo ri-
conobbe in Roma, come avea fatto in Costan-
tinopoli il patriarca Ciriaco. Foca adunque as-
sunto al trono , in luogo di Callinico , eh' era
stato da Maurizio sostituito a Romano , mandò
di nuovo in Ravenna per esarca Smaragdo (3) ,
€d in NapoH per duca Goudoino.
(1) F.p. ^4* ^' 7* ^"'^•. 3.
(•-*) Kp. 107. I. 7. ind. a.
(3) Marq. Frchcr. in Chron. Exarc. Rav. ^
/
LIBRO QUARTO S^Q
Per la morte di Goiidoino , fu mandato da
Foca in Napoli per duca Giovanni Compsino co-
stantinopolitano , quegli che , violando la fede
al suo Principe , tentò rendersi assoluto signore
della città a sé coimiiessa. Poicliè essendo stato
ucciso nell' anno Gio Foca (i) , e succeduto
iieir imperio Eraclio suo competitore j non po-
tendo i Ravignani soiferir la superbia e le gra-
vezze di Giovanni Lemigio (2) nuovo esarca,
mandato nell' anno Già da Eraclio in Ravenna,
preser le armi, e tumultuando, con gran con-
corso di popolo, giunti al palazzo, T uccisero
iniiiemc co' suoi giudici. Pervenuto questo fatto
a notizia di Giovanni Compsino duca di Napoli,
pensò non dovere aspettar miglior occasione per
nnpadronirsi della ritta ; onde tantosto per sé
occupoUuj e con forte presidio munilla centra
gli sforzi clic temeva dell' imperador Eraclio ;
il quale in fatti, avvisato de' tumulti di Raven-
na, e della fellonia dì Compsino, mandò subito
in Italia per esarca F>leuterio (3) patrizio e suo
cubiculario , uom jirode di mano e piìi di con-
siglio. Questi avendo composti ì romorì in Ra-
venna , passò con sufficiente esercito in Napoli ,
dove entrato pugnando, uccise il tiranno, rìdu-
cendola come prima sotto la dominazione d'E-
raclio3 e lasciatovi nuovo duca, vincitore in Ra-
venna fece ntonio (4)-
<i) P. Pigi Ar Consulib. p. ii-).
(1) Alarq. Frchtr. Inr. til.
O) Mai<|. Frplirr. Inr. rit.
<4') Anittai. RiMìotlier. in Driiideilil. Cmil.
u-il. 5. de Due. Bn>.
aSo ISTOKIA DEL REGNO DI NAPOLI
Non ha del verisimile P opinione del Summon*
te, o ciò che egli suspica, che il nuovo duca
lasciato in NapoH da Eleuterio fosse quel Teodoro
che si porta fondator della cliiesa de' SS. Pietro
e Paolo , già posta nel quartier di Nido ; poiché
r iscrizione greca che in un marmo ivi si leg-
geva, e nella quale si nominava per fondator
di quella chiesa Teodoro consple e duca, por-
tando la data della iv indizione, viene a cadere
in tempi più bassi , -cioè neW anno 786 , nel
quale tempo governò questo duca, come da va-
lentuomim è stato osservato. ' Ed all' incontro
è vero che Eleuterio fu mandato da Eraclio' in
Ravenna nell'anno 616, dove poco più di due
anni tenne 1' esarcato, poiché nell' anno 619 vi
fu mandato Isacio patrizio ptsr suo successore (i).
Su questa fellonia di Compsino sono stupende
le favole che i nostri moderni scrittori hanno
inventate. Dicono che questo duca dopo aver
occupato Napoli si rendesse ancor signore della
Puglia e della Calabria , e d' altri luoghi del no-
stro regno : che di più se n' avesse fatto inco-
ronare re, e che prima andasse a' Bari a farsi
coronare della corona del ferro, e poscia in Na-
poli con quella dell' oro ; e che perciò egli fosse
il primo che s' avesse usurpato il titolo di re
di ÌSfapoli ; aggiungendo che i Normanni da poi ,
coli' esempio di questo I re di Napoli , vollero
pure farsi prima coronare in Bari colla corona
del ferro, e poi in Palermo con quella dell' oro (2).
Sono tutti questi racconti sogni d'infermi. Né
Ci) Marq. Frrhrr. lor. rìl.
(li) Bealil. hisi. Bar. p. is. hisl. S. Nic. 1. ii.
LIBRO QUARTO a5 I
mai Compsìuo s^ insigiiori della Puglia e della
Calabria, iiè d^ altre provincie, le quali perla
maggior parte erano passate in questi tempi sotto
la dominazione de^ Longobardi. Invase egli Na-
poli solamente colle siie pertinenze; e Paolo Vai>
nefrìdo narra che dopo non molti giorni ne
fu cacciato da Eleuterio patrizio. Gran cose do*
vea far costui in cosi breve tempo, domando
non pure i Greci, ma i Longobardi allora po-
tentissimi ; né presso ad autori di conto si legge
mai che s' avesse fatto incotonare re. Cosa an«
che più ridicola è il dire che fosse andato fino
a Bari a prender la corona di ferro, e poi in
Napoli quella d^ oro ; essendo tutto favoloso ciò
che si narra di questa coronazione di ferro in
Bari , né da alcuno de^ nostri re mai praticata^
come si vedrà chiaro ne^ seguenti libri di questa
Istoria.
CAPO V.
Di Adalualdo ed Ariovaldo^ V e VI re
de' Longobardi /
Ridotta già la dominazióne de^ Greci in Italia
a declinazione grandissima, tentarono i Longo-
bardi sotto il re Agilulfo finire di interamente
discacciargli da tutte F altre regioni ch^ erano a
lor rimase. Nel che conferiva molto P aver i Lon-
gobardi in gran parte ( seguitando T esempio di
Agilulfo ) deposto, chi il gentilesimo e moltissimi
r arrianesimo, ed abbracciata la reUgion cattolica )
O Waniffr. 1. <. r. 35.
25 a ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
ciò che gli rendè a' provinciali men odiosi^ ed
il lor dominio men grave e pesante. In fatti ad
Agilulfo, che de' re Longobardi fu il primo ad
abbracciar questa religione, e che in tutto il
corso di sua vita lasciò monumenti di /nolta
pietà e munificenza verso le chiese e monasteri ,
si dee che lungo tempo il regno si mantenesse
in pace. Poiché egli morto , lasciando per suc-
cessore Adalualdo suo figliuolo , che ancor vi-
vente r aveva per suo collega assunto al trouoj
questi seguitando V esempio di suo padre , e
molto più imitando TeodoUnda sua madre, che
nel regnare volle averla per compagna , ridus-
sero le fortune de' Longobardi in istato così
placido e tranquillo, che ninno strepito di Marte
turbò la loro pace ed il loro riposo } e sotto co-
storo furono rinovate le chiese, e fatte molte
donazioni a' luoghi sacri (i).
Ma non potè molto Adalualdo goder di tanta
quiete; poiché nell' ottavo anno del suo regno,
avendof^li maadato F impcrador Eraclio per am-
basciadore un tal Eusebio per trattar seco della
pace e d' altre cose rilevanti , questi o per pro-
prio consiglio, o pure per comandamento avuto
dal suo signore , mentre il re usciva dal bagno ,
gU porse una bevanda come a lui salutifera, la
qnal bevuta , cominciò ad uscir di senno e ad
impazzire (2): il che scorgendosi dall'accorto
Eusebio , diedegli a sentire che dovesse per sua
maggior sicurtà far morire i più potenti Lon-
gobardi. Questo consiglio, come giovane e stolto,
(1) Warnrlr. I. .{• <•• 'i3.
0> Si-iou. ad Ali. (S53.
LIBRO QUARTO ^53
essendo tla lui abbracciato , fece uccider tosto
dodici nobili de' primi; la qual cosa scorgendo
gli altri Longobardi , e veggendo non istar essi
più sicuri dalla stolidezza di costui, avendo ec-
citato un gran tumulto , e gridandolo per empio
e tiranno y lo discacciarono dal^trono insieme
colla regina Teodolinda sua madre , ed iù suo
luogo riposero Ariovaldo duca di Torino, che
aveva per moglie Gundcberga sorella di Ada-
lualdo.
Questo successo divise i Longobardi in due
fazioni. Ariovaldo era sostenuto da que' nobili
che tunmltuarono , a' quali s' erano aggiiuiti tutti
i vescovi delle città di là del Po, che a tutto
potere studiuvansi con altri d' ingrossare il lor
partito. Adalualdo dalf altra parte era aiutato da
Onorio pontefice romano , il quale aveva forte
cagione di sostenerlo, così per riguardo di Teo-
dolinda , alla cui pietà doveva molto la religion
cattolica , come anche perchè Ariovaldo era da'
Cattolici abborrito per l'eresia arriana, in cui
era nato e cresciuto : e fu tanta T opera d' O-
norio , che tirò a sé anche Isacio aflor esarca
in Italia, ed obbligoUo a restituir nel trono Ada-
lualdo con potente esercito. Proccurò anche to-
glier dal partito di Ariovaldo que' vescovi che
lo favorivano , minacciandogli che non lascìa-
rebbe impunita tanta loro scelleratezza. Ma nQn
reggendosi ridotta a compiuto fine l' opera d' I-
sacio , e morto opportunamente Adalualdo di
veleno , ottenne finalmente Ariovaldo il regno ;
ed essendo egli infesto a' Cattolici , cagionò in
Itaha non leggieri disturbi.
. Nel regno di costui , non passarono moli' anni ,
^54 ISTORIA DUi REGNO DI NÀPOLI
che Teodolinda vedendosi cosi abietta y e priva
d^ orni speranza di ricuperar la pristina dignità
regale . piena di mestizia e d^ estremo dolore
venne. a morte nell' amio 627. Principessa, e
per le eccelse doti del suo animo e per la sua
rada pietà j degnissima di lode , e da annove-
rarsi fra le donne più illustri del mondo , la
2ualè . non meritava esser posta in novella da
fiovànni Boccacci nel suo Deeamerone 0*
Arìovaldo regnò altri nove aniii dopo la morte
di Teodolinda y e mori senza lasciar di sé stirpe
maschile neir anno 636. Per la qual cosa i Loiv*
gobardi , convocati i duchi y pensarono di crear
un nuovo re; né vedendo chi dovesse innal-
zarsi al trono, diedero a Gundeberga, come
avevan prima fatto a Teodolinda , il poter ella
ereare per re colui che si eleggesse per marito.
Gundeberga, come donna prudentissima e molto
savia y elesse per suo marito e re Rotari duca
di Brescia, in questo stesso anno 636, secondo
il computo del Pellegiùno.
CAPO VI.
Di Rotari yil re, da cui in Italia furono
le fcggì longobarde ridotte in iscrìtto.
Rotari fu un prìncipe in cui del pari eran con-
giunti un estremo valore ed una somma pru-
denza ) ma sopra tutto fii grande amatore della
giustizia : e se alcuna ombra di colpa rendè non
O IV>rrar. Cior. 3. \©t. a.
LIBRO QUARTO ^55
chiari i suoi pregi ^ fu V essere macchiato del-
r eresia arriana ] onde avveiuie che a^ suoi tempi
in molte città d' Italia erano due vescovi , F un
cattolico e V altro arriano (i).
Questo principe fu il primo che diede le leggi
scritte a^ suoi Longobardi (2) , dal cui esempio
mossi gli altri re suoi successori^ surse^ col
correr degli anni^ in Italia un nuovo volume dì
leggi; longobarde chiamate, le quaU nel regno
nostro ebbero un tempo tal vigore e dignità ,
che fu forza che le leggi romane retrocedessero.
Ma prima che delle leggi longobarde facciam
parola y convenevol cosa è che si vegga lo stato
nel quale a' tempi di questo principe e de' re
suoi successori si era ridotta la giurisprudenza
romana in Itali a , e nelle provincie che oggi coui-
pongono il nostro regno y ed in quali hbri era
compresa.
Giustiniano imperadore ancorché avesse proc-
curato sparger per Italia i suoi volumi, e stret-
tamente avesse comandato che , aboUti tutti gli
altri j quelli solamente per Italia si ricevessero
insieme colle sue costituzioni novelle; hulladi-
meno F autorità de' medesimi quasi s' estinse
insieme con lui. Poiché egU morto, e succeduto
Giustino inettissimo principe, ricadde Italia di
bel nuovo in mano di straniere genti ; e tol-
tone F esarcato di Ravenna , il ducato di Ro-
ma , que' piccioli di Napoli , Gaeta , AmalG , e
di alcune altre città marittime di Puglia , di Ca*
labrìa e di Lucania , i Longobardi dominavano
(1) Wamefr. I. 4* «• 44*
(3) Paul. Warncfr. loc. ciL
a56 ISTOIUA bCL REGIfO DI XAPOIJ
iu tutte r altre sue provliicic, senza clic gli altri
imperadoi'i die a Ciìuslino succeciurono, molta
cura si prciitlessero di ricuperarle , e tanto meno
delle leggi di GiusLÌnianoj anzi non vi inanca-
Ton di coloro y come si dirà a suo luogo , che
o per invitUa o per emulazione cercarono an-
che Dell'' Oriente d^estìnguerìe atTatto. S' aggiun-
geva in oltre , che presso a^ Longobardi, per
le continue guerre fra di essi accese, il nome
de^ Greci era abbominatissimo j e tutto ciò che
da loro procedeva , con somma avversione era
rìfìutatu e scacciato. Quindi nacque, che sebbene
a' provinciali permettessero 1' uso delle leggi ro-
mane, ed a* Romani di poter sotto le medesime
vivere , con tutLo ciù vollero che quelle appren-
dessero da! Codice di Teodosio ; onde presso
i LoHE^obardi fu in più stima e riputazione il
Codice Teodosiano, clie quello di Giustiniano (i).
Al che s' aggiinigeva V esempio de' Weslro-
gotì , che signoreggiavano allora la Spagna , i
qnali contenti deJ Codice fatto per ordine d'A-
larico , e del novello compilato dalle leggi de'
^estrogoti , ad ìmitazioii di quello di Giusti-
niano , non riconoscevan ì costui hbrì.
S' aggiungeva ancora 1' esempio do' Franzesi,
i quali infìuo a' tempi di Carlo il Calvo non ri-
conobbero altre leggi romane , se non quelle
eh' erano racchiuse nel Codice Teodosiano , o
nel suo Breviario fatto per ordine d' Alarico (2),
Anzi Carlo M. stesso , volendo ristorar la giu-
risprudenza romana; che a' suoi tempi era ridotta
LIBRO QUAKTO sSy
in ìstato pur troppo lagrimerole} posposti i li-
bri di Giustiniano, si diede a riparare il Co>
dice di Teodosio, e ad emendarlo, come mo-
strano quelle parole aggiunte al commonitorio
d'Alaiico che va imiaiizi al Codice Teodosiano:
Et iterum anno xx regnante Carolo rege Franc^
iet LongobanL et Patritio Romano. K fu tanta
Ila cura di questo gtorìo&o principe ed il ri-
tipetto ebe tenne di questo Codice, che molto
^gi di esso volle trasferire ne' suoi Cs^ito-
■i (I).
i Ne' tempi di Cario il Calvo par che io Fra».
I si cominciassero a sentire le leggi di GÌih
lìiiiano, come mostrano gh autori di quell'età,
niali spesso allegando le leggi di Giusliniauo.
"~ Teodosiane tacciono. Cosi Hincmaro di
ì: Et sacri Africae provinciae canones et
Justirùana decernunt (3)j ed altrove (3):
tps Justimani dicunt II che comprovasi da
[ clie Giovanni Italo (4) scrisse di Abbono
)'di Odone Cluniacense, il quale Justiniani
feilam memoriter tenebat: sebbene non man-
Ino ne' tempi seguenti autori ì quali anche
' lero delT autorità non meno de' libri di
inìano, che delle leggi Teodoùane, come
I Ivone di Cbartres (5) y Graziano ed altri.
Italia solamente studiavansi i pontefici ro-
|di mantenere l'autorità delie leggi di Giu-
e degli altri imperadorì a Oriente,
. . ipìtulw. Caitli H. r. 1S4. Addit. et e. 981. L &
(a)BÌDc. Rm. ep. 7.
(S^^Bionn. ìd Ooiuc. iilfm. Hinemamm LudoBCBMin.
"Vo. lui. in VlU S. OdoD. Abb. CIomìul Alle*, loe. eir.
■Ito EpUt. Ila. >4). 1S0.
■akhobs, FoL II. ìj
u5d ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
zfìostfando di quelle somiqa stima e venera-
zione. Erano i loro disegni di sostenere in Ita-
lia a tutto potere V autorità degF imperadorì
greci con riconoscergli per sovrani^ perchè in
dotai guisa potessero far contrappeso alle forze
de* Longobardi y e );ener divisa V Italia tra due
eguali potenze ^ acciocché V una intraprendendo ^
6opra r altra y Roma non cadesse sotto la ser-
vitù delFuna o dell^ altra. Amavano essi meglio
V imperio de' Greci , perchè questi , come lon-
tani^ non erano in istato di badar molto ad
impedire i loro progressi y e^ disegni che ave-
vano dMmpadronirsi di Roma; e perciò quando
i Longobardi avanza vànsi tanto ; onde si po-
tesse temere che finalmente non occupassero
quella città y la cui perdita sarebbe stata seguita
dalla lor mina , ricorrevati tosto a' Greci y per-
chè s' opponessero di tutto potere a' loro sforzi
In effetto S. Gregorio M.^ che, come s'è detto,
era molto sollecito che i Greci non fossero in
tutto discacciati d'Italia, portava somma ve-
nerazione alle leggi degl'i mperadori d'Oriente,
e sopra tutto a quelle di Giustiniano , delle
quali sovente vale vasi , e delle Novelle più fre-
quentemente , coni' è manifesto appresso Gra-
ziano e ne' Decretali (i). Questo istituto ancora
ritennero da poi i suoi successori , e fra gli
altri Gregorio III (a), Niccolò I, Lucio III, Gio-
vanni Vili, (3), ed altri rappoilati da Dadiiio
0) Grcgor, 1. la. Epist. 5i. et Epist. 54* !• n* Novell. ia3.
Grat. e. 38. e. ii. q. i. et e. a. de Tcstib. e. ull, Nov. 90,
V. Altpser. Rer. Aquit. e. 16. p. a 18. et seq.
(a) Greg. Ili. e. Lator. de pignorib.
O) Jo. Vili. Cau. fin. iG, q. 3. Sed vencraadae Kuip. 1v«
((«'ij ec.
/
LIBRO QUARTO sSq
Alteserra (i). Per questa cagione seguitando
Lione IV i vestigi de' suoi predecessori , scrìsse
queli^ epìstola che si legge in Graziano (2). al-
1 imperadore Lotario I^ in cui lo prega a con*-
servare la legge ron>ina : Vestram Jlagitamus
dementiamo ut siciU hactenus Romana lex sfk' *
guit absque unwersis procellis, et prò nullius
persona fiominis reminiscitur esse corrupta ; ita '
nunc suum robur, propriumque s^igorem obiir
neat Ond' è che Ivone di Cliartres (3) disse :
Dicunt enim institicta legum novellarum^ quas
comiìieiidat et sen^at Romana Ecclesia : e che
poi siasi veduto gli ecclesiastici^ cosi nel no-
vero degli anni per la lor minore età^ come
in molte altre cose , seguire le leggi romane.
Quindi i libri di Giustiniano nel ducato romano
ebbero in questi tempi maggiore autorità e vi-
gore y che netf altre parti d' Italia , siccome Teb-,
bero in Ravenna (4) sec|p dell'esarcato de' Gre-
ci 'j onde narrasi (5) che in questa città si fosse
lungamente conservato quel volume de' Digesti
che ora chiamiamo Inforziato^ a cui i Ravi-
guani solevano ricorrere per la decisione delie-
loro cause: ond' è che a ragione potè e onchiu*
dere Ermando Conringio (6)\che in ItaUa prima
di Lotario n, Jtiris Romani y et quidem mOf^ *
xime Jiistinianeiy usus aUquis arvitrarius sw^
perfkiU exiguus uhwis; frequendor tanien Ro^'
mae, inque aUis Exarchatus locis, qiuun in
(1) kìtea, loc. cit. p. 919.
Ci) lo Decret. Grat dUt. io. e. i3. AUes. Rer. Acpiit. l.,3*
e. i4*
(3) Ito Ep. aSo.
(4) Balduin. in Plrole^. Comment. in Instif.
(5) Artur. Durk De Usu Jur. ctv. 1. i. e. 5. nani. 19.
(jS) Conriag. De Orig, Jur. Ger. e. 90.
a6o I8T0RU DEL REGNO DI NAPOLI
Regno Longobaniico , Nos^ellarum praecipua
fidi auctoritas in rebus ecclesiasiicis nonnultis.
Ma i Longobardi, per le ostinate e ciudeli
guerre ch^ ebbero co^ Greci^ sebbene ad esem-
E io de^ Goti lasciassero Tivere i provinciali colle
rggi romane^ non da altri libri, se non dal
(!k>aice di Teodosio e did Breviario d^Alarìco
vollero che queDe s^ apprendessero , ed avessero
forza e vigor di legge, imitando anche in que«
sto la pratica de^ Gotìj né infino ad ora per
sessanta sei anni, da che vennero in Ita£a^
ebbero essi per loro legge alcuna scrìtta (i)^
ma govemavansi solamente secondo i loro co-
stumi, e secondo queglMstituti che tramandati
come per tradizione da* loro maggiori , con
molta osservanza e religione mantenevano.
Rotarì adunque fii il primo che assunto al
trono, dopo avere ingrandito il suo reame col*
P acquisto delle Alpi Cozzie e di Oderzo , pensò
a dare anche le leggi scritte a' suoi Longonardi.
La maniera colla quale i re longobardi sta-
bilivano le loro leggi, fu cotanto commendata
da Ugon Grozio (2), che antepone in ciò i
Longobardi a^ Romani stessi. Questi sovente
dall'arbitrio d^un solo ricevevano le leggi, il
quale le mutava e variava a sua posta ^ onde
tutto ciò che al principe piaceva, ebbe vigor
di legge. All'incontro i re longobardi non s'ar^
rogavano soli questa potestà, ma nello stabilirle
vi volevano ancora il parere e consiglio de'
principali signori e baroni del regno , e i ordino
(0 P. Warn. L 4. e 44.
(^ QfX. in Pfolcg. ad iu»t. Golk
U8B0 QDARTO a6t
dd magistnrto ti avea ancora la ma parte. Né
altrove stabilÌTansi, che nelle pubblicne assem-
blee a questo 6ne convocate, ndle quali non
^ atametteva all' uso dì Francia l' ordine eccle-
•iastieo j ma solo V ordine de* signori e de' ma-
gistrati: né la plebe appresso loro faceva or-
dine a parte, ma, secondo che scrisse Cesar»
deir antica Gallia: Plebs piane servorum haba-
batur loco, quae per se nil audet, ìutUiqa*
adfùbetur concilio.
Avendo adunque Rotarì, secondo l'^oca dì
Camillo Pellegrinò, nell^anno 644 intimata una
dieta in Pavia, radunati quivi i signori e' ma"
gistrati, stabilì molte leggi, le quali fece egli
ridurre in iscritto, ed inserìlle in un suo editto
<^e fece pubblicare per tutto il suo regno : non
altrimente che fece Teodorico ostrogoto , quando
pubblicò il suo per tutta Italia, del quale nel
precedente libro si è fatto menzione. Fra gli
altri monumenti dell' antichità che serba V ar*
chivio del monastero della Trinità della Cava
dell'ordine di S. Benedetto, (il qual dopo quello
di M. Casino è il più antico che abbiamo net
regno ) evvi un codice membranaceo da noi
con propri occhi attentamente osservato, scritto
in lettere longobarde, dove non solamente gli
editti de' re longobardi (comìnciaudo da que-
fto di Rotarì) ma ancne degl' imperadori fraih
lesi e germani, che fiirono re- d'Italia, vi sono
inseriti, [n questo editto di Rotarì dopo il proe*
mio, che ai vede trascritto anche dal Sigomo f)
nella sua Istoria d'Italia, ai leggono i tibdi di
O S^M. M R. iHOiM, lib. 9. ad A. tifi.
262 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
ciascun capitolo , ed il primo comincia : Si quis
hominum contra animam Èegis cogitaverit; e
questi terminati^ siegue la conchiusione deliV-
ditto in cotal guisa : Praesentis vero dispositio-
nis nostrae Edictum^ ec. (*)• Seguono da poi
le leggi , ovvero colpitoli , secondo il numero
de' titoli precedenti j e contiene questo editto
trecento ottanta sei capitoli, ovvero leggi. Il
compilatore de' libri delle leggi longobarde, che
vamio ora impressi nel volume delle Novelle di
Giustiniano, prese da questo editto di Rotari
le leggi; delle quali compilò quasi interamente
iT primo e secondo libro; e nel terzo libro due
o tre se ne leggono di questo re, siccome diremo
piò distesamente, quando della compilazione di
quel volume delle leggi longobarde ci tornerà
occasione di favellare. .
L' esempio di Rotari (u imitato da poi dagli
altri re longobardi suoi successori , come da
Grimoaldo , Luitprando , Racbi ed Astolfo. Ma
di tulli questi re ninno lasciò tante leggi, quanto
Rotari , essendo , come s' è detto , il lor numero
arrivato insino a 386. Fece egli pubblicare il
suo editto in questo anno 644? che fu l'ottavo
del suo regno , per tutte le provincie ch'erano
sotto la sua signoria , e sopra tutto nel ducato
beneventano , che avendo allora stesi assai più
i suoi confini , era riputato la più ampia e no-
bil parte del regno d'Italia.
O La ronrliiiijiioiìr di qiirsto Editto ni Ifggc pariinrnlc in Si-
1:01110 I. rit.
UBRO <;UARTO, ^6$
CAPO vn.
Di Alone e RadoaMo IH e If^ duchi
di Benevento.
n ducato di Benevento , per la morte acc«-
• duta nell^anno 64 1 d'Areclu, che cinqoe mevi
prìma di morire avea associato al ducato Aicnw
suo figliuolo, da costui era governato (i)} in*
conoscendolo il padre di poco souio j e mev
atto a sostenere questo peso, lo raccomandò
morendo a Badoaldo e Gnmoaldo , figliuoli amf
bedue di Gisulfo già duca del FriuU , i quali
nella sua corte erano stati allevati e rìtenuU.
Eran questi amati da Arecbi, come proprii fi-
^uoli , e gli aveva anche sostituiti al ducato in
mancanza aAione suo figliuolo. Tenendo adunque
il ducata dì Benevento Aione sotto la cura di
questi due fratelli , cominciarono la prima volta
a farsi sentire in queste nostre contrade gli
Schiavoni.
Erano gli Schiavoni orìginarìi della Sarmazia
europea , di qua e di Ut del Boristene ^ e seguendo
Fesempio e le orme degli altri popoli barbari ,
l' avanzarono fin alle rive del Danubio , e le
valicarono sotto V imperio di Giustiniano (3).
Gettatisi poi nell' Illìrico , ne occuparono final-
mente uoa gran parte , particolarmente quella
che sta tra la Drava e la Sava , tirando véna
(3> rracop. (Ir B«U. •
^64 ISTORIA OXL RSGUO DI ITAPOLI
r occidente ^ chiamata ancor oggidì dal lor nome
Schiavonia.
Questi calando daUa Dalmazia ^ che già ave-
vano occupata y sbarcati a Siponto ^ comincia-
rono a depredare la nostra Puglia. Aìonc intesa
r irruzione degli Sciavi nella Puglia, la quale
era stata in gran parte al ducato beneventano
aggiunta , miite al meglio che potè alquante
truppe j andò , in assenza di {iadoaldo j presta-
tnente per combattergli ) ma venuto presso al
fiume Ofanto alF armi , cadde in un fosso , dove
aopraggiimgendo gli Schiavoni, lo ammazza-
rono C). Non tenne Aione più U ducato di he-
nevento, toltone i cinque mesi che regnò in-
sieme col padre, che un solo anno. Ma lui
morto, trìonfanao gK Sciavi della vittoria ri-
portata sopra il medesimo, sopraggiunse oppor-
tunamente con valide forze Badoaldo , il quale
investitigli con incredibil valore , gU sconfisse e
disperse ; e dopo aver sì fortemente vendicata la
morte d^Aione , al ducato di Benevento iìi assunto
con Grimoaldo suo fratello, conforme all^ isti-
tuzione d' Arechi , il quale ed a sé ed al figliuolo
avea provveduto di successore.
Resse questo principe il ducato beneventano
insieme con Grimoaldo suo fratello cinque an-
ni. Invase costui altre regioni de' Greci , e presso
Sorrento portò le sue anni. Assediò questa cit-
tà , sforzandosi di prenderla per assalto 3 ma
i Sorrentini respinsero le sue truppe, inco-
raggiti anche da Agapito lor vescovo ; onde
O Cam. PHl. in HUterl. Pur. Ben. Hits. ^.
, LIBRO QttUITO :t65
Badoaldo sciolse l' assedio , e Sorrento fu libe*
rata (i). Governando costoro il ducato di Be-
nevento , s* intesero la prima volta in queste
Provincie, che ora compongono il nostro re-
fno y le nuove leggi scritte de^ Longobardi pub-
licale da Rotarì coirìfento suo editto. Quindi
le dttjt- del nostro regno che in quel ducato
eran comprese , ed ì QOftrì provinciali j ancor-
ché quelle per li soli LongoDanti fossero stat«
fatte, cominciaron pian piano ad apprenderle
e rendersele familiari tanto , che ne tempi s»<
guenti bisognò che le romane cedessero, e si
conservassero solo come antiche usanze presso
alla plebe , la quale è X ultima o deporre le
leggi ed ì costumi de^ suoi maggiori , siccome
più innanzi vedremo.
Morto Radoaldo in Benevento nelT anno 647^
resti al governo solo Grimoaldo di luì fratel-
I lo. Tenne costui il ducato anni sedici , seiiza-
peri comprendervi gli altri anni cinque che avea
regnato col frateUo.
CAPO vm.
Di Grimoaìdo V duca di Benevento: delle
guerre da lui mosse d NepoUtani; e morta
del re Rotori.
Grimoaldo V duca di Beievento fii un prìn-
cipe d' animo si grande e intraprendente , che
O Ada SS. RrMli H Valprii ni Anp. Epi*. Satn-ot. fmó
TWwK ér Aichirp. Snrm».
tt66 uTORiA DU mipvo ^ vapoli
DCljEi qomeato iT aver dateti i' confiut del suo
ducato^ e riportale mdte vittorie sopra 1 Na-
poletani e* Greci ^ aspirando ionpre ad imprese
pia dite e generose , finalmente dai suo destino
Ja esaltato al trono y, e msse ii regno d'Italia ,
dnpo i sedici jàxX sno ducato ^ altri anni nove.
Miòitre fu egli duca di Benevento , ebbe so-
lvente a combatter co* Napoletani j ed in questi
tempi si narra esser accaduto gì& che racAo
ITamefrìdo (i) rapporta, di aver egli impedito
«! Greci il sacco aelU.bvailica di.& Michele
porta nel monte Gurgano^ e d^averg^ intera*
mAite sconfitti. Vìen rifinito ancora che quiiH
dici anm da poi y asceso già al regal trono in
Cavia, avesse un' altra vdka aconnlti i Napo-
letani , e che questi per tale ìavveraità tocchi
pd cuore, avessero mutati^ jraligioiie e da Gen-
tili eh* erano , avessero abbracciata la religione
cristiana, siccome narrano Fautpre degli Atti
deU^Apparìzione Angelica (a) e ^ignoto Monaco
Cassinese (3). ^
Ma poiché questi successi variamente dagli
scrittori si narrano, alcuni a^ Saraceni impu-
tando ciò che Paob ascrìve a^ Greci , altri con
manifesto anacronismo più ind»etro^ portando
questi successi, gli fingono a^ tempi di Teodo*
nco e d^Odoacre, quando i Longobardi non
erano ancora in Italia conosciuti; ed altri con
maggior verità T attribuiscono a^ medesimi Lon-
gobardi: perciò farà a proposito più distesa-
co P. Warn. 1. 4. r. 47.
(9") A età Angflirar Appaat. annd Siirìum , tom. 5. p. ^a3.
C3) Hisloriola Ignoti Voniri Caitin. prrtio Canali. P<*U. Mal.
Priuc Long. par. 1. p. <);.
LIBIIO QUARTO tG-J
mente mostrare che qpii i Greci, o i Napoli
tani , ovvero i Saraceni , ma i Longobardi diedero
il sacco a quel santuario, e che la conversione
dal gentilesimo al catlolicismo. la quale a' Na-
poletani s^ imputa, dee a^ Longobarm beneven-
tani, non già agli altri attrìbuir&i.
U monte Gargano, posto nella Puglia sopra
Siponto, dirimpetto all'isole Dlomedee del mare
superiore <oggi dette di Tremiti, nome ancw
egli antichissimo e da Tacito (i) usato), Sa
prima renduto celebre al mondo da Virgilio e
da Orazio ; ma da poi a tempo di Gelasio I
pontefìce romano fu assai più rinomato per la
maravigliosa apparizione in questo luogo acca-.
duta dell'Arcangelo Michele. E discacciati dUta-
lia ì Goti dall* imperador Giustiniano per Be-
hsario e Narsete , ed air imperio d^ Oriente
finalmente restituita, fu incredibile la venera-
EÌone de' Greci verso questo Santo. Non vi
ebbe città così nella Grecia, come ìn Italia,
che non gli fabbricasse tempii e non gli diriz-
. zasse altari. Narra Prgcopio (a) che da Giusti-
niano nella sola città di Costantinopoli gli iìi-
ron molti nuovi tempii eretti, ed altri antichi
riiàtti: il cui esempio imitarono ancora l'altre
città greche d'Italia- In NapoU massimamente
la di lui venerazione fu maravigliosa , avendo-
gli i Napolitani irnialcato ancor essi un tempio,
che poi secondo il rito della chiesa romtoia
fu in tempo di S. &egorio M. dedicato; e lo
<0 T*cit. Annal. 4. e. 71. Jaliam Angoiti iirptrm «dolila
conTÌctam , nrujrclam ab ro .fuìua in IiiHiUm Trrinrliim hlltd
fstwol Appiil» litoribui, ihique 90 inoii rxilium Int^attr.
<«) Pnicnp. 1. I. dr iF.Hific Ja*t. Imp.
368 ISTORU VZL RSGNO DI NAPOLI
Stesso pontefice di questa dedicazione in una
sua epistola fa memoria 0- ^ molti altri im*
peradorì greci e particolarmente d^ Eraclio si
narra lo stesso, i quali di ricchi e preziosi
doni arricchirono quel santuario : in ^isa* che
non potrà porsi in dubbio che i Napoletani per
lungo tempo a* Greci congiunti non avessero
una. pari reUgioiie e venerazione a questo Ar-
cangelo portata: ed ìì voler imputare i Napo*
tetani in questi tempi dUnfedeltà e dUdolatria,
egti è un error così grande, che la sola crono*
logia de^ vescovi cattolici di questa città , e ciò
che nel precedente libro si è narrato , può ren«
derio manifesto e indubitato.
AllMncontro è certissimo che quando i Lon-
gobardi ritolsero a^ Greci F Italia, non altra re*
Bgione professavano, se no^i quella de^ Pagani ,
e molti Tarrìanesmo: e quantunque nel regno
d^Adlulfo, seguendo i Longobardi F esempio
del loro principe, avessero molti di essi lasciato
Farrìanesmo e F idolatria; nientedimeno perse-
verando gli altri re suoi successori nellarria-.
nesmo, fu cagione che i Longobardi e parti-
colarmente que' di Benevento tomaron di nuovo
ne' primi errori , de' quali non fiuiron d' intera-
mente spogliarsi fino alF anno 663 , quando fu-
gato Costanzo imperadore, per opera di S. Bar-
bato vescovo di Benevento alla religion cattoKca
furon convertiti, come quindi a poco diremo.
E altresì notissimo a clii attentamente con-
sidererà F Istoria de' Longobardi di Paolo Var-
nefìido, che questo scrittore , siccome furono
LIBEO.QIlAItTO 369
tatti gli altri di tal nazione, per esser km"
gobardo, 'si è studiato a tutto polere di scu-
sare i suoi da questa nota d' infedeltà e da^
errori d^Arrìo^ anzi in tutto il corso d^a sua
Istoria non favellò mai della ragione che tei^
nero questi popoli; tanto che nemmeno ddla
loro conversione per opera di S. Barbato alla
cattolica credenza ne dice parola | per fuggire
di non esser costretto a nir menzione deA
antichi errori, come accuratamente notò il cb*
Hgentissimo Pellegrino (i).
<^uindi nella Storia sua molte cose sono ùn-
potate a* Greci, che da* Longobardi si com- .
misero . siccome con verità osservò anche il
cardinal Baronio (3): e chiarissimo documento
ne sarà questo stesso successo; conciossiachò
è affatto mcredibile che i Greci cotanto vene-
ratori di quel santuario avessero potuto avere
un animo cosi perverso, come e' dice, di sac-
fdteggiarlo, e che perciò venuti alitarmi co* Lon-
gobardi, fossero da costoro stati distolti di cori
esecrando e sacrilego eccesso. Tutto al rovescio
è da credersi che andasse la bisogna, ed ap-
punto come ce la descrìve il Pellegrino (3) ,
cioè che ì Longobardi contendendo co' Greci
della possessione dì quel luogo, dopo una lunga
ed ostinata pugna , finalmente fosse loro riu-
scito di vincere i Greci; e siccome quegli cVe>
ran già avvezzati a somigtianti scelleratezze j
ciò cne essi sotto Zotone avevan altra volta
fatto nel monte Casino , vollero sotto Grimoaldo
(r) Cun.Prll. ìndUvrI. finn Dna, Bean«nt, ad tqitcalrionm.
<*) Bmvd. bH an. 585. n. i.
(3) CuaUl. PrlL loc ciL
2'JQ ISTOIUA DEL RSGCfO DI NAPOLI »
replicar nel monte Gargano ^ saccheggiando quel
santuario che ricco per vani doni de^ Greci potè
invitar la loro rapacità a quel sacrilegio. Ed
in fatti dagli Atti medesimi di S. Barbato ve-
scovo di Benevento (che non ancora impressi
si conservavano nel monastero delle monache di
S. Gio. Battista della città di Campagna , e che
fiirono da poi da Giovanni Bollando (i) dati
alla luce colle sue note, e parte d^essi si veg-
fono ora anche impressi nelT ottavo volume di
erdìnando Ughello (a)) si vede con chiarezza
'che quella basiUca patì allora in realtà il sac-
co: tanto è lontano che fosse stato impedito
da^ Longobardi beneventani, restando cosi in-
colta e desolata, ut nec sedulumilUc officium
persolsfi possity come dice S. Barbato. Né co-
minciò a restituirsi al sno antico lustro , se
non quindici anni da poi , quando discacciato
Costanzo da Longobardi, a^ conforti di Barbato
abbracciarono la religion cattoUca , deponendo
l'infedeltà; la qual conversione all'autore degli
Atti dell'Apparizione AngeUca, essendo pari-
mente longobardo , piacque ancora d' addos-
sarla a' napoletani Greci , come vedremo più in-
nanzi: ciò che maggiormente confermerà quanto
ora si è detto,
E per questa stessa ragione si vede che vanno
eziandio errati coloro (3) i quali vogliono im-
putare i Saraceni di ciò che Paolo "W^arnefrido
narra de' Greci, scrivendo essi che Grimoaldo
(i) Bolland. t. 3, Arlor, Saiirtor. 3. Frbr.
(a) U((1m*1. Ital. Sac. ì, 8, de Arclnop. B«?nrr.
(3) Ciarlan. del Sannìo.
LIBRO QUARTO 3^1
net monte Gargano in questi aouì del suo du-
cato avesse combattuto co'Saiaceni, i quali vo-
lendo saccheggiar quel santuario , furono da
Grimoaldo sconfitti e debeUati. Poiché questa
guerra fu, come 'Wumerrìdo la scrìve, tra' Lod-
gobardì e Greci, e noa co' Saraceni, i quali
in questi tempi non erano ancora venuti a de-
predare queste nostre provincìe ; e poi quando
ci vennero, non nel Gargano, ove non mai ai
fermarono, se non negli ultimi tempi, ma nd
Garìgliano sua aUquamo domicilia habuenint,
come dice il Pellegrìno. Né è vero che fu im-
E edito il sacco, perchè segui veramente ; onde
i sconfitta che si narra data a' Saraceni nel
Gargano da Grimoaldo, è ugualmente favo-
losa di quell'altra che dal Sunmionte e da al-
tri vien riferita di aver ricevuta in Napoli da
S. Agnello abate, in tempo che questi popoli
in Italia non erano stati ancor conosciuti, nà
il nome loro era stato in queste nostre parti
peranche inteso.
Ma mentre i Longobardi beneventani scmo
occupati in queste guerre co' Greci napoletani^
accadde nell'anno 653 in Pavia la funesta morte
di Botali re, il quale morendo lasciò erede e
successore nel regno Bodoaldo suo unico figliuo-
lo , non restando altri della sua virile stirpe y
che questo unico rampollo. Resse Rotari sedici
anni il regno con tanta prudenza e giustizia ,
che tra ì principi più illustri della terra iìi
meritamente annoverato ; e l' aver egli lasciato
in tibertìi i suoi sudditi di poter vìvere in
quella rehgione che volessero , permettendo che
iti quasi tutte le città del suo regno vi fossero
-^ i. >;iv^''- • ■ • ■/■■.■■ ■^' . .-. ì:-
' \ .. -. : ■ , \. ' ' * .'-'t. ■■■
• " • • • ■ • . 1<>
070 urroujL ìfoi fUMWp m jupoli
dot Teioovì| Fono cattidico a F altro aiTumoy
(Bi^ questo berpiiioao «Éempio hooto etiiiiòla
<^ ^ iiì^ empii poma di confisrinare la loro mas-
jpM 'che il prìacdpe nìoii dovesse molto impao-
I . cfiusi ddBa raìgioDe dè^ ' sadditi j. né sferzargli
a óùvw cr*dere e professar ^pwua cV edi re*
'VI ' palasse la più'Tenu Onde Bodino (1) duensor
'^' \ m questa perrersa doUtioa^ alF esempio di Teo»
dosio M. di coi òredò. che eresse mqdesiiiipi*
nenie permesso a^ suoi sudditi simfle libertà
di cosoenaa^ sensi oorarai punto se fossero
Aniam o Gattoticii noti si dimenticò d'aggiun-
ger questo idtro m lUMari^ fl quale p^^
ittesso. Non è però da trdasctarsi di noi;ar qui
di passaggio F errore di questo scrittore j che
reputò Teodosio M. essere stato autore dì quella
legge (a)| la quale quairtuniiae nel GodUpeTeo^
dosiano portasse in fixnte ebA fl nome di Teo^
desio M. come F altro cU Yalentiniano 11^ egli
è però costante presso a tatti di scrittori che
autore di quella ne fosse solo Yalentiniano^ il
quale per impulso delFimperadrìce Giustina sua
madre ^ e ad istanza de^ uoti arriani, residendo
in qucJl^anno in Milano/ la fece pubblicare^
contro alla quale declamò tanto S. Ambrogio
' TescoTO di quella città. Ed è altresì noto che
ancorché gl^ imperadori reggessero allora F im«
perio diviso in occidentale ed orientale, nuUa*^
dimanco il costarne era che le leggi che si pro«-
mulgavano o dall^ uno o dall^ altro , portavano
in fironte i nomi di tatti coloro che governa*
vano allora F imperio: ciò ch^ osserviamo
(0 Bodin. de Repabl. 1. 4* '- >
<9) L. ttlt. C Tk. de Fid. C«ik.
LIBRO QUARTO 3^3
ancora ne' marmi j etl infiniti altri esempi ne som-
ministra il Codice stesso Teodosiano, siccome
fu anche osservato dal diligentissimo Iacopo
Gotofredo (i); il quale dell'istesso errore n^
Francesco BaldoTÌno , che per quella iscrizione
credè parimente che Teodosio M. fosse stato
autore di quella legge.
CAPO K.
Di Rodoaldo, Arìperto, Portante e Gundeber-
to.riJl, IX, X e XI re de LongobartU.
Siccome nel lungo e savio regno di Kotari
le cose de^ Longobar^ andarono molto pn>-
spere in Italia, così il molto breve e sconsi-
gliato di Bodoaldo suo figliuolo, e più la di-
scordia de' suoi Bucccsson pose le loro fortune
in pericoloso stato. Rodoalao , ancorché ^ar-
nefrido rapporti aver regnato cinque anni, ap-
pena governò solo un anno ; poiché avendo
stuprata la moglie d'un certo Longobardo, fìi'
dal marito ammazzato ; e ne' suoi cinque anni
di regno, Paolo annoverò queUi, quando regnò
insieme col padre che lo fece suo collega.
Essendo mancata per tanto la maschile stirpe
di Rotali , raunati i Longobardi per creare mi
nuovo re , elessero Ariuerlo figliuolo dì Gun>
doaldo fratello di TeouoUnda. Tenne costui il
regno <le' Longobardi nove anni, secondo War-
ueirido (a) j né in tutto il corso del suo imperio
(i> Jn;. Gat«lr. in d. I. ult. rX in Prolnoin. c> S.
(a) P. Wvnefr. I. 4- e iS. So, «t 53.
OURKOITE, Voi, II. l8
21 ^ ISTORIA DKL REGNO DI NAPOLI
r istoria rapporta cosa di lui degna di me*
moria ) se già non se gli ' volesse ascrivere a
lode r opinione che di lui avevasi^ che fosse
alla religion cattolica assai inclinato^ contro
all^ esempio di Rotari e del figUuolò Rodoaldo.
Morì uell^ anno 66 1 Arìperto • e lasciò di sé
due figliuoli; Partarite e Gundeberto^ tra i
quaU parti con pessimo consiglio il regno. Così
Gundeberto tenne la sede del suo regno in
Pavia ^ è Partarite neUa città di Milano : che
fu cagione onde a Grimoaldo nostro duca di
Benevento s^ offerse V opportunità di scacciare
ambedue dalle loro sedi j e di rendersi signore
di tutto il regno. Poiché nata fra^ due fratelli
discordia e odio grandissimo ^ ciascuno cer-
cava d^. occupare il regno deff altro*, onde non
contento Gundeberto di sua sorte , vennegU
talento di tener solo V intero regno y e discac^
ciame il fratello. Ma non fidandosi delle pro-
prie forze y mandò Ganbaldo duca di Torino
a Grimoaldo duca di Benevento y perchè a
questa impresa Y aiutasse y promettendogli in
premio la sorella per moglie.
Ma il duca di Torino tutto altro espose a
Grimoaldo y e tradendo il suo signore y lo per-
suase a non dover trascurare d' approfittarsi
di questa discordia che poteva porgli in mano
il regno} né durò molta fatica a persuaderlo.
Onde preso Grimoaldo dall'avidità di regnare,
unì, come potè 11 megUo. alquante truppe , e la-
sciato in Benevento per duca Romualdo suo fi-
gUuolo y verso Pavia incamminossi. Giunto a Pia-
cenza spedì a Gundeberto colf avviso della di
lui venuta Garibaldo, il quale fatta V imbasciata,
LIBSD QUAMTO 376
ToU< in oltre persuaderlo a dovergli andare
incontro ; e se pare avesse di qualche cosa
sospettato , poteva sotto le regali vesti armarsi
di corazza ; dalF altro canto con inaudita perfi-
dia avvertì Grimoaldo che si guardasse bene
di Guodeberto , poiché armato veniva ad in-
contrailo. Credette Grimoaldo al traditore ; e
tanto più stimò vero il sospetto , che essen-
dosi poi incontrati , tra i saluti e gli abbrac-
ciamenti , toccò veramente esser Gundeberto
di corazza armato , onde punto non dubitò
che tutto si fosse apparecchiato per ucciderlo,
nel qual impeto sfoderando la spada lo tra-
fisse ^ e morto lo distese a terra ^ ed in un
subito occupò il remo , facendosene signore.
Aveva allora Gundeberto un piccolo figliuolo
(Riamato Regiberto , il quale secretamente fti
trafugato da* suoi fidati, e fatto diligentemeiite '
allevare ; né Grimoaldo si curò molto di averlo
in mano , perciocché era ancora bambino. ,
Non così tosto ebbe dì questo successo av^
viso Partarite , che pien di paura , con cc^tà
grande lasciando in abbandono lo Stato, Ro-
dolinda sua moglie e Cuniperto picciolo suo
figliuolo, se ne fug^, e sotto Cacano re degli
Avari ricovrossi. Grìihoaldo preso eh' ebbe Mt-
Uno, confinò in Benevento nodohnda e Cuni-
' perto ; e passato da poi in Pavia , fii procla-
mato re dagh stessi Longobardi nel fine di
questo aimo 663 ; ed avendosi sposala la so-
rella di Gundeberto con estrema allegrezza di
tutti , rimandò carico di doni T esercito in Be-
nevento, e seco ritenne solo alcuni suoi [»ù
fidali , che innalzò poi a' primi onori del regna-
/
/
2'j6 ISTORIA DKL KBGNO DI ^NAPOLI
C A P X.
*
Di Grimoaldo XII re de* Longobardi , di Ro^
mualdo VI duca eli Benes^erUo ; e della spe^
dizione italica di Costanzo imperador d O-
riente.
Mentre Grimoaldo regnava in Pavia, e Ro-
mualdo suo figliuolo in Bene\)iento con tanta
felicità y ecco che lor s^ appresta una guerra
oltramodo travagliosa e crudele y la quale por-
tava il pericolo sommo d^ esser da^ loro Stati
interamente discacciati Infino a qui gFimpe-^
radori greci poco curando delle cose d^ Italia^
e contenti solamente d^ avere in lei V esarcato
di Ravenna , il ducato di Roma y e quelli di
Napoli y di Gaeta e d^ Amalfi j con alcune altre
città della Calabria e de^ Bruzi , niun pensiere
prendevansi di restituirla al loro imperio. L' im-
perador Eraclio appéna potè contenere i Lon-
gobardi ne' loro limiti , perchè interamente non
finissero di scacciare d' Italia i Greci j ma mor to
costui nel mese di maggio dell'anno 641, la-
sciò per successore Costantino suo figliuolo.
Fu allora veduta la sede di Costantinopoli in
tante revoluzioni , che non potò pensare alle
cose d' Italia ; conciossiachè Costantino non
istette più sul trono che quattro j o j secondo
altri j sei mesi^ avendolo fatto morire Mar-
tina sua madrigna^ per mettervi Eracleone suo
figliuolo. Ma questi ne fu cacciato in capo a
O Frchcr. in ChroDolog. £z. Rar.
LIBRO QUARTO ^'J'J
sei mesiy e relegato insieme con sua madre.
Costanzo figliuolo di Costantino gli succede
nell^ anno 64 3 , in tempo del quale F imperio
d' Oriente cominciò ad aver qualche respiro.
Questo principe s^ invogliò talmente di riunire
r ItaUa all^ imperio d^ Oriente . che reputò in-
degnamente portar la corona di ^eU' imperio^
se non avesse d^ Italia affatto 1 Longobarm
discacciati : e fu tanta V ardenza sua in ese-»-
guire questo disegno, che non soddisfatto di
mandarvi capitani per questa impresa, volle
egli stesso j lasciando in abbandono la sede di
Costantinopoli , portarsi di persona in queste
nostre contrade, e porsi alla testa deU esép*
cito : cosa veramente nuova , né altre volte
accaduta, essendo stata questa la prima volta
che fu veduto un imperador d' Oriente por-
tarsi in Italia ed in Roma. La novità e strava-
ganza del qual fatto diede molto da pensare
per iscovrire i consigli e le cagioni di tal mossa.
Alcuni credettero che avendo scelleratissi-
mamente ammazzato Teodosio suo fratello , il
quale sovente con immagini tetre e formida-
biU lo spaventava, agitato da si funeste larve^
proccurasse allontanarsi da quella città e da
que^ luoghi a lui già fatti odiosi e funesti {*).
Altri attribuivano questa sua mossa all^ odio
che i Costantinopolitani portavangli per aver
egli abbracciata r eresia ae^ M onoteliti , e che
perciò proccurasse trasferir la sede delF impe-
rio in Roma. Ma i più sensati autori , ira i
O Sigon. de R. Ital. ad A. 563.
/
378 ISTORIA DSL RlSGIVO DI NAPOLI
rli sono Anastasio Bibliotecario e Wamefii-
O9 dicano che non per altro si fu mosso,
se non per la cupiditò di recuperare V Italia,
e per la speranza di potere con le sue forze
discacciare da questi luoghi i Longobardi. Per-
ciò nella primavera di questo anno 663 ap-
prestata una grande armata di ijoiare , da Ck>«
staiitinopoU partissi , e verso Taranto diiizzò
il cammino. Molte città di queste provincie ,
che ora formano il nostro t^gno, tenevansi
tuttavia ne^ tempi di Costanzo sotto la signoria
de^ Greci , i quali oltre al ducato napoletano ,
6 agli altri ducati minori, vi avevano parimente
molte altre città marittime della Calabria, sic-
come Taranto altresì , non ancora da^ LiongO"
bardi beneventani occupata. Giunto Costanzo
in questa città , e sbarcatevi le suts truppe ,
alle quali unironsi poi i Napoletani , verso Be-
nevento dirizeossi. Questa non aspettata com-
parsa de' Greci pose da principio in tanta con-
stemazione e spavento i Beneventani, che molte
città delia Puglia furon da essi abbandonate -,
onde con leggier contrasto potè Costanzo pren-
der e devastar Lucerà , città da Siponto non
molto lontana: ma non potè già far lo stesso
di Acerenza , per esser posta in fortissimo luo-
go ; e non volendovi consumare più Imigo
tempo , andossene prestamente a campo sotto
Benevento, e di stretto assedio la cinse.
O Wani. l. 5. f. 0.
LIBRO QUARTO a^Q
Vi Romualdù VI duca di Beiuttitto.
Romualdo duca dì Benevento Tedutosì in quc'-
sto stato, tosto spe^ Sesualdn suo balio ai re
Grìmoaldo suo padre in Pavia, perchè gli man-
dasse validi soccorsi: ed intanto ì Longobardi
beneventani, ancorché da^ Greci fosse più volte
stata assalita la citt^ , sempre però gh ributta-
rono, ed alle volte ancora gG assalirono ne*
proprii alloggiamenti con varie sortite , e per
ogni parte danni e rotte considerabili lor die-
dero. Nella difesa della quale città non conferì
poeo r opera di Barbato prete , e poi suo ve-
scovo, il quale declamando sempre che di que-
sti mah eran puniti i LiOngobardi beneventani
con guerre sì crudeli , perchè non ancora avean
deposta la superstizione de* Gentili, ed alcuni
r arrianesimo, tanto fece, che ridusse que' po-
Eoli a deporre ridolatrìa , e ad implorare per
> scampo delle imminenti calamità il divmo
aiuto e la protezion de' Santi j e ad esser' da
poi persuasi che ne fossero scampati per opera
divina. Ma mentre Costanzo era in questo as-
sedio , ecco che il re Grimoaldo vien di per-
sona con potente esercito a soccorrere il figliuo-
lo ; ed intanto manda Sesualdo a dargU avviso
che stesse di buon animo, ch*egh era ben to-
sto per liberarlo. Ma T infelice giunto al campo
nimico, mentre tenta dì gettarsi dentro l'asse-
diata città, fu preso e portato innanzi al-
rimperador Costanzo, il quale sentendo che
\
380 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
Grimoaldo già sen veniva con forte esercito a
soccorrere il figliuolo^ é ch^era già vicino, tur-
bossene grandemente; e risoluto di levar T as-
sedio, tentò, perchè sicuramente potesse farlo,
e potesse anclie ricavarne qualche onesta con-
dizione di pace, che Sesuauio tutto al rovescio
esponesse a Romualdo F ambasciata; onde fat-
tolo condurre sotto le mura, il costrinse a chia-
mar Romualdo, al quale voleva egli che dicesse
di non potere in conto alcuno venir suo padre
per soccorrerlo; ma Sesualdo con animo intre*
pido e forte, veduto Romualdo sopra la mu-
ragUa , con alta y ocè^. perchè tutti i Greci' eh' e-
ran presenti anche il sentissero, gli disse: ^ Sta
m forte, e di buon animo, o signore, e non
u ti smarrire ; ecco tuo padre è già vicino^ con
« potente esercito per tuo soccorso, e questa
« notte al fiume Sangro dee esser giunto. Ben
« ti raccomando la mia cara moglie e i miei
u cari figliuoli, perchè son certo che questi ri-
« baldi Greci mi faran tosto morire »». Sde-
gnato fieramente Costanzo per così generoso e
magnanimo atto, fecegli tosto mozzar il capo,
che con una briccola il fece buttar dentro le
mura della città. Il duca Romualdo presolo, ed
affettuosamente l>aciandolo, di molte lagrime il
bagnò ; così onorando la singular sua virtù e
Famor del suo fedele, con fargli inoltre dare
sontuosa e nobile sepoltura.
Temendo perciò Fimperadore della venuta di
Grimoaldo , sciolse F assedio ; e mentre verso
co Warnrfr. 1. Ti. e. 8. ri 9.
LIBKO QDISTO sSl
Napoli sua cittì fivttoloso si arria, il conte Mì-
tula di Capua Del cammino diede al suo eser-
cito una grande rotta al Gume Calore, che non
poco r a£ElÌ8se. Giuntò finalmente in Napoli
con animo di voler quindi passare in Roma,
essendosi esibito Sabm-ro che gli dava il cuo-
re, se Pimperadore lasciasse sotto al suo co-
mando ventunila soldati, di debellar tutti ì Lon-
gobardi , e riportarne certa Tittorìa j Costanzo
glie lì concedette, e lasciollo sul passo di Fop-
mia , che ora dicono esser Castellone o M(Ja
di Gaeta , almeno perchè gli servissero per te-
ner a freno il nemico che, andando eeli in So-
ma j lasciavasi indietro. Ù esercito di Sabarro
era misto dì Greci e di Napolitani, popoli che ,
fiiron sempre rÌTali ed implacabili nemici de'
Beneventani, e co* quali eboero sempre cniddi
ed ostinate gueire. Era Grìmoaldo giunto in Be-
nevento , quando intese ì vanti di Saburro ed
i disegni de* Greci, e fu per andarvi egli di
persona per combattergli ; ma pregato da Ro-
mualdo suo figliuolo , che a lui conunettesse
questa impresa, bastandogli il cuore di vincer-
gU, e^i ne fii contento, e gli diede una parte
del suo esercito. Con intrepidezza incompara-
bile atlrontò Romualdo Tesercito nemico; e men-
tre fieramente si combatte, ed era ancor dub-
bia la pugna, ecco che un E^ongobardo, Amelongo
nomato , di' era solito di poi-tar la lancia in-
nanzi al re, con animo forte, coH'istessa lan-
cia percosse un cavalier greco con tanta forza
ed empito, che levatolo da sella TaJzò all'aria *
in alto^ e per sopra il suo capo lo fece pre-
cipitare in terra. Per così valoroso fatto tanto
aSl ISTORIA nCL &CG3I0 DI NAPOLI
terrore e spavento entrò ne^ Greci ^ che vilmente
abbandonando il campo ^ dieronsi a fuggire 3 ed
i Longobardi seguitandogU fecero di loro strage
cradeHssima, e piena vittoria ne riportarono.
Romualdo pien di gioia trionfando in Benevento
tomossene y ove accolto dal padre e da^ Bene-
ventani con applauso grande , da tatti y come
liberator della patria e dello Stato ^ fu onorato
e commendato. Intantq Tìmperador Costanzo
quando vide vana ogni sua opera ^ parendogli
essere fuori di ogni speranza di superare i Lon-
gobardi^ perchè all^ intatto non paresse inutile
la sua venuta in Italia ^ pensò pieno di cruccio
andare in Roma^ ove ancorché fosse stato ac-
colto con molti segni di stima e di venerazione
da Vitaliano romano pontefice^ in dodici giorni
che vi dimorò^ non attese ad altro che a spo-
gliarla de^ più ricchi ornamenti che vi ritrovò ;
e toltone quanto eravi di più rado, d'oro, d'ar-
gento, di bronzo e di marmo, e fattolo im-
barcar ne' suoi legni per condurlo in Costanti-
nopoli, egli per cammin terrestre tornossene a
NapoU , e quindi a Reggio , ove la terza volta
furono le sue truppe da' Beneventani battute :
indi a Sicilia portossi. Quivi essendo egli di-
morato qualche tempo, fu in Siracusa, mentre
si lavava nel bagno , nell' anno 668 da' suoi
stessi miseramente ucciso (*) ; e le sue inesti-
mabili prede e ricchezze , che da Roma e da
altri luoghi aveva raccolte, capitate in mano
de' Saraceni, non già in Costantinopoli, ma in
Alessandria furon condotte.
O P. Pagi de Consulib. p. 348.
Libro qcabto' a83
Ecco qual fine per sé e per B Greci fiinesto
ebbe r impresa di Costanzo, il quale pronietteit-
do8t dì restituire Fitalia al suo impei-io, rendè
pili prospere le fortune de^ Longobardi: spedi-
zione quanto infelice per li Greci, a^ quali mancò
poco che non fossero interamente scacciati d^I-
talia, altrettanto avrenturosa e prospera per li
Longobardi , i quali maggiormente stabiliti ne*
loro Stati, a niente altro da poi Airono intenti ,
che a discacciare i Greci da quelle città eh* essi
ancor rìtenevano. Per queste illustri vittorie Ro-
mualdo ampliò poi tanto il ducato benereiita-
no, che discacciati i Greci da* Bari, Taranto,
Brindisi, e da tutti que* luoghi ddla Calabria
che oggi Terra d'Otranto diciamo, gli ridusse
al solo piccolo ducato di Napoli e di Amalfi,
ed Otranto, GaUipoU, Gaeta, e. ad alcune altre
citta marittime de Bruzi che oggi Calabria ul-
teriOTe chiamiamo.
Queste furono- le memorabili rotte che gTi-
storìci in questi tempi narrano essersi date da*
Bcneventam a' Napoletani, ne' quah per oper^- dì
S. Barbato i Longobardi beneventani abbando-
narono interamente l'idolatria e la superstìzio^
ne, il culto della religione cattohca tenacemente
abbracciando. La qual conversione volendo a
sommo studio tener nascosta 'Wamelrido, e lo
scrittore degli Atti dell'Apparizione Angelica nel
monte Gargano, ambedue di nazione longobar-'
da, perchè con ciò non si scovrisse che sino a
questi tempi i Longobardi avevan ritemito il gen-
tilesimo: ai ciò ch'essi fecero, n'imputarono i
Napoletani, ì quaU, come si è veduto, e di quel
santuario e della fede catt<dica erano riverenti e
^84 ISTORIA DEL RKGlfO DI KAPOLI
tenaci Né maggior pruova di questo potrìi aversi^
se non dagli Atti di S. Barilaio istessò . dati ora
alla luce dal Bollando e dalTUghello f): il quale
Santo dopo aver persuaso al duca di Benevento
ed a^ Longobardi y per opera divina e dell'Ar-
cangelo Michele essere scampati da tante cala-
mità^ questi; deposto ogni rito pagano ^ ed ab-
bracciata la religion cattolica ^ lo elessero per
vescovo di queUa città ^ ed avendogli il duca
proferto molti e ricchi doni, il santo vescovo
Sii rifiutò; persuadendo a Romualdo che que^
ioni offerisse alla basilica del monte Gargano ^
la quale a cagion dd preceduto sacco essendo
rimasa incolta e men frequentata , proccurasse
egli renderla più eulta j e col suo esempio la
venerazion di quel luogo a^ suoi Longobardi in-
stillasse ; ed inolti*e y che tutto ciò ch^ era nel
tenimento del vescovato sipontino, alla sua sede
beneventana sottoponesse , perchè que^ luoghi
allora incolli, posti sotto la sua cura, meglio
da lui potessero custodirsi e governarsi, siccome
da Grimoaldo fu fatto. Quindi nacque che fin
da questi tempi di Vitaliano romano pontefice
il vescovato di Siponto e la cura della basilica
garganica alla sede beneventana si appartenne ;
com'è pur manifesto da alcune epistole di Vi-
taliano papa a Barbato istesso dirette, rappor-
tate da Mario Vipera nel libro primo della sua
Cronologia de' Vescovi ed Arcivescovi Beneven-
tani ; onde da poi ne' tempi seguenti Imigamente
si è veduta la chiesa sipontina e la garganica
a' vescovi beneventani soggetta , in&io che ,
O Bollanti, loc. cit. Ughell. tom. 4* 'tal. Sacr. loc. cit.
Luto QltAKTO , 365
minando già il principato di Benevento, fu a
Siponto dato il suo airÌTescoTO, alla cui cura
lilomaroiio assolulamente queste chiese, come,
quando deUa polizia ecclesiastica di questi tempi
CI tornerà occasione di trattare, piiì distesamente
^remo.
Per questa cagione crebbe la Teneraùone di
questo santuario appresso ì Longobardi bene-
ventani} tanto cbe per lor protettore lo rico-
nobbero: e siccome i Longobardi subalpini eb-
bero per loro protettore il Precursor di Cristo,
i Long<^ardi spoletanì S. Sabino vescovo e
martire j cosi i nostri Longobardi cistìberìni
ebbero l'Arcangelo Micbde (i). Onde si fece'
poi che tutte le vittorie che ne* seguenti tempi
riportarono i Beneventani sopra i Napoletam,
come cbe sovente accadute, siccome fu questa,
agli otto di maggio , giorno dell'Apparizione
^geUca , tutte F attribuirono all' intercessione
di questo lor protettore {2). Quindi parimente
si manifesta Ferror di coloro ì quah,, ignari di
questi fatti, riportano indietro questi avveni-
menti sino a' tempi di Teodorico ostrogoto; e
vedendo che ancor prima di que' tempi erano
ì Napoletani cattoUci, vollero che ciò che di-
ceasì de' Napoletani infedeli, dovea intendersi
de' Vandah che allora sotto Odojicre eran con-
giunti a' Napoletani contra i Goti.
^86 ISTORIA DEL llBGflO DI NAPOLI
/ S II.
Venuui dt' Bulgari; ed orione della lingua iealiaìia.
I
Ma ritornando al re Giimoaldo da noi in
Benevento lasciato, questo principe vedendo
già tutte a terra le fortune de^ Greci , da poi
ch^ ebbe premiato Trasimondo conte di Gapua),
al quale oltre ad aver data per isposa una sua
figliuola, per la morte di Zótone^ lo fece an-
che duca di Spole ti j a Pavia sua regal sede
si restituì Mentre quivi è tutto inteso a gasti-
gar la fellonia di Lupo duca del Friuli, ecco
che viene a lui Aiczeco- duca de' Bulgari () ,
il quale abbandonando, né si sa per qual ca-
gione, i suoi proprii paesi , entrato pacifica-
mente in Italia co suoi Bulgari , offre a Gri-
moaldo il suo servigio , cercaudogli di voler
abitare co' suoi in qualche luogo che gli desti-
nasse del suo dominio. I Bulgari erano usciti
da quella parte della Sarmazia asiatica eh' è
bagnata dal fiume Volga , e dopo avere traver-
sati tutti ({ue' vasti paesi che si stendono da
questo fiume fin alle bocche del Danubio, lo
passarono per la prima volta al tempo dell' im-
perador Anastasio, e diedero spesso grandis-
simi guasti alla Tracia ed all'IUirico, e stabi-
lironsi finalmente lungo il Danubio, in quel
tratto di paese che comprende le due Misie
con la picciola Scizia, che vien detta oggidì
Bulgaria dal nome di questi popoli.
O P. Warucfr. L 5. e. i6. et seq.
\.
LIBRO QUARTO 287
n re accoltolo benignamente, pensando po-
tergli molto giovare a soccorrere e aiutare suo
figliuolo contra i Greci ^ lo mandò in Benevento
a Romualdo , al quale impose che a lui colla sua
gente assegnasse alcuni luoghi del ducato be-
neventano ove potessero abitare. Il duca Ro*
mualdo graziosamente rìcevendogU, diede per
loro . abitazione molte buone città di quel du-
cato, cioè Sepino, Boiano ed Isemia, con al*
tre città e terrìtorii vicini: ma volle che lasciato
il titolo di duca ( come che que^ luoghi glie li
assegnava non in signoria, né perpetualmente),
phiamar si facesse per Tawisiiire gastaldo, ri-*
putando forse ancora cosa inconveniente che non
avendo egU altro titolo che di duca, potesse
anche un^ altro a sé soggetto ritenerlo. Quindi
anche avvenne che diviso il ducato beneventano
in più contee, essendo tutte al duca di Bene-
vento soggette , non avessero altro nome coloro
ch^ erano destinati al governo delle medesime,
che di conti , o di gastaldi , e ritenessero que^
luoghi, come dice Cmstcio y jure gastaldiae , non
perpetuo 9 proprioque feudi jure (*).
Ed ecco circa questo anno 667 introdotta nel
nostro regno una nuova nazione di Bulgari:
gente che per molti secoli abitò in quelle con-
trade che ora contado di MoUse chiamiamo, e
che sebbene cento cinquanta e più anni da pt)i,
qu^mdo Wamefrìdo scrìsse la sua Istoria , aves-
sero appreso il nostro comune linguaggio ita-
hano, non aveano però ne' tempi di questVi-
storìco ancora perduto Fuso della lor propria
O Cujjic. lib, I. Jf Fcud. tit. I. 5 3.
a88 ISTORIl DEL REGNO DI NAPOLI
favella ) come egli rapporta nel lib. 5. de^ Gestì
de^ Longobardi al capo 1 1 . Nel qual luogo do-
vrà notarsi^ che scrivendo egli che i Bulgari ri^
tenessero nella sua età il proprio linguaggio j
sebbene parlassero ancora latinamente^ quatnvis
etiivn .latuìe loquantur^ non perciò dovrà in-
tendersi • come si diedero a credere alcuni (i)^
che favellassero colla lingua latina romana, la
quale ne^ tempi ne^ quaU scrisse Warnefrido j
cioò verso il fine del nono secolo, era già an-
data presso al commie in disusanza, e solo
nelle scritture , ma molto corrotta , era ritenuta :
ed un* altra nuova popolare e comune, dalle
varietà e mescolamenti e confusione di tante
straniere lingue colla latina cagionata, erasi già
in Italia introdotta, che italiana appellossi.
Né bisogna dubitar punto se in questa sta-
gione avesse la lingua italiana preso pie e vi-
gore , essendo ella più antica che altri non
crede. Fin da^ tempi di Giustiniano imperadore
attesta Fomerio (2) essersi in Ravenna stipu-
lato istromcnto , concepUun eo fere sermone ,
i(jo nane ^ulgus ItaUae utitiir, Costantino Por-
irogenito pur ne' suoi tempi versj Tanno 910
chiamò cUtà noi^a Benevento e Venezia (3).
L' autore degli Atti di Alessandro ITI presso il
cardinal Barouio (4) riferendo T ingiurie dette
dalle donne romane ad Ottaviano antipapa, dice
che lo chiamavano lingua vulgctri: smanta com-
pagno. Ne' tempi poi di Federico II già era
(1) Ciarlnnt. noi Sannio , od altri.
(Ti) Foni, in nolis ad Cass. lib. io. cap. 7.
(!)) C.'>nstant. do admin. Imp. cap. a^. et 38.
C4) Baron. An. ano. 11 $4.
Ili
tlBRO QUARTO a8u
comunissìma, e resa ormai già Tecchia. Oltre tu
quel limito calabrese che, secondo narra Ric-
cardo di S. Germano (i) andava gridando: Be-
ticdittu, laudata e santìficatu lu Patre: Be-
jtedittu, laudata e santìficatu Ut Fillu: Bene-
d^ta, laudata e santìficatu lu Spirita Santa ;
dell' is^sso Federico, d^Enzio suo figliuolo ba-
stardo, di Pietro delle Vigne, e dì tanti altri
di quel secolo , si leggono motte composizioni
dettate in italiana favella.
Questa venne dagli scrittori di questa eti,
e delle seguenti ancora, delta anche latina ; poi-
ché si usava comunemente da que' medesimi
antichi Provinciali che Latini , o Romani , per
distinguerli o da* Greci o da* Longobardi , o
dall'altre nazioni che vennero in Italia, erano
appellati, il linguaggio de* quali , prima della
corruzione, era il prisco latino; onde è che
non solo presso Paolo 'Warnefrìdo, ma appo gli
scrittori molto a lui posteriori, il parlar latino
comune e popolare era lo stesso che il volgar
italiano. Così Ottone Frisingeiise (-1) loda i Lon-
gobardi de' suoi tempi già futti Italiani, per
F eleganza del sermon latino, cioè dell'italiano,
col quale parlavano cosi bene ed espeditamente.
Né m questi tempi il nostro idioma itahano
altro nome avea, che di volgar latino: tale fìi
appellato nella fine del primo capitolo di ser Bru-
netto. Così anche latine loqui presso Dante AH-
ghierì, Petrarca (3> e Giovanni Boccacci (4>
(0 Kice. in Chron. ann. i>]s.
(?) Olbo Pruina, de Grtt. Prid. lib. 9 e
(3) l^rtrar. arì Trionfa d'Amoru, Mp, a
(4^ Boccar. NotcI. s. Gìori. 5.
GilHMJKB fo/. J/.
390 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
sono detti coloro i quali non del prisco latino^
ma col serm^n nostro italiano parlavano, come
accuratamente osservò anche il diligentissimo
Pellegrino (i).
E da questa residenza direbbero varie na-
zioni in molte parti del nostro regno, è nata
quella tanta diversità di linguaggi, ancorché
tutti parlassero italicamente, che oggi osserviamo
nelle nostre provincie. Imperocché fermati i Bul-
gari per più secoli in quelle città ^ ancorché
essi a lungo andare renduti già italiani, depo*
nessero il sermon proprio, ed il popolar lin-
guaggio apprendessero, e P antico cèdesse al
comune italiano ; nientedimeno questa tnesco-
lan^a di due nazioni in un medesimo luogo
portò che T italiano, sebben superiore, rima-
nesse alquanto contaminato j ed oltre alle nuove
parole di quella straniera nazione , quelT aria , o
accento, o pur vocabolo dello straniero rite-
nesse. Così anche nell' altre parti nel nostro re-
gno , come nel Sannio e iiegU Apruzzi , ove i
Longobardi più lungamente si mantennero, la-
sciarono, oltre a' vocaboli, unMmpressione di-
versa dalla comune italiana favella. Ed in quelle
regioni ove i Greci lungo tempo dominarono,
come in alcune città della Calabria, ed in Na-
poli particolarmente , ancor oggi si ritiene molta
aria di quel parlare , e si ritengono ancora
molti vocaboli ; ne è mancato chi di essi abbia
voluto tesserne lungo catalogo , come fece il Ca-
paccio (2) de' vocaboli greci ritenuti anche oggi
(i) Camil. Pell^gr. iti diss. de Due. Ben.
(2) Capar, nel Foia»!irr. .
LIBRO QUARTO 391
fla' Napoletani , e de^ quali nel comun parlare
' si vaglìono. E non essendo finita qui la novità e
viirietà (Ielle straniere genti che inrasero il re-
tano, ma succeduta una nazione all'altra in varii
tempi, ed anche in varie regioni di esso: quindi
nacque il tanto vario e strano mescolamento
che og^ si vede. ,
Anehe gli Arabi o sieno Saraceni lasciarono
a noi la lor parte. Questi fermati prima nel Ga-
rìgliano, indi sparsi per te Calabrie, per la Pu-
^ii ed in Pozzuoli, lasciarono fra noi varie
parole, come, per dante un saegiO) sono quelle
di meschino f magaziao, mascncra, gìbel, clic
significa monte ', onde Gibel Y Etna per edcel-
lenza s'appellò, e poi corrottamente Mongib^
lo^ dicendosi due fiate lo stesso, ed altre. E
vi è chi scrisse che la rima data a' versi, uoa
altronde che dagli Arabi 1' avessero prima i Si-
ciliani , e poi gii altri Italiani appresa , e che
la portassero anche alle Spagne; e Tomaso Cam*
panella in conferma di ciò ne recava in testi-
monio una canzone schiavona , ove ciò s^ af-
fermava , e ch'egli a memoria recitar soleva.
Dónde poi 1' appresero 1' altre provincié d' Eu-
ropa, ed arrivò sino io Germania, siccome
vedesi da quel poema o sìan versi rimati d'Ofr-
frìdo, che visse sotto Lodovico Pio* il qoal
crede Antonio Mattei (*) che fosse il più antico
scrittore che oggi riconosca la Germania. Anzi,
- come vedremo ne' seguenti libri di questa Isto-
ria, non altnmde che dagli Arabi venne a ncn
O Anton. Ibuhmit de CrìiriÌBÌbiM ul L. Svlmm .ViìmU <% i.
Ug2 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
la filosofia 9 la medicina^ la matéb!atica^ e F al-
tre discipline che per più secoli tennero occu-
pale le nostre scuole.
Ma essendo poi a' Longobardi , a" Greci ,
a' Saraceni succeduti i Normanni , e da poi i
Suevi^ i Franzesi^ gli Spagnuoli^ gli Albanesi^
e chi no? si venne per questo, ancorché tutte
le nostre provincie ritenessero la medesima ita-
liana favella , a qtiella diversità e mescolanza che
ora vediamo coii tanta maggior maraviglia y
mianto che non vi è luogo benché picciolo
elle fosse nel regno, che o nelFaria^ o nel-
P accento , e sovente ne' vocabiti non differisca ,
e dall' altro non si distingua. Ma ^ ciò sia
detto abbastanza, e forse non mancherà occa-
sione di ragionarne altrove ad altro proposito.
s ni.
Leggi di Grimoaldo y e sua morte.
Liberato intanto Grimoaldo da tutti gli so-
spetti e dalle cure militari, nel sesto anno del
suo regno fu tutto rivolto agli studi della pace,
ed a ristabilir con nuove leggi il suo imperio.
Le leggi di Rotari , per ventiquattro anni da
che furon promulgate, avevano neiritalia poste
profonde radici. A quelle cominciavano ad ac-
comodarsi non pure i Longobardi , per li quali
erano stale fatte , ma i provinciali medesimi ,
ancorché loro non fosse stato mai interdetto
r uso delle romane. Ma col correr degli anni ,
come suole accadere , fu osservato non essersi
per le medesime proveduto a tutto ciò che era di
I.IBHO QUARTO ygS
mestieri, e molte di esse veneodosi all'uso ed
aUa pratica, sembravano al<}uanto dure e cru-
deli (i). Quindi Grìmoaldo prudenlissimo piio-
cipe , volendo riformar in parte l' editto di
Botati, ed accrescerlo d'altre leggi che gli par-
vero pili utili, convocati, come era il loro co-
stume, nell^anno 668, che fu il sesto del sud
regno , i Longobardi e' loro giudici , all' editto
di Rotali aggiunse nuove leggi , e riformò la
già fatte , ed un nuovo editto promulgò con
questo proemio : Supcriore pagina hujus edicti
tegibir , quod adirne , annuente Domino , me-
morare poterimus, de singuìis causis qua prOB-
sentì non essent ailfictcB, in hoc edicto adjun-
gerc debeamus, ita ut causa quce judicatce et
JinitfB siint, non re\>ol\>anìur. Ideo ego Grimoal-
dus vir exceìlentissimus , rex gentis Longobar-
donim, anno, Deo propicio, sejcto regni niei^
mense Julio, Indictione undecima , per su^s-
stionem fudicum, omniumqiie consensum , quw
ilUs dura et impia in lioc edicto visa sunt, ad
meliorcm sensum jvvocare prcBvidimus (a),
Questo editto di Grìmoaldo si legge nel men-
tovato Codice Cavcnse dopo quello di Rolarì,
e non contiene più che undici capitoli , Ì cui
titoli rjuesti sono. / Si quis hominem nolendo
occiderit IL Ut causa Jìntta non revohantur.
III. De servo qui 3o anno servivit If^. De
3o annorum liberiate. V. De culpa servorum.
f^I. De 3o annorum possessione. VII. De
<i> P. WiriM*. ). 5. r. 33.
(a) Si Iritf!' n*"' CoitiiY Civmw , t iiA Corpo A^llr L<^ Lon-
■obarde, Sitichi;, Al'inannr ec. deU^editionc dì B>iiiln dtU
r«nno iSS^, e prcMO Sigonio de Itcf. lul. I. «■ ad A, 66S.
■jg^ ISTORIA DFX BEONO DI NAPOLI
successione nepotiim. F"!!!. De uxoribus ài-
mìtfendis. IX. De crimine uxoris. X. Si mulier
aut puella super alia ad maritimi intraveriì.
IX. Si anelila fitrtum feceriL Dopo i quali sie-
giiono
Hpitoli , '
Il cotnpilalore
gobardc inserì
Grimoaldo nel
mimerò dì sett-
, primo sotto il
l'US ; la seco!
rum) la teraa
I qìM iixorem Sm
libri delle leggi lon-
:une di queste leggi dì
;ccondo libro , sino al
ma si legge nel libro
•tis j et ser\'is fugaci-
1 til. de culpis servo-
secondo sotto il tit. tfe
niscrit; Ire altre nello
itesso libro sotto il tit. de pneseripUon. , e. la
settima nel medesimo Ubro séeondo sotto il tit.
quaiiter quìsqite se defindere deheat
Dopo aver Grimoaldo cosi bene adempiute
le parti d^un ottimo prìncipe, ecco che per
un accidente stranissimo .è tolto a' mortali j poi-
ché avendosi fatto salassar nel braccio, dopo
nove giorni del salasso , mentre e^ fa forza
in caricando un arco, gli si apre la vena; né
con tutti gli argomenti possìbili potendosi chiu-
dere j esangue se ne morì nel nono anno del
suo regno, che cadde nel 671 dell'umana Be-
denzione. Fu Grimoaldo fornito d* ogni rara
virtjj , e per la sua sagacìtà e singolar accor-
tezza meritamente fìi al trono portato. Prìncipe
che volle anche per la sua pietli lasciar di sé
lodevole ed onorata memoria; poiché sd)beiie
neir eresia d'Ariio fosse nato e cresciuto, a' con-
forti di Giovanni vescovo di BergAmo , uomo
di singoiar bontà e dottrina , T alwominò , ab-
bracciando la relig^Hi cattolica; né contento di
l-IEBO QfAnTO 395
ciìt, molte chiese rifeoej ed altre di ouoro co-
stnuse, fra le quali celebre fu qadla dedicata
ad Alessandro nell'isola di Fulcneria, e l'altra
in Pavia al santo vescovo Ambro^o 0- ^ fu
questo esempio così memorando, die gli altri
re suoi successori furon tutti cattolici j e s' e-
stinse in lui Tanianesmo appo tutti i Longo-
bardi in Italia.
C A P O XI
Di Garihaldo , Pertarite, Cimiperto , ed altri re
e duchi di Beììcvento , infino a Luitprando.
lasciò GrimoaHo, oltre a Romualdo che re-
gnava in Benevento , un altro piccolo suo fi-
gliuolo Garibaldo nominato , al quale lasciò
morendo il regno. Non fu Romualdo duca di Be-
nevento al regal solio assunto, ancorché mag-
gior nato , poiché era comiuiemente riputato
81)0 Ggliuol bastardo. Ma Garibaldo non potè
molto goderlo , perchè appena innalzato al tro-
no, Pertarite, ch'esule aimorava in Francia,
avuta novdla della morte di Grimoaldo. tosto
venne in Italia , ove appena giimto, accolto con
incredibile contentezza da moltitudine grande
de* Longobardi, passò in Pavia. Quivi fugato
Garibaldo , che non più che tre mesi dopo la
morte del padre avea regnato, iu da' Longo-
bardi nel regno restituito ) ed avendo ricma-
mata a sé Rodolinda sua moglie e Cuoiperto
O %»>■ <!• K- Il«1. ad A. 671.
!296 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
SUO figliuolo ; che in Benevento in lungo esilio
eran dimorati y resse da poi il regno con tanta
quiete e giustizia ^ che ne violàize né ruberìe
né tradimenti furono nel suo gOTemo inlesi.
Assunse questo prìncipe nell^ anno 678 per
compagno nel regno Cuniperto suo figliuolo ,
il quale ^ morto finalmente Peitarìte nell^anno 690^
continuò solo a governarlo. Fu però la sua quiete
e tranquillità alquanto interrotta per Alachi duca
di Trento^ il quale invase il regno; ma ne fu
ben presto il tiranno iiigato y e Cuniperto vit-
torioso seguitò ad amministrarlo con la prìstina
ed antica quiete. Morì Cunipei*to nell^ anno 700^
lasciando per successore al regno Luitperto
unico suo figliuolo ancor infante^ e perciò la-
scioUo sotto la cura d^Asprando uomo di chiara
nobiltà y ma sopra tutto di grande prudenza e
saviezza. Fu Cuniperto, come dice Vamefndo,
4]n prìncipe di rada e maravigliosa venustà^ e
di costumi soavissimi^ d^ audacia singolare; ed
uomo cattolico e di somma pietà; tanto che
il regno de' Longobardi non fu veduto insino
a qui mai in tanta pace e tranquillità ^ quanto
nel regno suo, e di Pertarìte suo padre.
S I.
Di GrimoaltJo il, Gisulfo /, Romualdo //, Adulai ,
Gregorio , Godcscalco , Gisulfo II e Luitprando du-
chi di Bcne\^ento,
Intanto al ducato di Benevento , essendo
morto Romualdo nell'almo 67 7^ era succeduto
Grìmoaldo II suo figliuolo ^ al quale lasciò il
ducato molto più grande y avendolo accresciuto
LISHO QUARTO 397
colle conquiste di Taranto, Brìndisi, Bari, e
di tutta la regione d' intorno , che tolse egli
all' ìmperador a Oriente. Ma si godè Grìmoalao
poco il suo ducato , poicliè appena finì tre
anni , ne* quali insieme con Gisulio suo frateUo
avea regnato , che sopraggiunlo dalla morte
lasciò suo fratello solo nel ducato.
Gisulio leime il ducato beneventano, nove-
randovi i tre anni che regnò con suo fratello
Grìmoaldo, anni dìcissettej e comìnciù solo a
- reggerlo nd fine dell'anno 680. Questi fu che
a tempo di Gio, V pontefice romano intorno
all' anno 685 , secondo il computo del Pelle-,
grìno , devastò la Campagna romana.
Ma morto Gisulfo nell' anno 694 , succedette
al ducalo Romualdo II suo figliuolo , e mentre
egli reggeva Benevento , fu da Petronace resti-
filuito al suo antico lustro il monastero Cassi-
nese. Il ducato di Romualdo fu ben lungo , du-
rando ventjsei anni , e travagUò molto i Napo-
letani , togliendogli Cuma : ma i Napoletani
istigati da Gregorio II pontefice romano, ben
tosto, militando eotto il loro duca Giovanni,
glie lo rìtolseroj e molta strage de' I^ongobardi
tu fatta (*).
A Romualdo nell'anno ^ao successe Adelai,
che non regnò più che due anni. Di costui fu
successore Gregorio , che tenne il ducato anni
sette j e morto n^' anno 728, fu assunto al
ducato Godescalco, che poco mea che quat-
tro anni lo resse.
Succede nell'anno 782 Gisulfo H di questo
("> Jo, Diaom. ipnil. Vglitll. ile Epiw. Nripi p. B&
908 IflTORU OIL MEGMQ BI ITÀPOLI
nome^i il qoole per anunenda del sacco dr Zo^
jtone / arricchì il monastero di monte Casino
di molti poderi , e d* immensi doni accrebbe
-qiidi Inogo. Farongli allora donati 'que' luoghi
e tare ddlo Stato di S. (fermano ^ che col cor-,
rer deeK anni , accresciuto d^ altre doUauoni y
lo renderon tanto ribeo y che i loror abati fiiUi
signori di più vassalli, vennero in tale altezza.
e£^tenn«ro troppe «^ loro stìpendii. /
Resse Gisnlfo ril dacato beneventanp anni
9! prìncipe di molta pietà, e fibera^
verso le chiese, «He (juali fece profuse
donazioni,^ e molte ne costrasse^ fra le quali
celebre fu quella di S: Sofia • che in Benevaito
da* fiMidamenti eresse. Mori nel fine ^-deW an-
no 749 7 suo successore'lb Lultprando , ultimo
, che m . duca di Benevento. Questi tome il du-
cato anni otto e mesi tre, e. kd morto ndTan*
no 758, fii da^ baroni beneventani e dal re
Pesiderìo Costituito Arechi suo genero : quegli
che, estinto già il regno de^ Longobardi in Ita-
lia per Carlo M. ^ fu il primo a mutare il du-^
cato di Benevento in prmeipato, e che nuova
polizia introducendovi , di molti conti e ga-
staldi empiè il suo Stato ; e che lasciando il
titolo di duca ^ prese quello di prìncipe , e fat-
tosi ungere da^ suoi vescovi , volle assumere
la corona ^ lo scettro e la clamide , e tutte
T altre insegne regali : i cui fatti egregi ci som'*
ministreranno abbondaute materia nel sesto li*
bro di questa Istoria.
In
LIBftO QUARTO
Dì fjuitpcrto j lìagutnliertQ , Àriperlo II ed Atprando
re à^ Longobardi.
Inlanto nel regno d^ Italia a Luìtperto , che
non regnò più cbe otto mesi, era succeduto
Bagiimuerto. Questi era duca «ii Torino, e fu
figliuolo del re Gudeberto , cbe lo lasciò molto
fticcolo quando fu egli ucciso dal re GrìtDoaldo.
nvase costui il regno per la minoritJi di Luìt-
perto , e finalmente lo scacciò dalla sede.
A BaguDiberto, che morì nell'istesso anno,
succede Arìperto II di questo nome suo figliuolo,
di cui si narra aver confirmato alla Chiesa ro-
mana il patrimonio delle Alpi G>zzie; ma egli fu
da poi fugato e morto da Asprando , il quale oo
cupo il regno. E questi essenoo parimente morto
dopo tre mesi, lo lasciò a Luitprando suo^-
gliuolo , nd cui tempo germodiarono que' mali
che fnron non molto da poi cagione della transla-
zione del regno dMtalia da^ Longobardi a'Frau-
zesi ; donde nacque il principio del dominio
temporale in Itaha de' romani pontefici , e nac-
quero tante e si stnme mutazioni in quéste
nostre prorincie , che per la novitìi e grandezza'
de* successi meritano che , dopo aver narrata
la polizia ecclesiastica di questi tempi, si ri-
portino al seguente libro della nostra Istoria.
300 ISTORIA DEL RECITO DI NÀPOLI
CAPO XH
Deir esterior polizia ecclesiastica nel regno de
Longobardi da /éutari insino al re Luitoran-
do ; e neir imperio de* Greci , da óiustì-:^
no II insino a Lione Isaurìco.
Grandi che fossero stati in questi tempi i
progressi de^ patriarchi di Ck)staiitinopoli in
Oriente 9 non aveano però infin ad ora stesa
la loro patriarcale autorità sopra queste nostre
Provincie. Cominciavano bensì pian piano , so-
stenuti dal favore deglMmperadori , a metter
'mano in alcune chiese poste in quelle città che
ancor ubbidivano allMmperio greco. Prima in-
trodussero di dar a' vescovi u titolo d' arcive-
scovo , poiché non essendo questo nome di
potestà y come il metropolitano j ma solo di
dignità , fu cosa molto facile a' semplici vescovi
d' ottenerlo ^ ed a' patriarchi d'Oriente di darlo.
Così leggiamo che sin da' tempi delf impe-
rador Foca , che resse quelP imperio dall' an-
no 602 insino al 6co, cominciarono i patriar-
chi di GostantinopoU j secondo il soUto fasto
de' Greci , a dare a molti nostri vescovi delle
città che a loro ubbidivano , questo spezioso
nome d'arcivescovo, come fecero ^ non senza
collera e sdegno de' romani pontefici , con quello
d' Otranto j di Bari, e da poi anche con quel
di Napoh (*). Questi furono i primi passi che
O Ughcll. de Episr. Ilydnintin. Bcatil. Iiisl. di Bari.
UDRÒ QUAHTO 3oi
diedero in ([ueste nosli-e partì. Ma in Oriente,
per essere state le altre città patriarcali occn-
pate da' barbari , e posti a teiTa que' tre pa- -
tiiarchi , tanto cbe non potè di lor conservarsi
continuata' successione, si rendè il Costantino-
politano piìt altiero e fastoso. Quindi Giovanni
il Digiunatore , die fu eletto patriarca dì Co-
stantinopoli nell'anno 58a, imperando Maurizio,
prese il fastoso titolo di patriarca Ecumenico.
Ma dair altra parte non erano minori i pro-
gressi del patriarca di Boma in Occidente, sic-
cbè non si potesse contrasture a tanta alterigia
e far contrappeso a tanta potenza. E sopra ogni
altro in questi medesimi tempi erasi la cattedra
di Roma grandemente innalzata per la santità
e dottrina di Gregorio il Grande , clie nell^an-
, no 590 vi sedette. Questo pontefice mantenne
l'autorità e' diritti della sua sede , e fece valere
la sua autorità in tutto Occidente : si oppose
al patriarca Giovanni, non approvando il titolo
fastoso d'Ecumenico, come ambizioso, e che
riguardava a diminuire la potestà e la giurisdi-
zione degli altri vescovi ; onde fu il primo cbe
voMe nomarsi e sottoscriversi Servo de' servi di
Dìo , per opporlo al titolo fastoso d'Ecumenico
del patriarca di Costantinopoli (1).
Proccurò ancora a questo fine mantenersi
nella grazia degi' imperadori d' Oriente , di cui
egU si professava suddito (3), poiché Roma ub-
bidiva a que' principi; e per rendersi a coloro
benemerito , sì oppose sempre agli sforzi de' Lon-
gobardi, Tf^ghiando non pure alla difesa di
3o4 ISTORIA DEL AEGNO Di NÀPOLI
siccome fecero tutti gli altri romaiii pontefici ,
che stettero sempre fermi nell^ ubbidienza de-
gl^ imperadorì d^ Oriente contra i Longobardi^
infino a Lione Isaurico} il quale volendo soste-
. nere F errore degli Iconoclasti contra gli sforzi
de^ pontefici Gregorio II e III ^ pose tutto in
disordine ^ come si vedrà nel libro seguente di
questa Istoria.
Dair altra parte i Longobardi, quantonque per
la maggior parte idolatri ed altn arriam^ non
turbarono la pace delle nostre chiese^ e sotto
la cura de^ pontefici romani^ cosi come prima
erano j le lasciarono. H re Autarì verso V an-
no 590 depose il paganesimo ed abbracciò la
religione cristiana; ma seguendo F esempio de*
re Goti^ la ricevette imbrattata dall^ eresia ar-
riana. I Longobardi y ad esempio del loro re ,
fecero il medesimo ; quando lasciandosi a^ pro-
vinciali intatta la loro religione , si videro ia
alcune città d^ Italia due vescovi, Puno arria-
no , che presedeva a' Longobardi convertiti ;
Poltro cattolico, che governava le chiese cat-
toliche de' provinciah. Le nostre provincie però
non videro questa difformità; poiché quelle che
ancor rimanevano sotto Y ubbidienza degl' im-
peradori d'Oriente, erano tutte cattoliche: l'al-
tre che passarono sotto la dominazione de*
Longobardi, ritennero intatta quella medesima
religione che i Goti e sopra tutto il gran re
Teodorico loro avea conservata, nella quale il
re Autari e gli altri re suoi successori le man-
tennero. A tutto ciò s'aggiunse da poi la pietà
della regina Teodolinda , donna reUgiosissima
e cattolica , la quale ancorché col suo primo
marito A.utan non le fosse riuscito di far loro
\\
LIBRO QUAItTO ■ 3o5
deporre V arrianesimo , con Agilulfo però suo
secondo marito potè tanto , per le ^aildi ob-
bligazioni che a lei professava, che gli fece ab-
bracciar la religione cattolica- ond'è che S. Qre-
gorìo M. cotanto si mostra obbligato a questa
Erincipessa, alla quale dedicò i suoi quattro li-
ri delle Vite de* Santi {i),. e- tante affettuose
epìstole di lui si leggono piene d'encomii e di
lodi dirette a questa regina {3). Quindi avvenne
che molti Longobardi, seguendo l'esempio del
loro prìncipe, si rendessero ancor essi cattoli-
ci , e perciò molte chiese e monasterì net re-
gno di Agilulfo fossero edificati (3) : donate per-
ciò motte possessioni a'medesimi, r che i vescovi,
che prima nelle città di Longobardia eran de-
pressi, fossero stati sollevati ed in sommo onore
avuti. E quantunque nel regno di Ariovaldo per-
fido arrìano, die ad Agilulfo succede, fossesi
turbata quella pace che Agilulfo gli avea data ',
nuUadimanco succeduto poi al trono Botarì ,
prìncipe, ancorché arrìano, di piacevoli costu-
mi, e che lasciò in libertà di vivere, così i
Longobardi come i provinciaU, con quella re-
hgtone eh' essi volessero , rìtomarono le cose
nella prìstina quiete e tranquillità, nella quale
maggiormente si stabilirono sotto il regno di
Arìpcrto, molto propenso ed inclinato alla te-
ligion cattolica.
Ma poscia i nostrì cistiberìni Longobardi fu-
rono ì prìmi a lasciare affatto l' arrianesimo .
mercè dì due illustrì vescovi , Barbato di
<i) P. Wanu^. lib. 4. e 5.
(1) firegor. M. I. 3. ™. 4. ri. 33. r. j. ep. 41.
(^ ìf. WiimC ). 4. e. 5.
GuKiowi, P'ol. IT. ao
3o6 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
Benevento e Decoroso di Capua. barbato^ dopo la
sconfitta che i Longobardi beneventani sotto fl
loro duca Romualdo diedero a^ Greci ^ purgò
quella nazione non men dell^ idolatria che del-
1 arrianesimO; e divennero tutti cattoUcì. H si-
mile avvenne de^ Longobardi capuani per De-
coroso loro vescovo ) tanto che in tutte quelle
Provincie che eran passate sotto il loro domi-
nio^ Farrìanesimo presso a^ Longobardi istessi
restò affatto abolito. Le altre regioni che ancor
duravìano sotto i Greci^ ancorché lOriente spesso
partorìsse delP eresie e decli errori intomo a^
dogmi y onde mal s^ accordavano quelle chiese
con queste nostre d'Occidente, e sopra tutto
in questi tempi per quella de^ Monoteli ti : nien-
tedimeno la vigilanza de^ romani pontefici, sotto
la cui custodia e governo ancor duravano, fece
si che non rimasero di que^ errori le nostre
cliiese contaminati.
Ma non mólto da poi , ciò che avventurosa-
mente avvenne a' nostri cistiberini Longobardi
sotto Romualdo duca di Benevento , accadde a'
Longobardi subalpini sotto Grimoaldo re d' Ita^
ha. Questo principe fattosi cattoUco , favorì tanto
le chiese , ed ebne tanta avversione alla dot-
trina degli Arriani , che estinse affatto in tutta
ItaUa r arrianesimo. Quindi s'accrebbero le tante
lor ricchezze, donde parimente ne nacque la
sregolatezza della maggior parte de' Cristiani,
e lo scadimento della disciplina ecclesiastica.
Questi principi longobardi, ad esempio di tutti
gh altri principi dell' Occidente e degl' impera-
dori d' Oriente , ancorché fatti cattolici , man-
tennero però ne' loro domimi quelle medesime
LIBRO QUARTO ÌOJ
próDgative e preminenze clie i re goti riten-
nero, per quel che s'attiene alTeslenor polizia
ecclesiastica. Ed avvegnaché i pontefici romani
iàcessero valere la loro autorità in Occidente ,
nulladimanco i principi , e speziahuente odia
Francia e nella Spagna, vollero, fra 1* altre co- *
se , autorizzare colle loro leggi ed editti i sinodi
provinciali j che in questo secolo furono assai
n%quenti , e di lor ordine fatti convocare per
dar riparo agli abusi ed alla corrotta disciplina
e sregolatezza degU ecclesiastici. Dall' altra parte
d' imperadori d' Oriente non pur seguitavano
le Vestìgie de' loro predecessori , ma presero
molta parte negli affari della réUgione, non
potendo i pontefici romaDÌ farvi tutta ^ella
resistenza che avrehbono voluto. L' impera-
dor Maurizio , calcando le medesime pedate
dedi altri imperadori suoi predecessori , pro-
mulgò legge proibente che i soldati si riceves-
sero ne' monasteri. S. Gregorio (i) sì doleva
della legge, ma non attaccava la potestà del
legislatore, e con molta riserva esagerava che
quella fosse ingiusta e contra il servigio di .
Dio ; quasi che volesse con ciò impedirsi agli
nomini il cammino d'una maggior perfezione.
Maurenzio nostro duca di NapoU obbligava i
monaci a far le sentinelle per' guardia della
città , e ripartiva le truppe per l' alloggio in
ogni quartiere , non perdonando né anche a'
monasteri di donne; di che parimente abbiamo
le doglianze di questo pontefice (a).
<■> Epirt. 61. Hb. I
3o8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
In Oriente gli imperadori disponevano pure
delle diocesi e delle metropoli , e regolavano i
troni e le precedenze, accrescevano ed este-
nuavano le pertinenze de^ metropolitani a lor
talento. E dall^ altra parte i nostri duchi di Be-
nevento fecero il medesimo nel lor ampio du-
cato. A richiesta di Barbato vescovo dì quella
città ^ il duca Romualdo unì al vescovato di
Benevento quello di Siponto. Ecco le richieste
di '^Barbato a^ Romualdo, come si legge ne^ suoi
Atti: Si munuSf e' dice, tuae salutis offèrre
studes y unum impende heneficiuhij ut B. Mi-
chaèlis Arcangeli domus quae in largano sita
est, et omnia quae sub aitìone SipontirU, EpU
scopatus sunty ad sedem JBeatissimae Gemtri-
cìs Dei y ubi nunc indigna praesum , in omni-
bus subdas ; et quoniam absque cuUoribus omnia
depravantur, unde nec seaubun officìum per-
soci poteste melius a nobis disposila tibipro^
JicieiU in salutem, Romualdo assentisce a questa
dimanda, e ne gli fa diploma: Illico princeps
viri Dei consentii petitìorìibus , co ordine , utjati
sumusy ety sicut mos estj per prmeceptvm
Genitrici Dei universa concessit ; et ut resonet
in futuruiHy anathefnatizaverat qui contra haec
agens irriiam hanc facere voluerìt concessio-
nem. Ciò che da poi volle Barbato che anche
se gli concedesse da papa Vitahano; poiché
de' romani pontefici ( a' quah il Sannio e la
Pugha , come provincie suburbicarie , appartene-
vansi ) uffizio era d' unire e separare le lor chie-
se, siccome sovente erasi praticato dal pon-
tefice Gregorio , che nell'anno 692 uni la chiesa
LIBRO QUARTO 309
di Cuma a quella di Miseao (i) (ancorché tal
unione poco durasse), ed erasi praticato nel-
l'altre Provincie suburbicarìe. Perciò appresso
Vipera ed Ughello (a) si legge il Breve i^ Vi-
taliano diretto al vescovo Barbato , ove fra l'al-
tre cose si leggono : Concedeittes Ubi, tuaeque
pracfatae Revererutissìmae BeneveiUanensi Ec-
cìesiae. Bihinum , Ascuhim, Lariman et Ecch'
Siam Sorteti Michaèìis Archangeli in Gargano,
pariterque Sìpontinam Ecclesiapf, quae in ma-
gna inopia etpaupertate esse videtur , et ahsqite
cuUoriòiis et ecclesiasticif ojficiis nunc cer-
niiur esse depravcUa, cum omnibus quidem eo-
nun pertinentiis et omnibus praedììs cum Ec-
'^■clesìis, ec. Onde avvenne che da questi tempi
di papa Vitalianr la chiesa sipontina fosse
unita a quella di Benevento , e che ì vescovi
beneventani nel corso di' molti anni , finché di
nuovo quella non fa separata , si dicessero an-
che vescovi di Siponto.
Non fu per tanto così nelle provìncie cVeran
passate sotto la signorìa de' Longobardi , come
in quelle ch'erano rimase sotto Ì Grecij variata
la poUzia ecclesiastica^ ma per ciò die s'at-
tiene a questa parte , fu ritenuta quella stessa
forma che tennero sotto i goti re d'Italia, e
sotto Giustiniano e Giustino imperadori d'O-
riente.
(0 Dgh. de Epìi. Cmtunl
<9) Ufii. de Epii. BriM-T.
* • «■ *
3 1 I6T0RU DEL REGNO DI NÀPOLI
.> "
8 1.
Elezione de* vescovi, e loro disposizione nelle città
di queste nostre pròvincie.
I vescovi erano ancora eletti dal clero e dal
popolo y ed ordinati dal pontefice romano ^ come
prima ; ma i princìpi y come se dal popolo fosse
a loro devoluta tal potestà j nelP elezione ne vo-
levano la maggior parte ^ onde ne nacque y che
facendo essi eleggere alcuni che non avevano né
meriti né scien:^a né capacità^ erano le chiese
mal governate. Dal registro dell^epistole di S. Gre-
gorio si legge che il pontefice romano esercitando
nelle nostre chiese 1 autorità sua di metropolitano
insieme e di patriarca y noa pur ordinava gli
eletti dal clero e dal popolo • ma regolava V de^
zioni y diflìniva le contese cne forse insorgeva-
no , e sovente spogliava i vescovi delle loro
sedi y quando gli conosceva immeritevoli. Cosi
de' vescovi di Napoli leggiamo, che tenendo
neir anno 690 la cattedra di Napoli Demetrio ,
fu costui per li molti e gravi suoi deUtti nel
seguente anno scacciato da Gregorio , il quale
dopo averlo deposto, scrisse al clero e agli or-
dini di questa città, cioè a' nobili ed al popolo,
che in luogo di Demetrio n'eleggessero un altro ^
ed intanto egli vi mandò il vescovo di Nepi Paolo
a regger quella chiesa, insino che a quella non
si fosse dato il successore. I Napoletani si tro-
vavano così ben soddisfatti di Paolo , che scris-
sero al pontefice , pregandolo che V avesse lor
• dato per vescovo. Gregorio prese tempo per
LIBRO QUARTO >3ll
deliberare^ ed intanto avendo Paolo nel ca-
stello dì LucuUo, che oggi chìatmamo dell'Uo-
vo , ricevuto un affronto da alcuni servi d'una
dama napoletana chiamata Gemenzia, pregò
Gregorio che lo facesse ritornar presto alla
sua chiesa ; onde i Napoletani non convenendo
fra loro nella elezione d un lor cittadino , e scor-
gendo che Paolo non Favrebbe accettato, eles-
sero Florenzio sottodiacono del papa , che al-
lora si trovava in Napoli : ma questi tosto scappò
via, e fuggì in Roma, riSutando il carico; tanto
che Gregorio scrisse (i) a Scolastico duca di
Napoli , esortandolo a convocare i nobili ed il
popolo della città per V elezione d' altra perso*
na 'j e quella eletta, mandassero il decreto io
Roma , perchè potesse ordinarla : dicendogli an-
cora , ^cchè due volte aveano eletti uotitinì
stranieri, che se non trovavan fra' cittadini
persona idonea a tal carica , almeno elegges- '
sero tre uomini savi e dabbene, a' quali tutti
^ ordini dessero la lor facoltà , e gh mandasi
sero in Roma, affinchè facendo le veci della
città, venuti in Roma potessero insieme col
pontefice consultare, e far sì ohe finalmente
trovassero perdona irreprensibile , nella quale
consentissero , e stante la loro elezione potesse
il papa ordinarla e mandarla alla vedova chiesa.
Consimile epìstola (a) scrisse Gregorio a Re-
tro sottodiacono della Campagna , che reggeva
il patrimonio dì S. Pietro di questa provìncia,
al quale incaricò che facesse convocare il clero
(0 Ep. Orta. aiiaH Cfaior. At Cplir. Xenp.
(9) Ep. apnd Cuior. loc di.
3ia ISTOiU DEL tlC50 M SAPOT.I
(Iella cLirj3 di Napoli . bnponcndo^i che pa-
rimeDle elesz^s^ro due o tre di loro . ai quali
dasiero tutta la lacoUa . e di mandassero in
Roma- dove oniti con eli altri rappresentanti
la nobiltà e 1 popolo. ^ potesse trattar del-
TelezifMie eil ordinazione do nuovo vescovo.
Cliiatnava«i questa elezione per compromis-
sum . la quale <olev3 praticarsi ne* casi di di-
TÌsione e di di^ordie . acciocché unendosi la
Toloatà ed i su&a^ di molti in due o tre per-
sone savie. pùte??eH> quelle, per evitare i tu-
multi, senza contrasto elegger colui che sti-
massero più meritevole e degno (i). In cotal
marnerà tu in fine da* compromessorì eletto in
BoDu nel mese di ^ugno delTanoo òqì For-
bmato : ed ordinato che fii dal paqta , se ne
Tome in Napob . dov« (n da' Napotetam suoi
figliuc^ cortesemente ricevuto : e resse questa
chiesa per molti anni con tanta prudenza e ^'i-
gilanza. che ne fu da Gregorio sommamente
commendato . legccndosi perciò molte sue epi-
stole dirizzate a questo vescovo (3>-
Morto Fortunato . per dargli successore in-
sorsero nuo^i contrasti; ed essendosi divisi i suf-
fia^ . due vescovi dal clero e dal popolo furono
eletti: imo partito elesse Giovanni diacono: l'al-
tro Pietro parimente diacono. Tosto si ebhe
ricorso al pontetìce Gregorio, perchè fra i due
delti, quello che reputasse il più degno, con-
iomasse ed ordinasse. Ma niun di essi piacque.
r. Ft EL pot. tii. 4- ?• ''^■
(iL Ani. Mttlharat Man. wl
LIBRO QUUTO a.^'^
(^oranm fu notato d^incontiiieiiza, perche te-
nera una figliuob, testimonio di sua debolez-
za : Pietro , come usuraio e troppo semplice ,
fii riputato indegno ed inutile; onde fìi rescrìtto
a' Napoletani y che eleggessero altrì , come poi
fecero (*)•
Questo medesimo costume vediamo praticato
nell'elezioni deWescovi capuani, di Qima, di
Miseno, di Benevento, di Salerno, d'Apruzzi,
. e di tutte le altre chiese di queste nostre prò-
vincie , che come suburbicarìe al pontefice ro-
mano s' apparteuevano. Palermo ancora, Mes^
«ina e T altre chiese di quell' isola , poiché la
Sicilia fu anche provincia suburbicarìa, sella-
vano il medesimo istituto.
L'elezione, secondo il prescrìtto de* canoni,
dovea cadere in uno che fosse ddla chiesa
stessa, o a quella ùicardinato , non già di al-
tre chiese ; e solo quando fra' cittadini non si
trovava persona idonea , il che rade volte ac-
cadeva, rìcorrevasi agli stranierì i quali fossero
o nella pietà , o nella prudenza e dottrina emi-
nenti. Cosi leggiamo che Gregorio , dovendGsi
eleggere il vescovo in Capua , discordando i
Capuani nell' elezione , ed alcimi facendo no^
mina di soggetti stranierì, col pretesto che de*
nazionali non vi fosse persona degna , rispose
che ciit parevagli molto strano, e che pertanto
facessero inighore scrutinio sopra de' loro cit-
tadini j e se veramente né pur uno ve ne fosse
degno, allora avrebbe egh provveduto di per-
sona meritevole.
Ci Epiit. Grfgor. ipad Qiiocc. loc. dt. ~
3l4 IStOAtA DSL UÒNO DI NAPOLI
Per là morte di Libedo Vescovo di Cuma^
accaduta nell'aimo 5ga^ questMstesso pontefice
mandò Benenato vescovo di Mìseno a gover-
narla infino che non se gli desse il successore.
Discordavano i Gumani per reiezione^ inten-
dendo alcuni elegger persona d^ altra chiesa ;
ma Gregorio fece senture a Benenato, che non
permettesse far eleggere persona straniera, se
non nel caso che a lui costasse non esservi fra'
Gumani uomo alcuno mentevole d^ essere in*
Balzato a quella dignità.
Quest^istesso vedesi praticato nell'elezione del
vescovo di Palermo. Per la morte di Vittore
era rimasa vedova quella chiesa: S. Gregorio
vi mandò tosto Barbato vescovo di Benevento ,
Serchè la governasse fin tanto che si fosse dato
successore 0- I Palermitani discordi nelf e-
lezione d' un nazionale y pensavano eleggere che-
fico straniere. Si oppose loro Gregorio, e scrisse
a Barbato, che non permettesse che si eleg-
gesse persona d' altra chiesa , nisi Jbrte inter
clericos ipsiits cwitatis luilìus ad episcopatum
dignus , quod evenire fton credimus , poterìt
ùwenirì.
In tal maniera si facevano Y elezioni de' ve-
scovi , quando volevasi attendere V antica disci-
plina della Chiesa ed il prescritto de' sacri ca-
noni. Così ancora avrebbe dovuto farsi l'elezione
del vescovo di Roma dal clero e dal popolo j
né aveano in ciò da impacciarsene gli impera-
dori d' Oriente. Ma cominciavano già in questi
tempi i principi ad occupare le ragioni del
O Cpitt. Gregor. apud Chiooc.
UVB.0 QViKTO 3l5
popolo e dd clero in queate deriom: sìa per
timore, sìa per compiacenza , sovente colui era
eletto che al principe pigerà. Gl*ìii)peradori
d* Oriente, come padroni di Roma, aveano gran '
parte nell elezione de' pajtt ch'erano loro sud*
ditij e fìi anche introdotto costume che senza
lor commessione niuno potesse esser ordinato!
onde l'eletto dorea mandare in Costantinopt^
a rìchiederoe il consenso o la permissione del-
Tìmperadore (i). ScrÌTe Paolo ^amefiido (a)
che quando dopo la morte di Benedetto Bo-
DOSO, iu nell'anno $77 innalzato a quella sede
Pelagio n, perchè Roma in que' tempi era cinta
di stretto assedio da* Longobardi , né alcuno
poteva uscire da quella città . non potè Pelagio
mandare in Costantinopoh all' imperadore per-
chè v' assentisse , onde fii ordhiato pontefice
senza commessione del principe. Levati poi gli
impedimenti, solevano i pontefici romam man^
dar lettere agfimperadori, nelle quali allegando
gl'impedimenti aMiti, cercavano di scusarsi, e
che alla fatta ordinazione consentissero. S. Gre*
gorio il Grande fletto papa , ricusando d' es-
serci, scrisse all' imperadore Maurizio, istante-
mente supphcandolo che non prestasse il suo
assenso ali elezione: ma l' imperadore, che tanto
si compiacque dell elezione, non volle fario (3).
Nelle nostre Provincie pure i nostri principi
nell* elezione de vescovi delle loro città vi vol-
lero la lor parte. G>sì leggiamo alcuna volta
(0 AiM*t. Bibliolh. in Vigilio. Ittrm m Pdwia II.
(a) Winwf. lib. 3. «p. an.
(3) Jo. Dìk. Viu & Greg. lib. 1, «. 3». jo.
3l$ I6T011IA DSL ÈSOtXO DI NÀPOLI
esser accaduto nelT elezioni de^ vescovi di Be-
nevento^ come fii reiezione di Barbato nel-
Fanno 663. se^ta per opera del duca Ro-
mualdo. De vescovi napoletani pur lo stesso
si leg&[e^ e particolarmente del vescovo Sergio,
il quale dal duca di Napoli Giovanni fu, dopo
la morte di Lorenzo, innalzato a quella sede. Ma
questi casi avvenivano fuori d^ ordine. La disci-
plina era, che reiezione s^ appartenesse al clero
ed al popolo, siccome roramazione al romano
pontefice.
La disposizione de^ vescovi in queste nostre
Provincie era la medesima de^ secón precedenti .
E per quel che s^ attiene alla loro autorità e
giurisdizione, la loro conoscenza era ristretta
come prima nelle cause ecclesiastiche, dove
procedevasi per via di censura. Non avevano
giustizia perfetta, non tribunali, non magistrati,
e la loro cognizione non più si stese di quella
che Giustiniano avea lor data in quella sua No-
vella (*)• Intorno all'onore e potestà, era Ti-
stessa, e circoscrìtta da' medesimi confini. Erano
nelle città vescovi solamente : non avea alcun
d'essi acquistato ancora autorità di metropo-
Htano; né alcuno sotto di sé avea vescovi suf-
firaganei e dipendenti j ma ciascuno de' vescovi
reggeva la sua chiesa ed il popolo a sé com-
messo. Non ancora i patriarchi di Costantino-
poh aveano invase le chiese nostre, sicché al-
cune ne avessero potuto render metropoli, ed
innalzare * i loro vescovi a metropolitani , con
sottoporle al trono di CostanlinopoU, siccome
O Norell. 83. et ia5.
tlBRO QUUTO 317
fecero da poi nell'imperio di lione Isaurìco,
e degli altri ìmperadori d'Oriente suoi succes-
sori. Solo , come sì è detto d* alcuni vescovi
delle città all'imperio greco soggette, comin-
ciavflno , secondo il fasto de* Greci , ad esser
-decorati del nome di arcivescorij non senza
sdegno però de' romani pontefici, i truali ri-
Srendevan acerbamente que' vescovi. che lo pren-
evano (1).
Alcuni credettero che il vescovo di Napdi
prima di S. Gregorio M., o almeno da questo
poute6ce , fosse stato innalzato agli onori di
metropolitano e d'arcivescovo. Lo provano da
quella iscrizione che si legge nel Decretale (a),
sotto U titolo de statu Monac, ivi: Gregorius
jirchiepiscopo Neapolis; e sotto l'altro <fe reli-
àosis domipus, ivi: Gregorius y^ictori. Archiep.
rfeap. Ma chi non vede la manifesta scorre-
zione del Oidice vulgato? poiché negli emendati
la prima si legge così : Gregorius Fortunaio
Episcopo NeapoUtano , siccome anche legge
Cronzaiez (3) j e la seconda : Gregorius J^ictori
Neapolis Episcopo. Oltreché nel registro del-
r epistole di S. Gregorio riconosciuto ed emen-
dato in Roma, donde quel testo si dice trascritF
to, questo titolo nqn sì vede; né tra T fistole
dì S. Gregorio sì legge questa decretale che si '
dice indirizzata a Anittorc. Quindi ì nostri pia
accurati scrittori, come il Caracciolo (4) el
GhioccareUi (5) , riprovarono con molta ragione
(i) Qme, <!<• CpUc Ncip. Anno ;3a.
<a) C^ t. de SuiD Hoiuc.
<3) GoDialn d. e. i. rt de relig. danib.
(4) Cane de Sta. Ecd. Neap. Hoduik.
{.Si Chioc, de Epnr. Nnp.
3l9 JISTORIA DEL REGNO DK NAPOLI
questa lor credenza ^ ed iu tempi posterìori pon-
gono V elevazione m questa sede in metropoli*
Altri dalla disposizione che presero queste
nostre prorincie nel ponteficato di Gregorio ^
presero argomento che fin da questi tempi si
fosse Napoli fatta metropoli. Napoli, essi dico-
no^ ayea in questi tempi il suo ducaj F altre
città y conti e goyemadorì. H duca secondo la
polizia dell* imperio presedeva a più città della
provincia che compongcmo il ducato. H conte
E resedeva ad una città sola; ond^è che nelle
^ggi degli ^estrogoti si dice duca di provin-
cia, e conte di città; e Fortunato al conte Sì-
goaldo ^ dice:
Qui moda dai comiiis i dei tildjum ducis.
Regolarmente dodici città erano a** duchi sot>
toposte, e queste città si nomavano contadi,
onde U duca presìdeva a dodici conti, sic-
come notò Pietro Piteo per quel luogo d'Ai-
monio ; Pipinus domum reversus , Gnfbnem
more ducum duodecim comitatìbus dona\fit; e
Camillo Pellegrino (*), a cagion di molti esempi
che si leggono appresso Gregorio Turonese nella
sua Appendice. Quindi Guglielmo Durando os-
servò^ che adattandosi la polizia delia Chiesa
a quella dell* impero, le città ducali ebbero gli
arcivescovi, e le contee i vescovi, avendo cor-
rispondenza gli arcivescovi co* duchi, ed i ve-
scovi con li conti. Così Napoli fatta ora città
ducale , ed il suo ducato , ancorché fin qui
non molto si stendesse, come si stese da poi ,
O Pellegr. in diaaMt. de Due. Bener. diss. 3.
LIBRO QUARTO 3ig
abbracciando nuUadimauco le città vicine in-
tomo al cratere, eicconie Pompei, Erculano,
Acerra, Nola, Pozzuoli, Coma, Miaeno, Baia
ed Ischia , potè in questi tempi diTenir me-
tropoli , ed il suo vescovo rendersi metropo-
litano.
Ma siccome egli è vero cbe la polizia di qoe-
ute nostre chiese col correr de^ anni si an-
dava adattando alla disposizione o polizia del-
V imperio , come vedremo ne' secoli seguenti j
nientedimeno . ne' tempi ne' quali siamo , alla
disposizione de' ducati, siano de* Longobardi,
siano de' Greci, non si adattò la pohzia ec-
clesiastica ; e la disposizione delle nostre chiese
e di quedle d'Italia ni tutta diversa: onde fallace
argomento è questo di dare ora arcivescovi alle
città ducali. Puossi vedere in questi tempi città
più cospicua ed eminente in queste nostre re-
gioni, quanto Benevento, capo di un ducato cosi
vasto che abbracciava molte Provincie, e sede
de' duchi beneventani? e pure il suo vescovo qon
era metropolitano, né arcivescovo, avendo acqui-
stato questa prerogativa molto tempo da poi, cioè
nell'anno* 969 nel ponteficato di Giovanni XQI,
come diremo. Spoleto, capo d'un altro insigne
ducato, non ebbe arcivescovo. Brescia, Tren-
to, ed altre città di Longobardia decorate da*'
C^ipi longobardi con titoli di ducati, non eb-
m questa età, ma molto dapoi ì loro ap-
civescovi } anzi né Brescia , né Spoleto 1' ac-
quistarono mai. Gaeta ebbe pure il suo duca,
ma non giammai arcivescovo. Capua, Bari,
Reggio j Salerno f città cospicue , e mólte altre
di quelle re^oni che ubbidivano a' Greci, non
/
%
3aO ISTORIA DVL REGNO DI NAPOLI
ebbero se non nel decimo secolo^ ed sltte in
tempi più posteriori ^ i loro metropolitaiù da^ ro-
mani pontefici^ ancorché i patriarclii di Costan-
tinopoli altramente ne disponessero^ come ne
seguenti libri diremo. Non fìi dunque Napoli,
come lo confessano Fistesso P. Caracciolo ecl
altri nostri scrittori^ fatta metropoli in questi
tempi. Fu ella adoma di queste dignità nel de<
cimo secolo nel ponteficato di Giovanni XIII ^
dopo Capua e Benevento, come diremo a suo
luogo. Non tutte V altre chiese di queste nostre
Provincie aveano ancora ottenuto questa prero-
gativa. Erano soli vescovi coloro che preside-
vano alle città ^ per grandi ed illustri che fos--
sero , e sedi de duchi. Egli è però vero che
col correr degli anni^ innalzandosi alcune città
ad esser capo e metropoli o d^un ducato o d^un
principato^ e cominciando nel decimo secolo i
pontefici romani ad esercitare in queste nostre
provincie nuove ragioni patriarcali ^ con ergere
1 vesco\i a metropoUtani in mandandogli il
pallio; la polizia e disposizione ecclesiastica
venne ad adattarsi e a corrispondere alla po-
Uzia dell'imperio.
EgU però è altresì vero che fin da questi
tempi s incominciarono a gittare i fondamenti
della nuova pohzia così dell' imperio , come del
sacerdozio. Così da questi tempi vediamo che
al vescovo di Benevento s' unirono le chiese di
Siponto^ di Bovino. Ascoh e Larmo. Al vescovo
di Napoli quelle di Cuma ^ Miseno e Baia s' ap-
partenevano; non già che i vescovi di queste
città lo riconoscessero per metropolitano , ma
per onore della città ducale, e come loro
LIBRO QUARTO òli
metropoli, per quel che riguardava la polizia
deir imperio , gli accordavano i priini onori,
poicliè tra' vescovi di quel ducato era riputato
il primo. Col corso degb anni , oltre al ducato
di Benevento e quello di Napoli, sursero an-
cora il ducato di Capua e I altro di Salerno ,
i ciuali con quello di Benevento s^ iniialzarouo
poi a principati. Amalfi ebbe in appresso an-
che il suo duca, siccome Sorrento, e si eres-
sero in ducati. Bari poi ebbe anche Ìl suo du-
ca. Alcune città della Puglia e della Calabria,
de' Bruzi e Lucania , fatte parimente capi e
metropoli di quelle regioni , si renderono piij
cospicue dell' altre ; onde secondo la poUzia
dell imperio ricevettero poi i metropohtani, ed
ì vescovi delle città minori di quelle provincie
rimasero lor sufiraganei. Quindi avvenne che
quanto più si stendeva il lor ducato o provin-
cia , più sulTraganei avessero : e per questa ca-
gione , poiché il ducato beneventano distese più
ai tutti gli altri i suoi confini , il suo arcivescovo
ebbe tanti vescovi siifTragaaei, che sopra tutti
gli altri metropolitani oggi ne ritiene in gran
numero. Quindi ancora è avvenuto che il prin-
cipato di Salerno , se non quanto quel di Be-
'nevento , avendo pure molto ampliato i suoi
confini . il suo arcivescovo ancor egli ritenesse
molti suflraganei ; e quel di Capua per la stessa
ragione anche moltissimi : ed ali incontro il
ducato di Napoli , quel di Soireuto e l' idtro
d'Amalfi, come che molto ristretti, non aves-
sero così numeroso stuolo di vescovi sufirag»-
nei, siccome ^ altri metropolitani delle altre
GitHNaxE, A'o/. II. ai
333 ISTORIA DEL RKGTfO DI NAPOLI
città di queste nostre proviucie , come osser-
veremo quando della tor polizia ecclesiastica
degli ultimi tempi ci sarà data occasione di
trattare.
Ecco adunque qual fosse la disposizione e
la gerarcliia ecclesiastica di queste nostre pro-
viiicie in questa età. H romano pontefice , come
metropolitano insieme e Patriarca: vescovi, pre-
ti j diaconi , sottodiaconi , i quali già in questi
tempi eransi ligati al celibato, e il lor ordine
posto nel rango de^ maggiori ordini : acoliti y
esorcisti, lettori ed ostiarii.
Sentironsi ancora negli scrittori di questi
tempi , e sopra tutto nclT epistole di S. Grego-
rio, i preti cardinali, i diaconi cardinali e sot-
todiaconi cardinali; e molte chiese avere avuti
di questi cardinali , come , oltre alla romana ,
? nella d' Aquileia , di Ravenna , di Milano , di
isa , di Terracina , di Siracusa ; e nelle no-
stre Provincie ancora , come le chiese di Na-
f)oli , di Capua, di Benevento, di Venafro , e
orse ogni altra. Ma in questi tempi, siccome
ben pruovano Fiorente e Baluzio (*), ed è
chiaro dalle epistole stesse di S. Gregorio, que-
sti cardinali neh erano che preti , diaconi e sot-
todiaconi stranieri , i quah erano uniti ed af-
fissi, o, come diciamo, inzeppati ad una certa
chiesa ; la quale unione chiamavano incardina-
zione , e questo unire dicevano incardinare ,
poiché per questo inzeppamento si univa colui
a (jucl corpo, come nel suo cardine j in guisa
che non più straniero , ma proprio di quella
O Balux. in annot. ad Anton. Augnai, in Derrrlo Grar.
LIBRO QUÀIITO 3^3
chiesa rìputavasi, e nomavasi perciò incardi-
nato, ovvero cafcunale: nome che sebbene netta
sua origine non denotava dignità o superiorità
alcuna, s'intese poi ne^ seguenti secoli risonare
cotanto magnifico e fastoso, che s'è proccurato
negli ultimi tempi uguagliarlo al nome regio }
e coloro che n erano adomi, di pareggiargli
a' più potenti re della terra.
Sursero, egli è vero, in questi tempi, anche
in Occidente, varii umciali, ed altn nomi si
intesero, come di Cimeliarca, di Rettore, Car>
tularii, ed altri; e nella chiesa d'Oriente altri
più assai , di cui lungo catalogo abbiamo ap-
presso Codino (i) e Leunclavio (3). Ma questi
uflìciali per lo più sursero per la cura che sì
dovea avere della temporalità delle cliiese e delle
loro ricchezze. I vescovi, per la pietà de' prin-
cipi e de' Fedeli profusi in donare alle loro chie-
se, si diedero a ^ostruirne altre di nuovo, e con
maggior magnificenza, e singolarmente i nostri
vescovi napoletani (3); siccome i vescovi di tutte
le altre ' chiese di queste provincie molte n'in-
grandirono nelle loro città , e moltissime nuo-
vamente ne costrussero. Quando prima i vasi
erano di legno , dì vetro o di creta , le vesti
sobrie, e tutti ^ altri ornamenti semplici e
achieltì : ora i vasi divengono d* oro e d* ar-
gento , le vesti ricche e pompose, e gli orna-
menti tutti preziosi e magnifici. Perciò biso-
gnava che ad uno del citerò si desse il pensiero
(i> C^iti. de ORìc. Eccl. Coiwtuit.
(1) Leancl I. 9. Jiir. Grrcn-Roai.
(3>Ja. Diama. de Ejate. Ktmp. Chioc de Cpis«. Nmi>.
/■
3a4 UXORIA DSL liRG.XO DI NAPOLI
di custodirgli, ed averne esatta cura e proy-
videnza: quindi il custode appresso noi (i) fu
chiamato cimeliarca, ed appresso i Greci (2)
Magnus vasorum custos. Ebbe )a chiesa di Na-
poli il suo cimeliarca, siccome ancor oggi lo
ritiene ; ma con impiego diverso: P ebbero an-
cora le altre chiese di queste nostre provincìe,
ancora quelle di Roma, di Ravemia, ed in fine
r ebbero tutte. Le possessioni , i poderi e T am-
pie lor reudite, poste ancora in paesi remoti e di-
stanti, ricercavano particolar persona che avesse
di lor cura e pensiero. Quindi sursero ì retto-
ri, de^ quali sovente S. Gregorio favella , che
aveano il governo de^ patrìmonii delle chiese:
ed in coi]i3eguenza i cartularii, gli economi ed
, altri uflSciali. Ma tutti questi uffici nacquero per
le temporalità delle chiese, non già che fossero
gradi gerarchici, e che punto s^ appartìenessero
al suo potere spirituale.
S li.
Monaci.
Non meno le chiese che i monasteri rende-
ronsi in questi tempi più spessi e magnifici , e
i loro monaci più numerosi. I Longobardi, come
suole avvenire ne' primi ardori delle novelle re-
ligioni, abbracciata ch'ebbero la religione cat-
tolica romana, furono in queste nostre provin-
cie assai più profusi colle chiese e monasteri,
(i) Chi oc. de Epi.jr. Nean.
(a) Codia. Leuucl. loc. cit.
LIMO QOAUTO 3^5
che i Greci crìstìanì vecclii. U re Agilulfo , fatto
cattolico, molti monasteri rifece per l'Italia, ed
altri nuovi ne costrusse. B re Arìperto fu così
profuso nel donare a' monasteri, alle chiese,
e particolarmente alla romana, che per la re-
stituzione degli ampi! e grandi poderi che le
fece nell^Alpi Cozzie, onde tanto m quella prò-
TÌncia crebbe il patrimonio di S. Pietro, diede
occasione ad alcuni di credere che la provin-
cia tutta dell'Alpi avesse Ariperto donaio alla
chiesa romana.
I nostri duchi di Benevento, ancorché sotto
'Zotone I duca pagano e idolatra, il monastero
Gissinese avesse patito quel miserando sacco j
nulladimeno, abbnicciato che poi ebbero per
opera di Barbato il cattolicismo , favorirono le
chiese ed i monasteri; tantoché rifatto quel mo<
nastero nell'anno 720 da Petronace, i duchi dì
Benevento lo arricchirono grandemente, e fra
gli altri Gisulfo n d' immensa doni e di grandi
poderi l'accrebbe. Que' luoghi e quelle terre po-
ste nello Stato dì S- Germano passarono in
gran parte in dominio dì quel monastero ; tanto
die poi col correr degh anni accresciuto per
altre ampie donazioni, si rendè cotanto ricco
e possente , che i loro abati fatti, signori dì più
terre e vassalli, vennero in tale stato, che man-
tenevano 3' loro stipendi! eserciti armati, come
ne' seguenti secoli vedremo.
Perciò i monasteri dell'ordine di S. Benedetto
renderonsi più numerosi nel ducato beneventa-
no, che aboracciava in que' tempi ciò che ora
diciamo ì due Apruzzì, d contado dì Mohse e
Capitanata^ quaaì tutta la Can^iagna, • bnona
3aG ISTORU DEL MGXO DI NAPOLI
parte ddla Lucania, ddla Puglia e ddF antica
balabrìa, Taranto , Brìndisi , e tutto qud lar-
diiasimo paese che gli è intomo (i). Molti b
auomìni e di donne ne furono 'in queste prò-
Tincie nuovamente eretti nel regno de* Longa<
bardi In Benevento ne* tempi di S. Gregbrio
ne leghamo moltissimi (2) : il monastero di mo-
nache di S. Nazario martire, Faltro a qaeDo
vìcmo de* Frati di S. Maria ad .OUvoìam) e a*
tempi di Grimoaldo V duca di Benevento leg-
giamo quello di S. Modesto, arricchito da Gin-
moaldo di grandi possessioni (3); e Teodora-
ta , moglie del duca Romualdo stio figliuolo y
fiK»i le mura di Benevento fondò un monastero
di donne ad onore di & Pietro Apostolo. L*e-
aempio de* principi fii da poi s^;mtato da* loro
sudditi benestanti, così Longobardi come pro-
vinciali ; tanto che nel ducato beneventano, per
tutte quelle provincie che esso abbracciava, i
monasteri di S. Benedetto si videro in onesti
tempi più numerosi che nel secolo preceaente.
Nel ducato napoletano^ ed in tutte quelle città
che a* Greci ubbidivano, ancorché molti altri di
questo ordine se ne fossei-o nuovamente costrut-
ti, nnlladimanco il numero dvì* monasteri così
dì uomini come di donne posti sotto la regola
di S. Basilio era maggiore. Napoli n^ebbe mol^
ti, come si è veduto nel precedente libro: non
erano meno frequenti in Otranto , Brindisi , Reg-
gio, e óosì in tutte 1* altre città della Calabria
e de* Bruzi.
(1) P. Wamffr. I. 6. r. i.
(1) Ughell. de Episc. Bener.
(3) P. Diac. I. 6. e. I.
LIBRO QUARTO Sa^
Fu per tanto lo stato monastico, non meli
ehe nella Francia e nell'Àlemagna ed in tutte
Taltre parti d' Occidente, steso ed arricchito in
queste nostre provincìe^ tantoché già gli abati
e monasteri cominciavano a pretendere di scuo-
tere il giogo de' vescovi , ed a dimandare de'
privilegi e dell' esenzioni per rendersi in liber-
tà. Se sono veli gli Atti del concilio che si narra
aver tenuto S. Gregorio in Roma nell'anno 601
.in favore de' monaci, fu in quello stabilito che
i monaci .dovessero avere la libertà di eleggere
il loro abate , e di scegliere un monaco della
lor comunità , o d' un altro monastero : che ì
vescovi non potessero trar monaci da un mo-
nastero per fargli rlierici, ovvero per impiegar-
gli alla riforma d^ un altro monastero , senza il
consenso dell'abate: che i vescovi' non doves-
sero impacciarsi nel temporale de' monasteri,
né celebrare l' ufficio solenne nella chiesa de
monaci, né esercitarvi alcuna giurisdizione. Per
tutte queste cagioni lo stato monastico si rendè
fin da questi tempi consideradJle, e cominciò
non poco ad alterare lo stato civile e tempo-
rale de' principi, i quali in vece di fare argine
a tanti acquisti, piìì tosto gli accrescevano colle
loro immense donazioni.
S III.
Regolamenti ecclesiastici.
I canoni che in varii condili iìirono stabiliti
in oDesto settimo secolo in Occidente, e par-
tìcouniiente in Toledo ed in Francia, ripararono
3a8 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
in gran parte la sregolatezza della maggior
parte de^ Cristiani , e la disciplina degli ec-
clesiastici elìcerà in declinazione. Furono an*
cora avvalorati dagli editti de^ sovrani ; e S. Gre-
gorio gran pontefice riparò in Italia la cadente
disciplina delie nostre chiese : vegliò sopra la
conservazione di quella^ e s^ applicò tutto a fare
osservare inviolabilmente i canoni in tutte le
chiese. Scrisse perciò una CTan quantità di let-
tere ne^ quattordici anni del suo pontificato, le
quali contengono una grandissima copia di de-
cisioni sopra il governo e la disciplina della
Qiiesa.
Se si voglia aver per vero ciò che scrisse il
Baronio di Cresconio vescovo d^Affiica, e ciò
che i più gravi autori dicono della Collezione
d'Isidoro Mercatore, ninna collezione di canoni
fu fatta in questo settimo secolo. H Baronio cre-
dette che il vescovo Cresconio fiorisse intorno
a^ tempi di Giustiniano imperadorej onde la sua
ampia raccolta de^ canoni fu per ciò da noi
rappoitata nel libro precedente. Se poi si vo-
glia seguire l'opinione di Doujat (i), riputata
vera da Pagi (2) , ed abbracciata ultimamente
da Burcardo Gotlhelf Struvio (3), la Collezione
di Cresconio cederebbe in questo luogo, come
quella che , secondo il sentimento di costoro ,
si fece intorno Y anno 690 in questo settimo
secolo. Quella di Isidoro Mercatore bisognerà
certamente riportarla al libro seguente, poiché
(1) Doujat. hist. rlii Droit Can. par. i. r. 12.
(JÌ) Pagi in Critici in Ann. Baron. ad A. 80.^. num. i4<
(3) Strarius hist. Jur. Can. e. 7. § ii.
LIBRO QVAHTO Sag
questo scrittore Goti nell'ottavo secolo, verso
Tanno 75o.
Se si volesse fame autore Isidoro di Spagna
vescovo di Siviglia, certamente cbe questo sa-
rebbe il suo luogo. Sedè egli in quella cattedra
dopo la morte di suo fratello Leandro , a cui
succede verso l'anno 5g5, e la governò quasi
per io spazio di quaranta anni. Ma è cosa certa
che non ne fu egli il compilatore , cosi perchè
in quella raccolta si rapportano molti canoni
stabiliti in varii concilii tenuti in Toledo molto
tempo dopo la sua morte che accadde nel-
fanno 636, ed alcune epistole di Gregorio II
e III e di Zaccaria (i) che sederono nella cat-
tedra di Roma nell'ottavo secolo; come anche
perchè tra le motte opere che si numerano di
questo insigne scrittore, ninno ha fatta men-
xione di questa raccolta (3).
S IV.
Beni lanporati.
Le tante profuse donazioni che non men da^
privati che da' princìpi dì tempo in tempo s'e-
rano fatte alle chiese nel corso poco men di
due secoh , fìiron cagione cbe le chiese, non
men che il principe ed i privati avessero ì loro
particolari patrimonii. Le possessioni ampissime •
che acquistarono non pur nel distretto delle
(i) Pftr. ile Marr. de Coiw. S*r. rt Imp. I. 3. ein. 5. nam. 9.
(a> V, Gonulci in Appirala de otìk. «t progr. Jur. Cbd.
aam. 4S. V, Unnoldnn Pleltmh«Tgiuin Introdurt. ad Ja* Can,
■11-5 7-
33o ISTORIA DEL EIGNO DI NAPOLI
loro città, ma anche in lontani paesi, onde
tfante rendite e frutti se ne ritraevano, le ap«
pdlavano pairunonuj secondo Fuso di, que*
tempi , né' quali le possessioni di qualunque fii-
migua e i retaggi pervenuti da^ loro maggiori
ai chiamavano il patrimonio di quella. Così ma-
Cora cliìamavasi pÀtrimonio del principe qud
fondo ch'ei possedeva in proprietà, e per di*
stinguerio non meno da' patrimonii de' privali,
che dal fisco delFistesso principe, si nominava
4 sacrum patrimoniumy come si le^ge in molte
costituzioni del Codice di Giustiniano 0* ^^
'che da poi ne' nuovi regi4 in Europa stabiliti
fu detto doniamo regale. Per queste istesse ca-
gioni si diede poi il nome di patrimonio alle
possessioni di ciascuna chiesa. Così neiT epi-
stole di S. Gfregorio si veggon nominati non
solo i patrimonii della chiesa romana, ma an-
che il patrimonio della chiesa di Ravenna, il
patrimonio della chiesa di Milano , il patrimo-
nio della chiesa di Rimini, e di molte altre. Le
chiese delle città grandi^ come di Roma, Ra-
venna e Milano^ come città imperiali, e dove
abitarono senatori, grandi ulHciali ed altre per-
sone illustri, acquistarono patrimonii non pur
dentro i loro confini, ma in diverse parti del
mondo. Le altre chiese poste in città minori ,
come fra noi NapoU, Benevento, Capua, Sa-
lerno, Bari, Reggio e tante altre, e che ave-
vano abitatori di fortune mediocri, e tutte ri-
poste ne' loro confini , non aveano patrimonii
fuori del loro distretto.
O Cod. JoBlin, )• ti. et i3.
I LlBftO QUIKTO 33 1
Fra tutte le chiese delle città imperiali , lu
chiesa romana fu quella che avea acquistali iu
questi tempi più ampii e vasti patrimoiiii non
pur in Italia, ma anche nelle provincie più re-
mote d'Europa (*)■ Nel pontificato di Gregorio
il Grande, come si raccoglie' dalle sue lettere,
ebbe la chiesa romana ampio patrimonio in Si-
cilia , scrivehdo questo pout^ce a Giustino pre-
tore di quella isola, la quale da lui reggevasi
per r imperio d^ Oriente, che proccurasse far
togUere ogni indugio per lo trasporto d''alcuni
grani raccolti dalle possessioni del patrimonio
di S. Ketro, ch'ei voleva in Roma ove ve n'era
penuria. E poiché queste possessioni eran mol-
te, ed alcune divise in pezzi, secondo le do-
nazioni che da* FedeU di volta in volta eransì
fatte , per ciò rescrive a Pietro sottodiacono
rettore di quel patrimonio, ch'essendone state
domandate alcune in enfiteusi, talora se n'era
contentato , e talora non Tavea permesso. Ebbe
ancora la chiesa romana il patrimonio in Af-
frica } onde Gregorio rende infinite grazie a
Gennadìo patrizio ed esarca di quella pro^nn-
cia , che pur si teneva per l' imperadore d' O-
rìente, cn' essendo molti luoghi di questo pa*
trimonìo stati abbandonati da' coltivatori, egli
mandandovi molti di que' popoli da lui vinti ^
avessegli grandemente ristorati. Avea anche pa-
trimonio in Francia , alla cura del quale avendo
Gregorio preposto un prete , il cui nome fu
Candido, lo raccomanda caldamente non meno
alla reina Brunìchìlda, che al re Childeberto
O V. Ammirat. ne* luoi OpiiK. iliir. ].
333 ItTOEU BEL UGUO Di HAPOLI
SUO figfiuolo., Faniio 696 , mostrando che quel
carico innanzi di CancUdo era stato raccoman-
dato a Dinanio patrìzio; anzi scrìve a Qm-
dido a qoal uso quelle entrate si dovessero di-
spensare: e verso il fine del suo pontificato
1 anno 604 raccomandò ([uel patrimonio ad
Asclepiodato patrìzio de* GallL Ebbe e^andio
patrimonio* in Dalmazia^ a cui era preposto
Antonio, ovvero Antonino sottodiacono.
In Italia ed in (pieste ^ nostre provincie an-
cora ebbe la cliiesa romana molti patrimooii.
Nella provincia dell* Alpi Gozzie ebbe un bea
àmpio patrimonio, che ocoupat0 per molto
tempo da* Longobardi, fii da poi restituito alla
medesima dal re Anpertò nel pontfficato di
Giovamù Vn, scrìvenao Paolo ▼amefirido che
Ariperlo re de Longobardi resUlxà ìa dond-
Mione del patrimonio deltAìpi Cozzie appane-
nerUe alla Sede Apostolica , ma per moka
tempo stato levato aci! Longobardi; e mandò a
Roma questa donazione scrìtta con lettere doro.
La qua! donazione, al dir dello stesso autore,
fii da poi confermata dal re Luitprando , dicen-
do: In quel tempo il re Luitprando conformò
alla chiesa di Roma la donazione del patrimonio
dell Alpi Cozzie. Nell^ esarcato di Ravenna pur
S. Pietro ebbe il suo patrimonio ) anzi nel pon-
tificato di S. Gregorio vi fu lite tra lui ed il
vescovo di Ravenna per li patrimonii d* ambe-
due le chiese, che s^accomodò anche per tran-
sazione. Nel nostro ducato beneventano pur
ebbe la chiesa romana il suo patrimonio. L* ebbe
in Salerno; Febbe in Nola, dove scrisse San
V
LIBRO QUARTO 333
Gregorio (i) che delle rendite di quello si sov-
venisse alla povertà di certe monache. L^ebbe
ancora in Napoli, dove, come si vede da al-
cune epistole (2) di questo pontefice , da Roma
mandavansi i rettori clie n avessero cura, a'
Xali buona parte delle loro rendite imponeva
e dispensassero a' poveri. Furono in NapoU ret-
tori di questo patrimonio successivamente Pie-
tro, Fantino, Aiitemio, Teodimo ed altri, tutti
sottodiaconi della chiesa romana. Questi in Napoli
aveano le loro diaconie costituite, le quali erano
certi luoghi, ovvero stazioni, in cui il sotto-
diacono rettore del patrimonio soccorreva i po-
veri della città, e mspensava a quelli Telemo-
sine, a somìghanza di Roma, la quale avea
molte di queste diaconie (3). L^ebbe in line in
alcune altre città di questa provìncia della (Cam-
pagna j l'ebbe in Apruzzo^ Febbe nella Luca-
nia, e nella Calabria ancora.
I vescovi di queste sedi maggiori , siccome
anche dell' altre minori, per far rispettare mag-
giormente le possessioni delle loro chiese, so-
levano dar loro il nome del Santo che quella
chiesa avea in ispezial venerazione. Così la cniesa
di Ravenna nominava le possessioni sue dì S.
ApoUinare, e quella di Milano di S. Ambrogip,
e la Romana diceva il patrimonio dì S. Pietro
in Sicilia, in Affrica, in Francia, in Dalmazia,
in Calabria, in Apruzzo, in Benevento, in Na-
1)oU, ed altrove; non altrimenti che a Venezia
e pubbhche entrate si chiamano di S. Marco.
(i) f,ib. r. Epiit i3.
<s) L. S. Ef^. II.
(3) V. Ani. Matlliae. nmnd. ad tal Cm. I. i. 111. t;.
334 ISTORIA DEL REGXO DI IfAPOLI
Così ancora le chiese delie città minori, per
fine di maggior rispetto^ nomavano i loro pa-
trlmonii col nome del Santo elidesse avevano
in più divozione, come Napoli il patrìmonio
di S. Aspremo, Benevento di S. Barbato, Brin-
disi di S. Leoci; e poi Amalfi di S. Andrea^
Salerno di S. Matteo y e cosi di mano in mano
tutte le altre.
Ma egli è ben da notare che questo nome di
patrimonio , che la chiesa di Roma avea in quelle
Provincie, non significava qualche dominio su-
premo, o qualche giurisdizione della chiesa
romana, o del pontefice, ch^ avesse sopra tali
patrìmonii: eran essi, a riguardo de' princìpi
nelle cui provincie stavan collocati , come tutti
gli altri particolari patrimonii , sottoposti alla
giurisdizione ed al dominio eminente di quel
principe, dentro al cui Stato quelli erano. Tenta-
ronOj egli è vero, alcuni ecclesiastici della chiesa
romana di farvi dell^ intraprese 5 ma riusciron
vani questi pensieri ed i lor disegni. Poiché
ne' patrimonii de' principi, quando non erano
assegnati a' soldati, era posto un governadore
con giurisdizione per le cause che intorno a
qu(»lle possessioni potevan nascere , per la più
facile csazion delle lor rendite, e per lo co-
stringimento de' debitori. Queste istesse ragioni
tentarono usurpare alcuni ecclesiastici né* pa-
trimonii di quella chiesa : volevano farsi ragione
per se stessi , e farsi la giustizia colle mani
proprie, e non ricorrere al pubblico giudizio
de' magistrati. Ma S. Gregorio istesso, pruden-
tissiino e saggio pontefice, riprese questa in-
troduzione, e comandò e proibì sotto pena di
LIBRO QUARTO 335
scomunica, clic non si facesse j nò i prìncipi
ne' loro domimi vollero in conto alcuno tol-
lerarb.
Pagavano perciò le possessioni ecclesiastiche
ì tributi al principe , come tutti gli altri p»-
trìmonii de privati , siccome manifestamente
appare dal can. si trihuiiim, eh' è di S. Am-
brogio (i): ed è chiaro che l'imperador Costan-
tino Pogonato nel 68 1 concede esenzione da'
tributi che la chiesa romana pagava per lo pa-
tiimonio di Sicilia e di Calabria. E l' imperador
Giustiniano Hiuotineto , successor di Costan-
tino j nel 687 remise il tiibuto che pagavano
i patrimonii d^Apruzzo e di Lucania. Queste
indulgenze da (rihuti ottennero i pontefìci ro-
mani dagr imperadorì d'Oriente, Gncbè fra essi
fu buona amicizia e corrispondenza. Ma quando
da poi per le novità insorte nelf imperio di
Lione Isaurìco nacquero tra i pontefìci romani
e gì' imperadorì d' Oriente quelle acerbissime
contese che saranno il soggetto del seguente
libro, le quali finalmente proruppero in mani-
feste sedizioni ed inimicìzie ; Lione Isaurìco
nel 733 non pur non gli fece franchi, ma tolse
alla chiesa romana i patrìmonìi di Sicilia e dì
Calabria, e gli applico al suo fisco. E gli scrit-
tori che nan'ano questi successi , rapportano
che' questi patrimoni! confiscati rendevano d'en-
trata, tra tutti, tre talenti e mezzo d'oro in
ciascun anno (a), che fanno in nostra mone-
(1) Cut. li tribatum 37. C. XI. q. i.
<a) TbrapUanci in Cbronc^. an. 16. Lron. Iiiur. Apprllal.-i
palrìiaonw MRrtomm Prineipum Apoitoluniui , qui a|iiid vf-
Irrmi Romain in vrnrralionc Mint , iiionim cerloiiii j.im oiim
■M-rMJti Milita, aiiri lalriil'iUù, ri •rmia acrarifi riibtiro lulvi
tusaiu V, De Mai-ca Je Concord. SaccnL et linp. 1. 1. e. 1 1 n, 4-
336 ISTORIA DEt RECSO DI NAPOtI
ta ( per non far minuto conto sopra la varietà
delle opinioni quanto precisaineiite corrisponda
ad un talento) la somma di aSoo scudi: ed
il patrimonio di Sicilia anche molto ampio uon
rendeva più di scudi aioo Tanno.
Da questi pat-™""'' die teneva" la chiesa
romana m vane '
ecclesiastici, quai
usurpavano ancora
cause a quelli aj
scrittori de' tem|
data poi agli altn
crederlo , e di tessi
alln chiesa romana s
dove sovente gli
veniva in acconcio, si
jlie giurisdizione nelle
nti, ne nacque tra gU
(assi quell' errore, e fu
leguìrono, occasione di
altre favole : cioè , che
irtenessero la provincia
dell'Alpi Cozzie , la Siciliii , il ducalo beneventano,
il ducato spoletano , parte deUa Toscana e delta
Campagna , e tante altre provincie , perchè iij
quelle vi avea il suo patrimonio; confondendo il
patrimonio che avea nell'Alpi Cozzie colla provin*
eia istessa : l' altro che teneva nella Sicilia colla
stessa ìsola ; il patrimonio beneventano col du-
cato; il patrimonio salernitano con quel prin-
cipato : il patrimonio Napoletano , e gfi altri che
teneva nella Campagna, colla provincia istessa ;
e così delle altre provincie. Nel qual errore non
possiamo non meravigliarci esservì fra gli altri
caduto anche il nostro Scipione Ammirato {*) ,
per altro diligentìssìmo istorico , il quale colla
testimonianza di Paolo Varnefrido istesso volle
darci ancor egli a sentire che la donazione
del re Ariperto conteneva la restituzione e coa-
ferma delle Alpi Cozzie, che fece quel principe
(*) Ai^mir. Opnac. dtnv -,
LIBRO QUARTO 33t
a papa GioTanni VII; quando dalle parole di
supra da noi rapportate di questo scrittore sì
vede chiaro che sì parìa dei patrimonio delle
Alpi Cozzie, non già di quella provincia che ab-
biacdava gran tratto di paese, e sì stendeva
insino a Genova , ornata di tante città e terre ,
che sarebbe stolidezza il credere aversene vo-
luto quel prìucipe, in tempi per altro molto
gelosi e sospettosi, spogliare, e donarla a' pon-
tefici romani confederali allora cogrimperadori
d'Oriente^ implacabili nemici de' Longobardi.
Questo equivoco ancora scopriremo, quando
delle cotanto celebrate donazioni di C^rlo M.
e di Lodovico Pio ne' loro tempi avremo occa-
sione di ragionare , dove vedremo che ciò che
in esse si legge di NapoB, Salerno, e soprat-
tutto di Benevento ( volendosi pure riputar per
vere), non già decloro ducati e principati, ma
de' patrìmoiiii che la chiesa romana teneva in
queste provincie , favellano j i quaU , secondo iì
costume che correva allora , dagl' imperadort
che successivamente dominarono nel regno dlta-
lìa, liiron <per mezzo de* loro precètti confer-
mali e conceduti alla chiesa romana; siocome
del patrimonio beneventano fece Ludovico Pio
neU^8i7 con papa Pascale I, che poi fu di
nuovo confermato e conceduto da Ottone I e
da Ottone re di Germania suo figliuolo a Gio-
vanni XII nel 963 ; non già del ducato ovvero
della città di Benevento , la quale è cèrto che
venne in poter della Chiesa nell'anno io5a con
tìtolo di pennuta fatta da Errico II figliuolo
di Corrado, con papa Ijone IX colla chiesa
Gij>iio«e, Fot, ti. 11
338 ISTORIA DEL RECiNO DI NAPOLI
di Bamherga , cuiue al suo upporluiio luogo
diremo.
Cotanto fu in (pesti tempi V accrescimento
de^ beni temporali delle nostre clitese , e ^opra
tutto della chiesa di Roma loro maestra e con-
dotliera : e i«ecoudo la siluazioue dello slato
presente maggiori .
secoli avvenire.
Mulliplicate le
b accrebbe il ci
e loro immagini. _
miello del monte <
. Ja' Longobardi eiu
di preziosi doui. \ ,
ed oltre alle prediclit i
ti se ne vediaimo ne'
■d i monasteri, rie piii
ìnti, delle loro reliouie
l'ìi , e sopra ogni altro
non jnen da' Greci che
i-equentati ed ai riccliiti
oli vie pili crescevano ,
I a' sermoni , coiiiiucia-
vano già a tessersi di loro infiniti racconti , ed a
raccogliersi in volumi ; e S. Gregorio ne pub-
blicò molti ne' suoi quattro libri de' Dialoghi che
dedicò alla regina Teodolinda. Si accrebbero
nelle chiese le feste, 1' ottava di Natale , quella
dell' Epìtaiiìa , l' altra della Purificazione , del-
rAnnuuziazione della Vergine , della sua morte ,
della sua natività , e finalmente quella di tutti
ì Santi. A pati del culto e della divozione creb-
bero le ricchezze , promettendosi anche i Fedeli
da' Santi non pur conseguiineuLo di beni spi-
rituali , ma anello di temporali , di sanità , di
abbondanza , di liechezza , buoni successi ne'
traflìchi e ne' negozi , nelle navigazioni e ne'
viaggi lenestri.
Da tanti e sì diversi fonti che cominciavano
a scoprirsi, vie più s'accrescevano alle chiese
le possessioni ed i retaggi; e la cagione era,
penUiè se , come scrisse il nostro Ammirato ,
LIBRO QUARTO 3^9
essendo la religione uà conto che si tiene a
parte con Dio , e avendo i mortali in molta
cose bisogno dì lui, o ringraziandolo de* beni
rJceTuti o de' mali scampati j o- pregandolo cbe
questi non avrengano , e che quelli felicemente
succedano j necessariamente siegue che de* no->
stri beni, o come grati o come solleciti, fac-
ciamo parte , non già a lui che non ne ha ìfi-
eognoy ma a* suoi tempii ed a' suoi sacerdoti^
quanto più dovettero aUora crescere i doni «
le oflerle,' quando a* ebbe a tenere non pur
un sol conto con Dio solamente , ma con tanti
Santi , daU*intercession de' quali promettevano
i Fedeli queste medesime cose. Ed essendo tanto
cresciuto il lor culto e venerazione , ed eretti
per ciò in lor nome più monasteri e tempii,
e multiplicati i loro santuarii, ben poteron per
conseguenza tirar la gente ad ofTerir loro , ed
a* loro tempii ancora e sacerdoti, iu maggior
copia e doni e ricchezze. Cominciossi ancora
a donare <uon pur alle chiese, ma a'parroclù,
a* preti ed albi ministri per li loro aacrìficii,a
fin di liberar V anime de' loro defonti dal Pur-
gatorio (i); onde surse, al creder di Morna-
cio (a) , r autorità che &* assumevano di fare
i testamenti a coloro cbe morivano intestati }
di che altrove ci tornerà occasione di ragionare.
Mantennero le nostre chiese , intomo alla
distribuzione delle rendite e beni loro tempo-
raU , il medesimo istituto di dividergli in quat- -
tro parti, mia al vescovo, 1' altra al clero , la
(0 V. Bodin. liK^S. de n«p. e. 9.
(>} Honuc aa I. 1. C. de Sacvu>uHt. S«d. lai. IbUlt.
laaniid. ud Jii> Cu. L 9. lit. t.
«
34o ISTORIA DEL REGNO DI KAPOLI
terza a^ poveri, e la quarta per la chiesa ma-
teriale. Della chiesa di Napoli, che sin da'
tempi di. S. Gregorio sotto it vescovo Pascasio
teneva un clero numeroso , contandosene fin a
cento ventisei, oltre a' preti, diaconi e. cherici
peregrini; abbiamo dall^ epìstole di questo pon-
tefice (i), che trascurando Pascasio di distri-
buire come si conveniva a* poveri ed al clero
le rendite di quella cliiesa, fu costretto egli a
far la distribuzione ; e riserbando la porzione
al vescovo , vi stabilisce ciò che dovesse som-
ministrarsi al clero ed a' poveri , imponendo
anche ad Antemio suo sottodiacono , eh* era
rettore del patrimonio di S. Pietro in Napoli y
che unitamente col vescovo sopraintendesse a
dividere , secondo il bisogno de* poveri , la
quantità del danaro, e tener modo anche, se-
condo la sua prudenza, di distribuirlo a tempo
opportuno.
La chiesa di Benevento tenne ancora quest' i-
stesso costume di dividere le sue rendite in
quattro parti. S. Barbato suo vescovo non volle
in ciò dipartirsi dal prescritto de' canoni ; e
, ne* suoi Atti si legge che da poi che il duca
Bomualdo arricchì la sua chiesa di tanti doni,
ed alla quale unì quella di Siponto , volle con
particolar providenza stabilire in perpetuo que-
sta distribuzione , la quale si dovesse tenere
sempre ferma nella sua chiesa. Ecco ciò che
in quegli Atti (2) si legge : Impetratìs omnibus
ut poposcerat 9ir sanctus , non est oblitus
(i") Lib. 9. Ep, 39, V. Chioc. df "pisc. Neap. in Pascasio.
Ca) Si leggono presso Ugbd. de L|)iac Bcoev. va S, BaibaU«
LIBRO- QUARTO i^t
mandatorum Dei : in qutUuor partes ctaictum
eccìesiae redditum omni tempore sanxit fide'
liter dispartìri, unam egmtibus , secundam his
qui Domino sedulas in ecclesiis exhibent ìauf
aes , tertìam prò ecclesiarum restauratioìie di'
stribui, juxta tjuartam suis peragendìs uttliUt-
tibus episcopus habeat; et hactenus, sicut ab
co disposita sunt, in praesend cuncta videntur.
Questo medesimo istituto tennero tutte 1' al-
tre chiese di queste nostre provincie , le qaali
per altro erano in ciò commendabili , poiché
non era fraudata a* poveri la lor porzione, ed
i vescovi praticavano co' peregrim quclT oipì-
talità che i canoni ^ obbligava a mantenere.
DELL' I8TORU CIVILE
REGNO DI NAPOLI
LIBRO QUINTO
Jjuì^irBiido re de* Longobardi avendo odi*
fanno 'jia fcitpato il sogho del ano regno in
Pavia j siccome i suoi predecessori avean fattO|
cominciò a dar saggi grandissimi della sua
bontà e prudenza civile. JEglì» imitando suo pa»
drc e gli altri re suoi predecessori , nella re-
lìgion cattolica fu costantissimo^ ed alla di lui
pietà dee Pavia Y ossa gloriose d^Agostino ^
poiché egli le vendicò dalle mani de' Saraceni,
dopo «ivergli discacciati da Sardegna, dove
trovavasi il prezioso deposito. Egli, seguendo
P esempio di Botari e di Gripioaldo , volle
eziandio esser partecipe della gloria di savio
facitor di leggi 3 poiché nel primo anno del
suo regno, avendo in Pavia , secondo il co-
stume , ragunati gli ordini del regno, ordinò
altre leggi , e P aggiunse agli editti di Rotari
e di Grimoaldo • "^ di ciò ben soddisfatto,
C) P. Wani<>fr. 1. 6. e. 58. Bernard. Saccua HUt. Tidn. I. 9.
«. 5. Sìgon, ad A. 71).
IST. DTL REGNO DI TTAP. LIB. T. 3^3
ne' seguenti anni, secondo che il bisogno ri-
chiedeva . altre ne stabili : t^to che fra i re
longobardi, dopo Eolari, Luìtprando fu qiiegU
che più d' ogni altro empiè il suo regno di leggi.
SI.
Leggi di L'iitprando.
Molte leggi di questo piincipe piene di somma
prudenza ed utilità sono ancor oggi a noi ri*
roase nel volume delle leggi longobarde , ma
nel Codice membranaceo Cavense si leggono
interi i suoi editti , donde le prese il compi-
latore di quel volume. Ivi si legge il suo primoi
editto che e' promulgò nel primo nnno del suo
regno, contenente sci capitou, fra' quali il primo
lia questo titolo : de successione JiUantm. Si
leggono ancora gli altri editti che e' fece ne' se-
guenti anni' ; poiché nel quinto del «uo regno
ne promulgò un altro che contiene sette altri
capitoU : nell'ottavo, dieci : nel decimo anno,
cinque : nell' undccimo , trentatrè : nel decimo
terz anno , cinque : nel decimoqaarto , qoat-
tordìci; nel decimoqninto, dodici: nel decimo*
sesto, otto: nel decimosettimo, tredici: nel
decimonono, tredici : nel ventunesimo , nove :
nel ventesimosecondo , quattro : nel ventesimo-
terzo , cinque ; ed alcuni altri ne promulgò negli
anni seguenti. Di maniera che le leggi di que-
sto principe , siccome vengono re^strate nello
stesso Codice che si conserva nelf archìvio
della Cava , arrivano al numero di cento cin-
quantadoe , alle quali nel Codice suddetto ai
344 ISTORIA DEL HXGItO DI SUOLI
veggono aggiunti selle albi capitoli , i cui titoli
o sommarii sono : / De Mercede Magistri-f
Il De Muro ; III De annona ; IP^ Ve Ope-
ra; V De Cantinata i^ FI De Fumo; VII De
Puteo.
Di queste l
lite nel volume.
coiDpilatore. Ne
:nte iSt furono inse-
gi longobanle dal suo
iLro se ne leggono 48,
zìììi nel terzo non ne
i legge nel primo libro,
Consilio : 1 altra sotto
ne leggono sotto il tit
sotto quello de Parri-
.1 titolo decimoquarto
nel secondo
abbiamo. La pii
è sotto il Ut. €
il tit. 8 : nove
de homicidiis : i
cidìis ,■ un' altra sono
dell'istesso libro : quattro sotto quello de
jurits mulierum : tre nel titolo decimoseltimo )
una sotto il tit de seditione contro judicem:
altra nel titolo decimonono : un' alti-a sotto
quello de pauperie : quattro nel tìtolo vigesimo-
terzo j dodici sotto queUo de Juriìs et servis
fumcibus ; una sotto il tit. de invasionibus :
un altra sotto il vigesimonono ; altra .sotto il
tit. de raptu muUerum ; un' altra sotto quello
, de fomicatione ; tre sotto il tit. de adulterio :
una nel titolo trìgesimoquarto : e l'altra sotto
quello de culpis servorum , eh' è l'ultima del
primo libro.
Nel secondo ne leggiamo assai più iasino
ad ottantanove ; due sotto il tìtolo secondo :
una sotlb il terzo : tre nel quarto: una uà
quinto : altra nel sèsto : un' altra nel settimo :
. otto sotto il tit. de prohihitis nuptiis : una nel
nono : un' altra nel decimo : altra nell' undeci-
mo : tre sotto quello ^ ccmfugiis servorum :
LIBRO QUINTO 34^
altra sotto il titolo deciraoterzo : un* altra sotto
quello de do/iationìbus : un'altra sotto il tìt.
ae uUimis voluntatibus: tre sotto il ventesimo:
sedici nel tìt. de debiUs et guadìmoniis : una
sotto quello de treugis : due sotto il ventesimo
quinto: un' altra sotto il ventesimo sesto: altra
sotto quello de depositis : altra sotto il tit <&
rebus intertiatis : sette nel tit de prohibUa ali&-
natìone: due sotto il trentesimo: una sotto
quello de prohibita aìienatione servorum : quat-
tro sotto il tit de praescriptionibus : djie sotto
rello de evictionibus : quattro sotto 1' altro
sanctùnonialibus : due nel tit de ariotis :
quattro sotto il tit. de reverentia Ecclesiae p
seu immunitatihus debita: cinqua sotto F altro,
aualiter judices judicare debeant : una sotto
u ut de consuetudine; un' altra sotto quello
die testibus : quattro sotto il tit. quaìiter quis se
defèn. deb.: ed una in quello de perjurìis^ eh' è
il penultimo titolo del libro secondo.
Mei terzo , leggi di Luitprando non abbiamo,
come quello che per lo più fa composto dalle
leggi ai quegl' imperadori che F Itaha come
successori de' re de' Longobardi signoreggiaro-
no, dopo avergli da questa provincia discac-
ciati : tuttoché alcune pochissime leggi di Ro-
tarì , di Bachi e di Astolfo pure i compilatoli
T'inserissero. Alcune altre leggi di questo rs
possono vedersi appresso MarcoUb (*) e Goldasto.
Ma ia saviezza- che mostrò questo principe
in comporre il suo regno con sì previde leggi,
e tutti g^ altri suoi pregi fiir ncm poco oscurati
O Mncal. Ut. 35. rt L«t> In*?- Golttoil. in CoUecl. Connwl.
346^ ISTORIA DEL KEGyO DI NÀPOLI
dalla soTercliia ambizione di dominare ^ e dal '
desiderio estremo di stendere i confini del suo
regno oltre a quello che i suoi predecessori
gli avean lasciato^ la quale portò egli tanto
avanti^ che finalmente cagionò ne' suoi succes-
sori la mina dellMmperìo de' Longobardi in
Italia. Poiché non contento, di aver ritolto al
pontefice romano il patrimonio delle Alpi Coz-
zìe , che poco innanzi il re Ariperto avea con-
fermato alla chiesa romana , invase anche il
patrimonio Sabinense; e tutto intento ad ap-*
|)rofittarsi e ad investigar qualunque opportu-
nità d' ampliare il suo dominio^ secondando
gli avidi consigli con una presta e destrissima
esecuzione , gli venne fatto d' allargare gran-
de mente il suo regno sopra le rovine de' Greci.
Tanto che la sua potenza rendutasi ormai so-
spetta a' pontefici romani ^ finalmente veggendo
costoro depressa e poco men che estinta in
Italia r autorità degl' imperadori d' Oriente, e
non fidandosi più de' Greci eh' erano divenuti
loro capitalissimi nemici , pensarono nella ma-
niera che ora diremo , di ricorrere alle forze
straniere per abbassare imperio sì grande.
S li.
Novità insorte in Italia per gli editti di Lione Isaurico,
Reggeva in questi tempi F Oriente Lione
Isaurico , il quale calcando le orme di Bardane
soprannoraato Filippico ( che fu il primo iin-
perador d' Oriente che cominciò a muover
guerra alle immagini) ^ era chiamato Iconomaco^
LIBKO QOlRTO 347
come colui elle fuor d' ogni misura e sopra
tutti gli albi avea quelle in odio ed abbomì-
nazione; poicliè persuaso, con abbgtterle , di
discacciar l'idolatria, che credette per l'ado-
razione e culto delle medesime essersi intro-
dotta nel cristianesimo , si prometteva felicità
nel suo imperio j ed in premio dì sì magna-
nima e pietosa impresa, come e' la riputava,
lusingavasi di dovere colla prosperità de' suc-
cessi stendere il suo imperio, reinte^argli 1' I-
talia da' Longobardi occupata, ed alla f)ristina
dignità e grandezza restiluirlo. Né mancò obi
per accrescer 1' inganno e la lusinga con pre-
sagi ed augurìi alcune volte dal caso confer-
mati , gliene promettesse facile e sicuro adem-
pimento. E la politica di questo principe, la
quale non può negarsi che non sia stata grande,
nmase da sì vani vaticìnii delusa e sctiemila.
Imperocché non ponderando egli che cippresso
i popoh, e particolarmente agi' Italiani, sì strana
e nuova impresa dovea eccitar turbolenze e
tumulti grandissimi, siccome coloro i quali av-
vezzi già per molto tempo nelle chiese ed al-
trove a venerar quelle immagioi, e a promet-
tersi per l'intercessione de' loro prototipi felicità
non meno spirituali che temporali, non pote-
vano i loro animi , percossi da e1 strana no-
vità, non riempiersi di grandissimo orrore in
reggendo ardere per mano di uomini vilìssimì,
con sommo disprezzo abbattere ed in minu-
tissimi pezzi frangere quelle statue che da' loro
maggiori con ugual pietà e magnificenza erano
state ne' tempii e su le porte ddle città a pub-
blica venerazione Cfdlocate.
348 « ISTORIA DCL &VG90 DI NAPOLI
NÒ certamente avrebbe gìammid niente (Tàomo
potuto investigare novità più rinuirchevole o
più pjene^|U[ìte di questa ^ per mettere in iscom-
Fig|io ie Provincie tutte deU^ Italia; avvegnaché
altre eresie, non avendo avuto niente dd
popolare e del. tragico y ancorché si fossero
diffiise per la mente degli uomini^ e precisa-
mente ' rÀrrìana , non portarono nel disseminai^si
tanti tumulti e sconcerti, quanti ne doyea su-
scitar questa , . la quale non poteva porsi in
eflfetto se non per mezzo di modi stupitosi •
cT incendii , d^ aobattimenti , e uer dltri tragici
avvenimenti. Lione , come principe prudaute
e savio , sul principio tenne perdo modi soavi
e placidi : proccurò prima con ragioni e soon-
ginn persuafler negli altri qud eh* egli, credeva j
poi veggendo che ciò niente ipovava, diede
niori un editto , col <pale non si comandava
altro, se non che si togUessero le immagini
da que^ luoghi soliti dove trovavansi riposte
per esservi adorate , e si collocassero nelle som-
mità > de^ tempii , ove non potessero ricever
'culto né adorazione alcuna. Ma avendo da poi
scorto negli animi di molti delT orrore, anzi del**
Fav versione a cotali suoi ordinamenti , preso da
stizza e da furore , rompendo ogni maggior in-
dugio e deponendo qualunque moderazione,
imperversò tanto nelP impresa, che fatto unire
il senato, con pubblica dichiarazione ordinò
che tutte le immagini fossero abbattute , e che
né pur una ne fosse permessa dentro alle chiese
di CostantinopoU ; essendo egU persuaso che
quanto piò tardasse a condurre al suo fine questa
eroica e gloriosa operazione , tanto più sarebbe
LIBRO QUINTO 34j)
tardato a riceverne il premio conforme alle
concepute idee.
In Oriente a questo disegno dell' iniperadore '
»i opposero Gennano patriarca di Costantino- .
poli e S. Giovanili Damasceno; ma Lione léce
deporre Germano , e n<:l 730 fece metter in suty
luogo Anastasio. Sono alcmii che scrìssero che
facesse ancora colla forza eseguire in Costun-
tinopoU r editto , con far ardere e rovesciare
tutte le immagini j e tutto ciò eh' era di rado
e pellegrino in quella città } e che alla vista di
tutto il mondo facesse anche abbattere la statua
del Salvatore , che s' innalzava sopra la gnin
porta del palagio imperiale^ fatta ivi ergere da
Costantino il Grande. Altri riputano favoloso ciò
che si narra dell* abbattimento della statua del
Salvatore, e vogtiono che in quesU principii
Lione non imperversasse tanto. Che che ne sia^
egh voleva far valere il suo editto, e che s'e-
seguisse non meno in CostantinopoB ed in
Orìente , che in tutte le altre provincie del-
r Occidente eh' erano rimase sotto il suo do-
minio. Comandò per tanto gagliardamente a'
suoi ufficiali eh' eran destinati al governo dì
quelle, che facessero nelle città a loro soggette '
eseguir l'editto, e sopra ogni altro impose a
Scolastico patrizio , che si trovava allora esarca
di Ravenna, che tacesse eseguire puntualmente
ì suoi ordini , con far rovesciare in quella città '
tutte le imma^ni , senza permettenie alcuna.
Ma in Occidente , e particolanuente in Ita-
lia , non pure non fu ubbidito l'editto, ma ven^
nero i popoli in tanto abbonimento di quello,
che apertamente proruppero in manifesta solle-
vazione; I prìncipi dell'Occidente che non erano
35o ISTORIA DEL REGNO DI KIPOLI
sotto il di lui imperio, ì 'Loiigobar4i
lia ed ì nostri ducili di Benevento 1(
rono , né vollero die ne' loro domini
vesse. Questa stessa avversione era
soggetti all'imperio greco ^ né tutti
degU ufficiali che volevan in tutti tu
eseguire , poterono giammai nulla spui
tra r ostinata universal repugnanza. N
nero in Roma ed in tutto U ducato
niente nel ducato. napoletano', e negli
cati e città che ubhidivano agi' impera
riente. Anzi Y esarca Scolastico in
volendo con violenza obbligare quel i
Tosservanza dell'editto, cadono pii
' dannevoli disordini; poiché avendoci
che a viva forza si l'ovescìassero in q
V immagini , eccitò tali tumulti y che
spinto a manifesta rivolta contra V im
ndusse la cosa in tale estremità , che I
ì Itavignaiii passarono sotto la doi
di Luitpraiido. Imperocché questo aci
principe, che invigilava sempre ad i
il suo regno a danni dell' imperadore
intesa la sollevazione di coloro, por
l'assedio a quella cittÀ, e strettala pi
per terra , dopo avere sconfitta 1" arma
de' Greci che veniva per soccorrerla, se
iii pochi giorni padrone {'). Molte ;
dell'esarcato tantosto rcnderonsi a lui
mente ridusse V esarcato in forma d
ed agli altri ducati de' Longobardi agg
sto, dandogli nuova forma, e ne (
» Gii-i;. U. P. War. 1. 6. r. Sj.
LIDAO QUINTO 35 I
Udcprando suo nipote (({ucgU che poi fu imtal-
zato al soglio reale ) , al quale , essendo ancor
fanciullo, diede per direttore 'Peredeo duca dì '
Vicenza. .
Reggeva in questi medesimi tempi il ponti- ~
ficìito romano Gregorio U di questo uome, il
quale era succeduto a CusLantìno nella sede di
noma t'amio ^i5. Questi sebbene unito co' Ro-
mani si fosse grandemente opposto a' disegni di
Lione, nulladimanco avendo sospetta, come eb-
bero sempre i suoi predecessori, la potenza de'
Longobiirdi, non poteva soQiire che il loro re-
gno sotto Luitprando principe ambizioso si sten-
desse tanto, che fìnatmente potesse portar la ruina
della sua sede e del pontificato. Per questi rì-
Bpetti , come fece l'altro Gregorio, invigilava ■
sempre agl'interessi degl' imperadori greci che
tcnvano in Italia , e proccurava che le loro
forze non declinassero , afTmchè potessero op-
ponérsi a' disegni de' Longobardi, e fosse l'au-
torità loro ritegno e freno a tanta potenza. Per-
ciò si oppose al duca di Benevento , ed aiutò
i Greci napoletani, perchè Ciinia non fosse da'
Longobardi beneventani soggiogata. E quantun-
que per aversi egli dovuto opponere agii sforzi
ai Lione in queste noviUt dell' abbattimento delle
immagini, fosse stato dall' imperadore indegnis-
simamente IrattJito, Gno a minacciarlo di volerlo
scacciare dalla sua sede e di mandarlo in esiho Ci;
con tutto ciò posponendo le private mgiurie alta
pubbhca causa, dirizzò tuttri suoi pensieri per
impedire la rivolta de' popoli d' Itaba che a lui
O SigoB. ad A. jiS.
353 IBTOEIÀ DEL REGna DI NAPOLI
ubbidivano, e per difendere le terre dell'impe-
rio dall'invasione de' Longobardi.
Non aveva egli'in Italia principe vicino a chi
potesse ricorrere per poter contra coloro ùur
argine. Le sole forze de' Greci non bastavano.
La repubblica di Venezia solamente , che da te-
nuissimi principii surta, in questi tempi erasi
Fenduta ai qualche considerazione ìnt Italia, vi
restava, tanto che l'esarca ivi erasi salvato. Si
raccomandò e si rivolse per tanto Gregorio a'
soccorsi de* Veneziani, ed avendo scritto una
ben forte lettera ad Urso lor duce, tanto fece
ed operò co* suoi uffici, che finalmente ridusse
i Veneziani a ristabilir l'esarca in Ravenna 3 la
quale essi con tanta celerità rìtobero a' Longo-
bardi, che Luitprando da Pavia non potè man«
darvi soccorso. Furono dunque i Longobardi
scacciati, rimanendo Ildeprando prigione» in
mano de Veneziani; e Peredeo, mentre fuggi-
va j fuwi miseramente ucciso.
Credette il papa che Lione sarebbe stato ri-
conoscente d' un servigio tanto considerabile ;
onde si mise a sollecitarlo più fortemente che
mai per lettere (*) affinchè abbandonasse la sua
impresa. Ma fu ben deluso Gregorio nelle sue
speranze; poiché questo principe, a cui era noto
che Gregorio più per proprio suo interesse , che
per r imperio , erasi mosso in suo aiuto , irri-
tato vie più in veggendo che e' continuasse
d' opporsi sempre più al suo disegno , e che
con manifeste rivolte si tentasse scuotere il suo
dominio, e conoscendo la fermezza del papa
O Ep. I. et 2. Grrg. ad Leon.
unto QuiRTo 353
che r avrebbe impedito per sempre, pensò se-
riamente a rìmovere ogni ostacolo; e vedendo
die sarebbe stata cosa difBcile di venirne a capo
colla forza, pensò dì ricorrere alle arti ed al tr»>
dimentp. Il ducato romano, come s^èpiù volte
detto j durava in Italia sotto la sua dominazione^
e da lui si mandavano Ì duchi a Roma per reg-
gerlo. Era stato mandato in questi tonni per duca
in Roma Marino Spaiano: a costui (ueae segre-
tissimi ordini di favorire tre suoi ufficiali, che si
.ritrovavano in Roma, li quali insidiando la vita
del pontefice, avevano data parola a Lione di
condurlo in Costantinopoli vivo o morto. Ma
non riuscito a costoro H disegno, e pensando
Timperadore che dalla negligenza de' suoi prìn~
cipali uIBciali fosse stato frastornato, inviai net-
Panno 2^ Paolo patrìzio in Italia per coman-
dar in Ravenna in qualità d'esarca Q, al quale
incaricò questo fatto } ed allora ì tre congiurali
tenendosi sicuri d'una potente protezione, si
affrettarono di fare il disegnato colpo. Ma prima
che ne venissero all'esecuzione, la congiura Ai
scopata da' Romani, vi^antissimi alla conser-
vazione d*un pontefice ch'essi avevano tanto
caro; ed avendone incontanente an-estatì due,
gli fecero subito morire; e l'altro che colla fuga
era.si posto in salvo dentro un monastero , quivi
rendutosì monaco fini i suoi giorni.
Intanto il nuovo esarca , clie veniva solleci-
tato da Lione con premuroùssimi ordini di tro-
var ogni strada per avere in mano il papa, ce-
dendo riiucir vane tutte le sue arti ed insidie.
O K«n|. Frehrr ìa Oironol. Cmt. lUren. m^ 71&.
GiAimoiis, f^ól. il. aS
354 UTOBl\ DEI* aKGMO VI KAPOLl
perchè il papa era troppo ben ^ardalo da^ Ro-
mani, finalmente impaziente a ogni indugio ai
risolse d^ impiegar la forza aperta per mantener
la parola che egli aveva data a I^one di met-
tergli nelle mani Gregorio 0. Ragunò dunque
più presto che gli fu possibile alcune truppe^
i*accglte parte da Ravenna e parte dall^ armata
ch^egli teneva in piedi p^ essere sempre in
istato di difendersi dagP msulti de^ Longobardi
vicini < e le mandò ad unirsi agP imperiali^ ch^e*
rano m Roma più deboli^ con ordine di me*
iiar via il papa e di condurlo a Ravenna.
Ma Luitprando scaltro ed accortissimo prin-
cipe ^ ancorché si tenesse offeso da Gregorio^
il quale aveva suscitati i Veneziani contro di
lui per fargli perdere Ravenna^ come la per*
dette, deliberò in questa necesdtà di soccor-
rere il papa ed i Romani contra i Greci ^ ac-
ciocché tenendo in bilancio i due partiti^ per
gli aiuti più o meno forti che lor avrebbe son^
ministrati secondo le occasioni, venissero in
questa divisione a poco a poco ad indebolirsi
e gli uni e gli altri y onde potesse poi della lor
debolezza approfittarsi. Diede pertanto pronto
ordine a' governadori delie piazze ch'egli aveva
ne' c^pniorni di Ravenna e di Roma , d' unirsi
a' Romani ^ i quah con si valido soccorso tro-
vandosi più forti di quelli dell' esarca , gli ferma-
rono vicino Spoleto , e costrinsongli filialmente
ad abbandonar la loro impresa e a ritornare in
Ravenna. ,
Lione intanto^ il quale per altro nell'arte del
C) Auitktas-. Bibl. ju iJrn'i^ur. 11.
UBRO QUIRTO 35S
regaare e del flìesimulare uoii era cotanto ine-
aperto, ancorché vedesse essergli sì mal riu-
scita la forza ed il tradimento, lasciossi tal-
mente trasportar dalla collera, che non curando
i danni gravissimi che poteva portar seco una
risoluzione tanto bizzarra , come era quella che
egli ToUc prendere quando men dovea, credette
che Tautorità sua per sé sola e disarmata avrebbe
fatto senza fatica ciò che non potè eseguire ccd-
l'armi e colle insidie. Perciò, trascurato ogni
rispetto, e consigliandosi solamente colla sua
passione, reiterò quanto intempestivamente, al-
trettanto con motta veemenza e fervore, gh or>
dini ali* esarca di' far pubblicare ed eseguire
in Roma, ed in tutte le città del suo imperio
che teneva in Italia, Teditto che poco anzi
aveva in Costantinopoh formato. Conteneva Te*
ditto, come s*è detto, che si togUessero dalle
chiese tutte le immagini, come tanti idoU: pro-
metteva di più ogni sorte di favore al papa ^
purché ubbidisse, ed air incontro lo dichiarava
reo e decaduto dal pontificato uel caso che
ricusasse.
Non fu veduta mai più pronta né più gene-
rale né meglio concertata risoluzione di quella
che si fece per tutto , e principalmente a fìo>
ma , subito che vi fu pubblicito questo editto.
Gregorio assicurato già degli animi di tutti
disposti in suo aiuto, assicurato ancora da*
Longobardi , e vedendo che Lione non osser-
vava più né misura né modo, e che altaccara
^à apertamente non pur la sua persona, ma
anche la reh^onej « risolse (l'impiegare alla
356 J81t)RIA DFX REGNO DI NAPOLI
prima tutta V autorità sua pontificale ^ e le ama
spirituali del suo ministero ^ per impedire che
un così detestabile editto non fosse ricevuto in
Italia. Cominciò a scomunicare solennemente
l'esarca ^ e tutti i di lui complici. Poi mandò
lettere apostoliche a' Veneziani , al re Luilprao»
do j ed a^ duchi de' Longobardi y ed a tutte le
città deir imperio ; per le quali gli esortava a
tenersi saldi ed immobili nella fède cattohca^
e ad opporsi con tutte le forze all'esecuzione
di questo editto.
Queste lettere fecero tjànta impressione sopra
gli spiriti^ che tutti i popoli d Italia ^ benché
di partiti differenti^ e che spesso fin di loro
Sérreggiavano^ come i Veneziani^ Romani e
^ngobardi^ s'unirono tutti in un sol corpo ^
animato d'un medesimo spirito , che gli lece
operare di concerto per difender la fede cat">
tolica e la vita del papa , protestando tutti in-
sieme di voler conservarla fino ad esporre la
propria per una causa si gloriosa. Ma come è
difficile nel calore d'un primo moto di conser-
var eziandio nel bene le giuste misure che egli
dee avere j non si tennero ne' limiti d'una le-
gittima difesa j perocché non solo i Romani e
quelli di Pentapoli, eh' è oggidì la Marca d'An-
cona^ presero le armi e s'unirono a' Veneziani,
che furono i primi ad armarsi, ma portando
più innanzi il loro zelo, scossero apertamente
il giogo. Non contenti d'aver abbattute le im-
magini di Lione, non vollero più conoscerlo
per loro iniperadore, e si elessero da loro stessi
nuovi magistrati per governaisi nell'inten^egno
LlBilO QUINTO 357
che pretendevano fare di propria loro lutorìU.
Andarono anche pia avanli, e portarono final-
mente la cosa quasi all'ultima estremità; per-
ciocché eran risoluti dì creare un altro impe»-
radore , e di conduHo a Costantinopoli con una
£ stente armata, per metterlo nel luogo di Lione.
[a il papa non riputando questo consigtio op-
portuno, né propno di quef tempo, lo rifiuto,
« vi si oppose in maniera che non ebbe net*
suno effetto (*).
Mi questo non ìmpetfi il destino di Oone,
che terminò finalmente di fargli perdere in It»*
lia Tesarcato di Ravemia, il ducato dì Roma.
e mancò poco che non perdesse il ducato di
Napoli, e con esso tutta la sua autorità in It*i
lìaj perocché sollevati ì popoli, tantosto sì di-
visero in fazioni e partiU. In Ravenna Paolo
esarca n'avea guadagnato molli, o per vile com-
piacenza, o per interesse, o per la speranza
di saUre in posti maggiori. Ma U contrario, che
aoBteneva il papa , più forte e numeroso , non
potendo solTrire l'esarca, si sollevò , ed insorta
una furiosa sedizione , anzi una spezia di guerra
civile tra i due partiti, presero Tarmi per di'
struggersi T un con l' altro. La fazione de' C^>
tolici, come più forte, essendo nel conflitto
rimaaa superiore , fece strage grandissima dì
tutti gf Iconoclasti , senza risparmiar nemmeno
r esarca, che fu ammazzato in questo tumulto.
Queste furono le cagioni le qnah fecero perdere
agT imperadori d' Oriente molte città della Ro-
magna eh' eran dell'esarcato, e tutte l'altre città
O P> Wira. I. 6. R<!|iiM I. i. Cbran. Sigon. tA «ob. 706.
358 ISTORIA DCL REOrrO DI IfAPOLl
della Marca , che si reuderono a Luitprando re
de^ Longobardi. Imperocché questo scaltro prìn-
cipe , il quale non era per altro entrato in que-
sta guerra che per pix)fittar deli^ occasione d in-
grandirsi a' danni degli uni e degli altri ^ non
mancò di tirar tutto il vantaggio ch^ egli poteva
spellare di questa rivolta, e di far valere il pre-
testo della fehgione^ secondo la massima della
politica umana, per conseguire i suoi fini. Fece
dunque comprf?ndere a questi popoli , da una
Sarte, che non potrebbono mai conservar la re-
gione sotto un imperadore non solamente ere* •
tico, ma ancora persecutor degli ortodossi; e
che dall^ altra, erano troppiò deboli per resistere
alle forse d^un 6i potente prìncipe, dal quale
potrebbono essei^ attaccati in un tempo in cui
allrì interessi sarebbon forse dMmnedimento a'
loro amici di soccorrergli^ Dimoaoclià cpelle
citfà^ non seguitando in questo movimento se
non i consigli che lor venivcino ispirati dall'o-
dio e dal timore mischiati di zelo e d'amore
Fer la religione , dopo avere scosso il giogo del-
imperiq^ si misero sotto l'ubbidienza del Lon-
gobardo. Documento che può mostrai^ a' prìn-
cipi qiinnto possa nell'animo de'popoh la forza
della religione , e da ciò apprenderanno non
Eotersi quella alterare, senza pericolo di vio-
jntemente scuotere fino da^ primi cardini gli
Stati da loro governati.
Liaitu QUixTO 359,
// ducalo mapolaana si maiUenHe utili fnlr
di L'OHe haurìco-
Mancò poco che ciò die i predecessori di
laitpr^ado per lungo corso dì anni e di guerre
non poteron conseguire, egli in un tratto non
ne Tenìase a capo, occupando il ducalo napo-
letano, come avea fatto di molte citt^ dell'e-
sarcato dì Ravenna. Era il ducato di Napoli,,
come ai disse, governato da un duca, die an-
che da Costantinopoli solevan mandare o creare
gPimperadori orientali, a^ quab era sottopoata
Ne^ tempi di Lione governava questa cìttii per
Pimperadore, Esilarato, successore di Giovanni,
il ^lale spinto da precisi ordini di IJone , sol*
lecitava i popoli della Cnnipagna a ricevere il'0'
ditto, ed a seguitare la religione del loro prin*
cipe. Aveva medesimamente subornati uomini
per fare ammazzare il papa, promettendo loro
grandi ricompense, se lìicessero questo co^o^
eh* egli diceva esser assohitamente necessa^o
per riposo d^ItaHa. Questa esecranda viltà sco-
perta da' Napoletani, devotissimi che furono sea»!
Ere de' pontefici, e tenacissimi in sostenendo
i dottniia della chiesa romana , parve loro cotA
orrenda e mostruosa, che chiudendo gli occhi
ad ogni altra consideraxione, fuorché a quella
die animava la loro indegnazione alla vendetta
di questo attentato, presero le armi, ed ecci-
tato avendo turbolenze e tnmdti, rivoltaronsi
contra S duca Esilarato, il qnale non aTrodo
36o ' ISTORIA DKL REGNO DI NÀPOLI
di che far loro resistenza in una si generale sol-
levazione y V ammazzarono insieme con Adriano
suo figliuolo j e ad uno de^ suoi principali uf-
ficiali, dicessi accusarono d^aver composto un
sedizioso scritto contra il papa, parimente tol-
sero la vita (*). ,
Ma i Napoletani non portarono piò avanti il
loro sdegno, né mancarono alla tede dovuta^
al loro prìncipe, come fecero F altre città; ne
vollero avere alcun ricorso a^ Longobardi, i
quali sebbene avessero subito aperti gli occhi
a si bella opportunità, nuUadimeno i Napole-
tani per non irritar maggiormente lo sclegno
dell^ imperadore , o , come è più verisimile ,
essendo sempre stato fi*a questi due popoli,
per le lunghe e continuate guerre, odio impla-
cabile, non vollero usar tanta viltà di sotto-
porsi a^ Longobardi , avuti da essi sempre per
neri ed implacabili nemici. Tanto che non riu*
sci a Luitprando, ne a^ Longobardi beneven-
tani di potersi approfittar di si bella occasione.
Per cotàl modo si mantenne questo ducato
( quando tutte le altre signorie che gP impera-
dori orientali tenevano in Italia cominciava!! a
mancai*e) saldo e costante nell^ ubbidienza del
suo principe: onde in luogo d^ Esilarato sosti-
tuendosi Teodoro per duca di questa città , con-
tinuarono essi a vivere sotto 1 imperio de^ Gre-
ci, infinattanto che da^ Normamii non fu il
lor ducato, dopo il corso di molti e molti
anni, a^ Greci finalmente tolto, come diremo
ne^ seguenti libri.
(*) ^lisina, «ff aiif 776. Maireh. Hist. Irrmorl.
Linno QUINTO 36t
Lione stordito alla notizia d'una sì generale
tÌToluzione, in vece di levar la cagione d'un
sì gran male , non fece altro die maggiormente
ìmiasprìrlo, fino a renderlo incurabile; ciò che
finalmente fecegli anche perdere il ducato di Ro-
ma, senza speranza di più ricuperarlo; e. che
r avrebbe anche interamente spogliato di quello
di Napoli» e di tutta l'autorità sua in Itaha, se.
la costanza de' Napoletani, e Tavversione ch^essi
tenevano a' Longobardi, non V avesse impedito.
E^i imperversando sempre più contro alla vita
del pontefice, credendolo autore, di tutti que-
sti mali , subito cir ebbe intesa la morte di Paolo
esarca , e la sollevazione della Campagna con*
tra il duca di Napoli, mandò nell'anno ^a^
1' eunuco Eutichìo in Ravenna in quahtà d'esar-
ca {■) , uno de' più scellerati uomini della terra,,
e de' più atti ad eseguire le più empie e più
difficih imprese. Si sforzò costui di con'ompcre
i govemadori delle piazze ch'erano sotto la
dominazione de' Longobardi ne' contomi di
Napoli e di Roma , solamente per obbligargli a
dissimulare , ed a non far lutto quello che po-
trebbero per difendere il papa. Ma non ebbe
questo vile artificio tutto il successo eh' egli
n' aspettava ; poiché un uomo mandato da
Questo eunuco 8egretaniente> a Roma , fu preso
aa' Romani , e trovatolo carico degU ordini
espressi delT ìmperadore a tutti i suoi uffi-
ciali di porre a rischio ogni cosa per am-
mazzare il papa, furono per porio in pczà^
se Gregorio non l'avesse impedito, contentan-
dosi solo di scomunicare Eutichio (a).
(O Pnher. in Cbrenol. Eurt. Unni.
36j l^TOKtk DSL KKGNO DI NAPOLI
f IV.
Origine del dominio temporale de romani ponte/lei
in Italia.
Trovavasi reramente Gregorio in angustie
grandi j poiché sebbene Luitprando co* Longo*
bardi mostravano di difendeno contra gli sforzi
di Lione ^ conosceva però assai bene che qoe-
jto zelo lo dimostravano non tanto per di lui
servigio e conservazione , quanto per approfit-
tarsi sopra F altrui discordie; per la qual ca«
gione non aveva in che molto fidarsi di loro^
^come r evento il dimostrò. Quindi i Romani
abbominando dall^un canto Fempiet^ di Lione ,
Villa quale voleva tirargli per quel suo. editto, 4e
dalFattro essendo loro sospetta F ambizione di-
Luitprando ; che non cercava altro in questi
torbidi che dMmpadronirsi del ducato rotuanoj
si risolsero finalmente^ scosso il giogo di Lione,
mantenersi uniti sotto F ubbidienza del papa ,
al quale giurarono di volerlo difendere contra
li sforzi e di Lione e di Luìiprando. Questa
F orìgine e questi furono i primi fondamenti
che si buttarono , sopra de^ quali col correr
degli anni venne a stabilirsi il dominio tempo-*
rale de^ pontefici romani in Italia. Cominciò il
'lor dominio da questo interregno che fecero i
Romani , i quali Oberatisi da Lione » eran tutti
uniti sotto u papa lor capo, ma non già an-
cora lor principe.
Ma non perchè tanta avversità a^ suoi dise^
gni scorgesse Eutichio j si perde d'animo a pro-
segiùrs il suo disegno 3 imperochè rifatta ^ eomf
t
L'tBRO QDIRTO 3(>3
potè meglio, la sua annata, si portò in Ka'
venna, e durando ancora te fazioni in quella
ritUi, gli fu facile, veggoidosi ì suoi partigiani
soccorsi con sì valide forze, ricuperarla , e ri-
durre i Ravignani nella fede del suo prìncipe,
Questi ponderando che tutta Fltalia era per
lui perduta , e che non potrebbe mai opprimere
il papa e V ostinazione de' Romani, sempre che
Luitprando era per soccorrergli , impiegò tutta
la sua destrezza, e politica per distaccar questo
principe dagl' interessi del pontefice e de' Ro-
mani , ed obbligalo ne' suoi. Erasi in questo
incontro ribellato a Luitprando , Trasimondo
duca di Spoleto , e trovandosi lAiitprando im-
piegato a reprìmer la costui fellonia , ardeva
di desiderìo di fame aspra e presta vendetta. Sì
era ancora 11 re accorto per la resoluzione ferma
de' Romani di darsi al papa , che nimte pò- ,
trebberò giovargli con essi le arti e le lusinghe
per tirargli aRa sua obbìdicnza, ma che restava
la sola forza per far questo colpo. Per questi
rispetti ofiTerendogli V esarca il suo esercito per
reprìmere prìma la fellonìa di Trasimondo, come
che non per altri fini s' era intrigato in questa
guerra , che per approfittar delle occasioni cVeUa
gli avrebbe somministrate di tirar grandi van-
taggi o dall'una o dall'altra parte;. non ebbe
Eutichìo a durar molta fatica per tirario ne*
suoi disegni. Per questo dimenticatosi dell'ob-
bligo ch'egli aveva co' Romani, e della parola,
da lui data di difendere il papa e la rebgiona .
eontra ^ insulti deTimperadore , accettò que-
ste oflfeftej'e conclmise con Eulichio il tratta-
to; il quale in fatti congiunse tosto la stM
364 ISTOniÀ DEL REGIfO DI NAPOLI
armata a quella del re ^ e seguitoUo alla guerra
ch^ egli andò a portare con tra il duca di Spo-
leti suo ribelle. La quale non durò troppo ^
poiché Trasimondo restò così sorpreso di que*
éta colleganza^ la quale non aspettava punto ,
che subito che Luitprando fu arrivato innanzi
Spoletiy venne a gittarsi a^ di lui piedi, chie-
dl^ndogli perdono, e T ottenne: fu medesima*
mente ristabilito nel suo ducato , facendo di
nuovo al re il giuramento , e jdandogli ostaggi
della sua fedeltà.
Mancata così tosto F occasione d^ impiegar
le armi contra ribelli, in adempimento del
trattato con Eutichio , furon quelle voltate con^
tra i Romani , e venne Luitprando con le due
armate a presentarsi sotto Roma, accampan*
dosi nelle praterìe di Nerone, che sono tra 1
Tcbro e la chiesa di S. Pietro , cUrìmpetto al
Castel S. Angelo. Presentendo Gregorio T appa-
recchio di Luitprando , aveva fatto munire ,
come potè il meglio, la città di Roma*, ma
scorgendo che mai colla forza poteva resistere
a tanto apparato di guerra , avendo innanzi agU
occhi r esempio dei duca di Spoleti , che colle
pregliiere ottenne dalla pietà di Luitprando quel
che non avrebbe potuto sperar colle armi ; volle
imitarlo. E senza consultar la piiidenza umana .
la quale non poteva mai persuadere ch^egh
fosse andato a mettersi nelle mani de^ - suoi
nemici , senza grandi precauzioni , e senza aver
ben prima prese le sue misure , accompagnato
dal clero e da alcuni baroni romani, andò egU
stesso a trovare il re. Sorpreso Luitprando da
quest^atto non preveduto, non poti resistere.
LIBRO QUINTO 365
agi* impulsi della cortesia che gli erano molto
naturati^ e di riceverlo con tutto il rispetto
dovuto alla santità della vita ed all' augusto ca-
rattere del sovrano pontificato. Allora fu che
Gregorio pigliando quell' aria di maestà che la
sola yiitù suprema accompagnata da una si alta *
dignità può ispirare , cominciò con tutta la forza
immaginabile temperata con una grave benignità
a spander fiumi aeloquenza j rimproverandogli
la tede promessa . il torto che faceva alla rè-
Ugione y della quale era tanto zelante , e ponen-
dogli avanti gli occhi i danni gravissimi che pò*
teva apportare al suo regno ^ se mancasse di*
protegger la Chiesa : lo scongiurava a desisterei
dall'impresa^ altrove le sue armi rivolgendo.
Luitprando y o tocco internamente dagli stimoli
di religione^ o che vedesse in queli' istante molte
cose ch'egli non aveva considerate nell'ardore
della sua pascione ^ o perchè siccome gli uo-
mini non sanno essere in tutto buoni, nem-
meno sanno essere in tutto cattivi, rimase così
tocco di queste dimostranze di Gregorio, che
senza pensare ne a giustificar la sua condotta , .
né a cercare scusa per metter in qualche modo
a coperto l'onor suo, getto^si alla presenza di
tutti a' di lui piedi , e confessando il suo er-
rore, protestò di voler ripararlo allora , e di
non mai soffrire per l'avvenire che si facesse
alcun torto a' Romani , né che si violasse nella
di lui persona la maestà della Chiesa , di cui
era egli padre e capo. Ed istando l'esarca che
's'adempiessero gli ordini dell' imperadoreO^
366 ISTOEIA DSL REGNO D| IfAPOU
nou solo non vi diede orecchio « ma per dare
al papa un più sicuro pegno della sua parola ^ ,
pregollo che andassero msieme nella basilica di
S. Pietro^ la qual era ancora in ouel ten^
fiiorì delle mura della città; e quivi m presenza
di tutti i capi della sua armata j che V avevano
seguitato, fattosi disarmare, pose sopra il se-
polcro deli^Apostolo le sue aimi, la cinta eia
spada j il bracciale , V ammanto regale , la sua
corona d^ oro ed una croce d^ argento : supplicò
da poi il papa che ricevesse neUa sua grazia
r esarca ]^utichio, di cui non potevasi più te-
mere, quando non avesse Faiuto de^ Longoban^
di Gregorio sperando sempre che Lione avrebbe
un dì riconosciuti i suoi errori, acconsenti a que-
sta dimanda, dimodoché ritiratosi Luitprando
coir esercito T\e^ suoi Stati, T esarca fu ncevuto
in Roma , e trattennevisi qualche tempo molto
quieto in buona intelligenza col papa ; in guisa
che essendo succeduto medesimamente in que-
sti tempi che un impostore, il quale facevasi
chiamar Tiberio, e che vantavasi della stirpe
degr imperadori , aveva sedotti alcuni popoli
della Toscana che lo proclamarono Augusto (i);
Gregorio che non trascurava occasione d' ob-
bligarsi Lione , veggendo che T esarca n' era
entrato in pensiero per non aver forze bastanti
ad opprimerlo , si maneggiò tanto appresso i
Romani, che Taccompagiiarono in questa guerra
centra il tiranno , il quale fu assediato e preso
in un castello , donde fu mandata la di lui te-
sta allMmperadore.
(*) Au.i»t« Bihiiot. in Grrg, II.
LIBEO QUINTO Z&J
Ma Lione indurato sempre più y portò la stia
Sassione fino ali^ ultime estremità, perchè in
oriente , ore era più assoluto il suo imperio ,
e che non aveva chi se eli opponesse , riempiè
di stragi, di lagrime e ai sangue il tutto: fece
cancellar quante pitture erano in tutte le chie«
se : indi fece pubblicar un ordine, col quale
s'incaricava a tutti gli abitanti, principalmente
a quelli che avevan cura delle chiese, di ri-
porre nelle mani de^ suoi ufficiaU tutte le im-
magini , acciocché in un momento potesse pur*
gar la città , facendole bruciare tutte insieme.
Ma r esecuzione riuscendo strepitosa, non per-
donandosi né a sesso né ad età, fu questa anal-
mente la cagione che, senza speranza di riacqui-
starlo , fece perdere a Lione ed a' suoi successori
ciò che restava loro in Occidente. Imperocché
il papa disperando allMututto la riduzione di
questo principe , e temendo che un giorno non
SI facesse nelle provincie d^ Occidente ciò che
egli vedeva con estremo dolore essersi fatto in
quelle d^ Oriente, rallentò quel freno che e' per
lo passato avea tenuto forte^a non permettere
che i Romani scotessero affatto il giogo del lor
principe; ma lasciando al loro arbitrio di far
ciò che volessero, approvò finalmente quello
che egli infino allora erasi sempre studiato im-
pedire , e ciò che i popoU aveano già comin*
ciato a fare da loro stessi. Onde i Romani ^
tòlta ogni ubbidienza a Lione, si sottrassero
affatto dal suo dominio, impedendo che più
se gli pagassero i tributi, e s^ unirono insieme
sotto r ubbidienza di Gregorio come lor^capo,
non già come lor principe.
ISTOnU DEL BBCaO Dt KAPOLI
mi nostri scrittori , per Y autorità di
le, Cedreno , Zonara e dì Nìceforo au~
xici, e che fiorirono molto tempo dopo
do , Paolo "Wartiefrido ed Anastasio Bi-
tiliotecario , rapportano che ì Romani , scasso
il giogo, eless. rio pw lor prìncipe^
dandogli il giura , fedeltà; e che il pa-
pa, accelUito il ì di Roma, ordinasse
a' Itomani ed a resto d'Italia che non
pagassero più i imperadore, e cl>e di
più assolvesse e ;nto i va&salU dell' im-
perio; scomunic )ubblica e solenne ce-
lebrità l'impers ; lo privasse non pur
de' domini! che Cp,. „ ; in Italia , ma anche-
di tulio l'imperio: e che quindi fosse surto il
dominio independente del papa sopra dì Roma
e del suo ducato , che poi per la munificenza
di Pipino e di Carlo M. si stese sopra T esar-
cato di Ravenna, di PeiitapoU, e di molte al-
tre città d'ItaUa.
Gli scrittori francesi, fì-a' quali Faravescovo
di Parigi P. di Marca (r), e que' due cele-
bri teologi Natale e Dupino (3) niegano che
Gregorio , savio e prudente pontefice , avesse
dato in tali eccessi. Le epistole di questo stesso-
pontefice (3) , "Waniefrido , Anastasio Bibliote-
cario, Damasceno, l'epistole ancora di Grego*
rio IH e dì Carlo M. a Costantino ed Irene ,
convincono per favolosi questi racconti ; per la
testimonianza de' quali tanto è lontano che Gre-
gorio avesse scomunicato Lione, accettato il
<i) P. ^r Marc* dr dnrnrd. Siifr. «t Imp, I. S. & 1 1, vtm, %,
<*) Dup. de Anlic). Eni. due. diu. ;.
^ Cnf. II. in l^p. I. ad Lrooen,
LIBRO QlflNTO Z6q
principato di Boma, sciolti i vassalli ddl'im-
Fei'io dal gìuraniHito e da* tributi , « deposto
imperadore ; che anzi ci accertano che Gre-
gorio, ancorché in mille guise ofieso, ioss»
«tato sempre a lioiie uflicioso e riverente, ed
avesse in tutte le occasioni impedite te riyolte
de^ pc^oli , e Drocciirato .che non si sollevas-
sero contro al lor prìncipe. & oppose , egli '^
vero,,agU editti di Lione per Tabolizione delle
immagini, comandando che non s'ubbidissero,
ed esortando quel principe che lasciasse il di-
segno in cui era entrato; ma appresso, sì gravi
autori non si legge che lo scomunicasse. H primo
pontefice romano che si die vanto di aver ado-
Ìierati i suoi fulmini sopra le teste imperiali,
il il famoso Udeprando Gregorio VII, come no-
teremo a suo luogo, non già Gregorio H. Q6
che più chiaro si manifesta per quello che scrìve
Anastasio (*}, narrando che avendo lione de^
posto dal patriarcato di CostantinopoU Germa-
no , per non aver voluto acconsentire all' edit-
to, e sostituito Anastasia iconoclasta; dice egli
(Aie Gregorio scomunicò bensì Anastasio pei^
severando nell'errore, ma clie all' imperadore
»olo sgridava con lettere, ammomva, esortava
che desistesse dall^'impresa , non già clie lo
«comunicasse, come scrisse di Anastasio. Pii^
Uivolòsn à la dMWsizione c^e sì narra fatta da
Gregorio; poiché questo pontefice riconobbe
Lione per imperadoi'e fìnchà visse ; e lo slessO'
fbce il suo successore Gregorio IH, il quale co-
municò col medesimo , e m liù si leggono molte
O ÌMil. Bibliolrr, in Grrg. II.
GlAHNOXt f^ol. li.
« dimxate all' imperadore piene di molto
» tà e riveceiiza. Anzi tanto è vero che io
nei bbe sempre per tale, che le dal* delle
3U0 lettele porUmo g|i anni del suo imperio ,
copie è queUa di Gregorio dirizzata a BoniA)-
cio, ùniJK lisfimo Ju^tsta lao-
ne, Impent 171. 1.
I nostri T ri latini, tratti dall' siu-
torilà , rono come vere le loro
favole; n— 1 che dovea pioponde^
rare assi e' nostri anticln latiui
scrittori ^..^ , ma , o che narravano
cose accadute d in parte da loro non
cotanto rimota e h...»..i'ì. Non nwertirooo an-
cora che i Greci di quegb ultimi tempi , oltre
al carattere della loro nazione che gli ha serrn
pre palesati al mondo mendaci e favolosi, erano
lutti avversi alla Chiesa ronuna, e per conmio-
ver ^ animi di tutti ad o(Iio, e per recar ìa*
vidia a' pontefici romani , gh rappresentarono
til mondo per autori di novità e di rivoluzioni ,
imputando ad essi la mina dell^ imperio d^Oc*
cìdente , aocagioQandogli di novatori , ambizìo*
sij usurpatori aell^autorità temporale de^ principi,
e che mal imitando il nostro capo e maesb^ ■
Gesìi, fossero divenuti da sacerdoti , principi.
Le favole di questi Greci scismatici flirono
poi con avidità e con applauso ricevute da*
moderni novatori, e da' più rabbiosi eretici Ae-^
gh ultimi nostri tempi. Essi ancora, per l'au'
torìtà di costoro, vogliono in tutti i modi cb«'
LIBBO QUINTO ^J l
veramente Gregorio scomunicasse Lione ^ cne
assolvesse i vassalli dell'imperio dal giuramen-
to^ che deponesse Timperadore^ ordinasse che
non se gli pagassero i tributi, e che da^ Ro<»
mani ribellanti essendogli oiTerta la signorìa dì
Roma, avesse accettato d^ esseme signore ^ onde
ne divenisse prìncipe. Spanemio y fra gH al-
trì, si scaglia contri s\i scrìttorì franzeai clie
hanno per favolosi nella persóna di Gregorìo
3uesti rs^ccouti : dice che essi scrìvendo sotto
regno di Lodovico il Grande , han voluto ne-
gar questi fatti ^ ne sub Ludovica M. in Rq^
mano PonJ&Jice hujusmodi potestatem agnoscero
viderentun ma essi intanto vogliono che fossero
verì^ per fame un tal paragone tra Crìsto S. N« ^
ed u pontefice romano; Crìsto^ volendo queUa
imiumerabile turba tratta da^ suoi miracoli failo
re y tosto fuggi y e loro rìspòse che il suo regno
non era di questo mondo: il papa j avendo i
ribellanti Romani scosso il giogo di Lione^ ed
offerto il principato a Gregorìo, tosto accon-»
senti e ne divenne prìncipe. Crìsto espressamente
comandò che si pagasse il trìhuto a Cesare; il
papa ordinò che non si pacassero più i tributi
a Lione. Per queste e simili antitesi, per me^
8t^ vie, non tenendo né modo né misura, naà
prorotto poi in quella bestémmia di aver il papa [
per Anticrìsto,
Or chi crederebbe che i più parsisdi de^ Greoi
icismi^tici , ed i maggióii sostenitorì di questi
rabbiosi eretici, sieno ora i moderni Romani^
e gli scrìttorì più addetti a quella corte? Que*
iti, ancorché ad altro fine, pur vogliono cho
C) Span^Bi« contri^ Maivborg^ m BUtor« Iin«g< p^g- 5».
372 ItTQKlA PEL UGKO DI MÀPOLI
Giregorìo avesse scomunicato Lione ^ avesselo
deposto^ oomandando che non se gK pagasse
il tributo^ e, quel che è più, che ofTerendose*
gli il principato da^ ribellanti Romani T avesse
accettato ) onde surse il dominio temporale de*
romani pontefici in Italia. Ecco , per tacer degli
altri y come ne scrive il nostro istorico Gesuita
autor della nuova Istoria Napoletana (): T'ùm
tandem Romani OrientaUs imperii /ugum ex*
cusseruntf Gregorium Dominum salutamni, eJ-
(jue Sacramenium dìxerunt^ ec Gregorius obla^
tum uUro principatum suscepii: quem non
arma, non humanae s^ires , artesque^ sed p€>^
pulorum studia anno 'jn'j auspicato contile^
runt Questo principio appunto vorrebbero ^i
eretici dare al dominio temporale de* papi , fon«
darlo su la fellonia de* Romani , e che Gregorio
mal imitando Cristo N. S. avesse accettato il
principato^ ed il Servo de' Servi fosse divenuto
Signore. Ma per quel che diremo più innanzi,
si conoscerà chiaramente che sebbene da que-
sti deboU prìncipii si cominciasse^ non fu però
che il papa acquistasse allora la signoria di
Roma, ma ben molti anni in appresso^ né con
tutto r interregno che far pretesero i Romani
di loro propria autorità , mancarono affatto gli
ufQciah dell imperador greco iu Homa. E pos*
siamo con verità dire che i primi acquisti fu»
rono nell'esarcato di Ravenna, in Penlapoli,
e poi nel ducato romano , por quelle occasioni
che saremo or ora a narrare , non già ideila
città di Roma,
O CÌAiiiiftt4». ÌX'ì*t, iXeap. f, 5, l>ag. 94,
/
UBMl QVllfTO 3^S
Primi rieofn avuti in Francia da papa Gregorio ti
t dal tuo oiceeMiort Gregorio Ut.
L^imperador Lione arnaato dì questi ano-,
cessi ai cotanta importanza , imperversando
assai più contro at pontefice, confiscò imman*
tenente tutti i patrimonii che in Sicilia, nella
Calabria e negli altri suoi Stali possedeva la
Cliiesa romana-, e giit s'apprestava con polenta
armata di punire U fellonia de* Romani, ridurre
r altre terre al suo imperio, e prender aspra
vendetta del papa, cb ei reputava l'autore dì
tutte queste rivolte. Per la qual cosa Gregorio
conoscendo che un colpo dt tanta importanza
avrebbe potuto cadere sopra di Lui ed oppri-
merlo, se non fosse stato sostenuto da una pò*
tenza che potesse opporsi con vigore a quella
di Lione, pensò di sceghere un proteUore, dov*
trovasse tutto il sostegno e l'appoggio neces-
sano. Non poteva fidarsi de* Longobardi, de^
quali con lunga sperìenza aveva conosciuti i di-
segni e provata F infedeltà. I Veneliani, benché
zeuntissinù per la difesa della Chiesa, non
enmo ancora così ben forti ìa Italia per con-
trastare soli a tutte le forze del greco impera-
dore, particolarmente quando fossero in difB*
denza de' Longobardi eh* erano fastidiosi vicini.
£ in quanto aUa Spagna, ella era in un lagri-
moso stato in quel tempo, e poco men che tuttft
oppressa da* Saraceni. Risolse pertanto d'aver
ricorso alla potenza de' Franzesi, la eoi cottanu
3''4 ISTORU DEL KEGItO Dt RAPOLl
nella fede cattolica era stata sempre feruti^
Erano questi già da jjìii di quinaici aiini gover-
nali da Cario Martello, il quale, per la insuf-
ficienza e poco spirito del re, assunto al primo
onore del regiro , di maggiordomo della casa rea-
le, reggeva con assoluto arbìtrio quel reamc^ e
fatto celebre per mille gloriose spedizioni di
guerra nelle Gallie e nella Gemiauia , e sopra
tutto per la meaiorabile sconfitta di.tii a' Sani'
ceni ne' campi di Tours, era reputato nnivei>
aalmente il primo capitano ed il vero eroe dd
suo tempo.
À questo gran prìncipe mand& Gregorio, ciò
che nissun papa avca ancora fatto, una magni-
fica arubasciena con molli belli doni di divo-
rione, per ricercarlo di soccorso contra gli at-
tentati di Lione, e di ricevere i Romani e la
Chiesa sotto la dì llii protezione '0- Forono i
legati ricevuti da Carlo con onori ab^ordinaiii
e con magnificenza degna del più angusto prìn-
eJpe del suo secolo j ed in poco tempo (a con-
chiuso il trattato, per cnì obbligavasi Cario di
passare in Italia per difèndere la Qùesa ed i
Romani , ae venissero ad essere attaccati da*
Greci o da* Longobardi : ed i Romani all'ibcOD-
tro di riconoscerlo per loro protettore, coti de-
ferirgli l'onore del consolato, come altra volta
aveva fatto Tìmperador Anastasio al gran Qo'
doveo, da poi direbbe sconfitti gli 'W^estrogt^
E rimandati i legati pieni di ricchi donativi, e
soddisfatti d'una si felice negoziazÌMie, Grego-
rio non avendo più che temere per la Chiesa j
ei ApMt. BiU. 'm ftfpk. III.
\
dl& quale lasciBTa un cosi poteùte protettorei
fini i giorni suoi nell*anno ^31 con fama d^un
pontefice di rare ed eminenti virtù, che gli ff^
Cero meritare sopra la terra gli onori che non
n rendono se non a' Santi dd cielo.
Successe nel pontificato Gregorio HI, dì cui
altri scrìssero, essere stata questa legaiione
mandata a Carlo Martello ^ per occasione che
Lui^randOj sconfitto Trasimondo duca di Spo*
leti che di nuovo erasi a lui ribellato^ prcut-
tando al solito delle vittorie, si fosse portato
ad invadere di bel nuovo il ducato romano , ir^
ritato centra Gregorio IH che avea accolto il
ribelle , e si fosse avanzato a porre la seconda
Volta r assedio a Boma; e che non essendo iJi
papa giovate le preghiere e relomienu, come
M suo predecessore, finalmente al soccorso di
Cario 81 fosse rivolto, per la cui mediazioria
Ottenne che Lmtprando contento iolo dì qnat"
tro città, sciogliesse l'assedio, e lasciasse a Rv
mani ed al papa Roma ccd rimansite di quel
ducato. Che cne sia di ciò, egli i certo che
per questi ricorsi cominciarono i Frantesi ad
mtrigarsi negT interessi d* Italia, per U qoafi cod
reciproco aiuto , e cospirando ciascuna delld
parti a'proprii avanKamentì, finalmente, dUscac--
ciati i Longobardi , fìiron essi veduti dominare
PltaHa, essersi da' Merovinn nella stirpe de^ Ca'
ri^gì trasferito il reame di Francia; ed all'in-
contro i pontefici romani essersi stabiliti in Roma
e nd ducato romano^ con moita parte ancora
ddr esarcato di Bavoma e Penti^ioli, come plA
imiaiui diremo.
O SifoH. «1 k. ;V
376
Coiianlino Copronimo succede l
e morte di Luitarando re de' Longobardi,
In endo le cose d'I
e ce pre più deleriorando
le Uiotie, era solamente
rù„oad ij ie delta sua atitoiità.
L'esarcato intonato in gran parte
dalle contpiisie bardi, già minacciava
la total rovina a. anza di riaversi. II du-
cato romano era n ^ ...ani de' Romani e del
pontefice lor capo, a' oliali ubbidiva; e st'l>bene
rimanessero ancora in noma alcuni vestìgi della
sovranità, tenendovi ancora lAone ì suoi ufB-
ciali, vi era nondimeno il suo imperio così de
bole , che ben mostrava di dovere iu breve
rimaner alTatto estinto. Nel sólo ducato napo-
letano, nella Calabria e ne' Bnizi, e nelle altre
città marittime del regno che non ancora erano
pervenute nelle mani de' Longobardi beneven-
tani, esercitava egli il pieno potere e dominio.
Ha morto Lione Isaurìco in quest'anno 74') ^
succeduto Dell' Orientf Costantino Copronimo
Buo figliuolo, diedesi l'ultìma mano aUa fatai
ruina : poiché Costantino non avendo niente
delle buone qualità che aveva avuto suo padre ^
lo superò infiiùtamente nelle reej e S0 si voglia
in ciò prestar fede a' greci scrìttoli, egli fu il
piò scellerato e sozzo mostro che avesse giam-
mai avuto la terra (*)■ Appena si vide solo Fim-
O Sifoo. id A. 741.
LIBRO (JtJISTO 3^;T
pcradore, che imperversando assai peggio di suo
padre contra le immagini, diede fuori un editto,
col quale non solamente condannava le imma*
gini de* Santi, ma proibiva d'invocargli, e di
dar loro titolo di Santo ; e portando più avanti
il suo furore, ìmpciTcrsò ancora contra le loro
reliquie, sino ad oidinare i maggiori oltraggi e
disprezzi del mondo. Perseguitò per tanto i di-
fensori delle immagini , e mandò per questa ca-
gione molti vescovi in esilio. Ma si rendi vie
più empio e da tutti abborrito per 1' odio da
lui conceputo contro alla Madre di Dio, proi-
bendo che si celebrasse festa alcuna a di lei
onore, e che non s'implorasse l'aiuto di Dio
per la di lei intercessione, asserendo non aver
ella nessun potere nel cielo, né sopra la terra.
Questa esecranda impietìi, unita alle tanto
altre peggiori praticate in appresso ed a tanti
abbominévoli suoi vizi, lo rendè cosi odioso a'
sudditi , che non pur gli fecero pei'derc quel-
la ombra di dominio eh* e* teneva in Roma ed
in Ravenna, ma mancò poco che non pei'desse
insieme tutto l'imperio.
Era neiristessó anno che mori Lione, trapas-
sato anche Gregorio UI, ed assunto al pontifi-
cato Zaccaria. Dehbe a costui la Chiesa roma-
na, molto più clic a' due Gregorii, il dominio
temporale die sopra le spoglie dell'imperio greco
seppe parte ristabilire e molto più acquistare^
imperocché questi appena assunto al trono ,
mandò legati a Luitpraiido a chiedergli le quatp
tro cittii che per la mediazione di Carlo Martello
erangli state lasciate, quando la seconda volta
sciolse da Roma l'assedio. E sebbene da Luit-
prando fovKfo i di lui ainhasciadorì rìcavuli
S-8 ISTORI* DSL RSG50 DI nApokl
con onore, e n'avessero riportata qnytfihe sp<!-
raiiza per la resiJluzioiie-, con tulio ciò Zaccaria
vedendo ratTare mandarsi in lunj;o, Volle anche
egli in it3r Gregorio II; e portatosi di persona con
tutto il clero nimaiin a rirrovarc il re. ricevuto
da costui CO" ' i segni di atinia , fu-
ronc così i suoi u£ci , che non
solanien ?tà dt questo principe
la dìmauu ma stabilita tra loro
la I :e ' T ebbe ancora i! patri-
tni eiii Itri acquisti fece oltre
ad u «"Ki i fu cotanto fortunato
questo pont ; i Ltlit^ando , ed in
tanta sua buona grazia , che avendo in questi
tiltimi tempi del suo regno, dì riposo impazteo-
te, conforme al suo naturai coatume, voluto at<
laccar di nuovo Ravenna ; Eutìchìo esarca es'
sendo ricorso alla mediazione del papa . opterò
costui tanto con Zjuitprando, che fecelo aste-
nere da quella impresa , e restituire anche aì-
cuni luoghi occupati, e prima d*ogni altro Cesena.
Ma ecco, che mentre queste cose succedono
in Itaha, Luitprando, dopo a.ttT regnato 3a an-
ni, fin) i giorni suoi in Pavia nel mese di luglio
dell'anno n^Z (i). Morte quanto improvrisa, aI->
trettanto a Longobardi dolorosissima, da* quali
non abbastanza compianto , con solenne pompa
iti sepolto nel tempio di S. Adriano martire in
Pavia con elogio ricolmo dì eccelse lodi (a). Prin-
cipe, se ne togli la soverchia ambizione dd do-
nnnare, fornito di tutte le perfezioni desidet-a-
bili in un re, o per la pace, o per la guerra:
(0 Rr^nDfi. drwT. S. *piiH CawilL Peli'!!- H»'' Ì'<'<"<'- Imu^.
(t>> P. Wani. Ae |nt. Lonc. I. 6. r. SS. ,
ì
UIIIU QUITTO •>"()
egli, cnpìtaito quanto valoroso, aUretUinlo for-
tunato nelle sue imprese, dilatò ì confiiù del suo
regno (i), e nudrìto sin da fanciullo in mezzo
air anni, non aveva niente dì fiera e <li feroce,
anzi cortesiit.stino ed iticliìnato sempre ad usar
clemenza anche verso coloro che T avevano of-
feso; egli savissimo, fu più al>ile di rpianti «rano
del suo consiglio. Le sue leggi , tutte savie e
prudenti ; e quantunque non avesse coltivato il
suo spirito collo studio delle buone lettere, aveva
egli pure trovato da se stesso nel suo proprio
fondo tutta la forza e sottigliezza d'un filosofo.
Della sua pietà verao Dio restano ancora in*
«igni monumenti : egli magnifico in fondando
grandi chiese e belli monasteri, de' quali Vai>
neirido (a) rapporta il numero, ed ancora oggi
in Lombardia se ne ammirano i vestigi : egli ca-
sto e misericordioso co* poveri , e d* un così
buon naturale , che di quanti prìncipi longo-
bardi ressero Tltalia, meritamente a luì tutti
SU scrittori rendono il vanto maggiore. Lasciò
regno ad Ddeprando suo nipote, che negli ul-
timi anni di sua vita volle anche averlo per coni'
pagno. Ma durò poco la costui signoria; poiché
appena scorsi sette mesi (3) che i Longobardi .
non potendo per la sua inettitutUne promelterst
di lui felice e buon governo, lo discacciarono
dal sogho, ed in suo luogo innalzarono Rachi
duca del Friuli, principe adomo di nobili virtù
e d^ incomparabile pietà.
(■> Erch. imhI PtOeg. tor. cil.
()) f. Wun. L A. Mu. 58.
0) Enh. «pud. )>«ll*f. iM-, lil.
Di Bachi re de Lonaibartli, e site iegg^
iacer ài tulti assiiirt<r"
744? di^'le ne' primi
ben chiari del suo
>le ad ogni studio di
accana la pace che
Ili prima pattovita^ e
i altri re Joii?obardi.
«,.« i« — : ^ ™.„ii„ aJ
Rachi con in
al trono regale
anni del suo r
animo quieto t
pace; poiché ler
area Luitpi'andn
seguitando l'esei
volle anche nggiungere ...lOve leggi a quelle de
8Uoi predecessori, ed ammoUire il rigore c\»c
in alenile di esse era ancor rimaso. Egli avendo
convocati in Paria nell'arnie fj^G gli ordini dd
regno, le stabilì, e per un suo editto, secondo
il costume de' suoi maggiori , le fece pronial-
gare per tutto il suo regno. Questo ecbtto an-
Cora 8Ì legge intero nel piiì volte mentovato Co*
cGce Cavense, il qual contiene midici capitoli.
n primo comincia : Ut unusquisque judex in
sua civitate debéat quotidie in judìcio residere;
e r ultimo ha questo tit. : de Arimanno quomodo
cum judice suo caballicare debeat. Da questo
editto nove sole leggi prese il compilatore, le
?iali abbiamo nel v^ume delle leggi longobarde,
re ne abbiamo nel primo libro , una sotto il
tit de seditione cantra judicem, e due sotto
P altro de invasiomhus. Nel libro secondo ne
abbiamo quattro : una sotto il tit de debitis et
fuadì/noni's; urC altra nel tit de proBscripUom-
us: altra sotto il tit de officio judicis: un* al-
tra aoUo qnello: QìialUet quis te dejindart
LIBRO QOmTO 38l
debeat; e due altre nel terzo libro, una ietto il
tit de his qui secreta BeffS ìnqìfinmt; e l'al-
tra a'otto quello , uhi ìnterdicUim sU Legatum
alleai miUerCt ove eoa sommo rigore vieti proi-
bito mandar legati senza licenza del re a Roma,
Ravenna, Spoleti, Benevento, in Francia, Ba-
viera, jUemagna, Grecia e Navarra.
Ma Rechi dopo aver cosi ben coltivati gli
studi della pace, e sì ben composto il suo re*
gno con sagge e provide leggi, non passarono
molti anni che gì intenuise ; e preso dall^ bhk
bizione di dilatare i -confini del regno, come
area fatto il suo predecessore , volle imitarlo j
il perchè posto in ptedi l'esercito, portò in Pen-
tapoli la guerra, e presi alcuni luoghi di quella
regione , s' inoltrò nel ducato romano , e final*
mente cinse Perugia di stretto assedio (*).
In questi tempi fu che Zaccaria pontefice
romano ebbe occasioni sì prospere , che lo por*
tarcHio ad imprese cotanto rinomato ed eccel-
se, che meritamente il suo nome dee andane
p;torìoso sopra tutti gU altri pontefici romani;
imperocché seppe gettar foniUmenti tali e sì
profondi per distender T autoritit ed ìl dominio ,
della sua sede , che a nìim altro in appresti]»
vanne mai cosi acconciamente (atto.
f ) Crdunip. n^uà CamU. P^Uif. ìac eh.
'ÌS:t ISTOaU OCL «BGKO 01 NAVOtt
«'•
TVaiMVii^oiitf Jf / reame dì Fnmcia da* Merovingi
a* Caroliagi,
Dopo la morte di Carlo Martello^ I^ino a
Carlomanno suoi figliuoli presero il goremo dd
regiK) (ranzese, Childerico^ ultimo re ddla prima
atirpe y. non rìteoeva altro per la sua dappo-
caggine j ohe il solo nome i^g^a Ma soorsi sei
anni » Carlomanna rinunciando si fratdlo il go^
Temo, neIl^anno747 accompagnato da molti Fran«
sesi se ne venne a Roma, ed acceso di fervente
icelo di religione , volle cne Zaccaria F ascrìvesse
nel niUmero de^ cherìci ; indi ritiratosi nel monte
Soratte, vi fondò un monastero, che voUe de*
dicare a S, Silvestro papa, narrandosi che ia
Soratte fosse stato questo pontefice nascosto in
tempo delle sue persecuzioni, prima che Co-*
stantino M. ricevesse la religione cristiaixa. Ma
essendo c[uesto luogo di continuo frequentato da*
Franzesi che venivano o di proposito o di pas*
gaggio a visitarlo, volle, per distaccarsi adatto
da tutti grinteressi del secolo, ritirarsi in monte
Casino, ove consecratosi a Dio si fece mo*
liaco 0,
Rimase intanto sola a reggere la monarchia
di Francia Pipino , con quello stesso arbitrio ed
autorità colla quale Carlo Martello suo padre
aveva governato, anzi maggiore; poiché CliiU
derico ni, ultimo che fb della stirpe de' Me-
rovingi, per la sua sciocchezza ed inettitudine
(*> Frrlirmp. apitrl Cumill. PHIrrr. lor. rit.
LIMO QUINTO Z6^
ara atìmato meno degli altri re suoi predece»*
«ori , i quali ìutomo a cento anni non aTevano
avuto altro che il nome regio, sofFerendo TJl-<
mente la reggenza de^ maestri del palazzo che
n'avevano tutta Tautorìtà. All'incontro Pipino
per le nobili sub maniera a- per le sui.- gloriose
axioQi aveva tìi-?to a sé ^ inimi di tutti i Fran-*
Keai, i quali di buona voglia ^avrebbero rìcono*
fciuto più tosta per loro re lui, che CUilderìco
prìncipe stupido ed inetto. Non trascurò Pipino
al bella occasione di trasferir il reane di fran-
eia dalla stirpe del {[ran Clodoveo nella sua ca«
sa , e adoperowi ogni più fina industria. Ma
sebbene i Francesi aecoudassero i suoi disegni.
non volevano però per se stessi farlo, persuasi
di non avere ques^ autorità di trasferire il reame
dalle mani del legittimo erede in altra casa, né
per sé S0& liberarsi dal giuramento della fedeltà
che avean dato al lor prìncipe, pipino pondo*
rande T arduità del fatto, e che Carla Martella
suo padre, auoorchò formidabile ed illustre per
tante vittorie, non aveva avuto ardimento di
tentarlo, e pensando altresì che tanta e sì nuova
impresa non per altro modo avrebbe potuto reu>
dorsi meno strepitosa, anzi commendabile, che
oot ricorrere air autorità della sede apostolica,
riputata fin da questi tempi il seminano d' ogni '
virtù e d'ogni santità, la quale se non avesse
approvato u fhtto , avrebbe potuto concitar^
contro tanti inimici ch'egli non avrebbe potuto
colle sue forze abbattere; pensò eon somma pru-
tlenza sotto il manto dell' autorità della mede*
sima coprire la deformità del fatto. E mandata
in Roma al pontefice Zaccaria il vescovo 'Wers-'
purgense, lece da costui esp(M-gh il desiderio
•>
«J
84 ISTORIA PEL lieUSfO Di llAPOtI
0UO e di tutti i Franzesi^ rìchiedendolo del suo
parere, se per la comune utilità dd régiio fta«
rebbe Jbea fatto di trasferire lo scettro da uno
stupido re in Pipino prode e saggio principe C).
£ dopo avergli il vescovo dimostrato y cbe ap-
provando egli questa traslazione^ s^acquisterebbe
maggior gloria^ che Carlo Martello d^aver triou*
iato de^ Saraceni , lo richiese d^ interporre V au-«
torità sua, e di sciorro dal giuramento i FraiH
zesi^ perchè potessero innalzar al trono Pipino.
Questa fu la pubblica ambasciala del legato ; ma
le seci*ete istruzioni erano, di promettere al pa-
pa^ se assentiva, di difenderlo coiitra tutti i
suoi nemici y e spezialmente contra i Longobar*-
di, da^ quali potrebbe stare sicuro che non so<-
lamento non gli farebbe far oppressione, ma di
proccurar maggiori avanzi alla sua seae«
Zaccaria non trascurò punto sì bella ed op«
portuna occasione, ove si dava campo di mo-
strare insieme la grandezza della sua autori-
tà, e di stabilire non solo il dominio temporale
cbe cominciava a tenero in Italia, ma di sten-
derlo più oltre nel ducato romano e nell^ esar-
cato cU Ravenna. Non solamente dunque consi-
gliò che potessero farlo; ma perchè rimanesse
a' posteri un solenne documento delf autorità
suri, agj^àunse del suo anche un decreto, col
quale annullando il regno di (iliilderico, come
ix; insulHcicnte . e liberando i Franzosi dalla re-
ligione del giuramento, ordinò che in suo luogo
fosse Pipino sustituito. I Franzcsi ottenuto rlie
r ebbero, ragìmatisi a Soissons, scacciata dal
r—
LIBRO QUINTO 385
regno Chìlderico, e ridotto questo povero prìn>
cine a farsi monaco , con rìncliiudersi dentro
un monastero, elessero Rpinoj e lo fecero so-
lennemente incoronare per Bonifacio arcivescovo
di Magonza , dal quale ancora ricevè la sacra
unzione, acciocché ella il rendesse piiì venera-
bile a' suoi sudditi ; e fu il primo re di Fran-
cia che l'usasse.
Alcuni sciittorì franzesi, e largamente Dupi-
no (I), diinestrano che i Franzesi mandarono
quest* ambasciata a Zaccaria per consultarlo so-
lamente come dottore e paure de' Cristiani, e
che d'altro non Io ricercassero, salvo che de)
suo avviso od approvazione, per rendere la loro
elezione più plausibile a tutta ìà ciìstìanità ; e
3uìndi die Zaccaria non facesse allia opera, che
are il suo parere o consiglio. Altri per l'auto-
rità di Eginardo {3), di Keginone e degli Annali
atessi di Francia, rapportano clic questo papa
non si ritenne solo di approvar quest'elezione,
ma, come egli ù facile di far più di quello che
vien rìcliiesto , allorché ^ale ad estendere ed
allargare la pinjtria autorità . volle anche pas-
sar più iiman/.i, cioè ad ordinalo e a farne de-
creto. Il che però essi ilìcoiio che non appor-
tasse a loro per V avvcuire niuna conseguenza
o pregiudizio, come si rendè chiaro, quando
duccnto trentasett' anni da poi i Franzesi eles-
sero di conum consoni inienlo ed incoronarono
Ugone Ciq)fto, scacciandone Carlo di Lorena,
r.t. ilisr, di uni. ■
386 ISrORU D£L AEGIfO DI NAPOLI
ch'era il legittimo eiede della stirpe di Caro*
lingì ^ senza che Tosse d^ uopo di consultarne il
papa, come erasi fatto per Pipino. Glie che ne
sia, egli è certo che questi rispetti e trattati
passarono allora fra Zaccaria e Pipino: quegli
d^ assentire alla traslazione del regno che Pipino
pretendeva fare sortire nella sua casa, e di pre-
stargli ogni aiuto, come fece^ questi all^ incon-
tro di proleggere la sede apostolica , e difen*
derla contra i suoi nemici, e particolarmente
contra i Longobardi, con proccurarle maggiori
vantaggi 0. Ciò che lasciò in dubbio, se mag*
f;ior benelìcio avesse riportato la sede aposto^
ica da Pipino , e dalle armi che impugnò per
difenderla contra gli sforzi de^ Longobardi , e
di ristabilire il suo temporal dominio in Italia;
veramente Pipino dall' autorità di quella se*
de, la quale fu a^ Franzesi cotanto propizia,
che rende! i suoi discendenti padroni d^ Italia,
ed agevolò il (ii.sL'aceJan;enlu de' Longobardi da
quella.
S li.
lìacUi ahhaiKÌona il regno e iasii monaco Cassi nae,
liilaulo XriCCuiia, nienlre ancora non aveva
conchiusi qiK'sli tralcali con Pipino, non tras-
curava ^riiileressi della sua sedo con Rachi, il
quale trascorso nel ducalo romano e nel suo te-
nir:;ento . iacva, conic si disse, cinta Peixigia
*, P. ifjnil. i\r Hrl». fianr.
LIBRO QUINTO 387 .
di stretto assedio , e mìnac.ciava ulteriori pro-
gressi. LMmperadore lontano, -e delle cose d^I-
talia non curante j l'esarca impotente a segno
che appena poteva difendersi in RaTenna, tanto
era lontano che potesse ostargli; altro non re-
stava a Zaccaria per isgombrar questo turbine,
che ricorrere alla sua autorità ed al proprio va-
lore deir animo. Preso dunque ardire, volle egli
con decoroso accompagnamento portarsi di per-
sona nel campo ove Raclii era presso alle mura
di Perugia. Ivi da questo prìncipe accolto con
molto onore, fu tanta la forza e veemenza del
suo dire, che istillò in Ractii affetti cosi vivi
di pietà e di religione , che tosto questo prin-
cipe non solo abbandonò l'assedio di Perugia,
ma alquanti castelli di Pentapoli, che aveva oc-
cupati , immantcnente gli rendcLLe. E fu il colpo
81 profondo, che un anno da poi , preso dalla
maestà del pontefice, e vinto da occuira forza
di religione, volle passare in Roma con Tasia
sua mogUe e Ratruda sua figliuola a visitarlo:
e quivi prostrato a' suoi piedi, rinunciando al
regno, volle farsi monaco inNÌeuii; colla moglie
e figliuola; e preso l'abito dalie mani del pon-
tefice, rìtirossi in monte Casino a finire ì suoi
giorni in quel monastero sotto la regola di S. Be-
• nedetto. Seguirono il di lui esempio Tasia e Ra-
truda , le quah avendo a proprie spese eretto
dalle fondamenta , non molto distante da Ca-
sino , un magnifico monastero di vergini , ivi
vestito r abito monastico, menarono santamente
la loro vila {*)■
e*) En^mtp. apuli Peti kift. Prinr. Long. n. 3. T.'^ O-iiiroJ.
388 ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
Menò Bacili il resto tle^ ^uoi anni nel niona^
stero Cassinese. Principe memorando per aver
amministrato il regno con tanta prudenza e mo«
derazione, e con sì provide leggi ch'egli pro-
mulgò^ ma molto più renduto immortale e com«
mendabile nella memoria degli uomini per averlo
deposto con tanti segni di pietà e di religione;
ond' ò che i monaci di ouel monastero lo ve-»
nerino oggi per Santo. Ne tempi ne' quali Lione
Ostiense compose la sua Cronaca j si vedea vi-*
cino quel monastero una vigna che , come narrsi
lione ( I ) , era comunemente chiamata la vigna
di Rachi j dicendo que' monaci che Bachi l'avesse
piantata e coltivata. L^abate della Noce (2) y poi
arivescovo di Bossano , nel tempo che vi fu aba-
te, fece ricercar questo luogo , cne lo trovò tutto
ipcolto : vi fece rifar la vigna di cui non era
rimaso vestigio, e fecevi anche fabbricar una
chiesetta in suo onore,
Giovanni Villani fiorentino (3) portò opinione
(!he quella ^t^tua di inelallo che ora si vede
nella piazza di Barletta , fosse stata da'* Longo-
bardi ocnevcnlani eretta a cjuesto principe, cìiV
chiama Eracco. L' autorità di questo istorico
fece anche credere a Beatillo (4) , e , quel ch'è
più, all'abate della Noce (5) e ad alcuni altri,
che quella veramente fosse di Rachi. Ciò che,
PC si viguarcla 1' estensione del ducato bcneven-^
tano di questi tempi, non sarebbe stata cosc'^
(«) Lfo Oìilirn*», dir. I. i. r. 8.
Ca) Ab. de Nncc a<l O&licns. lor. ci*. .
(3) Villan. I. 2. r. <),
C4) V. Beati n. I.st. (li San Sabino xctcoxo di Canora,
(Ji) Ab. de IV^icc lor. rit.
libuo quinto 3% ,
imposaibile ; concìosiiiachè estendendo da c[ue-
bL) parte i suoi confini oltre Sìpoiito , insino
a Buri, veniva quella terra ad esser compresa
nel ducato beneventano j il quale ancorché te--
nesse Ì suoi particolari ducili a' quali immedia-
tanieute s^ apparteneva Ìl su» governo, iiulladi-
manco costituendosi il regno de Longobardi iu
Italia , non pure per quel tratto di paese che
ora cliiaraiaino Lombardia , e per gli altri du-
cati miuori , ma sopra tutto per que"" tre cele»
bri ducati , di Spoleto , di Friuli e questo di
Benevento maggiore di tutti gli altri , i quali
erano subordinati a' if^ de' Longobardi cIil' te-
nevano la loro sede in Pavia ; non sarebbe stata
cosa molto strana die i Longobardi beneven-
tani avessero a Rachi loro re innalzitla quella
statua.
Ma due ragioni fortissime^ convincono per fa-
volosa ed erronea V opinione del Villani. Sem-
bra priuiieramentc affatto iuvcrisitnile clic i Lon-
gobardi beneventani una statua così grande e
magnilìca avessero voluto collocarla in Barletta,
teira in quest' età pìccola e di niun conto , e
posta (juasi ne* confini del lor ducalo , e non
in Benevento città metropoli , ovvero in qual'
eh' altra citt^ magnifica di quel ducato , die
n' ebbe molte ; non a Capua , non a Salerno j
non a Bari, e non a lant' altre. Barletta prima
non era che una loire posta nel mezzo del
cammino fra Trnni e la cittìi di Canne cotanto
rinomata per la celebre rotta data quivi dii An-
nibale a' Romani: ella sn-viva per alloggio de*
pa«seggierì , e , com* è uao , teneva per insegnd
una barìletta. La cotnoditfa del sito, ciselido
390 ISTORIA Oa. REGSO DI NAPOLI
sette miglia discosto rlall' una e sclte dall'altra
di queste due città, tirò a sé alcuni <le' lor
cittadini ad nbiturvi , onde poi il luogo prese
il nome di Burletta^ e crescendo tuttavia gli
abitatori sotto 1* impeiio di Zenone e uè! pou-
tificato di Gela; lino vescovo di Cauosa
la giudicò luog. Ilio dove ai fabbricasse
una cliiesa per l<i le degli sbitanti , come
III eretta in oni Audrra Apostolo. Nar-
rasi ancora e lusi papa Gelasio nel
monte Gargant racolo (MP .ipparizione
di S. Michele, presliicie riel vescovo
Sabino intorno i 3 calasse n CDiisccr.irla
insieme con Lorenztj .. jcovo ili Sjponlo , Pal-
ladio di Salpi, Eulicliio diTrani, Giovanni di
Bovo , Eustorio dì Venosa , e Ruggiero vescovo
di ('anne; e fatta questa cmisecrazione, di tempo
in tempo crescendovi gli abitanti , divenne una
buona terra , passando dulia citt^ di Canne ad
abitare in essa per maggior comodità molti cit-
tadini. Tale era lo stato di Barletta nel regno
di Bacili. Crebbe poi e cominciò a prender
forma di città molti secoli appresso j e sotto il
regno de' Svevi, Manfredi, a cui fu motto cara
questa parte di Puglia , ed ove soleva per lo
pili risedere , onoroUa sovente , e vi fece qual-
che dimora mentr'era lutto inteso' alla fabbrica
del nuovo Siponto , che dal suo prese il nome
di Manfredonia. Innalzata da questo principe
potè poi insorgere contra Canne sua madre, e
contendere con lei de' confini e del territorio^
che per jDoIti anni ebbero comune j onde Car-
lo I d'Angiò^ pw toglier via le contese che
LIBKO QUINTO 13 J [
soglion per ciò nascere fra' vicini , (ecc partir-
gli (i). Fu ciiiUi allora dì mura, e furo per ordine
«ii questo re iiKjiiadrate le strade e fatte le por-
te, i'u fatta poi sede degli ai-civescovi di Na-
zaret , e ridotta in quella magnificenza che oggi
«i vede. Giovanni Villani , die fiorì nel regno
di Carlo n d'Angiò, e di (ìiovanna 1 snn nipote,
in tempo clic Barletta era già divenuta una delle
città ragguardevoli della Puglia , credendola an-
cor tale nel regno di Raclii, e vedendo giacere
nel porto di quella citt^ «questa statua, che ì
BarleLLani chiamavano corrottamente , siccome
cbiumiiimo ancor oggi, di Arachio, credette che
fosse di questo re longobardo. Donde anche si
Tede r errore dì Scipione Ammiralo (a) it q-.iale
scrìsse che questa statua fosse stata da' Barlct-
tani dirizzata au Eraclio ìmperadore in segno
di gratitudine, per .ivcre queU' iinpcraJore per
comoditi de' mercatanti fatto il molo nella loro
città ; quando ne' tempi d' Irradio BarlcLla era
piccola terra , ed il molo fu fatto molti secoli
dopo Eraclio da' cittadini barlcttani, i qiiah non
prìma dell'anno 1491 trasportarono quella sta-
tua , che mezza fracassata giaceva net porto ,
dentro la città nella piazza dove sta oggi , ac-
comodandovi le gambe e le mani nel modo che
ora si vede.
L^altra ragione che convince non es.ierc quella
atatua dì Rachi , è il volto c\n: ci rippresenta
tutto raso . l' ahito greco rlie veste , e F avcit!
IXJ3. Mtraa. DiMrr.
.Ti "f.p.
393 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
ìb una Diano la croce e nell^ altra il poma^ sim-
bolo del mondo. Questi segni siccome provano
esser quella una statua di qualche imperadore
d^ Oriente, così dimostrano non essere di Ra-
chi y o di quaich' altro re longobardo. Nel tante
volte rammentato Codice Cavense , ove sono gli
editti de^ longobardi re d' Italia , veggonsi alcuni
ritratti miniati d^ alcuni di questi re j autori di
quegli e(£tti, i quali ancorché malfatti, e se-
condo le dipinture di que** tempi , sconci e gof*
fi, nulladimanco ci rappresentano i volti con
barba lunga , gli abiti lunghi con clamide e scet-
tro, non già croce né pomo, e colla corona
sul capo. Quindi non è fuor di ragione il cre-
dere per vera V antichissima tradizione de' Bar-
lettam , i quali la riputano statua d'Elraclio im-
perador d' Oriente.
Questi, dicono essi, per la divozione gran-
dissima portata non pur da lui solo, ma da
tutti gli altri imperadori suoi predecessori al-
TArcangelo Michele , al cjuale eransi in Costan-
tinopoli eretti tanti tempii ed altari , essendosi
a' suoi di rendalo così celebre il santuario del
monte Gargano e cotanto famoso , che tirava a
sé la munificenza de' più potenti re della ter-
ra j volle ancor egli mandare ad olferire a que-
sto tempio molti doni . e fra gh altri la sua
statua , acciorc Ile ai rrndesse eterna la memo-
ria del culto che e' rendeva a quel Santo. Ag-
giungono , che la nave la quale questi doni con-
duceva , sbattuta neirAdriatioo da' venti e da
procelle , fosse naufragata in quel mare vicino
a' lidi dì Barletta , dove la statua giaciuta per
lungo tempo nell^ acque, fossesi a lungo andare
LIBRO QtHHTO 3g3
poi scoverta , indi portata al lido , e propria-
mente nel porto dì quella àttk , ove mezza fra-
cassata ^cque ancora per altro lungo tempo j
finalmente i BaHettani nell^anno 1491 l'avessero
trasportata dentro la città , e collocata in qud
luogo dove ora si vede. Certamente la barba
rasa , Tabito greco e corto, la croce ed il pomo
la dimostrano d* un qualche imperadore d'Orien-
te : la fama , la tradizione, il viso , conforme a
queUo che scrìvono , d' EracHo , il nome , an-
corché corrotto, col quale fu sempre nomata
da^ Barlettani , la fanno non senza ragione cre-
dere che fosse di questo imperadore.
( Gedreno , parlando d^' imperador Eraclio ,
narra che sebbene prima d'essere stalo innal-
zato al trono si avesse fatta crescer la barba,
nulladimanco, fatto inweradore, se la foce rado-
re, siccome dice in Heraclii Anno J, quod Jm-
perator factus , bttrbam raserit, quam abierit
ante).
L'opinione del MazzeOa 0» >1 qu^ credette
questa statua essere delT imperadore Federico II,
è cotanto falsa ed inetta, che sarebbe consu-
mare inutilmente il tempo a convincerìa per ri-
pugnante a tutta l'istona.
<*> Umk-I. Dncf. del K«|bo Jì Nipull e tue Protia.
. t
'V
394'
IfTOAU Wn^ MOVO Dt MA90U
4.
.
e A P IL
JH Jsiot/o n di Longobardi; ma spad^iom
: «4 /{(moina f e fine di quM esarcato.
• ' " . ■ '-
/ I Longobardi^ torto che Bachi ai foca mo-
nacoy anstìtuirono nd ao|^ dd regno Aab^
ano frateUo: principe prode dì mano, e pia oi
oQoaiflliOr il quale avendo poftato- il ano regno
drulbmo perìodo dalla ^adeiia^ ^neato ateaao
eaffic^ò la aua dedinasione e la mina de' Ijoq-
gobardi in Italia. Mostra nel .{mncipio del ano
-gotr^no aentimenti di moderaiiona. e di qoiete :
con fe ruiA con Zaccaria la pace albi» ^otte alar
bilita con Luitprando e con Bachi ano firutdloi
ed accordò al medesimo tutte qndle condiiumi
che co' suoi predecessóri erano alate pattate.
Questo pontefice ^ dopo aver con Astolfo stabi*
lita la pace^ e dopo aver cosi prosperamente
composti gP interessi della sua sede^ uscì da
questa mortai vita nell'anno 753. Pontefice, a
cui molto debbe la Chiesa romana, che seppe
far tanto per la di lei grandezza, e per 1 au-
gumento della sua autorità. Egli lascio a' suoi
successori fondamenti molto stabili e ben fer-
mi . onde con facilità poterono da poi condurre
la lor potenza in tutte le parti d Occidente a
quella grandezza che finalmente si rendè a' prin-
cipi sospetta ed a' popoli tremenda.
Morto Zaccaria , u clero e popolo romano su-
stituirono Stefano IL Ma questi non tenne più
quella sede, che tre o quattro giorni ^ perocché
LIBRO QUINTO 'Òg?ì
oppresso da grave letargo per tre giorni conti-
nui, nel (juarto rendè lo spirito. Tosto ne lu
eletto tiii altro, aiiclie Stefano iioinato , il quale
dagli antichi scrittori vien appellalo auclie U,
non avendo ragione del suo predecessore, che
morì senza esser consecrato; poiché in questi
tempi relezione sola non dava il papato, ma la
consecrazionej onde se alcuno eletto moriva in-
nanzi dVsser consecrato, non era posto nel ca-
talogo e numero de^ pontefìci. Così veggiamo,
per tralasciar altri , die Ercherapeiio ed Ostien-
se {*) chiamano questo Stefano, II, e non DI. Al
presente però si tiene per articolo, contra quello
che rantìuliilù Iia credulo, che per la sola ele-
zione de' cartlinnii il papa liceva tutta l'anto-
rità; e per ciò gU scrìttorì di queslì ultimi teinpì
si sono tnivagliali per mcUer in numero ed m
catalogo questo Stelano, laonde è lor convenuto
mutare il tiunicro agli altri Stefani seguenti , chia-
mando il secondo terzo, ed il terzo quarto, e
così lino al nono, che lo dicono decimo, con
molla confusione tra gli scrittoli vecchi e nuovi,
nata solo per interesse dì sostenere questo ap*
ticolo.
Questo ponteGce assunto al trono, imitando
i vestigi de^ suoi predecessori , mandò , dopo tre
mesi del suo pontificato , legati ad Astolfo con
molti doni, perchè con lui ristabilisse quella
tace che già con Zaccaria aveva fermala. Astolfo
I ratilìcù, e fu accordata per 4^ altr'anni.
Ma questo principe, che non nudrìva neir«>
nimo pensieri meno ambiziosi di quelli di Luib-
praado, aveva fermata questa pace col papa^
<*) Enhmp. ipn^ PrHofr. n. H. Ortin, lib. j. sip. fl.
y
396 ISTORIA DSL RCGlfO DI IIAPOLI
acciocché non potesse il medesimo frastornai^
gli i disegui che aveva di sottoporre al suo do^
minio Ravenna con tutto il resto dell^ esarcato
che ancor era in mano de^ Greci ^ e che veniva
governato dall^ esarca Eutichio. Avea egli per
questa impresa, da che fu innalzato al trono ,
per lo spazio di due anni sótto altri colori unite
tutte insieme le sue foi*ze, e rendatele più po^
derose che mai; e scorgendo che Costantino
Copronìmo, il quale in questi tempi aveva as^
sunto per compagno al trono Lione suo figliuolo^
era distratto in altre imprese nella Grecia e net
FAsia, e che punto non badava alle cose d^I-
talia, uè volendo avrebbe potuto sì tosto soc-
correrla ; si mosse in un sunito con tutte le sue
forze contra Euticliio , ed a Ravenna capo del*
r esarcato dirizzò il suo cammino , cingendo di
stretto assedio quella imperiai città. Eutichio
colto così all' improvviso^ mal potendo sostener
r assalto^ ?iè a tanta forza resistere ^ gli con-
vemio pertanto render la piazza, e con quella
ogni speranza dì ricuperarla 5 jioichè lontano da
3ualunqiie soccorso , e sprovcdiito di gente e di
anaro, abbandonando ogni cosa, se ne ritornò
in Grecia. Ad Astolfo, presa Ravenna, con fa-
cilità si renderono tutto le altre città dell' esar-
cato e di Penlapoli ; e trionfando de' suoi ne-
mici , uni al suo regno l'esarcato di Hav(*nna,
per cui tanto volte i suoi predecessori s'erano
indarno affaticati, i quali ora perditori ^ ora vin-
citori, mai non poterono interamente e stabil-
mente unirlo alla lor corona , senza timore di
perderlo, come fortunatamente accadde ad AsloU
io ^ ed alla felicità delle su<^ armi. ,
LIBRO QUISTO 397
Kccn il fiiu> (teircsan'iltu di Kaveiuia e del
suo esarca: ina};istralo rlic per lo spazio di i63
niiiii aveva Ì!i Italia iiiaiiU^nuta la potenza e Tau-
torilìi dcM' intpcradori d'Oriente: line imcora del
niat;};ior luslro <• spicu<iore di quella cìUìi, la
quale da Onorio e da Valeiitiniano Augusti , pos-
posta Hoiua, aveudo avuto l'onore d'esser per-
petua sede degl' iniperadon e da poi degli esar-
clii, acquali ubbidivano Ì duchi di Roma, di
Napoli, e di tutte l'altre italiche città dell'im-
perio, e clic i suoi vescovi contesero con quelli
(li Roma islessa della maggioranza; ora ritolta
da^ Longobanli a' Greci j nuitata fbrlmia , e ri-
dotta in lonna di ducato, non fu da essi tral-
lala da più che gli altii ducati mìnorì, onde il
regno de Longobardi era composto: origine che
fu della sua fatai ruina , e «lellu stato in cui oggi
la ìeftgiiimo, Marqiinrdo Fr<!ero (") nella Crono-
logia ch'ei lesse degli csarchi di Ravenna, da
Longino primo esarca sotto Giustino li ìnfìno
iiir ultimo che fu questo Luticliio, scrisse che
Iuesto esarcalo rlurò 175 anni. Ma dal computo
egli anni ch'e* mcdesnno ne fa, si vede che
essendo, com* e<<li stesso dice, cominciato da
Longino neiraniio ÙdS, e liuito in Ktitichio,
dopo aver Astolfo pn>sa Ravenna secondo luì
nell'anno ^Si, durò fesavcalo non già 17J, ma
ben i83 anni, lì, secando coloro che parlano
la caduta dì Ravcmia nell'almo 763, Irsan-alQ
durò 184 aiiiii.
(*^ Frrli. «pnd Ltiiiu'ljT. t. 1, Jnrì) CneccHlloniMi,
l
396
ISTORIA DEL HXC:<0 1
SpeMzion,' tlJtlolfo nel durato
1
Afitolfo dopo sì grande e gloriosa impresa
1, niuiiicciava già di
opra gli alili miseri
tàiia all^ impcrador de'
dell^ csarcalo di Ha-
uto a tutte quelle ra-
sarcalo , le quali erano
ana aulorìtii sopra il
) il resto, pretendeva
« le città del ducato
di Roma . nella
ripieno d" elatissin.^
stendere il suo inij
avanzi clie resUivai
Greci. Egli impat
veniia , credendosi
gioui fhe porlava !,
la muggioranxa e >-
ducato di Roma e
di dovere anche ui,,
romano , e mollo pili la
quale agi' imperadori d' Oriente , dopo T accordo
fatto da Luitprando con Gregorio D , era li-
maso ancor vestigio della loro superiorità , te-
nendovi tuttavia i loro uiliciali. Minacciava per-
tanto le terre del dominio della Chiesa e Roma
stessa ; e rotti e violati i tanti trattati di pace
stabiliti da lui e da' suoi predecessori co ro-
mani pontefici , mosse il suo esercito verso
Roma, ed avendo presa Nami, mandò legati
al pontefice con aspre ambasciate , dicendogli
che avrebbe saccheggiata Roma, e fatti pas-
sare a fìl di spada tutti i Romnni , se non si
fossero sottoposti al suo imperio . con pagar-
gli ogni anno per tributo uno scudo per uo-
mo (*). A sì terribile ambasciata tutto com- _
mosso il papa . tentò placarlo per una legazione
O Sij!;on, »A A. -bt.
UtRO QUINTO 399
coapicua dì due celebri abati che fiorìvano in
quel tempo. Gli spedi T abate di monte Casi-
no , e T altro di S. Vincenzo a Volturno , e gli
accompagnò con molti e preziosi doni , inca-
ricando loro che proccurassero e con ragioni
e con preghiere , rammentandogli la pace poco
E rima Brmata , di persuaderìo a non romper-
t, e voltare altrove -le sue armi (1). ^
Aveva il ponteGce fin dal principio delT ir- - ^
ruzione di Astolfo sopra Bavenna , prevedendo > ..^
questi malij fatto inleso Y imperador Costantino ,r'
de' disegni de' Longobardi, e sollecitatelo a *^
mandare all^ esarca validi soccorsj per impe-
dirgli. Ma Costantino volendo copnre la sua
debolezza sotto il manto dell' autorìli , dando
a sentire che questa sola bastasse per rìmo-
vere i Longobardi datale impresa, mandò ^ in
vece di eserciti , un gentiluomo' della sua ca-
mera chiamato Giovanni Silenziario, con or-
dine al papa di farlo accOBopagnare con sue
. lettere ad Astolfo, per obbligalo a rendere ciò
eh' egli aveva preso (a). Furono dal papa spe-
diti non sdlo ^lere, ma legati ancora ad ac-
compagnar Giovanni. Ma arrivali in Ravenna
ove Astolfo dimorava , ed espostogU l' imba-
sciata di restituire ciò ch'egli s' area preso, fu
intesa da quel principe con riso, e tosto ne
furono rimandati seuz alcun frutto , come boi
potevano immaginare. Per la qual cosa s^in-'
camminarono i legati del papa insieme con
Giovanni a dirittura in Costantinopoli per sup-
plicar di nuovo r imperadore in nome del papa
4oO 15T0RIA DEL REGNO DI KAPOLl
di Tenir egli stesso con poderosa armata in
^ Italia per salvar Rpina ^ e gli altii avanzi ri-
masi al suo imperio in ItaGa y che i Longo*
bardi tentavano tuttavia di rapirgli. Ma Co-
stantino eh' era intrigato in altre guerre, e che
non badava ad altro che per un nuovo con*
cilio y che in quest^ anno ^SS avea fatto unire
di 338 vescovi ad abbattere le inunagini , non
era in istato d' intraprendere altre brighe c(h
Longobardi. Perciò vedendo Stefano che in vano
^. si ricorreva a Copronimo ; il quale non pò-
d te va ne meno difender sé stesso da' liOngo-
^ bardi y e cK era molto lontano per protegger
la sua chiesa 3 e che alP incontro Astolfo en«
trato coli' esercito nel ducato romano, deva*
stava tutto il paese, e minacciava stragi e ser<
vitù a' Romani , se non si rendevano a lui 3 si
risolse finalmente, ad esémpio di Zaccaria e
de' due Gregorii , di ricorrere alla protezione
della Francia , e d' implorare V aiuto di Pipino.
Mandò nascostamente un suo messo in tran-
cia , per cui espose a Pipino le sue angustie ,
e eh' egli desiderava venir di persona in Fran-
cia , se gli mandasse legati . per potersi quivi
condurre con sicurtà. Pipino non mancò subito
di mandargli due de' pnmi ufficiali della sua
corlC; Crodegando vescovo ed il duca Autcario ,
per condurlo in Francia. Giunti il vescovo ed
il duca in Roma . ritrovarono che Y esercito
de' liOngobardi . dopo avere presi tutti i ca-
' stelli ne' contorni (li Roma^ era in procinto
(*) AuaAtas. lor. rit. Ccinrns ab iinprrjali polfiilia iiuUiim
ttse suhvcniendi aux il in ni.
LIBBO QUiirro 4oi .
d* iiiTestìr quella città ; e che ritornati i dot
legati del papa con l' inviato dell' imperadors
da Custantinopoli , niente altro avevau ripor-
tato da costui , -se non un secondo ordine ti
papa d* andar e^ in persona a ritrovar AstoUb
per sollecitarlo a restituir Rarenna e le altra
città da lui occupate. Non vi era alcuna appa-
renza che questa andata potesse riuscir di prt^
fitto j e pure il pontefice volle ben ancora ub-
bidire, per far l ultimo esperimento di poter
piegar quel principe. Ma quando vide che al
vento SI gittava ogni opera , e die Astolfo, il
quale gli aveva insieme proibito di parlar^
d' alcuna restituzione , faceva tutti gli sforzi suoi
per fermarìo, lasciossi finalmente condurre da^
ambasciadori di Pipino in Francia.
Sii.
Papa Stefait» in Fraiuin .- sttoi tramiti col re Pipi'
no ; e éotuuione di questo prìneipe fatta alia Chìtitt
romana di Pmtapolt e delP tsanaio di Ravtiuia
lotto a* Longobardi.
Giunto il pontefice in Francia , fu accoltb d*
Pipino con ogni segno di slima e dì vener»>
zione : T adorò come pontefice e padre della
cristianità , e gU rendè i maggiori onori che si
potessero rendere a^ più potpnti re d^a terra.
Espose Stefano i suoi bisogni al re , e X angu-
stie nelle quali i Longobardi Tavean ridotto j
dimandogli il suo aiutu e protezione , ofTereu-
dosi air incontro d'' impiegar tutta T autorità
della sede apostolica jn suo vantaggio. Allora
Pipino, affinchè si rendesse più venerando a^ suoi
CiAiOroiiz , Fot. li. 26
if03 ISTORIA DEL RE(i?(0 DI KAPOLI
SDiidili , e ptr umggiormcute stabilire Ìl ("egno
di Francia nella sua persona e nella sua pu-
^lenUl , vollv clie Stefano colle sub mani lo
conseerasse re , ed insieme che i- duo suoi fi-
gliuoli Carlo e CarloiDaiino ricevessero pari>
uieule da lui l' unzione sacra , siccome segui
nella cliiesa di S. Dionigi (i). All' iut-ontro Pi-
fino , olire ad assicurarlo che avrebbe frenato
wriliie de' Longobardi , e fattigli restituire i
luoghi occupati nel ducato romano , gli promise
ancora eh' egli avrebbe scacciato Astolfo dal-
l' esarcato di Bavenna e da PentapoU, e tolti
al Longobardo questi Stali, gli avrebbe nou
già restituiti all' imperio greco a cui s' appar-
tenevano , ma donati a S. Pietra ed al sua
vicario, Stefano lodò la magnanima oflèrla che
si faceva con tanta profusione dell'alimi roba,
esagerandola ancora come molto profittevole
per la salute della sua anima * onde da Pipino
ne iù stipulata e giurata la promessa della do-
nazione , facendola firmare auclie da^suoi fi-
gliuoli CaHo e Carlomanno.
Questa pronlcssa di futura donazione, nel
caso fosse riuscito a Pipino di scacciare i Lon-
gobardi dair esarcato e dd Fentapoli , non ab-
bracciava che questi Stati, Lione Ostiense (a)
conlii.se ciò che Anastasio BibUotccario avea
scritto della donazione fatta poi da Cario M.
a papa Adriano , Con questa promessa di Pi-
pino a papa Slelano. Anastasio narra (3) che
. 8, Pì|iiiii'ni , e> rfuus lìM»
unito QUINTO 4"^
Gildo M. coitfermù e pose ili efièUo ciò che.
Pipiitp suo padre area promesso^ auzi che ac-
crebbe la patema doDuziouBj e dìge clie da
Cario con nuovo istromento furoao donate a
S. Pietro ed al suo vicario molte città e tw-
rìtorìi d^ ItaUa per designati confini , incomin-
ciando da Luni cittÀ della Toscana , posta i^*
coufiiù (leQa LigiHÌa , con 1' isola dì Corsica ,
e calando nel Sorano e nd monte Bordona
abbracciava Vercetri , Parma j Reggio , Mao-
tova e Monselicc ; ed insieme tutto Y esarcata
tU Haveiioa, siccome fìi atiticamente, colle Pro-
vincie di Venezia e d^ Istria; e tutta il ducato
^oletauo e beneventano. Lione (i> (come it-
T«tì anche T abate della Noce (2) \ patianda
nel capo 8 della donazione di Pijiiao ^ si serva
di queste istesse parole d'Anastasio che rìgtuuw
dauo la donazione di Carlo suo figliuolo; a
^ando poi nel capo i a tratta de^ fatti di Cuv
lo, e di questa sua donazione , oaa Dumwaa
come Anastasio , ì luoghi e le cìtUi ; ma eot«D
se Culo iton avesse fatto idtro che aolamenté
eonf^mare qudla di Pipino , col supposto chft
quella abbracciasse tutti qoe' htoebi da iui net
r 8 capo descritti, dice che Cario bona oc tibenti
animo oliam donadonis promissionem i/isiat:
prioiis descFÌbi praecepiL Ma cbe cpjesta do-
nazione di Pipino non abbracciasse altro du>
PentapoU e V esarcato di Elaveuna, ,che (^nan
togliersi ad, Astolfo, si conosce cliiara daU*e0»<
cuzione che ne fu fatta dall' istessa Pipino ,
4o4 ISTORIA DEL HEG^fO DI NAPOLI
quando, come diremo, calato in Italia, e tol-
tigli ili Longobardo, ne fece dono alla sede
apostolica , scrivendo 1' istcsso Lione [*; die
Pipino simul ciiin praefatù Romario Ponf/fice
Italiani veniens et Jiavcnnam, et viginti alias
cmtates supratticto Aistitljiy abstuUl, et sub
jurv JnnsU " di'git.
Si e Inci ialia Cronaca del tno-
nsHtprc 'isola di Pescara, rhe
01 iprei ì sesto tomo deirila-
lia ra ( e narrandosi quest' i-
ato ' [efaiio con Pipino, si
1 ;cacciato Astolfo e li-
beri cernii con Tenti altre città
a S. tro. Q questo autore favella
della donazione di t.arlo, dice che questo prin-
cipe restitiiit Beato Petra qitae pater ejm de-
tierat et Desiderius ahìtitìerat , .idiìeks etiatn
Ducatum Spoletanum et Beneventamim , ec. Ma
Stianto sia vero ciò die Anastasio narra deJla
onazìone dì Carlo M., volendo che abbracciasse
la Corsica, il ducato di Spoleto, il Beneventa-
no, le Venezie, l'Istria, e Unti altri luogbi non
mai presi né posseduti da Carlo , lu vedremo
più innanzi, quando di quella ci tornerà occa-
sione tli tàvelfare.
Accordati che furono questi trattati tra Ste-
fano e Pipino, questi, essendo il papa rimaso
in Francia presso di lui , immant3;ifente inter-
pose i più-^eiTorosi uffici con Astolfo, perchè
restituisse i luoghi occupati^ e gli repUcò ben
tre volte. Ma nulla giovando uè preghiere n&
LIBRO QUIETO /^oS
minacele, finalmente stimolato dal papa, sì rì-
solvette di marciare con tutte le Bue truppe, in
Italia contro di lui, e seguitato da Stefano, sfor-
zando il passo delle Alpi, fiigù Tesercito d'A-
stolfo che se gli opponeva, e l'incalzò siiio alle
porte di Pa^na, dove assediollo, costringendolo -
finalmente a dure condizioni, con obbligarlo,
ricevuti innanzi gli ostaggi , a promettere di
rendere le terre della Cbiesa da lui occupate
nel ducato ^mano : gli tolse Ravenna con venti
altre città, ed inquest^anno 7 54 le aggiunse al
dominio di S. Pietro (i) e prestamente in Fran-
cia si restituì, e papa Stefano in Roma.
Ma non fu così tosto ritornato Pipino in Fran-
cia, cbe Astolfo poco curandosi degli ostaggi
che aveva dati in mano di Pipino, rompendo
tutti i giuramenti da lui fatti, venne con tutte
le forze del suo regno a piantar T assedio in-
nanzi a Roma , dopo aver dato un terrìbil gua-
sto ne' contomi. Allora Stefano vedendosi ri-
dotto all'tdtima estremila, ebbe ricorso al suo
protettore nella maniera più forte e compassio-
nevole che potesse mai farsi. Gli scrìsse quelle
tre lettere che ci re^no ancora (2) , le più vee-
menti e le più sommesse che si possano im-
maginare j e con esempio nuovo le scrìsse sotto'
nome di S. Pietro a dui erasi fatta la donazio-
ne , indrìzzandole al re , a' di lui due figliuo-
li, ed a tutti gli ord^ della Francia, di que-
sto tenore : Petrus vocatus Jpostoìus a je'su
(1) tf» 0«i. 1. 1. 1. 8. It*Tniniun, rt lig'mti «W «tUit» m-
pntfliclo Aiitdifo abitalit, et *ub \an Kpatiotitme Stdit rcdrgìl.
<i} Baron. «d k, jiS. M tota. (i. Caorii. tàh. Piri<.
4o6 ISTORIA DEL REGSO DI KAPOLI
Christo Dei t)ivi ftlio , ec. Viris excelieniissì-
mis Vaino, Carolo et Carolomanno trihus Fe~
s, ec, dove introducendo cjiicsto Aposlnlo a
panargli così: E^ Petrus jlpostolu.s liiun a Chri-
sto, 'fi vhifiUo, vocattis stun supcmue clcimn-
tiae tt ' ' ' ' rve in (jiielln di lutti i
niù ;ss»Ti a parte di Dio, percliè
iuvi.on ikrinirnli, sarà alienato
regn dalla viXa eterna, mo-
TG lo tilt ù allo a scuolt-rt* un
«10 n
• bastalo per obbligar
a prima le amii. Aveva
I ^aati pc alla prima novella
Tenutagli de' movimenti aAstolfo: e con quelle
incamminatosi di nuovo verso Italia, nippc Te-
sercìto d'Astolfo , die aveva voluto contrastare
a^Franzesi il passaggio delle Alpi; ed avendo-
gli minacciata T estrema sua rovina, se durasse
neir impresa , obbligò Astolfo a levar l' assedio
da Boma già tre mesi durato, e di buttarsi den-
tro Pavia col resto delle sue truppe.
Intanto Costantino Copronimo avvisato dì que-
sti tratLiti avuti sopra i suoi Stati fra Stefano
e Pipino, e die Astolfo cedeva 1' esarcato dì Ra-
venna a Pipino per daHo al papa, mandò to-
sto due ambasciadori al re Pipino perchè glielo
restituisse, come appartenente all'imperio. Inte-
sero questi a Marsiglia , dov' erano venuti da
Roma con un legato del papa , di aver già Pi-
pino passale l'Alpi, e sconfìtto T esercito de'
(*) Vili. Frali. cliiChiinrtoin.l. Ilist. Franr. p»%- ;o5. Pt ^m,
A!mT.ini.. de Parid. Latmneiih rap. io.
UBfto QDitrro 407
Longobardi; {wrciò Funo de' due pìgliaiido più
vdocemente innanzi il cammino, mentre ìaU
tro tratteneva il legato, si portò sollecitamente
, appresso il re Kpino^ che non era molto lon^
taao da Pavia nel procinto d^ assediarla.
Fu Pambasciadore tosto introdotto alTudienx*
del re, nella quale dopo aver esaltato Pipino per
ie due TÌttone da hu riportate sopra 1 Longt^
bardi, nemici comuni dell'imperio^ ddla Fmn*
eia, e commoidate altamente le gloriose sue geata^
espose in nome del sdo principe l'ambasciata (*):
esageri» , T esarcato essere senxa alcun dubbio
dell imperio, usurpatogli da Astolfo, il quale pi*
diava tutte T occasioni d' ingrandirsi a' danni '
de* suoi vicini, mentre il suo principe facevil
la guerra a' Saraceni: che poiché il re F aveva
ritolto dalle mani di questo usurpatore, era giu-
sto che rimettesse anche nelle mani dell'' impi^
radore ciò ch'era suo: che finalmente il papa
era sno suddito , e che lasciandolo godere tran-
quillamente quanto gli era stato dato dagFim-
peradori e d!a' privati per mantener la sua di-
gnità, non sarebbe cosa giusta- di' egli usurpasse
ancora le terre del suo sovrano : essere del re*
sto G>stantino, il quale in questo non diman»
dava altro che la giustizia , prontissimo a pra-
ticarla anch' egh dal suo canto : e che p<Mchi
il re aveva già &itte grandi spese in questa jgcar-
ra, gli oiFeriva in riiacimeiito tutto quello bh'^
g^i avrebbe potuto desiderare' da un iniperadone
ugualmente liberale e riconoscente.
D Ana"l> In Vili Strph. II.
' j^oS ISTOntA DEL RKGNO DI NAPOLI
Pipino j a cui non giunse nuova questa im'
basciata , e die aveva preveduto cÌo che do-
vrelibe l'ambasci attore dimandarglij umanamente
gli ri )ose: appartenere T esarcato al vincitor de'
Loi bardi , i quali 1' avevano jiire belli con-
quiaidto, come aveano latto anche i loro pre-
aecesson a rte d' Italia sopra gli
impei ■ medesimamente cosa
nota ■ e di que' popoli , in-
d( IV- tar religione, s" erano
i« così presupponendo
o ae 1 e) quale non era luogo
cu uu are Ho de' Frarizesi i quali
avevaiiu allie sopra i Romani «
Vestrogou, ci« curo del suo proprio;
poicliè egli aveva costretto Astolfo per via delle
armi a cederf^li I" esarcalo, del quale andava a
mettersi in possesso per la medesima via; che
poi essendone padrone, n'avea potuto disporre
a suo arbitrio e volontà (i). Ea aveva trovato
espediente di dame il dominio al papa, perclii
in quello la fede cattolica, violata per tante in-
fami eresie <le\ Greci , si mantenesse intera , e
Tambizioue ed avarizia de' Longobardi non l'oc-
cupasse ; per le quali considerazioni egli aveva
prese V armi contra coloro che opprìmevan la
Chiesa <a) : che per tutti i teson del mondo
non avrebbe mutata risoluzione , e che man-
terrebbe contra tutti il papa e la Chiesa nel
possesso di tutto ciò elisegli aveva loro donaUx
Bimandato pertanto, senza voler sentir altra
»RO QUI KTO 409
replica, su Fora Tauibascùdore, andò a por l'as-
sedio innanzi Pavia, e la striAse così forte, di«
Astolfo ridotto a non poter più resistere, ta co*
stretto a dimandargli la pace , la quale ottenne
a condizione che mettesse pront^imente in es»-
dizione il trattato dell'anno precedente, e re-
stituisse le città dell'* esarcato j ddl' Emilia .oggji
detta Romagna, e delia FentapoU, die diciamo
Marca d^Ancona (i), nelle mam di Fulrado abate
di S. Dionigi, da Pipino destinato suo commes>
tasio. Gò che fìi eseguito prontamente j impe-
rocché destinati anche da Astolfo i commessa-
rìi, Fulrado avendo latto uscire dall'esarcato e
dagli albi luoghi tutti ì Longobardi, e ricevuli
instrumentata con tutte le solennità e forme ne-
cessarie, e ch'egli aveva fatta anche sottoscri-
vere da' due suoi figliuoli Carlo e Càrlomanno,
e da' primi baroni e prelati della Francia. L'e-
sarcato, se dee prestarsi fede al Sigonio (a),
abbracciava le città difiavcnna, Bologna, Imo-
la, Faenza, Forlimpopoli, Forlì, Cesena, Bob-
bio, Ferrara, Comacchìo^ Adria, Cervia e Sec-
chia. Tutte fiirono coiisignate al papa, eccetto
die Faenza e Ferrara.
Pentapoli, ovvero Marca d'Ancona, compren-
deva Annulli, Pesaro, Conca, Fano, Siniga-
^ia, Ancona, Osimo, Umana {ora disfatta),
Jesi, Fossombrone , Monfeltro,*IJrbino, il ter-
rìtono Babensc, Ca^, Luceolo e Gubìo c<hi
fi) AnMt. I. r. Leo Oitinu. I. 1. & 8.
fa) Sipin. ad Ana. 755.
4lO tSTOBIA 1>EL nEGItO 01 MAPOLI
li cJisteUi e territorii nppartenciilì alle modesiiufi,
come appare dal privilegio di Lijiiovico Pio,
col qoilf vien confermalfl mitsU donaeioDe dì
Pipino: della x-erità del ijiiiiV si parfem a suo
luoffo.
Il poiilefice, ricco dì tante cìllfi e dominii,
all' arcivescovo di Ravenna comniÌBC V ammi-
nistrazione dell'esarcato; ond'è che alcuni scris'
sero che gli arcivescovi di quella cittA s'intito-
lavano anche esarchi, non già conie arcivescovi j
ma come ulTìciali del papa, già principe tempo-
rale. Ecco per dove i papi hanno cominciato
a divenir potenti signori in ItaUa, congiuiigeiido
al sacerdozio il principato, e lo scettro alle chia-
vi. Perocché la donazione di Costantino M, par-
licolarmpme intomo a ciò che riguarda Roma
e r Italia j per quel che si disse nel secondo li-
bro di questa Istoria, e per ciò che ì più dotd
istorici, giureconsulti e teologi tengono per in-
dubitabile, fu grossamente finta da un solenne
impostore del decimo secolo; o, come Pietro
di Marca, motto prima ne' tempi di Adriano e
di Cario Magno. Né quantunque sì volesse sup-
ponere per vera , ebbe ella alcun effetto , es-
sendosi veduto che grimperadori, e gli alu-i
re stranieri che a coloro succedettono, ne fii-'
rono da quel tempo sempre padroni. Né i
papi vi pretendevano altro , che quegli patri-
moniì che vi possedevano per munificenza di
ntcun principe o privato, per la loro sussistenza
donatigli, come si disse, e sicome appmito ten-
gono oggi gli altri ecclesiastici ì loro negli al-
tri Stati per tutta la cristianità. Pipino vera-
mente fu quegli, da poi che i papi s'ebbero
LIBRO QDtyro 4ll
aperte bÌ opportune vìe per rendereene uen>
teroli, che dalla faasser.za dPuna fortuna A m»
diocre gK arricchì delle spòglie de^ re longo>
bardi e de^ imperadorì greci , donando loro
città e Provincie. Oic se voglia il vero oonfes^
sarsi, Al delle medealme Uberalissimo, c(»ne so<
gU(mo essere tutti coloro che niente del proprio,
ina deH* altrui profondono. Queste spettavano m
verità a Gostsotino imperador d'Oriente; e- se
vogBa dirsi giusta questa donazione, dovea es* .
aer'&tta non da Pipino, ma da Costantino ^
di cui erano', onde perciò alcuni (*) scrissero
che questa donaùofie fosse stata fatta sotto
nome di Costantino, e quindi esser nata la fa-
vola della donazione di Costantino M. Da que*
Bto tempo cessarono i pontefici nelle loro epi*
atole e diplomi di notare gli anni pussimonun
jiugujtorum , come prima facerana Assicurati
che furono del patrocinio de* Franzesi , scos"
aero ogni ubbidienza aeF imperadorì d'Oriente,
né vollero esser riputati più loro sudditi. Ma
ali* incontro questa grandezza de' pontefici ro*
mani riuscì a Pipino tanto profittevole , che
portò al suo figliuolo Cario, che gli succede,
non pur il regno ,d' Italia , discacciandone i Lon*
gobimji, ma l'imperio d'Occidente, che il papa
volle far risorgere nella persona di Cerio, coma
nel seguente libro diremo.
1 Franzesi , oltre a voler essere riputati autori
d^b grandezza e del dominio temporale della
sede apostolica (ciò che non può loro con-
trastarsi), s' avansanò più, con dire che di tutte
4 13 ISTORU DKL RBCXO DI J(*Pf>LI
quesU' cillà da Pipino alla Clik-sa (ioiiate,
avessero i papi il solo doittinio uti1f> ( siccome
il Sigoiiio ia pili luoghi disila sua Islorìa nou
nntè negarlo), rimanendo In sovTanità appresso
ano , e gli altri re di Francia suoi succes-
80I essendo cois manilpRia, essi dicono, che
i [■pnH.enli v' ebbero la sovrana
at if itavaao in quasi tutta
r liana. o tempo da poi, die
, i pontetii oro irò sovi'aiii di quelle
Provincie, i Roma , non per la
pretesa cessioni lorador Carlo il Calvo
fece de^ suoi •ni e preoiincnze , ma
per la decadeu «rio f da che fu U-
luitato e racchiusa i a Alemagna, in quella
maniera appunto che tanti altn pni\cipi d'Italia
possedooo al di d' oggi legittimamente la so-
vranità eh* essi si hanno acquistata sopra TOc-
cidente.
Pietro di Marca (*) fa vedere come e su quali
fondamenti a poco a poco i pontefici romani
a lop trassero la sovranità sopra Roma: ciò che
non fu certamente in questi tempi. Egli dice,
che ceduto che fu da Pipino Tesarcato di Ra-
Temia al romano pontefice, per ragion del me-
desimo appartenevasi anche a lui la sopranten-
deuza ed u governo di Roma , non altrimente
che s'apparteneva all'esarca di Ravenna, sotto
il quale erano posti tutti i ducati de' Greci ,
e quello di Roma ancora : la sovranità s' appar-
teneva agi' imperadori di Oriente, T amministra-
zione agh esarchi; quin(U i romani pontefici coma
O P' <V Mura I. 3. (. ii, non. ]. it. tt it.
LIBBO QUINTO 4'^
esarclii la pretesero. Ma creati Pipino e Carlo
Maglio patnzi di Roma , importando '1 patri-
ziato T aver cura di quella città ^ si videro in*
sieme il papa e 1 patrìzio, prendere il governo
di quella ^ siccome s' osservò nella persona tli
papa Adriano e di Carlo Magno. Essendo poi
morto Adiìano, ed in suo luogo creato Lione ili,
resti lasciò a Carlo Finterà amministrazione ,.
quale da patrìzio innalzato alla dignità d' ìhh
peradore j essendo con ciò passata anche m
Cario la sovranità di Roma, i pontefici più non
s* intrigarono nel governo di quella : iiismo che
decadendo pian piano V autorità aegl' impera*-
dòri successori di Carlo in Italia , finalmente^
Cario il Calvo non si fosse ndl^ anno Sj6 spo-
gliato d^ ogni sua ragione y cedendo alla seda
apostolica la sovranità di Roma ed ogni suo
diritto. Quindi è che Costantino Porfii*ogenito {*)
descrivendo i Temi d^Europa^^e lo stato iU
quella del suo secolo intomo ali anno gio, dica
cne Roma si teneva da^ romani pontefici iure
domimi. Quindi cominciò il costume ne^ /liplomi
di notarsi gli anni de^ romani pontefici^ quando
prima ciò era de' soli principi ed impìéradorì.
L' abatq Giovanni VignoU ne' nosUi ultimi
tempi ^ cioè nell'anno 1709, ha dato in luce
un libretto intitolato: Atùiquiores Pontificum
Romanomm Derumi ^ ove contro a questa opi^
nione che tengono i Franzesi, si sforza dimo«
strare che il senato e popolo romano , àofo
(•) Const. Por. de Themit. I. a. Tli. X. Roma Rpgiiim de-
potiiit Principattini, etpropriam adinÌDÌAtralio1iem ac jiirii»dietio*
nein obtinuit, eiqac propnf dominatur quidam suo U^mpore Papa.
^i{ uroniA U£t. AK::(i> di i«apoli
ii\et» scossa il giogo degl' imperadori d'Orieu*
te, si tbs^e sottoposto a! romani pontefici, ri-
conoscendogli come loro sovrani ; e clie uod
puie il dominio utile rìteiuiera di Roma , ma
uitcUe il supremo. Pretende ricavarlo dalle mo-
nete clm si trovano de' poJilefici; e quantuncpie
vo »ie tbssefo più antiche, niiUadimaaco riguar-
dandosi sola quelle che ancora si veggono, (pie-
sto cojuiutnano da Adriutio I, e furono conti-
niiate a battere da Tjoi» UI, e dagli fdtri suo»
aiiccessori. Ed ancorché alcune d'esse, comò
i^uelle di Lione Ut e d' altri romani pooletìci ,
portassero aiicl>e ilnoinAdegriiuperadari, come
di Carlo M., di Lodovico, dì Ottone e d'altri
(tantoché per qnest' iatesso si diede occasione
a Le-]^anc francese di compone un tniltalo col
titolo di Disieriashno istoricn sopra alcune
Monete dì Caio M.» di Lodovico Pio e di Lo^
itaio , e de laro ntccessori , battute ti» Roma f
«on le quali vie» confutata t' opinione di coloro
che pretèndono che <nie6ti prìncipi non abbiano
mai avuto in Roma alcuna autontà, se non coi
consentimento de' papi > ; contattotàit il detto
«hate VignoU si atudia cUmostrare che molte
, monete de' papi non ebbero il nome degl'ini-
peradori^ come luia di Gin. VHI, la quale à
solamente segnata del tH]me di questo ponte&<
ce. Che che ne sia, l'opera di Le-filanc fa ve-
~ dere quanto poco sicura sia l' opinione del Vi-
gnoh, e molto più fondata quelui de' Fraozesi
uno QiriiiTo ^ 4*3
Lrgei itAs'.ol/o , « flirt morir.
Aslolfo ìntauto, aucprchò da sì slrane scossa
«battuto, non restava pei-ù dì volger ì peoaierì
alla ccuiservasJone del suo regna E^ non avoTA
mancato per nu^ve leggi riordinarlo, a^tu-r
geudone altre a quelle de' suoi preaecessorì, '
e vaiìandole ancora, secondochè stimava più
utile ed opportuno a' suoi tempi, Avendo per
tanto in Pavia ne) quinto anno dd suo regno
convocati da varie parti i principali signon e
nmgisti-ati -del suo regno, seguendo gli esempi
de' suoi predecessori, promulgò un editto nel
3aale molte leggi stabilì. Pure abbiamo quest'e-
ittp d'Astolfo nel Codice Cavense per intera^
che contiene ventidue capitoli: il pnmo comin-
cia : Donationes ilite tjuce fiictee sunt a Hackis
Bege et Tassia comit^. L^ ultimo ha per tito-
lo : Si quis in servitaan cujuscumqiie prò bona
voUtTitate introìerit. Alcune di queste leggi ìl
compilatore del volume delle leggi longobarde
le inserì in quc' libri. Tre se ne leggono nel
primo libro: una sotto il tit t/é Scandalis, fal-
tra sotto il tìL de Exercìtalibus , ed un' akra
sotto quello de Iure mulìerum : quindici nel
lib. 3: una sotto il Ut. 4; un'altra sotto quello
de Successionibus , altra sotto il tit. de ummis
volunt , un* altra sotto il tit ao , due sotto il
tit. de Manumissìombus , due altre sotto quello
de PrtEscriptionibus , e sette sotto il tit. Qua*
lìter quis se defendere deb. £ nel lib. 3 ancor
4l6 ISTORlJl DEL REGNO DI NAPOLI
te ue legge mia sotto il tit. io ch^ è P ultima
de^ re longobardi; poiché Desiderio suo suc-
cessore^ e nel quale s^ estinse il regno ^ passando
ne^ Franzesi^ applicato a cure più travagliose^
non potò d^ altre leggi fornir questo regno ^ che
infehcemente ebbe a lasciare.
Ma mentre questo principe j d(^ aver per
dura necessità restituito F esarcato e tante al*
tre città ^ è tutto intento a meditar nuovi dise-
gni per vendicarsi dell^oppressione de^ Franzesi .
e di riordinar nuovamente la guerra y essendosi
un giorno portato alla caccia y spinto da un ci-
gnale j ovvero y com^ altri rapportano y casual-
mente sbalzato da cavallo^ o^ come dice Elr-
chemperto 0, percosso da una saetta ^ il caso
fo per lui cotanto fatale, che in pocm giorni
rendè lo spirito <» lasciando in questi' anno 756
il regno pieno di calamità e di sospetti y non
«vendo ed sé lasciata prole alcuna.
CAPO III.
H ducato napoletano, la Calabria , il Bruzio,
ed alcune altre città marittime di queste no*
stre Provincie si mantengono sotto la jede
ilelT imperadore Costantino^ e di Lione suo
Jìgliuolo.
Grandi che fossero state le scosse che gP im-
peradori d'Oriente ebbero in Italia, il ducato
O Erclirmpert. I. r. n. 4. A«tulphus post haco, in ▼fuatione
MgUU prrcuscui, bmiìiiiis est.
LIBRO QUIRTO 4' 7
napoletano^ che allora, stendendo più oltre i
suoi confini, abbracciava anche Amalfi j il du*
cato di Gaeta . quasi tutta la Calabria e 1 Bru»
zio rimaser fermi e costanti neir ubbidienza
de' loro antichi prìncipi. Perduto F esarcato^ e
tutto ciò che in Italia ubbidiva all^ imperio gre-
co, non per ciò mancò il dominio degUimpe^
radon d' Oriente in queste nostre parti. I 5fa-
1)oletani si mantenevano sotto Y ubbidienza de^
oro duchi / chiamati ancora maestri di soldati ,
siccome sotto gP imperadori d' Oriente erano
appellati i duchi 0- Questi era un magistrato
greco che da CostantinopoU soleva destinarsi.
Fuwi in questo secolo uell^anno 723 Elsilarato.
Fawi Teodoro nell'anno 780, di cui questa città
serba anche vestigio, portandosi egu per fon-
datore della chiesa de' SS. Pietro e Paolo,' ora
disfatta, siccome dimostrava la lapide che prima
ivi si leggeva, ed oggi nella chiesa di Donna-
romata. Fuwi intomo a questi tempi , dopo la
morte d'Astolfo, Stefano, il quale avendo per
dodici anni governato con tanta prudenza il
ducato di NapoU , morta sua moglie , fu anche
fatto . vescovo di questa città.
Nel tempo che Teodoro reggeva Napoli in qua-
Utà di duca, avendo Fimperador Co^^taiitino
nell'anno 7647 come si disse, fatto convocare
un conciUo in CostantinopoU di 338 vescovi,
questi stabilirono in quel concilio un decreto
contro F adorazione delle immagini. Costantino
(") P. Carac* de Sacr. Ecol. Neap. moniim. e. 3o. scet. a.
Vedi Pcllegrioo di questi Maestri de* soldati , diss. 5. de Fin,
Due. BeneT. ; T Abate della Nóce in ootis ad Chron. Cassin. 1. a.
e. 56.
GuHJCoiiK, F^ol. //, 2J
AiB ISTORIA DEL RECKO DI IfAFOtl
e Lioi V- SUO lìgliiiolo associalo all' imperio fe-
cero per mezzo de' loro edilli valere il decreto
per tutto Oriente j ed impieguiouo anche la
forza per 1' osservanza di quello. Tentarono an-
clie di farlo valere in Occidente , donde nacquero
que' disordini e rivolle clic si sono vcdulc. Iten-
Jerousi per ciò pu,
contese , e a' ina
savano allora tra
dori d'Oriente.
Jiapa Steiaiio , il i.
L Questi j non
era odioso agi'
s' erano impegna
concilio anche u
altri luoelii che ancor rims
■d irreconciliabili ì
1 riniinicizie die pas-
i foiniiui e eV impera-
icsl'anno ^a^ morto
: per successore Pao-
i i suoi predecessori,
I d'Oriente, i quali
ere il decreto di quel
uaptdetauo , e negli
ano in queste pro-
vincia' sotto la loro ubbidienza. I Napoletani
ancorché avversi ad eseguirlo , come quelb che
erano piìi di tulli gli altri popoh d'Italia attac-
cati ali adorazione delle immagini, nulladimanco,
perchè ciò nou s' imputasse a loro disubbidien-
za , proccuravano in tutto il limanenle mostrarsi
lutto riverenti ed esatti in aderire al volere e
potestà de' loro signori. Laonde essendo in questi
. Icmpi accaduta la morto de! lor vescovo Calvo ,
ed essendo sialo dal pontefice ordinato Paolo
diacono deUa chiesa di JSapoli, suo molto amico
e familiare , ripu{;nava 1' ini[>eradore , per esser
cosini aderente al papa, che fosse ncevuto in
quella chiesa , come quegli che avrebbe in Na-
poli latti riuscir vani i suoi disegni di far ri-
cevere il decreto del concilio (h Costantincpo-
li. I Napoletani adeiirono in ciò al volere del
loro imperadore e de' Greci . ed impedirono
LIBKO QDIHTO 419
perciò Tandata di Paolo ia.Roma per farsi coa-
secrare.dal papa. Scorsi nove mesi, Paolo di
nascosto andò in Roma, ed il papa immaote-
iiente lo consecrò. Ma tornato a Napoli , uarra
GìoTanni diacono nella Cronaca de vescovi di
questa città, che i Napoletani suoi cittadini,
per V aderenza che avcano co' Greci , uou Io
vollero ricevere dentro ia città, ma tenuto fra
di loro consiglio , lo maudoroiio fuori , nella
chiosa di S. Gennaro, pusta non molto lontani
dalla città ^ dove slette per lo spazio di quasi
due anni ; non mancando intanto cosi il clero
come il popolo universalmente d' ubbidirlo ed
averlo come lor pastore , disponendo egli senza
oslacolo delle cose della cliiesa , e facendo ivi
tutte le funzioni pontificali. luUnto i nobili ,
scorgendo che per l' assenza di un tanto lor
pastore ia città languiva, si risolsero tutti final-
mente d' introdurlo nella città, e con molta
letizia e celebrità andarono a prenderlo, e T in-
trodussero nel vescovato, dove, dopo aver go-
velnata la sua chiesa per due altri anni, fii^ i
giorni suoi. Si scusarono essi coli' imperadore,
allegando di non potei-e maggiormente soffrire
4a vedovanza della cliiesa.
Per la morte di Paolo Ì Napoletani elessero
nell^ anno 764 ristesse duca Stefano per lor
vescovo. Questi aucorchè eletto vescovo non.
lasciò il ducato , ma lo^ governò insieme con
Cesario suo figliuolo , che l'assunse per suo col-
lega. Cesario premorì all'infelice padre ; onde
Stefano continuò solo il governo fin al 789,
anno della sua morte. Teofilatto gh succeoeUe
nel duéato. Costui era suo genero , come que-
gli che s'flvea sposata Etq)ra3sia sua figline^.
420 ISTORIA. DEL REGNO DI NAPOLI
ed avealo aticlie, dopo Cesario, fatto suo col-
li!ga ; onde morto Stefano , restò egli solo cou-
8oie e duca. A TeoGla.tto .succedette nei fine
di questo secolo Antimo (i), di cui sì narra
che nel tempo del suo consolato avesse cosliiitta
in Napoli la chiesa di S. Paolo Apostolo , ed il
— I — ,i„' ^^ g Giulilta. Questi fo-
monastero de' a;
rono i duchi e)
il ducato nandl
te, a' "" »!
soli. con I
anche consoli,
quel di' io ne s
la cagione.
H nome di c(
1 quest'ottavo secolo
' iiiiperadori d' Orien-
ìo anche nomati con-
Sapoli si chiamassero
nostri scrittori , per
e curiositi di sajjei-ne
;!! imperadori romam
e da poi dagl'imperadori d'Oriente Icnuto in
tanto pregio , e del quale essi s'adornavano , ne-
grultimi anni dell'imperio greco fu da costoro
disprezzato , e finalmente affatto tralasciato. II
vedere che di quello valevansi anche i principi
da essi riputati barbari ed usurpatori dell' im-
perio, gliele fece deporre. Carlo M. , per mo-
strare esser egli succeduto a tulle le ragioni e
preminenze degli antichi imperadori d'Occiden-
te , ne' suoi titoli se ne fregiava. Il simile fecero
tutti gli altri imperadori franzesi suoi successori.
Al costoro esempio lo stesso fecero gì' impera-
dori italiani, Berengario duca di Friuli, e Guido
duca di Spoleti (2). In fine sino i Saraceni, da
poi ch'ebbero conquistata la Spagna, ad esem~
pio degl'-imperadorl di CostanliuopoU , voUorq
(I) Di Aniimf. V. Chine. Hf' Vmc, Dan. p. -fi.
la) P. P.gi de CoMulib. |>. 370.
LIBRO QUINTO 4^1
pure chiamarsi consoli. Abderamo re de^ Sara-
cèni in Ispagna^ che comiaciò à regnare in Cor-
dova neU^ anno 8^ i y Maomat suo figliuolo e
successore nel regno ^ secondo che ce n^ ac-
certano l'opere di S. Eulogio (i), ne^ loro di-
plonii notavano non meno gU anni del loro
imperio , che del consolato. Anzi nel nono se-
colo della Chiesa y siccome nelT Oriente grim-
peradorì creavano altri consoU oporarii^ cosi
1 re saraceni lion solo se medesimi y ma anche
i principaU magistrati del loro regno chiama-
vano consoU (2). Quindi nacque che secondo
il fas^o de' Greci y questi non potendo còmpor- '
tare che titolo sì spezioso fosse usurpato da
nazioni straniere e barbare, si proccurò arv'i-
Urlo y e davanlo a^ loro magistrati y ancorché di
non molto eminente grado , insino che essi poi,
secondo die prova V accuratissimo Pagi (3) y
intoruQ r anno gSS non lo deponessero affatto ;
donde avvenne che un' ombra ed immagine di
quella dignità e titolo rimanesse in molti loro
ufficiali, e si vedesse così diffuso in tanti or-
dini, anche di persone private.
I Saraceni solevano dar questo nome agU am-
miragU di mare j onde poi avvenne che coloro
ch'erano preposti agli emporìi ed a' porti, si
chiamarono consoli ; e Codmo (4) , iPacmmere (5)
e Gregora (6) osservano che i magistrali de'
Pisani e degli Anconitani che dimoravano in
.■ •
(1) S. Ealog. in Memoriali Sanctortim t. s* r. ,t.
' (^^ Ealo^. L a. e. 6.
(3) P. Pagi dfì Consalib. p* 370.
(4) Codio, e. 7. n. 9.
(.^ Prrhymerw 1. V. r. ^^,
<0) Grei^oras I. 4» -
I *
433 I^TOHIA lÌEL AEOIIO DI HAPOLl
Costantìhopdr, !^n chinznati copsolL - Qaindi ff
conisolatp ^oi mare; e quindi negli autori della
bassa etìk 3 rapportati nel GJossario di Dufrèsnie^
^esto nome lo vediamo sparso ùeUc comiinità.
' tra^ gìiudtci e vani ordini Of, persona ^ìnsibo u^
àrte^nL Non dee dunque senìbrar cosà nuova
ft in questo ottavo secolo ìì nome^di console *
proprio degFimperadorì, e prima cotanto. lUu-
. atre e rinomato^ si senta ,ìielle persone de^ du«
: chi di Napoli y nìfficìafi eh' erano delP impìerio
. grecò, al quale quesito ducato ubbidiva.
C A P O IV.
Di Desiderio ultìmo re de tsOi^jB^àréi
Per la mòrte d'Astolfo^ ncm, avendo di aè
lasciata prole ^ e Bachi suo fratello ancorché vi«-
VO; essendosi fatto monaco^ rimase il regno va-
cante. Desiderio duca di Toscana, che Astolfo
oltre ad avergli dato questo ducato , P avea an-
cora fatto contestabile del regno, non trascurò
r occasione, coWoti de^suoi Longobardi tosca-
ni, di farsi proclamare re. Bachi avendo ciò
inteso, ne arse di sdegno, e diede in tali ec-
cessi, che in tutti i conti voleva uscir dal mo-
nastero, e rinunciando al monacato, ritornare
al regno; liè mancò chi qiiesta sua risoluzione
favorisse , e proccurasse ai farla venire ad ef-
fetto. Ma Desiderio essendo ricorso a Stefano
pontefice romano, a chi offerse in ricompensa
Faenza , Gavello e Ferrara , città che non
LIBRO QUIRTO , ^2^
erano state restituite da Astolfo, se in questa
congiuntura l'aiutasse^ seppe far taìito questo
papa con Bachi, che finalmente lo fece quie-
tare, e deporre que^ suoi pensieri d'uscire dal
monastero, ed in premio della sua mediazione
ricevè da Desiderio le città promessegli; e poco
dopo avere stabilito nel regno Desiderio , fini
Stefano i giorni suoi a' a6 d'aprile di quest'an-
no ^57. Pontefice a cui la Chiesa romana dee
molto pili che a' suoi predecessori , che seppe
ampliana di sì belle città e Stati, e che lasaò
le fortune della medesima in tanta pròspniti^
cbe i suoi successori non mancarono d'appro-
fittarsene, come fece Paolo che gli successe, e
dopo lui un altro Stefano; ma molto più Adria-
no, cbe ridusse per trattati arati con Cario M.
la sua potenza in più alto grado, come di qui
a poco vedremo.
Desiderio dopo due anni del suo regno volle^
ad esempio de' suoi predecessori, iftsumere'per
collega Àdelgiso suo figliuolo; ma non passò
guari cbe sospettando il pontefice Stefano IO,
osta IV, il quale a Paolo succedette, de' di lui
andamenti , e credendo ogni sua mossa in pre*
giudizio de' proprii Stati, cominciarono i soliti
sospetti e le consuete gelosie fra di loro. Final-
mente ruppero in aperta discordia, poiché avendo
il re Desiderio fatto conferire l'arcivescovado di
Ravenna ad uii certo chiamato Michele suo fe^
dele e domestico, Stefano lo fece scacciare da
quella sede. Il re per vendicarsene fece cavar
gli occhi a Cristofano ed a Sergio mandati dal
papa in Pavia per domandare le facoltà che ap-
partenevano alla Oitesa di Boma; e.prevedeliao
GiAHsoHK, f<rf. II. 37 •
4^4 ISTORIA DEL RECSO DI flAPOLI
dov« jvrebbero dovute andare a torininar que-
ste icordie, proccurava di congimigersi siret-
tfl le co' Fraiiaesi , perchè non cosi ^ oleii-
essero questi a' continui inviti de' pontefici
lio. Era in questi tempi giìt morto Pipino,
noi ftgbuoli Carlo e Cartomanno avendosi
i
?ntaao i
sue fi: il
ptescntito , seri
Jueste nozze, i
!arlomanno , t
fiero, anathem.
sebbene concordi io
icuza gf4osia re^nava-
sun Hicurezaa strìnger
principi, ofTerendocIì
i. Stefano avendo ciò
eaente, per distornar
urte ietterà a Carlo e
loro, ile t' a e consentisi
n, et. twtenti ciun dia-
bolo incrndii poctiam ( ). Ma non o.sUuUe i suoi
sforzi, si sposarono felicemente le due sorelle
figliuole ambedue del re Desiderio, il quale seppe
così bene impegnar Bertrada madre di Carlo e
Cartomanno*, che per impulso ddla medesima
si conchiusero i matrìmonii. Il dispiacere dd
pontefice non fu minore del contento* di Desi-
derio , il quale credeva in cotal maniera avergli
clùusa ogni strada di soccorsi. Ma questa al-
leanza non durò guarì, poiché non mancarono
modi dì far sì che Carlo ripudiasse la princi-
pessa sua sposa, sotto pretesto d'esserle sco-
verta un'infermità che la rendeva inabile d'aver
figliuoh. Né alla stranezza del fatto manc& il
presidio e rautorìlà della legge, perché furono
presti molti vescovi a dichiarar il matrìinonio
nullo , ed a permettere che Carìo l' anno seguente
t*) Tom. 6. Conc. eoi, i
Lino <ii)tirTO 4^^
■i «posaaM Ildegarda di Sveria.. Si accese po'
qiM!8to rìpudìo d' ira e di sdegno il re Deaide-
no'y ed essendo accaduta poco tempo da prà
la morte di Caiiomaono, la regina Berta rimasa
vedova con due figliuoli, temendo di non star
aicttra in Francia , e che Cario non ioddiasso
k vita de' suoi nepoti, come aveva loro tolto
il regno , andò precipitosamente a gettarsi 60*
figliuoli tra le braccia di Desiderio suo padre,
il quale ricevè dì buon animo questa occasione
per potersi -aa giorno vendicar di Cario che
gli '' aveva poco innanzi rimandata la figliuola.
Tentò Desiderio, postiai in mano i figliuoli
di Carlomaniio, di lonilar un potente partito,
e di mettere la Francia in divisione e 8COi><
certo , perchè occupata ne* proprii mali non
potesse pensar alle cose d^ Italia, Era intanto,'
morto Stefano, stato eletto nel '^•^3 Adriano I,
fl quale sul principio del suo pontificato trattò
eoa Desideno dì pace, e tra loro fermarono
convenzione di non dÌ8turi>ar8Ì l'un coli* altro.
Perciò jpesiderio credendo che jquesto nuovo
pontefice fosse di contrari! sentimenti de* suoi
predecessori, pensò, per meglio agevolar i suoi
disegni, d' indurlo a consccrare i due figliuoli
di Carlomanno per re. Impiegò quanto potè
e quanto seppe con preghiere e promesse per
obDlìgario di venire ad ìmgere questi due prin-
cipini, 'ed a fargli riconoscere per re di Fran-
cia. Ddr esempio di Pipino e de* suoi fieliutJi
erasi già pian piano introdotta tra* principi
cristiani la cerimonia della consecranione , M
quale appresso ì popoli era riputata come una
marca e nota cui principato , e che quelli i
4^6 ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
quali fossero stali uDti^ dovessero riputarsi
per re giusti e legittimi^ ed esser da tolti
conosciuti per tali. Ma Adriano che intema-
mente covava le medesime massime de' aooi
predecessori , e che non meno di coIoto aveva
per sospetta la potenza de^ Longobardi in Ita-
lia^ non volle a patto alcuno disgustarsi il re
Carlo f ed a* continui impulsi che gli dava De-
siderio j fu sempre immobile. Onde questi ade»
guato y e finalmente perduta ógni pauenasa j
credendo colla forca ottener qudlo a che le
preghiere non erano arrivate , invase T esarcato ,
ed in un tratto avendo presa Ferrare, Cornac-
chio e Faenza ; designò, portar F assedio a Ra«
venna. Adriano non mancava per legisti di pla^
cariO| e di tentare per mezzo degh stessi la
restituzione di quelle città ; né Desiderio si
rebbe mostrato renitente a fario. purché il
Ì>ontcfice fosse venuto da lui j desiaerando par-
argli e seco trattar della pace. Ma Adriano ,
rifmtaiKlo F inrito ed ogni ufficio j si ostinò a
non voler mai comparirgli avanti^ se prima
non seguiva la restituzione delle piazze occu-
pate. Cosi cominciavano pian piano i pontefici
romani a niegare a^ re d Italia que* rispetti e
quegli onori che prima i loro predecessori non
isdegnavano di prestare. Desiderio irritato mag-
giormente per queste superbe maniere di Adria-
no, comandò subitamente che il suo esercita
marciasse in Pentapoli, ove fece devastar Si-
nigaglia , Urbino , e molte altre città del Patri-
monio di S. Pietro sino a' contorni di Roma.
Questo fu che accelerò il corso della fatai mina
dc^ Longobardi, perchè Adriano non mancò
LISRO QClIfTO 4^7
tosto di ricorrere in Francia , e dimandar lion
pure soccorsi da Cariò, ma invitar questo prìn-
cipe ali* acquisto del regno d' Italia j e perchè
tenevan i Longobardi chiuse tutte le strade di
terra, specUgli per mare un legato a sollecitar
la sua venuta.
Non mancò Desiderio all^ incontro , subito
che fu avvisato di questo ricorso , di mostrare
al re Carlo V inclinazione eh' egli diceva di aver
tenuto sempre alla pace con Adriano , alta-?
mente dolendosi della costui durezza, che avendo -
egli offerta la pace e dimandato di parlargli,
aveva ricusato di fallo. Né cessava in oltre
con lettere a varii principi , e con pubblici
manifesti dìfeiidersi dall' accuse d'Adriano , il
quale lo pubblicava appo i Franzesi per di-
stniltor della Toscana, per barbaro, inumano,
fiero , crudele , dipingendolo reo di molti de-
litti j tanto che per purgarsene si trpvò Desi-
derio nella necessità di spedir legati a Cario
in Francia , ed assicurarìo eh' egU avrebbe fer-
mata ogni pace col papa , e reudutogli ciò
eh' e' poteva da Ini pretendere.
Ma Carlo , che non aspettava altro che sì
beUa opportunità di vendicarsi di Desiderio ,
il quale con tenere in suo potere i suoi nepoti,
tentava dividergH il regno , e' che non poteva
aspettar miglior occasione per discacciar d'Ita-
lia i Longobardi, ricevè con incredibii con-
tentezza r invito fattogli da Adriano. Egli t«v-
vava'sì allora ( per le tante vittorie riportate in
Aquitania ed in Sassonia ) tulio glorioso e for- .
midabile in Tionvilla su le sponde della
sella. QmJn ricevè il legato del papa, • l"
438 jISTOnU DEI, BBGWO m VkPOU
insieme udienza agli ambasciadori di Deside-
rio da' quali subito disbrigatosi , con riman-
dargli indietro senza niente concliludere , ac-
cettò con sommo piacer suo la proposta de!
pontefice , e tosto ponendosi alla testa d' un
poderoso esercito , sforzò il passo dell'jUpi in
1 _ I 1_: .. jg^zi que' Longobardi
due luoghi, t;
che lo direndf--
Desiderio
. in persona
incalzata da yjs
cito disfatto e
solsc di difci
Carlo non man
diaria , e fra t;
sforzò Veroiiii
ritirato Àdalgì
ie accorse aneli' egli
.to per impedirlo; ma
grosso del suo eser-
a ritirarsi ^ onde ri-
'avia j ove si chiuse,
dì strettamente asse-
na parte delle truppe
di'Ulro della qiial città erasi
_„ , per difenderla , insieme con
Berta ed i due suoi figliuoh. Quando questo
prìncipe ridesi stretto , disperando della for-
tuna ai suo padre , e di poter difendere quella
piazza, se ne fuggi, prima che ella cadesse
in poter di Carlo ; e dopo esser andato lungo
tempo ramingo , vedendo finalmente che tutto
" era perduto per li Longobardi, salvossi per
mare in Costantiuopnh , ove fu dall' imperador
Lione figliuolo di Copronimo con molto pia^
cere ricevuto sotto la sua protezione. Que di
Verona subito che videro uscir Adalgiso dalla
piazza , si diedero in poter di Carlo , il quale
presa Berta co' suoi figliuoli, tosto gli mandò
in Francia , senza che siasi potuto saper da
poi ciò che seguisse di questi due infelici prìn-
cipi , de' quali non s' è mai più sentito parlare.
Tutte r altre città de' Longobardi , sovvertite
LIBRO QUIUTO 4^9
{)er opera e macchinazione del pontefice, da
oro stesse renderousi a Carlo. Kestava Pavia
solamente , la quale difesa da Desiderio si mau-
tcneva ancor in fede.
Cario , cinta cb'ebbe Pavia di stretto asse-
dio , volle passar in Roma alle feste di Pasqua
dell' anno 7^4- ^^ eccessi d' allegrezza che
mostrò Adriano , gli onori clie gli fliron fatti
da' Romani e dal clero, guidando ogni cosa,
il pontefìce , furono incredibiti. Fu salutato re
di Trancia e de' Longobardi insieme, e patri*
zio romano , incontrato un miglio fuori delle
porte di Roma da tutta la nobiltà e magistrati.'
e dal clero in lunghi ordini distinto con cróci
ed inni ricevuto. Dopo eli applausi, e le feste,
si venne a ciò che più importava. Fu tosto.
' dal papà ricercato Cario a confermur le dona-
zioni di Pipino suo padre , che aveva fatte alla
Chiesa di Roma. Non volle costui esser molto
pregato a confermarie , come fece di buona
vogua , e facendone stipulare nuovo strumento
per mano di Eterìo suo notaio , sottoscritto
da lui , da tutti i vescovi ed abati, da' ducliij
e da tutti que' Grandi eh' eran seco venuti ,
super Altare B. Petri manu propria posuit,
come dice l'Ostiense (*).
Anastasio Bibliotecario , come si è detto ,
motto ingrandisce questa donazione di Cario.
Oltre all'esarcato di Ravenna e Pentapoli, ri
aggiunge r isola di Corsica, tutto quel!' ampio
paese che da Luni , calando nel Sorano e nel
monte Bordone , abbraccia Vercetri , Parma ,
Reggio , Mantova e MonseUce , le. provìncie di
43o ISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI
Venezia e d' Istria , ed i ducati di Spoleli e
di Benevento. La Crouiica del monastero di
S. Clemente narra che Carlo aggiunse alla do-
iiuzioiie dì Pipino solamente questi due ducati.
Sigonio poi e gli altri più modcnii scrittori,
di ciò non ben soddisfatti , aggiungono il ter-
tra r Umbria ed il
mia , e della Cjiiipagua
(') , ciù che dee re-
to aucli'cgii da' vaua-
colanto ingrandiscono
ignilìcar in conseguenza
aggiunge tutta la Cam-
loli, gu ApruKzi e la
' con ciò r origine delle
iive-stiliuv. Altri
rilorio , Sabiii
Lazio, parte
ancora. Pietro
.oar pili marat
gloriosi Fran
questa donaz
la liberalità I
pagna, e co..
Puglia ancora,
nostre papali
anche la Sassonia da Carlo allora soggiogata |
di più , che facesse anche dono di provincie
non sue, e che non acquistò giammai, cioè
della Sardegna e della Sicilia ; e che sopra tutte
queste provincie e ducati s' avesse egh sola-
mente riserbata la sovranità. Ma e gli antichi
annali di Francia , e la sene delle cose se-
guenti , ed il non averci potuto T archivio del
Vaticano dare T istromcuto di questa donazio-
ne, dal quale n'escono tanti altri d' inferior
dignità, dimostrano per favolosi tutti questi
racconti, e convincono che Carlo non fece al-
tro che confermare la donazione di Pipino del-
l'esarcato e di Peutapoli. Ed intanto alcuni
scrissero che l'avesse anche accresciuta, per-
chè molti luoghi deQ' esarcato e di Pentapoti
che da' Longobardi erano stati occupati , in-
C) P. Ae Marr» Hi- Conc«rd. Sue. et Imp. I. S. e. i
LIBRO QlII>TO 4^1
sieme co' patrìmonii che ia Chiesa romana posse-
deva nfl ducato di Spolctì e iti quello di Bene-
vento^ nella Toscana , nella Campagna ed altrove,
eli' erano stati parimente occupali da' Longo-
bardi j fece egli restituire. Ed in questi seusi
l'aolo Emilio (*} e gli altri autori dissero che
Carlo non solo avesse confermati i doni di Pi-
pino suo padre, ma anclie accresciuti. Ciò che
si con%ince manifestamente dall' istoria delle
cose seguite appresso ; poiché Callo sotto il
nome del regno d' Italia si ritenne, la Liguria , '
la Corsica , Emilia , le proviiicie di Venezia e
deU' Alpi Cozzie , Piemonte ed il Geiiovesato,
che avea tolti a' Longobardi, e fatti passare'
sotto la sua dominazione : uè si legge <^"^ que-
sta par^ d' Italia fosse stata mai posseduta
da' pontefÌLÌ romani.
Molto più cliiaro ciò si mamfesta dal ve-
dersi elle que' tre famosi ducali , del Friuli ,
di Spoleti ed il nostro • di Benevento , mai non
fiirono posseduti da' romani ponteGci; come nel
seguente libro di questa Istoria si conoscerà
chiaramente : cioè che questi tre ducati ebbero
i loro duchi, né Carlo vi pretendeva altro, che ,
quella sovranità che v' avevano avuti i re Lon-
;obardi suoi predecesscn : anzi i nostri duchi
li Benevento scossero affatto il giogo, e si
sottrassero totalmente da lui , negandogli qua-
lunque ubbidienza , e vissero l'beri ed ìndepen-
denti. Né la città di Benevento, se non molti
e molti amii appresso, fu cambiata colla chiesa
dì Bam'^erga , e conceduta alla sede di Bomaj
O P«ul. JEmìì. Rer. Frane, p. i«.
l"
433 ISTORIA DEL REGRO DI HÀPOLr
ma non già il suo ducato, che fu sempre pos-
seduto da' nostri principi.
Dali' aver Carlo fatti restituire i patriiuoiiii
che la Ciiiesa roaiana possedeva nell Alpi Coz-
zie , ne' ducati di Spoleti e di Benevento , nac-
que r errore di quegli scrittori , i quali con-
dell'Alpi CoKzie colla
di Benevento col du-
no che Carlo donù» a
quella provincia. Cosi
uirìano si legge de* du-
levento donati a S. Pie*
in di questi patrinionii
uè quando l' iroperador
I e F altro Ottone re di
fondendo il [
provincia, il r>
calo benevei
S. Pietro que'
ciò che nell' e
cati di Spolp'
,tro , non d'
' si dee intendei
Lodovico Pio ,
Germania confermarono a Pascjuale I ed a Gio-
vainii XH i patriiuonii beneventano , salernitano
e napolet^ino , siccome anche fece l' imperador
Errico IV a Pasquale li non altro intesero se non
di quelle terre e possessioni die la Cliiesa ro-
mana , come patrimonio di S, Pietro , possedeva
in queste provincie , che anche i nostri antichi
chiamarono justUias Ecclesiae (a). Solo dunque
<a) -Nil diploma della fonfirma a sia precetto /alio da Ot-
tone M. al poiilefict nel gfia , rapportato dal Baronia an. 963,
n. 3 . tspnssamtntt ciò si legge m quelle parole : Siculi fi p«-
ti-imoDiiim Bfnetdilanum rt palrìmonium NFapoliUnum ci p»>
trimunlum Calabriae superiori! (t iufrrioris. De Civitale aut«a
Nrapolilana ciim ciutcllis et terriloriii rt finibui et intulij luit
■ibi prrtincntibiii, licut ad fssdem irauirrre yìdcatur; nec .non
patrimoDÌum Siciliar', li Deus nosrrì» illud ItadiderK manibui;
tiniili mudo civi'tatriD Cajctaiii et fundum cucn oiiinibui rorutu
pn'linentìit ec. Binio in Nolii ad Cune. Lairran. .\. ina. n. 7,
Conci), par. 1. fol. 544. rapporta un roiisimiU prereito dell' im-
perador Errico IV fatto a Pasquale II, owe pur li legge ; Ju-
rrjurando lìrmaiit de Anoitolici iptitis vita et hounre , de inrm-
brÌ9 , de niala eaplionc, de rrgalibui; ri i ani patrimoni is B. Pelrì,
et noininatiin de Aputia, CaUhiia , Sicilia Capuaaoque PrincH
|ialu factii Sacnmnitii,
LiB&o QUiirro 4^3
Pesarcato di Raveuna, PentapoU ed alcuni luo-
ghi del ducato romano passarono nel dominio
della Chiesa di Roma , nserbandosl il re Carlo
la sovranità. Anzi in Roma stessa e nel ducato
romano eran ancora in quelli tempi rimasi ve-
stigi della dominazione degl'imperadorì d^Orìen-
te, i quali tuttoché deboh vi tenevano tuttavia
i loro ufficiali , ed erano ancora riconosciuti
per sovrani , ìnsìno che a' tempi di Lione HI
successor d'Adriano non si pose il popolo ro-
mano sotto la fede e soggezione da re Carlo,
che vollero anche da patrìzio innalzare ad im-
perador romano. Niente dico dell' Isole di Sici-
lia e di Sardegna non mai da Cario conquistate,
le quali 5iron lungamente possedute dagl'im-
peradorì greci , infiuchè i saraceni non gliele
rapirono.
Cario adunque, dopo aver in colai guisa sod-
dbfatto il papa ed ì Romani , fece ritorno al
campo appresso Pavia ; né restandogli altra im-
{)resa, clie di ridurre quella città sotto la dì
ui ubbidienza , pose ogni sforzo per impadro-
nirsene, perchè quella presa, essendo capo del
regno, non restasse altra speranza a' Longo-
bardi di ristabilirsi nelle città perdute. La strinse
perciò più strettamente , e togliendole ogni adito
di potOT esser soccorsa ; Desiderio che sin al-
l'estremo proccurò difeuderla, essendo la gente
aflUtta non men dalla fame che dalla peste ,
che tutta la consumava ; finalmente m quest'an-
no 774 f" costretto di render la piazza, se
stesso, sua moglie e i di lui figliuoli alla discre-
zione dì Cario, che fatUgli condurre tutti in
434 UTOftià DEL EIGSIO W HAPbLl
Frfocia^ fimroiui quivi i gionii loro in Cor-
beia^ seniA che. piai di loro 8Ì fosse inteso più
parlare. Così Carlo in una. seda calnp|&gna ai
-rendè padrone deD% maggior parte d^ luBa^ nui
non già di quelle provincie oùd^wa si compone
il nostro regno ^ non del ducato beneventano ,
oè di quel di Ixapoli^ né delTaltré. città ddSà
Calabria e de^ Bruzi , che lungamente . ai miaoi-*
tennero sotto la dominazione degP ìmpecadori
d^ Oriente y come vedremo nel seguente libro.
Elcco come cominciarono i romani pontefici
' a trasferire i regni da gente in gente. Quindi
avvemie che calcandosi con maggior espertessa
e desterìtk le medesime pedate da^ loro .> am^
cessorì, 'si rendessero a^ prìncipi trttnèndi; i
quaU per avergli . amici , poco curando là so»
vranità de^ ioro Stati e la propria dignità y ébg*
gettàvansi loro insino a rendersi ligi e tribù-
tari! ' di quella sede. Ecco ancora il fine del
regno de' Longobardi in Italia : regno ancorché
nel suo principio aspro ed incolto ^ pure si rendè
da poi così placido e cullo ^ che per lo spazio
di ducenlo anni che durò y pollava imìdia a
tutte Y altre nazioni. Assuefatta f Italia alla do-
minazione dc^ suoi re y non più come stranieri
gli riconobbe y ma come principi suoi naturali;
f)oicliò essi non aveano altii regni o Stati col-
ocati altrcve^ ma loro proprio paese era già
fatta r Italia y la quale per ciò non poteva dirsi
sena e dominat;i da straniere genti ^ come fu ve*
(luta poi^ allorché sottoposta con deplorabiU e
spessi cambiafmenti a vaiie nazioni y pianse lun*
gament^ la sua servitù. Questa era veramente
UBKO QUINTO 4^5
Cosa maravigliosa ^ dice Paolo Wariiefiido ,
e con esso lui P abate di ^esperga. che nel
regno de' Longobardi non si faceva alcuna vio*.
lenza y non sortiva tradimento, ne ingiustamente
si spogliava o angariava alcuno : non eran ru-
berie j non ladronecci . e ciascuno 3enza paura
andava sicuro dove gli piaceva. I pontefici ro-
mani y e sopra tutti Adriano y che mal potevano
sofferirgli nell' Italia . come quelli che cercavano
di rompere tutti i loro disegni, gU dipinsero
al mondo per crudeli , inumani e barbari : quindi
avvenne che presso alla gente e agU scrittori
dell' età seguenti acquistassero fama d' incolti e
di crudch. Ma le leggi loro cotanto saggie e
giuste y che scampate dall' ingiuria del tempo
ancor oggi si leggono , potramio esser bastanti
documenti della loro umanità , giustizia e pru*
denza civile. Avvenne a quelle appunto ciò che
accadde alle léggi romane. Ruinato F imperio,
non per questo mancò Y autorità e la forza di
quelle ne' nuovi dominii inEuropa stabiliti: rovi*
nato il regno de' Longobardi, non per questo
in Italia le loro leggi vennero meno.
CAPO V.
Le^ de* Longobardi ritenute in Italia , ancora
che da quella ne fossero stati scacciati : lora
giustizia e saviezza.
Le leggi de' Longobardi se vorranno Confe-
rirsi colle leggi romane, il paragone certamente
O P. Warn. Hbt. Long. Ub. 3. e. 6.
43G ISTORIA DEL REGNO DI NÀPOLI
sarà indegno ) ma se vorremo pareggiarle con
Quelle deÌT altre nazioni che dopo lo scadimento
delIMmperio signoreggiarono in Europa^ sopra
P altre tutte si renderanno ragguardevoli; cosi
se si considera la prudenza e i modi che usa-
vano in istabilirle^ come la loro utilità e giu-
stizia j e finalmente il giudicio de^ più gravi e
saggi scrittori che le commendarono. U modo
che tennero ^ e la somma prudenza e maturità
che praticai*ono i re quando volevano stabilirle ,
merita ogni lode e commendazione. Essi^ come
s'è veduto, convocavano prima in Pavia gli
ordini del regno , cioè i nobili e^ magistrati;
poiché Perdine ecclesiastico non era da essi co-
nosciuto , ne avea luogo nelle pubbliche deli-
berazioni, e né meno la plebe, la quale, come
disse Cesare parlando de Galli, nulli adhihe^
hatur Consilio, Si esammava quivi con matu-
rità e discussione ciò che pareva più ghisto ed
utile da stabilire j e quello sttibilito , era poi
pubblicato da' loro re negli editti. Maniera, se-
condo il sentimento di Ugon Grozio (*), forse
migliore di quella che tennero gP imperadori
stessi romani , le cui leggi dipendendo dalla
sola volontà loro, soggetta a Aarii inganni e sug-
gestioni, cagionarono tant' incostanza e varia-
zione , che del solo Giustiniano vediamo in mia
stessa cosa aver tre e quattro volte mutato e
variato parere e sentenza. Presso a' Longobar-
di, prima di pubblicarsi le leggi per mezzo de*
loro editti , erano dagli ordini del regno ben
esaminate e discusse 5 onde ne seguivano più co-
modi. 11 primo, che non v'era timore di potersi
<*) Dp:^ GroL in Prolrpom. ad Hisl. (lol. pag. (»3. ri scq.
libro' quinto 4^7
stabilire cosa nociva al ben pubblico, quando
y^ erano tanti occl\i e tanti savii , a^ quali non
poteva esser nascosto il danno che n^ avesse pp^
tuto nascere. Il secondo y cW era da tutti con
pronto animo osservato ciò che piacque al co^
mun consentimenlo di stabilire. E' per ultimo,
che non cosi facilmente eran soggette a variar-
si, se non quando una causa urgentissima il
ricercasse; come abbiam veduto essersi fatto
da que^ re che dopo Rotari successero , i quali
se non facto periculo j e dopo lunga esperienza,
conoscendo alcune leggi de* loro predecessori
alquanto dure ed aspre, e non ben conformarsi
a^ loro tempi renduti più docili e culti , le va^*
rìavano e mutavano col consiglio degli ordini,
n qual si prudente e saggio costume lodò an^
che e commendò presso a^ Sueoni, popoli del
Settentrione, quella pnidente e saggia donna Bri-
gida , a cui oggi rendiamo noi gli onori che non
si danno se non a^ Santi.
Se si voglia poi riguardare la loro giustizia
ed utilità, e pnma di ogni altro le leggi acco-
modate agU affari e negozi de^ privati, ed alla
loro sicurità e custodia , come sono i matrimo-
nii, le tutele, i contratti, le alienazioni, i testa-
menti , le successioni ab intestato, la sicurezza
del possesso, non potremo riputarle se non tutte
utili e prudenti.
Per u matrimonii molte provide leggi s^ am-
mirano nel libro secondo di quel volume (* ). L'in-
genuo non s' accoppiava con la hbertina , né il
nobile coUMgnobìle ; quindi essendo i re collo-
cati sopra la condizione di tutti , quelli morti ,
O U* Longob. I. a. tft. 4* ^ ^* 7* ^> 9*
438 ISTORIA DEL REGlfO DI ìilPOLI
le loro vedove noti si collocavan poi con altri,
se non eran di regal dignità decorati. Ma Giu-
sliuiitno prese Teodora dalla scena con gran vi-
tuperio del principalo. Quelli che non eran nati
da giuste nozze, non si creavano cavalieri, non
eran auimcssi al magistrato , anzi né meno a
render testimònijin " profuse donazioni tra'
mariti e mogli e te. Pnidentissima fa
perciò la legge dj indo , colla quale fii
■ posto freno al dr utino , che solevaii i
mariti fare alle m aitino dopo la prima
notte del loro ce ,ento, che i Longo-
bardi chiamavano gap (i). Solevaii so-
vente i mariti Idi , allettati da' vezzi
delle novelle spo tutto. Luitprando (a)
proibì tanta prolusione, e slabilì chf non po-
tessero eccedere la quarta parte delle loro so-
' stanze. E per gli esempi che rapporta Ducan-
ge. si vede che per tutto l'undecima secolo iu
la legge osser%'ata. Ed è veramente nuovo e sin-
golare citi che l'abate Fontanini nel suo libro
contra il P, Germonio rapporta di alcuni atti
che pubblicò d'una notizia privata dell'anno 1 163,
nella quale si legge che un tat Folco da Civi-
dale del Friuli dona a Gerltnt sua moglie tutto
il suo, omnia sua propter pretìum in mane quando
surrexit de lecto. Gli adulterii erano severamente
puniti ; le nozze fra' congiunti , secondo il pre-
scritto non men delle leggi civili che de' cano-
ni, erano vietate j e Luitprando (ó) istesso rende
a noi testimonianza che fu mosso a vietarle
(O VÌHe Grot. in Lriiro.
(3) Luilprand, LL. Lonj;. I. i. tir. 4-
O) LiiifpranJ. Irg. 4- til, de proh, tiiipl.
LIBRO QUIXTO ^'Si}
anche con sue leggi; Qniaj com'è* dice, Deo
teste , papa urbis Romie , qui in omni nvindn
caput ecclesiiirum Dei et sacerdotum est, per
suame pistolam nos adliortatus est, ut tale cori'
fUffum fieri nuUatenus permitteremus.
Alcuni s'offendono che in questo secondo li-
bro delle leggi de* Longobardi (i) si legga per-
messo il concubinato, vietandosi solamente che
in un istesso tempo si possa tener moglie e con-
cubina, non altnmente che due mogli, essendo
anche presso a' Longobardi vietata ogni poli'
gamia. Ma tralasciando che qnclln legge fu dì
Lotario , non giù d' alcuno de* re Longobardi^
questa maraviglia nasce dal non sapere che presso
a Romani il concubinato fu una congiunzione
legittima (a) , non pur tollerata , ma pcmiessa ,
ed era perciò deLto semimatrimonitiin, e la con-
cubina era chiamata perciò semìconjux (3), e
lecitamente l'uomo poteva avere per ?ua com-
pagna o la moglie o la concubina , non però
m un medesimo tempo e moglie e concubina
insieme, perchè questa era riputata poligamia,
non altrimente se tenesse due mogli (4). Que-
sto istiluto fu continuato anche da poi die per
Costantino Magno l'imperio' abbracciò la nostra
rehgione, il quale ancorché ponesse freno al con-
cubinato, non però lo tolse; ed appresso i Cri-
stiani di più nazioni d'Europa per molti secoli
fu ritenuto : di che fra gli altn ce ne rende certi
un concilio di Toledo, ove fu parimente stabi-
lito che l'uomo, sia laico sia chcrico, d'una
<■> LL. Long. lib. a. lil. r3. I. 7.
(a) L. (1 qua ilìuit. C. ad S. C. Orf.
<3) Cujie. in Pani, m Pinci, lil. de Canciih.
(4) V. Coanin. lib. 8. eoinrornl. Jur. cÌT.Amu. dr jiir. Cnnitul>-
44o ISTORIA DEL REGXO DI MAPOLI
sola debl)a contentarsi , o (!i moglie o di con-
cubina, iion già che possa ritenere in uno stesso
tempo tutte due (i). Ma vietatosi poi nella
Chiesa latina a' preti affatlo di aver moglie , ed
in conseguenza di tener anche concubine, poi-
ché gli ecclesiastici per la loro incontinenza non
potevan vivere Sfih . si ritennero !e concubine.
Fu per isradicar ;ostume in vani coo-
cihi severamente loro di tenerle. Non
ebbero queste j gran successo, e fii-
ron di poco prt i era V osservanza , ed
i preti non poti atto alcuno distaccar-
sene. Furono pt cati i divieti : non vi
era conciho cut ;asse, che con severe
minaccie non ìr.^ sempre il medesimo ,
detestandosi il coi..- >, e predicandosi peg-
gior dell'adulterio, deli incesto, e più grave d'o-
ghi altro vizio. Quindi nelle seguenti età il nome
del concubinato, che prima era riputato una
congiuuzion legittima, fu Fenduto odioso ed oi^
rendo in quella maniera eli' oggi si sente. Nel
regno d' Itaha non pur presso a' Longobardi ,
ma anche cpando passò sotto la dominazione
de' Franzesi , durava ancora l'istituto de' Ro-
mani. Appresso alcune altre nazioni d' Europa
era anche il concubinato riputato legittimo , e
Cuiacio testimonia che anche a' suoi tempi era
ritenuto da' Guasconi e da altri popoli presso
i Pirenei (2). In Oriente per le Novelle di Ba-
silio Macedone (3) e di Lione fit il concubinato
(1) Gratìan. in Dfcrr^. Diil. 34. can. 4- ^t 5-
(3) Cujac loc. cit. AaHio tamm con) rctiaere districte Voieo-
nca , et Pyrnicm.
(3) Novrl. Baiit. Micril, npiid. LetiDcl. Jur. Gr. Roidiui. )ib 1.
LIBRO QOIHTO 44 1
proibito } ma quelle iioii ebbero alcun vigore
nelle provincie aEuropa, come qudle ch'ei'aiio
state sottratte dallMniperìo , ed ubbidivano a*
loro principi iiidepeudentemeute dagl' impera^
don aOrìenle: ciò che merìterebbe mi discorso
a parte; ma-taiito basterà per ciò cbe riguarda
il nostro istituto.
Intorno alle tutele furoU' dati savii provvedi-
menti. Eran i pupilli raccomandati ugualmente
agli agnati , che a' cognati; ma de' pupiUi no-
bili il principal tutore era il re 0- Quindi ap-
Eresso noi nacque T istituto di darsi dal re il
alio a' baroni, e prendersi da lui le lettere dd
baliato. Davano ancora alle donne per la loro
imbeciUità un peipetuo tutore, ch'essi chiama-
vano mundualdo, u quale s*" assomigliava in gran
E arte al tutore cessìzìo de' Romani antichi, sotto
I cui autorità eran sempre le donne di qua-
lunque età fossero, ed ancorché a nozze pas-
sassero; ond'è cbe ancor oggi in alcuni luoghi
del nostro regno sia rimase di loro alcun ve-
stigio.
m' contratti l'equità e la giustizia fu unica-
mente ricercata. I contratti de^ maggiori, diflS-
nendo la maggior età nell' anno decim' ottavo,
eran ben fermi, né alle restituzioni soggetti. 'I
creditori ed ì compratori erano sicuri di non
esser fì-audati e delusi per le tacite ipoteche «
per g^. occulti fedecommessi ; imperocché si fa-
cevan passare tutti i contratti, le vendite, i
pegni , i testamenti stessi sotto gli occhi ed
avanti i magistrati, ed al cospetto del popolo.
O Grot. in Prolrgom. ad Hist. Gol. pag. 6G.
44^ ISTORll DEL RCGZIO DI 7tÀPOÌ.l
V ordine di succedere ab intestato era sctnpU-
cissimo : colui cli'cra più prossimo in grado ^
era l'istesso che l'erede, eccetto solamente che
i figUuoU e' lor desceiidenti erano preferiti a'
genitori.
I giudicii, che appresso i Romani eran tratti
in immenso con
sostanze e cruc
bardi eran brevi
rità de' litigant-
pieggierie. A' g
tiito: nelle qui;
suoi testimoni
dagnava , che
gior numero et)
ambigue si ricorre
'Ispendio delle proprie
limo , appo i Longo-
travaghosì. La torne-
ata da' pegni e dalle
e era piti facile e spe-
itto portava l'attore i
' ì suoi j e colui gua-
nto avea di lor niag-
Ndle cose dubbie ed
.eligione de' giuramen-
ti. Qupslo sì dava al reo, ma con mollo riguar-
doj cioè se produceva testimoni di provata fama
che deponessero ed attestassero della di lui pro-
bità e religione , e che essi volentieri credereb-
bero ai suo giuramento ('). Rade eran le qui-
stioni di legge ; e se pur accadevano , non dagli
infiniti volumi degl' interpetri , ma da' semphci
e piani detti delle lor leggi , dal giusto e dal
ragionevole prestamente eran decise. Pronto era
il rimedio nelle perturbazioni di possesso , e su-
bita la restituzione, andando il giudice co' te-
stimoni in sul luogo a conoscer dello spoglio,
e ad immantenente ripararlo.
Nella cognizion criminale de' delitti eran due
cose saggiamente osservate: la violazione della
ra^one e società pubblica , e di qitella del pri-
vato. Per questo due multe furono introdotte :
ì Hi*i. Jur. Crim.
pei
LiBao Quiirro 44^
coU'una ti rìparava al danno del prìTatOj clie
chìsmarOQO wedjìgeìdimn, cioè quel che si dava
er lo taglione j coli' altra si riparava alla pub-
lica pace,* che dissero per ciò Jedra, e si dava
al re , o al comune di qualche città. Commenda
Ugone Grozio (*) questo lor istiluto di non spar-
gCTQ il sangue de' cittadini per leggieri cagioni.
ma Solo per gravissime e capitali. Ne^ minori
delitti hastava che per danaro si componessero ,
ovvero che il colpevole passasse nella serviti^
dell'offeso in cui s'era peccato.
I beni de' condannati erano salvi a' loro fi-
gliuoli, né' stavano soggetti a confiscazioni. Nelle
cause criminali non ammettevano app^laziooij
né questo portò a Grozio alcuna maraviglia ,
come non debbono altri averla; poiché i Pari
della curia con somma religione e clemenza de^
lor pari giudicavano. Quindi presso di noi nac-
que l'istituto che le cause capitali de' baroni
non potessero decidersi senza quelli , che di-
ciamo Pares CurìcB.
\ "riti e le solennità ch'essi usavano nelle ma-
numissioni e neli' adozioni , eran conformi a'
lor costumi feroci e guerrieri. Le manumissioni
come, c'insegna Paolo ^amefrido, si facevano
per sagUiam, le -adozioni per arma, siccome le
ahenazioni per ^bce ^stuciBve confectìonem
in sinum emptoris.
Dispiacque a molti quell' antica consuetudine
de' Longobardi, che in alcune cause dubbie ed
ambigue e ne' gravi delitti se ne nommettcsse
la decisione alla sìngular pugna di due, che
O Ufo Grot. M Prolfg. ad liiil. Gnl.
444 ISTORIA. DEL necno di WKVOht
chiamiamo duello. Fu veramente il duello an-
tica tisanza de' Longobardi, che poi pHSsala iii
legge, fu per molto tempo pralicalii uoii pur
da loro , ma da molte altre nazioiK , le (mali
da' Longobardi rappresero', lu fatti T istorie loro
sono piene <li questi ducili ; e memorando fu
quello di Ad"'-'*'" "'•" di adulterio aveva ten-
tata la regina u^ a (i), ed avutane ri-
pulsa, per vendi ricorse al re Arioaldo
suo primo luarlb ale accusandola falsa-
mente die ìnsiem' one duca della Toscana
gf insidiasse la regno, fece imprigio-
nare quella infeii ipessa. Di che ofleso
Clotai'io re di lai cui sangue discen-
deva , mandò le^i iovaldo con gajiUarde
richieste di dover iuolu ..aerarla. Al clie :iveiido
il re risposto eh' egh aveva cagioni giustissime
di tenerla prigione , e negando i legati ciò
che s' imputava alla regina , aflermando che
mentivano gh autori di tal impostura^ finalmente
Aiisoaldo uno di essi richiese al re che per
duello il dubbio dovesse trenninarsi. Vennero
alla pugna Fittone per la regina , e l' impo-
store Adalidfo pel re, nella quale restando f ul-
timo vinto, fu la regina Uberata e restituita al
suo antico onore. Questo genere di purga7.ione
fii cotanto commendato presso a tutte le na-
zioni^ che Cuiaclo (2) dice che anche fra' Cri-
stiani , così nelle cause civiU , come nelle ac-
cusazioni criminali , hi il duello lungamente
<0 Sigon. ad A. 63*.
U) Cuìnc. lib. I. dn Fend. lit.
JSt hnr gtnert purgalinnis din lui
yilibus , quam in criminalibus eausi
LIBRO QUINTO 44^
praticato, ed ì' nostri Franzesi normanni, fin-
ché tennero questo regno , sovente l' usaro-
no. Era ben da^ re longobardi ìstessi riputato
Un esperimento Gero eu irragionevole j ma as-
suefatti que* popoli lungamente a tal usanza , e
reputando minor mate , per placar V ira e lo
sdegno dì quegli animi (èrocì, commetter Taf-
fare al 'periglio di pochi, che di vedere ar- -
dere di discordie civili le intere famiglie, loro
non parve grave , se non necessario , iK ritener-
lo. Luìtprando, prìncipe prtidentissimo, beo lo
conobbe ', ma ad esempio di Solone , che dì-
mandato se .egli avesse date le migUorì leggi
che aveva saputo agU Ateniesi , rispose, le mi-
gliori che poievan confarsi a' loro costumi; così
egli in una sua legge altamente dichiarò questi
suoi sensi, dicendo che ben egli era incerto del
giudicio di Dio, e molti sapeva che per duello
senza giusta causa restavan pet'ditorì; ma sog-
giunse : Seti proptcr consuetudinem gcriiis no-
strtB Longobardontm legem impiam velare non
possumi^^s (*). La religione cristiana tolse poi
Juesta usanza , ma non si veggono tolte le ra-
ici onde con tanta facilità cotali efTetti ger-
mogUano ; ella è nata per isradicarìe intera-
mente , ma noi medesimi siamo queUi che le
facciamo contrasto e frapponghiamo impedi-
menti. La tolsero poi gli altri prìncipi, e presso
a noi l'imperadore Federìco U, e più severa-
mente gli altri re suoi successori.
' Dispiacque ancora queir altro gwcre di prova
del ferro rovente, dell'acqua fervente, orvero
O Lib. I. 1. 33. tir. g. de liumiLid, tibcr. hum.
>*.'
._■*.■ .. . . , .... ! ^ ,-
* ■ 1 ■■•■*■■ ■
'.et : y
' 44® UTORIA DVIi &IGNO H VÌPOLI
i' Baresi lungamente ritenes$CTo f usanse óe\
'Longobardi/ onde ii_ librò delie, lóro GònsoetiF-
dini fu ' compilato 3 pur confitòsano che-^fia da*
'Wmpi del re Ruggiero era già taf costuiooie ^ af-
fisitto mancato: Ferri ignil^j aqum fsxverttÌM^ ^
friffdiBf aut quodlibet judiciumi auod ¥ulfp
paribok nùncupaturf a nastris dpihus penitus
exuhwit (i). ^ ,V
Parve anche a mobi fiero e cnidde qnd oor
stumcì dì render cattivi i Cristiani^ e nceveme .
per la lìberU riscatti, còme.s^i vednto cfaeft^
cerò co* Grotonesi, e con ahre gpnli d(dlaLtattà
eh* erano in poter de' Greci loro nemici: <lal_
che altamente si auerdava ' S. GregcnJo BL Ib
questo' costume., siccóme fii nairato nd prece*
dente hbro, era allora indiffere n tennaate da talli
S ratinato; né mancano scrittori che lo ^ifim»
omo per giusto. ' •
Per queste cagioni leggiamo noi ne* più gtavi
autori cotanto commendarsi sopra tutte le stra-
niere nazioni la longobarda per gente savia e
prudente , e che meglio di tutte le altre avesse
saputo stabilire le leggi, con tanta perìzia ed
avvedimento dettate. Niente dico di Grozio (a)
che perciò tante lodi F attribuisce ; niente di
Paolo Wamefrido. Guntero secretano che fii di
Federico I imperadore , e famoso poeta di que* '
tempi, cosi nel suo Ligurìno cantò de^ Longo-
bardi.
4
Gtiu astuta , sagax , prudens , ùuUistrim , sKflers ,
- Provida Consilio , Itgum jurisquit perita.
(0 CoDfUft. Bar. Rubr. de Immatiit. ^ Mouomaf*hia.
(3) Ugo Grot. io Prol<'goui. jhI hist. Got.
./^
umo Quiirro 449
Né lo stile con cui furono quelle leggi scrit--
te, è cotanto insulso ed incolto, come pur troppo
lo riputarono i nostri scrittori. Ben iurono elle
giudicate daU* incomparabile Grozio dogno sog^
getto delle sue fatiche e de* suoi elevatissimi
talenti: aveva ben egli apparecchiato loro un
giusto commentario , siccome dell^ altre leggi del-
r altre nazioni settentrionali, cosi ancora di que*
ste de* Longobardi Ma pur troppo presto tolto
a noi da immatura morte, non potè perfezio-
narlo. È bensì a noi di lui rimaso un Sillabo (i)
di tutti i nomi e verbi ed altri vocaboU de^ Lon-
gobardi, per cui si scuoprono i molti abbati
presi da' nostri scrittori cne vollero interpetrarJe.
E Giacomo Cuiacio (a) ne* suoi libri de* Feudi,
i quaU in gran parte da queste legei dipendono,
sovente ne mostra molte voci delle medesime
reputate dalla comune schiera per barbare ed
incolte, ed a cui diedero altro senso, essere o
gi'eche, o latine, o dipendere con perfetta ana?-
logia da queste lingue. Così quella voce arga^
che s'incontra spesso in queste leggi; riputata
barbara^ e che i nostri vogUono che significhi
cornuto y come fra gli altri espose Maxilla nelle
Ck>nsuetudim di Bari (3), che da queste leggi
in gran parte derivano, presso a Paolo Wanie-
frido (4) non significa altro che inerte , scimu^
nUo, stupido ed inutile; e la voce deriva dal
(i) Questo Sillabo si Ifggt appresio l' Istoria c/e' Goti di
Grozio,
, (a) Ctijac. de Feud. I. i. Ut. s.
(3) Maxilla io Consurt. Bar. rub. de Ar^a. Istud nomen Arga
est Longobardortim , et idem importai , quod uocare {diquein
cortiutum. Vedi Carlo Du-Frcsne in Le&ic. Latiaa<4>arbai*.
(4) Paul, Warnefr. I. 6. e, 8.
«
Giannole FoL IL ag
45o ISTOIUA. DEL IlEGSO DI IIAPOLI
greco argòs , che appo i Greci significa Io stes-
60, come dice Cuiacio (i), e lo conferma col-
l' autorità di Didimo. E ciò clic sovente occorre
in questi libri, astalium facerc , non vuol dir
altro che ingannare, e mancare ul prìncipe o al
commilitone del suo aiuto e soccorso, mentre
nella pugna ne t' " aggior bisogno, ed ò
in perìglio di vii» ncura farsi una cosa
asta animo, com ; leggiamo in questo
leggi, da voce la deriva j eh' è il mede-
simo che d'anim" i ingannevole. Plauto
in Pocnulo, act .
Mt-a sarort ita • ine animo «W.
Ed Accio appn ;
Parimente quell'altra voce Strìde, che in que-
ste leggi s'mcontra, e che presso a Feste è
ristesse che malefica, si ritrova ancora in Plauto
in Pseudolo, act. 3, se. 7.
Sttt Strigihxis... Vivis ronitVw inUstinaque exejunl.
ohe i Longobardi con voce prepria della na-
zione chiamarono anche Masca, ed oggi noi
chiamiamo Maga, o Strega.
L'uso del tàlenone dicliiarato da Feste, Ve-
gezio ed Isidoro, viene anche nettamente spie-
gato da queste leggi (2), Il tàlenone , come an-
che spiega la legge , non era altro che una trave
librata sopra una forca di legno, per la quale
$ì tirava con secchi l'acqua da' pozzi.
U chiamare le domie non casiile vergini in
CO Ciiiar. lor. rit.
(■•') LL. LoDgub. lib, a, lit. ile Luniiciil. libci. hstn- F. ■^.
oapillo f nop altronde deriva y che dalT istituto
de Romani y i quali distinguevan le vergini da
quelle che avean contratte nozze, perchè queste
velavano il lor capo , ed all^ incontro le vergini
andavano scov^rte e mostravano i loro capelli.
Galeno credette che i cavalli^ e, toltone i ca*
ni, ogni sprta di quadrupedi non potessero es-
ser mai rabbiosi. AlF incontro Absirto e Jerocle
Mulomedici (i) e Porfirio ancora contra il sei>*
timento di Galeno scrissero che potevan ancora
quelli esser rabbiosi. I Longobardi in queste loro
leggi (a) ricevettero F opinione di costoro • e ri-
fiutarono come falsa quella di Galeno. Molt^ altri
consimili vestigi di loro erudizione si scorgono
in quelle e molte altre voci di questo genere,
che ad altri sembrano barbare, quando traggon
la loro origine dalla greca 6 latina lingua , e
sono sparse in questi libri , che non accade qui
tesser di loro più lungo catalogo. Qascuno per
sé potrà avvertirle, e potrà anche osservarle nel
Sillabo che ne fece Grozio , del quale poc' anzi
si fece da noi memoria, e nel Glossario del
Ducange.
/• Leggi LongohariU lungamente rilenute nel ducato be^
ne^'entano^ e poi disseminate in tutte le nostre prò*
vincie ond^ora si compone il regno,
V eminenza di queste leggi sopra tutte le al«
tre delle nazioni straniere, e la loro giustizia e
sapienza potrà comprendersi ancora dal vtidere,
(0 De^ Mulomedici 'rctli G. Grotofrcdo uel CoiI. Tlt. ud 1. 3i.
de Giirso pubblico.
(a) LL. Longobar. de Pauperìe. I. a.
4^3 ISTORIA DEL REGNO DI KÌ.70LI
che discacciati die furono i Longobardi dal rfr-
gno d'Ilalia, e succeduti in quello i Frantesi,
Carlo re di Francia e d' Italia lasciolle intatte j
anzi non pur le confermò, ma volle al corpo
delle medesime aggiungerne altre proprie, clie
come leggi pure longobarde volle che fossero
in Lombardia, e > d'Itaha che a lui ub-
bidiva, osservate.
EgU ne aggiun
longobai'dt auoi p
come imperadore.
d'italìa, ovvero d
longobarda non
cosi ancora la I
Carlo né da' buc.
altre agli editti de' re
ori , che stabilì non
Francia , ma come re
u-di. E siccome la legge
re presso a' Franzesi ,
I o francica non fu da
>rì introdotta in ItaUa.
Oiulfi sì vede l'crror tlel Sif;unio (")( '1 «jualo
tre leggi vuole che nell' imperio de' Franzesi fio-
rissero in Italia: la romana, la longobarda e la
salica. Se non se forse volesse intendere che
appo i soli Franzesi che vennero con Carlo in
Italia, quella avesse forza e vigore. Pipino, suo
figliuolo, e successore nel regno d'Italia, e gU
altri re ed imperadori che gli succederono, come
Lodovico, Lotario, Ottone, Corrado, Eitìco e
Guido, non pur le mantennero intatte ed in vi-
gore, ma altre leggi proprie v'aggiunsero. E
quindi nacque che l'antico compilatore di que-
ste leggi raccolse in tre libri non pur le leggi
di que' cinque re longobardi , ma anche quelle
di (Jarlo M. e dcgh altii suoi successori insino
a Corrado, che come signori d'Jtaha le stabi-
lirono j le quali tutte leggi longobarde furon detlc-
(.'} Sigoit. He ft. lui. 1. 4. iuit.
Ma presso dì noi per altre più rileTanti ca-
lzoni turono mantenute e lungamente osserva-
te. Nel ducato beneventano, che abbracciava la
maggior parte di queste nostre provincie che
ora compongono il regno, sotto i re longobardi
loro autori, furono con somma venerazione ub-
bidite. Questo ducato, ch'era ancor parte del
regno loro, si reggeva colle medesime leggi. 1
re avevano la sovranità di queUo, ed i duchi
clic lo governavano, erano a loro subordinati;
e Desiderio , ultimo re , vi avea creato , come
s^ è detto , duca Àrechi suo genero. Ma mancati
in Italia i re longobardi, non per cpiesto man-
carono nel ducato beneventano i duchi ] anzi '
Arcchi , come diremo nel seguente libro , tol-
tasi ogni soggezione de' Franzesi , lo resse con
assoluto ed independente imperio. Volle di re-
gali insegne ornarsi, con scettro, corona e cla-
mide , e farsi ungere ed elevare in prìncipe
sovrano; e lo mantenne perciò esente da qua-
lunque altra dominazione : onde maggior piede
e forza presero in questo ducato le leggi lon-
gobarde, le quali poi si ritennero costantemente
da tutti i principi beneventani successorì. E di-
viso da poi il principato, e moltipUcato in tre,
cioè nel Beneventano , Salernitano e Capuano ,
che abbracciavano quasi tutto il regno , mag-
giormente si diffusero le leggi longobarde. Il du-
cato napoletano e le altre città deUa Calabria
e de' Bruzi, Gaeta, ed alcune altre città ma-
rìttime , che anche da poi durarono per qual-
che' tempo sotto la dominazione de' Greci, ri-
cevettero più tardi quelite leggi. Que.sti kioglii^
^54 ISTORIA. DEL BECSO DI. BA POLI
come soggetti agl'imneradori d'Oriente, si go-
vernavano colle leggi loro; e quali queste si fos-
sero, sarà esaraìiiato nel settimo libro, ove dt-lle
loro Novelle e delle tante loro compilazioni fa-
remo parola. Ma discacciati che ne fuiono i Greci
da' Nomianni, e ridotte tutte queste provincie
sotto il dominio d Normanni , a' Lon-
gobardi sMcceduti, le loro leggi, e le
diffusero per tutto ielle città che essi
tolsero a' Greci, ci >mo ne' seguenti li-
bri; onde avvenne essere stale queste
leggi mantenute in o altri principi che
non erano longo ;amente quelle du-
rassero, e meltes fonde radici in qiic-
s(e noslre provine., i a^Tenne ancora,
che sebbene si lasciassero intatte le leggi roma-
ne j e che ciascuno potesse vivere sotto quella
legge, o romana o longobarda eli' e' si elegges-
se (i)', nulladimcno per più secoli la fortuna delle
longobarde fu tanta, che bisognò che le romane
cedessero. Poiché e.ssendo in Italia e nelle no-
stre provincie introdotti in piiì numero i feudi, e
per conseguenza più baroni , ì quaU non con
altre leggi vivevano che con quelle de' Longo-
Lardi, si fece che tutti i nobili, alloro esem-
pio, \ivessero colle medesime leggi j onde, tol-
tone gli ecclesiastici . i quali anche per esecuzicie
dell'editto di Lodovico Pio (2) viveano (di qua-
lunque nazione si fossero) colle sole leggi de' Ro-
mani , queste appo gli- altri , come per tradi-
zione e come per antico costume, ebbero uso
(1) In LL, LouroK I. a. lil. 5fl.
<i) U. Liirt. Pii in LL. LrinRob. I. 3. I. 3;. I» LL. Bij.tiai.
ca|>. Ecdc^ii jiire tiomano >ivit.
LIBRO QUITITO 4^5
e vigore; ed esseiidpsì per T ignoranza del sé'
colo trascurati tutti i Codici ove eran registra-
te, si rìmaaero presso alla gente vulgare ed igno*
bile; la quale così nelle leggi come neir usanze
è Tultima a deporre gli antichi istituti de^ loro
maggiori , come più minutamente vedremo ne^
seguenti libri.
E <juindi parimente nacque che nel nostro
regno, a riguardo delle nuove costituzioni che
sUntrodussero da poi da altri principi norman-
ni, svevi e franzesi, la legge longobarda fu detta
Jus commune, siccome quella de^ Romani (i))
ma con questa differenza, che il Jus comune
de' Longobardi era Ìl dominante ed in più vi'
gore, quello de' Romani di minor autorità, ed
al quale rìcorrevasi quando mancassero le lou"
gobarde; e ciò nemmeno sempre ed indistin-
tamente. Per questa cagione avvenne ancora, chs
la legge longobarda fosse allegata ne^ tribuna-
ti , commendata da tutti , e riputata fonte an-f
Cora dell^ altre leggi che si andavano da' nuovi
principi stabileodo. Cosi veggiamo che i pon-
tefici romani spesso ne' loro decreti se ne val-
sero e l'approvarono (a). La legge feudale, che
oggi appresso tutte le nazioni d Europa è una
delie parti più nobili del Jas commune, non al- .
tronde che dalle leggi longobarde ricevè il so-
stegno, sopra le quali è fondata, come non
solo fra' nostri scrissero Andrea d'Isemia ed
il vescovo Liparulo , ma 1' avvertì ancora l' in-
comparabile Ùgon Grozio.
456 isTonu DEL heckò di napoli
Le costituzioni stesse di Federico II del iMy-
stro regno quasi tutte dalle leggi de^ Longobardi
procedono , come , oltre a' nostri , scrisse an-
che Grozio Oi ed è per se medesimo palese.
Le Consuetudini di Bari dalle leggi longobarde
derivano, come diremo quando della compila-
zione di quel volun tornerà occasione di
faveUarc.
Ma ciò che non jsciarsi , e die mag-
giormente fa cono tonta loro , ed il cre-
dito col quale lui i mantennero in que-
ste nostre provini. vedere che restitnita
già la giurispmdei'- la nell'accademie d'I-
talia ne' tempi di 1 dopo T avventuroso
ritrovamento delle e in Amalfi, e posto
ancor piede nella noslra Accademia a' tempi dcl-
l'imperador -Federico II, non per questo mancò
l'uso e l'autorità delle medesime. AMi i nostri
scrittori allora più che mai posero la maggior
cura e studio in commentarle; non altrimenic
che fecero Gregorio ed Ermogeniano , i quah
allora compilarono i loro Codici , per li quali
proccurarono che l'antica romana giurisprudenza
non si perdesse , quando videro che Costan-
tino M. colle nuove leggi tirava a distruggere
l'antiche de' Romani gentili. Co.ii veggiamo che
le fatiche posteli da Carlo di Tocco commen-
tandole, non furon fatte se non a tempo di Gu-
ghelmo re di Sicilia ; e quel!' altro commento
ch'abbiamo delle medesime d'Andrea da Bar-
letta, avvocato escale che fu dell'imperador Fe-
derico n, mostra più chiaramente che sino :i*
(*) Grrl. in Prolrgom. nd lisi. Gol. Jam, fero ijuat in rrgna
Tirapoli fano Sìcuhquc vaimi Comtitulionei a Fratriro J/ cvl~
ticliH, /itnt omnts Jìiaail t Irgilus I.on£oioidorum.
unto QtiiiiTO ' 4^7
tempi di questo prìncipe le leggi longobarde n^
nostro regno alle romane erano superìorì- e più
ancora ne^ tempi posteriori j per r altro che vi
fece Biase da Morcone^ che fiorì sotto il re
Roberto.
Netta considerazione delle quali cose se per
un poco si fossero fermati i nostrì scrittorì, a*
quali l'istoria fu sempre inimica, e che non fece
loro distinguere i tempi come in ciò si conve-
niva, non avrebbono ncohni i loro commentarii
d'infinite sciocchezze ^ insino a* dire (non sa-
pendo quali si fossero gh autori di queste leg-
gi) ch'elle furono fatte da certi re che ai chia-
mavano longobardi, cioè pugliesi, i quali venuti
dalla Sardegna , pnma si fermarono nella Ro-
magna , ed indi passarono nella Puglia, come
scrissero Odofredo, Baldo, Alessandro e Fran-
cesco di Curte, e, quel che è più strano, se-
guitali da Niccolò Boerio , che volte più tosto
credere a questi sogni, che dare orecchio alla
vera istoria.
Nò Luca di Penna, seguitato da poi, come
spesso accade, inconsideratamente da Caravita,
Maranta, Fabio d'Anna, e da altri nostri scrit-
tbri, avrebbe avuta occasione di declamar tanto
coutra il Jus de* Longobardi , e di chiamarlo
. asinino, barbaro ed incolto,~e fecce più tosto
che legge. Egli diceva così , perchè non seppe
distinguere i tempi ne' quali scriveva , da' se^-
coli trascorsi, ne quali queste leggi furono re-
putate le più coke e prudenti di quante mai ne
fiorissero in Italia. Egli scrìsse ne tempi ultimi
sotto il regno di Giovanna I , dalla quale nel-
l'anno i366 fii creato giudice della gran cor-
te, quando avanzandosi sempre più r autorità
453 ISTORIA DEL REGRO DI NAPOLI
e lo Splendore della legge romana, cominciava
già fra gli avvocali a dìspularsi qual delle due
leggi dovesse prevalere j oude è die egli tro-
vando altri clic, contra il suo sentimeiilo, coti'
tendevano a favor delle longobarde, si scagliava
contro di loro, cumulando di tante ingiurie que-
ste leggi. E non f
gonesi, che queste
niente con disusai
romane si restituii
è a noi Matteo di
dica che a' suoi
nostri tribunali le
lessero a quelle
avere inteso dagu «
[fa' tempi degh Ara-
si nostro regno ùniA-
::assero affatto , e le
me buon testimonio
tti , il quale sebbene
n vide mai che ne*
i' Longobardi preva-
li, testifica però di
vecchi elle ne' tempi
antichi fu osservato it contrario. Ma delle vicende
e varia fortuna di queste leggi non mancheranno
nei progresso di questa Istoria più opportune
occasioni di lungamente ragionare.
CAPO VI.
Della polizia ecclesiastica.
Le chiese d' Occidente si videro in questo
ottavo secolo in grandi disordini, e quella dì
Boma, che dovea esser chiaro esempio per l'al-
tre, fu la pili disordinata. Morto- che fu Paolo
nell'anno767 , invase la cattedra Costantino fra-
tello di Totoiie conte di Nepi. Questi con \io-
lenza e per via di trattati si fece prima elegger
papa , e poi fecesi ordinar sottodiacono , dia-
cono e vescovo. Alcuni ufficiali delia Chiesa di
LIBKO QOIItTO 4^0
Roma, non potendo soffrire questa violenza, ri-
corsero a Desiderio re de' Longobardi, ed avendo
ottenuto il suo braccio, ritomarono a,Boma con
una truppa di genti armate. Tolone gli assali, tua
nel comnattimento essendo rimaso ucciso, Co-
stantino fu scacciato, ed in suo luogo lu eletto
Filippo sacerdote e monaco. Ma non essendo
stato trovato abile al posto, fu costretto riti-
rarsi in un luonasterio , e Stefano W fu di co-
mun consenso eletto nel mese d'agosto dell'an-
no ^68. Dopo la costui elezione , Costantino fu
jgnominiosaniente deposto, e trattato d'una ma-
niera crudele: fu posto prigione, e gli furono
- cavati gli occhi. Stefano non trovandosi ben si-
coro, inviò un deputato in Francia, a fine di
(àr regolare quanto apparteneva agli affari della
Chiesa di Roma. Carlo e Carìomanno , a' quali
il deputato, dopo la morte del loro padre Pi-
pino, consegnò le lettere, jnviarooo dodici ve-
scovi in Roma, ì quali adunatisi in un concilio
con molti vescovi della nostra Campagna d'I-
talia, confermarono Stefano, e dichiararono nulla
l'ordinazione di Costantino. Stefano restò paci-
fico possessore di questa sede. Ma poi insorte
per I elezione dell'arcivescovo di Ravenna, e per
altre cagioni rapportate di sopra, gravi discor-
die tra lui e Desiderio, questi portando l'assedio
a Roma, esercitò ivi tanto rigore, che il papa
pien di spavento se ne morì il primo di febbraio
dell'anno 773, lasciando successore Adriano.
Non minori disordini accadevano nell'elezione
delle altre sedi minori. I favori de' principi, le
violenze, ì negoziati e le simonie vi aveauo'la
maggior parte. La disciplina era quasi che al-
Tinlutto mancata: vi era uoUa ignoranza e molta
^^aB
J^Go ISTOtllA DU. Meno DI IfÀPOLt
licen7.a fra i vescovi e fra i cherici. Non vì ora
dissolutezza die non commettevasi : tenevano
femmine in casa, andavano alla guerra, si ar-
rotavano alla milizia, militando sotto gli altrui
' stipendii; e scotendo U giogo, non ubbidivano
piij a' loro vescovi. I pontefici romani divenuti
potenti signori nel ale per la donazione
fatta alla Cldesa di da Pipino e da Cario
suo successore, C( ano sopra i principi
a stendere la loro i. Zaccaria , per aver
avuto gran parte azione del regno di
f rancia ne' Caroli Ldriano del i-egiio d'I-
talia ne^Franzesi, remeodi. Si pensava
con maggiore soli alle cose temporali ,
che alle divine e ^. e seguitando t<U altri
vescovi il loro esempio, venne a corrompersi
ed a mancare aDatto l'antica disciplina.
Dall' altro canto i principi del secolo vedendo
tanta comizione, s' alTaticavano a tutto potere
alla riforma del clero e della Chiesa; ed oltre
a ciò , dandosi loro così opportuna occasione ,
s'intrigavano molto più che prima nell'elezione
de' vescovi e degli altri ministri della Chiesa,
ed a disporre delle loro entrate. Lione Isaurìco
e gli altii imperarlori d'Oriente suoi siiccessoK
volevano esser tenuti per moderatori non meno
della polizìa ecclesiastica e della disciplina, che
de' dogmi ancora: promulgavano editti intorno
alla adorazione dell immagini , e toltone il solo
mìnistei'io del saciificarc , essi volevan esser ri-
putati i monarchi e presidenti delle chiese. Pre-
aidevano a' sinodi, e lor davano vigore: davano le
leggi , e componevano gli ordini ecclesiastici : so-
prastavano alle liti ed a'giudicii eie' vescovi e de'
cherici, alle elerioui che doveono Cirsi nelle sedi
LIBRO QOIlfTO 46*
vacanti, e ne* suflragi che doreano darsi: trasfe-
rìvano i vescovi da una sede ad un'altra: ab-
bassavano ed innalzavano le cattedre a lormodoj
dal vescovado al metrop'oUtano ed arcivescova-
do : di^onevano essi ì gradi ed t troni per la
gerarclua: partivano le diocesi a lor modo, ed
ergevano le chiese in nuovi vescovadi o metro-
poli. Quindi cominciossi il disegno d'attn^ireal
patriarcato di Costantinopoli molte etuese con
toglierìe a quello di Roma , siccome nel seguente
secolo fu ridotto a compimento. Gli tolsero in
fra Taltre, come direibo a suo luogo, la Sicilia,
la Calabria , la Puglia e la Campania , le quali quel
Satriarcato ritenne, finché per l'opera de' nostri
ormanni, e parUcolarménte del nostro Ruggie-
ro I re di Sicilia, non si fossero restituite a
quello di Roma. Maggiori stravaganze si videro
ne' seguenti tempi nella declinazione del loro
imperio , quando proccurarono interamente sot-
toporre il sacerdozio all' imperio j intomo a che
potranno vedersi Giovanni Filosaco (i) e Tom-
masino (a) che distesamente ne ragionano.
I principi d' Occidente ancorché non osassero
tanto, nondimeno collo spezloso pretesto di rì-
5 arare alla deformità del clero ed alla perduta
ìsciplina, s'intrigavano assai più di ciò che im-
portava la prptezione e la tutela delle lor chie-
se -y anzi ne primi anni di questo secolo , non
meno che gli ecclesiastici, deformarono lo stato
di queOe. Carlo Martello dopo aver preso il g(v
verno del regno di Francia, in vece d'apportar
if63 ISTOnU DEL BSGRO DI rrAPOLI
rimedio a' disordiiù die regnavano, si pose io
possesso de^ beni delle chiese, donò le badie
ed i vescovadi a* laici, distribuì le decime a*
soldati , e lasciò vivere gli ecclesiastici ed ì mo-
naci in maggioi-e dissolutezza.
In Italia, ed in queste nostre provincie che
eneventOj i re ed
Dntinue inimicìzie che
;fìci fatitori prin^a de'
, cagionarono non mi-
derio per le contese
IV intomo all'eie-
lele in arcivescovo di
[al papa, per vendi-
hi a Crìstofuno ed a
ubbidivano a' dui
duchi longobardi
tenevano co' rom
Greci, e poi de'
nore deformità, il
avute col pontefit
zìone fatta da lu
Ravenna, fallo s<
carsene fece cavai
Sergio uomini del piipa, e poi fece unclie mo-
rir Crìstofano, ed intimorì di maniera il papa^
che gli accelerò la morte.
Furono i Longobardi, non meno che ì Goti
e gì' imperadori d' Occidente suoi predecessori,
molto accorti a ritenere tutti i diritti che lor
dava la ragion dell'imperio. U dichiarare le
chiese per asili, e prescriver le leggi per quali
delitti potessero i sudditi giovarsi dell' asilo j
e per quaU il confugio ad essi non giovasse j
era della loro potestà. H re Luitprando , imi-
tando gì' imperadori d'Occidente, de' quali ci
restano molte loro costituzioni nel Codice di
Teodosio e dì Giustiniano a ciò attinenti, sta-
bilì ancor egli che gli omicidi ed altii rei di
morte non potessero giovarsi dell' asilo 0- In»"
pone a' vescovi , abati , e ad altri rettori delle
O !.. i. De hii qiii ad Erd. eoiifiigiimt. til. Zg. \. i. in LL.
LIMO QUINTO 4^
chiese o moDasterì , di non ricettargli , di nm
impedire ilmagistrato secolare volendogli estrap-'
re : e se daranno mano a fargli fuggire, o oc-
cultargli, oTvero ad impedire che non siano
estratti , loro si prescrìve ancora pena pecu-
niaria di 600 soldi (1). Ritennero ancora i no^
strì re longobardi la ragione dì stabilire leggi
sopra i matrìmonii (3), dì vietargli con chi
V onestà parentela o affinità recava impedì*
mento, dilGìure l'età di contraergli, dichiarare
r illegittimità delle nozze , degli sponsali e della -
prole , e di stabilire tutto ciò che riguarda il
maggior decoro ed onestà di queUi •, com* è
cliiaro dalle loro leggi (3).
Griinpcradorì d' Oriente, a' quaU ubbidivano
in . questi tempi il ducato napoletano , gran
parte della Calabria e della Pugha, e molte
città marittime di queste nostre Provincie , pa-
rimente inimici de' romani pontenci , esercita-
vano sopra le chiese delle città a lor soggette
assoluto arbìtrio. Costantino e Lione suo Gt-
gfiuolo volevano far valere in quelle i loro editti
per raboUzione delle immagini: non vollero
far ammettere Paolo eletto vescovo di Napoli.
come aderente al ponte6ce , e fecero che 1
Napoletani non lo ricevessero dentro la lor città.
Né fu veduta maggior deformità nella chiesa dì
Napoli, che in questi tempi. & vide nel me»
desìmo tempo Stefano, che n' era duca, e che
come ufficiale dell' imperadore teneva il governo
(■> L. 4. eiL tit. 3g. 1. 1.
(3> LiuQojiM Regia in mttriin. polfst. part. X art. i; e. j.
Ó] LL. Lonfob. 1. s. tit de prohibilii nopliii , L a. tìL t,
éi qtpiMtlib. '
464 ISTOAU DEL REGNO DI NÀPOI.I
del ducato^ morta sua moglie , essere stato
eletto vescovo I e non deponendo V antica ca-
rica^ aDuninistrare insieme le umane e le di-
vine cose. Morto che fu, e succeduto nel du-
cato Teofilatto suo genero | dovendosi venire
ali^ elezione del nuovo pastore ^ Eupraasia ^ fi*
gliuola di Stefano e moglie di Teoulattó^ cruc-
ciata contra il clero che avea mostrato della
morte di suo padre gran contento ed alle-
grezza* giurò cne non avrebbe fatto eleggere
niun di loro per vescovo ^ ed il duca suo ma«
rito y sia per non contristarla^ o per avarìzia^
faceva perciò differire V elezione } tanto che i
Napoletani attediati della limga vedovanza della
lor cliiesa^ andarono' uniti insieme e clero e
I)opolo a gridare avanti il ducal palagio ^ che
oro dessero per vescovo chi volevano. AUora
Euprassia tutta d^ ira e di furore accesa prese
dal popolo un uomo laico , cliiamato Paolo,
e loro il diede per vescovo} ne alcuno avendo
ardire di contrastarle, presero Paolo , lo tosa-
rono, e Y elessero vescovo; il quale gito a Ro-
ma, il pontefice per la corruttela del secolo
non ebbe alcuna difHcoltà di consecrarlo e con-
fermarlo (*).
In tanta corruttela, ed essendo giunte le cose
in tale estremità, si scossero finalmente non
meno i prelati della Chiesa che i principi del
secolo a darvi qualche riparo. In Francia , morto
Carlo Martello nell' anno 'j^iy avendosi diviso il
regno Carlomanno e Pipino suoi figliuoli, benché
non avessero la qualità di re, formarono il disegno
O Jo. Diac. de Episc. Neap, CUioc. de F.pisc. Neap. Au, 795,
L»U> QUINTO 4^
di operare in guisa che fosse in qualche modo
riformata la disciplina. Carlomanno principe
d' AuBtrasin fece net 743 convocare mi conci*
lio in Alemanna , e yt pubblicò col consenso
de' Tescovi molti regolamenti per riforma della
disciplina e de* costumi : vietò aeli eccleeiasticì
d* andare alla guerra : ordinò a curati di e»>
Bere sottomessi a' loro vescovi : fece degradare
e mettere in penitoua alcunf ecclesiastici coa<
vinti di d^tti d' impurità. K neW altra adunanza
che r anno seguente fece tenero in Lestines
vicino a Cambray , oltre di aver confei'mato
tutto ciò , vietò ancora gli adi^terii , gP ÌBce>
sti , i matrimoniì illegittimi e le superstizioiu
■ pa^ne. -
Pipino prìncipe dì Neustria ài affaticò' paii>
mente dal suo canto perchè la disciplina ec-
clesiastica fosse rìfonnata. Fece tener un'adu*
Danza di :)3 vescovi e molti Grandi dtA regno
in Soissons nell' anno 7 44 ; nella quale furono
confermati ì canoni de* conoilii prraedenti , ed
ordinato che inviolabilmente fossero osservati:
che ÌD ogni anno dovessera convocarsi i A-
nodi: che i sacerdoti dovessero esser soggetti
a' loro vescovi : che i cherici non potessero
aver femmine nelle lor case, eccettuatene le
loro madrìj sorelle e nipotij né i laici vergini
a Dio sacrate. Ne^ seguenti anni ySa, •jSS, f66
e 757 faroDO toiute altre consimili adimanze,
nette quali sì stabilkooo altrì regolamenti sc^ra
t costumi. E Pipino sopra ogni altro quasi ogni
«DiH> fece tener queste adunanze , nelle quab
furono stabiliti mólti Capitolarì per mantenere
la dÌ8(»{Jina , rìnnoTanoo gli antidù cauoni ,
GiAPHOHB, FiU. II. 3q
(
46$ ISTORIA D91* aSGNO PI NÀPOLI
€ &cendo de' nuovi regolamenti sopra i pres-
santi bisogni della Qiiesa. Queste adunanze non
erano propriamente concilii : elle non erano
composte solamente di vescovi^ ma eziandio di
signori e di Grandi del regno convocati da^
Ermcipi. I vescovi stendevano gli articoli per
i polizia ecclesiastica, ed i signori, per quello
apparteneva allo Stato ; e poi erano autorizzati
e pubblicati da' principi , affinchè avessero, forza
di legge. Questi articoli erano chiamati C2s|n-
ioli; ovvero Capitolari. E questa fu la maniera
ooUa quale era regolata la disciplina della Chiesa
di Francia e di Alemagna sotto la seconda
stirpe di que' re in questo secolo.
In Italia (iirono parimente da alcum ponte*
fici romani stabiliti molti canoni per riparo
ddla caduta disciplina. Papa Zaccaria tenne
perciò due concilii in Roma y uno nell^ anno 743;
composto d^ intomo a quaranta vescovi d^ Ita-
Uà , ove fu rinnovata la proibizione fatta tante
volte a^ vescovi , a^ sacerdoti ed a^ diaconi di
abitare insieme con femmine j e dati altri prov-
vedimenti; r altro nel 'j^S j composto di sette
vescovi e d' alcuni sacerdoti e diaconi ^ dove
furono discusse alcune accuse fatte a due falsi
vescovi franzesi , Adalberto e Gemente, e
trattati alcuni dogmi intomo all^ idolatria, e di-
chiarato che molti Angioli che venivano invocati,
erano i loro nomi ignoti, e che non si sapevano
se non i nomi di tre , cioè Michele , Raffaele e
Gabriele. Anche in Ci vi dal del FriuU Paolino
patriarca d^Aquileia nell' aimo 791 temie un con-
cilio, ove dopo una confessione di fede stabilì
quattordici canoni sopra la disciplina de^ cherici.
LiBito qtiiirro 4^
■opra 1 matrimonii , e sopra le obbUgaziooi
delle monache , e sopra altii bisogni.
In Oriente , da poi che T imperailrìce Irene
prese il governo aell' imperio, si pensò a ri-
stabilir la discipUna. Prese risoluzione di far
ragunare un nuovo conciho per esaminare ci&
che r altro fatto tenere da Costantino Copro-
nimo neU' anno 764 avea stabihto intomo d
cidto delle immagini. Ne diede ti\a avviso A
pontefice Adriano , che vi condescese , e vi
mandò due sacerdoti per tenervi il suo luoga
L^ adunanza del conciuo cominciò in Costan-
tìnopoU nell' anno 786 : ma essendo stata tur*
faata dagK ulBdali 4^'£3^^i''0; e da*soldatì
eccitati da' vescovi opposti al culto delle im-
magini f (il trasferita m Nicea V anno 787.
I legati del pi^a vi tennero il primo luogo ;
Tarasio patriarca di Costantinopoli il fecondo^
i deputati de' vescovi d' Oriente il terzo; dopo
essi Agapio vescovo dì Cesarea in Cappado-
cia, Giovanni vescovo di Efeso, Costantino
metropolitano di Cipri , con 35o arcivescovi e
Vescovi, e pìiì di cento sacerdoti e monacL
"Vi assist^ono ancora due commessarìi delT im-
peradoré e dell' imperadrìcej ed in più azioni
lìi lungammte dibattuto il dogma del culto delle
immagini , e stabiliti sopra ciò molti regoUt-
raeoti. Non meno che a' dogmi , fa prowedato
sopra la disciplina ecclesiastica per 31 canoni.
Fa data norma alT esame de' vescovi , preacri-
vendosi di non poter esser ammessi, se non
fossero atti ad anunaestrnre i popoli , « ce oca
sapevano il Salterio, il Vangao, l'epistole di
S. Paolo ed i canoni. & dichiarano nulle tatté
468 ISTORIA Dn RCGIfO Di NÀPOLI
r elezioni de' vescovi o sacerdoti fatte da^ prìn-
cipi; e reiezione d^un vescovo si commette
a^ vescovi convicini. Si procede severamente
contra i vescovi che ricevessero denari per de-
porre, ovvero fulminar le scomuniche. Si ordina
che tutte le chiese ed i monasteri debbiano
avere i loro economi : che i vescovi e gli abati
non possano senza necessità vendere o doiìare
le tenute deUe loro chiese e monasteri : che
non debbano le loro case vescovili e* monasteri
fargli servire per osterìe: che un cherìco non.
possa essere ascrìtto a due chiese : che i ve»
scovi e gli altrì ecclesiastici ftion possano por*
tare abiti pomposi. Si proibisce la rabbrica de^
oratorii ovvero cappelle , se non vi A possiede
Mn fondo sufficiente per somministrar le spese.
Si vièta alle femmine d* abitare ndUe case de*
vescovi, ovvero ne^ monasteri denomini. Si proi-
bisce di prendere cos^ alcuna per gli ordini ,
né per l'ingresso ne'monasterì, sotto pena di
deposizione a' vescovi ed a' sacerdoti ^ ed in
quanto alle badesse ed agli abati che non sono
sacerdoti , di essere cacciati da' monasteri :
peimette però a coloro che sono ricevuti né*
monasteri, ovvero a loro parenti, il donar vo-
lontariamente denaio o altro, sotto la con^
dizione però che que' donativi debbano rima*-
nere a' monasteri , o che colui che v' entra vi
dimori , o che n' esca , quando i superiori non
siano cagione della loro uscita. Si vieta il far
monasteri doppii d^ uomini e di femmine ] e si
comanda che rispetto a queUi che sono già
stabiliti , i monaci e le monache debbiano abi«
tare in due case diverse, e che non possano
ime QtnaTO 4^
vedersi , né aver familiarità insieme. Si proUii-
sce a* monaci il lasciar i loro proprìi mona-
steri per andarsene in altri; e per ultimo il
mangiar insieme con femnune, quando ciò
non fosse necessario per lo bene spirituale f
ovvero per accogliere qualche parente , oppure
in occasione di viaggio.
Tali e tanti provvedimenti , perchè' la caduta
disciplina in qualche modo si ristabilisse, iùr
dati m questi tempi. Dove i vizi abbondavano^
bisognavano molte leggi per reprìmergli ; ma
resta non era bastante medicina a tanti mafi.
questo fine alcuni vescovi per riformar il lor ,
clero , fecero vivere i loro preti in comune den-
tro un chiostro , .ed alla lor vigilanza è debi- -
trice la Chiesa delP ordine de* (donici regolari,
de' quali Crodegando vescovo di Metz sembra
essere stato T inslitntore , ovvero U restauratore.
Le chiese delle nostre provincie y le quali parte
ubbi^vano agli imperadori d'Oriente, parte a*
duchi longobardi, furono perciò alquanto rial-
sate , ma non tanto , sicché per la narbarìe ed
ignoranza del secolo non si vedessero per an-
che disordinate , e pochi vestigi in quelle ri-
» delT antica disciplina.
ti.
Baceolùt de* eaiumì. ,
In quest' età . bisogna collocare la cc^leùoqe
d'Isidoro Mercatore., o uà Peccatore. EHa i
latina , ed k compilata di vaili canoni de' con-
ciliì tenuti in Grecia, in Affiica, in Frapda
tSTOBU DEL a£GKO DI RAPOtr
1 pagna, e di molte lettere decretali di
f i inaino a Zaccaria clie moli liell^ an-
(i). Davide Biondello (a) fa vedere I' im-
di molte di queste epistole attnbuite
a )api di cui uon aoiio; e Pietro di Mar-
ca icorcliè condanni il modo troppo aspro
■oiu non è pero che non
;: 1 r impostura. Si dis-
piiia aucu.^ u ii questa collezione.
Incmaro (4) ^""^ ' Rema uè fece au-
tore Isidoro di narra che Ricolfo
Tescovo Mapo e tenne ipiella citiesa
dall'anno 787 ' ino 814 j dalla Spa-
gna la portass , dove sotto il re-
gno di Carlo lO fatti mt^ti esen»*
plari, e sparsi per tuiio. aia da ciò clic si disse
nel precedente libro, e da quello che ne dice
V istesso Baronìo e Marca , non può farsene
autore Isidoro vescovo di Siviglia , il qual mori
neir anno 636 , quando questa collezione ab-
braccia anche Y epistole di Zaccaria morto nel
^Sa. Altri (5) perciò V ascrivono ad Isidoro ve-
scovo di Sepulveda, che morì nell'anno 8o5,
il qual seguendo il costume di que' tempi , ne
quali i vescovi per umiltà solevano sottoscrirersi
ne' concilii ed altrove Peccatori, si fosse detto
perciò Isidoro Peccatore , e che poi per vizio
degli amanuensi in alcuni esemplari dì questa
collezione in vece di Peccatore, si leggesse
(i) Donjit Htif. du DroJt. Canon. p»rt, i. etti. Si,
(3) Blonda in PH^udo-Mdora p<Ut. an. 1C3S.
0> Marra de Cancor. Sin. et Inip. lib. 3. cap. 5. nnin. 1.
<4) HÌDcmiT. Fp. 7. e, 13. rt in Opuic 5S. rap. a4>
(5) Baron. An. 865. nuni. 5. Mariana lib. 6. d« Rcb. Hiip.
«■p. 5. Chroiiic. Juli«ni T«). Pari*, edit. « Lanmilio lUmim.
LIBRO qeijxro 4?'
Mereaion. Emanuel Gonzalei (i) rapporta cne
questa collezione d^ Isidoro Mercatore fu pub*
blicata sotto nome desidero di Siviglia per
darle maggior autorità y o perchè realmente db
costui fosse cominciata un altra collezione^ rik
dotta poi a compimento da Mercatore» c€m
averci inserite molte altre epistole sino a^ tempi
di Zaccaria.
Non solo in questi tempi fu veduta sorgere*
questa nuova collezione a Isidoro^ ma anclM
se ne vide un^ altra sotto nome di Capitoli di
Papa Adriano y che in Francia fu divulgata dfl
Ingilramno vescovo di Metz V anno 785. Mf
questa raccolta y secondo che ci te^t^ca Incma*
ro (a) di Beims, non fu ricevuta nel rango di^
canoni; di che è da vedersi Pietro di Mar*
ca (3). Anche in Roma in questo medesimo
secolo fu fatta un^ altra raccolta di formole an-
tiche ^ intitolata: Diumus Romanorum Ponti»
ficum i della quale si servivano solamtnU i
papi neBe loro spedizioni.
tn.
Monaci y e beni Umporati.
I nostri principi ed i signori grandi non
cessavano m far delle donazioni considerabìH
alle chiese j ed a fondare de^ nuovi monasteit,
ed arricclure i già costrutti. Fu veramente
<i) Goncalet tu Apptnta de iwig. d progr. Iitr. Canoa;
Barn. 16.
(1) Hincmar. in Opusc màyrnc, Hincon. LainL 9^ s4*
(3) P. de Marct loc. cH. nam. 4*
473 isToniA USL recmo di ifipou
questo il secolo de' monaci. L' ignoranKs e la
fiuperstizione non inen de' laici che de' preti ci"a
neil' I ino grado : solo uè' monaci eran rìmasa
qualcb letteratura, onde con facilità tiravano
per le orecchie la gente a ciò eh' essi voleva-
no. I tanti miracoli , le tante nuove divozioni
inventate a qu-'-"-- ^-olar Santo, ristniir
essi per T ignur.. ìolutezza de' preti H
popolo, operò t tirerono a sé la di-
' vozione e pi i. II re Luitprando
costrusse nuu utto, dove soleva di-
morare, molte oche ben ampli mo-
nasteri. Costui inasterò di S. Pietro
fuori le mura v». le a' tempi di Paolo
Wamefrido C) pt> cchezza si chiama'va
Cielo d' Oro. Editiuo uiiLuia in cima delle Alpi
di Bardone il monastero di Berceto ] ed oltre
a ciò fabbricò in Olonna un tempio con mi-
rabìl lavoro in onore di S. Anastasio martire f
dove fece anclie costruire un ampio monaste-
ra Egli con molta magnificenza per tutti i luo-
ghi ordinò chiese , e fu il primo che dentro il
suo palazzo edificò mi oratorio dedicato al Sal-
vatore, ordinandovi sacerdoti e cberici, i quali
ogni giorno vi cantassero i divini uffici. Qumdi
cominciarono appo noi a rilucere con maggior
dignità e splendore le cappeUe regie , le quali
da sommi pontefici arriccbite poi di molte pre-
rogative ed esenzioni per compiacere a'princkii
che glie le richiedevano , non meno esse che
i loro cappellani s' elevarono cotanto, quanto
ravviseremo ne' seguenti libri di quest' Istcnia.
n ftvi. Warocfr. lib. 6. e. 58.
LIMO QVi:iTO 47^
I nostri duchi di Benevento , s^tntando F e-
sempio de* l(»o re , non meno in Benevento
che in tutto il loro ampio ducato ne fondarono
de* nuovi , ed arrìcchutino i già costrutti , e
s<^ra ogni altro quello di M. Casino. Arechi
ingrandì quello di S. Sofia in Benevento, e di
profuse donazioni lo cumulò. A questi ten^i circa
neiranno 700 fu costrutto da que* tre famosi no-
bili longobardi beneventani Patdo, Taso e Tato
il famoso monastero di S. Vincenzo a Vultur-
no (t) con tanta magnificenza » che ne' seguenti
tempi quasi emulo di quello di M. Quino , in-
nalzò i suoi abati a tanta dignità ^ eh* erano
adoperati ne* più importanti auarì della sede di
Boma e de' più potenti signori d' Occidente.
Non meno in questo ducato che nel napoleta-
no , e nelle altre città sottoposte agi' ìmpera-
dori d* Oriente , i monasteri si moltiplicarono,
non pure quelli sotto la regola di S. Benedetto
che di S. Basiho, non solamente degU uomini
che delle donne. In Napoli Stefano duca e ve-
scovo costrusse molte cliiese e più monasteri,
dotandogli d' ampiì poderi e rendite ; così quello
di S. Festo martire, ora unito a quello di S.
Marcellino , come F altro di S. Pantaleone, dì
cui og^ non vi Ò vestigio ; e restituì in più
magiufica forma quello cu S. Gau(Uoso (3). An-
timo console e duca ne fondò altri , quella
de' SS. Onirico e Gìulitta , la chiesa di S. Paoh^
che la congiunse col monastero di S, Andrea.
(1) Oiti^Di. lib. I. r*p. i. V. PHIrgrin. in irrìr Abbat. Cat.
•in. Tbeodeiiuir. V«dì Uibil. tam, 6. ore li legge h Cronaca
C-i> Chioc d* ^M. VvMf. in St«phww A. 764.
^74 ISTORIA. DKL RGGUO Di IfATOLI
e così anche fecero non meno ì vescovi e^ du*
chi <li Napoli , elle gii allrì uFGciali e' prelati
delle altre ciUà di queste provincie onde ora
ai compone il regno ; i quali possono osser-
varsi nella laboriosa opera dell' Italia Sacra d' U-
ghello. Crebbero perciò i monaci , e le loro
ricchezze in * " " i non minore fu F ac-
crescimento a torità e riputazione a
cagion dell* igno li altri , e delle lettere
che nel miglioi e si potè in tanta bar-
barie , fra loro rayano,
Fondati peri monasteri , ì monaci
cotanto arricc dutisi in tanta eleva-
tezza , tentaro che mai di scuotere
affatto il giogo vi. Cominciarono, e^
è vero , nel precetlente secolo ì monasteri ad
eaenzionarsi dalla giurisdizione de^ vescovi j ma
ciò , secondo narra Alteserra Q j i>on si usava
che di radissimo.
(Ne' precedenti secoli fìiron rarissime le eseiH
zioni de* monaci ; ed Isacco Haberto , Arcfaie
Stag. SgS, crede che il primo abate esente
osse stato quello del monasterio Lirinense, a
cui dal concilio Aretatense lU fosse stata con-
ceduta la prima volta esenzione intomo T an-
no 4^0 ).
L* esempio che in questo secolo diede Zac-
caria col monastero di tnonte Casino, fece che
j^ altri dì tempo in tempo si rendessero taitti
esenti. Lo splendore nel qude era il medesimo
in questi tempi , trasse a sé tutto il favore de
O Alt»»"". AK«tiroii lib. j. Mp. I
LURO QUINTO • 4?^
romaiii pontefici^ i quali come se foasero'pre*
saghi che da quello j come dal cavallo troiaiiO|
ne doyeano uscire tanti pontefici suoi succes-^
sori y non mai si stancarono di cumularlo di
privilegi e di prerogative. Lo rendevano pia
augusto essejrsi ivi resi monaci , oltre a Racni.
Carlomanno y e tanti altri personaggi regali ed
illustri. Perciò ristabilito col favore de^ due Gre-
Jrorìi n e DI da Petronace in quella magnifica
orma y Zaccaria y emulando i suoi predeces-
sori y volle di maggiori preminenze arricchirlo.
Volle egli di sua man propria consecrarlo , ed
ivi portatosi con tredici arcivescovi e sessan-
totto vescovi^ rendè più augusta e magnifica
la consecrazione. Furono i monaci pronti a rìr
chiederlo che si famoso ed illustre monastero
dovesse esentarsi affatto dalla giurisdizione del
propria vescovo • nella cui diocesi era. Zac-»,
earia volentieri ^li concedè ampia esenzione*
e ne spedi privilegio y col quale non solo qud
monastero ^ ma tutti gli altri appartenenti a
J nello y ovunque posti j fossero esenti e liberi
alla giurisdizione di tutti i vescovi y ita ut nul^
lius juri subjaceaty nisi soUus Romani Pon*
tyicis 9 come sono le parole di Lione Ostien-
se C). Oltre a ciò y lo decorò ancora d^ altre
preminenze : che in tutti i concilii V abate Ca-
sinense sopra tutti gli altri d)ati sedesse^ a
Srima 'degli altri desse il suo voto : ch^ eletto
a^ monaci dovesse consacrarsi dal pontefice
cornano ; che il vescovo entrando nella sua
P OsUeiu. lìb. 9. eap. 4. V. F Abate ddk Noee, diete-
•tifica servarsi ancora questo prÌTilegio neir ArcfaÌT. Cairn»
t
I . -<
476 rXTORtA DEL MGIIO DI IIU>OLI
giurisdizione', non potesse celebrare , uè far altra
Fontitìcal funzione , se non fosse invitato dal-
abate o dal preposìto; che non gli fosse le-
cito esiger decime da lui , uè interdire i suoi
sacerdoti, né chiamarli a' concìlii sinodali; che
gli abati di questo monastero potessero tener
ordinazioni , eoi: Jtari , e ricevere per
quabisia tcscovi oa. Gli confermò an-
cora eoa suo p possessione dì tutti
que^ beni che n :enza di tanti principi
longobardi e gnori avea acquistati.
Gli altri ponte! ori , seguitando le me-
desime pedate . . ro questi priviJegi, de'
quali l'abate d (*) ne ha tessiiLo un
umgo catalogo.
Gli altri monasteri solfo altre regole ed i
loro abati di non inferior fama e valore con fa-
cilìUt impetravano da' romani pontefici d' esser
ricevuti sotto la protezion di S. Pietro , ed im-
mediatamente sotto alla soggezion pontificia,
Eerchè questa esenzione accresceva in gran parte
1 lor potenza, e portava grande estensione
della loro autorità appresso tutte le nazioni det-
T Occidente- poiché costruendosi tuttavia grandi
e nomerosi monasteri retti da abati di gran
fiuna , i quali per la lor dottrina oscuravano ì
vescovi , nacque in&a di loro qualche gara ;
onde gli abati, per sottrarsi daDa loro sogge-
zione , ricorrevano al papa , e tosto impetra-
vano esenzioni , con sottoporsi immediatamente
sotto alla soggezion pontificia. Ne ricevevano,
UBRO QUIKTO 4??
oltre a ciò ^ altri privilegi^ di far essi li lettori
per i loro monasteri^ d esser ordinati da^co-
revescoiri, e tanti altri. Quindi naccjiie che il
pontificato romano acquistasse molti defensor!
della sua autorità e potestà \ poiché ottenendo
i monaci tanti privile^ e prerogative, per con-
servarsegli erano obbhgati di sostener V auto-
rità del concedente: il che facendo ottimamente
i monaci I ch^ erano i più letterati del secdo •
non passarono molti anni che si videro tutti
i monasteri esentati. Ed in decorso di tempo
i capitoli ancora delle cattedrali . essendo per
la maggior parte regolari , co* medesimi preto*
sti impetrarono anch'essi esenzione. £ final*
mente le congregazioni Quniacense e Qster-
ciense tutte intere fiirono esentate con gran
angumento delP autorità pontificia, la quale ye«
mva ad aver sudditi proprii in ciascun luogo,
ancorché da Roma lontanissimo , li quali n^
V istesso tempo eh* erano difesi e protetti dal
papato , scambievolmente erano i difensori e
protettori della sua potestà. S. Bernardo an«
coichò Cisterciense non lodava V inv^mone ,
e di tal corruttela ne portava spesso le do*
l^anze non pur ad Arrigo arcivescovo di Sena (i),
ma ammomva F istesso pontefice Eugenio ID
a considerare che tutti erano abusi , né si do»
veva aver per bene se un abate ricusava di
sottomettersi al vescovo , ed il vescovo al me«
tropoUtano. Riccardo arcivescovo di Cantora
hery (a) .pur lo stesso esclamava con Alessan*
X dro IIL Ma costoro che non ben intendevano
<i> S. Ber. Epift 43* ^ ^* )• ^ eoDiid. ad Eogen.
<9) P. Bleten. Eput 6S.
.•
476 ' mOtU «Db iMM m VA»OU
mmA ttmi S: S»ÉU> y firaM inlnij né
iflb loro fnerab di oiad» . oredclua An^ ih^
imipi poftanori battatadoA la mtàemoM rim «
'o procede. (Me «finii) poidiè da poi' |^
éSaa nindioanli non aob òttamaro (^^ <
diacia ^fiTantpcìtà apisoopale, a g gn e rai f nta
offunq ua feaavo ^ -ma anche bèoltà di ftbbn*
air "«^iasa in mialnni|iia Inogoy ad in< <pà)m
fgiandift • wtiwiìrtn ir 'ff^ T^**"" " "- k xmM utimi
wcali a* ara. mito iunanaprocadoto ^ dia ùf/ai
pijìyalo |irala cali poèa apaaa à^impatTava im
aianakwdana'anpariorità- iM ana aasoofo mn
•ab nflUa «aita or comsiÒBe ^ aia anche par
potar ésaar ordinato' da dn di piacata , ea a
aottana tli non tìcooofocte iltaacovo in eanka
aKiano« ^£ anantnniOBa nH* conauo OA-Ciioatama
aHa calda é i^Mtnta guarda dd finnoad, Gap*
aciM (1) mdtiaaime aaanaiooi a* annaHaaaero | ad
dtimamante nd concilio di Trento (2) si proc-
curasse a tanti eccessi qualche compenso ; non
SODO però da poi mancati modi alla corte di
Boma di far ncadere la bisogna j salva P au«
tonta del medesimo ; in quello stato che o^^gi
tatti Teggiamo, -
Questi ingrandimenti ddlo stato monastico
portarono non solo a^ monaci grandi ricchezze,
ma in conseguenza assai pia aUa corte di Ro«
ma, ove finalmente vennero <peUe a terminare.
Si proccarava non solo favorire gli acquisti,
e tener sempre aperte le scaturigini, ma con
severi anatami proibir le alienazioni, e scagliargli
(O Gfnon. traet de poteit. Eedes, eoot. io, et èe sfaHK
Erri. ooDsid. ^ ^'
(9> Seu. i4* à9 rthr, i{, éà «ItroTC.
LIBRO QOINTO 479
ancora contro chi ardiva di turì^ar Tacque
stato. Per Tignoi^anza e superstizione de^po^
poli i peliegrìnaggi erano più frequenti : V ora«
xioni ed i sacrificii a fin cu liberar T anime de*
loro defonti dal purgatorio y erano vie pi&
raccomandati e molto più praticati. Si vide
per ciò in questo secolo una gran cura del
canto ^ de* riti e di ben ufficiare : le campane
cominciarono ad esser comuni in tutte le chiese
e monasteri; e le particolari devozioni a* Santi^
de* quali eransi composte innumeràbili vite e
miracoli) tiravano molti a donare alle lor cliiese
e monasteri. Ma i mònaci non contenti di ciò^
favoriti da* pontefici romani y invasero anche le
decime dovute a* vescovi ed a* parrochi da*
loro parrocchiani. Pretesero, e 1* ottennero da*
creduli devoti, che impiegandosi essi assai me-
glio che i preti alla cura delle loro anime , come
quelli che più esperti sapevan far delle predir
elle e de* sermom , ed istruirgli nella dottrina
cristiana , le decime non a* parrochi , ma ad
essi dovessero pagarle ] ed in effetto per lungo
tempo vi diedero un guasto grandissimo non
inferiore a quello che v*avea dato in Francia
Carlo Martello ; tanto che bisognò ne* secoU se-
guenti penar molto a ritogUerle e restituirle
a* propni preti , a* quaU is* erano involate.
Niun* altra provincia del mondo ^ quanto il
nostro reame , ha fatto conoscere quanto im-
portava a Roma la riccliezza de* monaci. Le
maggiori commende, i più grandi benefizi eh* ella
oggi dispensa a* suoi carainali e ad altri suoi
prelati per mantener la pompa e lo splendore
della sua corte, non altronde dipendono, ed
4Bo I^T. DEL RE6X0 DI :IAF. LIB. V.
hftiuio la di loro orìgine, se non da (jueste pro>
fusioni de' noslri prìncipi e de' uostri FeilelL
1 nionasterì più ricchi perciò si Ttdero dare in
commende. Quelli clic u tempo consumù, sono
rimasi fondi di tante. rendite che ora ne trag-
gono j 8 le entrate di que' tanti monasteri , dì
che ora appena
Roma vanno .
matene
leggi, così j
nuova giungp
mi, quanti ne
ciò a più opportuno luogo.
rba vestigio , tutte in
Kiindì i pontefici ro-
ndpi , siccome quelli
Le' feudi , così essi a*
i : e siccome per la
to un nuovo corpo di
iaria se n' è fatta una
Ile occupa tanti volit-
ati la feudale. Ma di
FiKE DSL Volumi II.
I ■
TAVOLA
DEI CAPITOLI
LIBRO TERZO
Cir. I. JLJé God occidentali, e dette loro
l^ggi . • • pag. 8
S *• ^cl Codice <f Alarico »> i5
S 2. Traslazione della sede regia degli
y lVestroff)li da Tolosa di Francia
in Toledo nelle Spagne »> 19
$ 3. ^Del nuovo Codice delle le^ degli
IV^trogod. » 22
Cip. II. De* Goti onenialiy e loro editti • . 99 ,29
% i. Di Teodorico ostrogoto^ re é^ ItOr
Ha n 36
S ^- t^ggi romane ricesfute daTcodorìco
in Italiane suoi editti conformi alle
medesime " 4^
S 3. La medesima polizia e magistrati
V ritenuti da Teodotico in Italia . n 52
% ^. La medesima disposizione delle prò-
^ vincie ritenuta in Italia dal re Teo-
\ ^ • dorico, . ; » 58
Della Campagna ^ e suoi consolari . n ivi
Della Pugha e Calabria y e suoi cor-
rettori. n 65
Della Lucania e Bruziy e suoi cor-- «^
rettori » 67
Del Sannio _, e suoi presidi .... » 70
GlANNOIXE FoL IL 3i
«
\
1
S 5. 7 medesimi codici rìiemui,e le me-
desime condizioni deUe persone e
de' retaggi ........... pag. 71
* S 6. Insigni virtìi di Teodorìco , e sua
morte n ^4
S 7. Di Atalarico re df Italia » 83
Caf. III. Di Giustiniano imperadorcy e sue leg^^ 85
S I • Del primo Codice di Giustiniano n 86
S a. /^e//e Pandette ed Instituzioni .' . »» 88
% 3. /^e/ secondo Codice di Giustiniano
di repetita prelezione n gS
S 4* Delle NoveUe di Giustiniano, . . n ioti
% 5. DelT uso ed autorità di questi libri ih
Italia ed in queste nostre provincien 108
Gap. ly. Espedixione di Giustiniano cantra Teo^
dato re i Italia successor ^Ata-
larico n III
% \, Di Viti^ , Ildibaldo ed Erarìco re
tP Italia .....'> iati
% là. Di Totila re i Italia , . » 1214
% 3. Di Teia ultimo re de' Goti in Italia» \i^
Gap. V. Di Giustino II imperadote, e della
nuoi^a polizia introdotta in Italia
ed in queste nostre provincie da
Longino suo pritno esarca ... « i4o
Gap. vi. DcW esterior polizia ecclesiastica . . »» i43
S I. Del patriarca d' Occidente 147
5 2. Dei patriarca d! Oriente »> i5i
5 3. Polizia ecclesiastica di queste nostre
Provincie sotto i Goti e sotto i
Greci fin a* tempi di Giustino Un 1 58
§ 4» De* Monaci, n 169
§ 5. Regolamenti ecclesiastici , e nuoi'c
collezioni » 176
S 6. Della conoscenza nelle cause, . . » 184
§ 7. Beni temporali »> 19 1
L I B R O IV.
Gap, \, Di Albonio I re d* Italia che fermo
la sua sede regia in Pavia, e degli
altri /Tc siwi successoti v 202
% ì. Di Clefi II rt it Italia .... pag. io3
5 X Di Autori IH re cC Italia ....*> in
\ 3. Origine de^ feudi in Italia .... » iiS
Gap. II. Del ducato benes^ntano, e di Zotone
suo primo duca » aao
Gap. hi. Di Agilutfo IF re de* Longobardi , e
di Arechi II duca di Benevento »» iZj
% i. Di Arechi II duca di Benevento n alo
Gap. rV. Del ducato napoletano y e suoi duchi » a44
Gap. V. Di Adalualdo ed Ariovaldo, F e FI
re de* Longobardi '* a5i
Gap. vi. Di Rotori FlI re , da cui in Italia
furono le leggi longobarde ridotte
in iscritto '> a54
Gap. vii. Di Alone e Rodoatdo, III e IF du-
chi di Benevento n i63
Gap. Vili. Di Grintoaldo F duca di Benevento:
delle guerre da lui mosse d Na^'
poletani ; e morte del re Rotori n a65
Gap. IX. Di Rodoaldo , Ariperto^ Partorite e
GundebertOy FIII^ v/Jf , X e XI
re de* Longobardi »> l'j'i
Gap. X. Di Grimoaldo XII re de' Longobardi,
di Romualdo FI duca di Bene-
vento ; e della spedizione italica di
Costanzo imperador dH Oriente . » 276"
S I. Di Romualdo FI duca di Bene^
vento n 279
% 3. Fenuta de* Bulgari ; ed origine della
lingua italiana^ n a86
S 3. Leggi di Grimoaldo y e sua morie n 292
Gap. XI. Di Garibaldo , Pertarite , Cuniperto ,
ed altri re e duchi di Benevento y
infitto a Luilprando *» ^19^
S I. Di Grimoaldo II y Gisulfo /, Ro-
mualdo II y AdeUd , Gregorio ,
Godescalco^ Gùfulfb II e Luit-
prando duchi di Benevento ..." 296
S a. Dì Luitperto , Rogumberio , Ariper-
to II ed Asprtmdo re de* Longo-
bardi 299
m
cn net ^M
Autori ^M
u-ltim- ^
Cap. XIl. Dell' ifsterior po&iin cevlctiaslicti
rrgno ite' Longobardi da /iutari
iiLiino al re Luilpimuio; e lu-ltùn-
feria de' Greci , ita Giustino II
insìno a Lione laaurico . . . I>ug. lou
5 I . airone d«' vexravi , e loro dispth-
dizione nttie cillà di tjuexle nostre
S 3, 'esiattià ■ 327
5 4- - 3-,g
» V.
S "^ - 343
S Italia per gH edfifi
vo " 346
ekino H mantenne
.ione, luaurico . . " 35()
5 \. Orìgine aet Uominio temporale de'
romani pontefici in Italia . , . , " 3Ga
§ 5. Frinii ricorsi oi'uti in Francia da
papa Gregorio If, e dal tuo suc~
cessore Gregorio IH n 3-3
S 6. Costantino Copronimo succede a
Lione tuo patire ; e morte dì Liiìt-
pramlo re de' Longobardi . , . i- 3-(;
(-*r. I. Di Bnrhi re de' Longobardi , e .sue
irggi . . . ., - 38o
5 I. TransUiàonc del reame di Francia
da' Mermingi a' Carolingi .... » 3^2
5 2. Racla abbandona il ifgno e fossi
monaco Ca^mnese •, 3W;
i',r,r. II. Di jistolfo re de' Longobanii: ma
xptdizione in Ravenna , e Jìne di
quell'esarcato Sof
S 1 . S/H'dizione (C Astolfo nel durato ro-
matto •■ 3t).S
S 2. Papa Stefano in Francia: .'itoi trat-
tali col re Pipino ; e duiurzionc di
questo principe fatta alia Chiesa
romana di Pcntafmli e delC esar-
eato di Ravemia tolto à longo-
bardi , . , . . pag. 4<»
S 3. i>ffif étAtloyo, e ma morte . . » 4'^
IH. Il ducalo napolelano, la Calabria,
il Bnizio^ ed alcune altre città
marillime di queste notlre provin-
cie n manlengono tolto lajède
delT imperadore Costantino , e di
Lione suo /ìgliuolo n 4'^
IV- Di Desiderio ultimo re de' Longobardi" 4^^
V. Leggi de' Longobardi ritenute in Itor
lia , ancorché da tfueUa ne fossero ■
stali scacciati .■ loro giustizia e sa-
viezza n 435
/, Ijcggi lor^barde langamenle ri-
lenule nel ducato beneventano , e
poi disseminale in tutte le nostre
Provincie ontE ora si compone il
regno .' » 4^'
VI. Della polizia ecclesiastica , .1, . . . n 4^8
S I. Raccolta de' canoni »» 4^9
S 2- Monaci, e beni temporali .... » 4?'
ì
-r:
^,«
^. •
V. Z
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554 75